Do you know the feeling of summer?

di WarHamster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Read ***
Capitolo 2: *** Swim ***
Capitolo 3: *** Lay ***



Capitolo 1
*** Read ***


Howl of the author:
So di avere un’altra long che attende di essere continuata, ma questa sta a prender polvere in una cartella da troppo tempo e visto che ormai l’estate è qui mi sembrava fosse ora di pubblicarla.
Questa storia è una missing moment di quando Derek è partito con Cora, ed è una what if perché ho supposto che si trovassero in una sorta di “casa di campagna” degli Hale prima che Derek riportasse Cora in Sudamerica. All’epoca in cui l’ho scritta non sapevo ancora cosa sarebbe successo dopo (anche se l’aver visto poi la 3B ha portato ad una modifica del finale affinché la storia potesse inserirsi meglio).
Ho citato in larga parte La storia infinita: Graogramàn, la morte multicolore, è un grosso leone che porta il deserto ovunque si sposta ma di notte muore trasformandosi in pietra e la sua morte dà vita ad una splendida foresta che non potrebbe esistere se lui fosse in vita (non compare nel film, per questo Derek non lo conosce); la citazione finale è l’incipit del libro.
Le parti in inglese provengono da un breve componimento poetico trovato tempo fa su tumblr (ho mantenuto la disposizione spaziale esatta delle parole perché mi piaceva), se riesco a ritrovare il link poi lo inserisco.
Questa storia è una sorta di esperimento, i dialoghi sono inseriti nel testo senza introduzioni o riferimenti e si inseriscono nella descrizione all’istante esatto in cui vengono pronunciati, e nulla spero che possa piacere e che sia comprensibile ^^”
Buona lettura (spero)

do you know the feeling
of summer?
--you must.
#1. Read
Derek si stupisce quando vede la jeep acquamarina sbucare dalla stradina fra gli alberi. Non dovrebbe, è Stiles, sarebbe in grado di trovarlo anche se fuggisse in capo al mondo.
Non dovrebbe, perché se per allontanarsi da Beacon Hills non è nemmeno uscito dalla California allora, in fondo, voleva che qualcuno che lo trovasse.

Si sorprende di nuovo, quando se lo trova di fronte che lo saluta con una mano sollevata «Ehi Derek» come se non lo vedesse che da qualche giorno.
E invece è già passato un mese, il cofano della jeep è stato riparato e il taglio sulla fronte di Stiles è già guarito. Derek non dovrebbe saper nulla, di quel taglio, e nemmeno che Stiles si è schiantato contro un pino, ma Scott a volte ha davvero la bocca larga.
L’ultima volta che l’aveva visto erano in un ascensore e lo stava prendendo a pugni, di nuovo.

Derek è ancora stupito di fronte alla porta, Cora fa entrare Stiles e lui finge di ignorare il rossore sulle sue guance mentre le chiede come sta «Tutto ok? Intendo- Intendo dopo quella volta… insomma, è tutto ok adesso, no? Stai bene, mi sembra» parla ancora troppo, ci sono cose che non cambiano mai.
Lo stupore si trasforma in una qual certa inquietudine, il libro che Stiles tiene in mano dà una serie di ipotetiche risposte alla domanda che ronza nella sua testa: “Che ci fai qui?”.

Fa strano averlo lì, seduto allo stesso tavolo «Caffè?» come se avesse qualcosa di tremendo da dirgli, o forse è solo che si è abituato alle cattive notizie «Senza zucchero, grazie» Derek trova che ci sia qualcosa di spaventoso nella calma piatta. Ci sono così tante congetture da fare nel silenzio, così tante cose a cui pensare, che lo assale un terrore cieco – sordo e anche muto «Derek? Derek! Mi stai ascoltando?»
Si è abituato a pensare al peggio, dicevamo, eppure Stiles è lì, tranquillo, come se non ci fosse alcun problema «Stavo pensando» non gli piace il modo in cui lo dice «sì, insomma, le cose vanno per il meglio… come situazione, intendo, non perché te ne sei andato, questo non è il meglio; non dico che sia stata una decisione stupida, capisco che tu possa volere i tuoi-» parla sempre troppo, almeno lui non cambia mai.
Non sa come si sia finiti a parlare dei suoi errori, non lo sa proprio, dal momento che non ha aperto bocca; e mentre lui continua imperterrito «avresti potuto parlarci, sai, trovo questa tua mancanza di comunicazione francamente irritante» c’è quel libro sul tavolo, non sa se mettersi a ridere o rimanerne perplesso «E ora cos’è quel sorrisetto?»
Summer feels like                                    ­
that book you read                    
when you where eight              ­
that you can’t remember the
name                                ­   
of. 
                        ­
 

Storie per bambini, aveva otto anni l’ultima volta che ne aveva visto uno. C’era di mezzo un topo, no, un coniglio, ci aveva persino pianto sopra qualche volta, Laura l’aveva preso in giro per anni «Un lupo che piange per un coniglio, questa sì che è bella!»
Ad ogni modo non ne vede il punto «Cos’è quello?» non è più un bambino «Benjamin Coniglio! Ce l’hai mai avuta un’estate normale, Derek?».

Forse una volta, molti, molti anni prima, forse un paio di estati normali le ha avute. Gite al fiume, campeggio nel bosco, partite a pallacanestro… se le ricorda poco «Quanti anni sono che non ne passi una con tutti i crismi?».
L’ultima non si poteva definire splendida, era stata un’estate fredda, nella casa degli Hale. Con il simbolo sulla porta e tutto il resto, non aveva avuto nemmeno il tempo di pensarci all’estate «Sai ancora che sapore ha?».

A volte Derek pensa che Stiles sia pazzo, altre volte ne è sicuro «Cosa vorrebbe dire?»
Perché fa domande strane, prive di senso, e si aspetta che lui risponda «Vuol dire che non credo di essere troppo in ritardo per ricordartelo» oh, forse dovrebbe solo tacere ed acconsentire.
Sbuffa, Derek, in quel modo che significa tanto “non provarci nemmeno” quanto “fa’ quel che vuoi”, e sa già perfettamente come la prenderà Stiles «Te lo ricordi Benjamin Coniglio?»
Vorrebbe poter dire di no e cacciarlo fuori a pedate, ma dopotutto è Stiles, ha quel suo sorriso fin troppo contagioso, le occhiaie di chi si è fatto quattro ore di viaggio per arrivare da lui e probabilmente sta anche saltando scuola «Forse».

Ha l’impressione di distrarsi un po’ troppo quando è con lui, si distrae a guardarlo, si perde ascoltandolo; non sa come sono arrivati sul dondolo in veranda, non sapeva nemmeno di averlo, un dondolo in veranda. Derek dovrebbe davvero cominciare a fare attenzione alle cose belle.
Stiles gli mette quel libro fra le mani e lui non sa bene come sta, si sente un po’ stupido, un po’ confuso, un po’ in imbarazzo, ma comincia a leggere.

Lo sente, il sapore di una sera di tanti anni fa, il Derek di prima leggeva Benjamin Coniglio, Cora bambina nel letto, le pareti dipinte di bianco, la moquette sulle scale, i trofei di Peter in soggiorno, il ronzio del frigorifero in cucina. Cora si addormentava alla terza pagina, Derek si commuoveva alla quarta, Laura rideva, erano felici. E vivi.
(Books have names               
and spines, do not tell me ­
they cannot be my               
friends).
                     
                      ­
Derek si sente come se non respirasse da secoli «Tutto bene?» come un astronauta di ritorno dalla Luna – non risponde, silenzio assenso.

«A volte i libri aiutano» Stiles ha l’espressione di uno che capisce “Me l’ha detto mia madre” vorrebbe poter aggiungere – Derek finge di non sapere perché, ma conosce fin troppo bene quello sguardo, i loro demoni potrebbero correre insieme per chilometri, fondersi e specchiarsi uno nell’altro.

Il suo sorriso è cambiato, sa di nostalgia «Da bambino leggevo in continuazione questo» gli era sfuggito che ci fosse un altro libro, forse Stiles lo distrae molto più di quanto immagini. “La Storia Infinita” «Lo conosci?» la copertina è consumata, il titolo quasi illeggibile «Ho visto il film» Stiles fa una smorfia, non deve essergli piaciuto. Derek piangeva sempre quando lo guardava, Mork lo terrorizzava, vedeva quella grossa testa nera con gli occhi verdi spalancati, la vedeva a terra, priva di un corpo e pensava a sua madre, a quanto ci assomigliasse. Era come vederla morire, Laura non lo prendeva in giro, faceva paura anche a lei.

«Il mio preferito era Graogramàn» sembra addirittura serio mentre lo dice «Forse perché dava un senso alle cose, in un mondo di caos lui trovava il senso, pazzesco» appoggia i gomiti alle ginocchia, guarda lontano, come chi non pensa a ciò che sta dicendo, sono solo parole che gli scivolano fuori dalla bocca. «Forse è proprio così» Derek si volta, non sa perché – continua a non sapere un sacco di cose – ma è come se Stiles stesse piangendo, piangendo dentro, senza lacrime, singhiozzi e smorfie – «forse la morte serve a qualcosa, forse c'è un motivo se le persone se ne vanno».
Forse Stiles dovrebbe fare silenzio, dovrebbe smetterla di accampare strane scuse e accettare le cose come sono.

Derek sente male da qualche parte fra lo stomaco e il diaframma, un po' ha paura, un po' è rabbia, tutte cose che ha già provato, già sentito, dopo il caldo dell'incendio. Vorrebbe dire a Stiles che non c'è bisogno di aggrapparsi a queste convinzioni che non c'è un motivo se sua madre se n'è andata, ma ha il terrore che se aprisse bocca finirebbe per calare il silenzio. Stiles in silenzio, la cosa ha del tragicomico.
Vorrebbe poter dire un sacco di cose, ma in fondo il libro non l’ha letto, non sa nemmeno chi sia Graogramàn.

C’è Stiles sul dondolo, con quel sorriso strano, che lo guarda come guarderebbe Graogramàn, la morte multicolore – verde, blu, rosso, sembra ci sia un Derek diverso per ogni colore dei suoi occhi – ma questo Derek non lo sa.
Sospira, per un momento ha avuto di nuovo otto anni e Stiles lo sa, sa che a volte basta uno stupido libro per bambini per rendere tutto più leggero, ma sa anche che per Derek non basta; ci vuole dell’altro prima che riesca a sdraiarsi sull’erba e ridere di una coccinella che gli si posa sul naso, prima che riesca a nuotare in un lago senza il terrore di essere trascinato a fondo, prima che possa preparare i pancake alla mattina canticchiando Ain’t no mountain high enough anche se era la canzone preferita di sua madre.

Derek guarda Stiles mentre tira fuori il suo borsone dalla jeep, gli ricorda un po’ i suoi ritiri con la squadra di basket, quasi gli scappa un sorriso mentre Cora lo accompagna nella stanza degli ospiti. Non hanno nemmeno chiesto il suo permesso, sembrava naturale che Stiles avrebbe finito per fermarsi lì, Derek ha protestato debolmente tirando in ballo la scuola, ma sapeva già che gli Stilinski sanno essere più testardi di un mulo.

Potrebbe essere la tredicesima volta che percorre il corridoio, ha ancora quell’assurda sensazione che debba succedere qualcosa di brutto e non riesce a liberarsene.
Scatta sul chi vive quando la porta si apre alle sue spalle «Sono pronto ad assicurarti che nessuno cercherà di ucciderti questa notte» preferirebbe che usasse la prima persona plurale, dopotutto Derek non è uno che si preoccupa solo per se stesso. Resta lì impalato, perché sa che è stupido montare la guardia, ma proprio non ce la fa a dormire; Stiles sbuffa e si passa una mano sugli occhi, sembra non dorma da un po'.
«E allora tanto vale restare svegli in due» Derek lo guarda un po’ stranito mentre si siede sul divano con una maglietta verde macchiata di candeggina e i pantaloncini della Beacon High «Non credo ce ne sia bisogno» gli lancia un’occhiataccia, poi sorride come se avesse a che fare con un bambino e batte sul posto accanto a lui.
Derek comincia a capire appena prima che lui si allunghi a prendere il libro dal tavolino «Questa scritta stava sulla porta a vetri di una botteguccia…»

 
(If you were a book, I’d read you cover to cover in an afternoon).

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Capitolo 2
*** Swim ***


#2. Swim
Derek sbadiglia, ha dimenticato quando è stata l’ultima volta che si è sentito stanco soltanto per essere rimasto sveglio a leggere – forse quella volta che suo padre gli ha regalato l’intera collezione di Daredevil e lui non è riuscito ad aspettare e li ha letti uno dietro l’altro.
Se non altro non ha le occhiaie come Stiles, anche se sembra che non sia stata solo quella notte insonne a procurargliele.
Carica sulla jeep il borsone che Stiles gli ha messo in mano e di siede al posto del passeggero, non è riuscito a fargli dire dove si sarebbero diretti nemmeno con le minacce – «Non sarò più un alfa ma ho ancora gli artigli» «Oh, avanti, hai smesso di farmi paura mesi fa» – e poi Cora l’ha praticamente costretto «Ti farà bene, non esci mai di casa», si sente al centro di una congiura.
Stiles scivola al posto di guida, sorride convinto di mascherare la stanchezza «Tutto bene?» tamburella sul volante con i palmi e fa una risata spezzata «Certo, tutto grandioso» sta mentendo, e Derek lo sa bene, ma non fa altre domande.

Derek detesta la musica di Stiles, si sente un vecchio di mezza età quando cambia stizzito la stazione radio «Questa robaccia è uno strazio, dal ’90 in poi non è uscito nulla di buono» e Stiles lo lascia fare, è troppo occupato a raccontargli di come Scott continui a pensare ad Allison, e di Isaac che si è intromesso nelle loro serate videogames, e di Lidya che passa troppo tempo con Aidan… ha come l’impressione che Stiles si senta ignorato, forse è per questo che è piombato da lui con l’assurda pretesa… di fare cosa poi? Vivere un’estate normale? Comportarsi come un comune uomo nella ventina? Fingersi amici e scolarsi una birra in aperta campagna? Non sono cose che fanno per lui, non ha il tempo per questi giochetti.
Sta per dirgli di fare inversione e tornare indietro – poco importa se le minacce non funzionano più, può sempre usare la cara e vecchia forza bruta – ma Stiles si ferma da solo «Siamo arrivati».

Derek aveva dimenticato che ci fosse un lago così vicino, si chiede come diavolo faccia a saperlo Stiles, ma ha già la risposta in tasca: è Stiles, non c’è niente che non possa sapere.

«Non ho voglia di nuotare» Stiles scrolla le spalle e gli lancia comunque il costume, Derek resta a guardarlo mentre si spoglia, fragile e indifeso Stiles, è contento di non vedere gli aloni gialli dei lividi, riesce a convincersi meglio che si sia davvero ripreso.
Distrae lo sguardo imbarazzato, è stato carino da parte sua portare dei costumi, non è più abituato a quelle cose da ragazzi come fare il bagno nudo in un lago, forse non lo è mai stato.
Stiles lo guarda sorridente, e questa volta è sincero, prima di correre lungo il piccolo molo e lanciarsi in acqua «Derek! Derek, vieni, è perfetta» eppure gli tremano un po’ le labbra.

Aveva sei anni l’ultima volta che qualcuno gli aveva mentito sulla temperatura dell’acqua, suo padre aveva riso di gusto quando l’aveva visto schizzare fuori dimenandosi come una biscia «Sei impazzito?! È gelida!» Cora l’aveva guardato come se fosse pazzo, era in acqua da ore e aveva ormai le labbra viola, Laura non c’era, studiava già a Yale.
Forse per un momento pensa davvero di infilarsi il costume e saltare dentro «Non mi va» ma prima Stiles esce prima possono tornare a casa, non gli va di lasciare Cora da sola.

Alla fine non hanno nemmeno bisogno di mangiare i panini burro di arachidi e tonno di Stiles «Esiste davvero qualcuno a cui piace quella roba?» Derek ne è decisamente sollevato «A Scott piacciono da morire» – o più probabilmente non ha cuore di dirgli quanto facciano schifo.
Stiles rimonta in macchina, sembra soddisfatto, anche se Derek non ha toccato l’acqua nemmeno con un dito. A volte comprenderlo sembra davvero impossibile.

Summer feels like                                   -
wanting to swim in                  -
the pool at midnight               -
but staying in bed,                   -
staring at that one streetlight
outside                             
instead.                       

Derek potrebbe giurare di aver sentito la sua pelle sciogliersi ad un certo punto.
Resta sdraiato sul letto, immobile, in quel caldo infernale, ha il terrore di fare anche il più piccolo rumore e indurre Stiles a passare un’altra notte sul divano con lui.
Non che non gli piaccia stare sul divano, è solo che lo rende nervoso, non è una cosa da Derek.
«Non dormi?» Derek si concede di sbuffare «No» e si solleva di scatto, gli sembra stupido rimanersene lì sdraiato a farsi fissare.
Stiles è quasi del tutto certo di non aver mai visto Derek riposarsi, in compenso l’ha visto in fin di vita un paio di volte, ma non crede che questo regga il paragone, fotografa mentalmente il momento, potrebbe non capitare mai più. Sta guardando fisso l’unico lampione acceso sul vialetto, come se volesse dimenticarsi della presenza di Stiles «Sai, da bambino avevo problemi a dormire dopo che… dopo che mia madre è morta».
Stiles ha sempre questa necessità sopita di parlarne, sa estremamente bene che è uno di quegli argomenti che mette in imbarazzo la gente, persino Scott, ma da Derek si aspetta dell’altro: comprensione, forse addirittura compassione.
L’amara verità è che Derek preferirebbe di gran lunga che stesse zitto, non riesce a trovare un briciolo di pace per se stesso, non vede come potrebbe trovarla per qualcun altro. Si butterebbe nel lago e ci rimarrebbe per tutta la notte pur di non sentire la continuazione di quella frase.
«Però alla fine ci si fa l’abitudine, passano gli anni da scontare, come in carcere, il dolore smette di tenerti sveglio» Derek deve ammettere che non se l’aspettava, sarà che Stiles sembra tutto fuorché sereno, sarà che si è fatto quest’immagine fragile e distorta di lui, ma sente il suo demone sospirare, sbadigliare quasi, e lo guarda stupito.
«Prima che mia madre morisse andavamo in vacanza tutte le estati, papà prendeva una pausa dal lavoro e andavamo al mare. Sceglievano un albergo con piscina, preferivo nuotare nel cloro piuttosto che nel sale, non lo so, sarà stato quell’odore di disinfettante che mi dava un senso di pulito. Sono dovuti passare tre anni prima che sentissi la mancanza di una piscina, del nuotare nell’acqua che sa di cloro, ma mio padre faceva già i doppi turni, non sapevamo più come si faceva una vacanza, aveva sempre organizzato tutto mamma. Me ne restavo a sobbollire nella mia stanza e fissavo un lampione finché la luce non mi si stampava in testa e potevo continuare a vederla anche dopo aver chiuso gli occhi».
Derek non sa cosa dire, il che è piuttosto normale quando c’è Stiles di mezzo; per lui ha un sistema di risposta semiautomatico che tende sempre al sarcasmo, perché  in fondo non ha ancora capito come diavolo debba trattarlo e rendergli pan per focaccia gli sembra la soluzione più semplice. Per questa volta non funziona, sente che dovrebbe dire qualcosa di pregnante e il lampo di delusione che passa sul viso di Stiles all’udire il suo silenzio ne è la prova.

(That one streetlight   -
looks lonely, but it still
can shine for only        -
me).                           

«Quando la mia…» si schiarisce le voce «dopo l’incendio, Laura mi ha portato via, temeva che avrei cercato vendetta e avrei finito per farmi ammazzare. Aveva ragione, non m’importava molto di morire. Poi è stato come ripartire da zero, non ho fatto altro che collezionare motivi per restare vivo, anche quando di motivi non ne avrei voluti per niente».
Questa volta è Stiles a rimanere zitto – un evento eccezionale – il fatto è che si sente parte di quei motivi che Derek non avrebbe voluto, perché alla fin fine lui e Scott erano piombati nella sua vita in un momento in cui lui voleva soltanto vendicare Laura e poi tornarsene alla sua vita chissà dove e chissà con chi. Però c’è anche quella piccola e inestirpabile convinzione di averlo aiutato, perché più guarda Derek com’è ora più si dice che, diamine, è migliorato incredibilmente, probabilmente un anno prima l’avrebbe sbattuto fuori di casa ancora prima che potesse salutarlo.
Ovviamente basta quest’infima considerazione a fargli credere di poterlo cambiare ulteriormente in una manciata di giorni.
Stiles non sa ancora esattamente quale sia il vero fine di questa sua crociata, ma da un lato è persino stufo di pianificare, ordire e cesellare ogni sua singola azione.
«Comunque sia alla fine resta colpa mia, e non c’è modo di cancellare il senso di colpa» lo dice come se fosse un fattore che Stiles non aveva considerato, come se lui non potesse comprendere. E invece Stiles capiva benissimo, pensa a tutte le volte che non ha compreso gli schemi, a tutte le persone che sono morte perché è stato troppo lento e a come lì, sul momento, li abbia trattati come pezzi degli scacchi, come marionette di uno spettacolino truculento. Continua a ripetersi si trattava del riflesso del bambino soldato – l’ha chiamato così lui stesso, ha questa mania di trovare da sé tanto la diagnosi quanto la cura – e se le cose avevano continuato a sembrargli distaccate era solo perché se le avesse somatizzate con emotività sarebbe impazzito del tutto.
Ha la netta sensazione che Derek abbia capito tutto, lo guarda come se gli avesse appena sparato per sbaglio e Stiles sente di poterlo scusare, non poteva sapere.
Ma ora sa eccome, e gli volta le spalle tornando a guardare fuori, e Stiles teme che per la prima volta stia pensando di non essere lui il mostro – il che da un certo punto di vista potrebbe anche essere una cosa buona dal momento che Derek non è un mostro, non lo è mai stato per lui, non troppo almeno, si può essere mostri entro un limite accettabile?

Stiles smette di chiedersi come sia finito a passare di nuovo la notte in bianco in compagnia di Derek Hale, ma vuole smettere di considerare la vita una partita a scacchi, ha finito di tenere il conto delle mosse.
«Potremmo guardarlo insieme» fissa Derek come se parlasse ostrogoto «Il lampione, potremmo guardarlo insieme» ed è la cosa più vicina all’essere carina che Derek gli abbia mai detto.
Derek Hale non lo ammetterebbe mai, mai e poi mai, ma ora avrebbe davvero, davvero voglia di fare il bagno nel lago come quando era piccolo e l’acqua era ghiacciata.

(But maybe it can shine for you too).

 

Howl of the author:
Mi scuso per gli aggiornamenti un po’ più saltuari del previsto, ma ultimamente sono presa da altri impegni e il fatto che i codici html negli ultimi tempi mi stiano creando problemi non aiuta a sveltire il tempo di “postaggio”. In ogni caso pensavo di andare avanti con questo ritmo (che comunque rispetto all’altra è mooooolto più accettabile, ammettiamolo).
E nulla, per me scrivere questa storia è stata una liberazione, erano anni che non riuscivo a scrivere così velocemente come ho steso questa storia e senza poi rivoluzionare tutto alla prima rilettura.

Hwyl fawr,
War.

P.S. sto cercando una beta sia per questa storia che per The single bullet theory, se ci fosse qualcuno che potrebbe darmi una mano gliene sarei davvero immensamente grata ^w^

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Capitolo 3
*** Lay ***


#3. Lay
Derek si sente come se non fosse in grado di muovere nemmeno un muscolo, ha perso la cognizione del tempo e dello spazio, potrebbe essere ovunque e potrebbe esser lì da ore, non lo sa. Si sente come tanti anni prima, quando andavano tutti in quella casa ad agosto e correvano nel bosco e esploravano posti nuovi e raccontavano storie attorno al fuoco e arrostivano salcicce e sua madre preparava i muffin ai mirtilli.
Sente l’acqua della doccia che scorre e istintivamente sa che sotto c’è Stiles e questo dovrebbe bastare a riscuoterlo dal torpore, dovrebbe riportarlo istantaneamente alla realtà, e invece continua a galleggiare nella sua strana dimensione onirica.
È come se Stiles si inserisse perfettamente in quel quadro nostalgico, non sente nulla di sbagliato nella sua presenza lì e questo forse gli manda un brivido giù per la schiena, una piccola scossa di paura che basta a risvegliarlo.
Gli brontola lo stomaco, non si aspetta certo che Cora abbia preparato la colazione, ma non ha nemmeno voglia di pensarci lui; per la prima volta dopo mesi ‒ forse addirittura anni ‒ non si preoccupa dei suoi doveri, anche se minimi come può essere il preparare la colazione, e questo lo rilassa ed elettrizza allo stesso tempo, e una parte di lui protesta, gli ricorda che rilassarsi equivale a mettersi in pericolo, e per tutta risposta Derek si preme il cuscino sulla testa.

«Tutto bene?» non aveva mai immaginato che Derek dormisse supino, è come se avesse una sorta di file mentale, una cartella da profiler, completamente dedicata a Derek Hale, solo che il 90% delle informazioni erano sue supposizioni mai comprovate. In meno di due giorni di stretto contatto ha corretto e ampliato quel file più di quanto potesse sperare, registra anche questo, Derek che solleva di colpo il cuscino e lo fissa come un gatto di fronte a un’automobile ‒ la metafora lo fa quasi scoppiare a ridere.
«Preparo qualcosa per colazione» e Derek prova contemporaneamente due esperienza totalmente nuove: la prima è la sensazione di essere letti nella mente; la seconda è quella classica scena da film, quella dove il tizio avvezzo alle sveltine si accorge che avere qualcuno che ti prepara la colazione è una bella cosa. Scaccia con prepotenza quest’ultima immagine, primo perché lui non è uno avvezzo alle sveltine, secondo perché ‒ andiamo! ‒ perché dovrebbe piacergli che sia Stiles a preparargli la colazione?


In tutta onestà, si aspettava dei pancakes, ma non ha nulla incontrario a caffè e pane con burro e marmellata, Stiles si limita ad una spremuta d’arancia ‒ Derek non ha ancora compreso chiaramente le sue abitudini alimentari, rimbalza dal fast food al crudismo con una velocità che disorienta.
Intanto Stiles sta raccogliendo l’ennesima istantanea mentale: Derek Hale che mangia, anche questa è un’immagine senza precedenti ‒ a pranzo e a cena si era defilato con la scusa di pattugliare intorno alla casa, mangiare con Cora si era rivelato molto meno imbarazzante del previsto considerati i loro precedenti.
«Quindi, quali sono i programmi per oggi?» Derek impiega mezzo secondo a nascondere lo shock per ciò che ha appena detto, cielo, sembrava un bambino che chiedeva dove si sarebbe andati in gita.
Stiles ci mette un altro mezzo secondo a registrare la cosa, il che rallenta notevolmente il botta e risposta e fa in modo che Cora possa entrare in cucina, assonnata e con i capelli arruffati, a interrompere il discorso.
Finisce così quel momento banalmente mistico e Stiles può semplicemente informarlo che «Niente, oggi non facciamo niente» e Derek può guardarlo stranito e Cora può fare altrettanto «Vi inizierò alla nobile arte dell’ozio, giovani padawan».
Derek istantaneamente ripensa alla fossa che ha lasciato sul letto dopo esserci rimasto per buona parte della mattina, e sì, probabilmente è già sulla buona strada, e non sa se questo sia un bene o meno.
Summer feels like                              
the indent my stomach       
makes on the bed                 
from laying on it for hours
and                             
hours.    
                          
Derek Hale ha scoperto una sacra verità: l’orologio non gira quando lo guardi. In fondo sa che è una stronzata, ma non riesce a smettere di crederci, pensava di averlo fissato per quasi venti minuti, quando erano a malapena due.
Il fatto è che non ci riesce, non è nel suo DNA non fare nulla, tenta di focalizzare l’attenzione sulla rivista di pesca sportiva che ha trovato nel borsone di Stiles ‒ magari lo sceriffo era una persona normale, magari andava a pesca tutte le domeniche mattina e portava Stiles con lui e si sorbiva i suoi sermoni pseudoanimalisti su quanto fosse innecessaria la sofferenza di quella carpa, questo prima che venisse travolto dai loro casini soprannaturali, si capisce.
Non funzione, dopo tre pagine comincia a fissare insistentemente Stiles, alle prese con la Lettera Scarlatta ‒ricorda di essere stato obbligato a leggerlo anche lui al liceo ‒ sbuffa ritmicamente, non è chiaro nemmeno a lui se lo voglia infastidire o se punti ad attrarre la sua attenzione.
«Se ti annoi così tanto almeno annoiati leggendo qualcosa di costruttivo» e gli lancia un libro addosso ‒ comincia a stupirsi del bagaglio cartaceo che si è portato appresso. Legge il titolo, Knulp, e non ne evince un fico secco, ma lo comincia comunque: dopo un’ora l’ha finito e Stiles gliene lancia un altro senza dire nulla e Derek continua a leggere fino che non gli va più e lascia cadere il libro sul tappeto. Resta immobile con la testa appoggiata alle braccia e un piacevole senso di torpore che lo avvolge senza però renderlo sonnolento; si ricorda di quanto amasse quel divano, perché odorava di casa e dava l’impressione di affondarcisi dentro, ricorda che talvolta, quando faceva un incubo, andava dormire lì e lo ritrovavano rannicchiato tra il bracciolo e lo schienale il mattino dopo. Stiles lo guarda con un sorriso benevolo mentre lui si perde nei ricordi e affonda il viso nei cuscini alla ricerca di quel sentore di famiglia.
Polvere.
Sa di polvere. L’incantesimo si spezza di colpo, Derek si ricorda di quanto faccia male ricordare i momenti felici, di come gli sia stato insegnato a nutrirsi del dolore e trasformarlo in rabbia per restare lucido. Marcia verso la porta sbattendosela alle spalle e Cora alza lo sguardo da Vogue per fissare Stiles; sembra quasi che abbia tutta l’intenzione di affidare Derek a lui, come se fosse una specie di babysitter o un santone, come se fosse davvero in grado di sanare le sue ferite ‒ perché Stiles comincia seriamente a dubitare della cosa.


Esce sulla veranda qualche secondo prima che la schiena di Derek sparisca fra gli alberi.
La cosa bella dei licantropi è che per la maggior parte della volte non c’è alcun bisogno di parlare, udito e olfatto ipersviluppati sopperiscono alla mancanza di comunicazione, ma Stiles non ha mai perso un’occasione di snocciolare sillabe inutili «Derek!» lo chiama lo stesso, anche lui si era già fermato.
«Almeno il perché. Quando te ne vai, vorrei sapere almeno il perché».
Il fatto che i suoi occhi brillino di un azzurro metallico non va preso come un buon segno, Stiles va in arresto automatico, come se avesse ricevuto un silenzioso ordine categorico ‒ non si è ancora abituato al fatto che non sia un alfa, paradossalmente lo tranquillizzavano di più gli occhi rossi.
«Come fai? Come riesci ad essere tanto ingenuo?  Ti muovi goffamente in mezzo a tutto questo senza renderti conto che sei debole e indifeso. Non c’è il tempo andare a fare scampagnate o di oziare sul divano, non è il momento di comportarsi come dei bambini, quando là fuori ci sono cose che vogliono ucciderci e portarci via ciò che abbiamo di più caro. Non è il momento Stiles, e sarebbe ora che tu lo capissi».
Quella che esce dalla gola di Stiles è una risata spezzata, la stessa che faceva suo padre quando non aveva voglia di discutere con lui, solo che Stiles di voglia ne ha eccome; scende i gradini due a due e si pianta a qualche metro da lui con una fierezza che non credeva potesse appartenergli «Io non sono debole, e non sono indifeso, solo perché non ho artigli e zanne non significa che non sappia difendermi, anzi, sono così forte da potermi permettere di non indossare una maschera. Sono libero di essere vulnerabile, libero di provare emozioni. Io corro il rischio di essere felice, Derek, tu corri e basta, pattugli, stai sempre allerta; so cosa sia l’ipervigilanza, ci sono passato, so cosa significa non avere un istante di tregua, per questo sono venuto qui. Ora puoi tranquillamente scegliere, puoi continuare a comportarti come un reduce del Vietnam o accettare che ci sono momenti in cui puoi smetterla di essere un soldato e goderti le piccole cose».


C’è un momento di straordinario silenzio, un’impasse densissima che viene interrotta soltanto dai passi incerti di Stiles. Derek è ancora immobile, una sorta di ombrosa statua greca, un Ade disorientato e assorto, e forse è proprio in quest’istante surreale che qualcosa scatta nella mente di Stiles, qualcosa che non ha nulla a che fare con il razionale ed è invece legato all’istino, al lasciarsi andare, a quel modo di vivere la vita che sta disperatamente cercando di inculcare in Derek.
Saranno al massimo cinque passi, cinque frettolosi passi, e poi, con precisione cinematografica, come se avessero provato quella scena un centinaio di volte, le sue mani sono attorno al suo collo e nella mente provata di Derek passa per un istante la convinzione che voglia strangolarlo.
Il suo respiro si mozza comunque, con Stiles che in maniera goffa e affannata si schianta sulle sue labbra e comincia qualcosa che non sa da dove arrivi né dove voglia andare.

Derek fa un passo indietro, riprende fiato, lo guarda e per la prima volta è come se avesse davanti un libro aperto; c’è sofferenza, rammarico, paura, ma anche tenerezza, gioia, ironia e quella scintilla adolescenziale di desiderio, quell’irregolarità nl suo battito cardiaco che rischia di farlo arrossire.
Fa un passo indietro, poi un altro e un altro ancora.
«Stiles, non è il momento».
(And all of a sudden              
another month is gone        
and you’ve read millions of
words).                                      
Derek aveva delle previsioni, si era fatto tutta una serie di speculazioni che aveva finito per dare come certe: Scott avrebbe mandato avanti la sua epopea con Allison, Isaac sarebbe sempre rimasto al suo fianco e Lydia avrebbe finito per accorgersi di Stiles, e anche il loro instabile umano da compagnia avrebbe avuto il suo lieto fine. Di tutte quelle sue elucubrazioni da commedia rosa non resta un bel niente, e probabilmente si darebbe del cretino, se la sua mente non fosse intasata da un groviglio confuso di pensieri e immagini.
Stiles Stilinski l’ha baciato.
E lui si trova completamente impreparato alla cosa.
Derek si lascia scivolare contro un albero, si siede a terra e spegne il cervello, appoggia la testa alle ginocchia e rimane così, immobile, cercando di concentrarsi soltanto sulle forme astrette che galleggiano dietro le sue palpebre serrate.
Il che, paradossalmente, è esattamente ciò che Stiles voleva facesse quel pomeriggio.
(All of a sudden your world has been altered).
 
Howl of the author:
Mi scuso per gli eventuali errori di battitura, ma mi sono vista costretta a postare obbligatoriamente stasera senza aver riguardato il capitolo.
Come qualcuno ha già colto, questa storia è una bussola che non punta al nord, ma siete liberissimi di fare previsioni, e io sarò lietissima di ascoltarle.
Hwyl fawr,
War.

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