Keys To Komorebi

di Guitarist_Inside
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Awakening ***
Capitolo 2: *** Our decisions ***



Capitolo 1
*** Awakening ***


Salve gente!
Quasi un anno fa avevo scritto un racconto originale e l’avevo pubblicato come One Shot, dicendo che però, forse, avrebbe avuto un seguito.
Ora, a distanza di una decina di mesi, mi è finalmente tornata l’ispirazione, che ha iniziato a “disturbarmi”, aggirandosi per la mia mente e tirandomi per le maniche (?) finché non ho deciso di darle retta e metterla per iscritto. Da questa ispirazione, come potrete facilmente intuire, nasce questa storia.
Non so con quale frequenza aggiornerò: tra impegni universitari, computer e internet, ispirazione che ogni tanto viene e ogni tanto no, vacanze e varie altre cose… spero comunque di riuscire a tenere tempi decenti! ^^" lol
Comunque, parte del secondo capitolo è già abbozzata, e ho idée per alter parti ancora, quindi almeno il fattore ispirazione, per ora, posso dirlo positivo… Good.
Prima di lasciarvi al capitolo, vorrei rubare un altro paio di righe per ringraziare di cuore chi ha letto il mio precedente racconto, che rappresenta il prologo di questa storia (dunque vi consiglio di leggerlo prima di essa) e chi ha recensito (mille grazie a Melinda Pressywig, prima a recensire, alla fedele Sadako Kurokawa!).
Ora vi lascio definitivamente alla storia, fatemi sapere le vostre opinion!
Ciao! :)




Keys to Komorebi




PROLOGO: Run Away


CAPITOLO 1 Awakening


Quando ripresi i sensi, attorno a me vi era un silenzio quasi assordante, che mi circondava assieme a una profonda oscurità, quel buio tipico del sonno senza sogni.
Ero sdraiata... Ma su cosa? Non avvertivo né la fredda e dura terra, né la polvere, né gli aghi e i rami del bosco, sotto di me.
Aprii gli occhi a fatica, cercando di mettere a fuoco le immagini intorno a me.
Dove mi trovavo?
Aguzzai la vista per cercare dei dettagli, in quella penombra, che potessero dare una risposta a quella domanda.
Sopra la mia testa si stagliava un cielo alquanto particolare: nuvole soffici con sfumature di vari colori sembravano risplendere, illuminate da una luce azzurrina, su uno sfondo indefinito che andava scurendosi ai lati. No, non era il cielo, quello era un soffitto affrescato!
Ma se quello era un soffitto, ciò significava che mi trovavo in un edificio.
Spalancai le palpebre, stupita. Come ci ero arrivata?
Feci per alzarmi, ma un dolore lancinante che pervase tutto il mio corpo me lo impedì. Ero ferita e ogni movimento mi arrecava sofferenza; avrei dovuto restare ferma per un po'.
Mi concentrai allora su ciò che i miei sensi percepivano, per cercare di fare un identikit del luogo.
Se quello sopra di me era un soffitto, presumibilmente mi trovavo in una stanza; ecco perché non vi era la dura terra sotto al mio corpo.
Attorno a me, però, vedevo solo mura, dipinte di varie tonalità di blu, turchese, celeste, azzurro, verde acqua, e un'infinità di sfumature che si intrecciavano tra loro, creando un gioco di luci e ombre che, a un primo impatto, non mi fecero capire la grandezza effettiva del luogo.
Inoltre, la scarsa luce che filtrava da una finestra, probabilmente posta alle mie spalle (dannazione, in questo modo non potevo guardar fuori per capire dove mi trovavo!), non aiutava a scorgere molto di quell'ambiente.
Oltre ai muri di fronte a me, però, non riuscivo a vedere nient'altro. Ero in una stanza vuota.
Una prigione?
No, non avrebbero dipinto in tal modo i muri di una cella.
E non sarei stata sdraiata su qualcosa di soffice, che, probabilmente, si trattava di un materasso.
Una stanza da letto, dunque.
Che diamine ci facevo in una stanza da letto?
Dove si trovava quel luogo?
Come e perché ci ero arrivata?

L'ultima cosa che ricordavo, era la mia fuga disperata da un bosco labirintico.
Ricordavo i rami che mi graffiavano arti e viso, ma non erano riusciti ad arrestare la mia corsa.
Ricordavo i tronchi caduti che dovevo prontamente saltare.
Ricordavo l'oscurità che si faceva sempre più fitta.
Ricordavo la foresta farsi sempre più insidiosa.
Ricordavo la forza della disperazione e l'istinto di sopravvivenza che mi permettevano di andare avanti nonostante la stanchezza crescente.
Ricordavo le gambe pesanti, il sapore del sangue, il respiro affannoso.
Ricordavo la tenacia dei miei inseguitori, i loro passi e i loro respiri minacciosi che guadagnavano terreno.
Ricordavo la speranza di poter vedere la luce, che mi faceva continuare a correre senza fermarmi né voltarmi indietro.
Ricordavo i miei passi sempre più alla cieca, in quel buio dedalo, mentre i loro parevano indirizzati coscientemente sulle mie tracce: non sapevo se ci vedessero al buio o se si basassero su udito e olfatto, ma in ogni caso mi ero accorta che quella foresta metteva in difficoltà soltanto me.
Avevo creduto di trovare salvezza, invece addentrandomi nell'ignota oscurità avevo dato soltanto vantaggio a loro.
Non sapevo neanche che cosa fossero, che faccia avessero, o cosa volessero da me.
Ma sentivo, in qualche modo, che erano ostili.
Sentivo che non erano tipi con cui scambiare due parole in pace.
Sentivo che erano collegati alla distruzione del mio villaggio natale, all'inizio della mia rovina, al principio del mio vagare scappando senza meta.
E sentivo che dovevo scappare il più lontano possibile da loro, se volevo salvarmi.
Pertanto, avevo continuato a correre, senza mai fermarmi.
Per quanto avevo continuato la mia folle fuga? Ore? Giorni? Quanti chilometri avevo percorso?
Non riuscivo a trovare risposte; avevo perso ogni riferimento spazio-temporale in quell'oscura selva.
E ora mi trovavo in quella stanza, senza sapere come e perché vi fossi arrivata.
Cercai di spremermi le meningi per far affiorare i ricordi successivi, che giungevano sempre più confusi, come flash sconnessi.
Corsa imperterrita.
Stanchezza crescente.
Vista appannata.
Respiro sempre più affannoso.
Cuore che batteva più veloce di un percussionista folle che colpiva incessantemente, con violenza e rapidità sempre maggiori, i propri tamburi.
Loro che si avvicinavano sempre più.
Le mie forze che venivano sempre meno.
Il suolo.
Oh cazzo, ero caduta.
Sopraffatta dalla stanchezza, esausta, la mia vista si era annebbiata completamente; i miei piedi avevano inciampato; il mio corpo era precipitato, urtando violentemente il terreno.
Non ero riuscita a rialzarmi.
Non ero riuscita neppure a riaprire gli occhi.
Ero svenuta.
Merda.
Mi avevano raggiunto?
Mi avevano fatta prigioniera?
Quella stanza apparteneva a loro?
Ero in serio pericolo?
Eppure, quel soffitto, quelle mura, quei dipinti, quei tenui raggi solari che filtravano dalla finestra dietro di me, quel materasso soffice... No, non mi davano l'impressione di essere in una cella. E non avevo neppure lacci che costringevano e imprigionavano il mio corpo.
L'ostilità che percepivo nell'aura che circondava i miei inseguitori mi faceva pensare che, se mi avessero raggiunto, mi avrebbero ucciso oppure buttata in una buia e squallida prigione.
Tuttavia, non mi pareva di essere né morta, né imprigionata.
Era tutta una finta? Volevano farmi credere di essere salva, per poi darmi il colpo di grazia una volta che avessi abbassato la guardia?
Non potevo rilassarmi così facilmente.
Certo, non mi sarei aspettata un gioco d'astuzia del gente, bensì qualcosa di brutale e immediato da parte loro, ma non potevo cadere in inganno così facilmente.
Dovevo rimanere vigile.

Sentii un rumore di passi. Passi che si facevano sempre più vicini: salivano una scala, poi erano nella stanza accanto... e continuavano ad avvicinarsi. Ad un tratto si fermarono, ma non feci in tempo a chiedermene il motivo, che sentii un leggero cigolio e una porta davanti a me si aprì.
Non l'avevo notata prima, poiché era abilmente camuffata nella parete grazie all'affresco e alla penombra che oscurava ulteriormente l'angolo in cui si trovava.
Spalancai gli occhi e trattenni il respiro, mentre il cuore accelerò i suoi battiti, non sapendo cosa fare e cosa aspettarmi.
L'uscio venne richiuso, e i passi si avvicinarono, piano, al mio letto.
Man mano che si avvicinava, la figura a cui appartenevano quei passi emerse dal buio.
Mi parve un ragazzo, ma i dettagli emersero pian piano, mentre, con estrema calma, si dirigeva verso di me. Aveva una corporatura abbastanza magra, ma non pareva debole.
Era abbastanza alto, ma non moltissimo: ad occhio e croce una spanna più di me.
Indossava degli anfibi neri che gli arrivavano alle caviglie. Sopra di essi, un paio di pantaloni scuri leggermente sgualciti, e una maglietta, anch'essa nera, né larga né stretta, che si intravvedeva sotto una giacca di pelle lasciata aperta.
Al collo aveva una medaglietta argentea, che risaltava, illuminata dai raggi che filtravano dalla finestra davanti a lui, sui vestiti scuri.
Alzai lo sguardo, cercando di incrociare il suo senza che se ne accorgesse, ma teneva il viso in modo tale che esso era ancora in ombra.
Riuscivo a vedere solo i suoi capelli, abbastanza corti e leggermente spettinati, di colore corvino.
Se non fosse stato per la medaglietta e per i lembi di pelle che si intravedevano, quella figura mi sarebbe parsa un'ombra.
Tuttavia, non percepivo un'aura crudele attorno a lui, come quella che precedeva i miei inseguitori. Chi diamine era?
Che intenzioni aveva?
Nel frattempo, lui era giunto ormai al mio letto e, senza alcun preavviso, si sedette su una sponda di esso, alla mia sinistra.
Solo allora, alzando lo sguardo, riuscii ad incontrare il suo.
Rimasi profondamente colpita dai suoi occhi, non appena essi si rispecchiarono nei miei: avevano una forma leggermente a mandorla, ma quello che mi colpì fu lo sguardo profondo e magnetico. Due iridi color verde smeraldo, che parevano quasi emettere luce propria, contrastando con l'oscurità dei capelli e dell'abbigliamento del padrone, entro le quali risaltavano sue pupille nerissime, mi stavano scrutando attentamente.
– Ti sei svegliata, finalmente. – mi disse, con tono pacato.
Da quanto tempo stavo dormendo, svenuta? Come ero arrivata lì? Chi era lui? Perché ero lì? Perché lui era lì? Mille domande si affollarono nella mia mente, sovrapponendosi le une alle altre.
– Ti ho trovato ai confini del Bosco delle Tenebre, ieri, mentre ero a cavallo. Eri svenuta. A dir la verità, sono stato richiamato dalla melodia della tua anima, che con un flebile urlo chiedeva aiuto disperatamente... Sei stata fortunata che mi trovassi da quelle parti, perché non passa molta gente di lì. Hai dormito un giorno intero; iniziavamo a preoccuparci, ma ora finalmente ti sei svegliata. – mi spiegò, senza bisogno che ponessi alcuna domanda – Non so cosa tu ci facessi in quel posto oscuro e senza speranza, ma la melodia che ho udito era pura, quindi ho deciso di fidarmi. Ho avvertito una presenza ostile che si avvicinava sempre più a te, non so esattamente a cosa appartenesse ma ho intuito che eri in serio pericolo... Chi ti inseguiva? –
– Io... Non lo so. – risposi, sincera – Ma ho avvertito la stessa forza distruttiva e crudele che ha distrutto e sterminato il mio villaggio, nelle lontane Terre del Nord... – dissi, con un velo di tristezza che permeava la mia voce.
I ricordi erano ancora vivi dentro di me, così come la rabbia, il dolore, la disperazione, la profonda solitudine che avevano causato. Il sangue poteva essere lavato via, ma le cicatrici non sarebbero mai sbiadite completamente e avrebbero marchiato per sempre la mia anima.
Quanto tempo era passato da quando ogni traccia del mio passato era stata ridotta in cenere? Da quando avevo perso tutto, e soprattutto tutti?
Quanto tempo era passato da quando mi ero miracolosamente salvata da quella completa distruzione ed ero fuggita da quella terra ormai desolata, sotto le cui macerie giaceva la mia storia in un cimitero senza pietre a segnare le tombe, lasciandomi alle spalle ogni cosa e persona che conoscevo?
Da quanto tempo stavo fuggendo?
Settimane, mesi, anni? Ormai avevo perso il conto; ogni giorno seguiva il precedente, ugualmente colmo di disperazione e pericoli in agguato. Non aveva più un senso contarli, per me.
C'erano momenti in cui mi chiedevo che senso avesse andare avanti così, continuare quella corsa senza fine e senza meta, da sola. Ormai non avevo più nulla e nessuno, avevo perso tutto, eppure un istinto di sopravvivenza continuava a farmi andare avanti. La speranza in un futuro migliore. La forza della disperazione. Il ricordo del mio passato, che mi spingeva a vivere per coloro che avevo perduto.
Non sapevo esattamente come, ma avevo resistito, non mi ero arresa. Avevo guardato il cielo, emblema del mio nome, sereno o cupo che fosse. Avevo respirato a fondo, e, con strenuo orgoglio e con determinazione, mi ero fasciata le ferite ed ero andata avanti fino ad allora.
Non avrei mai dimenticato nulla, ma non potevo arrendermi. Soccombere avrebbe significato darla vinta a loro, ai nostri distruttori, e non potevo permetterlo.
– Capisco... – disse, come se avesse effettivamente compreso qualcosa, che a me ancora sfuggiva, ma non poteva rivelare – E mi dispiace per quello che è successo nelle Terre del Nord. Sono molto lontane da qui, ma è giunta voce della tragedia che vi ha colpito. Non credevo ci fossero superstiti, onestamente, ma mi fa piacere constatare che tu lo sei, seppure mi rattrista immaginare cosa tu abbia passato. Ma non devi parlarne ora, se non ti va. –
Le mie labbra si incurvarono in un triste sorriso di ringraziamento.
Rimanemmo zitti per qualche manciata di secondi, imbarazzati.
– Posso... Porle una domanda? – chiesi, titubante, rompendo il silenzio e cambiando argomento.
– Certamente, parla pure. E dammi pure del tu, abbiamo pressappoco la stessa età. – sorrise.
– Ehm, okay, grazie... Ha... Hai parlato di melodia dell'anima... In che senso? –
– Non saprei come spiegarti, è un dono che ho sempre avuto. In determinate situazioni, riesco a sentire come delle voci, o meglio dei suoni, provenienti dall'anima di una persona. Io le chiamo melodie dell'anima. Però non è una cosa che mi capita spesso. A dir la verità mi è capitato solamente 2 volte: la prima quando ero ancora un bambino, e la seconda... Ieri, con te. Non ho ancora capito come e perché riesco a sentirle, non è un potere che posso controllare, ma da quel poco che ho capito mi succede quando c'è qualcuno in pericolo, come se l'anima lanciasse un ultimo grido d'aiuto... Purtroppo non so altro, spero come spiegazione ti possa bastare. –
Sorrisi.
Non mi pareva malvagio.
Certo, poteva essere tutta una finta, non dovevo abbassare la guardia, tuttavia... non sapevo spiegare come, ma, dalla sua voce e dal suo sguardo, sentivo che era sincero, che non mi stava ingannando.
– In ogni caso... Potrei sapere dove mi trovo? – chiesi poi, cercando risposta alla domanda che mi tormentava da quando mi ero risvegliata.
– Oh, certo. Scusami, non mi sono neppure presentato. – rise, con una voce cristallina che mi fece venire la pelle d'oca, seppure per un secondo – Sono il Principe del Regno Komorebi, nelle Terre dell'Est, e ti trovi nella stanza degli ospiti del Castello. In ogni caso, puoi chiamarmi semplicemente Shinobu, non mi piacciono molto le formalità. – mi porse la mano.
Lo fissai, stupita. Per essere un principe, sembrava uno che cammina coi piedi per terra e non che fluttua dieci metri sopra gli altri: pareva uno che non se la tirava, insomma, e tra i Reali era una cosa abbastanza rara.
Gli sorrisi di nuovo.
– Piacere di conoscerti e grazie per avermi salvato, io sono Sora. – risposi, stringendogli vigorosamente la mano, mostrando la determinazione che mi aveva dato la forza di continuare a vivere.
Rimanemmo qualche minuto così, fermi, sostenendo i reciproci sguardi.
Non era facile non perdermi in quell'oceano smeraldo, che sembrava risucchiarmi in un vortice. Un vortice che, stranamente, però, non mi incuteva terrore. Per la prima volta dopo anni, quella persona riusciva a farmi distendere i nervi per un momento e godermi quella sensazione di tranquillità che ormai avevo quasi dimenticato, in una vita di tensione e fuga continue: fuga dall’incerto, fuga dal dolore, fuga dalla morte, fuga dalla distruzione, fuga dal pericolo costante, fuga dagli scheletri del passato, fuga infine da quella dannata Foresta delle Tenebre e da quegli ignoti inseguitori.
Avevo imparato a cavarmela da sola e non fidarmi di nessuno, ma lui riusciva a farmi sentire a mio agio e ad abbassare le mie difese. E questo da una parte mi metteva paura, facendomi ritrarre in me stessa, mentre dall'altra mi trasmetteva un senso di pace. Non sapevo come comportarmi.
– Beh, Sora, io ora devo andare. – la sua voce pacata interruppe il flusso dei miei pensieri – Tra poco verrà il medico ad accertarsi delle tue condizioni e a trattare nuovamente le tue ferite, tu non muoverti e riposa ancora per un po', è appena l'alba e hai bisogno di recuperare le forze. Stai tranquilla, non permetterò che ti facciano del male, puoi fidarti di me. – fissò il suo sguardo nel mio, senza alcun cedimento, e il verde delle sue iridi mi parve ancora più intenso di prima.
– Tornerò per l'ora di pranzo, tu cerca di riprenderti. – disse infine, alzandosi.
– Allora a più tardi, e grazie ancora. –
– A dopo. – rispose, una volta giunto quasi alla porta, voltandosi.
Feci per sorridergli, ma qualcosa paralizzò la mia faccia dallo stupore.
Ora che la luce solare era più intensa e illuminava anche la zona in cui era situato l'uscio, riuscivo a vedere meglio la figura di Shinobu. E, quando il ragazzo si voltò, rimasi sconvolta.
I suoi occhi.
I suoi dannati occhi.
Sbattei le palpebre un paio di volte, incredula.
– Hey, Sora, cosa c'è? – chiese lui, preoccupato.
– I... Tuoi... Occhi... – balbettai.
– Cos'hanno i miei occhi? – il suo tono era sempre più inquieto, ma non riuscivo a capirne il motivo.
– Sono... Sono neri. – dissi, infine, d'un fiato.



NOTE:
Komorebi: è il nome che ho scelto per il regno in cui è ambientata la storia. Tuttavia, volevo precisare che non è una parola totalmente inventata: è un termine giapponese, intraducibile in altre lingue con un’unica espressione. Questa parola indica l’effetto di luce causato dai raggi solari, quando essi filtrano attraverso le foglie degli alberi.
Sora: è un nome giapponese che, come accennato nel testo, significa “cielo”.
Shinobu: un altro nome giapponese che mi piace. Significa “resistenza”.
Ultima precisazione (credo inutile): la storia è ambientata in un mondo di fantasia, come si può evincere dal genere. Ho usato dei nomi giapponesi solo perché essi (e la lingua in generale) mi affascinano ;)

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Capitolo 2
*** Our decisions ***


Salve gente!
Avete passato delle belle vacanze? Beh, spero di sì.
Ad ogni modo, purtroppo esse sono quasi giunte al termine, almeno per la maggior parte di noi *risata sadica*
Io sono ancora in un limbo tra le vacanze e le non-vacanze, in quanto sono tornata a casa ma per me non incombe imminente l’inizio della scuola… Ma trattenete gli insulti, mi attenderà di peggio: gli esami. Già, dopo la terribile sessione estiva, si prospetta per me anche l’altrettanto terribile sessione autunnale… D: Ma vabbé, non è questo lo spazio per dilungarmi a parlare di ciò! Quindi, ciancio alle bande (cit), passiamo al motivo per cui sono qui: il terzo capitolo della storia.
Purtroppo non sono riuscita ad aggiornare prima di partire, però mi sono messa d’impegno durante questo mese di vacanza per scrivere questo capitolo e pubblicarlo appena tornata… Dunque eccomi qui!
Il capitolo è abbastanza lunghetto; è uscito così, creandosi da solo mentre cercavo di metterlo per iscritto… Diciamo che è un omaggio per non aver aggiornato prima (e per non sapere quando aggiornerò di nuovo, dovendo ancora scrivere il quarto capitolo… spero in tempi ragionevoli!). Tuttavia, si tratta di un capitolo per così dire “di transizione”… Spero che non vi risulti noioso (l’azione arriverà tra un po’, don’t worry) e che possa piacervi comunque.
Prima di lasciarvi, ringrazio ancora Sadako Kurokawa per tutto il suo sostegno e… tutto (lei sa u.u).
Un ringraziamento va anche ai lettori silenziosi di questa storia e a chi continuerà a seguirla.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
See you! :)



CAPITOLO 3 Our decisions


Fui richiamata indietro dal mondo di Morfeo da qualcuno che bussava alla porta.
Aprii un occhio, mugugnando silenziosamente sia per essermi svegliata che per la luce che lo aggredì, investendolo in pieno, accecante dopo l’oscurità dei sogni.
– Avanti – dissi, con la voce impastata dal sonno che stava scivolando via dalla mia testa, aprendo anche l’altro occhio.
L’uscio si dischiuse silenziosamente, facendo entrare un’alta figura. Strizzai gli occhi, per mettere a fuoco quell’immagine: era un uomo alto, sui 30-35 anni, con un lungo camice bianco, una borsa a tracolla e una mascherina che gli ricadeva, a riposo, sul mento. Doveva trattarsi del medico a cui aveva accennato Shinobu.
– Buongiorno. – disse l’uomo, con tono pacato – Sono Honomura Tetsuo, il medico di corte. Sua Maestà il principe Shinobu mi ha incaricato personalmente di visitarla e curare le sue ferite. –
– Mi spiace averla svegliata, signorina. – aggiunse poi, notando la mia faccia ancora inebetita.
– Oh, non c’è problema. – mi affrettai a rispondere, abbandonando definitivamente il mondo onirico.
Un momento, però.
Come potevo essere sicura che fosse davvero il medico di fiducia di Shinobu e che non fosse, magari, un impostore che volesse eliminarmi?
Feci per scattare in piedi, ma il dolore lancinante causatomi dalle lesioni me lo impedì.
Dannazione.
Non potevo fare mosse affrettate o le mie condizioni sarebbero peggiorate: avrei dovuto conservare le forze per agire, se fosse stato necessario, al momento opportuno.
– Ha una prova, un qualcosa che mi dimostri che il Principe le ha chiesto di recarsi qui? – provai a chiedere, mentre continuavo a pensare a come comportarmi e come accertarmi della sua identità.
Non potevo certo permettere che egli mi si avvicinasse e mi toccasse, prima di aver constatato che fosse veramente chi diceva di essere.
Rimase un attimo interdetto.
– Uhm… Sì, credo di avere quel che cerca. – rispose dopo qualche secondo, avvicinandosi.
Rimasi all’erta, pronta a difendermi, cercando di intuire le sue mosse e pronta a capire se mi avesse mostrato un falso.
– Sua Maestà il principe Shinobu mi ha personalmente consegnato questo sfera-messaggio. – annunciò, fermandosi a qualche passo dal letto e porgendomi un piccolo oggetto – Non so cosa contenga, in quanto è attivabile solo in determinate condizioni e tali condizioni consistono nella sua impronta digitale, signorina Sora. –
Come aveva fatto a creare un dispositivo che si attivasse con la mia impronta digitale? Quando l’aveva avuta?
Mi spremetti le meningi per qualche secondo, prima di trovare la risposta: il suo pugnale.
Quando l’aveva ripreso in mano, Shinobu aveva fatto in modo di non toccare direttamente l’elsa. Sul momento non ci avevo fatto caso, ma ora quel particolare diveniva di vitale importanza per spiegare come avesse fatto a procurarsi la mia impronta digitale.
Scaltro e lungimirante, il ragazzo. Aveva già preventivato tutto o era stata una fortunata coincidenza che aveva colto al volo?
In ogni caso, dovevo riconoscere che era stato intelligente.
Allungai la mano verso la piccola sfera trasparente che mi porgeva l’uomo; non feci in tempo a poggiare le mie dita su di essa, che questa si illuminò completamente di una luce intensa e bianchissima, che subito dopo parve esplodere, fuoriuscendo dalle crepe che si erano formate nella sferetta. Lo sfera-messaggio si aprì, e la luce che ne era sgorgata si dispose in modo tale da formare la sagoma del volto di Shinobu.
Rimasi un attimo strabiliata da questo accadimento: non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere.
“Ciao, Sora.” disse una voce proveniente da quelle labbra di luce, con la stessa tonalità di quella di Shinobu “Ho consegnato questo sfera-messaggio al signor Honomura, in quanto immaginavo che tu avessi voluto una prova della sua vera identità.” il volto di luce sorrise “C’era da aspettarselo, da te. Anche se, come ho detto in precedenza, fai bene a dubitare di tutto e sarei rimasto profondamente deluso se questo messaggio fosse stato registrato invano. L’uomo che hai davanti si chiama Honomura Tetsuo, ed è il medico di corte fidato di cui ti ho accennato. Si è già occupato di te, mentre sei rimasta svenuta, e come puoi vedere sei ancora viva e vegeta.” ridacchiò “Ora, gli ho chiesto personalmente di tornare, per constatare il tuo stato e trattare le tue ferite, per fare in modo che tu possa riprendere pieno possesso delle tue forze il prima possibile. Ti do la mia parola e giuro sul mio onore che puoi fidarti di lui. Adesso devo terminare il messaggio, il tempo a mia disposizione sta scadendo. Io dovrei recarmi da te col Re mio Padre tra… se i miei calcoli sono corretti, circa un paio d'ore da quando ascolterai questo sfera-messaggio. Cerca di riprenderti presto, a più tardi.”
La voce di Shinobu si azzittì e la luce che formava la sua faccia si scompose nuovamente, rientrando nella sfera e cominciando a tremare.
“Questo sfera-messaggio è terminato ed è stato riprodotto con successo.” Iniziò a dire una voce automatica “Numero massimo di riproduzioni: 1. Riproduzioni effettuate: 1. Questo sfera-messaggio ha completato il suo ciclo di vita e si autodistruggerà tra 3… 2… 1…”
Non feci in tempo a pensare “zero”, che l’onda luminosa che ribolliva all’interno della sferetta si fece sempre più luminosa e concentrata, per poi espandersi velocemente facendo detonare il proprio contenitore, che si sgretolò riducendosi a un mucchietto di cenere.
Rimasi a fissarlo per qualche secondo, ancora impressionata, prima di alzare lo sguardo e indirizzarlo verso la faccia del medico.
– Bene, – esordii – per questa volta cercherò di fidarmi. Ma veda di non fare nulla di azzardato, o potrei non rispondere delle mie reazioni. –
– Certo, non deve preoccuparsi, signorina. Ora si rilassi. –
Si aggiustò la mascherina tra bocca e naso ed estrasse uno strano dispositivo dalla borsa, col quale mi fece un rapido screening generale, passandolo a qualche centimetro dal mio corpo. Vidi una luce illuminare la mia pelle di un colore che andava dal verde al giallo e ad una punta di arancione, più o meno intensa a secondo delle zone.
– Le sue condizioni sono migliorate velocemente. – affermò il medico, sorridendo – Tra un paio di giorni probabilmente sarà in grado di muoversi esattamente come prima. Il suo corpo risponde molto rapidamente alle cure, e questo è positivamente sorprendente: sono rari i casi in cui ciò accade, deve ritenersi fortunata ad avere un sistema di ripresa così efficiente! –
Sorrisi anch’io, ringraziandolo e non sapendo bene cosa dire.
– Ora rilassi tutti i suoi muscoli e dopo cerchi di riposare e non muoversi troppo, così la rigenerazione avverrà più rapidamente. – disse poi, mentre estraeva una fiala dalla tracolla.
Si trattava di una boccetta abbastanza piccola di vetro cristallino e dagli angoli leggermente stondati, sormontata da un elegante tappo argenteo; al suo interno, si increspò appena la superficie di un liquido dal colore indefinito, che per la propria iridescenza passava dal verde smeraldo al celeste di un cielo estivo, mutando poco dopo nell'indaco, nel violetto, nel blu oltremare, in quello ancor più scuro della notte, per poi schiarirsi nuovamente in uno scintillante zaffiro, nel color acquamarina, nel verde dei prati e dei boschi, e mille altre sfumature.
– Questo – iniziò a spiegare, vedendo il mio sguardo che indagava, curioso e perplesso, il liquido che essa conteneva – è un infuso molto raro, ottenuto con foglie di alberi della Foresta Oscura unite ad altre di Menta Cristallina, diluite poi con acqua del fiume Reiki raccolta alla sorgente, alle pendici del ghiacciaio del Monte Yuuji, nelle lontane Terre del Nord. Tutto ciò viene poi lasciato fermentare per essere successivamente filtrato e mischiato a due gocce di sangue di cervo dell'Ovest e polvere rilasciata dalle ali della rarissima Phoenix Butterfly. Bastano poche gocce di tale medicamento per stimolare le facoltà rigenerative delle cellule in maniera strabiliante. Il Principe deve tenerci davvero molto alla sua salute e a che essa si ristabilisca presto, dato che mi ha personalmente ordinato di usarlo su di lei benché, come ho detto in precedenza, si tratta di un rimedio estremamente raro e costoso. –
Dopodiché, con un contagocce posò alcune stille di quel liquido prodigioso su di me, ponendo attenzione alle zone precedentemente segnalate con tonalità di luce più arancioni. La miscela fece un paio di sfrigolanti scintille di quel loro peculiare e iridescente colore, prima di calmarsi ed essere subito assorbite dalla mia pelle, donandomi una breve sensazione di benessere.
– Tra pochi giorni, vedrà che starà come prima, se non meglio! – sorrise il medico – Ora la lascio riposare, arrivederci. – fece un piccolo inchino col capo per congedarsi, prima di voltarsi e oltrepassare la soglia della camera, richiudendo piano l'uscio.
Nell'aria tornò a regnare il silenzio, e lasciai che i miei muscoli si rilassassero sul soffice materasso mentre la mia mente si distendeva e vagava libera. Alzai lo sguardo, contemplando nuovamente quel magnifico affresco che decorava il soffitto sopra di me, perdendomi nel profondo celeste di quel cielo illuminato da una luce azzurrina dalla provenienza indefinita. Cominciai a saltare mentalmente da una nuvola all'altra, vagando tra mille pensieri, finché non decisi di fermarmi su uno di quei soffici cumoli color bianco neve, striati di sfumature color indaco e grigio chiaro che donavano loro l'illusione della tridimensionalità, creando un magnifico gioco di luci e ombre che li facevano sembrare morbidi e confortevoli. L'ideale su cui posarsi, prima di tornare tra le care braccia di Morfeo.


Quando il legno della porta della stanza fu percosso nuovamente, con tocco aggraziato, leggero ma deciso, mi ero svegliata da una manciata di minuti. Questa volta almeno, pensai mentalmente, sorridendo, non ero stata strappata a forza dal mondo onirico.
Anche se, forse, quel lieve bussare non avrebbe neppure potuto scaraventarmi giù dalle nuvole su cui riposavo; forse Shinobu non voleva cogliermi impreparata, giungendo con suo padre, re di quel luogo, mentre io ero ancora in dormiveglia. Una cortese e sottile attenzione, un gesto gentile di cui gli fui mentalmente grata.
– Prego, avanti. – dissi con tono pacato.
L'uscio si dischiuse con un cigolio quasi impercettibile, e da esso fece capolino la figura di Shinobu, che entrò nella stanza rivolgendomi un silenzioso e veloce inchino col capo, prima di voltarsi e tenere aperta la porta facendo cenno al padre di entrare.
Una volta che il Re ebbe varcato la soglia e compiuto qualche passo in avanti, il ragazzo si premurò di richiudere piano la porta alle loro spalle, per poi raggiungere il genitore e, una volta al suo fianco, fare una breve riverenza.
Vi erano solo loro due, senza un tappeto di servitori al seguito. Ciò mi faceva sperare che questo sovrano fosse effettivamente diverso, almeno un po', dagli odiati reali della mia terra d'origine.
– Padre, – annunciò poi Shinobu, una volta rialzata la testa – lei è Sora, la persona di cui Vi ho parlato. –
– È un piacere poter fare la tua conoscenza, Sora. Come avrai intuito, sono il sovrano del Regno Komorebi, Kenjiro. Shinobu mi ha parlato di te e di quanto accaduto. –
Mentre parlava, presentandosi, si avvicinò al mio letto, seguito dal figlio.
Era un uomo di mezz'età dal viso serio ma non troppo severo; una luccicante ma non eccessivamente sfarzosa corona gli sormontava il capo e, sotto quel regale oro, dei lisci capelli corvini di media lunghezza gli incorniciavano il volto per poi posarsi sulle sue spalle. Come il figlio, aveva degli occhi neri e profondi, dalla forma leggermente a mandorla ma comunque grandi. Diversamente da lui, invece, teneva dei baffi e una barba scuri ma non foltissimi.
Escludendo la corona, era un palmo più alto di Shinobu, e aveva una corporatura simile al ragazzo, con solo qualche chilo in più.
Speravo che le somiglianze col figlio non si limitassero solamente all'aspetto fisico, ma si potessero riscontrare anche nel carattere e nel modo di porsi del sovrano.
Mentre avanzava era accompagnato da un leggero rumore causato dai propri stivaletti neri, in pelle scamosciata e decorati finemente. Alle sue spalle, lo seguiva il tessuto del mantello reale color cremisi, adornato con eleganti motivi neri e argentei. Al di sotto di esso, si potevano intravedere dei pantaloni neri e una camicia bianca raffinatamente ricamata.
Per quanto riguardava l'abbigliamento, era indubbiamente molto più tradizionale ed elegante del figlio, e i suoi abiti lasciavano intendere fin dal primo sguardo che si trattava di un reale, cosa invece non così scontata per quelli di Shinobu che, seppur non affatto trasandati, erano molto più casual e assai poco legati allo stereotipo del principe.
Tuttavia, me lo sarei aspettato: si trattava pur sempre di un re e, sia per la propria funzione che per le idee legate alla propria generazione, manteneva certi standard. Standard che, invece, a quanto pareva, il figlio aveva deciso di non adottare, rifiutandoli assieme ad alcuni cerimoniali e alla troppa formalità; ciò era evidente non solo dal suo abbigliamento, ma dal fatto che Shinobu mi aveva chiesto perfino di dargli del tu, e non del lei o del voi come è consueto con coloro di rango superiore e, soprattutto, i membri di una famiglia reale.
Nonostante le somiglianze, si capiva che erano due persone diverse. Tuttavia, le mie speranze che Zenjiro fosse diverso dagli altri re di cui avevo sentito parlare continuavano ad ardere e trovare appigli per autoconfermarsi. In fin dei conti, non pareva una persona troppo arrogante, boriosa e piena di sé, che sfrutta i propri sottoposti per ogni suo capriccio, divertendosi a metterli in soggezione.
Feci un leggero cenno chinando il capo, mentre il sovrano era giunto presso il mio giaciglio, scusandomi imbarazzata di essere costretta a letto dalle mie condizioni e non poter accoglierlo nel modo dovuto.
– Non ti preoccupare, stai pure a letto, sono a conoscenza anche della tua situazione. Non sforzarti e cerca di rimetterti presto; questo è certamente più importante dei cerimoniali di corte. –
Ricambiai il sorriso che il Re mi rivolse. Sembrava una buona persona, differente dagli altri; tuttavia non abbassai la guardia, come mio solito, e non mi volli convincere troppo presto della sua personalità.
– Grazie, Sire. –
Fece un cenno di assenso col capo, mentre pensava a cosa dire.
– Come ho detto in precedenza, – esordì quindi – mio figlio Shinobu mi ha raccontato la tua storia e le sue speculazioni circa le due leggende. A quanto pare, egli non si era sbagliato quando ti ha portato in salvo, curandoti presso il nostro castello. Mi scuso in anticipo se la maggior parte della corte e dei sudditi, come già ti avrà avvertito mio figlio, non si fida di te. In un primo momento ho dubitato anche io; nonostante Shinobu sembrasse sicuro del fatto suo, non si poteva escludere l'ipotesi che si fosse sbagliato, e la sicurezza del Regno andava preservata. In ogni caso, d'ora in poi cercherò di darti fiducia come te ne dà lui. –
Sì, era diverso dai reali di cui mi avevano parlato; già solo che ammetteva i propri errori e si scusava era un importante fattore che mi portava a provare a ricambiare la fiducia che mi concedeva.
– Grazie Maestà, farò quel che mi sarà possibile per far sì che la Vostra fiducia sia ben riposta. Ma non biasimo la corte e i sudditi, bensì li capisco: io stessa ho imparato sulla pelle che non bisogna mai fidarsi a prima vista, senza validi fondamenti e senza indagare. Se avete domande, proverò a rispondere come potrò. –
– Domande ne ho, e molte. Purtroppo, però, molte di esse non potranno ricevere ancora una risposta e solo il tempo potrà risolverle. – disse, guardando lontano, per poi tornare a fissare il proprio sguardo nella mia direzione – Prima, però, voglio esprimere le mie condoglianze e dirti che mi dispiace per quello che è accaduto nelle Terre del Nord e per quello che ti è accaduto. Tuttavia, come Shinobu ti avrà certamente detto, non immaginavamo che il Nemico conoscesse la Leggenda e che fosse sulle tue tracce, né sapevamo dove volgere lo sguardo per cercare l'Emerald Knight e il suo, o meglio, la sua compagna. Il Fato ha voluto che le cose andassero così, e mi dispiace che ciò abbia portato dolore e distruzione alle tue terre, ma è stato inevitabile. –
– Vi ringrazio. – dissi, riguardo alle condoglianze, ricacciando indietro immagini di ricordi che avrei preferito non avere, facendomi forza e respingendo le lacrime.
– Se avete domande a cui potrei essere in grado di rispondere, ci proverò. – affermai nuovamente.
– Va bene, iniziamo pure. Immagino che non eri a conoscenza di nessuna delle due leggende, vero? –
Scossi la testa.
– Non le avevo mai sentite. – confermai – E non avevo neppure idea di chi o cosa fosse ciò che continuava incessantemente a inseguirmi, né di cosa volessero da me. Ne percepivo solamente la forte ostilità e l'aura di tetra malignità distruttiva che le accompagnava. L'istinto di sopravvivenza continuava a dirmi di fuggire, e così ho fatto per settimane e mesi, fino a quando sono svenuta in quello che ho scoperto essere il Bosco delle Tenebre, dove Vostro figlio Shinobu mi ha trovato. – aggiunsi poi, precedendo la sua seconda domanda.
– Lo immaginavo. – disse il Re, con tono pacato – Vorrei chiederti chi sei e da dove vieni, ma non devi sforzarti a rispondere: avrai certamente ferite recenti e non voglio essere io a riaprirle, quindi sentiti libera di rispondere come preferisci e come ti senti. –
Non mi andava di rispondere a quella domanda, il dolore era ancora fin troppo vivo nei miei ricordi e non ero neppure una persona estroversa. Al contrario, tendevo a tenermi tutto dentro, e la mia vita, in particolare gli ultimi mesi di disperata solitudine, avevano accentuato quel lato del mio carattere.
Tuttavia, il modo in cui aveva porto la domanda, come una richiesta cortese e non come un ordine perentorio, mi faceva sentire in dovere di dire qualcosa.
– Perdonatemi se non entro nei dettagli, ma non ne sono in grado... – iniziai a dire, titubante.
– Capisco, non sei obbligata a rispondere. Di' solo ciò che vuoi. – mi interruppe Zenjiro.
Annuii.
– Vengo da Eorith, un villaggio nelle remote Terre del Nord, ma di esso non è rimasto più nulla. Ho perso tutto e ho perso tutti. – feci una pausa, facendomi forza e cercando le parole che stavano affogando nel sangue e nel dolore.
Shinobu mi fissava intensamente, in silenzio, con occhi tristi ed empatici, che iniziavano ad abbandonare il loro usuale colore per virare sul verde. Nessuno di loro due, però, ci fece caso, attenti ad ascoltare la mia storia.
– Sono stata cresciuta nella bottega di un artigiano, e ciò che ho imparato lì sin dalla tenera età mi è poi servito per sopravvivere e costruirmi armi e strumenti. – ripresi, radunando i demoni della mia anima in un angolo dal quale non avessero potuto sopraffarmi – Non so quanto tempo sia passato esattamente da quando il mio villaggio e molti altri sono stati rasi al suolo. Quell'oscura onda di morte è passata devastando tutto e tutti, senza che potessimo far nulla per contrattaccare. Ha spazzato via ogni cosa, all'improvviso, con forza sovrumana. – la voce mi si incrinava sempre più, ma continuai il mio sommario racconto – Non ho visto di che creature o entità si trattasse, poiché ovunque essi giungevano non restava più nulla, e noi tutti non potevamo fare altro che scappare senza voltarci mai indietro. Come abbia fatto a salvarmi, non lo so neppure io; so solo che ho corso come se avessi un vento di bora al posto dei piedi. Poi, i giorni si sono susseguiti tutti uguali, disperati, vuoti, e pieni di pericoli ogni giorno. Ho imparato a cavarmela da sola e a non arrendermi, e ho continuato a fuggire per non so quanti mesi... Fino ad ora. – conclusi, per poi chiudere gli occhi e fare un sospiro profondo e lento.
Quando li riaprii, la prima cosa che vidi furono le iridi smeraldine di Shinobu, che si era avvicinato ulteriormente al mio letto. La seconda cosa, fu la sua mano che mi porgeva un pezzo di stoffa.
Lo guardai, dubbiosa e leggermente risentita. Non stavo piangendo, e non mi sarei certo permessa di crollare davanti a loro. Non ero debole, non più; ciò che avevo vissuto mi aveva, volente o nolente, rafforzato, forgiando una me più resistente, con una dura corazza per affrontare il passato, il presente e il futuro.
E allora perché osava porgermi un fazzoletto?
– Non fraintendermi. – sussurrò, rispondendo al mio sguardo e fissando il suo nei miei occhi – Ho capito che non sei debole, ma ogni tanto sfogarsi fa bene. Se tieni tutto dentro, finirai per consumarti. Non sono così arrogante da dirti di sfogarti con me, ci conosciamo appena. Io neppure lo farei. – accennò una risata, per poi tornare serio – Voglio dire, siamo poco più che sconosciuti; capisco che sia troppo presto per esporsi così tanto con qualcuno e farlo entrare nel proprio mondo. Sempre ammesso che io sia in grado di aiutarti... – per un momento parve vacillare, ma poi la determinazione che l'aveva caratterizzato tornò ad impossessarsi del suo sguardo e la sua voce riprese sicurezza – Sfogati pure da sola; ti capirei, perché anch'io faccio così. Ma voglio dirti una cosa. Forse già la saprai, ma voglio ricordartela, perché ci sono momenti in cui la sofferenza può annebbiare ogni cosa... E credo tu lo sappia meglio di me. – si azzittì qualche secondo, cercando le parole più adatte per dar voce a quelle idee – Ricorda che il forte non è chi non cade mai, ma è chi cade e sa rialzarsi. È chi conosce il dolore, ma non si lascia sopraffare. È chi fallisce, ma non si dà per vinto. È chi piange in silenzio, chi crolla disperato, ma poi raccoglie i cocci di se stesso, li rimette insieme e si rialza. È chi, nonostante tutto, trova la forza per andare avanti, costruendo un futuro senza dimenticare il passato. È chi impara a convivere con i propri demoni, tenendoli a bada. È chi ammette i propri errori, le proprie debolezze e i propri limiti, e cerca un modo per migliorare. È chi impara a convivere con se stesso, nel bene e nel male. – fece una brave pausa, continuando a guardarmi intensamente con due occhi smeraldini e sinceri – Non è facile, lo so, ma non impossibile, e sono certo che tu non smetterai mai di provarci e di rafforzarti. –
Rimasi in silenzio, sostenendo il suo sguardo, profondo come le sue parole.
Non mi sarei aspettata una cosa del genere, ma gli ero grata per aver condiviso con me quella prospettiva, in quel momento, riportandola alla mia mente e ridandomi forza.
Concordavo con quelle idee, e non avrei immaginato che avessimo una visione così simile.
A volte, da piccola, avevo creduto che i forti non piangessero mai, non cadessero mai, non fallissero mai, ma avevo capito che non era affatto così. Non erano persone perfette, né tantomeno insensibili alla vita.
Non era la corazza a rendermi forte, sebbene mi servisse come difesa dal mondo esterno, dandomi sicurezza. Era solo una risposta al dolore, una reazione che esso aveva causato in me per farmi sentire meno vulnerabile, per mostrarmi più sicura e distaccata di quello che in realtà ero.
Ma la forza vera non era ciò. No.
Era quello che aveva appena detto Shinobu.
– Grazie. Grazie davvero. – sussurrai anch'io, rispondendogli con un sorriso velato di tristezza.
Afferrai piano il fazzoletto di tela che mi porgeva, come a suggellare un tacito accordo. Sfiorai appena le sue dita, ma quel breve e leggero contatto mi trasmise un tiepido calore, strano ma piacevole, che sciolse in parte il gelo che minava di intrappolarmi nella sua morsa di disperazione e solitudine. Un brivido mi percorse completamente, partendo da quel tocco accennato delle nostre mani e raggiungendo la mia anima, facendole capire che, forse, non ero più sola.
Shinobu mi sorrise, per poi allontanarsi di un passo e tornare nuovamente accanto al padre.
Fu allora che il Re lo notò.
– Santi Numi! – esclamò infatti Zenjiro, guardando sbalordito prima il figlio, poi me, e infine ancora il ragazzo – Allora è tutto vero, e lo sto vedendo con questi miei occhi! Shinobu, figlio mio, sappi che è un grande onore per me, ma soprattutto per te. Tu sei il primo della stirpe che ha dimostrato la veridicità della leggenda tramandata per generazioni dai reali di Komorebi. I tuoi occhi non mentono, il loro bagliore di smeraldo è inconfutabile. – fece una pausa; il sorriso gli morì sulle labbra e il sovrano assunse un'espressione seria – Tuttavia, sebbene una parte di me sia felice e orgogliosa, ve ne è un'altra che è preoccupata e teme per ciò che ti, o meglio, vi attende. Una grande responsabilità cade su di voi. Dovrete sottoporvi, voi due soli, a un ignoto e duro allenamento per il vostro corpo e il vostro spirito, a cui nessuno prima d'ora ha avuto accesso. Nessuno pertanto potrà consigliarvi; dovrete scoprire ogni cosa testandola sulla vostra pelle. Le difficoltà che incontrerete sulla vostra strada saranno innumerevoli, ma non dovrete mai arrendervi. Inoltre, se anche la Leggenda dell'Emerald Knight si dimostrerà vera e vi coinvolgerà, avrete l'enorme onere di difendere non solo questo regno, ma l'intera confederazione di Terre, dalle Forze Oscure che la minacciano. Forze a noi ancora sconosciute, ma di indubbia potenza, della quale, come Sora può tristemente testimoniare, han dato dimostrazione nelle Terre del Nord, affliggendo e spazzando via villaggi, città e generazioni di persone, solamente tramite loro emissari. –
Quando il sovrano terminò di parlare, la stanza rimase in silenzio per qualche secondo, nel quale io e Shinobu ci scambiammo un tacito e veloce sguardo.
– Lo sappiamo, Padre. – la voce del ragazzo dagli occhi cangianti era determinata.
– Siete pronti ad affrontare tutto ciò? – domandò Zenjiro, con tono grave ed estremamente serio, fissando dritto negli occhi prima il figlio e poi me.
– Peggio di così, a me non può andare. – fui io, questa volta, a rompere il silenzio – Non ho nulla da perdere, perché non provarci? Forse non ci riuscirò, ma non potrò mai saperlo finché non avrò tentato. Ammetto che i pericoli mi spaventano, mi spaventano molto... ma non posso lasciarmi paralizzare. Sono stufa di scappare, non posso nascondermi per sempre. È arrivato il momento che io reagisca, ora che potrò avere i mezzi per farlo, per vendicare Eorith, le Terre del Nord e ogni altra terra ridotta a un cimitero di macerie. Per evitare che la desolazione invada ogni angolo di questo mondo e altre popolazioni vengano spazzate via. Per evitare che altri, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne, soffrano quel che ho sofferto io. Per permettere un futuro a tutti loro... – lanciai uno sguardo a Shinobu – E per costruirne uno in cui possa vivere anche io, in pace con me stessa. –
– Tuttavia, – aggiunsi poco dopo – questa è la mia scelta. Non voglio obbligare nessuno a seguirmi in quest'impresa dall'esito estremamente incerto. Quindi, Shinobu, sentiti libero di decidere come preferisci, dopo aver interpellato mente e anima. Non devi venire con me se non te la senti; sarebbe peggio per entrambi. –
Il Re lanciò una veloce occhiata a me e al ragazzo, quando mi rivolsi a quest'ultimo dandogli del tu, e sospirò impercettibilmente; ormai, probabilmente, aveva perso le speranze che il figlio si attenesse a tutte le formalità di corte, almeno per quanto riguardava se stesso. Oppure non si era ancora rassegnato, ma voleva evitare di discuterne in pubblico. Non potevo saperlo.
Ciò, in ogni caso, parve poco rilevante, soprattutto nel contesto di una discussione assai più seria e importante.
– Anch'io ho fatto la mia scelta. – asserì il giovane, dopo un paio di minuti di riflessione – Sarebbe più comodo e più sicuro restare qui, tranquillo, al Castello. Ma con che faccia oserei poi guardarmi allo specchio? Non sono mai stato un codardo, e non lo sarò ora. Anch'io sono spaventato, ma mi terrorizza maggiormente ciò che potrebbe accadere mentre io sto qui a far finta di nulla. Come ha detto Sora, non ci si può nascondere per sempre. Ora abbiamo l'invisibilità data dall'incantesimo di iridescenza della musica, ma il Nemico potrebbe interrompere la frequenza esatta, potrebbe alterarla e annullarne l'effetto... – fece una breve pausa, riprendendo fiato – Ma non è solo questo: non credo che sia possibile restare qui nascosti, mentre all'esterno tutto cade in rovina. Non voglio fare l'eroe, anche se da questo discorso potrebbe sembrarlo; dico solo quello che penso. Il Regno di Komorebi non potrà sopravvivere da solo, isolato, nascosto per l'eternità. E io non potrò neppure dormire tranquillo, con la consapevolezza che, fuori, gente perirà senza che io abbia neppure provato ad evitarlo, avendone la possibilità. Affronterò questa enorme sfida; solo il tempo potrà dire se ne sarò in grado oppure no, ma almeno ci avrò tentato. Non ho un passato da vendicare, come te, Sora, – due smeraldi accesi si rispecchiarono nel mio sguardo – ma voglio anch'io provare a costruire un futuro dove vivere in pace con me stesso; per questo ho deciso che saremo in due ad affrontare quel che ci attenderà. – – Avete preso la vostra decisione con determinazione, e non ho le capacità né il diritto di farvi mutare idea. – annunciò serio il sovrano – Vi auguro che il Fato possa esservi favorevole. –
– Grazie, Padre. –
– Grazie, Sire. – dissi anch'io, quasi all'unisono con Shinobu.
– Però, come faremo a sapere come allenarci e cosa fare, se nessuno prima d'ora l'ha mai fatto? – domandai.
– Vorrei poter avere risposte certe da darvi, – il tono pacato di Zenjiro lasciava trasparire le sue preoccupazioni e incertezze – tuttavia, la Leggenda è lacunosa e non abbiamo esperienze a cui rifarci. L'unica informazione che ho è molto vaga: si narra che, dopo aver risvegliato il vero colore delle iridi del Principe di Komorebi, entrambi dobbiate bere due sorsi di una particolare pozione creata unendo aghi dell'Abete del Sonno, foglie di Menta Veritiera, succo di Mirtilli delle Montagne Ghiacciate, peli di un Lupo dell'Est, diluito con la più preziosa acqua da pozioni, quella raccolta alla sorgente del fiume Reiki sul Monte Yuuji delle Terre del Nord, usata anche per il medicamento guaritore che il medico Honomura Tetsuo ha utilizzato precedentemente sulle ferite di Sora. Gli ingredienti sono molto rari e la preparazione non è delle più semplici, ma potremmo comunque riuscire ad averla... –
– Sono certo che il signor Honomura sia in grado di crearla in breve tempo e in segreto, attingendo alle riserve del castello. – intervenne Shinobu.
– Esatto, figliolo. – concordò il Re di Komorebi – Honomura è una buona scelta, non ti tradirebbe mai. Dunque, potresti chiedere a lui di creare tale pozione. –
– Certamente. – confermò il ragazzo.
– Una volta avuta tale pozione, come stavo dicendo poc'anzi, – riprese a spiegare Zenjiro – dovrete berne due sorsi a testa e poi stendervi, congiungendo le mani per creare un flusso di energia che vi metta in comunicazione durante il sogno rivelatore. Tutto intorno a voi dovranno essere disposti dei petali di fiori di Loto, in modo che costituiscano un cerchio, per preservare la purezza del sonno; infine, altri fiori e foglie di Loto, essiccati, dovranno essere bruciati come incenso per 90 secondi. Questi ultimi stimoleranno, tramite proprietà allucinogene, il giungere di tale visione onirica, che potrà rispondere a domande per le quali non abbiamo informazioni, illustrandovi dove recarvi e cosa fare per avere accesso all'allenamento che vi attenderà. –
Io e Shinobu ringraziammo il Re contemporaneamente, e ciò fece comparire un fuggevole sorriso divertito sui nostri volti, che scomparve un secondo dopo, a causa della serietà della situazione.
– Chiederò al più presto al signor Honomura di preparare l'infuso. – disse poi il ragazzo, con lo sguardo acceso da due iridi smeraldine, che risaltavano sotto i capelli corvini – Nel frattempo, Sora avrà il tempo di recuperare la propria salute, prima di sottoporci al sogno rivelatore e ad andare incontro a ciò che dovremo affrontare. –
– Per quanto riguarda il sogno, non è necessario che sia completamente in salute per sottoporci ad esso; non voglio creare rallentamenti, nel caso che la pozione fosse pronta prima. – affermai.
– Il medico ha detto che, con l'aiuto del medicamento guaritore che accelera le proprietà rigenerative delle tue cellule, in un paio di giorni dovresti tornare in perfetta salute. Credo che la pozione onirica sarà pronta grossomodo nello stesso arco di tempo. Non vi è alcun bisogno che tu ti sforzi. – ribatté Shinobu.
Gli sorrisi.
– Okay, perfetto allora. – accordai.
– È deciso, dunque. – il Re tornò a far sentire la propria voce, con solennità.
– Tra poco debbo presenziare a una riunione col Consiglio. – disse poco dopo – Vi porgo quindi i miei saluti. Shinobu, cerca il medico Honomura appena esci; ci vediamo poi in sala da pranzo. –
– Certamente, Padre. – rispose l'interpellato, chinando leggermente il capo nella mia direzione, prima di voltarmi le spalle e precedere il genitore, dischiudendo l'uscio e richiudendolo dopo che il Re fu uscito.
– Ehm... – disse poi, piano, impacciato, riavvicinandosi a me – Come ti senti? –
– Non lo so. – risposi francamente – Il mio fisico si sta riprendendo molto velocemente e ti ringrazio per quella pozione... Spero che anche il mio animo si rimetta in piedi riparando i propri cocci. –
– Sono certo che sarai forte abbastanza per farlo. –
– Grazie per l'incoraggiamento. – gli sorrisi flebilmente – E in ogni caso, se non lo fossi lo diventerò. Alla fine dovremo sottoporci a un allenamento per migliorarci, no? –
– Esattamente. –
– Sei sicuro della tua scelta? –
– Sì. – non vi era più alcun ombra di incertezza nella sua voce, ora – Così come tu sei sicura della tua. –
Ci guardammo, e l'intensità dei nostri sguardi, sostenuti con determinatezza e fierezza, era una risposta più eloquente di mille parole.
– A dir la verità, ho paura di quel che ci attenderà. – disse poi Shinobu, senza distogliere lo sguardo – Ma tutti hanno paura. La paura è umana, non si può eliminarla. Ci sono favole che narrano di cosiddetti "cavalieri senza macchia e senza paura"... Beh, credo sia una cosa assurda, una cavolata bella e buona: tutti hanno paura, anche i coraggiosi. La loro forza sta nel non farsi paralizzare dal terrore, ma reagire, trasformando la paura da qualcosa di negativo in qualcosa di... Come dire... Azzarderei dire positivo. Voglio dire, se ad esempio dovessi affrontare una bestia feroce e affamata, avresti di certo paura; se essa ti paralizzasse e ti facesse restare lì bloccata, certamente sarebbe una cosa negativa perché ti condurrebbe alla morte. Ma se tu superassi questa paralisi, se sfruttassi la paura come un'allerta e l'adrenalina iniziasse a scorrere nel tuo sangue, diventerebbe qualcosa di positivo, che accelera le tue reazioni mettendoti in guardia dai pericoli e stimolandoti a trovare un modo per uscirne viva. Per questo credo che il coraggio non sia il contrario della paura, bensì un modo di reagire ad essa, traendone anche vantaggio. Ed è quello che voglio cercare di aumentare in me, affrontando l'ignoto che ci attende. – fece una pausa, e la stanza ripiombò in un silenzio assordante, dopo che il ragazzo aveva parlato incessantemente fino ad allora.
– Scusa se mi sono dilungato nelle mie riflessioni, spero di non averti annoiato... – la sua voce tornò a riecheggiare nell'aria, riempiendo il vuoto che aveva lasciato.
– Figurati, anzi è stato un piacere. È da molto tempo che non parlo con qualcuno, quindi scusami se non sono molto loquace, ma ciò non significa che mi stia annoiando! – gli sorrisi, parlando liberamente, senza un filtro tra mente e lingua, come non facevo ormai da chissà quanti mesi – Anzi, mi fa piacere sentire la tua voce che condivide le tue idee e riflessioni con me... – sentii le mie guance diventare più calde.
Merda, ero arrossita. E lui se ne era accorto, a giudicare dal sorriso che gli era comparso sul viso.
Tuttavia, non mi pareva un sorriso di scherno. A guardarlo bene, sembrava un sorriso impacciato, come se anche lui si sentisse un po' imbarazzato ma cercasse di nasconderlo.
Al che, mi venne spontaneo accennare una silenziosa risata, che mi fece distendere; le mie guance tornarono al loro colore originario.
– In ogni caso, sono d'accordo con te. Sia su questo discorso riguardo paura e coraggio, sia su quello di prima riguardo alla vera forza. –
Le labbra di Shinobu rimasero incurvate all'insù, e il ragazzo, sempre un po' imbarazzato, mi porse la sua mano destra.
– Beh, a quanto pare siamo d'accordo su molte cose... E siamo diventati ufficialmente compagni in un'avventura ignota che ci attende... E ancora non ci siamo stretti la mano come si deve! – ridacchiò.
– Uhm... Sì, hai ragione. –
Allungai il mio arto destro verso il suo, riuscendo a non avvampare di nuovo mentre gli stringevo la mano, sentendo ancora il calore che avevo percepito quando le nostre dita si erano sfiorate mentre mi aveva passato il proprio fazzoletto.
Mi sentivo strana. Da una parte ero contenta e mi lasciavo riscaldare l'animo da quel contatto che sembrava dirmi con ancora maggior convinzione “non sei più sola”; dall'altra, avevo ancora paura ad espormi troppo, a fidarmi così tanto di lui, che conoscevo appena. Avevo paura di restare nuovamente sola, di perdere anche lui, o perché potesse tradirmi, o perché potesse morire, come erano morti tutti quelli a cui tenevo... Scacciai quell'immagine dalla testa, scuotendo leggermente la testa. Non potevo lasciarmi paralizzare dal timore e dal dolore desolato.
– Hey Sora, tutto bene? – la sua voce mi riportò al presente.
– Uhm... S-Sì, non preoccuparti. Sono solo stanca... – mentii, non sentendomi pronta ad affrontare la questione con lui.
– Okay, come vuoi. – mi guardò dritto negli occhi.
Lasciai che il mio sguardo tormentato si perdesse in quell'oceano color verde speranza.
– Quando vorrai parlarne, me lo dirai tu. – mi sorrise.
Aveva capito.
Gli ero grata che non avesse insistito per discuterne in quel momento.
Ricambiai il sorriso.
– Beh... Se sei stanca ti lascio riposare. Vado a cercare il medico Honomura per dirgli della pozione. Ti va bene se torno dopo pranzo e ti porto qualcosa? Ti farei mandare del cibo, ma come ti ho detto meglio non fidarsi neppure del personale di corte; preferisco portarti qualcosa io, così son sicuro che non sia avvelenato o chissà cosa. – ridacchiò, cercando di sdrammatizzare.
– Okay, grazie. Allora ci vediamo più tardi? –
– Sicuro. A dopo, Sora. –

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