Heart of Darkness

di Niallsdonut
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Initiation ***
Capitolo 2: *** The Light Bue of The Past ***
Capitolo 3: *** Metamorphosis ***
Capitolo 4: *** First Blood ***
Capitolo 5: *** Decisions ***



Capitolo 1
*** Initiation ***


Heart of Darkness

 

 

 

 

-Initiation

 

Cameron venne assordato dal trillo della sveglia fin troppo vicina alle sue orecchie. Alzò il braccio destro e le diede una pacca in cima, così che smie di suonare.

Piano piano i pensieri incominciarono a correre con un ritmo normale, e gli venne subito in mente che era il suo primo giorno di scuola.

Già, si erano trasferiti in California da poco più di un mese, e aspettava questo giorno come il giorno del giudizio universale. Non voleva andare alla nuova scuola, assolutamente no. Ma doveva, per dovere e per far felice i suoi, almeno la madre.

Spinse le coperte in fondo al letto, appallottolandole, e si alzò per andare a prendere i vestiti accatastati sulla sedia. Si mise i suoi soliti pantaloncini logori e strappati sul cavallo e la maglietta di Oxford, che la sorella maggiore gli aveva mandato poche settimane dopo che era partita, appunto, per l'università.

Ora che ci pensava, non capiva come mai avesse scelto un'università in Inghilterra, così lontana da casa, lei, che amava stare con la sua famiglia. Inoltre, vi erano innumerevoli università illustri in america, come per esempio Harvard. Ma lei aveva insistito, e il padre era sospettosamente troppo a suo favore.

Il padre, ormai, non lo vedeva da tre mesi. Lavorava per una ditta di trasporti navali. Passava a casa solo due mesi l'anno, per il resto era sempre a bordo di qualche navve mercantile in rotta nel Pacifico.

Si decise a scendere in cucina. Percorse barcollando il tratto che lo separava dalle scale, scese i gradini inciampando nel penultimo, girò a destra ed entrò in cucina.

Era una stanza alquanto ampia, più ampia per lo meno di una cucina normale. Una cosa che la caratterizzava, oltre alle grandi porte finestre che davano sul giardino sul retro e che facevano entrare una grande quantità di luce, era il fatto che potevi entrare lì a qualsiasi ora della giornata, e avresti sempre trovato qualcosa che cuoceva sui fornelli. Oggi si trattava di uova e bacon.

Fece mezzo giro e si diresse verso il tavolo. Qui, assonnata quanto lui, stava la sorellina minore, April.

"Dov'è la mamma, ho fame", chiese April, strofinandosi gli occhi.

"Sono entrato in cucina dopo di te, ti pare che possa saperlo?", rispose acido Cameron.

"Mi scusi, sua maestà".

Cameron non fece in tempo a rispondere per le rime a sua sorella che le vetrate dietro di lui si aprirono. Entrò una donna slanciata, sulla quarantina ma che dimostrava un'età nettamente inferiore, con indosso un completo da giardiniere di tutto punto, sporco di terra solo sugli stivali e sui guanti. Posò sul tavolo un grosso vaso di terracotta che ospitava una moltitudine di papaveri multicolore e si rivolse ai ragazzi.

"Buongiorno ragazzi", disse con una voce che ricordava il cinguettio di un fringuello.

Grace, così si chiamava la donna, era la mamma di Cameron e April. Occhi color nocciola come quelli del figlio, capelli biondi come quelli della figlia, un viso proporzionato e labbra carnose. Si diresse verso i fornelli, spense il fuoco, verso il contenuto delle padelle in due piatti di ceramica e servì i figli.

Entrambi mangiarono molto in fretta, dato che entrambi avevano notato quanto veloce stesse correndo il tempo.

April finì per prima, lasciò il piatto sul tavolo e corse di sopra per prepararsi. Quando Cameron finì, portò sia il suo che il piatto di April verso il lavandino, dove la madre stava cercando di pulire gli schizzi di olio provocati dalla colazione.

"Hai dormito bene, Cam?", chiese la mamma, accortasi del figlio.

"Si, abbastanza", rispose Cameron, in tono piatto.

"Andrà tutto bene, te lo posso assicurare. Sii solo te stesso e vedrai che tutto andrà per il meglio".

"Lo spero, mamma", rispose il ragazzo, accennando un sorriso per compiacere la madre.

Cameron sapeva quanto la madre faceva per la famiglia. Era costretta a vivere dieci mesi l'anno senza la compagnia del marito, con due figli da crescere e una casa da mandare avanti. Fortuna che lo stipendio del padre era abbastanza cospiquo, altrimenti Grace avrebbe dovuto trovarsi pure un lavoro. Cameron sarebbe stato sempre in debito con lei, per tutta la vita.

Il ragazzo accettò con garbo il bacio leggero della madre sulla sua guancia, dopodiché si girò e filò a passo svelto di sopra per prepararsi.

Dopo una veloce sosta in bagno, Cameron rientrò in camera. Era un vero disastro: vestiti ovunque, cibo per terra, foglie sparse sul tappeto portate dal vento autunnale attraverso la porta lasciata distrattamente aperta. Si ripromise di ripulire il più possibile non appena sarebbe tornato a casa. Certo, la madre pulica ogni giorno quel che poteva, ma gli scocciava lasciare sempre tutto a lei. Cercava sempre di aiutare quando poteva.

Si vestì alla ben e meglio con i vestiti che trovò sulla sedia, ovvero una maglietta a maniche lunghe grigia, pantaloni neri stretti, Vans bordoux e giacchetto di pelle marroncino, oltre ovviamente allo zaino, che Cameron cercò di chiudere mentre scendeva le scale.

Gridò "Ciao mamma, io vado", e, senza neanche aspettare una sua risposta, si diresse fuori, cercando quali migliori scuse avrebbe potuto inventare per evitare ogni tipo di conversazione.







Prestavolto Cameron: Cameron Dallas


-Writer
Ciao a tutti, il mio nomer è Daniele Zallu. E' probabile che alcuni di voi mi conoscano già, sta di fatto che sto provando a scrivere questa storia per la quarta volta, continuando ogni volta a cambiare personaggi o ambientazione, ma tenendo invariata la trama. Questa è l'ultima volta che tenterò di scriverla, ma sono determinato a portarla a termine. Questo è il primo capitolo, scusate se è un po' corto, ma serviva solo per inquadrare il personaggio principale, Cameron (ho preso spunto da Cameron Dallas, ex membro dei Magcon), e inoltre per farvi capire più o meno come scrivo. Spero vi sia piaciuto, lasciate una recensione se vi va.
Informo che posterò il prossimo capitolo solo quando arriverò ad un tot numero di recensioni, che vorrei fissare a 10 (scusatemi lol).

Vi saluto lasciandomi il mio recapito Twitter (@calumstattooes), se volete scrivermi per qualsiasi cosa, anche per insultarmi, io ci sono c:

niallsdonut

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** The Light Bue of The Past ***






Heart of Darkness

 

 

 

 

- The Light Blue of The Past

 

Cameron scese i quattro gradini che portavano al vialetto ciottolato del suo giardino. Lo percorse a passo sostenuto e arrivò al cancelletto bianco, che aveva dipinto col padre un paio di anni prima. Ora, la vernice che lo ricopriva cadeva a grandi pezzi sul giardino. Lo aprì e uscì fuori.

Era una bella giornata, seppur il clima fosse abbastanza freddo, una rarità per l'autunno californiano. Di solito potevi andare in piscina fino ad ottobre inoltrato, ma quell'anno ai primi di novembre dovevi già metterti il cappotto.

Cameron amava il freddo. Non doveva preoccuparsi di mettere magliette troppo strette o pantaloncini corti, anche se aveva un fisico degno di nota. D'inverno poteva mettere una delle sue innumerevoli felpone slargate, che gli coprivano anche le mani. Amava inoltre mettere scarponi grossi, come le Dottor Martens o le Timberland, che non si adattavano molto ad un'estate in California.

La scuola distava poco più di un kilometro, e a piedi sarebbe riuscito ad arrivare lì almeno cinque minuti prima che suonasse la campanella. Cameron era quel tipo di persona che, se aveva un appuntamento, arrivava al luogo prestabilito con mezz'ora di anticipo. Odiava far aspettare la gente quanto odiava aspettare.

I pensieri del ragazzo viaggiavano senza freni mentre le foglie marroncine iniziavano a staccarsi. Continuava a domandarsi il motivo di quell'autunno così precoce, senza trovare risposta.

In men che non si dica, si ritrovò davanti ai mastodontici cancelli aperti della North High School, la sua nuova scuola per il suo ultimo anno, dopodiché sarebbe partito per il college.

La struttura comprendeva un grande edificio arancione, che si distribuiva su un ampio giardino, circondato da un alto muro di pietra, interrotto a tratti irregolari da dei cancelli che permettevano l'entrata diretta a diversi punti della scuola.

Nel giardino principale, quello che dava sull'entrata della scuola, numerosi gruppi di ragazzi sostavano aspettando il suono della campanella, parlando ad alta voce e ridendo.

Cameron non era mai stato il tipo da gruppo di amici, ma più il tipo che se ne stava solo per i fatti suoi. Non era mai stato bravo a fare amicizia, anche se qualche amico lo aveva avuto, in passato. Ma dopo l'incidente che lo fece cadere in una profonda depressione all'età di soli sette anni, le cose erano peggiorate drasticamente. Erano statti anni duri, quelli, passati a spostarsi dalla poltrona di uno psichiatra ad un'altra. Non si ricordava nemmeno il nome del suo amico, tanto meno la faccia. Sapeva solo che erano amici da quando suo nonno era morto. Amava suo nonno, ancora più dei genitori. Al suo funerale, stette tutto il tempo fuori in giardino sotto un albero, a piangere e a schiacciare i piccoli insetti che bazzicavano nel suo prato. Ad un certo punto, comparve un bambino, circa della sua età, che si sedette accanto a lui, e che iniziò a parlare del più e del meno, cercando di tirarlo su di morale. Da quel giorno erano stati sempre insieme, fino a quando, un giorno d'autunno, una macchina perse il controllo per via della strada bagnata e schiacciò la testa del ragazzino. Cameron avrà per sempre in testa la visione del cranio del suo amico schiacciato come un cocomero e il suono prodotto da esso, un terribile suono di ossa rotte.

Dovette strofinarsi gli occhi per scacciare dalla mente quella visione. Non doveva pensarci, doveva iniziare a indirizzare la sua mente verso altre cose, come gli avevano consigliato i suoi vecchi psichiatri.

Si soffermò allora a guardare i variopinti murales che costellavano le mura della scuola, fatti dagli alunni della sezione di arte. Ma non fece in tempo a decifrare una scritta che un ragazzo alto e muscoloso apparve dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla.

"Heilà", disse con voce chiara ma comunque agghiacciante.

Cameron saltò per lo spavento, e si girò di scatto, cercando di calmare il suo cuore che aveva preso a battere come un tamburo.

"H-hei", disse in risposta.

"Tu devi essere quello nuovo, vero? Girava voce di un nuovo ragazzo in città, e sapevo per certo che saresti venuto in questa scuola. Io sono Noah, e questi dietro di me sono i miei amici".

Cameron si accorse solo in quel momento dei quattro o cinque ragazzi dietro le spalle di Noah. Erano grossi quando lui, e tutti sfoggiavano un ghigno sbilenco sulle labbra.

"Non vogliamo spaventarti per nulla, ma sappi che qui in giro comandiamo noi. Per cui, non azzardarti a fare nulla che vada contro le nostre volontà, e non avrai noie. Intesi?".

L'ultima parola venne quasi sputata da Noah.

"Intesi", rispose Cameron, il cui unico desiderio era quello di sparire lì, seduta stante.

"Bene", rispose Noah, che sorpassò Cameron e si diresse dentro i cancelli della scuola, seguito dalla sua combriccola.

Cameron stava sudando freddo. Non era la prima volta che aveva a che fare con i bulli, ma questi potevano bullizzare senza problemi i bulli che lo avevano preso di mira gli anni precedenti.

La campanella suonò, e Cameron si decise finalmente ad entrare nella scuola.

Appena dentro la struttura, si diresse verso la reception, che era appena dietro il primo angolo a sinistra. Qui sedeva una signora sulla settantina, che alzò appena lo sguardo per guardare il ragazzo.

"Cameron Dallas?", chiese.

"Sì, sono io".

"Ecco a te una piantina della scuola e i tuoi orari. Buona fortuna", disse la signora, con un sorriso di incoraggiamento.

Cameron prese i due fogli e ne lesse uno. La sua prima ora prevedeva matematica.

Seguendo le indicazioni sulla piantina, arrivò senza problemi all'aula del sprofessor Roof.

Appena si accostò all'uscio, una ventina di facce si girarono verso di lui all'unisono per guardarlo. Cameron si sentiva le gambe molli, e sentiva anche le sue gote che si stavano arrossando.

"Buongiorno, tu devi essere il nuovo alunno", disse un uomo tarchiato con dei folti baffi bianchi e un viso simpatico, corredato da un paio di occhialoni gialli.

"Si", rispose Cameron a mezza voce.

"Bene. Sul registro vedo che il tuo nome è Cameron. Benvenuto, allora. Puoi sederti in quel banco, vicino alla tua nuova compagna Yijun", disse, indicando un banco attaccato alla finestra che dava sul giardino nella penultima fila.

Cameron si diresse a passi svelti verso il posto indicatogli dal professore, e quindi si sedette.

La sua compagna di banco era una ragazzina cinese che se ne stava sulle sue, non si era nemmeno girata a presentarsi di persona, cosa che a Cameron fece più che piacere.

Il professor Roof iniziò a leggere la serie di nomi che componevano il registro di classe. C'erano veramente un sacco di persone straniere, compresa la cinese.

Ma una cosa sconvolse ancora di più Cameron. Quando il professore arrivò a "Nash Grier", una voce rispose "Presente". Quella voce scatenò in Cameron una cascata di emozioni indescrivibile, tanto forte che dovette reggersi al banco per non svenire.

Si girò verso il punto in cui quel suono aveva avuto origine, e vide un ragazzo seduto all'altro capo della stanza, che incrociò per un istante il suo sguardo. I suoi occhi erano più azzurri del cielo e più profondi del mare, una sorta di paradiso personale che poteva essere intravisto solo da poche persone elette. Era l'unica cosa che riuscì a distinguere dell'intera persona. Ma quegli occhi erano qualcosa di più, qualcosa di familiare. Qualcosa di già visto, come quando una canzone apparentemente appena ascoltata ti piace così tanto che ti pare di averla già sentita da qualche parte. Sta di fatto che quel ragazzo aveva qualcosa, quel qualcosa che Cameron non aveva mai notato in nessuno, se non in una persona.

Nash si rigirò a parlare con un paio di compagni dietro di lui, e Cameron si mise a fissare il banco.

"Ragazzi, oggi iniziamo il calcolo integrale. Sarà materia d'esame, per cui non prendete l'argomento sotto gamba, ma iniziate subito a seguire e a cercare di capire", disse il professor Roof, che stava iniziando a scrivere dei calcoli con numeri complessi alla lavagna.

L'ora trascorse abbastanza velocemente, ma più Cameron si sforzava di concentrarsi sui calcoli, più i muscoli del suo collo si tendevano per farlo girare verso Nash. Alla fine della lezione, aveva capito più o meno che quella era stata un'ora di matematica.

Le ore successive comprendevano biologia e storia. Fortunatamente, per ora Cameron condivideva solo matematica con Nash, perciò fu molto più semplice seguire le lezioni.

Alla fine delle tre ore suonò la campanella che sanciva l'inizio della pausa pranzo.

Cameron si chiese dove fosse la mensa, ma decise di seguire la massa degli studenti al posto di controllare inutilmente la mappa e di dare nell'occhio.

Dopo pochi minuti e qualche svolta a destra e a sinistra, si ritrovò in una stanza grande forse più di casa sua con il giardino compreso, stimando che avrebbe potuto tranquillamente contenere mille persone senza che fossero troppo schiacciate tra di loro.

Si diresse subito verso il self-service e iniziò a servirsi. Arrivato in fondo al bancone, pagò il cibo che aveva preso e iniziò a guardarsi intorno, per cercare un tavolo. Optò per un tavolo circolare, abbastanza lontano dagli altri studenti, nell'angolo in fondo alla mensa, vicino alla porta che dava sul retro. Quasi corse per prendere il posto.

Iniziò a mangiare tranquillamente la sua fetta di pizza, ma non riuscì ad arrivare alla crosta che di nuovo Noah e il suo gruppo si avvicinò a lui.

"Heilà, frocetto. Passate bene le prime ore?", chiese sorridendo.

"Si, abbastanza", rispose Cameron, tenendo lo sguardo basso.

"Stavo pensando di saltare la prossima ora per organizzare una bella partita di pallacanestro nel giardino vicino all'aula di informatica. Ci stai?".

Era chiaro che lo stava invitanto solo per batterlo e per deriderlo. Cameron non era mai stato un asso negli sport, tanto meno a basket, dato che la sua statura non gli permetteva grandi prestazioni.

"No, grazie. Preferirei non saltare ore di scuola almeno il primo giorno".

"Oh, ma dai, è un'ora soltanto. Non penso che qualcuno se ne accorgerà".

"No, davvero. Non conosco nemmeno le regole".

"Ma non c'è problema, te le insegnamo noi", disse Noah

"A suon di botte", pensò Cameron.

"No, davvero, non penso...".

Una folata di vento accompagnò l'arrivo di Nash Grier, e il cuore di Cameron riprese a correre.

Non capiva come avesse fatto ad arrivare così velocemente da portare con sé una folata di vento, ma non poté trovare risposta perché iniziò subito a parlare.

"Hai problemi con Cameron, Gilinsky?", chiese Nash a Noah.

"Lo stavo invitando ad una partita di pallacanestro, sai, per farlo integrare con il gruppo".

"Oh, penso che Cameron possa farne a meno, come ti ha già detto tre volte. Perché non giri i tacchi e te ne vai, rosso?".

"Attento a te, lurido bianco, non pensare che la vittoria della notte scorsa ti possa dare il diritto al controllo di questo territorio. E' ancora sotto mano nostra, ricordatelo", rispose Noah, tagliente, quasi sbraitando. Sembrava che i suoi occhi si stessero riempiendo di sangue.

"Non costringermi a farti il culo ancora, Noah. Fai dietro front e sparisci".

Nash faceva quasi paura. Il suo viso non fu mosso da nessun tipo di emozione mentre pronunciava quelle parole, ma il tono della voce avrebbe potuto fermare un esercito.

Noah si girò e se ne andò piano, seguito dai suoi amici.

Nash aspettò che uscisse dalla mensa, per poi girarsi e sedersi al tavolo di Cameron. Avrebbe voluto chiedergli di andarsene, ma attaccò subito a parlare.

"Mi dispiace che ti abbia già dato fastidio, è la sua specialità".

"Non ti preoccupare, ci sono abituato. E comunque me la stavo cavando da solo".

"Sentivo la tua paura fin dall'altro capo della stanza, Cameron".

Ancora si stupiva che si ricordasse il suo nome. Una sua compagna di matematica che aveva incotrato anche a biologia e storia continuava a chiamarlo Calum.

Cameron divenne paonazzo e abbassò lo sguardo sul suo budino, che tremava meno di lui.

"So che ti sei trasferito", disse Nash, "da dove vieni?".

"Ohio", rispose Cameron senza alzare lo sguardo dal suo pranzo.

"Ohio, mh...capisco perché te ne sei andato", disse, concludendo con una risata cristallina, che infondeva l'aria di allegria, tanto che anche Cameron accennò un sorriso di sbieco.

La campanella che segnava la fine della pausa pranzo suonò, e Cameron fu costretto a lasciare il resto del suo pranzo sul tavolo.

"Ti accompagno in classe", disse Nash, che si era già alzato ed era pronto per andare, "che lezione hai ora?".

"Filosofia", rispose Cameron, mentre iniziarono ad incamminarsi.

"Ah, l'aula del professor Ratford è dietro l'angolo".

Il tragitto durò pochi minuti, ma i due ragazzi ebbero il tempo di parlare del più e del meno. Cameron si rese conto solo in classe di aver parlato amabilmente con uno sconosciuto, o più che altro, uno conosciuto appena dieci minuti prima. Ma Nash, si vedeva, era il classico tipo di ragazzo che riesce a tirarti in mezzo ad una conversazione in qualsiasi momento, senza badare al particolare umore che hai. Sarebbe riuscito anche a far parlare i sassi di come stava andando la guerra in Iraq se solo ci avesse provato.

Dopo aver lasciato che Nash andasse per la sua strada (aveva la lezione di informatica), Cameron entrò in classe, dopo essersi presentato alla classe.

Il resto della giornata passò tranquillo, senza altre interruzioni di sorta.

Quando nel primo pomeriggio l'ultima campanella della giornata suonò, lui insieme ai suoi compagni si diressero verso le uscite.

Ci mise pochi minuti a uscire dalla scuola, e ancora meno per tornare a casa.

Stava per girare l'angolo per entrare nella via di casa quando capì che qualcosa stava andando storto. Si trovava in un vicolo stretto da due palazzine, abbastanza ignoto alla gente del posto, e, non appena sollevò lo sguardo, si accorse di essere circondato da cinque o sei ragazzi, tutti il doppio di lui. A capo del gruppo vi era Noah Gilinsky, che lo guardava con uno sguardo folle, con gli occhi sbarrati ed iniettati di sangue, con la bocca semi aperta che faceva uscire un rantolio quasi animalesco. Sembrava che Noah stesso per avere un attacco epilettico.

"Heilà, frocetto". La sua voce sembrava il verso di una bestia.

Cameron era paralizzato, ma non avrebbe avuto nemmeno il tempo di gridare aiuto, perché Noah si era già mosso con una velocità disumana.

Un balzo in avanti, un morso letale alla giugulare, il veleno acido che veniva pompato dal cuore in tutto il corpo. I muscoli si tirarono fino quasi a strapparsi, e la pelle sembrava che andasse a fuoco. I pensieri di Cameron vertevano tutti su episodi di guerra, disgrazie e morte. Prima di perdere i sensi, rivide ancora la scena del suo vecchio amico schiacciato dall'auto. Ma prima di morire, il ragazzino aveva guardato Cameron, e i suoi occhi erano azzurro cielo.

Buio.








Prestavolto Nash: Nash Grier

Prestavolto Noah: Jack Gilinsky 

 

 

 

 

-Writer

Ciao a tutti! Come promesso, ho raggiunto un buon numero di recensioni per il primo capitolo, perciò ecco qua il secondo. Si delinea di più il personaggio di Cameron (sì, ripeto, è Cameron Dallas), ed entrano in gioco Noah Gilinsky (che si rifa a Jack Gilinsky, membro dei Magcon) e Nash Grier, per cui io ho una cotta assurda ahah (anche lui è un membro dei Magcon). Non rivelo nulla, ovviamente, perché quando riceverò altre dieci recensioni per questo capitolo posterò il terzo, promesso.

Vi saluto lasciandovi il mio recapito Twitter (@calumstattooes), se volete scrivermi per qualsiasi cosa, anche per insultarmi, io ci sono c:

niallsdonut

 

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Capitolo 3
*** Metamorphosis ***





 

Heart of Darkness




 

- Metamorphosis


 

Che dolce la dormiveglia, quella in cui ti trovi appena svegliato, ma che ancora non ti permette di formulare pensieri logici, quella che nelle giornate di inverno ti dà quel senso di torpore infinito e che ti trattiene a letto anche delle ore.

Ecco, Cameron era in quello stato. Il problema era che, anche se avesse voluto, non sarebbe riuscito a muoversi in nessun caso. Era come paralizzato, ma percepiva ogni cosa con il tatto della sua pelle. Non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi. Sentiva un formicolio che partiva dal fianco del collo, che si irrorava per tutto il corpo perdendo intensità via via che si allontanava dall'epicentro.

Ed inoltre si sentiva bollente, terribilmente bollente. Sembrava che qualcuno gli avesse gettato addosso della benzina e gli avesse dato fuoco, lì, nel suo letto.

Ma, in fin dei conti, si sentiva bene. Non provava dolore, addirittura sembrava che non fosse nemmeno a contatto con il letto, ma di essere in una sorta di levitazione perenne.

Ad un tratto, una minuscola voce nella sua testa gli disse di addormentarsi, e così Cameron si fece trascinare nelle braccia di Morfeo.

I muscoli del corpo si contrassero all'unisono. L'attività cerebrale riprese a funzionare in un lampo.

Cameron era morto ed era risorto.

Si alzò a sedere di scatto e lanciò un urlo che fece far tremare le finestre. Non vedeva bene, la luce era troppo forte. Per quanto tempo aveva dormito? Ricordava a sprazzi quello che era successo, ma sapeva che qualcosa di brutto gli era capitato.

Finalmente inizò a vedere. Si trovava nella sua stanza, sotto le coperte del suo letto. Non sapeva come ci era arrivato, ma era lì.

"Buongiorno, bella addormentata", disse una voce famigliare.

Cameron girò di scatto la testa e vide Nash Grier, seduto sulla sedia girevole della sua scrivania, con un espressione a metà fra il sollievo e la più pura paura.

"Cosa ci fai qui?", chiese Cameron, iniziando a comprirsi il più possibile con le coperte, avendo notato di essere completamente nudo.

"Perché sono nudo? Cos'è successo di preciso?"

"Calma, calma. Ora faremo chiarezza, ma con calma"

Nash sembrava a disagio, preoccupato che qualcosa di punto in bianco potesse andare storto.

Cameron iniziò a ricordare cosa era successo.

"Dov'è Noah? Perché mi avevano accerchiato in quel modo? Cosa mi ha fatto?"

Cameron sputava fuori domande come una macchinetta. Doveva sapere, il suo cervello ne aveva bisogno. Odiava quando si trovava in situazioni che sfuggivano al suo controllo, per questo odiava i bulli.

"Non lo so. A quanto pare eri una preda desiderabile. Non ne ho idea. So solo che ti ho trovato in tempo. Se fossi arrivato anche solo pochi minuti più tardi saresti morto per davvero. Non che adesso tu sia vivo..."

"Cosa vuoi dire, Nash? Come hai fatto a trovarmi?"

"Le tossine tossiche del veleno di Gilinsky erano sparse per tutta la città, trasportate dal vento autunnale. Mi è bastato seguire la scia e vi ho trovati. Ho scacciato Noah e il suo gruppo, poi ti ho caricato sulle spalle e ti ho portato qui. Ho cercato di fermare il sangue che sgorgava dal tuo collo, per quello che ho potuto, anche se non ce n'era più molto che ne potesse uscire. Ma come vedi la ferita si è rimarginata da sola senza troppi problemi"

Cameron si ricordò del morso. Non aveva mai sentito un dolore così forte, soprattutto quando aveva iniziato a succhiare via il sangue. Sembrava che si fosse portato via anche il cuore. Già, il cuore, il cuore ormai fermo di Cameron, che aveva battuto l'ultimo colpo poco prima che si svegliasse.

Si portò una mano al petto.

Silenzio.

Tremante, chiese a Nash:

"Nash, perché il mio cuore non batte più?"

Cameron aveva le lacrime agli occhi e uno sguardo folle. Non capiva cosa stesse succedendo, tutto sembrava incredibilmente impossibile.

Nash, al contrario, ora sembrava tranquillo, ma ad ogni nuova domanda di Cameron si poteva percepire la paura e la preoccupazione che scaturiva dal suo volto.

"Perché sei un vampiro, non ne hai più bisogno"

Cameron rimase un attimo interdetto. Stava ripensando a quello che Nash aveva detto, perché non era sicuro di aver capito bene. Eppure sì, aveva detto proprio vampiro.

"Scusami? Non riesco a starti dietro", disse Cameron, leggermente contrariato dal fatto che Nash lo stesse in qualche modo prendendo in giro.

"Ascoltami, Cameron, so che ti potrebbe sembrare uno scherzo di cattivo gusto, ma è così, purtroppo. Noah Gilinsky è un vampiro, della peggior specie, capo di un piccolo clan diffuso da queste parti. E' sempre stato attratto dai nuovi arrivati, con il loro odore di forestiero. A quanto pare ti teneva d'occhio da giorni. Sta di fatto che ti ha morso, con l'intenzione di prosciugare fino all'ultima goccia il tuo sangue. Ma non gliel'ho permmesso. Così facendo, per mio puro egoismo, ti ho condannato a qualcosa di peggio. Ti ho condannato alla metamorfosi in vampiro. La metamorfosi è qualcosa di traumatizzante per il corpo e per la mente. Non lascia segni evidenti, ma lascia una spossatezza interna che può durare anche per anni. Detto questo, mi dispiace tanto, ma da oggi le cose sono cambiate. Per sempre"

Nash, notò Cameron, appariva maledettamente serio. Da quanto aveva carpito del suo comportamento dopo dieci minuti di chiacchierata con lui, Nash sapeva quando usare i diversi toni della voce, e non scherzava sulle cose importanti.

"Mi stai dicendo", iniziò Cameron, "che sono diventato un vampiro? Un vampiro vero?"

"Si, Cameron. Col tempo lo accettano tutti, non ti preoccupare"

"Anche tu lo sei?"

"Si, Cameron"

Sembrava che il peso del mondo fosse caduto sulle spalle di Cameron. Non poteva essere vero. Dovevano esserci delle telecamere nascoste in giro per la stanza, e da un momento all'altro le persone a lui care sarebbero saltate fuori gridando che era uno scherzo. Ma passavano i secondi, e Cameron dovette accettare la realtà, almeno in minima parte.

"Ora che si fa?", chiese a Nash.

"Beh, puoi fare tante cose. Ma per ora è meglio se ti stacchi dalla tua famiglia, per un po'. Devo portarti al quartier generale del mio clan"

"Il tuo clan?", chiese Cameron.

"Sì. I vampiri di tutto il mondo si dividono per la maggior parte in White Vampires e in Red Vampires, apparte eccezioni rare. I primi, secondo le tradizioni, discendono da Gesù Cristo in persona. I Red Vampires, invece, discendono da Giuda Escariota, il primo vampiro della storia. Sta di fatto che ormai è impossibile risalire alla diretta discendenza di qualsiasi vampiro, perciò ognuno di noi può decidere di unirsi all'uno o all'altro clan. Questi due clan sono in lotta perenne per detenere il titolo di clan dominante, una lotta che va avanti da più di duemila anni"

"A che clan appartieni tu?"

"Ai bianchi, ovviamente. Non potrei mai pensare di mischiarmi con quella feccia dei rossi", rispose Nash disgustato.

Ma, anche dopo tutta la spiegazione di Nash, ancora Cameron non ci credeva. "Andiamo", pensava Cameron, "come diamine può essere vera tutta questa storia?!".

Eppure, Nash non sembrava stesse scherzando, nemmeno un po'.

"Quindi, io ora dovrei essere allergico mortalmente all'argento? Ah no, quelli erano i lupi mannari", disse Cameron, quasi ridendo.

"No, hai ragione. Anche i vampiri devono stare attenti all'argento. E' una delle tante burle del Signore. La bibbia insegna infatti che Giuda tradì Gesù per soli trenta denari d'argento, e da allora questa è la maledizione che accompagna tutti i vampiri"

Cameron ascoltò con una punta di curiosità. Aveva sempre amato questo tipo di leggende. Ma, d'un tratto, gli venne in mente un cosa: sua madre un tempo gli aveva regalato una piccola catenina d'argento, con appesa una targhetta, totalmente composta di argento puro. E quella catenina l'aveva sempre indosso.

Portò la mano destra al collo e si fece girare la targhetta tra le dita.

"Nash, ma se fossi veramente un vampiro, a quest'ora non dovrei essere già morto? Questa catenina, infatti, è fatta d'argento"

"Dio non è mai troppo severo. L'argento è innocuo al tatto. Possiamo anche rivestirci di un'armatura totalmente composta d'argento e non patiremmo il minimo dolore. Ma se un pezzo d'argento ti provocasse una ferita, anche un semplice graffio, in quel caso proveresti un dolore incommensurabile e indescrivibile. Potrei provartelo, ma non penso ne saresti molto felice. Infine, cosa più importante, se anche solo una minuscola parte, anche un atomo, dovesse entrare in contatto con il tuo cuore o con il tuo cervello, moriresti all'istante. In questo caso, non so dirti se farebbe male o meno, nessuno è mai tornato indietro per raccontarlo"

"Oh, grazie dell'informazione", rispose Cameron. Non si sentiva di certo meglio di prima, ora.

Nash tutt'a un tratto era diventato visibilmente a disagio. Provava un'incredibile voglia di abbracciare Cameron per non lasciarlo più. Sapeva di avere un legame con quel ragazzo, se lo sentiva dentro.

Cameron continuava a sedere nel letto, abbandonato alle sue emozioni.

Ma ora, qualcosa si stava facendo strada nel suo corpo, partendo dalla pancia. Era una sensazione molto forte, che poteva essere scambiata tranquillamente con il dolore.

Ma era tutt'altra cosa.

"Nash", disse Cameron, "ho fame"







 

 

-Writer

Ciao a tutti, sono felice che abbiate letto il terzo capitolo di Heart of Darkness c:

Ebbene sì, Cameron è diventato un vampiro. Nash ha iniziato a rivelare un po' di cose a Cameron per quanto riguarda il nuovo mondo in cui dovrà entrare a far parte, e Cameron sembra molto insicuro, per ora. Come sempre, aspetto di arrivare a tot recensioni per continuare la storia, perciò scrivetemi cosa ve ne pare del nuovo capitolo c:

Vi saluto lasciandovi il mio recapito twitter (@calumstattooes), se volete contattarmi per dirmi qualsiasi cosa, anche per insultarmi, io sono qui c:

niallsdonut

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Capitolo 4
*** First Blood ***


 







Heart of Darkness




 

- First Blood


 

Già, Cameron aveva fame. Ma non provava quella fame classica, quella che hai dopo che non mangi per otto o nove ore. Aveva fame come se non avesse mai toccato cibo.
Cameron scattò su dal letto e, benché fosse completamente nudo, schizzò fuori dalla stanza per precipitarsi giù per le scale diretto in cucina. Aprì il frigorifero con una forza tale da scardinare gli assi e prese a mangiare tutto quello che gli capitava a tiro. Non masticava nemmeno, ingoiava e basta.
Ma ben presto, un rigurgito acido si fece strada nella gola di Cameron, che portò dietro con se tuto il bolo che aveva ingoiato, il quale si andò a riversare sul pavimento a piastrelle azzurre della cucina. Cameron stava vomitando con una veemenza tale da non riuscire nemmeno a respirare.
Quando riuscì a riprendersi, sembrava che avesse vomitato l'anima, anche se non l'aveva più.
Intanto, i passi di Nash che scendeva le scale riecheggiarono per tutto il primo piano. Fece capolino dallo stipide della porta e disse:

"Forse mi sono dimenticato di dirti che non puoi mangiare cibo umano?", sfoggiando i suoi occhioni azzurro cielo da cucciolo.

"Forse dici?", rispose Cameron, guardandolo storto con uno sguardo omicida.

"Vai su a cambiarti, usciamo fuori a mangiare. Io intanto pulisco qui"

Cameron arrivò a tentoni verso la porta mentre cercava di coprire più corpo possibile. Intanto Nash aveva preso uno spazzolone e un secchio per l'acqua.
Arrivato in camera, Cameron si chiuse la porta alle spalle, ci si appoggiò con la schiena contro a affondò la faccia nelle mani. Erano successe troppe cose troppo in fretta, e Cameron odiava tutto quello che era troppo.
Andò in bagno e si rinfrescò la faccia con l'acqua fresca che sgorgava dal suo lavandino. Dopo essersi asciugato, alzò la faccia verso lo specchio. Per poco non si riconosceva. Era tremendamente cambiato. Suppose che fosse colpa della metamorfosi, ma ringraziò il cielo di essere cambiato in meglio. Aveva un profilo molto più delineato, zigomi più marcati, che davano più forma all'intero viso e gettavano delle ombre sulle guance e sugli occhi che lo facevano sembrare quasi più adulto. Gli occhi, invece, non erano cambiati.
Distolse lo sguardo e ritornò in camera, pensando che intanto avrebbe avuto quell'aspetto per il resto della sua vita, che, pensò dopo, sarebbe stata l'eternità. Ora capiva come faceva Nash ad essere così bello.
Si rimise le stesse cose che aveva indossato quel giorno a scuola, fatta eccezione per la maglietta che era impregnata di sangue scuro e ormai incrostato. Si mise allora un'altra maglietta, dello stesso colore ma a maniche lunghe.
Aprì la porta di camera sua, girò l'angolo, scese le scale e si diresse in cucina.
Qui ad aspettarlo vi era Nash, appoggiato alla parete della cucina, che si guardava in giro. Appena lo vide, chiese:

"Pronto?"

"Sì, ma dove andiamo?"

"Tu seguimi", rispose Nash, iniziando ad avviarsi verso l'uscita.

Usciti di casa, Cameron chiuse la porta a chiava, si girò e continuò a seguire Nash.
Percorsero il vialetto ciottolato di casa sua e arrivarono al cancelletto, che era aperto.

"Andiamo a piedi?", chiese Cameron dopo aver chiuso il cancelletto bianco.

"Certo che no", rispose Nash, schiacciando un bottone su un paio di chiavi di un'auto.

Seguì un suono acuto, che stava ad indicare che una macchina era appena stata aperta.
La macchina di Nash era fantastica. Non aveva una marca né sul davanti né sul didietro, ma era una decapottabile nera come la pece con cerchi in lega, anch'essi neri.

"Me l'ha fatta mio cugino, se ti stai chiedendo il motivo dell'assenza della macchina"

"Anch'io vorrei un cugino come il tuo", rispose Cameron, mentre stava salendo sul veicolo.

I cuscini erano morbidissimi, sembrava che una persona dietro stesse lì solo per abbracciarti.
Nash inserì le chiavi sotto il volante, le girò e, grazie al giochetto frizione-gas, la macchina prese vita. Era come se al posto del motore vi fosse un'enorme tigre, che al posto di ruggire faceva le fusa.
Nash ingranò la prima e partì. In meno di un minuto stavano già viaggiando a velocità prossime ai centocinquanta kilometri orari, ma il ragazzo sembrava a proprio agio e non si poteva negare che avesse un ottimo controllo della vettura.

"Non dirmi che dovremmo succhiare il sangue di una persona", chiese Cameron quando vide che si stavano allontanando dalla città.

Era una cosa a cui stava pensando dal momento stesso in cui si era reso conto di cosa fosse successo. Continuava a pensare a immagini di lui che strappava a morsi della carne umana da una ragazza urlante. Avrebbe preferito morire.

"Purtroppo sì, Cameron. Dovrai abituarti anche a questo. Ma non puoi fare altrimenti. Se non mangi non muori, ma inizi a soffrire di più ogni giorno che passa, finché non impazzirai e non potrai più rinsavirti. Speravo anch'io nella 'morte per fame'"

Il ragazzo sul posto passeggero iniziò a tremare. Cosa avrebbe dovuto fare, e soprattutto, come?

"Come faremo a trovare due persone a cui succhiare il sangue"

"Ho un amico che può procurarcele"

"E dove?"

"Al molo"

In quel momento, Cameron si accorse che erano arrivati davanti alla banchina di legno del porto.
Aprirono le portiere e scesero entrambi dall'auto. Davanti a loro vi era un enorme spazio riempito da una moltitudine di capanni e conteiner, con al centro una grossa gru, di quelle che servono per caricare le navi merci su cui viaggiava il padre.

"Dov'è il tuo amico?"

"Capanno 12", rispose Nash, che si stava incamminando.

Cameron gli stette dietro, cercando di coprirsi il più possibile dietro le sue spalle.
A quell'ora, il porto era maledettamente tetro, ma soprattutto completamente buio.
Arrivarono alla fine, dopo qualche svolta, ad un capanno, che, a differenza degli altri, era illuminato.

"Nash, non penso che riuscirò ad uccidere delle persone innocenti", disse Cameron, tremante come una foglia.

"E chi ha parlato di persone innocenti? Comunque, parlo io", disse Nash rivolto a Cameron.

"Sì sì, fai pure", disse l'altro, che non aveva nemmeno pensato al fatto che avrebbe douto parlare.

I due entrarono nel capanno. Qui, li stava aspettando un uomo sulla quarantina, gobbo, con i capelli unti e i denti marci, con la barba incolta e gli occhi appannati, vestito con una salopette di jeans sporca di grasso e di vernice.

"Ciao, Joshua", disse Nash.

"Buonasera", rispose l'uomo con un ghigno e un crudo accento tedesco.

"Li hai?"

"Certamente, seguitemi", rispose Joshua, che fece loro segno di seguirli dietro ad un tendone azzurro che divideva in due il capanno.

Nash fece segno a Cameron di stargli dietro e insieme seguirono l'uomo.
Arrivati dietro al tendone, si ritrovarono davanti due persone legate a delle sedie di legno, imbavagliate e incappucciate.
Joashua si avvicinò al primo, più in carne rispetto a all'altro. Gli mise una mano in testa, afferrò il cappuccio di stoffa che gli ricopriva il capo e glielo tirò via.
Ne emerse una faccia piena di lividi e gibolli, come se fosse appena stata calpestata da una mandria di tori. Aveva una folta barba bianca, due occhietti piccoli e un naso a patata. Era completamente calvo.

"Lui, signori, è Arthur Fletcher. Condannato a quindici anni di prigione con una pena capitale quando li avrà scontati. Come dico io, oltre il danno, anche la beffa", concluse con una risata rauca, seguita da pesanti colpi di tosse che lo portarono a riempirsi la gola e la bocca di catarro.

"Che delitti ha commesso?", chiese Nash.

"Omicidio", riprese Joshua, con gli occhi gonfi di lacrime, "di trentadue persone nel corso di cinque anni. Studiava le sue vittime, per la maggior parte intere famiglie, andava da loro di notte, li legava nel letto e le sgozzava"

A Cameron raggelò il sangue nelle vene. Come potevano esistere delle persone del genere?

"L'altro, invece?", chiese Nash, indicando l'uomo ancora incappucciato.

Noah si diresse zoppicando verso la seconda sedia, e, come prima, scoprì il volto del secondo uomo.
Era un uomo scarno, sulla cinquantina, con occhi grandi che quasi uscivano dalle orbite, ed un lungo naso aquilino.

"Lui, invece, e John Stuart, anche lui condannato alla sedia elettrica. Stuprò quindici ragazzine dai sei ai quattordici anni nell'ultimo biennio"

"Aspettate, dobbiamo succhiare il sangue a loro?", chiese Cameron di punto in bianco.

"Sì. Noi White Vampires non uccidiamo gente innocente per puro divertimento, né per nutrirci. Siamo nati come umani e
continueremo a "vivere" come umani, anche dopo la nostra morte. Noi ci cibiamo di persone che ormai sono state condannate sia dall'umanità sia da Dio. Acceleriamo solo il processo. Vengono prese direttamente dalle carceri in cui sono ospitati. In seguito, alcnuni nostri compagni che lavorano nelle carceri mettono in giro l'idea che siano evasi, e così il gioco è fatto"

"Non penso di esserne comunque capace, Nash"

"Devi, Cameron. So che è difficile, sono l'ultima persona al mondo che vorrebbe questo da te, ma devi farlo per sopravvivere"

Nash era severo. Gurdava Cameron fisso negli occhi come quando gli aveva detto che era un vampiro. Il ragazzo non aveva scelta. Doveva farlo.
Si avvicinarono entrambi ai due criminali.

"Io prendo Santa Claus", disse Nash.

"D'accordo", rispose Cameron.

Il novello vampiro avvicinò la sua bocca alla gola dello stupratore. Sembrava che sapesse già cosa dovesse fare. Gli sembrava una cosa meccanica, ovvia.
Era pronto, sentiva il sangue attraversare la giugulare diretto al cervello, spinto dal cuore pompante nel petto dell'uomo.

E così, Cameron ficcò i suoi canini nel collo del criminale.




Solo per voi, un Cameron Dallas a petto nudo c:

 

 

 

 

 

 

 

-Writer

Heilà, eccoci con il quarto capitolo di Heart of Darkness. Devo dire che questo è il capitolo che mi è piaciuto meno da scrivere, non chiedetemi il perché, dato che non lo so nemmeno io. Sta di fatto che Cameron sta per fare il suo primo banchetto a base di sangue fresco, per cui aspettate il prossimo capitolo, che, come sempre, posterò non appena arriverò a dieci recensioni per questo. Vi avviso che il prossimo capitolo dovrebbe essere leggermente più corto di questo.

 

niallsdonut

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Capitolo 5
*** Decisions ***


Heart of Darkness




 


Heart of Darkness


 

 

 


- Decisions

 

I canini del ragazzo si fecero facilmente strada attraverso l'epidermide e il primo strato di muscoli del collo del criminale, e trovarono subito l'arteria che dal cuore, il quale aveva accelerato esponenzialmente i suoi battiti, portava sangue al cervello, che ormai era incapace di formulare qualsiasi pensiero che non fosse "sto per morire", paralizzato per la paura.
Non appena i denti affilati dilaniarono abbastanza l'arteria, il sangue iniziò a fluire verso l'esterno, cosicché Cameron potè nutrirsene.
Era un tripudio di sapori, un trionfo di emozioni, un'orgia del piacere. Cameron non aveva mai assagiato un qualcosa di tanto buono, era paragonabile al nettare degli dei.
Il sapore dolciastro del sangue andava a contrastarsi con il sapore quasi salato della pelle dell'uomo, per via della sudorazione improvvisamente divenuta più abbondante a causa dell'adrenalina ma anche per le lacrime che colavano lungo tutto il viso e che gocciolavano sul collo per via del dolore eccessivo.
Cameron non riusciva più a smettere di succhiare. Era come quando, in un'estate calda, hai fatto una corsa molto dura, e appena hai tempo di bere bevi anche se non hai più sete, solo per il piacere di sentire l'acqua fresca che scende per l'esofago e che ti riempie la pancia.
Gli occhi di Cameron erano quasi completamente girati all'indietro, tanto era il piacere che provava. Si era addirittura eccitato sessualmente. Aveva la pella d'oca e tremava dalla testa ai piedi. Prima di affondare i suoi denti nella carne del delinquente, aveva tentato di fermarsi, ma il gesto era stato quasi istintivo, quasi come se l'avesse fatto centinaia se non migliaia di volte, e quello era solo l'ennesimo gesto meccanico.
Dopo qualche minuto, tutti i litri di sangue all'interno dell'uomo vennero prosciugati. L'uomo aveva perso tutti i colori che si associano alla vita. Era ormai solamente un guscio vuoto che una volta conteneva qualcosa, seppur qualcosa di malvagio.
Cameron estrasse i suoi canini dal collo dell'uomo, facendo fatica poiché i muscoli erano contratti a livelli disumani e avevano incastrato i suoi denti al loro interno.
Spinse la testa all'indietro e prese un enorme respiro, guardando la luce appesa al soffito del capannone che si accendeva e si spegneva ad intermittenza, lanciando sinistri sfolgorii. Alla fine, si lasciò cadere, sfinito, e si mise a sedere. Si ripulì il sangue dalla faccia con il dorso della mano, e lo leccò per non sprecare nemmeno una goccia di quell'ambrosia divina.
Stava ancora tremando, ed era preso da piccoli raptus muscolari incontrollabili, tipici di una forte emozione e di una forte fonte di piacere. Provava un estenuante caldo interno, seppur tremasse. Non si sarebbe più rialzato. Non ne aveva le forze.
Nash finì poco dopo di lui il lavoro. La testa dell'uomo che assomigliava a Babbo Natale si accasciò sul suo petto, priva di vita.

"Hai fatto in fretta. D'altronde, era la tua prima volta"

"Portami via, Nash", disse Cameron in un solo respiro.

Nash si affrettò ad aiutarlo ad alzarsi e, mettendo un suo braccio attorno alla spalla e sostenendolo per la vita con il braccio destro, lo portò fuori dal capannone.

"Alla prossima Joshua", disse rivolto allo scaricatore di porto, che ricambiò con un gesto secco del capo.

I due ragazzi uscirono fuori dal capannone e si avviarono verso la macchina, gli occhi marroni sostenuti dagli occhi azzurri.
Cameron iniziava a sentirsi meglio, tanto che negli ultimi venti metri per arrivare fino all'auto riuscì a camminare da solo.
Arrivati alla vettura, salirono entrambi, e, dopo che Nash ebbe acceso il motore, partirono per fuggire, come pensò Cameron, da quell'inferno divino.
Mentre Nash si destreggiava con le marce e nelle svolte, Cameron iniziò a pensare. Non poteva ancora crederci di essere un vampiro, ancora gli smbrava così surreale che, dopo una bella dormita, l'indomani era sicuro che si sarebbe svegliato in un mondo del tutto normale privo di creature terrificanti, pensando che fosse stato solamente un brutto sogno molto realistico prvocato dal sugo andato a male mangiato la sera prima. Eppure, sembrava tutto vero. Non c'erano tracce delle principali caratteristiche del sogno. Lui era lì, terribilmente lì, seduto su una decappottabile nera come la notte che sfrecciava a centocinquanta kilometri orari sulle strade cittadine, con al volante un ragazzo dagli occhi color cielo che aveva conosciuto la mattina di qullo stesso giorno. Si stupiva anche del fatto di aver preso tutto troppo alla leggera, senza rendersi conto di quello che stava succedendo. Ma, d'altronde, lui era fatto così. Lo avevano detto anche tutti gli strizza cervelli da cui era andato. Era quel tipo di persona che tendeva ad immagazzinare tutto dentro di sé, senza esprimere eventuali disagi. Ma purtroppo, essendo umano (ora solo a livello mentale e per quanto riguarda l'aspetto esteriore), non poteva sopportare una mole troppo grande di emozioni, e perciò, alla minima cosa detta in più, ad un singola goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, sarebbe scoppiato come una bomba, vomitando fiumi di parole. Purtroppo, un kamikaze non fa del male solo a se stesso.

"Non ce la faccio", disse Cameron, d'un tratto.

Nash sobbalzò, e a quella velocità anche un minimo spostamento del volante comportava una bella sbandata.

"Che intendi?"

"Tutto questo. Io non sono fatto per portare questo peso addosso. Non sono pronto, e non lo sarò mai"

Nash prese qualche respiro profondo.

"Cam" (era la prima volta che usava un diminutivo con lui) "nessuna persona al mondo ti capisce più di me. So, purtroppo, cosa vuol dire vivere ogni giorno nell'ombra, con un peso sulle spalle che non puoi rivelare, almeno non a tutti. Non puoi essere quello che sei per paura che gli altri ti giudichino, e quando sei un vampiro, più che giudicarti o scappano a gambe levate o ti inseguono per ucciderti"

Queste parole non confortavano Cameron. Era grato che Nash potesse capirlo, ma non toglieva il fatto che tutto ciò era successo, e che sarebbe andato avanti da lì fino alla notte dei tempi.

"Veramente un vampiro è immortale?"

"Se non viene ucciso dall'argento, sì. Ci sono vampiri che sono vissuti anche settecento anni"

"E tu quanti anni hai?"

"Un anno in più di te, Cameron"

"E come mai frequentavi il mio corso?"

"Perché c'eri tu. Nessuno sa la mia vera età. Sono ancora un vampiro alle prime armi, mi hanno trasformato solo tre anni fa"

Come faceva Nash a conoscere Cameron già prima del loro primo incontro? C'era qualcosa che non quadrava. Magari lo stava tenendo d'occhio da molto tempo? Magari tutta quella situazione era già stata programmata da tempo? Così facendo Noah sarebbe dovuto essere un complice di Nash. Non ci stava capendo nulla.

"Nash, raccontami la tua storia", esordì Cameron, forse troppo coraggiosamente.

Nash rabbrividì.

"La mia storia non è chiara nemmeno a me. So solo di essermi...o ecco, siamo arrivati a casa tua"

Nash sembrava felice di cambiare discorso. A quanto pare non aveva avuto una vita facile, o comunque non facile da spiegare.
In effetti, erano arrivati proprio davanti a casa di Cameron. Il cancelletto era aperto, e le luci della cucina erano accese.
D'un tratto, dalla porta del cucina, dietro alle tende, si intravide una sagoma alta e scura, che sembrava scrutare la macchina di Nash. Poi, com'era apparsa, sparì.

"Allora, ascoltami bene", iniziò Nash, che sembrava non aver visto nulla, "avrei dovuto dirtelo prima, ma non ho avuto tempo. Devi sparire per un po'. Noah sarà sulle tue tracce, e non voglio che ti trovi quando magari sarai indifeso senza me intorno e che concluda l'opera che io gli ho sventato. Come nuovo vampiro, è bene che soggiorni per un po' nel quartier generale principale dei White Vampires. Purtroppo, si trova a Londra"

"Londra?!"

E come faceva Cameron ad andare a Londra così, di punto in bianco, senza che i suoi sapessero ancora nulla.

"Partiamo stanotte"

"Oh, bene. Devi dirmi qualcos'altro?"

"No, per ora no"

"Non so che scusa inventarmi per andarmene di casa, Nash", disse Cameron, quasi supplicante.

"Dì che stai andando ad una festa, o che devi andare a dormire da un tuo amico, qualcosa che per almeno stasera o domani ti dia un alibi. Su, forza, ora va. Voglio prendere un aereo il più presto possibile. Ti aspetto qua"

Cameron aspettò qualche secondo. Non aveva proprio voglia di mentire a sua madre, per poi sparire per non sapeva nemmeno quanto. Ma, seppur conoscesse Nash da meno di un giorno, si fidava di lui, poiché era l'unico che poteva capirlo in quel mondo, per ora.
Tirò a sé la maniglia della macchina e aprì la portiera. Mise i piedi per terra e, dopo aver chiuso la portiera, si avviò verso casa.
Mentre chiudeva il cancelletto, sentì delle voci dentro la casa. Sembrava che qualcuno fosse felice, perché erano vocì abbastanza alte e acute.
Arrivò alla porta di casa e suonò il campanello.

Rumore di passi. "Chi è?", disse la voce della madre.

"Io mamma", rispose Cameron.

La serratura della porta scattò e si aprì. Da dietro comparve la madre, che lo accolse con gioia.

"Cam, ben'arrivato. Vieni, vieni, c'è una sorpresa!", disse entusiasta.

Gli mise una mano sulla spalla e lo guidò in cucina. Qui, seduti al tavolo, vi erano April e il padre che mangiavano delle pizze fumanti dal loro cartone.
Il padre era un uomo trai quaranta e i cinnquant'anni. Era abbastanza alto, ben piazzato e con un volto molto simile al suo. Gli occhi erano azzurri, invece, come quelli della sorella.

"Ciao, figliolo", esordì il padre con una voce profonda, che infondeva Cameron di imbarazzo e disagio.

Non capiva cosa ci facesse lì. Non sarebbe dovuto tornare prima di un mese.

"Ciao, papà", rispose Cameron.

Da dietro, la madre disse "Siediti, caro, mangia con noi"

Era ora. Doveva farlo.

"Beh, in effetti...io dovrei andare ad una festa stasera. Non penso di potermi trattenere"

"Oh...capisco. Ma tuo padre è tornato prima a casa per vederti. Non è vero?", concluse rivolgendo uno sguardo al marito.

"Certo", rispose secco il padre.

Ecco. Come sempre. Era meglio se se ne fosse andato subito di lì.

"Lo so, mamma. Ma è la festa del campus di un mio amico, devo andarci per forza", insistette Cameron, con il cuore in gola.

"Oh, d'accordo. Ma cerca di tornare presto"

"Certo"

Cameron schizzò al piano superiore. Aprì la porta di camera sua e se la richiuse alle spalle. Non sapeva cosa dovesse prendere. Vestiti? Cibo? Commputer? Decise di optare per tutto. Svuotò il suo zaino dai libri di scuola e prese a riempirlo con qualsiasi cosa trovasse di utile.
Dopo pochi minuti, richiuse lo raino e si avviò per le scale.
Arrivato davanti alla cucina, si girò e fisso i suoi cari uno ad uno. Voleva imprimere nella memoria i loro volti. Anche quello del padre. Non sapeva quando li avrebbe rivisti, e nemmeno se avesse potuto rifarlo ancora.
Stette forse troppo tempo lì in piedi a fissarli, perché ad un certo punto April esordì:

"Vuoi un pezzo di pizza, Cam?"

"Oh no, grazie", rispose Cameron colto alla sprovvista.

Si girò e percorse il piccolo tratto finale che lo divideva dalla porta di casa. Arrivato nell'ingresso, si guardò velocemente allo specchio e si riavviò i capelli fluenti. Mentre stava per aprire la porta, una mano cercò di trattenerlo. Si girò e vide il volto della madre, a metà tra il preoccupato e il rassegnato.

"Mamma", disse Cameron, non sapendo cosa aggiungere.

"Cam, ce li hai i...ehm...i preservativi?"

Calò un velo di imbarazzo. I preservativi? Certo, "stava andando ad una festa", ma questi discorsi non erano mai stati affrontati con la madre, né tanto meno con il padre.

"Si, mamma, ce li ho", rispose Cameron, che si sentiva le gote in fiamme.

"Meno male"

Sebrava che dovesse aggiungere qualcos'altro.

"Cameron, tu sai che tuo padre ti vuole bene, non è vero?"

Perché dovevano parlare proprio di questo, proprio ora? Non avrebbe potuto aspettare il giorno dopo, anche se non sarebbe stato lì?

"Si, lo so", rispose Cameron.

"Anche se non lo dimostra sempre, lui ti vuole un mondo di bene. Sei il suo unico figlio maschio, è normale che magari in qualche modo ti voglia rafforzare"

Cameron strinse i pugni e serrò la mascella. Cosa stava dicendo?

"Mi vuole rafforzare, mamma? Vedendolo per un mese o due all'anno, senza che si preoccupi di chiamare? Chiama poco persino te. E' così che pensa di rafforzarmi? Al contrario, mi sta indebolendo. Ma io non ho bisogno dell'aiuto di nessuno, non ho..."

La madre lo abbracciò all'improvviso. Affondo il suo fiso nel collo del figlio, stringendolo con le braccia. Cameron rimase interdetto per qualche istante, ma poi si abbandonò all'abbraccio della madre. Profumava di fresco e di pulito, come sempre.

"Non voglio che tu soffra di nuovo, Cameron", disse la madre con la voce tremante.

"Io non soffro più, ormai", rispose Cameron.

Invece lui soffriva. Soffriva ogni volta che il padre partiva salutandolo solo con un cenno della testa. Soffriva ogni volta che tornava a casa dopo otto mesi di lavoro e l'unica cosa che gli diceva era un "ciao" secco e quasi risentito. Soffriva ogni volta che vedeva la madre fare le faccende di casa, mentre si spaccava la schiena per mandare avanti una famiglia. Certo, lo faceva anche il padre (così si supponeva), ma non l'aveva davanti ogni giorno.
Alla fine, madre e figlio si staccarono. Grace prese il figlio per le spalle, aprì la porta e lo condusse fuori.

"Va', e divertiti", disse con un sorriso malinconico.

Cameron rispose a sua volta con un sorriso, dopodiché di girò e si avviò verso la macchina.
Sentì il colpo sordo della porta di casa che si chiudeva.
Era l'ultima volta che li avrebbe visti per un lungo periodo.
Non avrebbe rivisto April, con cui aveva discussioni tutti i giorni, ma che alla fine si risolvevano nei migliori dei modi ogni qual volta lui si offriva di aiutarla con i compiti.
Non avrebbe rivisto la madre, che ogni giorno si svegliava con il solo pensiero di far felici i suoi figli e di crescerli nel migliore dei modi.
Non avrebbe rivisto il padre, ma a quello c'era abituato. Avrebbe potuto stare anche un anno senza vederlo e non avrebbe sentito la sua mancanza.
Stava facendo un gesto che avrebbe determinato il percorso della sua vita. Inizò a pensare a tutte le cose che sarebbero potute andare storte, ma si impose di scacciarle via. Non doveva pensare negativo, mai farlo quando si sta intraprendendo qualcosa di nuovo, mai.
Arrivò alla macchina di Nash e ci salì.

"Pronto?", disse Nash non appena Cameron si fu allacciato la cintura.

"Sì, andiamo", rispose Cameron, con la voce tremante.

"Bene, si va all'areoporto"








-
Writer
Eccomi qua con il quinto capitolo di Heart of Darkness. Mi scuso molto per il ritardo, avrei dovuto aggiornare due giorni fa ma sono stato incapacitato di farlo da fari impegni. Avevo preannunciato nel capitolo precedente che il nuovo capitolo sarebbe stato più corto rispetto agli altri, ma, volendo rifarmi per il ritardo, ho voluto scrivere il più che potevo. Detto questo, se recensirete questo capitolo ve ne sarò molto grato c:
Vi lascio il mio recapito di Twitter (@calumsattoes)
A presto,

niallsdonut

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