Conflict

di ImPeach
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Philo.
Mia sorella.
La persona più saccente, noiosa, petulante, lamentosa e guastafeste che possa esistere.
Fidatevi se vi dico che tra tutte le persone su questo pianeta, avrei davvero venduto un rene pur di evitare di essere costretta a condividere l'appartamento con lei.
I miei genitori mi avevano raccomandato di badare a lei, rifilandomi per l'ennesima volta la storia del "Sei la più grande". Che poi tecnicamente nei parti gemellari il bambino più grande è quello che esce dopo, e non quello che nasce prima.
Comunque fatto stava che ora me la ritrovavo tra i piedi, di nuovo.
Avevo sperato di liberarmi di lei con la maggiore età, e invece no: sono ancora qui, dopo un anno, con questa palla al piede.
Perché diciamocelo, Philo è davvero pallosa. Sta sempre lì, a leggere e studiare, a esercitarsi con quel suo dannato violino, sul quale più volte avevo fantasticato di spaccarglielo in testa.
"È una persona riflessiva!" dicono sempre tutti. No no, Philo non è riflessiva.
Philo è una grande rompipalle punto.
Eppure siamo sorelle e per qualche strano tiro mancino del Destino - che prima o poi me la pagherà - me l'ero dovuta trascinare con me qui a Londra.
Si lo so, Londra ormai e lo scenario di ogni storia possibile (fumetti di Topolino compresi), ma che ci posso fare io se mi hanno spedito a studiare qui?
Io me ne sarei rimasta volentieri con quei due folli dei miei genitori archeologi/vagabondi/hippie. Vivere girando di città in città non era per niente male, sembrava quasi la vita delle rock band solo con meno droga e più cultura.
Ma i miei pseudo-hippie avevano deciso diversamente, portando avanti il loro "Siamo pur sempre londinesi, dovete andare a studiare lì!" ed ogni santa volta io mi chiedevo "Perché se siete londinesi avete girato il mondo per 20 anni e non siete rimasti a casa?".

Londra di giorno fa schifo.
La mattina si vedono tutti questi pinguini che si affrettano per arrivare in tempo al lavoro o i ragazzini brufolosi che corrono a scuola nelle loro uniformi dai calzini troppo alti.
Londra è bella di notte.
Le luci accese nella notte, l'atmosfera soffusa e misteriosa, carica di tensione, i luoghi nascosti da trovare che hanno un non so che di etereo.
 "The city never sleeps" cantava qualcuno, ecco Londra è così, sempre sveglia per restarti accanto quando combatti con i tuoi demoni e non vuoi dormire.
E le feste! Oh santo cielo, fidatevi se vi dico che se azzeccate la gente giusta, c'è da divertirsi!
Non fraintendetemi, non sono una sciacquetta che si struscia dopo neanche il secondo giro, io l'alcool lo reggo, ma ci si diverte anche solo a guardare gli altri.
Ho confermato questa mia teoria pochi giorni fa, quando una bionda ossigenata "vestita" di rosa si è spalmata sul cofano del taxi fuori dal locale, rovesciandosi il drink addosso. Fidatevi, è stato esilarante.
Però c'è sempre una spina nel fianco: mia sorella Philo.
Sempre lì che mi ricorda quanto sia perfettina e diversa da me.
Ma qui a Londra, forse riuscirò a liberarmene.
Forse qui Lilith Romans troverà la propria autonomia.



Lilith.
Mia sorella.
La persona più egoista, antipatica, incosciente, irresponsabile e bambina che possa esistere.
Fidatevi se vi dico che tra tutte le persone di questo mondo avrei preferito condividere l’appartamento con chiunque altro se non lei, chiunque altro. Sarei stata disposta per fino a condividerlo con Marcus denti di ferro, quel ragazzino che alle elementari sbavava perché aveva tutta quella ferraglia in bocca.
Quando avevo deciso di partire i miei genitori mi avevano detto di tenerla d’occhio, conoscendo la sua propensione per i guai e avevano ribadito – per la milionesima volta – quanto fossi più responsabile e capace di badare a entrambe.
E ora mi toccava averla tra i piedi, di nuovo
Ero arrivata a tanto così dal partire e rimanere finalmente sola, senza lei tra i piedi, e invece no. Ora sono qui, nella città dove studio, con una sorella che si comporta da ragazzina.
Perché Lilith è davvero una ragazzina certe volte.
Oltre ad avere il nome più figo del mio - perchè 'Philomena' non è per niente un nome adatto ad una ragazza che vive nel Ventunesimo secolo - è la più bella delle due. E non chiedetemi come sia possibile che due gemelle monozigote possano essere diverse, perché è tutta la vita che me lo chiedo anch’io. Mia sorella è decisamente quella attraente tra le due: labbra più piene, capelli con i riflessi più accessi, curve più giuste, occhi più brillanti ecc ecc.
Però ho imparato a non curarmi di queste cose. L’importante è quello che hai dentro, non come sei fuori! Bisogna portare dei risultati e andare sempre avanti!
Questo mi ha portata ad essere qui a Londra, al King’s College London. Con Lilith.
Vedendo mia sorella non direste mai che è una persona da Università.
Eppure è riuscita a passare l’esame d’ammissione alla facoltà di Storia senza neanche il minimo sforzo. “Fortuna” mi aveva risposto, ma io so che in realtà è perché ha decisamente un cervello sprecato per una come lei.
Da quando avevamo sistemato tutte le nostre cose nell’appartamento – beh, io avevo sistemato, Lilith si era praticamente defilata dopo neanche due ore, accusando “lancinanti dolori alla schiena” – non l’avevo praticamente mai vista.

Londra di giorno è stupefacente.ù
L’aria è elettrica e si sente la carica frenetica di una città appena sveglia, pronta a lavorare.
Camminare tra la gente per strada, scrutare i visi delle persone mentre camminavano e immaginare mille e mille storie diverse sul loro conto è diventata ormai un’abitudine.
L’odore di caffè per le strade, le persone che corrono in giro, le risate, i bambini che andavano a scuola, l’odore dell’erba tagliata o bagnata dalla rugiada mattutina, gli artisti di strada…
Tutto a Londra ti ricorda che è un nuovo giorno per ricominciare.
Londra di notte, invece, è pessima.
Barboni, ubriachi e fattoni che si aggirano per la città senza il minimo senso del pudore.
E tra questi soggetti poco raccomandabili molto spesso c’è anche quella disagiata di Lil.

Lil qui è la mia nota storta, quella che sbagli sempre sulla corda del Mi anche dopo 4 ore di esercizi.
Sempre lì, a ricordati che non sarai mai brillante come lei.
Ma qui a Londra, forse ho trovato un modo per essere unica e non la sua brutta copia.
Forse qui Philomena Romans troverà la propria autonomia.






Awawawawawawawawaaa!
Salve a tutti!
Prima di tutto vi ringazio di essere passati da questa storia (che poi in realtà è solo il prologo).
Come potete notare - o almeno spero si noti - c'è una leggera vena sarcastica in questo prologo, vena che cercherò di mantenere in più o meno tutta la storia.
Facendo un giro su EFP mi sono accorta di quanto in questa sezione scarseggino storie di questo tipo.
Spero vi sia piaciuto questo prologo! 
Lasciate una recensione se volete!

Peach.


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Capitolo 2
*** Primo Capitolo ***


Philo
Cammino svelta mentre torno da lezione e mi maledico per non essermi portata dietro un dannato ombrello.

Perché a Londra deve piovere così tanto?

Accelero il passo, cercando di non bagnare completamente Il violino e gli spartiti che ho con me. La pioggia inizia a darmi davvero fastidio, considerato che non vedo più nulla a causa delle goccioline sui miei occhiali.
Nello stesso istante in cui arrivo all'incrocio, un’auto passa su una pozzanghera, creando uno tsunami di fango, che - ovviamente - va a finire addosso alla sottoscritta.

Ma dico io, tutte a me oggi?

Attraverso la strada, imprecando tra i denti in ogni lingua che conosco. Calcolo quanta strada mi manca: ancora cinque minuti e sarò arrivata fortunatamente all'appartamento - zuppa d'acqua - ma almeno sarò a casa. Proprio mentre cerco di recuperare il violino che mi sta scivolando dalla spalla, mi sento spingere contro un muro. Gli spariti mi cadono per terra, diventando illeggibili. Il dolore al braccio brucia ma mai quanto la mia rabbia.
Alzo lo sguardo verso la figura incappucciata che mi ha sicuramente provocato un livido: è un ragazzo che neanche si è degnato di darmi una mano o di chiedermi scusa. Si avvia per la stessa direzione da cui stavo venendo, testa bassa e mani nelle tasche dei pantaloni neri.
«Grazie eh!» Gli urlo contro, alzando le braccia al cielo.
Si gira, probabilmente ho attirato la sua attenzione, e riesco a intravedere un piccolo sorriso sul suo volto, coperto fino agli occhi dal cappuccio della felpa che indossa sotto il cappotto.
«Stronzo.» Sputo, mentre raccolgo quelli che una volta erano fogli pentagrammati. Arrivata in casa la prima cosa che vedo sono un paio di leggins buttati per terra.
«LILITH!» Urlo a mia sorella che si trova in cucina «Questa non è la tua discarica personale!» Butto l'indumento scuro nella cesta dei panni sporchi insieme a quelli che una volta erano i miei vestiti puliti.
«Philo, io sta sera non torno.» Mi dice la mia gemella mentre cammina in biancheria per l'appartamento con un pacco di biscotti in mano

 Esibizionista.

«Strano. E io che speravo di passare una serata con la mia sorellona preferita» dico sarcastica.
«Sono anche l'unica sorella che hai, sono per forza la tua preferita! Vuoi un biscotto?» La ragazza seminuda appoggiata allo stipite della porta del bagno mi offre un biscotto al cioccolato.
«No grazie. E mettiti qualcosa addosso!» Le sbuffo.

Fin da bambine Lil è sempre stata la più spavalda delle due, quella più diretta. Non che io fossi una fifona, ma lei non ha mai riflettuto sulle sue azioni. Agisce sempre e non pensa mai alle conseguenze delle sue azioni.
Il senso del pudore era un'altra cosa che sicuramente non ci accomunava. Lil è sempre stata a suo agio con il suo corpo. Appena il suo fisico aveva iniziato a cambiare ha sempre fatto di tutto per valorizzarlo al meglio. Il mio esatto opposto, considerata la mia propensione per i maglioni larghi e comodi; sono un tipo che  preferisce spiccare per altre cose, come la mia intelligenza o la mia bravura nel violino.

Lil alza le spalle e se ne va, andando verso la sua camera.
L’appartamento in cui viviamo è composto da due stanze da letto – una delle quali era la camera da letto dei miei genitori –  e da un salone dalle alte finestre bianche, orientate ad ovest. La cucina e la piccola isola si trovano alla fine di questo ampio locale, separate da una muro non più alto di un metro e mezzo. Infine il bagno, la tipica “porta infondo al corridoio”.
Non è proprio enorme come luogo per abitare, ma per due persone va più che bene.
«Mena, lasciami il bagno!» Sento urlare mia sorella dalla sua stanza.

Odio quando mi chiama Mena. Lo ha sempre fatto di proposito, sapendo che è una cosa che odio.

Mi dirigo verso la mia stanza e dalla grande cassettiera estraggo una vecchia tuta e un vecchio maglione blu. Li infilo e mi armo di libro ed evidenziatore, buttandomi poi sul letto e incrociando le gambe. Manca ancora più di un mese all’esame, ma voglio essere preparata. I voti sono insieme alla musica l’unica cosa che ho. L’unico ambito dove Lilith non è mai voluta entrare in conflitto con me.
«Mena io esco!» La vedo dalla porta della mia camera: stivali neri, calze scure, jeans corti, maglietta scura e giacca di pelle. I capelli disordinati lasciati sciolti le incorniciano il viso del quale ha truccato di scuro gli occhi e reso le sue labbra ancora più piene con un rossetto rosso.
Insomma, Lilith.
«Potresti anche coprirti di più.» Le dico. Lei sbuffa e recupera la sua borsa dall’ingresso. Sento il suo passo seccato dirigersi verso la porta di casa e prima che sia troppo tardi le urlo: «Non farti mettere incinta, per favore!!»
 
 
 
  
Lilith
Sbatto la porta dietro di me.

Perché Philo deve essere così insopportabile?!? Ogni santa volta ha qualcosa per cui rimproverarmi o riprendermi.
Ma tanto non mi interessa, non l’ho mai ascoltata, non incomincerò sta sera.
Ora sono solo io. Io e Londra.
Non smetterò mai di ripetere quanto mi piaccia questa città la notte.

Mi avvio verso l’angolo dove mi aspettano per andare in quel locale nuovo, di cui non mi ricordo il nome. Come si chiama? Santo cielo, non mi viene in mente!
Beh, poco importa.
Ci sarà da divertirsi comunque.

Vedo i fari dell’auto nera del mio amico arrivare. Sono sola sotto la luce del lampione e ammetto che la strada buia e deserta ha un suo fascino. Sembra uno di quelle scene da film horror che terrorizzano quella cacasotto di Philo!
Sorrido tra me e me mentre apro la portiera anteriore dell’auto, posizionandomi vicino a Finn.
«Come butta?» Mi chiede il moro, salutandomi con il suo solito saluto “pugno – pugno” e con un accento decisamente troppo forte e finto.
«Lo sai che non sembri più cattivo se mi parli come un bad boy, vero?»
«Lo so, ma mi piace.» Ricambio il pugno e Finn preme il piede sull’acceleratore.
«Bad boy, ricordami come si chiama il posto dove stiamo andando sta sera?» Lo stuzzico, allungando come di consuetudine le gambe sul cruscotto dell’auto.
«The Red Demons, mia cara» anche se poco illuminato, riesco a vedere il ghigno spuntato sulla faccia del guidatore «e siamo arrivati» finisce, entrando in un grande parcheggio

Non mi dispiace la compagnia di Finn. Sotto la testa pelata, la pelle scura, la stazza di un giocatore di Rugby professionista e le battute da burlone di corte, c’è una persona sempre attento a quello che gli succede intorno.

Parcheggiata l’auto, ci dirigiamo verso il locale; l’insegna blu e gialla con il nome del luogo impresso è l’unica luce che si vede nel parcheggio, fatta eccezione per qualche lampione alla fine della strada, nascosto da quelle poche foglie rimaste sopra gli alberi d’autunno.
Il vento gelido di Novembre mi sta congelando le gambe.

Che io sia maledetta quando ho deciso di vestirmi così leggera solo per dar fastidio a mia sorella.

Infilo le mani nel giaccone e accelero il passo, essendo rimasta leggermente indietro rispetto a Finn, già arrivato davanti alla grande porta d’entrata nera. Lo vedo salutare e ridere con il buttafuori davanti al locale, per poi scambiare poche parole sommesse vicino all’orecchio di quest’ultimo. L’omone dietro il cordone rosso fa un cenno ai suoi colleghi dietro di lui indicandoci e facendoci passare, lasciando dietro di noi qualche protesta da parte della gente in fila.
Finn mi mette una mano dietro le spalle e mi accompagna dentro, dopo avermi fatto togliere il giaccone e averlo lasciato – insieme al suo - ad una rossa sbucata da dietro una porta che si trovava nel breve corridoio che stavamo percorrendo, probabilmente l’addetta al guardaroba.
«Perciò siamo dei vip, uh? Che cosa hai detto al tizio fuori, mio bad boy?» Dico ridendo.
«Conosco Philip da anni ormai!»
«Philip?»
«Si, il “tizio fuori”, come hai detto tu. I nostri fratelli erano nella stessa squadra di Rugby all’Università».
Annuisco e entro finalmente nel cuore del locale.
L’ambiente che mi si presenta davanti è lo stesso di quasi ogni sera: luci spente o soffuse, musica alta e la gente che si muove più o meno al ritmo della musica.
I volte delle persone sono illuminate per brevi istanti da fastidiosi fasci di luce bianca sparati dai fari vicini alla postazione sopraelevata del DJ.
«Penso io a prendere da bere» mi dice il moro «te cerca gli altri.»

Gli altri.
Non so se davvero posso definirmi parte di questo gruppo. C’è gente simpatica, gente davvero tosta e altri che non fanno altro che irritarmi e far salire la mia voglia di piantare l’impronta della mia scarpa sulla loro faccia.
Però ci si diverte, alla fine.
Di sicuro non posso definirli miei amici.
Ora che ci penso, io non ho amici.
Non ho qualcuno che definirei amico o cose simili. Solo ‘gente che conosco’.
Ma infondo, chi ha bisogno di amici?

Lascio Finn, che si dirige verso il bancone alla nostra destra, e mi faccio spazio nella direzione opposta, sbracciando e imprecando contro chi mi tira e mi viene addosso.
D’improvviso qualcuno afferra un mio braccio un po’ troppo forte.

Giuro che adesso gli lancio una scarpa.
No, troppo lontana da prendere. Meglio un pungo.

Mentre preparo il braccio libero per sferrare il mio pugno migliore a chiunque mi abbia afferrata, incontro il viso del mio placcatore.
«Ti stavo per dare un pungo, coglione.» Dico, abbassando il braccio e aprendo la mano.
«Un pungo? Scherzi, vero? Non riusciresti mai a stendermi!» la risata che esce dalla sua bocca è chiara anche tra tutta quella confusione.
«Non tentarmi.» Mi scrollo la sua mano dall’avambraccio, sistemandomi meglio il giacchetto di pelle nera.
«Siamo nervosi, eh?» Il ragazzo porta l’indice freddo sulla mia guancia, percorrendo il profilo della mia mascella «Quando sono venuto a casa tua oggi, non sembravi così acida.» Con un colpo brusco mi tira a se, portando la sua mano sinistra sulla parte bassa della mia schiena e facendosi spazio tra il tessuto della mia maglia. Percepisco la sua mano fredda sulla pelle della mia schiena «Eri molto più scoperta… E disponibile» dice, finendo la frase in un ghigno.
«Non sparare stronzate, Horan. Non è successo nulla. Io e te? Oohh, fidati, non sei la mia prima scelta!» Mi avvicino al suo orecchio, con le labbra vicinissime alla sua bianca pelle e soffio «E poi io sono sempre acida.»
Lo lascio in mezzo alla folla mentre si inumidisce le labbra secche e continuo nella mia titanica traversata del locale.

Horan è un coglione, dico sul serio. Simpatico, figo, carismatico, tutto quello che volete eh, ma io non lo sopporto.
Ammetto che due o tre volte ho fantasticato su di lui, ma quale donna non lo farebbe? Quel ragazzo è la reincarnazione di un Eros dalla pelle di marmo e gli occhi di ghiaccio.
Ma io non lo sopporto, non mi lascio abbindolare così.
È contro ogni mio principio – si, perché ho dei principi qualche volta.
Non mi aspetto il principe azzurro o cose così, per carità. L’amore a lungo termine non far per me.
Anzi, direi che proprio l’amore non fa per me.
Troppo dolce, troppo rosa, troppo faticoso.
Troppo da Philo.
Sono più il tipo da “Carpe Diem” e “YOLO”, vivi giovane e divertiti.
Ma con Niall Horan, no.
Farlo penare mi da una soddisfazione immensa. Sono senza cuore? No, lo faccio per il suo bene, ovviamente.
Quel ragazzino viziato si vanta sempre di come riesce ad ottenere quello che vuole subito. E poi con le donne è davvero un coglione, oltre ad avere dei gusti alquanto discutibili, visto la moretta che aveva portato l’altra sera al “Red Chill”.
Fidatevi, la mia è solo una buona azione verso l’umanità.

Raggiungo il resto del nostro gruppo – o se così posso definirlo – e lancio occhiate di saluto a quelli che conosco.

C’è gente che è praticamente sempre fissa, tipo me, Finn e Niall.
Poi c’è Victoria, la mora dagli occhi verdi che se qualche volta si facesse una risata di sicuro non la ucciderebbe.
I fratelli McList, Tom e Roger, sono due teste vuote che non fanno un cervello intero in due.
Infine Sasha, che credo sia la persona più stronza che abbia mai incontrato in vita mia, ma che ci procura i pass e i locali dove passare le nostre serate. Poi ha avuto una semistoria con Niall in passato, ma prima che arrivassi io nel gruppo; e da quello che ho capito lei lo ha lasciato perché lui faceva l’idiota.
Che novità.

I miei saluti non vengono raccolti praticamente da nessuno.  Victoria è incollata allo schermo del suo I-Phone, Sasha sta divorando la faccia del ragazzo di turno su cui è seduta: di sicuro se va più affondo di così con quella lingua, arriverà a toccargli le tonsille.
E infine Tom e Roger sono troppo impegnati a puntare i fondo schiena di qualche minorenne entrata di nascosto nel locale, per notare il mio saluto.
Mi butto sul divanetto viola, nella piccola zona riservata a noi, incrociando le gambe davanti al piccolo tavolino color punga.
Chiudo gli occhi e per qualche instante faccio respiri profondi, finche non sento il cuscino del divano spostarsi per via del peso di qualcuno che si è seduto vicino a me.
«Mancato?» Sento dirmi nell’orecchio dalla voce dell’idiota che avevo lasciato prima tra la folla.
«Tu non sai quanto.» Dico sorridendo, sempre con gli occhi chiusi.
Percepisco una mano posarsi sulla mia pancia «Potemmo continuare quello che hai interrotto prima…» La sua voce è calda e la malizia nel suo tono è chiaramente percettibile.
«Horan, finiscila dai!» la voce di Finn mi fa aprire gli occhi; lo vedo con in mano due birre, una delle quali mi viene passata dalla sua mano scura «Lo sai che tanto non ci sta.» Dice tra una risata.
«Tentar non nuoce.» Sento dire al biondo, mentre sposta la sua mano dalla mia pancia alla coscia. «Riproverò, più tardi.» Soffia infine nel mio orecchio, mentre stringe la sua presa sulla mia coscia.

L’idea di mettermi le calze, ora come ora, non è poi stata una brutta idea.
Il tocco del biondo mi provoca delle sensazioni alle quali non posso essere proprio indifferente.
Torna in te Lil.

Tolgo la mano del ragazzo accanto a me dalla mia gamba e incomincio a sorseggiare la mia birra.
«Secondo te prenderanno fiato?»Mi chiede Niall dopo un po’, guardando verso Sasha e il suo momentaneo ragazzo.
«Non so, ma praticamente gli sta facendo una Laringoscopia» Alzo gli occhi al cielo e porto la bottiglia verde alla bocca.
«Ti assicuro che con la lingua ci sa fare…»
«Ti prego, evita di fare certi commenti.»

Ma con chi cavolo ho a che fare? Cavernicoli?

«Sei per caso gelosa, Lilith?» Il biondo si posiziona meglio accanto a me, girando il busto nella mia direzione.
«Togliti quel ghigno dalla faccia, idiota. Non sono gelosa.
Ti pregherei però di non parlare delle tue conquiste amorose e delle tizie che ti sei passato in questi anni davanti a me. Non è elegante, ne tanto meno ti fa onore.» Il mio tono è decisamente acido, ma davvero il fastidio che mi provoca questo ragazzo è qualcosa che non riesco a contenere.
«Ha ragione Lil, Niall: un uomo non si vanta mai delle sue conquiste!» Finn concorda con me, e io alzo la mia bottiglia in segno di approvazione.
«Ohh, andiamo! Facevo solo degli apprezzamenti sulle doti della nostra amica!» Esclama Horan, portando le braccia in avanti e indicando i due davanti a noi, ancora in atteggiamenti di esplorazione orale reciproca.
Esasperata da tutta quell’atmosfera, mi alzo e me ne vado verso la pista da ballo.

Un altro minuto vicino a Niall e mi sarei ritrovata sul giornale del giorno dopo: “Giovane uccide un ragazzo in un pub a colpi di bottigliate”.

In prigione, ma felice.

Inizio a vagare tra la folla, cercando un punto dove possa iniziare a ballare senza che nessun troglodita dai capelli biondi mi disturbi. Poso la bottiglia, ormai vuota, sul primo tavolino che mi trovo davanti e continuo la mia ricerca. Arrivata dall’altra parte del locale, inizio a scaricare tutto il nervosismo. Non sono mai stata una ballerina, ne tanto meno ballare era una delle cose che più mi piaceva fare.
Però, quando la mia continua fuga dagli altri non va a buon fine, ho scoperto questo come rimedio.

Confondersi con gli altri, sparire momentaneamente.
Sei li, al buio, che danzi con i tuoi demoni, invece di rimuginarci sopra. Giochi con loro, li confondi.
E per qualche istante, se sei fortunato, ti lasciano in pace.

Come all’inizio della serata, sento una mano afferrarmi l’avambraccio.
«Perché sei andata via?» Le iridi celesti che mi intrappolano sono dure, severe.
Ma chi si crede di essere?
Sostengo il suo sguardo, rispondendo «Volevo ballare. E soprattutto volevo allontanarmi da te, sei terribilmente fastidioso.» Finisco e un sorrisetto audace si dipinge sul mio volto.
«E se ti facessi cambiare idea?» La sua voce è più graffiata del solito, ma forse è colpa della musica alta.
«Come?» Alzo il sopracciglio e mi porto il braccio libero sul fianco.

E senza neanche accorgermene, Niall prende il mio viso tra le sue mani e mi bacia con prepotenza.

Stacco immediatamente le nostre bocche e mi allontano da lui «Che diamine fai?!» grido.
«Tu non sai neanche da quanto lo volessi fare.» Mi dice soddisfatto, con il fiatone, i resti del mio rossetto sulle sue labbra e gli occhi infuocati.
«Tu sei pazzo.» Sputo acida, pulendomi le labbra davanti a lui - togliendomi quel poco di rossetto rimasto, poiché la maggior parte del colore è praticamente tutto spalmato sulla faccia di Niall - e dandogli una spallata, mi dirigo fuori dal locale. Recupero il giaccone dal guardaroba e percorro tutto il parcheggio fino ad arrivare sotto un albero.

Merda, sono senza macchina.

Inizio a camminare nella direzione da cui sono venuta con Finn ad inizio serata, sperando che il mio senso dell’orientamento da Giovane Coccinella si risvegli un po’.

Stupido vento freddo.
Stupido locale troppo lontano da casa.
Stupide scarpe scomode.
Stupido Niall.
Stupida Philo. Ok, in realtà lei non c’entra niente, ma ci sta sempre bene.
Stupido mondo.
Meno male che Londra di notte è così bella. L’unica cosa positiva di questa serata è probabilmente proprio questa camminata chilometrica.

Dopo qualcosa come mezz’ora di odissea, sento il mio telefono squillare. Il nome di Finn impresso sullo schermo mi ricorda che non l’ho avvertito della mia scelta di andarmene.
Fa niente, avrà un passeggero in meno di cui preoccuparsi.
Rifiuto la chiamata e continuo a camminare.
Lodo ogni santo che ricordo dai tempi della Prima Comunione quando riconosco la zona dove si trova il mio appartamento.

Sei stata davvero brava, lasciatelo dire Lilith.

Finalmente davanti alla porta, giro la chiave e entro in casa, sbattendo la porta e non curandomi della mia gemella addormentata sul divano.
L’unica cosa che voglio fare in questo momento è togliermi questi dannate scarpe dai piedi, lavarmi i denti ed entrare in coma sul letto.

Un coma possibilmente lungo, magari eterno.
Ripensandoci, il sonno eterno in questo momento non è una cattiva idea.

Mi lavo i denti due volte prima che il sapore dell’idiota che mi ha baciato in discoteca se ne vada, lancio gli stivali ai piedi del mio letto e, senza neanche spogliarmi, mi butto sul letto, accogliendo finalmente il mio meritato sonno.
 
 
 
  
Philo
Il suono del campanello che continua a suonare è così fastidioso che mi costringe ad alzarmi dal letto.

Ora, vi prego, spiegatemi voi chi è l’imbecille che continua a premere quel dannato bottoncino bianco al lato della nostra porta.

Senza neanche curarmi del mio abbigliamento – pigiama e pantofole sono più che normali, vista l’ora – mi sposto con tutta la stanchezza possibile verso la porta.

Un altro squillo.
Ohh, giuro che chiunque sia, lo uccido.
Un altro ancora.
Ok, l’hai voluto tu. Sei una persona morta.

Apro la porta e la prima cosa che mi ritrovo è un ragazzo alto, biondo, con due occhi azzurri.
Ragazzo che, senza nessun motivo logico, mi bacia.

Ok, sono sveglia? Vero?

Stacco mi stacco da lui e la mia mano lascia la sua impronta sulla sua guancia.
«Mi spieghi chi sei!? Ma sei impazzito!?» Urlo.
«Ma sei scema?! Qui quella impazzita sei te! Guarda che cavolo mi hai fatto!» ll biondino si lamenta, indicando la guancia gonfia.

Philo i miei complimenti: hai dato una sberla come si deve a uno sconosciuto.

«Mi spieghi che cavolo sta…» La voce roca di Lilith proveniente dalla fine del corridoio, mi fa girare. Noto una espressione sul suo volto alla vista del ragazzo, vista la O disegnata sulle sue labbra e gli occhi sgranati appena focalizzato il nostro ospite.
«Merda, ma siete due.»
 



Awawawawawawawawaaaaa!!
Non ha neanche la decenza di chiamarsi capitolo questa cosa che sto per pubblicare. Non l’ho neanche revisionato, ma volevo pubblicarlo, visto che avevo promesso un aggiornamento oggi.
Ebbene.
Eccoci qui.
Mi avete chiesto come avrei fatto ad inserire il personaggio di Niall nella storia.
Mmmh.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Peach.


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Capitolo 3
*** Secondo Capitolo ***


Lilith
Mi ritrovo mia sorella nel suo pigiama davanti alla porta di casa aperta. Stropiccio gli occhi per mettere meglio a fuoco la figura dietro di lei.
Niall, con una guancia rossa e un cipiglio arrabbiato sul viso.
Non appena il suo sguardo si sposta sulla mia figura, una delle mani con cui si stava massaggiando la guancia mi indica. Gli occhi ancora più grandi per via dello stupore, la bocca spalancata e una reazione decisamente troppo esagerata:«Merda, ma siete due!» Esclama.

Sveglio il ragazzo, eh?

«Lo conosci?» La fastidiosa voce di Philo mi chiede.
«Per mia sfortuna, si.» Le rispondo, mentre mi avvicino alla soglia di casa nostra.
«Ma come cavolo è possibile?!?» Il ragazzo – decisamente poco perspicace – continua a spostare il sguardo da me alla mia perfetta copia alla mia destra.
«Si chiamano parti gemellari, idiota.» Sputa Philo precedendomi.


Una delle poche cose che abbiamo in comune io e mia sorella è il nostro terribile carattere appena sveglie. L’acidità ci accomuna.
 
La mia gemella, girandosi nella mia direzione, incrocia le braccia al petto «Ti informo che il qui presente… Uhm, come ti chiami?» Gira la testa verso il ragazzo.
«Niall»
«Ti informo che il qui presente Niall è venuto qui per effettuare una analisi notturna più accurata delle tue labbra. Peccato abbia sbagliato gemella.» La acidità di questa ragazza non smetterà mai di stupirmi.
«Che?» Un momento... «L’hai baciato?» Non posso fare a meno di lasciarmi scappare una risata.
«Correggo, lui ha baciato me. E ti sembra il momento di ridere, Lil?! Uno sconosciuto mi ha appena baciato! Ti sembra normale!?» La sfuriata che Philo sta inscenando davanti all’uscio di casa mi sta davvero urtando il sistema nervoso, smorzando il divertimento provocato da quella assurda situazione.
 
Ahah, però l’ha baciata. Ahah.
 
«Mi stai ascoltando?» Dio ti prego, falla smettere. Mi scoppia la testa. Odio questo suo tono acido.
Mi porto due dita alla tempia «Philo ti prego, non urlare. Mi scoppia la testa.»
La voce bassa e sommessa di Niall – del quale mi ero completamente dimenticata – attira la nostra attenzione «Bene, forse è meglio che io vada via… Buonanotte!»
«Tu non vai da nessuna parte, Horan. Entra dentro, sei venuto per parlarmi, giusto?» Dio, mi scoppia la testa.
«Io non lo voglio dentro casa.»
 
Philo ti prego, piantala. Qualcuno le dia una padellata in testa. Mi sta davvero facendo scoppiare la testa. E terminare la pazienza. 


«È anche casa mia, Mena.» Le dico ferma. Sono stufa del suo continuo controbattere «Entra Niall, la strada la sai.» Dico infine facendo un cenno di capo al ragazzo rimasto sulla soglia di casa ad assistere alla litigata tra me e mia sorella.
 
 
Philo
«La strada la sai.» Dice Lilith e Niall passa tra di noi, dirigendosi con le mani in tasca in camera di mia sorella.
“La strada la sai”
Che diavolo…
«Che significa che sa già la strada?» Domando.
«Significa che è già stato qui, Mena. Ora, se non ti dispiace, tornerei a dormire. Dovresti fare la stessa cosa anche te.» La ragazza davanti a me si massaggia la testa, scompigliandosi sempre di più i capelli. «Buonanotte.» Dice infine, dandomi le spalle e tornando in camera sua.
«Lilith, stai scherzando?» La raggiungo e la afferro per un braccio. «Io non dormo con uno sconosciuto nell'altra camera, anche se quest’ultimo dovesse essere il tuo fidanzato o qualcosa di simile!»
  
Certo no? Portiamo sconosciuti nel nostro appartamento e lasciamoli dormire in casa nostra. Ovviamente.
  
Il viso di mia sorella è sempre più vicino al mio, il suo sguardo duro mi coglie sprovvista «Lui non è il mio fidanzato. Non ripetere più una cosa del genere.» Agita bruscamente il polso, liberandosi della mia presa. «Non dormirà qui, se non nel caso in cui sia strettamente necessario. Vedrò cosa vuole e lo manderò via. Ora, ti pregherei di andare a dormire, Philomena. Non sono in vena di litigate e mi sta scoppiando la testa. Buonanotte.»
  
Rimango da sola in mezzo al corridoio.
Lilith non mi chiama mai per nome intero, se non quando è davvero infastidita o arrabbiata.
Io davvero non capisco più come funzioni questa ragazza.
  
Per tutti quelli che dicono che i gemelli hanno una specie di contatto telepatico, una sottoforma di legame indissolubile, sappiate che probabilmente quello mio e di Lilith si era disintegrato già nel liquido amniotico.
 
Mi trascino in camera mia, chiudendo la porta della mia camera dietro di me. Non che non mi fidi di Lilith, ma mi sento più sicura con la porta della camera chiusa.
Come se una porta chiusa possa fermare qualcuno.
 
Mi infilo sotto le coperte e cerco di riordinare i pensieri.
Nell’arco di meno di un’ora ho litigato con Lilith, perso la pazienza, sono stata baciata da uno sconosciuto e dopo l’ho preso a sberle.
Ripensando al bacio ricevuto poco prima, mi accorgo del sapore sulle mie labbra.
 
Dannazione, ho il suo sapore in bocca.
 
Mi alzo e corro al bagno. Abbasso la maniglia della porta e mi ritrovo il ragazzo di poco prima, senza maglia, davanti al lavandino con uno spazzolino in mano.
Il mio spazzolino.
  
Ovviamente. Ovviamente mi dovevo ritrovare un ragazzo senza maglia in bagno.
Ovviamente.
Questi clichè da telefilm americano mi stanno davvero dando sui nervi.
  
«Ti serve il bagno?» Dice, mentre si infila lo spazzolino giallo in bocca e comincia a lavarsi i denti. La normalità con cui dice la frase come se fosse il suo bagno mi fa davvero venire voglia di sbatterlo fuori casa.
Un momento…
«Ma te non dovevi andartene?» Chiedo, cercando di non guardare la figura a torso scoperto davanti a me.
«Lil ha detto che posso rimanere per questa notte. Vivo dall’altra parte della città e mi sono fatto portare qui da un amico.» Dice, con la bocca piena di dentifricio. Sono sicura che in questo momento ha tutta la faccia sporca della sostanza al sapore di menta, ma evito di alzare lo sguardo.
Ho già visto più di quanto avrei voluto vedere.
«Chi ti ha detto di usare quello spazzolino?» chiedo acida, senza però alzare la testa.
«Tua sorella ha detto di prenderne uno a caso, così ho preso questo.» Sento dire tra una passata di spazzolino e l’altra.

Ovviamente ha preso il mio di spazzolino, altrimenti dove sarebbe stato il triste clichè tipico di questa assurda situazione da romanzo per ragazzine adolescenti disperate?
 
Nota per Philo: Comprare uno spazzolino nuovo.
Nota bis per Philo: La prossima volta che Lilith promette qualcosa, non fidarsi mai.
  
Lo sento sputare nel lavandino e sciacquarsi la bocca «Allora, ti serve il bagno?» Chiede il mio “ospite” con un tono un po’ troppo infastidito «Perché dovrei usarlo ancora per qualche minuto.»
«Non serve più, tranquillo. Buonanotte.» Mentre mi giro e cerco la maniglia della porta, il rumore di una zip che si abbassa mi fa affrettare i movimenti, chiudendomi con un po’ troppa violenza la porta dietro di me. Il rumore di una risata proveniente dall’altra parte della parete di legno mi fa avvampare.
 
Merda, si è accorto che ho affrettato a chiudere la porta. Lo odio.
 
Respiro profondamente e decido di andare in cucina: se non posso togliermi il ricordo del sapore di Niall lavandomi i denti, mangerò qualcosa. Magari dei biscotti o la fetta di torta che mi ha portato Louis. No, la torta me la riservo per domani mattina a colazione.
Vada per i biscotti.
Mi bagno le labbra con la lingua e sento di nuovo il sapore del bacio di prima. È forse birra e menta questo sapore che sento?
Qualunque cosa sia, fa schifo ugualmente.
Afferro il pacco di biscotti nella credenza e noto con immensa gioia che la scatola è ancora piena, segno che Lilith ancora non ne ha fatta razzia. Annuso la scatola portandomela alle narici e inalando l’odore di cioccolato e biscotto.
Una cosa che amo fare con i biscotti, oltre a mangiarli, é odorarne la scatola.
Si, sniffo scatole di biscotti.
Prendo i piccoli oggetti dolci e ipercalorici e li porto alla bocca, uno dietro l’altro. Sono decisamente nervosa e il cibo, dopo il violino, sono le uniche cose su cui posso sfogarmi.

Ci sarebbe anche la faccia di Niall, volendo. Riempiendolo di pungni potrei scaricare un bel po’ di rabbia…

In questo momento vorrei davvero suonare il mio violino. Però mettersi a suonare Vivaldi nel bel mezzo della notte non è proprio una delle idee più brillanti che potrei avere.
 
Non mi accorgo che ho terminato la scatola di biscotti se non solo quando non trovo più nessun dolcetto da mangiare per placare il mio nervosismo e capisco che è giunta l’ora di tornare a dormire.
Cammino verso la mia camera e mi rimetto sotto le coperte, spegnendo il cervello e accorgendomi troppo tardi di avere ancora il ricordo delle labbra di Niall sulle mie.
 

 
Lilith
Quando mi sveglio, mi ritrovo il braccio di Niall che circonda la mia vita.
Che cosa diavolo.
«Togli questo braccio.» Sbuffo, mentre mi tolgo il peso morto dalla vita.

L’unico motivo per cui l’ho lasciato dormire a casa è perché… Ok, non c’è un motivo ben preciso.
Non volevo sentirlo lamentarsi o sentirlo parlare mentre si giustificava o inventava scuse per quello successo al locale; l’unica cosa che volevo è che si stesse zitto e che non tornasse sull’argomento
Praticamente neanche abbiamo parlato, visto che io ho fatto finta di dormire quando lui è rientrato in camera dopo aver usato il bagno. L’ultima cosa che desideravo era parlare con lui nel bel mezzo della notte.
 
E poi ammettiamolo, farlo dormire qui è anche un buon modo per dar fastidio a mia sorella.

Guardo l’ora e mi accorgo di essere in ritardo.
Perfetto, Sasha mi ucciderà, ma non mi importa.
Mi trascino fino al grande armadio davanti al letto e ne apro un’anta, non incrociando la mia figura riflessa nello specchio alla mia destra. Recupero un paio di pantaloni e un maglione e mi dirigo in bagno.
Avrei davvero voluto dormire di più, ma non voglio avere noie con Shasha: non sono in vena di ascoltare altre lamentele da parte di qualcuno su quanto siano insoddisfatti dei miei comportamenti.
A causa del poco tempo a mia disposizione mi toccherà fare colazione per strada. Potrei andare in quel piccolo bar all’angolo, quello con le mura esterne tutte blu.
Così, una volta vestita, recupero il cappotto e borsa e esco di casa, non curante del fatto che sto lasciando a casa Niall insieme a Philo.


 
Philo
Il rumore di vetro infranto mi fa aprire gli occhi. Lilith avrà fatto cadere un bicchiere.
«Merda!» sento dire dalla cucina. Da una voce maschile
Ma cosa…
Afferro gli occhiali lato del letto e trovo la forza per alzarmi. In poco tempo ricollego tutti i pezzi dei ricordi della mia bizzarra serata e riconosco la voce che ha imprecato.
Niall.
Il contatto con il pavimento freddo con le piante dei miei piedi mi fa svegliare definitivamente.
Arrivata in cucina devo sbattere più volte le palpebre per accertarmi che non stia ancora dormendo.
Niall è al lato della mia cucina sopra i resti di quello che, una volta, doveva essere un bicchiere.
«Mi spieghi che cosa stai facendo?» Do voce ai miei pensieri.
«Cercavo un bicchiere per bere.» Dice il ragazzo girato di spalle. Mi accorgo solo ora che il biondo è in mutande e calzini.
  
Davvero, sei semiuno nella cucina di qualcuno e rimani con i calzini?
È troppo assurdo, vi prego ponete fine a questo triste scherzo.
  
«Ok ok, fermo. Prima di tutto vieni via di lì se non vuoi un pezzo di vetro conficcato nel piede, e ti assicuro che io non ti ci porto all’ospedale.» Dico, indicando i pezzi di vetro sul pavimento. «Seconda cosa: mettiti qualcosa addosso.»
 
Perché sono circondata da persone che girano seminude per casa?!?
 
Il ragazzo, ancora di girato di schiena e con le braccia in alto alla ricerca di un nuovo bicchiere, gira il capo nella mi direzione e mi guarda da dietro una spalla. Sul suo volto è dipinto un ghigno strafottente. «Hai dimenticato qualcosa…»

Che ti ridi, idiota? Giuro che se non si toglie quel ghigno dalla faccia, gli do un pugno.
 
«Per favore.» Dico ferma. Vedo Niall saltellare tra gli spazi vuoti tra i vetri per terra e venirmi incontro.
«Mi ero dimenticato che non sei Lilith» dice ad una distanza decisamente troppo vicina.
 
Oh, ma che cavolo vuole questo tizio da me?
 
«Senti, non i interessa se ti diverti con mia sorella, ma gradirei che tu ti vesta, pulisca il casino che hai combinato nella mia cucina e te ne vada.» Dico, facendo un passo indietro e portandomi le braccia al petto. Cerco di sostenere il suo sguardo, per evitare di guardare il suo corpo scoperto.
«Divertirmi con tua sorella? Ah, fidati, sono secoli che ci provo!» Dice ruotando gli occhi esasperato e alzando il braccio destro.
«Beh, non mi interessa. Vestiti e vattene.»
«Cercavo solo qualcosa da bere per buttare giù quella fetta di torta che ho mangiato.» dice lui, con un mezzo sorriso.
  
Giuro che sono la pianta, prendo il primo oggetto che ho vicino e gli rompo la mascella. Ho parlato 10 minuti con questo ragazzo e mi sta davvero dando sui nervi.
Un momento. La fetta di torta? La MIA fetta di torta?!?
Ho bisogno di un oggetto appuntito. Uno con cui possa fargli tanto male.

C’è un’altra persona al mondo che mi infastidisce così tanto.
Ed è Lilith.
 
«Mi dispiace, ti rimarrà tutta in gola» “e magari soffochi” aggiungo tra me e me «ora vattene!» Dico alzando un po’ troppo la voce «Per favore.» Aggiungo dopo.
Lo vedo dirigersi verso la camera di mia sorella e gli sento fischiettare una canzone che non conosco. Pochi minuti dopo, mentre io sono in cucina a raccogliere tutti i pezzi del bicchiere disintegrato da quel deficiente nell’altra stanza, lo vedo tornare e sostare sulla soglia della stanza.
«Io…» La sua voce è flebile mentre si gratta il retro del collo con una mano «Io volevo scusarmi… Per il bicchiere e per il disturbo…» Una leggera tinta rosa si fa strada sulle sue guance. Sta arrossendo?
«Ok, va bene, ora vattene» lo liquido.
«Uhm… Ok.» L’ho devo aver colto di sorpresa, vista l’espressione sul suo viso. «Allora, ci vediamo.» Dice, girandosi.
«Non credo proprio.» Dico ridendo sarcastica. Mi alzo da terra e lo raggiungo alla porta.
«Cosa?» si rigira.
«Che ci rivedremo. Non credo proprio succederà. E comunque non ti sei scusato per il bacio.»
«Chi ti dice che non ci rivedremo?» Il fastidioso ghigno è ricomparso sul suo viso.
«Te lo dico io. Ora esci.» Apro la porta di casa e indico la strada con il braccio libero.
Provoco una risata nel mio interlocutore che, dopo aver abbassato la testa e infilato le mani nei suoi jeans supera la soglia, ancora ridacchiando e lasciando sfuggire un sospiro.
«Ah, Philo?» Mi chiama quando è alla fine delle scale e sbuffo.

Che cosa vuole ancora?!? Qualcuno lo porti via da casa mia, vi prego!

«Cosa?» sputo acida.
«Non mi sono scusato per il bacio di proposito. Ci vediamo.» E detto questo si gira, con il suo solito mezzo sorriso sul volto, lasciandomi basita e con una rabbia crescente.


   



AWAWAWAWAWAAA!!
Ma quanto sono brava che ho aggiornato di Sabato sera tardi in modo da rovinarvi la Domenica? Sono o non sono troppo brava?
Bene, questo capitolo… Mmmmhh…
Non mi convince proprio tantissimo, ma spero vi piaccia!
Vi voglio dire una cosa: la maggior parte dei cliché che vedrete in questa storia sono assolutamente voluti. A volte saranno anche tremendamente esagerati ma è un effetto voluto! :D
 
Lasciatemi una recensione se volete! :D
Peach.


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Capitolo 4
*** Terzo Capitolo ***


Lilith
Sono arrivata da 40 minuti e quella stronza di Sasha non è ancora qui. Vuoi vedere che mi ha dato buca?
Dopo la sesta volta che parte la segreteria telefonica, rinuncio e butto il telefono nella borsa. Oltre ad avermi fatto svegliare presto la stronza non si è presentata al suo stesso appuntamento.
«Fanculo.» sputo, mentre ricomincio a camminare, senza una meta precisa. Mi incammino per la via che costeggia il parco. Digito il numero di Brid sul telefono e aspetto.

Primo squillo… Secondo squillo… Terzo squillo…
Perché non risponde?!
 
«Lilith?» Sento la voce della ragazza dall’altra parte della chiamata.
«Cazzo, Brid perché ci hai messo così tanto a rispondere?!» Sbotto. Forse ho bisogno di un’altra ciambella per addolcirmi. O forse altre due.
«Nervosa? Si dia il caso che sia domenica mattina, Lil, la gente di solito si riposa…» Lascia cadere la frase con un tono critico.
«Si, scusa, è stata una mattinata da dimenticare» Dico in un sospiro. «Senti, sono a pochi passi da casa tua. Potrei venire a prendere gli appunti della lezione di Mercoledì?»
«Ma non eri a lezione Mercoledi?»
«Si, ma non ho preso appunti, visto che dormivo nelle ultime file…»
«Lo sai vero che è tremendamente ingiusto che tu riesca a passare gli esami anche senza studiare?» Le sento dire in una risata. L’accento irlandese di Brid è davvero troppo forte in certi casi.
Mi ricorda quello di Niall.
Ma Brid è decisamente più simpatica.
E non va in giro a baciare le persone senza un motivo.
 
Non credo poter definire Brid una mia amica, ma è una delle poche persone con cui scambio due parole all’università.
A differenza di Philo, io non punto tutto sullo studio - o meglio, non muoio sui libri. Avete presente la tipica frase degli insegnanti “è intelligente ma non si appilica?” Ecco, credo di averla sentita uscire così tante volte da parte dei miei insegnanti nel corso degli anni, che ormai risuona come un disco rotto. Mi calza a pennello.

Lo studio è sempre stato qualcosa di Philo.
E io non sono lei.
 
«Lil? Ci sei?» La voce di Brid mi riporta alla realtà «Ho detto che puoi passare quando vuoi.»
«Umh, ok. Ci vediamo tra un po’». Chiudo la chiamata e continuo a costeggiare il parco, allungando il passo in direzione della casa di Brid.
Mi guardo intorno, storcendo il naso davanti al panorama che mi si presenta davanti; il cielo è stranamente stabile, senza minacciare le persone con una pioggia imminente. Le nuove grigio chiaro lasciano spazio qua e là a dei timidi raggi di sole che si permettono, una volta liberi dalla coltre perenne delle nubi inglesi, di colorare qualche filo d’erba e far brillare quelle poche e audaci foglie rimaste sui rami alti degli alberi spogli di Novembre.
C’è qualcuno che va in bici, chi cammina da solo, coppiette di anziani che camminano sotto braccio, chi porta a spasso il cane, chi gioca a palla con i propri figli. Il mio sguardo si sposta su due bambine dai capelli biondi: una ha una palla gialla in mano e scappa dal’altra, che probabilmente è sua sorella minore. Le loro risate suscitano uno strano senso di nostalgia, nostalgia che sale fino a farsi sentire in bocca. La nostalgia ha uno strano sapore, amaro e dolce allo stesso momento, come quel vecchio sciroppo che ci dava sempre la nonna e ci lasciava la bocca tutta impastata: lo odiavo, era terribile e la nostalgia ha lo stesso sapore.
Persa come sono ormai nei miei pensieri non mi accorgo di essere travolta da qualcuno. Cado a terra e il bruciore provocato dalla caduta non tarda ad arrivare.
 
Il coglione che mi ha fatto cadere la pagherà cara.
 
«Che cazzo fai?!» Sbotto senza neanche guardare in alto. Cerco di rialzarmi in piedi e vedo una mano tendersi verso di me. 

Oh, col cavolo che mi faccio aiutare.
 
«Sei te che dovresti guardare dove vai!» Sento dire alla persona che mi ha appena travolto. Dalla voce bassa capisco che è un ragazzo. Il suo tono è affannato, di sicuro a causa dell’attività fisica che probabilmente stava facendo prima di buttarmi a terra.
 
Odio l’attività fisica: si suda e si fatica. Si puzza e ci si ammazza, e per che cosa? Una parvenza di fisico in forma.
Tanto dopo i quarant’anni saremo tutti ciccioni e brutti, perché faticare?
La mano è ancora tesa verso di me.
 
«Non mi serve il tuo aiuto.» Sputo velenosa. Mi tiro su e ritorno stabile sui miei piedi, massaggiandomi le natiche
 
Porca vacca, mi ha fatto davvero male!
 
«Ti sei fatta tanto male?» Sento dire al tizio che mi ha praticamente buttato a terra neanche fosse un giocatore di rugby professionista. Finalmente mi decido a prestare attenzione alla figura che ho davanti. Il ragazzo è alto, anche più di quanto avessi pensato, indossa un paio di pantaloncini scuri da allenamento e una felpa bianca. Il cappuccio è tirato su e dei ciuffi di capelli castano chiari scappano dalla loro copertura. Le ampie spalle si alzano e si abbassano all’unisono con il petto a causa del fiato perso durante la corsa. Il suo viso mi cattura un po’ di più: le labbra carnose sono dischiuse, alla ricerca di aria, circondate da un accenno di barba che disegna la mascella del suo volto. I suoi occhi, incorniciati da folte ciglia, mi ricordano il colore della nutella. O del cioccolato, O della torta alle nocciole di zia Marleen.
Cavolo, ho fame.
Lo riguardo bene e arrivo ad una conclusione: è un gran figo.
Figo che, però, mi ha appena buttato a terra.
 
«Allora, tutto ok?» Ripete il tizio sudato davanti a me.
«Stavo meglio prima! Santo cielo, mi hai quasi ucciso! Potevo rimanere paraplegica!» Ok, forse sono troppo drastica.
Il ragazzo si lascia sfuggire un sorriso sghembo dopo la mia affermazione e continua «Paraplegica forse è un po’ esagerato. Mi dispiace davvero, non ti ho vista.» Il suo tono è mortificato e non posso fare a meno di sospirare.
«Però se fai quella faccia certo che non posso riempirti di insulti!» Dico.
«Che faccia?»
«Quella da cane bastonato. Ti ricordo che quella che è stata scaraventata a terra sono io, non tu.» Affermo, ancora con una mano sul mio sedere.
Mi verrà un livido enorme, già lo so.
«Beh, allora è un bene che abbia la faccia da cane bastonato, non è bello sentirsi riempire di insulti.» Dice, sempre con quel mezzo sorriso dipinto sul suo volto. È carino quando sorride.
Si, però mi ha scaraventato a terra.
«Ringrazia la mia immensa bontà, altrimenti ora non avresti più quella faccia da cucciolo ferito.» Rispondo, mentre mi sistemo la borsa sulla spalla. Ricomincio a camminare e spero che la mia risposta abbia allontanato il ragazzo tanto bello quanto puzzolente da me.
«Ehy! Aspetta!». Cavolo, mi sta seguendo.
«Dici a me?» Dico con un tono di finta sorpresa.
«Mi lasci così?» chiede appena percorre la distanza che ero a guadagnare «Con un insulto? Non è carino!» Il sarcasmo nella sua voce è lieve, ma percettibile.
«Meglio un insulto che un pugno. E, fidati, sarei stata davvero in grado di darti un pugno”» affermo decisa, mentre continuo ad accelerare il passo «ora scusami, ma sono in ritardo. Addio.»
Lo sento ridere alle mie spalle e gli sento dire un «Ci vediamo» sommesso, che probabilmente non doveva arrivare alle mie orecchie.
  
  
  
Philo
Una volta mandato via Niall da casa, decido di sfogare tutta la frustrazione accumulata su l’unica cosa che mi riesce a calmare.
Mi dirigo verso la mia stanza, apro la custodia del mio violino, la apro e libero lo strumento da quella gabbia di plastica. Fin da piccola ho sempre avuto la brutta abitudine di lasciare il mio violino ovunque, in qualsiasi posto della casa (o del camper, visto che per la maggior parte della nostra vita, io e Lilith abbiamo viaggiato con i miei genitori).

Non so perché, ma vedere il piccolo corpo dello strumento rinchiuso nella sua custodia mi dava uno strano senso di claustrofobia.
Come se non potesse respirare.

Prendo il piccolo strumento di legno e, senza neanche montare il poggia spalla e afferro l’archetto, già con il crine teso.
Inizio a suonare senza nessun nesso logico. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla rabbia e dalla frustrazione, convertendo i miei pensieri caotici in note uscite dalle quattro corde dello strumento color ciliegio.
Le dita della mano sinistra si fanno sempre più veloci, così come i movimenti del mio avambraccio destro.
Ad un certo punto riconosco la melodia familiare che le mie dita stanno suonando automaticamente: è uno dei movimenti dell’Estate di Vivaldi. Lo stesso pezzo che sto suonando da ormai settimane per essere pronta per l’esame e il concerto di Dicembre.
La paura di fallire mi assale terribilmente e abbasso il braccio destro, smettendo di sfregare l’archetto sulle corde.
Anche se la commissione mi ha scelta come violino solista, sono terribilmente agitata.

Potrei fallire, e questo non lo accetto.
Il fallimento non è contemplato nei miei progetti.

Poso il violino e mi accorgo di avere un po’ il fiato corto. Quanto ho suonato? Dieci minuti? Mezz’ora? Un’ora?
Perdere la cognizione del tempo quando suono è nella norma.
 
Mi avvicino alla custodia per rimettere il violino dentro ma, proprio mentre sto per poggiarlo, lo porto al petto. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, inalando l’odore della pece, del crine, delle corde e del legno.
Lo poso sul letto, accanto a me, come se avesse bisogno anche lui di riposo, libero da quella custodia tremendamente scura e stretta.
Recupero il mio libro di storia della musica medievale e ricomincio a studiare, cercando di allontanare lo strano ricordo di due occhi azzurri in Estate.
  
 
 
  
Lilith
«Grazie ancora Brid, prometto di riportarteli appena possibile.» Ringrazio ancora l’unica persona che ancora si fida di me quando si tratta di riportarle gli appunti.
«Tanto so che non li rivedrò prima di un mese, per questo li ho già studiati.» Dice la mia compagna di corso in una risata mentre incrocia le braccia. Siamo sulla porta di casa sua, lei con i capelli raccolti in una coda di lato e delle ridicole pantofole rosa e io con una chiappa dolorante e il sapore del the alla pesca offertomi da Brid poco prima.
«Prometto che li riporterò il prima possibile.» Si, tra minimo due mesi. Non è colpa mia, ma una volta che studio qualcosa gli appunti prestati spariscono! Come i calzini senza il loro doppione: svaniscono nel nulla e non si trovano più.
Spuntano fuori solo quando decidi di buttare quel calzino solitario rimasto nel cassetto, in attesa del suo gemello.
«Tranquilla Lil, riportali quando puoi» mi rassicura la bionda in pantofole rosa «ora vai, prima che inizi a piovere! Il tempo cambia troppo velocemente ultimamente!» dice, puntando gli occhi grigi al cielo.
«Umh… Ci vediamo domani allora.» Saluto quella che potrei considerare quasi un'amica e mi avvio per la strada del ritorno.
Quando una ventata fredda mi fa rabbrividire, mi racchiudo meglio nel mio giaccone. I miei capelli che sono riusciti a sfuggire alla presa che la mia sciarpa faceva su di loro, formano delle onde rosse che si alzano e abbassano trasportate da quell’odioso vento di fine Novembre.
Sento la vibrazione del mio telefono che mi avverte che mi è arrivato un messaggio.
Inizio a cercarlo nella mia borsa. Ma dove cavolo è?
C’è una sola spiegazione: la mia borsa è collegata ad un buco nero. Dai, non posso non averlo ancora trovato.
Un'altra vibrazione. Trovato!
Afferro il tanto agognato apparecchio e lo alzo in aria come se fosse un trofeo. Poi lascio scorrere le dita sullo schermo.
 
Numero sconosciuto.
-La pagherai, stronza.-
 
Ma che diavolo…
 
Leggo l’altro messaggio.
-Attenta a quello che fai, rossa di merda.-
 

 
 
 
 
Awawawawawawaaaa!!
Ok, lo so.
È un capitolo sciapo e senza senso, ma volevo comunque aggiornare subito (e molto probabilmente è per questo che troverete miriadi di errori!)
C’è l’introduzione di due nuovi personaggi!
Uno – se non lo aveste capito – è Liam.
Il secondo è Brid (si legge così come è scritto ed è un tipico nome Irlandese).
Che ve ne pare? Lasciatemi una recensione se volete!
Sennò potete anche continuare per la vostra strada e non farmi sapere nulla!
Però diciamo che una recensione sarebbe meglio! :D
Vorrei davvero sapere cosa ne pensate!
 
Peach.

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Capitolo 5
*** Quarto Capitolo ***


Philo.
Sono in ritardo.
E ovviamente chi ha occupato il bagno per più di mezz’ora? Certamente, Lilith.
E chi arriverà tardi alla lezione di Musica Medievale? Io.

Corro come una forsennata nel bel mezzo del corridoio principale della facoltà, cercando di non far scivolare la cartella che ho sulla spalla e cercando di mantenere la presa il più stretta possibile sui libri nell’altro braccio.
Lilith e io non seguiamo gli stessi corsi ed ormai è un anno che riusciamo a dividerci in modo tale da non partecipare alle stesse lezioni. È stata una di quelle poche decisioni che abbiamo avuto in comune. Il motivo? Semplicemente non vogliamo vederci l’una con l’altra.
E poi sapete quanta gente ti punta gli occhi addosso quando vede due sorelle gemelle vicine? Non potete neanche immaginarlo.
È tremendamente fastidioso e le persone fanno battute e domande stupide, come se dessero per scontato che io e mia sorella ci assomigliamo anche caratterialmente.
Da sempre, fin dalle scuole elementari frequentate un po’ ovunque visto il lavoro dei nostri genitori, io e Lilith non abbiamo mai avuto l’occasione di trovarci in classi separate eravamo sempre vicine, allo stesso banco, vestite uguali.
Si, mia madre si divertiva in modo quasi sadico a vestirci abbinate.
Perciò appena avevamo avuto l’occasione, avevamo deciso di prendere studi separati, anche perché le nostre passioni sono totalmente diverse.
 
Mezz’ora di ritardo. Santi maccheroni, la Richardson non mi farà mai entrare.
Giro l’angolo del corridoio e all’improvviso mi ritrovo per terra, circondata dai libri che avevo in mano e con un gran dolore alla spalla.
Ovviamente ho preso qualcuno in pieno mentre giravo l’angolo. Perfetto.
Vista la forza dell’impatto probabilmente l’ho ucciso.
 
«Scusa non ti avevo visto!» dico, mentre mi sistemo gli occhiali. Ogni santa volta che non mi metto le lenti a contatto, è quasi scontato che piova, inciampi o vada addosso a qualcuno.
Una risata mi fa levare gli occhi da terra, mentre afferro l’ultimo oggetto cartaceo rimasto a terra. Il ragazzo che ho colpito in modo decisamente maldestro è alto, con spalle larghe e gambe lunghe, fasciate da un paio di pantaloni scuri. Ha in una mano un casco nero, indossa un giaccone marrone e il cappuccio sollevato della sua felpa scura lascia intravedere un ciuffo castano chiaro. Ha gli occhi color nocciola, che stranamente mi guardano divertiti, senza cattiveria.
«È possibile che ci dobbiamo incontrare sempre così?» mi dice, accennando un sorriso gentile mentre mi porge un libro caduto che ha raccolto.
 
Che? L’ho già travolto prima?
 
«Non capisco…» mormoro «che significa?»
Il ragazzo davanti a me è perplesso «Ci siamo già “scontrati” prima, Domenica per la precisione, davanti al parco. Non ricordi?»
«Credo che tu abbia sbagliato persona» dico in una risata «sono rimasta tutto il giorno a casa.»Continuo, cercando di essere il più chiara possibile.
«Fidati, è alquanto improbabile che mi sia sbagliato» risponde corrucciando la fronte «mi hai anche minacciato di darmi un pugno!» aggiunge in una mezza risata.
 
Che? Io che minaccio qualcuno? Per strada poi?
Aspetta un attimo…
 
«Forse ho capito!» esclamo, più per me che per lui. Forse ho messo troppa enfasi, visto il sussulto del ragazzo sconosciuto.
«Eri tu quindi?» chiede perplesso.
«Si, cioè No!»
«Che significa? Si o no?». Il ragazzo ride e non posso fare a meno di biasimarlo. Un pazza furiosa le è appena venuta addosso e afferma di essere e di essere contemporaneamente due persone differenti.
«Hai una persona che mi assomigliava, ma non ero io». Sto decisamente ingarbugliando ancora di più la questione.

Philo, fai ordine nel tuo cervello, per favore.

 «Lo sai che quello che hai appena detto non ha alcun senso? Se vuoi dire che non eri te, va bene, ma resta il fatto che una ragazza identica a te mi ha minacciato» dice ridendo leggero.
«Esatto!» esclamo, gesticolando con l’unico arto rimastomi libero.
«Giuro che non ci sto capendo nulla.» Il castano si porta una mano dietro il collo, mentre corruga ancora di più le sue folte sopracciglia.
«Hai probabilmente incontrato mia sorella, siamo gemelle» spiego, cercando di essere il più convincente possibile. Non è la prima volta che qualcuno ci confonda ed il più delle volte è difficile riuscire a far credere alle persone che siamo davvero due.
«Mi prendi in giro? Dai, potevi inventare una scusa migliore!»
Ecco, lo sapevo.
«Senti, mi dispiace se mia sorella ti ha minacciato o cose simili, ma è fatta così. Sta a te credere o no  a quello che ti ho detto.» Mi sistemo la cartella al meglio sulla spalla e continuo a camminare, rassegnata dal fatto che non mi abbia creduto.
«Aspetta!» sento dire alle mie spalle dalla voce del castano. Lo sento arrivare vicino, mentre prende il ritmo del mio stesso passo «Ok, ti credo.»
«Mi credi?» sono stupita. Sarebbe uno dei primi che lo fa.
«Si. Se tu fossi la stessa ragazza di Domenica, al quest’ora avrei un setto nasale rotto o un occhio nero»
«O entrambi» aggiungo.
«Tua sorella è davvero così pericolosa?» mi chiede curioso
«In terza elementare ha dato un calcio sugli stinchi ad un bambino solo perché la aveva leggermente spinta mentre erano in fila. Con il tempo è peggiorata. Perciò, trai le tue conclusioni» racconto.
Lo sento ridere. Ma questo ragazzo non fa altro?
«Comunque piacere, sono Liam» mi tende la mano libera, visto che l’altra è occupata da un casco nero da moto.
«Piacere, Philo» dico, tendendo a mia volta la mano e stringendola gentilmente nella sua.
«Philo?» chiede perplesso.
«Si, è un diminutivo, sta per…»
«Philomena, giusto?» mi precede lui.
«Esatto… Ma come…». In tutta la mia vita credo che Liam sia uno dei pochi che abbia indovinato il mio vero nome.
«Sono andato ad intuito» alza le spalle e continuiamo a camminare. Controllo l’orologio che ho al polso: ormai ho perso la lezione.
 
Ringraziamo Lilith e i suoi tempi biblici nel bagno.
 
«Che lezione avevi?» mi chiede Liam, vedendomi controllare l’orologio.
«Storia e Musica Medievale» sospiro.
«L’ultima volta che ho provato ad intrufolarmi ad una lezione della Richarson in ritardo, sono quasi stato messo alla forca!»
«Messo alla forca? Scherzi vero? Chi è che dice “Sono quasi stato messo alla forca”?»
«È un’espressione come un’altra» ribatte il mio interlocutore mentre ci affacciamo all’uscita.
«Si, per chi è vissuto nel 1700» puntualizzo.
«Sono un’anima antica» afferma lui.
«Non sei credibile come anima antica, sai? Dico con il giubbotto di pelle, il casco e tutto il resto.» faccio notare con uno sguardo la sua forma fisica e il suo abbigliamento.
«Mmmh» annuisce il ragazzo a labbra chiuse «Non sempre l’apparenza è veritiera. Se mi fossi basato sull’apparenza, a quest’ora crederei che tu sia tua sorella».
«Touchè. » Mi guardo brevemente intorno e noto una panchina vuota sotto uno degli alberi davanti all’entrata dell’università. Accelero il passo e, una volta arrivata a destinazione, butto con una forza la borsa sulla panchina.
«Che delicatezza» sento commentare in una mezza risata mentre mi siedo. Liam è in piedi davanti a me, con il casco in una mano e l’altra infilata nel giaccone.
«Lo so, me lo dicono in molti» rispondo con finto tono vanitoso «Ti vuoi sedere?» chiedo infine, vedendolo ancora in piedi.
«No, ho un impegno, però grazie per avermelo chiesto.» Tira fuori dalla giacca un paio di chiavi, probabilmente della moto «Ora scusami ma devo proprio andare. È stato un piacere conoscerti, Philo.» e così detto mi sorride e se ne va, girando il primo angolo disponibile.
 
Certo che poteva almeno aspettare che lo salutassi a mia volta eh.
Vabbè, tanto meglio: più tempo da sola e più spazio sulla panchina per me.
 
«MENA!!»
 
Ma cosa…
No, non Lilith.
Come non detto, niente spazio sulla panchina.
 
«Mena, che ci fai qua fuori tutta sola?» il fino tono dolce di mai sorella è percettibile da un chilometro di distanza.
«Ho fatto tardi, perché stamattina qualcuno ha pensato bene di occupare il bagno per un tempo decisamente troppo lungo.» le spiego acida. Poi aggiungo «e per di più ho travolto un ragazzo che mi ha scambiato per te. Sembra che tu lo abbia minacciato.»
«Pff, io minaccio un sacco di gente, lo sai?» dice, ruotando gli occhi al cielo e sedendosi sulla panchina e allungando le gambe.
«Alto, castano, occhi scuri e decisamente un bel ragazzo» dico concisa.
«Quando lo avrei minacciato?» chiede, mordendosi l’interno della guancia.
«Domenica mattina credo».
«Ahh si, il ragazzo del parco. Figo ma decisamente puzzolente. Oggi com’era? Profumava?»
«Lil, ti sembro una che va ad odorare le persone?»
«Io lo avrei fatto. Cioè, non puoi capire quanto puzzava l’altro giorno»
«Perché stiamo parlando di puzze e profumi? Non possiamo cambiare discorso? O meglio, puoi andartene direttamente?» sbuffo e incrocio le braccia. Lil è qui da neanche dieci minuti e già mi sta dando sui nervi.
«Ok ok, me ne vado» la mia gemella si alza dalla panchina «Come hai detto che si chiama?»
«Chi?»
«Il ragazzo puzzolente»
«Non l’ho detto. E non era puzzolente»
«Domenica lo era. Come si chiama?»
«Non mi interessa se quando lo hai incontrato tu lo era: oggi non puzzava. E si chiama Liam»
«Liam: il ragazzo che puzza!»l’enfasi con cui lo dice mi fa ruotare gli occhi al cielo.
«Ci vediamo Mena, salutami il ragazzo puzzolente quando lo rivedi!» mi dice in una risata. La vedo sistemarsi meglio nel giaccone e liberare i capelli incastrati nell’indumento pesante, che iniziano a oscillare trasportati dal vento.
Prendo dalla borsa il mio libro di Musica Medievale e decido di recuperare quello che ho perso sta mattina a causa di Lilith e di Liam.
  


Lilith.
Non posso credere di essere arrivata fino a qui.
Ma come mi è saltato in mente.
Sento vibrare la tasca del mio giaccone: un altro messaggio. Il quinto oggi, sempre dalla stessa persona.
Suono al campanello dell’appartamento. L’ultima volta che ci sono stata era più buio e più affollato.
La porta si apre e, con aria sorpresa, la persona dall’altra parte mi guarda. «Romans, che succede?»
 
Dio, che fastidioso accento.
Ma non so a chi altro chiedere.
«Horan, ho bisogno di una mano.»
 




Awawawawawawawawawaaaa!
*Schiva i pomodori* 
Chiedo perdono perchè:
1- Il tempo che ci ho impiegato per scrivere questo capitolo
2- Il fatto che questo capitolo faccia alquanto schifo.
3- In relatà non c'è un punto tre, ma ormai avevo scritto il numeretto e non mi andava di cancellare!
Che ne pensate? 
Lasciatemi una recensione, ve ne prego, mi serve sapere se questa storia vi convince o no!
Scrivetemi anche su Ask se voleve ulteriori chiarimenti :D trovate il link qua sotto :)
Grazie per esservi fermati a leggere!
Peach.


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Capitolo 6
*** Quinto Capitolo ***


Lilith.
«Romans, che ci fai qui?»
«Zitto e fammi entrare.»
«Mi casa es tu casa...»
«Il tuo spagnolo è pessimo, lo sai vero?» Mi butto sul familiare divano bianco e lancio la borsa sul tavolino dello stesso colore «e togliti quel ghigno dalla faccia».
«Scusa, ma tu sei una delle ultime persone che mi aspettavo di veder bussare alla mia porta» il tono malizioso che mette in ogni parola che pronuncia non può non provocare la comparsa di un piccolo sorriso sul mio volto, che scompare subito non appena mi ricordo il motivo che mi ha spinta in questa casa.
«Niall, sul serio. Ho bisogno del tuo aiuto, per quanto possa sembrare assurdo» dico mantenendo l'espressione seria.
«Vado un attimo a bere, torno subito. Vuoi qualcosa?» Noto una punta di agitazione nel suo tono, ma probabilmente è tutto nella mia testa.
Questa storia mi sta facendo diventare pazza.
«Sto apposto così». Chiudo gli occhi e prendo un respiro profondo, inalando l'odore di pulito della casa: per essere la casa di un cafone come Horan, è fin troppo pulita e in ordine.
Mentre sono ancora ad occhi chiusi e persa tra i miei pensieri e l'odore di lavanda e sapone, mi accorgo che una mano mi sta spostando i capelli dalla spalla, liberando il collo e lasciandolo scoperto.
«Qual buon vento ti porta qui?» sento soffiare sulla mia pelle esposta e fin troppo sensibile. Non mi ero mai accorta di quanto la voce di Niall potesse diventare roca e bassa. Un piccolo brivido cavalca la mia schiena, percorrendola tutta e accendendo un campanello d'allarme: meglio alzarsi prima di replicare l'errore di qualche sera fa.

Forse Niall non è la persona più adatta con cui parlare dei messaggi e delle chiamate che sto ricevendo. Anzi, sicuramente non è la persona adatta.
Però, per quanto sia patetico dirlo, è l'unico di cui mi potrei fidare. Finn ha troppi giri loschi, troppe cose per le mani, di cui la maggior parte mi sono sconosciute.
In questo senso, Niall è la persona con meno grane a cui pensare. 
Forse dovrei semplicemente continuare ad ignorare la cosa e far finta di niente.

«Sai che ti dico? Lascia perdere.» Mi alzo, recupero la borsa e, prima che possa raggiungere la maniglia della porta, un braccio mi circonda i fianchi, costringendomi a ruotare. Sono bloccata dal braccio di Niall, che continua ad avere uno sguardo misto a malizia e desiderio.

Oh, andiamo! Ma questo non ha altro per la testa?

«Rimani un altro po'...» soffia dietro il mio orecchio «Potrei aiutarti...» Si bagna le labbra, rendendone il color pesca ancora più brillante. Avvicina il suo viso al mio ma, prima che possa unire la sua bocca alla mia, lo spingo via con rabbia.
«Sei un deficente» sputo acida mentre sbatto la posta dietro di me.
Pessima idea quella di venire qui, pessima.
Idiota. Imbecille.
Deficente.

Sento il telefono vibrare nella tasca degli shorts e controllo lo schermo: un messaggio ricevuto, numero sconosciuto.
So già che se provassi a chiamare, non sentirei nulla dall'altra parte. Ci ho provato minimo venti volte negli ultimi giorni ed il risultato è stato sempre lo stesso.
I messaggi e le chiamate mute arrivano sempre dallo stesso numero, che non riesco mai a rintracciare.
Decido di spegnere il telefono e di iniziare a camminare senza meta: é una cosa che faccio spesso ultimamente. Strano come io che non ho mai avuto difficoltà nello stare con le persone, ora preferisca stare da sola.
Cammino e continuo a guardarmi i piedi, calciando di tanto in tanto qualche cartaccia di fish and chips unta e umida. Lascio vagare la mente, permettendomi per qualche minuto, di rivivere antichi ricordi che dovrebbero essere seppelliti sotto le macerie di una vecchia automobile. Ricordo i vetri, l'odore di benzina.

No, è troppo.

Alzo lo sguardo al cielo, quando sento le prime gocce di pioggia bagnarmi la fronte: se non trovo un posto dove ripararmi tornerò a casa bagnata fradicia.
Continuo a camminare sotto i cornicioni, affiancata da qualche passante che corre con in mano un ombrello, finchè non mi imbatto in una insegna. Una mostra d'arte. 
Non ci credo.
La pioggia aumenta e decido di rifugiarmi nella galleria prima di bagnarmi più del dovuto.
Dopo aver pagato il biglietto e preso una guida al botteghino, inizio a visitare la mostra, sotto l'occhio indignato di qualche signore.
Mi accorgo di non essere proprio nelle condizioni più adatte per una mostra d'arte, visti i miei capelli gocciolanti e i miei vestiti umidi.
Raccolgo i capelli in una crocchia disordinata e li fermo con un elastico che ho al polso. Poi decido di alienarmi e di entrare in uno dei pochi ambienti che mi compete.
Essere figlia di due studiosi ha fatto si che la mia passione per la storia e l'arte fossero ampliati a dismisura.
Mentre i bambini giocavano a nascondino, io chiedevo a mia madre di portarmi alla mostra di Van Gogh. Mentre le persone facevano la foto con il centurione romano davanti al Colosseo, io preferivo documentarmi sui Fori.
Mentre idioti cercavano di farsi una foto sorreggendo la torre pendente di Pisa o la torre Effeil a Parigi, io giravo con mio padre queste città, passando tra convegni di archeologi a mostre antiche.
Sono riuscita, nel corso degli anni, a nascondere al meglio le mie conoscenze in questi ambiti. Motivo?
Semplice: non volevo passare per la secchiona di casa. Quel ruolo è di Philo. E soprattutto non fai molte amicizie se dici in giro che vai matta per gente morta da milenni.
Proseguo la visita, trovandomi davanti ad un dipinto che riconosco subito. Credevo si trovasse in Italia, non qui a Londra.
Promemoria per me: chiamare papà e chiedere informazioni.

Continuo ad esaminare il dipinto, perdendomi nei lineamenti della donna, nei colori caldi del quadro, esaminando le sfumature del dipinto.
«Che indecenza» sento dire alle mie spalle. Mi giro e incontro lo sguardo disgustato di una vecchia signora che sta esaminando me e il quadro.
«C'è qualche problema, signora?» le chiedo gentile.
D'accordo, non è un tono gentile quello che ho appena usato.
«A dire il vero si. Non si dovrebbe permettere, a ragazze come te, l'accesso ad ambienti simili. Questo è un luogo per gente civile, non per drogati in cerca di riparo dalla pioggia!» il disprezzo negli occhi dell'anziana non mi è sconosciuto e vecchie cicatrici tornano a bruciare.
«Ho pagato il biglietto come tutti, no? E non sto facendo nulla di sbagliato o rumoroso, non prima che lei mi desse della drogata senza neanche conoscermi» puntualizzo. Mi accorgo che abbiamo attirato una piccola folla intorno a noi due, nonchè l'attenzione di qualche guardia.
«Non ho bisogno di conoscere quelli come te, siete tutti uguali: drogati, disagiati, che rovinano la società.» l'astio con cui pronuncia le ultime parole non è neanche paragonabile alla mia rabbia nascente.

Se non fosse così vecchia la gonfierei di botte.

«Signora, non mi sembra il caso di essere così aggressivi. Io non ho fatto nulla.» La mia voce esce fuori in un tono forzatamente calmo: sono una pessima attrice.
«Non mi interessa, dico quello che voglio e non apprezzo la presenza di individui simili in un luogo del genere» dice piena di disgusto «in più stento a credere che capiresti sul serio il significato dei dipinti in questa galleria»
Con la coda dell'occhio mi accorgo che sempre più gente si è radunata intorno a noi e che tre agenti della sicurezza stanno venendo nella nostra direzione.

Non posso farmi arrestare, non perchè una vecchia di merda mi insulta senza motivo.

«Non tutti ci arrivano, specialmente quelli come te» le sento dire altezzosa.

Oohh, fanculo. Io le faccio saltare la dentiera.

Faccio un passo nella direzione della donna, stringendo la mano desta in un pungo, mentre questa contina a lamentarsi, quando mi sento afferrare da dietro la vita e sollevare da terra.
«Lasciami! Le devo far saltare tutti i denti finti!»
«Proprio per questo non la lascio!»
«Giuro che la sfiguro!» mi dimeno cercando di liberarmi dalla presa della guardia.
«Signorna si calmi!». Vengo trascinata in disparte, in una zona probabilmente riservata solo al personale.
«Mi lasci! Le do un pugno e giuro che torno a costituirmi!» Continuo a dimenarmi e a scalciare con tutte le forze che ho.

Quella vecchia di merda.

«Lilith calmati!» urla l'uomo che mi ha afferrato da dietro e rimango pietrificata.

Come cazzo fa a conoscere il mio nome?
Un momento...

Mi volto e mi accorgo di chi mi ha trascinato via dalla galleria.
Presa dalla rabbia non avevo minimamente prestato attenzione alla figura che mi aveva afferrato.
Il ragazzo puzzolente.
Come ha detto che si chiama Mena? Lucas, Leeroy...
Liam? Liam!
«Che ci fai qui?» mi libera dalla stretta e lo osservo per bene: indossa un completo, con tanto di cravatta e auricolare, con i capelli sistemati e dirati all'indietro. La stanza dove siamo ha le pareti bianche, qualche scrivania al muro e dei montor sui quali scorrono immagini della galleria, probabilmente ripresi dalle telecamere di sicurezza. 
«Potrei chiederti la stessa cosa» ribatte lui con tono severo.
«È una mostra d'arte aperta al pubblico, ed ho pagato il biglietto come tutti».

Perchè tutti pensano che non abbia pagato il biglietto?

«Ed hai quasi aggredito un'anziana»
«Quella vecchia di merda si merita una lezione»
«Non credo sia carino definirla "vecchia di merda"»
«Mi ha insultato gratuitamente, dandomi della ignorante e della barbona: come minimo devo farle saltare la dentiera.»
«Non mi sembra una cosa tanto grave...»
«Ah no? Qualcuno che ti guarda e pensa a prescindere che sei una drogata non è tanto grave? Allora scusa, proverò a contenermi la prossima volta» non faccio nulla per nascondere il fastidio nella mia voce.
Supero Liam e apro la porta di metallo dalla quale siamo entrati, ritovandomi in un corridoio isolato e con le pareti color magenta.
«Dove vai?»
«Torno alla mostra e mi allontano il più possibile da te, mi infastidisci.»
«Ti infatidisco?»
«Si, mi infastidisci, con la tua aria di superiorità e il tono troppo gentile.»
«Non puoi tornare di là, ne tanto meno posso lasciarti da sola» sento la voce di Liam alle mie spalle avvicinarsi sempre più. Decido di rinunciare e mi lascio scivolare sul muro, buttando la borsa tra le gambe e portandomi le ginocchia al petto, poggiadoci sopra la fronte.
Percepisco la presenza del ragazzo accanto a me e dico «Pensavo di aver reso bene il concetto del "Mi infastidisci non voglio starti vicino"»
«Prometto che sarò silenzioso.»
«Stai parlando» faccio notare. Una risata sommessa nasce dal suo petto, unico suono che si ode nel corridoio.

Che situazione di merda: bloccata qui, con i vestiti e i capelli umidi, in un corridoio a pochi metri da una galleria d'arte, della quale ho pagato il biglietto e che non posso visitare.
In più sono seduta per terra accanto ad un tizio che mi urta il sistema nervoso.
Ok, il 99% delle persone sulla faccia della Terra mi urta il sistema nervoso, perciò questa non è una novità.

Rimago in silenzio per non so quanto tempo, facendo respiri profondi e cercando di far uscire i problemi con l'aria che espiro, quando decido di riaccendere il telefono per vedere che ore sono.
Potrei chiedere a Liam, visto che ha un orologio al polso, ma non voglio parlarci.
«Merda» mi lascio scappare.
5 messaggi da un numero sconosciuto, tutti nell'arco di queste poche ore.
10 chiamate perse, una da Philo, una di Niall e le altre dallo stesso numero sconosciuto dei messaggi.
Perchè a me?
«Sono un bel po' di chiamate» noto l'occhio del castano sbirciare il mio telefono.
«Lo sai vero che è maleducazione sbirciare?» Mi alzo e mi sciolgo i capelli, cercando di dargli una forma che non sembri quella della testa di medusa. Poi mi dirigo verso la fine del corridoio.
Al diavolo la mostra, voglio tornare a casa.
«Dove vai?» chiede per la seconda volta il ragazzo. Si alza e mi segue.
«Che vuoi, uh?! Me ne torno a casa, così questa disagiata non potrà più disturbare la mostra.
«Lil, resta qui, non p...»
«NON chiamarmi Lil. Non sei mio amico e non abbiamo nulla da spartire io e te. Anzi, non chiamarmi proprio. Ti ho detto che mi infastidisci, lasciami stare.» Cammino e non mi curo delle persone che incontro fuori dal corridoio, ne tanto meno dei visitatori entranti che urto. 

Mi ritrovo sotto la pioggia e i capelli iniziano ad appiccharsi al mio viso. Il trucco inizia a colare, ma non credo sia solo causa della pioggia.
Sono due anni che non piango.
Posso dare la colpa alla stanchezza. 
Si, deve essere la stanchezza.

Mi incammino verso casa, non curante delle urla del ragazzo che mi chiama dall'entrata della galleria, ne tanto meno della quantità di pioggia che stanno assorbendo i miei vestiti.




Philo.
La busta di carta contentente la mia spesa inizia a pesare sul mio braccio destro. Sono dovuta correre da Tesco prima che chiudesse, visto che Lilith non ha provveduto a rifornire la dispensa vuota. Giro l'angolo e poco prima di arrivare davanti all'appartamento, mi accorgo di una figura seduta sugli scalini di casa nostra. Non appena mi avvicino meglio, metto a fuoco il viso della persona illuminato dalla flebile luce del telefono che sta tenendo in mano.
Niall.
«Pensavo di essere stata chiara quando ti ho detto che non volevo più vederti qui.»
 «Lo so, e prometto che non resterò molto, devo solo chiederti una cosa.»

Chiedermi una cosa?

Prendo le chiavi di casa e le infilo nella serratura, girando e aprendo la porta spingendola con la spalla, non avendo mani libere.
«Aspetta, ti aiuto» Niall offre.
«Rimani dove sei, non mi serve una mano.» Lo fermo prima che possa prendere la busta dalle mie braccia.
«Guarda che non scappo mica con la spesa»
«Non si può mai sapere» varco la porta di casa e lo guardo «Ti ho forse detto che potevi entrare?» faccio notare al ragazzo, mentre chiude la porta dietro sè.
«Pensavo potevo entrare...»
«Potessi»
«Come?»
«Hai detto "potevo", dovresti usare "potessi", visto che non era certa la tua presenza in questa casa» correggo.
«Siamo un po' pignoli eh?»
«L'uso corretto delle parole è importante. Ora renditi utile e aiutami a mettere quei barattoli sopra i ripiani alti»
«Fino a due minuti fa neanche mi volevi in questa casa e ora ti approfitti di me? Dillo che il mio fascino è irresistibile...» dice in una risata, mentre, ammiccando, tira fuori i barattoli di passata dalla busta di carta.
«Invece di dire idiozie, dimmi perchè sei venuto qui. E occhio a non mettere quei barattoli troppo in bilico!» 
«Tranquilla, credo di essere in grado a sistemare dei bar...» il rumore del barattolo che cade sulla testa di Niall e poi per terra riempie la cucina, seguito dai lamenti del biondino e dalle mie risate soffocate.

Idiota. Ha ha.

«Te l'avevo detto!» continuo a ridere, mentre mi dirigo verso il freezer per prendere del ghiaccio.
«Mi hai distratto. Cristo, che cosa mi è caduto in testa?»
«Ti sei fatto quasi bucare la testa da una scatola di mais. Metti questo, cavolo stai sanguinando» noto, mentre posiziono la busta di ghiaccio sui capelli del ragazzo seduto sul tavolo della cucina.
«Secondo te devo andare all'ospedale?» la faccia del ragazzo non riesce a nascondere la preoccupazione dietro il velo di finta tranquillità.

Ora mi diverto.

«Probabilemente si, ma credo che ormai sia troppo tardi. Il taglio è arrivato troppo in profondità e un intervento da parte di qualche medico sarebbe troppo tardivo. Mi spiace, ma hai poco da vivere»
«Mi stai prendendo in giro vero?»
«Ci stavo provando. Ho calcato troppo la mano, eh?»
«Giusto un po'» 
Scoppiamo a ridere all'unisono e intanto mi siedo sulla sedia, in modo da avere Niall al mio fianco, ancora seduto sul tavolo, con le gambe che penzolano avanti e indietro, con il ghiaccio sulla testa e un'espressione sofferente sul volto.
«Suvvia, non è niente!»
«"Non è niente"? Mi sono appena bucato la testa con del mais!»
«Non credo che il tuo cervello riporterà danni contingenti. Anzi, magari la botta ti ha reso più intelligente»
«Un giorno scoprirò perchè vi divertite tanto ad insultarmi, tu e tua sorella.»
«Io ti conosco da poco, ma giuro che non mi è mi è estremamente semplice trovare modi sarcastici per darti fastidio!» La sincertià con cui sto rivelando tutte queste cose al ragazzo dal cranio bucato mi stupisce.

Philo, da dove hai tirato fuori tutta questa sfrontatezza? 

«Due persone simpaticissime...» bofonchia lui, mentre continua a massaggiare la parte lesa. I suoi capelli sono un ammasso indefinito biondiccio e castano e non posso fare a meno di sorridere nel vedere la evidente ricrescita. Effetto voluto e meno, ora la testa del ragazzo seduto sul mio tavolo sembra una di quelle caramelle bicolore, con il gusto alla Coca-Cola o alla frutta.
Dopo qualche minuto di silenzio, qualche sbuffo di troppo e il rumore delle mie dita che picchiettano sul tavolo, Niall decide di parlare.
«Sono venuto a chiederti un favore» dice continuando a guardarsi le scarpe bianche ai piedi.
«Si,lo hai già accennato prima. Non vedo come io possa aiutarti però, se ti servono soldi non son...»
«I soldi non sono un problema» mi interrompe prima che possa finire la frase, guardandomi dritta negli occhi e cogliendomi alla sprovvista. Sembra che parlare di soldi lo infastidisca.

Prendi nota: non parlare di soldi con Niall.
Prendi altra nota: meglio evitare di parlare con Niall in generale.

«Allora in cosa posso aiutarti?»
Il ragazzo continua a guardare basso e, dopo aver preso un respiro dice, voltandosi dalla mia parte «Ho bisogno di una mano con tua sorella: devi aiutarmi a contquistarla.»

Scherza vero?

Mi alzo e mi guardo intorno, in alto, negli angoli del soffitto.
«Che cosa stai facendo?»
«Controllo dove sono le telecamere nascoste. Dai, questa è una Candid-Camera! Siamo in TV, non è vero? Ciao Mamma!» urlo mentre apro la dispensa e controllo tra i pacchi dei cereali.
«Non sto scherzando, e smettila di cercare tra i biscotti: non troverai telecamere.»
«Ritiro quello che ho detto prima: il mais ti ha peggiorato il danno al cervello che già avevi.»
«Philo, siediti e stammi a sentire» la sua voce è dura e il suo sguardo mi congela per un secondo. Decido di sedermi, ascoltando le teorie deliranti del biondo che continua a giocherellare con il mio ghiaccio. «Ho bisogno di scoprire più cose possibili su di lei. Nessuno sa nulla su Lilith, e fino a qualche giorno fa non sapevamo neanche che avesse una sorella gemella! Ho assolutamente bisogno che tu mi dica più cose possibili.»
«D'accordo, prima cosa: questa a cui stai andando incontro è un'idea suicida. A Lilith non le interessa nessuno se non se stessa, questa è la regola numero uno.»
«Qual'è la regola numero due?»
«Lilith mente. Sempre. Se dirà che ti vorrà bene, sarà una bugia.»
«Non pensi di essere un tantino tragica?»
«Hai detto tu che sono la persona più vicina a lei, no? Questo è quello che posso dirti. Mi dispiace, ma non posso aiutarti.» Mi alzo e mi dirigo verso la mia camera. Niall salta giù dal tavolo e mi segue, con il ghiaccio in una mano mentre si sistema il ciuffo con l'altra.
«Dimmi come posso aiutarti, e lo farò. Tu aiuti me, io aiuto te.»
«Non voglio niente da te, Testa di mais, non puoi aiutarmi.» Mi siedo con una gamba piegata e prendo in braccio lo strumento rossiccio sul mio letto.
Dopo qualche istante di riflessione e di studio della mia camera, lo sguardo di Niall torna su di me «Studi alla King's, giusto? Come fai a permetterti la retta?»
«Non credo siano cose che ti riguardino.»
«Come farai quando sarà finita la borsa di studio?» chiede lui, guardandomi interrogativo.
«Chi ti ha detto che ho preso la borsa di studio?»
«Me lo hai confermato adesso.»

Fanculo. Se ne deve andare, mi sta dando sui nervi.

«Troverò un lavoro. E darò lezioni di violino.»
«Un lavoro? Con l'inizio dei corsi e tutto il resto? Riuscirai a non rimanere indietro con lo studio? E davvero credi che porterai avanti tutto con solo un lavoro e qualche lezione?» 
«Cosa vuoi?» sputo acida e fulminandolo con lo sguardo.
«Aiutami con tua sorella, e io ti pagherò gli studi per due anni, anche tre se vuoi.»
«Quel mais ha avuto un bruttissimo effetto sulla tua corteccia cerebrale...» mi alzo e esco dalla mia stanza, cercando di allontanarmi il più possibile da Niall, che continua a rincorrermi per tutta casa.
Prima gli dava così fastidio parlare di soldi, ora mi sta offrendo di pagarmi le rette dell'università. Questo ragazzo è scemo.
«Philo sono serio, i soldi non mi mancano e mi sembra un buon compromesso no? Non puoi rifiutare.» Mi sento afferrare al fianco, proprio sotto le costole e un antico dolore fa capolino. Mi giro di scatto e spingo via il ragazzo che mi ha afferrata, facendogli cadere il ghiaccio dalle mani.
«Non afferrarmi mai più. Ora vattene da questa casa.» Mi metto una mano sul fianco, nascondendola incrociando le braccia al petto.
«Ci penserai? La mia è un'offerta più che ragionevole.»
«Ho detto vattene» il tono della mia voce si è abbassato notevolmente, mentre apro la porta e lo guardo dura. Non sono mai stata in grado di sostenere lo sguardo delle persone, ma in questo momento la rabbia mi sta donando una spavalderia che non avrei normalmente.
«Pensaci.» Il suo sguardo è indevifrabile mentre mi guarda e varca la soglia di casa.
«Addio.» sbatto la porta e scivolo per terra. Mi sembra di aver trattenuto il respiro dal momento in cui mi ha toccata. 
Non so come, mi ritrovo il viso bagnato e la mano poggiata sul punto dove si è posata la mano di Niall, punto che sembra stia andando a fuoco.

Non voglio ricordare.
Mi alzo, corro verso la mia camera. Ho bisogno del violino, adesso.
Prendo in mano il piccolo strumento di legno e lo porto al petto, senza suonarlo. Continuo a piangere ma è come se le lacrime siano più leggere con l'odore delle corde e del legno.
Mi addormento così, con il ricordo di due fanali e il sapore salato delle lacrime.





AWAWAWAWAWAWAWAAAAAA
HAPPY 4TH OF JULY!!!
Ok, non aggiorno da mesi e mesi e probabilmente nessuno sta seguendo questa storia, ma ho finalmente finito scuola (ALLELUJA) e così ho trovato anche il tempo per rimettermi a scrivere questa storia un po' di merda (su, lasciatemelo dire) che continuo a portare avanti sfacciatamente.
Che ne pensate? Avete qualche idea su quello che succederà prossimamente?
Fatemelo sapere magari con una recensione e per ulteriori dubbi scrivete pure su ask! 
Un saluto!
Peach.


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