Ma le stelle quante sono

di scriverepervivere
(/viewuser.php?uid=712476)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci - Ma le stelle quante sono? ***
Capitolo 11: *** Epilogo - Ma le stelle quante sono. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


MA LE STELLE QUANTE SONO …
(introduzione)

Una vecchia canzone dice:
“Tu sai tutto sulla realtà del mercato e qui io ammetto di essere negato.
Ma a inventare quel che non c’è forse sono più bravo di te … Tu hai i soldi io la fortuna di trovar fiori nella spazzatura.
Perché a trovare quel che non c’è forse io son più bravo di te.”


E allora lascia perdere i conti e le cifre.
Sai dire quanto amore hai dentro? Un chilo? Un litro?
Non lo sai, eh?!
E allora lascia perdere la matematica.
Inventa quello che non c’è.
Perché quello che c’è è di tutti.
Ma se riesci a trovare quello che non c’è, be’, allora hai qualcosa di solo tuo. E se qualcun altro vede quello che vedi tu ,be’, allora hai trovato qualcuno che ti vive.
Non lasciarlo fuggire. Fermalo! Vivilo! Scrivilo!
Le storie solo come le persone.
Non sono fatte per stare sole.
Da qualche parte nel mondo c’è qualcuno che vive una storia che si rispecchia alla tua.
Guardati intorno!
Quel qualcuno non è tanto lontano da te.
E’ l’altra metà del libro.
Non perdere tempo a scrivere altre pagine …
Cercalo!
Il resto lo scriverete insieme.
Perché non c’è niente di più riuscito di due storie che s’intrecciano.
-Giulia Carcasi
 
 
Laura
 
A Milla e ai suoi sogni da principessa.
A mia madre,
e ai segreti che ci hanno diviso e unito.
A Giulia,
e ai sorrisi che mi ha regalato, anche da lontano.
A Louis, e a tutti quelli che non conosceranno un’emozione.
Alle stelle,
che ci guardano in silenzio.
A Ross,
che mi ha aiutato a contarle.
E, perché no?! , a me stessa ,
all’intensità in cui vivo.

 

 
 
Sono le sette e mezzo e sono pronta.
Do un bacio a mamma e alla mia sorellina, Milla, rubo qualche biscotto che poi mi ritrovo a mangiare alla fermata.
Faccio la solita corsa per prendere il posto, una conquista che dura un attimo.
“Ragazzina mi fa sedere? Ho il mal di schiena”
Il solito signore anziano a cui ogni mattina cedo il mio posto.
Mi guardo intorno: nessuno si alza, perché io?
Esito un po’, poi la diversità vince: mi alzo e lo lascio sedere.
E ora c’è proprio tutto, anche il solito “Prego”.
 
Il liceo è silenzioso, tutti aspettano la prima campanella delle otto e mezza.
Io aspetto fuori, mi siedo sul solito muretto, prendo il mio quaderno e la penna dallo zaino, e inizio a scrivere.
Scrivo qualche riflessione, qualche pensiero che ho su quest’ultimo anno di liceo. Pensieri che poi andranno buttati, che poi non vorrò più rivedere. Ma serve anche un momento di pausa, uno per dire stop.
 
Ultimo anno, dicono sia il più bello, ma per me è uguale a tutti gli altri, forse il peggiore.
E’ il più incasinato, tutti giocano a fare i grandi, gli esperti d’amore e delle bugie. Più incasinato ancora perché ci sono gli esami.
 
Ma alla fine si sopravvive a tutto, all’amore, alle bugie, agli esami, alla questione del “Me la cavo”
Si ok, te la cavi, ma con le cicatrici come la metti?
E io non voglio cicatrici.
Giulia me lo ripete all’infinito “Tu non voli perché hai paura di precipitare!”
Ma infondo, io sono fatta cosi, non per bruciarmi, non per volare.
Per stare con i piedi per terra.
 
Sono le otto meno un quarto.
Anche quel ragazzo arriva.
Un “ciao” spento, per poi mettersi le cuffie nelle orecchie e lasciarsi trasportare dalla musica.  
Indossa dei jeans un po’ strappati sul davanti, e una maglietta nera con un scritta bianca in rilievo.
 
In teoria non lo conosco, in pratica so tutto di lui: Louis Jonson, terzo anno.
Occhi color pece, capelli neri e un po’ scompigliati.
 
D’un tratto dalla tasca fa uscire un pacchetto di Marlboro, per un attimo penso che sia giusto fumare, poi scaccio il pensiero, io non lo farò mai.
Se lui fuma, ritiene giusto che tutti dovrebbero fumare nello stesso modo.
Lui la chiama popolarità, io schiavitù.
 
Alle otto e venti arriva anche la sua ragazza, capelli biondi occhi celesti.
Lui le dà un bacio, e lei non può fare a meno di ricambiare.
E io mi sento un po’ un’intrusa tra di loro.
 
La campanella suona, è ora di iniziare.
Metto via il quaderno e la penna Bic blu nell’astuccio.
Mi avvio verso l’entrata.
Sto al 3 piano , e arrivarci è un’impresa, non solo per gli spintoni dei ragazzi, o per il peso dello zaino, ma per la quantità delle scale che sembra non finire mai.
 
Mi siedo dove capita: noi non abbiamo compagni fissi.
Anche per questo ho poche amicizie, poche, ma vere.
Al primo posto c’è Giulia.
Ci conosciamo da otto anni e se le racconto un segreto so che la sua lingua starà zitta e ferma nel suo palato.
Ha un anno in più di me, e vuole diventare una Reporter in tutto il mondo.
Lei è mia sorella, il mio clone. Abbiamo tantissime cose in comune, e credo che la nostra amicizia non possa finire.
 
Andrea si siede accanto a me.
Capelli col crestino, pantalone strappato, maglietta stragriffata.
“Te l’ha fregato pure stamattina quel posto il signore?”
Faccio un cenno di si con la testa.
“Per me lo fa apposta, altro che mal di schiena”
Continua.
Andrea non si fida della gente, dice che è inutile, e infondo infondo siamo tutti paraculi.
Ross arriva in ritardo, come sempre.
“Ross Lynch, sei in ritardo di secoli”
Urla il professore, lui fa una faccia buffa e va a sedersi.
 
Le facce di Ross sono bellissime, sono facce di uno che non ti vuole fregare, di uno non dice balle: nessun autobus perso, nessuna chiave di casa introvabile, nessuna sveglia scarica.
Una volta ha detto “Scusi il ritardo, stavo a letto”
Ross è cosi, trasparente come l’acqua nei bicchieri.
 
Non è come Emily …
Se Emily è in ritardo s’inventa e scuse più assurde, una volta l’hanno fermata per un’intervista , su cosa? Non si sa.
E non si può non crederle, le dice con cosi tanta convinzione.
 
Ross si gira e mi guarda. Mima un “Ciao!” e poi si rigira.
E’ un imbarazzo veloce il suo, non lo da molto a vedere.
 
Andrea dice di Ross “Ross ti guarda”
Io alzo le spalle, mi sposto un po’ di lato per vedere il viso di Ross, e vorrei dire ad Andrea che a me frega di lui.
 
Ricci, il professore di latino e greco, ci assegna una versione per domani.
Metto i libri nel mio zaino azzurro, e mi avvio verso l’uscita.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca e mando un messaggio a Giuly:
 
Oggi non posso venire al cinema.
Ho una versione chilometrica da fare.
Salutami Brad Pitt.
 
Cammino verso casa, e noto Louis con le sue cuffie e la sua maglietta nera.
La chiamata di Giuly arriva proprio quando i nostri occhi s’incrociano.
Lui sorride. “Sei sorda?”
E io continuo a guardarlo mentre Giulia lampeggia sul display.
“Dai qua” prende il mio telefono e risponde.
“Pronto?”
“Pronto chi è?” risponde Giulia.
“Sono Louis, cercavi Laura?”
Ha detto Laura! Non è un caso se sa il mio nome.
“Le hai fottuto il cellulare?” chiede.
“No, Laura sta qui, davanti a me”
“Be’ dille che non ci sono storie, alle quattro passo a prenderla e andiamo al cinema”
Lui mi guarda e con una mano tappa il microfono del cellulare.
“Ti passa a prendere lo stesso. Sei fregata!”
“Dille che non posso, che se domani mi interroga sto nella merda”
Rispondo.
Louis leva la mano dal microfono.
“Laura non può oggi, deve uscire con me”
Io spalanco gli occhi.
“Ma chi sei tu? Quel tipo che sta in classe sua?”
Sbianco e penso che Giulia non poteva trovare un momento peggiore per tirare fuori Ross.
Per fortuna Louis non se ne accorge e va avanti.
“No, io non sto in classe sua. Comunque oggi pomeriggio Laura esce con me”
Louis attacca.
“Te la cavi bene con le bugie” dico.
“Quali bugie? Passo alle quattro”
Raccoglie il suo zaino e se ne va.
Io mando un messaggio a Giulia:
 
Devo fare una versione chilometrica
E poi devo uscire con un tipo fighissimo …
 
 
AUTRICE:
Salve! Vi ricordate di me? Be’, tanto tempo fa ho lasciato EFP perché non riuscivo più a scrivere. Ecco il nuovo account mio.
Ero una dell’Auslly e Raura Love
Eccomi con un’altra storia, e vi dico, che l’idea l’ho presa da un libro letto da poco, ma tranquilli, cambierò un po’ tutto, solo le basi ho preso visto che mi piaceva tanto.
Beeene, vi prometto che questa la finirò.
(spero)
Grazie per aver letto, lasciate qualche recensione.
Mary.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***



 Capitolo 2
 

 



Sono le tre del pomeriggio.
Mia mamma passeggia con Camilla in braccio.
Io la chiamo Milla, lei mi chiama Lalla.
E mi sembra ieri che fosse nata, le voglio un gran bene, ma certe volte mi viene da pensare che era inutile avere una sorella.
Non bastavo io?
Non ero abbastanza? Non ero come mi volevano loro?
Certe volte mi vengono questi pensieri … ho paura di aver deluso mamma e papà, cosi per riprovare. Ancora.
Caccio via subito questo pensiero, mi sembra assurdo, da una parte. Da un’altra più che giusto.
A lei basta dire "Mam-ma" per riscuotersi un "Brava!" e far sorridere tutti. Basta battere le mani, canticchiare un motivetto col cucchiaio da caffè come microfono. 
Per me è tutto un non-dovere: non devo fare tardi, non devo drogarmi, non devo andre sul motorino di Giulia, non devo fumare,non devo uscire senza permesso.
E mi fa difficile pensare che una manciata di anni fa ero anch'io cosi, che era facile, che bastava battere le mani ... 
Ma il tempo corre veloce, non ti avvisa, non ti dice che ti sta per raggiungerti e sorpassarti. 

Milla si tiene aggrappata alle spalle di mamma.
Io ho appena finito di tradurre la versione.
La rileggo cercando di trovare un senso compiuto: in fondo sono queste, parole ammucchiate, che fanno a cazzotti tra di loro.
Non si può fare meglio di cosi’.

Esco dalla mia camera, percorro il corridoio, e vado in bagno.
Mi faccio una doccia lampo.
Esco con l’accappatoio fucsia appiccicato alla mia pelle bagnata.
Mi guardo allo specchio e decido di mettermi più trucco del solito.
Tiro fuori il phon, asciugo alla svelta quell’ammasso di capelli, e ora si che intravedo le punte caramello che danno di me, un altro aspetto.
A Ross piacciono tanto.
Ritiro subito il pensiero, Ross? Ross, che c’entra adesso?
Tiro fuori il ferro e arriccio i capelli. Poi i trucchi, metto la matita, ma poca sennò sembro un vampiro, e dubito che a Louis piacciono i vampiri. Metto un ombretto color terra, e il rimmel.
Spargo un po’ di fard sulle mie guance ed esco.
Ora devo scegliere che mettere.
Jeans, una maglietta rossa senza maniche e delle scarpe da ginnastica, si, perché i tacchi non li sopporto.
 

Alle quattro in punto si sente il clacson, dev’essere lui.
“Laura un certo Louis ti cerca, dove vai?” urla mamma dal corridoio.
“Arrivo mamma!” salgo le scale e arrivo al piano di sopra.
“Allora?” aspetta una risposta.
“Devo uscire con questo ragazzo, viene nella mia scuola, va in III B”
E mi rendo conto che non so niente di lui.
“Mhmh” brontola.
“Torno presto, non faccio cazzate, tranquilla”
“Divertiti” dice, e mi lascia un bacio sulla guancia.
Chiudo la porta, Louis è li con i suoi occhiali da sole a specchio, jeans e camicia bianca.
Ha preso in prestito la macchina di suo padre.
 Ce ne andiamo in via del Corso.
La macchina la lasciamo sul Lungotevere, perché non abbiamo il permesso per entrare in centro.
Lui spulcia le vetrine e faccio finta di guardarle anch’io … Gli piace quella maglietta e deve assolutamente entrare a provarla, e poi quel pantalone e quel berretto …
“Sei vanitoso come una donna!”
“E tu sei seria come un uomo!”
Passiamo il pomeriggio a pungerci.

Poi ci fermiamo alla Fontana di Trevi.
“Aspetta un attimo!” dico.
“Vuoi buttare una monetina?” mi chiede Louis.
Già, perché se ti volti di spalle e butti una monetina, il tuo desiderio si avvera, dicono. C’è anche un altro rito: le coppie che bevono alla fontanella sul lato sinistro resteranno fedeli.
Leggende …
“Non credo a certe cose, ho solo sete”
Mi avvicino piano alla fontana, stando bene attenta a non scivolare (ci manca solo questo e stiamo apposto).
Torno da lui con le labbra bagnate.
Louis mi guarda. “Ho sete anch’io” si avvicina e mi bacia.
E prima resto li, immobile, in quel bacio, poi mi libero e mi rimetto a camminare.
“Che c’è?”
Non lo so.
Dentro di me c’è stata una riunione, e qualcuno ha deciso di dovermi staccare da lui. Non so chi è stato: se il cuore, la mente, il corpo o l’anima.
“Mi vuoi dire che c’è?” urla.
E io non sopporto chi urla!
“Non ha senso quel bacio!” dico.
"Come non ha senso?! Mi piaci, ti bacio" urla.
Fa tutto facile Louis: mi piaci, ti bacio.
Logico no?! E INVECE NO!
Non è logico, perché io non riesco a mettermi nei panni di tutti, nei panni del vecchio in autobus, nei panni di mia madre, nei panni della ragazza di Louis.
“Sai ho pensato, che se fossi la tua ragazza, adesso, non sarei al massimo della felicità, sapendo che ti baci con un’altra, che poi sarei io …”
“Ma tu non sei la mia ragazza”
Stavolta sono io a non capirlo.
“Tu sei una che fa tutto difficile” mi dice Louis.
Me lo dice anche mamma.
Me lo dice anche Giulia.
OK! Sono una che fa tutto difficile!

Torniamo alla macchina, zitti, lui apre la portiera sua, e io la mia.
“Io odio quelli come te” borbotto.
Louis guida attento, e si ferma al rosso.
Vicino a noi c’è un ragazzo su uno scooter, si aggiusta la polo azzurra tutto soddisfatto, e si ripromette che tra poco la raggiungerà.
Scatta il verde e lui schizza via: ha fretta di incontrarla, mentre Louis guida calmo.
“So come funzionano certe cose, Laura: oggi mi odi, domani avrai già cambiato idea”
“Non ci contare troppo”
“Ascolta: quella che sta a scuola non conta niente, è una storia che si trascina da qualche mese, praticamente finita. Lei sa che oggi uscivamo insieme”
E mi sento un po’ in colpa di aver dubitato.
“Non lo so, dovrei conoscerti meglio … prima di frequentarci”
Sono una che fa tutto difficile.
 

“Be’, com’è andata col tipo?” chiede Giulia al telefono.
“Mhmhm”
“Che vuol dire mhmhmm …? Sei diventata una mucca?”
E poi le spiego che il pomeriggio non è andato un granché.
Louis è uno che prende subito l’iniziativa.
“Bene, cosi ti ci vuole! Uno che non ti lascia pensare, ti marca e basta”
Le dico che il mio tempo me lo sono preso, per conoscerci meglio.
“Perché l’hai fatto? Basta Laura! Rischiatela! Possibile che non salti se non hai il materasso sotto?”
“E se poi cado sul marmo?”
“Se cadi sul marmo ti fai un po’ male e amen”
E poi cominciano le domande che io detesto.
“Con quanti ragazzi sei stata?” chiede.
“Zero” faccio una smorfia.
“Allora, Laura, non pensi che è l’ora di rischiare?”
Allora abbasso la cornetta, e mi chiedo se sono mai andata a scuola senza una versione fatta, senza aver studiato per l’interrogazione.
La risposta è no. Non per bravura, ma per paura.
E me lo chiedo anch’io.
Laura, non è il momento di rischiare?
 
 
E non so dove sto andando, ma
 so che sarà un lungo periodo di tempo.
E io me ne andrò al mattino, quando
entrerà la luce del sole bianca e amara  come il vino.
Voglio sentire il battito del tuo cuore,
stanotte.
Prima che il sole sanguinante prenda vita.
Voglio fare il meglio di quello che è rimasto e tenerlo stretto.
E ascolta il battito del mio cuore
Un’ultima volta.
Prima della luce del giorno.

-  Ellie G. 
 

AUTRICE:
Wei!
Eccomi con un nuovo capitolo.
Stiamo entrando piano nel vivo della storia.
Laura inizia ad avere l'idea di rischiare, ci riuscirà? 

Grazie a tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo, questo è un po' orripilante.
Ringrazio in anticipo chi metterà la mia storia tra le seguite/preferite/ricordate, ma non credo visto che ancora vi dovete fare l'idea di questa storia.
Be' è tutto. 

Al prossimo capitolo (speriamo)
RECENSITEE!

Mary :) 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Capitolo tre.
 


Le interrogazioni sono come una roulette russa: si sta in silenzio, e ci si passa la pistola carica.
Oggi ci sono tre pallottole, e io forse sono una di loro.
Ricci apre il registro.
L’adrenalina sale dai piedi, si arrampica fino ad arrivare allo stomaco.
Premo il grilletto, non esce niente. Salva!
Una scarica di adrenalina.
“Paolo, Andrea e Ross.” E’ toccata a loro la pallottola oggi.
Paolo ruba un 7, Andrea un 5 e Ross un 6 stracciato.
Ross che prende 6?
Impossibile.

E’ da qualche giorno che Ross è cambiato: pantaloni strappati, boxer di fuori, capelli un po’ spettinati. E cosi, non è più lui.
In pochi giorni si è legato ai tipi più in vista del liceo: basta avere lo sguardo spento e la maglietta giusta per conquistarsi la loro amicizia.

Suona la ricreazione: Ross se ne sta alla macchinetta con Emily. E lei se lo rigira come un calzino. M’immagino quali storie assurde si sia inventata per addomesticarlo: Magari quella volte quando è andata a fare surf alle Maldive e ha visto la pinna di uno squalo avvicinarsi: lei ha trattenuto il fiato per un’ora e ha fatto finta di essere morta e lo squalo se n’è andato.
E io mi chiedo: come si fa a trattenere il fiato per un’ora? Me lo chiedo solo io …
Ross sorride, e continua ad ascoltarla.
Due mani arrivano da dietro e mi tappano gli occhi.
“Chi sono?”
Non mi è difficile capire chi sia: Louis.
“Non lo so, chi sei?”
Allora lui toglie le mani e si mette davanti a me.
Me lo guardo, e faccio la disinteressata “Ah il tipo con cui sono uscita ieri pomeriggio …”
Lui non si perde una battuta.
“E con cui uscirai anche oggi … Alle quattro e mezzo, sotto casa tua”
* * *
 
 
Stavolta non arriverò in ritardo, lo giuro!
Scarto una barretta, con quello pranzo oggi.
“Non mangi oggi?”
Ecco mio padre che subito si preoccupa. Mi mette davanti le fettine d’arrosto con le patate. Gli faccio notare che ho già mangiato una barretta e che mi sento pienissima, anche se dentro lo stomaco sento l’eco.

Mi chiudo in camera.
Metto il cd di Giorgia, traccia n.3: Io fra tanti.
Mi piacciono queste canzoni che ti fanno innamorata, pure se non lo sei. Ascolto questa canzone e più mi convinco che sono innamorata, si, sono innamorata. Ma di chi? Forse dell’Amore, quello con la A maiuscola, che non trovi quasi mai.
Il ritornello delle strofa sale:
 
Come sarò, se ogni volta che riscrivo la mia storia,
perdo le pagine: nel tempo aspetterò,
che pioverà prima di amarsi affondo e sai …:
 

Canto a squarciagola, canto come se non ci fosse un domani, e mi convinco che, più canto, più quello è il mio destino.
La canzone continua.
 

Che solo uno fra tanti,
ti guarderà come sei
e viaggerà quando ridi,
nei pensieri che vivi ,
e negli sbagli che fai.
E solo a uno fra tanti,
importerà come sei,
come guardo io adesso il tuo viso,
mai nessuno al mondo cosi potrà mai.
Sono io fra tanti.
 

E io sento di più: si, sono innamorata.
Ed è facile pensare a Louis, che sta arrivando, che è vicino, più a portata di mano dell’Amore.


* * *

 
Sono le quattro e mezzo.
Louis è puntuale.
Dà un colpo di clacson e mi chiama al cellulare per dirmi che è qui sotto.
Raggiungo mia madre in salone.
“Io esco!”
“Con Louis?”
“Si”
“Vacci piano, eh”
“Guarda che mica stiamo insieme”
Lei mi guarda.
“Fai come ti pare, basta che non sia una cosa seria”
Le bacio la guancia “Tranquilla”
Lei non mi crede, e forse neanch’io.
 
Ce ne andiamo all’Eur, non al Laghetto o in viale Europa.
Facciamo tutte le stradine secondarie che stanno nei paraggi.
“Al 19 ci sta Giulia. Te la presento.”
“La prossima volta …” A lui non piace stare in mezzo alla gente.
Camminiamo per un’ora e lui non la smette di parlare di sé: della sua ex, del calcetto, dei suoi amici …
“Ci mettiamo seduti?”

Ci sediamo sui gradini del Colosseo Quadrato, quello che sembra un pezzo di gruviera e che io da piccola chiamavo “Il palazzo coi buchi”.
Gli racconto di quando da piccola papà mi portava qui a giocare.
Louis fa finta di sbadigliare.
“C’è un modo per farti stare zitta?”
Gli faccio notare che ho subito le sue storie sulla sua ex e il calcetto.
“Hai proprio il cuore di pietra!” Dico.
Lui prende la mia mano e se la poggia sul petto.
“Secondo te le pietre vanno così veloci?”
Il battito accelerato.
“Be’ quando rotolano si …” gli rispondo, e mi convinco che ho un dono: dico cose sbagliate nei momenti giusti.
Gli busso sul petto. “Eh si … proprio duro”

Lui si avvicina e mi bacia, stavolta non scappo.
Le labbra di Louis mi invitano a ballare con le sue, ma io non conosco bene i passi, le mie sono ballerine alle prime armi, che guardano quelle di lui e cercano di imitarle.
“Ahia!” si stacca e io divento rossissima.
Vorrei dirgli che le mie labbra non sanno stare al ritmo, non sanno ballare.

Poi mi vengono in mente le lezioni di Giulia.
Prima regola: mai dire al ragazzo che è il primo.
Si sentirà come uno che ha vinto una corsa, o cosa.  Sentirà di averti in pugno, e se ne approfitterà.
Io e lui ce ne stiamo zitti per un po’, ognuno con le proprie labbra al posto.
Poi lui fa diventare tutto più difficile.
“Non hai mai baciato?”
Faccio la vaga, meglio.
“No non è quello, è che ho avuto poche storie”
“Be’ si vede che il tuo ex era un tricheco e vi baciavate coi denti”
E ride.
“Ma che ti ridi?!” e mi rendo conto che Louis non è un principe, perché un principe non ti prenderebbe mai in giro perché non sai baciare.
Raccolgo la borsa e faccio per andarmene.
“Dove vai, scema?”

Mi prende una voglia matta di strappargli quel sorrisino dalla faccia.
“Vado dove mi pare, ah e ... scema lo dici a tua madre” e me ne vado.
“No Laura, non ci siamo proprio, mai mettere in mezzo i genitori”
“Sei uno stronzo!”
“E tu sei bellissima”
Lui scherza … io no.
“Non mi parlare mai più!”
Mi avvio alla fermata dell’autobus.
“Sei proprio una ragazzina”
Gli faccio un sorrisino tirato.
“Adieu” e salgo sul 715.
Lui sorride e m’insegue con le parole.
“Tanto non mi scappi!” e scuote la testa: sa che non è l’unico, l’ultimo addio, che ce ne saranno altri.

Lo guardo, lui sta li fermo, aspettando che io mi allontani fino a diventare invisibile.
Metto a fuoco i suoi occhi pece, e penso, che esistono degli occhi più belli dei suoi. Si, e io so di chi sono.

Sono quelli di Ross.


 
“Sarai per me,
saprò perché
così finisce questo inverno insieme a te.
Sarai per me,
Saprò se c’è
In questo immenso che non lascia spazio al tempo
Di capire …
Stupide parole, che fanno così male
E non è quello che vorrei adesso, non è quello: adesso che
Tu non ci sei.
In questi giorni da buttare, c’è chi non crede più,
che ci si possa perdonare.
Dimmi se mi vuoi adesso, dimmi se per te è lo stesso
Fare un passo di più, fin qui, fin qui da me.
Ti sento come il mare mosso, nascondermi io no, non posso
Nel tuo nero caffè di un Riflesso di Me."

-G.





SPAZIO AUTRICE:

Weilà gente bella <3
Ok, ho molte cose da dire ...

Punto uno: So di essere in un ritardo madornale, ma sono andata (finalmente) al mare yay! :) Quindi mi sto dedicando alla spiaggia, ma non ho scuse, quindi questo ritardo è debito anche alla mia schifosa pigrizia. Modesta? Lo so.
Punto due: Ok, grazie a tutti!! Delle recensioni e tutto il resto, ma siete fantastici!!! (faccio schifo con i ringraziamenti)
Punto tre: Sono felice che la storia vi piaccia già dal secondo capitolo, wow!
Punto quattro e ultimo: Per ripagrami del ritardo posterò il prossimo capitolo entro giovedì o venerdì.

Grazie per l'attenzione, come sempre accetto critiche e consigli, basta che recensite!!!!
See you soon 
Mary :) 
 

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


Capitolo quattro.
 

 


Louis non scriverà un messaggio per riprendermi.
E’ un tipo cosi: non lascia tracce di sé.
Ci vediamo a scuola il giorno dopo, e l’altro, e l’altro ancora.
Lui continua a parlare con la sua ex, e io resto in classe, affacciata alla porta mentre li seguo con lo sguardo.
Parlano fitto, non so di cosa, non riesco a sentire.
La campanella suona la fine della ricreazione.
Quelli del primo si affrettano a finire il loro panino per poi rientrare in classe.
Quelli dell’ultimo no: sanno ormai come funziona. Non rinunciano a un ultimo bacio, al secondo cappuccino, all’ultimo tiro di sigaretta. Hanno capito che la vita non va mai presa troppo sul serio, mai di fretta.

Andrea torna in classe e mi si avvicina. Si scopre il polso per guardare l’ora.
“Solitaria oggi?”
“Diciamo” e intanto cerco con gli occhi Louis e la sua ex. Non li trovo, li ho persi!
“A che pensi?”
“A niente!” rispondo d’istinto, e poi cambio discorso.
“Che hai fatto sabato sera, Andrea?”
E’ stato con una ragazza. Si sono conosciuti in discoteca.
Hanno ballato per qualche ora, sono andati a prendersi qualcosa da bere al pub e poi non si sa come si sono ritrovati abbracciati in macchina di Andrea, con i vestiti scomposti.
“Insomma … hai capito” mi dice con un sorrisetto sornione.
“In macchina?”
“E dove sennò? A casa mia ci stavano i miei a casa sua ancora peggio, c’era tutta la combriccola di nonni, zii e cugini”
“Dev’essere stato scomodo”

Lui mi dice di no, che infondo non ci pensi. Basta che stai attento ai guardoni, ma se metti i fogli di giornale sul cruscotto il gioco è fatto.
Penso alla mia prima volta, e mi riprometto che non sarà mai su un sedile reclinabile, che almeno la prima volta deve essere da fiaba, perché me la ricorderò per tutta la vita.
Penso, ma non dico.
Di questi tempi, è una colpa dirlo.
“Sono vergine!” e tutti ti sparano gli occhi addosso, e pensano che non sei normale o non ti ha voluto nessuno. E non capiscono che si può scegliere, dare tempo al corpo.
Mi risparmio fatica e lascio intendere ad Andrea che anch’io, anch’io mi vedo con un ragazzo.
Con chi? Ah, non lo so nemmeno io.
“Non lo conosci …”
Non può conoscerlo, non lo conosco manco io.

Poi Andrea riprende a raccontare, e dice che appena ha visto in faccia questa ragazza si è spaventato e l’ha lasciata.
“Era un mostro, peggio di Shrek! Prima sembrava una fata, poi mi sono svegliato e accanto c’avevo ‘sta strega”
L’alcool fa brutti scherzi.
Ricci entra in classe, e si siede al proprio posto.
Mentre Silvia di Giosio distribuisce i compiti, io voglio sapere com’è andata a finire la storia di Andrea.
“Be’, ti sei pentito allora?”
“No no, farla è stato bello”
E mi prometto che non lo farò mai in macchina, lo farò da lucida, cosi evito le sorprese al mattino.
Silvia dà il compito a tutti e commenta: “Bravo Ross! …. Peccato Andrea! ….. Mi dispiace Paolo ….”
Partecipa con noi, come se fossimo tutti amici suoi.
“Complimenti Laura!” e sorride.
E’ nata bugiarda, e bugiarda resta: sa che io la odio e so che lei odia me. La cosa è reciproca.
 
Io penso che ognuno è nato senza qualcosa.
Silvia è nata senza sincerità.
Andrea senza rimorsi.
Emily senza vergogna.
Ross senza maschere.
Io senza paracadute.
E Louis?
Be’, lui è nato senza di me.
Mi piace pensarlo cosi, come un muro con una crepa.
E io sarò il suo stucco.
E lui il mio paracadute.
Si, va bene, ma se lui non mi chiama come faccio a volare?
Non lo so, per ora resto a terra.
 
“Marano, può scendere dal bidello e vedere se ti fa venti fotocopie di questi appunti?” mi chiede Ricci.
Sono gli appunti di quando lui stava all’università, fogli che nessun essere umano è in grado di leggere.
“Certo, professore!” e scappo. Mi faccio una passeggiata per la scuola, prendo un caffè alla macchinetta, vado in bagno e poi scendo al piano terra, davanti alla presidenza.
Il bidello non c’è.
Mi affaccio in segreteria.
“Dov’è Massimo?”
La segretaria mi risponde che è andato ad aggiustare le lampade in palestra, c’è da aspettare un po’, anche un altro ragazzo deve fare le fotocopie.
“Laura devi rispettare i turni: ci sto prima io”
E’ Louis.
Gli faccio una sottospecie di saluto.
“Anche tu?”
Già … gli faccio vedere i fogli di Ricci.
“Questo scrive come un serial Killer!”
“E tu?”

Mi fa vedere le domande di letteratura che Malari darò domani ai ragazzi della prima.
I miei occhi s’illuminano “Ho un’idea”
E lui dice che le mie idee lo spaventano.
“Dai! Fai una buona azione” cerco di convincerlo.
Massimo arriva e prende i fogli.
“Quante ne devo fare?”
“Ventitrè” risponde Louis.
“Ventiquattro”
“Decidevi: ventitrè o ventiquattro?”
Allora Louis risponde di nuovo “Ventitrè!”
E io di nuovo “Ventiquattro!”. Non mollo la mia idea.
“Vabbè, ne faccio ventiquattro … però mettetevi d’accordo!” dice quel poveraccio.
La copia in più la prendo io, la metto sotto la maglietta.
Louis raccoglie le altre ventitrè e scompare. E penso che è brutto come finale, che poteva aspettare che le facessi anch’io.
Do a Massimo gli appunti di Ricci “Di queste, venti”
Prendo le mie copie e dico “Grazie!” e mi avvio a tornare in classe.

Passo davanti gli spogliatoi della palestra, ai ripostigli dei bidelli …
Una mano mi afferra il polso e mi trascina dentro.
E subito chiude la porta.
Louis è cosi, ti prende alla sprovvista.
“Io vado, altrimenti Ricci mi da per dispersa” e metto la mano sulla maniglia della porta.
“Te ne vai senza salutare?”
Gli do due baci sulle guance. “Almeno questi li so dare …”
“Secondo me ti serve più pratica, e dopo sai dare pure quelli sulla bocca. Se vuoi posso fare da cavia”
E per un attimo, mi dimentico della regola numero uno.
“Sai, io non ho mai baciato”
Lui mi dice che gli fa piacere e che l’aveva capito.
Poi aggiunge:
“Be’, e allora cerchiamo di darlo bene questo primo bacio”

E io capisco che devo tenere lontani i denti e giocare solo di labbra. Emi piace si, stavolta mi piace.
La porta dello stanzino si apre leggermente.
Intravedo Ludovica che parla con Massimo.
“Hai visto Laura? Quella che sta in classe mia?”
Massimo le dice che ho fatto le fotocopie una decina di minuti fa e che poi sono sparita.
La porta si apre ancora di più, e io esco, con la faccia arrossata e il fiato corto.
Emily mi guarda storto. “Ricci ti da per dispersa”
Poi squadra Louis, lo spulcia da testa a piedi.
“E brava Laura Marano …”
Louis si pulisce la bocca col dorso della mano e risponde:
“Guada che non stavamo facendo niente. Laura s’è sentita male dopo aver fatto le fotocopie. Si sentiva svenire. L’ho accompagnata qui e l’ho aiutata a bagnarsi la fronte”
E io sono contenta che lui abbia trovato una bugia per me, perché io non sarei mai riuscita a trovarne una cosi buona.
Gli occhi di Emily continuano a guardarlo ed è come se dicessero “A me non freghi …”
Ma anche se gli occhi parlano, le bocche stanno zitte.
Emily dice “Sbrigati” e risale in classe.

Le dico di aspettarmi: meglio essere in due.
Controllo se ho ancora il foglio delle domande di letteratura sotto la maglietta. Si, è ancora li.
Salgo le scale e rientro in classe.
Emily parla fitto con Giada. Già lo so che stanno parlando di me, di Louis, dello sgabuzzino. E mi piace pensare che tutto il mondo sappia: Laura Marie Marano ha trovato il ragazzo giusto, quello che tutte vorrebbero.
Ma ora è suo.
SUO.
E devono stargli alla larga.
Io distribuisco le fotocopie.
Ross se la legge tranquillamente, Emily ne strappa un pezzo e ci butta la comma, Paolo comincia a tagliarle a striscette, Andrea mi chiede “Che ci faccio? Mi ci pulisco il culo?” e gli rispondo che è una buona idea, vista la situazione.
La campanella strilla: la giornata è finita.
Vado davanti alla classe di Louis.
“Dai!” gli dico.

Lui si da una mossa ed esce. Facciamo le scale, per arrivare alle prime.
“Ci faranno una statua” dico.
Dalla porta esce un ragazzino di quindici anni.
“Domani Malari vi darà queste, falle girare” e gli passo il foglio con le domande del compito. E gli occhi di quel ragazzino brillano, ed è subito un passaparola.
Mi dicono che sono una grande.
Lo guardo come dire: “Hai visto?” e lui smonta subito il mio entusiasmo.
“Se ti scoprono sei fottuta”
E non capisco: Perché “sei fottuta” e non “siamo fottuti” ?
Lui non combatte con me.
“Chissenefrega ….. Bisogna rischiare per un po’ di felicità”
Ho detto proprio “bisogna rischiare” e non credo a me stessa.
 
 



Ci siamo amati cosi, dentro un ripostiglio di scuola.
“A che ti serve dimostrare che stiamo insieme?” mi chiedeva Louis.
A sentirmi meno invisibile.
Non bisognava amarsi davanti a qualcun altro.
“Ti vergogni di me?” e pensavo che non ero adatta, che ero troppo poco per lui.
Troppo poco perché io faccio la difficile mentre lui sa vivere.
“No!” rispondeva deciso.
E allora perché?
“Non voglio far soffrire Sara.”
Sara la sua ex.
“Ma cosi fai soffre me …”
“Tanto tu sei forte … tu le capisce certe cose” diceva lui.

Si, io sono forte … sono di granito …. Le capisco certe cose.
Io, che mi metto nei panni di tutti, i miei no, i miei li lascio nell’armadio, tra la polvere.
Ma ogni tanto mi stancavo di usare quei panni usati, che appartenevano ad altri, che non erano della mia taglia.
“Basta Louis … sono stanca di capire …. Lasciami stare”
Aprivo la portiera della macchina e mi avviavo a casa. E lui mi seguiva fino al portone, mi prendeva per il polso, mi stringeva forte.
“Mi fai male!”
Continuava a stringere e a ripetere: “Resta ho bisogno di te!”
Allora chiedevo al mio cuore se anch’io avevo bisogno di lui. Si, e restavo.

A volte cercavo di resistere, di non dar retta al cuore.
“Lasciami!” e lo guardavo con i miei occhi pieni di rabbia pronta a sciogliersi. Slacciavo la mia mano dal suo polso e continuavo per la mia strada.
Chiudevo il portone di fretta, e salivo le scale, senza mai guardarmi indietro.
Di corsa.

Perché è istinto pensare che se corri avanti ti sarà più facile non guardare indietro.
Ma le regole della prospettiva non sono valide in amore.
Puoi andare lontano mille miglia, mesi, anni, ma basterà girarti un attimo, abbassare solo per un secondo le difese e lasciarti vincere dal ricordo, per ritrovarlo lì, bello come sempre, con i suoi occhi appiccicati ai tuoi, con la sua mano che cerca di trattenerti.
Ti basterà quell’attimo per farti capire che non sei andata poi cosi lontano, che non hai fatto tanta strada.
Basterà farti risentire fragile, a ridarti l’affanno.
Ma questo l’ho capito dopo.

A quei tempi mi bastava solo scappare, fare le scale di fretta e pensare di averlo già dimenticato.
Poi però m lo ritrovavo nel cuore, in un gesto distratto che tanto piaceva a lui, nei capelli lasciati sciolti per farli accarezzare meglio, nel vestito del primo appuntamento, nelle scarpe della fuga.

Me lo ritrovavo sotto casa, alla penombra del portone.
Una rosa in mano e uno “Scusa” in bocca.
E tante promesse …
Tante.
“Sarà tutto diverso” diceva.
Accettavo la rosa, e gli credevo.
Salivo le scale, con una spinta nei piedi, con la voglia di camminare, di nuovo, al suo fianco.
Prendevo la rosa e la mettevo in un vaso.
Quanta acqua le davo, quante energie.
Dopo qualche giorno era appassita, sapeva di vecchio.
Il nostro amore era un po’ come lei.

 
 

 
 
 
 
Ne ho visti di inferni, e lo strazio
lo tengo dietro al mio iride.
Qualcosa giace nel mio stomaco.
Altro che sembrava invincibile, è
morto sulla mia pelle lasciandone i segni.
Ne ho visti di mostri, ma non erano dentro di me.
Dentro di me ci sono sempre stata soltanto io.
Sono sempre stati là, fuori.
Pronti ad aggredirmi con le loro violenze multiformi,
anche nel silenzio, soprattutto con l’inganno.
Da quegli inferni ho estratto i miei sogni,
da quegli inferni io ho fatto il mio Paradiso.
- Mary

 






SPAZIO DELL'INAFFIDABILE AUTRICE:


Lo so .... Lo so .... Lo so ... 
Avevo detto che avrei aggiornato giovedì.
Ma ...per scrivere questo capitolo c'ho messo una settimana!
Che poi diciamo la verità, fa davvero schifo :(
Mi odierete anche perchè ancora non s'è vista l'ombra di Raura, e c'avete ragione.
Ma voglio che questa storia vada lenta, che si possa capire tutto.
Con questo capitolo, siamo dentro la storia! 
 ALLELUJA! 
Ditemi anche cosa ne pensate della citazione finale, l'ho scritta io :)
Come sempre accetto critiche e consigli, va bene anche una recensione di una riga.
RECENSITE!
P.s: Stiamo cercando di aggiornare anche "Teen Beach Movie 2 ... cosa succederà?" ma sapete, su una chat di whastapp ci sono mooooooolte distrazioni! 
Devo ringraziare tutto il TeamEFP che ogni giorno, mi fa sentire allegra anche nei momenti più tristi, meno male  che ci siete! 
In quanto a qualche spoiler, potete contattarmi in privato e per chi ha il mio numero subito in chat.
Faccio cosi perchè devo ripagarmi del ritardo madornale.
See you soon yay!
Mary :)

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


 Capitolo cinque.
.
 
 

E’ martedì è mattina.
Ross non è venuto, deve essersi messo nei casini coi suoi nuovi amichetti.
Mi fa difficile pensare che Ross sia cascato ai piedi di Emily.
Lo facevo diverso.
Andrea entra, chiede alla prof di inglese e chiede se può parlare a tutta la classe. Si mette davanti alla cattedra e inizia a strillare :“Il preside ha autorizzato la festa d’Istituto. Domani sera dalle nove all’una, il biglietto costa cinque euro a testa. Lo dovete comprare da me.”
Mi avvicino ad Andrea e gli chiedo due biglietti.
“E l’altro per chi è?” mi fa l’occhiolino e mi dà di gomito.
E io resto li, senza dire niente.
Non so se a Louis piacerebbe sentirmelo dire.
Per il mio ragazzo.
“Per un amico”
“Si vabbè, mo si chiamano amici …”
E glielo assicuro: è solo un amico.
Anche se stiamo insieme da sei mesi, sei mesi oggi.
La campanella della ricreazione ci libera.
Prendo i miei due biglietti e li metto nella tasca dei jeans.
Louis e io ci incontriamo nel cortile della scuola.
Mi metto seduta sul muretto, e lui resta davanti a me.
“Stasera ti porto in un posto carino, cosi festeggiamo il nostro sei-mesiversario”
Gli ricordo che in questi mesi ci siamo lasciati e ripresi non so quante volte.
Sono stati sei mesi intensi: nessuno sa amare e far tanto male come lui.
“Ti passo a prendere alle otto” e già fa per tornare in classe.
Lo raggiungo con la voce.
“Sai la sorpresa più bella che mi puoi fare?”
E lui si ferma ad ascoltarmi. “Qual è?”
“Stare insieme a me davanti agli altri, Louis! Non voglio essere più un’ombra”
E abbasso lo sguardo, come se mi fossi pentita delle mie stesse parole, ma no, non è cosi.
Louis si avvicina e mi bacia, due baci veloci, sulle guance.
Da buoni amici.
Infilo la mano nei jeans, i biglietti stanno ancora la, in silenzio, nascosti.
Quei biglietti stanno con me.
 

* * *
 



Torno dalla piscina, svuoto il borsone, metto a lavare il costume e l’accappatoio e vado a prepararmi.
“Mamma, stasera esco!”
Non chiede più “Con chi?” non è scema.
Stasera voglio che tutto ricominci, voglio fare marcia indietro e ripartire. Si, stasera lo convincerò. Dobbiamo stare insieme alla luce del sole.
Ho comprato un vestito nero: un tubino avvitato che mi arriva fino al ginocchio, con una scollatura da vertigini.
Il vestito scorre liscio sulla pelle ed è sexy. Mi guardo allo specchio e mi convinco che sono bella.
Laura, sei meglio di Emily, di Sara e di tutte le altre.
Giulia passa da me; mi dà una mano a truccarmi.
“Sei d’infarto!” dice.
Ci chiudiamo in bagno.
Giuly tira fuori la sua trousse e comincia a truccarmi e quella roba brucia sulla pelle e stuzzica i miei occhi.
Ma la regola numero due parla chiaro: chi bella vuole apparire, qualche pena deve soffrire.
“Io propongo di andare su un ombretto bianco, cosi fa da contrasto col vestito scuro, ok?”
“Tu sei l’esperta” mi fido.
Giuly passa il dito nella scatolina e sfuma l’ombretto sul dorso della mano per raggiungere la tonalità giusta.
Ne esce un bianco delicato, puro.
“Stasera devi essere tra il bene e il male” dice ed emana entusiasmo da tutti i pori.
Io il mio lo trattengo nella pelle.
Mi passa il mascara sulle ciglia.
“Che bello poi questo vestito, dove l’hai preso?”
“L’ho preso in centro, in quel negozio che guardavamo da lontano con la bava alla bocca”

Giuly capisce subito che non mi è costato poco, che quel vestito è di una semplicità molto cara.
“Quanto?” e si strofina l’indice col pollice.
“350 euro” e abbasso gli occhi.
“COSA?! 350 euro per n pezzo di stoffa nero? No Laura, tu non sei tu, spendi 350 euro per un vestito che dopo Louis ti toglierà e butterà su una poltrona?”
E io le spiego che non andrà cosi, che io e Louis passeremo la serata insieme e basta. La serata, non la notte. E il vestito mi serve per farmi sentire meno invisibile.
“Vuoi dirmi che tu non hai pensato alla possibilità ….?” Chiede Giulia mentre mi passa il rossetto.
“Quale possibilità?”
Giulia smette di truccarmi, apre la porta del bagno per vedere se c’è qualcuno nei paraggi, no, non c’è nessuno, la chiude e riprende a parlare a bassa voce.
“Non hai pensato che STASERA può essere LA SERA?”
Fisso gli occhi a terra.
“Si, l’ho pensato”
“Sarà lui il primo?”
Non è mai stata più grande Giulia, cosi materna, quell’anno in più lo dimostra ora.
“Non lo so”
Mi viene voglia di piangere, un pianto di incertezza, di un guerriero che non sa se vuole combattere.
E Giulia mi abbraccia e mi ordina di non piangere.
“Solo se te la senti, Laura. Il tuo corpo saprà cosa fare, la testa no. Se il corpo fa resistenza, lascia perdere” e mi accarezza i capelli.
Un suono di clacson ci fa risvegliare.
“Ma quel ragazzo non conosce l’uso del citofono?” strilla mia madre. “Non gli salta in mente di prender quelle benedette scale e salutare i tuoi genitori?”
Giulia le spiega che tutti i ragazzi sono cosi: “A trovarlo un ragazzo normale, signora”
Allora mia madre guarda Giulia “Com’è bella stasera” ma si sente, un velo di preoccupazione, ha paura che sua figlia ami anche con il corpo.
Prendo la borsa e do un’ultima occhiata allo specchio.
Perfetto!
Giulia saluta mia madre e scende le scale con me. Prenderemo mezzi diversi, io andrò in macchina con Louis, e lei salirà sul suo motorino.
Louis scende dalla macchina e mi apre la portiera.
Io entro, e uno zainetto dell’Adidas mi sta tra i piedi.
“Mettilo dietro, cosi stai più comoda”
Lo sollevo e lo poggio nel sedile posteriore.
“Che c’è dentro?”
“Niente” e mette in moto.
 
 
Dopo mezz’ora siamo arrivati.
Entriamo nel ristorante, Louis mi prende per mano e mi porta in terrazza. Gioca a fare il cavaliere: mi apre la porta, mi sposta la sedia, mi versa l’acqua …
“Sei stupenda stasera!”
E io sono tutta un sorriso: sorrido con gli occhi, con la bocca, e sono contenta di aver speso 350 euro.
Il cameriere arriva, e ci chiede cosa vogliamo ordinare.
Louis prende i rigatoni all’amatriciana e ordina il vino, rosso.
“E la ragazza che prende?”
E la ragazza come sempre è impreparata. Apro il menu: solo cucina romanesca, di quella che ti resta sullo stomaco per anni.
“Prendo un’insalata”
Intanto arriva il vino.  Cerca di versarmelo, ma copro il bicchiere con le mani.
“No no, non lo voglio”
“Un goccio, ti rilassa!”
“Sono rilassata”
Non è vero, sotto la pelle scorrono molte paure …
I nostri piatti arrivano pochi minuti dopo.
“Ho preso i biglietti per la festa d’istituto” la butto là.
“Ah si? Con chi ci vai?”
Sta scherzando?!

“Scemo … ci vado con te” e gli ricordo la promessa: “Sono passati sei mesi, che senso ha continuare a nascondersi, fingersi sconosciuti a scuola e poi stare qui, a questo tavolo, baciarsi e prendersi per mano! Che senso ha, Louis? Spiegamelo.”
Sono diventata coraggiosa.
Lui mi guarda con sospetto.
Tolgo la mia mano dalla sua, la lascio libera, li, sul tavolo.
“E va bene, domani andiamo insieme alla festa. Sara se ne farà una ragione”
“Me lo prometti?”
“Si”
Non è spaventato per domani, sa già che le sue promesse non valgono un granché. Sono io che ancora non l’ho capito.
Louis paga il conto, mi mette il braccio intorno alla spalla, e ci avviamo verso la macchina.
“Ti porto in un posto carino ok?”
Gli faccio un sorriso impaurito.
Lui infila la chiave nel quadro e parte.
“Dove stiamo andando Louis?”
“Verso la Casilina”
E penso che l’amore ha un fuso orario tutto suo: mentre qualcuno dorme, altri cercano un posto tranquillo per fare l’amore.

“Eccolo!”
Louis ferma la macchina.
Ci sono tante casette prefabbricate, tutte attaccate.
Fastlove Motel si chiama.
Sono stanze prese e lasciate in una notte, senza stanze che hanno visto la fretta e la paura di essere scoperti, che hanno sentito tanti gemiti e poche parole. Scendiamo dalla macchina, Louis prende lo zainetto da dietro, saluta il portiere e si fa dare la chiave.
Camera 22.
“Il numero perfetto no?” dice Louis mentre mi accompagna tenendomi per mano.
La porta fa resistenza, ma con uno strattone si apre.
“Aspettami un attimo, entro e vedo se è tutto apposto”
“No, resta. Lascia tutto in disordine”
Lui fa come gli pare.

Aspetto li fuori, con il mio vestito da 350 euro, inadatto per queste casette, con il mio vestito di stoffa buona, che durerà più di un amore veloce.
Un uomo esce dalla stanza di fronte alla nostra, la 23: una sigaretta in bocca, il telefonino in mano, la camicia sgualcita, e la zip dei pantaloni abbassati.
Riesco a intravedere una donna dal trucco pesante raggomitolata tra le lenzuola.
Il suo cavaliere lascia la porta aperta per fare una telefonata.
“Marina, mi sono messo in viaggio ora. Certo che ti ho portato un pensierino da Napoli …”
E capisco che quella donna, Marina, non conosce la furba geografica di quell’uomo.
Un saluto veloce, e torna a viaggiare in camera, e penso che mi fa schifo … che il Tevere da vicino è sporco.
Sono stanca di aspettare: apro la porta della 22.
Louis si è portato le lenzuola da casa, la sta mettendo al letto, gli piace sentire pulito, io invece sto incominciando a sentirmi sporca.
“Mi riaccompagni a casa?” glielo chiedo stanca e con un po’ di nausea.
“Perché?”
“Non mi piace questo posto”
Gli racconto dell’uomo, della ragazza col trucco pesante, di sua moglie …
“Calmati, ora chiudiamo la porta e scompare tutto … l’importante è che siamo qui, io e te no?”

Louis mi afferra dalla vita e comincia a baciarmi, le sue mani s’intrecciano nei miei capelli, mi invadono la schiena alla ricerca della zip del vestito, ci si aggrappano e la costringono a scendere.
Ascolta l’odore della mia pelle. “Sai ancora di cloro …”
Arrossisco e mi giustifico: “E’ la piscina” e lo guardo negli occhi.
I suoi non hanno paura, i miei sì.
“Tranquilla, non ti faccio male”
Il vestito scivola giù, si arrende subito.
Louis non ha voglia di aspettare: si leva la camicia come se fosse una maglietta. Poi si leva i pantaloni.
E restiamo cosi: lui in boxer e io nel mio completo intimo.
Ci sdraiamo su quelle lenzuola fresche e io ho un brivido.
“Tranquilla non ti faccio male …”
E poi la sua fretta … la fretta delle mani … mani che vogliono concludere … mani che non danno tempo … E i suoi occhi, affamati e fermi.
E’ sicuro lui: sicuro di non farmi male, sicuro che è giusto, sicuro che mi piacerà.
Io no, io non sono sicura.
E vorrei che lui mi guardasse, con uno sguardo più incerto, e avesse paura per me, con me.
La sua mano scivola tra le mie cosce, cercando di farsi spazio, ma il mio corpo fa resistenza sa cosa fare.
Mi alzo dal letto, raccolgo il vestito e lo rimetto.
Louis mi afferra il polso.
“Che c’è?”
E non può capire.
“Riportami a casa”
Lui insiste. “Amami”
“No, non me la sento”
E lui sbuffa, raccoglie i pantaloni e la camicia e li rindossa.
“Mi dispiace” ripeto con gli occhi bassi.
Sono contenta, sento il mio corpo più rilassato, libero.
 

Sono le cinque di notte, saluto Louis con un bacio.
Non è poi cosi dispiaciuto.
Forse non aveva voglia di far l’amore con me, dovrei essere contenta: significa che lui non sta con me solo per portarmi a letto, ne può fare a meno.
Dovrei essere contenta. E invece non lo sono.
Vorrei vederlo dispiaciuto, arrabbiato, distrutto …
Non aveva tanta voglia di fare l’amore con me.
“Ci vediamo domani alla festa” mette in moto e se ne va.
Salgo le scale, prendo le chiavi e apro la porta.
“Entra piano che Camilla dorme”
E’ mia madre, mi ha spettato tutta la notte.
Mi guarda, ma non dice niente.
Entro in stanza e mi metto il pigiama.
M’infilo sotto le lenzuola, le mie lenzuola.
Mia madre entra e si siede sul mio letto.
“Cerca di dormire, almeno un po’, che domani devi andare a scuola”
“Buonanotte mamma” la stringo forte, come per dirle “Grazie!” , perché so che è restata sveglia per vedere come stava la sua bambina, se è delusa, se le è piaciuto.
L’ha aspettata per ore e ore la sua bambina, solo per farle quelle domande “L’hai fatto? Com’è stato?”
Mia madre non ha il coraggio di chiedere, e io non ho il coraggio di dire.
 



Camilla dorme nel suo lettino.
E non sa quante incertezze lo aspettano.
Crescerai, Milla, e sarà complicato.
Non ti basterà vedere papà battere le mani per saperti brava, per sentirti felice.
Imparerai anche a dire “Laura”, scoprirai che ci sono altre parole, parole che hanno più senso di quelle che usi adesso, o che, forse, non ne hanno per niente.
Parole senza senso, che ti faranno inciampare.
Scoprirai di avere un corpo e che anche lui parla.
E a volte ti verrà il mal di testa ad ascoltare tutte quelle voci.
Sarà difficile scegliere chi ascoltare.
Io stasera ho ascoltato il mio corpo.
E tu, Milla? Tu chi ascolterai? Chi ti aspetterà al portone? Chi cercherà di versarti il vino? Chi viaggerà sul tuo corpo?
Non lo so, Milla.
Però ci sarà qualcuno ad aspettarti.
Forse c’è già qualcuno e tu non lo conosci. Lo incontrerai per caso, tra molti anni, e ti sembrerà di aver vissuto solo nell’attesa di quell’incontro.
E solo allora ti sentirai viva.
Ti chiederà di amarlo col corpo.
E tu che farai? Tu chi ascolterai?
Non lo so, Milla.
Però ci sarà qualcuno ad aspettarti.
Ognuno di noi ha qualcuno che lo aspetta.
Be’, lascia che ti aspetti ancora un po’.
Prenditi il tuo tempo per giocare.
Buonanotte, Milla!
Sogna draghi e principesse e non pensare a niente.
Quel tempo è ancora lontano, quel tempo è il mio.


* * *
 


Stasera ci sarà la festa d’Istituto.
Il professore di italiano, Malari, m’incontra per i corridoi: “Marano, cerchi di non stancarsi e di non prenderla tanto sul serio questa maturità. Io e i miei colleghi la conosciamo da cinque anni ormai e sappiamo benissimo quanto vale, non ha bisogno di consumarsi per avere il massimo, non lei”
“Grazie professore, il fatto è che ho sempre paura di non dare abbastanza, di non essere abbastanza …”
“Lei non è abbastanza, lei è troppo! Si lasci andare alle debolezze, nella vita non si può essere sempre preparati”
Sorrido e torno in classe.
Andrea si avvicina al mio banco.
“Allora? Stasera vieni col tuo amico alla festa?”
“Si!” e dimostrerò a tutti che non è solo un amico.
“Va bene, ma se nel caso il tuo amico non venisse, ti passo a prendere io, con la mia Mini, basta chiedere”
“Grazie, comunque no, non serve”


Ross entra in classe, ride dalla testa ai piedi.
“Ma che ha fatto Ross?” chiedo ad Andrea.
“Stanno in tresca, Ross e Emily”
“E che sarebbe una tresca?”
“Ahò, Laura, prendi appunti: dicesi tresca quando due persone stanno insieme senza stare insieme”
“Stare insieme senza stare insieme … un concetto un po’ difficile …”
Andrea sbuffa.
“Una tresca è quando due persone si strusciano, paccano, fanno roba, senza essere fidanzati, senza stare insieme. E’ una relazione un po’ clandestina, e molto poco seria: della seria “Divertiamoci ed è morta lì”, capito?”
Faccio cenno di sì con la testa.
“Ma Ross lo sa che è solo una tresca?”
Perché Ross non è un tipo da tresca.
“Certo che lo sa!”
“Ok”
La campanella suona: anche oggi è finita!
 

Ross esce da scuola e raggiunge i suoi amici.
C’è un non so che di arrogante sulla sua faccia.
Non gli sudano più le mani quando mi parla.
Fuma disinvolto.
E’ lontano da me, lontano anni luce.
Eppure quante volte ci siamo guardati di nascosto. Quante volte ci siamo regalati un sorriso, senza motivo.
Ci siamo piaciuti subito, dal primo giorno di scuola.
Anche quel giorno Ross era arrivato in ritardo, con i suoi occhiali storti sul naso
 
E mentre se ne andava al posto era inciampato nel mio zaino
E a me era piaciuto subito quant’era goffo, quell’inciampare davanti a tutti.
Io ho il terrore di inciampare, non mi perdono un passo falso.
E Ross aveva il coraggio dei suoi sbagli.
Ci siamo spiati da un banco all’altro per quattro anni, senza dirlo quel sentimento. L’abbiamo lasciato crescere dentro di noi.
Anche quando i corpi erano senza forme, quando le magliette erano enormi e una prima di reggiseno era difficile da riempire.
E forse è l’amore più onesto che possa esistere: l’amore senza forme.

Louis non inciamperebbe mai davanti agli altri.
Louis non conosce l’amore senza forme.
Ross finisce la sigaretta e va via.
Io e Andrea restiamo ancora un po’ per vedere come si può risolvere l’interrogazione di domani.
Chi andrà volontario?
E ci rendiamo conto che nessuno se la sente, perché è da masochisti offrirsi all’interrogazione.
Emily esce da scuola adesso.
E io e Andrea ci salutiamo.
 
 
“Fammi sapere a che ora devo venirti a prendere, ok?”
“Ok” apro la portiera e scendo dalla macchina.
“Mi raccomando, Laura, eh? Qualsiasi problema mi chiami e ti vengo a prendere”
“Ok, papo!” gli do un bacio sulla guancia.
Mio padre si crede superman, pronto a proteggermi da tutto e tutti.
“Basta che fai un fischio e papà viene a salvarti” mi diceva da piccola quando avevo paura.
E la paura passava, anche se non sapevo fischiare.
Mi bastava saperlo lì, pronto a rialzarmi da terra, a versare acqua ossigenata sulle ferite, a soffiare e a dirmi “Ora passa … ora passa”
E quel dolore si metteva subito a fare le valigie, pronto ad andarsene.
Se n’è andato tanto tempo. Eppure la frase è sempre quella.
 
L’aula magna è piena di fumo e suoni.
Il dj ha già cominciato a far girare i dischi, a farli scattare avanti e indietro sotto la puntina.
Mi metto in coda e aspetto per entrare.
Una mano parcheggia sul mio sedere.
Mi giro e lo guardo storto.
“La tua mano sta sul mio sedere!”
“Ma dai! Non me n’ero accorto …” e sorride all’amico.
“La mano mettila da qualche altra parte”
Avanzo nella sala.
Allargo gli occhi più che posso, in cerca di una camicia bianca, dei jeans e una giacca che conosco.
Niente.
Allora cerco uno sguardo, un capello disordinato.
Niente. Non è ancora arrivato.

Andrea mi chiama dal corridoio “Laura Marano?”
“Presente!”
Si avvicina mi prende la mano e mi fa fare una giravolta.
“Stasera sei …. Wow!”
Sorrido e penso che è un bel complimento.
“E’ arrivato il tuo uomo invisibile?”
Louis è lì, al tavolo del buffet, che riempie il piatto di pizzette e patatine.
Lo inseguo e lo raggiungo.
Giulia non sarebbe stata fiera di me. Terza regola: in amor vince chi fugge.
Finalmente si accorge di me.
“Oh Laura, aspettami, arrivo subito”
Finisce di dire qualcosa all’orecchio dell’amico e usciamo dalla sala.
Mi porta in un’aula di scuola. “Almeno non ci disturbano …”
E io vorrei stare tra il fumo, la musica, farmi vedere insieme a lui, fa niente quello che voglio io.
“Louis voglio andare”

Lo prendo per il braccio e cerco di trascinarlo fuori, ma lui fa resistenza: “Si sta cosi bene qui, che ti frega di andare lì, in mezzo al casino?”
Lo guardo male.
“Se non vieni, vado da sola. Ho voglia di ballare”
Faccio per aprire la porta, ma il telefono mi squilla.
“Pronto?”
“Laura, non mi …”
La comunicazione è disturbata, la batteria è agli sgoccioli.
“Pronto? Pronto?”
Niente, il cellulare è morto.
“Ma chi era?” mi chiede.
“Mia madre, dovevo chiamarla per dirle a che ora finisce la festa, posso fare una telefonata a casa col tuo telefono?”
“Fai con calma, io raggiungo i miei amici in sala, ci vediamo la”
Esco dall’androne della scuola, e vado in cortile.
La musica si sente anche da qui.
Provo a telefonare a casa. Occupato.
Mia madre starà provando a chiamarmi oppure sarà al telefono con una delle sue amiche.
Faccio un altro tentativo. Ri-occupato.

Poi mi viene una pessima idea: leggere i messaggi.
Lo so che non si fa, ma che non so ingannare l’attesa, sarà la vocina che mi dice “leggili!” , sarà la curiosità, l’istinto ….lo faccio!

-> Menù -> Messaggi ->SMS -> SMS ricevuti

E una sfilza di numeri compare sullo schermo.
Mario, Luca, Francesco …
Provo a richiamare mia madre.
“Mamma ho il telefono scarico, ti chiamo da quello di Louis”
“Ah, volevo dirti che alle undici e mezza papà ti viene a prendere”
“Va bene, ciao”
“Ciao amore, divertiti!”
Mi restano quattro messaggi da leggere e già che ci sono …
Sono mandati da Internet, il mittente è sempre lo stesso: Emily.

E’ stato bello. Ho ancora voglia di te. Hai chiarito con Laura?”

Adesso finalmente capisco.
Capisco quell’amarsi di nascosto …
Emily non doveva vedere me io non dovevo vedere lei.
E Sara? La sua ex? Forse anche lei non poi cosi ex.
Doveva stare tutto apposto: ognuna nel cassetto giusto, nascosta, invisibile.
“A che serve dimostrare che stiamo insieme?” mi chiedeva.
Adesso capisco ed è pesante digerire tutto insieme.

“Ti aspetto al Fastlove. Ottima scelta per la stanza 22. Numero perfetto, no?”

E’ stato mandato alle sei di mattina.
Era il giorno del nostro sei-mesiversario.
Mi aveva riportato a casa alle cinque, mi aveva stropicciato il vestito, aveva appena assaggiato il mio corpo.
Hanno fatto sesso.
E io c’ero, il mio sapore era ancora li, aggrappato nei suoi capelli, sul suo collo, su i suoi vestiti. Era caldo di me.
Hanno fatto sesso, mi ripeto.
Perché non riesco a dire: hanno fatto l’amore.
Forse anche lei lo ama, meglio di me, perché lei sa amare con il corpo, io no.
Resto seduta sul muretto, mi stringo le gambe e guardo le ginocchia, per vedere qualche sbucciatura, qualche livido …
Niente.

Il brutto dei cuori spezzati è questo: che non ci puoi buttare sopra l’acqua ossigenata e soffiare mentre le bollicine camminano sulla ferita, che puoi tenerti solo i cocci.
E non ci stanno operazioni, e non ci stanno le medicine che li si possono mettere insieme, te lo devi tenere cosi il tuo cuore, rotto.
Resto seduta sul muretto.
“Basta che fai un fischio e papà viene a salvarti”
Stringo le labbra, soffio forte, ma non so fischiare …. Papà ancora non ho imparato.
Il ragazzo con la mano lesta mi raggiunge.
E io sbuffo.
Non ho voglia di parlare, tanto meno con lui.

“Ti ricordi di me o già ti sei dimenticata?”
“Come faccio a dimenticarmi di uno sconosciuto …” rispondo seccata.
“Be’, se vuoi ti dico come mi chiamo”
“Si, vai”
“Mario, il tuo?”
“Laura”
“Be’, vuoi una birra Laura?”
E io gli dico di no. Che sto già bene cosi.
“Ok” e rientra a scuola.
Louis si avvicina e sorride.
“Allora, l’hai fatta ‘sta telefonata?”
“Si”
“Ci hai messo una vita! Non avrai chiamato nelle Filippine vero?”
“No”

Cerca di fare battute, io non ho voglia di ridere.
Emily arriva in questo momento alla festa.
Ross è con lei, si avvicina, e mi dà due baci sulle guance. Anche Emily lo fa per imitazione.
E penso che neanche Giuda avrebbe osato tanto.
Ross e Emily entrano a scuola.
Io e Louis restiamo qui.
Non abbiamo niente da dirci.
“Oh, ma che hai fatto?”
Glielo devo dire? No, meglio lasciare stare.
“Niente”
Difficile fare finta di niente.
“Come niente? C’hai una faccia”
“Ti ho detto NIENTE!” e gli rimetto il cellulare in mano.
“Vai buon divertimento!” lo prendo per il braccio e lo spingo verso l’entrata.
“Tu non vieni?”
“No, non voglio rovinarti la piazza, vedrai che ti diverti più da solo”

Louis non se lo fa ripetere: “Ci vediamo dopo”
Il ragazzo coatto torna, due birre in mano.
Louis lo guarda per un attimo, prima di rientrare in sala, uno sguardo veloce, non dubita di me, sa di avermi in pugno.
Lo sconosciuto vede Louis che se ne va.
“Chi è, il tuo ragazzo quello?”
“No, uno che conosco”
“Ok. Ah, anche se non la volevi, te l’ho portata lo stesso”
“Io non bevo mai”
“E va bene!”
Dalla finestra della sala intravedo Emily e Louis: lui sorride e le sistema i capelli dietro l’orecchio.
“Stai all’ultimo anno Laura?”
“Si”
“Anch’io”

Intanto la musica pompa dalla sala.
“Bella questa” dice lo sconosciuto.
“Cosa?”
“Questa canzone, la bachata”
Allora presto l’orecchio e l’ascolto anch’io.
“E’ vero, è bellissima! Ho voglia di ballare”
E lui raccoglie subito la proposta.

Mi prende per mano ed entriamo in sala.
Emily e Louis continuano a parlarsi all’orecchio uno vicino all’altra.
Io e lo sconosciuto ci mettiamo al centro della sala.
Cominciamo a ballare, a muovere i fianchi a volteggiare nella sala.
Emily e Louis sono gli unici che non ballano.
Chissenefrega!
Io ballo col mio sconosciuto!
Passano 10 minuti, e la canzone è finita.
“Ora vado” spingo via lo sconosciuto da me.
“Ti accompagno!”
“No, vado da sola”
Sono le undici, tra mezz’ora mio padre verrà a prendermi.

Esco di scuola, mi metto nel cortile.
Louis mi raggiunge e si mette davanti a me.
“Ora, Laura, mi spieghi!”
“Io non ti devo spiegare niente!”
Scendo dal muretto e faccio per andarmene, ma lui mi trattiene per il braccio e urla.
“No, tu adesso mi spieghi!”

Cerco di liberarmi, ma lui mi stringe ancora più forte.
“Balli con uno e non mi merito una spiegazione?”
Allora mi fermo li, davanti a lui, metto i miei occhi a due centimetri dai suoi.
“Hai visto, ti piace? La so fare anch’io la troia!”
“Si, e ci riesci benissimo!”
Mi parte uno schiaffo.
Lui sta fermo, con i suoi occhi puntati sui miei. Neanche io mi sposto da li.
Gli chiedo piano, quasi con un sussurro “E la pelle di Emily? Anche la sua sa di cloro?”
Allora lui li porta in basso quegli occhi e si allontana.
Adesso sono io ad attaccare, lo afferro per il braccio.

“No! Tu adesso non te ne vai, di che cosa sa, Louis, eh? Dimmelo! Di che cosa sa?”
Lui mi guarda fisso e urla.
“Sa di sesso, Laura, sesso! Non scappa lei, contenta ora?”
Gli do un altro schiaffo. Glielo do perché ho perso forza nelle parole e allora quella forza la cerco nel corpo.
Mio padre parcheggia vicino al cancello della scuola.

Guardo per l’ultima volta Louis ed è meno bello e più dannato.
E i suoi occhi pece non hanno nulla da dirmi.
“Ciao, Laura”
“Vaffanculo!”
Mio padre sorride e mi fa un cenno con la mano.
Apro la portiera e salgo in macchina.
Lui ingrana ed esce dal parcheggio.
“Allora, principessa, com’è andata?”
“Benissimo.”
Sorrido, ma quel sorriso di bagna subito.
“Be’, che fai, piangi?”
Apro lo specchietto e faccio finta di sistemarmi il trucco dall’occhio.
Mio padre mi guarda preoccupato, poi sorride.
 
“Sai Laura, comunque passa tutto …”
“Ma papà, è il mascara!”
“Si, ho capito, però voglio dirti che anche se ora ti brucia, vedrai che tra un po’ quel bruciore se ne va. Ora vai a casa te lo sciacqui e vedrai che passa. Tutto passa”
“Puro l’amore passa, papà? Pure quello?”
Lui si fa serio e tira un sospiro.
“Pensa a toglierti il mascara adesso”
Il tempo tira brutti scherzi, corre avanti e poi ritorna indietro. E io sono di nuovo la bambina con i capelli mossi e bruni, che si teneva il suo ginocchio sbucciato e il suo papà le diceva:
“Ora passa … ora passa”
Passerà.
 
 

Milla dorme tranquilla nel suo lettino.
Quanta calma c’è nei tuoi sogni, quanta falsità nelle tue favole.
Ora te ne racconto una io vera …
Una principessa torna alle undici e mezzo di sera. Ha il mascara colato, però sorride e dice “E’ andato tutto benissimo! , ha un sorriso bagnato, però sorride.
Il ballo non è stato un granché: il suo cavaliere si è fatto la strega cattiva.
E tu Milla, non lo puoi ancora capire, ma è una cosa molto più grave, perché fare l’amore con un’altra è come uccidere, è una cosa bruttissima.
Ti piace, Milla, come finale? No?!
Be’, neanche a me. Ma il mondo che ti aspetta è cosi. E non puoi decidere tu il mondo, chi sei tu per deciderlo? Una pulce, come me.
Basta una schicchera per farti tremare le ginocchia.

Quanto mi sono tremate stasera
 
 


ANGOLO DELLA FANTASTICA AUTRICE:

*continua a ballare*
E arriva la fantastica autrice che se ne è uscita con 28 pagine di word e 4767 parole!!!
Voglio un applauso, perché la prima volta le ho perse tutte e le ho dovute rifare …. Anyway, questo capitolo segna la fine di una relazione molto furba, sigh …
Tutti: ALLELUIA!
Ok si … tutti aspettate il Raura che arriverà nel prossimoo!
Voglio tante recensioni, perché mi sono spaccata mezza mano per scrivere questo capitolo, e per renderlo comprensibile alla lettura.
(perché adesso lo è?) Apparte gli scherzi, ci ho davvero messo una settimana a scriverlo, e devo dire che mi sta scoppiando la testa e ho una mano incriccata.
Mi raccomando, voglio una bella recensione.
No, non uso il vorrei.
Perchè me la merito! hahahah no scherzo.
Grazie a tutti per le recensioni passate!
Al prossimo capitolo Rauroso.
Mary :)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


Capitolo sei.
 



“Laura, non vai a scuola?” mia madre parla piano e mi scuote.
“E’ tardissimo, sono le otto”.
“Non mi va”
“Dai, Laura, non fare la ragazzina, eh? Che già c’è Milla”
“Ti ho detto che non mi va”
“Pensi che a me va stare qui a preoccuparmi di te e Camilla? E tuo padre? Dov’è tuo padre? Mi dà una mano? Non c’è mai quell’uomo, un estraneo! Io vivo con un estraneo. Lui fuori tutto il giorno e io seppellita qui. Pensi che a me va?”
“Sono fatti tuoi! La vita è la tua. Ognuno pensa alla sua”
Allora mia madre mi sradica le lenzuola dal letto.
“Alzati! Immediatamente!”
“Ti ho detto che NON-MI-VA!”
“Però ieri ti andava la festa, eh?”
“Che vuoi dire?”
“Che te ne frega poco e niente di questa famiglia!”

Mi faccio seria.
“Stai scherzando?”
“No! E se mi mettessi anch’io a fare come te? Se uscissi tutti i giorni, anch’io?”
“Mamma, il tuo tempo l’hai vissuto, te lo sei giocato. Io non posso ridartelo, non è colpa mia se è scaduto”
“Ah non è colpa tua? Sai che c’è? Che se tu mi dessi una mano a casa e con Milla, anch’io avrei il tempo di curarmi, di andare in palestra … e tuo padre ….lasciamo perdere!”
E mio padre? Mio padre cosa?
Urla, urla come non ha mai urlato, Milla comincia a piangere, allora la prende in braccio per farla riaddormentare.
Poi si volta verso di me. “Sei contenta adesso?”
Me ne sto li , impalata a guardarla: cosa ho fatto?
E penso che a volte la tempesta te la devi subire cosi, senza un motivo, solo perché si vuole sfogare un po’.
Non ci sto: prendo i jeans e una maglietta dall’armadio e mi infilo le scarpe. Mi lego i capelli con un elastico, tolgo i libri dallo zaino e ci metto dentro il cellulare, portafoglio e occhiali da sole.

“Dove vai?”
Non rispondo, cammino veloce per il corridoio, verso la porta. E lei mi segue e urla.
“Brava, Laura! Scappa! Sei proprio matura …”
Basta, non la sopporto più.
“Ma che mi devi far scontare? Di che mi devo scusare? Dei miei diciotto anni? Mi dispiace Mamma, te li darei volentieri, tanto non contano nulla …”
Tolgo il chiavistello, apro la porta.
“E oggi non vado a scuola!” urlo prima di chiuderla alla mie spalle.

Giulia è arrivata, col motorino non ci si mette niente. Ma io su un motorino non ci salirò mai, se mi becca papà sono guai.
Dopo mezz’ora scendo dall’autobus.
Arriviamo a piedi al Laghetto dell’Eur, mettiamo i giubbetti jeans dietro le teste e ci sdraiamo sull’erba.
“Racconta.”
E io comincio a parlare, parlo senza sbilanciarmi.
A Giulia non piace quello che ho da dire, ogni secondo mi ferma per commentare.
“Brutta storia”, e scuote la testa, “Che puttana!” e spalanca gli occhi, “Certo che lui fa proprio schifo …”e cerca di farmi ridere con le sue facce buffe.
Passa un’ora e mi rendo conto di aver raccontato tutto.
Ed è strano pensare che sei mesi si possano impacchettare cosi, in un’ora.
Lei mi guarda e sorride. “Sarà contenta ora tua madre. Lei non l’ha mai sopportato quel tipo che non citofonava, che non veniva a casa a prenderti”
“Mia madre non lo sa, lei non sa niente. Non voglio che pensi che sua figlia è una che si fa prendere in giro …”
“Ma guarda che lo stronzo è lui! E comunque tu e tua madre … Perché non vi potete raccontare le vostre debolezze? Perché non vi potete mostrare fragili come siete? Sono sicura che quando proverai un’emozione, un’mozione vera, che ti toglie il fiato, che non la puoi nascondere, allora ti dimenticherai del tuoi ruolo e lei del suo. E la pianterete”
Io ci penso su.

“Dai, Laura. Non dire di no. Tua madre è tutta un ordine, e tu? Tu sei una che neanche ammette di piangere, è il mascara o qualche altre allergia … Cazzo, devi viverla Laura! Devi viverla tutta! La tua gioia, la tua tristezza. Non devi risparmiarti niente!”
Giulia mi abbraccia, e io mi sciolgo.
“Ma che fai? Piangi?”
“No no, lo sai che sono allergica … agli abbracci”
Lei ride, e io ci provo.
“Lo sai cosa ho scritto sul mio banco dell’università?”
“No, cosa?”
“Se la vita non ti sorride, falle il solletico!”. Mi afferra per i fianchi e mi inizia a pizzicare.
E io rido fino alle lacrime, e poi tutte e due ci troviamo a pancia in su, guardando quel cielo.
“Laura, ti ricordi di quando eravamo piccole e la Notte di S. Lorenzo andavamo in spiaggia a guardare il cielo?”
“Certo che me lo ricordo!”
“Ti ricordi? Tu puntavi il dito e ti mettevi a contare le stelle”
“Si, ma una rompiscatole me lo spostava e mi faceva  perdere il conto”
“Dai, tanto era impossibile. Non ce l’avresti mai fatta”
“Boh, da piccola pensavo: quando troverò l’amore potrò fare tutto, anche contare le stelle”
“E adesso?”
Adesso penso che sono tante, troppe …”
 
 

Un messaggio arriva nel mio telefono.
E’ la prima volta che mi manda un messaggio.
LOUIS
Oggi non c’eri a scuola. Devo parlarti.
E’ tutto un grosso, maledetto equivoco …
Rispondi.
Sorrido di amaro e scuoto la testa.
Spengo il cellulare, è questa la mia risposta.
 
 
 
 
“Vado al pub con Giulia!”
“Non andate in motorino, vero?” dice mamma.
“No!” e scendo le scale.
Sono le dieci.
Giuly parcheggia il suo motorino all’angolo della strada.
Mi allunga il casco e io ci penso.
“Dai Laura, mettiti ‘sto casco!”
Lo allaccio bene sotto il mento. Monto su e l’abbraccio forte.
Lei ruota l’acceleratore e dà gas. E non mi spaventa più questo gioco di equilibrio su due ruote. E’ un’altra la mia paura stasera …
Louis esce con la sua macchina.
Giulia e io gli stiamo dietro.
Qualche chilometro e già parcheggia, suona ad un citofono.
Una luce in salone indica la casa di Emily.

“Giuly, accosta!” scendo e tolgo il casco.
E vorrei chiamarlo, fingere di incontrarlo cosi, per caso, e dirgli “E’ piccolo il mondo …” , sorridere e portarlo via, prima che varchi quel portone.
Louis sale le scale. Dopo qualche minuto quella luce si sposta in un’altra stanza, più lontana, e si veste del mistero di una tenda, per poi spegnersi del tutto.
“Meno male che era un equivoco
Restiamo ancora un po’ li, a non guardare, a non fare niente. Ferme.
Poi lei dice “Andiamo”, mette in moto e accelera.
Mi tengo stretta ai suoi fianchi.
E mi sento più sicura, almeno ho la mia verità, adesso.
Quando hai la tua verità, devi essere contenta: sei libera.
Sei libera. Non possono più raccontarti storie …
 



Tu lo senti battere il mio cuore, Milla?
Io no, si deve essere scaricato.
Anzi, forse il fantasma di un battito c’è.
E ci sarà ancora per un po’.
Mi toccherà di ricordare lui e sarà triste o forse sarà bello, sarà ridicolo o forse sarà serissimo.
Ricorderò di lui, quello che è stato e quello che non sarà, quello che avrei voluto e non c’era.
Stanotte, però, ti faccio una promessa: non mi farò più prendere in giro, non mi farò bella per un appuntamento, non aspetterò una telefonata che non arriverà mai, non mi metterò a immaginare gli sguardi, i capelli di possibili amanti, non morirò di crepacuore, non mi chiederò se vorrà un bacio o di più.
Amerò le canzoni, i libri, il mare, gli alberi, i tramonti … so che saranno sempre li, per me.
L’amore degli uomini è diverso, Milla, si sposta veloce, passa da un letto a un altro.
E dov’è adesso Louis? E’ ancora a casa di Emily?
Forse è già a casa sua, hanno fatto presto.
Si, è già tornato a casa, nelle sue lenzuola e magari, per un attimo, se lo chiede anche lui: perché?
Perché finisce? Ma soprattutto, perché inizia?
Cene di sorrisi, gambe accavallate, mani che si sentono sole … Perché inizia?
Con le persone più assurde, con quelle che se le conosci le eviti, con quelle non funzionerà mai anche se ti sembra che sta andando alla grande … Perché inizia?
Non riesco a trovare una risposta valida, neanche una.
E sento che ho sbagliato tutto, dal primo momento.
E mi chiedo cosa sarebbe successo se l’avessi baciato li, davanti a tutti, se avessimo bevuto insieme l’acqua di quella fontanella in piazza di Trevi, se non avessi letto il suo cellulare, se gli avessi mandato un messaggio, uno ogni tanto, se non avessi scansato il suo corpo dal mio, quella volta, quelle volte …
Forse sarebbe stato uguale, forse no.
Forse è andata meglio cosi.
 


* * *
 


Sono in ritardo.
Cammino, respiro forte e me lo ripeto: si glielo dirò.
Perché lo faccio ancora non l’ho capito.
Forse per avere un po’ di conforto, per avere la certezza assoluta, per vedere se lei racconta o insabbia la verità, per sapere quanto lei sa, se lei è meglio di lui.
Forse, più semplicemente, solo per parlarne, perché magari se ne parlo starò un po’ meglio.
Entro in classe e faccio l’appello con gli occhi.
Emily non c’è.
C’è il suo zaino, però. Quell’Eastpak viola pieno di spille e porta chiavi.
Raggiungo Ross, gli chiedo dove sta Emily, lui niente, fiuta il pericolo e se ne lava le mani.
Si mette seduto sul banco, a fare da spettatore a un scena in cui anche lui ha ruolo.
Lo guardo meglio, cercando di ritrovare nei suoi occhi la trasparenza che conosco, ma non la trovo, qualcuno glie l’ha scippata.

Emily torna dal bagno con Giada, mi avvicino, cerco di controllare la voce, di farla stare calma.
“Ti devo parlare”
“Dimmi!” e mette il suo brutto muso davanti al mio.
Basta la sua faccia tosta a mandarmi in bestia, a farmi sguinzagliare la voce.
Punto gli occhi su lei. Premo il grilletto.
Parlo di Louis, il mio ex, dei messaggi che lei gli ha mandato e che lasciavano poco spazio all’immaginazione.
Non parlo del Fastlove, della stanza 22, del numero perfetto.
Forse per non sporcare troppo lei, forse per non sporcare Ross, forse per non sporcare me …
E le gambe mi tremano forte.

Lei nega, nega, nega!
Lei conosce solo di vista Louis, non ha neanche il suo numero di telefono. E poi i messaggi erano mandati da Internet, come faccio a incolparla per quella firma? , mica il c’era il suo numero nel mittente.
E io sono stanca di stare nei panni degli altri.
Ho i miei adesso.
Ho la mia verità e nessuno mi può spogliare …
“Non lo consci? E perché ieri ha dormito a casa tua?”
Le gambe sue sono più salde delle mie.
“Sei proprio una stupida. Ieri ho passato la notte col MIO ragazzo …” e lancia uno sguardo a Ross, lo mette in mezzo, lo usa come scudo.
I ragazzi sorridono, si danno una gomitata di complicità e si passano la voce: “Oh, hai sentito? Ross si fa Emily …”
E Ross se ne sta li, zitto, in mezzo agli altri.
“Diglielo, diglielo pure tu, Ross!” gli urla Emily.
E Ross esegue, conferma la sua versione.
Tutti tirano un sospiro di sollievo: sono solo paranoie di Laura, “Quella che si fa i castelli in aria” ridacchiano, sollevano le spalle e se ne ritornano al proprio posto.
La campanella ci dà il segnale: sono scadute le ore di buco.
Malari sta per entrare in classe, bisogna mettere le paranoie sotto il banco, infilare i pensieri nello zaino. Ma il mio zaino è poco capiente e anche se Malari entra in classe, me lo continuo a chiedere: Che ti prende Ross? Perché l’hai coperta? Perché hai manipolato la verità?
 E già so che la risposta me la può dare solo lui.
 
 
“Buongiorno, signora, c’è Ross?”
Me ne sto li, impalata, aspettando che la risposta si affacci dalla sua camera.
Lui arriva sbuffando.
Ci mettiamo in camera sua, una stanza piena di dischi, una batteria e due chitarre, una acustica e un’altra elettrica rossa.
Mi siedo sul suo letto da una piazza e mezzo.
Inutile girarci intorno.

“Perché hai coperto Emily?”
Ho bisogno della conferma di Ross.
Perché, anche se ho le prove, ogni tanto mi viene il dubbio.
Forse ho letto, visto male, forse non esistevano quei messaggi, forse si trattava davvero di un equivoco, forse ho i sensi sbagliati, tutti e cinque? , sarebbe bello poterci credere …
“Io lo so che tu non c’eri ieri sera! E lo sai anche tu. Dov’è finito il Ross che arrivava in ritardo e mi fissava mentre scrivevo, quello che pensava che per vincere non bisogna fregare qualcuno, quello che credeva in qualcosa?”
“E’ morto, Laura, morto! Adesso c’è un nuovo Ross, che funziona, che piace, si, piace alla gente!”
“Piacerà alla gente, a me no. Dov’è il vecchio Ross?”
Lui ci pensa e mi guarda, si alza dal letto di scatto, solleva il materasso e mi mostra il suo segreto.
“Giurami che non lo dirai a nessuno!”
Mi metto la mano destra sul cuore: “Te lo giuro!”, perché se giuri sul tuo cuore, allora quella promessa vale qualcosa.
Mi fa vedere un oggetto di metallo, e mi spiega che è una specie di lampada di Aladino.
“E tu cosa gli hai chiesto?”
“Di essere figo, come gli altri, di farmi Emily”

Mi racconta che l’ha trovato per strada, mentre tornava da scuola. C’è dentro una polvere che fa magie.
Prendo in mano quell’affare, lo guardo bene, sorrido, “E’ marijuana, Ross, solo marijuana. E questo è un chilum, uno stupidissimo chilum”
“Si, ok, però funziona”
“Certo che funziona. Funziona perché hai voluto allontanarti da te, dai tuoi problemi, l’hai voluto cosi forte che ci sei riuscito. Ma i problemi restano, pure se ti allontani! E adesso sei più incasinato di prima! Il Ross di prima sapeva dove stanno i sentimenti …”
Poi si confida, mi regala la mia verità.
“Ieri sera l’ho salutata alle nove e mezzo, dopo non so che ha fatto, se è andata con ‘sto Louis oppure no”
Torna il silenzio.
“Ha i fatto sesso con Emily?”
“Non tutto, ma praticamente …”
Ho un’altra domanda per lui adesso.

E mi accorgo che, forse, la risposta a questa domanda mi importa più di quella di prima.
La ami?”
“Non lo so …”
“Ross, la risposta ce l’hai dentro. Ricomincia ad ascoltarti, avrai le tue risposte.”
Io, le mie, le ho avute.
 



Tra meno di un mese ci sarà la maturità.
Ogni tanto scontro Louis tra i corridoi di scuola, lo intravedo nell’androne, in palestra, al cancello.
Lui cerca di avvicinarsi e parlare del più e del meno, io scanso i suoi formalismi e ritorno in classe.
Il suo ricordo è forte come un pugno: un uppercut ben tirato. Ma farò palestra, mi allenerò a non pensarlo.
Emily e Ross non si parlano più.

E adesso io e lui stiamo in banco insieme, che è una cosa strana per me, che non ho mai sopportato di stare tutti i giorni con la stessa persona e dividerci i libri.
“Ma che è successo tra di voi?” gli chiedo all’orecchio, mentre Ricci finisce l’ultimo girone d’interrogazioni.
E le mani di Ross tornano a sudare, ma non le nasconde più: sa che mi piace il suo imbarazzo.
“Non ci parliamo da quando sei venuta a casa mia … la sera sono andato da lei, voleva farlo, ma non me la sono sentita e sono scappato come un ladro”
 


Flashback …

Emily mi comincia a spogliare: slaccia i bottoni della camicia e poi giù, a sfilarmi i jeans.
Poi faccio lo stesso, ma per me è più facile perché non ci sono bottoni da convincere: un top nero e una mini militare.
Lei ha ancora caldo, si toglie il tanga e il push-up.
Resta col suo corpo nudo davanti al mio, un corpo di cera, che non conosce brividi, non ha freddo e non chiede protezione. Un corpo che sta bene da solo.
Si stende sul letto, “Vieni!”, e io la raggiungo.
Poi la “bambina” pensa che anch’io ho caldo e mi sfila i boxer.
Ma il mio corpo è diverso dal suo, non sa stare da solo.
Emily mi bacia il collo e poi il petto, mi sfiora e cerca di farmi capire che è il momento.
E io voglio starmene ancora un po’ qui, a baciarla.

“Ma tu mi ami?” le chiedo col fiato corto.
“Si” risponde col fiato più corto del mio.
Non mi chiede se la amo, per lei non fa differenza.
“Perché?”
“Perché si!”
Troppo facile …
“Dimmi perché!” insisto e continua a morderle il collo.
Allora lei ci pensa un attimo: “Perché mi fai sentire pulita”
Emily ha ragione: amare ha a che fare con il pulito.
“Ce l’hai?”
“Si, sta nella tasca dei pantaloni. Vuoi che …?”
“Si, prendilo e scartalo”
Me ne sto li, a guardarle il viso: ha le labbra sottili e le guance dure, non le avevo mai notate. E’ quasi brutta.
“Dai, sbrigati”

Mi stacco dal suo corpo e vado a prendere il preservativo nei pantaloni.
Infilo le mani nelle tasche.
Nella sinistra: niente.
“Perché mi fai sentire pulita” ha detto.
Ma io con lei non mi sento cosi.
Infilo la mano nella tasca destra: un rettangolo di plastica lucida mi sfiora i polpastrelli.
“Li ho dimenticati a casa …” le dico senza guardarla.
“Stai scherzando?”
“No”
“Vabbè, facciamo senza …”
“Senza? E poi come fai?” le chiedo con le spalle al muro.
“Prendo la pillola. Non preoccuparti, non ti metto nei casini”
E io ho le spalle ancora più attaccate a quel maledetto muro.
“No, di farlo non me la sento”
Infilo i pantaloni e la camicia, mi rimetto le scarpe. “Adesso devo proprio tornare a casa, mi dispiace che è andata a finire cosi, sono stato proprio stupido a dimenticarli”
Le do un bacio e scappo.
 
Tolgo la catena al motorino.
Mi metto il casco e salgo a cavallo.
Infilo una mano nella tasca destra dei pantaloni: il preservativo non si è mosso di li.
Forse sto sbagliando ancora una volta.
Emily domani dirà a Giada, storcendo la bocca “Mi sa che è gay!” o forse penserà che ha perso un po’ della sua D maiuscola, non è più tanto Donna, e non dirà niente a nessuno.
Giro la chiave nel quadro.
Il motore tossisce, si è ingolfato.
Provo a dare gas, non sia mai si risvegli qualcosa … Niente, il mio motorino non ne vuole sapere.
Torno a casa a piedi.
Meglio cosi, ho ancora l’eccitazione addosso, e mi ci vuole un po’ per sbollire.
Il motorino lo porto via. Sarebbe una scocciatura lasciarlo sotto casa di Emily e riandarlo a prendere la mattina dopo.
Quell’ammasso di ferro cammina con me e intanto gli racconto una storia, la storia di un ragazzo che è tornato.

Fine Flashback.
 

Sorrido, non sono l’unica a scappare, a non sentirsela.
Si, Ross è tornato quello di prima.
Più bello, però: si è messo le lenti a contatto e veste con meno scritte e più senso.
Il martedì e il giovedì andiamo in piscina, combattiamo insieme l’acqua.
Gli si sono allargate le spalle, gli sono cresciuti i muscoli.
E ogni tanto, per scherzare, contrae il bicipite.
“Tocca ferro!” dice e io pigio col dito su quel muscolo.
“No, non ci siamo ancora, ce ne ho molto più io …” tiro su le maniche della maglietta e gli faccio vedere un bicipite che non spaventerebbe nessuno.

Lui mi guarda e storce la bocca “E dove vai con quello?”
“Guarda che hanno tutti paura del mio bicipite …”
E lui non ci crede.
“Dai, facciamo a braccio di ferro!” lo sfido.
A ricreazione ci mettiamo con i gomiti sul banco.
“Non c’è gusto …” dice dopo aver accompagnato lento il mio braccio sul banco.
“Ti ho lasciato vincere, come al solito …” gli spiego e ce ne andiamo a prendere un caffè alla macchinetta.

Il pomeriggio ce ne andiamo a fare spese in via Cola di Rienzo.
Ed è uno spasso entrare nei negozi, provare i vestiti più costosi e prenderli a un prezzo stracciato.
“No, Laura, non ti sta bene” e intanto ammicca con lo sguardo come per dire “Sei una favola!”.
“Ma dai, Ross! Secondo me sta bene …”
“No, mi sembra cucito male, stringe sui fianchi …”
E il commesso si giustifica. “Va solo tirato”
“No no, questo è proprio cucito male, vede? Qui!”

Io faccio la parte di quella che il vestito mi piace, si, me lo vedo indosso, non mi sta male.
“Laura, mica puoi spendere 200 euro per un vestito che non ti sta male, per 200 euro ti deve stare benissimo”
E alla fine il commesso ce lo regalerebbe pure il vestito, solo per vederci sparire, per smettere di sentire Ross che si lamenta di una cucitura storta, di una bretella più corta dell’altra, di una lampo troppo evidente.
100 euro e il vestito è nostro.
La scena si ripete tre, quattro volte, in negozi che non ci vedranno più, perché ormai si ricordano tutti di noi.
“Domani metteranno un cartello con le nostre facce e sotto scritto: ‘Noi aspettiamo fuori’”
E fa ridere l’idea di noi due, uniti in quell’immagine.
“Si, ci butteranno fuori a calci …”

E una volta, al cinema, ci hanno cacciato per davvero.
Andiamo a vedere La Passione.
Silvia di Giosio sta qualche fila più avanti di noi.
Lei e la madre guardano il film e continuano a commentarlo.

Ross compra un quintale di pop-corn e, sarà che il film è pesante, sarà che non ho più fame, comincio a tirare pop-corn alle Di Giosio. Una pioggia di mais cade su di loro, sporca spalle e capelli di sale e burro, poi la madre di Silvia si gira.
“Abbassati!” urla Ross, mi spinge il viso dietro alla poltrona e si accuccia anche lui.
“Chi è lo spiritoso?” chiede la madre si Silvia alla sala.
E tutti urlano “Shh!” e le danno dell’insensibile: insomma, Cristo sta morendo davanti ai suoi occhi e lei si preoccupa dei pop-corn?
Ross aspetta che la madre di Silvia si rigiri, affonda la mano nel cestino, pronto al lancio e la guerra, continua.
Una guerra lampo, perché dopo un po’ la maschera si avvicina con la torcia.

“Ma guarda ‘sti ragazzini …” ci prende e ci sbatte fuori.
Ross si allontana con la maschera, solleva le spalle, mi indica e dice serio “Scusi, la ragazza ha problemi … è rimasta intrappolata nella fase dei dieci anni … sindrome di Peter Pan, capisce cosa intendo?”
La maschera si fa comprensiva e mi sorride, ci lascia andare senza multa. E io vorrei sotterrarmi per la vergogna.
Ce ne torniamo a casa.
“La prossima volta la fai tu la parte del demente …”
“E perché? Tu la fai benissimo.”
Gli do una gomitata.

“Perché ti arrabbi? Ho detto la verità! Guardati! Hai dieci anni, vivi tra le nuvole e credi nelle favole …”
“Non più” gli rispondo e guardo lontano.
“Non hai più dieci anni? Oh, ma questo è un dettaglio …”
“No, non credo più alle favole”
“E perché?”
Faccio un bel respiro, e gli racconto tutto: di Louis, dei sei mesi, dello sgabuzzino, del motel, di quei suoi nascondersi per nascondersi.
Ross mi stringe forte e dice: “Passerà anche Louis, come è passata Emily …”
“Perché, tu non ci pensi più a lei?”
“No!”
“E come hai fatto?”
“Sai, Laura, certi amori, quelli sbagliati, sono come le sigarette: meglio smettere”
“E come fai a riconoscerli?”
“Te ne accorgi quando respiri l’aria pura e te lo senti dentro che è diversa dal fumo, che sa di buono … e capisci che è l’aria pura che vuoi”
Ross parla serio serio.
E a me fa ridere vederlo tutto concentrato.
“Io la mia aria l’ho trovata”

Non lo capisco, però sorrido.
“Tu sei più matto di me …”
Allora lui si rassegna e ricomincia a scherzare.
“Certo che sono matto, a forza di starti vicino mi hai contagiato!”
Gli do un’altra gomitata.
Lui ride e mi abbraccia forte.
E penso che un po’, questa sindrome di Peter Pan ce l’ho davvero. Perché cerco ancora L’Isola Che Non C’è.
O forse Che C’è, ma si è nascosta bene.
E’ l’ora di cena e ci avviami verso casa, con la fame nello stomaco. Si, in questo periodo abbiamo fame, ma una fame atavica, che non basta la cena di casa per saziarla.
Una fame che solo le crepe Al 19 può far passare.
E cosi, ogni sera, dopo cena, andiamo a zittire il nostro stomaco.
Ross dice che non è possibile che siano crepe e basta.
“Deve esserci qualche ingrediente speciale, perché se non vengo qui me ne vado a letto scontento …”
“Per me è la Nutella …” gli rispondo, ma lui non è convinto.
Cerco di mangiare la mia crepe tenendola distante, che non è una cosa facile, però almeno non mi sporco.
Ho la bocca impiastricciata di cioccolata.
E penso che Ross è uno stupido! Che con la scusa di pulirmi le labbra potrebbe avvicinarsi e baciarmi … Niente.
Mi passa il dito all’angolo della bocca.
“Mi sa che tua sorella, Camilla, si sporca meno di te”
Si, è uno stupido!
“Shhh! Fammi godere la crepe … Parli come mia madre!”
 
Già, mia madre ….
Una sera, tornando a casa, l’ho trovata li, in salone: il telecomando in mano e la tv accesa.
“Mamma! Che fai ancora in piedi?”
“E tu che ci fai ancora in piedi?”
“Sono andata al Messicano per festeggiare la patente di Ross. Te l’avevo detto.”
“Ah”
Vado a prendermi un bicchiere d’acqua, la cucina messicana ti lascia la sete per una settimana. M’infilo il pigiama e faccio una passeggiata digestiva per il corridoio.
E mi accorgo che lui non c’è …
“Ma papà?”
“E’ a lavoro …”
Ha la voce tirata, tenuta per le briglie.
“Ma mamma, è l’una di notte!”
“E allora? Deve finire il progetto, Laura!”
A volte le misure non tornano. Mi viene il dubbio e la paura, che le misure che dovrà prendere stanotte siano di carne, non in muratura. Mi ripiglia il bisogno di controllare, di arrivare in tempo e di fermare tutto stavolta, senza vedere spegnersi la luce crudele di una camera lontana.
Poi mi pento. Forse sto di nuovo sbagliando tutto, forse sta davvero a lavoro.
Poi la guardo di nascosto, dietro la porta del salone: si asciuga gli occhi e tira su col naso, anche lei è allergica al mascara …
Mi viene voglia di entrare e abbracciarla, ma non lo faccio.
 


Sono strani i grandi, eh, Milla?
Hanno paura delle risposte.
O forse le conoscono già e non hanno bisogno di salire su un motorino e mettersi a spiare un appartamento per averle.
Mamma è rimasta in salone.
Forse, un giorno, troverà in te la figlia amica che non ha, ti lascerà entrare, ti darà la sua fragilità.
E tu prendila, Milla, apprezza quel regalo!
Io vi guarderò, nascosta dietro una porta.
Stringila forte, anche per me.
E papà? Dov’è papà, Milla?
Si perderà qualche tuo passo, qualche tua parola nuova. Forse perché avrà un progetto da finire, forse perché preferirà stare n un’altra casa, senza i tuoi giocattoli sparsi sul pavimento e i miei pensieri per aria.
E io, quando lo vedrò tornare, la mattina dopo, lo guarderò in modo diverso, come si guardano quello come Louis, peggio, perché la sua assenza non fa male solo a me.
Tu no, tu continuerai ancora per qualche anno a battergli le mani, a riempirlo dei tuoi sorrisi. Un giorno però, capirai, e gli sorriderai di meno, con le labbra più strette.
Te lo ritroverai sotto casa, ti chiederà scusa per le sue assenze.
 E tu che farai? Le accetterai quelle scuse? Forse si, solo per provare un suo abbraccio, per vedere se il tuo sangue si ricorda di lui.
Non sarà facile, Milla, ma adesso è tutto apposto. Dormi! E domani al tuo risveglio, il tuo papà sarà di nuovo qui.
Non sarà mai andato via per te.
E’ tutto apposto, Milla, e domani ti ritroverai a battere le mani, “che viene papà e tante cose belle ti por-te-rà!”
 


* * *
 


Me ne resto a pancia in su e penso: quante cose sono cambiate quest’anno, quanta vita nuova ha preso forma … E non mi piace questa forma, preferisco un altro stampo.
Vorrei un mondo più docile, che non ti scappa dal guinzaglio, che non ti trascina dove vuole lui.
Un mondo piccolo, che te lo metti in tasca, come un portachiavi.
Un cielo attento, che non ti dimentica.
E penso che sarebbe bello se la vita fosse come un crepe, che puoi farcire come ti pare.
Ci vuoi le noccioline? E ti ci mettono le noccioline.
Ci vuoi il cocco? E ti ci mettono il cocco.
Ma la vita è un cibo preconfezionato, qualcuno ha scelto i gusti per te. E tu che puoi fare?
Niente, “o ti pieghi o ti spezzi”, come dice Malari quando vuole minacciare un suo alunno.
Io non mi voglio più piegare. Ho voglia di rivoluzione.
Tirerò su le maniche e impasterò il mondo, comincerò da questa famiglia, farò tornare a casa papà, a mamma passerà l’allergia e anche a me.
Andrà tutto a meraviglia.
E io non passerò più le notti a guardare questo soffitto.
Quante volte mi ha tenuto compagnia …
Quanti sogni ci ho appiccicato …
Stanno li, appesi, aspettando qualcuno che li raccolga.
E io non so quali sono i tempi della maturazione.
Le olive si raccolgono a novembre, l’uva a settembre. E i miei sogni? Non lo so.
Forse ho seminato male, forse non c’è stato abbastanza sole, però è tanto che aspetto e non cresce niente.
L’albero dei Sogni non vuole dare frutti.
 
 


E’ solo un’altra notte.
E sto fissando la luna.
Ho visto una stelle cadente,
e ho pensato a te.
Ho cantato una ninna nanna, in riva al fiume.
E se fossi stata qui, avrei cantato per te.
Tu sei dall’altra parte.
Come lo skyline si divide in due.
Sono molto lontano dal vederti.
Posso vedere le stelle dall’America.
Mi domando … le vedi anche tu?
Quindi apri gli occhi e guarda,
il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano.
E tutte le luce che lasceremo, nella notte con me.
E so che queste ferite sanguineranno, entrambi i nostri cuori
Sanguineranno.
Tutte queste stelle ci guideranno verso casa …
Nella notte con me.
 





SPAZIO AUTRICE:

Buona sera miei cari lettori!
Come potete vedere, non ho fatto molto ritardo, no?!
Allora, ecco il capitolo che tutti aspettavate, beh ... non c'è ancora il raura, perchè non avrebbe senso metterlo subito, ma i due hanno molta confidenza e si divertono insieme come potete vedere. 
Riguardo all'ultima frase messa qui sopra, la canzone interessata è "All of the stars" di Ed Sheeran, presente nel film "The fault in our stars" cioè "Colpa delle Stelle" a Settembre in Italia. So che non c'entra, ma se a qualcuno è venuta la curiosità .... Vabbè, la canzone è mooolto bella, e anche le parole non sono da meno, io non l'ho scritta tutta, ma è una canzone d'amore che credo che ci stava bene.
Bhe dopo questo discorso che non interessava a nessuno, io vado a letto.
Si perchè sono le 00.45, io molto puntuale eh?! XD 
Il prossimo lo pubblicherò presto, però non si sa ... dipende da come mi sento e da che ispirazione ho.
Come sempre, accetto una recensione di una riga, che ... mi hanno preso alla lettera! Perchè l'ho ricevuta, di una riga.
RECENSITEEE!

Mary :) 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


Capitolo sette.
 

Dopo un’altra notte cosi, non puoi fare altro che trascinare il sonno e portarlo a scuola con te.
Malari entra in classe, posa la cartella di cuoio sulla cattedra e si siede.
Manca poco alla maturità ed è arrivato per i professori il momento si spiegarci qualcosa di questo esame.
Malari parla, parla, parla di cose che sappiamo dai secoli dei secoli, amen.

“La prima prova consiste in un tema di attualità, un saggio breve o un articolo di giornale, un’analisi del testo …”
Dopo qualche minuto comincia la retorica dei consigli.
“Soprattutto, ragazzi, ricordatevi di non essere troppo decisi: tutto bianco … tutto nero … Ricordatevi il grigio. Meglio non sbilanciarsi nella vita.”
C’è bisogno di rivoluzione.
E per cambiare il mondo devi avere il coraggio di dire no, devi cominciare a vedere i colori, il grigio? Non esiste! Devi correre in una direzione da sola.
Alzo la mano e aspetto che Malari veda il mio dito ben puntato verso l’alto per rispondere.
“Professore, uno scrive quello che pensa, se vede bianco scrive bianco, se è nero scrive nero. Perché dobbiamo sfumarci? Il pensiero, almeno quello, lasciatecelo!”
Malari storce la bocca.
“Marano, lei può scrivere quello che le pare, può scrivere anche che è giallo limone! Mica siamo in tempo di regime!”
E io mi prometto che scriverò il colore più assurdo, uno inventato da me.
 “Si, ok, il regime non c’è,però qui ci state privatizzando tutto: istruzione, passioni, sanità … anche il pensiero ora!”
Ross mi guarda come se fossi da manicomio.
Malari sorride: “Marano, per caso oggi si è svegliata con la voglia di far girare la Terra dal senso opposto? Non capisco con chi ce l’ha”
Vado fino in fondo.
“Ce l’ho con voi adulti, che avete smesso di vedere i colori! Mi sono stancata di fare finta che vada tutto bene, qui non va bene niente … B-A-S-T-A!”
Tutti gli altri fissano gli occhi per terra, se ne stanno immobili, si vergognano al posto mio.
Laura Marano si becca una nota, perché disturba il regolare svolgimento delle lezioni.
“Attenta, Marano. Un altro colpo di testa e si gioca la maturità.”
Obbedisco al potere, ma faccio rumore.
Mi siedo di botto, sbattendo i gomiti sul banco.
Un rumore forte, nel silenzio compresso dell’aula.
E’ quella l’ultima parole, la mia.
 
Ross mi accompagna a casa.
E mi faccio coraggio e mi convinco che mia madre non la prenderà poi cosi male questa nota, anzi!
“Sarà fiera di me. Anche lei voleva cambiare il mondo. I miei genitori si sono conosciuti proprio facendo la rivoluzione nelle aule di Architettura a Valle Giulia”
Sorrido all’idea di quei due ragazzi che si scambiavano baci tra uno striscione e un altro, che non avevano niente in comune: lei ricca e intelligente, lui bello e ribelle, pronto a scroccare sigarette, uniti solo da un’idea, forse neanche tanto buona.
E, a volte, basta un’idea, una qualunque, per farti sentire che non stai camminando a vuoto, stai andando da qualche parte.
Che fine hanno fatto quei due ragazzi?
Non sono più gli stessi, una sta buttata sul divano tutto il giorno, con le lacrime agli occhi. L’altro … lasciamo stare! Che non si sa se, per davvero, sta andando a lavoro oppure in un’altra casa.

Saliamo le scale, tiro fuori le chiavi dallo zaino e apro la porta.
“Oh, mi raccomando, difendimi davanti a lei … Ciao, mamma!”
Ha gli occhi rossi, l’allergia ancora non le è passata.
“Buongiorno, signora.”
Ross saluta e lei neanche risponde.
Sta ancora li, come l’ho lasciata stamattina e la sera scorsa, davanti alla tv, ormai tutti i programmi le interessano, uno vale l’altro.
“Ho preso una nota”
Lei non si scompone: “Poi ne parliamo”
Non ne parleremo mai.
Andiamo in camera mia.

Ross entra in stanza e chiude la porta, poi si siede sul letto.
“Te la potevi risparmiare …” ripete e mi guarda preoccupato. Riesce a percorrere chilometri e chilometri in questi venti metri quadri di stanza.
Ed è strano, perché io me ne sto seduta sul letto a gambe incrociate e penso a tutto, tranne a quella stupidissima nota.
Penso a mio padre, a mia madre, a Camilla, ai miei sogni … ma a quella nota, proprio no.
Ross cammina, si passa le mani tra i capelli e sbuffa.
E a me scappa da ridere.
“Che ti ridi?! Guarda che sei proprio nella merda!”
“Appunto, IO sto nella merda, mica TU!”
“Lo sai come sono fatto, mi agito per tutto!” dice.
“Si, ma cosi agiti pure me”
“Vabbè, allora me ne vado”
“Si, vattene. E’ meglio”
Lui apre la porta della mia stanza, mi lancia un ultimo sguardo preoccupato e io la ricevo, come un regalo, la sua preoccupazione.
Ha paura per me, con me.
Faccio la forte.
“Tranquillo, tanto domani è un altro giorno …Ciao.”
Chiudo la porta.
Adesso sto da sola, e non è meglio.
 
E domani non è un altro giorno, è sempre lo stesso, riciclato.
Perché questo Dio ha tante cose più importanti da fare e non può sprecare la sua fantasia cambiando i tuoi giorni.
Questo Dio somiglia un po’ a mia madre, che ogni giorno dice “No no, faccio sola …”
E domani non è domani, è il solito oggi con un nome diverso.
E Malari non dimentica.
“Se vai contro Malari, sono proprio cazzi amari”
Sono consigli generazionali che gli studenti si passano di anno in anno.
“Se l’è legata al dito. Ci si è fatto il nodo …” dice Ross.
“Spero tanto stretto da impedirgli la circolazione”
“Laura! Ma che dici?”
“E dai! L’ho detto cosi, per rabbia. Vedi che i professori vivono a lungo per le nostre maledizioni. Gliene mandi tante? Gli allunghi la vita sempre di più”
“Marano, la smette di parlare?” mi sgrida Malari.
E io vorrei rispondere che “
Malari interroga Giada, Andrea e Silvia Di Giosio.
E mentre Silvia ripete, comprese le virgole, tutto quello che ha trovato sul libro di italiano. Malari mi guarda. Neanche lui ce la fa ad ascoltarla.
Malari mi guarda, si, mi guarda, e gli occhi gli sorridono di una certa idea …
“ Marano, mi vada a prendere un caffè, cosi sta zitta!”
Tira fuori il portafoglio, lo apre e rovescia venticinque centesimi sulla cattedra.

Mi alzo dal banco, raccolgo le monete.
“Quanto zucchero?”
“Amaro. Se lo ricordi, Laura, lo prendo amaro.”
Mi avvio verso la porta e dico a bassa voce, quasi tra me e me
“Stronzo …”
“Come ha detto, prego?”
E io me ne sto zitta, che è meglio.
“Niente.”
Mi mordo il labbro per la rabbia.
Intanto Malari mi guarda. Sorride.
E per un attimo penso che, forse, il suo è solo un modo di scherzare, che ha già dimenticato la ribellione di ieri.
Magari si è accorto che ha esagerato con le battutine, mi chiederà scusa.
E se quelle scuse arriveranno, il mondo può cambiare.
La rivoluzione esiste.
 
La casa è estremamente silenziosa: mamma e Milla sono andate a fare la spesa.
Papà è in cucina, ma il coraggio di abbracciarlo mi manca.
“Che fine hai fatto?”
“Lascia stare, ho avuto un sacco di lavoro …”
Però il tempo di farsi la barba e la doccia ce l’ha avuto …
E’ tutto profumato.
Si è preparato una pasta al burro, con parmigiano, una pasta rimediata perché la mamma ancora non è tornata e finchè lei non torna il frigo è vuoto.
Lui scola la pasta e la versa in un piatto fondo.
E io lo guardo, per cercare qualcosa di diverso, una traccia.
Niente. E’ tranquillo, non fa altro che stare tranquillo. No, io non ci so stare tranquilla.
Affonda la forchetta nel piatto.
“Be’, che c’hai? Perché mi guardi cosi?”
“Mi dai un po’ della tua pasta?”
“Oddio! E che è successo? Niente barretta oggi?”
“No, non mangio più barrette, te lo giuro!”
E lui mi guarda e non capisce: cos’è successo? Dov’è sua figlia? Quella che s’impunta,  quella che vince o perde, che il pareggio non esiste, quella che ha solo giorni si e giorni no, mai giornate forse. E lui conosce bene quel sangue che scorre: è il suo.
“Allora, te ne rubo un po’, ok?” prendo un piatto e una forchetta dalla credenza e smezzo quei centocinquanta grammi di pasta.
Lui mi guarda e sorride, non ci crede.
“Hai visto quante cose cambiano in due giorni?”
Fa cenno di si con la testa.

Mettiamo le gambe ben sotto il tavolo, attenti a non sporcarci.
Mando giù il primo boccone.
“Fa schifo, eh?!” mi dice.
In effetti, la pasta sa di colla … costringo il boccone ad andare giù, poi affondo di nuovo la forchetta.
“No, è buona!”
Lui scansa il piatto in avanti e dice “No, fa schifo, basta!” e si alza e la butta nella pattumiera.
“Sai, Laura, forse me ne vado per qualche settimana. Mi hanno offerto un contratto di lavoro in Toscana, si guadagna bene, tu che dici?”
“Ma papà, tra qualche settimana ho la maturità!”
“Si guadagna benissimo, e poi, con quei soldi possiamo andarci a fare una bella vacanza, tutti e quattro, come ai vecchi tempi. Poi a settembre ti dobbiamo prendere la macchina, hai già scelto quale vuoi?”
Cerca di cambiare discorso.
“No, voglio che resti qui. Voglio che mi vieni a vedere alla maturità!”
“E se io volessi andare?”
“E’ un lavoro?”
“Si, Laura! Che ti credi, che vado a puttane?”
“Ma tu …l’hai mai tradita a mamma?”
“Ma sei impazzita? Io le voglio molto bene …”
E penso che mio padre è come tutti gli altri …
“Molto bene” ha detto, perché è difficile per lui dire “La amo” o “Non la amo”
Si sente la porta di casa aprirsi, loro sono tornate.
“Laura!” mi chiama. “Vienimi a dare una mano!”
“Lascia stare, vado io” mi dice papà.
Le va incontro e l’aiuta con le buste, ma non si dicono niente.
Sono due giorni che non si vedono.
 
 
 
GIULIA
Coppa maxi da Giolitti all’Eur.
Alle 21.
Grandi novità in vista!
A stasera.
 

Sto seduta al tavolino da venti minuti e ancora non si è vista l’ombra di Giulia. La cameriera continua a chiedermi se voglio ordinare, e io continuo a dirle che sto aspettando una persona.
Finalmente, Giulia arriva.
Si siede davanti a me e ordina due coppe: cioccolato e panna, con quattro cialde. Due ciascuna. Ha voglia di zucchero.
“Allora, questa grande novità?”
“La novità è ….” E si blocca guardando le coppe che arrivano, si passa la lingua sul labbro superiore mentre la cameriera poggia l’ordinazione sul tavolo.
“Dici!”
Lei tira fuori dalla borsa una cartolina e me la fa vedere: è Barcellona.
Il mio sorriso sparisce: “Che cosa significa?”
“Mi hanno preso per un tirocinio di giornalista, ci credi? Io ancora no. Mi mandano per un anno a Barcellona. Ho l’aereo tra venti giorni.”
“Ma cosa v’è preso a tutti?” sbotto.
Lei mi guarda strano, non capisce.
“Ve ne andate tutti e io resto? Sempre qui, sotterrata da tutto e tutti!” raccolgo il cellulare e la borsa, non riesco più a stare qui.
Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano.
La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no, finchè può nascondere, si lascia torturare ma non confessa.
Io sono di legno.
“Stiamo parlando dell’occasione della mia vita, Laura! Posso lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare”
Mi alzo e me ne vado.
“Buon viaggio. Fatti sentire quando torni”
 
Fogli bianchi sulla mia scrivania, una penna. Accendo la lampada e inizio a scrivere, intanto che alla radio passa Believe in Me.
 
PER GIULIA.

Ciao Giuly,
Sai, a volte mi viene il dubbio … vale la pena di amare se poi rischi di star male?
Se ami soffri, ma almeno ami no?
Vorrei che le parole non avessero tutta questa importanza, vorrei che non m’incatenassero a chi le dice, a chi le ho dette. E maledico i ricordi felici perché fanno più male di quelli feriti …
E ho capito che non me ne faccio niente del significato delle parole, ma me ne faccio qualcosa del significato delle persone.
Però ora sto pensando a noi, in esclusiva.
E’ il tuo volo, prendilo! E io sono stata cosi stupida da ostacolarti, aspetti questo momento da molto tempo, e ora … per una capricciosa come me, devi rinunciare?
Non se ne parla.
Però scrivi! Mandami un messaggio, una cartolina, una lettera, una mail, pure i segnali di fumo, anche un piccione viaggiatore, insomma quello che ti pare.
E io sarò pronta a ricevere il messaggio e a rispondere.
Poi, magari, quest’estate ti raggiungo per qualche giorno: mi fai visitare Barcellona, ci raccontiamo cosa è successo in quei giorni in cui non ci simo viste, ci diamo consigli …
Goditela, Giuly.
Io starò in una tasca della tua valigia, pronta a soccorrerti in caso di aiuto.
Starò li, anche quando la tua compagna di stanza ti chiederà cosa c’è di bello a Roma, e tu,  mentre le racconterai, le parole sapranno più di nostalgia, e ti mancherà questa città …
Parti! In fretta! Senza rimpianti!
Però, tra un anno, arriva puntuale.
Io ti aspetterò Al 19, pronta con tre crepe alla Nutella, due ciascuna, e smezzeremo anche quella crepe, come abbiamo smezzato tutto.
Ti voglio bene, Giuly, bene davvero.
Laura.

 

Non voglio lasciarle pensieri scomodi.
Non le do bagagli pesanti.
Voglio vederla partire leggera.

 
* * *
 
 

Siamo tutti presenti.
E’ importante quest’oggi, è il nostro ultimo giorno di liceo della nostra vita. Ci si guarda sorridendo, pronti, alla fine di questo giorno, ad inseguirci con qualche palloncino pieno d’acqua.
Pronti per vendicarci di persone che pe cinque anni non abbiamo mai sopportato. Quelle che non ci hanno passato la versione, quelle che ci odiano senza un perché, quelle dei primi amori che ci hanno fatti soffrire. Ma siamo anche pronti a bagnare un nuovo amore, una nuova vita che ci attende. Il nostro destino scritto nelle stelle.
E lei prenderà tanti gavettoni, si, lei … Silvia Di Giosio.
Per tutte le volte che ha parlato male alle spalle, per tutte le volte che ha fatto la spia, che ha suggerito male, che ha leccato il culo ai professori …
Oggi ci si sente leggeri, ma non del tutto, perché tra quindici giorni saremo di nuovo qui, seduti su questi banchi che raccontano la nostra storia. Qui, seduti davanti ad una cattedra pronta a fare i conti di questi cinque anni.
 
La scuola è come un supermercato: c’è chi mette nel carrello cose che non doveva, qualcuno arriverà alla cassa e pagherà più di quanto ha comprato e non potrà farci nulla, dovrà pagare e basta.
E poi tra quindici giorni: la liberazione vera.
Passo un’ora dentro al bagno, a riempire un gavettone dietro l’altro e mi ritrovo zuppa degli schizzi del lavandino.
Il top bianco senza maniche la ritrovo trasparente sul davanti.
Malari entra in classe, pronto per l’ultima lezione d’Italiano della nostra vita. E noi siamo pure pronti, aspettando quell’ultimo secondo che determinerà la nostra vittoria, con le dita bacchettanti sul banco, gli occhi che si fissano, i sorrisetto poco convincenti che nascondono tutta l’eccitazione possibile.
Malari si alza, ci squadra da testa a piedi e dice: “All’orale facciamo i conti …” e gli occhi gli brillano di potere.
E c’è chi ha paura, chi non gliene frega niente, chi è cosi sicuro e indifferente …
La campanella suona, per l’ultima volta. Gli zaini sono pieni di bombe d’acqua e fretta di andarsene.
“Marano, vorrei scambiare due parole con lei …” dice Malari.
Avrò le mie scuse. “Certo!”

Tutti gli altri scappano, solo Ross resta li, ad aspettarmi.
Il professore gli chiede di uscire e di chiudere la porta, lui obbedisce.
Restiamo solo io e lui.
E fa un certo effetto vedere i banchi vuoti, pensare che tra un po’ ci saranno nuove persone da dover massacrare, pensare che leggeranno le scritte che tu hai inciso, che si nasconderanno nello stesso posto in cui tu ti sei nascosto. E stare a guardare mette un certo effetto di malinconia … che pure quando parli senti l’eco.
Qualcuno ruberà un po’ di vita tua.
“Si accomodi, Marano”
Mi lascia la sedia della cattedra, mi siedo.
“Marano, io i suoi voti glieli ho lasciati. La presento con nove alla maturità, anche se … dopo la sfuriata dell’altro giorno, non meritava nemmeno di essere ammessa”
Tiro un sospiro di sollievo, Malari ha la voce tranquilla, sollevata …
“Grazie professore”
“Si figuri …”

Mi misura da testa a piedi, poi il suo sguardo si fissa sul top bianco che trattiene acqua.  Ancora non si è asciugata.
“Come mai è tutta bagnata?”
“Mi sono schizzata col rubinetto”
“Anche lei voleva prender parte ai festeggiamenti dell’ultimo giorno?”
“L’idea era quella …”
“Allora sono contento di averla strappata a questa usanza. In compenso mi godo il piacere di vederla in trasparenza …”
I suoi occhi puntano al seno, coperto da un reggiseno color carne …. Che non copre più di tanto.
“Noto con piacere che non si è curata di mettere una maglietta più sgargiante … “
Smetto di sorridere e il mio sguardo si china verso il basso.
Incrocio le braccia sul petto.
“Non si copra!”
Ora la sua voce è dura, un ordine che pretende obbedienza.
Mi alzo e apro la porta.
“Ferma! E’ questo il suo modo di ripagare la mia fiducia?”

Corro verso l’uscita.
Ross è ancora lì, mi aspetta sui gradini dell’entrata.
Lo prendo per il braccio. “Andiamo!”
“Oh, ma che è successo?”
Cammino in silenzio.
“Zitto! Zitto e svelto!”
Dov’eri Ross?
Perché non sei salito?
Perché non hai avuto sospetti?
E adesso capisco che lui è uno di quei tipi giusti che ti fanno sentire sbagliata.
In pochi minuti siamo davanti casa.
“Sei un cretino …. Ci sai essere solo nei momenti sbagliati!”
“Ma che è successo?”
“Vai!” gli ho detto, e in tre parole ci ho trovato l’oceano.
Lui se ne va, e io rientro a casa.
 

Ross’s Pov
 
ROSS
Questo “cretino” che sa “esserci solo nei momenti sbagliati”,
ti passa a prendere tra dieci minuti,
ve ne andrete da qualche parte e gli racconterai tutto.
Non puoi dirgli di no!

LAURA
No!
ROSS
Allora lo fai apposta!
Basta, vengo li e ti costringo a parlare.
 

 
Mi sono piantato sotto casa sua, e le ho detto “Aggiustiamola”
E ci abbiamo provato.
A insegnare come si tiene e lascia tenere una mano ce ne è voluto, lei bravissima a scansare, le prendevo la mano e le dicevo, indicandole un’insegna a caso.
“Tienimela fino a li, manca poco”
Ho incominciato a cercare la sua mano, prima che lei prendesse la mia.
 
Sono entrato in camera sua. Mi guardo intorno, il suo muro è piano di scritte,  di frasi … ma il mio sguardo rallenta su una poesia:
 
E mi ritrovo ancora qui,
a parlare al cielo.
Ha le braccia grandi
E il sorriso che sa di scintille.
E’ vestito di tutto punto,
è vestito di stelle.
Fa paura questo gigante,
che mi accarezza la testa.
Che mi guarda vivere e non dice niente.
E vorrei contarle le sue stelle.
Per conoscerlo meglio.
Per scoprirlo amico.
Ma le stelle quante sono?

 
La risposta è stata aggiunta pochi mesi fa.
 
Tante, troppe …
 

 
Mi siedo accanto a lei.
Le prendo la mano e lei me la stringe forte.
“Laura, che è successo con Malari?”
Decide di raccontarmelo, a voce bassa, come se non volesse sentirsi.
La sua mano comincia a tremare nella mia, cosi la stringo ancora più forte, cercando di fermare l’incertezza.
Finisce di raccontare.
“Quello mi massacra alla maturità …” ripete.
“Ma no, non ti farà nulla: sei preparata, Laura! E poi ci stanno altri cinque membri nella commissione, non ce li leva nessuno i nostri 100!”
“Non ci pensare, non ne vale la pena. Ti passo a prendere prima di cena,facciamo un giro, ok?”
“D’accordo” e mi lascia la mano.
Stringo il pugno che vorrei dare a Malari, lo stringo tanto forte che mi viene un crampo.
“Grazie” mi dice.
“Di che?”
Di non farmi tremare”

Non c’è stato niente tra di noi, neanche un bacio.
Però c’è quell’uguaglianza, quella completezza.
Come se fossimo ai due capi di un filo.
E bastasse tirare la corda per chiamare l’altro.
IO/TU.
 

Laura’s Pov.
 

E’ sera.
Ross mi sta aspettando con la sua auto nel vialetto di casa.
Scendo le scale, apro la portiera e mi metto seduta.
Lui nasconde in fretta qualcosa dietro il sedile.
Quant’è bello stasera … indossa una camicia blu Lacoste, jeans stretti, e le trainer bianche.
“Sei…bellissima” dice, sorridendo.
Indosso un vestito floreale, che mi arriva fino al ginocchio, con sopra un giacchetto di jeans.
Ce ne andiamo a prendere una crepe, sul Lungotevere.

Parcheggia lì davanti, e mi apre la portiera.
“Oddio! Mi hai aperto la portiera!” e sbuffo.
“Che c’è di male?”
“Quando un ragazzo ti apre la portiera farà il carino per una sera e basta …”
E’ la regola numero quattro, Louis l’ha confermata.
“Mi spieghi chi te le dice ‘ste cavolate?” chiede Ross.
“Ecco vedi? Già comincia a fare lo stronzo …”
“Possiamo smetterla di pensare a queste regole? Giuro che non te la apro più la portiera” e io sono più tranquilla.

E’ il nostro turno.
“A me con la Nutella e il cioccolato bianco, con sopra le scaglie di cocco …” chiedo.
E la signora esplode.
“Quante cose vòi, fijia mia! Sarai pure bella e cara, ma poveraccio chi te se sposa!”
“Pensi che io la sopporto quasi tutti i giorni …” risponde Ross e mi fa l’occhiolino.
Appena finiamo di mangiare le crepe ritorniamo in macchina.
Ho caldo: mi sfilo il giubbino e lo metto sul sedile posteriore.
Un mazzo di rose sul tappetino della macchina.
Saranno dieci …. Venti … trenta ….
Una coccarda rossa le tiene unite.

“Che belle!”
Non ho mai visto cosi tante rose insieme.
“Sono bellissime!” ripeto.
Poi mi sembra troppo, non possono essere per me.
“Per chi sono?”
“Sono per te, scema!”
“Grazie!” e gli do un bacio sulla guancia.
Mi viene un’idea.
“Sai che ti dico? Andiamo al Giardino delle Rose, cosi ne prendiamo altre!”
“A quest’ora è chiuso” e sorride.
“Dai!”

Ross imbocca il Lungotevere, e siamo li, al Giardino delle Rose.
“Che ti avevo detto?” chiede lui.
“Scavalchiamo!”
Stasera ho vogli di altri fiori, altri odori … e li voglio cercare con lui.
“No, tu sei matta! Io non scavalco”
Sorrido, punto il piede sulla recinzione e mi tiro su, un salto e sono dall’altra parte.
Lui non riesce a non seguirli i miei occhi.
Punta il piede anche lui e scavalca.
E ritrovarsi in due lì, protetti da quel buio, in un giardino che non ci appartiene, ma è nostro.

Ci togliamo le scarpe e ci sediamo sull’erba.
Lui mette un braccio sulla mia spalla e mi stringe.
Si gira verso di me e sorride, poi si avvicina ancora di più.
Io non faccio altro che seguirlo, chiudo gli occhi fino a toccare una nuova terra.
Le nostre labbra si sono toccate, proprio come le nostre vite.
E un nuovo sapore si fa spazio nella mia bocca, fino a che non s’incontrano le nostre lingue.
E’ un po’ come la nostra storia, no?!
All’inizio ci siamo toccati, poi abbiamo approfondito.
E ora ho capito che è lui l’ultimo pezzo mancate, l’ultimo tassello del puzzle.
Che è lui quello con cui voglio condividere gli attimi più belli e più tristi della mia vita.
E non si può tirare indietro, mi ha in pugno.
 
A insegnarmi come si tiene e lascia andare una mano ce ne è voluto, io bravissima a scansare, mi prendeva la mano e indicava un’insegna cosi, a caso e diceva: “Tienimela fino a lì, manca poco”
Ho cominciato a cercare la sua mano prima che lui prendesse la mia.
Abbiamo noleggiato cento film e non ne abbiamo seguito nemmeno uno, abbiamo smesso di camuffare i nostri difetti, la sua altezza, i suoi capelli scompigliati, i miei arricciati.
E mi mancava anche quando c’era. Ma forse un gesto è solo un gesto e una frase è come tante, è chi la sente a caricarla di significato.
L’ho amato per queste accortezze, per le sciocchezze che mi venivano concesse, perché non volevo essere saggia, volevo essere ragazzina.
L’ho amato perché certe volte non riuscivo ad essere forte, volevo solo scivolarti tra le braccia e sentirti dire “Tutto passa …” pure se non era vero, tutto passa, tranne noi, certo, tranne noi.
L’ho amato perché se non mangiavo avevo qualcuno che mi sgridava, perché mi metteva a tradimento lo zucchero nel thè, perché insisteva nel vedere i film horror e poi era il primo a spaventarsi, perché se mi abbraccia scompaio, perché quello che era normale diventava speciale, perché eravamo uno pure se eravamo due, ma soprattutto l’ho amato perché lui mi ha amata.
L’ho amato perché quando mi accompagnavi alla macchina non ti preoccupavi di aprirmi la portiera anche se te lo dicevo.
Non ho vinto io, non hai vinto tu. Abbiamo vinto insieme.
Ma soprattutto, abbiamo combattuto insieme, per lo stesso territorio.
Penso: sto pensando molte frasi adesso, ma vorrei dirtene una e non riesco.
 

Ci stacchiamo e mille emozioni ci circondano.
Lui sorride. “Dai, andiamo” e mi prende la mano.
Mi accompagna a casa.
Un bacio veloce e rientro.
Appoggio la schiena alla porta e stringo le rose al petto.
Non m’importa se domani mi ritrovo qualche spina nelle dita, o qualche scheggia nel cuore.
Voglio vivermi.
 
 

Quando la tua anima
Trova l’anima che stava aspettando.
Quando qualcuno attraversa il tuo cuore
Come se fosse una porta aperta.
Quando la tua mano trova la mano
Fatta apposta per essere stretta.
Non lasciarla andare.
Qualcuno entra nel tuo mondo e di colpo lo cambia per sempre.
No, non ci sono occhi di nessun altro
Che possono vedere dentro me.
Le braccia di nessun altro possono sollevarmi.
Sollevarmi cosi in alto.
Il tuo amore mi solleva
Fuori dal tempo.
E tu conosci il mio cuore a memoria.
 
Quando sei insieme a chi è fatto apposta per
Essere trovato da te.
Tutto cade al suo posto,
tutte le stelle si allineano.
Quando il tuo tocco trova la nuvola
Che ha toccato la tua anima.
Non lasciarla andare.
 
In qualche modo abbiamo trovato
La nostra strada per trovarci.
In qualche modo ho trovato la strada per arrivare a te.
No, non ci sono occhi di nessun altro
Che possono vedere dentro me.
Le braccia di nessun altro possono sollevarmi.
Sollevarmi cosi in alto.
Il tuo amore mi solleva
Fuori dal tempo.
E tu conosci il mio cuore a memoria.
 
Il tuo amore mi solleva
Fuori dal tempo.
E tu conosci il mio cuore a memoria.

-Demi L.





SPAZIO AUTRICE:
Salve a tutti, come state?
Questo capitolo l'ho postato abbastanza preso per un preciso motivo: in questa settimana non ci sarò, e per si e no due settimane non aggiornerò.
Ho incominciato a cambiare tutto, sin dalle emozioni dei personaggi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come sempre accetto una recensione di una riga o basta solo il pensiero.
Siete splendidi.
E vorrei dedicare questo capitolo ad Angelauri.
Ma anche a tutti quelli che seguono la mia storia, che la recensiscono anche solo col pensiero.
Vi voglio un gran bene, grazie a tutti :)
Mary
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


Capitolo otto.
 


Ross non l’ho più sentito.
Il mio professore di fisica dice che l’universo tende al disordine, le molecole si allontanano ogni giorno di più l’una dall’altra. Io penso che anche le persone funzionano cosi, ogni giorno si disperdono fino a non trovarsi più.
L’ho chiamato un paio di volte, perché non ha risposto? Perché non mi richiama?
Mi faccio molte domande su di lui, il guaio è: più chiedo più mi coinvolgo. Vorrei che lui fosse insulso o speciale.
Il suo nome non lo voglio scrivere, non lo voglio dire.
Non voglio sognare il suono della sua risata stanotte, tutto ciò che lui non è si allontana da me.
Non mi voglio ingannare, caccio i pensieri per accogliere lui. Voglio vederlo solo quando viene.
Quando viene?
Voglio ascoltarlo solo quando viene, quando viene?
 
Domani c’è la prima prova, apro il libro e ripasso. E sicuramente Ross starà qui, sugli stessi libri, forse alla mia stessa pagina. Starà rivivendo i dettagli, le date, i nomi, perché lui ha la memoria corta.
E io? E i miei libri?
Niente, non c’è niente da fare. Appena apro una pagina vedo lui. Allora mi metto a leggere ad alta voce convincendomi che sto studiando letteratura e non Ross.
D’un tratto la porta della mia camera si apre, ed entra mio padre.
“Ti serve un aiuto?” mi chiede.
Si papà, mi serve. Dimmi: come si fugge all’amore?
“No. Non mi serve niente” dico chiudendo il libro rumorosamente.
“Oh Laura, sei ancora arrabbiata con me? E’ solo un lavoro, tu e la mamma ve la caverete”
Vorrei credergli, ma sento che nella sua voce c’è una strana emozione che non riesce a comunicarmi a parole.
“Sai papà, non m’interessa del lavoro. Mi dispiace solo che ci sei stato per me quando ti conveniva. Da domani seguiranno tutti i giorni più importanti della mia vita, e sai che vorrei? Che tu e la mamma siate lì, a incoraggiarmi, a preoccuparvi di un errore che faccio. Ma forse sognavo. Non esiste e non esisterà mai.”
Lui mi guarda con gli occhi sbarrati, non se l’aspettava.
Ma io non riesco, adesso, a stare nei suoi panni bugiardi o sinceri.
 
Papà, ciao. Ti sto guardando la passeggino. Non so ancora parlare.
Però stavo pensando che sei bello. Bello che mi addormenterei sul tuo petto nelle giornate di sole, dopo il mare.

Papà ora so parlare. Mi senti? Sei stato la prima parola che ho pronunciato.
Una parola di speranza.

Papà, sono vere tutte quelle storie che mi racconti? Gli astri, i pianeti, la luna.
Dici che ho gli occhi bellissimi, curiosi. Me li hai regalati tu.

Papà, sono grande ora, non voglio che mi accompagni davanti scuola.
E non mi dare quel bacio sulla guancia, è imbarazzante.

Papà, non ti interessa con chi esco stasera. Sono affari miei.
Non ti importa mai della mia vita, non conosci neanche chi frequento.

Papà, sei pesante. Io non mi sposerei mai con uno come te. Fammi respirare.
Esco con un ragazzo. E allora? E solo un amico.

Non cercare di consolarmi. Ed il mio amico era ubriaco, ma è un bravo ragazzo.
Se avessi provato a conoscerlo almeno un po’, te ne saresti accorto.

No. Non è troppo tardi. Sei antico. Vai a dormire.
Non capisco perché mi hai aspettato sveglio.

Ieri era il mio compleanno, non mi hai nemmeno fatto gli auguri.
Da piccola spegnevamo le candeline insieme e ti commuovevi sempre.

Papà, oggi ho colto delle margherite. Come mi insegnavi tu. Quante ferite abbiamo sul cuore?
Si possono rimarginare, papà? Come quando mi sbucciavo il ginocchio. Tu mi mettevi l’acqua ossigenata e bruciava e dicevi “Tutto passa, tutto passa” si, anche l’amore?
Piangevo, ma il dolore passava quando appoggiavi le labbra sul punto dolorante.
Papà, chiudi gli occhi. Ecco, un bacio sul cuore. Lo senti? Va meglio?




Lo senti, Milla, il dispiacere?
Forse no. Forse non sai come ci si sente a perdere una persona, ma lo scoprirai presto.
Quando tornerai da scuola e non troverai più il tuo papà.
Dove sei ora, papà? In Toscana o da un’altra parte?
Forse verserai qualche lacrima, ma tutto torna, Milla.
Prima o poi.
E se non torna, non è mai stato vero.
Questo è il mondo.
E un vaffanculo a tutte le persone che ci hanno illuso di essere abbastanza per loro e poi come un soffio di vento leggero sono scomparse senza lasciare nemmeno un saluto.
Un vaffanculo va a chi si finge amico per poi smerdarci appena voltiamo l’angolo.
Un vaffanculo va a chi non si fa sentire mai, ma quando gli servi ti chiama all’istante.
Un vaffanculo va a coloro che abbiamo consolato, ascoltato e amato con tutto il nostro cuore e che dopo ci trattano come se non avessimo mai fatto nulla per loro.
Un vaffanculo va a chi finge di amare, per convenienza, quando gli pare e piace.
Un vaffanculo va a tutte le amicizie finite, agli amore mai iniziati, alle frasi e alle canzoni dedicate con l’anima a persone che non sapranno mai apprezzarle.
E lo senti, Milla, il dispiacere?
 

 

Ross’s POV
 

E’ il giorno della prima prova.
Mio padre è uscito come se niente fosse.
Mia madre, invece, vuole accompagnarmi a scola a tutti i costi.
Dopo vari tentativi di farle cambiare idea, mi arrendo e mi faccio accompagnare.
Parcheggia davanti l’ingresso principale, mi dà un bacio sulla guancia e si fa il segno della croce. “Mi raccomando” mi dice.
Sbuffo e le dico che non serve chiamare Dio per cose cosi stupide come la maturità, anche se ho il cuore a mille.
Scendi dalla macchina e vado davanti al portone chiuso.
“Ciao.” Laura mi passa davanti e si siede sul muretto.

Io la seguo.
Sorrido. Mi guarda, la guardo: nessuno dei due avverte il dovere di riempire il silenzio e non capisco se non abbiamo niente da dirci, se ci siamo già detti o se a nostra insaputa ci stiamo dicendo.
E vorrei tanto dirle che mi è entrata dentro senza strisciare, ha bussato, ho aperto e so che in lei c’è tutto.
“Posso fare qualcosa che ti riduca il nervosismo?” le chiedo.
Lei sorride. “Per esempio, un bacio”
E, per esempio, la bacio davanti a tutti.
Io e lei rappresentiamo due 3. Per il semplice fatto che se li unisci diventa un otto.
Se lo capovolgi, siamo infinito.

Ci stacchiamo e sorride.
“Nervoso?” mi chiede.
E vorrei tanto scappare con lei in quel momento, andare in spiaggia e raccontare del più e del meno. Ridere e ridere ancora. Fare il bagno schizzandoci e finendo per abbracciaci con la nostra pelle bagnata.
Aspettare fino a sera per contare le stelle, per vederne cadenti.
Ma non c’è bisogno di esprimere un desiderio. Lo stavamo vivendo.
Mi scorge un dubbio nella mente, ora.
Le stelle quante sono?
“Forse un po’ …”
Aprono le porte e si comincia a sgomitare e ad accelerare il passo, io prendo la mano di Laura e la stringo forte.

Entriamo cosi, mano nella mano, mentre le nostre paura si mischiano insieme, e noi siamo i guerrieri, la sconfiggeremo.
Ci sediamo vicini.
I professori entrano, tutti in tiro, mai cosi lucidati in cinque anni, mentre noi studenti siamo lì, pallidi.
Entra la busta.
Non la porta una Velina o una soubrette, come nei programmi televisivi. Ce la porta la presidentessa della commissione. Una donna sulla cinquantina, accompagnata da due carabinieri.
Alla fine esce Pirandello per l’analisi del testo, gli affetti familiari, la poesia nella società dei mezzi di comunicazione di massa, e un tema sui regimi politici.
Tiro un sospiro e prendo il foglio. Mi accorgo che voglio fare quello sugli affetti familiari.
E scopro che non voglio male a mio padre. Anche se lui me ne fa, mi fa male con la sua invisibilità. Con i suoi silenzi.

Il mio tema si chiude con una lettera:
 
Papà,
i fantasmi sono corpi sbiaditi, come te.
Non mi hai spiegato niente: come si nasce, come si muore, come si tiene caldo un amore, come si diventa stupidi quando si aspetta una telefonata, un messaggio, un segno; come si litiga con la vita, quando non ci rispetta.
Non mi hai detto di niente di te e io non ti ho detto di me: ho ripagato il silenzio col silenzio, non volevo debiti.
Hai dato tutto per scontato e io ho imparato da solo.
Ho imparato da uomini che non sei tu, da case lontane dalla nostra.
Io sono figlio del mondo. E tu chi sei?
Ricordi quell’inverno? Sul lungo mare di Ostia tirava la tramontana. Avevo la punta del naso anestetizzata dal freddo e i capelli seminati dal vento.
Le mie mani cucciole di bambino cercavano di tenersi al suo cappotto, mentre la corrente mi soffiava contro. Non vedevi i miei sforzi per raggiungerti e aggrapparmi: camminavi tranquillo, stretto nel tuo cappotto e attento che il tuo cappello che non volasse.
Sai, anche oggi mi capita che di stare controvento.
E, come quel giorno, non ho un cappotto al quale tenermi, non ho prese. E, come quel giorno, ho paura.
Eccoti la mia storia, senza la tua in cambio.
Fa niente. Ti rispondo con la vita al silenzio.
 


Laura’s POV
 
Scelgo la traccia sulla poesia. E’ la mia.
E’ scomparsa la poesia della società di oggi?
No, non è scomparsa, ha solo cambiato modo di vestirsi, si ritrovi in qualche strofa delle canzoni, nei 160 caratteri di un sms, nella velocità delle mail ….
… negli occhi con cui Ross mi guarda.
No, forse quest’ultima frase me la tengo per me.
Però sono poesia anche quegli occhi.
 

Tutto quello che ti dà coraggio è poesia, tutto quello che ti prende per mano e ti spiega il mondo, che ti fa sentire meno solo, che ti aiuta a capire e a capirti.
E allora anche quegli occhi sono poesia, poesia pura! Più concentrata di quella che muore nei libri.
No, la poesia non scompare, perché l’uomo non può stare da solo, non può bastarsi, ha bisogno di sentirla la vita, vicina.
Anche i colori sono poesia, anche l’astratto lo è, anche le emozioni.
Noi ci crediamo invincibili. La disperazione non fa per noi, perché niente può ferirci irreparabilmente. Ci crediamo invincibili perché lo siamo.
La teoria dei colori è uguale alle persone: non sono fatti per stare soli, ma nemmeno con chiunque.
L’amore è il recupero di una poesia.
E credo che sia la più bella da scrivere, perché ognuno ha qualcosa di diverso da scrivere, da raccontare.
Ed è per questo che è magnifica: perché è unica per tutti.
E magari a volte finisce male, altre con un finale da favola. Ma è la vita, e devi essere grato di tutto.
Perché sei stato scelto per viverla, perché sei abbastanza forte per affrontarla.
La tristezza si cura vivendo, sotterrandola con la felicità di un momento.
Aprite gli occhi: avete ancora tanto da imparare dal mondo. E anch’io.

 
* * * 
 

Ci mettiamo in cortile, alunni e professori.
C’è chi commenta il calcio, c’è chi fuma, chi telefona a casa per rassicurare il genitore apprensivo, ma soprattutto c’è chi parla di esami.
Ross si avvicina. Non mi chiede perché ho staccato il cellulare, e io non lo chiedo a lui.
“Che tema hai fatto?”
“Quello sulla poesia” e taglio corto.
“Sei di poche parole oggi …” sorride e mi prende la mano.
Mi abbandono al contatto, stringo forte quella mano, la risento mia.

Poi mi vedo quegli occhi di sangue puntati adosso.
Il panico!
Malari condanna subito quelle dita intrecciate.
Se fiuta che stiamo insieme, massacrerà anche Ross.
E tu non voi questo vero, Laura?
“Devi lasciarmi stare!”

Mi libero, scaccio quella mano perbene e corro verso casa.
Ross raccoglie lo zaino e mi sta dietro.
Mi ferma e mi punta addosso quegli occhi che non capiscono.
Gli faccio un cenno, per avvertirlo che alle sue spalle c’è il nemico: Malari ci spia dal cortile di scuola.
Ross mi guarda e continua a non capire.
Ha il respiro corto per via della corsa.
Si avvicina a me e cerca di baciarmi.
Gli do uno schiaffo e scappo.
Malari rientra a scuola, soddisfatto.
Ross si regge la guancia e resta di sasso.
Non lo sa ancora, forse non lo saprà mai, ma quello schiaffo lo salverà.
Lo vedi, Ross? Io so provarla un’emozione non come Louis. E voglio anche viverla, perché so che la provi anche tu e che è la stessa della mia.
Dobbiamo solo ritardarla.
 
 
 
So che non sarà per tutta la vita come adesso.
Ti chiederò di abbassare il volume dello stereo perché sto lavorando e tu lo alzerai di una tacca a ogni mio “per favore”.
Mi piacerà quando ti preoccupi e mi piacerà farti preoccupare per avere delle conferme.
Userai una mia confidenza per ferirmi, mi pentirò di avertela detta e ti odierò perché mi conosci.
Quando mi accorgerò di aver sbagliato ti starò più vicino: sarà il mio modo di chiedere scusa.
Di una tragedia farai una sciocchezza, di una sciocchezza una tragedia, faremo il gioco dell’abbandono senza saperlo fare, con la valigia in mano, tre magliette e due mutande e la minaccia di non tornare più indietro: più faremo i forti e più saremo deboli.
So che non sarà per tutta la vita come adesso.
Ma so che se adesso non mi chiederai di sposarmi passerò tutta la vita a immaginare come sarebbe stato.
 
 

 
C’è una canzone nel profondo della mia anima.
E’ quella che ho provato a scrivere
Più volte,
e più volte ancora.
Mi sto svegliando in un freddo infinito.
Ma tu hai cantato per me
Più volte,
e più volte ancora.
Quindi piego la mia testa all’indietro.
E unisco le mie mani e prego
Di essere solo tua
Adesso che so che sei
La mia unica speranza.
 
Cantami la canzone delle stelle.
Nella galassia mentre belliamo
E ridiamo,
e ridiamo ancora.
Quando sembra che i miei sogni
Siano troppo lontani.
Cantami di nuovo …
Dei piani che hai fatto per me.
 
Ti darò il mio destino.
Ti darò tutto di me.
Voglio che la tua Melodia canti tutto ciò che sono.
E con tutta la voce …
Ti darò tutto quello che ho …
Quindi piego la mia testa all’indietro.
E unisco le mie mani e prego
Di essere solo tua
E prego,
di essere solo tua.
Io prego di essere solo tua:
Adeso che so che sei tu …
La mia unica speranza.
- Mandy Moore





SPAZIO AURICE:

Ciao!
Okay, mi scuso tantissimo per il ritardo madornale.
Dovevo aggiornare la scorsa settimana, ma non ho potuto!
Inoltre il capitolo è molto corto ... mi dispiace tanto :(

Questo capitolo lo dedico a Giulia, lo faccio perchè cosi capisce che può iniziare a menare Malari e Louis.
(saranno disponibili sul gruppo a partire ora *ride*)

Okay, mi serviva questa piccola parte perchè importante.
A chie è piaciuta, la canzone interessata è Only Hope di Mandy Moore, l'adoro.
Coomunque, grazie per le recensioni scorse, grazie per quelle che verranno.
Riusciamo a far arrivare questo capitolo a 10 recensioni?
Ma magari ... 
Un bacione.
Mary :)


 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***


Capitolo nove.
 


La paura degli scritti è passata.
Io e Ross ci mettiamo seduti vicini agli ultimi posti.
“Siamo una bella squadra, io e te” mi dice.
E ha proprio ragione.
Poi viene estratta la fatidica lettera.
“L!”
E Ross esulta: se lo vuole togliere subito l’orale.
“Lei è la prima del secondo giorno” mi avvisa Malari. E sembra una sfida.
 

Il risultato degli scritti esce a mezzogiorno, dicono in segreteria.
Non c’è nessuno, gli altri già sanno com’è andata sia a loro che a me.
E penso che se Ross non mi ha mandato un messaggio per dirmi di stare tranquilla, allora non lo sono.
Sfoglio con calma l’elenco dei nomi.
Silvia Di Giosio: 45/45esimi
Ross Lynch: 45/45
Andrea Rossi: 43/45esimi
Laura Marano: 42/45esimi
Merda!
Allora avevo ragione: non posso stare tranquilla se Ross non me lo dice, no?!
Deve essere la vendetta di quello stronzo di Malari …
Non gli ho dato ciò che voleva e lui mi ha ripagato con le stesse carte.
Però posso ancora avere il mio 100 all’orale.
Ci sono 5 bonus, che i professori danno a chi ha avuto una brillante carriera scolastica. E be’ … io ce l’ho avuta.
 
* * * 
 
Ross ha già dato.
E’ andato bene, strabene: ha ricevuto complimenti, strette di mano e il cosi detto “Bacio accademico”.
Mi chiama e mi racconta tutto.
“Malari mi ha fatto una domanda stupidissima!” e poi mi racconta cosa gli ha chiesto e la sua reazione.
“Che stronzata!”
Sorrido nervosa, perché le domande sono degli altri sono sempre facili, e domani non so cosa mi aspetta. O chi mi aspetta.
Poi Ross mi dice: “Ehi, tranquilla … domani li massacrerai!”
“Se lo dici tu … ora ti lascio, viene Giulia a salutarmi perché domani ha l’aereo per Barcellona, un bacio”
“Ci sentiamo” e attacca.
Giulia entra.
“Ma che ha fatto tua madre? C’ha una faccia!”
“Niente … è stanca”
“Vuoi che ti faccia una magia? Vuoi che ti dica con chi stavi parlando al telefono?” comincia ad agitare le mani come se fosse una vera indovina.
“Giulia … non ci vuole la palla di vetro! Era Ross!”
Giulia l’ha conosciuto Ross. Al 19 sabato scorso.

Le sta molto simpatico, e le piace … mi ha detto che ho scelto bene. Sarà. Poi il suo sguardo malizioso non poteva mancare.
Ma tra me e lui non è successo niente. Niente di niente.
Eppure mi sento sazia, piena di lui.
Mi ha detto, inoltre, che arriverà il momento … che se lo sente non solo dal cuore, ma anche dalle viscere, dallo stomaco … che succederà con Ross.
Ma io non ne sono sicura.
Tira fuori due cornetti Algida e mette su lo stereo.
“Questa è un classico …. Devi ascoltarla!”
Notte prima degli esami.
Io scarto il gelato e do un morso alla punta del cono e poi inizio ad aspirare la panna.
“Ma dai, Laura! Non riesci a mangiare il gelato come una persona decente?”
Scossi la testa.
“Hai diciotto anni! Devi smetterla di far finta di fumare il gelato!”
Sorrido e continuo a succhiare la panna.
Mi piace mangiarlo cosi.
Il cellulare vibra. Un messaggio.

Ross
Buonanotte, bellissima. E non preoccuparti per domani, li stenderai! Ne sono sicuro.
Tuo Ross.
Sorrido.

“E te? Come va con Marco?”
Le chiedo.
“E’ uno stronzo! Appena gli ho detto che partivo ha girato i tacchi e se n’è andato, come se fosse lui l’offeso!”
“Ti ama, lo sai, vero?” le dico.
Lei sgrana gli occhi. Poi mi guarda come se fossi un’aliena.
“Che c’è?”
“Bella battuta!” e inizia a ridere.
“No no, quale battuta! Ci ho parlato qualche giorno fa, lo sai che siamo amici. E mi ha detto che ci tiene a te … e so che anche a te piace.”
Lei arrossisce di botto.
“Laura! Pensiamo che domani tu hai gli esami e io devo partire!”
Sbotta molto imbarazzata.
Non tremare, non ti può far male, se l’amore è amore!”
 
Sono le sei di mattina.
Ho già i vestiti addosso.
Ho una fame, una fame nervosa … prendo il latte e i biscotti e comincio a mangiare.
Poi penso: Che fine fa Jacopo Ortis? E se mi chiede di Dante? Chi se lo ricorda!
Tiro fuori il libro dallo zaino e comincio a ripassare.
E più ripasso e più mi vengono dubbi, e mi rilasso quando penso che ho ancora due ore.
Inizio a sfogliare il libro velocemente.
“Laura, fa piano!” mi urla mamma.
“Mamma, io vado!” le dico.
“A quest’ora? Esci con Giulia?”

E io mi sono stancata di ripetere sempre le stesse cose.
Vado a fare la maturità, mamma!
Togliti quel pigiama e accompagnami!
Vieni a vedere Malari che massacra tua figlia!
“Si, mamma. Vado in giro con Giulia”
Non me la sento di uscire cosi.
“Non me lo dai un bacio?”
Lei si solleva dal letto e mi da un bacio sulla guancia.
Sorride e non capisce. “Ma che ti succede?”
“Non esco con Giulia … ho gli orali oggi!”
E lei si sveglia di colpo: cazzo! La maturità di sua figlia oggi!
Quante volte gliel’ha ricordato sua figlia….
Quante volte non l’ha ascoltata….
“In bocca al lupo”
In bocca a Malari.
“Crepi”
 

Sono le sette. Solo Ross è davanti al cancello di scuola.
Ci mettiamo seduti sui gradini.
“Ma è possibile che devo preoccuparmi sempre di quello che ti succede? Mi hai sconvolto la vita!” dice e sorride.
“Pensa che monotonia senza di me …”
E lui lo sa, anche se scherzo, che mi sto facendo mille domande.
“Preoccupata?”
“Un po’”
“Un po’ tanto?”
“Un po’ troppo”
Dopo un po’ arriva anche Silvia Di Giosio, ma proprio al mio esame doveva venire?
“E’ venuta a gufare!” dico.
“Non ci pensare … tanto resta una merda, anche se prende 100 ….200….300”
Anche i professori arrivano.

“Marano, se mi segue cominciamo ….” Mi dice Ricci e io lo seguo.
Una sedia sperduta si trova nell’aula davanti alla cattedra.
“Si sieda” mi dice Ricci.
Le gambe hanno già voglia di alzarsi e scappare via.
Malari si è messo la camicia giallo limone a mezze maniche. Due penne nel taschino. Ne tira una fuori e comincia a farla girare tra le dita.
“Allora, Marano, cominciamo?” mi chiede alzando lo sguardo e squadrandomi da capo a piedi.
“Si rilassi” dice in tono impastato di desiderio.
Tiro fuori la mia tesina dallo zaino.
Ne consegno una copia alla commissione.

Si comincia.
“Che argomento ha portato?”
“L’alienazione e l’importanza di ascoltare se stessi”
“Interessante!” dicono all’unisono gli altri professori.
Malari frena subito l’entusiasmo. “Ci vuole molta presunzione per affrontare un argomento cosi difficile”
In effetti l’argomento è difficile, ci vuole presunzione.
Malari non la smette un attimo di interrompermi.
“Interpretazioni, interpretazioni ….” Ripete.
“Mancano i fatti!”
“Ci vuole oggettività!”
Il tempo mi sta tirando un brutto scherzo: accelera sulle domande degli altri e rallenta su quelle di Malari.
E il tempo rallenta ancora di più.
Malari tira fuori gli scritti e commenta.
“La versione di latino era perfetta e anche la terza prova. L’ha buttata giù il tema”
Ma che sorpresa!
“Un tema un po’ scialbo …”
Io abbasso la testa.
“Che poi è un peccato, Marano …. Ha sempre fatto i temi più belli della classe … e ora? Pagine e pagine di niente!” Mi guarda furbetto.
Basta, mi arrendo! Faccio di sì anch’io con la testa, ho capito l’andazzo.
Intanto il tempo va sempre più piano.
E si ferma di colpo.
“Legga la prima strofa di Amai di Saba e la commenti”
Sorrido. L’ho scritta sulle mie pareti quella. La so.
Apro il libro e leggo la strofa a voce alta:
 

Amai trite parole che non uno
Osava. M’incantò la rima fiore
Amore,
la più antica difficile del mondo.


“Fin dalla prima parola Saba si pone in contrapposizione con il futurismo. Amai, dice Saba, mentre una delle regole del futurismo era ‘distruggere nella letteratura l’io’. Amai, dice, e già si capisce che avrà la presunzione di parlare d’amore. Non di un amore finto. La poesia di Saba, è poesia onesta: allontana l’ambiguità dell’apparenza e arriva al succo dei sentimenti. Inutile correre senza una direzione alla ricerca di parole e rime nuove … Saba ne riprende una antica: fiore-amore. In quella rima, si nasconde un significato onesto che pochi riescono a darle. E forse l’uomo dovrebbe impegnarsi in questo: nel cercare i significati delle parole”
Malari mi guarda con aria sognante, poi ritorna in sé e riparte all’attacco.
Mi fa tantissime domande a raffica, di cui rispondo a tutte lentamente.
 
L’orale è finito, posso andarmene.
Raccatto i miei stupidi libri e maledico dentro di me tutto quello che mi ha fatto quello stronzo di Malari.
Percorro il corridoio d’emergenza, perché se mi facessi vedere dai professori a quello principale mi butterebbero fuori a calci.
Malari mi raggiunge.
Incolla il suo ventre alla mia schiena.
Avverto l’ingombro della sua eccitazione.
Si porta al naso le punte dei miei capelli, mi odora.
“Odori d’innocente”
Fisso per terra a m’irrigidisco.
“Guardami!”
Mi giro, lo guardo.
I miei occhi sono di marmo, i suoi di sangue.
Mi spinge sul muro, m’immobilizza i polsi.
“Adesso ti faccio diventare grande io …” mi soffia nell’orecchio, con il ghigno di un ragno che ha finito di tessere la tela.
Mi slaccia la camicetta bianca, mi tocca il seno facendo una leggera pressione.
Sposto come posso i suoi attacchi.
Mi abbassa la lampo dei jeans.
“Brava, cosi, zitta …” a comincia ad allentarsi la cintura.
Gli do uno schiaffo forte.
Inizio a correre verso l'uscita.

Io non entrerò mai più là dentro.



Perché sei un cielo
Perché sei un cielo pieno di stelle.
Ti darò il mio cuore.
Perché sei un cielo,
sei un cielo pieno di stelle.
Perché grazie a te si illumina il mio percorso
Non m’importa, vai avanti e fammi a pezzi.
Non m’importa se lo fai.
Perché in un cielo, perché in un cielo pieno di stelle …
Penso di averti vista!
 
Perché sei un cielo pieno di stelle.
Voglio morire tra le tue braccia.
Perché ti illumini sempre di più quando diventa buio.
Voglio donarti il mio cuore.
E non m’importa! Vai avanti e fammi a pezzi.
Non importa se lo fai!
Perché in un cielo pieno di stelle …
Penso di vederti!
 
Perché sei …
Perché sei un cielo pieno di stelle!
Come una visione Paradisiaca!
COME UNA VISIONE PARADISIACA!




Angolo Autrice!

Eccomi prima del previsto!
Strano eh?
Putroppo non sono riuscita ad arrivare a 10 recensioni, peccato!
La cosa è certa, però ... aggiornerò sempre di sera! Scherzo!
Volevo annunciarvi che la storia è quasi terminata ;( 
Allora, come vi dico sempre, la canzone interessata è Sky Full of Stars dei Coldplay, ma penso la conosciate tutti!
Se non, ascoltatela!
Ora vi saluto.
Grazie a tutti per i complimenti e le recensioni. 
Vi voglio tanto bene.
Mary :)
 

 



 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo dieci - Ma le stelle quante sono? ***


Capitolo dieci.
 


I risultati definitivi escono stasera.
“Te la senti di andare?” mi chiede Ross al telefono.
“Ancora?! No! Ti ho detto che non ci entro più in quella scuola, mandami un messaggio da li”
“No, Laura … è una stronzata, solo una stronzata. Non puoi fare cosi solo per Malari, per quello stronzo! Gliele hai suonate? Bene! Non fare come una bambina.”
“Non la sto facendo! Tanto me lo sono giocato il mio 100”
“Preferivi avere 100 o essere stuprata?”
Sorvolo.
Non mi va di parlare di quello che è successo in quella maledetta scuola.
“Appena arrivi là mandami un messaggio con il mio voto”
Lui sospira. “Come vuoi.”
 
Il messaggio arriva puntuale, senza commento.
Ross
99/100
Che presa per il culo!
Poi mi manda un messaggio con gli altri voti.
Ross Lynch: 100/100
Silvia Di Giosio: 100/100
Andrea Rossi: 80/100
Emily: 60/100

In fondo … del mio 99 non m’importa.
Ross doveva andare così e basta.
Rispondo al suo messaggio.
Non ho mai creduto al destino, ogni uomo si fa il suo.
Però stavolta mi piace pensare questo, che era destino, che non mi è stato tolto niente, ma raschia un po’ di rabbia dal corpo, mi calma.
No, non è vero e lo sai. Scusami se quel giorno non ho avuto sospetti e sono salito in classe. E scusami se all’esame non sono stato fuori la porta, cosi Malari non avrebbe fatto niente e ti saresti guadagnata il tuo 100.
Basta, sono stanca.
Mi sento come una che ha cercato di tenere tutto in equilibrio fin dal primo giorno, ma poi sono cascate tutte: l’amore, la famiglia, l’amicizia, gli esami …
Un altro messaggio arriva in leggero ritardo.
Ti do il mio cuore …
Trattalo bene, è roba tua!
 

Hai visto, Milla?
Quante cose può combinare l’amore.
E ora ho capito perché la gente si rifugia nei libri.
Perché c’è una netta differenza tra il confine mondo/libri.
Ed è facile da individuare:

Libri:
-Tu non sai quello che ho per la testa
-Lasciamelo scoprire
Realtà:
-Tu non sai cosa ho per la testa
-Cazzi?

Libri:
-Salvami
-Sono qui
Realtà:
-Salvami
-Ti sembro un bagnino?

Libri:
-Io sono brutta, nessuno potrà mai amarmi
-Sei stupenda
Realtà: 
-Io sono brutta, nessuno potrà mai amarmi
-Hai un bel culo, è questo l’importante

Libri:
-Andiamo in un bel posto?
-Ti porto al mare
Realtà:
-Andiamo in un bel posto?
-C’è uno che vende erba, dietro alla discoteca in centro

Libri:
-Amo la musica classica
-Io amo te
Realtà:
-Amo la musica classica
-Cazzo, hai gusti proprio da vecchia.

Libri:
-Lasciami stare …
-No, io non ti lascio stare, cazzo!
Realtà:
-Lasciami stare …
- Madonna che depressione. Ciao eh.


 
* * *
 
 


E’ il ventotto giugno, il giorno della consegna dei diplomi.
Infilo nello zaino: occhiali da sole, costume, asciugamano, crema protettiva e dopo-sole.
Mi guardo intorno e sfilo una chiave dal mazzo.
“Sto fuori con gli amici, torno stasera, dopo cena, sul tardi”
Stavolta non mi pento di questa bugia.
Mia madre non sa niente: né di Malari, del 99, di Ross …
Già perché Ross mi aspetta davanti casa, con la sua macchina.
Dopo pochi minuti parcheggiamo davanti scuola.
“Forza, scendi!”

Non mi muovo, resto incollata al sedile.
L’ho giurato, non metterò più piede in quella scuola.
Ross si arrende.
“Okay, facciamo cosi: io scendo, prendo i nostri diplomi e ritorno, l’hai presa la chiave?”
Tiro fuori dalla tasca la mia chiave e gliela passo davanti agli occhi.
Ross scende ed entra a scuola.
Sono passati dieci minuti e ancora non torna, questa scuola deve avere inghiottito anche lui.
Accendo la radio e mi metto a fare zapping tra le varie stazioni: e non riesco a trovare una canzone che mi piaccia, anche se, in realtà, non so cosa sto cercando.
Sono nervosa e basta.
Ross non torna.
Dopo svariati minuti, Ross ritorna sventolando i due diplomi da lontano.
Siamo liberi adesso: possiamo dire quello che ci pare, insultare questa scuola e chi ci sta dentro, mandare a fanculo tutti … a partire da Malari.
In un’ora e tre quarti siamo lì.
Lasciamo gli zaini nell’ingresso della casa al mare, ci mettiamo i costumi e stiamo in spiaggia.
Eccolo lì, il MIO mare!
E’ bella quest’acqua, che trova sempre la forza di rialzarsi ogni volta che sbatte contro uno scoglio.
Sii come il mare: che nonostante sbatta contro gli scogli abbia la forza di rialzarsi.
La spiaggia è quasi deserta, giusto qualche bambino accompagnato da qualche baby-sitter dall’accento straniero.


* * *


Si fa subito sera. 
Io vado a farmi la doccia, Ross s’aggira in salone in cerca di qualcosa.
Si arrende e sale sopra, in camera.
Dopo un po’ salgo anch’io.
Si sfila i pantaloni e la maglietta e resta in boxer.
Io mi stendo sul letto lasciandogli lo spazio dall’altra parte.
Ross chiude le persiane e si stende anche lui.

“Tutto bene?” chiedo.
Ci fu un lungo silenzio prima che parlasse.
“Mai stato meglio”
Gli premetti la fronte sul collo e lui mi strinse più a sé.
Mi diede piccoli baci sul collo, e io non feci altro che sussultare e alzare di più il mento.
Lo baciai con passione e lentezza possibile.
Schiusi le labbra lasciando che la sua lingua trovasse la mia.
Mi baciò con passione.
Gli accarezzai la schiena e mi fermai all’elastico arricciato dei boxer.
A quel punto le sue labbra divennero impazienti e piene di desiderio.
La sua lingua trovò di nuovo la mia e quando ebbi coraggio di infilare la mano sotto i boxer gli sfuggì un gemito.
Mi tolse la maglietta portando le mani sui miei fianchi sfilandomi gli slip con cautela.
Mentre mi accarezzava il linguine, cercò ancora la mia bocca.
Sospirai, esitante, quando la sua mano si avventurò là dove nessun uomo mi aveva mai toccato.
Gli conficcai le dita nella schiena e lui si stese sopra di me.
Chiusi gli occhi.

“Guardami” mi disse con dolcezza.
Obbedii. Aveva uno sguardo intenso e insieme dolce.
Piegò la testa e si chinò per baciarmi con tenerezza, poi entrò dentro di me con in modo lento, delicato.
Mi morsi il labbro soffocando un gemito.
“Shhh …” mi sussurrò all’orecchio con fare sensuale.
Mi penetrò ancora, al che strinsi forte gli occhi dal dolore. Lo cinsi con le ginocchia e lui mi baciò.
“Guardami” sussurrò.
Aprii gli occhi e lui scivolò di nuovo dentro di me.
Il nervosismo che avevo provato all’inizio era svanito.
Ross si aggrappò a me come se potessi sfuggirgli.
Lo attirai con più forza e lui gemette, sopraffatto dalle emozioni.
“Ti desidero da cosi tanto, Laura. Sei tutto ciò che voglio.” Mormorò.
Mi afferrò la coscia con una mano e si sollevò su un gomito.
Il suo viso era attaccato al mio, e la nostra pelle iniziava a imperlarsi di sudore.
Inarcai la schiena quando mi sfiorò la mascella con le labbra e scese lungo il collo, per poi utilizzare la lingua in modo lento.
“Ross…”
Non appena sentì il suo nome, sfiorò con le mani – di nuovo – il mio linguine.
I suoi movimenti si fecero più decisi, e i suoi gemiti più potenti.
Affondò un’altra volta in me, e poi si lasciò cadere vicino a me.
Si distese sul ventre al mio fianco, mi mise un braccio attorno alla vita e appoggiò la fronte contro la mia guancia. Gli accarezzai la schiena e lo sentii rilassarsi.
Caddi in un sonno profondo, e le nostre emozioni si spensero lasciando spazio all’amore che ci teneva uniti in quell’istante che parve un’Eternità Infinita.
 

* * *


Il giorno dopo, Ross si sveglia presto per preparare il pranzo.
Io mi faccio una doccia calda per calmare gli spiriti bollenti dell’altra sera.
Nonostante abbiamo un sorriso alle stelle, non abbiamo coraggio di parlare dell’accaduto.
Esco dal bagno con i capelli semi-asciutti.
“E’ pronto?” gli chiedo dandogli un bacio tenero.
“Quasi, tu va a vestirti” mi dice guardando l’accappatoio.
Obbedisco e dopo 5 minuti ritorno in cucina.
Mi mette il piatto di pasta fumante sotto i miei occhi e mi passa una forchetta.
Poi si siede davanti a me facendo la stessa cosa.
“Allora, come va?” mi chiede.
“Benissimo”
“Anch’io” sorrise, e mi sembrò che mi rivelasse tutto.
Era cosi calmo quando sorrideva d’istinto, quando si sentiva davvero felice, e l’adoravo.
Ero al settimo cielo. Ero felice di aver perso la mia verginità con lui invece che con Louis.
Mi sentivo pulita, profumata.
Perché il nostro non fu sesso, ma amore, amore puro.
E non c’era bisogno di pensarci nemmeno, si sapeva.
 
I corpi non sono fatti per stare da soli.
L’amore è un gioco ad incastro.
Devi trovare il pezzo giusto, devi inciampare e continuare a cercare.
Come il mare.
Che abbraccia la sua spiaggia, perché senza di lei, quell’Infinità si sentirebbe persa.
 
Ce ne stiamo in silenzio sotto quel cielo che ci guarda e chissà cosa pensa di noi.
Ci sono sere in cui si vede a mala pena una stella, ma, se t’innamori ne vedi tantissime, è come quando sei ubriaco e vedi il doppio … stasera se ne vedono a milioni.
“Ross, ma le stelle quante sono?”
Mi prende il dito e lo punta verso il cielo.
“Una, due, tre, quattro …”
Quando trovi l’amore puoi fare tutto, puoi contare anche le stelle.
E quel cielo non è poi cosi tanto distante e nemico …
Sono 351.
 



Milla dorme nel suo lettino accanto al mio.
E io vorrei stare nei tuoi sogni stanotte, dormire insieme a te, in quel lettino che non regge più il mio peso.
Nelle tue favole, le principesse non scappano, le streghe vengono sempre messe a posto, i cavalieri ti invitano al ballo e i castelli sono enormi …
Perchè Cenerentola a mezzanotte scappa?
Per ricordarci che tutto ha un limite, anche nei sogni.
Perchè la bella addormentata dorme 100 anni?
Per farci capire che magari dobbiamo aspettare tanto tempo prima di trovare l’anima gemella.
Perchè la Bella si innamora della Bestia?
Per farci notare che non importa come tu sia esteriormente, basta possedere la bellezza interiore.
Perchè la Sirenetta cambia la sua coda in gambe?
Per mostrarci quanto una persona è disposta a dare pur di stare accanto alla persona che ama.
Dormi …
E se il mondo, un giorno, ti dirà che l’amore va di fretta, si fa nei motel, che i castelli non esistono, che le streghe sono belle e vincono, che i cavalieri non sanno amare davanti agli altri, tu non credergli, dormi tranquilla.
Quel mondo vuole metterti solo paura.
Le tue favole sono vere, Milla!
Fammi un po’ di spazio nei tuoi sogni.
Stasera sono piccola come te.

 
 * * *



Sono le undici, prendo la scatola di biscotti dalla credenza e l’appoggio sul tavolo.
“Non saranno troppe calorie?” mi chiede mia madre e si siede anche lei a tavola.
Non sono troppe, ieri ne ho smaltite parecchie.
“Una volta ogni tanto …” rispondo e verso il latte nella tazza blu.
Mi ricordo che l’ho presa con papà alle Maldive, s’era impuntato di voler passare il Natale là. E a mamma non andava giù l’idea. Perché il Natale non è fatto di mare, surf e sole. Allora papà le aveva comprato un albero di Natale tascabile, cosi se lo sarebbe portato appresso.
Dov’era finita quella famiglia?
Eppure, quella tazza è ancora intatta.
Ed è brutto quando gli oggetti durano più delle persone.

Il cellulare squilla: Giulia
E vorrei raccontarle tutto e dirle “Avevi ragione, il corpo sa cosa fare”
Mia madre mi guarda “Che fai, non rispondi?” chiede.
Ha gli occhi lucidi, l’allergia al mascara non le è ancora passata … poi afferra la bottiglia di latte e ne versa un po’ nella tazza.
Sarebbe bello smetterla con questi segreti, diventare deboli, raccontarsi e riderci, insieme. Smettere di chiudere le porte e i cuori, di nascondere uno sguardo liquido e un’emozione.
Intanto Giulia lampeggia sul display.
“Non rispondi?” chiede di nuovo.
“Non ora …” rispondo e spengo il cellulare.

Prendo coraggio, aspiro l’aria e butto fuori la verità.
“Ieri ho fatto l’amore con un ragazzo”
Alza lo sguardo e mi sta a guardare per un bel po’.
Poi mi abbraccia e me lo chiede: “Com’è stato?”
E io mi racconto e le restituisco la chiave che ho rubato.
Cominciano le preoccupazioni.
“Ti ha fatto male?”
“No, mamma. Tranquilla. Lui ha fatto tutto pianissimo”
Poi cominciano le curiosità.
“Lui chi? Louis?”
Quanto c’è ancora da raccontarsi …
“No, non è stato Louis il primo. E’ stato Ross”
E ritrovarsi a parlare di Louis, del suo tenermi nascosta, della sua ambiguità, dei messaggi di Emily, della sua ex, del Fastlove motel, della festa d’Istituto, di Malari, della sua perversione e vendetta.
Mia madre mi guarda.
“Come hai fatto a tenerti tutto questo?”
Sollevo le spalle.  A volte dentro di te hai più spazio di quello che credi. Più spazio e più forza.
“Perché non me ne hai parlato?”
Dormivi …

“Avevi cose più importanti da fare”
“Non c’è niente di più importante di mia figlia, a che dovevo pensare?”
“Dovevi pensare a questa famiglia … perché la salveremo questa famiglia, vero?”
E lei scoppia a piangere, un pianto che fa rumore, che è stato troppo tempo zitto.
“Dio, quanto mi manca!” ripete.
Già, mio padre …
“Tornerà mamma”
Poi va in camera da letto, prende un foglio e me lo mette in mano.
Un atto di separazione.
“Me l’ha mandato il suo avvocato”
Basta una firma di lei ed è fatta.
A questo punto viene da piangere anche a me.
Un abbraccio bagnato.
“Siamo comunque una famiglia, mutilata, però una famiglia. “ le dico e sorrido.
Anche a lei viene da sorridere.
La ricorderò sempre cosi, con quel sorriso bagnato.
 
 
* * *


Quante volte quella chiave si è allontanata dal mazzo.
Quanti oggetti ci hanno spiato mentre facevamo l’amore: il letto dei miei, il letto dei suoi, il mio soffitto, le pareti, le frasi scritte sui miei muri …
Poesia morta mentre due vite cercavano di completarsi.
“Ma non ti vergogni?” mi chiedeva.
“Di cosa?”
“Di fare l’amore davanti a tutta questa gente famosa”
E alludeva agli scrittori delle frasi.
E saliva ancora di più la voglia di dimostrarlo quell’amore scritto.
Tutto è rimasto com’era su quelle pareti … tranne una frase.
 

Ma le stelle quante sono?
Tante, troppe
351.

 

Quante volte abbiamo litigato per una canzone.
“Non è possibile, Ross, non abbiamo una canzone nostra …”
“A me piace ascoltare il tuo respiro”
“Ma tutti ce l’hanno!”
“Ma chissenefrega! Si vede che noi non siamo tutti”
Com’è passata in fretta quest’estate.
Abbiamo resistito una settimana senza vederci, io a Porto Ercole e lui a Sperlonga.
E poi l’università e gli orari diversi.
Quante corse per passare un quarto d’ora insieme, per fare colazione in due, ingoiando in fretta un cornetto che a Ross va sempre di storto.
Andare a fare shopping e prendere vestiti a un prezzo stracciato.
Leggergli una poesia che ci hanno letto a lezione e vederlo scappare e dire “Io con quella roba ho chiuso …” come se fosse droga.
E un po’, per me lo è. Perché se non mi scrivo, come posso leggermi?
 


Ecco, Milla, questo è l’amore.
Volti la pagina della tua storia e trovi sempre la stessa persona che ti renderà sempre felice.
Ed è una cosa strana, perché prima la scrivevi da sola, e poi vedi piombare questa persona e inizi a scrivere con un inchiostro diverso, più acceso, più leggibile.
E iniziate un libro insieme, finchè non scriverete la parola fine contemporaneamente.
Raccontare ai figli di come vi siete incontrati, di come vi siete innamorati e sentire le stesse emozioni come se fosse la prima volta.
Non c’è niente di più riuscito, di due storie che s’intrecciano.
 Credo sia arrivata l’ora di prendere in mano la mia vita e mandare a fanculo la vostra. 
Fanculo a chi credeva che non ce la facessi,
a chi mi ha sempre considerata una debole,
a chi rideva mentre io mi disperavo,
a chi dormiva sonni tranquilli mentre io ero in preda al panico,
a tutti quelli che mi hanno insultata,
a chi aveva detto di restare e poi se ne è andato,
a chi non mi hai calcolata,
a chi lo ha fatto e ora non si fa più sentire
e fanculo pure a te che mi hai fatto affrontare tutto questo da sola.
 Sono più forte, sono una persona nuova. 
E ho imparato che sa cos’è la felicità solo chi ride dopo una vita di delusioni.
 





 

So che sei là fuori, da qualche parte.
Da qualche parte lontano.
Ti rivoglio indietro, ti rivoglio indietro.
I miei vicini pensano che io sia pazzo.
Ma loro non capiscono.
Tu sei tutto quello che ho.
Tutto.
Di notte, quando le stelle
Illuminano la mia stanza.
Mi siedo da solo.
Parlando alla luna …
Cercavo di arrivare a te …
Nella speranza che tu sia dall’altro lato.
Parlando anche tu con me.
Oppure io sono solo pazzo ..
Che si siede da solo,
a parlare con la luna.
 
Mi sento come se fossi famoso.
Le chiacchiere della città.
Dicono che sono impazzito
Si, sono impazzito.
Ma loro non sanno quello che so io.
Perché quando il sole va giù …
Qualcuno parla di nuovo.
Si, parlano di nuovo.
Di notte, quando le stelle illuminano la mia stanza …
Mi siedo da solo.
 
A parlare alla luna
Cercando di arrivare a te.
Nella speranza che tu sia dall’altro lato
Parlando anche tu con me.
Oppure io,
sono solo un pazzo.
Che si siede da solo, a parlare alla luna.
 
Mi hai mai sentito chiamarti?
Perché ogni notte parlo con la luna.
Cercando di arrivare a te.
Nella speranza che tu sia dall’altro lato.
Parlando anche tu con me.
Oppure sono io,
che sono un pazzo.
Che si siede da solo.
A parlare alla luna.
 
So che sei là fuori da qualche parte.
Da qualche parte lontano …
 







Angolo Autrice!

Stranissimo! Ho fatto presto, vero?!
Me l'avete chiesto in tanti di aggiornare presto, ed eccomi qui!!
Non ci crederete ma ...
Questo è l'ultimo  penultimo capitolo di questa storia.... sigh .... :(
Tutte le cose  belle finiscono, no?!
Bhe ... la canzone interessata è *rullo di tamburi* 
 Talking to the moon di Bruno Mars!
Grazie a tutti in anticipo per chi segue/legge/recensisce la storia.
Ci vediamo con l'ultimo capitolo di questa storia!
Non siate tristi, continuerò con altre storie ancora più belle ed emozionanti!
Vi voglio un gran bene.
Recensite tuttii!!

Mary :) 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Epilogo - Ma le stelle quante sono. ***


Epilogo
 


E’ il ventotto giugno, un altro ventotto giugno.
Un anno esatto.
Giulia è tornata da qualche mese, è diventata una bravissima giornalista.
Io e Ross siamo ancora qui, ancora insieme.
Se il tempo corre, noi puntiamo i piedi.
Sono le sette di mattina.
Raggiungo la cucina e trovo Ross che mi aspetta.
“Buongiorno” e sorrido.
“Giorno anche a te” mi rispode.
Mi siedo al tavolo e un dubbio mi ritorna in mente.
“Ancora non ho capito come hai fatto a prendere il mio diploma”
E lui sbuffa e ride.
“Ancora, Laura? Te l’avrò detto cento volte”
“E lo voglio sentire per la centunesima”
E riprende a raccontare.

Flashback
Ross’s POV.
Scendo dalla macchina e mi dirigo verso l’aula magna.
I diplomi li tiene tutti in mano Malari e li distribuisce.
Qualcuno ha portato tartine al salmone, pizzette e spumante. La fine o l’inizio?
Vado da Malari.
“Professore, sto in partenza e le volevo chiedere se era possibile prendere il diploma senza aspettare tutta la cerimonia”
“Certo, Lynch, certo”
Cerca il mio nome dentro a quel mucchio di carta e mi dà il mio diploma.
Allora gli chiedo anche quello di Laura.
“Non è voluta venire” gli spiego.
“Non se l’è sentita?” fa con il tono soddisfatto.
“Semplicemente non gliene fregava nulla …” gli rispondo.
“Comunque mi ha lasciato una delega” e gli faccio leggere un pezzo di carta che Laura mi ha firmato.
Ma lui dice che non si può fare.
“Deve venire Laura in persona a ritirarlo”
Allora io me lo guardo. E mi fa schifo. E non mi va più di far finta di niente.
“Dove lo deve venire a ritirare il diploma? Nei suoi pantaloni, professor Malari?”
Lui sbianca e zitto mi dà il diploma.
Mi giro per andarmene ma mi fermo.
“Malari?”
“Si?”
Alzo il dito medio.
“Vada a fare in culo!”
E corro in macchina soddisfatto di me stesso.
Fine.

Rido e saluto Ross con un bacio.
La lezione comincia alle otto e mezza, ma per arrivare all’università ci vogliono tre quarti d’ora.
Vado all’Anagnina e prendo la metro per Piazza di Spagna, questa volta non lascio a nessuno il sedile, ognuno ha diritto a un posto in questo mondo.
Mi metto le cuffie.
Negramaro, Una Storia Semplice.
Solo ieri era un gioco, dicevi riguardasse me … allora come spieghi il fuoco, che brucia case e brucia te ….
Ho visto andare tutto in fiamme, la nostra storia e quel che c’è … e tu lì ferma sulle gambe, continui a chiedermi … 
continui a chiedermi perché! … Questa non è una storia semplice! (…)


I ricordi si mischiano e, anche se non se lo merita, lancio un pensiero a Louis.
Ai ricordi non puoi arrenderti.
Scendo appena arrivata a destinazione, tolgo le cuffie e uscendo dalla metro ritrovo Piazza di Spagna sotto ai miei occhi.
Quanto mi è mancato questo posto.
Mi faccio tutto Via del Corso fino a Piazza del Popolo, per fare colazione a uno dei bar in centro.

Oggi Ross ha l’esame di Anatomia.
I miei compagni del corso sono già lì, davanti al bar, pronti per il caffè. Oggi è il mio turno, tocca a me offrire.
Pago alla cassa e ci mettiamo al bancone.
Un ragazzo sgomita e mi passa avanti.
“Ehi, che modi!” gli urlo.
“Un cappuccino!” chiede il ragazzo maleducato.
La conosco quella voce, l’ho odiata tante volte.
Mi giro dall’altra parte.

“Laura!!”
E il sangue mi si gela.
Mi giro piano.
“Louis!”
Gli faccio un sorriso falso.
“Sai, all’inizio non ero sicuro che eri tu … sarà il vestito … il taglio di capelli”
Già i miei capelli … li ho fatti crescere di più, e arricciare un altro po’, mettendo più riflessi chiari.
A Ross piace scioglierli ….
Ho una mini gonna di jeans e una giacca nera corta, un po’ aderente e delle scarpe col tacco.
Louis mi guarda dalla testa ai piedi.
“Sei cambiata”
Il bruco è diventato una farfalla, aveva bisogno che le mostrassero le ali.
Louis mi parla della sua università.
E penso che Legge è proprio la facoltà per lui, ci sa fare con le parole, le sa manipolare bene.
E facciamo finta che non sia successo niente, che quel primo bacio a piazza di Trevi non esistesse, del secondo al Colosseo Quadrato, del terzo, del quarto, del quinto …

Facciamo finta, in realtà i ricordi dormono dentro di noi. Preferiamo non svegliarli: i ricordi sono come i bambini, bisogna fare piano ….
Quando si svegliano è difficile farli riaddormentare.
Shh, meglio far piano.
Poi il suo sorriso e la sua domanda.
“Stai con qualcuno adesso?”
Guardo i suoi occhi color pece.
“Si, tu?”
“Ho avuto una storia, ma è finita da poco”

Già, le sue storie finiscono sempre da poco …
“Però stavamo bene insieme. Eh?” chiede.
E io faccio una smorfia.
“Non ricordo nemmeno perché è finita” ripete.
Io si, ce l’ho vivo in mente.
“Sono stato proprio uno stupido a lasciarti andare via …”
“Già, sei tato proprio uno stupido”

La lezione inizia tra mezz’ora, se voglio arrivare lì devo incamminarmi.
“Adesso devo andare” gli dico.
Scrive il suo numero di telefono su un tovagliolo del bar.
“Se ti va, mi chiami … ti dimostrerò che non sono più quel cretino che hai conosciuto”
Annuisco ed esco dal bar.
Prendo il numero e lo faccio in mille pezzettini.
“Non voltarti, non voltarti” ripeto tra me e me.
Perché vivere è come scalare le montagne: non devi guardarti alle spalle, altrimenti rischi le vertigini.
Devi andare avanti, avanti, avanti … senza rimpiangere quello che ti sei lasciata dietro, perché, se è rimasto dietro, significa che non voleva accompagnarti nel tuo viaggio.

Finisce la lezione e mi ritrovo un volto familiare davanti a me.
“Ross, com’è andata?” e lo abbraccio.
“28! Il massimo” e mi fa girare.
“Allora sono servite le ripetizioni che ti ho dato” scherzo a bassa voce.
“Sono state molto utili, però stasera avrò bisogno di un ripasso …. Non mi è chiaro il cuore …” dice ammiccando mentre usciamo per dirigerci a Via del Corso.
“Allora stasera te lo rispiego” e gli faccio l’occhiolino.
E mi tiene stretta per la vita soffocandomi un bacio sotto questa Roma che ci guarda e ci sorride.
“Ti amo!”
E mi aggrappo ancor di più alla roccia e mi do slancio, per non guardarmi indietro, per continuare la scalata.
Voglio arrivare in cima, Ross.
Sei tu il mio sentiero, la mia strada da seguire.
“Anch’io” risponde subito e sorride.
E ci ritroviamo davanti agli occhi il Colosseo.
“Ma perché me lo dici solo ora?” mi chiede.
Non lo so, Ross.
 

Il mio cuore, ogni tanto, si ammala: è la malattia dei ricordi.
E solo tu puoi aiutarmi a guarire.
E’ una terapia lunga e difficile … Si cura vivendo.
 
 
* * *



L’ho scritta per te questa storia, Milla.
Perché quando tu avrai i tuoi diciotto anni, io avrò già dimenticato i miei e non potrò aiutarti a viverli.
Perché il mio cuore avrà già rallentato e ti guarderò distante: soffrirai di un amore che ti sembrerà troppo giovane per piangerci, ti dirò “Dai, Milla … sono sciocchezze” , come se non avessi pianto anch’io per un amore simile.
Ti guarderò sorridere senza un motivo, quando avrai fatto l’amore per la prima volta e penserai di poterti mettere il mondo in tasca, perché è piccolo in confronto  quello che hai dentro.
E io avrò già dimenticato cosa significa sorridere senza un motivo.
“Perché ridi?” te lo chiederò perché essere grande è un po’ come tornare bambini: si chiedono sempre i “perché” .
Tu, invece, non te ne chiederai tanti, amerai e basta, cosi, senza un perché.
Non sarò onesta, perché è difficile essere onesti con i propri ricordi.
Però sono stata previdente: ho rinchiuso quei ricordi nella carta, nei margini di un foglio, quando erano ancora vivi, lucidi d’inchiostro.
Cosi potrai leggere di una sorella più vicina a te e non ti sentirai tanto sola.
E’ per te questa storia, Milla.
Forse, all’inizio, non ti piacerà.
Forse ti sembrerà assurda e non vorrai crederle: come si possono vivere cosi tante emozioni in poco tempo?
Lo scoprirai, Milla, lo scoprirai.
E scoprirai che, a diciotto anni, in cuore scatta e corre più veloce dei minuti.
Bussa, bussa, bussa … e tu non guarderai allo spioncino per dargli il permesso di entrare, lo farà e basta.
Ogni volta chiederai al tuo cuore “Che vuoi?” ; la risposta sarà sempre la stessa “Un po’ d’amore”.
E qualche volta, lo caccerai dal petto, gli darai dello stupido, gli dirai di andarlo a cercare da qualche altra parte.
Ma, il più delle volte, lo farai accomodare e gli darai quel che ha bisogno.
E anche quando qualcuno te lo farà a pezzi, e ti sembreranno troppo piccoli per essere rimessi insieme, basterà un nuovo incontro per guarire.
Perché, a diciotto anni, la carne cicatrizza subito.
E capirai che il tempo, questo tempo che corre, ci cronometra la vita, che ci dà il ritmo, non è poi cosi veloce …
Superalo, Milla!
Taglia il traguardo prima di lui!
E io ti guarderò vincere e sarò fiera te.
E forse anche di me.
E ora te la faccio io una domanda:

Milla ma … le stelle quante sono?

 
Fine.
 
 



Novanta miglia, fuori Chicago …
Non riesco a smettere di guidare, non so perché.
Così tante domande …
Ho bisogno di una risposta.
Due anni dopo, e sei ancora nella mia mente.
Cos’è successo ad Amelia Earhart?
Chi tiene le stelle, incollate al cielo?
L’amore vero è una volta nella vita?
E il capitano del Titanic pianse?
 
Un giorno lo sapremo,
se l’amore può muovere una montagna.
Un giorno lo sapremo,
perché il cielo è blu.
Un giorno lo sapremo,
perchè non ero fatto per te.
 
Qualcuno conosce la strada per Atlantide?
O cosa dice il vento, quando lei piange?
Sto accelerando verso il poso in cui ti ho conosciuta.
Per la novantasettesima volta …
Stanotte!


Un giorno lo sapremo,
se l’amore può muovere una montagna.
Un giorno lo sapremo,
perché il cielo è blu.
Un giorno lo sapremo,
perché non ero fatto per te.
 
Un giorno lo sapremo,
perché Sansone amava Dalila.
Un giorno andrò,
a ballare sulla luna.
Un giorno lo saprai,
che ero giusto per te!
 
Ho comprato il biglietto per la fine dell’arcobaleno…
Ho guardato le stelle, schiantarsi nel mare.
Se potessi fare a Dio solo una domanda:
Perché non sei qui con me?
Stanotte!
 
Un giorno lo sapremo,
se l’amore può spostare una montagna.
Un giorno lo sapremo,
perché il cielo è blu.
Un giorno lo sapremo,
perché non ero fatto per te!
Un giorno lo sapremo,
perché Sansone amava Dalila.
Un giorno andrò,
a ballare sulla luna.
 
Un giorno lo saprai,
che ero quello giusto per te!
 

 
 


Spazio Autrice!

*piange* Che tristezza!
Bhe...la storia è finita!
Spero vi sia piaciuta fin dal primo capitolo.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito e seguito la mia storia.
A chi l'ha messa tra le preferite/seguite/ricordate.
A chi mi metterà tra gli autori preferiti.
A chi ha letto la mia storia in silenzio.
A chi si è incazzato in qualche tratto.
A chi ha letto non solo la storia con gli occhi, ma con il cuore.
E adesso so che siete curiosi di sapere la canzone finale ....*rullo di tamburi*
Someday We'll Know!
Grazie a tutti, ci vediamo molto presto con un'altra storia!!
Intanto, lasciate una recensione? 

Tank u!
Mary <3

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2698200