Le avventure di Sherly Holmes

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un martedì mattina ***
Capitolo 2: *** Un serial killer ***
Capitolo 3: *** Comincia il gioco ***
Capitolo 4: *** Qualcosa in comune ***
Capitolo 5: *** Qualcosa che mi sfugge ***
Capitolo 6: *** Nessuna soluzione? Nessun problema! ***



Capitolo 1
*** Un martedì mattina ***


 

Un martedì di ordinaria follia


La polvere.
La polvere aveva il potere di irritare John Watson più di qualsiasi altra cosa al mondo. La colpa di questa sua ‘allergia’ era legata al periodo che aveva passato in Afghanistan. Prima di allora la polvere non era mai stata importante.  Non l’aveva mai neppure notata. Tuttavia la sabbia, parente prossima della polvere e assai più fastidiosa, lo aveva reso particolarmente incline a notare la polvere e a detestarla.
Per questo l’appartamento in cui si trovava al momento era opprimente. Si alzò dal letto. Le veneziane della finestra lasciavano trasparire una luce che ingialliva ogni cosa nella camera e che gli dava la fastidiosa sensazione di essere immerso in un mare di polvere. Prese perciò la via per l’uscita fermandosi solo un istante davanti alla scrivania.
Rimase fermo un paio di minuti fissando il cassetto chiuso dell’unico mobile della stanza se si escludeva il letto. Alla fine, con un gesto rapido della mano, aprì il cassetto, prese la pistola all’interno e lo richiuse lasciando quella stanza soffocante.
Quando si ritrovò in strada, sotto la leggera pioggia autunnale di Londra, si rese conto che non aveva alcun motivo per portare quell’arma con sé. Inoltre, nel posto dove stava andando, portare un’arma era vietato.
Non che John avesse, in generale, motivi per portare in giro un’arma dal giorno del suo ritorno a Londra. Nel suo portafoglio, ripiegato con cura, c’era sempre il foglio del congedo dall’esercito di sua maestà.
“Congedato con onore” diceva quel foglio. John si era spesso domandato quale onore ci fosse stato nel prendere parte ad una guerra lontana miglia e miglia da casa nel bel mezzo di un deserto, nell’assistere a episodi di guerriglia meschina fatta di mine antiuomo e kamikaze, di sortite e rappresaglie di cui ricordava solo il rumore, il sudore e l’odore del sangue. E ovviamente la sabbia che restava attaccata ai vestiti, che si infilava sotto l’elmetto o nel caricatore delle armi, che resisteva persino all’acqua delle docce, che era capace di infettare le ferite sui corpi dei soldati e quelle nei loro cuori diventando l’unica cosa che le loro menti fossero in grado di vedere sotto il tremendo sole di quel meridiano infuocato dall’odio degli uomini.
Eppure indossare la sua pistola lo faceva sentire completo. Ogni volta che la lasciava nella sua scrivania e usciva, provava l’orribile sensazione di essere come nudo. Che ogni individuo che gli passava accanto e che magari lo spingeva inavvertitamente al semaforo o lo urtava casualmente sul marciapiede rappresentasse una seria minaccia alla propria incolumità. La sua analista aveva confermato la STPD. Sindrome post traumatica da stress. Per questo gli aveva ordinato tre cose: annotare ogni evento della sua vita su un diario, evitare di rimanere isolato e lasciare quella maledetta pistola a casa.
L’esperimento del diario era una cosa che il carattere di John avrebbe difficilmente portato avanti senza difficoltà. Amava l’idea di scrivere ma, da quando era tornato, le mani gli tremavano al punto che odiava la calligrafia che veniva fuori dalle sue dita. Tutte le pagine scritte, che comunque parlavano di sabbia e morte, erano finite in un cestino.
Anche uscire da un isolamento involontario era risultato piuttosto complicato. John era sempre stato considerato dalle ragazze un tipo avvenente. Anche se non molto alto, aveva un fisico asciutto, forte. Un paio di occhi verdi incastonati in un volto dai lineamenti dolci e da morbidi capelli biondi, avevano fatto di John Watson un ragazzo particolarmente fortunato con le donne. Inoltre il suo carattere gioviale e il temperamento deciso lo avevano reso un perfetto compagno di chiunque avesse voluto frequentarlo per più di cinque minuti. Questo prima della guerra. Ora non aveva particolare successo né con donne, né con compagni di bevuta al pub. Le prime non sembravano molto interessate ad andare oltre l’immaginario del soldato bello e dannato e i secondi si annoiavano solo ad immaginare le storie di guerra che avrebbe potuto raccontare di fronte ad una pinta. L’isolamento era l’unica via di salvezza dal dover sembrare falsamente interessato ad ipocrite compagnie o alla tentazione di fare una strage eliminando fisicamente potenziali disturbatori.
A quest’ultimo concetto si legava l’ordine impartito dalla sua dottoressa di non portare con sé un’arma. Nelle sue condizioni, che lei aveva definito instabili, c’era il rischio che potesse decidere di usarla. John l’aveva rassicurata che era perfettamente in grado di distinguere una trincea da una fermata della metropolitana, tuttavia comprendeva i timori della donna. Per questo stava andando da lei. Per avere il primo contatto da giorni con un altro essere umano. La pistola l’avrebbe lasciata sotto il giaccone. John Watson era un testardo e nessuno lo avrebbe mai convinto a fare qualcosa contro la sua volontà.
Davanti alla porta dello studio medico della sua analista stava ferma una berlina scura. John si fermò a fissarla per un istante di troppo e qualcosa gli finì addosso scaraventandolo a terra. D’impulso si mise a sedere sul marciapiede e si scrollò di dosso in malo modo la persona che lo aveva urtato. Fu tentato di estrarre l’arma dandosi contemporaneamente dell’idiota e guardò la causa di quel suo scatto d’ira.
“Mi perdoni. Vado, come dire, di fretta. Le suggerisco tuttavia di non imbambolarsi per strada a quel modo. Non è salutare!”
La voce, squillante e affettata, apparteneva alla persona che lo aveva urtato. Indossava un paio di pantaloni grigi e un cappotto. Da sotto un cappello da caccia un paio di occhi di ghiaccio lo guardavano divertiti. John pensò di non aver mai visto occhi più belli e mentre lui era immerso ancora in questo pensiero, la figura lo oltrepassò.
“E’ stato un piacere incontrarla! O sarebbe opportuno dire scontrarla, dottore! Credo che la sua analista si sia liberata in anticipo e potrà riceverla subito.” disse allungando il passo.
John agì d’impulso. Allungò una mano e afferrò la figura per il braccio tirandola verso di sé. A quel movimento, il cappello da caccia volò in terra e John fu accecato da una massa di riccioli bruni che ricaddero sciolti fin sulle spalle della figura.
“Lei è una donna!” farfugliò lasciandola andare subito.
“Brillante deduzione, amico mio!” disse lei sorridendo e chinandosi a raccogliere il cappello.
“Amico? Come fa a sapere che sono un dottore? Come fa a sapere che ho un appuntamento con l’analista che lavora qui?” disse indicando il civico dello studio medico.
La ragazza sbuffò. Era decisamente bella e strana. Alta un po’ più di John e dalla figura longilinea. I suoi occhi avevano qualcosa di inquietante, sembravano leggergli dentro mettendolo notevolmente a disagio.
“Le dirò, vado di fretta ma merita una spiegazione. In fondo l’ho spintonata in terra e non è da me contravvenire alle buone maniere. Venendole addosso ho intravisto nel taschino interno della sua giacca un pass per l’ospedale St.Bartholomew. Quel tipo di pass non è per ospiti. E’ a disposizione solo di medici in carico per breve tempo alla struttura. Ne ho dedotto che è un medico ma non in pianta stabile all’ospedale. Inoltre si è fermato a guardare la berlina e poi il suo orologio arrivando qui. Chiaro sintomo che voleva controllare l’eventuale anticipo al suo appuntamento. Ci sono tre diversi studi in questo palazzo. Uno legale, uno dentistico e uno medico. La sua dentatura è perfetta, dottore. Escludo quindi che fosse diretto allo studio dentistico. La pistola che nasconde sotto il giaccone avrebbe potuto farmi dedurre possibili, anzi direi, probabili problemi legali, tuttavia il pass parla di un ‘capitano Watson’ quindi propendo per il fatto che lei sia un soldato piuttosto affezionato all’arma che porta. Oserei talmente affezionato ad essa da avere bisogno di parlarne con un’analista. Ora col suo permesso, la saluto capitano J.H.Watson.” concluse la ragazza facendo schioccare i tacchi di un paio di scarpette blu.
John era sconvolto. Per la prima volta da quando era tornato dall’Afghanistan, qualcosa lo aveva scosso, interdetto, quasi eccitato.
“Aspetti! Ehi aspetti ancora un momento!” urlò per richiamare l’attenzione della ragazza.
“Se vuole ancora parlare con me, cammini dottore!” rispose lei continuando a camminare a passo svelto risistemandosi i capelli sotto il cappello da caccia.
“Come diavolo ha fatto?”
“Devo rispiegarglielo?”
“No, di certo no! Ho capito come ha fatto. Non ho capito come ha fatto nei pochi secondi che ci siamo sfiorati a vedere tutte quelle cose e ad elaborarle in quel modo!”
“Elementare dott.Watson! Io sono intelligente!” John si fermò.
“Mi sta dando dello stupido?”
“Se vuole parlare con me deve camminare!” ripeté lei. John la seguì fino all’angolo. A quel punto lei si voltò a guardarlo.
“In verità non credo che lei abbia bisogno di un’analista. Non di quell’analista comunque. Lei non è una persona ordinaria. Afghanistan o Iraq?” John sgranò gli occhi.
“Ancora il suo giochetto? Avanti indovini!”
“Non si tratta di indovinare ma di osservare. Afghanistan. Se ci rivedremo le dirò cosa ho visto in lei, dottore.”
La ragazza fece un cenno con la mano e un taxi le si fermò accanto. Mentre saliva in auto, John fu assalito dal terrore che non l’avrebbe rivista mai più e si avvicinò all’auto.
“Come farò a rivederla? Noi non ci conosciamo e questa città è Londra!” disse e lei si sporse dal finestrino.
“Già! Non c’è posto al mondo come Londra, vero? Il mio nome è Sherly Holmes, l’indirizzo è il 221 B di Baker Street.”
Il taxi si allontanò e John per qualche istante rimase fermo. Un sorriso nacque spontaneamente sulle sue labbra e tornò sui propri passi.
“Sherly Holmes.” Sussurrò certo che non avrebbe dimenticato facilmente quel nome. Giunto sotto lo studio della sua analista John vide una certa confusione. Alcuni uomini vestiti di scuro sembravano molto agitati e un uomo sulla quarantina con un impermeabile sul braccio e un ombrello in mano sembrava dare ordini a tutti. Uno degli uomini in nero gli si avvicinò.
“Mi scusi, ha per caso visto uscire da quel palazzo una donna sui trent’anni, bruna, occhi azzurri?”.
“Che ha fatto? Perché la cercate?” chiese John che sentì affiorare dentro sé una strana ansia.
“Niente, lasci perdere.” Disse l’uomo tornando indietro.
John pensò che quel giorno l’analisi poteva aspettare. Sollevò una mano e richiamò l’attenzione di un taxi.
“Dove signore?” chiese il tassista.
“221 Baker Street.” Rispose John senza sapere davvero perché aveva deciso così. Oltrepassando lo studio dell’analista ebbe la netta sensazione che l’uomo con l’ombrello lo stesse fissando e avvertì un brivido scendergli lungo la schiena.

Al 221 B di Baker Street John trovò ad attenderlo una donna ma non quella che si aspettava. Scoprì che la casa apparteneva ad una bizzarra signora di nome Mrs. Hudson. Seppure la donna avesse ribadito più volte di non essere la governante, aveva passato tutto il tempo da che era arrivato a preparagli tea e biscotti e a spiegargli che non poteva proprio portarlo di sopra nella stanza di Miss Holmes giacché non era una buona cosa che un giovanotto si facesse trovare nella stanza di una signorina in sua assenza. Anche nel caso che si trattasse della signorina Holmes. John si era chiesto cosa potesse significare questo ulteriore commento. Fu quasi dopo un’ora che la porta del 221 B si aprì di nuovo.
“Sono io, Mrs Hudson!”
“Oh miss Holmes, ha visite!” urlò la donna in modo plateale spostandosi e lasciando vedere John. Al soldato parve d’intravedere qualcosa muoversi negli occhi furbi di Sherly Holmes.
“Solo un’ora! Dott. Watson, mi ha appena conosciuto e già non può più fare a meno di me!”
“Non è come crede!” si affrettò a dire John. Sherly sorrise.
“Oh, io non credo a niente, Watson, io so!” John sorrise.
“Cos’era quello?” chiese lei salendo le scale e facendo cenno di seguirla.
“Quello cosa?”
“Quello che ha accompagnato al sorriso. Sarcasmo?”
“Non è un po’ presuntuosa a dire che ‘sa’?”
“Non in questo caso, anche se le assicuro che mi troverà spesso presuntuosa.” Disse invitandolo a sedersi. “Vuole del tea?”
“Me lo ha già offerto la sua padrona di casa.” Rispose John notando subito la polvere che copriva la maggior parte degli oggetti della casa e di cui l’inquilina doveva avere una buona tolleranza.
“Signora terribile la Hudson, vero?”
“Se con terribile intende dire gentile, sì lo è.” Sherly sorrise.
“E’ davvero venuto qui perché vuole che le spieghi come funziona il mio palazzo mentale?”
“Il suo palazzo che? No, guardi che sono venuto qui perché anche se non sono intelligente come lei, io non sono uno stupido. Lei era l’appuntamento della mia analista. L’appuntamento prima del mio.”
A quelle parole Sherly sorrise e batté le mani come un bimba che abbia appena scartato il suo regalo di natale scoprendo ciò che desiderava di più.
“Cos’ha da essere felice?”
“Mi dica dottore, perché ci ha messo tanto?”
“Perché non sono intelligente quanto lei. Tuttavia lei deve essere scappata dallo studio dell’analista perché quando sono tornato indietro c’era un sacco di gente che la cercava, miss Holmes. Inoltre se non fosse così, non avrebbe detto che l’analista si era liberata in anticipo. Ha avuto una bella faccia tosta a prendersi gioco delle mie psicosi quando lei era nelle mie stesse condizioni!”
“Sbagliato!” disse la ragazza portandosi le mani giunte sotto il mento “In primo luogo io non intendevo prendermi gioco delle sue psicosi. Se l’ho fatto, mi scuso. Ho semplicemente puntualizzato che non vedo il motivo per cui qualcuno dovrebbe farla sentire in colpa per il fatto che non è a proprio agio in una società ipocrita desiderosa di non vedere la guerra nelle nostre strade fingendo che la normalità sia uscire di casa al mattino e camminare per strada ignorando tutto e tutti col solo scopo di ritornare a casa ogni singola sera. In secondo luogo non avevo intenzione di vedere alcun analista oggi e, facendo valere una mia libertà fondamentale, mi sono allontanata dallo studio della dottoressa che, in totale franchezza, non ritengo in  grado di offrirmi alcun aiuto.
In terzo luogo, avevo da fare. Sono una persona molto impegnata. Al contrario di lei, dottore. Non credo sia una persona molto impegnata al momento!” John batté i pugni sul bracciolo della poltrona e un ghigno si dipinse sul suo viso.
“Ora mi dirà anche in base a cosa l’ha capito, vero?”
“La prego solletichi il mio enorme ego, dottore.”
“Coraggio allora, mi illumini.”
“Alle 10 di martedì chi avrebbe appuntamento con un’analista? Troppo tardi per un lavoro fisso che inizia il turno alle 9 e troppo presto per un libero professionista che non è in studio prima delle 10.30.”
“Potrei avere preso un permesso per una visita medica.”
“Se lavorasse, lo farebbe in un ospedale essendo un dottore e pertanto avrebbe diritto alle visite convenzionate della struttura di appartenenza.”
“Non potrei avere desiderato un po’ di privacy?” Sherly fece un giro su se stessa e puntò un dito contro John.
“Dimentica la pistola dottore. Non entrerebbe mai con quella in ospedale, non crede?” John sorrise.
“Potrei averla presa solo per oggi perché ho un giorno di ferie.”
“Avanti dottore, vuole davvero arrampicarsi sugli specchi?”
“Non ha dimostrato nulla.” Gli occhi di Sherly si ridussero a due fessure.
“Non ha un lavoro dottore. I suoi abiti profumano di lavanderia segno che li ha ritirati ieri al più tardi. Nessuno ritira gli abiti puliti il lunedì quando non si ha voglia neppure di andare in ufficio! Inoltre la media dei soldati che torna dal fronte frequenta l’analisi per almeno sei mesi e in questo periodo generalmente fatica a trovare lavoro. Inoltre porta con sé il pass ma non lo usa, la banda magnetica non è rovinata da un utilizzo frequente e poi ci sono le sue mani. Tremano.”
A queste parole John si alzò e raggiunse la porta.
“Quello che fa è incredibile, miss Holmes. Davvero. Non ho mai conosciuto una persona come lei. Per un attimo ho creduto che lei potesse essere in pericolo. Mi sbagliavo. Lei è perfettamente in grado di badare a se stessa.”
John scese le scale di corsa e sarebbe schizzato fuori da quell’appartamento se Mrs Hudson non lo avesse fermato.
“Va via, John?”
“Sì, Mrs Hudson, addio.”
“Addio? Oh, che peccato, la signorina sembrava così contenta di vederla.”
“La signorina ha detto di essere molto impegnata.”
“Vede, John, Miss Holmes è molto impegnata qui dentro” disse l’anziana donna indicando una tempia “ma non frequenta molta gente perché, come dire, è una persona che dice troppo frequentemente tutto ciò che pensa. Io ci sono abituata ma in genere la gente crede che sia strana. E’ sempre molto sola. Immaginavo che avesse trovato un amico. Lei è il primo che viene a trovarla a casa, se si esclude suo fratello e i clienti.”
“Clienti?” chiese John pensando immediatamente alla bellezza della ragazza al piano di sopra.
“Sì, gente con problemi di ogni tipo, sa? Se sparisce qualcuno o qualcosa, se c’è un omicidio o non ci si spiega un evento, allora vengono da miss Holmes. Lei è in grado di risolvere qualsiasi tipo di enigma. E’ intelligente!”
“Già.” Sussurrò John.
“Ma è anche una maledizione. La signorina non ha amici. Lei mi sembrava uno in grado di stare al suo passo.”
“Si sbaglia Mrs Hudson, io non sono all’altezza. Addio.”
“Oh, cielo! Dica pure che non le va a genio ma non menta! Lei è un soldato!” strillò lasciandolo solo davanti alla porta blu.
John si guardò la mano destra e il tremore che non accennava a diminuire lo convinse a lasciare subito quella casa.

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Capitolo 2
*** Un serial killer ***



Note dell'autrice: Innanzitutto i personaggi non mi appartengono. Sono certa che Sir Conan non avrebbe mai immaginato il suo investigatore come una donna. A me l'idea ronzava in testa già da un po' ed ecco la storia. Grazie a tutti coloro che le hanno dato una possibilità. Spero che la meriti. Vi lascio alla lettura e fatemi sapere cosa ne pensate. Kisses.



Un serial killer


Quella sera Sherly ricevette altre due visite.
La prima l’aspettava.
“Stai diventando lento, Mycroft!” disse senza smettere di leggere un libro sulle caratteristiche del pastore tedesco riferendosi al tempo che ci aveva messo a trovare la sua nuova abitazione.
“Non ti chiederò di spiegarmi perché hai voluto saltare la seduta dall’analista. Lo sai che ogni volta che devo accompagnarti perdo tempo prezioso. Potresti almeno farmi la cortesia di metterlo a reddito in qualche modo.” Le rispose suo fratello.
Mycroft Holmes era più grande di Sherly e considerava un dovere il fatto di evitare che la sorella, a causa del suo carattere e delle sue attitudini, si mettesse nei guai o gettasse discredito sulla sua famiglia. Per non parlare del fatto che ogni volta che Sherly ne combinava una delle sue, sua madre minacciava con prepotenza di trasferirsi da loro a Londra cosa da cui Mycroft era terrorizzato.
“Non mi serve più la terapia.” Disse Sherly “In quanto al tuo tempo, non sono interessata né a spenderlo per me stessa, né a sapere cosa ne fai.”
“Normalmente è il terapista a stabilire se non c’è più bisogno di continuarla. Ovviamente tu fai caso a sé, giusto?”
“Vedi che quando vuoi, anche tu sai adoperare i neuroni che la mamma ci ha donato?”
“Sherly, fa come vuoi sulla terapia ma ti avviso. Un altro passo falso e giungeremo a soluzioni più drastiche.”
A quelle parole la ragazza voltò una pagina del libro dando ad intendere che non voleva proseguire quella conversazione. Mycroft si alzò e raggiunse la porta.
“Intendi prenderti un cane?”
“E’ per un caso.” Fece lei.
“Giochi ancora a fare l’investigatore privato?”
“In famiglia ne abbiamo una lunga tradizione.”
“Erano tutti uomini, Sherly. Ed erano al servizio della Corona.”
“Allora la tradizione è salva! La corona ha preso te!”
“Quindi qual è la tua funzione, sorellina?”
“Non chiamarmi sorellina!”
“Buonanotte Sherly. Mi raccomando, cresci.”
La porta si richiuse dietro suo fratello e Sherly rimase sola.
Come spesso capitava quando Mycroft andava via dicendole che era ora di crescere, Sherly non riusciva più a pensare. Ci aveva provato a crescere ma aveva dovuto smettere. Aveva imparato a proprie spese che raggiungere velocemente la vetta significa arrivare in luoghi da cui è facile cadere. Raggiungerla più velocemente degli altri significava rimanere facilmente da soli. Sherly sapeva che la mediocrità è rassicurante per la maggior parte delle persone e che la grandezza genera invidia e distanza. Essere più perspicace, più intelligente, più brava era stato un fardello non una benedizione e se Mycroft aveva imparato a fare in modo che la sua grandezza fosse temuta e aveva ottenuto il rispetto, Sherly che aveva desiderato solo una cosa nella sua vita, aveva maledetto se stessa per essere tanto diversa e tanto incapace di essere normale. A quel pensiero, da una delle finestre del suo palazzo mentale si affacciò il volto di Watson. Quel ragazzo che sembrava tanto normale, e non lo era come, faceva a passare indisturbato nella folla e a farsi credere uno dei tanti?
Si alzò dalla poltrona e raggiunse il camino. Dietro una mattonella malmessa c’era un piccolo nascondiglio in cui c’erano due oggetti: un pacco di sigarette e una bustina con una polvere bianca all’interno. Li prese entrambi e raggiunse la finestra. In lontananza si sentivano le sirene di un’ambulanza e delle persone che seguivano una partita di calcio. Tornò al camino e ripose la bustina. Prese una sigaretta e tornò alla finestra.
L’accese e aspirò un paio di boccate sentendo le terminazioni nervose del collo e delle spalle distendersi.
Fu allora che vide la macchina della polizia fermarsi sotto il suo balcone. Vide Lestrade e Donovan scendere dall’auto. Lui continuava a infilare e sfilare le mani dalle tasche. Nervoso. Lei aveva dato una spinta più forte del necessario alla porta della macchina. Seccata. Sherly gettò la sigaretta e tornò a sedersi alla poltrona con le gambe sopra un bracciolo e la testa sull’altro.
“Miss Holmes, c’è la polizia. Ho detto che è tardi ma non hanno voluto sentire ragioni! Ho detto che è inopportuno che vengano nella casa di una signorina per bene a quest’ora!”
“Lasci stare, Mrs Hudson, va bene. Cosa è successo Lestrade? Perché sei nervoso?”
“Non sono nervoso.”
“Come vuoi.”
“Stiamo solo perdendo tempo, Greg.” Intervenne Donovan.
“E tu perché sei tanto seccata, detective?”
“Io non sono seccata!”
“Sì che lo sei,  Donovan! Non volevi venire!” La sbugiardò Lestrade.
“E tu sei nervoso!” si vendicò lei.
“Appunto!” disse Sherly richiamando la loro attenzione.
“E’ successo di nuovo.” Disse il poliziotto sbuffando.
Sherly saltò giù dalla sedia.
“Vedi perché non volevo venire? Lei è contenta! E’ contenta che ci sia un serial killer in circolazione!”
“La sua deduzione al mio comportamento è errata. Almeno parzialmente, detective. Non sono affatto felice che ci sia un serial killer in giro, tuttavia sono contenta di avere avuto ragione. Vi avevo avvertito che il cadavere della biblioteca e quello della cappella appartenevano alla stessa mano. Ora perché mi credete?”
“Quando hai visto il cadavere alla biblioteca ci hai detto di cercare un uomo fra i trenta e i quarant’anni, probabilmente bianco e appartenente ad un ordine religioso, perché?”
Sherly andò in cucina e cominciò a preparare del tea.
“L’uomo che è stato assassinato alla biblioteca aveva nella cartella una serie di schede di diverse istituzioni religiose e doveva decidere a quale effettuare una grossa donazione. Gli hanno sparato da una distanza considerevole quindi la vista dell’assassino doveva essere buona. Dopo i quarant’anni la vista comincia a difettare, soprattutto quella da lontano. Inoltre tutti i palazzi che consentono di avere una visuale libera degli ingressi della biblioteca appartengono ad ordini religiosi. Solo qualcuno che li frequenta avrebbe potuto conoscere le abitudini della vittima.”
L’acqua cominciò a bollire e Sherly preparò tre tazze.
“Per me niente.” Disse Donovan e Sherly ne ripose una.
“Quando hai visto il cadavere nella cappella perché hai detto che era lo stesso killer di quello della biblioteca? Dove hai visto il nesso che è sfuggito a noi miseri mortali?”
Sherly sorrise versando il tea.
“Stesso colpo alla nuca da distanza considerevole. Quando si spara alla nuca è per un’esecuzione e normalmente lo si fa da distanza ravvicinata. In questo caso il colpo alla nuca indica che il killer non si limita solo ad aspettare di avere la visuale libera. Vuole che la vittima si volti. Non riesce a spararle guardandola in faccia. Denota un senso di colpa o la conoscenza diretta delle vittime. Non ho un quadro completo ma propenderei per la prima ipotesi. Il killer uccide ma lo fa seguendo uno schema, forse una missione. Non uccide quelle persone ma ciò che rappresentano. Per questo aspetta che siano di spalle e per questo penso sia un religioso. Ora ditemi” disse porgendo la tazza a Lestrade “chi è la terza vittima?”
Lestrade guardò Donovan e bevve un sorso di tea.
“La responsabile di un orfanotrofio non molto distante dalla biblioteca e dalla cappella. Forse il killer è rimasto in zona. Stesso colpo alla nuca. Anderson dice che è stato sparato dalla stessa distanza degli altri due. Questo tea fa schifo!”
“Lo so ma prepararlo mi fa pensare. Ora andiamo.”
“Dove?” chiese la donna del corpo di polizia.
“Sulla scena del crimine!” esclamò Sherly.
“Te l’ho detto che sarebbe voluta venire con noi!” disse stizzita Donovan a Lestrade.
“Non voglio finire sulle prime pagine dei giornali insieme al titolo ‘serial killer terrorizza Londra’ scritto a caratteri cubitali. Andiamo!”
“Io prendo un taxi. Non salgo sulla macchina della polizia.” Disse Sherly decisa.
“Un giorno mi spiegherai il perché di questa fobia?” chiese l’investigatore capo.
“Un giorno mi arresterai e ci salirò per forza. Ora andiamo Gary!”
“Greg, mi chiamo Greg. In quel tuo palazzo mentale non puoi trovare un angolino per ricordare il mio nome, Sherly?”
“Tengo a mente solo le cose di vitale importanza. E poi Gary è molto meglio, sono certa che tua madre intendeva chiamarti Gary e all’ufficio anagrafe hanno sbagliato!” disse Sherly convinta al punto che Greg stesso stava per credergli.
Sherly e Donovan uscirono e Greg chiuse la porta.
“Mio nonno si chiamava così. Solo per la cronaca. Ci sono ventidue Greg Lestrade nel mio albero genealogico!” Urlò Greg mentre Sherly lo salutava con la mano fuori dal taxi.
“Non sa neanche l’indirizzo, Greg!” esclamò Donovan.
“E’ Sherly Holmes. Dagli indizi che le abbiamo dato arriverà anche prima di noi. Muoviamoci!”

Dicono che i soldi non facciano la felicità eppure John aveva capito subito che senza, di certo, felice non lo sarebbe stato comunque. Vivere decorosamente con la pensione di invalidità non sarebbe stato possibile e doveva trovarsi velocemente un lavoro. Cosa sapeva fare John? Solo due cose completamente antitetiche tra loro: sparare e medicare ferite.
Fece una lista di tutte le attività per cui potesse rendersi necessaria la capacità di sparare e le poche che rimanevano nel campo delle attività lecite comprendevano il circo e la polizia privata. Per fare il medico invece doveva trovare solo una clinica in cui cercassero una persona disposta a fare prevalentemente turni di notte più remunerativi e meno affollati.
In entrambe le opzioni rimaneva da dimostrare una cosa fondamentale: una mano ferma.
Si guardò entrambe le mani e tremavano ancora. Raggiunse la scrivania e prese la pistola. La puntò alla sua testa riflessa nello specchio appeso alla parete opposta e cercò di mantenere ferma la destra. Per quanto impercettibilmente, tremava. Abbassò l’arma e la gettò sul letto. In quell’istante il suo cellulare squillò.
“Pronto?”
“Lei non è uno che riceve molte chiamate, vero dottor Watson?”
“Lei chi è? Come fa a saperlo e soprattutto come ha avuto il mio numero?” Chiese il soldato con una punta d’irritazione nella voce e con il sospetto sempre crescente che quella persona avesse a che fare con miss Holmes.
“Dott.Watson, capisco che ricevere una telefonata da uno sconosciuto che dimostra di conoscere alcune cose personali possa dare fastidio, ma le basterà aprire la porta e verrà meno l’assunto di partenza.”
John si affrettò a recuperare l’arma e nasconderla nella cintura e raggiunse la porta rimanendo al telefono. L’aprì e si ritrovò di fronte l’uomo che aveva intravisto quella mattina stessa davanti allo studio della sua analista.
“Ora che ci conosciamo, dott. Watson, è meno seccato per la mia telefonata invadente?”
“No.” Disse John posando il cellulare “Continuo a non conoscerla, signor?”
“Holmes. Mycroft Holmes.”
“Il fratello di Sherly?”
Mycroft sorrise sornione e entrò nella stanza chiudendo la porta e lasciando due guardie del corpo armate fuori.
“Visto che ci conosciamo, in fondo? Del resto, per come la vedo io, ognuno di noi è collegato a chiunque, basta saper vedere i legami.”
“Ora mi verrà a spiegare la teoria dei sei gradi di separazione?” disse John ironicamente poggiando le spalle al muro per nascondere il rigonfiamento della pistola sotto il maglione.
“Siamo colti, dottore! Lei non è un soldato semplice!”
“Capitano John Watson.” Disse fieramente John.
“Capitano John Hamish Watson. Originario di un paesino poco lontano da Londra, medico, entrato nell’esercito volontariamente, partito per l’Afghanistan e tornato solo in seguito ad un brutta ferita alla spalla destra. Pluridecorato per il coraggio dimostrato in azione e congedato con onore. Ahimè dopo il congedo non resta molto da dire.” Concluse ghignando Mycroft.
“Ha preso informazioni su di me a quanto vedo.”
“Prendo informazioni su tutti quelli che ronzano intorno alla mia sorellina.” Disse l’uomo facendosi minaccioso. Il messaggio arrivò a John forte e chiaro.
“Guardi che si sbaglia!”
“E’ stato a casa sua proprio oggi.”
“Credevo fosse in pericolo. Intendevo avvisarla. Ma evidentemente non era in pericolo dato che lei non rappresenta un pericolo. Era da lei che intendevo metterla in guardia e ho scoperto che sua sorella non ha bisogno di essere messa in guardia.”
“Su questo ultimo punto, si sbaglia. Mia sorella negli ultimi mesi è andata in giro a convincere tutti i criminali di Londra che nessuno può compiere un atto efferato senza che lei sia in grado di assicurare i responsabili alla giustizia. E’ praticamente come se uscisse di casa con un bersaglio disegnato sulla schiena.”
“Io cosa c’entro in tutto questo?”
“Lei, dottore, c’entra. Ovviamente se decide di accettare il lavoro che intendo proporle.”
“Lei vorrebbe offrirmi un lavoro?”
“Esatto. A lei, un soldato in congedo.” John lo interruppe.
“Io sono un dottore.”
“Sono certo che qualunque anima preferisce, è in grado perfettamente di essere sia l’uno che l’altro.”
“Con ciò?”
“So per certo che non teme mia sorella.”
“Perché dovrei avere paura di lei?” chiese John e Mycroft rise di gusto.
 “Perché Sherly è una sociopatica iperattiva e spesso agisce in modo sconsiderato.”
“Vorrebbe che proteggessi una persona che per definizione è portata a violare le regole e che ha un cervello mille volte più fine del mio?”
“In parole povere, sì.”
“Mi pagherebbe per questo?”
“Sì e non in parole povere.”
“No.”
“No?” chiese Mycroft perplesso.
“Non prenderò dei soldi per fare da babysitter a sua sorella, signore, perché è di questo che stiamo parlando.”
“No. Non stiamo parlando di questo.” Disse Mycroft porgendo a John un biglietto. Il capitano lesse ad alta voce un indirizzo.
“Che cos’è?”
“Il luogo dove è stato da poco rinvenuto un cadavere. Mia sorella è lì ora. Sta dando una mano a Scotland Yard con il caso. Vada personalmente a rendersi conto se e quanto mia sorella sia in pericolo. Se avrà l’impressione di essere un inutile babysitter, allora noi due non ci rivedremo mai più.”
“Continuo a non afferrare il perché dovrei farlo.” Disse insistendo John.
Mycroft si avvicinò alla porta e l’aprì.
“Perché diversamente non avrà più modo di usare quel giocattolo che si porta dietro. Buona serata, dottor Watson.”
Mycroft svanì nel nulla. John guardò ancora il biglietto poi, mandando tutto al diavolo, usci di corsa a chiamare un taxi.

Il cadavere giaceva riverso in una pozza di sangue. Il colpo alla testa era uguale a quello che aveva ucciso l’uomo della biblioteca e quello della cappella. La donna era caduta in avanti finendo pancia a terra.
Sherly tuttavia sembrò da subito poco interessata al cadavere cui aveva dato solo una veloce occhiata entrando nella stanza.
“Cosa stai cercando?” chiese Lestrade.
“Shh. Non parlate, sto pensando.” Rispose Sherly.
Anderson, detective della scientifica, sbuffò e Sherly lo fulminò con lo sguardo.
“Doveva proprio venire?” chiese Anderson.
“Greg ha insistito.” Gli rispose Donovan.
“Shh!” fece di nuovo Sherly e nella stanza cadde il silenzio. Davanti agli occhi di Sherly si succedettero le immagini della scena del crimine. Il cadavere riverso sul pavimento. Colpo alla nuca.  Il sangue schizzato sulla parete. Colpo da distanza considerevole. Un vaso rotto sul pavimento. Irrilevante. Un braccialetto di perle al polso della vittima. Irrilevante. Una finestra aperta. Via di fuga? Accesso alla stanza. Computer spento. Irrilevante. Qualifica di direttore della vittima. Irrilevante? C’erano una serie di documenti sul tavolo. Nomi di bambini. Troppi nomi. Irrilevante. Porta chiusa a chiave dall’interno. Porta chiave con zampa di coniglio. Soggetto con inclinazione a credere nella fortuna. Irrilevante. Ciondolo al collo con la croce di St.Andrew. Il palazzo mentale di Sherly aprì le proprie porte e l’elemento rilevante fu isolato tra tutti quelli inutili.
“Ma certo!” urlò Sherly scatenando l’invidia di Lestrade spazientito.
“Cosa? Parla in fretta Sherly!”
“Cosa avevano in comune tutte le vittime?” chiese la ragazza in tono trionfante.
“Colpo alla testa da distanza considerevole?” disse Anderson con tono canzonatorio.
“Ovvio, Anderson. Cerca ciò che non è ovvio!”
“Sono morti?” disse l’uomo ridendo.
“Cielo! Che stupidità! Sono tutti membri della croce di Sant’Adrea. Come dimostra la catenina al collo della donna.” Disse Sherly.
“Gli altri non avevano catenine.” Li rassicurò Anderson.
“Il portachiavi attaccato alla borsa del cadavere della biblioteca e l’anello alla mano del chierico della cappella. Croci di Sant’ Andrea. Sono stata una stupida! Non appartiene ad un ordine religioso!” esclamò Sherly.
“La geniaccia che sbaglia?” chiese Donovan.
“Non ho detto di aver sbagliato. Chi ha un senso di lealtà tale da arrivare ad uccidere per difendere un ideale?” li imbeccò di nuovo la giovane Holmes.
“Avanti Sherly, parla. Non abbiamo tutta la notte!”  insistette Lestrade con le mani sui fianchi.
“Un soldato! Dovete cercare un soldato. Un uomo, bianco,  tra i trenta e i quarant’anni. Reduce di guerra. L’uomo che è stato ucciso alla biblioteca. Abbiamo supposto che fosse stato assassinato per via dei documenti relativi ad una grossa donazione. Sbagliato. Il chierico. Assassinato perché facente parte dell’ordine cui era stata assegnata la donazione? Sbagliato. Non avremmo potuto capirlo senza la terza vittima. Il nesso sembrava rappresentato dai soldi. In realtà questa donna non aveva nulla a che fare con la donazione. E’ stata assassinata, come gli altri del resto, per la sua appartenenza alla ‘Croce di St.Andrew’. L’associazione da anni patrocina il reinserimento nella società dei soldati affetti da STPD. Due settimane fa sul Daily Telegraph è apparso un articolo in cui l’associazione sottolinea l’importanza che ha avuto negli ultimi anni nella cura dei disturbi psicologici dei soldati di rientro dalle missioni di guerra. Ha definito i soldati “persone ormai incapaci di eseguire i più elementari comportamenti alla base della convivenza sociale””.
“Ricordi l’articolo a memoria?” chiese Greg lasciando cadere le mani lungo i fianchi.
“Interamente!” disse Sherly.
“E poi non ricorda il mio nome!”
“Secondo te questo sarebbe un movente?” chiese Donovan sorridendo.
“Ovvio! Senza questo terzo omicidio non avremmo potuto collegare le vittime ma gli assassini seriali tendono a commettere omicidi sempre più ravvicinati e il loro margine di errore si allarga. La donna qui presente faceva parte di una lista che l’assassino sta depennando. I soci fondatori dell’ordine. Cinque per l’esattezza.”
“Ora basta. Tutta questa storia è assurda!” Esplose Anderson “Facciamo delle ricerche serie e scopriremo che il nesso è la donazione. Magari dopo la morte del chierico, la chiesa l’ha rifiutata ed è toccata all’orfanotrofio!”
“Cerca pure se vuoi, decerebrato! Sappi però che, così facendo, moriranno altre due persone.” Disse Sherly alzandosi il bavero del cappotto.
“Come fai a dirlo?” la punzecchiò Donovan.
“Elementare! Il ciondolo della vittima, l’anello del chierico e il portachiavi dell’uomo della biblioteca sono in oro. Il simbolo di un’organizzazione che conta 2547 iscritti, non può essere in oro. Solo ai soci fondatori è stata data la decorazione in oro quando hanno ricevuto una speciale menzione dalla corona. Si trattava di cinque soci. Se escludi l’impossibile, ciò che resta è comunque probabile.” Concluse Sherly.
In quel momento il cellulare di Greg suonò.
“Sì? Cosa? Arrivo subito. Trattenetelo!” concluse il detective riponendo il cellulare.
“Che succede Greg?”
“Hanno fermato un uomo armato. Bianco sui trentasette anni. E’ un ex militare. Si aggirava in zona senza motivo.”
“Davvero? Troppo facile.” disse Sherly.
“Andiamo a vedere.” Concluse Donovan.
Certo Sherly non immaginava cosa sarebbe successo di lì a poco.
In manette, poggiato contro la macchina della polizia stava il ragazzo che aveva conosciuto quella mattina.
“Watson! Ma che sorpresa rivederla!” esclamò Sherly.
“Tu conosci quest’ uomo?” chiese Greg e la ragazza annuì.
“Così lei è John Watson. Capitano in congedo. Reduce da una missione in Afganisthan. E che ci faceva qui intorno? Il suo documento dice che abita in tutt’altra zona della città!”
“Temo non mi crederebbe se glielo dicessi.” Rispose John sconfortato.
“Me lo dirà in centrale.” Fece Greg.
“Oh! Andiamo detective! Non sia ridicolo, il dott. Watson non è di certo il vostro uomo!”
Greg scosse la testa.
“Non hai detto tu bianco, sui trenta, militare con una buona mira? Il foglio del congedo dice che è rientrato qualche giorno prima del primo assassinio.”
“Certo che l’ho detto! E lo confermo! Ma Watson! Coraggio non sia ridicolo! Il nostro John è un soldato, ed è un reduce ma frequenta normalmente l’analisi e la sua analista potrà confermarle che non è un pericolo per sé né per altri.”
“Va in giro armato!” esplose Donovan.
“Ah già la pistola! Sono certa che le striature presenti nella canna dell’arma dimostreranno che non fa fuoco da almeno, diciamo, otto giorni. Anderson vuole dare un’occhiata?”
L’uomo della scientifica smontò l’arma e confermò la teoria di Sherly suo malgrado.
“Visto?” disse la ragazza dai riccioli neri.
“Incredibile!” esclamò Watson “Tu sei letteralmente incredibile!”
“Grazie! Manette per favore.” Disse lei facendo cenno a Lestrade di lasciare andare John.
“Sì ma che ci faceva qui? Potrebbe comunque essere un complice dell’assassino!” provò ad insistere Donovan.
“Sbagliato. Se controllerete nel taschino della giacca di John, troverete un bigliettino su cui è scritto l’indirizzo di questo posto. E’ un biglietto della metropolitana ma riconoscerei tra mille la calligrafia. E’ di mio fratello Mycroft. John è venuto qui per me. Se volete, chiamate Mycroft e controllate. Potrebbe essere abbastanza sadico da mentire, tuttavia credo che non lo farà. Chi vuole parlare con il Governo?” disse Sherly tendendo il suo cellulare a Lestrade.
Nessuno rispose e il detective tolse le manette a Watson.
“Fantastico.” Disse John rivolgendosi alla ragazza “Ricordami di averti intorno se mi ricapita una cosa simile.”
“Se ti rimango intorno, ti ricapiterà di certo una cosa simile!” rispose lei e lui sorrise.
“Che fai qui?”
“La consulente investigativa. Tu?”
“Credevo avessi bisogno d’aiuto.”
“La seconda volta in un giorno? Pensavo avessi detto che so badare a me stessa!”
“Prima di scoprire che frequenti scene del crimine!”
“Ti ha mandato Mycroft?”
“Sì, ma non sono qui per lui. Ho rifiutato il lavoro che mi ha offerto.”
“Spiarmi?”
“Proteggerti.”
“Allora che ci fai ancora qui, John?”
“Non lo so esattamente. Ti serve una mano? Dovrei ringraziarti per avermi tirato fuori dai guai con la polizia. Come sapevi che la mia pistola non sparava da otto giorni?”
Sherly unì le mani sotto al mento.
“Vai dalla tua analista quando non riesci più a controllare la tua sindrome. Se eri davanti allo studio stamattina, supponendo che tu sia una persona fondamentalmente precisa, mancavi dal martedì precedente. Quindi otto giorni oggi. Al peggio. Giusto? Forse potresti essere d’aiuto.”
“Impressionante.”
“Victoria o Finsbury?”
“Come?”
“Rimangono due persone nel mirino e io non so ancora quale delle due è la prossima vittima del nostro reduce folle.”
“Quindi?”
“Una abita a Finsbury, l’altra a Victoria. Quale prendi John?”
“Conosci gli indirizzi della gente a memoria?”
“Ovvio che no! Ho cercato su internet. Smartphone!” disse Sherly agitando il telefono.
“Non mi piace nessuno dei due posti. E’ notte ormai.”
“Paura del buio, dott. Watson?”
“Non è troppo tardi per me, miss Holmes. E’ troppo tardi per te!”
“Non hai detto che hai rifiutato il lavoro? Si tratta di salvare una vita. Allora Abbott Casey a Victoria o Amy Mayers a Finsbury? Scelgo io. Vado a Finsbury. Tu andrai a Victoria. Ti mando un messaggio sul cellulare con l’indirizzo preciso. Io prendo questo taxi.” Concluse Sherly sollevando una mano e richiamando un taxi che passava di la.
John rimase un istante interdetto. Quella maledetta ragazza gli era scappata di nuovo da sotto il naso. Se aveva ragione e, da quando l’aveva conosciuta aveva avuto sempre ragione, una vita era in pericolo. Chiamò un taxi e si diresse a Victoria.

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Capitolo 3
*** Comincia il gioco ***



Comincia il gioco



Il taxi lasciò Sherly all’ingresso del parco di Finsbury all’altezza della fermata della metro di Manor House. Non era il tipo da inquietarsi per l’ora tarda né per alcuni ragazzi fermi a bordo strada che fumavano. Memorizzò ogni particolare che veniva illuminato dalla tenue luce dei lampioni. Il parco era immerso nell’oscurità.
-234, Sloan Square. Sherly.
Inviò l’indirizzo di Casey Abbot a Jhon e raggiunse il civico 44 di Seven Sister Road.
La luce era accesa e al piano terra poteva distinguere, dietro ad una finestra con delle tende a righe di dubbio gusto, la sagoma di una donna su di un divano intenta a guardare la televisione. Amy Mayers era ancora viva. Probabilmente l’assassino non aveva ancora deciso se completare il suo lavoro quella stessa notte o meno. Sherly era convinta che di certo l’assassino sapeva che adesso la polizia aveva molti più elementi per cercare qualcuno che non fosse legato solo alla vicenda della cospicua donazione e pertanto doveva sbrigarsi.
Si guardò intorno e individuò almeno due punti dai quali un ex soldato con una buona mira poteva puntare alle finestre di Amy Mayers.
Capì che doveva pensare velocemente. Si passò le mani sul viso e immaginò di rinchiudersi nel suo palazzo mentale. Palazzo azzurro sulla sinistra che al quarto piano aveva un appartamento palesemente sfitto a giudicare dallo stato di abbandono del suo balcone o terrazza del palazzo bianco con le persiane verdi leggermente più a destra?
Niente portinaio per il palazzo azzurro.
Portone rotto per quello bianco.
Accesso facile per entrambi i casi.
Altezza simile per tutte e due le soluzioni. Diede un’altra rapida occhiata all’ambiente ed optò per la terrazza del palazzo bianco. L’appartamento del palazzo azzurro dava di fronte ad una sorta di bar con un’insegna enorme. Troppo luminosa, poteva disturbare la visuale.
Raggiunse senza dare nell’occhio il portone socchiuso e spinse l’anta. La porta cigolò appena e si lasciò aprire. La scala era poco illuminata e Sherly salì senza fare rumore. Come aveva previsto la porta di ferro della terrazza era aperta. L’assassino intendeva defilarsi in fretta dopo aver sparato. Guardò l’orologio. Le 23.30 erano passate da qualche istante. L’aria sul terrazzo era fredda ma non c’era vento. Sentì vibrare il telefono.
-Casey Abbot non è in casa. Non fare niente di stupido. Sto arrivando. John.
-Non necessario. S.
-Ti ho detto di aspettare. Chiamo la polizia. J.
-Ho da fare adesso. Il gioco è cominciato. S.
Sherly ripose il cellulare e fece qualche passo allo scoperto. Una figura le puntava contro un’arma.
“Tutti e due sappiamo che non mi sparerai.” Disse Sherly decisa sollevando comunque entrambe le mani in segno di resa. L’uomo non rispose. Sherly sorrise. Il gioco era davvero cominciato.

Correva. John correva. Non credeva avrebbe corso così mai più. Non dopo il suo ritorno a Londra. Nessun taxi lo avrebbe mai portato in tempo a Finsbury.
La fermata della metropolitana era a due passi. Corse fino a che l’aria nei polmoni non cominciò a bruciare. La linea azzurra andava diretta a Finsbury Park. Contò le fermate. Sette. Si sentì davvero uno stupido.
“Forse potresti essere d’aiuto. Victoria o Finsbury? Rimangono due persone nel mirino e io non so ancora quale delle due è la prossima vittima del nostro reduce folle. Una abita a Finsbury, l’altra a Victoria. Quale prendi John? Si tratta di salvare una vita. Allora Abbott Casey a Victoria o Amy Mayers a Finsbury? Scelgo io. Vado a Finsbury. Tu andrai a Victoria. Ti mando un messaggio sul cellulare con l’indirizzo preciso.”
Ripensò alle parole di Sherly. Lo aveva manovrato. Gli aveva fatto credere, per un minuto, di avere avuto una scelta. Ora sapeva che la ragazza, sin dal principio di quella conversazione, aveva calcolato ogni cosa. Persino la sua indecisione. Aveva sfruttato a proprio vantaggio la capacità di leggerlo come un libro aperto e lo aveva mandato nel posto sbagliato. O giusto. Comunque lontano dall’assassino. John era certo che l’aveva calcolato.
“Conosci gli indirizzi della gente a memoria? Ovvio che no! Ho cercato su internet. Smartphone!”
Anche John possedeva uno smartphone e aveva cercato su internet il numero di telefono di casa Abbot. La conversazione che ne era seguita gli aveva aperto la mente.
“Pronto? Casa Abbot.” La voce di una donna.
“Pronto? Buonasera cerco Casey Abbot.” Aveva detto John con tono deciso.
“Chi è lei? Come mai cerca mio marito a quest’ora?”
“Signora mi perdoni per l’ora ma è di vitale importanza.”
“Mio marito non è in casa. Lei chi è?”
John avrebbe potuto dire qualsiasi cosa. Che era un medico ad esempio. Era la verità ed era la descrizione di se stesso che preferiva. Oppure poteva inventare che era un amico di Abbot. Poteva dire che era della polizia. Poteva dire che era un investigatore privato. Non gli piaceva mentire e disse comunque la verità.
“Sono il capitano John Watson.”
“Capitano? Oh ma certo!” Disse la donna cambiando completamente tono di voce “Perché non l’ha detto subito? Immagino che abbia bisogno di parlare con Casey. Sono dispiaciuta ma è di turno stasera.”
“Dovrei parlare con lui. E’ urgente davvero.”
“E’ per i problemi con l’associazione? Casey non ha fatto che parlarne ultimamente. Ormai ne è fuori. Non li perdonerà mai per avere usato i problemi dei soldati per interessi personali. Quando ha scoperto che usavano i soldi delle donazioni in modo improprio non ha voluto più parlare con nessuno dei vecchi compagni. Lei deve essere uno dei suoi amici che lo hanno aiutato a scoprire la verità.”
“Già.” Disse solo John.
“L’intervista di un paio di settimane fa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ha detto che li avrebbe denunciati anche se io non credo che la giustizia sia uguale per tutti. Sono personaggi in vista nella nostra comunità. Non gli faranno niente.”
A quelle parole John si era fermato in mezzo alla strada. Aveva capito. Sherly conosceva i nomi dei cinque membri originari della Croce di Sant’Andrea. Ne conosceva anche le professioni. Probabilmente aveva capito tutto sin da quando aveva visto il cadavere all’orfanotrofio.
La metro si fermò a Green park. Scendere per prendere la linea blu o continuare sull’azzurra? Rimase sul treno. Prese il cellulare. Alle fermate c’era campo. Mandò alcuni messaggi a Sherly. Aveva conosciuto quella ragazza da circa dodici ore. Come poteva averlo coinvolto così? Una cosa era certa. Da quando aveva incontrato quella strana ragazza aveva smesso di sentirsi morto. Non aveva più pensato neppure alla polvere. 
-Casey Abbot non è in casa. Non fare niente di stupido. Sto arrivando. John.
Scrisse velocemente prima che il treno fosse ingoiato dal tunnel della metro.
-Non necessario. S.
Aveva risposto Sherly. Come poteva non esserle necessario il suo aiuto? Le rispose immediatamente.
-Ti ho detto di aspettare. Chiamo la polizia. J.
Il telefono rimase senza linea fino alla fermata di Oxford Street. Fu allora che lesse la risposta.
-Ho da fare adesso. Il gioco è cominciato. S
John cancellò il messaggio stizzito. Come poteva essere un gioco tutta quella brutta storia? Ripensò alle parole di Mycroft Holmes. Sua sorella era psicologicamente instabile. Sociopatica iperattiva. Iperattiva di certo.
A Warren Street riuscì a chiamare la polizia e a farsi passare Greg Lestrade. L’uomo si ricordava di lui e fu facile convincerlo a mandare qualcuno a Finsbury quando nominò Sherly Holmes.
John era inquieto. Nonostante a quell’ora la metro fosse vuota, rimase in piedi con una mano a tenersi in equilibrio e con l’altra ad armeggiare con il telefono. Alla fermata della Euston Station il telefono non aveva segnale e John si figurò che sarebbe arrivato a Finsbury Park in tempo solo per vedere portare via il cadavere della ragazza dalla polizia. A King’s Cross salì un po’ di gente. John provò a chiamare Sherly. Niente, il telefono era spento. Strinse più forte la barra di sostegno del treno e posò il telefono in tasca. La mano corse involontariamente all’arma nascosta sotto il cappotto. Ormai mancavano solo due fermate.

“Tutti e due sappiamo che non mi sparerai.” Disse Sherly decisa sollevando comunque entrambe le mani in segno di resa. L’uomo non rispose. Sherly sorrise.
“Non ho nulla contro di lei, signorina. Tuttavia le sparerò se mi ostacolerà.”
“Io non sono qui per ostacolarla. Sono qui per parlarle.”
“Non ho tempo per le chiacchiere.”
“Cos’è la sua? Vendetta?”
“Giustizia.” Disse l’uomo.
“La giustizia si trova nei tribunali non per le strade di Londra. Non l’hanno istruita a dovere nell’esercito?”
L’uomo digrignò i denti.
“Non c’è giustizia nei tribunali, signorina.”
“Non c’è giustizia affatto, allora! Glielo richiedo. Cos’è la sua? Vendetta?”
“Spenga il telefono.” Disse l’uomo e Sherly lo assecondò. “Per anni mi hanno fatto credere che tenessero a me. Che avessero messo su questa organizzazione per aiutare quelli come me. Persone che tornano dal fronte e non riescono a dimenticare. Ma hanno giocato con i miei sentimenti. Per questo avrei potuto anche perdonarli. Hanno tradito la fiducia di persone a cui io avevo fatto delle promesse!”
“Crede che diventare un assassino farà sentire meglio quelle persone?”
“Stia zitta!” urlò l’uomo “Dopo quell’articolo uno dei ragazzi che era da poco tornato dal fronte si è suicidato. Un colpo alla testa. Andato. Ho giurato che avrebbe trovato pace. Fosse l’ultima cosa che faccio.”
“Quindi è questo il suo piano? Ucciderli tutti e poi suicidarsi? Non lo trovo geniale.”
“Non potrei comunque tornare alla mia vita.”
“Vero. Ma io non disdegnerei così la vita. Anche se vissuta dietro le sbarre.”
“Che ne può sapere lei di sbarre?”
“Non esistono solo le sbarre delle prigioni. Lei dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro!”
Sherly fece qualche passo verso l’uomo mantenendo le mani alzate.
“Ferma!”
“Ragioni. Ormai la polizia sa che il filo conduttore degli omicidi è la croce di Sant’Andrea. La polizia sarà qui a momenti. Tutto questo non ha più senso.”
“Questo lo dice lei.”
“Ragioni ho detto. Ha una sola pistola. O mira a me o Amy Mayers. Se punta la pistola verso la finestra, io la fermerò. Se spara a me il colpo attirerà l’attenzione. C’è troppo silenzio qui. Non avrà la possibilità di sparare una seconda volta.”
L’uomo strinse di più l’arma al punto che le nocche della mano sbiancarono. Poi prese un respiro e sorrise allentando la tensione nelle spalle.
“Si sbaglia. Non ho tempo per sparare due volte e fuggire ma ho tempo per sparare tre colpi. Sono un soldato e sono preciso.” Concluse l’uomo togliendo la sicura dell’arma.

La metro ci stava mettendo troppo. ‘Maledizione’ era la parola che John aveva continuato a ripetere ossessivamente nella sua mente. Ad Highbury il telefono di Sherly era ancora spento. Richiamò casa Abbot.
“Signora Abbott, ho bisogno di un favore enorme.”
“La sento male. Mi dica.”
“Deve chiamare Casey. Lo farebbe per me?”
“E cosa dovrei dirgli?”
“Che sto arrivando.” Disse John dopo un attimo di incertezza. Si stava giocando il tutto per tutto.
“Capitano Watson, arrivando dove? Non la sento!”
Cadde la linea e John pregò che la donna lo ascoltasse. Non voleva sulla coscienza la vita di diverse persone. Non voleva arrivare e trovare Sherly cadavere.
La prossima fermata era Finsbury. Quando le porte si aprirono, spintonò un paio di ragazzi e schizzò fuori dalla metro. All’aria aperta riprese il telefono e cercò l’indirizzo di Amy Mayers. Maledisse la sua sfortuna.  Doveva correre ancora. Impugnò l’arma e corse.

“Si sbaglia. Non ho tempo per sparare due volte e fuggire ma ho tempo per sparare tre colpi. Sono un soldato e sono preciso.” Concluse l’uomo togliendo la sicura dell’arma.
Sherly non si fece intimidire.
“Torniamo al punto di partenza. Lei non mi sparerà.”
“Certo che lo farò. Ora si volti.”
Sherly sorrise di sfida.
“Se vuole uccidermi, dovrà farlo guardandomi negli occhi perché io non mi volterò. Cosa vuol fare per costringermi? Minacciare di uccidermi?”
In quel momento un telefono squillò. L’uomo rispose senza distogliere lo sguardo da Sherly.
“Pronto? Jenna, non posso parlare, sto lavorando. Cosa? Chi? Sta arrivando? Ok.” Fece l’uomo riponendo il cellulare in una tasca per poi rivolgersi di nuovo alla ragazza.
“Chi è John Watson?” chiese. Sherly poche volte aveva associato la parola ‘intelligente’ ad una persona che non fosse se stessa o Mycroft. Quella notte, con una pistola puntata alla testa, pensò che John Watson, per quanto ordinario, fosse straordinariamente intelligente.

John raggiunse il numero 44 di Seven Sister Road. Ricordò che Sherly aveva parlato al detective Lestrade di un assassino che sparava da lontano. Si guardò intorno. Dove potevano essere? Lui da dove avrebbe sparato se avesse voluto colpire con precisione e dileguarsi velocemente? Pensò da soldato e individuò la terrazza di un palazzo bianco con le persiane verdi. Lo raggiunse e salì le scale cercando di fare poco rumore. Fu allora che sentì la voce di un uomo. Si affacciò dall’apertura in cima alle scale e la vide. Tirò un sospiro di sollievo. Era viva. In piedi, con le mani alzate di fronte all’assassino. Lo sentì chiedere.
“Chi è John Watson?”
Tolse la sicura alla propria arma e facendo cenno a Sherly di non tradire la sua presenza, arrivò alle spalle del killer.
“Io sono John Watson.” Disse puntando l’arma alla schiena dell’uomo “E tu sei il tenente in congedo Casey Abbot. Non so se ci tieni davvero a sparare. Io non ci tengo affatto ma sono un soldato, come te, e non esiterò se penserò che la mia amica è in pericolo di vita.”
L’uomo parve sorpreso e, allo stesso tempo, colpito dalle parole di John e esitò.
“Capitano Watson, io non riesco a sparare guardando in faccia le mie vittime. Tu, invece, sei tipo da sparare alle spalle?” fece l’uomo sorridendo senza dare il tempo a Sherly e a John di capire.
Improvvisamente si voltò verso quest’ultimo e sollevò la pistola contro di lui. John, che non aveva mai davvero avuto intenzione di fare fuoco, si trovò spiazzato e si sbilanciò all’indietro. Fu allora che il killer fu spinto a terra. Sherly gli era corsa addosso e avevano iniziato a lottare per il dominio dell’arma. Partì un colpo. John vide Sherly rovesciarsi a terra. Abbott puntò l’arma contro di lei e John sparò. L’uomo urlò tenendosi il braccio. La mano di John non aveva tremato e aveva centrato perfettamente il bersaglio. In quello stesso istante le grida di Lestrade e di una decina di poliziotti che facevano irruzione sulla terrazza fecero piombare quel luogo desolato nella confusione.
John corse vicino al corpo di Sherly e, con il terrore negli occhi, la sollevò tra le braccia. Aveva una ferita alla testa ma, la sua esperienza, lo tranquillizzò subito. Si trattava di un colpo di striscio. Una ferita superficiale senza conseguenze gravi. Lestrade gli fu accanto in un secondo e provò a togliergliela dalle braccia. John la tirò verso di sé.
“Sta bene. E’ un graffio ma per precauzione la porto in ospedale.”
Lestrade tirò un sospiro di sollievo.
“Vi accompagno io in ospedale con la mia auto. Andiamo. Grazie per aver chiamato. Se fosse stato per lei, si sarebbe fatta ammazzare su questo tetto.”
“Lo so.” Disse solo John.
“Andiamo. Comunque io sono Greg. Puoi chiamarmi per nome. Ho la sensazione che ci incontreremo spesso da oggi in poi.”
“Io sono John. Ne ho il sospetto anche io.” Concluse sorridendo e sollevando la ragazza dai lunghi capelli corvini.

L’ospedale St.Bartholomew era silenzioso. John credeva che Sherly sarebbe stata ricoverata al pronto soccorso invece Lestrade la fece portare all’obitorio. Quel luogo era inquietante ma John si stava adattando. Ogni cosa che riguardava Sherly era particolare.
A riceverli fu Molly Hooper che non riuscì a definirsi amica della strana ragazza ma che sostenne con fervore di tenere molto a lei. La medicò e la fece distendere su un lettino improvvisato sul tavolo da lavoro dell’obitorio.
“Si spaventerà se si risveglia in questo luogo.” Disse ingenuamente John.
“Ti assicuro, John, che questo è uno dei posti preferiti di Sherly!” esclamò Greg.
“In effetti, non stento a crederti.” Disse John raggiungendo la ragazza. Dio, quant’era bella. Forse un po’ troppo magra ma bella. Molly lo avvicinò.
“E’ la prima volta che vedo Sherly in compagnia di qualcuno.”
“L’ho conosciuta oggi.”
“Davvero? Sembri preoccupato per lei.” Disse Molly con stupore e John si chiese che razza di gente senza sentimenti frequentasse quella signorina Holmes.
Il suo telefono vibrò.
-Ottimo lavoro, capitano Watson. Mycrof Holmes.
John lesse il messaggio e alzò gli occhi al cielo. Il fratello di Sherly sapeva cosa era successo e non gli importava di raggiungere la sorella quanto mandare un sms a lui. Gli rispose.
-Dovrebbe essere al capezzale di sua sorella. J.
-Non ne ha bisogno. C’è un medico con lei. M.
-Ora sono un medico? Credevo mi considerasse un soldato! J.
-Vanno bene entrambe le anime. Credevo di essere stato chiaro. Non amo ripetermi. M.
-Neanche io. Sua sorella è in ospedale con una ferita alla testa. Dovrebbe essere qui. J.
-C’è lei, lì. Tanto basta. Devo dedurre che ha accettato il lavoro. M.
-No. Non lavoro per lei signor Holmes. J.
-Se lo farà gratis per me va bene. M.
-Sherly meriterebbe un fratello più presente. J.
-Imparerà a sue spese che Sherly non ha mai meritato niente. M.
John ripose il telefono stizzito. Molly e Greg si offrirono di andargli a prendere qualcosa da mangiare. Appena la porta dell’obitorio si chiuse, Sherly Holmes aprì gli occhi sbuffando.
“Se ne sono andati?”
“Tu eri sveglia?”
“Da diverso tempo.”
“Da quanto tempo, per l’esattezza?”
“Da quando tu e Gary vi siete presentati.”
“Si chiama Greg. Diamine ti sei fatta portare in braccio ed eri sveglia!”
“Non volevo parlare con Gary e neppure con Molly. E’ una ragazza gentile ma quando comincia a parlare diventa di una noia che può uccidere.”
“Non sei gentile.”
“No, non lo sono.”
“Sei anche un’esibizionista.”
“Sì, lo sono.”
“Stanotte hai rischiato di morire.”
“Sì. E’ così.”
“Ed è una cosa che ti capita spesso da poterla definire normale?”
“Effettivamente sì.”
“Splendido!”
“Trovi?”
“Era un commento sarcastico.”
“Il tuo sarcasmo mi sfugge, John.”
“Davvero? O è un’altra delle tue finte?”
“Potrebbe.”
“Non approvo il tuo comportamento. Potevi morire e tu consideri tutto ciò un gioco.”
“La vita è un gioco, John. Alcuni vincono, altri perdono. L’importante è giocare. Se non giochi, non vivi. Non credi che sia così?”
John ripensò a tutte quelle settimane in cui si era lasciato avvolgere dalla polvere del suo appartamento e in cui gli unici momenti di vita erano stati quelli in cui aveva preso la sua pistola e aveva esploso colpi contro alberi o lattine. In fondo se Sherly si sentiva viva solo inseguendo criminali per le strade di Londra, lui poteva davvero biasimarla?
“E’ un gioco che si fa da soli o in compagnia?” chiese John controllandole la ferita sulla tempia destra.
“Solo con la compagnia giusta.”
“E qual è la compagnia giusta?”
“Hai visto molte cose terribili quando eri in Afghanistan vero? Morte, malattie, depravazioni, giusto?”
John annuì.
“Ti va di vederne ancora?” chiese Sherly come se stesse invitando qualcuno ad andare al cinema.
“Diavolo, sì.” Rispose John.
“Sarà pericoloso.” Insistette Sherly.
“Ok.”
“Allora tu, John Watson, sei la compagnia giusta.”
Il ragazzo, per la prima vota da quando era tornato a Londra, sorrise davvero divertito. Sherly si mise in piedi con un salto.
“Ehi, tu sei ferita!”
“Superficiale e irrilevante. La ferita. Andiamo John. Abbiamo un triliardo di cose da fare e la prima di queste è un trasloco.”
“Traslochi?”
“No, mio caro! Tu traslochi.”
“Davvero?” chiese John seguendo Sherly che camminava, guardandosi in giro, nei corridoi dell’obitorio.
“Shh, o Gary e Molly ci scopriranno! Certo che traslochi! Mica puoi restare in quell’appartamento piccolo e triste! E poi è troppo lontano da Baker Street.”
“Come fai a sapere che il mio appartamento è piccolo e che è lontano dal tuo? Lascia stare. Non voglio davvero saperlo!”
Sherly sorrise uscendo dal Barth’s e puntò i suoi occhi di ghiaccio su John.
“Andiamo Watson, il gioco è cominciato!”
John l’affiancò ed ebbe la sensazione che la sua vita fosse ricominciata daccapo proprio in quel momento. 

Note dell'autrice:
Ecco qui che finisce il terzo capitolo. E' mia intenzione far risolvere a Sherly e John un caso ogni tre capitoli. Una sorta di omaggio alla serie della BBC. Ad ogni modo in questi primi tre capitoli abbiamo conosciuto Sherly, John e Mycroft. Marginalmente sono apparsi Lestrade, Donovan e Molly. Lestrade e Molly sono due personaggi che mi piacciono. Vi è piaciuto il caso della croce di Sant'Andrea? Sto cercando di non utilizzare i casi della serie. Mi diverto davvero ad immaginare delitti e misteri da risolvere. Sociopatica iperattiva? Mi piacerebbe.
Spero che seguirete il prossimo caso, quello delle campagne pubblicitarie anche perchè sta per fare capolino un altro dei miei personaggi preferiti... Ah, ah, ah, ah stayin'alive, stayin'alive.... Se escludi l'impossibile, tutto il resto per quanto improbabile, non può essere che la verità... A presto. Kisses.

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Capitolo 4
*** Qualcosa in comune ***


 
Qualcosa in comune


Un mese dopo gli eventi di quel martedì di ordinaria follia, la quotidianità del 221 B di Baker Street era ormai fatta di una serie di bizzarre consuetudini cui la signora Hudson stava ancora cercando di abituarsi.
John aveva preso la stanza sopra l’appartamento di Sherly. Nonostante ognuno dei suoi due inquilini rifiutasse di arrendersi alla parola ‘convivenza’, Mrs Hudson riteneva che fosse la definizione più corretta per descrivere il loro modo di vivere. Si trattava comunque di una strana convivenza.
Sherly passava la maggior parte delle notti sveglia. Prima del trasferimento di John, la ragazza passava  le ore notturne persa in calcoli ed esperimenti che culminavano spesso in tremende esplosioni o in uscite da cui tornava sporca e devastata psicologicamente. Dopo il trasferimento di John, le uscite  notturne di Sherly diminuirono drasticamente e spesso, dal suo appartamento, si sentiva provenire solo il suono del suo violino.
Dal canto suo John, di notte, prevalentemente lavorava al Barth’s. Quando rientrava all’alba spesso portava con sé qualcosa da mangiare per Sherly. John si lamentava continuamente del fatto che la ragazza non mangiasse abbastanza.
Di giorno, invece, avevano entrambi un aspetto orribile. Mrs Hudson preparava tea e biscotti ogni volta che le sembrava che ce ne fosse bisogno. Non che le dispiacesse. Questa abitudine le consentiva di ficcanasare nelle loro cose.
John si occupava di fare la spesa e di tenere in ordine l’appartamento. Sherly procurava il denaro per pagare l’affitto e mantenersi. Avevano ricevuto diverse offerte di lavoro in quel mese ma Sherly trovava ogni caso noioso e aveva rifiutato tutti gli incarichi. Mrs Hudson li sentiva spesso discutere.
“Cosa aveva il caso del comignolo che non andava? Mi sembrava avesse tutti i requisiti per piacerti un comignolo che sanguina!” Diceva John.
“I comignoli non sanguinano, John. Sei tu il medico. Dovresti saperlo!” Rispondeva Sherly.
“Ok. E il caso della donna trovata nella fontana congelata?” L’incalzava Watson.
“Non è un caso per noi. Quello riguarda altri generi di ‘dottore’ mio caro John!”
“Che cosa significherebbe questo?”
“Lascia perdere!”
Potevano andare avanti per ore tuttavia Mrs Hudson sapeva che non discutevano per davvero. Sherly non era mai stata tanto equilibrata come da quando John Watson si era trasferito a Baker Street. Anche se l’anziana signora non poteva dirlo con certezza, le sembrava che Sherly fosse, a modo suo, felice.
Ma si sa. E’ quando credi che le cose andranno per il meglio che iniziano a precipitare. L’orlo del precipizio si presentò un venerdì pomeriggio quando John, dopo l’ennesima discussione sull’ultimo esperimento della riccioluta detective che prevedeva la testa di un cadavere nel frigo di casa, decise di uscire per un conto proprio.
Sherly notò che non indossava uno degli orrendi maglioni che portava di solito ma che aveva messo una camicia pulita e che aveva preso il giaccone sfiancato. Si raccolse i capelli con una matita. Se John avesse avuto il suo spirito d’osservazione, avrebbe saputo che faceva quel gesto quando era estremamente nervosa. Tutte le matite con cui si sistemava i capelli finivano infatti spezzate in due o lanciate con violenza sotto il soffitto in cartongesso dell’appartamento.
A salvare quella matita fortunata fu il cellulare della ragazza che lampeggiò.
-Ho bisogno del tuo aiuto. Greg.
Sherly prese il cappotto e la sciarpa e corse di sotto.
“Signora Hudson sto uscendo.” Esclamò.
“Dio, signorina, dove va da sola?”
“Da Gary. Non mi aspetti alzata.”
“E cosa dico a John quando torna?”
“Non tornerà tanto presto. Oggi si vede con una donna!” disse la ragazza stizzita.
“Oh cielo! Come ha potuto farle una cosa simile, Sherly?”
“A cosa allude Mrs Hudson?” le rispose la ragazza sistemandosi la sciarpa.
“Non mi dirà adesso che siete una di quelle coppie aperte, Sherly!”
Sherly Holmes era intelligente, praticamente onnisciente. Tuttavia, quando si trattava di relazioni umane, era a dir poco incapace di comprenderne le basi.
“Io e John siamo colleghi, non siamo una coppia in ‘quel’ senso. Io sono sposata con il mio lavoro.”
“Miss Holmes, non si possono far figli con il lavoro!”
La carnagione pallida di Sherly, sui suoi zigomi alti e spigolosi, si fece rossa. Lei si tirò su la sciarpa e aprì la porta.
“E’ semplicemente ridicola, Mrs Hudson.” Concluse uscendo. Non fu difficile fermare un taxi e raggiungere il detective Lestrade.
La centrale della nuova Scotland Yard era in un palazzo di vetro di diversi piani. Ormai la conoscevano tutti la dentro.
La consideravano la stramba consulente di Greg. Alcuni di loro la detestavano. Anderson su tutti. Avevano ragione. Lei non era un tipo semplice con cui andare d’accordo. Forse anche John cominciava ad accorgersene. Chissà perché pensava sempre a lui quando rifletteva sui propri modi di fare. Ormai John era diventato la sua cartina di tornasole. Scacciò quel pensiero dalla mente non appena udì la voce di Donovan.
“Di nuovo qui, geniaccia?”
“Già.”
“Greg è nel suo ufficio.”
Il detective era immerso nei suoi pensieri quando lei entrò nella sua stanza.
“Sherly, ben arrivata. E John?”
“Che c’è Gary? Io non basto?” disse lei accomodandosi sulla sedia davanti alla scrivania dell’uomo su cui stavano tre fotografie.
“Acida? Ti sei svegliata male?”
“Non credo che ti interessi davvero quello che ho fatto stanotte.” Rispose la ragazza sfilandosi la sciarpa. Greg non poté fare a meno di notare il collo pallido che terminava nella camicia abbottonata fino allo sterno.
“Potresti rimanere stupita del contrario?” Le chiese il detective.
“Non sono una persona facile da stupire. Ad ogni modo, provaci.” Disse lei e Greg la fissò in modo interrogativo non sapendo come risponderle.
“Le foto, Gary. Il caso. Stupiscimi.” Fece lei unendo le mani sotto il mento.
“Ah! Ti riferivi a queste.”
“E a cos’altro se no?”
“Niente, niente. Il caso. Ecco, guarda. Cosa ti sembra che abbiano in comune queste tre fotografie?” chiese il detective spingendole verso il suo lato della scrivania.
Sherly diede loro una rapida occhiata. Erano tre scatti di campagne pubblicitarie di tre prodotti di marca internazionali. Una bibita, un cosmetico e una macchina.
“Hanno qualcosa in comune?” chiese lei di rimando.
“Devi dirmelo tu. Ti ho chiamato apposta.”
Sherly si alzò, si sfilò il cappotto riponendolo con cura sulla spalliera della seggiola e si riaccomodò.
Fissò la prima foto. Solo la lattina della bibita con uno sfondo rosso e bianco e una scritta che esortava a bere ed essere felici.
La seconda presentava una modella bellissima con un abito viola che mostrava un barattolino come se fosse il suo più grande tesoro.
La terza era di un panorama mozzafiato che faceva da sfondo ad una strada su cui sfrecciava una berlina di lusso.
Sherly sollevò l’ultima e la guardò in controluce. La riposò sulla scrivania e prese le altre due, una alla volta.
Quando ebbe terminato l’analisi si poggiò allo schienale con uno sguardo malizioso.
“Allora? C’è o non c’è qualcosa che accomuna queste foto?”
Sherly scosse il capo.
“Assolutamente nulla.” Greg sbuffò.
“Sono tre scatti di tre diverse campagne pubblicitarie. Diverse aziende, diverso ideatore pubblicitario, diverso grafico, diverso fotografo, diversa casa produttrice. Le foto non hanno niente in comune. Ma se si riducesse tutto a questo, tu non mi avresti chiamato. Chi è lo sfortunato?”
“Come?” chiese Greg che si era sempre più rassegnato nel tempo a non poter nascondere nulla alla ragazza.
“Il morto, intendo.”
“Chi ha parlato di un morto?”
“Avanti, Gary. Le foto sono state piegate tutte alla stessa maniera. Erano nella tasca posteriore di un pantalone da uomo a giudicare dalle pieghe degli angoli. Quella che era in fondo è sporca di caffè. Segno che è stata portata in giro per almeno un giorno. Le pieghe sono marcate. Sono state ripiegate più volte come quando le fotografie vengono mostrate frequentemente. Devo continuare?”
“Il morto non ti riguarda. Queste dannate foto hanno o no qualcosa in comune?”
“Devi essere disperato, vero Gary?”
“Greg. Io mi chiamo Greg. E comunque questi sono gli unici effetti ritrovati addosso al cadavere. E sì. Erano nella tasca posteriore dei suoi pantaloni.”
In quel momento Donovan e Anderson piombarono nella stanza.
“Avevamo detto che non gli avresti parlato dell’omicidio!” esclamò la detective. Sherly rise.
“So già tutto. La vostra vittima è un investigatore privato. Le foto erano gli unici indizi del caso che stava seguendo. Probabilmente il suo assassino non voleva che arrivasse alla verità anche se credo che il poveretto brancolasse nel buio.”
“Ma davvero? Come fai a dire che era un investigatore privato?” disse in tono infastidito Anderson.
“Davvero. Indubbiamente la vittima era un investigatore privato. Greg ha detto che aveva solo le foto addosso. Ma non è esatto. Non aveva documenti questo è certo altrimenti non avrebbe parlato di assenza di altri effetti personali, tuttavia l’avete identificato perché non l’ha definito ‘sconosciuto’ come fa di solito quando parla di una vittima senza nome.”
“Ha azzeccato il mio nome!” esclamò Greg e la ragazza gli rivolse un sorriso compiaciuto.
“Se l’avete identificato senza documenti, doveva avere addosso un elemento dal quale avete ottenuto il suo nome. Direi un tesserino a giudicare dal segno rimasto impresso sul dorso di una delle foto. Un tesserino da investigatore tenuto insieme alle foto da mostrare in giro per ottenere informazioni. Dico bene Lestrade?”
“Anche il cognome! Sei in forma Sherly. Comunque ci hai preso. Come al solito. E ora queste foto hanno o non hanno qualcosa in comune?”
“Capo le ho già controllate con diversi gradi di ingrandimento. Gli scatti non hanno niente in comune.” Ripeté Anderson infastidito sempre di più.
“Esatto.” Disse Sherly.
“Davvero?” balbettò l’uomo della scientifica.
“Sì, ma ciò non esclude che tu rimanga un idiota. Perché semplicemente la gente non pensa? Gli scatti non hanno niente in comune. Le foto sì.”
“Non capisco.” Disse Lestrade.
Sherly scattò in piedi sventolando una foto sotto il naso dell’investigatore di Scotland Yard.
“La foto, Gary, la foto!”
“La vedo!” esclamò lui.
“La guardi ma non la osservi. Vengono da tre studi diversi. Sono state scattate da tre fotografi differenti eppure la carta è la stessa!” Anderson sbottò.
“Ma dai! Questa è grossa! Centinaia di studi fotografici usano la stessa carta!”
“Davvero?” fece Sherly che ora era davvero arrabbiata. La ragazza prese la foto e la voltò sotto gli occhi di Anderson “Questa carta? Questa carta è andata fuori produzione nel 2005. Quale studio che ha refusi di carta del 2005 avrebbe l’esclusiva per una campagna pubblicitaria all’ultimo grido di una di queste tra grandi firme? Taci Anderson! Quando parli abbassi il quoziente intellettivo di tutta Victoria Street!”
“Calmatevi!” esclamò Greg “Anderson va a farti un giro. Donovan portalo via. Sherly, tu vieni con me. Ti mostro il sign. Micheal Hole. Magari scopriamo qualcosa di più sulla sua morte.”
“Irrilevante. E’ la carta la chiave dell’enigma. Accompagnami in un posto.” Concluse Sherly sfilandosi la matita dai capelli. I ricci corvini si srotolarono sulle sue spalle mentre lei usava la matita per appuntarsi il numero di serie della carta delle fotografie. Modello FineArt812.
Greg prese l’auto di servizio e si fece guidare dalla ragazza per le strade di Londra. Si stupiva della capacità di Sherly di ricordare ogni singola via della città. Raggiunsero il Barbican.
“Che ci facciamo qui?” chiese Lestrade.
“Qui lavora un mio conoscente. E’ un esperto di fotografia.”
Una volta dentro attraversarono la grande hall e raggiunsero una mostra fotografica dedicata ai cinquanta scatti più rivoluzionari dagli anni sessanta ai giorni nostri.
Sherly si avvicinò ad un anziano signore che sedeva davanti ad una foto che ritraeva JFK.
“Buonasera Thomas.”
“Oh, Sherly, non ti vedevo da un po’.”
“Lui è il detective Lestrade.”
“Piacere” disse Greg “Lei lavora qui?”
“Lavoravo. Sono stato licenziato ma continuo a venire a dare un po’ di fastidio.” Disse il vecchio.
“Thomas, che sai dirmi della FineArt812?”
“Bellissima carta. Non si usa più. Hanno scoperto che era cancerogena. Come la maggior parte di ciò che adoperiamo nella vita di tutti i giorni. Ritirata dal commercio nel 2005. Ne fu persino vietato l’uso delle rimanenze. La maggior parte di quella carta fu bruciata tra la fine del 2005 e il 2006.”
“Caratteristiche particolari per cui qualche appassionato potrebbe volerla ancora utilizzare?”
Il vecchio scosse il capo ma rispose.
“Aveva un difetto.”
“Davvero?” chiese Sherly.
“Se usavi un contrasto troppo forte, le immagini rimanevano impresse addirittura sul retro.”
“Grazie Thomas.” Disse Sherly allungandogli una banconota da cinquanta sterline e prendendo la via per uscire.
“L’hai pagato?”
“No. L’ho ringraziato!” disse Sherly sorridendo “Mi accusate sempre di non essere gentile!”
“Che ha fatto per essere stato licenziato?”
“Ha dato fuoco alla mostra fotografica di Ritts. Le foto dei nudi lo irritavano!”
“Insomma è un criminale!” esplose Greg.
Sherly non rispose. Il sorriso le era morto sulle labbra. Dall’altro lato della stanza, ad ammirare una foto di Fidel Castro, stavano John e la donna che doveva essere il suo appuntamento. Lui le passava una mano intorno alla vita. Greg vide gli occhi di ghiaccio di Sherly ridursi a due fessure e la vide partire alla volta dei due. La ragazza bionda sorrideva.
“Non sapevo fossi un appassionato di fotografia!” diceva ridendo e Sherly si materializzò al fianco di John sul lato opposto a quello occupato dalla donna.
“Già Watson, non lo sapevo neanche io!”
John sussultò per lo spavento e si staccò immediatamente dalla sua compagnia.
“Sherly! Dio santo. Che ci fai qui?”
“Un caso, John. Ricordi? Quelli che ci danno da vivere!”
Greg pensò che fosse il momento giusto per palesare la sua presenza.
“Ciao John.”
“Ciao, Greg.” Disse John sorpreso di trovare Sherly in compagnia dell’investigatore. “Siete qui insieme?”
“Sì.” Esclamò Sherly “Insieme. Come te e miss?”
“Sawyer. Sara Sawyer. Sono una collega di John. All’ambulatorio.”
“Davvero?” chiese Greg per stemperare la tensione.
“Ma certo!” fece Sherly “Medico generico. Dirige l’ambulatorio e ha una vera passione per l’arredamento. Trova molto noiosa la fotografia John, prova con l’orto botanico.”
John rimase interdetto e si voltò a guardare Sara sperando che, per una volta, Sherly avesse torto. Il sorriso mortificato della ragazza gli confermò che Sherly era infallibile. Sospirò.
“Sara, lei è Sherly Holmes, occupa l’appartamento sotto al mio.”
“Non è esatto!” esclamò Sherly “John ha preso in subaffitto una camera del mio appartamento.”
John la guardò infastidito.
“Che c’è?” disse lei “Era un segreto?”
“Certo che no!” esclamò John.
“Andiamo Gary. Forse hanno bisogno di un po’ di privacy. Io e te dobbiamo risolvere questo difficilissimo caso.” John la guardò con sospetto.
“Qualcosa di pericoloso?” chiese con un velo di preoccupazione nella voce.
“Affatto! Non è neanche un duplice omicidio!” esclamò con tono sempre più stridulo Sherly voltandosi e incamminandosi verso l’uscita.
“Tranquillo, goditi la serata. Penso io a lei.” Disse Greg salutando.
John sorrise a Sara ma, per la prima volta da quando si era trasferito a Baker Street, nel vedere andare via Sherly con Lestrade, provò una sensazione che avrebbe imparato presto a conoscere come gelosia.

Note dell'autrice: Solo poche cose. Innanzitutto grazie a tutti coloro che stanno recensendo la storia l'hanno messa tra le preferite o le seguite... Cercherò di completare il nuovo caso entro il fine settimana... Come ho detto comincia con questo capitolo e terminerà nei prossimi due.
Vi dò solo due chiarimenti su alcune battute del capitolo. All'inizio John fa riferimento ad un caso di una donna ritrovata in una fontana gelata e Sherly gli risponde che riguarda altri generi di 'Dottore'. Il cameo è dedicato al Doctor Who e all'episodio in cui il Dottore incontra la Grande Intelligenza nell speciale di Natale.
L'altro riferimento alla mostra di Ritts è invece più reale in quanto il fotografo famoso per i nudi ha esposto davvero al Barbican.
Scusatemi se vi ho tediato. Kisses. 

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Capitolo 5
*** Qualcosa che mi sfugge ***


Qualcosa che mi sfugge


John rincasò alle tre del mattino e Sherly non era in casa.
-Dove sei? J.
Attese qualche minuto poi scrisse a Lestrade con cui aveva fatto amicizia nell’ultimo mese.
-Sherly è ancora con te? J.
Questa volta la risposta non tardò ad arrivare.
-Come ti salta in mente? Sono le tre del mattino! G.L.
-Non è a casa. J.
-Dovrebbe essere con me? G.
-Hai ragione. Notte. J.
Il telefono squillò e John rispose.
“L’ho accompagnata a Baker Street verso le undici. Sei preoccupato?” chiese Lestrade.
“Tu che ne pensi? Sono le tre del mattino!”
“Se eri tanto preoccupato per lei, perché sei uscito con quella bionda?”
“Che domande sono?” fece John stizzito.
“Scusa, scusa. Abbi pazienza John. E’ solo che io non sarò in grado di risolvere alcuni casi senza Sherly ma sono perfettamente in grado di capire certe cose.”
“Non abbiamo già parlato del fatto che io e Sherly dividiamo l’appartamento e la passione per il pericolo e null’altro? Non credo che ci siano al mondo due persone meno compatibili di noi. Io, praticamente, la detesto e lei non sopporta quasi nulla di me.”
“Ne abbiamo già parlato in effetti ma tu sembri non capire. Sherly è sempre stata un passo avanti a tutti noi ma non è mai stata tanto, come dire, concentrata. Tu hai portato ordine nella sua vita. Forse questo nuovo modo di vivere le piace.”
“E allora?” esclamò John che cominciava a mettersi sulla difensiva.
“Allora niente. Sherly Holmes è Sherly Holmes. Prendere o lasciare. Se lei mi avesse dato una sola delle chances che ha dato a te in questi mesi, io avrei preso senza pensarci su.”
“Guarda che non mi ha dato alcuna chance. E poi che vorrebbe dire che ‘avresti preso’? Lei ti piace? Tu sei sposato!”
“Sì, lo sono. E per questo non conto anche se quel suo modo di unire le mani sotto al mento e quei suoi occhi di ghiaccio mi fanno andare fuori di testa!”
“Greg!”
“Mi rimangio tutto. E comunque lei neanche mi vede! Datti una  svegliata Watson!” disse Greg chiudendo la conversazione. John posò il cellulare sul tavolo e guardò la poltrona di Sherly. Ogni volta che rincasava, trovava Sherly su quella poltrona in posizioni impossibili. Sorrise. Dove poteva essere finita a quell’ora? Prese di nuovo il telefono e digitò un messaggio.
-Sai dove può essere Sherly? J.
Digitò il numero di Mycroft ma non invio l’sms. Far sapere al fratello di Sherly, che gli aveva chiesto di badare a lei, che se l’era persa nel mezzo della notte non gli sembrava un’idea intelligente.
Pensò allora di inviarlo a Molly Hooper ma non aveva molta confidenza con la ragazza e abbandonò l’idea.
-Dove sei? J.
Scrisse inviando il messaggio senza pensarci su. Passarono pochi minuti che John trascorse affacciato alla finestra prima che il display del telefono lampeggiasse.
-Già a casa? S.
-Come sai che sono a casa? J.
-Lo so. S.
-Io sono a casa ma tu dove sei? J.
-Perché lo vuoi sapere? S.
-Non fare la bambina. J.
-Sembri Mycroft. S.
-Allora? S.
-Bart’s. S.
-Stai bene? Vengo subito lì. J.
-Sto lavorando. S.
John non le rispose. Era già giù per le scale.
Il Bart’s non era lontano ma il tragitto gli sembrò interminabile. Raggiunse l’obitorio dato che la stramba ragazza poteva essere solo lì.
Molly gli venne incontro scura in volto.
“Grazie al cielo sei arrivato! Ha torturato quel poveretto in tutti i modi possibili e immaginabili anche per una come lei!” John si allarmò.
“Chi ha torturato?”
“Micheal Hole. Il morto del caso di Greg.”
“Dov’è ora?”
“Di là.” Rispose Molly indicando il suo laboratorio. John entrò e la vide.
Camminava avanti ed indietro con le mani dietro la schiena facendo attenzione a non calpestare altro che le mattonelle di un’unica linea. I capelli scuri le incorniciavano il viso scavato ma sempre bellissimo. Gli zigomi leggermente arrossati per il freddo e gli occhi bassi e quasi liquidi. Il corpo fasciato in una camicia argento infilata in un pantalone nero a sigaretta.
“Non potremmo tornare a casa ora? E’ tardi e Molly si lamenta del trattamento che hai riservato al sign. Hole.”
“Lei si è lamentata? Il sign. Hole non lo ha fatto di certo!” rispose la ragazza fermandosi al centro della stanza e fissando i suoi occhi arguti su John.
“E’ comunque tardi.”
“Tardi per cosa?”
La domanda di Sherly lo fece sorridere.
“In effetti! Cosa facciamo allora?”
“Mi sfugge qualcosa.” Disse lei.
“Qualcosa che sfugge a Sherly Holmes?”
Lei storse le labbra in una smorfia e riprese a camminare. Poi, d’improvviso, si bloccò e parlò di nuovo.
“Avanti John, sai come faccio io, guarda le foto e dimmi.”
John si passò una mano dietro al collo.
“Non so niente del caso.”
“Ti faccio un riassunto. Micheal Hole. Investigatore privato trovato morto con solo queste tre fotografie addosso e una serie di cianfrusaglie che trovi sul tavolo. Avanti. Che te ne sembra?”
John si avvicinò al tavolo delle autopsie e guardò le foto e le cose che erano affianco al cadavere che era già livido. C’erano un pacchetto di gomme da masticare e uno di sigarette. Un tesserino da detective, la carta di un pacchetto di patatine accartocciato, una rivista di parole crociate arrotolato, due scontrini e un paio di occhiali da sole. Diede un’occhiata al cadavere, agli abiti che portava e alla ferita alla testa che lo aveva ucciso.
“Vuoi davvero che lo faccia? Sono certo che sai perfettamente tutto quello che si può dedurre da questi oggetti.”
“Avanti. Mi serve un altro parere.”
“Coraggio allora, rendiamoci ridicoli. L’uomo è sui cinquant’anni. E’ un investigatore privato. Indagava sul legame tra queste foto. E’ morto per il colpo alla testa circa trentasei ore fa. Chi l’ha aggredito era più alto di lui e destro a giudicare dalla profondità del taglio e dalla direzione del colpo. L’assassino lo ha colpito alle spalle. Si direbbe che era un fumatore in base alla presenza del pacchetto di sigarette. Non sembra che fosse un uomo molto ordinato a giudicare dallo stato dei suoi abiti. Era malato, probabilmente problemi di colesterolo facendo caso allo stato delle sue arterie e alla sua alimentazione se si considera il pacchetto di patatine.” John si fermò “Come sono andato?” concluse guardando la donna.
“Interessante. Ti sono sfuggiti quasi tutti gli elementi che hanno una rilevanza per il caso.” Disse Sherly avvicinandosi al tavolo e poggiando entrambe le mani sul freddo metallo.
“Il nostro detective privato, che per comodità chiameremo amichevolmente ‘cadavere’, non era sposato e non aveva relazioni. Abitava da solo e non rientrava a casa da almeno quarantotto ore.”
“Come fai a dirlo?” chiese John prima di essere fulminato dallo sguardo di Sherly che odiava essere interrotta mentre faceva la sua magia. “Scusa, continua.”
“Non ha anelli e nell’interno del tesserino non ci sono foto o altri documenti. Non ha con sé le chiavi di casa. Probabilmente le ha lasciate nel suo ufficio. Non guida, lo si deduce dallo stato della suola delle sue scarpe. Sono nuove ma la gomma è molto consumata per uno che usi abitualmente l’auto. In tasca aveva gli scontrini di due locali. Un ristorantino e un take away. A giudicare dagli orari sugli scontrini, ha mangiato e cenato fuori il giorno prima della morte. Su una delle fotografie c’è la macchia di caffè del bordo di un bicchiere starbucks. Ergo ha fatto colazione fuori la mattina che è morto. Fumava ma ha smesso. Ci sono le sigarette ma non l’accendino. Le gomme da masticare erano un ripiego. I suoi abiti confermano che ha passato la notte senza toglierseli, probabilmente in una lavanderia aperta ventiquattrore su ventiquattro a giudicare dall’odore di detersivo che c’è su quella macchia sui suoi pantaloni. Non è un appassionato di enigmistica. C’è la rivista ma non la penna. Usava il giornale per nascondere il proprio viso durante gli appostamenti. La rivista risulta aperta sempre e solo ad una pagina. Ne concludiamo che ‘cadavere’ è uscito dal proprio ufficio ventiquattro ore prima di morire e cioè cinque giorni fa dato che è morto da trentasei ore.  Preventivava di seguire qualcuno. Ha infilato occhiali da sole e ha preso il necessario per stare fuori casa fino all’alba del giorno dopo. Non era certo di intercettare la persona che cercava ma l’ha trovata o non avrebbe passato la notte fuori. E’ stato ucciso dopo le dieci. Infatti dopo la colazione ha consumato voracemente un paco di patatine che Molly gli ha trovato nello stomaco durante l’autopsia.”
“Tu sei incredibile!”
“Grazie.”
“Prego. Posso farti solo una domanda?”
“Dimmi pure.”
“Perché l’assassino non ha preso le foto? Se lo hanno ucciso per quelle, perché non portargliele via?”
“Elementare, John. L’assassino non lo sapeva. Questo ci dice di lui che è un assassino su commissione. Il mandante non ha ritenuto di dovergli parlare delle fotografie. Gli ha solo commissionato l’omicidio di ‘cadavere’. Perciò il killer non ha fatto caso alle foto.”
“Geniale. Peccato non sapere qualcosa di più sul caso. Avremmo potuto scoprire chi stava seguendo ‘cadavere’.”
“Ma noi lo sappiamo.”
“Davvero, Sherly?”
“Certo, John. Partiamo dal principio. Tre fotografie che non hanno nulla in comune se non la carta. Come sono finite insieme? Chi può aver commissionato a ‘cadavere’ un caso che riguarda tre società diverse? Pensa John. Cosa possono avere in comune una società di bevande, una di cosmetici e una di auto?”
“Sarà che sono le quattro del mattino ma io non ci arrivo proprio.”
“Affari, John, affari. Soldi. Cadavere ha ricevuto l’incarico da un avvocato o da un consulente finanziario preoccupato di tutelare gli interessi dei suoi clienti. Cadavere avrà fatto un po’ di ricerche solo per scoprire che l’unica cosa in comune agli scatti era la persona che gliele aveva date. Così si sarà messo a pedinarlo. E’ partito dal Jameson Eye vicino a Westminster, come dimostra lo scontrino del ristorante. Dopodiché lo ha seguito fino a South Bank. Lì la persona pedinata deve essere entrata in qualcuno degli uffici e Cadavere ha preso da mangiare al take away  di Ching. Secondo scontrino, vedi?” disse mostrando a John uno dei pezzetti di carta “L’uomo però non è uscito. Deve aver passato la notte nel suo ufficio perché Cadavere si è fermato ad aspettare in una lavanderia 24H per non perderlo di vista. Verso le sette del mattino seguente ha fatto colazione in un caffè starbucks e solo dopo è ricominciato il pedinamento. Da questo punto in poi  sappiamo solo che si è fermato a comprare un pacchetto di patatine e che è stato intercettato dal killer.”
“E siamo tornati all’inizio.” Disse John ma Sherly scosse il capo.
“No. C’è un solo edificio il cui ingresso può essere controllato da uno stabucks caffè e da una lavanderia 24H a South Bank. Il palazzo della Bank of England. Del resto tre società così famose saranno certamente seguite dal miglior banchiere di Londra! E io so chi è il più infido banchiere della City. Grazie a Cadavere sappiamo chi aveva le foto in origine.”
“Io non riesco a crederci. Davvero Sherly! Ma come diavolo fai?”
“Palazzo mentale. Ci metto solo le informazioni davvero utili.”
“Come quelle che hai scoperto su Sara ieri sera?”
“Argomento irrilevante.” Disse la ragazza prendendo il cappotto e avviandosi verso l’uscita.
“Non sei stata carina a comportarti in quel modo.” Fece John seguendola “Se ti infastidisce qualcosa, dillo.”
Sherly si fermò di colpo e lui le andò a sbattere contro la schiena.
“Non sono minimamente interessata alla tua vita sessuale.”
“E ora chi ha parlato di sesso? Sara è una ragazza simpatica con cui è piacevole passare del tempo.”
“Non vedo motivi diversi per decidere di passare del tempo con una persona con cui non si ha nulla in comune se non quello di soddisfare, diciamo, bisogni primari.”
“Sherly!”
“Sei un medico ed un soldato, devo credere davvero che l’argomento ti imbarazzi?”
“Non mi imbarazza parlare di sesso. Non credo di doverne parlare con te.”
“Hai tirato tu fuori l’argomento.”
“Vero. E dipende dal fatto che non è stato carino il modo in cui ti sei comportata al Barbican.”
“Ho detto solo la verità.”
“A volte potresti essere meno diretta?”
“Mi stai incitando a mentire?” John scosse il capo esasperato e tirò un sospiro.
“Sto solo dicendo” disse poggiando le mani sui fianchi allargando il giaccone sfiancato la cui vista aveva suscitato in Sherly tanto nervosismo solo poche ore prima “che c’era un modo meno tagliente di informare Sara che il ragazzo che le ha chiesto di uscire divide l’appartamento con un’altra donna!”
A quelle parole gli occhi di Sherly si ridussero nuovamente a due fessure.
“Io non sono ‘l’altra donna’. Io sono la tua coinquilina. Non c’è altro che tu debba dire a Sara di me. Noi lavoriamo insieme.”
“Anche io e Sara lavoriamo insieme e questo non ha impedito che il nostro rapporto si evolvesse. La maggior parte delle persone hanno dei sentimenti Sherly!”
“Per avere dei sentimenti è necessario essere provvisti di un cuore, John. Sono stata informata da fonte certa che non ne ho.”
“Tutti hanno un cuore, Sherly. Sono sorpreso che una donna della tua intelligenza abbia deciso di non farne uso.”
La ragazza rimase per un attimo in silenzio. John si sentì per un momento in vantaggio su di lei. Era sicuro che la sua ultima affermazione avesse colpito nel segno. Sherly però si alzò il bavero del cappotto e gli rispose demolendo le sue certezze.
“Ti svelerò una cosa che non insegnano a scuola, John, e che ho imparato a mie spese. Il corpo umano non è fatto per usare appieno tutte le capacità del cuore e del cervello. Bisogna scegliere.”
John non si perse d’animo. Nel mese che aveva trascorso a Baker Street aveva imparato che Sherly non ragionava come la maggior parte delle persone e che non seguiva sempre tutte le regole di convivenza della società umana. Eppure, a proprio modo, era la persona migliore che avesse mai incontrato. Se poteva caricare su di sé i problemi delle persone che riteneva importanti, lo faceva senza pensare a se stessa. Ad esempio, contraddiceva continuamente Mrs Hudson ma non la urtava mai. Chiamava sempre Lestrade col nome sbagliato ma, durante un’indagine, non aveva esitato a rischiare la vita per evitargli una pallottola. Così rispose in modo diretto.
“Io ho scelto tanto tempo fa, Sherly. E ho scelto il cuore.”
La ragazza infilò le mani in tasca e gli diede le spalle. John non vide il suo sorriso amaro e i suoi occhi tristi.
“Anche io ho scelto tanto tempo fa. Ho scelto il cervello.” Concluse avviandosi verso l’uscita.
La notte era piombata sul Bart’s fredda e senza stelle. Fu allora che accadde. Nel momento preciso in cui lei stava per sollevare un braccio e richiamare l’attenzione di un taxi. Il contatto umano. Quella strana cosa a cui non era più abituata. La mano di John che prese il suo polso. Carne contro carne. Un brivido le percorse la schiena. Non ebbe neanche il tempo di fissare la sua espressione più arrabbiata sul ragazzo. Le parole di John fecero prima.
“Perché allora una come te si accompagna ad uno come me?”
John disse quella frase di fretta quasi temesse che, perdendo tempo, non avrebbe più ritrovato la propria voce in gola o le parole si sarebbero confuse nel cervello di cui aveva appena ammesso di non fare molto uso. 
Sherly, dopo il brivido, percepì come uno sbandamento e la mano di John divenne l’unico punto fermo di un mondo che cominciò a vorticare. Durò solo pochi istanti. Istanti in cui John disse qualcosa, forse pronunciò il suo nome. Lei vide solo il fumo formato dal calore del respiro di John che si scontrava col freddo della notte di Londra. Non udì nulla. Ancora il suo braccio sollevato e il polso stretto nella mano di quel ragazzo straordinariamente ordinario. 
Un taxi si fermò davanti a loro. Sherly tornò padrona del proprio udito e, lentamente, di tutti gli altri sensi.
In quei pochi momenti il cervello della ragazza elaborò almeno dodici frasi diverse con cui rispondere. Tutte però prevedevano la collaborazione di quel cuore di cui Sherly aveva smesso di fare uso. Così diede la sola risposta possibile. Quella più logica.
“Sei tu che sei venuto a cercarmi.” Disse sfilando la propria mano da quella di John e infilandosi nel taxi facendogli comunque posto. Il ragazzo sospirò e sorrise nervosamente seguendola in macchina.
Il rientro a Baker Street fu silenzioso. John non si fermò, come suo solito, a preparare il tea e salì direttamente nella sua camera. Quando era già nel letto, udì il suono del violino di Sherly. Ammise che era brava con quello strumento anche se non riusciva a riconoscere la melodia che aveva preso a suonare. Era triste. Sembrava voler comunicare una serie di sentimenti che Sherly si ostinava a dire di non avere. Per lo più commozione. Commozione per cosa? Pensò di scendere al piano inferiore, preparare il tea e farle sapere che, anche se a lei non importava, lui era felice di essere lì. Di condividere non solo l’appartamento di Baker Street ma anche quella stramba vita che avevano deciso di condurre insieme. Rimase nel letto. Non avrebbe più chiesto a Sara di uscire poiché aveva appena confessato a se stesso che la vita ordinaria che Sara poteva offrirgli, non gli interessava davvero. La melodia del violino lo condusse in un sonno profondo.

Note dell'autrice: I ringraziamenti a chi sta seguendo i miei vaneggiamenti sono d'obbligo.
Vi abbraccio tutti, davvero. Questa volta ho deciso di avvicinare un po' Sherly e John. Un primo contatto. Spero di non essere andata troppo fuori dal personaggio di John.
Nel prossimo capitolo, il caso troverà la soluzione e sono certa che vi farà piacere scoprire chi c'è dietro il mistero delle foto anche se un primo indizio ve l'ho dato in questo capitolo.
Alla prossima. Kisses. XD

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Capitolo 6
*** Nessuna soluzione? Nessun problema! ***




Nessuna soluzione? Nessun problema!



L’indomani mattina John fu svegliato dal fischio assordante della teiera. Saltò giù dal letto e corse al piano inferiore ancora con i soli pantaloni del pigiama addosso temendo che Sherly stesse per far saltare in aria la casa.
La ragazza era in cucina, ancora in pigiama e vestaglia con tutti i capelli arruffati.
“Santo cielo, Sherly! La teiera!”
“Sì, ti ho chiamato dieci minuti fa per spegnare il gas.”
“Sherly, ero in camera mia, dormivo. Come avrei potuto sentirti? Sei ad un passo dal fornello!”
“E’ compito tuo preparare il tea. Ringraziami per aver messo l’acqua sul fuoco.”
“Giuro che se lo fai di nuovo, non preparerò mai più il tea.”
Sherly lo guardò sorridendo sorniona ma distolse quasi subito lo sguardo. Si alzò, si tolse la vestaglia e la porse a John.
“Non ho freddo.” Disse il ragazzo.
“Non ci si presenta davanti ad una donna con cui non si hanno rapporti intimi senza abiti, John. La vestaglia da camera è d’obbligo.”
“Sei seria?” chiese il soldato ridendo.
“Certo. Vuoi che la signora Hudson creda che abbiamo un certo tipo di relazione?”
John la guardò nel suo pigiama da uomo a righe verticali bianche e blu e continuò a ridere.
“Nessuno avrebbe un certo tipo di relazione con una donna che indossa pigiami da uomo di questo tipo. E mettiti un paio di ciabatte. A piedi nudi ti raffredderai!”
Sherly si guardò le dita dei piedi e il pigiama. In effetti la misura più piccola da uomo le stava comunque grande di almeno due taglie.
“E’ comodo. Ed è tutto ciò che viene richiesto ad uno stupido pigiama.” Concluse.
John preparò il tea che Sherly bevve con gusto.
“Che facciamo stamattina?” chiese lui.
Sherly si era accomodata sulla sua poltrona con le gambe incrociate e la tazza tra le mani. Sembrava un vecchio capo tribù indiano che deve decidere se andare a sud o nord con la sua gente. Soffiò sul tea e ne aspirò l’odore prima di parlare.
“Ci vestiamo e andiamo in banca. Dobbiamo chiudere il caso delle foto.”
John annuì consumando gli ultimi biscotti che aveva disposto su un piatto per la colazione constatando che Sherly ne aveva preso solo uno. Quella benedetta ragazza non mangiava abbastanza.
Dopo un’ora erano a South Bank. John si rese conto subito che Sherly sapeva esattamente dove andare. Arrivò alla reception degli uffici di direzione e chiese di un certo Sebastian Moran.
“Dica che è Sherly Holmes che chiede di lui.” Concluse velocemente e la segretaria eseguì. Dopo qualche istante un uomo sulla quarantina, vestito in modo elegante e con un sorriso scintillante, uscì a passo svelto da uno degli uffici e si diresse verso Sherly con le braccia spalancate.
“Sherly Holmes, che piacere rivederti!” esclamò amichevolmente. Sherly fece un passo indietro e si limitò a stringergli la mano. John abbassò il capo e sorrise. A quanto pareva Sherly davvero odiava il contatto fisico indesiderato.
“Possiamo avere qualche minuto del tuo prezioso tempo, Sebastian?”
“Ma certo!” disse L’uomo allargando di nuovo le braccia “A meno che tu non sia venuta a ritirare tutto il saldo del tuo fondo fiduciario!”
“Non si tratta di soldi.” Disse Sherly “Almeno non dei miei, Sebastian.”
A quelle parole Sebastian lanciò un’occhiata languida a John che si affrettò a cancellare rapidamente ogni dubbio.
“Neanche dei miei.” Disse soltanto.
Sebastian tossì e guardò Sherly un po’ confuso.
“Lui è John Watson. Un mio amico.” Disse la donna.
“Amico?” chiese il banchiere.
“Collega.” Aggiunse John.
“Bene.” Fece strada Moran “Di qua per il mio ufficio.”
La stanza era grande e arredata in stile minimalista. Sebastian si dondolò su una sedia e incrociò le dita delle mani posando i gomiti sul tavolo.
“Allora Sherly, cosa posso fare per te?”
Sherly sfilò le tre famigerate fotografie dalla tasca del cappotto e le posò sul tavolo.
“Forse sono io che posso fare qualcosa per te, Sebastian.”
L’uomo diede una rapida occhiata agli scatti e poi guardò Sherly.
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Avanti, vuoi davvero fare questo gioco con me, Sebastian?” Chiese Sherly sorridendo e imitando la posa dell’uomo. “D’accordo. Ruga sulla fronte. Indica che qualcosa ti preoccupa. Irrigidimento della mascella. Vano tentativo di nascondere la sorpresa. Aumento della sudorazione. Indica disagio. Devo continuare?”
Sebastian guardò John e sorrise.
“Lei non la trova odiosa quando fa così?”
“Mi ci sono abituato.” Rispose John.
“Allora? Chi ti ha dato queste foto, Sebastian?”
“E va bene. Sono arrivate per posta. La prima è stata quella della DietCoke circa un mese fa.” Confessò Moran aprendo uno dei cassetti della sua scrivania e tirando fuori alcune buste gialle “ Solo una busta con la foto e questo biglietto.”
Sebastian fece scivolare verso Sherly un cartoncino non più grande di un biglietto da visita bianco con una scritta nera che diceva solo ‘Nessuna soluzione? Nessun problema.’ Sherly se lo rigirò tra le mani, lo annusò e lo guardò controluce. Il banchiere proseguì.
“Tre settimane fa è arrivata la busta con la foto della L’Orel. Stessa busta e stesso biglietto. Questa volta nessuna scritta solo un indirizzo IP. L’abbiamo controllato. Fa aprire un file video. E’ una scena del film ‘La donna che visse due volte’. Alla fine, due settimane fa è arrivata la terza busta con la foto della Benz e un biglietto con un numero di cellulare.”
“Lo avete chiamato?” chiese John.
“Ovviamente. Il numero è inesistente.”
“Inesistente.” Ripeté Sherly.
“Già. Qualcuno si è divertito a rubare le anteprime delle campagne pubblicitarie di tre clienti primari della banca e me le ha recapitate. Abbiamo contattato gli studi fotografici delle tre compagnie e abbiamo scoperto che gli scatti non erano ancora andati in stampa. Quindi sono stati trafugati in formato digitale e poi stampati.”
“Certo!” Esclamò Sherly. “Ecco perché la carta era la stessa e fuori produzione!”
“Sapevo che avrei dovuto chiamare te. I nostri legali erano convinti che affidare un caso di spionaggio industriale ad una consulente investigativa non fosse, propriamente, professionale. Così hanno scelto Hole. Io sapevo però che non avrebbe ottenuto nulla.”
“Sbagliato.” Lo interruppe Sherly “Ha ottenuto di farsi ammazzare.”
“Sherly!” la rimproverò John “Sono informazioni riservate della polizia!”
“Non ti agitare, John. Sebastian è perfettamente a conoscenza che Hole è morto o non avrebbe detto che non avrebbe ottenuto nulla da lui, giusto?”
L’uomo aprì di nuovo il cassetto e tirò fuori un’ultima busta in cui stava una foto del cadavere di Hole.
“L’ho considerato un avvertimento.” Disse Moran “Ora come ora non posso fare altro che informare i miei clienti che l’unico collegamento tra i loro comuni problemi di privacy è la mia banca. A meno che tu non accetti il caso.”
“Se mi dai questi oggetti e ordini alla polizia di consegnarmi gli originali degli scatti. In quanto segreti industriali puoi reclamare le fotografie.”
“Ok.” Disse Sebastian mettendo tutto in una busta.
“Ti farò avere mie notizie, Sebastian.” Concluse Sherly afferrando la busta e dirigendosi verso l’uscita.
Quando furono fuori dall’edificio, Sherly si rivolse a John.
“Cosa ti disturba?”
“Niente.”
“Avanti, parla.”
“D’accordo.” Disse John fermandosi in mezzo ai passanti. “Non approvo. Stavi seguendo il caso per la polizia. Ora ti metti dalla parte di quel tizio che non mi piace per niente.”
“Sebastian è un totale idiota dai tempi dell’università. Te l’ho già detto. C’è qualcosa che mi sfugge e devo capire.”
“A qualunque costo?”
“A qualunque costo.” Disse lei decisa. “Andiamo a Scotland Yard.”

Greg stava facendo uno spuntino quando Sherly e John piombarono nel suo ufficio.
“Accomodatevi, fate come se foste a casa vostra!” esclamò ironicamente Lestrade.
“Grazie, Gary.” Disse Sherly mettendosi seduta.
Il detective sollevò gli occhi al cielo scatenando ilarità in John.
“Avete almeno scoperto qualcosa?” chiese.
“Dato che John era troppo impegnato con il suo appuntamento, la parola ‘avete’ è scorretta. Io ho scoperto quel che c’era da scoprire sul caso.”
Stavolta fu Greg a ridere di John. Sherly continuò.
“Micheal Hole ha ricevuto le foto da Sebastian Moran, direttore della sede centrale della Bank of England. Gli ha commissionato l’incarico di scoprire chi aveva trafugato le foto delle nuove campagne pubblicitarie di alcuni clienti della banca probabilmente per evitare di essere ricattato.”
“Qualcuno voleva ricattare Moran?” chiese Greg e Sherly annuì.
“Le foto sono state rubate in formato digitale. Quindi le stampe sono state fatte da chi ha ordito tutta la trama. Se non mi fai fare degli esami sugli originali, non potrò esserti più d’aiuto.” Concluse la ragazza. Greg guardò John.
“Non è un capriccio.” Aggiunse quest’ultimo “Moran ha detto che le foto gli sono state spedite per posta.”
“E Micheal Hole? Forse Moran c’entra anche con il suo omicidio.” Provò a insistere il detective. Sherly si alzò di scatto e si portò le mani al viso.
“Non essere stupido, Gary. Hole è stato assassinato ma il killer non ha portato via le foto. Questo indica che l’assassino è un killer su commissione. Non c’entra niente col caso. Forse Hole stava facendo domande in giro, attirando attenzione e, di norma, i ricatti si fanno nell’ombra. Lo hanno ucciso per evitare che Moran si mettesse a cercare altre informazioni.”
“Se ti do le foto, sarai in grado di restituirmele integre?” chiese Greg già immaginando le urla di Anderson.
“Assolutamente no.” Disse asetticamente la riccioluta detective e a John sfuggì una risata.
“Tu mi farai licenziare!”
“Non volontariamente.” Rispose Sherly.
Greg le diede le foto e lei le infilò nella busta che le aveva dato Moran.
“Andiamo John, il Bart’s ci aspetta!”
All’ospedale Sherly occupò il laboratorio di Molly Hooper e lui rimase in religioso silenzio a fissarla armeggiare con gli strumenti.
John, che la seguiva sin dal mattino, continuava a stupirsi dell’energia che metteva in tutto ciò che faceva. Ogni tanto Sherly tirava fuori qualche battuta sul suo appuntamento con Sara. Il dottore non le avrebbe mai confessato che aveva deciso di non uscire più con la donna. Non solo. Non le avrebbe mai confessato che in realtà aveva chiesto a Sara di uscire per capire se era ancora in grado di confrontarsi con una ragazza ‘normale’. Da quando si era trasferito a Baker Street, infatti, John aveva scoperto che alcuni dei motivi per cui aveva ritenuto necessario frequentare un’analista erano spariti. Innanzitutto non portava più in giro la sua pistola per un senso di inadeguatezza. Ora la portava  con sé perché poteva essere utile a proteggere se stesso e Sherly. In secondo luogo, si sentiva di nuovo a suo agio in mezzo alle persone. Riusciva a comunicare senza sembrare un ebete con Mrs.Hudson, il detective Donovan e Lestrade. Certo si sentiva inadeguato a parlare con Mycroft Holmes ma chi non poteva dire lo stesso? E poi c’era Sherly. Tutto aveva un senso stando intorno a lei. Era riuscito persino a tenere un diario come gli aveva chiesto l’analista. Era un diario online, un blog, ma pur sempre un diario. La sua vita lo rendeva felice. Stando insieme a Sherly, gli orrori della guerra sembravano un po’ più lontani. La polvere di Baker Street non lo irritava più.
Era perso in questi pensieri quando lei lo chiamò per farsi passare un reagente.
“Va tutto bene, John?” disse lei continuando a fissare le lenti del microscopio.
“Sì. Trovato niente? Sono le cinque e non hai mangiato nulla dal tea di stamane. In più a colazione hai mangiato solo un biscotto!”
“Se mettessi nei casi la stessa attenzione che usi per controllare ciò che mangio, John, saresti uno straordinario detective.”
“Fa pure della facile ironia. Tu non mangi abbastanza.”
“Mangiare mi rallenta.”
“Anche non mangiare. Comunque hai scoperto niente?”
“Non ci sono impronte sulle foto. Non che mi aspettassi di trovarne. Ho usato diversi reagenti per vedere se sul retro delle fotografie ci fosse qualcosa di nascosto. Niente.”
“Quindi siamo di nuovo in un vicolo cieco.” Disse sconfortato John.
“No. E’ chiaro che il messaggio non era nelle foto ma nei biglietti. Dobbiamo concentrarci su quelli. Anche se non riesco a credere che le foto non significhino nulla. C’è qualcosa che mi sfugge. Ad ogni modo, mangiare qualcosa da Angelo non ci farà male.” Concluse riponendo tutto nella busta gialla e salutando Molly che, ogni qualvolta la vedeva andare via dal suo laboratorio, tirava sempre un sospiro di sollievo.

Angelo aveva sempre un tavolo pronto per Sherly. Lui l’adorava. Non c’era nulla che non avrebbe fatto per lei. Quella sera gli servì fish and chips a lume di candela nonostante John gli avesse chiesto esplicitamente di non accenderle.
Sherly rideva sempre dell’imbarazzo crescente che colpiva John ogniqualvolta Angelo lo minacciava di non fare soffrire la sua signorina preferita. Il ristoratore si era convinto che John fosse il fidanzato di miss Holmes.
La cena trascorse serenamente. John si meravigliava di quanto Sherly apparisse ‘normale’ in certi frangenti e degli improvvisi sbalzi d’umore che la colpivano alla vista di un particolare tipo di vestito o di un profumo che intercettava nell’aria. Quella sera però tutto fu piacevole e rilassante. Non parlarono del caso mentre consumarono il pasto e un’ottima bottiglia di vino. All’uscita dal locale Sherly ebbe bisogno di aiuto a sistemare il cappotto. Le mani di John l’aiutarono ad infilarlo. Lui rideva di quanto poco reggesse l’alcool. Lei del fatto che lui lo reggesse fin troppo bene. Lui le chiese di non fare deduzioni in proposito e le alzò il bavero del cappotto per non farle prendere freddo. La pelle di Sherly era morbida sul collo. John arrossì violentemente ma lei non se ne accorse o fece finta di non notarlo. Raggiunsero Baker Street in pochi minuti. Mrs Hudson li sentì ridere e non si affacciò preferendo non interrompere quella che lei credeva una serata speciale.
Di sopra Sherly si disfò del cappotto e della sciarpa e si buttò sulla sua poltrona con la testa all’indietro.
“Stanca?” chiese John.
“Affatto. Vorrei concludere il lavoro. Fammi un riassunto.” Disse a John.
Lui prese la busta e svuotò il suo contenuto sulla scrivania. Dopodiché con degli spilli attaccò tutto alla parete degli enigmi, come avevano preso a chiamare la porzione di muro sopra il divano.
“Allora” disse John “abbiamo la foto di una lattina su sfondo biancorosso e un biglietto con la frase ‘Nessun soluzione? Nessun problema.’. Segue la foto di una modella con un cosmetico di moda accompagnata da un biglietto con l’indirizzo IP di una scena del film ‘La donna che visse due volte’. Infine la foto di un’auto di lusso con il solito biglietto con un numero di telefono inesistente. Non riesco proprio ad immaginare come possiamo arrivare al mandante delle fotografie e dell’assassinio di Cadavere.”
Sherly si alzò e lo raggiunse. Erano di fronte alla parete in silenzio. Sherly sospirò scompigliandosi i capelli.
“Fammi indovinare” disse John “C’è qualcosa che ti sfugge! Perché non andiamo semplicemente a dormire e ne riparliamo domani?”
“Non mi piace.” Disse freddamente Sherly.
“La proposta?” chiese il dottore.
“No. La sensazione. Siamo di fronte ad un tizio intelligente che sta giocando con noi.”
“Tu credi?” chiese John e Sherly annuì.
“I riferimenti dei biglietti sono chiari. Almeno i primi due.”
“Davvero? Perché non ne hai parlato subito nell’ufficio di Moran?”
“Non mi fido di Sebastian e neanche delle persone che lavorano con Greg.”
“Allora lo sai come si chiama!”
“Certo ma mi diverte vederlo diventare rosso di rabbia quando lo chiamo Gary.”
“Sei perfida!”
“Lo so.” Disse lei sdraiandosi sul divano.
“E di me? Puoi fidarti?”
“Ciecamente.” Rispose Sherly chiudendo gli occhi.
John rimase spiazzato. Era convinto che se ne sarebbe uscita con una delle sue battute sul suo limitato quoziente intellettivo. Invece aveva detto solo una parola e l’aveva detta con una naturalezza disarmante. La ragazza rimase con gli occhi chiusi e riprese a dare voce ai suoi pensieri.
“La frase ‘Nessuna soluzione? Nessun problema.’ è una citazione dalle storie di Dylan Dog. Questo può indicare due cose. O il misterioso ricattatore di Sebastian è un appassionato delle storie macabre o, come sono  più propensa a credere in base al secondo biglietto, si identifica con l’astuto investigatore dell’incubo. Si ritiene una persona talmente furba da riuscire dove chiunque non immaginerebbe neppure il delitto. Il secondo rifermento al film ‘La donna che visse due volte’ suggerisce che sia una persona con un trascorso importante che ufficialmente è ‘morta’ o sparita dagli onori delle cronache. Il terzo biglietto non l’ho ancora decifrato. Ho studiato il numero e non ha niente di sensato. Non è binario, non è Fibonacci, non è un codice criptato, non è un numero di serie. Potrei continuare per ore a dire cosa non è.”
“Forse era davvero un numero di telefono. Forse Moran ha aspettato troppo prima di chiamarlo e il nostro uomo lo ha disattivato.” Suggerì John. Sherly spalancò gli occhi e si mise seduta.
“Chiamalo!” disse la ragazza “Fa il numero.”
John prese il cellulare e digitò le cifre sul biglietto. Nessuna risposta.
“Rifallo!” disse lei.
“E’ inesistente.”
“Rifallo, ho detto!”
John non se lo fece ripetere.
“Chiudi e rifallo!”
Sherly scattò in piedi non appena John fece nuovamente il numero.
“Basta!” urlò.
“Cosa c’è Sherly?”
“Niente.” Disse lei bruscamente.
“Ma che ti prende?”
“Sono molto stanca e devo dormire.” Concluse raggiungendo la sua camera da letto e lasciando John in piedi imbambolato con ancora il cellulare in mano.

Quando udì lo scricchiolio delle scale che portavano al piano superiore, segno che John era salito in camera sua, Sherly uscì dalla sua stanza e raggiunse di nuovo la parete degli enigmi.
Il suo viso era tirato in un’espressione di incredulità e scetticismo. Stentava a credere che la sua teoria fosse vera ma sapeva che se escludi l’impossibile, ciò che rimane deve essere necessariamente la verità. E la verità assumeva tinte fosche. Chi aveva mandato le foto a Sebastian era un criminale di livello altissimo, con un passato ormai sepolto e la passione per enigmi indecifrabili. Aveva incontrato solo una persona in vita sua con quelle caratteristiche. Solo un individuo avrebbe usato un cellulare come strumento musicale. Lo aveva capito mentre John aveva composto il numero. Quello sul biglietto era una sequenza musicale. Digitando i numeri su un display, il suono che i tasti avrebbero prodotto sarebbe corrisposto ad una canzone. Nello specifico la canzone era ‘Staying alive’. Sherly stentava a credere a come si incastravano tutti i pezzi del puzzle. La sua attenzione tornò alle foto. Cosa avevano in comune se non la carta Fineart812? Rise di se stessa. Non la carta era importante ma il nome del modello: Fineart.
Come aveva fatto a sfuggirle che la parola ‘Art’ si pronuncia come la parola ‘Heart’? Solo una persona, all’epoca dell’università, l’aveva chiamata così: fine heart, ovvero cuore tenero.
Ora sapeva con chi aveva a che fare. Doveva agire. Doveva fare in fretta. Doveva farlo da sola.
Prese il cappotto e scrisse un biglietto per John.
‘Esco per comprare il latte. Linea 8, zona 1, seconda fermata.”
Uscì senza fare rumore e con un taxi raggiunse la sua destinazione.

John non riusciva a dormire. Di sotto c’era troppo silenzio. Si alzò e tornò al piano inferiore. Forse Sherly stava dormendo oppure era morta nel sonno a causa di uno dei suoi esperimenti.
Il salotto era immerso nell’oscurità. Accese una luce e si accorse subito che la porta della stanza della ragazza era aperta. Non era mai entrato nella sua camera. In qualche modo temeva di scoprire che, al posto del letto, Sherly aveva sistemato una bara. Forse per questo mangiava così poco. Era un vampiro. Scosse il capo e bussò appena. Capì che la stanza era vuota. Tornò in salotto in preda al panico. Dove poteva essere finita stavolta? Si accorse subito che sul tavolo c’era un biglietto. Lo lesse.
Che diavolo significava? Era scesa a comprare il latte a quell’ora? Lei non andava mai a comprare il latte. Tornò di sopra a vestirsi. Riscese. Non sapeva darsi pace. Forse Sherly immaginava che l’avrebbe letto il giorno dopo e che avrebbe ritenuto plausibile che fosse uscita a fare compere al supermercato. Sherly però aveva sempre detto che non sarebbe mai entrata in uno di quei dannati megastore a fare la spesa. Dove diavolo era finita? Si concentrò sul resto del messaggio. Linea 8, zona 1, seconda fermata. Era un chiaro riferimento alla metropolitana. O ai treni? O agli autobus?
La sensazione che stesse per capitare qualcosa di brutto a Sherly cresceva. La serata era stata piacevole ma era finita male non appena lui aveva composto quel dannato numero di telefono sul cellulare. Un’idea lo illuminò d’improvviso. Sherly aveva capito qualcosa in quel momento e non l’aveva voluta condividere con lui. Altro che cieca fiducia! Era arrabbiato e la rabbia gli fece fare un gesto impulsivo. Compose un numero.
“A quest’ora della notte può chiamarmi solo sua Maestà. Lo sa vero, dott. Watson?”
“Sì, ma si tratta di Sherly. E’ successo qualcosa di grave anche se non so cosa e ho bisogno di qualcuno che ragioni come lei.”
“Di che si tratta?” chiese Mycroft.
“Linea 8, zona 1, seconda fermata.” Rispose John.
“Direi con assoluta certezza che stiamo parlando della Metropolitan Railway, la linea rossa della metro. E’ stata l’ottava in ordine di tempo ad essere costruita. La seconda fermata della zona 1 di questa linea può essere Queensway o Bank. Dipende dalla direzione.” Disse con calma Mycroft.
“Grazie. Vado a riprendere Sherly.” Disse John chiudendo la chiamata. Come aveva fatto a non capirlo? John non era Sherly ma tra quelle due fermate sapeva esattamente dove andare.

Sherly raggiunse il palazzo della banca d’Inghilterra e salì gli scalini senza fretta. I portoni erano chiusi ma lei sapeva come entrare. Tra le cose che le avevano sempre biasimato c’era la cleptomania. Non aveva mai rubato per cattiveria o necessità. Ogni tanto le piaceva provare il rischio di portare via qualcosa a qualcuno che si dava arie da grand’uomo. Così aveva sfilato a Sebastian Moran il suo pass.
Lo fece passare all’ingresso e la porta si aprì agevolmente. Raggiunse lentamente il suo ufficio ed entrò.
Un uomo era seduto sulla sedia del banchiere. Era in penombra. Sherly sorrise furbamente.
“La donna che visse due volte. Davvero? Non ti sembra un po’ melodrammatico?”
“Ce ne hai messo di tempo. Eppure era così semplice!” disse l’uomo nella penombra.
“Fineart812. Lo ammetto. Idea splendida. Perdonami se non ho pensato subito a te. Ti consideravo morto.” Disse Sherly facendo un passo in avanti.
“Un uomo con le mie risorse? Credevi che sarebbe bastato un dirupo di qualche decina di metri ad uccidermi?”
“Non ho detto che ti credevo morto. Speravo che avessi il buon gusto di ‘restare’ morto dopo ciò che hai fatto dieci anni fa.”
“Ma la colpa è tua, cuoricino! Sono rimasto nell’ombra a guardarti diventare grande. Poi ho dovuto agire. Dovevo salvarti dall’errore più grande della tua vita!”
“Il ‘mio’ errore?” chiese Sherly raggiungendo la scrivania.
“Certo! Hai sempre saputo quanto sono geloso. Credevi che ti avrei permesso di metterti un altro uomo in casa?”
Sherly cominciò a comprendere. La prima foto inviata a Sebastian era partita un mese prima più o meno in coincidenza con il trasloco di John a Baker Street. Sherly si pentì amaramente di aver lasciato il biglietto al ragazzo.
“La mia vita non ti riguarda più. E poi vorresti farmi credere che hai rubato dei segreti industriali solo per attirare la mia attenzione?”
“Mi deludi, tesoro, se credi che non farei questo ed altro per te. Non solo ho rubato le foto, le ho stampate su una carta personalizzata e ho ricattato questo imbecille.” Disse l’uomo accarezzando la targa con il nome di Moran “Ho dovuto commissionare anche l’omicidio di quel detective per farti avere le foto! A proposito! Troverete il cadavere del killer sui binari di Charing Cross. Poverino era depresso e si è suicidato!”
“Così hai tagliato tutto ciò che collegava i reati a te.” Disse Sherly.
“Naturale.”
“Cosa vuoi?” chiese Sherly.
“Te.”
“Non puoi avermi.”
“Se non posso averti io, non ti avrà nessuno!” disse l’uomo alzandosi e accendendo la luce.
“E così ci rivediamo Jim.” Disse la ragazza rimanendo ferma al centro della stanza.
L’uomo, capello corto e curato, abito elegantissimo e costoso, fece il giro della scrivania e le fu di fronte. Le prese una ciocca di capelli bruni e se la portò alle labbra.
“Sei sempre bellissima.”
“E tu sei sempre uno psicopatico.”
“Mi ami per questo.”
“Ho amato la tua intelligenza prima di scoprire che era asservita alla violenza e alla cattiveria.” Disse Sherly.
L’uomo allargò le braccia e fece spallucce.
“Sono un essere umano, amore mio!”
“Io non lo sono più grazie a te.”
“Sei una creatura migliore.”
“Vogliamo continuare ad offenderci a vicenda ancora a lungo o mi dici cosa intendi fare?”
L’uomo le si avvicinò. Sherly non si mosse. Lui le diede un bacio sulla guancia.
“Hai smesso di fumare.” Disse Jim “Hai fatto bene. Il fumo uccide. Molto più lentamente di me comunque. Il mio unico interesse era rivederti. L’ho soddisfatto. Ora me ne vado.”
“Chi ti dice che ti lascerò andare?”
“Mi lascerai andare perché se non me ne vado ora, finirò per incrociare il tuo nuovo amichetto. Vuoi far tu le presentazioni, mia adorata?” Jim la oltrepassò e raggiunse la porta. “Mi mancherai, cuore tenero. Tornerò a trovarti. Da un messaggio a Watson da parte mia. Se ti tocca, è un uomo morto.”
La porta si aprì e si richiuse e Sherly rimase da sola. La rabbia ad accecarle ognuno dei suoi sensi.

John raggiunse la sede della banca d’Inghilterra correndo. Trovò la porta aperta e si fiondò verso le scale. Ad un tratto udì la scala mobile mettersi in moto. Guardò verso l’alto e vide un uomo ben vestito fermo su uno dei gradini.
“Lei deve essere John Watson.” Disse l’uomo con un tono che sembrava divertito “E’ un vero piacere conoscerla! E’ arrivato prima del previsto!”
“Chi è lei?” chiese John portando la mano all’arma nascosta dentro la tasca destra del suo giaccone.
“Jim Moriarty. Per servirla.” Disse simulando un inchino con eccessiva foga.
“Dov’è Sherly?”
“Al sicuro, se lei le rimane a distanza, dottore.” Disse l’uomo facendosi improvvisamente serio e minaccioso “Diversamente non posso garantire l’incolumità di nessuno. Ora le auguro una buona notte, John.” Concluse aprendo la porta. John sfoderò la pistola e prese la mira.
“Non si muova!” gridò.
“Le dirò, dottore, lei mi piace e per questo voglio farle un regalo. Crede davvero che sia qui da solo? E se no, chi è sotto tiro in questo momento, lei o la nostra Sherly al piano di sopra?”
John si voltò di scatto e salì le scale due a due. Aprì la porta dell’ufficio di Moran e corse addosso a Sherly buttandola a terra e facendole da scudo con il proprio corpo.
“John! Dimmi che tutto questo ha una spiegazione ragionevole!” urlò Sherly senza però muoversi o scrollarsi John da dosso. Poteva sentire l’odore della pelle sudata del ragazzo mischiata all’acqua di colonia.
“Non chiedermi di essere ragionevole! Hai detto che ti fidavi di me!”
“Mi fido ciecamente di te!” rispose la ragazza.
“Come no! Perché sei venuta qui da sola allora?”
“E’ una storia lunga. Ed è tardi.” Disse lei voltando la testa di lato.
“Tardi per cosa?” chiese John imitando la battuta di Sherly al Bart’s e lei sorrise di un sorriso che incantò l’uomo.
In quel momento la porta dell’ufficio di Moran si aprì di scatto e la figura di Moriarty riapparve sull’uscio. Armata.
“Ero stato chiaro!” gridò agitando l’arma “Ci vuole così tanto a farmi contento? Avevo detto che non deve toccarti!” fece puntandola poi contro John.
Sherly lo spinse via e si rialzò frapponendosi tra i due uomini.
“Una mossa azzardata Sherly!” cantilenò Moriarty “Potevo premere il grilletto.”
“Lo so.” Disse lei guardando Jim che si grattava la tempia con la pistola.
“Sei sempre stata una persona impulsiva.” Disse l’uomo.
“Non ti lascerò uccidere John.” Affermò Sherly senza esitazione.
“Non questa volta, cuoricino. Forse non questa volta.” Concluse aprendo la porta e rivolgendosi a John “Per ora la lascio a te, dottore. Ma non sarà per sempre. Lei è mia. E verrò a riprenderla. Siamo anime gemelle.”
John lo vide andare via saltellando con la pistola in pugno. Lui sentì il bisogno di afferrare la mano di Sherly. Questa volta lei non la tirò indietro e lui acquisì la consapevolezza che non l’avrebbe più lasciata. Non avrebbe mai lasciato il fianco di Sherly Holmes. Soprattutto non avrebbe mai lasciato Sherly nelle mani di quel pazzo.

Note dell'autrice: E anche questo secondo caso è finito. Come vi è sembrato? Spero che il capitolo un po' più lungo del solito non vi abbia annoiati. Solo alcune precisazioni : la citazione di Dylan Dog è 'Nessun battito, nessun problema.' Spero di non aver offeso nessun appassionato del detective dell'incubo. Adoro Dylan! 'La donna che visse due volte' è uno dei miei classici preferiti. L'avete mai visto? Ve lo consiglio. Non mi dilungo oltre.
Ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto in privato o recensito. Grazie davvero di cuore. A presto. Kisses.

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