Alice

di Shannonwriter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Hat ***
Capitolo 2: *** MeLody ***
Capitolo 3: *** Hartley ***
Capitolo 4: *** The box ***
Capitolo 5: *** Invitation ***
Capitolo 6: *** Party ***
Capitolo 7: *** The Twins ***
Capitolo 8: *** After-party ***
Capitolo 9: *** Black cloud ***
Capitolo 10: *** Iris ***
Capitolo 11: *** Dinner? (part 1) ***
Capitolo 12: *** Dinner? (part 2) ***
Capitolo 13: *** The Return ***
Capitolo 14: *** Smoke ***
Capitolo 15: *** Clairvoyant ***
Capitolo 16: *** Grounded ***
Capitolo 17: *** The Meeting ***
Capitolo 18: *** Two Weeks ***
Capitolo 19: *** Unexpected ***
Capitolo 20: *** Emergency ***
Capitolo 21: *** Truth (part 1) ***
Capitolo 22: *** Truth (part 2) ***
Capitolo 23: *** Hiding ***
Capitolo 24: *** Revelation ***
Capitolo 25: *** Jeff ***
Capitolo 26: *** capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** The Number 18 ***



Capitolo 1
*** The Hat ***


“Alice, Alice, indossa quel cappello,
Alice, Alice, un salto nel ruscello,
Alice, Alice, il mondo là è più bello...”

La cantilena era fastidiosa e Alice dovette resistere all'impulso di tapparsi le orecchie. Ma Hartley non voleva smetterla, era a un passo dal mettersi a saltellare lì sul prato, tra margheritine e ciclamini. Alice incrociò le braccia davanti al petto cercando di sfoderare un'espressione niente affatto impressionata, ma era difficile se lui continuava a stonare una filastrocca così imbecille.

“Hai finito?” gli chiese annoiata facendo di tutto per contrastare il sorriso che le stava fiorendo sulle labbra.

Hartley si fermò di colpo sul posto come uno che sta giocando a un due tre stella. “Non ti piace la canzone che ho scritto per te?” chiese sorpreso.

Alice scrollò le spalle.

“Potresti accompagnarla col tuo pianoforte” suggerì Hartley ammiccando.

Alice alzò gli occhi al cielo. “Grande idea” commentò per niente entusiasta. Le stava solo ricordando perché si trovavano lì; sua madre aveva prenotato quella location sconvolgentemente costosa negli Hamptons solo per far vedere ai suoi amici del country club quanto era brava la sua bambina appena accettata alla Juilliard. In altre parole voleva vantarsene.

“Allora accetta la mia filastrocca come umile regalo per festeggiare la lettera di ammissione alla prestigiosissima Julia's.”

“Juilliard” lo corresse lei soffocando una risatina.

Hartley alzò le mani come a difendersi. “Scusi madam!”

E stavolta Alice rise davvero. Era venuto lì per lei, o meglio si era intrufolato lì per lei dato che non era stato invitato. Sua madre non approvava l'amicizia con Hartley, non viveva in un appartamento di lusso dell'Upper East Side e questo lo rendeva al pari di uno dei loro camerieri. Ma ad Alice non era mai importato niente dello status sociale delle persone. Uno poteva anche avere il portafoglio pieno di soldi ma un cuore vuoto d'amore. Quel pomeriggio di primavera Hartley si era presentato vestito nella maniera più elegante che poteva, un bel cambiamento rispetto al suo solito stile t-shirt e jeans; indossava dei pantaloni grigi, una camicia bianca e un gilet dello stesso colore dei pantaloni. Maniche tirate su a metà braccio, scarpe da tennis a scacchi nere e bianche e il tocco finale: il cappello. Un cilindro per essere precisi, non esattamente nuovo perché si vedeva che aveva delle scuciture in alto ma aveva un che di fico. La carta da gioco appuntata su di esso lo rendeva totalmente eccentrico e Alice poteva solo immaginare quanto sarebbe apparso palesemente fuori posto tra gli altri partecipanti alla festa. Tuttavia Hartley era l'unica persona presente che veramente significasse qualcosa per lei; il suo essere spontaneo, buffo e controcorrente erano le qualità che l'avevano fatta diventare sua amica, del ragazzo con i grandi occhi verdi e i capelli nocciola perennemente arruffati.

“Alice?” la richiamò lui alla realtà schioccando le dita davanti al suo naso. “Sei su questo pianeta?”

Alice sbatté le palpebre. “Si, cosa?”

Hartley sorrise divertito “Persa nei tuoi pensieri un'altra volta?”

Alice cercò di non arrossire. “Stavamo dicendo?”

“Stavamo dicendo che ti ho scritto una canzone magica e tu dovresti proprio ringraziarmi” disse fiero di sé.

“Che era magica non era stato detto” puntualizzò Alice sollevando un sopracciglio. Non l'avrebbe nemmeno definita una canzone in realtà.

“Beh lo è. La accetti come regalo oppure no?” chiese Hartley mettendosi le mani in tasca e dondolando sul posto.

“Ok, se insisti. La tua canzone è meravigliosa, grazie. La accetto con piacere” disse lei in tono formale facendo un piccolo inchino. La gonna larga del suo vestito blu ondeggiava ad ogni suo movimento.

Hartley sghignazzò soddisfatto. “E del mio cappello che ne dici?”

Alice affilò lo sguardo. “Cosa? Indossi un cappello? Non l'avevo proprio notato! Sarà perché è così discreto” lo prese in giro.

Hartley se lo sfilò con un rapido gesto e lo porse a Alice che rimase in attesa. “Ora ne uscirà un coniglietto?” chiese.

“è tuo” disse Hartley “puoi usarlo per fare quello che vuoi, ti porterà dove vuoi” spiegò serio come Alice non lo vedeva quasi mai. Sembrava che davvero ci credesse. Lei rimase scettica comunque. ”Hai bevuto prima di venire qui? Dici cose più assurde del solito”.

Hartley si sciolse un po'. “No, l'alcol mai prima delle 9 di sera. Me l'ha dato un tizio” rispose sbrigativo.

“Quale tizio?” chiese Alice sospettosa. Hartley passava un sacco di tempo in giro per i sobborghi di New York e a volte si chiedeva che genere di gente frequentasse quando non erano insieme. Era un bravo ragazzo ma lei si preoccupava lo stesso; e se si fosse ficcato in qualche brutto guaio un giorno o l'altro?

Hartley si rigirò il cilindro tra le mani. “Non ha importanza chi me l'ha dato. È magico e a te serve magia” disse a voce un po' più bassa tenendo gli occhi sul cappello.

Alice iniziò a sentirsi strana, in che direzione stava andando quella conversazione e perché il suo amico era così serio? “Ah si? E perché ne avrei bisogno?” chiese cercando di suonare disinvolta, spostandosi una ciocca dei capelli biondo miele dietro l'orecchio.

Hartley riportò il suo sguardo su di lei per un istante, poi lo spostò subito in alto, nel blu del cielo. “perché ultimamente riuscire a farti sorridere è diventato un bel po' difficile” rispose facendo calare il silenzio tra di loro.

Finalmente la guardò negli occhi aspettando una risposta. Era capitato un altro paio di volte che Alice e Hartley si trovassero in situazioni di impasse come quella e lei non sapeva mai cosa doveva aspettarsi che succedesse dopo. Cioè, ci aveva pensato ma...se Hartley non fosse stato sulla sua stessa lunghezza d'onda? E se fosse stato un terribile sbaglio? L'avrebbe perso come amico e non poteva permetterselo. Troppi se e troppi ma, meglio andare sul sicuro. Alice tossicchiò rovinando il momento, guardando altrove. “Forse dovresti solo rinfrescare il tuo repertorio di battute” disse in tono ironico. Questo bastò a Hartley per farlo tornare alla solita modalità scanzonata. “Prendilo e basta, ok? Io andrò a sentire qualche serata di cabaret e tu ti infili questo” propose porgendole di nuovo il cappello.

Proprio non voleva lasciar perdere e allora fu Alice ad arrendersi. Prese in mano il cilindro e lo osservò meglio da vicino. Non ci vedeva niente di magico. “Dovrei indossarlo adesso?” chiese incerta. Un gazebo pieno di gente a qualche metro oltre i cespugli e la disapprovazione sul volto di sua madre erano un motivo sufficiente per nascondere il cappello lì da qualche parte e venirlo a riprendere dopo con calma ma non voleva nemmeno offendere Hartley.

Il ragazzo scrollò le spalle. “Come ho detto puoi farci quello che vuoi. Ma sarebbe esilarante vedere la faccia di tua madre se entri con quello in testa” disse Hartley con un sorrisetto diabolico.

Alice scoppiò a ridere perché era esattamente quello a cui aveva pensato lei. Hartley rise con lei, contento di essere riuscito ad allentare la tensione.

“ALICE MARY ABRHAMS!” tuonò una voce femminile non molto lontano da loro, al di là dei cespugli.

Alice smise all'istante di ridere e rimase pietrificata. Fine del momento di calma. Hartley sbirciò tra le foglie. “La strega cattiva ti cerca, principessa” disse.

Questo Alice l'aveva già capito. Tornò a sentirsi agitata come prima che Hartley si facesse vedere e si accovacciò sul prato temendo che sua madre potesse vederla anche nascosta dai cespugli. Hartley si accorse del suo timore e si abbassò accanto a lei. “Hey, è tutto a posto” le disse posandole una mano sulla spalla.

“No, non lo è” rispose Alice con lo sguardo fisso per terra.

“Andrai alla grande, Alice. Li stenderai tutti” la rassicurò.

La ragazza scuoté la testa vigorosamente. “Non sto parlando di quello. Cioè, si anche ma...”

Hartley si accigliò. “Che cosa c'è allora?”

“Non voglio andare alla Juilliard” sbottò Alice tutto d'un fiato. Dopo essersi resa conto di averlo detto a voce alta desiderò di potersi rimangiare le parole. Non aveva programmato di comunicare a nessuno i suoi dubbi.

Allo stesso tempo Hartley non aveva in programma di sentire quella rivelazione. Rimase in silenzio per qualche secondo e poi strinse la presa sulla spalla di Alice. “Allora non andarci” disse come se nulla fosse.

Alice alzò la testa e incontrò il suo viso, a pochi centimetri dal suo. “Fai tutto facile tu” ribatté provando a ignorare quella pericolosa vicinanza.

“Si, spesso è facile decidere. Segui il tuo cuore e farai sempre la cosa giusta” disse Hartley con un'alzata di spalle.

Alice sbuffò. L'aveva già sentita quella frase e dentro di sé sapeva che non era sbagliata ma sapeva anche che spesso si applicava meglio nella finzione, nelle favole ad esempio. Il mondo reale rendeva tutto tremendamente complicato.

Hartley prese la mano di Alice e la fece alzare. “Pronta? Mi ero preparato ad assistere a un concerto ma se i piani sono cambiati possiamo-”

“ALICE!!” urlò di nuovo la madre di Alice. Doveva essere davvero infuriata.

Alice serrò gli occhi e prese un respiro profondo, sentì Hartley strizzarle la mano. Aprì gli occhi, trovò il sorriso incoraggiante del suo amico. Poteva farcela.

Alice fece un cenno di assenso con la testa. Lasciò a malincuore la mano di Hartley e spuntò dalla siepe con lui al fianco dirigendosi a grandi passi verso il gazebo dove la signora Abrhams aspettava con le mani sui fianchi.

“è un peccato che non possiamo svignarcela. Avresti potuto concedermi una sessione privata” le sussurrò Hartley all'orecchio.

Alice si voltò a guardarlo con gli occhi spalancati. Che cosa? Una sessione privata? Che voleva dire esattamente? Hartley si infilò le mani in tasca e sorrise della sua reazione. Alice non disse niente ma all'ultimo momento si ricordò di avere ancora in mano il cappello e a giudicare dalla sua espressione anche sua madre si era accorta di quell'accessorio bizzarro. Ora era chiaro che non poteva metterselo. Lo passò a Hartley. “Tienilo tu ok? Torno a prenderlo più tardi” promise.

Hartley sospirò e se lo rimise in testa.


Note: ok, un paio di precisazioni: 1. è la mia prima storia originale!! Non avrei mai creduto di pubblicarne una perché tutte le volte che mi viene un'ideona finisco per abbandonarla dopo un pò ma questa volta sembra che sia sulla strada giusta quindi ho deciso di condividerla col mondo. Ecco, per questo motivo sono un bel pò ansiosa perchè temo che comunque non la legga nessuno o che non piaccia...2. ma nel caso in cui invece la steste leggendo, spero che questa sia la sezione giusta dove pubblicarla visto che ora la procedura di pubblicazione è cambiata. Cioè, la storia è decisamente originale, è solo che ci sono dei riferimenti al mondo di Alice in Wonderland. La categoria "favola" mi pareva appropriata. Detto ciò...mh, credo non ci sia altro. Una recensione piccola piccola significherebbe tanto e mi convincerebbe a pubblicare il resto e a continuare a scrivere. Alla prossima! xD

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Capitolo 2
*** MeLody ***


Erano giunti di corsa al gazebo, la madre di Alice era evidentemente spazientita e pronta a farle una ramanzina delle sue.
“Sei quasi in ritardo per l'esibizione, Alice. Se sull'invito abbiamo scritto alle 4 in punto allora è alle 4 che tu ti devi sedere al piano” la rimproverò come previsto.
Alice riprese fiato e tenne la testa bassa. “Non sono ancora le quattro, mamma” rispose debolmente dando un'occhiata al suo bracciale-orologio.
“E non pensavi che forse sarebbe stato opportuno salutare gli ospiti prima di suonare? No, invece ho dovuto intrattenerli da sola e poi venire anche a cercarti” continuò sua madre adirata.
“Scusa, non mi ero resa conto-”
“Salve signora Abrhams, la trovo incantevole oggi. Posto stupendo” si inserì Hartley con un sorriso.
La donna lo fulminò con lo sguardo. Pareva che si fosse accorta solo in quel momento che c'era anche lui. Sollevò entrambe le sopracciglia quando notò il cappello che aveva in testa. Era inorridita. “L'hai portato tu?” chiese alla figlia continuando a esaminare ogni centimetro dell'outfit di Hartley.
“Si, ecco...è mio amico e-” iniziò a spiegare Alice ma di nuovo fu interrotta da Hartley. “Non è colpa sua, ero io che ci tenevo a congratularmi di persona per la bella notizia” la difese.
La madre di Alice rimaneva impassibile. “Mmh. D'accordo, ora ti sei congratulato. Puoi andare” tagliò corto.
“Ma mamma! Resterà per sentirmi suonare!” protestò Alice alzando la voce.
La signora Abrhams apparve presa in contropiede. “Ci sono i nostri amici” sibilò.
“Sono i tuoi amici, lui è veramente qui per me. Ti prego mamma.” la supplicò Alice.
La donna sospirò esasperata guardando di nuovo Hartley che si sistemava i vestiti in maniera poco naturale. Quel completo non lo metteva proprio a suo agio ma non l'avrebbe mai detto apertamente.
“Entri con quello?” chiese la signora Abrhams indicando il cappello e rivolgendosi per la prima volta direttamente a Hartley.
“L'idea era quella” rispose lui.
“Rimani infondo” sentenziò la donna e con questo si girò e attraversò l'arco del gazebo senza aggiungere altro.
Alice stava per opporsi ma Hartley le prese il braccio. “è ok. Ti vedrò e ti sentirò benissimo” le assicurò facendole l'occhiolino.
Alice forzò un piccolo sorriso ma restava il fatto che non le piaceva il modo in cui sua madre aveva trattato male il suo migliore amico, proprio come faceva sempre. Hartley non se lo meritava.
Alice si avviò sul palco allestito per l'occasione, una distesa di circa trenta sedie occupate da altrettante persone si profilava davanti a lei. Incrociò lo sguardo con qualcuno degli amici di sua madre che sorridevano cordiali nella sua direzione, applaudivano e sorseggiavano champagne. Eventi come quello capitavano di tanto in tanto, ai compleanni, per Natale, ma Alice non riusciva mai ad abituarsi del tutto. Doveva chiudere gli occhi e immaginare di essere sola per non andare nel panico, per non sbagliare. E così fece, una volta seduta al piano. Bloccò fuori la voce di sua madre che faceva un breve discorso, bloccò fuori le risate di circostanza e ogni altro rumore che potesse distrarla finché non rimase solo il silenzio. L'unica cosa che riuscì a fare breccia nel suo muro fu il fischio di Hartley e il suo urlo di incoraggiamento. “Vai Alice!”
Aprì gli occhi e iniziò a suonare.

~
 

Dopo l'esibizione cominciò la vera festa. La Signora Abrhams aveva chiamato un dj per mettere della musica che facesse da sfondo ai soliti discorsi tra adulti: soldi, figli, politica, persino una banalità come il tempo. Alice veniva trascinata da una parte all'altra da sua madre che con un sorriso smagliante stampato permanentemente in faccia la sfoggiava raccontando le stesse storie ancora e ancora; la ragazza dovette sorbirsi tutta quella sfilata senza dire nulla perché se avesse messo in imbarazzo sua madre allora dopo avrebbero fatto i conti e non sarebbe stato piacevole. In mezzo a tutta quella confusione ogni tanto Alice era riuscita a scorgere Hartley occupato a prendere stuzzichini e bicchieri di champagne dai vassoi dei camerieri. Sembrava cavarsela se non altro e Alice si sentì meno in colpa perché non poteva stare con lui. Miracolosamente dopo circa venti minuti di chiacchiere la signora Abrhams venne intercettata da un collega di lavoro che voleva presentarle qualcuno e parlarle di qualcosa di sicuramente noioso. La presenza della figlia non era richiesta quindi lei riuscì a divincolarsi dal braccio della madre e andò a bersi qualcosa. Si guardò intorno in cerca di Hartley ma non riusciva più a vederlo. Che se ne fosse andato? Forse si era stufato di aspettarla. Alice tornò a sentirsi tremendamente in colpa per averlo lasciato solo, ma non dipendeva da lei. Mentre si muoveva tra la gente e cercava di trovare l'amico una melodia si diffuse lentamente intorno a lei. Alice si fermò e tese le orecchie. Conosceva bene quella melodia. Era quel vecchio disco che teneva a casa, quello che ascoltava ogni volta che si sentiva giù ma solo quando sua madre non c'era. Era la canzone sua e di suo padre.
Alice puntò lo sguardo verso la postazione del dj e lì trovò un paio d'occhi verdi intenti a guardarla in attesa. Hartley se ne stava lì con le mani in tasca e un sorriso appena accennato sulle labbra. Era ovvio che ci fosse lui dietro, sua madre non avrebbe mai pensato di portare lì quel disco. Hartley doveva essersene procurato una copia apposta. Alice sentì il suo cuore battere più forte mentre si faceva largo tra la gente, avvicinandosi sempre più al suo migliore amico che appariva sempre più soddisfatto di sé. Prima che potesse arrivare da lui, Hartley le fece cenno con la testa di allontanarsi dalla piattaforma e lei lo seguì. Erano sul prato ora, Alice lo osservava con un'espressione interrogativa. Hartley le offrì la mano. Aveva capito bene? Alice gli porse la sua mano in modo incerto ma quando lui la strinse e la tirò a sé ogni dubbio svanì. Avrebbero ballato. Alice si lasciò sfuggire una risatina nervosa ed era quasi sicura che in quell'istante stava iniziando ad arrossire. Sperò che Hartley non lo notasse. Non erano troppo vicini l'uno all'altra ma la mano di lui poggiata leggera sul suo fianco e l'altra sulla sua spalla rendevano quel contatto diverso da ogni altro che avessero sperimentato prima. Anche Hartley lo percepiva? Si muovevano lentamente al ritmo della melodia a lei più cara, Alice era anche vagamente consapevole degli sguardi intorno a loro e del brusio che si stava creando ma non le importava più di tanto. “Sei un ballerino decente” disse vicino all'orecchio di Hartley con una punta di ironia. Era molto più che decente in realtà.
Hartley sghignazzò piano. “Già, sapevo che un giorno mi sarebbe tornato utile.”
“Grazie” disse Alice con un sorriso, appoggiando il mento sulla sua spalla.
“Non c'è di che, a qualunque cosa tu ti riferisca” rispose lui fingendo di non aver capito.
“Per tutto” specificò Alice. “per essere qui oggi, per aver portato quel disco...”
“...per il cappello, per la spettacolare canzone che ho composto per te...” continuò lui divertito.
Alice sollevò la testa e si mise a ridere. “Si, la canzone è veramente da Grammy!”
“Sono contento che tu l'abbia riconosciuto finalmente” si vantò Hartley con quel sorriso che faceva spuntare due fossette sulle sue guance.
Il silenzio calò di nuovo tra di loro e rimasero semplicemente lì a dondolare lasciandosi guidare dalle note. La musica terminò troppo presto, con la coda dell'occhio Alice vide la madre ai margini del gazebo, sguardo severo e braccia incrociate davanti al petto. Pareva che quel pomeriggio nulla potesse evitare a Alice un rimprovero come si deve. Anche Hartley doveva essersi accorto della donna perché lentamente le sue mani scivolarono via da Alice. “Devi andare” disse strascicando le due parole.
“Già” rispose Alice con una smorfia.
“E il cappello? Lo vuoi o no?” chiese Hartley speranzoso.
Alice osservò di nuovo quell'accessorio troneggiare sulla testa del suo amico. Più ci pensava più si convinceva che quello fosse un oggetto fatto apposta per lui. “Lo sai, credo che stia molto meglio a te. Tienilo.” disse infine.
Hartley storse il naso incerto. “Dici? Ma questo è un cappello magico, te l'ho detto. Realizza i sogni, ti porta in posti incredibili” spiegò Hartley illuminandosi.
“Buon per te allora. Ti ci divertirai un sacco” rispose Alice.
Hartley sbuffò. “Ma a me non serve, Alice. Io sono esattamente dove voglio stare” disse ancora con quel tono così convinto. Le sue parole rimasero lì a galleggiare tra di loro e dentro di sé Alice stava andando in tilt. Con quello facevano ben due momenti di impasse in un giorno, era molto più di ciò che poteva gestire. Che cosa voleva dire con quella frase?

“Torna alla tua festa ora” la incitò Hartley per rompere il silenzio. In un attimo era ritornato rilassato come al solito. Alice invece si sentiva ancora confusa e incapace di proferire parola. Hartley indietreggiò di qualche passo, si levò il cilindro e fece un inchino in modo molto teatrale, poi si raddrizzò e con il suo consueto sorriso furbo le fece ciao con la mano. Il sua cappello era tornato al suo posto, Alice rispondeva al saluto e mentre Hartley si allontanava sempre più sull'erba verde brillante, capì di avere fatto la cosa giusta a lasciargli il cilindro. Era assolutamente suo. Ormai il ragazzo era diventato un puntino lontano, oltrepassava il grande cancello di ferro battuto e scompariva all'orizzonte. Alice era rimasta ferma lì a guardarlo andarsene e ora che se n'era resa conto girò su sé stessa con un sospiro per tornare sotto al gazebo. Sua madre era proprio dietro di lei e la fece sobbalzare. Il suo sguardo non era comprensivo. “Dobbiamo parlare io e te.”


Note: ok, questo era il capitolo 2, che ve ne pare? Vi sta piacendo Hartley? Se la risposta è si allora bene perché il prossimo capitolo sarà praticamente tutto su di lui e si scoprirà qualcosa in più sulla sua vita. è ovviamente il Cappellaio Matto di questa storia ma non è solo il suo cilindro a renderlo tale. Che altro...oh, grazie a Sharon xd per avermi lasciato la prima recensione, mi ha fatto molto piacere ;) Alla prossima! xo

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Capitolo 3
*** Hartley ***


Quella sera Alice era riuscita a mala pena a toccare cibo a cena. Troppe cose le giravano per la testa, la Juilliard, il comportamento di sua madre, per non parlare di quello di Hartley. Giorno dopo giorno tutto si accumulava sulle sue spalle. Dopo mangiato si ritirò nella sua stanza e si infilò subito la sua camicia da notte preferita, quella azzurra coi ricami di pizzo e si lasciò cadere sul soffice letto esausta. Trovò subito ad aspettarla il suo fedele coniglio di peluche, se lo strinse al petto e accarezzandolo rimase a fissare il soffitto. Un osservatore esterno avrebbe giudicato la sua vita perfetta, o qualcosa che ci va molto vicino comunque. Era più che benestante, viveva in un appartamento di lusso, frequentava una scuola prestigiosa e la Julliard l'aveva accettata. Che cosa poteva volere di più? E che cos'era che la rendeva così insoddisfatta nonostante tutto? Una parte della risposta ce l'aveva: le mancava suo padre. Da quando se n'era andato quattro anni prima era come se nel suo cuore si fosse formata una crepa. Faceva un male bestiale all'inizio, non riusciva a credere che avrebbe vissuto senza di lui da quel momento in poi. Se solo non si fosse trovato in quella dannata banca quella mattina, se solo quei rapinatori non avessero puntato il fucile contro di lui...perché era dovuto capitare proprio a suo padre? Ora che lui non c'era Alice sentiva spesso di non avere davvero una direzione perché senza quella parola di appoggio e incoraggiamento da parte sua non si sentiva a posto con se stessa. Sua madre non era un valido aiuto. La maggior parte delle volte rifiutava di parlare del marito e tendeva a voler tenere sempre sotto controllo ogni aspetto della vita della figlia. Di conseguenza di fronte a severità e rigidità Alice non poteva fare a meno di sentirsi intimidita. E andava anche bene, non voleva litigare con lei, per questo la accontentava sempre ma quando toccavano l'argomento Hartley...
Un colpetto alla porta la fece mettere seduta. “Avanti” disse.
La porta si aprì piano e sua madre entrò nella stanza. Neanche le avesse letto nel pensiero. Si sedette sul letto accanto alla figlia. “Ti sei divertita oggi?”
'Divertita' non era proprio il termine che avrebbe usato ma Alice fece finta di niente. “Certo, e tu?”
“Ovviamente mi ha fatto piacere mostrare ai miei amici quanto è speciale la mia bambina” rispose tendendo le labbra rosse in un sorriso. La signora Abrhams si assicurava di avere sempre un aspetto impeccabile, dentro e fuori casa. Era come se lasciando che il mondo la vedesse senza trucco o coi biondi capelli scompigliati la sua vita si sarebbe potuta incrinare.
“Bene. Ha fatto piacere anche a me” la assecondò Alice.
Forse per una volta la signora Abrhams non era convinta delle parole della figlia o forse era entrata già con l'intento di mantenere la promessa fatta poche ore prima ma stava il fatto che una tempesta stava per scatenarsi.
“C'è qualcosa di cui ti vorrei parlare, mi sembra inutile ormai continuare a girarci intorno” annunciò cambiando tono, era troppo formale, quasi come quando Alice la sentiva parlare d'affari al telefono. “Quel ragazzo, Hartley Jacobs” iniziò la donna confermando i sospetti di Alice. “Vi ho visti ballare oggi”.
“Si” disse Alice irrigidendosi.
“So che passate molto tempo insieme, più di quanto tu mi racconti” proseguì la signora Abrhams. Da come lo diceva era più un dato di fatto, non la stava ancora rimproverando, tuttavia Alice si sentiva sempre più a disagio. Annuì.
“Ti ho lasciato fare, so che sei coscienziosa. Ti ho lasciato fare anche sapendo della sua particolare...situazione
Ecco che lo faceva di nuovo. Odiava quando si riferiva così a Hartley, come se si dovesse vergognare di qualcosa. Alice strinse i pugni.
“è anche più grande di te...”
“Solo un paio d'anni mamma!” scattò Alice. “E allora? Qual'è il punto?” chiese innervosita.
La signora Abrhams sospirò. “è ora di tagliarlo fuori dalla tua vita, cara. L'anno prossimo andrai al college e vedrai, ti farai un sacco di nuovi amici” disse tranquillamente.
Alice spalancò gli occhi. “Vuoi che io abbandoni Hartley? Perché??”
“Lo sai, Alice. Non fare finta di non capire.”
Alice sbuffò sconcertata. “E invece proprio non capisco, mamma! Che cos'ha Hartley che non va? È un bravo ragazzo, è solo che non ha il reddito che abbiamo noi. E allora? Lo rende una persona brutta?” scoppiò.
Sua madre non sembrava troppo impressionata. “Ecco, è esattamente quello che volevo dire.”
“Cosa??”
“Questo, Alice” disse la donna più decisa. “Come lo difendi, come ti scaldi se si parla di lui. E ti ripeto che oggi vi ho visti ballare”
Alice non trovava un senso in quel discorso. “Non ti seguo.”
“Ti stai innamorando di lui, Alice. O forse è già troppo tardi” commentò guardando la figlia come se fosse un cane randagio. Ad Alice non piaceva e non era affatto d'accordo. “No, io non-- ti sbagli” si oppose debolmente. Che volesse ammetterlo o meno però sua madre aveva toccato un tasto delicato il che le aveva regalato un piccolo vantaggio nella conversazione. Allungò una mano e la poggiò sul ginocchio della figlia. “Che madre sarei se lasciassi che quel ragazzo ti portasse fuori strada?” riprese in tono più accomodante. “Tu diventerai qualcuno, Alice. Una grande pianista. Ma lui ti distrarrà se gli doni il tuo cuore. Forse non lo vorrà nemmeno, ci hai pensato?”
Alice trasalì. Era pronta a ribattere che no, Hartley non l'avrebbe mai ostacolata ma quando aveva detto che lui avrebbe potuto rifiutare il suo cuore...perché si sentiva un peso sullo stomaco?
“Pensaci Alice. Vale la pena di stare con uno come lui?” chiese la madre.
Si. Si che ne valeva la pena. Perché Hartley era l'unico al mondo che la capiva, l'unico che era in grado di trasformare una grigia giornata piovosa in un'occasione per cantare sotto la pioggia, letteralmente, anche se era stonato; era l'unico a farla sorridere quando aveva la luna storta, a portarla in parti di New York che non aveva idea esistessero, l'unico che sapeva che cosa significava sentirsi un po' tristi il giorno del proprio compleanno perché manca qualcuno di importante a festeggiarlo con te. E poi a nessun altro piaceva il gelato alla stracciatella come a loro due, ne era certa. Ma avrebbe detto tutte quelle cose a sua madre? No, tanto non avrebbe compreso. Sarebbe stato meglio fare come tutte le altre volte, sorridere e fingere di essere sulla stessa pagina.
“Ci penserò mamma.” le disse seguendo il copione.
La donna apparve soddisfatta. ”Bene, so che farai la cosa giusta.” e con questo lasciò la stanza. Non una buonanotte, non un'altra parola. Alice si stese nuovamente sul letto, esausta. Pregò che in qualche modo le cose si sarebbero sistemate, che sua madre presto le avrebbe lasciato prendere le sue decisioni. L'alternativa era terribile: la solitudine. Questo avrebbe ottenuto senza Hartley al suo fianco. Fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi e sognare di un tempo non troppo lontano.

~
 

Alice conosceva Hartley da circa due anni. Era un po' buffa la storia di come si erano incontrati. Lei non usciva mai di casa senza qualcuno accanto, che fosse sua madre, la tata o anche l'autista della loro auto che faceva in un certo qual modo anche da guardia del corpo. Alice come ogni altro abitante di New York non poteva fare a meno di subire il fascino della città ma allo stesso tempo all'età di quindici anni la conosceva molto poco. Il motivo era che da quando suo padre era morto la madre le aveva inculcato l'idea che il mondo fosse pieno di pericoli e quindi New York fosse un nido di criminali e rapitori. Era normale avere paura che le succedesse qualcosa dopo aver perso il marito in maniera tanto tragica ma non era comunque una scusa valida per nascondere a Alice quello che invece c'era da scoprire e ammirare. Infondo al cuore la ragazza sapeva che non poteva continuare così e un giorno decise che avrebbe fatto qualcosa a riguardo. Senza dire niente a nessuno riuscì a uscire di casa da sola per andare a prendere il tè a casa di una sua compagna di scuola, Bethany Laverne. Non c'era niente di cui aver paura, si ripeteva, sarebbe arrivata senza problemi a raggiungere la sua meta senza l'aiuto di nessuno. I mezzi pubblici servivano a questo. Così prese la metro ma, nonostante le buone intenzioni, finì col perdersi lo stesso. Non sapeva come potesse essere successo ma probabilmente la colpa era del suo scarso senso dell'orientamento. Si ritrovò a piangere su una panchina del Central Park, un posto che almeno conosceva un po' visto che suo padre ce la portava spesso, senza cellulare e senza un'idea di come tornare a casa. Per non parlare di come avrebbe reagito sua madre.
Poi un ragazzo le sedette accanto, al lato opposto della panchina. Indossava pantaloni larghi con le tasche e una maglietta più grande di lui di un paio di taglie. I capelli castani erano un groviglio indistricabile ma la cosa che più catturava l'attenzione erano i suoi occhi. Verdi e limpidi, gentili. Quegli occhi guardavano Alice con curiosità e apprensione. Quando lei sollevò la testa e lo vide nella sua visuale appannata si mise subito in allerta. Chi era? Voleva farle del male? Le era stato detto e ridetto che non ci si poteva fidare degli sconosciuti perché non si sa mai che cosa abbiano in mente. Ma quel ragazzo non era così. Le aveva passato un fazzoletto pulito con delle ostriche disegnate sopra. Bizzarro, pensò Alice. Lui le chiese che cosa c'era che non andava, se poteva fare qualcosa per aiutarla. Alice rimase guardinga ma gli disse che si era persa e che ormai era tremendamente in ritardo per il suo appuntamento. Allora il ragazzo le sorrise e le rispose che le avrebbe indicato lui la strada, conosceva New York da cima a fondo e non sarebbe stato un problema dirle dove andare. Lei lo ringraziò sorpresa della sua gentilezza ma gli spiegò un po' in imbarazzo che sapeva l'indirizzo, solo non riusciva a trovarlo da sola. Si aspettava che quel tipo avrebbe riso di lei, che l'avrebbe presa in giro ma ancora una volta la sorprese. Rise sì, ma non per schernirla. Le porse la mano e le offrì di accompagnarla personalmente, poteva smettere di piangere. Alice sentì un campanello d'allarme risuonarle in testa 'Attenta! Potrebbe essere pericoloso! Potrebbe portarti via, farti male!' ma dall'altra parte non riusciva a credere che quel viso cortese potesse essere solo dipinto. Così gli disse “Non ti conosco nemmeno, come potrei venire con te?” al che lui sogghignò e rispose “Mi chiamo Hartley e tu?” Hartley, un nome così insolito. Le ricordava la parola 'heart', cuore. “Alice” si presentò lei. “Ok Alice, lo vuoi bere o no questo tè oggi pomeriggio?” chiese ancora in attesa che prendesse la sua mano. Alice si alzò dalla panchina e nascose le braccia dietro la schiena. Gli fece cenno di sì con la testa però e insieme si incamminarono verso casa di Bethany Laverne.
Fu così che Hartley smentì ciò che le avevano sempre detto; ogni tanto ci si può fidare, devi solo stare un po' attenta. Durante il viaggio in metro Hartley l'aveva fatta ridere a crepapelle con indovinelli e storie divertenti e Alice si accorse che era da troppo tempo che non si sentiva così rilassata e a suo agio con qualcuno. Nemmeno a casa sua era più così. Giunta a destinazione quasi non voleva più salire in casa di Bethany, un po' perché aveva veramente fatto tardi ma soprattutto perché passare un quarto d'ora con Hartley era stato molto più bello. Così decisero di non perdersi di vista. Diventarono velocemente amici e lei imparò a conoscerlo. Viveva in un istituto ai tempi e contava i giorni che lo separavano dal suo diciottesimo compleanno per potersene andare per sempre. Una volta faceva una vita agiata proprio come la famiglia di Alice ma quando suo padre, Doyle Jacobs, morì di una brutta malattia, la madre Michelle non la prese affatto bene; perse la ragione e dovettero ricoverarla in un'ospedale psichiatrico. Hartley aveva quattordici anni e nessuno che volesse occuparsi di lui dopo che la storia dei suoi genitori si era diffusa, così finì in istituto. Una cosa era certa, lui odiava quel posto. Pareva non riuscire a starci per più di qualche ora, poi svicolava via per incontrarsi con Alice e farsi un giro insieme. Per questo motivo la Signora Abrhams così come la società bene di New York non vedevano di buon occhio Hartley; secondo loro era un reietto che un giorno avrebbe potuto perdere la testa proprio come la madre. Alice trovava tali illazioni semplicemente assurde. Doveva tanto a Hartley, era stato lui a insegnarle come muoversi nella giungla urbana, a scovare i ristoranti migliori, ma più di tutto gli era riconoscente solo perché c'era. Senza la sua amicizia sarebbe rimasta rinchiusa in una teca di vetro per sempre, non avrebbe mai fatto qualche passo in più per superare la morte del padre e is sarebbe sempre sentita incompresa. In poche parole, la sua vita era l'ordinato progetto di qualcun altro e Hartley era arrivato a scombinarlo da cima a fondo. La gente lo giudicava senza sapere niente di lui ma se solo l'avessero conosciuto come lo conosceva lei avrebbero cambiato idea, avrebbero visto il suo cuore. Perché era così difficile?



Note: hello! Ho notato che la mia storia è finita nelle seguite e nelle ricordate di qualcuno quindi non dev'essere così male, giusto? Vi ringrazio per averla aggiunta :) Detto ciò, questa era la storia di come è iniziata l'amicizia tra Alice e Hartley, opinioni? Credo che dovrei anche precisare un paio di cose: la prima, sto cercando di infilare ogni volta che posso dei riferimenti che rimandino alle caratteristiche dei personaggi tradizionali e spero si stiano capendo (esempio, se Hartley è il Cappellaio Matto della storia il fatto che sua madre sia impazzita ha un senso), la seconda è che ho contrassegnato la storia anche come fantasy e anche se non è ancora successo niente di magico ci arriverò, quindi non pensate che ci sia qualcosa che non quadra. Ok, alla prossima ;)

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Capitolo 4
*** The box ***


Danza, piano, violino, galateo, equitazione, disegno. Fin da quando era piccola Alice era sempre stata impegnata in un gran numero di attività volte a prepararla al meglio per il giorno in cui avrebbe fatto domanda per il college. Forse all'inizio non sapevano che sarebbe stata la Juilliard, che Alice si sarebbe rivelata una tale talento al piano, ma in ogni caso la cosa più importante era l'impegno, la perfezione. Alice già sapeva che la perfezione non esisteva, per questo a un certo punto era riuscita con suppliche e pianti a convincere sua madre a non mandarla più a danza classica, non ci era proprio portata e le altre ragazze la prendevano in giro per questo. E nemmeno a lei piaceva, trovava il balletto noioso. Preferiva di gran lunga balli più tradizionali, da sala per esempio. Tuttavia anche senza la danza c'erano tutte le altre attività dalle quali era impossibile sganciarsi. Il lunedì pomeriggio era dedicato al disegno. Se non altro Alice lo trovava un passatempo rilassante, le permetteva di viaggiare con l'immaginazione mentre con la matita tracciava volti, paesaggi e mondi inventati. Quel lunedì la Signorina Riskovitz aveva portato la sua classe al Washington Square Park approfittando della giornata di sole per far ispirare i suoi ragazzi all'aria aperta. Il tema dei loro disegni era libero, potevano dare sfogo alla fantasia. Alice aveva iniziato ad abbozzare fiori e panchine sulla tavolozza, stava semplicemente ritraendo ciò che la circondava.
La classe era formata solo da altri cinque studenti, era facoltativa, ma Alice non era amica di nessuno, non veramente. Aveva solo delle conoscenze, persone della sua età che frequentavano la sua scuola con le quali scambiava qualche parola di tanto in tanto, ma nulla di più. A volte si chiedeva che sensazione avrebbe dato essere amica di una ragazza. Non lo avrebbe mai scoperto se erano tutte come quelle che vedeva in giro; le trovava semplicemente frivole, concentrate solo su sé stesse e sulle cose materiali. Non leggevano, a parte i libri che dovevano comprare per i test, si divertivano con feste esagerate con super alcolici e droghe, tutte cose che su Alice non avevano mai fatto presa. Cioè, qualche volta aveva bevuto una birra o dello champagne ma tutto il resto non era in grado di reggerlo. E riguardo alle droghe, beh, ricordava ancora gli avvertimenti di suo padre di starne più alla larga possibile, quindi perché immischiarsi con quel tipo di persone? Per quanto sua madre desiderasse che lo facesse non credeva che sarebbe stata contenta di vederla tornare a casa ubriaca fradicia o peggio. Era destinata anche lei a diventare come Mia Watson, che disegnava corone di diamanti e sognava di sposare uno dei principi ancora celibi rimasti in Europa? O come Tina Heller, seduta alla sua destra, che dalla vita voleva solo ottenere una villa per le vacanze negli Hamptons e un reddito milionario? Era come se vivessero in una scatola o comunque ambissero a farlo in futuro, un futuro molto vicino. Alice era abbastanza convinta che a lungo andare le sue compagne di classe si sarebbero sentite sole, circondate da soldi e lusso ma senza qualcuno con cui condividerli. Nella loro lista delle priorità l'amore e la famiglia si piazzavano davvero dietro a quelle cose? La sua mano si bloccò mentre tracciava il tronco di un albero. Se non avesse fatto qualcosa per cambiare la sua vita sarebbe stata anche lei così da grande? Si sentì mancare il respiro e si costrinse a ricomporsi perchè svenire in pubblico non era qualcosa che aveva in programma per la giornata. Andare alla Juilliard equivaleva a omologarsi a tutti gli altri, mettersi in fila e obbedire agli ordini della madre anche se per allora avrebbe avuto diciotto anni. La prossima richiesta che le sarebbe stata fatta avrebbe riguardato cercarsi un marito pieno di soldi forse? Ora che ci faceva caso molte ragazze della sua età non avevano bisogno di un promemoria per quello. Non era certa di voler andare alla Juilliard ma di sicuro non voleva vivere in una dannata scatola. Presa com'era nel suo vortice di pensieri, Alice non si era accorta minimamente che intorno a lei nessuno parlava, si sentiva solo il cinguettio degli uccellini e qualcuno che fischiava passando di lì. Alzò la testa e notò che tutti, compresa la Signorina Riskowitz avevano gli sguardi puntanti dietro di lei. Fu allora che quel fischio che aveva sentito prese a suonarle familiare. E fastidioso. Si girò lentamente.
Oh, ma certo. Era lì a pochi metri da lei in pedi su una panchina, fischiettava come se non avesse una preoccupazione al mondo e teneva gli occhi fissi su di lei. Stava cercando di non sorridere perché se l'avesse fatto non sarebbe riuscito più a fischiare. Indossava ancora il suo nuovo cilindro ma rispetto a sabato portava i suoi soliti vestiti casual, maglietta grigia, jeans larghi. Chi poteva essere a catturare le attenzioni di tutti se non Hartley? Era capitato al momento giusto. Il ragazzo sollevò e abbassò le sopracciglia due o tre volte come a dire 'vieni con me'. Ora anche gli altri suoi compagni di classe si erano accorti che si rivolgeva a lei.
Alice si schiarì la voce. “Ehm, Signorina Riskowitz?”
La donna la guardò in attesa. “Si, Alice?”
 “Credo di dover andare prima oggi. C'è, ehm, un'emergenza..io ho..dimenticato un appuntamento importante” si arrabattò. Che stava dicendo? Non era mai stata troppo brava a inventare scuse, già era tanto se qualche volta ci riusciva con sua madre.
 “Vai” le disse l'insegnante con un cenno nella direzione di Hartley. Alice non poteva crederci. Davvero le stava dando il permesso di andare? L'espressione della signorina Riskowitz non era affatto severa, anzi era quasi complice e Alice ringraziò la sua buona stella per averle dato un'insegnante così grandiosa. Alice buttò in fretta il suo astuccio di matite e colori in borsa, lasciò lì la tavolozza e corse via.
Mentre lei lo raggiungeva Hartley saltava giù dalla panchina, la soddisfazione dipinta sul volto. “Stanca di disegnare?” le chiese con un sorriso da volpe.
Alice si fermò davanti a lui sistemandosi la tracolla. “Mi hai salvata” disse tra un respiro e l'altro.
“Sempre qui per servirla, signorina.” rispose Hartley con un mezzo inchino. “Ora, vogliamo andare?”
“Andare dove?”
Il sorriso di Hartley si allargò “Seguimi”.

~
 

Dopo aver preso la metro e camminato per dieci minuti si ritrovarono davanti a quello che aveva tutta l'aria di essere un vecchio magazzino abbandonato, con tanto di vetrate rotte e vernice scrostata lungo la parete frontale. Alice non poté evitare di osservare l'edificio con una certa diffidenza. Hartley le diede una piccola gomitata, ridacchiando della sua reazione. “Ti sei incantata? Entriamo” disse avvicinandosi alla grande porta scorrevole arrugginita davanti a loro.
 “Che c'è dentro?” chiese Alice mentre Hartley faceva pressione sul portone.
 “Una tigre pronta a sbranarti” disse tirando.
 “Hart”
 “Un dinosauro”
 “Sul serio”
Hartley sospirò e si voltò brevemente verso Alice “è una sorpresa. E se mi lasci un secondo per aprire questa dannata porta lo scoprirai, ok?”
Alice incrociò le braccia davanti al petto e rimase in attesa. “Vuoi una mano?”
 “Nah. Ce la faccio” rispose Hartley mettendo tutta la sua forza per far scorrere la porta. Finalmente ce la fece e lanciando un sorriso a Alice entrò a grandi passi. Lei esitava, fece un paio di passi in avanti e infilò semplicemente la testa dentro. C'era penombra ma dei raggi di luce filtravano dalle alte finestre rotte.
 “Allora? Sei ancora lì?” la chiamò Hartley da dentro.
A quel punto Alice si decise a procedere in avanti e richiuse la porta dietro di sé. Sorprendentemente ora non dava più così tanti problemi e forse più tardi avrebbe preso in giro Hartley perché a quanto pareva lei aveva più muscoli di lui. Di sicuro l'interno era vuoto, tranne per un mucchio di scatoloni ammassati al centro del magazzino come a formare un muro. Scatole, grandioso pensò Alice. Credeva che andare a farsi un giro con Hartley l'avrebbe distratta dai suoi pensieri sul futuro ma ora era come se glieli stesse sbattendo di nuovo in faccia. A fianco di quella barriera il suo migliore amico se ne stava lì fermo. Alice rimaneva a distanza di circa un metro da lui. “Allora, che c'è nelle scatole?” chiese annoiata.
Hartley sorrise. “Niente”
No, Alice non se la beveva. “Niente? Davvero?” dubitò.
Hartley fece di no con la testa e diede un calcio a uno scatolone, poi a un altro finché non li spostò tutti. Effettivamente erano vuoti perché atterravano leggeri per terra ma ora Alice capita che su una cosa ci aveva visto giusto. Formavano un muro. Dietro vi era nascosto un pianoforte bianco, bellissimo, lucente. Alice rimase a bocca aperta.
“Ta-da!” esclamò Hartley spalancando le braccia.
“Ma l'hai rubato?” chiese Alice di getto accorgendosi troppo tardi di averlo detto a voce alta.
Hartley incrociò le sopracciglia. “Un altro ci sarebbe rimasto male, lo sai?”
 “Scusa” disse Alice un po' in imbarazzo. “Dove l'hai preso allora?”
Il sorriso sornione che troppo spesso trovava sulle labbra di Hartley in quel periodo comparve all'istante. “Magia”
 “Già. No, davvero” disse Alice, passando un dito sulla superficie lucida del piano.
 “è la verità! Ti piace?”
 “Si ma...non capisco che cosa ci faccia qui, che cos'è questo posto?”
 “Mi sembra piuttosto ovvio, è un magazzino abbandonato” rispose Hartley come se nulla fosse.
 “Perchè fai così?” sbuffò Alice iniziando a sentirsi frustrata. “Se non vuoi dirmi la verità non dirmela ma non raccontarmi balle”.
Hartley aveva capito di aver tirato un po' troppo la corda con lei e le si avvicinò fino ad appoggiare entrambe le mani sulle sue spalle. “Alice, questo è indubbiamente un magazzino dove nessuno ci disturberà e questo è un pianoforte. Suonalo.” disse pratico. “è la nostra sessione privata” aggiunse abbassando la voce e facendole l'occhiolino.
Riecco la storia della sessione privata. Questo cambiava tutto. Allora diceva sul serio il sabato precedente quando l'aveva menzionato? Era già tutto pronto da allora? Il fatto che non volesse spiegarle le cose chiaramente continuava a infastidirla ma alla fine decise di arrendersi e accontentarlo, così almeno non avrebbe tirato fuori di nuovo la magia come risposta alle sue domande. “Ok, che cosa vuoi che suoni?”
Hartley si illuminò e tolse le mani dalle sue spalle. Andò ad appoggiarsi coi gomiti dall'altra parte del piano. “Quello che vuoi” rispose.
Alice si sedette allo sgabellino sistemandosi la gonna a pieghe che faceva parte della sua uniforme scolastica. “Va bene, vuoi sentire Mozart o qualche sinfonia in particolare...”
 “No, no, niente di quella roba” la interruppe lui con un gesto della mano. “Suonami qualcosa che non ti obbligano a eseguire alla perfezione finché non ti sanguinano le dita.”
Alice ci pensò su. In effetti il suo repertorio era infarcito di pezzi classici che aveva dovuto imparare. Erano melodie bellissime ma certe volte avrebbe solo voluto cambiare, provare con qualcosa di meno ripetitivo. Posò le dita sui tasti e all'inizio fece solo una scala, poi suonò un po' a caso fino a che una melodia incominciò a prendeva vita, era solo una canzone pop che girava in radio in quel periodo. Le era rimasta in mente e se solo non fosse stata troppo in imbarazzo per farlo ci avrebbe anche cantato sopra. Alice si rese conto di quanto era liberatorio eseguirla senza nessuno che la rimproverava intorno, senza dover ricominciare ancora e ancora dopo un minuto.
Si sentiva così bene che quando finì di suonare la canzone ne iniziò un'altra, questa volta la più speciale di tutte per lei. Era come se suo padre fosse ancora lì con lei ogni volta che la ascoltava e inevitabilmente la riportava indietro nel tempo a quando lui le rimboccava le coperte e le raccontava delle storie per farla addormentare, a quando preparava il giradischi e metteva su il loro preferito. Sull'ultima nota Alice si lasciò sfuggire una lacrima solitaria e intorno a lei calò il silenzio. Durò circa tre secondi però perché un applauso lo interruppe. Alice alzò la testa e ricordò di non essere sola, Hartley aveva assistito alla sua esibizione e non poteva che battere le mani entusiasta. Alice si passò la mano in fretta sulla guancia e sorrise un po' impacciata. Hartley si sporse in avanti coi gomiti sul piano. “Ecco cosa intendevo. Questa sei tu” commentò compiaciuto.
 “Che vuoi dire?” chiese Alice incerta.
 “Dici di non voler più andare alla Juilliard” spiegò provocando un brivido lungo la schiena dell'amica. Negli ultimi giorni aveva fatto di tutto per dimenticare che gli aveva rivelato la sua più grande preoccupazione e un po' sperava che anche lui l'avrebbe fatto.
 “Non vuoi perché ti sei scordata di amare la musica” continuò lui. “Non suonavi più per te stessa. Ma persino io so che quel college è una cosa grossa e se solo tu ti ricordassi per quale motivo vuoi fare musica...”
 “Aspetta, prima mi hai detto che non dovevo andarci e ora invece dovrei?” chiese Alice scuotendo la testa e alzando le mani confusa.
Hartley girò intorno al piano e si abbassò accanto a lei sui talloni. La guardava dritto negli occhi. “No, io ho detto che dovevi decidere tu, seguendo il tuo cuore.”
Alice prese un grande respiro e guardò in basso, incapace di tenere gli occhi su quelli dell'amico mentre sapeva che stavano per entrare più in profondità nell'argomento. “Non lo so, Hart. Non so se voglio diventare una pianista o qualche altra cosa. Mia madre ha questa vita programmata per me e a volte mi sembra di soffocare. A volte..ho paura che...”
 “Di che cosa?” la spronò Hartley.
 “Che finirò a vivere nella scatola.” disse Alice ritrovando il suo sguardo attento.
Hartley increspò la fronte. “Nella scatola?”
 “Si, sai questa società dove tutti fanno le stesse cose e crescono uno uguale all'altro. E se fosse già così per me, Hartley? Pensi che io sia un burattino?” gli chiese quasi disperata perché lui le rispondesse 'no, certo che non lo sei e non lo sarai mai!'. Se glielo avesse detto lui sentiva che ci avrebbe creduto.
Hartley la osservò attentamente e le prese la mano. Ecco di nuovo quella sensazione, una specie di scarica elettrica che le attraversava il corpo. Possibile che la avvertisse solo lei? “Sei qui adesso, no?” le domandò.
Alice annuì.
 “Eri a lezione prima, ma hai visto quello strambo del tuo amico col magico cilindro e te ne sei andata lo stesso, giusto anche questo?” proseguì.
Alice cominciava a capire dove voleva arrivare.“Si” rispose.
 “E allora io dico che sei uscita dalla scatola” decretò senza un'ombra di dubbio. “E comunque se tu fossi solo un'altra copy-cat di questa società marcia non passerei tutto questo tempo con te” la rassicurò ammiccando.
Alice si sentì di colpo tranquilla. Come faceva Hartley tutte le volte a essere così bravo con le parole? Doveva essere una specie di suo dono e lei non poteva che essergli grata. Aveva ragione, lei poteva ancora dire di stare fuori dalla scatola e di certo non avrebbe lasciato che sua madre la controllasse in futuro. Poteva decidere. “Grazie” disse di cuore ad Hartley con un piccolo sorriso.
Hartley lo ricambiò e si alzò in piedi. “Non c'è problema. Mi becco un sacco di grazie da te ultimamente, non trovi?” disse sistemandosi il cappello.
Alice alzò gli occhi al cielo. “Si beh, vuol dire che sei particolarmente saggio in questo periodo. Temo non durerà però” scherzò.
 “Simpatica, davvero” rispose Hartley facendo finta di essere offeso. “Allora, sei pronta ad andare?” le chiese già diretto alla porta.
Alice lo seguì “Si ma...il pianoforte?”
 “Non pensarci, dopo sparisce!” tagliò corto Hartley facendo scorrere la porta.
 “Che vuol dire 'sparisce'? Hart!” protestò Alice rincorrendolo.
Il ragazzo chiuse la porta per l'ultima volta. “Ti va una pallina di vaniglia?” le propose ignorando completamente la domanda appena fattagli.


Note: Capitolo luungo, I know I know. Se qualcuno è arrivato a leggere fin quaggiù allora un grande grazie! Non mi viene niente in particolare da aggiungere se non che prossimamente arriveranno dei nuovi personaggi e le cose si animeranno un pò. Alla prossima :)

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Capitolo 5
*** Invitation ***


La pregiata carta da lettere arricchita da ghirigori e caratteri in rilievo sembrava essere stata appoggiata lì sul bancone della cucina apposta perché Alice la vedesse, come un promemoria. O una minaccia incombente. Per la ragazza la seconda era l'opzione più giusta. Per tutto il pomeriggio si era scervellata chiedendosi per quale motivo le fosse arrivato l'invito alla festa di Justin Van Horten via posta, cartaceo e non via mail come al solito. Alice era abituata a fingere che quelle e-mail non esistessero e a cestinarle come avrebbe fatto con lo spam, in questo modo sua madre non poteva intromettersi e costringerla a partecipare. Quindi perché quella volta doveva essere diversa? Justin Van Horten proprio non poteva fare a meno di pagare chissà quanti soldi un tipografo per far consegnare quelle stupide buste? Nella sua disperazione Alice esagerò convincendosi che l'universo stava cospirando contro di lei. La ragione era semplice, una volta visto l'invito sua madre si era entusiasmata e ovviamente l'aveva trascinata a fare shopping per scovare un vestito adeguato da indossare alla festa. Si, ora doveva andarci obbligatoriamente perché non ci sarebbe stata scusa o supplica in grado di salvarla.
Così dopo un pomeriggio in boutique Alice si ritrovava con un abito blu luccicante ricoperto di paillettes
, un paio di scarpe decisamente più alte di quelle che usava di solito per gli eventi e un appuntamento con il parrucchiere per quel sabato. Il temuto sabato della festa di Justin Van Horten. L'assurdità nel solo fatto che avrebbe dovuto presentarsi a casa sua stava nel fatto che di sicuro non era la benvenuta. Ecco come funzionava nella scuola di Alice: tutti sapevano che lei era parte di una famiglia molto ricca e rispettata ma d'altra parte era anche al limite dell'essere asociale quindi ogni qual volta che c'era un evento le veniva mandato un invito ma si trattava di cortesia o di apparenza per meglio dire; nessuno si aspettava veramente di vedere Alice. E a lei andava bene così, una serata senza gli studenti con la puzza sotto il naso della sua scuola equivaleva a una serata in più da passare con Hartley.
A proposito di Hartley, Alice ebbe un idea. Saltò giù dal letto e sollevò la trapunta. Infilò un braccio sotto al materasso e cercò tra le doghe quella che arrivata a quel punto era la sua ultima speranza per tirarsi fuori dalla festa di Van Horten. Sorrise quando le sue dita afferrarono quello che cercava. Era un piccolo cerca-persone nascosto col nastro adesivo sotto il suo letto. Glielo aveva dato Hartley dopo un po' che si erano conosciuti e lui ne aveva uno uguale. Avevano sempre comunicato così visto che lui non aveva un cellulare, 'troppo costoso da tenere in vita' aveva detto, e quindi si arrangiavano. Era divertente, non troppo pratico ma pur sempre divertente per Alice. Quell'aggeggio nero e rotondo con lo schermo alto due centimetri poteva fare ben poco, solo inviare dei messaggi in codice tra di loro, ma era meglio di niente. Alice premette uno dei due grandi tasti sul cerca-persone e fece comparire sullo schermo il simbolo di una tazza di caffè, seguito da un orologio. Significava 'tra un'ora al cafè.'
Alice inventò la scusa più banale di tutte con sua madre, disse che voleva uscire per comprare anche un paio di orecchini da abbinare al vestito nuovo e la donna non fece obiezioni. Se si trattava della festa poteva fare ciò che voleva. Il lato negativo era che sarebbe tornata a mani vuote e a comprare gli stramaledetti orecchini ci sarebbe dovuta andare per forza prima o poi. Dopo aver preso la metropolitana Alice camminò fino al Wondercafè. Lei e Hartley si incontravano spesso lì, era il loro posto preferito. Quando Alice entrò dalla porta il suo arrivo fu annunciato dal suono del campanello e da dietro il bancone si voltò subito il proprietario.

“Oh, la piccola Alice! È un po' che non ti si vede in giro!” la accolse l'uomo con un sorriso amichevole.

“Ciao Jeff” ricambiò il saluto la ragazza raggiungendolo su un alto sgabello.

Il locale era vuoto, cosa che rattristava Alice. Era così per la maggior parte del tempo, i clienti che passavano di lì bastavano a mala pena per far guadagnare a Jeff abbastanza soldi da tenere il Wondercafè aperto, il che era insensato. Quel cafè era un posto magnifico, Jeff era un uomo simpatico e affabile che regalava sempre un biscotto al cioccolato sia ad Alice sia ad Hartley e in generale li faceva sentire di famiglia. “Giornata fiacca?” chiese Alice con una smorfia.

“Nah” rispose Jeff passando un panno sul bancone “era pieno fino a due minuti prima che entrassi tu”.

Jeff faceva sempre così, non voleva mai pensare a quello che non andava e preferiva comportarsi come se fosse tutto ok. Non era uno che si compativa e questo ad Alice piaceva. L'uomo mise il menù davanti ad Alice, anche se lei lo conosceva già a memoria, non c'era molto tra cui scegliere; caffè, cappuccino, latte, caffè alla cannella, tè classico o tè verde. A quanto pare ai vecchi tempi c'erano molti più gusti e altre bevande, lo si capiva anche dalla pagina strappata del menù ma ora Jeff era costretto a tenere il minimo indispensabile. Poi c'erano i biscotti, quelli li faceva lui di tanto in tanto, come offerta speciale della settimana. Una volta Hartley era rimasto così colpito da quanto erano buoni che aveva chiesto a Jeff perché non apriva una pasticceria invece o perché non li inseriva semplicemente nel menù dato che secondo lui avrebbero attirato più clienti. Jeff aveva sorriso, le piccole rughe a contornargli gli angoli degli occhi azzurri 'non sono biscotti per tutti' aveva detto. A volte diceva cose criptiche così.

“La canaglia ti raggiunge?” chiese Jeff a Alice.

“Si, sarà qui tra poco” rispose subito lei. Non aveva mai mancato un appuntamento, era questione di minuti prima che comparisse alla porta.

“Aspetti a ordinare allora?”

“Si” disse Alice.

Mentre aspettava la ragazza pensò a cosa dire a Hartley e a come se la sarebbero potuta cavare la sera della festa. Una volta che la sua macchina fosse ripartita lei avrebbe potuto svignarsela con Hartley e forse sarebbero tornati in quel magazzino abbandonato a suonare. Il pianoforte sarebbe stato ancora lì? Non era riuscita a tirare fuori nessuna informazione dal suo amico, svicolava attorno all'argomento con estrema maestria ma Alice rimaneva curiosa. Sperava con tutto il cuore che sua madre non l'avrebbe mai scoperta in caso di fuga e che sarebbe tornata in tempo per mezzanotte per farsi riprendere.
Passarono dieci minuti, poi venti fino a che dando uno sguardo all'orologio appeso alla parete dietro di lei Alice si accorse che era lì già da mezz'ora e di Hartley neanche l'ombra. Era parecchio strano che ritardasse così tanto. Si era ritrovata a ordinare il caffè senza di lui e forse non era stata una grandissima idea visto che non aveva fatto altro che renderla più ansiosa. Il campanello attaccato alla porta trillò e Alice si voltò all'istante ma non era Hartley, era un cliente qualsiasi. Buon per Jeff pensò, ma male per lei. Iniziava a chiedersi cosa potesse essere successo e se il suo migliore amico si sarebbe fatto vivo o meno. Forse non aveva visto il messaggio sul cerca-persone, forse era scarico e doveva cambiare la pila, magari non aveva tempo di raggiungerla ma allora perché non risponderle?

“Hartley è in ritardo?” chiese Jeff spuntando dalla cucina con una tazzina da tè poggiata sul piattino per il cliente.

“Già” rispose Alice demoralizzata passandosi una mano tra i lisci capelli biondi.

Jeff le offrì un'espressione rassicurante. “Non stare a preoccuparti per lui. È uno tosto, sono sicuro che c'è una spiegazione.”

Già una spiegazione. Jeff doveva avere ragione ma d'altra parte non era mai, mai successo che Hartley ritardasse così tanto a un appuntamento. Dopo un'altra mezz'ora Alice lasciò il café pregando Jeff di dire a Hartley che era passata di lì e che aveva bisogno di parlargli nel caso l'avesse visto. Mentre usciva facendo suonare il campanellino per l'ultima volta Alice si rese conto che ora non c'era più dubbio su dove avrebbe trascorso il suo sabato sera. Si infilò le mani nelle tasche dei jeans e procedendo spedita verso l'entrata della metro diventava più irritata ad ogni passo, perché se fino a poche ore prima la sua sola preoccupazione era quella stupida festa adesso c'era qualcos'altro che le premeva di più: dove diavolo era Hartley?


Note: ben due persone seguono questa storia! *sibatteilcinquedasola* Mi accontento con poco, ok? A parte questo, un paio di cose; il prossimo capitolo si intitola "party" e rappresenterà l'inizio di qualche cambiamento e l'entrata di un nuovo personaggio e ce ne saranno anche degli altri proseguendo. Ho chiamato Van Horten Justin perché ultimamente sono troppo obsessed con Justin Timberlake e quindi ho dovuto omaggiarlo! Detto ciò credo che toglierò la tag fantasy fino a che non uscirà effettivamente fuori qualcosa di quel genere (presto, presto) se no è fuorviante. Stay tuned :)

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Capitolo 6
*** Party ***


Entrambi i lati della strada brulicavano letteralmente di auto che si fermavano per qualche istante per far scendere gli invitati alla festa, tirati a lucido come se fosse l'ultimo party della loro vita. Tutti impazienti di fare la loro entrata nello svettante palazzo illuminato dove abitava Justin Van Horten. Alice riconosceva qualcuno di loro da scuola ma la maggior parte dei ragazzi che scendevano dalle auto erano degli sconosciuti, anche più grandi di lei. Immaginava che ricevere un invito da niente meno che Justin Van Horten fosse una cosa grossa per loro e questo spiegava le facce tirate in grandi sorrisi. Alice al contrario aveva passato gli ultimi giorni a sbuffare, lanciare occhiatacce puntualmente schivate alla madre e a lamentarsi pur di far trapelare il suo evidente fastidio circa il partecipare alla festa. La negatività l'aveva fatta da padrona mercoledì, giovedì e venerdì. Ma tutto questo si era interrotto il sabato mattina appena sveglia.
Alice si era messa a sedere sul letto e con gli occhi puntati sul calendario l'aveva accettato: era il giorno x e non poteva farci niente. Tanto valeva che facesse come voleva sua madre visto che nessuno sarebbe corso a salvarla. Nemmeno uno dei suoi messaggi in codice era stato seguito da una risposta da parte del suo migliore amico, non una volta lui si era presentato all'uscita da scuola o da qualsiasi altra parte per farle sapere che era vivo. Voleva sparire? Fantastico, pensò Alice, lei se la sarebbe cavata benissimo anche da sola perché la verità era che c'erano molte ma molte cose peggiori del farsi carina e andare a un party del liceo per una sera. Se avesse raccontato in giro che questo era il suo problema, che questo l'aveva resa irritabile per gran parte della settimana chiunque si sarebbe messo a riderle in faccia. E non avrebbero avuto tutti i torti. Tuttavia tirandosi inutilmente l'orlo del vestito luccicante più in basso per coprire più centimetri di pelle possibile e aspettando il momento di uscire dalla sua auto Alice ebbe comunque un attimo di panico. Una cosa era pensare a come sarebbe stato essere lì ma un'altra era esserci per davvero. C'era un sacco di gente, lei non conosceva nessuno e non era nota per le sue qualità di conversatrice. A parte quando parlava con Hartley. Alice si mise a schiena dritta e strinse la borsetta argentea a sé. No, non avrebbe pensato neanche per un momento a Hartley quella sera. Non si sarebbe chiesta dov'era e se si era cacciato in un brutto guaio o se la stava ignorando apposta, dopo essere scesa dall'auto avrebbe fatto tutto il possibile per godersi la stramaledetta festa e di fare conversazione con qualcuno. Non avrebbe fatto da tappezzeria, doveva almeno provare. Mise la mano sulla maniglia dello sportello e prese un respiro. Niente di cui preoccuparsi.

-
 

Per tutta la salita in ascensore fino al piano di Van Horten Alice si sentì osservata. C'erano altre tre persone intorno a lei, un ragazzo in completo scuro e la camicia sbottonata in alto e due ragazze dai tratti asiatici assolutamente identiche che si bisbigliavano qualcosa a vicenda nell'orecchio mentre scrutavano Alice dalla testa ai piedi. Le conosceva di fama, proprio come il padrone di casa; le chiamavano Le Gemelle (che fantasia) e i loro nomi erano Jilly e Ginny. Come riuscissero a distinguerle con dei nomignoli così simili era un mistero. Erano delle note pettegole e quella sera indossavano due abiti uguali, solo che uno era bianco e l'altro nero. Solo quando le porte dell'ascensore si aprirono Alice riuscì a scrollarsi la sensazione di inquietudine di dosso e davanti a lei si aprì un corridoio che portava all'appartamento di Justin Van Horten. Le gemelle e il ragazzo uscirono velocemente, mentre Alice procedeva a passi lenti e calcolati. Non si torna indietro, è solo una festa si ripeté. Si doveva divertire alla faccia di...beh, non importava.
Man mano che si avvicinava la musica attutita dietro la porta si faceva sempre più forte. Suonò il campanello e attese solo un paio di secondi prima che un ragazzo alto e coi capelli sparati in aria le aprisse barcollando. Non era Van Horten. “Hey è una festa! Non c'è bisogno che suoni bellezza!” la accolse energicamente il tipo dando un'occhiata accurata al vestito blu di Alice. In tutta risposta lei si sentì arrossire e tentò di nuovo di abbassare l'orlo. “L'invito ce l'hai?” continuò il ragazzo.
 “Credo di averlo dimenticato a casa” rispose lei in imbarazzo. Voleva dire che poteva alzare i tacchi ancor prima di aver passato un minuto in quell'appartamento? Non male.
 “Oh beh, chissene frega. Entra e divertiti” rispose il tipo spalancando la porta. La speranza di Alice era morta nel momento in cui era nata ma si disse che andava bene comunque, non sarebbe scappata. L'appartamento di Justin Van Horten era più ampio di quanto ci si potesse aspettare da fuori ma questo era piuttosto ovvio dato che i suoi genitori erano ricchi sfondati, possedevano una catena di alberghi famosi in giro per il mondo e dunque potevano permetterselo. L'arredamento era minimal ma allo stesso tempo raffinato, pareti color crema, divani ocra e un gigantesco televisore nel salotto pieno di gente. Il tavolino di vetro era stato spostato da una parte perché due ragazzi si potessero sfidare a una partita di Just Dance con la wii e intorno a loro un gruppo di altri invitati tifava per uno o per l'altro. Spostandosi a un'altra stanza dove la musica proveniva da un impianto stereo a un livello poco sotto lo spacca timpani, Alice scorse il tavolo delle bibite. Ben poco era il cibo presente, più che altro c'erano solo una moltitudine di bottiglie di vetro per la maggior parte già consumate per metà, bicchieri rossi di carta e qualche lattina di red bull vuota. In mezzo a tutto quell'alcol che cosa avrebbe potuto bere lei? La red bull sarebbe stata davvero l'opzione meno peggio per lei ma visto che era esaurita le sarebbe toccato bere whisky e sfidare la sorte? Ricordava bene l'ultima volta che aveva bevuto qualche bicchiere di troppo di mojito, dopo Hartley era stato costretto a trascinarla via dal bar ridacchiando e facendola appoggiare alla sua spalla. Riecco che pensava a lui. No, se l'era ripromesso ed eccola che già ci cascava. Afferrò la bottiglia di whisky e versò un po' del liquido nel suo bicchiere di carta, dopodiché buttò giù un grande sorso come se nulla fosse. Il gusto pungente dello whisky si fece sentire subito ed Alice fece del suo meglio per non mandarlo già comunque e non fare una faccia schifata. Era già abbastanza che di tanto in tanto qualcuno tornasse a fissarla e a mormorare. Insomma che cosa avevano di preciso da guardare? Decise che non avrebbe più riempito il bicchiere ma se ne andò in giro tenendolo in mano lo stesso perché nessuno si insospettisse. Alle feste si beve, questo lo sanno tutti. Stava girando l'angolo per andare in un'altra stanza quando si scontrò contro qualcuno facendo schizzare lo whisky contro la sua camicia. Immediatamente Alice spalancò la bocca costernata. “Oddio scusa, non ti avevo visto! Lascia che ti aiuti a pulire questo casino” si affrettò a dire sentendo che comunque non sarebbe stato abbastanza. Chissà quando costava quella camicia, ma mentre tutte queste cose le passavano per la testa alzò gli occhi e registrò il volto del ragazzo contro il quale aveva sbattuto. Justin Van Horten. Di nuovo si sentì avvampare le guance realizzando che di tutte le persone che c'erano, doveva proprio andare a sporcare la camicia del padrone di casa. Se sua madre voleva che si facesse ricordare sarebbe stata accontentata.
Sulle labbra di Justin comparve un sorrisetto. “Ne ho altre dieci di queste” disse riferendosi alla camicia zuppa. “Non vorrei che tu ti fossi sporcata il tuo bel vestito però” disse educato ma con una sfumatura sconosciuta nella voce che Alice non riuscì ad interpretare.
 “No, no sono a posto” rispose lei dando uno sguardo rapido al suo abito con le paiette. Anche volendo sarebbe stato difficile rovinarlo irrimediabilmente. Voleva dirgli anche questo ma la sua timidezza paralizzante glielo impedì. Invece tenne gli occhi spalancati su quelli di lui in attesa di non sapeva bene che cosa.
Un lampo di riconoscimento colse Van Horten. “Aspetta un attimo, io ti conosco?” chiese stringendo gli occhi grigio-azzurri.
 “Ehm, non lo so. Dovresti, mi ha invitata tu.” rispose Alice un po' impacciata spostandosi dalla soglia dato che una dopo l'altra le persone si stringevano tra loro due per passare. Anche Justin la seguì agilmente continuando a scrutarla. “Beh ci sono anche un sacco di imbucati e il mio addetto alla sicurezza alla porta non è esattamente un tipo preciso” disse.
 “No, non mi sono imbucata” rispose Alice bevendo dal suo bicchiere di carta. Prima di rendersi conto di quel gesto inconsapevole la gola le stava bruciando di nuovo. Scema. Ora Van Horten ridacchiava. “Come ti chiami?”
 “Alice” rispose lei tenendo gli occhi bassi.
 “Oh” esclamò Justin come se fosse improvvisamente tutto chiaro. “Alice Abrhams?”
 “Si.”
 “Le nostre madri sono amiche lo sai? Cioè per quanto mia madre possa riuscire ad essere amica di un'altra donna senza cercare risvolti sociali.” spiegò lui ancora con quel sorrisetto.
 “Ah” disse Alice. Voleva prendersi a calci da sola; perché non riusciva a tirar fuori più di due sillabe alla volta?
 “L'idea di invitarti è stata probabilmente di mia madre” aggiunse lui come se non fosse evidente abbassandosi leggermente su di lei. Era alto, un metro e ottanta circa mentre lei sfiorava il metro e sessantacinque.
 “è sempre tua mamma a spedire gli inviti?” chiese lei.
 Justin inclinò la testa. “No, solo questa volta. Perché?”
 “Perché mi arrivano sempre gli inviti alle tue feste, per e-mail e mi sembra strano quindi che tu non sappia chi sono” disse lei in tono un po' accusatorio. Ora invece si sarebbe voluta schiaffeggiare da sola. Era passata in un attimo dalle risposte monosillabiche alle insinuazioni.
A Justin non sfuggì il sottotesto e si infilò le mani in tasca. “Più siamo più ci divertiamo.” disse semplicemente. “Ma in ogni caso è la prima volta che ti vedo da queste parti, di questo ne sono certo” aggiunse recuperando il vantaggio.
Alice si irrigidì. Colpita e affondata. “è vero” ammise.
 “E come mai solo adesso?” chiese lui sempre più interessato.
 Alice si limitò a scrollare le spalle.
 “Dev'esserci un motivo” insistette lui. “è perché è il mio compleanno?”
Alice sbiancò. Accidenti, come aveva fatto a dimenticare che era la sua festa di compleanno? E soprattutto come aveva potuto sua madre non comprargli un regalo da parte sua? Se con la signora Van Horten erano tanto unite come mai non ci aveva pensato?
Justin scoppiò in una risata notando la sua faccia. “No, dai non ti preoccupare. è solo il mio non-compleanno in realtà.”
“Il tuo non-compleanno?”
“Già. Mia madre è una donna impegnata, diciamo che ogni tanto si scorda di qualcosa. Tipo la mia data di nascita. Ho festeggiato con qualche amico e mio sorella due settimane fa.”
“Oh” commentò Alice un po' stupefatta. Sua madre aveva tanti difetti ma non aveva mai dimenticato una ricorrenza così importante.
“Quindi non sentirti in colpa se non hai un regalo” la rassicurò dandole una piccola gomitata al braccio.
Alice gli concesse un sorriso. “Scusa ancora per la camicia” disse provando a congedarsi ma in un secondo lui le aveva sbarrato la strada. “Aspetta, dove vai?”
 “Non so, di là...?”
 “Vieni a conoscere gli altri, balliamo o non so. Ti riempio il bicchiere?”
 “No” rispose Alice un po' troppo in fretta. Lui incrociò le sopracciglia.
 “Voglio dire, sto bene così grazie. Ti lascio tornare ai tuoi amici”
Neanche a farlo apposta una ragazza spuntò provvidenzialmente da dietro Justin reclamando la sua attenzione. Aveva una voce stridula e una cascata di capelli lunghissimi biondo platino. Gli diede un breve abbraccio sorreggendo un bicchiere di carta in una mano. Alice colse quel vantaggio dileguarsi in un'altra stanza. Si trovò davanti un corridoio con una porta alla sua estremità. Alice prese un respiro e riassunse mentalmente quello che era appena successo. Aveva parlato da sola con Justin Van Horten, un'esperienza che un sacco di ragazze della sua scuola avrebbero venduto un rene pur di fare. Dopo tutto Van Horten non solo era ricco ma aveva anche un aspetto invidiabile, alto, atletico, dei capelli biondi sempre in ordine e un paio d'occhi di quella sfumatura di azzurro tutta particolare che non si vede spesso in giro. Per non dire mai. Alice si sorprese nel constatare che però caratterialmente non era affatto come lo aveva sempre creduto lei.
Con tutte le feste che organizzava durante l'anno e lo sciame di seguaci che lo seguiva ovunque andava credeva che fosse un tipo un po' arrogante, uno che si atteggia. Se ci aggiungiamo che non aveva certo problemi a cambiare due o tre ragazze all'anno non le aveva certo dato l'impressione di uno umile. Ma forse l'aveva giudicato troppo in fretta. Insomma poteva anche averla invitata senza volerla davvero lì ma una volta capito chi era non si era allontanato come se si fosse trattato di un'appestata né si era fermato per deriderla. Uno pieno di conoscenze come lui avrebbe potuto farlo benissimo. Ma invece no, Justin le aveva persino offerto di andare con lui a godersi la festa. E cosa aveva fatto lei? Se n'era andata alla prima occasione. Bella prova, è proprio così che si prova a divertirsi in un ambiente estraneo, è sicuramente così che non si fa da tappezzeria. Alice si chiese allora se fosse troppo tardi per tornare indietro e sistemare le cose. Magari Van Horten non stava ancora pensando che era una strana.


Note: at long last, ho aggiornato! è arrivato Justin Van Horten ebbene si, è popolare, è bello e sorprendentemente è pure gentile. O no? Parrebbe un rivale in amore per Hartley sempre che sia interessato a Alice in quel senso. E a proposito, dove sarà il nostro Hartley? Nei guai forse? Lo scopriremo prossimamente. Volevo ringraziare Sharon per avermi risvegliata dal mio letargo, prometto che recupererò tutta la mia concentrazione per continuare a breve ad aggiornare!

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Capitolo 7
*** The Twins ***


Alice aveva già la mano sulla maniglia della porta quando delle voci attirarono la sua attenzione dall'altra estremità del corridoio. Erano voci femminili, qualcuno rideva ma soprattutto qualcun altro piangeva. Alice non aveva amici lì alla festa, lo sapeva bene, quindi non erano affari suoi se qualcuno se la stava passando male laggiù ma d'altra parte la curiosità e un po' il senso del dovere le impedirono di ignorare la cosa. Seguì i rumori fino infondo al corridoio e si fermò ad ascoltare accanto alla porta socchiusa.
 “Ti avevamo detto di restare buona buona nella tua cameretta, o sbaglio?” redarguì una voce stridula e compiaciuta.
Seguirono dei singhiozzi.
 “Ci devi ascoltare Annie, noi lo facciamo per te” aggiunse un'altra voce altrettanto stridula, erano praticamente identiche. “Sei troppo piccina, quando crescerai potrai fare le tue feste e fare ciò che vuoi. Ma adesso...”
 “Ma io volevo solo...” tentò di difendersi con una vocina piccola e debole una terza persona.
 “Niente ma, Annie. Saresti solo d'impedimento per tuo fratello.” tagliò corto seccamente una delle ragazze.
A quelle parole Alice capì chi era quella ragazza dalla vocina timida. Era Anne Van Horten, la sorellina di Justin. Chi la stava trattando con tanta crudeltà? E perché? Senza pensarci spinse la porta e si trovò in uno stanzino, Annie era seduta per terra, si stringeva le ginocchia al petto mentre Le Gemelle le stavano parate davanti l'una di fianco all'altra. Appena si accorsero di Alice le loro teste scattarono nella sua direzione, fulminandola coi loro occhi a mandorla.
 “Ti sei persa?” chiese acida una delle due.
Ora che aveva fatto il primo passo Alice non sapeva più cosa fare a essere sincera. Che cosa poteva dire per salvare la situazione? “Ehm, Justin vi stava cercando.” disse tentando di suonare sincera.
Le Gemelle la osservarono attentamente per un tempo che a Alice parve lunghissimo ma eventualmente rilassarono le spalle e fecero un cenno di assenso con la testa. “Torna in camera tua, Annie.” intimò una delle ragazze dandole già le spalle e superando Alice per uscire dallo stanzino. Il rumore dei loro tacchi alti sul pavimento riecheggiò per tutto il corridoio fino a che non cessò e finalmente Alice ed Annie rimasero sole.
La ragazzina, doveva avere quattordici o quindici anni, si asciugò le guance col palmo della mano mentre Alice si abbassò sulle ginocchia. Prese un fazzolettino dalla sua borsetta e glielo porse con un sorriso rassicurante. Annie lo accettò. “Grazie.”
 “Figurati. Tutto a posto?”
Annie annuì e iniziò a tirarsi su in piedi. Alice le diede una mano.
 “Sarà meglio che torni in camera mia adesso” disse guardando in basso.
 “Non devi se non vuoi. Voglio dire, perché quelle due non volevano che partecipassi alla festa?” chiese Alice. Non voleva curiosare, era sinceramente interessata al perché quella ragazzina stesse piangendo.
Annie fece spallucce e tirò su col naso. “Mio fratello non mi vuole alle sue feste.”
Questa non se l'aspettava. Il Justin così educato e affabile di poco prima era lo stesso che non permetteva alla sorellina di farsi vedere a una stupida festa organizzata da lui? Non aveva senso, anche perché le aveva detto di aver già celebrato il suo vero compleanno con Annie. O forse...forse la sua prima impressione su di lui era quella giusta, era un falso e le aveva raccontato quella storia solo per darsi un tono. “E lui lascia che Le Gemelle ti trattino così?” chiese ancora Alice indignata.
 “Credo di si” disse Annie sistemandosi il vestito a pieghe rosa.
 “Credi?”
Un'altra alzata di spalle. Sembrava proprio che quella ragazza fosse abituata a trattamenti del genere e questo rese Alice triste. Forse un po' era perché lei stessa fino a qualche anno prima era assoggettata al volere della madre (pur senza essere brutalizzata come Annie) ma non poteva lasciare che lei si sentisse in quel modo.
 “Torno subito, tu aspettami qui ok?” le disse voltandole le spalle decisa.
Alice tornò alla confusione e alla musica sparata della festa e si fece largo tra le persone cercando di individuare chi cercava. Quando arrivata nel soggiorno dove stavano concludendo la partita di Just Dance scorse una testa bionda e una camicia macchiata si fermò. Richiamò l'attenzione di Justin Van Horten con una colpetto sulla spalla. Lui si voltò e quando la riconobbe il suo sorriso crebbe. “Hey Alice! Hai deciso di unirti a noi! Ti presento un po' di amici-”
“Ti sembra giusto quello che stai facendo a tua sorella?” lo interruppe lei bruscamente guardandolo negli occhi.
A giudicare dalla faccia che fece, Justin non si aspettava di sentire quelle parole. “Che vuoi dire?”
Alice incrociò le braccia. “Voglio dire che le tue amiche la stavano costringendo a rimanere chiusa in uno stanzino piuttosto che venire di qui e godersi la tua stupida festa di non-compleanno. Perché la tratti così?”
Justin posò una mano sul gomito di Alice e la portò in un angolo della casa più tranquillo. “Di che stai parlando?” le chiese serio.
 “Lo sai bene. Hai mandato tu Le Gemelle ad assicurarsi che Annie non si facesse vedere. Non sono affari miei certo, però piangeva e non mi fa piacere vedere una ragazzina in quello stato.” spiegò Alice sempre più infervorata.
 “Jilly e Ginny hanno fatto questo? Quando?” chiese lui arrabbiato.
 “Poco fa.” rispose Alice iniziando a sospettare che lui per davvero non ne sapesse nulla.
Justin si allontanò in un lampo e Alice lo seguì chiedendosi che cosa stava per succedere. Justin trovò Le Gemelle intente a ridere con due ragazzi più grandi e a sorseggiare i loro drink. “Che diavolo è questa storia?” alzò la voce infuriato.
Le ragazze si voltarono di scatto verso di lui e in un secondo i loro volti sbiancarono. Beccate. “Justin, che succede?” chiese una delle due con voce un po' tremante.
 “Dimmelo tu Jilly” ma come faceva a distinguerle? “mi dicono che stavate vessando la mia sorellina, è così o no?”
Jilly spalancò gli occhi contornati da matita nera spessa e mascara e lo stesso fece la sorella. “Noi non tratteremmo mai male Annie, stai scherzando?” si difese Jilly portandosi una mano al petto come se l'avesse oltraggiata.
 “Già, la stavamo aiutando piuttosto.” aggiunse Ginny.
Le loro parole non fecero niente per far calmare Justin che rimaneva della sua idea. “Aiutando a fare che?”
 “Stava avendo uno dei suoi attacchi d'asma, poverina” disse Ginny mostrandosi affranta. “Voleva venire a festeggiare con te ma non ci è sembrato il caso così l'abbiamo rimandata nella sua stanza”.
Gli occhi di Justin erano ridotti a due fessure, stava cercando di capire se ci fosse almeno un pizzico di verità nella loro storia. Si girò appena un po' verso Alice che stava lì in piedi ad assistere alla scena senza sapere bene cosa fare. “è quello che è successo, Alice?” le chiese.
 “Aspetta, Justin vuoi dire che credi di più ad Alice Abrhams che a noi due che ti conosciamo da una vita? È chiaro che è una bugiarda” si intromise Ginny.
 “Si, assolutamente.” concordò la sorella. “una bugiarda, vuole solo le tue attenzioni. Quell'unica volta che è sbucata fuori da casa sua...”
Ora sempre più persone si stavano riunendo attorno a loro quattro ed Alice si sentiva accerchiata, troppi sguardi su di lei. In più le Gemelle l'avevano umiliata con le loro parole ma soprattutto con il tono di superiorità che avevano usato e in quel momento desiderava solo potersi aprire una varco tra la folla e tornarsene a casa.
 “Ora basta!” tuonò Justin catalizzando tutti gli occhi su di lui. La musica era stata abbassata, erano tutti troppo curiosi per ballare e perdersi la lite della settimana. “Mi era sembrato di aver fatto una domanda ad Alice e non a voi.” disse spostando il suo sguardo di ghiaccio da Ginny a Jilly. “Ora, mi vuoi dire che cosa è successo veramente, Alice?” si rivolse alla ragazza in tono un po' più calmo.
 Di nuovo tutti guardavano nella sua direzione e Alice si schiarì la voce. “Tua sorella era seduta per terra in uno stanzino, piangeva e...Le Gemelle ridevano di lei” rispose evitando accuratamente di incrociare gli sguardi senza dubbio assassini delle dirette interessate.
 “E perché?” chiese ancora Justin, la voce tesa come se si stesse sforzando di non perdere il controllo.
Alice scrollò leggermente le spalle. “Non so, ho sentito che le dicevano che tu non la volevi alla festa.”
 “Menzogne!” si difese Ginny.
 “Bugie, solo bugie!” si unì Jilly.
Justin prese un respiro profondo e si passò una mano tra i folti capelli. “Più di una volta ho sentito certe cose su di voi, che mentite per arrivare dove volete, che siete cattive e meschine, ma non ci ho mai voluto credere.” disse alla Gemelle che lo ascoltavano visibilmente intimorite. “Questo perché con me siete sempre state gentili, delle amiche sin da quando eravamo piccoli ma mi chiedo...perché una persona che a mala pena vuole starci alla mia festa mentirebbe su di voi?”
Calò un silenzio pesante. Justin sospirò rilasciando tutta la tensione accumulata. “Andatevene ora.”
Le Gemelle sussultarono e rimasero ferme probabilmente chiedendosi se diceva sul serio. Era così, il suo sguardo era inequivocabile. Senza aggiungere altro Ginny e Jilly si allontanarono a testa bassa sotto gli occhi della gente che, una volta tanto, bisbigliava riguardo loro e non il contrario.
 “Alice puoi venire con me per favore?” chiese Justin velocemente alla ragazza.
Lei annuì e lo seguì fino alla porta che conduceva al corridoio. Una volta attraversata, Justin richiuse la porta con un gesto deciso. Erano rimasti soli, Alice si sentiva un pochino a disagio e si domandava che cosa potesse volere ancora da lei. Justin era appoggiato con la schiena contro al muro dipinto di bianco e teneva gli occhi chiusi. Quando li aprì il suo volto si rilassò un po', guardava Alice.
 “Devo ringraziarti. Sembra che nessuno abbia mai veramente il coraggio di essere sincero con me. Se non mi avessi detto di quelle due...”
 “Non ti preoccupare” lo interruppe Alice con un piccolo sorriso. “Ho visto una persona in difficoltà e ho fatto quello che dovevo, tutto qui”.
Anche Justin sorrise. “Non è da tutti, Alice. Posso contare sulle dita di una mano i miei veri amici e credevo davvero che Ginny e Jilly fossero tra questi, volevo davvero credere che le voci su di loro fossero solo pettegolezzi ma ora capisco molte cose. Il perché Anne è sempre così intimidita quando do una festa, perché si mostra così raramente. Quello che non capisco è perché loro l'abbiano trattata male.”
 “Forse sono gelose di lei” suggerì Alice. Era una spiegazione plausibile.
 “Gelose di mia sorella?” chiese Justin incerto.
 “Devi volerle molto bene, forse erano infastidite da tutte le attenzioni che le rivolgi.”
Justin assorbì quel concetto e ci rifletté su.
 “o forse sono solo delle stronze” aggiunse Alice.
Justin si mise a ridacchiare e Alice fece lo stesso.
 “Come mai non ti fai mai vedere in giro, Abrhams?” le domandò lui dopo un po'.
Alice era stata presa in contropiede. Scrollò le spalle. Sarebbe suonato patetico dirgli la verità? Che era perché era un po' un'asociale e che anche lei come lui non aveva molti amici veri, vale a dire uno soltanto?
 “Considerati già invitata alla prossima festa allora, ok?”
Alice sorrise e fece cenno di sì con la testa. Provò nuovamente la stessa sensazione di quando ci aveva parlato per la prima volta. Non era difficile fare due chiacchiere con Justin, era totalmente diverso da come se l'era sempre immaginato. Magari passare un po' di tempo a quella festa non sarebbe stato poi così terribile.
 “Senti, vorrei andare a vedere come sta mia sorella. Vieni anche tu?” le domandò lui.
Alice sorrise e annuì.


Note: ok Hartley sta mancando anche a me effettivamente! Prometto un ritorno il prima possibile! Spero di riuscire ad aggiornare presto

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Capitolo 8
*** After-party ***


Alice non ci avrebbe creduto se gli e lo avessero detto, eppure lasciare la festa le dispiaceva un po'. Era da poco passata la mezzanotte e si era trattenuta molto più di quanto aveva previsto. In realtà per quasi tutto il tempo Alice era rimasta nella stanza di Anne (non le piaceva il diminutivo 'Annie' aveva scoperto) a chiacchierare, ridere, ascoltare musica e scoprire che avevano molte cose in comune. E non valeva solo per la più piccola dei Van Horten; Justin infatti aveva ascoltato con interesse tutto quello che Alice aveva avuto da dire sui suoi dipinti preferiti di Monet, di come era rimasta incantata dalle ballerine di Degas e del suo desiderio di viaggiare per il mondo un giorno, magari scegliendo Parigi come prima destinazione. Anche Justin amava l'arte ed era stato in Francia più di una volta coi suoi genitori, aveva visitato il Louvre e molti altri musei, cosa che provocò in Alice una certa invidia. Infondo anche lei avrebbe potuto vedere quei posti bellissimi, i soldi non le mancavano, ma il problema era sua madre e la sua mania di controllo e protezione. Volare in un altro paese insieme alla figlia era fuori discussione, troppo pericoloso. Così Alice si era dovuta accontentare dei racconti di Justin e dei commenti entusiastici di Anne. Era talmente pazzesco che delle persone all'apparenza così distanti da Alice fossero in realtà così simili a lei. E lei non l'aveva mai scoperto perché non si era mai affacciata fuori dal suo guscio.
Alla fine della serata Anne le diede un abbraccio forte e la ringraziò bisbigliandole all'orecchio per averla salvata dalle 'due arpie'. Alice sorrise divertita e diede la buona notte alla sua nuova amica. Poi Justin la accompagnò fuori dal palazzo e insieme aspettarono l'auto che stava arrivando per riportarla a casa.
 “Ti sei divertita stasera?” le chiese lui.
 “Si, assolutamente. Tua sorella è molto dolce.” rispose Alice sincera.
Justin sorrise. “è vero, è fin troppo buona con tutti ma è talmente timida. Infatti sono sorpreso che ti abbia dato tanta confidenza fin da subito.”
 “Siamo andate d'accordo, non è stato difficile.” ma in realtà anche Alice era molto diffidente con le persone che non conosceva e per lei era stato sorprendente alla stessa maniera.
In lontananza Alice scorse l'auto nera che l'aveva accompagnata alla festa e si voltò verso Justin. “L'autista è qui. Grazie per la serata Justin, davvero”.
Van Horten le fece un altro dei suoi sorrisi ammalianti. Era proprio un bel ragazzo, su questo non c'erano dubbi. Le posò una mano sulla spalla e Alice si irrigidì appena un po'. “non sparire, va bene?”
Alice sbatté gli occhi e aprì la bocca per replicare ma nessun suono voleva saperne di uscire. La macchina ora era parcheggiata dall'altra parte della strada e il suono di un clacson gliela fece notare. Rinunciò a dire qualcosa di significativo e si limitò a dare la buona notte a Justin Van Horten, che fece lo stesso.
Alice salì in macchina che ripartì non appena ebbe richiuso lo sportello. “Ha passato una bella serata signorina?” chiese l'autista.
 “Si. Una serata bellissima”

-

 

Le luci della città illuminavano la notte, le auto avanzavano accanto a quella di Alice e lei osservava tutto appoggiata al vetro del finestrino. In realtà tutto quello che vedeva erano le immagini della serata appena trascorsa nella sua testa, come in un film. Ora avrebbe potuto raccontare a sua madre di avere avuto successo, di aver finalmente parlato con qualcuno nel giro di chi conta. Oppure no. Una parte di lei era tentata di tenersi tutto per sé perché temeva che sua madre non sarebbe stata in grado di capire che cosa aveva provato nel non sentirsi un'asociale per una volta. Sua padre si che sarebbe stato in grado di trovare le parole giuste da dire in quella situazione, probabilmente le avrebbe sorriso con quei suoi occhi gentili e comprensivi e le avrebbe detto proprio quello che aveva bisogno di sentire. Qualcosa come “Certo che hai fatto colpo, sei una ragazza sveglia, interessante e per di più bellissima”. Incoraggiante, ecco che cos'era il padre di Alice. Le mancava così tanto.
Il traffico si stava facendo più fitto man mano che l'auto si muoveva tra le strade e a un certo punto l'autista imboccò una via diversa come scorciatoia. Alice uscì in un secondo dal suo vortice di ricordi quando riconobbe il luogo davanti al quale stavano passando; il magazzino dove Hartley l'aveva portata appena qualche giorno prima si trovava lì. Alice realizzò anche di non aver pensato al suo amico nemmeno una volta nelle ultime ore trascorse a casa di Justin Van Horten e si sentì un po' in colpa. Certo, da una parte il suo intento era quello di fare del suo meglio per non essere troppo preoccupata per lui visto che era praticamente sparito da giorni ma non poteva nemmeno cancellarlo totalmente visto che comunque voleva veramente sapere dove si era cacciato. Rivedere il magazzino le fece tornare in mente quel pomeriggio trascorso insieme tra musica e confidenze. Avvertì il bisogno di parlare con Hartley, di raccontargli della festa, di Justin e di Anne perché era l'unico che avrebbe saputo ascoltarla. Ed era pur sempre il suo migliore amico. E poi, quasi dal nulla, eccolo lì. Alice sbattè le palpebre più volte per assicurarsi di non aver visto male. No, non era uno sbaglio; Hartley era lì, spingeva con forza la porta scorrevole del vecchio magazzino abbandonato per sgusciare fuori. Ma che diavolo..? pensò Alice.
 “Arthur fermati per favore” disse decisa all'autista.
 “Prego signorina?”
 “Accosta, per favore”
Nonostante l'iniziale perplessità Arthur si decise finalmente a fermare la macchina e Alice non attese neanche un attimo prima di scendere e mettersi a camminare svelta verso il magazzino. Hartley stava infilando tranquillamente le mani in tasca, non si era ancora accorto di lei ma presto l'avrebbe fatto perchè il rumore dei tacchi di Alice sarebbe stato impossibile da ignorare. Hartley le dava le spalle, lei era sempre più vicina, se ne stava andando. La stava forse ignorando? Di proposito? A volte era un po' sbadato ma non così tanto da non accorgersi di una persona sui tacchi alti che lo stava raggiungendo.
Infine Alice allungò un braccio e fermò Hartley toccandogli la spalla. Il ragazzo si voltò e da assorta la sua espressione si fece allegra e sorpresa. “Alice! Che ci fai qui? È tardissimo.”
Alice rimase a bocca aperta per la disinvoltura che il suo amico ostentava. Non c'era la minima traccia di senso di colpa nella sua voce o nei suoi occhi. Per lui era come se non ci fosse niente di cui discutere.
 “Che cosa ci faccio? Potrei farti la stessa domanda” contrattaccò lei cercando di tenere il tono di voce controllato.
Hartley esitò solo un momento poi diede una scrollata di spalle, sempre tenendo le mani in tasca. “Faccio un giretto”
A quel punto Alice scoppiò, cosa che comunque non le capitava praticamente mai. “Un giretto?? Seriamente?? Sono cinque giorni che non ti fai sentire e tutto quello che hai da dire è che stai facendo un giretto??”
Hartley indietreggiò leggermente e sbatté le palpebre confuso. “Cinque giorni? Che stai dicendo? Ci siamo appena visti, Alice.” rispose tranquillo.
“Mi prendi in giro?” chiese lei ancora più infuriata. Doveva essere per forza una delle sue battute fuori luogo, non poteva pensare davvero di farla calmare mettendosi a scherzare. “Ci siamo visti lunedì.”
 “Già, che era ieri” scandì lui come se Alice non ci sentisse bene.
 “No, era cinque giorni fa!” disse lei allo stesso modo ma più decisa.
Hartley increspò la fronte e tacque per qualche secondo. Alice rimaneva in attesa, a che cosa stava pensando ora? A una scusa da propinarle? Era stanca di storielle fantasiose, erano migliori amici, lui era praticamente parte della sua famiglia e per questo motivo non tollerava che ci fossero segreti tra di loro.
 “Hai ragione” disse Hartley rompendo il silenzio. Alice alzò un sopracciglio e incrociò le braccia davanti al petto. “Ah si? Allora mi vuoi dire dove sei stato, cosa ti è successo?”
 “Mi si è scaricata la pila del cerca persone e non potevo contattarti.”
 “Ti ho scritto un messaggio”
 “Infatti non l'ho mai ricevuto”
 “Mmh. Ok. Che altro?”
Hartley si fece nuovamente confuso. “Che intendi?”
 “Intendo che il tuo cerca persone era fuori uso ma ti saresti potuto far vedere lo stesso, se non altro per dirmelo.”
 “Beh, ho perso la cognizione del tempo, sono stato impegnato.” disse grattandosi la testa con due dita.
 “A fare che?”
 “Delle cose”
 “Quali cose?”
 “Dio Alice, non devo dirti ogni dettaglio della mia vita, o no?” sbottò Hartley facendo trasalire Alice. Mai nei loro tre anni di amicizia lo aveva visto arrabbiato, soprattutto non era mai successo che alzasse la voce con lei. L'aveva visto triste, amareggiato anche, ma mai arrabbiato. C'era qualcos'altro però, sembrava anche...infastidito. Da lei? Il solo pensiero fece venire a Alice l'impulso di piangere. Sbatté gli occhi velocemente un paio di volte e strinse i denti. No, non gli avrebbe fatto vedere che l'aveva ferita, se voleva comportarsi così dopo averla fatta preoccupare per cinque giorni allora poteva andarsene al diavolo.
 “Bene. Credevo solo che ci dicessimo tutto visto che siamo migliori amici. Mi sbagliavo” riuscì a dire senza farsi tremare la voce e senza far scendere una singola lacrima. Gli lanciò un sguardo di ghiaccio e in tutta risposta Hartley lasciò cadere appena un po' le sue difese e apparve dispiaciuto. Ma solo un po'. Non disse niente quando Alice gli passò accanto per ritornare alla macchina, e non fece nulla nemmeno quando stava per risalirci. Alice lasciava scendere le lacrime che aveva trattenuto sul sedile posteriore dell'auto, lontano dalla vista di Hartley che rimaneva lì fermo immobile, con le mani in tasca, anche mentre lei si faceva sempre più lontana.


Note: appena finito di scrivere e appena pubblicato! Scusatemi ancora se ci metto così tanto ad aggiornare ma a quanto pare è la conseguenza di una vita sociale che inizia a ingranare! :P Detto ciò, è abbastanza malinconico questo capitolo, sul finale quanto meno. Hartley è tornato ma la faccenda è misteriosa perché di fatto non sappiamo ancora dove è stato e che cosa ha fatto. Ci sono molte cose strane che Alice dovrà chiarire prossimamente. Avevo una paio di versioni diverse di questo capitolo nella mia testa ma alla fine mi è uscito questo quindi credo che rimanderò altri avvenimenti più in là ma neanche troppo lontano. La prima litigata tra A&H rappresenta una svolta per lei e credo di poter dire che ora è il momento di Justin di brillare! a proposito, volevo precisare che credo che sia l'unico personaggio inserito che è completamente nuovo ossia che non è la trasposizione di un personaggio di Wonderland. Ok, non ho nient'altro da aggiungere se non che ringrazio tutti quelli che passano di qui e recensiscono, thank youuuuu! Alla prossima :) 

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Capitolo 9
*** Black cloud ***


 “Ferma lì signorina” la bloccò la voce severa della madre proprio mentre stava per uscire di casa.
Alice si voltò, un'espressione pigra dipinta sul viso, i capelli sciolti sulla schiena pettinati alla buona.
La signora Abrhams stava in piedi con le mani appoggiate ai fianchi. “Non hai proprio niente da dirmi?”
 “Ehm, buona giornata...?”
La donna sbuffò. “Riguardo alla festa di sabato sera per esempio o riguardo il tuo comportamento di ieri” spiegò spazientita.
Alice non fece una piega. “Quale comportamento?”
 “Non fare la finta tonta, Alice. Te ne sei stata in camera tua tutto il santo giorno ad ascoltare musica depressiva, a mala pena hai mangiato o hai rivolto la parola a me o al personale. Devo iniziare a preoccuparmi?”
Alice scrollò le spalle. “No, non mi sentivo bene ma ora è passato tutto.”
La Signora Abrhams non era per niente convinta. Effettivamente Alice aveva trascorso tutta la domenica reclusa nella sua stanza. Era stato più forte di lei, non le era mai capitato prima di allora di litigare con Hartley, mai lui aveva alzato la voce con lei. Era stato come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Inaspettato, doloroso. Alice sapeva che per quanto sua madre fosse concentrata su sé stessa non le sarebbe sfuggito il suo umore nero ma nonostante ciò non era riuscita a trovare la forza di mettere su la solita facciata tranquilla.
 “d'accordo.” le concesse la madre. “E della festa non mi vuoi dire proprio niente? Non vedevo l'ora che mi raccontassi tutti i dettagli!”
Alice si sistemò la tracolla. “è andata bene, mamma. C'era un sacco di gente, è stato forte. Ora però devo andare, c'è scuola” rispose concisa.
La signora Abrhams le si avvicinò. “Potresti anche saltarla oggi, sai? Ormai sei stata accettata alla Juilliard, non ti devi più preoccupare di niente.” le propose con un sorriso.
Alice considerò l'offerta ma alla fin fine non le parve poi così allettante, sarebbe stato meglio distrarsi con le lezioni piuttosto che parlare della festa a sua madre all'infinito. “No, credo che andrò. Ho un compito in classe” mentì.
La signora Abrhams si arrese. “E va bene. Ma non fare soste dopo scuola, voglio che torni subito qui per raccontarmi della festa, hai capito?”
 “Si, lo farò”. Mentre salutava la madre e usciva di casa un'altra ondata di tristezza la colpì. Non avrebbe fatto nessuna sosta perché di solito la faceva con Hartley.

-

Avanzando tra gli studenti diretta al suo armadietto, Alice iniziò a notare un certo cambiamento. Solitamente era praticamente invisibile, solo alcune ragazze del suo corso di letteratura e di algebra le facevano un cenno educato quando incrociavano il suo sguardo o la fermavano per chiederle in prestito degli appunti. Quella mattina invece molte più persone le lanciavano uno sguardo, le sorridevano addirittura, quasi come se fosse una delle ragazze popolari. Strano pensò Alice, molto strano. Poi si sentì prendere sottobraccio. Nel voltarsi trovò un volto sorridente, quello di Anne Van Horten. “Buongiorno Alice!”
La ragazza sorrise a sua volta. “Anne, buongiorno.”
 “Speravo proprio di incontrarti questa mattina! Ti sei divertita sabato sera alla festa?”
 “Si, assolutamente. Mi ha fatto piacere conoscere sia te sia tuo fratello.”
 “Oh, anche a me! Non sai quanto!” rispose allegra Anne mentre entrambe raggiungevano le file di armadietti grigi disposti contro al muro. “Mi hai davvero salvato la vita l'altra sera” aggiunse abbassando un po' il tono di voce. “Non so mai come difendermi quando succedono cose del genere” disse con un po' di timidezza.
Alice liberò il braccio dal suo e le posò una mano sulla spalla. “Succedeva spesso che ti accerchiassero così? Che quelle due ti facessero sentire male?”
Anne si strinse nelle spalle. “Qualche volta.”
Alice sospirò. “Ora spero non accada più. Tuo fratello ha capito che tipo di persone sono le Gemelle e di sicuro non lascerà che ti si avvicinino ancora” la rassicurò.
A queste parole la piccola Van Horten alzò il capo ritrovando il sorriso. “Infatti è così. Per questo vorrei ringraziarti come si deve per avermi fatto trovare il coraggio di raccontare tutto a mio fratello.”
Alice iniziò a inserire la combinazione del suo armadietto. “Non ce n'è bisogno, sul serio.”
 “E invece si! Ci farebbe piacere averti ospite a cena domani sera a casa nostra.”
Alice si bloccò e guardò la ragazza. “Ci farebbe piacere?”
Anne annuì con forza. “A me e a mio fratello.”
Quindi Justin Van Horten l'aveva invitata a cena da lui? Era inevitabile per Alice immaginarsi la faccia che avrebbero fatto le sue compagne di corsi se avessero saputo di quell'invito. Se avesse accettato non avrebbe dovuto immaginarlo, la notizia si sarebbe sparsa per tutta la scuola.
 “Alice?”
 “Mh?” rispose Alice sbattendo gli occhi. Si era incantata. “Si beh, non credo che sarò libera domani sera.” fu quello che le uscì dalla bocca prima di saperlo. “Ma grazie comunque per l'invito”
 “Ma-”
 “Non riesci proprio a liberarti?” si inserì una terza voce, facendo pietrificare Alice sul posto. Sbirciò oltre lo sportello aperto del suo armadietto e trovò Justin Van Horten in piedi davanti alla sorella. Deglutì e dopo aver raccolto un paio di libri richiuse l'armadietto.
La guardava con quell'espressione sicura di sé negli occhi di quel particolarissimo colore grigio-azzurro, il sorriso appena accennato di chi può convincerti a fare qualsiasi cosa voglia. In più non importava se fosse vestito casual o con l'uniforme della scuola (camicia bianca e pantaloni neri in primavera), era comunque incredibilmente affascinante. Il sorriso di Justin si allargò e si fece divertito, Alice si rese conto di essere rimasta ammutolita dalla sua comparsa. Che cosa le prendeva ogni volta che quel ragazzo era nei dintorni?
 “Mi dispiace, davvero. È che ho..una cosa...con mia madre” inventò una scusa sul momento. Proprio non era brava a farlo.
 “è qualcosa di così importante?” chiese ancora Justin senza staccarle gli occhi magnetici di dosso.
Alice annuì sistemandosi una ciocca di capelli disordinati dietro l'orecchio. “Sarà per un'altra volta, magari” disse pensando che bastasse per congedarsi. Le piacevano i Van Horten, avrebbe voluto passare più tempo con loro ma non si sentiva per niente dell'umore giusto per stare in mezzo alla gente, non con la nuvola nera che le gravitava sopra la testa. Fece per andarsene, diretta alla sua prima lezione della giornata. Justin la seguì tenendo il passo. “C'è qualcosa che non va?” le chiese con tutto un altro tono, come se gli interessasse davvero.
Alice alzò lo sguardo su di lui. “No, è tutto ok. È che proprio non posso, ho questa cosa con mia madre..” mentì ancora.
Justin infilò le mani nelle tasche. “Mmh, è un vero peccato. Anne ci teneva tanto ad averti a cena, lo sai? È da un pezzo che non la vedevo così emozionata per qualcosa, devi aver fatto davvero colpo su di lei”
Un fitta di sensi di colpa le colpì lo stomaco. “Mi sembra davvero una bella persona, è molto carina” rispose.
 “Si, è vero. Deve imparare a difendersi però. Sono preoccupato.” disse Justin pensieroso.
Entrambi si fermarono accanto a un distributore d'acqua. “perché?” chiese Alice interessata.
 “è il mio ultimo anno, mentre lei è al primo. Che succederà l'anno prossimo quando non potrò più vegliare su di lei?”
Di nuovo Justin Van Horten l'aveva sorpresa. Oltre che gentile era anche sensibile, se non altro quando c'era di mezzo la sorellina. Alice era certa che gran parte dei ragazzi della sua scuola non vedessero l'ora di diplomarsi e cominciare la loro nuova vita, di sicuro non stavano a pensare a chi si lasciavano indietro. Eppure qualcosa negli occhi di Justin le diceva che lui ci teneva davvero alla sorella, era sincero. “Se la caverà, vedrai. Si farà di certo delle nuove amiche perché è davvero una ragazza speciale” lo rassicurò Alice mettendogli istintivamente una mano sulla spalla. Justin si irrigidì e anche per Alice fu così ma poi il ragazzo mosse un passo verso di lei, più vicino al suo viso. La campanella suonò, proprio sul più bello. Oppure no? Che cosa aveva interrotto il segnale dell'inizio delle lezioni? Alice sistemò la sua tracolla, guardando in basso mentre Justin mise di nuovo distanza tra di loro. “Devo andare in classe ora, mi dispiace davvero che tu non possa esserci domani sera. Se cambi idea me lo fai sapere?” disse iniziando ad allontanarsi.
“Si” rispose Alice, per il momento incapace di aggiungere altro. Sapeva che doveva muoversi anche lei, mentre invece rimase appoggiata al distributore dell'acqua ancora per un po'.

-

Le ore di lezione passarono con una lentezza che ad Alice parve insopportabile. Dopo cinque ore però il supplizio era terminato. L'auto privata e l'autista la aspettavano fuori da scuola e lei montò su senza esitazioni. Lei ed Arthur avevano un accordo, di solito lei gli diceva sin dal mattino se aveva intenzione di non tornare a casa subito e quando era così lui raccontava alla madre una balla che concordavano, per esempio che Alice rimaneva ancora a scuola per aiutare delle compagne indietro coi compiti o che si era iscritta a una qualche attività extra-curricolare. Funzionava o forse alla fine la Signora Abrhams era arrivata a chiudere un occhio ed essere più flessibile, ma sta di fatto che non aveva mai obiettato o provato a controllare se la figlia dicesse il vero. E Arthur aveva ancora il suo posto. La verità era che molto spesso Alice andava in giro con Hartley. Passavano una mezz'oretta al Wondercafè a chiedere a Jeff se poteva provare a mettere degli ingredienti stranissimi dentro ai suo biscotti speciali, andavano al parco ad ascoltar la musica con le cuffiette stesi sull'erba oppure Alice si sdraiava su una panchina con la testa appoggiata sulle gambe di Hartley che finiva puntualmente per addormentarsi. Cose così. Si divertivano con poco ma era il loro divertimento, la loro amicizia. Andava bene così. Alice sentì un groppo alla gola nel ricordare tutte le cose che rappresentavano la normalità per lei fino a una manciata di giorni prima. Era davvero la fine per lei e Hartley? Non è che forse aveva ingrandito la questione solo perché era arrabbiata? Magari...magari si poteva fare ancora qualcosa, avrebbe potuto cercare Hartley e chiedergli che cosa gli era preso e se poteva fare qualcosa per lui. Perché infondo al cuore aveva la sensazione che lui le stesse nascondendo qualcosa di brutto. Qualcosa che non era riuscito a dirle. Per quale motivo si sarebbe comportato in modo così insolito con lei se no?
 “Arthur, possiamo fare una deviazione?” chiese senza darsi il tempo di cambiare idea. Non importava se aveva detto alla madre che non avrebbe fatto soste né che questa non fosse come le altre, doveva faro.
 “Dove signorina?”
 “Al Wondercafè”.


Note: ok, complice il fatto che: 1. non sono stata bene, 2. sono stata in giro e 3. dopo aver cancellato tutto il capitolo perchè non andava bene mi è partito un blocco sono arrivata ad aggiornare solo oggi. Sorry! La buona notizia è che il blocco è passato e ho un'idea piuttosto chiara di quello che voglio fare da qui in avanti. Oh, e credo che la storia sarà ancora lunghetta, spero non vi dispiaccia! Dunque che dire, come già anticipato la presenza dei Van Horten si stà facendo più massiccia ma allo stesso tempo la mente di Alice è occupata dalle preoccupazioni riguardanti Hartley. Si, l'ho fatto sparire di nuovo ma ricomparirà presto (giuro!). Detto questo, ringrazio tutti quelli che sono ancora qui a leggere per la pazienza e in generale per l'attenzione dedicata alla mia storia. Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Iris ***


Il campanello della porta trillò ed Alice entrò nel locale. La sua prima reazione fu di estraneità. Il cafè aveva un aspetto diverso dal solito, era stato sistemato, rimodernato. Nuove tovagliette sui tavoli, nuovi coloratissimi menù appoggiati su ognuno di essi, sugli scaffali dietro al bancone campeggiavano bottigliette e barattoli di ingredienti mai visti prima. Sulle etichette si leggevano nomi di varietà di tè che Jeff non serviva da un'eternità, ossia da quando gli affari andavano bene e la crisi economica non aveva ancora colpito l'America.
 “Alice! Speravo ti facessi vedere uno di questi giorni!” la accolse la voce squillante e gioiosa di Jeff che uscì dalla porta che dava sulla cucina portando con sé un vassoio ricolmo di pasticcini.

 “Hey, ciao Jeff. Hai vinto alla lotteria?” chiese Alice ancora disorientata dalle tante novità, compreso il grembiule con l'insegna del Wondercafè che indossava il proprietario e il solo fatto che avesse fatto dei pasticcini per i clienti.
 “No, meglio. Abbiamo un benefattore!” rispose non meno esaltato. Jeff era sempre allegro e positivo ma quel giorno aveva una luce particolare negli occhi. Forse perché aveva un motivo concreto per sorridere, perché non doveva fare finta. Alice andò a sedersi al bancone. Altra novità, i vecchi sgabelli un po' logori erano ora di luccicante pelle blu. “Che vuoi dire 'un benefattore'?”
Jeff finì di servire il cliente al tavolo e prese posizione dietro al bancone, di fronte ad Alice. “La settimana scorsa ci è arrivata una lettera che ci informava che un investitore anonimo era interessato alla nostra attività e che voleva aiutarci a migliorare il Wondercafè. All'inizio ero sospettoso, chi fa una cosa del genere senza volere nulla in cambio? Ma questa persona fa sul serio e ora...guarda questo posto!” disse Jeff allargando le braccia.
Alice non poteva credere alle sue orecchie. Da un lato era incredibilmente grata al benefattore che aveva aiutato Jeff perché se lo meritava sul serio, metteva passione in quello che faceva ed era anche una delle persone più gentili che conosceva ma dall'altro lato si chiedeva se davvero il sospetto iniziale dell'uomo non fosse fondato.
 “Jeff, ma di chi si tratta? Chi ti ha aiutato?” chiese appoggiando i gomiti sul bancone.
L'uomo le passò un menù. “Non lo so, piccola. Te l'ho detto, ha voluto restare anonimo”
 “E come sai che ci si può fidare?”
 “Finora ha mantenuto la sua promessa. Ha detto che avrebbe dato una sistemata e in soli due giorni aveva fatto sostituire tutto il vecchio arredamento e portato dentro quello nuovo. Non ha voluto nulla, ha pagato tutto lui. E senti questa: vuole solo una piccola percentuale sui nostri guadagni ogni due mesi. Non è grandioso?”
Alice sfogliò distrattamente il menù e si accigliò. Sembrava davvero tutto troppo bello per essere vero. Poi si concentrò su un altro dettaglio nelle parole di Jeff. “Hey continui a parlare al plurale, non è che per caso...anche Hartley sa di questo?” chiese incerta ma con un pizzico di speranza. Non avendo molto lavoro Jeff si occupava del locale da solo da tempo ma ogni tanto chiedeva a Hartley di aiutarlo, giusto per avere un po' di compagnia e far guadagnare un po' di spiccioli al ragazzo. A chi altri avrebbe potuto riferirsi se no?
Il volto di Jeff si addolcì e si aprì in un piccolo sorriso così diverso dai precedenti che Alice capì al volo che c'era una notizia ancora più emozionante all'orizzonte. Fece cenno di no con la testa. Jeff non dovette aggiungere altro perché la risposta alla domanda di Alice entrò direttamente dalla porta della cucina. Si portava avanti con le ruote della sua sedia a rotelle, il volto era pallido e un po' debole come qualcuno che ha appena passato una brutta influenza ma nonostante ciò ne traspariva una bellezza non comune. Le labbra piene erano tese in un timido sorriso e i dolci occhi nocciola erano rivolti come attirati da una calamita a Jeff. Era così magra, lo si vedeva dalle maniche un po' troppo larghe del suo golfino rosa di lana ma anche dalle dita affusolate. I capelli rossi erano legati in una coda bassa che le ricadeva sulla spalla destra. Jeff passò dalla parte opposta del bancone, vicino ad Alice ma soprattutto vicino alla ragazza. Le prese immediatamente la mano tra la sua e dopo essersi scambiati uno sguardo complice riportarono l'attenzione su Alice che iniziava a sentirsi quasi di troppo in quella scena.
 “Alice, questa è Iris. Mia moglie” la presentò Jeff, l'emozione evidente nella voce alla parola 'moglie'.
Alice ebbe un barlume di riconoscimento. Non aveva mai visto Iris prima di allora ma ricordava una storia raccontatale da Hartley tempo addietro. Jeff si era innamorato di una ragazza irlandese, di buona famiglia, bellissima e in gamba. Dipingeva, aveva un vero talento quando si trattava di usare tavolozze di colori e pennelli. Jeff l'aveva conosciuta durante il suo viaggio in Irlanda per trovare sé stesso. Secondo Hartley, Jeff scherzava sempre dicendo che cercando sé stesso aveva trovato Iris. Si innamorarono praticamente subito e lui fece la pazzia di chiederle di sposarlo e di andare a vivere insieme, aprendo un locale magari. Lui si sarebbe volentieri trasferito nel suo paese ma i genitori di lei ostacolarono la cosa, non vedevano Jeff di buon occhio, lo giudicavano troppo vecchio per la giovane figlia e in generale non gli piaceva perché era un sognatore. Iris, angustiata dalla situazione che si era andata a creare, decise infine di partire con Jeff per l'America. Una volta a New York aprirono il Wondercafé e per un periodo le cose andarono bene per la coppia ma poi accadde qualcosa di inaspettato. Iris si ammalò di una brutta malattia, servivano soldi per poterla curare e questi soldi Jeff non li aveva. I genitori di Iris insistettero perché lei tornasse con loro in Irlanda e Jeff, reputandosi tremendamente incapace di prendersi cura della moglie nel momento del bisogno, la lasciò andare. Aveva il cuore spezzato e anche economicamente le cose peggiorarono.
Alice si era sentita veramente triste per Jeff quando era venuta a sapere della sua storia; nessuno meritava di essere separato dalla persona che ama, era semplicemente crudele.
La ragazza era talmente abituata a vedere l'uomo da solo al bar, impegnato a tirare fuori un arcobaleno da una giornata di pioggia, che si era scordata che da qualche parte in Irlanda c'era una Iris. E ora era tornata. Chissà che cosa l'aveva spinta a ricongiungersi col marito, chissà se stava meglio. Avrebbe voluto chiedere tutte quelle cose a Jeff ma non poteva con Iris presente, lei in teoria non doveva neanche sapere di quella faccenda.

Alice si affrettò a stringere la mano della donna che su per già doveva avere sui 27 anni. “Molto piacere di conoscerti!”
Iris sorrise rivelando due fossette sulle guance bianche. “Anche per me”.
 “Alice è una cliente abituale e una buona amica. Non vedevo l'ora che vi conosceste!” intervenne Jeff facendo l'occhiolino alla ragazza. Alice non poté che essere lieta di essere stata chiamata 'amica' da Jeff, alla fine lo erano diventati caffè dopo caffè.
 “è un peccato che non ci sia la canaglia però, suppongo che dovrai aspettare a incontrare anche lui!” aggiunse l'uomo rivolto ad Iris.
Alice tornò immediatamente alla sua preoccupazione principale. “Quindi non hai visto Hartley di recente?”
 “No, da più di una settimana non si fa vivo. A proposito, se lo vedi digli di passare. Ora il suo aiuto al cafè mi servirebbe eccome.” disse Jeff proprio mentre il campanello alla porta suonava portando con sé un paio di nuovi clienti.
Alice gli offrì un sorriso di circostanza e ordinò un tè all'aroma di arancia, un gusto nuovo per mostrare a Jeff il suo apprezzamento per tutte le migliorie apportate al locale. Rimase al Wondercafè giusto il tempo di finire di berlo e poi si congedò. L'immagine di Jeff e Iris insieme felici che la salutavano con la mano le scaldò il cuore ma allo stesso tempo le scatenò un moto di gelosia. Anche lei aveva una persona con cui condividere le cose belle che le capitavano ma ora che non aveva idea di dove fosse le mancava da morire.

-

Alice avrebbe tanto voluto proseguire la sua ricerca di Hartley e passare dal suo appartamento ma due cose l'avevano fermata; per iniziare c'era il fatto che aveva promesso a sua madre di tornare a casa subito dopo la scuola (e aveva già sgarrato passando al Wondercafè) e poi si era ricordata dell'avvertimento che il suo migliore amico le aveva rivolto più di una volta: non avventurarti in quel quartiere senza di me, né di giorno né di notte. Secondo Hartley c'era gente poco raccomandabile e una ragazza carina e palesemente benestante come lei non sarebbe riuscita a fare più di un metro senza essere importunata o peggio. Alice si era sentita segretamente lusingata dal termine 'carina' che aveva usato per descriverla, non le importava più di tanto se era un semplice dato di fatto o un complimento. Quindi per il momento aveva evitato di spingersi fin là. Forse nel frattempo Hartley si sarebbe fatto vivo, forse avrebbe avuto sue notizie. Era una speranza veramente piccola, se lo sentiva, ma era pur sempre una speranza.
Giunta a casa con l'auto privata Alice entrò dalla porta di casa con mezz'ora di ritardo. Inutile dire che la madre era rimasta ad aspettarla con le orecchie tese e che non appena sentì la porta richiudersi si alzò di scatto dal divano del soggiorno e si precipitò all'ingresso.

 “Ciao mamma, scusa il ritardo ma-”
 “Ma cosa? Vorrai rifilarmi una delle solite scuse immagino, quando in realtà sarai andata in giro con il tuo amico” la interruppe la madre svelta con aria severa. Non poteva sapere quanto si sbagliasse. Poi sospirò. “Non importa, è un'altra la cosa che vorrei comprendere piuttosto”.
Alice appoggiò la borsa a tracolla su una sedia e si avvicinò di pochi passi alla Signora Abrhams. “Che cosa?” chiese.
 “Per quale santissimo motivo hai inventato una scusa per non andare a cena a casa dei Van Horten?”
Il volto di Alice sbiancò. Come faceva a sapere dell'invito? Justin e Anne gliel'avevano chiesto solo quella mattina, possibile che...
 “Non dici niente? Sua madre mi ha chiamata appena dieci minuti fa e mi ha chiesto se questo impegno che avevamo per domani sera era proprio così inderogabile. Per fortuna sono riuscita a tirarti fuori da questa situazione senza farle capire che avevi mentito, in società certe abilità servono.” spiegò mostrandosi abbastanza fiera di sé.
Nel frattempo Alice stringeva i pugni lungo i fianchi e cercava di mantenere la calma. “Che cosa stai dicendo, mamma?”
 “Sto dicendo che domani sera tu andrai a cena a casa dei Van Horten.” disse esprimendo ciò che Alice aveva già capito. Dannazione.


Note: Hello! Colta da una scarica di ispirazione questa settimana ho scritto subito un altro capitolo e visto che ultimamente li pubblicavo molto lentamente ho deciso di postarlo non appena l'ho finito e riletto. Happy? Spero di continuare su questa linea :) Ora, riguardo questo capitolo, ho inserito un nuovo personaggio (Iris) ed era già dalla prima apparizione di Jeff che mi frullava in testa l'idea di una storia d'amore un pò complicata per lui solo che non sapevo ancora bene che fare. Beh ora eccola qui, qualcuno si starà probabilmente chiedendo perchè è tornata ma vi assicuro che non c'è niente di losco, è ricomparsa poco prima che questo benefattore mettesse i soldi. Per quanto riguarda il resto...credevate di non leggere mai di una cena a casa Van Horten, vero? E invece no, grazie al prezioso intervento della Signora Abrhams la cena si farà e Alice ci dovrà andare. Allo stesso tempo quest'ultima ha deciso di reagire e tentare attivamente di trovare Hartley. Questo è solo l'inizio...Grazie ancora a tutti quelli che leggono e mettono la storia tra le seguite/preferite <3

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Capitolo 11
*** Dinner? (part 1) ***


La nuova risolutezza di Alice nel cercare il suo migliore amico era stata sepolta sotto ore e ore di preparativi in vista dell'evento del secolo (almeno agli occhi della Signora Abrhams) ossia la cena a casa Van Horten. Il preavviso era stato davvero troppo poco ma la donna non se ne lamentò poi molto perché ciò che contava era che la figlia fosse stata invitata, da sola, a casa di persone influentissime che avrebbero elevato il suo status sociale quando si fosse sparsa la voce. Come per la festa del week end precedente, la Signora Abrhams ritenne necessario dedicarsi a una lunga visita alla sua botique preferita con Alice al seguito, manovrata nelle mani della madre come una bambola. Dopo l'accurata scelta dell'abbigliamento da sfoggiare, Alice fu portata a farsi fare le unghie dall'estetista, poi dalla parrucchiera e infine venne truccata alla perfezione dalla stessa madre. In tutto ciò aveva saltato la scuola e stavolta a Alice non dispiacque per niente; provava una certa irritazione nei confronti di Justin (aveva deciso di piazzare la colpa di quell'invito forzato esclusivamente su di lui) e la voglia di trovarselo davanti quando non era necessario era pari a zero. Anche se era bello, impeccabile e gentile.
In ogni caso quello che le seccava di più era non potere andare a casa di Hartley o non poterlo cercare nei posti che frequentava di solito e capire cosa stava succedendo. Sentiva che più tempo passava più la distanza tra loro cresceva. Mentre sua madre la lasciava finalmente uscire di casa e le faceva le ultime raccomandazioni per non fare brutta figura, Alice pensava solo a dove poteva trovarsi Hartley in quel momento, durante tutto il tragitto verso l'appartamento dei Van Horten si era domandata se c'era un modo per svignarsela senza incorrere nelle ire della madre, magari scendendo velocemente dalla macchina ferma al semaforo o fingendo un malore. Poi si sarebbe fatta riaccompagnare a casa, messa a letto e sarebbe scappata quando tutti dormivano. Nah, niente avrebbe funzionato, era già arrivata dai Van Horten ormai e le sue fantasie sfumarono in un attimo. Si fece coraggio e, come la prima volta che si era trovata lì, fece un bel respiro prima di affrontare quello che la aspettava. I tacchi neri dei suoi stivaletti facevano rumore ad ogni suo passo sul marciapiedi e poi sulle piastrelle dell'entrata del palazzo. Alice si sentiva addosso gli occhi del portiere anche se era probabilmente tutto nella sua testa. Grazie al cielo stavolta sua madre le aveva procurato un vestito un po' più lungo con una gonna ampia che ricordava il tutù di una ballerina, o del cigno nero piuttosto dato che quello era il colore dell'abito. Le maniche erano a sbuffo e per fortuna non aveva dovuto sfoggiare nessuna scollatura vertiginosa, tuttavia continuava ad avere la sensazione di essere vestita troppo da festa e troppo poco da cena formale. Che avrebbero pensato i genitori di Justin ed Anne vedendola conciata così? Ma la Signora Abrhams non aveva voluto sentire ragioni, specialmente non dopo tutto il tempo che le ci era voluto per scegliere l'abito.
Chiamò l'ascensore e alla fine della corsa le porte si aprirono davanti a lei. Ancora una volta percorse il corridoio fino alla porta dei Van Horten, proprio non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi lì così presto. Fece appena in tempo a suonare che la porta si spalancò e un volto illuminato di gioia la accolse.

 “Alice! Che bello, sei arrivata!” trillò la voce da bambina di Anne che si sporse verso Alice dandole un veloce ma stretto abbraccio. La ragazza doveva ancora abituarsi a quelle dimostrazioni spontanee di affetto ma non le dispiacevano del tutto.
 “Già, eccomi qui” rispose Alice cercando di non far trasparire una sottile ironia. Ma Anne non se ne accorse minimamente mentre prendeva in consegna la sua borsa e conduceva la sua ospite nel soggiorno. “è davvero una fortuna che tua madre sia riuscita a spostare quel tuo impegno, così sei potuta venire qui da noi!” continuò a gongolare.
Di nuovo Alice si morse la lingua per non dire ciò che realmente pensava. Voleva solo essere là fuori a cercare il suo migliore amico, non passare il tempo a cenare e chiacchierare come se nulla fosse.
 “Hey Justin, guarda chi è arrivata!” annunciò Anne non meno entusiasta entrando in soggiorno.
Alice avvistò il fratello della ragazza in piedi di spalle impegnato a riempire dei bicchieri al tavolino degli alcolici. Si voltò con un sorriso soddisfatto dipinto sul viso. Sembrava un modello da rivista di moda, non un capello fuori posto, la camicia bianca perfettamente stirata senza una grinza. Alice era in grado di notare tutte quelle cose come al solito, tuttavia non riusciva a farsi affascinare da lui come le altre volte perché più che altro era infastidita da quell'espressione vittoriosa. Era colpa sua se si trovava lì, ne era praticamente certa ormai. Doveva aver parlato alla madre e quella aveva chiamato la sua. Se avesse semplicemente accettato il suo 'no' non si sarebbe trovata lì. Alice forzò un sorriso nella sua direzione. Justin si avvicinò a lei con un bicchiere colmo di cubetti di ghiaccio e un liquido che Alice non riconosceva.
 “Bentornata Alice” la accolse Justin porgendole il bicchiere.
 “Grazie. Mh, cos'è?” chiese guardando il contenuto con diffidenza.
 “Brandy.”
 “Oh, in tal caso devo rifiutare. Non reggo molto questa roba, soprattutto a stomaco vuoto” disse Alice cercando di offenderlo il meno possibile.
Justin bevve un sorso e fece un sorrisetto. “Me lo ricorderò”.
 “Vieni a sederti Alice. Sono sicura che mio fratello ti preparerà qualcosa di analcolico nel frattempo. E anche per me!” si aggiunse Anne manovrando l'amica verso il grande divano al centro della stanza. Una volta seduta, Alice si guardò intorno aspettandosi di veder entrare i genitori dei ragazzi da un momento all'altro.
 “Questa sera siamo solo io, te, Justin e il personale della cucina. Papà è in Egitto mentre mamma è a una cena di lavoro.” disse Anne come a rispondere alla domanda silenziosa di Alice che ne rimase sorpresa. Erano solo loro tre? Si sentiva meno tesa ora, non sapeva se sarebbe riuscita a gestire i signori Van Horten oltre ai i loro figli.
Mentre Justin spariva dietro una porta, presumibilmente quella che portava in cucina, Anne raccontò ad Alice di come stesse aspettando con ansia il suo prossimo saggio di danza che si sarebbe tenuto il mese seguente. A quanto pare aveva un ruolo di rilievo e sarebbe stata un sacco in prima fila. Chiese ad Alice se voleva andarla a vedere e la ragazza naturalmente rispose di si per paura di darle un dispiacere; d'altronde era difficile non lasciarsi incantare da quegli occhioni azzurro cielo e dalle fossette che spuntavano sulle sue guance quando sorrideva. Inoltre Anne era davvero una ragazza educata, seppur molto timida, e dolce. La notte della festa, in camera sua, aveva mostrato ad Alice e al fratello il video del suo ultimo spettacolo di danza. Frequentava una scuola di balletto classico ma a differenza delle ragazze che aveva conosciuto Alice quando anche lei ballava, non si dava delle arie da primadonna. Non aveva nemmeno messo su quel video per mettersi in mostra ma perché Justin quella volta non era presente e cercava una scusa per poterglielo far vedere. Alice l'aveva capito da come di tanto in tanto Anne controllava con occhi attenti le reazioni del fratello. Un po' invidiava il rapporto tra i due, essendo figlia unica non avrebbe mai scoperto che cosa si provava ad avere un appoggio, un complice in caso di bisogno.
In quel momento Justin tornò nel soggiorno con un vassoio e due bicchieri completi di cannucce. La visione del fratello scatenò una risata in Anne che si coprì la bocca con una mano.
 “Che c'è?” chiese Justin fingendosi confuso.
 “E Rosie dov'è?” domandò Anne divertita.
Justin appoggiò il vassoio sul tavolino davanti a loro. “Ho deciso di dare una mano alla servitù, che c'è di male?” disse Justin come se nulla fosse andando poi a sedersi accanto alla ragazze, nello specifico vicino ad Alice che si spostò d'istinto verso Anne anche se solo di poco. Era abbastanza sicura che Justin si fosse accorto di questo suo allontanamento volontario e non casuale anche se evitava di guardarlo. Teneva invece gli occhi sui due bicchieri con le cannucce, un liquido rosa in uno e un liquido arancione nell'altro.
 “Ho fatto preparare dei cocktail analcolici alla frutta, spero questi vadano bene” spiegò Justin soddisfatto di sé.
Alice sorrise debolmente e scelse il suo drink, quello rosa. Ad Anne andò benissimo quello arancione perché lo sorseggiò senza esitazioni. Alice la imitò e per quanto volesse sembrare indifferente proprio non riuscì a nascondere quanto il drink fosse buono; sapeva di fragola e di qualcos'altro, forse ciliege.
 “Che ne pensi?” chiese Justin.
 “è delizioso.” rispose sinceramente Alice incrociando il suo sguardo. Era a pochissimi centimetri da lei.
Justin sorrise soddisfatto.
 “Anche il mio è buonissimo, grazie fratellone” aggiunse Anne.
 “Tra una decina di minuti sarà pronta la cena, nel frattempo se vuoi posso mostrarti la collezione di dipinti di mio padre. Sono nel suo studio e lui non c'è quindi possiamo entrare tranquillamente.”
Ne avevano parlato quel sabato, di come entrambi fossero appassionati d'arte e della collezione di quadri che il Signor Van Horten teneva in casa sua ma con tutta la gente presente durante la festa non c'era stato modo di vederla. Alice era parecchio curiosa e si disse che infondo poteva accettare, almeno così avrebbe tratto qualcosa di buono dalla serata. “Si mi piacerebbe molto” disse Alice accettando la proposta.

Note: ok, sono lentissima lo so. Scusate! Mi ero bloccata un pochino di nuovo e dovreste ringraziare il mio ragazzo se ne sono uscita (scrive anche lui e discutere della mia storia aiuta moolto a quanto pare!). Sempre grazie a lui ho capito meglio che direzione prendere prossimamente, vedrete. In questo capitolo non succede poi molto ma nella seconda parte c'è qualche novità. Alla prossima! xoxo

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Capitolo 12
*** Dinner? (part 2) ***


A essere sincera Alice credeva che anche la più piccola della famiglia Van Horten si sarebbe unita a loro per andare a vedere i quadri quando aveva detto 'sì' all'invito. Tuttavia dovette ricredersi quando constatò che Anne non si era mossa minimamente dal divano dov'era seduta e dove era ancora impegnata a bere il suo cocktail.
 “Quei quadri sono noiosi, li ho visti un milione di volte” aveva spiegato. In più proprio in quel momento la cameriera entrò con un vassoio di cupcakes che catturarono immediatamente la sua attenzione. Era il caso di mangiare dolci prima della cena invece che dopo? In ogni caso ad Anne non dispiacque affatto. “Andate pure, non preoccupatevi” li incitò ad avviarsi con un gesto della mano.

Justin era già quasi fuori dal soggiorno e aspettava solo Alice che con un po' di riluttanza stavolta lo seguì. Il ragazzo teneva le mani in tasca e percorreva con disinvoltura il corridoio. Una porta bianca si trovava proprio accanto a quella della stanza di Anne, e Justin la aprì facendo strada alla sua ospite. L'interno era più ampio di quanto Alice si aspettava. Al centro dello studio vi era una grande scrivania in legno pregiato, un mucchio di fascicoli e documenti appoggiati sopra, articoli da cancelleria e un fermacarte. Lungo la parete destra c'era un piccolo divanetto color magenta, ma quello che catturava l'occhio più di tutto erano i dipinti appesi tutt'intorno. Era una coincidenza incredibile ma c'erano tutti i suoi pittori preferiti, un paio di dipinti di ninfee di Monet, le ballerine aggraziate e femminili di Degas e in un angolo un quadro che attirò Alice a sé come con una calamita. Non era popolarissimo ma ogni volta che la ragazza lo trovava sui libri d'arte si fermava a guardarlo e ne aveva persino una stampa appesa in quello che era lo studio di suo padre. Non aveva il permesso di entrarci da anni ormai, ordini di sua madre che teneva quella stanza chiusa a chiave.
 “Ti piace Edelfelt? Non credevo, è molto poco conosciuto rispetto ai suoi colleghi”* commentò Justin seguendo lo sguardo di Alice e posizionandosi proprio accanto a lei.
 “Questo è l'unico suo dipinto che mi piace in realtà. Da sempre.” rispose Alice incantata. Nella sua testa ricordò quella volta in cui suo padre portò a casa il poster e sua madre fece un mucchio di storie perché non era un originale e quindi non potevano esporlo in soggiorno o in qualsiasi altra parte esposta della casa. Che avrebbero pensato gli ospiti? Il marito non protestò poi molto e lo sistemò nel suo studio. Andava bene così, aveva detto, lì lo poteva ammirare ogni volta che gli andava. Il dipinto ritraeva una giovane fanciulla intenta a muovere le dita su un pianoforte mentre un uomo le sedeva accanto. Il Signor Abrhams diceva sempre che gli ricordava la figlia, la sua piccola pianista. Alice sospirò ricordando tutte quelle cose.
 “Piace anche a me. E a mio padre a quanto pare. Devo chiedergli come ha ottenuto l'originale.” aggiunse Justin in tono causale.
Alice si voltò di scatto verso di lui. “L'originale? È questo?” chiese sbalordita.
 “Direi di si, tutto quello che vedi esposto qui dentro è originale.” rispose come se nulla fosse.
Alice non riuscì a fare a meno di strabuzzare gli occhi. Quanto dovevano essere costati quei quadri alla famiglia Van Horten? Da quanto li possedevano?
 “Tutto a posto?” chiese Justin abbassandosi leggermente per essere a livello di Alice.
 “Si, si, solo che sono impressionata.”
Justin sorrise. “Speravo lo fossi.”
In quel momento Alice ripiombò nella realtà e si spostò verso un altro dipinto con nonchalance. Lei ce l'aveva con Justin, doveva ricordarlo.
Il ragazzo la seguì davanti al campo di papaveri di Monet. “Correggimi se sbaglio ma ho la sensazione di averti offesa in qualche modo. È così?”
Alice si irrigidì. L'aveva capito alla fine o forse c'era già arrivato da prima ma aveva preferito non dire niente. “No, ti sbagli” mentì Alice sempre evitando di guardarlo.
“Mmh, avrei giurato il contrario.” disse Justin passandosi una mano tra i folti capelli biondi. “Non sarà per quel tuo impegno? Vorresti essere da un'altra parte?”
Bingo! Aveva indovinato ma di certo lei non poteva ammetterlo. “Ora sono qui, no? È quello che volevate.” rispose lasciando trasparire un po' troppo il suo malcontento. Si morse la lingua ma era troppo tardi, aveva scatenato la curiosità di Justin. “Cosa vorresti dire? Non ti ho certo costretta a venire a questa cena.”
Alice lo fronteggiò guardandolo dritto negli occhi questa volta. “Oh no, certo che no!” ribatté in tono volutamente sarcastico, poi continuò il suo giro della stanza con Justin al seguito.
 “Ha! Lo sapevo che ce l'avevi con me! Ora spiegati per favore” esclamò il ragazzo.
Alice sbuffò esasperata. “è solo che quando una persona ti dice che non può essere alla tua cena tu lo accetti e rimandi, non fai chiamare la madre di questa persona dalla tua e le rovini i piani” spiegò arrendendosi alla realtà delle cose.
Justin portò le mani sui fianchi e ci rifletté su per qualche istante. “D'accordo.” disse infine.
Alice sbatté le palpebre. “D'accordo? Che significa?”
“Significa che ho capito, puoi andartene”
Alice era stata colta totalmente alla sprovvista. Le stava dando davvero una via d'uscita?
 “Mi lasci andare?” chiese diffidente.
 “Già”
 “Non lo dirai a tua madre?”
 “No”
 “E neanche alla mia?”
 “Mi pare ovvio.”
 “Oh. Fantastico. Grazie!” disse Alice già pregustando la libertà. Si girò e si diresse alla porta prendendo la sua giacca appoggiata a una poltrona. Infilò un braccio nella manica.
 “Certo che...” la interruppe Justin.
 “Mh? Che cosa?” domandò Alice fermandosi a metà azione.
Justin si mise le mani in tasca con noncuranza. “Certo che di sicuro Anne ne sarà molto delusa.”
Oh no, Anne. Alice aveva scordato che tecnicamente l'invito era partito da lei e che non vedeva l'ora di averla a cena con loro. Dannazione, non aveva nulla contro di lei!
 “Ti ho detto che ha l'asma?” continuò Justin.
Alice annuì. “Lo sapevo, si”
 “E che ha dato un menù preciso alla cuoca? Si è davvero impegnata perché fosse tutto perfetto. Questo nonostante stia mangiando dei cupcakes prima di cena e non dopo. Non dirlo a mia madre, per favore. Anne è una ballerina, mia madre non approva che mangi dolci, mai.”
Alice si morse il labbro inferiore. Sapeva bene che cosa stava facendo Justin, stava cercando di fare leva sui suoi sensi di colpa. E ci stava riuscendo. Per quanto desiderasse uscire da quella porta ora che si era ricordata di Anne sentiva che darle buca l'avrebbe tormentata per tutta la serata, forse anche per tutta la settimana.
 “Va bene, va bene. Resto.” si arrese rimettendo la giacca dov'era.
Justin sfoderò il suo perfetto sorriso vittorioso. Ancora una volta l'aveva avuta vinta lui. “Credi di riuscire a perdonarmi perché ho fatto in modo che tu fossi qui stasera?”
La ragazza incrociò le braccia davanti al petto e lasciò vagare lo sguardo sulle pareti dello studio.
Justin si avvicinò di qualche passo a lei. “Non volevo dare un dispiacere a Anne, dovevo provare a risolvere la situazione.” spiegò in tono più serio.
Alice venne catturata dai suoi occhi intrisi di sincerità. Doveva smetterla di fare la difficile, lui le stava simpatico in realtà. “Ok, ok” si sciolse un po'.
A quel punto Justin si abbassò inaspettatamente su di lei e parlò al suo orecchio. “E anche a me sarebbe dispiaciuto se non fossi venuta.”
Che cosa? Perchè Alice si sentiva così strana, perché Justin le aveva detto quelle parole? Non ci fu il tempo di rispondere nulla per fortuna perché un paio di colpetti alla porta la fecero sobbalzare. Anne fece capolino con la testa. “La cena è servita, se avete finito con le vostre cose noiose potete venire di là?” li chiamò ignara della situazione. Ma non c'era nulla di cui discutere perché nulla era accaduto. Alice avrebbe perdonato Justin, avrebbero cenato tutti insieme e la serata si sarebbe conclusa.

~
 

La cena filò liscia fortunatamente, Anne parlò quasi interrottamente di scuola, danza e persino dei film preferiti. Il momento più buffo fu quando la ragazzina si lamentò di non essere potuta andare a vedere 'Il Cigno Nero' al cinema poiché il fratello si era fortemente opposto. La cosa divertente era che Anne pensava fosse solo un film sulla danza e nulla più mentre Alice sapeva, almeno per sentito dire, che i contenuti erano decisamente inappropriati per i minori di sedici anni. E lo sapeva anche Justin che a distanza di tempo ancora rifiutava di comprare il dvd alla sorellina. Dopo il dolce (ancora cupcakes, per tutti stavolta) Anne prese a sbadigliare sempre più spesso tanto che Justin le chiese se non fosse già l'ora della nanna per lei (e non erano nemmeno le dieci e mezza). La sorella parve cogliere subito la palla al balzo per congedarsi. “Vado a dormire allora, ma voi rimanete pure qui a chiacchierare! Non badate a me!”. Strano, pensò Alice, improvvisamente non sembra più tanto stanca. Anne diede un veloce abbraccio a Justin e uno anche ad Alice. “Grazie per essere venuta, è stato davvero bello averti qui con noi. Lo rifaremo presto, vero?”
Alice sorrise. “Perché no?” rispose tenendosi sul neutrale. Sotto sotto però l'idea di trascorrere ancora del tempo con la giovane Van Horten non le dispiaceva affatto.
Erano rimasti solo Alice e Justin nella grande sala da pranzo ora. Sedevano l'uno di fronte all'altra al tavolo, Alice cominciava a sentirsi un po' a disagio e si domandò se non fosse arrivata ora anche per lei di tornare a casa.
 “Credo che volesse lasciarci da soli” disse Justin interrompendo i suoi pensieri.
 “Che vuoi dire?”
Justin scrollò le spalle. “Penso stia tramando qualcosa. È la sua specialità, anche se non è molto discreta” rispose con aria divertita.
 “Oh” commentò Alice. Che cosa poteva dire? Anne voleva lei e Justin...insieme? Era così bizzarro. Forse aveva capito male. “Beh, a dire la verità anche io mi sento un po' stanca. Credo che andrò a casa. Ma grazie per la cena e per avermi mostrato i quadri. Erano davvero meravigliosi” disse alzandosi da tavola.
Justin fece rapidamente lo stesso. “Di già? È molto presto, possiamo bere qualcosa se vuoi o posso mostrarti il resto dell'appartamento.”
 “Sei gentile ma...ho sonno, davvero.”
Justin la raggiunse alla porta e vi si piazzò davanti. “Non sarai ancora arrabbiata?” chiese preoccupato.
 “No, no” rispose Alice riuscendo a mettersi la giacca stavolta. “è solo che...” cosa? Era solo che sentiva di non avere il controllo di sé quando c'era lui? Quella sera erano successe troppe cose che la rendevano confusa e in quel periodo non aveva bisogno di altri casini. Le bastavano quelli che aveva già.
 “Che cosa?” la incalzò Justin avvicinandosi di più a lei. Le toccò il polso e poi passò a prenderle la mano tra la sua. Alice si sentì nervosa, il cuore le batteva forte nel petto. Non riusciva a pensare a niente di intelligente da dire. Questo diede a Justin la possibilità di accorciare ulteriormente la distanza tra di loro prendendole il fianco. Ora si toccavano e Alice non aveva più dubbi, Justin era interessato a lei e si, anche Anne l'aveva capito e voleva dare loro una spinta. Furbi i Van Horten.
Alice si ritrovò ad alzare lo sguardo, era così vicina al viso di Justin. Pericolosamente vicina. Ed ecco che la mano di Justin che teneva la sua si spostò sul suo viso. Stava per succedere. Justin l'avrebbe baciata.
Qualcosa vibrava nella tasca della sua giacca. Suonava fastidiosamente e vibrava. Entrambi l'avevano sentito e il momento era stato spezzato. Alice sbatté gli occhi e realizzò che non era il suo cellulare bensì qualcos'altro. Il cerca-persone. Si allontanò da Justin e infilò subito una mano in tasca. Era stupido anche solo controllare, già sapeva da chi arrivava il messaggio. Hartley.
 “Devo andare” disse tutto d'un fiato già aprendo la porta.
 “Alice aspetta un attimo-” cercò di fermarla Justin.
Ora Alice aveva giù recuperato la borsetta. “è un'emergenza, devo proprio andare. Ci vediamo a scuola, ok?”
Justin sospirò infilando le mani in tasca. “Certo.” rispose visibilmente deluso. “Buona notte Abrhams”



*http://www.copia-di-arte.com/kunst/albert_edelfelt/bal34958.jpg


Note: finito anche il capitolo 12! Anche qui per l'ispirazione del finale mi sono fatta dare un aiutino e direi che è servito! Spero non vi dispiaccia visto che l'assenza di Hartley si è fatta sentire non poco! D'altra parte Justin ha avuto la sua chance con Alice, ora lei sa per certo che lui è interessato ma lo squillo del cerca-persone ha rovinato il quasi-bacio. Lo so, non odiatemi! Per quanto riguarda i riferimenti ai quadri lì sopra c'è il link per vedere l'Edelfelt. Non ho idea di dove siano gli originali di Monet, Degas o Edelfelt però sinceramente, in un museo spero. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** The Return ***


Il messaggio in codice indicava ad Alice di incontrarsi con Hartley al parco dove si erano incontrati la prima volta. Se non fosse stato per il fatto che sapeva che ci sarebbe stato lui ad aspettarla non avrebbe mai accettato tale invito dopo le nove di sera. Uscire da sola a New York di notte poteva essere molto pericoloso per una ragazza. Tuttavia con il pensiero di rivedere il suo migliore amico in testa, Alice non aveva paura di niente. Sentiva l'adrenalina mentre saliva sulla metro (non avrebbe chiamato Arthur per chiedergli di accompagnarla al Central Park, troppo rischioso), guardava in basso e non diede confidenza a nessuno a bordo per non cacciarsi in qualche guaio con gente strana. Ora che era rimasta sola in metropolitana aveva un po' di tempo per lasciare vagare la mente ma solo una piccola parte della sua attenzione era rivolta ai ricordi della serata appena trascorsa; a quanto pareva Anne Van Horten aveva una mezza idea di mettere insieme lei e il fratello e forse, e solo forse, si sarebbero anche potuti baciare. Ma tutte quelle cose assumevano veramente poca importanza di fronte al messaggio di Hartley. Era come se per un periodo Alice avesse fatto un'incursione in un mondo che non era il suo e anche se era interessante, lussuoso, e c'erano meravigliosi quadri, non doveva dimenticare qual'era la realtà. Se il suo migliore amico si trovava nei guai o aveva bisogno di lei per qualsiasi cosa allora i Van Horten potevano fare a meno di lei.
Alice scese dalla metropolitana con fare sicuro, mani nelle tasche della giacca e sperando di non essere importunata da nessuno. Ora si che avrebbe voluto indossare qualcosa che la coprisse di più, proprio non voleva finire sul giornale del giorno dopo. Alice cercò di scacciare quei pensieri macabri dalla sua mente mentre svoltava l'angolo di un palazzo e si ritrovava davanti alla strada che la divideva dal parco.
Era quasi arrivata, solo pochi passi e avrebbe incontrato Hartley. Si strinse le braccia colta da un brivido di freddo, anche se era primavera inoltrata. L'odore degli alberi, di erba appena tagliata la fece sentire al sicuro come accadeva sempre quando lei e Hartley si incontravano lì. Compravano hot dog e coca cola da qualche venditore ambulante e si sedevano sulla loro panchina preferita vicino ad una statua a mangiare e chiacchierare. Alice ogni tanto scherzava con l'amico dicendogli che se sua madre l'avesse vista così le sarebbe venuto un colpo come minimo. Hartley rideva con la bocca piena e la minacciava di farle una foto e consegnarla alla Signora Abrhams. Alice si fingeva spaventatissima e lo pregava di non farlo. La ragazza sorrise a quel ricordo. Ma dov'era lui in quel momento?
Alice si era diretta subito alla loro panchina ma di lui non c'era traccia. Si girò su sé stessa pensando di andare a fare un giro più in là nel parco, pur avendone paura, e fu allora che lo vide. In un primo momento quasi non era certa che fosse davvero lui. Non indossava i suoi soliti vestiti larghi comprati nei negozi di seconda mano, portava invece dei jeans perfettamente della sua taglia e una felpa scura, larga, con una grande tasca centrale dove teneva infilate le mani, forse solo per ripararsi dalla fresca aria della notte. I suoi capelli restavano indomabili ma era l'unica cosa che le diede un sentore di familiarità perché l'Hartley che conosceva lei non stava mai fermo a lungo, spostava il peso da un piede all'altro (a proposito, portava delle Converse nuove di zecca quella notte) e il suo sorriso illuminava qualsiasi giornata buia. Anche sotto la luce di un lampione Alice riusciva a scorgere delle profonde occhiaie sotto gli occhi del ragazzo, un'espressione strana e triste dentro di essi, e non c'era traccia di un sorriso sulle sue labbra. Se prima Alice era preoccupata, ora lo era cento volte di più.

“Hart?” lo chiamò facendo un passo verso di lui e poi un altro.
Il ragazzo deglutì rumorosamente senza staccarle gli occhi di dosso. Impaurito, ecco cosa sembrava. Da cosa?

“Hartley, va tutto bene.” disse Alice usando un tono rassicurante e continuando ad avvicinarsi. “Qualunque cosa sia successa la sistemeremo, d'accordo? Mi spiegherai e metteremo tutto a posto” Le sue parole erano sincere, il modo in cui le aveva urlato contro quella sera non contava più, la sua lunga assenza inspiegata non contava più, quello che era davvero importante era che ora si fosse fatto vivo per chiedere aiuto. Se no a che servono gli amici?
Qualcosa brillò negli occhi di Hartley quando l'amica fu a due passi da lui. Lacrime? Alice non ebbe il tempo di finire di pensarci che le braccia di Hartley la avvolsero e la portarono stretta contro il suo petto. Non si erano mai abbracciati così come se uno dei due temesse la separazione. Anche Alice ricambiò l'abbraccio e si rese conto di quanto le era mancato veramente, di come stare con lui era come essere a casa.

“Ricordi il cappello?” disse lui a voce così bassa che quasi Alice non lo sentì. Hartley parlava tra i suoi capelli, vicino all'orecchio. “Te lo ricordi?”

Alice non capiva perché aveva tirato fuori quella storia ma annuì “Hai fatto bene a non accettarlo. Non sapevo che cos'era, veramente.” continuò il ragazzo in tono cupo.

Alice cercò di staccarsi ma lui non glielo permise. “Hartley, che ti è successo?” gli chiese. Ora era lei ad iniziare ad avere paura.

“Stanno cercando di farmi diventare pazzo, Alice. Come lei! Loro sanno, loro vedono tutto e sanno quali sono i tuoi punti deboli!” Hartley parlò velocemente, come se temesse di essere interrotto da un momento all'altro. Alice lo ascoltava con gli occhi sbarrati. “Ma sono scappato. Dovevo! Per avvertirti!”

“Di che cosa? Chi sono queste persone? Che cosa ti hanno fatto??”

Hartley accarezzò la guancia di Alice con una mano. Era freddo, così freddo. “Credevo fosse meraviglioso ma mi sbagliavo. Vogliono te, Alice. Devi andare a Wonderland” un brivido le percorse la schiena ma non era per il freddo, ma per il terrore. Hartley stava dicendo un mucchio di cose senza senso e poteva immaginare solo a una ragione che lo avesse portato a stare in questo stato: la droga. Le faceva male solo pensarlo, ma era per forza così. Per quanto tempo Alice aveva sperato che Hartley non incrociasse mai la strada di persone pericolose, ma alla fine doveva essere successo. Prese la mano che ancora stava sulla sua guancia e la strinse forte. “Va bene, va bene. Faremo come vuoi. Ma prima andiamo a prendere un caffè da Jeff, ok? Vuoi?” propose in tono accondiscendente, come si fa coi bambini per cercare di convincerli a fare qualcosa che non gli va. Hartley sembrò calmarsi all'improvviso. “Jeff? Non avevo pensato a Jeff.” disse più tra sé e sé.

Alice si concesse un piccolo sorriso. Forse la tempesta si era placata.”Scommetto che è da un pezzo che non prendi un buon caffè bollente da lui, vero?”

Hartley annuì guardando in basso, ricordando qualcosa di brutto. Alice diede una stretta alla sua mano. “Andiamo, allora.”

Hartley non disse più nulla, si limitò a seguire Alice che nemmeno per un momento lasciò la presa sulla sua mano. Guardava avanti, concentrata sulla sua meta, perché se avesse guardato attentamente Hartley sarebbe crollata e si sarebbe messa a piangere. Non poteva farlo. Lui era stato la sua ancora quando ne aveva avuto bisogno, ora lei doveva essere quella forte e capire come tirarlo fuori dai suoi vaneggiamenti. Non esisteva nessuna Wonderland, solo cose reali, cattive e meschine.

-

Jeff avrebbe dato ospitalità ad Hartley quella notte o Alice non sarebbe riuscita a chiudere occhio, anche se dubitava che sarebbe riuscita a dormire molto comunque dopo tutto quello che aveva visto e sentito. Aveva bisogno dell'aiuto di Jeff, lui era un adulto e insieme avrebbero trovato un centro di riabilitazione per Hartley, l'avrebbero tenuto lontano dalle brutte compagnie per cominciare, e ai soldi ci avrebbe pensato lei. Avrebbe dovuto fare tutto di nascosto da sua madre ma poteva usare quei pochi soldi a sua disposizione sulla sua carta di credito e presto avrebbe compiuto diciotto anni e avrebbe avuto accesso al suo conto corrente. Poteva farlo, poteva pagare le cure per il suo migliore amico e tutto sarebbe tornato a posto. Non avrebbe perso nessun altro dopo suo padre. Jeff avrebbe sicuramente accettato di aiutarli perché erano praticamente di famiglia.
L'uomo abitava proprio sopra il café e Alice si vide costretta a suonare il citofono per farsi notare visto che il locale era chiuso da un paio d'ore. Fortunatamente Hartley non fece obiezioni, anche se il modo in cui fissava un punto oltre la strada preoccupava Alice un po'. Suonò il citofono e aspettò. Suonò ancora dopo pochissimo, non riusciva ad aspettare. Qualche secondo dopo si accese la luce nel negozio e guardando oltre la vetrina Alice scorse Jeff con indosso solo i jeans e una canottiera bianca e tra le mani una mazza da...cricket? Alice non era certa ma di certo non era una mazza da golf. Jeff avanzò verso la porta e strinse gli occhi per vedere chi ci fosse fuori. Quando mise a fuoco Alice spalancò gli occhi e appoggiò la mazza da cricket al muro. Prese il mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans e aprì, mettendo la testa tra la porta.

“Ragazzina, è molto tardi! Che ci fai qui?” chiese un po' allarmato e anche assonnato. Già dormiva?

“Mi dispiace di averti disturbato a quest'ora ma non sapevo a chi chiedere, non sapevo dove andare” spiegò Alice quasi supplicandolo di ascoltarla. Tutta la stanchezza di quella lunga serata stava piombando su di lei.

“Qualcuno ti ha fatto del male? Sei ferita?” chiese Jeff aprendo del tutto la porta ora e assumendo un'espressione davvero preoccupata.

Alice fece di 'no' con la testa, gli occhi tristi. “Non io. Lui” si voltò indicando Hartley seduto sul marciapiede, il mento appoggiato alle ginocchia, lo sguardo perso verso l'orizzonte.

Jeff si passò una mano tra i capelli castani striati di grigio. Poteva non sapere cosa c'era che non andava ma aveva capito subito che era una faccenda seria. “Entrate”

Alice diede una mano a Hartley per alzarsi e insieme entrarono nel locale. Si sedettero a un tavolo, cosa che non facevano mai perché di solito venivano serviti al bancone. Hartley notò appena i cambiamenti del Wondercafè e tornò piuttosto in fretta ad apparire sempre più esausto. Arrivò anche Iris, stretta in una vestaglia color viola sbiadito. Jeff portò la donna in cucina e le spiegò velocemente chi era il ragazzo e che andava tutto bene. Camminava, seppur con calma e attenzione, senza l'uso della sedia a rotelle questa volta e Alice lo interpretò come un buon segno per lei. Almeno Hartley non avrebbe messo scompiglio nella vita della donna. Jeff mandò Iris a sedersi con Hartley e a prendere la sua ordinazione. Mentre si conoscevano, Alice poteva andare nel retrobottega con Jeff e spiegargli cosa credeva stesse succedendo.

“Che cosa è capitato?” chiese Jeff serio e metodico come mai prima di allora.

Alice scrollò le spalle tenendo le braccia incrociate davanti al petto. “Era sparito da un po', poi stasera mi ha mandato un messaggio sul cerca persone e sono andata a incontrarlo al parco. L'ho trovato così. È l'ombra di sé stesso, Jeff.” disse Alice non riuscendo più a trattenere le lacrime.

L'uomo le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, in segno di solidarietà. “Dov'è stato in questi giorni?”

Alice tirò su col naso. “Non lo so. Ha farneticato su delle persone che stanno cercando di farlo diventare pazzo e un posto inventato chiamato Wonderland...”

Jeff trasalì ma Alice sembrò non accorgersene. “Wonderland?”

“Si. Vuol dire qualcosa? Forse è un bar o un posto malfamato?” il pensiero le attraversò la mente solo in quel momento.

“No, non ne ho idea.” rispose Jeff. “Il nome mi ha colpito, tutto qui. Quindi che ne pensi?”

“Penso che ci sia di mezzo la droga, ecco cosa penso!” disse Alice tra le lacrime, cercando di mantenere il tono di voce basso. “Sapevo che faticava a pagare l'affitto del suo appartamento e che il lavoro all'officina meccanica pagava poco ma viveva di espedienti, riusciva sempre a cavarsela in qualche modo. In qualche modo legale. Ma credo che ora venda quella roba, Jeff. Dev'esserci caduto anche lui e ora sta così...”

“Non traiamo conclusioni affrettate, Alice. Parliamoci, vediamo cosa ci dice” cercò di rassicurarla.

Alice si asciugò le guance con il palmo della mano. “Devi tenerlo qui stanotte, Jeff.” lo pregò. “Se lo riporto a casa sua non so se ci resterà o se lo rivedrò. Ma se lo tieni qui...”

“Va bene. Stai tranquilla. Andremo fino in fondo a questa storia.”

Alice annuì. “Grazie”.

Quando tornarono ai tavoli, Hartley stava bevendo da una grande tazza di caffè che doveva avergli preparato Iris. La donna andò di nuovo a parlare col marito in cucina dove le sarebbe stato spiegato tutto. Alice si sedette accanto all'amico che alzò subito lo sguardo per incontrare i suoi occhi. “Dove sei stata?”

“A parlare con Jeff.”

“Di che?”

“Gli ho fatto i complimenti per il nuovo arredamento” mentì.

“è cambiato tutto.” commentò Hartley con un velo di malinconia.

“Non tutto.” rispose Alice allungando una mano sul tavolo per raggiungere quella di Hartley. Le sue dita si legarono intorno a quelle di lei lentamente. Ora erano calde grazie al caffè. Loro due sarebbero rimasti uniti, ecco cosa sarebbe rimasto uguale.

“Cosa succederà adesso, Alice?” chiese Hartley incerto, perso.

Alice prese un respiro. “Questa sera starai qui da Jeff. Domani verrò a trovarti appena posso e insieme supereremo questa cosa. Fidati di me.”

Hartley tacque per un po'. “Ma tu non ti fidi di me, vero?”

“Certo che si.” rispose lei subito.

“Non credi a quello che ti ho detto. Non ancora” Hartley finì il caffè in un sorso poi si alzò e andò da Jeff.

Alice restò immobile. Sarebbe stato più difficile di quanto pensasse riportarlo da lei. Perché quello era lontano anni luce dall'essere il suo Hartley Jacobs.



Note: è arrivato il momento della famosa svolta fantasy, Wonderland è stata nominata ma Alice per ora non ci crede. Inutile dire che Hartley non è diventato un drogato ma per lei è la spiegazione più logica. :)

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Capitolo 14
*** Smoke ***


Come volevasi dimostrare era stata una notte quasi del tutto priva di sonno per Alice. Si era rigirata tra le lenzuola più e più volte cercando di riposare, ma soprattutto provando a non preoccuparsi per Hartley. Quando la sveglia sul suo comodino aveva suonato rumorosamente non ne era nemmeno rimasta infastidita come le altre mattine, era già sveglissima e pronta a saltare in piedi. Incredibile ma vero la Signora Abrhams non era lì per l'interrogatorio perché era già andata al lavoro per una riunione importante. In questo modo Alice si sentì più sicura nell'uscire di casa senza dover mentire. Avrebbe saltato la scuola e date le circostanze non le importava nemmeno più di tanto se l'avrebbero segnalato o meno alla madre.
Si fece accompagnare comunque da Arthur davanti all'istituto per poi svoltare l'angolo alla prima occasione e dirigersi verso la metropolitana. Il tragitto fino al Wondercafé le sembrò lunghissimo semplicemente perché voleva scoprire subito come stava Hartley e non riusciva più ad aspettare. Alla fine arrivò al locale ed entrò con un po' troppa foga, facendo alzare le teste di più di un cliente intento a leggere il giornale e a godersi la propria colazione. Già perché adesso c'erano dei clienti al cafè, persone che avevano tutto l'aspetto di apprezzare il posto e che sarebbero tornati presto. Alice sorrise, Jeff meritava tutto il successo che poteva ottenere. Richiuse la porta e si diresse al bancone dove Jeff era intendo a versare le caffè in una grossa tazza. “Lui dov'è?” chiese subito dimenticando i convenevoli.

 “Hey, buongiorno Alice! Parli di Hartley?” rispose Jeff.

 “E di chi se no? Allora?” lo incalzò sedendosi su uno sgabello al bancone.

 “è di sopra.” rispose Jeff con un cenno dietro di sé. “Dorme finalmente.”

 “Non è riuscito a dormire?”

Jeff passò il vassoio con i caffè e dei cioccolatini ad Iris che comparve accanto ad Alice. La donna le rivolse un sorriso comprensivo e si allontanò col vassoio. La sua camminata era ancora lenta e incerta ma riuscì a portare i caffè al tavolo senza combinare disastri, il tutto sotto lo sguardo vigile di Jeff. Come facesse a lavorare in quella maniera, era ignoto a Alice. Doveva essere molto faticoso per lei aiutare il marito quando era probabilmente ancora in fase di ripresa dopo la sua malattia. Era ammirevole però. Jeff riportò la sua attenzione su Alice. “Hartley ha avuto gli incubi per tutta la notte, urlava, calciava via le coperte. Ci è voluto un metodo un po' singolare per farlo calmare” spiegò Jeff abbassando un po' la voce.
Alice lo ascoltava attenta. “Che genere di metodo?”
“Iris era un po' in apprensione per lui e in più era veramente molto stanca, voleva riposare un po'. Sai, si sta impegnando davvero molto per usare la sedia a rotelle il meno possibile e aiutare col café. Così è andata a sedersi sul divano accanto a lui e...gli ha cantato una canzone.”
Alice si aspettava tutto tranne che quello. “Una canzone? Tipo una ninna nanna?”
 “No, era una canzone tipica irlandese. Iris canta molto bene e ha funzionato su Hartley. Dopo una decina di minuti era calmo e tranquillo. Questo è successo alle 4 del mattino però.” continuò Jeff visibilmente provato dalla notte quasi in bianco.
 “Oh Jeff, mi dispiace così tanto che ti abbia creato problemi.”
Jeff diede un'alzata di spalle e il sorriso tornò sul suo volto. “Te l'ho detto, siete come di famiglia voi due. È il minimo.” Anche Alice forzò un sorriso, sperava che insieme avrebbero rimesso in sesto Hartley e che presto avrebbe trovato il modo di ringraziare Jeff a dovere.
 “Mi scusi, non è permesso fumare all'interno del café” avvertì la voce di Iris a un paio di sgabelli da Alice. La ragazza si girò in quella direzione e Jeff la imitò. Un uomo in un completo elegante con tanto di foular colorato intorno al collo emetteva nuvole di fumo da una sigaretta sottilissima che teneva tra le dita. A guardarle bene in realtà, non erano nuvole, bensì cerchi, così precisi che Alice si trovò imbambolata a osservarli fluttuare in alto fino a perdere forma e svanire a poco a poco.
“Ha sentito mia moglie? Non è permesso fumare qui dentro” si intromise Jeff molto più deciso di Iris, entrambe le mani ben appoggiate sul bancone e gli occhi fissi su quelli del cliente che ricambiò quella specie di lotta di sguardi solo per qualche secondo ma abbastanza perché tutta la situazione apparisse strana a Alice. L'uomo si alzò e sorrise cortese rivolto ad Iris. “La prego di scusarmi signorina” disse con voce profonda e nessun accento particolare che ne rivelasse la provenienza. “Porterò la mia orribile abitudine altrove”, lanciò un'ultima rapida occhiata a Jeff e se ne andò. L'espressione di Jeff era ancora dura e non si era mosso dalla sua posizione. “Jeff, tutto bene?” chiese Alice.
 “Conoscevi quel tizio?” aggiunse Iris passando dall'altra parte del bancone e posando la mano sul braccio del marito.
 “No” rispose Jeff. Il tocco di Iris l'aveva come liberato dalla sua freddezza così inusuale per lui e in un battibaleno era ritornato il solito Jeff solare e positivo. Forse Alice stava diventando un po' paranoica con tutto quello che stava succedendo ma comunque non riusciva a non sospettare che quel tizio e Jeff si fossero già incontrati prima. L'aveva praticamente mandato via e non sembrava proprio che fosse solo perché stava fumando nel Wondercafé.
 “Alice, lascia che ti offra un tè caldo. Forse ti aiuterà a far sparire quell'espressione corrucciata dal tuo bel viso” offrì Jeff cordialmente.
Fino a pochi giorni prima la ragazza avrebbe almeno provato a fare resistenza, non voleva privarlo di una fonte di guadagno quando riusciva a stento a tenere aperto il Wondercafé, ma visto che ora le cose per lui andavano bene non pensò nemmeno di rifiutare. In effetti dopo una tazza di tè e biscotti al cioccolato Alice si sentiva già più rilassata. Ora solo tre persone occupavano i tavoli e lei era l'unica a essere seduta al bancone. A un certo punto sentì una mano sulla sua spalla. “Puoi sempre tornare per il tuo amico, lo sai?” disse Iris in tono rassicurante. “è al sicuro qui.”
Alice sorrise grata delle sue parole ma l'idea di andarsene senza aver visto Hartley non le andava giù “Grazie ma se non è un problema preferirei aspettare che scenda.”
Iris lanciò un'occhiata al grande orologio dietro di lei. Faceva quasi le nove ormai. “Non hai scuola oggi?”
 “Già, non dovresti essere là a quest'ora? Sono sicuro che i signori della Julia's non apprezzerebbero un comportamento del genere” intervenne Hartley impedendo ad Alice di formulare una qualche risposta. In un primo momento la sola comparsa di Hartley sulla porta che dava sulle scale l'aveva presa alla sprovvista ma subito dopo c'era spazio solo per un mezzo sorriso che nasceva sulle sue labbra. La familiarità di Hartley che sbagliava il nome del college che l'aveva accettata l'aveva fatta sentire come se tutto fosse normale di nuovo. “Si chiama Juilliard” lo corresse come ai vecchi tempi alzandosi dal suo posto.
Hartley si infilò le mani nelle tasche, quasi un riflesso condizionato per lui, ma che appariva meno sciolto a causa degli stretti jeans che indossava invece degli abituali pantaloni larghi. Ecco un altro dettaglio che non le quadrava: anche avendo più soldi a disposizione, per quale motivo aveva acquistato dei vestiti che non erano mai stati il suo genere?
Hartley diede una scrollata alle spalle. “Quello che è.” rispose laconico. Neanche i suoi occhi erano tornati quelli di prima, in più la notte difficile non aveva aiutato a eliminare le profonde occhiaie. Alice si avvicinò all'amico. “Pensi che possiamo parlare un po'?”
Hartley esalò un respiro lasciando vagare lo sguardo nel locale, ovunque ma non su di lei. “Non lo so”
 
“Per favore, Hartley...”

 “Davvero, perché non sei a scuola Alice?” chiese in tono annoiato.

 “Perché volevo vederti!”

 “Beh, ora mi hai visto”

Alice rimase in silenzio per un po' prima di riuscire a dire qualcosa. Si sentiva quasi come se stesse parlando con uno sconosciuto. Quella sensazione di disagio non era qualcosa che era abituata a sentire quando era con lui. Mai, nemmeno all'inizio della loro amicizia. La ragazza si spostò nell'anticamera tra il locale e il piano di sopra, proprio davanti alle scale. “Dimmi perché ti comporti così, Hartley. Sei tu che mi ha cercata” disse appellandosi alla razionalità, a come si erano svolti i fatti. “ieri notte hai detto...che volevi avvertirmi, che c'erano delle persone che volevano fare del male a te e a me...” continuò abbassando la voce.
Hartley fece due grandi passi in avanti arrivando a un paio di centimetri da Alice. Parlò al suo orecchio e lei sussultò per l'improvvisa vicinanza. “Erano tutte stronzate, Alice. Devi dimenticare ieri notte. Forse dovresti addirittura dimenticarti di me”.
Alice rimase immobile, aveva sentito quelle parole di ghiaccio ma nonostante ciò non riusciva a comprenderle davvero, a farle entrare nel suo cervello. Poi il rifiuto distrusse la sua incredulità come una roccia contro a una vetrina. Si scansò leggermente per poterlo guardare negli occhi. “No” rispose con tutta la risolutezza che era in grado di mostrare. Intanto cercava nell'espressione del ragazzo qualcosa, una cosa qualsiasi che potesse darle la speranza di ritrovare il suo amico. Era dannatamente difficile.
 “Più che una proposta era un consiglio, Alice. Un consiglio che dovresti proprio accettare” continuò lui per niente scalfito dal 'no' di Alice. Teneva ancora le mani nelle tasche, era ancora tra l'annoiato e il disinteressato da quello che gli capitava intorno. Alice ora era arrabbiata. Gli diede una spinta facendolo barcollare. “Dimmi che cosa ti succede” sputò fuori. “Non dirmi di andarmene perché io non lo farò di certo. Quindi smettila con queste idiozie e lascia che ti aiuti!” e accompagnò le sue parole con un altro spintone . Ora Hartley stava con la schiena appoggiata al muro. “è come hai sempre temuto, Alice. Sono caduto in un brutto giro. Stai alla larga da me” e con questo salì le scale in fretta sbattendo rumorosamente la porta dell'appartamento di Jeff dietro di sé. Nient'altro, non le aveva dato modo di controbattere. Di nuovo l'aveva lasciata sola con le sue domande e una grande tristezza che ormai stava diventando di casa dentro di lei. Delle mani fredde si posarono sulle sue spalle. Alice si girò di scatto. Era Iris.
 “Non volevo spaventarti.” si scusò e fece una pausa. “Sei abbastanza intelligente da non fare quello che ti ha chiesto, vero?” chiese poi.
Iris aveva sentito tutto. E anche lei le stava dando un consiglio, uno completamente diverso da quello datole da Hartley. Un gran buon consiglio. Si mise dritta, tenne la testa alta. “Si. Non lo abbandonerei per nessun motivo al mondo”.

 

Note:  ok non so se si è capito ma la cosa del buon consiglio è un riferimento a Alice In Wonderland (e c'è anche una canzone dei The Cure con quel titolo http://www.youtube.com/watch?v=ORqn5NxTXqc ). A parte ciò il tizio che fuma non era lì a caso e ritornerà. Hartley si è un pò trasformato in dark-Hartley finchè non riusciamo a capire che cosa c'è sotto e finché Alice non riuscirà ad aiutarlo. Mi scuso con chiunque stesse ancora leggendo (?) se pubblico lentamente. Ciao ciaooo

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Capitolo 15
*** Clairvoyant ***


A casa doveva pur tornarci dopo aver trascorso la mattinata a non fare praticamente nulla. Era una novità per Alice, una trasgressione persino, visto che per gran parte della sua vita aveva seguito le regole. L'unico a proporre di sgarrare e di 'prendere una boccata d'aria fresca' di tanto in tanto era Hartley e lei lo seguiva, perché tutto quello che suggeriva suonava intrigante. Dentro di sé però Alice aveva già quel desiderio di andare contro corrente, di non ascoltare sempre le direttive della mamma, solo non aveva il coraggio di mettere niente in pratica da sola; sotto sotto aspettava solo che Hartley spuntasse dal nulla come suo solito e la trascinasse con sé da qualche parte. Così quella mattina, dopo aver lasciato il Wondercafé, Alice si ritrovò a dover pensare a come occupare il suo tempo prima di tornare a casa. Una vocina nella sua testa le sussurrava di entrare a scuola, non era troppo tardi, ma non era abbastanza decisa e ormai era in ballo. Aveva camminato, ripensando agli ultimi giorni, a quello che le avrebbe riservato il futuro, argomento che ora era divenuto più nebuloso. Le serviva una pausa, altrimenti le sarebbe scoppiato il cervello.
Prese la metropolitana e raggiunse l'unico negozio di dischi decente ancora esistente in città (o in tutta l'America!). Rimase lì circa un'ora, seduta a gambe incrociate su un divanetto al piano superiore del negozio, le grandi cuffie nere nelle orecchie che risuonavano la musica di CD in prova. Le venne in mente una delle ultime conversazioni avute con Hartley, quando le aveva detto di innamorarsi di nuovo della musica se voleva che diventasse una parte fondamentale della sua vita. Aveva ragione. Starsene lì semplicemente ad ascoltare una band uscita negli anni 2000 e non i soliti dischi di melodie del '700 la faceva sentire connessa col mondo. La musica non poteva essere ridotta a solo un genere e non poteva essere solo un futuro, meccanico lavoro. Alla fine Alice uscì dal negozio soddisfatta con un sacchetto contenente una decina di CD. Il suo mp3 stava per avere un aggiornamento finalmente. Aveva ancora del tempo da buttare ma non sapeva cosa farci.
Pensò di passare da una libreria già che c'era oppure di tornare comunque a casa raccontando al portiere di non sentirsi bene. Stava ponderando le sue scelte quando all'angolo della strada notò qualcosa che catturò la sua attenzione. Era una piccola tenda colorata, tempestata di decorazioni simili a quelle dei sari indiani, disposta a mo' di capanna affacciata proprio sulla strada. Sotto la tenda c'era un uomo che sedeva davanti a un piccolo tavolino in attesa. I piedi di Alice la condussero quasi automaticamente in quella direzione. Da vicino poteva vedere meglio l'uomo; doveva avere circa cinquant'anni, era ben piazzato ma non sovrappeso. Soprattutto aveva un aspetto pacifico, incurante del traffico, dei rumori, delle persone intorno a lui. Era impegnato a mescolare un mazzo di carte, tarocchi con tutta probabilità, visto che c'era anche una sfera di vetro appoggiata sul tavolo. Era un veggente, o un ciarlatano del genere, si disse subito Alice. 'Ciarlatano' in realtà era la parola che usava sua madre per definire gente con professioni del quel tipo, persone che potevi incontrare alle fiere di paese o al circo, o al luna park. Tutti posti dove Alice non era mai stata; troppo pericolosi secondo la Signora Abrhams, una perdita di tempo e di denaro. Ma la madre di Alice non era lì in quel momento e non poteva vederla, quindi perché non dare un'occhiata? La ragazza di fece avanti e si sistemò sulla sedia accanto al tavolo.
 “Salve” disse annunciando la sua presenza.
L'uomo interruppe immediatamente il mescolamento dei tarocchi e alzò gli occhi luminosi su quelli di Alice. Erano verdi, ma di una tonalità strana e le pupille erano decisamente troppo grandi, come se si fosse appena messo del collirio. Però sfoderò un gran sorriso, scoprendo dei perfetti denti bianchi. Alice si sentì di colpo a suo agio. “Buongiorno, buongiorno! Chi abbiamo qui questa mattina?”

 “Mi chiama Alice”
L'uomo formò una grande O con la bocca. “Salve, salve Alice! Che cosa posso fare per te?” chiese gioviale arricciandosi un folto baffo con le dita.
Già, che cosa voleva? Di preciso non lo sapeva a dire il vero. L'uomo colse al volo la sua incertezza e fece una risatina. “Posso dare un'occhiata alle carte per te, o se preferisci leggere il palmo della tua manina” offrì l'uomo col fare di un vero esperto. “O magari...” continuò passando una mano in maniera suggestiva sopra la sfera di vetro “vuoi che io guardi il tuo futuro qui dentro.”
Alice spostò il suo sguardo sulla palla, le sembrava di vederci qualcosa dentro lei stessa e ne era rimasta ipnotizzata. Quel qualcosa doveva essere il gioco di luce che provocava il veggente passandoci la mano sopra avanti e indietro. Sicuramente era così. Comunque, l'idea di sapere cosa le riservava il futuro era parecchio allettante ed Alice decise per la sfera.
Il veggente sorrise compiaciuto. “Molto bene, molto bene” disse concentrandosi sulla palla di vetro. Alice rimase ferma ad aspettare, i suoi occhi rimanevano fissi sul magico congegno così come quelli dell'uomo.
 “Mmh..” commentò il veggente dopo un po' spalancando gli occhi persino di più.
 “Cosa? Cosa vede?” chiese Alice ansiosa. In un attimo era più che curiosa e quel gioco non era più solo un gioco.
 “è forse vero che hai perso una persona a te molto cara?”
Alice si irrigidì. Si che era vero. Suo padre l'aveva lasciata solo qualche anno prima. “Si” rispose. “Ma questo appartiene al passato, non al futuro”
L'uomo annuì lentamente, la sua attenzione spostata momentaneamente sulla sua cliente. “Molto giusto. Tuttavia mi piace dare alle persone che vengono da me una rassicurazione che faccio sul serio, che sono qui per aiutarli e non per svuotare i loro portafogli” spiegò e tornò a guardare il suo strumento di lavoro.
 “Per quanto riguarda il tuo presente c'è una grande preoccupazione nella tua vita, qualcosa che occupa i tuoi pensieri, ti priva del sonno e della vitalità. Mi sbaglio?” continuò.
Alice era sorpresa. Forse poteva aver semplicemente tirato a caso con la sua prima visione ma questa volta sospettava che avesse veramente dato uno sguardo a quello che stava passando. “No, non si sbaglia. Vede qualcosa di brutto nel mio futuro?” chiese con un po' di paura.
Il veggente passò la mano destra sopra la sfera e fece lo stesso con l'altra. Sembrava che cercasse di vedere tra la nebbia, di trovare una luce. “Questo dipende”
 “Da cosa??”
 “Calma calma, signorina! Le cose brutte capitano a chiunque, ferma chi vuoi in questa grande città e te lo confermeranno.” disse fin troppo tranquillo.
Alice d'altra parte non lo era affatto. “Che cosa intende dire? Che cosa ha visto esattamente?”
 “Ho visto... che il problema che ti affligge può diventare più grande o più piccolo, questo dipende da te e dalle tue decisioni”
Alice sentì un nuovo peso posarsi sulle sue spalle. Quelle ore di libertà dovevano rappresentare per lei una chance di svuotare la sua mente mentre invece ora si sentiva più preoccupata che mai.
 “Sia più preciso, la prego.” chiese ancora Alice.
Il veggente sospirò. “Piccolina, il futuro non è scritto nella pietra. Ho visto che una persona molto vicina a te è in un brutto guaio e che se tu lo lascerai da solo non ne uscirà di certo.”
Alice si sentì mancare ma doveva resistere per sentire tutto quello che l'uomo aveva da dirle. “Vuole dire che lui...morirà?” riuscì a fatica anche solo a pronunciare quella parola.
Il veggente rimase in silenzio per un tempo fin troppo lungo per Alice. “Potrebbe essere, si.”
No, era troppo per lei. Non poteva accadere, mai. Come avrebbe potuto vivere senza Hartley? Era impensabile.
 “Le pagherò un extra, qualunque cifra vuole ma mi dica esattamente che cosa fare, quale decisione è quella giusta!” lo supplicò.
Il volto dell'uomo si fece impensierito. “Oh no, non ci sarà bisogno di nessun extra, cara. Ecco cosa dovrai fare.” disse cercando di tranquillizzarla con la sua voce calda. Il veggente la guardò negli occhi. “Inizia a credere, Alice. Più terrai le porte della mente e del cuore chiuse e più allontanerai il tuo amico. Quindi tieni gli occhi aperti, grandi cose si preparano sulla tua strada, il tempo stringe e devi essere preparata. Rimanete uniti tu e il ragazzo, insieme siete più potenti. Nulla è come sembra piccola Alice, ci sono così tante cose che ancora non sai. Per questo dovrai stare attenta a chi fidarti”
Mentre pronunciava quell'elenco di avvertimenti il veggente era tremendamente serio, voleva che Alice comprendesse tutto alla perfezione ma lei non era certa di avere avuto le risposte che cercava. Perché parlare in metafore quando lei stava impazzendo? “Che cosa significa? Me lo dica, la prego.”
 “Ti ho detto tutto quello che potevo dirti per indirizzarti sulla strada giusta, ora sta a te. Non posso proprio interferire più di così” disse e coprì la sfera con un foulard colorato. Prese le certe e ricominciò a mescolarle per poi metterle via nella loro custodia. “anche se vorrei tanto, credimi...” aggiunse a bassa voce parlando più tra sé e sé che a Alice.
Alice non sapeva come spiegarlo ma gli credeva. Quell'uomo dagli occhi grandi aveva guardato non solo nella sua sfera di cristallo (o probabilmente di semplice vetro) ma anche nell'anima di Alice fino ad afferrare i suoi turbamenti, ciò che le stava più a cuore. Alice non poteva dire di sapere esattamente cosa fare ma avrebbe ricordato le parole del veggente e le avrebbe usate per salvare Hartley perché ormai si trattava di una questione di vita o di morte. La ragazza avrebbe tanto voluto convincere l'uomo a leggerle la mano o qualcos'altro ma dovette rassegnarsi a salutarlo. Aprì la sua borsa e vi infilò una mano per trovare il portafogli. “Quanto le devo?”
Proprio allora il suo cellulare squillò e lo estrasse per rispondere. Il numero sul display era nascosto e Alice notò anche che non c'era campo. Strano, visto che erano all'aperto, in ogni modo si scusò e alzandosi uscì appena fuori dal tendone. Si portò il cellulare all'orecchio ma dall'altra parte non c'era nessuno, si sentiva solo un rumore di sottofondo, come un'interferenza. Alice riattaccò e ritornò nella tenda. “Dunque, quanto le-” Alice si interruppe quando scoprì che il veggente non era più seduto al suo posto. Forse era uscito come lei e non se n'era accorta. Lungo il marciapiedi però non c'era nessuno. Se n'era andato, senza nemmeno farsi pagare.

-

 

Neanche mezz'ora dopo Alice era a casa. Raccontò al portiere di essere uscita prima a causa di una riunione degli insegnati e lo stesso fece con la cameriera sorpresa di vedere la ragazza rientrare mentre spolverava i mobili del soggiorno. Si buttò sul letto e prima di accorgersene i suoi occhi iniziarono a chiudersi e tutte le ore di sonno perse piombarono su di lei. Le sembrò di aver dormito una giornata intera quando i colpi alla porta la svegliarono fastidiosamente a poco a poco. “Alice! Che stai facendo lì dentro? Alice?” era la voce insistente di sua madre, evidentemente appena tornata dal lavoro. Dovevano essere più o meno le due del pomeriggio. Alice si strofinò gli occhi e si alzò, barcollando leggermente verso la porta. Quando la aprì trovò il volto impaziente della Signora Abrhams. Non appena quest'ultima ebbe dato uno sguardo ai capelli scompigliati della figlia fece una smorfia. “Non avrai dormito? Proprio oggi scegli di fare un riposino di bellezza?”
Alice si passò d'istinto una mano tra i capelli nel vano tentativo di sistemarli. “Perché? Che cosa succede oggi?” chiese con scarso interesse.

La signora Abrhams si aprì in uno dei suoi famosi sorrisi soddisfatti. “C'è una visita per te”
 “Ok, andiamo a vedere” disse Alice con l'intenzione di uscire e andare in salotto, ma la madre le sbarrò la strada. “Oh no, prima ti vai a pettinare quei capelli decentemente e indossi qualcosa di carino.” aveva ancora l'uniforme della scuola e per giunta era anche stropicciata dopo averci dormito.
Alice sospirò. “Andrò a pettinarmi ma non ho assolutamente voglia di andarmi a cambiare per vedere...chi è che devo vedere?”
 “Sistemati e lo vedrai. Fai la brava ragazza, Alice. Ti ha portato così lontano” e con questo se ne andò in soggiorno senza rispondere alla sua domanda.
La brava ragazza. Di sicuro questo era quello che Alice era stata per tutta la sua vita ma l'aveva davvero portata lontano? Aveva seguito le indicazione della madre senza mai discutere ma quello che la Signora Abrhams non sapeva era che qualcosa era cambiato tre anni prima. Hartley aveva cambiato Alice, le aveva aperto gli occhi e ora era arrivato il momento di aprire le porte del cuore e della mente, di essere un po' meno una brava, obbediente ragazza e un po' più la persona che c'era sotto.
Come promesso si passò la spazzola lungo i capelli lucenti ma rimase in uniforme, sistemandosela solo un po' per non sembrare trasandata. In realtà Alice aveva una mezza idea su chi potesse aspettarla in soggiorno. Qual'era la persona preferita di sua madre negli ultimi tempi?
Aprendo la porta del soggiorno scoprì di avere indovinato. Justin.

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Capitolo 16
*** Grounded ***


Era in piedi accanto al suo divano, le mani in tasca, non un capello fuori posto proprio come sempre. Alice l'aveva visto appena la sera precedente ma sembrava già passata un'eternità.
 “Ciao Alice” la salutò con un sorriso solo accennato.

Alice prese un respiro e ricambiò il saluto. “Hey Justin” era buffo ma si era accorta che l'alone di fascino che solitamente il ragazzo emanava e che era impossibile da ignorare, non c'era più. Era come svanito.
Justin fece un paio di grandi passi verso di lei. “Mi chiedevo perché non fossi a scuola oggi-”

 “Shh!” lo fermò Alice abbassando la voce. “Mia madre non sa che ho saltato la scuola” lo avvertì guardandosi intorno, assicurandosi che le porte fossero ben chiuse.
Justin fece un cenno con la testa in segno di comprensione. “Già, si capisce dall'uniforme.” commentò guardando l'abbigliamento di Alice.
 “Ascolta, mi dispiace molto di essermene andata così all'improvviso ieri sera ma avevo una questione importante di cui occuparmi e proprio non potevo restare” si scusò, perché era buona educazione e perché sinceramente non le veniva in mente altro da dirgli.
“è tutto ok, non me la sono presa. Beh forse un po'” rispose alleggerendo l'atmosfera.
Alice gli sorrise grata.
“Sono venuto per darti l'opportunità di rimediare, comunque” aggiunse il ragazzo.
L'espressione di Alice si fece confusa, cosa che Justin notò subito perché reagì con una risata. “Non preoccuparti, non è niente di spaventoso. Solo un'uscita.” spiegò.
 “Un'uscita...?”
 “Un appuntamento se preferisci.”
Alice parve caduta dalle nuvole. “Un appuntamento? Con me?”
Justin aveva tutta l'aria di godersi ogni secondo. “Beh prima ho invitato tua madre ma ha rifiutato...”
 “Cosa?”
Ora Justin rise di gusto. “Scherzavo! Si, è con te che vorrei uscire Alice. Da soli, senza mamme o sorelle. Che ne dici?”
Alice sbatté le palpebre decisamente presa di sorpresa. “Wow, ehm...” era difficile trovare le parole giuste per declinare l'invito perché è questo che avrebbe fatto. Si sentiva un po' in colpa dato che non era la prima volta. “Justin, proprio non posso”
 “Non ti ho nemmeno detto dove e quando” rispose alzando le sopracciglia.
 “Ecco, il punto è un altro. In questo momento ho molte cose per la testa. Ho un amico che ha bisogno di me e non posso permettermi di non essere reperibile per lui, capisci?” spiegò Alice gesticolando un po' a disagio.
Justin rimase in silenzio per qualche secondo. “Quindi rinuncerai del tutto alla tua vita a causa dei suoi problemi?”
 “Beh, non è proprio una rinuncia. Io ci tengo molto a lui” si difese Alice. Aveva la sensazione che la stesse mettendo all'angolo.
Justin iniziò a camminare per la stanza. “è il tuo ragazzo per caso?”
Alice si irrigidì. “No, te l'ho detto è solo un amico.”
 “D'accordo, diciamo che è così. Ma è talmente egoista da chiederti di mettere da parte la tua vita per lui?”
Questa aveva tutta l'aria di un'accusa. “Non mi ha chiesto proprio niente, sono io che mi sono offerta di aiutarlo perché è questo che gli amici fanno.” ora cominciava a scaldarsi.
 “E che cosa stai facendo nello specifico per aiutarlo?”
 “Beh, io...”
 “Quindi?”
Alice non voleva dirgli cosa stava succedendo a Hartley anche perché nemmeno lei ne era troppo sicura, quindi come poteva togliersi da quella situazione? “Vattene” esclamò prima di rendersene conto.
Justin era a dir poco stupefatto. “Come?”
 “Vattene. Non posso uscire con te e dopo questa conversazione non mi dispiace nemmeno più di tanto” La stessa Alice faticava a credere che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca ma era così. Stava iniziando a essere la Alice coraggiosa che non era mai stata.
Per una frazione di secondo giurò di aver visto passare sul volto di Justin delle tracce di rabbia e umiliazione, tutte cose che non gli erano mai appartenute. L'unica volta che l'aveva visto arrabbiato era stata alla sua festa di non-compleanno, quando aveva scoperto sua sorella in difficoltà. Durò comunque troppo poco per preoccuparsene e in un istante Justin era tornato come prima, solo un po' deluso. Si avvicinò disinvolto ad Alice che stringeva i pugni come se fosse pronta alla lotta.
 “Sembra che abbiamo sempre delle incomprensioni noi due, non è vero?” disse, nella sua voce una certa amarezza. “Tutto quello che voglio è darti una scelta, Alice. Tu mi piaci e vorrei conoscerti meglio. Tuttavia me lo stai rendendo molto difficile” concluse, rimanendo però fermo dov'era, accanto ad Alice.
La ragazza a sua volta era immobile, gli occhi fissi su quelli di Justin. Al loro interno le parve di riconoscere una piccola speranza, di un segno di pace forse o magari addirittura di una risposta positiva al suo invito. Alice si sentì attirata verso queste possibilità solo per un attimo ma non era abbastanza. Era vero, lei e Justin avevano sempre delle incomprensioni ma questa volta non era disposta a perdonarlo per come aveva parlato del suo rapporto con Hartley. Lui non lo conosceva nemmeno, dannazione!
Lo sguardo di Alice e il suo silenzio erano abbastanza eloquenti e Justin capì che doveva proprio andarsene. Arrivato alla porta si voltò un'ultima volta. “Ci vediamo presto, Abrhams”.
Mentre la porta si chiudeva, Alice non riuscì a non sentire una voce nella sua testa che la rimproverava di non essersi comportata bene verso Justin, ma dovette farla tacere. Purtroppo però c'era un'altra voce ben più reale che non sarebbe stato facile zittire.
La signora Abrhams spalancò la porta del salotto e il suo volto adirato non prometteva niente di buono. Alice si sedette sul divano.
 “Che diavolo è successo?” esclamò la donna entrando a falcate nella stanza e andandosi a posizionare davanti ad Alice.
 “è stata una visita breve” rispose Alice laconica cercando di non mostrarsi intimidita.
 “Beh questo l'ho constatato anch'io! Mi chiedo solo perché a un certo punto ti ho sentita alzare la voce”
 “Mi stai dicendo che stavi origliando, mamma?”chiese Alice.
 “Le pareti sono sottili e in questo modo sono riuscita a sentire che Justin Van Horten ti ha chiesto di uscire con lui! E tu hai rifiutato!” come al solito il nome di Justin veniva pronunciato come fosse quello di una grande star di Hollywood mentre Alice passava per l'ignorante che non aveva visto nessuno dei suoi film. “Mi vuoi spiegare perché?”
Alice prese un respiro. “Se hai ascoltato la nostra conversazione allora saprai anche che mi ha mancato di rispetto” replicò.
 “Ah!” sbottò la donna. “posso immaginare chi fosse il soggetto di quel passaggio”
L'acidità con cui lo disse fece ribollire il sangue alla figlia. “Puoi anche dirlo mamma. Hartley” ora era lei a scandire bene le parole. In questo caso però poteva essere utile dato che la signora Abrhams non sembrava in grado di ricordare il nome del migliore amico della figlia.
La donna alzò gli occhi al cielo. “Il tuo amico sta facendo esattamente quello che avevo sempre temuto. Ti sta intralciando! Non lo vedi? Perché mai dovresti preferire passare del tempo con quel ragazzo piuttosto che con Justin Van Horten che è di buona famiglia e per di più interessato a te?!”
 “Anche Hartley era di buona famiglia e si interessa a me molto più di chiunque altro” ribatté Alice volutamente acida. Gli occhi della Signora Abrhams si allargarono talmente che Alice temette che le uscissero dalle orbite. Era stata molto esplicita.
 “Se stai insinuando che io non mi interessi di te, allora mi spieghi cosa ho fatto negli ultimi diciassette anni? Non ti ho tenuta al sicuro? Non ti ho dato i vestiti più belli e la migliore istruzione?” ora era veramente arrabbiata e Alice non si sentiva più così coraggiosa, ma piccola e indifesa. “E adesso che stai per entrare nel mondo reale voglio che tu non sia sola ma che abbia qualcuno al tuo fianco come il giovane Van Horten, è così sbagliato?”
 “Non puoi decidere tu per me, mamma.” rispose Alice ritrovando parzialmente la forza di poco prima. “Justin è simpatico nonostante a volte non ci capiamo ma Hartley...è un'altra cosa” sapeva che non era una descrizione molto convincente ma si stava perdendo. Succedeva sempre quando cercava di esprimere a parole cosa rappresentava Hartley per lei. La Signora Abrhams scuoté la testa. “Proprio come avevo predetto. Ti sei infatuata di Jacobs”
Alice scattò in piedi. “Non è così! Perché nessuno vuole capire che siamo solo amici?”
 “E allora perché hai rifiutato di uscire con Justin?”

 “Perché non ne ho il tempo adesso!”

 “Sempre a causa di Jacobs, giusto?”

 Alice si sentì scoppiare la testa. “Si, lui ha bisogno di me adesso.”

 “E per quale motivo?” continuò la signora Abrhams con la sua raffica di domande.

 “è una faccenda privata”

 “Non si tratterà di droga, vero?”
Alice ebbe un sussulto ma sperò che la madre non se ne accorgesse. “Non è niente del genere” disse mantenendosi decisa.
 “Sarà meglio così” sentenziò la donna. “Comunque hai ancora diciassette anni e sei sotto la mia responsabilità” recuperando la tranquillità come se di punto in bianco sentisse di aver vinto la battaglia.

 “Cosa significa?” chiese Alice confusa.
La signora Abrhams si concesse un sorrisetto appena accennato dando le spalle alla figlia e preparandosi a uscire dal salotto. “Vuol dire che sei in punizione, Alice. Tornerai dritta a casa dopo la scuola e dopo le tue attività extra-curricolari. Questo con un'eccezione, il tuo appuntamento con Justin.”


Note: Hello! I rapporti tra Justin e Alice si stanno facendo tesi, quale sarà il suo ruolo nella vita della nostra protagonista d'ora in poi? Un pò mi dispiace trattarlo sempre male ma quando se lo merita... XP Nel prossimo capitolo: un incontro potenzialmente pericoloso, un contrattempo e la peggior lite di sempre tra Alice e sua madre! Stay tuned e grazie a tutti quelli che seguono :)

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Capitolo 17
*** The Meeting ***


Sua madre doveva essere pazza se pensava davvero di poterle imporre di fare qualcosa come andare a un appuntamento contro il suo volere. In punizione? L'ultima volta che era stata punita era stato a dieci anni per avere fatto cadere e infrangere un prezioso vaso di cristallo dal tavolino del soggiorno senza scusarsi. Ora aveva quasi diciotto anni e la sua 'punizione' era semplicemente assurda. Che avrebbe fatto sua madre per impedirle di vedere Hartley o di andare dove voleva? Incatenarla? Pedinarla? Il seme della ribellione adolescenziale che in tutti quegli anni non aveva mai attecchito stava mettendo radici dentro di lei. Con questi pensieri nella testa Alice si apprestava ad aprire la porta d'ingresso del Wondercafè. Ce l'aveva fatta, aveva disubbidito a sua madre tutta da sola! Non era stato così difficile come aveva pensato.
 “Se ti va un po' di compagnia per un caffè, io sono disponibile” la sorprese una voce alle sue spalle.
Già, infondo stava filando tutto troppo liscio. Alice si voltò lentamente con la mano ancora appoggiata alla maniglia ma sapeva già di chi si trattava; Justin, una mano in tasca mentre l'altra reggeva la cartella di scuola.
 “Justin, che ci fai qui?” chiese Alice con gli occhi spalancati.
Il ragazzo scrollò le spalle. “Dicono che qui facciano un caffè straordinario, volevo scoprire se è vero”
Era una risposta come un'altra e Alice colse subito il sarcasmo. “Mi hai seguita?” domandò accigliata.
Justin sorrise. “Eri così concentrata sull'arrivare qui che non te ne sei neanche accorta”
Dannazione, così non va bene, pensò Alice. L'aveva evitato tutta la mattina a scuola ma evidentemente non era stato sufficiente perché Justin era un passo avanti a lei. “Ascolta Justin, non voglio essere cattiva. Mi dispiace molto per come ti ho parlato ieri ma ora non posso stare a chiacchierare con te. Ho davvero una faccenda importante di cui occuparmi” spiegò nel tono più sincero che riuscì ad usare.
Justin sospirò. “Forse posso aiutarti, entriamo e lascia che ti offra qualcosa”
 “Non è il caso, ti prego. Prometto che parleremo domani a scuola” rifiutò Alice tentando di allontanarlo e temendo improvvisamente che qualcuno potesse vederli discutere attraverso la vetrina del locale.
 “Perché non adesso? Lascia che anch'io mi scusi per il tono che ho usato ieri. Non voglio litigare con te, Alice” disse lui guardandola negli occhi.
La ragazza si sentiva con l'acqua alla gola. Come poteva gestire Hartley e Justin allo stesso tempo senza far soffrire nessuno?
 “Justin, io..” il campanellino attaccato alla porta del Wondercafè trillò.
 “C'è qualche problema?” si inserì una voce nuova.
Alice si voltò di scatto. Hartley se ne stava appena fuori dal locale con un'espressione di diffidenza dipinta sul volto. Guardava dritto verso Justin. La situazione era appena peggiorata.
 “Hartley ciao, stavo giusto per entrare...”
 “è per caso questo l'amico di cui mi hai parlato? Se è così mi piacerebbe molto se me lo presentassi” si intromise Justin col suo sorriso educato. In realtà sembrava che non aspettasse altro che quel momento, ma forse era solo un'impressione.
Il volto di Hartley non si addolcì affatto. Alice non sapeva bene cosa dire o fare. “Già, è proprio lui” rispose suo malgrado. Si mise tra di loro e indicandoli fece le presentazioni. “Justin, questo è Hartley Jacobs, il mio migliore amico. Hart, questo è Justin Van Horten, frequenta la mia stessa scuola”.
 “Van Horten? Quei Van Horten?”chiese Hartley alzando un sopracciglio.
 “Gli unici e soli, temo” confermò Justin porgendo la mano al ragazzo. Dopo una breve esitazione Hartley la strinse e la lasciò andare.
 “Alice mi ha parlato tanto di te. Come ti va la vita, amico?” chiese Justin come se stesse conversando con una vecchia conoscenza caduta in disgrazia.
 “Non male, grazie” rispose Hartley lanciando un'occhiata ad Alice che intanto iniziava a sudare freddo. Non aveva mai 'parlato tanto' del suo amico con Justin ma doveva essere una di quelle cose che si dicono.
 “Ah, davvero? È buffo perché di te non mi ha mai detto niente” ribatté Hartley in tono tagliente.
Justin rise. Nulla sembrava mai scomporlo. “Forse non ne ha avuto il tempo, forse sei stato un po' irreperibile negli ultimi tempi” insinuò. Non si stava mettendo per niente bene per Alice.
Di nuovo Hartley guardò la ragazza come a chiederle spiegazioni. Alice poteva leggere le domande che gli affollavano la mente attraverso i suoi occhi: chi è questo tizio? Da dove è spuntato? Cosa gli hai detto di me? Desiderava solo di potere premere rewind e cambiare tutto così che i due non si incontrassero mai.
Era calato il silenzio, né Hartley né Alice sapevano cosa dire. Quello che lo sapeva invece, come sempre, era Justin che nello stesso modo in cui aveva iniziato quella imbarazzante conversazione, cercò di concluderla. “Avanti, non volevo certo offenderti, amico! Vogliamo entrare e farci questo benedetto caffè, piuttosto? Così avremo modo di conoscerci” propose rivolto principalmente ad Hartley.
 “Voi fate pure, io andrò a casa” disse Hartley avviandosi.
Cosa? Non poteva andare a casa così, pensò Alice. “Hart aspetta!” lo richiamò seguendolo.
Hartley allungò il passo ma la ragazza riuscì a fermarlo comunque afferrandolo per un braccio. “La vuoi smettere di scappare, per favore? Ho bisogno di parlarti!”
 “Tsk. Mi sembra che ci sia già il tuo amico ad ascoltarti” rispose Hartley acido.
 “Mi ha seguita dopo scuola, non volevo che vi incontraste così!” si giustificò Alice.
Hartley evitava il suo sguardo. “Come vuoi. Comunque non mi piace che tu gli parli di me quindi smettila, ok?” fece per andarsene di nuovo ma Alice non glielo permise.
 “Non gli ho mai raccontato niente su di te, gli ho solo fatto un accenno, lo giuro!”
 “Sembrava il contrario”
 “Hartley, quello che succede tra noi resta tra di noi. È sempre stato così” disse Alice catturando lo sguardo dell'amico. “Justin ha solo esagerato coi convenevoli, credo che volesse essere gentile”
Hartley diventò pensieroso. “E lo ha fatto perché...voleva fare bella figura?”
 “Ehm, immagino di si” rispose lei confusa.
 “Quindi uscite insieme adesso?”
Alice rimase a bocca aperta. Ora aveva capito! Hartley doveva aver pensato che quella fosse una specie di presentazione a sorpresa perché credeva che loro due... “No! No, no, non c'è niente tra i noi! Ci siamo appena conosciuti!” si affrettò a spiegare prima che si creasse un vero equivoco.
Hartley la osservò attentamente in volto come se stesse cercando di capire se era vero o no. “D'accordo. Sono affari tuoi comunque” disse.
 “Hartley-”
 “Puoi tornare da lui adesso, vado a casa”
 “Cosa?”
 “Ho detto che vado a casa” ripeté Hartley voltandosi e muovendo un paio di passi lontano da lei.
 “Sono stanca!” sbottò Alice.
Hartley si fermò all'istante e si girò di nuovo verso di lei. Gli occhi verdi di Alice brillavano di lacrime non ancora versate ma nonostante ciò si rifiutava di abbassare lo sguardo. Stringeva forte i pugni lungo i fianchi. “Sei sempre arrabbiato con me e sono stanca! Dimmi almeno cosa ti ho fatto!”
Il ragazzo era rimasto senza parole ma per la prima volta da tempo sul suo viso c'era qualcosa del solito Hartley, quello che teneva a Alice, che le voleva bene. “Alice, non sono arrabbiato con te” rispose cautamente.
 “Ah no? Allora perché non fai che respingermi quando tento di parlarti e mi tratti sempre male?” chiese lei con forza. Ora si che piangeva. “Mi manchi, Hart”
Dovevano essere state le parole giuste per scioglierlo perché subito dopo il ragazzo aveva preso Alice tra le sue braccia. La strinse a sé come se non avesse desiderato altro da tutti quei giorni. Alice quasi non ci credeva ma si aggrappò forte a lui e cominciò a singhiozzare. Sentì di aver finalmente aperto un varco, poteva ancora aiutarlo e riuscire a salvarlo.
 “Mi manchi anche tu” aggiunse Hartley con un filo di voce.
Ora che gliel'aveva sentito dire, Alice stava già infinitamente meglio. “Torniamo al Wondercafè ora. Se Justin è ancora lì lo manderemo via” disse Alice con un accenno di sorriso.
Hartley si spostò di poco per poter guardare Alice. “No, ho già causato a Jeff troppo disturbo, poi ora è tornata sua moglie...”
 “Ma non puoi tornare al tuo appartamento!” protestò Alice. “Le persone che ti hanno fatto del male sanno di sicuro dove abiti!”
Hartley scuoté la testa. “Alice non devi preoccuparti per me, sul serio. Ora sto molto meglio ed è tutto risolto.”
La ragazza lo conosceva troppo bene per cascarci. “Stai mentendo. E so anche perché”
Hartley lasciò andare piano Alice; era stupito ma rimase in attesa.
 “Quando me lo hai chiesto non ti ho creduto veramente ma ora è tutto diverso. Sono pronta ad aprire il mio cuore e la mia mente a tutto ciò che non capisco, anche all'incredibile!” annunciò Alice ispirandosi alle parole profetiche del veggente che aveva incontrato. “Quindi dimmi la verità, Hartley. Io ti crederò”
In un primo momento il ragazzo non disse niente, rimase semplicemente fermo a esaminare Alice. Quest'ultima sapeva che in quei secondi Hartley stava decidendo se confidarle quello che gli era successo negli ultimi giorni o se continuare a rimanere chiuso in sé stesso. “D'accordo” disse infine.
Un enorme peso aveva lasciato le spalle di Alice. Ora sarebbe andato veramente tutto a posto, lo sentiva. Gli sorrise e gli prese la mano. “Torniamo indietro, ok? Mi spiegherai tutto”
Anche lui sorrise, e Alice ne fu immensamente felice. “E tu mi spiegherai come hai fatto a diventare amica di Justin Van Horten?”
Alice alzò gli occhi al cielo. “Si” gli concesse.
Non si erano allontanati di molto dal locale e quando vi si trovarono davanti di nuovo Justin era effettivamente ancora lì. Alice non fece in tempo a pensare a cosa dire per convincerlo a lasciarli soli che qualcos'altro attirò la sua attenzione. La ragazza sentì un brivido lungo la schiena quando vide la sua macchina accostare lungo il marciapiedi. Sua madre doveva aver scoperto che era lì che passava molto tempo e aveva spedito Arthur a prenderla e portarla a casa. A quanto pare si sbagliava sulla storia del farla pedinare. Ma era molto peggio di quanto pensasse. Quando il finestrino si abbassò non era quello della parte del guidatore, bensì quello posteriore. L'espressione in parte adirata ma soprattutto vittoriosa della Signora Abrhams diceva tutto. Alice rabbrividì incontrando i suoi occhi di ghiaccio. Hartley le diede una strizzata alla mano, come faceva sempre, per darle forza.
 “Alice sali subito in macchina” le ordinò.
Ma come? Come aveva fatto a scoprirla? La risposta alle sue domande stava in uno scambio di sguardi tra la donna e Justin. Poteva essere che...?


Note: yeah sono riuscita a pubblicare il nuovo capitolo! Come al solito, scusate l'attesa! Dunque, Alice è stata interrotta dalla madre proprio sul più bello e sarà vero che Justin ha fatto la spia? Oh, poi sono felice di aver finalmente rotto la parete di ghiaccio tra Alice e Hartley, ora vi prometto che a poco a poco lui tornerà l'Hartley di sempre! Nel prossimo capitolo una grossa litigata e il ritorno di un personaggio che non si vedeva da un pò. Alla prossima!! ;)

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Capitolo 18
*** Two Weeks ***


“Sono profondamente delusa dal tuo comportamento, Alice, voglio che tu lo sappia” la rimproverò la Signora Abrhams.
Alice guardava fuori dal finestrino dell'auto, riservando alla madre il trattamento del silenzio. Era arrabbiata, talmente arrabbiata che riusciva a stento a trattenersi dal risponderle.

 “Mi sono detta che era normale che facessi un po' di capricci visto che sei stata una figlia esemplare per tutti questi anni e così ti ho dato una punizione come avrebbe fatto qualunque altro buon genitore” continuò la donna. “ero certa che in questa maniera mi avresti ascoltata, che saresti tornata in te, invece...”

Alice ascoltava solo per metà le parole della madre, era troppo occupata a pensare a quanto era arrivata vicina a sapere la verità su quello che stava succedendo a Hartley. Così vicina...
 “Dimmi cosa dovrei fare con te, Alice?”
 “Non lo so, forse potresti chiederlo al tuo nuovo amico Justin” sibilò Alice rompendo il silenzio. Ecco un altro argomento che le faceva saltare i nervi.
 “Di che cosa stai parlando?” chiese la signora Abrhams stancamente.
 “Oh, non fingere di non saperlo, per favore! Gli hai detto tu di seguirmi, non è vero?”
 “Va bene.” sospirò la donna rendendosi conto che fingere non era necessario arrivata a quel punto. “Mi ha chiamata poco fa per avvertirmi che ti trovavi qui e che quindi non stavi tornando a casa come avresti dovuto. Ma non gli ho chiesto di seguirti” specificò alla fine.
Alice incrociò le braccia davanti al petto. “Come no”
 “Ti sto dicendo la verità, non fare la bambina! Tutto quello che gli ho chiesto è di tenerti d'occhio, cosa non troppo faticosa per lui dato che nutre un interesse nei tuoi confronti”
Alice si voltò di scatto verso la madre rimanendo lì per lì a bocca aperta. “Non posso crederci! In un momento del genere ancora insisti per spingerci l'uno verso l'altra!”
 “Spiegami cosa ci sarebbe di male” rispose la madre apparentemente calma.
 “è assurdo, mamma! Perché non lasci che io viva la mia vita e che prenda le mie scelte?”
Ora la calma della Signora Abrhams era sparita. “Perché? Perché non voglio che tu finisca su una brutta strada, non voglio che tu finisca come tuo padre!” sbottò.
Alice strabuzzò gli occhi. La Signora Abrhams sembrava sorpresa dalle sue stesse parole o forse più dal fatto che le aveva lasciate uscire dalla sua bocca.
Come può parlare così di papà? Pensò Alice. Come se fosse stato un poco di buono! “Sarei solo fiera di diventare come lui” le disse lentamente.
La Signora Abrhams soppesò lo sguardo della figlia e scuoté leggermente la testa. “Oh, Alice. Tu non hai idea di cosa parli. Eri troppo piccola quando se n'è andato per vedere le cose con chiarezza” disse mestamente.
 “Questo non è vero! Ero grande abbastanza da sapere che voleva solo che io crescessi felice”
 “E non è stato così?”
 “Mi hai tenuta costantemente sotto una campana di vetro, mamma. Non uscivamo mai, non facevamo mai niente di divertente! Tu pensavi solo al lavoro e a come la gente ci poteva vedere” si sfogò la ragazza.
 “Ho dovuto, per garantirti un'infanzia sicura e un futuro radioso! E sai una cosa? Ci sono riuscita: tu andrai alla Juilliard”
 “Forse no” la sfidò Alice.
 “Come hai detto?”
 “Hai sentito bene”
Aveva trovato il punto giusto dove attaccare, la signora Abrhams apparve quasi spaventata. “Non sei divertente, Alice. In nessun caso ti lascerei perdere la tua grande occasione, l'occasione di diventare qualcuno!”
 “Qualcuno che corrisponde al tuo ideale di figlia perfetta! Non ce la faccio più a cercare di accontentare le tue aspettative!” dichiarò infine.
Senza nemmeno accorgersene la macchina si era fermata, erano arrivate a casa, chissà da quanto. Nonostante ciò le parole appena pronunciate da Alice aleggiavano tra lei e la madre impedendo ad entrambe di muoversi. La sensazione che provava la figlia era bizzarra. Aveva sempre creduto che essere sincera con la madre l'avrebbe fatta sentire libera un giorno, ma ora che quel giorno era giunto non si sentiva affatto vittoriosa. La Signora Abrhams fu la prima a scendere dall'auto, senza dare una risposta all'ultima affermazione di Alice. Lei invece, rimase lì ancora un po', chiedendosi quanto aveva ferito sua madre e se le cose si sarebbero aggiustate.

-

Dire che il clima era gelido in casa Abrhams sarebbe stato un eufemismo; pur essendosi tolta un peso dalle spalle, Alice non era riuscita a non sentirsi in colpa per come aveva parlato alla madre. Da lì le cose avevano preso una brutta piega, perciò Alice decise di rallentare con il suo piano di ribellione e dare invece retta alla Signora Abrhams per un paio di settimane. Infondo anche se era già stata accettata al college da lei prescelto doveva comunque affrontare gli esami finali e passarli a pieni voti l'avrebbe messa ancor più in buona luce per la Juilliard. Valeva a dire che durante quelle due settimane avrebbe studiato, sarebbe tornata a casa dopo le lezioni proprio come le aveva imposto la madre e non ci sarebbero più state discussioni. Alice aveva sperato che così facendo si sarebbe sentita meglio e che anche la madre avrebbe smesso di trattarla con freddezza. In realtà in quegli ultimi giorni non si era mai sentita così sola in quella casa.
In compenso Alice teneva a bada la sua crescente curiosità per la rivelazione che Hartley stava per farle ricostruendo un rapporto con lui. Non aveva più rivisto il suo amico dopo quel pomeriggio, ma Jeff gli aveva prestato il suo cellulare e in questo modo i due potevano mandarsi messaggi in qualsiasi momento. Se non altro era riuscita a convertire Hartley alla moderna tecnologia. Guardando il calendario Alice si rese conto che oltre alla data degli esami anche un altro evento si stava avvicinando: il suo compleanno. Mancavano meno di tre settimane al 3 giugno, al giorno in cui Alice avrebbe compiuto diciotto anni. Con tutto quello che le stava succedendo le era passato di mente. Il numero diciotto aveva sempre significato libertà per la ragazza. Libertà di scegliere per sé, di svincolarsi dai desideri della madre, di andare doveva voleva quando lo voleva. Lei e Hartley avevano spesso immaginato come sarebbe stato quel giorno. Prima di tutto l'idea era quella di passare l'intera giornata insieme perché nessuno avrebbe potuto impedirglielo. Alice, finalmente in possesso dell'eredità del padre, avrebbe acquistato due biglietti per Coney Island dove lei e l'amico si sarebbero divertiti sulle giostre come bambini. D'altronde Alice non era mai stata a un luna park. Hartley si invece, una sola volta; aveva otto anni e rappresentava uno dei ricordi più cari che il ragazzo custodiva della sua famiglia. Fu prima che tutto andasse in frantumi... Alice lo sapeva bene e per questo ogni anno per il suo compleanno si ritrovava a fantasticare di quel futuro 3 giugno, desiderando che arrivasse prestissimo. Chissà se anche Hartley si era ricordato dei loro progetti...
Quel pomeriggio Alice si trovava nella biblioteca della scuola, aveva avvertito la madre lasciandole un messaggio in segreteria, giusto per continuare a non destare sospetti ma ormai la sua pazienza era arrivata al limite; aveva in mente di passare al Wondercafé a trovare Hartley dopo essere uscita da scuola. Era proprio con Hartley che stava messaggiando invece di tenere gli occhi sui libri. Comunicare con i loro cercapersone era stato divertente ma a ottobre, per il suo di compleanno, Alice avrebbe dovuto convincere l'amico ad accettare un cellulare come regalo. Scambiarsi messaggi era molto più chiaro è semplice che usare un linguaggio in codice. Non riuscì a trattenersi dall'emettere una risatina leggendo l'ultimo sms che le aveva inviato e sperò di non aver attirato l'attenzione di nessuno. Proprio allora un colpetto di tosse alle sue spalle la fece sobbalzare e nascondere il telefonino nella tasca del cardigan subito dopo. Pensò che si trattasse della bibliotecaria o addirittura di un professore ma voltandosi scoprì che non c'era un adulto, bensì Anne Van Horten. Aveva tutta l'aria di sentirsi a disagio, il suo sguardo vagava tra quello di Alice e lo spazio intorno a lei.
 “Ciao Anne” la salutò Alice con naturalezza.
 “Ciao Alice. Hai un minuto?” le chiese la ragazza con la sua voce da bambina.
 “Ma certo, siediti” rispose Alice spostando la sedia accanto alla sua. Anne prese posto e poggiò i gomiti sul tavolo. Era diversa dalla solita Anne timida ma spensierata e questo diede a Alice da pensare. “Va tutto bene?”
Anne alzò la testa incontrando i suoi occhi con cautela. “è un po' che non ci vediamo” disse timidamente.
Alice si ricordò della cena a casa Van Horten alla quale aveva partecipato poco più di due settimane prima e si rese conto che tagliando fuori Justin aveva involontariamente fatto lo stesso con la sorella; Anne aveva tanto insistito affinché passassero tutti e tre la serata insieme. Ora le cose erano cambiate tra lei e Justin ma probabilmente Anne non ne sapeva nulla. Si sentì un po' in colpa. “Già, mi dispiace molto. Sono stata impegnata con lo studio per gli esami finali e...”
 “So della tua lite con mio fratello” la interruppe Anne spiazzandola. “Non conosco i dettagli, lui non vuole parlarne con me ma...non se la passa bene.” spiegò grave.
In teoria se Justin era rimasto offeso dai suoi continui rifiuti o se 'non se la passava bene' erano solo affari suoi e ad Alice non interessava più. Tuttavia non potè evitare di chiedere “In che senso?”
 “Beh, non so se hai presente il suo amico Mike. Forse l'hai visto alla sua festa, stava alla porta a controllare gli inviti.”
Si, Alice se lo ricordava. Le era sembrato decisamente distratto e di sicuro brillo. “Si, e allora?”
Anne prese un respiro denso di preoccupazione e iniziò a torturarsi le dita delle mani. “Era da un pezzo che non lo frequentava sul serio, che non uscivano in compagnia, sai? Ma ora ha ricominciato e quando rientra a casa a tarda notte...è sempre ubriaco fradicio, risponde male sia a me che a mamma e papà, quando ci sono, e non so più che pensare”
Alice non si sarebbe mai aspettata di sentire un storia del genere. Se c'era una cosa di cui era sicura era che Justin non si lasciava scalfire da niente, anche quando riceveva un no come risposta tornava sempre all'attacco come se nulla fosse successo. E allora che cosa l'aveva ridotto così?
 “Mi dispiace, Anne. Ma cosa c'entro io?”
Anne aggrottò la fronte. “Beh, sei tu la causa del suo comportamento” disse come se fosse ovvio.
 “Io? E perché?”
Anne la osservò in silenzio per una manciata di secondi prima di rispondere. “Davvero non lo hai capito?”
Alice scuoté la testa. A quel punto Anne la guardò dritto negli occhi. “Senti, se sapesse che ti ho detto questo è probabile che mi ucciderebbe ma a questo punto è necessario. Tu gli piaci. E non come gli sono piaciute altre ragazze prima, questa volta è diverso. Sei la prima che porta a casa, la prima che piace a mamma e onestamente, anche la prima che piace a me” fece una pausa e sorrise per poi ritornare seria. “Sta male per qualsiasi cosa sia successa tra di voi o forse perché...perché questa volta si è reso conto che non può ottenere ciò che vuole con la solita facilità. Quindi, se anche lui ti piace per favore sistema le cose. O almeno...parlaci. Per me.”
Prima sua madre e ora Anne. Entrambe sostenevano che Justin provava dei sentimenti per lei. Il dubbio si insinuò nella sua testa e Alice pensò che se fosse stato vero non avrebbe avuto la più pallida idea di come affrontare la cosa. Aveva altri progetti per la sua giornata, ma come poteva dire di no a quegli occhioni color del mare pieni di apprensione e aspettativa?

Note: Hola! Che ne pensate di questo capitolo? Probabilmente mi odiate perchè la sto tirando per le lunghe ma è un percorso che va così adesso e non durerà in eterno comunque (sorry!!). La Signora Abrhams ha accennato a qualcosa riguardante il defunto padre di Alice e quest'ultima non ne è stata affatto felice, c'è un desiderio di continuare a fare la brava contrastante a quello di essere libera e con l'avvicinarsi del compleanno può succedere di tutto. Allo stesso tempo l'amicizia che Alice ha instaurato con Anne (e la sua innata generosità) non le permettono di voltare le spalle a Justin. Nel prossimo capitolo: uno sconvolgimento per Alice! xoxo

 

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Capitolo 19
*** Unexpected ***


Trattandosi di Justin Van Horten, Alice era riuscita a farsi mandare l'auto privata guidata dal fedele Arthur per portarla a una pista da golf a venti minuti dalla scuola. Sua madre era sembrata sciogliersi appena un po' dal gelo che l'aveva avvolta e alla fine della telefonata le aveva semplicemente ricordato di non fare troppo tardi (leggi: non approfittartene). Era già qualcosa. D'ogni modo, un campo da golf non era proprio il primo posto in cima alla lista di luoghi perfetti per combinare guai secondo l'opinione di Alice, tuttavia Anne l'aveva mandata là sicura di averci visto giusto e assicurandole che avrebbe capito una volta arrivata. Beh, ora Alice era scesa dall'auto e davanti a lei il grande cancello automatico lavorato con mille ghirigori non le dava affatto l'idea di essere losco, lo stesso valeva per la svettante insegna “New York City Exclusive Golf Club” sopra di esso. Nell'avvicinarsi alla porta d'accesso lasciata aperta accanto al cancello, Alice si chiese se l'avrebbero fatta entrare senza essere un membro del club. Non l'aveva neanche mai tenuta in mano una mazza da golf. Camminò lungo un breve sentiero ricoperto di ghiaia che conduceva alla reception. Alice entrò e individuò subito la segretaria al bancone. Era al telefono, parlava concitata guardandosi intorno di tanto in tanto come se temesse di finire nei pasticci da un momento all'altro. Quando i suoi occhi si posarono su Alice, ora proprio davanti a lei, le fece segno con la mano di attendere. “Si, ma certo” disse al suo interlocutore. “Mi rendo conto signor Tucker...”. Doveva avere non più di venticinque anni, chissà com'è finita a lavorare qui? si chiese Alice senza un motivo. “La ringrazio per la sua pazienza, non esiti a richiamare se le serve qualcos'altro” mise giù la cornetta e prese un respiro silenzioso. Alice poteva scommettere che la ragazza non sperava proprio che quel tipo la richiamasse. A quel punto la receptionist portò la sua attenzione su di lei e sorrise cordiale. “Salve, in cosa posso esserle utile?”
Già, in cosa? Avrebbe detto quello che le serviva, sperando che la ragazza sarebbe stata così gentile da farla passare. “Ecco, un mio amico è qui oggi e vorrei entrare per salutarlo”

 “Il suo amico è al corrente del suo arrivo?”
 “No, è stata una decisione dell'ultimo minuto”
La receptionist si mordicchiò il labbro. “Mmh, suppongo che lei non sia un membro del club, non l'ho mai vista da queste parti”
 “è esatto, ma ho davvero bisogno di parlargli.”
 “Beh, non posso farla entrare senza il tesserino o un accompagnatore che sia un membro del club ma se mi dà il nome di questa persona lo faccio avvertire da un nostro collaboratore” propose gentile e professionale.
 “Si chiama Justin Van Horten”
La ragazza cambiò immediatamente espressione. “Oh grazie al cielo! Poteva dirlo subito!” esclamò sollevata riprendendo il telefono e premendo un paio di tasti.
 “Che vuol dire...?” chiese Alice giustamente confusa.
 “è venuta a portarselo via, giusto? È un'ora che vari clienti chiamano lamentandosi del comportamento del signor Van Horten e noi purtroppo non possiamo farci niente! Non possiamo permetterci di perdere un socio così importante...” spiegò uscendo per un attimo dal suo ruolo professionale. “Charlie? Vieni alla reception, ho qui una ragazza che è venuta a prendere Van Horten. Fai in fretta!” disse al telefono.
 “Cosa sta facendo esattamente?” chiese Alice.
 “È arrivato e ha iniziato a fare man bassa degli alcolici del servizio bar offrendone anche ai suoi due amici e da lì è stato il caos. Disturbano gli altri soci, urlano e imprecano. Non c'è molto che possiamo fare date le cospicue donazioni annuali dei Van Horten al Club.”
Ora Alice capiva perché non li avevano ancora cacciati. Ben presto un caddy arrivò a prenderla e insieme attraversarono il verde campo da golf. Era un bellissimo pomeriggio di sole, perché mai Justin aveva dovuto rovinarlo così? Una volta fermi non ci fu bisogno di indicare dove fosse il ragazzo, ci pensava già lui a farsi notare. Impugnava una bottiglia scura con un'etichetta che Alice non riconosceva, se la stava portando alla bocca per bere a canna mentre accanto a lui un altro tipo lasciava cadere per terra la sua mazza da golf per tentare goffamente di togliersi la maglietta. Un terzo ragazzo, il Mike della festa, rideva a crepapelle seduto sull'erba con una birra in mano. Sfido che gli altri soci si sono lamentati pensò Alice. Ma lei che poteva farci? Sperò che la sua sola presenza avrebbe fatto sentire Justin quanto meno in imbarazzo. Prese un respiro e si avvicinò di qualche passo ai tre ubriachi. Il primo a vederla fu quello ora senza maglietta. La squadrò da capo a piedi, soffermandosi infine con lo sguardo vacuo sul suo viso. “è arrivata la spogliarellista che abbiamo richiesto finalmente! Le prendono sempre più giovani, vedo.” commentò pronunciando malamente alcune parole.
Anche Mike la notò alzando lo sguardo. Rise ancora più forte tenendosi la pancia. “Amico quella viene alla nostra scuola, non vedi? Indossa la fottuta uniforme!” altre risate.

Fin troppe attenzioni per una persona timida come Alice. Proprio allora Justin passò tra i suoi due amici arrivando dritto davanti a lei. “Alice, che ci fai qui?” chiese mantenendo la voce ferma.
 “Stai causando dei problemi allo staff, tu e i tuoi amici siete ubriachi.” disse.
 “Puoi scommetterci!” esclamò il ragazzo a torso nudo alzando le braccia al cielo.
 “Io non mi sento ubriaco” aggiunse l'altro passando un dito intorno al collo della bottiglia di birra.
 “Non dovresti stare qui” le disse Justin a voce bassa. “Va a casa”
 “Ci vado se tu ci vai” controbatté.
Justin infilò le mani in tasca. Indossava anche lui l'uniforme ma mancava il cardigan, indossava solo la camicia bianca con le maniche arrotolate. “Che ti importa cosa faccio? Credevo mi avessi tagliato fuori.” rispose con una punta di amarezza.
 “Forse perché sembra che per quanto ci sforziamo di andare d'accordo c'è sempre qualcosa che ci divide” disse Alice schietta.
 “è vero. Apparentemente quel qualcosa si chiama Hartley” ora si che era acido e accompagnò le sue parole con un gran sorso dalla bottiglia che aveva appoggiato a terra.
 “Non si tratta affatto di Hartley! Sei tu che non riesci ad accettare l'idea che io possa dividere il mio tempo tra voi due!” ok, forse tentare di ragionare con un ubriaco non era proprio una grande idea ma in quel momento Alice non riusciva a fermarsi.
Justin scuoté la testa. “Ti ho chiesto di uscire più volte Alice e ogni volta è stato un rifiuto da parte tua. Sono riuscito ad averti a cena da me solo grazie all'intervento di mia sorella e delle nostre madri! Per il resto, scegli sempre Hartley” si sfogò passando dal fervore alla triste rassegnazione.
E dunque era così. Entrambi i ragazzi della sua vita erano gelosi l'uno dell'altro. Che situazione fastidiosa. Alice sospirò pesantemente. “Hartley è il mio migliore amico da anni ma anche tu sei mio amico ora quindi perché non possiamo esserlo tutti??”
 “Perché non voglio essere un semplice amico per te, Alice!”
La sorpresa di quella rivelazione (o era forse un'ammissione?) lasciò la ragazza senza parole e totalmente impreparata per quello che Justin avrebbe fatto subito dopo. La baciò. Il tempo parve fermarsi, una sensazione nuova la pervase e Alice vi si perse dentro. Aveva già ricevuto il suo primo bacio ma questo era diverso, immaginò che con ogni persona fosse un po' diverso. Il momento fu spezzato dai cori di “uuuu” dei due amici di Justin. Alice si staccò immediatamente da lui e si coprì la bocca con la mano.
Justin diede le spalle a Alice. “Ragazzi, è ora di andare” disse rivolto ai suoi amici.
 “Io non ho infilato la pallina in buca nemmeno una volta!” protestò Mike.
 “Sei un incapace Mike!” gli rispose l'altro amico in tono scherzoso.
Alice tossicchiò nervosa. “Ascolta, con cosa siete venuti? Avete bisogno di un taxi o...” stava per offrirgli un passaggio con la sua auto ma non era certa di voler passare altro tempo accanto a lui dopo quello che era appena accaduto. Le serviva un po' di tempo per riordinare le idee.
 “Siamo a posto, chiamerò l'autista di mia madre.” rispose Justin senza guardarla.
 “Va bene. Allora io vado” disse lei goffamente iniziando a muovere un passo lontano da lui.
 “Metterai altra distanza tra di noi adesso?” la richiamò Justin mentre dietro di lui i suoi amici li ignoravano, impegnati in una sorta di combattimento maldestro.
E che cosa poteva rispondergli? Sì perché non credo di volere che tu mi baci ancora? No perché tua sorella tornerebbe a cercarmi? “Fatti passare la sbronza, Justin. E smetti di far preoccupare Anne, ti vuole tanto bene” gli disse optando per qualcosa di neutro e concludendo con la ragione per cui era venuta. Le parve di vedere una reazione sul volto di Justin alla menzione di sua sorella ma per il resto rispose con un semplice cenno della testa. Alice si allontanò da lui e dai suoi amici, calpestando l'erba verdissima sotto i suoi piedi. Prima di tornare alla sua auto ancora parcheggiata davanti al club, rassicurò la ragazza gentile alla reception che di lì a poco sarebbe tornata la tranquillità. Era certa però che per lei non sarebbe stato lo stesso.

-

Alice aveva ormai abbandonato l'idea di passare a trovare Hartley e si era arresa a tornare a casa senza averlo visto, per l'ennesima volta. Almeno aveva portato a termine una buona azione aiutando Anne con Justin. Che l'aveva baciata però. Si sentiva strana, come se ora chiunque la guardasse in volto fosse in grado di rivedere quella scena e di darle il proprio giudizio. Uno già lo immaginava...sperava ardentemente che i due amici di Justin fossero abbastanza sbronzi da dimenticare tutto e tenere la bocca chiusa. In serata mandò un messaggio per Hartley sul cellulare di Jeff promettendogli che il giorno dopo si sarebbero finalmente rivisti. Dopo meno di mezz'ora arrivò un “ok” con una faccina sorridente da parte di Hartley. Alice sorrise e si chiese se l'amico non ci stesse prendendo gusto a usare il cellulare. Poi le tornò in mente il bacio con Justin e si domandò che cosa ne avrebbe pensato Hartley. Non voleva dirglielo, in qualche modo sentiva che non era giusto visto e considerato come aveva reagito alla sua sola presenza davanti al Wondercafè. Si addormentò stanca e confusa.
Il giorno dopo a svegliarla due minuti prima della sveglia fu la suoneria del suo cellulare. Le era arrivato un sms. Il numero era quello di Jeff il che significava che il mittente era Hartley.

Alice, non venire oggi. Facciamo un altro giorno.

Bel risveglio. Alice si mise a sedere e digitò in fretta una risposta.

Perché???

Pochi secondi e un altro messaggio era arrivato. Ti chiamo domani e ti spiego. È tutto a posto. Era fin troppo sospetto. Hartley spiegami, è successo qualcosa??

No, non preoccuparti. Solo non venire al Wondercafé, Alice. Ci sentiamo.

Già, come se avesse intenzione di dargli retta.


Note: fan di Hartley non odiatemi!! Lo amo tanto quanto voi! Justin doveva pur dar sfogo ai suoi sentimenti, ora non abbiamo più dubbi su quali siano! Detto ciò, sul finale del capitolo si affaccia qualcosa di misterioso, una minaccia diciamo. La trama si infittisce nel 20! Grazie a chi ha messo la mia storia tra le ricordate! Alla prossima! <3

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Capitolo 20
*** Emergency ***


Alice arrivò davanti al Wondercafè piena di apprensione. Man mano che si avvicinava infatti, non era riuscita a scacciare un brutto presentimento. Quando si trovò davanti alla vetrina purtroppo constatò che c'era davvero qualcosa che non andava; il suo cuore sprofondò nel vedere la porta del locale spalancata e un'enorme crepa lungo il vetro frontale. Muovendo i primi passi all'interno calpestò diversi pezzetti di vetro e porcellana cosparsi per terra. Alice seppe immediatamente di cosa si trattava: erano i resti dei bicchieri e del nuovo servizio da tè di Jeff. Intorno a lei regnava il caos. Alcune sedie erano capovolte ed era rimasto ben poco ancora intatto. Alice strinse i pungi trattenendo dentro di sé la rabbia che saliva e saliva. Quelle belle tazzine, l'arredamento elegante...perché? Di sicuro i ladri avevano svuotato la cassa ma perché distruggere tutto così invece di andarsene e basta? E poi la domanda più importante di tutte: dov'erano Jeff, Iris e Hartley?
Alice si fece coraggio e aprì la porta che dava sulle scale per il piano superiore, dove si trovava l'appartamento dei suoi amici. Non era mai stata lì. La carta da parati verde chiaro che ricopriva i muri del corridoio la condusse alla porta di un piccolo soggiorno. Fortunatamente lì i ladri non erano stati. La seconda cosa che Alice notò fu la foto del matrimonio di Jeff e Iris incorniciata su una vecchia credenza. Si avvicinò d'istinto per guardarla meglio. Jeff era totalmente sbarbato, cosa mai vista da quando lo conosceva, ma aveva la stessa aria felice negli occhi. Anche Iris aveva qualcosa di diverso. I capelli rossi erano lunghi fino alle spalle, lucenti, una spilla bianca le teneva indietro la frangia. In lei non c'era ancora traccia della malattia che l'avrebbe colpita, nessuna preoccupazione, solo la gioia di avere trovato la persona giusta nel suo neo-marito. Fu allora che tornò coi piedi per terra; se era successo qualcosa a Jeff o a Iris doveva saperlo subito e ovviamente era preoccupata anche per Hartley.
Mentre usciva dalla stanza e scendeva le scale provò a richiamare il suo amico ma trovò solo la segreteria telefonica. Non appena rientrò nel café fu colpita da un forte odore di fumo. Tossicchiò coprendosi il naso con la mano. Davanti all'entrata scorse una figura ferma lì con una sottile sigaretta tra le dita. “Un bel disastro, eh?” disse l'uomo.
Alice cercò di metterlo a fuoco anche tra le nuvole di fumo che si diffondevano nello spazio tra di loro. Le sembrava familiare. L'uomo soffiò fuori altro fumo che stavolta prese la forma di un cerchio praticamente perfetto. Ma certo! È il tizio che Jeff ha mandato via dal locale un po' di tempo fa, ricordò Alice. “Ha per caso visto com'è successo?” gli chiese.

L'uomo non rispose subito, sembrava sovrappensiero. “Oh, proprio no. Ho visto l'ambulanza però”
Alice rabbrividì. “L'ambulanza?” lo incalzò.
Lo sconosciuto respirò altro fumo dalla sua preziosa sigaretta. “Precisamente, è quello che ho detto.” rispose mentre altre forme geometriche si libravano nell'aria. Distrattamente Alice concluse che doveva essere per forza la sigaretta ad avere qualche caratteristica speciale che gli permetteva di fare una cosa del genere. “Ha visto chi caricavano? Una donna, un uomo o un ragazzo?” chiese agitata.
Il fumatore diede una scrollata di spalle. “Non saprei. Troppe persone si erano accalcate per vedere. Quando succede una sventura tutti fanno la fila per guardare...non è assurdo?” rifletté più tra sé e sé che con Alice che da parte sua iniziava a sentirsi a disagio e più in ansia di prima.
 “Può spostarsi?” chiese la ragazza all'uomo ancora piazzato davanti alla porta del café.
 “Oh ma certo!” disse l'uomo come ad accorgersi solo in quel momento di lei. Si fece da parte e Alice uscì.
 “A volte se le vanno a cercare...” aggiunse dietro di lei.
Alice si disse che doveva aver capito male e si girò di scatto verso quell'uomo strano. Non c'era più. Alice ebbe una sensazione di déjà vu.

-

Una sensazione di disagio la accompagnò per tutta la strada per l'ospedale e quando passò tra le porte scorrevoli dell'entrata non migliorò affatto. Non era stata spesso in degli ospedali ma non le piacevano comunque. C'era sempre un odore strano nell'aria, troppo pulito, e il pensiero della gente malata o infortunata che occupava le stanze la rattristava. Mentre era per strada inviò un messaggio ad Hartley avvertendolo che stava arrivando. Sperava che così facendo sarebbe spuntato fuori e le avrebbe raccontato cos'era successo. Nella sala d'attesa del pronto soccorso di lui non c'era traccia ed Alice dovette rivolgersi al banco informazioni per chiedere notizie dei suoi amici.
Diede prima il nome di Hartley ma fortunatamente l'uomo alla reception le disse che non c'era nessun Hartley Jacobs in ospedale al momento. Alice tirò un sospiro di sollievo e passò a Jeff. Anche questa volta nessun ricovero per quel nome. Alice iniziò a sperare cautamente che ci fosse stato un grande errore; forse dopo tutto nessuno dei suoi amici si era fatto male e si trovavano invece alla polizia per denunciare l'irruzione al Wondercafè. Nonostante ciò, per sicurezza, chiese anche di Iris. Alice osservò l'uomo digitare il nome sulla tastiera del computer. Lesse qualcosa sullo schermo e poi guardò la ragazza. “C'è una Iris Greenfield al secondo piano. Lei è una parente?”

Oh no pensò Alice e poi Oh accidenti!. Nei film quando un personaggio risponde 'no' gli vengono chiuse le porte in faccia e la ragazza si chiese rapidamente se fosse il caso di mentire. “Si, sono la nipote” rispose di getto. Era importante non dare segni di insicurezza o non avrebbe funzionato.
 “Stanza 18.”
“Grazie” disse Alice allontanandosi prima di farsi scoprire, ringraziando la sua buona stella. Entrò nell'ascensore insieme a un paio di altre persone e sentì solo allora l'agitazione salire. Le sue speranze di potersene andare erano state infrante e ora si pentì di non aver chiesto anche per quale motivo Iris si trovava in ospedale. Sperava non si trattasse di niente di grave ma la paura che la donna fosse stata coinvolta nel disastro che aveva trovato nel locale la attanagliava. Le porte dell'ascensore si aprirono e davanti a lei c'era un altro banco informazioni e due corridoi a fianco. I numeri sulla targhetta appesa al muro le indicarono che il corridoio sulla destra era quello giusto e lo imboccò. Cercò di tenere gli occhi solo sui numeri che contrassegnavano le stanze, senza fare caso a chi si intravedeva all'interno. 15, 16, 17...18.
 “Alice! Che ci fai qui?”
Non ebbe neanche il tempo di pensare che Hartley era comparso accanto a lei trascinandola verso il distributore di caffè poco lontano. Teneva in mano un bicchiere di plastica fumante.
 “Hartley! Che cosa è successo??” gli chiese immediatamente allarmata.
 “Non ti avevo detto di non venire?” le disse quasi rimproverandola.
 “A voler essere pignoli mi hai detto di non andare al Wondercafè, qui siamo in ospedale.” controbatté Alice alzando un sopracciglio con aria di sfida.
 “Eppure se sei qui devi esserci passata” rispose a tono Hartley.
Alice lo fissò stringendo gli occhi. “Scusa, non sei stato esattamente convincente nel tuo messaggio! Ora mi vuoi spiegare cos'è successo al locale?”
Hartley sospirò cercando di trovare le parole giuste. “Qualcuno è entrato e l'ha sfasciato.”
 “Questo l'ho visto da me. Chi è stato?” lo incalzò.
 “E come potrei saperlo?! Non c'ero quando è successo...” rispose Hartley con amarezza e una punta di rabbia.
 “Che vuoi dire?”
Hartley appoggiò il bicchierino di tè su una sedia accanto al muro. “Ero uscito durante la notte e quando sono tornato...chiunque fosse se n'era appena andato. Era un casino, un sacco di roba distrutta. E Jeff era per terra...” spiegò Hartley con gli occhi lucidi.
Alice non capiva. “Jeff? Ma ho chiesto e mi hanno detto che lui non è qui!”
 “è passato dal pronto soccorso e quando l'hanno sistemato ha rifiutato il ricovero. Ha un braccio rotto, dei lividi in faccia e sull'addome però.”
Era peggio di quanto pensasse. “E Iris?”
Hartley alzò la testa facendo spostare il suo sguardo da una parte all'altra del soffitto immacolato. “Credo non le abbiano fatto niente, non so. Ma quando tutto è finito si è sentita male nel vedere Jeff in quello stato” si sentiva che Hartley faceva fatica a parlarne, era tutto troppo fresco. Alice gli posò una mano sulla spalla. “Hart...non è colpa tua”
 “Invece si!” sbottò con la voce tremante di rabbia. “Se solo fossi tornato un po' prima o non fossi uscito affatto, forse..forse...”
 “Hartley, no..” e senza pensarci un attimo lo abbracciò. All'inizio lui non si mosse ma poi si lasciò andare, pur resistendo alle lacrime.
Restarono così per un po', senza dire nulla. C'erano molte altre domande che Alice voleva fargli ma dovettero attendere. Hartley non era ancora in condizioni di darle risposte. Gli chiese se un tè caldo non fosse meglio per farlo tranquillizzare ma lui disse che in realtà lo stava per portare a Jeff che era naturalmente al capezzale di Iris.
 “Glielo porto io, se no si fredda” si offrì la ragazza.
 “Forse è meglio” convenne Hartley assorto nei suoi pensieri.
A malincuore Alice lo lasciò e con il tè in mano aprì la porta della stanza 18.


Note: e se vi giurassi che nel prossimo capitolo ci sono delle vere risposte alle domande di Alice (e alle vostre)? No, davvero, giuro! Voglio cercare di pubblicare il prossimo tra lunedì sera e martedì quindi stay tuned! Siamo giunti al punto decisivo, tutto avrà un senso e Alice dovrà capire cosa fare d'ora in poi. Grazie per la pazienza, alla prossima! ;)

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Capitolo 21
*** Truth (part 1) ***


Per la seconda volta quel mattino, Alice sentì il suo cuore più pesante. La vista del Wondercafè nel caos l'aveva fatta sentire malissimo, ma non era nulla in confronto a quello che le stava davanti nella stanza 18. Proprio come aveva detto Hartley, Jeff era messo male. Il suo braccio destro era ingessato e sul viso portava i segni della violenza subita, l'occhio nero che iniziava a gonfiarsi, il labbro rotto e una macchia violacea su una guancia. Quei segni orribili raccontavano una storia che Alice faticava a immaginare. L'uomo era completamente assorbito da Iris, distesa sul letto d'ospedale davanti a lui. Le teneva la mano tra le sue ed era così preso da lei da non accorgersi nemmeno di Alice in piedi sulla soglia con il tè.
La ragazza si fece notare chiudendo la porta. Jeff non accennò a muoversi ma spostò lo sguardo su di lei. Non era troppo sorpreso di trovarla lì o così pareva perché subito dopo tornò a dare tutta la sua attenzione alla moglie.

“Jeff” lo chiamò Alice senza alzare troppo la voce. Non voleva disturbare Iris che dormiva. Appoggiò il bicchiere sul comodino accanto al letto, al lato opposto rispetto a dove era seduto Jeff. “Hartley ti ha preso un tè”
Nessuna reazione dall'uomo, tanto che la ragazza si domandò se la stesse ascoltando o meno. “Mi dispiace così tanto per quello che è successo” continuò.
“Ero sceso di sotto per aprire il locale. Non ho fatto nemmeno in tempo ad avvicinarmi alla porta che loro la stavano giù sfondando. In un attimo è iniziato tutto. Uno di loro si è messo a spaccare tutto quello che poteva con una mazza mentre l'altro mi ha bloccato a terra e mi ha preso a calci e pugni. Non sono riuscito a contrastarlo più di tanto, ho provato ma...” Jeff parlava con voce roca, stanca. “poi lei è scesa e ha visto. Urlava, piangeva e allora il tizio con la mazza l'ha presa e l'ha tenuta ferma finché il suo compare si è stancato di pestarmi. A quel punto ho temuto che facesse del male anche a lei ma invece mi ha guardato e ha detto 'sei fortunato che non picchio le signore'. Poi ci hanno lasciati in pace” Jeff ripercorse l'accaduto come se cercasse di fare chiarezza all'interno della sua testa, quasi come se Alice non fosse lì ad ascoltarlo. Non aveva ancora finito però. “A quel punto lei era agitata e sconvolta...così sconvolta...” gli occhi gli brillavano, si portò la mano di Iris alle labbra e la baciò con dolcezza. “Non ha retto e ha perso i sensi”
Jeff era il ritratto della disperazione. Era sempre stato evidente quanto ci tenesse alla moglie e persino in quel poco tempo in cui li aveva visti insieme, Alice era riuscita a capirlo. Così cercò di risollevarlo. “Si è presa un bello spavento ma sono sicura che si riprenderà presto”.
Jeff prese un respiro. “No, purtroppo non è così” disse. “Ho parlato col dottore. Le ha fatto degli esami e mi ha informato che lei...sta male” pronunciò quelle ultime parole come se pesassero un quintale.
“Che vuoi dire 'sta male'?”
“Non è mai guarita. Me l'ha nascosto.”
Alice sbiancò. Le tornò in mente quello che le aveva raccontato Hartley su Iris. Aveva una malattia grave ed era tornata nel suo paese natale, l'Irlanda, per farsi curare usufruendo dell'aiuto economico dei suoi genitori. Ma poi era ricomparsa a New York, d'improvviso, e stava bene. Così aveva detto. “Ma le cure in Irlanda...?”
“Immagino non abbiano funzionato. Non ho ancora indagato” rispose Jeff. Ogni traccia di allegria e positività aveva lasciato il suo viso e, Alice lo sentiva, anche la sua anima. C'era posto solo per tristezza e amarezza.
Era terribile. Alice desiderava solo di trovare le parole giuste per confortarlo ma non sapeva se era possibile. Era arrivata lì sperando che nessuno dei suoi amici si fosse fatto troppo male, pensando che il furto al locale fosse la cosa peggiore che potesse capitare quel giorno. Ma si sbagliava.
“Grazie di essere passata, Alice” la congedò Jeff. Era tutto, non c'era nient'altro da dire.
“A presto Jeff” lo salutò lei desolata uscendo dalla 18.
La prima cosa che fece una volta fuori fu cercare Hartley. Grazie al cielo non era sparito, era seduto in attesa e anche lui la guardava. Sembrava un bambino spaurito, perso. Andò a sedersi accanto a lui e appoggiò la testa sulla sua spalla. “Oh, Hartley, non essere così duro con te stesso. Non è stata colpa tua”. Ora che aveva parlato con Jeff capiva perché il ragazzo si sentiva così colpevole.
“Avrei potuto aiutare Jeff se solo fossi stato lì.” bisbigliò.
“Forse. O forse no. Personalmente sono contenta che almeno tu non ti sia fatto male” gli confidò.
“Già ma questo non mi fa sentire meglio” rispose Hartley.
“Jeff se la caverà e anche Iris si riprenderà” disse Alice.
Hartley scuoté la testa. “Allora non te l'ha detto?”
“E invece si. Di Iris. È per questo che dovresti smettere di incolparti. Sarebbe stata male comunque un giorno o l'altro, sarebbe saltato fuori.”
Seguì una pausa. “Non è giusto”
“No, non lo è”
“Iris potrebbe morire di quella malattia”
Alice si rabbuiò. Aveva ragione. Se era grave come sostenevano e non era riuscita a guarire allora c'era una possibilità che...No, non era per niente giusto. Iris era una persona buona alla quale era capitato qualcosa di brutto senza meritarlo. Proprio com'era successo a suo padre...detestava l'idea che Jeff avrebbe provato quello che anche lei aveva provato sulla sua pelle. Era stata fortunata però; Hartley l'aveva trovata e da quel giorno non era stata più tanto sola. Posò la mano sulla sua e strinse forte. “Io non voglio mai separarmi da te. Non importa se andrò alla Juilliard o no, non importa quali segreti nascondi. Prometti che non ci perderemo?” gli chiese Alice.
Hartley mosse la testa e la ragazza sentì i suoi occhi su di lei. Si girò di poco per ricambiare il suo sguardo. “Lo prometto. Sarò sempre al tuo fianco” rispose solenne. C'era un'intensità nei suoi occhi che non lasciava spazio a dubbi.
Alice si sentì sollevata e si strinse più forte a lui.

-

“Sei sicura di voler saltare la scuola?”
Alice si era stesa sul vecchio divano verde. Le molle premevano contro la sua schiena da sotto i cuscini ed era anche un po' scucito in certi punti ma dopo una mattinata così stressante era la cosa più comoda che potesse immaginare. Dopo aver trascorso un paio d'ore all'ospedale infatti, Alice e Hartley avevano deciso di andare via. Normalmente sarebbero andati dritti al Wondercafé ma non c'era niente per loro là, era ancora troppo presto per rimetterci piede. Così erano finiti a casa di Hartley.
“Non ne ho proprio voglia. Stiamo qui” rispose la ragazza sistemandosi meglio sul divano. Era un'infinità che non entrava nell'appartamento e provò un moto di nostalgia.
Hartley stava in piedi davanti a lei con le mani nelle tasche dei jeans oversize. “Andiamo a fare un salto al parco magari?” propose.
“Nah, sono stanca. Tutta questa faccenda mi ha sfinita, ci credi?”
Hartley apparve pensieroso. “Si, anche a me. Ma se tua mamma scopre che hai saltato la scuola?”
“Ormai non so se ha più importanza.” disse Alice in un sospiro. “Le cose tra noi non sono più quelle di prima”
Hartley prese una sedia e la trascinò accanto al divano. “Che vuoi dire?” chiese sedendosi.
Alice si passò una mano tra i capelli. “Abbiamo avuto una discussione e sono state dette delle parole che non possiamo rimangiarci...insomma, lei ha insinuato delle cose su mio padre e io non ci ho visto più!”
Hartley si accigliò. “Cioè?”
“Non so, ha detto che papà non era come io credevo, che ero troppo giovane per capire...insomma, che significa secondo te?” chiese la ragazza frustrata.
Hartley scrollò le spalle. “Non ne ho idea, Alice. Forse dovresti cercare di fartelo dire. Senza litigare, intendo”
“Impresa non facile di questi tempi” commentò Alice. Poi si mise a sedere. “E tu invece? Non hai niente da dirmi?”
Hartley non capì “Mmh?”
Alice si armò di pazienza. “Sai, ricordo che stavi per raccontarmi qualcosa di importante due settimane fa e poi siamo stati interrotti. Allora? Cos'era?”
Finalmente si trovavano in un luogo dove nessuno li avrebbe disturbati e Alice si era decisa a tirar fuori l'argomento.
“Oh, quello.” disse Hartley fingendo di averlo completamente dimenticato.
“Già, quello. Quindi?” lo incitò.
La gamba di Hartley iniziò a tremare e il suo volto era indeciso. “Non è così semplice, non so da dove iniziare né se tu mi crederai”
“Hart, è tutto ok. Dopo quello che ci siamo promessi e dopo averti detto che terrò la mente aperta ancora non ti fidi?”
“Si, si, mi fido ma...”
“Ma niente. Parla” lo interruppe Alice decisa. Hartley la guardò fisso negli occhi per assicurarsi che fosse come diceva e iniziò. “Ricordi la festa per la tua ammissione alla Juilliard?”
“Si” rispose Alice presa in contropiede.
“Ricordi il cappello che volevo darti?”
“Si...”
Hartley fece un respiro profondo. “Ti ho detto che me l'ha dato un tizio. Questo tizio era incredibilmente magnetico e convincente, mi ha detto che il cilindro aveva dei poteri magici e poteva aiutarmi a risolvere i miei problemi, che mi avrebbe portato dove volevo...così gli ho creduto e l'ho preso. All'inizio l'ho usato per piccole cose, vestiti nuovi, saltare le file, arrivare più in fretta da qualche parte...anche per il pianoforte bianco” Alice ebbe un sussulto alla menzione del pianoforte apparentemente comparso dal nulla nel magazzino abbandonato. Continuò ad ascoltarlo sperando che alla fine tutto avrebbe avuto un senso. “Volevo regalartelo perché quell'uomo mi aveva consigliato di donarlo a qualcuno se mi fossi reso conto che ne aveva più bisogno di me, e per te era così. Eri sempre con la testa tra le nuvole, preoccupata. Forse il cappello ti avrebbe aiutata in qualche modo e saresti tornata felice” Alice sentì i pezzi della storia incastrarsi tra loro; si era sempre chiesta della vera provenienza del cappello e del perché lui ci tenesse tanto che lo avesse. Quel giorno però lei lo aveva rifiutato.
“Hartley...che cosa c'entra questo con la tua sparizione, con i tuoi comportamenti strani?”
“Dopo essere stati al magazzino a suonare il piano, quella sera, ho incontrato Jeff al locale. L'ho trovato ubriaco, amareggiato. Ti rendi conto? Il nostro Jeff ridotto in quello stato? Parlava di tornare a casa sua, lasciare New York per sempre, diceva di essere un fallimento e che nulla aveva senso senza Iris. Alla fine ha detto che se solo fosse riuscito a sistemare il Wondercafè magari avrebbe avuto un'ultima chance con sua moglie...Ho capito che lui era la persona che in quel momento aveva bisogno del cappello più di me. Così ho lasciato il café pensando di usarlo per dargli una mano. È stato allora che l'ho rivisto”
“Chi?” chiese Alice rapita dal racconto e allo stesso tempo combattendo contro l'incredulità.
“Il tizio che mi ha dato il cappello.” continuò Hartley. “Era come se sapesse già cosa avevo in mente o che avesse origliato i nostri discorsi. Mi ha detto che il cappello non era sufficiente per fare ciò che volevo. Dovevo andare a Wonderland a chiedere fortuna”
Alice tacque fissando Hartley. “Cos'è Wonderland?” chiese poi temendo la risposta, qualunque essa fosse.
“Un mondo diverso”


Note: ok, sono state rivelate alcune verità ma ovviamente c'è dell'altro che seguirà nella seconda parte. Ebbene si, esiste una Wonderland non metaforica e spero che la cosa non vi dispiaccia (infondo si tratta di una storia ispirata da Alice nel Paese delle Meraviglie quindi non credo). Aggiornerò il prima possibile, alla prossima! :)

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Capitolo 22
*** Truth (part 2) ***


Note: devo chiedere scusa per l'aggiornamento in super ritardo!! Il mio computer è passato a miglior vita e ora ne ho uno uno nuovo :) vi posso dire che il prossimo capitolo sarà bello lungo e arriverà il più presto possibile. Ah, mi scuso se ho pubblicato con dei caratteri un pò piccoli ma non sono riuscita a fare diversamente, con questo pc devo ancora capire come fare!


Alice si alzò dal divano e prese a camminare nervosamente avanti e indietro da una parte all'altra della stanza.
 “Alice?” la richiamò Hartley incerto sul da farsi.
Nessuna risposta, continuava a girare.
 “So che è molto da digerire--”
 “Molto da digerire??” scattò Alice bloccandosi al centro della stanza con gli occhi sbarrati. “Molto da digerire dice lui...” mormorò tra sé e sé riprendendo a camminare.
 “Quindi non credi che io sia pazzo?” chiese Hartley guardingo.
Alice rallentò fino a fermarsi di nuovo. Rifletté bene prima di parlare. “No che non lo credo ma sono...scioccata, sconvolta, scegli tu!”
 “Lo so, Alice” rispose lui calmo “sono rimasto scioccato anch'io quando sono arrivato dall'altra parte.”
La ragazza si porto le mani ai fianchi. Doveva darsi una calmata e alla svelta. Aveva promesso di ascoltare, di tenere la mente aperta perché quel veggente le aveva detto che se non l'avesse fatto allora Hartley sarebbe anche potuto morire. Gli aveva creduto così facilmente! Senza alcun dubbio, per quale motivo? Tuttavia aveva avuto ragione perché seguendo i suoi suggerimenti era riuscita a far vuotare il sacco all'amico. E ora doveva assolutamente fargli finire la storia, non importa quanto era incredibile. “Ok, vai avanti” gli disse tornando a sedersi sul divano. “Sei andato a...Wonderland. E poi? Perché ci sei rimasto così a lungo?” Alice ricordava bene i cinque giorni che aveva trascorso prima preoccupata per lui e poi furiosa. Poi l'aveva incontrato per caso tornando dalla festa di Justin e l'aveva trattata malissimo.
Hartley iniziò a torturare le maniche della sua maglietta. “Beh, ecco, il fatto è che il tempo scorre in maniera diversa di là rispetto a qui e mentre credevo di essere stato via un giorno in realtà qui ne erano passati già cinque” spiegò velocemente. Era agitato anche lui.
La ragazza assimilò anche quella informazione. “D'accordo. E che cosa è successo là?”
Hartley si passò una mano tra i capelli disordinati. “Il tizio del cappello mi ha detto di andare da questo tipo a chiedere Fortuna per Jeff. Così l'ho cercato e quando l'ho incontrato lui mi ha accontentato. È stato facile” disse Hartley ritrovando un po' della sua solita disinvoltura.
Al contrario Alice faticava a tenere la mascella ben salda ed evitare che toccasse il pavimento. “Tutto qui?”chiese allibita “Non mi dici niente di questa persona, di cosa ti ha chiesto in cambio?”
Hartley si sporse verso di lei e le offrì addirittura un sorriso. “Non ti devi preoccupare di lui. È una persona a posto, fa del bene agli altri.”
Alice non se la beveva. Qualunque cosa significasse 'chiedere Fortuna' doveva esserci un prezzo piuttosto alto per averla ottenuta visto il lavoro splendido che era stato fatto sul Wondercafè. “Quindi sei tu il misterioso benefattore di Jeff” concluse.
Hartley annuì. “Si”
 “E lui lo sa?”
 “No”
 “Wow” commentò. Non avrebbe mai immaginato, neanche in un milione di anni, che dietro all'improvvisa segretezza di Hartley ci fosse questa storia. Cercò di riordinare le idee. “Va bene, non voglio sapere i dettagli di come tu abbia fatto a sistemare il locale in così poco tempo ma...è questo il motivo per cui sei stato così cattivo con me? Non volevi che lo scoprissi?” gli chiese rendendosi conto che c'era comunque qualcosa che non quadrava.
Hartley si irrigidì e prese un respiro. “No. C'è dell'altro.”
Alice aveva appena incominciato a rilassarsi credendo che il peggio fosse passato ma evidentemente non era così.
 “Poco dopo essere tornato qui sono stato contattato da due uomini. Venivano da Wonderland e hanno detto di avermi visto lì. Hanno anche detto di conoscere il tipo che mi ha dato la Fortuna e per questo mi sono fidato di loro. Voglio dire, se tu avessi visto quel posto, Alice, così pieno di colori, vegetazione rigogliosa, bellezza...non crederesti mai che possa esistere la cattiveria là!”
Alice sentì un brivido lungo la schiena. Si ricordò della notte in cui l'aveva chiamata con il cerca-persone e l'aveva trovato sciupato, delirante, diverso. Di che cosa aveva farneticato quella notte? “Aspetta...hai detto che delle persone ti avevano fatto del male, che eri fuggito...parlavi di questi due?”
Hartley annuì con un cenno della testa.
Che altro aveva detto? “Sei fuggito perché...volevi avvertirmi di qualcosa. Hai detto che io dovevo andare a Wonderland” disse con un filo di voce realizzando di non aver dato importanza alle parole di un Hartley fuori di sé quando invece avrebbe dovuto. La paura cresceva dentro di lei. “Oddio Hart, che cosa c'entro io con tutto questo?”
Il ragazzo le prese subito la mano, come se volesse assicurarsi che lei rimanesse lì. “Quegli uomini avevano bisogno di aiuto per cercare una persona ma erano solo in due e gli avrebbero fatto comodo altre paia di occhi. Hanno detto che era importante e io ho accettato di aiutarli.” continuò. Alice sentiva che non sarebbe finita bene. “Cercavano una ragazza, non sapevano il suo nome, solo che si trovava a New York e per trovarla avevano solo un ritratto. Ma quando me l'hanno mostrato mi sono tirato indietro”
 “Perché?”
 “Eri tu, Alice”
Per un attimo pensò di aver sentito male. Ma Hartley aveva smesso di parlare, rimaneva fermo a guardarla, attendeva la sua reazione. Che cosa voleva dire con 'eri tu'? Come poteva essere che delle persone provenienti da un altro mondo la conoscessero? Le girava la testa.
 “Alice” Hartley le strizzò la mano leggermente e la chiamò con voce sottile. “Parlami”
Il suo sguardo era torvo quando gli rivolse la parola. “Tu hai saputo questa cosa per settimane e non mi hai mai detto niente?” chiese incredula, ferita.
Quella consapevolezza si diramava dentro di lei, tanta rabbia la seguiva a ruota.
 “Alice, avrei voluto dirtelo, credimi! Ma non sapevo come! Dovevo assicurarmi che tu fossi al sicuro e starti lontano era l'unico modo per proteggerti dagli uomini che cercavano entrambi!” si giustificò con l'urgenza nella voce.
Alice si alzò in piedi, incapace di starsene lì immobile. Scacciò la mano di Hartley come se la disgustasse. “E come mi avresti protetto, sentiamo!? Tenendomi all'oscuro del pericolo che correvo?”
Anche lui si alzò. “Non è così! Quelle persone non avevano idea di dove cercarti, né di chi tu fossi! Ma avevano conosciuto me e volevano farmela pagare per aver rifiutato di aiutarli nella ricerca dopo che avevo detto di si! Se ti avessero trovata con me...”
 “Non voglio ascoltarti! Tutto questo è assurdo, non può essere reale!”
Hartley provò ad avvicinarsi. “Mi dispiace Alice, ho sbagliato a stare zitto così a lungo e ora lo so”
Alice sentiva il rimorso e il dolore nelle sue parole ma la sensazione di tradimento che provava era troppo forte e prevaleva su tutto il resto. “Queste persone mi stanno comunque ancora cercando, Hartley! E che cosa pensi che vogliano farmi, poi?”
 “Io non lo so, mi hanno solo detto di essere stati incaricati di trovarti e portarti al più presto a Wonderland” spiegò il ragazzo.
Alice afferrò la giacca che aveva posato su una sedia. “Io vado a casa” annunciò gelida senza guardare Hartley.
Il ragazzo le fu accanto in un lampo e le toccò il braccio. “Aspetta, non puoi andarci da sola. Chiama un taxi o il tuo autista...”
Di nuovo Alice si scansò. Gli lanciò uno sguardo carico di ira. Non avrebbe mai pensato di poterlo guardare così, proprio lui di tutte le persone. “Non ti è interessato in tutto questo tempo, perché preoccuparsi ora?”
Aprì la porta e la sbatté dietro di sé sperando che non la rincorresse. Non lo fece.

-
 

Quando la verità viene fuori non puoi fingere di non sapere. Vorresti poter tornare al momento prima che tutto andasse in malora e scappare. Si, perché ora tutto era diverso. Ogni angolo, ogni persona vestita di scuro, ogni luogo isolato era diventato spaventoso, minaccioso, una probabile trappola messa lì per catturarla. Il panico aveva accompagnato Alice sulla via di casa, premuta contro il sedile della sua auto privata, con l'irrazionale paura che qualcuno la potesse vedere anche oltre i finestrini oscurati. Aveva vissuto per giorni, settimane, senza sapere che era in pericolo. Aveva girato per la strada completamente sola e avrebbe potuto venire rapita in qualsiasi momento. Non era successo però ed era stata fortunata, almeno per quello. Come aveva potuto Hartley essere così sprovveduto? E tutto mentre lei pensava a come abbattere i muri che lui aveva innalzato, mentre temeva per la sua vita! Si sentiva, indifesa ora, stupida, e odiava sentirsi così. E quel che è peggio, era per colpa del suo migliore amico.
Scese dall'auto in fretta, a testa bassa, e si infilò dalla porta dell'edificio. Persino prendere l'ascensore le creava ansia. Dovette autoconvincersi a respirare normalmente. 'Quel signore accanto a te è innocuo, deve persino averlo visto altre volte salendo a casa. Non avere paura' si ripeté nella sua mente. Il 'ding' dell'ascensore fu una liberazione e in un attimo era a casa, al sicuro. Era stanca, così stanca, si sarebbe chiusa in camera e avrebbe dormito fino a dimenticare quella mattinata; si, forse dopotutto si era inventata tutto, era solo un sogno.
Era certa che sua madre si trovasse al lavoro a quell'ora ma dovette ricredersi quando passando davanti al suo studio sentì dei rumori. Le porte scorrevoli erano semi-chiuse ed Alice sbirciò all'interno. Riuscì a vedere che la stanza era buia tranne per la luce proveniente dallo schermo del portatile della madre. La donna vi era seduta davanti, alla scrivania, e guardava un video. Quando Alice si rese conto di cosa stava guardando le mancò il respiro. Vide suo padre. Era più giovane di come lo ricordava, rideva e faceva boccacce alla telecamera. Insieme a lui c'era sua madre. Era così diversa che era difficile riconoscerla. Portava i lunghi capelli biondi sciolti, indossava un largo vestito blu che conteneva una pancia in crescita. Suo padre si sporgeva per accarezzarla e le parlava perfino. Era passato così tanto tempo che sembrava quasi un film, un'altra vita. Lei ancora no era nata ma mancava poco e i suoi genitori avevano tutta l'aria di esserne felici, anche la Signora Abrhams che raramente mostrava delle emozioni. In quel video, anche lei sorrideva, aveva un po' vergogna della videocamera, ma si vedeva che era serena. Lo sguardo di Alice passò sulla donna che guardava il filmato e si accorse che si passava una mano sul viso. Impossibile, che stesse davvero piangendo? D'istinto aprì del tutto le porte e rivelò la sua presenza. La luce entrò nello studio e la Signora Abrhams si voltò asciugandosi in fretta le guance. “Alice, che cosa ci fai-” si interruppe quando vide bene la sua espressione, esausta, sull'orlo del pianto. “Mamma!” la chiamò andandole incontro. Per la prima volta dopo anni sentiva il bisogno di averla vicina. Alice l'abbracciò e scoppiò in un pianto liberatorio.

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Capitolo 23
*** Hiding ***


“Credo che le Gemelle se lo siano meritato. Voglio dire, l'hanno sempre passata liscia in ogni circostanza, è giusto che abbiano ricevuto una punizione, non credi?”
Anne bevve un sorso del suo tè. “Alice, mi stai ascoltando?”
La ragazza, fino a quel momento concentrata più sul far girare il cucchiaino nella sua tazzina che sulla conversazione in corso, si riprese in fretta e sfoderò un sorriso. “Come?”
Anne sbuffò bonariamente. “Stai sempre con la testa tra le nuvole, ti sto annoiando forse?”
 “Certo che no! Mi ero solo incantata, tutto qui. Dicevi?”
Anne prese un biscottino ricoperto di zucchero a velo dal vassoio sul tavolino. “Parlavo dell'espulsione delle Gemelle, proprio prima dell'esame finale.” disse dando un morso al biscotto.
 “Beh credo che rubare le risposte del test d'algebra e l'aver cercato di venderle ad altri studenti non abbia giocato a loro favore” commentò Alice prontamente.
 “Suppongo che si possa dire che il loro regno del terrore sia finito” aggiunse Anne, probabilmente ripensando ai tanti soprusi subiti dalle due ragazze prima che Alice la incontrasse.
 “Era ora!” concordò l'amica.
Era già la terza volta che Alice ed Anne si vedevano per prendere il tè insieme. Stava decisamente diventando un'abitudine. Dopo essersi organizzate le volte precedenti a casa Abrhams, ora toccava a casa Van Horten.
 “Parlando di esami, come sono andati i tuoi?” chiese Anne.
Alice finì il suo tè. “Bene, credo. Ce l'ho messa tutta.” aveva affrontato l'ultima prova quella mattina. Se i risultati fossero stati ottimi come sperava li avrebbe potuti inviare subito alla Juilliard, per confermare che si era diplomata a tutti gli effetti. E dopo, tutta la sua vita sarebbe stata pianificata, spianata davanti a lei. Sua madre sarebbe stata felice, anche i suoi amici lo sarebbero stati...tutti tranne...
 “Ragazze, buon pomeriggio”
 “Justin! Eccoti qui!” Anne salutò il fratello appena entrato nella sala.
Alice gli sorrise. “Ciao Justin”
 “Alice” rispose con un mezzo inchino, educato come suo solito.
 “Oh, andiamo! Cos'è tutta questa formalità? Sappiamo tutti cosa c'è tra voi due...” si intromise Anne allusiva.
 “Anne!” la riprese Justin.
 “è la verità” si difese Anne.
Alice finse di non aver sentito. “Vogliamo andare?”
 “Certo” rispose il ragazzo facendole segno di seguirla.
 “Fermi lì! C'è un argomento molto importante di cui vi devo assolutamente parlare” disse Anne interrompendoli nuovamente.
Justin alzò gli occhi al cielo. “Cosa c'è, piccola peste?”
 “La nostra Alice, qui, voleva nasconderci che la settimana prossima è il suo compleanno ma io l'ho scoperto” annunciò Anne soddisfatta di sé.
In tutta risposta la diretta interessata si irrigidì. “Non nascondevo proprio niente” rispose cercando di suonare naturale.
 “Sta di fatto che ho dovuto scoprirlo da mia madre che a sua volta l'ha saputo dalla tua. Pensavi di passarla liscia così?” continuò Anne senza farsi scoraggiare.
 “Forse Alice aveva in mente di passare un compleanno tranquillo, in famiglia.” intervenne Justin tentando di salvare la situazione.
 “Non essere sciocco! Compie 18 anni! È un evento e come tale va festeggiato adeguatamente” controbatté la sorella.
 “Justin ha ragione, non darò alcuna festa.” disse Alice.
L'espressione di Anne si rabbuiò un poco. “è quello che ha detto anche tua madre ma io non volevo crederci. Alice, so che non hai mai avuto tantissimi amici ma ora hai noi e possiamo organizzarti una festa favolosa se tu lo vuoi” offrì Anne con gli occhioni che le brillavano di entusiasmo.
Alice era stata presa alla sprovvista; non si aspettava di dover affrontare quella conversazione quando era uscita di casa quel pomeriggio. Non voleva essere scortese. “Ecco, sei molto gentile ma non sono davvero dell'umore” disse, lo sguardo sulle sue mani in grembo. Sentì gli occhi dei fratelli Van Horten su di lei e sapeva di non avere via d'uscita.
Anne si sedette accanto a lei. “Alice, tu hai fatto molto per me quest'anno e anche se non credi che sia così, è la verità. Voglio solo fare anch'io qualcosa per te, voglio che tu ricordi il tuo diciottesimo compleanno per tutta la vita.” le disse col cuore in mano. “Ci puoi almeno pensare su?”
Il punto debole di Alice era il non saper dire di no alle persone. Anne in particolare sapeva come sfruttarlo a suo favore, sia che ne fosse consapevole o meno e anche questa volta funzionò. “D'accordo, posso farlo.” cedette.
La reazione di Anne fu di immediata gioia. “è fantastico! Grazie Alice!”
 “Non ha ancora detto di si” le ricordò Justin mentre la ragazza si avviava alla porta.
 “Si ma sono certa che tu ci metterai una buona parola per me.” rispose facendogli l'occhiolino. “A presto, Alice! Fammi sapere presto per la festa, ok?”
 “Ok, ciao Anne”
Justin ed Alice erano rimasti soli. Tacquero per pochi secondi ma quando i loro sguardi si incontrarono scoppiarono a ridere. “Mi dispiace, non so cosa le sia preso” disse il ragazzo.
 “è tutto a posto, ormai la conosco. Cerca solo di essere una buona amica” rispose Alice. In effetti nell'ultima settimana e mezzo lei ed Anne si erano viste e si erano sentite spesso fino a diventare amiche nel vero senso della parola. Per lei stare con la piccola di casa Van Horten era una piacevole distrazione da tutto quello che le era successo. Anne non era coinvolta in tentativi di rapimento, né in incontri con uomini misteriosi che distribuiscono cappelli magici. Da ragazzina timida e introversa Anne si era rivelata in realtà simpatica ed esuberante, anche un po' troppo ogni tanto, ma pur sempre armata delle migliori intenzioni. E poi, per associazione, anche Justin era ricomparso nella sua vita. Alice si alzò dal divano e si avvicinò a lui. “Sei ancora dell'idea di portarmi fuori?” gli chiese. Il ragazzo aveva preannunciato una sorpresa e doveva ammettere di essere un po' curiosa a riguardo.
Justin avanzò a sua volta. “Certamente, non te ne pentirai. Inoltre hai passato un sacco ti tempo chiusa in casa a studiare ultimamente, è ora di prendere una boccata d'aria.”
Justin non sapeva tutta la verità. Non era per colpa degli esami che era rimasta sempre in casa... “D'accordo” gli rispose invece con un sorriso. Certo, aveva paura a stare fuori per la strada, ma non poteva nemmeno rimanere reclusa per sempre. Con Justin al suo fianco non sarebbe stata sola. E con la guardia del corpo. Già perché se per anni Alice aveva rifiutato di averne una, trovandola inutile, ora aveva cambiato decisamente idea e la madre non poteva che esserne lieta.
Justin prese la mano di Alice e con quella libera le sfiorò il volto. Lo lasciò fare e quando le labbra del ragazzo si trovarono a pochi centimetri dalle sue lasciò anche che la baciasse. Non sapeva dire con esattezza cosa ci fosse tra lei e Justin, ma per ora quello che avevano le andava bene. Era successo tutto in maniera spontanea e come per Anne, ad Alice piaceva passare del tempo con Justin.
Il baciò finì e Justin accompagnò la ragazza alla porta. Il loro appuntamento li aspettava.

-
 

 “Ti ho già detto quanto stai bene col tuo nuovo taglio di capelli?” chiese Justin prendendo Alice per mano e conducendola all'interno di un grande edificio antico.
La ragazza si sentì leggermente in imbarazzo. “Sei gentile”. Il cambio di look non era dovuto a un capriccio o alla voglia di qualcosa di nuovo, era invece parte degli accorgimenti adottati da Alice per far si che chiunque fosse sulle sue tracce non la riconoscesse. Quindi ora i suoi capelli le arrivavano appena sopra le spalle. Le era dispiaciuto tagliarli così corti ma mai quanto era dispiaciuto a sua madre che praticamente ne aveva fatto una tragedia. Era stato necessario.
L'edificio era enorme, con alte pareti in marmo e colonne lisce e bianche. “Cos'è questo posto?” chiese Alice.
 “Immaginavo non ci fossi mai stata. Lo sperava, più che altro” rispose Justin soddisfatto. Si incamminarono sulle scale davanti a loro.
 “Non vuoi darmi nessun indizio?” lo pressò lei divertita.
 “No. Aspetta e vedrai” rispose Justin con un sorriso stampato in faccia.
Quando finalmente arrivarono in cima alla scalinata, davanti a loro videro un ampio corridoio, sui muri decine di quadri illuminati da luci speciali. A Alice mancò il fiato. “Wow, Justin. Siamo in un museo?”
 “Già. È quello appena inaugurato. Ci sono un sacco di opere rare, ristrutturate, veramente di tutto. Per questo si entra solo su prenotazione e richiedendolo in anticipo. Ma conosco delle persone e...eccoci qui. Il museo è nostro da visitare per un'ora intera. Non ho potuto fare di meglio, mi dispiace.” spiegò il ragazzo un po' troppo in fretta.
Alice era sbalordita. Era da tempo ormai che non faceva visita a una galleria d'arte o a un qualunque museo, ed essere lì era la cosa più normale che poteva venirle in mente. Justin le aveva fatto un grande regalo e nemmeno lo sapeva. Lo guardò piena d gratitudine. “Potevi anche non prenotarlo solo per noi, era ok. Ma...grazie. Non vedo l'ora di esplorarlo!” disse dandogli un abbraccio. L'aveva fatto senza pensarci, poi si era resa conto di aver preso lei l'iniziativa e non il contrario. Justin la strinse a sua volta e non sembrava che volesse lasciarla andare tanto presto. “Sono felice che la sorpresa ti sia piaciuta.” disse a voce più bassa, come se avesse paura di rovinare il momento. “Sei sempre così distratta quando siamo insieme, pensierosa...credo di sapere cosa c'è che non va”
Alice si staccò da lui e lentamente lui fece lo stesso. “Che vuoi dire?” chiese titubante.
Justin non parlò subito“Mi fa piacere che tu mi abbia perdonato per quella faccenda con tua madre, non fraintendermi, ma mi chiedo cosa ti abbia fatto cambiare idea. Credo c'entri il tuo amico Hartley”
Ecco, l'aveva detto. Ovviamente ci aveva visto giusto, ma come poteva Alice confermare i suoi sospetti? Non era pronta a parlare di cosa era successo tra loro. Si strinse nelle spalle. “Non devi preoccuparti di lui. È tutto a posto”
Justin la osservò attentamente. “Mmh, non me la bevo. Ma voglio che tu sappia che se vorrai parlarmene io sarò qui, d'accordo?”
Alice era certa che fosse sincero. Non appena avevano recuperato il loro rapporto di amicizia Justin si era dimostrato più che lieto di poter trascorrere del tempo con lei come ai vecchi tempi, anzi in maniera più distesa stavolta. Alla fine Alice aveva capito che lui ci teneva veramente a lei e che se in passato avevano avuto dei problemi era stato solo a causa di incomprensioni, di ostacoli esterni. In breve, ci si poteva fidare di Justin Van Horten. E riguardo a quello che si era creato tra di loro...probabilmente lui era convinto fosse qualcosa di serio mentre Alice voleva andarci piano. Si guardò intorno mentre iniziavano il loro tour per il museo, tra i quadri di grandi pittori morti ormai da decenni, tra quelli di artisti emergenti che ancora non avevano conosciuto la luce della ribalta. Sì, si sentiva bene. “Ci pensi? Potremmo fare cose come queste quando vogliamo l'anno prossimo.” disse Justin a un certo punto. “Resteremo entrambi a studiare a New York e potremo vederci sempre.” Alice gli sorrise cortese. Proprio quello che sua madre aveva sempre sperato per lei. Una vita perfetta, una routine sicura e perfetta.

-
 

Justin riaccompagnò Alice a casa. Si fermarono davanti al marciapiede, il ragazzo scese dalla macchina per salutarla. “Grazie Justin, mi sono divertita tanto oggi” lo ringraziò sorridendogli.
Justin ricambiò il sorriso. “Ne sono lieto. Ti chiamo stasera?” chiese fiducioso.
Alice annuì. “Certo. A presto” fece per voltarsi ma lui la tirò nuovamente a sé e la bloccò con un bacio. Doveva ancora abituarsi a queste sue dimostrazioni d'affetto, era tutto nuovo per lei. Quando si staccarono lei gli fece un altro sorriso e con la coda dell'occhio vide che qualcuno li osservava dall'altra parte della strada. Lo riconobbe appena in tempo, prima che scomparisse velocissimo. Era Hartley. Le si strinse lo stomaco. Dunque li aveva visti insieme, infine? Aveva cercato più volte di contattarla invano e questo voleva dire che doveva essersi presentato lì per parlare mentre invece...aveva visto.
 “Alice? Che stai guardando?” chiese Justin rivolgendo il suo sguardo dov'era diretto il suo. “Niente, niente. Mi era solo sembrato di vedere qualcuno che conosco. Ora vado” liquidò la faccenda velocemente la ragazza. “Ci sentiamo” ed entrò nel palazzo.
Non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, in un certo senso. Certo, tra lei e Hartley non c'era mai stato niente di romantico ma in ogni caso le dava una strana sensazione ripensare alla faccia stupita che aveva fatto difronte al bacio tra lei e Justin.
Entrò in casa e venne accolta dalla madre. “Tesoro, eccoti qua! Hai passato una buona giornata?” le chiese in tono gioviale.
 “Si, finalmente gli esami sono terminati.” rispose Alice lasciandosi cadere sulla poltrona del soggiorno. Sua madre la seguì a ruota sistemandosi sul divano accanto. “Lo so e non ho il minimo dubbio che otterrai voti altissimi! E riguardo al tuo tè a casa Van Horten che mi dici?” chiese andando al sodo. Sembrava un po' la classica cliente abituale di un salone di parrucchiera.
 “Bene anche quello. Anne è una ragazza adorabile.”
 “Eee...” la pressò la donna.
 “E poi Justin mi è venuto a prendere.” vuotò il sacco.
 “Ho visto che ti ha portata a casa con la sua auto. Che avete fatto, si può dire?” la Signora Abrhams faticava a contenere il suo entusiasmo.
 “Siamo andati in un museo a vedere delle opere d'arte. È stato molto interessante”
La madre di Alice aggrottò la fronte. “In un museo..? Seriamente?”
 “Si, perché?”
 “Un po' strano come appuntamento” commentò.
Alice si coprì il viso con le mani. “Ma mamma! Chi dice che era un appuntamento?” sentiva che stava diventando rossa.
 “Quel bel bacio che ti ha dato proprio poco fa lo dice, mia cara” rispose la donna maliziosa.
Ora si che Alice stava diventando di una nuova sfumatura di rosso. Si tolse le mani dal volto. “Mamma!”
 “Che cosa c'è? Non devi provare imbarazzo, era solo naturale che succedesse qualcosa tra di voi prima o poi! Gliele hai fatte sudare le tue attenzioni però...” continuò la Signora Abrhams sorridendo soddisfatta.
 “Non so cosa tu abbia visto ma non stiamo insieme” affermò alzandosi dalla poltrona con tutta l'intenzione di rintanarsi nella sua camera.
 “Ah no?” insinuò la donna.
 “Non proprio” rispose incerta la figlia.
Questo fece nascere un'espressione trionfante sul volto della Signora Abrhams. “D'accordo, come vuoi tu. I giovani d'oggi...”
 “Invece questa bella frase fatta non è vecchia per niente, vero?” replicò la ragazza scherzando mentre si chiudeva già la porta della sua camera dietro di lei.
Quasi non ci credeva, le cose tra lei e la madre erano decisamente migliorate. Fino a poco tempo prima aveva temuto di aver incrinato il loro rapporto per sempre ma invece, come aveva scoperto, era bastato davvero poco per risanarlo. Vedere la donna, solitamente così algida e severa, commuoversi davanti al vecchio video di famiglia le aveva aperto gli occhi; anche sua madre aveva sofferto e ancora soffriva per la perdita del marito, non solo Alice. La Signora Abrhams preferiva solo tenersi tutto dentro piuttosto che mostrarsi debole. Mantenere l'ordine a ogni costo era il suo modo di andare avanti senza crollare. E per quanto riguardava le affermazioni fatte riguardo al padre...beh, Alice immaginava che dovesse trattarsi di parole dettate dalla foga del momento, non poteva dire sul serio quando aveva detto che suo padre non era l'uomo che lei pensava. Se lo sarebbe lasciato  alle spalle.

-
 

Non si trovava a casa sua, non più. Ricordava di essere andata nella sua stanza e poi...cosa? Non le veniva in mente. Sapeva solo di essere seduta a un tavolo grande e rotondo, una tovaglia a scacchi rossi e bianchi la ricopriva e su di essa erano sistemati piattini, tazze da tè, una caraffa e dei pasticcini. Era tutto così colorato che quasi le facevano male gli occhi. “Che cos'hai, dolcezza?” disse una voce facendola sobbalzare. Si voltò alla sua destra e scoprì che c'era qualcun altro seduto al tavolo con lei mentre avrebbe giurato di essere da sola fino a un momento prima. “Pensavo ti saresti sentita a tuo agio qui visto che non fai altro tutto il giorno: prendi il tè e mangi piccole delizie. A proposito, dovresti proprio stare attenta alle calorie, carina!” la scimmiottò quell'essere versando del tè caldo fumante nella propria tazzina. Già, perché Alice era certa che non si trattasse di una persona; aveva una grande testa che era in tutto e per tutto quella di un gatto, dal pelo rosso e lucente. Gli occhi altrettanto grandi di colore verde erano fissi sul contenuto della tazza, tenuta ora tra le zampe come se fosse la cosa più normale del mondo per lui. Forse lo era. Come poteva un gatto essere così grosso? E in grado di parlare? E di versarsi un tè? I gatti nemmeno lo bevono il tè! Improvvisamente il suo sguardo balzò su di lei, come se l'attesa per la risposta si fosse fatta troppo lunga. Alice non sapeva che fare. “Dove mi trovo?” chiese impaurita.
 “Oh, ma se non è ovvio!” esclamò una seconda voce alla sua sinistra. Quando lo vide ebbe un lampo di riconoscimento. Lo conosceva! Era l'uomo con il sigaro che era passato già due volte dal locale di Jeff! Che ci faceva lì?? Mentre si interrogava sbalordita, una nuvola di fumo la raggiunse direttamente dal solito sigaro che a quanto pare l'uomo non abbandonava mai.
 “Non essere scortese!” intervenne un nuovo assurdo personaggio seduto al lato opposto di Alice. Si trattava di una donna stavolta, o meglio, di una femmina. Aveva le sembianze di un fiore, un tulipano per essere precisi, di colore fucsia acceso, con tanto di gambo e foglie sottili.
 “Tu taci!” controbatté in tono saccente l'uomo col sigaro. “Sei un Fiore, chi invita un Fiore a un tè? I fiori non bevono il tè, tutti lo sanno” nemmeno i gatti, si ripeté Alice nella sua testa, evitando di interrompere lo scambio di opinioni in corso.
 “Io lo bevo, ma è l'odore di fumo che mi disturba, rovina la sua degustazione” di difese il Fiore per nulla scosso dall'accusa ricevuta.
 “Questa poi!”
Era tutto troppo surreale per essere vero, quindi doveva essere un sogno, ecco cos'era ad essere 'ovvio'. Si diede un pizzicotto al braccio. Niente. Provò ancora e strizzò anche gli occhi: niente da fare.
Il gatto tossicchiò richiamando la sua attenzione. La stava guardando come se fosse lei quella strana. “Che cosa stai facendo, di grazia?”
 “è un sogno, cerco di svegliarmi”
 “Oh, giusto cielo!” commentò il fumatore.
 “Prima di svegliarti devi ascoltare, sciocchina! I giovani hanno così fretta, non pensate anche voi?” chiese rivolgendosi a commensali.
L'uomo col sigaro annuì prontamente mentre il Fiore non parve essere della stessa idea. “Non saprei dire, io sono ancora giovane e ho trovato tutto il tempo di godermi questo tè”
 “A proposito! Chi hai detto che ti ha invitata..?” domandò il fumatore con palese sarcasmo.
La teiera appoggiata sul tavolo dal gatto poco prima si sollevò da sola distogliendo  l'attenzione di Alice dal battibecco, anche perché si muoveva verso di lei. Si fermò a pochi centimetri dal suo volto per versare il liquido caldo nella sua tazzina. Come si era alzata, si era anche andata a posare da sé. Forse era il caso di smetterla di sorprendersi visto che era tutto un sogno.
 “E come sta il nostro Cappellaio?” chiese a Alice il gatto.
La ragazza non capì. “Chi?”
 “Il ragazzo con il cappello...” specificò il felino come se non fosse necessario.
 “Hartley...?”
 “Pensavo di essere stato chiaro fin da subito”
 “Noi due...ecco, noi non...”
 “Era una domanda retorica in realtà, so bene che conosci lo stato di salute fisica e mentale del Signor Hartley. Ma la Signorina qui presente fa promesse per poi non mantenerle” insinuò.
Sia il Fiore sia l'uomo col sigaro si espressero in un “ooh!” indignato. Almeno su qualcosa andavano d'accordo. Alice si sentì in imbarazzo a stare così al centro dell'attenzione e sotto accusa per di più. “Lei non capisce, non è--”
 “Non è vero?” la interruppe il gatto. “Ma non avevi fatto promettere al ragazzo di starti sempre vicino? Sembrava una cosa reciproca.” rispose il gatto dandosi un'occhiata agli artigli appena sguainati. Non gli davano un'aria minacciosa comunque.
 “Si, è vero ma le circostanze...”
 “Non ti ho mai parlato di circostanze” disse il felino senza lasciare spazio a discussioni.
 “Ma quand'è che me l'avresti detto? Non ti ho mai visto prima!” sbottò Alice esasperata.
Il gatto la guardò con sguardo curioso. Sul suo muso peloso spuntò quello che aveva tutta l'aria di essere un sorrisetto. “Ti ho fatto una lettura. Ti ho raccomandato di tenere la mente aperta e tu l'hai fatto. Ti ho anche detto di rimanere accanto al Cappellaio ma questo invece non l'hai fatto. Ora ricordi, carina?”
Alice sbiancò. Si stava riferendo al veggente che aveva incontrato per strada e che le aveva letto il futuro. Il gatto voleva dire che...era lui? Calma Alice si disse, è pur sempre un sogno, la tua mente si sta prendendo gioco di te cercò di rassicurarsi.
 “Tutto questo non è reale”
Il gatto alzò gli occhi al cielo. “Credevo ci fossimo già passati. Lo è, accettalo prima che puoi” disse annoiato.
 “Personalmente non capisco cosa ci sia di speciale in questa cosetta” commentò il fumatore guardandola.
 “I miei petali sono più belli dei suoi” aggiunse il Fiore portandosi il tè alla bocca. Soffiò ancora e ancora, tanto che Alice si domandò se avrebbe mai bevuto.
La ragazza tornò a rivolgersi al gatto. “Chi sei tu?”
 “Non ti ho convocata per questo. Ti stai nascondendo. Spezzi promesse e ti nascondi, ecco cosa fai”
 “Ma io ho paura! Hartley ha detto che...”
 “Sappiamo tutti cos'ha detto”
 “Parla per te” borbottò il tipo con il sigaro.
 “Tu sei un chiacchierone, ecco perché non lo sai.” gli spiegò pazientemente il gatto. “Dicevo, IO lo so sicurissimamente ma non è un buon motivo per lasciare indietro il ragazzo. Anche lui è in pericolo, anche lui ha paura.”
Alice tacque. Ora si che si sentiva in colpa per averlo evitato. E poi aveva visto il bacio...chissà cosa pensava di lei.
 “Molto bene, vedo che ci stai riflettendo. Insieme siete più forti, ricordalo questa volta, sciocchina”
Alice aspettò di sentirlo continuare “E poi?”
 “è tutto”
 “Non mi dici niente della gente che mi cerca, di Wonderland?”
 “Ho già messo lo zampino nei tuoi affari tante volte, proprio non posso soddisfarti carina. E poi non vorrai rovinarti la sorpresa?” concluse con un sorriso sornione.
La sua visione iniziò a diventare sempre più sfocata. “Aspetta! Aspetta!” lo pregò ma non servì a niente. Mentre usciva dal sonno le sembrò di sentire delle risate, quelle di un Fiore e di un fumatore di sigaro. Ma era sola adesso ed era tempo di sistemare le cose. 


Note: sto facendo davvero fatica ad editare i capitoli dal nuovo computer, non so perchè è così difficile mettere la dimensione e il carattere che voglio. Sono un po' frustrata. Vabè a parte questa difficoltà tecnica, eccomi col nuovo capitolo! Avevo detto che sarebbe stato più lungo ed è stato perché essenzialmente non volevo creare confusione date le ultime scelte di Alice. Al mio ragazzo non è piaciuta la cosa di farla uscire con Justin quando gliel'ho detto ma...whatever. Spero si capiscano le sue motivazioni e che il suo periodo passato a nascondersi è finito, ora l'arrabbiatura con Hartley passerà. Oh, vi sono piaciuti Stregatto, Fiore e Brucaliffo? Mi è piaciuto un sacco scrivere quella scena! Detto ciò, alla prossima! :)

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Capitolo 24
*** Revelation ***


Quando aveva preso in mano il telefono per chiamarlo aveva temuto che questa volta sarebbe stato lui a non risponderle di proposito. Aveva la sensazione che potesse avercela con lei ma non per come si era comportata di recente, piuttosto per qualcos'altro...Contro ogni sua previsione negativa però Hartley rispose subito ed era sembrato sollevato di sentirla, almeno all'inizio. Infatti Alice si accorse che era più composto, un po' sottotono. Doveva aver indovinato, c'era comunque qualcosa che non andava. In ogni caso si mise d'accordo con lui per incontrarsi al vecchio magazzino abbandonato dove avevano passato un pomeriggio a suonare il pianoforte misterioso; teoricamente doveva essere un posto sicuro e non troppo in vista.
Alice uscì di casa senza la guardia del corpo per non rischiare che facesse la spia con sua madre. Nonostante non litigassero più non voleva dire che Hartley fosse entrato nelle sue grazie. Si fece portare dall'autista però, per stare tranquilla, e si presentò all'appuntamento in jeans e felpa larga col cappuccio sollevato sulla testa. Ora sapeva come doveva sentirsi un ricercato. Entrò nel magazzino aprendo la porta scorrevole pesante e arrugginita e fortunatamente vide che Hartley era già lì. Indossava una semplice maglietta verde a maniche corte e teneva le mani nelle tasche degli ampi pantaloni beige. Il suo sguardo era indecifrabile. Alice lo raggiunse a piccoli passi. Ora che se lo trovava davanti non poteva fare a meno di vergognarsi di averlo lasciato solo. Quello strano gatto aveva ragione, anche lui doveva aver paura come lei. Era stata una pessima amica.
Mentre pensava alle parole giuste da dire fu Hartley a spezzare il silenzio. Accennò un sorriso. “Un look tutto nuovo” commentò riferendosi al suo abbigliamento casual.
Alice scrollò le spalle. “Mi mimetizzo con la massa” rispose tirandosi giù il cappuccio.
Scosse la testa per mostrargli anche il nuovo taglio di capelli.
 “già, avevo notato anche quello” disse Hartley. Si riferiva al giorno prima, quando l'aveva vista davanti a casa sua con Justin o a un'altra occasione? Alice non poteva non domandarselo.
 “Hartley...mi dispiace” trovò il coraggio di dirgli. “Non me ne sarei dovuta andare così. Tu hai passato dei momenti bruttissimi a causa di quelle persone e io non ti ho nemmeno dato ascolto”
Hartley lasciò andare un respiro. “Sei perdonata, è ok”
 “Davvero?” chiese Alice speranzosa.
 “Si. Ho la mia parte di colpa, è ovvio che fossi sconvolta”
 “Resta il fatto che ho sbagliato”
 “L'importante è che tu sia qui. Insieme siamo più forti” disse il ragazzo.
Alice si accigliò. “Come hai detto?”
 “Insieme siamo più forti”
Poteva essere una coincidenza? “è un pensiero tuo?”
Hartley esitò. “Beh si ma...me l'ha ripetuto qualcuno”
 “Chi?” chiese Alice impaziente.
 “Ecco...forse ti suonerà assurdo ma...ho fatto un sogno” E già queste parole furono abbastanza per far capire a Alice che avevano vissuto la stessa esperienza. “Quando?”
 “Qualche notte fa, perché?”
 “E in questo sogno c'era un gatto che ti ha detto questa cosa?”
Hartley spalancò gli occhi. “Si, come fai a saperlo?”
 “Ho fatto lo stesso sogno stanotte” disse Alice rimettendo insieme i pezzi. Dunque quel grosso gatto che aveva affermato di aver messo lo zampino nei suoi affari più di una volta non aveva incontrato solo lei ma anche il suo migliore amico. E se aveva capito bene era anche il veggente che aveva guardato nella sfera di vetro. La domanda a questo punto era: chi diavolo era questo tipo? Ma anche, che cosa voleva da loro? Come era riuscito a prendere le sembianze di un uomo o di un gatto e a intrufolarsi nei loro sogni?
 “Oh mio Dio Hartley devi dirmi esattamente quello che è successo nel sogno. Credo che il gatto o quello che è voglia aiutarci contro i tizi che vogliono portarmi via”
 “Che vuoi dire?”
Alice gli raccontò il suo sogno e già che c'era anche del veggente e poi ascoltò Hartley.
 “Non c'è molto da dire. Il gattone ha detto che il cappello non mi era stato dato per giocarci ma per delle cose serie e che era ora di fare la mia parte. Poi ha detto che dovevamo restare uniti”
Alice ci pensò su. “E nient'altro? Era solo?”
 “Si, c'eravamo solo io e lui in mezzo a un grande giardino.”
Dunque non era proprio lo stesso sogno. “Beh la cosa strana, cioè ancora più strana, è che nel mio sogno oltre al gatto c'erano un Fiore parlante e un tipo che fumava un sigaro” disse Alice facendosi seria.
Hartley aggrottò la fronte. “Un Fiore parlante...?”
 “Ne parliamo dopo, il punto è che io avevo già visto l'uomo col sigaro qui a New York per ben due volte, entrambe al Wondercafè.” spiegò.
Ora Hartley era attento e cercava di seguire il suo ragionamento. “Non penserai che Jeff sia coinvolto in tutto questo?”
Alice sospirò passandosi una mano tra i capelli ora non più lunghi e fluenti. “Vorrei dirti di no ma...a questo punto non lo so. Dovremmo andare a chiederglielo” rispose dubbiosa.
 “E chiedergli che cosa? Se per caso sta aspettando il momento migliore per catturarti e consegnarti ai malviventi di Wonderland?” chiese Hartley volutamente sarcastico. Jeff era suo amico, ancora di più che per Alice e non gli piaceva che venisse accusato. Aveva fatto molto per lui, non era possibile che stesse nascondendo qualcosa di brutto.
 “Non sto dicendo che sia contro di noi ma che forse sa almeno chi è questo individuo, da dove viene. Da quello che ho visto non sembrava stargli molto simpatico dato che l'ha cacciato dal locale. Dico solo che dovremmo raccogliere più informazioni che possiamo se vogliamo proteggerci” rispose Alice.
Hartley si guardò le scarpe in silenzio per qualche secondo. “D'accordo, probabilmente hai ragione. È solo che con Iris in quelle condizioni non vorrei creargli altri problemi.”
Alice capiva esattamente quello che intendeva. Non era più stata al cafè dopo l'attacco e quindi non sapeva come stavano andando le cose tra Jeff e sua moglie, ma dal tono di Hartley non dovevano esserci stati miglioramenti. “Tu li hai visti di recente?” gli chiese.
Hartley annuì. “Un paio di volte. Lei è a casa ora. Jeff è...triste. Credo non ci sia altro modo per descriverlo. Prova comportarsi normalmente intorno a lei ma c'è sempre quell'ombra di tristezza nei suoi occhi...”
Alice posò una mano sul braccio di Hartley e gli diede una stretta. I due si guardarono e lei gli rivolse uno sguardo di comprensione. “Andiamo da lui allora.”
 “D'accordo” rispose Hartley passandole accanto. “aspetta!” lo fermò lei. Doveva affrontare il discorso oppure no? Ormai aveva parlato e tanto valeva provarci. “Eri davanti a casa mia ieri pomeriggio?” gli chiese insicura.
 “Te ne sei accorta” confermò inespressivo.
 “Già. Riguardo a quello che hai visto-”
 “Non c'è bisogno che mi spieghi. Io non lo conosco ma mi fido del tuo giudizio.”
Alice non si sentiva del tutto a posto. Voleva spiegargli meglio, dirgli che non c'era una vera e propria relazione tra lei e Justin, era agli inizi e poteva anche sfumare in fretta. Ma Hartley era un amico e aveva già detto tutto quello che doveva dire circa la faccenda. D'altro canto però il suo prenderla con tanta calma la infastidiva un po'. Solo un po'.
 “Sbrighiamoci, dai” chiuse il discorso Hartley con un sorriso, uscendo dal magazzino.

-
 
Tornare al Wondercafè e trovarlo vuoto era ancora molto dura. Anche suonare il campanello per farsi aprire invece che entrare e basta era strano. Jeff ci mise un po' a scendere, tanto che Alice e Hartley si chiesero se fosse in casa o meno ma ovviamente c'era. Sorrise ai ragazzi aprendo la porta, non era proprio il solito sorriso di Jeff, positivo e trascinante che gli faceva spuntare delle piccole zampe di gallina agli angoli degli occhi, era come diceva Hartley, spento, diverso. Qualcosa era cambiato ed era difficile fingere che non fosse così. All'interno il cafè era stato ripulito, non c'era più traccia dei frammenti di porcellana sparsi sul pavimento, le sedie erano capovolte sui tavoli, gli scaffali erano pressoché vuoti.
 “Volete un caffè?” chiese Jeff.
Alice e Hartley si guardarono. Non era la stessa cosa e non era nemmeno una visita di cortesia. “No, magari un'altra volta”
Jeff prese atto e tirò giù tre sedie da un tavolo. Si sedettero.
 “Come va?” chiese Alice.
Jeff sospirò. Aveva ancora un braccio fasciato e sul suo volto rimanevano dei segni in via di guarigione lasciati dall'aggressione avvenuta nemmeno due settimane prima. “Me la cavo. E voi?”
 “Ho finito gli esami” disse Alice tanto per fare conversazione.
 “Grandioso!” commentò Jeff sinceramente interessato. “è ora che inizia la vita vera, giusto?”
 “Già, così dicono”
 “Come sta Iris?” chiese Hartley cambiando l'atmosfera. Ma infondo anche senza nominarla, la presenza della donna era tutta intorno a loro, non si poteva evitare l'argomento.
 “Non c'è male” rispose Jeff serio. “Con le medicine che le danno è a posto.”
Quello che intendeva era che i medicinali la aiutavano a tirare avanti senza soffrire. Ma in base a quello che si erano detti in ospedale, Alice sapeva che non potevano salvarle la vita. Si fece forza. “Salutacela, ok?”
 “Certo” rispose Jeff. “Anzi, scusate ma dovrei tornare di sopra, se avesse bisogno di me...” fece per alzarsi.
 “Ecco, veramente c'è un'altra cosa” lo fermò Hartley.
 “Si, infatti. Non siamo venuti qui solo per sapere di Iris” aggiunse Alice.
Jeff restò seduto “Ok, di che si tratta?”
Di nuovo, Hartley e Alice si cercarono per capire da dove cominciare, che cosa dire. Spettava a Alice fare la domanda, era lei ad aver visto il fumatore.
 “Qualche tempo fa ero qui al Wondercafé e c'era un uomo. Stava fumando e tu l'hai mandato via perchè era vietato, ricordi?” osservò l'espressione di Jeff per trovare un cambiamento. “Vagamente, perché?”
 “Alice è nei guai” disse Hartley. “Guai grossi e pensiamo che questo tipo c'entri qualcosa.”
 “Ci chiedevano se tu per caso lo conoscessi” concluse Alice.
Jeff tacque a lungo, scrutando i due amici. “Che genere di guai?” chiese infine.
 “Quando Alice mi ha portato qui totalmente stravolto era perché delle persone mi avevano torturato per delle informazioni riguardo lei. Volevano sapere dove trovarla per portarla via”.
Jeff si accigliò ”Dove?”
 “In un luogo...lontano” fu Alice a parlare.
 “E questo tizio che fumava era uno di loro?”
 “No ma come ti abbiamo detto, può centrare qualcosa, magari vuole aiutarci” rispose la ragazza.
Jeff si alzò “Mi dispiace, ragazzi, ho mandato via quell'uomo solo perché nel mio locale è vietato fumare. Non lo conoscevo. Dovreste chiamare la polizia però, è una cosa preoccupante. Tua madre lo sa, Alice?”
Le speranze di Alice morirono in quel momento. Da una parte era meglio così, non voleva che anche Jeff fosse coinvolto in quella faccenda ma dall'altra parte...ora erano di nuovo al punto di partenza. “Si” mentì la ragazza. “Ho una guardia del corpo che mi segue quasi sempre.”
 “Bene, questo mi rassicura.” commentò Jeff. “Ora devo proprio andare, Iris si starà chiedendo dove sono finito” si girò dirigendosi verso la porta che dava sulle scale.
“Sono stato io a darti i soldi per il locale!” esclamò Hartley.  Sia Jeff sia Alice rimasero bloccati. Alice non sapeva che l'amico avesse intenzioni di rivelare il suo segreto. Jeff si girò verso di loro lentamente. Fissò Hartley stupito. “Non è possibile. Tu non hai denaro, Hart.”
 “è vero. Ma la sera che ti ho trovato demoralizzato e pronto a lasciare tutto ho voluto aiutarti e ho trovato una maniera.”
 “Come?”
 “Wonderland. Ti dice qualcosa?”
Jeff sbiancò “Dannazione. Speravo non imparassi mai a usare quel maledetto cappello.”
Alice rimase di sasso. Lui sapeva del cappello? Certo, poteva averglielo visto in testa ma come poteva averlo collegato a Wonderland? Hartley non sembrava meno sorpreso. Si alzò e si mosse per raggiungere Jeff. “Cosa sai del cappello?”
Jeff era combattuto. Aveva tutta l'aria di non voler affrontare quella conversazione. “Quello che sai tu. Che è magico, che ti può portare dall'altra parte”
Ora fu Alice a parlare. “Come le sai tutte queste cose??”
 “Le so perché oggetti come quello vengono prodotti dove sono nato io.” disse. “A Wonderland”

-
 
Alice fece due passi indietro guardando Jeff come se lo stesse vedendo per la prima volta. All'improvviso era come se l'uomo che aveva imparato a conoscere negli ultimi anni fosse scomparso davanti a lei e al suo posto ci fosse uno sconosciuto. Che diavolo significava?
 “Non sei serio” disse incredula. Hartley le fu accanto in un momento.
 “Non avrei mai voluto arrivare a questo punto. Voi non avreste mai dovuto sapere niente, nessuno avrebbe dovuto.” disse ”Ma ora che so che sei stato tu a risollevare il mio locale dalla rovina...Dalle mie parti esiste una cosa chiamata gratitudine.” spiegò con calma verso Hartley.
 “Chi sei tu veramente?” gli chiese il ragazzo.
Jeff si infilò le mani nelle tasche. “Sono la stessa persona di sempre. L'unica cosa che mi differenzia da voi è la provenienza, tutto qui”
 “Tutto qui?? Quindi la chiami una coincidenza che dopo aver scoperto che della gente di Wonderland vuole portarmi via tu ti sia rivelato un altro abitante di quel mondo?” lo accusò Alice.
 “Io non centro niente con questa storia. Non so chi siano queste persone ma ti darò tutte le informazioni necessarie per aiutarti”
 “Non posso crederci” disse Alice tra sé e sé. Non sapeva ancora se poteva fidarsi di lui ora che aveva saputo la verità. Ogni cosa intorno a lei si stava sfaldando, sembrava che tutti volessero prenderla in giro.
 “Alice, perché non gli diamo una possibilità?” sussurrò Hartley al suo orecchio. “è pur sempre il nostro amico, se avesse voluto farti del male ci avrebbe già pensato da tempo, no?”
Alice ascoltò le parole di Hartley e ci pensò su. Forse potevano almeno lasciargli raccontare la sua storia e poi avrebbero deciso se credergli o meno.
 “Ok, parla. Dicci esattamente perché sei qui”

Note: lo so, lo so la fine del capitolo lascia tutto in sospeso ma spero di pubblicare prestissimo il 25 (forse anche domani, dipende se riesco). Cooomunque, già, Jeff viene da Wonderland! L'avreste mai detto? Grazie a tutti quelli che leggono la mia storia ;)

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Capitolo 25
*** Jeff ***


Note: è un capitolo flashback, fa molto Once Upon A Time ma dovevo farlo per poter raccontare la storia di Jeff come si deve. Spero non lo troviate troppo lungo, l'ho diviso in tre parti per renderlo più scorrevole. Almeno questa settimana sono riuscita a pubblicare ben due capitoli, sono fiera di me! LOL! Fatemi sapere che ne pensate, alla prossima! :)


 25.1 – Il Professore
Era un'altra bellissima giornata, il sole entrava dalla finestra e una leggera brezza rinfrescava la stanza dove Jeff era chiuso da due ore. Teneva in mano quel pezzo di legno grande quanto una mela e lo attaccava con lo scalpello cercando di dargli una forma guardabile da tempo ormai ma senza un risultato. Doveva produrre una statuina somigliante a un nanetto ma tutto quello che era riuscito a ottenere era uno sgorbio deforme. Lasciò cadere sul tavolo scalpello e pezzo di legno e sbuffò. Perché doveva intraprendere il lavoro di famiglia se non era in grado di scolpire? Lo stesso valeva per i mobili, gli venivano irrimediabilmente storti, ruvidi, in una parola brutti. Ma suo padre e sua madre avevano tanto insistito, sostenendo che Jeff non era veramente in grado di fare nient'altro e che quindi doveva quanto meno rendersi utile in casa. E fu così che passò la maggior parte della sua giovinezza a intagliare brutte statuine, risistemate poi dalla sorella maggiore che manteneva il segreto. Nel frattempo Jeff sognava. Fantasticava guardando oltre il vetro della finestra di viaggiare, si questo era quello che voleva fare, viaggiare in un luogo diverso da Wonderlad dove i paesaggi erano differenti, dove i colori non erano così intensi e la pioggia cadeva giù anche per ore e ore invece che per pochi minuti come lì da lui. I Fiori necessitavano di poca acqua, tanto sole ma soprattutto chiacchiere mentre una volta aveva letto che in alcuni luoghi i fiori bevevano tanto e non parlavano per niente! Erano solo belli. Fuori da Wonderland forse avrebbe trovato la sua vocazione, forse avrebbe trovato la persona per lui...Da tempo non aveva una ragazza e si sentiva un po' solo anche se non l'avrebbe mai ammesso con la sua famiglia. Perché lì le donne erano tutte così uguali l'una all'altra, così interessate alle frivolezze e a poco altro?
Quel pomeriggio suo padre entrò nella stanza dove lavorava e guardò la statuina con disapprovazione. “Che ti succede oggi, figliolo?”
 “Niente, ero solo distratto. La sistemo subito” falso, avrebbe chiamato la sorella, ecco cosa avrebbe fatto. Santa ragazza.
 “Lascia stare, ho un altro compito da farti fare. Consegna questo pacco all'indirizzo indicato sopra la scatola. Vai” gli ordinò.
Jeff prese il pacco e si avviò per portarlo al destinatario. Era più che lieto di uscire da lì e prendere una boccata d'aria. Quando arrivò al luogo indicato vide una piccola casetta coperta di muschio sul tetto e di rampicanti su tutta la facciata anteriore. La porta era di legno vecchissimo ma sembrava resistente. Bussò. Niente. Bussò ancora. Stavolta la porta si aprì. Un uomo sulla cinquantina, coi capelli brizzolati e la faccia simpatica fece capolino con la testa e prese il pacco. “Proprio quello che stavo aspettando” disse. “Grazie, ragazzo. Quanto ti devo?”
 “Ehm, 5 monete signore”
L'uomo posò il pacco a terra e andò a cercare il portafogli in casa. Così facendo aprì un po' di più la porta e Jeff riuscì a vedere meglio dentro. Era incredibilmente buio, l'unica finestra che intravedeva era mezza chiusa e faceva filtrare la luce attraverso le persiane quasi del tutto abbassate. Ma la cosa che lo colpì di più fu il disordine, vero e proprio caos. Libri su libri, fogli, fascicoli, penne, righelli e oggetti di ogni tipo sparsi ovunque tra ragnatele e angoli impolverati. Chi era quest'uomo?
Ritornò alla porta coi soldi in mano. “Ecco le tue cinque monete”
Jeff le prese e le mise in tasca. “Posso chiederle che cosa c'è nel pacco?”
Non l'aveva chiesto a suo padre perchè non gli interessava ma ora si.
L'uomo sorrise. “Sei curioso? Non l'hai fatto tu quello che c'è dentro?” disse dando un colpetto sulla scatola.
 “Temo di no, non sono un gran che come scultore né come falegname. Quello bravo è mio padre” spiegò un po' imbarazzato.
 “E fai lo stesso questo lavoro?”
 “Già”
L'uomo si fece pensieroso. “Un gran peccato. Non dovresti fare qualcosa se non ti piace.”
 “Non lo dica a me! Ma sono incastrato.” rispose Jeff frustrato.
L'uomo lo guardò bene. “Mmm, qual'è  invece il tuo desiderio, se si può sapere?”
Jeff ci pensò su. “Direi andarmene da qui. Lo so, lo so, nessuno lascia Wonderland ma...se solo potessi! è uno stupido sogno” si sfogò. Perchè gli riusciva così facile parlare con quello sconosciuto?
 “Sei davvero bizzarro, ragazzo. Da che sono su questa terra non ho mai incontrato nessuno che fosse stanco di Wonderland. Tutti la adorano. E tu osi desiderare di andartene?”
 “Gliel'ho detto, è solo un sogno, una fantasticheria.”
L'uomo ridacchiò e gli mise una mano sulla spalla. “Penso che diventeremo grandi amici noi due”
E così fu. Quel pomeriggio Jeff passò del tempo a casa dell'uomo e scoprì che dentro alla scatola di cartone c'era semplicemente un'altra scatola, di legno ovviamente, intarsiata e lavorata finemente dalle abili mani del padre. La vera scoperta in ogni caso fu che cosa ci voleva fare con la scatola: esperimenti. L'uomo passava le giornate a fare esperimenti con la scienza e la magia (la poca che riusciva ad ottenere da oggetti magici e altre fonti presenti a Wonderland) allo scopo di creare un portale che conducesse fuori dal loro mondo. La cosa doveva rimanere segreta poiché andarsene era considerato impossibile da anni ormai ma anche illegale, nel caso in cui fosse saltato fuori un modo per farlo. Jeff prese a chiamare l'uomo 'Professore' anche se la cosa faceva un po' ridere il diretto interessato, e ad andare a trovarlo sempre più spesso per assisterlo nei suoi tentativi. La scatola si era rivelata un buco nell'acqua e ne seguirono moli altri fino a che un giorno ci riuscirono. Uscirono dalla polverosa casa portandosi una pozione magica preparata dopo giorni e giorni di accurata elaborazione e posizionatisi all'inizio del bosco vicino, la gettarono a terra. Aspettarono pochi secondi, speranzosi, emozionati, e infine la terra iniziò a smuoversi e una porta luminosa si alzò diritta. I due amici la guardarono meravigliati, soddisfatti del risultato dei loro sforzi. Il Professore avvertì Jeff che molto probabilmente il portale non sarebbe stato in grado di trasportare più di una persona alla volta e che quindi sarebbe dovuto andare per primo. Jeff era titubante, infondo per quanto fosse curioso di cosa ci fosse dall'altra parte ne aveva anche timore, ma il Professore gli assicurò che anche lui aveva un interesse nell'attraversare e che l'avrebbe seguito subito dopo. Jeff si fidò e passò attraverso il portale lasciandosi alle spalle il mondo che aveva sempre conosciuto. Un tonfo per terra lo catapultò nel luogo sconosciuto. Sentiva l'erba sotto le sue dita ma soprattutto iniziava a percepire delle goccioline bagnargli la testa. Si mise seduto e si ritrovò in mezzo a un vasto campo d'erba. La pioggia ora cadeva sempre di più e Jeff sorrise. Ce l'aveva fatta.

25.2 - capelli rossi
Il Professore non arrivò mai. Jeff lo aspettò a lungo quel giorno ma non lo vide comparire. Ritornò in quel campo tutti i giorni per una settimana ma ogni volta se ne andava solo. A quanto pareva il luogo dove si trovava si chiamava 'Irlanda' e per lui era davvero peculiare. Certo, come a Wonderland c'erano grandi distese di prati ma i colori non erano così vibranti come là; i fiori erano davvero muti come aveva letto sui libri e c'era addirittura chi li coglieva per venderli! A casa, un atto del genere avrebbe costituito un omicidio e la Regina avrebbe fatto decapitare il responsabile senza nemmeno un processo. E pioveva, spesso anche, e molti degli abitanti ne erano infastiditi il più delle volte ma per Jeff non era mai abbastanza. Trovava la pioggia affascinante. La cosa più buffa era l'accento delle persone. Per lui ne esisteva uno solo e a volte non riusciva a capire bene cosa gli veniva detto. Non tutto era rose e fiori per lui però; non aveva messo in conto alcuni dettagli, come ad esempio i soldi. Le Monete della Regina non valevano nulla in quel mondo e inizialmente si vide costretto a dormire per strada o sugli alberi. Doveva trovare un lavoro e guadagnare i soldi che gli servivano per vivere lì per un po', il tempo di schiarirsi le idee e capire se valeva la pena di tornare indietro o meno. Aveva lasciato una lettera ai genitori spiegando loro perché se n'era andato e sperava che lo avrebbero capito e che la Regina non avrebbe scoperto della sua fuga.
Il lavoro che riuscì a trovare fu quello di barista in un pub. Le prime due sere non andarono granchè bene, era un disastro con i drink, non ne conosceva nessuno, e dovette abituarsi anche al nuovo sistema monetario. La terza sera tutto cambiò. Alcune volte al pub avevano una cantante e nel momento in cui iniziò il suo canto Jeff rimase come paralizzato. Neanche a dirlo, gli cadde il bicchiere che stava asciugando dalle mani e si frantumò per terra. Non gli importava, alzò lo sguardo per vedere a chi appartenesse quella voce. Quando la vide la situazione non migliorò. Rimase immobile ad ascoltarla e ad ammirare la sua bellezza. Mai nella vita aveva visto una ragazza come quella; i suoi capelli rossi erano luminosi e fluenti, ricadevano a onde sulle sue spalle. Gli occhi nocciola trasmettevano tutte le cose che cantava e le sue labbra formavano un sorriso ogni qualvolta che la canzone si faceva più lieta, più positiva. Cantava di libertà, di amore o meglio della ricerca di esso. Ad ogni parola Jeff rimaneva sempre più affascinato. La pioggia non era più la sua cosa preferita del mondo nuovo.
Per tutta la serata non trovò il coraggio di parlarle ma a un certo punto mentre serviva da bere ai clienti fu proprio lei a comparirgli davanti. Gli si fermò il respiro, la gola si chiuse. Perchè doveva avere quelle strane reazioni proprio con lei? Non gli era mai capitato prima! La ragazza sorrise e chiese un altro drink che lui non conosceva ma lei fu così gentile da spiegargli come prepararlo. Dopo la fine del turno anche lei se ne stava andando e i due si ritrovarono fuori dal pub mentre lei aspettava il taxi che aveva chiamato. Iniziarono a chiacchierare e Jeff ce la mise tutta per essere naturale. Si presentarono. Il nome della ragazza era Iris Greenfield, un nome perfetto, le stava a pennello. Nel suo mondo c'erano molti Fiori con quel nome ma nessuno l'aveva mai portato bene come lei. Gli chiese se fosse americano a giudicare da quell'accento diverso dal suo e lui rispose di sì non sapendo ancora quale alibi usare. Si sarebbe informato poi su cosa volesse dire essere un 'americano'. Iris rimase sconvolta quando le disse che dormiva dove capitava da quando era arrivato e gli offrì subito una sistemazione provvisoria. Lo invitò a casa sua e senza dirlo ai suoi genitori gli preparò una stanza nella depandance. Iris era decisamente benestante e finchè quella parte della casa rimaneva inutilizzata nessuno si sarebbe accorto di lui. Jeff la ringraziò di cuore. Restò da Iris per un mese prima di avere il suo primo stipendio e trovare un appartamento e durante quel tempo i due impararono a conoscersi. Avevano così tanto in comune. Anche i genitori di Iris volevano avviarla alla loro stessa carriera, quella di avvocati, mentre lei non nutriva il minimo interesse per la legge, bensì per il canto. Si era appena laureata e stava facendo uno stage presso uno studio legale ma era solo per far piacere ai suoi. Solo così lasciavano che coltivasse la sua passione suonando al pub qualche sera a settimana. Nonostante fosse adulta i suoi non volevano accettarlo. Jeff capiva benissimo. Man mano che i giorni passavano i due si facevano più vicini sino a che, inevitabilmente si accorsero di essersi innamorati. Jeff aveva finalmente scoperto che cos'era l'amore di cui cantava Iris, quello che narravano i vecchi libri che leggeva e nascondeva sotto il letto. Iris non era finta, né vanitosa, nè frivola come molte delle ragazze di Wonderland. Era semplicemente sé stessa. Ben presto decisero di sposarsi. Era una grossa decisione, una pazzia a sentire i genitori di lei, ma era giusto. Lo sentivano nei loro cuori, sapevano già dal momento in cui si erano parlati per la prima volta che non c'era un'altra persona nel mondo che potesse capirli come loro due si capivano. Perchè aspettare? Purtroppo la madre e il padre di Iris continuavano ad opporsi e quindi i due innamorati non videro altra soluzione se non quella di celebrare le nozze in segreto. Fu una cosa semplice ma ciò che contava era che da quel momento l'uno avrebbe contato sull'altra. Erano giovani ed avevano una vita davanti. Insieme.

25.3 - Imprevisto
Non potevano rimanere in Irlanda. Per quanto entrambi la adorassero, per loro lì non c'erano possibilità. In più la prospettiva di iniziare una nuova vita lontano dai pregiudizi e dalla negatività li allettava troppo per non inseguirla.
Prima di andarsene Jeff tornò un'ultima volta al grande prato dove era atterrato. Avrebbe mai rivisto il Professore un giorno? Avrebbe mai avuto modo di ringraziarlo per quello che aveva fatto per lui? Non sarebbe mai tornato a casa, ora lo sapeva. Se n'era andato per trovare sé stesso e aveva trovato Iris. Era più di quanto sperasse e il resto sarebbe venuto da sé. Sussurrò un grazie nel vento e desiderò di poter ripagare quell'uomo prima o poi.
L'arrivo in America non fu molto diverso da quello in Irlanda ma almeno questa volta non era solo e soprattutto aveva un po' di contante per prenotare una camera d'albergo. New York aveva la fama di essere ricca di possibilità e la coppia di neo sposi, armati di grandi speranze, si mise alla ricerca di un posto dove stare. Iris si era fatta convincere a registrare dei demo e li avevano distribuiti a tutte le case discografiche possibili e immaginabili. Finalmente la ricerca giunse al termine quando entrambi rimasero incantati davanti a un edificio con la scritta 'VENDESI' sulla vetrina. Al piano di sopra c'era un appartamento mentre di sotto c'era lo spazio per un locale, un bar magari. Si erano conosciuti in un pub e sembrava giusto aprire un bar insieme. Affittarono tutto con i soldi rimasti ad Iris sul suo vecchio conto e con quelli messi da parte da Jeff e incredibilmente tutto filò liscio. Certo, sistemarlo fu un po' faticoso ma anche divertente perché ci avevano pensato insieme. Lo chiamarono 'Wondercafè' in ricordo di quella che una volta Jeff chiamava casa e in riferimento a tutte le cose meravigliose che gli erano capitate nel mondo nuovo. Jeff decise di non vendere drink alcolici, non li aveva mai saputi fare in fin dei conti, ma solo tè, caffè e bibite simili. Era uno dei pochi punti in comune con il suo luogo di provenienza e lui adorava il tè.
Una bella mattina, proprio dopo la fine di un acquazzone, Jeff scese a prendere la posta e con sua grande sorpresa trovò una lettera da una casa discografica. Il suo cuore prese a battere forte; qualcuno aveva risposto, ci erano voluti tre mesi ma era successo! Corse di sopra stringendo la lettera in mano, impaziente di farla vedere alla moglie ma quando aprì la porta tutto il suo entusiasmo svanì. Iris era stesa per terra incosciente. Lasciò cadere la busta e si buttò a terra per farla rinvenire. La portò all'ospedale e una serie di esami evidenziarono un'agghiacciante verità: Iris era malata. Il nome della malattia era impronunciabile per Jeff ma anche in caso contrario non sarebbe stato facile per lui accettarne l'esistenza. Era grave, molto grave e servivano dei trattamenti fin da subito per arrestare la malattia. Iris era spaventata e Jeff, dentro di sé, forse di più. Si rese conto che con i guadagni del bar non sarebbe mai stato in grado di pagare le cure e nel frattempo i genitori di Iris chiamavano di continuo chiedendo disperati che ritornasse a casa, dove avrebbero pensato a tutto loro. Lei però non voleva, si era fatta testarda perché sapeva che in ogni caso non avrebbero mai accolto Jeff come uno di famiglia e che avrebbero tentato di allontanarlo. Jeff iniziava a sentirsi inadeguato. La convinzione che i suoceri avessero ragione si era insinuata nella sua mente sempre di più. Stando con lui, Iris stava perdendo tempo prezioso mentre in Irlanda i suoi genitori avrebbero pagato i trattamenti, non importava il costo. Diventò freddo. La accompagnava dal medico, faceva tutto ciò che ci si aspettava da lui ma non era più la persona di prima. Stava cercando di allontanarla. Una sera il problema culminò in una lite furibonda durante la quale volarono parole pesanti e Jeff finì col mettere in mano a Iris un biglietto di sola andata per l'Irlanda. Le disse che non sarebbe mai stato in grado di vivere con sé stesso se le avesse precluso la possibilità di guarire. Iris pianse tutte le sue lacrime ma realizzò che il marito era irremovibile. Prese il biglietto aereo tra le mani tremanti e guardando Jeff negli occhi gli rivolse le ultime parole prima di andarsene: “Non è finita finché non è finita”
 

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Capitolo 26
*** capitolo 26 ***


Note: questo è il penultimo capitolo che pubblico. Ne ho un altro finito da pubblicare appena posso. Devo abbandonare questa storia fino a data da destinarsi, non so dirvi quando la finirò. Sto avendo dei problemi personali e non ho il cuore di continuare con 'Alice' per ora. Ringrazio comunque tutte le persone che hanno letto e seguito. alla prossima!

 

Era come se stessero ascoltando una storia appartenente a un tempo lontanissimo, a loro estraneo. Ne erano stati completamente assorbiti. Ma la persona che l'aveva raccontata non era affatto un estraneo, bensì Jeff. Ne Alice né Hartley si sentivano  di dire qualcosa per il momento. La ragazza in particolare si pentì di aver dubitato di lui, non potendo immaginare che dietro la sua facciata sempre allegra e positiva ci fossero tali trascorsi. Molte domande le affollavano la mente ma non era ancora ora di porle.
 “Sono rimasto a New York” continuò Jeff preso dai ricordi. “Non avevo altra scelta. Senza il Professore non potevo aprire un altro portale. A quel punto non mi importava nemmeno di tornare a Wonderland. Nulla importava più.” concluse amaramente.
Alice si sentiva a terra; Iris era tornata alla fine e per Jeff doveva aver significato tutto ma ora un crudele destino li avrebbe separati di nuovo, stavolta per sempre.
 “Cosa sai dell'uomo che fuma?” chiese Hartley tornando all'argomento principale. Alice gli diede uno sguardo e fu evidente che seppur provando a rimanere concentrato sul loro problema, era rimasto scosso quanto lei da ciò che avevano appena sentito.
 “Lo chiamano 'Brucaliffo'” rispose Jeff. “Non lo conosco di persona ma a Wonderland era popolare per la sua eccentricità. A volte passava dal nostro negozio se doveva riarredare la sua casa.”
Hartley si fece pensieroso e camminò lento per la stanza. Poi si fermò davanti a Jeff. “Come fa a essere qui? Hai detto che lasciare Wonderland è impossibile, che solo tu e il Professore ce l'avevate fatta” ragionò.
Jeff annuì. “è esatto”
 “Allora come ha potuto attraversare? E lo stesso vale per le persone che cercano Alice”
Jeff rimase zitto e abbassò il capo.
 “C'è dell'altro, non è vero?” fu Alice a chiederlo.
Di nuovo Jeff annuì, mestamente.
 “Parla, ti prego” lo spronò la ragazza.
Jeff fece un respiro profondo. “Credo sia stata colpa mia, involontariamente”
 “Che cosa??” scattò subito Hartley.
 “Come hai detto tu, la notte che mi hai trovato al locale a bere ero disperato. Lo ero perché la mia ultima possibilità di fare qualcosa di buono della mia vita era sfumata.” spiegò tristemente. “Ti avevo visto con quel cappello in testa e da subito avevo percepito che non era un oggetto qualsiasi. Era magico. Una notte ho ceduto alla tentazione. Te l'ho preso, sapendo che di notte il tempo passa lento dall'altra parte ma sembra velocissimo da questa. Non te ne sei accorto. L'ho riposto subito dopo.” confessò.
Hartley era a dir poco sbalordito. “Hai appena finito di dire che non ti interessava tornare là e poi invece l'hai fatto?? Proprio non capisco!” iniziava a spazientirsi.
 “è così! Ma ero andato a Wonderland per chiedere Fortuna! Per il negozio, per guadagnare bene finalmente e poter riavvicinare Iris! Era rischioso ma era anche la mia ultima chance, se non avesse funzionato avrei deciso poi che fare. Ma non mi hanno concesso la Fortuna. A te si invece...” disse. “Poi Iris è comparsa alla mia porta, come un miracolo. Non c'entrava la magia, solo il destino, immagino”
Hartley si calmò. Alice rifletté anche su quest'ultima rivelazione. “Cosa centra questo con l'attraversamento degli altri?”
 “Quando sono ritornato qui qualcuno potrebbe avermi seguito o quel che è peggio...potrei aver indebolito la linea che separa questo mondo dall'altro” disse torvo.
Alice non voleva farsi prendere dal panico. “Sono solo ipotesi, Jeff, non lo sai...”
 “Ipotesi valide” controbatté evidentemente in colpa.
 “Potrebbe avere ragione, Alice.” concordò Hartley. “Come lo spiegheresti se no?”
 “Non ne ho idea, ok? Quello che conta adesso è sapere tutto quello che possiamo sul Brucaliffo e sulla gente che mi vuole portare via.” disse risoluta, poi si voltò verso Jeff. “è pericoloso? Cosa può volere da noi?”
Jeff si fece serio. “Non so nulla su questa storia. Come potrei? Posso solo supporre...”
 “Supporre cosa?” lo spronò Alice. “Siamo totalmente al buio, Jeff, io ho paura. Ogni informazione può esserci utile.”
 “Brucaliffo ha sempre avuto a cuore i suoi interesse e quelli di nessun altro. Desiderava arrivare più in alto nella scala sociale di dove si trovava già. Quando l'ho visto qui al cafè ho pensato che mi avessero scoperto, dopo tutto, e che volesse fare la spia, denunciarmi. Ora so che probabilmente non aveva niente a che fare con me. Trovandoti avrebbe potuto guadagnare punti con la Regina”
Alice non capiva. “La Regina? È assurdo, non mi conosce nemmeno”
Jeff scrollò le spalle. “è una donna molto severa, austera anche. Se davvero ha una mira su di te è per un motivo ben preciso che non posso immaginare.”
 “Aspetta un minuto, stiamo dimenticando il sogno.” disse Hartley. “Il Brucaliffo è apparso in un sogno di Alice dove c'era anche un grosso gatto parlante. Lui voleva aiutarla.”
L'espressione di Jeff era ora spiazzata. “Un grosso gatto hai detto?”
Hartley annuì. “Lo conosci?”
 “Si, certo che lo conosco. È lo Stregatto. Forse non tutto è perduto per voi” rispose, per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, in tono speranzoso

-

Alice e Hartley raccontarono tutto quello che era successo loro negli ultimi tempi, sogni compresi. Alla fine Jeff espresse il suo parere: “Lo Stregatto è una creatura mistica, non tutti hanno la possibilità di incontrarlo. Quando fa qualcosa è solo per sé stesso, non per compiacere gli altri. A questo proposito escludo che sia contro di voi dato che è risaputo che la Regina non gli piaccia affatto.” spiegò.
Alice tirò un sospiro di sollievo. Era la prima buona notizia della giornata. Dunque la prima impressione era stata quella giusta, era dalla parte dei 'buoni'. “è grandioso!”
 “Resta il fatto che è comparso nel tuo sogno insieme al Brucaliffo. Cosa c'entra lui?” chiese Hartley rovinando il suo momentaneo buon umore.
Fu Jeff a rispondere. “Brucaliffo sa fare il doppio gioco e probabilmente è per questo che era lì. Ma lo Stregatto è furbo, quando lo scoprirà non lo lascerà più avvicinare” li rassicurò.
 “Grazie Jeff” disse Hartley pieno di sincera gratitudine.
 “Si, grazie davvero. E scusa se ti abbiamo fatto ripensare al tuo passato” aggiunse Alice.
Jeff sorrise suo malgrado. “è tutto a posto. Hartley ha fatto molto per me e dovevo ricambiare dicendovi la verità. Spero solo vi sia stato utile”
 “Certo che si” rispose Alice. “Torneremo se avremo altre domande”
L'uomo esitò “Vorrei aiutarvi ancora ma...più di così non posso. Non posso lasciare Iris.”
Alice capiva benissimo e non insistette oltre anche se l'aiuto di Jeff sarebbe stato prezioso per qualunque cosa avrebbero affrontato in futuro.
La ragazza lo abbracciò e successivamente Hartley gli diede una stretta di mano e una pacca sulla spalla. “Chiama se sei tu ad avere bisogno di qualcosa” gli desse.
 “Sei gentile” replicò Jeff.
I due amici uscirono dal locale coi cuori pesanti, incerti sul futuro, ma almeno non erano al buio come prima.

  -
 

I due amici rimasero fuori dal Wondercafè in attesa che l'auto di Alice arrivasse a prenderla. Si sedettero sul marciapiede, Alice col mento appoggiato alle ginocchia, Hartley con la testa tra le mani.
 “Se ci pensi potevamo arrivarci. Wondercafé” disse Alice.
 “Mmh?” rispose Hartley evidentemente distratto.
 “Il nome del locale. Wondercafè, Wonderland.”
 “Oh, si è vero.”
Seguì un lungo silenzio. Alice aveva così tante cose per la mente, così tante preoccupazioni, ma non voleva sprecare il prezioso tempo che passavano insieme discutendo ancora delle stesse cose. Non voleva spaventarsi ancora di più, non voleva tornare a casa ancora più stressata.
Hartley doveva essere sulla sua stessa lunghezza d'onda. “Il tuo compleanno si avvicina” disse dal nulla.
Alice lo guardò. “Si, te lo ricordi” disse un po' sorpresa.
 “Come potrei averlo dimenticato? Sei la mia migliore amica.” rispose con un piccolo sorriso.
Anche lei lo ricambiò. “Già”
 “E poi l'abbiamo programmato per così tanto tempo che dobbiamo per forza festeggiarlo” continuò il ragazzo.
 “Dici sul serio? Vuoi ancora fare come avevamo detto?” Alice si riferiva all'idea di passare l'intera giornata al luna park di Coney Island, da soli, senza che nessuno potesse mettere bocca nella decisione, non più.
 “Ma certo!” rispose Hartley con fermezza. Un secondo dopo il suo sguardo si spostò sull'asfalto dove poggiavano i suoi piedi. “A meno che tu non abbia già organizzato qualcosa con il tuo ragazzo” disse incerto questa volta.
Alice ricordò della promessa fatta ad Anne, ossia di pensare all'eventualità di lasciarle dare una festa per lei. Era così entusiasta al solo pensiero...ma come poteva rinunciare a quello che aveva aspettato per anni? Hartley era arrivato prima dei Van Horten e contava per lei molto più di loro. In più c'era un dettaglio da chiarire. “Non è il mio ragazzo”
Hartley finse disinteresse spostando dei minuscoli sassolini avanti e indietro con la scarpa. “e allora cos'è?” chiese.
Domanda difficile. “Un amico” rispose Alice sperando che andasse bene.
Hartley fece una piccola risata. “Baci sulla bocca tutti i tuoi amici?”
Alice trasalì. Ora si che l'aveva zittita. Come poteva replicare a quella frase? Era la verità dopo tutto. E poi lui era il suo unico amico...
Finalmente Hartley tornò a guardarla. “Alice, è tutto ok!” disse in tono normale. “Non devi vergognartene, prima o poi doveva succedere.”
 “Che vuol dire?”
Hartley scrollò le spalle. “Niente, solo che sei una persona speciale e...anche molto bella quindi un giorno qualcuno doveva pur accorgersi di te” disse in leggero imbarazzo sulla parola 'bella'.
Alice non sapeva che pensare. Lei e Hartley non avevano mai parlato di certe cose, nessuno dei due aveva avuto un fidanzato o una fidanzata da che si conoscevano o per lo meno Alice non ne era a conoscenza quando si trattava dell'amico. E poi non pensava che lui la trovasse bella...
 “Beh, grazie” rispose un po' impacciata. “Ma resta il fatto che tra me e Justin non c'è niente di serio. Voglio dire, non sono innamorata o roba del genere”
 “Ah no?” chiese confuso Hartley. “E allora perché sembrate tanto intimi?” non era un'accusa, né una curiosità, solo sincero interesse.
Alice sospirò. “Non lo so. Abbiamo iniziato a rivederci ed è semplicemente successo.” sapeva che forse non era abbastanza come spiegazione ma era la sola che riusciva a tirar fuori.
Hartley annuì ma a guardarlo non sembrava troppo convinto. “Non credo dovresti continuare a vederlo allora”
 “Cosa?”chiese Alice spiazzata.
Hartley non rispose subito e quando lo fece parlò con calma come se stesse scegliendo con cura le parole da usare. “La persona giusta per te potrebbe essere là fuori ad aspettarti. Magari...non prova a fare la sua mossa perchè c'è Justin. E tu non lo sapresti perchè sei troppo impegnata ad ammazzare il tempo con lui”
 “Ne dubito. Sono troppo timida, chi si accorgerebbe di me?” chiese Alice scettica.
 “Eri timida, ora sei cambiata.”
 “Tu dici?”
Hartley annuì. “Sei più sicura di te, ti imponi di più. È una cosa buona” disse.
Alice concluse che forse aveva ragione lui. Fino a pochi mesi prima non avrebbe mai alzato la voce con sua madre, non avrebbe avuto il coraggio di mettere in dubbio le sue direttive. Ora era diverso, si sentiva padrona di sé stessa in un certo senso.
 “D'ogni modo non credo di piacere a qualcun altro a parte Justin.”
Hartley la osservò a lungo e Alice iniziò a domandarsi perchè, che cosa stesse guardando esattamente. Il ragazzo fece per dire qualcosa ma all'ultimo secondo cambiò idea e sorrise “è arrivata la tua auto”
Alice guardò davanti a lei ed effettivamente era così. Le dispiaceva, voleva restare lì con Hartley ancora un po'. Si alzò dal marciapiede.
 “Ci vediamo presto allora” lo salutò.
 “Certo. Oh, quindi ci conto per il tuo compleanno, giusto? Coney Island, baby!”
Alice ridacchiò. “Sicuro. Non mi farò rovinare il compleanno.”
 “Questo è lo spirito giusto”

 

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Capitolo 27
*** The Number 18 ***


Quando Alice aprì gli occhi per un momento tutto era come al solito. Come ogni mattina si era svegliata nel suo letto e si sarebbe preparata ad affrontare una nuova giornata. Ma un secondo dopo la consapevolezza la colpì: non era un giorno come gli altri, era il suo compleanno. Si mise a sedere. Era sempre una sensazione strana quella che sentiva ogni anno in quella data. Alice era preparata ad essere trattata con tutti i riguardi, a ricevere sorrisi e regali, e poi come nulla fosse la giornata volava via. Ma questo compleanno era il suo diciottesimo. Quanto tempo aveva passato ad immaginarselo? Quanti progetti ideati con Hartley? Il numero 18 per lei rappresentava la libertà, l'indipendenza. E ora finalmente ci era arrivata. Era ufficialmente adulta. Credeva che avrebbe provato immediatamente un'immensa gioia, che si sarebbe sentita soddisfatta. Ma non era proprio così.
Molte cose erano cambiate nel corso degli ultimi mesi e ora compiere gli anni non rappresentava più questo grande traguardo. Sin da quando era iniziato il nuovo anno scolastico era stata preoccupata della sua eventuale entrata alla Juilliard, non sapeva se era o meno la cosa giusta da fare, se studiare lì fosse più un desiderio suo o quello del padre defunto. La madre condizionava ogni sua mossa, la sua vita non era veramente sua e l'unico vero amico che aveva era Hartley. Ora alcune cose si erano fatte più chiare; era stata accettata alla Juilliard ed era meraviglioso perché avrebbe studiato con i migliori insegnanti e avrebbe passato tutto il suo tempo a suonare e migliorare. Fare la pianista sarebbe stato il suo destino? Forse, era tutto nelle sue mani ed era anche troppo presto per saperlo per certo. Sua madre aveva progressivamente accettato che avesse una vita propria, pur non approvando sempre ciò che ne faceva parte. Ma la donna algida e severa che era comparsa dopo la morte di suo padre si era rivelata più una maschera che la verità. Alice e la madre avevano imparato a parlare invece che urlare e ignorarsi, e soprattutto ad ascoltarsi. Procedevano a piccoli passi ma avrebbero presto ricostruito un bel rapporto, Alice ci sperava tanto. Per quanto riguardava Hartley, l'unica cosa che sapeva era che avevano dei programmi per la giornata, li avevano da sempre, e non importava cosa stava succedendo intorno a loro, se la sarebbero goduta. I sentimenti di Alice verso di lui erano alle volte confusi ma poteva comunque contare sul suo migliore amico.
L'unica ombra su quella giornata era il pericolo che correva. Aveva scoperto molte cose da Jeff circa Wonderland ma ancora non sapeva perché la gente che ce la voleva portare la stesse cercando. Era pazzesco trovarsi in quella situazione. Era arrivata a tagliarsi i capelli per non farsi riconoscere dato che avevano in loro possesso un suo ritratto, e a chiudersi in casa invece di uscire. Aveva avuto paura ed era ancora così ma aveva deciso che per un giorno poteva divertirsi. Chi l'avrebbe mai cercata in un Luna Park? La suoneria del suo cellulare attirò la sua attenzione. Allungò il braccio verso il comodino dove era appoggiato e lo prese in mano. Un messaggio, da Hartley. Buon Compleanno Alice! Ci divertiremo un sacco oggi!
Erano i primi auguri che riceveva ed era felice che fossero i suoi.

La Signora Abrhams già l'aspettava in soggiorno in piedi accanto al divano. Mentre si richiudeva la porta dietro si sé Alice la guardò cercando di interpretare il suo sguardo. Sorrideva, gli occhi sulla figlia forse le brillavano un po'.
 “Buon giorno” la salutò la ragazza.
 “Buon giorno a te Alice e buon compleanno!” rispose la madre offrendole un abbraccio.
Alice se lo prese. Quando le due si staccarono la Signora Abrhams la guardò in volto di nuovo come se cercasse dei cambiamenti rispetto alla sera prima. “Oh, non posso credere che questo giorno sia arrivato così in fretta.”
Alice sorrise “A me non è sembrato così veloce”
 “Per i figli è sempre così. Ma un genitore ha un'altra prospettiva. Sembra ieri che iniziavi la scuola e ora...sei grande”
Alice sospirò. “Non sarai mica triste? È quello che hai sempre voluto, no? Che io finissi il liceo e andassi alla Juilliard.”
La donna annuì. “Si, certamente ma non vuol dire che non mi dispiaccia pensare di perdere la mia unica figlia”
 “Ma quale perdere, mamma! Il college è qui a New York, non sarò lontana” obiettò Alice.
 “Si ma non sarai più sotto questo tetto, sarai sola contro il mondo. Vorrei soltanto poter continuare a vegliare su di te, tutto qui” spiegò la madre scrollando le spalle.
Alice tacque per un po'. Era il solito discorso che le faceva, solo che ora era privo della durezza delle altre volte, rimanevano solo le sue sincere preoccupazioni da mamma. Alice le mise una mano sulla spalla. “Non devi stare in ansia mamma. Andrà tutto bene, non sarò sola” quest'ultima frase non avrebbe dovuto lasciarsela scappare perché stava pensando a Hartley e la madre ancora non aveva una buona opinione di lui, forse non l'avrebbe mai avuta.
Ma la donna si rallegrò. “Ma certo che si, Justin sarà al tuo fianco quando io non potrò” disse. Alice si sentì sprofondare. Già, Justin, quello che aveva lasciato diventare il suo fidanzato. Era inutile girarci intorno, era così e persino sua madre lo riteneva tale. Ma lei non sapeva proprio come portarla avanti una relazione in quel momento, né ricambiava gli stessi sentimenti di Justin. Aveva sbagliato, si era rifugiata dai Van Horten quando si era sentita sola e spaventata e ora questa era la conseguenza. Come avrebbe potuto lasciarlo con delicatezza?
 “Ma ora è tempo del tuo regalo” disse la Signora Abrhams distogliendola da quei pensieri.
La donna si allontanò di poco e prese una scatola grande e sottile che stava nascosta appena dietro la poltrona. Gliela porse. “Per te”
Alice la prese tra le sue mani. Era un po' pesante ma non tantissimo. La scatola era avvolta da carta da regalo rossa con un bel fiocco blu.
 “Grazie mamma. Posso aprirlo?”
 “Devi” rispose la madre pronta ad osservare la reazione della ragazza.
Alice si sedette sul divano e scartò il suo regalo. Sotto la carta riusciva ora a vedere la marca di un computer stampata sul cartone. Le sembrava strano ma una volta liberato del tutto dalla carta vide che aveva proprio ragione, si trattava di un computer. Guardò la madre senza capire. “Mamma, ma io ho già un pc portatile”
La Sig. Abrhams si andò a sedere accanto alla figlia. “Si, ma questo è speciale. Ci puoi registrare la tua musica, leggere e creare spartiti e un sacco di altre cose. È perfetto per la tua nuova vita alla Juilliard.” spiegò.
Alice era incredula di fronte al dono ricevuto. Non sapeva cosa aspettarsi ma questo era davvero bello. “Grazie mamma, non avresti dovuto” riuscì a dire.
 “Oh si, invece. Te lo sei meritato. Hai sacrificato molto per riuscire ad arrivare fin qui, hai studiato duramente e volevo ricompensarti in qualche modo. Naturalmente se avrai bisogno di qualsiasi altra cosa dovrai solo chiedere.”
Aveva senso. Era vero quello che aveva detto sua madre, aveva tanto lavorato per entrare alla Juilliard ma se l'aveva fatto era perchè lei non le aveva mai dato vita facile. Si erano sempre scontrate e certe volte era stato difficile andare d'accordo ma sorprendentemente tutte quelle cose avevano dato un grande risultato. Alice abbracciò la madre. “Grazie davvero.”
La donna ricambiò l'abbraccio in maniera un po' impacciata. Quando si concluse sembrava incerta. “Anche...anche tuo padre sarebbe fiero di te oggi” disse.
Alice non voleva piangere, lui non avrebbe voluto. Sorrise invece, pensando a lui che forse dall'alto la guardava e faceva lo stesso.

-

La Signora Abrhams, come da tradizione, aveva portato la figlia a pranzo fuori, nel loro ristorante preferito in centro. Avrebbero ordinato quello che voleva Alice e alla fine ci sarebbe stata la torta. In realtà la ragazza era già pronta a trascorrere il pomeriggio con Hartley a Coney Island dopo pranzo e non vedeva l'ora che finisse. Non si poteva dire che la madre ne fosse felice, ci erano stati un sacco di sguardi di disapprovazione e sbuffi, ma in definitiva non poteva farci niente. Ora Alice era ufficialmente padrona della sua vita e la decisione di come passare il compleanno era la prima che prendeva autonomamente. L'aveva accettato e almeno questa era una vittoria, si disse Alice.
Dopo aver ricevuto il benvenuto dal metrè, le due donne si fecero condurre al tavolo riservato.
 “Ho una piccola sorpresa per te” disse la Signora Abrhams all'orecchio di Alice.
 “Cioè?”
 “Lo vedrai in un attimo”
Appena mise piede nella sala dove c'era il loro tavolo trovò subito la risposta alla sua domanda. Justin e Anne Van Horten. Erano intenti in una conversazione ma quando videro che Alice e la madre erano arrivate smisero subito e si alzarono.  “Sorpresa!” esordì Anne con voce squillante. “Buon diciottesimo compleanno!”
Proprio non se l'aspettava. La sua faccia era certamente sorpresa, cosa che ci si aspettava da lei in quella circostanza, ma sperava solo che sembrasse piacevolmente sorpresa. Diede un veloce sguardo alla madre che appariva fiera di sé. Non era mai successo che invitasse qualcun altro ai loro pranzi di compleanno, erano sempre e solo loro due. Si affrettò ad andare incontro ad Anne per abbracciarla. “Grazie Anne! Che bello che sei qui” ed era vero, non era così male avere una sua amica lì con lei, il problema era chi le stava vicino.
Posò gli occhi su Justin. “Ciao”
 “Tanti auguri” disse con un sorriso e si avvicinò per baciarla, fortunatamente sulle guance.
 “Grazie anche a te”
Nel frattempo anche la Signora Abhrams si era avvicinata. “Ho pensato ti avrebbe fatto piacere avere qualcuno della tua età a festeggiare con noi” spiegò.
Alice le sorrise. “Sei stata carina” rispose. Certo, avrebbe anche potuto pensare di invitare Hartley già che c'era ma no, solo i Van Horten, perché erano persone di buona famiglia e perché  sapeva della sua relazione con Justin. Ma non voleva avercela con lei, dopo tutto se lui fosse venuto davvero come avrebbe gestito entrambi i ragazzi nella stessa stanza?
 “Molto bene, allora sediamoci” disse la Signora Abrhams.
Alice era riuscita a prendere posto accanto alla madre mentre i due fratelli Van Horten erano dalla parte opposta. Justin non le staccava gli occhi di dosso.
La Signora Abrhams parlò con disinvoltura di come quel giorno fosse importante, del regalo fatto alla figlia e di quanto era emozionata per i suoi studi alla Juilliard. Alice sorrise come ci si aspettava da lei per tutto il tempo ed evitò lo sguardo di Justin. Sperava di non dover affrontare una conversazione imbarazzante proprio nel giorno del suo compleanno. Per ora, mentre erano tutti insieme, era al sicuro.
Mangiarono il primo e il secondo seguiti finalmente dalla torta. Quando entrò portata su un carrello da un cameriere Alice la guardò ammirata. Era una torta a tre piani, quasi come un dolce nuziale, bianco e con graziosi decori a forma di roselline di zucchero. In cima vi era la scritta “Felice 18^ compleanno, Alice!” con diverse candeline intorno, sicuramente tante quanti i suoi anni.
 “Mamma, ma è meravigliosa!” esclamò Alice.
 “Ringrazia Anne, ha voluto dare precise istruzioni al pasticcere su come dovesse essere.”
la ragazza si voltò verso l'amica. “Non avresti dovuto!”
Anne scrollò le spalle. “Non mi hai lasciato organizzare la festa, dovevo pur fare qualcosa per te” disse come se nulla fosse.
Alice le sorrise. Era bello avere un'amica oltre ad Hartley che era pur sempre un maschio.
Procedettero con la consueta canzoncina e alla fine Alice spense le candeline sulla torta soffiando un paio di volte. I Van Horten e la Sig. Abrhams applaudirono brevemente e poi si risedettero per una fetta di dolce ciascuno.
Alice si rilassò, in fin dei conti non stava procedendo così male. Ma dovette ricredersi. Dopo aver a mala pena toccato il suo dolce, la Signora Abhrmas si alzò da tavola e scusandosi si assentò per prendere una telefonata. Buffo, Alice avrebbe giurato di non aver sentito il cellulare squillare ma d'altra parte poteva aver tolto la suoneria. Quello che era davvero buffo però, per non dire sospetto, fu che cinque secondi dopo anche Anne si scusò per andare ai servizi. Forse la madre doveva davvero telefonare ma conoscendo Anne doveva averne approfittato per lasciare lei e Justin da soli.
Nel momento in cui questo accadde Alice si sentì in imbarazzo. Teneva gli occhi fissi sulla sua forchetta e sul pezzetto di torta appena separato da resto.
 “Ti abbiamo rovinato il pranzo?” chiese Justin anche se non suonava tanto una domanda.
Alice si vide costretta a guardarlo. Sembrava incerto, un po' triste anche. “No, certo che no” si affrettò a negare.
 “Tua madre voleva farti una sorpresa, dato che oggi sarai impegnata” aggiunse.
Alice si morse il labbro inferiore. Aveva dovuto chiamare Anne qualche giorno prima per comunicarle che non avrebbe avuto bisogno di una festa poiché aveva altri programmi. Ovviamente la ragazza aveva anche voluto sentire quali fossero questi programmi e quando scoprì che aveva preferito un giro al Luna Park a un party ci rimase un po' male. Alice le aveva spiegato che non c'era nulla di personale e che era stato deciso da anni e alla fine Anne non si arrabbiò. Subito dopo si fece passare Justin per informarlo direttamente della cosa. Al contrario di Anne non aveva fatto trapelare la sua insoddisfazione in maniera così evidente ma non voleva dire che non gli dispiacesse. Probabilmente avrebbe voluto passare almeno una parte della sua giornata con lei dato che era la sua ragazza ma...lei aveva bisogno di una distrazione e di un giorno che fosse esattamente come aveva sempre desiderato. Le serviva Hartley per questo.
 “Non sentirti in colpa” aggiunse Justin. “è il tuo giorno, puoi fare ciò che vuoi” ma ancora non sembrava del tutto sincero.
 “Sei qui adesso e questo è quello che conta, no?” disse Alice cercando di salvare la situazione.
Justin sospirò. “Già. Ho il tuo regalo” disse prendendo una sacchetto di carta da terra. Alice sentì un groppo alla gola. Qualsiasi cosa fosse come avrebbe potuto accettare senza sentirsi in colpa? Stava per lasciarlo e lui aveva appena speso dei soldi per lei.
Lo prese con un sorriso forzato. Guardò nel sacchetto e vi trovò una scatolina incartata con un fiocco azzurro. Aveva l'aria elegante, Alice aveva un paio di ipotesi su cosa fosse ma sperava tanto di sbagliarsi.
 “Coraggio” la incitò Justin. “Non morde, giuro” scherzò facendole l'occhiolino.
La ragazza fece come chiedeva e tirò via il fiocco. Tolse il coperchio e scoprì di aver indovinato. Era una cosa elegante, un gioiello, per la precisione un braccialetto. Era fatto di pietre che immaginò essere Swarowski accompagnati da altre decorazioni in argento, una scarpetta da ballerina, un paio di note musicali, un cuore, un pennello, un quadrifoglio. Era semplicemente bellissimo. Alice guardò Justin piena di stupore. “Justin, mi piace un sacco. Ma non dovevi disturbarti! Andava bene qualsiasi cosa!”
Il ragazzo sorrise. “Sei sempre così modesta. Non si direbbe che sei cresciuta nel lusso.” commentò. “Ad ogni modo non sono bravissimo coi regali ma ho pensato che con un gioiello non si sbaglia mai e ci ho fatto aggiungere dei decori che avessero un significato.”
Alice li osservò ancora, catturata dal loro luccichio.
 “Le punte stanno a simboleggiare la Juilliard dato che è famosa soprattutto per la danza, le note musicali perché tu adori il piano, un pennello per la tua passione per l'arte, il quadrifoglio per portarti fortuna. E il cuore...per ricordarti di me”
Oh wow. Era davvero troppo ora che gliel'aveva spiegato. Alice non trovava le parole per rispondere alla sua ultima affermazione.
 “Alice, so che quello che c'è tra di noi non è ben definito ma sappi che per me sei importante. Il bracciale è solo una piccola dimostrazione di ciò”
Justin aveva parlato col cuore in mano. Alice era ancora incapace di dire qualcosa.
 “Il tuo silenzio sta diventando preoccupante. Che c'è?” chiese Justin mezzo scherzando e mezzo serio.
Alice prese un respiro. “Apprezzo molto il tuo regalo e quello che significa ma...non credo di poterti dare quello che vuoi”
Ecco, l'aveva detto e si sentiva malissimo per averlo fatto. Proprio dopo quel bel momento? Dopo che lui le aveva esposto i suoi sentimenti? Ma non era cattiveria però, era solo ora di essere sincera. La rivelazione prese in contropiede Justin che non rispose subito. Alice si affrettò ad aggiungere qualcos'altro. “Sei una persona fantastica, davvero, e tu a Anne siete diventati degli amici veri per me negli ultimi tempi..”
 “Io ero un po' più che un amico però” controbatté il ragazzo. Era evidente che il tentativo di Alice di risollevare tutto era fallito.
 “Voglio dire, ci siamo frequentati per un bel pezzo e poi dal nulla mi baci e sei a casa mia tutto il tempo, che cosa avrei dovuto pensare?”
 “Hai ragione Justin, è solo che stavo passando un brutto momento e...”
 “E hai deciso di ripiegare su di me? Per quale motivo? Perché il tuo Hartley non era disponibile?” chiese acido.
Fu come una frustata per Alice. “Tra me e Hartley non c'è mai stato nulla, lo sai” disse lentamente senza perdere la calma come invece stava facendo lui.
Justin rise per nulla divertito. “Già, non ancora, non ancora”
 “Senti, capisco che tu sia arrabbiato ma non vuol dire che mi lascerò trattare così da te”
Justin si alzò. “Come vuoi. Passa un felice compleanno Alice” e con questo se ne andò. Il braccialetto era ancora tra le mani di Alice, brillante e splendido.
Anne ritornò proprio mentre il fratello le passava accanto velocemente. “Ehi, dove sta andando?”
Presto avrebbe perso anche lei, era inutile prenderla in giro. “Ci siamo lasciati” rispose Alice in tono neutro.
Anne spalancò gli occhi e tornò immediatamente al tavolo. “Che cosa?? Ma che è successo? Non ti è piaciuto il bracciale?” chiese posando lo sguardo su di esso.
 “No, ovviamente non è per questo. Anzi credo dovresti ridarglielo” rispose Alice avvicinandolo a Anne. La ragazza rimase interdetta, incerta se prenderlo o meno. Non lo fece. “Aspetta, aspetta, forse si è trattato solo di un'incomprensione, succede no?” chiese aggrappandosi a una piccola speranza.
Alice scosse la testa. “No, mi dispiace”
L'espressione scioccata di Anne non accennava ad andarsene. “Non capisco, che cosa ti ha fatto?”
Era carina a suggerire che fosse stato lui a causare la rottura ma presto avrebbe preso le parti del fratello.
 “Nulla, è solo che non siamo innamorati” cercò di spiegarle.
A queste parole Anne si fece meno comprensiva. “Non è vero. Lui ti ama” affermò sicura.
Alice sorrise della sua ingenuità. “Stavamo insieme da troppo poco, Anne, di certo gli piacevo molto ma da qui all'amarmi...”
Anne sbuffò e apparve pensierosa. “Pensala come vuoi, ma lui ci teneva un sacco. Il problema ce l'hai tu ” si arrese. Andò al suo posto e prese la borsetta e un pacchetto.
Glielo diede. “è il tuo regalo” disse. “Salutami tua madre” e anche lei si allontanò lasciando Alice da sola.
Non c'era più niente che potesse dire o fare per farla restare. Aveva ottenuto quello che voleva all'inizio, il pranzo a due con sua madre che facevano sempre, solo un po' troppo tardi e a caro prezzo.  Tanto valeva aprire il regalo che le aveva fatto. Era una cornice con dentro una foto delle due ragazze scattata la sera in cui si erano conosciute, alla festa. Avrebbe mai trovato un modo per preservare la loro amicizia anche se non stava più con Justin?
 

La Sig. Abhrams rimase un po' delusa nel non trovare più i Van Horten al loro tavolo ma Alice salvò la situazione spiegando che erano dovuti scappare a causa di un contrattempo. La donna ci credette per fortuna e ritornarono a casa. Una volta davanti al palazzo Alice vide con sua sorpresa che Hartley era lì. Non le piaceva molto l'idea di lui e sua madre che si incontravano ma a quanto pareva avrebbe dovuto superare anche questo.
Non appena scesa dall'auto Alice gli sorrise e lui fece lo stesso. Si vedeva che anche lui non vedeva l'ora di andarsene da lì. A quel punto anche la Signora Abhrams si fece vedere e gli riservò il solito sguardo di sufficienza. Certe cose non cambiavano mai. “Hartley” lo salutò.
Il ragazzo fece una specie di inchino. “Signora Abrhams. È splendida quest'oggi”
Alice si trattenne dal ridere. Era tipico di Hartley comportarsi in maniera esageratamente ossequiosa con lei, un po' per dimostrarle che era una persona a posto e un po' per essere buffo. In questo non falliva mai.
 “Lo dici ogni volta” commentò la donna per nulla impressionata.
 “Perchè è la verità” disse Hartley deciso.
 “Va bene, va bene. Alice, devi prepararti, non vorrai uscire così?” si rivolse alla figlia riferendosi al vestito fin troppo formale che aveva indossato per il pranzo al ristorante.
 “Hai ragione, ci metto un attimo” disse a entrambi.
 “Voi donne non ci mettete mai 'un attimo'” commentò Hartley sarcastico mimando delle virgolette con le dita. “E io che faccio nel frattempo?”
 “Forse non avrebbe dovuto arrivare in anticipo...” sussurrò la Signora Abhrams ma non abbastanza piano da non farsi sentire.
 “Ehm, potresti aspettare di sopra mentre mi cambio” suggerì Alice, consapevole subito dopo che le parole erano uscite dalla sua bocca che stava giocando col fuoco. Hartley non era mai, mai entrato in casa sua.
Come previsto la madre assunse un'espressione indignata. “Alice, non mi sembra il caso...”
 “Con molto piacere!” rispose Hartley entusiasta tagliando di netto le obiezioni della donna. Come poteva rifiutare un'occasione per farla irritare?
 “Bene! Allora andiamo!” disse Alice senza dare il tempo alla madre di aggiungere altro. Forse dopo tutto se la sarebbe cavata, era pur sempre il suo compleanno e aveva il diritto di avere qualcosa che voleva.
La salita in ascensore fu imbarazzante da parte della Signora Abrhams che non si trovava a suo agio in uno spazio tanto ristretto insieme alla figlia e a Hartley che per tutto il tempo le faceva boccacce cercando di non farsi beccare dalla donna. A sua volta Alice trovava sempre più difficile non ridere.
Arrivati al piano la Signora Abhrams entrò in fretta in casa e allo stesso modo si dileguò nel suo studio, raccomandando nel mentre alla figlia di offrire da bere al suo amico se lo voleva. Anche nella sua antipatia verso di lui la donna ci teneva comunque ad essere educata. All'ultimo secondo prima di chiudere la porta dello studio, aggiunse di rimanere entrambi  in soggiorno.
Finalmente Alice poteva abbandonarsi a una risatina e Hartley la guardò divertito. “Davvero non sono il benvenuto in camera tua? Perché sarei curioso” chiese.
Alice scrollò le spalle “Devo comunque cambiarmi quindi tu puoi stare qui nel frattempo ma quando avrò finito te la mostrerò.” rispose.
 “Ottimo. Non mi offri da bere ora?”
Alice rise. “Ma certo! Che padrona di casa sarei se no?”
Andò verso la cucina con Hartley al seguito che a ogni passo si soffermava su un nuovo dettaglio dell'arredamento.
Alice aprì il grande frigo. “Allora abbiamo acqua naturale, succo d'arancia, vino bianco e uno strano frullato di esclusiva proprietà di mia madre. Scegli”
 “Vino bianco, prego”
 “Come no!! A mia madre verrebbe un infarto se ti vedesse e dopo saresti bandito da qui a vita!”
 “Ah, non lo so. Direi che ha fatto un grosso passo avanti lasciandomi entrare in casa tua. Avevi detto che si comportava meglio ma ora ci credo anch'io.”
Alice sorrise prendendo il succo d'arancia dal frigo. “è così, davvero. Saranno i diciott'anni.”
 “Giusto, come ci si sente?” chiese Hartley appoggiandosi casualmente al tavolo della cucina.
 “Come sarebbe a dire? Dovresti saperlo, non li hai compiuti molto tempo fa” rispose Alice.
Hartley aveva diciannove anni e andava per i venti, non era poi così vecchio da non ricordarselo.
 “Si ma magari per te è diverso. Sei una femmina”
Alice posò un bicchiere sul tavolo insieme all'apposito sottobicchiere. “Ah, grazie di averlo notato!” disse scherzosa.
Anche lui ridacchiò. “Voglio dire, è tutto quello che ti aspettavi? Ti senti già più libera?”
Alice tornò un po' più seria. “Ci stavo pensando stamattina appena sveglia. Non so, alla fine è solo un giorno, sai? Delle cose sono cambiate ma è successo prima, non è il numero 18 che ha modificato la mia vita come per magia.”
Hartley annuì. “Mi sembra sensato. Ma la giornata non è ancora finita. Aspetta a dire che è solo un giorno, perché sarà speciale!” disse il ragazzo sicuro di sé.
 “D'accordo, mi fido di te. Sarà meglio che mi sbrighi a prepararmi allora. Resta qui o in soggiorno, ci metto poco” disse lasciando la cucina.
 “Le ultimi parole famose!” urlò Hartley facendola ridere ancora una volta.



Note: come avevo già annunciato questo è tutto per ora. è l'ultimo capitolo che ho scritto e devo dire che sono abbastanza soddisfatta, ci avevo lavorato un pò. Mi dispiace molto di non poter continuare, spero di poter concludere la storia prima o poi. Grazie ancora a tutti quelli che hanno letto :)
 

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