Metal Slug - The Fan-fic

di monsieur Bordeaux
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Missione d'esordio ***
Capitolo 2: *** Arrivani i rinforzi! ***
Capitolo 3: *** Un treno carico di ribelli ***
Capitolo 4: *** Assalto alla torre ***
Capitolo 5: *** Il quartiere giapponese ***
Capitolo 6: *** Lo scontro con la nave anfibia ***
Capitolo 7: *** Una metropolitana assai pericolosa ***
Capitolo 8: *** Là, sulle montagne innevate ***
Capitolo 9: *** All'interno della piramide ***
Capitolo 10: *** Il mistero del centro di ricerca ***
Capitolo 11: *** L'asteroide alieno ***
Capitolo 12: *** Final mission - Inseguimento nella giungla ***
Capitolo 13: *** Final mission - L'attacco all'astronave madre ***
Capitolo 14: *** Final mission - La grande fuga ***



Capitolo 1
*** Missione d'esordio ***


Serie: Metal Slug
Rating: Giallo
Genere: Comico/Parodia, Guerra, Azione, Avventura, Fantascienza
Avvisi: Crossover
Disclaimers: Tutti i personaggi presenti in questa fan-fiction appartengono ai loro rispettivi autori.
Note dell'autore:
- Per chi non lo sapesse, Metal Slug è una storica saga di videogiochi: è uno sparatutto bidimensionale in stile comico-demenziale, disegnato come se fosse un cartone animato. Durante la storia ripercorrerò alcune tappe, o per meglio dire missioni.
- Questa è una fan-fiction commemorativa, ovvero è una mia dedicata al "Scrivartista appassionato" e a tutto il forum. Per questo motivo compariranno nella storia, sottoforma di personaggi, il fondatore Hell-Boy e le due amministratrici Westlife e Mirai.
- Oltre ai personaggi di Metal Slug, compariranno anche alcuni personaggi tratti dagli Anime (Keroro, Black Lagoon e Excel Saga).



Capitolo 1 - Missione d'esordio
 

Un elicottero militare stava sorvolando una lussureggiante foresta tropicale, in un punto non precisato della Thailandia. Al suo interno due militari si stavano preparando alla loro missione, i loro nomi in codice erano Marco e Tarma. Il primo era il capitano dei "Falchi Pellegrini", un giovane soldato americano di origini italiane. Aveva i capelli biondi e sulla fronte indossava una fascia bianca, in parte coperta da un lungo ciuffo dorato. Quel giorno Marco indossava una maglietta bianca, un gilet rigido rosso senza maniche, pantaloni di tipo militare marroni e scarponi neri.
Seduto dall'altra parte dell'elicottero c'era Tarma, il vice di Marco. Soldato dai capelli marroni tendenti al rosso, era facilmente riconoscibile dai suoi occhiali da sole scuri, da cui non si separava mai. Aveva una tenuta simile a quella di Marco: il gilet era dello stesso modello, ma di color giallo e sulle spalle portava uno zaino con tutto il necessario per la missione.
Vicino al portellone dell'elicottero, in attesa di ordini, Marco continuava a fissare il paesaggio che aveva davanti a sé: l'intera foresta era illuminata dai raggi del sole, che esaltavano con intensità il verde degli alberi. La temperatura era molto alta e il cielo era del tutto sgombro, ma lentamente all'orizzonte si stavano formando delle nubi temporalesche; entro poche ore sarebbe arrivata la pioggia. Il capitano rimase ad ammirare questo spettacolo finché non vide una spia rossa accendersi sopra la sua testa. Era il segnale per i due soldati di prepararsi al lancio col paracadute.
«E' pronto, capitano?» domandò Tarma sistemandosi l'imbracatura.
«Certo!» esclamò Marco. Facendo un respiro profondo, i due si lasciarono cadere nel vuoto.

Accompagnati dal vento, i due spericolati militari atterrarono nelle vicinanze di una colossale statua in pietra che riproduceva la testa del Buddha, in una zona non troppo lontana da un accampamento della Ribellione. Proprio in quel momento Marco ricevette via radio una chiamata urgente: si trattava di colui che aveva fondato e addestrato i Falchi Pellegrini, il Boss. (Questo è il fondatore del forum, alias Hell-boy. N.d.A.)
Di questo individuo alquanto misterioso si sapeva poco o nulla, in pochi lo avevano incontrato di persona e solo Marco sapeva la sua vera identità. Il suo compito principale era quello di tenere costantemente informati i suoi sottoposti.
«Qual'è la situazione, capitano?»
«L'atterraggio è stato tranquillo, Boss! Ora ci muoviamo verso il campo nemico» rispose Marco rimanendo all'ombra della statua.
«Ottimo! Ma da adesso in poi dovrete fare molta attenzione: la zona davanti a voi è impervia ed è piena di ribelli! Detto questo... Good Luck!»
Nonostante la fiducia del Boss, Tarma non sembrava del tutto ottimista sulla missione e perciò si lamentava non poco...
«Dobbiamo affrontare un intero plotone di soldati armati solo di coltello, pistola e di una decina di bombe? Ma stiamo scherzando?!? Vorrei sapere chi è stato il cretino che ha ideato questo piano!»
«Sono stato io...» commentò il Boss, sentendo benissimo la lamentela in sottofondo. Tarma era così imbarazzo che a momenti stava per far cadere gli occhiali da sole.
«Lo scusi, Boss! E' la tensione che lo fa parlare!» chiarì Marco, cercando una scusa per giustificare le parole di Tarma.
«Ok. Però vi ricordo che avete l'autorizzazione ad usare qualunque tipo di arma troverete sul vostro cammino. Viaggiare leggeri è fondamentale in questo tipo di missione!» spiegò il Boss con voce un po' seccata. Questa volta Tarma sottovoce commentò: «Ci mancava proprio un pignolo in squadra!»
«Lo sappiamo, Boss!» rispose Marco. «Qui chiudo!»
Appena il capitano dei Falchi Pellegrini ripose la radio nella tasca del gilet, si voltò verso il suo compagno d'armi: «Smettila di fare quella faccia da pesce lesso e andiamo all'attacco!»
«Non aspettavo altro...» disse Tarma accennando un sorriso.

Attraversato qualche metro di giungla a colpi di machete, i due militari si ritrovarono all'entrata del campo dei ribelli. Si trattava di una zona paludosa, su cui giacevano dei rottami di sottomarini e di aerei di grossa stazza. La palude era in gran parte coperta da una foresta di mangrovie e da lontano si poteva intravedere un accampamento di palafitte, costruite in legno e fango.
A prima vista sembrava un villaggio di pescatori, ma in realtà era la base dei ribelli, brillantemente mimetizzata per ingannare i nemici.
«Bel trucco, ma ci vuole ben altro per fregarci!» affermò Tarma osservando l'accampamento con un binocolo.
«Ben detto!»
I due si scambiarono uno sguardo d'intesa e si lanciarono all'attacco di corsa, attraversando un vecchio pontile di legno, che finiva su un fiume prosciugato. Appena videro le sentinelle nemiche, riconoscibili dalle loro divise verdi, Marco e Tarma iniziarono a sparare all'impazzata. Superati i primi avversari, i due soldati saltarono giù dal pontile, per atterrare nei pressi di un sottomarino abbandonato, ricoperto di alghe: sembrava la carcassa di una balena sventrata.
In zona stavano per arrivare i rinforzi dei ribelli, ma prima di attaccare Marco notò una curiosa cassa bianca, su cui era impressa una grossa "H". Il capitano capì al volo che si trattava di un aiuto ricevuto dal Boss, in fondo era un tipo previdente! Nella cassa era presente l'Heavy Machine Gun, una mitragliatrice d'assalto che Marco usò subito per liberarsi dei ribelli che comparvero davanti a lui. Proseguendo la loro avanzata, la coppia arrivò finalmente alla base nemica. Rimanendo riparati dietro alcuni sacchi di sabbia, Marco e Tarma aspettarono l'arrivo dei ribelli.
Qualche secondo dopo spuntò da sopra una palafitta un ribelle, che si avvicinò ad un vecchio modello di altoparlante, di quelli che funzionavano a manovella.
«Stanno per dare l'allarme! Muoviamoci!» commentò Marco tenendo d'occhio il nemico.
«Un momento!» esclamò Tarma. «Cosa diavolo sta facendo quello lì?»
Il soldato avversario con una mano stava girando la manovella, mentre con l'altra stava ballando come John Travolta in "La febbre del sabato sera"!
«Ci sono problemi, capitano?» intervenne via radio il Boss.
«C'è un cretino che sta suonando l'allarme...» spiegò Marco.
«E allora? Che c'è di strano?»
«Lo sta facendo cantando "Stay alive"!»
Per mettere fine a quella scena, Tarma pensò bene di lanciare una granata verso l'improvvisato ballerino, facendolo saltare in aria.
«Ben fatto!» esclamò Marco.
«Già, ma avrei una domanda da fare al Boss: perché ci portiamo dietro granate della Seconda guerra mondiale e siamo nel 2030?»
«Problemi di budget!» rispose il Boss.

Avanzando nella base nemica, gli attacchi dei ribelli diventarono più insistenti. Si difendevano con tutto quello che avevano, perfino con delle grosse pietre appese alle palafitte, ma ci voleva ben altro per fermare i due militari dei Falchi Pellegrini. Quando la situazione si fece un po' tranquilla, Tarma notò qualcosa di familiare sotto una palafitta: era un piccolo carro armato grigio chiamato "Slug". Se all'apparenza sembra un rottame abbandonato, in armonia con il resto dell'ambiente, in realtà era un mezzo eccezionale, dotato di grande leggerezza e di agilità, tanto che riusciva anche ad effettuare dei piccoli balzi. Appena lo vide, Tarma ci salì subito a bordo.
«E vai! Funziona ancora!»
«Dal tono di voce, sembri un bambino che scarta i regali di Natale!» affermò il Boss.
«A questo punto, le chiedo scusa Boss!»
«Ma che furbacchione...» mormorò Marco.
L'entusiasmo di Tarma però durò poco, perché davanti a lui e al suo compagno c'era un nuovo ostacolo, un muro di tronchi molto resistente dove si erano rifugiati alcuni soldati nemici. Tarma era un po' preoccupato, il punto debole dello Slug era la resistenza, aveva una corazza piuttosto sottile.
«Merda! Non ci fanno entrare!» urlò Marco rifugiandosi dietro il carro armato.
«Ci penso io!» esclamò Tarma «Provo a bussare...»
Vedendo la torretta muoversi all'indietro, Marco capì che Tarma aveva sparato un colpo di cannone. Gli effetti del proiettile da carro furono devastanti, il muro e tutto ciò che c'era dietro vennero spazzati via in un attimo!
«Visto che con la gentilezza si ottiene tutto?» disse Tarma ridacchiando all'interno dello Slug.
«Attento! Ci attaccano da sopra!» gridò Marco correndo in avanti. Sopra il carro armato comparve un elicottero nero, che sganciò alcune bombe al suolo. Tarma riuscì ad evitarle all'ultimo secondo, poi gli sparò con la mitragliatrice dello Slug. Con l'aiuto di Marco, in breve tempo l'elicottero venne abbattuto. I due si ringraziarono a vicenda per il lavoro di squadra, ma non c'era tempo per rilassarsi: da lontano stavano arrivando alcuni carri armati nemici, dipinti di nero.
Lo scontro tra mezzi pesanti si svolse nei pressi di una cascata, che scendeva lungo una riva a gradoni. Nonostante i carri nemici fosse più potenti, l'agilità dello Slug era nettamente superiore e per Tarma fu facile sconfiggerli, grazie anche all'aiuto delle granate lanciate da Marco.
Arrivati in cima, Marco e Tarma si fermarono perché improvvisamente su tutta la zona si era creata una strana atmosfera. Tutto era diventato calmo e l'unico rumore udibile era l'acqua che scendeva lungo la riva: un suono veramente rilassate, irreale fino a qualche secondo fa. Sospettando una trappola, Marco avanzò con cautela, finché non si ritrovò davanti un cacciabombardiere abbandonato. Era come tutti i mezzi che aveva visto in precedenza, tranne che per un particolare: al posto del portellone c'era un grosso telo grigio.
All'improvviso il telo si sollevò, sotto di esso era nascosto un potente cannone al laser, con più bocche da fuoco. Appena lo vide Marco si gettò a terra per evitare i suoi colpi, mentre Tarma a bordo dello Slug si dovette impegnare per schivare i colpi successivi.
La tensione sul viso di Marco era evidente: i proiettili del suo Heavy Machine Gun era quasi finiti e Tarma nella battaglia precedente aveva consumato quasi tutte le munizioni del cannone. A quel punto il capitano decise di rischiare, sparando contro il cannone tutti i proiettili che gli erano rimasti nel caricatore. Anche il suo compagno stava per fare la stessa cosa, ma dovette rinviare l'attacco perché il cannone laser stava per sparare con tutte le bocche da fuoco, creando un potentissimo raggio laser dalle sfumature azzurre. Con abilità Tarma schivò il primo colpo abbassando il più possibile lo Slug, poi fece eseguire al suo carro un leggero salto, quanto bastava per evitare il secondo colpo, radente al suolo.
In seguito ci fu un attimo di tregua e Tarma ne approfittò per sparare le ultime munizioni che aveva a bordo. Dopo pochi secondi, davanti allo sguardo sollevato di Marco, il cannone laser si surriscaldò e poi esplose in maniera spettacolare, facendo quasi crollare la struttura dell'aereo su cui era appoggiato. Poco dopo un soddisfatto Boss contattò nuovamente i suoi sottoposti.
«Ottimo lavoro, ragazzi! Mission complete!»
«Siamo dei miti!!!» urlò Tarma uscendo dallo Slug e scambiando un cinque con Marco. «Non ci ferma nessuno!»
«Però questa volta ce la siamo cavata per il rotto della cuffia!» affermò Marco, un po' insoddisfatto.
«Ora non lamentarti anche tu della missione!» ribatté il Boss.
«Cambiando discorso, dov'è il resto della squadra, Boss? Non dovevamo incontrarci da queste parti?»
«C'è stato un cambiamento di programma... ma tranquilli! Saranno da voi entro poche ore. Voi intanto prendetevi un po' di riposo, ve lo siete meritato!»
Finita la conversazione, un pensieroso Marco si rivolse al suo compagno d'armi: «Non so perché, ma ho una brutta sensazione...»
«Riguardo alla missione di oggi?» chiese Tarma.
«No, parlo in generale. Temo che da qui in avanti le cose potrebbero prendere una brutta piega.»
«Io certe volte non ti capisco. Dovresti essere contento, e invece...»
«Già, hai ragione! Ora occupiamoci di sistemare la tenda per la notte!»
Improvvisamente sul volto di Tarma comparve una faccia terrorizzata, sembrava che avesse visto un fantasma. Marco lo fissò per qualche secondo e poi gli domandò: «Cosa c'è adesso?»
«Oh cazz... mi sono dimenticato la tenda!!!»
«COSA?!?»
«Ecco perché lo zaino mi sembrava troppo leggero!»
«Ma va a cagare!»


Continua...

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Capitolo 2
*** Arrivani i rinforzi! ***


Capitolo 2 - Arrivano i rinforzi!


Piccola introduzione: per scrivere questo capitolo mi sono ispirato ad una puntata della prima serie di Black Lagoon. Se non ricordo male, era la sesta.

 

A pochi chilometri da dove Marco e Tarma avevano combattuto, il resto dei Falchi Pellegrini era appostato lungo la costa thailandese, nascosto tra la fitta vegetazione. Erano due ragazze e i loro nomi in codice erano Eri e Fio.
La prima era di nazionalità giapponese e aveva i capelli lunghi e biondi, che teneva raccolti sotto una bandana verde, a parte un vistoso ciuffo sulla fronte. Il suo abbigliamento era composto da gilet senza maniche verde scuro, maglietta bianca, pantaloncini corti color verde militare, ginocchiere e scarponcini grigi.
Fio, invece, era di origine italiana e teneva i suoi lunghi capelli marroni nascosti sotto un berretto da baseball color sabbia, da cui usciva una piccola coda di cavallo. Indossava un paio di occhiali da vista e il resto dell'abbigliamento era simile a quello di Eri, a parte il gilet color sabbia e i pantaloncini marroni.
Alle due ragazze era stato assegnato un compito ben preciso: intercettare qualsiasi mezzo dei ribelli diretto verso la zona in cui Marco e Tarma aveva combattuto poche ore prima. Per questo motivo Eri si era procurata un potente fucile da cecchino ed era pronta a sparare a qualsiasi cosa fosse entrata nel suo mirino. Nel frattempo Fio puntava il suo sguardo verso l'entroterra, in modo da coprire le spalle alla compagna d'armi.
«Niente all'orizzonte, Eri?»
«Neanche una barchetta!» rispose la giapponese, mostrando un certo nervosismo.
«Ma siamo sicuri che questo sia il luogo giusto?»
«Ora non iniziamo a dire...»
All'improvviso Eri si fermò, aveva sentito uno strano rumore provenire dalla boscaglia alle sue spalle. Velocemente si alzò da terra e si voltò, impugnando la pistola che aveva nella fondina.
«Venite fuori!!!»
«Lentamente!» sottolineò Fio, anche lei con la pistola in mano.
«Non sparate!» urlò una voce femminile dall'altra parte della boscaglia, un po' spaventata. «Sono io! Non mi riconoscete?»
Fio ripose la sua arma, aveva capito fin da subito chi era quella misteriosa ragazza. Appena la vide spuntare da dietro un cespuglio, Fio le andò incontro abbracciandola calorosamente: era Martha Egan, una spia che da molto tempo collaborava con il Boss. Il suo compito principale era informare costantemente i soldati dei Falchi Pellegrini sui movimenti nemici. (Lei è Westlife, una delle amministratrici del forum. Non è la prima volta che appare in una mia fan-fiction! N.d.A.)
Martha era una ragazza dai capelli marroni, con colpi di sole rossi, e gli occhi scuri. Abbastanza alta di statura, portava gli occhiali da vista e indossava una maglietta bianca, giacca e pantaloni blu e un paio di scarponi marroni. Sulle spalle portava un grosso e pesante zaino azzurro e al collo portava un particolare ciondolo, raffigurante un gufo grigio. Era di origine irlandese, ma curiosamente era diventata amica di Fio perché quest'ultima era di Genova. (Secondo alcune mie ricerche, la sede segreta dei Falchi Pellegrini, gestita dal Boss, si trova da qualche parte in Liguria. N.d.A.)
«Ciao Fiolina! E' bello rivederti...» commentò Martha abbracciandola.
«Per piacere, chiamami con il mio nome in codice!» ribatté Fio, chiaramente imbarazzata.
«Oh, che sorpresa! Non pensavo che avresti fatto in tempo a trovarle!» affermò il Boss, collegandosi improvvisamente via radio.
«Io sono una ragazza piena di risorse, Boss!» spiegò simpaticamente Martha.
«E sei anche piena di cose nello zaino!» ribatté il Boss, osservando un'immagine satellitare su un monitor.
«Come mai da queste parti, Martha?» domandò Fio.
«Purtroppo Tarma si era dimenticato la tenda e sono andata a prenderne una!»
«I maschi sono sempre inaffidabili...» mormorò malignamente Eri, che nel frattempo si era rimessa in posizione, sdraiata e con lo sguardo puntato verso il mare.
«Ehi! Potrei anche offendermi!» ribatté il Boss. Poi aggiunse: «Cambiando discorso, com'è la vostra situazione attuale?»
«Direi pessima!» rispose Fio. «Sta iniziando a tramontare e tra pochi minuti sarà completamente buio!»
«Senza contare che tra poco ci sarà un bel po' di casino!» commentò Martha. «Di notte, quando le tipiche piogge tropicale sono terminate, in tutta la giungla riecheggiano i versi dei numerosi animali locali. Inoltre questa è la stagione degli amori e...»
«Basta!!! Mi hai rotto le palle con questo documentario alla Piero Angela!» urlò Eri, interrompendo il discorso di Martha. La mercenaria aveva uno sguardo veramente arrabbiato e per questo motivo la spia si scusò.
«Prima di assumerla, lavorava per un ente turistico...» spiegò il Boss.

Le tre ragazze rimasero nascoste per molto tempo, finché non videro all'orizzonte una grossa barca a motore che stava puntando verso la costa. Eri la fissò attentamente col mirino e notò alcuni soldati con divise verdi: senza alcun dubbio, erano i ribelli che stava aspettando.
«Ci siamo! Sono loro!»
«Quanti ne riesci a vedere?» domandò Fio.
«Solo sul ponte ce ne saranno almeno trenta! Sono tutti miei...» affermò Eri, con un tono di voce alquanto minaccioso.
«Io sono pronta!»
«Ragazze, contate anche su di me!» annunciò Martha, prendendo di sorpresa Fio perché anche lei impugnava una pistola.
«Ma tu che ci fai con quella in mano?!?»
«In questo periodo di crisi, una ragazza deve sapersi difendere... ma stai tranquilla, questa spara solo proiettili soporiferi!» spiegò Martha.
«Cosa stanno facendo sul ponte?» domandò il Boss.
«Stanno cantando in coro!» rispose prontamente Martha. «E sembra un canto minaccioso!»


La canzone citata è "Eins Zwei Polizei Remix" dei MoDo.

Eins Zwei Polizei
Drei Vier Grenadier
Funf Sechs Alte Hex
Sieben Acht Gute Nacht (2 volte)

Ja Ja Ja Was ist los? Was ist das? (4 volte)

Ja Ja Ja Was ist los?

Ja Ja Ja Was ist das?

Ja Ja Ja Was ist los?

Ja Ja Ja Was ist los? Was ist das?

(Traduzione: "Uno, due, polizia; tre, quattro, fante; cinque, sei, vecchio stregone; sette, otto, buona notte. Sì sì sì, che succede? che cos'è?". In poche parole, è una filastrocca... N.d.A.)


«Ma sono completamente ubriachi?!?» commentò Eri.
«Sembra di assistere ad un ballo in discoteca!» affermò Fio.
«Altro che canto minaccioso...» mormorò Martha, cercando di non farsi nuovamente rimproverare.
Nel frattempo l'imbarcazione dei ribelli si stava lentamente avvicinando alla costa, mostrando il suo minaccioso scafo colorato di grigio. Eri e Fio erano ansiose di entrare in azione, ma all'improvviso notarono una seconda barca spuntare all'orizzonte, anch'essa dipinta di grigio. Era più piccola e scattante della precedente, e da come si muoveva sul pelo dell'acqua, sembrava voler ostacolare il viaggio dei ribelli.
«Boss, c'è qualcosa che non va...» avvisò Fio via radio, leggermente allarmata.
«Dettagli, please!»
«Una seconda imbarcazione ha fermato la nave dei ribelli, e di sicuro non è la guardia costiera! Ora cosa facciamo?»
Il Boss non rispose, decise di prendersi una breve pausa per riflettere. Cercando di rimanere calmo, osservò attentamente quello che stava succedendo attraverso uno dei monitor, mentre pensava ad una soluzione.
«Boss, ci sono problemi?» domandò Fio.
«Quanto siete distanti dalla nave ribelle?»
«Parecchio! Da qui non possiamo fare niente... merda!» rispose Eri con rabbia.
«Ti capisco Eri» commentò il Boss, con tono desolato. «A questo punto, l'unica cosa che potete fare è aspettare...»

Eri e le sue compagne rimasero ad osservare la situazione per molto tempo, ma solo quando ormai era scesa la notte videro un po' di movimento sulle due barche. Nel mirino di Eri, sempre puntato sul ponte della nave ribelle, comparvero due persone terribilmente incazzate, armate fino ai denti e pronte a fronteggiare chiunque fosse capitato a tiro. La prima era un omone palestrato dalla pelle scura e da come urlava, sembrava essere il capo. Era pelato, portava un paio di occhialini scuri, indossava un giubbotto verde militare ed in mano teneva un potente fucile a pompa.
Al suo fianco c'era una ragazza dai capelli marroni, tenuti fermi da una coda di cavallo, indossava una maglietta nera e un paio di jeans molto corti. Inoltre sulla spalla destra aveva un vistoso tribale nero, che correva fino a metà braccio. Quando Eri la inquadrò nel suo mirino, notò subito le due pistole che teneva in mano e lo sguardo quasi spiritato della ragazza, sembrava posseduta da un demone.
«Quella tizia devo conoscerla a tutti i costi...» mormorò Eri, come se fosse rimasta incantata da quello sguardo.
«Credo di aver capito chi sono!» annunciò Martha. «Devono essere dei mercenari, ce ne sono molti in questa zona!»
«Non mi aspettavo una svolta del genere!» commentò il Boss, sempre tenendo sott'occhio il monitor. «Stai a vedere che alla fine ci saranno utili?»
Pochi attimi dopo sulla nave dei ribelli si scatenò l'inferno. Il rumore delle raffiche era assordante, quei due mercenari stavano facendo una strage tra i ribelli, incapaci di rispondere adeguatamente all'attacco. Eri rimase colpita dallo stile della ragazza con le due pistole, voleva conoscerla a tutti i costi!
Ad un certo punto sulla nave scese un silenzio inquietante, nell'aria non si udivano più né raffiche di proiettili, né urla disperate. Le uniche persone che uscirono nuovamente sul ponte della nave erano i due mercenari visti prima, ed erano completamente illesi.
«Impressionante!» si lasciò sfuggire Fio.
«Ora non esageriamo...» commentò Eri. «I loro avversari erano ridicoli! Era una strage annunciata!»
«Vero, ma potrebbero esserci utili in futuro!» affermò il Boss.
«In che senso?»
«Dobbiamo metterci in contatto con quei mercenari! D'altro canto, più siamo, più possibilità abbiamo di vincere. Non credi, Eri?» disse il Boss con tono persuasivo.

Poco tempo dopo la barca dei mercenari, mentre stava seguendo una virata per tornare indietro, passò accanto al nascondiglio delle tre ragazze. In un lampo Eri uscì dalla boscaglia e puntò il suo fucile di precisione contro i due mercenari presenti sul ponte, che rimasero stupiti vedendola sbucare all'improvviso. Subito dopo uscirono allo scoperto anche Fio e Martha, che si posizionarono ai lati della loro amica giapponese, entrambe armate di pistola. Rispetto ai loro avversari, le tre ragazze si trovavano in una posizione leggermente rialzata.
«Fermate subito quella barca!» ordinò Eri alzando la voce.
«Ma chi cazzo sono queste?» esclamò la ragazza, impugnando nuovamente le pistole.
«Ora cosa vogliono queste tre?» domandò il mercenario di colore.
La tensione era molto alta, ma per fortuna intervenne il Boss per calmare gli animi. Voleva parlare di persona con il capo dei mercenari, e per questo motivo Fio lanciò la sua radio verso l'uomo di colore, che la prese al volo.
«Salve! Lei deve essere il capo...» ironizzò il capo dei mercenari.
«Esatto. Mi chiami Boss, mentre lei chi sarebbe?»
«Mi chiamo Dutch, e sono a capo della "Lagoon Company"!»
«E la sua compagna d'armi?»
«Revy, ma da queste parti la chiamano "Two Hands"!»
«Direi che rispecchia il suo stile! Sei grande, sorella!» urlò Eri, dimostrando un'ammirazione che Revy quasi subito ricambiò.
«Ehilà! Sembri una tosta... sorella!»
«Tornando a noi, Boss, come mai questa sua chiamata?» domandò Dutch.
«Volevo solo ringraziarla per lo spettacolo di poco fa. Ci avete veramente aiutati!»
«Quei dannati bastardi!» mormorò Revy visibilmente arrabbiata. «Si credevano dei soldati con quelle uniformi, ma in realtà era solo un branco di coglioni...»
In quel preciso momento un terzo elemento della Lagoon Company fece la sua comparsa sul ponte. Era un giapponese dai capelli neri, vestito in maniera strana per essere su una barca di mercenari: indossava una camicia bianca, una cravatta verde e un paio di pantaloni neri. Sembrava un impiegato appena uscito dal suo ufficio!
«Ehi, Dutch! Benny mi ha chiesto perché ci siamo fermati di colpo...» domandò il giapponese, ma appena si voltò vide Eri e Fio, si agitò come se avesse un infarto!
«Ma cosa gli è preso a questo?» domandò Fio. «Ma soprattutto perché è vestito in quella maniera?»
«E' una lunga storia, lascia perdere!» rispose Revy, che poi sussurrò qualcosa al nuovo arrivato: «Rock, sei il solito imbecille!!!»
«Lo avete rapito per un riscatto o cosa?» insistette Fio.
«Beh, più o meno...» ammise Rock.

Il piano del Boss aveva funzionato alla perfezione. Dopo una lunga discussione con Dutch, aveva ottenuto la sua fiducia e ora i Falchi Pellegrini potevano puntare su una squadra di supporto, composta da ottimi elementi, o quasi. Con il morale alle stelle, il Boss chiuse ogni collegamento, lasciando una notte di riposo ai suoi sottoposti.


Continua...

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Capitolo 3
*** Un treno carico di ribelli ***


Capitolo 3 - Un treno carico di ribelli


La notte era trascorsa tranquilla, un'esperienza che raramente i Falchi Pellegrini potevano assaporare da quando erano entrati in servizio. Nell'accampamento vicino alle mangrovie, dove i Falchi Pellegrini si erano riuniti, la prima a svegliarsi fu Eri, che uscì dalla sua tenda alle prime ore del mattino. Pochi minuti dopo uscirono Marco e Tarma, e per concludere Fio e Martha, con quest'ultima impegnata a recuperare dal suo ingombrante zaino un fornello a gas, per preparare la colazione. I mercenari della Lagoon Company se ne erano andati la notte precedente, ma avevano lasciato un contatto per il Boss, che li avrebbe richiamati in caso di necessità.
«Ehi, voi due! Tutto tranquillo nella tenda dei maschietti?» domandò ironicamente Eri, rivolgendosi al capitano e al suo secondo.
«A parte le rane, sì!» rispose Marco.
Eri si voltò verso le sue due amiche, ma strabuzzò gli occhi quando vide Martha maneggiare con un mucchio di pentole e tegami.
«Ma che diavolo...?»
«Volevi dirmi qualcosa, Eri?»
«Che ci fai con tutta quella roba?»
«Sono sempre stata previdente, quando viaggio!» rispose Martha spontaneamente, che quasi imbarazzò Eri.
«Ma tutta quella roba non è troppo pesante da trasportare?» chiese Fio.
«No! Sono abituata alle lunghe escursioni!»
All'improvviso la radio di Marco squillò, attirando l'attenzione di tutti. In un batter di ciglio, il capitano rispose alla chiamata.
«Qui è il capitano Marco, passo!»
«Aggiornamento critico...» annunciò il Boss. «E sono brutte notizie!»
«Cos'è successo?»
«Ieri notte i ribelli hanno rapito una giovane ricercatrice, specializzata in veicoli aerospaziali!»
«Ho sentito bene?»
«Sì, capitano. Ho appena chiesto informazioni su di lei, ma sappiamo con certezza che è stata presa in ostaggio mentre si trovava in una stazione ferroviaria!»
«Dove di preciso?»
«A trenta chilometri di distanza da voi, verso nord-ovest!»
«Partiamo subito, Boss!»
«Perfetto! Ci risentiamo più avanti!»
In fretta e furia i Falchi Pellegrini smontarono le tende e si prepararono a ripartire. A Tarma vennero gli occhi lucidi nel dover abbandonare lo Slug in mezzo alla giungla...
«Era così buono, lo avevo trattato con tanta cura!» ammise tristemente il soldato con gli occhiali scuri. «Guardate! Gli manca solo la parola!»
«Ma smettila! Non è mica un cane!» brontolò Eri.
«Non mi ricordavo che Tarma fosse così fissato con i veicoli militari...» affermò Fio.
Una volta liberata la zona, i Falchi Pellegrini si misero subito in marcia verso la stazione. Per il momento la spia Martha fu congedata, anche perché era chiederle troppo inseguire quei quattro, avendo sulle spalle uno zaino che pesava come minimo il doppio di lei!

Grazie ad un mezzo di fortuna, un camion abbandonato dai ribelli, i Falchi Pellegrini arrivarono in breve tempo alla stazione, nonostante le pessime condizioni delle strade locali. Il luogo era molto affollato, con file interminabili a causa dei treni costantemente in ritardo. Cercando di non farsi notare, il capitano Marco e i suoi sottoposti si fecero largo tra la folla, visibilmente nervosa per la lunga attesa agli sportelli, per trovare la ricercatrice rapita.
Ad un certo punto Tarma intravide, vicino ai binari, due uomini vestiti con divise verdi portare via di forza una ragazza, che stava cercando in tutti i modi di liberarsi dalla loro presa. Appena Marco urlò in quella direzione, i due uomini in fretta e furia trascinarono la malcapitata dentro il vagone passeggero, in quel momento fermo sui binari. Il treno su cui erano saliti i due ribelli era un vecchio modello color marrone scuro, ormai consumato dal tempo e dalle intemperie.
Intuendo che la ragazza era quasi certamente la ricercatrice rapita dai ribelli, i Falchi Pellegrini si gettarono al suo inseguimento. Per bloccarli, Marco ordinò alla squadra di dividersi: lui e Fio avrebbero inseguito i due rapitori attraversando i vagoni, mentre Tarma ed Eri sarebbero passati dal tetto, in modo da sorprendere il nemico dall'alto. Era un ottimo piano, ma Marco non aveva calcolato che su quel vagone ci fossero anche numerosi ribelli...
Appena li vide apparire, il capitano si rifugiò di corsa dietro uno schienale, assieme a Fio. In seguito ci fu un intenso scontro a fuoco, che costrinse i due ad una sosta forzata. Marco rimase impressionato da tutto ciò, non si aspettava una così nutrita presenza di ribelli su quel treno: la ricercatrice doveva sapere qualcosa di veramente importante, per giustificare una difesa così tenace.
Nel frattempo Tarma ed Eri aveva superato di slancio ben quattro carrozze, ma ben presto si accorsero che i loro due compagni erano stati coinvolti in una sparatoria.
«Merda! Sono finiti in una trappola!» affermò Eri voltandosi all'indietro. «Torniamo indietro?»
«No!» rispose Tarma. «Dobbiamo riprendere la ricercatrice ad ogni costo! Il capitano e Fio se la caveranno... non sono mica dei novellini!»
«Già, hai ragione!»
Scendendo dal tetto, i due proseguirono la corsa infilandosi nel vagone successivo, proprio nel momento in cui una sirena annunciava la partenza del treno. Poco dopo però i due militari dovettero fermarsi, perché si trovarono davanti ad una porta chiusa. Era in metallo e usare una granata sarebbe stato pericoloso, quindi Eri si inchinò per manomettere la serratura; era la più indicata per quel genere di lavoro.
Qualche secondo più tardi arrivarono sul posto anche Marco e Fio, che per fortuna erano usciti incolumi dalla sparatoria di prima.
«Come va?» domandò Tarma, un po' ironico.
«Siamo solo un po' stanchi!» rispose Marco, ancora pensieroso.
«Ragazzi, qui ho finito!» annunciò Eri, alzandosi e aprendo con un tocco di mano la porta.
I Falchi Pellegrini stavano per entrare nella carrozza successiva, ma all'improvviso Marco sentì uno strano rumore e ordinò ai suoi compagni di fare silenzio. Cercando di capire la provenienza di quel rumore, il capitano si abbassò in avanti e solo in quel momento capì di cosa si trattava: era il ticchettio di un timer.
«Merda! E' una bomba!» urlò Marco alzando la testa e scambiando una rapida occhiata con Tarma, anche lui impaurito.
Velocemente il gruppo cercò di mettersi al riparo, con Eri che si gettò in avanti, seguita poco dopo da Fio. Marco e Tarma invece, trovandosi più indietro rispetto alle ragazze, fecero un gran bel salto all'indietro.

Il rumore dell'esplosione fu spaventosa, tanto da sollevare un bel po' di polvere. Il gancio su cui era montata la bomba si spaccò in due parti nette, dividendo il treno a circa metà della sua lunghezza.
Quando Marco si rialzò da terra, constatò che tra lui e la carrozza successiva si era creata una voragine di almeno dieci metri, che col passare del tempo aumentava sempre di più. Solo ora il capitano capì perché lo avevano rallentato: i rapitori della ricercatrice dovevano piazzare la bomba e scappare indisturbati nei vagoni rimasti attaccati alla locomotiva!
«Ehi! Tutto bene laggiù?» urlò Eri, rivolgendosi ai due rimasti indietro.
«Non pensate a noi! Andate avanti con la missione!» rispose Marco, mentre vedeva il treno scomparire velocemente dietro una curva.
«Tu sei completamente pazza...» affermò Eri, rivolgendosi a Fio.
«E perché?»
«A momenti rischiavi di morire schiacciata sotto il treno! Me la sarei cavata anche da sola!»
«Se ti lascio andare avanti da sola, rischi di combinare qualche stronzata...» mormorò Fio, facendo innervosire la sua amica.
«Ma sentila! Neanche fosse mia madre!» ribatté Eri. A quel punto Fio preferì rimanere in silenzio, per non provocarla ulteriormente.

Riprendendo la loro corsa sul treno, le due militari entrarono nel vagone successivo, completamente vuoto come i precedenti, e videro a sorpresa i due ribelli che avevano rapito la ricercatrice. Eri prontamente stava per sparargli, ma Fio glielo impedì alzando un braccio verso la giapponese.
«Ma sei scema?!?» urlò Eri infuriandosi. «Così ci scapperanno!»
«Ricordati che hanno un ostaggio, Eri!» ribatté Fio. «Devi rimanere concentrata, sempre!»
«Ma vai al diavolo!»
Nel frattempo i due ribelli erano entrati nel vagone successivo, ma la loro fuga fu di breve durata perché uno di loro stava trasportando la ricercatrice a spalla, rallentando non poco la sua corsa. Impauriti, i due ribelli stavano per raggiungere la porta successiva, ma all'improvviso quello senza ostaggio cadde rovinosamente a terra, costringendo l'altro uomo ad una brusca frenata. Non facendosi perdere occasione di fermarlo, Eri si avventò su quest'ultimo minacciandolo alle spalle con un coltello militare.
«Ora posala giù lentamente... chiaro!»
Pochi attimi dopo Fio bloccò l'altro ribelle, puntandogli la pistola contro e premendo un piede sulla schiena dell'avversario, ancora un po' intontito per la caduta: «Mani dietro la testa, prego!»
«Bel lavoro, ragazze!» commentò una voce, intromettendosi a sorpresa. Le due ragazze si voltarono stupite: su uno dei posti a sedere c'era la spia Martha!
«Tu qui?!?» esclamò Fio, completamente spiazzata. «Ma come hai fatto a...»
«Procurarmi un biglietto in quell'inferno di stazione, tra cretini che tentano di saltare la fila e impiegati così idioti che non sanno neanche le partenze del giorno? Mia cara, io me la sono cavata in situazione ben peggiori...» spiegò Martha, vantandosi delle sue imprese precedenti.
«E' per questo motivo che l'ho assunta!» intervenne il Boss. «Riesce a cavaserla in ogni situazione! E poi lavorava di fianco alla base... un vero affare!»
«Lo hai sgambettato, per caso?» domandò Fio, indicando a Martha il ribelle steso.
«Correva un po' troppo, per i miei gusti!» ammise la spia.
«Maledetta...» accennò il ribelle a terra, ma Fio lo zittì facendo pressione sulla schiena. «Niente parolacce, please!»
Nel frattempo Martha si alzò per dare un po' di conforto alla ricercatrice, una ragazza poco più che ventenne dai lunghi capelli castani, che scendevano fino a metà schiena, e dagli occhi marroni. Inoltre indossava un paio di occhiali dalla montatura nera e con le lenti squadrate, che le donavano un aspetto da dottoressa. Osservandola da più vicino, Martha intuì che la ricercatrice doveva essere stata rapita mentre era in vacanza, indossava un paio di jeans e una maglietta rossa. (E' Mirai, la seconda amministratrice del forum! N.d.A.)
Ancora un po' stordita, la ricercatrice venne fatta accomodare da Martha nel sedile accanto al suo, e solo in quel momento la spia notò sul pavimento un tesserino di riconoscimento, probabilmente caduto durante la fuga dei ribelli. Martha ci diede un'occhiata, prima di restituirlo alla ricercatrice.
«Così ti chiami Manuela De Angelis!» esclamò la spia.
«Già! Sono nata in Italia, ma adesso lavoro all'estero nel campo dei veicoli aerospaziali» spiegò la ricercatrice.
«No, pure tu sei italiana!» commentò Fio, mostrando un certo entusiasmo. «Io sono di Genova!»
«Non ci credo! Io sono stata moltissime volte da quelle parti! Come abbiamo fatto a non incontrarci mai!» affermò Manuela, quasi festeggiando il fatto di aver incontrato una connazionale.
«Ora basta!!!» urlò Eri infastidita. «Non siamo venute fino a quei per una gita di piacere!»
«Purtroppo Eri ha completamente ragione...» commentò il Boss via radio. «Dovete ancora mettere in salvo la ricercatrice! Ci sono ancora dei ribelli a bordo del treno!»
«Quanti?» domandò la giapponese.
«Troppi! Ma non sono quelli a spaventarmi: dalle immagini via satellite, ho visto che i ribelli hanno montato una torre mobile d'assalto, proprio dietro alla locomotiva! Sarà alta almeno come una palazzina di cinque piani!»
«Ho voglia di bestemmiare...»
«Ma non vi preoccupate, ho già mandato i rinforzi! Sono più avanti, quando arriverete ai vagoni per il trasporto merci!»
«In poche parole, andate avanti e abbattete le torre!» chiarì Fio.
«Proprio così! Buona fortuna, ragazze!»
Eri e Fio velocemente si prepararono ad affrontare nuovamente i ribelli, ma prima lasciarono la ricercatrice in custodia a Martha.
«Restate qui e non vi muovete!» ordinò Eri.
«Aspettate un secondo! Ho un regalo per voi!» affermò Martha, aprendo il suo voluminoso zaino. In breve tempo tirò fuori un contenitore quadrato di color bianco, con sopra disegnata la lettera "D".
«E' una nuova arma?» domandò Fio.
«Si chiama Drop Shot. Spero che possa esservi utile!» disse la spia consegnando il contenitore a Eri.
«Sei proprio una brava ragazza...» affermò la giapponese, mentre maneggiava con cura la nuova arma. Da come le brillavano gli occhi, era evidente che fosse un amante delle armi da fuoco.


Continua...

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Capitolo 4
*** Assalto alla torre ***


Capitolo 4 - Assalto alla torre


Una volta uscite allo scoperto, Eri e Fio arrivarono quasi subito su un vagone per il trasporto merci, che a differenza dei precedenti era piatto e in parte riempito da alcune casse di legno, legate tra loro per impedirgli di muoversi durante il tragitto. Avanzando con molta cautela, le due ragazze salirono in cima alle casse e da lì videro che poco più avanti c'erano alcuni ribelli, che si stavano godendo in tutta tranquillità il viaggio in treno, come se fossero dei turisti al mare. Secondo Eri, quella era l'occasione ideale per provare la nuova arma che gli aveva consegnato Martha.
La giapponese si alzò di scatto e velocemente prese in mano il Drop Shot, un fucile dalla canna allargata. Eri sparò qualche colpo per liberarsi degli avversari, ma dal fucile uscirono delle grosse palle fatte di uno strano materiale a metà tra il ferro e la gomma, che prima rimbalzarono per qualche metro e che poi esplosero mancando completamente il bersaglio! I ribelli, rendendosi conto di essere sotto attacco, risposero al fuoco con armi più tradizionali, costringendo le due ragazze a nascondersi tra le casse.
«Che arma ridicola!» commentò Fio abbastanza tranquilla, al contrario della sua amica che era veramente arrabbiata: «Che arma del...»
«Ehi!!!» esclamò il Boss via radio. «E' pur sempre un'arma sperimentale!»
«E dove l'avreste ideata questa bella invenzione, durante un viaggio ad Amsterdam?»
«Mai stato da quelle parti... però in futuro chissà!»
«Attenta! Sono davanti a noi!» urlò Fio, per avvisare l'amica del pericolo. Grazie ad un'azione di forza, le due ragazze riuscirono con relativa facilità a liberarsi dei ribelli, sparando all'unisono da dietro le casse.
«Nonostante quel catorcio di arma, siamo grandi socia!» gridò Eri, scambiando un cinque con Fio.
«E' troppo presto per festeggiare...» avvertì il Boss. «Avete ancora tre vagoni da superare prima di arrivare alla torre. I miei due "regali", invece, sono poco più avanti!»
«Un piccolo indizio su questi regali?» domandò Fio.
«Andate avanti e lo saprete!» ribatté il Boss, con voce allegra.
«Lo odio quando fa così...»
«Ovvero quasi sempre!» affermò Eri. Dall'altra parte della radio, il Boss non fu molto contento di quest'ultimo commento...

Avanzando di qualche metro, le due ragazze incontrarono degli altri ribelli, questa volta in divisa da antisommossa e armati di scudi. Dietro a questi c'erano dei lanciatori di coltelli, pronti a colpire con le loro armi da taglio.
«Che fenomeni da baraccone...» commentò ironicamente Eri, ma dovette ricredersi quando uno di questi scavalcò la barriera di scudi e le sfiorò la testa con una pugnalata, mancandola per pochi centimetri!
«Per un soffio!» commentò il Boss.
«Che grandissimo bastardo!» esclamò Eri, che per la rabbia scaraventò giù dal treno uno dei lanciatori di coltelli. Nel frattempo Fio prese una granata e la lanciò addosso ai ribelli con gli scudi, che si frantumarono a causa dell'esplosione. Lo spavento per i ribelli fu tale che quelli vestiti da antisommossa e i lanciatori di coltelli scapparono a gambe levate e urlando come matti!
«Ma che combinano?» si domandò Fio, incredula davanti a quella fuga.
«Io mi domanderei piuttosto chi fa le selezioni per arruolare i ribelli...» commentò il Boss.
Nel frattempo Eri aveva inseguito i ribelli fino al vagone successivo, ma dovette fermarsi perché la porta davanti a lei era chiusa dall'interno.
«Merda! Ci hanno sbarrato la strada!» esclamò la giapponese, tirando un pugno alla porta.
«Allora passiamo dal tetto!» propose Fio, trovando subito l'intesa con Eri: «Ci sto!»
L'italiana spiccò un salto e si aggrappò al tetto, ma appena tentò di sollevarsi, sentì una raffica di proiettili e d'istinto lasciò la presa. Fio cadde rovinosamente accanto alla porta chiusa, atterrando col fondoschiena.
«Tutto bene?» chiese Eri.
«Sì, a parte dietro...» rispose Fio a denti stretti e massaggiandosi la parte dolorante.
«Questa proprio non ci voleva! Appena proviamo a salire, ci sparano!»
Le due ragazze si fermarono per qualche secondo, riflettendo su come superare l'ostacolo. Pochi secondi dopo Fio si alzò in piedi, chiedendo ad Eri l'arma che le aveva consegnato Martha.
«E cosa vuoi farci con quello schifo?» domandò la bionda.
«Forse ho capito come usarlo...» commentò Fio, puntando lo sguardo verso l'alto.
La ragazza col berretto prese il Drop Shot e si mise spalle al muro, proprio sotto il tetto da cui poco fa era caduta. Alzò l'arma in alto e sparò tre colpi, mirando nella zona in cui aveva sentito provenire gli spari. Le urla di dolore che si sentirono poco più tardi furono la prova che la nuova arma, questa volta, aveva fatto centro!
«Non ci posso credere...» ammise Eri incredula, mentre vedeva la sua compagna salire in tutta tranquillità sul tetto.
«Visto che non era un'arma inutile?» commentò il Boss tutto contento. «Io sono uno che trasmette fiducia!»
«Certo, come no!» disse Eri sfottendo.
«Cambiando discorso...» intervenne Fio via radio. «Dove sarebbe i famosi regali, Boss?»
«Nel vagone successivo! Sono in due casse voluminose, non potete sbagliare!»

Eri e Fio percorsero velocemente il tetto del vagone, ma appena arrivarono dalla parte opposta sentirono uno strano sibilo. La giapponese alzò gli occhi al cielo e vide sopra di lei un grosso proiettile, di forma appuntita, che stava per precipitare in quella zona. Con un urlo quasi disumano, Eri trascinò la sua compagna all'indietro, quanto bastò per evitare del colpo sparato da un mortaio, appostato qualche metro più avanti.
«Ci è mancato veramente poco...» commentò Fio.
«Direi quasi niente!» aggiunse Eri.
Subito dopo Fio prese in mano una granata e la lanciò in avanti, con una traiettoria bassa. L'esplosione che ne seguì, sbalzò fuori dal treno il ribelle armato di mortaio che aveva cercato di bloccarle. Con la via libera, le due ragazze scesero dal tetto con facilità, raggiungendo in breve tempo il vagone successivo.
Ben presto le due si ritrovarono davanti a due grosse casse di legno, proprio come aveva annunciato il Boss poco prima. Una volta aperte, le due mercenarie scoprirono che i "famosi" regali erano in realtà due veicoli d'assalto: uno Slug, simile a quello guidato da Tarma nella missione precedente, e un piccolo aereo d'assalto, dalla livrea argentata. Da come i due veicoli risplendevano ai raggi del sole, sembravano appena usciti di fabbrica.
«Piaciuta la sorpresa?» domandò il Boss, visibilmente soddisfatto.
«Nonostante con te ci vuole una pazienza da santo, sei veramente eccezionale Boss!» commentò Eri, sicuramente la più entusiasta delle due ragazze.
«Oh, merda!» affermò il Boss preoccupato, mentre si voltava per osservare meglio uno dei monitori che aveva in sala.
«Che succede?» chiese Fio.
«Nella vostra zona sta arrivando un mucchio di gente!»
«Da dove?»
«Un po' ovunque! Sono ben armati, alcuni hanno anche i bazooka!»
«Allora diamoci subito una mossa!» affermò Eri, che poi aggiunse in tono ironico: «L'aereo è prenotato a nome mio! Tu prendi lo Slug!»
«Come vuoi...» rispose Fio alzando le mani.
Essendo dotato di turbine orientabili, l'aereo di Eri compì un decollo verticale e fu subito pronto allo scontro, mentre Fio si accomodò dentro il carro armato, circondata da strumenti tecnologici di ultima generazione, che permettevano allo Slug di essere pilotato da una sola persona.

Pochi attimi dopo l'intero vagone venne circondato da numerosi ribelli, tutti armati fino ai denti, ma le due ragazze fecero piazza pulita dei loro avversari, grazie alla grande potenza di fuoco che avevano a disposizione. Ma entrambe sapevano che il peggio doveva ancora arrivare, ed infatti poco dopo, in lontananza, sentirono una serie di rumori metallici, come se qualcosa di pesante si stesse muovendo verso di loro. In seguito su tutto il treno subentrò uno strano silenzio, alquanto inquietante: era la classica calma prima della tempesta...
«Eccolo!» esclamò Eri dalla sua cabina di comando.
«Come ti sembra?» gli domandò il Boss.
«Peggio di come me lo immaginavo...»
Avanzando di un altro vagone, le due mercenarie videro la torre mobile in tutta la sua immagine minacciosa, vicino alla locomotiva: era tutta colorata di verde scuro, quasi nero, e riusciva a muoversi e ad aggrapparsi al treno grazie ad una serie di arti metallici, simili a quelli dei granchi. Di base quadrata e leggermente più stretta in cima, la torre non sembrava però possedere armi, ma forse era troppo presto per dare dei giudizi a riguardo. Inoltre aveva il simbolo dei ribelli dipinto nella parte alta, un cerchio rosso con l'interno bianco e al centro una "X" nera.
«Occhio!» esclamò il Boss. «Potrebbe nascondere dei trucchetti... non sarebbe la prima volta!»
«Io dico di demolirlo e basta!» mormorò Eri, con timbro maligno.
«E' davvero lento nei movimenti!» commentò Fio, facendo ancora più insospettire il Boss sul fatto che la torre avesse un'arma segreta. E purtroppo i suoi timori erano fondati...
Appena Eri cominciò a sparare dal suo aereo, dalla torre uscì un grosso mitragliatore, proprio in corrispondenza del cerchio in alto. Come potenza di fuoco era simile a quello in dotazione alla giapponese, che per evitare problemi indietreggiò, eseguendo una virata molto stretta. A quel punto Fio provò ad avvicinarsi alla torre per danneggiarla, ma davanti a lei trovò un potente lanciafiamme, che era uscito dal fondo della struttura mobile. Rischiando un po', l'italiana sparò alcuni di cannone, proprio nel momento in cui il lanciafiamme sparò la sua fiammata. Lo Slug reagì bene all'urto, ma la temperatura dentro il carro armato era salito notevolmente: se entro pochi minuti non trovava una soluzione, Fio rischiava seriamente di ustionarsi! In quella situazione Eri avrebbe voluto aiutare la sua compagna, ma era impegnata a non farsi colpire dal mitragliatore, costringendola a volare lontano dalla torre.
Vedendo le sue sottoposte in difficoltà, il Boss le contattò per riorganizzare l'attacco.
«Non state così vicine! Usate la tattica del "mordi e fuggi"!»
«E' quello che stiamo facendo!!!» urlò Eri rabbiosa.
«A me non sembra...»
La giapponese stava per mandare a quel paese Il Boss, ma venne interrotta da una chiamata di Fio. A causa dell'intenso calore all'interno dello Slug, il suo tono di voce era spossato.
«Sta cadendo!»
«Cosa?»
«Il lanciafiamme... si sta staccando!» spiegò Fio, quasi esausta.
Pochi attimi dopo la struttura sul fondo della torre si staccò rovinosamente, cadendo fuori dal treno in corsa. Approfittando di quell'occasione, Fio avanzò con lo Slug fin sotto la torre, per sparare in un punto scoperto. Ma all'improvviso gli arti metallici si abbassarono, e solo all'ultimo Fio, usando tutta l'agilità dello Slug, riuscì ad andarsene, evitando così di rimanere schiacciata sotto la torre.
A quel punto il Boss, preoccupato per la salute di Fio, provò a contattarla più volte, ma non ci fu alcuna risposta. Impaurita per le condizioni della compagna d'armi, Eri si avvicinò allo Slug, rischiando di venir colpire dal mitragliatore. Eseguendo quella manovra, la giapponese si rese conto di una cosa: da quando il lanciafiamme si era staccato della torre, quest'ultima aveva perso stabilità. Anche il Boss lo aveva notato e immediatamente suggerì ad Eri di attaccare la torre frontalmente, usando le armi più potenti che aveva.
Una volta tornata in volo, la giapponese si portò davanti alla torre e fece subito fuoco con un missile. La struttura nemica vacillò, ma rimase aggrappata al treno, così il Boss incitò Eri a colpire nuovamente la torre. Nonostante la difesa dei nemici, alquanto tenace, la giapponese riuscì a sparare un secondo missile, che andò a segno. La torre, ormai seriamente danneggiata, cercò di rimanere in piedi, ma alla fine gli arti metallici persero potenza e la struttura cadde dal treno, esplodendo dopo aver rotolato per parecchi metri.
La missione era conclusa, ma sul volto di Eri c'era molta tensione perché Fio non aveva ancora risposto alle chiamate del Boss. Seriamente preoccupata per la sua compagna d'armi, la giapponese saltò giù dal suo mezzo e salì in cima allo Slug, cercando di non scottarsi sulla corazza del carro armato, ancora incandescente. Pochi attimi dopo la ragazza riuscì a trascinare Fio all'esterno, trasportandola sulle spalle; in quell'occasione il Boss tirò un gran sospiro di sollievo, era rimasto in ansia per un bel po' di minuti.
Fio era esausta e visibilmente disidratata, a causa delle alte temperature all'interno dello Slug, ma per fortuna non era in pericolo di vita. Aveva solo bisogno di riposo e di molta acqua, come lei stessa ripeteva con voce debole.
«Per fortuna che era solo svenuta!» commentò il Boss.
«Ora però devo avvertire i macchinisti che possono fermare il treno!» disse Eri camminando verso la locomotiva.
«D'accordo, ma poi porta subito Fio nel vagone in cui c'è Martha! Penso che avrà dell'acqua nel suo zaino!»
«Credo proprio di sì!»
«Io intanto avverto il capitano che vi siete fermati. In questo momento non vorrei essere nei suoi panni...»
«E perché?»
«Per raggiungerci, lui e Tarma dovranno fare almeno una cinquantina di chilometri a piedi!»
«Eh già!» ridacchiò Eri. «Sarà una corsa molto lunga!»


Continua...

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Capitolo 5
*** Il quartiere giapponese ***


Capitolo 5 - Il quartiere giapponese


La notte seguente allo scontro sul treno, la ricercatrice Manuela venne interrogata dal capitano Marco nel vagone in cui era stata salvata, per ricavare più informazioni possibili sui ribelli. Confermando le paure del Boss, l'ordine per rapire la ragazza era partito direttamente dal generale Donald Morden, ex membro dell'esercito Regolare e ora capo della Ribellione; ufficiale dotato di grande carisma, quest'uomo era riuscito in poco tempo a riorganizzare le cellule ribelli sparse in tutto il mondo, rendendole una seria minaccia a livello globale. In molti avevano tentato di fermarlo in precedenza, tra cui anche Marco e Tarma, senza però riuscirci: l'alone di mistero che si era creato attorno alla figura del generale lo aveva reso imprendibile, come un fantasma.
«Se c'è lui dietro a tutto ciò, significa che sta preparando qualcosa di pericoloso...» commentò il Boss, seriamente preoccupato.
«Può darsi, ma a cosa gli serviva la ricercatrice? Per la costruzione di nuovi mezzi armati?» ipotizzò Marco, ma il Boss non sembrava d'accordo con la sua idea: «Troppo banale come ipotesi! Inoltre De Angelis è esperta in veicoli aerospaziali... deve riguardare qualcos'altro, ne sono sicuro!»
«E nel frattempo, che si fa?» domandò Tarma.
«Per il momento riposatevi! Se mi arriveranno altre notizie, vi informerò subito!»
Chiuse le comunicazioni con il Boss, il capitano Marco andò a controllare le condizioni di Fio, che nel frattempo era stata curata da Martha e da Eri. Nonostante la ragazza italiana fosse ancora rossa in viso, per colpa dell'eccessivo calore, stava tranquillamente dormendo in una branda del vagone-letto. Fio era così accaldata che finì in un attimo ben tre borracce d'acqua, ovvero tutta la scorta di liquidi che aveva con sé Martha.
«Come sta?» domandò Marco sussurrando.
«Non sono un'infermeria, ma credo che se la caverà» rispose Eri. «Però è stata una stupida a rischiare così tanto! Se non c'ero io nei paraggi...»
«Sapeva a cosa andava incontro. Non è mica una ragazzina!»
«Lo so!»
A quel punto intervenne Martha, che zittì tutti portandosi un dito vicino alla bocca: «Sssh! Non alzate la voce!»
«Abbiamo capito!» ribatté Marco.
«Cambiando discorso, che succederà a Manuela? Ho l'impressione che sia ancora un po' provata per il rapimento.»
«Di questa cosa se ne occuperà il Boss. Forse parlandoci di persona, riceverà più informazioni utili.»
«Speriamo...»

Per tutta la notte successiva, il treno proseguì a velocità moderata verso la stazione più vicina, concedendo ai Falchi Pellegrini una meritata notte di riposo. Nonostante il treno fosse parzialmente danneggiato, i macchinisti riuscirono ad arrivare senza problema in una piccola stazione ferroviaria, portando al sicuro i passeggeri e ciò che rimaneva delle merci.
Al risveglio, la mattina successiva, non fu la sveglia a far saltar giù dalla branda il capitano Marco, bensì una chiamata da parte del Boss. Senza entrare troppo nei dettagli, quest'ultimo spiegò che i Ribelli avevano attaccato un centro abitato e che i Falchi Pellegrini dovevano subito recarsi all'eliporto più vicino, per un trasferimento urgente. Nonostante qualche faccia infastidita per il mancato riposo, il gruppo si preparò velocemente per la nuova missione.
Pochi minuti più tardi, i quattro mercenari erano già a bordo di un elicottero nero, messo a disposizione del Boss, diretto verso una destinazione per il momento ancora ignota. Tutti erano ansiosi di ricevere i nuovi ordini del Boss, compresa Fio, che nel frattempo si era completamente ripresa dallo scontro con la torre mobile; qualche minuto dopo, come prevedibile, il comandante dei Falchi Pellegrini mise nuovamente in contatto con la sua squadra.
«Mi ricevete da lassù?»
«Forte e chiaro, Boss!» rispose Marco. «Prima di iniziare, io avrei una domanda da farle.»
«Sentiamo!»
«Dove si trovano Martha e la ricercatrice? Sono già state portate al sicuro?»
«Sì! La nostra osservatrice sta accompagnando la signorina De Angelis qui, al quartier generale. Appena sarà possibile, Martha tornerà a vostra disposizione.»
«Faccia pure con comodo...» commentò Tarma, un po' ironico.
«Ricevuto Boss! Ora può dirci dove siamo diretti?» domandò il capitano.
«In un quartiere periferico di Tokyo! Le segnalazioni di Ribelli da quelle parti ormai non si contano più!»
«Ah, magnifico...» commentò Eri con voce malinconica. Il solo nome di quella città fece rievocare nella mente della ragazza molti pensieri negativi, ricordi che avrebbe voluto dimenticare per sempre.
«Si sa perché si sono radunati proprio lì?» domandò Marco.
«Lo ignoro!» rispose il Boss, con aria desolata. «Al momento, posso solo dirvi che sono già iniziate le procedure per mettere in salvo i civili. Quando arriverete, sarete soli contro i Ribelli.»
«Sai che novità!» affermò Tarma.
«Che spiritoso...»

Procedendo a velocità sostenuta, l'elicottero completò il volo in poco più di quattro ore, oltrepassando senza alcun problema il Mar Cinese Meridionale e le zone montagnose del Giappone. Appena si intravidero i primi edifici del quartiere occupato dai Ribelli, il pilota dell'elicottero avvisò i Falchi Pellegrini dell'imminente arrivo e di prepararsi per il lancio col paracadute. Una volta indossati gli appositi zaini, il team si avviò verso il portellone, che nel frattempo si stava lentamente aprendo.
Il paesaggio sottostante, che scorreva velocemente sotto gli occhi di Marco, sembrava il set di un film catastrofico, uno dei tanti che aveva visto su DVD: negozi tradizionali molto colorati, ma completamente vuoti e automobili lasciate in fretta e furia in mezzo alla strada. Tutto ciò era paradossale, se si pensava che normalmente in quella zona circolava un mucchio di gente, essendo un'area commerciale.
Una volta che l'elicottero si stabilizzò in aria, i Falchi Pellegrini si gettarono dal portellone, con Marco che partì per primo, seguito a ruota da tutti gli altri. Senza troppo problemi, i quattro mercenari atterrarono in un grosso incrocio stradale, l'ideale per quel genere di manovre essendo uno spiazzo libero da ostacoli. Dopo aver sganciato i loro paracaduti, il gruppo proseguì in direzione del quartiere, sotto la guida dell'impavido Marco.
Avanzando lentamente, in un silenzio quasi irreale, i Falchi Pellegrini giunsero nei pressi di alcuni negozi di alimentari, dove ad un certo punto notarono una figura umana muoversi vicino a piccolo mezzo di trasporto su tre ruote. Appena lo vide chiaramente, il capitano ordinò ai suoi sottoposti di prepararsi allo scontro.
«Divisa verde, ne vedo una!» mormorò Marco, confermando che si trattava di un Ribelle.
«Da qui ne vedo un'altra, a destra della prima!» aggiunse Tarma.
«D'accordo! Muoviamoci lentamente e senza fare rumore...»
«La prima è mia!» affermò Eri.
La giapponese, appena ebbe il primo Ribelle sottotiro, sparò un colpo, centrando il nemico in testa. Provò a colpire anche il secondo, ma quest'ultimo si riparò dietro il veicolo a tre ruote e rispose al fuoco con una mitraglietta. Improvvisamente la situazione iniziò a peggiorare, perché sul posto iniziarono ad arrivare numerosi Ribelli, armati fino ai denti. Costretti a difendersi, il gruppo si divise in due coppie: Marco e Eri si nascosero dietro l'angolo di un vicolo cieco, mentre Tarma e Fio si rifugiarono dentro il negozio di un ortolano. Quest'ultimo sembrava un posto sicuro, ma da dietro alcuni scafali spuntarono altri Ribelli...
In strada, nel frattempo, il capitano e Eri rimasero riparati per qualche secondo dietro il muro, finché i due non decisero di prendere l'iniziativa, saltando fuori all'improvviso da dietro il vicolo. Sfruttando l'effetto sorpresa, i due mercenari riuscirono ad eliminare tutti i Ribelli senza troppe difficoltà. Una volta liberata la strada, Marco pensò di dare una mano al resto del gruppo, ma dal negozietto accanto si sentì una tremenda esplosione, causata dalle granate lanciate da Tarma e Fio. In aria venne proiettato di tutto: porri, insalate, carote, patate, angurie, polli surgelati e persino ravioli al vapore... un vero e proprio disastro! Anzi, un pasticcio di verdure!
Nonostante il botto, Tarma e Fio ne uscirono incolumi, ma la stessa cosa non si poteva dire dei loro vestiti.
«Una vera strage di ortaggi...» commentò Tarma.
«Speriamo che vengano via, tutte queste macchie! Non ho con me il ricambio!» affermò Fio preoccupata.
«Per fortuna che non era il mercato del pesce» aggiunse Eri.

Pochi minuti dopo il Boss si vede vivo via radio. Dal suo tono di voce preoccupato, sembrava avere delle novità molto importanti.
«Qui sta andato tutto a quel paese!!!»
«Si calmi, Boss! Che diavolo succede?»
«Da mezz'ora a questa parte, mi continuano ad arrivare segnalazioni di strani oggetti volanti...»
«UFO?»
«Ma non diciamo cazzate!» replicò Tarma. «Saranno i soliti cretini con manie di protagonismo!»
«Però le varie segnalazioni coincidono in maniera impressionante...» spiegò il Boss, che poi aggiunse: «Senza contare che è stato avvistato un nuovo mezzo d'assalto dei Ribelli!»
«Quale?»
«Un incrocio tra una nave da guerra e un mezzo anfibio! Un progetto veramente ambizioso!»
«Cioè... una nave che possa andare via terra?» domandò Fio, con voce incerta.
«Sì. Dovrebbe trovarsi a nord della vostra posizione.»
«Non c'è altro?» domandò Marco.
«No, questo è tutto ragazzi! Andate avanti e tenete gli occhi ben aperti!»
Mantenendo sempre un passo abbastanza lento, i quattro mercenari superarono alcuni negozi locali, fino ad arrivare ad un piccolo incrocio stradale. Al centro c'era un autobus a due piani, di color giallo scuro, abbandonato in posizione laterale rispetto alla normale via di marcia. Osservandolo da lontano, Marco sospettò che c'era qualcosa di strano e per non correre rischi, ordinò alla squadra di passare ai lati dell'incrocio. Proseguendo in quel modo, Tarma trovò casualmente, tra alcune casse di frutta, un contenitore bianco con all'interno un Heavy Machine Gun, un regalo sempre gradito per i Falchi Pellegrini.
Tutto procedeva come ordinato, ma all'improvviso un rumore metallico arrivò alle orecchie di Marco. Allarmato, il capitano si guardò attorno un po' disorientato, mettendo però in guardia gli altri mercenari. Di colpo, come in un effetto speciale di un film, la parte superiore dell'autobus si aprì, trasformandosi in una pedana dalla quale uscirono diversi Ribelli, alcuni dei quali anche motorizzati. Nonostante lo stupore iniziale, i Falchi Pellegrini prima riuscirono a riorganizzarsi e poi a far saltare in aria l'autobus, grazie soprattutto all'Heavy Machine Gun recuperato da Tarma.

Proseguendo la loro marcia nella direzione indicata dal Boss, i Falchi Pellegrini si ritrovarono ben presto ai margini della periferia, precisamente in una depressione da cui spuntavano alcuni pozzi di pietra. Anche qui, come in precedenza, iniziò uno scontro a fuoco con alcuni Ribelli, che però stavolta avevano a disposizione un nuovo mezzo blindato: una torretta mobile, alta all'incirca tre metri, di color verde scuro. Di forma era molto simile a quella che Eri e Fio avevano affrontato sul treno, solo che questa aveva dei normali cingoli da carro armato. Sembrava un'arma terribile, ma appena la torretta sparò un colpo di cannone, il gruppo si accorse che dal mezzo uscì una specie di melone metallico, che rotolava molto lentamente sul terreno, rendendo il suo attacco semplicemente demenziale!
«Che cagata!» commentò Tarma.
«Ho visto di meglio...» affermò Eri. Senza troppo ritegno, tutti e quattro i mercenari decisero di liberarsi velocemente di quella torretta, sparando una bella dose di proiettili. Dopo aver liberato la zona da ogni minaccia, Fio si accorse che più qualche metro più in là c'è qualcuno, legato ad un palo di legno. Immediatamente il capitano prese il binocolo dallo zaino, per esaminare meglio la situazione. Davanti a lui vide un uomo dai lunghi capelli biondi e dalla barba incolta, che indossava solo un paio di boxer a righe bianchi e azzurri. Era legato al palo principale di una piattaforma di legno costruita su tre piani, circondata da una pozza d'acqua poco profonda.
«Ma che?!?» esclamò Marco, che poi aggiunse. «Deve trattarsi di un civile!»
«A me sembra più un barbone!» affermò Eri. «Sembra che non vada da un barbiere da anni!»
«Ma che ci fa lui qui?» domandò Tarma, meravigliato dalla descrizione del civile. «Il Boss non aveva detto che gli abitanti del quartiere era stati messi in salvo?»
«Forse non voleva andarsene da qui» affermò Fio.
«Me ne frego se è un testardo o meno! Siamo dei professionisti, quindi andiamo a salvare quel civile!» ordinò Marco.
«Agli ordini, capitano!» rispose in coro gli altri tre mercenari.
Nel momento in cui Marco accennò un passo verso il civile, nell'aria si udì un rumore metallico. Pochi attimi dopo, sopra le teste dei Falchi Pellegrini, comparve un elicottero dei Ribelli, armato di bombe. Correndo alla disperata, il capitano andò verso il civile, mentre il resto del gruppo si impegnò ad abbattere l'elicottero, stando attenti a non farsi colpire dalle bombe che sganciava a raffica. Fu uno scontro breve e intenso, ma alla fine il mezzo avversario venne sconfitto da Tarma, che lo fece esplodere in mille pezzi grazie al suo Heavy Machine Gun.
Sollevati per lo scampato pericolo, il resto del gruppo raggiunse Marco che nel frattempo aveva liberato il civile, tagliando le funi con il coltello che usava per gli scontri ravvicinati. L'uomo raccontò che si chiamava Hyakutaro, un abitante del quartiere, e che era stato catturato dai Ribelli mentre dormiva. Nonostante il suo aspetto molto trasandato, lui si riteneva una persona di grande importanza, che avrebbe cercato di aiutare Marco e il suo gruppo in quella situazione così disperata. Con questa sua affermazione, l'uomo provocò qualche sorrisetto ironico da parte di tutti: era impensabile ciò che aveva appena detto!
All'improvviso però tutti quanti divennero seri, perché avevano udito uno strano rumore nell'aria. I Falchi Pellegrini, sebbene fossero innervositi e un po' stanchi per le battaglie precedenti, si prepararono ad affrontare il nuovo nemico proveniente dall'alto. Tutti puntarono lo sguardo rivolto al cielo, ma nessuno dei presenti vide qualcosa, e ciò stava aumentando il loro senso di angoscia. Solo quando Marco salì in cima alla piattaforma il mistero venne svelato.
Il capitano rimase come folgorato da ciò che stava osservando: davanti a lui c'erano quattro dischi neri che si muovevano nell'aria, con altrettanto esserini che li guidavano con delle leve, come se fossero delle pedane. Questi esseri ricordavano vagamente delle rane che stavano in piedi su due zampe, con il colore della pelle che variava in diverse tinte. Non erano molto alti, a occhio e croce forse toccavano il mezzo metro d'altezza.
Gli altri, rimasti ai piedi della piattaforma, sgranarono gli occhi appena videro quegli esseri. Pure il Boss, che seguiva la faccenda via monitor, rimase a bocca aperta per lo stupore. Riuscì solo a dire un'unica parola, a voce bassa. Alieni.


Continua...

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Capitolo 6
*** Lo scontro con la nave anfibia ***


Capitolo 6 - Lo scontro con la nave anfibia


Umani e alieni si fissarono a vicenda per qualche minuto, entrambi in attesa di vedere cosa avrebbe fatto l'avversario. Innervosito dal silenzio che si era creato, la rana aliena verde, che da come si agitava sembrava essere il capo di quel gruppetto, si presentò agli umani, che lui definiva "Pekoponiani".
Si chiamava Keroro e annunciò che gli alieni medusa, alleati del suo pianeta d'origine, si stavano preparando ad invadere la Terra in massa, grazie soprattutto ad un alleato inatteso, il generale Morden! Il capitano Marco prese veramente male la notizia, riuscendo a contenere a malapena la sua rabbia per quell'uomo senza scrupoli. Lui sapeva benissimo che il generale era disposto a tutto pur di vincere, ma il capitano non avrebbe mai pensato ad una mossa così folle!
Sicuro di sé, l'alieno Keroro finì il suo discorso spiegando che lui e il suo gruppo stavano raccogliendo informazioni sugli umani già da molto tempo, fin da quando erano riusciti con successo ad introdursi in un’abitazione terrestre, nel paraggi. L'alieno rosso però ricordò al suo superiore che in realtà quella missione fu un totale successo, perché Keroro le prendeva in continuazione da una ragazza delle medie, ma quest'ultimo, visibilmente imbarazzato, alzò la voce per zittire il suo sottoposto. Non sembrava così minaccioso come invasore, dopotutto...
Irritato per la brutta figura, Keroro ordinò ad un suo sottoposto, una rana nera, di colpire immediatamente il gruppo dei Falchi Pellegrini. Vedendo l'alieno che teneva la bocca aperta, come se dovesse sparare un colpo di natura sconosciuta, Marco e i suoi cercarono un riparo, ma all'improvviso qualcosa di luminoso passò sopra le loro teste. Il capitano si voltò di scatto e vide una specie di bolla d'energia, di un azzurro acceso, colpire uno dei mezzi volanti degli alieni; Keroro ne fu così spaventato che ordinò subito la ritirata, maledicendo coloro che lo avevano incontrato.
«Che diavolo era quel coso?» domandò Marco, quando ormai gli alieni invasori si erano allontanati.
«E' partito qui dietro, ma non ho visto altro capitano!» rispose Tarma.
«State calmi!» esclamò Hyakutaro, l'unico del gruppo rimasto tranquillo. «Sono stato io a fare quel colpo?»
«E chi sei, un Sayan che spara onde energetiche?» domandò Eri, citando un noto cartone animato giapponese.
«Non ci credi, ragazzina? Se vuoi ne sparo un'altra...» affermò il vecchietto, che stava già posizionando le mani per eseguire la sua mossa micidiale.
«No, grazie!» intervenne il capitano, fermando così Hyakutaro. «Piuttosto, sapresti dirci cosa c'è più avanti? Da qui la visuale è pessima!»
«Quasi nulla, a parte alcune abitazioni isolate e campi abbandonati. Se vi interessa, parcheggiato da qualche parte c'è uno strano mezzo militare.»
«Che tipo di mezzo sarebbe?»
«Sembra una specie di carro armato in versione ridotta, ma non so se funziona...»
«Non ti preoccupare, quel tipo di mezzo è più resistente di quanto immagini!» commentò Marco sorridendo, perché aveva capito che quel mezzo non era altro che uno Slug. «Appena lo vedo, ci salgo dentro!»
«No, volevo guidarlo io!» ribatté Tarma.
«Eh, no! Tu la volta scorsa sei salito su uno Slug senza chiedere il mio permesso! E poi io sono il tuo superiore, quindi si fa quello che decido io!»
«Prepotente...» mormorò un rattristato Tarma.

Con passo leggero, i quattro mercenari dei Falchi Pellegrini si avvicinarono alle ultime case che formavano il quartiere, tutte quante di vecchio stampo e costruite in legno. Notando dei segni di vita, Marco si posizionò sotto una finestra aperta e intravide due soldati di Morden che si stavano godendo un momento di riposo, sdraiati su un paio di poltrone. Cercando di attirarli in un’imboscata, il capitano bussò sul vetro.
«Chi è là?» esclamò uno dei due soldati nella casa.
«Sono il padrone di casa! E' scaduto l'affitto!» rispose Marco
«Eh?!?»
Con una mossa fulminea, il capitano prese una bomba a mano e la gettò dentro la casa, eliminando ogni minaccia presente al suo interno. L'esplosione che ne seguì fu così devastante che all'improvviso, da ogni casa presente nei dintorni, sbucarono numerosi soldati della Ribellione, con in mano diversi tipi di armi. Ormai abituati a quel genere di scontro, i Falchi Pellegrini non persero tempo e si gettarono subito nella mischia, sparando una pioggia di piombo contro i loro avversari. Il combattimento fu breve e intenso, tra innumerevoli colpi di pistola e granate lanciate un po' ovunque, ma alla fine la preparazione dei quattro mercenari li favorì, mettendo in fuga ciò che rimaneva dei Ribelli appostati in zona. La loro avanzata fu così trionfale che, senza volerlo, erano finiti ai margini del quartiere, quasi in aperta campagna.
«Mi ricevette?» chiamò improvvisamente la radio, era il Boss che stava cercando il capitano. «Qualcuno mi risponda!»
«Qui è Marco, passo!»
«Ho visto un bel po' di azione da quelle parti, state tutti bene?»
«Nonostante tutto, siamo ancora interi... è già arrivata la ricercatrice?»
«Sì, adesso è al sicuro. Sono proprio curioso di sapere cos'aveva in mente Morden!»
«Ehi, abbiamo trovato lo Slug!» si sentii urlare alle spalle di Marco. Ricevuta quella segnalazione, il capitano ordinò: «Quello lo guido io! E' chiaro, Tarma?»
«Ovviamente, capitano!» rispose prontamente il mercenario con gli occhiali scuri, cercando di mascherare il suo malcontento.
«Invece di pensare ai casini vostri, statemi a sentire!» urlò il Boss, rimettendo in riga i suoi sottoposti. «Ho delle brutte notizie da dirvi: dalle immagini satellitari, ho visto che la nave anfibia è molto vicina a voi, quindi preparatevi ad uno scontro molto impari!»
«Amo questo genere di notizie...» ironizzò Eri, accennando un sorriso tutt'altro che gioioso.
«Oltre a questo, posso dirvi che ho trovato, sempre via satellite, il punto in cui i Ribelli hanno invaso il quartiere giapponese, la metropolitana!»
«Cioè i Ribelli sono arrivati fin qui in metro?» domandò Fio.
«E da quando hanno l'abbonamento ai mezzi pubblici?» disse Tarma, facendo una battuta.
«Molto spiritoso, ma non molto distante da voi c'è un accesso incustodito alla linea metropolitana. Dovete trovarlo e individuare in che modo i Ribelli hanno sfruttato quei tunnel. Se necessario, dovrete fermare anche gli eventuali rinforzi del nemico!»
«In poche parole, ci assegni su due piedi un'altra missione!» affermò Eri.
«Ovviamente! Siete lì proprio per questo, no?»
«C'è altro?» domandò Fio.
«Un'ultima cosa: ho mandato in perlustrazione nella metro la nostra cara osservatrice. Cercate di non sparagli, appena la vedete...»

Avanzando con lo Slug in testa al gruppo, i Falchi Pellegrini perlustrarono la zona di campagna con attenzione, alla ricerca della nave anfibia. La situazione sembrava paradossale perché sui quei terreni, quasi completamente piatti, non trovare un mezzo così grosso era impossibile, non essendoci nascondigli! Poi, all'improvviso, il terreno sotto i piedi dei quattro mercenari iniziò a tremare, con un intensità sempre più forte. Facendo roteare la torretta dello Slug, il capitano Marco riuscì finalmente ad inquadrare nel mirino il suo prossimo avversario, che poco a poco si stava avvicinando alla sua posizione.
La nave anfibia era, in poche parole, un vecchio modello di incrociatore corazzato, di color grigio militare e con la carena rossa, a cui erano stati aggiunti due enormi file di cingoli, che gli davano l'aspetto di un colossale carro armato. Appena l'enorme mezzo si fermò, i Falchi Pellegrini videro con chiarezza le numerose bocche da fuoco che erano posizionate su tutto il ponte, montate a coppie su una decina di torrette; ad un dato segnale, tutti i cannoni della nave anfibia puntarono contro i mercenari e lo Slug, che subito indietreggiarono per non venir colpiti.
«Merda, quant'è grosso!» urlò Tarma rifugiandosi dietro lo Slug.
«Tenetevi pronti a tutto!» gridò Marco, che nel frattempo stava ricevendo istruzione via radio. «Ragazzi, ho una comunicazione del Boss: ci ha appena consegnato un pacco per via aerea!»
«Speriamo che non sia una delle sue solite cazzate...» mormorò Eri, sbuffando vistosamente.
Pochi minuti dopo, sul nuovo campo di battaglia, arrivò planando un piccolo aereo bimotore, volando a poche decine di metri dal suolo. Come un fulmine, il piccolo mezzo passò sopra le teste dei Falchi Pellegrini, sparendo poi tra le nuvole che si vedevano all'orizzonte. Rimanendo con il naso all'insù, Eri notò qualcosa sospesa nell'aria, che lentamente stava scendendo verso di lei; attaccato ad un paracadute c'era un contenitore bianco con una grossa "F", ovvero l'iniziale del Flame Shot, un potente lanciafiamme.
«Ottimo tempismo!» commentò la giapponese, anche se aveva nelle riserve nei confronti del Boss. «Ma sarà utile a fermare quel bestione?»
«Fermarlo no, però potresti usarlo per eliminare le torrette!» suggerì Fio. «Senza di quelle è spacciato!»
«Mi sembra un buon piano, anche perché non vedo altre armi evidenti...» affermò Marco, che poco dopo lanciò l'attacco all'imponente nave anfibia.
Il primo ad attaccare fu proprio il capitano, che con un colpo di cannone centrò in pieno una delle torrette più alte, distruggendola completamente. Nonostante la grande potenza di fuoco, la nave anfibia aveva un grosso difetto: sparando solo proiettili che eseguivano una parabola molto amplia, la zona attorno ai cingoli era impossibile da colpire ed era proprio lì che i Falchi Pellegrini si posizionarono, schivando le prime raffiche del nemico. Una volta al riparo, se si poteva definire così, i quattro mercenari iniziarono con determinazione a distruggere ogni torretta presente sulla nave anfibia, tra numerosi colpi di pistola, fiammate e la raffica continua del mitragliatore presente sullo Slug. Nel giro di poco tempo tutte le torrette da fuoco furono demolite o rese inutilizzabili, rendendo la nave praticamente senza più difese.
Mentre il mezzo nemico si fermò in mezzo alla campagna, come segno evidente di resa, il Boss stava per contattare il capitano per fargli i complimenti, ma qualcosa all'improvviso lo bloccò: sui monitor vide che il boccaporto anteriore della nave anfibia si stava lentamente aprendo, e ciò non sembrava per niente un buon segno...
Nel momento in cui il Boss avvisò i suoi sottoposti, dal boccaporto uscì un possente cannone scuro, addirittura più alto della nave stessa, pronto a riprendere lo scontro con i Falchi Pellegrini. Intuendo che il colpo sarebbe stato devastante, i quattro mercenari letteralmente scapparono in avanti per diversi metri. Sembrava incredibile, ma nel giro di pochi minuti la situazione si era completamente ribaltata e adesso erano i Falchi Pellegrini ad essere in crisi.
«Siamo fottuti!!!» urlò Eri, gettandosi a terra per ripararsi dal colpo di cannone. Il rinculo di quest'ultimo fu così potente che la nave anfibia oscillò per qualche secondo, mentre nella zona colpita si sollevò un polverone che oscurò temporaneamente il campo di battaglia.
«Non oso immaginare se avesse colpito lo Slug...» ipotizzò Marco, con tono disperato e intravedendo la sagoma della nave anfibia tra la polvere.
«Ora che facciamo? Quello ci seppellirà vivi!» affermò Fio, forse la più angosciata del gruppo. Sentendo ciò che stava accadendo, il Boss decise di intervenire via radio, più preoccupato dalla reazione dei suoi sottoposti che dall'arma segreta della nave anfibia. «Ora non perdere la testa e statemi a sentire!!!»
«Non puoi mandarci qualcosa di utile, Boss?» domandò Tarma. «Non so, un atomica per esempio...»
«Non indietreggiate! Potete abbatterlo!»
«Ma ti sei bevuto il cervello?!?» commentò Eri.
«Dovete fare gioco di squadra! Non può colpirvi tutti, se state distanti uno dall'altro! E poi ci vuole molto tempo per ricaricare un cannone del genere! Schivarlo non è impossibile!»
«E' un discorso inutile! Anche se ci troviamo solo ad un metro dalla traiettoria del cannone... siamo morti lo stesso!» obiettò Marco.
«E allora muovetevi!» ribatté il Boss, alzando la voce e chiudendo così il discorso.
Pochi secondi dopo, prendendo alla sprovvista il gruppo ancora un po' demoralizzato, un secondo colpo di cannone fece nuovamente tremare la terra, a non molta distanza da Fio e Tarma. I due mercenari vennero sbalzati via violentemente, atterrando dopo un volo di tre o quattro metri. Per loro fortuna, nessuno dei due era rimasto ferito gravemente.
«Voi due allontanatevi!» ordinò Marco, avanzando con lo Slug. «Ora tocca a noi due!»
«Ben detto, capitano!» affermò Eri, mentre vide Fio e Tarma sorreggersi a vicenda e allontanarsi alle sue spalle. «Non può cavarsela dopo quello che ha fatto ai nostri compagni...»
I due restanti mercenari si avvicinarono il più possibile alla nave anfibia, con Eri che lanciò diverse fiammate verso il cannone versione extralarge, mentre Marco sparò con furia tutte le munizioni che aveva a bordo. Il maxicannone però non sembrava aver subito conseguenze e sparò ben cinque potenti colpi al suolo, costringendo nuovamente Marco ed Eri ad una breve ritirata. Come i Falchi Pellegrini, anche il Boss iniziò a preoccuparsi, la resistenza di quel cannone era veramente notevole. In breve tempo fu tormentato dal pensiero di dover annunciare la ritirata ai suoi uomini, ma di colpo qualcosa travolse la situazione: dalla bocca del cannone, senza nessun motivo apparente, uscì una densa nube di fumo grigiastra. Non era ben chiaro il motivo, ma tutti i presenti intuirono che il cannone non era invincibile, dopotutto...

Correndo con passo sostenuto, Eri si precipitò sotto la prua nella nave anfibia, per capire cosa stava succedendo al cannone. Alzando lo sguardo, la ragazza osservò con attenzione l'enorme struttura e alla fine notò che alcuni cavi, che servivano a muovere il cannone, era parzialmente danneggiati dal fuoco generato proprio dal Flame Shot di Eri.
«Capitano, forse abbiamo trovato un punto debole!» comunicò tempestivamente la mercenaria.
«Dove?»
«Sul lato destro del cannone! Non può sbagliare!»
Trovandosi alla sinistra della nave anfibia, Marco fece andare in retromarcia lo Slug, tenendo però gli occhi fissi sull'obiettivo. Nel frattempo però il cannone riprese a funzionare e sparò un nuovo colpo, mancando di pochissimo il carro armato. Il tremore consecutivo fece sobbalzare un po' il capitano, che però riuscì a portarsi a destra. Appena il suo periscopio inquadrò il lato destro del cannone, vide una serie di cavi scoperti che facevano parecchie scintille. In una frazione di secondo, Marco prese la mira e sparò un colpo di cannone, che prese in pieno il suo bersaglio.
Da sotto il cannone, Eri vide che i cavi colpiti dallo Slug prima scaricarono moltissima elettricità all'esterno e poi presero fuoco. Temendo un corto circuito, la mercenaria si allontanò correndo dal cannone, che nel giro di poco tempo venne scosso da un serie di esplosioni sempre maggiori. Quando ormai il cannone era quasi distrutto, l'ennesima esplosione fece inclinare in maniera spaventosa la nave anfibia, esercitando così tanta pressione sul cingolo sinistro che alla fine si ruppe. Infine l'enorme mezzo corazzato cadde rovinosamente su un lato, generando un boato che si sentì in qualunque direzione e sollevando un gran quantità di polvere, che poco dopo ricoprì il gigante abbattuto.
Il capitano Marco era quasi incredulo, mentre si lasciò andare sul sedile di guida: non avrebbe mai potuto immaginare di uscire vincitore da uno scontro del genere.


Continua...

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Capitolo 7
*** Una metropolitana assai pericolosa ***


Capitolo 7 - Una metropolitana assai pericolosa


Sconfitta la nave anfibia, i mercenari dei Falchi Pellegrini andarono alla ricerca di un accesso alla metropolitana, usando come mezzo di trasporto lo Slug guidato da Marco, sul quale si accomodarono gli altri tre membri della squadra. Dopo qualche minuto di marcia, Tarma intravide dal suo posto d'osservazione, la torretta dello Slug, un oggetto metallico illuminato dai raggi del sole, che lentamente stava iniziando a scendere dietro l'orizzonte. Superato un piccolo dosso, lo Slug si ritrovò davanti ad un binario morto, che conduceva ad una galleria che proseguiva sottoterra per diversi chilometri.
«Abbiamo trovato la via d'accesso alla metropolitana!» esclamò Marco. «Scendiamo e proseguiamo a piedi!»
«Aspetti un secondo, capitano!» protestò Tarma. «Vuole davvero abbandonare lo Slug? Sarebbe una follia!»
«Lo so benissimo! Purtroppo abbiamo un problema tecnico... è quasi finita la benzina!»
«Ma porca troia, proprio adesso?!?»
«E dato che non ci sono taniche o distributori di benzina nei paraggi, ci infiltreremo nella galleria a piedi... tutto chiaro?»
«Sì, capitano!» rispose gli altri mercenari in coro.

Avanzando per un po' nel tunnel, i mercenari dei Falchi Pellegrini si ritrovarono davanti ad una scena al limite del grottesco: due soldati della Ribellione, riconoscibili dalle loro divise verdi, stavano ridendo come due pazzi alla vista dell'osservatrice Martha, che a causa del pesante zaino sulle spalle si stava muovendo con fatica e con andamento dondolante, nel tentativo di superare i binari. Prendendo l'occasione al volo, Marco e Tarma si avvicinarono ai due ribelli e li zittirono per sempre con un paio di coltellate. Appena la spia si accorse dell'improvviso silenzio, si voltò e con gioia salutò i quattro mercenari.
«Solo felicissima di vedervi, ragazzi! Ma come mai ci avete messo così tanto a raggiungermi?»
«Abbiamo avuto un paio di contrattempi con una nave ambulante...» rispose Marco in maniera sbrigativa. «Cambiando discorso, hai delle informazioni per noi? E cerca di essere sintetica, non siamo qui per una gita turistica in metropolitana!»
«Che maleducato...» mormorò Martha, che subito dopo rispose alla domanda del capitano. «Da quello che ho potuto sentire, in fondo a questo tunnel, seguendo i binari, c'è una porta blindata che porta direttamente alle fogne. Non potete sbagliare, è l'unica presente!»
«Scusami un secondo!» intervenne Fio. «Perché la via per le fogne ha la porta blindata? Non ha senso!»
«Non lo so, ma sono sicura che è da quella porta che sono arrivati i ribelli! Purtroppo non so altro, il resto dovrete scoprirlo da soli!»
«Sempre meglio di niente!» sospirò il capitano. «Un'ultima cosa: non ci saranno treni in giro, vero? Già ci sono i Ribelli di mezzo...»
«Nessun problema! Da quando è stato dato l'allarme, i treni sono stati subito bloccati!»
«Finalmente una buona notizia!» commentò Eri.
«Ma prima di andarmene, ho una sorpresa per voi... è il mio ringraziamento per avermi tolto dai piedi quei due cretini!»
Rapidamente Martha mise a terra il suo ingombrante zaino e tirò fuori il contenitore di una nuova arma, su cui era stampata la lettera "L". Come la stessa spia spiegò, si trattava di un'arma molto potente, denominata Laser Gun.
«Per favore, no!» esclamò Eri. «L'ultima volta mi hai dato una ciofeca, se vogliamo essere eleganti!»
«Se proprio non la vuoi, vorrà dire che la consegnerò a Fio. Tieni, cara!»
«Grazie della fiducia!» rispose la ragazza italiana. Una volta caricata la nuova arma, il gruppo riprese la sua marcia dentro la galleria, mentre Martha si allontanò nella parte opposta.
Pochi minuti dopo Marco, intravedendo un piccolo plotone di soldati nemici, ordinò alla sua squadra di prepararsi allo scontro. Ma appena Fio provò la nuova arma, i quattro mercenari rimasero a bocca aperta: dal fucile che impugnava la ragazza, dall'aspetto vagamente futuristico, uscì un raggio laser multicolore che letteralmente spazzò via tutti i soldati presenti in zona! Se Fio rimase impressionata dalla potenza di fuoco, al contrario Eri ne rimase entusiasta.
«Eh no, porca troia! Un'arma del genere la dovrei tenere io!!!»
«Tu l'hai rifiutata, quindi me la tengo io!» ribatté Fio.
«Ha ragione» affermò il capitano.
«Non è giusto! Quella è un'arma che tutte le ragazze dovrebbe portare con sé: elegante, pratica e alla moda!»

Superato quel breve momento di tensione interna, i quattro mercenari tornarono a seguire i binari, usando le luci d'emergenza come traccia per proseguire. Il cammino rimase tranquillo per un po', ma ad un certo punto alcune luci rosse, presenti sia sul soffitto, che ai lati del tunnel, iniziarono a lampeggiare con insistenza e un suono ripetitivo riecheggiò in tutta la galleria: sembrava assurdo, ma stava per arrivare la metropolitana!
Mentre Eri iniziò a brontolare contro la spia per le sue informazioni completamente sbagliate, il capitano Marco iniziò subito a studiare un piano per bloccare il treno, visto che non c'era un posto in cui rifugiarsi. Osservando il puntino scuro in fondo al tunnel, che col passare del tempo aumentava sempre di più in grandezza, Marco si accorse che in realtà in movimento c'era solo una carrozza, per la precisione una delle motrici. Solo in quel momento il capitano capì cosa stava succedendo: i Ribelli, pur di fermarli, stavano scagliando contro di lui e la sua squadra tutto ciò che avevano a disposizione. Dovevano essere disperati, pensò Marco, se stavano usando una tattica del genere.
Incitato a trovare una soluzione, il capitano ordinò a Fio di mettersi in mezzo ai binari, pronta a sparare col Laser Gun. Il piano sembrava improbabile, ma in fondo era l'unica cosa che potevano fare, la fuga era impossibile. Una volta in posizione, Fio prese un lungo respiro e puntò la sua arma in avanti, in attesa del momento giusto per sparare. La ragazza cercò la massima concentrazione, mentre sul suo viso l'aria, spostata dalla massa del treno in arrivo, iniziò a soffiare sempre più forte. Quando ormai la carrozza fu a pochi metri, Fio imputò i piedi e fece fuoco; con grande sorpresa di tutti, il raggio laser riuscì quasi a bloccare il treno, facendo girare a vuoto le ruote. Marco rimase veramente impressionato da quell'arma, anche se però aveva un effetto collaterale assai buffo: usando il Laser Gun per molto tempo, i cappelli di Fio si erano raddrizzati, facendo cadere a terra il suo berretto da baseball. Alla fine la carrozza si fermò del tutto e il raggio laser fu così letale che le lamiere in metallo si staccarono una ad una, lasciando solo lo scheletro metallico in mezzo ai binari. Davanti a quella scena, Fio tirò un lungo sospiro di sollievo, anche perché aveva quasi esaurito le munizioni della sua arma!
«Me la sono vista proprio brutta, stavolta!» commentò Tarma, togliendosi il sudore dalla fronte con la mano.
«Ora però non rilassiamoci! Scommetto che i Ribelli sono poco più avanti!» incitò il capitano.
«Ben detto! Se li prendo...» accennò Eri, mentre il gruppo riprendeva la marcia. Ma poco tempo dopo, raggiunta una piccola stazione ormai abbandonata, Marco sentì nuovamente il suono che aveva sentito in precedenza, ovvero quello che segnalava l'arrivo del treno. Questa volta però le luci rosse non si accesero, ma per evitare problemi il capitano ordinò ai suoi uomini di nascondersi dietro le colonne della stazione, fatte in marmo chiaro e di forma rettangolare. Una volta posizionata tutta la squadra, Marco aspettò con tensione l'arrivo della nuova carrozza, ma con grande sorpresa sentì nell'aria un rumore metallico, diverso da quello udito in precedenza: aveva una cadenza più lenta, con tutta probabilità si trattava di un mezzo pesante. Anche Tarma intuì che il frastuono era diverso ed infatti poco dopo apparve, all'ingresso del tunnel, un carro armato dei Ribelli.
La caratteristica più evidente del nuovo mezzo corazzato era la sua forma panciuta, che insieme al suo procedere lento lo facevano sembrare quasi goffo. In realtà quel carro armato, interamente dipinto di marrone chiaro, rappresentava una seria minaccia per i Falchi Pellegrini, a causa del suo attacco: come spiegò velocemente Tarma, l'esperto in veicoli militari del gruppo, rispetto all'ordinario il suo cannone era un potente lanciafiamme, sicuramente letale per chiunque si trovava a breve distanza. A rendere ancora più complicata la situazione fu l'arrivo di un'altra squadra di Ribelli, circa una decina, in scia del carro armato, ma Marco non si fece impressionare e ordinò ai suoi sottoposti di attaccare; Fio, avendo l'arma più potente in mano, fece fuoco contro il carro armato, lasciando i Ribelli ai suoi colleghi.
Nonostante la potenza del Laser Gun, il carro armato panciuto non indietreggiò di un metro, dimostrando di avere una corazza assai resistente. Alla fine Fio, con l'arma scarica, dovette abbandonare in fretta e furia il suo riparo, per non essere centrata da una fiammata proveniente dal mezzo militare. Nel frattempo Marco e il resto della squadra si erano sbarazzati dei Ribelli accorsi in aiuto del carro armato e si stavano organizzando per attaccare quest'ultimo, rimanendo sdraiati a terra per non essere colpiti. Senza indugiare oltre, Eri e Tarma lanciarono diverse granate contro il mezzo avversario, che nel giro di pochi secondi fu abbattuto: era impensabile che potesse resistere, dopo un attacco del genere!
A prima vista sembrava tutto finito, ma all'improvviso dallo sportello superiore uscì uno dei carristi, pronto a sparare con un RPG, un pratico lanciarazzi da fanteria. Sfruttando tutta la sua agilità Tarma, con un paio di balzi, salì in cima al mezzo e tirò una coltellata al nuovo nemico, impedendogli così di far fuoco.
«Me la sono vista brutta, stavolta...» sospirò il capitano.
«Buone notizie, ragazzi!» urlò Tarma, in cima alla carcassa del carro armato. «Da qui vedo la porta blindata che ci ha segnalato Martha!»
«Ottimo!» esclamò Fio. «Ma abbiamo abbastanza esplosivo per farla saltare?»
«Tranquilla! Per me sarà un giochetto aprirla!» affermò Eri. Molto sicura di sé, la ragazza si avvicinò alla porta e usando come leva la punta del coltello, riuscì ad aprirla nel giro di un minuto.
«Questa mi è nuova!» commentò Marco. «Non mi immaginavo questo tuo lato da scassinatrice!»
«Da dove vengo, bisognava fare certe cose per sopravvivere...» accennò Eri, che però preferì chiudere subito quel discorso.

La deviazione in cui entrarono i Falchi Pellegrini era una vecchia zona della metropolitana, ormai abbandonata da anni. Era un ambiente umido, delimitato da pareti rocciose, di origine porosa, e diviso in settori da alcuni vecchi cancelli metallici, ormai pieni di ruggine. Sebbene fosse abbastanza illuminato, in zona c'erano delle luci d'emergenza ancora funzionanti, quel tratto di metropolitana mise in soggezione il gruppo guidato da Marco: all'interno del condotto sotterraneo c'era un silenzio irreale, interrotto solo dalle gocce di umidità che cadevano dal soffitto, e in precedenza il capitano aveva ricevuto una chiamata urgente da parte del Boss, che però a causa delle interferenze risultò quasi incomprensibile. Le uniche parole che riuscì a capire furono: "Zona vietata... pericolo... strani esperimenti". Marco non riuscì a stare calmo, odiava quando il Boss lo lasciava senza informazioni, era insopportabile!
Con diffidenza i quattro mercenari avanzarono, ma ad un certo punto Fio intravide qualcosa di sospetto muoversi sul soffitto della metropolitana. Si muoveva con molta velocità nell'ombra e sembrava voler attaccare il gruppo, così Marco ordinò ai suoi sottoposti di mantenere la posizione, pronti a sparare a qualsiasi cosa riuscivano a vedere.
Pochi attimi dopo la strana creatura fece nuovamente la sua apparizione, questa volta sopra le teste dei Falchi Pellegrini: era un essere mostruoso, dalla forma antropomorfa. Il muso era allungato, gli occhi erano completamente bianchi e inespressivi e il corpo era grigiastro, con una consistenza simile a quella delle pelle umana. Per qualche oscuro motivo, quell'essere era in grado di rimanere aggrappato al soffitto con estrema facilità e si muoveva su quattro zampe, come un animale selvatico. Appena lo videro, i Falchi Pellegrini fecero fuoco, ma la creatura non risentì troppo dei colpi subiti e si staccò dal soffitto, atterrando in mezzo ai mercenari. D'istinto i quattro si gettarono di lato, evitando per un pelo la creatura che all'improvviso iniziò a cambiare colore: da grigio diventò rosso acceso e alla fine esplose, rilasciando molto acido nei dintorni. Per loro fortuna, i Falchi Pellegrini riuscirono ad evitare quell'attacco spostandosi di alcuni metri all'indietro.
«Cosa diavolo era quei... cosi?» disse Tarma, quasi balbettando e rialzandosi da terra.
«Credo che siano degli esperimenti di Morden!» rispose Marco. «Che bastardo! Le sta provando tutte per fermarci, pure con queste creature kamikaze!»
«Non vorrei interrompere le vostre lamentele, ma ho l'impressione che ne stiano arrivando degli altri!» affermò Eri, indicando il lato della galleria da cui erano venuti.
«Ci volevano pure i rinforzi...» mormorò Fio, che iniziò subito a sparare appena intravide un paio di creature venirle incontro. Ma col passare del tempo il numero aumentò in maniera impressionante: di colpo nella galleria si erano riversate centinaia di creature, che correvano in maniera caotica lungo le pareti e il soffitto del tunnel.
«Andate all'inferno!!!» urlò Tarma, gettando per la disperazione tutte le bombe che aveva nello zaino. Quel suo gesto servì solo a rallentare per un paio di secondi quel flusso incontrollabile.
«Non restate lì, mettetevi a correre!!!» ordinò a gran voce il capitano, incitando i suoi alla fuga.
Qualche metro dopo i Falchi Pellegrini si ritrovarono davanti ad un vecchio cancello arrugginito, che Tarma aprì con un calcio. Appena tutto il gruppo passò dall'altra parte, Marco incastrò la porta ferrata, giusto per guadagnare qualche secondo di vantaggio sulle creature che li aveva quasi raggiunti. Quella corsa disperata continuò per un po', finché Eri non vide davanti a sé una seconda porta blindata, che immediatamente scassinò, riuscendo a rimanere fredda nonostante la situazione adrenalinica. Appena la porta fu aperta, tutti quanti uscirono dalla zona vecchia e immediatamente cercarono di chiuderla, facendo forza sulla grossa valvola, simile a quelle delle casseforti di vecchia generazione. I quattro mercenari riuscirono a cavaserla per un pelo, infatti pochi secondi dopo una potente onda d'urto fece vibrare tutta la porta, erano le creature che stavano cercando di avanzare, ma senza successo. Tarma era così felice che si lasciò scappare una promessa: non avrebbe mai più preso in vita sua la metropolitana!

Una volta ripreso fiato, dopo la lunga corsa nella galleria, il gruppo cercò un punto per tornare in superficie. Ma con grande sorpresa, Marco e gli altri si ritrovarono davanti ad una specie di molo improvvisato, costruito su quello che in origine doveva essere una fogna. Era illuminato a giorno da alcuni riflettori multipli e con al centro era attraccato addirittura un piccolo sottomarino, di color rame e con sopra dipinto il simbolo dei Ribelli. Quello era sicuramente il mezzo con cui i loro avversari erano arrivati nel quartiere, e visto che il loro obiettivo finale era quello di bloccare i rinforzi nemici, il capitano decise che il sottomarino doveva essere neutralizzato, ad ogni costo. Per prima cosa Marco e Tarma misero fuorigioco le due guardie che stavano facendo la ronda attorno al molo, poi il capitano ordinò ad Eri e Fio di introdursi nel sottomarino e di sabotarlo dall'interno, mentre lui e il suo vice sarebbero rimasti fuori, controllando che nessuno si avvicinasse al molo.
Nell'attesa del ritorno delle due ragazze, Marco diede un'occhiata in giro e alla fine trovò una via per raggiungere la superficie: poco più avanti, rispetto la sua posizione, c'era una scaletta metallica che portava verso l'alto, con tutta probabilità ad un tombino. Il capitano dei Falchi Pellegrini stava già pregustando l'idea di uscire da quel postaccio, ma all'improvviso i suoi pensieri vennero interrotti da Eri e Fio, che a gran velocità abbandonarono il sottomarino. Vedendole agitate, Marco le interrogò.
«Cosa diavolo avete combinato?»
«Sei una cretina!!!» gridò Fio rivolgendosi alla sua collega, che ribatté: «Non sono esperta in esplosivi! Potevi anche suggerirmi un piano alternativo, no?»
«Ora non dare la colpa a me!»
«Smettetela voi due!!!» urlò Marco, alzando la voce per sovrastare le grida delle due ragazze. «Volete spiegarmi cos'è successo, se non vi è troppo?»
«Ho attivato una bomba all'interno del sottomarino...» accennò Eri.
«E voi stavate litigando per questo?!?»
«Ma questa cretina l'ha attivata dentro la santabarbara!!!» aggiunse Fio agitatissima.
«Oh merda! Qui tra poco salterà tutto in aria!!!» urlò Tarma spaventatissimo.
«Presto, seguitemi!» richiamò Marco. «Ho trovato l'uscita!»
Correndo come pazzi, i quattro mercenari raggiunsero la scaletta e velocemente iniziarono a salire, proprio nel momento in cui una potente esplosione distruggeva il sottomarino, spaccandolo in due parti nette. Il botto fu così pauroso che la torretta mobile con i cannoni, posizionata a prua, saltò come un tappo di champagne, mentre alcuni Ribelli tentarono la fuga gettandosi in un'acqua sporca e maleodorante.
Lasciato alle spalle il pericolo, Marco e il resto della squadra poté finalmente riposarsi, anche stavolta avevano compiuto la loro missione. Come ricompensa per quella impresa, i Falchi Pellegrini poterono ammirare il cielo stellato di quella notte, uno spettacolo che raramente era visibile in quel quartiere.


Continua...

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Capitolo 8
*** Là, sulle montagne innevate ***


Capitolo 8 - Là, sulle montagne innevate


Erano passati due giorni da quando i Falchi Pellegrini avevano combattuto nel quartiere giapponese e ora, dopo un breve periodo di riposo, erano di nuovo in viaggio con destinazione le Alpi, in una località non meglio precisata. Nel frattempo, a vari chilometri di distanza, la ricercatrice salvata dal gruppo di mercenari, Manuela De Angelis, venne fatta accomodare all'interno della base segreta del Boss, che con trepidazione la stava aspettando.
La stanza in cui la ricercatrice si ritrovò era un vero e proprio bunker di cemento armato e acciaio, collegato all'esterno da un sottopassaggio, ben nascosto sotto un anonimo capannone industriale. Sulla sinistra, in penombra rispetto al resto della stanza, c'erano il server e i computers con i quali il Boss seguiva con attenzione tutte le immagini e i dati riguardanti i Falchi Pellegrini, mentre sulla destra c'era un largo tavolo di plastica nera, sul quale erano state distese alcune cartine e un paio di documenti gettati lì alla rinfusa. Le pareti erano spoglie e grigie, larghe abbastanza per resistere ad un bombardamento intensivo, e dal soffitto una tenue luce al neon illuminava la figura di Manuela, che seduta vicino al tavolo stava aspettando, un po' disorientata, nuove istruzioni.
Pochi secondi dopo, da una porta laterale, la giovane ricercatrice intravide una figura muoversi nella penombra e raggiungere il server, sul quale appoggiò una cartella blu, più precisamente un dossier.
«Mi scusi se rimango nell'ombra...» esordì il Boss. «Per motivi di sicurezza, nessuno deve conoscere la mia vera identità»
«Capisco» rispose la ricercatrice.
«Mentre aspettavo il suo arrivo, mi sono permesso di leggere il suo dossier e devo ammettere che ne sono rimasto assai sorpreso! Ha molte idee interessanti per i futuri viaggi nello spazio.»
«Eh, un momento! Come fa ad avere il mio dossier? Mi avevano detto che era riservato!»
«Diciamo che qualcuno di mia conoscenza mi doveva un favore... era necessario, in questo genere di guerra ogni informazione può essere fondamentale per vincere!»
«Ah...» mormorò Manuela, visibilmente scontenta.
«Nata in Italia, trasferita negli Stati Uniti per la specializzazione...» raccontò il Boss, mentre rileggeva il dossier. «Noto che ha ricevuto alcune proposte da diverse università, perfino estere! Lei deve essere veramente un genio nel suo campo!»
«Ora non esageri!» ribatté la ricercatrice, un po' imbarazzata e allo stesso tempo lusingata. «Diciamo che sono molto brava in quello che faccio, tutto qui!»
«Ora però passiamo al suo rapimento. Si è fatta un motivo del perché abbiano scelto lei? Se fosse stato un ingegnere del campo militare lo avrei capito, ma lei è specializzata in veicoli spaziali! Escludere che Morden abbia in programma un viaggetto su Marte...»
«Come ho ripetuto a quella ragazza, Martha, io non so quasi nulla! Mi hanno dato da visionare alcuni progetti di razzi a più stadi, un po' strani se devo essere sincera!»
«In che senso "un po' strani"?»
«Non so se potrà capire...»
«E lei provi ad usare un linguaggio comprensibile!»
«In parole povere, questi razzi vettori ha una gittata che va poco più in là dell'atmosfera terrestre. E ciò è assurdo, senza una qualunque stazione d'arrivo!»
Dopo aver sentito la spiegazione della ricercatrice, il Boss fece un paio di passi attorno ai computers per riflettere meglio. Aveva un'idea semplicemente assurda in testa, ma in fondo un po' tutta quella faccenda non aveva senso e così, prendendosi qualche secondo per pensare, fece una nuova domanda a Manuela.
«Mi ascolti! Quello che sto per dirle le sembrerà assurdo, ma vorrei chiederle una cosa: se ci fosse una specie di astronave aliena sopra l'atmosfera terrestre, quei razzi vettori potrebbero raggiungerla?»
«Eh? Intende una specie di alter-ego della Stazione Spaziale Internazionale?»
«Diciamo di sì!»
«Bhe... è possibile!»
Poco dopo la ricercatrice sentì un urlo di gioia provenire dalla zona del bunker in penombra: era stato il Boss, che per la felicità non era riuscito proprio a trattenersi!
Finite le domande, il misterioso comandante dei Falchi Pellegrini invitò la ricercatrice a riposare, era da quasi un giorno che non dormiva, ma la giovane voleva sapere qualcosa di più sulla squadra che l'aveva salvata. Ridacchiando, il Boss accettò volentieri di rispondere alla domanda della ricercatrice, era una specie di ricompensa per le informazioni date.
Il primo di cui il Boss parlò fu il capitano Marco: italo-americano, si era distinto più volte sul campo di battaglia ed era inoltre un esperto in informatica. Molto serio in tutto ciò che faceva, era considerato uno dei migliori soldati in circolazione dall'Esercito Regolare, anche se il più delle volte veniva preso in giro da Tarma, proprio per la sua eccessiva severità, ma nonostante tutto lo stimava per le sue doti da guerriero. Il suo vice, suo amico di vecchia data, era invece un appassionato di moto e di meccanica, soprattutto di mezzi militari. Nato in Hokkaido, ma con cittadinanza statunitense, Tarma aveva il grado di tenente.
Anche gli altri due componenti del team, selezionate dal Boss in un secondo momento rispetto ai due sopraccitati, sono legate da una profonda amicizia, anche se l'inizio era stato piuttosto nervoso: Fio era discendente di un'importante famiglia italiana e aveva sempre sognato di fare il medico, mentre Eri era un'orfana e aveva vissuto la maggior parte della sua adolescenza per strada, in una importante città giapponese. Nonostante la diversa estrazione sociale, le due sono diventate inseparabili, rispettivamente col grado di sergente maggiore e sergente.
Finita la lunga chiacchierata, il Boss invitò nuovamente la ricercatrice a sdraiarsi su una delle brande presenti nella stanza accanto. Di certo quella sistemazione non era paragonabile ad un albergo a cinque stelle, ma Manuela era così stanca che in breve tempo si addormentò.

Appena gli fu possibile, il Boss si mise in contatto con i Falchi Pellegrini, che nel frattempo erano già arrivati in cima grazie ad un sentiero di montagna. Non fu però un percorso facile, infatti il team dovette superare numerose insidie, tra cui alcuni paracadutisti armati di bazooka e un elicottero che continuava a sganciare bombe sopra le loro teste; ma alla fine, grazie a qualche Heavy Machine Gun che avevano trasportato nei loro zaini, erano riusciti a farsi largo tra le file nemiche.
Quando il capitano Marco rispose alla chiamata, il gruppo si trovava in una zona pianeggiante, interrotta da qualche cumulo di neve, e in lontananza si vedeva un vecchio forte in pietra e poco più in là una foresta di conifere, che dava una decisa nota di marrone all'intero paesaggio, il cui colore principale era il freddo e candido bianco della neve, caduta abbondante in quei giorni. Il cielo era pieno di nuvoloni grigi, ma nel complesso il tempo era abbastanza stabile.
«La ricevo Boss, forte e chiaro!» rispose Marco con freddezza.
«Quale la situazione laggiù? Per fortuna stavolta le immagini dal satellite sono più chiare, così vi potrò seguire durante l'azione!»
«Abbiamo dovuto fare letteralmente i salti mortali! E non ero troppo sicuro che il ghiaccio potesse reggere il nostro peso, aggiungo!»
«Una cosa è sicura: l'alpinismo non fa per me!» intervenne Tarma. «E poi Boss, perché abbiamo dovuto fare tutto il giro panoramico, per arrivare fin qui? Con un elicottero sarebbe stato tutto più facile!»
«Ma allora sei proprio un cretino!» commentò Eri, ad alta voce. «Non capisci che in quella maniera eravamo dei bersagli facili? A quel punto, potevi pure appendere un cartello fuori dal portellone con su scritto: "Mirate qui!"»
«State calmi!!!» intimò il Boss. «Se ve lo siete scordati, siete lì per neutralizzare un'altra cellula della Ribellione! Non vorrete far saltare tutto il piano adesso, vero?»
«Ci confermi che i Ribelli sono all'interno di quel vecchio forte?» domandò Marco.
«Sì, ma state attenti anche alla foresta di conifere, ce ne sono anche lì! Ma forse il pericolo maggiore è un altro...»
«Quale?»
«Mi è giunta una discrezione, secondo qui il capo in seconda dei Ribelli si trova proprio da quelle parti!»
«Oh, meraviglioso!» ironizzò Tarma.
Una volta chiuse tutte le comunicazioni, i quattro mercenari ripresero il cammino verso il forte, ma all'improvviso il capitano Marco vide qualcosa muoversi da dietro un cumulo di neve e diede l'ordine alla squadra di fermarsi. Davanti a loro comparve un soldato massiccio, alto all'incirca due metri e con così tanti muscoli da far invidia pure a Rambo. Completamente calvo e con una folta barba scura, il nuovo nemico fissò con degli occhi minacciosi proprio il capitano Marco, mentre stringeva tra le mani un grosso mitragliatore, con tanto di lunga fascia di proiettili che teneva sollevata da terra; era un'arma molto potente, in confronto l'Heavy Machine Gun era paragonabile ad una pistola giocattolo!
«Ci si rivede, Allen O'Neil...» commentò Marco. Non era la prima volta che incontrava il capo in seconda dei Ribelli, già in passato lui e Tarma lo avevano affrontato, mentre Fio ed Eri lo conoscevano solo di fama.
«E' lui il fedelissimo di Morden? Ammazza quant'è brutto di persona!» affermò l'italiana.
«Togliti dalla palle, esibizionista!» urlò Tarma, riferendosi al fatto che Allen girava a petto nudo con una temperatura vicina allo zero. «Noi abbiamo un compito da portare a termine!»
«Pure io ne ho uno...» accennò il suo avversario, con voce minacciosa. «Costruire quattro lapidi di ghiaccio su questo monte!!!»
Messi in difficoltà dal fuoco nemico, i quattro mercenari dei Falchi Pellegrini si rifugiarono dietro alcuni cumuli di neve, ma ben presto capirono che quello non era per niente un rifugio sicuro e immediatamente indietreggiarono di qualche passo. Nonostante la sua mole, Allen si muoveva con una discreta agilità e continuò ad inseguire i suoi avversari per un po', sparando una raffica di proiettili dietro l'altra e gridando come un matto. Solo qualche minuto dopo il muscoloso soldato smise di attaccare, gustandosi quel momento adrenalinico.
«Cosa fate? Vi nascondete, femminucce?»
«Tranquillo, che adesso usciamo e ti faremo una bella sorpresa!» mormorò il capitano, con affianco i suoi sottoposti.
«Che si fa, capitano?» domandò Fio.
«Io lancio una granata in avanti e voi colpite ai lati! Tutto chiaro?» spiegò Marco, ricevendo da tutti una risposta positiva.
Appena Allen vide una granata alzarsi in aria, diretta verso di lui, d'istinto fece un salto all'indietro, proprio come voleva il capitano dei Falchi Pellegrini. Il resto della squadra uscì per colpire, ma con loro grande sorpresa successe qualcosa di incredibile: una slitta, che correva per caso da quelle parti, centrò in pieno Allen, che volò giù dal sentiero percorso in precedenza da Marco, urlando alla disperata e con rabbia un minaccioso: "See you in hell!!"
Stupefatti dall'improvviso colpo di scena, Marco e il resto della squadra si avvicinarono alla slitta e notarono che a bordo c'erano due ragazze: la prima aveva i capelli arancioni, tenuti insieme da una lunga treccia, gli occhi verdi e indossava una lunga sciarpa rossa e dei vestiti pesanti di color verde chiaro; la seconda, seduta dietro rispetto alla prima, aveva i capelli lunghi e neri, gli occhi scuri e il colore predominante dei suoi vestiti pesanti era il viola.
«Salve plebaglia! Come mai siete da queste parti?» esclamò la prima, in maniera energica.
«Io credevo che questa pista fosse deserta...» accennò la seconda ragazza. Era così indebolita dal freddo che a stento stava attaccata alla sua compagna per stare seduta sulla slitta.
«Ma che... diavolo ci fate voi qui?!?» domandò Tarma quasi balbettando.
«Fatevi riconoscere!» intimò Marco, rimanendo serio anche in quella circostanza.
«Io sono Excel!» rispose prontamente la prima ragazza. «E questa alle mie spalle è Hyatt, sempre se rimane viva!»
«Buongiorno a tutti...» salutò l'altra ragazza, tossendo vistosamente alla fine.
«Noi siamo qui per un compito di essenziale importanza!» continuò Excel. «Dobbiamo ritrovare lui, il salvatore di questa zozza società e colui che ha rubato il mio candido e tumultuoso cuore di adolescente! Noi stiamo cercando sua Eccellenza...»
«Excel...» intervenne, a fatica, Hyatt. «Ma la nostra non era una missione segreta?»
«Oh, è vero! Me ne ero dimenticata!» rispose Excel, lasciando letteralmente di sasso i Falchi Pellegrini. «Ora dobbiamo riprendere le ricerche, addio plebaglia!!!»
In un batter di ciglio, la slitta con a bordo le due ragazze sparì lungo un sentiero, quello in cui Allen pochi istanti prima era caduto. Visibilmente dubbiosa, Eri si avvicinò a Marco per chiedergli un chiarimento. «Potrebbero essere delle spie nemiche, capitano?»
«Lo escludo! Tutto ciò è troppo demenziale per essere una trappola!»

Attraversato tutto il nevaio a piedi, senza troppe difficoltà, la squadra dei Falchi Pellegrini si ritrovò all'ingresso del vecchio forte, un rudere di pietra e legno costruito durante la Grande Guerra. A guardia dell'edificio c'era un carro armato a canna lunga, ma Marco, con un paio di granate, se ne liberò con rapidità, permettendo alla sua squadra di proseguire. Una volta entrati, tenendo sempre la guardia alta, i quattro mercenari avanzarono finché non trovarono a terra alcune casse di legno, custodite in una stanza senza tetto, ormai marcio da decenni, e circondato da passerelle di legno.
Dopo aver controllato la zona, Tarma si posizionò dietro le casse e rimanendo nascosto, osservò la strada davanti a sé: conduceva al centro del forte ed erano presenti alcuni soldati ribelli, una parte impegnata a sistemare dei carri armati dalla sagoma panciuta, mentre gli altri erano rintanati in un edificio, impegnati a sistemare alcune casse piene d'esplosivo. Dato il via libera, Tarma incitò i suoi compagni ad avanzare, ma all'improvviso un urlo di Fio ruppe il silenzio che si era creato in quella stanza: un gruppetto di Ribelli, con passo lento, si erano avvicinato ai Falchi Pellegrini da una delle passerelle e ormai erano sopra le loro teste. Immediatamente Marco ordinò di sparare e in quel momento Tarma si accorse che dietro le casse di legno c'era una gradita sorpresa: un contenitore di plastica con disegnata la lettera "S", l'iniziale di Shot Gun. Appena il mercenario la provò, capì subito che si tratta di un'arma dalla potenza inaudita. Con un solo colpo, aveva spazzato via i Ribelli e parte della passerella su cui stavano camminando!
«Mio Dio, che potenza!» esclamò Fio.
«Veramente utile quest'arma, peccato che i colpo siano pochi!» affermò Tarma, tutto contento.
«Sembri veramente un tamarro con quel fucile, Tarma!» commentò Fio, non provando però d'accordo il suo collega: «Eh no! Casomai con questo fucile in mano sono figo!»
Superato quell'imprevisto, i Falchi Pellegrini uscirono da quella stanza e si ritrovarono al centro del forte, prendendo alla sprovvista tutti i Ribelli presenti. Quello più scatenato, senza alcun dubbio, era proprio Tarma, che sparò a ripetizione con suo Shot Gun, anche se il tempo di ricarica era un po' lento rispetto a quello di altre armi. Proseguì con questa tattica finché non si ritrovò davanti ad una cabina di legno, ovvero una latrina munita di cesso.
Con un pizzico di bastardaggine, Tarma si avvicinò alla porta e bussò con insistenza, aspettando una risposta. Il Ribelle all'interno, orgoglio di quello che stava facendo, chiese con rabbia di attendere fuori e in quel preciso istante Tarma sparò un altro colpo, spazzando via la cabina e facendo cadere il Ribelle dentro il water. Le reazioni a quel gesto degli altri Ribelli furono immediate e piene di terrore.
«Oh no! Uno dei nostri è sparito dentro il cesso!!!»
«Ma è terribile! Ci seppelliranno vivi!!!»
Più scatenato che mai, Tarma proseguì la sua corsa e raggiunse i tre carri armati presenti: sarebbe stata una pazzia affrontarli da solo, ma grazie allo Shot Gun il mercenario ebbe la meglio sui mezzi corazzati, che andarono distrutti in mille pezzi. Non ancora stanchi di attaccare, il capitano Marco ordinò al suo vice di colpire gli esplosivi abbandonati dai Ribelli con gli ultimi colpi dello Shot Gun, creando uno scompiglio che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: l'edificio in cui si erano rifugiati i Ribelli venne abbattuto e crollò a terra, creando una distesa di pietra in quello che era il centro del forte.
«Ma che diavolo... avete combinato?!?» intervenne il Boss, tremendamente agitato per il macello causato dai suoi uomini.
«Ci scusi, credo che abbiamo un pochino esagerato...» giustificò Tarma. Poi Marco aggiunse: «Sono io l'unico responsabile di questo disastro, ma devo ammettere che è stato un capolavoro!»
«Sono queste le tattiche che preferisco!!!» ammise Eri, alquanto esaltata dall’esplosione di poco fa.
«Tenete a freno la vostra gioia, banda di pazzoidi che non siete altro!» rimproverò il Boss. «Ci sono ancora dei Ribelli in zona, oltre che ad alcuni carri armati in movimento. Vi ho messo a disposizione uno Slug, quindi non dovrebbero essere un problema affrontarli...»
«C'è dell'altro?» domandò il capitano.
«Dal satellite risulta la presenza di un mezzo corazzato di grosse dimensioni nella foresta, con un potente cannone. E occhio ai sentieri in pietra, si scivola!»
«Ma ci ha preso per un gruppo di turisti?!?» mormorò Fio.

Appena superate le macerie, i Falchi Pellegrini si ritrovarono davanti a ciò che rimaneva delle mura che circondavano il forte, tra le quali emergeva la sagoma di uno Slug dalla corazza scintillante, già pronto per l'imminente battaglia. A guidare il piccolo e agile carro armato nella foresta sarebbe stata Eri, che si sentì così a suo agio al suo interno che disse: "E' più comodo qui dentro che il salotto di casa mia!"
Poco più avanti la via si divideva in due parti ben distinte: un percorso andava verso l'alto, sopra le mura, mentre quello in basso percorreva il perimetro delle mura. Quest'ultima strada venne imboccata da Fio e da Eri, lasciando al capitano e al suo vice il compito di proseguire dall'altra parte. Neanche il tempo di osservare la zona e di colpo alcuni carri armati nemici, visibili per la loro blindatura scura, attaccarono lo Slug, mentre nel frattempo alcuni Ribelli armati di bombe si avvicinarono dall'alto. Con una raffica di colpi, Marco e Tarma si liberarono velocemente dei soldati vestiti di verde e subito cercarono un modo per aiutare le loro compagne: dovevano fronteggiare ben cinque carri armati nemici!
Essendo lo Shot Gun utile solo a breve distanza, Tarma decise di fare una mossa assai azzardata, ovvero si lanciò oltre le mura e, una volta atterrato sulla neve, iniziò a sparare gli ultimi colpi contro l'ultimo carro della fila. Nonostante questo aiuto, Eri dovette mettersi d'impegno per evitare le cannonate nemiche e allo stesso tempo rispondere al fuoco, ma alla fine la superiorità dello Slug e l'abilità nel combattimento dei Falchi Pellegrini ebbe la meglio, costringendo il nemico alla fuga e ad abbandonare i cinque carri scuri, ormai distrutti.
Tutto sembrava finito, ma il capitano da lontano sentì un pesante rumore tra gli alberi e ordinò alla squadra di seguirlo, raggiungendolo in cima ad una piccola valle. Pochi secondi dopo, sotto i loro occhi, compare l'imponente figura del mezzo corazzato segnalatogli da Boss, un vero e proprio bestione che si faceva largo tra i vari alberi che aveva abbattuto.
La sua blindatura era interamente a macchie marroni, utile nel mimetizzarsi sui terreni fangosi, e sulla parte centrale aveva una grossa torretta con ben due cannoni, in grado di colpire a 360°; ai lati aveva anche due mitragliatori di grosso calibro e un paio di strani dispositivi, la cui funzione al momento era sconosciuta.
«Qualcuno di voi ha mai visto quegli affari vicino ai mitragliatori?» domandò Eri, senza però ricevere una risposta da parte dei suoi colleghi. Solo il Boss poteva rispondere a quella domanda: «Sono dei lanciamine! Ti consiglio di tenerti lontano, Eri! Una mossa falsa ed è finita!»
«Io avrei preferito un consiglio per come sconfiggere il bestione...» ironizzò Tarma.
«Provate ad aprire un varco nella corazza! Non può essere molto spessa, sennò non lo avrebbero mai potuto portare così in alto, se fosse troppo pesante!»
«Mi sembra un compito piuttosto semplice...» commentò Marco, un po’ meno fiducioso del solito. «Io starei più attento a quella torretta!»
«Da qui mi sembra un prototipo, forse è un'arma a particelle!»
«Ci voleva pure quella...» lamentò Fio.
Senza perdere altro tempo, i Falchi Pellegrini si lanciarono all'attacco del nuovo mezzo nemico. Se da una parte Eri sparò a raffica col suo cannone verso il basso, stando attenta a dove venivano lanciate le mine anticarro, dall'altra il resto del team iniziò a demolire gli insidiosi mitragliatori, usando qualche granata rimasta nei loro zaini. Tutto sembrava procedere per il meglio, in pochi minuti tutte le armi secondarie del mezzo nemico erano state distrutte, ma all'improvviso la torretta, che fino a quel momento era rimasta immobile, si mise in moto e mirò verso i tre mercenari accanto allo Slug. Lentamente nella bocca dei due cannoni si concentrò una strana ed inquietante luce bluastra, che col passare del tempo aumentata d'intensità; temendo di essere colpiti, Marco urlò ai suoi sottoposti di mettersi al riparo.
La paura del capitano fu confermato pochi secondi più tardi: appena la concentrazione di energia a base di particelle fu ottimale, dai due cannoni uscì un colpo devastante, la sua potenza era tale che alle spalle dei quattro mercenari si creò una lunga striscia sul terreno, in cui gli alberi vennero carbonizzati all'istante. Il calore generato fu così intenso che attorno alla zona colpita la neve si vaporizzò di colpo, senza passare per lo stato liquido. Marco, come il resto della squadra, si sentì sollevato nel aver schivato quel colpo: se li avesse colpiti, di loro non sarebbe rimasto nulla, forse a malapena un mucchietto di polvere!
«Meno male che abbiamo i riflessi pronti!» commentò Tarma, risollevandosi da terra. «Dobbiamo distruggere quel cannone, e in fretta!»
«E come?» ribatté Marco. «Se ci mettiamo sulla traiettoria di quei cannoni, siamo morti!»
«E che vogliamo fare? Aspettare che finiscano i colpi?»
«Se ci fosse almeno un varco nella corazza» accennò Fio. «A quel punto sarebbe tutto più facile!»
«Un varco? Ma noi ce lo abbiamo un varco, già da un pezzo!» affermò Eri, ritrovando un po' di entusiasmo.
«Come?» esclamò il capitano via radio.
«Le fessure in cui erano collocati i mitragliatori! Un colpo lì e il nostro amico è kaputt!»
Ma l'idea di Eri non era così facile come sembrava, infatti la ragazza doveva prendere la mira e sparare prima che l'arma a particelle facesse fuoco. Il primo tentativo fu un completo disastro e la giapponese dovette allontanarsi con lo Slug per non essere colpita, mentre la seconda volta, a causa della fretta, mancò completamente il bersaglio. A quel punto Marco la incitò a ritrovare la concentrazione, ricordandogli che la calma era la sua "vera" arma che doveva usare in quel momento così delicato. Dopo aver fatto un lungo respiro, Eri riprese in mano il mirino del cannone e cercò sul monitor la piccola fessura quadrata a cui doveva mirare. Con la coda dell'occhio però intravide che mancavano pochi secondi al contrattacco nemico e la ragazza decise di velocizzare i tempi. Muovendo con scatti veloci e leggeri la manopola che controlla il cannone dello Slug, Eri cercò quel tiro perfetto di cui aveva bisogno e appena sentì di averlo trovato, schiacciò con decisione il bottone rosso che faceva sparare il cannone. Nell'aria prima si sentì il sibilo del proiettile che attraversò il dislivello che c'era tra lo Slug e il mezzo nemico e poi un rumore di rimbalzo sulla corazza metallica. Pochi istanti dopo, in maniera quasi inaspettata, all'interno del pesante mezzo nemico ci furono diverse esplosioni, che prima tolsero potenza ai due cannoni della torretta e poi indebolirono la struttura stessa del carro nemico, che letteralmente si afflosciò su se stessa.
Appena il capitano si avvicinò allo Slug, un'entusiasta Eri sbucò dallo sportello superiore, gridando come una pazza per la gioia. Era così euforica per l'impresa appena riuscita che iniziò pure a saltare in cima al carro armato!
«E ora chi la ferma più!» mormorò Tarma, ridacchiando tutto contento per il successo della missione.


Continua...

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Capitolo 9
*** All'interno della piramide ***


Capitolo 9 - All'interno della piramide


La missione precedente era finita solo da qualche ora e già i Falchi Pellegrini erano stati richiamati per un nuovo compito, questa volta da tutt'altra parte: Marco e gli altri si trasferirono dalle fredde e innevati Alpi al caldo e inospitale deserto del Sahara, precisamente nell'entroterra egiziana. Dallo sbalzo termico a cui sarebbero stati sottoposti, tutto ciò sembrava quasi uno scherzo organizzato dai Ribelli o addirittura del Boss!
I primi ad arrivare sul luogo dell'appuntamento, un'oasi vicino ad uno scavo archeologico nei pressi di una piccola piramide, furono Marco e Tarma, che con molta tranquillità si appoggiarono ad una palma per rilassarsi un po', dopo una breve scontro a fuoco con un paio di Ribelli incontrati per sbaglio durante la strada. Poco tempo dopo arrivarono anche le altre due componenti del gruppo, a bordo di un cammello armato con mitragliatore, chiamato in gergo Camel Slug. Entrambe le ragazze erano stanche e impolverate, come se avessero camminato in una tempesta di sabbia.
«Che diavolo vi è successo?» domandò il capitano.
«Quei maledetti bastardi!!!» esclamò Eri, stingendo con forza le redini con cui aveva gestito la corsa del cammello.
«Potresti essere un po' più precisa?»
«Io e Fio ci eravamo fermate un attimo in un villaggio poco lontano da qui, per fare una piccola pausa e poi abbiamo visto un mercatino...»
«C'erano degli oggettini niente male!» aggiunse l'italiana. «Un paio di braccialetti d'orati, delle spille e c'era pure un anello con pietra che si abbinava perfettamente con il colore degli occhi di Eri!»
«Non me ne parlare, era un amore quell'anello!»
«E non hai visto il banchetto dietro! Il tipo vendeva...»
«Basta parlare di shopping!!!» intervenne Marco, a gran voce per mettere in riga le due ragazze. «Mi volete spiegare cosa vi è capitato sì o no?»
«Non c'è niente da fare!» mormorò Tarma. «Una donna lasciata davanti ad un negozio farà solo casino, figuriamoci poi se sono in coppia!»
«Neanche il tempo di chiedere il prezzo e ci siamo ritrovati un intero battaglione di Ribelli!» rispose Eri, ignorando per il momento la lamentela del mercenario con gli occhiali scuri. «Per fortuna che in zona c'era questo nuovo mezzo elaborato dal Boss, veramente niente male!»
«Io avrei dei dubbi sull'affidabilità di questo cammello modificato.»
«In groppa a questo abbiamo fatto una strage! Non abbiamo fatto prigionieri, tranne un paio di Ribelli che sono fuggiti a piedi.»
«Poveracci! Ecco chi erano quelli che abbiamo incontrato poco fa!»
«Questo cammello è veramente formidabile!» confermò Fio. «Ha un solo difetto: beve molto sulle lunghe distanze!»
Una volta raccontato la loro breve disavventura, le due ragazze andarono a darsi una bella rinfrescata nell'oasi, utile per levarsi la polvere dal viso e dalle braccia. Vedendole così allegre, con i capelli lunghi al vento, un audace Tarma si avvicinò allo specchio d'acqua, per osservare meglio la situazione...
«Se volete fare un bagnetto, fate pure! Giuro che non guardo!»
«Fottiti!!!» esclamò Eri, senza mezze misure.
«Tornando seri» disse Fio. «Perché il Boss ci ha spediti qui? A parte i Ribelli di poco fa, non vedo altre minacce in zona!»
«Perché c'è un motivo valido, ovviamente!» rispose il Boss, intervenendo via radio. «Mi hanno riferito che i Ribelli stavano mettendo le mani su una ruspa del cantiere, con l'intenzione di modificarla a scopo militare. Essendo a corto di mezzi, la Ribellione sta, come si dice in gergo, raschiando il fondo del barile alla ricerca di progetti alternativi!»
«E dove dobbiamo andare per trovare questa ruspa modificata?» domandò Marco.
«Non c'è una piramide davanti a voi? Esploratela!»
«Ricevuto!» concluse il capitano, facendo una risatina sarcastica alla fine. «Mi tocca fare pure l'archeologo!»

Scesa una lunga scalinata di gradini in pietra, subito dopo aver superato l'entrata seminascosta dalla sabbia, i Falchi Pellegrini si ritrovarono nel punto più basso della piramide, in cui alcuni operai egiziani stavano scavando, senza risparmiare le forze, tra la sabbia compressa e la roccia del sottosuolo, armati solo di pala e piccone. Ma la cosa più strana di quell'ambiente però era il soffitto: era molto alto e non sembrava per niente naturale, difficilmente era stato scavato dagli operai o da un mezzo apposito.
«Ehi tu!» esclamò Marco, rivolgendosi ad uno degli operai presenti. «Sai dirmi perché il soffitto è così alto?»
«Non lo sappiamo!» rispose sorpreso l'egiziano, parlando un inglese con accento arabo. «Era già così quando abbiamo iniziato a scavare, forse lo hanno progettato così!»
«Ma allora questo significa che tutta la piramide è cava? Sennò il soffitto non potrebbe reggere!»
«Sì, signore! L'architetto era veramente strano...»
«Ah, un altra cosa: perché siete gli unici che nel 2030 usate ancora i picconi? Al giorno d'oggi ci sono attrezzature un po' più moderne!»
«Purtroppo gli scavi non sono ben finanziati, signore!» ribatté con forza l'operaio.
«Archeologi spilorci?» commentò Tarma a bassa voce.
«E quindi si spiega anche il perché qui sotto sia illuminato da delle torce fatte ancora in legno...»
«Lo so! Pure i tombaroli dell'Antico Egitto erano più tecnologici di noi!»
All'improvviso nella parte bassa della piramide si scatenò il caos: i Falchi Pellegrini videro davanti ai loro occhi una decina di operai uscire disperatamente da una galleria, urlando come matti e cercando un posto in cui nascondersi. D'istinto, i quattro mercenari impugnarono le loro pistole e avanzarono lentamente verso il cunicolo da cui erano scappati tutti quanti, il cui interno era veramente buio. Appena Tarma mise un piede oltre l'entrata, un potente e inquietante urlo lo gelò di colpo, facendogli fare un bel balzo all'indietro!
«Ma che caz...»
«Attenti che arriva!» gridò Eri, sempre tenendo la pistola puntata in avanti.
«Cosa sta arrivando?» domandò Fio, con una punta di panico.
«Temo qualcosa di veramente brutto!» rispose Tarma, ancora provato dall'urlo ricevuto in faccia.
Lentamente dall'ombra iniziò ad emergere una figura vagamente umana, molto secca e ricoperta da dei brandelli di tessuto bianco, o forse era più giusto dire bende. Il suo volto era di un colore grigio innaturale, gli occhi spiritati, la bocca quasi sdentata e le braccia tese in avanti, con l'intenzione di acciuffare chiunque avesse davanti a sé. Nonostante l'andatura lenta e a tratti incerta, quell'essere aveva ormai raggiunto i quattro mercenari, con Fio che iniziò a gridare per lo spavento.
«Una mummia!!!»
«Non restate lì fermi! Sparate!» ordinò Marco, cercando di mantenere il controllo.
Il nuovo nemico si dimostrò più resistente del previsto, ma dopo una sostenuta raffica di proiettili alla testa e al busto, la mummia fu fatta a brandelli, diventando in breve tempo polvere al suolo. Tarma si guardò attorno, alla ricerca di una via per proseguire, ma non ebbe il tempo di pensare e sentì qualcosa muovere la sabbia sotto ai suoi piedi. In un attimo, ai lati del gruppo, comparvero due nuove mummie, che presero di sorpresa i quattro mercenari. Quest'ultime però non si avvicinarono di più, ma iniziarono a trattenere il respiro in bocca, come per sputarlo addosso ai loro avversari. Intuendo qualcosa di negativo, Marco ordinò al suo gruppo di inginocchiarsi e di sparare in quella posizione.
Come intuito dal capitano, dalla bocca delle due mummie uscì uno strano gas violaceo, che si allargò in avanti e che in breve tempo sparì nell'aria, senza lasciare traccia. Schivato quel colpo, i Falchi Pellegrini riuscirono con una seconda raffica a sconfiggere le due mummie, mirando questa volta alle ginocchia. Senza più l'appoggio delle gambe, i due mostri caddero a terra rovinosamente, sgretolandosi quasi all'istante.
«Cos'era quel fumo di prima?» domandò Eri, rialzandosi da terra con tutti gli altri.
«Non so e non voglio saperlo!» affermò Marco. «Però questa storia a me non piace per nulla!»
«Concordo!»
Una volta ripresi dal precedente sconto, i Falchi Pellegrini ripresero la marcia all'interno della piramide, scavalcando il cunicolo con l'aiuto di alcuni massi che spuntavano dalla sabbia. Rispetto alla zona precedente, il percorso era leggermente in salita e la strada era ricoperta da un sottile strato di sabbia, da cui ogni tanto emergeva qualche pietra rettangolare. Curiosamente l'ambiente era ben illuminato, forse era dovuto al fatto che la luce delle torce veniva riflessa da soffitto, ma la cosa più strana era un'altra: dopo pochi passi, il capitano Marco trovò davanti a sé uno dei tanti contenitori che il Boss forniva al team, questa volta con incisa la lettera "I". Forse all'apparenza sembrava tutto normale, ma c'era un grosso problema di fondo: come faceva ad esserci una nuova arma lì, dove nessuno aveva messo piede per secoli? Ovviamente era da escludere che fosse un cimelio di qualche Faraone...
Proseguendo la marcia, in breve tempo i Falchi Pellegrini si accorsero che un nuovo nemico stava correndo verso la loro posizione: era un gruppo di animali che si muoveva a quattro zampe, simili a cani, ma bendati come le mummie affrontate poco fa. Rispetto a quest'ultime però erano nettamente più veloci nei movimenti.
Non perdendo la calma, Marco preparò la nuova arma e sparò un paio di colpi di prova, in direzione del branco di cani mummificati. Dalla bocca di fuoco uscirono due strani razzi argentati, dotati di ruote e decorati come se fossero dei topi. Nonostante il loro aspetto buffo, i due razzi si avvicinarono a gran velocità contro i loro bersagli e li fecero saltare in aria, creando un po' di fumo azzurro.
«Niente male!» esclamò Marco.
«Avrei preferito una bella faccia da squalo, piuttosto che un disegno da pantegana...» commentò Eri, rimanendo però entusiasta per la potenza della nuova arma.
«Scusate, ma non mi sembra il tempo di farsi i complimenti!» avvertì Tarma, notando che dietro di sé si era generato uno strano polverone. «Credo che ne stiano arrivando degli altri...»
«Proteggetemi le spalle!» ordinò il capitano, potandosi dietro Fio e avanzando con decisione lungo la salita.
Grazie ad un paio di granate, Tarma ed Eri si liberarono facilmente del secondo gruppo di cani, raggiungendo velocemente gli altri che nel frattempo avevano fatto piazza pulita dei restanti nemici. Continuando a salire, il gruppo arrivò ad una zona rialzata, da cui si vedeva un grosso e pesante lastrone di pietra che bloccava la strada. Il suggerimento di Eri fu quello di farsi largo a colpi di bomba, ma Marco preferì attendere e osservare meglio la zona: temeva che nei paraggi ci fossero delle trappole, preparate per qualche tombarolo dell'antichità.
Come aveva intuito il capitano, la nuova minaccia non tardò ad arrivare: lentamente dal soffitto scesero, legate ad una corda, ben dieci mummie che in breve tempo arrivarono al suolo. Questa volta però i Falchi Pellegrini reagirono subito, spostandosi verso l'alto e poi lanciando qualche bomba all'indietro, eliminando gran parte delle mummie. Il resto del gruppo fu neutralizzato da alcuni colpi di pistola sparati da Fio.
Superato anche quell'ostacolo, ora i quattro mercenari avevano un altro problema da risolvere: vicino al lastrone di pietra c'era una leva, che però aveva l'aria di essere una trappola. Non avendo idea di cosa potesse accadere una volta sollevata, Marco ordinò ai suoi sottoposti di mettersi spalle al muro e di tenere gli occhi vigili, per qualsiasi evenienza. Lui nel frattempo, con molta calma, si avvicinò alla leva e con un colpo secco la tirò verso il basso, nonostante ci fosse un po' di sabbia nel meccanismo. Finito ciò, con uno scatto Marco si mise spalle al muro, affianco dei suoi commilitoni, e osservò il lastrone di pietra alzarsi lentamente, causando un bel po' di rumore. Il capitano aspettò per molto tempo immobile, sempre con la pistola in mano, ma alla fine non accadde niente e ciò significava solo una cosa certa: quella leva era semplicemente una leva! Incredibilmente Marco aveva sbagliato alla grande, stavolta!

Attraversato un breve corridoio di pietra, il gruppo arrivò in una nuova sezione della piramide, nettamente più scura della precedente e divisa in vari livelli. A prima vista sembrava il centro della costruzione, proprio sotto la punta, ma quello che attirò l'attenzione del gruppo fu la sagoma di un'altra figura che si muoveva nell'ombra, con un andamento incerto e traballante. Ma questa volta non si trattava di un nemico, bensì Martha!
«Ehilà ragazzi!» salutò la spia. «Mi potreste dare una mano con lo zaino? Non ce la faccio più a trasportarlo da sola!»
«E tu che diavolo ci fai qui?!?» domandò Marco, forse ancora un po' sconvolto per la gaffe di prima.
«Sono da supporto a questa missione! Avrei anche una nuova arma, ma purtroppo l'ho persa!»
«Parli di questo lanciarazzi che spara pantegane?» chiese il capitano, alzando l'arma appena descritta.
«Oh, avete ritrovato l'Iron Lizard che avevo perso! Siete dei miti!!!»
«Ehi! Aspetta un minuto!» intervenne Eri. «Ma cosa centra il nome Lizard, che vuol dire lucertola, con quei razzi a forma di topo?»
«Purtroppo gli ideatori dell'arma non avevano un'idea precisa del risultato finale...»
«O forse hanno alzato un po' il gomito durante gli esperimenti!» ipotizzò Tarma.
«Hai dell'altro nel tuo zaino?» domandò Fio.
«Ho uno Shot Gun di riserva, se ne avete bisogno...» rispose Martha.
«Certamente!» affermò Tarma, prendendolo subito in mano.
«Inoltre ho un nuovo veicolo, ma è smontato... stavolta il Boss è stato cattivo, me l'ha fatto trasportare tutta da sola! Non è giusto!» lamentò la spia, agitando i numerosi pezzi di metallo che aveva nello zaino.
«Ma che serve tutta questa roba?» chiese Tarma.
«Si chiama Slugnoid ed è un veicolo antropomorfo dotato di due mitragliatrici e di un cannone di media potenza. Non è il mezzo più pratico del mondo, ma almeno è leggero!»
«Ci vorrà un po' per montarlo tutto, ma non dovrebbe essere un lavoro complicato. E' quello che faccio abitualmente nel mio garage per rilassarmi!»
«Tutto chiaro, ma ora sbrighiamoci a raggiungere la parte alta della piramide» incitò il capitano. «Non abbiamo ancora trovato quella dannata ruspa e inoltre abbiamo incontrato troppe mummie, per i miei gusti...»
«Sei rimasto impressionato da dei morti imbalsamati secoli fa? Non lo avrei mai detto!» commentò Martha stupita.
«Dovevi vedere come si muovevano: sembrava vivi!!!» ribatté Tarma, sorprendendo ancora di più l'incolpevole spia, che rimase per un po' con gli occhi spalancati.

Salire ai livelli superiori risultò essere più difficile del previsto: c'erano diversi salti nel percorso scelto da Marco, molti dei quali pericoloso, ed in certe zone era veramente buio, a fatica si riusciva a vedere oltre un metro di distanza. Per Martha la fatica era doppia, dovendo portarsi dietro anche il suo zaino, ma grazie al sostegno dei Falchi Pellegrini la giovane spia riuscì a percorrere più della metà del percorso senza troppi rallentamenti. Ad un certo punto però la ragazza chiese di fare una pausa, ne aveva proprio bisogno.
«La prossima volta che ritrovo il Boss, giuro che gli devo fare un bel discorsetto...» commentò Martha, col fiato e sventolando un fazzoletto per farsi aria.
«Pure io!» aggiunse Marco. «Deve darci molte spiegazioni sulla sparizione di Morden e su tutto il casino degli ultimi giorni, sono stufo di essere sbattuto in giro e non sapere niente sulle missioni!»
«Ben detto!» esclamò Eri. «In questi casi... oh cazzo!!!»
Improvvisamente la giapponese si accorse che alle spalle di Fio era comparsa una mummia e urlò per avvisare la compagna, ma fu troppo tardi: appena l'italiana si voltò, venne investita dal fumo violaceo che uscì dalla bocca del mostro. Tempestivamente Tarma sparò un colpo con lo Shot Gun, spazzando via letteralmente la mummia, ma subito dopo si accorse che a terra c'era un altro essere, simile al precedente.
«Ora tocca a te!»
«Stai fermo, idiota!!!» gridò Marco, spostando con un braccio la canna del fucile in mano al suo vice.
«Cosa diavolo stai facendo?»
«Dovrei farti io questa domanda...»
Con molta lentezza, la seconda mummia si rialzò da terra e si voltò verso il gruppo. A differenza della precedente, tra le bende erano visibili un paio di occhiali e un cappello, dall'aria molto familiare.
«Non dirmi che...» accennò Martha tutta agitata.
«E' Fio!» esclamò Eri. «Ma cosa gli è successo?»
«Credo che abbiamo appena scoperto gli effetti collaterali di quel gas viola!» affermò Marco, che poi si rivolse direttamente alla mercenaria colpita. «Mi senti Fio? Capisci quello che dico?»
Nonostante il tremolio del corpo e lo sguardo spento, l'italiana con una mano segnò che era tutto ok. Rassicurato che Fio era ancora cosciente, il capitano decise di riprendere la marcia verso il punto più alto della piramide, sicuro di poter portare a termine la missione.
Facendo più in fretta possibile, arrivando pure a trasportare Fio di peso perché da quando si era trasformata in mummia era diventata lentissima, finalmente i Falchi Pellegrini arrivarono quasi in cima, ma senza trovare la famigerata ruspa modificata dai Ribelli. Approfittando dello spiazzo in cui erano arrivati, il capitano ordinò di assemblare il veicolo messo a disposizione dal Boss e immediatamente Tarma si impegnò a ricomporre i vari pezzi, con l'aiuto di Martha.
«Qui c'è qualcosa che non va» mormorò il capitano assai pensieroso. «Abbiamo esplorato quasi tutta la piramide, ci mancano solo un paio di livelli al massimo, ma non abbiamo trovato niente. E poi c'è da risolvere il problema di Fio... non posso lasciarla in quello stato!»
«Capitano! Qui abbiamo quasi finito!» annunciò Tarma, soddisfatto per il lavoro svolto.
«Di già?»
«Non era niente di complicato, dopotutto! Bastava avvitare i bulloni nel posto giusto!»
Finito di completare il mezzo antropomorfo, Tarma si rilassò sedendosi su una sporgenza del pavimento, che all'improvviso rientrò, facendo molto rumore. Tutti i presenti crederono che il mercenario dagli occhiali scuri avesse azionato qualche tipo di trappola ed invece, con grande sorpresa, si spalancò una piccola rientranza, con all'interno qualcosa che luccicava.
«Cosa c'è lì dentro?» domandò Eri.
«Ma è un elisir!» esclamò Martha, avvicinandosi alla rientranza e prendendo in mano una bottiglietta di vetro, con all'interno un liquido azzurro.
«Come fai a dire che quello è un elisir?»
«All'interno della bottiglia c'è un liquido azzurro, dai riflessi quasi magici... deve essere per forza un elisir!»
«Ehi! C'è una scritta dentro la rientranza, credo siano geroglifici!» osservò Marco. «Li sai tradurre, Martha?»
«Non ne sono un esperta, ma qualcosina ho studiato» rispose la spia, prendendosi qualche secondo per analizzare la scritta scolpita nella pietra. «Se ho letto giusto, c'è scritto: Da usare in caso d'emergenza!»
«A questo punto, prova a far bere quell'elisir a Fio. Il suo è proprio un caso d'emergenza!»
Velocemente Martha versò in bocca alla mercenaria il liquido contenuto nella boccetta, sperando che facesse effetto. Pochi secondi dopo Fio tossì un paio di volte, portandosi le mani alla bocca, e poi iniziò velocemente a riacquistare il suo colore di pelle naturale. Poco dopo le bende, che ricoprivano tutto il corpo di Fio, caddero a terra, come le foglie in autunno, restituendo all'italiana l'aspetto che aveva in precedenza.
«Fio!!! Sei tornata!» urlò Martha, abbracciando la ragazza come se non la vedesse da anni.
«Che mi è capitato?» domandò la mercenaria.
«Questo dovresti dircelo tu!» affermò Eri, che nonostante il suo comportamento freddo era felicissima di rivedere la sua collega in forma.
«Non so come spiegarlo... mi sentivo confusa e tutto mi appariva in penombra, era come essere in un sogno!»
All'improvviso, durante la spiegazione di Fio, ci fu un ruggito pauroso, di natura vagamente metallica. Era stato così potente che il pavimento tremò, per qualche secondo.
«Che cos'era quel rumore?!?» gridò Martha, sicuramente la più spaventata del gruppo.
«Temo che siamo passati dal sogno all'incubo!» commentò Tarma seriamente preoccupato.
«Non restate lì impalati, mettetevi a correre!!!» ordinò Marco, incitando i suoi a proseguire la scalata verso la punta.
«Io mi prendo lo Slugnoid!» dichiarò Eri, che con un balzo ci salì dentro.
«Ladra!» mormorò Tarma, sentendosi beffato dalla collega.

La nuova minaccia da cui i Falchi Pellegrini stavano scappando era proprio la ruspa che stavano cercando, modificata per poter essere usata come arma d'attacco. La grande pala che aveva in origine fu trasformata in una specie di bocca in grado di sbriciolare o attraversare la pietra senza particolari problemi, come un verme che divora dall'interno una mela matura.
Non potendo scappare dalla piramide, ormai la scavatrice li aveva quasi raggiunti, il capitano Marco decise di contrattacco con tutti i mezzi a disposizione, ma si rese subito che lui e i suoi uomini erano in difficoltà: il suo Iron Missile non era preciso a lunga distanza, mentre lo Shut Gun in mano a Tarma era proprio inadatto per colpire oggetti lontani; l'unica arma efficace era lo Slugnoid guidato da Eri, che a ritmo sostenuto continuava a sparare verso la ruspa modificata.
All'inizio sembrava facile fronteggiare il mezzo nemico, a forza di cannonate la giapponese lo aveva fatto indietreggiare, ma di colpo la ruspa modificata emise un nuovo ruggito, che fece agitare ancora una volta la sezione alta della piramide. Questa volta però, all'interno delle fauci metalliche si intravide una strana luce, dall'aria vagamente minacciosa.
«Che roba è quella?» disse Eri.
«Merda! Questo sarà un colpo devastante, spostatevi!» avvisò Marco, trascinandosi dietro Martha.
«La vedo malissimo!» commentò Tarma.
Lentamente la luce al centro delle due fauci metalliche si fece sempre più intensa, ma Eri provò lo stesso a fermare quell'attacco. Avendo finito i colpi di cannone, concentrò il fuoco dei due mitragliatori, posizionati sulle braccia del mezzo antropomorfo, verso il centro della ruspa. Nonostante gli sforzi della giapponese, alla fine una grossa sfera uscì dal mezzo nemico e appena la videro, tutti quanti si gettarono disperatamente ai lati della piramide, per mettersi al riparo. Sembrava però una mossa inutile, ma con grande sorpresa i Falchi Pellegrini si accorsero che l'attacco nemico era fallito: l'unica cosa che uscì dalle fauci di quel bestione metallico fu una potente onda d'urto, che colpì solo qualche pietra in cima, aprendo un grosso spiraglio sopra le teste dei mercenari.
Quando tutti quanti guardarono verso il basso, solo in quel momento capirono perché l'attacco era fallito: le cannonate di Eri, alla lunga, avevano seriamente danneggiato il mezzo meccanico che adesso stava progressivamente perdendo presa, rischiando di cadere per diversi metri giù per la piramide. Ma in un sussulto finale, come in un ultimo momento d'orgoglio, la ruspa modificata fece una specie di balzo in avanti, quasi travolgendo i Falchi Pellegrini, che però fallì miseramente. Dopo di ciò, il mezzo nemico perse completamente la presa e cadde rumorosamente verso il basso, generando un frastuono infernale.
Con la missione ormai completata, Marco e il resto del gruppo risalirono l'ultima parte della piramide e uscirono finalmente all'esterno, sfruttando il foro creato in precedenza durante lo scontro. A quel punto l'ultimo gesto del capitano fu quello di chiamare il Boss via radio, per chiedere un passaggio in elicottero e trasportare lui e la sua squadra in un luogo sicuro. E preferibilmente fresco.


Continua...

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Capitolo 10
*** Il mistero del centro di ricerca ***


Capitolo 10 - Il mistero del centro di ricerca


Dopo gli ultimi successi dei Falchi Pellegrini, la vittoria per l'Esercito Regolare sembrava veramente vicina, ma il Boss in quei giorni rimase molto prudente su questo argomento. C'era ancora da risolvere il mistero sulla scomparsa di Morden, ancora latitante chissà dove, e inoltre c'era il problema degli alieni, che potevano insidiare i piani dei Falchi Pellegrini da un momento all'altro. Ed infatti poi giorni dopo, con estrema urgenza, arrivò una richiesta d'aiuto ai Falchi Pellegrini, indirizzata direttamente al Boss.
Il giorno precedente un aereo di linea era precipitato su una catena montuosa, a poca distanza dal confine tra Siberia e Kazakistan, e i suoi passeggeri erano letteralmente scomparsi, nonostante il pilota avesse comunicato via radio di essere riuscito ad effettuare un atterraggio d'emergenza. Inoltre si vociferava che in quella zona ci fosse un piccolo centro di ricerca finanziato dai Ribelli, i cui obiettivi però erano completamente ignoti. Intuendo un possibile pericolo, il Boss non ci pensò due volte e iniziò immediatamente un'elaborata analisi via satellite dei rilievi, a cavallo dei due Paesi.
La ricerca dell'aereo caduto risultò più complicata del previsto, la zona era veramente difficile da esplorare, perfino per l'avanzata tecnologia, ma alla fine il Boss riuscì a trovare il punto esatto dello schianto, inviando subito le coordinate ai Falchi Pellegrini per quella che aveva tutta l'aria di essere una missione di salvataggio.

Sorvolare le montagne di notte, al chiaro di luna, era un'esperienza meravigliosa, quasi magica, ma per il capitano Marco e il suo team non c'era tempo per ammirare il paesaggio: dopo aver fatto un giro di controllo, il pilota dell'elicottero si fermò a mezz'aria e fece calare una fune, a qualche metro di distanza dal centro di ricerca. Scesi velocemente a terra, i Falchi Pellegrini si avvicinarono con passo leggero al loro obiettivo, restando bassi per non farsi scoprire dal nemico.
Una volta dentro il campo, ci fu però un colpo di scena assai inaspettato: nonostante le numerose tende presenti, i Falchi Pellegrini non videro nessuno, neanche una guardia o un ricercatore. Le luci erano completamente spente e il campo era avvolto in uno strano e inquietante silenzio, rotto solamente da alcune folate di vento.
«Cosa sta succedendo? Perché è tutto abbandonato?» domandò Marco, guardandosi attorno più volte.
«Sembra quasi che siano tutti scappati, forse si sono messi in salvo quando hanno visto l'aereo precipitare!» ipotizzò Fio.
«Non credo! L'aereo è precipitato questa mattina, dubito che siano ancora nascosti... inoltre da qui vedo la coda, è proprio davanti a noi!»
«Cosa?!? Quella è la coda?» esclamò Tarma, così sorpreso da sollevare i suoi occhiali scuri. «Pensavo fosse una delle vette!»
«Mi sa che devi cambiare montatura, stai cominciando a diventare miope!» commentò Marco, ribattendo per una volta alle battute di Tarma.
«Scherzi a parte capitano, dobbiamo rimanere in guardia» suggerì Eri. «Questa è anche una missione di salvataggio, dopotutto!»
«Giusto! Ma prima di proseguire, voglio sapere cosa stavano cercando i Ribelli da queste parti. Perquisite tutte le tende!»
«Ottima idea, capitano!» appoggiò Tarma. «Io mi sto ancora domandando perché siano venuti proprio qui, in mezzo alla fredda Siberia... non potevano aprire un centro di ricerca nei Caraibi?»
Qualche minuto dopo, rovistando tra le varie attrezzature presenti, Fio trovò un computer ancora funzionante e lo segnalò all'esperto di informatica del gruppo, ovvero Marco, che immediatamente controllò tutti i dati memorizzati al suo interno. Con grande sorpresa del capitano, scoprì che gli ultimi documenti inseriti nel computer risalivano ad almeno tre giorni fa, ben prima del disastro aereo accaduto in mattinata. Ciò significava che il campo di ricerca era stato abbandonato già da tempo dai Ribelli e questo elemento creò ancora più tensione nel gruppo di mercenari.
«Questa storia non mi piace per niente...» commentò Tarma pessimista.
«Dobbiamo subito avvisare il Boss! Queste informazioni sono fondamentali, anzi vitali!» affermò Eri.
«Lo vorrei fare, ma purtroppo non posso! Prima di partire, il Boss mi ha comunicato che per almeno un'ora non potrà ricevere le nostre chiamate perché sta ancora analizzando il territorio circostante e non vuole creare delle interferenze...»
«Magnifico! Quando c'è bisogno di lui, non c'è mai!»
«A questo punto ci conviene muoverci, restare qui è inutile. Andiamo a controllare i rottami dell'aereo, forse i superstiti sono ancora là!»
Riprendendo la marcia interrotta un po' di tempo fa, i Falchi Pellegrini avanzarono in direzione della coda che, in seguito al violento atterraggio, si era staccata di netto dal resto dell'aereo. Superati i primi avvallamenti, il gruppo di mercenari trovarono abbastanza in fretta i primi superstiti, che esausti si erano rifugiati dietro alcune casse, cadute dal retro dell'aereo. Erano in tre, due uomini e una donna con i vestiti pieni di polvere, ed erano così sconvolti che riuscivano a stare in piedi solo appoggiandosi ad una cassa o ad un bastone di fortuna.
Il fatto che impressionò di più il capitano non fu quello di aver trovato dei superstiti, era una possibilità che si era data quasi per scontata, ma che quest'ultimi continuavano a metterli in guardia sulla minaccia che si aggirava per il campo di ricerca, a loro dire molto numerosa. Marco all'inizio pensò che si riferissero ai Ribelli, ma da come venivano descritti, i superstiti parlarono di qualcosa all'apparenza mostruoso, fuori da ogni logica comprensibile. La cosa però non spaventò più di tanto il capitano, ormai era abituato a quel genere di situazione...
«Non prenderli troppo sul serio» commentò Tarma, avvicinandosi al suo superiore e parlandogli all'orecchio. «Forse è solo paranoia.»
«In ogni caso, dobbiamo andare avanti con le ricerche» ribatté Marco, fornendo dei nuovi ordini ai suoi sottoposti. «Tu Fio, rimani qui a vigilare sui superstiti. Il resto del gruppo mi segua!»
«Sei tu il capo...» mormorò Tarma.
«Agli ordini, capitano!» rispose l'italiana, che già prima si era messa al lavoro con kit di pronto soccorso.

Più avanti, in una zona completamente deserta, Marco e parte della squadra si ritrovarono davanti ad un bivio: un sentiero proseguiva verso il basso, in quella che sembra un rifugio o qualcosa di simile, mentre l'altro conduceva ai resti dell'aereo, che in seguito dell'impatto si era spaccato in due parti, con la cabina nettamente più avanti rispetto alla parte centrale, dove c'erano il corridoio e i posti a sedere.
Dovendo perlustrare tutta la zona, il capitano mandò Tarma nel sentiero più basso, che nonostante le proteste alla fine accettò di esplorare, ottenendo in cambio una copertura da parte del suo superiore e da Eri. Accedendo una torcia, il mercenario dagli occhiali scuri iniziò la sua discesa nell'oscurità, mentre gli altri due tenevano d'occhio la zona circostante.
Poco tempo dopo, alle spalle di Eri, comparve una figura che lentamente, con passo incerto, si avvicinò alla ragazza emettendo dei lamenti. Non capendo chi poteva essere, la mercenaria si voltò e prese in mano la pistola.
«Chi sei? Un superstite?»
«Siamo la squadra di soccorso!» aggiunse Marco, cercando di rassicurare il tipo.
«Sei ferito?» domandò Eri, ma ottenendo come risposta solamente un lamento più lungo dei precedenti. All'improvviso, uscendo dalla zona d'ombra, apparve qualcuno che poteva essere uno dei passeggeri scampati dall'aereo, ma aveva un aspetto raccapricciante: la pelle era completamente violacea e dalla bocca usciva una strana e disgustosa bava di color arancione pallido. «Oh, cazzo!»
«Ma che diavolo...?»
«E' uno zombie!!!»
«Cosa?!?»
Istintivamente i due mercenari spararono una raffica di proiettili contro l'intruso, che però dimostrò di avere una resistenza fuori dal comune. Quasi incurante delle ferite, quell'essere violaceo avanzò nuovamente di qualche passo e, dopo un attimo di pausa, lanciò la bava contro i suoi avversari. Eri, d'istinto, si gettò di lato e una volta ferma a terra ne approfittò per prendere una granata e la lanciò contro lo zombie. Appena la bomba toccò terra, esplose con una tale potenza che il mostro letteralmente prese fuoco, accasciandosi poi velocemente al suolo.
Eri si rialzò da terra soddisfatta per il lavoro fatto, ma la sua gioia durò ben poco: dietro di lei, rannicchiato per il dolore, Marco era stato colpito, seppur di striscio, dalla bava lanciata dallo zombie e cercava a fatica di trattenere le urla di dolore.
«Capitano!!!» gridò Eri, precipitandosi a dare soccorso al suo superiore. «Resisti!!!»
Tutto quel rumore attirò l'attenzione degli altri due mercenari, che immediatamente lasciarono le loro postazioni e arrivarono in fretta e furia sul luogo dello scontro.
«Cos'è successo?» urlò Tarma, emergendo dal sentiero e aggrappandosi alle pareti per salire più in fretta.
«Quel fottuto... zombie!» rispose Eri, lasciando di stucco gli altri due.
«Zombie?!?» ripeté Fio.
«Sì! Lo so che sembra tutto un videogioco, ma è la verità!»
«Il capitano è grave!» commentò l'italiana, osservando con preoccupazione le reazioni di Marco. «Mi servirà qualcosa per calmargli il dolore. So non ricordo male, c'era una tenda adibita ad infermeria all'ingresso del campo.»
«Proprio adesso doveva venir colpito!» lamentò Tarma. «Poco fa ho trovato uno strano tipo legato e imbavagliato in fondo a quel sentiero, vestito in maniera piuttosto eccentrica...»
«Deciditi! O aiutiamo il capitano o chiediamo spiegazioni al tipo, tutte e due le cose assieme non si possono fare!» affermò Eri, ricordando in maniera diretta a Tarma che lui, momentaneamente, era diventato il responsabile del gruppo.
«Lo so, non mettermi pressione! Fio, corri subito nell'infermeria e prendi quello che ti serve. Noi rimaniamo di guardia.»

Pochi minuti dopo Fio, tenendo tra le mani alcuni medicinali, tornò di corsa dai suoi compagni e il più velocemente possibile preparò un antidolorifico da iniettare al capitano, che nel frattempo aveva già iniziato ad assumere un colore violaceo. Il farmaco però non sembrava far effetto, Marco continuò a lamentarsi per il dolore che sentiva diffondersi in tutto il corpo e questo fatto creò ancora più tensione sul volto di tutti i presenti. All'improvviso però Eri si ricordò di un particolare, che aveva visto sul computer controllato da Marco in precedenza, e di scatto si alzò in piedi, correndo più velocemente che poteva verso le tende. Tarma, che aveva rinunciato all'idea di seguirla, sperò vivamente che l'intuizione di Eri fosse utile.


Continua...

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Capitolo 11
*** L'asteroide alieno ***


Capitolo 11 - L'asteroide alieno


Dopo qualche minuto d'attesa, un'affaticata Eri tornò nel punto in cui il capitano Marco era stato colpito, mentre quest'ultimo stava peggiorando sempre di più: non solo la sua pelle era diventata violacea, adesso stava iniziando ad agitarsi in maniera caotica e i suoi compagni facevano fatica a tenerlo fermo.
«Non mi piace per niente...» commentò la giapponese.
«Cosa c'è in quella scatola?» chiese Tarma, indicando il contenitore di plastica bianco che Eri aveva con sé.
«Secondo quello che ho trovato in un computer, qualche giorno fa qui è scoppiata una strana epidemia e i ricercatori hanno elaborato un vaccino per curare quella strana malattia. Forse è quella che ha colpito il capitano, ma c'è un problema!»
«Quale?»
«E' sperimentale... forse è pure tossico!»
«Preferisco questo che niente, Eri!»
«Ma potrebbe anche ucciderlo! Non ci avevi pensato?»
«In effetti...» commentò Fio, tenendo sempre d'occhio il suo capitano sofferente.
All'improvviso, davanti agli occhi di Eri e Tarma, si materializzarono due figure umane, che lentamente si muovevano nascoste nell'ombra e immediatamente i due mercenari puntarono le armi contro i nuovi nemici. Curiosamente il più nervoso tra i due risultò Eri...
«Porca puttana!!! Ce ne sono degli altri!»
«Di nuovo?!?»
«Fermi!!! Non sparate, per carità!» gridò una voce femminile nel buio, alzando le mani in alto.
«Ehi! Ma questa voce mi sembra di averla già sentita» affermò Eri.
«Ah, ma voi siete quelli che abbiamo incontrato in montagna! Che ci fate qui di bello?»
Davanti agli occhi dei mercenari si presentarono le due ragazze che aveva casualmente visto in una missione precedente, ovvero Excel e Hyatt. Questa volta era vestite in maniera bizzarra, le due indossavano un abbigliamento che sembrava uscita da un anime giapponese, con la prima vestita principalmente di verde e la seconda di viola.
«Ma da quale festa saltate fuori, voi due?!?» domandò Eri, sgranando gli occhi.
«Che mi venga un colpo! Assomigliate a quel pazzoide che ho incontrato in quel fosso, vestito con un mantello così largo che sembra un tendone da circo!»
«Oh, che fortuna!» disse Excel, facendo un salto per la gioia. «Hanno ritrovato Sua Eccellenza il Palazzo!»
«Oh, che bello...» commentò Hyatt, sempre quasi svenendo.
«Chi è quel mentecatto?!?»
«Ehi tu! Non offendere Sua Eccellenza il Palazzo, è gravissimo quello stai facendo!» minacciò la ragazza dai capelli arancioni, cambiando completamente espressione e arrabbiandosi.
«Scusate, ma è vostro quel cagnolino bianco che tenta la fuga?» intervenne Fio.
«Oh sì! Questo è Frattaglia ed è una fortuna che sia qui: mi è venuta fame!»
«Guarda che non è una merenda ricoperta di cioccolato!» ribatté Tarma.
«Ma guardatelo! E' tutto spaventato, si vede che ha capito le intenzioni di quella matta!» commentò Fio.
«Per me invece ha paura di quello che ha visto dietro di sé» affermò Hyatt, quasi svennendo. «E' pieno di gente che urla in maniera strana...»
«Merda! Altri zombie!!!» urlò Eri.
Nel giro di pochi secondi una marea di zombie avanzarono lentamente verso il gruppo, con aria minacciosa e vomitando una strana bava arancione. Per permettere agli altri di salvarsi, Eri e Tarma aprirono il fuoco, ma ciò non servì a fermare quell'ondata di mostri, che poco a poco guadagnava terreno. A quel punto Tarma ordinò alle due mercenarie di far indietreggiare tutto il gruppo, per mettersi al sicuro tra le tende, ma con due persone moribonde scappare era pressoché impossibile.
«Hyatt! Non puoi morirmi proprio adesso!» urlò Excel disperata, cercando di trascinare via la sua compagna.
«Oh cielo! Non mi sento bene... mi sa che vomito!» annunciò la ragazza dai capelli scuri. Provò a trattenersi tappando la bocca, ma alla fine dovette arrendersi all'inevitabile.
A quel punto accadde qualcosa di incredibile: dalla bocca di Hyatt uscì su getto di sangue molto potente, tale da spazzar via buona parte degli zombie nelle vicinanze. Il resto del gruppo rimase di sasso davanti a quella scena, ma poco dopo anche Marco ebbe gli stessi sintomi e a sua volta generò un nuovo getto ad altissima pressione, eliminando così gli zombie rimasti in piedi.
«Che... schifo!» ammise Tarma.
«Deve essere un effetto collaterale di questa strana epidemia!» commentò Fio.
«A questo punto, meglio fargli il vaccino!» affermò Eri, aprendo il contenitore che aveva recuperato e prendendo in mano una siringa piena di liquido bianco. «Se spara contro di noi, siamo fottuti! Guarda come si è liberato degli zombie!»
«No, aspetta! Potrebbe essere peggio!» avvertì Tarma, avvicinandosi alla giapponese con l'intenzione di bloccarla.
«Ma come siete noiosi... cosa volete che sia una puntura!» affermò Excel, strappando letteralmente la siringa in mano a Eri. Poi, senza tentennare, infilò l'ago nella spalla di Marco come se fosse un pugnale.
«Ma sei fuori?!?» esclamò Fio.
Il resto dei Falchi Pellegrini, dopo il gesto di Excel, erano già pronti a strozzarla a mani nude, ma poco dopo si accorsero che il capitano stava iniziando a riprendere colore e a sentirsi meglio, nonostante la puntura poco professionale della ragazza. Nel giro di pochi secondi, il capitano riuscì addirittura a rimettersi in piedi, come se nulla fosse accaduto.
«Ragazzi, mi sentivo stranissimo...» commentò Marco. «Era come se fossi perennemente sbronzo!»
«Ha avuto molta fortuna, capitano!» ribatté Eri, lasciando andare un Excel quasi senza fiato.
«Serve anche quella in battaglia, ricordatelo!»

Una volta ristabilito, il capitano dei Falchi Pellegrini seppe dell'uomo legato in fondo al fosso e subito chiese di parlargli, per sapere se aveva delle informazioni utili. Dopo averlo slegato dalla fune che gli circondava il corpo e l'ampio mantello, il capo delle due ragazze si tolse la bavaglio che aveva sulla bocca e si presentò ai nuovi arrivati, in maniera piuttosto eccentrica.
«Questo mondo ormai è marcio, signori miei! Noi, membri dell'ACROSS, ci siamo adoperati, con tutti i mezzi a nostri disposizione, per cambiare la sorte di questo mondo corrotto! Purtroppo, la nostra missione di oggi è fallita, come al solito direi...»
«Che coglione!» affermò Eri di getto.
«Tu, ingrata! Come ti permetti...» accennò Excel tutta arrabbiata, ma venne subito bloccata dalla giapponese, che le affossò il viso nel terriccio presente in quel punto.
«Missione? Di qualche missione stai parlando?» domandò il capitano dei Falchi Pellegrini.
«Su queste montagne, dimenticate dalla gente comune e mediocre...»
«Smettila con questa cantilena e vieni al sodo!!!»
«Dunque... ero giunto qui per un incontro con degli esseri provenienti da altri mondi, di forma tentacolare e assai agguerriti!»
«Eh?!?» fecero Tarma e Fio, mentre gli altri due mercenari rimasero in silenzio a fissare, con aria minacciosa, lo strano capo delle due ragazze.
«Ah, per caso intende quelle meduse venute dallo spazio, Sua Eccellenza il Palazzo?» chiese Excel.
«Quelle alleate a quei simpatici ranocchi variopinti?» aggiunse Hyatt.
«Di nuovo quei tipi?» esclamò Marco. «Questa storia inizia a piacermi sempre meno...»
«Purtroppo i negoziati per un'alleanza sono miseramente falliti! E noi non possiamo accettare un affronto simile!» affermò l'uomo dal largo mantello. «Se lei vuole capitano, avrà il nostro appoggio in caso di necessità.»
«Che opportunista...»
«Se fossi in te, capitano Marco, non rifiuterei quella richiesta con così tanta leggerezza!» intervenne il Boss improvvisamente, sempre via radio. «Dopo le ultime cose che ho scoperto, c'è da stare poco tranquilli!»
«Oh, chi si risente...»
Cercando di essere il più sintetico possibile, il Boss raccontò quello che aveva visto dal satellite. Qualche centinaia di metri più avanti, lontano dal luogo dello schianto, si estendeva una foresta di conifere che presentava una strana particolarità: più o meno al centro di essa, si estendeva un'area perfettamente circolare, causata molto probabilmente da un oggetto di grosse dimensioni che si era schiantato al suolo. Non si trattava però di un pezzo dell'aereo precipitato tre giorni fa, bensì di un asteroide, che forse spiegava la presenza di molti ricercatori in quella zona così desolata. Ma il fatto che fece rabbrividire il Boss furono le prime analisi su quell’asteroide, fatte via satellite: sembrava incredibile, ma quella roccia conteneva al suo interno delle presenze di vita extraterrestre, simili a quelle incontrate dai Falchi Pellegrini in precedenza.
Temendo una svolta negativa, sicuramente peggiore di quella incontrata dai suoi mercenari quando sono arrivati al centro di ricerca, il Boss si affrettò per consegnare un nuovo tipo di arma ai suoi sottoposti, una delle più potenti dell'arsenale a sua disposizione. Una volta ricevute le coordinate per trovare l'asteroide, il capitano Marco guidò la sua squadra al luogo designato, non troppo lontano dalla loro attuale posizione. Nel frattempo, i tre membri dell'ACROSS ne approfittarono per andarsene dal centro di ricerca, sicuri però che a breve sarebbero tornati in azione.

Per arrivare alla foresta di conifere, il gruppo di mercenari per prima cosa scese lungo una ripida discesa rocciosa, piena di sporgenze e con una piccola grotta ai piedi della montagna. Subito dopo, davanti agli occhi dei Falchi Pellegrini, comparve una zona pianeggiante e completamente spoglia da alberi, un chiaro segno che si stavano avvicinando alla zona in cui l'asteroide si era schiantato. Pochi metri più avanti il capitano intravide nel buio un oggetto dalla forma familiare, ovvero il contenitore della nuova arma annunciata dal Boss. Appena la segnalò, Eri tutta contenta si fiondò per raccoglierla, e nel giro di pochi secondi era già pronta ad usarla. Si trattava del Rocket Lancher, un arma in grado di sfondare anche le corazze più spesse, comprese quelle dei carri armati più recenti. L'unico difetto che aveva era l'esiguo numero di proiettili, solamente una trentina in tutto, ma ciò era necessario per non appesantire eccessivamente l'arma, che già di per sé non era affatto leggera.
Pochi minuti più tardi, mentre la squadra stava percorrendo una zona piena di alberi abbattuti, per colpa dell'onda generata dall'asteroide dopo lo schianto, il capitano Marco e i suoi sottoposti si trovarono davanti ad un gruppo di Ribelli, che però si muovevano in maniera assai disordinata. Era evidente che anche loro erano stati colpiti dalla malattia contratta in precedenza da Marco, quasi sicuramente di provenienza aliena, e a quel punto il capitano ordinò ai suoi sottoposti di aprire il fuoco, per raggiungere l'asteroide il prima possibile. Nonostante l'elevata potenza del Rocket Lancher, i Falchi Pellegrini fecero molta fatica ad avanzare perché i loro avversari risultarono più resistenti del previsto. Alcuni di quei soldati zombie, inoltre, si lanciarono contro il gruppo in stile kamikaze per bloccarli, ma essendo molto lenti i quattro mercenari riuscirono a schivarli, senza riportare gravi danni. Ci volle più del previsto, ma alla fine i Falchi Pellegrini si sbarazzarono dei Ribelli, grazie alla potenza di fuoco del Rocket Lancher, e ripresero velocemente la marcia verso il loro obiettivo.
Dopo aver oltrepassato una breve zona alberata, i quattro mercenari si ritrovarono di colpo in un area spoglia, leggermente in discesa e con dei resti di legno bruciato a terra: ad una prima occhiata, il paesaggio era così desolato che sembrava che lì fosse scoppiata una bomba atomica. Al centro dell'area si intravedevano dei fari accesi, simili a quelli presenti negli stadi, che illuminavano a giorno l'asteroide, posizionato al centro della zona. Quest'ultimo era di color terra bruciata, grande quanto un'autovettura media e sulla superficie aveva molte aperture, di diversa larghezza. Accanto all'asteroide c'era un grosso camion abbandonato, forse i Ribelli avevano l'intenzione di trasportare il pesante oggetto in un luogo più sicuro, ma il fatto più strano era il suo aspetto esterno: nonostante avesse attraversato l'atmosfera terrestre e si fosse schiantato al suolo a grande velocità, l'asteroide non si era spezzato o sgretolato, rimanendo pressoché integro. Insospettito da questo particolare un po' inquietante, Marco si avvicinò con cautela all'asteroide, per controllarlo con più attenzione.
All'improvviso, senza alcun motivo apparente, tutti i vetri dei fari esplosero e la zona cadde rapidamente in un buio profondo, creando un po' di agitazione nei quattro mercenari. Mentre migliaia di frammenti cadevano a terra, i Falchi Pellegrini si raggrupparono in un unico punto, per guardarsi le spalle a vicenda, e rimasero fermi con le armi in mano, non troppo lontani dal camion abbandonato.
Poco dopo alcune misteriose luci, pallide e contornate di azzurro, uscirono dall'asteroide e iniziarono a girare vorticosamente sopra di esso, finché non si materializzarono sei forme di vita aliene. Erano esageratamente alte e magre, con la pelle color marrone chiaro e avevano delle fattezze vagamente umane, ma al posto della testa c'era una specie di tubo, fatto di cartilagine.
Rifugiato sotto il camion, assieme alla sua squadra, il capitano Marco ordinò di aprire il fuoco, ma nessuno dei colpi sparati andò a segno perché le sei creature iniziarono a muoversi in circolo a grande velocità, diventando così dei bersagli molto difficili da colpire. In risposta a quell'attacco, gli alieni subito dopo spararono dai loro tubi delle sfere luminose, che costrinsero i Falchi Pellegrini ad abbandonare il loro nascondiglio. Erano così potenti che scaraventarono il camion a diversi metri di distanza, esplodendo come se fossero delle bombe.
Appena la situazione si calmò per qualche secondo, Eri ne approfittò per prendere la mira e sparare un paio di colpi, che questa volta andarono a segno. Quasi tutti gli alieni vennero colpiti e si ritirarono all'interno dell'asteroide, ma fuori ne era rimasto ancora uno e non voleva di certo arrendersi. Sebbene fosse solo, l'ultimo alieno iniziò a sparare una fitta raffica di sfere d'energia, sempre rotando ad alta velocità, e ciò costrinse i Falchi Pellegrini ad una breve e piuttosto disorganizzata ritirata, davanti a quello che era un vero e proprio bombardamento. Ma quel particolare movimento che praticava l'alieno per sparare aveva un difetto e Tarma lo sfruttò a suo vantaggio: finendo ad intervalli regolare nello stesso punto, il mercenario dagli occhiali scuri calcolò mentalmente quanto ci metteva il suo avversario a compiere un giro e, al momento giusto, lanciò una granata vicino all'asteroide. L'alieno non poté far nulla e fu colpito in pieno dalla bomba gettata da Tarma, che mise fine al bombardamento che aveva messo sotto pressione i suoi compagni.
Sembrava tutto finito, ma all'improvviso l'asteroide, davanti agli occhi dei mercenari, iniziò a tremare in maniera anomala. Per precauzione Marco fece indietreggiare tutta la squadra, giusto in tempo per vedere lo strato superficiale dell'asteroide rompersi, rivelando una cupola composta di un materiale simile al vetro, ma molto più resistente. L'oggetto alieno finì di tremare solamente quando la cupola fu sollevata in aria per quattro o cinque metri, sostenuta da un grosso piedistallo fatto di metallo, di forma cilindrica. Non c'erano aperture o altro che indicasse la presenza di armi in quella struttura aliena, ma poco dopo sulla cupola comparve un sottile laser verde, che prima salì verso l'alto e poi puntò verso terra, illuminando la testa di Marco. Intuendo qualcosa di negativo, il capitano si spostò velocemente di lato, evitando per un soffio un enorme e pesante monolite di pietra, che in maniera grottesca assomigliava ad una smisurata lapide scura.
Sospettando che anche gli alieni potessero avere il senso del macabro, il capitano ordinò ad Eri di sparare alla cupola, ma l'attacco durò meno del previsto: nel Rocket Lancher erano rimasti solo tre colpi e questi non riuscirono a scalfire la difesa aliena, costringendo i Falchi Pellegrini ad una nuova ritirata. Durante la fuga, Marco si mise in contatto con urgenza il Boss, per avere al più presto un nuovo supporto perché la situazione, nel frattempo, era diventata pericolosa. Le enormi lapidi di pietra cadevano sempre più numerose dal cielo e più di una volta i quattro mercenari fecero i salti mortali per schivarle. Inoltre le lapidi tendevano a sprofondare nel terreno, creando ancora più problemi ai Falchi Pellegrini, che non potevano sfuggire in eterno agli attacchi nemici.
Il Boss, ricevuta la richiesta, assicurò che entro pochi secondi sarebbe arrivata un'arma di rinforzo, ma la sua chiamata con capitano interrotta perché la situazione sul campo di battaglia divenne drammatica: Fio era rimasta incastrata tra due pietre cadute dal cielo e il laser verde si stava avvicinando alla testa della mercenaria italiana.
«Presto! Tiriamola fuori!» urlò Marco, cercando di liberare Fio dal terreno, assieme a Tarma. Nel frattempo Eri, in maniera disperata, cercò di attirare l'attenzione sparando alcuni colpi contro la cupola: «Segui me, stronzo!!! Segui meee!»
«Oh, merda! E' già qui!» fece Fio, alzando la testa e vedendo il laser che si rifletteva sugli occhiali.
«Dov'è finito il supporto?!?» gridò Tarma, scavando a mani nude pur di far scappare la compagna imprigionata.
«Eccola, eccola! E' sopra di voi!» avvertì il Boss, battendo per l'agitazione la mano destra.
Dal cielo arrivò, attaccato da un paracadute lanciato da un aereo supersonico, un contenitore bianco contenente un Heavy Machine Gun. Non era quello che Marco sperava di ricevere, ma era sempre meglio di niente.
Prendendolo al volo, il capitano aprì di corsa il contenitore metallico e prese subito in mano le munizioni. Una volta caricate nella parte posteriore dell'arma, Marco prese l'Heavy Machine Gun in mano e sparò quanti più proiettili possibile contro la cupola trasparente, nel tentativo impedire che l'ennesima roccia cadesse al suolo. All'inizio non sembrava succedere niente, la struttura stava reggendo alla raffica di proiettili, ma di colpo un grosso frammento si staccò dalla cupola, cadendo all'interno della struttura aliena, assieme ad una ventina di colpi sparati da Marco. Poco tempo dopo, mentre Fio era stata tratta in salvo da Tarma e da Eri, il capitano vide del fumo uscire dalla cupola, che ormai stava andando in mille pezzi a causa dei colpi che erano penetrati nella struttura. Tutti si aspettarono a quel punto un'esplosione piuttosto forte, data la grande energia presente all'interno, ed invece lo scoppio fu relativamente contenuto, sufficiente però a frantumare la cupola e a far cadere la struttura su cui si appoggiava, che in breve tempo si polverizzò in minuscoli granelli di roccia. Sembrò incredibile, ma appena una leggera brezza notturna soffiò sul campo di battaglia, ciò che rimaneva della struttura aliena venne spazzata via all'istante, come se non fosse mai esistita. E ciò era molto ironico, per un qualcosa che all'apparenza era indistruttibile.


Continua...

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Capitolo 12
*** Final mission - Inseguimento nella giungla ***


Capitolo 12 - Final mission - Inseguimento nella giungla -


Il lungo inseguimento, che aveva costretto i Falchi Pellegrini a girare mezzo mondo, era giunto ormai alla fine. Quasi tutte le cellule della Ribellione erano state smantellate e la vittoria del conflitto sembrava essere molto vicina, ma il Boss non voleva festeggiare prima del tempo. Dopo aver individuato l'ultima roccaforte nemica, situata in mezzo all'Amazzonia, l'uomo dalla figura sfuggente aveva chiamato con urgenza sia la ricercatrice De Angelis, che la spia Martha, per avere un supporto tecnico e morale in quelle ore che sarebbero state decisive. La prima ad arrivare nel covo segreto del Boss fu la ragazza italiana, che venne invitata ad accomodarsi proprio nella stanza che la volta precedente aveva solo intravisto.
Manuela si sedette in una postazione di fianco a quella del Boss, che per la prima volta aveva il volto parzialmente illuminato dalla luce di un neon. La ricercatrice rimase molto sorpresa nel constatare che il responsabile dei Falchi Pellegrini era molto giovane, forse addirittura avevano la stessa età.
«Funziona il suo schermo?» chiese il Boss, voltandosi verso il suo ospite.
«Eh? Sì, certo!» rispose De Angelis, visibilmente agitata. Non era abituata ad un clima di tensione come quello, ma cercò di rimanere il più possibile serena e professionale. «Questo punto rosso sullo schermo è la base nemica?»
«Per la precisione, si tratta di una piccola, ma ben attrezzata, piattaforma di lancio per razzi» spiegò il capo del Falchi Pellegrini. «Sono stati molto furbi a costruirla nel sottosuolo, ma non potevano di certo nasconderla in eterno. E poi, con tutto quel flusso di Ribelli che si sta concentrando in quel punto, era inevitabile.»
«Ma... se le cose stanno così, non c'è il rischio che i Falchi Pellegrini incontrino una forza troppo numerosa?»
«No. Sono completamente disorganizzati, tutto questo movimento non è altro che un disperato tentativo di difendersi in massa, come per negare l'evidente sconfitta che hanno subito. In realtà sono molto più preoccupato per un eventuale rischio di fuga da parte di Morden!»
«Si trova in quella base?»
«Sembra proprio di sì! Speriamo che sia la volta buona!»
«Lo spero vivamente! Se penso a quello che ha combinato... come mai il mio schermo sta caricando e non si vede niente?»
«A momenti dovrebbero arrivare le immagini della piattaforma di lancio. Bisogna solo aspettare che il satellite si trovi nella posizione giusta.»
La situazione rimase calma per un po', poi all'improvviso la porta della stanza si aprì rumorosamente, spaventando sia il Boss, che la ricercatrice. Sul ciglio si presentò la spia Martha, che per l'occasione indossava una divisa completamente viola. Era così concentrata che d'istinto fece ai presenti un saluto militare, portandosi una mano vicino alla testa.
«A vostra completa disposizione, Boss!»
«Ma sei cretina?!?» urlò l'uomo nell'ombra. Ci mise un po' a calmarsi, dopo lo spavento che aveva preso. «Ora siediti e non farmi più certi scherzi!»
«Troppa tensione ti farà solo star male, cerca di fare un bel respiro e andrà meglio» ribatté Martha, sedendosi a lato del Boss, proprio di fronte alla ricercatrice. «Ciao, cara!»
«Altrettanto!»
«Vi ricordo che non siete qui per bere un tè tra amiche...» ribadì il Boss, proseguendo poi il suo discorso. «Ho preparato tutto nei minimi dettagli e vi assicuro che stavolta non avranno scampo. Oh, come sono contento!»
La spia rabbrividì quando vide il ghigno diabolico del Boss, mentre la De Angelis rimase immobile a fissare la scena. Era evidente che aveva progettato qualcosa in grande stile e Martha preferì non rispondere all'affermazione dell'uomo seduto a capotavola, per non aumentare più del dovuto la sua follia. I presenti rimasero in silenzio per qualche minuto, finché non si sentì un segnale acustico provenire dagli schermi. Nel giro di qualche istante, sui monitor si materializzarono le immagini dal satellite, il cui colore dominante era il verde della vegetazione sudamericana.

Per avere più possibilità di sorprendere il nemico alle spalle, i Falchi Pellegrini si erano divisi in due coppie: la prima, composta dal capitano Marco e da Fio, si avviò verso l'obiettivo via aerea a bordo di un elicottero per il trasporto delle truppe, mentre la seconda avrebbe inseguito la colonna nemica via terra, su un sidecar guidato da Tarma e con Eri seduta al suo fianco.
Com'era visibile dal satellite, l'unica strada percorribile per arrivare alla base dei Ribelli proseguiva lungo i margini della foresta pluviale ed era una via sterrata, larga a malapena due corsie. Inoltre il manto stradale era irregolare e pieno di solchi, causati dal continuo passaggio di camion, ma ciò non rallentò la corsa di Tarma, che dopo aver superato un lungo tratto tortuoso, si ritrovò all'inizio di un lungo rettilineo, leggermente in discesa. Puntando lo sguardo verso l'orizzonte, l'occhio da falco di Eri intravide la sagoma traballante di un camion telato e immediatamente la mercenaria incitò il suo collega a dare gas, mentre lei avrebbe avvertito via radio il capitano, per comunicargli le coordinate della loro posizione.
Nel giro di pochi minuti, un elicottero dalla carena scura arrivò sul luogo prestabilito, sorvolando la zona e compiendo dei larghi cerchi in aria, come se fosse un avvoltoio a caccia di cibo. Una volta stabilizzato il volo, da uno dei portelloni laterali fece la sua apparizione il capitano che osservò, da una posizione ben riparata, la lunga colonna di veicoli che si muovevano sotto i suoi occhi: in tutto erano dieci camion dal telo color beige, con all'interno cinque o sei Ribelli per ogni mezzo. Com'era immaginabile, l'arrivo dell'elicottero creò molta agitazione tra i soldati nemici e i camion, di conseguenza, aumentarono la velocità di marcia, nel disperato tentativo di sfuggire ai loro inseguitori. Ma fu tutto inutile e Marco, con accanto Fio che nel frattempo si era armata di Heavy Machine Gun, diede l'ordine di attaccare la colonna nemica, proprio nel momento in cui alcuni Ribelli stavano per lanciare delle granate contro il sidecar di Tarma.
Quello che accadde negli attimi successivi fu una vera e propria catastrofe. Uno alla volta, i Falchi Pellegrini bersagliarono pesantemente i camion in colonna, che in rapida successione si fermarono ai bordi della strada, seriamente danneggiati e avvolti dalle fiamme. Il caos e il terrore creati da questo attacco furono così efficaci che un paio di mezzi, per la fretta di scappare, si tamponarono ed entrambi uscirono dalla strada a gran velocità, schiantandosi poi su alcuni alberi al margine della foresta. Quando alla fine anche l'ultimo camion, quello in testa al convoglio, fu costretto a fermarsi a causa dei danni subiti, il capitano Marco fu subito richiamato dal Boss via radio, per una nuova segnalazione: qualche chilometri più avanti c'era una seconda colonna di camion e anche questa doveva essere bloccata, prima che riuscisse ad entrare nella base nemica. Una volta avvisato anche il resto del gruppo, Tarma si impegnò ad evitare i pezzi di lamiera sparsi lungo la strada e proseguì nella direzione indicatagli.

La seconda colonna di camion si trovava in una zona più aperta rispetto a quella precedente, vicino ad un fiume che procedeva parallelo alla strada sterrata. A differenza del convoglio precedente, i mezzi che procedevano in fila erano otto e avanzavano in maniera lenta, come se fossero stati caricati al massimo.
«Eccoli!» esclamò Tarma, mettendosi in scia all'ultimo veicolo in marcia.
«Sto iniziando ad annoiarmi, è tutto così banale...» mormorò Eri, mentre inseriva un nuovo caricatore nella pistola.
Sentendo quel commento via radio, il capitano intervenne per tenere alta la motivazione dei suoi sottoposti. «Occhio! Non manca molto alla base nemica, dalla mia postazione si vede benissimo! Abbiamo poco tempo a disposizione per fermarli tutti, chiaro?»
«Come sempre!» commentò Tarma.
«E vai col tiro a segno!» disse la mercenaria giapponese esaltandosi.
In breve tempo tutti e quattro i mercenari si prepararono al secondo assalto, ma qualcosa di anomalo bloccò Tarma, che rimase a distanza dall'ultimo camion. Il militare dagli occhiali scuri aveva intravisto uno strano luccichio metallico, all'interno del cassone, e poco dopo apparve davanti ai suoi occhi increduli una grossa bocca da cannone, dello stesso tipo che usavano i carri armati dei Ribelli.
«Oh, merda!»
«Perché non tengo chiusa la mia boccaccia...» lamentò Eri.
«Toglietevi subito di lì!!!» urlò Marco in maniera disperata.
Muovendosi lentamente, il grosso cannone puntò verso il sidecar di Tarma, che tentò di schivare il colpo spostandosi sul ciglio della strada. A quella distanza difficilmente il cannone avrebbe potuto sbagliare mira, ma all'improvviso un sibilo attraversò con forza l'aria, passando sopra le teste dei due mercenari motorizzati. Appena Eri si guardò attorno per capire chi aveva sparato quel colpo, la mercenaria si accorse che il cannone nascosto nel camion era andato completamente distrutto, bucato su entrambe le pareti con una facilità impressionante.
Anche Marco, che aveva assistito dall'alto, rimase incredulo davanti a quella scena, ma poco dopo capì chi aveva salvato la pelle ai suoi sottoposti. Lungo il fiume che costeggiava la strada, era apparsa la sagoma della Black Lagoon, la barca dei mercenari con cui il Boss aveva fatto un patto tempo fa. A sparare il proiettile che aveva trapassato il cannone nemico era stata Revy, che sdraiata sul torretta della barca si stava ancora godendo il disastro da lei stessa creato.
«Che mi venisse un colpo!» ammise Marco, quasi sorridendo per lo scampato pericolo.
«Porca troia! Quella pazza ha in mano un fucile anticarro calibro 50!» commentò Tarma. «Se sbagliava mira, mi portava direttamente all'altro mondo.»
«Bello! Perché non ne abbiamo uno?» criticò Eri.
«Perché dobbiamo viaggiare leggeri, quell'affare peserà almeno venti chili!» rispose Fio, come se volesse inventarsi una scusa.
«Mi sentite da lassù? Mi ricevete?» domandò una voce alla radio del capitano Marco. Era Dutch, il capo dei mercenari della Lagoon Company.
«Forte e chiaro! Siete arrivati giusti in tempo, ma ora dobbiamo muoverci. Ci incontreremo più avanti, all'entrata della base ribelle!»
«Nessun problema!»
«Perfetto!» esclamò Revy, dopo aver sentito il discorso alla radio e sistemando il cavalletto bipede che sosteneva il suo fucile. «La caccia continua...»

Com'era accaduto in precedenza, anche il secondo convoglio di camion fu travolto dalla potenza di fuoco avversaria, nonostante la presenza di altri cannoni nei mezzi seguenti a quello colpito per primo. A quel punto la strada per la base missilistica era libera da ostacoli, ma ciò non voleva dire che i pericoli per i Falchi Pellegrini fossero finiti lì. Poco dopo, infatti, un elicottero con il simbolo dei Ribelli sulla fiancata si alzò in aria e puntò contro il capitano Marco, che per difendersi si appiattì contro la parete interna del mezzo militare.
«Ma chi cazzo è adesso?» lamentò Marco.
«Credo di aver capito di chi si tratta» affermò Fio, osservando una faccia nota mentre teneva in mano una pesante mitragliatrice. «E' Allen O'Neil. Ed è veramente incazzato!»
«Ora non c'è tempo di stare al suo gioco! Fio, passami subito la scatola bianca in fondo all'elicottero!»
Mentre l'italiana si affrettava per recuperare l'Enemy Chaser, un piccolo lanciarazzi a ricerca termica, il capitano rimase attaccato al muro, guardando con la coda dell'occhio O'Neil che sparava una raffica di proiettili dietro l'altra verso l'elicottero dell'Esercito Regolare. Tra una sparatoria e l'altra, il secondo di Morden si sentiva così gasato che continuava a gridare frasi di sfida, come «Come on, boy!» e «You are mincemeat!»
Ad un certo punto però il capitano Marco prese l'iniziativa e in tutta fretta afferrò l'Enemy Chaser e se lo caricò sulle spalle, sparando tre colpi in rapida sequenza in un momento di pausa di O'Neil. I tentativi dell'uomo forzuto di incitare il pilota del suo elicottero a schivare quei razzi furono inutili: nel giro di pochi secondi, il mezzo nemico fu colpito in pieno per tre volte di fila, costringendolo ad una lenta, ma inarrestabile caduta sulla foresta sottostante. Ormai sconfitto, l'unica cosa che Allen O'Neil poteva fare era gridare, con tutta la forza che aveva, contro il suo nemico di sempre: «See you in hell!»
«E anche questo è stato zittito, una volta per tutte. O almeno lo spero...» mormorò Marco, tirando un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo.
«Ci conviene trovare subito un punto per atterrare, capitano» intervenne Fio. «Gli altri saranno già dentro la base.»
«Quasi sicuramente!»

Una volta scesi a terra, Marco e Fio corsero oltre il recinto che circondava la base, ormai priva di difese. Solo poche decine di Ribelli erano rimasti nell'area della base, tutti radunati attorno all'eliporto che, forse, rappresentava per loro l'ultima via di fuga. A tenerli sott'occhio, dietro alcune casse di legno raggruppate in una piazzetta, c'erano il resto dei Falchi Pellegrini e i due mercenari della Lagoon Company, con Revy che aveva tutta l'intenzione di usare le sue doppiette contro i superstiti.
«Non essere troppo sicura di sé, Revy!» richiamò Dutch, tenendo saldamente tra le mani un fucile a pompa. «Quei tizi sono così disperati che ti spareranno a vista, meglio rimanere nascosti per il momento. E poi, non possono scappare da nessuna parte.»
«Non diciamo cazzate...» borbottò Revy, ormai impaziente di intervenire. «Datemi due minuti e giuro che qui sarà più silenzioso di un cimitero!»
«Tu rimani lì perché te lo ordino io!» affermò Marco, puntando l'indice verso la ragazza. «Noi stiamo cercando il leader e lo vogliamo vivo, chiaro?»
«Che...»
Prima che la situazione degenerasse, Dutch intervenne per calmare Revy, con voce ferma. «Ora datti una regolata! Il loro capo ci paga, quindi si fa come dicono i signori! Capito il concetto?»
Per non replicare alle parole del mercenario nero e per sfogare la sua rabbia, Revy rimase zitta e tirò un calcio ad una delle casse presenti dietro di lei. Di colpo, prendendo tutti di sorpresa, dalla cassa appena colpita dalla mercenaria uscirono i tre membri dell'Across, quelli incontrati sulle montagne siberiane qualche giorno fa. La situazione era diventata imbarazzante, soprattutto per gli ultimi arrivati, ma un evento all'improvviso attirò l'attenzione dei Falchi Pellegrini.
Sulla pista dell'eliporto un alto ufficiale alto e di media corporatura si era fatto largo tra i suoi uomini, salendo velocemente su uno dei pochi elicotteri ancora disponibili. Notando i baffoni e la benda sull'occhio destro, Marco lo riconobbe all'istante: era il generale Morden, il capo dei Ribelli che da mesi stava inseguendo e che, a detta di molti, era scomparso nel nulla. Com'era prevedibile, Morden stava tentando la fuga con i pochi Ribelli rimasti al suo fianco, ma Marco glielo avrebbe impedito ad ogni costo. Con un attacco fulmineo, il capitano ordinò ai suoi sottoposti e ai suoi alleati di aprire il fuoco contro i Ribelli, proprio nel momento in cui l'elicottero con a bordo Morden si era sollevato in volo. Temendo che per l'ennesima volta il loro principale nemico scappasse, proprio quando erano a pochi passi da lui, Tarma trovò una soluzione per bloccare l'elicottero. Notando una mitragliatrice fissa a lato dell'eliporto, il mercenario dagli occhiali scuri vi si avvicinò e iniziò a sparare verso la coda dell'elicottero nemico, per costringerlo ad un atterraggio forzato. In risposta, Morden provò a rispondere al fuoco con un bazooka che aveva con sé, ma l'improvviso scoppio delle pale posteriori resero vano il suo tentativo di fuga e l'elicottero cadde pesantemente al suolo, generando panico tra le linee nemiche.
Il capitano Marco, mentre vedeva tutto ciò, rimase a metà strada tra l'incredulo e l'entusiasta, quasi non riusciva a crederci di aver finalmente preso Morden e stava per abbracciare Fio, ma la sua gioia durò poco. Sopra le teste dei presenti, si radunarono in breve tempo numerosi oggetti volanti che sorvolavano la zona dell'eliporto, al cui interno erano visibili delle forme di vita simili alle meduse, alti all'incirca come un essere umano. Rimasero immobili sopra l'eliporto per un po', finché al centro dello sciame di veicoli volanti non se ne presentò uno più grosso, dall'aspetto argenteo e di forma sferica, con un bordo che correva lungo la circonferenza. Per rimanere sospeso in aria girava su se stesso e per qualche secondo si stabilizzò sopra l'elicottero abbattuto da Tarma, esattamente nel punto in cui il generale Morden era caduto a terra. A quel punto era evidente che lo scontro finale era tutt'altro che finito, anzi, era appena iniziato.


Continua...

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Capitolo 13
*** Final mission - L'attacco all'astronave madre ***


Capitolo 13 - Final mission - L'attacco all'astronave madre


Quello che accadde nei minuti successivi, nella base missilistica, sconvolse completamente i piani del Boss, che in silenzio rimase a fissare il monitor che aveva davanti a sé. Prima scoprì che Morden in realtà era un alieno che aveva assunto i suoi lineamenti e poi, senza che i Falchi Pellegrini potessero intervenire, vennero rapite quattro persone e trasportate a forza dentro l'ufo che roteava sopra la base, usando dei particolari raggi a forma di anello. Il primo dei rapiti fu Tarma, poi a seguire Hyatt e Revy, con quest'ultima che provò in tutti i modi a liberarsi, e per finire fu prelevato anche Rock, che per tutto il tempo era rimasto nascosto nella barca di Dutch. Ma il giapponese, a differenza degli altri, fu rapito da Keroro e dal suo plotone, che subito dopo si unirono al resto degli alieni, che in un batter di ciglio scomparvero nel cielo.
«Ma perché deve sempre andare tutto storto?» disse il Boss, coprendosi la faccia con le mani. «Cosa ha fatto di male nella vita?»
«Forse in una vita precedente avevi combinato delle malefatte indicibili!» affermò Martha.
«Mi sta venendo il dubbio che tu abbia ragione!»
Demoralizzato, il Boss si lasciò cadere sulla sedia e appoggiò una mano sotto il mento, per sorreggere la testa. In quel momento notò che la ricercatrice italiana stava osservando con attenzione uno dei monitor, in cui erano visibili alcune sezioni di navicelle depositate in un angolo della base missilistica.
«Che hai visto di così interessante?» chiese il Boss, rivolgendosi alla ricercatrice.
«Bhe, direi qualcosa di molto familiare!»
«In che senso?»
«Senza scendere troppo in dettagli, ti posso dire che quei modelli di navicella spaziali li conosco molto bene. Non sai quante simulazioni ho fatto con quegli affari, credo di aver perso il conto!»
«E li sapresti far funzionare?» insistette l'uomo nell'ombra.
«Ovviamente!» ribatté la ricercatrice, quasi infastidita da quella domanda. «Per me è come usare il forno a microonde di casa mia.»
«Questa è una grande notizia!» esclamò il Boss, ritrovando la grinta che sembrava persa dopo il rapimento di Tarma. «Mi è venuta in mente una bella idea!»
«Incrociamo le dita!» commentò Martha. Appena sentì queste parole, il Boss fece degli scongiuri con le mani, non molto graditi alla spia che lo fissò storto per un bel pezzo.

Senza perdere altro tempo, il capitano Marco e ciò che rimaneva dei Falchi Pellegrini si precipitarono per salire a bordo di tre piccole navicelle, ognuna predisposta ad ospitare un passeggero. Essendo una base di ultima generazione, tutte le procedure per il lancio dei veicoli spaziali era automatizzate e per il Boss fu molto facile collegarsi al sistema informatico, ormai abbandonato a se stesso, e avviare i meccanismi presenti, lasciando poi il resto delle operazioni a De Angelis, che in breve tempo preparò le tre navicelle per la rampa di lancio. Nonostante tutto si svolse senza problemi, al capitano sorsero dei dubbi sull'affidabilità dei mezzi: l'idea di trovarsi in cima ad un razzo lo metteva a disagio, anche perché non poteva di certo scendere, se qualcosa andava storto!
Per rassicurarlo un po', la ricercatrice spiegò che la sicurezza e la robustezza dei mezzi era sopra la media, elencando una lista quasi infinita di dati, e poi aggiunse che si sentiva emozionata all'idea di lanciare in orbita contemporaneamente ben tre razzi, come se stesse leggendo un racconto yaoi inedito. A quel punto Marco, assai preoccupato, iniziò a sospettare che la ricercatrice fosse una specie di scienziata pazza, con la mania della missilistica...
Finiti gli ultimi controlli i tre razzi, con boato assordante, si staccarono da terra con una potente fiamma e si alzarono in aria, raggiungendo in pochi secondi una velocità impressionante. Un minuto dopo i tre mercenari dei Falchi Pellegrini si trovavano già nella parte più alta della stratosfera, mentre nella base missilistica si stavano preparando altri voli spaziali; i Ribelli superstiti, ipotizzando che il loro comandante fosse stato rapito dagli alieni, partirono in massa per raggiungere l'ufo visto in precedenza. Approfittando di quel caos, Dutch, Excel e il Palazzo si mimetizzarono tra le fila nemiche e salirono a bordo delle navicelle rimaste, allo scopo di liberare i loro rispettivi compagni.
Col passare dei minuti, i vettori che spingevano i tre razzi di testa si staccarono uno alla volta, sempre sotto gli occhi attenti di Manuela che sembrava ipnotizzata davanti a quella staffetta spaziale, e una volta fuori dall'atmosfera terrestre, Marco e il resto della squadra presero i comandi delle navicelle, con la ricercatrice che spiegò velocemente come usare le leve presenti a bordo. Dopo aver superato una fascia di detriti metallici, ciò che rimaneva delle missioni spaziali degli anni scorsi, il capitano intravide sopra di sé una sagoma rotonda: era identica a quella dell'ufo che pochi minuti prima aveva rapito Tarma.
Senza pensarci due volte, Marco ordinò di aprire il fuoco contro l'oggetto volante, che pochi attimi dopo liberò dallo sportello inferiore alcuni mini-ufo trasparenti, da cui si intravedeva le forme di vita tentacolari. Le armi a disposizione delle navicelle terrestri, una variante dell'Heavy Machine Gun leggermente più potente e con doppia canna da fuoco, non lasciarono scampo ai nemici e nel giro di qualche minuto furono distrutti sia i mini-ufo, sia la navicella da cui erano usciti. La potenza di fuoco era così incredibile che anche un secondo attacco alieno, sempre portato da un'astronave sferica simile alla precedente, fu stroncato sul nascere, costringendo un terzo mezzo spaziale ad una rapida ritirata verso l'alto.
Determinato più che mai a ritrovare il suo compagno rapito, il capitano iniziò a tallonare la navicella in fuga, seguito a ruota dalle altre due mercenarie, ma all'improvviso Marco si bloccò di colpo, lasciandolo a bocca aperta per diversi secondi. Davanti a sé intravide un'enorme struttura che oscurava gran parte del cielo, dall'aspetto metallico e di color grigio scuro. Era così perfettamente mimetizzata con l'oscurità dello spazio che solo avvicinandosi era possibile identificarla, persino i satelliti più moderni erano stati ingannati da quella copertura così sofisticata.
«Ma che...» esclamò il Boss, non meno sbalordito di Marco alla vista di quella struttura aliena.
«Suppongo che quella sia la base d'appoggio aliena» disse Manuela, paradossalmente rilassata. «O astronave madre, dipende.»
«Ma quanto è grosso quell'affare?» chiese la spia Martha.
«Ad occhio, almeno una decina di chilometri. O forse di più, è difficile per la mente umana concepire una struttura del genere. All'interno potrebbe esserci migliaia o decine di migliaia di forme di vita, è come se un'intera città fluttuasse sopra l'atmosfera terrestre.»
«Tutto ciò è semplicemente assurdo!» replicò il Boss. «La gente si impaurisce quando sente parlare di asteroidi che potrebbe sfiorare la Terra e adesso c'è un’astronave grande diversi chilometri sopra le nostre teste! Saremmo già nel caos più completo, se la notizia fosse trapelata.»
«Questo fa capire quanto siamo vulnerabili...» affermò Martha.
«Ma adesso basta con i commenti filosofici! Bisogna trovare un modo per entrare!»
Nel frattempo i Falchi Pellegrini aveva raggiunto la navicella aliena che gli era sfuggita, nei pressi di un’apertura circolare sul fondo dell'astronave madre. Quello del mezzo spaziale a forma di sfera sembrava una ritirata piuttosto frettolosa, ma in realtà era una contromossa per respingere gli inseguitori: agganciandosi al bordo dell'apertura, grazie ad un sistema ad incastro, la navicella nemica si trasformò in un cannone di grosso calibro, da cui usciva un potente raggio laser bluastro. Non fu facile evitare quell'arma, ma grazie ad attacco combinato delle loro mitragliatrici, i Falchi Pellegrini riuscirono a distruggere la navicella aliena, che andò in mille pezzi. Subito dopo i tre mercenari notarono che davanti ai loro occhi si era aperto un lungo tunnel, che saliva verso il cuore dell'astronave madre, e immediatamente Manuela invitò la squadra a percorrerlo a tutta velocità, nonostante la luce fosse molto scarsa.
La ricercatrice, per tranquillizzare il capitano, spiegò che l'unico modo per entrare era quello di sfondare la parete in fondo al tunnel, sfruttando il muso della navetta come ariete, essendo quest'ultimo più rinforzato rispetto al resto della struttura. Incitato anche dal Boss a proseguire, Marco mormorò a denti stretti qualcosa di incomprensibile, prima di gettarsi nel tunnel insieme alle altre due mercenarie.

Una volta trovato il passaggio per entrare, le comunicazioni con i Falchi Pellegrini rimasero chiuse per diversi minuti e questo fatto preoccupò non poco il Boss, che inutilmente provò a farsi vivo via radio. Secondo la ricercatrice, una delle possibili spiegazioni al problema era che il segnale era bloccato dal tunnel stesso, la cui lunghezza poteva essere anche di svariati chilometri. Questo momento di tensione per fortuna duro poco e di colpo un urlo spezzò il silenzio radio; era Marco, che con un terribile botto si era appena schiantato contro la parete superiore del tunnel, seguito a ruota da altri due colpi dal rimbombo molto simile.
«Voi siete dei pazzi...» lamentò il capitano, mentre stava tentando di uscire dalla navetta. «La prossima volta io mi nascondo nel bunker e il piano assurdo lo fate voi!»
«Smettila di lamentarti e cerca un punto per entrare!» ribatté il Boss.
«Anch'io sono felice di risentirti, Boss!» disse Fio, con un tono di voce molto sarcastico per sottolineare il fatto che nessuno aveva chiesto come stava dopo l'impatto.
Nel frattempo Eri aveva un calcio allo sportello ed era uscita dalla navicella, scendendo per prima sull'astronave aliena. «Spero che qui la temperatura sia decente! Quel guscio era un forno!»
Per fortuna della mercenaria bionda, e del resto del gruppo, il clima all'interno era pressurizzato e riproduceva quello presente sulla Terra, sia per temperatura, sia per umidità. La stanza in cui i Falchi Pellegrini si ritrovarono aveva un aspetto metallico, col soffitto molto alto ed era completamente vuota, a prima vista ricordava vagamente un capannone o un hangar. Le uniche cose sospette in quel luogo, come notò Fio, erano un lungo fascio di fili verdognoli che correva attaccato alla parete, la cui natura era sconosciuta, e alcuni oggetti rossi di forma rotonda che comparivano ad intervalli regolari su quell'ammasso di fili, come se fossero degli occhi artificiali. Marco si soffermò qualche secondo per analizzare da vicino quella curiosa struttura, ma all'improvviso un urlo di paura richiamò l'attenzione dei tre mercenari, che immediatamente si misero a correre per scoprire chi era in pericolo.
Usciti da quell'enorme stanza, i Falchi Pellegrini entrarono in un ambiente simile al precedente, ma col soffitto più basso, e in lontananza videro qualcuno trascinato a forza dai cinque alieni rana, che i mercenari avevano già incontrato nel quartiere giapponese. Il poveretto coinvolto contro il suo volere era Rock, ed era veramente disperato.
«Basta!!! Io non so niente!»
L'alieno rosso, di nome Giroro, si avvicinò al ragazzo steso a terra e puntò la pistola contro le parti basse. «Parla o ti incenerisco le palle!»
«E chi sei? La reincarnazione aliena di Rambo?» intervenne ad alta voce Marco, prendendo di sorpresa i cinque alieni.
«Ma-ma-ma come avete fatto ad arrivare fin qui?» balbettò il leader Keroro, il più spaventato del gruppo.
«Abbiamo preso un passaggio...» ironizzò Eri, con la pistola in mano. A quel punto si verificò una situazione di stallo: tutti erano pronti a sparare, ma nessuno osava attaccare per primo e negli attimi successivi ci fu una lunga serie di occhiate, che fecero alzare ancora di più la tensione.
«Non sparate! Non sparate fino a nuovo ordine!» intimò il capitano dei Falchi Pellegrini, cercando di mantenere calmi i suoi.
«Che facciamo, sergente?» chiese l'alieno nero di nome Tamama, ansioso di attaccare quanto Giroro.
«Sergente, vi ricordo che avete solo due opzioni da scegliere» mormorò Kururu all'orecchio dell'alieno verde, con tono ambiguo. «O date l'ordine di attaccare o ci arrendiamo!»
Keroro era completamente spiazzato e non sapeva cosa fare, ma ad un certo punto la situazione sembrò peggiorare per i Falchi Pellegrini. Nel giro di pochi secondi, nella stanza arrivarono un gran numero di alieni medusa, tutti armati e pronti a liberarsi degli intrusi appena possibile.
«Sergente, è il momento di decidere!» gridò Giroro, voltandosi verso il suo superiore. «Ora o mai più!»
«NO!!!» urlò l'alieno verde, in piena crisi di coscienza. «Non è giusto! Tutto sommato, i pekoponiani ci hanno trattati bene, a parte qualche eccezione... non me la sento di attaccarli senza un giusto motivo! Capite, vero?»
A quel punto Keroro si voltò verso i suoi alleati, ma quest'ultimi, contrari alla sua decisione, puntarono le loro armi contro di lui e il suo plotone.
«Bastardi! Siete solo dei bastardi!» urlò Giroro, mentre Keroro rimase in silenzio ed iniziò a sudare freddo. La punizione per il tradimento del plotone sarebbe stato esemplare, ma ci fu un colpo di scena: alle spalle di Fio ed Eri si sentirono prima delle esplosioni e poi delle grida di battaglia, che attirarono l'attenzione di tutti. Erano i Ribelli che, dopo un lungo viaggio spaziale, erano riusciti a sfondare le difese nemiche e ora stavano cercando di salvare il loro comandante rapito. Approfittando di quel momento di distrazione, Marco ordinò di sparare contro gli alieni medusa, che non fecero in tempo a rispondere al fuoco e vennero distrutti in pochi secondi. Così facendo, avevano anche di fatto salvato Keroro e il suo plotone, che a quel punto era in debito con i Falchi Pellegrini.
«Grazie! Grazie pekoponiano! Senza il vostro...» accennò l'alieno verde, che però fu bruscamente interrotto da Marco.
«Smettila! Dimmi subito dove si trova Tarma!»
«Va bene! Però non arrabbiarti!»
Nel frattempo Fio intravide tra le file dei Ribelli due facce note, che velocemente si staccarono dal gruppo principale per unirsi a quello di Marco: erano Dutch e Il Palazzo.
«Finalmente vi abbiamo ripreso!» commentò il mercenario di colore. «Credevate di esservi liberati di me, eh?»
«Felice di vederti, bestione!» ribatté Eri, contenta per l'arrivo dei rinforzi.

Scavalcata la prima linea nemica, nonostante l'assalto dei Ribelli fosse alquanto confusionario, la squadra guidata da Marco si fece largo tra i nemici e seguì le indicazioni di Keroro, che portarono ad un tunnel che portava nella zona più interna dell'astronave madre. Il passaggio era alto poco meno di un metro e per entrarci bisognava camminare carponi, quindi Marco chiese ai suoi alleati di tenere d'occhio la zona, sebbene la battaglia all'interno dell'astronave era divampata in maniera violenta. Trovato l'accordo, Marco e le due mercenarie dei Falchi Pellegrini si prepararono ad entrare, ma non prima di aver sentito le raccomandazioni degli alieni rana, che li misero in guardia sui possibili pericoli presenti aldilà del tunnel.
Una volta arrivati dall'altra parte, Marco si rese conto di essere fino in luogo completamente diverso rispetto a prima: le pareti non erano metalliche, bensì erano costituite da uno strano materiale poroso ed erano completamente circondate da filamenti di diverse dimensioni, che rendevano l'avanzata più difficile del previsto. A rendere ancora più inquietante quella situazione fu una successiva chiamata della ricercatrice Manuela, che aveva da poco elaborato i primi dati sull'astronave madre: sembrava quasi impossibile, ma al centro della immensa struttura aliena c'era un ammasso biologico che controllava l'intera costruzione e i Falchi Pellegrini vi erano finiti al suo interno. I tre mercenari erano giunti, senza giri di parole, nel cuore pulsante dell'astronave aliena, che poteva definirsi un essere vivente a tutti gli effetti.
Lasciandosi alle spalle le voci sconvolte della ricercatrice e della spia Martha, il capitano e i suoi sottoposti proseguirono il loro cammino in mezzo a quel intreccio di filamenti per qualche metro, finché non trovarono il punto d'origine di tutti quei cavi. In una posizione rialzata c'era una grossa massa color marrone, simile ad una testa aliena, sormontata da una cupola di vetro dalla quale era visibile una specie di mente artificiale, dalla quale partiva moltissimi cavi grigi. Tutto quell'enorme peso era sostenuto da una base metallica, a cui dei grossi filamenti, quasi dei grossi tentacoli, vi erano attaccati per dare più stabilità a ciò che rendeva funzionante l'intera astronave. Era una specie di computer centrale alieno e appena vide gli intrusi, i suoi occhi gialli iniziarono ad agitarsi, come infastidito da quelle presenze.
Delineato cosa aveva di fronte a sé, Marco diede un ordine secco e preciso: demolire quel posto con tutto quello che avevano, per indebolire in maniera irreparabile l'astronave madre. Ma proprio nel momento in cui il capitano e il resto del gruppo erano pronti a sganciare alcune granate, i tre notarono che sopra la cupola di vetro si stavano concentrando un numero sempre maggiore di particelle d'energia, che in pochi attimi crearono una grossa sfera luminosa. Temendo qualcosa di pericoloso, Marco e gli altri lanciarono le granate a terra e poi velocemente si gettarono a terra, proprio nel momento in cui la sfera d'energia venne scagliata contro di loro.
Il pavimento sotto i tre mercenari tremò per diversi secondi, poi sentirono distintamente le granate che esplodevano nei pressi del centro di controllo alieno, che fecero sobbalzare ulteriormente la zona in cui si trovavano. Gli effetti delle esplosioni furono devastanti: molti filamenti erano stati recisi e uno strano liquido verdastro usciva a getto continuo dai cavi danneggiati, esattamente come succederebbe con una ferita piuttosto profonda.
Una volta costatato che tutti e tre erano riusciti a mettersi in salvo, Marco si rialzò in piedi e con uno scatto raggiunse il tunnel da cui era passato, incitando Eri e Fio ad andarsene al più presto da quel posto. La loro missione non era ancora finita, doveva ancora ritrovare gli ostaggi, tra cui spiccava il nome di Tarma.


Continua...

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Capitolo 14
*** Final mission - La grande fuga ***


Capitolo 14 - Final mission - La grande fuga


Mentre i Falchi Pellegrini erano impegnati nel cuore dell'astronave madre, i Ribelli rimasti cercarono di respingere il contrattacco alieno con tutto quello che avevano a disposizione, cercando di mantenere la posizione conquistata. Nel frattempo Dutch rimase di guardia al tunnel come promesso, rimanendo però sorpreso dall'abilità dei suoi momentanei alleati: nonostante fossero vestiti in maniera bizzarra, Il Palazzo stava dimostrando di avere una buona mira con la pistola, mentre la ragazza dai capelli arancioni aveva un calcio volante davvero niente male, che aveva denominato "Excel Kick". Almeno si rese utili, a differenza di Rock, che per tutto il tempo era rimasto nascosto dietro al massiccio mercenario di colore.
All'improvviso, proprio quando Marco faceva capolino dal tunnel, una forte scossa agitò l'astronave per qualche secondo, simile a quella di potente terremoto.
«Ehi!» fece Dutch, tenendosi con una mano al muro. «Ma che cazzo avete combinato là dentro?»
«Diciamo che il computer centrale adesso è fuori uso...» spiegò Marco, seguito poco dopo dalle altre due mercenarie. «E non credo che sia riparabile!»
«Non c'è il rischio che precipiti tutto, vero?»
«Speriamo di no! Non so neanche se c'è una cabina di pilotaggio su questo affare!»
«Ci sono novità da queste parti?» domandò Eri, cercando di mettersi in disparte dallo scontro in corso tra Ribelli e alieni. A rispondergli fu Il Palazzo, che nel frattempo trascinò con sé Excel, che era troppo esposta al fuoco nemico.
«E tu smettila di saltare in giro come una cavalletta! Non posso perdere un altro membro dell'Across in questo momento, però in altre circostante ti avrei lasciare correre tranquillamente...»
«Ehi, tendone da circo!»
«Cambiando discorso, ho notato che da un po' di tempo gli alieni stanno rafforzando le difese su quella specie di porta sigillata. Forse c'è qualcosa di importante là dietro.»
«Interessante!» esclamò la bionda «Qui ci servirebbe un'altra azione di forza!»
«Se le cose stanno così, allora prepariamoci!» ordinò il capitano, che iniziò subito a frugare nel suo zaino.

Con il lancio simultaneo di tre granate, ben presto i Falchi Pellegrini si fecero largo tra i nemici che li sbarravano la strada, riuscendo anche a sfondare la porta che stavano proteggendo. La via era libera, ma Marco preferì proseguire con estrema prudenza, voleva evitare di finire in qualche trappola aliena.
La stanza in fondo al corridoio era buia e di forma allungata, l'unica luce presente era bluastra e si estendeva su una parte del muro laterale, come se qualcuno avesse acceso il monitor di un computer. Una volta verificato che non c'erano pericoli, Marco si avvicinò lentamente alla porta strisciando lungo la parete e poi entrò nella stanza di scatto, segnalando poi al resto del gruppo che potevano seguirlo. Nel frattempo gli alleati dei Falchi Pellegrini rimasero fuori dalla stanza, perché nonostante la scossa di prima avesse spaventato la maggior parte degli alieni medusa, alcuni di loro erano rimasti, nel disperato tentativo di dare tempo ai loro simili di riorganizzarsi.
Procedendo nella stanza buia con passo leggero e leggermente chinato in avanti, ad un certo punto Marco sentì delle grida, a suo udire umane. Erano intervallate da continue scariche elettriche e dopo un po' intravide qualcuno attaccato ad una specie di pannello verticale, che stava cercando di liberarsi da quella che sembrava un tavolo delle torture. Indossava solamente un paio di boxer ed era saldamente legato ai polsi e alle caviglia, ma la cosa che sorprese di più Marco fu l'identità di quell'uomo: era il generale Morden. Era quasi indeciso se liberarlo o no, ma di colpo lui e il resto del team fu assalito da un paio di alieni meduse, che li costrinsero ad una breve ritirata. A differenza di quelli incontrati in precedenza, questi erano bianchi e sembravano avere delle armi più potenti, che sparavano delle particelle ad altissima velocità. Marco e i suoi erano completamente disorientati da questo improvviso assalto, ma per loro fortuna in loro sostegno intervenne il plotone di Keroro, che si oppose ai nuovi nemici. Il primo ad intervenire fu Dororo, quello color azzurro, che respinse i colpi degli alieni medusa con una katana proporzionata alla sua altezza, poi fu il momento di Giroro, che tramite la sua arma a ripetizione, bloccò gli avversari sul posto, agevolando così l'intervento di Tamama che, con una sfera d'energia lanciata dalla bocca, centrò in pieno l'alieno albino più vicino a lui. Quello rimasto provò a mettersi in salvo, data la netta inferiorità numerica, ma fu colpito in pieno da Fio, che gli sparò esattamente in mezzo agli occhi.
Dopo aver fatto i complimenti alla sua sottoposta per la mira, Marco strappò alcuni fili attaccati al pannello e posizionò Morden sul pavimento, visibilmente in affanno. Il capitano quasi non riusciva a crederci di aver finalmente ritrovato il suo acerrimo nemico, dopo tanti mesi al suo inseguimento, ma quel momento di gioia durò poco, aveva fretta di salvare gli ostaggi rapiti in precedenza e chiese al generale delle informazioni. E in quella situazione quel vecchio volpone di Morden, sospettando che c'erano altre persone rapiti a bordo, incominciò a trattare con Marco, proponendogli una sorta di scambio.
«Sarei ben felice di indicarti il luogo in cui ricordo di aver visto gli ostaggi, ma voglio qualcosa in cambio... una scappatoia da questa astronave!»
«Che cosa?!?»
«In altre parole, capitano Marco, la possibilità di andarmene indisturbato da qui. Mi sembra una proposta più che ragionevole e poi si ricordi che non ha molto tempo a disposizione!»
L'idea di vedersi sfuggire nuovamente Morden da sotto il naso lo mandò in bestia, ma non poteva nemmeno rischiare di cercare Tarma alla cieca e quindi per questo motivo il capitano dei Falchi Pellegrini accettò il patto del generale, che velocemente indicò la direzione da seguire e poi, nonostante la camminata piuttosto incerta, si allontanò dal gruppo, sparendo oltre la porta.

Il luogo indicato da Morden aveva un aspetto irreale, sembrava quasi un enorme organo interno: tutte le pareti avevano una consistenza quasi molle, simile alla carne anche per il suo colore rossastro, e ogni tanto spuntavano dei grossi orifizi, la cui origine era sconosciuta. Camminarci all'interno era tutt'altro che piacevole, ma stranamente al momento il posto era sgombro, sembrava completamente abbandonato a se stesso. Ma ad un certo punto una serie di strani rumori uscirono dagli orifizi e questo fatto mise in allarme tutti i presenti, che si bloccarono di colpo ai piedi di una depressione.
«Che sta succedendo?» domandò Eri, guardandosi attorno alla ricerca di un possibile nemico. «Mi sembra di essere finita in uno stomaco enorme!»
Kururu, alieno rana color giallo, ridacchiò a denti stretti. «Ih ih ih ih! Lo hanno fatto sul serio...»
«Cos'hanno fatto, sergente maggiore?» chiese Keroro.
«I nostri ex alleati, ormai possiamo definirli così, avevano un progetto molto interessante da provare sugli ostaggi. Sono sorpreso che siano riusciti a farlo, in così poco tempo!»
«Ma di cosa stai parlando?»
«Cloni, sergente.»
All'improvviso gli orifizi iniziarono a vibrare e da essi uscirono a getto continuo un numero imprecisato di persone, che in breve tempo circondarono l'intera zona. La maggior parte dei cloni si concentrarono aldilà della depressione, in un punto leggermente più alto rispetto a quello del gruppo, e davanti a tutti si presentarono almeno una ventina di copie di Revy, che rispetto all'originale avevano la pelle verdognola. Tutte quanti i cloni della mercenaria avevano un sorriso diabolico e questo non era per niente un buon segno...
«AHHH! MORIREMO TUTTI!!!» gridò Rock, cadendo a terra e indietreggiando.
«No! E' la fine!» urlò a sua volta Keroro, che si riparò in fretta e furia dietro i suoi commilitoni.
«Ci sono pure i cloni di Tarma e di quell'altra ragazza!» commentò Marco, notando che il gruppo di cloni si stava avvicinando sempre di più.
«Oh, povera Hyatt...» mormorò Excel, triste per come avevano trattato la sua compagna. «Già di solito non hai una bella cera, ora se pure verde!»
«Ragazzi, sparate a raffica o siamo finiti!!!» ordinò Eri, che fu la prima del gruppo ad attaccare.
Nel giro di pochi secondi il gruppo si rese conto che, nonostante il gran numero di nemici, i cloni agivano senza una tattica ben precisa e ben presto uno dopo l'altro furono abbattuti, con molta facilità. L'unico inconveniente durante lo scontro fu l'attacco dei cloni di Hyatt, che sparavano un getto di sangue verde di grande potenza, ma alla fine anche quest'ultimi furono eliminati a colpi di proiettili.
«Non ci credo che ne siamo usciti vivi!» affermò Rock, ancora sudato per lo spavento.
«Per nostra fortuna, i cloni di Revy non valevano neanche l'unghia dell'originale! Ci è andata di lusso, sennò eravamo nella merda!»
«Si vede che il progetto era ancora in fase sperimentale...» ipotizzò Kururu, che immediatamente fu preso e sollevato per il collo da Eri, che era piuttosto infuriata.
«Potevi anche dircelo prima che qui c'erano dei cloni!»
«Ferma!» gridò l'alieno giallo, quasi soffocando. «Non è ancora finita, dobbiamo eliminare il meccanismo che produce i cloni!»
«Che cosa?»
«Se non ci sbrighiamo, saremo di nuovo invasi da cloni. E stavolta potrebbero essere di gran lunga più numerosi di prima!»
Trovare in fretta gli ostaggi, e di conseguenza il meccanismo che produceva i cloni, sembrava un compito assai difficile, ma alla fine si rivelò più semplice del previsto: in una zona remota di quell'ambiente, dopo aver superato la depressione, Fio intravide tra alcuni ammassi uno strano bagliore metallico e d'istinto si avvicinò per osservarlo meglio. Quel luccichio proveniva da una porta blindata, un elemento che risultava sospetto in quel posto, e immediatamente richiamò l'attenzione degli altri. Senza pensarci su due volte, il capitano sfondò la porta con una granata e subito dopo la oltrepassò, seguito dal resto del gruppo.

Il nuovo ambiente in cui i Falchi Pellegrini erano giunti era simile a quello incontrato in precedenza, ma era nettamente più piccolo e stretto, c'era giusto lo spazio sufficiente al gruppo di muoversi, e il pavimento era molto più irregolare, con cunette e avvallamenti che si sviluppavano in ordine sparso. Ma il particolare che saltò subito all'occhio di Marco furono tre grosse bolle che emergevano dalle pareti laterali, trasparenti e con al loro interno i tre ostaggi, che galleggiavano in una specie di liquido neutro. Tarma non sembrava essere ferito, ma il suo collega Marco voleva liberarlo al più presto e iniziò a tirare dei calci contro la bolla, ma senza ottenere nessun risultato: nonostante lo spessore fosse sottile, era costituita da un materiale piuttosto resistente e a malapena si crearono delle crepe superficiali.
Neanche il tempo di pensare ad un'altra soluzione e di colpo, come predetto da Kururu, da alcuni orifizi incominciarono ad uscire decine di cloni verdognoli, con un ritmo nettamente più alto rispetto a prima. Tentare di eliminarli tutti si rivelò impossibile, il numero di copie replicate era di gran lunga superiore a quelle che venivano uccise, e in breve tempo la stanza si riempì di cloni, con il rischio per il gruppo di morire soffocato per la mancanza di spazio a disposizione. Quasi tutti si ritrovarono schiacciati alle pareti, tranne il plotone di Keroro, che usando i loro dischi volanti si portarono in cima alla stanza, e Excel, con quest'ultima praticamente circondata vicino alla bolla contenente Tarma. Ormai la ragazza era con le spalle al muro e pur di liberarsi dalla presa dei cloni che aveva addosso, provò a tirare pugni e calci contro i suoi avversari. Forse disorientata da tutte quelle mani che stavano cercando di soffocarla, Excel si girò e colpì con un calcio volante la bolla che aveva le spalle, cadendo poi pesantemente all'indietro. A quel punto la ragazza, come il resto del gruppo, sembrava non avere più via di scampo, ma accadde qualcosa d'imprevisto: la superficie della bolla, che fino a quel momento aveva resistito, all'improvviso si scheggiò in mille pezzi. In un attimo la struttura crollò su se stessa, come se fosse esplosa, e subito dopo il liquido che era presente nella bolla inondò la stanza, trascinando via qualche clone e bagnando tutti i presenti.
Approfittando di quella confusione, Fio riuscì a farsi largo e vide, con sua grande sorpresa, che quel liquido era nocivo per le copie: una volta che venivano bagnate, quest'ultime si scioglievano come neve al sole e nel giro di pochi secondi sparirono nel nulla, lasciando a malapena una traccia verde sul pavimento. Subito dopo la mercenaria notò Tarma a terra, ai piedi di ciò che restava della bolla, e immediatamente si adoperò per dargli aiuto. Nonostante fosse rimasto immerso in quel liquido per chissà quanto tempo, il mercenario dagli occhiali scuri riusciva a respirare normalmente e in pochi secondi si rialzò.
«Ma... che è successo?» chiese Tarma, strabuzzando gli occhi e accorgendosi solo in quel momento di essere bagnato.
«Meno male che stai bene!» commentò la mercenaria, che in quell'occasione si lasciò andare ad un abbraccio.
Con ormai la situazione sotto controllo, in breve tempo furono liberati gli altri due ostaggi, che velocemente si rialzarono in piedi.
«E' incredibile, Hyatt! Non ti avevo mai visto così in forma!» affermò Excel, avvicinandosi all'amica che rispose: «Infatti mi sento un po' strana...»
«Tutto a posto, Revy?» domandò Dutch, dando una veloce occhiata alla sua collega.
«E' stato surreale. Era come se avessi fumato erba!» rispose la ragazza con tatuaggio sul braccio, che poco dopo rimase sorpresa nel vedere lì anche Rock. Era da escludere che fosse arrivato fin lì per sua volontà. «E tu che ci fai qui?»
«Bhe... diciamo che sono stato rapito anch'io!» rispose il ragazzo.
«Ma allora il tuo è un vizio!»
Tutto sembrava volgere per il meglio, ma all'improvviso una tremenda scossa, più potente di quella generata dai Falchi Pellegrini, fece scuotere pesantemente l'astronave, che iniziò a cadere a pezzi. Quando la situazione tornò abbastanza stabile, arrivò una chiamata urgente del Boss.
«Qui Marco, mi sentite?»
«Qui... Boss... ci sono... interferenze» gracchiò la radio del capitano. Le parole del comandante dei Falchi Pellegrini divenne più chiare solo qualche secondo più tardi. «Dovete abbandonare subito l'astronave! Secondo i calcoli di De Angelis, state cambiando bruscamente traiettoria.»
«Stiamo precipitando?»
«No, al contrario. Vi state allontanando sempre di più, forse finalmente quei bastardi si sono arresi! Ma ora cercate un mezzo per fuggire, non avete molto tempo a disposizione!»
«Magnifico...»

Correndo più che poteva, il gruppo guidato da Marco cercò disperatamente un modo per uscire dall'astronave, arrivando fino ad una specie di stanzone con le pareti metalliche, in cui c'era un enorme sportello rotondo che dava all'esterno. A prima vista sembrava un deposito di mini ufo danneggiati, la maggior parte di essi erano praticamente da buttare, ma la cosa che sorprese i mercenari fu trovare il quel mucchio di rottami un paio di Slug in perfette condizioni. Forse gli alieni avevano prelevato quei due esemplari per studiare la tecnologia nemica, ma in quel momento ai Falchi Pellegrini importava solo aprire il portale e dopo qualche ricerca trovarono finalmente il modo per farlo: in un angolo del deposito c'era un monitor luminoso e Marco, l'esperto d'informatica del gruppo, provò a far funzionare quella specie di computer alieno. Nel frattempo gli altri si prepararono a trovare un mezzo per affrontare l'imminente fuga: il resto dei Falchi Pellegrini salì a bordo degli Slug, che secondo le indicazioni di Manuela avrebbe svolto perfettamente la funzione di capsule di salvataggio; quelli della Lagoon Company invece presero un dei pochi mini ufo ancora integri e lo trascinarono verso l'uscita, sperando che avrebbe retto fino alla fine; per concludere il plotone di Keroro raggruppò i loro dischi volanti il più vicino possibile, per sostenersi a vicenda. Gli unici che non riuscirono a trovare qualcosa di adatto furono quelli dell'Across, che rimasero completamente spiazzati quando Marco avvisò che il portellone stava per aprirsi. Una volta azionato il meccanismo, il capitano fece appena in tempo a salire nel primo Slug, quello guidato da Tarma, perché subito dopo il portale si aprì di colpo, generando un cambiamento di pressione che letteralmente trascinò via non solo il gruppo, ma anche tutto ciò che vi era nel deposito.
Superato l'iniziale momento di caos, in cui persero per un po' orientamento a causa del risucchio di poco fa, i Falchi Pellegrini incominciarono a precipitare a gran velocità, seguiti a poca distanza dal plotone di Keroro. Gli altri componenti del gruppo erano al momento dispersi, ma era prevedibile un fatto del genere e i mercenari rimasti cercarono di non preoccuparsi più di tanto. Nonostante la lunga discesa che gli attendeva, i Falchi Pellegrini si sentivano fiduciosi all'interno degli Slug e cercarono di rimanere calmi, ma all'improvviso qualcosa attirò la loro attenzione: sopra le loro teste prima apparve un'ombra, che coprì il sole, e poi un oggetto di grosse dimensioni, che in brevissimo tempo li raggiunsero. Il gruppo temette che fosse un pezzo dell'astronave che si era staccato, ma in realtà la situazione era ben peggiore. Quella massa voluminosa era ciò che rimaneva della mente che governava l'astronave madre, che prima superò il plotone di Keroro e poi agganciò al volo i due Slug, con un paio filamenti lunghi e secchi. Tarma e Fio, che erano alla guida dei carri armati, tentarono di sfuggire sparando alcune cannonate contro l'enorme alieno, ma senza alcun risultato. Temendo di rimanere bloccati, Marco ed Eri uscirono dagli Slug e cercarono di affrontare l'extraterrestre almeno per liberarsi da quella morsa, aiutati anche dal plotone di Keroro, ma fu tutto inutile. Sembrava proprio che la mente aliena, in un gesto disperato, volesse trascinare con sé coloro che aveva distrutto l'astronave.
La situazione peggiorò ulteriormente quando l'enorme alieno, sfruttando le ultime energie mentali rimaste, sparò una specie di onda circolare che si allargò in tutte le direzioni e danneggiò seriamente tutti i mezzi presenti, mancando per un pelo i due mercenari che si trovavano in cima agli Slug. Pure le granate lanciate in seguito da Eri contro la mente aliena si rivelarono inutili, ma ad un certo punto Marco sentì uno strano rumore nell'aria, proveniente dal basso.
Sotto gli occhi del capitano comparve un missile bianco, lungo a malapena tre o quattro metri, che inspiegabilmente sorpassò tutti, esplodendo solo qualche secondo più tardi, mancando completamente il bersaglio che doveva essere l'enorme alieno. Marco rimase incredulo davanti a quella scena, sperava vivamente in un aiuto da parte del Boss, fino a quando Eri non gli fece notare che dal missile esploso era uscito qualcosa. Era attaccato ad un piccolo paracadute bianco e immediatamente il capitano identificò in contenuto di quella cassa: era l'arma più potente dell'arsenale dei Falchi Pellegrini, il Super Granade, riconoscibile per la "G" presente sul contenitore. Una volta preso al volo la nuova arma, Marco dovette ammettere a se stesso che quell'uomo ne sapeva una più del diavolo...
Il Super Granade aveva però un paio di difetti: aveva pochissimi munizioni e i tempi di ricarica erano molto lunghi, quindi Eri raggiunse velocemente Marco, per aiutarlo prima che la mente aliena potesse bloccarli. Ma durante le operazioni di carica si presentò un altro problema, Keroro era caduto sopra la testa aliena, sbalzato via dall'onda circolare di poco fa, e si trovava sulla linea di tiro! Nonostante il grande spavento del sergente, il piccolo alieno verde fu recuperato dai suoi sottoposti, che in fretta e furia lo presero un attimo prima che Marco sparasse con la nuova arma.
Le conseguenze del colpo sparato da Marco furono terrificanti, la parte superiore della mente aliena andarono completamente distrutto e nell'aria si udì un urlo straziante e disumano, che riecheggiò per diversi secondi. Lentamente i filamenti che tenevano bloccati gli Slug persero forza e velocemente Marco ed Eri ritornarono ai loro posti, per proseguire la loro tormentata fuga verso il basso.

Nel bunker segreto del Boss, tutti i presenti al tavolo trattennero il fiato per lunghi ed interminabili minuti, fino a quando non sentirono gli Slug cadere nell'oceano, alzando un getto d'acqua alto diversi metri. Essendo un mezzo all'avanguardia, Tarma azionò delle sacche d'aria vicino ai cingoli e così facendo il suo Slug divenne una specie di canotto d'emergenza, metà arancione e metà argenteo, ben visibile anche da molto lontano. Una volta confermato che tutti stavano bene, dopo aver visionato le immagini dai monitor, il Boss e la ricercatrice tirarono un lungo sospiro di sollievo, mentre la spia si mise quasi a piangere davanti allo schermo per la felicità. Anche gli altri che si erano uniti ai Falchi Pellegrini riuscirono, con un po' di fortuna, a cavaserla: quelli della Black Lagoon, schiacciati all'interno del mini ufo a causa dello spazio ridotto, precipitarono poco distante dal punto in cui atterrarono i Falchi Pellegrini e vennero tratti in salvo da Tarma, che li lanciò una corda che aveva nello zaino. Anche il plotone di Keroro riuscì a sopravvivere, scappando in alto con i loro dischi volanti, l'unico che rimase un po' coinvolto nell'esplosione fu proprio il sergente, che a causa dello spavento e del botto subito gli venne un acconciatura in stile afro. Incredibilmente anche i componenti dell'Across si erano salvati all'ultimo secondo, grazie ad una brillante idea di Il Palazzo, che sotto il suo lungo mantello avevano nascosto un paracadute. Excel, che insieme ad Hyatt era aggrappata al loro capo, rimase così incredula da quella situazione che continuò a chiedere a Il Palazzo se la missione era fallita come al solito oppure no, lasciando quest'ultimo senza parole.
«Che sudata!» commentò il Boss, pienamente soddisfatto del lavoro svolto dalla sua squadra. «E' stato epico, ma che fatica!»
«I ragazzi si sono meritati una bella vacanza dopo questa impresa, no?» domandò la ricercatrice, osservando sul monitor i Falchi Pellegrini, ormai esausti, sul carro armato galleggiante.
«Perfetto! Direi che adesso è finita!» affermò la spia, che però fu subito richiamata dal Boss.
«Un momento! Il Boss sono io, decido io quand'è la fine!» disse con fermezza l'uomo nell'ombra, facendo ridacchiare a denti stretti De Angelis e storcendo il naso a Martha. Ma poi concluse, qualche secondo dopo: «Adesso è la fine!»

 

Dopo quasi un anno e mezzo, finalmente ho concluso questa fan-fiction commemorativa! Ringrazio sinceramente tutti coloro che hanno letto e/o commentato la mia storia, ma un ringraziamento in particolare va allo staff del forum "Scrivartisti appassionati" che hanno concesso gentilmente la loro presenza per i personaggi da me inventati, ovvero Hell-boy (Il Boss) Amethyst86 (la spia Martha Egan) e Mirai (la ricercatrice Manuela De Angelis).


E come citazione finale... "Peace forever"!!!

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