Grandi Speranze

di Kaesy Jordan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La proposta ***
Capitolo 2: *** Il ricordo di un istante ***



Capitolo 1
*** La proposta ***







1.


Contea meridionale dello Swansea (Galles), Estate dell’anno 1557.

La residenza Inglese dei Seymour era colpita dal sole estivo che solo il mese di Luglio poteva portare. Gli alberi sul viale che conduceva alla prestigiosa villa erano perfettamente allineati l’uno di fronte a l’altra, neanche fossero un gruppo di soldati pronti a partire per la guerra. I prati verdi della magnifica residenza, ottenuta anni orsono dal re in persona, erano popolati da profumati fiori di campo. Un piccolo regalo per via delle nozze della sua lontana parente, l’ormai defunta regina Jane Seymour. Di tutte le donne che aveva avuto sua maestà forse solo Jane sembrava che potesse dare un tocco di vitalità alla monarchia Inglese. E l’aveva fatto, per un anno certo. Ma in quell’anno, la sua parente, ne era certa che fosse entrata nella mente e nel cuore di chi l’aveva apprezzata per ciò che era. La bellezza del Galles era paragonata alla bellezza della regina d’Inghilterra, che Estella aveva conosciuto ma che non vedeva di buon occhio, visto le chiacchiere che giravano attorno alla figura di Maria, attuale sovrana. Il valoroso e nobile destriero nero che la rossa dama cavalcava sembrava essere una furia per tutta la voglia che aveva di correre. Di correre, di ribellarsi, esattamente come avrebbe voluto fare lei. Avrebbe voluto fare la fine delle sue altre due sorelle maggiori, già mogli e madri di nobiluomini. Ogni volta che cercava di convincere suo padre, però, egli cambiava puntualmente discorso o le rispondeva in modo brusco. Marian e Lydia erano già entrate in società da molto tempo, con i loro mariti che vantavano professioni nobili, a favore della regina Maria. Per Estella era una fortuna che avesse al suo fianco la sorella minore, di appena tredici anni. La piccola Annarose, la gioia dei suoi occhi. Entrambe le dame erano molto simili, tanto che quando erano a corte i vari messeri facevano fatica a riconoscerle. Però qualcosa che le contraddistingueva c’era: gli occhi. Quelli di Annarose erano di un verde accennato, mentre quelli di Estella erano due lapislazzuli conficcati in un viso latteo che si illuminava solamente se un raggio di sole la illuminava. Annarose ed Estella erano due bellezze simili, ma ugualmente diverse tra loro. Entrambe amavano sfidarsi, sempre e comunque. Era raro che fossero d’accordo su qualcosa ma andavano terribilmente d’accordo. Si volevano bene, esattamente come era logico che fosse tra due sorelle. Le ultime Seymour rimaste in vita. Come se fossero loro due destinate ad un destino delle quali non conoscevano le conseguenze. Avevano la stessa passione per l’equitazione, la poesia e gli pettegolezzi. Oh, in quello Annarose era più brava di Estella. Sparlare a corte era la sua unica professione.
Era già ora di pranzo quando Estella giunse nel territorio della residenza di campagna. Subito uno stalliere accorse ad aiutarla a smontare da cavallo, per evitare che si facesse male anche se non era così stupida da non sapere come scendere da un equino. Rimessi i piedi a terra, si guardò intorno, com’era solita fare. Osservare e studiare l’ambiente, anche se ne conosceva a memoria ogni angolo, l’aiutava a capire meglio anche le persone. Col tempo aveva imparato addirittura ad associare i passi di qualcuno alla persona in questione. Poi le sembrava che nella residenza fosse sempre sotto esame. Le sembrava così forse perché le mancavano le sue sorelle. La maggiore di tutte, che è stata la prima a sposarsi, Marian era andata a vivere in Scozia, mentre Lydia era andata a vivere a South Tempton. Era logico che fosse la figlia più “in vista” visto la mancanza delle pedine principali della scacchiera. Sarà forse per questo che la sua pedina preferita fosse la regina? Estella si congedò da ogni tipo di servitore che aveva provato ad avvicinarsi per chiederle se voleva qualcosa da mangiare, da bere o se voleva cambiarsi. In quel momento voleva restare sola, con i propri pensieri. Così si avviò a piedi dietro la residenza, diretta alla serra, dove sapeva di trovare una persona a lei carissima. Forse cara a lei più delle sue sorelle. Quando giunse di fronte la porta trasparente della serra, osservò dentro, decidendo di entrare. Come sapeva, sorprese sua madre a curare come sempre le sue amatissime piante medicinali. Curvò le labbra in un flebile sorriso, avanzando lentamente, osservandola di spalle.
Isolde de Montlùpe, nata e cresciuta in Francia, nella sua adorata campagna francese. Si diceva che la campagna francese fosse diversa da quella inglese. Ma d'altronde Inglesi e Francesi se ne dicevano così tante a vicenda che Estella stessa non sapeva più a chi dar retta. Montlùpe è un paesino sperduto tra le campagne, esattamente a Sud della Francia, vicino a Rènnas del Castèl, il luogo dove Estella era venuta al mondo. C’erano tante voci alla corte Inglese di Maria, voci che riguardavano anche la famiglia Seymour e in particolar modo la francese Isolde, divenuta Contessa solo per una fatalità del destino. C’era chi diceva che un uomo come il Conte Philip Seymour poteva desiderare di meglio, come una Irlandese ad esempio. Specie in quell’anno i rapporti tra l’Inghilterra e la Francia erano rigidi come la corda di un violino. Estella lo sapeva perché origliava le tante conversazioni che suo padre intratteneva con sua madre. Philip Seymour era divenuto consigliere di corte della regina Maria, un ruolo abbastanza importante se si voleva essere al centro dei desideri di ogni nobile che passasse per la corte Inglese.
-Adesso ti diverti a spiare anche tua madre, Estella?-
La voce della Contessa Isolde, riportò la giovane dama alla realtà. La rossa alzò leggermente le spalle, camminando fino ad arrivarle vicino e a rubare con gli occhi ciò che la donna stava facendo. Tagliuzzava le foglie andate a male sulle piante medicinali.
-Non era mia intenzione, madre. Scusatemi.-
-Non fa niente, cara. Tu puoi fare quello che vuoi. Piuttosto sono preoccupata per tua sorella. Nessuno della servitù non ha ancora urlato, come mai?!-
Estella tirò fuori una risata spigliata e solare, come la sua persona, e nuovamente alzò le spalle leggermente.
-Non saprei. Ritorno adesso da una passeggiata a cavallo e mi è parso di non averla vista.-
Isolde guardò per un momento la figlia prima di continuare a curare le sue piante.
-Meglio così. Sono certa che si farà viva, prima o poi.-
Il tono della madre, però, le suonò strano. Come se sapesse qualcosa ed Estella pregò che sua madre non fosse venuta a conoscenza del segreto che custodiva. Perché la rossa sapeva certamente dov’era sua sorella. Pregò anche che non fosse così ingenua da commettere qualche sciocchezza che le potrebbe costare un futuro dignitoso. Da qualche mese, la dolce Annarose provava una forte attrazione per il panettiere privato della famiglia Seymour. Un tipo giovane, rispetto ai soliti anziani che avevano lavorato precedentemente. Biondo, bello, alto e con un fisico atletico. Questo però aveva la fama di essere un donnaiolo da strapazzo. Ed Estella voleva assicurarsi che sua sorella non commettesse passi falsi. Le malelingue, specialmente, a corte l’avrebbero massacrata.
-Certamente. E dov’è mio padre?-
-Nel suo studio credo, a lavorare a qualche nuova proposta da sottoporre alla regina Maria.-
Anche Isolde non poteva vedere tanto “amichevolmente” l’attuale regina d’Inghilterra. Era un fatto ovvio che fosse odiata da tutti, ancor di più perché mezza Inghilterra la riteneva una figlia illegittima, non degna quindi di sedere su un trono. Ma Isolde era anche una donna che non dava troppa importanza a chi non la ricambiava e faceva bene. Estella pregò di aver ereditato il suo stesso carattere. Perché sua madre era indubbiamente una donna forte e l’ammirava molto.
Una domanda che la giovane stava per fare alla madre venne interrotta dall’arrivo di una donna della servitù. Dopo aver fatto un breve ma corretto inchino, si rivolse ad Estella:
-Contessina perdonatemi.-
La servitù usava sempre chiamarla “Contessina” anche per distinguerla dalla Contessa di Swansea, che era Isolde.
-Ditemi, Helen.-
Acconsentì a far parlare la domestica, osservandola.
-Vostro padre desidera parlarvi. E’ nel suo studio e c’è anche una persona alquanto… importante.-
Non seppe dirlo con certezza, ma Estella, non appena aveva sentito quelle parole fuoriuscite dalla bocca della domestica, sapeva che qualcosa sarebbe cambiato, da lì a poco qualcosa stava sicuramente per cambiare. E sarebbe stato qualcosa che avrebbe cambiato per sempre la sua vita e quella di sua sorella. Ma tutti quei pensieri e quelle sensazioni le ebbe soltato confermate quando raggiunse lo studio di suo padre, congedandosi frettolosa da sua madre, e vide l’ospite che c’era: il consigliere privato di Elisabetta Tudor, la sorellastra della regina Maria. Estella delutì silenziosamente per farsi coraggio e una volta entrata, la domestica Helen che l’aveva accompagnata, se ne andò.
Estella fece una lieve reverenza al consigliere e al padre, il quale la osservava con una strana luce negli occhi. La rossa sentì puzza di affari all’istante. Il padre aveva appena concluso qualcosa ma, per motivi a lei ancora sconosciuti, voleva che ne fosse al corrente. Il Conte Philip fece un cenno alla figlia di raggiungerlo accanto a lui e la giovane ubbidì senza fare parola. Il silenzio della stanza era interrotto da i suoi passi e dal fruscio del vestito viola che indossava. L’acconciatura era intrigante e le trecce erano legate tra loro, formando come un elengante chignon. Ad Estella piaceva farsi fare acconciature complicate, la divertiva sembrare più misteriosa di quanto non lo fosse già.
-Conte Seymour, come le avevo già accennato prima in privato, vengo per conto di lady Elizabeth Tudor, prossima in linea di successione al trono d’Inghilterra.-
Stavolta lo sguardo di Thomas Richford fu piantato saldamente sulla figura di Estella e per un attimo alla giovane sembrò di essere a corte. Avere gli occhi puntati addosso di qualcuno la infastidiva ma al tempo stesso la faceva sentire importante, quasi fosse una vera regina. E mentre Philip Seymour si versava una coppa di vino, incitò al consigliere di continuare:
-Certo. Vada pure avanti.-
Thomas sospirò pesantemente, come se continuare quel discorso fosse un grande sacrificio per lui. Se per lui era ciò, per Estella era solo un aumento di tensione inutile.
-Lady Elizabeth è a conoscenza della continua fedeltà che, in questi anni, la vostra famiglia ha avuto nei confronti della corona. Avendo lei a gran cuore questo paese, si sente in dovere di difenderlo. La lady confida nella vostra riservatezza qualora ella si fidi ad affidare alla vostra famiglia una missione diplomatica.-
Nuovamente una pausa. Estella credette di morire, quanto era dolorosa quella tortura. Nessuno diceva di no ad una richiesta di un membro della famiglia reale. Ma allora perché inscenare uno spettacolo del genere? Questo era il solo pensiero che affollò la mente di Estella, la quale decise di prender parola:
-Una missione? Spiegatevi.-
Si stupiva a volte di quanto potesse essere gentile e composta anche quando dentro invece era un turbine di ansia e angoscia. Ma alla fin fine doveva restare calma. Era la sorellastra della regina a chiederle un favore, anche se un giorno potrebbe tornarle utile. Estella, di politica almeno, ne sapeva davvero poco e non capiva ancora come avrebbe potuto aiutare il padre.
Non appena vide con la coda dell’occhio il padre riempirsi il bicchiere, fulminea, quando fu colmo di vino, lo prese e lo strinse, portandoselo alle labbra.
-Si tratta di una questione abbastanza delicata, milady. Ma Signor Conte, le garantisco una cosa: in vostra figlia, la Contessina Estella, sono riposte grandi speranze. Lo pensa lady Elizabeth, lo penso io e lo penserà sicuramente l’intera Inghilterra.-
Thomas era tornato a rivolgersi a Philip, una volta che aveva risposto ad Estella. Quest’ultima pensò sulle parole dette dal consigliere. In lei erano riposte grandi speranze. Che voleva dire? Era una metafora?
-In pratica, lady Elizabeth, chiede alla Contessina Estella di poter infiltrarsi, senza farsi scoprire apertamente, alla corte Francese e scoprire quali sono le intenzioni di re Enrico riguardo al matrimonio di suo figlio Francesco con la cugina di lady Elizabeth, Mary Stuart.-
Continuò il consigliere, continuando a far vagare lo sguardo da Philip ad Estella e viceversa. Per poco la dama rossa non si strozzò con il vino che stava bevendo. Le fu comunque difficile mandarlo giù, come la notizia che Richford le aveva dato. Per un attimo Estella guardò suo padre, che non faceva una piaga. Stavano scherzando forse? Infiltrarsi alla corte Francese? Era una pura pazzia. Se solo l’avessero scoperta l’avrebbero decapitata all’istante. Ma perché farlo? Pur volendo… Estella cosa ci guadagnava? Rigirò il bicchiere tra le mani, con quel poco di vino che era rimasto, e prese parola prima che lo potesse fare il padre:
-Ed io cosa ci guadagno, rischiando la pelle?-
-L’amicizia di quella che un giorno potrebbe diventare regina d’Inghilterra non le basta, Contessina?-
Estella scosse leggermente la testa. Certo che non le bastava. Voleva avere qualcosa di “vero” tra le mani prima di andare nella tana del lupo. Poi le era ancora sconosciuto come avrebbe raggiunto la corte Francese. Che avrebbe detto a re Enrico? Andava lì, faceva due giri di valzer e sarebbe passata la paura? I Francesi erano furbi. Si sarebbero insospettiti che qualcosa non andava.
-Ho bisogno di qualcosa di più valore se sua altezza vuole che rischio la vita.-
Il consigliere sospirò. Se l’era aspettato che una donna come Estella Seymour, Contessa di Swansea, non si sarebbe lasciata persuadere solo dall’amicizia offertagli da una donna che un giorno sarebbe potuta divenire regina.
-Un matrimonio dignitoso, invece? Basta a farvi rischiare la vita?! Lady Elisabetta da la sua parola che se la vostra missione avrà successo, tornerete qui e sposerete un uomo che sia maggiore al vostro rango. E la lady ha già qualche nome in mente.-
Forse per Estella, il matrimonio dignitoso, era l’unica cosa che le poteva permettere di rischiare così tanto. Grazie ad un matrimonio con un rango maggiore al suo, lei e la sua famiglia sarebbero saliti nuovamente di potere, più di quanto non lo fossero già. I Seymour sarebbero tornati ad essere una famiglia rispettata. A queste condizioni, la sua risposta, era si.
Ma restava ancora un punto interrogativo alla quale dare risposta.
-Pur volendo accettassi: come entro a corte? Il re potrebbe accorgersi che c’è qualcosa sotto e per me sarebbe la fine ancor prima di cominciare.-
Thomas sorrise appena stavolta. Cercava di tranquillizzare una lady che stava buttando in pasto ai cani con quel sorriso? Bhè non ci riusciva, non faceva che inquietare maggiormente la giovane rossa.
-A questo avrei già pensato io. Con questa, i vostri problemi sono risolti.-
Detto ciò, il consigliere, tirò fuori dalla sua giacca una lettera che aveva il sigillo della sua famiglia. Una lettera. Estella la prese tra le mani, osservandola, senza aprirla.
-Ebbene?-
-Questa lettera verrà spedita alla corte Francese, poco prima della vostra partenza. Mi risulta che la regina Caterina e vostra madre, la Contessa Isolde, erano amiche nello stesso convento.-
Era così. Entrambe le dame avevano vissuto in un convento in Italia, a Subiaco per la precisione.
-Si. Ma che a che fare con me?-
-Essendo la regina Caterina un’importante figura per la Francia, lei sarà più che felice di ospitare la figlia di una sua vecchia amica. Inoltre mi risulta che proprio la figlia di Caterina stia per sposarsi. Quindi… quale scusa migliore per visitare la corte Francese?! E poi so per certo che la regina di Francia non smania molto all’avere la regina di Scozia sotto lo stesso tetto. In lei potete trovare un’alleata, ma non fidatevi subito.-
Estella assimilò parola per parola nella sua mente, con il timore di dimenticarsi qualche cosa. Ma in fondo sapeva cosa fare. Tramare alle spalle dell’intera Francia per scoprire gli esiti del matrimonio tra la regina di Scozia, Mary Stuart, e il futuro re di Francia, Francesco.
-D’accordo. Accetto la missione che lady Elisabetta mi ha affidato. Potete riferirgli che intendo partire tra un mese, a Settembre, se per lei non è un problema.-
Il consigliere rimise in spalla le sue pergamene e sorrise, ben soddisfatto del risultato che aveva ottenuto.
-Credo che lady Elizabeth accetterà di gran grado le vostre condizioni. Quando sarete in Francia, non appena scoprite qualcosa, inviate una lettera qui a casa vostra. E meglio non dare troppo nell’occhio, di questi tempi.-
Estella annuì, facendo una lieve reverenza quando il consigliere prese ad andarsene, fino ad abbandonare la stanza e a rimanere sola con il padre. La dama si girò verso quest’ultimo, osservandolo con sguardo freddo.
-Voi sapevate tutto, vero?!-
Philip sorseggiò del vino nel suo calice, annuendo appena.
-Era logico. Vedrai che andrà tutto bene. Sono certo che Caterina non veda di buon occhio la regina di Scozia e forse vorrà sbarazzarsene prima lei che sua cugina Elisabetta.-
Estella cercò di accogliere l’ironia accennata che trapelava dalle parole del padre e per un momento ci riuscì. Se voleva rischiare la vita, voleva farlo accanto di una sola persona. Niente dame di compagnia o cavalieri, non le sarebbe importato.
-Spero che per voi non sia un problema se chiedo ad Annarose di venire con me. Sapete, con lei mi sento più sicura.-
Il Conte osservò la figlia e non ci volle molto ad ottenere il suo permesso.
-Va bene. Si, è meglio che venga con te. Non so perché ma è da qualche giorno che la vedo persa tra le nuvole e la cosa non mi piace. Assaporare l’aria Francese farà bene pure a lei.-
Ed avere sua sorella vicino in quell’ardua missione, per lei, era già una grande vittoria. Ora avrebbe dovuto prepararsi psicologicamente per Settembre, anche perché pochi giorni la separavano dal nuovo mese che, insieme all’Autunno, avrebbe portato intrighi e scandali alla corte di Enrico, re di Francia.


Atena’s Note:
Vi propongo una nuova storia. Venuta di getto… una long che racconta prima e dopo l’arrivo di Mary Stuart alla corte Francese. Vorrei anche un vostro parere, siccome è una delle prime fanfic che scrivo, ma è la prima storica! Grazie, a presto spero…
Atena2011.

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Capitolo 2
*** Il ricordo di un istante ***



 

2.

 
Due settimane prima, bosco della residenza Seymour nello Swansea (Galles).
Era l’inizio di Agosto e le calde giornate afose non lasciavano respirare neanche per un momento le giovani lady della contea meridionale dello Swansea, patria della famiglia Seymour. Mentre sua sorella Estella si era recata alla corte Londinese, ospite della regina Maria, Annarose era riuscita a sottrarsi alle amorevoli cure della sua governante ed era uscita di soppiatto dalla finestra della sua stanza, rischiando di rompersi una gamba, un braccio o qualsiasi altra parte del corpo. Sua madre, la Contessa Isolde, fin da bambine le aveva sempre raccomandate di non avventurarsi mai nei boschi da sole perché così com’erano belli e intrisi di mistero, potevano essere letali e pericolosi per una fanciulla che non aveva ancora la maggiore età. Ma tra le due sorelle, Annarose, era di certo quella più avventurosa, l’inguaribile romantica della famiglia e indubbiamente colei che aveva ereditato il fascino della famiglia francese della madre. Come le sue sorelle, anche lei aveva i capelli lucenti e rossi, di quel rosso chiaro che si avvicinava più al colore della ciliegia che a quello di una carota. Come Estella aveva la pelle lattea e visibilmente chiara che metteva in risalto i suoi magnifici occhi verde acqua. Il viso perfettamente ovale e le labbra talmente piccole da far risaltare più il nasino appuntito che aveva. Amava cavalcare come sua sorella, la poesia e la letteratura. E come tutte le sorelle minori che si rispettino, un giorno, sognava di divenire come la maggiore Estella. Tutte le attenzioni del loro padre erano incentrate su di lei, tutte le speranze nel far risalire d’importanza la famiglia Seymour. Annarose si sentiva leggermente a disagio e distaccata da i suoi famigliari. Fu in un giorno, quando decise di andare al mercato, che incontrò gli occhi belli, felici e vitali di Leith, il garzone che si occupava di fare il pane nella sua dimora. Eppure in Annarose non era mai sorta la curiosità di vederlo, di sentirlo, o di conoscerlo. Ben sapeva che da uomini come Leith, lei, doveva starne alla larga. Però al contrario di fabbri o altri garzoni del posto, Leith almeno non era un donnaiolo e sapeva che non l’avrebbe mai “rovinata” in quel senso, per quel che valeva la sua virtù poi. Ma sapeva che un giorno si sarebbe sposata con un uomo nobile e che magari aveva una posizione ben vista a corte e non poteva certo presentarsi al talamo nuziale, la notte delle sue nozze, già illibata. Sarebbe stato uno scandalo per lei e la sua famiglia, per di più per suo padre che era il consigliere della regina Maria. Mai avrebbe potuto dare un tale dispiacere a loro che l’avevano, e tutt’ora, l’amavano. Così come Estella, anche lei non doveva avere “distrazioni” di nessun tipo. Marian e Lydia erano già state date in sposa, erano già madri, e presto o tardi anche Estella l’avrebbe abbandonata, per andare a vivere con chissà chi e chissà dove. Sicuramente in un posto lontano dalla contea dello Swansea e solo allora, Annarose, si sarebbe sentita più sola di quanto non lo fosse adesso. Ovviamente pensava che dopo il matrimonio di sua sorella, sarebbe toccato a lei seguire il padre alla corte Inglese, questo avrebbe aiutato nel trovare presto un pretendente e avrebbe aiutato anche lei a togliersi subito quell’agonia.
Ma scacciò quei pensieri non appena sentì l’acqua del fiume farsi sempre più vicina. Leith la stava aspettando proprio sull’altra sponda, che avrebbe raggiunto grazie al ponte che il padre aveva fatto costruire alcuni mesi fa da i suoi servitori. Venne circondata da mille odori, quando giunse lì. Ma il primo che sentì fu quello di menta, che gli alberi intorno le procuravano, e soprattutto quello di fiume, più gradevole del solito. E il rumore del canticchio degli uccellini che svolazzavano. Erano inconfondibili, rispetto a quelli delle zone di caccia della regina Maria, che lei stessa aveva visto con i suoi occhi durante una colazione nella quale era stata invitata tutta la sua famiglia. Aveva bisogno di sentire le dolci parole di Leith, in quel momento. Non chiedeva altro.
Una volta superato il breve ponte e raggiunta l’altra sponda, scese da cavallo, incurante se l’orlo dell’abito color ocra si sarebbe sporcato o meno. Non le importava se la persona che doveva incontrare era Leith. Prese per le briglie il suo bel cavallo bianco, un purosangue Arabo, e iniziò ad avanzare verso quello che doveva essere il luogo del loro incontro. Avvertì un improvviso tuffo al cuore quando vide che ancora non era arrivato. Eppure doveva essere già qui.
Ma non fece neanche in tempo a formulare nella sua mente il pensiero tutto per intero, che da dietro un tronco spuntò una mano che stringeva dei fiori: delle rose rosse. Annarose sobbalzò leggermente per lo spavento ma non appena vide il volto divertito di Leith si calmò ed era sicura che se in quel momento non fosse stata una nobildonna, l’avrebbe ripagato con un bel pugno sul muso.
-Non era mia intenzione spaventarvi, milady, davvero.-
Lo so, stupido.
Annarose annuì leggermente, riservandogli poco dopo un sorriso smagliante, che faceva scoprire i denti perfettamente bianchi e allineati tra loro. Prese i fiori che Leith gli stava porgendo e li portò al naso, per sentirne il profumo.
-Sono bellissimi, Leith. Ti ringrazio.-
-Sono perdonato quindi?-
La dama rialzò il volto su quello del suo… prode cavaliere e annuì ancora una volta.
-Certo che lo sei.-
Leith sorrise, quasi nello stesso modo in cui lei gli aveva sorriso, quasi a voler ricambiare e si avvicinò alla rossa. Quest’ultima tornò con l’attenzione su i fiori, divenendo rossa sulle guance. Il garzone si chinò a darle un leggero bacio sulla guancia, anche se era sicuro che se non avesse distolto lo sguardo da i suoi occhi, avrebbe centrato appieno le piccole labbra della dama che aveva di fronte. Una dama che aveva sempre pensato essere bella, bellissima. Una dama che aveva sempre ammirato da lontano e che adesso aveva l’occasione di poter vederla da vicino. Di sfiorarla e magari anche di baciarla, ma sulle labbra agognava di farlo. Sulle labbra voleva fondere il sapore della farina con il suo, che già immaginava sapere di rosa selvatica. Come del resto la rosa faceva parte del suo nome e Leith sapeva bene che, come tutte le rose che si rispettino, avevano le sue spine che sapevano pungere proprio lì, dove batte il cuore. Il garzone, però, non aveva affatto timore di pungersi e ammirava come le gote pallide di Annarose si tinsero di rosso, come i suoi capelli e come le rose che le aveva appena regalato. Rosso come la passione, l’amore e il sole al tramonto.
-Guardami, Annarose. Cosa ti turba? Io, forse?-
La rossa rialzò lo sguardo su Leith. Lui non poteva neanche immaginare come la sua domanda fosse un altro tuffo al cuore. Non voleva mentirgli, dirgli che era tutto apposto. Perché Leith sapeva che non era così e se glielo avesse voluto far intendere, lui avrebbe capito che c’era qualcosa sotto, qualcosa che lei non voleva dirgli o che forse non poteva.
-No, tu non centri affatto.-
Rispose la giovane con tono cupo e privo di emozione, mentre lasciava ricadere le mani lungo i fianchi ma che con una mano continuava a stringere i vari gambi delle rose, uniti tra loro con un nastro verde smeraldo che il garzone si era procurato.
-E allora cosa c’è? Puoi dirmelo?-
Annarose ammirava il tono paziente che aveva assunto Leith. Lui era sempre così con lei: dolce, paziente, gentile e quando lei era triste per qualche cosa, lui cercava sempre di essere ironico con l’intento di farla sorridere.
-E che, noi, non potremo mai andare oltre dei semplici baci. Mi capisci, vero?!-
Leith solo allora sembrò capire il vero motivo del turbamento della sua Annarose.
-Si, ti capisco e lo comprendo. Tu hai… i tuoi doveri da compiere ed io i miei.-
Ne era rimasto deluso, la rossa lo percepì dal modo in cui disse quelle parole. Le dispiaceva ma era meglio mettere in chiaro fin da subito le posizioni di entrambi. Lei aveva bisogno di un nobile e non di un garzone, senza titolo e ne terre. Da ciò che era riuscita a sapere era stato un pecoraro prima di essere assunto dal Conte Philip in persona come garzone.
-Vorrei che non fosse così, credimi.-
Leith piantò i suoi occhi in quelli verde acqua della sua giovane amata e con tono perennemente triste, le rispose semplicemente:
-Anche io.-
In quel momento la tensione nell’aria crebbe e il caldo non aiutava di certo. Annarose, fortunatamente, non era una tipa impulsiva e non avrebbe preso nessuna iniziativa dettata dal cuore, lei sentiva sempre e solo la sua ragione.
-E poi tra noi c’è una grande differenza d’età, Leith. Non potrebbe funzionare comunque.-
Lui sorrise ugualmente. Per il semplice fatto che le faceva tenerezza la piccola della famiglia Seymour e l’ammirava molto. Sempre a preoccuparsi per i suoi famigliari, a preoccuparsi di non dar una brutta immagine di se in modo da non creare nessuno scandalo. L’amore è cieca devozione, non cieca ammirazione. Le due cose spesso e volentieri non coincidevano per niente.
-So anche questo. Ma che importanza ha l’età in confronto al bene che ci siamo scambiati l’uno per l’altro? Dimenticheresti anche questo mese passato insieme?-
Spezzargli il cuore era l’ultimo desiderio della dama ma il modo con la quale Leith insisteva era… snervante e non faceva che peggiorare la sua situazione. Gli aveva detto chiaramente di non poter ricambiare l’affetto che lui le donava, almeno non come fanno un marito e una moglie. Per lo meno loro non lo sarebbero mai diventati. Nessuno della famiglia di lei sarebbe stato d’accordo ad un unione simile.
-No, non dimenticherei e non dimentico nulla. Ti ho solo avvisato che se speri che io mi doni a te completamente, ciò non accadrà mai. La virtù per una donna è tutto, anche per una ragazzina come me, in età da marito.-
E vorrei che fossi tu quel marito, Leith. Con tutta me stessa, sul serio. Ma è inutile sognare quando un sogno del genere non potrà mai avverarsi. Ti amerò per sempre, anche quando ognuno di noi prenderà una strada diversa, perché succederà. Tu incontrerai una donna che abbia la tua stessa posizione sociale e altrettanto succederà a me. Ci sposeremo con coloro che potremo e condivideremo con loro ciò che noi non abbiamo potuto condividere in questo istante.
-A me basta solo sapere del sapore della tua bocca, Annarose. Non voglio che ti doni a me quando la tua mente e la tua ragione sono contrari. Io non ti toccherò, se non sarai tu a chiedermelo.-
Rispose Leith con tono seriamente dispiaciuto. La dama non sapeva per quale motivo di più di quell’emozione così triste. Se per il fatto di non poter andare oltre semplici baci o per il fatto che un giorno o l’altro quella magia che entrambi provavano sarebbe svanita, come neve al sole.
Il giovane bruno si avvicinò ancor di più ad Annarose e lei non si spostò, ne distolse lo sguardo da i suoi bellissimi occhi scuri. Fin dalla prima volta che l’aveva visto, la giovane dama aveva pensato che fosse un nobile cavaliere, uscito da uno dei suoi amati libri d’avventura per venirla a salvare da un destino già scritto, per portarla nel suo regno e dove insieme avrebbero camminato verso l’altare. Una cosa che molto probabilmente sarebbe successa, se solo Dio avrebbe concesso a Leith di nascere nobile.
Quando le fu abbastanza vicino, Leith alzò una mano per accarezzarle la guancia perfettamente candida. Tutte le figlie della Contessa Isolde avevano la pelle chiara, come lei del resto, e la chioma rossiccia e sfuggente, come il ricordo di un istante. Con i polpastrelli, Leith tracciò la linea del suo viso perfetto, quasi a volerlo disegnare sulla pelle della fanciulla. Con l’indice tracciò il contorno ovale del viso, fino ad arrivare alla fronte, alle ciglia fine, alle palpebre che ella chiuse al passaggio del dito di lui, poi fu il turno del suo nasino leggermente appuntito ed infine, Leith, scese sulle sue labbra dove si soffermò per alcuni secondi.
-Le tue labbra sono per me un dolce invito di tentazione, Annarose, ma per rispetto ai tuoi confronti non farò nulla che tu non voglia. Sei carina persino quando arrossisci perché i tuoi capelli e il tuo viso diventano tutt’uno.-
Entrambi soffocarono una risata, prima di tornare seri, non volendo rovinare l’atmosfera che si era creata intono a loro. Il dito di Leith riprese il suo cammino, scendendo sul mento di lei ed infine sotto l’incavo della gola. Annarose deglutì silenziosamente, continuando a tenere gli occhi chiusi saldamente.
-Sono davvero così tanto per te? Dimostramelo.-
-Prima dammi un bacio.-
Annarose riaprì gli occhi, solo per un istante, osservando i lineamenti del viso di lui. Lineamenti che sapevano di nobiltà ma che si stava lentamente indurendo con la farina che ogni giorno accarezzava con le mani. Distratta da quel momento, fece cadere le rose che stava stringendo fino a quel momento, e lo strinse a se, posando le sue labbra piccole sulle sue, grandi e calde. Tutto accadde in un attimo. Leith ricambiò la sua stretta, così come il suo bacio, facendolo diventare più intenso e profondo. Avrebbe voluto che quell’istante non sarebbe finito mai. Le mani di lei circondarono il viso di lui, mentre quelle del garzone erano posate sulle spalle della rossa. Solo Dio sapeva su quanto si stava trattenendo per non interrompere quel bacio, facendola stendere su quell’erba baciata dalla rugiada e farla sua. Non poteva. La rispettava, glielo aveva detto. Non voleva, inoltre, che i Conti Seymour la diseredassero a causa sua. Anche perché Leith sapeva che Annarose non aveva parenti da parte della madre e quelli da parte del padre non l’avrebbero mai accettata. In quel momento, entrambi, sembravano la posa esatta per un dipinto storico. Il garzone e la dama. La dama ed il garzone. Non c’era niente di meglio, però, che di un amore proibito. Il più dolce di tutto il pericolo che nella vita si potesse affrontare. Rimasero a lungo a baciarsi, fino a quando le mani di Annarose non scesero sul petto di Leith. Il garzone, tramite quel bacio, poteva sentire come anche il desiderio di scoprire cosa c’era dopo i baci, da parte della rossa, cresceva a dismisura dentro di lei.
-No!-
Esclamò lei con quanto fiato le rimaneva, staccandosi di colpo e allontanandosi da lui quanto poteva e quanto gli alberi attorno a lei gli permettevano. Non poteva farlo. Ne vade della sua reputazione. Con il fiatone e il cuore a mille prese ad osservare Leith, anche lui nelle sue stesse condizioni. Sembrava che avessero fatto una corsa.
-Io mi sono trattenuto.-
-Si… non c’è l’ho con te. E solo che…-
Come se avesse letto i suoi pensieri, Leith sorrise appena ed annuì, andandole vicino nuovamente. E per la seconda volta, Annarose non fece una piega, rimase dov’era.
-E’ stata dura trattenersi, non è così?-
La dama, in quel momento, si vergognò come non si era mai vergognata in vita sua. Neanche quando da piccola rubava dalla dispensa delle cucine si era mai vergognata tanto. Le gote, puntualmente, si dipinsero nuovamente di rosso acceso.
-Si.-
Leith le sorrise teneramente stavolta e la tirò a se con un gesto fulmineo, facendola accomodare sul suo petto. Annarose, con la testa sul torace di lui, poteva sentire il suo cuore battere come uno di quei martelli che i fabbri usavano per battere sul ferro caldo e rovente, come era stata la passione che aveva cercato di travolgerli. La rossa si strinse sul petto del garzone, per quanto le era concesso. I loro corpi aderirono perfettamente, all’ombra del fiume.
-Stringimi, Leith. Stringimi e fammi sentire che mi ami.-
Le venne da piangere e infatti lo fece. Pianse silenziosa ma Leith percepì le sue lacrime bagnargli la maglietta che indossava sotto  la giacca scucita di cuoio chiaro. La cullò, come si fa con una bambina che non vuole dormire. Mentre la cullava dolcemente tra le sue braccia, le sussurrò all’orecchio parole confortanti che le furono d’aiuto per calmarsi. Del tipo che tutto si sarebbe sistemato e che lui le sarebbe stato sempre accanto. Annarose lo ringraziò mentalmente. Quella piccola bugia l’aveva aiutata ad andare avanti nei giorni successivi, fino al giorno di Settembre, della fatidica partenza per la Francia.
Hai presente quella cosa che c’è tra il sonno e la veglia? E lì che ti amerò per sempre, Leith, e sarà lì che costruiremo la nostra famiglia, dato che nella realtà non ci è stato possibile.

 
*************************************

-Annarose? Hey, Annarose?-
Estella ottenne come risposta solo dei segni di vita da parte della sorella decisamente poco femminili, ma almeno si sarebbe svegliata. Non voleva che arrivasse di fronte a re Enrico e alla regina Caterina mezza addormentata.
-Sorellina, ci siamo quasi. Avanti, svegliati!-
Il tono di Estella era premuroso, come sempre quando parlava con la sua adorabile sorellina. Vide gli occhietti di Annarose riprendersi dal sonno e guardarsi attorno, come smarrita. Riconobbe la carrozza e la sua sorella, decisamente ben vestita. Estella aveva deciso di sfoggiare un visto color lilla, scollato leggermente sul petto, con balze alla gonna e a maniche lunghe. Alle orecchie aveva deciso di mettere due pietre azzurre, grandi, e i riccioli erano intrappolati nel capello viola con la piuma blu che indossava. Il capello era particolarmente bello per il lungo velo lilla che lasciava dietro. E ad ogni folata di vento nella carrozza, il velo del capello di Estella si muoveva armonioso quasi a voler sottoscrivere la sua sensualità e bellezza. Il vestito di Annarose era stato decisamente più “sobrio”. Aveva optato per un rosa antico, senza balze alla gonna, a maniche lunghe e con una leggerissima scollatura sul davanti. Non amava essere in mostra. Anche se sulla acconciatura aveva lavorato parecchio. Due trecce che le ricadevano davanti le spalle, mentre sulla testa, con il resto dei capelli, aveva ordinato alla domestica che aveva a disposizione sulla nave, aveva ordinato che le si facesse una specie intreccio di capelli che andava a formare come un risvolto molto grande e lungo. Sull’abito non ci aveva lavorato molto, ma sull’acconciatura c’era stata mezza giornata. Voleva apparire comunque bella di fronte al re e alla regina di Francia. Durante il viaggio, la sorella Estella gli aveva detto del perché quella visita alla corte Francese ed Annarose era ben felice di darle una mano. Alla fin fine non avrebbero ucciso nessuno, erano solo due spie a servizio di chi un giorno potrebbe regnare sull’Inghilterra.
-Stai pensando a lui, vero?!-
Ora il tono della sorella maggiore era autoritario. E per Annarose era difficile mentire a sua sorella, estremamente difficile. Quando mentiva, ella se ne accorgeva.
-Si.-
-Devi dimenticarlo.-
-Lo so.-
-Ma non lo fai. Posso sapere perché?-
-Da quando sei diventata così autoritaria? Credevo ti stesse a cuore la mia felicità!-
Il tono delle due si era alzato leggermente, ma sembrava non importare, a nessuna delle due in questione.
-Mi sta a cuore la tua felicità ma non voglio che tu soffra inutilmente. Leith non potrà mai darti ciò che tu desideri e probabilmente starà facendo il galante con qualcun’altra, fidati.-
-Perché devi augurarmi sempre il male, Estella!?-
-Stai delirando, Annarose, e ti consiglio di darti una calmata! Io voglio il tuo bene più dei nostri genitori, lo sai.-
-Ecco perché mi hai portata via dallo Swansea? Perché vuoi il mio bene? Che bel modo che hai di dimostrarmelo, sorella!-
Estella sospirò, cercando di riprendere calma e lucidità. Non voleva discutere con sua sorella a pochi passi dall’incontro con i sovrani di Francia. Entrambe sarebbero apparse esauste o, peggio, arrabbiate. Dovevano essere più calme possibili, altrimenti avrebbero riscosso dei sospetti e a quel punto… avrebbero potuto anche pregare per le loro anime.
-Nostro padre ha concordato che fosse meglio che assaporavi anche tu l’aria Francese. Io non ho mai pensato al tuo male, sorella cara, e non è neanche nei miei pensieri. Io ti voglio bene e nessuno può metterlo in dubbio. Sono solo preoccupata per te, Annarose. Niente di più.-
E la sorella minore la ringraziava. Certe volte pensava che se non ci fosse stata lei, non aveva motivo per credere in un giorno migliore. Estella, con una sola parola, rendeva migliore la giornata di Annarose ma lei questo non lo sapeva. Prese le mani della sorella maggiore tra le sue e la guardò negli occhi.
-E ti ringrazio, sorella cara. Sei la mia guida e sarei persa senza di te. Sono consapevole che il mio amore per Leith non può continuare e, forse, questo viaggio mi aiuterà a cercare di dimenticarlo. Non prometto niente. Ti voglio bene anche io, Estella.-
Le due sorelle si abbracciarono, facendo attenzione alle proprie acconciature e i propri abiti. Non volevano arrivare mezze stropicciate di fronte ai reali francesi. E poi Estella era curiosa di vedere Francesco come era cresciuto. A detta di sua madre, lei e Francis avevano passato dei giorni insieme, quando erano piccoli. Probabilmente il Principe non si ricordava, e neanche lei a dire la verità. Non ne aveva conservato nessun ricordo. Era andata in Inghilterra alla sola età di otto anni, prima aveva vissuto a Rènnas del Castèl, dove era anche nata. Una piccola residenza della famiglia di sua madre Isolde, che la Contessa aveva venduto quando il marito aveva ottenuto il lavoro a corte, ed era andata a vivere in quella che era la loro casa, nello Swansea.
Sia Annarose che Estella si ricomposero in fretta, mentre il conducente continuava a guidare la carrozza. La loro destinazione era il castello di re Enrico II di Francia, dove un corteo era già pronto per accoglierle. La vista del lago era una meraviglia. Quello fu il primo elemento catturato dagli occhi di Annarose. Estella catturò con i suoi occhi enigmatici quello del grande corteo radunato all’entrata del castello. Il cocchiere fermò la carrozza di lato alle persone che si erano radunate all’entrata, lasciando una strada aperta. Quando Estella li osservò le tornò alla mente i pini della sua residenza, schierati perfettamente in due file, allineati come soldati. Questo pensiero le fece allentare la tensione. Per un attimo chiuse gli occhi, che riaprì solo quando sentì la porta della carrozza aprirsi e vide il cocchiere tenderle una mano per aiutarla a scendere. Accettò volentieri quell’aiuto, alzando leggermente il vestito per non inciampare durante la sua apparizione. Deglutì silenziosamente, scansandosi dall’uscita in modo che il cocchiere potesse aiutare anche Annarose a scendere. Intanto Estella osservava i presenti incuriositi dalla sua venuta e poco dopo, gli stessi sguardi furono riservati a sua sorella quando la raggiunse. In fondo alla strada che si era creata intorno a lei, spiccarono tre figure ben vestite. Anche se le risultò difficile credere che la donna che era affianco al re era la regina Caterina. Sua madre gliela aveva descritta dalla classica bellezza Italiana, visto che Caterina apparteneva alla nobile famiglia De Medici. Tuttavia non lasciò che questi suoi inutili pensieri la distraessero troppo. Tra la folla uscì un ragazzo ben vestito, dalla chioma bionda, che si era avvicinato prima ad una donna e poi aveva iniziato a camminare verso di loro, con le braccia lungo i fianchi.
Dev’essere Francesco.
Nel dubbio, fece cenno a sua sorella di imitarla. Non appena il ragazzo le fu di fronte, si inchinò leggermente ed Annarose, come le aveva detto di fare sua sorella, la imitò facendo lo stesso.
-Contessa Seymour, Contessina, vi do il benvenuto nella nostra Francia. Spero che il vostro soggiorno qui possa essere gradevole.-
Fu Estella la prima a parlare. Evidentemente la lettera doveva essere giunta a destinazione alcune settimane prima della venuta di lei e sua sorella. Tornò con il busto dritto.
-E’ un piacere essere qui, altezza. Ringrazierò personalmente vostra madre. La Contessa Isolde, mia madre, le manda i suoi più sinceri saluti.-
Annarose, affianco alla sorella maggiore, non parlò ma annuì leggermente con un flebile sorriso sulle labbra.
-Vi faccio strada allora, milady. E, vi prego, chiamatemi pure Francesco.-
Detto ciò, Estella camminò affianco a Francis, lungo la strada che il corteo aveva creato. La rossa poteva sentire benissimo i passi di sua sorella, appena dietro di lei. Quando arrivò di fronte ai sovrani francesi, fece una lieve reverenza, come aveva fatto di fronte a Francesco poco prima.
-E’ un piacere ospitarvi nella nostra dimora, Contessa Seymour.-
Quando tornò dritta, prese ad osservare re Enrico che aveva appena parlato.
-Il piacere è mio, Altezza.-
Lo sguardo di Estella volò al volto giovanile che era la donna affianco a re Enrico. Non poteva essere la regina Caterina ma rivolse anche a lei un sorriso grato prima di incontrare lo sguardo della sovrana. Fece una reverenza anche a lei, osservandola.
-Mia madre vi manda i suoi saluti e vi ringrazia ancora di aver ospitato me e mia sorella, Altezza.-
-Ne sono felice di avervi qui. Vostra madre, per me, era ed è tutt’ora una mia grande amica. Mi fa piacere avervi qui. Tu devi essere Estella, giusto?-
La rossa maggiore annuì leggermente, senza dire nulla. Si limitò a far cenno a sua sorella di avvicinarsi. Quando lo fece, anche lei si inchinò leggermente di fronte alla regina Caterina.
-Vostra maestà, è un onore conoscervi.-
Caterina sorrise leggermente, annuendo appena.
-E tu devi essere Annarose. Ma certo! Assomigliate in modo così impressionante a vostra madre.-
Le due Contesse si limitarono a sorridere lievemente alla regina, un po’ in imbarazzo e un po’ con la tensione a mille per gran parte dei motivi. Uno fra tutti, il vero motivo per la quale erano state condotte lì, che era forse l’unico e il più timoroso di tutti.
-Francesco?-
Il biondo si fece strada tra la folla, raggiungendo sua madre.
-Ti ricordi di Estella? E’ stata qui quando era bambina, giocavate insieme.-
Lo sguardo di Francis si posò su quello di Estella per un attimo. La sua espressione da normale, divenne più rilassata. Rivolse un leggero sorriso alla dama rossa e alla sua sorella minore.
-Ma certo che mi ricordo. Avevate il vizio di nascondervi sugli alberi. Eravate così agile!-
Estella rise leggermente, annuendo.
-Vedo che vi ricordate bene, Francesco.-
Rimasero a guardarsi per diversi secondi. Prima che Caterina riprese la parola:
-Sarete stanche di questo viaggio, mie care. Francesco, perché non accompagni la Contessa Estella e la Contessina Annarose nelle loro stanze?-
-Con piacere. Prego, da questa parte, milady.-
Rispose il biondo, mettendosi a disposizione delle giovani dame, porgendo i suoi due bracci a tutte e due loro. Camminarono superando la folla che li osservava costantemente. Estella in quel momento si sentì veramente come una regina o un gioiello prezioso che non si poteva toccare. Talmente prezioso che rispendeva anche al sole che quella mattina si posava sulla Francia intera. Come gli aveva detto Caterina, Francesco scortò Estella ed Annarose alle loro stanze, che erano state messe vicine. Quando mostrò ad Estella la sua stanza, lei rimase leggermente stupita per la bellezza che emanava. I quadri appesi alla parete, il letto a baldacchino dalle tende rosse e oro, uno scrittoio in fondo alla stanza, un separé per cambiarsi, un baule ai piedi del letto. Il suo baule che era stato già portato di sopra. Si voltò verso Francesco, sorridente.
-E’ stupenda e perfetta, Francis. Grazie.-
Il Principe le sorrise appena, guardandosi intorno anche lui, come se fosse la prima volta che vedeva quella stanza.
-E’ stata mia madre ha pretendere che voi aveste questa stanza. E’ leggermente speciale. Doveva essere chiusa fino all’arrivo di Maria Stuarda ma pare che la servitù, sotto ordine di mia madre, le abbia affidato un’altra stanza.-
Dunque a Caterina piaceva a tal punto da richiedere la sistemazione di un’altra stanza per l’arrivo della regina di Scozia? Questo pensiero fece vibrare di emozioni interne la giovane rossa. Ma si contenne agli occhi del futuro sovrano di Francia.
-E’ stato un pensiero gentile da parte di vostra madre. Ringraziatela da parte mia.-
-Sarà fatto, mia Signora. Vi lascio riposare e cambiarvi.-
Francesco le si avvicinò ed Estella non tremò e ne distolse lo sguardo. Rimase a fissarlo con fare curioso. Le prese una mano e ne baciò il dorso. Estella non arrossì, per il semplice fatto che sapeva che il gesto di Francesco era del tutto galante e gentile.
-Vi ringrazio, Francesco. Ci vedremo questa sera.-
-Certamente, milady. Buon riposo.-
Detto ciò Francesco si congedò dalla Contessa, uscendo dalla sua stanza. Rimasta sola, Estella decise che era giunto il momento di cambiarsi. Andò vicino al baule e l’aprì, osservando i vari vestiti che aveva scelto per la partenza. Ne scelse uno celeste, lungo, a maniche anch’esse lunghe e aveva un coltello alto dietro la nuca. Avrebbe indossato un ciondolo con una pietra azzurra ovale che sua madre le aveva regalato prima di partire, come segno di buon auspicio. Sperò che funzionasse. Si levò il capello, posandolo su una sedia e, senza l’aiuto di una domestica, si svestì. Quando fu con i capelli sciolti e l’abito bianco che si metteva sotto un abito normale. Andò dietro un separé e trovò un ciotola con dell’acqua per lavarsi il viso. Pose le sue mani a coppa nell’acqua e, chinandosi, la portò al suo viso, levando tutta la polvere e il sapore di mare che aveva accumulato durante la traversata e il viaggio. La freschezza sul suo viso fece rilassare i muscoli, aiutata poi dal vento che la colpì in pieno.
Vento? Da dove proviene?
Si chiese Estella, guardandosi intorno. Il vento proveniva da una finestra aperta, vicino al letto a baldacchino. Con il volto bagnato e il vento ad accarezzarla, andò alla finestra così com’era: mezza nuda, incurante di qualsiasi cosa. Quando raggiunse la finestra per chiuderla, Estella di colpo si fermò. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Nel giardino esterno, dietro il castello, c’era una grande distesa di prati. Più vicino alla sua vista c’era un bersaglio di paglia, dove c’era un giovane messere che stava tirando con l’arco. Estella rimase ad osservarlo per un po’ fino a quando questo, evidentemente che si era sentito osservato, non lasciò stare l’arco e alzò il volto verso di lei. In quel attimo, la rossa poté studiare i lineamenti del suo viso. Era bruno di capelli, di pelle chiara e aveva una leggera barba sul mento. I suoi occhi erano chiari, così chiari che Estella poté specchiarsi in essi, anche ad una distanza come quella. La dama si ritrasse con una mossa fulminea, chiudendo la finestra e tirando le tende, come a volersi nascondere nell’essere stata beccata in flagrante. Chi era quel giovane? Un servitore di certo non si metteva a tirare con l’arco in pieno giorno e in giardino poi. No, doveva essere anche lui un ospite del re. Avrebbe indagato quella sera a cena.
Tornò vicina al letto, trovando il vestito che aveva scelto perfettamente sul letto, ben composto. Come se qualcuno glielo avesse preparato. Si guardò intorno. Non era entrato nessuno, se ne sarebbe accorta altrimenti. Deglutì leggermente, un poco spaventata. Forse non se lo ricordava e ce l’aveva messo lei?! Forse. Tuttavia lo prese e se lo infilò, allacciandoselo per bene e andando subito dopo allo specchio per pettinarsi. In attesa della cena avrebbe letto un libro o si sarebbe sdraiata sul divano della stanza. Conoscendo Annarose, sicuramente aveva colto l’occasione per riposarsi. Sperò per lei di non sognare ancora quel garzone. Ma come si dice?! Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

 
 
 
Note di Atena:
Buonasera a voi!^^
Che dire?! Ho voluto dedicare questo capitolo ad una coppia che adoro, anche se inventata dalla sottoscritta! *.* Come avrete capito… Leith è lo stesso Leith di Reign, ovvero il garzone che si innamora di lady Greer. Qui ovviamente modifico un po’ ma ci sarà sempre l’attrazione come viene descritta nella serie tv. Che ve ne pare dell’arrivo delle sorelle Seymour a corte? Ovviamente premetto che l’arrivo di Estella ed Annarose avviene un po’ prima di quello di Maria con le sue dame di compagnia. Ringrazio chi legge e recensisce! Un bacio a tutti voi!<3
Prima di concludere ci terrei a dire una cosa: a giorni dovrei cambiare nickname con il nome di “Kaesy Jordan”. Quindi non vi spaventate se trovate un nome diverso affiancato alla storia… sono sempre io!=)
Ora vi lascio! Buona notte!
Atena2011.

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