Penso che questo sia l'inizio di una lunga amicizia di DalamarF16 (/viewuser.php?uid=98962)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Milano, Quartiere Bovisa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: A new life ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: tra 8 milioni di persone ***
Capitolo 4: *** capitolo 4: Alla stazione ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Cos'ho da perdere? ***
Capitolo 6: *** capitolo 5: avviso ***
Capitolo 1 *** Milano, Quartiere Bovisa ***
PERSONAL SPACE: Eccomi! allora
come ho già dettoq uesta fanfic nasce da uno spinoff dell'altra mia
storial LA RECLUTA. Ho pensato bene di ampliare e approfondire la mia
versione della nascita dell'amicizia da clint e natasha, che di là e
raccontata come flashback...niente, questa è completamente slegata,
potete leggere una e non l'altra...e niente...vi auguro buona lettura!
CAPITOLO 1: Assicurati che muoia.
Triskelion, quartier generale dello
SHIELD, Washington DC, USA
-L'obiettivo della missione, agente Barton, è quello di spiare la
ragazza, non importa come, né con quali mezzi, e tenderle una trappola-
Clint annuì e non chiese per quale motivo non potesse semplicemente
tendere l'arco e infilarle una freccia nell'orbita oculare.
Aveva visto troppi colleghi tornare a casa gravemente feriti, alcuni
permanentemente, o direttamente nelle bare.
Natalia Romanova, nonostante la giovanissima età, non conosceva la
pietà. Chiunque le intralciasse il cammino verso il compimento della
missione veniva reso innocuo o eliminato, e spesso le due cose
coincidevano.
Lui era la persona adatta per sorvegliarla da lontano.
Salì sul quinjet e partì alla volta della città italiana di Milano.
Bovisa, quartiere periferico di
Milano, Italia.
Fingersi una studentessa straniera in Erasmus non le era stato facile.
Il grande Politecnico di Milano, che ospitava una quantità di
ingegnerie che mai avrebbe pensato che potessero esistere, aveva il
dipartimento di Aerospazio alla sua sede più periferica, quella di
Bovisa, situata in una zona industriale.
Aveva sperato di trovarsi in un ambiente più grande, con migliaia di
studenti, dove nessuno avrebbe fatto caso a lei, una ragazza russa che
aveva deciso di trascorrere un anno di studi all'estero.
Invece si era ritrovata in quella dannatissima Bovisa, in un posto
isolato nel mondo, lontano dalla metropoli a tal punto da non essere
collegata con la metropolitana.
Nel polo di Bovisa, le ingegnerie erano poche, Aerospaziale, Meccanica,
Energetica e Gestionale. Gran parte dello spazio era dedicata a
capannoni dove si svolgevano attività di ricerca e sperimentali, per lo
più su velivoli ed elicotteri.In più in un dipartimento dove non è che
le ragazze fossero proprio merce comune, soprattutto quelle carine come
lei (sì era conscia di essere decisamente una bella ragazza), e si era
subito trovata circondata da ragazzi pronti ad aiutarla ad ambientarsi.
L'ideale no?
La sua missione era quella di infiltrarsi e rubare informazioni su un
progetto che il governo americano stava portando avanti da qualche
anno, ma che solo adesso era diventato abbastanza concreto da
impensierire i russi.
Alla schermatura mimetica ci erano arrivati già da anni, ma la vera
novità constava di un nuovo motore ultrasilenzioso, che avrebbe di
fatto concesso agli americani di avvicinarsi e attaccare senza essere
intercettati.
E data la sua giovane età, quale copertura migliore del fingersi una
studentessa straniera?
Si era quindi iscritta al terzo anno di Aerospaziale (dopo essere stata
indottrinata per essere alla pari), e aveva iniziato a seguire le
lezioni, che si erano, tra l'altro, rivelate più interessanti di ogni
sua più rosea previsione. L'obiettivo era colui che, stando alle loro
informazioni, era uno dei pezzi grossi del progetto, in collaborazione
con le migliori aziende del territorio italiano in materia di
aerospazio e il governo USA, ovviamente, e che il caso (o meglio un
oculata scelta dell'identità di copertura) aveva voluto fosse non solo
il suo professore di Analisi di missioni spaziali, ma anche colui che
la stava seguendo passo passo nella sua integrazione nell'ateneo
italiano.
Il professor Mandelli sembrava un individuo comune. Alto, sulla
cinquantina, ben piazzato ma non grasso.
L'idea era quella di sfruttare il vecchio clichè della donna a
ingegneria, ma aveva capito subito che un bel paio di tette e qualche
scollatura con lui non bastavano. Aveva visto ragazze cercare questo
approccio venire congedate con tanto di gesto di sdegno.
Ovviamente l'unico incorruttibile con le sue doti di natura capitava a
lei. Un classico.
Quindi aveva deciso di sfruttare al massimo il fatto che lui fosse il
suo tutor, chiedendogli almeno un appuntamento a settimana con le scuse
più varie: chiarimenti sull'ultima lezione, un consiglio su qualche
lettura per migliorare il suo italiano, un pianto di nostalgia verso la
sua famiglia tanto lontana in Russia.
E contro ogni sua aspettativa, la tristezza aveva messo in moto
qualcosa. Quell'uomo aveva un istinto paterno incredibile. Gli era
bastato vederla in quello stato per portarla a casa sua a cena, insieme
alla moglie e ai figli (di cui la maggiore aveva pressapoco l'età di
Natasha) nel tentativo di distrarla e sollevarle il morale.
Il tutto senza mai, MAI fare un solo, misero, tentativo di sedurla.
Una cosa che le era a dir poco inedita.
Da lì, il passo era stato breve. Lui l'aveva presa sotto la sua ala
protettrice, e lei aveva iniziato a tessere la sua tela. Era spesso a
cena da lui, era diventata amica della figlia, che frequentava
architettura, sempre al Politecnico, sempre a Bovisa, con cui passava
spesso le pause e pranzo e i weekend (ogni invito era buono per spiare
in casa dell'uomo).
Trovare Natalia non era stato difficile.
Il ruolo della studentessa straniera le calzava a pennello, anche se
era difficile crederla già in età da università, ma a quanto pare
dovevano averla indottrinata bene, poiché restava al passo anche meglio
dei suoi compagni, allievi del terzo anno con alle spalle due o più
anni di frequentazione dell'università italiana.
Quanto a lui, alcune cose gli erano anche quasi familiari (finchè si
parlava di assetti di volo e calcoli sul consumo di carburante), mentre
altre cose erano per lui come arabo: incomprensibili e sufficienti a
fargli venire il mal di testa.
Fingersi uno studente era fuori discussione: non sarebbe stato in grado
di rispondere a una domanda a bruciapelo fattagli da un professore, e
Natalia avrebbe sicuramente sentito subito puzza di bruciato.
Aveva optato per i cari, vecchi appostamenti. Evitava cose tipo: il
tizio che legge il giornale, fuma una sigaretta e cose simili. No. Si
era fatto assumere come cameriere al bar di fronte a quello frequentato
dalla ragazza. Natalia passava lì dentro quasi tutto il tempo in cui
non era a lezione, o a colloquio con quello che, l'arciere non ci mise
molto a capirlo, era l'obiettivo della ragazza.
Le erano bastati due lacrimoni per sciogliere il professore, che finora
non aveva ceduto alle delicate, ma dannatamente efficaci, tecniche di
seduzione della ragazza. In compenso la carta della nostalgia aveva
funzionato alla grande, e l'uomo l'aveva di fatto adottata, iniziando a
invitarla spesso a casa sua per la cena o il weekend.
Vide Natalia fare amicizia anche con la figlia dell'uomo, Michela, una
ragazza decisamente carina che aveva preso l'abitudine di pranzare con
la spia russa.
Non ci volle molto perchè Clint iniziasse a sentire puzza di bruciato.
Da quando aveva chiesto informazioni sul professor Mandelli.
Classe 1959, laureato in ingegneria Meccanica, con due master in
Aeronautica: ala fissa (cioè gli aerei) ed ala rotante (gli elicotteri
o tutto ciò che funzionasse con delle pale) e una specializzazione in
ingegneria nucleare.
Un curriculum da far impallidire chiunque.
Tuttavia, niente lo legava a dei progetti segreti, e se lo SHIELD non
trovava niente, bè allora non c'era niente da trovare.
In compenso cominciò a notare degli strani movimenti.
All'improvviso molta gente aveva da fare dei lavori sui tetti: chi
l'antenna, chi delle tegole, chi infiltrazioni d'acqua.
2+2=4.
Natalia era il vero obiettivo della missione dei russi.
Ottimo, pensò. Per ora posso solo limitarmi a guardare. Se la eliminano
loro, un lavoro in meno per me. Quella sera stessa scrisse tutto nel
rapporto per Fury.
La risposta fu lapidaria: Assicurati che muoia.
E così i giorni passarono. Natalia conduceva una vita quasi normale, e
Clint la vide rilassarsi col passare dei giorni.
Le chiacchierate con Michela ora non erano più dei monologhi
dell'italiana, ma uno scambio sincero di informazioni. Aveva perfino
iniziato a insegnarle il russo.
L'arciere iniziò a vedere il ghiaccio di quegli occhi azzurri
sciogliersi a poco a poco, e i suoi pensieri non poterono non
ricordargli che lei, forse, non era molto diversa da lui.
Anche lui, era stato addestrato a essere letale.
Prima per le strade, quando rubava figurine rare ai bambini sfidandoli
a colpire qualunque cosa con delle monetine insieme a suo fratello.
Certo, non faceva loro del male fisico, ma l'umiliazione di essere
battuti da due orfanelli era cocente per dei figli di papà abituati a
vincere su tutto e tutti.
Poi al circo, con l'arco prima e i coltelli poi. A occhi chiusi
sfiorava senza ferire le hostess del circo, per la gioia del pubblico,
ma soprattutto del capocomico, che aveva in Clint una miniera d'oro.
Poi la fuga.
Il guadagnarsi da vivere con piccoli furti, finchè Coulson non l'aveva
salvato. Non gli aveva cambiato la vita.
Che Michela fosse il Coulson di Natalia?
Non lo sapeva, e forse nemmeno gli interessava, ma iniziò a boicottare
ogni singolo tentativo di omicidio della russa. Un cecchino sul tetto?
Neutralizzato.
Una bomba in un cassonetto? Miseriosamente sparita.
Un drogato in cerca di soldi per una dose? Si assicurava che non si
sognasse nemmeno di avvicinarsi ancora a quella merda.
Ci erano voluti pochi mesi per capire che il professor Mandelli non
aveva la più pallida idea di quello che stava progettando. Lui era
convinto di stare disegnando pale di elicotteri meno rumorose per una
questione di inquinamento acustico, ma niente di più. Quello che lei
aveva riconosciuto subito come il vice direttore della CIA, per lui era
solo un ingegnere americano mandato da una società statutinense, la
Aeroshuttle Inc., a controllare l'avanzamento del progetto.
Come aveva fatto rapporto, nello stesso giorno le arrivò l'ordine di
ucciderlo, insieme alla sua famiglia, e farlo sembrare un incidente.
Ovvio che finisse così. Lui ormai l'aveva vista in faccia, e non
avrebbe avuto esitazioni a riconoscerla in un futuro. La stessa cosa
poteva dirsi di Michela, la figlia, con cui era arrivata anche a
confidarsi su cose parecchio intime, che avevano creato con poche
difficoltà alla spia, che non era una campionessa di socializzazione.
E così si era messa al lavoro, pronta a eseguire l'ennesimo ordine
senza discutere. Non provava rimorso. Non a livello cosciente almeno.
Quello era il suo lavoro, ed era la sua vita contro la loro.
Quindi quella notte si era messa all'opera. Era venerdì e l'indomani
l'ingegnere e la sua famiglia sarebbero partiti per un weekend in
montagna, insieme ad Aliona (alias Natasha), per due giorni di libertà
e divertimento.
Si draiò sotto l'auto, completamente al buio, solo una penna-torcia a
illuminare il fondo della Ford Focus. Era stata attentissima, ed era
sicura che nessuno l'avesse vista.
Quella sera, quando evidentemente le arrivò l'ordine di uccidere il
professor Mandelli dopo i mesi di infruttuose indagini, Clint capì che
non poteva lasciarglielo fare. Che forse non era Michela il Coulson di
Natalia.
Era lui.
Si mise per un attimo nei panni della russa, pensando che al posto di
Michela ci fosse Coulson. Non fece fatica a immaginarsi la sua anima
andare in pezzi, quel poco di umanità che gli restava sparire per
sempre.
E fu allora che decise di agire.
Neutralizzò l'ennesimo cecchino e si avvicinò di soppiatto a lei.
Sussultò quando una voce maschile le arrivò in poco più che un sussurro.
-Vuoi farlo davvero? Dopo tutto quello che hanno fatto per te?-
La sorpresa la fece sobbalzare, mandandola a colpire la scocca con la
fronte. Ahio.
-Non devi farlo se non vuoi...- di nuovo la voce le parlò.
Non rispondergli, si disse, ignoralo e stai al coperto. Non. Deve.
Vederti. E trova un modo per ucciderlo, già che ci sei.
-Non puoi uccidermi, se lo fai, addio incidente...-
-Posso sempre infilarti nel bagagaglio- risposte istintivamente. Che
cazzo fai?
-Natalia. Sei morta comunque-
Che? Cosa? Conosceva il suo nome?
-Sei stata scoperta due mesi fa- proseguì la voce -Da allora cercano di
ucciderti, a volte sfuggi per la tua buona stella, a volte perchè,
modestamente, ci sono io a pararti il culo-
-Sì certo...a chi la racconti?-
-Natalia. Ti sto dicendo la verità. Esci da lì-
Spinta da una forza sconosciuta, lei, che non si fidava di nessuno,
decise di fidarsi di quella voce e uscire. L'uomo che le si parò
davanti era sulla trentina, aveva i capelli corti e portava occhiali da
sole (???) nonostante fosse piena notte. E sulle spalle aveva....una
faretra? Le tese una mano, che lei rifiutò categoricamente, mettendosi
in piedi da sola.
-Cosa...- cominciò, ma lui le mise un dito sulle labbra e le mostrò un
cellulare.
Era una ripresa video. Era lei, al politecnico, nel dipartimento di
spazio. Aula L09. Fece due calcoli, il video era di due giorni prima,
lo stesso giorno dell'arrivo dell'ordine di omicidio di Mandelli.
La ripresa era fatta dall'alto, forse, anzi sicuramente, dal tetto del
palazzo che ospitava il bar dove aveva preso l'abitudine di fare
colazionea al mattino. La ripresa zoomò sul palazzo alla sinistra
dell'edificio dove era collocata la sua aula. Era un posto che sempre
aveva pensato ottimo per posizionare un cecchino. E non venne tradita.
Un uomo con un fucile di precisione era appostato e puntava proprio
verso la classe. Verso di lei. O verso Mandelli. No. Scartò
quell'ipotesi. L'ordine di terminare il professore era arrivato a lei.
E lei era la migliore. Nessuno che avesse un po' di sale in zucca
avrebbe mandato un altro dopo averle assegnato il lavoro.
-Questo non prova che siano i miei a volermi uccidere-
-Guarda meglio-
Non aveva avuto bisogno di dirle cosa guardare meglio. Il cecchino
vestiva di grigio, quasi perfettamente mimetizzato con il cemento del
terrazzino su cui era appostato, e portava un passamontagna.
L'attenzione di Natasha, Natalia, si focalizzò sul fucile. Un SVD
Dragunov. Fabbricazione russa. Gettata 800m, caricatore da 10 colpi.Non
utilizzato dalle forze americane.
Quello non era il solo video. Gliene mostrò altri ancora, in tutti la
stessa scena. Ma perchè ucciderla prima che uccidesse il suo
obbiettivo? Che senso aveva?
A meno che...
La realtà la colpì come un macigno, togliendole il fiato. Era una
distrazione. Non volevano che lo terminasse perchè era un possibile
pericolo. Lui era solo l'esca, la distrazione per permettere loro di
colpirla.
-Ho eliminato tutti i cecchini, compreso quello di stasera- Con il
pollice lo sconosciuto indicò la casa antistante quella del professore.
Ma lei non lo stava più ascoltando. Se i suoi la volevano morta...che
cosa restava di lei?
-Natalia..- il tono di lui le fece capire che aveva detto qualcosa che
lei si era completamente persa. -Dobbiamo andare. Ora-
Non sapeva perchè, ma lo seguì. Chi era questo sconosciuto armato di
arco e frecce? E perchè la stava proteggendo?
PERSONAL SPACE: Allora, grazie a
chi è arrivato fin qui, spero che abbiate gradito! nel caso fatemelo
sapere! Alla prossima!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: A new life ***
PERSONAL SPACE; Rieccomi con il
secondo capitolo! Prima di tutto grazie a Alexis e a Ledy Leggy, che
sono state così gentili da recensirmi anche qui, e poi a Ginge e Mumma
che hanno inserito la storia nelle seguite, spero che continuerete a
leggere!
E...niente, vedremo cosa sta
succedendo a Natalia e a Clint dopo Milano...buona lettura!
CAPITOLO 2: A new Life
-Perchè mi stai proteggendo?-
La domanda l'aveva colto all'improvviso, spingendolo a farsela a sua
volta. Già. Perchè? Lei era la sua missione. Lui doveva tenerla
d'occhio, capire cosa stava cercando, e successivamente tenderle una
trappola, dove lui e i suoi colleghi l'avrebbero uccisa una buona volta.
Natalia Romanova aveva dato del filo da torcere a tutti, nessun agente
era riuscito anche solo a metterla in difficoltà, non parliamo poi di
ucciderla.
Quindi si era deciso per un agguato.
Ma quando l'aveva vista, vista davvero, non aveva avuto il coraggio di
portare a termine quella missione.
Perchè lui era convinto che la ragazza che aveva fatto amicizia con
Vanessa Mandelli fosse la VERA Natalia, non l'assassina spietata, la
spia perfetta che era stata addestrata a essere.
Nei suoi occhi, quando chiacchierava spensierata, aveva visto il
desiderio di una vita normale attraversarla. Conosceva la luce che
regalava allo sguardo. Lo aveva visto nei suoi stessi occhi ogni volta
che vedeva i bambini al circo.
Lui a 13 anni scarsi era già una star, era già Occhio di Falco. Con
l'arco, o con i coltelli, non sbagliava un tiro. Era l'orgoglio del
direttore (quando non lo faceva pestare a sangue) decantare le sue
doti.
Tutti quei bambini con una vita normale lo invidiavano, avrebbero
voluto essere lui.
Non sapevano che lui avrebbe dato ogni cosa per un quarto d'ora della
loro vita.
Aveva deciso all'istante di toglierla da quella vita, e l'occasione gli
si era presentata quando erano stati inviati i primi cecchini. Li aveva
abbattuti ancora prima che si rendessero conto di cosa era successo.
Ed era uscito allo scoperto prima che facesse qualcosa che avrebbe
rimpianto per tutta la vita.
-Credi nelle seconde possibilità?-
-No-
-Bene, perchè te ne sto offrendo una-
Per tutta risposta Natasha fece un qualcosa che era a metà tra uno
sbuffo e una risata.
Clint non ci rimase poi troppo male, lui stesso aveva dato una risposta
molto simile a Coulson quando l'aveva avvicinato con quella stessa
offerta.
Non avrebbe mai dimenticato quel
giorno.
Da qualche tempo si sentiva come
tenuto sott'occhio, ma non ci aveva mai fatto troppo caso. Vedendolo
così trasandato, i vestiti logori, la barba sfatta, non era certo nuovo
agli occhi della gente che lo scrutavano, o alle signore per bene che
si tiravano indietro quando passava.
Tutto nella norma, e a lui andava
bene così.
Era stato così tanto a lungo da solo
che non sentiva il bisogno di avere qualcuno attorno.
L'ennesimo furtarello, solo un paio
di mele e un pezzo di pane per tirare a sera.
I soldi dell'ultimo lavoro su
commissione ormai finito, e ancora non si era deciso ad accettarne uno
nuovo. Le offerte non gli mancavano, ma per qualche motivo, non aveva
voglia di ripartire per l'ennesimo omicidio.
Non aveva però fatto i conti con la
telecamera di sorveglianza. L'aveva ovviamente vista, ma aveva pensato
a una di quelle innocue, che registrano. Non aveva notato che sotto il
bancone, il proprietario aveva uno schermo che proiettava in diretta
tutto ciò che avveniva nel locale.
E si era ritrovato a scappare a gambe
levate con l'uomo che lo rincorreva con una mazza da baseball.
La fame, la stanchezza, l'avevano
fatto barcollare, e l'uomo l'aveva colpito.
Si era risvegliato in un vicolo,
sdraiato a terra.
-Ci sono modi migliori per procurarsi
da vivere, signor Barton-
Un uomo in giacca e cravatta era
accanto a lui, gli teneva del ghiaccio sulla fronte. Lo respinse
bruscamente, mentre il suo istinto lo invitava caldamente a mollare un
pugno allo sconosciuto e ad andarsene da lì.
Peccato solo che la testa gli
pulsasse troppo anche solo per pensare di alzarsi.
-Ah sì?- rispose allora vagamente
ironico, prima di chiedersi come diamine facesse quell'uomo a sapere il
suo nome.
-Quando era nell'esercito lo faceva-
-Che vuole da me?-
-Darle una seconda possibilità-
-Se la ficchi su per il culo-
L'uomo si era alzato sospirando, e
senza una parola di più se ne era andato, ma quando Clint riprese
coscienza di sé, si accorse che gli aveva lasciato un biglietto con un
indirizzo, una data e un'ora.
Inutile dire che alla fine aveva
deciso di non avere nulla da perdere, in fondo, e di andare almeno a
sentire che cosa volesse quell'uomo da lui.
Clint tornò al presente, e scoprì che in quell'attimo che si era preso,
lei era già scomparsa.
Fece sparire il cadavere del cecchino, poi rimase di guardia alla casa
del professore, mentre cercava una scusa per giustificare a Fury che
aveva fallito, e che Natalia si era dileguata nel nulla.
Decise di optare alla fine per un verbale in cui raccontava, più o
meno, la verità.
-Quindi, come sospettavamo, il professore non era un vero obiettivo-
Dopo la lettura del verbale, Occhio di Falco era stato immediatamente
richiamato alla base. Gli erano state concesse 48 ore per tornare,
sistemarsi, riposarsi (se proprio doveva) e presentarsi di persona a
rapporto.
Non appena aveva ricevuto quella comunicazione, aveva saputo di essere
nei guai: perdere così un soggetto era da principianti. Per questo si
era preparato anche una serie di scusanti, che in pare, scaricavano la
colpa anche su chi gli aveva assegnato una missione di sorveglianza
24/7 in solitaria, senza nessuno a dargli il cambio.
-Sì, signore. Non so chi fossero quelle persone, ma Natalia doveva
venire uccisa mentre era intenta a sorvegliare un innocuo professore
universitario-
-E quindi, mentre era sotto tiro, probabilmente disorientata dalla
scoperta, sei riuscito a fartela scappare-
Clint sospirò
-Sì, signore-
E la sfuriata di Fury aveva avuto inizio. Clint lo lasciò sfogare,
lasciando che quelle parole gli scorressero addosso come un fiume in
piena. Solo quando il direttore ebbe finito, si arrischiò a parlare.
-Signore? Posso giustificarmi?-
-Sentiamo, Barton-
-E' vero, l'ho persa. Ma io ho fatto tutto come al solito. L'ho seguita
fino a quando non è rincasata, dopo cena. Ho aspettato che si mettesse
a letto, poi, come al mio solito, mi sono concesso le mie due ore di
sonno a notte. Ero esausto. E quando mi sono svegliato, lei era
sparita. Non voglio scaricare le colpe, ma sono stato mandato da solo a
fare una sorveglianza 24 ore. Sono allenato, ma sono ancora umano- Ora
si stava alterando, riconoscendo in quella che doveva essere una scusa
di comodo un fondo di verità. Cercò di mantenere calmo il tono di voce
-Non sono infallibile, e dopo 3 mesi, il mio corpo ha ceduto. La
prossima volta, almeno degnatevi di darmi una spalla. E non perderò il
bersaglio-
Detto questo, si congedò e uscì senza attendere la risposta di Fury.
Dopo Milano, lei era sparita.
Davanti a quello sconosciuto non l'avrebbe mai ammesso, ma l'idea di
essere braccata dai suoi stessi capi, peraltro senza un valido motivo
da quel che poteva ricordare a memoria facendo mente locare, la
spaventava a morte.
Loro erano l'unica cosa che lei avesse. Certo non poteva considerarli
una famiglia, ma nel bene o nel male si erano presi cura di lei,
crescendola (anche se in modo piuttosto discutibile) e dandole un tetto
sopra la testa.
Ora che cosa le restava?
Non perse troppo tempo a chiederselo. Ora doveva sparire, far perdere
le sue tracce.
Tornò in fretta nel suo appartamento, cercando di non dare troppo
nell'occhio. Una normale ragazza che tornava a casa da un pub dopo una
serata con gli amici.
Non aveva molto tempo.
Decise, ancora per un po', di fare il gioco di chi stava cercando di
ucciderla. Mandò il suo rapporto giornaliero. Prevedeva di eseguire la
sentenza due giorni dopo, di ritorno dalla montagna. La famiglia aveva
in programma di passare il sabato sera a Bormio, dove quel weekend era
il fine settimana delle cantine aperte, una manifestazione dove tutti i
produttori di vini e liquori della zona permettevano gli assaggi dei
loro prodotti.
L'idea era quella di sfruttare l'assunzione di alcol come la scusa per
cui l'uomo avrebbe perso il controllo dell'auto, andando poi a
precipitare giù dalla montagna, durante la strada del ritorno.
Una cosa molto meno sospetta di un'autobomba.
Il mattino dopo, Natalia era scomparsa.
Aveva ancora qualche passaporto in bianco: cambiò radicalmente aspetto.
I capelli da rossi divennero un (orribile, secondo Natalia) biondo oro,
e gli occhi da azzurri presero una sfumatura verde brillante, grazie a
un paio di lenti a contatto colorate dall'effetto naturalissimo.
Fece compilare da qualcuno che conosceva il nuovo passaporto.
Lucinda Blues, quindicenne figlia di un importante avvocato e di una
donna d'affari, che avevano deciso di divorziare e proseguire ognuno le
loro vite. Lei era stata presa in mezzo, affidata alla madre che si era
trasferita in Italia, mentre il padre era rimasto in quel di New York a
far carriera in un importante studio legale, uno di quelli con uno
stipendio base a 5 cifre, per intenderci, più gli extra dati dai
clienti più che milionari.
E ora, finite le scuole, Lucinda lo stava raggiungendo per le vacanze
estive, con un volo diretto, ovviamente in businnes class.
Comprò una valigia enorme, che riempì con una valanga di vestiti, tra
cui quelli che le aveva regalato nel corso della loro breve amicizia
Michela, a cui aggiunse qualche sasso per fare peso.
Poi si imbarcò, affidata a una hostess, come previsto per i minori in
volo da soli, su un aereo per New York.
Durante il viaggio, mentre si fingeva una tranquilla ragazzina ormai
troppo esperta di voli per non essere superorganizzata tra ipod, libri
e quant'altro (tutte cose che aveva comprato in aereoporto), cercò di
mettere ordine nella sua mente.
Mentre pensava, iniziò, tra le altre cose, a chiedersi se forse non
fosse stata un po' troppo precipitosa a fuggire dall'invito dello
sconosciuto.
E' vero, si era fidata di lui e delle sue parole, ma il fatto che
conoscesse il suo nome la disturbava abbastanza da chiedersi cosa
volesse veramente da lei. Avrebbe sempre potuto chiedere no?
Ma ormai era fatta, e non l'avrebbe mai più rivisto.
O almeno era quello che pensava.
Arrivata a New York, dopo essersi profusa in mille ringraziamenti verso
l'equipaggio che si era così ben presa cura di lei ( e avere lasciato
alla hostess una ben più che lauta mancia, come papà le aveva
insegnato), aveva mantenuto la finzione solo per il tempo a farsi
lasciare a WallStreet da un taxi trovato appena fuori dal terminale.
Subito aveva preso la metro, e si era diretta a Brooklyn, un quartiere
che conosceva molto bene per via di alcune missioni. Lì nessuno faceva
troppe domande.
Altro taglio di capelli, altra tinta.
Questa volta optò per un anonimo castano chiaro, che si sposava bene
senza stonare con i suoi occhi azzurri. Scelse un taglio che la
invecchiava, completando il tutto con un trucco impercettibile, ma che
andava a completare l'invecchiamento.
Ora sembrava una ragazza di vent'anni in cerca di un lavoro.
Complice la sua identità nuova, Natalia era riuscita a restare
nell'anonimato. Si era presa un appartamento anonimo in affitto e aveva
trovato da lavorare come cameriera in un ristorantino a gestione
famigliare.
Si era dovuta adattare a una vita completamente nuova. Aveva adottato
lo stesso approccio di una missione sotto copertura. Ma questa poteva
durare in eterno.
All'inizio si annoiava.
Dopo il lavoro e le pulizie non le restava niente di meglio da fare che
mettersi sul divano e poltrire. La televisione la annoiava, ed erano
davvero pochi i film che non la facevano addormentare dalla noia dopo
10/15 minuti.
Per cui aveva iniziato a leggere. Leggeva di tutto.
Quindi era questa, la vita normale?
Vedeva persone attorno a lei innamorarsi, fare amicizie. Lei non se lo
poteva permettere.
Per quanto si illudesse, sapeva benissimo che sarebbe arrivato il
giorno in cui qualcuno sarebbe entrato nel locale o l'avrebbe vista al
supermercato, o incrociata in metro e tutto sarebbe finito. Lei sarebbe
stata di nuovo in fuga. O morta.
E un giorno qualcuno effettivamente entrò nel locale.
L'aveva visto solo di notte, ma la sua voce le era rimasta impressa a
fuoco nella mente.
-Un caffè da portar via-
Al bancone c'era la sua collega, e lei si era voltata a pulire un
tavolo appena in tempo per non farsi riconoscere. Non era possibile.
New York vantava circa 8 milioni di abitanti, sparsi in cinque
distretti. E lui entrava proprio nel locale dove lavorava lei?
Rientrò in cucina con i piatti sporchi da lavare, e diede uno sguardo
al suo viso, per sapere per lo meno che faccia avesse, nel caso fosse
servito. Per poterlo riconoscere in futuro ed evitare che diventasse
una minaccia, o il suo assassino.
Lui, fortunatamente, non si accorse di niente, e lei non uscì dal retro
finchè non fu certa che se ne fosse andato.
PERSONAL SPACE; Niente, se siete arrivate fin qui, vi ringrazio di
nuovo, io vi lascio col solito invito di lasciarmi, se volete una
recensione,,,e alla prossima! Ah e se volete, date pure uno sguardo a
La Recluta, la fanfic che ha dato origine a questa!
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: tra 8 milioni di persone ***
PERSONAL SPACE: Rieccomiii!!
scusate se sono stata un po' latitante ma come spaete mi stavo portando
avanti con La Recluta, ma non pensate che io abbia abbandonato i Nostri
Clint e Natalia! Un grazie come sempre ad Alexis e Ledy leggy, che mi
recensiscono sempre e a chi ha inserito questa sotria tra le seguite e
le preferite!
Vi lascio al capitolo...Buona
lettura!
Capitolo 3: Tra 8 milioni di persone
Non lo video più per un bel po' di tempo.
Da subito aveva scartato l'ipotesi che fosse un abituè del locale:
ormai lavorava lì da parecchio e non l'aveva mai visto prima.
Certo era probabile che, chiunque fosse il suo mandante, facesse un
lavoro che lo mandava in giro per il mondo con una frequenza tale da
rendere inutile una dimora fissa (un po' come lei) o, ancora, era
possibile che lui fosse lì in missione e si fosse fermato fino al
completamento per poi tornarsene in patria, qualunque essa fosse, anche
se da quel che ricordava del loro dialogo, le era sembrato decisamente
americano sia nell'aspetto che nella parlata.
-...Festa sabato?-
Natalia ci mise qualche minuto a capire che la collega stava parlando
con lei.
-Come scusa?- chiese educatamente -ero sovrappensiero e non ti ho
sentito-
-Sabato è il mio compleanno- ripetè paziente Martha -Ho visto che non
sei di turno, e mi chiedevo se ti facesse piacere venire alla mia
festa. Non sarà niente di che- si affrettò a spiegare vedendo
l'espressione lievemente stupita sul suo volto -Solo pochi amici, così,
per stare in compagnia. Potrebbe anche essere l'occasione per fare
nuove amicizie, vieni dall'Ucraina giusto?-
Natalia, ora Nina, annuì.
-Sì, va bene. Grazie-
Non aveva la più pallida idea di cosa diamine fosse una festa di
compleanno. Cioè, in teoria lo sapeva, ma nella pratica non ci aveva
mai partecipato. Sapeva che bisognava portare un regalo, ma nulla di
più.
Quindi quel pomeriggio, a fine turno, si recò al centro commerciale
alla ricerca di qualcosa di adatto.
All'inizio aveva pensato allo spray al peperoncino, che, si sa, a una
ragazza sola che finisce tardi di lavorare può sempre servire, poi
aveva pensato di stare esagerando.
Provò a entrare in libreria, dove fece l'enorme sbaglio di chiedere
aiuto a una commessa, che le consigliò svariati libri che al momento
sembravano andare molto di moda. A Natalia provocarono solo un gran mal
di testa e un profondo disgusto.
Scartò le scarpe.
E la musica.
Alla fine vide una t-shirt che le sembrava abbastanza carina. Era a
maniche corte, di un grigio chiaro, con dei brillantini e un disegno
floreale stampato. Stufa della ressa di quel luogo pubblico, che
risvegliava in lei le peggiori paranoie facendole vedere cecchini e
spie ovunque, la comprò senza fare caso al presso e si precipitò
all'aria aperta.
Ahhh.
Di Natalia non si svevano più notizie ormai da mesi, e non sapeva se
esserne sollevato o preoccupato.
Probabilmente l'aveva preso sul serio, ed era sparita dalla
circolazione, almeno per ora.
Dopo il fallimento con la rissa, Fury l'aveva tenuto per un po' lontano
dal campo, per punizione probabilmente, ma poi si era accorto che Clint
aveva un'innata capacità di irritare chiunque in qualunque modo se
iniziava ad annoiarsi, e così, più per disperazione che per altro,
l'aveva rispedito in azione.
La prima missione era stata una noia mortale. La scorta, a debita
distanza, di un presidente di non si ricordava nemmeno quale sperduta
nazione del mondo, abbastanza piccola da non averla mai sentita
nominare prima. Essendo sconosciuto, i rischi che correva erano minimi,
e infatti era tornato alla base dopo un mese con un livello di noia che
rasentava l'infinito.
Poi era stata la volta del Canada, dove per lo meno si era divertito a
fingersi un giovane scapestrato (il che per lui non era che un essere
sé stesso) solo con lo scopo di riportare a casa la figlia fuggiasca
del vice-presidente degli Stati Uniti.
Sì, Fury gli stava dando delle missioni al limite del ridicolo,
probabilmente per punirlo senza far venire un esaurimento ai soldati di
stanza al quartier generale.
Riuscì a tornare nella sua casa di New York solo dopo mesi.
Non la ricordava così tanto in disordine, ma non ci mise molto a capire
che era tutta opera sua.
Si decise, più per avere dello spazio su cui camminare che altro, che
era ora di riordinare un po' le cose.
Dopo il quarto carico di lavatrice aveva ancora svariati capi sporchi.
Decise di infilarli nell'armadio e accontentarsi già della montagna di
roba che aveva lavato.
La cucina non era in condizioni migliori.
Svuotò il frigorifero dopo aver indossato nei guanti buttando il (poco)
contenuto direttamente in un sacco della spazzatura. Non osò guardare
lo stato del cibo, ma l'odore gli bastava ed avanzava.
Un lancio preciso, e i resti volarono 5 piani più sotto, dritti nel
bidone della spazzatura.
Lavò il frigorifero e poi lo lasciò spento e aperto, per eliminare
definitivamente i residui.
Doveva decisamente smetterla di comprare beni deperibili.
Non era la prima volta che tutta la sua dispensa veniva tirata
letteralmente fuori dalla finestra.
Finita l'operazione si fece una doccia e decise di andare a cenare al
fast food sotto casa, poi si buttò sul letto così com'era e cadde in un
sonno profondo.
Si era quasi rassegnata al fatto che quel tizio non l'avrebbe mai più
rivisto, quando, dopo qualche mese, eccolo ricomparire, sempre per la
colazione del mattino.
Di nuovo, come la volta scorsa, fece una pausa strategica per non farsi
vedere. Certo il suo aspetto era cambiato, tanto che ancora faticava
lei stessa a riconoscersi allo specchio, ma non voleva esporsi.
Una parte di lei credeva alla versione di quel tizio di Milano, quello
che voleva darle una seconda possibilità, ma il suo lato paranoico,
quello che vedeva nemici ovunque e le impediva di star bene in un
centro commerciale come tutte le sue coetanee, credeva che lui fosse
l'ennesima trappola per eliminarla.
Quello che si chiedeva davvero era, però, per quale diavolo di motivo
volesse davvero rivederlo.
Che a livello inconscio volesse avere quella seconda possibilità? O che
si desse almeno il tempo di sapere cosa volesse proporle.
Decise che se si fosse fatto vedere ancora l'avrebbe seguito, se non
altro per capire che tipo di individuo fosse e possibilmente dove
lavorasse. L'unica pecca era che ora doveva anche lavorare e gestire
quell'inizio di vita sociale che era nato con la festa della sua
collega Tiffany.
-Quel tipo è veramente carino, sei riuscita a vederlo?- la accolse la
ragazza non appena rientrò dalla pausa.
-Chi?-
-Quello che ha preso il caffè. Biondino, occhi azzurri..un gran bel
didietro...-
Ci mise un attimo a realizzare che stava parlando di quel tizio.
-Ah...sì, un bel tipo- rispose distrattamente. Non era abituata a
osservare in quel modo gli altri. Per lei osservare significava notare
dettagli tipo rigonfiamenti nei giubbotti, o zoppie, o modi di fare che
indicassero lati deboli. Però ne approfittò per fare la domanda che le
premeva -Viene spesso?-
-No, non direi. Probabilmente lavora fuori città. Non si fa vedere
magari per mesi, ma poi ricompare, salvo poi sparire di nuovo, ma credo
che abbia una casa nel quartiere-
Quindi probabilmente aveva ragione.
Il suo lavoro lo portava in giro per il mondo.
-Sei interessata?- Martha non vedeva l'ora di farle trovare un
fidanzato, e le aveva presentato almeno una decina di ragazzi nelle
ultime tre settimane.
-Che? Eh, no...solo che sembrava che l'avessi radiografato più di una
volta- (radiografato? Quando diamine aveva iniziato a parlare come una
di quelle ventenni che aveva iniziato a frequentare dopo il lavoro?)
-Bè uno così non passa certo inosservato...specialmente quando viene
dopo aver fatto jogging, o palestra...che peccato che non dia
confidenza a nessuno...-
Natalia non si stupì di quell'affermazione. Se faceva il suo stesso
lavoro, le relazioni non erano consigliate. Erano non solo una
distrazione, ma anche una debolezza: avere qualcuno a cui si teneva era
dare un'arma carica ai propri nemici.
Lei stessa usciva con le ragazze e sopportava tutti i loro tentativi di
farla innamorare solo in virtù della facciata che voleva mantenere, ma
non considerava nessuno un amico.
Fatta eccezione forse per Michela, la figlia di quel professore di
Milano, non aveva mai avuto qualcuno con cui confidarsi.
Si sforzò di fare una risata complice
-Non vedo l'ora di ammirarlo allora-
Si diedero delle gomitate scherzose, complici, e per un attimo Natalia
ebbe l'illusione di essere una persona normale, prima di ricordarsi che
non era Natalia Romanova, ma Nina Golubev.
Nina era una ragazza normalissima, arrivata in America in cerca di
fortuna. Natalia una forse ex spia russa ricercata da più paesi di
quanti ne conoscesse.
-Speriamo torni presto...-
Natalia sorrise di nuovo, mentre prendeva il taccuino per fare il giro
ai tavoli per le ordinazioni.
Quando si svegliò il sole era già alto nel cielo. Ma quanto accidenti
aveva dormito?
Ancora con gli occhi ridotti a fessure prese il cellulare che gli aveva
appioppato Nick Fury per poterlo sempre rintracciare, e vide che era
quasi mezzogiorno. Accidenti, più di 12 ore...quasi un record.
Si costrinse a rotolare giù dal letto.
Doveva assolutamente rifornire la dispensa o sarebbe morto di fame. Bè,
ok, forse non sarebbe morto di fame, ma di certo il suo conto in banca
ora di fine mese ne avrebbe decisamente risentito.
Lo SHIELD pagava bene, ma non così tanto da permettergli di fare tutti
i pasti fuori casa.
Si fermò al solito ristorantino sulla strada per il centro commerciale.
Il caffè non era male, e il personale abbastanza gentile, nonché
decisamente carino, specialmente la parte femminile di esso.
Fu lì che, per un istante, gli sembrò di vedere Natalia.
Si voltò in un secondo, sperando di dare un'occhiata più accurata, ma
la ragazza era già sparita in cucina.
Certo, non era rossa, questo l'aveva visto, ma non era certo il colore
dei capelli a identificare una persona, specialmente una donna.
Prese il caffè e uscì accantonando momentaneamente l'episodio. Prossima
tappa: centro commerciale.
Lo vide sempre più spesso nel locale. Evidentemente si era preso una
pausa dalle missioni e stava vivendo la vita di semplice cittadino.
Arrivava agli orari più disparati, non aveva una routine. A volte
all'alba, a volte a metà mattina, delle volte al pomeriggio. Era sempre
solo e raramente parlava con gli altri avventori, anche se era sempre
educato con il personale.
Un pomeriggio il suo arrivo coincise con la fine del turno, così
l'aveva seguito, non vista, fino a casa.
Si era ufficialmente trovata un hobby.
Un po' per sospetto, un po' per deformazione professionale, un po' per
noia, e un po' per curiosità, aveva iniziato a seguirlo.
Abitava non molto distante da lei, e per fortuna non metteva spesso
piede nel suo posto di lavoro.
Non era una cosa morbosa, semplicemente quando lo incrociava lo
agganciava e lo seguiva. Era anche un ottimo allenamento per non
perdere le vecchie abitudini.
Anche quel giorno, lo stava seguendo. Era presto e lei aveva appena
staccato dal lavoro. Non aveva troppa voglia di andare subito a casa,
così si era concessa un giro al centro commerciale per comprare una
nuova tintura per capelli. Dio solo sapeva quanta voglia aveva di
tornare al rosso, ma sapeva di non poter rischiare una mossa del
genere. Sicuramente era la ricercata numero uno sulla lista.
Optò per il solito, anonimo, castano scuro, che ben si sposava con i
suoi occhi.
Poi però lo aveva intravisto, vestito in borghese, jeans, allstar e una
felpa col cappuccio. E gli immancabili occhiali da sole.
Si era subito messa a seguirlo, fortunatamente senza deviare dal suo
obiettivo primario della tinta, visto che anche lui aveva fatto una
tappa al supermarket.
Poi li aveva visti.
E loro avevano visto lei.
Aveva però letto nei loro occhi l'incertezza. I capelli erano diversi,
il trucco le cambiava leggermente i connotati grazie a un sapiente uso
di fondotinta, terre e quant'altro. I primi tempi faceva fatica a
riconoscersi guardandosi allo specchio.
Non. Andare. In. Panico. Sta. Calma. Si disse. Stai in pubblico, in
mezzo alla gente, e tieni le distanze.
Aveva visto Mr. Occhiali da sole entrare alla Grand Central Station, e
immediatamente aveva deciso di seguirlo. Non perse tempo ad ammirare la
grandiosità dell'edificio. Fece il giro, e gli corse incontro come se
stesse arrivando direttamente dai binari.
-Amore!- Lo strinse a sé e lo coinvolse in un bacio appassionato.
PERSONAL SPACE: Che succederà
ora? Chi sono i misteriosi inseguitori? Come reagirà Clint? Questo e
altro nel prossimo capitolo!
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Capitolo 4 *** capitolo 4: Alla stazione ***
PERSONAL SPACE: per chi legge
"La recluta" questo capitolo non avrà nulla di nuovo, ma la verità è
che è da questo punto che mi è nata l'idea dello spin off, e mi piaceva
come l'avevo scritto (ebbene sì ogni tanto mi succede), per cui ho
deciso di non cambiare nulla, tranne un'aggiunta alla fine a
completamento del tutto.
Ringrazio intanto Ledy Leggy e
L'unicorna, che mi hanno
recensito, sempre puntualissime e molto gentili!
grazie poi anche a Ginge, Mumma e
Slytherine_ in_ love, che
l'hanno messa tra le seguite!
Vi lascio al capitolo! A dopo!
Capitolo 4: Alla stazione
Quando una bella ragazza ti prende e ti bacia, così, dal nulla, non è
che ci stai troppo a pensare, se sei una persona normale.
Ma Clint non era una persona normale, e sul momento aveva avuto la
tentazione di respingerla, sospettoso di una trappola. Non conosceva
quella ragazza, e dubitava di un banale scambio di persona.
Ma poi aveva sentito un dito picchiare sulla sua schiena, mentre lei lo
stringeva. Picchiettava in modo ritmico, con uno schema. A volte si
soffermava per più tempo sul tessuto sulla sua felpa. A volte meno. A
volte si fermava.
Tre contatti brevi. Pausa. Contatto lungo, contatto lungo, contatto
corto, contatto lungo. Pausa. Tre contatti brevi.
Gli si gelò il sangue nelle vene. Codice morse. SOS. Lo stava
“scrivendo” a ripetizione. Strinse la presa un attimo, a farle capire
che aveva capito.
Ma il messaggio non era finito.
Contatto lungo, contatto lungo. Pausa. N. Contatto breve, contatto
lungo. Pausa. A. Contatto lungo. Pausa. T. Contatto breve, contatto
lungo. Pausa. A. Contatto breve, contatto lungo, contatto breve,
contatto breve. Pausa. L.
-Natalia- Soffiò sulle sue labbra, staccandosi appena per darsi il
tempo per guardarla.
Il suo aspetto era cambiato, ma non fece fatica a riconoscerla, ora che
ci faceva caso e la vedeva così da vicino.
Non sapeva cosa lei volesse da lui, o quali pericoli stesse correndo,
ma se era lì, ora, a chiedergli aiuto, lui certo non poteva
negarglielo. Non se lo aveva trovato tra tutti gli abitanti di New
York, dopo averlo visto per pochi minuti una notte di qualche mese
prima.
E allora rispose a quel bacio, stringendola forte a sé mentre, coperto
dalle lenti scure, cercava di individuare la minaccia.
Perchè per spingere la Vedova Nera a quell'azione plateale, una
minaccia doveva esserci, e doveva essere nelle vicinanze.
Si guardò intorno, scandagliando velocemente ma accuratamente la folta
popolazione della stazione.
Pendolari: stanchi operai o uomini d'affari entravano e uscivano a
passo svelto. Qualche famiglia, con delle valigie, in partenza o in
arrivo da un viaggio. Un nonno che teneva la nipotina per mano. Non
doveva prendere il treno, l'aveva semplicemente portata a vedere i
convogli che passavano, non prima di averle comprato un palloncino rosa
a forma di unicorno.
Cerca Clint. Cerca.
Continuava a baciarla, mentre esplorava i dintorni. Eccoli. Niente
valigie, niente ventiquattro ore. Nessun segno di stanchezza sul viso.
Due uomini a ore 20. A stento riusciva a vederli con la coda
dell'occhio. Ruotò di poco su sé stesso, senza staccarsi da lei, fino
ad averli quasi di fronte.
-Amore...- disse alla fine staccandosi e raccogliendo da terra il
borsone posato poco prima da un tizio che era andato a fare i biglietti
senza l'ingombro del bagaglio -Come è andato il viaggio? Sei stanca?-
Lei aveva alzato gli occhi e l'aveva guardato con una punta di
riconoscenza
-Esausta. Andiamo a casa?-
Lui le aveva avvolto un braccio attorno alle spalle stringendola a sé e
l'aveva portata fuori dalla stazione. Solo quando si fu assicurato che
quelli non li avevano seguiti abbandonò il borsone in un cassonetto e
la prese per mano, guidandola in un vicolo.
Lì fece scendere la scala antincendio.
-Su. Sali. Fino in cima-
La istruì, e fu lieto che lei obbedisse senza fiatare. Lui si arrampicò
dietro di lei.
La fece arrivare su un tetto, poi la prese per mano e iniziò a guidarla
sicuro sui tetti di Brooklyn. Ogni tanto guardava di sotto, mentre
saltavano da un edificio all'altro, ma nessuno li seguiva. Si fermò
solo quando atterrò sopra palazzo malandato.
Casa sua.
Anche questo non era decisamente da lui. Sapeva benissimo chi, o
meglio, cosa era Natalia. Poteva essere tutta una trappola per
eliminarlo, del resto, ultimamente aveva fatto parecchio arrabbiare i
russi, e non solo loro.
Ma per un qualche motivo, sentiva che lei non era lì per ucciderlo.
La fermò un istante prima che lei iniziasse la rincorsa per il salto al
tetto successivo. Aprì del tutto la finestra della mansarda e la fece
entrare, richiudendola poi dietro di sé.
-Dove siamo?-
-Bè...questa è...casa mia- disse con il respiro appena un poco
affannato -Chi era che ti inseguiva?-
-Mi hai portato...a casa tua?-
-Bè tu mi hai cacciato la lingua in bocca...-
Fu lieto di vederla sorridere alla sua pronta risposta.
-Giusto...quindi tu vivi qui? A New York?-
-Sì...quando non sono in missione. A proposito. Clint Barton-
-Natalia Romanova, ma dubito che tu non lo sappia-
Stavolta toccò a lui sorridere, mentre la faceva accomodare in quel
monolocale diversamente ordinato. Ok. Diciamo pure disordinato
all'ennesima potenza.
Non era spesso a casa, per lo più preferiva farsi spedire in giro per
il mondo dallo SHIELD. Non si diventava il migliore stazionando in
ufficio troppo a lungo, almeno questo era quello che amava ripetersi.
Ma era rimasto solo abbastanza a lungo da conoscersi piuttosto bene:
quello che odiava era il vuoto di quella casa una volta rientrato dal
lavoro. L'essere sempre solo.
Certo, gli bastava andare in un bar, fare il carino, e rimorchiare non
gli era difficile. Ma per qualche motivo, niente durava più di una o
due scopate, tre se proprio la storia era duratura.
Non riusciva a legarsi a qualcuna, e anche sulle amicizie non era
proprio una cima. O certo, qualcuno con cui bere una birra l'aveva
sempre trovato, qualche leccaculo voglioso di farselo amico per fare
carriera, qualche recluta del cazzo che voleva sentire le avventure di
Occhio di Falco. Ma amici veri? Con cui condividere...bè qualcosa di
più, nessuno.
La voce di Natalia lo riportò alla realtà. Gli spiegò come era scappata
dall'Italia, rifugiandosi a New York, dove aveva provato a rifarsi una
vita. Si era trasformata in Lana Roberts, una giovane brunetta con un
appartamento in affitto e un lavoretto in un ristorantino che lui
conosceva per il pessimo caffè che facevano.
Aveva mantenuto un basso profilo, ma oggi aveva riconosciuto quei due,
e loro avevano avuto un sospetto su di lei, tanto da inziare a seguirla.
-E poi hai visto me-
-Beh...non esattamente-
Lui la guardò curioso. E poi sbalordito quando lei gli confessò che
ormai lo seguiva da mesi, tipo stalker, ma con casualità.
Era inseguito e non se ne era accorto.
Non sapeva se far finire la propria autostima sotto i piedi o
congratularsi con lei per essere stata così brava. Nel dubbio rimase
zitto.
-Che farai ora?- le chiese sinceramente preoccupato
-Non lo so. Non so nemmeno chi sono veramente. Non so chi erano i miei
genitori, se ho ancora una famiglia la fuori che mi aspetta-
Per la seconda volta gli era sembrata totalmente indifesa, quasi
spaventata. E per istinto sapeva che a lei faceva strano quanto a lui
avere un contatto così sincero con un altro essere umano che non fosse
il proprio riflesso allo specchio.
-Ci sono io. Se vuoi- disse di getto, più spontaneo verso qualcuno di
quanto non lo fosse stato da...bè da un sacco di tempo.
Cosa aveva questa ragazza? Perchè voleva proteggerla a tutti i costi?
-Non credo nelle seconde possibilità, lo sai-
Lui per tutta risposta le aveva messo in mano un bigliettino.
-Io ora devo andare, Nat. Il lavoro mi chiama. Questa casa è sicura.
Resta pure qui questa notte. Pensaci su ok? Se decidi che vale la pena
tentare, allora ci vediamo domani a quell'indirizzo-
Lei aveva annuito, poi lui l'aveva lasciata per partire. Missione lampo
in California.
Natalia era rimasta sola.
Non credeva possibile che Clint l'avesse portata a casa sua, eppure
sapeva esattamente chi era, il pericolo che correva, e per quanto ne
sapeva, poteva anche essere stata mandata a ucciderlo.
Eppure si era fidato ciecamente di lei.
Aveva raccolto il suo disperato SOS, picchiettato sulla spalla tramite
codice morse e l'aveva portata in salvo.
Quando era stata l'ultima volta che qualcuno si era fidato di lei in
quel modo?
Oh, giusto.
Non c'era mai stata nemmeno una prima volta, da quel che poteva
ricordare.
Rimase per un tempo indefinito piantata in piedi in mezzo a quel mezzo
salotto dove sembrava che qualcuno avesse piazzato un sacco pieno di
roba di varia natura con al centro una bomba che era esplosa: c'era
roba ovunque.
Era totalmente opposto all'ambiente asettico di casa sua, ma anche
diverso dalle case ordinate e perfette delle sue colleghe di lavoro.
Non sapeva cosa fare.
Non aveva idea di quanto la manovra sua e di Clint avesse convinto
quegli uomini che lei non era quella che cercavano, ma di certo era
escluso che tornasse al lavoro.
Casa sua era già più sicura, anche se non era detto che la stessero
spiando da un po' e che solo oggi avessero commesso l'errore di farsi
vedere.
Analizzò le varie possibilità e decise che alla fine valeva la pena
passare la notte lì, in quella casa.
Quindi si diresse verso la camera da letto, non osando toccare nulla.
Il letto, stranamente, era intonso, le lenzuola pulite e ben
posizionate.
Si fece una doccia veloce e poi si mise a dormire.
PERSONAL SPACE: Rieccomi! grazie
a chi è arrivato fin qui! Al prossimo capitolo!
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Capitolo 5 *** Capitolo 5: Cos'ho da perdere? ***
PERSONAL SPACE: eccomi qui con
un nuovo capitolo! Spero vi piaccia! come sempre grazie a chi legge,
segue e commenta, soprattutto l'Unicorna...
Buona lettura!
Capitolo 5: COS'HO DA PERDERE?
Natalia si svegliò all'alba, per un momento stordita da ciò che la
circondava. Si guardò intorno, e ci mise un attimo a ricordare di
essere rimasta per la notte a casa di Clint Barton.
Guardò il bigliettino, un semplice post-it giallo pallido, su cui
l'uomo aveva scritto l'indirizzo e l'ora a cui si sarebbero incontrati
se lei avesse deciso di cogliere una seconda opportunità.
Rimase per un attimo sdraiata sotto le coperte, a rimuginare.
Che cosa le restava?
I russi la volevano morta, e questo era un dato di fatto. A quanto
sembrava la stavano ancora cercando, come aveva potuto sperimentare il
giorno prima, e quindi era escluso che tornasse a lavorare a quel
ristorantino: l'avrebbero rintracciata in pochi giorni.
Stessa cosa valeva per il suo appartamento, se fossero andati al locale
avrebbero subito ricevuto il suo indirizzo.
Un pochino le dispiaceva. Martha si era dimostrata una buona amica, e
stava iniziando a legare anche con le altre colleghe, senza contare che
quel monolocale che a stento poteva dire di aver arredato era il primo
luogo stabile in cui avesse vissuto dai tempi dell'addestramento.
Sebbene non lo avesse mai fatto del tutto suo (le pareti erano rimaste
disadorne e non aveva toccato niente dell'arredamento che vi aveva
trovato), era la cosa più vicina a una casa che avesse mai avuto. Era
un po' la sua tana, il suo rifugio. Un posto dove si sentiva sicura, o
meglio, meno in pericolo che altrove.
Aveva due scelte davanti a sé.
La prima era quella di ricominciare di nuovo.
Una nuova fuga, magari in un altro stato, e cercare di nuovo di
ricominciare una vita. Aveva a disposizione ancora qualcuna delle sue
identità vergini che avrebbe potuto usare senza problemi.
Ma quanto sarebbe durata?
Quanto ci sarebbe voluto prima che un qualcuno dei suoi l'avesse di
nuovo intravista?
La seconda opzione era quella scritta su quel foglietto.
Un'incognita chiamata Clint Barton e l'organizzazione per cui lavorava.
Di chi si trattava? Governo americano? Criminalità organizzata? Un
qualche boss mafioso?
Non era riuscita a identificare la personalità del suo salvatore. Era
una persona sola, su questo non c'era dubbio, che probabilmente cercava
di evitare legami stabili (aveva il sospetto che tutto quel disordine
servisse anche per allontanare eventuali compagnie di una notte che si
illudevano di avere un qualcosa di più). Amava i fumetti e i film, come
poteva vedere dalle pareti tappezzate di poster, ma non sembrava avere
apparecchiature tecnologiche in casa, a parte un vecchio telefono fisso
appeso alla parete, quindi escludeva che fosse il classico cinefilo con
una raccolta impressionante di pellicole.
In cosa poteva consistere il lavoro di una persona del genere? Era una
spia? Un assassino?
In cosa si sarebbe cacciata accettando quella “seconda possibilità”?
Non lo sapeva eppure, in cuor suo, sapeva già di avere deciso quale
sarebbe stata la sua via.
Si fece una doccia veloce, poi sgomberò il campo.
Fece colazione allo Starbucks all'angolo con la strada principale e poi
si infilò nel primo parrucchiere aperto.
Con non un po' di dispiacere, fece un taglio netto ai capelli, dandosi
un taglio un po' punk. Molto corti, ma con il ciuffo lungo e liscio. E
ovviamente nuovo colore. Questa volta optò per un nero corvino
riflessato blu e la punta della frangia blu elettrico.
Il suo abbigliamento poco dopo seguì l'inclinazione dei capelli. Comprò
un paio di jeans neri, ovviamente elasticizzati per non venire
ostacolata nei movimenti, e un paio di anfibi (finalmente dei cari,
vecchi, anfibi). Una felpa col cappuccio un po' più grande di un gruppo
che non conosceva (linkin pirk, pork, qualcosa del genere) e infine un
giubbino da motociclista di finta pelle.
Entrò poi in un negozio di Make up. Eyeliner, matita e mascare,
rigorosamente neri.
Fingendo di provarli, prima di acquistarli si tracciò una perfetta
linea nera sugli occhi, non troppo spessa, ma nemmeno invisibile, si
passò la matita nella rima inferiore, costruendo una linea sottile, e
infine si passò generosamente il mascara.
Una perfetta punk-rocker, si disse, accorgendosi di riconoscersi a
stento e constatando di dimostrare almeno 5 anni in meno. Perfetto.
Guardò l'ora. Mezzogiorno.
Clint le aveva dato appuntamento alle 13.00. Aveva un'ora per decidere
se rimanere sui propri passi e buttarsi in questa nuova avventura,
oppure fuggire di nuovo.
Iniziò a incamminarsi verso il luogo dell'appuntamento.
Era ancora presto, ma voleva assicurarsi di non cadere in una trappola
ben organizzata, e lo fosse stata, quella era l'ora in cui le cose
avrebbero iniziato a muoversi.
Era l'incrocio tra la 32esima e la 33esima strada, un luogo decisamente
affollato.
Non l'ideale per un'imboscata, si disse, ma forse ottimo per uccidere
qualcuno con una siringa passando inosservati.
Mentre diversi scenari possibili le passavano per la testa, si guardò
intorno. Sembrava tutto a posto.
Il suo stomaco diede segnali di fame, perciò si tuffò nello Starbucks
all'angolo e pranzò con due fette di torta e un frappuccino caldo.
Si avvicinava l'ora X.
Eccolo, infatti.
Clint arrivò al luogo dell'appuntamento con cinque minuti di anticipo,
non abbastanza per preparare una trappola, ma sufficienti per farle
capire che le importava di lei.
Non aveva dubbi che Natalia (sempre che avesse deciso di presentarsi)
fosse già sul posto, con chissà quale travestimento, intenta a
esaminare ogni passante, ogni angolo buio in cerca di qualcosa che la
avvertisse di un'imboscata.
Quello che lei non poteva ancora sapere era che non ci sarebbero state
trappole, né altre persone a parte lui.
Non aveva detto a nessuno quello che aveva fatto; Fury o la Hill si
sarebbero subito mobilitati per organizzare un attentato alla vita
della ragazza e togliersela finalmente di torno e Coulson...che cosa
avrebbe fatto Coulson?
Probabilmente l'avrebbe ascoltato, avrebbe riflettuto sulla cosa, ma
quello che avrebbe fatto dopo era troppo imprevedibile per poter
correre il rischio. Avrebbe potuto appoggiarlo, memore di come aveva
salvato lui stesso, ma anche spifferare tutto e causare la morte di
Natalia.
No, questa volta avrebbe fatto tutto da solo, e solo dopo l'avrebbe
portata al quartier generale, affrontando qualunque conseguenza ne
sarebbe derivata.
Barton era a meno di 5 metri da lei, e si guardava intorno, cercandola.
Lei lo studiò per un attimo. Le labbra non si muovevano, non faceva
cenni con le mani, e non batteva i piedi in modo ritmico a terra.
Niente che lasciasse pensare che le stesse organizzando un agguato.
L'uomo si guardava intorno, scrutando la folla, forse chiedendosi quale
aspetto avesse preso questa volta. Il suo sguardo vagava intorno
all'incrocio, nei vari negozi, nei vari bar. Per un attimo si fissò
anche su di lei, che prontamente si nascose dietro alla tazza evitando
di incrociare i suoi occhi.
Le sembrava sulle spine, quasi speranzoso che lei si facesse vedere.
Al diavolo. Si disse. Che ho da perdere?
Si alzò e si avvicinò a lui da dietro, facendosi appena sentire per far
si che si voltasse senza che lei dovesse parlare. Lui per un secondo
non la riconobbe, poi rimase imbambolato in un muto stupore che la fece
sorridere.
-Allora?- gli chiese
Lui la condusse allora per le strade di New York. Le disse chi era, per
chi lavorava.
Le raccontò un po' del suo passato, quanto bastava perchè lei iniziasse
a intuire le ragioni che l'avevano spinto a decidere di salvarla.
Dopo averglielo detto, si diede della stupida. Se poteva non uccideva
nessuno, e aveva sufficiente bontà d'animo di aiutarla: era ovvio che
lavorasse per lo SHIELD.
Ma come poteva pensare che una come lei, un'assassina addestrata con le
mani sporche del sangue di più uomini di quanti riuscisse a ricordare,
avere anche solo una minima possibilità di essere presa da
quell'organizzazione?
-Che vuoi da me?- gli chiese, domandandosi se non fosse impazzito
-Darti una seconda possibilità. Con lo SHIELD. Non sarà facile, il
passato non si cancella, ma potrai scriverti un nuovo futuro-
Lei non credeva alle seconde possibilità, ma lo seguì.
Clint la guidò sicuro tra i corridoio del quartier generale, diretto
all'ufficio di Coulson.
Aveva subito escluso la possibilità di andare direttamente dal
direttore dello SHIELD. Fury non avrebbe capito, e probabilmente
avrebbe fatto giustiziare la ragazza all'istante, senza un processo.
Stessa cosa valeva per la Hill, con l'aggiunta che sarebbe stata ancora
meno comprensiva dal momento che aspirava a fare carriera ai piani
alti, tanto da essere una delle favorite per il posto di
vice-direttore, al fianco di Fury.
I precedenti di Phil ne facevano invece il candidato perfetto per la
bomba che era Natalia Romanova.
L'aveva avvertita che non sarebbe stato facile, che l'avrebbero in un
primo momento arrestata e interrogata, e successivamente, forse,
ammessa nello SHIELD.
Lei aveva annuito e aveva accettato la cosa, d'altra parte non aveva
niente da perdere. Non più.
Bussò deciso alla porta, e aspettò l'invito dell'agente prima di
entrare, seguito da Natasha.
L'espressione sempre cordiale sul viso di Coulson svanì in un istante
quando la vide entrare nel proprio ufficio, e per una volta, Clint
rimase totalmente spiazzato.
Phil premette il bottone dell'interfono, e un secondo dopo Natalia era
stata ammanettata e trascinata in una stanza per gli interrogatori.
-Coulson, la prego, almeno mi ascolti...- provò a dire una volta
rimasto solo con il supervisore.
-E' una terrorista. Un'assassina, Barton. C'era un motivo se la
volevamo morta- lo interruppe duro -E adesso scopriamo che siete ottimi
amici, magari anche complici da chissà quanto tempo-
-Infatti. È in arresto.- Fury era entrato di soppiatto, il suono dei
suoi passi nascosto dalla voce di Phil.
Clint accettò in silenzio le manette; sapeva che al momento parlare,
cercare di discolparsi, non sarebbe servito a niente, se non, forse, a
complicare la sua situazione.
Per una volta tenne a freno il suo istinto ribelle, quell'indole che
l'aveva cacciato in più guai di quanti potesse ricordare, incluso
quello, e si lasciò trascinare nella stanza degli interrogatori, dove
lo fecero sedere su una scomoda sedia.
-Da quanto tempo lavori con Clint Barton?-
L'avevano portata in una stanza per gli interrogatori prima ancora che
Clint avesse tempo di dire qualcosa, e Natalia non ne era stupita. Era
allo SHIELD, e lei era probabilmente la spia più ricercata al mondo da
svariati anni.
-Non lavoro con lui. L'ho solo sfruttato in un paio di occasioni-
rispose calma guardando l'uomo di colore con una benda sull'occhio che
la sovrastava, in piedi di fronte a lei.
L'essere seduta e ammanettata la metteva in una situazione di
svantaggio, ma non del disagio che un'impostazione simile cercava di
mettere al prigioniero. Era troppo esperta per cadere in certi trucchi,
non era la prima volta che veniva catturata e interrogata.
Non sapeva perchè lo stesse facendo, ma in qualche modo girò gli eventi
in modo che Barton ne uscisse pulito. Non fece menzione di Milano, e
dell'incontro alla stazione diede una descrizione sommaria. Clint le
era sembrato uno abbastanza in gamba, un viso che ricordava di aver
visto dalle foto segnaletiche del KGB, in Russia, e aveva deciso di
usarlo per i propri scopi.
L'interrogatorio durò ore e vide l'utilizzo di svariate macchine della
verità, più o meno complesse e originali, ma riuscì a ingannarle tutte.
Non dovette aspettare molto, Maria Hill entrò nel giro di pochi minuti.
Clint alzò lo sguardo su di lei, e immediatamente capì che doveva stare
molto, molto attento a quello che diceva, e che probabilmente avrebbe
dovuto parlare a cuore aperto.
Facile con una che sembra voglia incenerirti con lo sguardo, no?
-Da quanto tempo lavori con lei?-
-Non lavoro con lei-
-Ah no?-
-No-
-Spiegati-
-L'ho incontrata per caso, alla Grand Central Station. Mi ha...- si
poteva definire bacio? -...baciato-
-Ah quindi una pericolosa terrorista ti avrebbe visto in stazione,
avrebbe apprezzato il tuo bel visino e baciato? Non diciamo stronzate,
Barton-
Clint sospirò, e alla fine decise, a malincuore, con immensa fatica per
uno che faceva fatica a dire perfino quale fosse il suo colore
preferito, di raccontare tutto.
Iniziò da Milano, da quando l'aveva avvertita del pericolo. Non
tralasciò niente, come si era sentito, cosa aveva visto in lei, come le
avesse ricordato lui stesso qualche anno prima.
Come avesse pensato che forse, così giovane, meritava una seconda
chance come Coulson l'aveva data a lui anni prima.
Poi raccontò di New York, di quello che lei le aveva detto, di come,
sì, gli aveva infilato la lingua in bocca, di come l'aveva portata da
casa sua.
Cercò di farle capire quanto Natalia gli fosse sembrata sperduta e
spaventata, di come era riuscito a leggere dietro lo sguardo freddo
della ragazza.
-Ah davvero?- la Hill era molto scettica a riguardo.
Clint prese un bel respiro e chiuse gli occhi, e li tenne chiusi mentre
sussurrava:
-Non è facile da spiegare, signora- cominciò, la voce incerta -Ma
quando lo vedi, riconosci un altro orfano. Non ho visto oltre il
ghiaccio. Ho visto il ghiaccio. Era la stessa maschera che indossavo
io. Sii spietato, o muori. È la legge della strada, la prima regola di
chi non vive una vita normale. Non so cosa abbiano fatto a quella
ragazzina, ma so cosa hanno fatto a me. Avevo una buona mira, mi
permetteva di vincere le figurine più rare lanciando le monete, ma
crede davvero che un bambino scelga da solo di iniziare a lanciare
coltelli?-
Non aprì gli occhi, ma sentiva lo sguardo della Hill su di sé. Non
voleva vedere. Sapeva a questo punto la gente cosa provava: pena,
dispiacere. Non voleva fare pena a nessuno, non gli aveva mai fatto
piacere che la gente lo guardasse in quel modo. Deglutì, aprì le labbra
quando sentì il freddo di un bicchiere che vi si appoggiava sopra e
bevve un sorso.
-Non volevo diventare Occhio di Falco. Non volevo lanciare coltelli, né
tirare con l'arco. Mi ci obbligarono: minacciavano la mia incolumità,
mi riempivano di botte. Minacciavano mio fratello. E alla fine cedevo.
Sopravvivi o muori. E tutto doveva venire nascosto: il dolore per le
botte, la tristezza, la voglia di una casa vera. Il...- Clinti si
interruppe per un secondo, incapace di mantenere salda la voce. Strinse
le mani a pugno, conficcandosi le unghie nella carne e recuperando il
controllo di sé. Proseguì- il dolore al cuore che mi prendeva ogni
volta che vedevo un ragazzino della mia età venire al circo, felice con
mamma e papà. Lo sguardo di Natalia, l'avevo anche io quando Coulson mi
ha trovato-
Finalmente riaprì gli occhi, guardò in faccia la donna che ora lo
ascoltava in silenzio. Fu lieto di non vedere altro che attenzione
nello sguardo della donna.
-Vuole sapere perchè non l'ho uccisa? Perchè ho voluto portarla qui?
Perchè lei è me. E non dirò altro, perchè non ho altro da dire-
Dopo poche ore era stato rilasciato, senza, per il momento, nessuna
indagine in corso su di lui. A quanto sembrava Natalia l'aveva
scagionato.
Alla fine le offrirono una specie di accordo, convinti probabilmente
anche dalle parole di Clint più che dai risultati delle macchine della
verità: lei avrebbe fatto qualche nome e rivelato qualche dettaglio, e
loro avrebbero accettato di ammetterla nello SHIELD per un periodo di
prova, sotto la responsabilità di chi ce l'aveva portata.
Accettò.
PERSONAL SPACE: Grazie per
essere arrivati fin qui. Come la volta scorsa, anche qui capitolo mezzo
inedito/mezzo riscritto/mezzo copitato da "la recluta", ma portate
pazienza, presto diverrà quiasi tutto inedito, ed episodi appena
accennati di là qui verranno trattati a fondo a partire forse dal
prossimo capitolo...stay tuned!
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Capitolo 6 *** capitolo 5: avviso ***
AVVISO: Ciao a tutti!
Volevo solo rassicurarvi, non ho abbandonato questa storia, sono
semplicemente in vacanza e riaggiornerò dopo il 18 di agosto, quando
ritorno!!!
BUONA ESTATE!
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