L'amore imperfetto

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fiocco azzurro e fiocco rosa ***
Capitolo 2: *** Notti insonni e tristi notizie ***
Capitolo 3: *** Sospetti e paure ***
Capitolo 4: *** Compagni di scuola ***
Capitolo 5: *** Festa con sorpresa ***
Capitolo 6: *** Limiti ***
Capitolo 7: *** Angoscia ***
Capitolo 8: *** E' tutta colpa tua ***
Capitolo 9: *** La conoscenza della propria colpa ***
Capitolo 10: *** Il tempo è il migliore giudice ***
Capitolo 11: *** Senza respiro ***
Capitolo 12: *** Vendetta finale ***
Capitolo 13: *** Inseguendo un'ombra ***
Capitolo 14: *** Fuoco purificatore ***
Capitolo 15: *** L'amore imperfetto ***



Capitolo 1
*** Fiocco azzurro e fiocco rosa ***


 
“Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere”
 Da “Il Profeta” di Khalil Gibran
 
L’amore imperfetto
 
Fiocco azzurro e fiocco rosa
 

 
“Lauraaaa” chiamò a gran voce per l’ennesima volta Ben, in attesa da più di mezz’ora fuori casa, appoggiato con la schiena al cofano della sua nuova auto, una BMW station wagon. L’aveva appena comprata ed era stata fonte di numerosi litigi.
Con la famiglia in aumento Ben si rendeva conto della necessità di avere un’auto familiare e spaziosa, ma non aveva intenzione di rinunciare né alla Lamborghini  né alla Harley, che invece Laura considerava troppo pericolose per  un padre di famiglia.
Così erano giunti ad un compromesso: Ben  si  era tenuto la  moto, ma aveva ceduto la Lamborghini per la comoda station wagon blu cui ora era poggiato.
Mancavano poco più di due settimane alla data prevista per il parto e quella forse era l’ultima gita che i due si concedevano prima di diventare genitori. Avevano concordato un pic-nic all’Eifel con Semir, Andrea e le bambine, ma avevano già più di tre quarti d’ora di ritardo e Laura non si decideva ad uscire di casa.
Finalmente la bruna dottoressa comparve barcollando ed ansimando all’ingresso dell’elegante palazzo.
“La finisci di urlare? Ti sente tutto il vicinato” fece leggermente arrabbiata.
Ben sorrise. Anche se ormai la ragazza somigliava sempre più ad una mongolfiera, anche se la notte il letto era diventato un campo di battaglia in cui lui perdeva sempre più spazio, ritrovandosi spesso a dormire sul pavimento, anche se era stato spedito più volte nel cuore della notte a cercare cibi improbabili ed esotici che venivano regolarmente lasciati a marcire in frigorifero appena ottenuti, Ben considerava sempre la moglie come la donna più bella e fantastica del mondo. Ed era la madre dei suoi figli. 
“Siamo già quasi un’ora in ritardo” si giustificò, aiutando la ragazza ad entrare faticosamente in macchina.
“Capirai, sono abituati ai tuoi ritardi, non credo che si aspettino il nostro arrivo prima di un’ora dopo l’orario concordato” rispose sempre un po’ irritata Laura.
La  donna si sentiva gonfia e goffa. Nonostante fosse un medico e fosse quindi in grado di dare una spiegazione scientifica ad ogni sintomo della gravidanza, in quel momento Laura si sentiva solo una specie di balena ambulante. E la cosa che proprio non sopportava era di dover fare la pipì più o meno ogni mezz’ora.
“Pronti?” fece Ben mettendo in moto ed aspettandosi la solita frase “Aspetta un attimo, devo andare in bagno…”
Invece questa volta fu graziato e Laura annuì sorridendogli. Per fortuna le arrabbiature le passavano subito anche con gli ormoni impazziti.
Arrivati alla piccola villetta dei Gerkan vennero accolti dalle grida festose delle bambine che già li stavano aspettando sul porticato.
“Papà…. i soliti ritardatari sono arrivati” fece Lily, ripetendo con evidenza le parole del padre.
“Lily! non si dice questo dello zio Ben e della zia Laura” tentò di giustificarsi Semir uscendo di casa con il cesto delle vivande.
“Ciao Laura…. accidenti…. come sei…” Semir non riuscì a finire la frase vedendo la ragazza scendere dall’auto.
“Grossa? Lo puoi dire Semir, credo sia vero… io vado un attimo in bagno”  Laura si avviò barcollando all’interno della casa, accompagnata da Aida e Lily che la tempestavano di domande “Zia Laura quando escono dalla pancia i bambini? Ma come fanno a stare lì dentro in due?”
“Ciao socio, scusa ma la pancia è davvero… enorme. L’ho vista la settimana scorsa, ma da allora…” si scusò ancora Semir andando verso l’amico.
“Già, ma sono in due lì dentro…” sorrise Ben.
“La grandezza della pancia è nulla… ormai mi sta facendo diventare matto… ieri sera è scoppiata in un pianto dirotto perché avevo  sistemato male i piatti nella lavastoviglie” continuò.
“Coraggio, poi ridiventano normali dopo il parto, te lo assicuro” Semir consolò l’amico tacendogli cosa l’aspettava dopo la nascita: pappe, pannolini, pianti in piena notte… il tutto moltiplicato per due nel caso di specie.
“Beh.. avete scelto i nomi?” chiese ancora. La questione dei nomi era diventata anch’essa una scommessa. Dopo che tutti i colleghi del distretto avevano perso quelle fatte sul sesso del nascituro, visto che erano in due e per di più maschio e femmina, ora si erano aperte quelle sui nomi.
“Tanto non te li dico, non prima della nascita, fino a che sono aperte le scommesse” rise Ben.
“Ma io non ho scommesso…” cercò di opporsi Semir, arrossendo di vergogna.
La discussione fra i due fu bloccata da Andrea che uscì di corsa da casa.
“Ben… è meglio che vai dentro da Laura. Semir, ho appena chiamato mia madre per tenere le bambine. Dobbiamo andare in ospedale. A Laura si sono rotte le acque” fece concitata e eccitata.
 


“Guido io” disse Ben mentre aiutava Laura ad uscire di casa, vedendo Semir che  stava per mettersi alla guida della sua nuova BMW.
“Ma no, tu stai dietro con Laura” si oppose l’amico.
Laura emise un gemito addolorato, piegandosi in due.
“O mio Dio…” balbettò Ben andando in panico. “Semir… aiuto, sbrigati…” urlò agitandosi come un matto.
“Ben calmati… ci vuole tempo” lo calmò Laura rialzandosi ansimante.
“Ma… ma… dobbiamo sbrigarci” Ben era pallido come un cencio e a Laura venne da ridere.
“C’è tempo te lo assicuro, sono un medico, credo di saperle queste cose. Piuttosto la valigia è nel portabagagli?”
“Valigia? Quale valigia?” balbettò Ben completamente nel pallone.
“La valigia con le cose per l’ospedale, ti avevo chiesto già la settimana scorsa di tenerla fissa nel portabagagli”
“Sì… ma…ma…” balbettò di nuovo,  Ben pensando alla valigia che ancora giaceva all’ingresso.
“Ok… fa niente, Semir passa dopo a prenderla lui” intervenne Andrea, mentre si avviava a salutare la madre che era appena arrivata con la sua auto.
 Date le istruzioni alla nonna, Andrea tornò di corsa verso gli amici.
“Allora forza, andiamo” disse al marito.
Ma Semir era rimasto immobile, a guardare Laura che faceva gli esercizi di respirazione aiutata da Ben.
“Semir!!” chiamò la moglie, per poi accorgersi del colorito leggermente verdastro dell’uomo, che continuava a fissare il vuoto con il respiro affannoso.
“Io… io credo di non sentirmi molto bene…” bisbigliò il poliziotto.
“Ecco lo sapevo. Va bene, tu resta qui…” propose Andrea, ripensando con un sorriso agli svenimenti che avevano colto il marito durante il parto di entrambe le sue figlie.
”Ma no… voglio venire… ora mi passa”
“Ok, ma  guido io” disse alla fine la moglie strappandogli le chiavi dell’auto di mano.
 

 
“Ragazzi ci dobbiamo fermare… mi sento davvero male….” balbettò Semir sempre più verde in viso.
Andrea gli lanciò uno sguardo furibondo dal lato guidatore.
“Guarda che è mia moglie che sta partorendo, non la tua…” disse Ben seduto sul sedile posteriore con Laura, che continuava la respirazione Lamaze.
“Sì… ma io mi sento male lo stesso, ve lo assicuro, sto per vomitare…” Semir ora aveva un colorito fra il violaceo ed il verde mela.
“Non nella mia auto nuova!!” urlò Ben.
“Semir ti avevo detto di restare a casa,  ma  sei voluto venire anche tu. Ora ti arrangi” sibilò durissima Andrea mentre guidava veloce  verso l’ospedale.
“Andrea… davvero sto per vomitare…” la voce di Semir era sempre più lamentosa.
“Apri il finestrino e vomita mentre siamo in marcia. Io non mi fermo”
E in quel momento a Semir  sembrò di aver sposato una aguzzina delle SS.


 
Finalmente i quattro arrivarono al parcheggio dell’ospedale, senza fermarsi e senza che Semir avesse vomitato.
Mentre Laura veniva fatta sedere su di una sedia a rotelle e portata rapidamente all’interno, Ben le  arrancò dietro con le gambe che gli tremavano.
“Tu vai con lei,  dammi la tessera sanitaria, penso io a dare le informazioni alla accettazione”  gli disse sicura Andrea, avviandosi anche lei verso l’ingresso.
Fu così  impegnata per più di venti minuti a compilare i vari moduli che neppure si accorse che Semir  era sparito, fino a che non sentì una delle infermiere chiamarla.
“Lei è la signora Gerkan?” chiese la giovane.
Andrea annuì sorpresa.
“Dovrebbe venire con me in pronto soccorso, suo marito ha avuto un piccolo problemino nel parcheggio, ma ora sta bene…”
Andrea guardò la ragazza con aria divertita.
“Mi faccia indovinare… è svenuto giusto?”
 
 

Dopo quattro ore di attesa, in cui Semir aveva rischiato lo svenimento almeno altre tre volte, non appena qualcuno pronunciava le parole “parto”, “partorire” o similari, un entusiasta Ben  uscì dalle porte scorrevoli del reparto maternità,  con ancora indosso il camice sterile verde.
“Cari padrini, i vostri figliocci vi aspettano per conoscervi” disse con gli occhi che gli brillavano.
Semir corse ad abbracciare l’amico.
“Congratulazioni…come sta Laura?”
“Benissimo, è stato tutto molto veloce… e… meraviglioso… ho tagliato il cordone ombelicale sai…” Ben era eccitatissimo.
“Davvero?” chiese Semir con un leggero sentimento di invidia. Lui si era perso  la nascita di tutte e due le sue bambine, finendo al tappeto non appena i medici lo avevano fatto entrare in sala parto.
“Sì davvero… è stata una cosa… una cosa… che non si può descrivere… vederli nascere…”
Semir si avviò con Ben e Andrea verso la stanza di Laura e  guardando il giovane amico  pensò di non averlo mai visto così felice.
I tre entrarono  nella stanza luminosa, dove Laura appariva appisolata a letto.
Appena li sentì entrare la giovane aprì  gli occhi azzurri, con un gran sorriso.
“Semir… Andrea… entrate” disse guardando verso le cullette che aveva di fianco al letto.
“Congratulazioni, mia cara” fece Andrea precipitandosi ad abbracciarla.
“Bambini, salutate zio Semir e zia Andrea, che poi sono anche i vostri padrini…” disse ancora la giovane dottoressa.
Semir si avvicinò per guardare incuriosito.
“Vi presento Miriam Elizabeth  e Thomas Semir Jager” fece orgoglioso Ben avvicinandosi alle cullette.
A Semir salirono le lacrime agli occhi.
Il nome della femminuccia non lo sorprendeva affatto, visto l’affetto che Ben aveva avuto per la piccola orfana che aveva conosciuto in Tanzania; Elizabeth era invece il nome della madre di Ben.
Sapeva anche che Thomas era il nome del padre di Laura, ma mai si sarebbe aspettato il secondo nome del maschietto.
“Ragazzi non dovete… in fondo Semir è un nome turco non tedesco…” bisbigliò commosso.
“Semir è il nome di un grande uomo… forse non in altezza, ma di un grande uomo” rispose Ben sorridendo.
“Posso prenderlo?” chiese emozionato Semir… voleva provare la sensazione di avere un maschietto fra le braccia, dopo le sue due femminucce .
“Attento Semir” lo esortò Andrea.
“Mi ricordo ancora come si fa” protestò il marito prendendo il fagottino dalla culla.
Restò per un po’ incantato a guardare il visino del piccolo ed il taglio degli occhi, così simili a quelli del padre.
“Ti somiglia sai…” fece intenerito rivolto all’amico.
“Lei invece somiglia a te Laura… secondo me ha gli occhi azzurri come i tuoi” Andrea aveva preso la femminuccia.
Dopo un po’ i padrini si scambiarono i figliocci e Semir rimase letteralmente imbambolato a guardare la piccola che si agitava nelle sue braccia e lo fissava con occhi spalancati e vispi.
 “Ma sei bellissima, principessina… e anche molto sveglia, mi sa” rise restituendola alla madre.
Guardando la nuova giovane famigliola, il cuore di Semir si aprì alla gioia.
Dopo tutto quello che avevano passato negli anni precedenti ora tutto sembrava perfetto, tutto era tornato magicamente a posto.
 
 

Guardò ancora una volta la fotografia che aveva appena attaccato al muro, fra le tante che costellavano la parete incrostata di muffa e piena di macchie di sporcizia.
Nella foto erano tutti giovani, sorridenti e felici.
Soprattutto giovani e aperti alla vita. A quell’epoca non sapevano cosa sarebbe successo a ciascuno di loro. Nessuno di loro sapeva  quanto le loro azioni avrebbero influenzato il futuro.
In quella fotografia erano tutti giovani, sorridenti e felici, tutti tranne una persona.
Quella persona non era sorridente e non era felice; era sì giovane, ma terribilmente infelice.
Ma ora le cose sarebbero cambiate.
C’erano voluti molti anni, ma finalmente aveva capito cosa doveva fare per trovare la felicità ed il sorriso.
Doveva ottenere la sua vendetta.





Rieccomi... rispunto fuori come prezzemolino nella minestra... credevate di esservi liberate di me ed invece...
Ultima storia della serie "Ben e Laura".
Notiziona!!! Ho una beta... grazie Chiara....
P.S. Gli errori/orrori ci saranno sempre e ancora, ma siate clementi... questo in fondo è solo un gioco sia per me che per lei.

 

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Capitolo 2
*** Notti insonni e tristi notizie ***


Notti insonni e tristi notizie
 
Sei mesi dopo
 
L’urlo disumano squarciò il silenzio della casa addormentata.
“Oh noooo” mormorò Ben rigirandosi nel letto. “Lo ripeto… ha un futuro assicurato come cantante lirica…” borbottò, mentre Laura iniziava anche lei a rigirarsi e le urla non accennavano a scemare.
“Per favore vai, se sveglia anche Thomas stavolta i vicini firmano  davvero tutti la petizione per  cacciarci dal palazzo” mormorò la donna con voce assonnata.
“Forse ha fame…” fece Ben buttando le gambe fuori dal letto.
“Non ha fame… vuole solo che il padre la prenda in braccio come al solito. Ti avevo avvertito di  non  viziarla”
Ben si avviò con passo strascicato, stropicciandosi gli occhi, verso la camera dei bambini.
Scansò  abilmente tutti i giocattoli, le carrozzine  e le altre cianfrusaglie che avevano invaso la casa ed accese la luce della stanza tutta decorata di uccellini, farfalle e api  sulle pareti.
Venne accolto da un entusiasta “papapa” di Miriam che, in piedi nella culla, gli tendeva le braccine per essere presa.
“Niente papapa, sei una bimba monella” disse Ben prendendo in braccio la bambina.
“Papapa” fece ancora la piccina aggrappandosi al collo con le braccine, sorridendo felice.
Solo per quel momento Ben si sarebbe alzato cento volte in una notte.
“Shhh non svegliamo tuo fratello” Ben controllò l’altra culla dove dormiva pacifico Thomas e gli rimboccò la copertina azzurra.
I due gemelli  non potevano essere più diversi, sia fisicamente che come carattere.
Thomas, fisicamente identico a suo padre, era un bimbo pacifico e socievole; non piangeva quasi mai, aveva sempre il sorriso sulle labbra ed era  praticamente succube della sorellina.
Miriam, grandi occhi azzurri e sorriso come quelli di Laura, aveva invece ereditato il carattere ribelle e scanzonato del padre. A sei mesi era già un’artista della fuga dal box  ed era già in grado di arrampicarsi sulle sbarre del lettino per cercare di buttarsi oltre. E soprattutto era in grado di trascinarsi dietro nelle sue avventure il pacifico fratello,  dando origine così ad una accoppiata fatale.
Miriam  era morbosamente attaccata a Ben, praticamente appena il giovane tornava dal lavoro pretendeva di rimanergli appiccicata come una cozza allo scoglio. Ben se ne rendeva conto e cercava di non viziarla troppo, ma la cosa non gli riusciva bene.
In realtà non riusciva ad avere un minimo di severità né con lei né con il fratellino; la considerava una compensazione  per la freddezza che aveva ricevuto dal padre da piccolo.
 “Sei proprio una monella…” fece Ben accarezzando capelli castano chiari della bimba.
“Hai fame?  Vuoi il latte?” chiese ancora il padre, ma era evidente che la bambina non aveva né fame nè sete, ma solo voglia di giocare alle tre della notte.
Dopo averle rapidamente cambiato il pannolino, Ben cercò di  far  riaddormentare la  bambina, senza risultato.
“Ok… vogliamo suonare un po’?” fece alla fine del tutto sfinito; di solito suonare il piano la calmava e divertiva e dopo un po’ la faceva finalmente cedere al sonno.
“Guarda qui, ora suoniamo Fra’ Martino…” disse  il padre sedendosi al piano e iniziando a suonare le note della canzoncina.
“Fra’ Martino campanaro…” iniziò  a cantare, sentendo gli occhi che gli si chiudevano.
Miriam lo guardò con i suoi grandi occhi azzurri.
“Fa Matino” fece con la sua vocina.
Ben sentì il cuore che gli scoppiava di gioia. Una parola nuova, la sua bimba aveva imparato una parola nuova. E l’indomani l’avrebbe imparata anche il  fratellino, perché quello che imparava l’una imparava l’altro.
 
Finalmente dopo un’ora di canzoncine e lusinghe la bimba crollò addormentata.
Ben  si diresse rapidamente verso la sua stanza da letto, nella speranza di  riuscire a fare almeno un paio d’ore di sonno.
Entrò silenziosamente, nel tentativo di non svegliare Laura; la moglie gli sembrava sempre più stanca e stressata e iniziava a preoccuparlo. Fra un po’ doveva anche rientrare al lavoro in ospedale dopo la maternità e sembrava sempre più nervosa, anche se aveva rifiutato al momento qualsiasi aiuto. L’unica cosa che aveva accettato era che Helga, la storica governante di casa Jager, stesse con i bambini quando lei sarebbe tornata al suo lavoro.
 Ben trasalì nel  vedere il letto vuoto.
Cercò nel bagno, ma la porta era spalancata e non c’era nessuno.
Poi vide il balcone della camera aperto, con le tende che ondeggiavano al vento freddo.
Uscì e scorse la figura di Laura  vicino alla balaustra. Era in camicia da notte e sembrava guardare fisso davanti a sé.
“Laura…” chiamò ma la ragazza non rispose.
“Laura amore…” chiamò ancora Ben iniziando a preoccuparsi.
E finalmente Laura si voltò.
“Ma che stai facendo qui, fa freddo, prenderai un malanno” disse Ben abbracciandola nel tentativo di scaldarla.
Laura si abbandonò all’abbraccio del marito e si lasciò condurre di nuovo  in stanza.
Quando furono di nuovo a letto Ben abbracciò di nuovo la moglie tenendola fra le braccia da dietro.
“Laura… va tutto bene?” chiese piano
“Sì sì certo…” rispose la moglie, ma Ben  non si accorse della lacrima che silenziosa scivolava sulla guancia della donna.
 
 

 “Ehi sveglia!!!”  ridacchiò Semir guardando l’amico mezzo stravaccato sul sedile passeggero della BMW
“Scusa… ma stanotte Miriam non ne voleva proprio sapere di dormire” rispose Ben stiracchiandosi e sbadigliando.
“Mal di pancia?”
“Ma no… è che vuole scherzare e cantare alle tre di notte. E meno male che non si è svegliato anche Thomas, altrimenti stavolta i  vicini ci cacciavano davvero dal palazzo.  I decibel che riescono a raggiungere quando urlano insieme sono capaci di spaccare i bicchieri. E poi non si fermano mai, soprattutto Miriam, sembrano che abbiano le pile all’uranio…”
“L’avevo detto io che la principessina era sveglia…”
“Già… ma Laura mi preoccupa un po’”
Semir guardò l’amico perplesso
“Laura? Perché?”
“Non lo so, mi sembra triste, pensierosa; è nervosissima e ieri sera l’ho trovata  in piena notte sul balcone, in camicia da notte a fissare il vuoto”
“Non è facile badare  a due gemelli, è solo stanca”
“Le ho chiesto cento volte di prendere un aiuto sin da subito; Helga scalpita  perché vuole badare ai gemelli, mi tormenta un giorno sì ed un giorno no per sapere quando inizia…ma Laura è testarda, dice che sino a che lo può fare, vuole occuparsi lei dei suoi figli”
“Sai a volte le donne dopo il parto passano  momenti difficili; è successo anche ad Andrea dopo la nascita di  Lily”
 “Intendi depressione post partum o cose del genere? Laura è un medico dovrebbe sapere come affrontare questi momenti”
“Una cosa è fare il medico per gli altri ed una cosa è fare la mamma…”
“Non lo so Semir, sento che c’è qualcosa altro… ma se le chiedo cosa c’è che non va, lei si chiude a riccio”
“Vedrai che quando torna al lavoro si distrae e le cose migliorano” concluse Semir guardando l’amico.
Era incredibile quanto era maturato in quegli anni; ormai del carattere burlone ed infantile restavano pochi momenti, quando  faceva qualche battuta, o quando rideva, ma per il resto il giovane si era trasformato in un perfetto padre di famiglia. E Semir ogni tanto aveva nostalgia dell’esuberanza incontenibile di quando l’aveva conosciuto.
“Ti ricordi che oggi stacco prima? Devo passare in ospedale per i controlli” disse il ragazzo  sbuffando alla vista del traffico praticamente bloccato davanti a loro.
La frase aveva sempre il potere di  stringere lo stomaco di Semir in una morsa di paura.
Sapeva bene che erano solo controlli che Ben faceva periodicamente  a scopo preventivo ed erano necessari perché mesi prima era stato esposto ad una forte dose di radiazioni, ma non poteva fare a meno di provare un brivido ogni volta che arrivava il tempo e quando poi  l’amico riceveva i risultati.
Anche in questa occasione Semir notò la nuova maturità di Ben; prima bisognava letteralmente trascinarlo dai medici  e ci si riusciva solo se era assolutamente indispensabile, ma ora anche lui si rendeva conto di essere un padre di famiglia con tutte le responsabilità conseguenti e quindi non solo si sottoponeva volontariamente,  ma era anche precisissimo sul punto.
“Uffaaaa” sbuffò ancora Ben vedendo che la colonna d’auto non accennava a muoversi.
Prese il giornale dal sedile di dietro dove lo metteva sempre Semir dopo averlo comprato.
“Quasi quasi chiamo Helga  per tenere i gemelli e porto Laura al cinema domani sera. Uno di quei film strappalacrime che piacciono tanto alle donne…” disse sfogliando le pagine alla ricerca della pagina degli spettacoli.
“Li possiamo tenere noi, Aida e Lily li considerano le loro bambole viventi…”
“Davvero?? Grazie socio” Ben continuava a sfogliare il giornale sino a che non rimase bloccato su di una pagina.
“Oh mio Dio… no…” disse con voce quasi rotta dall’emozione
“Che c’è?” chiese preoccupato Semir, ma Ben per un po’ non rispose.
“Ben…” chiamò ancora l’amico.
“Sì… è solo che è morta una mia amica del liceo…”
“Cavolo mi spiace… ma come è successo?”
“Qui dice che si è suicidata…” fece Ben leggendo l’articolo quasi con  le lacrime agli occhi.
Semir non parlò più per un po’; aveva capito che forse  quella non era stata solo un’amica per Ben.
“I funerali sono oggi pomeriggio…” fece alla fine Ben richiudendo il giornale. Era evidente che era sconvolto.
“Ci vuoi andare? Se vuoi vengo con te….” propose Semir.
 “Grazie sei un amico. Chiamo l’ospedale per vedere se possono spostare i controlli a domani”
 
 

“No amore, penso  di  tornare comunque massimo per le otto… sicura che non ti serve nulla? Ok bacio ai topini” Ben chiuse la chiamata subito prima di mettere in moto.
“Sicuro che non hai altro da fare?”  chiese all’amico seduto di fianco
“Ma no, se torno a casa Andrea mi mette a riparare la staccionata del giardino” scherzò Semir che aveva  capito quanto il giovane in quel momento avesse bisogno di non essere solo.
“Posso chiederti una cosa?” disse Semir mentre  percorrevano l’autostrada verso Dusseldorf
“Certo”
“Questa ragazza non era solo una tua amica del liceo, giusto?”
Ben lo guardò negli occhi.
“No, Anja è stata la mia ragazza al liceo. Per più di un anno” mormorò
“Mi spiace davvero Ben”    
 “Non riesco a credere che si sia suicidata. Era una ragazza bellissima, allegra, brillante, senza alcun problema economico. L’ultima volta l’ho vista meno di un anno fa e mi ha detto che anche lei stava per sposarsi, che era felice…”
“L’animo umano  è imperscrutabile”
“Sì ma in questa storia c’è qualcosa che non mi convince. L’hanno  trovata impiccata nel garage della sua villa…  sai bene che le donne  per suicidarsi usano altri mezzi, come sonniferi o pistole”
“Non è detto Ben… forse tu vuoi solo credere che lei non abbia rinunciato volontariamente alla vita… forse era diversa da quando l’hai conosciuta” 
Ben non rispose e rimase in assoluto silenzio sino a che non arrivarono alla piccola chiesetta alla periferia di Dusseldorf.

La strada antistante la  chiesa era invasa da auto in sosta, fra cui subito Ben riconobbe la Jaguar del padre.
“Ben c’è anche tuo padre” fece Semir notando anche lui l’auto.
“Sì, lui ed il padre di Anja sono soci in qualche affare credo”
La cerimonia era già iniziata e Ben e Semir   si intrattennero sul fondo della chiesa. Fra le centinaia di persone Ben riconobbe vari compagni del liceo. Erano tutti così cambiati, per alcuni ci mise vari minuti a ricollegare il nome alla persona.
Alla fine del rito, mentre tutti uscivano mesti Ben, si ritrovò davanti Konrad.
“Ben… sei venuto anche tu” disse il vecchio imprenditore.
“Ciao papà. Potevi avvertimi…”
“L’ho fatto, ho lasciato il messaggio ieri sera a Laura, visto che non eri ancora tornato. Forse l’ha dimenticato, i gemelli  strillavano come matti” fece sorpreso Konrad.
Ben lasciò cadere il discorso vedendo la madre di Anja avvicinarsi.
“Ben… caro…” singhiozzò la donna abbracciandolo.
“Mi spiace davvero molto signora” A Ben la madre di Anja era sempre stata simpatica
“Io… io non riesco a spiegarmelo, doveva sposarsi fra tre mesi. Era felice, mi ha chiamato la sera prima e sembrava tutto a posto, aveva in programma di andare a provare il vestito da sposa proprio oggi. Io non riesco a crederci”
Ben non si trattenne.
“Signora, lei è sicura che Anja abbia davvero deciso di farla finita?”
“Cosa vuoi dire?” chiese  con sguardo smarrito
“E’ stata fatta l’autopsia?”
“Ben!!” lo rimproverò il padre.
“No no Konrad, so che Ben ora è in polizia…” rispose subito la donna.
“E’ stata fatta ma non è emerso niente, almeno a quanto ci hanno detto” intervenne un giovane dietro la madre di Anja
“Ben, lui è Jonas, il fidanzato di Anja”
 I due si scambiarono un rapido cenno di saluto.
“Magari potremo inviarti il file con i risultati…” chiese Jonas. Si vedeva che era sconvolto e cercava anche lui una spiegazione.
Ben subito gli diede il suo biglietto da visita, evitando di incrociare lo sguardo di muto rimprovero che gli lanciava Semir, rimasto in disparte.
Ma non riuscì ad evitare la ramanzina sulla strada di ritorno.
“Dì un po’, ma che ti piglia? Non puoi dare false speranze alla famiglia, se i colleghi di Dusseldorf non hanno rilevato nulla…”
“Sì lo so Semir, ma io sento che è una storia strana . Devo fare qualcosa. Lo devo ad Anja” rispose seccato il giovane
“Guarda che tu non c’entri nulla con questa storia… non ricadere nella solita sindrome “Tutto quello che succede al mondo è colpa mia”
La frase sfuggì dalla bocca di Semir che se ne pentì appena pronunciata.
Ben lo guardò quasi furibondo per l’accenno a quanto era successo l’anno prima.
“Scusa non volevo, ma ragiona Ben, se non fosse stata un tempo la tua ragazza avresti mai indagato sulla sua morte solo perché le donne di solito non si suicidano impiccandosi?”
“Non lo so Semir, è tutto così strano. Ti pare normale prendere un appuntamento per provare il vestito da sposa proprio il giorno in cui ti suicidi? Sento che io devo andare a fondo a questa cosa. Non  so perché, ma lo devo fare”


 
Quando rientrò a casa Ben fu accolto dalle grida dei bambini che si sentivano dall’androne del palazzo.
“Benvenuto a casa papà” pensò mentre saliva le scale
 Aprì la porta di casa e  trovò il caos assoluto. I giocattoli erano sparsi dappertutto e la cucina era un vero disastro.
Salì le scale con il cuore in gola e si diresse subito verso la stanza dei bambini.
Trovò Laura che cercava di calmare, cullandola, una quasi isterica Miriam, mentre anche Thomas si agitava strillando come un ossesso nel lettino.
“Laura…” chiamò Ben cercando di sovrastare lo schiamazzo.
“Ben… Ben… ma dove cavolo sei stato…” Laura quasi urlò più forte dei bambini.  Era tutta scompigliata, i vestiti in disordine e tutta spettinata
“Ma ti avevo avvertito che facevo un po’ tardi…” si giustificò il marito prendendo Thomas  dalla culla.
Il bambino magicamente si calmò, ma la cosa al posto di tranquillizzare Laura la fece diventare ancora più nervosa.
“Ecco visto che sei tanto bravo, tieni anche lei” disse mollando Miriam  sul braccio libero del padre.
E come al solito la bambina si agganciò al padre come una ventosa, facendogli un gran sorriso mentre le lacrime le scendevano ancora sul viso.
Ben ebbe un moto di paura per le condizioni del suo amore. Non l’aveva mai vista così.
“Laura, tesoro, facciamo una cosa… sei stanca, vai a riposare, qui ci penso io, li faccio mangiare e poi li metto a letto… ti chiamo per la cena ok?”
Laura annuì mentre l’ombra del bel sorriso, quello che aveva fatto innamorare Ben, le compariva per un attimo sul viso.
 
“Laura…” chiamò Ben aprendo la porta della stanza da letto semibuia “Vieni ho preparato qualcosa per cena, o meglio il cinese qui sotto ha preparato qualcosa per noi” Il silenzio era finalmente tornato in casa.
La ragazza si voltò sul letto.
“Non ho molta fame” bisbigliò con aria stanca.
Ben si stese a fianco alla moglie e la prese fra le braccia.
“Laura, amore mio… cosa c’è?” le chiese carezzandole i capelli.
“Niente, non ti preoccupare” rispose lei nascondendo il viso fra le sue braccia.
“Non è vero, ti prego parlami, dimmi cosa c’è… sei stanca? Tutto si può risolvere, badare a due bambini non è facile, possiamo prendere un aiuto, tanto lo dobbiamo comunque prendere quando  tornerai al lavoro…”
“No non è questo… oggi ero solo nervosa perché dovevi fare gli esami in ospedale, e poi li hai rimandati…”
“Ho dovuto, ma ho già appuntamento per domani”
Ben sentì distintamente la moglie tremare fra le sue braccia.
“Ehi… dovrei essere io quello che ha paura degli aghi e dei medici… anche se poi ne ho sposato una” cercò di scherzare
“Non è niente,  passerà sono solo un po’ stanca” fece Laura stringendosi al suo uomo.
E Ben la tenne stretta sino a che non la sentì  addormentarsi


 
Ritagliò con cura il pezzo di giornale e lo appese insieme  alle altre cose sulla parete.
Con le mani tremanti accarezzò  il titolo “Ricca ereditiera si suicida impiccandosi nella sua villa a Dusseldorf”.
Lo sguardo si soffermò sulla foto sotto il titolo. Anche in quella foto lei  era sorridente e sembrava felice.
Sospirò assaporando per la prima volta in tanti anni il gusto della vittoria.
Per la prima volta sentì dentro di sé un sentimento strano, un misto fra eccitazione  e felicità.
Sì, la vendetta aveva davvero un sapore dolce. E la sua era appena iniziata.



 

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Capitolo 3
*** Sospetti e paure ***


Sospetti e paure
 

“Ben… Ben… ma che fai dormi di nuovo??” Semir scosse per la spalla il ragazzo che si era accasciato sulla scrivania dell’ufficio.
“Ma no… non dormo…” si giustificò lui, senza però poter bloccare uno sbadiglio.
“Scusa se te lo dico,  ma non hai una bella cera” sorrise Semir, anche se un piccolo morso di preoccupazione prese il turco allo stomaco. Vedeva l’amico con le occhiaie e smagrito.
“Sì, passa anche tu un paio di notti con i gemelli e poi vedi che bella cera ti ritrovi…”
“A che ora devi andare a fare i controlli in ospedale?” chiese l’amico.
“Alle quattro”
“Bene, allora ti accompagno”
 “Semir… non è necessario che tu mi stia sempre dietro, posso andarci da solo. Sono cresciuto ormai” protestò Ben.
“E mica lo faccio per te, oggi stacco prima e la staccionata rotta sta sempre lì ad aspettarmi al varco”
Ben non disse più nulla, tanto era inutile; in modo o nell’altro se Semir si era messo in testa di accompagnarlo, l’avrebbe fatto qualunque cosa lui dicesse o  facesse.
“Mi hanno appena mandato i  risultati della autopsia di Anja” fece cercando di cambiare discorso.
“E?”  chiese Semir
“Boh… vorrei che Hartmut ci desse un’occhiata”
“La Kruger sa che ti stai occupando di questa storia?”
“No perché?”
“Lo sai come è fatta… questo caso non è  di nostra competenza… le regole di comportamento al paragrafo cinque punto cinque punto zerozerovirgolazerouno  impongono di avvisare immediatamente…” Semir imitò la voce dura e leggermente isterica di Kim  Kruger, senza avvedersi né degli sguardi disperati che Ben faceva per avvisarlo, né del fatto che la donna era improvvisamente comparsa dietro le sue spalle.
“Di cosa dovreste avvertimi?” chiese all’improvviso Kim.
Semir sobbalzò e spaventato si girò verso il Commissario
“Sì… capo… è qui… nulla… è che io e Ben…” balbettò rosso come un peperone.
“Semir mi deve accompagnare a fare i  controlli quando stacchiamo…” completò la frase Ben togliendo dall’imbarazzo l’amico, ridacchiando sotto i baffi.
“Fingerò di crederci… comunque prima di staccare ci sono molte ore di lavoro. Hanno appena trovato un cadavere di donna nella piazzola di sosta al chilometro 290 della A/24” disse guardando dura i due e porgendo un foglietto a Semir.
 “Ok capo andiamo subito, ci vediamo…” Semir praticamente strappò di mano il foglio al commissario e corse verso l’uscita, seguito a ruota da Ben.
“Potevi avvisarmi…” bisbigliò appena  furono a distanza di sicurezza
“E ci ho provato…”
“Secondo te avrà sentito?”
“Nooo macchè” mentì Ben

 

Ben parcheggiò la sua Mercedes lungo l’autostrada, poco distante la piazzola di sosta che era già invasa da personale della scientifica e dagli altri colleghi della Polizia.
“Salve Hartmut, cosa hai per noi?” chiese Semir scendendo dalla macchina e vedendo il tecnico che si avvicinava.
“Giorno ragazzi… dunque circa trentacinque anni, senza documenti. E’ morta più o meno da dieci dodici ore, ma su questo può essere più specifico il medico legale. Le hanno sparato un colpo alla nuca, ma prima ancora l’hanno torturata poverina…” rispose Harty; era  pallido e sconvolto.
“Ti senti bene?” chiese Ben
“Sì, sì, è solo che non mi abituerò mai alla crudeltà umana” rispose mesto, il rosso.
“Chi l’ha trovata?” chiese Semir
“Quel signore laggiù, si era fermato per controllare una ruota e ha visto il cadavere nella cunetta” Harty indicò un signore di mezza età seduto poco distante sulla barriera  del guard-rail.
“Io vado a sentire cosa dice” Semir subito si allontanò in direzione del testimone.
”Va bene, diamo un’occhiata” fece Ben maledicendosi per non essersi accaparrato lui l’interrogatorio del testimone: ora gli toccava guardare il cadavere e non era una cosa piacevole.
Si avvicinò di malavoglia al gruppetto che circondava il corpo, ancora riverso nella cunetta, che qualcuno aveva pietosamente coperto con un telo bianco, cercando di fare massima attenzione a non calpestare i luoghi che ancora non erano stati esaminati e fotografati.
Con cautela e preparandosi mentalmente si accovacciò accanto al corpo sollevò il lembo del lenzuolo per scoprire il viso della vittima.
Ben si era preparato mentalmente a tutto, ma non a quello che vide.
Per lunghi attimi gli mancò il respiro e la testa iniziò a girargli in tondo.
“Ben… Ben… che hai non ti senti bene?” chiese Hartmut vedendo il giovane bloccato, immobile e pallidissimo
“Ben…” chiamò di nuovo senza ottenere risposta.
Preoccupato volse lo sguardo verso Semir che stava ascoltando il testimone poco distante, ma l’ispettore si era già accorto che qualcosa non andava e si stava avvicinando.
Lanciò uno sguardo interrogativo ad Hartmut e poi si avvicinò all’amico.
“Ben.. che c’è?” chiese preoccupato mettendogli una mano sulla spalla.
“Io… io la conosco… si chiama… chiamava Roxana Ritter…  era la cantante della mia band del liceo” sussurrò con un filo di voce il giovane.
 
Semir coprì con il lenzuolo il viso della donna ed aiutò Ben ad alzarsi, sorreggendolo per un braccio.
“Da quanto non la vedevi?” chiese quando entrambi si poggiarono sul cofano della Mercedes.
“Dai tempi del diploma… la band si sciolse e  non sono rimasto in contatto con nessuno di loro. Ho solo saputo da altri amici che Roxana si era iscritta all’Università e si era laureata in biologia” la voce di Ben era triste.
“Sai se aveva una famiglia, qualcuno qui a Colonia?”
“No, non lo so… i suoi genitori si erano trasferiti a Berlino già quando eravamo all’ultimo anno del liceo. Roxana si diplomò e poi li raggiunse, ha frequentato l’Università a Berlino credo”
“E quindi non sai se c’è qualcuno che possa avercela avuta con lei…”
“No Semir non so nulla… e, prima che tu me lo chieda, lei non è mai stata la mia ragazza… era piuttosto timida, aveva una bella voce, ma a parte la band non aveva una grande vita sociale, nonostante fosse una bella ragazza”
“Ok… cerchiamo di rintracciare i parenti e vediamo cosa ci dicono”
Semir tornò verso il gruppetto di investigatori dopo aver dato una pacca sulla spalla a Ben, che restò immobile, appoggiato all’auto, completamente desolato.



“Quindi lei crede che il suicidio della sua ex fidanzata e l’omicidio di questa Roxana Ritter siano collegati…” la voce di Kim era molto professionale, ma si notava  lo scetticismo.
“Non lo so capo, non ho detto questo, è solo che mi sembra una coincidenza strana: due ragazze che io conoscevo al liceo, morte a distanza di pochi giorni l’una dall’altra” replicò Ben.
“In realtà per la morte di Anja non abbiamo alcun elemento che ci faccia pensare  ad un omicidio, la polizia di Dusseldorf ha archiviato il caso come suicidio”.
“Sì capo so anche questo, è per questo che ho inviato il file con i risultati della autopsia di Anja a Hartmut…” Ben pronunciò la frase ma subito dopo si sarebbe morso la lingua.
“Ovviamente senza la mia autorizzazione…” fece la Kruger guardando fisso sia lui che Semir, che gli sedeva a fianco e che era rimasto  sino quel momento in perfetto silenzio.
“Naturalmente nessuno di voi conosce il paragrafo cinque punto cinque punto zerozerovirgolazerouno…” disse Kim ripetendo lo stesso tono di voce con cui Semir l’aveva presa in giro.
“Sì capo scusi è vero dovevamo avvisarla, ma io non credevo…” si giustificò Ben.
“L’unica cosa che voi due credete è che le regole siano inutili”
“Ma no capo, non è vero, noi rispettiamo le regole… insomma… quasi tutte”  sussurrò Semir.
“Sulla percentuale delle regole che riuscite a rispettare avrei qualcosa da dire…” fece la Kruger.
Per fortuna la discussione venne interrotta da un leggero colpo alla porta e dalla entrata di Susanne.
“Allora abbiamo rintracciato la madre di Roxana Ritter, attualmente è a Vienna, ma sta prendendo il primo aereo per venire qui. Non ha idea di come la figlia sia arrivata a Colonia, l’ultima volta che l’ha sentita era a casa sua a Dusseldorf, dove viveva e lavorava. Era biologa in un centro medico privato; non era sposata né aveva avuto figli. La madre dice che non era neppure fidanzata in questi ultimi tempi e che ha sempre fatto una vita molto ritirata”
“Povera Roxana, zero vita sociale anche da grande…” pensò Ben.
“Domani mattina perquisite l’appartamento della Ritter a Dusseldorf e poi parlate con la madre, vediamo se c’è qualche elemento che possa collegare la morte delle due donne… a parte il fascino fatale di Jager” concluse Kim.
Ben la guardò irritato, ma venne condotto via dall’ufficio dal socio.
“Coraggio andiamo sono quasi le cinque, abbiamo da fare” disse con tono perentorio.


 
“Ma se davvero le due morti sono collegate e quello di Anja non è un suicidio, vuol dire che o è stato qualcuno del liceo che frequentavi…” disse Semir, mentre  guidava  con a fianco Ben, diretti verso l’ospedale universitario.
“Oppure è qualcuno che ce l’ha con me?” completò la frase il ragazzo.
“Non ricominciare, ti ho già detto che tu non c’entri nulla”
“Ed invece credo proprio di sì” concluse Ben scendendo dall’autovettura.
“Avanti papino, sbrigati ad accompagnare il pargolo, siamo in ritardo” sorrise poi il ragazzo avviandosi all’interno dell’ospedale.
 
“Ben… come al solito, ti aspettavo alle quattro e sono già le cinque e un quarto” disse la dottoressa dai capelli rossi vedendo il giovane entrare in reparto.
“Scusa Annika hai ragione, sono incorreggibile..” le sorrise Ben
“Ispettore Gerkan, come sta?” La donna salutò cordialmente Semir, che per lei era una presenza quasi fissa ai controlli di Ben.
“Bene, grazie dottoressa… io aspetto qui allora, anzi vado a prendermi un bel caffè” disse il piccolo turco avviandosi verso il bar mentre Ben e la dottoressa entravano nel laboratorio.
 
Semir sospirò guardando dalla finestra del bar dell’ospedale.
Aveva tanto sperato che le cose si rimettessero a posto per il suo socio, dopo tutto quello che aveva passato negli anni precedenti.
 Ma ora sentiva di nuovo una strana sensazione allo stomaco, qualcosa che lo infastidiva quando pensava al ragazzo, accompagnata dal desiderio di tenerlo d’occhio e soprattutto lontano dai guai.
Mentre guardava ancora le  prime luci della sera, riconobbe la figura di Laura che quasi correndo si avviava all’entrata dell’ospedale.
Incuriosito Semir si alzò dal tavolino dove era seduto e andò incontro alla moglie di Ben.
“Laura… ehi Laura”  chiamò vedendo la ragazza dirigersi di gran carriera verso il reparto di medicina interna dove era Ben.
Per un attimo Semir ebbe netta la sensazione che, guardandolo, Laura non l’avesse riconosciuto.
Si avvicinò alla ragazza che appariva già da lontano molto nervosa.
“Laura che ci fai qui?” chiese ancora  una volta vicino
“Semir… allora Ben è qui…” Laura guardò Semir con occhi smarriti.
“Certo che è qui… non ti ha chiamato per dirti che l’avrei accompagnato?”
“Sì sì… c…certo” fece la donna, cercando di ricomporsi.
“E i bambini?” chiese Semir un po’ preoccupato.
“A casa con Helga” rispose lei sempre un po’ distratta.
“Senti Laura, perché non ci sediamo? Mentre aspettiamo Ben ci prendiamo un bel caffè, che ne dici?” propose Semir cercando di rasserenarla.
Ed in effetti quando i furono seduti con due caffè fumanti davanti a loro Laura sembrò recuperare un po’ di lucidità.
“Scusa Semir, ti devo essere sembrata una folle a precipitarmi qui così, ma avevo chiamato poco dopo le cinque e l’infermiera mi aveva detto che Ben non c’era… ed io ho creduto..”
“Cosa? Che ti volesse mentire sulle sue condizioni? Ben non ti mentirebbe mai, questo lo devi sapere” disse Semir guardandola negli occhi.
Laura rimase in silenzio a fissare la tazza di caffè.
“Laura, sai vero, quanto vi voglio bene? Tu, Ben e i piccoli siete la mia famiglia esattamente come Andrea e le bambine. Puoi parlare con me… cosa c’è che non va?” Semir era preoccupato.
“Niente, Semir, è solo che sono un po’ stanca”
“Non è solo questo Laura, coraggio parlami… a tutto si può porre rimedio…Ben dice che non vuoi prendere subito un aiuto per i bambini, ma da sola non ce la puoi fare e fra pochi giorni devi tornare al lavoro…”
“Non è per questo Semir…”
“Allora cosa c’è?”
Laura guardò fuori mentre una lacrima le scivolava sulla guancia.
“Non è nulla… è solo che questa storia dei controlli ogni tre mesi mi manda in tilt. Ogni volta che si avvicina il periodo non riesco a pensare ad altro, mi immagino mille scenari terribili… avrei solo voglia di prendere Ben ed i bambini e scappare lontano…”
Semir la guardò e sentì di capirla come non mai; anche lui provava le stesse sensazioni ogni volta che accompagnava Ben in quell’ospedale.
“Lo so Laura… credi che io non provi le stesse paure? Che non mi terrorizzi ogni suo mal di testa? Che non vada un po’ in panico anche se fa uno starnuto o mi dice che non ha fame? Ma per ora sta bene, è perfettamente sano, è solo questo che ci deve interessare. Non possiamo rovinargli la vita o rovinarcela noi al pensiero di quello che potrebbe succedere”
Laura continuava a guardarlo muta.
“Ben ha bisogno di sentire che noi siamo sereni, che qualsiasi cosa dovesse succedere noi possiamo affrontarla insieme”
Laura  sospirò triste.
“Sì hai ragione Semir, ma io… io ho paura  e non riesco a non averne, è un incubo. E poi ci sono i gemelli… sono due pesti ed io non riesco a tenerli. Invece Ben sembra che legga loro nel pensiero;  appena vedono il padre quei due diventano angioletti”
Semir sorrise “Beh, forse perché anche Ben è un moccioso come loro”
Anche Laura sorrise leggermente, ma i suoi occhi restarono tristi.
“Ecco Ben…” fece Semir guardando oltre la sua spalla.
“Laura” chiamò sorpreso il giovane avvicinandosi al tavolo accompagnato da Annka
“Ben… sono venuta prenderti” rispose Laura cercando di sfoderare un gran sorriso.
“Annika” salutò poi la collega accanto a Ben
“Ciao Laura, la settimana prossima è previsto il tuo grande ritorno giusto? E i gemelli come stanno?” la dottoressa tempestò di domande l’amica.
“Sì, alla fine della prossima settimana torno al lavoro. I gemelli stanno bene, piuttosto mi interessa sapere come sta il loro papà” Laura cercò di sembrare il più disinvolta possibile, ma la voce le si incrinò.
“Tutto perfetto, hai un marito in perfetta salute” la rassicurò la collega.
Laura sorrise incredula.
“Bene… allora possiamo andare penso” intervenne Semir.
“Laura… mi raccomando stai serena”  sussurrò il piccolo ispettore all’orecchio della ragazza, mentre la baciava sulla guancia prima che salisse in macchina con Ben.
Mentre l’Audi di Laura si allontanava, Semir sentì  di nuovo prepotente quella brutta fitta di preoccupazione.


 
Ancora una volta  piazzò il ritaglio di giornale sulla parete con accuratezza e studiata lentezza. Godeva nel leggere la notizia e ripercorreva con la mente le ore  prima, quando un altro pezzo della sua vendetta si era compiuto.
Volse lo sguardo alla foto dei giovani sorridenti che stava accanto ai ritagli di giornale.
Con la punta delle dita accarezzò sulla foto il volto del giovane dai capelli castani.
“Presto  cancellerò anche il tuo sorriso, desidererai di non essere mai nato” sibilò  con perfidia.



Buona Pasqua a tutti

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Capitolo 4
*** Compagni di scuola ***


Compagni di scuola


Ben e Semir entrarono con una sorta di circospezione e rispetto nella casa di Roxana Ritter.
Rompendo i sigilli alla porta Ben si sentì una specie di guardone che andava a scavare nella vita di qualcun altro; certo l’aveva già fatto molte altre volte, ma questa era diversa. Anche se erano passati molti anni da quando si erano persi di vista, Roxana era un’amica e già l’incontro con la madre della donna quella mattina l’aveva sconvolto.
“Se vuoi faccio da solo” disse comprensivo Semir e ancora una volta Ben si stupì della facilità con cui l’amico  capiva tutti i suoi sentimenti. Sembrava quasi che avesse la capacità di leggergli il pensiero.
“No, no sto bene..” rispose, anche se non era vero.
Entrambi i poliziotti indossarono i guanti di lattice e iniziarono a ispezionare le tre stanze del piccolo appartamento.
Tutto sembrava in ordine, del resto Ben ricordava Roxana come una ragazza molto metodica.
Si avvicinò allo stereo nel soggiorno e diede un’occhiata veloce ai cd: Nickelback, Coldplay, i gusti musicali erano più o meno gli stessi anche se erano cambiate le band.
Con nostalgia Ben pensò alle serate passate negli scantinati a provare e riprovare le canzoni e sorrise  per la loro ingenuità, anche se all’epoca le loro creazioni gli sembravano perfetti capolavori.
“In camera da letto non ho trovato nulla… neppure un segno che avesse un fidanzato o un amico fisso” disse Semir uscendo dalla stanza.
Ben aveva invece trovato il pc della ragazza, ma era rimasto immobile a guardarlo: si sentiva ancora una volta un intruso.
Semir, senza dire nulla, si sedette alla scrivania e cercò di indovinare la password.
Dopo molteplici tentativi sospirò: “Niente… dobbiamo portarlo da Hartmut…”
Ben rimase pensieroso. “Aspetta prova un po’ con Blackcats” disse
Semir introdusse la parola e magicamente lo schermo si aprì.
“Bravo!! Come hai fatto?” chiese curioso.
“Era il nome della nostra band al liceo” 
 “Gatti neri? Alla faccia della superstizione…”
“Il nome lo scelse proprio Roxana, e come vedi in fondo a lei  non ha portato fortuna” rispose con aria triste il socio.
Semir stava guardando le mail.
“Guarda qui… c’è una mail di  dieci giorni fa, di un certo Alex, pare stesse organizzando una riunione di vecchi compagni di liceo”
 “Alex Dirkman… era il cervellone della scuola, ora lavora  negli Stati Uniti credo…”
“Non ti ha invitato? Qui dice che la festa è per venerdì prossimo allo Shangri Là..”
“ Non guardo la posta personale da un paio di giorni. Alex che  organizza una festa? Era la persona meno sociale della scuola… il solito secchione preso in giro un po’ da tutti” ragionò Ben, mentre consultava le sue mail con lo smartphone.
“Eccolo qui: l’invito, venerdì prossimo alle venti” esclamò.
Semir rimase in silenzio a fissare lo schermo mugugnando.
“Mica penserai…” chiese Ben
“Io non penso nulla socio, dico solo che un vecchio compagno, preso in giro un po’ da tutti, che si fa vivo dopo tanti anni ed organizza una festa… chiede proprio a Roxana di aiutarlo… e se l’avesse chiesto anche ad Anja?”
“No guarda non ci credo… Alex era il solito secchione, mite ed introverso, non avrebbe fatto male ad una mosca”
Semir lo guardò pensieroso “Ti ho già detto che le persone cambiano con il tempo; forse le troppe frustrazioni lo hanno trasformato”
“Sarà, ma io non riesco proprio a credere che possa aver ucciso due nostre amiche…”
“Hai possibilità di contattare i familiari di Anja? Dobbiamo scoprire se questo Alex ha contattato anche lei”
“Certo. Ho il numero della madre e del fidanzato” Ben era sempre più perplesso e preoccupato
Proprio in quel momento squillò il cellulare di Semir.
“Dobbiamo andare, Hartmut ha novità per noi sulla autopsia di Anja” disse il piccolo ispettore chiudendo la chiamata.
 


Ben distolse lo sguardo mentre Hartmut proiettava le foto della autopsia sullo schermo. Non riusciva a credere che quella cosa sul tavolo di ferro potesse essere la splendida ragazza di cui si era innamorato anni prima. Aveva ancora nella mente e nelle orecchie i suoi splendidi occhi verdi e la sua risata allegra.
“Ecco vedete… ci sono dei lividi sui polsi qui e qui… e non sono causati dalla stasi sanguigna post mortem, come ha ritenuto il medico legale, sono troppo regolari e provocati da  una corda con tutta probabilità. Secondo me è stata legata prima di essere impiccata…” illustrò il tecnico
Le parole fredde e scientifiche di Hartmut fecero rabbrividire Ben, che pensò alla sofferenza e alla paura che doveva aver provato la ragazza e sentì la rabbia crescere in lui contro chi le aveva fatto questo.
“Quindi è confermato… si tratta di omicidio…” Semir   a questo punto sembrava anche lui molto colpito dalla cosa.
“Sì ho già avvertito  la Kruger… ora il caso passa a noi. Ci aspetta alle tre per una riunione operativa con i colleghi di Dusseldorf” concluse Hartmut.
“Ben… stai bene?” chiese Semir mentre si avviavano verso l’auto. Lo vedeva pallido e sconvolto.
“Sì… diciamo che sto bene” mormorò il giovane salendo in macchina e Semir non ebbe il coraggio di dire altro. 


 
“Il fidanzato di Anja ricorda che lei gli aveva parlato di una festa da organizzare per i vecchi compagni di liceo, ma non sa dire se sia stata contattata da Alex…” disse Ben sedendosi di nuovo alla lunga scrivania nello studio della Kruger
 “Sì, ma se interroghiamo questo Alex prima di avere elementi concreti, lo insospettiamo…” fece quasi adirata la Kruger.
Da quasi un’ora stavano discutendo delle modalità con cui procedere.
“L’unica è che io vada a questa festa e cerchi di scoprire qualcosa… dopo tutto Alex non sa che ci stiamo occupando della vicenda, quindi non sarebbe sulla difensiva…”   disse Ben alzandosi in piedi.
“Già sempre che non ce l’abbia proprio con te, come sospetti anche tu sin dall’inizio. Se vai lì da solo può succedere di tutto. Chi ha ucciso Anja e Roxana è uno spietato assassino ed anche uno tanto furbo da non lasciare tracce” Semir era quasi paonazzo. Appena la Kruger aveva prospettato l’ipotesi che Ben andasse alla festa da solo gli si era gelato il sangue nelle vene.
“Potremo tenere Jager sotto controllo, gli mettiamo un microfono addosso e aspettiamo poco lontano. Al primo segno di pericolo interveniamo” propose la Kruger.
“Oppure posso  accompagnarlo io…” contrappose Semir. Sentiva che quella storia era sbagliata, che qualcosa sarebbe andata storta.
“Semir smettila, non posso presentarmi alla festa con il mio partner di lavoro in polizia, Alex mangerebbe la foglia immediatamente” Ben iniziava a dare segni di evidente irritazione.
“Non mi pare ci sia molta scelta. La festa è dopodomani, abbiamo tutto il tempo per organizzare l’operazione. Jager andrà alla festa e sarà microfonato.” concluse la Kruger con un tono che non ammetteva repliche.
 
“Commissario posso parlarle un minuto?” chiese Semir appena Ben fu fuori portata visiva.
“Gerkan, non inizi di nuovo. Ben è un poliziotto addestrato e capace. Noi saremo lì a monitorare, non può succedere nulla” disse dura Kim, intuendo immediatamente l’oggetto della richiesta.
 “Sì, ma si trova in una situazione psicologica particolare. Anja era la sua fidanzata e Roxana una sua amica. Inoltre ha anche qualche problema personale…” Semir si trattenne dall’illustrare ulteriormente i problemi che il giovane stava incontrando con Laura.
“Mi pare che gli esami medici siano perfetti…” fece la Kruger corrugando la fronte.
“No, non parlavo dal punto di vista fisico… comunque sappiamo tutti quanto può essere impulsivo Ben. La prego, annulli l’operazione, troveremo un altro metodo per far scoprire questo Alex”  
“Gerkan, io capisco il suo desiderio di tenere Jager lontano dai guai, ma lui è un poliziotto e sa fare bene il suo lavoro. Questo è il metodo investigativo migliore, lo sa bene anche lei, e non possiamo abbandonarlo per delle sue sensazioni” concluse Kim con tono che non ammetteva repliche.
A malincuore Semir lasciò la stanza e si preparò all’azione. Se non poteva andare con il suo partner a quella festa, poteva e doveva essere pronto a proteggerlo da lontano.
 


Rientrando in casa Ben fu accolto da un insolito silenzio e da un buon odore  proveniente dalla cucina.
“Buonasera, mio bel ragazzo” lo accolse Helga con il solito sorriso. La corpulenta governante uscì dalla cucina con indosso il grembiule; la scena suonò particolarmente familiare a Ben. Ogni sera quando tornava da scuola Helga lo salutava così, sempre con il grembiule indosso e sempre accompagnata da un buon odore di cose cucinate con maestria.
“Helga… cosa ci fai qui?” chiese sorpreso Ben dandole il solito bacio sulla guancia.
“Sono passata a trovare i piccoli e così ho pensato di fermarmi un po’…” rispose Helga con un sorriso che Ben capì un po’forzato.
“Laura? I gemelli?” chiese preoccupato.
“Laura si sta riposando in camera ed i bambini stanno dormendo. Hanno mangiato, hanno fatto il bagnetto e li ho cambiati…”
Ben intuì immediatamente che la governante doveva aver trovato l’inferno quando era  arrivata ed apprezzò la sua immensa capacità di tenere a bada la situazione: la casa era in perfetto ordine.
Entrò nella stanza dei piccoli che dormivano beati nelle loro culle.
“Ben, ragazzo… che ne dici se torno anche domani? A me fa piacere e a casa di tuo padre non c’è molto da fare, ci sono già due ragazze e il giardiniere a tenere in ordine…” chiese Helga che l’aveva seguito.
“Fosse per me ti terrei qui con noi per sempre”  Ben sorrise con affetto a quella che era stata la sua mamma surrogata.
“Ma forse ne dovrei parlare prima con Laura…” continuò sussurrando. Vinse a stento la tentazione di chiedere ad Helga come aveva trovato la moglie quando era arrivata.
Ma la governante non aveva perso il potere di leggere nei suoi occhi.
“Ben… tenere due gemelli è difficile. E questi due sono delle piccole pesti, soprattutto la femmina. Laura ne ha passate tante in questi anni, è solo stanca. Vedrai che andrà tutto bene, tu devi solo starle vicino” disse mentre si toglieva il grembiule.
“In cucina è tutto pronto. Ho fatto l’arrosto con le patate che ti piace tanto. Chiamami quando vuoi, io sarò qui nel giro di un’ora.” Helga lo abbracciò stretto e poi si avviò alla porta.

Dopo averla salutata, Ben entrò nella stanza da letto.
Nella penombra scorse la figura di Laura, che dormiva accucciata in posizione fetale. Si sedette accanto al letto silenzioso, per non svegliarla.
Anche nel sonno aveva una espressione sofferente, e a Ben si strinse il cuore.
Amava quella donna con ogni fibra del suo corpo e non sapeva come aiutarla.


 
Si specchiò e ammirò l’abito che aveva scelto per la festa.
Era elegante e misurato al tempo stesso, l’abito giusto per mostrare agli altri un successo personale che in realtà non esisteva.
Pensò che era vero quello che si diceva, l’attesa è spesso più piacevole dello stesso evento che si aspetta.
Pregustò ancora una volta il sapore dolce della vendetta.
“Venerdì arriverà presto”  si disse, guardandosi ancora una volta allo specchio.


Rieccomi e scusate il ritardo nell'aggiornamento. Come al solito un grazie enorme a chi segue e soprattutto a chi recensisce. I vostri commenti sono il più bel regalo.

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Capitolo 5
*** Festa con sorpresa ***


Festa con sorpresa
 
“Ahi… hai le mani fredde” scherzò Ben, mentre Semir gli attaccava il microfono sul petto poco sotto l’ascella.
Ma Semir non aveva voglia di scherzare; era stato estremamente nervoso in quei due giorni, tormentato da brutte sensazioni. E lui aveva imparato, a sue spese, che quando provava quelle sensazioni poi succedeva sempre qualcosa.
“Cerca di starci attento. Non farlo staccare come l’altra volta, che poi non riusciamo a sentire nulla” disse serio finendo il suo lavoro.
Dopo che Ben ebbe indossato la camicia, gli porse anche il minuscolo auricolare da nascondere dietro l’orecchio sotto il capelli.
“Proviamolo” disse sempre serissimo.
“Funziona, Hartmut lo ha appena controllato” fece Ben con noncuranza infilando la camicia nei pantaloni scuri.
“Ho detto proviamolo!” La voce di Semir suonò improvvisamente dura.
Ben obbediente prese l’auricolare e lo indossò mentre Semir si allontanava per provare l’ascolto a distanza
“Pronto-pronto mi senti mamma chioccia? Qui pulcino…” disse Ben scandendo le parole.
“Smettila di fare il deficiente, questa è una cosa seria” Ancora una volta la voce di Semir suonò a Ben particolarmente dura nell’auricolare.
“Sì funziona bene” si limitò a confermare.
Quando Semir faceva così era meglio non contraddirlo.

 
 “Allora signori, siamo pronti. Noi ci avviamo per posizionarci prima che arrivino gli ospiti. Ci vediamo lì fra due ore” disse la Kruger entrando nell’ufficio dei due ispettori.
A Semir non sfuggì il brevissimo sguardo di ammirazione che il Commissario mandò in direzione di Ben; era innegabile che il giovane faceva la sua bella figura  in abito scuro.
 “Dovresti vestirti elegante più spesso” fece il poliziotto più anziano, prendendo dalle mani del socio più giovane la cravatta con cui stava litigando da mezz’ora.
“Vieni qua, faccio io altrimenti rischiamo di fare notte qui” disse sorridendo mentre faceva con maestria il nodo.
A Ben non sfuggì l’intento dell’amico di stemperare il clima, ma non gli sfuggì neppure il tremore delle mani che armeggiavano con la cravatta.
“Queste cose mi sembrano cappi al collo, le odio. L’ultima volta l’ho messa al matrimonio”
“Già me lo ricordo” Semir sorrise al pensiero della bella giornata.
“A Laura cosa hai detto?” chiese
“Nulla solo che faccio un po’ tardi al lavoro. Ma non ci ha creduto molto. Mi ha tempestato di domande… Per fortuna c’è Helga a casa con lei stanotte”
“Forse avresti dovuto accennarle qualcosa…”
“Scherzi? Sta passando un momento particolare, non potevo aggiungerci anche la preoccupazione per questa operazione. Lo sai che non ha mai accettato fino in fondo il mio lavoro” fece Ben diventando improvvisamente pensieroso.
Semir lasciò cadere il discorso, anche se era forte la tentazione di consigliare all’amico di  far aiutare Laura da uno specialista.
Ora era necessario che Ben si concentrasse, non potevano essere commessi errori.
 


Ben canticchiava, mentre guidava verso il locale dove si teneva la festa. Quella era una delle sue canzoni preferite.
Semir lo seguiva con la sua BMW a distanza di sicurezza.
If today was your last day,
and tomorrow was too late.
Could you say goodbye to yesterday?
Would you live each moment like your last?
Leave old pictures in the past,
donate every dime you have?
If today was your last day...
If today was your last day  
cantavano i Nickelback, mentre Ben fischiettava la melodia, cercando di rilassarsi.
Semir sentiva la stessa musica dal microfono che Ben aveva addosso e diventava invece sempre più nervoso.
“Potresti  cambiare canzone per favore?” disse duro nel microfono per farsi sentire dal socio
“Perché? E’ bellissima…”
“Potresti fare una sola volta quello che ti chiedo? Cambia sta c… di  canzone”
“Ok non c’è bisogno di innervosirsi…”
Ben cambiò canale alla radio e cercò una musica melodica di quelle che piacevano tanto al suo socio.
“Va bene questa?” chiese mentre le note dolci e soffuse di Michael  Bublè si diffondevano.
“Meglio grazie” rispose dall’altro lato della linea Semir.
“Ehi socio… posso sapere perché sei così nervoso?”
“Non  sono nervoso, vorrei solo che ti concentrassi. Non è un gioco e non devono essere commessi errori. Questo tizio può essere pericoloso”
“Io contino a credere che sia solo un mite ed innocuo secchione”
“Non devi sottovalutare la cosa, ha già ucciso  due donne e se ce l’ha con te effettivamente…”
“Ti ripeto: secondo me non è stato lui”
“Sì, ma potresti sbagliarti, e se è così può cogliere l’occasione. Ricorda che per quanto noi saremo vicini, comunque non possiamo intervenire nella immediatezza”
“Va bene papà, starò attento…” fece scherzosamente Ben.
“Ben! Non sto scherzando, devi stare attento e non distrarti neppure un secondo. Non sottovalutare questo Alex e ricordati che ora hai una moglie e due figli  a  casa che ti aspettano”
“Ho capito, ho capito” rispose serio Ben.


 
La musica nel locale era soffusa e piacevole.
Era veramente un bel posto, con una terrazza sulle rocce che dava direttamente sul Reno, ma scrutandolo con il binocolo Semir notò solo che era  pieno zeppo di posti ed antri nascosti e fuori dalla loro vista, il che lo mandò ancora di più in ansia.
Dal potente cannocchiale il piccolo ispettore vedeva il suo socio aggirarsi con sicurezza fra la gente, salutando tutti con calorose strette di mano, tranne le ragazze che invece- chissà perché- gli saltavano al collo con baci ed abbracci.
 Semir non potè fare a meno di sorridere ancora una volta al pensiero della innegabile bellezza fisica del suo socio  e del successo che riscuoteva nel pubblico  femminile.
“Ben non ti distrarre come al solito con le ragazze, cerca di vedere se è arrivato anche Alex” bisbigliò nel microfono.
“Io non mi distraggo, sono un uomo sposato ormai. E Alex non è ancora arrivato” bisbigliò a sua volta Ben, coprendosi le labbra con il bicchiere di champagne per non farsi notare.
 Ben continuava a guardarsi intorno nel tentativo vedere arrivare il vecchio compagno di scuola, ma c’era tantissima gente; era stato invitato l’intero istituto scolastico a quanto pare.
“Ben…” il ragazzo si sentì chiamare alle spalle da una voce nota
“Annika!! Cosa ci fai qui?” Ben salutò la dottoressa con stupore.
“Ho accompagnato mio fratello che è stato invitato, sai ha divorziato da poco e non gli andava di venire da solo…”
Solo in quel momento Ben ricordò che la donna gli aveva parlato del fratello Robert che aveva frequentato la sua stessa scuola, anche se qualche anno prima di lui.
Ed in effetti vedendolo, Ben si ricordò anche di averlo visto in molte occasioni alle partite di basket e alle assemblee scolastiche.
“Robert, ti ricordi di Ben? Lui è il mio paziente preferito…”
“Sì certo, come si potrebbe dimenticare il rubacuori dell’istituto…” fece l’uomo avvicinandosi alla coppia, con un sorriso un po’ forzato.
“C’è anche Laura?” chiese Annika guardandosi intorno.
“No, è rimasta a casa con i piccoli” rispose Ben, fingendo sicurezza.
“Oh… che peccato, sarebbe stato bello trascorrere la serata anche con lei” fece Annika mentre il fratello si allontanava per salutare altri amici.
“Ben… ti posso chiedere una cosa?” chiese poi la dottoressa con aria imbarazzata
“Certo Annika”
“Come sta Laura?”
Ben si imbarazzò immediatamente, intuendo che quel discorso voleva alludere a qualcosa d’altro che  ad una cortese  richiesta di una amica.
“Bene… è stanca, sai abbiamo generato due autentiche pesti, specialmente la femminuccia, è un tornado…”  rispose con un mezzo sorriso.
Anche Annika sorrise, ma si vedeva che era anche lei un po’ imbarazzata.
“Sei sicuro?” chiese ancora la dottoressa
“Cosa vuoi dire Annika?”
  “Beh… tu sai che io faccio parte del consiglio direttivo dell’ospedale. Laura dovrebbe tornare a lavorare lunedì giusto?”
Ben si limitò ad annuire, era sempre più angosciato.
“Sei sicuro che ce la faccia? Può chiedere l’aspettativa facoltativa, non mi pare che voi due abbiate dei problemi economici e poi le spetta visto che i bambini sono due…” la voce di Annika era sempre più imbarazzata.
“Dove vuoi arrivare Annika?” Ben affrontò di petto la situazione
“Ben… non fraintendere le mie parole, ma Laura mi sembra molto stanca, nervosa. Continua a tempestarmi di chiamate per sapere se stai bene, quali sono i risultati dei tuoi esami. E nonostante io cerchi di rassicurarla, di dirle che va tutto bene, come in effetti è vero, lei non si calma… l’ultima telefonata me l’ha fatta stamattina…”
Ben sospirò. La situazione  era più grave di quanto si aspettasse.
“Ho cercato di spingerla a prendere un aiuto per i bambini da subito, ma lei non ha voluto. Per fortuna da lunedì la tata verrà tutti i giorni a casa e sono sicura che tornare a lavorare la distrarrà. Ha passato momenti difficili lo sai anche tu” si giustificò il giovane.
Annika sorrise rassicurante.
“Certo, ma il nostro è un lavoro impegnativo, come il tuo del resto. Devi essere calmo e avere la mente sgombra. Mi prometti di parlarle?”
Ben annuì, ma non ebbe il tempo di continuare la discussione. Nell’auricolare sentì la voce allarmata di Semir
“Occhio Ben. Alex ha appena parcheggiato. Sta arrivando!”


  
Semir si era sentito a disagio ad ascoltare la conversazione fra Ben e Annika, come un estraneo che origlia dietro una porta;  ma aveva avuto la conferma dei sospetti che nutriva da molto:  Laura non stava bene ed il suo socio non voleva aprire gli occhi alla verità. Si ripromise di parlargli dopo. Ora era importante concentrarsi.
“Occhio Ben. Alex ha appena parcheggiato. Sta arrivando!” Quasi urlò nel microfono per attrarre l’attenzione del giovane collega, non appena notò la Porsche nera parcheggiare davanti al locale e scendere un uomo alto e biondo che immediatamente riconobbe dalle foto dell’annuario scolastico che avevano recuperato.
Alex Dirkman entrò nel locale con l’atteggiamento da diva che fa la sua grande entrata ad effetto.
Anche dal binocolo ad infrarossi Semir notava l’atteggiamento spavaldo e di rivalsa; quella doveva essere la sua rivincita nei confronti di tutti i vecchi compagni di scuola. Semir sperò che non fosse anche un atteggiamento di vendetta e soprattutto che non fosse diretto al suo amico.
 

“Ben… sei venuto. Non ci speravo” Alex si fece avanti con la mano tesa e uno sguardo di rivalsa e superiorità sul viso.
Era circondato da uno stuolo di giovani donne adoranti, le stesse che negli anni precedenti lo avevano deriso e preso in giro.
 Ben che nella sua vita ne aveva nutrito sempre un sacro disprezzo, pensò a quanto in fondo poteva il denaro nella vita, Alex: da brutto anatroccolo a principe azzurro.
“Ciao Alex… come stai?” rispose stringendo la mano che l’uomo gli porgeva.
“Molto bene, molto bene” rispose l’altro con uno sguardo ancor più di trionfo negli occhi.
“E cosa fai di bello? Girano voci che tu sia entrato in polizia, ma io non ci credo… non è possibile. Secondo me invece stai facendo la bella vita con i soldi di tuo padre. Lavori nella sua azienda?” la voce di Alex era sprezzante
“Invece sì, sono in polizia” rispose Ben guardandolo negli occhi e cercando di capire le reazioni.
“Ohhh… incredibile. Il figlio di Konrad Jager che fa il poliziotto. A tuo padre sarà venuto un colpo” rise lui, sempre con aria sprezzante
“In effetti. Vedo che a te le cose sono andate bene…” disse Ben indicando con la testa la grande sala in cui si stava svolgendo la festa.
“Già non mi posso lamentare. Lavoro fra la Germania e gli Stati Uniti e ho una azienda mia. Produciamo microchip per computer. Sai abbiamo anche la Nasa fra i nostri clienti” la voce di Alex ebbe uno scatto di orgoglio  
“Wow, deve essere una bella soddisfazione” chiosò Ben
“Ah… mi è dispiaciuto per Anja. Hai saputo vero?” fece poi Alex, facendo provare a Ben un improvviso brivido.
Il poliziotto cercò di ragionare ogni parola.
“Sì ho saputo. Una cosa inspiegabile” disse guardando a terra.
“Sembra quasi che questa festa  sia nata sotto  brutti auspici. Sai che anche Roxana è morta?”
Ben finse sorpresa.
“No, non lo sapevo” bisbigliò.
“Era sui giornali l’altro giorno. Ha avuto un incidente o una cosa del genere. Hanno trovato il suo cadavere sull’autostrada” fece Alex, e Ben notò che nonostante il tono di circostanza la cosa  per l’uomo era assolutamente indifferente.
“Guarda, c’è Margaret…”  Alex troncò all’improvviso la conversazione per avviarsi verso una stangona bionda che gli  faceva ampi cenni di saluto.
Ben si chiese se Alex ricordava che una volta Margaret gli aveva attaccato  dietro le spalle, mentre erano in mensa, un cartello con su scritto “sono un deficiente”. Il ragazzo era andato così in giro, fra le risate generali, per almeno due ore sino a che proprio Ben non glielo aveva staccato.
Ma a quanto pare non se lo ricordava visto come ci flirtava apertamente.

 
“Cerca di farlo scoprire” bisbigliò Semir nel microfono.
“Non è mica facile… sta pavoneggiandosi con tutti e non penso di essere nei sui pensieri" bisbigliò a sua volta Ben sempre coprendosi la bocca con un bicchiere, fingendo di bere.
Il giovane seguiva costantemente con lo sguardo Alex, quando all’improvviso lo vide prendere con un braccio Margaret e spingerla verso uno dei numerosi anfratti naturali che c’erano sulla terrazza.
“Semir… hai visto? Li seguo” disse ansioso mentre si avviava anche lui
“Ben!! Aspetta, non riusciamo a vederti da qui!!” urlò Semir nel microfono, ma ovviamente il giovane socio non era stato  a sentire ed era sparito anche lui dietro le rocce.
 

Ben si ritrovò in quella che sembrava una piccola caverna. Sulle pareti c’erano delle torce e alcuni divani ornavano  l'interno. Il tipico posto in cui appartarsi in coppia.
Per un attimo Ben si rimproverò;  forse Alex voleva sono un po’ di intimità con Margaret.
Poi sentì delle voci concitate.
“Ti prego Alex,  Joachim mi ha detto che tu puoi procurarmela. Ho un locale ben avviato a Berlino, potremo  fare buoni affari insieme” la voce di Margaret era nervosa.
A cosa si stava riferendo? Ben sapeva sommariamente che Margaret aveva aperto una discoteca a Berlino.
“Ti ho detto che non faccio affari per una quantità così piccola. Non mi conviene, i miei soci negli Stati Uniti non mi darebbero  l’autorizzazione”
“Ma con il tempo se ingraniamo potremmo ampliarci… almeno fammela provare per vedere se è buona…”
Ben cercò di avvicinarsi il più silenziosamente possibile e si maledisse per non aver dato ascolto a Semir e non essersi portato la pistola.
“Te la posso far provare certo, per amicizia, ma se vogliamo fare affari insieme mi devi dare qualcosa di più…” sussurrò Alex.
Seguirono diversi secondi di silenzio in cui si udivano solo i mugugni di Margaret; non sapendo come procedere  Ben si decise a sporgere la testa  per vedere cosa stesse succedendo.
Con la coda dell’occhio fece appena in tempo a vedere Margaret  quasi collassata su una delle poltrone.
Poi un colpo secco alla nuca lo fece stramazzare a terra.

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Capitolo 6
*** Limiti ***


Limiti
 
“Maledetto stronzo… che ci fai qui?”  urlò Alex mentre sventolava la pistola davanti al viso di Ben, che giaceva ancora mezzo stordito a terra.
 Il giovane non rispose mentre si toccava la nuca e la sentiva bagnata dal sangue.
“Sei qui in veste ufficiale, sbirro? Dì la verità… sei venuto apposta per incastrarmi” urlò in tono isterico Alex mentre alzava Ben da terra per il bavero della  giacca
“Margaret… Margaret… stai bene?” Ben provò a girare la testa verso la donna che giaceva ancora  incosciente sulla poltrona.
“Bastardo cosa le hai fatto? Hai ucciso anche lei?” fece rabbioso.
“Ucciso? Ehi, io vendo solo roba buona, ed è stata lei a propormi l’affare e a volerla provare…”
Dall’esterno iniziavano a sentirsi le voci concitate degli agenti della SEC che facevano irruzione sulla terrazza. Gli ospiti iniziarono ad urlare impauriti.
“Maledizione… hai chiamato i rinforzi? Ma io non ho fatto niente, è stata lei che mi l’ha chiesto, non potete provare nulla…” Alex era sempre più isterico.
“Vuoi dire che sei uno spacciatore?” replicò sempre più sorpreso Ben. Si sarebbe aspettato tutto ma non che il timido secchione del liceo era diventato uno spacciatore.
“Stai zitto tu… devi aiutarmi ad uscire di qui” disse mentre gli mollava un pugno in pieno viso che gli fece sanguinare il naso.
“Ora mi fai da scudo” fece mentre prendeva Ben per il collo e gli puntava la pistola alla testa.
“Alex ragiona, non è successo ancora niente, se Margaret sta bene possiamo ancora risolvere con poco…” Ben cercò di calmare l’ex compagno di scuola, ma inutilmente.
“Zitto!!! Stai zitto!!” urlò proprio mentre nella piccola caverna artificiale entrava Semir, pistola in pugno, seguito dagli agenti della SEC vestiti di nero.
“Butta la pistola e lascialo immediatamente” urlò il piccolo ispettore con occhi di fuoco.
“Buttatele voi, le pistole… altrimenti gli faccio saltare il cervello” replicò con voce isterica Alex, stringendo la sua arma, sempre puntata alla tempia di Ben.
Semir cercò di valutare rapidamente la situazione.
Sul fondo della sala vedeva la donna ancora incosciente sulla poltrona, e anche se pareva respirasse ancora non poteva sapere quanto fossero gravi le sue condizioni .
Alex era molto nervoso e Semir  aveva abbastanza esperienza in materia per sapere che poteva effettivamente sparare a Ben da un momento all’altro.
“Ok… stai calmo… non ti agitare”
“Voglio uscire di qui… fatemi strada altrimenti lo uccido”
“Alex ragiona, per ora è solo un reato di spaccio, ma se vai avanti…” Ben provò ancora una volta a convincere con le buone l’uomo, sempre inutilmente
“Ho detto stai zitto, stronzo” urlò mentre stringeva sempre più convulsamente il calcio della pistola.
“Allontanatevi o lo ammazzo, giuro che l’ammazzo…”
Semir fece cenno agli altri di abbassare le armi e lo stesso fece lui. Il gruppetto prese a dividersi per lasciare libero il passaggio ad Alex, che continuava a tenere per il collo Ben puntandogli la pistola.
“Avverti gli altri che voglio la strada libera sino alla macchina… e lui viene con me”
Semir  lanciò uno sguardo di intesa a Ben; entrambi sapevano che non si poteva mai lasciare andare via  il sequestratore con l’ostaggio, per cui era necessario agire prima.
“Ehi Alex… cosa diranno tutti i nostri ex compagni di scuola nel vedere cosa sei diventato? Almeno prima eri solo un secchione scemo, ma ora sei un delinquente” Ben cercò appositamente di provocare l’uomo.
“Tappati quella bocca, sei solo uno stupido e schifoso figlio di papà, con tutto  disposizione, scommetto che fai il poliziotto per hobby” Alex era sempre più nervoso e tremava.
Mentre stavano uscendo Ben fece la sua mossa e diede una violentissima  gomitata nello stomaco all’uomo.
Preso di sorpresa, Alex ansimò e barcollò  e l’attimo di indecisione fu sufficiente per Semir  che era alle sue spalle, per prenderlo e buttarlo a terra, sullo stomaco, mentre Ben gli prendeva la pistola.
 
“E’ solo strafatta di cocaina” fece il medico dopo aver visitato Margaret, mentre gli infermieri la accompagnavano barcollante verso l’ambulanza.
“Ben… tutto bene?” chiese Annika superando il cordone di polizia ed entrando nella piccola caverna artificiale.
“Sì certo” sorrise Ben anche se aveva un mal di testa fenomenale
“Dottoressa  mi farebbe la cortesia di dargli un’occhiata? Ha rifiutato con il medico dell’ambulanza, ma forse a lei darà retta” bisbigliò Semir cercando di non farsi vedere dall’amico
Annika sorrise in segno di complicità e si avvicinò Ben.
“Siediti qui” intimò la donna con un tono che non permise a Ben nessuna replica.
Mentre Annika faceva il suo lavoro con efficienza, medicandogli la ferita sulla nuca e controllando l’occhio ormai diventato di un bel blu pesto, Ben vedeva Semir che parlava fitto con Alex ammanettato e seduto a terra.
Il socio si avvicinò.
“Dice che  era a Berlino e che  numerosi testimoni possono confermare che non si è mosso da lì sino a stamattina” disse avvicinandosi all’amico
“Quindi ha un alibi” intervenne Kim che nel frattempo si era avvicinata anche lei.
“Dobbiamo controllare, ma io penso che effettivamente non c’entri nulla con gli omicidi, è solo uno spacciatore che pensava di fare un affare”
“Il che per me è anche più incredibile del fatto che potesse essere il killer” fece Ben
“Signori, a quanto pare siamo punto e a capo” la voce di Kim era pensierosa. In effetti l’operazione era stata un mezzo fallimento.
“Andiamo a casa, ti accompagno io…” concluse Semir.
“Ma no… ho qui l’auto” cercò di opporsi il giovane.
“Te la porto io domani. Tanto abbiamo il week-end libero dal servizio”
“Sì ma…”
“Niente ma  Ben,  vai a casa e riposati, hai preso una bella botta in testa. E se serve sai dove trovarmi” chiuse il discorso Annika.
 
 

La casa era perfettamente silenziosa.
Ben si tolse giacca e cravatta ed entrò direttamente nella stanza dei gemelli.
Una delle cullette era vuota e per un attimo ebbe un moto di paura, per poi accorgersi subito che entrambi i bimbi dormivano pacifici ed abbracciati nella stessa culla.
Evidentemente Helga aveva scoperto il segreto: quando i gemellini piangevano e non volevano dormire bastava metterli vicini, nello stesso lettino.
Laura si era sempre fermamente opposta alla cosa, ma funzionava e Ben era certo che i fratellini sentivano la mancanza del periodo trascorso a contatto nel pancione.
Fece una carezza dolce sulla testolina di entrambi e poi sorrise. Dalla stanza a fianco, quella degli ospiti, proveniva un rumore ritmico.
 Helga stava russando.
Con simpatia ed un pizzico di nostalgia Ben ripensò ai mille scherzi che le avevano fatto Julia e lui quando erano piccoli, come quando le avevano attaccato nelle narici delle strisce di carta igienica che si sollevavano ritmicamente con i pesanti ronfi.
Ancora una volta provò un moto di affetto per quella corpulenta donna, il cui senso materno gli aveva garantito nonostante tutto una infanzia serena, ed era felice che anche i suoi figli potessero ora godere dell’amore che Helga riusciva a trasmettere.
Silenziosamente si infilò nella stanza da letto e scorse la figura di sua moglie che dormiva.
Ripensò con ansia e preoccupazione al discorso che gli aveva fatto Annika: davvero stava sottovalutando la condizione della donna che amava? Avrebbe detto e fatto qualsiasi cosa per vederla felice, e davvero non aveva capito che lei stava male? Nonostante tutto, in quei mesi,  a parte i vari momenti di crisi la situazione non gli era sembrata così grave e non poteva fare a meno di sentirsi anche in colpa.
In fondo se lei  era agitata e nervosa era anche perché si preoccupava per la sua salute.
Tolse la camicia  con il colletto macchiato di sangue e si avviò in bagno per una rapida doccia e per prendere due aspirine; nonostante l’analgesico che già aveva dato ore prima Annika, la  testa continuava a fargli un male cane.
Quando uscì dal bagno trovò le luci della camera accese e Laura seduta sul letto con la camicia insanguinata fra le mani e lo sguardo sbarrato.
“Laura” bisbigliò e per un minuto la moglie lo guardò assente.
Poi la ragazza esplose.
“Cosa è successo? Che ti è successo???” urlò avvicinandosi e prendendogli il viso pesto fra le mani
“Nulla, non è successo nulla, sto bene, solo un paio di cazzotti” Ben cercò di calmare la ragazza, ma lei era già in preda alla isteria.
“Bene?? Cos’è questa? E’ sangue questo!” urlò ancora più forte mostrando il colletto della camicia.
I bambini iniziarono a mugugnare rumorosamente.
“Laura calmati, sveglierai i bambini” le disse prendendola fra le braccia, ma lei si divincolò.
“Dimmi cosa è successo, cosa ti sei fatto…” La ragazza continuò ad urlare, mentre gli prendeva di nuovo il viso fra le mani e sbarrava gli occhi alla vista dell’occhio pesto .
Ormai i piccoli si erano messi a piangere rumorosamente e Ben sentì la porta della stanza di Helga che si apriva e la  voce della governante che risuonava affettuosa “Piccini… che succede? Eccomi sono qui…”
“Laura calmati, sto bene, sono qui come vedi, sto bene!!” stavolta Ben prese la moglie per le spalle e la scosse anche in maniera violenta.
La cosa funzionò e Laura smise di urlare anche se grosse lacrime continuarono a scenderle sulle guance.
“Ben… Laura… tutto a posto?” La voce di Helga arrivò lontana nel corridoio.
“Sì Helga tutto a posto non ti preoccupare” rispose Ben, stringendo la moglie in un abbraccio protettivo.
 
“Laura… forse dovremo parlare di quello che ti sta succedendo” disse Ben mentre stringeva la moglie nel grande letto matrimoniale.
I due si erano messi a letto e finalmente il silenzio era tornato nell’appartamento.
“Non mi sta succedendo nulla Ben, sono solo un po’ stanca. Forse non sono fatta per fare la casalinga…” replicò a voce bassa Laura.
“Laura, sappiamo sia io che te che non è così ed ignorare il problema non  lo farà sparire”
“Ti ho detto che sto bene, anzi starò benissimo quando tornerò a lavorare. Stare in casa tutto il giorno ad aspettare il tuo ritorno mi fa impazzire” si inalberò la moglie.
“Proprio di questo volevo parlarti… non è necessario che torni subito a lavorare, anzi forse non è il caso. Puoi prendere l’aspettativa facoltativa” provò Ben, già sapendo che con tutta probabilità avrebbe ottenuto l’effetto contrario.
“Cosa??? Chi ti ha messo in testa questa sciocchezza?” Laura aveva di nuovo alzato la voce.
“Parla piano, svegli di nuovo i bambini” fece Ben iniziando ad innervosirsi anche lui.
“Io non ho nessun problema. Sto benissimo. Lo saprò… sono un medico. E non ho certo bisogno che tu mi dica se sono in grado o meno di riprendere il mio lavoro”
“Stai bene? Ma se sussulti per nulla… sei nervosissima e stanca…credi che non mi sono accorto che non dormi per più di due  tre ore a notte? E questo a prescindere dai bambini”
“Forse se sono nervosa è perché  resto qui a preoccuparmi tutto il giorno del fatto che tu potresti non entrare più la sera da quella porta, che potresti stare male…”
“Laura io faccio il poliziotto… sai anche tu che è la mia vita. Cosa vuoi che faccia? Che mi dimetta? E anche se lo facessi questo non eliminerebbe la possibilità che entro due o tre anni mi possa venire il cancro per quello che è successo l’anno scorso” Ben si decise ad affrontare il cuore del problema.
La moglie sbiancò.
“Amore mio ti prego… forse è meglio che ci facciamo aiutare, vengo anche io con te. A volte le donne dopo il parto hanno di questi momenti, non c’è nulla di male”
“So bene cosa è la depressione post partum e se ne soffrissi non ci sarebbe niente di male ad andare da uno specialista. Ma io sto bene. E starò ancora meglio da lunedì quando riprenderò a lavorare.”
Laura si stese di botto e girò la schiena al marito, troncando il discorso.


 
Il week-end era passato relativamente tranquillo, con Laura che fingeva che nulla fosse accaduto e Ben che non riusciva ad affrontare di nuovo l’argomento.
“Bene, allora porto prima i bambini dal pediatra e poi li riporto qui da te, Helga. Oggi per fortuna attacco alle dieci e mezza, quindi è un incastro perfetto” disse Laura entrando in cucina, dove la governante stava sistemando i piccoli  dopo avergli dato la colazione.
“Non vuoi che venga con te? I bambini diventano sempre nervosi dopo le vaccinazioni” chiese premurosa Helga.
Laura la guardò con sospetto. “E’ stato Ben a chiedertelo? Non ho bisogno di nessun aiuto”
“Ma no tesoro,  non l’ho neppure incrociato Ben stamattina, è uscito presto”
Laura sospirò “Scusa Helga…aiutami solo a sistemare i bimbi in macchina, saremo qui in meno di un’ora” fece conciliante mentre prendeva la borsa e le chiavi dell’auto.
 
“Ciao socio, visto che bella giornata? Fa così caldo che sembra di essere in giugno” Semir era decisamente di buon umore dopo il week-end di riposo
Ma Ben non era di buon umore; nulla andava come voleva, né sul lavoro nè in casa
“Sì ciao…” disse distratto  
“Tutto bene?” chiese l’amico preoccupato.
“No, in effetti nulla va bene, ma non riesco a  rimediare. Laura non vuole affrontare il suo problema, dice di stare benissimo e noi con gli omicidi non stiamo cavando un ragno dal buco” la voce di Ben era esasperata.
 “Forse Andrea potrebbe parlare con Laura, sono molto amiche…”
“Oh no per favore, già si è messa  sulla difensiva quando ho affrontato il discorso, figuriamoci se sa che ne parlato anche con voi”
“Sì, ma in qualche modo si dovrà pur risolvere”
“Forse effettivamente tornare a lavorare può aiutarla”
“Signori… riunione operativa nel mio ufficio” ordinò la Kruger affacciandosi  dalla porta  “E spegnete i cellulari durante la riunione”.
 
La riunione con quelli dell’anticrimine non aveva portato a risultati significativi. Non avevano trovato impronte ed il bossolo del proiettile che aveva ucciso Roxana Ritter non proveniva da  una pistola schedata. Insomma non avevano nulla.
Uscendo dall’ufficio Ben si sentì ancora più depresso e a stento si ricordò di riaccendere il cellulare.
Guardò i messaggi che erano arrivati: “Cinque chiamate perse da: Helga”
Con un senso crescente di preoccupazione chiamò il numero della governante.
“Ben… finalmente, non riuscivo a contattare né te né Laura”
“E’ successo qualcosa ai bambini?” il cuore di Ben batteva all’impazzata. Semir si fermò accanto a lui guardandolo preoccupato.
“No… è che Laura aveva detto che mi avrebbe riportato i bambini per le dieci, invece è quasi l’una e ancora non arriva. Ho chiamato il pediatra e mi ha detto che erano andati via  dallo studio verso le nove e mezza… forse ha deciso di portarli al nido dell’ospedale?” La voce di Helga era preoccupata, anche se cercava visibilmente di dominarsi.
“Ma  hai chiamato Laura?”
“Sì, ma ha il telefono staccato. E in reparto mi hanno detto che era in giro per le visite”
 Ben attaccò la chiamata senza neppure salutare.
Chiamò il cellulare della moglie, ma era staccato ed il numero del reparto occupato.
Con le mani che gli tremavano trovò nella rubrica il numero di Annika.
“Annika sono Ben… sai dov’è Laura?”   
“Sì aspetta è qui con me, stiamo visitando un paziente”
I secondi che ci mise per passare il telefono alla moglie sembrarono a Ben infiniti.
“Laura!! I bambini, dove sono i bambini??” 
Ben sentì un urlo soffocato.
“OH MIO DIO!!! In macchina, li ho lasciati in macchina!!!” 

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Capitolo 7
*** Angoscia ***


Angoscia


Semir aveva battuto ogni record di velocità mentre guidava verso l’Ospedale. Sentiva il respiro corto e non aveva il coraggio di guardare verso Ben che gli era seduto a fianco.
Il giovane era rimasto in perfetto silenzio, con la mascella serrata e Semir temeva che potesse scoppiare da un momento all’altro.
Finalmente, dopo un tempo che sembrò infinito, la BMW entrò nel parcheggio dell’Ospedale.
Anche da lontano Semir riconobbe subito l’Audi di Laura, parcheggiata abbastanza distante dall’ingresso; le portiere dei sedili posteriori erano aperte, ma vicino non c’era nessuno.
Ben non gli diede neppure il tempo di parcheggiare; scese  dall’auto ancora in moto ed entrò di corsa nel grande edificio.
Mentre parcheggiava nel primo posto libero Semir non potè fare a meno di pensare con angoscia al gran caldo che faceva  quel giorno e si chiese per quanto tempo i piccoli erano rimasti in macchina, chiusi, con l’aria che diventava irrespirabile.
Il pensiero volò alle tante volte in cui aveva sentito notizie simili nei notiziari; si era sempre detto che quei genitori dovevano essere certamente persone inadatte, che avevano trascurato i figli, che erano genitori indegni. Mai avrebbe pensato che poteva accadere a qualcuno di così vicino a lui, a Laura la donna più amorevole e affettuosa del mondo verso i suoi figli.
Corse più velocemente che poteva all’interno del pronto soccorso e all’ingresso notò subito la grossa figura di Helga, appoggiata al muro, con le spalle curve.
“Helga… come stanno?” chiese ansimando, senza neppure salutare.
“Non lo so signor Gerkan, li stanno visitando… o mio Dio, come è potuto succedere? E’ una cosa terribile… non riesco a crederci” rispose la vecchia governante con la voce rotta dai singhiozzi.
Entrando nella astanteria Semir notò Laura seduta, completamente afflosciata su di una sedia, con una infermiera accanto che le porgeva un bicchiere d’acqua. La ragazza sembrava completamente catatonica ed aveva lo sguardo fisso, mentre un’infermiera le parlava dolcemente e cercava di farle prendere una pillola.
Ben invece sembrava un leone in gabbia; andava avanti ed indietro davanti alla porta del reparto, tenendosi le mani fra i capelli e mordendosi le labbra.
Semir non ricordava di averlo mai visto così disperato.
 

Un silenzio di tomba regnava nella sala di attesa, mentre i minuti passavano senza notizie.
“Ben…” Semir provò a richiamare l’attenzione dell’amico che non si era mai seduto né si era fermato un attimo.
“Ben… perché non vai un po’ accanto a Laura?” chiese.
La ragazza era seduta, isolata, completamente immobile a fissare il vuoto da ore ormai.
Lo sguardo che gli rivolse Ben quasi spaventò Semir; era uno sguardo furibondo e disperato e così non ebbe il coraggio di ripetere l’invito.
Erano arrivati anche Julia e Konrad, che si tenevano in disparte a parlottare piano con Helga.
“E’ colpa mia, dovevo andare con lei… era nervosa per il primo giorno di lavoro… ho insistito ma lei non ha voluto” disse piano la governante mentre si asciugava le lacrime
“Ma cosa dici Helga… tu non c’entri nulla. Non potevi sapere” provò a consolarla Julia
Tutto il gruppetto  restò ad aspettare con il fiato sospeso
 
Finalmente le porte automatiche del reparto si aprirono e ne uscì Annika con in braccio Miriam.
“Papapa” fece felice la bimba appena vide Ben, tendendogli come al solito le braccine.
Tutti si alzarono di scatto e si avvicinarono alla dottoressa, mentre Ben  le strappava letteralmente la bambina dalle braccia e la stringeva forte
“Piccola, vieni da papà… piccina mia come stai??” mormorò Ben mentre la carezzava.
“Sta bene, è tutto a posto, può andare a casa a fare un bel sonnellino” rispose Annika sorridendo
“E Thomas? Dov’è Thomas?” chiese  terrorizzato Ben vedendo che il piccolo non era uscito dalle porte automatiche.
“Sediamoci un attimo…” rispose Annika guardando Ben comprensiva.
“No… dov’è? Che ha?” la voce di Laura giunse flebile come un lamento.
Ben passò Miriam ad Helga e si sedette con il viso pallido come un cencio accanto ad Annika.
“Dunque… non vi spaventate… dobbiamo trattenere Thomas in ospedale” disse la dottoressa
“O mio Dio…” singhiozzò Laura alle spalle, scoppiando in un pianto disperato.
“Che ha?” chiese Ben cercando di recuperare lucidità.
Tutti gli altri erano ormai immobili e con il fiato sospeso.
“E’ completamente disidratato, deve aver pianto molto più di Miriam. E ha qualche scompenso cardiaco…”
  
Ben guardò la dottoressa attonito con gli occhi che gli riempivano di lacrime. Aprì la bocca ma gli uscì solo un suono soffocato.
“Non ci dobbiamo preoccupare troppo, è normale con il caldo che c’era nell’auto. Lo reidratiamo e  vedrete che domattina la situazione si sarà normalizzata” disse con sicurezza Annika.
Tutto il gruppo rimase in silenzio per un po’.
“Possiamo vederlo?” chiese con un filo di voce Laura, che era sempre rimasta in disparte.
La reazione di Ben lasciò tutti di stucco.
“Tu… non ti avvicinare ai miei figli!!” le urlò contro rabbioso.
Laura, pallida e piangente, rimase a fissarlo senza parole.
“Ben… ma che dici, calmati” Semir provò a prendere l’amico per un braccio, mentre si avvicinava sempre più adirato verso la moglie.
“Calmati un corno… ti rendi conto di quello che ha fatto? Te ne rendi conto? Ha lasciato due bambini chiusi in macchina per ore,  sotto il sole, mentre l’aria finiva…”
Il giovane urlava sempre più forte mentre Laura sembrava farsi sempre più piccola e fragile.
“Ben smettila, può capitare a tutti…” si oppose Semir.
“Capitare?? Capitare a tutti? Si è dimenticata dei suoi, dei nostri figli… li ha lasciati in macchina… potevano morire tutti e due!!”
 “Io… io non volevo… mi spiace…” sussurrò Laura con gli occhi pieni di lacrime.
“Certo tu non volevi… ti ho pregato cento volte di farti aiutare, ma tu niente…e ora ne fanno le spese i bambini. Dio non voglia che succeda qualcosa a Thomas… perché io… io…” Ben non riuscì a finire la frase tanto era rabbioso.
“Ragazzo, smettila!! Non puoi parlare così a tua moglie” intervenne per la prima volta Konrad.
“Stai fuori da questa storia” Ben si rivoltò anche contro di lui, ormai era completamente fuori di testa dalla paura e dalla rabbia.
“Non si deve avvicinare ai bambini. Helga porta Miriam a casa di papà e resta con lei per stanotte. Io resto qui con Thomas”
“Ben per favore…” anche Julia provò a far ragionare il fratello.
“No… lasciate stare, Ben ha ragione. La colpa è solo mia. Sono un medico e non sono neppure riuscita a capire le mie condizioni mentali.  Va bene Ben, resta tu con Thomas, io vado via, a casa…” disse mesta Laura mentre prendeva la giacca ed usciva di corsa dalla porta.
“Laura… Laura aspetta…” fece Julia correndole dietro.
Miriam scoppiò in lacrime vedendo la mamma andare via di corsa e iniziò a dimenarsi nella braccia di Helga. “Mama… mama” strillava con i lacrimoni agli occhi.
Ben la prese fra le braccia e solo così si calmò. Il contatto con la bambina fece bene anche al padre.
“Portala a casa di papà, Helga. Ci vediamo domani. Io per stanotte resto qui” fece alla fine passando di nuovo la bimba alla governante
“Ben forse dovresti parlare con Laura…” sussurrò piano Semir
“Non ora Semir, ti prego non ora. Ora voglio stare solo con Thomas” disse mentre seguiva Annika nel reparto.
 

“Sì, lo so che ti ha detto che vuole stare sola, ma non mi sembra il caso. Beh… e tu bussa più forte… fra un po’ arrivo anche io…” Semir parlava concitato con  Andrea al  cellulare. Aveva spedito la moglie  a casa di Laura, ma a quanto pareva la ragazza non l’aveva neppure fatta entrare.
Chiuse la chiamata e si avviò anche lui nel reparto alla ricerca di Annika.
Per fortuna trovò quasi subito la dottoressa, intenta a parlare con alcuni colleghi.
“Dottoressa, sa dove è Ben?” chiese  un po’ timoroso, non sapendo se poteva entrare anche lui visto che non era un parente stretto.
“Stanza 103, al primo piano, reparto pediatria” rispose con un sorriso il medico.
Quando entrò nella stanza Semir rimase colpito dal silenzio che vi regnava.
Ben era seduto nella penombra della prime luci della sera accanto alla culla in cui Thomas dormiva. L’unico flebile rumore era quello del cardiofrequenzimetro collegato al  cuore del piccino.
Semir si avvicinò piano con il cuore colmo di dolore.
Vedere una persona cara stare male era  già un dolore terribile, ma quando la malattia prendeva i piccoli la cosa sembrava insopportabile.
Semir non osava pensare a come si doveva sentire l’amico; già quando le sue figlie avevano il raffreddore lui si sentiva impazzire dalla preoccupazione.
“Ben… come sta?” chiese piano avvicinandosi e poggiando la mano sulla spalla del giovane.
“Dorme, Annika dice che il ritmo cardiaco si è normalizzato, ma deve stare ancora sotto controllo” rispose con voce stanca l’amico
“Beh… mi sembra una buona notizia. Vedrai domani questo furfante ritornerà a far danni” Semir guardò con dolcezza il piccino che dormiva pacifico. Più cresceva più somigliava fisicamente a Ben, anche se caratterialmente il bambino  sembrava come Laura, dolce, riflessivo e sensibile.
Laura… a Semir si strinse di nuovo il cuore al pensiero di quello che stava provando la giovane madre.
“Ben… ora che le cose si sono calmate dovresti  parlare con Laura. Lei è la madre dei bambini non puoi pensare che…”
“Io non penso che l’abbia fatto apposta Semir, ma lei sapeva di stare male. Però ha rifiutato qualsiasi aiuto. Aveva dei doveri verso i suoi figli…”
“Credimi Ben non è così facile. Noi non possiamo sapere, non siamo madri, non sappiamo cosa significhi prendersi cura di due bambini…”
Ben rimase in silenzio. “Io non so più nulla, non riesco a pensare lucidamente, voglio solo che il mio bambino stia bene e torni a casa” mormorò poi.
“Andrà tutto bene, vedrai… andrà tutto bene” lo consolò Semir.
 

La notte era passata tranquilla, Thomas si era svegliato solo una volta affamato e dopo aver preso il latte si era subito  riaddormentato.
Ben aveva passato tutta la notte sulla poltrona accanto alla culla. Verso mezzanotte aveva mandato un messaggio a Laura per dirle che il bambino stava bene, ma non aveva avuto risposta.
I rumori nella stanza lo fecero sobbalzare, ma quando aprì gli occhi vide Annika che gli sorrideva; il pediatra era accanto alla culla e stava visitando Thomas.
“Annika… come sta Thomas?” chiese subito ansioso.
“Bene, il tracciato è stato normale per tutta la notte. Direi che stasera lo puoi portare  a casa” rispose sempre sorridendo la dottoressa.
Ben sentì come un macigno che gli cadeva dal cuore.
 “Quindi tutto a posto? Davvero?” chiese ancora incredulo.
“Sì certo. Ha chiamato Julia, sta arrivando per darti il cambio. Così puoi andare a casa da Laura” disse con aria seria Annika.
Ben iniziò subito a sentirsi in colpa per quello che era successo il giorno precedente.
Ora  che il pericolo era scampato si rendeva conto di essere stato crudele.
Lentamente si stiracchiò e poi si avvicinò alla culla dove Thomas si era appena svegliato e stava tranquillo prendendo il latte dal biberon.
Accarezzò dolcemente la testolina scura del bambino e si chiese tristemente cosa ne sarebbe stato della sua famiglia.
 

Aveva guardato tutta la scena da lontano. Per ore aveva assistito, come in una sorta di spettacolo teatrale, alle scene drammatiche che si svolgevano nel reparto ospedaliero.
La corsa disperata verso il parcheggio, l’arrivo dei medici e delle due barelle con i bambini, e poi l’arrivo del padre, dei parenti,  il litigio che ne era seguito.
Stava lì per altri motivi, non doveva essere quello il suo scopo. Aveva pensato ad altro, ma la vita  evidentemente a volte riserva sorprese.
Ora il fato pareva voler dare una mano alla sua vendetta. Era quasi una  magia, un miracolo assistere alla sua sofferenza,  senza neppure doversi sprecare a far nulla. Un altro segno del destino.
Sorrise fra sé e sè mentre vedeva il giovane uscire dall’ospedale e salire su di un taxi; stava tornando a casa.
Era ora di compiere un'altra parte della sua vendetta.

 
Ben entrò in casa esitando.
Durante il tragitto verso casa, sul taxi, aveva cercato di pensare a cosa dire o fare con Laura.
Con la mente più lucida si era maledetto più volte per quello che  aveva urlato in preda alla rabbia alla ragazza; sua moglie stava male e lui l’aveva aggredita. Ora sperava di poter almeno recuperare. Doveva salvare la sua giovane famiglia.
“Laura…” chiamò piano senza ottenere risposta.
Pensando che stesse ancora dormendo il giovane si avviò verso la stanza da letto, ma il silenzio opprimente gli diede subito una brutta sensazione.
Aprì piano la porta e scoprì il letto intatto.
“Laura…” chiamò, ma la voce gli si strozzò in gola. 

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Capitolo 8
*** E' tutta colpa tua ***


E’ tutta colpa tua
 
Ben trattenne  il fiato mentre entrava nella stanza ed apriva gli armadi; ma già dalle  ante socchiuse aveva visto che la maggior parte dei vestiti di Laura erano spariti.
Con il respiro sempre più affannato andò in bagno solo per notare che anche lì tutti gli oggetti  della moglie erano spariti.
Una mano ghiacciata scese sull’animo del giovane; cercò di restare razionale: dopotutto se Laura aveva preso le sue cose non aveva intenzione di commettere sciocchezze.
Con questa speranza nel cuore rientrò nella stanza da letto ed il suo sguardo cadde sul biglietto in bella vista sul suo comodino.
Con le mani che gli tremavano lo aprì. La grafia era quella di Laura. C’era scritto solo un  nome ed un numero di telefono,  ma quella scritta fu sufficiente a mandarlo nel pallone.
 “Cedar Clinic, 023878590”
Ben  conosceva quella clinica: era una clinica psichiatrica.
Cercando di reprimere i singhiozzi che gli salivano prepotenti compose il numero di telefono.
“Buongiorno, il mio nome è Ben Jager… mia moglie Laura è lì da voi?” chiese all’infermiera che rispose
 
 
“Buongiorno signor Jager, io sono il dottor Peter Scholler, perché non si accomoda un attimo? Così parliamo un po’”
Il giovane dottore che l’aveva accolto aveva un’aria professionale e molto gentile, ma Ben era troppo agitato. Era venuto a riprendere sua moglie e portarla a casa, dove era il suo posto e nulla e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
Ma si costrinse comunque a sedere sulla sedia che il medico gli mostrava.
“Sa… io e Laura ci conosciamo da molti anni, siamo stati colleghi di università…”
A Ben non fregava nulla dei convenevoli che gli faceva quel medico, gli interessava solo portare Laura a casa dai bambini.
“Mi scusi dottor Scholler, ma dov’è Laura? Posso sapere perché è qui, io non credo proprio che abbia bisogno…”
“Laura è venuta da noi ieri notte e abbiamo parlato a lungo..” lo interruppe il medico.
“Mi ha raccontato quello che è successo, delle difficoltà che ha incontrato in questi mesi. Questa è una struttura aperta sig. Jager, da qui si entra e si esce di qui volontariamente…” continuò con voce calma.
“Vuole dire che Laura si è volontariamente ricoverata qui? Non ne ha bisogno, sono io la sua famiglia, solo io posso aiutarla…”
“Ben... posso chiamarla così vero? Non dobbiamo sottovalutare quello che è accaduto ieri. Laura è ben cosciente di questa cosa, così come è cosciente di aver bisogno di un aiuto professionale. Il suo amore può non essere sufficiente”
“Invece sì, anche perché è colpa mia se è venuta qui, ieri l’ho aggredita, sono stato uno stupido. Ma ora ho capito il mio errore. Le assicuro… a casa starà bene, io la aiuterò mi creda…” la voce di Ben si incrinò improvvisamente.
“Ben… le malattie della psiche sono malattie come altre. Certo lei non curerebbe a casa una appendicite o un’ulcera. Si farebbe aiutare da un medico giusto? Il nostro amore per quanto grande  può non essere sufficiente”
“Sì, io non dico che non si debba fare aiutare da un medico, ma perché deve stare qui? Può farlo a casa, l’accompagno io anche tutti i giorni se necessario. Io ed i bambini abbiamo bisogno di lei… è mia moglie maledizione…” La voce di Ben era sempre più disperata.
“Questa è una clinica specializzata per disturbi post traumatici da stress. E mi risulta che  gli anni passati siano stati particolarmente difficili sia per lei che per Laura. Purtroppo per certi tipi di patologie l’isolamento dall’ambiente familiare è essenziale” La voce del medico continuava a restare professionale.
“Vuole dire che per guarire Laura deve stare lontana da me? Lontana dai suoi bambini?”
“No di certo, solo che così sarà più facile per lei analizzare i suoi sentimenti, cosa la sconvolge..”
“Non c’è bisogno che glielo dica Laura… è colpa mia dottore, è costantemente preoccupata per la mia salute e ieri l’ho aggredita, l’ho trattata in modo crudele… è colpa mia…”
Il medico sorrise.
“Laura mi ha detto che lei tende ad attribuirsi le colpe di tutto quello che di brutto succede, ma le posso assicurare che non è colpa sua se Laura ha dimenticato i bambini in auto”
“Invece è colpa mia. Io devo riportarla a casa. Lì starà bene, mi occuperò io di lei, a costo di dimettermi dal lavoro”
“Le ripeto Ben, da qui si entra e si esce quando si vuole. Il ricovero è rimesso alla esclusiva volontà del paziente… e Laura ha deciso di rimanere. Glielo dirà lei stessa. La sta aspettando nella sala grande”

 
Ben entrò a passo di carica nella grande sala destinata agli incontri con i familiari.
Avrebbe parlato con Laura e l’avrebbe riportata a casa con lui. Il medico gli aveva detto tutte fesserie.
“Laura tesoro, amore mio…” il giovane si precipitò al tavolo appena vide la moglie seduta  con la testa bassa.
“Avanti prendi le tue cose andiamo a casa… andrà tutto bene. E’ colpa mia… mi spiace, ti prego perdonami per quello che ti ho detto ieri. Sono un cretino…  noi ci amiamo possiamo affrontare tutto insieme…” Ben era un fiume in piena di parole mentre  prendeva le mani della moglie fra le sue.
“Shhhh, va tutto bene Ben… come sta Thomas…” Laura gli mise un dito sulla bocca con un gesto dolce;  aveva un aspetto ed una voce particolarmente calmi.
“Bene, Thomas sta bene, e anche Miriam. Stanno bene e ti aspettano a casa, hanno bisogno della loro mamma…” Ben iniziava a sentire crollare le sue certezze sulla possibilità di trascinare via la moglie da quel posto.
“Bene… Helga avrà cura di loro, sarà bravissima. L’ho chiamata prima e sa già tutto,  starà con voi…” fece Laura cercando di apparire sicura di sé.
“Hai già organizzato tutto vero??? Senza chiedermi nulla… sono tuo marito, ho il diritto anche io di prendere decisioni sul futuro della nostra famiglia.”
“Ben… amore mio… tu e bambini siete l’unica cosa che conti nella mia vita. Per questo lo devo fare. Devo cercare di rimettermi in piedi. Sai cosa può succedere se non mi curo, dopo quello che è accaduto ieri? Arrivano i servizi sociali e ci tolgono i bambini, almeno li tolgono a me… vuoi che succeda questo?”
 “Ma che dici? E’ stato un attimo di distrazione, tu sei una brava madre nessuno può pensare che tu non lo sei”
“Ben!! Ho dimenticato due bambini di meno di un anno in macchina, sotto il sole, per ore!!! Guardiamo in faccia alla realtà” Laura divenne improvvisamente decisa e dura.
“Ma ti puoi curare a casa… ti prego Laura… ti prego… io non ce la faccio, noi non ce la facciamo senza di te”
Laura guardò il marito con profonda dolcezza “Sì che ce la potete fare. Tu sei forte, i bambini con te staranno bene, sei un bravissimo papà… e poi ci sono Helga, Semir ed i tuoi ad aiutarti ”
“Laura ti prego…” Ben si ritrovò a piagnucolare come un bambino.
“Ti amo Ben, tu e i bambini  siete la mia vita. Per questo devo stare qui. Non durerà molto, vedrai, solo pochi mesi e tornerà tutto come prima…”
“Mesi??? Vuoi stare qui per mesi???”  Ben non sapeva più se essere arrabbiato e disperato.
 “Non voglio, devo!” rispose dura la moglie.
Ben si lasciò andare sulla sedia come un sacco afflosciato.
“E posso venire a trovarti?”
“Non per i primi tempi…” la voce di Laura ora era quasi un sussurro.
“Bene, vedo che hai deciso tutto. Non mi resta che accettare  giusto?”
“Ben… credi che per me sia facile? Ti prego, se mi ami devi cercare di andare avanti, per il bene mio e dei bambini” supplicò la moglie.
“Non lo so amore, non lo so se ce la faccio…” singhiozzò Ben.
 
 
Aveva aspettato quasi tutto il giorno di entrare in azione, ma in quel posto c’era sempre così tanta gente e lei era sempre costantemente in compagnia di qualcuno.
Non veniva lasciata mai sola e la cosa iniziava a diventare fastidiosa.
Non  amava le perdite di tempo,  programmava ogni cosa con cura e non sopportava gli imprevisti.
 Finalmente si era fatta sera e tutti i visitatori erano usciti dai reparti.
E la sua vittima  ora era sola.
Nel bagno indossò con cura il camice che aveva rubato il giorno prima.
Aspettò impaziente che il corridoio fosse vuoto e tutti i pazienti nelle  loro stanze.
Pregustò mentalmente il dolore che Jager avrebbe provato: colpa sua… doveva fare in modo che quel bastardo capisse che tutto quello che stava succedendo era solo colpa sua.
Provava anche un po’ di pietà per la sua vittima inconsapevole; in fondo moriva per colpe non sue, ma il fine giustifica i mezzi, si disse.
In  perfetto silenzio come un’ombra aprì la porta della stanza.
Lei era di spalle  e si stava aggiustando i capelli allo specchio. Nonostante tutto ancor vanitosa, si disse.
All’ultimo secondo si accorse della sua presenza alle spalle; si voltò e cercò di gridare, ma fu inutile.
Con aria smarrita la donna strabuzzò gli occhi, portandosi le mani alla gola dove un fiotto di sangue zampillò vigoroso.
Pochi secondi dopo era già a terra, con gli occhi fissi al cielo.
“E’ tutta colpa tua Jager, tutta colpa tua” si disse mentre ripuliva dal sangue il bisturi che aveva in mano e poi lasciava con calma la stanza.
 

Rieccomi non sono sparita. In ansiosa attesa di recensioni belle o brutte che siano. Grazie sempre

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Capitolo 9
*** La conoscenza della propria colpa ***


La conoscenza della propria colpa
 

“Buonasera  Helga… come vanno le cose?” chiese Semir quando la governante gli aprì la porta dell’appartamento di Ben.
“Come vuole che vadano ispettore… i bambini sono nervosi per la mancanza della madre e Ben… beh… mai visto così depresso, povero ragazzo”
Semir aveva un animo pesante come non mai.
Ben l’aveva aggiornato per telefono sulle condizioni di Laura e lui avrebbe voluto precipitarsi a confortare l’amico, ma poi era stato distratto dai nuovi sviluppi della situazione, che ora doveva in qualche modo riferirgli. Anche se ancora non sapeva come affrontare l’argomento.
“Almeno Thomas sta bene… dov’è Ben?” chiese il piccolo ispettore turco, mettendo a mo’ di conforto la mano sul braccio della governante.
“Nella stanza dei bambini, è lì da ore con i piccoli, si rifiuta di lasciarli” riferì con sguardo triste la donna.
Semir si avviò per le scale con il cuore sempre più pesante. Non sapeva proprio come dire al giovane compagno quello che era successo.
“Ehi socio…” fece aprendo piano la porta della stanza dei gemelli.
Ben era seduto a terra a gambe incrociate e stava a guardare in silenzio i gemellini che dormivano pacifici sul plaid, avvolti ciascuno nella sua copertina.
“Ehi… ciao…” sussurrò il ragazzo, alzando lo sguardo su Semir.
“Come stanno?” chiese sussurrando il socio
“Fisicamente bene, almeno credo, ma hanno pianto per ore. Ho fatto di tutto per calmarli, ma cercano la mamma.  Ora si sono addormentati sfiniti. Non li ho nemmeno messi nelle culle per paura che si sveglino…”
Semir si accucciò vicino all’amico e gli mise una mano sulla spalla cercando di consolarlo.
“I bambini si abitueranno,  hanno risorse che neppure ci immaginiamo. E poi sarà per poco tempo, Laura starà presto meglio e tornerà a casa…”
“Non lo so Semir… se tu l’avessi vista… è decisa a rimanere in quel posto. E non posso neppure andare a trovarla, ti rendi conto?”
“Se i medici ritengono che sia meglio così…”
“Meglio così?? Meglio che io non veda mia moglie?? Che lei stia lontano dai suoi figli? Ma quale cura può prevedere questo?” Ben alzò  senza accorgersene la voce   ed i bambini cominciarono immediatamente a mugugnare.
“Meglio uscire…  anche perché ti devo parlare un minuto” disse Semir.
Ben si fece  immediatamente scuro in volto.
“Cosa c’è?” chiese appena furono fuori dalla porta.
“Ben… c’è stato un altro omicidio…” sussurrò Semir non sapendo come addolcire la notizia.
 
 
Ben e Semir si avviarono lungo il corridoio dell’ospedale . La zona era affollatissima: poliziotti, tecnici della scientifica, medici legali,  tutti si aggiravano indaffarati.
Ben notò subito da lontano la Kruger ferma sull’uscio della porta da cui entravano ed uscivano un po’ tutti: la scena del delitto.
“Jager… avevo detto a Gerkan che non era necessario che lei venisse stasera… anzi se vuole prendere qualche giorno di ferie…” fece Kim vedendo i due venirle incontro.
“No grazie Commissario, ho insistito io per venire, preferisco così…” mormorò Ben, anche se la sua attenzione era già tutta catturata dal corpo coperto da un lenzuolo che giaceva sul pavimento della stanza.
Con respiro pensante si avvicinò e con delicatezza alzò il lembo del lenzuolo, completamente macchiato di sangue.
“Oh Annika… povera Annika…” mormorò con un groppo in gola, guardando il viso terreo che fissava ancora ad occhi sbarrati il cielo.

 
“Come al solito nessuno ha visto o sentito niente, il corpo è stato scoperto da uno degli infermieri che era venuto a chiamare la dottoressa per una emergenza” Kim ragguagliava Semir a bassa voce, quasi non volesse farsi sentire da Ben.
“Se è  stato il serial killer stavolta lo schema è cambiato, non sono più le compagne di liceo di Ben…” ragionò l’ispettore.
“Un attimo, non siamo sicuri che  anche questo omicidio sia collegato ai precedenti e soprattutto a Ben…”
“Annika era il medico curante di Ben ed era una sua amica, oltre che amica di Laura” obiettò Semir.
“Sì, ma questo presuppone che il killer abbia visto Ben quando veniva in ospedale  per le visite…”
“Non dimentichiamo che può anche averci visto parlare alla festa” fece Ben  arrivando alle spalle dei due.
“Jager, non bisogna saltare alle conclusioni. Come dicevo a Gerkan questo delitto potrebbe non essere collegato agli altri e soprattutto  potrebbe non essere legato a lei”
“Invece io penso proprio di sì. E in fondo anche questa morte è colpa mia, in un modo o nell’altro” concluse Ben mentre si avviava all’esterno.
 
 

“Mamma… mamma guarda… ho insegnato ai gemelli a fare ciao con la manina” Aida tirò la madre per il vestito, cercando di portarla nel soggiorno dove lei e la sorellina giocavano con Miriam e Thomas.
“Ma davvero? Sei una bravissima baby-sitter”  Andrea lodò la figlia carezzandole la testa. Ed in effetti  lei e Lily erano baby-sitter perfette. Erano ore ormai che facevano giocare i gemellini e  i gridolini di gioia dei piccini erano il miglior riscontro della loro abilità come bambinaie.
Erano passate quasi due settimane dall’omicidio di Annika ed era il compleanno di Andrea. Semir aveva organizzato una cena semplice, solo per i familiari stretti, in cui ovviamente erano compresi Ben ed i bambini.
Ora la cena era finita e Andrea stava riordinando la cucina, dopo aver accompagnato i suoi genitori all’auto.
“Ben… perché non rimani qui stanotte? Nella stanza degli ospiti abbiamo sistemato le cullette apposta per questo" offrì la donna.
“Grazie Andrea, ma non voglio lasciare Helga da sola. Lo sai, non sta troppo bene stasera, per questo non è venuta anche lei. Quella donna è  una santa, si sta sacrificando completamente per noi”
Andrea sorrise triste guardando il giovane amico con un po’ di preoccupazione. Aveva le occhiaie ed era molto dimagrito in quei giorni.
Erano stati giorni pesanti, senza nessuna novità sugli omicidi e senza Laura. La giovane donna non aveva partecipato neppure al funerale di Annika.
Anche ad Andrea sembrava strano non poter parlare con l’amica, non poterle fare la solita telefonata del pomeriggio, non poter fare con lei i soliti pettegolezzi.
“Piuttosto, prima di andare a casa vorrei parlare un minuto con te e Semir” fece Ben  sedendosi al tavolo della cucina.
“Certo…” rispose Andrea.
Lei e Semir che, era sopraggiunto nel frattempo, si sedettero di fronte al giovane.
 
Ben si schiarì la gola in evidente imbarazzo.
“Dunque… in queste due settimane ho pensato molto. Io spero davvero che Laura torni presto a casa… ma devo fare i conti con la realtà, con quello che è successo l’anno scorso  e con il lavoro che faccio…”
Semir iniziò ad agitarsi sulla sedia ma non disse nulla, limitandosi a guardare preoccupato il collega
“La realtà è che Laura non tornerà tanto presto a casa, anzi può darsi che non torni affatto e che con il lavoro che faccio mi può succedere qualcosa da un momento all'altro. A parte il fatto che potrebbe venirmi un cancro. E io ho il dovere di pensare al futuro dei bambini”
Semir non si trattenne più alzandosi dalla sedia quasi furibondo.
“Ma che razza di discorsi sono?? Non li voglio neppure sentire… non ti succederà nulla e Laura tornerà a casa presto. Starete di nuovo insieme, tu lei ed i bambini, magari con qualche altro bel fratellino o sorellina”          
“Calmati Semir,  il mio sogno è proprio quello che Laura torni da noi, che torniamo ad essere una vera famiglia. Ma potrebbe non succedere e se io…  se mi dovesse accadere qualcosa, ho bisogno da voi di un grande favore…”
Andrea prese per la mano il marito  per costringerlo a sedersi di nuovo. Capiva quanto il discorso fosse importante per Ben.
“Chiamarlo favore è forse riduttivo. Insomma… se dovesse essere necessario vorrei che ad occuparvi dei gemelli foste voi” disse poi precipitosamente Ben come per liberarsi di un peso.
 “Capisco che per voi sarebbe un grosso impegno, avete già due figlie. Ma se penso con chi vorrei che crescessero i miei figli non riesco a pensare ad altri che a voi. Economicamente non ci sarebbe nessun problema…”
Andrea gli prese le mani con le lacrime agli occhi.
“Ben… ma ci sono tuo padre e tua sorella…” disse a bassa voce
“Certo… mio padre probabilmente li crescerebbe meglio di quanto ha fatto con noi, ma purtroppo caratterialmente resta quello che è;  e mia sorella… beh lei avrà dei figli suoi e se devo dire la verità, Peter non ce lo vedo come padre perfetto. Voi invece siete il meglio di quanto io possa pensare per i miei figli… la migliore famiglia, la più affettuosa soprattutto”
“Ben… perché dobbiamo fare questi discorsi?? Non ti succederà niente…” ripetè Semir quasi per convincere se stesso.
“Certo non succederà, ma se dovesse succedere, almeno sino a che non torna Laura… è necessario che ci pensi in tempo, perché devo indicare le mie volontà al notaio, per evitare possibili problemi proprio con mio padre”
Semir ed Andrea si guardarono, ma bastò un attimo per il cenno di intesa che si scambiarono.
“Se ci volete pensare un po’…” disse Ben
“Non è necessario. Non succederà, ma se malauguratamente dovesse accadere io e Semir cresceremo Thomas e Miriam esattamente come se fossero nostri figli, con tutto l’amore di cui siamo capaci. Questo te lo giuro.” disse Andrea con le lacrime che le scendevano sulle guance.
“Ma non succederà nulla!!” fece Semir stringendo l’amico in un abbraccio strettissimo.
 

Semir sistemò la cintura del seggiolino di Thomas e poi gli diede un bacio sulla fronte, come aveva fatto prima con Miriam.
“Mi raccomando birbanti… fate i bravi e non fate disperare papà ed Helga” disse con tono amorevole, ottenendo in cambio  gorgoglii  vari accompagnati da un “Emim” che nel linguaggio di Miriam era il suo nome.
Chiudendo lo sportello Semir vide Ben fermo vicino all’auto, con un foglio in mano. Lo guardava fisso ed immobile.
“Ben? Che stai leggendo?” chiese avvicinandosi
 “Era sul cruscotto” rispose il giovane porgendogli il foglio.
Semir lo guardò. Era composto da lettere ritagliate dai giornali e quando lesse ciò che c’era scritto l’ispettore turco sbiancò
“L’inizio della salvezza è la conoscenza della colpa.”

 
Guardò la bella ragazza scendere dall’auto, aiutata in modo galante dal marito. Era davvero elegantissima nel suo abito lungo nero, con le spalle nude. Elegante e misurata, si vedeva lontano un miglio che era cresciuta nella ricchezza e negli agi.
 Fra la folla curiosa che si assiepava ai lati del lungo tappeto rosso la guardò entrare al braccio del marito nell’ampia sala dove si svolgeva la festa di beneficienza.
Presto un altro pezzo della sua vendetta si sarebbe completato.
E questa volta Jager avrebbe sofferto come mai nella sua vita.
“Desidererai solo morire alla fine…” si disse con soddisfazione mentre si allontanava nella notte a passo sicuro.  

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Capitolo 10
*** Il tempo è il migliore giudice ***


Il tempo è il migliore giudice


Hartmut richiuse con cura il foglio nella busta di plastica.
“E’ una frase di Seneca… cercherò di trovare qualcosa, ma dubito che ci riusciremo. E’ molto attento questo tizio, non commette errori facilmente” disse il tecnico mentre si avviava verso il laboratorio.
“Facci sapere”  lo richiamò Semir mentre lui e Ben uscivano dal reparto della scientifica
“Come va?” chiese mentre risalivano in auto
“Che intendi?” chiese con aria interrogativa Ben
“Niente, solo… come stai?”
Ben sorrise mesto.
“Bene… per quanto possa andare bene nella mia situazione” borbottò
“Ben, lo prenderemo, di questo devi essere certo. E Laura tornerà presto a casa”
“Sì, certo” rispose il giovane, ma si vedeva che non era convinto.
“Ben… ora non ti mettere in testa sempre la solita idea. Quello che sta succedendo non è colpa tua, è colpa di qualche pazzo omicida che presto metteremo in galera per il resto dei suoi giorni”
Ben lo guardò in silenzio mentre Semir metteva in moto per tornare al Distretto.
Era una giornata uggiosa e la pioggia rendeva ancor più cupo il clima.
“Sai… ho pensato e ripensato a cosa posso aver fatto per scatenare la follia di questo pazzo. Deve essere legato ai tempi del liceo…”
“Ben, ma allora non mi ascolti proprio. Ti ho già detto che non è colpa tua…”
“Se anche fosse, lui invece crede che io abbia fatto qualcosa di terribile. E sai… non sono molto orgoglioso di come mi comportavo ai tempi del liceo…” disse il  giovane guardando fuori.
“Quasi tutti non sono orgogliosi della propria adolescenza. Guarda me…  ero un ladruncolo di automobili… ma non c’è nulla che tu possa aver fatto o detto che giustifichi questo pazzo”
Ma Ben non aveva alcuna intenzione di smettere di autoflagellarsi.
“Invece facevo parte di un gruppetto di figli di papà che non faceva altro che prendere in giro gli altri, soprattutto quelli un po’ sfigati, come Alex. Ci ho messo tempo a capire  quanto fossero squallidi quelli che chiamavo amici” disse mesto.
“Ma alla fine lo hai capito giusto? Questo mi pare importante” ribattè Semir
“Già, ma forse qualcuno di loro…. forse qualcuno di loro si ricorda  di come mi comportavo. Oppure qualche ragazza… ne ho avute molte sai, non davo molta importanza ai rapporti sentimentali…”
“Ben ora basta capito?? Non è colpa tua e non lo voglio ripetere più. Cerca di restare lucido e razionale.”
Ora Semir iniziava davvero ad arrabbiarsi. Aveva sperato che la convinzione del giovane  di essere all’origine di ogni male fosse superata con il matrimonio e la nascita dei gemelli, ma ora questa storia minacciava di far ripiombare Ben nella sua più profonda paura.
“Speriamo non succeda niente altro” pensò mentre parcheggiava davanti al Distretto.

 
“Io vado in ufficio Peter, allora ci vediamo per pranzo al Cafè Italiano”  disse Julia chiudendosi la porta della grande villa alle spalle.
Salendo in auto  iniziò a programmare tutte le attività del giorno: la riunione con gli architetti per il nuovo palazzo di Norimberga, l’incontro con i soci di Konrad… e poi doveva assolutamente trovare il tempo di andare con Konrad a trovare i suoi nipotini.
Sorrise al pensiero dei piccolini, ma subito si rattristò anche, al pensiero della cognata, ancora in ospedale senza possibilità di ricevere visite.
“Devo chiamare Ben… chissà se oggi accetta di prendere almeno un caffè con me e papà, si sta chiudendo in se stesso… e poi ancora non gli ho dato la grande notizia…” si disse imboccando  la tangenziale che l’avrebbe portata al centro città al grande ufficio della Jager Costruzioni.
Con il bluetooth compose il numero del fratello.
“Ehi Big, come va? Che fai oggi? Hai un po’ di tempo per me e papà?” chiese appena il fratello rispose.
“Sì lo so che devi lavorare, ma  è solo una mezz’ora del tuo tempo, tanto veniamo a Colonia nel pomeriggio per vedere Thomas e Miriam…”
Mentre parlava Julia guardava con preoccupazione lo specchietto retrovisore ed il  SUV scuro che  si avvicinava sempre più.
“Ok… allora ci vediamo verso le cinque, sì anche perché ti devo dare una notizia… no  non ti dico nulla ora,  te lo dico da vicino… aspetta un attimo…” disse sempre guardando lo specchietto retrovisore.
“Ehi, ma che fa questo deficiente…” fece vedendo il SUV che si accodava sempre più.
All’improvviso sentì un  fortissimo colpo posteriore. Il contraccolpo la spinse verso il volante, con le cinture di sicurezza che si tendevano sulle costole.
“No… mio Dio, no…” urlò Julia mentre cercava disperatamente di tenere la strada, ma un secondo colpo spinse l’auto nella cunetta laterale.
Julia urlò ancora una volta, portando istintivamente le mani sulla pancia a mò di protezione.
“Il bambino…” pensò mentre sentiva le lamiere che si accartocciavano attorno a lei.

 
 “Julia!!! Julia che succede??” urlò Ben nel cellulare.
Semir rimase come congelato a guardare l’amico che urlava il nome della sorella sempre più disperato.
“Che succede? Ben che succede?” Semir dovette quasi urlare anche lui per farsi rispondere dall’amico.
“Julia…stava parlando con me… era in macchina e  credo che abbia avuto un incidente” Ben era letteralmente disperato.
Semir recuperò un minimo di lucidità
“Ma dov’era? Su quale strada?” chiese concitato
“Non lo so, non lo so… credo che stesse andando al lavoro…  quindi sulla tangenziale. O mio Dio Julia…” singhiozzò Ben.
“Susanne… chiama i colleghi di Dusseldorf e avvertili di un possibile incidente sulla tangenziale. E rintraccia il cellulare di Julia Jager. Noi andiamo là”
Semir diede in modo rapido le istruzioni alla segretaria. Poi prese per un braccio Ben e lo condusse verso la BMW.

 
Semir percorse l’autostrada verso Dusseldorf a velocità folle, ma comunque gli sembrò un tempo infinito.
Non aveva il coraggio di guardare il giovane collega seduto al suo fianco, che  appariva sempre più terrorizzato e sconvolto.
“Forse dovrei avvertire Peter o mio padre” disse con un filo di voce quando ormai era quasi arrivati.
“Aspetta, può darsi che si risolva tutto, forse ha solo perso il cellulare perciò non risponde più… starà bene vedrai…” cercò di consolarlo l’amico.
Ma tutte le speranze dei due vennero deluse quando già da lontano videro i mezzi di soccorso con le luci lampeggianti e, nella cunetta laterale della autostrada,  una Volvo grigia con le portiere aperte.
Ben saltò fuori dall’auto come punto da una tarantola.
Semir parcheggiò alla meno peggio e poi corse anche lui verso l’auto di Julia.
“Nulla non c’è… non c’è Semir… l’ha presa…” gli urlò piangendo l’amico venendogli incontro.
“Come non c’è?? Che significa l’ha presa??” chiese.
“Quando sono arrivati i soccorsi Julia non c’era…un testimone ha detto…ha detto…” Ben balbettava e non riusciva neppure a pronunciare le parole.
“Cosa? Calmati…cosa ha detto il testimone?”
“Ha detto… ha detto che, dopo che l’auto è finita fuori strada, ha visto un SUV accostare e qualcuno vestito di nero prendere Julia dalla macchina e trascinarla nel retro del SUV… l’ha rapita Semir… l’ha rapita” balbettò angosciato.

 
Semir si era fatto ripetere almeno dieci volte il racconto dal testimone, ma non era riuscito a cavare un ragno dal buco.
L’uomo di circa sessant’anni aveva assistito alla scena dall’altra corsia di marcia; era spaventatissimo e non era riuscito a prendere il   numero di targa del SUV.
Da lontano il piccolo ispettore turco vedeva Hartmut appositamente arrivato da Colonia che faceva i suoi rilievi. E  vedeva Konrad e Peter discutere animatamente con Ben, fermi lungo il bordo della strada; dall’atteggiamento capiva che stavano litigando, così si decise ad avvicinarsi.
“Lo sapevo che prima o poi questo maledetto lavoro che fai ci avrebbe portato guai, lo dicevo io… non bastava la preoccupazione per te… ora ci va di mezzo anche Julia…” borbottava il vecchio imprenditore
Ben non riusciva neppure a rispondere, si limitava a guardare padre e cognato con le lacrime agli occhi.
“Chi è? Dimmi chi può avercela tanto con te da fare una cosa simile? Cosa hai fatto per spingerlo a questo?” gli urlò in faccia Peter
“Signori vi prego calmiamoci. Come potete pensare che sia colpa di Ben? Lui non ha fatto nulla… e poi questa faccenda potrebbe non essere collegata alle altre. Potrebbe trattarsi di un rapimento a scopo di estorsione” intervenne duro Semir a difesa dell’amico.
“Lascia stare Semir, tanto hanno ragione. Torniamo in ufficio, forse lì riesco a capire qualcosa” rispose Ben avviandosi verso l’auto.


Julia si svegliò lentamente dal suo torpore. Sentiva gambe e braccia intorpidite, ma fu felice nel constatare che non sentiva dolore al ventre. Forse il bambino stava bene.
Non ricordava quasi nulla di quello che era successo, solo una figura nera che incombeva su di lei e poi il nero assoluto
Aveva un freddo terribile e quando provò a muoversi si accorse che era legata mani e piedi con una catena che le impediva praticamente qualsiasi movimento.
Cercò di orientarsi, ma c’era pochissima luce e poteva solo intuire di trovarsi in una specie di pozzo circondato da piastrelle.
“Ehi aiutoooo” urlò con quanto fiato aveva in gola, ma udì solo l’eco della sua voce risuonare.
“Sono qui… aiutoooo” urlò di nuovo senza risposta.
Poi udì uno scatto metallico sordo ed uno scroscio d’acqua potente.
Non passarono che pochi secondi che sentì l’acqua gelida lambirle i piedi.
Con orrore rimase immobile, urlando aiuto, mentre l’acqua saliva sempre più.

 
“Nulla, nell’auto non ho trovato impronte. Così come non le ho trovate sul biglietto che hai trovato sul cruscotto della tua auto…” disse Hartmut con aria dispiaciuta.
“Stiamo facendo dei riscontri incrociati sul SUV nero, ma è un tipo molto comune e senza targa…” fece la Kruger guardando anche lei dispiaciuta Ben.
Il giovane sembrava un leone in gabbia.
Aveva cercato e ricercato per ore notizie su tutte le sue vecchie conoscenze, ancora una volta senza ricavare nulla, neppure un minimo indizio.
“Io esco a prendere un po’ d’aria” fece prendendo la giacca e uscendo di corsa dall’ufficio.
“Questa proprio non  ci voleva…” borbottò Semir sempre più preoccupato.
Ben uscì all’aria fresca e respirò a pieni polmoni.
Cercò di calmare il tumulto dei pensieri che gli agitavano la mente, ma non poteva fare a meno di pensare costantemente a Julia, alla dolce sorellina che aveva reso la sua infanzia meno triste e solitaria dopo la morte della loro mamma.
Quando erano rimasti orfani Julia aveva rappresentato per Ben un’ancora di salvezza; dedicarsi a lei, soddisfare ogni suo più piccolo desiderio o ordine era diventata per il fratellino quasi una ragione di vita, cosa che Julia ricambiava con un affetto incondizionato e a tratti spropositato. Era l’ombra del fratello maggiore, pendeva letteralmente dalle sue labbra.
Il rapporto fra i due fratellini li aveva aiutati a superare la morte della mamma e la scarsa attenzione che dedicava loro il padre, ed era rimasto un punto costante nella vita di entrambi anche se crescendo  le loro vite si erano necessariamente allontanate.
“Signore…lei è Ben Jager?” chiese una voce infantile
Ben guardò in basso e vide un bambino di circa dieci anni che lo guardava fisso, con una lettera in mano.
“Chi sei tu?” chiese Ben sorpreso.
“Sei tu Ben Jager?” chiese di nuovo il bambino con aria seria.
Ben annuì.
“Questa è per te…” fece il piccolo mollandogli fra le mani la lettera e  girandosi per andare via.
 “Aspetta… chi te l’ha data??” chiese Ben fermando il bambino per un braccio.
“Un signore laggiù. Mi  ha dato dieci euro per consegnartela” rispose il piccolo che iniziava a spaventarsi.
Ben guardò nella direzione che gli aveva indicato il piccolo, ma non vide nessuno.
Con mano tremante aprì la busta.
Ancora una volta la scritta era composta con lettere ritagliate da un giornale.
“Il tempo è il migliore giudice dei nostri peccati. Ma tu non ne hai molto. Al vecchio impianto sportivo. Vieni da solo”   
Ben impallidì.
Provò forte l’impulso di chiamare Semir, ma poi prevalse la sua volontà di salvare Julia. A tutti i costi.
Mollò la lettera in terra e saltò sulla sua auto.
 
 

 
Capitolo un po’ più breve per ragioni… narrative.
Dunque… povera Julia. Riuscirà Ben a salvare lei ed il piccolo che aspetta?
Grazie sempre a tutti quelli che seguono con affetto le mie storielle e grazie soprattutto alla mia beta.

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Capitolo 11
*** Senza respiro ***


Senza respiro

Semir uscì nel parcheggio del Distretto in cerca del socio.
Ormai era quasi un’ora che Ben era uscito e non rientrava in ufficio e Semir, dopo averlo lasciato solo per un po’, iniziava a preoccuparsi seriamente.
Il piccolo ispettore turco girò lo sguardo nell’ampio spiazzo, ma non scorse l’alta figura del giovane amico da nessuna parte.
Istintivamente guardò verso il posto assegnato nel parcheggio e quando non vide la Mercedes argento il suo cuore ebbe un sobbalzo, colto da una strana sensazione di paura.
Immediatamente mise mano al cellulare, ma il numero dell’amico risultava irraggiungibile.
“Ben…” chiamò istintivamente pur sapendo che lì lui non c’era.
L’angoscia saliva man mano e Semir stava per tornare in ufficio per chiedere a Susanne di rintracciare l’auto con il GPS, quando il suo sguardo fu catturato da un foglio a terra,  trascinato qua e là dalle folate di vento.
In preda ad una angoscia sempre più terribile Semir raccolse il foglio e lo lesse.
“Maledizione!” imprecò tornando immediatamente in ufficio per chiedere rinforzi.
 

Ben aveva il cuore che gli batteva a mille mentre fermava la sua auto vicino al vecchio centro sportivo.
Era un grande impianto, ormai in  disuso da molti anni,  ma il comune non si decideva ad abbatterlo o trasformarlo.
Cautamente Ben si avvicinò alla grande recinzione messa a protezione e la scavalcò senza difficoltà.
L’edificio era enorme e Ben pensò sconfortato che era stato uno stupido a non avvisare i colleghi prima di correre lì.
Stupido ed impulsivo come al solito, lo avrebbe rimproverato Semir.
Prese il cellulare per chiamare il socio, ma si accorse con crescente angoscia che non c’era segnale in quella zona.
“Bene, ora non puoi tirarti indietro, c’è la vita di Julia in ballo” si disse mentre entrava nell’edificio principale, pistola in pugno.

   
Dentro c’era un silenzio spettrale, Ben poteva sentire solo il tubare dei colombi e il battito del proprio cuore, mentre con passo felpato si aggirava fra le stanze ricolme di immondizia e calcinacci.
Provava forte l’impulso di chiamare a gran voce la sorella, ma se il killer era nei  dintorni sarebbe stata morte certa per entrambi.
L’unica era cercare di sorprenderlo.
Quasi istintivamente prese le scale che portavano ai piani inferiori e iniziò a sentire uno strano rumore… scrosci d’acqua… acqua che scorreva.
Con il cuore che gli batteva sempre più furioso prese la direzione dei cartelli che indicavano le piscine e pian piano iniziò ad udire urla disperate.
 Riconobbe immediatamente la voce, anche se distorta dal terrore.
“Julia!!!” urlò a sua volta terrorizzato, correndo nella direzione da cui proveniva la voce.
 
 
“Allora… ti sbrighi??” Semir quasi urlò contro Susanne che batteva febbrilmente le dita sulla tastiera.
“Un attimo… il segnale del GPS  dell’auto di Ben è confuso” si giustificò la segretaria.
 Erano tutti attorno alla scrivania di Susanne, solo Hartmut si teneva in disparte analizzando la lettera che Semir aveva trovato in terra, chiusa in una busta di plastica, come se volesse scomporla con gli occhi.
“Ecco ci sono…  è confermato l’auto di Ben è vicino al vecchio impianto sportivo a Colonia Koln” disse trionfante Susanne
“Dieter e Jenni… con me” ordinò la Kruger mentre  con Semir si precipitava verso le auto di servizio.
 

Ben corse come mai nella sua vita per il lungo corridoio piastrellato che portava alle piscine.
Era quasi completamente buio, non  si vedeva quasi nulla laggiù; sentiva solo le urla della sorella e lo scroscio dell’acqua farsi sempre più vicini.
Ormai  si accorgeva di aver perso quasi completamente la propria razionalità, non gli importava se lungo il cammino avrebbe incontrato il killer, non gli importava neppure di morire a quel punto. Voleva solo salvare la sua sorellina.
“Julia!!!” urlò  entrando nella grande sala delle piscine.
“Ben!!! Aiuto…” la voce di Julia gli giunse più debole.
Ormai il rumore dell’acqua che scorreva era fortissimo e Ben si diresse verso la voce della sorella che invece era sempre più flebile.
“JULIA!” urlò alla vista della scena che gli si parò davanti.
La ragazza era sul fondo della  piscina, legata con una catena mani e piedi a  quella che doveva essere la grata per l’areazione. Ormai l’acqua le era arrivata al mento.
“Sono qui, ora ti libero, stai calma” cercò di rassicurala Ben,  e per un attimo la sorella gli sorrise fiduciosa.
Senza pensarci razionalmente mollò la pistola e si buttò subito in acqua.
Appena entrato nell’acqua gelida Ben maledisse ancora una volta la sua impulsività: nella foga non aveva tolto né vestiti né scarpe ed il loro peso gli  impediva i movimenti e lo trascinava sul fondo.
Le urla di Julia si erano ora trasformate in gemiti stanchi e i movimenti frenetici per cercare di liberarsi sempre più deboli.
Con un ultimo respiro Ben si immerse e tentò di raggiungere la grata cui era saldata la catena.
Nell’acqua torbida vedeva poco o nulla e i movimenti di Julia contribuivano a muovere l’acqua rendendo la visibilità ancor più scarsa.
Con difficoltà Ben raggiunse la grata e provò a tirare e tirare la catena, tirò inutilmente sino a che non sentì i polmoni scoppiargli per la mancanza d’aria.
Poi risalì, riprese aria, e si immerse di nuovo, mentre il panico si faceva sempre più strada nel suo animo.
Tirò ancora con tutte le forze che aveva a disposizione, fino a che non dovette ancora risalire per prendere aria.
Quanto mise la testa fuori si accorse che Julia era ormai quasi completamente sott’acqua.
La ragazza non si muoveva quasi più.
“Nooo., Julia no…” urlò sempre più terrorizzato, prima di riprendere fiato e immergersi freneticamente di nuovo.
Tirò e tirò la catena fino a che sentì i polmoni bruciare, ma non si fermò neppure allora.
La sua mente articolava solo pensieri irrazionali: da un lato pensava a Laura, ai bambini, a Semir ma dall’altro che era meglio morire che assistere alla morte di sua sorella.
I vestiti e le scarpe gli rendevano ormai impossibili i movimenti e lui era stanco… tanto stanco…
L’ultimo pensiero razionale che ebbe fu per i suoi bambini.
Meno male che li aveva affidati a Semir e Andrea.
  

Semir e Kim  entrarono  fianco a fianco  nel grande salone dell’edificio abbandonato mentre  Dieter e Jenni li coprivano  alle spalle.
“Accidenti questo posto è enorme” fece la Kruger guardandosi intorno.
“Dove si sarà cacciato?” chiese Semir sempre più preoccupato girandosi intorno.
“Shhhh” fece Jenni all’improvviso con il dito sulle labbra.
Tutti si azzittirono all’istante e percepirono flebile in lontananza un rumore d’acqua e una voce che urlava lontana. Ma non abbastanza lontana da non essere riconosciuta da Semir.
“Ben!!” urlò il piccolo turco precipitandosi per le scale che conducevano al piano sotterraneo.

 
Semir corse come un dannato lungo il corridoio sino alla grande sala delle piscine.
E quando ci arrivò la vista gli fece quasi venir meno i battiti del cuore.
Nella piscina più piccola sul fondo vedeva Julia che giaceva inerme e legata ad una catena, ma poco più in là c’era anche Ben che galleggiava faccia in giù senza coscienza.
Il suo primo impulso fu quello di buttarsi in acqua e tirare subito fuori l’amico, ma poi si rese conto che Julia doveva essere in acqua da molto più tempo e doveva rompere le catene  prima di liberarla.
“Mapporca… “ imprecò girando  lo sguardo intorno alla ricerca di qualcosa da usare per spezzare la catena.
Per fortuna notò una sbarra di ferro a terra vicino ad una porta.
“Bonrath tu prendi Ben…” urlò al collega, mentre raccoglieva la sbarra e freneticamente si toglieva scarpe e giacca.
Dieter e Semir si buttarono in acqua quasi contemporaneamente.
Semir si immerse più profondamente che poteva e iniziò a fare forza con la sbarra sulla catena  che legava Julia per spezzarla.
Lo sforzo era enorme, anche perché la sua attenzione era in parte distratta: non poteva fare a meno di guardare in alto  per vedere Dieter che trascinava Ben verso il bordo della piscina.
 E Ben sembrava del tutto inerte.
 “Perché non si muove?” pensò freneticamente mentre  continuava a fare forza sulla catena..
Finalmente dopo un tempo che gli sembrò infinito la catena cedette e Semir riuscì a prendere Julia fra le braccia e a trascinarla verso il bordo della piscina.

 
“Le ambulanze stanno arrivando” disse Jenni, mentre aiutava Semir a deporre Julia sul pavimento e si preparava anche lei alle manovre di  rianimazione.
Con la coda dell’occhio, mentre iniziava le compressioni toraciche sulla ragazza, Semir vide la Kruger e Dieter che facevano lo stesso con Ben.
“Dai forza Julia, respira!!”incitò più volte Semir, ma il suo pensiero era anche costantemente all’amico.
 “Commissario come sta Ben? Perché non reagisce?” urlò mentre continuava il suo lavoro su Julia.
La Kruger non rispose, ma dopo un paio di minuti finalmente Semir sentì alle sue spalle Ben tossire violentemente e ansimare.
“Calma Ben, calma, va tutto bene respira piano…” lo rassicurò subito Bonrath.
Lo stesso però non succedeva con Julia.
La ragazza era pallidissima e aveva le labbra bluastre.
“Respira ti prego, respira” la incitò di nuovo Semir mentre cercava di farle uscire l’acqua dai polmoni.
Semir continuò sempre più sconfortato le manovre che aveva imparato all’Accademia; vedeva Jenni che lo guardava sconsolata ma non aveva intenzione di arrendersi.
E finalmente anche Julia emise un gemito soffocato ed un  fiotto d’acqua le uscì dalla bocca.

 
 
Ben aprì piano gli occhi; sentiva la gola che gli bruciava tremendamente e aveva un gran mal di testa.  
Ricordava  sprazzi di  quello che era successo, ma appena tornò lucido il primo pensiero lo paralizzò: Julia!!
Affannando cercò di mettersi a sedere, ma fu tenuto giù da due potenti braccia.
“Ehi dove credi di andare? Il dottore ha detto che devi stare qui buono e tranquillo almeno fino a domani”
Solo allora ricordò bene quello che era successo  e quindi di essere a letto in ospedale. Girò la testa e accanto a suo letto vide Semir che gli sorrideva.
“Ciao socio… piaciuta la nuotatina?” cercò di scherzare il piccolo turco.     
“Semir… come sta Julia?? Dov’è??” urlò cercando ancora una volta di alzarsi.
“Ben calmati… sta bene… siamo arrivati in tempo… il medico ci ha appena detto che sta bene.. sia lei che…” Semir si bloccò a metà frase. Ben non sapeva che la sorella era incinta ed era giusto che, soprattutto dopo quello che era successo, glielo dicesse lei.
“La voglio vedere…” fece Ben cercando di mettere le gambe fuori dal letto, ma appena si mise a sedere il mondo iniziò a girargli intorno vorticosamente.
“Ben… perché devi sempre fare di testa tua? Il medico ha detto che  devi stare a letto sino a domani e per cortesia, almeno una volta nella vita, fai come ti si dice di fare!” Ora la voce di Semir era irata.
Il giovane si stese di nuovo a letto sospirando e rimase in silenzio per un po’.
“Grazie Semir, grazie per aver salvato Julia e.. anche per aver salvato me” disse piano.
“Di aver salvato Julia sono ben felice, quanto a te e alla tua testaccia dura…” replicò Semir sorridendo bonario.
In realtà aveva ancora il cuore in tumulto per quello che era successo nelle ore prima e i minuti in cui aveva visto l’amico esanime e senza respiro erano stati fra i più brutti della sua vita.
“Come ci avete trovato?” chiese ancora Ben.
“La lettera, per tua e nostra fortuna l’hai mollata a terra nel parcheggio. Ora Hartmut la sta esaminando”
“Tanto non troverà nulla, questo tizio è diabolico. Ma cosa vuole da me? Cosa posso aver fatto di così terribile da scatenare questa follia?” la voce di Ben era incrinata dalla paura e dal dolore.
“Tu non hai fatto nulla, assolutamente nulla.  E questo tizio è un pazzo che troveremo e sbatteremo in galera” rispose sicuro Semir. Il suo peggiore timore ora erano per le condizioni psicologiche dell’amico.
 “Senti… vuoi che avverta Laura? Dopotutto ha il diritto di sapere…”
“Assolutamente no!! Non sta bene e se viene a sapere che io ho rischiato..” saltò su il giovane.
“Va bene, va bene non ti agitare” lo assecondò l’amico, pensando e ripensando al fatto che ci voleva qualcosa che tirasse fuori l’amico dalla depressione in cui minacciava di precipitare.
 “Aspetta un po’ qui, forse riesco ad ottenere  una cosa dai medici” disse uscendo dalla stanza.
 
 
Laura stava in silenzio seduta sulla poltrona a guardare dalla finestra le prime luci della sera.
In quel posto si sentiva in pace, la stavano davvero aiutando ad affrontare le sue più recondite paure.
Ma sentiva la mancanza dei suoi bambini e di Ben, a volte durante la giornata  la sentiva in modo così viscerale che aveva paura di svenire da un momento all’altro.
Ma i suoi medici le avevano detto che per guarire doveva imparare a vivere autonomamente, non soltanto in funzione di Ben e dei bambini, che era necessario staccarsi dalla fonte della sua ansia.
Ma lei non riusciva ancora a capire come le persone che più amava potessero essere anche la fonte della sua patologia.
Dopo due settimane di assoluto isolamento,  stasera le era stato concesso di chiamare casa.
Seduta, stava aspettando l’ora del ritorno a casa di Ben per parlare con lui e con Helga. Forse se era fortunata Miriam o Thomas le avrebbero detto qualche parolina al telefono.
Il primo passo verso la normalità.
Allora perché ne aveva così paura?
Guardò l’orologio. Le otto e mezza.
Con le mani che le tremavano compose il numero di casa.
Dopo un paio di squilli le rispose la voce di Helga.
 Laura non se ne spiegò subito il motivo, ma le sembrò meno allegra del solito.
“Helga sono io…” disse sommessamente
“Laura bambina… che bello, hai telefonato. Come stai cara? Non ti devi preoccupare sai, Ben sta bene, domani mattina esce…” fece Helga indecisa.
A Laura sembrò che il cuore le uscisse dal petto.
“Che significa che esce domani? Da dove? E’ successo qualcosa?” chiese con voce stridula
Helga rimase in silenzio ansimando.
“Bambina… non lo sapevi… mi spiace, mi spiace tanto… ma non ti devi preoccupare non è successo niente…” balbettò la governante dall’altro lato della linea.
“Che stai dicendo? Cosa è successo a Ben??” urlò Laura.
Le urla della giovane dottoressa richiamarono il personale medico e Peter Scholler si precipitò verso la sua paziente.
“Laura dammi il telefono…” fece togliendole il cellulare dalle mani.
Il medico si fece spiegare da Helga quello che era successo, mentre le infermiere cercavano inutilmente di calmare Laura che continuava a piangere e a agitarsi.
Quando chiuse la chiamata Peter Scholler sospirò; ora ci si metteva anche la sorte a complicare il processo di guarigione della sua amica.
“Laura ora basta. Tu sei una persona razionale, sei anche tu un medico. Calmati. A tuo marito non è successo nulla, solo un piccolo incidente sul lavoro. Sta bene, lo tengono solo in osservazione in ospedale per stanotte. Mi hai capito?” le disse il medico con voce dura, ma anche rassicurante.
Piano piano Laura smise di piangere, ma i suoi occhi rimasero terrorizzati.
“Facciamo così, se mi prometti di calmarti, chiamiamo l’amico di tuo marito, si chiama Semir giusto? Così puoi parlare con lui, visto che se Ben è in ospedale non ha con sé il cellulare con tutta probabilità. Ma ti devi calmare e restare calma…” propose Peter.
Laura pian piano si rasserenò e trovò sulla rubrica il numero di Semir.
 

“Signore, la devo condurre da qualcuno che muore dalla voglia di vederla e parlarle” fece Semir entrando con una sedia a rotelle nella stanza dell’amico.
“Posso andare da Julia?” la voce di Ben sembrava quella di un bambino cui  avevano detto che poteva scartare i regali di Natale
“Sono qui appositamente per condurla dove desidera, signore” rispose Semir mostrando la sedia.
Quando arrivarono davanti alla stanza di Julia,  trovarono sull’uscio Peter il marito che li guardava torvo.
“Vedo che stai bene. Spero solo che tu ti renda conto di quello che ha rischiato Julia” disse acido vedendo arrivare il cognato.
Semir pensò a quanto in fondo era solo l’amico in quella storia.
 Konrad aveva fatto solo una rapida comparsa nella stanza di ospedale del figlio e non aveva neppure aspettato che si svegliasse prima di  tornare ai suoi affari.
A Semir  i due, soprattutto Peter, non erano mai stati simpatici, ma ora avrebbe volentieri mollato un pugno a quel borioso viziato.
Ben non rispose nulla al cognato, ma  Semir non si trattenne.  
“Sui rischi cui è stata esposta Julia mi pare che lei, Peter, sia l’ultimo a poter parlare” riferendosi con evidenza a quello che era successo negli anni passati. Peter aveva scampato la galera solo perchè aveva collaborato con i giudici.
Peter abbassò lo sguardo e Ben sorrise brevemente mentre entrava nella stanza della sorella.
“Ehi fratellone!!!” fece la ragazza appena lo vide.
A Ben salirono le lacrime agli occhi nel vederla pallida nel letto, attaccata alle flebo.
“Oh… Julia mi dispiace, mi dispiace davvero tanto…” balbettò
 “Cosa ti dispiace? Non  è mica colpa tua… vieni qui dai… che ti devo dare una bella notizia” Julia sorrise tendendo la mano al fratello per farlo avvicinare al letto.
A Semir si scaldò il cuore nel vedere l’affetto che legava i due fratelli.
Avvicinò la sedia a rotelle al letto e poi uscì discretamente dalla stanza.

 
“Laura, Ben sta benissimo, te lo giuro. Ora è con Julia. Sì, esce domani, tutto bene” Semir cercò di essere il più rassicurante possibile con Laura, ma la cosa era difficile.
La chiamata l’aveva stupito molto e prima di parlare con Laura aveva parlato con il suo medico, ottenendo dopo un serie infinte di suppliche che  il giovane potesse andare a trovare la moglie l’indomani mattina.
“Sì, Ben viene da te domani, lo accompagno io, quindi non se ne dimentica, non ti preoccupare. Sì, Laura va tutto bene. Anche i bambini stanno benissimo, sono con Helga. Ci vediamo domani mattina”   
 Semir chiuse la telefonata proprio mentre Ben usciva manovrando a  fatica la sedia a   rotelle.
“Semir lo sai che…” disse il giovane eccitato.
“Sì lo so stai per diventare di  nuovo zio. Speriamo in un maschietto, fra le mie ed i tuoi il povero Thomas è in minoranza in famiglia sino ad ora” sorrise Semir
“Le femminucce sono più carine…” si oppose Ben. Era innegabile che il ragazzo avesse una piccola preferenza per la sua figlia femmina.
“E’ davvero una gran bella notizia. Ed io ne ho un’altra bella, ma anche una brutta. Da quale inizio?” fece ancora Semir
“Dalla brutta dai. Cosa c’è?”
“La Kruger ha messo sotto sorveglianza te e la tua famiglia”
“Ohhh ma che p…” imprecò subito Ben.
“E’ necessario e questo lo sai… ma la notizia bella che ora ti do compensa quella brutta”
Ben lo guardò curioso.
“Domani puoi andare a trovare Laura”
Sul volto del giovane tornò il sorriso scanzonato che Semir conosceva e che non vedeva da tanto tempo.
 
 
Guardò la devastazione che aveva creato  nell’appartamento in preda alla collera.
Soprammobili, quadri, cuscini, tutto giaceva in terra in un ammasso disordinato
Mai nella sua vita aveva provato una tale furia.
Perché aveva fallito. Fallito miseramente.
Aveva assistito al salvataggio avvenuto all’ultimo minuto senza poter fare nulla.
Mancava così poco, così poco, sentiva già il dolce sapore della vittoria.
Ed invece quello stupido turco e gli altri erano arrivati in tempo.
Ansimando cercò di calmarsi e di pensare.
In fondo nulla era perso, doveva solo accelerare i tempi e arrivare prima alla sua vendetta definitiva.
“Tua sorella si è salvata, ma ora io prenderò qualcuno che ti è ancora più caro, infinitamente più caro” pensò
“Mi implorerai di ucciderti” pensò mentre sentiva di nuovo l’eccitazione salire. 
 

 Visto che pubblico stasera permettetemi la digressione:  FORZA ITALIAAAA!

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Capitolo 12
*** Vendetta finale ***


 
Vendetta finale


Ben bussò piano alla porta della stanza al secondo piano della grande clinica.
Era un edificio molto bello, circondato da un bel giardino, ma a Ben ricordava comunque una prigione.
Una prigione in cui era rinchiuso l’amore della sua vita, la madre dei suoi figli.
Appena sentì il timido “avanti” si stampò in faccia il migliore dei sorrisi e cercò di cancellare l’enorme angoscia che lo attanagliava.
Laura lo accolse con gli occhi colmi di amore.
Gli occhi di Laura, una delle cose più belle che Ben avesse mai visto. Gli stessi occhi azzurri di Miriam.
I due rimasero per un po’ impacciati in piedi senza dire o fare nulla, prima di precipitarsi l’uno nella braccia dell’altra.
Si aggrapparono l’uno all’altra come due naufraghi ad una zattera nel mare in tempesta. E la zattera era l’amore che provavano.
“Stai bene? Stai davvero bene?” chiese Laura con un filo di voce, nascondendo la testa nell’incavo della spalla del marito
“Sto bene Laura, sto bene, ora che sono con te sto benissimo. E anche Julia sta bene, esce a fine settimana dall’ospedale” rispose il giovane.
La ragazza iniziò a piangere debolmente, mentre Ben la accarezzava sulla schiena.
“Ehi… no, no, che fai? Va tutto bene… anzi ti ho portato una sorpresa” cercò di consolarla il marito.
Prese il cellulare e trovò i filmati che aveva costantemente registrato nelle settimane precedenti.
Laura smise subito di piangere e sorrise felice nel vedere Miriam che cantava in duetto con il padre “Fra’ Martino”, Thomas che tentava di raggiungere da solo il divano e finiva regolarmente con il sederino a terra, i gemelli addormentati nella stessa culla mentre si tenevano per mano. Attimi di vita normale che per un attimo la fecero tornare una madre normale.
“Sono bellissimi” disse guardando il marito.
“Sono bellissimi come te, hanno preso dalla loro mamma”
I due rimasero ancora un po’ in silenzio a guardare i filmati.
“Laura… ti prego… ti prego torna da me, da noi… io non credo di farcela senza di te…” sussurrò Ben rimettendo il cellulare in tasca.
Laura  si rasserenò e tornò subito lucida.
Ora toccava a lei consolare e proteggere.
“Ben amore mio, certo che torno, torno presto, voi siete il mio mondo, la mia unica ragione di vita. E’ ancora per poco, Peter dice che sto facendo grandi progressi e sai… da domani faccio un po’ di volontariato medico negli altri reparti…”
 Ben la guardò sconsolato. Mai come in quel momento aveva bisogno del sostegno psicologico della moglie, ma lei non  poteva darglielo in quel momento.
“Ben va tutto bene?” chiese Laura  vedendolo pensieroso.
“Sì certo va tutto bene” mentì Ben vincendo l’impulso di raccontarle tutta la sua angoscia, tutto il suo senso di colpa per quello che stava succedendo.
Quasi ci rimase male quando Laura non capì il suo stato d’animo e gli rivolse un sorriso dolce e sereno.
 
 
“Allora signora per qualsiasi cosa noi stiamo a sua disposizione qui fuori” disse il giovane poliziotto aiutando Helga  a portare dentro la carrozzina con i gemelli.
“Certo giovanotto, non si preoccupi” rispose la governante con un gran sorriso.
Quel ragazzo le stava simpatico, era gentile ed educato, ma anche discreto.
“Senta agente Hoffman  più tardi preparerò una bella torta per il ritorno a casa di Ben. Lei ed il suo collega potreste fare una eccezione e entrare in casa per mangiarne una bella fetta…”
Il ragazzo sorrise; in realtà non poteva allontanarsi dal suo posto di guardia, ma non poteva certo rifiutare la gentile offerta  che quella simpatica signora gli stava rivolgendo.
“Certo signora quando è pronta ci avverta, io ed il mio collega saremo lieti di assaggiare le squisitezze che prepara”
Helga sorrise ancora una volta al giovane che chiudeva a porta e poi si dedicò ai gemellini.
Lì lavò e li fece mangiare; Thomas era davvero un bimbo delizioso e tranquillo, mai un capriccio o un pianto, ad eccezione di quando aveva fame o sonno o di quando veniva provocato dalla sorellina. Miriam era un discorso a parte, una vera e propria peste, una forza della natura, non stava mai ferma un minuto, doveva metteva gli occhi già metteva le mani.
Helga sospirò al pensiero  che fra un po’ i bambini avrebbero iniziato  camminare da soli; chissà quanti problemi avrebbero creato… e chissà che gioia vederli muovere i primi passi.
“Speriamo che Laura sia già tornata a casa per vederli” pensò Helga mettendosi ai fornelli per preparare la torta preferita da Ben.
 

Era sempre stato bravo a nascondersi.
Nascondersi e strisciare era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti.
Lo faceva con le ragazze ai tempi del liceo; si nascondeva, strisciava sino agli spogliatoi delle palestre e da lì si godeva lo spettacolo.
Gli piaceva quella cosa: l’imbranato della scuola, quello che tutti prendevano in giro e sbeffeggiavano aveva visto probabilmente più ragazze nude di tutti i bulletti dell’istituto messi insieme.
Anche ora stava strisciando e si stava nascondendo, ma per uno scopo diverso: per ottenere la sua vendetta.
Si nascose dietro i cespugli e sbirciò dall’ampia vetrata che dava sul  terrazzo.
Bene. C’era solo la governante. La governante ed i bambini.
 
 
“Semir non essere paranoico ti prego. Vai a lavorare in ufficio. Io appena finisco qui vado direttamente a casa con un taxi. Te lo prometto” fece Ben all’indirizzo dell’amico che invece insisteva per aspettare e portarlo lui a casa.
Anzi Ben aveva il serio sospetto che lo volesse in realtà incatenare al letto, pur di farlo stare a casa.
Semir lo guardò perplesso.
“Mi posso fidare? Davvero mi posso fidare? Guarda che se ti vedo in ufficio, poi mi vendico… ti faccio scrivere rapporti per due mesi…”
“Ma sì che ti puoi fidare. E poi puoi sempre chiedere ai colleghi di sorveglianza fuori casa se sono lì oppure no” scherzò Ben.
“Non credere che non lo faccia. Anzi penso che li chiamerò almeno ogni ora. Quindi vedi di essere  a casa fra un’ora e di restarci sino a domani” sorrise il piccolo ispettore turco avviandosi verso l’uscita.
Lungo la strada verso il Distretto Semir non fece altro che pensare come poteva trovare qualche indizio, una qualsiasi traccia che portasse ad una pista.
Raramente nella sua vita professionale si era trovato in una situazione del genere, assenza totale di indizi. E stavolta c’era in ballo la vita di Ben. Il killer si stava avvicinando sempre più a lui.
La risposta alle sue preghiere la trovò in Hartmut, che lo stava aspettando trionfante nel suo ufficio.
“Semir… forse abbiamo qualcosa” gli disse mostrandogli le due lettere che il killer aveva fatto recapitare a Ben.
Semir quasi trasalì dalla eccitazione.
Hartmut assunse la solita aria professionale.
“Dunque ho esaminato con cura le lettere utilizzando uno scanner che ho modificato. Sai mi sono servito dello scanner di base a luce…”
“Hartmut!!!” lo richiamò subito Semir prima che il tecnico si perdesse dietro ai suoi ragionamenti
“Ok ok… dunque dicevo ho esaminato  le lettere e indovina cosa ho scoperto?”
“Cosa? Avevi detto che non c’erano impronte”  
“Infatti non ci sono. Solo che guardando bene le lettere con cui sono composte le parole… beh… sono ritagliate  tutte dalla prima pagina dello stesso giornale. Il Colonia Herald”
“E quale sarebbe la novità? E’ ovvio che il killer le ha prese dallo stesso giornale”
“Non solo dallo stesso giornale, ma da più prime pagine dello stesso giornale. E tutti dello stesso giorno”
 “Vuoi dire che…”
“Che il killer aveva a disposizione più copie dello stesso giornale”
“Può non voler dire molto. Potrebbe averle comprate quelle copie…”obiettò Semir
“Forse. Ma è più facile che sia uno che abbia facile accesso a più copie di uno stesso giornale” rispose Hartmut.
Semir iniziò a pensare freneticamente.
“Un giornalaio magari… o qualcuno che trasporta  giornali”
“Oppure un giornalista” fece Hartmut.
Semir spalancò gli occhi, come colto da una improvvisa intuizione
“Susanne, vieni qui,  devi fare immediatamente un  riscontro incrociato”
 
 
Ormai era più di un’ora che stava fermo a spiare nascosto nei cespugli.
Vedeva la donna corpulenta andare avanti ed indietro nella cucina, di tanto in tanto si allontanava, probabilmente per andare a controllare i bambini nella cameretta.
Già quando era arrivato aveva notato i due poliziotti di guardia davanti la casa; anche se erano in una macchina normale ed erano in abiti borghesi si notava lontano un miglio che erano sbirri.
Doveva liberarsi di loro se voleva  portare a termine il suo piano. Aveva parcheggiato  il SUV sulla strada e anche se non si fossero accorti delle urla, l’avrebbero certamente notato mentre si allontanava.
Con calma si decise all’azione.
Appena la governante salì al piano di sopra, richiamata dal pianto di uno dei bambini, corse verso la grande vetrata e tirò fuori i suoi attrezzi.
Era sempre stato particolarmente abile in quel tipo di operazioni, aveva iniziato da bambino quando forzava il cassetto dove la madre teneva il denaro e regolarmente ne rubava un po’.
Ma anche quel piccolo gruzzoletto che  aveva racimolato non gli aveva procurato né la stima dei suoi compagni né la considerazione delle sue compagne.
Ci mise meno di un minuto per forzare la serratura; entrò con passo felpato nell’ampio salone e si nascose dietro uno dei grandi divani bianchi in attesa della sua mossa.

 
“Buona stai buona, piccoletta. Ma sei proprio un furfantella” disse dolce Helga cullando Miriam che poco dopo si riaddormentò serena.
Anche Ben da piccolo odiava vedersi solo quando si svegliava, Helga lo sapeva bene e sapeva quindi come calmare la piccina, così simile al padre nel carattere e nello spirito.
Sistemò la bambina nella culla, coprendola con la sua copertina rosa con i coniglietti, e dopo aver dato un’occhiata al fratellino che dormiva pacifico nella culla affianco scese di nuovo le scale.
Ormai la torta doveva essere pronta.
Non si accorse dell’uomo che all’improvviso sbucò da dietro al divano sino a quando non sentì il freddo della canna della pistola puntata sulla nuca.
“Zitta, stai zitta altrimenti prima ammazzo te e poi i mocciosi al piano di sopra” fece una voce minacciosa alle sue spalle.
Helga si congelò all’istante. Sentiva il cuore che le batteva all’impazzata.
“Chi sei.. cosa vuoi da noi… sono solo una povera vecchia  con due bambini in casa” disse piano sperando ardentemente che fosse una rapina, almeno così c’erano speranze di cavarsela se gli dava quello che voleva.
“Da te niente… o meglio sì. Ora chiami quei due che sono lì fuori in macchina  e li fai entrare in casa” disse sempre puntandole la pistola alla nuca.
Poi la spinse verso la  grande finestra che dava sulla strada.
“Cerca di essere convincente, altrimenti non ci metto niente a farti un buco nella testa e a farlo ai mocciosi” minacciò nascondendosi dietro la tenda sempre con la pistola puntata.
Helga era disperata. Ormai aveva capito che non si trattava di una rapina, ma non  trovava  via di uscita.
Con le gambe che le tremavano si affacciò ed iniziò  fare ampi cenni ai poliziotti seduti nell’auto parcheggiata di fronte al palazzo.
I due ricambiarono con grandi sorrisi e subito scesero dall’auto. Evidentemente credevano che li stesse chiamando per la fetta di torta che aveva promesso loro.
Con il cuore di pietra pregò e ripregò che non bussassero alla porta, ma  dopo pochi minuti sentì il campanello all’ingresso.
“Falli entrare e poi chiudi la porta. E se dici una parola sei morta”  disse duro.
Finalmente Helga lo vide in faccia.
Alto e magro,  più o meno dell’età di Ben, se Helga l’avesse visto per strada mai avrebbe pensato che poteva trattarsi di un delinquente.
Con il terrore  ormai stampato in faccia Helga aprì la porta ai due agenti.
“Buonasera signora, allora assaggiamo questa torta, Ben non fa altro che parlarci della sua cucina” disse uno dei due sorridente.
Entrambi gli agenti entrarono in casa ed Helga richiuse la porta.
Aveva sperato che l’uomo si limitasse a stordirli o legarli, ma le sue speranze crollarono miseramente quando udì i colpi sordi della pistola con silenziatore.
Neppure un istante ed i due crollarono a terra colpiti a morte.
Helga rimase come paralizzata, incapace anche di urlare.
“Zitta, stai zitta, non urlare…” fece l’uomo puntandole di nuovo la pistola alla tempia.
Helga pensò che quelli erano gli ultimi istanti della sua vita.
“Signore ti prego salva almeno i bambini, non puoi farli morire così” pensò mentre iniziava a piangere sommessamente
L’uomo la buttò con violenza su di una sedia e sempre puntandole la pistola strappò  il laccio delle tende.
“Sai sei fortunata… non mi va di ucciderti, somigli a mia nonna… e poi entro domani la mia vendetta sarà compiuta, deve restare qualcuno che narri le mie gesta”  disse con aria diabolica, mentre la legava alla sedia e la imbavagliava con un fazzoletto.
Helga lo guardò con gli occhi colmi di terrore, mentre saliva al piano di sopra.
No, non poteva prendere i bambini. I bambini no!!
Con la forza della disperazione cercò di liberarsi, ma i legacci erano troppo stretti. Iniziò a dondolarsi sulla sedia per cercare di far cadere la sedia, pensando di potersi in qualche modo avvicinare alla finestra.
Il tizio le aveva lasciato le gambe libere pensando che la sedia fosse troppo pensate per muoversi. Invece dopo vari tentativi la poltrona si ribaltò proprio mentre il tizio scendeva nuovamente le scale con un fagotto rosa fra le braccia.
Miriam. Aveva preso Miriam.
Helga si ritrovò disperata come  mai nella sua vita.
Con un coraggio ed una forza che non sospettava di avere appena l’uomo le arrivò a tiro cercò di mollargli un calcio nella ginocchia. Non sapeva neppure lei cosa volesse fare con quel gesto, ma era l’unica cosa che poteva fare.
L’uomo barcollò, sempre tenendo Miriam fra le braccia. La bambina iniziava a svegliarsi e a mugugnare.
“Maledetta stronza” imprecò quando si accorse di chi gli aveva mollato quel calcio.
Poi con freddezza assoluta  puntò la pistola su Helga e sparò.
 
 
Ben  uscì dall’ospedale  e salì sul taxi che aveva chiamato.
Il colloquio con Peter, il medico di Laura, avrebbe dovuto rassicurarlo; gli aveva detto che Laura stava meglio e che presto sarebbe tornata a casa dove poteva continuare le cure.
Ma il giovane aveva l’animo pesante.
Scese dal taxi con una strana sensazione di paura che gli aumentò a dismisura appena vide l’auto dei colleghi parcheggiata di fronte all’ingresso, ma nessuno a bordo.
“Forse sono entrati in casa per un caffè” disse  guardando il balcone. Tutto sembrava normale.
La sensazione di paura aumentò mentre saliva le scale.
Sentiva il pianto di Thomas, ormai aveva imparato a  riconoscere il pianto di ciascuno dei gemelli. Ma Thomas non piangeva mai così disperato, solo quando stava male o per imitazione della sorellina. E il pianto di Miriam non si sentiva.
Con il cuore che gli batteva all’impazzata Ben aprì la porta di casa.
E quello che vide lo gettò nell’incubo peggiore della sua vita. 


Dunque... qualcosa si sta chiarendo...  il killer è un maschio e...
Cosa ne sarà della povera Helga? E della piccola Miriam?
Grazie ancora a tutti, in particolare alla mia beta. 
E visto che ci siamo.... FORZA ITALIAAAA!!!

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Capitolo 13
*** Inseguendo un'ombra ***


Inseguendo un’ombra    


“Helga… ti prego Helga rispondimi… ti prego…” balbettò Ben chinandosi sulla governante ancora legata alla sedia. La donna era completamente esanime e una grande macchia rossa sulla spalla le macchiava il grembiule immacolato che indossava sempre in casa.
“Helga…” Ben era disperato. Provò a dare dei colpetti sulla guancia alla sua mamma surrogata, perché quella era la sua mamma in fondo, e finalmente la donna aprì gli occhi debolmente.
“Ben… Ben… ha preso Miriam… io… io… non ho potuto fare niente…” sussurrò.
Il giovane slegò la donna e la sistemò sul pavimento.
“Chi l’ha presa? Che cosa è successo??” chiese disperato, ma Helga non aveva la forza di rispondere.
“Ispettore ma che è successo qui?”  La voce del sig. Martins, l’inquilino del piano di sopra lo fece trasalire. L’anziano uomo guardava ad occhi sbarrati la scena di fronte, con i due cadaveri all’ingresso e Helga sanguinante stesa sul pavimento vicino al divano.
“Chiami subito un’ambulanza” urlò Ben salendo di corsa al piano di sopra.
“Signore ti prego fa’ che non sia vero…” si ritrovò a pregare mentre si avvicinava alla camera dei gemelli, con il pianto di Thomas sempre più forte nelle orecchie.
Entrando vide subito la culla di Miriam vuota e Thomas in piedi nella sua, attaccato alle sbarre, rosso in volto per il pianto.
Prese suo figlio in braccio e cercò di consolarlo.
“Miriam… Miriam…” balbettò
 
Scese le scale con il bambino in braccio ancora piangente.
Ormai erano arrivati anche gli altri vicini e Ben affidò Thomas alla moglie del sig. Martins che subito iniziò  cullarlo dolcemente.
Da lontano si sentivano le sirene dell’ambulanza che si avvicinava.
Ben si inginocchiò di nuovo accanto ad Helga e le accarezzò dolcemente la guancia
“Helga…” sussurrò piangendo.
La donna aprì di nuovo gli occhi e trovò la forza di sorridergli.
“Ben… devi trovare… la bambina… l’ha presa…”
“Chi è stato?” chiese il giovane con voce debole.
“Non.. non lo so… alto, biondo, più o meno della tua età… è entrato dalla vetrata sul terrazzo..” disse Helga con voce stanca.
Ormai i paramedici stavano salendo le scale e appena arrivarono nella stanza spinsero Ben di lato per prendersi cura della ferita.
 
A stento sentì il cellulare che gli vibrava nella tasca.
Automaticamente rispose alla chiamata.
“Bene… vedo che sei tornato a casa” gli disse una voce sconosciuta dall’atro lato della linea.
“Chi sei??” rispose Ben
“Sono quello che ha in mano la vita di tua figlia. Basta così poco per porvi fine. E’ così piccola e delicata. Una mano sulla bocca, un urto della testa…”
 “Maledetto bastardo… io ti uccido con le mie mani..” urlò Ben
“Invece tu farai esattamente quello che ti dico. Una sola parola, una sola mossa sbagliata e  ti spedisco tua figlia un pezzo per volta”
 
 

“Dunque al Colonia Herald lavorano circa cinquanta giornalisti e venti distributori. Di questi cinque hanno un SUV come quello che è stato visto quando Julia è stata rapita” disse con aria professionale Susanne mentre continuava a guardare il video del pc
“Metti i nomi sullo schermo”  le chiese Semir che sentiva salire l’eccitazione.
Appena  la lista comparve sulla schermo tutti iniziarono a studiarla attentamente.
“Mapporca… Jonas… Jonas Sculler. Questo è il fidanzato di Anja, la ragazza di Ben al liceo”
“La prima vittima???” fece sbalordita la Kruger
“Proprio lei…”
“Bene, muoviamoci Gerkan, andiamo a prendere questo tizio, vediamo cosa ha da dirci” fece il Commissario prendendo la giacca dall’appendiabito”
“Avverto Ben?” chiese Susanne
“Assolutamente no, anzi se chiama trova una scusa qualsiasi” rispose Semir
 
Erano già in macchina quando videro Susanne uscire trafelata dall’edificio.
“Semir! Semir aspetta!!!” urlò avvicinandosi all’auto. Aveva l’aria sconvolta.
“E’ successo qualcosa a casa di Ben”
 

Semir inchiodò la BMW davanti all’ingresso dell’elegante condominio e si precipitò verso l’ambulanza che stava caricando la barella.
“Helga!!” quasi urlò quando vide la governante stesa, con una grossa benda sulla spalla.
“Ispettore… meno male che è arrivato… Ben… Miriam…” balbettò la donna pallidissima
“Che è successo???” ormai Semir era in preda al terrore puro.
 “Un tizio… è entrato in casa… li ha uccisi… ha ucciso i due agenti…. mi dispiace… io non volevo chiamarli… ma… ma…” Helga piangeva a dirotto
“Calma Helga, calma… “ la esortò Semir carezzandole la mano
“Ha preso Miriam… io volevo… ho cercato di fermarlo…”
“Miriam?? Chi ha preso Miriam? Dov’è Ben??” chiese Semir sempre più ansioso.
“Non lo so…”
“Mi spiace ma ora dobbiamo andare in ospedale” fece il paramedico muovendo la barella.
“Come sta?” chiese la Kruger che si era avvicinata
“Se la caverà, ma deve andare subito in ospedale” rispose il sanitario chiedendo le porte della ambulanza
Semir si precipitò all’interno del palazzo e salì le scale di corsa.
Nell’appartamento di Ben c’era l’inferno.
Semir guardò inorridito i corpi dei due colleghi stesi all’ingresso.
“Signor Gerkan…” lo chiamò una voce femminile.
Semir subito riconobbe la signora Martins, l’inquilina del piano di sopra. Aveva Thomas in braccio.
“Signora Martins, dov’è Ben?” chiese quasi urlando.
“Non lo so… ha ricevuto una telefonata ed è andato via di corsa. Mi ha solo detto che dovevo consegnare Thomas esclusivamente a lei appena arrivava”
 Semir prese il suo figlioccio in braccio  e con la mano libera chiamò subito la moglie per farlo venire  prendere.
“Dov’è Jager?” chiese Kim arrivando trafelata.
“Non lo so, ma ho un brutto presentimento. La vicina mi ha detto che ha ricevuto una chiamata ed è scappato via. Temo che sia stato il killer a chiamarlo…” la voce di Semir tremava.
“Ok calma, in primo luogo facciamo rintracciare il cellulare” cercò di ragionare Kim
“Non serve purtroppo” disse Semir mesto mostrandole il telefono di Ben in bella vista sul mobile dell’ingresso.
“Allora l’auto” propose Kim
“Non vuole essere raggiunto se ha lasciato qui il cellulare, scommetto che ha preso la moto. E quella non ha il GPS” concluse Semir sempre più scuro in volto.
 

Ben parcheggiò la moto in un piccolo spiazzo fra gli alberi.
Si tolse il casco; era tutto impolverato dopo aver guidato lungo le strade sterrate ed aveva avuto non poche difficoltà per trovare il posto indicato.
Ma finalmente ce l’aveva fatta, era arrivato alla grande casa in legno che l’uomo gli aveva indicato.
Quello era l‘atto finale.
E l’unico scopo di Ben era salvare sua figlia.
Aveva fatto esattamente come gli diceva quel folle; aveva lasciato il cellulare a casa ed aveva preso la moto e non l’auto. Quel tizio lo conosceva bene, evidentemente doveva averlo sorvegliato per parecchio tempo.
Incerto si incamminò verso l’ingresso della casa guardandosi attorno, ma sembrava tutto deserto ed abbandonato.
Quando mise il piede sul patio in legno lo scricchiolio quasi lo fece sobbalzare; sempre più cauto aprì la porta di ingresso.
L’interno era impolverato e completamente abbandonato.
 La poca luce che entrava dalle assi inchiodate a protezione delle  finestre lasciava distinguere solo i mobili coperti da vecchie lenzuola.
“Bravo vedo che ha fatto quello che ti dicevo”
 Prima ancora di sentire la voce alle sue spalle sentì il freddo della canna della pistola alla nuca.
Una mano veloce gli tolse la pistola dalla fondina.
“Girati lentamente” disse la voce.
Già al telefono gli era sembrata familiare quella voce, ma la vista dell’uomo che lo stava minacciando lo lasciò comunque d stucco.
“Jonas…”  sussurrò
“Già proprio io… ma tu non mi hai proprio riconosciuto giusto?” fece beffardo l’uomo puntandogli la pistola addosso.
Ben lo guardò accuratamente. Nell’unica occasione in cui l’aveva visto, ovvero al funerale di Anja, non aveva fatto molto caso al suo aspetto, gli interessava solo sapere cosa sapesse della morte della sua fidanzata.
Solo ora guardando gli occhi scuri e i capelli biondi emerse dal profondo dei suoi ricordi un volto giovanile, viso imbronciato ed occhi rancorosi incorniciati da spessi occhiali.
“Jonni??” chiese dubbioso
“E già proprio io,  Jonni la talpa. Jonni l’imbranato… quale dei tanti soprannomi che mi avete affibbiato all’epoca preferisci?” chiese con aria sempre più cattiva
Ma Ben non  ci fece caso, gli interessava solo una cosa, Miriam
“Dov’è mia figlia? Dov’è? Cosa le hai fatto? E’  solo un bambina…”
Jonas lo guardò ed iniziò a ridacchiare.
“I figli… che bella cosa vero? Il vero coronamento di un amore…”
“Dov’è?? Dimmi dov’è? Se le hai fatto qualcosa…”
“Non ti preoccupare e non ti agitare per ora non le ho fatto nulla” rispose indicando con lo sguardo una grossa cesta n un angolo buio da cui spuntava una copertina rosa.
Ben si precipitò verso la cesta ma riuscì solo ad intravedere il visino della bambina che sembrava che dormisse pacifica, prima di sentire di nuovo la canna della pistola sul collo.
“Fermo non ti muovere” intimò Jonas
“Miriam Miriam…” chiamò piano il padre
“Shhhh non urlare, la sveglierai, si è appena addormentata” disse con voce folle.
Ben sentì un brivido correre lungo la schiena.
Quell’uomo era davvero pazzo.
“Ma cosa vuoi da me? Sono qui, fai di me quello che vuoi, ma lascia che porti fuori la bambina, lei è innocente non c’entra nulla…”
“Innocente… innocente… anche io ero un ragazzino innocente e voi mi avete massacrato al liceo”
Ben sentì una fitta di rimorso. Anche lui aveva fatto parte  del gruppetto di bulletti  cui piaceva tormentare i deboli ed imbranati.
“Eppure ce l’avevo fatta sai?  Ero riuscito ad avere Anja. Io l’ho sempre amata sin  dai tempi della scuola, ma lei quel tempo preferiva te…”
Ben rimase in silenzio.
“Eravamo felici, lei diceva di amarmi. Diceva… perché quando abbiamo deciso di sposarci, lei è cambiata. Sai cosa mi ha detto quando ho iniziato a parlare di avere figli? Che non poteva più averne… ed è tutta colpa tua!!!” Jonas gli urlò contro tutta la sua rabbia
Ben lo guardò sbalordito.
“Senti Jonas…  io non vedevo Anja dai tempi del liceo… cosa c’entro io con il fatto che…”
“Cosa c’entri?? Vuoi dire che non sai che lei ha abortito ai tempi del liceo e che per questo non poteva avere più figli??? E sai quale è la cosa più grave? Che non ne era nemmeno dispiaciuta. Mi ha detto in faccia che l’unico da cui avrebbe voluto figli eri tu, che l’aveva capito quando ti aveva reincontrato e che, dato che tu  eri già sposato, non le importava nulla di non avere figli… che mi avrebbe sposato, ma non mi dovevo fare illusioni”
Ben si  ritrovò a balbettare per la sorpresa. Non aveva mai saputo nulla dell’aborto. Lui ed Anja si erano lasciati senza che la ragazza gli avesse mai detto nulla, né lui si era mai accorto di nulla.
“Jonas… ti posso assicurare che io non sapevo nulla dell’aborto.  E Anja l’ho incontrata per caso in strada…” cercò di farlo ragionare
Ma l’uomo era ormai fuori di testa.
“Zitto, devi stare zitto!! Tu non sei degno di toccare o di avere a che fare con nessuna donna! Qualsiasi donna tocchi diventa impura. Perciò le ho uccise: Anja, Roxana, la tua dottoressa e tua sorella, anche se con lei non ci sono riuscito. Ora tocca a tua figlia e poi a tua moglie” urlò brandendo la pistola
“Jonas… ti prego lascia stare Miriam. Lei è  solo una bambina innocente, non ha fatto nulla di male. Sono qui, prenditela con me, ma lascia stare lei…”
“E’ tua figlia, merita di morire solo per questo”  disse puntandogli la pistola contro.
Ben cercò di restare razionale e valutare la situazione. Era chiaro che Jonas era completamente folle e non avrebbe lasciato andare né lui né la bambina.
Poi fece la sua mossa.
 Approfittò del mugolio di Miriam che iniziava ad agitarsi nella cesta e colpì con un calcio Jonas.
L’uomo barcollò, ma Ben non fu abbastanza svelto a prendergli la pistola.
Con un ghigno malefico Jonas puntò l’arma contro la cesta dove c’era Miriam.
Ben si bloccò all’istante. Non ebbe il tempo di fare o dire altro.
Un colpo secco alla nuca lo spedì nel buio della incoscienza.
 
Quando riprese coscienza aveva il respiro bloccato e riusciva solo a tossire pesantemente.
Miriam piangeva disperatamente nella cesta.
Intorno fumo densissimo e fiamme, fiamme che lambivano la porta della stanza in cui erano rinchiusi.

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Capitolo 14
*** Fuoco purificatore ***


Fuoco purificatore
 
Laura guardò  dalla finestra il sole che illuminava il bel giardino.
Per la prima volta dopo tanti giorni si sentiva più serena, in grado di affrontare di nuovo la sua vita, poteva guardare di nuovo al futuro senza quelle paure che l’avevano angosciata nei mesi passati.
Certo il pensiero di Ben e i pericoli per la sua salute non erano spariti dalla sua mente, ma sentiva di riuscire a tenerli relegati in un angolino, senza farsi influenzare più  come prima.
E il  desiderio dei suoi bambini, la voglia di stringerli, sentire il loro odore, vedere i loro occhietti ed i visini buffi si stava  facendo insopportabile.
Ora poteva chiamare quando voleva e chi voleva, Peter le aveva ridato il cellulare che aveva consegnato all’ingresso ed era lì sul tavolo, pronto all’uso.
Laura cercò di vincere  l’impulso di chiamare, in fondo aveva visto Ben quella mattina e poteva aspettare sera per parlargli di nuovo. E poi forse stava riposando vista la brutta avventura del giorno prima. E poi.. e poi…
Laura vinse le ultime resistenze, troppo desiderosa di sentire la voce del marito. Prese il cellulare e compose il numero. Ma il telefono era staccato.
Una orrenda sensazione si impadronì di lei, anche se cercava di reprimerla.
“Calma Laura, non farti prendere dalla solita ansia”  si disse mentre componeva il numero di casa.
Gli squilli a vuoto aumentarono a dismisura la sua paura.
Con il cuore che le batteva all’impazzata compose il numero di Semir, anche questa volta inutilmente.
Si guardò attorno in cerca di una soluzione, di qualcosa che le dicesse che le sue paure erano tutte infondate.
 Ma non trovò nulla.
Prese la giacca dall’armadio e si mise gli stivali.
Poi chiamò un taxi e con un passo sicuro si avviò all’uscita.


Semir guardò il cellulare che squillava ed il nome che compariva sul display.
“Maledizione… Laura” pensò mentre si allontanava dal trambusto enorme che si era creato nell’appartamento di Ben.
Mentre pensava a cosa poteva dirle, vigliaccamente lasciò che gli squilli terminassero e poi si rimise il cellulare in tasca, nella speranza che fino alla prossima chiamata qualcosa gli venisse in mente.
Ma la sua attenzione venne subito distratta dalla Kruger che lo richiamava.
“Dunque l’ultima telefonata che ha ricevuto Jager sul cellulare proviene da un telefono con una carta prepagata. Risulta intestata ad una signora di Dusseldorf che ha denunciato il furto del telefono tre mesi fa. Susanne sta cercando di tracciarlo” lo informò  il Commissario mentre si faceva da parte per lasciare passare le barelle con i corpi dei due agenti uccisi.
Jenni  guardava con tristezza la scena.
“Ma dove può essere andato quell’incosciente?” sussurrò tra sé e sé Semir.
L’aveva fatto di nuovo, era partito all’avventura, tuffandosi nella bocca del leone senza avvisare nessuno, senza chiedere l’aiuto di nessuno.
“Ma come devo fare con te?” si chiese il socio più anziano, anche se la paura di non riuscire ad arrivare in tempo stavolta era davvero enorme.
“Capo… supponendo che si tratti proprio di questo Jonas deve avere  dato appuntamento a Ben in un posto sicuro, nascosto…” cercò di ragionare Semir.
Poco dopo il telefono della Kruger squillò. Era Susanne.
Il Commissario mise la chiamata in viva voce mentre la segretaria sciorinava le sue informazioni.
“La chiamata sembra partita da vicino casa di Ben. Evidentemente il killer deve  essersi trattenuto a godersi la scena sino al suo arrivo. Poi il segnale si sposta sino al bivio della A/24 e da lì più nulla. Deve aver spento il telefono”
Semir rimase un attimo in silenzio, sconfortato.
 La A/24 portava in varie direzioni e soprattutto portava all’Eifel, la zona montuosa e boschiva. Lì trovare Ben era come trovare un ago in un pagliaio, se non si sapeva dove andare.
“Susanne devi fare un riscontro incrociato. Devi controllare se Jonas o  qualcuno della sua famiglia ha proprietà nella zona… magari un cottage, un posto in qualche paesino dell’Eifel. Fai presto per favore” chiese Semir.
La segretaria chiuse la telefonata per mettersi al lavoro e Kim guardò Semir con aria interrogativa.
“Non siamo sicuri che sia proprio questo Sculler il killer, abbiamo solo…”
“Lo so, abbiamo solo pochi indizi, ma non c’è altra pista…  mica possiamo stare qui con le mani in mano ad aspettare che questo pazzo uccida  Ben e Miriam…”
Le parole morirono sulla bocca di Semir mentre vedeva Laura impietrita sulla porta di casa.

 
 
Ben si alzò a fatica, con il corpo scosso dalla tosse e gli occhi che gli lacrimavano per il fumo.
Corse verso la cesta e prese Miriam in braccio nel tentativo di calmare il pianto disperato della piccola. La cosa gli riuscì solo in parte: la bambina alla vista del padre si calmò,  ma subito dopo iniziò a urlare di nuovo, spaventata dal fumo e dalle fiamme.
Ben cercò con lo sguardo di capire se c’erano vie di uscita e non ne trovò
Le pareti era già quasi tutte lambite dalla fiamme.
L’unica era salire al piano di sopra e cercare qualche finestra.
Salì le strette scale in legno con la bambina avvinghiata, sussurrandole parole dolci nel vano tentativo di calmarla.
Man mano si faceva strada in lui la disperazione.
 Non aveva avvisato nessuno e nessuno sapeva dove erano.
 Probabilmente sarebbero morti lì e di una morte orrenda.


 
“Co… cosa è successo??” balbettò Laura vedendo  l’interno dell’appartamento trasformato in un campo di battaglia.
Lo sguardo  era fisso sulle grosse macchie di sangue sul tappeto all’ingresso.
“Laura… cosa ci fai qui? Tu non eri…” Semir era totalmente sconvolto nel trovarsela davanti
Ma Laura non rispose alla domanda.
Continuando a guardare le macchie di sangue sussurrò “Dov’è Ben? Dove sono i miei bambini?”
Semir e Kim si lanciarono sguardi interrogativi, indecisi sul da farsi.
Ma mentire era inutile.
“Thomas è con Andrea, sta bene” disse Semir cercando di dare prima la notizia migliore
“E Miriam? Dov’è Miriam? E Ben??”
A Semir non restò altro che raccontarle la verità.
 
 
Ben si era rifugiato con Miriam in una delle piccole stanze al piano superiore.
Il fumo era sempre più denso ed il calore insopportabile.
Aveva provato ad aprire tutte le finestre, ma erano inchiodate alle serrande. Non c’era via di uscita.
Si chiuse nella piccola stanza in fondo al corridoi. Poi prese uno dei lenzuoli che coprivano i mobili e lo mise sotto la porta nel tentativo di non far entrare il fumo.
Con delicatezza poggiò Miriam a terra. Ormai la bambina era sfinita dal pianto e singhiozzava e tossiva piano.
Con la tosse che lo scuoteva Ben cercò di sfondare la finestra sull’esterno. Dalle fessure si accorgeva che dava su di una tettoia.
 Se solo fosse riuscito ad aprirla… ma era troppo debole e sfinito dalla tosse.
Dopo vari tentativi dovette arrendersi.
Prese la bambina fra le braccia e si rifugiò in un angolo, con le fiamme che si facevano sempre più vicine, in attesa di un miracolo che sapeva non sarebbe arrivato.

 
Semir cercava di consolare Laura seduta sul divano, ma lei stranamente aveva conservato la calma, almeno apparentemente.
“Susanne…” fece Kim Kruger avvicinandosi ai due ed inserendo il viva voce.
“Dunque la famiglia Sculler possedeva un cottage nell’area ovest dell’Eifel. Ma deve essere ormai solo un rudere…”
“Manda la piantina sul GPS della mia auto” disse Semir che aveva già preso la giacca e si stava avviando alla porta.
“Semir… aspetta io vengo con te” disse Laura alzandosi dal divano. Per la prima volta da mesi Semir vide la vecchia Laura, la ragazza coraggiosa che si era precipitata a salvare Ben in Tanzania.
“Non è possibile Laura è troppo pericoloso…” obiettò
“Tu non riuscirai a fermarmi. Se non mi porti con te, io vi seguirò da sola in un modo o nell’altro. Non starò qui ad aspettare che tu mi venga a dire che mio marito e mia figlia sono morti” fece la ragazza con voce sicura.
Semir sapeva che era vero. In un modo o nell’altro lei li avrebbe seguiti.
“Ok… ma resti in macchina e non ti muovi se non te lo dico” acconsentì mentre correvano fuori.

     
Ben era ormai allo stremo della forze.
Si era rassegnato alla sua morte, ma non a quella di sua figlia.
Avrebbe voluto cantare qualcosa a Miriam, tranquillizzarla, non farla morire con il terrore nella mente. Ma non ci riusciva, non riusciva più neppure a respirare.
Ed era colpa sua quello che stava succedendo. Solo colpa sua.
Guardò sua figlia che ora tossiva debole fra le sue braccia e alla morte orribile cui l’aveva condannata. Per un folle attimo pensò che forse era meglio metterle la mano sulla bocca… pochi minuti al posto  di una sofferenza atroce.
Ma il pensiero gli  passò subito dalla mente alla vista degli occhioni blu che spalancati lo fissavano impauriti e al tempo stesso fiduciosi.
Strinse la bambina al suo petto.
“Coraggio, ora andiamo da nonna Elizabeth, vedrai ti vorrà tanto bene…” disse piangendo.
Pensò a Laura, al fatto che probabilmente non si sarebbe più ripresa da questa storia, ma per fortuna le restava Thomas.
Pensò a Thomas, al fatto che sarebbe cresciuto senza padre e senza la sorellina cui era morbosamente attaccato. Ma comunque poteva contare sulla sua mamma e su Semir ed Andrea.
Pensò al fatto che se le cose fossero andate differentemente forse ora poteva essere padre di un altro figlio, il figlio di Anja.
 Pensò a suo padre e a sua sorella, alla nuova vita che sarebbe presto arrivata in famiglia e alla dolce Helga.
Pensò a Semir, a quanto si sarebbe arrabbiato perché ancora una volta non lo era stato a sentire, al dolore che avrebbe provato nel perdere di nuovo un partner ed un fratello.
Guardò sua figlia, gli occhi blu come quelli della madre, i più belli che avesse mai visto.
Le fiamme si avvicinavano ed il calore era ormai insopportabile.
Strinse ancora più  forte al petto la bambina che si agitava e piangeva debole e la baciò sulla fronte.
 “Fra’ Martino… campanaro…” bisbigliò
“Signore almeno fa’ che succeda in fretta” pensò.
 

Semir guidava lungo il sentiero sterrato come se fosse alla guida di un  carro armato e non della sua BMW
L’auto sobbalzava ad ogni buca e Laura doveva tenersi al cruscotto per restare seduta. Era mortalmente pallida, ma non piangeva e non si disperava.
Anzi,  nei suoi occhi Semir leggeva determinazione.
“Ecco  fra un po’ dovremmo esserci” disse Semir guardando la mappa sul GPS, ma l’attenzione di Laura era distratta da altro.
“Guarda” gli disse pallida mentre indicava l’alta colonna di fumo nero che si alzava in cielo.
 
“O mapporca...” disse Semir  fermando  di botto l’auto di fianco alla moto di Ben.
Terrorizzato guardò la casa in fiamme davanti a lui.
“Chiami subito i pompieri” urlò alla Kruger che aveva fermato la sua auto dietro quella di Semir, ma il commissario aveva già il microfono in mano per la chiamata di emergenza.
Laura scese dalla macchina e corse verso la casa.
“Ben!! Miriam!!” urlò disperata e a stento Semir riuscì ad agguantarla per un braccio prima che entrasse in casa.
“Laura… ma dove vai? E’ pericoloso, può crollare tutto da un momento all’altro…”
“Lasciami!! Ci sono mio marito e mia figlia lì dentro!!!” urlò la donna disperata.
“Vado io… aspetta qui!!”” urlò a sua volta Semir mentre correva verso l’auto.
Frenetico tirò fuori le coperte che portava sempre nel portabagagli e le bagnò alla fontana che c’era di lato al patio.
Si coprì con una delle coperte ed entrò nella casa in fiamme.
 
Dentro il fumo rendeva l’aria irrespirabile e non si vedeva quasi nulla.
“Ben…” chiamò nella speranza di farsi rispondere.
Nulla.
“BEN” cercò di urlare più forte, ma la tosse lo soffocava
Iniziò a guardarsi intorno, ma anche distinguere la destra dalla sinistra era difficile
Era ormai disperato, sino a che non sentì un debole lamento dal piano di sopra… il pianto di un bambino.
Miriam…
Semir cercò un passaggio fra le fiamme che ormai divoravano la scala che portava al piano superiore.
Di corsa salì i gradini cercando di non pensare al fatto che la scala poteva crollare da un momento all’altro.
Arrivato al piano di sopra cercò di seguire il pianto che si faceva sempre più flebile.
Fumo… c’era tanto fumo… e Semir si chiese come potesse una bambina essere ancora sveglia  con tutto quel fumo.
Arrivato alla porta della stanza la sfondò con un calcio e nonostante il fumo subito notò nell’angolo la figura del suo socio, rannicchiato accanto al muro, con in braccio la bambina.
“Ben… Miriam…” urlò una voce alle sue spalle.
Solo allora Semir si accorse che Laura l’aveva seguito.

 
Kim Kruger stava a guardare con Jenni e Dieter la casa in fiamme, rodendosi dalla preoccupazione, pregando e ripregando che i pompieri arrivassero subito.
Maledisse ancora una volta l’irruenza dei suoi uomini; neppure aveva provato ad impedire a Gerkan di entrare nella casa. Quando c’era di mezzo il socio era inutile tentare di far ragione il  piccolo ispettore turco.
Ma non era riuscita a fermare neppure Laura che come una furia si era buttata anche lei all’interno.
“Dieter vada sulla strada principale e aspetti lì l’arrivo dei vigili del fuoco, altrimenti non ci trovano” ordinò mordendosi il labbro.
Mentre l’agente si allontanava notò uno strano movimento nei cespugli.
Con la coda dell’occhio vide un ciuffo di capelli biondi sporgere dalla boscaglia.
Facendo finta di niente si avvicinò all’auto dove Jenni era anche lei in ansiosa attesa e le fece un cenno con la testa.
La giovane capì subito e guardò anche lei verso la direzione indicata.
Entrambe le donne, senza farsi scorgere, tolsero la sicura alle fondine.
Con un cenno della testa Kim coordinò l’azione.
“Fermo!!” urlò puntando la pistola verso la boscaglia, ma  subito la figura nascosta iniziò a correre via.

 
“Ben!!” chiamò Semir cercando di svegliare l’amico, del tutto inutilmente.
Gli sentì il polso, per fortuna era ancora vivo
 Laura intanto aveva preso Miriam fra le braccia e la scuoteva, mentre la piccola piangeva sempre più flebilmente.
Semir cercò disperatamente una via di uscita.
La stessa strada dell’andata era impossibile, non poteva trascinare Ben per le scale ed ormai il piano di sotto era invaso dal fuoco, che ora aveva attaccato anche il tetto.
Si avvicinò alla finestra sbarrata.
 Dava su di una tettoia sul retro della casa… forse se riusciva ad aprirla...
Con la forza che solo la disperazione può dare iniziò a prendere  calci la finestra e le assi messe a protezione.
Dopo vari tentativi alla fine le assi cedettero e la finestra si spalancò.
“Vai prima tu, porta la bambina fuori” disse Semir tossendo ed ansimando a Laura.
“No… io non ce la faccio a saltare da sola, è meglio che scendi prima tu, porta fuori Ben io poi ti passo Miriam” si oppose Laura.
Semir avrebbe voluto protestare, ma capiva che quella era l’unica soluzione se volevano salvare entrambi. Laura non sarebbe stata in grado di saltare da sola dalla tettoia, soprattutto con la piccola in braccio.
Semir afferrò Ben sotto le ascelle e lo spostò vicino alla finestra, poi con difficoltà per via della tosse, uscì sulla tettoria e si trascinò dietro il corpo esamine dell’amico.
Accidenti se era alta…

 
Kim e Jenni si lanciarono all’inseguimento della figura che correva lesta fra il fogliame.
“Fermo!!” urlò di nuovo il commissario, ma la figura sparì nella boscaglia.
Kim fece cenno  a Jenni di dividersi.
Una andò a destra e l’altra a sinistra.
Kim sentiva il cuore batterle forte nel petto. Sapeva quell’uomo quanto era pericoloso,  era uno spietato assassino, aveva ucciso già tre donne e i due agenti e forse anche Ben e la piccola.
Doveva fermarlo a qualsiasi costo.
Silenziosa avanzò nel bosco cercando le tracce dell’uomo, ma ormai si stava facendo buio e nel crepuscolo  era difficile.
Sobbalzò quando sentì un urlo soffocato
“Jenni!!” ebbe appena il tempo di pensare prima di vedere l’alta figura di Jonas spuntare da dietro un albero. Teneva Jenni per la gola e le puntava la pistola alla tempia.
“Butta la pistola e lasciala andare” sibilò Kim.
“No… no… io devo finire il mio compito…” balbettò Jonas con occhi folli.
“Ho detto butta la pistola e lasciala andare” fece ancora più dura Kim.
“Devo finire il mio compito… siete impure dovete morire, tutte quelle che hanno a che fare con lui diventano impure, indegne di vivere” urlò Jonas stringendo il collo di Jenni sempre più forte.
Ormai la ragazza aveva difficoltà a respirare.
“Ti avverto se non la lasci subito, ti sparo” disse senza mostrare alcuna emozione la donna.
Ma Jonas per tutta risposta rise isterico.
Kim vide il dito di Jonas flettersi sul grilletto e prese la sua decisione.
Sparò.  Era una tiratrice scelta e non aveva mai sbagliato un colpo.
Jonas cadde all’indietro, con gli occhi colmi di follia sbarrati a guardare il cielo

 
Cercando di non pensare alle lesioni che poteva procurargli, Semir si sporse il più possibile dalla tettoia e lasciò cadere il più lentamente possibile il corpo esamine di Ben a terra, proprio mentre vedeva gli uomini in tuta verde dei vigili del fuoco avvicinarsi di corsa.
Immediatamente due di loro afferrarono Ben e lo trascinarono lontano.
“Laura  esci,  passami Miriam” fece Semir
I vigili stavano già sistemando la lunga scala per arrivare alla finestra.
Ma il tetto era ormai completamente in fiamme.
Semir sentì distintamente le travi scricchiolare.
“Laura fai presto!!” urlò mentre  capiva che una delle travi stava cedendo.
Laura fece appena in tempo, con un ultimo gesto disperato, a lanciare la bambina verso Semir.
Poi un inferno di fuoco e fiamme le piombò addosso.

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Capitolo 15
*** L'amore imperfetto ***


L’amore imperfetto     
 
Ben riemerse dal suo stato di torpore lentamente.
Sentiva come se l’aria che gli entrava nei polmoni fosse fuoco vivo e aprendo gli occhi ci mise qualche secondo a capire dove si trovava e perché. Solo quando sentì sul viso la cannula dell’ossigeno e vide accanto al letto la figura di Semir, seduto con la testa reclinata da un lato e gli occhi chiusi, ricordò tutto.
Il fuoco, le fiamme, la disperazione che  si faceva strada nel suo animo.
E Miriam!!! Dov’era Miriam?
Il terrore più folle si impadronì di lui e cercò disperatamente di buttare le gambe fuori dal letto, ottenendo in cambio solo un violento attacco di tosse e il capogiro più forte mai provato in via sua.
I colpi di tosse svegliarono Semir.
“Ehi… sei sveglio” disse con voce assonnata, sorridendo.
“Semir… Miriam… dov’è Miriam?” chiese il giovane con voce terrorizzata fra un colpo di tosse e l’altro.
“Bene,  Miriam sta bene. E’ un demonietto quella bimba. E’ già sveglia nella sua culla. Julia è con lei”
Ma Ben lesse qualcosa negli occhi di Semir che  non gli piaceva.
“Davvero? Non mi stai mentendo?” chiese incredulo mentre cercava di tenere a bada la tosse.
“No che non ti sto mentendo. Anzi fra un po’ cerco di portala qui per un minuto così la vedi…”    
 Ma Ben continuava a leggere negli occhi di Semir la paura.
“Semir…. cosa c’è che non mi dici?” chiese con un filo di voce
E a Semir non restò altro che raccontargli la verità.
 
 
Andrea e Konrad Jager erano in attesa sulle scomode sedie fuori al reparto grandi ustionati da ore ed ore, in attesa di notizie che non arrivavano mai.
“Ma quando ci dicono qualcosa…” mormorò il vecchio imprenditore guardando per l’ennesima volta verso la porta che tuttavia non si apriva.
“Andrà tutto bene… vedrà che andrà tutto bene” cercò di consolarlo Andrea prendendogli la mano.
“Già… ho praticamente tutta la famiglia qui in ospedale, compresa Helga. Si è salvato solo Thomas, poverino. A proposito non so dirle quanto le sia grato, signora  Gerkan, per essersi occupata di lui…”
.”Ma non deve dirlo neppure per scherzo. Thomas è il nostro figlioccio ed ora è  da mia madre, insieme alle mie figlie. Sono delle perfette baby sitter sa?” sorrise Andrea cercando di tirare su il morale del vecchio.
Finalmente la porta si aprì e ne uscì un medico in camice verde.
“ La famiglia della dottoressa Jager?” chiese guardando verso i due.
“Sì, io sono il suocero e la signora Gerkan è la migliore amica di Laura…” si presentò Konrad alzandosi di colpo dalla sedia.
“Non c’è il marito?” chiese interrogativo il medico
“No, mio figlio purtroppo è anche lui ricoverato qui… ha avuto una grave intossicazione da fumo. La prego, ci dica come sta Laura” balbettò il vecchio presagendo il peggio.
“Bene… io sono il dottor Haimann e sono il medico curante di Laura. Purtroppo non ho buone notizie…” disse il medico con aria seria.
 

Ben era stato ad ascoltare il racconto di Semir in assoluto silenzio, immobile, tanto che il socio si era chiesto, ad un certo punto, se lo stesse realmente a sentire.
“Mi spiace Ben… mi spiace davvero tanto per quello che è successo. Dovevo impedire a Laura di entrare in quella casa… dovevo farla uscire per prima…” balbettò il piccolo turco alla fine del racconto.
Ben si voltò a guardarlo con gli occhi pieni di lacrime.
“Tu non hai colpa di nulla. Hai salvato la vita a me e a Miriam. Sono io  da biasimare…. se ti avessi avvertito, se non fossi stato come al solito così impulsivo…”
“Tu cercavi solo di salvare la vita di tua figlia. La colpa è di Jonas, quel lurido essere. Ma ora non ha più importanza, ha avuto la sua punizione”
“Devo andare da Laura… ti prego Semir trova il modo di farmela vedere” supplicò Ben con un filo di voce.
L’amico lo guardò pieno di comprensione. Come poteva dirgli che le visite nel reparto grandi ustionati erano del tutto proibite per il timore di infezioni? Come poteva riferirgli quello che gli aveva detto il medico del pronto soccorso appena arrivati in ospedale? Ovvero che Laura difficilmente  avrebbe superato le ustioni?
“Ci provo… ma tu devi stare qui tranquillo” trovò solo il coraggio di dire mentre usciva dalla stanza per compiere quella missione impossibile.

 
“Purtroppo la situazione clinica di Laura è molto critica. La trave in fiamme l’ha colpita alla schiena e ha riportato ustioni molto profonde. In questi casi il rischio peggiore sono le infezioni ed il blocco renale. Per fortuna Laura è giovane e prima di questa storia in perfetta salute, ma…” il medico si interruppe nel vedere Semir che si avvicinava.
L’ispettore  aveva fatto a tempo a sentire solo l’ultima parte del discorso, ma fu sufficiente a fargli raggelare il sangue nelle vene.
“Dottore mi chiedevo se fosse possibile far entrare, anche solo per un minuto, il marito di Laura… sarebbe importante per entrambi” chiese sommessamente
“Laura è sotto sedativi, e forse, viste le condizioni cliniche anche del marito, non è il caso che lui la veda così…” obiettò il medico
 “Le assicuro che Ben starebbe peggio nel non vederla. E il contatto farà bene anche a Laura, ne sono più che sicuro”
 Il medico sospirò e poi acconsentì con un cenno del capo.
“Mi dia il tempo di organizzare la cosa…” disse rientrando in reparto.

 
“Guarda chi è venuto a farti visita” disse Julia entrando nella stanza del fratello con la nipotina fra le braccia.
Miriam appena vide il padre si illuminò letteralmente.
 “Papapa” urlò dimenandosi nelle braccia della zia  e lanciandosi verso il padre.
Julia poggiò la bambina sul letto accanto a Ben che l’abbracciò con cautela mentre scoppiava in un pianto a dirotto.
“Ben… non fare  così dai, vedrai andrà tutto bene” cercò di consolarlo Julia, senza sapere bene cosa fare.
Ben cercò di farsi forza, per non farsi vedere piangere dalla piccola che continuava a guardarlo felice con i suoi bellissimi occhi blu. Gli occhi della madre.
 “Sai qualcosa di Laura?” chiese poi con un filo di voce.
Julia scosse piano la testa.
“No… niente di nuovo purtroppo” bisbigliò triste.
Ben rimase per un po’ in silenzio, accarezzando la testa della figlia.
“Sai almeno come sta Helga?”
“Sì, lei sta meglio. L’hanno operata e uscirà dall’ospedale entro una settimana” rispose Julia contenta di poter dare al fratello una buona notizia.
“E tu? Tu come stai?”
“Anche io… anzi noi stiamo bene” sorrise la sorella accarezzandosi il ventre.
“Bene… ho mandato tutta la mia famiglia in ospedale a quanto pare…”
“Senti Ben, tu non hai fatto proprio nulla, la colpa è di quel pazzo psicopatico che ti ha preso di mira. Tu non hai fatto nulla di male. Anzi, se non fosse stato per te e per Semir sarei morta”
Il fratello la guardò triste.
“Non ne sono così sicuro. Ti ricordi, vero, come ero al liceo. Mi piaceva fare il bulletto, prendere in giro gli “sfigati”. Il bello è che neppure mi ricordo di aver preso in giro anche Jonni. A stento l’ho riconosciuto,  per me per era una nullità. Invece…”
“Invece cosa? Tutti siamo stati ragazzi e tu sei stato uno dei pochi a capire lo sbaglio che stava facendo accompagnandosi a quella banda di bulletti figli di papà”
“Già  ma a quanto pare l’ho capito non abbastanza presto. Come non ho capito che Anja era incinta e che aveva abortito Se non fosse stato per me… è colpa mia se mia moglie sta morendo” Ben riprese a piangere.
La conversazione venne interrotta dall’arrivo di Semir che spingeva una sedia a rotelle.
“Puoi andare a vedere Laura” disse, ma nei suoi occhi non si leggeva né gioia né sollievo per la notizia. Si leggeva solo dolore.

 
Ben chiuse istintivamente gli occhi, mentre l’infermiere lo spingeva nella stanza sterile, dopo averlo rivestito con camice, cuffietta e mascherina.
Semir  gli aveva detto delle condizioni di Laura e dell’aspetto che poteva avere, ma man mano che si avvicinava alla porta, spinto sulla sedia a rotelle dall’infermiere vestito come lui, il terrore si impadronì di lui.
Aveva una voglia infinita di piangere, ma cercava a di dominarsi.
“Sua moglie è sedata, ma è cosciente, mi raccomando non la tocchi, ma se vuole le parli. Le farà bene”
Sempre con gli occhi chiusi Ben sentì l’infermiere uscire dalla stanza e richiudere la porta a vetri.
Nelle narici aveva l’odore penetrante dei disinfettanti e dei medicinali. Nelle orecchie il suono ritmico del monitor cardiaco.
Si costrinse ad aprire gli occhi e si costrinse a non urlare alla vista del corpo sul letto.
Laura era stesa sul ventre, la schiena coperta da  garze sterili da cui si intravedevano comunque le tremende ustioni che la martoriavano.
Era pallidissima e sudata, attaccata ad una miriade di macchinari che lanciavano suoni e luci intermittenti. Aveva gli occhi chiusi ma le palpebre si muovevano leggermente.
“Laura…” balbettò il marito mentre le lacrime gli scendevano irrefrenabili sulle guance.
“Laura…“ chiamò ancora non ottenendo risposta.
“Oh mio Dio Laura… perdonami…  ti prego perdonami”
Ben distolse lo sguardo dal quel corpo martoriato, vinto dal pensiero  di dover vivere una intera vita senza l’unica donna che avesse mai realmente amato, senza la madre dei suoi figli.
“B…Ben…” la voce di Laura era solo un soffio.
Ben rivolse di nuovo lo sguardo al letto e vide gli stupendi occhi di Laura che lo guardavano stanchi.
 E lei gli sorrideva, come riusciva a sorridergli in una situazione così gli era incomprensibile
“Amore mio…” riuscì solo a dire
“St.. stai bbene…” il sollievo era evidente negli occhi della donna.
“Sì, sto bene e stanno bene anche Miriam e Thomas” la rassicurò subito Ben ottenendo in cambio un altro timido sorriso della moglie.
I due rimasero a guardarsi per un po’ senza dire nulla.
“Ti prego… ti prego Laura devi guarire, io non ce la faccio a vivere senza di te… ti prego” disse alla fine Ben riprendendo a piangere.
Laura sorrise di nuovo debolmente, ma Ben lesse nei suoi occhi la piena consapevolezza delle sue condizioni, in fondo era un medico.
“Tu sei forte…  te l’ho già detto, qualsiasi cosa succeda, tu ce la puoi fare. Hai tante persone su cui contare… Semir e Andrea, tuo padre…”
“La mia vita senza di te non ha senso… io non ce la faccio. Tu non mi puoi lasciare…”
 “Tu hai il dovere di pensare ai nostri figli…” sussurrò Laura con voce debolissima, ma decisa.
Ben non riusciva più a parlare dall’emozione.
 “Andrà tutto bene, amore mio” gli disse piano
Ben si asciugò le lacrime.
“Sì certo andrà tutto bene, ma tu devi sforzarti, devi combattere. Devi combattere per rimanere qui con me e con i nostri bambini” finalmente aveva ritrovato il coraggio.
Ormai l’infermiere era rientrato per portare via Ben.
“Ti amo…” riuscì a sussurrare Laura prima di addormentarsi di nuovo, vinta dai farmaci.
        

Sei mesi dopo

“Mamma, perché festeggiamo oggi il compleanno dei gemelli se è già passato?” chiese per l’ennesima volta Lily mentre aiutava la madre a sistemare i palloncini colorati sulla tavola.
“Lily te l’ho già spiegato, si festeggia oggi perché zia Laura era in ospedale e voleva essere presente al primo compleanno di Miriam e Thomas…”
“Ma anche se tu non stai in ospedale, posso avere anche io due feste di compleanno?” chiese interessata la bambina.
“No, direi di no, in questa casa ci saranno già troppe feste di compleanno quando arriverà la sorellina o il fratellino” rispose la madre carezzandosi la pancia appena evidente sotto il vestito leggero.
Lei e Semir aspettavano il terzo bambino e Andrea era sicura che fosse un maschietto, ma Semir aveva insistito per non saperlo, professandosi entusiasta all’idea di un’altra figlia femmina.
“Allora è tutto pronto a quanto pare” fece Helga sistemando la gigantesca torta di compleanno sul tavolo.
“Helga è una meraviglia…”  si complimentò Andrea guardando la torta a tre piani, piena di decorazioni celeste e rosa.
“Dovrebbero essere qui a momenti” disse Semir guardano dalla finestra.
Il giardino di casa Gerkan era già pieno degli ospiti. Erano venuti proprio tutti a salutare Laura che usciva dall’ospedale e i gemelli con il loro compleanno posticipato.
“I bambini?” chiese abbracciando la moglie da dietro e mettendole le mani sulla pancia
“Aida sta facendo pratica con i gemelli al piano di sopra. Dice che quando nasce il fratellino gli baderà lei, io non dovrò fare nulla”
“Sarà un’altra bellissima femminuccia e stavolta il parto non me lo perdo, vedrai” disse il marito con voce sicura.
“Sì, come no” sorrise ironica Andrea.
Il vocio in giardino richiamò l’attenzione dei due; la Mercedes di Ben aveva appena imboccato il viale.
Ben scese raggiante.
Erano stati mesi difficilissimi e le conseguenze fisiche erano ancora ben evidenti sul corpo di Laura.
Ma a Ben non interessava,  la guarigione di Laura era stata definita un vero e proprio miracolo medico. La vita gli aveva regalato un’altra possibilità e lui non aveva alcuna intenzione di sprecarla.
Semir si fece incontro all’amico ed aiutò Laura a scendere dall’auto.
Fortunatamente le ustioni le avevano risparmiato il volto, ma la schiena e le braccia erano ancora pesantemente segnate, anche se i medici avevano assicurato che con una buona chirurgia plastica la situazione sarebbe nettamente migliorata.
“Laura bentornata…” disse Semir.
Laura gli sorrise, ma si appoggiò al marito, quasi aggrappandosi a lui.
“Ben…  aspetta, ho paura…”  gli sussurrò piano, cercando di coprirsi le braccia con le maniche della camicia
“Non devi, sei la mia donna, la più bella che io abbia mai visto. Mi hai dato  due figli splendidi ed io ti amo” la rassicurò il marito, andando incontro con lei ai gemelli che arrancavano tenuti per mano da Andrea ed Helga.
Erano così carini nei loro vestitini ed i loro sorrisi e gridolini contribuirono subito a rasserenare l’atmosfera. Le risate iniziarono a risuonare nell’aria.
 
La festa era quasi al termine e Ben e Semir stavano sul patio bevendo in santa pace, dopo l’enorme trambusto, una birra.
“Allora socio, proprio non lo vuoi sapere cosa state aspettando?” chiese Ben guardando Andrea che parava fitto con Julia.
 La giovane sorella di Ben aveva ormai un pancione enorme ed era venuta alla festa da sola perchè Peter e Konrad erano all’estero.
 “No abbiamo deciso di no, anche se io preferirei una femmina, ma nessuno qui mi crede” rispose Semir prendendo un sorso dalla sua bottiglia.
 “Le quotazioni migliori sono sul maschio però” rise l’amico
“Cosa?? Vuoi dire che state scommettendo sul sesso del bambino?”
“Certo,  mi pare che anche tu abbia partecipato a qualche scommessa quando sono nati i gemelli”
Semir arrossì leggermente.
“Come stai? Come sta Laura?” chiese dopo un po’
“Stiamo andando avanti. Insieme ce la possiamo fare, di questo sono sicuro ci vuole solo un po’ di tempo”
Semir si sentì sollevato a sentirlo parlare così. Erano stati mesi difficilissimi per l’amico dal punto di vista psicologico e solo la necessità di incoraggiare Laura l’aveva distratto e fatto uscire dai suoi sensi di colpa.
“Tu sai che se hai bisogno…”
“Sì lo so. Tu ci sei e ci sarai sempre” sorrise l’amico.
 
Semir guardò la festa che stava finendo e tutte le persone che salutavano andando via.
Guardò Andrea e le sue figlie, Laura, i gemellini, Julia,  tutti i colleghi del distretto. E poi guardò Ben che era tornato vicino alla moglie.  Pensò che  quel posto quella sera era pieno di amore, quell’amore, che per quanto imperfetto, ci sorregge, ci aiuta e spinge a vivere.
Era fortunato a fare parte di quell’amore imperfetto.
 
“Semir… fai presto prendi l’auto… Julia ha le doglie!!” urlò Andrea verso il marito.
Solo allora Semir si accorse dell’enorme confusione che all’improvviso si era creata in giardino, con Julia sorretta da Helga e Ben. 
“No… che dici, prendiamo la mia, lo sai che Semir poi si sente male…” obiettò Ben
“Semir non si sente male. Sto benissimo e ora vi posso accompagnare in ospedale senza problemi” fece il piccolo turco correndo verso di loro.
Ma all’improvviso Julia cacciò un urlo di dolore piegandosi  per la contrazione.
Semir sentì la testa che gli girava e la nausea che gli saliva prepotente.
Iniziò a barcollare e divenne più bianco di un lenzuolo.
“Andreaaaa… in realtà credo di non sentirmi affatto bene”
FINE
 


Questa è la fine della serie di Ben e Laura.
Come  titoli di coda posso dirvi che  Julia avrà una femminuccia.
Thomas diventerà un violinista, anche piuttosto noto.
Miriam… beh, lei farà la poliziotta ovviamente, spericolata come il padre.
Zio Semir e papà Ben faranno carriera nella polizia, restando sempre amici per la pelle. Avranno sempre come capo Kim perché lei nel frattempo è diventata capo della Polizia Federale.
Laura, dopo varie operazioni di chirurgia plastica, tornerà al suo vero lavoro, ovvero medico specialista per malattie infettive e tornerà a lavorare per parte dell’anno nelle missioni all’estero.
In questa storia Semir e Andrea non si separano. Vivono felici insieme  ad Aida, anche lei poliziotta ed amica per la pelle di Miriam (riproponendo l’accoppiata dei loro genitori, ma al femminile) e Lily… testa scapestrata e disperazione di mamma e papà.
Di che sesso è il terzo figlio di Andrea e Semir? Ma è ovvio è… NON VE LO DICO!! Sono dispettosa… immaginate voi.
Grazie a  tutti quelli che hanno letto, a quanti hanno recensito e soprattutto alla mia splendida beta
A presto
                                                                      Maty66

 

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