Can you keep my secret?

di Mojita_Blue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il sole quel giorno era splendente; mentre il cielo era quasi limpido, se non per qualche nuvola bianca che, qua e là, passava decorando quel bellissimo telo azzurro.  Caroline distolse lo sguardo da esso e cominciò ad avanzare verso scuola.
Nonostante sarebbe dovuto essere il suo quarto anno di liceo, questo era il suo primo vero giorno di scuola. E non perché si fosse trasferita o qualcos’altro, semplicemente non aveva mai messo piede ad una scuola pubblica.
 A volte si affacciava fuori dalla finestra e osservava gruppetti di ragazze o ragazzi che, passando con i loro zaini, parlavano tranquillamente, felici che quella giornata fosse passata. Caroline quasi li invidiava. Lei era li, da sola, con i suoi libri in mano che aspettava il suo maestro; mentre loro, tra amici, discutevano già di cosa avrebbero fatto la sera.
Ma adesso questa situazione sarebbe cambiata.
Caroline si spostò le sue ciocche più lunghe dietro l’orecchio. Aveva i capelli castani, ma corti dietro. 
Una sera di Maggio, andando di fronte allo specchio del suo bagno, prese delle forbici e afferrandosi i capelli, tagliò la sua lunga coda, formando un taglio particolare: capelli corti con il suo ciuffo poco più lungo avanti.
 Non ricorda neanche più il perché di quel capriccio, sà solo che da quel giorno ha portato sempre i capelli così.
Arrivata nel cortile principale vide file e file di studenti che, rassegnati, entravano a scuola. Alla vista di quel luogo Caroline sentì il coraggio venirle meno. ‘E se non piaccio?’ pensò.
Scosse la testa con vigore. ‘Non è il momento di pensare a certe cose, non è da te! Hai fatto tanto per poterci venire.’
Avanzò.
Osservò bene l’atrio principale. Era ampio, con due scale a destra e a sinistra che portavano entrambe al piano superiore.
Ora doveva solo sapere in che aula si trovassero i suoi compagni.
Si diresse verso il piano di sopra. Il realtà non sapeva proprio da che parte andare. In giro c’era ancora qualche studente ritardatario che si dirigeva convinto e a passo svelto verso la sua classe. Per Caroline quel posto sembrava un vero e proprio labirinto e dopo un po’ si perse.
‘Maledizione, avrei dovuto chiede un aiuto maggiore! E ora che faccio?’ disse tra se, mentre girava l’ennesimo corridoio.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una ragazza che usciva da un aula.
“Esci fuori! Stavolta ti becchi anche una bella nota…”, riuscì a capire Caroline prima che la ragazza sbattesse la porta dietro di se. Caroline si diresse automaticamente verso di lei che, indifferente da ciò che era successo, stava guardando fuori dalla finestra di fronte all’aula giocherellando con una lunga ciocca dei suoi capelli neri,tinta alle punte di viola. Doveva avere un anno in meno di lei.
“Ehm, scusa…”. La ragazza si voltò. Aveva una frangia che copriva tutta la fronte. Mentre gli occhi erano di un azzurro chiarissimo; il contrario dei suoi che erano neri come la pece. Aveva anche un piccolo piercing al naso.
“Ehm… Sai dirmi, per favore, dove si trova quest’ aula?” chiese indicando il punto sul foglio con gli orari e le classi.
La ragazza la guardò impassibile, poi indico la zona alla sua destra.
“si, sei praticamente arrivata. In fondo a questo corridoio, a sinistra.”
“Grazie” disse abbozzando un sorriso, poi si diresse verso la sua aula, lasciando la ragazza a contemplare il panorama fuori dalla finestra.
Arrivò alla porta della classe e con vigore bussò alla porta.
 
 
 
 Era stata buttata fuori. Di nuovo. Alex sospirò frustrata guardando fuori dalla finestra. Come sempre tutto è cominciato dalla sua solita lite col professore.
 
“Alexandra Nelson!”
La ragazza, che fino a poco tempo fa stava guardando il quadrante dell’orologio con aria assente si voltò verso il professore.
“Quante volte le devo dire di stare attenta?!” continuò lui. Alex per tutta risposta sbuffò ma continuò a sostenere lo sguardo del professore con aria truce. Era palese che non lo sopportava.
“Forse un bel 2 ti farà cambiare idea”  e detto ciò, si avviò verso la cattedra.
“Cosa?! Guardì che io non ho fatto niente!” urlò Alex alzandosi dalla sedia.
“Non rivolgerti a me con questo tono!”
“Io parlo come mi pare e piace e non mi dica cosa devo o non devo fare!”
Nel frattempo l’intera classe era rimasta in silenzio a guardare la scena. Non era la prima volta che capitava e non conveniva mettersi in mezzo per accendere altri fuochi.
Il professore indicò con sguardo truce la porta. Alex sbatté violentemente le mani sul banco e uscì dall’aula.
“Esci fuori! Stavolta ti becchi anche una bella nota e…” Non gli fece finire la frase che sbatté la porta dietro di se.
 
 
Alex sospirò di nuovo. Non lo sopportava. Non sopportava per niente lui e il suo modo di fare. Cominciò a giocherellare con una ciocca di capelli fino a quando notò una ragazza avvicinarsi.
“Ehm, scusa…” Si voltò. Era una ragazza leggermente più alta di lei. Forse aveva solo un anno in più. Aveva un taglio corto con il ciuffo un po’ più lungo avanti. Aveva i capelli castani, a lei invece erano neri con le punte tinte di viola tranne per la frangia.
“Ehm… Sai dirmi, per favore, dove si trova quest’alula?” Alex continuò a fissarla. Era nuova, non c’era altra spiegazione. Era vestita come quelle brave ragazze che si vestono sempre bene, ma quel tagliò caratteristico la differenziava dalle solite figlie di papà che non osavano nemmeno avvicinarsi a lei; forse per il suo modo di vestirsi, per il suo fare da ribelle, per i vari piercing che portava su buona parte dell’orecchio, forse per ciò che si diceva in giro.
Alla fine si decise a rispondere.
“si, sei praticamente arrivata. In fondo a questo corridoio, a sinistra.” Disse indicando il corridoio vicino a lei.
“Grazie” disse la ragazza abbozzando un sorriso e dirigendosi verso la sua aula.
Alex tornò a guardare fuori dalla finestra pensierosa.


ANGOLINO AUTRICE
Ehm... Saalve ragazzi :3
Beh, che dire? 
Come va?! :D
Okay...Lasciamo perdere e arriviamo al punto và!
Volevo avvisare che questa storia è stata in passato cancellata. Motivo?
Problemi....emh...Tecnici?!
Non so dire nemmeno io cosa sia successo O.o
Sta di fatto che l'ho Ripubblicata! (La lettera maiuscola è d'obbligo u.u)
Spero che vi piaccia. E ringriazio in anticipo chi mai potrà leggerla ^^
Quiiiiindi...Hasta la vista Amigos! 
Baci. Mojita_Blue

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La professoressa spiegava la lezione con il libro in mano alzando a volte la testa per osservare meglio i suoi alunni. Quest’ultimi, invece, aspettavano annoiati la fine dell’ora sussurrandosi qualcosa a vicenda ad ogni minima distrazione dell’insegnante. Improvvisamente sentirono bussare alla porta; tutti si zittirono osservando con curiosità colei che aveva appena varcato la soglia.
Caroline si sentiva gli sguardi di tutti puntati addosso, ma cercò di non farci caso.
“Oh signorina Barnes! Prego, la stavamo aspettando!”
Era un’aula ordinata disposta in quattro file di banchi, uno staccato dall’altro.
Caroline si avvicinò alla cattedra mantenendo la testa alta e un piccolo sorriso sulle labbra.
“Ragazzi questa sarà la vostra nuova compagna. Si chiama Caroline e oggi è il suo primo giorno in questo liceo. Fatela sentire parte della classe! Vuoi dire qualcosa cara?”
Caroline sorrise e annui.
“E’ un piacere per me potermi trovare qui. Non ho mai frequentato la scuola pubblica per vari motivi, ma sono convinta che le relazioni tra coetanei possano aiutare a formarci come persone.”
Caroline non ha mai avuto problemi a parlare con le persone. Il saper parlare l’aveva preso da sua madre. Era un avvocato e la retorica per quella professione era molto importante.
Il sorriso sulla professoressa si diffuse di più.
“Oh il piacere è tutto nostro. Prego si sieda pure lì.” Disse, indicando un banco vuoto posto alla fine dell’aula nella penultima fila vicino alla finestra.
Caroline annui e si sedette al suo posto. La lezione poté ricominciare.
 
La terza ora stava volgendo a termine ma il professore in quel momento non era in classe, così i ragazzi avevano approfittato della situazione per chiacchierare. Caroline senti imprecare la ragazza che sedeva al banco avanti al suo.
“Maledettissima penna!” disse, scuotendo la penna violentemente.
“scusa…” cominciò Caroline e la ragazza si voltò. Aveva i capelli biondi lunghi fino alla spalla e gli occhi marroni che alla luce tendevano al verde.
“se ti serve una penna io ne ho una in più” Disse Caroline porgendo l’oggetto alla ragazza.
“Davvero?! Grazie mille!”
“Prego”
“Oh, a proposito, io sono Chloe”
“Io Caroline”
Dal ragazzo del banco accanto arrivò una risatina.
“Chloe,Chloe,Chloe… La scuola è appena iniziata e sei già senza penna sorellina?” Disse in tono canzonatorio.
Chloe lo guardò truce.
“Smettila! E poi quante volte te lo devo dire di non chiamarmi sorellina?! Siamo fratelli GEMELLI!”
In effetti era molto simile alla sorella, con i capelli biondi ‘a spina’ e gli occhi più chiari.
“Perché sono più alto, più bello e ho i voti migliori dei tuoi” Rispose trionfante.
“Tzé solo perché hai dei voti poco più alti dei miei. E poi non sei bello”
“Questo lo dici tu”
Caroline zitta e disorientata guardava la scena spostando lo sguardo verso Chloe e poi verso il fratello e viceversa.
“Emh, ragazzi. . .” Tentò di dire per attirare l’attenzione.
“oh si giusto!” Rispose il ragazzo. “Piacere Christopher!”
Improvvisamente suonò la campanella della ricreazione. Senza neanche aspettare il consenso del professore che non era ancora tornato, buona parte degli alunni si alzò e uscì dalla classe. Caroline rimase ferma al suo posto.
“Beh? Non vieni alla mensa?” Chiese Chloe.
“Non saprei dove andare e poi non conosco nessuno.”
“Vieni con noi” Sorrise Chloe porgendole la mano.
Caroline la prese ricambiando il sorriso. Insieme a Christopher uscirono dalla classe.
 
 
“Alex aspetta!”
Alex si voltò guardando la sua amica Madison correre verso di lei. La ragazza si fermò con il fiatone. I lunghi capelli castani le vennero tutti in faccia.
“Uff… Finalmente ti ho raggiunto” disse mettendosi una ciocca dietro l’orecchio.
“Ehi Mady! Novità?”
“Mah niente di che. Oggi è venuta una nuova ragazza in classe.”
“Speravi fosse un ragazzo?!” La prese in giro Alex.
“Sinceramente si.”
Alex rise.
“Dovevi sentirla! Le è bastato dire una frase che alla professoressa si sono illuminati gli occhi!” proseguì Madison. “Tu piuttosto…Che hai da dirmi?”
“Emh … niente”
“Non me la racconti giusta”
“Ok ok. Diciamo che sono stata buttata fuori.”
“Di nuovo?!” Urlò Madison.
“shh! Non credo che all’intera scuola interessi.”
“Ma Alex” Sussurrò. “L’anno scorso per poco non ti bocciavano e ora ti fai buttare fuori già all’inizio dell’anno?!”
“si.”
“uff. Non è William quello?” Disse indicando la figura poco lontana da loro.
“Mmh…Già”
Le due ragazze si avvicinarono al moro che nel frattempo stava salutando la sua ragazza con un bacio rapido.
“uh-uh. Il nostro donnaiolo ha trovato una nuova fiamma!”
“Moolto divertente.” Rise il moro, poi posò i suoi occhi verdi sul punto luce al naso di Alex.
“Nuovo piercing?”
“Eh già!”
“Beh, io vado a mensa. Venite?”
Madison annui con vigore ma Alex fece cenno di No con la testa.
“Andiamo Alex! Non puoi fare così per sempre!”
“Già, ma perché non vuoi mai venire in mensa?”
“Beh…” Abbassò lo sguardo “ecco… le voci a mensa corrono molto velocemente…”
“Non devi pensare a loro. Ignorali!”
“Si! Oggi non mi interessa. Vieni con noi!”
Madison la tirò per un braccio trascinandola a mensa.
 
I tre ragazzi si sedettero ai tavoli. Alex non aveva preso niente e sentiva distrattamente il discorso tra i suoi amici. Dopo un po’ la sua attenzione venne attirata da un gruppetto di ragazze che sedevano poco distanti da loro.
Pur continuando a guardare davanti a se dando le spalle alle ragazze, sentì la conversazione.
“Quella è Nelson?” Sussurrò una all’amica.
“Chi?”
“Sisi è proprio lei!” fece un’altra.
“ah si, ho sentito parlare di lei! I genitori di Erika erano compagni di classe di sua madre.”
“Davvero?”
Ignorale Alex! Sono solo delle stupide pettegole. Alex però continuò ad ascoltare, ma la sua pazienza ormai stava vacillando.
“Giuro! È da lei che ho sentito tutta la storia! Che razza di genitori!”
Calmati. Calmati.
“Chissà se è una svergognata come la madre.”
Aveva sentito abbastanza. Adesso avevano superato il limite.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Caroline, Chloe e Christopher si sedettero ad un tavolo vicino ad altri compagni. Caroline non pensava potesse sentirsi così a suo agio. In un primo momento pensò che potesse essere come una di quelle ragazze che vengono ignorate da tutti come nei film. Si diede della stupida sul fatto che questo pensiero avesse sfiorato, anche solo per un secondo, la sua mente.
“E’ enorme questa mensa!” Disse guardandosi intorno.
“Strano. Io la trovo piccolissima.”
“Come il tuo cervello Chris!” Lo prese in giro Chloe.
“Ma fanno sempre così?” Rise Caroline.
“Oh-oh e non hai visto niente!” Le rispose una ragazza dai capelli color rame.
Dopo un breve silenzio Chloe riprese.
“Allora, come mai ti sei trasferita a questa scuola? Dove andavi prima?”
Caroline esitò, ma poi rispose.
“A dire la verità studiavo in casa.”
“Wow! Che figata! Non sarai mica una di quelle ragazze che vivono in una reggia con tanto di giardino e maggiordomi?!”
“Ehm…No.”
“Oppure chissà, una principessa in incognito” Rise Christopher strizzandole l’occhio.                                             
Caroline arrossì.
“V-veramente vivo in una casa normalissima. Mia madre mi ha dato solo il lusso di un insegnante privato, tutto qui! Ma non è mica tanto divertente! Era severissimo.”
“Allora non fa per me” Rise Chloe.
Ci fu un altro momento di silenzio finché…
“Se avete qualcosa da dire allora ditemelo in faccia!” Gridò qualcuno.
Tutti si voltarono verso la voce. Videro una ragazza che adirata si rivolgeva ad un gruppetto di ragazze, le quali terrorizzate restarono mute al loro posto.
Caroline la guardò meglio.
‘Ma non è la stessa ragazza a cui ho chiesto informazione qualche ora fa?’
“Vi divertite a parlarmi da dietro vero?! Voglio vedere se vi divertite ancora se ci sono io… Lasciami William!” Urlò fuori di se mentre un ragazzo la teneva per le braccia fermandola.
Christopher rimase scioccato mente Chloe sbiancò. Poi ad un tratto quest’ultima si alzò correndo verso la ragazza. Le si parò davanti cercando di calmarla.
“Alex ma si può sapere che ti prende?! Calmati.” Sussurrò..
“Andiamo via” disse il ragazzo di nome William. Uscirono dalla mensa mentre il ragazzo la teneva ancora per le braccia. Li seguirono un’altra ragazza e Christopher, che nel frattempo si era alzato.
Tutti i presenti, che fino a quel momento erano rimasti zitti, cominciarono a bisbigliare tra loro sull’accaduto. Caroline rimase ferma al suo posto, poi con un pizzico di curiosità si rivolse alla ragazza dai capelli color rame che le era vicino.
“Chi era quella ragazza?”
“lei è Nelson. Per un po’di tempo si sono raccontare molte cose su di lei in questa a scuola. ”
“Davvero?!”
“Si! Si dice che suo padre fosse stato in carcere minorile per molto tempo. Quando è riuscito ad uscire ha cominciato a tradire la sua ragazza con sua madre. Alcuni dicono che fosse una ragazza facile, ma non penso sia vero. Un giorno vennero scoperti e lei rimase incinta giovanissima. Dicono che fosse rimasto con lei solo per non avere problemi, ma stanco di queste responsabilità se ne andò e non si fece più vedere.”
“Che cosa triste.”
“Già, ma queste sono voci di corridoio. Avranno sicuramente ingigantito la cosa!”
“Capisco.” Disse e rimase pensierosa.
 
 
 
“Alex ma si può sapere che ti è preso?!”
Si trovavano in un’aula vuota. Alex teneva la schiena curva con le mani poggiate davanti a se sul banco e la testa china.
“E’ stata colpa mia! Ti ho trascinata io lì.” Intervenne Madison.
“Non importa”
“Ma…”
“Davvero! Non importa” Riprese Alex alzando la testa.  “Mi sono comportata da stupida. Avrei dovuto ignorarle e basta.”
“Naah! Secondo me hai fatto bene!” Disse Christopher sedendosi su un banco.
Alex accennò un breve sorriso.
“Scusate se vi ho fatto agitare. Perdonatemi.”
“In effetti è stata un impresa cercare di fermarti.” Sorrise William.
Alex stavolta rise mentre Chloe l’abbracciò.
 
 
Le lezioni poterono riprendere regolarmente senza altre interruzioni. Chloe era tornata in classe riprendendo il suo posto, ma rimase a fissare il vuoto con aria assente per tutto il tempo. A differenza della sorella Christopher sembrava attento.
Caroline si guardò intorno per osservare meglio la classe. I suoi occhi si spostavano automaticamente da persona a persona. Certo, non tutti erano attenti, ma quella era una cosa tipica di ogni classe.
Sorrise tra sé e si chiese cosa le riservasse il futuro. Si mise a giocherellare con la matita con la quale qualche minuto fa stava sottolineando sul libro, ma dell’accaduto in mensa non se ne curò più.
Le lezioni finirono e tutti si precipitarono fuori dall’aula. Caroline stava sistemando la borsa a tracolla quando qualcuno le tocco la spalla. Si voltò e vide Chole e Christopher che le sorridevano.
“Ehi ragazzi.”
“Ehi Carol…Ehm credo che ti dobbiamo delle scuse. Insomma, per ciò che è accaduto in mensa. Siamo evaporati alla svelta senza dirti nulla e ti abbiamo lasciata sola.” Disse Christopher mettendo la mano dietro la nuca.
“Non importa assolutamente! Avete avuto le vostre buone ragioni.” Gli rispose dirigendosi con loro verso l’uscita della scuola. “Dopotutto quella ragazza sembrava molto arrabbiata…”
“Alex?! Beh sicuramente non ti ha fatto subito una buona impressione. Ma non è sempre così scontrosa, anzi… Se la conosci scoprirai che è davvero simpatica. Giusto Chloe?”
Ma Chloe non stava ascoltando poiché si era fermata qualche passo di distanza per osservare una vetrina.
“Che abito favoloso! Se lo vedesse Madison!”
“Chloe! Che cavolo stai facendo?” Disse Chris incrociando le braccia.
“Ma è vero che è bello!”
“In effetti non è niente male” Intervenne Caroline.
“Tu si che hai dei buoni gusti!”
“Uff…Ragazze!” Borbottò Christopher alzando gli occhi al cielo.
Ricominciarono a camminare parlando del più e del meno fino a quando non arrivarono ad un incrocio.
“Io giro a destra ragazzi. Grazie per la compagnia”
“Ma figurati! Vivi da queste parti?”
“Dopo qualche isolato.”
“Uuh-uh. Un giorno mi farai vedere la tua villetta”
“Quante volte lo devo dire? È una casa normalissima!”
“D’accordo principessa” Disse Christopher. Per tutta risposta Caroline gli diede un pugno giocoso sul braccio.
“Ci vediamo domani” Rise e con questo proseguì verso casa.  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Caroline senza ulteriori pensieri varcò la porta di casa.
“Sono tornata!” urlò in modo che potessero sentirla.
Nessuna risposta ma questo già se l’aspettava. L’unica che l’aveva accolta in casa era la sua piccola gatta che la guardava con la testa inclinata. Il suo pelo rossiccio era caratterizzato da qualche macchia bianca sul muso e sulle zampe.
Caroline sorrise alla vista di quel dolce musino così familiare.
“Ciao Athena.” Disse dolcemente prendendola in braccio.
La gattina si lasciò accarezzare il pelo morbido facendo le fusa.
La ragazza si diresse in cucina con l’intento di bere un bicchiere d’acqua, quando notò un bigliettino sul tavolo. Mise delicatamente a terra la gattina e lo lesse.
‘Sono al lavoro e non so quanto ci metterò. Ti ho preparato qualcosa da mangiare nel caso ti venisse fame.
P.S. Stasera Jack cena da noi.’
Già, Jack. Sua madre l’aveva conosciuto due anni fa al lavoro. Era una bella persona e adorava stare con lui. Era allegro, simpatico e l’aveva sempre trattata come se fosse una figlia. Eppure lei non poteva considerarlo un padre. Come poteva chiamare tale un uomo di cui non era sangue del suo sangue?
Sua madre gli diceva spesso che non c’era nulla di male ma lei era testarda.
L’unico vero padre era quell’uomo con cui sua madre litigò prima di scoprire di essere incinta.
Un miagolio indignato la risvegliò dai suoi pensieri.
“Si Athena hai ragione. Ora ti do da mangiare.” E detto ciò le riempì la ciotolina e andò in camera sua. Si butto di peso sul letto per poi lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo.
 
 
Era stanca si essere criticata ancora. Quelle dannatissime voci erano iniziate tutte l’anno scorso e ancora andavano in giro. Naturalmente tutto ciò era diminuito rispetto a prima ma Alex odiava il fatto di essere stata oggetto di critiche. Ma in certe scuole così funziona: finito uno scandalo se ne trova un altro.  Ma cosa sapeva veramente la gente di lei e della sua famiglia?
Suo padre l’aveva sempre amata. Ma questa era una storia che sapevano solo in pochi.
 
Pioveva. Una bambina di cinque anni se ne stava affacciata alla finestra con sguardo imbronciato.
Poiché era troppo bassa, si era arrampicata su una sedia mettendosi in ginocchio per poter vedere le goccioline che scendevano lungo il vetro.
Strofinò con la manina sul vetro appannato per poter vedere meglio ma la pioggia oscurava troppo la vista. Sbuffò.
La quiete nella stanza venne interrotta da una porta che si apriva.
“Salve dormiglione!” Disse sua madre Jane che poco prima era intenta a leggere un giornale. Era giovane, con gli occhi scuri e il viso pallido. Aveva i capelli corti fino alla spalla e scalati.
Lui sbadigliò.
“Ero stanchissimo!”
“Oh certo Alan, tu sei l’uomo più stanco del mondo!” Lo canzonò lei. Alan ridacchiò e si passò una mano tra i capelli, neri come quelli di Jane. Le si sedette accanto.
Alex scese dalla sedia in fretta e si precipitò sul divano su cui erano seduti i suoi genitori.
“Papà!”
Alan si voltò verso gli occhi azzurri vivaci della figlia. Gli stessi suoi occhi.
 “Mi insegni ad andare sullo ska… skebo…skibord ...?”
“Skateboard”
“Si quello!” Sorrise lei. “Voglio fare quelle cose belle che fanno alcune persone!”
“Tesoro sei troppo piccola per quello.” Disse Jane.
“Uffa!” Si lamentò la piccola mettendo il broncio.
Alan sorrise e si avvicinò alla figlia.
“Appena sarai più grande ti insegnerò tutto quello che vuoi.”
“Evviva!”
Rimasero in silenzio per un po’ ascoltando il rumore della pioggia sul vetro. Alla fine Alan si alzò.
“Io vado.”
“Dove vai?” Le chiese stranita Jane.
“Lo sai. Ho un colloquio importante di lavoro. I nostri genitori ci hanno aiutato con la casa, ma l’hai detto anche tu no? Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. E se riesco a prendere il posto potremmo vivere ancora meglio di così!”
“Ma fuori sta praticamente diluviando! Non puoi aspettare almeno che finisca?”
“No” disse prendendo il cappotto. “Sai come sono i datori di lavoro: noiosi e precisini!”
“E da quando ascolti ciò che dice la gente?!” Disse sarcastica Jane incrociando le braccia sotto il seno. Alan ridacchiò e si avvicinò a lei.
“Farò attenzione okay?”  Sussurrò per poi prenderle il viso tra le mani e baciarla con trasporto.
Alex guardò a terra imbarazzata. Le veniva naturale  quando i suoi genitori facevano queste cose.
Alan si staccò da lei e fece per andarsene.
“Papà! Non ti stai dimenticando qualcosa?”
Lui fece finta di pensaci. “Mmh… le chiavi le ho prese, il cellulare pure…no niente. ”
“Papà!” Urlò indignata la piccola per poi allargare le braccia.
Alan rise e la prese in braccio. “Come potrei dimenticarmi di te?!” Disse dandole un bacio alla guancia. Alex l’abbracciò. “Torna presto.”
“Certo tesoro.”
E dopo un ultimo sorriso a Jane aprì la porta e uscì.
 
Già, sembravano una famiglia felice. Ma nessuno sapeva cosa sarebbe successo da li a poco. 
 
Il sole era ormai del tutto scomparso all’orizzonte lasciando spazio alla luna e alle sue stelle. Jane stava preparando la cena, ma a volte spostava quasi impercettibilmente lo sguardo verso la finestra.
Improvvisamente il telefono squillò.
“Vado io!” Disse Alex lasciando a metà il disegno che aveva cominciato e dirigendosi verso il telefono.
“Pronto?...Alan? Si è il mio papà! ”
Jane a sentire quel nome si voltò di scatto. Lasciò tutto e si precipitò dalla figlia togliendole il telefono dalle mani.
“Pronto chi è?... Si sono la sua compagna.”
Alex non capiva cosa le stesse dicendo chi l’aveva chiamata. Sapeva solo che improvvisamente la madre strabuzzò gli occhi.
“Cosa?” disse con un filo di voce Jane. “No! Non è possibile… Non è possibile” si mise una mano sulla bocca.
“Dov’è? La prego mi dica dov’è!”
Stava piangendo. Perché sua madre stava piangendo? Cosa stava succedendo? Non riusciva a capire e si stava preoccupando.
“Mamma…” sussurrò. Jane riattaccò e la guardò terrorizzata. “Prendi il cappotto! Dobbiamo andare.”
Alex non disse più nulla. Qualunque verità le stesse nascondendo, sapeva che prima o poi se la sarebbe ritrovata davanti in tutta la sua crudezza. Non si parlarono per tutto il viaggio in macchina. Non se la sentiva di fare domande.
Guardò fuori dal finestrino e le venne un brivido lungo la schiena quando capì la meta del loro viaggio…L’ospedale!
Era seduta con i piedi penzoloni. Si trovavano in sala d’attesa a sua madre andava avanti e indietro a passi grandi. Era impaziente e si tormentava le mani.
“Jane!” Una donna la chiamò col fiatone. “Jane che succede? Ho lasciato Chloe e Chris con Geoff e mi sono precipitata qui!”.
Jane non rispose; l’abbracciò e si mise a piangere sulla sua spalla.
“Jane…”
“Oh  Alice. Non c’è la faccio ad aspettare. Non c’è la faccio!” Disse con  voce spezzata.
 “E la piccola? Lo sa?”
“No non sa nulla. Io…” ma si fermò quando videro entrare un’infermiera nella sala.
“Scusi. Lei è la compagna del signor Alan Nelson?”
“Si…si sono io.”
“Venga.”
E senza dire altro si diressero in un luogo più appartato chiudendo la porta dietro di loro. Alex preferì restare seduta alla sedia, anche se l’ansia la stava divorando. Si alzò e corse verso la porta cercando di capire cosa volesse dire la donna che era venuta a chiamarle. Premette l’orecchio contro la porta.
Improvvisamente da dentro sentì urla  e dei pianti. Il cuore le batteva forte in petto.
“Mamma!” Urlò. Alice uscì fuori con gli occhi pieni di lacrime e si richiuse la porta dietro di lei. Alex fece in tempo a vedere sua madre che tremante si metteva le mani ai capelli, mentre l’infermiera cercava di calmarla.
“Cos’è successo?! Che ha mamma?! Dov’è papà?!”  Urlò con tutte le sue forze Alex con gli occhi lucidi. Alice si abbassò alla sua altezza e l’abbracciò.
“Mamma è dentro e papà…” si bloccò singhiozzando e sciogliendo l’abbraccio. “Alex… Devi essere forte. Papà ti hasempre  voluto bene.”
Poi capì. La chiamata, l’arrivo in ospedale, l’attesa…La verità la colpì come uno schiaffo in pieno volto. Si morse il labbro e pianse. La porta si aprì rivelando Jane. Alex le corse incontro e l’abbracciò con forza.
 
Alex si girò e rigirò nel letto senza riuscire a prendere sonno. Dopo lo sfogo in ospedale era stanca certo, ma il pensiero di suo padre la teneva sveglia. Le uscì qualche altra lacrima che cercò di asciugare col braccio. Non voleva restare da sola, non quella notte. Si alzò dal letto e a piedi nudi si diresse verso la camera da letto. Aprì lentamente la porta facendola cigolare.
La stanza era leggermente illuminata da una piccola lampada vicino al letto dove c’era sua madre. Aveva le braccia intorno alle ginocchia e il capo chino.
 Jane Alzò leggermente il viso ancora rigato dalle lacrime incrociando i suoi occhi scuri con quelli azzurri della figlia. Solo in quel momento  si accorse di quanto assomigliasse al padre. Non tutto di lui era scomparso e lei ne era la prova vivente.
Alex abbassò lo sguardo. Le faceva male osservarla in tutta la sua vulnerabilità. Dopotutto era ancora giovane: una ragazza che era cresciuta troppo in fretta.  
Si avvicinò lentamente alla sponda del letto senza dire una parola. Salì e si diresse carponi verso Jane. Lei le circondò la piccola vita con un braccio e l’attirò a se. Alex si accoccolò alla madre senza dire nulla. Cosa c’era da dire in questi casi dopotutto?
Fu Jane a rompere il silenzio.
“Papà non ci ha abbandonate. Lui è qui con noi anche se non lo vediamo. E lo sarà sempre.” Sussurrò. Era un modo per mostrarsi forte davanti la figlia, ma più che altro cercava di convincere se stessa. Si lasciò sfuggire altre lacrime liberatorie poi le diede un bacio sulla fronte.
“Cerchiamo di dormire.”
E detto ciò spense la luce della lampada e si distese sul letto con la figlia ancora accoccolata a lei. L’avvicinò ancora di più come se avesse paura di poterla perdere e la vide chiudere gli occhi. Fece altrettanto ma in verità quella che passarono fu una notte in bianco.
 
Alex si risvegliò dal quel flashback improvvisò e vide che era già arrivata a casa.
“Mamma! Sono a casa.” Disse dopo essere entrata.
“Ciao tesoro”
Andò in cucina trovando Jane che si asciugava le mani ad uno strofinaccio. Le si avvicinò e le stampò un bacio sulla fronte.
“Come è andata a scuola? Non ti sarai cacciata nei guai come tuo solito spero.” Le disse mettendosi le mani sui fianchi. Alex capì subito che non era proprio saggio parlare a sua madre del fatto che era stata già cacciata fuori dall’aula o che stava per buttarsi addosso a quelle ragazzine pettegole.
Si limitò a sorridere.
“Ma come?! Io sono un angioletto come potrei mettermi nei guai?” Disse sarcastica sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
Jane ridacchiò per poi andare a prendere la sua tazza riempita con un po’ di tè.
Alex lasciò la borsa su una sedia e andò vicino al comodino.
“Ciao papà” sussurrò alla foto che ritraeva Alan.
Jane accennò un sorriso per poi abbassare lo sguardo sulla tazza. La prese con entrambe le mani e bevve un sorso.
“Alex.”
“Mmh?”
“Ti comprato una cosa comunque.”
Alex si voltò stranita. “Cosa?”
“Si trova in camera.” Alex si precipitò in camera seguita da Jane.
Quando aprì la porta rimase stupita.
“Wow!”
“So che fino ad ora hai usato quello di Chloe o di Chris. Quindi ho pensato che finalmente tu ne debba possedere uno. Non so se ti piace…”
“Grazie mamma. E’ bellissimo!”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Patricia guardò fuori dalla finestra con le braccia conserte. Strizzò gli occhi a causa del sole che pian piano si alzava in cielo. Un raggio di luce illuminò i suoi occhi castani che avevano la stessa tonalità dei capelli, portati in una leggera coda laterale. Athena entrò in camera emettendo un leggero miagolio. Sorrise.
E pensare che quando l’avevano trovata era solo un cucciolo.
 Era inverno e la gattina si era nascosta sotto la loro macchina per il freddo. Caroline si avvicinò e le diede da mangiare. Da quel giorno diventò un’abitudine per Athena appostarsi in quel luogo dove le veniva dato sempre qualcosa di cui sfamarsi. Cominciò a diventare una routine: la mattina era via e la sera tornava. Cosicché alla fine decisero di tenerla. Patricia sorrise mentre versava il latte nella ciotola e l’appoggiava delicatamente a terra.
Com’ è cresciuta, proprio come Caroline.
Certo fu molto difficile per lei crescere senza una figura paterna, ma Patricia cercò sempre di non farle mai mancare niente. 
Improvvisamente cominciò a ricordare quella soleggiante mattina di Maggio che le cambiò la vita.
 
“Non è possibile, maledizione!”
La ragazza buttò a terra l’ennesimo test di gravidanza per poi cominciare a camminare nervosamente per il bagno.
Solo una settimana fa aveva lasciato il suo ragazzo e la notizia di un figlio in arrivo non migliorava di certo la situazione. Strinse i pugni dirigendosi in camera e sbattendo la porta dietro di se.
“Questo non ci voleva!”
Cominciarono a pizzicarle gli occhi. Si morse il labbro e, in uno scatto d’ira, prese a calci la sedia lì vicina, rovesciandola.
 Si accasciò lentamente a terra con la schiena appoggiata al bordo del letto. Dapprima cominciò a singhiozzare, poi lasciò andare tutto il suo dolore piangendo senza ritegno.
Si portò le mani agli occhi, ma sapeva benissimo che non sarebbe bastato piangere l’intero giorno per cambiare quanto era successo.
Solo dopo un po’ si calmò col respiro ancora accelerato e si guardò intorno. Tutta quella normalità la metteva a disagio, come se nulla fosse accaduto. Si alzò e camminò fino alo specchio.
Strinse la maglietta e l’alzò lentamente. Scoprì il ventre e sempre delicatamente ci mise una mano sopra.
“Mi ero anche ripromessa che non avrei avuto più nulla da te” Rise ironica. “Ma con che coraggio potrei abbandonare questo bambino?”
Accarezzò il proprio ventre sussurrando a quella creatura che stava crescendo dentro di lei come se potesse sentirla.
“Tranquillo, c’è la faremo anche da soli.” Si morse il labbro. “Anche da soli.” Ripeté.
Poi le lacrime tornarono, scendendo disubbidienti lungo le sue gote.
 
Caroline entrò in cucina con uno sguardo visibilmente nervoso.
“Cosa? Non hai dormito bene?” chiese Patricia.
“No semplicemente non ho avuto un risveglio molto dolce visto che una certa gatta si è divertita a saltare sopra i tasti del pianoforte”
La gatta per tutta risposta inclinò la testa a un lato per poi tornare dalla sua ciotola piena di latte.
Caroline non ebbe neanche il tempo di commentare la reazione che qualcuno bussò alla porta. Andò ad aprire ritrovandosi davanti un uomo dai capelli color cioccolato e gli occhi verdi.
“Jack!” Urlò per poi saltargli al collo. L’uomo rise e l’abbracciò.
“Buongiorno anche a voi!”
Patricia si avvicinò e i due si permisero un lungo bacio mentre lei gli accarezzava la guancia.
“Beh... Io credo che me ne andrò”
“Non mangi?” Chiese Patricia staccandosi da lui.
“No, non ho fame e poi se me ne andassi ora voi due avreste più tempo per stare da soli. Non so se mi spiego.” Ridacchiò lei strizzando l’occhio alla madre. Patricia arrossì.
“Fila subito a scuola!”
“Agli ordini!”
 
Era arrivata un po’ in anticipo e decise di aspettare fuori dal cancello. Uscì il cellulare dalla tasca cercando distrattamente nella rubrica. Gli ritornò in mente la sua amica d’infanzia con cui passava buona parte della giornata.
Brenda, così si chiamava. Ma Caroline e sua madre si spostavano spesso e dopo pochi anni dovette abbandonarla. Due anni fa ritornarono nella città natale di Patricia, ma lei non disse mai a sua figlia il motivo del loro trasferimento. Sospirò.
“Attenzione!”
Caroline si voltò di scatto. Si spostò in tempo prima che la ragazza le potesse precipitare addosso con lo skateboard. Quest’ultima infatti cadde rovinosamente a terra.
“Dannazione!” Disse alzandosi e massaggiandosi la schiena. “Scusa, ero pensierosa e ho perso il controllo…”
“Chloe?!” La ragazza la guardò meglio.
“Oh Caroline, sei tu! Non ti avevo proprio vista.”
“Non importa. Come mai in skateboard?”. Si guardò intorno “E tuo fratello?”
“Oggi mi sono alzata presto e ho pensato che un bel giro in skate non mi avrebbe fatto male” Disse stiracchiandosi. “Comunque tranquilla, sarà qui tra poco”.
Come per magia, Christopher arrivò fermando la moto davanti alle ragazze. Si tolse il casco.
“Che cavolo Chloe! Potevi aspettarmi” disse truce scendendo dalla moto.
“Se ti avessi aspettato sarei solo arrivata in ritardo”
Lo sguardo di Christopher si addolcì solo quando si spostò verso Caroline.
“Ehi Carol! La cara principessina!”
La ragazza infastidita mise le mani sui fianchi e alzò gli occhi al cielo.
Chloe, che nel frattempo si era voltata dando loro le spalle, guardò qualcuno con sguardo gioioso. Alzò la mano in segno di saluto.
“Alex!”
Christopher e Caroline si voltarono vedendo la ragazza che veniva sorridente incontro a loro.
“Ah-ah ed ecco qua la nostra ragazza!”
Christopher la raggiunse mentre Alex depose a terra l’oggetto che aveva con se. L’abbracciò sollevandola da terra e facendola girare. Quando la lasciò andare notò cosa la ragazza aveva effettivamente portato.
“Non ci credo! Uno skateboard tutto tuo?!” disse prendendolo in mano. Era semplice. Da sotto era bianco decorato con la parola skateboard scritta in graffito.
“Esattamente!” Precisò con un sorriso fiero. “Mia madre me ne ha finalmente comprato uno.”
Lasciò che Christopher lo desse a Chloe per poterlo vedere meglio; poi si voltò verso Caroline.
“Oh, ma tu non eri…”
“La ragazza sola e sconsolata che insicura andava domandando in giro dove potesse essere la sua aula? Si, sono io!” la interruppe lei beffeggiandosi. ”Piacere Caroline.”.
“Alexandra, ma puoi chiamarmi Alex. Comunque mi piace il tuo taglio di capelli. E’ forte.” Disse lei squadrando i capelli della mora. “Dovresti darmi il numero del tuo parrucchiere”
Caroline rise. “Grazie anche se a dire la verità è fatto in casa.”
“Aspetta un attimo. Non vorrai mica tagliarti i capelli?!” Chiese Christopher guardando Alex accigliato. Quest’ultima spostò lo sguardo altrove facendo finta di nulla.
“Eh no! Tu non lo farai!” Disse il ragazzo per poi sollevarla di peso e caricarla sulla spalla.
Alex urlò battendo i pugni sulla schiena del biondo.
“Mettimi giù!”
“Non ci penso proprio.”
Detto ciò, il ragazzo si diresse verso l’entrata della scuola senza lasciar andare Alex.
Chole e Caroline invece li seguirono a ruota.
 
 
Quel giorno non andarono a mensa. Caroline preferì restare in aula a guardare distrattamente Chloe e Christopher che si punzecchiavano a vicenda. Sorrise e si chiese cosa si provasse ad avere un fratello. Cominciò a martellare le dita sul banco su cui si era seduta, mentre una ragazza mora entrò in classe.
“Ragazzi!” li chiamò, avvicinandosi.
“Ciao Medi!” La salutò Chole interrompendo la discussione col fratello.
“Ehi ciao, tu sei quella nuova. Mmh, Caroline…giusto?” disse porgendole la mano. “Piacere Madison.”
“Il piacere è tutto mio.”
 Madison spostò lo sguardo a turno su tutti e tre i ragazzi. “Indovinate un po’ chi è stato preso nella squadra di Basket femminile?!”
Chloè strabuzzò gli occhi, poi l’abbracciò. “Medi è una splendida notizia! Hai sempre voluto far parte della squadra.”
La ragazza si mise a giocare nervosamente con la punte dei capelli che soleva legare in una coda.
Fece un sorriso tirato.
“Siamo tutti contenti per te. Ma, senza offesa, non mi sembri tanto entusiasta.” Esclamò Caroline stranita.
“E che…”  girò la testa imbarazzata guardando un punto non preciso della stanza “Mi hanno presa perché una ragazza ha avuto un infortunio.”
Non ti abbattere per questo, tu…” ma Madison non la lasciò finire.
“Ed è Nicole!”
A sentire quel nome Chloe si lasciò sfuggire un gemito e Christopher sbuffò frustrato.
Caroline non capiva.
“Cosa può avere di così spaventoso questa ragazza?!” Madison sospirò.
“Ti auguro con tutto il cuore di non incontrarla mai sulla tua strada.”
“E’ la cugina di Madison e giuro che farebbe venire il nervoso anche al professore di educazione fisica; il professore più docile che abbiamo!” continuò Chloe; poi diede una pacca incoraggiante sulla spalla di Madison. “Su su, oggi vieni con noi a Piazza Nephrite e non ci penserai per niente.”
“Mi piacerebbe ma ho gli allenamenti.”
“Di già?!” sbuffò. “E va bene. E tu Caroline vieni?”
La ragazza rimase stupita, ma sorrise comunque. La conoscono per così poco tempo ma la fanno ugualmente sentire a suo agio.
“Certo.”
“Però è anche vero che tutti abbiamo un mezzo per arrivarci e tu sei a piedi.” La bionda si prese il mento tra l’indice e il pollice, pensierosa.
“Non è un problema. E’ qui vicino dopotutto!” Ma la ragazza non sembrava ascoltarla.
“Ti può sempre accompagnare Chris in moto.” Sorrise Chloe con la faccia di una persona che ha finalmente capito come si risolve un problema di matematica.
Christopher, sentendosi chiamato in causa, si voltò posando lo sguardo a turno sulle ragazze.
“Cosa?” domandò stranito; poi il suo sguardo si posò fisso su Caroline. Quest’ultima, sentendosi osservata così intensamente, abbassò la testa. Strano, solitamente riusciva sempre a sostenere gli sguardi delle persone.
Chloe, ignorando la domanda del ragazzo, si avvicinò a Caroline mettendosi una mano davanti alla bocca per non far sentire.
“Dovresti sentirti onorata a salire sulla sua moto. Ma fa attenzione, è gelosissimo! E’ praticamente la sua ragazza.”
Caroline rise. “Spero che tratti altrettanto bene una possibile ragazza umana.”
Stavolta risero entrambe davanti ad uno stranito Christopher.
 
 
Non appena la campanella suonò Chloe prese la sua borsa e si precipitò fuori dall’aula.
Anche Caroline cercò di riporre in fretta i suoi libri, poiché Christopher si era già avviato verso la porta assorto nei suoi pensieri.
Cercò di farsi strada tra la folla di studenti; quando lo raggiunse gli afferrò una manica.
“Chris! Potevi anche aspettarmi.” Il ragazzo, dal canto suo continuò a camminare tranquillamente con le mani nelle tasche dei jeans.
“Perdonami Principessa. Sperò di non meritarmi un castigo per questo.” disse strizzandole l’occhio.
La ragazza gli rispose con una linguaccia e fino all’uscita della scuola non si parlarono più. Forse per semplice imbarazzo oppure perché erano a corto di argomenti; sta di fatto che tra i due scese un silenzio imbarazzante interrotto dal continuo chiacchiericcio degli altri studenti.
La moto era semplice e bella, di color argento con il sedile nero di cuoio.
Christopher ci salì su e porse a Caroline il casco. Lei parve stupita.
“E tu?  Sei il pilota non vorrei…”
“Non posso rischiare che il mio passeggero si faccia male. Almeno che tu non ti voglia rovinare l’acconciatura.” Disse l’ultima frase con un ghigno. Caroline la prese come una provocazione.  Strappò il casco dalle mani del ragazzo per poi metterselo in testa.
“Per chi mi hai presa?! Non sono mica una di quelle ragazzine che hanno paura che le si spezzi un’unghia!”
Il sorriso di Christopher però non vacillò.
Nel frattempo, dall’altra parte della strada, Alex e Chloe cominciarono a sistemare i loro skateboard e dopo un cenno con la mano ai due partirono.
“Su sali. Le voglio superare.” Le intimò il biondo. La ragazza non se lo fece ripetere e salì sulla moto appoggiando delicatamente le mani sulle spalle di Christopher.
“Non basta appoggiarsi così se non si vuole cadere dalla moto.”
“Ma non andrai così veloce, vero?” Chiese preoccupata lei.
Il ragazzo ridacchiò e Caroline capì di aver detto qualcosa di stupido.
Partirono così velocemente che la mora si lasciò sfuggire un urlo di terrore. Christopher invece sembrava divertirsi come un matto e ululò di gioia. Quasi istintivamente Caroline circondò il busto del ragazzo con le braccia stringendosi forte e premendo la guancia sulla sua schiena.
Christopher sorrise al pensiero di quella ragazza che terrorizzata lo stava letteralmente abbracciando. Poteva sentire il calore di quel corpo dietro di se.   
Sembrava così diversa dalle altre; un pensiero che gli fece battere forte il cuore.
Si riscosse dandosi dello stupido e continuò il suo viaggio durante il quale Caroline non lasciò mai andare la presa.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quando arrivarono la piazza era già piena di gente. Era molto larga e spaziosa.  Un’enorme distesa dove i ragazzini più piccoli potevano venire a divertirsi e dove i ragazzi più grandi potevano esercitarsi con lo skateboard grazie ad una rampa che si trovava lì apposta. Dall’altra parte della corsia, invece vi era  un chiosco bar nel quale c’era sempre un vecchietto dall’aria burbera all’apparenza, ma sempre disponibile e gentile con le persone. Christopher e Caroline in pochi minuti erano già arrivati.
“Vedo che siamo in vena di sdolcinatezze.” Ghignò lui vedendo che la ragazza non lo lasciava andare.
Quest’ultima, notando che lo stava ancora abbracciando, arrossì e lasciò subito la presa.
“Ti aiuto a scendere?”
“No grazie, faccio da sola.” Rispose lei con una punta di stizza nella voce. Cercò di scendere il più delicatamente possibile, ma nel farlo perse l’equilibrio e inciampò riuscendo ugualmente a non finire a terra. Il ragazzo rise scendendo anch’egli dal mezzo.
“Le altre ragazze avrebbero sicuramente accettato un aiuto galante  dal loro principe azzurro.” 
“Beh  io non sono le altre ragazze!” Christopher sorrise. 
“Sai, non ti facevo così orgogliosa.” Stavolta fu Caroline a ghignare. “Oh sono molte le cose che ancora non sai di me.” Disse punzecchiandolo.
Alex e Chloe arrivarono dopo poco tempo. “Salve ragazzi!” Salutò Alex euforica, forse per la felicità di poter possedere uno skateboard tutto suo. Chloe fece finta di fare un’espressione stupita.
“O mio Dio, Caroline sei sana e salva! E io che pensavo che non ne saresti uscita viva vista la delicatezza di mio fratello con la moto. ” La ragazza rise di gusto mentre  Chris, stizzito, fece il verso a Chloe.
“Gne gne gne . Piuttosto sorellina, prestami il tuo skateboard che voglio andare sulla rampa.”
“Cosa?! No! Potevi prenderlo stamattina invece di usare la moto.”
“Come facevo a raggiungerti se tu stamani eri già partita tutta trafelata verso scuola?”
Mentre Caroline cercava invano di calmare i due fratelli, Alex percepì il ritmo ripetitivo di una musica e si voltò. Infatti, non poco distanti da lei, alcuni ragazzi che con lo stereo ad alto volume si esercitavano nella breakdance. Alex riconobbe la figura a torso nudo che le dava le spalle: Pelle abbronzata, spalle larghe, i capelli portati spettinati … era William.
Si avvicinò lentamente ai ragazzi i quali sorrisero. La ragazza si mise un dito davanti al naso intimando loro di fare silenzio.
William, dal canto suo, era tutto preso a guardare il ragazzo che si esibiva. Alzò appena gli occhi per vedere un suo compagno che ghignava osservando un punto ben preciso dietro di lui.  
Non fece in tempo a girarsi che qualcuno gli saltò addosso e per poco non perse l’equilibrio.  L’individuo gli mise le braccia intorno al collo. William riconobbe subito quei bracciali formati da delle piccole borchie a piramide e alla ciocca di capelli nera che era scivolata delicatamente sulla sua spalla; Sorrise.
Afferrò con una presa salda le cosce della ragazza e le fece mettere le gambe intorno al suo dorso in modo da stare entrambi comodi.  Gli altri ragazzi ancora sorridenti ritornarono alle loro prove guardando a volte di sottecchi i due.
“Per poco non mi facevi perdere l’equilibrio sciocchina. Potevamo farci male entrambi.”
La ragazza si limitò a sorridere, poi appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Ehi Alex, lo sai che sei pesante vero?!” 
“Non eri tu il ragazzo forte e muscoloso che poteva tutto?!” Rise lei in tono canzonatorio. 
“Non ho mai detto questo.” Disse facendola scendere.   Lei ancora sorridente gli si posizionò davanti.
“Sai sono molto migliorata con lo skateboard. E poi adesso ne ho uno tutto mio!”
“Finalmente te ne ha comprato uno, ma non illuderti tesoro perché alla fine ti batto sempre.”   Si mise le mani in tasca strizzandole l’occhio. Alex mise un finto broncio e cominciò ad attaccare con pugnetti giocosi il suo braccio. Il ragazzo rise perché sapeva che lei non avrebbe potuto fargli davvero del male.
Molte persone la reputavano come una ragazza dura e ribelle. Non le era mai piaciuto stare al centro dell’attenzione e per questo mostrava sempre uno sguardo indifferente su tutto.  Solo conoscendola meglio si può vedere la parte più dolce di lei; solo chi ha il dono dell’ascolto la può comprendere appieno.
Un suo compagno gli toccò una spalla e indicò qualcosa alla sua destra. Anche Alex si fermò per guardare.
Da lontano videro arrivare qualcuno. Era una ragazza; portava con fierezza i lunghi capelli castani e leggermente ondulati  da un lato e gli occhi erano altrettanto scuri.
Dovrebbe essere la fidanzata di William Pensò Alex facendosi da parte. La risposta arrivò subito.
“Will!” Esultò lei baciandolo con trasporto.  William l’abbracciò. “Ciao Phoebe.”  
Phoebe guardò Alex scrutandola dall’alto verso il basso; poi accennò un piccolo sorriso e strinse ancora di più il ragazzo a sé. Anche Alex cercò di sorridere ma quel gesto non le venne altrettanto bene.
“E’ meglio che vada.” Disse semplicemente e, senza lasciar tempo a nessuno di pronunciare parola, andò via.
Si sentiva una stupida. William era ormai diventato il suo migliore amico e un fidanzamento  poteva compromettere questo rapporto. Ma lui era popolare a scuola e di ragazze ne aveva avute molte.
Un giorno forse si lasciano le diceva maligna una vocina dentro la sua testa. Lei si riscosse come sempre; no non poteva  dirlo davvero. Questi pensieri egoistici non facevano per lei.
Guardò verso la rampa. Lì trovò un soddisfatto Christopher che con lo skateboard di Chloe  cercava di fare del suo meglio con qualche acrobazia. Sorrise perché sapeva che il ragazzo aveva vinto la battaglia con la sorella. Infatti Chloe guardava torva verso la rampa. Alex si avvicinò a Caroline.
“Come ha fatto Chris a vincere una battaglia contro Chloe?!” Caroline ridacchiò.
“Con il metodo a parer suo più semplice: Le ha soffiato lo skateboard da sotto il naso ed è corso via.” Le
due risero di gusto, ma appena lo sguardo torvo di Chloe si spostò verso di loro, si zittirono subito.
“Non hai mai provato ad andare su uno skateboard?” Chiese Alex a Caroline. Chloe si rianimò all’istante.
“Si! Perché non ci provi?”
Così Caroline, senza aver esposto alcun parere sulla loro idea, si ritrovò sullo skateboard di Alex tenuta da un braccio dalle due ragazze.
“Cosa devo fare?” Chiese con voce malferma cercando di stare in equilibrio.
“Datti una spinta con un piede.” Dissero loro, poi lentamente la lasciarono andare. Lei fece come le era stato detto.
Non è così male, pensò ma dovette ricredersi poiché, non sapendo come frenare, cadde rovinosamente a terra.  “Carol stai bene?!”  accorse Chloe. 
“Non eri così male.”  Intervenne Alex con un sorriso a trentadue denti. Caroline massaggiandosi la schiena la guardò male.
“Non mi fare quella faccia! Neanche io sapevo reggermi in piedi sullo skateboard all’inizio.” Le fece notare la ragazza.
 
Madison avanzò verso l’interno della palestra. Il professore stava seduto a compilare delle carte.
“Madison Hill, sei venuta in netto anticipo.” Le fece notare lui. La ragazza sorrise.
“Volevo esercitarmi un po’ da sola.” L’insegnate ci pensò su.
“Va bene signorina. Vada pure in campo io arriverò fra poco.”
Madison annuì e scese gli spalti che portavano al campo. Si tolse la giacca, poi prese nello sgabuzzino una palla abbastanza pesante. Cominciò a palleggiare avvicinandosi al canestro. Si fermò quasi a metà campo e, prendendola come una sfida personale, tentò di tirare il pallone da lì. Purtroppo il tiro non le riuscì bene e mancò di molto il canestro. Fece altri tentativi, ma nessuno le riuscì davvero.  
Quando all’ennesimo fallimento la palla le ritornò indietro, lei in uno scatto di rabbia la buttò con violenza a terra. Essa rimbalzò così forte in avanti che colpì un ragazzo che stava appena uscendo dallo spogliatoio che si trovava in fondo alle scale all’estremità del campo.  
L’individuo mugugnò un lamento massaggiandosi la testa. Madison arrossì imbarazzata.
“Perdonami , io…”
“Non fa niente, ma ti consiglio di fare un po’ di attenzione la prossima volta.” La interruppe lui mandandole la palla indietro. Aveva i capelli neri e corti ad entrambi i lati della testa; anche gli occhi erano altrettanto scuri.
Il ragazzo si mise all’altra estremità del campo per allacciarsi la scarpa. Lei per un po’ resto ferma al suo posto. Non le piaceva avere gente intorno quando voleva fare un allenamento del tutto personale. Aveva l’impressione di essere continuamente giudicata.
Nonostante tutto, tentò di fare qualche tiro dalla posizione iniziale. Questi però non andarono a segno. Sospirò frustrata; il ragazzo se ne accorse.
“Perché non ti avvicini di più? Qualche canestro sicuramente ti riesce.” Disse finendo di allacciarsi la scarpa. “So come si gioca a basket ti ringrazio.” Gli rispose brusca. “Voglio riuscire a fare canestro anche a grandi  distanze.” Il ragazzo non si fece intimidire dal tono della mora e le si avvicinò.
“Tieni male la palla.”  Madison a quella rivelazione arrossì.
“Sei nella squadra di basket femminile?”
“S-si.” Rispose un po’ titubante lei; sospirò. “Ammetto di essere molto agile, ma nel tiro a canestro non me la cavo così bene come le altre mie compagne di squadra.”
Lui la guardò intensamente con sguardo indecifrabile e lei se ne sentì trafitta. Poi le sfilò lentamente la palla da sotto il braccio. “Ti faccio vedere come la devi tenere.”
Si mise in posizione con lo sguardo concentrato rivolto verso il canestro.
“La presa della palla è fondamentale per preparare un lancio ben preciso: E’ tutto un lavoro di polpastrelli. Tieni bene le ginocchia piegate; poi con una mano ben aperta prendi la palla e la porti verso l’alto mentre l’altra mano l’appoggi come sostegno. Al lancio dovrai avere una completa distensione del braccio.”
Detto ciò lanciò la palla che entrò perfettamente nel canestro. Lei rimase colpita.
“Ora prova tu.”
Madison fece un lungo sospiro mettendosi in posizione. Cercò di procedere come le era stato detto e si preparò a lanciare. La palla rimbalzò sul canestro ma non entrò dentro.
“Sei andata bene stavolta. Continua ad esercitarti e vedrai che ti verranno dei tiri perfetti.” Le sorrise lui mettendosi le mani in tasca.
“Grazie.” Sussurrò Madison incapace di dire altro. Il ragazzo le riportò la palla, poi prese il suo borsone e si avviò verso l’uscita senza dire più nulla.
La mora lo vide allontanarsi, poi si preparò per un altro lancio. Questa volta, nonostante la grande distanza, la palla entrò nel canestro; Sorrise.
“Grazie.” Sussurrò di nuovo come se potesse sentirla, mentre le altre sue compagne cominciavano a
scendere in campo.
 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I giorni passavano; lenti e inesorabili per alcuni vivaci  e rapidi per altri. Caroline sapeva essere una ragazza molto scaltra e sociale per cui non fu un problema per lei fare nuove conoscenze.  Adesso non ci sarebbe più stato il problema di un possibile trasferimento. Dopotutto erano tornati nella città natale di Patricia e l’aver trovato un nuovo compagno aveva di certo minimizzato le probabilità.
Caroline si trovò ad uscire quasi ogni giorno e non aveva problemi a lasciare sua madre sola perché sapeva che ci sarebbe stato Jack con lei. Non sapere chi potesse essere suo padre le lasciava un amaro in bocca ma su questi pensieri aveva cominciato a rimuginarci meno frequentemente del solito. Chloe e Christopher l’avevano accolta molto volentieri nel loro gruppo e si sentì immensamente fortunata.
“Hai fatto tardi la scorsa notte.” Le disse una volta sua madre e lei sorrideva tra sé perché sapeva che anche lei era felice.
Così, una mattina si ritrovò seduta ad un tavolo fuori del bar con Chloe, Christopher e naturalmente Alex e Madison.
“Dobbiamo aspettare qualcun altro?” Domandò lei prendendo un po’ d’acqua dalla piccola brocca sul tavolo.
“Non saprei. Probabilmente William e Jonathan.” Rispose Madison.
“Jonathan…Jonathan  non lo conosco.”
“No infatti.  Ha diciott’anni come William ma ha abbandonato la scuola due anni fa. Non molto saggia come decisione.”  La ragazza sorrise.
“In compenso però lavora come Dj nei locali. Ed è anche molto bravo.” Intervenne Alex.
“E quando avrebbe cominciato?”
“Proprio due anni fa. All’età di Alex.” Sorrise Christopher guardando di sottecchi la diretta interessata. La ragazza per tutta risposta gli fece una smorfia. Non le piaceva che venisse sottolineato il fatto che era la più piccola del gruppo. Anche se solo di un anno.
“Vedo che sono famoso.” Disse una voce. Gli altri sorrisero alzando lo sguardo verso i due ragazzi che si erano avvicinati al loro tavolo. Caroline notò che Jonathan era molto scuro di pelle mentre i suoi capelli erano stati tirati indietro con delle treccine aderenti alla testa. Molto vistoso era inoltre il suo orecchino al lobo sinistro.
“Non darti troppe arie amico.” rise Wiliam battendogli una mano sulla spalla.
“Siete anche arrivati in ritardo. Io e Chris andiamo a pagare.” Chloe prese per un braccio il fratello e se lo trascinò via senza permettergli di aggiungere altro. Scese un breve silenzio, rotto dal vociferare di altre persone o ragazzi che erano seduti ai tavoli vicini.
“Restate con noi?”  Alex si voltò verso William che si trovava dietro la sua sedia.
“Io no; devo vedermi con Phebe. Mi accusa di averla trascurata in questi giorni.” Alzò le spalle. Caroline vide il volto di Alex corrucciarsi; un’espressione che non passò inosservata neanche al ragazzo. William mise entrambe le mani sulla spalliera della sedia e si avvicinò al suo orecchio.
“Lo so. Non mi sono fatto sentire spesso in questi giorni. Ma cercherò di farmi perdonare, te lo prometto. ”
Alex, incapace di controbattere, strinse l’estremità dei pantaloncini e cominciò a muovere nervosamente le gambe, fasciate da delle calze scure lunghe fino al ginocchio. Annui soltanto, poco convinta.
Il ragazzo sospirò. Sarebbe voluto restare e finire quell’imbarazzante conversazione, ma sapeva come era fatta Phebe. Era una ragazza esigente e un ritardo da parte sua  gli sarebbe costato una brutta discussione che sarebbe durata un giorno intero. Accarezzò la guancia di Alex con il dorso della mano; poi dopo un breve cenno a Caroline e a Madison andò via.
Jonathan si sedette al posto di Chloe ormai vuoto e cominciò a parlare animatamente con Madison.
Alex vedendoli sorrise e fece cenno a Caroline di spostarsi. La ragazza inarcò un sopracciglio perplessa, ma alla fine fece come le era stato detto. Entrambe si alzarono e si allontanarono dal tavolo lasciando i due ragazzi da soli.
“Fammi capire… Perché ci siamo spostate?” Alex le strizzò l’occhio.
“Devi sapere che Jonathan ha una cotta per Madison da qualche mese. Lei non lo sa ancora ma ho pensato di lasciarli in un po’ in santa pace. ” Caroline allora sorrise, complice. Restarono per un po’ a guardare in silenzio coppia, poi la loro attenzione venne attirata da un cane marroncino e di media altezza che si era avvicinato a loro. Caroline si lasciò intenerire subito.
“Ciao bello. Che ci fai qui tutto solo?” si abbassò per accarezzarlo mentre il pelo del cane gli solleticava la pelle. Alex incrociò le braccia; poi notò con occhio critico qualcosa di curioso in fondo alla schiena della ragazza.
“Un tatuaggio?” sussurrò. Caroline si alzò di scatto e si abbassò la maglia con aria colpevole.
“Hai un tatuaggio?” ripeté Alex sorpresa. Lei fece finta di guardare altrove.
“Si. E’ una semplice tribale, ma l’ho fatto di nascosto.” L’altra ghignò.
“Oh a quanto pare la nostra dolce e brava ragazza non è poi così brava.” Lei sorrise di rimando.
“Non è certo il primo che mi sono fatta.”
Poi si alzò di poco il pantalone della caviglia destra mostrando un altro tatuaggio: Stavolta era una luna contornata da tante piccole stelle che ammucchiate scendevano fino al dorso del piede.
“E’ bellissimo. Anche questo di nascosto?” Lei annui. “Sai credo di averti sottovalutata.”
“Non mi credevi capace?” Alex alzò le mani in segno di arresa.
“Lo ammetto. Si.”
“Beh immagino che tu ne abbia fatti molti.” Sorrise.
“Di tatuaggi non esattamente. Ma mi sono permessa di fare il mio amatissimo piercing all’ombelico e al naso. Ma sono stata beccata.”
“Già, immaginavo che i tuoi genitori non avessero approvato.”  Caroline si portò immediatamente la mano alla bocca. Si era completamente dimenticata che Alex era cresciuta senza padre e mettere in mezzo l’argomento ‘genitori’ sarebbe stato poco appropriato. Alex però parve capire e sorrise amaramente.
“Non ti preoccupare, non mi da fastidio. Ormai sono passati undici anni da quando non c’è più mio padre.”
L’altra si morse il labbro non sapendo che dire. Ma alla fine fu la curiosità a vincere.
“Perché è andato via?”
“E’ morto… un incidente stradale. Avevo solo cinque anni.”
Caroline rimase scioccata da tale rivelazione. Si trovava in una di quelle poche situazioni in cui era a corto di parole.
“M-Mi dispiace. Io… Non lo sapevo.”
“Lo so. Quelli davvero al corrente della cosa sono pochi. E a me non piace raccontarlo in giro. ”
“Capisco.” Rispose semplicemente. Alex accennò un sorriso, poi riprese.
“Sai, la gente a volte pensa di sapere un po’ troppe cose senza accertarsi di nulla. La verità è che mio padre lasciò la sua ragazza per poi mettersi con mia madre pochi giorni dopo. Te l’ha faccio breve: lei non lo accettò e in giro si cominciò a raccontare di un presunto tradimento. ”
Caroline le mise una mano sulla spalla. “Capisco. Non deve essere stato facile per te, soprattutto l’anno scorso. Eppure io penso che sotto quel velo di arroganza ci siano tante altre storie…chissà, magari anche peggiori. Ma la gente cambia argomenti in continuazione e presto o tardi anche questa storia verrà dimenticata. ”
“Ti devo confessare che mi sono sentita sola all’inizio dell’anno scorso. Ma forse era meglio così…”
“Non lo pensare neanche! Chi è solo è perduto. Ti resta solo un vuoto dentro che avrai bisogno di colmare prima o poi. Io mi sono trasferita più volte e le amicizie le ho trovate e le ho perdute.  Ero arrivata ad un punto in cui ero io a staccarmi dagli altri per paura di affezionarmi troppo. Alla fine ti ritrovi come in una sfera di vetro e ti tocca guardare tutta la scena da un angolo. Vedi persone soddisfatte e spensierate nel loro gruppo di amici e ti domandi: Quand’è che tocca a me? Quando posso avere un po’ della loro felicità? Per questo mi considero tanto fortunata in questo momento. E ricorda che tu non sei  e non sarai mai sola. Noi ne siamo un chiaro esempio.”
Alex sorrise quasi commossa. Un sorrise bello e sincero. L’abbracciò senza dire altro.
 
“Stai lavorando molto in quest’ultimo mese?” Domandò Madison eccitata.
“Ammetto di si. Sto ricevendo molte opportunità. Ma il giorno migliore sarà il tra qualche week-end perché si esibirà anche Alex, no?” Lei annuì.
“Wow, entrambi nello stesso locale. Credi che possa venire?”
“Tu devi venire! Tu e tutti gli altri. Anche a costo di fare lite con il capo per non farti pagare l’ingresso.”
Madison lo guardò scettica.
“Saresti davvero in grado di litigare con il tuo capo?” Lui si avvicinò al suo orecchio.
“Per te questo e altro.”  Sussurrò. La ragazza ridacchiò nervosamente e arrossì. Jonathan sorrise a quella reazione, quindi si alzò.
“Dove vai?”
“A cercare quei due pazzi di Chloe e Christopher e magari a farmi un caffè veloce. Torno presto.” Disse strizzandole l’occhio.
Madison sorrise e rimase da sola. Prese la borsa e iniziò automaticamente a rovistare dentro controllando che ci fosse tutto. Non c’era bisogno di farlo, ma per lei era un’abitudine. Sentì dei passi avvicinarsi ma non se ne curò. Non si accorse nemmeno che qualcuno aveva preso silenziosamente la piccola brocca sul tavolo. All’improvviso sentì solo qualcosa di freddo venirle addosso e che le bagnò i capelli e i vestiti. Si alzò di scatto togliendosi un po’ d’acqua dagli occhi. Non un grido, non un lamento; soltanto un lieve gemito che però non sfuggì a Caroline e ad Alex che, come le altre persone fuori dal bar, rimasero agghiacciate dalla scena. Madison alzò lo sguardo: alta, magra ma non eccessivamente, capelli rossi lunghi fin sotto il seno, leggere efelidi sul viso e una garza che fasciava il polso sinistro.
“Nicole!”
La ragazza la guardava con odio.
“Non riesco a credere che tu ne abbia approfittato. “ Sibilò a denti stretti. Madison non capiva.
“Cosa cavolo stai dicendo?”
“Per colpa di una stupida caduta ho dovuto fasciarmi il polso. E tu stronza hai sfruttato questa sventura a tuo favore per entrare nella squadra!”
Tutto questo dramma per questa cosa?
“Io non ho approfittato proprio di nulla e questo lo sai!”
“Tu hai solo un terzo della mia abilità!”
Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Seguirono lunghi attimi di silenzio.
“Io… Sono stata scelta, ma non ho ne ho mai tratto vantaggio.” Sussurrò.
“Sarei guarita in tempo!”
“Il dottore ti ha detto di non fare sforzi per un altro breve periodo dopo la cura! E poi non abbiamo tutto quel tempo. ”
“Chi diavolo sei tu per dirmi cosa devo o non devo fare? Di certo non mi faccio fare la ramanzina da qualcuno che non sa neanche tenere bene la palla!”
Improvvisamente Madison si ricordò dell’ultima volta che andò in palestra, quando quel ragazzo le insegnò come lanciare bene al canestro. Si erano ferite nell’orgoglio a vicenda. I modi di fare di Nicole erano solitamente bruschi e insopportabili, poiché riusciva a sminuire una persona anche con una semplice frase. Ma Madison abbassò ugualmente la testa, non sapendo come controbattere.
Nel frattempo Alex e Caroline erano rimaste al loro posto pietrificate. Quest’ultima non riusciva a capire chi potesse essere la ragazza e cosa potesse volere da Madison. Solo quando lei urlò il suo nome capì.
Nicole!
Era la cugina; la ragazza di cui Chloe le parlò in precedenza. Le avevano detto del suo carattere, ma non poteva restare indifferente. Fece per correre verso di lei ma all’improvviso sentì una presa salda sul suo braccio. Si voltò; era Christopher.
“Chris! Ma che diavolo… Lasciami andare!”
“So cosa stai per fare e non puoi andare. Non così!”
“Ma Madison ha bisogno di aiuto, quindi…” l’espressione del ragazzo si indurì.
“Quindi cosa? Hai intenzione di scatenare una rissa? E Dopo che farai?”
Era vero.  Avrebbe potuto andare lì e intrufolarsi in quello scontro. Tuttavia sapeva che la cosa non le riguardava e sicuramente non avrebbe tratto alcun vantaggio da ciò. Non era da lei essere così impulsiva.
Fece un passo indietro pensando sul da farsi, mentre sentiva la presa sul suo braccio allentare.
Alex, a differenza dell’altra, era nervosa e pronta a scattare. Si era già confrontata con Nicole in passato e i suoi modi di fare di certo non la intimorivano.  La vide prendere nuovamente la brocca sul tavolo e scagliare le ultime gocce rimate sul viso di Madison, che si ritrasse a causa del contatto dell’acqua con gli occhi. A quel punto Alex sapeva di aver raggiunto il limite della sopportazione e si precipitò verso l’amica.
“Alex no!”
La ragazza si frappose tra loro spingendo con forza Nicole in modo da allontanarla abbastanza da Madison.
“Va via e sta lontana da noi!” Urlò.
“Che diavolo vuoi? Questa è una faccenda tra me e lei e non ti riguarda.”
Certo, aveva ragione. Si stava intromettendo in qualcosa che non le doveva interessare, ma non si lasciò intimidire.
“Se non sbaglio io ho il diritto di difenderla. E tu invece non hai il diritto di venire qui e umiliarla in questo modo!”
Il cipiglio nervoso non scomparve dal viso di Nicole e afferrò Alex per un polso, stringendolo forte.  Madison era certa che le cose potevano mettersi anche peggio, così appoggiò le mani sulle spalle di Alex cercando di calmarla. Ringraziò mentalmente il cameriere che, uscito fuori , decise di intervenire.
“Ragazze ora basta. Siete pregate di risolvere le vostre divergenze fuori da questo bar.” Nicole lasciò la presa.
“Non vi preoccupate. C’è stato solo un piccolo incidente con l’acqua.” Disse dando un ultima occhiata sprezzante alla cugina; poi andò via. Tutti ritornarono ai propri affari come se il tempo avesse ripreso a scorrere. Di tanto in tanto però lanciavano delle occhiate a quello strano gruppo, artefici della confusione creatasi. Jonathan e Chloe uscirono pochi istanti dopo e lui corse ad abbracciarla. Si era trattenuta abbastanza e ora le lacrime uscivano copiose bagnandogli la camicia.
“Perdonami, sarei dovuto restare con te.”
“No. Non ha importanza… avrei solo voluto cavarmela.” Affondò il viso nel suo petto. “Ti prego andiamo via da qui.”
“Certo .” Sussurrò dolcemente lui; poi la portò via dal bar seguito dagli altri. Andarono il più lontano possibile da lì per dirigersi in un luogo meno affollato.
 “Stai bene?”
“No.” Rispose lei semplicemente in preda ai singhiozzi.. “Io… Io credo che andrò a casa.”
“Allora ti accompagno.” Madison scosse la testa. “E’ troppo distante e poi tu hai le prove. Farai  tardi!”
“Non posso lasciarti andare così!”
“Non preoccuparti.” intervenne Christopher. “Ci pensiamo io e Chloe ad accompagnarla.” Jonathan li guardò per un istante, poi annuì dando un bacio sulla fronte di Madison. Si salutarono in fretta prendendo ognuno una strada diversa. Alex e Caroline restarono da sole.
“E adesso?” Sbuffò Alex mettendosi le mani sui fianchi.
 “Adesso  cominciamo prima di tutto ad avviarci. Non vorrai restare qui tutto il giorno spero.” La prese in giro la mora. La ragazza sorrise e la seguì.
  

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Senza neanche accorgersene le due ragazze si ritrovarono a parlottare tra loro senza sosta nelle vie della città brulicante di gente. Entrambe speravano vivamente che Madison stesse bene. Certo, l’incidente al bar l’aveva buttata a terra, ma sfogandosi nel modo giusto si sarebbe sicuramente sentita meglio. Scoprirono di avere non poco in comune. Erano indubbiamente molto diverse sia esteticamente sia nei rapporti sociali; ma molte loro idee andavano in simbiosi fra loro. Camminando persero la cognizione del tempo e senza rendersene conto si trovarono davanti ad una casa semplice ma dall’aspetto molto accogliente.
“Oh, sono già arrivata a casa.” Le fece notare Alex. “Vuoi entrare?”
“Se non sono di troppo disturbo…”
“Piantala con tutto questo cerimoniale. Ti ho invitata io, quindi entra!”
La trascinò letteralmente alle porte di casa e una volta trovate le chiavi entrarono.
“Mamma sono a casa. C’è anche un’amica con me.”
“Ciao tesoro. Sei tornata prima del solito vedo.” Urlò Jane di rimando in modo da farsi sentire. Le ragazze si diressero nel piccolo salotto, dove trovarono la donna immersa nella lettura di un libro. Aveva i gomiti appoggiati al tavolo e la testa fra le mani. Alzò la testa e Caroline non poté fare a meno di notare che fosse molto giovane, forse anche più di sua madre.  Aveva il viso pallido incorniciato da dei capelli neri e sfilati che arrivavano poco più sopra delle spalle; mentre due occhi scuri la guardavano con curiosità.
Caroline si riscosse, quasi dimenticando le buone maniere.
“Salve. E’ un piacere fare la vostra conoscenza. Mi chiamo Caroline Barnes.” Jane la fissò per un po’.
Barnes... Barnes… 
Le ricordava qualcosa ma non sapeva cosa. Alla fine sorrise.
“Il piacere è tutto mio. Comunque puoi chiamarmi semplicemente Jane.” Poi si risolve alla figlia con aria saccente. “Hai visto com’è educata? Impara.” Alex sbuffò alzando gli occhi al cielo davanti ad una divertita Caroline.
“Si d’accordo come vuoi. Vieni Carol!” Disse sbrigativa trascinando via la ragazza da lì prima che potessero elaborare un complotto contro di lei.
La stanza era semplice. Un letto al centro con la spalliera che toccava una parete ricca di poster. Di fronte ad esso vi era invece un armadio alto e scuro; agli angoli della stanza c’erano precisamente lo skateboard e una chitarra messa con cura nella custodia. In definitiva si trattava di una stanza ordinaria. La grande finestra aperta illuminava la stanza e lasciava passare il vento la cui brezza la rinfrescava e muoveva quasi a ritmo le tende color indaco.
Si sedettero sul letto e iniziarono di nuovo a parlare. Lo sguardo di Caroline però si spostò più volte verso la foto appoggiata sul comodino accanto al letto. Alex la notò.
“Lui è mio padre.” Disse prendendola e mostrandogliela. Caroline la prese in mano con la paura di lasciarla cadere e romperla. La foto ritraeva un uomo dai capelli neri e leggermente spettinati che sorrideva verso l’obiettivo. Rivide gli stessi occhi azzurri di Alex in quelli del padre. Di lei invece si diceva spesso che assomigliasse alla madre. Sorrise.
“Penso che sarebbe stato un buon padre.” Alex annuì.
“E il tuo invece com’è’?” Caroline accarezzò col pollice la cornice della foto; il sorriso vacillò.
“Non ne ho la più pallida idea. Non lo conosco.”
Alex strabuzzò gli occhi. “N-Non hai un…”
“No.” La guardò negli occhi. “E francamente non è neanche una storia eclatante. Mia madre lo lasciò prima ancora di scoprire di essere rimasta incinta. Lui non lo venne mai a sapere e ora chissà… Ora magari avrà una moglie…dei figli…”
Alex abbassò lo sguardo. Aveva sempre pensato che dei suoi problemi nessuno si potesse interessare, che nessuno la capisse davvero. Adesso invece scopriva che qualcun altro provava le stesse sue angosce; eppure lei cercava sempre di non darlo a vedere. Sentì di essere stata alquanto presuntuosa.
“Mi dispiace.” Sussurrò in maniera quasi impercettibile. Caroline mise la foto al suo posto.
“Non importa, ci ho fatto l’abitudine. In fondo mia madre ha pensato davvero a tutto. Non un nome, non un indirizzo, neanche una descrizione… Sapeva che prima o poi sarei andata a cercarlo. Non a caso il cognome che porto è quello di mia madre.” Rise ironica. “Sai, da piccola pensavo che un giorno sarebbe tornato… Che avrebbe aperto la porta e chiesto scusa almeno una decina di volte. Saremmo diventati una vera famiglia. Ma alla fine si cresce e scopri che la vita non è una favola.”  Alex non seppe cosa rispondere così si limitò ad abbracciarla. Appoggiò la testa sulla sua spalla; poi sorrise. “Siamo più simili di quanto credi.”
 Stavolta Caroline rise di gusto. “Hai ragione. Però le differenze sono abissali!”
“Fammi un esempio.”
“Mai pensato di mettere in ordine la tua camera?”  La ragazza guardò la stanza, osservando con attenzione il letto sfatto e le pile di libri accatastati sulla scrivania. Soprattutto notò l’anta dell’armadio aperta con alcuni abiti ammucchiati fra loro e messi a posto in modo sbrigativo e con altri che erano addirittura caduti sul fondo.
“Ecco, io….No.” Sussurrò arrossendo; poi però si riscosse sbuffando. “Uffa, perché devi essere sempre così perfezionista? Io amo vivere nel mio disordine!” disse fiera. Caroline rise ancora stendendosi sul letto supina. Restò qualche minuto in silenzio a contemplare il soffitto. Allora cercò di cambiare argomento.
“Non sapevo avessi una chitarra. La sai suonare?”  disse indicando l’oggetto all’angolo della stanza.
“E’ ovvio!”  Rispose lei con entusiasmo tirandola fuori dalla custodia. “In realtà è solo d’accompagnamento perché solitamente io canto. Tra qualche week-end mi esibisco sai? Nello stesso locale dove lavora Jonathan.”
“Forte!” Esclamò l’altra mettendosi a sedere.
 “Vorrei esibirmi in posti di tutto il mondo un giorno. Lo so, è ambizioso come desiderio però adoro fare questo. Mia madre mi ha insegnato a suonare la chitarra ma per quanto riguarda la voce… Beh sono un autodidatta.”
Alex  iniziò a parlare a ruota senza mai fermarsi e Caroline si divertiva a vedere come si esaltava mentre cercava di collegare tutta la storia. Ascoltò tutto con pazienza: di come non aveva mai frequentato lezioni canore, di come era nata questa sua passione e addirittura di come si arrabbiava ogni qual volta che non le veniva una canzone alla chitarra. Dopo tutto quel parlare, Caroline osservò distrattamente l’orologio. Solo dopo pochi attimi si accorse effettivamente che ore fossero.
“Oh cavolo! Devo scappare!” Disse alzandosi in piedi come una furia.
“Dove?”
“Ho una lezione di pianoforte e se tardo chi lo sente a quello!?”  prese in fretta la sua borsa e Alex l’accompagnò alla porta.
“Oh, ciao Caroline. Non resti a mangiare da noi?” La ragazza si fermò sulla soglia.
“Mi piacerebbe molto Jane ma devo proprio andare. Ho un impegno.”
Jane le rivolse un sorriso affettuoso.
“Va bene. Comunque vieni più spesso, sei la benvenuta.”
“Grazie.” E detto ciò, scappò via.
“Allora come ti sembra?” Chiese Alex stiracchiandosi.
“Molto educata.” Rispose semplicemente la donna. Lei rise.
“Non avevo dubbi.”
La ragazza andò in camera sua lasciando Jane fra mille dubbi. Si sforzava di capire dove avesse già incontrato quel nome e quella ragazza.
 
Madison si trovava in palestra, in anticipo come l’ultima volta. Dopo l’accaduto al bar aveva il bisogno di rimanere un po’ da sola. Inoltre doveva sfogarsi in qualche modo e tenere il corpo in movimento l’aiutava molto. Interruppe l’allenamento solitario sedendosi sugli spalti con la palla ancora fra le mani.
Rispetto a Nicole era davvero così poco capace? Eppure il professore le diceva sempre che aveva delle ottime potenzialità.  Scosse la testa.
No, lei te l’ha detto solo per farti stare male.
Il suo rimuginare venne interrotto dall’eco di una porta che sbatteva. Sentì un rumore di passi e si rimise subito in piedi convinta che potesse essere  il professore. Ma chi arrivò dallo spogliatoio fu un ragazzo. Madison strabuzzò gli occhi.
Non è possibile, è quel ragazzo dell’ultima volta!
Anche lui si voltò e sul suo viso apparve un’espressione stupita.
“Di nuovo tu?” Disse senza pensarci. Madison alzò un sopracciglio.
“Si e potrei pensare la stessa cosa.”
“Scusa, non volevo essere sgarbato.” sussurrò lui colpevole; poi riprese canzonatorio. “Vieni sempre così presto in palestra?”
“E tu esci sempre così tardi dallo spogliatoio?” Rispose Madison stizzita. Stavolta fu lui ad alzare il sopracciglio.
Lei sospirò. “Perdonami . Ho avuto una spiacevole discussione e volevo restare da sola per un po’. E poi mettersi in moto aiuta a sfogarsi.”
Lui si limitò a guardarla con i suoi occhi penetranti. Madison abbassò lo sguardo. Si sedete di nuovo e fece dondolare nervosamente le gambe.
“E tu?” Chiese in un sussurro.
“Anch’io volevo restare solo. Avevo bisogno di pensare.”
“Capisco…”
Rimasero in silenzio per un po’, riflettendo sul da farsi. Volevano in qualche modo annullare quella situazione di imbarazzo.
“Mi chiamo Madison. Madison Hill.” Disse inaspettatamente lei alzando il viso.
“Ethan Harris .”
Lei annuì turbata dal silenzio che si era nuovamente creato. Infine prese coraggio e si avvicinò a lui con la palla ancora fra le mani.
“Ti piacerebbe fare una piccola partita uno contro uno?”  Ethan continuò a fissarla.
“N-non ti voglio costringere.” Si affrettò ad aggiungere. Lui sorrise.
“Certo, perché no?!”
Madison lo fissò per pochi attimi interdetta, poi ricambiò il gesto arrossendo lievemente.
Si posizionarono al centro del campo uno di fronte all’altra. Contarono insieme alla rovescia e quella mini partita poté iniziare. Madison scattò via come un lampo verso il canestro dell’avversario. Ethan rimase per un istante sbigottito dalla velocità della ragazza, poi corse cercando di raggiungerla.
L’affiancò sforzandosi di rubarle la palla. Furbamente però, la ragazza fece una finta, confondendolo e schizzò rapida lontano da lui. Riguadagnò la distanza di sicurezza, poi si fermò con ancora la palla che rimbalzava nella sua mano. Lui fece altrettanto mettendosi le mani sulle ginocchia semi piegate.
“Però! Sei…sei davvero molto agile.” Disse lui col fiatone. Lei rise e ricominciò a correre. Ethan decise di fare una mossa azzardata. Quando lei si preparò per lanciare, le andò dietro circondandole la vita con le braccia. Madison si lasciò sfuggire un urletto ma non demorse, stringendo la palla sotto il seno.
Entrambi ruotarono dando le spalle al canestro.
La ragazza prontamente si divincolò sfuggendo dalla sua presa. Si fermò, sorridente e ansimante.
“Non è giusto. Hai barato!”
“Lo so ma la prossima volta detta delle regole precise.” Le strizzò l’occhio. “E poi il fine giustifica i mezzi!”
“Tzé, non ci credo. La verità e che non volevi perdere contro una ragazza.”  Ribadì lei fiera.
“Beh è vero,  sono orgoglioso.” Ammise alzando le mani in segno di arresa. “Sai, mi piace il tuo modo di fare. Sei simpatica.”
“A-anche a me piace il tuo.”
Inaspettatamente sentirono la porta della palestra sbattere e un mormorio che man mano diventava più forte.
“Sono arrivate le tue compagnie di squadra immagino.” Le disse Ethan prendendo il suo borsone.
“Aspetta!”
“Mmh?”  Gli si avvicinò.
“Ecco… Vorrei che tu venissi la prossima volta.” Per un istante diventò rossa in viso, poi si riscosse cercando di sembrare più disinvolta. “Ti offro la rivincita.”
Il ragazzo ghignò. “Certamente e stai tranquilla che stavolta ti batterò.” La vide inarcare il sopracciglio. “Senza trucchetti!” Sospirò infine.
Madison rise dimenticandosi finalmente della brutta esperienza con Nicole.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Dopo quel giorno Madison si incontrò più spesso con Ethan. Le prime volte i loro incontri iniziavano con qualche momento di silenzio imbarazzante poiché entrambi speravano di non dire la cosa sbagliata. Ma non passò molto prima che i due si sciogliessero di più. Lui era solito aspettare che tutti i suoi compagni uscissero dalla palestra prima di risalire dallo spogliatoio. E la trovava sempre lì, sorridente ad aspettarlo. Giocavano e parlavano di molte cose. Madison sentì di potersi confidare. In squadra non aveva legato particolarmente con nessuno. Al contrario, loro erano molto legate a Nicole e ogni volta che passava di là tutte accorrevano mettendosi intorno a lei. Raccontava spesso dei netti miglioramenti del polso e a volte la guardava di sottecchi. Dopotutto Nicole era così: sapeva incantare con belle parole per attirare la gente  a se, ma conoscendola meglio si capiva davvero com’era  e di certo le sue compagne non la conoscevano così bene. Madison non voleva in alcun modo lasciarsi sopraffare ma allo stesso tempo non riusciva a sputarle in faccia tutto il suo rancore. Forse non sarebbe mai stata tanto coraggiosa e forte quanto avrebbe voluto essere.
“Forse nei rapporti sociali pensi di non essere nessuno ma dal punto di vista morale lei vale meno di niente in confronto.”
Si sentì quasi commossa dalle parole che Ethan le disse quel giorno e sembrò di porteci credere davvero. Talvolta lui le chiese di uscire. Dopotutto il loro rapporto si era evoluto ad un livello più alto di una semplice conoscenza e restare in palestra non avrebbe di certo aiutato.
“Ehi c’è un ragazzo sugli spalti che è rimasto seduto dall’iniziò dell’allenamento. Inoltre ha continuato a fissarti tutto il tempo.”  Le fece notare una volta la compagna sussurrandole nell’orecchio e Madison arrossiva perché sapeva che era lui.
Un giorno uscì dallo spogliatoio femminile rinfrescata e sorridente. Ethan non era potuto restare per motivi personali, però si sarebbero visti dopo l’allenamento. Attraversò in fretta il campo, ma chi trovò all’uscita della palestra non fu Ethan bensì Caroline e Christopher che l’attendevano a ridosso della porta. Caroline teneva in braccio la sua gattina Athena, che tra le sue carezze sembrava assopita. 
“Ciao ragazzi. Che ci fate qui?”
“Che domande, ti aspettavamo!” le rispose Christopher con ovvietà.
“Stavamo andando a Piazza Nephrite e siamo per caso passati di qua. Così abbiamo deciso di aspettarti. ” Ribadì Caroline. Madison parve in difficoltà.
“Ecco… Io non posso venire oggi.”
“perché?”
La mora si morse il labbro. Non aveva detto a nessuno del suo casuale incontro con Ethan. Aveva un certo pudore nel raccontarlo. Dopotutto non se ne sentiva il bisogno di parlarne, anzi pensava che gli altri non si sarebbero interessati più di tanto.
“Devo uscire con un’altra persona.”  I due si fecero più attenti.
“E’ un ragazzo?” Le domandò con un ghigno Caroline. Madison arrossì ma non ci fu il tempo di rispondere, poiché Ethan arrivò a passo spedito.
“Ethan!”
 Gli saltò al collo senza dare il tempo a lui di salutarla e l’abbracciò forte.  Lui rise di rimando ma quando incrociò lo sguardo di Christopher il sorriso gli morì sulle labbra. Quest’ultimo strabuzzò gli occhi. Madison sembrava non essersi accorta di nulla.
“Vieni, ti presento due miei amici. Loro sono Caroline e Christopher.”  Lo trascinò per un braccio davanti ai due. Caroline guardò di sottecchi accanto a se e vide Chris irrigidirsi. Era stranamente teso e non seppe darsi un motivo, però cominciava a pensare che la causa fosse quel ragazzo di nome Ethan.
Lui la salutò cortesemente poi fissò intensamente il ragazzo davanti a se. Non seppe dire cosa ci fosse nei suoi occhi; forse rancore, delusione... Le parve uno sguardo indecifrabile.
“Ciao.” Disse Christopher secco.
“Ciao.” Gli rispose lui con altrettanto tono. Madison li fissava stranita.
“Vi conoscete?”
Christopher aprì la bocca per dire qualcosa, ma non seppe esattamente cosa rispondere. Assentire avrebbe richiesto ulteriori informazioni e non sapeva come potesse reagire lei. Forse era meglio che vivesse ancora nell’ignoranza. Ma alla fine fu Ethan a dare la risposta al posto suo.
“No. Diciamo che ci conosciamo solo di vista.” Poi si rivolse di nuovo a lui. “piacere Ethan.” Disse porgendogli la mano. Ricambiò il gesto un po’ dubbioso ma sentì che stringeva troppo la mano. Sembrava lo facesse apposta per fargli male.
Nel corridoio scese un silenzio carico di tensione, spezzato dal miagolio di Athena appena svegliatasi.
“Forse è meglio...”
“Hai ragione. E’ meglio andare.” Lo interruppe bruscamente Christopher; poi prese per le spalle Caroline e la trascinò fuori da lì.
 
Erano quasi arrivati a Piazza Nephrite. Le persone passavano accanto a loro ma Chris le guardava senza vederle. Sembrava avere la testa altrove. Caroline vedeva che era molto silenzioso; un po’ strano da parte sua poiché era sempre vivace e con la battuta pronta. 
Infastidita si fermò di colpo.
“Cosa?”
“Cosa tu! Vuoi dirmi che cosa succede? E’ da quando abbiamo conosciuto quel ragazzo, Ethan, che sei diventato teso e silenzioso. Guarda che l’ho capito che tra voi due non scorre buon sangue!”
“No, non è nulla.” Borbottò lui vago. Quando però la vide con la fronte aggrottata e ancora ferma, sospirò.
“D’accordo, come vuoi. Vieni e ti spiego.”
La ragazza, palesemente soddisfatta, gli andò accanto riprendendo  a camminare. Lui rimase un po’ in silenzio, non sapendo come cominciare.
“Ecco… Lui era il fidanzato di Chloe.”
“Cosa?!” Constatò lei un po’ troppo forte. Si coprì la bocca con la mano.
“Scusa.” Sussurrò. “E che non me l’aspettavo… Non per impicciarmi dei fatti vostri, ma cosa è successo?”
“Beh, diciamo che i problemi cominciarono dopo pochi mesi. Lui non le rispondeva, usciva con altre sue amiche e lei diventava pazza di gelosia. Non facevano altro che litigare; a momenti sembrava che si ignorassero totalmente. Chloe è sempre stata una ragazza piena di vitalità e io non potevo lasciare che lei facesse finta di niente per poi restare in camera a piangere. Dannazione sono suo fratello, no?! Gli dissi più volte di lasciarlo stare, ma non voleva. Le piaceva molto Ethan, e si era accecata al punto tale da rimanere con lui per almeno due anni.”
“Ma tu non volevi fare finta di non guardare.” Continuò Caroline per lui.
“Assolutamente no! Nonostante tutto quel tempo non cambiò nulla. Allora decisi di andare da Ethan e gli intimai di stare lontano da lei.” Sospirò frustrato massaggiandosi la radice del naso. “Ma peggiorai solo la situazione. Quando erano a casa sentivo chiaramente le loro urla. Ma un giorno, non so come, fu lei ad aprire gli occhi. Dopo l’ennesimo litigio lo trovò alla mensa della scuola dove gli urlò in faccia tutto il suo disprezzo. Lo umiliò talmente tanto che dopo nessuno dei due voleva sentir parlare dell’altro. ”
Caroline ascoltò rapita tutta la storia. Le venne subito in mente lo sguardo sempre sorridente di Chloe, di come sembrasse rilasciare vitalità da ogni fibra del suo essere. Ma la felicità è uno strato così sottile che può essere facilmente infranto. Si chiese come avesse fatto a nascondere per tutto questo tempo il risentimento e la delusione che la vecchia relazione gli procurava.
“Mi dispiace tanto. Per entrambi.” Lui annuì lievissimamente.
“E Madison lo sa?” Chiese ad un tratto lei. Christopher scosse la testa con convinzione.
“No e poi preferirei che glielo dicesse lui stesso. Anche se non so se lo ammetterà mai.”
“Che proponi di fare?”
“Io aspetterei soltanto. Non voglio intromettermi di nuovo.”
Caroline annuì e sorrise fiduciosa, un gesto che lui non poté fare a meno di ricambiare. Le cinse le spalle col braccio e l’attirò a se. Lei sentì il cuore martellare forte in petto; non sapeva cosa fare o dire e semplicemente restò in silenzio camminandogli affianco.
Erano all’estremità della Piazza, mentre un piccolo gruppetto di ragazzi in skateboard si dirigevano nella direzione opposta alla loro. Athena, ancora tra le braccia della mora, si alzò mettendo le zampe anteriori sulla sua spalla incuriosita da quell’oggetto. Lei prese ad accarezzarle il dorso.
“Athena tranquilla, non è niente.” Sussurrò.
Ma la gatta non fu della stessa opinione quando un ragazzo passò a tutta velocità con lo skateboard sfiorando appena Caroline.
“Scusa.” Disse lui proseguendo per la sua strada, ma la gatta, spaventata, saltò via dalle braccia della padrona, graffiandola. Corse il più velocemente possibile verso l’albero più vicino e ci salì sopra, finendo su un ramo che dava sulla strada.
“Athena!”
La gatta emise un leggero miagolio cercando pian piano di scendere dall’albero, ma invano. Per poco non perse l’equilibrio e terrorizzata si accovacciò sul ramo. Christopher riuscì a scorgerla tra le foglie di quella ramificazione intricata.
“Accidenti a te.” Sussurrò come se potesse sentirlo. Caroline invece era di tutt’altro avviso. Si precipitò sull’albero e cominciò a salirci sopra.
“Che diamine stai facendo?”
“Non si vede? Recupero la mia gatta!”
Cercò di aggrapparsi da un ramo all’altro sentendo gli scricchiolii che essi facevano sotto le sue mani.
“Non provarci Caroline, scendi subito!” Ma lei non lo ascoltò affatto cercando ancora di salire. Era terribilmente lenta e dopo solo due rami sentì già le braccia stanche.
Christopher digrignò i denti salendo anche lui sull’albero con l’intento di prenderla. Era molto più alto e veloce di Caroline, che nel frattempo si era fermata a neanche un quarto del percorso, e la raggiunse dopo aver appoggiato solo due volte il piede sul legno. Le prese la vita con un braccio e la riportò a terra con un piccolo salto, sebbene potesse sfiorare il terreno allungandosi di poco.
La ragazza si divincolò dalla sua presa.
“Perché l’hai fatto?! Potevo farcela!” mentì. Lui aggrottò la fronte, segno che stavolta l’aveva fatto proprio arrabbiare.
“No che non c’è la facevi. Cosa diavolo credevi di fare, eh?! Non ci provare mai più!”
“Piantala di dirmi cosa devo o non devo fare! La mia gatta è la sopra e non sa come scendere, se non ci penso io…” Christopher la interruppe afferrandole bruscamente le spalle.
“Adesso sei tu a non capire. Cadere da un albero non è come cadere dalla sedia! L’ultima volta che ci provai mi fasciai il polso. Io lo sto dicendo per te dannazione!”
Caroline rimase spiazzata dalle sue parole. Solo in quell’istante capì di essere stata imprudente. Aveva anche ragione dopotutto.
“Scusa…” Sussurrò abbassando il capo. Christopher si strofinò il viso con le mani facendo un lungo sospiro, poi prese a guardare l’albero. La gatta miagolò il più forte possibile.
“Ci penso io ad Athena.”
“No aspetta! Non voglio che tu lo faccia a causa mia. Chiameremo qualcuno.” Lui abbozzò un sorriso iniziando a salire.
“Ci vorrebbe troppo. Tranquilla, l’ho fatto già altre volte.”
Era decisamente più abile di Caroline e si vedeva. Ci mise un po’ ad arrivare, sebbene Athena non si trovasse esattamente all’apice dell’albero. Sentì i rami più piccoli graffiargli la pelle. Dopo aver messo male il piede per poco non scivolò lasciandosi sfuggire un’imprecazione a denti stretti.
Riuscì finalmente a raggiungere il ramo dove si trovava la gatta e allungo il braccio. Athena, alla vista della sua mano, abbassò le orecchie e iniziò ad indietreggiare; quando però rischiò di cadere, si accovacciò nuovamente, terrorizzata.
“Adesso non osare fare i capricci!” Sibilò lui. Poi a tradimento gli mise una mano sotto il torace e la sollevò.
La parte più difficile sarebbe venuta ora. Cominciò a scendere cautamente facendo affidamento soprattutto sulle proprie gambe. Ad un certo punto però rischiò di perdere l’equilibrio e Athena impaurita si aggrappò alla sua mano con le unghie.  Christopher si lasciò sfuggire una smorfia di dolore, tuttavia riuscì ad aggrapparsi ad un ramo con la mano libera riuscendo ugualmente a non scivolare. Quando furono a poche braccia da terra saltò finendo, anche se un po’ malamente, in piedi.
“Ecco la piccola peste.” Disse porgendola alla legittima padrona.
“Athena!” Accorse Caroline riempiendola di coccole. “Mi hai fatto prendere uno spavento…” Sussurrò riconoscendo il brontolio sordo delle sue fusa.
Alzò il capo e a sorpresa posò una mano sulla guancia di Christopher. Era notevolmente calda, adatta per una fredda giornata come quella.
“Mi dispiace tanto Chris, ti sei anche fatto male.” Mormorò accarezzandogli col pollice il taglio che si era procurato. Lui sorrise al tocco delicato della ragazza e posò la mano sulla sua.
“Non essere sciocca e solo un taglietto. Domani sarà già sparito.”
“Noto anche che Athena ti ha graffiato.”
“Se è per questo anche a te.” Ribadì togliendo cautamente la sua mano dalla guancia per poi sfiorarla con le labbra. Caroline sentì un brivido scenderle lungo la schiena.  Era così dolce e amava il suo modo di fare, il suo modo di essere. Si chiese se questa sua attrazione fosse solo una brutta illusione, pronta a farla cadere nello sconforto in qualsiasi momento. Adesso però non le importava e almeno per un istante decise di crogiolarsi nelle sue piccole attenzioni.
“In ogni caso…” Disse lui mettendosi imbarazzato una mano dietro la nuca. “Ti ho rimproverato perché….Beh, non volevo che ti facessi male. Ci tengo…a te.”
Caroline si ripeté quelle parole nella testa più e più volte.
Ha detto che tiene a me…
Pregò che quella piccola luce di speranza non scomparisse. Non poté fare a meno di sorridere cercando però di nascondere l’euforia che quelle parole le avevano procurato.
Si riscosse improvvisamente sforzandosi di assumere un tono più ponderato.
“Grazie…” mormorò solamente, incapace di dire altro.
Christopher le scombinò i capelli divertito.
“Andiamo dagli altri se no finisce che ci tartassano di chiamate.”
Arrivarono al loro appuntamento coi compagni in netto ritardo. Trovarono delle impazienti Chloe e Alex che attendevano su una panchina. Quest’ultima appena li vide non poté fare a meno di rimproverarli.
Christopher cerco di sviare il discorso proponendole di fare una gara di skateboard. Alex rimase un po’ stizzita, ma la tentazione di poterlo battere fu più forte e accettò subito.
Chloe invece si avvicinò a Caroline e prese intenerita la gatta dalle sue braccia per poi iniziare a immergerla di affetto.
“Avete fatto un po’ tarduccio tu e Chris. Cosa stavate combinando?” Ghignò lei contro il suo orecchio. La ragazza capì quasi immediatamente l’ambiguità della frase e avvampò. Un po’ balbettante cercò di spiegare cosa era successo con Athena ma vide solo Chloe farsi sempre più scettica. Alla fine si rassegnò al fatto che, per quanto ci potesse provare, la bionda sarebbe rimasta esclusivamente sulla sua idea perversa.

ANGOLINO-INO-INO AUTRICE
Buooonsalve ragazzi! Siete collegati con il Tg delle 21:00 u.u 
In diretta per voi abbiamo Mojita che ci illustrerà le news del giorno.

ME: Abbiamo da segnalare il nuovo taglio di capelli audace di Jennifer Lawrence o del nuovo film di Checco Zalone da poco uscito delle sale.
Ma francamente di queste cose a noi frega poco perché abbiamo cose più interessanti da segnalare: Si ringrazia infinitamente tutti quei lettori silenziosi che hanno voluto leggere sta cosa storiella che a poco a poco sto aggiungendo. 
SMACK! :*

Bene, ora passiamo alle previsioni del tempoA te la linea.
Grazie, apparte il gelo che si sta lentamente espandendo su questo paese che aspetta con ansia un bianco Natale senza quella cosa chiamata scuola, abbiamo da aggiungere qualcosa di veramente importante: Ultimi aggiornamenti hanno intravisto un raggio di sole in mezzo a sto tempo di merda. Sembra che questo sia dovuto ad un bel disegno fatto da Tomocchan che si ringrazia tantissimo per aver speso un pò del suo tempo per questa storia.
Il link verrà posto qui sotto.
http://s1044.photobucket.com/user/Tomocchan/media/carolalex_zps8f5f8c28.jpg.html

 Grazie grazie e ancora grazie per aver disegnato le due protagoniste.
*Fa inchino.* Mi sento davvero apprezzata. :')
Bene signori, si ringrazia il tempo perso a leggere questo strano angolo autrice. Il telegiornale finisce qui, spero che continuerete a seguirlo.
Buona serata.
MOJITA <3
 


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Alex scese le scale che portavano nell’atrio principale della scuola. Appena ne aveva avuto l’occasione aveva chiesto il permesso di uscire. Se fosse rimasta in aula un altro minuto col professore di Storia dell’Arte, si sarebbe di sicuro addormentata. La materia le piaceva molto; tuttavia il modo di insegnare del professore lasciava molto a desiderare. Nonostante tutto però, doveva ammettere che era decisamente più affabile del vecchio Professor Stander.
Di fatto, l’anziano e burbero insegnante trovava sempre una scusa, anche la più sciocca, per sbatterla fuori dall’aula, talvolta anche con una nota. Il suo pessimo rapporto col signor Stander cominciò l’anno scorso a circa metà anno. Era solo un supplente in quel momento poiché la vecchia insegnante di matematica era in dolce attesa. Il primo approccio di Alex non fu dei migliori e da quel momento non avevano fatto altro che guardarsi in cagnesco a vicenda. Per questo sentì di essere spacciata non appena ebbe la notizia che lui sarebbe diventato il loro ufficiale insegnante di matematica.
Sospirò. Di scatto le venne un improvvisa voglia di caffè, anche se la mensa in quel momento era chiusa poiché era l’ultima ora. L’unica macchinetta sempre disponibile era quella interamente riservata ai professori. Camminò piano con fare distratto verso di essa e diede uno sguardo fugace.
Una professoressa con probabilmente un’ora di buco passò di lì parlando animatamente con una collaboratrice scolastica. Perfetto.
 Aspettò che girassero l’angolo e si precipitò verso la macchinetta. Se l’avessero scoperta in una zona non per alunni le avrebbero sicuramente fatto una ramanzina inutile e francamente lei non aveva alcuna voglia di sentirla. Senza contare che il professore non accettava che i suoi alunni chiedessero di uscire solo per andare a bere un caffè.
Stava per mettere i soldi nel dispositivo. Solo allora notò che c’era qualcuno nella nicchia formatasi fra il muro e il bordo della macchinetta.  Era una ragazzina, seduta a terra con le braccia intorno alle ginocchia e il capo chino. I capelli neri erano legati in una morbida treccia che finiva sulla spalla e la sua pelle era color caramello. Si chiese chi mai potesse essere, non ricordava di averla mai vista prima. A scuola, dopo un paio di mesi, cominci a riconoscerle le persone, anche solo di vista. Inoltre sembrava anche più piccola di lei.
Forse era la figlia di un insegnante; ma scartò subito l’idea visto che nei paraggi non c’era nessuno di loro e poi non sarebbe stato saggio lasciarla li sola in una scuola che probabilmente non conosceva.
Ad un tratto vide arrivare due ragazzi, lui aveva il braccio intorno alle spalle della sua ragazza. Probabilmente avevano chiesto il permesso di uscire per potersi incontrare.
La ragazzina alzò la testa e Alex vide che aveva due splendidi occhi grigio-verdi. Occhi che aveva già visto.
La giovane si precipitò subito verso i due ragazzi fermandosi davanti  a loro. Sicuramente non l’aveva vista.
“Scusate…conoscete per caso William Rivera?” Aveva una voce dolce, ancora da maturare. Ma qualcosa colpì particolarmente Alex.
William?! Cosa cerca da lui?
I due fidanzati scossero la testa. Ovviamente ne avevano sentito parlare, William era molto popolare a scuola. Ma non si poteva dire che molte persone lo conoscessero bene.
Quando i due se ne andarono, Alex vide la ragazzina stringere i pugni e battere con violenza il piede per terra. Decise di intervenire.
“Ehm ragazzina…” Lei si voltò guardandola storto. Forse non era il modo migliore di iniziare una conversazione. Stabilì che era meglio arrivare al dunque.
“Io lo conosco William. E’ un mio amico.” La vide rianimarsi subito e le si parò davanti. Sul viso lesse una forte determinazione.
“E lui è qui ora?” Ci pensò su.
“Se non sbaglio no. Il suo professore oggi è mancato e la classe ha avuto il permesso di uscire un’ora prima.”
La ragazzina abbassò gli occhi e Alex ebbe la netta sensazione che stesse per mettersi a piangere. Quando rialzò il viso però, aveva un espressione dura e orgogliosa.
“Grazie.” Disse solamente e fece per avviarsi verso l’uscita.
“Aspetta!” La chiamò Alex un po’ troppo forte. Cercò di abbassare il tono della voce. “Se dovessi vedere William, cosa gli devo dire? Chi gli vuole parlare?”
“Non importa chi io sia. Ma se lo vedi digli pure che è un idiota!” Detto ciò, andò via.
Alex rimase un po’ perplessa al suo posto. Chi era? Cosa voleva da William? E poi, perché idiota?
Guardò distrattamente l’orologio e si accorse subito che da quando aveva chiesto di uscire erano passati dieci minuti buoni. Si dimenticò totalmente il caffè e scappò in classe, sperando di non essere rimproverata.
Di una cosa però era certa: Sarebbe andata da William e avrebbe indagato!
 
La campanella suonò segnando la fine delle lezioni. Chloe uscì subito evidentemente di buon umore.
“Meno male che è finita. E’ stata una noia!” Proferì lei stiracchiandosi. Christopher la guardò torvo.
“Certamente! Non sei stata tu quella che si è fatta interrogare a Fisica!”
“Non preoccuparti Chris sei andato bene.” Le sorrise Caroline rassicurante. Chloe si avvicinò a lei.
“Si sono sicura che per te andrà sempre bene.” Le sussurrò strizzandole l’occhio. La ragazza alzò gli occhi al cielo. Da un po’ di tempo la bionda aveva preso a stuzzicarla per l’idea che si era fatta su lei e Christopher.
Non che non fosse tutto vero, anzi! Sentiva di provare qualcosa per lui ma allo stesso tempo aveva pudore nel dirlo, men che meno alla sorella.
Chloe si fermò davanti a Madison, che era appena uscita dall’aula.
“Allora cara, un uccellino mi ha detto che di recente ti sei vista con un ragazzo.” La guardò con un ghigno. “Chi è il fortunato?!” Sulle prime la ragazza la guardò sorpresa, poi inarcò il sopracciglio.
“Chi te l’ha detto?! Giselle? Rosemary?”
“E va bene è stata Lizzie! Però adesso sono curiosa.” Caroline e Christopher si lanciarono uno sguardo preoccupato. Se avesse scoperto chi fosse il suddetto ragazzo le cose si sarebbero complicate non poco.
“Beh… Noi ci siamo sempre incontrati in palestra, sai per parlare… Però da un po’ mi sta chiedendo di uscire.” Arrossì, ma Chloe le prese le mani sorridente.  “Sono immensamente felice per te!” Annunciò. Si voltò verso Caroline.
“Dimmi la verità, tu l’hai conosciuto. Chi è? Lo conosco?” Lei rimase interdetta.
Fin troppo bene…   Pensò subito. Prese a balbettare parole insensate, fin quando non vide oltre la  bionda.
Dannazione!  A quanto pare la fortuna quel giorno non era proprio dalla loro parte.
Ethan si avvicinò a Madison e  le mise le mani sugli occhi.
“Indovina chi sono…” Sussurrò contro il suo orecchio. La ragazza gioiosa scostò le sue mani e si voltò abbracciandolo forte.
“Ethan!”
Caroline vide il sorriso di Chloe vacillare lasciando spazio a uno sguardo vacuo, perso.
“Ethan…” Sussurrò preoccupata, più a se stessa che a qualcuno in particolare. Si voltò lentamente, quasi avesse paura di scoprire chi fosse in realtà, e quando lo vide cominciò a sentirsi turbata.
Madison , ancora abbracciata a lui, non si era nemmeno resa conto dello scambio di sguardi tra i due.
Ethan la stava guardando intensamente.
Nonostante tutto ciò che era accaduto tra loro si era comportata con naturalezza, come se niente fosse successo. Ricordava perfettamente che invece, dopo la loro rottura, lui si rifugiava in palestra scaricando tutta la tensione e la rabbia. Inizialmente funzionava e gli piaceva: gli dava un senso di calma, uno scacciapensieri naturale. Ma cominciò a farsi inutile, perché fuori da quelle quattro mura tutto cambiava. Erano lo scandalo del mese in quel momento. Molti lo guardavano di sottecchi e bisbigliavano fra di loro, altri lo deridevano apertamente perché si era lasciato umiliare davanti a tutti da una ragazza.
Madison invece gli aveva dato un nuovo motivo per venire in palestra. In sua compagnia stava bene e quei tormenti diventavano solo un flebile ricordo. Ma ora tutto si faceva nuovamente reale e sapere che lei non era mai stata vittima dei loro insulti lo faceva ribollire di rabbia.
“Allora Ethan, dove hai intenzione di portarmi oggi?” domandò lei con sguardo affascinante.  
“Io…” Non sapeva che dire. Spostò gli occhi a turno sulle due ragazze. Rancore e sentimento lo pervasero contemporaneamente confondendolo.
Lo fece d’istinto: Prese il volto di Madison fra le mani e la baciò con trasporto. In un primo momento lei rimase interdetta, domandandosi il perché di quel gesto in modo così avventato. Ma poi si disse che non aveva importanza e si lasciò andare a quelle nuove emozioni che quel gesto le procurava.
Caroline era sconcertata. Non pensava sarebbe arrivato al punto di baciare Madison davanti a lei. Girò la testa verso Chloe che teneva lo sguardo fisso davanti a quella scena; nei suoi occhi il nulla.
Quest’ultima si voltò verso il fratello.
“Senti Chris, io adesso torno a casa. Se vuoi resta pure, io… non ho voglia di trattenermi un altro minuto di più.” Lui le mise una mano sulla spalla.
“Chloe non dargli importanza, lascialo perdere.”
“Non m’importa! A quanto pare Madison non ha ancora capito con che persona ha a che fare.”
E senza aggiungere altro andò via.
“Chloe aspetta…” Sospirò frustrato. “Caroline ti prego va con lei.” La ragazza non se lo fece ripetere due volte, annui e cercò di raggiungerla.
Nel frattempo Madison si era staccata da lui per recuperare aria.
“Wow. Questo non me l’aspettavo.” Sussurrò mettendogli le braccia al collo. Ethan sorrise appoggiando la fronte sulla sua. Successivamente si girò verso Chloe ma notò che non c’era. Se n’era andata; chissà cosa aveva pensato. In compenso però suo fratello era lì, appoggiato al muro, che lo fissava con odio.
“Un momento, dove sono le altre?” Chiese Madison non vedendo le sue amiche e Christopher dovette mentire.
“Ecco…Chloe è dovuta andare perché… Kathrin l’ha chiamata urgentemente e si è trascinata dietro anche Caroline. Però mi ha detto di farti tanti complimenti. ”
La scusa non stava minimamente in piedi, di fatti vide la mora sempre più sconcertata. Ma non le lasciò il tempo di commentare. “Emh… Posso parlare da solo con Ethan? Da uomo a uomo.”
Lei sorrise stranita. “Tu sei strano oggi.” Commentò. Ethan  le diede un bacio sulla guancia e le sussurrò qualcosa che Christopher non sentì. Poi si avvicinò a lui mentre la sua amica Josie si precipitava su Madison cercando di farsi raccontare tutto nei minimi particolari.
Se lo ritrovò faccia a faccia reggendo il suo sguardo con un espressione di sfida. Lo faceva talmente arrabbiare che per trattenersi dovette stringere forte i pugni tanto da far sbiancare le nocche.
“Cos’è, adesso pur di farla pagare a mia sorella ti inventi certi trucchetti?! ”
“Non so di cosa tu stia parlando.”
“Ah davvero?! E come mai, guarda caso, hai baciato Madison, una sua amica, davanti a lei?!”
Era nel giusto e Ethan lo sapeva.
“A me piace Madison.” Ed era vero. Gli piaceva il suo modo di fare, di essere…gli piaceva lei! Ma rivedere Chloe, indifferente a tutto ciò che è stato e successo, gli aveva fatto perdere il lume della ragione. Ma lui non avrebbe mai potuto credergli, non ora che aveva compiuto quel gesto irruente. Maledisse il suo essere impulsivo.
“Allora provalo! Ma ti avverto!” Sibilò con rabbia Christopher. “ Prova ancora a tormentare mia sorella e io…”  
“Tu cosa?! Allora vieni qui, fa il duro, picchiami… Innesca una rissa se vuoi! E come ti giustificherai? Non hai prove per dire che quel che sto facendo è un modo per vendicarmi di Chloe. Ti ripeto che lei mi piace!”
Si allontanò, andando verso la ragazza che lo stava aspettando. Le circondò le spalle con un braccio.
“Ciao Chris e salutami le altre!” Lo salutò lei facendogli un cenno con la mano. Christopher increspò le labbra in un breve sorriso, il tempo di salutarla, poi tornò serio. Madison infine si rivolse a Ethan.
“Cosa vi siete detti?” Sussurrò interessata. Lui la baciò.
“Nulla. Non ha importanza.”
Entrambi se ne andarono lasciando Christopher solo fra mille pensieri. In uno scatto di rabbia diede un calcio al muro.
 
“Chloe ti prego aspetta!” Caroline stava cercando di raggiungere la sua amica che sembrava aver accelerato il passo con l’intento di seminarla.
“Caroline, non voglio essere maleducata, ma cosa vuoi?” La ragazza le si accostò, poiché l’altra aveva cominciato a rallentare.
“Volevo sapere solo come stai. Mi spiace per quello che hai visto.” Chloe la guardò e le sorrise amara.
“Christopher te l’ha detto vero?” Caroline si morse il labbro. Forse non era il caso intromettersi in qualcosa di così privato.
“Si, ma perché chiesi io di dirmelo! Quando lui e Chris si sono rivisti hanno cominciato a guardarsi con odio e io volevo solo sapere...”
“Ehi, guarda che non c’è bisogno di giustificarsi, né di giustificare lui. Non c’è alcun problema. Dopotutto, quando ci lasciammo, il dramma era già sulla bocca di tutti.” Se lo ricordava bene quell’anno. La città in cui vivevano non era molto grande e soprattutto nelle scuole nessuno passa inosservato. Soprattutto se è un’atleta o un bravo giocatore di basket come Ethan.
Si fermò di colpo sentendosi le guance bagnate. Stava piangendo. Caroline era sorpresa, non aveva mai visto una reazione simile da parte sua.
“S-scusami…” le disse Chloe in preda ai singhiozzi. “Non so perché sto piangendo. I-io..” L’altra l’abbracciò facendola singhiozzare sulla sua spalla.
“Hai solo bisogno di sfogarti un po’. Lasciati andare.” Sussurrò dolcemente.
“Sono stata una stupida! Due anni della mia vita…Del tutto inutili. Sprecati!”
“Ora è passato. Non essere così cattiva con te stessa. Semplicemente credevi di poterlo accettare perché ti piaceva.”  
La lasciò piangere in silenzio, sperando che potesse sentirsi meglio dopo. Quando si fu calmata Chloe sciolse l’abbraccio tirando su col naso.
“Io non voglio che Madison paghi le conseguenze di un nostro errore.”
“Non lo farà. Probabilmente quando si sono conosciuti lui non sapeva neanche che fosse una tua amica. Magari le piace veramente.”
“Lo spero.” Sussurrò. La mora sorrise riprendendo a camminare insieme a lei.
“Caroline…”
“Si?”
“Grazie.” Sorrise e lei non poté non ricambiare il gesto. Poi inaspettatamente mise una finta espressione vanitosa.
“Modestamente sono troppo brava.” Si guardò distrattamente le unghie facendo una faccia talmente buffa che fece ridere Chloe.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Alla fine era stata rimproverata dal professore a causa della sua permanenza fuori dall’aula di ben dieci minuti e oltre. Ma nessuno ci diede troppa importanza, soprattutto Alex stessa poiché di rimproveri ne aveva ricevuti anche peggiori. Si limitò soltanto a fare un po’ di scena. Tra l’altro l’ultima campanella era suonata e le lezioni erano finalmente finite.
Uscita dalla scuola prese a riflettere su dove potesse essere andato William. Sapeva che usciva spesso e aveva molti interessi quali la Break Dance. Senza contare la sua bravura nel balli di coppia latini, di cui i genitori erano insegnanti. Una volta le raccontò di come suo padre Leandro avesse cercato di conquistare Gabrielle con passi di bachata. Era ispanico e la danza c’è l’aveva nel sangue.
Però dubitava che si trovasse nella scuola e adesso c’era anche Phoebe e non sapeva dire quante volte si vedessero. Francamente non ci teneva neanche a saperlo e sperò vivamente che non fosse con lei in quel momento: L’ultima volta che l’aveva vista l’aveva squadrata dall’alto in basso per poi stringersi forte a William, quasi a sancirne la proprietà. La infastidiva il solo pensiero.
Ma non poteva rimuginarci su, le era solo d’impiccio al momento. Poi d’impulso le venne in mente il solito locale dove i suoi compagni preferivano andare. Zalenia era un cocktail bar ed era così apprezzato da loro solo perché le bevande costavano di meno rispetto ad altri posti. E fu proprio lì che lo trovò, insieme a due amici. Fu  molto fortunata ad incontrarlo subito, non senza essersi fatta prima un intero giro della piazza.
“William, ti ho trovato.” L’aveva trovato seduto ad ascoltare la conversazione dei due.
“Alex! Che succede?” Alex guardò di sfuggita i suoi compagni notando che uno la guardava con semplice curiosità, mentre l’altro sembrava avere uno sguardo da lupo affamato, cosa che la infastidì molto.
“Ecco… Non so se te l’hanno detto…” Se già sapeva della ragazzina significava essere andata li a vuoto; senza contare la brutta figura che rischiava. “A scuola, un’ora dopo che te ne sei andato, è venuta una ragazza. Ti stava cercando, non so perché. Sembrava tenerci molto a vederti.”
William sulle prime aggrottò la fronte riflettendo su ciò che le aveva detto Alex. Poi spalancò gli occhi in preda ad una terribile consapevolezza. Sembrava essersi ricordato di qualcosa.
“Come era fatta questa ragazza? Che caratteristiche aveva?”
“Beh…Non sembrava della nostra età ma mi è parsa più piccola. Precisamente non so di quanto. Aveva anche i capelli neri e lunghi e gli occhi erano…”  Poi Alex guardò il ragazzo in viso, turbata da quegli occhi grigio-verdi che aveva visto. “Erano come i tuoi…”
Non riuscì ad aggiungere altro. William di fretta prese la giacca e se la infilò.
“Ehi Will dove vai?” Chiese un suo compagno.
“Devo assolutamente scappare. Poi mi raccontate come è finita la storia.”
Alex lo raggiunse fuori dal locale afferrandogli la manica.
“Aspetta. Che succede?”
“E’ una lunga storia Alex. Grazie per avermi avvisato, ma…” La ragazza gli si parò davanti mettendo le mani sui fianchi.
“Ho almeno un po’ il diritto di sapere o no?!” Si passò una mano fra i capelli sospirando.
“Quella ragazzina si chiama Amber ed è mia sorella.” Alex strabuzzò gli occhi. Non sapeva che avesse una sorella più piccola. Non gliel’aveva mai detto.
“Cosa è successo?”
“Che sono un idiota! Ero stato incaricato di andare a prenderla dopo scuola. Voleva andare alla lezione di giapponese fuori città. Ma l’ho dimenticato come uno stupido!” Si massaggiò la radice del naso cercando di calmarsi. “Sai dov’è andata?” Alex scosse la testa con vigore.
“No. Se ne è andata senza dare spiegazioni. Magari è tornata a casa.”
“La conosco. Non è tornata affatto. E’ una peste e una ribelle. Se ne sarà andata in giro chissà con chi. ” Alex rifletté su cosa fare. Sapeva di esserci entrata troppo dentro per lasciare che lui se la cavasse da solo.
“Allora andiamo a cercarla!”
“Andiamo?”
“Si! Due paia di occhi sono meglio di uno no?! Fammi venire con te, ti prego.”
La ragazza lo stava fissando intensamente, quasi con tono di supplica. Rimase in silenzio per un po’, ma di certo non c’era tempo da perdere. Alla fine sospirò arrendendosi.
“Va bene. Vieni alla macchina.”
La sua automobile era parcheggiata poco distante. Era di un grigio metallizzato che ad Alex piacque subito.
“Non sapevo avessi una macchina.” Esclamò facendo un giro attorno ad essa.
“Piccolo gioiello di mio padre.” Le rispose fieramente William sedendosi al posto guida. Lei invece gli si sedette accanto.  Continuò a guardare l’interno meravigliata, ma qualcosa ruppe l’incantesimo.
Il cellulare che William aveva appoggiato vicino al portasigarette vibrò. Lo prese per vedere chi lo stava chiamando. Fece una smorfia quando vide il nome sullo schermo.
“E’ Phoebe. Ti sta chiamando.” Dichiarò porgendogli il cellulare. William borbottò qualcosa di incomprensibile, poi rispose.
“Phoebe… No, non penso di farcela… Si, lo so che te lo avevo promesso…”
Probabilmente avevano un appuntamento che William aveva dovuto disdire. Alex sbuffò. Cominciò a tormentare distrattamente la sua frangia, pettinandola a volte con le dita. Lo faceva tanto per non pensarci. Nel farlo, però, sbatté forte il gomito sul vetro lasciandosi sfuggire un mugolio di dolore. Phoebe doveva averla sentita perché la udì dall’altra parte del telefono mentre cominciava ad alterarsi.
“Chi c’è li con te?! E’ una ragazza, l’ho sentita!” La ragazza si morse il labbro guardando il ragazzo colpevole.
“E’ solo un’amica...” Cercò di recuperare al danno di Alex, ma l’altra lo interruppe bruscamente urlando.
“E tu, invece che con la tua ragazza, preferisci stare con questa tua amica?! Dimmi chi è! La conosco?”
“No.” Mentì lui. Ricordava che si erano viste una volta soltanto. Ma anche una semplice affermazione sarebbe bastata per farla risalire a lei. Scese dalla macchina. Non voleva far sentire quella conversazione ad Alex. Da un po’ di tempo aveva davvero cominciato a chiedersi come avesse fatto a rimanere incastrato in quella relazione. La verità era che Phoebe voleva solo un’avventura. Sapeva che era popolare, soprattutto nei primi anni, e per un po’ si era compiaciuto di ciò. Ma perché era così noto?
Ricordava perfettamente a quante ragazze aveva rubato il cuore per poi romperlo in mille pezzi quasi subito. Approfittatore, ecco cos’era stato!
Adesso però era deciso più che mai ad avere una relazione seria. Ma quante bugie erano uscite dalle sue labbra? Probabilmente pochi l’avrebbero preso sul serio in questo momento.  Sapeva cosa voleva Phoebe. L’intento principale era vantarsi di come avesse fatto a mantenere a lungo una relazione con il volubile William. Forse non era la ragazza adatta? Forse l’unica che poteva apprezzare davvero le sue qualità era la persona che gli stava più vicino? 
Alex rimase in macchina, in silenzio. Aveva le braccia incrociate sotto il seno e martellava il piede nervosamente. Sperò che la conversazione non andasse per le lunghe. Dovevano andare a cercare Amber dopotutto. Invece lei non stava facendo altro che lamentarsi sul perché William non potesse vedere le sue amiche.  Sicuramente era solo una viziata abituata ad avere tutto ciò che voleva; o almeno così pensò.
William rientrò poco dopo, mettendosi il cellulare in tasca.
“Cosa le hai detto?” Sussurrò lei incuriosita. William prese a partire mettendo la marcia.
“Niente, solo che l’avrei chiamata stasera.” Rispose secco. Il viaggio fu molto silenzioso, quasi troppo. William fece un intero giro della piazza cercando di scovare sua sorella, ma non vide nessuno. Decise allora, anche se un po’ scettico, di provare a passare dalla sua scuola.
Alex guardava distrattamente fuori con il gomito appoggiato al finestrino e la testa sulla mano. Non le piaceva affatto quel mutismo; decise allora di parlare.
“William…”
“Si?”
“Scusa.” Lui continuò a guardare la strada, ma sul suo viso si era formato un’espressione stranita.
“Per cosa?” Alex abbassò lo sguardo stringendo le mani sul sedile.
“Avrei dovuto fermarla…ad Amber. L’ho lasciata andare via senza domandarle nulla e adesso si trova chissà dove. Senza contare che a causa mia hai litigato con Phoebe.”
Guardò di sottecchi il ragazzo. In un primo momento non disse nulla, poi inaspettatamente sorrise. Le poggiò una mano sul ginocchio accarezzandolo in modo rassicurante.
“Non fartene una colpa. Lo sbaglio l’ho fatto io e sono stato uno stupido. Inoltre non preoccuparti affatto di Phoebe. Vedrai che domani sarà già tutto risolto.” Alex pensò di crederci davvero, anche se vedere ancora quella ragazza manipolare William non le piaceva per niente.
 
Passarono dalla scuola di Amber entrando persino nel cortile. Nulla. Non che William si aspettasse altro. Dopotutto che senso avrebbe avuto tornare indietro?
Non poteva essere tornata a casa, i suoi genitori l’avrebbero sicuramente chiamato. Quasi disperatamente decisero di farsi in macchina un tratto della strada che William e Amber avrebbero dovuto percorrere per andare a quel corso di giapponese. Ma anche li non trovarono nessuno. Tornarono indietro girando tutte le zone più popolate della città. Sostarono in un parcheggio vicino ad una fontana, dove i bambini si divertivano a schizzarsi l’acqua a vicenda.
“Dove diavolo è?! dannazione!” Appoggiò la fronte sopra il volante. “Sono un pessimo fratello maggiore. Come ho potuto scordare questa faccenda con mia sorella?!”
Alex gli mise gentilmente una mano sulla spalla.
“Vedrai che la troveremo. Cerca di ricordare il posto più ovvio in cui è potuta andare.”
“Non ricordo. Non so niente, dannazione!”
“Basta William. Calmati e rifletti come si deve se no non concluderai niente!”
Tutto sommato aveva ragione . Restò fermo e in silenzio a riflettere. 
Il posto più ovvio in cui è potuta andare…
Improvvisamente qualcosa lo colpì. Adesso ricordava. Era un luogo per lui importante e dove non si erano ancora recati. Mise subito in moto la macchina, partendo di corsa.
“Dove stiamo andando?” Domandò Alex frastornata. Ma non ricevette alcuna risposta.
Solo quando si fermarono notò che si trovavano vicino alla spiaggia. Ricordava perfettamente che William abitava a pochi passi da li.
“Torni a casa o…”
“Dobbiamo andare in spiaggia.” Lei lo guardò scettica.
“Fidati.” Le disse lui. Avanzarono. “Questo è il posto in cui trascorrevo parte della giornata. Adoravo sentire il vento sul viso e il rumore del mare, perché avevano un effetto rilassante. Così rilassante che sembrava che tutti i pensieri se li portassero via le onde. Ricordo che altre volte mi sono anche addormentato.” Gli scappò una risatina al ricordo. “Solitamente andavo quando ero più piccolo. Poi ho cominciato a crescere e le mie permanenze qui divennero sempre più rare. Così un giorno portai anche Amber qui perché volevo che provasse le stesse sensazioni.”
Alex pendeva dalle sue labbra. Aveva ascoltato rapita ogni sua parola e pensò che fosse davvero un ragazzo speciale. In fin dei conti sapeva già che era davvero gentile.
“Sei davvero molto dolce.” Gli confessò.
“Ognuno ha i suoi momenti.” Le ripose lui ridacchiando; poi abbassò la voce.
“Però per favore non raccontarlo in giro.”
Lei sorrise. Lo sapeva, sempre il solito orgoglioso. Proprio come lei.
Gli fece l’occhiolino riprendendo la ricerca di Amber.
La trovarono seduta sulla sabbia, mentre contemplava il mare. William aveva avuto ragione.
Doveva aver sentito il rumore sordo dei passi sulla sabbia perché si voltò per vedere chi fosse. La videro sbarrare gli occhi solo per un momento, poi si rigirò totalmente indifferente. Alex solo ora vedeva quanto simile era al fratello. Con un’osservazione più accurata avrebbe potuto dirlo molto prima.
William si diresse a grandi passi verso di lei, arrabbiato come non lo era mai stato. Le si parò davanti.
“Amber si può sapere dove diavolo sei stata?! Avresti dovuto tornare a casa!”
Lei mise le ginocchia contro il petto, guardandolo impassibile.
“Non guardarmi così! Perché non sei tornata a casa?!” Urlò lui scandendo l’ultima frase.
“Non volevo. Ho incontrato degli amici e sono uscita con loro. Poi hanno dovuto andarsene e sono venuta qui.”
“Non avresti dovuto farlo.” Si mise in ginocchio fiutando qualcosa. “Come ti sei permessa Amber? Hai bevuto!”
La ragazzina distese improvvisamente le gambe, spalancando gli occhi colpevole.
“Non è come pensi! Jason stava bevendo un po’ di birra e io volevo solo provarla. Ne ho bevuto pochissimo, ma è amara. Non mi piace! Lo giuro!”
Non ci fu verso. William le diede uno schiaffo che risuonò nel silenzio della spiaggia, fortunatamente vuota.
Per Amber il colpo fu così forte da farle venire le lacrime agli occhi.
Alex accarezzò il braccio del ragazzo, tentando di calmarlo.
“William, basta.”
“No! Non doveva farlo. Ha solo dodici anni!” Non l’aveva mai visto così arrabbiato. Ma non si lasciò intimorire.
“Conosco un’altra persona che faceva questo genere di cazzate.” Sussurrò alludendo a lui stesso.
“So cosa vuoi dire. Ma sono cambiato no? E io non voglio assolutamente che lei faccia come me.”
“Lo so, lo so.”
Presero a guardare Amber, che nel frattempo si era messa a piangere mettendo la testa tra le ginocchia.
Non fecero nulla, nemmeno consolarla. Li avrebbe respinti considerandolo un sopruso.
Alex vide William stringere i pugni e poi rilasciarli. Probabilmente non sapeva come reagire. Solo quando la ragazzina si calmò, lo vide avvicinarsi di più a lei per mettergli una mano sulla spalla.
“Amber, mi hai fatto davvero preoccupare stavolta. E se ti fosse successo qualcosa?”
“I-io ci tenevo ad andare lì.” Sussurrò lei tirando su col naso.
“Lo so e mi pento di questo. Sono stato un idiota. La prossima volta giuro che ti ci porto. E’ una promessa. Per ora… Io perdono te e tu perdoni me?”
Amber annuì asciugandosi le lacrime con la manica. Poi inaspettatamente lo abbracciò. William inizialmente rimase un po’ spiazzato, visto che la ragazzina non si era mai permessa un simile affetto nei suoi confronti. Dopo sorrise, abbracciandola a sua volta.
“Torniamo a casa?”
“Si…” Sussurrò lei sulla sua spalla. Dopo un po’ si alzò guardando sia lui che Alex. Quest’ultima rivide nei suoi occhi la stessa determinazione e durezza che aveva la prima volta che l’aveva incontrata.
“Non dite a nessuno che ho pianto. Nemmeno a mamma e papà.”
Stesso orgoglio del fratello, se lo doveva aspettare.
“Non lo faremo, non ti preoccupare.” Le sorrise lei. Anche William si alzò.
“Alex, casa nostra è qui vicino. Portiamo Amber dai miei e poi ti riaccompagno a casa.”
Lei annuì un po’ imbarazzata. Non aveva mai conosciuto prima i loro genitori e vederli di persona la metteva un po’ a disagio.
Speriamo che a loro piaccio.
Si riscosse subito. Che simili sciocchezze stava pensando? Non era mica la sua ragazza!
Tornarono a piedi con Amber che camminava davanti a loro, fiera e a testa alta. Come se non fosse successo nulla.
Quando entrarono Alex vide che la casa  era molto spaziosa. Sicuramente per loro era  perfetta, ma probabilmente per lei sarebbe stata forse troppo grande vivendo solo con sua madre.
William la vide un po’ spaesata. Le mise un braccio intorno alle spalle e la condusse in soggiorno.
“William! Era ora.” 
A parlare era stato suo padre Leandro che era appena uscito dal bagno. Sicuramente non si aspettava ospiti perché aveva solo i pantaloni ed era a torso nudo con un asciugamano intorno al collo. Con ogni probabilità si era fatto una doccia; eppure sembrava essere a suo agio nonostante fosse davanti a un’estranea.
Chiunque l’avesse visto avrebbe sicuramente definito William la sua copia esatta: Stesso viso, stesso castano scuro dei capelli, persino quasi la stessa corporatura. Solo gli occhi al padre erano di un verde più intenso e aveva una barba corta e leggera.  La prima persona che notò fu proprio lei.
“Ehi, ti avevamo chiesto di accompagnare tua sorella, non di andare alla ricerca di belle ragazze. ” Rise sereno. Alex arrossì fino alla radice dei capelli stringendo di più la manica del ragazzo. Anche William sembrava imbarazzato.
“Ehm…Papà lei è Alexandra. E’ un’amica.”
“P-piacere di conoscerla signor Rivera.”
“E’ anche educata. Bravo figliolo.”
Alex possedeva una carnagione decisamente chiara, quindi con ogni probabilità aveva notato il rossore sulle sue guance. Ad interrompere quel momento imbarazzante ci pensò Amber che corse incontro al padre e lo abbracciò.
“Ehi tesoro non ti aspettavamo così presto.” Disse lui mettendole un braccio intorno alle spalle. Guardò William che, non sapendo cosa dire, abbassò la testa. Gabrielle uscì dalla stanza aggiustandosi l’orecchino.
Aveva una carnagione un po’ più pallida rispetto al marito ed era molto magra. Una delle virtù di una danza movimentata come quella che insegnavano. Aveva i capelli neri come Alex, ma a differenza dei suoi  -che erano lisci e molto scalati- il taglio era omogeneo ed erano di un riccio morbido. Le iridi grigio-azzurre erano contornate da un taglio di occhi, a parer di Alex, molto bello.
“William sei tu? Ho sentito delle voci. Leandro cosa è successo?”
“Dovresti chiederlo ai tuoi figli.”
Gabrielle guardò Amber tra le braccia del padre.
“Amber che ci fai qui? Ti aspettavamo tra un’oretta.” La ragazzina abbassò gli occhi non guardando in faccia nessuno, ma fu William a parlare per lei.
“Non ci è andata.” Sussurrò incerto. “L’ho dimenticato…Ho dimenticato di accompagnarla.”
“Cosa?!” Gabrielle cominciò ad alterarsi. “Come hai potuto scordarlo? Era un tuo dovere William!”
“Lo so, lo so…” sussurrava lui incapace di rispondere diversamente. Alex era turbata; cominciava a sentirsi di troppo.
“E dove siete stati? Anzi… dove è stata?” Intervenne Leandro. Probabilmente aveva capito, anche perché Amber strabuzzò gli occhi.
“Ecco… E’ s-stata ad aspettarmi a scuola per un po’... poi sono andata  prenderla in ritardo e…ed era tardi, così abbiamo fatto solo un giro della città.” Mentì il ragazzo. La scusa non stava in piedi, glielo lessero in faccia.
Alex vide i loro genitori guardarsi solo per un momento, come a formulare un tacito accordo. Infatti fecero finta di nulla.
“D’accordo.” Disse Gabrielle terminando la discussione. “Però tu adesso non esci di qui. Ci vediamo stasera a lezione. Noi ora andiamo al primo turno.”
“No. Devo accompagnare Alex.” Rispose calmo. La madre guardò la ragazza, come se l’avesse notata solo ora. Alex impacciata accennò un sorriso. La donna la squadrò da cima a fondo come se volesse dare un giudizio finale. Si soffermò soprattutto sui suoi piercing e su quel bizzarro colore violaceo che ricopriva le punte dei capelli tranne che per la frangia, già sfilata e leggera. La ragazza si tormentò le mani sperando in un esito positivo. Inaspettatamente, poi, Gabrielle annui, come se avesse capito.
“Perdonami, sono stata maleducata. Ho pensato soltanto a loro e ho dimenticato completamente di salutare.”
“N-Non importa, davvero.” Rispose Alex gesticolando con le mani.
“Torno subito.” Disse il ragazzo interrompendo tutta quella conversazione. Poggiò una mano sulla spalla di Alex per invogliarla a camminare e la condusse alla porta.
 
Il viaggio in macchina fu silenzioso come il precedente. Improvvisamente William ridacchiò ironico
“Avrei voluto che tu li conoscessi in un’altra situazione.”
“Non fa nulla. Sono stati comunque molto gentili. Piuttosto…” Incrinò di poco la voce. “Come hanno reagito la prima volta che hanno visto Phoebe?”  Il solo nominare quel nome le faceva salire tutto il suo disprezzo. Non sapeva dire il perché.
“Diciamo…Che non hanno ancora avuto il piacere di conoscerla.” Alex lo guardò smarrita.
“Non l’hanno mai conosciuta?”
“Beh, loro non sono sempre a casa e poi… Io e Phoebe solitamente non stiamo a casa mia.”
Ovvio, adora esibire la sua storiella in giro o peggio... Pensò lei con astio.
“Capisco.” Disse soltanto chiudendosi nel suo mutismo.
Arrivarono a destinazione in poco tempo.
“Ed eccoci arrivati. Prometto di farmi sentire più spesso.” Alex sorrise.
“Grazie.”
“Grazie a te per Amber e per tutto.” Prese ad accarezzarle i capelli e la ragazza arrossì a quel piccolissimo contatto.
“I-Io devo andare. Ciao William.” Salutò in fretta dandogli un bacio sulla guancia.
Poi uscì dalla macchina frastornata da quel vortice di emozioni che aveva provato.   


ANGOLETTO ETTO ETTINO ETTUCIO DELL'AUTRICE
Buoooooonsalve ragasssssssuoli! :D
Dopo la pausa natalizia ritorno a tormentarvi con un nuovo capitolo!!
ALEX: Non ispiri molta fiducia...
Taci tu! Non pensare di parlarmi così solo perché a Natale hai avuto una balestra, un bazooka, un fucile a canne doppie, un mitra, Chuck Norris e altro armamentario u.u
CHLOE: Ganzo! Sei pronta per i prossimi Hunger games! :D
Scherzi a parte... Ringrazio moltissimo quei quelle povere persone che continuano a leggere sta cosa la storia <3
E ancora un grande abbraccio a Tomocchan che mi rallegra le giornate con le sue recensioni :3
Quindi...che altro dire?!
Ci vediamo al prossimo capitolo e...
FELICE ANNO NUOVO A TUTTI! <3
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Era ormai un’intera settimana che si vedevano. Madison amava come la trattava Ethan e poi avevano un luogo comune  dove si potevano regolarmente incontrare: la palestra. Il ragazzo, dal canto suo, cercava di rimediare alla relazione passata cercando di essere sempre più disponibile e affettuoso. Ma lei ancora non sospettava nulla sulla sua vecchia storia con Chloe.
Meglio così…
Non voleva metterla in mezzo a qualcosa che probabilmente avrebbe compromesso il loro rapporto. Inoltre, aveva un certo pudore nel raccontarlo. Di sicuro per gli errori che avevano fatto; per quelli che aveva fatto. Ricordava benissimo come si erano entrambi comportati e non voleva che lei pensasse male di lui. Almeno per ora decise di tacere.
Quel giorno era poco nuvoloso e le previsioni non avevano previsto pioggia. Ethan uscì fuori dalla palestra, aspettando che Madison finisse di cambiarsi nello spogliatoio.
Attese per un po’, ma alla fine non poté non notare due volti conosciuti nella strada di fronte a lui.
Uno l’aveva riconosciuto come Christopher, che non gli stava dando alcuna importanza poiché era impegnato in una conversazione al cellullare, chissà con chi. Ci mise un po’ a riconoscere l’altra persona, poi si ricordò. Era Jonathan King, appoggiato ad un palo della luce, che a differenza dell’amico lo stava fissando con odio. Il ragazzo li aveva guardati solo con la coda dell’occhio, ma Jonathan sicuramente  sapeva che si era accorto di loro.
Ethan in un primo momento fece finta di nulla guardando distrattamente il telefono o la porta della palestra, nel caso Madison fosse uscita.
Improvvisamente, però, si sentì afferrare bruscamente per la felpa. Jonathan lo stava strattonando convulsamente, digrignando i denti per la rabbia.
“Tu, brutto pezzo di merda!” Urlò. Christopher interruppe la chiamata per correre da loro e dividerli.
Allontanò il compagno da Ethan trascinandolo a debita distanza e intimandogli di calmarsi. Ma Jonathan sembrava non ascoltare.
“Come osi giocare con i sentimenti di Madison? Fai schifo!”  Continuò ad urlare ostinato.
Cosa? Ancora con questa dannata storia?
Ethan era davvero al limite della sopportazione.
“Adesso ne ho davvero abbastanza di queste accuse infondate. Non impicciarti in cose che non ti riguardano King! ”
“Mi riguardano eccome invece! Per i miei amici… Per Madison!”
“Non essere ridicolo.” Sibilò Ethan sprezzante. “Madison è la mia ragazza, non la tua. Lei ama me, non te!”
Per Jonathan quelle parole furono come uno schiaffo in pieno volto. Frasi così dure, ma estremamente vere.  Fu come avere un mostro dentro di lui che cercava di uscire attagliandogli le viscere.
“Bastardo…” Sibilò accecato dalla rabbia. Tentò di scagliarsi su di lui, ma Christopher lo spinse contro il muro, immobilizzandolo.
 “Jonathan basta, non essere stupido! Non puoi comportarti così. Non puoi!”
“Ascolta il tuo amico. Ti conviene.” Disse con cattiveria Ethan avendo quasi perso del tutto la pazienza.
La voglia di andare da lui e picchiarlo era talmente forte che dovette stringere i pugni fortissimo per calmarsi. Fece dei lunghi sospiri.
“Che cavolo sta succedendo qui?!”
I ragazzi spalancarono gli occhi quando videro Madison fuori alla porta, totalmente turbata dalla scena.
La ragazza non capiva. Non appena aveva varcato la soglia, aveva visto il biondo spingere al muro Jonathan col viso colmo di odio.
“Si può sapere che succede?” Ripeté, più forte.
“Dovresti chiederlo al tuo amico.” Le rispose Ethan senza smettere di guardare il rivale davanti a se.
“J-Jonathan…” sussurrò lei sconcertata. Il ragazzo la guardava senza vederla. Cosa le avrebbe detto ora?
Si trovava in una situazione senza via d’uscita. Forse aveva aspettato per troppo tempo.
Lei doveva sapere la verità.
Scostò leggermente Christopher che, vedendolo più calmo, si fece da parte; poi andò da lei.
“Madison… T-Ti devo dire una cosa.”
“Io…” La ragazza fissava a turno preoccupata sia Jonathan che Ethan. Prese a tormentarsi le mani. Non l’aveva mai visto così serio. Andò da Ethan a passo incerto.
“Ethan… Io voglio parlare con lui.” Il ragazzo sbiancò. Se fosse andata le avrebbe di sicuro raccontato tutto.
“No, Madison…” Le sussurrò con l’intento di persuaderla a non andare. La ragazza accennò un sorriso rassicurante.
“Ehi… E’ solo una semplice chiacchierata tra amici, non ti devi di certo preoccupare. Cosa potrà mai dire di tanto sconvolgente?”
Tutto ciò che non dovresti sapere.
Ora però, non poteva fare altro che arrendersi all’evidenza. Abbassò il capo, rassegnato.
“D’accordo.”
“Ti chiamo stasera.” Gli disse lei accarezzandogli la guancia. Ethan l’attirò a se e la baciò a lungo.
Jonathan spostò la testa altrove. Non si era ancora abituato a tutto questo.
Ethan se ne andò, non guardando in faccia nessun’altro. Madison restò un po’ a fissarlo, poi seguì Jonathan al retro della palestra.  
Dissero a Christopher che poteva andare se voleva, ma lui preferì restare ad aspettare.
Jonathan rimase per un po’ silenzioso. Stava per confessarle tutto, anche i suoi sentimenti e la cosa non era affatto facile.
“Allora, si può sapere che cavolo vi è preso?” Fece Madison aggrottando la fronte.
“E’ complicato…”
“Mi stai facendo incazzare adesso.” sospirò.
“Perché lui Madison?!...Sei sicura di poterti fidare?” In un primo momento lei parve offendersi.
“Che cosa intendi dire sul mio ragazzo? Ethan mi dice tutto!”
Il mio ragazzo…
Quelle parole gli riempivano la testa offuscandogli tutto il suo buon senso.
“Ah, davvero?! E Ethan ti ha detto che in passato è stato il ragazzo di Chloe?” Scattò oramai innervosito. Madison rimase sconcertata da tale rivelazione. Aprì la bocca un paio di volte per dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì solo un flebile “Cosa?”. 
“Si, proprio così Madison! Il tuo dolce e bravo ragazzo è lo stesso che faceva soffrire Chloe. E litigavano! Litigavano così tanto da prendersi a parole a volte pesanti. Davvero è questo ciò che vuoi?”
Lei abbassò la testa. Non le aveva mai detto niente Chloe. Nessuno le aveva mai detto niente.
“Lui non mi ha mai trattato così.” Sussurrò sull’orlo delle lacrime.
“Lo conosciamo! Ascoltami ti prego.”
La ragazza si premette le mani sulle orecchie per non sentire.
“Basta Jonathan!” Urlò. Il moro si zittì immediatamente. Forse aveva esagerato. Era stato troppo brusco e precipitoso. Rimase per un po’ in silenzio, ascoltando i singhiozzi di Madison che man mano si facevano più forti. Gli si spezzava il cuore a vederla in quello stato.
“P-Perché mi stai dicendo questo?” Chiese lei d’un tratto. Chiuse gli occhi e fece un lungo respiro.
“Perché tu mi piaci Madison. E’…E’ da un po’ che ho cominciato a vederti con occhi diversi.”
Madison tolse le mani dal volto e lo guardò. Non si aspettava affatto una dichiarazione del genere da parte sua. Era sorpresa di certo, ma non gli disse nulla. Continuò solo a guardarlo intensamente.
Lui le si avvicinò incerto e un po’ titubante le prese il viso fra le mani. Le sue labbra incontrarono le sue toccandole con dolcezza. Le aveva soltanto sfiorate, nulla di più; Perché in fondo sapeva che quelle morbide labbra non erano sue. No. Appartenevano a lui.
Madison non ebbe nessuna reazione. Non ricambiò, non si scostò neanche. Non fece nulla. Lo guardava come prima, ferma al suo posto. Lui sorrise amaro.
“Ma tu non mi vuoi, lo so. Tu vuoi Ethan.” La ragazza si morse il labbro.
“I-Io ti ho sempre considerato come un fratello.”
Per Jonathan fu come se tutto il mondo gli fosse crollato addosso. Si aspettava una risposta del genere, ma non credeva che sarebbe stata così dolorosa.
“Lo avevo immaginato.” Sussurrò soltanto. Poi abbassò la testa e si girò. Madison gli prese il braccio singhiozzante.
“Jonathan, ti prego… Io non so cosa farei senza di te. Sei il mio migliore amico e non voglio perderti. Ti prego.”
“Vorrei poterti dire la stessa cosa anch’io.”
“La tua amicizia per me è importante.”
“Anche per me.”
“E allora ti prego non roviniamola così!” Urlò con la voce rotta dal pianto. Lo guadava supplichevole e Jonathan non osava voltarsi. Pensò che alla fine tutto quel pianto, tutto quel dolore era stato solo per causa sua. Eppure credeva di aver fatto la cosa più giusta. In fondo sapeva benissimo che, per quanto possa fare male, dirle la verità era stato più opportuno di una pietosa bugia o di un disonesto silenzio. Inoltre, confessare i suoi sentimenti gli aveva tolto un gran peso che si era portato con se per troppo tempo.
Tuttavia, ora aveva il bisogno di dimenticare. Se Madison non lo desiderava, allora si sarebbe messo da parte. Gli bastava vederla felice e doveva ammettere che voleva ancora starle vicino.
Si voltò abbracciandola forte. Madison affondò la testa nel suo petto.
“P-Perdonami Jonathan. Perdonami per tutto. Lo so che probabilmente ti sto chiedendo troppo, ma…”
“Ci proverò.” Lei alzò la testa, guardandolo con un misto tra il sorpreso e lo speranzoso.
“D-Davvero?”
“Si. Ci tengo a te e voglio continuare ancora a restarti vicino. Non importa come, io ti sosterrò sempre. E poi se tu sei felice lo sono anch’io.” La ragazza lo strinse forte a se, in un abbraccio pieno di gratitudine.
“Grazie, grazie. Grazie per tutto.”
Jonathan le accarezzò i capelli con un mezzo sorriso. Restarono in silenzio per poco, finché non si accorsero che Christopher li aveva raggiunti con Alex al seguito. La ragazza era passata di lì per puro caso e vedendo il suo amico si era chiesta cosa ci facesse in quel posto solo. Naturalmente si era fatta spiegare tutto l’accaduto tra Jonathan e Ethan.
Madison corse da loro.
“Christopher… Tu lo sapevi. Voi lo sapevate. Perché non mi avete detto niente?” Chiese con una punta di irritazione nella voce.
“Ecco… Sembravi così felice.” Rispose lui non sapendo cos’altro dire.
“E nessuno di noi voleva farti soffrire.” Aggiunse infine Alex abbracciandola. Madison annuì ricambiando il gesto. La mente però era altrove. Aveva il bisogno di parlare con Ethan; di sapere.
Ma come sarebbe andata a finire la loro storia adesso?
 
Madison aspettò dietro un angolo che la folla di persone si disgregasse. La campanella dell’ultima ora era ormai suonata e la calca di gente che cercava di uscire era enorme.
Aveva due libri tra le braccia poiché la borsa, lasciata a terra accanto a se, era ormai diventata troppo pesante. Improvvisamente sentì due braccia avvolgerle la vita.
“Ehi, bellissima.” Le sussurrò all’orecchio l’individuo. Madison riconobbe immediatamente la sua voce e abbasso la testa.
“Ciao… Ethan.”
“Non hai più richiamato ieri sera.”
“A-Avevo da fare…” Gli rispose lei seria. Ethan mise le mani sulle sue spalle e la voltò verso di se baciandola più e più volte. Madison però non ricambiò.
“Madison si può sapere cosa c’è?” Domandò vedendo la ragazza fin troppo seriosa. Lei sospirò.
“Ethan… Voglio parlarti.” Madison vide un lampo di terribile consapevolezza nei suoi occhi e capì che lui già sapeva di cosa avrebbero parlato. Ethan tolse le mani dalle sue spalle e si allontanò di qualche passo. Nonostante tutto, però,  preferì fare il vago.
“D’accordo. Ehm… Cosa vuoi dirmi?”
“No. Non qui.” Gli prese la mano e lo condusse fuori dalla scuola facendosi spazio fra la calca di gente che si era fermata a chiacchierare all’ingresso.  Si postarono fuori dal cancello, lontano da occhi indiscreti.
Lei poggiò la borsa e i libri a terra.
Si ritrovò faccia a faccia con lui mentre lo guardava con aria cupa.
“Voglio sapere la verità Ethan. E la voglio sapere adesso.”
Sapeva bene le vicende, ma preferì sentire la sua versione dei fatti. Era il momento di far venire tutti i nodi al pettine.
“Non so neanche di cosa tu stia parlando.” Le rispose lui con un mezzo sorriso e facendo finta di nulla.
“Tu sai benissimo di cosa sto parlando. Ho detto che voglio sapere la verità!” Scandì l’ultima frase, alzando di poco la voce. Silenzio. Quel sorrisetto sparì dal volto di lui lasciando spazio ad uno sguardo rassegnato.
Si allontanò di poco da lei strofinandosi il volto con le mani.
“Cosa vuoi che dica?”
“Tutto. Potresti cominciare raccontandomi della tua storia con Chloe magari.” 
Lui trasse un lungo respiro, non sapendo cosa dirle. Sviare l’argomento sembrava difficilissimo, anche perché Madison sembrava determinata più che mai a sapere ogni cosa.
“E’ difficile da spiegare. I-Io e Chloe non andavamo spesso d’accordo. Anzi, direi proprio per niente. M-Ma io non ero libero di fare nulla. Era gelosissima e la cosa era stressante…”
“Non mi dire. Adesso la colpa è di Chloe?”
Ethan non capiva che ne era stato della Madison che conosceva. Lo stava guardando con indifferenza e sarcasmo. Non si era mai comportata così con lui. Chissà cosa le avevano detto.
“N-No. I-Io… Anche io ho fatto degli errori. E molti anche. Ma devi capirmi, ero arrabbiato e…perdevo spesso la pazienza.”
“Oh. Quindi se perdessi la pazienza con me… Mi tratteresti allo stesso modo in cui hai trattato Chloe?!”
“No Madison, no!” Urlò. “Sono cambiato!” Madison lo guardò con rabbia.
“Come faccio a credere a qualcuno che non ha mai voluto raccontarmi niente?!”
Ethan tacque. Sapeva che aveva ragione e non poteva controbattere. Madison incrociò le braccia dandogli le spalle e allontanandosi di qualche passo da lui.
“Litigavate spesso?”
“Si.”
“L’amavi?”
“Credevo… Ma…”
“Ci sei andato a letto?”
“Perché tutte queste domande?”
“Rispondi!” Urlò lei. “Ci sei andato a letto?”
“Io… Si.”
Madison si morse il labbro cercando di trattenere le lacrime. Si era ripromessa di non piangere e credeva davvero di poterci riuscire. Invece sentiva già gli occhi inumidirsi. Le sfuggì un singhiozzo.
“N-Non  posso crederci…” Parlò lei con voce rotta dal pianto. “In ogni caso q-quella volta m-mi hai baciata solo per fare un dispetto a Chloe.”
Il ragazzo si passò una mano fra i capelli, sentendosi terribilmente in colpa.
“No…Io… Non lo so. Quando ho rivisto Chloe… ho ripensato a quando mi aveva mollato davanti a tutti e… Ed ero irritato… ”
“Mi hai usata!” Urlò Madison mettendosi le mani sul viso. Piangeva in modo incontenibile adesso e non poteva fare nulla per fermare la pioggia di lacrime che le rigavano il volto.
“No Madison. Ero arrabbiato certo, ma quello che ho provato… Quello che provo per te è vero! Tu sei speciale per me.”
Si avvicinò a lei mettendogli le mani sulle spalle, ma lei si divincolò con forza dalla sua presa allontanandosi di più da lui. Prese la borsa e i suoi libri in fretta e fece per andarsene.
“Vattene Ethan. Vattene dalla mia vita.” Sibilò con tutto il disprezzo che possedeva.
Ethan sembrava paralizzato. Non poteva perderla così. Non voleva perderla!
“I-Io ti amo!” Urlò in un tentativo del tutto disperato.
Lei si fermò un attimo, girandosi lentamente per guardarlo in faccia. Nei suoi occhi vi era solo il nulla.
“Che parola sprecata! Troppe persone la utilizzano senza saperne davvero il significato.” Disse con sarcasmo e spregio. Andò via senza avere il coraggio di voltarsi dietro. Trattenne le lacrime per un po’, alla fine scoppiò di nuovo a piangere.
Ethan era sconvolto e angosciato da ogni sua parola. Appoggiò la schiena al muro, scivolando lentamente  a terra. Cosa aveva combinato?
Aveva perso la persona che le stava più a cuore. Madison per lui era una ragazza sincera, gioiosa… speciale.
E l’aveva lasciata andare così.
Cosa avrebbe fatto adesso?  

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Cominciava a fare freddo fuori. Era una tipica giornata di Novembre e le temperature si erano abbassate di parecchio.  Caroline si mise a guardare fuori dalla finestra, pensierosa. Sperò che ci fosse un po’ di neve quest’anno. Non accadeva spesso, ma quando ciò succedeva era uno spettacolo per gli occhi.
E poi adorava vedere i bambini che si divertivano tra di loro. Le infondevano tanta tenerezza nel cuore.
Si spostò il ciuffo dei capelli dietro l’orecchio. Ricrescevano  lenti e non sapeva se stavolta se li sarebbe lasciati ricrescere o meno.
Improvvisamente sentì uno scappellotto dietro la nuca.
“Vieni Caroline. E’ pronto da mangiare.” La madre le passò accanto portando da mangiare anche ad Athena.
“D’accordo, d’accordo arrivo!” Proferì lei massaggiandosi automaticamente la parte colpita.
Cominciarono a mangiare in silenzio. L’unico rumore che si sentiva era quello delle posate sul piatto. Eppure c’era qualcosa di strano in tutto quel tacere. Patricia era solitamente sempre pronta a parlare o a chiedere della sua giornata; specialmente a tavola. Invece ora sembrava silenziosa e la ragazza vide che rigirava spesso il cibo assaggiandone solamente poche dosi.
Caroline appoggiò la posata sul piatto guardandola a braccia conserte.
“Cosa succede tesoro?”
“Potrei chiederti la stessa cosa. Stai giocando con il cibo e quando lo fai vuol dire che sei nervosa. Cosa devi dirmi? ”
Patricia rimase per un istante spiazzata, ma nonostante tutto accennò un sorriso.
“Sei attenta a tutto vedo. A volte mi somigli proprio tanto, sai?!”
Certo che lo sapeva. Glielo ricordava spesso in certe situazioni. Al contrario, quando si ribellava le diceva di essere uguale al padre. Mai nulla di buono su di lui era uscito dalla sua bocca. Sbuffò.
“Allora, cosa è successo?” La madre cominciò a tormentarsi le mani, pensierosa.
“Beh… Sai, Jack è una bella persona. Ti vuole anche bene… Senza contare che ormai lo conosci da ben due anni…”
“Arriva al punto mamma. ”
“Ecco… Abbiamo deciso di ufficializzare il nostro fidanzamento... E naturalmente pensiamo che sia meglio vivere insieme ormai. Insomma, vorrei che Jack si trasferisse da noi.”
La figlia non si smosse affatto. Continuava a fissarla intensamente senza un’ombra di stupore o dissenso sul suo volto.
“Volevamo sapere tu cosa ne pensassi.”
Caroline ci mise un po’ a rispondere. Alla fine, però, accennò un sorriso.
“Si… Perché no?! Jack è un uomo simpatico e affettuoso nei miei confronti. Sono molto contenta per voi.”
Patricia tirò un sospiro di sollievo. Non si aspettava affatto i salti di gioia, quindi quella risposta le andò benissimo. Sorrise.
“Adesso finalmente potremmo essere una vera famiglia. Finalmente avrai un padre.”
Caroline spostò la testa altrove senza mascherare il suo dissenso.
“Pensala come vuoi, ma lui non è mio padre. E non voglio definirlo tale.”
“Caroline non fare così. Lo sai, non…”
“Ho detto di no!” Proferì lei alzando la voce. La madre si zittì immediatamente. Abbassò la testa.
“Scusa mamma. Ma per ora non me la sento.”
Patricia annuì poggiando la mano su quella di lei.
“D’accordo. Non volevo pressarti.”
“Non importa.”
Il pranzo lo finirono in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri.
 
Si era chiusa in camera da un po’ di tempo. Aveva bisogno di pensare. Adorava Jack, ma per lei sarebbe sempre stato solo il nuovo compagno di sua madre. Sopirò.
Si sedette sulla sedia del pianoforte. Pigiò distrattamente qualche tasto facendone uscire una melodia lenta e dolce.
Guardò la finestra. Era presto, ma voleva andarsene da li. Forse l’avrebbe aiutata a distrarsi. Da quando aveva cominciato a uscire con i suoi amici, questi pensieri  le avevano fatto visita più raramente del solito.
Ora, invece, stavano ritornando, più pressanti che mai.
Aprì lentamente la porta di casa e un fresco vento autunnale la investì. Camminò senza una meta ben precisa stringendo ancora di più il cappotto intorno a se. Intorno a lei vi erano solo poche persone, intente a parlottare o a fare acquisti.
Si chiese davvero cosa avesse fatto suo padre di tanto sbagliato da non dover sapere di avere una figlia che non porta nemmeno il suo cognome. Voleva davvero sapere qualcosa su di lui, ma non le era stato mai raccontato niente. Non lo trovava giusto. Lei aveva il diritto di sapere. Molte domande presero a formarsi nella sua mente schiacciandola ad ogni passo: Perché sua madre non le voleva dire niente? Come si chiamava suo padre? Cos’era stato per lei?
Si sedette su una panchina all’estremità di Piazza Nephrite, quella dedicata ai più piccoli.
Si appoggiò allo schienale, le mani in grembo.
Improvvisamente sentì un leggero tocco alla caviglia: un pallone era rotolato incontro a lei. Lo prese in mano. Era un semplice pallone da calcio.
“Scusami. Puoi darmi per favore la mia palla?” Una bambina si era avvicinata timorosa seguita dal padre che le sorrideva affianco. Caroline sorrise e la consegnò alla legittima proprietaria.
“Come si dice?” Chiese l’uomo alla figlia inginocchiandosi alla sua altezza.
“Grazie.” Sussurrò lei arrossendo. La ragazza ridacchiò.
“Prego, piccola.” Il padre annuì sereno, poi prese in braccio la figlia, andando via.
“Brava tesoro. Visto? Era una ragazza molto gentile.” Riuscì a sentire  Caroline. Ma il sorriso le morì sulle labbra quando vide la piccola abbracciarsi al padre. Era come avere un’orribile sensazione che le stringeva lo stomaco. Anche lei avrebbe voluto tanto giocare con suo padre. Andare al parco, magari. Abbracciarlo…
Abbassò la testa.
Inaspettatamente vide un ombra su di lei. Sperò vivamente che non fosse una di quelle persone che ti stanno attaccate con le loro domande. Ma quando alzò lo sguardo dovette ricredersi.
“Christopher!”
“Si, Principessa. Questo è il mio nome. ” Ridacchiò.
“C-Che ci fai qui?”
“Potrei chiederti la stessa cosa. Perché sei sola?” Chiese, facendosi più serio.
“Pensavo.”
“Vuoi parlarne?” Caroline spalancò gli occhi per un istante. Aveva sicuramente capito che qualcosa non andava. Scosse la testa, ma non del tutto convinta. Il ragazzo le si sedette accanto.
Nessuno dei due proferì parola per un po’. Poi, a sorpresa Caroline sentì le guance bagnate. Le prime lacrime cominciavano ad uscire lente e disubbidienti. Si lasciò sfuggire un singhiozzo.
Christopher non era affatto sorpreso di ciò. Non appena l’aveva vista, aveva notato subito che la ragazza aveva gli occhi lucidi. Si aspettava quello sfogo.
Caroline girò la testa altrove, coprendosi con la mano. Non voleva farsi vedere così vulnerabile. Non era da lei e si sentiva umiliata. Nonostante tutto il ragazzo le circondò le spalle con un braccio e l’attirò a se, facendola piangere sulla sua spalla. A quel punto non si trattenne più e cominciò a piangere senza ritegno bagnandogli la giacca. Gli raccontò tutto ciò che voleva sapere e che pensava. Non voleva parlare di questi suoi personali problemi in giro, ma ne sentiva il bisogno. Christopher non le diceva nulla. Le accarezzava la schiena e la lasciava sfogare.
Lentamente Caroline di calmò, sentendosi via via più leggera. Era come essersi liberata di un peso.
“Ti senti meglio?” Domandò il ragazzo.
“Un po’.”  Sussurrò lei, incerta.
“Questo Jack dici che è un tipo simpatico e comprensibile. Quindi capirà.”
Lei annuì anche se non molto convinta. Appoggiò la testa sulla sua spalla e Christopher prese a riflettere sul da farsi. Non le piaceva vederla così. Voleva trovare un modo per farle ritornare il sorriso.
Poi, improvvisamente gli venne un’idea.
Si alzò dalla panchina con un sorriso enigmatico sul volto e le porse entrambe le mani. Caroline non capiva cosa volesse fare. Un po’ titubante le prese e il ragazzo la fece alzare lentamente dalla panchina.
Le fece mettere una mano sulla sua spalla, mentre l’altra la strinse con la sua. Appoggiò la mano libera intono alla vita e lentamente la fece muovere. Andava avanti, indietro e volteggiava. Prese a canticchiare un motivetto che Caroline riconobbe subito come Valzer. La stava facendo ballare!
Seguiva i suoi movimenti, anche se sbigottita da ciò. I passanti li fissavano, a volte fermandosi per poco a guardare quella strana scena. Caroline arrossì, ma sembrava che al ragazzo non importasse, ma al contrario continuava a tenere la testa alta.
“Chris… Stiamo dando spettacolo…” Borbottò lei imbarazzata, ma Christopher sembrava non ascoltare. Anzi, canticchiò più forte facendola volteggiare sempre più velocemente.
Adesso capiva. Tutto questo lo stava facendo per lei.
Stava cercando di farla distrarre e non gli importava se attirasse l’attenzione.
Decise di non curarsi più degli sguardi di nessuno e lentamente cominciò a lasciarsi andare. Il sorriso sul volto di Christopher si diffuse di più e Caroline rise, senza un preciso motivo. Alla fin fine si stava divertendo.
Continuarono quella piccola danza per un po’, fin quando la ragazza non appoggiò la testa sulla spalla di lui, ormai stanca. A quel punto Christopher le fece fare un altro giro sempre più lento fino a fermarsi completamente. Caroline alzò il capo guardandolo dritto negli occhi. Nei suoi splendi occhi che attraverso quella luce tendevano al verde.
“Vedo che ti è tornato il sorriso.”
“Grazie mille Chris.”
“E’ sempre un piacere Principessa.”
La ragazza lentamente appoggiò la fronte su quella di lui. Erano vicinissimi, i nasi che si sfioravano.
Christopher abbassò lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra, accarezzandole delicatamente con il pollice.
Caroline chiuse gli occhi a quel dolce e piacevole contatto.
A sorpresa, il ragazzo le fece fare un piccolo casquè e la baciò. Caroline ebbe come l’elettrizzante sensazione di avere tante farfalle nello stomaco. Non riusciva a pensare a niente.
Si alzò in piedi, incrociando le dita con le sue, per poi baciarlo nuovamente con entusiasmo.
Quei sentimenti non erano più una vana speranza, ma un qualcosa di concreto.
Era vero, era tutto vero. E Caroline non poteva essere più felice.
La sua mano che si stringeva alla sua, quel contatto fisico con lui… Diventava un’eccitante emozione che le faceva dimenticare ogni spiacevole pensiero nella sua testa.
Si staccarono per riprendere fiato e non poterono far altro che sorridere entrambi. Christopher le accarezzò la guancia.
“Allora… Ti ho rallegrato la giornata?”
“Decisamente.” Proferì lei stampandogli un piccolo bacio. Ci pensò su per qualche secondo. “Ora mi domando come reagirà Chloe.” Rise mettendogli le braccia intono al collo.
“Beh, puoi sempre chiederlo di persona. E’ qui vicino, sta lavorando.”
“Davvero lavora?! E dove?”
“Al chiosco bar del vecchio Raymond. Aveva detto di voler essere più responsabile, senza chiedere più prestiti ai nostri genitori.”
“Fantastico. Andiamo!”
Lo trascinò verso la zona prestabilita tutta allegra. Era come se quel brutto sfogo di prima non fosse mai avvenuto.
“Devo dirti la verità…” Iniziò lei arrossendo imbarazzata. “I-Io... Io all’inizio credevo che ti piacesse Alex.”
Il ragazzo rise di gusto.
“Alex?! No! Alex è come una seconda sorella per me. Essendo i nostri genitori tra di loro molto amici, io e Chloe la conosciamo da quando eravamo piccoli. Ma nulla di più.” Scosse la testa con vigore, mettendo un braccio intorno alle spalle della ragazza. “No. A me piaci solo ed unicamente tu.” Sussurrò baciandole la tempia.
 
Chloe era intenta a pulire il bancone. Portava un cappellino con visiera color verde, lo stesso colore del chiosco. Sentì improvvisamente la presenza di due ombre davanti a lei.
“Salve, desiderate qualcosa?”  Pronunciò come di consuetudine, senza alzare lo sguardo.
“Solamente mia sorella.” La ragazza alzò la testa di scatto.
“Christopher! Avevi detto che ti allontanavi per un secondo, non per un quarto d’ora!”
Il ragazzo ridacchiò.
“Perdonami Chloe, ma…” Iniziò abbracciando da dietro la sua compagna. “…Diciamo che ho avuto un piacevole incontro con la mia bellissima ragazza.” Chloe sulle prime rimase un po’ spiazzata. Lentamente capì cosa volesse dire il ragazzo. Un sorriso illuminò il suo volto.
“V-Voi due…?! Non ci credo! Davvero?!” Domandò incredula.
“Beh, sempre se mi accetti in famiglia.” Ridacchiò Caroline.
“Stai scherzando?!” Urlò Chloe piena di felicità. Uscì dal bancone per correre da lei. Le prese le mani saltellando eccitata.
“Lo sapevo che prima o poi vi sareste messi insieme.”
Caroline sapeva che Chloe riusciva a notare il rossore sulle sue guance ogni qualvolta che si parlasse di Christopher. Era attenta a tutto, soprattutto dal giorno del piccolo incidente con Athena.
Chloe andò dal fratello e lo abbracciò forte. Caroline rimase intenerita dalla scena. Erano soliti punzecchiarsi a vicenda e vederli così era una scena strana e bella allo stesso tempo. Si amavano proprio come ogni fratello e sorella dovrebbero fare.
“Chris, sono così felice per te! Ero certa che fosse la ragazza giusta!”  Christopher le accarezzò i capelli.
In quel mentre il vecchio Raymond si affacciò al bancone.
“Che succede qui? Chloe si può sapere che ci fai fuori dal bancone?!”
“E’ una lunga storia Esmund.” Ridacchiò la ragazza. “Tranquillo torno subito al lavoro!”
Raymond le sorrise. Il suo sguardo burbero ingannava la dolcezza che c’era in lui.
“E’ meglio che tu vada sorellina.” Le disse Christopher.
“D’accordo, ma dopo voglio festeggiare! Anzi, quasi quasi vi offro da bere gratis.” Dichiarò lei facendogli l’occhiolino. Fece per andare, ma si bloccò di colpo.
“A proposito Chris…” Mise le mani ai fianchi facendogli la linguaccia. “Non chiamarmi sorellina.”
Avevano ricominciato a punzecchiarsi. Caroline rise di gusto.  
Con Christopher era come se una piccola parte di lei fosse stata colmata. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


“Ecco la paga che ti spetta. Sei stata molto brava.”
Il vecchio Raymond consegnò a Chloe la metà dei soldi guadagnati, dandole pacche affettuose sulla sua spalla.
“Grazie Esmund.” Gli sorrise lei. Si tolse il cappellino che teneva per esercitare il mestiere e prese la propria borsa.
Cominciare a lavorare era stata davvero un’ottima idea. Non lo faceva da molto, ma le serviva per dimostrare la sua indipendenza. Certo, questo piccolo lavoro non le fruttava molti soldi, tuttavia le erano molto utili.
Aveva cominciato a voler darsi dar fare da quando Christopher le aveva regalato quella collana che tanto le piaceva, ma che da sola non si sarebbe potuta permettere. Lui sapeva gestire bene i suoi soldi. Una parte la utilizzava per sé e l’altra la conservava per il futuro.
Al contrario lei sperperava tutti i suoi soldi, fin quando non le restava nulla. A volte chiedeva anche la paghetta in anticipo ai suoi genitori, così da potersi comprare qualcosa di carino, ma non proprio utile.
In quel momento capì che doveva aprire gli occhi, in modo da utilizzare solo i soldi che guadagnava per se.
Uscì dal Chiosco soddisfatta, fuori era ormai sera. In fin dei conti stare a contatto con le persone le piaceva.
Solo dopo un po’ girò la testa accorgendosi di qualcosa di strano. Dall’altra parte della strada vi era la persona più improbabile che si aspettasse di trovare. Ethan.
Era appoggiato al muro di un’abitazione, mentre guardava distrattamente in una zona non ben precisa.
Chloe si sentì per un istante a disagio. Avanzò a passo spedito a volte guardandolo con la coda dell’occhio.
Ad un certo punto però si diede della stupida. Non aveva senso avere timore, dopotutto non si parlavano da due anni. Doveva essere li per puro caso.
Ma dovette ricredersi quando lo intravide dietro di lei ad una decina di passi di distanza. Com’era possibile che stesse camminando nella sua stessa direzione?
Quando voltò a destra capì che il suo timore era fondato. La stava seguendo!
Accelerò il passò e sentì che lui fece lo stesso. Adesso si sentiva davvero inquieta, il cuore che batteva a mille. Arrivò in prossimità di un semaforo. Corse verso l’altra parte della strada in tempo, prima che esso segnasse rosso. Un’orda di macchine sfrecciarono per la corsia, senza dare il tempo ad  Ethan di attraversare. Chloe fece un sospiro di sollievo. Questo lo avrebbe trattenuto per un po’, ma era troppo presto per cantar vittoria.
Preferì non prendere a solita scorciatoia che utilizzava spesso per tornare  a casa in fretta. Era una stradina buia e poco raccomandabile e con Ethan che la seguiva si sentiva ancora meno sicura.
Prese a fare il giro largo camminando in fretta.
Non capiva cosa volesse da lei. Era da tempo ormai che si ignoravano e sapere che la stava pedinando era una cosa inquietante, ma allo stesso tempo insolita. Tempo fa, se fosse stato arrabbiato non si sarebbe affatto comportato così, anzi! Sarebbe venuto spedito da lei per iniziare ad urlarle contro, incurante delle persone presenti. Vide la sua casa in lontananza e capì di averla scampata.
Cominciò a velocizzare il passo sempre di più , fino quando non si mise a correre.
Era a pochi passi dalla meta, ma si bloccò di colpo. Appoggiato al cancello con le braccia conserte, c’era Ethan, con lo stesso sguardo vago di prima. Aveva preso la strada più corta!
Chloe iniziò ad avere davvero paura. Per di più quella zona era isolata e al buio, se non per un lampione che illuminava con luce tetra la strada. Non sapeva che fare. Non c’era altro modo di rientrare.
Un piccolo pensiero si fece strada nella sua mente: Forse era meglio se chiamava Christopher. Scosse la testa con vigore scacciando quella ridicola idea. Non avrebbe cercato aiuto da nessuno, se la sarebbe cavata da sola.
In un gesto del tutto disperato, decise di attraversare il cancello cercando di passargli accanto indifferente.
Improvvisamente però, si sentì afferrare per le spalle per poi essere spinta verso il muro.  Strinse gli occhi, timorosa.
Ricordava quella stretta. Il giorno in cui l’aveva umiliato era stata afferrata per il polso con la stessa forza e determinazione; mentre con l’altra mano le aveva preso il volto, con l’intento di farla tacere.
In quel mentre era arrivato Christopher a trascinarla urlante lontano da lui.
“Chloe…”
La sua voce la fece tornare al presente.
“Chloe, guardami.” Non sembrava un ordine, più che altro una richiesta. Scosse la testa, abbassando il capo. Ethan le lasciò le spalle e lei quasi istintivamente mise le braccia davanti al volto, come a volersi fare da scudo.  Il ragazzo non capiva questo suo comportamento, come se avesse timore di lui.
“Voglio parlarti!” Esclamò. Chloe alzò la testa infastidita.
“Perché adesso cominci a perseguitarmi?”
Ethan si lasciò prendere dall’irritazione.
“Siete voi che perseguitate me! Perché avete raccontato a Madison di me e te? Perché non avete lasciato che le cose accadessero?” Si passò le mani  tra i capelli. “L’ho persa! Mi ha lasciato, capisci?! Senza lasciarmi spiegare…”
Chloe non l’aveva mai visto così… abbattuto. Di certo per lei non lo era mai stato.
“Mi dispiace, ma io non so nulla. Non ho mai ordinato di dire niente a nessuno.”
“Come faccio a crederti?”
“Ti ho mai mentito?”
Il ragazzo rimase un istante in silenzio.
“No.” Sussurrò infine. Era nervoso, affranto e si tormentava le mani continuamente. Erano rare le volte in cui era così, poiché di solito era sempre tranquillo e controllato.
“Lo so che quello che sto per dirti ti può risultare stupido e strano, ma... Ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego parla con Madison, dille che non ho mai avuto intenzione di usarla. Lei…Lei non mi vuole rivolgere la parola…” Chloe strabuzzò gli occhi. Era davvero così disperato da arrivare fino a questo punto?
Abbassò la testa. In fin dei conti anche lei avrebbe voluto avere la stessa considerazione in passato.
No; non doveva pensare a se stessa, la questione ora era Madison. Ma Ethan era davvero cambiato?
Voleva molto bene a lei e non sapeva che dirle.
Ethan sorrise, mesto.
“Capisco. E’ naturale che tu stia così. Sono uno stupido; come ho potuto chiedere proprio a te di aiutarmi?”
“Se vuoi… Lo farò.”
“C-Cosa?” Sussurrò incredulo.
“Ho detto che lo farò… Per Madison. Gli piaci ancora e se davvero sei cambiato…” Non le lasciò il tempo di finire la frase e l’abbracciò. Chloe rimase tesa in quel gesto; semplicemente non se l’aspettava. Sorrise.
“Beh… Consideralo anche un modo per scusarmi dell’umiliazione ricevuta.”
Ethan scosse la testa sciogliendo l’abbraccio.
“No… Quello che ti ha umiliata sono stato io. E più volte anche. Sono molte le cose di cui mi pento Chloe. Ma noi due… ”
“Lo so… Non era destino. ” Sorrise fiduciosa. “Ma per voi due forse si. Per te e Madison. Parlerò io con lei. Ma mi devi promettere che la tratterai come merita di essere trattata. Le voglio molto bene.”
“Non rifarò lo stesso errore. Dimentica il passato, sono diverso.”
Chloe prese coraggio e gli prese il braccio.
“Sarà difficile, ma per noi c’è ancora una possibilità. Come amici, un qualcosa di diverso. Ricominciamo da capo. Per lei... E per noi.”
Probabilmente aveva ragione. Posare l’ascia di guerra e fare come se nulla fosse accaduto. Ma non sarebbe stato facile e questo lo sapevano bene. Soprattutto per lei:  Dimenticare eventi, rancori, amore risultava del tutto complicato. Ma pensò che in fondo lo stava facendo per qualcuno a cui teneva.
Non importa cosa sarebbe successo dopo, l’importante era il presente.
Qualche lacrima liberatoria le scivolò lungo le gote. Non seppe darsi un motivo preciso del perché stesse piangendo. Ma stavolta, era certa, non era né per rancore né per tristezza.
Ethan l’abbracciò nuovamente, ringraziandola più e più volte. Non poté far altro che sorridere.
 
Madison come di consuetudine si diresse verso il bagno. Non lo faceva per un motivo preciso, più che altro era un modo per staccare un po’ dalle lezioni. Dopo essersi fidanzata però aveva iniziato ad aspettare in un luogo prestabilito per potersi vedere con Ethan. Ma ora era diverso. Lo incrociava spesso e l’unica cosa che poteva fare era voltare l’angolo o ignorarlo completamente. Nonostante tutto però, il ragazzo si ostinava ad attenderla alla fine delle lezioni o durante l’allenamento.
“Hill, sei troppo distratta. Più concentrazione, questa è una cosa seria!” La rimproverò l’allenatore un giorno.
“Mi scusi.” Sussurrò lei soltanto. Sentiva la presenza di Ethan sugli spalti più pressante che mai e la cosa la deconcentrava. Aveva pesino iniziato a prendere l’uscita secondaria pur di non incontrarlo.
Voltò l’angolo, facendosi strada fra la calca di alunni che si dirigevano nella propria aula.
Aprì la porta trovandosi inaspettatamente Chloe che si aggiustava i capelli allo specchio. Strano, di solito non le piaceva venire nei bagni; li trovava sporchi e poco gradevoli. La bionda la guardò di sottecchi.
In realtà quell’incontro non era del tutto casuale. L’aspettava da un po’. Da qualche giorno Madison era diventata troppo evasiva, specialmente con lei e riuscire a incrociarla da sola era molto difficile.
Così decise di aspettarla nel posto a parer suo più ovvio nella scuola. Dopotutto conosceva le sue abitudini.
“Ciao Madi…”
“Ciao.” Sussurrò l’altra a disagio. Era diventato troppo complicato parlare con lei, soprattutto dopo le cose che aveva detto Ethan. Avrebbe tanto voluto appoggiarla, ma proprio non riusciva ad essere sciolta come prima.
Si avvicinò allo specchio accanto a Chloe. Aprì la fontana sciacquandosi lentamente le mani. Entrambe si guardavano di sottecchi, ma nessuna delle due riusciva a pronunciare parola.
Alla fine Madison emise un gemito frustrato, buttando la borsa a terra con vigore e voltandosi verso di lei.
“Senti Chloe io…”
“Mi dispiace.”
“Cosa?” Sussurrò frastornata.
“Si, mi dispiace. Non volevo che tu lo venissi a sapere in questo modo e a causa di questo hai rotto con Ethan. Avrei dovuto dirtelo prima, ma in realtà non credevo fosse necessario.”
In realtà non le andava per nulla di parlarne, soprattutto i primi giorni in cui aveva conosciuto Madison. La mora infatti l’anno dopo la sua rottura con Ethan si era traferita da un’altra scuola. Principalmente la storia non la conosceva.
“Non è colpa tua. Hai fatto quello che ritenevi giusto.  La verità è che il vero problema era lui.”
“Non dire così.” Sussurrò Chloe.
“Invece si. Non mi ha voluto dire la verità. E ora che ho scoperto queste cose… Come potrò fidarmi ancora?” La bionda si morse il labbro, abbassando il capo.
“L’ho incontrato la scorsa sera. Mi ha chiesto aiuto. Ha detto di riferirti che non ha mai avuto l’intenzione di usarti.” Madison fece una faccia sarcastica e infastidita al tempo stesso.
“Ha addirittura osato chiedere ad una sua ex di aiutarlo.”
“Non importa, davvero…”
“Non dire sciocchezze. Avete passato due anni insieme.”
“Questo… Questo non conta.”
“Oh, si che conta invece! E’ qualcosa di importante e non puoi nasconderlo. Puoi dire a Ethan che non mi interessano le sue giustificazioni.”
“Madison ora basta!” Urlò Chole ormai all’apice della pazienza. “Quel che è successo è successo. Ma non pensare a ciò che era e che sarà. Pensa ad ora! Guarda bene ciò che hai davanti e non lasciartelo scappare. Perché so che Ethan ti piace, giusto?!”
Madison girò la testa altrove, gli occhi velati dalle lacrime.
“I-Io… Lo amo.”
“E allora non lasciare che finisca così! Io e Ethan eravamo…troppo diversi. La pensavamo in modo differente. Ma non è il tuo caso! Perché voi avete un legame che va oltre quello che ho avuto io in precedenza. Quando ho rivisto Ethan sapevo che qualcosa in lui era cambiato. Lo so, non si era mai comportato così. Non l’avrebbe fatto per nessun altro. Ti fidi di me Madison?”
La ragazza annuì.
“Allora pensaci Madison. Io e lui abbiamo chiarito oramai, ma non ci sarà più nulla. Io voglio la tua felicità. Promettimi che lo farai.”
La mora non seppe cosa rispondere. Sperò di poterci credere davvero. In fin dei conti Chloe non le aveva mai mentito e se davvero credeva che Ethan potesse amarla davvero… allora provò a sperare. Ma doveva rifletterci su e lo doveva fare da sola. Annuì soltanto abbracciandola.
“Scusami Chloe. Ho ignorato anche te in questi giorni. Ma la verità e che... Avevo timore. Soprattutto dopo quello che è successo… non volevo che rimanessi male.”
La bionda ridacchiò.
“Sei proprio una sciocca. E’ una storia passata ormai. Puoi confidarti con me per tutto e questo lo sai.”
Madison sorrise. Con un filo di speranza probabilmente tutto sarebbe tornato come prima.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Il weekend arrivò in fretta. Il club era immenso e benché la festa non era del tutto iniziata, c’erano già molte persone. Alex era molto nervosa e cercava a stento di non darlo a vedere. Aveva avuto finalmente l’occasione di poter cantare ad un evento. Ma la tensione principale era il dover esibirsi davanti a tutti: amici, coloro che la criticavano e soprattutto il proprietario del locale, che aveva riposto tanta fiducia in lei.
Si era vestita comoda, ma a parer suo anche adatta per l’evento. Possedeva una maglia a top nera e in basso dei pantaloncini ornati da una cintura a catena. Le calze erano scure con degli immancabili stivali. Il tutto veniva contornato da accessori come collana e bracciali, inclusi i grandi orecchini a cerchio che le donavano molto. Per sentirsi più a suo agio si era legata i capelli in un’elegante coda alta, nonostante i ciuffi ribelli che ricadevano sul viso. Avrebbe tanto voluto che tutti i suoi amici fossero li con lei, però aveva dovuto lasciarli indietro poiché doveva chiarire le ultime particolarità con Jonathan, ormai Dj ufficiale di quel locale.
Gli altri rimasero un po’ fuori a parlare. Madison era molto emozionata e non faceva altro che sorridere. Anche William si era permesso un po’ di distrazione. Dopo l’ultima, estrema discussione con Phoebe aveva deciso di chiudere definitivamente. Oramai era da un po’ di tempo che era incerto sui suoi sentimenti.
Christopher però guardava accigliato lo stretto vestito di Caroline.
“Cosa?” Lo guardò lei stranita.
“Perché questo? E’ troppo corto.” Le rispose lui alludendo alla lunghezza dell’abito.
“Stai scherzando?! Mi arriva quasi al ginocchio!”
Chloe a qualche passo avanti a loro, si godeva la scena sghignazzando divertita.
Christopher ignorò completamente le  proteste  della ragazza e si abbassò per afferrare l’orlo del vestito e tirarlo un po’ più in basso. Si rialzò palesemente soddisfatto, ma corrucciò nuovamente lo sguardo quando notò la generosa scollatura dell’abito. Caroline si coprì con le braccia.
“Ehi, non mi guardare così. Per chi mi hai preso?!”  Borbottò indignata.
“Tu stasera resti vicino a me! Non voglio che altri squadrino la mia ragazza da capo a piedi.” La ragazza ghignò mettendogli le braccia intorno al collo.
“Sei geloso?” Lui arrossì guardando altrove.
“Assolutamente no… Semplicemente non voglio che ti infastidiscano, tutto qui.” Caroline ridacchiò. Era un’inutile bugia, ma gli stampò ugualmente un bacio sulle labbra.
Una risonante musica attirò l’attenzione di tutti. Chloe si precipitò dentro per prima. Adorava le feste e questa voleva godersela dall’inizio alla fine.
Dentro il locare era oscuro se non per delle piccole luci colorate che lo illuminavano. Il barista esibiva la sua bravura mostrando trucchi con una bottiglia. Chloe tra la calca di gente riuscì ad individuare Alex accanto a Jonathan. Fu proprio quest’ultimo a presentarla. Era nervosa ma riusciva a sorridere convincente. Dopotutto è così che si conquista un pubblico: Trasmettere la propria serenità a loro.
Caroline era la prima volta che la sentiva cantare e ne rimase affascinata. Aveva una voce dolce , ma potente. Ricordava quando , a casa sua, le aveva parlato del suo amore per il canto e pensò che le aspettasse davvero un grande futuro. Christopher mise le braccia intorno alla sua vita.
“E’ bravissima, vero?” Sussurrò lui.
“E’ eccezionale!” Ribadì lei.
Alex non riusciva a stare ferma. Saltava, dondolava e recitava col viso e coi gesti. La paura iniziale era ad un tratto passata. Senza contare che le luci erano tutte puntate su di lei, lasciando il resto del pub al buio; il che non le permetteva di riconoscere del tutto le persone presenti. Si sentiva più sicura in questo.
Terminò con una nota lunga, ringraziando più volte il pubblico che l’aveva ascoltata.
“Ha cantato Alexandra Nelson! Bravissima Alex.” Urlò Jonathan abbracciandola. Tutti esplosero in un fragoroso applauso che la riempì di gioia.
 
Dopo l’esibizione si poté finalmente godere la festa. Si chiese dove fossero finiti gli altri, ma li avrebbe cercati dopo. Cantare le aveva seccato la gola e aveva decisamente sete. Si avvicinò al barista, il quale le fece tanti complimenti per l’esibizione. Lo ringraziò, sedendosi sulla piccola sedia rotonda.
Improvvisamente si sentì toccare la spalla. Si voltò con l’aspettativa di trovarsi uno dei suoi amici, ma dovette ricredersi quando vide uno sconosciuto che la guardava con un ghigno sul volto. Nell’oscurità non vide bene i suoi tratti, ma intuì che dovesse avere i capelli di un biondo cenere.
“Ehi bella, sei stata molto brava prima.”
“Ehm… Grazie.” Sussurrò.
“Vuoi che ti offra qualcosa?… Facciamo un giretto?”
“No, non è il caso. Grazie comunque, ma… Io adesso dovrei andare dai miei amici…” Si alzò dalla sedia totalmente a disagio. Il ragazzo le afferrò il polso.
“Perché all’improvviso così di fretta?” Rise lui. Puzzava terribilmente d’alcool, ma le parlava con una certa lucidità. Probabilmente era solo brillo. Alex cercò di divincolarsi più volte da quella stretta d’acciaio, terrorizzata.
“Ehi tu! Non osare toccarla!” Urlò qualcuno. La ragazza si senti prendere un braccio per poi essere attirata vicino alla persona che aveva urlato. Alzò lo sguardo.
“William!”
Il ragazzo non la guardava. Aveva gli occhi diretti verso l’avversario di fronte. L’altro rise, senza un motivo ben preciso; una risata molto fastidiosa.
“E questo fiorellino sarebbe la tua ragazza?!”
“William…” Sussurrò Alex con l’intento di persuadere il ragazzo ad andare via. Ma il moro sembrava non ascoltarla.
“No, ma non sono affari che ti riguardano.”
“E’ un vero peccato. Una così bella ragazza…” Ghignò il ragazzo avvicinando la mano verso Alex, sfiorandole i capelli. William gli afferrò la mano allontanandola con forza da lei.
“Ho detto che non la devi toccare!” Urlò. Alex sentì i suoi muscoli irrigidirsi. Stringeva i pugni, trattenendo a stento la rabbia. Se non si fosse calmato avrebbe sicuramente innescato una rissa. E questo non lo desiderava affatto.
“William, ti prego andiamo via…” Tentò di convincerlo stringendosi di più a lui.
“Beh, se non è la tua ragazza…” Iniziò l’altro ridendo nuovamente senza un motivo preciso. “Puoi sempre lasciarmela per un po’. Se capisci cosa intendo.”
William aveva sentito abbastanza. Alzò il braccio, il pugno chiuso, con l’intento di fargliela pagare cara.
“No William!” Urlò Alex affondando il viso nel suo petto. Si fermò, il pugno stretto a mezz’aria. La guardò mentre gli supplicava di andare via. Fece un lungo respiro, cercando di calmarsi.
“Hai ragione. Non ne vale la pena.” Disse disgustato dall’avversario di fronte. Le mise una mano intorno alle spalle portandola via da lui e ignorando tutti i suoi commenti e risatine.
Si appostarono ad un angolo, lontano da occhi indiscreti. Le parole di quel ragazzo l’avevano confuso parecchio. Voleva molto bene ad Alex e aveva il diritto di proteggerla. Ma era vero, non era la sua ragazza. Eppure c’era qualcosa in lei che lo attirava come nessun’altra.
“Stai bene?”
“Si. Grazie William. Se non fossi intervenuto tu… Non so.”
Il moro le accarezzò la guancia. Vedeva chiaramente il contrasto tra la pelle chiara di lei e la sua più scura. La sentì fremere al suo tocco e sorrise a quella reazione. Le prese una delle ciocche che cadevano ribelli dalla sua coda e la rigirò tra due dita. Aveva dei bellissimi capelli neri con quelle punte violacee a parer suo tanto bizzarre quanto originali. E i suoi occhi; erano talmente chiari e affascinanti che ci si poteva affondare dentro.
“William…” Sussurrò Alex risvegliandolo dalla trance. “Ti vedo strano.”
“No, no…I-Io..”
Aveva una voglia matta di baciarla. E lo fece!
Sembrava che le sue labbra chiedessero disperatamente di essere possedute dalle sue. Alex rimase totalmente spiazzata. Tuttavia sembrava che il corpo rispondesse al posto suo.
Ricambiò il gesto, attirandolo a se e baciandolo con forza. In quel momento capì che aveva sempre desiderato quel tipo di contatto con lui.
Mise una gamba intorno alla sua e il ragazzo sfacciato le accarezzò la coscia. Si separò per un momento, mordicchiandole il labbro inferiore, per poi gettarsi nuovamente a capofitto sulle sue labbra.
 Alex credette per un istante di non dover più pensare a nulla: Niente pregiudizi, niente Phoebe e nessun’altra persona…
Ma, all’improvviso, l’incantesimo svanì e prese coscienza di sé.
Cosa sto facendo?!
Si separò bruscamente da lui, spintonandolo via. Mise entrambe le mani davanti alla bocca e scosse la testa, come a volersi convincere che tutto ciò non fosse accaduto veramente.
“Alex…” sussurrò il ragazzo spiazzato, avvicinandosi a lei. Alex fece automaticamente un passo indietro. William non capiva come quella ragazza, che fino a pochi secondi fa lo stava baciando con tanto ardore, ora lo stesse respingendo in quel modo.
“Che cosa ti succede?”
“Perché l’hai fatto William?!” Sbottò lei.
“Tu mi piaci Alex!”  Rispose in tono supplicante, ma la ragazza scosse la testa.
“Phoebe…”
“Lascia perdere Phoebe. L’ho lasciata! Ormai non conta più.”
“No William. Tu non capisci! I-io so con quante ragazze sei stato… Con quante ci hai provato e…e le hai scaricate poco dopo. Senza nessun pudore. Non puoi negarlo William! ” Il ragazzo parve capire cosa volesse dire, ma tentò di giustificarsi in qualche modo.
“Dimentica le altre. Dimentica tutto! Tu mi piaci davvero…”
“Come faccio a sapere che dici sul serio?!” Urlò lei. “Come faccio a non pensare che potresti mollarmi come hai già fatto con molte altre?  Avevamo una bella amicizia William. Ma ora è diverso! E io non voglio essere una delle tante. Io non sarò una delle tante!”
“No… Dammi una possibilità.”
“Ti prego William, non renderlo più difficile. Ho bisogno di pensare. Voglio restare da sola.” Sussurrò Alex. Si allontanò da lui in fretta, ignorando ogni sua supplica. Camminò a passo svelto fino a quando non lo vide confondersi tra la folla. Cominciarono a pizzicarle gli occhi.
 
Christopher era seduto al bancone a bere un sorso di birra. Inizialmente era scettico nell’allontanarsi dalla sua ragazza, ma Caroline aveva insistito.
“Non voglio che non ti goda la festa a causa mia! Hai bisogno di divertirti. Io so badare a me stessa, sai! ”
Gli aveva detto. Ci era voluto un po’ ma alla fine aveva accettato. E alla fin fine doveva ammettere che non era stata del tutto una pessima idea. Aveva anche incontrato vecchi amici con cui non usciva più da tempo.
Ora invece era seduto li, guardandola a volte di sottecchi per controllare se qualcuno le si avvicinasse.
“Ehi Chris!” Il ragazzo si voltò. Sorrise.
“Mike! Da quanto tempo!” Disse stringendogli la mano. Il ragazzo prese posto accanto a lui.
“Puoi dirlo forte amico!” Aveva in mano un cocktail mezzo vuoto e si chiese davvero se quello fosse il secondo o il terzo bicchiere in quella serata. Lo conosceva troppo bene per non sapere quante volte era solito bere.
“Cosa mi racconti? Non ti stai facendo più vedere di recente.”
“Beh, a dirla tutta adesso ho una ragazza.” Mike si fece più attento.
“Uh-Uh! E dov’è adesso?”
Christopher la indicò, mentre stava parlando animatamente con Madison. L’altro la squadrò attentamente da capo a piedi, soffermandosi molto sul suo fondoschiena.
“Mmh… Sexy!”
Il biondo lo guardò così male che Mike dovette girare la testa altrove, ridacchiando nervosamente.
“Ehi calma amico. Non te la rubo mica!” Bevve un altro sorso dal suo cocktail finendolo completamente. “Comunque credimi! Le ragazze portano solo guai!”
Christopher non poté fare a meno di ridere.
“Ha parlato quello che un anno fa è stato mollato dalla ragazza di cui diceva di essere pazzamente innamorato.”
“Te lo dico proprio per questo!” Rise. “Ma mi sono ripreso. E a dirla tutta… laggiù c’è una bella moretta che mi aspetta.”
“Non cacciarti nei guai!”
“Non ci penso nemmeno! So quello che faccio!” Mike diede una pacca amichevole sulla sua spalla e volò via dalla ragazza che aveva adocchiato. Era sempre il solito, pensò Christopher. Cercava in tutti i modi di fare conquiste e ci era anche riuscito in passato. Diceva che fosse la ragazza giusta per lui, ma si dovette ricredere, perché lo lasciò a metà anno.
Girò la testa verso Caroline e notò che Madison non era più con lei. Ma la cosa che lo irritò maggiormente furono due ragazzi, seduti ad un tavolo, che la fissavano costantemente con sguardo famelico.
Si alzò, lasciando la sua bottiglia di birra ancora mezza piena e andò verso la ragazza.
“Chris!” Esultò Caroline abbracciandolo. “Allora ti sei divertito un po’?”
Lui annui serio, poi si accostò al suo orecchio.
“Se non l’hai notato, ci sono due tizi che ti fissano in continuazione e la cosa è irritante.”
“Beh… Si, in effetti è da prima che continuano a guardare.”
“Perché non mi hai chiamato?!” La rimproverò lui.
“Perché volevo che tu ti godessi la serata e poi posso cavarmela anche da sola.” Sbuffò Caroline orgogliosa.
Christopher scosse la testa.
“No, Caroline. Non posso godermi nessuna serata sapendo che qualcuno sta infastidendo la mia ragazza! Non ho mai voluto lasciarti da sola e lo sai.”
Lei incrociò le braccia e annuì, guardando di sottecchi i due fastidiosi ragazzi. Improvvisamente un sorrisetto maligno si disegnò sul suo volto. Si gettò sulle sue labbra e lo baciò più e più volte.
“Cosa stai facendo?” Domandò Christopher un po’ stordito.
“Dimostro che non sono disponibile per nessuno.” Sussurrò seducente. Il ragazzo sorrise.
“Questo gioco mi piace.”
Caroline lo baciò di nuovo con ardore. Le mani di lui vagavano scendendo dalle spalle ai fianchi. Si spostarono più in basso, accarezzandole i glutei; infine salì di poco proprio là dove vi era il tatuaggio.
Caroline sorrise e si spostò più indietro, finendo con le spalle al muro. Si leccò le labbra provocante, ancora vogliosa di baci.
Christopher ridacchiò poggiando la mano alla parete.
“Mi farai impazzire.” Sussurrò. Iniziò a dare piccoli baci sul suo collo, partendo da sotto il mento. La ragazza, abbracciata a lui, chiuse gli occhi in estasi. Il respiro era corto, come se le mancasse l’aria e lui se ne compiacque.  
Si lasciò scappare un gemito quando Christopher le lasciò un succhiotto sulla pelle. Se lo sfiorò con due dita.
“E questo?”
“Dimostro che non sei disponibile per nessuno… Tranne me.”
Lei ridacchiò alla sua frase.
“Sei geloso!”
“No, non è vero!” Le rispose mettendo il broncio. “Forse solo un pochino.”  Ammise infine. Appoggiò la fronte alla sua.
“Ma anche tu lo sei. Lo vedo chiaramente.” Stavolta fu Caroline a negare e a fargli la linguaccia.
“Ehi voi due!” Entrambi si voltarono verso la voce di Chloe. “Datevi un contegno. Siamo in un luogo pubblico!” Rise lei con l’intento di prenderli in giro e i due non poterono fare altro che arrossire.
Purtroppo però, il sorriso svanì subito quando intravidero Alex, con le lacrime agli occhi, mentre passava davanti a loro. La ragazza aveva avvertito la loro presenza, ma non li guardava in faccia.
Caroline tentò di afferrarle la mano con l’intento di fermarla, ma lei la ritirò immediatamente, camminando verso l’uscita secondaria del club.
“Cosa le succede?”
“Non lo so.” Fece Christopher sospettoso. “Ma è meglio se andate a parlarci, sicuramente con voi si confiderà.” Cominciò a ipotizzare cosa potesse esserle successo. Ma l’intuito finiva sempre su William.
Le due ragazze, invece, non se lo fecero ripetere due volte e corsero verso l’uscita secondaria, in quel momento aperta.
Non era altro che un vicolo cieco. La strada dava in fondo sulla destra, mentre sul muro di cinta a sinistra vi erano due cassonetti. Davanti a loro Alex piangeva, appoggiata al muro e con la testa bassa.
“Alex perché stai così?” Sussurrò Chloe. “L’esibizione è andata bene e…”
“No. Non è l’esibizione. Sono dannatamente confusa!” Singhiozzò. Si sentiva la testa terribilmente piena e pesante e non sapeva cosa pensare. Aveva bisogno di parlarne e dovette raccontare tutto, anche se con un po’ di pudore.
“Ma lui ti piace?” Chiese infine Chloe.
Alex rimase frastornata. Se la doveva aspettare questa domanda in fondo.
“S-Si… Ed è proprio questo il punto!”
“Continuo a non capirti.”
“E se…se mi volesse usare? Se non funzionasse? Se diventassi l’ennesima bambola della sua collezione? Io non voglio che la nostra amicizia venga rovinata.” Altre lacrime le rigarono le guance. “Ma ormai…dopo quello che è successo è troppo tardi.”
“Non dire sciocchezze!”  La rimproverò Caroline. “Tutto quello che ci hai detto… Ne hai parlato con lui?”
Alex scosse la testa e il suo sguardo si indurì.
“Allora fallo. Non nasconderti , non ignorare i problemi! Credi davvero che William, dopo anni che ti conosce, avrebbe voluto usarti?!”
La ragazza esitò. Aveva capito perfettamente dove volesse andare a parare e si morse il labbro.
“Ho capito cosa intendi. Ma non voglio parlargli ora. Non me la sento.”
Il ricordo delle sue labbra, del tuo tocco… la confondevano troppo.
Si abbracciò a loro, sfogando le ultime lacrime rimaste.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


“Allora gli parlerai?!” Domandò Caroline.
Aveva incontrato Alex per puro caso, mentre camminava pensierosa per i corridoi della scuola. La campana della ricreazione era suonata da poco, così aveva deciso di affiancarla. Dopo quella piccola esibizione, la gente continuava a fissarla, ma sotto una luce diversa e questo non poteva che farle bene.
“Non so. Non ne sono sicura.”
“Non puoi ignorarlo per sempre e lo sai.”
“Lo so, lo so.” Sussurrò Alex. “Ma come posso non pensarci? E poi… Cosa ho io in più rispetto alle altre?”
Caroline sorrise. “E’ ovvio. Essere tu!”
L’altra non poté fare a meno di guardarla perplessa.
La mora continuò fiera e saccente. “Chi conosce William meglio di te? Lo frequenti da tanto tempo ormai e questo non può che avvantaggiarti. Ricordati che tutto nasce da un reciproco affiatamento!”
“Continuo a non capire cosa intendi.”
Caroline sorrise, facendole l’occhiolino. “Vedrai, lo capirai.”
Alex la guardava stralunata. Era incredibile come riuscisse a nascondere dei significati in una semplice frase. Il suo modo di esprimersi l’aveva sempre trovato molto  piacevole.
Annuì solamente, non sapendo come controbattere.  Sorrise.
“Comunque… ” Iniziò tanto per cambiare discorso. “Bel livido tesoro...” Ghignò sapendo perfettamente che non era un livido ciò che la ragazza aveva al collo.
Stavolta fu la mora a non sapere come rispondere.
“S-Si nota così tanto?” Arrossì lei, stringendo più a sé la sciarpa che aveva portato appositamente per coprirlo. Christopher le aveva lasciato proprio un bel segno e aveva fatto una faticaccia a nasconderlo alla madre. Alex rise, ma non le poté rispondere. Dietro di sé sentì qualcuno chiamarla.
“Nelson!” La ragazza non si girò completamente, ma vide solo di sfuggita. Fece una smorfia quando scoprì che era proprio Phoebe a chiamarla.
Che cavolo vuole questa da me?
La ignorò completamente, facendo finta di nulla. Non voleva avere nulla a che fare con lei.
“Continua a camminare.” Sussurrò a Caroline, la quale sapeva perfettamente che non avrebbe potuto continuare per tanto, poiché il corridoio era semi deserto ed era impossibile non ascoltarla.
“Alexandra Nelson, lo so che mi senti!”
La ragazza sbuffò infastidita e fu costretta a fermarsi e voltarsi. Phoebe la raggiunse in fretta, guardandola dritto negli occhi con sguardo fin troppo serio.
“Ciao Phoebe, volevi sapere qualcosa?” Domandò Alex facendole il sorriso più forzato che le riusciva. Ma notò che non fu necessario, perché l’altra la interruppe subito,  truce.
“Niente cerimoniali Nelson, arriviamo al punto.”
“Meglio così.” Le rispose lei con altrettanto tono. “Allora cosa vuoi?”
“Cosa c’è tra te e William?” Alex rimase totalmente spiazzata. Se si metteva in mezzo anche Phoebe in questa storia le cose si sarebbero complicate ulteriormente. Cercò di risponderle a mente fredda.
“Assolutamente niente. Non vedo perché ti debba interessare.”
“Non dire stronzate. Pensi davvero che sia così stupida?! Vi ho visti l’altra sera, mentre lo baciavi.”
Caroline vide in Alex una scintilla di timore, mascherata immediatamente dalla sua solita espressione fredda e indifferente. Tuttavia, le rispose tentennando.
“Io… Non so di cosa tu stia parlando.” Detto ciò, fece per andarsene. Phoebe furiosa le afferrò i capelli dalla radice e tiro con forza, costringendola a riavvicinarsi.
“Non voltarmi le spalle Nelson!” Urlò. Alex strinse gli occhi, ma si morse la lingua per non lamentarsi e a quel punto Caroline intervenne, togliendole la mano di dosso.
“Ma sei impazzita?! Cosa cavolo credevi di fare?”
“Non ti impicciare tu! Questa questione non ti riguarda!” La spintonò Phoebe.  Caroline era pronta per risponderle a tono, ma venne zittita da Alex che alzò il braccio per calmarla.
Attorno a loro si stava lentamente formando una cerchia di curiosi, ma sembrava che a nessuna delle tre importasse. La ragazza si massaggio la testa, truce.
“La mia pazienza ha un limite Phoebe. Sparisci, perché quella che non si deve impicciare sei tu. William ti ha lasciato!”
“Era una pausa di riflessione!” Si giustificò immediatamente lei. La guardò sprezzante. “Ma tanto che t’importa. Dopotutto cos’altro mi sarei dovuta aspettare dalla figlia di un bastardo e una puttana?!”
Questo non doveva dirlo. Adesso ne aveva davvero abbastanza. Alex l’afferrò per la maglia e la sbatté al muro.
“Non osare infangare i miei genitori! Io ti rovino, stronza. Ti rovino!” Urlò con tutte le sue forze. Caroline tentò di interporsi fra di loro trascinando via Alex, ma invano.
“Non me ne frega niente delle tue convinzioni del cazzo! Io ti odio e non la farai franca! ”
“Alex non fare così o ci cacciamo in altri guai.”
“Proprio così signorina Barnes.”
Le ragazze strabuzzarono gli occhi. Il professor Stander era lì e le guardava severo. Era arrivato in quel preciso momento e l’unica cosa che aveva visto era stata la reazione violenta di Alex.
“Metta le mani a posto Nelson!”
Obbedì riluttante, ma lo guardava con tono di sfida di come aveva sempre fatto. Caroline , invece, sembrava terrorizzata dalle conseguenza che sarebbero accadute di li a poco.
Phoebe si precipitò dal vecchio professore, andando al suo fianco.
“La ringrazio. Per mia fortuna è intervenuto lei.” Sussurrò con fare fin troppo innocente. Era una dannatissima recita la sua, ma stava funzionando alla perfezione.
“Sai bene che non è accettata alcuna forma di bullismo Nelson! ”
“Bullismo?! Era una legittima difesa!” Protestò lei, ma il professore era irremovibile.
“Vi voglio dal preside, tutte e due. Adesso!”  Alex e Caroline si guardarono sconvolte. Un leggero mormorio si elevò dalla piccola folla creatasi.
Phoebe fu libera di andare perché presa solo come vittima. A nulla valsero le proteste delle ragazze che vennero trascinate via dal professore verso la presidenza.
 
William camminava a passo spedito furioso come non lo era mai stato, seguito da Christopher e Chloe. Doveva trovare assolutamente Phoebe e si sarebbe girato l’intera scuola se fosse stato necessario.
Chloe invece era scioccata. Non appena aveva scoperto cosa era successo era corsa ad avvisare gli altri.
La gente non faceva altro che mormorare continuamente e spinta dalla curiosità aveva chiesto informazioni.
“Non so con precisione, io non c’ero. Ma ho scoperto che il professor Stander ha beccato Alexandra Nelson ad alzare le mani e minacciare Phoebe Momsen. C’era anche una certa Barnes con lei.” Le raccontò una ragazzina fermata lì per caso.
La cosa le puzzava di bugia. Anche Christopher era arrabbiato e non gli si poteva dare torto. Alex non si sarebbe mai spinta a tanto e questo lo sapevano benissimo, senza contare che era stata coinvolta anche Caroline, che non si sarebbe mai permessa di alzare le mani a qualcuno.
Trovarono Phoebe fuori dalla sua aula, mentre parlava serenamente con un gruppo di amiche. Sembrava perfino che non le fosse successo nulla.
William le si avvicinò immediatamente. Una delle ragazze l’aveva probabilmente visto, perché sussurrò qualcosa a Phoebe, facendola voltare. Lei gli sorrise in modo affabile.
“Will!”
“Phoebe posso parlarti in privato?”
Le amiche ridacchiarono fra loro e una addirittura arrossì. Forse doveva avere una piccola cotta per lui.
“Torno fra poco.” Disse Phoebe allontanandosi da loro. Il sorriso vacillò un po’ quando si ritrovò faccia a faccia con William e gli altri.
“Cosa cavolo hai fatto ad Alex?” Domandò lui serio cercando di non perdere la pazienza da subito.
“Io? Lei mi ha attaccata! E’ una bulla e mi è andata anche bene.” Si giustificò lei. Continuava a voler mentire e questo metteva a dura prova la loro sopportazione.
“Non dire sciocchezze. Alex non si permetterebbe mai di arrivare a tanto! Men che meno Caroline!” Intervenne Christopher torvo.
“Se ti riferisci a Barnes, ti ricordo che è stata lei ad impicciarsi.” Chloe incrociò le braccia.
“Di certo non lo fa per il gusto di farlo. Avrà avuto le sua buone ragioni no?!”
“Certo che avete tutti lo stesso vizio. Non ficcare il naso in cose che non riguardano biondina!”
“Non parlare così a mia sorella!”
“Ora basta!” Urlò William zittendo tutti. In quel mentre la campanella suonò segnando la ripresa delle lezioni. Le persone cominciarono lentamente a ritornare nella propria aula sbuffando.
“Tornate in classe, ci penso io qui.” Sussurrò il ragazzo più calmo.
“Will, noi vorremmo…”
“Lo so Chris, ma voglio parlare da solo con lei.” Lo interruppe lui afferrando il braccio di Phoebe. “Ci vediamo dopo.” Dettò ciò trascinò la ragazza via che lo seguì senza controbattere in alcun modo.
Si appostarono alla fine del corridoio, dove era sicuro di non poter avere altre interruzioni.
“E’ strano essere di nuovo con te… Sola. Non mi hai dedicato più attenzioni di recente.” Cominciò lei appoggiandosi al muro. Sorrise. “Ti ricordi? In passato lo facevi spesso  ed è stato fantastico.” Disse suadente. Avvicinò le mani sul petto di William, ma il ragazzo le afferrò i polsi fermandola.
“No. Io non ricordo e non voglio ricordare niente.” Le rispose freddo e spietato.
Silenzio; nessuna risposta. Sospirò avvicinandosi alla finestra per guardare distrattamente fuori.
Per un po’ si rinchiusero nel proprio mutismo, non avendo alcuna intenzione di aprire bocca.
“Perché lei William? Cosa può avere lei che io non ho?” Sussurrò Phoebe all’improvviso, il sorriso ormai svanito sul volto.
“Lei mi capisce.”
 “E io no, non riesco a capirti?!” Urlò lei. “E’ tutta colpa sua! L’ho capito dalla prima volta che l’ho vista che si sarebbe messa in mezzo al nostro rapporto. Se non fosse stato per lei non saremmo a questo punto!”
“Ti sbagli! Tutto questo sarebbe successo in ogni caso. Alex non c’entra  proprio nulla!”
 “Perché la vuoi giustificare?! Vedila per quello che è, una bulla e una ribelle!”
William la guardò ironico.
“Non m’importano affatto questi pregiudizi. La conosco troppo bene e tu non puoi dire nulla su di lei.”
“Vedo che ti ostini a difenderla.” Sibilò lei. Strinse i pugni. “Mi hai usata, come tutte le altre.”
Il ragazzo rise senza allegria.
“Oh no, non sono stato io ad usare qualcuno qui. Ti piaceva esibirmi in giro vero? E’ stato bello, ma adesso è il momento di finirla. E devi  imparare ad accettare i fatti così come stanno. Puoi raccontare a tutti ciò che vuoi su di me. Ma almeno io, sono certo, avrò la coscienza pulita.”
Detto questo andò via, lasciandola sola a pensare. Phoebe ringhiò.
 
Alex e Caroline aspettavano impazienti. Avevano cercato di parlarne, ma il preside era stato molto chiaro a riguardo.
“Essendo entrambe minorenni ho voluto chiamare i vostri rispettivi genitori. Voglio assolutamente che siano presenti alla discussione.”
Caroline spalancò gli occhi terrorizzata. Era rigida, spalle tese e gambe accavallate. Batteva continuamente il piede a terra e si tormentava le mani. Era nervosissima. Era palese che non si fosse mai cacciata in guai del genere.
Alex, invece, era più calma perché abituata a ritrovarsi in certe situazioni. Ma sapeva per certo che non l’avrebbe passata liscia. Come poteva crederle dopotutto?
Sua madre Jane fu la prima ad arrivare e si sedette accanto a lei.
“Che cosa hai combinato stavolta?” Sibilò alla figlia.
“Stavolta non ho fatto assolutamente nulla! E’ stato un malinteso.”
Aspettarono un po’ prima che anche la madre di Caroline arrivasse. Ma poi finalmente sentirono bussare alla porta della presidenza.
“Avanti.” Patricia entrò subito, chiudendosi la porta alle spalle.
“Salve. Chiedo scusa; sono stata bloccata a lavoro e lasciarlo all’improvviso non è stato affatto facile.”
“Non si preoccupi signora, la capisco.” Parlò il preside.
Jane cominciò stranamente a sentirsi molto turbata. Quella voce la conosceva molto bene. Guardò di sottecchi Caroline. Tutto tornava.
Barnes… non può essere davvero lei!
Si voltò dalla sedia, per vedere meglio la donna. Una incrociò lo sguardo dell’altra.
Patricia spalancò gli occhi sbigottita, mentre Jane sbiancò.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Il preside parlò lungamente di ciò che era successo e delle conseguenze di tale atto. Jane cercava di ascoltare, ma si sentiva lo sguardo di Patricia puntato addosso. Sebbene la guardasse solo di sottecchi si sentiva ugualmente infastidita e a disagio. L’aveva riconosciuta nonostante il tempo passato e la scrutava, senza alcun accenno a un sorriso. In quegli anni era come sparita e non l’aveva più rivista, ma nulla era cambiato dal loro ultimo incontro.
Patricia prese a farsi più attenta quando Alex prese la parola e Jane la ringraziò mentalmente per averla distratta da lei.
“Preside, prima che continui volevo chiederle una cosa.” Il preside si distese completamente sullo schienale della sedia, attento.
“Prego.”
“Non punite Barnes.” Caroline la guardò stralunata.
“No Alex ma che dici? Non c’è bisogno.” sussurrò. Alex non la ascoltò affatto.
“Dico sul serio. Mi prendo le mie responsabilità.  Lei non c’entra; stava solamente cercando di allontanarmi da Momsen.”
“Alex!”
Il preside guardò entrambe a turno. Non si aspettava affatto che una ragazza si prendesse tutta la colpa dell’atto. Era una situazione in cui non si era mai trovato. Appoggiò i gomiti sulla cattedra sospirando. Si tolse gli occhiali massaggiandosi la radice del naso pensoso.
“Cosa devo fare con voi due?”
“Qualunque cosa succeda sono pronta a pagare e a prendere seri provvedimenti su mia figlia.” Intervenne Jane. Le sembrava la cosa più corretta da fare e da dire. Nel suo piccolo però voleva davvero mostrarsi responsabile e autoritaria davanti a Patricia. Il preside annuì comprensivo.
“E lei cosa ne pensa?” Domandò all’altra donna.
“Io so solamente che Caroline non si era mai comportata in questo modo, ma se così non fosse avrà una punizione esemplare.”
“Ve lo posso assicurare. Caroline non c’entra nulla.” Intervenne Alex.
Il preside era davvero confuso. Non sapeva davvero se fidarsi della parola di una ragazzina. Ma alla fine decise di essere più accondiscendente possibile.
“D’accordo.” Sentenziò. “Per questa volta sarò tollerante. Barnes puoi tornare in classe. Ringrazia la tua amica per questo.”
Patricia era palesemente soddisfatta, ma Caroline non era dello stesso avviso. Dopotutto si stava prendendo tutta la colpa di un incidente. Non lo trovava giusto; non era stata neanche tutta colpa sua.
Tuttavia preferì ringraziare e zittirsi. In fin dei conti le aveva già concesso troppo e se solo avesse provato a controbattere il preside avrebbe potuto anche cambiare idea.
Si avvicinò ad Alex sussurrando.
“Grazie tante Alex. Ma non farti punire per questo. Di le cose che sono davvero accadute.”
“Non ti preoccupare. Me la sono sempre cavata fino ad ora. Ci proverò anche stavolta.”
Patricia circondò le spalle della figlia e la condusse fuori, ignorando le occhiatine che ogni tanto arrivavano da Jane. Quando furono fuori la guardò con occhio severo.
“Si può sapere cosa avete combinato? Non ti sei mai cacciata nei guai per quanto ricordi, e adesso?!”
“Mamma è stato solo un malinteso.” Le rispose la ragazza spazientita. Si voltò a sinistra e meravigliata notò Christopher che l’attendeva.
“Caroline!” Lei si precipitò verso di lui abbracciandolo forte.
“Come è andata? E Alex?”
“Alex è ancora dentro ma il preside mi ha lasciata andare.” Alzò viso guardandolo negli occhi. “Che ci fai qui Chris?”
“Volevo assolutamente sapere. Ho chiesto il permesso di uscire e mi sono precipitato qui.” Caroline sorrise. Lo baciò a lungo, almeno fin quando non sentirono Patricia schiarirsi la voce per attirare l’attenzione.
“Tesoro, devi dirmi qualcosa per caso?”
Entrambi arrossirono. Caroline prese la mano del ragazzo e lo condusse alla madre.
“Ehm… mamma lui è Christopher Knight.”
“Interessante. Piacere Christopher , chiamami pure Patricia.” Si rivolse alla figlia. “Quando pensavate di dirmelo?”
“Ecco… Il più presto possibile.” Le rispose lei con un sorriso a trentadue denti. Patricia sorrise.
Al primo impatto Christopher le era sembrato una bella persona. Tuttavia preferì fargli qualche domanda senza andare troppo sul personale. Si trattava di sua figlia dopotutto.
Il ragazzo era in imbarazzo e rispondeva un po’ impacciato; per sua fortuna Caroline gli dava una mano.
Però non passò molto prima che anche Alex uscisse dalla presidenza.
“Alex! Come è andata?”
“Beh… Per fortuna ha voluto ascoltare la mia versione dei fatti. Dobbiamo solo attendere, ma io non penso che mi denunceranno per bullismo. Tuttavia una bella sospensione non me l’ha tolta nessuno.”
I due ragazzi sorrisero mesti. Non era affatto giusto questo. Alex si rivolse al ragazzo.
“Chris, come hai fatto a sapere che eravamo qui?”
“Chloe l’ha saputo per caso. William però era furioso. Non appena ha visto Phoebe l’ha trascinata via dicendo che voleva parlarci da solo. Sapeva perfettamente che non l’avresti attaccata senza motivo e non ha voluto credere a nessun altro.”
Lei si morse il labbro. Tutto questo l’aveva fatto per lei.
Avrebbe voluto parlarci al più presto, ma aveva stranamente timore. I suoi pensieri vennero interrotti da Patricia, che si accostò alla figlia.
“Torna in classe. Io devo assolutamente andare.”
Alex prese coraggio e si avvicinò a lei.
“Signora Barnes. Prima che lei vada devo umilmente chiederle scusa per averle fatto perdere tempo prezioso. Caroline è stata coinvolta ingiustamente in questa storia.”
Patricia però  la guardò disorientata. Non tanto per le sue parole, quanto per il suo aspetto.
Le somiglia così tanto… Pensò guardandola bene.
Prima sembrava così presa dalla situazione che non l’aveva notata fino in fondo. Ma la cosa che la colpì particolarmente furono gli occhi azzurri. I suoi medesimi occhi. Gli stessi che l’avevano resa la ragazza più felice del mondo. E gli stessi che l’avevano fatta cadere nello sconforto più totale.
Alex la guardò turbata e lei tornò in se, cercando di sorridere.
“Non importa. Non… Non ti devi scusare per nulla. E’ stato solo un incidente.” La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Era sempre meglio non crearsi ulteriori antipatie.
In quel mentre Jane uscì dalla presidenza. Era restata un po’ di più per discutere col preside di altre questioni alquanto inutili.
Patricia incrociò il suo sguardò per un attimo, poi andò via in fretta. Jane non voleva lasciarsi sfuggire l’occasione di parlarle. Non si accertò nemmeno che la figlia tornasse in aula e si precipitò verso l’uscita con l’intento di raggiungerla.
Il parcheggio fortunatamente era privo di gente con poche macchine parcheggiate. Patricia andò verso la sua a passo svelto, cercando di seminarla. Jane però riuscì a raggiungerla, afferrandole il braccio.
“Patricia, aspetta. Ti voglio parlare.” Lei si divincolò dalla presa.
“Io non voglio affatto parlare. Non ti è bastato prenderti gioco di me in passato?! Ora anche tua figlia mi perseguita.”
“Lascia stare Alex. Lei non sa nulla!” Patricia rise, ironica e senza allegria.
“Ma davvero?! Quindi non le hai detto di come mi abbiate tradito, di come vi siete divertiti a giocare con i miei sentimenti, di come tu ti sia divertita ad amoreggiare con Alan quando era il mio ragazzo!”
Jane abbassò la testa mordendosi il labbro.
No, Alex non sapeva niente ed era meglio per lei rimanere nell’ignoranza. Ma per troppo tempo aveva nascosto la verità sotto forma di pietose bugie.
Patricia continuò infuriata.
“Non avete fatto altro che pugnalarmi alle spalle e non avete pensato affatto a me!”
“Questa…Questa è una bugia. Ci pensavo…”
“Ah si?! E allora perché vi siete nascosti? Se non vi avessero scoperti io sarei ancora qui a credere alle vostre stupide menzogne!”
Jane sentì una stretta allo stomaco. Se lo ricordava bene quel giorno.
Era stato l’impulso di due incoscienti.
Stava leggendo in piedi un libro in una sezione della biblioteca normalmente deserta. Era stato lui a sorprenderla, abbracciandola da dietro. Il libro le era caduto a terra con un tonfo.
Iniziò a darle piccoli baci sul collo per salire lentamente sulle sue labbra.
“Alan, ci scoprono…” aveva sussurrato lei. Ma Alan non l’ascoltava e la verità era che neanche lei voleva fermarlo. Lui si era spostato verso la poltrona più vicina senza staccare mai le labbra dalle sue.
La fece sedere sulle sue gambe ignorando completamente tutto ciò che li circondava.
Ma si accorsero troppo tardi che in quella zona, solitamente deserta, stavano passando due delle amiche della sua ragazza.
Jane scosse la testa, cercando di non pensarci. Patricia la guardava fredda parlandole con disprezzo.
“Te lo ricordi vero? Un gesto alquanto stupido. Ma vedo che la cosa non vi ha toccato minimamente. Ho fatto i conti prima, sai? Hai avuto Alex a soli diciassette anni. Avevi la stessa età quando scoprì che Alan mi tradiva con te.”
L’altra strinse così forte i denti sulle labbra da farsele quasi sanguinare. Era vero. Troppi errori aveva fatto nella sua vita. Patricia sorrise mesta e fece per andarsene.
“Mi dispiace, Perdonami…” Sussurrò Jane sull’orlo delle lacrime.
La mora si bloccò d’impulso. Quella piccola frase era un qualcosa che ormai non si aspettava più da tempo. Ma non si sarebbe lasciata abbindolare. Non se la sarebbe cavata così.
“Mi sembra un po’ tardi per le scuse, non credi?”
Andò via in fretta salendo in macchina e ignorando tutte le sue chiamate. Lasciò Jane sola, schiacciata da tutti i suoi sensi di colpa.
 
“Madison!”
Lizzie entrò nello spogliatoio trovando la ragazza che ascoltava la conversazione delle altre compagne di squadra. Solitamente Madison era velocissima a cambiarsi, ma da un po’ di tempo aveva cominciato a trattenersi di più dentro. Fuori sugli spalti c’era ancora Ethan e lei era ancora confusa. Non aveva smesso una volta di venirla a vedere e la cosa la turbava e rallegrava allo stesso tempo.
Lizzie era un’altra sua compagna, dai capelli rossi naturali, tendenti all’arancio. Erano di un riccio piccolo e crespo, ma nonostante tutto sapeva portarli bene. Il viso era addolcito da una leggera spruzzatina di efelidi.
“Madison, che ci fai ancora qui?!”
La mora la guardò stranita. Le altre invece sembravano aver capito benissimo cosa volesse dire poiché annuirono.
“In che senso?”
“Dovresti andare da lui!” La rimproverò Lizzie. “Nonostante tu l’abbia lasciato, non c’è stata una volta in cui non è venuto a trovarti con la speranza di poter poi parlare con te!”
“Che cosa romantica.” Cinguettò un’altra compagna sospirando sognante.
Madison sentì una piccola stretta allo stomaco nel sentir parlare di lui. Guardò la rossa mesta.
“Non sono sicura di potergli parlare ora.”
“Tu sei pazza.” Borbottarono alcune. Lizzie sbuffò e le prese il braccio trascinandola fuori dallo spogliatoio. Altre tre ragazze le seguirono salendo le scale che portavano al campo.  Era strano. Le sue compagne non si erano mai interessate tanto ai suoi problemi.
Si addossarono alla porta per non farsi vedere.
“Lo vedi? Ti sta aspettando come sempre!”
Madison si affacciò lentamente dalla porta per osservarlo. In alto, seduto sugli spalti c’era Ethan. Aveva entrambe le braccia sulle ginocchia e lo sguardo basso e pensoso.
Doveva ammettere che le faceva male vederlo così. In fin dei conti non era mai mancato ad un allenamento per poterla vedere.
“Vai!” Le intimarono le altre spingendola verso l’uscita. Madison emise un lungo sospiro: Lizzie aveva ragione, aveva aspettato e riflettuto per troppo tempo. Era il momento di chiarire la questione una volta per tutte!
Avanzò verso di lui.
Ethan appena la vide si alzò in piedi. Per tutto il tempo era stata la speranza di essere perdonato a spingerlo ad andare in quel luogo. Tuttavia i giorni passavano e questa piccola luce si faceva man mano più flebile convincendolo quasi a rinunciarci. Ma vederla nuovamente di fronte a lui lo fece gioire mentalmente.
Probabilmente Chloe era riuscita a persuaderla e  finalmente lo avrebbe ascoltato.
“Ethan, forse è arrivato il momento di parlare.” Cominciò lei. “Ho discusso con Chloe di tutto quanto. Il fatto è che questa questione mi ha sconvolta e… e non posso negare di provare un sentimento molto forte per te. Quindi vorrei…” Ethan non la lasciò finire la frase che la baciò.
“Perdonami…Perdonami ti prego.” Sussurrava lui baciandola sul viso. Madison in quel momento capì quanto le fossero mancati quei piccoli gesti di affetto che era solito regalarle.
“Madison, io so quel che ho fatto in passato, a Chloe. Lo riconosco e me ne pento.” Le prese entrambe le mani. “Ma il passato è passato. Io non farò mai nulla che possa farti stare male. Non riuscirei a perdonarmelo. Tu mi rendi migliore.”
A sentire le sue parole le venne da piangere. Ma non erano lacrime qualunque. Erano lacrime di gioia che le riempirono il cuore di felicità. Chloe le aveva detto che tutto questo non l’avrebbe fatto per nessun’altra.
Inizialmente era scettica, non riusciva a crederci; ora invece lo vedeva chiaramente e pensò che in fondo aveva davvero ragione. Si diede della stupida per non averci creduto prima.
“Se non vuoi parlarmi ti capisco.” Continuò Ethan. “Ma aspetterò un tuo cenno. Aspetterò in eterno se è necessario.”
“Non c’è ne bisogno.” Sussurrò Madison. Sorrise commossa e gli mise una mano sulla guancia. “Ti sei abbassato a cose assurde per chiedermi perdono. Hai supplicato chi non ti saresti mai aspettato. Non posso non apprezzare. Mi sei mancato così tanto Ethan.”
Stavolta fu lei a prendere l’iniziativa e a baciarlo. Adesso sapevano si sentirsi davvero completi.
Ethan si staccò per un momento.
“Ehi sai una cosa?” Sussurrò. “Ti amo.”
E Madison sorrise perché sapeva che quella frase ora era davvero sincera. Cominciava a coglierne davvero il significato e non lo diceva con indifferenza o disperazione. Era vero.
Nella quiete della palestra sentirono all’improvviso delle risatine. Si voltarono verso la porta dello spogliatoio e notarono le compagne di squadra di Madison che affacciate ridacchiavano maliziose. Lizzie era la prima del gruppo e li guardava palesemente soddisfatta.
I due non poterono non ridere alla loro curiosità.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Il cielo era nuvoloso e carico di pioggia. Jane lo guardò per un istante, poi prese ad avanzare.
Il freddo quel giorno era pungente e benché non stesse ancora piovendo, si mise il cappuccio sul capo.
Dopo quel giorno con Patricia si era promessa di andare a trovarlo.
Non ci andava da un paio di mesi, ma non per cattiveria. Voleva farlo ma non era così forte come voleva far credere. Avanzò ancora entrando nel cancello principale.
Il cuore le batteva forte, come se stesse andando ad un appuntamento.
Nonostante il tempo passato ricordava perfettamente la strada in quel piccolo labirinto, come se non fosse passato neanche un giorno dalla sua ultima visita. La sua foto era lì che lo ritraeva giovane e bellissimo come era sempre stato.
Si avvicinò con un po’ di timore come se da un momento all’altro potesse rimproverarla di non essere venuta più spesso.
“Ciao Alan.” Sussurrò. Porse sulla terra una rosa rossa che si era portata con se. Rossa di peccato, ma soprattutto di amore.
“Non mi sono fatta vedere spesso ultimamente. Ma spero che tu possa capirmi.” Continuò lei nel modo in cui qualcuno parlerebbe ad un amico incontrato dopo anni. “Sai, Alexandra è cresciuta. E’ diventata proprio una bella ragazza. E ti somiglia tanto…Anche un po’ caratterialmente.” Ridacchiò mesta.
Le venne da piangere. Avrebbe tanto voluto riabbracciarlo, toccarlo, sorridergli.
Si lasciò cadere con le ginocchia sul terreno. Non le importava se si sarebbe macchiata il vestito.
L’unico bisogno che aveva era di purificarsi la coscienza.
“Patricia è tornata in città. Non so da quanto. L’ho rivista e…e ho pensato a noi. A cosa le abbiamo fatto. Al nostro errore.”
Già un errore grave, ma che produsse quel fiore meraviglioso che era ora Alex. La persona più bella e importante della sua vita. La ragazza era però ancora ignara di tutto ed era una cosa inaccettabile.
“Alex non sa ancora nulla. Ma dovrà saperlo prima o poi. Ricordi ancora quel giorno? Il nostro primo bacio...”
Lei si, se lo ricordava benissimo. Era stato il momento più bello che avesse vissuto. Ma era stato anche tremendamente sbagliato. Le immagini nella sua mente cominciarono a farsi nitide rievocando quel passato ormai lontano.
 
Una fresca e piacevole brezza primaverile sfiorava il viso di un ragazzo seduto sotto un albero. I raggi del sole filtravano attraverso i rami creando macchie di luce sulla sua pelle chiara.
Sorridente, appoggiata con la testa sulle sue gambe stese, vi era una ragazza. Aveva capelli neri lunghi poco più della spalla.
“Non mi dire! Hai davvero rotto la finestra del signor Wilson?!” Rise lei. Il ragazzo mise entrambe le braccia dietro la nuca.
“Davvero! Ma è stato solo un incidente.”
“Non ci credo per niente! Dovresti comportarti in modo più maturo Alan. Hai diciannove anni!”
“E tu diciassette, quindi non puoi giudicarmi.” Ghignò lui.
Jane per tutta risposta gli fece una linguaccia per poi rimettersi a ridere. Adoravano punzecchiarsi a vicenda. Non amavano particolarmente le cose sdolcinate, ma sapevano essere affettuosi a modo loro. La loro amicizia dopotutto si basava su cose semplici.
D’improvviso sentirono una suoneria che interruppe il silenzio di quel luogo. Alan borbottò qualcosa prendendo il cellulare dalla tasca.
“E’ Patricia…”  Sussurrò più tra se che a qualcuno in particolare. Jane si rizzò subito a sedere. Il ragazzo rispose alla chiamata non notando che lei si era fatta improvvisamente seria.
Jane sbuffò mettendo le ginocchia contro il petto.
Alan le aveva promesso che avrebbero avuto tutto il pomeriggio per loro perché Patricia era impegnata. Invece adesso si ritrovava a chiacchierare con lei di chissà quale fatto. Doveva vedere in faccia la realtà; non aveva più tempo per nessuno ormai e lei purtroppo non rappresentava un’eccezione.
Strappò qualche ciuffo d’erba giocherellandoci nervosamente.
La verità era che non poteva nascondere di sentire un nodo allo stomaco quando era con lui. Alan era sempre stato con lei nei momenti belli e brutti e l’aveva sempre sostenuta; un ottimo amico.
Ma adesso non sapeva più come  comportarsi. Quando aveva saputo che si era fidanzato le era sembrato che tutto il mondo le stesse cadendo addosso.
“No, non ne voglio parlare adesso!” Alan aveva alzato di poco la voce. “Sono … Sono con degli amici.”
Non le aveva detto che era solo con lei. Perché?
“Devo andare… Ti amo anch’io.” Sussurrò lui come se non volesse farsi sentire da Jane. Chiuse finalmente la chiamata e la ragazza girò la testa altrove.
Passarono lunghi attimi di silenzio.
“Ehi Jane che ti prende?” Domandò Alan con un mezzo sorriso sul volto. Provò a toccarle la spalla, ma lei si divincolò.
“Forse dovresti andare da Patricia.”
“Che stai dicendo?” Lei sorrise mesta.
“Non hai più tempo per me. Anzi non avresti dovuto chiedermi di vederci.”
Alan non rispose. Ne seguì un altro silenzio carico di significati.
“Si è fatto tardi. E’ meglio che vada.” Disse semplicemente lei alzandosi. Era una pietosa bugia poiché avevano ancora un’altra ora libera.
Improvvisamente il ragazzo che afferrò il polso.
“Ti prego, non andartene. E’ importante la tua presenza.” Jane si morse il labbro.
“Tu hai la minima idea di cosa significhi la tua presenza per me?”
Sperò che non la deridesse o che la respingesse in modo brusco. Ma inaspettatamente non ricevette risposta. Alan si alzò con ancora la mano intorno al suo polso e si avvicinò a lei, che invece gli dava le spalle.
Doveva andarsene, ma il ragazzo non voleva assolutamente lasciarla.
“Perché mi fai questo Alan? Perché stai rendendo le cose più complicate?” Sussurrò con voce spezzata.
Lui appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle e la fece voltare verso di se. Ma la ragazza non osava guardarlo in faccia.
“Jane…Io ho bisogno di te.” Sussurrò Alan alzandole il viso. Le spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e Jane sentì i brividi sulla sua pelle perdendosi in quelle sue iridi azzurre. Si guardarono per un istante che le parve interminabile.
Accadde tutto all’improvviso. Le loro labbra si collegarono come attratte da una calamita .
Jane sentì il sapore delle sue labbra tanto bramate, il calore della sua bocca troppo a lungo desiderata. Soprattutto sentì quelle mani sul suo corpo che la stringevano in un abbraccio tanto travolgente quanto protettivo. Strinse la sua maglietta sul petto lasciandosi andare a quel bacio intenso.
Lo amava e non poteva più negarlo.
Si staccarono per riprendere fiato. Solo in quel momento Jane trasalì, svegliandosi da quella trance.
Aveva appena baciato il suo migliore amico, il ragazzo che amava. Ma era anche fidanzato e lei come una sciocca aveva lasciato che tutto accadesse.
“Jane…” Sussurrò Alan cercando di essere più calmo possibile. Però, in realtà la sua voce era incrinata. Era consapevole anche lui di ciò che avevano commesso.
La ragazza abbassò lo sguardo. Si guardò le mani e le trovò sporche di quel gesto azzardato. Si era macchiata di peccato, tradimento, vergogna…
“Jane, ti prego guardami.” Ma lei scosse la testa, incapace di parlare. Fece qualche passo indietro; poi si voltò e scappò via da lui.
“Jane!” La chiamò più e più volte Alan, ma invano. Corse fin quando non sentì la sua voce sparire; infine si lasciò andare pesantemente in ginocchio.
In che guaio si era cacciata?
Lo amava, ma non poteva fare così. Non doveva fare così.
Si promise che non avrebbe più fatto una cosa simile a lui…a Patricia.
Ma non sapeva che ben presto questo sarebbe diventato un giuramento vano, poiché la situazione sarebbe infine sfuggita loro di mano.
 
Una lacrima le rigò il viso cadendo sul dorso della mano.
Tutti quei ricordi le facevano male. Pensava a quanto potesse essere vicino, ma allo stesso tempo molto, molto lontano da lei. Tirò su col naso.
“Io voglio…voglio davvero parlare con Patricia. Sento i sensi di colpa che mi schiacciano e… non posso sprecare l’occasione di chiarire la cosa… di farci perdonare.” Parlò con voce spezzata dai singhiozzi.
“Ma ho paura…”
Pensava di non potersela cavare, di aver bisogno di qualcuno che la sostenesse. All’improvviso la sua vita era stata sconvolta e si era ritrovata completamente sola a crescere una figlia, a portare avanti la casa e la vita di entrambe. Aveva dovuto crescere in fretta.
“Oh, Alan… Tu non immagini quanto abbia bisogno di te in questo momento.”
Stette in silenzio per un po’, contemplando la sua foto.
Quel bacio era stato l’inizio di un circolo che aveva messo a dura prova la loro vita sociale. In quel momento si era sentita libera e allo stesso tempo tremendamente sporca. Voleva davvero lavarsi da quel peccato, ma era diventato indelebile sulla sua pelle da quando aveva deciso di diventare sua complice. Dopotutto la scelta di seguirlo in quell’inferno era stata solo sua. Si strinse la maglia.
“Io c’è la devo fare.” Sussurrò. “Ce la farò per entrambi.”

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Patricia andava avanti e indietro per la stanza, immersa nel suoi pensieri. Vedere Jane dopo così tanto tempo le aveva fatto un certo effetto. Inoltre Caroline era stata lì, accanto alla persona che le aveva rubato il padre. Lo stesso uomo che aveva un’altra famiglia. Perché ne era ormai certa, quella ragazza, Alex, era sua figlia. Lo si vedeva dal cognome, dal volto e da quegli occhi che quel giorno l’avevano messa a disagio.
Lei però, in confronto a Caroline, aveva avuto la figura paterna dalla sua.
Ma di certo non la si poteva incolpare. Incoscientemente era stata coinvolta in quell’assurda storia.
La cosa imperdonabile era però che sia Alex che Caroline erano ignare di tutto.
Come poteva dire a sua figlia che la ragazza di cui si fida tanto, una sua stretta amica…
Era in realtà sua sorella!
Entrambe possedevano il sangue dello stesso uomo che era riuscito a far felici due donne completamente diverse. 
Si massaggio le tempie. La testa le doleva e prese per un attimo a girare.
Doveva dire tutta la verità o lasciare che la loro vita proseguisse senza ulteriori intoppi?
Vide Athena miagolare e arrampicarsi sul tavolo. Le dava sempre fastidio quando la gatta lo faceva. Era solita prenderla per la collottola e metterla a terra rimproverandola.
Ma non stavolta. Oggi la lasciò fare. Anzi, si avvicinò a lei accarezzandole le orecchie.
“Cosa devo fare Athena? Cosa posso fare?” Sussurrò.
Un rumore insistente interruppe la quiete della stanza: Stavano bussando alla porta.
Patricia si chiese chi mai potesse essere. Guardò per un istante le valigie all’angolo della stanza. Poteva essere Jack che veniva a portare le ultime cose per il trasferimento. Ma sapeva che era impegnato in quel momento. Chissà, magari le voleva fare una sorpresa.
Andò ad aprire la porta, ma chi si trovò davanti non fu Jack, bensì Jane. Il suo sguardò si incupì.
“Cosa vuoi ancora?”
“Vorrei che tu mi ascoltassi. Voglio parlarti.”
“Finiscila di tormentarmi ancora. Noi due non abbiamo niente da dirci!”
Jane tentò di protestate ma invano perché Patricia le chiuse la porta in faccia. Tentò allora di bussare forte e ripetutamente in modo da farsi aprire.
“Patricia ti prego! So che non vuoi parlarmi, ma ti sto chiedendo solo di ascoltarmi!”
“Va via!”
“No! Io e Alan abbiamo davvero pensato a te. Sono stata a lungo schiacciata dai sensi di colpa e voglio davvero rimediare. So perfettamente che ciò che è successo è imperdonabile. Non posso far altro che chiederti perdono. E lo ripeterei! Lo ripeterei all’infinito se servisse.”
Continuava imperterrita a sbattere il pugno sulla porta e ad urlare. Non le importava affatto che altri la sentissero, la  osservavano.  Si era già disonorata abbastanza e l’unico suo obiettivo era almeno di essere ascoltata. E si sarebbe umiliata se fosse stato necessario.
“Patricia, ti prego!”
L’altra si premette le mani alle orecchie per non sentire lasciandosi scivolare a terra lungo la porta.
Improvvisamente sentì quel bussare farsi man mano meno insistente fino a cessare completamente. Sentì Jane dall’altra parte singhiozzare. Si toccò le guance e le scoprì bagnate: Anche lei stava piangendo. Una lacrima cadde sul ginocchio.
Jane sbatté i pugni sulla porta, la voce spezzata da forti singhiozzi.
“Sono disperata ormai… A-Alan è morto.” Patricia spalancò gli occhi. No, non poteva essere vero. Si mise le mani nei capelli mentre un vago senso di nausea le prese la gola.
Alan…
Jane continuò a parlare a volte interrotta dal pianto.
“Sono rimasta sola… Completamente sola a crescere una figlia che ha visto scomparire suo padre così all’improvviso; sola a mantenere una casa. Avrei almeno voluto avere il tuo perdono ma niente… Non pensi che abbia scontato abbastanza il mio errore?!”
Patricia ascoltò i suoi singhiozzi. Non poteva crederci. Alan non poteva essersene andato così.
Non seppe precisamente cosa le fece cambiare idea, ma si alzò lentamente aprendo la porta. Guardò i suoi occhi rossi e gonfi.
“Cosa è successo?” Chiese in un sussurro.
“Incidente stradale.” Tirò su col naso. Passò qualche minuto di silenzio.
Alla fine però  Patricia si fece da parte.
“Entra.” Jane la guardò meravigliata e riconoscente allo stesso tempo.
“Grazie, grazie…” Continuava a bisbigliare. Entrò lentamente fermandosi al centro dell’ingresso. Si tormentò le mani.
Era palese che si sentisse a disagio.
“Siediti pure.”
Jane annui sedendosi sul divano. Patricia prese posto accanto a lei.
“Arriva subito al punto Jane.” L’altra fece un lungo respiro.
“So che potrei sembrare invadente ma…Credo di dover sapere chi è il padre di Caroline.” Patricia guardò a terra mesta.
“Credo che tu sappia già la risposta.”
Jane si mise le mani sul viso. Anche lei avrebbe avuto sulla coscienza. Un altro macigno soffocante che andava a gravare la sua colpa.
“Mi dispiace…” Sussurrò.
“L’hai già detto.”
“So che non saranno mille scuse a farmi perdonare. Ma non posso dire altro. Io e Alan…”
“Tu e Alan avete vissuto periodi di tranquillità senza preoccuparvi minimamente di me. Mentre io ho dovuto portare avanti lo studio e una gravidanza a fatica e completamente da sola!”
La sua voce era iniziata in un sussurro per poi alzarsi sempre di più. Passarono attimi di silenzio prima che Jane parlò.
“Questo non è vero. Abbiamo provato a contattarti sempre e in tutti i modi. Ma tu non c’eri, eri sparita all’improvviso.”
“Si, sono andata via da questa città. Volevo andarmene da qualunque parte il più lontano possibile da qui. Caroline aveva solo tre anni e tagliare tutti i ponti col passato mi era sembrata la cosa più giusta da fare. Ma nessun posto era mai abbastanza lontano e la nostalgia di casa mi aveva preso lo stomaco. Siamo tornate da un po’ di tempo ormai, ma non ho mai smesso di affidare Caroline ad un insegnate privato. Ci siamo trasferite moltissime volte e non le ho mai detto il motivo. La verità è che sono scappata come una codarda.”
Girò la testa di lato turbata. Le sembrava strano confidarsi proprio con lei. Tuttavia il bisogno di parlarne era diventato opprimente.
“Anche io sono stata una codarda.” Sussurrò Jane. “Non ho mai voluto svelare niente a nessuno. Ma ho fatto affidamento a persone sbagliate come una sciocca. Questa città è piccola e i pettegolezzi corrono in fretta. Alex è stata attaccata subito, senza pietà il che l’ha resa un po’ ribelle. E se lei non crede a queste voci è solo per causa mia, perché non ho avuto il coraggio di confermare quel che ha sentito.”
Pianse ancora, sperando che l’aiutasse a farla sentire meglio. Anche Patricia aveva gli occhi lucidi ma cercava di non darlo a vedere.
“Abbiamo fatto solo del male a noi e alle nostre figlie.” Jane annui mettendosi le mani sul viso.
“Cosa possiamo fare?” Continuò Patricia imperterrita. L’altra cercò di riprendere il controllo di se stessa parlando con voce ferma.
“L’unica cosa da fare è rimediare. Raccontare loro tutta la verità.”
Patricia la guardò un attimo preoccupata scuotendo la testa.
“Non posso…”
“E’ meglio così. Basta con le menzogne e i sotterfugi . Non voglio più nascondermi. Ne hanno il diritto, non possono vivere nell’ignoranza per sempre.”
La mora si morse il labbro. Essere sinceri solo adesso significava farle soffrire di più.
La verità può essere triste, cattiva, ma la si preferisce sempre alla menzogna. Eppure ti lascia sempre una ferita difficile da rimarginare.
Ma sapeva che dopotutto gli errori non si possono eliminare, ma soltanto ridurre.
Annuì ormai convinta. Jane sorrise mesta e inaspettatamente l’abbracciò.
“Perdonami Patricia. Fallo se puoi. Non ho mai voluto farti del male e non te ne farò mai più. Ho pagato a caro prezzo ciò che ho commesso.”
Patricia rimase spiazzata per un po’ non sapendo come comportarsi. Solo alla fine, anche se un po’ titubante, ricambiò il gesto. In fondo doveva ammettere che aveva ragione. Stava scontando lentamente la sua pena e anche dolorosamente.
Dopo qualche istante le sorrise. Jane era stata sincera. Magari era il tempo di ricominciare tutto da capo. E in fondo sentiva che anche Alan, ovunque fosse, era immensamente felice per la loro rappacificazione. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


“Questo vestito è fantastico!” Urlò Madison schiacciando il naso sulla vetrina del negozio.
“Il prezzo un po’ meno fantastico direi.” Rise Chloe.
“E fatemi sognare!”
“Certo. Madison si sta già immaginando con quel vestito pronta a far impazzire Ethan.” La provocò Alex. La mora arrossì fino alla radice dei capelli dando schiaffetti giocosi al braccio della ragazza.
Doveva essere un pomeriggio tra sole ragazze di pura tranquillità. Purtroppo, però, il cielo denso di nuvole non prometteva niente di buono. La pioggia era scesa tutt’a un tratto cogliendole di sorpresa.
Tuttavia non si erano lasciate rovinare la giornata e fornitesi di ombrelli poterono continuare la loro passeggiata.
La gente correva veloce verso casa, alcuni ormai zuppi d’acqua, lasciando le strade quasi deserte.
“Più negozi liberi per noi!” Aveva sdrammatizzato Chloe bevendo un po’ dal suo frullato.
Caroline a volte giocherellava con la pioggia alzando gli occhi al cielo. Amava sentire le piccole gocce d’acqua che scendevano lungo il viso.
Un’ora era già volata e Madison aveva già il braccio pieno di buste.
Solo in quel momento Caroline ricevette una chiamata da sua madre. Era strano poiché non la chiamava mai se non in casi di pura necessità.
“Mamma che succede?”
“Tesoro, lo so che è troppo presto, ma vorrei che tu e Alexandra veniste a casa. Sua madre l’aspetta qui.”
“Perché vuoi che venga anche Alex?”
La diretta interessata si fece all’improvviso più attenta alla conversazione. Cosa voleva Patricia da lei?
“Se è per ciò che è successo a scuola dille che…” Ma Caroline la interruppe con un cenno della mano.  Si allontanò di poco dalle altre cercando di capire meglio. Sua madre era superficiale a riguardo e non voleva dirle niente. Alla fine si convinse e riattaccò.
“Alex, vuole che vieni a casa mia.”
“Perché?”
“Non lo so. Ha detto solo che ci vuole parlare. C’è anche tua madre.”
Alex restò in silenzio per un po’. Continuò a chiedersi perché si richiedeva la sua presenza, ma per quanto ci pensasse non seppe darsi una risposta.
Forse vuole chiarire la questione successa  a scuola.
Si disse che probabilmente si trattava di quello, ma credeva che la situazione ormai fosse risolta.
A meno che la madre di Phoebe non le aveva davvero denunciate per bullismo. Sperò vivamente che non fosse quello. Annui poco convinta e dovettero salutare Madison e Chloe.
“Divertitevi anche senza di noi.” Dissero; poi si avviarono.
 
Jane attendeva con impazienza, andando nervosamente avanti e indietro per la stanza. Patricia invece era seduta sul divano con uno sguardo perso. Entrambe si erano chiuse in un silenzio intenso. Il ticchettio dell’orologio era l’unico rumore che si udiva nella stanza che produceva un suono coordinato ma molto ossessivo. Jane pensò attentamente a cosa potesse dire senza urtare la sensibilità di qualcuno. Ma era dannatamente difficile, specialmente con quel continuo ticchettio che le entrava nella testa.
Quando sentirono la porta aprirsi entrambe alzarono lo sguardo dimenticandosi quasi di tutto ciò che dovevano dire o fare.
“Mamma sono qui con Alex. Volevate parlarci? Perché così all’improvviso?”
“Non potevamo attendere oltre.” Le due ragazze le guardarono turbate. Patricia sospirò.
“Caroline…Voglio parlarti di tuo padre.”
La mora rimase gelata al suo posto, gli occhi sbarrati. Suo padre… Dopo anni e anni di domande eccole arrivare la risposta. Ma lei non ne aveva mai parlato. Cosa le aveva fatto cambiare idea?
Era curiosa, troppo curiosa. Ma allo stesso tempo aveva stranamente timore nel sentir raccontare di lui. Dopotutto, per non volerne parlare, avrà sicuramente avuto i suoi motivi.
“Cosa c’entriamo io e te, mamma? Cosa ci facciamo qui?” Domandò Alex spiazzata.
“Noi siamo parte fondamentale della storia.”
“Se è uno scherzo comincia davvero a stancarmi.”
Jane scosse la testa.
“No, lascia che ti spieghi. Ho fatto molti errori Alex e spero che tu possa capirmi.” Cominciò a tormentarsi le mani. “La verità è che tuo padre…Alan… E’ stato fidanzato con Patricia.”
Caroline cominciava lentamente a capire e lo stesso anche Alex. Ma nessuna delle due voleva crederci davvero.  Alex si stava lentamente alterando.
“Mamma, dimmi che ciò che stai per dire non è quello che penso.” Scandì lentamente. Guardò per un attimo Patricia che annuì lievemente, ma non la guardava in faccia.
Adesso tutto era chiaro. Non erano menzogne le cose che si dicevano su di lei. Fece un passo indietro allontanandosi da Caroline. Quasi si vergognò di trovarsi in quella casa.
“Non posso crederci, l’avete fatto davvero. Papà è stato veramente infedele con la sua ragazza... E tu hai continuato a mentirmi per altri undici anni dopo la sua morte.”
Caroline si sedette su una sedia di fronte alla madre e una scioccante consapevolezza l’avvolse.
“Siamo sorelle…” Patricia annuì.
 “Era lui mio padre?”
 “Esatto.”
“E lui…Lui non c’è più.” Sussurrò mettendosi le mani sul volto. Pianse sommessamente. Non avrebbe mai visto suo padre. Le speranze di poterlo un giorno vedere, abbracciare, erano tutte svanite nel nulla e all’improvviso.
“Mi dispiace tanto.” Sussurrò Jane. Alex era davvero adirata.
“Ti dispiace tanto?! Per tutti questi anni non hai fatto altro che raccontarmi bugie.” Sibilò. “E io che come una sciocca credevo alle tue menzogne.”
“Alex, ti prego…”
“No, Alex niente!” Urlò avvicinandosi a lei. “Tutti che vi accusavano, che mi giudicavano… Ma io lasciavo che parlassero perché pensavo davvero che non fosse così.”
“Alex, ora basta.”
“E la cosa peggiore è che avevano ragione. Avevano ragione su tutto! E voi lasciavate che mi crogiolassi nelle vostre stupide bugie. Mentre mio padre continuava a tradire la sua ragazza con te che non hai mai fatto nulla per impedirlo come una poco di buono. Che cosa ripugnante!”
Lo schiaffo di Jane le arrivò dritto e deciso, rimbombando nel silenzio della stanza.
Caroline e Patricia alzarono improvvisamente lo sguardo.
Alex poggiò la mano sulla guancia ormai rossa, lasciando che le lacrime scendessero disubbidienti lungo il viso. In quel momento Jane si accorse di ciò che aveva fatto. Non l’aveva mai colpita così e non poteva neppure biasimarla. Aveva ragione ad essere così arrabbiata in fondo.
Tentò di abbracciarla, ma Alex si ritrasse indietreggiando.
“Io non voglio essere l’errore di uno sporco tradimento.” Sussurrò. Scappò via di casa, senza ombrello, incurante della pioggia che continuava a scendere incessante.
“Alex!” Tentò di chiamarla Jane, ma invano. 
Non riuscì più a trattenersi: Si sedette anche lei e pianse.
Patricia si alzò lentamente andando verso la figlia. Le mise una mano sulla spalla, ma Caroline la scostò.
“Tesoro… So che non deve essere affatto facile per te…” Le parlò dolcemente Patricia. La ragazza la guardò con durezza ostentando, nonostante tutto, una calma innaturale.
“Tu hai la più vaga idea di come io mi senta? Non ho mai avuto un padre e adesso ho bruciato tutte le possibilità per rivederlo. Tutto solo perché sei scappata e non hai avuto il coraggio di affrontare la situazione.”
“Caroline…”
“Scusami mamma. Voglio restare da sola.” Detto ciò andò in camera sua lasciando Jane e Patricia sole nella stanza.
“Non dovevamo…Non dovevamo farlo.”
“Almeno adesso sanno la verità.”
Restarono in un silenzio che parve interminabile.  La loro colpa era stata aggravata e rinfacciata dalle loro figlie che erano state coinvolte ingiustamente in quella assurda storia.
“Vado a parlare con Caroline.” Disse all’improvviso Patricia. Jane però la bloccò prendendole il braccio.
“No. Voglio parlarci io con Caroline.” La mora la guardò sorpresa.
“Per favore.” Le supplicò l’altra. “Sono stata io a portargli via suo padre. Vorrei che parlasse con me, che mi guardasse e che magari… Possa perdonarmi.”
Patricia la guardò a lungo, spiazzata.
“E…Alexandra?”
 “Dovrà tornare a casa prima o poi. Ma ha bisogno di calmarsi. Non mi parlerà per ora.”
“Allora vorrà dire che parlerò io con lei. La andrò a cercare e la convincerò a tornare.”
Jane la guardò riconoscente.
“Grazie.” Sussurrò abbracciandola. Fu solo per un istante, poi si separarono in direzioni opposte.
 
Caroline chiuse piano la porta della camera. Era decisamente arrabbiata e tratteneva le lacrime a stento. Ma aveva cercato, almeno davanti a sua madre, di assumere un tono più ponderato.
Alla fine però non c’è la fece più e pianse forte. Si buttò sul letto buttando le coperte a terra. Cominciò a dare ripetitivi pugni sul materasso sperando di riuscire a sfogare la sua rabbia, ma era del tutto inutile.
Non poté fare altro che accasciarsi sul letto.
Affondò la faccia nel cuscino soffocando i gemiti.
Probabilmente l’avrebbero sentita, ma non le importava affatto.
Che sentissero pure i risultati di ciò che hanno fatto…
Restò così per un po’, fin quando non sentì improvvisamente bussare.
“Mamma va via. Non ti voglio parlare!” Urlò di rimando.
La porta si schiuse lentamente e Caroline si girò dall’altra parte del letto dando le spalle a chiunque fosse entrato.
“E con me vuoi parlare?” Sussurrò Jane con dolcezza. Caroline voltò la testa guardandola per qualche istante. Prese ad asciugarsi in fretta le lacrime.
“Posso entrare?”
“Come vuoi.” Le rispose cercando di riprendere il controllo di se stessa. Si mise a sedere stringendo forte a se il suo cuscino. Jane prese posto accanto a lei.
Il silenzio che ne seguì fu davvero imbarazzante per entrambe.
Improvvisamente Jane sorrise mesta.
“Deve essere proprio strano per te parlare con la stessa donna che ti ha portato via il padre. Quella svergognata che anni fa ha fatto il grave errore di invaghirsi di un ragazzo già fidanzato.”
Caroline la guardò con la coda dell’occhio.
“Non prendertela soltanto con te stessa per tutto quel che è successo. La colpa non è solo tua.” Jane ridacchiò.
“Sei troppo buona con me e non dovresti. Dimmi tutto quello che pensi davvero, io non me la prenderò di certo. Riconosco quando qualcuno ha ragione.”
“No, io sono sincera. Non pensare affatto che la colpa sia solo ed esclusivamente tua. Non sono arrabbiata con te.”
Jane le accarezzò dolcemente i capelli.
“Sei troppo dolce. Sei hai bisogno di sfogare la tua rabbia, sappi che io sono qui per ascoltarti.”
Caroline non era molto convinta di volerne parlare. Ma nulla si sarebbe risolto con il suo ostinato silenzio. In fondo Jane aveva ragione: era alquanto strano confidarsi con lei dopo aver scoperto che era stata la seconda compagna di suo padre.
Non era stata sposata con lui, ma doveva essere una specie di matrigna per lei.
Tuttavia il termine non le piaceva affatto. Le dava un non so che di maligno. In qualsiasi caso l’avrebbe chiamata sempre e solo Jane e così anche per Jack.
Alla fine parlò.
“Sono solo molto delusa. A-adesso lui non è qui e…e se ne è andato senza sapere di avere un’altra figlia.” Iniziò nuovamente a singhiozzare mentre le parole minacciavano di non uscire, morendole in gola.
“Sono una figlia invisibile…”
Jane l’abbracciò stringendola  a se come fosse la sua bambina.
“Hai ragione tesoro. Ma prenditela con me se è necessario e non con tua madre. Lei non ha mai voluto il tuo male. Tutto ciò che ha fatto, l’ha fatto per non farti soffrire di più. Sapeva anche che se avesse detto ad Alan della sua gravidanza, lui si sarebbe sentito costretto a restare e lei non voleva affatto che vedessi  dei genitori in costante lotta fra loro. Poi ci sono anche io di mezzo, quindi ti avrebbe fatto ancora più male.”
Lo sguardo di Caroline si indurì e si alzò in piedi.
“Sciocchezze, guardiamo in faccia la realtà. Lei semplicemente pensava che non si sarebbe preso le sue responsabilità. Non voleva avere più nulla a che fare con l’uomo che aveva amato ma che nonostante tutto l’aveva tradita. La verità e che a me non ci ha pensato affatto!”
Urlò l’ultima frase buttando violentemente il cuscino sul letto.
Si sentiva tremendamente egoista. Lei avrebbe voluto soltanto un padre che le procurasse affetto. Ma sapeva perfettamente che così facendo Alan avrebbe dovuto badare sia a lei che ad Alex.  E tutto ciò non sarebbe stato facile per nessuno.
Si lasciò cadere pesantemente sul letto. Non sapeva più cosa pensare o con chi prendersela. Si chiese davvero cosa avesse fatto di male per meritarsi questo.
Tuttavia Jane parve capire, come se l’avesse letta nel pensiero. Le circondò la vita e la strinse a se proprio come fece quella sera di undici anni fa con Alex. 
“Sai, anni fa dissi una cosa ad Alex e da quel momento non smetto di ripetergliela.”
“Cosa?” Sussurrò Caroline con la testa sulla sua spalla. Jane sorrise accarezzandole i capelli.
“Lo sai, non sei più una bambina di cinque anni. Ma credimi quando dico che Alan non ci abbandonerà mai. Lui non smetterà mai di esistere fin quando vivrà nei nostri cuori. Lo so, sembra banale da dire e probabilmente penserai che non averlo accanto non sia la stessa cosa. Però credi a qualcuno che l’ha amato per tutta una vita. Fin quando ci sarà amore per qualcuno che non c’è più, questa persona non morirà mai davvero. ”
Caroline si lasciò sfuggire altre lacrime liberatorie che asciugò prontamente. Infine l’abbracciò forte.
Non importava chi era stata, non importava cosa aveva fatto. Stava dimostrando pienamente di tenerci a lei, di voler rimediare al suo errore e questa cosa non l’avrebbe fatta nessun altro.
“Grazie Jane.”
“E’ stato un piacere parlare con te.” Sciolse lentamente l’abbraccio guardandola dritto negli occhi. “Ma devi promettermi che non accuserai più Patricia. Immagina cosa ha dovuto sopportare oltre a questo tradimento. Dovette finire gli studi nonostante la gravidanza da portare avanti, tutte le spese che avrebbe pagato, quei continui trasferimenti… C’è stato davvero troppo da sopportare.”
Caroline rimase un po’ pensierosa, ma alla fine annuì convinta.
“D’accordo. Ti ringrazio Jane, di tutto.”
“Spero solo che possa perdonarmi anche tu.”
“Te l’ho detto. Non sono mai stata davvero arrabbiata con te.” E finalmente, dopo quel pomeriggio davvero intenso, Caroline sorrise. E stavolta fu davvero sincero.

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