Aegyptus - Il risveglio di Seth

di Red Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Di come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Di smarrimento e misteri ***
Capitolo 3: *** Di come Jamila e Sinuhe partirono ***
Capitolo 4: *** Di poteri sovrannaturali ***
Capitolo 5: *** Di rivelazioni e divinità ***
Capitolo 6: *** Di nemici ignoti ***
Capitolo 7: *** Di risvegli indesiderati ***
Capitolo 8: *** Di sparizioni e nuove conoscenze ***
Capitolo 9: *** Di nuovi imprevisti ***
Capitolo 10: *** Di orribili viaggi nel deserto ***
Capitolo 11: *** Di prigionia e medicina ***
Capitolo 12: *** Di Razionalità e Paura ***
Capitolo 13: *** Di come Sinuhe ed Anem ritrovarono Jamila ***
Capitolo 14: *** Di rivoltosi e antidoti ***
Capitolo 15: *** Della riapparizione di Horus ***
Capitolo 16: *** Di come tramano i Sethisch ***
Capitolo 17: *** Di nuovi obbiettivi ed esitazioni ***
Capitolo 18: *** Di come trovarono il terzo elemento ***
Capitolo 19: *** Di come le Incarnazioni trovarono un maestro ***
Capitolo 20: *** Del Dio dell'Oltretomba e dei Sethish ***
Capitolo 21: *** Di lotte e ricongiungimenti ***
Capitolo 22: *** Di conflitti tra alleati ***
Capitolo 23: *** Di come si concluse la missione di Sinuhe ***
Capitolo 24: *** Di attese battaglie e incontri inaspettati ***



Capitolo 1
*** Prologo - Di come tutto ebbe inizio ***





A Lucrezia,
migliore amica e prima lettrice

 

Prologo

Di come tutto ebbe inizio

Secondo la leggenda, l'Egitto era governato in origine da Osiride e da Iside, sua sorella e sposa. Il fratello Seth, geloso dei due, uccise Osiride, fece a pezzi il cadavere e ne occultò le membra in luoghi diversi. Iside, trasformatasi in nibbio, raccolse e ricompose le membra del marito e gli reinfuse la vita. Osiride divenne Signore dell'oltretomba ed ebbe un figlio: Horo, il dio dalla testa di falco. Quest'ultimo, dopo aver combattuto a lungo contro Seth, riuscì a sconfiggerlo e a diventare re dell'Egitto.”

 

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Una fitta al petto svegliò Horus nel cuore della notte. D'istinto si portò una mano al cuore, ancor prima di svegliarsi del tutto, il dolore gli mozzò il respiro e quella senzazione gli fece rivivere ancora una volta quella notte.

 

Horus non era ancora pronto quando Seth era arrivato: come sempre il dio del Male era stato astuto e codardo e non gli aveva dato il tempo di prepararsi appieno allo scontro. Ancor prima di nascere Horus sapeva che vendicare suo padre era il suo destino e da sempre si preparava a quel momento, ma in fondo aveva solo diciassette anni, sicuramente non aveva raggiunto la maturità fisica nè quella spirituale.
Seth giunse di notte, forte dell'oscurità che essa offriva, e non si fece scrupolo ad entrare nella casa della sua vittima e della consorte che lo aveva resuscitato. Trovò Horus ad aspettarlo, in piedi nella stanza principale della sua grande casa. I due non si erano mai visti, ma si odiavano a morte: Seth sapeva che Horus era nato per vendicare suo padre e l'altro portava nel sangue il rancore che lo animava.

Si squadrarono un istante prima che Horus scagliasse una fiammata contro l'avversario, inaugurando il duello. Ben presto, però, non fu facile distinguere gli attacchi dell'uno da quelli dell'altro perché essi si susseguivano velocissimi e quasi invisibili, riducendosi a lampi di luce. Combatterono per ore, ognuno troppo impegnato a difendersi dagli attacchi mortali del nemico per potersi concentrare sull'offensiva e rendere i propri colpi inevitabili. La situazione di stallo fu rotta quando Horus perse il controllo: il suo fuoco divampò bruciando d'odio, la sua casa crollo sotto i suoi stessi colpi e neanche Seth potè niente contro quella furia. Il dio del Male si ritrovò a terra, schiacciato dalla forza del ragazzo, ma non se ne sarebbe andato senza lasciare un ricordo: il suo bastone colpì il petto di Horus, macchiandolo indelebilmente con la sua tenebra nera. Horus bruciò il dolore provocatogli da quella maledizione nell'ultima fiammata, riducendo Seth a un mucchietto di cenere, poi, però, il colpo appena ricevuto si fece sentire. Il dio cadde fra le macerie di quella che era la sua casa, condannato a portare con sè la tenebra di Seth: ora era anche lui un assassino.

 

Perchè adesso gli doleva di nuovo quella maledetta macchia? Mesi fa gli avevano detto che sarebbe presto scomparsa, ora che Seth era morto, invece era ancora là e gli faceva pure male. No, c'era qualcosa che non andava.


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Jamila camminava spedita per la via centrale della città, circondata su entrambi i lati dalle bancarelle del mercato. L'aria era colorata dai profumi del cibo in vendita e l'atmosfera era allegra e chiassosa. La strada da casa sua alle cucine in cui lavorava non era molto lunga, ormai la conosceva a memoria perché la faceva tutti i giorni, ma le piaceva notare come nel tempo tutto intorno a lei variasse e allo stesso tempo restasse costante; ogni giorno l'atmosfera era un po' diversa a seconda del tempo, della gente che la circondava e del suo stesso umore: le era sempre piaciuta quella manciata di minuti di solitudine la mattina presto. In realtà era circondata da persone indaffarate, ma era come essere sola perché, in una città grande come Menfi, era difficile incontrare qualche conoscente. Arrivata davanti al palazzo reale Jamila proseguì dritta come per salire la grande scalinata centrale e solo all'ultimo girò a destra prendendo la porticina che portava alle cucine. Così anche quel giorno il breve sogno di non essere solo una sguattera svanì, veloce com'era venuto. Appena entrata nelle cucine Jamila sentì l'odore di fritto che le era tanto familiare e si mise a pelare le verdure insieme alle altre ragazze. Erano in molte a lavorare per la famiglia reale, sia perché gli abitanti del palazzo erano numerosi, sia perché i loro pasti erano i più elaborati di tutto l'Egitto.
Finalmente il pranzo per il faraone e per tutti i reali fu pronto, in quel momento la capo cuoca chiamò Jamila: "Vieni qui subito, sei stata sorteggiata per portare il pasto al faraone!"
Jamila rimase sorpresa e si preparò per il compito importante che le toccava. Ogni giorno, infatti, una delle cuoche era sorteggiata per portare il pasto al faraone in modo da evitare che qualcuno potesse avvelenarlo: se il faraone si fosse lamentato del cibo, la cuoca sarebbe stata giustiziata, quindi sarebbe stato difficile corrompere la cuoca addetta. Jamila prese il prezioso vassoio e si incamminò all'interno del palazzo. Non era mai stata in stanze così ricche e con un breve calcolo scoprì che una sola di quelle statuette che si vedevano ovunque sarebbe bastata a sfamarla per più di un mese. Arrivata nella stanza del faraone s’inchinò e poggiò il vassoio sul tavolo. Come al solito aveva il terrore di fare qualcosa di sbagliato, ben sapendo che con gente di quel calibro gli errori si pagano cari. Il faraone le disse con sguardo languido:"Ma che bella cuoca che c'è oggi, era tanto che non ne mandavano una cosi!".

Jamila arrossì violentemente, ma s’inchinò e fece per andarsene. Il faraone la fermò: "Aspetta un attimo, dopo devo andare nel tempio del dio Horus, perché non mi accompagni?" disse ammiccante.
Jamila non poté che rispondere: "Sì, mio signore".

Il re era indubbiamente un uomo orribile e Jamila, per quanto rispetto portasse al faraone, se ne rese conto immediatamente. Il viso scuro, reso ancor più nero dalla barba non rasata e dai nei, non era affatto rassicurante, così come il suo sorrisetto ambiguo che assomigliava molto ad un ghigno.
Quando il faraone ebbe finito di mangiare, attraversarono insieme tutto il palazzo e arrivarono nel tempio. Nonostante fosse concesso solo al faraone e ai sacerdoti di entrare nelle stanze interne dei templi, il re disse a Jamila di entrare con lui nella stanza della statua. Appena furono dentro l'uomo le si avvicinò con un atteggiamento che spaventò moltissimo la ragazza. Jamila indietreggiò fino a trovarsi spalle al muro, il cuore che batteva all'impazzata per la paura. Il faraone le mise una mano sulla coscia e cominciò a leccarle il collo. La ragazza chiuse gli occhi, cercando di reprimere il disgusto. Era la situazione più brutta in cui si fosse mai trovata e sapeva bene che, comunque fosse andata a finire, sarebbe stata lei a rimetterci. Jamila si liberò e corse fino in fondo alla stanza, dove c'era la statua. Non aveva mai visto una scultura di quelle dimensioni, completamente d'oro e così ben fatta da sembrare viva. Le pareva che quella rappresentazione di Horus fosse differente dalle solite statue, ma subito i suoi pensieri furono interrotti dall'arrivo del faraone che le se avvicinò di nuovo. Jasmina provò a indietreggiare, ma ormai era contro la statua. Ci fu un attimo di silenzio che le parve lunghissimo, tanto era tesa per quella situazione, poi vide sul volto del faraone un'espressione di terrore, sentì una strana sensazione, come se tutta la sua energia la stesse abbandonando. Il faraone si sollevò in aria, come spinto da una forza invisibile e potentissima, poi anche lei cadde al suolo, completamente priva di forze. Da terra, prima di svenire, fece appena in tempo a vedere che la statua aveva cambiato posizione, ora le sue mani erano tese in avanti.

 

Il cantuccio dell'autrice
Benvenuti nella mia nuova long, questa volta fantasy!
Premetto che è molto molto long, l'ho iniziata circa un anno e mezzo fa, quando ancora non ero iscritta su EFP ed è la prima cosa "seria" che ho scritto, per cui tengo molto a questa storia. Ho deciso di rivederla da capo a fondo e pubblicarla qui, forse come serie per via della lunghezza.
La prima parte è realmente una leggenda dell'Antico Egitto ed essendo io appassionata di mitologia, mi sono ispirata per questa storia.
Spero vi piaccia, se avete qualcosa da dirmi, che si tratti di critiche, commenti o compliemti, mi farebbe piacere che lo faceste con una recensione.
Intendo pubblicare una volta a settimana, se tutto va bene.
A presto!
Red Wind

P.S. Ringrazio ancora mio fratello per il banner!

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Capitolo 2
*** Di smarrimento e misteri ***





Di smarrimento e misteri

Era in un letto. Subito Jamila pensò di essere a casa sua, ma poi, riacquistando tutte le percezioni, si accorse di trovarsi in un ambiente a lei sconosciuto. Sembrava differente dalle case che aveva visto finora e tutto intorno a lei aveva un’atmosfera particolare, forse era il clima a dare quest'impressione. Poco dopo le percezioni arrivarono i ricordi, dalla crudele inspiegabilità, e non c'era nulla che Jamila potesse fare contro di loro.

La stanza era ampia e in un angolo c'era un semplice tavolo di legno con un paio di sedie, oltre al letto in cui si trovava ce n'era un altro dall'altra parte della stanza. Due finestre lasciavano intravedere il panorama: una grande città brulicante di gente si ergeva poco distante. In quel momento la prta si aprì ed entrò una ragazza che poteva avere la sua stessa età. Indossava un semplice vestito di lino bianco, con la gonna lunga e un profondo spacco laterale. Aveva i capelli neri corti e mossi, spettinati e i suoi lineamenti tutto sommato delicati erano induriti da uno sguardo deciso e da un velo di tristezza. Jamila si mise seduta sul letto con fatica, perché, nonostante non avesse nessun dolore specifico, si sentiva infinitamente debole. La ragazza le si avvicinò.

"Ti sei svegliata, infine" disse con tono neutro.

Jamila non l'aveva mai vista e le chiese: "Chi sei? Perché sono qui?"

La ragazza assunse un sorrisetto enigmatico, quasi canzonatorio, e un'aria un po' scocciata.

"Io ti ho trovata a terra mezza morta e ti ho portata qui, il resto devi dirmelo tu."

Jamila constatò che non aveva voglia di raccontare a una sconosciuta ciò che le era successo. Così disse solo: "Ero a Menfi, sono una cuoca, e poi... sono svenuta e mi sono ritrovata qui"

La ragazza sembrò quasi sbiancare.

"Eri...a Menfi?"

"Si"

"Sai che siamo a Siene, vero? Ci vogliono settimane per arrivare da Menfi a qui "

Jamila sbarrò gli occhi. Siene. Dall'altra parte dell'Egitto. Come diamine ci era arrivata?

"Io non capisco...eppure ero li'... sono sicura..."

Vedendo lo sguardo sperduto di Jamila la ragazza si costrinse a trovare una spiegazione logica.

"Forse mentre eri svenuta qualcuno ti ha portata qui"

"Non so, mi sembra...impossibile!"

La ragazza, preoccupata per lo stato della sua ospite e convinta che non stesse ancora molto bene, disse: "Forse ora sei un po' confusa, dovresti riposarti"

Jamila sapeva perfettamente che c'era qualcosa di strano in quella storia, sicuramente non era quella la spiegazione e non era contenta che quella conversazione finisse così.

"E tu chi sei invece?"

"Io sono Sinuhe" rispose risoluta, sempre con la sua aria enigmatica, poi si allontanò con decisione, dichiarando il discorso chiuso.

"Grazie di tutto" si affretto ad aggiungere Jamila, prima che la ragazza uscisse nuovamente e lei tornasse a riposare.



Per i giorni seguenti Jamila riposò molto e non fece ne subì altre domande. Sinuhe non restava molto in casa: usciva presto e tornava tardi, dicendo di andare a lavoro. Solo quando Jamila si fu completamente ripresa Sinuhe affrontò l'argomento: cosa avrebbero fatto ora?

Un giorno mentre cenavano Sinuhe disse: "Che cosa pensi di fare ora?"

Jamila rispose, come se fosse ovvio: "Devo tornare a Menfi"

"Da qui ci vorranno settimane"

"Lo so, ma non vedo altra scelta"

"Come pensi di andarci? A piedi?" rispose fredda e quasi canzonatoria Sinuhe.

Jamila stette qualche secondo in silenzio, affogando lo sguardo nel piatto della minestra, poi fisso gli occhi lucidi in quelli dell'altra ragazza.

"Di colpo mi ritrovo a miglia di distanza da casa, con persone sconosciute, senza soldi, senza lavoro, senza una spiegazione per ciò che è accaduto, cosa dovrei fare secondo te?"

Sinuhe rimase sorpresa da una simile reazione, non era sua intenzione quella di farla arrabbiare. Non sapeva cosa poteva essere successo a quella tizia, ma sicuramente non si trovava in una bella situzione. Forse poteva fare qualcosa per aiutarla.

"...Forse ho un’idea, vedi, anch’io devo andare a Menfi tra circa un mese...per lavoro e potresti venire con me"

"Sarebbe fantastico, ma cosa faccio io qui per un mese?"

"Sai cucinare, no? Sei una cuoca dopotutto. Se ti va potrai cucinare per me e in cambio io ti permetterò di restare qui"

"Va bene, non chiedo di meglio!" rispose Jamila contenta di aver finalmente trovato qualcosa da fare, poi aggiunse: "E tu che lavoro fai?"

Sinuhe sembrò un po' sorpresa, fissò i suoi occhi neri in quelli straordinariamente blu di Jamila come per rispondere, sorrise. No, non era il caso di dirglielo.


Quella notte a Siene si aggiravano per i vicoli deserti due figure furtive. Si dirigevano entrambe in un luogo preciso, nascosto e buio, dove si erano date appuntamento. La luna, intermittente per via delle nuvole che spesso le passavano davanti, illuminava per brevi momenti di luce argentata le figure incappucciate. Si incontrarono, come previsto, nello spiazzo buio e inutile tra due stradine, si scambiarono brevi convenevoli, tipici di chi ha un rapporto esclusivamente di lavoro, e iniziarono subito a parlare di cose serie.

La prima figura iniziò dicendo: "Allora, com'è andata?" e l'altra subito rispose: "Ho trovato circa duemila uomini, per quando è prevista l'operazione ?"

"Se tutto procede bene tra circa due mesi, per allora dovrai trovarti a Menfi"

"Ricordi il patto? Sarò io a ucciderlo"

"Lo so, ma il capo ha detto che forse...ci sono alcuni particolari da rivedere, non..."

La mano dell'altra figura scattò velocissima alla gola del compare schiacciandolo al muro con forza insospettabile.

"I patti erano chiari: io vi avrei aiutato e voi mi avreste dato la possibilità di ucciderlo. Se il tuo capo prova a fare il furbo faccio saltare l'operazione. Sai che posso farlo" sibilò.

La figura bloccata contro il muro ora aveva il volto scoperto a causa del movimento repentino a cui era stata costretta: era un uomo dall'aria furbesca, una faccia da volpe, anche quando il suo volto era rosso per la mancanza di ossigeno.

La figura ancora ammantata lo lasciò cadere a terra, l'uomo tossì a lungo prima di riprendersi del tutto e solo a quel punto rispose: "Il capo intende prendere il merito dell'azione per questioni politiche"

"Che uomo spregevole, non vedo l'ora di smettere di lavorare per lui. Ad ogni modo a me non interessa il merito, digli pure che va bene".

L'uomo annuì e si allontanò.

Solo allora Sinuhe tornò a casa.

 

 

 

 

Il cantuccio dell'autrice

Buon Salve!

Visto che pubblicare di martedì mi faceva un po' schifo ho postato questo capitolo di venerdì, così da ora in poi sarà questo il giorno ufficiale! L'ho fatto anche perchè è un po' corto, così almeno compenso con l'anticipo! ^^

Il banner di questo capitolo rappresenta Jamila, come avrete capito, fatemi sapere se vi dà fastidio vedere i prestavolto, perché dipende un po' dai gusti. C'è a chi fa piacere vedere come l'autrice si è immaginata i personaggi e chi invece preferisce immaginarseli da solo, quindi ditemi voi.

Alla prossima!

Red Wind

 

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Capitolo 3
*** Di come Jamila e Sinuhe partirono ***






Di come Jamila e Sinuhe partirono

 

La vita per Jamila procedeva tranquilla, cucinare per Sinuhe non era faticoso, anche perché a pranzo non c'era mai. Spesso Jamila si annoiava e per passare il tempo aveva preso l'abitudine di fare lunghe passeggiate per quella città sconosciuta. Girava stupendosi della bellezza dei templi e dei palazzi, anche se abitando a Menfi era abituata, lì lo stile dell'arte era un po' diverso ed era tutto nuovo per lei. Andava a comprare al mercato di Siene, pieno di buon cibo e di cose che Jamila non aveva mai visto. L'odore di spezie ed erbe era forte e metteva allegria, inoltre lei era molto socievole, anche se timida, e faceva presto a entrare in confidenza con le persone. Aveva conosciuto alcuni commercianti e molte donne, con cui si fermava a chiacchierare del più e del meno, per sopperire alla poca loquacità di Sinuhe e alla sua assenza.

 

Anche la stessa Sinuhe sembrava contenta, Jamila ne percepiva la crescente eccitazione e se ne domandava il motivo, ma non osava chiederlo anche perché sapeva che non avrebbe ottenuto nessuna risposta. Ormi aveva capito che la ragazza che la ospitava non amava parlare di sè. Quando era in casa Jamila le faceva domande e cercava il più possibile di conversare perché era molto curiosa di sapere qualcosa di più su quella ragazza, ma Sinuhe preferiva parlare del più e del meno, accennando solo raramente a qulche episodio della sua infanzia oppure a qualche "collega" del suo misterioso lavoro, facendo incuriosire ancor di più Jamila. Spesso la sua curiosità, però, si tramutava in timore, quando si rendeva conto che se Sinuhe voleva nascondere il suo lavoro poteva significare soltanto che non era nulla di buono. I dubbi di Jamila si acquietavano soltanto quando, dopo aver lanciato uno sgurdo fugace all'enigmatica giovane, scorgeva sul suo viso un'inequivocabile bontà d'animo, che, anche se non aveva ancora avuto la possibiltà di mostrarsi pienamente, era facilmente percepibile da una ragazza sensibile come Jamila.

 

Accadde, però, un episodio che fece preoccupare Jamila, turbandola ancora più di quanto già non fosse.

 

 

Quella sera Jamila aveva preparato la cena con un po' di anticipo e non aspettava che il ritorno di Sinuhe per iniziare a mangiare, ma, quando il il sole era già calato, della ragazza non c'era ancora traccia. Alla fine Jamila cenò, pensando che Sinuhe fosse solo in ritardo e che al suo ritorno le avrebbe riscaldato il pasto. La cuoca attese fino a notte fonda, cominciando anche a preoccuparsi, ma si addormentò per poi risvegliarsi all'alba, come sempre. Al solito anche Sinuhe si svegliava a quell'ora e poi si preparava ad uscire, mentre quella volta di lei non c'era traccia e tutto lasciava pensare che non fosse affatto tornata quella notte. Jamila temette che le fosse accaduto qualcosa di grave e stava pensando di andarla a cercare, anche se non sapeva bene dove, magari chiedendo informazioni in giro, quando Sinuhe aprì la porta di casa propria. La ragazza appariva stanchissima e la cosa che spiccava di più, tra numerosi tagli e ammaccature vari, era una fasciatura all'avambraccio sinistro.

 

"Cosa ti è successo? Stai bene? Come mai non sei tornata questa notte?" iniziò a tempestarla di domande la coinquilina, preoccupata oltre che curiosa.

 

Sinuhe la fulminò con lo sguardo, gelandola sul posto.

 

"Io sto benissimo, ma non voglio gente tra i piedi in questo momento, quindi ti consiglio di andartene per un po'. Non tornare prima di pranzo" disse decisa.

 

Jamila rimase senza parole, ma obbedì pensando che dopotutto era ospite.

 

Quando tornò, intorno all'ora di pranzo, Sinuhe non era di nuovo in casa. Arrivò alla solita ora, più stanca e taciturna del solito, e Jamila non osò chiedere nulla dopo la reazione che la ragazza aveva avuto quella mattina.

 

Dopo quella volta non accadde più nulla di sospetto e, anzi, Sinuhe divenne più ben disposta nei confronti di Jamila, instaurando un rapporto, seppur privo di basi.

 

 

Una mattina quando Jamila si svegliò scoprì che Sinuhe non era andata via e stava preparando delle borse. La ragazza la vide sveglia e le rivolse subito la parola.

 

"Buongiorno dormigliona" disse con un sorriso smagliante che Jamila non le aveva mai visto.

 

"Oggi c'è una grande novità, si parte per Menfi!" continuò sempre piuttosto eccitata. Jamila non ne sapeva niente e rimase molto sorpresa da quella notizia improvvisa.

 

Sinuhe dovette fraintendere la sua reazione perché aggiunse: "Cosa c'è, non sei contenta?"

 

Jamila si affrettò a chiarire.

 

"Si, certo che sono contenta! Soltanto mi aspettavo di saperlo con più anticipo" concluse Jamila con tono sarcastico sclollando le spalle, ma Sinuhe era troppo di buon umore per farsi influenzare da simili insinuazioni.

 

"Mi dispiace, partiremo oggi pomeriggio, ti consiglio di preparare le tue cose"

 

Jamila obbedì contenta che, dopo quasi un mese, il giorno del ritorno a Menfi fosse arrivato.

 

 

La campagna era luminosa e fresca come accade soltanto d'inverno. Viaggiare sui dromedari era piacevole e rilassante e Jamila e Sinuhe chiaccheravano del più e del meno, sempre più in confidenza. Già da qualche giorno procedevano costeggiando il Nilo e spesso ne intravedevano la luminosità abbacinante. Quando trovavano un villaggio si fermavano per i rifornimenti e magari ci passavano la notte. Spesso, però, dormivano all'aperto. Sinuhe era concentrata sul motivo del suo viaggio e cercava di non farsi distrarre dall'eccitazione che provava. Jamila, invece, era contenta di tornare a Menfi, ma allo stesso tempo quel viaggio le riportava alla mente gli assurdi avvenimenti dell'ultima volta che era stata lì.

 

Dopo settimane di viaggio le ragazze arrivarono a Tebe, una grande città al centro dell'Egitto. Entrarono per comprare degli oggetti che gli servivano e che non si trovavano nei villaggi. Jamila era molto curiosa di dare un'occhiata alla città perché non ci era mai stata. Quando arrivarono le accolse una città allegra, ma più semplice e spartana di Menfi. Girarono un po' per negozi e botteghe poi si ritrovarono nella via principale. Lì stava passando una truppa di soldati reali che controllavano l'ordine della città. Jamila ne fu felice, quel genere di soldati, che non vanno in guerra e proteggono la gente dai malintenzionati, le erano sempre piaciuti. Notò però che Sinuhe era nervosa e guardava a terra cercando di non dare nell'occhio. Jamila guardò i soldati per scoprire la loro reazione allo strano comportamento dell'amica, ma vide soltanto che parlottavano tra loro come consultandosi.

 

Ad un tratto i soldati si misero a correre verso di loro gridando: "Jamila, lei è ricercata dal faraone come criminale, venga con noi senza fare resistenza"

 

Jamila rimase sconvolta da quelle parole e ci mise un po' a capire che poteva essere soltanto a causa di quella famosa volta. Lei, che non aveva fatto altro che scappare e che non aveva idea di cosa fosse accaduto in seguito, era una criminale? Rimase immobile per qualche secondo, i suoi occhi diventati improvvisamente gelidi, senza i consueti riflessi blu che li animavano. Sinuhe dal canto suo non era meno scioccata e squadrava la ragazza che aveva vissuto con lei per un mese senza riuscire a spiegarsi come potesse essere ricercata, non sapendo niente di ciò che le era accaduto. Di colpo si riscosse ricordando che avrebbero visto anche lei e l'avrebbero arrestata. Prese Jamila per un braccio, d'impulso, senza essere sicura di fare la cosa giusta, e corse alla massima velocità per gli sconosciuti vicoli di Tebe. I soldati erano molto veloci e stavano accorciando le distanze. Ad un tratto le due ragazze si ritrovarono in un vicolo cieco, con i soldati alle calcagna. Avevano il fiatone stanche per la lunga corsa e anche se fossero riuscite a uscire dal vicolo che le intrappolava non sarebbero mai riuscite a seminare i soldati. Jamila aveva lo sguardo perso nel vuoto e non sembrava in grado di ragionare e tanto meno di difendersi. Nonostante sapesse che le aveva mentito e che metteva a repentaglio la sua libertà Sinuhe non se la sentì di lasciarla lì e fuggire da sola.

 

Devo farmi venire in mente qualcosa, dannazione!”

 

Si infilò trascinandosi dietro Jamila in una finestra aperta e si ritrovò in una casa. La attraversò velocemente mentre i soldati ancora cercavano di capire dove fossero finite. Uscì dalla porta e corse ancora per le strade fino a raggiungere un'osteria un po' fuori città. Prese una stanza sperando che il proprietario facesse poche domande. Entrarono e finalmente furono sole: era tempo di chiarimenti.

 

 

Il cantuccio dell'autrice
Salve, popolo di EFP!
Ho pubblicato questo capitolo da cellulare perchè sono in vacanza, è stato un casino ^^"
Spero che vi piaccia e che mi scriviate un commento!
A venerdì!
Red Wind

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Capitolo 4
*** Di poteri sovrannaturali ***



Di poteri sovrannaturali

La stanza era semplice, ma confortevole, come la maggior parte delle taverne di quel tipo, era perfetta per riposarsi dopo un lungo viaggio senza spendere un capitale. I letti sembravano comodi e i mobili resistenti, ma non c'erano finestre.
Le ragazze si ripresero con calma dal fiatone della corsa sedendosi. Jamila sembrò riacquistare la consapevolezza di se, pian piano, non più incalzata dalla fuga, tornò a ragionare normalmente, metabolizzando la notizia. Sinuhe attese che fosse l'amica a parlare per spiegare la strana situazione. Si rese conto che per la prima volta da molto tempo iniziava a fidarsi di qualcuno e temette che la sua fiducia fosse mal riposta, che Jamila la deludesse rivelandosi diversa da come sembrava, come le era già accaduto in passato.

Jamila non si fece attendere oltre.
"Ti devo delle spiegazioni, mi dispiace di non averti informato prima, ma non me la sono sentita di dirtelo, dopotutto non sapevo nulla di te..." disse timida, ma decisa.
Continuò raccontando la sua avventura a Menfi, ciò che aveva cercato di farle il faraone e il mistero della statua. Sinuhe all'inizio evidentemente preoccupata si rilassò man mano che il racconto di Jamila procedeva, solo alla fine, dove raccontava della statua, rimase un po' sorpresa.
Finito di raccontare concluse dicendo:"Ti capirei se non volessi viaggiare con una ricercata".
"La stessa cosa vale per te" rispose l'altra, enigmatica.
Jamila non capì che cosa intendesse dire.
Sinuhe si affrettò a chiarire:"Anch'io sono ricercata".
Jamila rimase turbata, ma allo stesso tempo comprese lo strano comportamento che l'amica aveva avuto poco prima, notò anche che lo aveva detto con tranquillità, non certo come se fosse una confessione. Sinuhe continuò:”Ci sono molte cose che non ti ho detto, ma credo che sia giusto che tu le sappia ora”
Jamila annuì: sapeva che quella ragazza nascondeva qualcosa, ma non era nella posizione per pretendere delle spiegazioni, poteva solo aspettare che fosse lei a decidere di di parlare.
“Come avrai capito il mio lavoro non è proprio comune” iniziò Sinuhe “Io sono una rivoltosa ed il mio obiettivo è quello di uccidere il faraone”
Jamila sgranò gli occhi cercando di dissimulare la sorpresa.
“Quell'uomo ha ucciso i miei genitori ed è mio dovere nonché desiderio vendicarli. Mio padre morì combattendo per il faraone, ma quest'ultimo non si degnò neanche di aiutare me e mia madre quando un'esondazione del Nilo distrusse la nostra casa, in quanto i suoi soldati erano troppo impegnti a salvare i ricchi e i potenti del paese. I rivoltosi mi hanno dato una ragione di vita quando non avevo più nulla, ho lavorato per loro fino ad ora e questo mi ha fatto diventare nemica del faraone. Tra breve ci sarà l'operazione con cui i rivoltosi del paese conquisteranno il potere. In quell'occasione ucciderò il faraone” concluse la ragazza con un'inquietante determinazione negli occhi “Mi dispiace di non avertelo detto prima, ma sono sicura che capirai.” aggiunse.
"Con questo si spiegano molte cose" disse laconica Jamila.
Sembrava indecisa sul da farsi e alla fine aggiunse:"Che cosa farai dopo che avrai ucciso il faraone?".
Sinuhe ci pensò a lungo, poi, realizzando che si sarebbe trovata al punto di partenza, sola e senza uno scopo, i suoi occhi avvamparono di rabbia
"Non sono affari tuoi, quello che farò non ti riguarda" disse velenosa.
"Non lo sai vero? Non hai mai pensato a cosa farai quando finalmente sarai riuscita nel tuo intento. Dopo la tua vita non avrà di nuovo senso" azzardò Jamila.
"Adesso basta, sono anni che perseguo questo obbiettivo e non sarai certo tu a farmi cambiare idea. Questi non sono affari che ti riguardano, anzi non avrei neanche dovuto parlartene"
“Era soltanto la mia opinione, tutto qui. Non era mia intenzione farti arrabbiare” ribatte Jamila un po' altezzosa, sapendo che ormai quello che poteva fare l'aveva fatto, ma che quando Sinuhe si impuntava su qualcosa era difficile smuoverla, tanto più che lei non era nessuno per dirle ciò che doveva fare. Senza aggiungere altro andarono a riposarsi.

 

 

L'indomani mattina partirono da Tebe ben travestite per non essere riconosciute da qualche altro gruppo di soldati. Proseguirono il viaggio passando per i villaggi più sperduti, evitando il più possibile la gente.
Al terzo giorno di viaggio, mentre camminavano in un luogo isolato lontano dai centri abitati, un gruppo di soldati le vide e le fermò per un controllo di routine, non poterono fare nulla per scappare, se si fossero messe a correre avrebbero attirato ancora più sospetti, speravano solo che non le riconoscessero. Le loro preghiere non furono esaudite: appena le videro in volto si avventarono su di loro, pronti a combattere. Sinuhe estrasse immediatamente una spada, la teneva in spalla sotto il vestito, pronta all'utilizzo, ma invisibile dall'esterno. Cominciò a combattere agile e potente come un leone. Jamila non l'aveva mai vista in azione, ma solo mentre si allenava. Le sembrò un'altra persona. Sinuhe disarmò e ferì un paio di soldati, ma erano almeno una dozzina. Mentre teneva a bada alcuni uomini uno di loro la aggirò si preparò a colpirla alle spalle.

"Sinuhe!" urlò Jamila.
La ragazza si girò appena in tempo per vedere il soldato e spostarsi. Jamila aveva già tirato un sospiro di sollievo quando si accorse Sinuhe era sbiancata e dal suo braccio gocciolava lento il sangue. Nonostante avesse schivato era stata colpita di striscio. Mentre la cuoca non sapeva che cosa fare Sinuhe continuava a combattere, ma stava perdendo colpi, i soldati si avvicinavano sempre più. Uno di loro caricò un affondo mentre la rivoltosa era occupata con un altro nemico. Jamila urlò di nuovo ma questa volta Sinuhe non si mosse e lei vide la lama sfiorare il petto dell'amica. Chiuse gli occhi e il suo urlo cambio, diventando un altissimo fischio. Quando se ne accorse smise immediatamente ed ebbe paura di ciò che aveva fatto. Sentiva una strana sensazione e cercava di convincersi che non era stata lei. C'era silenzio assoluto. Riaprì gli occhi. I soldati erano a diversi metri di distanza stesi a terra, si stavano riprendendo lentamente. Sinuhe invece era lì vicino in ginocchio sporca di sangue su tutto il lato sinistro del corpo. Jamila non pensò più a nulla se non ad aiutare l'amica. L'aiutò a rialzarsi, forzandola a seguirla il più lontano possibile da lì nonostante fosse debole.
Nei dintorni non c'era nessun nascondiglio e dovettero camminare a lungo. Sinuhe era silenziosa e concentrata soltanto sul proseguire a fatica. Il tramonto infuocava l'orizzonte e a Jamila sembrava che Sinuhe impallidisse sempre di più, così le fasciò alla veloce il braccio affinché non perdesse troppo sangue. La rivoltosa gemette per il dolore, ma non disse una parola.
Quando era già buio giunsero a Dendera. La città era scura e silenziosa, Jamila non sapeva dove andare: con Sinuhe in quelle condizioni avrebbero destato sicuramente dei sospetti. Decise quindi di entrare nel tempio, nonostante fosse vietato. Poteva arrivare qualcuno, ma non a quell'ora.
Jamila entrò e fece un breve giro di ricognizione per vedere se c'era qualcuno, ma il tempio risultò vuoto. Trovarono una stanzetta dell'aspetto inutile e lì Sinuhe potè finalmente riposare, appena si sedette però, perse conoscenza. Jamila si sentiva stanchissima, ma doveva assolutamente fare qualcosa per la sua amica, per una volta doveva essere lei a salvarle la vita e non viceversa. Tolse la rudimentale benda che aveva messo in precedenza dal braccio di Sinuhe e lavò più volte la ferita. Man mano che il sangue veniva tolto Jamila si accorgeva che la ferita era piuttosto profonda. Si sentì perduta, lei non era un medico, le era capitato di medicare della gente lo aveva visto fare più volte, ma non sapeva che fare di fronte ad una ferita del genere. Bendò il taglio sperando che ciò bastasse a non farla riaprire. Si accorse che Sinuhe tremava e bruciava di febbre. Uscì a prendere delle erbe curative e della legna per accendere un fuoco. Bagnò la fronte della sua paziente con pezzuole bagnate. Era ormai notte inoltrata, ma Sinuhe non accennava a riprendersi. Jamila scorse macchie di sangue sulla benda e le venne un tuffo al cuore. Tolse la benda e vide che la ferita si era aperta. La bendò di nuovo e tenne sollevato il braccio in modo che la pressione sanguigna si abbassasse. Restò così a lungo, combattendo con il sonno. Quando era ormai pomeriggio inoltrato Sinuhe aprì gli occhi. Jamila le posò il braccio, sollevata che la benda fosse ancora immacolata e che la ragazza si fosse risvegliata. Sinuhe ci mise un po' a mettere a fuoco, ma quando riconobbe Jamila le sorrise. O almeno cercò di farlo, il suo sorriso si trasformò in una smorfia di dolore. La ragazza le sussurro di stare tranquilla e poco dopo Sinuhe si riaddormentò. A quel punto anche la cuoca si poté permettere un po' di meritato riposo.
Si svegliò con la spiacevole sensazione di avere dormito troppo, era notte inoltrata. Sinuhe era ancora addormentata, ma stava visibilmente meglio. Jamila era rassicurata, ma voleva sentire dalla sua voce che stava bene. Come sperava, Sinuhe si svegliò poco dopo.
"Buongiorno! Come ti senti?" le chiese la cuoca, sorridendo.
"Sono stata meglio".
Tipica risposta da Sinuhe pensò rassicurata la cuoca. Sinuhe tentò immediatamente di mettersi seduta, ma sbiancò e non riuscì a trattenere un gemito. Jamila la aiutò e quando fu seduta le offrì da mangiare e da bere. Lei accettò,anche se con poco appetito.
Dopo essersi rifocillata disse "Da quanto siamo ferme?".
Teneva conto dei giorni di viaggio e seguiva una rigida tabella di marcia: aveva il terrore di arrivare tardi a Menfi.
"Qualche ora" mentì Jamila, se avesse saputo che erano ferme da più di un giorno avrebbe insistito per ripartire e niente avrebbe potuto fermarla.
"Ti fa male il braccio? Dovrei cambiarti le bende"
"Fai pure".
Mentre sfasciava la benda Jamila disse:"Se la ferita non è aperta ti posso fare un impacco di erbe che impedirà alla ferita di infettarsi, sarà doloroso, ma così ti rimetterai più in fretta"
"Fai ciò che devi, sai che ho molta fretta" rispose nervosamente Sinuhe.
Jamila preparò l'impacco sul fuoco mentre Sinuhe non osava guardare la ferita ora scoperta dalla benda.
"Pensi che sia grave?" chiese a bruciapelo.
"Io non sono un dottore, ma penso che guarirai. Devo ammettere che ho temuto per la tua vita, ma ormai il peggio è passato. Devo però chiederti di darti il tempo di rimetterti"
"Mi chiedi troppo" concluse Sinuhe evitando lo sguardo dell'amica.
"Comunque puoi guardarla la ferita" aggiunse Jamila con un sorriso bonariamente canzonatorio.
Sinuhe la fulminò con lo sguardo, ma mentre lei era impegnata con l'impacco si azzardò dare un'occhiata e pensò che quella vista non era minimamente paragonabile con il dolore che sentiva. Il peggio però doveva ancora venire. Appena Jamila iniziò a spalmare l'impacco sentì un bruciore fortissimo che le arrivava dritto al cervello. Cercò di concentrarsi su altre cose ed effettivamente si accorse di essersi dimenticata di chiedere una cosa importante a Jamila.
"Come abbiamo fatto a sfuggite ai soldati? Chi è stato a farli volare lontano in quel modo?"
Jamila raccontò tutto per filo e per segno sperando che potesse aiutarla a dare una spiegazione a quel mistero.
Quando ebbe finito vide il volto di Sinuhe terreo e tirato e chiese "È la storia o l'impacco?"
"... L'impacco" ammise in fine.
"Mi dispiace che ti faccia male, ma non posso fare altrimenti, ti avevo avvertito. Cosa ne pensi di questa storia?"
"Sembra simile a quello che ti è accaduto a Menfi, ma questa volta non sei stata male".
Jamila si diede della stupida per non averci pensato prima, non c'era dubbio era stato proprio come con il faraone, anche lui era volato lontano spinto da una forza invisibile.
"Hai ragione, è successa la stessa cosa, anche questa volta mi sentivo un po' debole come dopo una grande fatica"
"Non è normale, è una cosa impossibile"
"Lo so, se non l'avessi visto non ci crederei"
"Mi dispiace, non so cosa dirti" concluse Sinuhe mentre Jamila finiva di ripulire la ferita dall'impacco.
"Va meglio ora?" chiese Jamila quando il braccio di Sinuhe fu di nuovo bendato.
"Un po'"
"Io devo andare a cercare dell'acqua e del cibo perché le nostre scorte sono quasi finite. Tu resta qui e non ti muovere. Tieni, qui c'è la tua spada, ma non la usare a meno che qualcuno non entri in questa stanza, non sei certo in condizione di combattere" disse Jamila uscendo subito per non darle il tempo di ribattere. Sinuhe si stupì di non essersi accorta di non avere con sé la spada di suo padre dalla quale non si separava mai.
Jamila fece un giro nei dintorni e trovò molti negozi dove comprare cibo e acqua. Tornò davanti al tempio e si accorse che stavano arrivando delle persone con delle offerte. Jamila corse dentro e andò subito da Sinuhe.
"Stanno arrivando delle persone, dobbiamo fare silenzio"
"Ci scopriranno lo stesso" disse, con il suo solito pessimismo, Sinuhe.
"Che cosa proponi di fare?" rispose spazientita Jamila.
"Dobbiamo andarcene"
"Ci vedrebbero comunque uscire e si insospettirebbero, tanto più per le tue condizioni".
Sinuhe si illuminò.
"Dobbiamo andare nella stanza della statua, lì non possono entrare".
Jamila sembrava titubante così Sinuhe continuò "Se ci trovano qui chiameranno i soldati, è evidente che abbiamo qualcosa da nascondere, è vietato stare nei templi senza motivo"
"Va bene" acconsentì Jamila mentre prendeva le loro cose.
Sinuhe cercò di alzarsi, ma era ancora molto debole e Jamila dovette aiutarla. Durante il breve viaggio che le portò nella stanza della statua Sinuhe si sentì terribilmente a disagio, non era abituata a farsi aiutare e le dava fastidio. Tornarono velocemente verso l'uscita e poi attraversarono le imponenti sale ipostile fino a giungere nella cella della statua. Quando arrivarono Sinuhe tirò un sospiro di sollievo, ma si ricredette subito perché accadde una cosa strana: le pareti dipinte scolorirono lasciandole in un buio irreale che gli diede la sensazione di precipitare. Poi non sentirono più nulla, come addormentate in un sonno profondo.



Il cantuccio dell'autrice
*arriva correndo con il fiatone*
Ce l'ho fatta! Scusate il ritardo, spero di essermi fatta perdonare con la lunghezza del capitolo.
Sono sempre ben accetti commenti e critiche costruttive!
A venerdì!
<3
Red Wind

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Capitolo 5
*** Di rivelazioni e divinità ***




Di rivelazioni e divinità

Una distesa brillante e arancione. Il sole che si tuffa nell'acqua, il mare al tramonto: un'infinità di sfumature dal rosso al blu, tutti gli arancioni del mondo insieme.
Una gigantesca luna surreale incombeva sul sole morente, come a mettergli fretta. In mezzo a quella luce abbacinante il resto appariva come un'effimera ombra nera: gli stormi che si stagliavano in controluce e le palme mosse dal vento non erano che pensieri inquietanti da scacciare per godersi quel panorama.
Era meraviglioso, Jamila e Sinuhe non avevano mai visto niente di simile, rimasero incantate. Quando iniziarono a guardarsi attorno si accorsero che alle loro spalle c'era il delta del Nilo, un alternasi di acqua e terra, un labirinto di canali luccicanti e arancionati intramezzato da limo nero.
"C'è qualcosa che non va" disse Sinuhe, ancora sofferente per la ferita al braccio.
Jamila ancora incantata non rispose, fissando quello spettacolo.
"Ma certo, il sole! Se questo è il delta del Nilo quello è il nord. Il sole non tramonta a nord, com'è possibile?!" esclamò Sinuhe.
"Questo fu il regalo di nozze che Ra fece ai miei genitori, era il loro posto preferito" disse una voce maschile proveniente da un punto alla destra delle ragazze “Da quel giorno il sole tramonta a nord, qui”
"Chi ha parlato?" chiese nervosa Sinuhe, ma subito si accorse che poco distante da loro c'era una figura con la testa di falco e la doppia corona(*).
Assomigliava ad una statua di Horus vivente, non c'era dubbio, ma le ragazze non riuscivano a capire di chi si trattasse realmente.
"Il mio nome è Horus" continuò il ragazzo "togliendosi" la testa di falco che si rivelò essere una specie di elmo. Aveva i capelli neri e gli occhi grigi, freddi e indecifrabili. Indossava abiti ricchi, degni di un re, e preziosi gioielli ornavano la sua pelle scura. Non aveva con sé il tipico bastone con cui spesso veniva raffigurato, ma emanava potere e forza, come se un'aura magica lo circondasse.
Si avvicinò e si sedette sulla sabbia.
Jamila lo guardava con un misto di stupore e felicità. Sinuhe era ormai certa di stare sognando. Non potevano credere di avere davanti una divinità, ma dopo aver visto il sole tramontare a nord, niente era impossibile.
"Dove ci troviamo? Siamo morte?" chiese Sinuhe fredda e diffidente.
"No, siete nel regno degli dei" rispose Horus "Sono stato io a farvi venire qui. Ci sono molte cose che dovete sapere.” disse grave e freddo allo steso tempo.
Le ragazze si scambiarono un'occhiata scioccata e curiosa.
“Immagino conosciate la storia di Iside e Osiride, la leggenda secondo cui io uccisi Seth" continuò Horus.
Le ragazze annuirono, avendo sentito quella leggenda milioni di volte.
Horus ne parlava come tutti gli altri, come se la cosa non lo riguardasse.
"Ciò che non tutti sanno è che Seth alla sua morte suddivise il suo spirito in un numero a noi ignoto di parti. Il dio del male poté continuare a vivere incarnandosi in bambini umani che in quel momento erano nel ventre materno. Scelse persone compatibili con la sua malvagità, quindi con un'indole cattiva, creando così umani con poteri divini che combattono per lui. Quando io e gli altri dei lo scoprimmo decidemmo di fare personificare i tre grandi spiriti: il Ba, il Ka e l'Akh." continuò Horus.
"Sbaglio o il Ka, il Ba e l'Akh sono in ogni persona?" intervenne Sinuhe.
"Certo, ma questo è diverso. Voi siete il Ba e il Ka."
"Noi?!" esclamarono a tempo Sinuhe e Jamila.
"Se no perché sareste qui? Tu, Jamila, sei il Ka e tu, Sinuhe, sei il Ba. Esso ti dà forza fisica e abilità nel combattimento, predisposizione per le armi e altre cose a noi ancora sconosciute. Il Ka, invece, dà l'abilità nella magia."
"In cosa consiste la magia?" chiese Jamila curiosa.
"Puoi fare cose comunemente definite impossibili, ma la magia ha limiti ben precisi che non vanno mai superati." disse Horus con aria severa, lasciando Jamila a bocca aperta.
"Immagino che fare volare via una decina di soldati solo urlando faccia parte delle cose impossibili" commentò la rivoltosa.
"Niente male come primo utilizzo dei poteri. Quando Jamila è entrata nel tempio di Menfi io ho risvegliato i suoi poteri e da quel momento ha iniziato ad utilizzarli, senza però poterli controllare a dovere a causa dell'inesperienza. Poi l'ho trasportata a Siene con la mia magia perché incontrasse il Ba: è importante che vi conosciate. Il fatto che tu abbia utilizzato i tuoi poteri in questo modo è preoccupante: non devi farne uso contro i comuni mortali e prima di fare qualunque tentativo devi allenarti a dovere"
"Bisogna allenarsi con la magia?" chiese Jamila sempre più stupita.
"Certo, bisogna studiare molto" concluse.
"E io? Hai risvegliato anche i miei poteri?" chiese Sinuhe ancora scettica.
"No, non ho potuto perché non sei mai entrata in un tempio, cosa te lo fa pensare?"
Fu Jamila a parlare "Lei è un abile soldato" disse aggiungendo poi particolari degli ultimi eventi. Horus sembrò stupito "Da quanto tempo?" chiese.
"Da quando ho memoria"
"È strano, i tuoi poteri devono essere molto forti" concluse vagamente.
Sinuhe lasciò perdere e Horus continuò.
"Il vostro compito è quello di uccidere o rendere inoffensivi le personificazioni di Seth: i Sethisch. Per farlo avrete bisogno dell'Akh, ma non abbiamo idea di chi sia. Per ora quindi dovete soltanto sperare che i Sethish non abbiano ancora scoperto i loro poteri. Sarebbe utile, però, capire chi sono. Teoricamente dovreste riuscire a individuarli tramite i vostri poteri, ma essi in parte sono ancora sopiti per cui vi darò questo manufatto che identifica la magia oscura. Così li riconoscerete senz'altro." disse porgendo uno scarabeo rosso e d'oro a Sinuhe.
Lei lo prese in mano, ma fisso i suoi occhi in quelli del dio dicendo:"E se noi avessimo altri programmi su come passare la vita?"
"Sarebbero presto rovinati: per i Sethish siete l'unica minaccia al mondo, vi troveranno a qualunque costo"
Sinuhe non demorse.
"Perché non ci pensate voi dei? Dopotutto Seth è uno di voi"
"Si, ma ora è sulla terra"
"Non mi dirai che tuoi immensi poteri non contemplano lo spostamento sulla terra?!" continuò sarcastica Sinuhe.
"... In effetti potrei... " si arrese "Chiesi di andare di persona ad uccidere Seth, visto che la prima volta avevo fallito, ma mia madre me lo impedì poiché sulla terra il tempo passa più velocemente, sarei invecchiato in fretta, ammesso che non fossi morto per mano del mio nemico. Fu sua l'idea di creare dei guerrieri che combattessero per noi sulla terra" quella confessione gli era costata molto perché si rendeva conto che la decisione di sua madre, a cui lui aveva in un certo senso preso parte, era dettata da puro egoismo.
Sinuhe, però, non ebbe pietà di lui
"Ah, capisco quindi avete pensato bene di condannare delle persone innocenti a una vita dedita alla vostra causa, una vita di fuga e combattimento in cui non c'è spazio per tutto quello rende un'esistenza degna di essere vissuta!"
Jamila, che sentiva che Horus si era pentito di quella decisione, la guardò malissimo, ma Sinuhe non ne capì il motivo, era convinta che condividesse i suoi pensieri.
"E quali sarebbero le cose che rendono una vita degna di essere vissuta? La vendetta?" sussurrò Jamila all'orecchio dell'amica, la quale rimase impietrita e assolutamente incapace di ribattere, infuriata com'era.
Horus, i cui occhi fiammeggiavano di rabbia, stava per ribattere alla provocazione di Sinuhe, ma si accorse, pur non sapendo cosa le avesse detto Jamila, che la giovane si era calmata e forse aveva cambiato idea.
"Cosa significa che sulla terra il tempo passa più velocemente?" chiese nel frattempo Jamila, per cambiare discorso.
Dopo un altro sguardo di fuoco a Sinuhe, Horus si girò verso Jamila.
"Devi sapere che gli dei non sono immortali, è soltanto che un anno sulla terra equivale ad un giorno qui da noi per cui noi viviamo molto di più. Anche voi in questo momento siete soggette a questa regola."
"Se vuoi che combattiamo per te dobbiamo essere in forma. Sinuhe ha una grave ferita, qui non c'è qualcuno che possa curarla?" azzardò Jamila.
Horus tirò un'occhiataccia a Sinuhe, ma vedendo gli occhi supplichevoli di Jamila acconsentì
"Vai per di là, troverai chi ti curerà" concesse, indicando il palmeto.
Sinuhe accettò, anche se mal volentieri: sapeva che per proseguire il suo viaggio doveva essere in forma. Jamila restò con Horus.
Anche se non voleva ammetterlo quella ragazza lo aveva salvato da una potenziale figuraccia parlando all'orecchio dell'amica. Non sapeva che cosa le avesse detto, ma doveva essere molto efficace visto la faccia che aveva fatto Sinuhe. Comunque di ringraziarla non se ne parlava, non si sarebbe mai abbassato a tanto.
"Presto dovrai allenarti con i tuoi poteri, ma prima dovremo aspettare che si risveglino del tutto. Nel frattempo, non conoscendo la situazione del nemico, potreste trovarvi in pericolo. Questo amuleto ti tornerà utile" disse Horus con la sua solita aria professionale e distaccata, porgendo alla giovane uno scarabeo azzurro e d'oro "Ti permetterà di comunicare con me. Dovrai soltanto pronunciare il mio nome e poi parlare perché io ti senta." concluse.
Jamila rispose con un timido "Grazie"
Poco dopo tornò Sinuhe. Non era per niente provata, sembrava solo un po' sorpresa. Jamila le chiese come era andata e lei annuì borbottando qualcosa di incomprensibile per poi inchiodare lo sguardo indagatore su Horus.
"Ora potete andare, ci rivedremo presto" le congedò freddo, mentre gli splendidi colori del tramonto sbiadivano e le percezioni svanivano.

 

 

 

(*)Sin da epoche remotissime, il sovrano d'Egitto portava una doppia corona, simbolo del suo potere sulle due parti del paese. Questa speciale corona nacque dall'unione della corona bianca tradizionale dell'Alto Egitto con la corona rossa del Basso Egitto. Tutti i faraoni si considerano discendenti di Horus, che divenne re d'Egitto dopo aver sconfitto Seth. Per questo la divinità viene spesso rappresentata con la doppia corona.


 

 
Il cantuccio dell'autrice
Per qualche minuto sono riuscita a pubblicare di venerdì! x)
Che dire, spero vi sia piaciuto. Probabilmente dovrò mettere alcune note come questa per spiegare alcuni aspetti storici particolari.
A venerdì!
Red Wind

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Capitolo 6
*** Di nemici ignoti ***




Di nemici ignoti

Si risvegliarono in un’oasi.
"Ho fatto un sogno stranis..." iniziò Sinuhe, ma poi si interruppe ritrovandosi uno scarabeo rosso tra le mani.
Jamila concordò.
"Non era un sogno" disse mostrando il suo amuleto azzurro.
"Non è possibile" mormorò Sinuhe.
"Eppure non c'è altra spiegazione" esordì Jamila, stringendosi nelle spalle.
"Non importa cosa sia successo, noi dobbiamo raggiungere Menfi"
"Sono d'accordo, ma dovremmo anche tenere conto dei consigli di Horus" puntualizzò Jamila.
"Non mi interessa nulla né dei suoi consigli né della sua missione"
"Mi ha dato uno scarabeo che mi permette di parlare con lui, se siamo in pericolo ci potrà aiutare" insistette Jamila.
"Possiamo anche cavarcela da sole. Piuttosto hai idea di dove siamo?"
"N... "
Jamila si interruppe ed entrambe sentirono una voce proveniente dall'amuleto dire:"Non preoccupatevi, vi ho portato in un oasi dove potrete riposarvi e dove sarete al sicuro".
Era la voce di Horus, attraverso lo scarabeo azzurro. Anche dopo le assurdità che avevano visto quel giorno, alle ragazze venne un brivido sentendo una voce provenire da un oggetto.
"Dicci dove ci troviamo esattamente" rispose Sinuhe.
Jamila ripeté la frase con più garbo dopo avere pronunciato il nome di Horus, come lui le aveva detto di fare, e quest'ultimo rispose:"Siete poco più a Nord rispetto al tempio in cui eravate".
Sinuhe borbottò un "perfetto": Menfi era a Nord, quello spostamento le aveva risparmiato della strada. Jamila ringraziò Horus, chiudendo poi la comunicazione.
Sinuhe insistette per partire subito e Jamila non riuscì a convincerla a riposarsi ancora uno o due giorni. Ottenne soltanto di fermarsi per raccogliere provviste di cibo, ma si trattava soltanto di poche ore. Effettivamente quando partirono fu evidente che Sinuhe stesse meglio: non dava segni di sofferenza e non sembrava neanche troppo debole. Jamila ne fu rassicurata e dedicò i suoi pensieri agli strani eventi che le erano recentemente accaduti.
Non riusciva a capacitarsi di tutte le novità che l'avevano sopraffatta ultimamente. Ripercorse tutto l'accaduto, in particolare le parole di Horus, stupendosi come se le sentisse per la prima volta. Pensò a quello che sarebbe stato di lei da quel momento in poi. Sinuhe poteva arrabbiarsi quanto voleva, ma ormai le cose stavano così: indipendentemente dalle colpe di Horus, che in ogni caso non stava a loro giudicare, Seth era sulla terra e, immaginava, avrebbe fatto cose orribili se non fermato. Non si sentiva all'altezza del compito, ma avrebbe fatto il possibile. Ormai la sua vita era stata spezzata da quella storia poiché non poteva più tornare al suo lavoro e alla sua vecchia, e anche un po' monotona a dire il vero, vita da quando era diventata ricercata. Tanto vale rassegnarsi e far si che ne sia valsa la pena.


Si fermarono durante il pomeriggio per fare una pausa e mangiare qualcosa.
"Come mai hai così tanta fretta? Capisco che tu ci tenga al tuo obbiettivo, ma siamo perfettamente in tempo, arriveremo con ampio anticipo" chiese curiosa Jamila.
"Il fatto che siamo ricercate ci rallenterà e potremmo avere nuovi imprevisti... e poi... lo so che ci siamo fermate nel tempio per più di un giorno e non per poche ore come mi avevi detto"
Jamila abbassò lo sguardo non sapendo che cosa dire, si aspettava che Sinuhe la ammonisse per il suo comportamento, ma lei non disse niente.
"Come hai...?” domandò incerta Jamila dopo un po'.
"Avevamo provviste di cibo per qualche giorno e invece quando mi sono svegliata erano già finite. Inoltre dovevo aver perso molto sangue per svenire eppure mi sentivo abbastanza bene... e poi... non sei tanto brava a mentire" rispose Sinuhe con aria di superiorità.
Jamila mormorò un "Mi dispiace di averti mentito" che non ottenne alcuna risposta.


Finalmente capiva tutto. Poteva spiegare perché a lui era sempre piaciuto quello che gli altri consideravano brutto, macabro o crudele. Capiva il suo amore per il sangue e per tutte le azioni malvagie. Malvagio, quante volte si era sentito dire quella parola, ancora ricordava le facce sprezzanti mentre lo guardavano, gli indici accusatori puntati su di lui. Era tutto previsto, perché lui era sempre stato il prescelto dal più potente degli dei: lui era il sacerdote di Seth.
Tutti quelli che lo avevano allontanato avrebbero pagato. Per primi coloro che avevano ucciso sua madre.
Ancora ricordava come fosse ieri il giorno in cui il suo migliore amico andò a dire a tutti che suo padre non era morto, ma se n'era semplicemente andato. Che era un bastardo. Aveva fiducia nel suo migliore amico, era certo che l'avrebbe capito, che se non avessero avuto segreti la loro amicizia si sarebbe rafforzata. Invece egli lo tradì. Era insieme a tutti gli altri bambini quando essi lo derisero. All'inizio si vergognava di quell'improvviso voltafaccia, ma poi non si era risparmiato in insulti e beffe.
Fu allora che tutto il suo odio si realizzò: prese le grosse pietre con cui stava giocando e le lanciò con tutta la sua forza contro quei mocciosi che lo prendevano in giro per un fatto che non dipendeva da lui. 
Essi urlarono, piansero, caddero a terra e l'erba divenne rossa del loro sangue, ma lui non si fermò. Non poteva farlo, il suo odio non poteva più rimane inascoltato, a meno che non desiderasse che a crollare, al posto di quei bambini, fosse lui stesso. Si sarebbe afflosciato, come un castello di carte. Sarebbe crollato perché, si sa, l'odio è come un buco nero: se ce l'hai dentro di te risucchierà tutta la tua luce, ne verrai risucchiato anche tu, implodendo. L'unica cosa che puoi fare è buttarlo fuori, vomitarlo sugli altri.
Non riusciva a sopportare che il suo primo e unico amico lo avesse tradito, dopotutto lui era sempre lo stesso sia prima che dopo la rivelazione del segreto. Quel giorno decise che non avrebbe più avuto amici, e così fece.
Non riusciva più a ragionare e quando tornò in sé intorno a sé vide i genitori che soccorrevano i bambini feriti e cercavano di fermarlo perché lui ancora lanciava le pietre, ma lui non li lasciava avvicinare. Dai pianti dei genitori capì che alcuni bambini dovevano essere morti, ma non si pentì di ciò che aveva fatto, anzi, era certo che se gli fosse successo di nuovo non avrebbe esitato a rifarlo. Continuò a tirare le pietre finché qualcuno non chiamò sua madre. Tutto intorno si fece silenzio e la cerchia di bambini e genitori si aprì per farla passare. Lei si avvicinò e lo prese in braccio, senza fare domande. Gli altri, fuori di sé dalla rabbia, cominciarono ad accusarlo e a dire che andava punito. Sua madre però si avviò verso la loro casa senza una parola. I genitori, allora, chiamarono i soldati che portarono a forza lui e sua madre in prigione in attesa del verdetto del consiglio degli anziani. La folla che vedevano dalla piccola finestra della prigione premeva per ottenere un verdetto negativo.
"A morte! A morte!" urlavano.
Lui aveva iniziato a piangere e sua madre lo consolava. Scese la notte e la folla se ne andò, allora la donna gli disse:"Scappa, figlio mio! Vattene!"
Subito dopo gli diede un bacio sulla fronte, lo prese in braccio e lo sollevò sino alla piccola finestra. Le sbarre non erano adatte a un bambino di otto anni e ci passo in mezzo facilmente. Rimase un po' lì cercando di convincere sua madre a fuggire con lui. Ella gli disse che l'avrebbe fatto. Solo allora si allontanò e si nascose in una casa diroccata dove andava spesso a giocare. La mattina dopo prima dell'alba uscì ben camuffato e fece un giro nel paese in cerca di sua madre e in effetti la trovò: era sulla forca, impiccata a una fune, che dondolava lugubre.
Scappò, corse il più lontano possibile con un solo pensiero in testa: lei doveva scappare, non doveva morire!
Da quel giorno la sua vita fu un continuo scappare, cercare di sopravvivere e pensare. Si, pensare all'odio profondo che provava per il mondo intero, l'unico motivo per cui ancora viveva. Aveva imparato a maneggiare le armi e si era unito a dei briganti, un'esistenza faticosa, ma appagante poiché gli permetteva di sfogare la sua rabbia e di uccidere: la sua droga.
Ora tutto ciò aveva senso. Era certo che Seth avesse fatto più che bene a scegliere lui. Non lo avrebbe deluso. Vedere il suo spirito era stata una sensazione terribile e bellissima al tempo stesso, dolore e forza. Nonostante la storia che il dio gli aveva raccontato fosse poco credibile non aveva dubbi sulla sua veridicità, le sensazioni che aveva provato erano indescrivibili e non c'era nulla di terreno in esse. Non vedeva l'ora di mettersi al lavoro, per uccidere il Ba, il Ka e l'Akh.



 
Il cantuccio dell'Autrice
Eccomi con un altro capitolo, postatato dal mare! ^^
Il tizio nell'immagine, Laurence Fishburne è il prestavolto del Sethish (ringrazio IpseDixit per avermelo consigliato, non ne trovavo nessuno che mi convincesse >.<), come avrete capito.
Spero che vi sia piaciuto!
A venerdì!
Red Wind

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Capitolo 7
*** Di risvegli indesiderati ***




Di risvegli indesiderati

Un rumore indistinto risuonava nelle orecchie di Jamila. Un battere ritmico e lento, ovattato. Una sensazione di inquietudine crescente accompagnava il desiderio di fuggire, ma anche la curiosità faceva la sua parte.
Un cuore che batte capì Jamila.

Si stava avvicinando, lo capiva dall'aumentare del volume del battito cardiaco. Era innaturale come quel rumore risuonasse nell'ambiente: era fortissimo e sembrava riempire il vuoto circostante, rimbalzando su invisibili pareti per ripetersi all'infinito. A quel punto, nell'oscurità, si accesero due occhi rossi terrificanti. Jamila urlò, ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Gli occhi divennero sempre più grandi, illuminando lo spazio circostante, cosicché Jamila poté vedere il corpo a cui appartenevano gli occhi, ma ciò che vide la atterrì ancora di più. Davanti a lei c'era Seth, la testa di sciacallo ben illuminata dalla luce rossa dei malvagi occhi. Jamila indietreggiò e vide un sorriso animalesco, un ghigno di vittoria dipingersi sul muso di Seth. Poi tutto sparì come risucchiato da un vortice e Jamila si svegliò.
La terribile sensazione di disagio e inquietudine accompagnò Jamila nei primi minuti dopo il risveglio, impedendole di fare qualsiasi cosa. Sinuhe dormiva ancora profondamente e la cuoca decise di permettersi un bagno. Andò verso il vicino fiume e si immerse. L'inimitabile sensazione che dava l'acqua fresca dissipò i timori che il brutto sogno aveva lasciato, l'acqua li sciolse e la corrente li portò via. Jamila si rilassò: il contatto con la natura le infondeva pace più di ogni altra cosa.


Sinuhe si svegliò con la brutta sensazione di aver dormito troppo, ma in verità mancava ancora molto tempo all'alba e lei doveva aver aver riposato solo un paio d'ore. Si alzò e si avvicinò al giaciglio di Jamila, per svegliarla. Quando non la trovò si prese un colpo, non riuscendo a immaginare dove fosse andata. Cominciò a pensare che non avrebbero dovuto fermarsi, che qualcuno avrebbe dovuto fare la guardia. Si guardò intorno, ma era agitata e non notò nulla di strano. Pensò persino che avrebbero dovuto ascoltare gli avvertimenti di Horus e che senz'altro in quel momento i Sethish stavano facendo qualcosa di terribile alla ragazza. Girò ancora nei paraggi e, alla fine, si decise a dare un'occhiata nei pressi del Nilo. Al fiume non c'era niente di strano e Sinuhe, i soliti brividi indesiderati a invogliarla ad andarsene da lì, stava già per avviarsi, quando notò delle bolle sulla superficie dell'acqua, segno che c'era qualcuno lì sotto. In quel momento riemerse Jamila, i lunghi capelli neri pettinati all'indietro dall'acqua. Sinuhe rimase un attimo spiazzata, ma capì subito che si era tanto preoccupata per niente e che la ragazza stava soltanto facendo un bagno.
"Cosa diavolo ti è saltato in mente? Venire qui senza dire niente a nessuno?"
Jamila si era avvicinata nuotando lentamente e alle inaspettate parole di Sinuhe rispose sogghignando:"Ah, ti sei preoccupata per me?"
Sapeva che non lo avrebbe mai ammesso.
"No... si... ti stai sbagliando... io..." farfugliò altre cose incomprensibili e poi tornò verso il luogo dove si erano accampate, cercando di ignorare il disagio che le provocava la vista dell'acqua.
"Spicciati dobbiamo metterci in marcia!" aggiunse poi.
Durante il viaggio Sinuhe fu più fredda del solito, Jamila avrebbe voluto raccontarle il suo sogno, ma era evidente che la ragazza non era dell'umore adatto.
Proseguirono fino a che non fu giorno, poi si fermarono di nuovo. Sinuhe si mise a lucidare la spada come faceva spesso e Jamila preparò qualcosa da mangiare. Dopo si misero a dormire perché, anche se era piuttosto strano dormire di giorno, erano entrambe molto stanche. Sinuhe si addormentò, ma Jamila continuò a pensare all'incubo in cui Seth si svegliava. Temeva che si potesse ripetere, ma più di tutto temeva che avesse un significato. Dopo aver riflettuto decise che c'era una sola cosa da fare. Si alzò senza fare rumore, ma questa volta disegnò una freccia sul terreno ad indicare la sua posizione, poiché non voleva che Sinuhe si preoccupasse di nuovo. Si allontanò un po', si sedette ed estrasse l'amuleto azzurro a forma di scarabeo. Lo osservò un po' cercando di capire se dovesse fare qualcosa di particolare per attivarlo, ma non notò niente di strano e così disse soltanto "Horus, vorrei raccontarti una cosa".
Dopo qualche secondo Horus rispose
"S-si, ti sento"
"Che c'è? La tua voce è strana"
"Niente, io... io stavo dormendo" confesso il ragazzo.
Jamila arrossì e si diede della stupida per non averci pensato, dopotutto era mattina presto.
"Oh, mi dispiace... richiamo più tardi" disse velocemente, già in procinto di chiudere la conversazione.
Ora la voce di Horus sembrava tornata normale.
"Non importa, dimmi pure, cosa è successo?"
"Sei sicuro che non ti disturbo?"
"Si, non preoccuparti"
"Beh, ho fatto un sogno strano" disse Jamila raccontandolo nei minimi particolari.
Quando ebbe finito chiese a Horus che cosa ne pensasse.
"È probabile che uno o più Sethish si siano svegliati"
"Che cosa significa?"
"Ora sono consapevoli dei loro poteri e si impegneranno per aumentarli"
"Ci cercheranno?"
"Prima è probabile che cerchino gli altri Sethish per svegliare anche loro"
"E poi?"
"E poi, si, vi cercheranno"
Jamila sospirò cercando di calmarsi e poi sussurrò:"Che cosa faremo quando ci avranno trovate? Che cosa faremo nel frattempo?"
"Beh, tu dovresti allenarti con la magia e Sinuhe con le armi"
"Lei già lo fa, ma io? Non so neanche che cosa sia la magia!" disse sconsolata.
"Ti insegnerò io, a breve ti chiamerò e ti porterò qui così potrai cimentarti nell'arte magica. Non preoccuparti, sono certo che non ti accadrà nulla nel frattempo"
Jamila avrebbe voluto dirgli che aveva paura, che non voleva aspettare che i nemici arrivassero, ma non osò, in fondo stava parlando con un dio.
Alla fine, però, si sentiva già un po' più sicura: Horus era l'unico che conosceva quella storia e lei si fidava. Se lui aveva detto che non avrebbero attacco nell'immediato futuro doveva essere senz'altro così.
"Bene, allora... ci vediamo" disse Jamila sforzandosi di restare formale.
"Si... ciao" salutò Horus.
Jamila restò in ascolto pentita di non aver avuto il coraggio di dirgli ciò che pensava. Alla fine disse soltanto "Grazie", ma era certa che ormai la comunicazione si fosse interrotta.


Horus attese di sentire ancora qualcosa o di rassicurarla dicendole che ella era la personificazione del Ka e neanche immaginava il potere che possedeva. Eppure non era il tipo da dire cose del genere e inoltre pensava di non essere nella posizione adatta per confortarla: non osava neanche pensare come venisse considerato dalle due ragazze, dopotutto lui se ne stava lì al sicuro, mandando loro a rischiare la vita. Dopo un po' sentì Jamila dire un sincero "grazie". Sorrise: aveva ancora una possibilità per conquistare la loro fiducia, la prossima volta voleva meritarselo davvero quel “grazie”. Decise di concentrarsi nei preparativi per l'allenamento di magia, poiché era essenziale che Jamila avesse una difesa contro i nemici.


Jamila restò immobile chiedendosi se Horus avesse sentito quanto aveva detto. Sentì dei passi avvicinarsi e si mise in allerta, ma, come si aspettava, arrivò Sinuhe. La rivoltosa, che già di natura aveva il sonno leggero, era rimasta in dormiveglia a causa della luce del giorno e si era accorta immediatamente dell'assenza di Jamila. Così dopo un po' era andata a cercarla questa volta spinta più dalla curiosità che dalla preoccupazione.
"Che cos'era quella freccia disegnata per terra?" chiese Sinuhe.
"Beh, non volevo che... accadesse quello che accaduto l'altra volta. Ti eri preoccupata, no?"
"Io... beh si, mi sono preoccupata. Tu eri sparita, ho pensato che i soldati ti avessero catturata o che... i Sethish... Non me lo sarei mai perdonata..." disse Sinuhe, la sua voce si affievoliva sempre di più a ogni parola.
Jamila si sorprese di quella confessione, non tanto di ciò che aveva detto, ma del fatto che l'avesse detto.
"Davvero?"
"No" rispose secca Sinuhe tornando verso il luogo in cui si erano accampate.
Jamila sorrise. Tipica risposta da Sinuhe, forse non era il massimo, ma a lei piaceva così.
Seguì l'amica e tornarono all'accampamento.
"Che cosa stavi facendo?" chiese Sinuhe a quel punto.
"Stavo parlando con Horus, ho fatto un sogno strano" disse Jamila, raccontando poi quello che aveva visto e l'opinione di Horus nei minimi particolari, quando ebbe finito chiese a Sinuhe che cosa ne pensava.
"Io non so niente di queste cose di magia, comunque se davvero tu sei in grado di utilizzarla penso che ti potrebbe essere utile. Ora riposiamoci, questa notte ci aspetta un'altra dura marcia"
"Sono d'accordo" disse Jamila mettendosi a letto, contenta che per una volta Sinuhe fosse della sua stessa opinione.


Dopo qualche giorno di viaggio privo di imprevisti, le ragazze stavano marciando come al solito, quando sentirono una voce provenire dalla sacca di Jamila. Era Horus.
"Ciao, penso che Jamila potrebbe provare ad utilizzare la magia oggi"
"Va bene, come facciamo a venire da te?" chiese Jamila.
"Beh...dovreste fare una nuotatina nel Nilo"
Sinuhe si irrigidì.
“Non c'è un altro modo?” chiese Sinuhe, che si sentiva già in trappola.
“Appena vi immergerete nell'acqua vi troverete qui. Qual'è il problema?” ribatté Horus, scocciato.
Jamila guardò la compagna di viaggio in attesa di una spiegazione, ma la ragazza si limitò a dire:”È una lunga storia... Non c'è un altro modo?”
Jamila la guardò sconsolata.
“Horus, puoi darci un attimo?” chiese la cuoca.
“Certo” acconsentì il ragazzo un po' scocciato, chiudendo la conversazione.
“Allora, si può sapere che ti prende?” domandò Jamila, irritata “Perché non vuoi immergerti nel Nilo?”
Sinuhe fece vagare lo sguardo intorno, evitando quello di Jamila, poi prese un profondo respiro.
“Ho paura di quel dannato fiume!” confessò con rabbia “Non lo sopporto, va bene?”
Jamila la guardò male per un attimo, poi capì.
“È per quella storia di tua madre?”
La ragazza annuì. Jamila recuperò lo scarabeo azzurro, per riprendere la conversazione con Horus, ma Sinuhe la fermò prendendole un polso.
“Non lo sa nessuno e così deve restare!”
“Cosa gli dico, allora?”
“Non lo so, inventati qualcosa!” rispose la rivoltosa, acida.
Quella situazione la rendeva terribilmente nervosa.
“Spera che non faccia troppe domande” concluse Jamila “Horus, non avresti un altro modo? Per favore, è una cosa seria!” disse, poi, rivolta allo scarabeo.
Il dio, dall'altra parte del manufatto, si passò una mano sul viso, chiedendosi perché dovessero capitare tutte a lui.
“Certo, restate dove siete” rispose.
Qualche istante dopo le ragazze si ritrovarono in una piccola stanza. Ne uscirono e videro una specie di arena di terra battuta con alcune armi da allenamento addossate alle pareti, c'erano anche manichini e bersagli malridotti, ma funzionali. Horus era seduto a gambe incrociate per terra, gli occhi chiusi e un'espressione concentrata sul viso. Il quel momento si riscosse, riprendendo a respirare dopo una lunga apnea. Le ragazze lo guardarono senza capire, ma egli non diede spiegazioni e andò loro incontro.
"Beh, ora che siete qui possiamo iniziare. Vorrei vedere che cosa sai fare, Sinuhe"
"Io? Che cosa devo fare?" chiese Sinuhe che non aveva idea di dover fare qualcosa.
"Vorrei soltanto che tu combattessi contro di me"
"Per me va bene" acconsentì Sinuhe, dopotutto combattere era la cosa che sapeva fare meglio.
Sguainò la spada e si mise in posizione. Horus si avvicinò e si mise in allerta pronto ad attaccare.
"Sei disarmato!" esclamò Sinuhe.
"Questo è quello che credi tu" disse Horus sollevando col pensiero una grossa pietra e scagliandola contro Sinuhe che però la scansò con facilità.
"Magia, eh? Vedremo cosa farai contro la mia spada" ribatté la ragazza, facendo roteare l'arma con un fluido movimento del polso.
Horus era in grado si modellare fiamme che nascevano dalle sue mani e di controllare le pietre nei dintorni e sfruttava queste abilità sia per attaccare che per difendersi, dimostrando una padronanza perfetta. Sinuhe era in difficoltà perché non era abituata a combattere in quel modo. Si rese conto in breve che non era assolutamente al livello del dio e la cosa le dava dannatamente fastidio. La difesa di Horus non era perfetta, ma la rivoltosa non poteva niente contro i suoi attacchi ed era costretta a schivare in continuazione. Per un colpo di fortuna, mentre lui era impegnato con una fiamma Sinuhe caricò un affondo e sfiorò la sua guancia lasciando un segno rosso. Gli occhi di Horus si infiammarono di rabbia e fiamme altissime avvolsero il suo corpo mentre pietre di tutte le misure si alzarono da terra costringendo Sinuhe ad arretrare. Il dio mandò tutti gli oggetti che stava controllando contro la ragazza, la quale non sapeva da che parte schivare visto che era attaccata su tutti i fronti. Solo un attimo prima dell'impatto le fiamme si spensero e le pietre si immobilizzarono a mezz'aria. Sinuhe riaprì gli occhi, sollevata.
“Non male, ma come vedi per competere con la magia devi fare molto di più” disse Horus, con sufficienza.
Sinuhe digrignò i denti, senza ribattere. Quanto odiava perdere!
Horus si avvicinò a Jamila.
"Veniamo a te, da quanto ho capito hai già utilizzato la magia, ma devi sapere che la vera difficoltà è controllarla. Ti ho preparato alcuni esempi per farti allenare" disse indicando alcuni oggetti disposti nell'arena.
C'erano un vaso pieno d'acqua, un mucchietto di bastoncini, una pila di pietre. Poco distante c'erano alcuni manichini da allenamento. Si avvicinarono tutti e tre agli oggetti.
"Iniziamo dalle cose facili, prova ad accendere un fuoco" disse Horus.
Mostrò a Jamila il mucchietto di bastoncini e aggiunse:”Concentrati e pensa intensamente a ciò che vuoi fare".
Jamila chiuse gli occhi e tese una mano verso il focolare. All'inizio non accadde nulla, ma dopo qualche minuto una piccola scintilla cominciò a scoppiettare e in breve il legno prese fuoco.
"Può andare, ora prova a accenderlo sulla tua mano" disse Horus.
"Ma non mi brucerò?" chiese Jamila, sgranando gli occhi.
"No, la tua, magia non ti può nuocere" rispose Horus divertito da tanta ingenuità.
Jamila si concentrò di nuovo, ma questa volta ci volle più tempo prima che una scintilla si accendesse sul palmo della ragazza.
"Ora prova ad accendere una vera fiamma" disse Horus.
Jamila rimase concentrata, con gli occhi chiusi e la mano tesa, ma la situazione non mutò, rimase soltanto la scintilla. A lungo andare la fronte della cuoca si imperlò di sudore, il suo volto divenne tirato e il suo respiro si fece affannoso. Quando non ce la fece più cedette: aprì gli occhi e riprese fiato, guardando Horus con aria interrogativa senza sapere cosa dire. Il dio era evidentemente insoddisfatto e appena Jamila si fu ripresa disse:"Riprova, concentrati meglio e pensa alla fiamma"
Jamila non aveva l'aria molto convinta, ma obbedì. Accese nuovamente la favilla e poi continuò a concentrarsi. Le scintille divennero di più e sparse su tutta la mano. La cuoca continuò a provare e resistette molto più di prima, ma il risultato non variò: la fiamma non si accese.
"Non va bene, non ti difenderai certo dai nemici con delle scintille!"
"Non ce la faccio! Ci ho provato, ma non ci riesco, non è colpa mia!"
"E di chi allora?” ribatté tagliente “Proviamo con le pietre, forse saremo più fortunati" aggiunse Horus senza dare a Jamila il tempo di replicare.
"Prova a sollevare questi sassi, devi concentrarti come hai fatto prima" disse Horus indicando il cumulo di pietre.
Jamila provò un paio di volte, ma riuscì a sollevarne soltanto un paio e di pochi centimetri. Horus pareva sempre più deluso e Jamila era mortificata: nonostante facesse del suo meglio non ci riusciva e si sentiva una stupida. Horus le disse di provare con l'acqua e lei si avvicinò al vaso. Non fece neanche in tempo a chiudere gli occhi che l'acqua si era già sollevata dal contenitore e ora fluttuava a mezz'aria assumendo una forma simile a quella del fumo quando sale verso il cielo. Horus, Sinuhe e anche la stessa Jamila rimasero sorpresi della facilità con cui ci era riuscita.
"Brava! Ora prova a colpire quel manichino"
Un movimento della mano di Jamila e il manichino fu fradicio.
"Te la cavi bene con l'acqua. Puoi anche ghiacciarla?" chiese Horus, portando un nuovo vaso pieno.
Qualche secondo di concentrazione e l'acqua si ricoprì di una patina di ghiacciò. Qualche minuto ancora e il vaso fu pieno di ghiaccio. Horus disse con malcelato stupore e forse anche un po' di invidia "Non male per essere la prima volta".
Jamila pensò che era proprio severo, ma era comunque contenta del suo nuovo risultato. Il dio nel frattempo aveva preso un seme e lo aveva piantato nella terra dell'arena, quando ebbe finito disse "La magia permette anche di accelerare il ritmo della natura, ad esempio ti permette di far crescere questo seme in qualche secondo".
Jamila si concentrò di nuovo e il risultato fu stupefacente: il seme crebbe velocissimo e raggiunse lo stadio di giovane albero. Jamila, che teneva gli occhi aperti, come anche Sinuhe e Horus, trovarono quello spettacolo bellissimo, vedere tutte le fasi di crescita della pianta a quella velocità era meraviglioso: dava l'idea di essere stati nello stesso punto per anni.
"B-brava!" sussurrò Horus, quasi più a se stesso che gli altri.
Jamila era orgogliosa del suo risultato e soddisfatta che Horus si fosse complimentato nonostante la sua indole non lo prevedesse. Dopo ancora un attimo di ammirazione il dio disse:"C'è ancora un tipo di magia che non hai provato, quella dell'aria, prova a fare venire il vento o un tornado".
All'inizio era una brezza, poi un vento forte, infine un mulinello vorticava al centro dell'arena in terra battuta alzando molta polvere. Jamila smise subito perché temeva di fare dei danni. Si rese conto di essere sfinita, aveva il fiatone ed era pallida: tutte quelle magie l'avevano sfiancata ed era più difficile di quanto si aspettasse.
"Per oggi basta così. Come avrai capito la magia prosciuga molte energie, ma con il tempo ti ci abituerai. Il tuo potere è più forte nelle cosiddette magie creative, cioè acqua, aria e piante. Ci sono poi terra e fuoco, dette distruttive, in cui non riesci molto, esse sono invece la mia specialità. Questo ci può aiutare, perché in un combattimento avremmo a disposizione tutti i tipi di potere. Ti conviene comunque allenarti, senza farti vedere da nessuno, in tutti i tipi di magia perché ti possono tornare utili. Ora dovresti riposarti un po', ti chiamerò tra qualche giorno per altri allenamenti. Vi consiglio di allenarvi entrambe, non sappiamo a che punto sia il nemico" disse Horus con aria professionale e distaccata.
Le ragazze annuirono e un attimo dopo furono di nuovo in Egitto.

 
 
 
Il cantuccio dell'autrice
Capitolo speciale di Ferragosto più lungo del solito (?), spero vi piaccia!
Se vi interessa, sto scrivendo una raccolta sul passato di Sinuhe (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2769037&i=1) per il contest a turni "Hunger Games Contest" di Triz94. ^^
A venerdì!
Red Wind


 

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Capitolo 8
*** Di sparizioni e nuove conoscenze ***




Di sparizioni e nuove conoscenze

Come al solito, dopo un secondo di buio totale le ragazze si trovarono di nuovo in Egitto, esattamente nello stesso punto in cui erano prima che Horus le teletrasportasse da lui per l'allenamento. Jamila appariva un po' fiacca e Sinuhe si aspettava che volesse riposarsi un po', ma, quando la ragazza propose di mettersi in cammino, accettò volentieri di ripartire subito. Camminarono come sempre fino all'alba prima di accamparsi e decisero che il giorno dopo si sarebbero fermate a fare rifornimento di viveri nella città più vicina.
Il viaggio fu più lungo del previsto e le ragazze arrivarono a Hu solo nel pomeriggio inoltrato. Era giorno di mercato e le vie della città erano piene di gente e di bancherelle. Sinuhe era nervosa: le città erano sempre piene di soldati e non sarebbe stato facile passare inosservate.
"Facciamo una cosa veloce e poi ce ne andiamo, va bene?" disse la rivoltosa guardandosi attorno circospetta.
"Certo che se fai così ti noteranno subito" disse ridacchiando Jamila "E poi possiamo permetterci un po' di tempo libero ogni tanto".
"Si, ma devi ammettere che è rischioso" disse Sinuhe sempre meno convinta.
"Finché ci sei tu non c'è pericolo, non è vero, soldato?" rispose Jamila di buon umore.
"Oggi sei proprio in vena di scherzi, eh? Questa però è una cosa seria, se ci prendono è la fine"
"Si, starò attenta" concluse Jamila mentre curiosava tra le bancherelle.
In quella zona non c'erano venditori di alimentari e dovettero addentrarsi al centro della città per trovare ciò che cercavano. Jamila si mise a contrattare con un commerciante e Sinuhe notò che proprio dall'altra parte della strada c'era un'armeria.
"Io vado a fare un giro in quella bottega" disse indicando il negozio "aspettami qui".
A parte la sua spada, che era di ottima fattura e dalla quale non si sarebbe comunque separata, le altre armi che possedeva erano vecchie e di bassa qualità, più adatte ad allievi che le utilizzano esclusivamente per allenarsi che a una rivoltosa che necessita di difendersi. Le sarebbe piaciuto avere un buon arco e magari un pugnale. Entrò nella bottega e vide che non c'era nessuno, neanche l'armaiolo che probabilmente stava lavorando nel retrobottega. Diede un'occhiata in giro analizzando le armi e i loro prezzi. Trovò molte cose interessanti, ma nessun vero affare come sperava. Controllava spesso se Jamila era ancora lì fuori attraverso la porta. Ad un certo punto entrò un ragazzo magro, pallido, con i capelli castani.
Non vedendo nessun altro nel negozio chiese a Sinuhe:"Sei la moglie dell'armaiolo?"
"No!" rispose la rivoltosa, domandandosi come si fosse fatto una simile idea.
"E allora che cosa ci fa una ragazza in un'armeria?"
"Secondo te? Sto cercando delle armi, se non ti dispiace!"
"Ah, se vuoi ti posso dare qualche consiglio, per chi è il regalo?"
"Non c'è nessun regalo, le armi servono a me, se non si fosse capito" puntualizzo Sinuhe in modo che il ragazzo non potesse fraintendere.
"Ah, quindi tu sai combattere?"
"Certo" rispose Sinuhe.
"Fammi vedere, se non menti" la provocò il giovanotto dall'aria spigliata.
"Non mi credi, eh? Ti ricrederai in fretta" disse Sinuhe sfoderando la spada e tirandone una di quelle esposte al ragazzo, che la prese al volo.
Iniziarono con calma, quasi timorosi di fare dei danni, ma poi i colpi si fecero più decisi e potenti. Il ragazzo era un po' più forte di Sinuhe, ma lei aveva più tecnica e più agilità. Lui respinse un suo attacco dall'alto e blocco la spada di Sinuhe tenendo la sua con due mani e portando il suo volto a un soffio da quello di Sinuhe. Si scambiarono uno sguardo di sfida per qualche secondo, entrambi incapaci di modificare a loro favore quella situazione di stallo.
"Possono almeno conoscere il nome del mio avversario?" chiese lui sempre in quella posizione da cui la rivoltosa non riusciva a liberarsi.
"Sinuhe" rispose lei indietreggiando velocemente per liberare la spada e riprendere il combattimento.
"Anem" si presentò lui sempre, mentre tentava un affondo.
Duellarono a lungo, ma nonostante Sinuhe lo stesse mettendo in grande difficoltà e fosse sempre sul punto di batterlo definitivamente, lui non cedeva e lei, non potendo ferirlo, non riusciva a fare una breccia nella sua difesa abbastanza grande da disarmalo o puntargli la spada alla gola. Sinuhe si dimenticò di guardare fuori per un po' e, quando se ne accorse, diede subito un'occhiata fuori. Jamila non era più dove l'aveva lasciata. La rivoltosa si bloccò di colpo ed uscì fuori senza dare spiegazioni ad Anem, che rimase imbambolato a fissarla senza capire. Sinuhe si guardò intorno per vedere se magari si era spostata per comprare in un'altra bancherella, ma non era nei paraggi. In compenso la gente sembrava agitata e parlottava fitto. Osservando le persone, andò dove vedeva più caos: camminò nella strada principale fino a quando tutto tornò tranquillo. La ragazza notò, però, che c'era confusione in una delle traverse della via centrale e provò in quella direzione. La strada girava subito dopo a sinistra e quando Sinuhe svoltò l'angolo si trovò di fronte un soldato che parlottava con un gruppo di persone. Fece immediatamente un passo indietro prima che la vedessero, nascondendosi dietro l'angolo ad ascoltare la conversazione.
"Chi era quella ragazza che avete portato via?" chiese una signora dall'aria pettegola.
"È una ricercata che si aggirava per la città..." ripose il soldato.
Sinuhe temette di sapere di chi si trattava e trattenne il respiro in attesa che il soldato continuasse.
"Qualche mese fa ha aggredito il faraone quando lavorava come cuoca nel suo palazzo".
L'avevano presa ed era tutta colpa sua: si era distratta per un duello inutile e, adesso che ci pensava, anche pericoloso perché dava incredibilmente nell'occhio e nel frattempo Jamila si trovava nelle mani dei soldati. Era stata dannatamente stupida e pensare che si era raccomandata con Jamila di fare attenzione, quando poi la prima ad essere imprudente era stata lei. Imprecò sottovoce, mordendosi il labbro inferiore.
Doveva fare qualcosa, altrimenti Jamila sarebbe stata giustiziata. Tutto le sembrava un brutto sogno, non poteva crederci. Il soldato si allontanò dalle persone con cui stava parlando e Sinuhe lo seguì a distanza. Finalmente si trovarono in un vicolo poco frequentato e Sinuhe poté sfoderare la spada e avvicinarsi al soldato di soppiatto. Gli puntò la spada alla schiena e con il braccio sinistro gli strinse il collo per impedirgli di voltarsi, vederla e quindi riconoscerla.
"Dove state portando la prigioniera che avete catturato oggi?" chiese decisa Sinuhe.
"N-non lo so" rispose il soldato terrorizzato.
Sinuhe premette la spada con più forza contro la sua schiena disegnando all'istante macchie rosse sul terreno e disse con tono falsamente dispiaciuto:"Se non lo sai allora sei inutile, ti devo uccidere".
"Va bene, stai calma" si affrettò a dire il soldato "la stanno portando a Beni Hasan" confessò.
"Grazie per la collaborazione" disse Sinuhe sequestrando tutte le armi del soldato "E ora non ti muovere di qui fino a che non avrai contato fino a cento" ordinò la rivoltosa.
Il soldato era atterrito (comportamento davvero deplorevole per un soldato reale, pensò Sinuhe) e annuì senza discutere. Sinuhe si allontanò verso la porta ovest della città: voleva raggiungere Beni Hasan il prima possibile.
Era ormai notte e Sinuhe stava per raggiungere la porta della città quando un uomo sbucò da una porta salutandola. Sinuhe, che era soprappensiero, si spaventò, balzò indietro e cadde seduta. Cercò di sguainare la spada, ma prima di riuscirci sentì l'uomo ridere. Sorpresa Sinuhe lo guardò meglio in faccia e si accorse che era il ragazzo con cui aveva duellato nell'armeria qualche ora prima. La ragazza si rialzò velocemente, in imbarazzo per aver avuto una simile reazione e aver fatto la figura della pivella.
"Non si interrompe un duello" disse Anem sempre ridendo.
"Che ci fai qua?".
"Ti ho seguita per scoprire dove andavi tanto di fretta"
"Non sono affari che ti riguardano e poi non è questo il modo di presentarsi, mi hai fatto spaventare"
"Ho notato" sogghignò Anem.
"Non c'è niente da rider..." si interruppe perché un gruppo di soldati stava arrivando, era probabile che avessero aumentato la sicurezza dopo che il soldato a cui Sinuhe aveva estorto le informazioni aveva riferito l'accaduto. Sinuhe si stava già allontanando nella direzione opposta a quella dei soldati quando Anem la prese per un polso e la tirò verso la porta da cui era uscito poco prima. Lei tentò di divincolarsi, ma il ragazzo richiuse subito la porta impedendo a Sinuhe di uscire.
Perché? Perché sta facendo questo per me?
"Così ti metterai nei guai" sussurrò Sinuhe, quasi arrabbiata.
"Io adoro i guai, sono il mio pane quotidiano" rispose Anem sorridendo con aria furba per mascherare l'espressione preoccupata di poco prima.
I soldati passarono senza sospettare niente e quando i loro passi si furono spenti nella notte i due tirarono un sospiro di sollievo, poi Sinuhe fece per aprire la porta e disse sincera:"Ti ringrazio".
“Aspetta...”
"Adesso basta, ho fretta!"
Il solito sorriso simpatico svanì dalle labbra di Anem e il suo volto divenne serio.
"Se le cose stanno così mi avvalgo del debito che hai con me, dopotutto ti ho appena salvato la vita. In cambio voglio che tu mi ascolti e risponda alle mie domande" disse Anem.
"D'accordo, ma sappi che ho poco tempo" sospirò Sinuhe, rassegnata.
Anem la accompagnò in cucina, la fece sedere e le offrì della birra. A Sinuhe sembrava strano stare in una vera casa perché lei era ormai abituata ad accampamenti o stanze in affitto come quella che aveva ad Siene. Si sedette anche lui e le chiese:"Allora, come mai temi i soldati?"
Il suo sguardo era così ingenuo e sincero che Sinuhe non riuscì a dire "non sono affari che ti riguardano", ma non trovò nient'altro di più adatto. Pensò a Jamila e al fatto che adesso erano entrambe da sole. Pensò a quel ragazzo che aveva appena conosciuto, ma che già si fidava di lei. Restò pensierosa per diversi minuti e quando rialzò gli occhi trovò Anem come l'aveva lasciato, con gli occhi scuri puntati su di lei. Cedette.
"Sono ricercata perché faccio parte dei rivoltosi, un gruppo che vuole prendere il potere al faraone".
Un attimo di silenzio seguì alla dichiarazione di Sinuhe e lei temette di avere fato un grosso sbaglio a confidarsi con Anem e che magari ora avrebbe pure chiamato i soldati.
"Niente male. Da bambino volevo fare il soldato del faraone, ma crescendo mi sono accorto che ben poche volte lui e i suoi soldati agiscono in nome della giustizia, così ho imparato a combattere in attesa che la vita mi offrisse l'occasione di fare qualcosa in cui credessi. Sto ancora aspettando" disse il ragazzo.
Sinuhe rimase sorpresa da tanta confidenza, ma si rese conto che doveva far parte del suo carattere.
"Come mai te ne sei andata tanto in fretta prima, mentre combattevamo?" chiese ancora Anem.
Sinuhe pensò che, visto che ormai il più era fatto, tanto valeva dire tutto.
"Con me c'era una ragazza, anche lei ricercata, e mentre combattevamo è stata presa dai soldati" disse Sinuhe fissando il suo bicchiere.
"Mi dispiace" disse semplicemente Anem stupendo Sinuhe per la sua sincerità.
"Ho fretta proprio perché devo liberarla, ho saputo che la stanno portando a Beni Hasan. Vorrei partire il prima possibile per raggiungerla".
"Non ti preoccupare, non ti tratterrò contro la tua volontà. Se prima di partire vuoi mangiare qualcosa..." disse Anem porgendole un piatto di pesce e del pane.
"No, grazie...io"
"Non ti preoccupare, mi fa piacere" disse Anem sorridendo e allontanandosi dalla cucina.
Sinuhe decise di mangiare: aveva fame e poi non aveva le provviste, visto che stava comprando Jamila. Finì l'ultimo boccone e vide Anem arrivare con una sacca, la spada e vestiti da viaggio. Stava per chiedergli dove avesse intenzione di andare, ma lui fu più veloce e disse "Ho deciso di venire con te. Qui non ho niente da fare e vorrei poter aiutare qualcuno. Conosco bene questa zona e ti potrò essere utile"
"Non ho bisogno di aiuto"
"Forse tu no, ma la tua amica si. A Beni Hasan si svolgono tutte le condanne dei dintorni, verrà sicuramente uccisa se non facciamo qualcosa"
Sinuhe sbiancò vedendo i suoi sospetti diventare realtà, ma disse lo stesso "Questa missione non ti riguarda, non la conosci neanche Jamila"
"Non ho bisogno di conoscerla per aiutarla"
"...ti metterai nei guai" disse Sinuhe cambiando completamente atteggiamento.
"Te l'ho già detto, io adoro i guai" disse sorridendo Anem.
“Perché? Perché ci vuoi aiutare?” disse assottigliando lo sguardo.
“Te l'ho detto. Tu combatti contro le ingiustizie del faraone, rischi la tua vita per questo Paese e per tutti i suoi abitanti, anche per me. Mi sembra il minimo darti una mano” concluse.
“Siamo fuorilegge, non eroi” chiarì Sinuhe.
“Chi ha detto che le due cose non possano coincidere?”
Sinuhe sospirò.
“Non posso accettare”
“Oh, ma non serve che tu lo faccia. Io verrò con te.”
Era coraggioso, incosciente o soltanto desideroso di vivere nuove avventure?
Sinuhe si accorse che non voleva partire da sola, l'aveva fatto per molti anni, ma da quando viaggiava con Jamila si era abituata ad avere compagnia ed effettivamente l'aiuto di uno del posto poteva tornarle utile. Sentiva di potersi fidare di Anem e, anche se non capiva pienamente le sue motivazioni, sembrava essere piuttosto importante per lui. Insomma non c'era nessun motivo perché lui venisse, ma neanche nessuno perché facesse il contrario.
"Non approvo la tua decisione, ma non mi metterò contro di te, se è questo quello che desideri vieni pure, del resto ti devo la vita, mi sembra il minimo permetterti di accompagnarmi in un viaggio" acconsentì infine Sinuhe.
Anem sorrise soddisfatto "Sono contento che tu abbia fatto la scelta giusta. Allora, partiamo subito?"


 


Il cantuccio dell'autrice
Salve!
Sono proprio curiosa di sapere cosa ne pensate di questo Anem alias Skandar Keynes!
*ride sotto i baffi che si spera non abbia*
A venerdì!
Red Wind

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Capitolo 9
*** Di nuovi imprevisti ***


Di nuovi imprevisti


"Che ne dici di una pausa?" chiese Anem quando era già giorno da alcune ore.
Camminavano da mezzanotte circa senza interruzione e non ce la faceva più, invece Sinuhe proseguiva a passo spedito.
"Che ne dici di una pausa?" ripeté più forte.
"D'accordo, per ora abbiamo camminato abbastanza, ma dobbiamo ripartire prima del tramonto" concesse.
Si accamparono e mangiarono (Anem aveva gentilmente offerto le provviste) poi si prepararono per riposarsi un po'. La rivoltosa preparò il suo giaciglio un po' scostato dall'accampamento, si stese e si girò dalla parte opposta, senza dire una parola. Il giovane invece restò ancora seduto davanti al fuoco che aveva acceso, pensando a ciò che avrebbe fatto del suo futuro. Da quando aveva conosciuto Sinuhe un'idea frullava nella sua testa facendosi sempre più definita. Forse sarebbe stato quello il suo destino e l'idea non gli dispiaceva. Quando il fuoco di spense, anche Anem andò a dormire.
A qualche ora dal tramonto il ragazzo si risvegliò, ma non trovò Sinuhe. Subito temette che fosse partita da sola per liberarsi di lui, ma poi la vide poco distante che si allenava con la spada. "Buongiorno, dormito bene?" chiese gentilmente lui, avvicinatosi.
La ragazza continuò ad allenarsi imperterrita, come se non lo avesse neanche sentito.
"Che ne dici di riprendere il duello che abbiamo interrotto nell'armeria?" chiese allora Anem.
Sinuhe bloccò il colpo che stava per vibrare e si girò verso il suo compagno di viaggio.
"Se hai voglia di perdere..." acconsentì.
Anem prese la spada e iniziarono a combattere. La rivoltosa sembrava molto determinata a finire il fretta quel duello e il ragazzo doveva concentrarsi solo sulla difesa per non essere colpito. Affondo, parata, fendente, parata, colpo dall'alto, parata. Nonostante i colpi di Sinuhe non fossero ancora andati a segno Anem sapeva che se continuava così avrebbe sicuramente perso. Mentre la ragazza preparava un attacco scattò in avanti con un affondo mirato al petto dell'avversaria. Stava già gioendo dentro di sé, ma Sinuhe fece un passo di lato e il colpo di Anem andò completamente a vuoto. La rivoltosa approfittò di quel momento di distrazione dell'avversario per puntare la sua spada al fianco del ragazzo. Sorrise, enigmatica come sempre, e rimise la spada nel fodero allontanandosi verso l'accampamento.
"È ora di partire" decretò.
Anem rimase immobile. Doveva ammettere che era proprio brava quella ragazza, non si aspettava di essere battuto. Si affretto a raggiungerla, dovevano partire prima del tramonto.
Durante il viaggio Anem chiese a Sinuhe informazioni generali sui rivoltosi: che cosa facevano, quale era il loro obiettivo, eccetera, ma la risposta che più lo colpì fu quella alla domanda:"Chi è il capo dei ribelli?"
"Attualmente è un uomo spregevole, interessato solo al potere politico e non a liberarsi delle ingiustizie del faraone"
"Perché sei entrata a fare parte di un gruppo con a capo un uomo simile?" chiese Anem sempre più curioso.
"Quando ci sono entrata, otto anni fa, il capo era Kawab che è anche colui che mi ha insegnato ad usare la spada. Non aveva niente a che vedere con l'attuale capo. Lui era giusto e combatteva per i suoi ideali" concluse Sinuhe con una punta di malinconia nella voce.
Anem avrebbe voluto chiedere perché non era più Kawab il capo, ma sentiva che non le faceva piacere parlare di quelle cose e poi intuiva la risposta: doveva essere morto.
Il viaggio continuò in silenzio fino a che il ragazzo disse:"Che cos'è?"
"Che cos'è cosa?"
"Questo rumore" disse concentrandosi nell'ascolto.
"Non sento niente" protestò Sinuhe.
"Sssc!" la zittì Anem.
Restarono entrambi in ascolto per un po' e quando Sinuhe sentì il rumore di cui stava parlando l'altro capì di cosa si trattava.
"Sono cammelli al galoppo!"
"Per andare ad una velocità simile possono essere solo soldati o briganti" decretò la rivoltosa.
"Dobbiamo andarcene" disse Anem dirigendosi velocemente verso un luogo nascosto da un palmeto.
La ragazza lo seguì correndo anche se sapeva che non sarebbero mai arrivati in tempo per non essere visti, ormai gli uomini a cavallo si distinguevano chiaramente, anche se ancora in lontananza.
Arrivarono al gruppo di palme quando ormai quelli che si erano rivelati essere briganti erano vicinissimi. Si nascosero accuratamente, ma gli altri scesero dai destrieri e andarono subito in quella direzione.
Il primo a trovarli non fece in tempo a gioirne che la spada di Sinuhe colpì di piatto la sua fronte, stendendolo, ma quando tutti si accorsero della presenza dei due giovani iniziò il vero combattimento. Erano circa una decina e la maggior parte se la prese con Anem.
"Solo perché è un uomo" pensò Sinuhe, a metà tra lo scocciato e l'annoiato.
Odiava essere considerata inferiore solo perché femmina, anche se sapeva che la sua aria indifesa era la sua arma segreta. Infatti si liberò in fretta dei due briganti che cercavano di catturarla e andò ad aiutare Anem. Il ragazzo era circondato ed era molto in difficoltà, ma Sinuhe arrivando da dietro prese di sorpresa un paio di briganti particolarmente tonti colpendoli alla nuca con il piatto della spada. Caddero a terra svenuti, le armi grossolane e arrugginite ancora in mano. Anem, nel frattempo stava cedendo e i nemici gli si avvicinavano sempre di più. Sinuhe riuscì ad attirare qualcuno verso di sé, ma i briganti non davano pace al ragazzo.
"Vieni da questa parte" urlò la ragazza mentre combatteva.
Lui, sempre cercando di difendersi, si spostò dalla parte opposta del gruppo dei nemici, aggirandolo, e raggiunse Sinuhe. Si mise alle sue spalle e riprese fiato. Non poteva credere che nonostante avesse passato tutta la sua vita ad allenarsi nella scherma non fosse neanche in grado di tenere testa a un gruppo di malviventi. Ora si stava facendo proteggere da una ragazza (aveva scoperto che era molto brava, ma era pur sempre una ragazza). Si riscosse e affiancò Sinuhe nel combattimento. Lei non era affatto abituata ad avere un compagno d'armi, ma scoprì in fretta che con qualcuno che ti copre le spalle è molto più facile. Stavano per avere la meglio quando arrivò un uomo grande e grosso a cavallo di un cammello.
"Razza di imbecilli, non riuscite neanche a catturare due ragazzini!" disse.
Era vestito malamente e il volto grassoccio era incorniciato da una barba nera che insieme alle labbra carnose ne facevano un tipo particolarmente sgradevole. Fino a quel momento era rimasto in disparte ad una certa distanza, sembrava essere il capo ed aveva alcuni anelli d'oro di un certo valore. Si scagliò su Anem in tutta la sua mole e iniziò a combattere con uno spadone a due mani che lui, però, teneva solo con la destra. Anem indietreggiava ad ogni colpo del suo avversario. Sinuhe capì che doveva aiutarlo subito, ma ora tutti gli altri che ancora si reggevano in piedi le erano addosso. Lei giocava d'astuzia utilizzando molta tecnica perché, insieme all'intelligenza, non era la specialità di individui di quel genere. Colpiva prevalentemente alle mani e alle gambe in modo da metterli fuori combattimento in fretta e senza doverli uccidere. Anem era sempre più in difficoltà. Il suo avversario colpì con forza e lui parò tenendo la spada con due mani, ma nonostante questo i suoi piedi andarono indietro di alcuni centimetri spostandosi nella sabbia. Rimasero in una situazione di stallo per alcuni secondi con le due spade che premevano una contro l'altra. Il ragazzo ne approfittò per riprendere fiato e si accorse del coltello nella mano sinistra del capo dei briganti solo quando il fendente era già partito. Cercò di schivare indietreggiando, ma un lungo segno rosso si disegnò sul suo petto. Sentì un forte dolore e uno strano pizzicare, ma capì che si trattava solo di una ferita superficiale. Rimase turbato, però, dall'espressione di trionfo sul volto dell'avversario, del resto lo aveva colpito soltanto di striscio, che cosa aveva da gioire tanto?
Sinuhe si liberò in fretta di tutti i briganti mentre la sua pelle e il suo solito abito bianco si coloravano col sangue che gocciolava dalle miriadi di graffi e piccole ferite che si era procurata. Ormai era abituata a quel tipo di dolore e non ci faceva caso, sapeva che si trattava di ferite di poco conto. Liberatasi dei nemici accorse ad aiutare Anem, aveva visto il pugnale del brigante colpirlo e non aveva idea dell'entità della ferita. Sinuhe arrivò alle spalle del grosso brigante e gli puntò la spada alla schiena.
"Posa la spada" gli intimò.
Il brigante ubbidì.
"Anche il coltello" specificò Sinuhe smascherando immediatamente l'inganno del malvivente.
Sinuhe prese le sue armi e poi gli legò i polsi.
"Prendiamo i cammelli e andiamocene" disse Sinuhe ad Anem "Quando saremo distanti da questi briganti avremo tempo di riprenderci dalle ferite".
Anem annuì, presero due cammelli e partirono al galoppo.


Sinuhe stava davanti, con Anem subito dietro. Ormai era notte fonda e solo lo scalpiccio dei cammelli rompeva il silenzio della notte. Sinuhe era soddisfatta: avevano guadagnato dei cammelli, avrebbero raggiunto molto più in fretta Jamila, specialmente se i soldati che l'avevano catturata erano a piedi. Sinuhe pensò che lo scontro con i briganti aveva causato, per fortuna, pochi danni. Riemerse da questi pensieri particolarmente tranquilla, ma si accorse che c'era qualcosa di strano. C'era troppo silenzio, mancava un rumore che stava sentendo da molto ed al quale si era ormai abituata.
Anem pensò Sinuhe. Il rumore del suo cammello, ecco che cosa mancava! Sinuhe si voltò, ma dietro di lei non c'era nessuno. Guardò meglio e vide un cammello fermo, lontano. Si affrettò a raggiungerlo lanciandosi alla massima velocità. Man mano che si avvicinava vedeva più distintamente la sagoma a terra vicino al cammello: era Anem senza dubbio. Mentre si avvicinava pensava al motivo per cui era cauto dal cammello. Forse si era solo addormentato...oppure stava male. Era certa, però, che non avesse ferite gravi. Arrivata nei pressi della sagoma scese velocemente dal cammello e prese a scrollare e chiamare Anem, privo di sensi. Sentiva l'ansia crescere ogni secondo che passava. Non ne comprendeva il motivo, appena conosceva quel ragazzo, eppure sentiva che non voleva che gli accadesse nulla e che non ce l'avrebbe fatta a intraprendere un altro viaggio da sola. Doveva capire che cosa aveva Anem per poi ripartire e salvare Jamila. Doveva farlo.
Mentre la sua mente era occupata in questi pensieri angosciosi il ragazzo riaprì gli occhi. Sinuhe smise immediatamente di scrollarlo e di chiamarlo e si stacco da lui. Notò che era molto pallido, ma per quanto si sforzasse non riusciva a scorgere nessuna ferita, se non quel lieve graffio che gli aveva fatto il brigante. Anem si era ormai svegliato e Sinuhe cercò di ricomporsi prima di chiedere:"Che cosa è successo? Come mai sei caduto dal cammello?".
"Credo...di essermi addormentato" rispose Anem, poi provò ad alzarsi, ma appena fu in piedi barcollò e sarebbe caduto in avanti se non ci fosse stata Sinuhe a sorreggerlo. Quest'ultima cercava in tutti i modi di mascherare la preoccupazione che la attanagliava, ma la sua voce tremò comunque quando disse:"Che cosa c'è? Ti senti male?".
"È solo un po' di stanchezza" rispose con noncuranza Anem mentre Sinuhe lo faceva sedere per terra "Possiamo ripartire"
No, non potevano, era evidente che stava male anche se Sinuhe non ne capiva il motivo, sapeva però che non sarebbe stato facile convincerlo a fermarsi. Decise di usare uno stratagemma, anche se non la cosa la scocciava un po'.
"Non è che potremmo fermarci un po'? Sono davvero stanca e vorrei approfittarne anche per medicare le ferite che mi hanno fatto quei tipi".
Doveva ammetterlo, era davvero una pessima attrice: perfino alle sue stesse orecchie quella frase risultava terribilmente falsa per il tono eccessivamente espressivo che le aveva dato. Inoltre non avrebbe mai dato un così evidente segno di debolezza se non fosse stato più che necessario e rimase più che sorpresa quando Anem accettò di fermarsi. O era davvero ingenuo oppure aveva capito il suo scopo e aveva acconsentito comunque. Sinuhe medicò le sue ferite velocemente e poi chiese ad Anem se ne aveva anche lui.
"No, sto bene"
"Non avevi un taglio sul petto..."
"È solo un graffio"
"Anche io avevo solo graffi eppure li ho medicati. Se non lo si fa potrebbero infettarsi"
"Ho detto che non è niente" insistette Anem pallido e stanco più che mai.
"Solo un'occhiata?"
Anem cedette, non aveva la forza per tenere testa a Sinuhe in quel momento. Non capiva perché stesse male, ma sentiva che era collegato a quel taglio.
Sinuhe, dopo essersi avvicinata al ragazzo, ora disteso a terra, osservò il taglio. Effettivamente non era che un graffio, però sembrava già infettato. Lo disinfettò utilizzando l'impacco di erbe che aveva usato Jamila sul suo braccio (e che in seguito le aveva insegnato). Anem restò steso, incerto se sperare che Sinuhe scoprisse la causa del suo malessere, trovando magari anche il rimedio, o che non si accorgesse di nulla, evitando così che, invece di esserle d'aiuto, non facesse che aumentare i suoi problemi. La ragazza finì la medicazione e Anem insistette per ripartire. Una tangibile tensione li divideva e il viaggio continuò in silenzio.

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Capitolo 10
*** Di orribili viaggi nel deserto ***





Di orribili viaggi nel deserto

Jamila stava parlando con il commerciante, quando questo fissò un punto alle sue spalle con aria corrucciata. La cuoca fece appena in tempo a voltarsi per vedere un manipolo di soldati afferrarle saldamente i polsi.
"Tu adesso vieni con noi! Sei in arresto per aver oltraggiato il faraone" disse il comandante con voce roca.
La ragazza realizzò di non avere alcuna speranza di liberarsi con le sue sole forze, ma c'era troppa gente per usare la magia. Diede uno sguardo veloce a Sinuhe: ancora nell'armeria, stava combattendo con un ragazzo a lei sconosciuto e non poteva vederla. La cuoca si girò subito dall'altra parte: se voleva avere una possibilità di salvarsi doveva evitare che Sinuhe venisse catturata e se i soldati i fossero accorti che guardava in quella direzione avrebbero riconosciuto anche lei.
La trascinarono via malamente, in mezzo alla folla allibita e schiamazzante, dopo averle legato i polsi. Non disse una parola, non si voltò mai indietro. Quella volta doveva essere forte.


La portarono fuori città dove la civilizzazione lasciava spazio al deserto invincibile e solo qualche carovana di mercanti osava aggirarsi. Li attendeva un drappello di soldati a cavallo di dromedari, pronti per partire. Assicurarono la corda che le legava i polsi a uno dei destrieri e si misero in marcia. Jamila strabuzzò gli occhi: non avrebbe mai potuto tenere il passo dei dromedari!
"Oh, che peccato non c'è la carrozza? Beh, per questa volta dovrai accontentarti" disse uno dei soldati con aria strafottente, vedendo la sua espressione allibita.
Il militare fece accelerare la sua cavalcatura ridacchiando. Jamila non rispose cercano il contegno impassibile di poco prima, mentre sentiva il panico farsi largo.
Il viaggio si rivelò subito come un inferno: con i ritmi insostenibili, il poco cibo e le razioni ridotte di acqua, il sole le sembrava più caldo che mai e la ragazza aveva i polsi segnati dalle corde, che ormai bruciavano la carne. Jamila rimpianse le marce che faceva con la rivoltosa: le aveva considerate faticose, ma in confronto a quello che stava passando adesso erano una passeggiata.
Sinuhe. Chissà dov'era. La stava cercando? Era preoccupata? Aveva fiducia in lei ed era certa che non l'avrebbe abbandonata. Tutto stava se sarebbe riuscita a salvarla, ancora una volta.


Resisti, resisti, resisti! si imponeva Jamila. Doveva continuare a camminare seguendo i dromedari dei soldati. Si sentiva stanchissima, senza più forze, come prosciugata. Pian piano sentì la mente separarsi dal corpo e quasi non percepì più il dolore ai polsi ne quello per la marcia forzata, diffuso in tutto il corpo. I giorni le apparivano tutti uguali e aveva perso il senso del tempo. Quanto mancava alla meta? Quando erano partiti? Non sapeva cosa la aspettasse una volta arrivata a Beni Hasan. Doveva solo resistere, resistere e aspettare.


Una città, semplice e un po' austera, ma di grandi dimensioni. Non più deserto fino all'orizzonte. Finalmente. Jamila era contenta di essere arrivata a Beni Hasan, anche se quello poteva significare che la sua ora era vicina, del resto l'avevano portata lì per giustiziarla. Era finita. La ragazza pensò che tanto era meglio morire subito piuttosto che continuare con quel viaggio, quella tortura che i polsi sanguinanti le ricordavano in ogni momento. Era finita anche quella.

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Sinuhe provava un'ansia che non aveva mai provato prima. Era continuamente preoccupata per Anem da quando era svenuto, e sapeva di averne tutte le ragioni. Il ragazzo era sempre pallido, mangiava poco e dormiva molto, come se fosse continuamente stanco. Sinuhe cavalcava sempre al suo fianco e non lo perdeva d'occhio, perché temeva che si potesse ripetere un episodio simile a quello accaduto pochi giorni prima. Mentre proseguivano il loro viaggio verso Beni Hasan a dorso dei loro instancabili dromedari, Sinuhe  pensava spesso a quale potesse essere la causa del malessere del suo compagno di viaggio. Non riusciva a venirne a capo e concluse che doveva convincerlo ad andare da un medico. Anem, dal canto suo, dopo i primi giorni di ostinato silenzio, divenne socievole e simpatico più che mai. Sinuhe all'inizio pensò che fosse solo per nascondere il malessere, ma col tempo si accorse che il buon umore del ragazzo era piuttosto realistico e, anche se era sempre stato un tipo solare, non capiva cosa ci trovasse di tanto divertente in quel viaggio e tanto meno nello stare male. La turbava non riuscire neanche a capire con certezza se stesse fingendo o fosse davvero contento.
Alcuni giorni dopo l'attacco dei briganti, Sinuhe osò chiedere qualche spiegazione ad Anem. Il silenzio del deserto, bianco alla luce della luna, era la colonna sonora della notte e come sempre stavano viaggiando. La rivoltosa cercò di essere gentile e non troppo ficcanaso.
"Ma...come mai sembri un po' stanco? Non ti senti bene?"
"No, è tutto a posto" rispose, ma poi vedendo che Sinuhe non era affatto convinta aggiunse "Forse solo un po' di stanchezza, non sono abituato a viaggiare, ma non preoccuparti, possiamo proseguire tranquillamente"
"Sei così pallido, non mi sembra normale" provò a insistere.
"Non è niente, te l'ho già detto"
"Smettila, non sono mica stupida!" esclamò Sinuhe abbandonando tutte le sue idee pacifiche "Sei svenuto mentre cavalcavi, sei evidentemente stanco e mangi pochissimo, non ci vuole un genio per capire che c'è qualcosa che non va!" aggiunse.
"Non sono affari che ti riguardano!" sbraitò a quel punto Anem, impuntato come un bambino capriccioso, ma terribilmente serio.
Sinuhe non l'aveva mai visto così arrabbiato.
"Ah, è così? Non mi riguarda? Allora arrangiati, io me ne vado" concluse la rivoltosa salendo sul dromedario e legando l'altro animale dietro al primo, in modo da portarseli dietro entrambi.
"No, Sinuhe, ti prego torna indietro, io non volevo..." biascicò Anem, improvvisamente conscio dell'assurdità della sua precedente frase, dettata dal penoso tentativo di fuggire alle pressioni della giovane.
Restò lì a guardarla allontanarsi. La figura di Sinuhe si rimpicciolì sempre più e infine la vide scomparire all'orizzonte, così anche l'ultima speranza di vederla tornare svanì. Il ragazzo pensò a come avesse potuto lasciarla andare e comportarsi così da stupido, mentre Sinuhe si stava solo preoccupando per lui. Una macchia scura si disegnò sulla sabbia, una lacrima scese lungo la sua guancia, mentre il vento soffiava sul deserto.


Sinuhe si pentì di quello che stava facendo ancora prima di salire a dorso del dromedario, ma ormai non poteva più tornare indietro. Non poteva dargli ragione perché del resto era stato proprio Anem a portarla a quella decisione, negando l'evidenza. Sapeva, d'altra parte, che quella non era una soluzione per scoprire la causa del suo malessere e risolverlo. Non si poteva dire che abbandonarlo nel deserto fosse stata una grande idea. Si fermò a riflettere sul da farsi, accese un fuoco e si accampò. Pensò che se si fosse sentito male, adesso non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarlo. Non avrebbe mai sopportato l’eventualità che potesse accadergli qualcosa poiché le aveva salvato la vita e si era offerto di aiutarla senza neanche conoscerla, guadagnandosi parte della sua fiducia molto più velocemente di altri. Come aveva potuto fargli questo, abbandonarlo? Il fuoco divenne giallo per un secondo e si formò un po' di fumo: una lacrima era caduta dai suoi occhi.
Solo perché sei da sola si concesse Sinuhe.


Anem si riscosse dalla malinconia che lo attanagliava e decise che doveva assolutamente raggiungere Sinuhe. Sapeva che lei aveva i dromedari mentre lui era a piedi, ma se avesse tenuto un ritmo di marcia sostenuto avrebbe potuto raggiungerla. Era, effettivamente, un'impresa quasi impossibile, ma non sapeva che altro fare e non si sarebbe mai perdonato di non averci almeno provato. Per la prima volta nella sua vita stava facendo qualcosa in cui credeva davvero: stava aiutando una ragazza che aveva dedicato la sua vita per combattere contro le ingiustizie del faraone e che adesso stava cercando di salvare una sua amica dalla prigione. Non poteva rinunciare a partecipare a questa missione che riteneva nobile e voleva dare il suo aiuto a qualunque costo. Si mise subito in marcia con la testa piena di questi pensieri.


Prese una decisione: sarebbe tornata indietro per scusarsi con Anem e, se avesse acconsentito, per continuare con lui quel viaggio. Salì sul dorso del cammello più in forma e lo spinse alla massima velocità verso sud. Sì, si stava allontanando da Jamila, ma avrebbe trovato il modo di recuperare il tempo perduto. Ora l'importante era ritrovare Anem.


Camminare si face faticoso, le gambe cedevano, la testa era leggera e ormai distante dal corpo, non sentiva nemmeno più il dolore e il torpore che aveva da alcuni giorni. Così continuava a camminare, anche se ormai era evidente che non sarebbe riuscito a raggiungere Sinuhe. In un momento in cui era presente a se stesso vide una sagoma avvicinarsi. I capelli corti e neri, perennemente spettinati, ondeggiavano al vento e i suoi occhi scintillavano alla luce della luna come quelli di un gatto. Era Sinuhe, senza dubbio. Vedendola Anem si lasciò andare scivolando al suolo, non c'era più bisogno di cercarla: era tornata, Sinuhe era tornata.


La ragazza vide Anem in lontananza che camminava, anche se a fatica, e il suo cuore fece un balzo di gioia. Lo aveva trovato senza difficoltà e non gli era accaduto nulla per fortuna, altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato. Era già tranquilla quando lo vide cadere a terra, come se fosse stato senza spina dorsale, molliccio. Accelerò ancora e quando fu vicina scese dal dromedario in corsa. Anem era nello stesso stato della volta precedente, pallido e stanco, sembrava aver perso conoscenza. Sinuhe provò a svegliarlo, delicatamente questa volta. Lui aprì leggermente gli occhi tanto da riconoscerla.
"Scusa" sussurrò prima di tornare nel sonno profondo in cui era caduto prima.
Sinuhe sentì gli occhi pizzicare. Come poteva lui chiederle scusa quando lei lo aveva appena abbandonato in mezzo al deserto? Si riprese: non era il momento di lasciarsi andare, ma quello di agire. Non poteva fare niente per Anem in quel momento, così decise di partire anche se lui era svenuto, avevano perso già abbastanza tempo e Jamila era ancora in mano ai soldati. Salì sul cammello e ci mise anche Anem. Per evitare che cadesse doveva tenergli un braccio intorno alla vita mentre cavalcava, ma tutto sommato non era una brutta sistemazione. Rifletté a lungo sul da farsi e in fine concluse che si sarebbero fermati nel prossimo villaggio a cercare un medico. Sinuhe pensò che tornare indietro fosse stata la scelta giusta e il fatto che Anem si fosse scusato era stata la dimostrazione che anche lui aveva capito di aver sbagliato e, ancora più importante, l'aveva perdonata.

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Capitolo 11
*** Di prigionia e medicina ***



Di prigionia e medicina


Arrivarono in fretta in una grande prigione piuttosto affollata. Delle guardie la misero subito in una cella non più grande di due metri. Il pavimento di terra e un mucchietto di paglia erano le sole comodità di cui disponeva, ma bastavano a riposare il suo corpo distrutto. Una piccola finestra con sbarre lasciava intravedere la piazza principale e il patibolo dove venivano giustiziati i criminali. Jamila sentì un nodo allo stomaco pensando che tra poco ci sarebbe stata lei lì. Cercò di riposare, ma le risultò impossibile. Le urla disumane dei prigionieri torturati le risultavano intollerabili e l'odore di sporco, liquami e sangue la nauseava. Si sentiva terribilmente sola e avrebbe voluto parlare con Sinuhe e Horus, loro avrebbero saputo cosa dire per tranquillizzarla e avrebbero potuto aiutarla, ma i soldati le avevano preso la sacca di cuoio contenente tutte le sue cose compreso lo scarabeo azzurro. Si chiese quanto avrebbe potuto resistere in quel luogo, forse non avrebbero neanche fatto in tempo a giustiziarla.


Un paio di giorni dopo iniziarono ad interrogarla. Si erano convinti che a Menfi avesse tentato di uccidere il faraone, probabilmente perché lui stesso aveva raccontato ciò, e le domande che le ponevano erano sempre le stesse: chi era, perché aveva attentato alla vita del sovrano, come faceva a conoscere Sinuhe e poi tante domande sul gruppo di rivoltosi al quale apparteneva la sua amica. Lei restava zitta, non proferiva parola perché era convinta che tanto non le avrebbero mai creduto. Stava zitta e non piangeva, voleva essere forte anche lei per una volta.



Terrore. L'unica emozione che riusciva a sentire era il terrore, cieco e indomabile. Da quando avevano iniziato a torturarla non riusciva a pensare a altro e ormai pregava perché la uccidessero. Aveva tentato di resistere e non rivelare nulla, ma i ferri bollenti e la frusta erano molto persuasivi, così aveva ceduto. Rivelò come aveva conosciuto Sinuhe, ma loro non le credettero, convinti che fosse una rivoltosa. Le chiesero quale fosse l'obiettivo dei ribelli e lei capitolò, rivelando che volevano fare un colpo di stato per prendere il potere. Non disse niente sulla missione di Sinuhe, perché i soldati non chiesero nulla a riguardo, dando per scontato che Sinuhe avesse lo stesso obiettivo degli altri rivoltosi. Le guardie che la torturavano erano convinte che lei nascondesse altre informazioni segrete e continuavano imperterriti. Solo quando ottenevano qualche informazione le lasciavano qualche giorno i pace. Jamila pensava a Sinuhe e a Horus e si chiedeva se stavano arrivando per aiutarla, ma ormai aveva quasi smesso di sperare.

 

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I raggi rosati del Sole all'alba svegliarono Sinuhe da un sonno profondo e tranquillo che l'aveva rimessa in forma dopo l'ultimo viaggio spossante. Si mise seduta e si godette il panorama: l'alba nel deserto la lasciava sempre senza fiato. Pensò a Jamila, si chiese dove fosse e se stesse bene. Dovevano raggiungerla al più presto perché non avevano sue notizie, poteva essere ovunque e Beni Hasan non era certo un paesino. Inoltre non sapevano quando le sarebbe stata inflitta la pena, probabilmente di morte. Sinuhe guardò Anem steso poco distante. Non si era ancora svegliato da quando era svenuto, poco prima che lei tornasse. Da quel momento aveva sempre dormito mentre cavalcavano, cioè per tutto il giorno, poi si erano fermati e Sinuhe si era addormentata. Non aveva neanche provato a svegliare Anem perché anche lei non desiderava altro che riposare. Aveva dormito bene per tutta la notte, ma adesso era stupita che Anem non si svegliasse e cominciava a preoccuparsi. Quasi a farlo apposta poco dopo lui cominciò a muoversi, segno che il sonno si stava facendo più leggero e che in breve si sarebbe svegliato. Sinuhe ne fu rassicurata e si mise a preparare del cibo preso dalle loro scorte. Anem si svegliò alcuni minuti dopo.
Si guardò intorno spaesato e riconobbe Sinuhe, che nel frattempo si era avvicinata.
"Che cosa...?" chiese, guardandosi ancora intorno.
Possibile che fosse stato solo un sogno? Si era immaginato tutto, Sinuhe non se ne era mai andata?
"Che cosa è successo?" chiese poco dopo, più lucido.
"Sei svenuto mentre io...stavo tornando e ti ho portato con me verso Beni Hasan" rispose Sinuhe.
Anem capì che non era stato un sogno: lei era davvero andata via, ma poi era tornata. Ricordò nei particolari solo in quel momento.
"Mi dispiace di averti trattato in quel modo" si scusò il ragazzo.
"Non avrei dovuto abbandonarti" disse Sinuhe.
"Effettivamente..." scherzò Anem.
Risero, contenti che tutto fosse tornato come prima.
"Comunque... io vorrei ancora sapere perché stai male" disse Sinuhe tornando seria.
"Non lo so..." rispose Anem, ma quando si accorse che la ragazza si stava arrabbiando di nuovo aggiunse "Mi sento stanco, come quando si ha l'influenza, ma non ho nessun dolore particolare, tranne il graffio che mi ha fatto quel brigante"
"Ti fa ancora male?" chiese Sinuhe.
Ormai erano passati diversi giorni, avrebbe dovuto essere quasi guarito, non certo dolorante.
"Qualche volta"
"Fammi vedere"
Anem acconsentì, anche se riluttante. La ferita si era rimarginata poco e sembrava infettata. I margini erano arrossati e il centro era umido.
"C'è qualcosa che non va in questa ferita, sembrava solo un graffio, ma non è ancora guarita. Al prossimo villaggio ci fermeremo a cercare un dottore"
"Non abbiamo tempo"
"Non dire scemenze!"
"Per la prima volta nella mia vita faccio qualcosa in cui credo, ti prego non impedirmelo"
"Di cosa stai parlando?"
"Di aiutarti. Tu dedichi la tua vita a combattere contro le ingiustizie del faraone e ora devi salvare la tua amica. È un nobile ideale"
Sinuhe si sentì terribilmente in colpa. Era per questo che la voleva aiutare. Aveva il diritto di sapere qual era il suo vero obiettivo.
"Veramente il mio vero obiettivo è uccidere il faraone" disse Sinuhe, abbassando lo sguardo.
Raccontò tutta la storia ad Anem.
"Mi dispiace di averti deluso. Se non vorrai più accompagnarmi ti capirei" concluse.
"Non se ne parla. Devo ammettere che non approvo la tua decisione così vendicativa, ma in fondo faresti solo del bene. Proseguiremo insieme"
Sinuhe sorrise e aggiunse:"Però ti farai visitare da un dottore. In questo stato non mi aiuterai di certo, anzi"
Anem ci pensò un po'. Sospirò.
"Hai ragione. Così non ti posso aiutare, ma non perdiamo troppo tempo"
"Si, andiamo" disse Sinuhe fingendo di non sapere che si riferiva al tempo perso per consultare un dottore.
Salirono a cammello e intrapresero il cammino verso il villaggio più vicino, verso nord, che già si intravedeva all'orizzonte.
Ci arrivarono nel primo pomeriggio e si diedero subito da fare per trovare un dottore. Cambiarono i cammelli e prima di prendere quelli riposati andarono in girò per il villaggio a piedi. Chiesero informazioni ai passanti. Per lo più parlava Anem perché Sinuhe temeva di essere riconosciuta da qualche soldato. Scoprirono che un medico abitava al centro del villaggio e vi si recarono. La casa era lussuosa e più grande delle altre. Bussarono timorosi e venne ad aprire un vecchio. Era bassissimo e la barba grigia e sporca arrivava fino ai piedi. Gli occhi erano piccoli e quasi bianchi, schiariti dalla vecchiaia, si intravedevano appena nell'intrico di rughe che ricopriva il suo volto giallognolo. Era curvo e la sua gobba era la prima cosa che si notava di lui. Portava una lunga tunica sporca e macchiata.
"Chi siete?" chiese con voce acida e maleducata.
"Siamo pazienti" disse semplicemente Anem, stupito da tanto sgarbo.
Il vecchio li scrutò a lungo e poi chiese:"Avete di che pagare?"
Sinuhe e Anem si scambiarono uno sguardo interrogativo: non ci avevano pensato. Sinuhe ebbe un'idea. Tirò fuori dalla sua sacca l'amuleto che le aveva dato Horus e lo mostrò al vecchio. Lui lo studiò a lungo con occhio esperto e critico, poi entrò in casa facendo segno di seguirli e borbottando un "Sono stato pagato con cose peggiori".
"E quello dove l'hai preso?" sussurrò Anem a Sinuhe mentre entravano, ma lei scosse il capo.
"Te lo spigo dopo".
Non voleva raccontargli la storia surreale di Horus, non perché non si fidasse, ma perché sapeva che non ci avrebbe creduto, neanche lei lo avrebbe fatto se non lo avesse visto con i suoi occhi.
La casa del dottore era disordinata e sporca, nell'aria aleggiava un odore nauseante di erbe marce, intrugli e chiuso. Seguirono il vecchio in varie stanze fino a giungere in un ambiente ampio con un letto al centro. L'anziano omino poggiò il suo guadagno sul tavolo che stava in un angolo.
"Di cosa si tratta?" chiese con un fare professionale che non gli s'addiceva per niente.
Fu Sinuhe a spiegare con precisione i sintomi di Anem, mentre lui si limitava a spostare lo sguardo dalla ragazza al vecchio senza sapere che cosa dire, se intervenire o lasciarla parlare. Quando Sinuhe ebbe finito il vecchio si avvicinò ad Anem e lo visitò. Si soffermò in modo particolare sul graffio che aveva sul ventre, quello che gli aveva fatto il brigante. Allora Sinuhe raccontò di quando erano stati attaccati dai briganti con più precisione possibile.
"La lama che ha inferto questa ferita era avvelenata" decretò il medico "Ricordi altri particolari riguardanti l'arma o il suo proprietario?”
Questa volta fu Anem a rispondere.
"Non c'era niente di particolare".
"Dannazione, cerca di sforzarti!" intervenne Sinuhe tesa.
"Tua moglie ha ragione, anche un particolare potrebbe aiutarci" asserì il medico.
"Chi??" esclamarono i due giovani contemporaneamente.
"La ragazza...non è tua moglie?"
"No!" disse Anem tutto rosso in viso "È solo una compagna di viaggio!"
"Scusate, è che pensavo... comunque non ricordi nient'altro?"
"Adesso che ci penso il brigante sorrise soddisfatto dopo avermi colpito, nonostante la ferita non sembrasse grave" disse Anem .
Sinuhe passò dall'imbarazzo di poco prima alla rabbia.
"Perché diamine non me lo hai detto prima?"
"Smettila di trattarmi così! Mi ero dimenticato..." mentì.
Sinuhe lasciò perdere.
"Cosa si può fare?" chiese al vecchio dottore.
"Non conosco il veleno specifico e quindi non posso dare un antidoto definitivo, ma solo un attenuante che impedirà al veleno di diffondersi"
"Quanto durerà?" continuò Sinuhe sempre più preoccupata.
"Comunque non più di un mese, ma bisogna continuare ad assumere la medicina e io non so..." si interruppe e frugò in uno degli scaffali pieni di boccette "se ne ho abbastanza" riprese osservando attentamente una boccetta contenente un liquido verde.
"Quindi?" incalzò Sinuhe.
"Dipende molto dalla dose, ma durerà per una settimana circa. Bisogna prenderne un sorso ogni giorno"
"E dopo che cosa facciamo?" chiese Anem.
"Dovete trovare un esperto di veleni che vi sappia dare l'antidoto" concluse il vecchio.
I due giovani si scambiarono un'occhiata preoccupata, poi si accinsero ad andarsene.
"Grazie e arrivederci" salutò Anem uscendo con la boccetta in mano.
La mano di Sinuhe si allungò fino allo scarabeo rosso e oro sul tavolo del medico. Non poteva lasciarlo a quel vecchio, era troppo importante.



 
Il cantuccio dell'autrice
Odio tutti perché ci ho messo 4574634 anni a cercare il banner e ho trovato solo questa cacchetta :|
Spero che il caitolo vi piaccia lo stesso!
A venerdì!
Red Wind

P.S. La scorsa settimana non ho aggiornato perché aspettavo qualche recensione in più, ma non sono arrivete lo stesso lol

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Capitolo 12
*** Di Razionalità e Paura ***




Di Paura e Razionalità

 

I'm not strong enough to stay away.
Can't run from you
I just run back to you.

Not Strong Enough, Apoliptyca

 

Il viaggio proseguiva tranquillo. Niente più interruzioni o imprevisti e la meta si faceva ormai vicina. Sinuhe inizialmente fu molto soddisfatta del rimedio del vecchio dottore, poiché Anem non sveniva più e sembrava meno pallido e stanco. La rivoltosa era più tranquilla e non si preoccupava troppo. Col tempo, però, si accorse che Anem sembrava consumarsi lentamente, ma inesorabilmente. Continuava a dimagrire e occhiaie scure erano ben visibili sul suo volto. Il ragazzo affermava sempre di stare bene, ma Sinuhe era certa che quella soluzione provvisoria non avrebbe potuto durare a lungo.
Una sera, quando stavano per partire, Anem stava prendendo l'intruglio consegnatogli dal vecchio medico.
"Ce n'è ancora per un paio di giorni. Quanto manca a Beni Hasan?"
"Almeno quattro" rispose Sinuhe allarmata.
"Allora razionerò le dosi per farmela bastare"
"Non puoi prendere metà dose, starai male"
"Non preoccuparti, vedrai che ce la faccio. Ormai mi sento molto meglio"
"Guarda che non è una malattia, non guarisci se non prendi l'antidoto"
"Lo so, ma ce ne occuperemo quando saremo arrivati a Beni Hasan"
Sinuhe cercò di seppellire la preoccupazione sotto strati di praticità e buon senso. Sapeva che era inutile discutere, tanto meno adesso che il problema non si era ancora presentato. L'ansia l'avrebbe soltanto resa meno lucida, ma del tutto inutilmente, perché non c'era niente che potesse fare per Anem finché non fossero giunti a Beni Hasan.
Ripartirono mentre la luna immensa e brillante dell'Egitto sorgeva all'orizzonte.


La città apparve all'orizzonte verso l'alba del terzo giorno. Sia Sinuhe che Anem gioirono intimamente nel vedere finalmente la meta. La ragazza era impaziente di avere notizie di Jamila, voleva sapere se stesse bene e dove si trovasse. Sentiva quell'oppressione allo stomaco, costante e scura, che, nonostante di solito non influisse sulle sue azioni, aveva imparato a riconoscere come Paura. Paura di come avrebbe trovato Jamila, terrore che fosse troppo tardi. Certo, non cambiava la realtà dei fatti, non modificava le sue intenzioni, perché ormai la ragazza aveva imparato a segregare quel sentimento in quel punto preciso dello stomaco per mezzo della Razionalità, ma ciò dimostrava quanto la rivoltosa tenesse a quella che era diventata l'unica amica che avesse da anni. Sapeva che liberarla non sarebbe stata un'impresa facile. Anem, inoltre, stava peggiorando visibilmente e non poteva aiutarla, anzi, se lui avesse accettato Sinuhe avrebbe preferito fare da sola quell'ultima parte della missione perché temeva per l'incolumità del ragazzo.
Si riposarono ancora quell'ultima giornata prima di raggiungere la città, la notte del quarto giorno.
Entrarono facilmente a Beni Hasan: Anem chiese il permesso di entrare a una guardia e quella acconsentì, Sinuhe se ne stette con il volto coperto dal cappuccio al fianco di Anem e nessuno, per fortuna, fece caso a lei. La città quella notte era deserta e tenebrosa. Si potevano vedere solo qualche ubriaco uscito da una una locanda e delle guardie che controllavano che la città fosse in ordine. Anem si muoveva spedito per i vicoli più bui e Sinuhe lo seguiva spaesata.
"Dove stiamo andando?" chiese ad Anem.
"Alle prigioni. Seguimi."
Sinuhe ubbidì, ma mentre proseguivano nell'oscurità chiese:"Sei sicuro di conoscere questo posto?"
"Certo, ci sono stato molte volte, ci abitavano dei miei parenti" rispose convinto Anem.
Sinuhe ne fu contenta, avrebbero risparmiato del tempo prezioso. Raggiunsero una grande piazza circondata da lussuosi palazzi. Doveva essere la piazza principale. Sinuhe ci entrò con riluttanza, le sembrava troppo esposta e priva di nascondigli. Si accorse solo dopo un po' della cosa peggiore. Al centro della piazza si troneggiava il patibolo. Ci mise un po' a capire di cosa si trattasse e quando ne fu certa sentì chiaramente la sua Paura lottare per uscire dall'angolo in cui era rinchiusa. Si appoggiò con la schiena contro uno dei palazzi e rimase a fissare il patibolo incapace di continuare a camminare. Anem non sentì più i suoi passi alle proprie spalle così si girò e vide Sinuhe contro il muro. Le si avvicinò.
"Che c'è? Non ti senti bene?" le chiese.
Sinuhe scosse la testa, senza staccare gli occhi dal patibolo.
"La uccideranno, se non l'hanno già fatto, proprio qui, davanti a tutto il popolo, che gioirà nel vedere morire una criminale" disse piano Sinuhe, come se si trattasse di una predizione.
"Non dire sciocchezze! Noi siamo qui per evitarlo, la salveremo, vedrai"
Sinuhe si calmò un po'. Si ricordò che era quello il suo obiettivo, e, anche se la Paura di dibatteva con forza, recuperò la Razionalità per tenerla a bada un altro po'.
"Dai, andiamo" disse rassicurante Anem spingendola delicatamente in avanti.
Raggiunsero uno dei lati della grande piazza, che era delimitato da un grosso edificio quadrato. Anem si fermò.
"Queste sono le prigioni, se la tua amica è stata portata a Beni Hasan è sicuramente qui. Ogni cella ha una piccola finestra che dà sulla piazza o sulle altre vie"
"Io non vedo nessuna finestra" protestò Sinuhe.
"Sono al livello del terreno e sono protette da sbarre, ma ci permetteranno di vedere chi c'è nella cella"
Sinuhe si abbassò e a tentoni trovò la finestrella di una delle celle. Nonostante i suoi sforzi non riuscì a vedere niente all'interno, ma sentì una puzza nauseabonda.
"Non si vede niente, è troppo buio!" si lamentò Sinuhe.
"Dobbiamo aspettare che faccia giorno, ormai non manca molto"
"Non abbiamo tempo da perdere!"
"Hai qualche idea migliore?" disse Anem, che cominciava ad essere scocciato.
"...No" ammise Sinuhe.
"Bene, allora potremmo andare a prendere una stanza in una locanda e cercare qualcosa con cui camuffarci. Mi è venuta un'idea..." rispose misterioso Anem.
Sinuhe lo seguì di nuovo nei vicoli bui di Beni Hasan. Si allontanarono un po' dal centro della città ed entrarono in una locanda. Al primo piano vendevano birra e cibo e nonostante fosse quasi l'alba c'erano ancora uomini intenti a bere e scherzare oppure addormentati. Sinuhe si nascose ancor più nel mantello e seguì Anem sino al proprietario.
"Vorremmo una camera per due persone" disse gentilmente il ragazzo.
"Seguitemi" rispose il padrone della locanda, un uomo robusto e pelato.
Li accompagnò al secondo piano dove c'erano le camere, poi tornò di sotto senza proferire parola. Anem entrò, posò la sua sacca sul letto e vi si lasciò cadere. Solo allora Sinuhe si accorse di quanto fosse pallido e di quanto i suoi occhi fossero cerchiati di nero. Si ricordò che la medicina doveva ormai essere finita. Stava per chiedergli se andava tutto bene quando lui disse:"Andiamo a cercare degli stracci con cui coprirci: potremmo travestirci da mendicanti e stare seduti vicino alle finestre della prigione, così potremmo controllare se in una delle celle c'è la tua amica".
Era eccitato e attivo come non mai e Sinuhe si accorse che il suo era un ottimo piano. No, Anem non avrebbe accettato facilmente di restare lì a riposarsi mentre lei andava a cercare Jamila. La rivoltosa decise di lasciare perdere momentaneamente la sua preoccupazione per Anem sapendo che tanto lui avrebbe negato sempre e comunque di stare male.
Sinuhe annuì dubbiosa e lo seguì per le strade di Beni Hasan che, alla luce dell'alba, cominciavano a popolarsi: la gente usciva di casa, le botteghe aprivano. Raggiunsero un negozio che vendeva vestiti molto semplici e poveri. Anem chiese di avere qualcosa di economico e la donna grande e grossa che serviva gli porse una specie di mantello ricavato da più abiti vecchi messi assieme. Le cuciture erano grossolane e l'aspetto d'insieme era terribile. Anem ne acquistò due e uscì seguito da Sinuhe. Usciti dal negozio indossarono i loro "nuovi" mantelli e si diressero verso la piazza principale. Si sedettero, senza dare nell'occhio, contro il muro della prigione e sbirciarono all'interno delle celle attraverso la piccola finestrella con le sbarre. Appena Sinuhe si accorse che nella prima cella c'era solo un vecchio e non c'era traccia di Jamila stava già per passare alla finestra successiva, ma Anem la trattenne prendendole un polso.
"Che fai? Non possiamo mica passare tutte le finestre come se niente fosse, daremmo troppo nell'occhio. Adesso restiamo un seduti qui, poi quando passa qualcuno ci alziamo e fingiamo di chiedere l'elemosina. Lo seguiamo per qualche metro e poi ci sediamo vicino a un'altra finestra."
"Cavolo, l'hai studiato bene questo piano!" disse Sinuhe sorpresa.
"Tu vai di là e io di qua, la prigione ha finestre su tutti i lati, se ce le dividiamo faremo prima e daremo meno nell'occhio" continuò lui.
"Ma tu non conosci Jamila, come puoi riconoscerla?"
"Non penso che ci siano molte giovani ragazze in questa prigione..."
"Hai ragione. Comunque ha gli occhi azzurri e i capelli neri"
"Grazie dell'informazione" disse sorridendo Anem.
"Se la trovi o succede qualcosa chiamami o vieni a cercarmi"
"Vale anche per te"
Sinuhe annuì e cominciò ad attuare il piano. Si avvicinò a un passante e disse con voce supplichevole:"La prego mi dia un pezzo di pane..."
Quello la ignorò e lei lo seguì per un piccolo tragitto prima di sedersi di nuovo contro il muro della prigione e curiosare all'interno della cella. Un uomo robusto stava seduto su un mucchietto di paglia, nessuna traccia di Jamila. Sinuhe aspettò un altro po', poi ricominciò a seguire i passanti.
Guardò in tutte le finestre. I prigionieri erano in pessime condizioni e molti erano feriti. Nella mente della ragazza si disegnò chiaramente l'immagine di Jamila in quelle stesse condizioni e la Paura si nutrì con soddisfazione di quel presagio.


I due ragazzi si incontrarono di nuovo nel tardo pomeriggio dalla parte opposta del palazzo. Erano stanchi, afflitti e affamati.
"Allora?" chiese Sinuhe impaziente.
"C'è una ragazza che assomiglia un po' alla descrizione che mi hai fatto, ma non sono sicuro" rispose Anem "E tu?"
"Niente"
"Ti faccio vedere quella donna"
Sinuhe lo seguì sino ad una finestra, ma le bastò una rapida occhiata per capire che non era Jamila. Sembrava più vecchia ed era più in carne.
"No, non è lei. Dove può essere?"
"Alcune celle erano vuote, forse una è quella di Jamila"
"È possibile, ma perché non è nella sua cella?"
Anem non rispose e Sinuhe ebbe un brutto presentimento.
"Non dirmi che... No, non può essere" disse Sinuhe, sgomenta.
Anem non disse nulla, ma dal suo sguardo Sinuhe capì che anche lui aveva pensato la stessa cosa.
"Dobbiamo fare qualcosa! Non possiamo lasciare che la torturino!" esclamò Sinuhe.
"Sinuhe, non possiamo fare niente adesso, tra poco farà buio. Ci conviene riposarci così domani saremo in forma per continuare le ricerche" disse calmo, ma dispiaciuto Anem.
La Paura ruppe le ultime catene di Razionalità che la costringevano. Sinuhe era come intontita. Anem le mise una mano intorno alle spalle e la invitò a seguirlo verso la locanda, ma lei si divincolò. Se ne andò, desiderando un attimo di solitudine.
"Sinuhe torna qui..." farfugliò Anem.
Sinuhe non lo sentì neanche e continuò a camminare a passo spedito. Anem la seguì: non conosceva la città e poteva perdersi, inoltre in quel modo avrebbe dato nell'occhio. La seguì a lungo, ma poi perse le sue traccie. Continuò a cercarla nei dintorni e si trovò davanti alla locanda in cui avevano deciso di alloggiare. Forse era andata lì, dopotutto non conosceva nessun altro luogo della città. Anem entrò speranzoso e tirò un sospiro di sollievo quando la vide seduta sul suo letto. Si copriva la faccia con le mani e Anem non riuscì a capire se stesse piangendo o meno.
Sinuhe restò così ancora un po' cercando di calmarsi. Anem aveva ragione, era inutile scaldarsi, non potevano fare niente sino al giorno dopo. Eppure non riusciva a sopportare quella situazione. L'atroce dubbio di non sapere neanche se Jamila fosse viva alimentava più di ogni altra cosa la Paura e la Paura la divorava. Doveva mantenere la calma e doveva salvarla. Mentre se ne stava immersa in questi pensieri sentì Anem entrare e poi un rumore strano. Il ragazzo era seduto al piccolo tavolo e stava armeggiando con dei fogli di papiro. Sinuhe si avvicinò e diede un'occhiata. Anem stava disegnando una cartina della prigione indicando le finestre e le celle. Aggiunse un segno a tutte le finestre che avevano rivelato celle vuote. Sinuhe pensò che era un'idea geniale.
"Tra le celle che hai controllato tu ce ne sono di vuote?" chiese il ragazzo quando ebbe finito.
Sinuhe arrossì.
"Si, ma non ricordo la loro posizione. Penso, però che potrei riconoscere quelle che oggi erano vuote se le vedessi"
"Va bene lo stesso" disse Anem riponendo il papiro.
Il ragazzo si stese sul suo letto, esausto.

Solo allora Sinuhe si accorse che era strano. Il pallore e le occhiaie si erano accentuati, ma soprattutto tremava lievemente e respirava con un po' di affanno.
"Che cosa ti sta succedendo?" chiese Sinuhe avvicinandosi.
"N-non lo so" disse debolmente Anem.
"Da quanto non prendi la medicina?" disse Sinuhe con un tono deciso a cui non si poteva dire di no.
"Ho saltato la dose di ieri sera..." ammise Anem.
"Ce n'è ancora?" chiese Sinuhe sempre più agitata.
"Si, qualche goccia"
Sinuhe si affrettò a cercarla nella sacca di Anem. La trovò dopo qualche minuto e la diede subito al ragazzo. Erano poche gocce, ma nel girò di qualche minuto Anem smise di tremare e sembrò stare meglio.
"Ora ci conviene riposarci" disse Sinuhe distrutta dall'intensa giornata e dalla mancanza di sonno.
Anem annuì e si assopì in fretta. Sinuhe scese al piano di sotto.
"Il liquore più forte che avete" ordinò al proprietario.
L'uomo le consegnò una ciotola e Sinuhe tornò in camera. La bevve tutta d'un sorso e subito la vista le si annebbiò. Beveva spesso un po' di birra, ma non si era mai ubriacata. Non sopportava l'idea di agire senza essere cosciente e dopo non ricordarsi nemmeno ciò che aveva fatto, ma quello era un caso di emergenza. Non sarebbe mai riuscita a dormire con tutte le preoccupazioni che le affollavano la testa, ma ne aveva davvero bisogno per affrontare la giornata che l'aspettava. Si sdraiò nel letto e si assopì stordita dall'alcool.


 

Il cantuccio dell'autrice
Eccomi! Ho un dubbio su quanto spesso aggiornare: una volta a settimana mi viene un po' difficile, ma ogni 15 giorni mi sembra troppo, voi che dite? Riuscite a seguire?
A non so quando,
Red Wind

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Capitolo 13
*** Di come Sinuhe ed Anem ritrovarono Jamila ***




Di come Sinuhe ed Anem ritrovarono Jamila

Sinuhe fu svegliata da Anem all'alba. Aveva un forte mal di testa e si sentiva un po' intontita, ma almeno aveva dormito bene. Anem notò il suo strano comportamento e la ciotola sul tavolo, ancora sporca di liquore.
"Che cosa hai bevuto ieri?" chiese ridacchiando.
"Solo qualcosa per dormire..." rispose Sinuhe, massaggiandosi la tempia.
"Bel modo di dormire..." disse Anem, sempre di buon umore.
Sinuhe notò che stava molto meglio, ma non era sicura che avrebbe durato. Si alzarono, mangiarono qualcosa e poi si prepararono per uscire, presero i mantelli e la mappa della prigione. La piazza era come il giorno prima: piena di gente. Sinuhe e Anem andarono dritti verso le finestre che il ragazzo aveva segnato sulla mappa. Erano tutte occupate da sconosciuti tranne una che era nuovamente vuota. Andarono a controllare anche quelle che ricordava Sinuhe. Ad un certo punto la ragazza si precipitò verso una finestra e guardò con attenzione.
È qui, è viva!
Jamila era rannicchiata in un angolo della cella. Era conciata male ed i segni delle torture erano evidenti, ma apparentemente non aveva ferite gravi.
Sinuhe si sentì afferrare per la vita e trascinare lontano dalla finestra, proprio quando stava per accucciarsi per vedere meglio. Anem la strinse con forza a se.
"Che diamine fai?" chiese Sinuhe, impaziente di vedere Jamila.
"Non fare cose avventate, non puoi parlarle adesso"
"Lasciami andare, lei deve sapere che siamo arrivati, che la salveremo" disse divincolandosi.
La presa di Anem si rivelò molto salda e Sinuhe non riuscì a liberarsi.
"Che cosa proponi di fare?" si arrese la ragazza.
Anem la liberò.
"Dobbiamo trovare il modo di entrare nella prigione"
"Come? Solo le guardie hanno il permesso" protestò Sinuhe.
"Mi è venuta un idea...".


Un colpo alla nuca con l'elsa della spada e il soldato sfortunato che era passato proprio vicino a Sinuhe cadde a terra svenuto. I due ragazzi lo spogliarono della sua divisa e Anem la indossò. Gli stava un po' larga, ma poteva essere tranquillamente la sua. Il ragazzo legò strettamente i polsi di Sinuhe con una corda, però in modo che lei potesse liberarsi con facilità. Spinse la ragazza all'interno della prigione in modo brusco e si trovò davanti la prima guardia.
"Chi sei tu?" chiese sorpreso il soldato.
"Sono Anem, uno dei soldati di Tebe. Ero in viaggio quando ho trovato questa ricercata"
Il militare squadrò la rivoltosa.
"È Sinuhe, la giovane ribelle! Qui abbiamo la sua amichetta" disse il soldato indicando le celle.
"È stata dura prenderla, questa mascalzona, ho dovuto inseguirla per due giorni, ma alla fine l'ho catturata. Nessun criminale può sfuggire al faraone e ai suoi soldati" disse Anem orgoglioso.
Recitava benissimo e per un momento Sinuhe temette che l'avrebbe davvero consegnata ai soldati. La ragazza alzò uno sguardo di sfida verso il soldato che stava di guardia alla prigione.
"È indemoniata questa ragazza" commentò quello.
"Puoi ben dirlo" rispose Anem con l'aria di chi la sa lunga.
"Sarai stanco, portiamo questa vipera in cella e poi ti faccio assegnare una stanza in caserma"
Anem seguì la guardia all'interno della prigione. Gli unici carcerati che venivano tenuti in cella erano quelli che dovevano essere torturati e quelli che attendevano la pena di morte, gli altri venivano messi ai lavori forzati oppure venivano mutilati. Le celle non erano altro che piccole stanze con una finestrella verso l'esterno e un mucchietto di paglia in un angolo. Ogni cella aveva una porta che dava verso un ampio atrio centrale dove mezza dozzina di guardie controllava i prigionieri. Questi ultimi erano legati mani e piedi e alcuni erano ridotti molto male.
Anem seguì il soldato all'interno dell'atrio centrale dove le guardie si incuriosirono subito e chiesero alla guardia che aveva accompagnato Anem delle spiegazioni. I soldati confabularono un po' tra di loro e poi il primo che avevano conosciuto accompagnò Sinuhe e Anem verso una cella vuota. Sinuhe vide la cella di Jamila e si avvicinò nonostante Anem cercasse di trattenerla.
"Jamila! Ehi, Jamila, mi senti? Come sei ridotta! Non posso guardarla in questo stato, vi prego portatemi via" disse Sinuhe piagnucolando e coprendosi il volto con le mani.
Ad Anem quasi venne da ridere per la pessima finzione della ragazza, ma per fortuna i soldati, forse perché non la conoscevano, non si accorsero di niente.
"Ah si? Non vuoi vederla? Chissà se ci riesci se ti mettiamo in cella con lei!" disse Anem con cattiveria.
Gli altri soldati risero sguaiatamente e lo incitarono, d'accordo con la sua decisione. Sinuhe provò un odio profondo per quegli uomini crudeli che dicevano di agire nel nome della giustizia.
Anem dovette distogliere lo sguardo e fare un grande sforzo per riuscire a dare una ginocchiata nello stomaco di Sinuhe.
"È per lei, lo sto facendo per lei" pensò mentre la vedeva piegarsi dal dolore.
La spinse nella cella di Jamila facendola cadere a carponi, mentre i soldati ridevano soddisfatti. Anem si girò verso di loro e cominciò a fargli domande generali sul loro lavoro e su quello che avrebbe dovuto fare ora. Doveva far guadagnare tempo a Sinuhe.
La ragazza si avvicinò subito a Jamila. La sua amica era rannicchiata in un angolo. Aveva gli occhi aperti eppure non reagiva e sembrava non riconoscerla. Sinuhe capì che non sarebbe stato facile uscire e si chiese come avessero fatto a ridurla in quello stato. Si nascose dietro una parete della cella, in modo che i soldati non potessero vederla attraverso la porta. Le bastò tirare leggermente un capo della corda per liberarsi le mani. Estrasse la spada che teneva nascosta sotto il vestito, in spalla. Tagliò le corde che legavano polsi e caviglie di Jamila notando quasi con disgusto che erano segnati dalla tortura, si vedeva la carne viva e Sinuhe non osò immaginare il dolore che potevano provocare. Lasciò lì Jamila e uscì dalla cella con la spada sguainata. I soldati dopo un attimo di stupore si avventarono contro di lei, ma si trovarono davanti anche Anem che nel frattempo aveva sguainato la spada. I militari subito si aspettavano che Anem combattesse dalla loro parte e rimasero interdetti nel vederlo batteri al fianco di Sinuhe. I ragazzi ferirono i primi due avversari rispettivamente alla spalla e alla coscia, mettendoli fuori combattimento. Ne rimanevano ancora cinque, troppi.
"Prendi Jamila e andiamocene!" urlò Anem.
La ragazza si accorse che Anem era più pallido che mai, tremava convulsamente e faticava a reggersi in piedi. Si ricordò della medicina, le ultime gocce le aveva prese la sera prima. Era preoccupata per lui, non sapeva quanto avrebbe resistito. Sinuhe tornò nella cella dell'amica, ma fu seguita da un soldato. L'uomo combatté con scarsi risultati contro la rivoltosa e, una volta capito che non ce l'avrebbe mai fatta, caricò un colpo su Jamila, che stava sempre in un angolo e sembrava non accorgersi di niente. Sinuhe vide la lama abbassarsi verso la schiena dell'amica e d'istinto si scagliò contro il soldato. Sentì la spada trapassare la carne fino all'elsa e il sangue caldo e denso inzupparle la mano.
L'ho ucciso.
Non si diede il tempo di riflettere su quell'avvenimento ed estrasse la spada dal corpo dell'uomo, che ricadde riverso sul pavimento, mentre sotto di lui fioriva una macchia scarlatta. Si avvicinò a Jamila.
"Sono io, Sinuhe. Dai alzati, ce ne andiamo..."
"Sinuhe..." disse piano la ragazza, era molto debole, ma sembrava contenta "Mi dispiace..." aggiunse.
Sinuhe non capì a cosa si riferisse e continuò ad aiutarla perché si reggeva in piedi a fatica. Uscirono insieme dalla cella. Anem stava combattendo contro quattro soldati ed era messo malissimo. Già debole per il veleno aveva subito altre ferite e il numero degli avversari lo stava sovrastava. Sinuhe lasciò Jamila appoggiata alla parete e si affrettò ad aiutarlo. Combatterono insieme per un po' e Sinuhe venne ferita lievemente più volte.
"Dobbiamo andarcene subito di qui, non possiamo batterli tutti!" esclamò Sinuhe.
"Hai ragione. Tu esci con Jamila, io ti raggiungo" acconsentì Anem.
"Anem, ti prego..."
"Stai tranquilla arrivo subito" disse il ragazzo cercando di essere convincente e abbozzando un sorriso.
Sinuhe decise di fidarsi. Sorresse Jamila fino alla porta della prigione e uscì. Pensò a dove potessero andare, li avrebbero cercati ovunque appena la notizia della fuga si fosse sparsa. La locanda dove stavano lei e Anem era troppo affollata e distante.
Il Nilo!
Se trovavano una barca il Nilo lì poteva portare, con la sua potente corrente, verso nord nella prossima città nel girò di qualche ora.
"Seguimi!" disse Sinuhe a Jamila.
La ragazza era ancora sotto shock e non reagiva, come se non comprendesse la situazione e non si rendesse conto del pericolo. Stava ferma con lo sguardo perso nel vuoto e si spostava solo se la si forzava.
Sinuhe la prese per una mano e la trascinò con forza. Corsero verso il fiume e lo raggiunsero in pochi minuti. Sulla riva erano depositate alcune piccole barche. Sinuhe portò Jamila sulla barca più grande, che le sembrava più sicura.
"Non ti muovere di qui, io torno subito" disse la rivoltosa.
Jamila annuì, sempre con l'aria assente. Sinuhe prese la spada e manomise le altre barchette in modo che nessuno potesse inseguirli.
Dove diavolo è finito Anem?
Sinuhe ebbe un brutto presentimento e non esitò un momento. Tornò indietro verso la prigione correndo alla massima velocità. Entrò nell'atrio di slancio e si trovò davanti i tre soldati rimasti in grado di combattere. Anem era ancora lì, che cercava di difendersi come riusciva.
"Cosa ci fai qui?" chiese Anem voltandosi verso Sinuhe.
Bastò un attimo, un secondo di distrazione e il soldato più vicino colpì Anem alla gamba. Il ragazzo già molto provato dal veleno del brigante che stava facendo effetto, cadde immediatamente a terra.
Sinuhe stava già per soccorrerlo quando si ricordò dei soldati. Fu presa dalla rabbia. Avevano ridotto Jamila in uno stato irriconoscibile e adesso avevano anche ferito Anem. Tutto intorno a lei svanì e rimasero solo i soldati e il suo odio, cieco e implacabile. Non ebbe bisogno di ragionare, gli innumerevoli anni di allenamento fecero si che la sua spada si muovesse da sola, tutto si ridusse a pura tecnica e poteva prevedere facilmente ogni colpo del soldato. Caricò un affondo e colpì, ma il solato schivò e invece di colpirlo in pieno lo ferì al braccio. Il soldato urlò, la spada cadde a terra tintinnando e il sangue prese a sgorgare dalla profonda ferita, scuro e viscoso.
Sinuhe si bloccò. Si ricordò del soldato che aveva ucciso poco prima e che aveva cercato di dimenticare. Si rese conto che per quanto odio provasse nei confronti di quegli uomini non voleva ucciderli. Sentiva già che quell'unico omicidio stava corrompendo il suo animo e non voleva essere costretta a farlo di nuovo. Avrebbe conservato il suo odio per la vera causa di ciò: il faraone.
Riprese a combattere, con più calma, misurando i gesti e col solo scopo di ferire lievemente. I soldati rimasti erano due. Sinuhe cercò di prenderli separatamente perché due contro uno potevano metterla in difficoltà. Ferì il primo alla gamba, in modo che non potesse camminare. L'ultimo soldato rimasto in grado di combattere era un ragazzino molto giovane. Era spaesato dalla scomparsa dei compagni e terrorizzato dall'idea di essere rimasto da solo contro Sinuhe. La ragazza non se la sentì di combattere contro di lui. Subito pensò di risparmiarlo, non fargli nulla e andare via, ma si rese conto che era troppo rischioso perché avrebbe potuto chiamare i rinforzi.
"Girati" gli disse cercando di essere rassicurante.
Il ragazzo esitò un attimo, ma poi si rese conto di non essere nella condizione di opporsi e obbedì. Sinuhe prese la spada di piatto e gli diede un colpo secco alla nuca. Il soldato cadde a terra all'istante, svenuto. Sinuhe si affrettò a soccorrere Anem, che era ancora a terra. Stringeva convulsamente la mano intorno alla gamba ferita, gemendo per il dolore. Era pallido e respirava in modo irregolare.
“Resisti, dobbiamo raggiungere il Nilo, ho trovato una barca che ci porterà velocemente via di qui”
Anem urlò quando la ragazza lo fece mettere in piedi e lei non seppe mai dove trovò la forza di continuare. Si passo il braccio del ragazzo intorno alle spalle e lo aiutò a camminare in modo che non dovesse poggiare la gamba ferita, ma non servì ad evitare ad Anem la passeggiata più dolorosa della sua vita. Alla fine, dopo un tempo che parve ad entrambi interminabile, giunsero al Nilo, dove Jamila li aspettava. Era dove l'aveva lasciata, rannicchiata in un angolo della barca si guardava intorno con circospezione. Sinuhe aiutò Anem a salire, ignorando il più possibile i suoi gemiti di dolore, mise in acqua la barca e infine vi salì. La corrente gli fece subito prendere velocità e Sinuhe si sentì quasi salva. Tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo si accorse che Anem era svenuto. Il ragazzo era più pallido che mai e nonostante gli sforzi di Sinuhe per svegliarlo non si muoveva di un millimetro. La rivoltosa prese a chiamarlo e a scrollarlo. Era disperata e in breve non riuscì a trattenere le lacrime. Era troppo, troppo anche per lei. Le uniche due persone al mondo di cui si fidasse erano gravemente ferite e, mentre Anem rischiava la vita, Jamila sembrava stare male psicologicamente e Sinuhe temeva che non sarebbe mai più tornata quella di prima. Mentre lei continuava a cercare di svegliarlo, Anem a sorpresa aprì gli occhi. Forse in altre situazioni Sinuhe si sarebbe staccata da lui e avrebbe fatto di tutto per non farsi vedere mentre piangeva, ma quella volta no. Lo abbracciò con forza.
"Resisti, devi resistere, rimani cosciente, ti prego Anem..." disse tra i singhiozzi.
"Allora ci tieni a me!" disse debolmente lui sforzandosi di sorridere.
Sinuhe lasciò perdere.
"Tra poco saremo a Hebenu, resisti solo un altro po'. Lì abita un mio vecchio compagno d'armi, è anche lui uno dei rivoltosi, sono certa che può trovarci un posto sicuro momentaneamente. Non puoi abbandonarmi proprio adesso"
"Non preoccuparti, ce la faccio" rispose Anem.
Il ragazzo faticava a restare sveglio, era pallido e debole, gli occhi gli si chiudevano. Sinuhe si ricordò della ferita alla gamba.
"Fammi vedere"
Anem era troppo debole per opporsi, ma si ritrasse istintivamente. Sinuhe lo ignorò ed esaminò la ferita. Era un taglio profondo nella coscia, doveva aver perso molto sangue e ancora ne stava perdendo. L'unica cosa che riuscì a fare fu una fasciatura di fortuna con un pezzo del suo vestito, ma non bastò a fermare l'emorragia. Appena Sinuhe smise di armeggiare vicino alla sua gamba e anche il dolore diminuì, Anem tornò in quello stato di semi incoscienza. Sinuhe lo scrollò con forza.
"No, no, ti prego non fare così" disse disperata.
Con un grande sforzo Anem riuscì a destarsi, ma non durò molto. Sinuhe continuò a svegliarlo ogni volta che chiudeva gli occhi. Si mise al suo fianco e non lo perse d'occhio un attimo. Dopo alcune ore di viaggio Sinuhe non poté più fare niente. Lo scosse e chiamò a lungo, ma fu tutto inutile. Sperò di arrivare in tempo a Hebenu e trovare in fretta l'antidoto al veleno che quell'odioso brigante aveva usato contro Anem, tramite il suo pugnale. Sinuhe si accorse che anche Jamila si era addormentata, ma decise di non svegliarla, convinta che si sarebbe ripresa prima riposandosi. Non ci misero molto a raggiungere Hebenu. Sinuhe tirò a riva la barca, poi svegliò Jamila. La ragazza era ancora turbata, proprio come quando era ancora in prigione. Sinuhe ne rimase delusa, sperava che un po' di riposo l'avrebbe fatta tornare in sé. La rivoltosa la invitò a seguirla tirandola dolcemente verso il villaggio. Prese Anem in spalle, dopo aver constato che non si svegliava. Si avviò, alla massima velocità consentitale dal peso del ragazzo, verso il luogo in cui ricordava essere la casa di Semnut. Mentre attraversava il villaggio Sinuhe si ricordò di quando lavoravano insieme: per un po' lui era stato sotto il suo comando insieme agli altri uomini, ma avevano fatto anche un'importante missione di spionaggio solo loro due. Sinuhe lo ricordava allegro, espansivo e impulsivo, difetto che lei non sopportava e principale motivo per cui la loro amicizia non era mai diventata davvero profonda.

Sinuhe attraversò il villaggio. Sentiva il respiro lieve e irregolare di Anem e ogni attimo paura e preoccupazione aumentavano. Raggiunse la casa di Semnut sfinita, ormai era notte e quasi non si azzardava a presentarsi, ma non aveva scelta. Un ragazzo molto magro, ma dall'aria pimpante si affacciò dall'entrata della piccola casa. Sembrava sorpreso e non si poteva dargli torto: si trovò davanti una giovane sfinita, con alcune ferite e il vestito strappato; sulle spalle portava un ragazzo svenuto, sembrava stare molto male e aveva una vistosa ferita alla gamba; i due erano seguiti da un'altra ragazza che, oltre a apparire sconvolta, mostrava chiari segni di tortura.
"Sinuhe?!" esclamò sorpreso il ragazzo "Che cosa è successo?"

 

Il canticcio dell'autrice
Scusate il ritardo con cui aggiorno, spero che questo capitolo possa piacervi.
Mi sembra il momento di ringraziare tutti coloro che hanno letto questa storia finora, in particolaare quelli che hanno inserito nelle preferite/seguite/ricordate.
Voglio ringraziare per nome tutti coloro che hanno recensito.
The_Grace_of_Undomiel, che mi ha seguita da sempre.
Selene6, Sweetnesss, Stormwind, supersara, Shinkari (aaah! Iniziate tutti con la lettera "s"), Vyolet, _Aras_ e Chtsara.
Grazie davvero del supporto!
A presto!

Red Wind

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Capitolo 14
*** Di rivoltosi e antidoti ***




Di rivoltosi e antidoti

"Sinuhe?!" esclamò sorpreso il ragazzo "Che cosa è successo?"
"È una storia lunga. Abbiamo bisogno di un posto sicuro dove passare la notte. Ci stanno cercando" rispose la ragazza, ancora con il fiatone.
Semnut si scostò dalla porta invitandoli ad entrare. Sinuhe esitò.
"Se ci trovano qui sarai nei guai..."
"O questo o niente. E poi io sono già nei guai, anch'io sono ricercato, ricordi?"
Sinuhe si convinse in fretta, non avevano tempo per discussioni inutili. Entrò e appoggiò delicatamente Anem per terra. La schiena le faceva male e avrebbe voluto stendersi anche lei e riposarsi, ma non poteva, non era ancora finita, la vita dei suoi amici era ancora in pericolo.
"Questo ragazzo sembra stare molto male, non sembra che si tratti solo di una ferita" disse Semnut mentre Sinuhe invitava Jamila a riposarsi su uno dei semplici giacigli che erano presenti nella casa.
"Si, infatti qualche tempo fa è stato ferito da un pugnale avvelenato. Un dottore gli ha dato un rimedio temporaneo, perché non era in grado di trovare l'antidoto. Ora, però, la medicina è finita. Ci serve subito un medico, è in questo stato da molte ore, non so se..."
Sinuhe non riuscì a finire la frase, stava perdendo la calma, proprio quello che si era ripromessa di non fare.
"Chiamiamo Nofret"
"Lei è qui?" chiese Sinuhe incredula.
Nofret era l'esperta di veleni che lavorava per i rivoltosi, anche se non erano mai andate molto d'accordo, Sinuhe doveva ammettere che era la migliore nel suo campo.
"Sì, si è trasferita qui da poco" rispose Semnut.
Sinuhe tirò un sospiro di sollievo e ritrovò la calma.
"Finalmente un po' di fortuna" commentò.
"Vado a chiamarla"
Sinuhe rimase sola con Anem e Jamila. Notò che anche la ragazza si era addormentata. Aveva fatto troppo in fretta, doveva essere esausta, Sinuhe era certa che la permanenza in prigione l'avesse indebolita molto. Decise di occuparsi prima di Anem, che era più grave. Prese bende, teli, e acqua puliti. Per prima cosa tolse la benda frettolosa con cui gli aveva coperto la ferita alla coscia, che ormai era fradicia. Pulì la ferita e poi la bendo di nuovo, con più attenzione. Non aveva neanche finito che sul bianco della benda risaltavano macchie rosse, ma non sapeva che altro fare. Pulì e bendò anche tutte le altre ferite, più o meno lievi, poi spostò Anem sul giaciglio più comodo a disposizione. Alla fine lo guardò: aveva già un altro aspetto senza il sangue secco addosso, ma era così pallido e immobile che a Sinuhe venne il dubbio che fosse morto. Appoggiò la mano sul suo petto e per interminabili attimi non sentì niente. Fu presa da uno sconforto insormontabile, poi finalmente lo sentì. Il suo cuore batteva ancora, timidamente, ma in modo abbastanza regolare. Respirò a fondo come per calmarsi: non poteva mollare adesso, le loro vite erano nelle sue mani. Decise di occuparsi di Jamila. Prese altra acqua e lavò le sue ferite. Quelle dei polsi e delle caviglie erano molto profonde e infettate, ma non sanguinavano più perché erano lì già da un po'. Sinuhe dovette sforzarsi per continuare, le sembrava quasi di poter sentire il dolore di quelle ferite. Passò a medicare i segni delle frustate che deturpavano la schiena della ragazza. In quel mentre tornò Semnut, con lui c'era anche Nofret.
"Chi si vede!" disse la donna con a sua voce suadente.
"Grazie di essere venuta. Il mio amico a bisogno di te, è stato avvelenato, tramite un pugnale, da un brigante" disse Sinuhe sforzandosi di essere gentile e, allo stesso tempo, non mostrare troppo la sua agitazione.
Nofret si avvicinò ancheggiando ad Anem ed esaminò la ferita avvelenata. Sinuhe restò a guardare, sperando che conoscesse l'antidoto. Non avrebbe mai detto che Nofret sarebbe stata la sua ultima speranza. Erano state spesso costrette a lavorare insieme e non erano mai andate d'accordo. La donna aveva alcuni anni più di lei ed era una rivoltosa da sempre, poiché già i suoi genitori facevano parte del gruppo. Non era il tipo da diventare una di quelle donne che vivono in funzione di un uomo, così aveva imparato tutti i segreti sui veleni dall'anziano esperto e quando lui era morto l'aveva sostituito. Era diventata espertissima e aveva anche imparato che il suo fisico, sensuale e attraente, era la migliore arma: le bastava uno sguardo per fare obbedire tutti gli uomini, amici e nemici. Aveva salvato la vita a molti rivoltosi feriti da armi avvelenate, ma, anche se all'apparenza non sembrava, Nofret uccideva anche più di chiunque altro: i suoi veleni, che i rivoltosi applicavano sulle armi, potevano sterminare interi eserciti. Era proprio per questo che non andava d'accordo con Sinuhe: lei era convinta che non fosse giusto uccidere i semplici soldati se non necessario, dopotutto non era colpa loro, ubbidivano solo agli ordini che gli venivano dati perché non avevano altra scelta, e i veleni le apparivano come l'arma più vigliacca. Nonostante alcuni punti di disaccordo e due caratteri molto diversi, erano accomunate dal desiderio di rendersi utili tra i rivoltosi.
Mentre Sinuhe era immersa in questi pensieri Nofret finì di visitare Anem.
"Si tratta di un veleno molto particolare..." disse l'esperta.
Iniziamo bene” pensò Sinuhe incrociando le dita.
"...attualmente non ho un antidoto per questo caso..."
Nofret fece una pausa ad effetto. Sinuhe pensò che fosse pura crudeltà, ma non disse nulla.
"Ma forse posso prepararlo in tempo per salvare il tuo amico. Nel frattempo dagli questo"
Estrasse una medicina dalla sua sacca e la porse a Sinuhe.
"Si tratta di un farmaco che rallenta l'effetto dei veleni e ne impedisce la diffusione nel sangue" continuò.
"Ha già preso una cosa simile, ma poi si è esaurita. Comunque anche con la medicina non stava molto meglio"
"È normale, il veleno non viene neutralizzato da questo tipo di medicine, ma servono a fare guadagnare tempo, cioè quello che ci serve"
Sinuhe annuì e ringraziò. Nofret si avviò verso l'uscita.
"Nofret..." la richiamò Sinuhe "Ce la farà?"
La ragazza si voltò. Non aveva il solito sorrisetto suadente, per la prima volta Sinuhe la vide seria.
"Se ti dicessi che ne sono certa, mentirei" rispose, poi si voltò e uscì.
Sinuhe restò intontita dall'idea che Anem potesse morire. Fu Semnut a riscuoterla.
"Cos'ha la ragazza?" chiese indicando Jamila.
"È stata in prigione, l'hanno torturata. Quando l'abbiamo liberata non sembrava in sé, a stento mi ha riconosciuta" rispose Sinuhe.
Diede la medicina, che le aveva consegnato Nofret, ad Anem e poi riprese a medicare le ferite di Jamila. Chiese a Semnut se avesse delle erbe e preparò l'impacco, quello che le aveva insegnato Jamila stessa. Medicò tutte le ferite dell'amica e le fasciò, poi tornò da Anem. Medicò anche le sue ferite con l'impacco, specialmente quella più profonda, alla coscia. Quando ebbe finito si sentì più sconsolata di prima: ora non c'era più niente che potesse fare per i suoi amici, non le restava che aspettare e sperare. Nel frattempo Semnut aveva preparato del cibo e si era seduto al tavolo.
"Vieni a mangiare qualcosa, ne hai bisogno" la invitò Semnut.
Sinuhe scosse la testa. Effettivamente aveva fame, non mangiava niente dal giorno prima, ma era certa che non sarebbe riuscita a mandare giù neanche un boccone per via del nodo che le attanagliava lo stomaco. Si sedette per terra, spostando lo sguardo da Anem a Jamila e viceversa. Nel giro di poco quella sistemazione le diede sui nervi. Si alzò e cominciò a camminare avanti indietro per la stanza. Semnut stava mangiando, in silenzio. Sinuhe attraversò ancora la stanza, ma quando si voltò se lo trovò davanti, immobile davanti a lei la fissava serio. Sinuhe abbassò la sguardo. Si sentiva terribilmente stupida, sapeva che quel comportamento era inutile, ma non poteva fare altrimenti. Non riusciva a starsene seduta ad aspettare come se niente fosse, non ce la faceva. A sorpresa Semnut l'abbracciò. Sinuhe sentì la propria guancia premere sul suo petto. Subito si irrigidì, chiedendosi cosa gli faceva credere di potersi permettere simili gesti nei suoi confronti, ma poi si sentì scaldare, sentì Semnut vicino come non mai. Ora il dolore che sentiva era anche suo. Si abbandonò nelle sue braccia. Restarono così un attimo, poi Semnut si sciolse dall'abbraccio.
"Dai, vieni a mangiare" disse sorridendo.
Anche Sinuhe sorrise di rimando, un sorriso mesto, timido, ma pur sempre un sorriso. Semnut sentì di aver fatto la cosa giusta. Si sedettero e, mentre la ragazza mangiava, l'altro le raccontò le ultime novità. Per qualche mese era stato a capo di un gruppo di rivoltosi, ma in una missione si era fatto prendere la mano, aveva abbandonato i suoi uomini e aveva continuato da solo. Molti avevano perso la vita e alcuni erano stati catturati. I superiori avevano retrocesso Semnut di alcuni gradi ed ora non aveva più nessuno sotto il suo comando.
"Me la sono cercata, forse non ero pronto ad avere il comando" concluse.
Sinuhe ascoltò distrattamente. Si girava continuamente verso Anem nella speranza di vedere qualche miglioramento, ma il ragazzo restò immobile per tutto il tempo. Sinuhe finì di mangiare, poi tornò a sedersi a terra, la schiena appoggiata contro la parete. Semnut sparecchiò. Sinuhe si sentiva stanchissima, ma allo stesso tempo non dovette affatto sforzarsi per restare sveglia: era troppo tesa e preoccupata anche solo per chiudere occhio. Pensava ad Anem che rischiava la vita e a Jamila. Sarebbe mai tornata quella di una volta? Poteva quello che aveva passato in prigione averla cambiata per sempre? Da ore Sinuhe si poneva queste domande quando arrivò Nofret. La ragazza aveva recuperato il suo solito charme, entrò e per prima cosa diede un bacio, veloce, ma appassionato, a Semnut. Il ragazzo arrossì lievemente, ma non sembrò stupito. Almeno non quanto Sinuhe: la ragazza si sentì fuori posto e si chiese se quei due stessero insieme o se Nofret facesse così con tutti. I suoi pensieri furono ben presto interrotti. Nofret si stava avvicinando e con sé portava notizie.
"Ho formulato un antidoto, dallo subito al tuo amico, vedremo se funziona" disse soltanto.
Sinuhe non si fece pregare e versò immediatamente il liquido nella bocca di Anem. Si aspettava una reazione clamorosa e rimase delusa, ma sapeva che l'effetto poteva non essere immediato. Si sedette di nuovo per terra, in modo da poter vedere eventuali miglioramenti. Anche Nofret si sedette, su una sedia vicino al tavolo e sorseggiò con calma la birra che Semnut le aveva offerto.
"Io me ne vado, gli effetti dell'antidoto si vedranno domani mattina, chiamatemi e ci sono novità prima di allora" disse dopo un po', alzandosi e uscendo.
Non sembrava né triste né preoccupata. Sinuhe restò al suo posto.
Semnut dopo un po' di tempo disse "Dovresti riposarti, hai sentito cosa ha detto, domani sapremo come è andata"
"La vuoi smettere di dirmi quello che devo fare? Non riuscirei mai a dormire in questo momento e non so come tu faccia a non capirlo"
"Scusa se mi preoccupo per te" disse Semnut sarcastico.
Si sistemò in un angolo, pronto per dormire e non disse altro. Sinuhe pensò che Semnut non doveva preoccuparsi per lei poiché non avevano nessun rapporto che superasse il titolo di "colleghi", tanto meno preoccuparsi senza motivo. Si alzò e cambiò la fasciatura della ferita alla coscia di Anem, poi tornò a sedersi e attese che quella terribile giornata finisse.


Durante la notte a Sinuhe sembrò di vedere un cambiamento nel colorito di Anem: la carnagione pallidissima stava recuperando colore. Non ne era certa, temeva che si trattasse solo di una suggestione e non osò sperarci troppo. All'alba arrivò Nofret. Entrò, salutò e, quando si accorse che Semnut dormiva, lo svegliò a forza di baci. Sinuhe rimase di nuovo sorpresa e si sentì in imbarazzo. Svegliato Semnut, Nofret si diresse verso Anem e controllò il suo stato. Sinuhe restò in attesa del verdetto, tesa come una corda di violino.
"Sembra che abbia funzionato" disse Nofret.
Sinuhe si sciolse.
"Se così non fosse a quest'ora sarebbe già morto e poi sembra avere perso un po' del suo pallore" seguitò "Continua a somministrare dosi di antidoto finché non sarà del tutto guarito"
Sinuhe sorrise e fece un profondo respiro: l'agonia del dubbio era finita. Nofret si avviò verso l'uscita, quando era già fuori sentì Sinuhe dire "Grazie". Senza fermarsi, sorrise.
Semnut e Sinuhe fecero colazione, parlarono poco, ma l'atmosfera era distesa ed entrambi avevano recuperato il buon umore. Dopo Sinuhe si decise a medicare le proprie ferite, che ancora non aveva nemmeno guardato. Si chiese se Jamila stesse bene: non si era più svegliata dal giorno prima, ma decise di non disturbarla.
"Siete fidanzati?" chiese a sorpresa Sinuhe a Semnut.
Semnut arrossì.
"No, non lo so..."
"Come sarebbe che non lo sai!"
"Io la amo, lei mi ama e entrambi lo sappiamo, ma non ce lo siamo mai detti, non abbiamo mai parlato di vivere insieme. Penso che sia perché la nostra vita potrebbe essere stravolta da un giorno all'altro: potremmo essere catturati o uccisi, è tutta un'avventura, così preferiamo non impegnarci. Se ad uno dei due accadesse qualcosa l'altro potrebbe continuare la sua vita, anche se soffrirebbe, perché non abbiamo nessun legame pubblico"
Sinuhe pensò che al suo posto, sapendo che la sua vita era in costante pericolo, avrebbe pensato a sfruttare al meglio il tempo a sua disposizione invece di tenere le distanze e non impegnarsi. Non disse niente perché comunque capiva le motivazioni di Semnut e non poteva biasimarlo. Proprio mentre si chiedeva cosa avrebbe potuto rispondere al ragazzo si accorse che Jamila si stava svegliando. Si avvicinò e si sedette accanto a lei. Era curiosa di sapere se era tornata in sé, ma attese che si fosse del tutto svegliata.
"Come ti senti?" le chiese.
Jamila ci pensò un attimo.
"Meglio, ma cos'è successo? Ricordo che ero in prigione e poi più niente"
"Io e Anem, quel ragazzo lì, ti abbiamo liberata e poi siamo venuti qui, a Hebenu"
Sinuhe raccontò a Jamila tutto quello che era accaduto nei particolari, da quando si erano separate fino a quando erano arrivati a Hebenu.
Ci fu un attimo di silenzio poi Sinuhe chiese serissima "Che cosa ti hanno fatto?"
Una parte di lei avrebbe preferito non sapere gli orrori che la sua amica aveva dovuto subire, ma per perdonarsi di aver ucciso quel soldato doveva conoscere tutto il dolore che Jamila aveva provato a causa loro. Jamila abbassò gli occhi, come se fosse persa in ricordi lontani.
"Pensavano che facessi parte dei rivoltosi. Volevano sapere qual'era il loro... il vostro obiettivo e io non sono riuscita a tacere. Ho detto loro che volete prendere il potere del faraone, ho raccontato come ci siamo conosciute, ma loro non mi hanno creduto. Sono convinti che io faccia parte dei rivoltosi da molto tempo e che a Menfi complottassi contro il faraone, sono sicura che è stato lui a raccontare delle falsità" disse Jamila, la voce rotta.
Sinuhe era pietrificata. Era tutta colpa sua se Jamila era stata torturata, se non l'avesse mai conosciuta niente di tutto quello sarebbe accaduto. Temeva anche che Jamila avesse rivelato della sua missione di uccidere il faraone: in quel caso sarebbe saltato tutto.
Jamila sorrise tristemente.
"Non ho detto della tua missione. I soldati non sapevano che tu avessi una missione particolare, non mi hanno chiesto niente e io non ne ho parlato"
Sinuhe tirò un sospiro di sollievo, ma si sentiva terribilmente in colpa: in un momento come quello lei pensava ancora alla missione. Si rese conto che Jamila aveva sofferto più di quanto non avesse fatto lei in tutta la sua vita di missioni pericolose. Pensò che lei non ce l'avrebbe fatta a sopportare la tortura, neanche per un solo giorno.
"Sei stata...forte, più di chiunque altro io conosca" disse Sinuhe non trovando parole più adatte.
Jamila sorrise stancamente.
"Ancora una volta non sarei qui senza il tuo aiuto"
Sinuhe l'abbracciò, non l'aveva mai fatto e rimasero entrambe sorprese.
"Quando starò meglio riprenderemo il viaggio verso Menfi" disse decisa Jamila, nei suoi occhi brillava una punta di odio "Lui che cosa farà?" chiese indicando Anem.
"Non ne ho idea" rispose Sinuhe.
"Ma...voi due..."
Sinuhe arrossì.
"No! Cosa ti salta in mente? Siamo solo amici" disse convinta.
Jamila rise e anche Sinuhe fu contagiata.
"Che cosa c'è? Anem è fuori pericolo ormai, cos'è che non va?" disse Jamila.
Nonostante stessero ridendo Jamila aveva notato un'ombra sul volto di Sinuhe, una preoccupazione, un pensiero triste.
"Ho ucciso un soldato" confessò dopo un po'.
"Non avevi mai..."
"No, ho sempre evitato e poi molte delle missioni che ho fatto erano di spionaggio più che combattimento"
"Non è colpa tua, se non ti fossi difesa sarebbero stati loro a ucciderti" cercò di consolarla Jamila.
"Forse sarebbe stato più giusto così, dopotutto sono io la criminale" rispose lugubre, omettendo che ad essere uccisa, in quel caso, sarebbe stata Jamila.
"Non è vero e lo sai" rispose decisa la ragazza, poi cambiò argomento "Ho perso l'amuleto che mi permetteva di comunicare con Horus"
"Poco importa, non mi piace quel tipo, con quelle cose strane"
"Si, ma hai visto anche tu quello che ho fatto. Se lui ha ragione siamo in pericolo"
"Ah, perché al solito non lo siamo?"
Jamila capì che era inutile cercare di farla ragionare in quel momento e lasciò perdere.
Sinuhe le portò del cibo e lei mangiò con appetito: in prigione era molto dimagrita. Mentre mangiava notò che Sinuhe era davvero stanca perché i suoi occhi erano profondamente cerchiati.
"Non hai dormito?" le chiese.
"No"
"Dovresti riposarti"
"Non ho sonno" mentì Sinuhe scocciata, in un'altra situazione avrebbe risposto male, ma era contenta di essere di nuovo con Jamila e così si trattenne.
Jamila lasciò perdere: sapeva che era inutile provare a convincerla se aveva già deciso. Sinuhe girò nervosamente per la stanza, poi si sedette di fianco ad Anem. Jamila si stese e in breve si appisolò perché si sentiva ancora molto debole. Sinuhe non resistette alla tentazione: cercò di svegliare Anem. Lo chiamò e scosse lievemente la sua spalla, ma lui non si mosse. Sinuhe si alzò tesa e si sedette per terra, il viso nascosto dalle mani. Cercava di convincersi che era tutto normale, che non si svegliava perché non era ancora guarito del tutto, ma non ci riusciva. La verità era che era ancora molto preoccupata. Pensò che le sarebbe bastato parlargli per un attimo per tranquillizzarsi, ma non era possibile al momento, avrebbe dovuto aspettare. Restò seduta per terra a lungo, pensò a tutti gli strani avvenimenti che erano accaduti ultimamente: l'incontro con Jamila, le strane storie di Horus... Per la prima volta da quando tutto ciò era iniziato fu sincera con sé stessa. Non negò l'evidenza dei fatti scomodi, non rimandò i problemi e prese decisioni per il futuro. Nonostante il momento non fosse dei migliori ragionò con estrema lucidità. Pensò molto alla storia di Horus, perché non aveva idea i come comportarsi. Jamila aveva ragione: nonostante sembrasse impossibile non poteva che essere vero, visto anche ciò che Horus, e in seguito anche Jamila, avevano fatto. Probabilmente se si potevano evocare fiamme e controllare gli agenti atmosferici si poteva anche essere l'incarnazione del Ba e potevano esistere misteriosi nemici dal cui guardasi. E, se Sinuhe ormai era esperta nel combattere contro i soldati, non aveva idea di come come difendersi da nemici dai poteri sconosciuti. Non c'era dubbio: anche se l'idea non le piaceva dovevano trovare il modo di rimettersi in contatto con Horus, almeno per saperne di più.
Mentre Sinuhe rifletteva su questi ed altri pensieri Jamila dormiva. Solo ogni tanto si svegliava e cercava di iniziare un dialogo con Sinuhe per distrarla dai pensieri tristi, ma lei rispondeva a monosillabi, così dopo un po' Jamila rinunciava. Sinuhe si riscosse dai suoi pensieri solo quando vide che Anem si muoveva. Si alzò di scatto e si sedette vicino al ragazzo. Lui ci mise un po' a svegliarsi del tutto e Sinuhe non pronunciò una parola. Appena Anem fu svegliò si voltò e cercò Jamila con lo sguardo, quando la vide tranquillamente addormentata tirò un sospiro di sollievo: la missione era riuscita.
"Come siamo finiti qui?" chiese.
Sinuhe raccontò di nuovo tutta la storia.
"E io che volevo aiutarti...sono stato solo un peso fin dall'inizio. Io non sono fatto per queste cose, non potrò mai combattere per i miei ideali. Il mio destino è quello di vivere una vita banale e noiosa per il resto dei miei giorni"
"Siamo noi a decidere il nostro destino. E poi non ce l'avrei fatta senza di te" ammise Sinuhe "Già appena ci siamo conosciuti mi hai salvata dai soldati e avrei fatto un sacco di stupidaggini se tu non mi avessi fermato" continuò.
"Forse hai ragione, dopotutto la missione è riuscita. A proposito, come sta la tua amica?"
"Meglio, ma non si ricorda nulla del viaggio che abbiamo fatto fin qui ed è ancora debole. E tu invece?"
"Mi fa male tutto e non riesco a muovermi, per il resto benissimo" disse sorridendo.
Sinuhe notò con piacere che aveva già recuperato il suo senso dell'umorismo.
"Devi solo riposarti un po', vedrai che dopo starai meglio" disse Sinuhe, ma Anem stava già chiudendo gli occhi.
Sinuhe si accorse che era ormai notte fonda e sentì tutta la stanchezza piombarle addosso di colpo. Si chiese perché Semnut non fosse ancora tornato, ma non fece in tempo a fare ipotesi che lui entrò.
"Ancora in piedi?" chiese "Dovresti riposarti un po', se uno di loro si sveglia ti avverto io"
Sinuhe non riuscì a rifiutare e, sistematasi in un angolo, si addormentò in fretta, la testa momentaneamente libera dalle preoccupazioni.



Il cantuccio dell'autrice
*arriva correndo*
Scusate, questa volta sono davvero in ritardissimo ^^"
Spero di farmi perdonare con questo capitolo.
Cosa credete che accadrà adesso? Fatemi sapere cosa ne pensate!
Sono contentissima di aver raggiunto il traguardo delle 50 recensioni (per molti sono poche, ma per me è un evento u.u). *abbraccia tutti* grazie a voi che mi fate sentire il vostro appoggio <3 A presto!

Red Wind

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Capitolo 15
*** Della riapparizione di Horus ***


Della riapparizione di Horus

Ancora niente. Ormai Horus non ricordava più quante volte avesse cercato di contattare Jamila e Sinuhe, ma il risultato era sempre lo stesso: nessuna risposta. All'inizio, quando era passato poco tempo dal primo allenamento di magia di Jamila, Horus aveva deciso di aspettare che fossero loro a contattarlo perché voleva che avessero il tempo di riflettere sulle ultime novità e temeva che se si fossero spaventate avrebbero abbandonato la causa, così lui si sarebbe ritrovato senza Ba e Ka, senza speranze di vincere Seth. Aveva aspettato, ma la pazienza non era il suo forte, così provò a contattarle, senza risultato. La cosa peggiore era che, non solo non rispondevano, ma alcune volte Horus sentiva attraverso l'amuleto di Jamila le voci di sconosciuti. Gli erano rimaste impresse le parole che aveva sentito la prima volta.
"Jamila, mi senti?"
"Ehi, chi è stato a parlare?" disse una voce sconosciuta maschile.
"Nessuno, te lo sarai sognato" rispose un altro.
"No, sono sicuro, ho sentito una voce"
"Magari era uno dei prigionieri" ipotizzò un terzo.
"Può darsi, ma mi sembrava che provenisse dalla stanza degli oggetti confiscati"
"Forse era solo un impressione. Non ti farai spaventare da un rumore, spero"
"Certo che no!" rispose spavaldo.
Horus aveva provato molte altre volte a contattarla, ma era riuscito solo a confermare l'ipotesi che l'amuleto fosse in una prigione. Jamila e Sinuhe dov'erano? In prigione anche loro? Non poteva portarle da lui con il teletrasporto se non sapeva dove si trovavano. C'era solo una possibilità.


Sinuhe si sentì chiamare, prima dolcemente e poi con più insistenza, ma stava troppo bene nel caldo e ovattato mondo dei sogni per svegliarsi. Cercò di ignorare la voce, ma dopo un po' si sentì scrollare lievemente per una spalla. Aprì gli occhi e il sole basso dell'alba la costrinse a richiuderli. Dopo vari tentativi riuscì a vedere Jamila in piedi davanti a lei, pallida e stanca, ma sorridente. Fece un grande sforzo di volontà per mettersi seduta.
"Svegliati, abbiamo visite" le disse Jamila.
Sembrava davvero tornata quella di una volta: la sua voce non tremava più ed era dolce ed educata come sempre. Sinuhe si guardò attorno e vide Nofret in mezzo alla stanza che la scrutava divertita. Cercò di ricomporsi, ma si sentiva ancora stanchissima.
"Sono venuta per controllare lo stato del paziente" disse Nofret e senza aspettare risposta si avvicinò ad Anem.
Appena fu in piedi Sinuhe accompagnò Jamila al suo giaciglio perché le caviglie non erano ancora guarite e le facevano male se camminava.
"Non alzarti o le ferite si riapriranno" raccomandò Sinuhe.
Nel frattempo Nofret aveva finito di visitare Anem.
"Sembra migliorato, non si è ancora svegliato?"
"Veramente sì, ieri sera, ma solo per un breve periodo" rispose Sinuhe.
"Bene, continua a dargli l'antidoto e vedrai che guarirà in fretta" disse, poi si congedò.
Sinuhe rimase con Jamila e Anem, che però dormiva. Semnut non c'era, probabilmente era uscito per qualche missione. Si rimise a dormire tranquilla.


Il giorno seguente Sinuhe disse a Semnut che lei, Jamila e Anem si sarebbero trasferiti a breve in una locanda per non disturbare troppo, ma lui insistette molto affinché restassero. Disse che la locanda era pericolosa per dei ricercati appena evasi di prigione e che lì non davano alcun fastidio. Alla fine Sinuhe acconsentì e restarono tutti e tre a casa di Semnut per alcuni giorni. Anem si riprese. Anche se dormiva ancora molto, si svegliava spesso, mangiava con appetito e camminava senza problemi. Sinuhe si chiedeva che cosa avrebbe fatto d'ora in poi. Sarebbe tornato a casa sua? Avrebbe continuato il viaggio con loro? Decise che ne avrebbero discusso quando sarebbe stato meglio. Jamila intanto si era ripresa quasi del tutto se non fosse per le ferite delle caviglie e dei polsi. Di notte a volte a aveva degli incubi, ma non diceva di cosa si trattasse e di giorno sembrava quella di sempre. Sinuhe si prodigava per aiutare i suoi amici, ma spesso risultava impacciata e si sentiva inutile così prese ad allenarsi a lungo, poco distante dalla casa di Semnut, per migliorare ancora le sue tecniche di combattimento.


All'inizio ci fu solo fuoco, ovunque. Non bruciava né produceva calore, ma non aveva neanche una fonte o una fine. Cominciò a sentire una voce conosciuta, ma incomprensibile, poi apparve Horus.
“Dove siete finite? Ho provato a contattarvi, ma non avete risposto. Non abbiamo tempo da perdere, i nostri nemici potrebbero essere ovunque e se ci colgono impreparati è la fine. Fatevi trovare nei pressi del Nilo al tramonto, vi devo parlare."
Rabbia. L'unica sensazione che proveniva da quel ragazzo e dai suoi occhi, rossi per i riflessi del fuoco.
Sinuhe si svegliò di soprassalto, scattando in piedi. Jamila era seduta sul letto.
"Ho sognato..."
"Horus" la interruppe Sinuhe.
"Anche tu?"
Sinuhe annuì.
"Allora era sicuramente un messaggio che ci ha dato. Dobbiamo andare all'appuntamento"
"No, non sei ancora nelle condizioni di partire" sentenziò.
"È l'unico modo per mettersi in contatto con lui, senza l'amuleto"
"Vedremo la situazione domani"
"Non puoi impedirmi di andarci"
"Se la mettiamo in questi termini... posso sempre legarti, come quando eri in prigione"
Jamila la guardò con odio. Come poteva minacciarla in quel modo? Perché Sinuhe faceva sempre così? Perché la trattava come un'inetta, che non è neanche in grado di decidere cosa fare? Meglio cambiare tattica.
"Sto meglio e posso andare tranquillamente. Verrai anche tu, così se mi sentirò male, con il tuo aiuto potrò tornare indietro"
Sinuhe annuì poco convinta. In fondo Jamila aveva ragione: dovevano approfittare di quell'occasione per incontrare Horus.


L'indomani, nel pomeriggio, le ragazze si prepararono e Anem gli chiese dove stessero andando. Sinuhe rispose che dovevano comprare delle cose che servivano per il viaggio verso Menfi, che tra poco avrebbero ripreso. Sinuhe aveva deciso che fosse meglio non coinvolgere anche lui in quella strana faccenda. Uscirono con un po' di anticipo perché, anche se il Nilo era abbastanza vicino, Jamila camminava ancora piano. Arrivarono giusto in tempo al tramonto. Appena vide lo scintillio dell'acqua Sinuhe sentì i soliti brividi e quel profondo disagio, ma per fortuna furono teletrasportate praticamente subito.
Si ritrovarono in un bosco rigoglioso e verde come non ne avevano mai visti. Gli alberi immensi di cui non si vedevano le cime oscuravano quasi totalmente il sole disegnando sull'erba tenera macchie di luce ed ombra. Alcuni massi ricoperti di muschio spuntavano dal sottobosco e un piccolo ruscello chiocciava poco distante. Il clima era fresco e l'aria aveva un profumo particolare. Horus, in piedi poco distante, guardava Jamila cercando di capire che cosa fossero i segni che aveva sui polsi e sulle caviglie.
"Dove vi eravate cacciate? Ho provato a contattarvi e non avete risposto. Dobbiamo prepararci per fronteggiare i nemici non possiamo certo perdere tempo!" disse Horus, appena le ragazze si furono avvicinate.
"Mentre tu te ne stavi qui a fare niente noi abbiamo rischiato la vita. Jamila è stata messa in prigione e torturata e io l'ho liberata. Scusa se non abbiamo avuto tempo per le tue stupide frottole!" sbottò Sinuhe, gli occhi fiammeggianti e il tono i voce alto.
Horus non si scompose.
"Le mie “stupide frottole” vi uccideranno, se non mi darete retta! Per fortuna siete venute all'appuntamento. Sono certo che i nostri nemici stiano diventando più forti, sento il potere di Seth che aumenta inesorabilmente"
"Come fai a 'sentire' il potere che aumenta?" chiese Jamila.
Per un attimo un'espressione di dolore e rabbia si dipinse sul volto di Horus.
"Non sono cose che ti riguardano!"
Jamila abbassò gli occhi dispiaciuta. Pensava che la sua fosse una domanda legittima e non personale, chissà perché Horus aveva reagito così male.
Il ragazzo si ricompose.
"Per fronteggiare il nemico che potrebbe attaccarvi in qualunque momento dovreste poter contare sull'aiuto dell'Akh, ma visto che non conosciamo la sua identità dovrete cavarvela da sole. Proprio per questo avrete bisogno di tutti i vostri poteri. Dovete allenarvi. Chi vuole cominciare?"
Sinuhe si offrì per prima.
I due si misero al centro di una radura e Jamila si sedette a guardare. Horus iniziò subito a scagliare sassi di tutte le dimensioni, bastava una sguardo e le pietre si sollevavano da terra e andavano verso Sinuhe. Lei schivò, ma non osò parare perché temeva che la sua spada si rompesse. Capì che doveva accorciare le distanze: solo in un corpo a corpo aveva qualche speranza perché la sua spada non poteva certo colpire un avversario lontano alcuni metri. Si avvicinò, schivando le pietre, fino a trovarsi di fronte a Horus, con un ultimo balzo. Prima che Sinuhe potesse attaccare lui deviò un masso che la ragazza aveva schivato poco prima, il quale si avvicinò velocemente alla rivoltosa, da dietro. Lei non poteva vederlo, ma all'ultimo momento sentì lo spostamento d'aria. Lasciò scivolare il piede sinistro e piegò la gamba destra fino a trovarsi rasoterra, una mano appoggiata al suolo. Il masso proseguì verso Horus, che era proprio nella sua traiettoria, visto che Sinuhe si era scostata, e lo colpì in pieno, nel petto. Jamila si portò una mano alla bocca spaventata, anche Sinuhe restò immobile a guardare. I secondi diventarono lunghi come anni. Horus non si mosse di un millimetro e anche il masso rimase immobile come sospeso. Il dio chiuse gli occhi, quando gli riaprì fiammeggiavano di rabbia. Il masso ritornò ancora più veloce verso Sinuhe, dimostrando che lui non si era fatto niente, doveva avere fermato il masso in tempo, capirono le ragazze. La rivoltosa, ancora stupita del fatto, schivò all'ultimo momento. Il masso cadde a terra con un tonfo e, sorprendendo tutti, Sinuhe ci saltò sopra e rimase in bilico sulla superficie spigolosa della roccia. Horus dovette concentrarsi per sollevare il masso con la ragazza sopra: era ben diverso da controllare soltanto una roccia. Sinuhe barcollò, ma era molto agile e riuscì a mantenere l'equilibrio anche sul masso che si sollevava da terra. Jamila si chiese dove volesse andare a parare: più il masso saliva più stare lì sopra diventava pericoloso e se Horus avesse lasciato andare il masso Sinuhe sarebbe caduta. Il dio fece salire il masso fino a due metri da terra e poi cominciò a spostarlo avanti e indietro cercando di fare cadere la poverina, ma faceva davvero fatica a controllare quel sasso. La ragazza spiccò un balzo in avanti e attutì lo schianto cadendo addosso a Horus. Il ragazzo, preso di sorpresa, cadde all'indietro e si ritrovò steso nell'erba. Sinuhe si sedette tranquillamente sul suo petto togliendogli il respiro, poi gli puntò la spada alla gola.
"Adesso potrei ucciderti" disse a sorpresa Horus.
Sinuhe rimase un attimo spiazzata.
"Veramente questo dovrei dirlo io"
Il dio sorrise spavaldo nonostante la scomoda posizione. A cominciare dalla testa il suo corpo prese fuoco, senza che lui ne subisse alcun danno. Sinuhe scattò subito in piedi spaventata. Horus si tirò su e, reputando il duello finito, si avvicinò a Jamila.
"Tu ti alleni?" le chiese.
Sinuhe intervenne.
"Non credo che Jamila sia nelle condizioni di..."
"Si" la interruppe l'altra, decisa.
Si avvicinò ad Horus nella radura e si preparò a combattere; vedendo che il ragazzo restava immobile decise di cominciare lei. Si concentrò e un forte vento cominciò a soffiare, ma a lui bastò coprirsi il volto con un braccio per difendersi. Jamila non riuscì a fare di meglio. Si sentiva sempre impacciata quando combatteva; pensava che non facesse per lei perché era imbranata, al contrario di Sinuhe che era agile sapeva sempre come muoversi. Decise di provare qualcos'altro. Si riposò un attimo, perché la magia consumava energie, poi fece avvicinare i rami degli alberi circostanti ad Horus e lo legò. Lui non si mosse finché i rami non lo ebbero ricoperto totalmente, poi dal suo corpo si alzò una fiammata e i rami caddero a terra carbonizzati. Jamila si sentì già sconfitta, ma decise di provare ancora una cosa. Controllando l'acqua del ruscello poco distante bagnò completamente il dio, poi controllò un ramo che si legò intorno al collo di Horus impedendogli di respirare. Il ragazzo provò immediatamente ad utilizzare il fuoco per bruciare il ramo come aveva fatto in precedenza con tutti gli altri, ma essendo bagnato non ci riuscì. Continuò a provare mentre il suo volto diveniva paonazzo, poi finalmente una fiammella si accese sul suo palmo e in un attimo fece evaporare tutta l'acqua che aveva addosso riuscendo così a propagarsi in tutto il suo corpo, fino a bruciare il ramo che aveva intorno alla gola. Horus respirò con affanno e tossì. Guardò Jamila e fiamme altissime si accesero intorno a lei circondandola. La ragazza si guardò intorno spaventata senza riuscire a reagire; si sentiva sfinita. Horus cessò l'attacco e si avvicinò all'avversaria. Lei pensò che era bastato un solo attacco di per sconfiggerla, era sempre la solita frana. Horus iniziò ad illustrare il suo verdetto a Jamila, lì di fronte a lui, e a Sinuhe, ancora seduta ai margini della radura.
"Devi imparare ad attaccare più efficacemente: i tuoi poteri non recano alcun danno e, se riesci a rendere un avversario inoffensivo, non puoi cercare di strozzarlo con un ramo, ci vuole troppo tempo! Purtroppo non ho idea di come potresti rendere i tuoi poteri Creativi in grado di ferire e mettere fuori gioco un avversario, anche perché i miei poteri sono di tutt'altro genere. Mi è venuta, però, un idea riguardo al luogo dove potresti allenarti. Alcuni amuleti sono in grado, sfruttando la magia di chi lì aziona, di portare in mondi paralleli, come ad esempio il mondo degli dei. Questa collana è collegata ad un mondo artificiale, cioè una semplice Stanza in cui potrete allenarvi. Tu, Sinuhe, devi affinare le tue tecniche in modo da poter fronteggiare la magia, quindi ti puoi allenare contro Jamila. Mentre tu, per allenarti contro la magia, tornerai qui e combatterai contro di me" spiegò Horus.
Jamila, pallida e sfinita dal combattimento, disse:"Ma come faremo a contattarti?"
"Giusto, l'amuleto non si può recuperare...".
Horus riflette un attimo, poi prese il grosso ciondolo d'oro della collana che aveva mostrato poco prima a Jamila con due mani. Si concentrò e in un attimo l'oro divenne incandescente e rosso. Ad un tratto i muscoli di Horus si contrassero e il ciondolo si spezzò perfettamente a metà compresa la pietra tonda e rossa che si trovava al centro.
"Terrò meta della collana, così potrò accedere anche io alla Stanza. Per comunicare ci lasceremo dei messaggi lì" disse.
Horus prese una metà della collana e se la mise al collo, poi si avvicinò a Jamila e gliela legò al collo. Jamila faticava a reggersi in piedi, sfinita dall'eccessivo uso di magia e ancora debole per la prigionia, e Horus non fece in tempo ad allontanarsi dalla ragazza che lei svenne cadendo in avanti. Il ragazzo, un po' impacciato, la prese in braccio, sorreggendola per le spalle e per le gambe, delicatamente e senza fare il minimo sforzo. Si avvicinò a Sinuhe.
"Hai sentito anche tu? Vi lascerò qualche messaggio nella Stanza, adesso andate"
I colori sbiadirono e anche Sinuhe perse conoscenza.




 
Il cantuccio dell'Autrice
Questa volta il mio ritardo è davvero imperdonabile, a mia difesa posso dire solo che nel frattempo ho scritto una fan fiction su Dr. House e che sono stata seppellita di studio per il resto del tempo. Non è molto, lo so ^^"
Ho l'impressione che la storia stia perdendo il poco seguito che aveva e ne sono molto dispiaciuta.
Sono sempre ben accette le critiche e qualsiasi tipo di commento.
Fate gli auguri alla mia migliore amica, a cui la storia è dedicata, perché oggi è il suo compleanno u.u
A presto (questa volta è una promessa u.u)
Red Wind

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Capitolo 16
*** Di come tramano i Sethisch ***


Di come tramano i Sethisch

Trovare le altre incarnazioni di Seth si era rivelato più difficile del previsto. Il dio comunicava con lui nei sogni e gli aveva detto che una delle incarnazioni era a Menfi, lo sentiva perché era una parte di lui. Peccato che la città fosse enorme e il Sethisch, Hesyru, non avesse nessuna informazione per le sue ricerche. Aveva solo un modo per capire se si trattava davvero di un suo compagno: al contatto diretto avrebbe sentito il suo potere, anche se esso era ancora sopito. Da giorni girovagava per la città senza alcun risultato, poi dopo l'ennesimo fallimento Seth gli apparve in sogno e gli disse:"Non c'è più tempo, inutile servo! Devi trovare subito il tuo compagno! Fino a che non ci sarai riuscito non potrai riposarti".
In quell'istante si svegliò e ogni volta che provava a dormire tornava Seth a svegliarlo. Doveva trovare il compare il prima possibile, se non voleva diventare vittima dell'ira di Seth. Continuò le ricerche ancora più motivato.
Un giorno mentre vagava per il centro della città sentì qualcosa di strano, il battito del suo cuore accelerò, la mente percepì un rumore indistinto. Si guardò intorno: lo stretto vicolo era deserto, sulla destra un edificio sontuoso ostruiva la vista e a sinistra l'immenso palazzo reale attirava l'attenzione. Gli bastò posare lo sguardo sulla residenza del faraone per capire che quello che cercava era proprio lì. Si sentì rincuorato e soddisfatto di avere trovato il luogo in cui si trovava il suo compagno, anche se, tra servi e nobili, erano tantissime le persone che c'erano all'interno. Entrò subito. Seguì l'istinto per attraversare il palazzo. Ogni volta che incontrava un soldato pronto a intralciarlo gli bastava avvicinare il palmo della mano al volto dell'avversario: il corpo del nemico sembrava appassire, senza la possibilità di muoversi esso moriva in pochi secondi, riducendosi a un corpo vuoto e scheletrico. Attraversò un'infinità di corridoi e si ritrovò nelle stanze della regina. Ormai sentiva vicinissimo il potere di un'altra incarnazione di Seth e non vedeva l'ora di conoscere la sua identità. Giunse in una grande camera da letto e si trovò davanti quella che doveva essere la regina in persona. La donna lo guardò con stupore e disgusto, poi tentò di chiamare qualcuno, ma l'altro Sethisch le tappò la bocca appena in tempo, si concentrò un attimo e i due sparirono.
Si ritrovarono, dopo un attimo di buio totale, in un'oasi con uno stagno e alcune palme. Hesyru cadde in ginocchio spossato dall'incantesimo che aveva appena fatto: il teletrasporto era una delle magie più faticose in assoluto, specialmente se si trasportavano più persone. La donna si allontanò spaventata e si guardò intorno.
"Come diavolo hai fatto?"
Hesyru riprese fiato ancora un po' poi disse:"È una lunga storia, ma anche tu potrai farlo se mi ascolti"
La donna era scioccata e si manteneva a debita distanza dallo sconosciuto, continuando a guardarsi intorno, ma non vide altra scelta se non quella di obbedire e così ascoltò la storia di come Horus aveva tentato di uccidere Seth e di come lui, invece, si era assopito all'interno delle loro menti in attesa di poter ritornare.
"Il nostro obbiettivo è di sconfiggere per sempre Horus e i suoi seguaci affinché il nostro Signore possa tornare in vita e rendere il mondo migliore" concluse Hesyru.
"Come intende rendere il mondo migliore? Tanti ci hanno provato, ma nessuno ci è mai riuscito"
"Oh, ma il nostro Signore sa, lui conosce l'uomo meglio di chiunque altro. Lui ha capito che noi abbiamo sbagliato tutto fin dall'inizio. L'uomo non è altro che un animale e come tale deve vivere. Ognuno deve pensare per sé e solo i migliori devono sopravvivere. La compassione, la fratellanza, l'aiuto e il rispetto verso gli altri non sono che scuse che i deboli hanno inventato per giustificare la loro inettitudine. Non avendo speranze di vincere o di sopravvivere con le regole della natura che premiano la forza e l'intelligenza hanno creato le loro regole che celebrano soltanto la debolezza e mettono tutti sullo stesso piano, anche quelli che non meriterebbero neanche di vivere"
"Si, molto interessante, ma io cosa ci guadagno?"
Hesyru ridacchiò.
"Vedo che hai capito come si ragiona. So che sei già la donna più potente d'Egitto, ma se svilupperai i tuoi poteri puoi diventare padrona assoluta di molto più di questo"
"Di che poteri parli?" chiese la moglie del faraone.
"I poteri che Seth ci ha donato, ti permetteranno di fare cose considerate impossibili dai comuni mortali. Dobbiamo cercare gli altri Sethisch, identificare i nostri nemici, ma anche allenarci. Quando sentirai il potere scorrere nelle tue vene capirai di aver fatto la scelta giusta.”
La donna annuì, seppur non del tutto convinta, pregustando i guadagni ottenuti con un simile potere. “Per prima cosa ho bisogno che tu metta allerta tutte le guardie reali per identificare un uomo con una cicatrice che gli attraversa il volto da parte a parte: il nostro signore ha detto che è uno dei nostri."
La regina, molto fredda e controllarla per la situazione, rispose:"Certo, se ce da guadagnarci io sono sempre pronta, ma non provare a fregarmi perché sono più furba di quanto pensi"
"Dubito che la tua furbizia possa valere contro di me, comunque mi piace come ragioni. Vai, ora" concluse Hesyru.
Pochi secondi dopo la regina si ritrovò nella sua stanza, sola con il dubbio di stare impazzendo.


Sinuhe si risvegliò sulla riva del Nilo; Jamila, poco distante, dormiva ancora. La rivoltosa sapeva che l'amica era troppo stanca per fare subito il viaggio di ritorno, ma non era preoccupata perché era certa che non fosse nulla di grave. Si sedette in attesa che Jamila si svegliasse e pensò al viaggio che stava percorrendo: temeva di perdere di vista l'obiettivo.
Il sole era ormai calato, il calore risaliva dalla sabbia arroventata mentre l'aria si faceva fresca. Dopo qualche minuto anche l'altra ragazza si svegliò; si alzò in piedi incerta e guardandosi intorno si accorse che doveva essere passato un bel po' di tempo.
"Andiamo" disse e così si incamminarono.
Jamila era parecchio stanca, per via della convalescenza e dell'allenamento di poco prima. Qualche volta la ragazza chiese di fermarsi a riposare e per l'ultimo tratto di strada Sinuhe l'aiutò a sorreggersi. La rivoltosa pensò che già una volta aveva fatto quella strada dal Nilo alla casa di Semnut, ma in una condizione decisamente peggiore: Jamila non si rendeva conto di quello che faceva mentre Anem era privo di sensi. Pensò anche a quella volta in cui era stata ferita alla spalla e Jamila l'aveva aiutata a camminare proprio come stava facendo lei adesso e a come si era sentita a disagio: preferiva di gran lunga aiutare che essere aiutata poiché odiava sentirsi debole. In quel momento, infatti, non le dava nessun disturbo aiutare la compagna di viaggio.
Appena entrarono in casa di Semnut, Jamila si buttò sul proprio letto per riposare. Anem e Semnut stavano mangiando e Sinuhe si unì a loro; parlarono del più e del meno e scherzarono, rilassandosi dopo le ultime esperienze all'insegna dell'ansia e del pericolo.


La mattina seguente, quando Sinuhe si svegliò, aveva già preso la propria decisione: se Jamila stava meglio sarebbero partite il giorno stesso. Trovò Semnut già alzato, sedette con lui per una breve colazione e ne approfittò per metterlo al corrente dei suoi piani. Il ragazzo sembrò indignato.
"Vuoi già partire? Ieri la tua amica era ancora stanca, restate ancora un giorno"
"Devo arrivare a Menfi in tempo per la missione e siamo già molto in ritardo sulla tabella di marcia"
"Al diavolo la tabella di marcia! Restate ancora oggi: vi riposerete e recupererete il ritardo durante il viaggio. A dorso di cammello arriverete a Menfi in un batter d'occhio"
"Noi non abbiamo cammelli e neanche soldi per comprarli..." disse Sinuhe imbarazzata.
"Non preoccuparti, a questo ci penso io"
"No, abbiamo già disturbato abbastanza, ce la caveremo anche così"
"Non fare storie, anch'io sono un rivoltoso ed è nel mio interesse che la missione sia portata a termine con successo"
"Si, è vero, per questo partiremo oggi" disse Sinuhe alzandosi, come se la conversazione fosse chiusa.
Semnut la seguì e le si parò davanti.
"Smettila di fare sempre la seria, Sinuhe. Tutti hanno bisogno di divertirsi ogni tanto, specialmente dopo aver passato quello che avete passato voi. Oggi lo dedicheremo a questo"
Sinuhe pensò al suo maestro di spada, che le diceva spesso la stessa cosa: era troppo seria e doveva imparare a scherzare e ad accettare gli scherzi...
"Io..." temporeggiò Sinuhe indecisa.
Semnut non si fece sfuggire l'occasione.
"Perfetto, allora vado a comprare cibo e bevande per la festa" disse uscendo di tutta fretta senza dare a Sinuhe il tempo di replicare.
La ragazza si era quasi arresa (forse Semnut aveva ragione?), ma decise di chiedere consiglio a Jamila prima di prendere una decisione.
"Avevo intenzione di partire oggi, se per te va bene, ma..."
"Ma cosa?"
"Semnut ha tanto insistito perché ci fermassimo ancora oggi per...fare una specie di festa di addio"
"E tu hai accettato?" chiese incredula Jamila.
Sinuhe si irritò: davvero tutti la consideravano così rigida?
"Si, ho accettato e quindi?" chiese con aria di sfida.
Jamila trattenne a stento una risata, cosa che fece andare Sinuhe su tutte le furie.
"Niente, hai fatto benissimo, è solo che non me l'aspettavo"
Sinuhe, un po' imbronciata, uscì brontolando che andava a fare una passeggiata.
Jamila fece colazione pensando che nel giro di poco sarebbero giunte a Menfi. Per lei ormai quel viaggio non aveva più senso, anche se non le piaceva ammetterlo; aveva deciso di tornare a Menfi più per scoprire come era finita ad Assuan nel giro di un secondo, che per tornare alla sua solita vita. Del resto a Menfi non aveva molto da perdere: i suoi genitori erano morti da qualche tempo, non aveva parenti prossimi, ma solo qualche amicizia; certo le dispiaceva di essersene andata in quel modo, avrebbe almeno voluto salutare. Il solo motivo per cui aveva continuato quel viaggio, anche dopo aver saputo che la causa del suo teletrasporto era stata lei stessa con la sua magia che non era ancora in grado di controllare, era che ora lei e Sinuhe dovevano trovare l'Akh, ne andava delle loro vite. Anche se la rivoltosa non sembrava molto interessata e metteva in primo piano la sua missione personale, Jamila sapeva che capiva benissimo l'importanza del compito che le era stato assegnato. La cuoca si chiedeva con timore quando i nemici di cui parlava Horus si sarebbero fatti vivi, a sentir lui era un pericolo incombente, ma per ora non c'erano ancora stati problemi. Il dio la incuriosiva perché era un enigma vivente, sembrava nascondere qualcosa.
Anem si svegliò e Jamila lo mise al corrente dei programmi della giornata: Semnut aveva intenzione di fare una festa. Gli disse anche che Sinuhe era andata a fare una passeggiata e lui decise di raggiungerla. Passeggiò un po' intorno alla casa di Semnut ed infine scorse Sinuhe che si allenava con l'arco. Si avvicinò e si sedette su una roccia. Sinuhe lo sentì arrivare, ma non si voltò e continuò a tirare.
"Pensavo che stessi passeggiando, ma vedo che non hai perso l'abitudine di allenarti di mattina"
"Devo farlo, sono fuori allenamento a forza di combattere con uno che mi copre le spalle" rispose Sinuhe sorridendo.
Una freccia si conficcò al centro di una grossa palma.
"Bel colpo... mi ha detto Jamila che volete partire domani..."
Sinuhe smise di tirare e recuperò le frecce conficcate nell'albero.
"Si, Semnut mi ha convinto a restare ancora oggi. Tu che cosa farai?"
"Ho deciso di unirmi ai rivoltosi"
Sinuhe soffocò i primi commenti che le vennero in mente e puntò uno sguardo indagatore su Anem, ma lui lo sostenne.
"Rischierai la vita" disse dopo un po' di tempo Sinuhe.
"Lo so, ma voglio finalmente poter combattere per la giustizia"
"Potevi venire con noi..."
"No, Sinuhe, quella è la tua missione. Io troverò la mia strada qui. Sono certo che un giorno ci incontreremo di nuovo. Adesso godiamoci questa giornata di festa, andiamo a vedere cosa ha in mente Semnut" disse sorridendo e allontanandosi.
Sinuhe lo guardò camminare verso la casa di Semnut, poi recuperò le sue cose e tornò anche lei. Sentì baccano appena si avvicinò alla casa: il padrone di casa era tornato con cibo gustoso, birra e... Nofret. La ragazza era vestita in modo più provocante del solito, ben truccata e particolarmente allegra. Semnut decise di portarli in un posto particolare, tutti furono d'accordo e uscirono subito. Durante il cammino Semnut passò un braccio intorno alla vita di Nofret e ogni tanto si fermava per baciarla, ma con grande dispiacere di entrambi doveva spesso interrompersi per indicare la strada che solo lui conosceva. Dopo qualche minuto di cammino giunsero ad un oasi verdeggiante, ricca di palme e alimentata da un laghetto cristallino. Nel complesso era davvero un bel posto, rilassante e pacifico. Jamila si buttò nell'erba e restò lì guardare il cielo azzurro. Nofret tirò fuori la tavola da Senec, il più conosciuto gioco da tavolo, e sfidò Sinuhe. Continuarono così a divertirsi come ragazzi qualunque con un lavoro qualunque e una vita monotona basata su solide certezze, nel passato e nel futuro. Semnut tornò a casa a prendere del cibo e pranzarono lì. Verso sera rientrarono tutti e festeggiarono a casa di Semnut, brindando alla riuscita della missione di Sinuhe. Quando andarono a dormire, per una volta la stanchezza non era dovuta ad una lunga marcia o ad una pericolosa missione.

 

Il cantuccio dell'autrice
Salve miei lettori, se ci siete battete un colpo (?)
Ecco a voi una nuova nemica, anche se per ora è solo apparsa.
Stavo cercando un prestavolto per lei quando ho trovato Gina Torrens che mi sembrava adatta, poi ho scoperto che aveva pure recitato la parte di Cleopatra xD
Sorvolando sull'anacronismo della cosa, mi sembrava perfetta per la parte della regina.
Alla prossima!
Red Wind

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Capitolo 17
*** Di nuovi obbiettivi ed esitazioni ***



 

Di nuovi obbiettivi ed esitazioni

La mattina seguente, all'alba, iniziarono i preparativi per la partenza: Sinuhe e Jamila raccolsero tutte le loro cose e prepararono le provviste, Semnut fece trovare pronti due magnifici dromedari, che la rivoltosa inizialmente non voleva accettare. Anem cercava di dare una mano o almeno di non essere di intralcio.
Quando tutto fu pronto Sinuhe uscì caricare le provviste sui dromedari, discutendo ancora un po' con Semnut, mentre Jamila rimase in casa con Anem.
"Prenditi cura di Sinuhe" disse il ragazzo "So che ci tiene molto a te e, anche se non sembra, ha bisogno di aiuto quanto noi"
"Lo so, è diffidente a causa delle perdite subite in passato e preferisce non affezionarsi a nessuno, ma a quanto pare questa volta non ci è riuscita" rispose Jamila sorridendo.
"Già, non ha ancora capito che sono gli affetti a rendere una vita degna di essere vissuta, non la vendetta"
"Allora lo sai anche tu..."
“Già” rispose affranto Anem “Cerca di farle cambiare idea, se riesci, e proteggila anche al posto mio, ti prego"
"Lo farò" promise Jamila.
In quel momento entrò Sinuhe.
"Allora? Ci siamo? Dobbiamo andare, siamo già in ritardo"
"Non preoccuparti, sono pronta" la tranquillizzò Jamila.
Sinuhe si avvicinò ad Anem e, per salutarlo, gli porse la mano. Jamila si trattenne dal ridere: dopo tutto quello che avevano passato insieme Sinuhe pensava di cavarsela con una semplice stretta di mano?
Anem le strinse la mano, ma solo per tirarla a sé e abbracciarla; Sinuhe all'inizio restò inerme tra le sue braccia, poi ricambiò.
Jamila, invece, lo abbracciò senza esitazione.
"Allora siamo d'accordo" disse Anem a Jamila mentre si scioglieva dall'abbraccio.
Lei annuì. Sinuhe passò lo sguardo dall'uno all'altra più volte, senza capire a cosa si riferissero. Le ragazze uscirono e trovarono i dromedari pronti a partire e Semnut che le aspettava. Lo salutarono e ringraziarono sinceramente, ma con poche smancerie, e, salite sui dromedari, partirono.



Ogni cosa sembrava tornata al suo posto, tutto era come all'inizio del viaggio. Sinuhe era taciturna e concentrata sulla sua missione, Jamila tranquilla e curiosa, ma le ragazze dopo le ultime avventure erano molto più unite. Procedevano calme nel loro viaggio, ma le loro menti non erano del tutto sgombre dai pensieri. Jamila ripensava a quello che le aveva detto Anem; aveva deciso che doveva convincere Sinuhe a non uccidere il faraone, doveva farlo per lei, per salvarla dall'oblio del rimorso. Non era un facile intento perché Sinuhe era decisa e testarda. Jamila non poteva certo pensare di tirare fuori l'argomento senza motivo e poi Sinuhe odiava sentirsi dire quello che deve o non deve fare: se Jamila non avesse colto il momento e la situazione adatti Sinuhe si sarebbe rifiutata anche solo di ascoltarla. Il vero problema era che il tempo stringeva perché tra poco sarebbero arrivate a Menfi.
Sinuhe, dal canto suo, vacillava nella sua decisione. Quando aveva ucciso quel soldato, nonostante avesse cercato di convincersi che era solo un nemico, aveva provato orribili sensazioni, da cui si era liberata grazie alla preoccupazione per i suoi amici. Dopo averci riflettuto a lungo era comunque giunta alla conclusione che per il faraone sarebbe stato diverso. Egli non era un soldato qualunque che eseguiva solo degli ordini, egli era la causa di tutti i suoi guai, della morte dei suoi genitori, della tortura di Jamila e se qualcuno non lo avesse fermato avrebbe ucciso ancor più persone innocenti. Per questo Sinuhe restava convinta che il suo gesto era giusto e per una vita che avrebbe tolto ne avrebbe salvate molte altre. Tra questi comodi pensieri si insinuava il ben più scomodo dubbio.



Viaggiarono tutto il giorno e anche di notte perché volevano prendere di nuovo il giro di viaggiare di notte e dormire di giorno: era meno rischioso. Si svegliarono poche ore prima del tramonto. Jamila rimuginava già da un po' sulla collana che le aveva dato Horus. Era curiosa di vedere come funzionava e approfittò di quel momento di pausa per parlarne a Sinuhe.
"Che ne dici di provare ad andare nella Stanza per gli allenamenti?" le chiese.
"Per me va bene, sono curiosa di sapere cosa si è inventato questa volta Horus"
Jamila prese il ciondolo tra le mani e quello immediatamente si illuminò.
"E ora che cosa devo fare?" chiese dubbiosa Jamila.
"Ah, se non lo sai tu..." rispose sarcastica Sinuhe.
Jamila chiuse gli occhi e si concentrò, quando gli riaprì Sinuhe vide che irradiavano luce celeste e in breve tutto intorno a lei divenne azzurro. Sinuhe mise a sua volta le mani sul ciondolo, l'azzurro divenne accecante e poi all'improvviso svanì. Le ragazze si guardarono intorno. Tutto sembrava come prima, ogni particolare era al suo posto.
"Sembra che non sia successo nulla" disse Sinuhe.
"Ma io sono sicura..." iniziò Jamila, ma la rivoltosa si era già allontanata a dare un'occhiata.
Jamila la guardò allontanarsi qualche metro, poi la vide sbattere contro qualcosa e cadere all'indietro. Le si avvicinò ridendo perché la scena era buffissima.
L'aiutò a rialzarsi mentre Sinuhe si massaggiava la fronte.
"Che diavolo era?" chiese Sinuhe un po' intontita.
Senza aspettare risposta si avvicinò con cautela al punto in cui aveva sbattuto. Tastò l'aria e a un certo punto le sue mani si bloccarono come se ci fosse un muro invisibile. Fece scorrere le mani lungo la superficie spostandosi verso destra e Jamila fece lo stesso andando verso sinistra, in breve le ragazze si incontrarono dall'altra parte della Stanza. Avevano percorso una circonferenza con diametro di una decina di metri.
"Allora è questa la Stanza" commentò fredda Sinuhe.
Jamila annuì, poi scorse qualcosa di strano e andò a vedere: si trattava di un papiro che giaceva per terra. Lo prese in mano e provò a leggerlo.
"È scritto in geroglifico, non ci capisco nulla!" si lamentò sconsolata Jamila.
Sinuhe gli tolse delicatamente il foglio di mano e lo lesse ad alta voce.

"Guerriere, è arrivato il momento di mettersi al lavoro. Il nemico avanza e le sorti del mondo dipendono da voi. Allenatevi con costanza e determinazione, preparatevi per lo scontro affinché il nemico non vi colga impreparate. Io non sarò più la vostra guida, tra qualche tempo il saggio Toth inizierà ad addestrarvi sotto esplicita richiesta di Ra.
Horus
P.S. Jamila, lasciami un messaggio per dirmi quando ti vuoi allenare con me."


"Guerriere...?" ripeté Jamila dubbiosa.
Quel nome la spaventava alquanto, le sembrava troppo altisonante e temeva di non esserne all'altezza.
"Beh, mi sembra che sia un nome adeguato e piacevole, no?"
"Sì" pensò Jamila,"Per Sinuhe è un nome perfetto, lei è sempre stata una guerriera".
Annuì poco convinta.
"Sai che non abbiamo mai fatto un duello noi due? Perché non rimediamo?" chiese Sinuhe piuttosto eccitata.
Subito Jamila acconsentì, ma se ne pentì appena vide la sua amica in posizione di combattimento. Non ebbe il tempo di pensarci ancora a lungo, però, perché Sinuhe attaccò subito. Caricò un affondo, corse verso di lei, con la testa leggermente inclinata in avanti e gli occhi ridotti a fessure luccicanti. Quella ragazza era una macchina da guerra. Jamila si guardò intorno, ma non c'erano molti elementi che potesse controllare: la vegetazione consisteva in un paio di palme e non c'era acqua. Quando Sinuhe era ormai a un passo da lei fece alzare un forte vento che sollevò la sabbia addosso all'amica. La ragazza si bloccò, tossì e si strofinò gli occhi borbottando compiaciuta: "Bella trovata!".
Quando fu di nuovo pronta a combattere vide Jamila davanti a sé, proprio come prima.
"Che fai? Sono stata fuori combattimento per un sacco di tempo e tu non hai neanche attaccato?"
"Non so che cosa fare..." si giustificò Jamila.
Sinuhe scrollò il capo, poi disse: "Lasciamo perdere. Continuiamo il duello"
Sinuhe si preparò ad attaccare. Jamila chiamò a sé una noce di cocco appesa ad una palma lì vicino, la prese in mano e la usò come scudo per difendersi dagli attacchi di Sinuhe. Quest'ultima, quando si stufò del fatto che Jamila parasse i suoi attacchi, caricò un colpo dall'alto e distrusse la noce di cocco. Puntò la spada contro Jamila, la quale, disarmata, si arrese. Sinuhe sorrise: era il suo solito sorriso enigmatico, non certo un sorriso maligno, ma Jamila si sentì lo stesso umiliata. Era stufa di sentirsi sempre la più debole, di essere sempre salvata, come un intralcio di cui sarebbe meglio liberarsi, voleva essere d'aiuto qualche volta. Jamila, senza commentare il duello, disse che era meglio tornare, lasciò un biglietto a Horus in cui diceva che si sarebbero visti il giorno seguente per allenarsi, poi toccò il ciondolo e la luce azzurra le riportò nel mondo normale. Sinuhe non si accorse per nulla del malumore di Jamila e tanto meno poteva immaginarne il motivo, così si rimisero in marcia, separate da un sottile velo di incomprensione.



La luce azzurra si dileguò mostrando la Stanza deserta. Jamila vi fece un girò alla ricerca di qualche messaggio di Horus, ma non ne trovò traccia, nonostante quello fosse il giorno che aveva prefissato per il loro incontro. Indecisa e scocciata si sedette per terra ad aspettare, del resto aveva tutto il tempo che voleva proprio perché lì, come avevano potuto constatare il giorno prima, il tempo scorreva più lento. Sinuhe non era venuta ed era restata ad allenarsi da sola. Horus non si fece attendere molto. Giunse dopo qualche minuto, senza fare il minimo rumore.
"Ciao" sentì all'improvviso Jamila, sobbalzando.
"Scusa, non volevo spaventarti" disse Horus.
"Non è nulla, ero solo soprappensiero"
"Beh, allora, sei pronta?" chiese, saltando tutti i convenevoli.
Jamila annuì alzandosi. I due si posizionarono al centro della Stanza, pronti al combattimento. Horus lasciò iniziare Jamila. La ragazza, che questa volta aveva scelto un luogo ricco di palme, scagliò molte noci di cocco contro Horus. Egli si fece scudo con le fiamme, ma non servì a nulla: provò schivare, ma venne colpito. Contrattaccò con una pioggia di scintille, ma Jamila riuscì a spegnerle con il vento. Horus, allora, corse verso di lei con le mani incandescenti, pronto a colpirla. Jamila, d'istinto, chiuse gli occhi e si riparò il viso con le braccia. Si sentì scaraventare lontano e temette di bruciarsi, ma non accadde nulla del genere. Horus aveva spento le proprie mani prima di colpirla. Jamila si ritrovò a terra, con un improvvisa voglia di restarci. Era stanca di perdere, anzi di combattere, non era tagliata per quel genere di cose, chiunque avesse deciso di fare di lei l'incarnazione del Ka doveva essersi sbagliato. Lei non era come Sinuhe ed Horus: era debole a aveva dannatamente paura di ciò che l'aspettava, soprattutto dopo la sua recente prigionia, che per quanto si sforzasse di lasciarsi alle spalle, continuava a tormentarla. Si raggomitolò su un fianco; sentiva l'urgenza di piangere e, per quanto stringesse gli occhi, le lacrime scendevano calde e lente lungo le guance per cadere poi a terra. Udì i passi di Horus che si avvicinavano. Lo odiò in quel momento perché avrebbe voluto che la lasciasse sola, che la lasciasse lì dov'era.
"Ti sei fatta male?" le chiese.
La osservò: era accasciata a terra, appariva fragilissima, come appesa ad un filo e per un attimo temette che quella ragazza non avrebbe mai potuto sostenere il suo ruolo, ma poi la guardò meglio e si accorse che Jamila era come il cristallo perché la sua fragilità era la sua particolare bellezza. Si accorse che la sua schiena era scossa da un singhiozzo. Le si sedette di fronte e la vide piangere, con gli occhi chiusi, in silenzio. Non gli venne in mente niente da dire. Era sempre stato penoso in quel genere di cose. Pensava una frase che gli sembrava adatta e, quando stava per pronunciarla, si rendeva conto di quanto fosse banale, stupida e soprattutto inutile.
"Che cosa c'è?" chiese infine.
Jamila non rispose. Si era spostata un po' e ora i capelli le coprivano il volto, si nascondeva dietro quel velo nero. Horus le scostò i capelli umidi di lacrime dal viso, con delicatezza, incantato da quella bellezza malinconica. Jamila aprì gli occhi, per un attimo, e si trovò quelli freddi e indagatori di Horus puntati addosso. Non si trattenne più, si mise a singhiozzare più forte, si sedette, nascondendo il volto tra le mani. Horus le passò un braccio intorno alle spalle, con tutta la delicatezza di cui era capace, con il terrore che la ragazza si potesse frantumare in mille pezzi a causa della rabbia che da sempre giaceva in lui. Avrebbe dovuto trasformare quella ragazza in una guerriera, se voleva vincere quella guerra, e così avrebbe fatto, ma per il momento doveva soltanto prendersi cura di lei. Restarono così finché Jamila non smise di singhiozzare.
"Allora? Mi vuoi dire che cosa c'è?" le chiese Horus.
Jamila, con la voce rotta dal pianto, disse:"Non ci riesco, non fa per me..."
"Calmati! Così non ci capisco niente!"
Jamila prese un respiro.
"Non posso fare la guerriera"
"Cosa?"
"Non fa per me. Non sono in grado di salvare il mondo e cose del genere. Io sono solo una cuoca"
"Non dire così, hai solo bisogno di allenarti"
"Non è vero, non ci posso riuscire comunque. Hai visto oggi?"
"Così è troppo facile. Sono capaci tutti a dire che non ci riescono e smetterla, senza neanche provarci. Se io ritenessi che tu non ci possa riuscire sarei il primo a dirti di lasciare perdere, ma non è così. Tu hai poteri straordinari"
"Come fai a dire che ne sono capace se neanche mi conosci?"
"Beh, potrei sbagliarmi, ma ti chiedo di impegnarti per dimostrare il contrario"
Jamila annuì poco convinta.
"Ci proverò" disse.
Restò ancora lì, immobile, sentendosi un po' più sicura. Non era certa che sarebbe riuscita in cose di quel genere, ma almeno in quel momento si sentiva protetta.
"Fammi vedere qualcosa, qualcosa che ti piace" disse Jamila riferendosi al meraviglioso tramonto che avevano visto la prima volta.
"Forza, vieni" disse Horus porgendole una mano.
Appena la ragazza sfiorò la mano di Horus si ritrovarono completamente circondati da uno strapiombo. Jamila urlò, aveva sempre sofferto di vertigini e inoltre non sapeva dove si trovava, riusciva solo a vedere la terra miglia e miglia sotto di lei. Si aggrappò con tutte le sue forze a Horus.
"Calmati! Jamila!" cercò di tranquillizzarla lui, ma la ragazza non lo ascoltava e il suo sguardo era perso nel precipizio. Horus la costrinse a sedersi. Solo allora Jamila si accorse che si trovavano su una cima di roccia bianchissima perfettamente piana e larga un paio di metri. Sentire la roccia sotto le palme le diede sicurezza e si calmò.
"Non credevo ti avrebbe fatto questo effetto..." disse Horus.
"Scusami, è che soffro di vertigini"
"Non lo sapevo. Se vuoi andiamo via"
Jamila scosse la testa.
"Sto bene e poi mi piace questo posto"
Era ancora pallida e stringeva spasmodicamente le dita contro la terra.
"Non si direbbe..." commentò Horus sorridendo.
Jamila arrossì, poi per cambiare argomento disse:"Dove siamo?"
"Siamo nel punto più alto del regno degli dei. Vedi qui sotto?"
Jamila si sporse appena per un attimo, impallidendo all'istante. Annuì: intorno al picco su cui si trovavano c'era una terra molto più vicina.
"Quella è la terra degli dei" continuò Horus "Mentre tutto il resto più in basso è la terra"
"Incredibile"
"Dalla terra non si può vedere questo mondo e da noi non si vede la terra, fatta eccezione per questo posto"
"È per questo che ti piace?"
"Si, mi piacerebbe visitare la terra. Dev'essere bello avere tanta gente intorno e tutto quello spazio. Qui ci conosciamo tutti ed è facile visitare tutto il regno"
"Beh, là non abbiamo niente che assomigli a questo e la gente non è sempre amichevole. Non ti perdi niente" disse Jamila.
"Neanche gli dei sono perfetti. Basta pensare a mio zio Seth" disse Horus rabbuiandosi.
Jamila avrebbe voluto dirgli di non preoccuparsi, che avrebbero sconfitto Seth, ma visto che poco prima aveva detto di non sentirsi all'altezza di quel compito non le sembrò il caso.
"Andiamo?" chiese Horus dopo un po'.
Jamila annuì e i due si ritrovarono nella Stanza.
Horus, resosi conto che la ragazza stava meglio, era già tornato quello di sempre.
“Prima di combattere di nuovo con me credo che dovresti allenarti un po' da sola, prova a controllare i tuoi poteri e potenziarli. Dovrai allenarti tutti i giorni per ottenere dei risultati, anche perché presto potremmo avere a che fare con i Sethish. Quando ti sentirai più sicura lasciami un messaggio, così ci alleneremo di nuovo”
Jamila annuì, cercando di non pensare alle conseguenze di quelle parole, poi prese il ciondolo e se ne andò.



 

Il cantuccio dell'Autrice
Salve, lettori!
L'ultima apparizione di Horus non vi è piaciuta molto, cosa ne pensate di questa? Non vi ci abituate troppo, eheheh!
Fatemi sapere, cari! E soprattutto un GRAZIE a chiunque continui a seguirmi <3
Alla prossima!
Red Wind

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Capitolo 18
*** Di come trovarono il terzo elemento ***




Di come trovarono il terzo il terzo elemento

Il fumo del fuoco morente si innalzava lento in spire ipnotiche dal bivacco, colorato dalla luce dell'alba. Jamila e Sinuhe ripresero la marcia, sforzando al massimo i loro dromedari: quella piccola pausa mattutina era tutto quello che si potevano permettere vista la fretta che avevano. Sinuhe era, infatti, tornata a essere la fanatica della tabella di marcia e aveva stabilito che per giungere in tempo a Menfi avrebbero dovuto forzare le tappe.
Erano passati un paio di giorni da quando Jamila si era allenata con Horus. La ragazza non aveva detto niente a Sinuhe, anche perché non sapeva bene cosa pensare. Da una parte non riuscire nei combattimenti era a dir poco frustrante, ma dall'altra sentiva una strana pace dentro di sé, rimasuglio della sicurezza che le aveva trasmesso Horus.
Verso mezzogiorno i dromedari diedero segni troppo evidenti di stanchezza e le ragazze furono costrette a fermarsi. Erano anche loro distrutte e stavano per riposarsi quando Sinuhe, guardando nella sua sacca, vide qualcosa di strano. Lo scarabeo che gli aveva dato Horus ormai parecchio tempo prima, quello per riconoscere l'Akh, era illuminato da una luce rosso intenso e un puntino nero restava sempre nella parte più a est dell'amuleto, comunque lo si girasse, come ad indicare una direzione. Senza pensarci due volte Sinuhe lo prese in mano e salì in groppa all'animale che le pareva più riposato.
“Aspettami qui” disse frettolosamente a Jamila, partendo senza ulteriori spiegazioni verso la direzione indicata dall'amuleto.
Jamila la guardò stupita, senza capire, la chiamò e le chiese spiegazioni, ma non ottenne risposta e così, stufa di essere sempre esclusa dai piani di Sinuhe, senza pensarci troppo, prese l'altra cavalcatura e la seguì, lasciando tutte le loro cose all'accampamento.
Sobbalzando per il trotto del dromedario e guardandosi attentamente intorno, Sinuhe seguì la direzione indicata, sapendo che non potevano perdere l'occasione di trovare l'Akh. Ad un certo punto rimise lo scarabeo rosso nella sacca: ormai non ne aveva più bisogno perché sentiva il potere dell'Akh distintamente. Trovò strano riuscire a sentire così bene la sua forza: con Jamila le era capitato solo quando la ragazza usava la magia. Più si avvicinava, però, più aveva un brutto presentimento, sentiva nell'aria qualcosa di strano. Finalmente giunse in vista di qualcosa di interessante. Dietro una duna, nel mezzo del deserto, scorse due persone: stavano combattendo e almeno uno dei due utilizzava la magia. Questi era un uomo di mezza età, dal volto pieno di profonde rughe e un sorriso disegnato sulle labbra carnose. L'altro era molto più giovane, aveva circa l'età di Sinuhe, ma la ragazza non riusciva a vederlo bene perché era di spalle. L'uomo scagliava sfere scure di varie misure che sembravano distruggere tutto quello che trovavano: se colpivano la sabbia la rendevano ancora più fine, le canne o le palme prima seccavano e poi si riducevano a un mucchietto di terra. Il ragazzo, invece, non faceva nulla e si limitava a schivare. Era così veloce che sembrava sapere già prima dove l'avversario intendesse colpire.
Sinuhe spinse il dromedario verso di loro, costringendoli a interrompere il combattimento. Scese dalla cavalcatura il fretta, mentre realizzava che l'Akh doveva per forza essere il più giovane tra i due, mentre l'altro, vista la magia che utilizzava, non poteva che essere un Sethish.
I due la guardarono allibiti, per qualche secondo, in una situazione di stallo da cui nessuno sapeva uscire. In quel momento un lampo di comprensione attraversò gli occhi del Sethish, lanciò le sue sfere in aria, alcune dirette verso il ragazzo, altre con una parabola alta. L'Akh, preso alla sprovvista, schivò quelle dirette verso di lui e non si accorse delle altre. Di lì a poco sarebbe stato colpito in pieno se Sinuhe, d'istinto, non avesse spinto via il ragazzo. Si sentì cadere, chiuse gli occhi, sperando di essere abbastanza lontano per non essere colpita. La prima cosa che vide, quando li riaprì, furono due grandi occhi verde intenso a un soffio da lei.
"Grazie" sentì dire da una voce strozzata.
Sinuhe si spostò dal petto del ragazzo, alzandosi e permettendo a lui di fare lo stesso, poi sguainò la spada e si scagliò sul nemico. L'uomo non era pronto, Sinuhe lo colse di sorpresa con un paio di attacchi e riuscì a ferirlo alla mano, ma quando si riprese riuscì a mettere Sinuhe in difficoltà. Il ragazzo si guardava intorno senza sapere che fare. In quel momento arrivò Jamila, che aveva seguito Sinuhe fin lì, e, senza farsi troppe domande, iniziò ad attaccare l'uomo che stava combattendo con Sinuhe. Dopo un paio di attacchi fallimentari, alzò una nuvola di sabbia che accecò momentaneamente l'uomo e Sinuhe ne approfittò per puntargli la spada al petto.
"Non finisce qui" disse l'uomo quando si accorse di essere alle strette.
Poi sorrise e, prima che Sinuhe potesse anche solo muoversi, svanì nel nulla.
"Perché sei corsa via così? Chi era quello? Come ha fatto a sparire? E chi è lui?" chiese agitata Jamila indicando l'Akh.
Sembrava sull'orlo di una crisi isterica.
"Chi siete voi piuttosto!" esclamò sbalordito il ragazzo.
"Calma!" urlò Sinuhe con gli occhi chiuse e le mai alzate "Vi spiegherò tutto tra poco. Ora torniamo all'accampamento, abbiamo lasciato tutte le nostre provviste incustodite" disse, guardando male Jamila.
L'Akh la scrutò a fondo per qualche secondo, poi sembrò molto sorpreso e quasi spaventato. Acconsentì a seguire le due ragazze. Sinuhe fece cavalcare la nuova conoscenza insieme a lei. Quando raggiunsero il luogo dove si erano accampate Sinuhe e Jamila, si sedettero in cerchio. La tensione si poteva tagliare con il coltello: Jasmina si mangiava le unghie e l'Akh stringeva e rilasciava i pugni nervoso. L'unica che sembrava tranquilla era Sinuhe, forse perché conosceva meglio degli degli altri la situazione.
"Iniziamo da te, Jamila" disse Sinuhe "Tutto quello che posso dirti è che l'amuleto a forma di scarabeo rosso si è illuminato e ha indicato una direzione"
"E tu l'hai seguita? Non potevi dirmelo subito?"
"Avevo fretta" si giustificò.
L'Akh le guardò senza capire, poi finalmente Sinuhe si rivolse a lui.
"Ci sono alcune cose che devi sapere, ma iniziamo dal principio. Hai presente la leggenda di Osiride?"
Il ragazzo dagli occhi verdi annuì.
"Beh, non è affatto una leggenda. È successo tutto, solo che Seth non è morto. Ora il suo spirito vive in un numero imprecisato di esseri umani, e credo che quel tizio di prima sia uno di loro. Quando gli altri dei lo hanno scoperto hanno mandato il Ba, il Ka e l'Akh per sconfiggerli, facendoli incarnare in tre persone. Noi tre"
Ci fu un attimo di silenzio.
"Va bene" rispose il ragazzo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Sinuhe e Jamila ci rimasero di stucco.
"Tutto qui? Neanche un 'incredibile!' o un 'voi siete pazze!'? Solo 'va bene'?" chiese Sinuhe sbalordita.
"Sapevo già che questo giorno sarebbe arrivato prima o poi, mi chiedevo soltanto se sarei stato dalla parte dei buoni o da quella dei cattivi"
Le ragazze lo guardarono senza capire.
"Da quando sono piccolo...riesco a sentire i pensieri delle persone" confessò.
Le ragazze rimasero molto sorprese. Sinuhe si sentì indifesa e nuda al pensiero che qualcuno potesse violare la sua mente.
"È strano, eppure non riesco a distinguere i tuoi pensieri" disse, quasi a disagio, indicando Sinuhe.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo.
"E i miei?" chiese Jamila.
"Sento che c'è qualcosa di diverso dal solito, forse è dovuto al fatto che tu sei... questa cosa, ma riesco comunque a leggere i tuoi pensieri...Jamila"
"Come...Ah, già. Ci metterò un po' ad abituarmici" disse Jamila imbarazzata.
"Io sono Sinuhe" si presentò la ragazza, diffidente.
"Il mio nome è Nakht" rispose il ragazzo dagli occhi verdi "A proposito cosa comporta la nostra posizione?"
"Beh, secondo Horus dobbiamo allenarci per poter sconfiggere i nostri nemici" rispose Sinuhe incerta: neanche lei sapeva bene quale fosse il loro compito.
"Horus? Voi gli avete parlato?" chiese sbalordito Nakht.
"Si, certo, ma non ti illudere: è un ragazzetto come noi, con una maschera da falco" disse Sinuhe sprezzante.
Nakht la guardò in un modo strano che Sinuhe non riuscì a decifrare: era deluso, incredulo? Sembrava quasi compassionevole, ma non capiva cosa c'entrasse in quella situazione.
"Ritengo che ora dovremmo riposarci, dopo provvederemo a contattare Horus e lui ci dirà cosa fare" disse Sinuhe con un tono formale che non le s'addiceva per niente.
Jamila e Nakht annuirono, l'una stanca del lungo viaggio e l'altro provato dagli ultimi avvenimenti.


Finché il sole fu alto nel cielo Sinuhe cercò di convincersi che era per quello che non riusciva a dormire nonostante la stanchezza, ma quando giunse il tramonto si rese conto che ad inquietarla era la presenza di quel ragazzo sconosciuto. Non sapevano niente di lui, eppure egli era accanto a loro mentre dormivano, incapaci di difendersi. La cosa che la spaventava di più era il suo potere di leggere nella mente; non si fidava di lui neanche quando diceva che non poteva sentire i suoi pensieri.
Sinuhe lo fissava, era disteso poco distante. Chiunque avrebbe detto che la ragazza dormiva, ma lei era vigilissima. Il suo maestro le aveva insegnato come riposarsi con i sensi vigili e ora quello che le era costato nottate di fatica e concentrazione le veniva così naturale da non poterne fare a meno. I suoi occhi vagavano su quella figura ancora così poco famigliare, mentre i suoi pensieri si confondevano nel dormiveglia in sogni insensati e solo a tratti tornava alla realtà.
Nakht non riusciva ad addormentarsi. Odiava passare notti insonni, specialmente se era stanco, perché si annoiava a morte e la mattina si alzava più stanco di come era andato a dormire. Quel giorno, però, si sentiva inquieto e aveva tutte le ragioni per esserlo. Quella giornata era stata terribile: prima l'attacco di quel tizio dagli strani poteri e poi tutta quella storia assurda di cui, a quanto pareva, lui era uno dei protagonisti. Ancora ripensava al terrore che aveva provato nel vedere il Sethish e alla disperazione che aveva sentito nei suoi pensieri. E poi non riusciva a fare a meno di immaginare quello che gli sarebbe successo se quella ragazza non fosse giunta al momento giusto, che ne sarebbe stato di lui? Sarebbe morto? Oppure qualcosa di peggio? Comunque fosse, anche se quella Sinuhe lo aveva salvato, non si fidava di lei: non lasciava capire molto di sé e il fatto di non riuscire a leggere i suoi pensieri lo metteva molto a disagio, anche perché non gli era mai capitato con nessuno. Non sapeva se fidarsi di lei e temeva che mentisse. Si girò verso Sinuhe, come se quello potesse scogliere i suoi dubbi. Gli parve di scorgere nell'oscurità un luccichio sul suo viso, circa dove doveva trovarsi il suo occhio destro, proprio come se lo stesse guardando. Sinuhe si accorse che anche lui era sveglio.
'Che cosa fa sveglio? Perché mi osservava? Che cos'ha da nascondere?' pensò Sinuhe.
E Nakht fece lo stesso.



Il cantuccio dell'autrice
Allora, che ne dite di questo nuovo personaggio? Io lo amo, ma non faccio testo x)
Spero di sentirvi presto!
Red Wind

 

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Capitolo 19
*** Di come le Incarnazioni trovarono un maestro ***


Di come le Incarnazioni trovarono un maestro

Quando, la mattina seguente, i tre giovani si svegliarono e decisero concordi di contattare Horus andando nella Stanza. Jamila attivò il ciondolo e come le volte precedenti si illuminò di luce azzurra, poi i tre si ritrovarono nella Stanza. La giovane dai poteri magici, totalmente colta di sorpresa, cadde carponi, respirando come dopo una lunga apnea.
"Che cos'hai? Stai male?" chiese Sinuhe preoccupata.
Jamila si stese a pancia in su e cominciò a bofonchiare, ma le mancava il fiato e quindi non riusciva a parlare.
"Così non capisco nulla, riprenditi un attimo e poi spiegami che cosa sta succedendo" disse Sinuhe.
A sorpresa, prima ancora che Jamila fosse in grado di parlare, fu Nakht a farlo, leggendo tranquillamente nella mente della ragazza.
"Horus aveva ragione... il teletrasporto fa stancare... più persone ci sono peggio è."
Sinuhe lo squadrò un instante, poi guardò Jamila, come a chiedere conferma, e lei annuì: era esattamente quello che stava pensando. Sinuhe si tranquillizzò e attese con calma che Jamila si riprendesse, poi diedero un'occhiata lì intorno per verificare se Horus aveva lasciato messaggi. In effetti trovarono un papiro che diceva di presentarsi quello stesso giorno dopo il sorgere del sole.
"È ancora presto, ci toccherà aspettare" disse Sinuhe scocciata.
"Ci sarà qualcosa da fare in questo posto!" esclamò Nakht, che dopo quella nottata insonne era stufo di annoiarsi.
"Questa Stanza serve per gli allenamenti..." disse Jamila, senza pensarci.
Sinuhe sorrise.
"Be’, allora usiamola!"
Jamila si astenne subito sedendosi a terra, facendo subito capire che non era in vena. Rimasero in piedi solo Sinuhe e Nakht.
"Allora tocca a noi due..." disse il ragazzo, grattandosi la nuca.
Sinuhe sorrise, come prima di ogni duello, e sguainò la spada. Bastò quel rumore metallico a far capire a Nakht che Sinuhe non scherzava: era diventata la macchina da guerra che già aveva visto combattere contro il Sethish. Lui, invece, non aveva mai combattuto e il massimo che poteva fare era schivare prevedendo le mosse dell'avversario, ma anche questo era possibile solo se riusciva a leggere nel suo pensiero.
Sinuhe attaccò con un affondo appositamente lento e Nakht schivò.
"Complimenti" disse Sinuhe con sarcasmo.
Nakht non rispose e tentò di prendere la spada di Sinuhe.
"Eh no, questa è mia!" disse lei, poi con un semplice movimento girò intorno a Nakht abbastanza per puntargli la spada al ventre.
Restò così per un secondo appena, poi rinfoderò la spada.
"Non ha senso combattere contro un avversario disarmato" commentò Sinuhe.
I tre aspettarono in silenzio l'arrivo di Horus, che si fece attendere meno del previsto.
"Siete già qui! Chi è lui?" disse Horus stupito e preoccupato che le ragazze avessero portato lì una persona qualsiasi.
"Lui è l'Akh che tanto cercavamo" disse Sinuhe.
"Davvero? È una notizia fantastica!" disse il dio soddisfatto, poi continuò: "Comunque anch'io ho delle notizie: oggi incontrerete Toth, colui che sarà la vostra guida d'ora in poi. Inoltre, visto che non è mia abitudine lasciare le cose a metà, vorrei aiutarvi a sconfiggere Seth e quindi allenarmi con voi, se nessuno a qualcosa in contrario" disse e guardò Jamila.
La ragazza non ebbe bisogno di pensarci e sorrise come sapeva fare solo lei: sembrava illuminare l'ambiente circostante e dava un senso di pace a chiunque lo vedesse. Aveva ancora dei dubbi su Horus, ma sentiva che in fondo era buono. Desiderava conoscerlo meglio e, in un certo senso, l'attraeva.
Horus sorrise di rimando, poi guardò Sinuhe per chiedere anche a lei conferma. La ragazza lo fissò intensamente, ma lui sostenne il suo sguardo.
"E io che pensavo di essermi già liberata di te..." disse Sinuhe con un tono che fece temere a tutti, e soprattutto a Horus, che dicesse di no.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Sinuhe continuò: "Comunque non sia mai che io impedisca a qualcuno di avere la sua vendetta" disse con leggerezza, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Horus allora passò lo sguardo su Nakht, ma vista la sua faccia interrogativa disse: "Tu non mi conosci ancora, il tuo giudizio resterà sospeso per il momento."
Nakht annuì.
"Ora possiamo andare nel regno degli dei, lì conoscerete Toth" disse Horus, poi si predispose per utilizzare il teletrasporto.
"Aspetta!" intervenne Jamila "Vuoi che ti aiuti? Se siamo in due faremo meno fatica".
Visto quello che le era successo trasportando due persone temeva che Horus avrebbe avuto effetti collaterali anche peggiori teletrasportando tre persone.
Horus la fulminò con lo sguardo, per poi ignorarla e proseguire nel suo intento. Si concentrò e un attimo dopo tutti e quattro si ritrovarono in una città immensa. Si vedevano ovunque palazzi articolati e lussuosissimi, distanti parecchio gli uni dagli altri. Sopra di tutti spiccava un meraviglioso palazzo di un oro opaco e spento, le pareti non erano ben definite e sembravano mutare forma, aveva l'aspetto di un miraggio. I ragazzi rimasero incantati, mentre Horus barcollò lievemente e poi partì in quinta verso il luogo in cui avrebbero conosciuto Toth.
"Che fate lì impalati? Muovetevi!" disse Horus scocciato.
Jamila lo raggiunse in fretta, eccitata.
"Questo posto è fantastico! Che cos'è quel palazzo dorato?"
"Quella è la dimora di Ra"
"Magari dopo, se ci avanza del tempo, possiamo andarla a vedere?" chiese Jamila supplichevole.
"Questa poi!" esclamò Horus fermandosi di colpo e guardandola negli occhi "Nessuno può entrare lì dentro! È assolutamente vietato! E ancora peggio è vedere Ra, nessuno ha il permesso di farlo"
"Oh, scusa, non lo sapevo" disse piano Jamila.
Non capiva che cosa prendesse a Horus. L'ultima volta che l'aveva visto era stato molto più gentile, ma oggi era insopportabile e più scorbutico del solito. Aggredirla così per una simile stupidaggine! Cosa ne sapeva lei delle strane usanze degli dei? Jamila si chiese se non avesse fatto qualcosa di sbagliato per farlo arrabbiare così. Da una parte avrebbe fatto di tutto per conoscere il motivo del suo strano comportamento, ma dall’altra era a sua volta irritata.
I ragazzi seguirono Horus attraverso le ampie strade deserte della città. Ad un certo punto spuntò dal nulla una donna. Aveva i capelli neri, lisci e lunghi. Il fisico morbido di madre conservava ancora le perfette proporzioni della gioventù. Indossava un preziosissimo vestito rosso e molti gioielli. Era bellissima, ma i suoi occhi erano malinconici e ciò offuscava la limpidezza dello sguardo.
"Mamma! Che ci fai qui?" chiese Horus scocciato.
Gli altri passarono lo sguardo dall'uno all'altra, stupiti.
"Ma ti sembra questo il modo di trattarmi?" disse severa la donna.
Sinuhe diede un finto colpo di tosse per coprire la risatina che le era sfuggita.
"Perché non mi presenti i tuoi amici, piuttosto?" continuò.
Horus sospirò.
"Lei è Jamila, Sinuhe..." disse Horus.
La donna strinse loro la mano.
"Ma che ragazze carine! Non sei d'accordo figliolo?"
Horus la fulminò con lo sguardo, ma la donna non si scompose e Horus, per quanto sembrasse impossibile, sembrò quasi imbarazzato da quel comportamento.
"Lui è Nakht".
La donna salutò anche lui.
"Io sono Iside" si presentò.
I tre ragazzi non credevano ai loro occhi, non avrebbero mai immaginato di vedere la Signora dell'Occulto in carne e ossa.
"Che ne dite, vi va se vi accompagno per un po'?" disse tranquilla la donna.
I ragazzi annuirono, nonostante Horus stesse gesticolando per fargli dire di no. Si incamminarono tutti in quel luogo sconosciuto seguendo Horus. Giunsero davanti a uno dei grandi palazzi. Era di una pietra argentata che ricordava molto la superficie della luna e su tutta la superficie erano incisi geroglifici. L'effetto era bellissimo e incantò tutti: dalle pareti stesse del palazzo sembrava provenire la luce che permetteva di vedere, ma, dopo un attimo si notava, solo un quarto del palazzo era illuminato, mentre il resto era scurissimo e quasi si confondeva con il cielo nero.
"Questa è la casa di Toth. Come avrete capito il palazzo rappresenta la Luna e la scrittura, cioè le materie di competenza del suo padrone, come tutti questi palazzi del resto" spiegò Horus e detto questo entrò.
Gli altri lo seguirono a ruota e scoprirono che anche l'interno del palazzo era del tutto simile all'esterno. Horus provò a chiamare il padrone di casa, ma non rispose nessuno e i ragazzi continuarono a vagare per l'immensa reggia dai corridoi labirintici e irregolari. All'improvviso un sagoma si stacco dalla parete, quasi come fosse fluida. Jamila urlò per lo spavento e si trovò puntati addosso gli sguardi di rimprovero sia di Sinuhe che di Horus. La figura fece un passo avanti mostrandosi alla luce. Era un uomo dall'aspetto anziano, ma non poteva dedurre di più perché indossava una maschera di metalli preziosi rappresentante una testa di ibis, simile a quella che aveva Horus la prima volta che lo avevano incontrato.
"Salve, Incarnazioni. Io sono Toth e, come già saprete, sarò il vostro maestro d'ora in poi. Il mio compito sarà quello di prepararvi nella mente, nello spirito e nel fisico, ma starà a voi impegnarvi con tutte le vostre forze per ottenere dei risultati, da ciò dipendono la vostra stessa sopravvivenza e le sorti del mondo"
Jamila deglutì.
"Dovrete lavorare come un solo uomo perché, in fondo, è quello che siete: il Ka, il Ba e l'Akh fanno parte dello stesso corpo. Eppure sento tra voi della discordia, perciò vi farò iniziare dalla Prova dell'Armonia, cioè la prova che testa se la vostra squadra funziona e siete in sintonia con i compagni. Non preoccupatevi se fallirete, potrete riprovare in seguito, questa prova serve solo per rompere il ghiaccio" disse Toth.
"Io volevo chiederle se..." iniziò Horus, ma Toth lo interrompé subito.
"Conosco la tua richiesta e credo che sarai utile, se il tuo animo sarà animato solo da sentimenti nobili" disse.
"Di cosa stai parlando? Quale richiesta?" intervenne Iside rivolta a suo figlio.
"Voglio allenarmi con loro"
"Non se ne parla, il tuo compito è finito!"
"Non mi impedirai mai di finire ciò che ho iniziato" disse Horus, deciso.
"Hai avuto la tua possibilità, ma hai fallito. Ora tocca a loro continuare" disse Iside indicando i ragazzi, quasi come se non potessero sentirla.
Horus fremette di rabbia, poi cercò di contenersi.
"Lascia almeno che gli aiuti durante gli allenamento" cedette Horus.
"Non credo che abbiamo bisogno del tuo aiuto"
"Questo non sta a te deciderlo"
Iside si addolcì.
"Fai quello che vuoi, ma io non posso vederti rischiare ancora la vita contro Seth, non dopo quello che è successo a tuo padre"
Horus, con fatica, le voltò le spalle, rimanendo saldo nella sua decisione.
"Possiamo andare" disse rivolto a Toth.
Il dio annuì e un attimo dopo tutti e quattro si ritrovarono in una grotta di ghiaccio, freddissima. Dal soffitto pendevano ghiaccioli appuntiti e instabili di varie dimensioni. Per ora si trovavano all'esterno della grotta, ma dietro di loro la strada era sbarrata, lasciando a loro l’unica scelta di addentrarsi. Sinuhe si avviò verso la grotta con il suo passo spedito e militaresco. Nakht la chiamò e le andò dietro, ma Sinuhe non si girò neanche.
"Che vuoi?" disse svogliatamente, proseguendo.
Nakht la prese per un polso costringendola a fermarsi e un attimo dopo un grosso ghiacciolo cadde e si piantò nel pavimento a un passo da Sinuhe. Se Nakht non l'avesse fermata si sarebbe trovata proprio nel punto in cui era caduto il pezzo di ghiaccio. Il tonfo che ne derivò innescò la caduta di molti altri e in breve nella grotta sembrava piovesse. Sinuhe e Nakht indietreggiarono lentamente, mentre lui ancora stringeva il polso della ragazza. Quando tornò il silenzio Sinuhe si divincolò dalla presa e i due si voltarono verso Jamila e Horus.
"A quanto pare i ghiaccioli cadono anche al minimo rumore" disse Nakht.
"Dobbiamo proseguire in silenzio e con molta attenzione" disse Horus guardando Sinuhe.
La ragazza abbassò lo sguardo, si sentiva terribilmente stupida e non era da lei. I quattro ragazzi entrarono nella grotta con cautela, camminarono sul ghiaccio scivoloso facendo lo slalom tra i ghiaccioli caduti e piantati nel pavimento. A Jamila scivolò un piede e lanciò uno strillo, mentre cadeva a terra. I ghiaccioli ondeggiarono paurosamente e uno si staccò proprio sopra la ragazza. Horus si gettò su di lei per spostarla da lì, ma così finì a sua volta nella traiettoria del pericoloso pezzo di ghiaccio. Jamila, seduta per terra, si era spostata abbastanza per non essere colpita grazie alla spinta di Horus. Il ragazzo, invece, era disteso per terra, a pancia in giù e, nonostante a Jamila sembrasse che il tempo scorresse lentissimo, il ghiacciolo si avvicinava inesorabilmente al suo corpo. La ragazza chiuse gli occhi: non voleva vedere quello che credeva sarebbe successo, non voleva credere a quello che vedeva, non poteva finire così. Nakht e Sinuhe guardarono la scena incapaci di intervenire, quasi si fossero ghiacciati per il troppo freddo. Nel giro di un secondo una fiammata altissima arrivò a lambire il soffitto della grotta, il corpo di Horus apparve trasfigurato dalle fiamme e tutti i presenti poterono sentire la potenza della sua energia. Il ghiacciolo si sciolse all'istante ancor prima di toccare terra, solo qualche goccia d'acqua raggiunse il corpo incandescente del dio, evaporando all'istante. Jamila sentì il caldo del fuoco e riaprì gli occhi appena in tempo per vedere la fiamma spegnersi e Horus rialzarsi ostentando tranquillità, quando il suo petto ancora si alzava e abbassava furiosamente.
"Muoviamoci" disse soltanto, poi si incamminò a passo spedito senza aspettare gli altri.
Sinuhe, Nakht e Jamila lo seguirono senza commentare. La giovane aveva voglia di piangere, non sapeva se di felicità, perché Horus l'aveva salvata e non si era fatto nulla, o di tristezza, perché per colpa egli aveva rischiato la vita. Le lacrime calde caddero in silenzio a terra, creando piccoli buchi nel ghiaccio. Jamila rimase indietro affinché nessuno la notasse, ma dopo un po' venne raggiunta da Nakht. Il ragazzo le sorrise in modo comprensivo e molto dolce. Jamila cercò di nascondere il volto e asciugarsi le lacrime, ma poi si ricordò che lui poteva leggere i suoi pensieri, il che rendeva tutto vano. Nakht con discrezione la prese per mano. Camminarono così finché il ragazzo non sentì che Jamila si era calmata, poi le sorrise di nuovo e con circospezione ritornò un po' più avanti, con gli altri.
I ragazzi camminarono per un po' senza inconvenienti. Sinuhe si accorse che Horus faceva un baccano infernale ad ogni passo.
"La vuoi smettere di fare rumore?" gli disse sottovoce.
"Eh?" chiese lui che non aveva capito.
"Non fare il finto tonto, non senti come rimbombano i tuoi passi?"
"Che dici, sono i tuoi che fanno più rumore, ma non te ne rendi neanche conto"
"Guarda che io sono una rivoltosa, sono addestrata a spiare e posso ucciderti alle spalle prima che tu te ne accorga!"
"Smettetela voi due, fate silenzio!" intervenne Jamila.
"Questa discussione non ti riguarda" le disse Horus.
"Fate silenzio!" disse Nakht.
"Che cosa centri tu? Non sai neanche di che cosa stiamo parlando!" disse Sinuhe.
"Parla quella che si è lanciata qua dentro senza neanche pensare alle conseguenze!".
Ormai il loro tono di voce era forte, per sovrastare quello degli altri, e tutti i ghiaccioli stavano cadendo, ma erano troppo impegnati per accorgersene. Sentirono la voce di Toth, forte, come se provenisse dalle pareti stesse della caverna.
"Guardate quello che state facendo! La prova è fallita"
I ragazzi si ritrovarono nel palazzo di Toth.
"Come mi aspettavo avete fallito. Siete stati molto bravi inizialmente, ma poi avete iniziato ad accusarvi a vicenda. Non ha importanza, riproverete in seguito. Per oggi potete andare, ma d'ora in avanti dovrete allenarvi tutti i giorni"
I ragazzi si guardarono di sfuggita, come dei bambini sgridati dai genitori.
"Andate" disse Toth.
Horus si ritrovò al di fuori del palazzo. Jamila, Sinuhe e Nakht si ritrovarono nel luogo dove avevano usato il teletrasporto. Sinuhe si mise in cammino senza dire una parola, mentre Jamila e Nakht la seguirono scambiandosi qualche occhiata di conforto.

 

Il cantuccio dell'autrice
Dopo tempo immemore, sono tornata!
Non sono mancata così a lungo solo per la mancanza di tempo. Il fatto è che ho avuto una crisi mistica riguardo a questa storia e ho concluso che quest'estate la revisionerò ancora per uniformare lo stile di 2 anni fa a quello attuale, in ogni caso credo che questa storia restrerà sempre una prova della mia "evoluzione" ^^
Da ora in poi tornerò a pubblicare regolarmente!
Per chi fosse interessato linko la raccolta sul passato di Sinuhe, Memorie di una ribelle, che è arrivata prima al contest cui partecipava *.*
A presto!
Red Wind

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Capitolo 20
*** Del Dio dell'Oltretomba e dei Sethish ***



Del Dio dell'Oltretomba e dei Sethish

Iside prese lo specchio e iniziò a mettersi il kohl. Lui era ancora seduto sul suo trono, come sempre. Ormai suo marito non era più lui. Tutti la veneravano, non solo per i suoi poteri, ma anche perché aveva ridato la vita a Osiride. Figurarsi! Certo, anche lei all'inizio si era illusa che tutto fosse finito, ma ben presto si era accorta che nessuno poteva ridare la vita a un morto, forse solo Ra. Suo marito ora era scientificamente vivo: il suo cuore batteva, respirava, mangiava se forzato, ma non parlava e sembrava non ragionare, non camminava, anzi non si muoveva affatto. Quello non era l'uomo che aveva sposato. Per i primi tempi dopo che l'aveva riportato in vita sembrava quello di una volta, ma nel girò di qualche mese era diventato apatico, di lui era restato solo il corpo e la mente era morta. Horus era nato con un padre che sembrava un vegetale ed era tutta colpa sua. Ormai era certa che sarebbe stato meglio non fare nulla e lasciarlo morire: per Horus sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto e, ne era certa, anche Osiride non amava la sua condizione. Così suo figlio era cresciuto sempre turbato, un bambino difficile dicevano. Lei era sempre occupata: doveva occuparsi anche delle faccende del marito, che ormai che dio dell'Oltretomba soltanto per convenzione e non era mai riuscita a capire quel bambino. Lui non le diceva mai niente, non esprimeva mai i suoi pensieri, i suoi sentimenti. Le voleva bene, questo sì, ma a lei non bastava e le sembrava di non conoscerlo neanche. Se ne stava sempre da solo, a rimuginare su chissà cosa. Adesso voleva combattere contro Seth, di nuovo. La prima volta gli era andata bene, ma non era valsa a uccidere il dio del Male una volta per tutte, e se questa volta fosse andata diversamente? Se avesse perso suo figlio? Cosa avrebbe fatto? L'avrebbe riportato in vita come aveva fatto con suo marito? Iside sorrise amaramente.


Nakht sentì qualcuno che lo chiamava; quando riaprì gli occhi vide Jamila.
"Svegliati, dobbiamo partire!" gli disse la ragazza.
Nakht si stropicciò gli occhi sbadigliando.
"Ma quanto abbiamo dormito? Io sono stanchissimo!"
"Non più di cinque ore" rispose Jamila.
Nakht gemette, mentre si alzava.
"Con Sinuhe si viaggia così. Non preoccuparti, ci farai l'abitudine"
"Ma quella ragazza non si stanca mai?"
Jamila alzò le spalle.
"Oppure è brava a non farlo notare..."
I due raggiunsero Sinuhe, che si stava allenando come ogni mattina, salirono sui loro dromedari e insieme ripresero il cammino.
Era passato qualche giorno da quando Toth gli aveva sottoposti alla prova. Avevano continuato il viaggio, ma si erano anche allenati ogni giorno, nella Stanza. Nakht aveva chiesto a Sinuhe se aveva un'arma che lui potesse usare, perché egli finora si era limitato a schivare, ma non era una grande tattica di combattimento. La ragazza gli aveva consegnato l'unica arma che aveva oltre alla sua adorata spada: un pugnale che teneva di riserva. Sinuhe gli aveva mostrato brevemente come usarlo e lui si era dimostrato abbastanza portato, anche perché il suo vero vantaggio era quello di leggere nel pensiero e quindi prevedere ogni mossa dell'avversario. Questo non era, però, possibile con Sinuhe, infatti Nakht non si allenava mai contro di lei. Jamila, invece, si allenava con tutti e stava migliorando molto.
Camminarono tutta la notte e all'alba i tre giunsero in vista di una grande città. Sinuhe fermò il suo dromedario e ammirò lo spettacolo della città inondata dalla luce rosa dell'alba.
"Menfi... finalmente!" disse sorridendo.
Il vento le scompigliava i capelli, le tenebre della notte e la luce del sole nascente disegnavano giochi di chiaro scuro sul suo viso, enfatizzando il suo sorriso enigmatico. Nakht rimase a guardarla incantato: così bella e così terribile! Jamila gli aveva raccontato il motivo del viaggio di Sinuhe. Tutti quegli anni dedicati alla vendetta, per uccidere un uomo. Come poteva una ragazza così intelligente e, in fondo, buona desiderare di uccidere? Quali demoni si nascondevano dietro i suoi occhi neri e impenetrabili? Nakht era più che mai deciso a scoprirlo.
I tre ripartirono subito, ma notarono subito qualcosa di strano davanti a loro: tra le luci del tramonto, poco davanti a loro, l'aria sembrava piegarsi in sinuose curve, ripiegandosi su se stessa. L'attimo dopo in quel punto si materializzarono un uomo di mezza età e una donna anch'essa non più giovanissima, ma affascinante e vestita con ricercatezza: i Sethish. Sinuhe scese immediatamente dal dromedario su cui si trovava insieme a Jamila, mentre quest'ultima restava lì senza sapere cosa fare.
"Scappa!" le disse Sinuhe.
"Ma io..."
"Ho detto di scappare!"
"Guarda che anch'io so combattere!"
Sinuhe spazientita sguainò la spada e colpì il dromedario su cui si trovava Jamila e questo partì al galoppo senza che la ragazza potesse fare nulla per fermarlo. Sinuhe si voltò verso i nemici.
"Seguila!" ordinò l'uomo di mezza età alla sua complice.
"Certo!" rispose la donna "A dopo, Hesyru"
La donna saltò in avanti e prima di toccare terra si mutò in un ghepardo, poi corse all'inseguimento di Jamila. Nakht e Sinuhe rimasero basiti.
Hesyru sorrise, adorava vedere la paura dipinta sui volti dei nemici.
"Bello vero? La vostra amica se la vedrà con lei, ma fossi in voi mi preoccuperei più per me stesso" disse iniziando a lanciare le sue sfere nere.
Sinuhe iniziò a combattere: schivava e tentava di colpirlo con la spada. L'uomo si muoveva con agilità, per Sinuhe era impossibile avvicinarsi abbastanza e a malapena riusciva a schivare gli attacchi del nemico. Nakht all'inizio non sapeva bene che cosa fare, ma poi estrasse il pugnale e, senza farsi notare, aggirò Hesyru portandosi alle sue spalle. Sinuhe stava perdendo colpi ed era sempre più in difficoltà, mentre Hesyru era in piena forma e sembrava quasi divertirsi. Nakht si preparò a pugnalare il nemico alle spalle, stava pensando dove ferirlo per metterlo fuori combattimento senza ucciderlo, ma all'improvviso Hesyru sguainò una spada e disarmò Sinuhe facendo volare l'arma della ragazza lontano; poi riuscì a colpirla di striscio al petto. Nakht, allora, si vide costretto ad intervenire in fretta e colpì il nemico al braccio. Hesyru, con il pugnale ancora conficcato nel braccio, si voltò verso di scatto verso il ragazzo, gli occhi fiammeggianti. Sembrava che non si fosse fatto nulla e che non patisse il dolore, ma era più che arrabbiato. Creò un'enorme sfera nera e la lanciò contro Nakht. Il ragazzo schivò, ma venne comunque colpito alla mano sinistra. Urlò e i suoi occhi sembrarono perdersi in un abisso di dolore folle. Sinuhe vide parte della mano di Nakht divenire sempre più rugosa ed infine trasformarsi in polvere, lasciando soltanto le ossa. Lo stesso Nakht vide la trasformazione della sua mano: ora due delle sue dita non avevano più la carne e la pelle, ma soltanto le ossa, come uno scheletro. Inoltre nel confine tra il punto in cui ancora c'era la carne e quello senza c'era un taglio netto e Nakht prese a sanguinare copiosamente. Sinuhe recuperò immediatamente la sua spada e, mentre ancora Hesyru gioiva della ferita inflitta al nemico, ella lo colpì all'altro braccio. Questa volta Hesyru sembrò risentire della ferita e grugnì per il dolore.
"Vi siete salvati ancora una volta, ma quando troveremo anche gli altri Sethish non avrete più speranza!"
Non sembrava tanto dispiaciuto quanto Sinuhe si sarebbe aspettata e, nonostante le profonde ferite, sorrideva ancora, maligno; poi in un attimo svanì nel nulla.
Sinuhe corse immediatamente da Nakht. Ancora non si fidava di quel ragazzo, ma ora che lo vedeva in difficoltà, forse perché era un alleato indispensabile in quella guerra, forse perché qualche giorno prima le aveva salvato la vita, non poteva fare a meno di patire con lui e di conseguenza fare il possibile per aiutarlo. Ancora una volta si era esposto per aiutarla e ne aveva pagato le conseguenze e in fondo non aveva alcun motivo di risentimento verso Nakht, ad eccezione del suo innato scetticismo. Ora il ragazzo era in ginocchio e si guardava inorridito la mano sinistra. Sinuhe si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi, ma egli non si mosse di un centimetro, la ragazza allora si chinò per guardarlo in faccia e si accorse che stava piangendo.
"Cosa c'è? Dai alzati!"
"N-non ce la faccio"
"Oh Dio! Non è il momento di avere un crollo emotivo!"
"Ma guarda la mia mano, ci sono solo più le ossa!"
"Si, me ne sono accorta..."
"Ma come puoi dire così? È la mia mano, è una parte di me, È ME!"
"Quante storie, basterà amputare un paio di dita..."
"Stai scherzando?"
Vista la faccia impassibile di Sinuhe, Nakht sprofondò in un angoscia ancora più profonda. La ragazza capì che la situazione era grave. Prese un profondo respiro, portò il suo volto ad un soffio da quello di Nakht e lo obbligò a guardarla negli occhi.
"Adesso ascoltami bene. Capisco che non sia piacevole essere feriti o perdere delle dita, ma ormai non ci puoi più fare niente. Adesso puoi solo scegliere se restare qui a piangerti addosso aspettando di morire dissanguato oppure venire con me e rimetterci solo un paio di dita"
Nakht annuì. Sinuhe si alzò.
"E poi smettila di piangere, i veri uomini non piangono"
Nakht si passò un braccio sul volto e un attimo dopo non c'erano più tracce del momento di debolezza che aveva appena avuto. Sinuhe strappo un pezzo dal proprio vestito e lo legò intorno al braccio di Nakht, come fosse un laccio emostatico, per evitare che perdesse troppo sangue; poi bendò la ferita molto velocemente, più per non farla vedere che per curarla. I due salirono sull'unico dromedario rimasto. Sinuhe pensò a Jamila: se la sarebbe cavata? Si fidava di lei, ma era comunque preoccupata. Decise di andare verso Menfi: era la città più vicina oltre che il loro obbiettivo. Aveva intenzione di andare nella base dei rivoltosi perché lì sarebbero stati al sicuro e avrebbe potuto curare Nakht. Spinse il dromedario alla massima velocità, lei era seduta davanti e guidava, mentre Nakht era dietro e si aggrappava alla sua vita con l'unica mano sana che gli restava.
"Tu dici tanto, ma vorrei vederti nella mia situazione" disse Nakht, quasi scherzando.
Sinuhe capì che doveva soffrire molto.
"Non credere che io non si mai stata ferita..." rispose Sinuhe e iniziò a raccontare di tutte le sue ferite.
Man mano che procedevano Sinuhe sentiva la presa di Nakht sul suo fianco diventare sempre più debole e temeva che perdesse i sensi. Quando esaurì tutte le ferite che le avevano inferto iniziò ad inventare epiche battaglie dai finali surreali. Nakht rideva a quelle bufale raccontate così seriamente e cercava di resistere. Quando finalmente giunsero a Menfi, Sinuhe si sforzò di ricordare dove si trovasse la base dei rivoltosi in quella caotica città, ma ci mise comunque più del dovuto. Appena arrivata, senza il minimo saluto, sbraitò di aiutarla e prepararle una camera con due letti e degli attrezzi da pronto soccorso. I rivoltosi ubbidirono, vista la gravità della situazione, anche perché conoscevano Sinuhe e l'importanza della sua missione. La ragazza continuò a dare ordini quasi urlati e insultò chiunque le capitasse davanti mentre aiutava Nakht a scendere dal dromedario e a raggiungere la stanza che gli era stata preparata.
"Sinuhe" la chiamò Nakht che aveva perso molto sangue e appariva debolissimo.
La rivoltosa si girò e lo guardò negli occhi verdi per un secondo e, senza che lui dicesse niente, si rese conto che stava esagerando, in quel modo non avrebbe risolto niente. La tensione si faceva sentire anche su di lei e si stava facendo prendere dal panico. Prese un profondo respiro e continuò a camminare sforzandosi di stare più tranquilla. Entrò nella stanza che gli era stata preparata e ordinò a tutti di lasciarla sola e non entrare per nessun motivo. Adagiò Nakht su uno dei due letti, tolse l'inutile benda che aveva in precedenza messo sulla ferita e la pulì. Nakht era semi cosciente e gemeva quando Sinuhe era troppo poco delicata. Quando la ragazza ebbe finito si vedevano bene le ossa delle due dita colpite. Avrebbero dovuto chiamare un medico per amputarle, ma come avrebbe spiegato una ferita così particolare? Nessuna arma poteva fare una cosa del genere. Non c'era altra scelta: avrebbe dovuto farlo lei. Vide il seghetto insieme a tutti gli altri attrezzi e si sentì mancare. Tra tutte le cose che gli si poteva chiedere quella era una delle peggiori: se si trattava di combattere, ragionare o fare molte altre cose sapeva di poterci riuscire, ma la medicina non le era mai piaciuta. Non è che le facesse impressione, ma non sopportava di vedere gli altri soffrire. Non riusciva, nonostante in genere avesse molto sangue freddo, a mantenere la calma e a rimanere indifferente di fronte al dolore; inoltre non se la sentiva di decidere quanto una persona potesse soffrire e quando, invece, necessitava di un sedativo per alleviare il dolore. Era stata ferita molte volte e sapeva che ci sono momenti in cui senti di non farcela, in cui senti il dolore sopraffarti. Adesso, invece, doveva causare lei stessa il dolore e ogni errore poteva rivelarsi fatale. Nakht gemette, riportandola alla realtà. Era meglio sbrigarsi. Doveva somministrargli il narcotico per farlo addormentare, ma non aveva idea della dose. Uscì dalla stanza e si trovò davanti molti dei suoi compagni, curiosi e preoccupati. Tra loro c'era anche il medico.
"Quanta sostanza devo somministrargli affinché si addormenti del tutto?" chiese Sinuhe con il farmaco in mano.
Ostentava la sicurezza che non aveva.
"Per cosa..."
"Non ha importanza! Si limiti a rispondere alla mia domanda" insistette decisa.
Il medico si arrese e le indico la quantità giusta. Sinuhe rientrò nella stanza dove giaceva Nakht e gli diede subito il sonnifero. Prese il seghetto e lo disinfetto con una fiamma. Quando avvicinò la lama alle dita si Nakht cominciò a tremare e a sudare freddo. Si allontanò un attimo e prese un profondo respiro, poi cominciò il lavoro. Dal punto di vista tecnico non era un lavoro molto difficile, ma a Sinuhe costava parecchia fatica. Nakht si svegliò nonostante il sonnifero e cominciò a lamentarsi, sempre più forte fino a urlare. Sinuhe si sforzava di ignorarlo, ma la cosa la faceva impazzire. Quando ebbe finito si alzò in piedi, ma ebbe un lieve mancamento e dovette appoggiarsi alla parete. Appena si fu ripresa uscì dalla stanza e chiamò il medico, tutti la guardarono in modo strano, ma lei non si rese conto di nulla finché il medico non le chiese se stava bene. A quel punto si rese conto con orrore di avere ancora tutte le mani insanguinate e di stare ancora tremando. Annuì poco convinta.
"Si preoccupi di lui" disse, indicando Nakht. Il medico si avvicinò al ragazzo e bendò con cura tutte le sue ferite, mentre Sinuhe si sedeva poco distante a osservare.
"È sicura di stare bene? Non è ferita?" chiese il medico quando ebbe finito.
Sinuhe disse di stare bene e lo pregò di andarsene. La ragazza si sciacquò le mani e si sedette di fianco a Nakht. Egli la sentì avvicinarsi e aprì gli occhi, vedendola molto provata.
"È successo qualcosa?" chiese con voce rotta.
"Ho dovuto amputarti le due dita"
Nakht deglutì.
"Be', lo avevo sospettato" disse, sforzandosi di sorridere.
Anche Sinuhe si lasciò sfuggire un sorriso.
Nakht faticava a restare sveglio: il sonnifero e la grande perdita di sangue si facevano sentire. Stava già per sprofondare nell'oblio quando all'improvviso prese la mano di Sinuhe e disse: "Non te ne andare, ti prego...".
Sinuhe sentì un brivido salirle lungo la schiena e annuì, stringendogli a sua volta la mano. Restò a lungo seduta, ma quando la tensione svanì arrivò la stanchezza. Il suo letto era dall'altra parte della stanza e non ci poteva andare perché Nakht le teneva ancora la mano, così si stese lì per terra, al suo fianco. L'ultimo pensiero prima di addormentarsi fu per Jamila.

 

 
Il cantuccio dell'Autrice
Eccomi ^^
Tra poco inizierò a revisionare la storia, ma non preoccupatevi perché probabilmente non ci saranno cambi di trama tali da necessitare una rilettura, nel caso vi avvertirò :)
Alla prossima!
Red Wind

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Capitolo 21
*** Di lotte e ricongiungimenti ***


Di lotte e ricongiungimenti

Jamila ribolliva di rabbia mentre il dromedario, ferito dalla spada di Sinuhe, correva all'impazzata senza che lei potesse guidarlo. Trovava ingiusto essere sempre considerata incapace, ma, d'altra parte, sapeva che non era un caso se Sinuhe la pensava così, e questo forse le faceva ancora più male.
Il dromedario stava continuando la sua corsa verso una piccola oasi poco lontano, quando Jamila notò uno strano animale correre al suo fianco. Un grosso felino maculato che sfrecciava sulla sabbia: un ghepardo. Jamila sapeva che a Menfi i nobili li utilizzavano per la caccia, ma trovarne liberi in quelle zone era praticamente impossibile. Sembrava quasi che sorridesse, ma forse, trattandosi di un animale, era solo un ringhio. Il felino si avvicinò e morse una zampa al dromedario, il quale si fermò all'istante. Jamila cadde a terra e quando si rialzò non c’era più nessun ghepardo, ma vi era una donna, la stessa che aveva visto prima insieme al Sethish.
Subito non capì, ma quando vide il nemico trasformarsi in un grande orso nero, comprese che si trattava del suo potere. L'orso le si avvicinò con fare minaccioso. Jamila si guardò intorno alla ricerca di qualcosa da usare come arma e vide soltanto le solite noci di cocco, sulle palme dell'oasi a pochi metri da loro. Le scagliò contro l'orso senza però nuocergli troppo. Il nemico allora si trasformò in un uccello e schivò tutti i suoi attacchi. Jamila era spaventatissima da quel nuovo potere, ma anche decisa a non farsi uccidere, la necessità di reagire mise in secondo piano la paura e la mancanza di fiducia in se stessa. Prese il controllo di tutte le noci di cocco e le lanciò contro l'uccello da ogni direzione, in modo che non avesse via di scampo. Il volatile venne colpito e cadde a terra, poi si trasformò di nuovo nella donna, che parve un po' ammaccata e ansimante. Appena si fu ripresa, la Sethish divenne una leonessa e si avventò sulla ragazza mordendole una gamba. Jamila urlò, mentre il nemico si godeva la scena da poco distante. La cuoca si vide persa, ma, contrariamente a quanto accadeva solitamente, quella consapevolezza fece scattare in lei l'istinto di sopravvivenza, che in breve si tramutò in nuova forza. Raccolse tutte le energie rimaste e controllò alcune grandi palme. Le scagliò con forza contro la leonessa, che, presa alla sprovvista, venne colpita e ferita gravemente. Il nemico ritornò a essere donna.
"Non credere di avere vinto, questa era solo la prima battaglia. Io ti perseguiterò finché non ti avrò eliminata e alla fine mi chiederai in ginocchio di ucciderti pur di non dover continuare a fuggire da me!" disse con rabbia prima di svanire nel nulla.
Jamila raggiunse il dromedario, mentre la gamba ferita le procurava stilettate di dolore ad ogni passo. Salì a fatica in groppa all'animale e decise di andare verso Menfi, poteva rifugiarsi nella casa dove aveva abitato fino a qualche mese prima. Ci avrebbe messo parecchio tempo poiché il dromedario era azzoppato. Anche lei, però, non stava molto meglio: la ferita alla gamba era dolorosa e la paura che aveva provato le offuscava ancora la mente, ma era orgogliosa di essere riuscita, per una volta, a sconfiggere da sola un nemico, riuscendo a controllare con il suo potere qualcosa di massiccio come le palme.
Dopo alcune ore giunse a Menfi. Sfinita, si recò subito da un medico, una vecchia amica di famiglia. Bussò alla sua porta stravolta e zoppicante, con una gamba insanguinata, ma la donna, bassa, in carne e dai seni prosperosi, appena la riconobbe le sorrise e la aiutò senza chiederle nulla. Jamila, tra la tensione e la ferita, perse i sensi. L'ultimo pensiero prima di cadere nell'oscurità totale fu per Sinuhe.



Sinuhe si svegliò con la mano ancora in quella di Nakht. D'istinto la mollò bruscamente, chiedendosi per quale motivo avesse fatto una cosa simile, ma poi lo vide giacere nel letto, ancora debole e provato e si ricordò di tutto. Lo scosse lievemente. Sapeva che era meglio lasciarlo riposare, ma dopo l'operazione forzata che aveva dovuto fare i suoi nervi erano a pezzi e aveva bisogno di conforto, almeno di sapere se stava meglio. Nakht aprì gli occhi piano.
"Sei qui..." disse appena riconobbe Sinuhe.
"Sì, come ti senti?"
"Molto meglio di ieri"
"La mano ti fa male?"
Nakht provò a muoverla, quando una smorfia di dolore si dipinse sul suo viso.
"Direi di sì, ma c'è una cosa positiva"
"E cosa sarebbe?"
"Che non mi fanno male le dita!"
"Idiota, certo che non ti fanno male, non le hai più!" disse Sinuhe scioccata.
"Lo so! Era solo una battuta, ma tu non ce l'hai il senso dell'umorismo?"
"Io? Tu piuttosto, come fai a scherzare in un momento come questo?"
"Cerco solo di sdrammatizzare..."
Sinuhe lo guardò come se avesse mille cose da urlargli contro, ma poi si buttò a sedere per terra.
"Scusa, hai ragione, ho i nervi a pezzi"
"Anch'io, letteralmente" disse Nakht sorridendo.
Questa volta anche Sinuhe si fece contagiare da quel macabro umorismo e si concesse una risata.
"Ora vado a chiamare il medico, così controllerà le tue ferite" disse Sinuhe avviandosi verso la porta.
Poco dopo il medico entrò, cambiò le bende a Nakht e disse che il ragazzo sarebbe guarito in fretta. Nakht si addormentò subito dopo e Sinuhe ne approfittò per cambiarsi e medicare la ferita che aveva al petto, anche perché il vestito era strappato e tutto sporco. Quando fu pronta uscì dalla stanza per discutere con i compagni i dettagli della missione. Nel frattempo era molto preoccupata per Jamila e, inoltre, aveva un problema: doveva trovarla prima di uccidere il faraone, perché dopo si sarebbe scatenata la rivolta. Nel caos generale sarebbe stato impossibile trovarla e avrebbe rischiato la vita se si fosse trovata nel luogo sbagliato.
Dedet, il capo della base di Menfi, ovvero la massima autorità presente, spiegò la situazione a Sinuhe.
"Tutte le unità sono pronte all'attacco, anche il Capo è già a Menfi, quindi prima inizierai la missione meglio è. Possiamo aspettare al massimo una settimana. Hai già iniziato i preparativi per infiltrarti a corte?"
"No, ho bisogno di più tempo!" disse Sinuhe nervosa.
"Vedi di sbrigati, ci sono molte persone che farebbero volentieri la tua missione, anche se tu sei la più indicata al momento. Se ti serve aiuto ti posso fornire tutti gli uomini che ti servono"
"No, preferisco fare da sola, ma prima di iniziare la missione ho un lavoro da sbrigare"
"Cosa ci può essere di più importante della missione che prepari da anni?"
Sinuhe digrignò i denti. In effetti non c'era nulla di più importante, ma se per salvare la vita di Jamila avrebbe dovuto rimandare tutto di qualche giorno l'avrebbe fatto, in fondo non si trattava di rinunciare al suo obbiettivo.
"Allora?" chiese ancora il rivoltoso, Sinuhe non gli aveva risposto, persa nei sui pensieri.
"Non sono affari che ti riguardano! Non provate a sostituirmi o faccio saltare la missione!"
"E come pensi di fare? Ormai tutti gli uomini sono pronti, solo in attesa di un segnale"
"Io..." Sinuhe prese un profondo respiro "...avvertirò il faraone del nostro piano!"
Il capo della base rimase di stucco.
"Non lo farai sul serio? Dopo tutto il tempo che tu stessa hai dedicato a questa missione..."
"Non mi interessa!" urlò Sinuhe ''Voi provate a mandare qualcun altro a uccidere il faraone o a fare partire la rivolta prima del mio segnale e ti assicuro che faccio saltare tutto!"
Il rivoltoso strinse i pugni.
"Tu non hai il diritto di dare simili ordini!"
"Oh, ma i miei non sono ordini, questo è un ricatto. Ora vado, visto che ci sono alcune persone che mi stanno mettendo fretta".
Detto questo Sinuhe uscì dalla stanza, stupita che il suo bluff avesse funzionato. Fortunatamente Dedet non la conosceva molto bene, altrimenti avrebbe saputo che Sinuhe non avrebbe mai lasciato che il faraone vivesse. Con un sospiro di sollievo tornò da Nakht. Lo svegliò bruscamente.
"Io vado a cercare Jamila, tu resta qui e non ti muovere"
"Voglio venire anch'io!"
Sinuhe lo guardò duramente.
"Mi saresti solo d'intralcio, inoltre è pericoloso"
"E da quando ti preoccupi per la mia incolumità?"
Sinuhe lo guardò ancora peggio di prima, ma il ragazzo resse il suo sguardo e lei uscì senza aggiungere altro, dichiarando chiuso l'argomento. Trovare l'amica, in ogni caso, non sarebbe stato facile. Era convinta che fosse anche lei a Menfi e probabilmente si era rifugiata nella casa dove abitava prima, ma Sinuhe non sapeva dove fosse. Decise, quindi, di andare nella reggia: voleva provare a farsi assumere come cuoca, in modo da avvicinarsi al faraone e allo stesso tempo chiedere informazioni su Jamila e su dove abitava.
Entrò nel palazzo dalla porta secondaria e si presentò alla capo cuoca. La donna disse che in effetti una cuoca serviva e che avrebbe fatto provare Sinuhe per vedere se fosse stata idonea al lavoro. In realtà la ragazza non era per niente brava ai fornelli, ma agli ultimi arrivati toccavano sempre i lavori più umili e quindi più facili. Appena fu assunta Sinuhe cominciò a fare domande alle colleghe. Si presentò come una ragazza estremamente estroversa e socievole, parte che le costò una certa fatica. Disse che una sua vecchia amica le aveva consigliato di andare a lavorare lì. La prima a cui parlò si ricordava a malapena di Jamila, ma le disse che passava molto tempo con una ragazza e gliela indicò. Appena fu possibile Sinuhe andò a parlarle, inventando sul momento una storia credibile su come avesse conosciuto Jamila e di come l’avesse poi persa di vista (aveva sempre avuto molta fantasia e la storia risultò ricca di particolari). Infine le chiese se sapesse dove abitava la giovane. La ragazza rispose che era stata varie volte a casa sua e indicò a Sinuhe il luogo preciso. La rivoltosa la ringraziò con tutto il cuore, ma la ragazza sembrava triste.
"Che succede?" chiese Sinuhe.
"Jamila è scomparsa improvvisamente, senza neanche salutarmi, non l'ho più vista da quando è andata a portare il pranzo al faraone" disse la cuoca corrugando la fronte.
A Sinuhe pesò molto non poter dire a quella donna la verità.
"Non so cosa sia accaduto, ma sono certa che stia bene. Questa sera dopo il lavoro vado a vedere se è a casa e se scopro qualcosa domani ti informo" disse Sinuhe posando una mano sulla spalla della ragazza.
"Ho provato già molte volte a cercarla, ma senza risultato" disse sconsolata la ragazza, poi Sinuhe fu chiamata dalla capo cuoca e si allontanò.
Sinuhe finì di lavorare molto tardi. Era stanca morta, non avrebbe pensato che cucinare potesse essere più stancante di un allenamento da soldato, almeno per una che, come lei, non era abituata. Uscì dal palazzo del faraone e si avventurò per le vie deserte di Menfi. L'oscurità dei vicoli non aiutava a trovare la casa di Jamila e Sinuhe ci mise un po'. Finalmente trovò la porta che le era stata indicata, bussò, tesissima, sperando con tutto il cuore che Jamila aprisse la porta, sperò che davvero, come lei aveva supposto, fosse tornata nella sua casa. I secondi passarono e Sinuhe non udì alcun rumore, attese ancora, poi imprecò e si voltò per allontanarsi. Non udì neanche lo scatto della porta. Sentì soltanto qualcuno pronunciare il suo nome, timoroso. Si voltò di scattò, trovando Jamila sulla porta. Quando la cuoca la vide le corse incontro, seppur zoppicando, e l'abbracciò.
"Che cosa hai fatto alla gamba?" chiese subito Sinuhe.
"È una lunga storia, la Sethish..." rispose la ragazza.
"Poi mi racconti, ora dimmi perché non hai aperto subito la porta, ho temuto il peggio..."
Jamila sorrise vedendo la sua amica così preoccupata per lei.
"Be', stavo dormendo e poi questa gamba mi dà sempre fastidio"
"Va bene, va bene, io e Nakht siamo stati nella base dei rivoltosi, vuoi venire? Lui è ferito ed ora è là"
"Sì, però mi devi raccontare un po' di cose!"
"Anche tu!" rispose Sinuhe sorridendo.


 

Il cantuccio dell'Autrice
Salve a tutti!
Vi annuncio con giuia (?) che la revisione degli scorsi capitoli sta procedendo (motivo per cui non sono riuscita ad aggiornare prima) e presto spero di poterli mettere on-line.
In questo periodo ho anche iniziato una nuova storia, sempre fantasy seppur molto più dark e misteriosa (?), Death Among Us, se vi va di passare ^^
Nel frattempo ditemi un po' cosa ne pensate di questo capitolo. Ci stiamo avvicinando sempre di più al fatidico momento tanto aspettato da Sinuhe, andrà tutto come previsto?
Lo scopriremo nella prossima puntata xD
A presto!
Red Wind

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Capitolo 22
*** Di conflitti tra alleati ***


Di conflitti tra alleati

"...e così ho scoperto il tuo indirizzo" concluse Sinuhe.
Le ragazze camminavano fianco a fianco per le vie notturne deserte di Menfi, ormai erano quasi giunte alla base dei rivoltosi.
"Hai fatto davvero veloce a trovarmi. Io non sapevo proprio cosa fare, ero certa che anche tu fossi qui, ma non sapevo dove. Ancora una volta hai salvato la situazione" disse Jamila, un po' abbattuta.
Sinuhe, intuendo i pensieri dell'amica, disse:"Non dire così, sei stata fantastica contro quella Sethish"
"Come fai a dirlo? Non c'eri!"
"Sì, ma ho visto come si trasformava e posso assicurarti che uscirne da vincitrice, con solo una ferita alla gamba, è una bella impresa"
"Almeno per una volta ho combattuto da sola, senza che nessuno che mi salvasse" disse Jamila, orgogliosa.
"Esatto! Sei migliorata tantissimo ultimamente nell'uso dei tuoi poteri"
"Sì, ma sono ancora la più debole del gruppo"
"Non importa, se continui così in breve diventerai la migliore. Hai già avvertito Horus dell'accaduto?"
"Veramente no, non avevo abbastanza energie per usare il teletrasporto"
"Bene, vorrà dire che ce ne occuperemo domani"
Alla base, Sinuhe presentò Jamila come una sua amica, senza dare ulteriori informazioni. Quando entrarono nella stanza di Sinuhe, trovarono Nakht che camminava nervosamente avanti e indietro.
"Dove diavolo eri finita?" chiese d'impulso il ragazzo.
"Te l'ho detto, sono andata a cercare Jamila"
"Ma è notte fonda!"
"E con questo?"
"Io... pensavo... è strano, a quest'ora... magari ti era successo qualcosa..."
"E da quando ti preoccupi per la mia incolumità?" rispose Sinuhe ripetendo, senza rendersene conto, le stesse identiche parole che le aveva rivolto Nakht quella mattina.
I due si guardarono per un attimo e poi abbassarono lo sguardo, considerando il discorso chiuso e i conti pareggiati. Jamila, che aveva assistito a tutta la scena, non capì, ma non chiese nulla.
Sinuhe chiese che venisse portato un altro letto e i tre si prepararono a dormire. Sinuhe, però, non riusciva ad addormentarsi. Notò che anche Nakht era ancora svegliò, mentre Jamila dormiva.
"Come va la mano?" gli chiese sottovoce per non svegliare l'amica.
"Bene, anche se ogni tanto mi fa male"
"Be', credo che sia normale"
"Lo credo anch'io. Come hai fatto a trovarla?"
"Ho chiesto alle sue colleghe dove abitava..."
"Ma lei non lavorava nel palazzo del faraone?"
"Sì e quindi?"
"Sei andata lì?"
"Certo"
"Tu sei ricercata, è pericoloso andare nella tana del nemico"
"Ti risponderei con una certa frase, ma penso che per oggi sia stata detta abbastanza volte, e poi dovrò pur avvicinarmi per ucciderlo"
"Sei sicura di volerlo fare?"
"Certo, perché non dovrei?" disse Sinuhe con la voce lievemente incrinata.
"Perché così ti abbasserai al suo stesso livello e ti rimarrà per sempre sulla coscienza il peso del delitto"
"Anche tu con questa storia? Smettetela con queste stupide ramanzine, tanto non riuscirete mai a farmi cambiare idea" e detto questo Sinuhe si girò dall'altra parte e si sforzò di dormire.



Jamila si svegliò per prima e si accorse che se Sinuhe voleva andare di nuovo a lavorare come cuoca doveva fare in fretta, perché era già in ritardo. Quando Sinuhe fu sveglia, chiese a Jamila di non svegliare Nakht finché lei non fosse uscita perché non aveva voglia di parlargli. Jamila non capì, ma si limitò ad obbedire.
"Oggi lavorerò normalmente per non destare sospetti e domani agirò" aggiunse poi.
"Intendi uccidere il faraone domani?" chiese Jamila preoccupata.
"Esatto"
"Sinuhe..."
"Sì?"
"Non sei costretta a farlo, se non ti va più, se non vuoi provare di nuovo quello che hai provato quando hai ucciso quel soldato..."
Jamila scorse la rabbia divampare negli occhi di Sinuhe.
"Smettetela con questa storia! Non vi sopporto più! Decido io quello che voglio fare e sono più che decisa nel compiere questa missione! Non sono affari che vi riguardano, cosa te ne importa del peso del delitto, del rimorso e di tutte quelle altre cavolate? È una cosa che riguarda me e me soltanto!" disse Sinuhe fuori di sé, la voce roca.
Jamila divenne improvvisamente fredda.
"Oh, cosa ce ne importa, dici? Riguarda solo te, non è vero? Si vede che non conosci il senso dell'amicizia. Non hai mai avuto un amico, vero? Scusa se mi preoccupo per te, ma non è colpa mia se sei così incosciente e non te ne importa niente della tua vita!"
"Appunto la MIA vita! Decido io cosa fare della MIA vita!"
"No...no, quando hai degli amici o qualcuno che ti vuole bene la tua vita non ti appartiene più!" disse Jamila mentre le lacrime cominciavano a rigarle il volto.
"Dì pure ciò che vuoi, ma io non cambierò idea!" disse Sinuhe con voce spezzata.
Nakht, che con quelle grida si era svegliato e aveva sentito tutto, disse: "Ha ragione Jamila"
Sinuhe lì guardò entrambi per un secondo, sembrava che stesse per esplodere dalla rabbia e che avesse mille cose da dire, ma poi si voltò, prese la prima cosa che le capitò a tiro, cioè la ciotola dove aveva consumato la colazione, e la tirò per terra, poi uscì dalla stanza.
Jamila non riusciva a fermare le lacrime, ma cercava di mantenere un contegno. Nakht la guardava comprensivo.
"Sono d'accordo con te e provo le tue stesse emozioni" disse.
Jamila cercò di cambiare quel triste argomento almeno per il momento e fece una domanda che la assillava dalla sera prima.
"Cosa è successo tra te e Sinuhe? Mi sembra che ora andiate d'accordo"
"Sì, conoscendola meglio ho capito che è una brava ragazza, molto altruista, intelligente... Mi ha salvato di nuovo la vita e anche dopo mi è stata indispensabile"
"Sono felice che vi siate conosciuto meglio, questo semplificherà molto le cose. Dovremmo mettere al corrente Horus dell'attacco che abbiamo subito"
"Immagino di sì"
Jamila si predispose ad usare il teletrasporto.
"Vuoi venire con me?"
"Non vorrei causarti fastidi con la magia e poi preferisco rimanere qui questa volta, non mi sento ancora molto in forma"
"Ti serva qualcosa? Vuoi che chiami un medico?"
"No, grazie, sto bene così, mi serve solo un po' di riposo"
"Va bene”



Jamila concentrò la sua energia magica nel piccolo ciondolo che teneva in mano, attivandolo. Un attimo dopo si ritrovò nella Stanza, a prima vista deserta. Diede un'occhiata in giro, trovando, come del resto si era aspettata, un messaggio di Horus. Chiedeva alle tre Incarnazioni di incontrarsi lì la sera prima, ma ovviamente nessuno si era presentato.
Jamila sospirò. Sicuramente Horus doveva essere preoccupato per la loro improvvisa sparizione. Pensò di lasciare a sua volta un messaggio, ma poi si rese conto di non avere idea di quando sarebbe potuta tornare nella Stanza, con la rivolta imminente e tutti gli altri problemi che attualmente rendevano la sua vita così imprevedibile. Avrebbe dovuto trovare un modo per contattare subito il dio. Immediatamente l'idea la attraversò la mente come un fulmine, c'era soltanto una cosa possibile da fare: raggiungere il mondo degli dei e con esso Horus. Aveva visto il ragazzo fare trasportarli dall'altra parte in un modo simile a quello che usava lei per andare nella Stanza, seppur senza avere un amuleto apposito. Sentiva che i propri poteri le permettevano di farlo, ma allo stesso tempo aveva il presentimento che fosse rischioso intraprendere un simile viaggio, se così si poteva chiamare, senza essere esperti. Rifletté qualche minuto, cercando un'altra soluzione, ma alla fine si scoprì disposta a rischiare e, allo stesso tempo, desiderosa di compiere per una volta qualcosa di importante e utile con la sua magia.
Sorrise tra sé chiedendosi se Sinuhe non l'avesse contagiata con la sua spericolatezza, poi chiuse gli occhi e si concentrò al massimo su un punto preciso del regno degli dei, proprio dove Horus li aveva teletrasportati la prima volta. Attese, sforzandosi di rimanere aggrappata alla Stanza, finché nella sua mente non ebbe chiaro il luogo in cui voleva andare. Ogni cosa si delineò nei particolari nella sua mente, come se già si trovasse là, e solo a quel punto, concentrandosi sul suo obiettivo, si lasciò trasportare verso di esso. Restò in quella specie di oblio che sentiva sempre durante il teletrasporto un po' più a lungo del solito e per un secondo temette che non ce l'avrebbe fatta, che sarebbe restata lì per sempre, ma poi sentì il suolo sotto i piedi. Di colpo tutte le forze l'abbandonarono e cadde a terra. Mise avanti le mani per fermare la sua caduta, ma le braccia le cedettero e si ritrovò faccia a terra.
Fu in quel momento, mentre combatteva contro il malessere generale che l'aveva pervasa, che vide Horus. Stava passando per l'ampia via principale, mentre lei si trovava nella via minore che separava due dei grandi edifici in cui abitavano le divinità. Temette che il dio non la vedesse, infatti sembrò proseguire sulla sua strada senza notarla. Jamila si era già accasciata a terra, scoraggiata, quando si accorse che Horus stava tornando su sui passi, le sopracciglia corrucciate e l'aria di chi crede di aver appena visto un'assurdità. Quando si accorse che c'era effettivamente qualcuno steso a terra e questa persona era per di più Jamila, che mai si sarebbe aspettato di trovare lì, le corse incontro.
“Che diavolo ci fai qui? E soprattutto, come ci sei arrivata?” le chiese appena le si fu accovacciato vicino.
“Avevo bisogno di parlarti, ho usato il teletrasporto” rispose la cuoca, che nel frattempo si stava riprendendo.
“Hai idea dei rischi che hai corso? Teletrasportarti a una distanza simile, addirittura da un mondo all'altro, senza essere esperta! Avresti potuto rimanere nel limbo per sempre!”
“So di aver preso dei rischi, ma non è successo niente di tutto ciò in fondo, non c'è motivo di preoccuparsi tanto!”
A quelle parole Horus si arrabbiò ancora di più.
“Dannazione, Jamila! Ti rendi conto dell'importanza del tuo compito e di ciò che accadrebbe se non venisse portato a termine?”
La ragazza fece un passo indietro, improvvisamente fredda tanto era incredula. Come se non bastasse il comportamento di Sinuhe nei suoi confronti, quella mattina, adesso ci si metteva anche Horus.
“Certo. Dimenticavo di essere la tua arma. Lo strumento per liberarti dei tuoi nemici. Scusami se nel tentativo di farti sapere delle cose importanti ho rischiato di lasciarti a corto di schiavetti sulla terra”
Man mano che parlava si convinceva delle sue stesse parole, non facendo altro che aumentare la sua rabbia e con essa il tono di voce.
“Sinuhe aveva ragione. Me ne vado” aggiunse poi, preparandosi ad utilizzare il teletrasporto per tornare a casa, incurante degli avvertimenti che Horus le aveva appena dato.
Il dio le afferrò un polso con forza, con l'intenzione di fermarla, un attimo prima che la ragazza si smaterializzasse, ritrovandosi in quel modo sulla Terra con lei. Jamila svenne all'istante per l'eccessivo uso di magia. Horus la prese in tempo, prima che cadesse a terra, tenendola tra le sue braccia. Si guardò intorno, non avendo idea di cosa fare. Non era mai stato nel regno dei mortali, ma in quel momento il fatto di stare invecchiando 365 volte più velocemente era la sua ultima preoccupazione. Adagiò Jamila per terra, sedendosi poi al suo fianco. Stese una mano verso di lei, usando i suoi poteri per rinfonderle un po' della forza vitale che aveva perso utilizzando il teletrasporto in quel modo. Probabilmente la situazione non sarebbe stata così grave se non avesse cercato di fermarla, non facendo altro che trasformarsi in un'ulteriore difficoltà che la ragazza aveva dovuto affrontare nell'utilizzo di una magia già complicata: era un miracolo che fossero lì. Ci volle del tempo prima che Jamila si risvegliasse.
“Dove sono?” chiese, appena ebbe aperto gli occhi.
“Sulla Terra, penso” rispose Horus, neutro.
In quel momento Jamila si ricordò dell'accaduto. D'istinto si mise seduta nonostante i giramenti di testa, allontanandosi dalla divinità e fissandola con gli occhi di un animale ferito. Ci fu un attimo di silenzio in cui Horus si sentì trafitto da quello sguardo: le iridi di lei sembravano ghiaccio e, come un pugnale di quel materiale, gli gelavano il cuore. Jamila, notando che Horus non era intenzionato a dire alcunché, si alzò e fece per andarsene.
“Aspetta!” la fermò lui.
La ragazza non si voltò, in attesa che continuasse.
“Non era quello che intendevo dire”
“E cosa, allora?” chiese, cercando di apparire sicura mentre la voce si incrinava. Odiava litigare.
Horus sospirò.
“Siamo una squadra e abbiamo ognuno bisogno dell'altro, hai visto come è andata la prova... E tu sei più utile di quanto pensi”
Horus vide la schiena della ragazza scossa da un singhiozzo.
“Non è solo questo. Tu mi sembri importante. Io...”
Horus si prese la testa tra le mani, incapace di continuare. Non sapeva neanche lui cosa voleva dire.
Prese un profondo respiro.
“Scusa” sussurrò così piano che Jamila lo sentì a malapena.
Le lacrime presero a rigare le guance della ragazza, mentre si sedeva a gambe incrociate, sempre dando le spalle al ragazzo. Non sapeva neanche lei perché si sentisse così male, forse era soltanto quella situazione assurda in cui si trovava, non era abituata a essere sotto pressione. Si sforzò di calmarsi e in breve fu di nuovo in grado di parlare con voce ferma.
“Ti ho portato io qui?” chiese, dopo qualche minuto di silenzio, la ragazza.
“Sì”
“E se fossi rimasta nel limbo?”
“Sarei rimasto con te” disse, enunciando un dato di fatto “Sono stato troppo impulsivo, lo so”
Ci fu di nuovo qualche minuto di silenzio.
“Vattene da qui, invecchierai come un comune mortale!” esclamò Jamila arrabbiata.
Horus scrollò le spalle.
“Qualche giorno in più, qualche giorno in meno...”
La ragazza si passo una mano sul viso, scacciando le ultime traccie delle lacrime di poco prima e voltandosi verso l'altro.
“Che cosa dovevi dirmi?” chiese infine il dio.
“Siamo stati attaccati dai Sethish. Per questo non siamo venuti all'appuntamento”
Horus si irrigidì.
“Raccontami cosa è successo”
Obbedì e quando ebbe finito di descrivere l'accaduto e la nuova Sethish, attese il parere di Horus.
“Tutto sommato ve la siete cavata bene”
Jamila sospirò, pensando alla sua povera gamba.
“Dovremo intensificare gli allenamenti e nel frattempo potreste stare al sicuro nel regno degli dei, se non avete troppi impegni qui”
“Anche se ne avessimo? A questo punto sarebbero presto rovinati, lo hai detto tu stesso”
“Già” disse Horus amareggiato.
Che cosa aveva fatto?
“Ci vediamo domani sera nella Stanza, portate con voi tutto quello che potrebbe servirvi” aggiunse.
“Non ti garantisco nulla, devo prima parlarne con Sinuhe”
Nella sua mente già immaginava la difficoltà di quella conversazione.
“Anzi, facciamo direttamente tra due giorni, al tramonto, nella Stanza” si corresse la giovane “Ci sono più probabilità che riesca a convincerla per allora”
Horus annuì.
“Non credo che attaccheranno nell'immediato futuro, in ogni caso” si alzò da terra, preparandosi a tornare nel regno degli dei.
Jamila lo imitò, per poi vederlo scomparire sparire un attimo dopo, nel nulla come un miraggio. Si allontanò a sua volta, mentre mille pensieri sconclusionati le vorticavano nella testa.



 

Il cantuccio dell'Autrice
Ebbene, questo è l'ultimo capitolo risalente alla vecchia versione, i prossimi saranno scritti da zero man mano *^*
Aspettavo da tantissimo questo momento, quindi sono finalmente soddisfatta, adesso si entrerà nel vivo della storia ^^
Niente, grazie a tutti per avermi seguita fin qui nonostante tutto!
Al prossimo capitolo!

Red Wind

 

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Capitolo 23
*** Di come si concluse la missione di Sinuhe ***



Di come si concluse la missione di Sinuhe
o
Non si piange sul sangue versato

Nella sua mente il piano era chiaro: passare la giornata lavorando normalmente per non destare sospetti e l'indomani agire, ma come poteva lasciarsi sfuggire un'occasione del genere? Era stata mandata a fare una commissione e ora si stava addentrando nella reggia. Camminava per i corridoi labirintici, oltrepassando le porte di infinite sale dorate, con il vassoio in mano. Come sempre aveva con sé la spada, sulle spalle, invisibile sotto il vestito. No, non poteva sprecare un'occasione del genere. Portò la cena ai nobili, cercando di farsi notare il meno possibile, poi cominciò a vagare all'interno del palazzo, seguendo le più preziose ricchezze, alla ricerca delle stanze del faraone. Il suo cuore batteva dannatamente forte, impedendole di sentire eventuali passi avvicinarsi. Si ostinava a pensare che fosse soltanto eccitazione, ma c'era anche paura, soprattutto paura. Un portone immenso le si parò davanti svoltato un angolo. Non c'era dubbio: quella doveva essere la stanza del trono. Provò a spingere i ricchi battenti dorati, nella speranza che il re fosse solo, ma si rivelarono chiusi. Sicuramente quella stanza colossale aveva altre entrate, non le restava che aggirarla. Incontrò alcune guardie, ma per fortuna, in quella folla di servi che si aggiravano abitualmente per la dimora reale, non la notarono. Infine scovò una porticina che, secondo i suoi calcoli, doveva portare proprio nella stanza del trono, dove, le avevano detto, passava le giornate il faraone. Ci si infilò in fretta, mentre, come sempre prima di una missione, la sua mente si svuotava di tutti i pensieri, rendendola del tutto simile ad una macchina letale. La sala ipostila che le si aprì davanti era immersa nella penombra. La rivoltosa non riusciva a scorgere la parete di fondo e le file di colonne gemelle si perdevano in quel buio denso. Il trono spiccava poco più avanti, rivolto verso l'entrata principale. Dalla sua posizione, Sinuhe riusciva a scorgere la testa di colui che vi sedeva. Si avvicinò cauta con il passo felpato guadagnato dopo anni di addestramento. Sguainò lentamente la spada, ogni nervo all'erta, ogni muscolo contratto. Con movimento rapido che fece appena sibilare la sua lama, poggiò il filo della lama alla gola del faraone, da dietro, in modo che non la potesse vedere in faccia.
-Non ti muovere o sei morto- sussurrò con rabbia al suo orecchio, mentre si rammaricava nel constatare che la sua voce tremava più di quanto credesse.
L'uomo non rispose, né fece alcun movimento. Non un sussulto, non un fremito, non un segno d'assenso. Sinuhe fu pervasa dal terrore per un attimo. Perché non aveva paura? Perché non tremava sotto la sua spada? Perché non temeva la sua vendetta?
Strinse di più l'elsa della spada, cambiando istantaneamente i suoi piani. Non avrebbe accettato che dopo anni di preparazione per quel momento, il faraone morisse senza neanche conoscere il nome del suo assassino, quasi senza accorgersene e senza implorare pietà. Con un balzo si portò di fronte al nemico e fu allora che lo vide. Il sangue. Macchiava il petto del faraone come un fiore scarlatto nato dalle sue carni, facendo risaltare ancora di più il pallore del suo volto. Era morto prima che lei arrivasse, una pugnalata al petto. Come aveva potuto essere così stupida da non accorgersene?
Dopo qualche secondo passato a maledirsi, si riscosse, pensando che se l'avessero trovata lì l'avrebbero incolpata senza pensarci due volte. Tornò da dove era venuta, camminando a passo svelto.
Il cuore che batteva impazzito le martellava nelle tempie. Aveva fallito. Non aveva più un obbiettivo, senza neanche aver raggiunto il precedente, perché il suo obbiettivo era semplicemente morto prima che lei ci arrivasse. Non sapeva che cosa fare. Il faraone era morto e non avrebbe più fatto del male a nessuno, ma la cosa non la consolava per niente. Chi poteva essere stato a fare una cosa simile e restare impunito? Vagò quasi correndo per la città, alla ricerca di una risposta. Si ritrovava improvvisamente vuota, come se fosse nata in quel momento e non avesse ancora avuto tempo di costruirsi una vita. Era una sensazione orribile, che i bambini erano troppo ignari per provare.
Ad un certo punto si ritrovò davanti alla base dei rivoltosi. Si ricordò che la sua vita esisteva ancora: lei era una ribelle e in quell'edificio i compagni la stavano aspettando. Jamila e Nakht la stavano aspettando. Cosa avrebbe detto loro? Ai compagni di viaggio senz'altro la verità, ma agli insorti? Prese un profondo respiro e decise: tutti avrebbero pensato che fosse stata lei ad uccidere il faraone. Entrò e subito le chiesero notizie. Disse che ci era riuscita: era fatta. Tentò di recitare la parte della persona soddisfatta e vendicativa, strinse i pugni lungo i fianchi per nascondere il tremito delle mani. Mentre gli uomini gioivano e si congratulavano, Dedet la richiamò, chiedendole di parlarle da sola.
-Raccontami come è andata- chiese serio, una volta che furono soli in una stanza.
Sembrava che, contrariamente ai suoi compagni, non fosse stato contagiato dall'allegria.
-L'ho ucciso- ribatté secca Sinuhe, che si sentiva già sotto accusa.
-Voglio i dettagli-
Allo sguardo scioccato della ragazza Dedet si affrettò a chiarire.
-E' importante sapere con esattezza come sono andate le cose per capire quanto tempo abbiamo prima che se ne accorgano e di conseguenza prima che suo figlio torni in Egitto-
Sinuhe non aveva ben chiare le dinamiche politiche che avrebbero seguito l'assassinio: non le interessava. Calmandosi un po', si convinse a raccontare una storia plausibile.
-Era sul trono quando sono arrivata, nella stanza non c'era nessuno...-
L'altro la interruppe.
-Come sarebbe che non c'era nessuno? Le sue guardie non erano presenti?-
Sinuhe, riflettendoci, si accorse di quanto quel particolare stonasse.
-Non ne ho idea, non c'era nessuno. Comunque gli sono piombata alle spalle e l'ho pugnalato al petto-
-Perché? Se eri alle sue spalle...-
-Volevo che mi vedesse in faccia e che io vedessi lui- si giustificò Sinuhe sorridendo.
A Dedet gelò il sangue delle vene. Non conosceva molto bene la ragazza e dal modo in cui si era comportata con lui non poteva che dedurre che fosse spietata e pericolosa.
Il rivoltoso annuì, poi la congedò con un gesto della mano.
-Prestò saprò dirti quando si terrà la rivolta- aggiunse.
Mentre la ragazza usciva dalla stanza, i principali dirigenti del movimento entrarono per iniziare quello che poteva definirsi un consiglio di guerra.
Sinuhe tornò nella stanza dove si trovavano i suoi compagni di viaggio, che, sentita la notizia, attendevano il racconto della diretta interessata.
-Com'è andata?- domandò infatti Jamila, ancor prima che la ragazza potesse richiudersi la porta alle spalle.
La rivoltosa si sedette sul suo giaciglio, senza rispondere.
-Allora?- insistette Jamila, evidentemente preoccupata.
-Non l'ho ucciso!- sbraitò Sinuhe, evidentemente infuriata e, a uno sguardo più attento, sotto shock.
Jamila sorrise: allora l'amica le aveva dato retta. Quando se ne accorse, Sinuhe sembrò adirarsi ancora di più.
-E' quello che speravi, non è vero?- il disprezzo nella sua voce colpì Jamila come un pugno allo stomaco -Non credere che sia stata una mia scelta! Era già morto quando sono arrivata!-
Solo allora i due capirono veramente la situazione, rimanendo stupiti da qualcosa che non si sarebbero mai immaginati.
-Chi potrebbe essere stato?- chiese Nakht, pensieroso, quando l'attimo di gelo che era piombato nella stanza si fu sciolto.
-Non ne ho idea, ma intendo scoprirlo presto!- rispose la rivoltosa, gli occhi fiammeggianti.
-E' morto, non capisco perché tu sia tanto di cattivo umore!- commentò Nakht, scocciato.
Due sguardi si alzarono su di lui: quello comprensivo di Jamila, che ben sapeva quanto una simile uscita fosse infelice, e quello sempre più adirato e quasi incredulo di Sinuhe.
-Era la mia missione! Avrei dovuto portarla a termine io, era la mia vendetta e mi hanno soffiato il trofeo da sotto il naso!- urlò, alzatasi in piedi -Voi non potete capire queste cose, non potete capire me!- concluse, uscendo dalla stanza a passi svelti.
Si ritirò dove avrebbe potuto restare sola, lasciando che il silenzio calasse tra Jamila e Nakht.
-Non era mia intenzione...- si giustificò il ragazzo.
-Lo so. Lo sa anche lei, immagino. In realtà sospetto che avrebbe reagito così qualunque cosa avessimo detto- lo interruppe la cuoca, amareggiata.
-Forse... dovresti andare a parlarle- suggerì Nakht -Pare che tu sia l'unica a cui dà ascolto-
-Si è visto, infatti- rispose ironica Jamila -E comunque in questo momento non farebbe che urlarmi contro. Vuole stare sola. La sua vita è spezzata-
-Che cosa intendi?-
-Il suo obiettivo, raggiunto o meno, non esiste più. Dovrà incominciare da capo, appena avrà il coraggio di accettarlo-
-Immagino che non sarà facile- concluse grave il ragazzo.



Sinuhe non ricordava di aver passato un momento così difficile da quando si era unita ai rivoltosi. Aveva utilizzato le ultime briciole di autocontrollo per chiedere una stanza singola ed eclissarsi con la scusa di doversi riposare prima della rivolta. Da quel momento era stata appoggiata contro la porta, seduta a terra, a rimuginare sull'accaduto.
Non riusciva a capacitarsi che fosse successa una cosa del genere. Aveva messo in conto di rischiare la vita in quella missione e perfino di fallire, ma in quel caso sarebbe stata tutta colpa sua. Trovando il faraone già morto, invece, non aveva avuto neanche la possibilità di tentare. Era convinta che in caso contrario avrebbe portato a termine la missione, ma non poteva esserne certa. Cos'aveva fatto in fondo? Niente, niente che sarebbe stato ricordato, niente di utile.
Oltre alla rabbia che il ricordo dell'accaduto le provocava, c'era l'angoscioso pensiero del futuro. Anzi, del presente. Che cosa avrebbe fatto? Detestava il capo dei rivoltosi e desiderava allontanarsi da lui il prima possibile. Inoltre, una volta portata a termine la rivolta, la posizione dei rivoltosi sarebbe cambiata, non sarebbe più esisto il gruppo degli insorti così come esisteva allora, in quanto non ci sarebbe stato più bisogno di una ribellione. Non vedeva il suo futuro ancora con loro. C'erano poi Jamila, Horus e Nakht, con tutto ciò che questo comportava. Anche in questo caso la prospettiva non la entusiasmava. Per via dello sconforto che già la pervadeva, ebbe quasi paura all'idea di intraprendere quella via: sapeva di essere un'ottima combattente, ma quando si trattava di magia e poteri sovrannaturali non aveva neanche idea di cosa aspettarsi. La causa, poi, non toccava più di tanto e, se avesse combattuto, lo avrebbe fatto per necessità.
Il futuro, quindi, le appariva come uno spazio ampio inutilizzato, senza uno scopo. Proprio come le aveva predetto Jamila, ora la sua vita non aveva più senso. Era convinta che se avesse portato a termina la sua missione le cose sarebbero state diverse, ma non aveva modo di sperimentarlo. Stava andando alla deriva, in balia di un destino più grande di lei, o almeno questa era la sua impressione in quel momento. Come sempre in lei, il sentimento che dominava era la rabbia, non solo per la beffa della sorte, ma anche per il fatto di dover dare ragione a Jamila. La rabbia, che non sapeva su chi rivolgere se non su se stessa, la consumava mentre le ore passavano.
Restò a rimuginare e a tormentarsi fino a sera, finché non si addormentò con la mente ancora turbata. Quando si risvegliò, dopo una notte di sogni inquieti e indefiniti, un nuovo pensiero si fece strada nella sua mente. Si rese conto di non essersi sostanzialmente mossa da quell'angolo, di non aver reagito. Era soltanto restata lì a piagnucolare, abbattuta, sconfitta da se stessa, incapace di andare avanti. Aveva ceduto a tutto quello che in passato aveva combattuto con successo e aveva gettato la maschera di forza che si era costruita in tutti quegli anni. Non importava se nessuno aveva visto la sua debolezza, era lei stessa che non poteva accettarlo. Si stava comportando da stupida, e lo sapeva. La vergogna si fece strada tra gli altri sentimenti burrascosi che l'agitavano. Non era nulla di quello che avrebbe voluto essere e nulla di quello che, forse, era stata. Era soltanto una ragazzina inutile e debole. Si odiava per questo, ma allo stesso tempo era incapace di riscuotersi. Ci pensava, si ripeteva che a quel punto l'unica cosa da fare era partecipare alla rivolta così come aveva programmato di fare. Combattere. Era sempre stato il modo migliore di incanalare i sentimenti che la disturbavano.
L'idea di uscire da quel suo rifugio, però, era inarrivabile. Era certa che chiunque avrebbe letto sul suo volto la sua debolezza. Era certa che non ci fosse modo di tornare a essere la ragazza forte e risoluta di un tempo. Dopo un comportamento del genere avrebbe potuto soltanto continuare a nascondersi come stava facendo. Non era stata capace di reagire come una vera guerriera: non poteva continuare a fingere di esserlo, non ne aveva la forza.
Più passava il tempo, peggio si sentiva. Contava i minuti sprecati a piagnucolare in quella stanzetta, mentre altri minuti si aggiungevano a quelli. Ogni minuto era una prova in più della sua debolezza, eppure non sapeva che altro fare se non continuare a commiserarsi. Cominciò a chiedersi se non sarebbe impazzita.



 

Il cantuccio dell'autrice
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo e che vi abbia sorpreso almeno un po' ^^
Ho messo più introspezioni qui che in tutto il resto della storia lol (un po' di autoironia ci vuole xD).
Fatemi sapere come vi è sembrato :)
A presto!
Red Wind

 

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Capitolo 24
*** Di attese battaglie e incontri inaspettati ***


Di attese battaglie e incontri inaspettati
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Chi non muore si rivede

Da quando si erano svegliati, la stanza di Jamila e Nakht era diventata improvvisamente troppo piccola, angusta. Da quanto tempo se ne stavano chiusi lì, in attesa? Dopo mesi di viaggio all'aria aperta quell'atmosfera stava diventando opprimente. La cosa che li preoccupava di più, però, era che Sinuhe non si era ancora fatta viva e non avevano idea di dove fosse, non avendo ancora osato chiedere notizie. Dopo una serie di supposizione fatte camminando nervosamente avanti e indietro per la stanza, Jamila affermò di non poter attendere oltre e di dover provare a parlare con la rivoltosa. Quando chiese in giro dove si trovasse Sinuhe, le fu indicata un'altra stanza del grosso edificio e questo bastò a tranquillizzarla almeno sul fatto che la ragazza non fosse scomparsa. Quando osò bussare, Sinuhe, appoggiata dall'altra parte della parte della porta, sussultò, indecisa sul da farsi.
-Chi è?- chiese, la voce roca per le lunghe ore di silenzio.
-Jamila.-
Rispose il silenzio. Sinuhe non aveva alcuna voglia di parlarle.
-Hai intenzione di aprire oppure preferisci farti pregare come una bambina?- insistette la cuoca, puntando sul suo orgoglio.
Pochi secondi dopo si udì un sibilo irritato e la porta si aprì di qualche centimetro. Quando Jamila entrò trovò l'amica seduta contro una parete della spoglia stanzetta. Chiudendosi la porta alle spalle, la osservò in silenzio per qualche momento: non avrebbe saputo dire con precisione cosa fosse cambiato in lei, eppure appariva in qualche modo sconvolta. Sembrava stanca e spossata, pallida, ma negli occhi scuri ardeva una luce febbrile, mentre un tremito nervoso sembrava scuoterla impercettibilmente.
-Avevo espressamente richiesto di stare sola.- si lamentò la rivoltosa abbassando lo sguardo, non potendo più tollerare quel giudizio silenzioso.
Jamila non rispose, indecisa su come comportarsi. Temeva che una mossa sbagliata avrebbe potuto portare la ragazza a chiudersi ulteriormente in se stessa, ed era proprio quello che voleva evitare. Alla fine decise di sedersi al suo fianco, senza dire niente, e poggiare la testa sulla sua spalla, come se fosse stata lei stessa ad avere bisogno di conforto e non il contrario. Sinuhe non si oppose, ma si limitò a rimanere immobile.
-Temo per quello che può accadere durante la rivolta.- ruppe il silenzio Jamila dopo alcuni minuti.
Sinuhe sembrò riscuotersi leggermente, si voltò a guardarla in faccia e la cuoca sollevò la testa per osservarla a sua volta.
-Da quel che ho capito l'intera città piomberà nel caos, la legge del faraone non esisterà più e ognuno si sentirà libero di fare ciò che preferisce.-
-Non dovresti temere questo più di quanto non temevi il potere incontrastato del faraone. Inoltre i rivoltosi hanno in mente come ristabilire l'ordine nel paese una volta che il faraone sarà definitivamente crollato- rispose con noncuranza.
Jamila annuì, rassicurata che l'amica le avesse risposto normalmente.
-Che ne dici di tornare di là?- azzardò.
Sinuhe abbassò lo sguardo.
-Non posso.-
-Perché?-
La rivoltosa sospirò irritata.
-Non penso di essere fatta per questo...- sussurrò, abbattuta.
-Cosa?-
-Come posso pensare di partecipare a una rivolta, o peggio di sconfiggere Seth, se alla prima difficoltà mi rinchiudo per ore in una stanza a piagnucolare?- esplose, il disgusto chiaramente leggibile nella sua voce.
Dopo un attimo di attonimento, Jamila non riuscì a trattenersi dal riderle in faccia.
-Credi che sia divertente?- ribatté, ora su tutte le furie.
-Scusa, è che... sei ridicola! Se non sei adatta tu, non vedo chi potrebbe esserlo! Da quando ci siamo conosciute, nonostante tutte le cose che sono capitate, è la prima volta che ti vedo crollare. Hai soltanto dimostrato di essere anche tu umana. Tu non saresti adatta per la missione? Cosa dovremmo dire io e Nakht? Non abbiamo neanche idea di come combattere...-
Jamila avrebbe continuato se Sinuhe non l'avesse interrotta.
-Non è solo questo... A me non interessa la missione di Horus, la mia missione era un'altra!-
Jamila le appoggiò le mani sulle spalle.
-La tua missione non esiste più, ma si può ritenere completata. Non posso neanche immaginare come tu debba sentirti in questo momento, ma devi andare avanti. Ho bisogno di te... Non possiamo permettere che il mondo cada nel caos di Seth.-
Sinuhe, incapace di rispondere, sapeva che l'amica aveva ragione, anche se questo non risolveva affatto i suoi problemi. Jamila le risparmiò la fatica di trovare qualcosa da dire abbracciandola e la rivoltosa, anche se rimase quasi immobile tra le sue braccia, si sentì un po' meno inutile.



Non passo molto che le tre Incarnazioni si ritrovarono riunite nella stanza assegnata loro dai rivoltosi. Nakht, all'oscuro di quanto avvenuto tra le due ragazze, lanciava occhiate indagatorie ad entrambe, cercando di capire se Jamila avesse fatto qualcosa di particolare o se Sinuhe fosse rinsavita autonomamente. La rivoltosa se ne accorse con fastidio, ma non reagì; Jamila prese la parola.
-Parlando con Horus siamo giunti alla conclusione che è troppo pericoloso restare qui con i Sethish che potrebbero attaccare in qualunque momento. Non siamo ancora pronti ad uno scontro diretto...-
Sinuhe la interruppe.
-Non è andata così male, li abbiamo respinti.-
Nakht alzò uno sguardo scioccato su di lei, ma fu Jamila a riprendere a parlare.
-A quale costo?-
Sinuhe capì che si riferiva alla ferita di Nakht senza che dovesse aggiungere altro.
-Siamo in guerra. Sarebbe potuta andarci molto peggio.- ribatté con un'alzata di spalle.
Il ragazzo rabbrividì e la cuoca decise di passare oltre.
-Comunque sia, nel regno degli dei saremo protetti e avremo la possibilità di allenarci in tranquillità. Inoltre, per noi il tempo passerà più lento, quindi quando torneremo sulla Terra i nostri avversari saranno nella stessa situazione in cui li abbiamo lasciati.-
Nakht annuì.
-Sembra molto vantaggioso.-
-Ora resta solo da decidere quando vogliamo andare.- riprese Jamila.
-Non prima che la rivolta sia portata a termine.- rispose prontamente Sinuhe, non del tutto inaspettatamente.
-Quanto ci vorrà?-
-Da quel che ho sentito avrà inizio molto presto, appena saranno tutti pronti. Per la durata tutto dipende dalla resistenza delle truppe reali, è probabile che inizialmente ci sia una battaglia quasi in campo aperto, dove speriamo di coinvolgere più persone comuni possibili. Dopodiché, una volta vinti i soldati reali, assalteremo la reggia: occupandola impediremo l'insediarsi di un successore. Da lì in poi la parte attiva della rivoluzione può considerarsi conclusa, anche se senz'altro ci saranno altre resistenze da vincere e sarà necessario ricostruire le istituzione secondo un diverso schema... In ogni caso una volta preso il palazzo reale potremo andare nel regno degli dei, se necessario.- concluse la rivoltosa.
Gli altri due annuirono.
-Che cosa dovremmo fare durante la rivolta?- chiese Nakht.
Sinuhe ci pensò un po' prima di rispondere.
-Se sapeste tenere un'arma in mano tornereste utili durante la battaglia, ma per come stanno le cose vi consiglierei di restare qui. Il problema è che, nel caos generale, è probabile che non ci sia un posto sicuro in tutta la città.-
Visti gli sguardi dubbiosi dei compagni, Sinuhe decise di spiegarsi meglio.
-È risaputo che sia i soldati, siano essi della guardia reale o di una formazione indipendente, non sempre si comportano come dovrebbero quando hanno l'occasione di sfuggire al controllo dei superiori, come durante una grande battaglia. Sono certa che non mancheranno saccheggi, omicidi e stupri nei confronti dei civili.-
-Non potete dare il via a una cosa del genere di proposito!- si indignò la cuoca.
Sinuhe rispose con un sorriso triste.
-È il prezzo da pagare per porre fine al potere illimitato del faraone. Il male che verrà fatto risparmierà dei mali peggiori in futuro, potete starne certi.-
Nakht sospirò, per niente pronto ad affrontare altra violenza.
-Quindi come dovremmo comportarci?- riprese il filo Jamila.
Sinuhe rimase un attimo pensierosa e la ragazza continuò.
-Potremmo rifugiarci momentaneamente nel mondo degli Dei, dopotutto Horus ci ha detto di andare lì per proteggerci dai Sethish... Sarebbe una buona soluzione per proteggerci da entrambi.-
Nakht e Sinuhe annuirono.
-Potrebbe essere un'ottima idea, basterà anche solo raggiungere la Stanza e attendere lì Horus.-
La decisione fu presa e iniziarono i preparativi, sia per la rivolta che per la partenza dei due ragazzi. Nakht nel frattempo stava decisamente meglio ed erano tutti sicuri che non avrebbe avuto problemi.
Man mano che l'ora designata per la rivolta si avvicinava gli animi si scaldavano, le armi stridevano e l'atmosfera era poco rassicurante all'interno della base della base dei rivoltosi. L'esaltazione che preparava alla battaglia strisciava tra le fila dei rivoltosi, accendeva nei loro occhi il luccichio del desiderio di rivalsa -forse necessità di violenza- che, visto dall'esterno, non appariva giustificato dalla buona causa della rivolta. Jamila e Nakht, esterni all'ambiente, si lanciavano occhiate dubbiose e vagamente intimorite, ma anche Sinuhe pareva non essere contagiata dall'atmosfera generale, forse perché ancora troppo turbata dall'evento del giorno precedente o forse perché di natura fredda e controllata.
Si percepiva nell'aria l'arrivo di un evento epocale, come se una pagina bianca di Storia si aprisse davanti ai rivoltosi quel giorno. Se da una parte quell'energia raccolta e repressa durante gli anni dall'organizzazione, e pronta adesso a liberarsi, poteva spaventare, dall'altra Jamila e Nakht agognavano assistere agli eventi che avrebbero determinato le sorti dell'Egitto. Era quasi come essere esclusi da qualcosa di estremamente importante, seppur per la propria sicurezza.
Il tempo passò lentamente e quando arrivò il momento Sinuhe si raccomandò di utilizzare il ciondolo per raggiungere la Stanza non appena la maggior pare dei ribelli avesse lasciato la base.
I due ragazzi obbedirono: una volta soli nella stanza si scambiarono un'occhiata e, assicuratisi di aver preso tutto il necessario, Jamila attivò il ciondolo, che come al solito brillò di luce azzurra tra le sue mani. Accadde però qualcosa di strano e indefinibile e senza che si fossero accorti di nulla un attimo dopo si ritrovarono al punto di partenza, con Jamila che, interrotta l'attivazione del ciondolo, si guardava intorno spaesata, solo per notare l'improvvisa apparizione di due uomini di fronte a sé.
Uno dei due era Hesyru, il primo Sethish, mentre l'altro, un ambiguo individuo magro e con il viso allungato, era a entrambi sconosciuto.
-Peccato, siete soltanto in due.- esordì Hesyru -Sarà peggio per voi, dell'altra ci occuperemo subito dopo.- aggiunse sorridendo.
Jamila e Nakht, pietrificati, non ebbero il tempo di reagire, prima che l'uomo lanciasse verso di loro sfere nere. Il ragazzo, che aveva familiarità con quell'attacco, ebbe la certezza di non aver alcuna speranza di cavarsela in quel combattimento.
-Dobbiamo andarcene!- urlò, mentre faceva a malapena in tempo a scansare i primi colpi.
Improvvisamente ricordava fin troppo chiaramente le terribili sensazioni che aveva patito negli ultimi giorni per colpa di quella strana ferita alla mano.
Jamila, prendendo consapevolezza della situazione, gli afferrò un braccio e chiuse gli occhi, sperando che le abilità nel teletrasporto che aveva sviluppato ultimamente non l'abbandonassero proprio nel momento del bisogno.
Prima ancora di riaprire gli occhi sentì la furia della battaglia travolgerli: intorno a loro i rivoltosi affrontavano le truppe reali. La cuoca si maledisse immediatamente per il luogo in cui gli aveva accidentalmente portati -effettivamente non aveva avuto il tempo di decidere con precisione dove recarsi. Questi pensieri passarono in secondo piano non appena, qualche secondo dopo il loro arrivo, i Sethish apparvero di nuovo, poco lontano da loro.
-Come hanno fatto a seguirci?- urlò Jamila in mezzo al frastuono, mentre iniziava a correre in mezzo alla battaglia.
Nakht, al suo fianco, cercava di non perderla di vista e di evitare le armi sia delle truppe che dei ribelli. Quella battaglia, che fino a un attimo prima era la loro preoccupazione, era diventata improvvisamente l'unico modo per tentare di seminare i Sethish in mezzo alla confusione. D'altro canto, ogni secondo passato in quel luogo era un rischio che i due ragazzi erano costretti a prendersi, schivando di quando in quando le spade che si scontravano tutto intorno a loro. Non si guardarono mai indietro, ma accennarono a fermarsi soltanto quando sentirono di non avere più fiato nei polmoni per continuare a fuggire.
-Hai idea di dove siamo?- chiese Nakht, dopo aver constatato che i nemici non erano più in vista.
-No.-
Non ebbero tempo di continuare a discutere perché qualcosa variò nelle dinamiche della battaglia: dalla loro sinistra un gruppo compatto di soldati reali si fece strada verso quello che pareva il centro dello scontro. Non avendo una visione d'insieme, i reali sembravano in numero schiacciante. Guardandosi intorno per capire da che parte convenisse fuggire, Jamila notò qualcosa di famigliare: il sudore, il sangue e la polvere che la coprivano, uniti ai movimenti repentini e alla visuale non ottima, la rendevano quasi irriconoscibile, ma la ragazza era certa che quei movimenti, quel modo di combattere, non potessero appartenere che a Sinuhe. Si mosse in quella direzione, immediatamente seguita da Nakht. Avvicinandosi notò qualcuno al fianco dell'amica, anche questa volta non totalmente sconosciuto. Non riuscì a mettere a fuoco questa sensazione di famigliarità finché, mentre caricava un affondo, questi non si voltò meglio verso di lei, rendendosi visibile in viso. Anem.

 
 
Il Cantuccio dell'Autrice
Sono consapevole di essere assolutamente in ritardo, non so neanche se vi ricordate qualcosa di questa storia.
Non sono riuscita a trovare un banner che c'entrasse qualcosa, sorry. In compenso continuano a venirmi in mente stupidi titoli alternativi per i capitoli, non so neanche più se è autoironia o cosa.
Comunque sia spero che questo capitolo vi sia piaciuto, a me è piaciuto scriverlo perché c'è un po' di "movimento".
So che Grace è felice per il ritorno di Anem, ma voi altri cosa ne pensate? x)
Ebbene, la rivolta è iniziata, adesso non resta che vedere come andrà a finire ^^
Alla prossima!
Red Wind

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