Just A Little Woman.

di RobiSmolderhalder
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Alone Against The World. ***
Capitolo 3: *** The Right Time. ***
Capitolo 4: *** You Are Mine. ***
Capitolo 5: *** Colorful Souls. ***
Capitolo 6: *** The Same Thrill. ***
Capitolo 7: *** Impasse. ***
Capitolo 8: *** With Every Single Beat Of My Heart. ***
Capitolo 9: *** The Sky Of Berlin. ***
Capitolo 10: *** First Snow Of The Year. ***
Capitolo 11: *** He's father. ***
Capitolo 12: *** Mom Is Always Mom. ***
Capitolo 13: *** The future destroyed. ***
Capitolo 14: *** The same pain. ***
Capitolo 15: *** Don't cry. ***
Capitolo 16: *** Us, together. ***
Capitolo 17: *** And if you go, I wanna go with You. ***
Capitolo 18: *** And if You die, I wanna die with You. ***
Capitolo 19: *** Take Your Hand and walk away, ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Just A Little Woman.

Prologo.

 

 

 

 

 

 

Mi guardo allo specchio, pronta per il mio primo giorno all’università. Mi sento così elettrizzata, per quanto tempo avevo sognato questo giorno? Sono sempre stata quel tipo di ragazza a cui piace studiare, quel tipo di ragazza mai stata attratta da brutte strade o droghe. Sono sempre stata per conto mio, a pensare al mio futuro, fantasticando sul domani che verrà. Ravvivo i miei capelli ed esco dal bagno dirigendomi in cucina, dove si sente l’aroma di caffè appena fatto.
«Buongiorno Tesoro.» Mormora mia madre sulla mia guancia, posandole un bacio tre secondi dopo.
«Ciao mamma. Come sto?» Le chiedo lisciando la mia gonna di seta che arriva fino al ginocchio e la camicetta bianca a maniche corte, ai piedi indosso un paio di sandali neri, con le perline argentate sulla stoffa, avrei certamente preferito le mie converse nere, ma non credo sarebbero state adatte.  Reneé piega la testa di lato, pronta per il suo sincero giudizio, non è mai stata una mamma che ti riempie di balle per farti felice, la sua sincerità ha sempre avuto furore tra di noi, ed io sono cresciuta come lei, con il motto di chi è sincero farà sempre una buona vita. Ma non credo sia così, sinceri o meno, se la vita decide di far schifo lo fa lo stesso, indipendentemente dalla sincerità.
«Sei bellissima amore mio.» Sussurra emozionata, con uno slancio mi butto sulle sue braccia e lei mi accoglie abbracciandomi. Non mi è mai mancato affetto da parte di mia madre, nonostante la sua vita non è mai stata rose e fiori, nonostante io sia stata quel motivo per cui mio padre l’ha abbandonata quando io ero ancora un embrione. Eppure lei mi ripete tutti i giorni, quanto sia stato necessario avermi, che  sono stata la cosa migliore che potesse capitarle. Mia madre mi ha chiesto mille volte se volessi sapere dove trovare mio padre, ma no, ho sempre rifiutato, dicendole che come lui non ha voluto me, io non voglio lui nella mia vita. Che uomo è? Quale uomo lascerebbe la propria donna per sua figlia? Magari adesso è cambiato, forse è maturato in questi ultimi diciannove anni, ma non importa, ho mia madre, ho il mio ragazzo e ho i miei nonni che di certo non mi fanno mancare l’affetto che lui non ha saputo darmi.
Sorseggio il mio caffè, aspettando Jacob che mi accompagnerà. Infatti, non appena la mia mente lo focalizza il campanello suona.
«Ciao Jake.» Mormoro baciandolo a fior di labbra.
«Ciao Bells. Reneé.» Mia madre alza la testa a mo’ di saluto, ed io, come ogni giorno abbasso lo sguardo imbarazzata, sono due anni che sto con Jacob, ma a lei la nostra relazione non le è andata mai a genio, lo vede come un cafone immaturo. La sincerità di mia madre. Ma la vita è la mia, e di certo non lo avrei lasciato per il disappunto di mia madre. Prendo la mano del mio ragazzo ed usciamo da casa.
«Tua madre non mi accetta.» Ammette con disprezzo non appena mette in moto la sua golf del millenovecento…ah, non ricordo.
«Non è una novità.» Dico come se nulla fosse, beccandomi una brutta occhiata da parte sua. Arriviamo nel parcheggio e con un flebile bacio saluto il mio fidanzato. Il sole di Berlino picchia sulla mia testa e mi maledico per non aver indossato il cappellino, la mia pelle è bianca, è la cosa più simile alla mozzarella che possa esistere. Ricordo che una volta dopo essere stata al mare, mi addormentai svegliandomi all’ospedale, sono stata lì per due settimane: ustione di terzo grado. Da quell’episodio sono sempre stata attenta e premurosa con la mia pelle. Afferro il pacchetto delle mie sigarette e sicura che non ci siano gli occhi di mia madre a scrutarmi, ne tiro fuori una e l’accendo. Inizio a camminare, dirigendomi all’entrata della Freie Universität, un fastidio sotto la pianta del mio piede mi fa intuire che è entrato qualche sassolino, alzo il piede e lo scuoto, cercando di non farmi notare dai ragazzi che circondano il giardino, tentativo vano dato che adesso mi guardano tutti, un sorriso di circostanza si impossessa del mio volto e le mie guance si tingono di rosso peperone. Giro il mio volto, guardandomi il tallone e, cosa molto intelligente da parte mia, continuo a camminare, schiantandomi contro qualcosa…mi giro, o qualcuno. Rimango pietrificata a guardare il ragazzo che ho appena investito. Il suo sorriso è la prima cosa che noto, circondato da rosee labbra carnose, i suoi denti sono bianchi scintillanti, i suoi capelli sono un po’ strani, sono ramati, la sua è una chioma ribelle.
«Scusami.» Mormora guardandomi da capo a fondo. I suoi occhi sono verdi, un verde che non passa inosservato tanto è acceso e scintillante.
«No…ecco io…» Inizio a balbettare e di nuovo le mie guance assumono miliardi di colori tranne uno normale.
«Sono Edward Cullen.» Mormora porgendomi la mano, io avvicino la mia tremante e stringo la sua, così calda e forte.
«Bella Swan.» Mormoro imbarazzata. In realtà il mio nome è Isabella, ma mi sa tanto di antico, odio il mio nome per intero.
«Ci vediamo in giro.» Mi dice salutandomi, mentre io continuo a guardarlo rimanendo imbambolata, mai visto un ragazzo così. Scuoto la testa, ricordandomi che al mio fianco ho una persona che amo e che mi ama e continuo la mia lotta contro il destino: oltrepassare indenne questa giornata.
La mattina passa tra le presentazioni dell’istituto e il mio incontro con le mie due migliori amiche: Melanie e Hayley. Melanie è bionda con gli occhi verdi, è alta e magrissima, tante volte le hanno offerto lavoro come modella, ma lei ha rifiutato essendo innamorata del cibo e degli sport maschili. Hayley ha i capelli rossi, è alta i suoi occhi sono azzurri, il suo corpo è minuto ma ha le forme al punto giusto. Sono state in vacanza alle Bahamas questa estate, mi hanno chiesto se volevo andare ma ho rifiutato, non ho mai lasciato mia madre da sola, ho sempre avuto un senso di protezione assoluta verso di lei, e poi Jacob non mi avrebbe lasciata andare. Tante volte mi chiedo se il nostro amore è come quello delle Sit-com, tante volte mi chiedo se sto vivendo la mia vita per davvero, ci sono quelle volte invece in cui lo guardo negli occhi e dico: sono felice, nonostante succede poche volte. Mi accontento, la mia vita è sempre stata monotona, calma, senza “divertimenti da adolescente”, chi si accontenta gode no?

 

Un gemito di disperazione lascia la gola di Hayley non appena la golf del mio ragazzo entra dentro il parcheggio. Mi giro verso di lei con sguardo confuso e lei scuote la testa. Allora da lì capisco tutto, si chiede come mai io stia ancora con lui, l’unica persona che accetta il mio fidanzamento è Billy, nonché il padre del mio ragazzo. Sembra una cosa triste, ma sono sempre stata quel tipo di persona che se ne frega del giudizio altrui, anche se, lo ammetto, molte volte mi sono chiesta il motivo del disappunto di tutti quanti.
«Come è andata?» Mi chiede con dolcezza non appena entro in auto. Annuisco come per dirgli: “tutto bene”, sono troppo stanca per parlare. Mette in moto e il tragitto è silenzioso, anche perché tra di noi non c’è mai stato nessun tipo di dialogo. Entro in casa e mi butto sul divano, mia madre è a lavorare, tante volte ci rimane anche la notte, è un medico, al momento si sta occupando di una ricerca per il cancro. Guardo le foto che circondano la casa, troppo grande per solo due persone, solo diciannove sono le mie dei compleanni, poi ci sono quelle della nascita, di mia madre da piccola, di me e mia madre. Ricordo che mia madre c’è stata sempre, quando stavo male, quando ho eseguito gli esami della scuola media e del diploma, quando ho dato l’esame per la patente. Ad ogni occasione, che fosse importante o meno lei c’è stata. Sorrido, pensando che sono stata fortunata dopotutto, mia madre mi ama, più di qualsiasi altra persona. La mia vita è sempre stata questa, un immenso accontentamento, il mare a bassa marea. Ci sono stati anche per me quei periodi di ribellione, ma il massimo che ho fatto è stato piangere in un angolo buio per ore, senza far capire niente a nessuno. Spesso in quel periodo, mi chiedevo cosa ci fosse in me che non andava, perché se mio padre mi aveva abbandonata, l’uomo che mi aveva creata, quanto ci avrebbe messo un’amica, un fidanzato a farlo? Avevo perso la fiducia nelle persone, credendo che fossero tutte uguali, che le gente a cui ti affezioni prima o poi ti abbandona, perché trova di meglio, perché non hanno più bisogno di te, perché in un modo o in un altro trovano il modo per sbarazzarsi delle persone. Adesso ho imparato che non me ne importa un fico secco, che se voglio bene non lo faccio al cento per cento, in modo che non appena vanno via sono preparata e soffro meno. Per questo, forse mi sono accontentata di Jacob, perché nei suoi occhi ho visto lo stesso senso di bisogno del mio, di non essere abbandonato.

 

«Pronto mamma?»
«Tesoro, potresti dirmi cosa c’è scritto nella lista della spesa? L’ho dimenticata a casa!» Sbuffa disperata, scoppio a ridere e stacco il post-it dal frigo.
«Melanzane, mele, limoni, pasta, sugo, tonno, bagnoschiuma, crema per il corpo, assorbenti…» Rimango in silenzio, mentre mia madre mi chiama pensando che si fosse staccata la chiamata.
«Mamma, puoi richiamarmi tra due minuti?» Sussurro in preda al panico, senza nemmeno aspettare la sua risposta stacco la chiamata, correndo verso lo sgabuzzino per prendere la mia borsa, afferro l’agenda dove appunto il giorno del ciclo, siamo al 15 Settembre, prendo il mese di Agosto, vuoto, Luglio, vuoto, Giugno: 29 Giugno, ultima mestruazione. In automatico le mie gambe diventano della stessa consistenza del budino e mi siedo per terra, giro le pagine dell’agenda tra le mani, pensando che si, c’è un errore, invece no, le pagine sono vuote. Un peso all’altezza del mio stomaco mi fa faticare a respirare, e spero solo che sia tutta colpa dello stress. Trovo un minimo di lucidità per chiamare mia madre, prima che possa mandarmi una volante della polizia per assicurarsi che io sia ancora viva.
«Pronto Bella? Non permetterti mai più di chiudere il tel…»
«Scusa mamma, c’era Jake alla porta!» Improvviso interrompendola.
«Ho già fatto la spesa, se manca qualcosa torno domani. Ci vediamo tra poco.» Sospiro, sorprendendomi dalle mie doti da attrice, non mi capita di mentire spesso. Afferro la testa con entrambe le mani, imprecando in aramaico contro me stessa! Come ho potuto dimenticare una cosa del genere? È da matti! Inizio a camminare per tutta la casa cercando una qualche spiegazione ai miei ritardi che non sia una gravidanza.

 
«Cosa?!» Urlano all’unisono le mie amiche, costringendomi a tapparmi le orecchie. Chiudo gli occhi, pensando che ci manca solo la loro reazione per farmi scoppiare a piangere seduta stante, cosa che, stranamente non è ancora successa. Ho passato la notte insonne, andando in bagno ogni ora per controllare se fossero arrivate, invece niente, ho pensato fosse lo stress, ma sono quasi tre mesi, e ad oggi mi chiedo come ho fatto a dimenticare una cosa del genere, il che è strano perché sono sempre stata puntualissima e meticolosa per questo genere di cose…forse il diploma, l’università, l’estate calda e noiosa, ho pensato potessero essere tutte queste cose, ma è impossibile, per una volta ho sperato di essere una donna sterile, pensiero che può sembrare orribile per molta gente. Una lacrima sfugge al mio occhio pensando all’ultima volta che ho fatto sesso con Jake, non che ci sia sempre l’occasione, e quando c’è cerco sempre di divincolarmi. Non so cosa ci si trova di bello nel sesso, fatto sta che io non provo niente, se non il suo membro che scivola dentro di me con forza e basta, niente piacere, al massimo dolore. Non capisco come faccia la gente ad esserne dipendente.
«Bella devi fare qualcosa!» Urla Melanie scuotendomi dalle spalle. La guardo negli occhi e annuisco, si, devo fare qualcosa, non posso starmene con le mani in mano ad aspettare il ciclo che a quanto pare non arriverà mai. In un attimo mi ritrovo gli occhi di mia madre delusi che mi guardano, ho paura di deluderla, e in casi come questi la mente, il subconscio ci fa questo genere di scherzi.
«Facciamo così! Tu rimani qui a casa, noi andremo in centro a prendere un test di gravidanza. » Mormora Hayley cercando di confortarmi, annuisco asciugandomi le lacrime e le ringrazio. Non appena la porta si chiude guardo l’orologio, sono le quattro, massimo mezz’ora e dovrebbero essere di ritorno. Mi giro i pollici guardandoli, sperando che questo fermi i miei pensieri e, ovviamente non ci riesco. E se fossi davvero incinta? Come farei con lo studio? Come farei a portare avanti una gravidanza? Mia madre come la prenderebbe? E Jacob? Dio che confusione. Spero di non essere gravida, perché non è il momento giusto, perché sono senza un lavoro. E se lo sono, non c’è una soluzione, perché uccidere un bambino per il semplice motivo di non essere pronta non va bene, perché la vita è sacra e non posso ucciderla, perché lui, se è davvero qui dentro, non ha alcuna colpa, non deve essere lui quello che deve pagare. Mi porto le ginocchia al petto e inizio a singhiozzare, maledicendomi per tutte le volte che Jacob dimenticava il preservativo dicendomi: “Fidati di me”. So benissimo quanto immaturo lui sia, non avrei dovuto lasciarglielo fare. Il campanello suona facendomi sobbalzare, apro la porta senza chiedere nemmeno chi è e le mie amiche spuntano dall’ascensore.
«Dai in bagno!» Urla Hayley cercando di sdrammatizzare, dopo avermi vista nello stato pietoso in cui mi ritrovo. Leggo le istruzioni, okay, posso farcela. Due linee incinta, una no. Sospiro, prendo un bicchierino di quelli sterilizzati e faccio la pipì, immergo il bastoncino e lo metto sopra il piano della lavatrice, leggo ancora una volta le istruzioni, solo tre minuti. Guardo le mie amiche, che hanno smesso di respirare e cerco di non pensare alla tensione palpabile che c’è qui dentro. Guardo l’orologio, manca un minuto, alzo gli occhi al cielo, unisco le mani a mo’ di preghiera pur sapendo quanto sia inutile pregare in questo momento.
«È ora.» Sussurra flebilmente Melanie, annuisco cacciando fuori tutta l’aria che i miei polmoni possiedono e afferro il bastoncino, in questi casi si potrebbe credere che lo avrebbero fatto loro, ma guardando le loro facce quasi mi viene dal ridere, hanno più paura di me. Guardo il test che segna due linee nitide, ben definite, che brillano al contatto con la luce artificiale, come se quest’aggeggio volesse darmi un messaggio ben chiaro: sei incinta, i-n-c-i-n-t-a vuoi capirlo? Mi lascio cadere per terra con il test tra le mani e annuisco alle mie amiche, provocando un pianto isterico ad Hayley, sotto lo sguardo omicida di Melanie. Guardo le piastrelle color salmone del bagno di casa mia cercando di concentrarmi su quelle, pian piano che passa il tempo il mio respiro si regolarizza e Hayley smette di piangere, Melanie si avvicina e me e si siede per terra.
«Calmati tesoro. C’è sempre una soluzione.» Sussurra con tono amorevole. Scuoto la testa, facendole capire che no, per me, per questa situazione non ci sono alternative, non sempre c’è una soluzione a tutto.
«Ehi.» Mormora Hayley imitando Melanie, prende il mio viso tra le mani e mi costringe a guardarla negli occhi. «Noi siamo qui, qualsiasi cosa accada.» Sussurra prima di abbracciarmi forte.

 
 
Guardo entrambe le mani, intrecciate a quelle delle mie amiche, in attesa che la ginecologa chiama il mio nome, per essere sicuri se davvero un piccolo esserino è dentro di me. Sono passati due giorni, mia madre ha capito che c’è qualcosa che non va, ma non ha voluto infierire più del dovuto, Jacob come prevedibile non si è accorto di nulla, non gli ho detto niente, forse sto sbagliando a non dirgli niente tutto e subito, ma sono sicura che in questo momento non sarebbe d’aiuto, per fortuna ho le due migliori amiche del mondo, che non hanno voluto saperne di lasciarmi da sola in questi due giorni.
«Miss Swan?» Chiede una donna con un camice bianco, minuta e bassa. Mi alzo, facendole capire che sono io e mi fa segno di seguirla, nemmeno per un secondo lascio le mani delle mie due amiche.
«Da sola.» Mi dice la dottoressa fulminandomi con lo sguardo, provocando uno strano tremore alle gambe.
«Non possiamo lasciarla da sola!» Urla Melanie con tono per niente amichevole, Hayley annuisce lanciando sguardi torvi alla dottoressa, prego mentalmente che quest’ultima non se la prenda con me. La dottoressa mi guarda e con un sospiro sonoro, degno di un cavallo, annuisce. Mi fa delle domande di rito: ultima gravidanza, ultimo rapporto sessuale, problemi patologici, dipendenza dalla nicotina e via dicendo…
«Si stenda qui. » Mormora sorridendomi, dopo aver sicuramente notato il mio tremore. Mi stendo sul lettino e lentamente la dottoressa mi sfila le mutandine, e, se anche è una donna le mie guance rischiano di prendere a fuoco. Mi guardo attorno, mentre la dottoressa si munisce dei guanti, e sono davvero spaventata questa volta, c’è un aggeggio un po’ strano, sembra un vibratore, ed è grosso. Guardo le mie amiche con gli occhi sgranati, ma la loro espressione, posso giurarci è identica alla mia. La dottoressa spalma il gel sopra la punta di quella specie di vibratore e mi guarda.
«Non farà male.» Mormora un attimo prima di avvicinarlo alla mia intimità, chiudo gli occhi e funziona non penso a nulla, sento quel coso con il gel che entra dentro di me, ma non è poi doloroso, solo un pochino fastidioso.
«Si. C’è un bimbo qui dentro.» Apro gli occhi immediatamente, mentre il dito della dottoressa indica lo schermo, e per la prima volta lo vedo, e c’è davvero. Scoppio a ridere mentre alcune lacrime scendono sulle mie guance, è una pallina bianca, fisso lo schermo sperando che si muova ma ovviamente non  lo fa. È la pallina più bella che io abbia mai visto. Un senso di commozione si insinua nel mio cuore e non dico di essere felice, ma sono sollevata. La dottoressa preme qualcosa nella tastiera e un suono forte parte dalle casse di quella specie di computer. E quello lo riconosco subito, è il battito del suo cuore. È forte, veloce, si intuisce che è pieno di vita, esistenza che  non intendo per nessun motivo uccidere. Guardo le mie amiche, entrambe con gli occhi lucidi che mi sorridono, Hayley accarezza la mia fronte e annuisce. Prendo l’appuntamento con la dottoressa per il prossimo mese e vado via, tra le mani stringo forte l’ecografia.
«Noi siamo qui, in macchina con te. Per qualsiasi cosa urla, fa qualcosa! » Dice Hayley, mentre spegne la macchina davanti l’officina di Jake. Annuisco più a me stessa che a loro ed esco dalla macchina.
«Ciao Bells. Che fai qui?» Mi chiede Jake, uscendo dall’officina, sorpreso dati che qui non ci metto mai piede.
«Volevo parlarti.» Mormoro decisa, sono sicura che se il panico prende il sopravvento finirei per non dirgli nulla. Lui alza le braccia ed io rimango dove sono, meglio qui fuori. Annuisco a me stessa e prendo un respiro profondo.
«Sono incinta, Jacob.» Dico tutto di un fiato con la voce isterica. Lui sgrana gli occhi e come prevedevo rimane in silenzio. Mi torturo le dita con le mani, tenendo stretta la mia borsa, lui abbassa lo sguardo senza guardarmi e rimaniamo così per minuti interminabili.
«Com’è possibile?» Mi chiede rabbioso, reazione che accende l’istinto di prenderlo a pugni adesso, fino a farlo sanguinare.
«È…ecco…» Inizio a balbettare e lui mi interrompe avvicinandosi bruscamente.
«Zitta, zitta, zitta!» Urla fuori di sé avvicinandosi. Rimango impietrita, iniziando silenziosamente a piangere, e se anche è sbagliato il senso di colpa mi invade. Lui inizia a camminare a destra e a sinistra tenendosi tra le mani la zucca vuota che si ritrova.
«Andiamo dai!» Urla di punto in bianco prendendomi malamente per il braccio. Mi divincolo dalla sua presa e riesco a guardarlo con rabbia.
«Non toccarmi!» Sibilo furiosa.
«Dobbiamo andare in ospedale Bells, dobbiamo mettere fine a questa cosa prima che cominci.» Mi dice disperato, lo guardo con ribrezzo, non credendo alle sue parole, lo spingo con tutta la forza che ho e sento i passi di Hayley e Melanie dietro di noi. Sono vicine ma rimangono in silenzio.
«Tu…vuoi tenerlo?» Mi chiede sorpreso. Io annuisco e lo guardo piangendo.
«Vattene Bella. Sei solo una ragazzina! Lo capisci quello a cui stai andando incontro? NON SAREMO IN GRADO DI CRESCERE UN FIGLIO!» Urla facendomi spaventare. Mi avvicino a lui e lo guardo negli occhi.
«Forse tu no, Jacob Black, ma io si!» Urlo piangendo prima di correre via, corsa che dura poco, perché tutta la rabbia, la tensione, lo stress e la malinconia prendono il sopravvento facendomi perdere i sensi.

 

 

 

 

 

Salve! Eccomi ancora! So che chi mi conosce penserà: ma lei non è quelle che due storie contemporaneamente no? Ebbene, non riuscivo a non pubblicare questa storia, la sento troppo parte di me per lasciarla nascosta ancora quindi spero vivamente di farcela, non ho nessun intenzione di abbandonare Embrace Me With Your Mind :3 ps: avete tutto il diritto di odiare Jacob e.e
Ehm…non so se vi piacerà, decidete. Un bacio
A presto

Roby <3

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Capitolo 2
*** Alone Against The World. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

 

Alone Against The World.

 

 

 

 

 

Cercavo di aprire gli occhi, ma le palpebre non rispondevano ai comandi del mio cervello. Non sentivo nulla, se non il respiro di qualcuno sulla mia pelle. Non so esattamente quanto tempo sia passato dall’ultima volta. Ricordo tutto, dicono che, in questi casi, molto spesso non si ricorda nulla. Io ho solo perso i sensi, non la memoria per quanto mi riguarda. Ricordo la rabbia negli occhi di Jacob, lo spavento nelle voci delle mie migliori amiche e poi il buio, ma tutto quello che è avvenuto prima lo ricordo, e se il mio corpo facesse ciò che indica il cervello inizierei a piangere per poi non smettere più. Come ho potuto anche solo pensare che Jacob l’avrebbe presa bene? Forse mia madre e le mie amiche avevano previsto una cosa del genere. Non abbiamo mai litigato pesantemente io e Jacob, poiché non c’è mai stato un valido motivo per farlo, adesso non sono sicura di volerlo nella mia vita per uccidere un ‘anima che non ha fatto nulla di sbagliato, innocente. Cerco di muovere le mani ma nulla, il vuoto. Vorrei tanto portarmi una mano sul ventre, sperando che, per quanto prematura sia la mia gravidanza, io non abbia perso quella piccola pallina bianca. Non so perché, non so nemmeno se sia una cosa normale, ma è possibile amare qualcosa, qualcuno già dal primo momento che scopri della sua esistenza? Forse no, non è normale, ma chi dice che io lo sia? Il desiderio di alzarmi, svegliarmi da questo stato qualsiasi esso sia, è prepotente, mi sento repressa, costretta in questo letto senza alcun bisogno. Spengo la mia mente e aspetto pazientemente che arrivi la luce per  svegliarmi.

Strabuzzo gli occhi e finalmente posso muovermi. Apro gli occhi lentamente, mi guardo attorno, cercando di focalizzare le sagome, ci metto qualche secondo prima che la mia vista torni limpida e vedo la testa di mia madre appoggiata sul mio letto. Accarezzo i suoi capelli, sperando di non averla delusa così tanto da pentirmene amaramente. Non appena sente il mio tocco, alza la testa con uno scatto repentino guardandomi e scoppiando a piangere.
«Tesoro mio.» Sussurra tra le lacrime abbracciandomi forte, alzo il braccio sinistro, notando che il destro è ingessato, lo guardo stralunata cercando di ricordare il dolore che dovrebbe avermi causato il braccio rotto, ma nulla, non sapevo di avere avuto danni fisici, o meglio, forse lo sapevo ma non ricordo. Le lacrime di mia mamma bagnano le mie guance e non so bene se è per la gioia di rivederla, per la paura di quello che mi aspetta nei prossimi mesi, per la rabbia di Jacob ancora presente dentro di me come una coltellata sul cuore, ma scoppio a piangere insieme a lei abbracciandola forte a me, intimandole di non abbandonarmi, che ho solo lei, che sarei sola se lei mi volterebbe le spalle. Mia madre scioglie l’abbraccio e accarezza la mia fronte, scostando qualche ciocca di capelli, la sua mano è fredda a contatto con la mia pelle calda. Mi guarda negli occhi e mi immergo in quell’azzurro cielo che mi ha sempre trasmesso sicurezza, affetto, sincerità e senso di purezza,  mi sorride e sospiro di sollievo, ma sono sicura che la ramanzina arriverà, deve arrivare.
«Amore mio. Stai tranquilla sistemeremo tutto.» Mormora prima di darmi un bacio sonoro sulla guancia. Mia madre propone di chiamare il medico in modo da avere maggiori chiarimenti sulla mia salute, dato che adesso sono finalmente cosciente. Il medico, un uomo sulla cinquantina, con capelli e folta barba bianca e un paio di occhiali che scivolano malamente sul naso neri, si avvicina sorridendomi. Tiene in mano una cartellina bianca ed è munito di una biro, alzo gli occhi al cielo, sperando di non dover rispondere ad un questionario mastodontico.
«Buongiorno Isabella.» Mormora sorridendomi, mentre io con quel buongiorno mi chiedo che ore sono e di quale giorno. Mi guardo attorno, ma non c’è nessun orologio o indizio utile.
«Dovrai rispondere a qualche domanda mia cara. Ma stai tranquilla la tua psiche è ancora debole, cercherò di fare presto.» Mormora con voce calda e rassicurante, annuisco come un automa, ripetendo come un mantra un: “lo sapevo”. Rimane in piedi davanti al mio letto e mi studia con lo sguardo, dopo qualche minuto annuisce e sospira, io roteo gli occhi e aspetto.
«Bella, cosa ricordi di quello che è successo prima di perdere i sensi?» Mormora, pigiando il bottoncino della biro pronto a scrivere, per poi analizzare le mie parole, strano, credevo lo facessero solo gli strizzacervelli.
«Ero andata a casa del mio ragazzo. Per comunicargli che aspettiamo un bambino…a proposito come sta?» Chiedo allarmata, ricordandomi che dentro di me c’è una vita che si sta creando, sentendomi un verme per averlo per qualche secondo dimenticato, cancellato dalla mente.
«Sta bene. Fortunatamente è rimasto illeso.» Mormora accigliandosi e guardandomi incitandomi a parlare.
«Dicevo…ho detto a Jacob che ero incinta, ma lui non ha voluto saperne, anzi, voleva ucciderlo, voleva che io abortissi, voleva...voleva…» Scoppio a piangere, ricordando come se fosse adesso la rabbia di Jacob, palpabile tramite i suoi occhi, la sua bocca, si sentiva nell’aria, mi aveva respirato addosso tutto il calore di quella rabbia non ingiustificata ma eccessiva. I singhiozzi mi riempiono il petto, facendo tremare la mia anima, che ormai non sa che fare se non piangere. Il medico mi guarda impassibile, mentre mia madre gli lancia sguardi di fuoco che potrebbero ucciderlo. Cerco di calmarmi, ripetendomi che non è il momento di piangere e fortunatamente ci riesco.
«Isabella, mi dispiace…vorrei solo dirti che hai il braccio fratturato, abbiamo bisogno di sapere come è successo.» Mormora con voce calda e rassicurante.
«Questo non lo ricordo. Forse quando sono caduta perdendo i sensi. Non lo so. Sono certa che, però, non ho sentito alcun tipo di dolore mentre ero vigile.» Mormoro sicura di me, non voglio dire balle solo per farla pagare a Jacob, anche se lo meriterebbe, non sono famosa per essere vendicativa.
«A volte, la rabbia e la disperazione non ci fanno accorgere del dolore fisico che stiamo provando, perché quello psichico è più forte.»

 
«Tesoro dobbiamo parlare.» Mormora mia madre mentre mi aiuta ad entrare in macchina, non mi ero mai fratturata nulla, il gesso è una tortura, alzo gli occhi al cielo per lo sforzo e mi siedo sul sedile della Volkswagen nera di mia madre. Annuisco alla sua affermazione. Mette in moto e rimane in silenzio, facendomi capire che sta metabolizzando e analizzando ogni frase che deve dedicarmi, sempre con la sua massima e assoluta sincerità. Non appena mia mamma spegne la macchina scoppia a ridere, indicandomi il portone di ingresso di casa nostra. Ci sono Hayley e Melanie che hanno in mano degli striscioni che citano: “bentornati a casa.” Una lacrima di commozione riga la mia guancia, dovrei essere felice di tutto questo, e invece…invece mi sento sola contro il mondo, sola a combattere contro un esercito intero, mi sento da sola, ma non lo sono, e se anche fosse avrei la forza di batterti contro tutto e tutti, per lui, per questa bellissima pallina bianca che mi ha fatto innamorare con un colpo di fulmine. Scendo dall’auto, tenendo sempre fermo il mio braccio e mi avvicino alle mie amiche, pronte ad abbracciarmi forte, strozzandomi e dandomi la loro forza. Entriamo in casa e mi chiedono come sto. Le dico che sto bene, che il mio piccolo o piccola che sia è sano, che la mia gravidanza va avanti da sei settimane, nonostante i ritardi facevano credere di più. E poi, cala un silenzio tombale non appena nominano Jacob. Non voglio parlare di lui, non ne vedo la ragione. Hayley e Melanie se ne vanno ed io mi stendo sul divano chiudendo gli occhi, cercando un qualche argomento che mi faccia venir sonno, in modo da non pensare e immergermi in quel luogo che tutti chiamano sogno, vivere in quella realtà reale solo dentro di noi, dove c’è pace e tranquillità.
«Bella? Svegliati amore. Dobbiamo cenare.» Mi sento strattonare dolcemente da mia mamma e apro gli occhi lentamente. Gli occhi azzurri di mia madre si specchiano nei miei e ci vedo paura lì dentro. Mi alzo con uno scatto repentino e inizio a camminare per dirigermi in cucina, una fitta al braccio mi fa fermare e strizzo gli occhi tra loro, come se questo gesto potesse cancellare il dolore. Mia madre corre verso di me e mi aiuta a sedermi sulla sedia di legno della cucina. Inizia a massaggiare la mia spalla e un sospiro di sollievo lascia le mie labbra.
«Meglio?» Mi chiede sorridendomi dolce. Io annuisco e ricambio il sorriso. L’odore di patate al forno e carne arrosto entra nelle mie narici facendomi rendere conto che sono molto affamata. Non appena ho il piatto con il cibo davanti afferro le posate e mangio tutto in dieci minuti, il tutto seguito da un mal di pancia terribile ovviamente.
«Bella devi mangiare più lentamente!» Mi rimprovera mia madre, facendomi sentire una bambina di cinque anni, non posso darle torto ovviamente. Sorseggia il suo tè al limone e  mi guarda, mi studia, cerca in qualche modo di comunicarmi qualcosa.
«Che c’è mamma?» Chiedo sicura che tra un po’ la sua tranquillità verrà smascherata dalla rabbia, perché in fondo so che è amareggiata e delusa. Lei scuote la testa e sorride.
«Non sono arrabbiata con te Bella.» Mi dice schiarendosi la voce, per poi continuare. «Sono solo molto sorpresa. Non mi sarei aspettata una cosa del genere adesso, di certo, sapevo che quando eravate da soli, tu e Jacob,  non vi guardavate negli occhi, poiché vedevo il modo in cui ti guardava, vedevo che c’era già una certa intimità tra di voi. Sono delusa dal suo comportamento, perché nonostante tutti sappiamo il suo carattere, sappiamo che è un immaturo che resterà tale per sempre, non credevo che ti lasciasse da sola in un momento come questo…» Dice facendomi tirare un sospiro di sollievo, ammettendo a me stessa che io al posto suo sarei stata furiosa.
«Lui ci sarebbe stato mamma. Solo se io avessi accettato la sua condizione.» Mormoro deglutendo, lei mi guarda accigliata e realizzo che Hayley e Melanie non le hanno detto propriamente tutto.
«Quale condizione?»
«Se io avessi ucciso il bambino, a quest’ora sarebbe qui con me. Ma non voglio uccidere un’anima innocente per colpa sua. Mi sono resa conto, in quel poco tempo che ho potuto pensare, che lui non mi ama, lui non ama, perché se lo facesse non avrebbe pensato nemmeno per un momento quello che ha detto, ciò che voleva che io facessi.» Dico cercando di reprimere le lacrime, consapevole che, comunque, avrei dovuto affrontare questa cosa con mia madre e che è semplicemente solo l’inizio, l’incomincio di una strada asfaltata, l’abbozzo di una nuova me, l’inizio di una lotta di cui sono sicura di voler combattere, anche a costo di perdere qualsiasi cosa, anche sola contro tutto il mondo.
«Questo ti rende onore piccola mia. Ho capito che vuoi tenere questo piccolo esserino. Ti comprendo se mi dicessi che lo ami più di te stessa nonostante sia solo l’inizio. Io sono qui amore mio, al tuo fianco, qualsiasi decisione tu intraprenda.» Mormora con le lacrime agli occhi, mi avvicino a lei e per quanto il braccio mi permette la stringo forte a me, ringraziandola un’infinità di volte e bagnando più del dovuto la sua camicetta.
Mi stendo sul mio letto, sfinita sia fisicamente e moralmente, accendo il pc e decido di guardare un film, purtroppo però i miei film sono tutti malinconici e strappa lacrime, come Forrest Gump, John Q, Moulin Rouge, Man Of Fire, alzo gli occhi al cielo e chiudo il computer con uno sbuffo. Un senso di angoscia mi pervade facendomi scendere le lacrime senza che io me ne sia resa conto, gli uomini sono tutti uguali, avevo sentito una volta, smentivo sempre, difendevo gli uomini dicendo che ogni persona ha un carattere diverso da un’altra che ognuno di noi è unico, diverso da un altro. Invece adesso lo penso anch’io, mio padre ha fatto la stessa identica cosa di Jacob, ha abbandonato mia madre quando io ero solo un feto minuscolo, non ha voluto prendersi le sue responsabilità. Aveva giurato amore eterno, mio padre, come Jacob aveva fatto con me, ripentendomi tutti i giorni quanto le stesse a cuore la mia felicità, dicendomi che nulla era più importante del mio sorriso, eppure eccolo qui, pronto ad abbandonarmi, abbandonarci, al nostro destino, pronto a fregarsene di un figlio che tra meno di un anno nascerà, pronto ad ucciderlo pensando solo a se stesso, alla sua vita senza interruzioni da parte di nessuno. Ho letto il suo fastidio negli occhi quando ho rivelato il mio stato interessante, come se quel bambino fosse una barriera tra le due personalità di se stesso, come se quella fosse una tragedia quando in verità è un dono, un piccolo miracolo arrivato in un momento sbagliato, ma pur sempre qualcosa che sa riempire il cuore di gioia più di qualsiasi altra cosa la vita ci offre. Calde lacrime bagnano il mio cuscino, cerco di autoconvincermi che le lacrime porteranno via questo immenso senso di tristezza, con una mano le spazzo via cercando in vano di reprimere quell’ansia ormai presente dentro di me da giorni. Chiudo gli occhi cercando di immaginare la mia vita, ma Jacob non c’è, dicono che l’amore non va via in un battito di ciglia, dicono che non si ama se si odia, dicono che per innamorarsi di una persona può volerci un attimo come un secolo, dicono che per odiare una persona può volerci un nanosecondo e un’eternità. L’amore non va via presto, è vero, ma era vero amore? Che amore è se dopo qualche attimo puoi ritrovarti ad odiare la stessa persona? L’unica cosa che mi consola è avere la consapevolezza di amare questo bambino di più di quanto credevo di amare Jacob. Una parte di me spera che lui torni indietro, a chiedermi scusa, a dirmi che era stato l’istinto a prevalere, l’altra non lo vuole più vedere né sentire. Scuoto la testa e le lacrime scendono fino al collo, che stupida sono stata a credere anche solo per un attimo che lui sarebbe rimasto al mio fianco. Avevo anche creduto che questa fosse stata l’opportunità per farlo crescere. Lui ha buttato via la felicità, perché io ne sono consapevole, sarò felice, non ora né tra un mese, ma quando questa gioia verrà al mondo, onorandomi con la sua presenza sarò felice, e nessuno potrà mai farmi cambiare idea su questo.

«Bella! Va a casa se non te la senti! Forza!» Mi incita Hayley non appena mi vede. Siamo davanti l’edificio universitario ad aspettare Melanie, che stranamente non è ancora arrivata. Il mio aspetto di certo non è tra i migliori, ma sono presentabile, e poi, se voglio davvero dare un futuro degno di essere chiamato tale al mio piccolo devo continuare ma studiare, ho pensato di passare in segreteria e chiedere se tra qualche mese posso studiare da casa, in modo che quando la mia pancia sarà una mongolfiera potrò starmene a casa senza perdere l’istruzione o comunque rimanere indietro con gli esami. Gli occhi di Hayley si mescolano con i miei rivelandomi la sua tristezza nel vedermi in questo stato, con un braccio fasciato, gli occhi spiritati, l’espressione di chi è stato appena travolto da un camion, e poi la consapevolezza di avere un’amica incinta e sola. La guardo cercando di confortarla, cercando di farle capire che io sono forte, che posso farcela, contro ogni probabilità riuscirò a rendere la mia vita migliore di quel che credo.
«Hai denunciato il fatto?» Mi chiede indicando il mio braccio con il mento. Io la guardo confusa e scuoto la testa. Lei sgrana gli occhi e mi guarda, si avvicina a me velocemente e mi prende per il braccio.
«Perché no Bella? Se farai passare questa cosa, la rifarà altre volte!» Mi dice arrabbiata ma con quel senso di dolcezza tra la voce.
«Ma cosa? Di che parli?»
«È stato Jacob a romperti il braccio, non è possibile che non lo ricordi!» Cerco di trovare qualcosa che colleghi questo, nei ricordi della mia mente e sì, ricordo che lui mi ha afferrato il braccio, ma non ricordo se ho provato dolore, e non è possibile che sia stato lui, perché con lo stesso braccio dopo qualche secondo gli ho mollato un ceffone. Scuoto la testa rivolgendomi ad Hayley, mentre l’abbraccio di Melanie mi impedisce quasi di respirare.
«Buongiorno. Come va?» Chiede con aria frizzantina. Noi scuotiamo la testa e lei rimane impassibile, non facendosi rovinare il buonumore, è una cosa che ammiro di lei, una delle sue migliori qualità. Hayley chiede a Melanie se ricorda bene quel pomeriggio non molto lontano, dicendole che non ricordo se è stato lui a rompermi il braccio oppure è stata la caduta.
«È stato lui! Ovvio che è stato lui!» Urla Melanie. Io annuisco, sicura che posso fidarmi di loro e la mattina passa così, tra le lezioni e il mio frugare tra i ricordi per cercare di rendere quel pomeriggio più vivido, rendendo la mia vita ancora più difficile, dato che quel ricordo è come una stilettata al petto. Non appena il professore di letteratura Inglese ci informa che possiamo andare, la classe si svuota immediatamente. Con la mia goffaggine degna da far invidia ad un bradipo, mi alzo acchiappando la mia borsa, esco dall’aula cercando con lo sguardo Melanie, dato che Hayley oggi tornava a casa prima. Mentre cammino in cerca della mia amica, la porta con una voluminosa scritta “segreteria” attira la mia attenzione, meglio prima che dopo, mi dico. Varco la porta e un signore sulla cinquantina d’anni mi sorride facendomi cenno di avvicinarmi al bancone.
«Buongiorno. Vorrei sapere se ci sono delle possibilità di studiare da casa, nei prossimi mesi.» Mormoro, incurante del mormorio dei ragazzi che ci sono dall’altro lato della segreteria, sicuramente a prendere la serie dei libri di testo. Lui annuisce e mi porge un modulo.
«Deve compilare il modulo, e poi potrà farlo. Il modulo va consegnato trenta giorni prima dalla data in cui non riesce a venire qui.» Mormora sempre sorridendomi. Lo ringrazio ed esco fuori, seguita da un ragazzo.
«Ehi ciao! Come va?» Mormora imbarazzato, si riesce a sentire dalla voce. Mi giro e mi imbatto ancora una volta in quel ragazzo che avevo creduto reale solo nella mia mente. Non ricordo bene il suo nome, quello che ricordo, cosa che non si può dimenticare, è la sua bellezza. Non è di una bellezza di quelle che vedi in tv in uno spot di profumi, no, è molto di più. Direi più una bellezza che ti colpisce al primo sguardo, una bellezza che quando la vedi non puoi dimenticarla. La sua mascella è rigida ma dall’aspetto sembra morbida da mordicchiare, le sue spalle sono larghe, ma non troppi, è minuto ma i muscoli sono okay. E poi ci sono i suoi occhi che pur non conoscendolo mi fanno capire la bontà che c’è il lui, la bellezza interiore che esprimono i suoi occhi è eclatante.
«Ehm...Ciao. Tutto bene grazie.» Mormoro con le guance in fiamme, com’era quel proverbio? Ah sì, meglio dire che stai bene invece che spiegare perché stai male. E poi di certo, non voglio la pietà di nessuno, tanto meno non voglio annoiare questo dio greco sceso in terra, sono sicura che osservarlo così è meglio che parlarci.
«Organizzo una festa, questo Sabato. Vuoi venire? Puoi portare anche le tue amiche con te.» Mi dice con le pupille che si allargano di speranza. Sorrido intimidita e prendo l’invito che ha tra le mani e annuisco. Lui si passa una mano tra i capelli e mi saluta, lo guardo mentre mi da le spalle andando via. Guardo il foglio e la ragione non permette all’istinto di accartocciarlo e buttarlo via. Mi dirigo fuori, sperando che Melanie sia lì, mentre la malinconia che per pochi attimi se ne era andata torna a farmi compagnia, rendendosi più presente della mia ombra stessa. Mi guardo attorno, ma questa volta non per cercare Melanie, ma per vedere se trovo quel ragazzo di cui non ricordo il nome. Un moto di delusione mi invade quando Melanie arriva e di lui non c’è nemmeno l’ombra. È possibile credere di stare bene in presenza di una persona che ancora non conosci?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccoci, non ho ritardato, anche se, lo ammetto è stato difficile. Voglio ringraziarvi tutte, per aver accolto la storia in questo modo, non me lo aspettavo. Grazie infinite!
Spero di non deludervi e spero che quest’avventura sia gradevole per voi quanto lo è per me.
Un bacione.
A domenica.

Roby <3

 

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Capitolo 3
*** The Right Time. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

 

The Right Time.

 

 

 

 

 

 

 

 

Accarezzo il velluto soffice del mio vestitino, tremando con il cuore in gola. Sono in macchina con Hayley, stiamo per andare alla festa di Edward, quel ragazzo tanto bello quanto gentile. Eppure non mi sento a mio agio, nonostante la sua dolcezza è stata la prima cosa che ho notato di lui. È giusto che una ragazza incinta esca a divertirsi? È da responsabili farlo? Forse non è Edward la causa del mio tremore, è semplicemente il senso di colpa che sento verso il mio piccolino, è sano per lui? Che io esca mentre lui è dentro di me? Non c’è nulla di male, disse Hayley nel momento in cui avevo pronunciato un no secco, non appena quel piccolo volantino è scappato dalla mia borsa, come per farsi vedere, come per rendersi utile a qualcosa. Scuoto la testa, cercando di sospirare, ma il nodo che ho in gola non me lo permette. Melanie è uscita con un ragazzo questa sera, lasciandomi con Hayley, lasciandomi senza scelta. Hayley mi ha truccata, ripentendomi che sono pur sempre una ragazza di diciannove anni, che sono bella, che ho tutta la vita davanti e che mio figlio quando sarà grande potrà batterle il cinque, sono scoppiata a ridere, avevo acconsentito ad uscire con entusiasmo, ma adesso sento di star sbagliando. Mi sento come quando sono uscita a prendere una boccata d’aria alle tre del mattino, dopo aver litigato con Jacob,  sapevo che lui non voleva che uscissi alla sera tardi, da sola, eppure lo avevo fatto sentendomi in colpa, tremendamente fuori posto.
«Forza Bella. Ci divertiremo. Pensi troppo.» Sussurra sbuffando, io deglutisco e annuisco flebilmente. Arriviamo a destinazione e il mio cuore batte furioso, facendomi credere ardentemente che possa uscire dalla cassa toracica da un momento all’altro, per l’ansia. La mia amica mi manda uno sguardo omicida e penso che questa serata non possa andare peggio di così. Mi passo una mano tra i capelli nervosamente e scendo dall’auto. La casa che ospita la festa è una villetta a schiera, c’è un giardino attorno pieno di azalee rosse e arancioni, c’è odore di terriccio bagnato. La villetta è bianca con i tetti grigi, le finestre, troppe per i miei gusti, sono con la griglia antifurto, nere, è una di quelle villette che trovi ad ogni lato di Berlino, che sia un quartiere che sia il centro della città, c’è ne sono tantissime uguali. Con mia madre, ogni tanto, ci soffermiamo a guardarle invidiose verso quelle persone che hanno il privilegio di abitarci. Sorpassiamo il cancelletto aperto e ci dirigiamo verso la porta di ingresso, anch’essa aperta. C’è un odore intenso di incenso, mi guardo attorno per vederlo, ma di lui non c’è traccia, la casa è vuota, spero che questo non sia stato uno scherzo di cattivo gusto.
«Sei arrivata allora!» Esclama proprio lui dietro le mie spalle, mi giro reprimendo un sorriso da idiota e lo guardo, rimanendo incantata per qualche attimo. Indossa una camicia azzurrina leggera, le maniche sono alzate sui gomiti e lasciano intravedere un orologio Rolex d’oro, ha dei pantaloni neri che avvolgono le sue gambe in modo perfetto, i suoi capelli sono sempre quella chioma ribelle che non ho mai visto al loro posto e poi, indossa la cosa migliore che un uomo potesse avere, un sorriso dolce, genuino, sincero, uno di quei sorrisi che si leggono nell’anima, negli occhi. Abbasso gli occhi, rendendomi conto che mi sono soffermata troppo su di lui con lo sguardo. La sua mano sfiora la mia spalla e voltandomi di lato noto che Hayley è sparita. Le gambe iniziano a tremarmi ma rimango comunque immobile, sentendo un fastidio assiduo alle mani che stanno iniziando a tremare.
«Che ti succede?» Mi chiede preoccupato tastandomi la fronte con la mano. Io scuoto la teste e mi divincolo dalla sua presa. Mi porge la mano, che io afferro prontamente sorprendendo anche me stessa, ci dirigiamo verso una porta finestra che da al terrazzo immenso, stupendo e soprattutto pieno di gente, ragazzi che ho intravisto per i corridoi dell’università e altri che magari non ho mai visto o che, comunque non frequentano lo stesso istituto. Una ragazza, con i capelli biondi tinti quasi bianchi mi guarda con una smorfia sconcertata in viso. Edward continua a camminare, non mollando la mia mano, nemmeno mentre si scontra con un ragazzo. Ci avviciniamo in un angolo del terrazzo vacante dove c’è una sdraio libera, mi fa segno di sedermi e lo faccio, sospiro. Lui rimane in piedi, mentre il mio sguardo si fonde con le mie unghia dei piedi, mi sento osservata da lui, sento i suoi occhi addosso, sento la mia pelle ricoprirsi di brividi sotto il suo sguardo. Un sensazione invade il mio corpo, una percezione a me sconosciuta, ma piacevole, quasi lusinghiera. Non mi era mai capitato di essere intimidita da qualcuno, men che meno da un uomo, nemmeno i primi giorni che mi innamorai di Jacob provavo certe cose, al massimo arrossivo. Adesso mi sento destabilizzata, lusingata, serena, come se il suo sguardo su di me fosse necessario. Batto flebilmente la mano sulla sdraio, facendogli segno di sedersi al mio fianco, un sorriso si fa strada nel suo viso ed io ricambio. Accarezzo il mio ventre, perché nonostante sembra strano, per pochi attimi ho avuto paura di dimenticarmene. Mi piace accarezzare il mio ventre, fare capire a quel piccolo embrione, che, nonostante io sia la sola a volerlo davvero, già lo amo. Sto cercando di riprendermi dalla questione ‘Jacob’ ma sono sicura che il motivo per cui io non sono ancora impazzita sia proprio questa piccola pallina bianca. Ho pensato che morire di dolore non servirebbe a niente, se non a trasmettere la mia malinconia a mio figlio, adesso vivo per lui, per farlo sentire sempre importante, perché ormai lo so lui è la mia vita, quel motivo per cui mi alzo al mattino per andare a lezione, quel motivo per cui vale la pena lottare. Vale la pena lottare per tenere ciò che si ama e, nonostante lui sia solo un puntino non ancora ben definito è amato, voluto, desiderato. Guardo gli occhi di Edward, sono verdi come il colore della speranza, forse è per questo che sento una certa affinità verso questo ragazzo che potrebbe sembrare irreale, gli sorrido arrossendo, mentre la sua mano sistema una ciocca ribelle dei miei capelli dietro l’orecchio, la sua mano sfiora il mio viso e cerco di non tremare, mi sorride dolce e inizia a parlare.
La serata passa tra chiacchere e risate, abbiamo bevuto del succo di frutta e mangiato fragole, ad ogni morso che dava ad una fragola il mio corpo fremeva regalandomi sensazioni a me assolutamente estranee. Mi ha parlato della sua famiglia, momentaneamente in vacanza, del suo voler diventare scrittore, della sua passione per il pianoforte, cosa che mi ha sorpresa e che mi ha fatto pensare tanto a lui con gli occhi chiusi mentre muove le mani dando vita ad una melodia straordinaria, come lui, come i suoi occhi e come il suo viso. Parlammo di me, di mia madre e delle mie amiche, non gli ho parlato di Jacob o del mio piccolino, sarebbe stata una cosa troppo intima e, devo ammettere, che la paura che il suo interesse svanisse era palpabile. La festa c’era, ma noi eravamo in una specie di limbo, dove l’accesso era consentito solo alle nostre parole seguite dai sospiri e mai mi sono sentita così bene in vita mia, dando finalmente risposte alle mie domande, sì, si può stare bene con una persona non appena la guardi negli occhi per la prima volta. Non c’è un motivo, non c’è un perché, accade e basta. Ci sono persone che per qualche assurdo motivo decidono di volere entrare prepotentemente nella tua vita e ci sono quelle che, invece, entrano nel tuo cuore senza che tu dia il consenso, senza avere nemmeno il tempo di rendertene conto e quando accade molte volte è piacevole, come adesso, in questo istante.
 Saluto Hayley che non appena è scattata la mezzanotte è venuta a cercarmi come se io fossi uscita dalla favola di cenerentola, per accompagnarmi a casa.
«Bella?» Mi chiama la mia amica, non appena apro lo sportello della sua auto. Io la guardo e lei mi sorride con gli occhi.
«Ti ho vista allegra, stasera.» Mormora con tono dolce ma allo stesso tempo attento ad una mia reazione. Io annuisco, ammettendo che la presenza di Edward ha migliorato il mio umore, facendomi per qualche ora dimenticare la mia vita, dando spazio alla spensieratezza.
«Stai attenta.» Mormora prima di salutarmi e sfrecciare a tutta velocità tra le strade di Berlino.

 

 

 

Mi guardo allo specchio, indecisa su quale maglia indossare, ho deciso di uscire a prendere un gelato con mia mamma, in questa domenica afosa di settembre. Mia madre ha accettato entusiasta, contenta che qualcosa mi avesse dato la forza di uscire per altro che solo per le lezioni. Stanotte non ho chiuso occhio e le borse enormi sotto gli occhi lo confermano, sospiro infischiandomene optando per la camicetta azzurra anziché quella color mandarino. Tolgo la canotta del pigiama, indugiando sul mio ventre, ancora piatto e duro, se non avrei la prova lampante di aspettare un bambino non ci crederei neanche. Sembra strano, eppure non vedo l’ora che la mia pancia cresca, in modo da credere completamente che lui è mio,  che tutto questo è reale, che la sua esistenza lo è. Mi dirigo in cucina ed esco con mia madre. Ci dirigiamo in gelateria, scoprendomi vogliosa di gelato al cioccolato mischiato a quello della fragola, se ci avessi pensato qualche mese fa avrei escluso assolutamente l’unione di questi due gusti, eppure adesso che l’ho assaggiato sotto lo sguardo scettico misto al divertito di mia madre. Non appena inizio a mangiarlo con vigore mia madre scoppia a ridere.
«Che c’è? Mi piace! » Le dico sorridendo confusa.
«Finisci di mangiarlo, che poi ti dico.» Dice tra le risa, facendomi corrugare le sopracciglia. Finisco il mio gelato di fretta, un po’ per la curiosità, un po’ per la fame e sorrido a mia madre incitandola a raccontarmi.
«Una volta, ho sognato la pasta con le cozze dentro un mega panino con le patatine. Ricordo che la mattina dopo vomitai. Eppure, quando ero incinta di te, tua nonna mi portò al ristorante, ricordai quel sogno strano e vomitevole, eppure sentivo il bisogno di assaggiarlo, l’ho fatto, scoprendomi soddisfatta e ripetendo ai tuoi nonni che lo avrei ripreso, amavo quel panino con la pasta dentro.» Scoppia a ridere, sicuramente vedendo il mio sguardo scioccato, ma non appena sto per formulare la frase una voce profondamente familiare mi fa gelare sul posto.
«Non lo sai Reneé? Che non si parla di cibo davanti ad una donna incinta?» Mormora Jacob, con astio puro nella voce rivolto verso mia madre, che odia con tutto se stesso consapevole che l’affetto è ricambiato. Mia madre, per la prima volta davanti ai miei occhi, rimane di stucco specchiando i suoi occhi sui miei. Deglutisco a vuoto, cercando la saliva all’interno della mia bocca prima che soffochi. Lu mi guarda senza battere ciglio con un sorriso strafottente sul volto. Mi alzo dalla sedia, intenta ad andare via, lanciando uno sguardo complice a mia mamma, ma non appena il mio piede si alza per fare un passo le sue mani afferrano con forza i miei fianchi e fa male!
«Lasciami!» Urlo mentre un ragazzo, che stava mangiando il gelato con la propria famiglia, si avvicina per capire il motivo delle mie urla.
«Ha chiesto di essere lasciata!» urla il ragazzo, mentre mia madre colpisce Jacob con la borsa, i miei fianchi indolenziti dal dolore sono ancora intrappolati nelle sue mani, e adesso ricordo lo stesso fastidio nel braccio, quel giorno quando scoprì di essere gravida,  è stato lui, sono sicura adesso. Jacob finalmente molla la presa e mi implora con gli occhi, io distolgo lo sguardo e prendo la mano di mia mamma portandola via, compito difficile dato che urla e cerca di prenderlo a schiaffi.
«Andiamo mamma!» Urlo trascinandola via.
«Scusa, scusa. Bella aspetta!» Urla Jacob seguendoci.
«Vaffanculo Jacob!» Urlo con tutto il fiato che ho in corpo senza fermarmi.
«Perdonami Bella. Torna con me, ti prego. Fermati un attimo a pensare, non possiamo buttare via il nostro amore così. Ti prego, ascoltami.» Le sue parole mi fanno arrestare un attimo, mentre mia madre mi afferra la mano che avevo lasciato cadere qualche attimo prima dalla sua. Mi sta chiedendo scusa, eppure non sento nulla di positivo dentro di me, lancio un’occhiata  a mia mamma che cerca in tutti i modi di portarmi via da lui. Mio figlio sarebbe felice di crescere con entrambi i genitori. Lui è il padre e se mi sta chiedendo un’altra chance non posso negargliela, non voglio rifiutare una qualche probabilità che mio figlio possa avere suo padre, pensiero che avevo escluso dolorosamente non appena Jacob ha saputo. Mi avvicino a lui, sussurrando un “stai tranquilla” a mia madre e lui mi porge la mano che categoricamente rifiuto.
«Ti amo Bella.»
«Non basta amare solo me, adesso.»
«Stai sbagliando! Non puoi crescere un figlio! Non vuoi ucciderlo? Bene, sono d’accordo, ma potrai darlo all’ospedale, c’è tanta gente che cerca bambini appena nati per adottarli. Rifletti Bella, hai tutta la vita davanti. Goditi la gioventù, più avanti ti darò tutti i bambini che vuoi, ma adesso non è il momento giusto!» Urla disperato, bloccandosi non appena inizio a vomitare sull’asfalto, per il dolore, per il disgusto delle sue parole.
«Posso crescere mio figlio. È il momento giusto. Vattene Jacob, non ti chiedo nulla, sparisci dalla mia vita e farò finta che tu non sia mai esistito, mio figlio non avrà un padre, è vero, ma ci sarò io ad amarlo per entrambi. Vai al diavolo!» urlo, pulendomi con il braccio il vomito, non pensando allo schifo del mio gesto, lasciando che le lacrime righino il mio viso, mi lascio trascinare dentro l’auto da mia madre, che mi accarezza e mi sussurra “ ci sono io con te, con voi”, “ piccola mia, non sarete mai da soli”.

 

 

Un mese dopo.

Accarezzo il mio ventre, per l’ennesima volta mentre cammino tra i corridoi dell’università. Hayley e Melanie non sono venute oggi, c’è la fiera dei cosmetici in città e non hanno esitato un secondo. Cerco Edward nel nostro posto, quello in cui ci incontriamo giornalmente da un mese a questa parte, il distributore delle bevande fredde. Non gli ho detto nulla del mio stato interessante, né lui è mai stato indiscreto tutte le volte che correvo in bagno a vomitare dalla nausea. Da quando ho avuto la discussione con Jacob, ho iniziato a vomitare giornalmente, forse avevo bisogno di uno sfogo per liberarmi, o forse sono solo i tempi. Fatto sta che non l’ho più visto, cosa assai positiva per la mia salute fisica e mentale. Infilo una monetina dentro il distributore, premendo il tasto del succo alla mela, ne avrò bevuti miliardi nell’ultimo periodo.
«Buongiorno.» Sussurra Edward baciandomi sulla guancia, accarezzo il suo petto amichevolmente e ricambio il gesto. Sembra davvero strano, ma, ultimamente, mi sono affezionata a lui in un modo eclatante. Non riesco a sorridere fin quando non lo vedo, è un ragazzo dolce e semplice e mi fa stare bene. Qualche brivido spunta ancora nella mia pelle non appena lo vedo, non appena mi sorride e quando mi sfiora per sbaglio. Quando invece so che mi sta toccando o comunque prevedo che potrebbe sorridermi da un momento all’altro sono tranquilla. Ho sognato tante volte di poter avvicinare le mie labbra alle sue, molte volte quando ci vediamo lo sfioramento c’è e si sente l’elettricità. Basterebbe un minimo avvicinamento, adesso per poter toccare le sue labbra dall’aspetto morbide e vellutate. Eppure qualcosa mi blocca, forse è il troppo poco tempo da cui mi sono separata da Jacob, forse avvicinarmi in un certo modo da un uomo che non sa dell’esistenza di mio figlio, o che, comunque non ha nessun legame con lui. Il fatto è che mio figlio è il centro del  mio universo, vivo, dico, agisco pensando sempre e costantemente a lui. Come quando inizi ad amare, Edward, per esempio, mi fa pensare sempre a questo piccolo esserino che sta prendendo vita dentro di me. Li trovo simili in un certo senso, o semplicemente il modo in cui mi sono affezionata ad entrambi è simile. Penso sempre anche Edward, al mattino quando leggo il suo messaggio del buongiorno la giornata prende colore, Edward è come il cielo di Berlino, speranzoso, è quella persona che mi da la speranza di sorridere, la forza di potermi sentire realizzata e dire: “ce la posso fare, devo farcela”. Forse sarebbe il momento giusto per informarlo della mia gravidanza, ma ho paura che anche lui, come Jacob, come mio padre, possa scappare via, non che lui sia come loro, o almeno non è all’interno della cosa come gli altri due. Eppure ho paura che lui stia con me per dei secondi fini, anche se a volte credo che lui sia unico, formidabile, adorabile, la fifa c’è e forse il momento giusto sarà quando usciranno le parole da sole dalla mia bocca spontaneamente. Edward mi prende per mano, come sempre, e mi accompagna a lezione di letteratura Giapponese.

Afferro il cellulare e guardo l’orologio, sono le quattro Edward sta per arrivare. Mi ha chiesto se mi andava di vederci al bar per un caffè, ho detto di sì, in fondo stare con lui è sempre un piacere.
«Ciao Bella.» Sussurra sedendosi. Io ricambio il saluto con un cenno del capo e gli sorrido. Un ragazzo arriva prendendo le ordinazioni, io prendo un tè e Edward un caffè all’Italiana. Non ho mai assaggiato il caffè italiano, molti dicono che è il migliore, non sono mai stata attratta dalla caffeina, l’odore del caffè è buono ma non ho mai pensato di volerlo assaggiare. Inizio a sorseggiare il mio tè e non posso fare a meno di guardarlo negli occhi. Scoppio a ridere non appena la parte superiore della bocca gli si ricopre di caffè. Lui mi guarda e sorride, come se fosse felice di vedermi ridere. Con il tovagliolo gli pulisco la parte sporca e lui mi sorride intenerito.
«Dovresti farlo più spesso.» Afferma confondendomi con i suoi occhi ipnotici.
«Cosa?» Chiedo sussurrando dopo aver ripreso fiato dalle risa.
«Ridere così a crepapelle, ti si accendono le gote di rosa chiaro, i tuoi occhi brillano e sei bellissima.» Deglutisco a vuoto, credendo che sia un sogno, un ragazzo come Edward non può dirmi certe cose. Afferro il cucchiaino distogliendo lo sguardo dal suo e giro il tè nonostante non ce ne sia bisogno. Le sue dita afferrano il mio mento costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Io…non volevo imbarazzarti…ecco. » Balbetta cercando di chiedermi scusa.
«No Edward. Grazie. Sei sempre così gentile e dolce con me. Io davvero, sono lusingata. È solo che non sono abituata a certi complimenti.» Mormoro cercando di dargli coraggio, di fargli capire che come sempre è stato impeccabile con me, si prende cura di me senza nemmeno accorgersene ed io inconsapevolmente mi sono affidata a lui, non completamente, ma gran parte della mia mente e della mia anima gli appartiene.
«È strano. Bella dal primo momento che ti ho visto mi hai catturato, io non credo di aver mai visto una ragazza più bella di te. E poi…bè poi sei gentile, tenera, è come se qualcosa mi attira verso di te, come se tu fossi il polo ed io la calamita.» Sussurra gesticolando animatamente.
«Vedi Edward…io credo che le tua parole siano affrettate, ci conosciamo da poco…»
«Da un mese Bella. Io mi sento come se ti conoscessi da una vita. Ti voglio bene.» Sussurra flebilmente. Una lacrima di commozione riga il mio viso, mi alzo e mi avvicino a lui abbracciandolo.
«Anch’io ti voglio bene Edward.» Sussurro dandogli un bacio sulla guancia. Lui mi sorride e mi stringe a sé tuffando il suo viso tra i miei capelli. Il suo odore di menta e rose si insinua nelle mie narici, marcandole, in modo che non appena arriverò a casa sospirando io mi ricordi ancora del suo odore. Il suo calore mi riscalda all’interno, sciogliendo in parte la lastra di ghiaccio che il dolore e la delusione ha creato attorno alla mia anima. Eppure, nonostante mi sento abbastanza serena date le circostanza, ho un peso sul cuore, e so bene cosa è. Alzo la testa incontrando gli occhi di Edward, sospiro e alzo gli occhi mentalmente, è il momento giusto.
«Sono incinta Edward.»

 

 

 

 

 

 

 

Okay! Tecnicamente è ancora domenica quindi non sono in ritardo lol!
Allora? Che mi dite? Carino? Bello? Schifoso? Agghiacciante? Fatemi sapere bella gente che mi riempite di gioia.
Mi sa che vado che è tardissimo!
Un bacione.
A domenica.

Roby <3

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Capitolo 4
*** You Are Mine. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

 

You Are Mine.

 

 

 

 

 

 

 

Edward mi guarda impassibile, come se gli avessi detto qualcosa di poca importanza, come se il mio stato interessante fosse prevedibile e sembra che questo non cambi il pensiero che ha di me. Rimane  in silenzio a guardarmi, mi sorride dolce, facendomi credere che la mia prima impressione sulla sua reazione fosse sbagliata. Sta di fatto che è rimasto con quel sorrisetto dolce stampato in faccia immobile, come se si fosse congelato. Lo guardo negli occhi, cercando di capire qualcosa attraverso quello, ma sorride anche con quello.
«Non mi dici nulla?»  Chiedo sorpresa dal suo comportamento, o meglio, dal suo non fare nulla assolutamente.
«Cosa dovrei dirti? Non posso dirti che sono felice per te, perché non so se tu lo sei. Non posso giudicarti, anche perché non ne vedo il motivo né  avrei il coraggio. Dal primo giorno che ti ho vista, ho creduto che in te ci fosse qualcosa di diverso. Vedevo nei tuoi occhi la delusione, vedevo quanto eri e sei ferita. Non so come mai, non mi era mai successo, ma sento che devo stare con te, per proteggerti, per non permettere a niente e nessuno di farti del male.» Sussurra scrollando il sorriso, dando voce alla sincerità, una sincerità più pura di quanto si possa credere. Scoppio a piangere, per le sue parole, per la fortuna di avere avuto la possibilità di non essere stata giudicata da lui, da questo ragazzo che in un mese è diventato essenziale per la mia vita. Lo abbraccio stretto a me, le sue mani caldi e morbide accarezzano i miei fianchi, sento che in questo momento potrebbero pure spararmi dritta nel cuore che ne uscirei indenne e lo sento, percepisco quel senso di protezione di cui parlava, siamo chiusi in una bolla anti tristezza. Accarezzo i suoi capelli, un gesto così intimo e dolce che mi fa pensare a come possano essere le sue labbra sulle mie, e senza pensarci troppo, come sono solita a fare, avvicino le mie labbra alle sue. Accarezzo con la lingua il suo labbro inferiore, il suo alito che sa di gelato alla menta accarezza la mia bocca, facendomi volere di più, facendo accendere qualcosa di mai sentito dentro di me. Le mie mani frugano alla ricerca di qualcosa che non c’è nei suoi capelli, così soffici e delicati, le sua mani si arpionano sui miei fianchi, facendomi gemere incurante delle persone che abbiamo attorno, che sembrano comunque non  accorgersi di noi. La sua lingua esplora la mia bocca con colpetti delicati, dolci, come se io fossi un fiore delicato, raro. Il mio cuore batte furioso sul mio petto, sta per scoppiare, ma non sono mai stata più serena di oggi in tutta la mia vita. Edward è questo. Edward è il sorriso, è la dolcezza, è qualcosa di cui nessuno al mondo potrebbe fare a meno. Le nostre labbra si allontanano ma i nostri occhi si incastrano come due tessere di un puzzle perfetto, sono sicura che i miei sono lucidi per l’emozione. Alzo gli occhi al cielo, pensando che forse la vita non ha voluto darmi solo sfide e dolori, ha voluto darmi Edward, ed è un tutto dire. Prendo la sua mano tra le mie, cercando di dimostrargli qualche gesto per ringraziarlo. La sua mano alza il mio mento e mi sorride.
«Ho solo paura di divenire rivale per qualcuno, al massimo.» Sussurra sprofondando con i suoi occhi dentro di me, all’interno dove nessuno è mai riuscito a entrare; la mia anima.
«Non ci sarà nessun rivale, Edward. Sono incinta e sola, il caso è chiuso.» Faccio, alzando di poco la voce, alzandomi dalle sua gambe per tornarmene nel mio posto, non so perché ma il mio umore è cambiato in un attimo. Forse il fatto che io sia sola mi innervosisce a prescindere, forse ammetterlo fa male.
«Scusa Bella…io…»
«No Edward. Perdonami tu, è solo che…è complicato, doloroso.» Mormoro lasciando scorrere una lacrima sul mio viso, una stilla che se potesse avere un colore sarebbe il rosso, della disperazione, della rabbia.
«Che ti hanno fatto Bella?» Mormora preoccupato con gli occhi fuori dalle orbite. Deglutisco, chiedendomi se sono pronta a dirgli di me, del mio dolore, chiedendomi più volte se è la cosa giusta, se questo ragazzo prometterà miliardi di cose per poi abbandonarmi, come fanno tutti, sempre. Scuoto interiormente la testa, no, Edward è diverso, Edward è unico.
«Il mio ragazzo, o meglio ex, non accetta la gravidanza. Ci siamo lasciati, non ho intenzione di uccidere un bambino per lui.» Mormoro guardandomi le stringhe delle scarpe. Il mio campo visivo incrocia la mano di Edward che si avvicina alla mia, la raggiunge e la stringe, restando in silenzio, un silenzio che dice tanto, che fa intendere quanto realmente diverso lui sia da Jacob. Guardo il mio ventre ancora piatto e sorrido, immaginando un maschietto, uguale a me senza similitudini del padre, senza le imperfezioni di una persona qualunque, lui è speciale, lui è il mio essere, lui sarà quell’uomo che mai potrà abbandonarmi. Mi cullo sulla sedia, come se potessi fare capire a quel piccolo esserino che cresce dentro di me che lo sto cullando, che posso dargli tutto ciò di cui avrà bisogno. Edward mi guarda e mi sorride, avvicina titubante una mano al mio ventre e mi guarda chiedendomi il permesso, annuisco con il cuore che minaccia di poter scoppiare di gioia da un momento all’altro. La sua mano calda accarezza la mia pancia, con gesti delicati, se non lo vedessi con i miei occhi non sentirei la sua mano su di me. Mi guarda negli occhi e mi sorride, e capisco ciò che non dice ma che vorrebbe tanto fare: a lui non importa, lui ci sarà, almeno fin quando potrà. Mi prende per mano e insieme torniamo a casa mia, chiacchieriamo del più e del meno, e un senso di tristezza mi pervade quando mi comunica che la prossima settimana andrà in montagna con la sua famiglia. Già mi sento sola ed è sbagliato, perché lo conosco da  poco tempo, perché forse ne sono già dipendente senza che io l’abbia deciso.
«Allora ci vediamo domani?» Sussurra al mio orecchio, dopo che mi sono buttata su di lui per abbracciarlo.
«Entra. Solo due minuti.» Mormoro malinconica all’idea di doverlo lasciare andare, ogni volta è così, il tempo quando sono con lui vola alla velocità della luce. Lui scoppia a ridere sui miei capelli e bacia la mia cute, facendomi sentire importante, desiderata, voluta bene. Annuisce e insieme entriamo a casa mia, alzo gli occhi al cielo quando sento l’odore di salmone arrostito, mia madre è a casa, il che è tutto dire.
«Amore!» Esclama dalla cucina. Mi raggiunge vicino alla porta e le sua sopracciglia si inarcano non appena nota Edward. Strizzo gli occhi facendo attenzione che Edward non si accorga, e mia madre sospira, ha capito che non voglio fare brutta figura.
«Buonasera. Io sono Edward.» Sussurra lui imbarazzato, facendomi un’infinita tenerezza. Mia madre sorride intenerita, e alzo il pugno della vittoria interiormente, le piace!
«Ciao mio caro. Io sono Reneé.» Si stringono la mano e mia madre non smette di sorridere. Invita Edward a sedersi sul divano del nostro ampio salone, troppo grande per sole due persone e corre a prendere del tè freddo. Mi avvicino ad Edward e lo abbraccio, lui rimane rigido, ed io inarco le sopracciglia. Mia madre ci interrompe arrivando dalla cucina e per tutto il tempo che mia madre e Edward parlano io lancio occhiate interrogativa a             quest’ultimo, lui le svia e questo non fa che innervosirmi. Mia madre non tocca il tasto “gravidanza” ed io evito pure. Accompagniamo Edward alla porta e lui mi saluta freddamente.
«Bella?» Mormora mia madre con tono di rimprovero. Sbuffo sonoramente e afferro una ciocca di capelli tra le dita.
«Lo so mamma.» Rispondo senza lei abbia aperto bocca, risparmiandomi la ramanzina del sono appena uscita da una relazione durata due anni, sono incinta, devo solo pensare al mio piccolo. Non lo metto in dubbio, ma Edward è quella persona di cui non puoi non provare affetto, è stata una cosa istantanea, necessaria. È come se lui potesse darmi quella forza di cui ho bisogno. È presto, è vero, potrei passare per quella che non sono, ma alla fine quanto è importante il giudizio degli altri? Io sto bene con lui, questo è quello che importa per davvero.
«No Bella, non hai capito.» Sussurra. Io la guardo alzando un sopraccigli e lei scoppia a ridere.
«È bellissimo! Dio quel ragazzo è perfetto!» Dice facendomi sorridere, mi prende sottobraccio e mi porta in cucina, sposta la sedia permettendomi di sedermi come farebbe un vero galantuomo e si avvicina al mio viso.
«Devi dirmi tutto!» Esclama euforica. La cena passa tra salmone e Edward, ma ancora mi chiedo cosa abbia fatto cambiare il suo atteggiamento nei miei confronti.

 

 

 

«Glielo hai detto!» Urla Hayley facendomi tappare le orecchie per l’ennesima volta. Annuisco come un automa e Melanie ci guarda scoppiando a ridere. Il trillo del mio cellulare mi fa sobbalzare e nel display noto un numero che non conosco.
«Pronto?»

«Signorina Swan? »
«Si sono io, mi dica.» Sussurro spaventata riconoscendo la voce della ginecologa.
«Dobbiamo fissare l’appuntamento per la prima ecografia, per domani alle tre va bene?» Mi chiede distrattamente.
«Sì, va benissimo. »

«D’accordo. A domani. » Stacca la chiamata e il cuore fa un piccolo salto, sfioro il mio ventre pensando che domani potrò rivedere il mio piccolo. Annuncio alle mie amiche che domani farò l’ecografia e loro esultano peggio di me. Scuoto la testa, pensando a quante persone siamo che amiamo questo piccolo ancor prima di essersi formato del tutto, credo che diventerà il bambino più viziato della Germania. Entriamo dentro le nostre rispettive aule e la giornata scolastica inizia. A metà mattinata incrocio per poco Edward, ma non appena cerco di avvicinarmi a lui questo sparisce dalla mia visuale, ho paura che mi stia evitando. Un nodo si forma all’altezza del mio stomaco e penso a tutto quello che ho fatto ieri, in modo da ricordare se ho sbagliato qualcosa. Sono sempre stata quel tipo di persona che si fa mille paranoie, molte volte anche inutili, sono troppo apprensiva e a volte troppo esagerata. Mi gratto la testa in modo osceno, tant’è che sicuramente in molti pensano che io stia scacciando via qualche pidocchio, incontro con la coda dell’occhio Hayley e le corro dietro.
«Bella! Che succede?» Mi chiede spaventata non appena si accorge della mia corsa. Scuoto la testa e le sorrido.
«Hai visto Edward?»
«Sì, è lì. Con quella ragazza guarda.» Mormora Hayley, mentre guardo Edward, al suo fianco c’è una ragazza alta la metà di lui, ha i capelli corti fino all’orecchio e si muove come se fosse una molleggiata, la sua risata arriva fin qui suonando fastidiosa alle mie orecchie. Afferro Hayley per il braccio e insieme usciamo dall’istituto.
Spengo il cellulare, pensando che comunque lui non mi chiamerà, ignorandomi per come ha fatto per il resto della giornata e afferro la coperta del mio letto, buttandola per terra e saltandoci sopra. Inizio a mordermi i pugni e mi vedo riflessa nello specchio, scoppio a ridere senza averlo deciso, forse reazione causata dal mio stato patetico e penso che tutto questo nervosismo al mio piccolo non fa bene, assolutamente. Alzo gli occhi al cielo, pensando che comunque non è la fine del mondo, siamo solo amici. Un senso di tristezza mi pervade, adesso, a distanza di pochissimo tempo, mi sento abbandonata ancora, per l’ennesima volta. Inizio a piangere cercando di fermarmi, ma ad ogni tentativo il pianto aumenta.

«Buongiorno Bella.» Sento la voce di Edward alle mie spalle, ma non ho alcuna intenzione di girarmi. La sua mano afferra la mia spalla con dolcezza e il mio corpo si ricopre di brividi, facendomi arrabbiare con me stessa per l’effetto che lui ha su di me, sempre in qualsiasi momento o situazione. Le sue labbra sfiorano l’incavo del mio collo e questa volta potrei davvero perdere il respiro.
«Che succede?» Mi chiede dolcemente, afferrando i miei fianchi costringendomi a girarmi verso di lui. Le figure di Hayley e Melanie si fanno più nitide mano a mano che si avvicinano, e tiro un sospiro di sollievo. Di certo mostrarmi possessiva e gelosa con lui non sarebbe una buona cosa all’inizio di una “relazione” se la definizione è corretta. Eppure ieri, non appena l’ho visto con una ragazza, avrei voluto afferrarla peri capelli e gridarle “è mio, lascialo in pace”, il motivo per cui non l’ho fatto è stato semplicemente perché in quel caso avrei fatto scappare Edward da me, ricordandomi sempre che ieri mi ha evitata tutto il giorno.
«Ciao ragazzi.» Salutano a sincrono le mie amiche, faccio un cenno con la testa e Edward mormora un flebile “ciao”. La sua mano afferra la mia, ed io lo lascio fare anche perché il suo contatto è piacevole, è come un bagno caldo una volta che ci entri non usciresti più, se non quando iniziano a battere i denti per la temperature dell’acqua che si è abbassata. Io terrei la mano di Edward sempre, fin quando loro stesse non si sciolgono per il sudore. Mi trascina dolcemente insieme a lui, dentro l’istituto e insieme raggiungiamo una piccola stanza vuota.
«Che c’è?» Mi chiede preoccupato scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
«Niente.» Sussurro diventando rossa e con le orecchie bollenti. Le sue dita sfiorano delicatamente il mio mento, alzandolo e costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Dimmelo.»
«Perché ieri mi hai evitata tutto il tempo?» Dico tutto di un fiato, aspettando la sua smentita per poi pensare che sono sempre la solita paranoica.
«Non ti ho evitata Bella! Io non lo farei mai.»
«Si certo. E quella ragazza con cui parlavi ieri? Hai trovato un nuovo giocattolo Edward?» Dico alzando di parecchie ottave la voce. Schiaffeggio la sua mano dal mio mento e mi allontano guardandomi la punta delle scarpe, mentre lui pensa a qualcosa da dirmi, magari qualcosa che non assomigli ad una gran cazzata.
«Ieri sono stato tutto il giorno  con mia sorella. È appena tornata dalle vacanze e l’ho aiutata con le aule. Mi dispiace che tu abbia pensato altro, ma quella ragazza bassa, con i capelli da folletto impertinente e la risata argentina è mia sorella, Alice.» Lo guardo negli occhi e li vedo sinceri. Anche perché non potrebbe inventarsi una cosa del genere. Annuisco ed esco dall’aula, ma non appena il mio piede tocca l’uscio la sua mano mi afferra il braccio.
«Dove vai adesso?» Mi chiede con una punta di divertimento nella voce.
«Sei gelosa. Sembri una bambina che è stata colta in fallo con le mani dentro un sacco di caramelle.»
«In realtà mi sento così.»
«Non devi, solo…la prossima volta parlane con me, non farti tirare la voce con le pinze come questa volta.» Annuisco e lui mi sorride. Ma rimango lì, tra le sue braccia senza muovermi.
«Edward. Io ti sento mio, ti sento parte di me. So che è sbagliato, o comunque prematuro, ma che ci posso fare?» Mormoro sconfitta non smettendo nemmeno per un attimo di guardare i suoi occhi, lui si avvicina e accarezza la mia guancia con la sua.
«È la stessa cosa anche per me.» 

Stiro la mia gonna floreale con la mano tremante. Sono seduta di fianco a Edward nell’atrio dello studio della ginecologa. Gli ho chiesto se voleva venire con me, e lui mi ha risposto che vuole passare ogni momento importante della mia vita con me. Hayley e Melanie non sono riuscite a venire, a malincuore me lo hanno comunicato dopo pranzo. Io credo che invece il loro intento sia farmi vedere il mio piccolo con Edward, solo io e lui. E per quanto questo sembri strano da una parte le sono grata, dall’altra sono indifferente, perché questo figlio non è di Edward è gran parte di e avrebbe voluto che fosse il suo, avrei voluto che tra lui e mio figlio ci fosse un legame di sangue. Però mi accontento, va bene così. Amo mio figlio, sempre, penso a lui, alla sua nascita tutti i giorni, e se anche so che devo aspettare ancora sette mesi per conoscerlo fremo dalla voglia di incontrare i suoi occhi, sentire il suo pianto, accarezzare le sue  manine che sensibilmente si stringerebbero al mio pollice, come segno di fiducia, di protezione.
«Stai tranquilla.» Sussurra Edward appoggiando una mano sulla mia coscia tremante.
«Ho sempre paura. Paura che possa star male.» Mormoro esponendo una delle mie più grandi angosce.
«Ci sono io con te.» Mormora baciandomi i capelli.
La ginecologa ci chiama e mano nella mano entriamo. Ci sediamo e la dottoressa inizia a scrivere sul computer. Mi giro verso il lettino a fianco al monitor e divento paonazza. Come farò a spogliarmi con Edward qui dentro? Santo cielo, mi passo una mano tra i capelli e sto in silenzio. Certe volte in tv ho visto che alle donne gravide, in questi momenti fanno indossare un telo verde per coprire il pube, chissà se qui lo fanno. Mi mordo il labbro inferiore con forza e alzo gli occhi al cielo. Edward accarezza la mia mano dolcemente facendomi capire che c’è lui qui con me, che non sono sola contro il mondo come credevo di essere, che andrà tutto bene.
«Si tolga la maglia e si stenda sul lettino.» Dice la dottoressa guardandomi sotto gli occhiali. La guardo interdetta e lei mi sorride.
«Dobbiamo solo fare l’ecografia normale, l’utero è stato già controllato.» Annuisco sospirando e mi avvicino al lettino sfilandomi la maglia, che sarà mai? Vedrà solo il reggiseno. Guardo il mio seno, né troppo grande, né troppo piccolo e mi congratulo con me stessa per aver indossato il mio reggiseno migliore, quello nero con le coppe contornato di pizzo e seta. Mi stendo sul lettino e mi guardo attorno. La dottoressa e Edward sono rimasti dov’erano. Sento i loro passi avvicinarsi e prendono posto a fianco a me. Edward rimane al mio fianco seduto malamente su un piccolo sgabello e la dottoressa è davanti a quella specie di computer stranissimo. Edward accarezza con due dita il mio ventre e lo guarda ammaliato, facendomi comprendere che questo piccolo ha stregato già anche lui. La dottoressa afferra un tubetto e lo avvicina alla parte bassa del mio ventre, avvolge un pezzetto di carta attorno all’elastico superiore dei miei slip e afferra un marchingegno che somiglia ad un mouse ovale. Lo schermo s accende e la dottoressa inizia a spalmare il gel con quell’affare. Lo schermo diventa tutto nero con qualche chiazza grigia e premendo più volte sul mio ventre affacciano figure che si confondono, lo preme sulla parte bassa del mio ventre a destra e un suono alquanto strano rompe il silenzio, sorrido con qualche lacrima che scivola sul mio viso e mi giro verso Edward.
«È il suo cuore.» Sussurro mentre lui bacia il palmo della mia mano. La dottoressa ci fa cenno di guardare lo schermo e lo vedo, è sempre una  meravigliosa pallina bianca, eppure ne posso riconoscere i piedini, la testa e il corpo. Inizio silenziosamente a piangere, emozionandomi per una cosa così piccola ma allo stesso tempo grande, spaziale. Edward accarezza lo schermo e ora più che mai vorrei che lui fosse il padre, per poter provare le mie stesse emozioni.
«È…è…è bellissimo.» Sussurra guardandomi negli occhi, io annuisco e gli sorrido ampiamente. Usciamo dallo studio della ginecologa e ci sediamo in una panchina. Tiro fuori le foto dalla borsa e le guardo rapita. Edward ne prende una e mi abbraccia forte.
«Ti somiglia.» Mormora. La mia mano colpisce la sua spalle giocosamente e scoppiamo a ridere.
«Dico davvero. Siete entrambi bellissimi, tenerissimi e mi date un motivo valido per essere felice.» Mi dice diventando serio. Io lo guardo deglutendo e mi avvicino a lui, tuffandomi sulle sue labbra, che bramo dal primo giorno. Le sua mani sfiorano i miei fianchi avvicinandomi maggiormente a lui ed io mi lascio andare, lo bacio come se fosse l’acqua per un assetato, accarezzo più volte con la lingua se sue labbra di marmo e seta allo stesso momento, lo voglio, lo sento, faccio mie le sua labbra. Perché lui ormai è mio, come io sono perdutamente sua.

 

 

 

 

 

Taaadaaan! Perdonate il ritardo! Sapevo che prima o poi avrei ritardato! Spero che non succeda più e io stessa cercherò di non farlo succedere.
Scappo! Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, e mi farebbe piacere leggere qualche recensione al riguardo!
Un bacione

Roby <3

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Capitolo 5
*** Colorful Souls. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

 

Colorful Souls.

 

 

 

 

 

Mi guardo allo specchio, aggiustando la mia camicetta viola all’altezza de seno. Ravvivo i capelli e una sensazione strana mi pervade. Guardo il mio ventre ancora piatto, nonostante questo piccolo sia dentro di me da tre mesi e un colpo dolce e delicato mi colpisce lo stomaco dall’intero. Alzo un sopracciglio e con una mano sposto il tessuto della camicetta per guardare il mio ventre, poi di nuovo, un altro colpo.
«Mamma!» Urlo spaventata. Dio, sembra che ci sia una guerra lì dentro. Mia madre corre nella mia camera e mi guarda con gli occhi sgranati.
«Sento dei colpi! Qui Mamma, guarda.» Afferro la mano di mia madre e la porto nel punto dove fino a qualche attimo fa c’era la mia. Un altro colpo, ma meno profondo. Mia madre scoppia a ridere e mi da una pacca sulla spalla.
«Ha iniziato a muoversi mia cara. Ora sì che viene il bello.»
«Qu…quindi è lui? Ma non è troppo presto? Non dovremmo chiamare la dottoressa?» Chiedo spaventata, in un sito internet l’altro giorno ho letto che quando si è in stato interessante, il bambino inizia a farsi sentire non prima del quarto mese.
«Ma no Tesoro! Non spaventarti, è naturale.»
«Ma mamma! Ho letto…»
«Smettila di leggere quelle baggianate su internet o sui giornali. Fidati di me.» Mi abbraccia e torna in cucina. Sospiro e appoggio delicatamente la mano sul mio ventre. Un altro colpo, una lacrima riga il mio viso, alzo la testa e sorrido, il mio piccolo ha iniziato a farsi sentire. Sfioro ancora il mio ventre con un dito, non credendo ancora ai miei occhi, la mia pelle si ricopre di brividi e non posso ancora credere ai miei occhi, ai miei sensi, come se tutto questo fosse un sogno, uno dei più belli che un essere umano potesse sognare, scuoto la testa, pensando che forse sì, forse è solo un sogno, perché la mia vita non è mai stata così piena di emozioni, così soddisfacente. Un altro colpo mi scuote e scoppio a ridere iniziando a volteggiare, no, non è un sogno, questo piccolino è qui con me per un motivo ben preciso, rendermi felice. Il campanello suona e mi ridesto immediatamente, rendendomi conto che è già passata un’ora e Hayley e Melanie saranno già qui. Infatti, non appena apro la porta della mia camera me le ritrovo a braccia conserte che mi guardano. Prendo le mani delle mie amiche e le appoggio al mio ventre, ma questa volta nessun colpo, aspetto qualche minuto ma niente. Loro mi guardano con le sopracciglia inarcate ed io le abbraccio forte.
«Oggi l’ho sentito, per la prima volta.» Sussurro ancora emozionata, le mie amiche sgranano gli occhi ed entrambe appoggiano le mani sul mio ventre, premendo o comunque cercando di comunicare a quel piccolo esserino che anche loro lo amano e vogliono sentirlo. Una lacrima di commozione –l’ennesima- riga il mio viso e le mie amiche mi guardano annuendo, dicendomi con i loro occhi che sì, la decisione di tenerlo con me è stata la più giusta, la migliore. Ci sono ragazze della mie età e, molte volte, anche più piccole che non accetterebbero mai una cosa del genere che, in questo caso senza pensarci sopra più di una volta si  dirigono in ospedale ad abortire, ad uccidere quella che tra qualche mese diverrebbe una persona, un bambino, un innocente. Ci sono coppie di persone sposate che non possono avere figli, che farebbero di tutto per evitare di adottarli e farli nascere biologicamente, facendo portare loro lo stesso sangue nelle vene, persone che morirebbero tanto è il desiderio di diventare genitori. Dicono che c’è chi disprezza e chi apprezza, ma chi disprezza compra. Prendo per mano le mie amiche ed entriamo nel primo negozio di abbigliamento che vediamo, Hayley ha un appuntamento con un ragazzo questa sera, un tale che si “vocifera” sia uno dei ragazzi più miliardari di Berlino, e, ovviamente lei non vuole fare brutta figura. Passiamo il pomeriggio tra capi costosi di lusso, lingerie sofisticata, fermandoci ogni ora al bar per bere un po’ d’acqua. Alla fine io ho comprato alcuni completini intimi dato che il mio seno sta crescendo a dismisura, Melanie un paio di Jimmy Choo dorate e Hayley ha trovato tutto, un abito blu notte con una scollatura generosa sulla schiena e lungo fino allo stinco, un paio di sandali con il tacco dorati e una pochette dorata. Ci infiliamo in macchina stremate accorgendoci che sono già le otto di sera e che Hayley deve incontrare quel ragazzo tra venti minuti, dal centro commerciale a casa mia c’è una mezz’ora buona di macchina e scuoto la testa.
«Prendo l’autobus, tranquilla. » Sussurro tranquillamente mentre apro la portiera. Hayley scende dalla macchina e mi guarda mortificata. Mi avvicino a lei e l’abbraccio.
«Dai, vai, altrimenti si fa tardi.» Hayley mi ringrazio con gli occhi, Melanie mi soffia un bacio e partono. Entrambe abitano nello stesso residence. Inizio a camminare lentamente dirigendomi alla prima fermata più vicina. Dopo qualche minuto un autobus si ferma ed io salgo. Non appena mi siedo sul sedile e percorriamo una decina di chilometri mi accorgo che stiamo andando dalla parte opposta a casa mia. Mi alzo e con passo velocissimo raggiungo il conducente, mi guardo attorno, sperando di attirare la sua attenzione ma lui mi ignora.
«Scusi?» Sussurro spaventata che possa arrabbiarsi o comunque confondersi e andare a sbattere contro qualche altro mezzo di trasporto. Dopo qualche secondo si gira e mi squadra dalla testa ai piedi.
«Ho sbagliato autobus. Devo tornare a casa e…» inizio a balbettare come un’idiota e lui mi guarda con disprezzo. Continua a guidare e non appena incontra la prima fermata si ferma premendo il bottoncino che apre tutte le bussole. Io lo guardo con gli occhi sgranati e lui sbuffa.
«Scenda qui.» Mormora infastidito, guardo la strada non conoscendo proprio il posto, mentre la paura prende il sopravvento.
«Ma…ma…ma…io…»
«Santo cielo ragazzina! Non è colpa mia se ha preso il bus sbagliato, non posso certo tornare indietro per una maldestra come lei. Scenda, altrimenti continuerò la mia linea.» Tuona arrabbiato, guardo le persone che ho attorno cercando la soluzione in loro, sperando che mi indichino la strada giusta o possano darmi qualche consiglio, invece c’è solo un vecchietto che dorme, dei ragazzini che ridono prendendomi in giro e delle signore che si fanno gli affari loro. Con le gambe tramanti scendo dall’autobus e mi stringo al petto la borsa con i miei acquisti. Mi guardo attorno cercando una qualche indicazione che possa portarmi a Treptow, inizio a camminare mentre il freddo serale di Ottobre mi avvolge e mi avvicino ad un famiglia che passeggia, cercando spiegazioni.
«Buonasera, scusate. Ecco…io, mi sono persa, dove siamo qui?» Sussurro come una stupida mentre sento le lacrime che montano per arrivare a destinazione per poi fuoriuscire.
«Oh, siamo a Pankow qui. Dove dovresti andare? »
«A casa mia, a Treptow. È lontano da qui?» Sussurro, mentre le loro labbra si piegano, come se questa fosse una cosa davvero grave e in parte lo è.
«È dall’altra parte della città.» Mormora pensieroso il marito, che finora non aveva aperto bocca. Sbuffo alzando gli occhi al cielo in modo che le lacrime non possano uscire da un momento all’altro. Scuoto la testa e cerco di trovare un soluzione anziché piagnucolare come sto già facendo. Ringrazio la coppia, accarezzo i capelli dei due piccoli e continuo a camminare. Afferro il cellulare, pregando che non sia scarico e fortunatamente ho ancora il venti percento a mia disposizione, compongo il numero di mia mamma e al terzo squillo risponde.
«Tesoro, non preoccuparti, non sono ancora arrivata perché qui c’è stato un incidente mortale, ne avrò ancora per qualche ora, sono bloccata già da un po’ per strada.» Risponde immediatamente, facendo sgorgare le lacrime dai miei occhi.
«Ecco mamma io ho preso il bus sbagliato…e… »
«Oddio! Dove sei finita?» Urla facendomi allontanare l’apparecchio dall’orecchio.
«Bella! Sta calma, sai almeno dove sei?»
«Sono a Pankow.»
«Sei dall’altro lato della città porca troia!» Alzo gli occhi al cielo sbuffando e mi passo nervosamente una mano tra i capelli. Mia madre inizia a urlare, confondendosi e facendomi anche scoppiare a ridere.
«Chiama la polizia tesoro. Loro ti accompagneranno a casa.» Mormora tranquillizzandosi, una mano afferra il mio polso e d’istinto mi giro, incontrando due occhi verdi luccicanti, nonostante siano le nove e mezza di sera.
«Mamma, ti chiamo dopo.» Mormoro a mia madre, non capendo più nulla, non dal momento che i suoi occhi sono venuti a contatto con i miei.
«Bella…» chiudo la telefonata e mi butto tra le braccia di Edward iniziando a piangere. 
«Ssh, che succede?» Sussurra accarezzandomi dolcemente il viso con il pollice, asciugando allo stesso tempo le lacrime. Inizio a singhiozzare, non capendone esattamente il motivo, dovrei essere sollevata e felice che lui sia qui, invece continuo a piangere e più voglio smettere più i singhiozzi non vogliono placarsi. Lo stringo a me più forte e il suo odore si insinua prepotentemente dentro di me, facendomi calmare all’istante.
«Scusa. » Sussurro, non appena il mio respiro torna regolare.
«Mi sono persa. Ho preso l’autobus sbagliato, ed eccomi qui.» Mormoro alzando le spalle. Lui mi abbraccia e mi stringe forte a sé.
«Dovevi chiamarmi. Poteva accaderti qualsiasi cosa.» Sussurra spaventato facendomi sciogliere il cuore.
«Tu invece che fai qui?»
«Io ci abito.» Dice alzando le spalle. Mi avvicino a lui e appoggio il mio viso alla sua spalla, sentendomi –come sempre- protetta e serena. Mi allontano e lui mi guarda negli occhi.
«Devi tornare a casa?» Annuisco con vigore, sperando che si offra di accompagnarmi.
«C’è un problema però. Ho dovuto prestare la mia macchina a mia sorella, perché non resti qui? Domani è domenica, mia sorella porterà la mia macchina e potrò accompagnarti a casa.» Offre speranzoso, così tanto che potrei scoppiare a piangere da un momento all’altro.
«Non vorrei disturbarti…e…» Mi prende per mano e con passo veloce attraversiamo la strada, raggiungendo una piccola villetta a schiera, vista a quest’ora, al buio, sembra bianca, ha un balconcino marrone pieno di fiori viola di cui adesso non ricordo il nome, la porta è di vetro con la cornice in legno scuro. Infila la chiave nella serratura e l’odore di pesca invade l’atmosfera. C’è un piccolo corridoio stretto, con un appendi abiti e una porta. Camminiamo incontrando la sala, piccola, con un camino spento, un divano a tre posti, un tavolino e una tivù, continuiamo a camminare e incontriamo la cucina, piccola anch’essa color rovere con alcuni intagli negli sportelli, un tavolo di vetro chiaro al centro e delle sedie di pelle chiara.
«Che bello.» Sussurro, ammirando la stanza.
«Ci abito solo io, ma l’ha arredata mia mamma, lei fa questo lavoro.» Mormora alzando le spalle.
«Come mai vivi da solo, Edward? »  Gli chiedo, rendendomi conto che di lui non so nulla se non il suo nome, ah sì, ha pure una sorella di cui mi ero ingelosita immediatamente senza chiedere né come né quando. Vorrei sapere tutto di lui, ma allo stesso tempo cucio la bocca per paura di risultare invadente e poco nobile. Lui mi guarda e una scia malinconica attraversa i suoi occhi. Rimango in piedi e in silenzio, stringendo tra le mani i manici della borsetta, torturando la pelle che li ricopre per poi mordermi il labbro inferiore di continuo.
«Per colpa di un amore sbagliato. Vivo da solo per questo.» Sussurra con voce mesta, mille brividi percorrono le mie braccia, immaginando un Edward triste, che piange, solo contro tutto il mondo, come me fino a qualche tempo prima, prima del suo arrivo che ha cambiato la mia vita, il mio umore in modo spettacolare.
«Scusa Edward…io…»
«No, voglio dirtelo, in fondo io so quasi tutto di te, mi sembra giusto portarmi alla pari.» Mormora tenendomi stretta a sé, indossiamo ancora la giacca, tra le mani tengo stretta ancora la borsa e il sacchetto con i miei acquisti, ma non ho voglia di muovermi, non voglio spezzare questa intima armonia, non adesso, forse mai.
«Ho ventisei anni Bella, forse non sapevi nemmeno questo. Sei anni fa una ragazza,  Michelle, rubò il mio cuore. Mi ero innamorato per la prima volta, in modo assoluto, dandole tutto me stesso, cercando sempre di farla felice nonostante molte volte implicava la perdita del mio buonumore, le mie abitudini. Dopo due anni di fidanzamento volevamo sposarci, mia madre era felicissima, Alice lo era ancor di più. Mia madre si occupò della casa, volevo restarmene a Treptow, ma a lei non stava bene, qualsiasi cosa io decidessi a lei non stava mai bene, ma ero troppo fragile e innamorato e solamente adesso mi sono accorto di tutto il male che giornalmente mi faceva. Il giorno prima del matrimonio, avevo deciso di creare un’atmosfera intima, avevo deciso di dichiararle amore per l’ennesima volta. Venni qui, con l’intenzione di riempire il letto di petali di fiori di ciliegio, di accendere alcune candele con le finestre chiuse per poi rinchiudere l’odore qui, in quella che doveva essere casa nostra. La trovai sul letto nuda, con un uomo al suo fianco che dormivano beatamente. Me ne andai, come un codardo, con la coda tra le gambe, e non mi presentai al matrimonio. Non l’ho più rivista da quel giorno, non che lei mi abbia mai chiesto come mai io non mi sono presentato il giorno delle nozze. Forse immaginava che io avessi saputo, forse anche lei, dopotutto aveva deciso che recitare non sarebbe stata la cosa più facile da fare. Sto per vendere questa casa, sono solo due mesi che ci abito, perché tenerla qui, chiusa, aveva fermato il tempo, venendo qui ad abitare volevo vivere cancellando il suo ricordo, ma vedi Bella? Non c’ero riuscito. Non fin quando ho visto te, i tuoi occhi, la tua anima. Tu hai visto la mia Bella, inconsapevolmente lo hai fatto, hai colorato la mia anima, ma non di un solo colore.» Una lacrima solca il mio viso, mentre una valle di lacrime si impossessa di esso, Edward si sposta, mettendosi di fronte a me e prende la mia mano con la sua, la porta sul suo petto e mi sorride.
«Tu ci hai messo l’arcobaleno qui dentro.» Mormora prima che le mie labbra si tuffano nelle sue. Afferro i suoi capelli con disperazione, perché quella parte di dolore che ha vissuto nell’arco della sua vita mi ha presa all’interno, facendomi arrabbiare. Immagino un Edward seduto in una stanza buia, che piange, i suoi occhi così belli e sinceri contornati di rosso, le sue gote arrossate per la rabbia. Un Edward solo, ferito, distrutto. E se all’inizio non capivo  il perché, perché le sue parole fossero così importanti per me, a come lui lo fosse, perché mi sono innamorata di questo ragazzo, perché vivo ricordando il suo viso mentre mi accarezzo il ventre, perché lui è ormai essenziale, perché la mia anima aveva bisogno di lui, come il mio cuore, come ogni cellula di me stessa. Sfioro il suo viso dolcemente, mentre le sue mani accarezzano il mio ventre come se ci fosse suofiglio all’interno e la consapevolezza che anche lui lo ama è la cosa più bella che il mio cuore e la mia mente potessero realizzare. Perché amo entrambi, nonostante sia presto, nonostante con tutte le probabilità sia sbagliato per molti, amo queste due persone che prepotentemente sono entrate nella mia vita, attraversando la porta del mio cuore senza  avere la chiave, due persone che sono arrivate nello stesso tempo, migliorando la mia vita.
«Perdonami Bella. Se ho cambiato atteggiamento qualche volta, se il mio carattere molte volte è strano. Farò di tutto per te Bella, perché…non lo so perché ma sei importante. E lo sei tu, e lo è lui.» Mormora indicando il mio ventre con dolcezza. «E magari forse può darti fastidio o comunque sembrarti strano, ma lo sento parte di me. Non so perché è all’interno del tuo corpo, o perché è tuo e quindi quando ho visto i tuoi occhi ho visto pure i suoi. Non lo so, so solamente che mi avete aiutato ad uscire da qualcosa che forse poteva sembrare più grande di quello che effettivamente è. Ma lo avete fatto ed io vi voglio nella mia vita.»
«Anche io ti voglio nella mia vita.» Sussurro, dicendo la cosa di cui sono più sicura al mondo in questo preciso instante. Le sue braccia mi circondano in un abbraccio pieno d’affetto e dolcezza, e non c’è posto dove vorrei trovarmi adesso se non qui: tra le sue calde e delicate braccia.
«Edward. Anche tu hai colorato la mia anima. Lo avete fatto entrambi. » Dico mentre una lacrima scivola dal mio occhio, per poi finire sulla mia mano adagiata sul mio ventre.

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Capitolo 6
*** The Same Thrill. ***


Eccomi qui, finalmente!

Perdonate il mio ritardo, sono andata in vacanza e ho avuto bisogno di tornare alla “vita normale”. Spero di non aver deluso nessuno.

Prima della lettura vi lascio un piccolo riepilogo della storia.

Bella, dopo aver scoperto di essere gravida, lo comunica al suo fidanzato Jacob, che come era prevedibile lascia Bella da sola, non prendendosi alcuna responsabilità. Bella, decide di tenere quel piccolo esserino che ama sin dal primo giorno che ha saputo della sua esistenza. Le sua amiche e la madre le stanno vicino, fino a quando nel suo cammino non incontra Edward. Che accetta di buongrado la gravidanza. Bella prende l’autobus sbagliato e si trova a Pankow, dove vive Edward, passano insieme la serata ed Edward le rivela del suo amore perduto. Del suo matrimonio mai celebrato per colpa di un tradimento.

Spero di essere stata chiara.

Buona lettura.

Roby <3

 

 

 

 

Just a Little Woman.

 

 

 

The same Thrill.

 

 

 

 

 

 

Accarezzo la seta azzurra del letto di Edward, beandomi della loro freschezza. Mi sono sempre piaciute le lenzuola di seta, lasciano quella morbidezza nella pelle che è impossibile non rimanerne estasiati, e la freschezza che emanano d’estate è la cosa che più preferisco. Premo il bottoncino del mio cellulare scoprendo che sono già le dieci del mattino. Mi alzo in fretta e furia, afferrando i miei vestiti per sostituirli con quelli che mi ha prestato Edward ieri sera, per dormire. Mi infilo dentro il bagno, che si trova direttamente dentro la camera da letto di Edward. In pochi attimi mi ritrovo sotto il getto caldo dell’acqua della doccia, inizio a lavarmi ed insaponarmi, maledicendomi per star cancellando in qualche modo l’odore che Edward ha lasciato su di me, i suoi abbracci caldi e profumati non mi hanno lasciata nemmeno per un attimo ieri sera, eppure ha voluto dormire nel divano, insistendo che non è il momento adatto per dormire assieme, avevo chiesto il motivo ieri sera, la sua risposta fu un sorriso sornione che insinuò miliardi di dubbi nella mia testa. Scuoto la testa riflettendo a come possa essere possibile fare del male ad Edward, immagino la sua ex ragazza, bella come il sole e poi penso a me stessa, goffa e piena di imperfezioni. Accarezzo il mio ventre cospargendolo di bagnoschiuma e noto che sta iniziando a gonfiare, sorrido, come se lo stessi facendo a mio figlio, a quella vita che velocemente ma al tempo stesso troppo lentamente sta crescendo dentro di me. Il mio viso davanti allo specchio, in questo momento assume un espressione diversa, ho le gote rosse e le labbra lucide, i miei occhi sono sempre dello stesso colore e della stessa forma, ma qualcosa, mi dice che sono diversi. Il respiro di Edward, direttamente sul mio collo, mi blocca sul posto. Un brivido mi fa piegare la testa di scatto e lui sorride, compiaciuto. Mi giro  lentamente, guardando i suoi occhi direttamente, immergendomi dentro quegli smeraldi che dal primo giorno mi hanno dato speranza, forza. Edward. Inconsapevolmente mi ha permesso di entrare dentro di lui e viceversa, inconsapevolmente ci siamo rivisti in ciò che crediamo entrambi, inconsapevolmente ci siamo innamorati e inconsapevolmente ce lo siamo dimostrati.
«Buongiorno.» Mormora avvicinandosi pericolosamente, tant’è che non faccio in tempo ad aprire la bocca che le sue labbra si impadroniscono delle mie, possedendole e insegnando loro una danza mista ad un tango e un valzer, dolcemente, delicatamente, è appassionato, rude, è tutto ciò di cui ho bisogno in questo momento…forse anche per il resto della mia esistenza, perché qui, nel bagno di casa sua, lontana da occhi indiscreti, chiusa dentro questa bolla che è il suo mondo di cui adesso voglio e ne faccio parte, mi sento me stessa, completa, come se non avessi bisogno di nulla se non di lui, della sua essenza e del suo sapore. Questo è Edward, quello che ogni persona vorrebbe al suo fianco. Accarezzo i suoi capelli, così morbidi e profumati. Le sue mani vagano sul mio corpo senza una meta precisa, sono fameliche alla ricerca della scoperta. Senza rendercene realmente conto il mio sedere si adagia sulla base dura e fredda del lavandino, le mie gambe si intrecciano sul suo corpo e la sua testa si appoggia delicatamente al mio petto. Un colpetto lo fa sussultare ed io scoppio a ridere, c’è anche lui qui con noi oggi. Non importa se è dentro una sacca, se è dentro di me, è qui, con noi. Una lacrima riga il mio viso, non riesco ancora a capacitarmi di come Edward si sia mostrato così disponibile con me, con mio figlio, non riesco a credere alle mie orecchie quando mi parla di lui, come se lui fosse il padre, come se dentro di me ci fosse il sangue del suo sangue, come se io gli stessi donando un figlio, quando invece potrebbe lavarsene le mani e buttarmi nel primo contenitore dei rifiuti, non c’è nulla che ci lega, se non questo affetto sconsiderato che entrambi, forse, stentiamo a credere che esista. I suoi occhi lampeggiano nei miei, rivelandomi tante cose e allo stesso tempo guardandomi solamente, c’è devozione, c’è tenerezza, è quello sguardo per cui molti, compresa io, pagherebbero per vederlo.
«Si è mosso!» Esclama come un bambino il giorno di Natale. Inizia ad accarezzare il mio ventre, lo sfiora con leggere carezze, le sue dita solleticano la pelle attorno al mio ombelico e non c’è gesto più dolce e intimo di questo, non c’è cosa migliore al mondo.
«Ieri l’ho sentito per la prima volta e…»
«Shh. Fammi sentire ancora, se parli non si muove.» Mormora serio con la voce talmente bassa che mi chiedo come mai io l’abbia sentito. Scoppio a ridere prendendolo in giro amabilmente, difatti non appena inizio a muovere lo stomaco per le risa lui mi guarda serio ancora una volta. Chiudo la bocca e la cucio teatralmente.
«Ridere puoi farlo. È la prima volta che ridi davvero.» Dice sorridendo in quel modo che riuscirebbe a farmi perdere la ragione una volta per tutte. Accarezzo la sua fronte, cercando di fargli capire la sua importanza per me, cercando di dirgli con gli occhi quanto immenso sia il mio bisogno di lui.
«Solo tu Edward. Solo tu ci sei riuscito.» Abbasso il capo e una lacrima scende cadendo sul suo indice posato sulla mia coscia, stesso arto che alza il mio mento permettendogli di guardarmi in viso.
«Non piangere, non voglio.»
«No. Non lo farò.» Mormoro abbracciandolo forte a me, respirando il suo profumo, beandomi della sua presenza. Abbracciati dentro il suo bagno, mi sento come se potessi vedere questa scena da spettatrice. Vedendo due ragazzi che si vogliono bene, cercando di capire se davvero questa è la mia vita, se davvero sono stata fortunata o Edward è solamente un sogno, chiudo gli occhi, sorrido, non so bene a cosa, ma lo faccio sentendomi viva, sentendomi per la prima volta in vita mia Isabella Swan. Il suo abbraccio mi rende così lontana del mondo che dimentico che è tardi e che a quest’ora dovrei essere seduta in aula per seguire la lezione di letteratura inglese. Tocco i capelli di Edward con un gesto delicato, facendogli capire che dobbiamo muoverci in qualche modo. I suoi occhi mi colpiscono per l’ennesima volta, illuminando il mio campo visivo, è come se guardandomi accendesse mille luci attorno a me.
«Non andare.»
«Dobbiamo andare, Edward. Siamo già in ritardo.»
«Non fa nulla se non andiamo un giorno.» Mormora accarezzando i miei fianchi, cercando di persuadermi. Guardo i suoi occhi, perdendo completamente la parte responsabile di me. Annuisco con vigore, convincendo più me stessa che lui e con un gesto repentino mi afferra per i fianchi, delicatamente, facendomi volteggiare, il silenzio che fino a qualche attimo fa ci avvolgeva si riempie dalle nostre risate, vive e spensierate.

 

«Lei è mia sorella, Alice.» Mormora Edward, al mio fianco. Di fronte a noi, c’è quella famosa ragazza che per un giorno intero mi ha fatta crogiolare nel mondo della gelosia. Le sorrido e lei non ricambia, i miei occhi si muovono veloci tra lei ed Edward e un piccolo colpo all’altezza della bocca del mio stomaco mi fa intendere, prima che me ne possa rendere conto da sola, che non sono a mio agio. Mi sento fuori posto. Alzo la testa non avendo la minima intenzione di allungarle la mano e lei fa lo stesso. Edward si gratta la nuca e vorrei uccidere anche lui! Ci spostiamo in salotto e il mio cellulare trilla, lo afferro velocemente mentre le mie guance si tingono di rosso.
«Pronto mamma?»
«Tesoro! Dove sei? Mi hai detto che era tutto apposto, ma…»
«Mamma ieri sera ho incontrato Edward e, dato che non aveva la macchina sono rimasta qui a casa sua. Scusa dovevo chiamarti è solo che…»
«Tranquilla Tesoro, l’importante è che è tutto apposto. Come ti senti?» Mi chiede premurosa, sorrido e le racconto tutto quello che è successo da ieri a oggi. Non ci sono segreti tra di noi, la sincerità è sempre stata la prima cosa importante nel rapporto tra me e mia madre.
«Allora ci vediamo stasera. Lo sai, Edward mi piace, ma stai attenta, sempre tesoro mio. E ricordati che oggi devi andare a togliere il gesso!» Saluto mia madre e chiudo la chiamata. Guardo il mio braccio, appunto, ancora ingessato e mi prendo per stupida mentalmente per aver dimenticato che oggi è il giorno di fine tortura. È diventato grigio ed è pieno di scritte colorate, Hayley e Melanie non hanno potuto fare a meno di marcare il loro territorio anche qui. Sorrido, pensando che la sorella di Edward non deve farmi questo effetto, non mi importa di lei, non è con lei che voglio passare le giornate, non è con lei che voglio sorridere, ma suo fratello. Torno in salotto, e mi accorgo che entrambi stanno parlando a bassa voce gesticolando pericolosamente. Mi siedo sul sofà accanto ad Edward, avendo di fronte ancora una volta la sorella. Lei non mi guarda, ma non io non posso fare a meno di non fissarla. Edward si schiarisce la gola e mi guarda scusandosi con una smorfia.
«Volete del caffè?»
«Io no, grazie.» Mormoro guardandolo, e incazzandomi con lo sguardo rivolto verso di lui, sa benissimo che non posso prendere il caffè! Sua sorella annuisce ed entrambe rimaniamo sole.
«Cosa fai tu nella vita?» Mormora infastidita nel rivolgermi la parola.
«Non sei costretta a parlare con me. Tranquilla.» Sussurro sorridendole in modo affettuoso quando invece vorrei strozzarla con un cuscino seduta stante. La difesa migliore è l’attacco. Accarezzo i miei capelli, tirando alcune ciocche e mi alzo dirigendomi in cucina. Edward mi guarda spaventato, forse, notando la mia espressione che non promette nulla di buono.
«Tua sorella mi odia!»
«Non ti odia. È solo che…lo sai, dopo tutto quello che è successo ha un po’ paura. »
«Ho capito, cristo santo! Ma conoscere un minimo la gente prima di giudicarla no? Non si usa?» Dico a bassa voce, quando invece vorrei urlare per farlo sentire a quell’oca di sua sorella.
«Dio, Bella. Non arrabbiarti con me, ti prego. Non voglio che per colpa sua tu te la prenda con me. Non è colpa mia se lei è così, l’importante è che io ti tratti nel migliore dei modi.» Mormora avvicinandosi per baciarmi la fronte, mi scosto dal suo gesto e annuisco tornando in salotto e lasciandolo interdetto. Edward ci raggiunge in salotto con un vassoio d’argento tra le mani. Mi porge una tazza di tè fumante e gli sorrido. Lei mi uccide con lo sguardo ed io non posso fare a meno di ricambiare.
«Potevi darmi del tè, Edward.» Dice con la voce tesa, più di una corda di violino.
«Hai voluto il caffè Alice. Smettila adesso! » Esclama aumentando di parecchie ottave la voce, non appena lei nota la voce infuriata del fratello si rimette al suo posto e inizia a sorseggiare il caffè. Non appena finisce il caffè, adagia le chiavi della macchina del fratello sul piccolo tavolino di vetro e si alza congedandosi. Io e Edward rimaniamo immobili, guardando il posto che prima era occupato dalla sorella.
«Tua sorella è strana.»
«Lo è.» Mormora scoppiando a ridere, reprimo le risa ma tentativo vano, la mia bocca si allarga e scoppio a ridere. Edward si tuffa sulle mie labbra, accetto il suo gesto accogliendolo con vigore, le sue mani per la prima volta mi toccano e  mi palpano più del solito, facendomi arrivare a credere che potrei essere vittima d’infarto da un momento all’altro. Le sue mani accarezzano le mie cosce e le sue braccia dure e possenti fanno da sedile al mio posteriore. La sua testa si adagia sui miei seni, i capezzoli, nonostante ci fosse il cotone della maglia, si induriscono a contatto con la sua pelle, con il suo respiro. Le sue mani non smettono un attimo di dedicarsi alla mia pelle, che freme ad ogni contatto. Lo desidero dal profondo, lo desidero come se fosse l’aria che respiro, lo desidero perché è il mio cuore a volerlo. Capovolgo le posizioni ritrovandomi a cavalcioni su di lui che mi guarda con gli occhi sgranati. Possiedo la sua bocca con la mia, facendo sfociare un semplice bacio ad un ballo fatto di passione, è come se stessimo facendo l’amore solo con le labbra. La sua lingua impertinente scivola dentro la mia bocca, facendomi perdere la ragione, le nostre lingue si intrecciano, si abbracciano. Le mie mani non lasciano i suoi capelli nemmeno per un istante, un brivido percorre i nostri corpi, lo stesso brivido. Mi sento rinata, mi sento bene, completa, per la prima volta in vita mia felice. Non credo di aver mai provato qualcosa del genere come sentirmi sconquassare l’anima dall’eccitazione, sentirmi desiderata in questo determinato modo, sentire quel brivido che, ne sono consapevole, è lo stesso che lui sta provando. È come se lo conoscessi da una vita, è come se fosse parte di me sa sempre, è come se lo stessi aspettando dal giorno della mia nascita e fosse arrivato il momento giusto per entrare nella mia vita. Sorrido, mentre le sua labbra sfiorano l’incavo del mio collo e penso che sono pronta ad accettarlo nella mia vita, come ragazzo, come fratello, come padre, come mio protettore. Sono disposta a tutto per lui, prenderei a pugni il mondo se fosse necessario pur di provare ancora e ancora e ancora lo stesso brivido.

 

 

Accarezzo il mio ventre, per l’ennesima volta, stupendomi di volerlo fare ogni qualvolta se ne presenta l’occasione. Mancano ancora sette mesi, già me lo immagino, con gli occhi grandi e scuri come i miei, che mi sorride, che piange che morde dolcemente il mio seno, ho deciso di allattarlo fin da subito, voglio dargli vita anche quando verrà al mondo. Costruirò per lui un mondo fatto di fiabe, ma senza maghi, lupi o streghe cattive. Avrò Edward al mio fianco e posso farcela, contro ogni cosa negativa, superando anche gli ostacoli che si presenteranno nel mio cammino come genitore, posso farlo. Perché quando provi amore per qualcosa, che sia una persona o un oggetto, faresti di tutto per proteggerlo, quell’amore assoluto che ti riesce a dare la forza necessaria per affrontare anche la cosa più difficile del mondo. C’è ne sono molte cose difficili in questo mondo, ma non impossibili, è impossibile solo quando siamo noi a deciderlo. Spazzolo i miei capelli e li lascio cadere morbidi sulle mie spalle, tra qualche minuto dovrebbe arrivare Hayley. Devo togliere il gesso finalmente, Edward voleva accompagnarmi, ma ho preferito chiamare Hayley, passare un po’ di tempo con lei…e, a dire il vero, ho bisogno che lei mi rassicuri, che mi dia consigli, che sappia rasserenare e migliore il mio umore.
«Ciao! Come andiamo?» Mi chiede entusiasta Hayley, non appena entro dentro la macchina.
«Stiamo bene! Muoviamoci che non voglio prendere ancora l’autobus come ieri!» Mormoro scoppiando a ridere, lei mi accarezza la mano e mette in moto. Le racconto di Alice e mi sento sollevata, approfitto del fatto che Hayley non sia Edward per dedicarle qualche insulto, mentre la mia interlocutrice continua a scuotere la testa. Forse non è stato quello che ha detto e quello che non ha detto che mi ha dato fastidio, ma il suo sguardo rivolto nei miei confronti, al suo sminuirmi con un semplice gesto, facendomi sentire con niente una nullità.
«Dovresti metterti nei suoi panni…»
«Hayley!» La interrompo bruscamente.
«Fammi finire! Voglio dire, il fatto che Edward abbia sofferto così tanto avrà sicuramente segnato anche lei. Prova a darle tempo, vedrai che si renderà conto che persona speciale sei. Vedrai Bella, devi solo darle tempo. Certo, questo non toglie che devi difenderti e cercare di non sentirti così, non sei inferiore a nessuno, tantomeno a lei, quindi smettila.» Finisce la sua frase ad effetto ed io rimango in silenzio cercando di far entrare nella mia mente il suo consiglio, sicura che comunque fare come dice non servirà a nulla. Scendiamo dall’auto e insieme ci dirigiamo al reparto ortopedia. Troviamo due sedioline libere e ci accomodiamo aspettando che mi chiamino. Sento una risata molto più che familiare dietro di me e l’istino mi fa voltare il capo girandomi in quella direzione. C’è Jacob, accanto ad una ragazza bionda, è bellissima. Si tengono per mano, si guardando negli occhi e si sorridono. Dovrei provare rabbia, odio e repulsione, invece non ci trova nulla di sbagliato, non provo nulla, se non che mi sento sollevata che abbia trovato qualcuno in modo che non rompa più le scatole a me. I suoi occhi incontrano il mio viso e mi guarda diventando serio.
«Bella.» Mormora infastidito, io faccio un cenno col capo a mo’ di saluto e continuo a guardarlo.
«Hai fatto presto.» mormoro per niente arrabbiata, anzi, come pensavo fino a qualche attimo prima, sollevata.
«Anche tu. Ti ho vista all’università con quel ragazzo.» Dice arrabbiato, cercando di fari spaventare.
«Non scaldarti Jake. È meglio per entrambi.» Sussurro girandomi per evitare di mettermi a urlare ricordandogli le sue priorità, come suo figlio dentro di me. Hayley prende la mia mano e mima con le labbra “ignoralo” annuisco e mi ritrovo ad ascoltarlo insieme alla ragazza inconsapevolmente. Parlano di una casa, del lavoro di lei, pare che sia un’avvocatessa, mi ridesto non appena sento chiamare il mio nome. In pochi minuti il mio braccio, finalmente, torna ad essere quello di prima, sospiro sollevata e mi pulisco con una salvietta. Il medico mi sorride lasciandomi un foglio ed esco dalla stanza.
«Prediamo un tè?» Mi chiede Hayley ed io mi ritrovo ad annuire. Inserisco delle monete sul distributore e aspetto che il tè sia pronto.
«A te ti sposo però. Stai tranquillo. Sta vendendo la nostra casa di Pankow quel codardo di un Cullen. » La ragazza che sta con Jake sussurra questa frase che permette alla mia mente di formulare immagini, avvenimenti, a me totalmente sconosciuti.
Edward seduto su una sedia che piange, al buio.
Edward che sogna il suo matrimonio un attimo prima di scoprire la sua futura sposa con un uomo nel suo letto.
Edward che si sente inutile e completamente solo.
Edward che sta vendendo la casa a Pankow ma che ci sta abitando per rimuovere quell’amore perduto dalla sua mente.

Edward, Edward, Edward. Inizio a correre, sotto lo guardo preoccupato di Hayley. Corro facendo soffiare il vento tra i miei capelli. Mi sento disperata. Devo andare da Edward.

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Capitolo 7
*** Impasse. ***


Just A Little Woman.

 

 

Impasse.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mille pensieri vorticano la mia mente, mentre per la seconda volta prendo lo stesso autobus che mi ha portata inconsapevolmente a casa di Edward. Non è possibile, devo assolutamente sapere se era Jacob l’uomo – che non è esattamente termine adatto per definirlo – che ha mandato in fumo il matrimonio di Edward, anche se, dal mio canto, se così fosse lo ringrazierei a vita. È un pensiero egoistico da parte mia, ma se Jacob non mi avesse lasciata e se Michelle non avesse cornificato Edward, noi adesso non saremmo qui. Edward avrebbe continuato la sua vita da zerbino fin quando non si sarebbe reso conto che non viveva come doveva. Ed io…io credo che prima o poi avrei aperto gli occhi su di lui, rendendomi conto di ciò che in realtà è. Avremmo comunque sprecato ancora tempo e il destino ci ha fatti ritrovare, distrutti, malandati ma ancora speranzosi, donandoci forza a vicenda, pronti per ricominciare. Tengo bene a mente il numero 12 che sarebbe il numero della fermata dove dovrei scendere, cerco di ricordare bene la strada che ho percorso con Edward, la stessa che ci ha portati a casa sua e fortunatamente la mia memoria oggi non mi ha fatto alcuno scherzo. Arrivo a destinazione, scendo in fretta e furia e inizio a correre. Poi mi fermo, pensando che sì, voglio assolutamente sapere che non è come credo, ma che la salute di mio figlio è molto più importante di qualsiasi altra cosa. Inizio a camminare lentamente e dopo pochi isolati arrivo a casa di Edward. Sembra passato un tempo lunghissimo dall’ultima volta che ci sono stata, quando invece ho lasciato la dimora solo stamane.
«Ciao.» Mormora confuso, dato che sono entrata in casa sua senza preavviso. Si sposta lasciandomi entrare e gli do un piccolo bacio sulle labbra. Mi siedo sul divano e appoggio la mia borsetta sul piccolo tavolino in vetro.
«Come mai sei qui?» Mi chiede dolcemente. Io lo guardo e sfilo dalla tasca posteriore della mia tuta una foto, la fotografia di Jacob, siamo io e lui nei primi anni che eravamo fidanzati, è l’unica foto che mi è rimasta, l’ho lasciata solo per far vedere il volto del padre a mio figlio, un giorno. Mia madre ha buttato via tutte le foto di mio padre, ed io una avrei voluto vederla, non per nostalgia, ma solo per vedere che faccia ha il bastardo, magari lo avrò incontrato milioni di volte senza saperlo. 
«Conosci questo ragazzo?» Chiedo a Edward sperando che mi dica di no. Prende la foto con curiosità e non appena scuote la testa sospiro rumorosamente.
«No, non lo conosco. Lui è Jacob?» Mi chiede serrando la mascella.
«Sì è lui. L’ho incontrato oggi quando mi hanno tolto il gesso…che cosa strana prima mi rompe il braccio poi lo incontro quando me lo aggiustano. Ma non è questo il problema. Era in compagnia di una ragazza bellissima e li sentivo parlare, ma avrò sicuramente capito male perché se tu non lo conosci…»
«Bella! È stato lui a romperti il braccio?» Domanda alzando di qualche ottava la voce. Io annuisco spaventata, non per il suo tono, ma per la stupida che sono! Dio. Mi prendo a schiaffi mentalmente per aver lasciato che le parole mi sfuggissero di bocca.
«Perché non me lo hai detto prima! Mi avevi detto che eri caduta, non che era stato lui!» Urla camminando avanti e indietro per tutta la stanza, con le mani tra i capelli. Chiudo gli occhi, chiedendomi perché questa discussione è venuta fuori in questo modo assolutamente sbagliato. Mi alzo avvicinandomi cautamente e prendo la sua mano tra le mie.
«Edward. È passato quello…scusa, non volevo mentirti è solo che…»
«Evidentemente lo ami ancora, dato che hai continuato a difenderlo.» Sussurra sciogliendo le nostre mani. Rimango paralizzata, stupita da una frase come quella che mi ha appena rivolto. 
«Non lo hai detto davvero.» Sussurro a voce bassissima. Lui mi guarda con un lampo di rabbia negli occhi ed io scoppio a piangere senza accorgermene. No, non è possibile, non lo pensa davvero, è solo arrabbiato. Continuo a ripetere questa frase come un mantra e rimango a fissarlo, lui non abbassa lo sguardo né lo cambia, c’è sempre rabbia all’interno. Non riesco nemmeno io a capire perché non ho voluto denunciare Jacob, o forse, l’ho fatto solo per evitare una qualsiasi guerra che sarebbe potuta scoppiare. Sì, decisamente, l’ho fatto perché ero troppo delusa anche per poter solo affrontare un argomento del genere, volevo cancellarlo dalla mia vita in modo assoluto, e denunciandolo, per quanto ridicolo possa essere, lo avrei avuto tra i piedi e davanti ai miei occhi ancora per un po’.
«Bella.» Sussurra. Guardo i suoi occhi e sospiro.
«Edward. Non voglio litigare con te.» Mormoro sentendo le mie orecchie bollenti.
«Devi essere sincera con me, Bella. Sempre, qualsiasi cosa accada, dalla più futile alla più grave. Non mi piacciono le bugie.»
«Ci eravamo appena conosciuti! Quando ti ho detto del braccio non sapevi nemmeno che ero gravida, Edward! Ho sbagliato, d’accordo, ti chiedo scusa, ma non c’è bisogno di fare così.» 
«Io odio le bugie.»
«Ed io non te le dirò più.» Sussurro arrendendomi. Lascia il contatto visivo per primo e si siede sul divano. Afferro la mia borsa e faccio per andarmene via, ma non appena muovo i piedi lui mi afferra il braccio.
«Adesso dove vai? Sono le nove di sera.»
«Vado a casa.»
«Ti accompagno.» Dire che l’atmosfera è tesa è un eufemismo bello e buono, annuisco seguendolo in macchina e il tragitto, che dura all’incirca quaranta minuti, passa con quel solito silenzio imbarazzante. Mi sento a disagio e non vedo l’ora di stare sotto le coperte per scoppiare a piangere e liberarmi di questo peso che in automatico si è formato nel mio stomaco. Nemmeno a me piacciono le bugie ma, di certo, non volevo che lui sapesse che Jacob, il mio ex fidanzato e padre del figlio che ho in grembo, mi aveva anche rotto il braccio, che poi, sono sicura al cento per cento non l’ha fatto di proposito, questo non lo giustifica, ma non toglie che comunque non mi ha malmenata o comunque fatto del male intenzionale. Spegne il motore della macchina e nel silenzio tombale si riesce a sentire il mio cuore che batte forsennato minacciando di uscire dalla propria cassa toracica.
«Perché mi hai chiesto se conoscevo Jacob?» Mi chiede con una punta di rassegnazione nella voce, quando invece non lo immagina neppure. Mi sono chiesta mille volte in questi brevi minuti cosa stesse pensando, e sapevo che non appena saremmo arrivati avrebbe preso in ballo il motivo per cui mi sono recata da lui.
«Perché credo di averlo visto con Michelle, la tua ex fidanzata.» Sussurro.
«E anche se fosse?»
«Volevo solo capire se l’avevi trovata a letto con lui.»
«A te cosa cambia?» Mormora arrabbiandosi più di poco prima, lo riconosco dalla sua mascella tesa che potrebbe strapparsi da un momento all’altro, dalle sue nocche che rischiano di venire fuori e dal tono, cupo e freddo, della sua voce.
«Mi cambia sapere se mi ha tradita o meno in tutti questi anni Edward! Dio, perché devi fare così? » Urlo fuori di me. Apro la portiera ed esco velocemente dall’auto.
«Ne parliamo domani…» Dico mentre entro dentro casa, rimango immobile all’entrata con la porta aperta e non appena sento le gomme dell’auto stridere sull’asfalto sussurro un “vaffanculo” che mi parte dal profondo. Lancio la mia borsetta sul divano e noto un bigliettino sul tavolino.

Stasera torno tardi piccola, dentro il forno c’è la carne arrosto con le patate, ti basta riscaldarla. A stanotte. Riguardati
Mamma.

Abolisco dalla mia mente l’idea di mangiare, ma non appena sento un piccolo calcetto da parte del mio piccolo capisco che non posso non mangiare, devo pensare a lui…non sono sola qui. Riscaldo l’arrosto con le patate e mentre rigiro venti volte il cibo prima di mangiarlo una lacrima scivola dal mio occhio. Mi sento come se avessi portato a termine un compito totalmente sbagliato, mi sento inutile, mi sento assolutamente sbagliata. Ed è strano sentirsi così per una situazione risolvibile in un battito di ciglia. Allora penso che è vero, sono sbagliata e inutile. Mio padre non mi ha voluta, il mio ragazzo non ha voluto restare con me proprio nel momento in cui più avrei avuto bisogno di lui, poi è arrivato Edward…credevo che tutto si fosse risolto, che averlo al mio fianco non mi avrebbe mai più fatta sentire così…invece sono ancora al punto di partenza, credevo di aver fatto tanti passi avanti ed era sembrato reale qualche volta, adesso quei passi che credevo aver compiuto in avanti sono tornati indietro. E ancora una volta sono qui, sola, a casa mia a piangermi addosso. Niente potrà mai cambiare tutto questo, non fini a quando mio figlio non verrà al mondo e quella l’unica cosa che potrà cambiare il mio perenne stato di impasse.

 

**

Tornare alla vita normale, dopo due giorni che a me personalmente sono sembrati secoli è strano. È come quando torni da una vacanza e non sai cosa ti aspetta al ritorno. Afferro il succo al mirtillo dalla macchinetta automatica e mentre lo apro, noto come tremano visibilmente le mie mani. Tra qualche minuto dovrebbero arrivare le mie amiche e, di certo, non voglio che mi vedano in questo stato. Prendo l’orario scolastico dalla mia borsa e controllo in che aula mi devo dirigere. Letteratura Giapponese- Aula 24/B. Manca un quarto d’ora alle nove, mi dirigo in giardino e mi siedo sulla panca. Mi stringo nel mio cardigan, l’aria di Novembre è più calda del solito, ma oggi è terribilmente più fredda e mi maledico per non aver portato con me un cappottino. Abbasso la maglia più che posso, in modo che il freddo non possa colpire il mio ventre e con la coda dell’occhio vedo Edward avvicinarsi a me. Mi rimetto composta, cercando di non far la figura della stupida ma…troppo tardi, i suoi occhi mi stanno prendendo in giro. Sospiro, pensando che forse, il peggio è passato e lo guardo.
«Buongiorno?» Chiede gentilmente.
«Ciao.» Sussurro, combattendo con tutte le mie forze a non buttarmi su di lui e riempirlo di baci.
«Posso?» Mi chiede indicando il posto vuoto sulla panca di fianco a me, sposto la mia borsa e annuisco. Rimaniamo in silenzio, fin quando non arrivano le mie amiche e non appena ci accorgiamo che sono le nove ognuno di noi si dirige nella propria aula.
«Che succede Bella?» Mi chiede Melanie, che ha la stessa mia lezione.
«Niente perché?» 
«Oh ma dai! Si vede da lontano un miglio che siete entrambi nervosi!» Esclama scoppiando a ridere. Io scuoto la testa e la guardo, torturando con i denti il mio labbro inferiore.
«Può capitare no?» Mormoro prendendo posto e lasciando la mia amica con mille punti interrogativi sulla mente. La mattina passa freneticamente, tra un’aula e un’altra, ogni tanto mi scuote un piccolo capogiro ma penso che sia per colpa della situazione movimentata. Ho cercato Edward tra i corridoi ma di lui nemmeno l’ombra, ho intravisto sua sorella per mia sfortuna, e mi ha incenerita con lo sguardo, io l’ho ignorata, non me ne frega nulla ora come ora. Non appena sto per entrare nell’ultima aula della giornata la porta mi arriva dritta in faccia, facendomi cadere per terra seguita da i miei libri.
«Oddio! Perdonami…ecco io. » Un ragazzo biondo e con gli occhi in preda al panico inizia a urlare frasi incomprensibili, gli faccio un cenno con la mano e mi rialzo. Tasto il mio sedere, quello più colpito di tutti, fortunatamente e scoppio a ridere, vedendo qual ragazzo pallido.
«Sta tranquillo! Sto bene.» Dico cercando di farlo tranquillizzare. Prende i miei libri e me li porge sorridendomi dolcemente…è davvero un bel ragazzo, nonostante da qualche mese i miei gusti si sono limitati alla bellezza irraggiungibile di Edward.
«Piacere. Io sono Mike.» Sussurra porgendomi la mano. Io l’afferro e gli sorrido.
«Io sono Isabella.» Mormoro per poi entrare finalmente in aula. Dietro di me, siede quel ragazzo di poco prima, e non per essere eretica ma sta sfondando la mia schiena con il suo sguardo, roteo gli occhi e comincio a contare i minuti che mi separano dal pranzo.

 

«Pronto?» Rispondo con un sospiro, notando il numero di Edward.
«Chi era quello?» Mormora sbuffando arrabbiato. Roteo gli occhi,  sapendo esattamente di chi parla.
«Chi?» 
«Lo sai, Bella. Apri la porta.» Stacca la chiamata, facendomi scoppiare a ridere, rendendomi conto che non so assolutamente il motivo che mi fa sorridere. Mia madre mi guarda con gli occhi sgranati ed io le faccio un gesto con la mano facendole intendere che è tutto okay. Apro il portoncino e poi la porta, mi posiziono davanti ad essa e aspetto il campanellino che segna che l’ascensore è arrivato.
«Ciao eh!» Esclamo non potendo nascondere un sorriso furbo. Lui mi ignora ed entra in casa, sicuramente convinto che io sia da sola, dato il comportamento strano che ha avuto il primo giorno e l’ultimo, che ha incontrato mia madre. Mi prende delicatamente per un braccio e mi stringe a sé. Io mi arrampico su di lui e lo bacio con tutta la forza che possiedo, facendogli capire che è stato uno stronzo con me, nonostante anche io abbia sbagliato, facendogli capire quanto mi è mancato tutto questo, nonostante non sia passato poi molto tempo. Le sue mani accarezzano i miei fianchi e un gemito scappa dalle mie labbra. Mia madre si schiarisce la voce ed Edward si stacca velocemente dalle mie labbra, lo guardo arrabbiata e mia madre scappa in cucina.
«Potevi dirmi che c’era tua mamma! » Esclama a bassa voce, per paura di farsi sentire.
«Scusa? Non mi hai chiesto se ero da sola.» Dico incrociando le braccia al petto, gli lancio uno sguardo di sfida e lui mi sorride ammiccando. Mi prende per mano e mi porta in cucina.
«Buonasera Reneé. Scusa…io…»
«Non preoccuparti Edward. Come stai?» Gli chiede mia madre sorridendogli e facendo in modo di metterlo a suo agio. Lui scioglie l’intreccio che avevano creato le nostre mani e si gratta il mento.
«Tutto bene grazie…e…tu?» Balbetta combattendo con tutte le forze per dare del tu a mia madre. Lo guardo in cagnesco e mi dirigo in sala. Non lo sopporto quando fa così. Li sento parlare e noto che da quando sono uscita da quella stanza parlano con più facilità, questa consapevolezza mi rende nervosa e devi spiegarmi il motivo. Mi alzo dal divano sbuffando e afferro la sua mano.
«Andiamo a fare un giro?» Gli chiedo cercando di apparire dolce, tentativo vano si sente nell’aria il mio nervosismo. Lui annuisce e saluta mia madre.

 

«Perché ti comporti così? L’ho capito sai? Sono io che non vado bene! Come sono uscita dalla cucina sei diventato subito normale!» Urlo non appena entriamo in macchina.
«Bella…» Sussurra lasciando una qualsiasi frase in sospeso.
«Niente Bella! Bella di qua, Bella di la! Basta Edward. La prima volta non ho detto nulla, ma adesso ho sentito il bisogno di estraniare questo pensiero con te. E devi dirmelo.»
«È complicato…»
«Cosa è complicato? Non c’è nulla di complicato! » Urlo fuori di me.
«Raccontami meglio dell’incontro con Jacob?» Mi chiede sviando l’argomento.
«Non cambiare argomento Edward! Dimmi il perché del tuo comportamento, ed io ti dirò di Jacob. » Mormoro guardandolo in cagnesco.
«Prima tu. » Mormora nella penombra dell’abitacolo e…Dio…vorrei solo saltargli addosso. Ora.
«No, tu. »
«Tu. »
«NO! Tu! »
«Dai Bella, prima tu! » Lo guardo amareggiata e abbandono le braccia sulle mie gambe, arrendendomi facendomi capire quanto testardo sia questo ragazzo.
«Perché l’ho visto parlare con una ragazza, sicuramente la sua nuova fiamma, ma non importa. Ecco, lei ha detto una cosa…ed io ho pensato che fosse Michelle. » Mormoro guardandolo.
«Cosa ha detto? »
«Sta vendendo la nostra casa a Pankow, quel codardo di un Cullen. » Dico, cercando di imitare la voce da oca di quella ragazza.
«Descrivimela.»
«È più alta di me. Non molto magra, ha il culo quanto una porta aerea! I capelli lunghi e biondo platino…ah sì! Ha un neo vicino al labbro sulla destra. » Mormoro pensando se c’è altro da aggiungere.
«Quella è Rosalie. Non è Michelle e sono amiche. Ho scoperto, da mio fratello – ex fidanzato di Rosalie- che entrambe avevano intenzione di andare a vivere lì. Una volta avermi sposato, Michelle, avrebbe avuto metà dei miei beni. Avevano un obbiettivo, andare a vivere da sole in quella casa. Una volta che Michelle mi avrebbe lasciato io le avrei dato tutto…e Rosalie avrebbe preso il mio posto in quella casa…»Mormora con lo sguardo cupo.
«Ah! Ma quindi Michelle e bisex? »
«No, sono amiche dall’asilo lei e Rosalie…»
«Grande coppia, davvero…» Dico sovrappensiero. 
«Ma a te che importa scusa?» Mi chiede alzando di qualche ottava la voce.
«Bè…così…sai, credevo che Jacob mi tradiva quando stava con me…volevo solo averne la conferma.» Un sorriso amaro, alle mie parole, si forma nel suo viso e io mi do della stupida ancora una volta.
«Bella…»
«No Edward, ascoltami! È solo curiosità la mia…non capisco perché tu debba fare così. Dicono che quando amiamo, ma amiamo per davvero faremmo di tutto per la persona in questione. Se io avessi davvero amato Jacob…credo che avrei abortito per farlo felice, certo, questo non toglie che mi sarei sentita in colpa tutta la vita…ma mi sarei sacrificata per un amore vero. Quindi no, Edward. Togliti dalla testa quello che stai pensando, perché io so cosa. » Dico risoluta, sicura che questa è la realtà dei fatti.
«Bella…dal primo giorno ho sempre avuto paura di perderti. Paura che tu potessi sfuggirmi dalle braccia. » Mormora triste. Io mi avvicino a lui e gli depongo un piccolo bacio sulle labbra.
«Non puoi perdermi Edward. Sono qui. » Mormoro puntando il dito sul suo cuore. «Come tu sei qui. » Dico prendendo la sua mano tra le mie e deponendola sul mio di cuore. Lui mi sorride e afferra la mia nuca avvicinandomi a lui, per poi finalmente baciarmi per come si deve. L’elettricità, che dal primo giorno, c’è tra di noi si fa più presente, attaccandoci come due calamite, chiudendo quella bolla che ora come ora non potrebbe mai scoppiare, è forte, come noi, come quello che proviamo verso l’altro.
Mi stacco dalle sue labbra e sorrido.
«Adesso tocca a te. » Dico sedendomi sul sedile del passeggero.
«Bella…»
«Dai Edward! » Urlo scocciata.
«Okay. Ma non giudicarmi per questo, avevo solo quindici anni. » Sussurra, io annuisco e inarco le sopracciglia.
«Il mio primo amore fu tua madre. La prima volta che la vidi fu per una visita di controllo che fece  mia madre. C’era il sospetto che fosse vittima di un tumore al seno…ma poi per fortuna erano solo dubbi. Per un mese intero, ogni settimana mia madre si recava nel suo studio ed io volevo sempre andare con lei. Per la prima volta mi ero innamorato…la sognavo tutte le notte…anzi no, era solo una cotta perché dopo qualche mese non ci pensai più…» Rimango sbigottita, non riuscendo ad immaginarmi Edward al fianco di mia madre. Lo guardo in modo strano, in un modo che forse nemmeno io comprendo. La mia reazione ancora più strana è quella di scoppiargli a ridere in faccia.
«Quindi tu…volevi…con mia madre…ahahahahaha, oddio! » Urlo tra le risa.
«No! Non ho mai pensato a tua madre…ed io…ecco…no! Ma che ti salta in mente! » Urla anche lui spaventato. Io lo guardo negli occhi e torno seria.
«Ma ti è passata sì? » 
«Certo! Altrimenti non ti avrei mai più cercata. Insomma, è una cosa assurda. »
«Oh, capita sai? Promettimi che però smetterai di comportarti in modo freddo con me quando c’è lei. » Sussurro.
«Scusa…io non volevo darti l’impressione sbagliata…»
«Prometti! » urlo ridendo ancora.
«Prometto. E poi credo che lei non mi abbia riconosciuto. »
«Credo anch’io. » Concludo scoppiando ancora a ridere. La serata passa così, nella sua macchina, e non importa se ha iniziato a piovere e fa freddo, siamo noi, nel nostro stato perenne di impasse.

 

 

 

 

 

Eccomi!
Perdonate il ritardo…ma come dicevo l’altra volta sto riprendendo il ritmo ;)
Grazie mille a tutte quante, per seguire, preferire e ricordare questa storia!
Un bacione
 A presto… I promise :D

Roby <3

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Capitolo 8
*** With Every Single Beat Of My Heart. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

 

With Every Single Beat Of My Heart.

 

 

 

 

Un mese dopo.

Mi specchio per l’ennesima volta, eseguendo sempre lo stesso movimento con la mano destra; accarezzo in modo lieve il mio ventre, adesso gonfio e liscio, mancano solo quattro mesi. Ed io non vedo l’ora che passino in fretta. Oggi faremo l’ecografia morfologica, scoprirò il sesso di mio figlio, Edward verrà con me. Il nostro rapporto si è solidificato in quest’ultimo periodo, la sua gelosia, molte volte mi ha reso nervosa e scorbutica, ma cosa devo farci? Se penso alla totale indifferenza di Jacob, che aveva nei miei confronti, allora penso che sì, è molto bello vedere Edward che si arrabbia se Mike mi da attenzioni, è altrettanto fastidioso quando poi, mentre siamo soli, urla fino a quando io non scoppio a piangere. È ormai così, lui s'ingelosisce, litighiamo, io scoppio a piangere e poi lui mi chiede scusa.  Non posso farne a meno, ormai il mio cuore lo ha intrappolato dentro di sé, rendendomi indipendente, da una persona che nonostante la gelosia sta imparando ad amarmi per quella che sono, sta amando mio figlio con me, i suoi calci, il suo farsi presente sempre, in ogni momento della giornata. Certamente mi sono chiesta più volte, nei miei momenti di rabbia, se è giusto innervosirmi così  per Edward, essendo consapevole di avere un essere umano all’interno di me stessa. A volte, mi dico che, invece, vale la pena incazzarsi, perché Edward è così, ti fa pentire di esserti affezionata a lui, mentre un secondo dopo ti fa credere di essere la ragazza più fortunata del pianeta. Ho capito di amarlo, con i suoi pregi e difetti, ho compreso che la mia vita, la nostra, senza di lui sarebbe terribilmente vuota e spoglia. E adesso, mentre pettino i miei capelli in modo delicato, sorrido tra me, non vedendo l’ora che lui suoni alla mia porta, che mi dia un bacio e mi sussurra che sono bellissima. Mi sento dentro una favola, mi sento dentro qualcosa che non riesco a spiegare nemmeno a me stessa, immagino la mia vita, un domani, vedendola serena, con Edward e mio figlio al mio fianco, vedendo Edward come abile scrittore, vendendo noi, nella nostra splendida e sincera bolla d’amore. I miei pensieri, come in ogni situazione che ogni qualvolta mi si presenta davanti, sono troppo affrettati. In fin dei conti non so qual è il piatto preferito di Edward, né se preferisce il tè al caffè, il cioccolato al latte a quello fondente, la coca cola o l’aranciata, non ho nemmeno idea di quale sia il suo colore preferito. Eppure, dentro di me, sento che qualcosa ci sarà per noi, un futuro, qualcosa di forte e sincero. Qualcosa che ci rende indipendenti adesso per poi essere un unico essere domani. Qualcosa che se non va nel verso giusto potrebbe annientare entrambi. Mi hanno sempre insegnato che con i se, i ma e forse, non andremo mai avanti. Voglio prendermi quello che mi si para davanti, voglio sentire il sapore della libertà sulla mia lingua, voglio solo vivere serenamente, senza pensare mai al domani, senza chiedermi più di una volta se quello che compio, dico e penso sia sbagliato o giusto. Il campanello del citofono trilla e dando una rapida sbirciata all’orologio – che segna le tre e quaranta – mi dirigo nell’ascensore, senza rispondere, sicura al cento per cento che è Edward.
«Ciao piccola.» Sussurra dandomi un bacio a fior di labbra.
«Ciao.»
«Sei bellissima.» A quell’affermazione roteo gli occhi all’indietro, gesto che compio ogni volta, ogni giorno, a quelle due semplici parole. Sa benissimo che io non mi vedo bellissima, anzi, adesso, contro ogni previsione, mi sento carina. Perché ho il grembo che evidenzia la mia gravidanza, perché già la consapevolezza del mio star diventando neo mamma mi rende più sicura di me, ai miei occhi mi vedo diversa, con le gote rosse il viso più giovane di quello che magari realmente è. L’Audi…qualcosa di Edward parte a tutta velocità e in pochi minuti ci ritroviamo nella strada principale per l’ospedale. Sorrido tra me, non sono mai stata quel tipo di persona che si interessa alle auto, tant’è che, per quanto utile sia, non ho ancora preso la patente, ma quello che più mi fa rendere stupida è che la gente può ripetermi il modello della propria auto cento volte al secondo che io non ricorderò mai esattamente che tipo di macchina è. Afferro la mia piccola borsa e Edward mi guarda stupito.
«Come mai quella borsa così piccola?» Io alzo le spalle e gli sorrido.
«Non mi va di portarmi addosso anche il peso di una borsa-valigia, quindi…ho pescato questa dalli sgabuzzino e l’ho presa.» Mormoro confusa.
«Oh, com’era?...Ah sì, “le donne ci mettono la vita intera dentro una borsa, Edward, non puoi capire”.» Dice cercando di imitare la mia voce, tentativo vano, poiché invece di sembrare me sembrava una presentatrice di Talk-Show. Scoppio a ridere insieme con lui, ricordando quel pomeriggio, quando per l’ennesima volta avevo acquistato una borsa gigante, lui mi aveva guardato dicendomi con gli occhi che era ridicolo comprare borse così grandi, ed io gli avevo risposto a tono. Smetto di ridere e lo guardo, mentre lui lo fa ancora. Gioisco, con ogni singolo battito del mio cuore nel vederlo così sereno e spensierato. Questo è l’amore no? Gioire quando vedi la persona che ami sorridere. Quando piangi se la vedi disperata. Quando urli perché ti fa disperare, per poi pentirti delle parole dette in quel momento. Sì, credo che sia questo, ed io sono follemente innamorata di questo pazzo geloso e pazzo di me. Non appena varchiamo la soglia del reparto, le mie gambe iniziano a tremare.
«Tesoro, calmati, andrà tutto bene…cosa ti preoccupa?» Sussurra aiutandomi ad accomodarmi nelle seggiole della sala reparto.
«Nulla…è solo che…controlleranno se ha problemi di salute…e ho paura.» Mormoro cercando di trattenere le lacrime, che solo dopo qualche attimo scorrono sul mio viso.
«Vedrai che andrà tutto bene. Stai tranquilla, agitarti non serve a nulla.» Mi dice deponendo un flebile bacio sulla mia fronte. E nonostante io sia pienamente consapevole del fatto che lui non può di certo evitare una qualsiasi complicazione nella salute di mio figlio, mi sento più tranquilla, non so se è a causa della sua vicinanza o semplicemente dalla sua voce, o forse è solo il mio bisogno di lui che minuto per minuto si diffonde sempre di più dentro di me. La dottoressa esce dallo studio e ci fa cenno di entrare. Mi chiede le solite domande di rito, legge i risultati delle analisi che faccio ogni mese e mi comanda dolcemente di stendermi sul lettino. Lo faccio e mentre alzo la mia maglia fino al seno, mi impongo di smettere di tremare, ma ovviamente lo faccio ugualmente. Fisso lo schermo, momentaneamente spento e inizio a disciplinare il respiro, la stretta di Edward nella mia mano aumenta di intensità e mi volto a guardarlo negli occhi. I suoi occhi splendenti e meravigliosi che promettono pace e tranquillità emanano tenerezza, specchio i miei occhi nei suoi e confondo i miei pensieri tra sogno e realtà. Mi sorride e stringo in automatico la sua mano. La dottoressa ci sorride e accende lo schermo.
«Miss Swan, dovrebbe mangiare di più…il suo peso è rimasto lo stesso dall’ultima volta.» Mi rimprovera con sguardo dolce.
«Ma…mangio normalmente…non che io abbia fame eccessiva, anzi, quando non ho fame mangio lo stesso…per lui.» Mormoro in difficoltà.
«Deve cercare di prendere peso…il piccolo crescerà e lei avrà bisogno di un corpo pronto e forte per le sue esigenze.»
«Mangerà di più…vedrà che la prossima volta aumenterà di peso.» Si intromette Edward facendomi sospirare di sollievo. Il gel ghiacciato a contatto con il mio ventre caldo fa ricoprire la mia pelle di brividi. Lo schermo si riempie di chiazze confuse ed io sospiro aspettando il verdetto.
«Volete sapere il sesso?»
«Sì!» Esclamiamo all’unisono Edward ed io, anche lui come me, sta trattenendo il respiro. Come ogni volta, nel silenzio del piccolo studio, si sente il ritmo del suo cuore che scalpita. Edward rimane imbambolato e mi chiedo come faccia a essere così internato dentro qualcosa che non è suo. Come faccia, nonostante sia così geloso, a non provare fastidio di un figlio che non è suo. È come se fosse lui il padre, anzi…forse fa molto più di quello che fanno i padri solitamente.
La dottoressa clicca più volte su alcuni punti e ogni volta cambia la posizione di quell’aggeggio, di qui ogni volta scordo il nome, che è posto sul mio ventre.
«Che cosa vorreste? Maschio o femmina?» Chiede sorridendo.
«Maschio!» Esclama Edward, io lo guardo e scoppio a ridere, mentre intanto una lacrima di commozione lascia il mio occhio.
«Per me è uguale. Basta che sia sano.» Mormoro spaventata.
«È un bel maschietto.» Sussurra dando il colpo di grazia alla mia agitazione facendomi scoppiare letteralmente a piangere. Torno a guardare lo schermo e lo vedo, tuto interno. Muove i piedini o almeno così sembra…e vicino alla testa credo che ci sia il braccio. Allungo l’indice sullo schermo e guardo la dottoressa.
«Quello cos’è?» Dico riferendomi a quello che spunta all’altezza della bocca.
«Sta ciucciando il pollice.» Mormora.
«Oh mio dio.» Mormoro piangendo a quella visione così dolce e commovente.
«È meraviglioso.» Sussurro mentre Edward accarezza i miei capelli.

 

«Ragazzi. Ho controllato tutte le ossa. Quello principale della colonna vertebrale è apposto, quello del setto nasale pure…ragazzi, il vostro piccolo è sano, manca solo qualche mese per completare la crescita degli organi. Dopodiché aspettiamo che nasca.» Annuncia la dottoressa sorridendoci, io scoppio a ridere, sono felice. Dopo settimane di attesa per quest’ecografia, dopo tutta l’ansia e la disperazione per il mio piccolo che potrebbe aver avuto qualche problema, adesso finalmente mi sento libera. Non appena varchiamo la porta d’uscita dell’istituto ospedaliero. Attiro Edward a me, baciandolo in modo rude e sconsiderato, riferendogli parole mai dette, mettendoci amore e passione. Lo desidero, come mai mi era successo prima d’ora e, se anche so benissimo che in un nostro qualsiasi rapporto sessuale io non ci ricavi nulla se non il suo compiacimento, voglio farlo, sento come se ne avessi bisogno, quasi quanto ho bisogno di lui. Lo desidero, da morire, con ogni singolo battito del mio cuore. Afferro il colletto della sua polo tra le dita e lo avvicino più a me, la mia pancia tonda sfiora la sua e i miei capelli con il vento accarezzano il suo viso. Le nostre labbra non si staccano un attimo, la mia lingua cerca la sua e sento che potrei morire da un momento all’altro. Esploro la sua bocca, il suo alito fresco arriva dentro di me scaldando il mio cuore e sorrido sulle sue labbra. Ci stacchiamo insieme e i nostri occhi si mescolano giocando tra di loro, un gioco fatto di parole sussurrate al vento, di sorrisi promettenti, di sguardi ingenui che piano diventano maliziosi. Afferro la sua mano e con passo felpato ci dirigiamo nella sua macchina.
«Hai visto piccola? È andato tutto bene…» mormora con gli occhi scintillanti.
«Sì…sono contenta.» Sussurro guardando il suo profilo degno di una scultura greca.

 

 

 

 

«Buongiorno piccola.» Mormora Edward baciando le mie labbra. Siamo sul cortile dell’università e oggi, stranamente sembra essersi svuotata. Lo stringo forte a me accoccolo il mio viso sul suo petto, le sue mani accarezzano il mio ventre e mi sento meravigliosamente amata.
«Come stai oggi?» Sussurra battendo dolcemente dei colpi sul mio quasi-pancione e parlando direttamente con lui. Il piccolino che scalpita all’interno di me, inizia a farlo con più frequenza in questi pochi attimi, l’effetto Edward ha fatto colpo pure su di lui. Ho letto sul web che quando noi, donne gravide, ascoltiamo musica, litighiamo con la gente o semplicemente piangiamo, i piccoli al nostro interno riescono a percepire questo tipo di emozioni, influenzandoli in modo sottile, quindi anche lui, come me, si è accorto della sconsiderata tenerezza di Edward, del suo affetto che nutre per entrambi dal primo giorno. So bene che Edward si sente il padre di mio figlio, e anche se non è il suo papà biologico, sento che sarà il padre migliore al mondo, i figli non sono di chi li fa, ma di chi li ama con tutto se stesso e li cresce.
«Sono già le nove, è possibile che sono tutti dentro?» Mi chiede Edward confuso, io scuoto la testa perché questo è l’ultimo dei miei pensieri e ci dirigiamo velocemente dentro.

“L’istituto oggi rimarrà chiuso a causa disinfestazione. Pertanto vi invitiamo di tornare Lunedì prossimo.”

Scoppio a ridere dopo aver letto attentamente l’avviso e guardo Edward negli occhi.
«Perché ridi?»
«Perché non ci siamo nemmeno resi conto che la scuola oggi è chiusa! Eppure dovrebbero averlo detto più volte!» Esclamo divertita. Lui mi guarda interdetto mentre afferra con i denti la sua lingua, lo fa sempre quando deve arrivare alla conclusione di qualcosa.
«Edward! Siamo così occupati a interessarci a noi che magari, abbiamo dimenticato anche che l’università è chiusa!» Rido ancora e solo dopo che lui se ne rende conto mi segue a ruota. Guardo il suo sorriso, quello che prima di tutti mi ha fatto innamorare di lui e di slancio mi butto tra le sue braccia. Afferro il suo viso e lo bacio, mordo le sue labbra che sanno di zucchero, lui sorride sulle mie labbra e un calore mai provato si irradia all’interno di me. Lo guardo negli occhi e penso che oggi sia tutto un segno del destino. Afferro la sua mano e senza dire una parola ci dirigiamo nella sua auto.
«Dove la porto Madame?»
«Voglio andare a casa tua.» Sussurro, mentre la sua aria divertita si fa violentemente imbarazzata. Lui annuisce come un automa e fa partire l’auto.
Entriamo dentro casa sua quasi in silenzio, quasi perché se non fosse per la ghiaia che ad ogni nostro passo urla. Nello stesso esatto momento togliamo le nostre giacche e le appoggiamo sul piccolo divano dell’ingresso. Rimaniamo immobili a guardarci a lungo e dopo qualche secondo Edward si avvicina a me.
«Che facciamo?» Mi chiede dolcemente, protendendo le braccia verso di me, un invito ad un abbraccio che io colgo immediatamente tuffandomi su di lui. Annusa i miei capelli e non so che diavolo mi prende oggi, ma ho una voglia irrazionale di spogliarlo, di guardarlo nudo, di perdermi dentro i suoi sospiri, di guardarlo negli occhi e vedere ancora una volta che mi ama. Mi alzo in punta di piedi e raggiungo il suo orecchio mordendolo dolcemente.
«Edward…» Sussurro non trovando le parole da dire.
«Mi farai morire.»
«Facciamolo insieme, allora.» A quella mia frase sembra che nel cervello di Edward si accende un campanello di allarme, mi afferra da sotto le gambe e mi porta in braccio sul suo letto, in modo urgente, delicato. Mi deposita sul letto ed io mi sento a disagio con i suoi occhi che mi guardando intensamente. Chiudo gli occhi per non provare questo certo senso di imbarazzo ma, non appena le sue dita sfiorano le mie caviglie da sotto il tessuto dei Jeans, sgrano gli occhi deglutendo. Lui mi guarda dolcemente e si avvicina col viso al mio ventre per poi depositarci un piccolo bacio pieno d’amore.
«Bella…» Mormora a disagio.
«Oh, non chiedermelo Edward!» Urlo sembrando quasi disperata. Lui scoppia a ridere e scuote la testa. Lentamente mi toglie le scarpe e subito dopo i pantaloni, nei suoi gesti c’è devozione, cura ed è dolce e competente. Guarda le mie gambe e un certo tremore si impossessa del mio corpo. Accarezza le mie gambe in modo delicato e composto, facendomi desiderare tutto ciò che potrebbe succedere da un momento all’altro, ed è strano per me. Ogni qualvolta si presentava l’occasione di fare sesso con Jacob, io lo facevo per accontentarlo, anche perché, più volte mi ero tirata indietro per paura che lui potesse cercare quello che io non gli davo in un’altra. I primi periodi in cui avevo scoperto delle gioie del sesso, che gioie non è propriamente esatto, non volevo saperne di averlo dentro di me, mi dava fastidio e mi sentivo usata, non ci ricavavo nulla se non il suo compiacimento. Adesso invece…oh adesso è tutto diverso. Lo voglio. Voglio Edward dentro di me. Voglio il suo respiro caldo sul mio corpo, sulla mia anima. Mi metto seduta e con il suo aiuto lo libero della maglia.
«Bella…sei sicura? Il piccolo potrebbe risentirne ed io ho così paura.» Sussurra tremendo anche lui come me.
«Ho parlato con la ginecologa e anzi, mi ha detto che gli fa bene. Edward…io non ho mai saputo come dirtelo, ma io ti amo. Non so se è prematuro o magari può sembrarti stupido ma è così. Ti voglio Edward e questo non mi era mai successo. Voglio tutto di te, la tua mente, il tuo cuore e la tua anima.» Mormoro sicura delle mie parole, forse, per la prima volta in vita mia.
«Ti amo anch’io piccola mia.» Mormora baciando le mie labbra, promettendomi a modo suo che mi amerà fin quando potrà. Stacco le nostre labbra e ci guardiamo negli occhi per momenti interminabili.
Senza neanche rendermene conto siamo entrambi nudi sul suo letto, e nonostante lui non mi abbia ancora fatto nulla sto ansimando come un’ossessa. I miei seni sono catturati dalle sue labbra e il suo membro preme con forza sulla mia gamba. Roteo gli occhi credendo che se non esco fuori di testa oggi non lo farò mai più. Accarezzo i suoi capelli e le sue mani non smettono un attimo di venerarmi con il loro tocco flebile e candido. Riesco a percepire il suo cuore che, furioso, batte come il mio. Riesco a sentire ogni singolo battito del nostro cuore. Delicatamente afferra i miei fianchi e sposta le mie gambe in modo che circondino il suo corpo, adesso seduto di fronte a me. Avvolgo le mie gambe sul suo bacino e in un attimo entra dentro di me, portandomi con le sua braccia sopra di lui, portandomi con lui in paradiso. Rimane immobile dentro di me e mi guarda negli occhi, accarezzando il mio viso e mai nella mia vita mi sono sentita così felice, completa. Afferro il suo viso per l’ennesima volta e la mia lingua lambisce la sua scatenando tutto quest’amore in irrefrenabile passione. Mi muovo su di lui veloce, vogliosa e non so cosa mi sta succedendo perché questa volta, invece di sperare che tutto questo finisca al più presto, adesso desidero continuare all’infinito. I nostri gemiti riempiono il silenzio di questa stanza spettatrice del nostro amore, le sue parole sussurrate riscaldano il mio cuore e il suo respiro accarezza il mio corpo cullandolo. Inarco la schiena e lo sento ancor di più dentro di me, i miei seni balzano davanti al suo viso e scoppio a ridere notando il suo sguardo famelico. Lui mi sorride arrossendo e le nostre fronti si attaccano, i nostri occhi si incrociano come i nostri corpi, dando la possibilità di fare lo stesso con i nostri cuori. Due corpi e un’anima. Noi. Ad ogni movimento sento come se avessi una bomba programmata sul ventre che sta per esplodere. Lui mi guarda muovendosi forsennatamente, pompando dentro di me furioso e terribilmente eccitato. Esplodo in quello che è il mio primo orgasmo, chiudo gli occhi ansimando furiosamente, le sue mani spalmano i miei seni e mi sento stordita, ma follemente appagata. Edward spinge ancora dentro di me e non appena sento il suo seme caldo, dentro di me lo guardo. I suoi capelli sono scompigliati, la sua bocca è semi chiusa che lascia andare dei gemiti appagati, i suoi occhi, oggi più verdi del solito, non smettono un attimo di scrutarmi, ed è bellissimo, oggi più di ieri.
«Non so cosa mi stai facendo piccola mia.» Mormora con il respiro ancora affannato.

«Non chiedermelo. Non lo so nemmeno io.»

Salve, perdonate il ritardo! Ma non è un periodo facile, e, come potete vedere non è un capitolo soddisfacente.

Perdonatemi, per il ritardo e per tutto.

A presto.

E grazie, per continuare a seguirmi.

Un bacione

Roby <3

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Capitolo 9
*** The Sky Of Berlin. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

 

 

The Sky Of Berlin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Guardo con aria sognante il viso di quello che, da qualche mese è diventato il ragazzo della mia vita, cercando di trovare la forza di volontà per staccarmi da lui e andare a preparargli la colazione. Edward è disteso supino al mio fianco, con le mani nascoste sotto il cuscino, sembra un bambino, un piccolo, dolce innocente. Mi alzo sbuffando, non pensando alla voglia irrefrenabile di restare qui e svegliarlo con i miei baci delicati che ama tanto. Un brivido di freddo mi pervade e velocemente infilo la vestaglia. A piedi nudi e incinta, mi dirigo nella sua cucina. Guardo fuori dalla finestra e mi rendo conto che il nuovo anno, questa volta, per me è entrato alla perfezione, facendomi permettere di pensare che questo 2013 avrà in serbo per me un po’ di tranquillità. Il cielo di Berlino, lo stesso che giornalmente mi da speranza e voglia di andare avanti, voglia di diventare madre, voglia di essere sempre pronta ad accettare qualsiasi sfida mi proponga la vita, il cielo di Berlino oggi è cupo, ed è bianco, ed è estremamente bellissimo. Inizio a preparare l’impasto per i pancake e intanto metto sul fornello la caffettiera. Da quando sono gravida, odio il caffè, mi fa venire voglia di rimettere, eppure il suo odore, ancora oggi, mi tranquillizza, mi fa stare bene. Un po’ come Edward. Accendo il cellulare, spento da ieri pomeriggio sotto richiesta di Edward che famelico si era buttato sulle mie labbra. Non appena appoggio il cellulare sul tavolo, comincia a squillare e senza guardare il nome rispondo.
«Pronto?»
«Bella! Ho mille cose da raccontarti! Dov’eri?» Mi chiede una Hayley euforica e allo stesso tempo arrabbiata per la mia breve latitanza. Io, Melanie e Hayley ci conosciamo dai tempi dell’asilo e mai, sottolineo, mai, è capitato di non vederci o semplicemente sentirci al telefono per più di un giorno.
«Ehm…sono a casa di Edward… si è scaricato il cellulare e non mi son accorta…» Sussurro balbettando, sicura che non crede un minimo della mia frase.
«Oddio! A quanto pare devi dirmi qualcosa.»
«Sì, ma quando ci vediamo, io, te e Mel. Adesso spara!» Dico facendola scoppiare a ridere.
«Sai quel ragazzo che ti dicevo…si chiama Gordon. È bellissimo. Siamo usciti ieri sera e…oddio…» La mia amica continua a parlare al telefono con me, mentre io sorrido ad ogni suo gemito di apprezzamento verso questo ragazzo che, già, non vedo l’ora di conoscere, Hayley è felice ed euforica, ed io voglio capire se lui è all’altezza della mia amica. Hayley continua a strillare al telefono, di quando sexy ed elegante sia questa nuova fiamma, cerco di prestarle attenzione fino a quando non vedo Edward, a petto nudo con solo i pantaloni neri di una tuta che lascia intravedere l’elastico dei Boxer, i suoi capelli scompigliati e i suoi occhi ancora nel mondo dei sogni, ma mi squadrano e ci vedo eccitazione all’interno. Rimango a fissarlo immobile, il caffè fumante nelle tazzine, i pancake sul forno, la voce squillante di Hayley non esistono più, c’è solo lui con il suo sguardo famelico su di me, il cellulare mi cade dalla mano e, se solo avrei ancora un piccolo barlume di lucidità dentro di me lo raccoglierei dal pavimento, invece, mi avvicino lentamente al corpo caldo di Edward. La mia reazione lo fa scattare come un predatore che sta per acchiappare la sua preda, i suoi piedi nudi scattano nella mia direzione mentre gli vado incontro e, in un attimo, mi ritrovo stretta a lui. Ritrovo le sue mani su di me, sul mio corpo, nudo dopo qualche attimo, coì come il suo. La sua voce dolce e delicata che mi ricorda quanto mi ama, che parla al mio bambino che scalcia dentro al mio corpo. Poi sento lui, la sua anima, il suo amore e la sua passione, mentre entra dentro di me facendo uscire tutta la devozione che prova nei miei confronti. Ci guardiamo negli occhi, mentre spinge dentro di me come se non ci fosse un domani, le nostre labbra si sfiorano e sento che non potremmo essere più completi e giusti di adesso. Io e lui. In questo momento. Per sempre.

«Dovrei tornare a casa…» Sussurro con la schiena appoggiata alla sedia, dopo una colazione più che abbondante. Dopo…ehm…l’amplesso, abbiamo fatto colazione e si sono fatte già le undici.
«Perché?» Chiede lui sconsolato.
«Sono tre giorni che non torno a casa, Edward.» Lui annuisce e mi aiuta a sparecchiare. Non appena sono pronta, usciamo di casa, Edward mi prende il braccio dolcemente e mi costringe a girarmi.
«Questa maglia non copre bene il tuo ventre.» mi dice contrariato.
«Sì, la pancia sta crescendo, ho bisogno di vestiti nuovi. Mi accompagni domani?» Lui mi sorride e mi da un bacio sulla tempia.
«Ma certo.»

 

 

Non appena arrivo a casa, l’odore di pollo fritto mi entra dritto nelle narici, tolgo il cappotto e lo appendo nell’attaccapanni insieme alla borsa. Sento la voce di mia madre che arriva ovattata dalla cucina, forse sta parlando al telefono. Mi dirigo in cucina, trovandomi con sorpresa abbastanza affamata, nonostante sia solo passata un’ora dalla mia colazione. Forse è l’attività fisica cui mi sottopone Edward che mi fa venire voglia di nutrirmi ogni qualvolta sento il profumo del cibo. Non appena varco la soglia della cucina mi si gela il sangue nelle vene.
«Che fai tu qui?» Chiedo arrabbiata.
«Tranquilla Bella.» Dice Jacob alzandosi dalla sedia e venendomi incontro, si ferma solamente quando nota che ad ogni suo passo avanti io indietreggio.
«Vattene via!» Esclamo facendo sobbalzare mia madre, che intanto asciuga le stoviglie. Mia madre lo guarda infuriata e sospiro quando comprendo che lei è dalla mia parte…per un attimo ho creduto il contrario.
«Bella, ascoltami. Ho sbagliato con te, con voi…so che non c’è nessuna spiegazione al riguardo, ti chiedo solo di ascoltarmi.» Sussurra cercando di guardare i miei occhi, ma non ci riesce, scanso il mio guardo dai suoi di continuo. Mi avvicino al piatto con le crocchette di pollo e ne afferro una infilandola tutta in bocca…muoio di fame, non m’importa che lui voglia parlarmi, io ho fame. Mia madre scoppia a ridere non appena afferro la seconda. Mi pulisco le mani con un panno e incrocio le braccia al petto.
«Questa è l’ultima volta che ti concedo di parlarmi Jacob. Muoviti e falla finita con questa storia, stiamo bene anche senza di te.» Mormoro guardandolo sottecchi. Lui deglutisce e abbassa lo sguardo, non riuscendo a sostenere il mio, stanco e incazzato.
«Bella. So di aver sbagliato con te e con nostro figlio. Ho capito che ho fatto un errore, ma sono umano anch’io…voglio riparare al mio errore.» Il mio cuore smette per qualche attimo di battere a causa dell’ansia che questo suo discorso mi sta provocando.
«Come? Come intendi riparare quello che tu chiami errore, quando invece la parola errore è un terribile eufemismo?»
«Permettimi di ricominciare daccapo.»
«No, Jacob.» Mormoro non riuscendo a credere alle mie orecchie.
«Ti prego.»
«No, ho detto di no, basta. Vattene.»
«Fallo almeno per nostro figlio, Bella.» Sussurra pregandomi con lo sguardo. Io lo afferro per il braccio e lo sbatto fuori da casa mia non volendo ascoltare ancora la sua voce lagnosa da stupido e incosciente. Sbatto la nuca sulla porta e chiudo gli occhi chiedendomi quando arriverà per me la pace assoluta. MI siedo sul divano, cercando di guardare un punto fermo della stanza e ci riesco vedendoci il vuoto, il totale e assoluto buio che mi circonda da questo momento.

Per l’ennesima volta sento quel bip fastidioso rimbombarmi nelle orecchie. Apro gli occhi e proprio come immaginavo, sono all’ospedale. Ma, al contrario dell’ultima volta, ho solo una flebo attaccata al braccio destro.
«Bella.» Sussurra Edward iniziando a baciare le mie guance in modo delicato. «Cristo…» Continua a sussurrare tra le labbra facendo morire il suo respiro sulle mie guance e infine sulla mia bocca che bisognosa cerca la sua.
«Non devi farci questo.» Mormora appoggiando la mia fronte alla sua. Rimaniamo immobili, occhi negli occhi, nei suoi un vuoto che lentamente si sta riempiendo, la paura che piano diviene gioia e il suo amore, il suo potente e sincero affetto che prova nei miei confronti, ogni giorno sempre più forte del precedente. I nostri sguardi si interrompono grazie al medico che con poca delicatezza apre la porta facendola sbattere più volte nel muro.
«Si allontani. La signora è debole.» Dice con sguardo infastidito. Arrossisco al “signora” dato che comunque ho solo diciannove anni.
«Isabella. Non ha ancora capito che una gravidanza va vissuta al massimo della tranquillità?» Mormora il medico contrariato. Io contraggo la bocca in una smorfia imbarazzata.
«La sto vivendo con tranquillità la gravidanza.»
«Studiare le pare il caso?»
«Studiare non mi stressa. E mi serve, per dare un futuro a mio figlio.»
«Non è questo il punto. Le analisi dicono chiaramente che il suo è stato uno svenimento in piena regola. La sua pressione si era abbassata pericolosamente e questo, molte volte, può provocare danni al bambino. Fortunatamente il piccolo è rimasto illeso…ma deve evitare di provare emozioni forti, stressarsi e, soprattutto, arrabbiarsi, la rabbia è la cosa peggiore che una donna in gravidanza può permettersi di provare.»
«Se qualcuno mi fa arrabbiare non è colpa mia.» Sbuffo incrociando le braccia al petto come una bambina e cui sono state appena negate le caramelle…mi viene in mente immediatamente Jacob, non comprendendo il motivo principale e sospiro…è sempre stato lui la mia croce, quel motivo per odiare me stessa molte volte e lo stesso per il quale adesso mi trovo qui. Vederlo mi ha fatto arrabbiare, perché mi ricorda troppo mio padre, un uomo senza responsabilità, un uomo che non conosce amore, non conosce affetto, non immagina l’onore che potrebbe darti un figlio. Sbuffo sonoramente incollata in quest’ odioso letto.
«Isabella…quello che voglio dirle è che è troppo pericoloso per lei avere certe reazioni. Eviti emozioni forti, sia negative sia positive. Lo vedo, mi accorgo dai suoi occhi quanto amore ha per suo figlio. Se ne ricordi, sempre.» Sussurra porgendomi la lettera di dimissione e congedandosi. Edward mi guarda preoccupato e si avvicina lentamente, aiutandomi a rivestirmi. Mentre usciamo dall’ospedale, ricordo bene i primi giorni quando seppi di essere gravida. La notte pregavo che Jacob venisse a lanciare un sasso nella finestra di camera mia, speravo cambiasse idea, speravo che l’amore che credevo, provasse per me fosse così forte che gli sarebbe bastato riflettere un po’ di più per poi capire che tenere questo piccolo esserino sia l’unica soluzione, la cosa più necessaria da fare, una priorità. Invece i giorni passavano e di lui nemmeno l’ombra, fino a quando non arrivò Edward a salvarmi da quel mare dove stavo annegando. L’amicizia di Edward non mi faceva pensare a quello che stata al di fuori di entrambi. Poi scoprii il mio amore per Edward e dal giorno in cui ebbi quella consapevolezza che non avevo bisogno di Jacob, non avevo bisogno di lui per mettere al mondo mio figlio. Avevo Edward e tutto quello che stava al di fuori dal nostro amore e da mio figlio, erano solo sciocchezze, cose che passavano per ultime nella scala dei miei interessi. Quando Jacob mi ha parlato l’ultima volta, citando “nostro figlio” parlando di lui come se fosse una cosa che gli appartenesse dall’inizio alla fine, come se mio figlio fosse anche il suo, quando invece ho sempre pensato di tenere mio figlio lontano dal padre biologico, proteggendolo da quella persona che prima di tutti lo aveva rifiutato. Ma adesso, nella mia mente si sviluppa una matassa inconcepibile, facendomi chiedere più di una volta se il ragionamento che ho sempre fatto sia quello più giusto per mio figlio. Tante volte ho evitato di chiedermi come sarebbe stata la mia vita al fianco di mio padre, di certo, stare sotto lo stesso tetto di una persona che dal giorno in cui ha saputo della mia esistenza voleva già uccidermi, non rende la vita facile. Ma è possibile che mio padre, vedendomi tra le braccia di mia madre appena nata, guardando i miei occhi per la prima volta, che si sarebbe potuto innamorare di me mettendo da parte tutti i ragionamenti malsani che lo avevano portato a quel punto, facendo di noi una famiglia felice, potendomi dare affetto, anche se non avrebbe mai potuto immaginarlo. Non nascondo che per i miei compleanni mi sono sempre aspettata una telefonata da parte sua o, anche solo una lettera di auguri. Tante volte mi sono nascosta sotto le coperte piangendo per la delusione, per la frustrazione del non essere accettata nemmeno dalla persona che ha contribuito a mettermi al mondo. Scuoto la testa, mentre alcune gocce d’acqua colpiscono la mia guancia, alzo gli occhi al cielo ed è come se il cielo di Berlino avesse un collegamento diretto con la mia mente, è grigio, è vuoto…quasi invisibile, ed è confuso, perché le nuvole sono a sprazzo, come se volesse spuntare il sole, ma qualcosa di più potente come la pioggia non permette al cielo di comandare in assoluto su se stesso. Stringo forte la mano di Edward che mi accompagna dentro casa. Mia madre non c’è, e i tuoni rimbombano nella casa facendomi confondere ancora di più.
«Tua madre…mi ha raccontato della visita di Jacob.» Sussurra finendo lì la frase, ma, facendomi  intendere che vorrebbe dire almeno un altro miliardo di parole. Io guardo i suoi occhi che sono indecifrabili. Una morsa inedita si fa strada nel mio stomaco e cerco di dire qualcosa, invece riesco solo a guardarlo e aspettare che parli, scaturendo in me una paura mai provata.
«Che intendi fare Bella?»
«L’ho cacciato da casa Edward. Credo che tutto sia chiaro.» Mormoro diventando un pezzo di ghiaccio.
«Io ti conosco. Ci hai pensato, ci stai pensando e non smetterai di farlo fin quando non prenderai per davvero una decisione.»
«Questa cosa non ti riguarda Edward…» Sussurro pentendomi all’istante della frase che ho appena pronunciato. Lui annuisce con forza, facendomi sentire immediatamente in colpa e mi siedo sul piccolo divano dandogli le spalle, comportandomi come una delle migliori codarde esistenti al mondo.
«Ho capito. Sì, certo. Io non sono nessuno, qui.» Mormora facendomi piegare la testa sulle braccia. Sento la porta di casa mia sbattere con forza e quel suono da il comando alle mie lacrime che escono dai miei occhi con forza, quasi rabbia. Mi accascio su me stessa e chiudo gli occhi, aspettando che il mio respiro si regolarizza.

 

 

 

 

 

 

Sì. Eccomi. Sono assolutamente imperdonabile. Il capitolo è corto e fa schifo.
Purtroppo ( che poi non è neanche purtroppo) il mio tempo si è ristretto ancora di più di prima. Il mio piccolino ha iniziato con l’asilo ed io ho cominciato la scuola serale. Avevo pensato di sospendere la storia qualche volta, ma, il problema è che se anche il mio tempo è ridotto non riesco a smettere e, soprattutto non voglio lasciarvi per mesi e mesi senza un aggiornamento. Quindi sì, la storia continuerà fino alla fine, non intendo abbandonarla, solo che non avrà aggiornamenti impostati o ben precisi. Posso mettere un nuovo capitolo una volta a settimana, ogni due settimane o, magari che so anche due volte a settimana…tutto dipende dalla stanchezza e dai tempi…è chiaro che se in una giornata ho solo due ore libere non posso sprecarle a scrivere…ma abbiamo i sabati e le domeniche per questo no?
Spero solo di non aver deluso nessuno…e scusatemi davvero, non avevo intenzione di abbandonarvi.
Un bacione, spero di sentirvi ugualmente.
Con affetto,

Roby <3

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Capitolo 10
*** First Snow Of The Year. ***


Just a Little Woman.

 

 

 

First Snow of The Year.

 

 

 

 

 

Sono sempre stata quel tipo di persona che crede che non appena la vita intraprende una strada diversa da quella prevista, il tempo si congela. Rimanendo stabile, immutato, fermandosi in modo da dare il tempo di riprendere quel sentiero che per qualche ora avevi abbandonato. E forse, tutte le volte che la mia vita presentava un avvenimento triste o, comunque, di quelli che ti fanno desiderare che il tempo si fermi, il tempo si fermava. Il cielo rimaneva grigio, le lancette dell’orologio di fermavano di scatto, non c’erano sogni, la notte priva di stelle…c’era solo il cervello che continuava a correre sviando gli ostacoli di miliardi di pensieri. Adesso invece, in questo preciso instante il tempo sta accelerando, ed è proprio quando desideri ardentemente qualcosa che il tempo corre veloce non dandoti nemmeno il tempo di soffermarti a pensare. E così, seduta su una piccola Panchina a Pankow, da ormai due ore, aspetto che Edward spunti da qualche cespuglio, dato che, casa sua è deserta da ormai sette giorni. Da quella sera stessa mi sono resa conto dell’errore madornale che ho fatto, ferendolo nel profondo con due semplici parole, tutte le mattine –non vedendolo arrivare all’università – mi sono recata qui, ormai la strada da qui a casa mia la posso percorrere anche ad occhi chiusi, buffo pensare che qualche mese fa ero qui disperata…quella volta, come è capitato spesso Edward era qui, venuto a salvarmi. Tante volte mi son chiesta se lui fosse una divinità scesa in terra per aiutarmi…perché non appena sono in pericolo mi basta il suo viso per tranquillizzarmi. Lui c’è sempre stato, dal primo giorno. Mi ha sempre tranquillizzata e sostenuta, aiutata nei miei momenti di piena ansia…ed io, io l’ho ringraziato come ogni persona priva di umanità avrebbe fatto. Mi odio per questo, ma non posso permettermi di pensare all’odio che provo per me stessa, devo salvare il mio rapporto con Edward, nonostante questo sembra impossibile. Rimango sorpresa da un fiocco di neve che dolcemente si adagia alla punta del mio stivale. Una lacrima riga il mio viso e mi riporta alla prima notte che io e Edward passammo insieme dopo aver fatto l’amore.

I nostri corpi nudi e avvinghiati, quella notte, si accarezzavano con movimenti necessari quasi automatici. Le sue mani calde accarezzavano dolcemente le mie braccia sparse nel suo petto…i brividi quella notte non mi avevano lasciata nemmeno per un attimo.
«Hai freddo? » Mi chiese in un sussurro, forse per paura di spezzare quell’atmosfera unica e calda con il suono della voce.
«No…non potrei mai avere freddo…non qui con te. » Mormorai con le gote rosse pomodoro.
«Ti piace la neve? » Mi aveva chiesto, io ero scoppiata a ridere e avevo annuito annusando con vigore il suo petto che sapeva di noi, di Edward, di uomo.
«La prima neve voglio vederla con te…dicono che vedere la prima neve dell’anno con una persona importante porti fortuna nel loro rapporto. » Fu in quel momento che alzai il capo –stranamente ci riuscii- e guardai i suoi occhi con un trasporto che mai avevo sentito. Strabuzzai un attimo gli occhi e sorrisi.
«Vedremo la prima neve dell’anno insieme.»

Invece la prima neve dell’anno è qui, adesso, ed io sono qui, ma sono sola, completamente sola. Ricordo bene quando nevicava…se magari capitava che quel giorno il mio umore era pessimo, l’unica e inimitabile cosa che poteva tirarmi su era la neve. Ho sempre amato la neve, passavo le notti a guardarla dalla finestra, fin quando non mi addormentavo e mia madre mi svegliava. Guardo il cielo, adesso bianco e omogeneo e per l’ennesima volta penso a come sia collegato con la mia mente, il mio umore, in questo preciso istante.
«La prima neve dell’anno.» Mormora un voce troppo familiare, troppo agognata. Mi volto, credendo di essere diventata pazza e che sento la voce di Edward ovunque. Mi alzo di scatto rendendomi conto  che è lui, ed è qui, ed è diverso dall’ultima volta…troppo diverso. Edward non ha mai tenuto la barba per più di due giorni da quando lo conosco, adesso il suo viso è completamente ricoperto da essa, è strano da dire, ma sembra molto dimagrito, sotto i suoi occhi ci sono dei solchi e i suoi occhi sono proprio come il cielo di Berlino, omogenei, immutabili, illeggibili. Rimango a guardarlo come se fosse una delle opere pittoresche più belle e rare che io abbia mai visto, una lacrima lascia il mio occhio e per l’ennesima volta non riesco a trattenere i singhiozzi che prepotentemente lasciano la mia gola. Non riesco a guardarlo in faccia, è un pugno nello stomaco. La consapevolezza di averlo ridotto in questo stato è peggiore di qualsiasi cosa mi sia successa fino ad oggi. Le sue braccia, nonostante tutto, sono sempre lì, aperte per me, invitandomi in un caloroso abbraccio che non merito completamente, non questa volta. Allargo le braccia, come a volermi scusare in qualche modo, ma, sono sicura che non basteranno due frasi fatte e un gesto pieno d’amore. L’amore è tutto dicono, ma non in tutti i casi.
«È inutile piangere Bella. Anche se non mi riguarda, devi pensare che le lacrime non fanno bene al tuo piccolo. »  Mormora con voce dolce, dopo la punta – del tutto giustificata – di acidità. Torturo le mie mani tra di loro e rimango in silenzio, aspettando la fine di questi maledetti singhiozzi.
«Che ci fai qui?»
«Non ti sembra ovvio?» Mormoro asciugandomi le lacrime con i polpastrelli delle dita.
«No, non dopo quello che mi hai detto. Non dopo quello che ho saputo dalle tue labbra. Credevo che mi volessi nella tua vita anche dopo la nascita del bambino e invece…a quanto pare non è propriamente così. Mi sono sentito usato Bella. Vuoi sapere cosa mi è passato per la mente in quel piccolo istante?» Annuisco impaurita dal tono quasi minaccioso della sua voce e evito di incontrare il suo sguardo che insistentemente cerca il mio.
«Vuoi saperlo?» Urla avvicinandosi in modo rabbioso.
«VUOI DAVVERO SAPERLO BELLA?» Urla ad un centimetro dal mio viso. In automatico le mie mani vanno a proteggere il mio ventre e la mia testa si abbassa, facendo appoggiare il mio mento alla base del collo.
«Non picchiarmi, ti prego.» Mormoro spaventata. Il suo respiro che fino a qualche attimo fa mi stava sul collo, in un istante sparisce. Sento le sue mani afferrarmi le braccia costringendomi ad alzare il viso. È arrabbiato, è diverso, è un Edward che io non ho mai visto.
«Mi sono sentito tradito, per la seconda volta nella mia vita. Solo come mai prima di allora, impotente come un malato costretto a letto. Hai confermato quelli che per giorni erano solo delle mie supposizioni; tu ami il padre di tuo figlio, hai solo cercato conforto nelle mie braccia.» Dice, sputandomi la sua versione di verità in faccia. Libero un braccio dalla sua stretta non tanto forte, non almeno quanto sembra essere e, con un colpo deciso la mia mano schiaffeggia il suo viso. Lui sgrana gli occhi ed io invece mi sento per l’ennesima volta terribilmente in colpa. Mi lascia andare, come una delle peggiori persone che siano capitate nel cammino della sua vita e si volta per andarsene.
«Non doveva andare così! Torna qui!» urlo a squarciagola fregandomene dei passanti che mi guardano in malo modo.
«Edward! Torna qui!» urlo ancora, ma niente, non si volta né, tantomeno, torna indietro. Inizio a correre ma lui sembra essere sempre più lontano.
«Edward! Ti prego! Torna qui!» Urlo disperata, con le lacrime che mi appannano la vista. Colpisco con il gomito alcune persone accorgendomene solo dai loro sguardi omicida.  Arrivo vicinissima fino ad afferrare il suo giubbino con le dita. Sbatto furiosamente la faccia sulla sua schiena e lui, finalmente, si ferma. Le mie mani cingono la sua vita e le mie labbra baciano quello che riescono a baciare. Lo tengo stretto a me per paura che potesse continuare a camminare, per paura che potesse riuscire a dimenticarmi.
«Non andare via Edward, ti prego.»
«Mi hai fatto male Bella, tanto.» Sussurra con la voce roca. Rimaniamo in quella stessa posizione per minuti, forse ore…i passanti ci guardano, alcuni fanno finta di niente altri ci passano a fianco ridendo, eppure noi rimaniamo così per un tempo lunghissimo.

 

 

«Perché non sei tornato più a casa tua da…bè da quel giorno…» Mormoro guardando il liquido caldo all’interno della mia tazza.
«Non mi andava, rimanere chiuso in un luogo, tante volte è la cosa peggiore da fare…tu come fai a saperlo scusa? » Chiede inarcando le sopracciglia. Io lo guardo e un sorriso amaro prende vita tra le mie labbra. Lui mi guarda e scuote la testa.
«Non è stata la cosa migliore, rimanere lì davanti per giornate intere, Bella.»
«Invece sì, perché solo in questo modo sono riuscita a vederti. » Sussurro sicura che aspettare tutte quelle ore, con il gelo attaccato alle gambe e al cuore, siano state efficaci, perché se fossi rimasta a casa mia a crogiolarmi nel mio senso di colpa adesso sarei ancora lì, stesa nel mio letto a contare tutte le imprecazioni d’odio verso me stessa.
«Non fa bene a tuo figlio.» Mormora.
«A mio figlio fa bene la felicità. La mia sei tu. Io so di aver sbagliato Edward, non c’è nessun motivo per giustificarmi di quello che ti ho detto. Non sapevo che fare, non venivi all’università, non rispondevi alle mie chiamate, mi sembrava l’unico modo. Oggi ci stavo anche perdendo le speranze, credevo che fossi partito…credevo che ti avrei visto mai più. Invece, nonostante questa sia stata una delle settimane più infernali della mia vita, mi ritrovo qui con te. Anche se non siamo quelli di sempre, ma siamo qui, insieme, noi.» Lui mi guarda negli occhi e inizia a bere il suo cappuccino. Io soffio ancora sul mio tè che sembra non volersi mai raffreddare, forse scottarmi sarebbe la giusta punizione. Finiamo, finalmente, la nostra colazione ma rimaniamo in silenzio, facendoci intendere che non abbiamo ancora risolto nulla, eppure io sto bene, perché lui è qui, nonostante il suo stato, il suo sguardo che potrebbe uccidermi in un millesimo di secondo.
«Quindi?» Gli chiedo guardandolo negli occhi.
«Quindi non lo so Bella.»
«Vuoi lasciarmi?» Gli chiedo con una punta di disperazione nella voce. Lui non parla, si alza dal tavolo e mi lascia lì, con mille preoccupazioni. Scoppio a piangere guardando il tavolo di legno della tavola cada dove fino a qualche attimo fa ci abbiamo consumato la colazione insieme e mi rendo conto che adesso è troppo, il dolore in questo preciso istante minaccia di ridurre in piccoli frammenti il mio cuore. Mi alzo dal tavolo e mi dirigo fuori, ma, con grande sorpresa da parte mia Edward è fuori che mi aspetta, appoggiato alla sua macchina. Ha un sacchettino nero tra le mani e cerca in qualche modo di sorridermi, corro verso di lui e mi fermo non appena un metro ci divide. Mi porge il piccolo sacchettino ed io lo afferro ma non lo apro.
«Te lo avevo comprato quel giorno stesso. Di certo quella sera non mi è sembrata l’occasione adatta per dartelo. Quindi ecco qua. Aprilo, se non ti piace siamo ancora in tempo per cambiarlo.» Mi sorride ed io mi sento ancora più terribilmente in colpa, l’ho trattato da schifo, eppure, lui, adesso,  qui, pronto a darmi un’altra possibilità, pronto a capirmi…apro il sacchettino e dentro ci trovo un braccialetto d’oro bianco. C’è una targhetta dove ci sono incisi dei nomi: Isabella, ……, Edward. Fisso quei puntini tra i nostri nomi e immediatamente capisco che devono essere sostituiti con un nome.
«Non hai ancora scelto il nome…quindi ho preferito farlo così. Non appena nascerà potremmo metterci il suo nome, sempre se sei d’accordo.» scoppio a piangere e mi getto sulle sue braccia, le nostre labbra si avvicinano assaporandosi tra di loro in un contatto che ad entrambi era terribilmente mancato. Accarezzo i suoi capelli e i nostri occhi non si lasciano nemmeno per un attimo.
«Dimmi che mi ami.» Mormora appoggiando la sua fronte alla mia.
«Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.» Sussurro strofinando la mia guancia con la sua. Mi abbraccia forte facendomi sentire amata, nonostante il mio terribile comportamento lui è qui, come sempre, da sempre.

Nella penombra della sua camera, i suoi occhi mi danno la via giusta per proseguire. Il mio corpo nudo e inesorabilmente eccitato è incollato al suo. Il suo membro preme in modo prepotente sul mio basso ventre mentre i suoi baci e le sue carezze riempiono il mio viso. Accarezza il mio pancione con trasporto, facendomi intendere che è una delle cose che più gli è mancata in questi giorni bui. Afferro le sue spalle possenti tra le mani e mi tiro su, sedendomi sul suo stomaco. Come se lei sue mani fossero due calamite, si attaccano in modo rude ai miei seni, li palpeggia e li accarezza con dolcezza, ma nei suoi gesti c’è passione, voglia di perdersi dentro di me di amarmi. Mi alzo e con un piccolo movimento mi risiedo facendolo entrare completamente dentro di me. Un gemito strozzato lascia le nostre bocche all’unisono. Inizio  a muovermi su di lui in modo lento, assaporando tutto quello che mi sono persa in questi ultimi giorni. La neve sta ancora cadendo, attecchendosi al suolo, creando l’atmosfera giusta per questo momento nostro. Le sue mani sfiorano dolcemente i miei fianchi e mentre mi muovo in modo circolare, guardo il suo viso, contratto dal piacere, i suoi occhi che si chiudono ad ogni spinta, la sua bocca che ansima, non appena noto la sua lingua che sbuca dalle sua labbra un vortice di estremo piacere mi porta mentalmente via da quel momento magico. Continuo a muovermi su di lui mentre ansimo in modo, davvero, poco nobile. Sento la sua presa farsi più pressante sui miei fianchi, il suo sperma che a schizzi mi riempie. Sento il mio nome sussurrato innumerevoli volte, piango in modo lieve e silenzioso, ringraziando la vita che mi ha ridato Edward, quando credevo di averlo perso per sempre. Mi accascio su di lui, non desiderando nient’altro se non questo contatto intimo e nostro, indissolubilmente nostro.
«Era destino.» Mormora sui miei capelli.
«La prima neve dell’anno, insieme.» Sorrido teneramente a quella sua affermazione e lo abbraccio talmente forte che mi meraviglio della forza che posso metterci in un nostro abbraccio.

 

«Quindi non hai ancora scelto il nome?» Mormora Hayley mentre digita il testo di un messaggio.
«No.» Sussurro distrattamente allacciandomi le scarpe, cosa che da qualche giorno a venire sta diventando un’impresa.
«Quando dovrebbe nascere?»
«Tra circa tre mesi esatti. Il termine è fissato per il 13 Maggio.»
«Siamo ancora a Febbraio. Non vedi l’ora che nasca?» Mi chiede sorridendo, né lei né Melanie sono state messe al corrente della mia litigata con Edward. Non volevo dare loro anche questo piccolo problema e poi, ne sono sicura, mi avrebbero rimproverata e si sarebbero arrabbiate troppo con me. Sono venute a conoscenza della proposta di Jacob. Progetto che avevo eliminato fin da subito ma che adesso mi da qualche dubbio. Ho bisogno di parlarne con Edward.
«Non è ovvio?» Dico scoppiando a ridere.
«Speriamo che assomigli solo ed esclusivamente a te.» Dice ridendo mentre io annuisco. Non appena il campanello di casa mia suona, guardo l’orologio e sorrido, la mia amica capisce dalla mie reazione che è Edward e mi saluta. Non appena apro la porta mi tuffo sulle sue labbra, tra le mani ha un mazzo di fiori colorati, me lo porge ed io scuoto la testa.
«Mi stai viziando troppo.» Mormoro alla ricerca di un vaso adatto.
«È solo una sciocchezza. Hai pensato al nome?» Mi chiede accarezzando il mio viso con l’indice.
«No, voglio sceglierlo con te. E voglio parlarti di una cosa.» Sussurro dandogli un rapido bacio sulle labbra vellutate.
«Dimmi tutto.» Si siede sulla seggiola della cucina e io lo imito.
«Ho riflettuto alla proposta di Jacob. Per prima cosa però voglio che sia chiaro un concetto; io amo te Edward, solo te, dal primo giorno, in modo forte e sincero. Credevo di amare Jacob quando ci stavo assieme, invece fino a quando non sei arrivato tu io dell’amore tra due persone non sapevo niente. Tu mi hai insegnato ad amare, mi ha fatto capire il vero valore del termine amore. Quindi ti prego di scrivertelo a mente, io ti amo e non cambierò idea…amo solo te, esisti solo tu, per me e per mio figlio. » Lui mi sorride emozionato ed io vorrei baciarlo fino a consumargli le labbra, vorrei spogliarlo in modo veloce e passionale, vorrei perdermi dentro di lui per l’ennesima volta come se ogni volta non fosse mai abbastanza. Mi alzo dalla sedia e mi siedo sulle sue gambe.
«Vedi Edward, io sono cresciuta con mia madre. Ho avuto lo stesso destino che h avuto mio figlio, fino a quando non sei arrivato tu. Hai accettato questo piccolo come se fosse tuo, e lo è. Perché tu lo ami, i padri amano i figli, e tu stai diventando anche padre, perché è come se lo avessi fatto tu. L’amore che ci metti quando mi parli di lui è come quello di un padre vero, amorevole. Io non ti considero solo come l’uomo della mia vita, ma anche come il padre di mio figlio. Ovviamente, lui ti vedrà sempre come suo papà, ma prima o poi verrà a conoscenza della verità. Ho paura Edward. Perché se fino a qualche periodo fa era Jacob a non volerlo, adesso sono io che non voglio lui nella vita di mio figlio. Da grande potrebbe non perdonarmelo mai. Questa cosa, sempre se sarà effettiva, non intaccherà in nessun modo il mio amore per te, la mia considerazione nei tuoi confronti. Solo che non voglio avere problemi in un futuro con mio figlio. Voglio solo qualche consiglio da te, voglio fare assieme a te anche questa cosa. Ho bisogno di te, come ieri, oggi e anche domani.» Mormoro un po’ spaventata per quella che potrebbe essere la sua reazione. Invece lui mi guarda in modo riflessivo, senza far trapelare emozioni, che siano positive o negative. Mi afferra per la nuca regalandomi un bacio magico, colmo d’amore.
«Faremo come meglio credi. Sono d’accordo con te. Chiamalo, digli che sei d’accordo.»
«No, se vorrà davvero far parte della vita di suo figlio sarà lui a farsi avanti. E poi non voglio restare da sola con lui Edward. Voglio anche te, perché tu sei la mia sicurezza, il mio porto sicuro, ho la certezza che con te al mio fianco non potrebbe mai succedermi nulla.» Lui annuisce e mi abbraccia.
«Non posso pensare alla mia vita senza di te.» Sussurra regalandomi una lacrima di commozione.
«Non possiamo vivere senza l’altro, è impossibile.» Quello era il nostro destino. Noi, insieme, per sempre, nonostante tutto. In questi ultimi mesi la mia vita aveva preso una svolta che stento quasi a ricordare la mia vita prima di Edward. Lui è la mia vita, e senza la vita nessuno può vivere.

 

 

 

 

 

 

 

Grazie di tutto, per ogni singola cosa.

Roby <3

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Capitolo 11
*** He's father. ***


Just A Little Woman.

 

 

 

He’s Father.

 

 

 

 

 

 

 

Oggi c’è il sole a Berlino, uno di quelli che scalda il cuore delle persone. Afferro i vestiti, puliti, di Edward dall’asciugatrice e li piego accuratamente prima di infilarli nel cesto della roba da stirare. Lui è appena uscito a prendere la pizza, non ho mai mangiato la pizza a pranzo, forse è per questo che mi sono ritrovata sorpresa alla sua richiesta di pranzare con la pizza. Per abitudine ho sempre mangiato la pizza per cena, dicono che quando ti innamori, quando conosci persone nuove, le abitudini cambiano, la vita si sconvolge sia in modo positivo sia in modo negativo, anche le piccole cose, quelle che prima non facevi nemmeno caso di compiere cambiano. Cerco di dare una rapida sistemata in cucina e apparecchio. Ho chiesto a Edward di smettere di chiamare Karol per le pulizie, volevo occuparmene personalmente, ma lui mi ha sinceramente detto di no, anzi, si è persino arrabbiato, devo stare a riposo, il problema è che non ci riesco. Non sono mai stata abituata a stare sul letto tutto il giorno. Sbuffo sonoramente agli occhi di Edward, facendogli capire quanto tutte queste attenzione, per quanto mi lusingano, mi rendono nervosa e instabile.

«Non ti piace la pizza?» Mormora, dopo avermi osservata a lungo mentre con la forchetta rigiro la mozzarella.

«Sì…è buona.»

«Cosa c’è che non va?»

«Niente. Non mi piace il fatto di dover stare ferma tutto il giorno. Siete tutti quanti ansiosi, tu, mia madre, Hayley, Melanie, persino mia nonna! Che non lo era mai stata prima d’ora…» Alzo di poco la voce e abbandono la forchetta nel cartone della pizza.

«Tesoro, è normale. Sei già stata troppe volte in ospedale. Lo facciamo per te e per il tuo piccolino. Adesso mangia. Vedrai che questi ultimi mesi passeranno in fretta.» E come sempre, regalandomi il suo sorriso, mi fa dimenticare quelle poche ragioni che avevo per essere arrabbiata, annulla i miei pensieri, mi aggiusta l’umore, mi rende felice come nessuno riesce mai. Non abbiamo scelto il nome e non so nemmeno se ho voglia di sceglierlo adesso…forse sarà il suo viso che potrà darmi l’illuminazione, forse è solo conoscendolo che posso etichettargli il suo nome, quello più adatto, quello più bello, come sarà lui. Finiamo la pizza e usciamo da casa quasi subito. Prima della litigata Edward mi aveva promesso un giro per negozi per i vestiti pre-maman giacché oramai metto solo maglioni lunghi e leggins, morirò congelata di questo passo.

«Questo?» Sussurra roteando gli occhi al cielo, mentre mi mostra un paio di Jeans con il cinto morbido e alto. Scuoto la testa e scoppio a ridere. Siamo qui da ormai un’ora ed entro al mio piccolo carrello ci sono solo un paio di pantofole a forma di cane, volevo prenderne un paio anche a lui ma a giudicare dalla faccia che ha fatto vedendo le mie ho preferito evitare.

«Ho fame.» Dico ad un certo punto mentre dentro al camerino provo un paio di pantaloni. Edward apre la tendina e sorride.

«Sciò!» Urlo imbarazzata e allo stesso tempo divertita. Lui chiude la tendina e scoppia a ridere. Afferro i pantaloni ed esco dal camerino.

«Questi li prendi?»

«Sì.» Sussurro sfiorando le sue labbra con le mie. Ci precipitiamo alla cassa, ma proprio mentre afferro il mio bancomat noto un sacchettino tra le mani di Edward. Lo guardo con fare negativo ma lui scuote la testa. Pago le pantofole e i pantaloni ed usciamo.

«Cos’hai lì?»

«Hai fame no? Dolce o salato?» Mi chiede cambiando discorso, ma purtroppo non ribatto, dato che la mia fame è talmente che potrei svenire su una ciambella ricoperta di cioccolato e nocciole frullate.

«Dolce.»

«Dolce sia.» Prende la mia mano con dolcezza ed entriamo in una pasticceria a pochi metri dal negozio di poco prima. Fortunatamente trovo quello che cercavo e lo ordino accompagnato da due cupcake e un succo al mirtillo. Edward non prende niente e rimane a guardarmi per tutto il tempo.

«Mi imbarazzi se mi guardi mentre mangio!»

«Nah, smettila. Sei bella, soprattutto quando mangi.» Chino la testa sul piattino ormai vuoto anche delle più piccole briciole, e mie guance rischiano di esplodere da un momento all’altro.

«Non puoi ancora imbarazzarti Bella.» Mormora tenero.

«Anzi, dovrai abituarti.»

«Non posso abituarmi a te Edward. Devo solo viverti giorno per giorno.» Mormoro guardando i suoi occhi un attimo prima di affondarci definitivamente, dimenticando il mio nome, persino me stessa.

 

 

I baci con Edward non erano mai uguali. C’era sempre qualcosa di diverso, il sapore, il calore, il ritmo, i brividi. Come potevo abituarmi a lui se ogni cosa che facevamo, anche se non era la prima volta, era sempre diversa, più intensa, più vera. Accarezzo i suoi capelli, morbidi e assolutamente bellissimi e mi perdo un attimo nei suoi occhi. Ho sempre avuto un debole per i suoi occhi fin dal primo giorno. Sono sempre stati come il cielo di Berlino; speranzosi, sono sempre stati quella specie di medicina che guariva ogni tipo di mio malessere. Tante volte mi sono persa dentro quella miriade di emozioni e ancora oggi non c’è modo per il quale io possa fuggire dal suo sguardo magnetico, forse non è che non trovo io modo, forse sono solo io che voglio che lui catturi la mia anima dentro di sé. Il mio cellulare squilla e di soprassalto mi alzo dal letto. È mezzanotte e, come prevedibile, mia madre è a lavoro sono parecchio ansiosa quando si tratta di lei.

«Pronto?» Rispondo senza guardare il numero.

«Bella…» La sua voce mi gela sul posto ancora una volta, facendo salire la mia rabbia a chilometri di altezza, facendomi imbestialire senza che abbia detto qualsiasi cosa…senza pensarci mezza volta premo sul display la voce “vivavoce” Edward mi guarda alzando un sopracciglio ed io non posso fare a meno di perdermi per un attimo nella peluria leggera del suo petto.

«Bella ci sei?» Sussurra ancora la voce. L’espressione di Edward è tranquilla e qualcosa nel suo viso mi incita a rispondere.

«Dimmi Jake.» Gracchio dopo qualche minuto di silenzio.

«Come stai?» Sussurra sospirando.

«Questo ti importa perché?»

«Il bambino come sta?»

«Smettila Jacob. In tutti questi mesi non te n’è fregato un bel niente! Non puoi spuntare dal nulla e dire: “ sono pronto per diventare padre.” Tu non puoi esserlo, non è nel tuo DNA, forse in questo periodo ne senti il bisogno, ma sarà come un videogioco nuovo, dopo averlo usato ti stancherai, ed io non posso permetterti di fare così con lui…non con mio figlio.»

«Senti, Bella, ne abbiamo già parlato. O mi dai questa fottuta possibilità, oppure sparirò per sempre dalla tua vita.»

«Per me sei già sparito da un pezzo Jacob Black.»

«Non farmi sparire dalla vita di mio figlio però.» Non appena pronuncia la parola “figlio” sento il desiderio di averlo qui per prenderlo a calci nel sedere, eppure rimango in silenzio. Ho pensato molto alla prospettiva di un ravvicinamento di Jacob nella vita di mio figlio e, per qualche piccolo secondo, avevo accettato la cosa, solo per amore di mio figlio, solo di dargli la possibilità di conoscere il suo vero padre, ma adesso, in questo momento sono confusa più che mai. Guardo gli occhi di Edward, lui mi guarda in modo tenero e annuisce.

«D’accordo. Quando nasce ti farò sapere!»

«No, no, no, no! Bella. Io voglio esserci già da adesso.»

«Adesso?!» Quasi urlo.

«Anche da domani.» Scoppia a ridere e questo non fa che aumentare il mio desiderio di ucciderlo. Edward mi intima di calmarmi ed io respiro forte. Gli passo il telefono ma lui rimane in silenzio, lo imploro con lo sguardo e dopo un po’ sbuffa.

«Pronto?»

«E tu chi sei?»

«Il mio futuro marito!» Urlo sotto lo sguardo confuso di Edward.

«Ehm…sì. Ciao Jacob io sono Edward.»

«Ciao.» Risponde con astio. Mordo un attimo le mie dita ma lo sguardo suicida di Edward mi colpisce immediatamente facendo staccare la mia mano dalla bocca. Edward comincia a parlare, la sua voce è piuttosto calma ma io non riesco a sentire ciò che si dicono…e so che magari è molto egoistico da parte mia –dato che stanno comunque parlando di mio figlio!- ma non posso fare a meno di guardare le mani di Edward, il suo modo di gesticolare mentre parla, la sua fronte che si corruga quando deve realizzare qualcosa, la sua bocca così fine e altrettanto sexy che si muove a ritmo. Tutto a un tratto mi sento terribilmente accaldata nelle mie parti più nascoste. Cerco di darmi una controllata e mi dirigo in bagno sciacquandomi la faccia con l’acqua fredda, con la coda dell’occhio vedo quel famoso sacchettino che oggi aveva catturato la mia attenzione, quello che avevo dimenticato per colpa della ciambella. La curiosità è donna dicono. Lo apro senza fare rumore e ci sono delle piccole sacche di stoffa, due rosa, una blu e tre bianche. Afferro la prima, una delle due blu e c’è un body piccolissimo con un disegnino stampato –una macchinina- e una frase “la macchinina del mio papà”, la seconda blu rivela un baby-doll molto sofisticato e poco, davvero poco, casto. Un sorriso tenero sfiora le mie labbra al ricordo del suo imbarazzo improvviso quando gli ho chiesto cosa conteneva quel sacchetto. Mi dirigo in camera non guardando il resto, sperando che lui li tiri fuori il più presto possibile. Il mio cellulare è nel comodino Edward mi guarda senza proferire parola, comincio a guardare tutto ciò che mi circonda meno i suoi occhi, che potrebbero farmi paura in momenti come questo. Mi siedo al suo fianco e fisso le lenzuola azzurre contornate di merletti a forma di rose blu.

«Non mi chiedi cosa mi ha chiesto?» Mi dice con la voce tranquilla, o, forse, sono solo io che la sento in questo determinato modo. Trovo il coraggio di guardare i suoi occhi, come sempre limpidi e speranzosi, con una punta di allegria mista a nervosismo. Questo è Edward. A volte credo di conoscerlo meglio di quanto io conosca me stessa, altre volte, invece, credo di averlo appena conosciuto. Non riesco mai a leggere in modo perfetto le sue espressioni. L’unica cosa che conosco di lui come le mie tasche, in ogni momento, è l’amore profondo e semplice che riesce a darmi anche solo con la sua voce. Continuo a guardarlo e lui mi sorride.

«Domani vuole vederti.» Sussurra.

«Vederci.» Lo correggo, ricordandogli che io senza di lui non ho intenzione di avere a che fare con Jacob.

«Ha detto che non occorre la mia presenza.»

«Non per lui. Ma per me occorre, eccome se occorre Edward. Ne abbiamo già parlato.»

«Lo so. Sei sicura Bella? Sicura di volere che tuo figlio cresca con due genitori separati? Sei sicura di sapergli rispondere non appena crescerà e ti chiederà il perché?... >>

«Basta Edward! Sono sicura di ricordarmi per sempre la pugnalata che Jacob mi ha dato non appena ho scoperto di avere mio figlio qui dentro! Sono sicura che lui oggi è qua e domani non si sa! Sono sicura di amare profondamente qualcuno che non è suo padre biologico, ma che lo sarà nel momento della sua nascita, della sua parola, del suo primo dente, dei suoi primi passi. Sono sicura adesso, in questo preciso istante, sono sicura di te, e questo mi basta per andare avanti, crescere, decidere…» Dico pronunciando ogni singola parola che tutta la forza che il mio corpo riesce a produrre.

«Io…io…» Mormora diventando rosso come un peperone, il mio piccolo e tenero Edward. Mi fiondo sulle sue labbra e inizio a baciarlo in modo profondo, intimo, nostro. Le sue mani, come sempre, delicate, sfiorano il mio corpo a piccoli passi, lo adulano con i gesti, come se io fossi l’oggetto più prezioso del mondo, quando invece è lui a esserlo. Sono consapevole del fatto che se perdo Edward, perdo l’universo.

«Se dovesse andare male…»

«Ssh…» Lo interrompo premendo l’indice nelle sue labbra. Scuoto la testa e guardo i suoi occhi, più lucidi, più allegri e più verdi.

«Se dovesse andare male tra noi due, Bella, io ci sarò lo stesso per sempre. Per te e per lui.» Mormora prima di depositare un bacio sulla mia pancia ormai gonfia e liscia.

 

 

«Dovrebbe arrivare a momenti.» Mormora Edward stringendo la mia mano. Sembra tranquillo. Siamo seduti sulla panchina che si trova davanti alla nostra università, questo è l’unico posto dove voglio incontrare Jacob.

«Hai portato le ecografie?» Mi chiede guardando la mia borsa. Io annuisco e lo guardo.

«Sei nervosa, Bella.» Scuoto la testa e continuo a guardarlo. Non sono nervosa porca miseria! Di certo non è normale che il padre di mio figlio, dopo mesi di gravidanza si presenta tutto ad un tratto con la sicurezza di chi non si è mai comportato come lui ha realmente fatto. Mi gratto la mano sinistra, e allora sì, do ad Edward la certezza del mio nervosismo.

«Basta!» urla infatti, dopo pochi secondi. Annuisco e tiro su col naso.

«Ehi. Devi stare tranquilla. Non c’è niente di cui preoccuparsi.»

«Lo so. Mi sto solo chiedendo se è la cosa giusta. Se è giusto dargli una possibilità quando sono sicura che non rispetterà mai il suo impegno, come non ha mai fatto in tutti questi anni su ogni cosa. Ho paura di mettere mio figlio nelle sue mani, in mani sbagliate.» Sussurro mentre una lacrima solca il mio viso.

«Amore mio, ascoltami. Non stai mettendo tuo figlio nelle mani di nessuno se non in quelle tue, quelle di sua madre, quelle della persona che dal primo momento l’ha amato, l’unica che lo farà sempre. Tu sei la sua unica consapevolezza, la sua ancora di salvezza. Conoscerà suo padre, magari andranno anche d’accordo, in caso contrario ci sarai tu a dargli la sicurezza di cui tutti noi figli abbiamo bisogno. Hai diciannove anni Bella, lo so, ma guardati! Sei la ragazza più brillante del pianeta, tu sei grande, sei responsabile e sei buona, sai amare Bella. Non importa se non hai esperienza, non c’è un’età per amare un figlio. Tu non hai età Bella. Hai tanto amore da dare è questo che importa, il resto viene in automatico.» Le sue mani afferrano il mio viso, riempiendomi di baci, di sicurezza, di forza. Mi alzo dalla panchina e mi tuffo sulle sue braccia e non c’è niente di più bello, niente se non questo nostro modo di capirci, questo nostro momento eternamente unico. Le mie mani si attaccano irrimediabilmente ai suoi capelli, come ogni volta, e non appena li stringo un po’ più del solito sentiamo la voce di Jacob alle mie spalle.

«Ciao…» Sussurra Jacob imbarazzato toccandosi i capelli con le dita. Edward ricambia il suo “ciao” mentre io alzo il mento senza proferire parola. Vederlo, dopotutto non è così strano come mi aspettavo. È come se di fronte a me c’è un amico di infanzia, un conoscente niente di più. Dicono che ci vogliono anni per creare un’amicizia o una relazione d’amore e un secondo per distruggerla, e forse è davvero così. Non ho nulla da condividere con Jake, nessun ricordo felice, nessuna cena a lume di candela, niente, solo mio figlio. Sospiro alzando le spalle lentamente e continuo a guardarlo.

«Che si fa?» Chiede Edward spezzando il silenzio.

«Tu potresti andare al bar, mentre noi parliamo di nostro figlio…credo…» Con movimenti che non sono miei soliti, fulminei, mi avvicino a Jacob interrompendolo di scatto.

«Brutto pezzo di….Edward, che ti piaccia o no, è anche il genitore di MIO figlio, quindi Jacob o accetti la sua presenza, oppure puoi tornartene a casa!» Urlo ad un centimetro dal suo viso. Lui mi guarda con un sorriso amaro, mentre Edward mi porta più lontano da lui, forse credendo che potrei seriamente picchiarlo in questo momento.

«Bella…» Sussurra quest’ultimo.

«Silenzio Edward!» Urlo ancora arrabbiata, lui, però, mi guarda e sorride. Passiamo il pomeriggio seduti tutti e tre in una panchina, Edward ed io distanti da Jacob. Al mio posto ho fatto parlare Edward, forse sto sbagliando a comportarmi, forse Edward si è pentito, ma non ce la faccio senza di lui, non posso non comportarmi esattamente in questo modo. Edward parla del piccolo come se fosse parte di lui, i suoi occhi brillano non appena nomina il mio piccolo bambino che lentamente prende vita dentro di me. Edward è suo padre, non c’è niente di  più vero di questo.

 

 

 

 

 

Eccomi. Sono sinceramente desolata, questo è stato davvero uno dei periodi più impegnati della mia vita. Non so come scusarmi, sia per il ritardo che per il capitolo, che ovviamente, non sarà come vi aspettavate.

Non vi farò gli auguri di Natale perché voglio aggiornare prima.

Grazie in anticipo. Per tutto quanto. Vi sento vicine, lo giuro.

 

 

 

Un bacione

Roby <3

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Capitolo 12
*** Mom Is Always Mom. ***


Just A Little Woman.

 

 

Mom is Always Mom.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fregai forsennatamente le mani tra di loro, seppur mi trovassi nell’abitacolo caldo della macchina di Edward, non riuscivo a non sentire il gelo tra le mani, nelle gambe. Ci stavamo avvicinando sempre più a villa Cullen, forse non era il freddo di città a ridurmi in quello stato, ma, bensì quello che stava per accadere da lì a pochi minuti. Edward mi guardava preoccupato, era passata una settimana dal nostro primo incontro con Jacob. Mi aspettavo un Edward scontroso o, perlomeno nervoso, invece il nostro rapporto negli ultimi giorni si era fortificato se possibile ancor di più. Jacob continuava a telefonare tutti i giorni, il suo tono era premuroso, per niente scontroso, nonostante le circostanze. Avevo parecchio paura del suo comportamento, era evidente che era cambiato, ma sentivo dentro di che qualcosa sotto doveva pur esserci, che stentavo a credere che Jacob fosse cresciuto. Ne parlai con Edward non appena la mia mente formulò certi pensieri al riguardo…e anche lui, proprio come mi aspettavo – poiché non è mai stato difronte al vecchio Jake-, disse che era solo impressione mia, che averlo visto cambiato così di punto in bianco poteva sfiorare idee nella mia mente, appunto come il fatto che io consideravo il suo mutamento impossibile. Eppure Jacob lo aveva fatto, era cambiato…dicono che per i figli si cambia, forse anche lui è stato preso dal senso paterno…nonostante mi facesse male ammetterlo persino a me stessa, Jacob era il padre di mio figlio, e pensare a questa piccola creatura riusciva a far tuffare il cuore in un mare di mille emozioni, pensare a lui era come sorridere dopo una tragedia.  Sbuffai sonoramente, rendendomi conto che ancora una volta stavo pensando a Jacob, e, soprattutto in questo momento non mi era mai d’aiuto. Non avevo potuto dimenticare i suoi occhi pieni d’astio il giorno in cui scoprì che aspettavo un bambino, non potevo dimenticare le sue minacce e soprattutto, non potevo assolutamente cancellare dalla mia mente il giorno in cui mi supplicò di uccidere mio figlio, l’unica cosa positiva nella mia vita, l’unico motivo per il quale potevo essere felice al mille per mille. Questo prima di conoscere Edward ovviamente. Edward nella mia vita mi ha fatto capire che con lui avrei avuto sempre di più di quello che credevo, in tutto. Edward ha superato tutti i limiti che mi ero imposta, in modo positivo, ovviamente. Non appena la macchina si fermò mi sentii mancare per un attimo. Eravamo arrivati.
«Dammi la mano.» Disse arrivati all’entrata. Eravamo circondati di aiuole piene di rose rosa, erano sistemate in modo perfetto. Chiusi gli occhi per un’instante e la porta davanti a noi si aprì. I miei occhi comandati dal piccolo rumore si aprirono di scatto. Venne ad aprire la porta quello che doveva essere il padre di Edward…non c’erano altri uomini in casa, da quello che Edward mi aveva detto, c’erano solo suo padre ed Emmet il fratello, momentaneamente in Alaska con la squadra di basket nella quale era capitano.
«Prego. Entrate ragazzi.» Entrammo ed il calore ci avvolse quasi immediatamente. Edward lasciò la mia mano solo per aiutarmi a togliermi il cappotto, era qui che entrava in scena il mio pancione, che, incurante degli occhi curiosi che giravano per strada se ne stava lì in bella mostra fregandosene della gente che sputava cattiveria da tutte le parti, accorgendosi che una bambina portava in grembo un altro bambino. Ero sicura che la gente pensasse che fosse una cosa da immaturi mettere al mondo un figlio quando si è ancora giovani, ma io ho capito, anche grazie a Edward, che per amare davvero qualcuno non importa l’età. Importa avere dentro la voglia di avercelo questo figlio. Importa essere sicuri che lui sarà tutto quello di cui una madre ha bisogno. Importa esserci sempre per lui, quando cade, quando sorride, quando è arrabbiato, quando è felice e anche quando fa i dispetti. Importa fargli capire che per come lui ha bisogno della mamma, la mamma in questione ne ha di lui. Importa essere consapevoli che una volta messi al mondo, la madre e il figlio saranno legati per sempre. Il padre di Edward mi sorrise, invece, forse già sapevano di me, di mio figlio. Edward non mi aveva mai detto di aver parlato di me con qualcuno, eppure, il suo sguardo e quello del padre mi facevano intendere che lo avevano fatto.
«Ehm…Papà. Lei è Isabella.» Mormorò Edward imbarazzato.
«È un vero piacere Isabella. Io sono il Dottor Cullen, ma puoi chiamarmi Carlisle.» Disse sorridendo mentre stringeva con calore la mia mano. Per un attimo mi sentii a mio agio, ma furono solo pochi secondi. Incontrai gli occhi azzurri e grandi di Alice e, a essere sincera, mi fecero parecchia paura. L’ultima volta che ci eravamo viste non avevamo proprio fatto conoscenza, come invece Edward desiderava. Lui adorava in modo assoluto la sorella, erano molto legati, eppure il fatto che lei si era comportata in un certo modo con me aveva reso lui nervoso ogni volta che si incontravano, questo Edward me lo aveva raccontato.
«Ciao Bella.» Sussurrò non smettendo di guardarmi. Io deglutii e guardai Edward che stava trattenendo il respiro. «Quando dovrebbe nascere il piccoletto? » Disse ancora sorridendomi. Io strizzai gli occhi e vidi Edward riprendere a respirare.
«A…a Maggio.» Mormorai balbettando come un’idiota. Mi odiavo ogni volta. Le persone che mi trattavano male mi facevano sempre paura e, quando capitava, che uno di loro mi rivolgesse la parola o restavo in silenzio, o facevo finta di non aver sentito, oppure cominciavo a balbettare come una bambina che deve ancora imparare a parlare. Alice si avvicinò e prese le mani di Bella tra le sue.
«Io…ti chiedo scusa Bella…ecco…»
«Ehi! Ci sono anch’io qui!» Urlo una donna da quella che doveva essere la cucina. Esme Platt fece la sua entrata in soggiorno con un grembiule attaccato alla vita, i capelli impeccabilmente acconciati in uno chignon biondo dorato, il suo sorriso, però, era la cosa più rassicurante che avessi mai visto.
«Ciao Bella! Io sono Esme, la mamma di questo furbetto qui!» Disse allegramente dando una pacca sulla schiena ad Edward. Alice si avvicinò al mio orecchio e mormorò: «Parleremo dopo.» io annuii sorridendole. Alice mi piaceva, nonostante la sua prima rabbia nei miei confronti fosse del tutto ingiustificata. Non riuscivo a portarle rancore, era raro che lo facessi. La mamma di Edward mi accarezzò la guancia e mi venne voglia di piangere. Erano tre giorni che non vedevo mia madre, non erano poi molti, eppure mi mancava terribilmente. Mi mancavano le sue parole di conforto anche quando ero tranquilla, mi mancava il suo tè, al mattino, mi mancavano i suoi post-it con sopra quello che aveva preparato per cena. Ricordai perfettamente il giorno del mio diciottesimo compleanno. Eravamo a casa di nonna Marie, dopo aver scartato tutti i regali, mia madre scese le scale con una candela, accesa, a forma di rosa argentata e sorrideva. Dopo avermi dato la candela e il regalo sussurrò: “Adesso non hai più bisogno di me” ricordai che le scoppiai a ridere in faccia dicendo quella che resterà per sempre una delle più grandi verità "la mamma è sempre la mamma." Una lacrima solcò il mio viso in quel piccolo instante, mi sentivo in colpa, per non aver sentito la sua mancanza non prima di tre giorni. Passò la serata in uno dei modi più tranquilli, parlando tra di noi come se tutti quanti ci conoscessimo da una vita, effettivamente, oltre a me, dentro quella stanza tutti si conoscevano da una vita, eppure io mi sentivo parte integrante, mi sentivo a mio agio, me stessa, profondamente accettata, sinceramente onorata di aver partecipato. Alle undici di notte tornammo a casa di Edward, gli dissi quanto mi mancava mia madre, - lo ammetto, in quel momento mi vergognai, anche senza motivo ma lo feci - e, senza pensarci mezza volta, mi abbraccio promettendomi con un bacio a fior di labbra che il giorno dopo mi avrebbe portato a casa mia. Quel bacio a fior di labbra accarezzò il mio cuore, la mia anima, accese la mia passione e, com'era prevedibile, finimmo nudi e ansanti nel pavimento, per l’ennesima volta appagati ci addormentammo davanti al fuoco che profumava di frutteto.

 

 

«Mamma!» Esclamai saltandole con le braccia al collo.  Annusai la sua guancia e mi sentii nuovamente a casa. Le labbra di mia madre si appoggiarono alla mia fronte e passarono ore interminabili così, strette e rincuorate nel nostro piccolo abbraccio che poteva rappresentare la grandezza del mondo intero.
«Allora? Non mi hai ancora raccontato nulla!» Disse versando il tè nelle tazze. Arricciai il naso, sentendone l’odore forte e scossi il capo.
«Non ho molto da raccontare a dire il vero…» Dissi, un attimo prima di raccontarle la cena a casa dei genitori di Edward, essendo interrotta da mamma ad ogni frase, la sua curiosità mi era mancata quanto la sua sincerità nel dirmi le cose. Passammo un’ora così a ridere, e mai come in quel momento mi resi conto di cosa significava passare del tempo con la propria mamma, mi chiesi più di una volta in quel piccolo arco di tempo se mio figlio avrebbe provato le stesse cose, se io per lui sarei stata quello che mia madre è per me. Era una delle mie più grandi paure, quella di non piacergli, di non essere all’altezza…a volte le zie ci dicono: “Voi giovani volete sempre fare passi più grossi delle vostre gambe”, sarà forse questo? Insomma, il settanta percento dei giovani ama sfidare la propria sorte…a volte mi chiedo se anch’io sto facendo la stessa cosa, smentendomi nell’esatto momento in cui penso a quello che mio figlio sarà per me, che un figlio non è come la ruota della fortuna, un caso, non è una novità che poi sarà accantonata quando troppo vecchia. Un figlio è quel motivo che ci permette di sorridere fino a quando non chiuderemo gli occhi per l’ultima volta. Avrà una cameretta tutta sua, il suo giocattolino preferito, un orsacchiotto di peluche che gli farà compagnia, e avrà una madre che lo amerà fino a quando la morte non si separerà.
«Uh, quindi Jacob ha superato le nostre aspettative? Oh ma dai! Non riesco a crederci.» Mormorò mia madre sbalordita, dopo aver sentito il comportamento di Jacob negli ultimi giorni. Annuì cercando di non far trapelare le mie preoccupazioni ma, appunto, di fronte a me non c’era una qualunque persona alla quale potevo nascondere il mio evidente nervosismo.
«Questa situazione ti puzza?» Sussurrò avvicinando le sue mani alle mie.
«Sì. C’è qualcosa di strano…» Dissi lasciando che le mie parole riempissero la stanza, lasciando mia madre in silenzio per la prima volta in vita mia. Abbassai il capo e continuai a scrivere la lista degli argomenti che avrei dovuto studiare a casa.

 

Arrabbiata come poche volte in vita mia, salii le scale della metropolitana con riluttanza. Da lì a pochi minuti avrei incontrato Jacob e Edward doveva raggiungermi prima possibile, ma non c’è l’ha fatta. Sapeva benissimo quanto io odi stare da sola con Jacob, non sapevo per quale assurdo motivo non era potuto venire, ma questo era davvero un dettaglio irrilevante. Non appena arrivai in cima, vidi Jacob squadrarmi dalla testa ai piedi.
«Mr stronzo non è venuto?» Chiese con l’arroganza di sempre.
«Si chiama Edward, testa di cazzo. Muoviti.» Dissi ad alta voce, accorgendomi solo in secondo tempo di una vecchietta che mi guardava disgustata. La mandai a quel paese con un gesto della mano e mi avviai in strada cercando disperatamente un bar. Non avevo fame, né sete, non dovevo nemmeno andare in bagno, semplicemente non volevo stare da sola con lui. I miei dubbi su di lui erano ancora accesi come una lampadina nella mia mente, e come mai prima di allora, si accesero fino a bruciare provocandomi un mal di testa da record dei primati. Ci sedemmo sul primo tavolino, ordinai il mio solito tè mentre lui mi guardava curioso.
«Qualcosa non va?»
«Perché dovrebbe importarti Jacob?»
«Senti, potevi disdire quest'appuntamento, non so…sei di cattivo umore per qualche motivo, motivo per il quale io non c’entro nulla…quindi prenditela con la causa del tuo malumore…» Disse alzandosi frettolosamente.
«Scusa…non volevo.» Mormorai sconfitta, consapevole che le sue parole erano giuste. Avevo i miei dubbi, ma non per questo dovevo darlo a vedere in quel modo e, per l’appunto, erano solo dubbi. Proprio nel momento in cui la cameriera portò le bevande, il mio cellulare prese a squillare. Mi allontanai un attimo e vidi che era Edward, risposi, ma con l’intento di parlarci solo per pochissimi secondi.
«Mi hai lasciata da sola! Puoi continuare a farlo! »
Tornai nel tavolo e iniziai a sorseggiare il mio tè. Aveva un sapore piuttosto strano, quasi acre. Afferrai una bustina di zucchero e ne versai il contenuto sulla bevanda, mescolai e sorseggiai di nuovo…notevolmente cattivo. Poi un giramento di testa, il ghigno malefico sulle labbra di Jacob e la preoccupazione nella mia testa mi fecero capire tutto.
«Chiamate la polizia! Adesso!» Cominciai ad urlare come un’ossessa. La paura aveva preso il sopravvento, mi sentii mancare. Jacob stava cercando di scappare, ma due ragazzi gli sbarrarono la strada.
«Perché l’hai fatto??» Gli chiesi con la testa che non smetteva di girare, mi sentivo in una giostra…la giostra degli orrori.
«Tu. Sei. Pazza.» Urlò avvicinandosi ad un centimetro dal mio viso. Non so dove trovai la forza, che in quel momento credevo stava per abbandonarmi, afferrai la sua camicia con forza e lo strattonai facendolo cadere sul pavimento.
«Cosa cazzo hai messo lì dentro?» Urlai venendo bloccata dai carabinieri. Con la poca forza che mi rimase, cercai di spiegare loro l’accaduto, mentre due agenti interrogavano il troglodita. Mi chiesi quanto tempo sarei potuta rimanere vigile, o addirittura viva. Mi sentii tremendamente in colpa e chiamai Edward.
«Edward!» urlai scoppiando a piangere.
«Bella! Amore! Che succede?» Rispose lui con la voce piena di ansia.
«Edward!» Urlavo il suo nome continuamente singhiozzando, fin quando l’agente mi tolse il cellulare dalle mani e spiegò la situazione a Edward. Non riuscivo a sentire cosa gli diceva. Leggevo solamente il labiale ma, solo fino ad un certo punto perché poi un dolore acuto prese la mia mente e il mio corpo. Mi sentii strappare la parte intima, le lacrime calde che ricoprivano il mio viso potevano bollire a contatto con il mio corpo che pareva voler andare in escandescenza. Chiusi gli occhi e vidi quello che mi aspettava.

 

 

 

 

 

 

PRIMA DI TUTTO PERDONO! Forse “perdono” non rende bene l’idea.
Vi auguro buon anno e spero che abbiate passato le feste felicemente. Io sono sempre qui, in ritardo, ma ci sono. Ho avuto parecchie cose con il quale fare i conti e forse…FORSE sono riuscita ad uscire dall’oblio. Spero che capirete.
Forse la storia non vi interessa più, ho visto il numero minore di visite e recensioni…mi dispiace…spero che tornerete tutte :3
Vi ringrazio comunque per essere qui.
Il capitolo è più corto, i know…maaa doveva venire così ;)
Ps:
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2330245&i=1 qui c’è un piccolo prologo che ho pubblicato qualche tempo (xD) fa, spero di trovarvi anche lì ;3
Un bacione.

Roby <3

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Capitolo 13
*** The future destroyed. ***


Just A Little Woman.

 

 

The future destroyed.

 

 

 

 

 

Questo è un capitolo unicamente scritto in terza persona.

Non odiatemi. Ci leggiamo sotto.

***

 

 

 

 

 

Il cielo plumbeo di Berlino, quel giorno, minacciava di esplodere in un temporale senza precedenti. Era come se la reazione atmosferica che stava per inveire contro quel cielo speranzoso e meraviglioso, potesse essere specchio dell’anima di un povero e dolce ragazzo chiamato Edward.
Edward che amava i libri.
Edward che ascoltava il lento rumore della pioggia in infiniti attimi di tristezza.
Edward che aveva imparato ad amare.
Edward che nonostante non fosse biologicamente il padre di quel piccolo che stava per nascere, si sentiva emozionato per ogni colpetto che emetteva ogni volta che la sua mano posava sul dolcissimo pancione della sua amata Bella. Bella aveva solo diciannove anni, eppure, lui la vedeva come una donna, solo la sua piccola donna.
Non appena il poliziotto annunciò al ragazzo che Bella era in grave pericolo, lasciò il professore di letteratura inglese in asso, montò sulla sua lussuosa auto e partì a gran velocità verso l’ospedale. Aveva le mani talmente sudate che scivolavano continuamente dal volante, era come se anche le sue mani volessero impedirgli di vedere Bella quel giorno. Era infuriato, con se stesso, con il caso…era arrabbiato perché quello che per mesi aveva sentito essere suo figlio adesso stava per nascere, ed era in pericolo, insieme alla madre. Se fosse stato un personaggio dei fumetti, ne era sicuro, in quel momento il fumo avrebbe invaso il suo campo visivo, oppure, molto più semplicemente, tutto ciò che lo circondava, sarebbe diventato rosso. Edward non amava essere pessimista, Edward odiava la tristezza, Edward quella volta dovette ammettere silenziosamente a se stesso che si sentiva con un pesante macigno sullo stomaco. Arrivò all’ospedale in pochi minuti e, non appena varcò la soglia del reparto, vide Reneé col viso ricoperto di lacrime.
«Reneé!» Urlò allora disperandosi in quello che parve un attimo e allo stesso tempo un anno intero.
«Edward! Oh mio dio!» Urlò inginocchiandosi al pavimento. Edward si guardò attorno stralunato, da ciò che Bella diceva la madre era difficile a perdere il controllo o, a fasciarsi la testa prima di rompersela…in quel piccolo instante nella mente di Edward passarono immagini delle cose peggiori che sarebbero potute accadere in quel piccolo intervallo dove lui era in macchina per raggiungere l’ospedale.
«P-posso vederla?» Chiese alla madre di Bella. Lei con il volto disperato annuì e Edward si recò vicino alla sala parto. Non appena intraprese il corridoio, si ricordò vagamente di un libro che aveva letto…ricordava che nel libro la donna protagonista partoriva, nonostante i medici le avevano dato poche probabilità che lei potesse rimanere in vita, lei ce la fece. Chiuse per un piccolo istante gli occhi e non appena li aprì una donna con gli occhi verdi sbucò nel suo campo visivo.
«Dove crede di andare?» Chiese lei con le braccia conserte.
«La…la…la mia ragazza sta per partorire.»
«Nome?»
«Edward Cullen.» Disse confuso, lei lo guardò spazientita e sbuffò sonoramente.
«Non il suo! Quello della donna che sta per partorire.»
«Ah sì, Bel...Isabella Swan.» Lei sgranò gli occhi e prendendogli la mano, sorprendendolo, iniziò a trascinarlo fin quando non lo lasciò davanti ad una porta semi aperta. Il suo animo era spettrale. Non sapeva bene quello che era successo nell’arco dell’ultima ora, non sapeva in che modo affrontare la situazione. Sospirò ed entrò, avrebbe preferito mille volte non farlo.
C’era un letto, c’erano ferri d’ospedale dappertutto, c’era freddo lì dentro. Bella era distesa, o meglio, abbandonata sul letto. Il suo maglione lungo color panna era in parte macchiato di sangue, le sue gambe sembravano fatte di burro, i capelli erano appiccicati sulla sua fronte e poi c’era il suo viso…il suo viso era scarno, addormentato eppure triste. Edward non riconobbe nulla in quel viso che apparteneva alla sua piccola donna. Una lacrima solcò il suo viso e forse aveva capito ciò che stava per attenderlo.
«Perché dorme?»
«Dobbiamo fare un cesareo…» Edward piegò le sopracciglia, confuso.
«Non lo avete già fatto? Insomma! È tutta sporca di sangue.»
«Signor?»
«Cullen.»
«Signor Cullen, forse lei non sa bene quello che è successo e, soprattutto, quello che sta per accadere…»
«No! Nessuno qui ha detto nulla. Cosa sta succedendo? Cosa è successo? Sono talmente confuso…» Sussurrò iniziando a piangere. Edward sapeva quello che era successo e, soprattutto quello che stava per accadere, ma non voleva ammetterlo neanche a se stesso.
«Signor Cullen, mi dispiace, ma deve uscire.» Mormorò la giovane donna in preda al panico.
«No! Non posso uscire! DEVE SPIEGARMI COSA DIAVOLO STA SUCCEDENDO QUI!» Urlò facendo tremare il cuore di quell’ostetrica.
«La prego, si calmi.»
«Mi dica quello che devo sapere!» Borbottò non smettendo nemmeno per un secondo di sfregare la mano nei suoi capelli.
«Vede…Isabella è stata avvelenata, fortunatamente la quantità non era molta però, si è staccata la placenta, dobbiamo intervenire subito altrimenti potrebbe rischiare un’infezione…»
«Cosa significa dovete intervenire?»
«Dobbiamo tirare fuori il feto.» Sentenziò. Edward mai come quel giorno odiò un medico, in genere i medici parlavano in codice e si mangiavano la maggior parte delle informazioni che la gente voleva.
«Non è troppo presto?»
«Ormai non importa.» Sussurrò spingendolo fuori e chiudendo la chiave con un tonfo. In quel preciso instante Edward non poté fare a  meno della verità che si celava anche all’interno della sua anima. In quel preciso instante vide il mondo, il suo mondo crollargli addosso. Appoggiò le mani sul vetro e ci poggiò anche la fronte…da uno spiraglio riuscì a vedere tutto mentre con le lacrime in bocca sussurrava: “Sono qui amore mio. Sentimi. Sono qui.”

                                                         Un’ora dopo.

 

Dall’altro lato della città, in una stazione di polizia, Jacob continuava a difendersi dalle accuse degli agenti.
«Ci sono testimoni oculari Signor Black! La smetta!» E Jacob rimase in silenzio, consapevole che nulla poteva fare o dire, se non starsene buono ed accettare ciò che credeva fosse una sciocchezza. Era sempre stato così. Prendeva qualunque cosa alla leggera. Era un ragazzino. Era uno stupido e incosciente. E lui lo sapeva. Due agenti dall’aria piuttosto arrabbiata lo scortarono in un ascensore, salirono al settimo piano ed entrarono dentro uno stanzino, senza sbarre, senza finestre.
«Deve avvisare la famiglia.» Gli disse porgendogli un cordless. Prese il telefono e compose il numero del padre.
«Papà…» Non fece in tempo a dire ciao che suo padre lo interruppe bruscamente.
«Tuo figlio è morto. Resta dove sei o giuro di ucciderti non appena ti registrerò nel mio campo visivo.» Il padre staccò la chiamata e lui, per la prima volta nella sua vita restò immobile a riflettere e a sentire l’amaro sapore del senso di colpa. Si era fatto il programma di ucciderla per non dover convivere con la consapevolezza che da qualche parte c’era un figlio. Aveva programmato il veleno sul caffè in modo che lui ne sarebbe uscito indenne. Aveva programmato tutto, ma quel tutto per tutti era andato storto. Quel giorno Jacob di accorse di avere un cuore, perché ebbe la strana sensazione che potesse far male. Non aveva sentimenti. Era solo il senso di colpa che era diventato pesante…ingestibile. Uscì da quella stanza, dicendo di recarsi in bagno, i due agenti lo scortarono fino al bagno, ma, ovviamente, non appena lui entrò nella toilette loro erano fuori che attendevano.
«LO UCCIDO!» Sentì urlare, riconoscendo immediatamente la voce…Edward.
«Si calmi! » Urlavano di rimando gli agenti. Sentì quelli che sembravano cazzotti nella porta e alzo la testa. Una piccola finestra faceva bella mostra di sé. Con movimenti fulminei, non potendo smettere di sentire la voce di Edward che prometteva di ucciderlo, si arrampicò alla cassettina. Aprì la finestra e uscì su quello che era un tetto a regola d’arte. Si guardò attorno e, ovviamente non c’era nulla, se non il cielo e il rumore delle auto e dei passanti di quello che c’era sotto. Sospirò non riuscendo a pensare a niente e senza rendersene conto camminò a occhi chiusi. L’ultima cosa che vide fu una macchina blu sbattergli in faccia.

 

 

Edward se ne stava immobile davanti al corpo addormentato di Bella. Edward aveva paura. Edward si sentiva in colpa. Edward non aveva più un modo per affrontare la situazione. Quel piccolo spiraglio gli permise di vedere tutto quello che era accaduto. Vide il corpo di quel piccolo innocente tanto amato senza vita. Si sentiva padre Edward. Un padre dannato. Non riusciva davvero a capire ciò che provava. Non vedeva nulla. Non sentiva nulla. C’erano Hayley e Melanie. C’era Reneé. Nessuna di loro aveva avuto il coraggio di restare al fianco di Bella. “È solo una piccola donna” penso Edward, chiedendosi mille volte il perché…perché proprio a lei…a noi, perché quest'orribile caso, perché adesso Bella non sarebbe riuscita ad oltrepassare indenne anche questa. Passarono giorni ed era come se il tempo si fosse fermato. Bella non si svegliava e i medici dicevano che era normale. Lei non sapeva di aver partorito, non sapeva che adesso quel piccolo tesoro che lei aveva tanto amato adesso era rimasto solo un piccolo ricordo dentro il suo ventre, un ricordo che non andrà mai via ma che allo stesso tempo non  era stato ben definito. Bella era quasi in coma per colpa del veleno ma, era viva, fuori pericolo…aspettavano solo che si svegliasse e quel giorno parve non venire mai.

 

«E-Edward.» Un sussurro. Un battito in meno. Gli occhi di Edward si spalancarono…era stanco e, ogni volta che apriva gli occhi, si sentiva la testa pesante. Vide gli occhi di Bella spalancati e anziché correre ad abbracciarla, - come aveva immaginato di fare mentre lei dormiva beatamente all’oscuro di tutto quello che era accaduto – restò immobile a guardarla. Non riusciva a fare nulla, perché era pienamente consapevole di star scrivendo la parola “fine” nel libro dei sorrisi di Bella, era consapevole che nulla avrebbe potuto evitare una sua qualsiasi reazione, del tutto giustificata. Edward si sentiva spoglio, aveva perso un figlio. Edward non aveva mai avuto paura come allora. Restò in silenzio, abbassando lo sguardo. Sentì la mano di Bella sfiorargli il braccio, un tocco delicato…debole. Tirò su col naso e cercò di dire qualcosa. Non era solo lui che si sarebbe sentito così per molto altro tempo, non era lui che aveva tenuto in grembo un piccolo esserino che aveva amato dal primo momento…non era solo ed esclusivamente lui che si sarebbe sentito solo, non era il solo che aveva immaginato un futuro ricco di pannolini e notti insonni, c’era Bella…e, ne era sicuro, non sarebbe riuscita ad andare avanti accantonando anche questa.
«Amore mio…» Sussurrò con voce spenta, quasi inudibile, tant’è che Bella si avvicinò di più a lui, per quello che le era permesso.
«Edward…perdonami…» Disse lei scoppiando a piangere, Edward si avvicinò a lei e la abbracciò più stretta che poté. I suoi capelli erano sempre profumati, una lacrima lasciò il viso di Edward, mentre i singhiozzi di Bella si placavano.
«Non è colpa tua, capito?» Le disse lui prendendo il suo piccolo volto tra le mani, baciò le sue labbra umide e lei ricambiò con passione. Edward era consapevole che ancora il peggio doveva arrivare, ma perché doveva fermare quell’attimo intimo? Qualcosa gli diceva che quella poteva essere anche l’ultima volta che gli era permesso di baciare Bella. La ragazza si mise seduta e scrutò la stanza aprendo poco di più gli occhi, si massaggiò il ventre e a Edward parve che un pugnale perfettamente affilato gli avesse trafitto lo stomaco con un colpo secco.
«Edward dov’è il mio bambino?»

Mio, il mio bambino…
«Edward!»
Adesso la voce di Bella era arrabbiata, Edward si sentì come se stesse guardando la scena da spettatore e, forse, era meglio che fosse stato realmente così.
«Edward, ti prego…dì qualcosa…»

Ma Edward non ce la fece, scoppio a piangere inginocchiandosi sul letto della sua piccola donna e urlava. Il dolore della perdita, l’ansia, la paura, il terrore che adesso aleggiava sulle iridi color cioccolato di Bella vennero fuori dalla bocca e dall’anima di Edward.
«Edward…» La voce di Bella si affievolì piano piano diventando un silenzio quasi ingombrante da sopportare.

 

 

 

 

 

 

Salve ç___ç Dispiace anche a me, credetemi, ma questo è il pezzo che è nato prima della storia stessa. È stato difficile scrivere questo capitolo, lo ammetto e mi dispiace per il ritardo con il quale è stato postato…
Spero di non avere deluso nessuno…ma questa è la trama della storia…quindi non so, spero di non perdervi tutte e, soprattutto, spero di non avere recensioni negative per la scelta della trama…perché è una mia scelta, credetemi.

 

 

A presto, SPERO!

Un bacione,

Roby <3

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** The same pain. ***


Just a little Woman.

 

 

 

 

 

 

The same pain.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avrei preferito morire, piuttosto che subire tutto quello che subivo in quell’istante e per il resto degli altri giorni che sarebbero venuti.
Non so come feci, ma mi vestii, pronta per quell’ultimo saluto, per quell’ultima volta. Una lacrima solcò il mio viso al ricordo di quel giorno maledetto, dove tutto mi è stato tolto. Non riuscivo a immaginare il mio futuro, non vedevo nulla della Bella che ero, vedevo solo una donna priva di senso, che non aveva più il coraggio di guardarsi riflessa allo specchio. Tirai su col naso, mentre Edward apriva la porta della mia camera.
Edward era irriconoscibile. Quando l’avevo visto non appena svegliata, avevo sinceramente creduto che fosse morto, che quello che c’era davanti a me fosse solo il fantasma di Edward. Erano passati solamente tre giorni dall’accaduto, eppure era dimagrito tantissimo, i suoi occhi erano violacei e non dormiva da tanto…troppo tempo. Sapevo il legame che Edward aveva con quel piccolo esserino che avevo tanto amato e continuavo a farlo, ma mai e poi mai avrei potuto immaginare quello che realmente era. Edward era un padre. Edward per lui lo era per davvero. E se anche non lo avrei mai creduto possibile, Edward amava quel bambino tanto quanto me. Avevamo vissuto la gravidanza insieme, ogni cosa nuova si presentasse all’orizzonte che lo riguardava, Edward c’era, dal primo all’ultimo giorno. Siamo insieme, ma è come se a tenerci fosse il dolore, lo stesso identico che oggi ci ha portati qui, al suo funerale. Non avevo avuto la possibilità di vederlo, era troppo tardi, fortunatamente Edward aveva voluto che mi svegliassi, almeno per poter realizzare il tutto, per poterlo salutare come si deve almeno per l’ultima volta. Scendemmo le scale e mia madre ci guardò aldilà di quello che eravamo, c’era pena nei suoi occhi. Edward quella volta non mi prese la mano, ed io non protestai, la ragione non dominava più la nostra mente da un po’.

Con i piedi schiacciati sull’erba, la voce del parroco risultava lontana, inudibile. Vedevo solo la bara, piccola, bianca, innocente…proprio come il mio piccolo pandorino che aveva preso vita dentro di me, troppo debole per restare in questa vita…la vita è uno schifo, ma io avrei fatto in modo che lui si sentisse amato aldilà di quello che ognuno di noi potrebbe immaginare, avrei fatto in modo che la sua infanzia fosse stata costruita sopra un castello fatto di fiabe, avrei fatto in modo di esserci sempre per lui. Mancavano solo tre mesi e poi avrei potuto cullarlo nelle mie braccia, avrei potuto sfamarlo con il mio latte. Ci avevo pensato parecchio, sarebbe stata una delle cose più belle, averlo. Non chiedevo tanto, volevo solo che tutto quello fosse solo un brutto incubo, volevo che Edward mi svegliasse e mi dicesse “è tutto apposto”, ma non lo era…non lo era per niente. Mi immaginai, ancora una volta, con lui tra le mie braccia, e Edward che ci guardava affascinati, come quando mi accarezzava la pancia e comunicavano come solo padre e figlio avrebbero potuto fare. Ma non poteva più esserci quello sguardo in Edward, io ero morta con mio figlio e lui ci aveva seguiti a ruota. Vivere, per noi due, non aveva più alcun senso. Le urla di Edward mi fecero chiudere gli occhi, mi costrinsero a farlo e non appena li aprii avrei voluto scappare a gambe levate. Era rannicchiato sopra la piccola bara e urlava, non capivo le sue parole, ero troppo occupata ad ascoltare il suo dolore che trapelava da ogni lato del suo corpo, da ogni nota della sua voce. Scoppiai a piangere, nonostante odiassi farlo davanti alle persone. C’erano mia madre, Hayley, Melanie e tutta la famiglia di Edward. Dei Black non c’era neanche l’ombra, e se pure fosse stato li avrei mandati a casa calci nel sedere. Dovevo vendicarmi, ma quando realizzai questo pensiero venni a sapere del suicidio di Jacob. Troppo codardo per affrontare la realtà, troppo bastardo per ammettere a sé e agli altri che lui stesso era l’errore dell’esistenza, che era una persona inutile. Aveva solo capito che togliersi di mezzo sarebbe stata la cosa più facile. Guardai Edward, che non si era mosso dalla bara e non appena la depositarono sotto terra Edward svanì con lui. Non seppi cosa successe dopo, quando lo tirarono fuori da lì, né se fosse uscito di sua spontanea volontà, quello che ricordo è solo che prima di chiudere gli occhi vidi lo sguardo di Alice terrorizzato.

 

 

Una settimana dopo.

Le ore passarono, portandosi via i giorni. Non avevo voglia di fare nulla, se non starmene seduta sul letto a gambe incrociate aspettando un messaggio di Edward, ma non arrivò mai. Tutto quello stava distruggendo anche il legame che avevamo noi due. Non ero più tornata al cimitero, dove Ted giaceva sotto terra, non avevo il coraggio di guardare il suo nome sulla lapide. Avevamo deciso che assegnargli un nome sarebbe stato il minimo e decidemmo che Ted era quello adatto. Il piccolo Ted non aveva mai respirato nella vita terrena, non aveva mai parlato né fatto qualche versetto che fanno i neonati…ma era adorabile, nonostante non l’avessi mai visto, sentivo che lo era, proprio come un piccolo orsacchiotto di peluche. Ognuno di noi, nella propria vita ha regalato amore ad un orsacchiotto di peluche, ed io l’ho dato a lui, con tutta me stessa, nonostante tutto, al mio piccolo e innocente Ted Cullen. Il mi viso si bagnò ancora, ero troppo abituata a sentire le mie guance umide. Vivevo in uno stato immutabile, sempre con gli stessi pensieri, sempre con lo stesso stato d’animo, sempre priva di coraggio, forse, priva di ogni sensazione positiva. Ovunque cercavi di guardare sentivo il nulla. Avrei voluto almeno il coraggio di farmi fuori, in fretta e indolore, ma non ce la feci mai, per quanto ardente fosse il bisogno di farlo non ci riuscii.
«Bella…ti ho portato la colazione.» Sussurrò mia madre con la voce impaurita.
«Non la voglio.»
«Bella…»
«Non la voglio cazzo! NON LA VOGLIO! Non voglio mangiare! Lasciami in pace cazzo!» Urlai fuori di me. Era la prima volta che parlavo da una settimana. Mia madre sorrise e la rabbia si concentrò sulla mia mente come una furia.
«Cosa c’è?»
«Stai facendo qualcosa.» Farfugliò…mi guardai attorno disorientata e confusa, non capivo più nulla.
«Hai urlato. Hai imprecato. Hai reagito, in qualche modo…»
«Mamma…» La voce mi uscì lagnosa e capii ciò che voleva dire. Erano giorni che non parlavo, non mi muovevo, erano giorni che agivo come un fantasma vergognato di sé. Ero consapevole del male che stavo facendo a mia madre, ma non potevo fare nulla per rimediare, solo dispiacermi, quello era il massimo.
«Tesoro…io…ti…»
«Mamma non voglio parlarne.» Sussurrai con la voce rotta dal pianto.
«Devi mangiare, Bella. Se non hai il coraggio di ucciderti mangia.» Era furiosa, lasciò il vassoio sulla scrivania e sbattendo la porta scese le scale. Guardai il display del mio cellulare ed era vuoto, non c’erano avvisi, né chiamate perse. Avvicinai a me il vassoio e assaggiai la brioche, non ne sentivo il sapore, ma la mangiai come un automa non rendendomi conto dei gesti che il mio corpo compiva. Avvicinai una sigaretta sulle mie labbra e l’accesi. Mi fermai un attimo a pensare a quello che ero diventata e mi resi conto di quanto Edward mi mancava. Odiavo non sentirlo, odiavo non vederlo. La sua assenza non mi aiutava per niente. Ero arrabbiata con lui, avevo bisogno di lui più di chiunque altro, ma lui non c’era.

Edward odiava non sentirla, odiava non vederla. La sua assenza non aiutava per niente. Era arrabbiato con lei, aveva bisogno di lei più di chiunque altro, ma lei non c’era.

 

Un mese dopo.

La primavera aveva fatto capolino a Berlino. La mancanza di Edward mi aveva lacerato il cuore trasformandolo in tanti piccoli pezzi. Avevo provato a ricucirlo da sola, ma non c’ero riuscita. I ricordi, l’unica cosa che mi rimaneva di tutto quello che insieme avevamo vissuto, mi avevano dato un pochino di forza per scendere le scale e farmi una doccia. Puzzavo come un maiale. Potevo restarmene in camera mia, ma avrebbe riportato il mio piccolo Ted indietro? No. L’anima di mio figlio aleggiava nel mio cuore, ormai ridotto in malo modo, ma c’era. Lui era dentro di me, ancora una volta e ci sarebbe rimasto. Avevo preso un po’ forza al pensiero di mio figlio, ed era ora che la donassi un po’ anche a Edward. Hayley e Melanie venivano spesso a casa mia, ma non era di loro che avrei voluto la compagnia. Volevo Edward, volevo qualcuno che mi capisse, che avesse avuto lo stesso mio dolore. Perciò andai avanti con la mia decisione e uscii di casa. C’era odore di fiori appena sbocciati, c’era l’aria frizzantina che avvolgeva le mie gambe fasciate dalla tuta. Presi l’autobus e mi avviai a casa di Edward.
Suonai parecchie volte, ma, come era prevedibile, lui non rispose. Mi ricordai di avere una copia delle chiavi nella borsa e le afferrai con un sospiro di sollievo. Le tapparelle erano abbassate, c’era buio e puzza d’alcol. Nel salottino non c’era aria di Edward, c’erano solo parecchie bottiglie di birra sul pavimento, una era rotta dal collo in su. Rabbrividii al pensiero di quello che avrebbe voluto farci, e per un momento pensai che l’avesse fatto per davvero.
«Edward!» Urlai spaventata. I suoi passi mi vennero incontro e la persona che mi stava davanti non aveva nulla del mio Edward. Jeans strappati, i capelli si erano allisciati sicuramente dopo essere stati trascurati, la maglietta era imbrattata di vomito, i suoi occhi erano rossi e il suo viso era nascosto sotto la barba rossiccia. Era un barbone. Solo quello era rimasto del mio Edward.
«Bella…» Sussurrò guardandosi attorno. Lo guardai e mi pentii all’instante di non essere rimasta a casa. Vederlo in quel modo andava oltre a tutto quello che mi sarei mai aspettata nel rivederlo. Edward era irriconoscibile. Ed io mi sentivo uno schifo perché era colpa mia.
«Mi dispiace…» Dissi un secondo prima di scoppiare a piangere.
«Bella…» Mi prese la mano e mi portò in cucina, l’unica stanza pulita della casa. Mi fece sedere e si inginocchiò davanti a me.
«Non piangere amore mio…» Mormorò con la voce roca. Avevo paura. Non eravamo più noi stessi. Non eravamo più gli Edward e Bella che si erano innamorati perdutamente dell’altro. L’unica cosa che alimentò in me un filo di speranza era che nonostante tutto eravamo qui, insieme, non importava come e dove, lo eravamo.

 

Facemmo la doccia insieme, senza malizia, solo con l’amore che, nonostante era stato ricoperto per tanto tempo in noi una piccola parte di esso viveva ancora. Edward si rasò ed io cercai di sistemare casa sua. Mi si spezzò il cuore in due, quando vidi l’ultima ecografia che avevamo fatto imbrattata dalle sue lacrime. Accarezzai la fotografia e scoppiai a piangere. Scossi la testa, come a voler cacciare via quel dolore insopportabile ma ovviamente non ci riuscii, sentii le mani di Edward circondarmi la vita e il suo mento appoggiarsi sulla mia spalla. Si udivano solo i nostri singhiozzi davanti a quella fotografia, davanti a quel ricordo che avevamo tanto amato, davanti a quello che ci aveva portati alla rovina. Eravamo alla deriva e non sapere se prima o poi saremmo usciti da quel limbo logorava la mia anima in modo spaventoso. Guardai i suoi occhi e mi resi conto che quello che avevo pensato per tutto il tempo era vero; Edward era il mio specchio.
«Dovresti tornare all’università.» Mormoro mentre gli passo il piatto con la carne.
«Dovresti farlo anche tu.»
«Lo faremo insieme. Insieme passeremo tutto questo. Devi aiutarmi, Edward. Ed io aiuterò te.» Affermai mentre quelle parole bruciavano sul mio cuore. Che dovevamo andare avanti era un dato di fatto. Ma non potevamo dimenticare, non l’avremmo mai fatto. Eravamo costretti a vivere nel suo ricordo. Avvisai mia madre che restavo con Edward per la notte e che l’indomani saremmo andati all’università per informarci di quello che dovevamo fare per proseguire. Mi addormentai al suo fianco, sentendo il suo calore e sentendomi intera dopo tanto tempo. Quando mi svegliai, nel cuore della notte, lui però non era al mio fianco. Mi alzai e mi diressi in bagno, la porta era semichiusa, uno spiraglio di luce dava la vista all’interno del bagno.
Restai paralizzata.
Pensai che non c'era alcuna via d’uscita.
Vidi Edward, infilzarsi un ago in vena e il mio cuore si spense del tutto.

 

 

 

 

 

 

 

Perdonate il ritardo.

Non ho nulla da dire su questo capitolo se non “devastante”. Non criticate la mia scelta. Posso solo dirvi di stare tranquilli, insieme ce la faranno. Vi ringrazio dal profondo per le recensioni che mi avete lasciato, siete tutte dolcissime ed io vi adoro!

A presto.

 

 

Roby <3

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Capitolo 15
*** Don't cry. ***


Just a little woman.

 

 

Don’t cry.

 

 

 

 

Rimasi paralizzata non riuscendo a credere ai miei occhi. La luce soffusa rendeva la figura di Edward poco definita, riuscivo a vedere una macchiolina di sangue attorno al buco che l’ago aveva procurato. Non so dove trovai la forza ma, mi avvicinai facendo scorrere la porta, lui era troppo stordito per sentirmi o vedermi, al suo fianco giacevano una bustina di plastica, un cucchiaio e un accendino, la siringa stava tesa sul suo braccio sinistro come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non riuscivo a pensare a nulla…nulla che non fosse il suo viso stremato di dolore…il mio piccolo Edward. Feci pochi passi e lo raggiunsi, le mie lacrime bagnarono la sua maglietta, afferrai la siringa con tutta la forza di volontà che il mio corpo poteva possedere in quell’attimo e la tirai fuori dal suo braccio, lui sussultò ma mantenne le palpebre abbassate. Chiusi gli occhi, con la speranza che una volta riaperti tutto quello sarebbe rimasto solo un incubo…scossi la testa e iniziai a singhiozzare, rimasi stupita quando notai che le mie guance erano asciutte…senza lacrime, i miei occhi chiedevano pietà, mi ero abituata a quel fastidioso bruciore, a quel gemito di dolore che lasciava le mie labbra ogni qualvolta li chiudevo. Capii il perché, non avevo più lacrime, le avevo versate tutte. Presi la mano di Edward e provai a farlo alzare, non ci riuscii. Intrecciai le sue dita tra le mie, appoggiai la testa sul suo petto e mi addormentai, stremata, confusa e infuriata. Non avevo più un valido motivo per restare al mondo, tutto quello che avevo costruito attorno a me si era distrutto come cristallo fine, tutto quello che amavo era morto, annientato, dalla morte stessa. Vagavo in uno stato a me sconosciuto, c’erano momenti che cercavo di farmi forza, dicendomi che qualcosa per il quale valeva restare e combattere c’era, c’erano, invece, quei momenti che avrei voluto avere il coraggio di farla finita, quei momenti dove, confusa, mi guardavo attorno non ricordandomi il perché di tutto quel dolore. Non era solo dolore mentale. La sua mancanza aveva scavato a fondo nel centro del mio cuore con una pala affilata, a ogni respiro sentivo le ferite sanguinare, sussultare, implorare pietà. Odiavo quella situazione. Odiavo la mia vita. Odiavo, sopra ogni cosa, me stessa.
Quando non hai più te stessa alla quale affidarti ti rendi conto che quel momento è arrivato; la fine, di ogni cosa, soprattutto.
Avevo deciso di smettere di lottare, avevo deciso che avrei guardato il corso della mia vita inerme, sarei stata una perfetta spettatrice della mia vita, quella di cui una volta ne ero la protagonista. Durante la notte sentii Edward prendermi tra le sue braccia e trascinarmi nel letto. Il mattino seguente lui non c’era. Concentrai la mente nella visione di quella casa. Dicono che il luogo dove viviamo è un minimo riflesso della nostra anima, non ci fu frase più perfetta che rispecchiava quella casa. Le corde delle tapparelle erano state fissate al muro con lo scotch in modo che non si potessero alzare, chiuse erano e chiuse dovevano rimanere. I cassetti erano aperti, le posate e le tovagliette all’interno se ne stavano alla rinfusa. Il bagno, che una volta era azzurro, era grigio, di sporco, con qualche macchiolina di sangue spruzzata qua e la. Il salotto era rimasto invaso di bottiglie rotte di birra, i quadri erano strappati…non era quella la casa di Edward, era una caverna, come la sua anima. Marchiata dal senso di colpa, mi accasciai nel tappetto di vetri rotti, scoppiai a piangere consapevole delle mie colpe, di aver dato a Edward l’accesso nella mia vita, dandogli modo di amare quella creaturina che giorno dopo giorno stava prendendo vita dentro di me, dandogli modo di immaginare un futuro fatto di passeggiate primaverili con lui che spingeva amorevolmente la carrozzina. Edward, forse prima di me, aveva accettato tutto questo a cuore aperto, consapevole delle notti insonni, dei mali odori, dei pianti incessanti, della pazienza che avrebbe dovuto avere con lui fino a quando da solo avrebbe imparato a vivere…aveva costruito la sua quotidianità sulla base di quello che doveva essere nostro figlio. Era spaventoso vedere il legame che effettivamente c’era tra lui e Ted…era una cosa che non avrei creduto possibile. Ricordai quando litigammo e una fitta al petto mi mozzò il fiato… “Questa cosa non ti riguarda Edward”,  il suo viso marcato dal dolore per quella frase ingiusta e crudele… “Ho capito. Sì, certo. Io non sono nessuno, qui.” Invece lui era tutto, lo è adesso e lo sarà per sempre.

 

«Dov’eri?» Mormorai, non riuscendo a guardarlo negli occhi.
«Colazione?» Disse sorridendomi appena, tra le mani un sacchettino e un cartone con i bicchieri del caffè dentro. Da quando non ero più gravida, il mio corpo richiedeva inconfondibilmente caffeina. Annuii distratta e scostai la sedia dal tavolo sedendomi, nell’attesa del suo arrivo avevo sistemato un po’ quella topaia, infatti, si guardò attorno sorpreso.
«Hai sistemato…» disse lasciando la frase in sospeso.
«Mi dispiace…io…» balbettò. Io alzai gli occhi al cielo e scossi la testa. Mi guardò per qualche istante ma non seppi riconoscere se il suo era uno sguardo di scuse…non riuscivo a guardarlo, era più forte di me. Cominciammo a mangiare i muffin, io riuscii a mangiarne solo metà…essere rimasta digiuna per molto tempo o, comunque, aver mangiato un minimo di quanto il mio corpo era abituato, aveva lasciato il segno…ogni volta che provavo a mangiare mi si chiudeva lo stomaco. Avevo realizzato che non mangiare non mi avrebbe portato indietro mio figlio…dovevo accettare quella cosa…e tutto il resto.
«Non mangi più?» Mi chiese colpevole. Scossi la testa e bevvi il mio caffè scottandomi la lingua, qualcosa dovevo pur farla, non mi sentivo a mio agio ferma e con i suoi occhi addosso.
«Non è non mangiando che…»
«Che? Cosa Edward?» Gli chiesi alzando la voce di qualche ottava.
«Niente…» mormorò abbassando gli occhi sul pavimento della cucina.
«Da quanto lo fai?» Gli chiesi, conoscevo già la risposta, più o meno, ma avevo bisogno che lui me ne parlasse. Mi guardò confuso ed io con un gesto della mano indicai le sue braccia.
«Oh…da un po’.»
«Quantifica Edward.»
«Dal giorno del funerale.» Immaginavo, ma la conferma fu come uno schiaffo per niente meritato.
«E tu? Da quando lo sai?»
«Da stanotte. Cos’è? Eri così fatto che non ricordi nemmeno di avermi portata a letto senza degnarti di stenderti al mio fianco?» Urlai facendo cadere il bicchiere con la bevanda bollente.
«Bella…»
«Niente Bella! Devi renderti conto che questo non ti porterà nulla indietro, che stai solo contribuendo a distruggere la tua vita.»
«Non ce la faccio…è l’unico modo per dimenticare anche solo per un minuto. Non ce la faccio.» Vidi una lacrima adagiarsi sul suo muffin. Sentii il magone farsi strada per venir fuori carico di lacrime, ma riuscii a ingoiarlo, non potevo cedere.
«Vai a casa, Bella. I tuoi occhi non si posano su di me, i tuoi occhi implorano pietà. Vai a casa e torna, quando potrai mai perdonarmi.» Cominciò a singhiozzare con la testa bassa, i suoi capelli toccavano il muffin che aveva davanti. Il mio cuore, ormai in pezzi da un po’, si spezzò rendendo quei famosi pezzi in coriandoli neri. Afferrai la mia borsa e uscii da quella casa. Capivo Edward e il suo dolore, ma non ero abbastanza forte per tirarlo fuori da tutto quello…non lo ero per niente, entrambi avevamo bisogno di una persona forte al nostro fianco, insieme sapevamo solo distruggerci di più. Nella strada del ritorno incontrai Melanie che non appena mi vide mi sigillò tra le sue braccia, respiravo a fatica eppure quel gesto affettuoso mi fece sentire in pace per qualche attimo. Passeggiamo com’eravamo solite a fare, Hayley non si faceva sentire, piombava a casa mia quasi tutti i giorni, non riusciva a sentirmi per telefono, forse per paura che potesse peggiorare la situazione e non potesse vedermi. Hayley con me usava la vista, ogni mio gesto dava lei l’accesso alle mie parole non dette. Melanie invece era apprensiva, mi chiamava tre volte al giorno, veniva a trovarmi tutti i giorni e, spesso, mi guardava dormire tutta la notte. Loro c’erano sempre state e lo avrebbero fatto nonostante tutto, quando le guardavo negli occhi il senso di colpa mi pungeva come un ago nel viso. Ero consapevole che non era colpa mia, ma se solo nel corso della mia vita fossi stata sempre da sola, in quel frangente nessuno avrebbe sofferto nel vedermi in quello stato. Volevo stare più tranquilla per loro, per mia madre e, soprattutto, per Edward, ma non ci riuscivo. Non raccontai a Melanie di Edward, anche solo nominarlo mi faceva male.
«Hayley ci chiede di andare a casa sua.» Mormorò sovrappensiero Mel col cellulare tra le mani. Mi alzai dalla panchina, gettai il bicchierino col caffè e insieme andammo a casa della nostra amica. L’abbraccio di Hayley mi diede lo stesso calore di quello di Melanie. Molti dicono che le amiche possono aiutare fino ad un certo punto, eppure senza di loro sarei stata completamente persa. Loro non mi capivano, ma giravano attorno al mio dolore facendo sì che riuscivano anche solo intuirlo. Non usavano le solite frasi fatte da “andrà tutto bene” o “passerà”. Cercavano solo di farmi pensare ad altro e a volte ci riuscivano.
«Edward?» Mi chiese Hayley, versando un po’ di succo all’arancia sui bicchieri.
«Come sempre.»
«Non sei brava a nascondere le cose, tesoro.» Mi torturai le dita dal nervoso…non volevo dire loro quello che avevo scoperto di Edward eppure, una parte di me aveva bisogno di rivelarlo a qualcuno…come se si alleggerisse il peso della scoperta. Raccontai loro l’accaduto e aspettai la loro opinione che per circa dieci minuti non arrivò.
«Povero Edward» mormorò Melanie.
«Io non lo capisco!» Sbottò l’altra. Guardai le mie mani, non sapendo che fare o dire e iniziai a piangere silenziosamente, le lacrime di colpo erano tornate. Spesso mi dicevo: “non piangere, non piangere, non piangere” invece quelle famose gocce salate scivolavano sul mio viso lente e calde. Più mi ripetevo di non piangere più la voglia di farlo diventava insistente.
«Così non va bene. Dovrebbe essere lui ad aiutarti!» Hayley si alzò dal divano e cominciò a camminare per tutta la stanza, in risposta uno sbuffo di Melanie che intimava a farla stare zitta. Ovviamente, la schiettezza di Hayley vinse anche quella volta.
«Non dico che dovete dimenticare, ma che cazzo! Cercate almeno di venirvi incontro tra di voi, prendere altre strade per sopravvivere non servirà a niente!» Si passò una mano sul viso e mi guardò aspettandosi che facessi qualcosa. Dal mio canto ero tramortita, non sapevo cosa dire, sapevo solo che aveva ragione.
«Non puoi sapere cosa passa per la loro mente, Hayley.» Disse Mel.
«Alzati Bella, vai da lui. A quanto pare quella più forte qui sei tu. Aiutalo a farlo andare avanti, menalo se sarà necessario! Non è colpa vostra, né tu né lui potete fare qualcosa! Solo la macchina del tempo potrebbe e, poiché ancora non è stata inventata, dovrete trovare un modo per uscire da questo burrone.»
«Ci ho provato…Dio, ci ho provato.» Sussurrai piangendo.
«Non abbastanza.» Mi disse con voce dura. Melanie mi abbracciò forte.
«Hai mollato alla prima difficoltà, non darti per vinta e, soprattutto insegna lui a ricominciare. Se ricomincia lui, lo farai anche tu.» Annuii cercando di afferrare la forza che le parole della mia amica hanno cercato di trasmettermi. Mi alzai, annuendo ancora tra me e uscii da quella casa.
 

Ripercorrendo per la centesima volta quella strada, mi resi conto che non erano state solo le parole di Hayley a farmi scattare. Dall’inizio, nonostante non riuscissi ad ammetterlo a me stessa, ero consapevole che quella più forte tra me e lui ero io. Trovavo difficile da credere. Nonostante il dolore, mentre le mie gambe camminavano dove la mente li aveva indirizzate, ricordai la forza che mi aveva dato lui, quando sola mi ritrovai con un bambino in grembo. In quel tempo credevo che sarei rimasta sola e con un bambino da crescere, non era quello che mi faceva paura, anzi, mio figlio mi avrebbe dato la forza di sorridere ancora, per sempre. Nei miei nove mesi, quando ero ancora all’inizio, mi vedevo sola e piangente, abbandonata come se meritassi quel futuro…ed è arrivato lui a dare luce nella mia anima, a ricordarmi che se anche ero rimasta da sola, la colpa non era solo mia, mi ha fatto credere nell’amore quello vero…quello tra me e lui, quello tra lui e il nostro piccolo bambino. Sapevo che Ted sarebbe stato come un figlio suo per Edward, sapevo che l’affetto era sconsiderato tanto quanto il mio, quello che non sapevo era che ci fosse così dentro. Aveva creato un legame intenso, indissolubile e ne stava pagando le conseguenze. La mia mente se lo immaginò, in lacrime, con le sue bottiglie di birra sparse attorno, con un cucchiaio, una bustina, un accendino e una siringa…cominciai a piangere silenziosamente e mi dissi che quella era l’ultima volta, l’ultima lacrima. Piangendo non avrei concluso niente, mi ero già sfogata, era arrivato il momento di farlo fare a lui.
Entrai e stranamente la casa era come l’avevo lasciata, Edward dormiva sul divano. Furtivamente alzai la sua manica a tre quarti e notai che nel buco di ieri notte si era formata una crosticina, alzai quindi l’altra manica e notai che l’altro era pulito. Sospirai di sollievo e cominciai a baciargli il viso. Lui strabuzzò gli occhi e mi guardò confuso.
«Bella…» Mormorò, non era una domanda né una risposta…era solo il mio nome, sussurrato, era quasi come se avesse bisogno di dirlo.
«Sono qui.»
«Devi andartene.»
«Sono qui.» Ripetei con più enfasi.
«Non ti fa bene stare qui, Bella.»
«Edward.» Tuonai con tono autoritario.
«Perdonami. Se sono irresponsabile, se anch’io ti ho fatto piangere quando già l’hai fatto troppo. Dovrei aiutarti e invece?» I suoi occhi si fusero con i miei regalandomi un minuscolo attimo di gioia.
«E invece ci aiuteremo insieme.» Mormorai sicura di quello che stavi dicendo.
«Guardami!» Urlò alzandosi da divano. E lo guardai. Era quell’Edward, il fantasma dell’Edward che avevo conosciuto. Ci sarebbe voluto più tempo del previsto per farlo tornare come prima…ma mi chiesi; lo faremo mai?
«Calmati, Edward. Insieme, dobbiamo stare insieme e ripartiremo.»
«È doloroso.»

«Ce la faremo.»
«È impossibile.»
«Niente è impossibile.» Una lacrima cercò di uscire da uno dei miei occhi. La trattenni.
«Non piangere.»
«Non farlo neanche tu.»

 

 

 

No, okay, IMPERDONABILE, non rende chiaro il concetto.
Sia per il ritardo sia per il capitolo.
Sono stati giorni pesanti per me…quando c’è la salute di mezzo, non hai mai voglia di fare nulla se non poltrire nel divano a sperare che tutto andrà bene.
Cercherò di esserci di più, chi mi conosce sa che non mi piace fare aspettare.
Ce la metterò tutta! Voi intanto non abbandonatemi.
Un abbraccio grandissimo, per il supporto e per le parole che mi riservate.
Ps: Questa è la mia altra storia, è parecchio forever alone, mi piacerebbe che ci deste un’occhiata;
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2330245

 

Roby <3

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Capitolo 16
*** Us, together. ***


Just a little woman.

 

 

 

Us, together.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rimasi abbracciata a Edward per quello che parve un anno intero. Non volevo allentare la presa, era come se dopo tutto quel tempo eravamo noi, quel noi che avevo agognato nonostante tutto. E per lui, era lo stesso. Era come se sciogliere quell’abbraccio potesse portare a galla la realtà ancora una volta…era da stupidi, eppure, il calore del suo abbraccio, il suo respiro sui miei capelli, il suo braccio sotto la mia guancia…tutto questo mi portava in un mondo, dove noi eravamo felici, dove c’era tutto e allo stesso tempo niente. Mi resi conto che noi, sia nella realtà sia in quel nostro limbo, eravamo ancora lì, pronti a sorreggere l’altro, a essere ancora una volta forti, a uscire dall’oblio, a essere noi.

Una settimana dopo.

«Tocca a te» mormorai, dopo aver avuto il colloquio con il direttore dell’università. Era il primo passo per ricominciare, per poter riprendere a camminare sulle strade della nostra vita. Pensavo al mio piccolo ogni attimo, in qualsiasi momento. Faceva ancora male ma non volevo arrendermi…la vita mi aveva portata a quello e stavo imparando ad accettarlo. È tutto più facile quando nel corso della vita hai qualcosa per la quale lottare, ed io ce l’avevo, finalmente, dovevo aiutare Edward che, tra i due, era quello più debole, dovevo riportare a galla la sua anima sepolta dal dolore, volevo far tornare il suo sorriso, il più bello, vivo e sincero. Con una nuova luce sul cuore fissai le sue spalle mentre si avviava nello studio. Eravamo già ad Aprile, ma potevamo riprendere con studi. Il direttore mi aveva proposto di ricominciare a Settembre…ed io ci stavo pensando. Ero quasi pronta per ricominciare, mancava solo l’ultimo pezzo del puzzle, ed era lì dentro, avrei aspettato il suo giudizio, la sua scelta per portare avanti la mia. Edward ed io agivamo in sincrono, io avevo bisogno di lui per muovermi e lui aveva bisogno della mia spinta per farlo. Dovevamo solo trovare il modo giusto per unirci ancora una volta. Voltai la testa verso la grande finestra, in lontananza si vedeva il traffico, la gente di fretta, donne con le borse della spesa che si alteravano con il cellulare all’orecchio, un albero di ciliegio che stava presentando per l’ennesima volta dei fiori nuovi. Eravamo in primavera e mi sembrava una coincidenza perfetta per tornare in marcia. Pensai a mia madre…erano giorni che non la sentivo né vedevo, aveva preferito lasciarmi i miei spazi, poiché la sua dannata sincerità le imponeva a starmi lontana. Mi mancava la mia mamma. Me la immaginai nel suo grande studio mentre prendeva il cellulare componendo il mio numero per poi lanciarlo sulla borsa, me la immaginai che si torturava le mani, me la immaginai parlare con sé: “devo trovare un modo”, “devo fare qualcosa”, “non può cavarsela da sola”. Per mia madre e, per quasi tutte le mamme del mondo, i figli non crescevano mai, restavano piccoli per sempre. Sorrisi tra me, dopo un tempo lunghissimo, e pensai: “ce la sto facendo mamma”, “un passo alla volta e ce la farò, ce la faremo”.

«Fatto» mormorò Edward con la voce spenta. Mi alzai e insieme ci dirigemmo all’uscita. Non parlai, non gli chiesi niente, aspettavo che fosse lui a dirmi qualcosa. Entrammo nella sua auto ancora in silenzio religioso. Mi torturai le mani, non facendo caso alla strada che stavamo percorrendo. A tirarmi fuori dalla mia piccola trance fu un suo singhiozzo. Guardai prima lui, con le mani sopra al cappellino da baseball rosso e verde, i gomiti sul volante, e la sua testa china…il manubrio gocciolato dalle sue lacrime. Mi si strinse lo stomaco e con tutte le mie forze m’imposi di non piangere. Carezzai le sue braccia e avvicinai la mia guancia alla sua. Restammo così per quelle che parvero ore, la sua mano stringeva la mia. Eravamo in silenzio, un silenzio troppo rumoroso. Alzai la testa indolenzita e quando vidi il cancello del cimitero restai spiazzata.

«Ci vengo spesso.»

«L’avevo immaginato» mormorai con una lacrima sull’uscio dell’occhio.

«Bella…» rimasi a fissare il cancello di ferro, ricoperto da piante rampicanti, non riuscendo a distogliere lo sguardo.

«Io…non dovevo portarti qui» sussurrò colpevole. Non riuscivo a parlare…volevo entrare? Non lo volevo? La mia mente era troppo confusa, troppo ferita. Non ero più riuscita a entrare lì dentro dal giorno del funerale…Edward invece lo aveva fatto, fu in quel momento che mi chiesi fin dove arrivasse la sua debolezza.

«Tranquillo» mormorai non riuscendo a muovere gli occhi. Dopo minuti interminabili scesi dalla macchina e lui mi seguì seduta stante. Nonostante fossi entrata in quel posto solo una volta, anche a occhi chiusi sarei riuscita ad arrivare dove giaceva mio figlio. Mi sedetti sull’erba umida e accarezzai il marmo freddo, tutto questo con Edward al mio fianco. Le forze mi abbandonarono e le lacrime che avevo tenuto fino allora sfociarono come un fiume in piena. Con premura, mentre i singhiozzi scalfivano il mio petto, cambiai i fiori e pulii il marmo…non era messo tanto male…immaginai che quello che avrei dovuto fare io in quegli ultimi mesi l’avesse fatto Edward. Me lo immaginai, qui, solo, in silenzio, mentre puliva la lapide di nostro figlio…mentre, seduto a gambe incrociate, aspettava che la mia sagoma sbucasse in lontananza per poi avvicinarsi a lui. Lo abbracciai così forte che mi mancò il respiro. Quella fu la prima volta che piangemmo insieme, stretti nel nostro abbraccio, con gli occhi su quel pezzo di marmo che poco poteva darci se non un altro ricordo.

«Non riesco a pensare che…» balbettai con le lacrime che inondavano il mio viso.

«Non ce la faccio, Edward» sussurrai esausta, mentre con lentezza mi abbandonavo alle sue braccia. Lui mi afferrò con delicatezza dalle spalle e mi guardò negli occhi.

«Stiamo andando bene» mi disse con sincerità.

«Dobbiamo farcela, per lui» Continuò stringendo gli occhi per evitare che altre lacrime profanassero il suo splendido viso.

«Dobbiamo lottare. Per nostro figlio» baciai le sue labbra non riuscendo più a trattenermi e, mentre dal cielo la pioggia aveva cominciato a scendere e le sue labbra si erano fuse con le mie, io annuivo a tutto quello che lui mi aveva sussurrato davanti a nostro figlio. Nessuno ce lo avrebbe mai più riportato indietro…dovevamo rassegnarci.

Quel pomeriggio Edward mi accompagnò a casa, aveva un appuntamento con Alice ed io ne approfittai per poter stare con mia madre. Non appena varcai la soglia di casa corse ad abbracciarmi. Nonostante i miei diciannove anni avevo ancora bisogno di lei, ne avrei avuto per sempre. Ci sedemmo sul piccolo tavolo della cucina e ci guardammo negli occhi. Nei suoi c’era rassegnazione, tristezza ma, tanta, immensa voglia di andare avanti. Non conoscevo mio padre, eppure sapevo benissimo, quando pensavo di voler mollare tutto, che avevo preso da lui quel tipo di comportamento. Era amaro da pensare, ma il mio carattere era l’inverso di quello di mia madre. Lei era andata avanti, lei non mostrava mai un attimo di debolezza, lei sorrideva anche quando il suo cuore voleva piangere. Io non ero così, non appena mi si presentava davanti una situazione negativa mi piangevo addosso, non avevo mai voglia di sorridere se non quando le cose andavano bene…avrei voluto tanto essere come lei.

«Come stai?»

«Meglio.» mormorai, rendendomi conto che per la prima volta dopo parecchio tempo non stavo mentendo. Ero consapevole che non sarei mai riuscita a dimenticare mio figlio…eppure, lì, in qualche piccolo angolo della mia mente sapevo che dovevo farcela, anche quella volta. Passai il pomeriggio a casa mia come non facevo da troppo tempo. Parlare con mia madre, per l’ennesima volta, si era rivelato utile e divertente…mi sentivo libera, più leggera. I giorni passarono e giorno dopo giorno mi rendevo conto di star guarendo, ci avevo anche perso le speranze. Alla sera, però, chiudevo gli occhi e mi rivedevo in quel passato che non era poi tanto lontano dal presente; la mia pancia rotonda, liscia e perfetta, le mani di Edward su di essa, i calcetti del mio piccolo, l’emozione di sentirlo vivo dentro di me. Erano cose che mai avrei dimenticato, erano ricordi che lasciavano il mio cuore permanentemente spezzato.

 

 

«Che dici?» chiesi a Edward, per l’ennesima volta davanti allo specchio di una piccola boutique. Stavo comprando dei vestiti per me, il non essere più incinta e il non aver mangiato decentemente negli ultimi tempi mi aveva costretta a ricambiare il mio guardaroba. Mi ero presa parecchi rimproveri…ma dopo poche parole mi guardavano negli occhi e vedevano tutto il motivo per il quale ero in quello stato. Odiavo piangermi addosso, eppure c’erano delle sere che non riuscivo a farne a meno. Quando Edward ed io eravamo lontani, passavo il mio tempo da perfetta automa, avevo paura ogni qualvolta mi lasciava sul vialetto di casa. Avevamo stabilito un certo equilibrio dalla morte del piccolo, stabilità che io gestivo bene solo quando lui era al mio fianco. In quegli ultimi giorni capii finalmente il perché della mia forza, più grande di quella del ragazzo che amavo. Io avevo lui che mia amava come se fossi l’unica donna del mondo, nel mio subconscio sapevo di non esser sola, che nonostante tutto lui sarebbe rimasto lì ad aspettarmi, che nel suo cuore c’era sempre un posto per me. Edward, invece, credeva di aver perso anche me e, forse, per un piccolo periodo era successo. In quel momento, cercai di vedere la scena dall’alto, da spettatrice…in quel momento c’era una coppia che viveva nella quotidianità normalmente, dei ragazzi che con gli occhi si sorridevano, nel silenzio dei loro cuori sapevano dirsi la cosa più importante da dire in certi momenti. Io che, ovviamente, ero di parte sentivo quella sensazione che credevo non essere più capace di riuscire a percepire; la speranza.

 

 

Le sue mani calde lasciavano scie su qualsiasi parte del mio corpo, le mie afferravano i suoi capelli con forza e determinazione. Non riuscivo a staccarmi da lui e lì, sul suo letto con le sue labbra nelle mie non avevo motivo per interrompere quel momento tanto desiderato. Carezzai le sue braccia e mi fermai quando sentii una crosticina.

«Non farlo più ti prego» mormorai con la voce tremante.

«Non lo faccio da quando sei tornata» mi disse con gli occhi nei miei. Le nostre fronti s’incollarono e sentii la stoffa dei miei slip sfaldarsi per mano delle sue dita, andai in paradiso per poi riscendere in picchiata verso l’inferno dal momento in cui le sue dita si fecero strada all’interno della mia intimità. Credevo che niente sarebbe mai stato uguale a prima, la vita, le abitudini e le emozioni stesse. Eppure, quella volta, in quel letto con l’uomo che amavo, dovetti ricredermi. Il tocco di Edward mi dava le stesse emozioni, mi riempivano il petto di gioia e passione. Nell’amplesso avevo sempre avuto quella strana voglia di piangere, avevo sempre creduto che l’amore che mi dava Edward era troppo per il mio povero cuore. Questa notte scoprii che potevo ancora amare. Noi, nonostante tutto, avremmo potuto camminare mano nella mano, poiché insieme c'eravamo già alzati.

 

«Vieni a vivere con me.»

«Edward…»

 

 

         _______________________________________

 

 

Lo so, sono più che imperdonabile.

Sono in un ritardo mostruoso, nonostante la sospensione di ITM…però ho avuto un sacco di cose da fare…dico davvero, ogni volta mi veniva di mandare tutto a fanculo e di aprire il pc per scrivere. Ammetto di averlo fatto qualche volta xD sicuramente noterete i piccoli capitoli (?) che ho scritto mano a mano per farne uno.

Da oggi cercherò di essere più puntuale…anche perché io odio essere in ritardo e.e da quando scrivo è la prima volta che succede u.u

Adesso me ne vado…la prossima settimana ci sarà il prossimo capitolo…o al massimo ci metterò tutta me stessa per farlo accadere!

 

Vi adoro.

 

 

Roby <3

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Capitolo 17
*** And if you go, I wanna go with You. ***


                                                                                                                    Just a little woman.

 

 

 

And if you go, I wanna go with you.

 

 

 

 

 

Non sapevo se avevo compreso bene le parole di Edward…eppure il suo sguardo mi faceva intendere che avevo capito bene…forse non volevo accettare che lo avesse fatto davvero o, forse, era troppo bello per essere vero. Lo guardai ancora non riuscendo ad aprir bocca, un sorriso spontaneo nacque sulle mie labbra e capii; non c’erano parole d’aggiungere, non c’erano dubbi, nessun motivo per il quale avrei dovuto rifiutare.

«Volevo chiedertelo prima in realtà…quando…»

«Quando?» Domandai, riuscendo a parlare.

«Quando dovevo venire all’incontro con Jacob stavo aspettando che la gioielleria qua vicino aprisse. C’era su un cartello con scritto: torno subito, ma dopo pochi minuti avevano chiamato e…» con l’indice chiusi le sue labbra, non volendo più sentire quello che aveva da dirmi, non volendo rovinare quel momento che irrimediabilmente era stato nostro e, volevo che continuasse ad esserlo.
«Basta. Ho capito.» Restammo in silenzio e capii dai suoi occhi che la malinconia per l’ennesima volta aveva preso il sopravvento…non riuscivo a stare ancora una volta ferma e zitta, perciò avvicinai le mie labbra alle sue, promettendogli che insieme avremmo costruito quello che da quel giorno avremmo chiamato futuro. Non appena le sue mani ripresero la corsa sul mio corpo, la mia mente si svuotò completamente. C’eravamo solo io, lui e il nostro amore. Afferrai i suoi capelli tra le mie dita e, quando la sua guancia coperta da un filo di barba, sfiorò il mio seno, persi del tutto la concezione delle cose. Si sentivano solo i miei gemiti e se solo fosse stato qualche mese prima sarei arrossita fino a morire, in quel momento invece non avevo paura dei limiti, anzi, volevo violarli fino al confine che era infinito. Penetrò la mia intimità con l’indice, aggiungendo dopo un po’ il medio, ruotai la testa per il troppo piacere e quasi scoppiai a piangere. La mia mano si intrufolò dentro i suoi boxer e toccai il suo membro liscio e caldo, strinsi forte le dita attorno e Edward non poté fare a meno di stringere forte un mio seno con la mano libera. Chiusi gli occhi e assaporai quel momento con ogni cellula del mio organismo, quando li riaprii vidi le sue labbra che mi sorridevano.

«Sei bellissima. »

«Tu sei bellissimo. »

«Ti amo…»

«Fino a quando i miei occhi non si chiuderanno per sempre.» Finii la frase, la più vera che in quel momento ci rappresentava. Una lacrima di commozione rigò il suo viso ed io l’asciugai prontamente con un bacio.

«Basta piangere.» Ripetemmo all’unisono un attimo prima di unirci anima e corpo per l’ennesima volta, nonostante ogni volta fosse più profonda.

 

«È una cosa molto bella.» Mormorò mia madre, mentre sistemavo la mia roba su una valigia. Non c’era stato bisogno di un “sì” per far capire a Edward quello che volevo. Con gli occhi ci dicevamo tante verità, era inutile ribattere o negare quello che potevamo dirci con un solo sguardo.

«Sì. Per me lo è davvero.» Mormorai senza nemmeno rendermene conto…non avevo fatto conto di come mia madre avrebbe potuto pensarla al mio trasferimento, eravamo state sempre noi due, insieme, eppure adesso io stavo abbandonando la nostra barca e, mi sentivo in colpa ad ammetterlo; ero contenta.

«Mangerai anche senza di me?» Mi disse malinconica. Voltai la testa e la guardai, era in piedi sulla soglia di camera mia con la testa china e le dita che si torturavano tra loro.

«Ti prometto che mangerò e che verrò a trovarti tutti i giorni.»

«Sei sicura? È davvero quello che vuoi?»

«Sì mamma, è ciò che voglio, non desidero nient’altro.» Strabuzzò gli occhi e scosse la testa.

«Non puoi sul serio esserne sicura. Fino a un mese fa non vi vedevate neanche!»

«Questo non vuol dire niente…non puoi capire.» Afferrai la valigia mezza piena e mi avvicinai a lei, dovevo andarmene, il giorno dopo avremmo parlato con più calma.

«Bella! Ti ho sempre lasciata libera di fare ciò che hai sempre creduto fosse meglio per te, non ti ho mai messo dei paletti, ma non posso lasciare che mia figlia vada via distruggendosi più di come ha già fatto.» La sua voce si alzò di parecchie ottave ma non era arrabbiata, non almeno in quell’esatto momento.

«Hai ragione. Lui però me l’ha chiesto ed io non ho potuto e, non ho voluto, rifiutare. Io lo amo mamma, quello che conta è questo. Non sono sicura che sarà per sempre, non sono sicura che non verrò mai qui in piena notte in lacrime, e non so nemmeno se sarò felice tutti i giorni, ma devo andare, voglio farlo. Lui ha bisogno di me ed io ho bisogno di aiutarlo.»

«Lui è troppo debole per te, Bella. Tu hai bisogno di qualcuno più solido per riprenderti! Non è una sciocchezza quello che ti è successo!» Era arrabbiata.

«Che cazzo! Lo so che non è una sciocchezza! Vuoi dirlo proprio a me? Mi leggi la mente per caso? Pensi che io l’abbia presa alla leggera? Bè se la tua risposta a queste domande è sì ti dico una cosa; non hai capito un cazzo di tua figlia. » Ero arrabbiata anch’io. Scesi frettolosamente le scale e uscii di casa avviandomi alla fermata dell’autobus. Edward aveva insistito di accompagnarmi a recuperare le mie cose, ma io non avevo voluto, mi aspettavo una sfuriata di mia madre e a lui non avrebbe fatto bene sentire quelle parole. Nessuno poteva capire quello che mi legava a Edward. Lui era più debole e aveva bisogno di qualcuno sì, più forte, ma che lo capisse perfettamente. Io avevo bisogno di prendermi cura di lui, volevo lui e nessun’altro. Una macchina si fermò sotto ai miei occhi e non potei fare a meno di guardare chi c’era dentro. Alice.

«Bella. Che fai qui?»

«Aspetto il bus per andare da Edward.»

«Sali dai.» Sola e nervosa com’ero non ci pensai due volte e salii in macchina. Se fossi ancora rimasta seduta su quella panca sarei irrimediabilmente scoppiata a piangere. Era l’una del pomeriggio e, stranamente il mio stomaco brontolò. Avevo fame, ed era una novità per me dopotutto.

«Passiamo vicino al parco centrale, c’è un ristorante che fa cibo italiano squisito.» Disse Alice sorridendomi. Non mi ero ancora abituata all’Alice-simpatica ma sorrisi anch’io mostrandole la mia gratitudine. Arrivammo al ristorante nel giro di dieci minuti. Amavo il cibo italiano ma lo avevo mangiato circa tre volte. Mia madre non aveva mai tempo e a Jacob non piaceva…scossi la testa scacciando certi pensieri ed entrai lasciando la valigia in macchina. Ci sedemmo e immediatamente una cameriera venne a prendere le ordinazioni, io presi una bistecca fiorentina con contorno di patate al forno, Alice, invece, una scaloppina al limone con funghi. Ci portarono una “Moretti”, una birra nuova per me. A Berlino la birra era un’usanza, ma io non ne avevo mai fatto abuso e, nonostante la mia città fosse la madre della birra, non mi dispiacque per niente quella italiana altrettanto amara e dissetante.

«Cosa c’è che non va?» Mi chiese la sorella del mio ragazzo prendendo la mia mano tra le sue. Scossi la testa e senza rendermene conto i miei occhi si riempirono di lacrime.

«Ascolta Bella, io non so nulla di te, ti conosco appena. Parto col dirti che mi scuso del mio comportamento all’inizio, ma come sai Edward ha sofferto molto ed io avevo paura. Ho sbagliato e spero che tu possa dimenticare quel brutto periodo. Però adesso ho capito che Edward ha bisogno di te come nessuno mai. Ho visto mio fratello felice, ma una felicità di quelle che vedi raramente negli occhi delle persone. Mio fratello si sentiva padre di quel figlio e tu glielo hai permesso. Il vostro amore, Bella, è una cosa bellissima che si sente nell’aria. Io lo sento, qui, adesso, tu lo ami ed io mi odio se penso a come ti ho trattata all’inizio. Stai andando a vivere da lui e questo vi farà capire tante cose. Non pentirti mai di quello che hai fatto o che farai, non rinunciare mai a quello in cui credi. Sei una donna forte ed io ti ammiro con tutta me stessa.» Scoppiai a piangere a metà del discorso di Alice, non ce la facevo a trattenermi. Annuii con la testa e la ringraziai per mille volte. Ero consapevole di tutto quello che Alice mi aveva appena detto, eppure, sentirlo dire dalle labbra di qualcun altro era una cosa meravigliosa. Mangiammo e parlammo come amiche da una vita. Mi sentivo in sintonia con questa nuova Alice e qualcosa mi diceva che quella non era l’ultima volta. Mi lasciò davanti casa di Edward e le chiesi di entrare ma lei mi disse che aveva una cosa da fare, una cosa che mi avrebbe fatto conoscere tra qualche settimana. Entrai, avendo ormai le chiavi e quello che vidi mi fece pentire di essere arrivata proprio in quel momento.
Edward singhiozzava tra le braccia di sua madre. Non si erano accorti di me. Richiusi la porta in silenzio, mi allontanai un po’ avviandomi verso il piccolo giardino, posai la valigia per terra e mi ci sedetti sopra. Mi coprii gli occhi con le mani e scoppiai a piangere senza pensare a nulla, dovevo solo piangere, piangere e piangere. Tutto quello prima o poi doveva finire.

 

Non appena sentii la voce di Esme fuori dalla porta d’ingresso mi alzai asciugandomi gli occhi con la manica del cardigan ed entrai.

«Eri qui fuori.»

«Sì.» Non gli dissi che ero entrata vedendolo in quello stato, avrebbe solo peggiorato la situazione. Non glielo dissi, ma lui lo capì ugualmente. Prese la mia valigia e la portò in camera sua, nostra. Lo seguii e lo guardai tirare fuori ogni indumento, piegarlo accuratamente e sistemarlo nel lato vacante dell’armadio. Prese le creme, trucchi, balsami e quant’altro e li sistemò sopra uno scaffale della stanza, anch’esso svuotato da poco. Quando ebbe finito, afferrò la valigia vuota e la depose sopra l’armadio, insieme alle altre, le sue.

«Sarà bello averti qui. Sempre.»

«Già, sempre.»  Si avvicinò a grandi falcate e mi abbracciò forte.

«Saprai davvero sopportarmi per tutto il tempo?» Gli chiesi per spazzare via ancora una volta la sua malinconia.

«Dovrei chiedertelo io.» Scoppiammo a ridere e ci baciammo con tenerezza.

«Bella. Se dovrei essere troppo pesante, troppo difficile da sopportare voglio che tu me lo dica.»

«Va bene.»

«Se non vuoi stare qui devi dirmelo.»

«Va bene.»

«Andrò via, se tutto questo dovesse essere troppo per te, andrò via.»

«Se tu andrai via io verrò con te.»

«Ovunque?»

«Sì. Per sempre.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salveeeeeee! Ho fatto presto! Uhm, che strano xD

Lo so che è corto e.e però davvero non ho altro da aggiungere!

Molte mi hanno chiesto se Billy Black si farà vivo, la risposta è sì, e sarà nel prossimo capitolo!

Ps: il titolo è preso da una canzone (chi ha letto Love save the pain la conosce) lonely day, i prossimi due capitoli continueranno con la frase della canzone. Perché? Io credo che sia troppo adatta! O forse sono io che mi sono fissata talmente da inserirla ovunque.

 

Vado u.u

 

Vi adoro, Grazie di TUTTO! <3

 

 

 

Roby <3

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Capitolo 18
*** And if You die, I wanna die with You. ***


Just a little woman.

 

 

 

 

 

And if You die, I wanna die with you.

 

 

 

 

 

 

 

Non sentivo né vedevo mia madre da una settimana.
Troppo orgogliosa per farsi sentire ed io troppo ferita per farlo. Dicono che, in qualsiasi tipo di rapporto, l’orgoglio dev’essere buttato via, lei non lo aveva fatto. Ero arrabbiata con lei, perché per quando potesse essere spaventata quella era la mia vita ed io avevo   scelto di viverla in quel modo. Amavo Edward e avrei fatto qualsiasi cosa per lui. Ero seduta sul piccolo tavolo della cucina, e, solo dopo le mie piccole riflessioni mi resi conto che il mio caffè era diventato uno schifo. Lo gettai sul lavandino e mi passai una mano sul viso. Edward era andato a fare la spesa mentre dormivo, era il suo modo per “scappare” a certi tipi di pensieri.
Un passo alla volta e ce l’avremmo fatta, quella volta ero fiduciosa. Cominciai a pulire casa e cercai di pensare a tutto meno che a quello. Quando aprii l’armadio di Edward, per sistemare i panni stirati, intravidi un sacchettino familiare. La curiosità è donna; perciò lo afferrai e lo aprii.
Certo che era familiare.
Era quel sacchettino, quello che avevo visto qualche mese fa quando andammo a fare compere prenatali. Una cosa che non mi era familiare però, era una busta azzurra, l’aprii e vidi che c’erano parecchi fogli piegati, li aprii e cominciai a leggere:

 

Ciao Ted,

Quando ero piccolino, osservavo spesso mio padre perdendomi a pensare a lui molto spesso nell’arco delle giornate. All’età di undici anni mi dissi: “Anch’io voglio diventare padre” tu…stavi per rendere quel sogno realtà. Forse, in qualche altra vita precedente ho fatto qualcosa di sbagliato per meritare la tua perdita.

Le piccole lettere, in tutto, erano tre.

 

Caro piccolino,
Forse, scriverti è un’assurdità ma, se ti dicessi che farlo mi fa stare bene mi crederesti? Non vedo la mamma da un mese ormai e mi sento morire giorno dopo giorno. A quest’ora avresti dovuto essere tra le nostre braccia, piccolo e indifeso. Oggi ero andato a fare una passeggiata, c’era un papà con una bimba sulla bicicletta…nella mia mente ci avevo visti insieme in quel modo tante…infinite volte.

Sul terzo foglio c’era una sola riga.

 

Soffro la tua assenza più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Scoppiai a piangere, nonostante fossi del tutto consapevole dell’amore che Edward provava nei confronti del nostro piccolo Ted. La sua mano - non c’era bisogno di pensarci su per riconoscere il suo tocco anche con un solo sfioramento – si adagiò delicatamente sulla mia spalla e sentii il sapore amaro delle sue lacrime fondersi con le mie. Distruzione; quella era la parola giusta. Passammo il resto del pomeriggio abbracciati sul divano a guardare la tv, era triste e, per più di una volta pensai di chiedergli se gli andasse di andare a fare un giro, ma non appena lo guardavo in faccia, mentre lui distratto cercava invano di pensare al programma televisivo che stavano dando in quel momento, mi tiravo indietro. Era troppo chiederglielo…chiedercelo. Suonò il campanello e, con le gambe addormentate andai ad aprire.
«Ciao!» Urlò Alice entrando come un ciclone. Edward mi guardava esattamente come io guardavo Alice; interrogativa. Dietro di lei, timido e impacciato, c’era un ragazzo biondino, alto e magro.
«Lui è Jasper» ci disse lei, dando la spinta ad entrare a quel povero ragazzo. Facemmo le presentazioni e, solo dopo che Edward e Jasper cominciarono a parlare, Alice mi disse che stavano insieme da circa due mesi.
«Come ti sembra?» Mi chiese imbarazzata, cosa che mi stupì molto…lei e l’imbarazzo non andavano completamente di pari passo.
«Spaventato?» Azzardai per sdrammatizzare, scoppiò a ridere e mi abbracciò forte.
«Ti voglio bene, Bella». Una lacrima lasciò il mio occhio e, non seppi mai dire se fu per la rivelazione di Alice oppure per la tensione che aleggiava costantemente sulla mia testa.
«Te ne voglio anch’io» non ero stata io a parlare, era stato il mio cuore che d’istinto provò un affetto inspiegabile per quel folletto che inizialmente era una perfetta nana malefica. Sentendo il calore dell’abbraccio di Alice e quell’odore indefinibile da “amica”, pensai ad Hayley e Melanie, mi mancavano tantissimo, nonostante ci sentissimo telefonicamente più volte al dì…feci un respiro profondo e mi promisi di dare ad entrambe appuntamento per un caffè l’indomani.

«Edward non vuole venire» affermò avvilita Alice.
«Cosa? Dove?» Chiesi totalmente in confusione.
«Gli avevo chiesto di andare fuori a mangiare, ha detto di no». Ero consapevole che, per sua sorella, non fosse facile vedere il proprio fratello in quelle condizioni, non biasimavo Alice per quella richiesta, anzi sentii dentro di me che incoraggiarla sarebbe stata la cosa migliore.
«Vado a chiederglielo io».

«Bella, senti mi dispiace…sono stata una stupida a chiedere…è solo che-»
«Alice. Non sei una stupida, anzi, sono sicura che tu l’abbia fatto per farci stare meglio. Andrò a parlarci…se dirà di no pensi che Jasper potrebbe offendersi?» Chiesi pensando al ragazzo di Alice.
«No, lui sa tutto». Annuii e, non trovando Edward dove l’avevo lasciato – sul divano - andai in camera da letto. Era seduto sul letto con le gambe incrociate e con le dita che si torturavano tra loro.

«Amore».
«Ehi» sussurrò sorridendomi teneramente.
«Alice…mi ha detto che lei hai detto di no».
«Tu vuoi andarci?»
Volevo andarci? Non lo sapevo. Volevo solo vederlo felice e, volevo fare contenta Alice, per farle vedere quanto in realtà il fratello era migliorato.
«Perché le hai detto di no?»

«Non me la sento. Non ce la faccio, è come se uscire…» non finì la frase, abbassò solo la testa per non farmi vedere una piccola lacrima che lentamente solcava il suo viso.
«È come se uscendo facessimo un torto a lui…non devi pensare questo, devi solo cercare di pensare a lui in modo felice. Non c'è più Edward, non può sgridarti perché anziché pensare a lui tutto il tempo sei andato a mangiare una pizza con tua sorella, non può essere deluso da te! Era solo un bambino…» ormai le lacrime scendevano a dirotto sulle mie labbra, volevo fare un discorso rincuorante, il problema era che io non ero tranquilla e, di rimando non potevo tranquillizzare lui.
«Non puoi dire queste cose, non ci credi nemmeno tu» mormorò abbracciandomi.

«Ci credo, non per adesso…per il nostro futuro».
«Ogni giorno mi sento morire».
«Non puoi morire. Non puoi abbandonarmi».

«Cosa farei senza di te?» Mi chiese increspando le labbra.
«Io non potrei mai farcela senza di te. Non esiste il mondo senza di te. E se tu muori io morirò con te» affermai rendendomi immediatamente conto che quella era una grande verità. Erano mesi che mi sentivo il fantasma di me stessa, eppure, ero ancora lì a combattere per noi, ma senza di lui non avrei mai potuto sopportare tutto quello. Senza i suoi occhi ero persa, con avrei superato ogni tipo di limite possibile.

Alla fine, restammo a casa e ordinammo quattro pizze, era già un grandissimo passo avanti. Quella sera ritrovai un pezzetto del mio Edward…lui aveva riso ed io avevo ricordato come far battere il mio cuore.

 

«Mamma…» sussurrai entrando in cucina. Avevo bisogno di vederla e, soprattutto di vedere se avesse cambiato idea.
«Bella!» esclamò, scoppiando a piangere. Mi corse incontro e mi abbracciò come se non ci vedessimo da mesi. Annaspai e sorrisi sentendo quel dolce e familiare profumo di mamma. Non c’era modo per descriverlo, era quell’odore che ti rassicurava in silenzio, quello che non appena lo sentivi nell’aria eri consapevole di essere al sicuro. Ci sedemmo sul tavolo della cucina e mi passò il cartone del succo di frutta, al mirtillo, il mio preferito.
«Mamma…» non feci in tempo a formulare una qualsiasi frase che mi interruppe.
«Fai parlare me, ti prego. Devo chiederti scusa…ho sbagliato e…sono stata una stupida. In questi giorni non ti ho chiamata perché avevo paura che fossi talmente arrabbiata da non rispondermi…perdonami tesoro, ti prego» disse prendendomi le mani tra le sue.
«Se non ti avessi perdonata adesso non sarei qui. È solo che…io lo amo, non posso fare a meno di lui…»
«E lui non può fare a meno di te. Lo so adesso e lo sapevo anche prima. Sono stata davvero troppo stupida». Mi guardò negli occhi e vidi tutto quello che desideravo vedere dallo sguardo di mia madre. Lei e la sua totale sincerità mi appoggiavano, non mi sentivo di rimproverarle qualcosa, era una mamma e, soprattutto, anche lei era umana.
«E ti trovo migliorata…dico davvero» sussurrò sorridendomi dolce. Annuii e l’abbracciai così forte che il respiro mancò ad entrambe.
Verso metà pomeriggio, mentre io e mia mamma eravamo uscite a fare compere sentii il suono del mio cellulare.
«Pronto?»

 

«Io e Sarah avremo bisogno di parlarti…non pensare male di noi…»
non capivo niente, Billy Black parlava in continuazione ma io guardavo solo il viso di mia madre, stavo avvertendo i sensi che stavano vendendo a mancare, chiusi gli occhi e mi imposi di calmarmi. Mia madre mi guardava terrorizzata e le feci cenno di star tranquilla.
«Domani alle sei di pomeriggio può andarti bene?»
«Sì» riuscii a rispondere, «a casa mia, ci vediamo al parco centrale di Pankow» chiusi la chiamata senza proferire altre parole e feci un respiro profondo.
«Era Billy» sussurrò mia madre. Io la guardai per dar conferma alla sua affermazione e mi soffermai a pensare a quello che sarebbe potuto accadere il giorno dopo. Volevo incontrarli dopotutto, avevo una gran voglia di sfogare la mia rabbia repressa con loro…quelli che avevano messo al mondo una bestia senza anima, una persona inutile, l’artefice della mia distruzione. Forse, altri, avrebbero detto di no, io invece volevo affrontarli, ero curiosa di vedere cosa avevano da dirmi. Diventai rossa di rabbia e se solo avessi potuto averli davanti in quel momento li avrei menati fino a fargli perdere i sensi…invece ero in centro, con mia madre e dovevo darmi assolutamente un contegno.
«Hai fatto bene e non negargli l’incontro. Adesso andiamo tesoro» sussurrò prendendomi per mano.

 

Non appena stavo per infilare la chiave nella toppa la porta di casa si aprii. C’era Edward che mi sorrideva, ricambiai e rimasi sorpresa – tant’è che gettai un urlo – quando mi prese in braccio e mi buttò sul divano. Non mi dette nemmeno il tempo di parlare che si avventò sulle mie labbra, voglioso e famelico…come non lo era da tempo. Sbottonò la mia camicetta in un colpo solo, facendo saltare tutti i bottoni, scoppiai a ridere e lui si soffermò a guardarmi negli occhi.
«Sei bellissima…ed io ti amo tantissimo».
«Anch’io ti amo» mormorai baciandogli la punta del naso.
«Fa’ l’amore con me». Sentivo il suo membro eccitato sulla coscia, i suoi occhi mi scrutavano con immensa passione, avvicinai le nostre labbra e lo baciai sperando che durasse per sempre.
Lo amavo e lo desideravo con tutta me stessa. Saremmo tornati ad essere felici…era una promessa.

 

 

 

 

 

 

Sì lo so cwc sono una merda fatta e finita.
HO UNA NOVITA’ PERO’!
Il mio tempo è stato rubato da un’iniziativa che ho preso; sto aprendo un negozietto tutto mio e, credetemi, ci sono un sacco di cose da fare, soprattutto farlo di sana pianta…Sabato ci sarà l’inaugurazione e, immaginate quanto sia io in alto mare xD

Stamattina la bolla di ispirazione che mi aleggiava in testa da settimane è scoppiata…quindi ho spento gli impegni e ho scritto a manetta. Anzi, perdonate gli errori ma davvero, sto scappando.

Spero davvero di non avervi deluse.

Un bacione,

 

Roby <3

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Take Your Hand and walk away, ***


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Just a little woman.







Take Your hand and walk away.













































Ho paura”, continuavo a ripetermi. Non amavo mentire a me stessa e, per occupare almeno un pochino la mia mente, ripetevo tra me quel terribile mantra. Avevo paura, terrore, di farmi schiacciare da quel peso che in quegli ultimi mesi stava diventando man mano più leggero. Avevo paura di non poter sopportare quello che i genitori di Jacob stavano venendo a dirmi. Non sopportavo l’idea di rivederli…eppure il giorno prima, come una stupida, avevo accettato. Ero sempre stata una ragazza speranzosa, di quelle che credevano alle possibilità…in quel caso ne avevo regalata una alla famiglia del nemico. Lui era morto, lavandosi le mani di tutto quello che aveva causato. Mi era dispiaciuto saperlo, avrei preferito pensarlo in galera a morire col senso di colpa che gli avrebbe schiacciato lo stomaco per poi ingoiare il suo cuore proprio lì, dove meritava stare; nel confine più profondo delle tenebre. Odiavo essere cattiva…ma, gli avvenimenti, mi avevano portata ad esserlo spesso nell’ultimo periodo. Quando dissi a Edward della telefonata dei Black e della mia risposta positiva ad un confronto, lui rimase impassibile. Mi aspettavo che si arrabbiasse e, ammisi a me stessa, che nel momento in cui accettai non avevo pensato ad una possibile reazione di Edward: mi disse che lui avrebbe fatto lo stesso e che, forse, quest'incontro ci avrebbe fatti vivere serenamente. Lui mi capiva, aveva guardato i miei occhi ed era entrato dentro di me con forza pura. Lo amavo, ogni giorno sempre di più, era quello per il quale valeva lottare, ogni singolo istante. Il campanello suonò ed io feci uno scatto fulmineo ritrovandomi in piedi davanti al divano. Edward, da perfetto padrone di casa, aprii la porta facendoli accomodare nella stanza in cui mi trovavo anch'io; il salotto.
"Bella...", un sussurro flebile quello di Sarah, preceduto da un pianto quasi isterico. Credetti di sembrare un fantasma. Billy, non appena mi squadrò da capo a piedi, strabuzzò gli occhi e si sedette quasi come se stesse per cadere. Io fissai Edward, almeno lui era rimasto tale a cinque secondi prima.
"Ciao", gracchiai tra l'imbarazzo e la confusione.
"Da quando non mangi?" Mi chiese la moglie. Feci spallucce e mi accomodai di fronte a loro. La mia pelle si ricoprii di brividi non appena realizzai che i genitori dell'abominio erano proprio lì, nel mio territorio, quello che fino a poche ore prima era il mio paradiso e il mio più prezioso rifugio. Rimasero in silenzio per minuti interminabili mentre io guardavo Edward e mi torturavo le dita per l'attesa pressante. Non capivo perché se ne stavano zitti. Erano venuti per parlarmi, di cosa non ne avevo idea, eppure stavano lì, appollaiati sul divano come se stessimo aspettando il té. Mi schiarii la voce e, finalmente, attirai la loro attenzione, Edward, dal suo canto stava per scoppiare a ridere. Quasi sorridevo anch'io, mi bastava vedere un piccolo, accennato sorriso sulle sue labbra per trovare quello spiffero di felicità di cui avevo tanto bisogno.
"Siamo venuti per farti presente del rammarico in cui ci troviamo. Sai bene che per noi sei stata sempre come una figlia e, io stesso, alle volte mi chiedevo come facessi a trovare qualcosa di bello in mio figlio. Sapevo che prima o poi mi avrebbe fatto versare lacrime di sangue, eppure, non credevo che lo avesse fatto anche con te. Un mi dispiace sarebbe troppo fatto e banale. Siamo distrutti, Bella. E non riusciamo a capacitarci di quello che è successo. Non sapevamo nemmeno che tu aspettassi quel bambino...", non appena Billy Black nominò mio figlio cominciai ad urlare. Presa da una rabbia incontrollata finii per terra.

Di quel pomeriggio, ricordo poco; grosse ciocche dei miei capelli giacevano sul pavimento di marmo, strappati via dalle mie mani. Le mie dita sanguinavano e gli occhi di Edward imploravano pietà.







Aprii gli occhi e la luce fioca dell'abat-jour me li fece strizzare per un paio di volte. Piansi silenziosamente, ero troppo confusa. Mi sentivo la testa vuota e, allo stesso tempo ero consapevole di avere un macigno grosso quanto una casa sopra la testa. Con la coda dell'occhio osservai Edward, mi guardava fisso aspettando una qualsiasi mia reazione, pronto nel caso avessi perso ancora una volta le staffe. Mi passai una mano sulla fronte sudata e cominciai a guardarlo anch'io.
"Perdonami", mormorò. Aggrottai le sopracciglia e lo guardai confusa.
"Non avrei dovuto permetterti di incontrarli".
Scossi la testa e le lacrime scesero per l'ennesima volta.
"E' stata colpa mia!" Esclamai stringendo le lenzuola tra le mani. Presi la mia testa a pugni ignorando le braccia di Edward, mi sentivo indemoniata, presa da una forza che sapevo non mi apparteneva. Mi addormentai solo quando stremata non avevo più lacrime da versare né forza per parlare.







Non riuscii mai a darmi una spiegazione razionale per quello che accadde lo stesso pomeriggio. Di certo, Billy Black e signora, non erano stati i soli ad aver nominato mio figlio; mia madre, Alice, le mie amiche, e tanti altri, quasi ogni giorno nominavano il mio piccolo, eppure, il nome di mio figlio sulla bocca dei Black mi fece andare il cervello in panne. Chiusi gli occhi e mi feci cullare dal respiro di Edward che, dolcemente, accarezzava la mia pelle e la mia mente. Era lui la soluzione a tutto. Lui era l'antidoto. Avendo la consapevolezza che, nonostante tutto, lui fosse rimasto al mio fianco potevo ammettere a me stessa che in un modo o in un altro la mia era vita.
'Per sempre', mi dicevo. Per sempre era solo il termine con la quale davo il nome al mio futuro con Edward ma, 'per sempre' non rendeva chiaro quello che era il mio concetto. 'Per sempre' era solo una frase, Edward ed io eravamo molto di più.
"Ti amo", sussurrai con gli occhi chiusi.
"Sempre" mormorò, accarezzandomi la fronte con le sue labbra calde e profumate. Mi accoccolai di più al suo petto e ricaddi tra le braccia di morfeo.
Scesi dal letto e, a piedi nudi, mi diressi in cucina. Sentivo delle voci familiari e, dato che, al mattino, appena sveglia, avevo bisogno di minimo mezz'ora per realizzare tutto ciò che mi accadeva attorno, non capii immediatamente chi era venuto a farci visita. Appoggiai il mio corpo sul telaio della porta della cucina e diedi una sbirciatina, il cuore poteva seriamente uscirmi dal petto; vidi Edward, rideva come non faceva da quelli che mi erano sembrati mille anni.
Le persone erano due. Esme e mia madre.
Mi sedetti sul divano e appoggiai il capo sul cuscino dello schienale, volevo avere la mente lucida e, sopratutto, non sembrare una specie di elefante goffo di fronte mia mamma e Esme. Volevo fare una bella impressione, meritavano di vedermi stare meglio dopotutto. Da lì riuscivo a sentirli chiaramente.
"E tu, Edward? Come ti senti?” Era stata mia madre a parlare. Strinsi gli occhi in due fessure, non volevo che mi si sbattesse, per l’ennesima volta, in faccia la realtà; odiavo sentir tintinnare e sospirare Edward ad ogni ‘come stai?’

Bene. Insomma, ce la caviamo”, la sua voce era stranamente limpida...e, osai pensare, solare. Diedi una sbirciata al piccolo orologio a pendolo e notai con orrore che era mezzogiorno, avevo dormito per un giorno intero.
Bella ha bisogno di me. Mi rendo conto che, negli ultimi mesi non le sono stato molto d’aiuto...”, si fermò con un sospiro per poi riprendere con vigore. “Fino ad oggi è sempre stata lei a tenermi su, non pensando a tutto il male che si faceva, che io le facevo. Lo ha sempre fatto...sono riuscito ad accettare che per quanto potremmo dire o fare, niente e nessuno ci riporterà indietro nel tempo, niente potrà evitare tutto quello che è successo. Devo pensare a lei, potrei davvero dedicare tutta la mia vita per riuscire a vederla sorridere ancora. Mi manca, lei, il suo sorriso e tutto quello che era quando l’ho conosciuta. Non so se ormai è tardi per farla tornare com’era prima, ma ci proverò, non è mai troppo tardi...”. Scoppiai a piangere, non solo per le bellissime parole che aveva appena sussurrato ma anche per quella nota profonda nella sua voce; il senso di colpa. Scossi meccanicamente la testa e le lacrime bagnarono il tessuto impeccabile del divano. Mi alzai promettendomi di sorridere non appena avessi varcato la soglia della cucina. Sigillai in un cassetto l’episodio del giorno prima e sospirai. Aveva ragione Edward, nessuna cosa ci avrebbe portati indietro nel tempo. Lo avevamo sempre saputo, era anche arrivato il momento di accettarlo.
Bella!” Esclamò Esme correndo ad abbracciarmi. Chiusi la bocca maledicendomi per non aver lavato i denti e la strinsi forte. Esme era fantastica, il suo sorriso era sempre stato contagioso, ero sempre stata convinta che avesse trasmesso lo stesso dono a Edward. Con gli occhi cercai il figlio e lo guardai dritto negli occhi; vidi la ragione per la quale dovevo assolutamente lottare, anche con i denti se si fosse presentato necessario. La ragione di voler lottare per davvero e per essere felice con lui ancora una volta, sperando in una felicità permanente.
Non avremmo mai dimenticato il nostro piccolo Ted, era impossibile. Avremmo però deciso di continuare a vivere sempre e per sempre, insieme. Immaginai la sua mano, tesa verso di me e la sua voce sussurrarmi: “Prendi la mia mano, vieni con me, andiamo via da tutto questo dolore”.

Amami’, urlavano i suoi occhi di smeraldo. Mi morsi il labbro superiore, accorgendomi di essere rimasta immobile per minuti interi. Salutai mia madre e le sorrisi.
Non sai che rivelazione tesoro!” Esclamò mia madre puntando il dito verso Esme. La guardai aggrottando le sopracciglia, inizialmente, qualche secondo dopo, però, mi ricordai di una vecchia conversazione con Edward, quasi non le scoppiai a ridere in faccia...forse non lo feci solamente perché il senso di nostalgia aveva preso irrimediabilmente il sopravvento.
Io e Esme ci conoscevamo già...”, persi la voce di mia madre via via che continuava a parlare. Guardai Edward e non appena scovai l’imbarazzo nel suo viso e nel suo modo di grattarsi la nuca, una cosa che, tra l’altro, trovavo adorabile, scoppiai a ridere. Ripensai a quella sera, credendo che potesse far male invece, continuavo a tenermi lo stomaco per le risa. Edward aveva avuto una piccola cotta per mia madre, quando sua madre era stata ammalata e si era recata dalla mia per farsi curare. Quella sera faceva parte del mio periodo felice, eppure, ripensandoci riuscivo solamente a rallegrarmi...mi sentii strana, forse era stato il tono e le parole di Edward di poco prima a farmi ridestare.
Le nostre madri restarono per pranzo. Mi sembrava incredibile da pensare, eppure, Edward era diventato per davvero un’altra persona e il tutto in meno di quarantotto ore, ci avevo impiegato mesi e mesi senza risultati, non appena fossimo stati da soli avrebbe dovuto svelarmi il trucco. Sospirai di sollievo e capii il motivo per il quale, ancora, non ero riuscita ad alzarmi del tutto; io ero quella più forte tra i due. Avevo cercato di far alzare lui con tutta la forza che potevo possedere, ma la mia forza non era andata persa del tutto, non almeno come credevo che fosse. Edward aveva preso la mia energia, l’aveva piegata al suo volere per poi scaraventarla come un fulmine su di me. Avevo dato a lui la spinta giusta e, inconsapevolmente, l’avevo data anche a me stessa. Si era alzato e con delicatezza aveva preso la mia mano e mi aveva portata con sé. Ci completavamo a vicenda, qualsiasi gesto potessimo fare per l’altro aiutava entrambi, non era questo forse essere seriamente l’una per l’altro? Sorrisi a quella mia potente rivelazione e corsi ad abbracciarlo.

Soli...”, sussurrò sulle mie labbra, trasmettendomi tutto il suo calore.
Finalmente”, mormorai con una punta di malizia. Non feci nemmeno in tempo a chiedergli cosa volesse farmi che fui catapultata sul nostro letto. Lo spogliai con foga, immaginando già il culmine del mio piacere datomi solo da lui, dall’unico. Guardai il suo petto nudo e mi dissi che ogni pensiero formulato dalla mia mente non era mai abbastanza. La sua presenza mi annientava, mi metteva in ginocchio per poi portarmi all’apice del piacere, dell’amore, della fedeltà e della consapevolezza che solo lui avrebbe potuto farmi cose di quel genere. Scompigliai i suoi capelli e sorrisi ai suoi occhi, quella sera ancora più splendidi. Ero dolce e lui lo era altrettanto, almeno fin quando non mi ritrovai con il seno tra le sue labbra e le sue dita che scavavano con foga dentro di me. Mi penetrava forte per poi uscire piano muovendo le dita in modo circolare. Il piacere fu così immenso che quasi non mi misi a piangere.
Non sentivo, non volevo, non pretendevo niente...niente che non fosse Edward. Mi sentivo una molla, chiusi gli occhi e accolsi l’ondata di piacere, cercai di godermela, ma, non appena sentii le sua braccia sotto le mie cosce capii che il meglio non era ancora arrivato. Con un unico, potente e crudo colpo di reni il suo membro si schiantò dentro di me. Potevo sentire le canzoni di natale...o forse il mio cervello si era fritto come i miei ormoni ormai in palla. Accarezzavo ogni lembo della sua pelle, restando sorpresa ad ogni tocco, era morbido, caldo, fresco e di marmo allo stesso tempo. Eravamo il sole e la luna, qualcosa di fantastico come un’eclissi. Nonostante il piacere mi stesse portando al limite della ragione mi ricordai una vecchia lezione di scienze; il sole e la luna non possono incontrarsi troppo spesso. Dicevano che il sole e la luna sono troppo diversi, io avevo trovato un eccezione alla regola. Noi eravamo perfetti. Venni violentemente trasportandomi l’orgasmo di Edward, avevo preso anche quello. Avevo pensato al senso di sottomissione che mi prendeva negli amplessi con Edward. Soltanto il quel momento, capendo più a fondo quello che eravamo, non solo partecipando ma anche guardandolo mi resi conto che ci dominavamo e sottomettevamo a vicenda. Pensai a tutto quello che mi ero persa negli ultimi mesi a quelle sensazioni che, sì, puoi provare ogni volta ma nonostante possano essere le stesse la volta dopo sono sempre più intense, fortificate, indimenticabili. Lo abbracciai stretto e mi addormentai senza neanche volerlo. Un secondo prima di cadere nel sonno però, ebbi paura che non appena mi fossi svegliata tutto sarebbe divenuto solo un sogno.



I capelli appiccicati alla fronte furono la causa del mio risveglio. Era notte fonda e, nonostante fossi ancora nuda e dalla finestra filtrasse un venticello niente male, ero tutta sudata. Toccai l’altro lato del letto e mi accorsi che ero da sola. Mi alzai di scatto e spaventata rammentai l’ultima volta che era successa la medesima cosa. Cercai di scacciare quel prepotente senso di Dejavù e mi alzai, non mi curai nemmeno di cercare le ciabatte.

Mi resi conto però, avviandomi in sala, che il solo motivo per il quale non era a letto era perché non voleva svegliarmi col rumore che poteva causare lo riempire due valigie. Una era già colma, la mia, piena zeppa di bikini e vestitini estivi, la sua era vuota solo per metà. Se il caldo non fosse stato così asfissiante il mattino seguente lo avrei trovato nel letto con le valigie già pronte. Ancora nuda mi avvicinai a lui in punta di piedi, baciai il suo naso e lo guardi confusa.

Perché?” Domandai alludendo alle valigie.

Bella, vuoi essere felice con me?”

Farei di tutto per essere felice con te, lo sai...”, mormorai sicura con non mai delle parole che avevano appena lasciato le mie labbra.

Chiedimelo allora”, sussurrò guardandomi intensamente negli occhi. Capii immediatamente cosa voleva sentirsi dire che, allo stesso tempo, era quello che io stessa volevo dirgli. Presi la sua mano tra le mie e con le labbra accarezzai la base del suo collo, inspirai forte il suo profumo da uomo e lo guardi negli occhi.

Prenderò la tua mano e, andremo via. Andremo via da tutto questo dolore. Ti amo, Edward...non hai idea di quanto ti amo”.

Ti sbagli. So benissimo quello che intendi”. Mi prese in braccio e ridendo facemmo ancora l’amore.
Dovevamo partire per una vacanza e non sapevo dove saremmo andati, sapevo solamente che sarebbe stato importante, come ogni avvenimento della nostra storia.










Purtroppo eccomi qui a dirvi che sì, sono viva. Oltre al negozio che, mi tiene impegnata tutti i giorni e il periodo di merda non ho altre scusanti.

Mi è mancata questa storia e già non vedo l’ora di mettere il prossimo capitolo. La mia mente è stata così tanto occupata che non c’era lo spazio per pensare a questi due poveri cristi. Mi sono sentita in colpa, lo ammetto e NON LO DICO PER DIRE! Ma cercherò di non ritardare, ci metterò tutta me stessa, anche perché ho una storia sospesa che è come una spada di Damocle sopra la testa.

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Ora vado.

Come sempre spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che sarete in tante a non essere deluse!
Fatemi sapere :3


Con affetto e chiedendo perdono.

Roby <3

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