I don't speak American.

di Star_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scintilla ***
Capitolo 2: *** Il Fuoco Brucia ***
Capitolo 3: *** L'Arte del Diavolo ***
Capitolo 4: *** Dubbi ***
Capitolo 5: *** Avvicinamento ***
Capitolo 6: *** Comprensione ***
Capitolo 7: *** Confusione ***
Capitolo 8: *** Collisione ***
Capitolo 9: *** Controvento ***
Capitolo 10: *** Insicurezze ***



Capitolo 1
*** Scintilla ***





I don't speak American.

 

 

Capitolo 1 ~ Scintilla







Uno, due, tre, passo, tiro e canestro! Yes, siamo pari! Mancano solo quindici secondi alla fine della partita. Posso farcela, anzi, possiamo farcela! Ci siamo impegnate tanto per arrivare fin qui, dobbiamo vincere. Ho messo tutta me stessa in questa partita. Bene, Eri è riuscita a prendere la palla, adesso il contrattacco!

«Passa quella palla Eri!» Le grido io. Anche se sono marcata posso prendere la palla, sono molto più veloce del mio difensore. Eri lancia una palla molto lunga. Salto per prenderla. Mancano solo cinque secondi. Non posso tirare sotto canestro, non c’è tempo. L’unica soluzione è fare un tiro da tre punti. Mal che vada non ci sarà tempo per un rimbalzo. Io tento lo stesso.

«Non tirare da tre Aya!» Ma perché hanno sempre da ridire su ogni cosa che faccio?!

Non mi interessano le loro opinioni, io tiro lo stesso. La palla che ho tirato fa un percorso molto veloce. Le nostre avversarie cercano di deviare la palla ma non ci riescono. Chiudo gli occhi, non posso guardare.

Sento solamente le urla delle persone. Apro gli occhi e guardo il tabellone: 68-70 per lo Shoyo! Abbiamo vintooooo! Ce l’ho fatta! Sono riuscita a portare la mia squadra alla vittoria! Oddio, non ci credo!

«Ayaaaaaaaaaaa! Sei una grande!» Myo è corsa subito ad abbracciarmi. Non riesco a rendermi conto di quello che sta succedendo. Le mie compagne di squadra mi abbracciano ma io… beh, ho sempre odiato gli abbracci così.

Distolgo lo sguardo da loro e guardo la panchina. Papà è lì. Gli sorrido, mentre corro verso di lui.

«Hai visto papà? Ho portato la nostra squadra alla vittoria!» Lo abbraccio forte.

«Sì, tesoro mio… sei stata eccezionale! Sono fiero di te!» Le sue parole mi fanno commuovere. Io… io ho dato la vita per questa partita.

«Anch’io sono fiero di te, Aya!» Mi giro dall’altra parte e vedo Jin.

«Jin! Sei venuto a vedermi! Che bello!» Lo stingo forte. Anche lui lo fa, facendomi alzare di qualche centimetro dal suolo.

«E come potevo perdermi una tua partita?»

Jin è il mio migliore amico. Siamo stati migliori amici per tutta l’infanzia, le medie, fino ad arrivare alle superiori. Lui è l’unico amico che ho. Con lui ho passato la maggior parte delle mie giornate. Sa tutto di me e io so tutto di lui.

A proposito, non mi sono ancora presentata. Il mio nome è Ayame Kazawa, ho diciassette anni e frequento il quarto anno al liceo Shoyo. Come ho già detto, ho solo un amico. Non sono una ragazza tanto socievole, anzi, faccio fatica a trovarmi degli amici. Infatti, non parlo molto con i miei compagni di classe e di squadra. Per la maggior parte conosco ragazzi perché, sì, lo ammetto, sono un maschiaccio. E molto anche. Odio portare le gonne, le porto solo a scuola perché le divise sono fatte così. Odio truccarmi e sistemarmi i capelli. I miei capelli sono sempre legati alla buona o sciolti.

L’unica cosa che amo è il basket! Sì, questo sport è la cosa a cui tengo di più dopo i miei genitori e Jin. Ho iniziato a giocare a basket quando avevo sei anni. Papà ha voluto che seguissi le sue orme, visto che lui era l’allenatore della nazionale. Non per vantarmi, ma sono amica dei giocatori della nazionale, ho assistito a molti loro allenamenti. Mio papà, però, ora non allena più la nazionale. Quindi gli hanno domandato se sarebbe stato disposto ad allenare la squadra femminile del nostro liceo e lui ha accettato. Adesso siamo entrate in finale. Sìììì!

«Aya, vieni a festeggiare con noi!» Mi invita Kyoko.

«Prima vado a chiamare la mamma per dirle che abbiamo vinto.»

Mia mamma abita a Kyoto, si è trasferita lì dopo aver divorziato da mio papà. Io avevo dieci anni quando lo decisero. Lei ha sempre sostenuto che papà mettesse al primo posto il basket e non la famiglia. Secondo me ha ragione, anche se non gliel’ho mai detto. Adesso lei insegna matematica in un liceo di Kyoto.

«Pronto mamma…?» Dopo cinque minuti che il cellulare suona, si è degnata di rispondermi.

«Ciao cara, allora, com’è andata?»

«Beh, sì, ecco… abbiamo vinto, mamma! Io ho dato il canestro della vittoria, ahahah!» Devo sempre vantarmi con lei.

«Non ne avevo dubbi, tesoro! Sono molto contenta e fiera di te, ma tu questo lo sai già.» Il suo tono è così dolce. Vorrei poterla abbracciare.

«Mi manchi, mamma.» Le sussurro queste parole come se avessi paura che qualcuno mi sentisse.

«Oh, anche tu tesoro mio. Adesso però devo andare perché sono alla riunione degli insegnanti. Ti chiamerò stasera. Ti voglio bene, tesoro. Ascolta papà, mi raccomando.»

«Sì, certo! Contaci.»

 

°~°~°~°~°~°~°~°~°


«Svegliaaaaaa! Che fai tardi a scuolaaa!» Odio, la odio! Odio la voce di papà quando mi sveglia alla mattina. Non la sopporto quella voce.

«Papàààààààà! Posso saltare la scuola? Ti prego sono stancaaaa!» Urlo io dalla mia camera. Tanto so già la risposta, ma tentar non nuoce.

«Ma certo che no! Su, dai, vestiti!» Esco dal letto, mi vesto… questa gonna! Prima o poi la brucio. Odio, anche lei odio. Credo che oggi io sia in vena di odiare qualcosa o qualcuno.

Scendo velocissima le scale. Per fortuna c’è il sole fuori.

«Vado, papà.» Prendo la colazione e mi dirigo verso la porta.

«Non dimenticare di venire agli allenamenti, tesoro. Io sarò già in palestra.»

«Certo, non ti preoccupare. Quando mai ho saltato gli allenamenti, io?» Gli sorrido e chiudo la porta. Oggi Jin non è venuto a prendermi. Sarà in ritardo.

Mentre cammino per la strada, incontro alcune mie compagne di classe. Si stanno truccando specchiandosi nelle vetrine dei negozi. Che stupide!

«Ehi, Ayame! Vieni un po’ qua!» Urla Sayuri.

«Che c’è?»

«Vuoi metterti un po’ di matita? Sai, hai proprio una brutta faccia, sei stanca?» Odio pure lei e i suoi trucchi del cavolo. Come se fossero così indispensabili per la vita.

«No, grazie… io non metto quelle cose sugli occhi. E comunque, sì, sono stanca. Ieri ho giocato una partita di basket… ma tu non puoi capire…» Lei infatti non capisce. Oltre che alla moda lei non sa nient’altro. Non capisco perché si ostini a fare la carina con me quando sa che non la sopporto.

«Io ho cose più importanti da fare che andare a giocare a basket! E poi oggi dovrebbe arrivare un nuovo alunno nella nostra scuola. Me l’ha detto mia zia, è la preside. Sai, Ayame, ti conviene sistemarti perché sennò il nuovo ragazzo avrà una brutta impressione di te.»

«E a me cosa importa? Non mi va di conoscerlo. Tanto meno non mi interessa cosa pensa di me.» Con queste parole mi giro e me ne vado. Già sono in ritardo.

Io queste ragazze non le capisco, pensano solo ai maschi e ai trucchi. I maschi non sono nulla di speciale, ve lo posso assicurare, ho passato molto tempo con loro.

Davanti alla scuola si sono radunate un mucchio di ragazze. Ma che cavolo sta succedendo?

«Permesso, fatemi passare… scusateee! Yaoooo!» Una ragazza mi ha appena dato una gomitata in testa.

«Aya, anche tu vuoi vedere il nuovo arrivato? Mamma mia, non sai quant’è carino! Si chiama Ryan, è di origine americana.» Me l’ha chiesto Eri.

«No, Eri! Non m’interessa quel ragazzo… non capisco perché fate tutto questo casino solo per vederlo. Non è mica un VIP.» Capisco se fosse un giocatore dell’NBE, allora anch’io avrei strillato, ma è solamente un ragazzo come tutti gli altri.

«Ehm… scusa, posso passare?» Distolgo lo sguardo da Eri, girandomi verso la persona che mi ha rivolto la parola. È un ragazzo con capelli biondo chiaro e occhi blu cobalto. Sarà il nuovo ragazzo, perché non l’ho mai visto.

«Stai dicendo a me?» Indico me stessa col mio indice.

«Sì, mi stai sbarrando la strada, devo entrare.»

«Che cosa? Ma passa da un’altra parte! Chi ti credi di essere?» Solo perché tutte le ragazze strillano e dicono che sei carino non occorre che tu ti dia tante arie. Odio pure lui! L’ho detto che oggi sono in vena di odiare!

«Che lingua! Non ho mai visto una ragazza antipatica come te.» Il suo tono arrogante mi irrita! Non lo sopporto, sarà uno di quei perfettini figli di papà. Mi ha spinta per passare.

«Comunque, piacere, io sono Ryan.»

Giro la testa dall’altra parte. Non voglio avere niente a che fare con un presuntuoso come lui. L’ho detto che lo odio? Sì, bene, lo ridico, lo odio!





 



NDA: Salve a tutti e grazie per aver letto fin qui! ^^
Vi prego di dare una possibilità a questa storia continuandola, perché vi assicuro che il bello deve ancora venire!
E se vi è piaciuto, perché non lasciare un commentino? ^^
A presto!

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Capitolo 2
*** Il Fuoco Brucia ***





I don't speak American.

 

 

Capitolo 2 ~ Il Fuoco Brucia







Che nervi!

Le lezioni sono snervanti! E’ una noia mortale! Oggi non mi è ancora andato nulla per il verso giusto… prima quell’idiota di Jin non viene a prendermi, poi quell’oca di Sayuri con i suoi trucchi del cavolo e infine quello stramaledetto americano… lo odio! Lo odio!

«Signorina Kazawa, sarebbe così gentile da distogliere lo sguardo dal vuoto e fissarlo sulla lavagna?» Eccola la prof., ci mancava pure lei. E’ risaputo in tutta la classe che la Kazawa non sopporta le equazioni e diciamo più in generale, la matematica.

Insomma, la matematica serve solo a mandarti in fumo il cervello! E pensare che mia mamma insegna matematica al liceo… ho preso tutto da mio padre.

Distolgo lo sguardo dal mio amato vuoto e tento di dare un’occhiata alla lavagna. Ok, missione impossibile! Che cosa cavolo sono quei simboli?! Mi gira la testa come quando mi hanno alzata e portata in giro per la palestra dopo aver segnato il canestro finale alla partita!

Decido di puntare il mio quaderno, bianco ovviamente, quando, all’improvviso, sento la porta dell’aula aprirsi e un sonoro: «Buongiorno.»

La voce, ne sono sicura, è quella della preside, ma quando alzo gli occhi rimango sbigottita.

Lui?

Ditemi che è uno scherzo, sto per lasciarmi tentare da uno dei miei istinti omicidi… mmm… sto già pensando al modo migliore per ucciderlo… veleno? No, troppo diretto. L’ho appena conosciuto, devo elaborare il piano più crudele possibile per la mia vendetta.

Il mio metodo preferito in assoluto è sempre stato il “picchiare”, ma poi mi si vedrebbero i segni sulle mani e qualcuno lo noterebbe subito… essere un’“assassina mentale” è più dura di ciò che sembra…

«Lui è Ryan Thompson, il nuovo studente trasferitosi qui dall’America. Per ora non abbiamo ancora stabilito in che classe sarà per alcuni disguidi, quindi potete sempre sperare di averlo in classe!» Dice la preside, prima di una sonora risata.

Sperare?! Questi volevano proprio che io lo ammazzassi!

Intenta a progettare la sua “morte immaginaria”, (aggiungo purtroppo, solo immaginaria), non mi accorgo che mi sta fissando.

Quando lo noto non posso fare a meno di rimanere paralizzata. Mi fissa insistentemente, come se mi stesse puntando.

Io, da parte mia, gli lancio il mio famoso “sguardo omicida”, così soprannominato dai miei cari e gentili compagni… chissà come mai questi due aggettivi mi sono così difficili da pronunciare…

La mia espressione è di pietra, intenta a combattere il suo sguardo. Io non sono una bambinetta, non mi arrendo mai, e non avrei distolto lo sguardo prima di lui.

La gente ha paura dei miei occhi verdi. Li definiscono di “ghiaccio smeraldo” e io non so se prenderlo per un complimento o no. Diciamo che, più in generale, molti hanno paura di me.

Continua a fissarmi.

Ma che vuole questo?

«Aya?!» Mi chiama Eri.

Io mi giro di scatto verso di lei, forse mi sbaglio, ma credo di averla vista saltare sulla sedia dallo spavento.

«Ehm… ehm… non starai puntando il nuovo ragazzo con il tuo sguardo omicida?» Mi grida addosso.

Io la guardo in silenzio.

«Ma che ti ha fatto, poveretto?» Mi chiede sospirando.

Che mi ha fatto?! Se ne viene qui, in questa scuola e pretende che tutti scattino ad un suo schiocco di dita. Io la gente così non la sopporto! E’ il classico snob! Ma chi si crede, un dio?!

Le parole, fortunatamente, (non volevo beccarmi una nota proprio dalla preside), sono rimaste chiuse nella mia mente e adesso scalciano e si dibattono per uscire, con la conclusione che ho un gran mal di testa!

Che nervi!

Mi giro verso l’americano, (del nome me ne frego altamente) e solo adesso mi rendo conto che girandomi verso Eri, ho distolto lo sguardo dall’americano.

Non so cosa mi trattenga dallo sbattere la testa contro il banco.

Un: «A presto.» e un: «Arrivederci.» mi risvegliano. L’americano se ne sta andando con la preside. Chissà, ora gli farà il tour promozionale della scuola e ovviamente, perché lui è un principe, durante il tragitto sorseggeranno una tazza fumante di tè con tre cucchiaini di zucchero e i biscotti e la marmellata e ci manca solo lo champagne e la poltrona con elettromassag-.

«Aya! Aya! Aya! Calma, respiro profondo, inspira, espira…» Ecco, questo è Jin, lui sa sempre quando ho una crisi di nervi e interviene sempre per cercare di calmarmi. Io gli ho detto che in quei momenti non rispondo delle mie azioni e che quindi se dovesse succedergli qualcosa è tutto a suo rischio e pericolo.

Ora che ci penso, Jin è proprio un amico fantastico.

«Dai, racconta! Hai usato la nitroglicerina, come l’ultima volta, o hai preferito andare per il sottile con lui?» Mi chiede Jin, non mi sorprende che abbia già capito il mio obbiettivo.

«Ah! Una maestra del male come me non usa mai la stessa tecnica di fila!» Gli dico, offesa. «Questa volta voglio proprio divertirmi! Infondo era da tanto tempo che non uccidevo qualcuno… stavolta ci divertiremo!» Jin può confermarvi che ho gli occhi infuocati.

«Quanto amo il mio genio maligno! Muahahahahah!» E qui parto con la mia risata folle.

«Già, sei la Regina del Male!» Mi dice Jin ridendo.

«Adula la tua padrona, schiavo!» Grido e rido ancora più forte. Ecco, ho ufficialmente oltrepassato il limite nuovamente. Ricordatevi di non adularmi troppo, diciamo che… ho molti effetti collaterali.

Con la coda dell’occhio, scorgo la ragazza del banco dietro di me che mi fissa, pallida. Mi volto verso di lei e… cavolo, non ho mai visto un bianco così intenso!

«Aya, sveglia! Sei ancora in questo mondo, il Diavolo non è ancora venuto a chiederti consiglio!» Mi richiama al mondo terreno Jin.

L’aura oscura intorno a me svanisce in un istante.

«Ah, davvero?» Gli chiedo sbalordita, che peccato! «Grazie Jin.» Finalmente mi risiedo al mio posto.

Ok, ora sarete allibiti, per non dire sconvolti! Sì, lo ammetto, la presentazione di prima non bastava a descrivermi… ora starete pensando che sono una povera pazza da ricoverare al manicomio, ma invece eccomi qui a scuola, a vivere una normale vita sociale (normale, se così si può definire…), e oggi ho trovato il mio prossimo obbiettivo! Muahahahahahah!

Fisso dritto davanti a me, verso la porta da cui è uscito l’americano e le parole mi escono dalle labbra come non mai.

«Aspetta, americano… la vendetta della grande Ayame Kazawa si abbatterà su di te! Muahahahahah!»

E così riuscì a battere il mio record, facendo sbiancare l’intera classe con una sola frase, a parte ovviamente Jin, che rideva come un matto.

Non potevo sapere che fuori dall’aula, quell’odioso americano sorrideva.

«Che tipo… quella ragazza. È davvero diversa dalle altre.» Poi tornò ad ascoltare le chiacchiere della preside, che non aveva seguito perché impegnato a pensare ad una certa ragazza dagli occhi di ghiaccio smeraldo.





 

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Capitolo 3
*** L'Arte del Diavolo ***





I don't speak American.

 

 

Capitolo 3 ~ L'Arte del Diavolo

 



 

Finalmente le lezioni sono finite, non ce la facevo più! Uffa… ho sonno! Questo è l’effetto della lezione di storia!

Esco dall’aula insieme a Jin e mentre cammino per andare in palestra sento delle ragazze continuare ad urlare… tutta colpa di quel maledetto americano!

Arrivati in palestra, vedo mio padre che si dirige verso di noi.

«Ciao tesoro! Jin!» Ci saluta con la mano.

«Ciao papà, cos’è successo? Come mai tutta questa felicità?»

Sapevo bene che mio padre stava tramando qualcosa, me lo sentivo. Lo vedevo dalla sua faccia!

«Nulla, tesoro… ma devo avvertirti che gli allenamenti oggi non si faranno, mi dispiace!»

Cosa? Ma come? E per di più me lo dice con quella faccia felice! Era tutto il giorno che volevo allenarmi… uffa, credo che oggi sia il giorno più brutto della mia vita!

«Aya, se vuoi, puoi venire ai miei allenamenti!» Jin mi sorride, è sempre così dolce. Beh, in effetti ora che ci penso anche Jin è molto popolare nella nostra scuola, lui gioca a calcio come attaccante. E’ molto bravo. Per lui il calcio è come per me il basket, sono alcune delle cose che amiamo di più!

«Ok! Papà, tu che fai?» Lo fisso.

«Devo andare per un po’ via. Tornerò stasera, ciao!» Mi bacia sulla fronte.

Arrivati al campo da calcio aspetto che Jin si cambi. Non avevo mai notato che ci fossero così tante ragazze sugli spalti. Jin entra in campo e cominciano le urla. Era come stamattina con l’americano!

Gli allenamenti durano due ore, poi Jin corre verso di me e mi sussurra all’orecchio: «Sbrigati, andiamo.»

Mi afferra per mano e mi trascina via, non capisco cosa gli succeda. Mi giro perché sento delle urla provenire dal campo ed eccolo lì… mamma quanto lo odio! Gli vorrei spaccare la faccia! «Ci sono troppi testimoni, non ti conviene.»

Jin mi fissa e poi mi sorride lasciandomi la mano. «Grazie, non so cosa avrei fatto senza di te!» Sorrido. «Lo avresti semplicemente picchiato a sangue.» Scoppiamo tutti e due a ridere.


°~°~°~°~°~°~°~°~°


«Svegliaaaa! Oggi c’è scuola… alzati!» Mamma… quante botte, quante botte!

Non lo sopporto più! Che ci vada lui a scuola, insomma.

«Sto male! Oggi non vado a scuola!» Grido, certa di essere il più convincente possibile.

«E cos’avresti? Sentiamo cosa ti sei inventata oggi!»

«Sono gravemente allergica a economia domestica!» Questa è la verità!

«Cucinare non ha mai ucciso nessuno!» Sentitelo, il grande chef…

Certo, cucinare non ha mai ucciso nessuno… ma lui non sa quante persone sono quasi morte mangiando i miei dolci!

Esco dal letto e mi vesto. Scendo gli scalini uno alla volta cosicché quando li avrò fatti tutti saranno passati tre anni.

Sento qualcuno ridere di gusto. Alzo gli occhi e vedo Jin seduto su una sedia in cucina.

«Certo che sei lenta… vorrei avere ancora diciassette anni quando avrai finito gli scalini.» Mi sorride.

Gli regalo una risata falsa. «Che spiritoso, non vedi che qui qualcuno sta male?»

«Strano, pensavo che dovessi ancora cucinare!»

Lo guardo male e poi sorrido. Saluto papà e ci dirigiamo a scuola. Mentre camminiamo vengono verso di noi Meroko e Tomaki, due nostre compagne di classe.

«Ciao Aya, Jin!»

«Ciao.» rispondiamo in coro io e Jin.

«Aya, sei pronta per economia domestica?» Mi sorride guardandomi Meroko.

Io la fisso male e stavo per risponderle in malo modo ma prima che ne abbia avuto il tempo Tomaki urla. Indica qualcosa dietro me. Allora io e Jin ci giriamo e chi vediamo avvicinarsi a noi?

Il principino, il signorino! Quell’americano (più precisamente la mia prossima vittima).

Si ferma. «Ciao, piacere di conoscervi! Mi chiamo Ryan.» Sorride e mi fissa.

Perché a me? Perché a me?! «Jin, andiamo o faremo tardi. Non perdiamo tempo a parlare con una zanzara fastidiosa!» Mi giro dandogli la schiena e mi metto a camminare al fianco di Jin.

Alle mie spalle mi sembra di sentire una risatina ma non sono sicura di chi sia.

La campanella suona. Ecco, addio, la mia vita è finita. Odio, odio, odio economia domestica! E più in specifico cucinare!

Per fortuna oggi si sta a coppie! Jin, Jin, Jin! Jin cucina benissimo!

«Jin stai con-» Lui? Lui?! Che cosa ci fa qui?!

No! Ecco, si sta avvicinando… ma perché a me?

«Ciao, posso essere in coppia con te?» Sorride.

Mamma, quante botte gli darei! Ma dimmi un po’, non ho mai visto nessuno andare incontro alla morte con il sorriso. Non lo sopporto più! Deve morire… morte, morte, morte.

«Ma tu vuoi proprio…» Prima che potessi finire la frase la professoressa ci interrompe, uffa.

Volevo minacciarlo come si deve e fargli capire che la sua vita avrebbe presto avuto fine!

Muahahahahahahahahaha! Nella mia mente rido per quasi un’ora non badando alla professoressa che sta formando le coppie per la lezione.

«Allora è deciso, la signorina Kazawa sarà in coppia con il signor Thompson.» La prof. sorride tutta felice.

«Ma siete tutti scemi? Volete proprio che io uccida questo qui!» Indico quel fastidiosissimo americano.

«Io mi chiamerei Ryan.» Dice ridendo. Mamma quante botte! Lo picchio a sangue se sorride ancora. Ci sistemiamo tutti alle nostre postazioni e a me… tocca stare con questo. E lui intanto se ne sta lì con il suo sorrisetto. Non lo sopporto più! O lo uccido subito, o mi uccido io!

«Tu mi odi molto, non è vero?» Mi fissa.

«Sì!»

Ride. «Sei diversa dalle altre… sei stata molto sincera, brava.»

«Di sicuro tu non mi piaci per niente!»

Ride ancora. «Non intendo solo questo… sei diversa da ogni ragazza.»

«Lo sai, io non parlo la lingua dei malati di mente, quindi spiegati o muori.»

«Dico solo che non sei come le altre ragazze della scuola, o della città, o magari anche della Terra!»

«Mi stai paragonando a quelle? Non ci tengo affatto ad essere così. Pensare solo ai vestiti, ai trucchi, non è da me. Preferirei morire! La mia vita è il basket!» Anche dopo aver finito di dire questa frase lui continua a fissarmi con uno strano sorrisetto che non si toglierà per tutta la lezione.

Ecco, che io sia una schiappa in cucina lo avevamo già capito, ma perché oggi dobbiamo fare proprio i dolci? Insomma, vogliono proprio che qualcuno muoia oggi!

«Bene, oggi prepareremo “Il Diavolo di Neve”.» Ryan fissa male la professoressa.

«“Il Diavolo di Neve”?» La sua faccia è così stupita dal nome da sembrare un bambino che ha visto la neve per la prima volta. Rido.

«Sono così divertente? Mi fa piacere che tu rida grazie a me… anche se non so per cosa.» Sorride.

«Non ridevo grazie a te, ridevo di te

«Sincera come sempre, eh?»

«Tsk… allora vediamo. Sai preparare i dolci, vero, signorino so tutto io?!»

«Certo. Me la cavo bene in cucina. Ho preparato altre volte questo dolce.»

«Cosa? Ma se fino ad un attimo fa eri lì sbigottito!»

«Sbigottito? A chi? Ci sono rimasto un po’ male perché noi in America questo dolce lo chiamiamo “L’Angelo di Neve”, tutto qui!» Scoppio a ridere.

«Professoressa, scusi, perché si chiama “Diavolo”, invece che “Angelo”, qui in Giappone?»

«Beh… in effetti anche qui si chiamerebbe “L’Angelo di Neve”, ma da quando qualcuno l’ha cucinato, come posso dire… non esattamente bene, si chiama diavolo.»

«Insomma, il dolce di Aya faceva schifo.» Interviene Jin, tagliando corto.

È la verità… io e lui stavamo cucinando insieme, ma io non capivo nulla e il mio orgoglio mi impediva di chiedere aiuto, così il dolce è andato distrutto. Ho rischiato di bruciare tutta la classe, ma questo è solo un dettaglio…

Scoppio a ridere. «Già, me lo ricordo bene! Quanto ci siamo divertiti io e te, vero Jin?» Sorridiamo tutti e due.

«Forse non le hai insegnato bene come fare, ma non ti preoccupare, bado io a lei questa volta.» Fissa Jin negli occhi. Certo che non lo capisco, chi si crede di essere? Lui fa cosa? Morte, morte.

Metto gli ingredienti dentro alla teglia. Ecco fatto. E ora impasto. Farò vedere a quello lì che sono capace anche da sola! E ora mescoliamo.

«Bene, ora devo solo impastarlo.»

«Lascia stare, lo faccio io.» Mi prende la teglia dalle mani e comincia ad impastare. Ma come osa?! Ora mi ruba anche il lavoro!

Deve andare a morte!

«Aya! Bene, bene! Vedo che sta impastando Ryan, per fortuna! Volevo avvertirti, ma vedo che hai un vero gentiluomo!» È la prof. che parla.

«Chi, lui? Tsk… figuriamoci.»

«Ma certo che lo è. Il lievito che abbiamo usato fa diventare le dita ruvide e l’effetto andrà via solo domani. Per questo non potevi usarlo oggi, hai gli allenamenti, non saresti riuscita a tenere la palla perché ti avrebbero fatto male le mani, capisci?»

Lo fisso… perché l’ha fatto?

«Perché? » Gli chiedo.

«Perché cosa?»

«Ti devo picchiare?!»

«Tu hai detto che non ti interessa nulla oltre il basket e quindi ho solo pensato che oggi non saresti riuscita a giocare…»

«Cosa?»

«Mi avresti accusato e la tua vendetta sarebbe stata terribile. Tutto qua.»

«Vero… comunque, tu prima o poi muori lo stesso, ti avverto!»

Ride. «Mi diverto molto con te, piccola.» Sussurra dietro di me. Dopo una giornata del genere non ebbi la voglia, né lo stimolo di reagire.

«Bene, ragazzi! Ora tirate fuori le torte dai forni.»

La prof. passa una ad una le torte, mettendoci venti minuti prima di avere il coraggio di guardare il mio dolce. Chissà mai perché…

«Oh, ma non ci posso credere! Sembra un angelo!» Tutti si girano a guardare me e quell’antipatico di un americano. «Il merito è di Ryan!», «Che bravo che è Ryan!», ma chi cavolo lo vuole Ryan?! Io nooooooooooooooooooo!

Jin appare dietro di me dicendomi: «La mia “Regina del Male” ha fallito?!»

«Questa battaglia l’avrà pure vinta lui… ma ricorda che io vincerò la guerra! Muahahahahahahaha!» Rimangono tutti di pietra. Quando faccio la mia risata, tutti sanno cha fra poco succederà qualcosa e che quel qualcosa sarà terribile! Hanno terribilmente paura!

Ma non sapevo che mentre io e Jin stavamo architettando il piano per ucciderlo, lui mi fissava con aria di sfida.

«Grazie ancora, arrivederci!» Finalmente se n’è andato!

Le ore passarono veloci e il tempo si scurì. Al telegiornale avevano dato sole ma ora sembrava che non mancasse molto perché piovesse. No! Uffa, sono la solita pasticciona ho dimenticato l’ombrello! No! Jin è già andato a casa e tutte le ragazze sono già andate via. Va beh, aspetterò in palestra. Intanto mi allenerò un po’ da sola! Mi incammino per la palestra e purtroppo mi bagno un bel po’.

Per fortuna ho i vestiti di ricam-. Nooooooooooo! Li ho lasciati a casa! Nooooooooooooo!

«E’ il giorno più sfortunato della mia vita!» Urlo.

«Si può sapere perché urli? Non c’è bisogno che gli altri sappiano che oggi non è il tuo giorno.» Questa voce, dimmi che non è vero! Fra tutte le persone che potevo incontrare alle sette di sera, a scuola, in palestra, ovviamente incontro proprio lui, quel presuntuoso di un americano! Quell’ipocrita di un principino!

«Tsk… vattene!»

«Posso sapere che ci fai a quest’ora ancora a scuola?» Mi fissa curioso. Ma non ha ancora capito che lo odio? Non sarò mai gentile con lui, che gli sia chiaro!

Mi volto per non guardarlo, solo la sua vista mi da i nervi. Non riesco proprio a sopportarlo.

Che cosa ho fatto di male per meritare una simile punizione?!

Sento dei passi avvicinarsi sempre di più a me. Che si sia seduto vicino a me?

Ma cosa vuole da me?

Mi prende per le spalle, mi volta verso di lui, mi fissa negli occhi e sorride. Ma cosa fa, è pazzo?

«Se vuoi morire prima del previsto, basta dirlo!»

«Credo che mi divertirò molto con te, lo sai, Aya.» Mi libero dalle sue mani e gli salgo sulle ginocchia, mettendogli le mani intorno al collo.

«Senti, ormai è chiaro che ti odio e voglio dirtelo in faccia, io ti ucciderò. Se un giorno troveranno il tuo corpo senza vita, bene, sai già chi è il colpevole!» Mi alzo e lo lascio andare. Chiudo la porta della palestra e torno a casa sotto la pioggia.

Ma io non sapevo, che invece di spaventarlo, gli avevo solo reso il gioco più divertente. Perché lui non vedeva l’ora di giocare con la ragazza dagli occhi di ghiaccio smeraldo.




 

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Capitolo 4
*** Dubbi ***




I don't speak American.

 

 

Capitolo 4 ~ Dubbi





 

«Non dimenticatevi di fare tutti gli esercizi per lunedì. Buona giornata!» Il professore ci saluta.

Finalmente anche questa settimana è terminata. Ora posso dormire quanto voglio.

«Uffa! Sono troppi tutti quegli esercizi!» Questo è Jin che già inizia a sbuffare. Gli sorrido sedendomi sulla sedia accanto alla sua mentre lui appoggia la testa sul mio banco. Siamo gli unici rimasti in classe. Fuori c’è il sole, anche se avevano messo pioggia. Come sempre il meteo sbaglia. Beh, almeno non mi bagnerò come l’altra volta. Sono molto stanca, spero di resistere agli allenamenti. Devo mettercela tutta se voglio portare la squadra alla vittoria.

«Aya, che hai?» Mi trovo ad un tratto la faccia di Jin davanti alla mia. Dio, che spavento!

«Ma sei scemo?! Mi hai spaventata!» Gli grido io.

«Stavi fissando il vuoto… e tu non lo fai mai… solo quando sei stanca o c’è qualcosa che non va. Che hai?»

Dire che mi conosce bene è un eufemismo. Non potrei mai nascondere nulla a lui.

«Sì, sono stanca, tutto qui. Beh adesso scappo perché papà mi uccide se arrivo tardi! Infondo sono il capitano, io!” Mi alzo di scatto dalla sedia e abbraccio Jin.

«Così ti voglio!» Mi sorride lui. Quanto gli voglio bene!

Esco dall’aula di corsa. E’ possibile che siamo rimasti gli unici in tutta la scuola? Che buffo. Giro l’angolo per scendere le scale, sbatto addosso a qualcuno e mi ritrovo a terra.

«Ehi, ma stai attento!» Alzo la testa per vedere chi è la persona contro cui ho sbattuto… degli occhi blu cobalto mi trafiggono.

«Ancora tu?» È mai possibile che me lo debba ritrovare sempre dappertutto?

«Sì, ancora io.» A quella sua faccia da ebete tirerei un pugno. Quanto odio la sua calma.

«Vediamo… ti sei fatta male?» Si abbassa verso di me e prende il mio ginocchio un po’ sbucciato. Non mi ero nemmeno accorta che lo fosse. Ero troppo occupata a fissare lui.

«Non toccarmi! Mi fa male!» Prendo e gli sposto la mano. Lui alza lo sguardo verso di me e accenna un lieve sorriso. Perché fa così? Lui sa che mi da fastidio ma si ostina ad andarmi contro.

«Che c’è, perché sorridi?» Il mio tono è arrogante, me ne rendo conto anch’io da sola, però non riesco a non usarlo con lui. È una questione di principio. Mi tratta male, lo tratto male.

«Non occorre che usi quel tono con me, volevo solamente essere gentile.» La sua voce è cambiata e anche la sua espressione. Non c’è più quel Ryan calmo di sempre. Adesso si comincia a ragionare!

In quel corridoio gli unici, seduti per terra, siamo io e lui. Io con il ginocchio sbucciato, lui che cerca di aiutarmi. È una situazione imbarazzante in parte. Non ho mai parlato con lui da sola in questo modo.

Non voglio passare il resto della giornata a stare seduta a guardare la sua faccia. Io me ne vado.

«Dove vai?» Ryan mi prende la mano e mi trascina giù di nuovo.

«Ma sei deficiente! Che fai?!» Grido io alzandomi di scatto. Il ginocchio mi fa molto male, anche se è solo sbucciato.

«Ti fa male il ginocchio, non puoi camminare molto, ecco perché ti ho fatta sedere di nuovo.»

«È colpa tua! Mi sei venuto addosso!» Antipatico mister-so-tutto-io.

«Che cosa?! Sei stata tu a venirmi incontro! Non si corre nei corridoi, dovresti saperlo, scema!» Lui si alza di scatto. Bene, adesso mi sa che scoppio!

«Smettila, finisce male!» Lo minaccio io.

«Non ho paura di te!» Dovrebbe invece. Lui non sa come sono fatta io. Le mie mani chiuse a pugni tremano dalla voglia di colpire la sua faccia quasi perfetta, però non sento il ginocchio. Non ditemi che è peggio di una sbucciatura.

«Ehi, tutto apposto?» Lui si avvicina. Ha visto che c’è qualcosa che non va. Il suo tono è diventato dolce ad un tratto.

«No… mi fa male il ginocchio.» Come ho potuto farmi male adesso? Se lui non ci fosse stato questo non mi sarebbe mai successo! Il mio mento trema. Non voglio piangere. Oh, sì… dal nervoso piango sempre, ma non ora. Non davanti a lui.

«Vieni, ti porto sulle spalle.» Mi porge la mano. Io la fisso, quella mano. Come vorrei dirgli di no, ma non è la cosa giusta, non potrei resistere, il ginocchio mi fa male.

«È un modo per farmi perdonare, hai detto che è colpa mia. Almeno, accetta le mie scuse.» Mi sorride dolcemente.

Salgo in spalle a Ryan. Ci stiamo dirigendo fuori dalla scuola.

Ha un profumo così buono. «Grazie.» Gli sussurro.

Lui volta il viso verso di me, sorridendomi. «Mi devi un favore!»

«Sogna!» Gli rispondo io.

«Vuoi che ti lasci giù?»

«No! Va bene, un favore piccolo te lo faccio. Solo perché così mi fai pena.»

«Tu fai pena a me, stupida!»

Non avrei mai pensato che con lui sarebbe andata a finire così. Nonostante il favore che mi ha fatto, mai cambierò idea su di lui.






 

 

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Capitolo 5
*** Avvicinamento ***




I don't speak American.

 

 

Capitolo 5 ~ Avvicinamento





 

Non. Ci. Posso. Credere.

Sono sulle spalle di questo… americano?!

Mi sta “aiutando” (lasciatemi almeno mettere le virgolette, ne va del mio orgoglio…).

M-ma cosa ho fatto di male?

Io sono la futura “Regina degli Inferi”, Ayame Kazawa, non è questo ciò che merito!

Io voglio sangue, potere, basket, l’americano morto, sangue, un cane, un’ascia, l’americano morto, un coltellino svizzero, una katana, l’americano morto, una pistola, e… ho già detto l’americano morto?

Come potrò governare gli inferi se questo qui mi fa cadere in depressione…?

C’è un silenzio di tomba, non so che dire. Aspetto soltanto di arrivare in questa stramaledetta infermeria. Guardo Ryan, dev’essere assorto nei suoi pensieri. Ha… uno sguardo triste?

«Uff…» Sbuffo.

«Almeno durante il tragitto non riesci a stare zitta?» Mi dice ridacchiando, ma non riesco a scorgere la sua espressione.

Beh, almeno sono riuscita a togliergli la tristezza per un secondo.

ERROR 01010101 –

BZZBZZBZZ…

– INTERFERENZA –

Cervello, perché mi fai questo?

Mi fai pensare cose assurde…

Sono disperata, non so più che fare!

Aspetta!

Forse ho capito!

Sì, ne sono sicura…

Forse… forse… io… lui…

Lui possiede un'aura anti demone!

Per questo non riesco a sopportarlo, lui è… un angelo!

BZZBZZBZZ…

– INTERFERENZA –

E basta!

Devo fare assolutamente qualcosa, escogitare un piano o almeno allontanarmi da lui… per favore!

«Eccoci, babe. Siamo arrivati.» Mi dice.

«Chiamami beib o quel cavolo che hai detto un’altra volta e…» Inizio, ma lui mi interrompe.

«Ti uccido, ti maledico, ti viviseziono, ti torturo, sì, lo so.» Mi dice con un sorrisetto.

E così vuole provocarmi, questo maledetto!

Apre la porta, ma dentro l’infermeria non c’è nessuno. C’era d’aspettarselo, a quest’ora. Mi porta verso il lettino in un angolo della stanza e mi ci appoggia delicatamente sopra. Ormai sono stanca. Non mi è mai successo, ma non ho più voglia di protestare. Che strano… mi sento come se mi fossi arresa. Dovrei reagire, non è da me comportarmi così. Eppure me ne sto qui, in silenzio. Sento una specie di velo di malinconia che ci avvolge. No, non è possibile. Questa sensazione finora l’ho provata solo con Jin… quando sento che c’è qualcosa che non va. Non è possibile che il mio rapporto con l’americano arrivi perfino a farmi notare queste sottigliezze.

Lui sta malamente rovistando in tutti i cassetti per trovarmi delle garze. Perché fa tutto questo per me? Io lo odio, per me lui non rappresenta assolutamente nulla. Siamo diversi, non ho nessun motivo per essere costretta a preoccuparmi di questo antipaticissimo snob.

Veniamo da due mondi diversi.

Quest’atmosfera non mi piace. Per niente.

Ha trovato le garze. Prende la prima sedia che vede e la posiziona affianco al lettino sul quale sono sdraiata. Si siede silenziosamente, non mi guarda nemmeno in viso. Dopo aver aperto la confezione di garze si alza in piedi improvvisamente, quasi spaventandomi, e afferra la mia scarpa, fermandosi un momento.

«Farà un po’ male.» Mi dice in tono dolce, sempre senza guardarmi. Io mi acciglio.

«Per chi mi hai preso? Cosa vuoi che sia il dolore per me?” Dico. Mi odio, sì, sento che mi odio. Lui è gentile con me, ma io non faccio altro che rispondergli male.

Aspetta, ma cosa sto dicendo! Lui è uno schifoso snob egoista, non so nemmeno perché è qui a prendersi cura di me! Io, così insignificante per uno ricco come lui, cosa potrebbe mai fregare al signorino di me?

E poi, soprattutto, cosa dovrebbe importarmene.

Io non mi preoccupo dell’opinione della gente. Vivo la vita a modo mio, perché voglio essere io. Non sopporto questa società, basata solo sui soldi e sull’apparenza estetica. Nessuno potrà mai farmi diventare un’oca come tutte le mie compagne. Prima era tutto perfetto, sì, era tutto perfetto prima che arrivasse lui. C’eravamo io, Jin, papà e la mamma. Non ho bisogno di nessun’altro. Ma allora perché lui si ostina a voler entrare nella mia vita, perché non capisce che lo odio! Era tutto così perfetto prima!

«Ahh.» Ecco, mi è scappato. E ora come lo guardo negli occhi?

«Te l’avevo detto.» Mi dice in fretta, senza ancora degnarmi di uno sguardo. Basta, non lo sopporto più.

«Senti, se ti secca tanto stare qui a prenderti cura di me, vattene! Non te l’ho chiesto io, ti sei offerto tu! Quindi adesso non puoi permetterti di comportarti come se ti tenessi incatenato qui dentro. Io non ho bisogno di nessuno, mi arrangio! Vattene!» Gli butto addosso anche tutto il mio nervosismo. Dopo questa giornata ne ho tutto il diritto.

Però, c’è sempre quella piccola parte di me che si sente in colpa.

Si ferma. Mette giù le garze con le quali mi stava fasciando e alza lentamente lo sguardo, facendo sì che i suoi occhi incontrino i miei.

Blu, magnifici.

Come sono intensi, mi ci perderei dentro.

Sorride, un sorriso amaro.

«Mi spieghi… perché mi od-»

La musichetta di una suoneria vivace riempie la stanza ed è quasi assordante rispetto al silenzio di prima.

È il suo cellulare.

Scorgo un altro sorriso amaro, e credo di aver udito un: «Tsk, era prevedibile.»

«Hello?» Risponde lui, alzandosi in piedi.
*Pronto?*

Prima che si giri, dandomi le spalle, scorgo un suo sorriso di felicità.

«Kris? I can’t believe this! Are you ok?»
*Kris? Non posso crederci! Stai bene?*

Ok, l’inglese e Ayame Kazawa non vanno proprio d’accordo. Io sono giapponese, “I don’t capire” è il mio massimo.

E adesso come farò a capire…

«Of course I do. How is it going?» Ci capissi qualcosa di ciò che dice…
*Certo. Come va lì?*

«No, not so bad… There’s something interesting in this school…”
*No, non così male… c’è qualcosa di interessante in questa scuola…*

Perché ha accennato un sorrisetto?

«Wow! Amazing!” Ride. Uffa, voglio ridere anch’io!
*Wow! Pazzesco!*

«What are you talking about?» Ha smesso improvvisamente di ridere. Ora una smorfia di rabbia si è impossessata del suo viso.
*Di che cosa stai parlando?*

«Tsk… how can she… how dares she?!” Sta praticamente urlando.
*Tsk… come può lei… come osa?!*

Si volta verso di me per guardarmi e si accorge della mia espressione sconvolta. Spalanca gli occhi come se si fosse appena accorto della mia presenza e del fatto che ho sentito tutto. Io lo fisso. Lui non risponde più alla persona con cui stava parlando e mi fissa anche lui soltanto.

«After all that I’ve done for her…» Quasi lo sussurra. Perché sento che quelle parole, sebbene io non le comprenda, sono indirizzate un po’ anche a me?
*Dopo tutto quello che ho fatto per lei…*

«Yes, I see. She hasn’t changed a bit… I had to expect it… ok, we'll keep in touch! Bye.»
*Sì, capisco. Non è cambiata nemmeno un po’… dovevo aspettarmelo… ok, ci sentiamo! Ciao.*

Ha chiuso la telefonata ed ora si è riseduto con lo sguardo puntato verso il basso.

C’è un silenzio teatrale. È questa l’altra faccia di Ryan?

L’americano… è capace di essere triste, miserabile, come un normalissimo umano…?

Non riesco ad accettarlo. Non io, che sono così orgogliosa.

Che rabbia.

«Hai intenzione di stare lì fermo, o mi dirai qualcosa?» Sono scontrosa come sempre. Deve capire che io sono così.

«Non è nulla che ti riguardi.» Mi dice duramente.

Che nervi.

«Non devi preoccuparti.» Aggiunge.

Che doppi nervi. Perché deve sempre aggiungerci la sua gentilezza?

«Ok, scusami se ho cercato di preoccuparmi per te!» Gli grido addosso.

No, così non va bene. Non posso continuare così.

Mi sento uno schifo.

Intanto, lui sta zitto.

Ora si alza. Che gli prende?

Riprende le garze e continua a fasciarmi la gamba, sempre in silenzio.

«Sai… anch’io ho un passato… anche se parlarne non è proprio il mio passatempo preferito.» Mi dice ridendo un po’ dopo aver pronunciato le ultime parole. Una risata più falsa della felicità.

«Chiunque ha un passato… e non ho mai conosciuto nessuno in vita mia, che ne sia soddisfatto. Tutti abbiamo rimpianti, è la natura umana.» Dico io, senza guardarlo.

Lui accenna un sorriso.

«Sai, volevo fare una battuta adesso! Ma ci rinuncio, rovinerei l’atmosfera…» Dice.

«L’hai già rovinata, cretino!” Rispondo io immediatamente.

Ha sdrammatizzato, non vuole parlarne. O forse non ci riesce.

Sospiro pesantemente.

Non so quello che sto per fare, però, forse… fa bene lasciarsi andare al destino qualche volta!

«Se ti tieni tutto dentro non serve a niente. È… insensato! Dovresti sfogarti… oddio, potrebbe essere la prima volta che do dei consigli gentilmente…» Dico sospirando ancora.

«Sai, quando qualcuno dice qualcosa… dovrebbe prima pensare se può dirla… e nel tuo caso posso rinfacciarti direttamente le tue parole!» Mi dice ancora.

«Volevo solo aiutarti! Ma tanto che sto a fare! Con te non serve a nulla! E ora devo andarmene!» Dico, prima di cercare di alzarmi.

«Cos-… dove pensi di andare in quelle condizioni?!” Quasi urla.

Punto i piedi per terra, ok, devo solo alzarmi, forza!

Un dolore lacerante al ginocchio.

«Maledizione…» Sussurro prima di iniziare a cadere.

Non tocco il suolo perché, indovinate, due braccia forti mi sorreggono.

«Te l’avevo detto, stupida.» Mi dice calmo.

«No!» Cerco di liberarmi, dibattendomi.

«Non riesci nemmeno a stare in piedi! Dove pensi di andare?!» Mi urla contro. Sembra davvero arrabbiato ora.

«Via! Voglio solo andare via!» Ora mi ritrovo seduta malamente a terra.

Sto piangendo, le lacrime mi tradiscono, come sempre.

Quel dolore, sarà la mia rovina!

Ed ora come farò?

«Ayame!» Grida lui, cercando di alzarmi.

Piango, piango ancora.

«Tirati su! Non è da te questo comportamento!» Grida, continuando a cercare di tirarmi su.

«Stai zitto!» Gliel’ho urlato contro.

Non è certo la prima volta.

Lui mi guarda, è veramente furioso.

«Ho perso tutto! Come farò ora?! Con questo ginocchio… come potrò giocare a basket!» Piango sempre di più.

«E poi sarei io il cretino?! Tu, proprio tu! Ti butti giù così alla prima difficoltà?! È così facile farti rinunciare ai tuoi sogni?! Non posso credere che questa sia tu!» Mi urla contro.

I suoi occhi sono così accesi ed espressivi… crede davvero in quello che dice.

Mi volto immediatamente, non riesco a sostenere il suo sguardo.

Non dopo le accuse che mi ha lanciato.

«Non hai nemmeno il coraggio di guardarmi. Assurdo.» Sussurra, con fare irritato.

Sento i nervi esplodermi.

Mi alzo, anche se mi fa male da morire.

«Nessuno, ti ripeto, nessuno! Dice ad Ayame Kazawa che lei ha paura! Nessuno

Perché solo ora mi accorgo che i nostri volti sono così vicini…?

Lui sorride.

«Sei tornata senza dubbio in te.» Mi sussurra. Sento la sua voce chiarissima grazie alla nostra vicinanza.

«Sbrigati, ti porto a casa.» Mi dice poi.

Io lo guardo senza parole mentre mette in ordine le garze e il resto degli oggetti, poi prende per me la borsa che uso come zaino e se la mette in spalla, prima di avvicinarsi per aiutarmi.

Un americano.

È entrato nella mia vita.

Dovevo aspettarmelo che la strada per diventare “Regina degli Inferi” fosse piena di ostacoli.






 


 

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Capitolo 6
*** Comprensione ***





I don't speak American.

 

 

Capitolo 6 ~ Comprensione

 





«È una leggera lesione che ha subito durante la caduta, non è niente di grave, ma è meglio che stia a riposo per un po’ di tempo sennò può peggiorare.» Queste sono le parole che il dottore rivolge a mio padre.

«Significa che non può correre?»

«Per un certo periodo no, mi dispiace.»

«Come sarebbe a dire, scusi?! Non posso correre?! E come faccio con il basket, gli allenamenti, la finale?!» M’intrometto io nella conversazione.

«È per un breve periodo di tempo, non per sempre. Se non sforzi la gamba magari ti puoi riprendere anche prima del previsto ed iniziare di nuovo ad allenarti.» Il dottore mi accenna un lieve sorriso. Non mi rassicura affatto, anzi. È una notizia che non posso sopportare.

«Grazie, dottore. Su, Aya, andiamo dai.» Papà mi prende per un braccio e mi conduce alla porta. È deluso, sì, è deluso da me. Glielo si legge negli occhi che non può sopportare nemmeno lui questa notizia.

«Mi-mi dispiace, papà. Io ho fatto una grande stupidata, dovevo stare più attenta.» Gli rivolgo la parola solo dopo essere saliti in macchina. Non lo sento rispondere. Già… ovvio che le scuse non bastano, però non posso cambiare niente ora come ora.

«Papà…»

«Tu cerca solo di non sforzare il ginocchio e andrà tutto bene, ok?» Mi interrompe lui. Con questo suo tono di voce un po’ comprensivo mi mette sicurezza, quella che un minuto prima mi mancava del tutto. Gli sorrido, anche se ho una gran voglia di piangere.

 

°~°~°~°~°~°~°~°~°


Lancio un urlo di sfogo. «Che nervoso! Che nervosooo!» Butto il cuscino addosso a Jin.

«Sì, bene, brava, sfogati su di me…» Mi dice ironicamente. Appoggio la testa sulle ginocchia di Jin, sono a casa sua.

«Scusami, ma non so più come trattenermi. Questa situazione mi distrugge!»

«Lo capisco… però devi mettercela tutta se vuoi ricominciare. Quindi niente rancore e niente cuscinate, pizzicotti o robe varie su di me per sfogarti, capito?» Mi fa l’occhiolino.

«Perché no?» Gli sorrido io, alzandomi.

«Ti ricordo che in parte è colpa del tuo “nemichetto” americano se sei in questa situazione e quindi sfogati con lui.» Già… per due giorni non ci avevo nemmeno pensato, né a Ryan, né alla situazione che si era creata in infermeria. A pensarci bene in quella situazione io, beh… ho visto Ryan con occhi diversi, non so nemmeno come spiegarlo a me stessa. E poi… quella chiamata che gli ha fatto cambiare atteggiamento… mi tormenta.

«Oh, che hai? È successo qualcosa con lui?» Jin interrompe i miei pensieri.

«Ah… beh, ecco, non saprei come spiegarmi.»

«Raccontami tutto.»


°~°~°~°~°~°~°~°~°


Anche oggi è una giornata di sole. La primavera si fa sentire come il male al ginocchio che non mi ha fatto dormire per tutta la notte. Passerà presto?

«Ayame!» Sento una voce chiamarmi ma non so da dove proviene, mi volto ma non vedo nessuno. Ad un tratto spunta Myo di fianco a me. Ma che vuole ancora questa qui? Magari ha già sentito la notizia.

«Che vuoi?» Fredda come sempre, io.

«Ho sentito che ieri pomeriggio Ryan ti ha accompagnata a casa. C’è qualcosa fra te e lui?» Si avvicina a me quasi come se mi stesse minacciando.
La spingo e mi allontano da lei. «Io con quel figlio di papà non ho niente a che fare! Comunque sì, mi ha accompagnata a casa perché doveva farlo.»

«Doveva? E perché? Chi saresti tu?»

«Per farsi perdonare…» Abbasso la testa e guardo il ginocchio che sta iniziando a darmi di nuovo fastidio. Distolgo lo sguardo e m’incammino.

«Non sapevo ti fossi fatta male. Bah, adesso come farai?» Sento la sua stupida risatina. «Sì, certo, adesso non puoi più nemmeno giocare a basket. Che peccato, non credi?»

Mi raggiunge correndo e mi sorpassa. «Ci si vede a scuola, sfigata!»

«Brutta…!» Vedremo chi è la sfigata fra noi due, appena mi rimetto sputerai sangue.


°~°~°~°~°~°~°~°~°


La campanella che segna l’inizio dell’ora del pranzo è appena suonata. Finalmente, cavoli! Non ce la facevo più a restare in classe a sentire i miei compagni parlare di me e del mio ginocchio continuamente. Per non parlare di Eri che è anche venuta a chiedermi se sto insieme a quell’americano. Tutta questa situazione mi sta facendo andare di matto e Jin non c’è per calmarmi. Si può sapere perché oggi non è venuto? Penso che andrò a mangiare sul terrazzo, almeno là c’è un po’ di pace. Salire mi riesce difficile… che nervoso, dio mio!

Eccomi arrivata. Respiro l’aria di primavera, che bello! Niente rumori, sguardi fastidiosi, solamente io e il mio pranzo. Però ora mi sembra di sentire una voce. Mi dirigo verso l’altra parte del terrazzo e mi immobilizzo.

«You know how much I loved you…»
*Sai quanto ti ho amata…*

Queste parole quasi tremanti provengono dalla bocca di Ryan. Mi appoggio al muro per ascoltare la conversazione, però vedo lui voltarsi. Non faccio nemmeno in tempo ad andarmene che incrocio i suoi occhi arrossati. Sembrano lacrime quelle che ha appena cercato di asciugare frettolosamente. Che cavolo sto facendo? Non potevo farmi i cavoli miei?

«Io… io non stavo ascoltando.» Sussurro. Ma lui sa perfettamente che non è così.

«Non occorre che menti, tanto so che hai sentito qualcosa…» Si avvicina a me. Abbasso la tesa e mi siedo, il ginocchio ormai non mi regge più.

«Stai bene?»

«Chi è la ragazza che amavi?» Non mi rendo nemmeno conto della domanda che gli ho posto finché non vedo lui sgranare gli occhi. Non nego che in questo momento il mio cuore sta battendo forte, però avrei potuto evitare la domanda. Infondo, perché mi dovrebbe rispondere? Vorrei alzarmi, ma non posso, non ci riesco, maledizione!

«Era la mia ex-ragazza. Beh, ecco, lei mi ha fatto del male, ed io non me ne ero nemmeno reso conto. Ero troppo cieco, troppo innamorato per accorgermi che se ne andava in giro con altri ragazzi e stava con me solo per motivi economici.» Si siede vicino a me, la sua voce inizia a tremare di nuovo. Non avevo idea che questo figlio di papà potesse nascondere anche questo lato. E poi, perché lo sta mostrando a me? Io di queste cose non ci capisco niente, non so nemmeno perché m’interessa la sua storia.

«Come lo hai saputo?»

«Beh, ecco, il ragazzo che mi ha chiamato al telefono mentre eravamo in infermeria è un mio ed un suo caro amico e ha deciso di dirmelo perché ormai aveva superato le righe. Sai, io e lei dovevamo sposarci appena io sarei ritornato in America… però, ormai…»

Guardo il suo volto e vedo un ragazzo ferito, un Ryan che avrei voluto fosse così sin dall’inizio. Provo tanta compassione per lui e chissà perché mi rode sentir dire che avrebbe dovuto sposarsi. Questo suo amore per quella ragazza era così forte?

«Beh, ecco, io… mi dispiace.»

«Tu… tu le somigli molto, Ayame…» Mi sussurra appoggiando la testa sulla mia spalla. Ma che sta facendo?

«Beh, ecco, io ora devo andare!» Mi alzo di scatto, non badando nemmeno al ginocchio, voglio solamente uscire da questa situazione che si è creata.

«No, aspetta!» Mi prende la mano. «Rimani ancora qui con me…» Non so perché, ma non voglio dirgli di no.

Mi risiedo di nuovo accanto a lui, che appoggia di nuovo la testa sulla mia spalla.

Che mi sta succedendo?




 

 

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Capitolo 7
*** Confusione ***





I don't speak American.

 

 

Capitolo 7 ~ Confusione






Non ci capisco più niente! La testa mi fa male, per non parlare del ginocchio! Ma si può sapere come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?!

Sento il respiro di Ryan sul mio collo… e sento il mio cuore che batte a mille! Oddio, ma in che pasticcio mi sono cacciata! Aspetta, perché il cuore dovrebbe battermi forte… stupido americano… che cavolo mi sta succedendo?!

La campanella suona di colpo e io mi alzo di scatto come un’idiota.

«Ahi, ma che cav-»

«Stai attenta, o peggiorerai la gamba continuando così…» Mi afferra e mi appoggia un braccio sulle sue spalle per sorreggermi.

Lo fisso negli occhi. È così gentile con me. Perché? Insomma, io sono sempre stata orribile nei suoi confronti…

Non so perché ma mi è venuta una gran voglia di essere più gentile… mi stringo a lui.

«Ehi voi! Cosa state facendo? Dovreste essere in classe a quest'ora! Non marinate le lezioni!»

«Ayame… Ayame… Aya… Aya…» Alzo lo sguardo e vedo Ryan che mi fissa sbalordito.

Ma che cavolo succede…?

Mi accorgo solo in quel momento che sono abbracciata a lui.

Sono completamente immobilizzata, il mio corpo è rigido e non riesco a muoverlo… oddio, penserà che sono una vera pazza maniaca…! E perché mi importa di quello che pensa? Lo lascio di scatto e lo fisso.

«Io… ehm… devo andare! Se arrivo ancora in ritardo mi metteranno in punizione… scusa… ciao!» Mi giro e mi incammino per andare in classe.

«Ayame…» Mi fissa mentre gli do le spalle.

Arrivo in classe e Jin mi corre incontro preoccupato, solo allora mi accorgo di aver saltato un’ora, eppure la campanella mi sembrava fosse appena suonata. No, aspetta! Non mi dire che… l’ho abbracciato per un’ora intera quell’americano!

«Aya, stai bene? E da quando sei tornata in classe che sei strana…» Mi fissa negli occhi.

«Io? Naaaaa, sto bene! Mi fa solo male il ginocchio…» Distolgo lo sguardo.

Se c’è qualcosa che non va o se nascondo qualcosa, Jin è sempre il primo a capirlo. Purtroppo non posso mentirgli…

«Ehm, ecco, io… Jin, non so più che fare! Non so cosa mi stia succedendo!» Mi gratto la testa.

«Mmm, qualcosa mi dice che centra quel belloccio dell'americano…» Mi fissa.

Sbuffo. «È colpa sua…»

«È colpa sua se ti piace?» Si intromette Eri, ma io non me ne rendo nemmeno conto.

«Tsk.» Dico sbuffando ancora.

«Shock! Aya… Aya… Ayame… Ayame… a te piace… Ryan!»

Mi giro e vedo Eri pietrificata, poi fisso Jin che sta in silenzio e ha lo sguardo rivolo verso il basso.

«Mmmm, che vuoi?» Gli rispondo fredda e seccata.

«A te piace Ryan, non negarlo! L'ho appena sentito con queste mie orecchie, cara la mia giocatrice infortunata!»

«Ma sei scema?! Figurati se mi piace uno così! Fra me e quell'americano non c'è e non ci sarà mai nulla. Capito, befana?!»

Esco dalla classe e sbatto la porta, sento che Jin mi sta inseguendo ma non mi volto, continuo a dargli le spalle. Cosa mi succede, non è possibile… no, a me non piace Ryan…

«Aya, non correre! Peggiori le condizioni del ginocchio!» Non lo ascolto e continuo a camminare velocemente di fianco al muretto della scuola.

«Ayame, Ayame! Smettila!» Mi prende il polso e mi spinge contro il muro, immobilizzandomi.

«Non sono Eri! Io sono Jin, il tuo migliore amico! Quello a cui racconti tutto, quello che ti ha ascoltata, consolata quando perdevi una partita e quello che ti era accanto quando avevi problemi con la tua famiglia…»

«Jin, io…» Abbasso lo sguardo.

So che Jin vorrebbe sapere tutto, è il mio migliore amico d’altronde, ma io non so più cosa sia vero e cosa no… cosa mi succede?! Cosa?!

«Non so cosa mi stia succedendo… è tutta colpa di quello stupido americano!» Gli stringo la maglietta, stropicciandogliela e l'abbraccio. «Jin, aiutami… non so cosa fare, non lasciarmi sola…»

«Io, Jin, non ti lascerò mai…» Mi stringe, dopo avermi fatto questa promessa.

Le lezioni finiscono e Jin mi accompagna fino a casa. Lo saluto davanti al cancelletto di casa mia ed entro.

Accendo la luce del soggiorno e appoggio la borsa con i libri sul mobiletto vicino alla porta.

Vado in cucina e prendo un bicchiere dalla lavastoviglie, lo asciugo e ci verso un po' di tè alla pesca ghiacciato, poi, quando sto per accendere la televisione, il telefono squilla. Prendo il telefono e rispondo.

«Pronto, chi è?»

«Sono io, Aya, la mamma!»

«Ciao, mamma, come va?»

«Tutto bene, grazie, e tu? Come va il ginocchio? E con la scuola?»

«Tutto bene, mamma, il ginocchio sta già migliorando anche se mi fa male quando dormo e con la scuola il solito.»

«Oh, amore… oddio, si brucia tutto! Scusa, ma devo andare, ci sentiamo domani! Ciao, baci!»

«Ok, mamma. Ciao!»

Il sole viene nascosto dalle nuvole e cala la sera, passo tutto il pomeriggio sul divano a guardare programmi stupidi e noiosi cambiando canale ogni cinque minuti.

Mamma che noia. Stupida gamba tarocca!

Squilla il mio cellulare. Lo prendo dal tavolino di fronte al divano e guardo lo schermo per sapere chi mi chiama alle 19:00 ma sul display compare un numero sconosciuto. Ormai sono abituata a ricevere le chiamate di mio padre con cellulari dei suoi amici perché il suo o se lo dimentica a casa o è costantemente scarico, quindi rispondo senza pensarci.

«Pronto?»

«Ciao, Ayame!» Rimango immobile.

Questa voce la riconosco… è quell'americano! Come fa ad avere il mio numero?!

«Tu! Perché hai il mio numero?!»

«Un “ciao” mi bastava. Comunque, me lo ha dato Jin dopo la partita di calcio.»

«E com’è andata la partita? Jin ha vinto?»

«Sì, abbiamo vinto 3 a 9!» Ride.

«Ma siete tutti e due scemi? Come ha potuto quel traditore darti il mio numero! Quando lo incontro domani, scoppierà la guerra dei mondi!»

Scoppia a ridere. «Non è colpa sua, l'ho costretto io perché ero preoccupato per te! Stamattina eri così strana… e poi te ne sei andata via in quel modo ancora più stano…»

Divento rossa. «An, scusa per prima, non volevo scappare così…»

«Ehm, senti, lo so che ti sembrerà strano ma… ecco io, mi chiedevo se ti andava di uscire con me domani… è sabato e io non ho programmi quindi mi chiedevo se… tu sei disponibile?» Shock.

«C-cosa?»

Il mio cuore inizia a battere fortissimo. Cosa?! Mi sta chiedendo di uscire?! Insomma, io e lui da soli?!

«Sì, c'è un nuovo parco divertimenti a Osaka e mio padre siccome ne è sponsor ha ricevuto due biglietti gratis… e io volevo andarci con te… se l'idea ti va!»

«Ehm… io non saprei…»

Non so che dire… aspetta, io devo rifiutare… insomma, lo odio, no? No? No? No?!

Oddio, forse è proprio vero! Io non riesco più ad odiarlo! Dopo quello che è successo stamattina in terrazzo… ok, devo capire cosa sta succedendo e il modo migliore è…

«Ok, va bene! A che ora ci incontriamo?» Dico tutto d'un fiato.

«Alle 9:00, vengo a prenderti davanti a casa! Ciao, a domani!»

«Ciao…»

In casa mia c’è un silenzio spettrale.

Ecco, ma perché non tengo la bocca mai chiusa?! Adesso cosa faccio? Se gli altri scoprono che esco con lui, inizieranno a pensare che sono una di quelle che escono con i ricconi solo per essere popolari! Ma perché mi metto sempre in queste situazioni?!

Corro in camera mia, beh, diciamo che cammino velocemente perché il mio ginocchio non mi permette ancora di correre, purtroppo…

Apro l'armadio e vi frugo dentro per cercare un vestito adatto all’occasione.

Mi guardo allo specchio e mi fisso. Sto diventando come loro! È il mio incubo!

 

°~°~°~°~°~°~°~°~°


«Grazie per il numero di Ayame!»

«Prego, lei si merita d’essere felice. Mi raccomando, trattala bene!» Gli da una pacca sulla spalla.

«Grazie, Jin!» L’americano si incammina verso casa.

«Lo faccio solo per lei…» Sospira e rimane immobile.






 

 

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Capitolo 8
*** Collisione ***


Salve a tutti! Per chi volesse, consiglio di iniziare a leggere questo capitolo ascoltando questa cortissima canzone http://www.youtube.com/watch?v=ddCcRTjGTGk. Il perché lo capirete subito.
Buona lettura! :)

 






I don't speak American.

 

 

Capitolo 8 ~ Collisione






 

Avanza verso di me in tutta la sua maestosità.

Il mantello sventola nel bel mezzo di tutte quelle fiamme.

Sono così alte e fiammanti (ah, beh, sono fiamme…) e la loro luce crea un gioco di ombre alquanto surreale, dal quale non riesco a distogliere lo sguardo.

Il passo poi, così sicuro e fiero, e la mano saldamente stretta attorno all’impugnatura dell’enorme spada che porta sulla schiena.

Sta venendo qui, lo sento.

Non riesco a muovermi di un millimetro, non so cosa mi trattenga.

Forse la voglia di riuscire a vedere quei i suoi occhi almeno per un secondo, che per il gioco di ombre a cui ho accennato prima non mi sono possibili intravedere.

Non posso descrivere quanto sia meraviglioso questo scenario, non ci sono parole… aspetta, cos’è questa musica?

Ora che ci penso è da un po’ che la sento…

Mi guardo intorno ma vedo solo fuoco, poi mi volto di nuovo verso il punto da dove mi sta raggiungendo.

Tiro un urletto dalla felicità. Il “Principe dell’Inferno” sta venendo a prendermi, ne sono sicura!

Ora capisco, è tutto perfetto, già, questa canzone da urlo come colonna sonora, un ragazzo ancora più da urlo che esce dalle fiamme e viene verso di me… è il “Principe dell’Inferno”!

È fin da piccola che sogno questo momento.

Pochi passi, ancora pochi passi… ora gli mostro io chi comanda.

Si ferma proprio di fronte a me, oddio quant’è bello!

«I-i… i-i-io…» Inizio, ma lui mi copre con la sua voce.

«Sono venuto a prenderti.» Aspetta, c’è qualcosa che non va…

«Non mi stavi aspettando? Abbiamo un compito, no? Dobbiamo andare a governare insieme…» Le sue labbra continuano a muoversi ma io sento solo silenzio. No, non ho sentito le ultime parole!

«Come, scusa?» Gli chiedo con il sorriso stampato in faccia. Forse sto sorridendo un po’ troppo…

«Che c’è, non ti ricordi? Avevamo detto che avremmo governato insieme il parco dei divertimenti!»

Finalmente alza abbastanza il viso in modo che io riesca a vederlo negli occhi.

Uno schifosissimo sorriso.

Degli schifosissimi occhi.

Le parole “parco dei divertimenti” che mi risuonano in testa in un eco sempre più lento.

Cosa?

Aspetta.

Ma il mio principe dov’è?

No, non è quello il problema, rimani calma.

Calma.

Calma.

Un urlo si staglia per tutti gli Inferi. Sono io che ho urlato la parola “americano” a squarciagola e a lungo, molto a lungo. Se quest’urlo potesse essere paragonato ad un numero, questo sarebbe decisamente periodico.

Apro gli occhi.

Sono immobile, completamente scioccata. Tutto quello che riesco a fare è fissare il bianco del soffitto della mia camera.

«Aya?!» Ed ecco mio padre sullo stipite della porta che mi fissa male.

«Ciao papà.» Dalle mie parole non traspare alcuna emozione, sono ancora completamente scioccata.

«Ehm… stai bene?» Mi guarda, ancora più stranito.

«Certo che sto bene. Ovvio che sto bene. Non è ovvio che io stia bene?» Termino il tutto con una risatina isterica.

«Con quella risata da malata di mente e il tono piatto della voce, non sei per niente convincente…» Mi dice continuando a fissarmi storto. «E poi cos’era quel lungo “americano” che mi ha frantumato i timpani?»

Americano.

Americano?

Americano!

Americano!

Mi alzo di scatto dal letto.

«Aya, sul serio bambina mia, tu non stai bene…» Fa una specie di sorrisetto per nascondere la sua perplessità.

Io sto in silenzio.

«Senti Aya, facciamo così, oggi te ne stai ancora buttata a letto, tanto oggi è sabato, non hai scuola. Poi quando ti senti meglio ti alzi, va bene?»

«Sì…» Dico solo io, stringendo il lenzuolo.

«Bene. Intanto, io ti tengo da parte la colazione finché non te la senti di venire.» Chiude la porta e torna al piano disotto.

Io mi raggomitolo sotto le coperte un po’, tanto, scioccata…

Ma-ma-ma perché? Ora si intrufola anche nei miei sogni? Tutto questo è assurdo!

Tiro un gran sospiro.

Sì, dev’essere per quello, per il fatidico appuntamento di oggi… aspetta… oggi? Oddio che ora è?

Le 08:15? Ok, perfetto… ma questo vuol dire che ho meno di un ora!

Però mi sembra di star dimenticando qualcosa… beh, mi verrà in mente!

Ok, allora, con i vestiti sono apposto, visto che ieri ho impiegato tutta la sera per sceglierli, ma è solo un dettaglio, non pensate male, non me ne importa nulla di apparire carina e afddlgdfdkf. Sto dando di matto. Quindi mancano solo i capelli.

Ma perché mi continua a sembrare di non ricordare qualcosa?

Beh, basta pensare.

 

°~°~°~°~°~°~°~°~°

 

Scendo le scale di corsa e mi metto a tavola con mio padre che mi guarda con la coda dell’occhio. Lo vedo cercare di nascondere una risata quando mi lamento del male al ginocchio, visto che come una stupida ho sceso la rampa di scale di corsa.

Oh, ci sono gli onigiri al salmone! Li adoro!

«Vedo che ti sei ripresa…» Dice lui con un sorrisetto.

«Ehm, sì, diciamo…» Dico mentre afferro un onigiri.

«Ma che hai combinato ieri sera? Sei stata sveglia fino a tardi…»

Ma no, non stavo scegliendo i vestiti per questo stramaledetto app-, ap-, appun-, non ce la faccio!

«Niente papà, assolutamente!» Ed ecco un’altra risata isterica. Ma chi voglio prendere in giro?

«Sì, certo…» Fa lui, tutt’altro fuorché convinto. «E… dove penseresti di andare oggi?»

«Al luna-park.» Rispondo senza pensare. Che idiota, dovevo cucirmi la bocca.

Una fragorosa risata rovina l’atmosfera di calma e pace che di solito caratterizza la mia colazione. «Ah, Aya, non so neanche per quale motivo io stia ridendo visto che ne ho due!» E giù con un'altra risata.

Metto giù le bacchette con le quali mi stavo gustando il riso, un bel po’ stizzita. «E sarebbero?»

«Uno: Ayame Kazawa, la mia Ayame Kazawa, mia figlia, che va ad un luna-park? Prevedo che oggi crollerà il cielo!» E ride. Io lo fisso male. Ma dopotutto, non è che abbia torto… «E due: mi spieghi dove vorresti andare con quel ginocchio?» Cerca di trattenere un'altra risata, fra un po’ si strozza con il riso.

Sapete il rumore che fa il ghiaccio quando si spezza sotto i vostri piedi? Ecco, è quello il rumore che ho appena sentito dentro di me. Sì, mi sento un blocco di ghiaccio che si sta spezzando. In più continui sbuffi di vento gelido contribuiscono a rendere più tragica la scena.

Ma quanto idiota posso essere?! Dove volevo andare con questo maledetto e stramaledetto ginocchio?!

È colpa sua, dell’americano! Quello sporco-!

Il suono del campanello di casa nostra arriva alle mie orecchie.

No, per favore.

Non ora.

Mi alzo di scatto. Mio padre fa un enorme balzo e quasi cade dalla sedia.

Corro più inferocita che mai verso la porta d’entrata. Spero di non aver fracassato il pavimento, ma sono solo dettagli. Apro la porta.

Non mi è minimamente passata per l’anticamera del cervello l’idea che magari quella persona, che ho preso per il colletto della camicia, avrebbe potuto essere il postino, un bambino che vende dolci, la vicina che chiede un po’ di sale, il lattaio, o qualsiasi altro malcapitato. Comunque, per fortuna era la mia vittima designata.

E così mi ritrovo faccia a faccia con degli occhi troppo blu e semplicemente troppo americani.

«Americano!» Dico io. Stavolta non è un urlo, è molto più simile ad un verso animalesco. Né tanto forte, ma nemmeno un sibilo. Un tono come quello di una normale conversazione tra esseri umani, anche se questa non la si può certo definire tale.

Qui abbiamo in ballo la “Regina degli Inferi” e un semplice, plebeo americano.

Ancora convinti che siano due esseri umani alla pari?

«Ciao anche a te.» Dice lui, accennando un sorrisetto dopo la sua battutina.

«Sei un idiota!» Gli urlo io addosso. È un urlo corto stavolta, non uno dei miei soliti.

«Questo me l’ha già detto qualcuno.» Che spiritoso il ragazzo, eh?

«E non ti hanno mai detto che non si invita una ragazza con il ginocchio malandato ad un appuntamento? Che pensavi di fare?» Stringo ancora di più il colletto della sua camicia e lo tiro senza rendermene nemmeno conto vicino al mio muso. Sì, muso. Con l’espressione che ho non credo ci sia altro modo per definirlo.

«Ma quante storie. Solo per stare un po’ più vicini, no? Bastava me lo chiedessi, sai?» E di nuovo quel sorrisetto sornione! Ma come osa?!

«Come osi, tu, plebeo! Parlare così alla tua regina! Inchinati immediatamente al suo cospetto!» Dico io mollandolo per terra e indicando le piastrelle del vialetto che porta all’entrata di casa mia, sulle quali lui è appena atterrato.

«Sai, Ayame, che quello che hai appena detto fa pensare un po’ male…?»

Io lo fisso un attimo, c’è un silenzio profondissimo. Ora sento un enorme calore in viso. Ma che razza di fantasie ha questo qui?!

«Eh?! Ma sei scemo?!» Corro dentro casa e sbatto la porta dietro di me, poi mi ci appoggio.

Oddio, sono arrossita! Io! E per di più davanti a lui! Io che non arrossisco dai tempi dell’asilo! Oddio che vergogna!

Sento una risata provenire a fuori.

«Dai Ayame, stavo scherzando!» E giù a ridere ancora.

Quel deficiente!

«Muori!» Gli urlo io da dentro casa e lui ride ancora. «Sì, certo, ridi finché puoi…» In questo momento un ghigno malefico in viso e una lingua da serpente non mi starebbero male.

«Avanti, dai! Apri la porta, Aya…» Ora la sua voce è calma e normalmente aprirei la porta e gli lancerei un’occhiataccia con i miei occhi ghiaccio smeraldo, ma il mio viso è ancora in fiamme e non ho intenzione di mostrarmi nuovamente in questo stato. Non si addice per nulla ad una “Regina degli Inferi”, dopotutto!

«Te lo scordi, americano!»

«La grande regina è così codarda da non mostrarsi ad un povero suddito che le chiede udienza?»

La porta si apre lentamente. Io con le braccia conserte che lo fisso male, lui con un altro sorrisetto stampato in viso.

«Che cosa vuoi?» Dico stizzita.

«Te.» Sussurra.

Ed ecco un mio urletto, uno stupido urletto che da me non ci si dovrebbe aspettare. Mi ha presa in braccio all’improvviso, questo sfrontato! Ma che fa?!

«Mettimi subito giù, cosa pensi di fare, idiota?!» Qualcuno mi dica cosa ci faccio tra le sue braccia in stile sposa…

Oggi è una pessima giornata, non l’avevate notato?

«Scusi signore, la porto a fare un giro! Non la farò camminare, glielo assicuro! Gliela riporterò a casa per cena! Non si preoccupi, con me è completamente al sicuro!» Dice l’americano a voce alta in modo che mio papà possa sentirlo.

«Sei tu quello che non è al sicuro, americano.» Sibilo io, che stranamente mi sono rassegnata. Non ha senso! Questo idiota mi sta rapendo ma il mio corpo non si vuole ribellare! Sento il cervello che urla: «Lasciami! Lasciami!» ma l’unica cosa che il mio corpo fa è stringere le mani sulla sua camicia per paura che da un momento all’altro quest’imbecille mi molli per terra.

Sento un: «Va bene.» distratto provenire dalla cucina. Ma no! Ora ci si mette anche lui! Mi stanno rapendo e mio padre non fa nulla! Sarà concentrato sul suo stupido telegiornale sportivo. Magnifico.

Fosse almeno il “Principe dell’Inferno” a rapirmi, invece di questo completo idiota!

E intano proprio questo completo idiota mi sta infilando nei sedili posteriori della macchina parcheggiata davanti a casa mia. È una macchina straniera, nera e piuttosto lussuosa direi, ma non esageratamente.

Speriamo che i vicini non abbiano visto nulla o non me la caverò con qualche semplice domandina. Già tutto il vicinato sa del mio ginocchio, ci manca solo che scoprano anche che conosco un riccone americano.

Quando chiude la portella del sedile affianco al mio e si gira per sorridermi, io gli sputo addosso così tanti “idiota” che non riesco nemmeno a tenerne il conto.

«Ma non c’è di che, Ayame! È sempre un piacere, stare con te!» Fa ancora lo spiritoso, eh?!

«Tsk.» Incrocio le braccia fissando dritto davanti a me, accorgendomi solo ora che non siamo gli unici nel veicolo. C’è un autista, che ci sta portando non so dove, visto che prima, impegnata com’ero ad offendere il mio vicino di sedile, non sono riuscita a sentire le indicazioni stradali che aveva fornito all’autista sorridendo.

 

°~°~°~°~°~°~°~°~°

 

I viali, le strade, i pali della luce, passa tutto così velocemente… oh, un viale di alberi di ciliegio! Che meraviglia!

Ah, giusto, vorrete sapere come sta andando, beh… sarà da interminabili ore che sono qui seduta il più vicino possibile al finestrino, dove ho la faccia spiaccicata, per stare il più lontano possibile da quel maniaco rapitore. Ma dove mi starà mai portando? Il viaggio non finisce più… sono un po’ preoccupata, non ho nemmeno un orologio per controllare l’ora e di certo non la chiedo a lui.

«Per quanto ancora hai intenzione di ignorarmi?» Mi chiede con il suo solito sorrisetto.

«Zitto, maniaco rapitore.»

«Oh, hai trovato un nuovo soprannome per me, che carino.»

Non so come ma sto emettendo un ringhio basso e rauco.

«Guarda che sei tu quella che ha accettato di uscire con me…» Il suo tono di voce è così basso da farmi venire i brividi, o forse è quel che ha detto che me li ha provocati.

Troppe emozioni in un giorno solo. Povero cervelletto.

«Hai freddo?»

«No.» Dico io, fermamente. Mi ha sicuramente vista tremare.

«Guarda che se hai freddo, me lo puoi dire, non è che-»

«No, no… sto bene, non preoccuparti…» Perché ora mi sento così terribilmente a disagio? E perché questo silenzio? Ma quando cavolo arriviamo?

 

°~°~°~°~°~°~°~°~°

 

Che sonno… non vedo nulla, è tutto appannato… ma dove mi trovo? Aspetta, oddio! Mi devo essere addormentata! Ma… questa sopra di me è la giacca di Ryan! Ehi, l’ho chiamato per nome…

Lui dov’è? Mi volto. È ancora lì, seduto alla mia destra in questa sua macchina straniera e trema leggermente. Io non sento tutto questo freddo però… eh, noi giapponesi siamo abituati al freddo, non come questo americano solo sole e spiaggia. Aspetta, la giacca! L’ha data a me perché ero infreddolita! Beh, cosa vuole ora, fare il galante? Con me non attacca.

Ma allora perché sento un leggero calore in viso mentre lo guardo dormire? Non ce la faccio più, voglio tornare a casa, voglio restare sola e in pace, sono stufa di sentirmi così a disagio!

Cerco di guardare fuori dal finestrino ma è tutto appannato. Ci passo sopra malamente una mano e finalmente scorgo qualcosa. Da quel che vedo siamo sicuramente in periferia, alcune case sono molto vecchie ed ora che me ne accorgo stiamo percorrendo una stradina sterrata.

Ed ecco che la macchina si ferma.

Mi volto verso Ryan che dorme, sono indecisa se svegliarlo o no… non ho dubbi, questa è un’occasione perfetta! Inizio a tirargli la pelle del viso inventando una miriade di espressioni buffe. Ora capisco cosa si intende quando si dice: «Ci sono cose che non hanno un prezzo.»

«Ehiiii, mua chef faii?»

Scoppio a ridere sentendo le sue parole storpiate, intanto lui sbatte gli occhi ancora assonnati.

«Ehi, sto forse ancora sognando?» Mi guarda in silenzio sorridendo leggermente. «La tua risata era così dol-»

«Signorino, siamo arrivati, vi preghiamo di scendere.» È l’autista che parla.

«Sì…» Per un secondo mi pare di scorgere un’ombra di tristezza sul viso di Ryan.

Apre lo sportello e scende, poi tende la mano verso di me per aiutarmi. Io la fisso intensamente senza muovermi di un millimetro.

«Avanti, lo so che sono bello e che non mi staccheresti mai gli occhi di dosso, ma sarebbe un appuntamento alquanto noioso così.» Dice lui vantandosi spudoratamente e sorridendo.

«Tsk…» Dico solo io prima di prendere la sua mano. «Sto iniziando a credere che la parte vuota del tuo cervello sia occupata dal tuo ego.»

Ride di gusto. «Sì, me lo dicono spesso.» Poter osservare il suo sorriso così da vicino e qualcosa di inebriante, mi sembra quasi di non potergli staccare gli occhi di dosso. Semplicemente brilla di luce propria quando ride.

Mi risveglio dallo stato di trance in cui ero caduta osservandolo. «Allora, dove siamo? Spero sia un bel posto visto che ci è voluta mezza giornata di viaggio per raggiungerlo…»

«È il mio posto segreto… vieni.»

Mi prende improvvisamente per mano e mi trascina più avanti fino a che il filare di alberi alla nostra sinistra non termina e posso finalmente vedere cosa vi è dietro.

«Un… fiume?» Dico io, stupita.

È uno di quei classici grossi fiumi che di solito scorrono in periferia, di quelli che hanno argini enormi e la classica scalinata per scendere al livello del fiume.

«Sì… è qui che venivo sempre quando ero piccolo e volevo stare solo.» Il suo sguardo è rivolto verso quelle acque un po’ sporche e quell’erba verdissima. È uno sguardo malinconico.

Inizia a scendere i gradini, poi va sull’erba e vi si stende tranquillamente. «Dai, vieni anche tu.» Mi dice.

Ok, non mi sarei mai aspettata un appuntamento così tranquillo, non da Ryan.

Lo raggiungo e mi distendo anch’io, né troppo vicino né troppo lontano da lui.

«Hai detto “da piccolo”? Ma non ti sei appena trasferito qui?» Gli chiedo un po’ confusa.

«Sai, Ayame, io odio gli aerei.» E che centra ora? Perché non mi risponde per una volta che gli faccio una domanda senza urlargli contro?

Mi giro verso di lui, stizzita, pronta a dirgliene quattro, quando vedo i suoi occhi completamente persi nel cielo. Li seguo e vedo che proprio ora sta passando un aereo sopra di noi. Resto a fissarlo anch’io, finché lui non inizia a confidarsi dal nulla.

«Odio il male alle orecchie che mi viene sempre, odio dover continuare a sentire la gente attorno a me che si lamenta "ho mal di testa, ho mal di testa!" ma soprattutto, odio i check-in.»

Poi il silenzio cala tra di noi. È imbarazzante quindi cerco di dire io qualcosa. «Beh, io non ho mai viaggiato quindi non saprei… però un giorno mi piacerebbe provare, anche se non saprei proprio dove andare e inoltre, faccio schifo in inglese.» Rido un po’ io.

«Ti porterò in America. Un giorno ti porterò in America con me, Ayame.» Non ci posso credere, mi sta facendo una promessa? Non riesco a parlare. «Voglio mostrarti tante cose, tanti posti! Voglio mostrarti tutto!» Sorride fissando il cielo.

Perché sta promettendo una cosa del genere a me? Sono praticamente una sconosciuta per lui! Non siamo nemmeno amici! E il modo in cui l’ha detto… sembrava una promessa molto seria… non può star parlando sul serio, insomma!

«Prometti sempre ad ogni persona che appena conosci di portarla in America o stai delirando?» Gli dico io, cercando di nascondere quanto sia scioccata.

«Oh, Aya, così mi ferisci…» Lo sento bisbigliare. Nel frattempo si è portato un braccio sopra gli occhi, ora completamente coperti.

«Ti porterò dove vuoi Aya, ovunque, solo, vieni con me.» La sua voce è davvero flebile. Ma che gli sta succedendo? «Vieni con me.» Ripete e mi sembra di non ricordarmi più come si respira.

Lo fisso. Cerco di cambiare discorso, il silenzio sta diventando troppo pesante. «Ma… non ti piace il Giappone?» Dico io, nervosamente.

«Ho visto tante di quelle volte il cartello “おかえりなさい” (okaerinasai) con sotto la scritta “Welcome to Japan” all’aeroporto, da averne la nausea ormai.» Sta in silenzio un attimo e poi inizia a parlare nuovamente. «Era una delle cose che più amava mia madre, era sempre così felice appena scendevamo dall’aereo e quando vedeva quel cartello le si illuminavano gli occhi. Quando da piccolo le chiesi cosa volesse dire “okaerinasai”, mi ricordo benissimo il tono dolce con cui mi rispose. Significa “bentornato a casa”. Già, perché quella era la sua vera casa, non l’America.»

«Tua madre è giapponese?» Gli chiedo stupita.

«No, era una biondissima americana che però aveva lasciato il cuore in questo paese di cui era follemente innamorata.»

«Era?»

«È morta quando avevo sette anni, per una malattia.» Mi risponde, calmo.

Non aggiungo nient’altro, il silenzio tra di noi vale più di mille parole. Mi sento solo in colpa per tutte le volte che, soprattutto da bambina, piangevo disperatamente perché non avevo la mamma sempre vicino a me. Almeno io una mamma ce l’avevo ancora.

«Era pazza per il Giappone, infatti è lei che mi ha insegnato il giapponese. Dopo aver finito di studiare giapponese all’università si è fiondata qui e ci doveva venire assolutamente almeno una volta all’anno. È proprio durante uno di questi viaggi che ha incontrato mio padre, che era qui per lavoro. Due giovani americani nell’enorme metropoli che è Tokyo. Si sono innamorati subito. Sono stati fidanzati per anni, poi, quando mio padre ha guadagnato una posizione importante nell’azienda che ora è sua, si sono sposati e si sono trasferiti insieme in America. Dopo sono nato io e ogni anno venivamo qui in vacanza proprio in questo quartiere, dove mio padre aveva comprato una casa solo per noi. Venivo spesso qui a giocare a calcio con gli altri bambini. Mi ricordo di tutte le volte in cui la palla finiva nel fiume…» Si lascia scappare una risatina. «E poi… poi la mamma è morta e non siamo più andati in vacanza da nessuna parte. Mio padre si è chiuso in sé stesso e il suo unico pensiero è diventato il lavoro, forse perché era l’unica cosa in grado di distrarlo… e io intanto interpretavo il ruolo del piccolo principino circondato da domestiche e maggiordomi rinchiuso nell’enorme castello, che avrebbe dovuto proteggerlo da tutto ma che in realtà l’ha solo reso più insicuro. Mio padre mi ha sempre viziato, ma nonostante questo c’era una cosa che non poteva darmi, non poteva starmi continuamente accanto, ero costantemente solo. E sai perché ora viviamo in Giappone? Perché mio padre è stato letteralmente costretto a tornarci per lavoro ed ha incontrato un’altra donna con cui ora si è risposato. Non ho nulla contro di lei, è una brava donna e con me è sempre stata gentile. Come mio padre, anch’io sono stato costretto a venire in Giappone, dato che non essendo ancora maggiorenne non potevo vivere da solo in America. È stato difficile accettarlo, e molto anche. La cosa che più mi rendeva felice in America era il liceo. Infatti tutto era migliorato da quando avevo convinto mio padre a mandarmi in un normale liceo. Prima avevo sempre avuto insegnanti privati e quindi non avevo praticamente amici perché non conoscevo nessuno tranne qualche figlio di ricconi amici di mio padre. Al liceo la gente mi ammirava, ero famoso perché ero bello, ricco e intelligente. Che cosa poteva volere di più una ragazza? Potevo avere chiunque… tutto ciò che volevo, l’ottenevo. E poi… poi mi sono innamorato per davvero e ho perso la testa. Che ci posso fare, io sono fatto così. È stato difficile rinunciare a tutte le certezze della vita di ogni giorno e ritrovarsi di fronte semplicemente un enorme punto di domanda. Ma soprattutto è stato difficile rinunciare alla certezza che era lei. O almeno, io ero l’unico dei due che non ci aveva rinunciato. Avrei fatto di tutto per lei, le avevo promesso di tornare in America appena maggiorenne, l’avrei sposata seduta stante, le avrei dato la mia vita… lei era l’unica che mi capiva, lei, lei, lei, ed ora sono rimasto so-» Il sentire qualcosa che lo avvolge all’improvviso deve averlo scosso. Sono le mie braccia. Sì, mi sono fiondata ad abbracciarlo. Non potevo più sopportare di sentire la sua voce quasi rotta dal pianto che stava per sfogare.

«Non sei solo!» Non potevo dire frase più scontata. Ma va bene, tutto purché non pianga.

«Già, non sono solo…» Il braccio che prima gli copriva gli occhi ora è attorno alle mie spalle. Non è una morsa, è leggero, come a dirmi: «Se non vuoi, vattene pure.»

E io non lo faccio, contro ogni logica, non lo faccio. Lascio solo andare la mia testa sopra la sua spalla e riesco a scorgere quegli occhi blu in cui si sta riflettendo il cielo. Lui si volta verso me.

«La prima volta che ti ho vista… il verde dei tuoi occhi… mi ha ricordato subito questo posto…» Siamo vicinissimi. Mi sta delicatamente sfiorando una guancia con le sue dita. Verde e blu, blu e verde. I nostri occhi si stanno mischiando e amalgamando, potrei venir risucchiata da quel blu così profondo.

E sta succedendo, perché li vedo sempre, sempre più vicini.

E poi accade. Accade che non vedo più nulla perché ho chiuso gli occhi e che sento qualcosa di morbido sulle mie labbra. Ho i brividi e trattengo il respiro. Non riesco a pensare a nulla. Dura un’eternità.

Solo dopo esserci divisi e aver osservato per attimi infiniti quel blu, mi rendo conto di ciò che è successo.

Lui mi guarda con gli occhi spalancati e la bocca appena aperta, come se stesse cercando di dirmi qualcosa ma non fosse in grado di trovare le parole che in questo momento mancano anche a me.

Io lo fisso soltanto ed ogni secondo che passa la consapevolezza di ciò che è successo si fa strada in me e sono sicura anche nell’espressione confusa e scioccata che si sta dipingendo sul mio volto.

Mi alzo di scatto, impaurita dai miei stessi sentimenti. In questo momento sento solo di voler scappare, scappare lontano, il più lontano possibile da lui che mi confonde così tanto. Salgo i gradini in fretta e poi inizio a correre lungo quella strada che non so dove porta, ma che la mia testa continua a riconoscere come familiare. Sono così scombussolata che non noto nemmeno il dolore al ginocchio.

Il fruscio dell’erba mi indica che anche lui si è alzato e che ora mi sta inseguendo. «Ayame! Aspetta!»

Ma non ce la faccio, non ce la faccio a voltarmi, potrei cadere di nuovo vittima di quel suo blu profondo. Strizzo gli occhi e immediatamente l’immagine dei suoi occhi mi si proietta davanti. No!

Decido di svoltare in un piccolo vicolo alla mia destra ma mi ritrovo subito per terra perché sbatto contro qualcosa.

Intanto, sento dei passi a me familiari fermare la loro corsa proprio dietro di me.

«Ahia…» È un qualcuno quello contro cui mi sono scontrata e che ora si sta lamentando. Devo sbrigarmi a chiedere scusa. Alzo lo sguardo proprio per farlo e stavolta, invece di due occhi blu, ne trovo un paio cioccolato fuso.

Ora è tutto chiaro. Ecco perché mi ricordavo di queste vie.

«Jin!» Urlo io, sorpresa, fissandolo.

«Ayame…» Dice quasi in un sussurro il mio migliore amico, confuso, che ho malamente buttato a terra.

«Ryan!» Esordisce lo stupido americano dietro di me, che ora sembra aver recuperato la sua solita allegria.

Ci voltiamo tutti e due verso quest’ultimo e le nostre espressioni sono più eloquenti di mille: «Ma sei scemo?»

«Io sono qui perché mia nonna abita proprio qui di fronte, ma tu e soprattutto lui, che ci fate qui?» Chiede Jin, marcando volutamente la parola “lui”.

È vero, da piccola andavo spesso dalla nonna di Jin, fa dei biscotti che sono la fine del mondo! Ma ora non è questo il problema. Jin non deve sapere. Non deve sapere nulla di ciò che è successo! Che cosa farà l’americano? Oddio, e se dovesse dire qualcosa al riguardo?! No, no, no!

Improvvisamente sento qualcosa che mi fa il solletico e scende velocemente lungo le mie guance, per poi cadere a terra. La vista mi si appanna. Ehi, ma… sono lacrime, sto piangendo?

Ed ora me ne accorgo. Il ginocchio. Mi fa malissimo. Sento il mondo crollarmi addosso. Non dovevo correre e in più sono caduta un’altra volta.

La voce preoccupata di Jin che sta iniziando ad agitarsi mi giunge alle orecchie. Si agita sempre quando mi vede piangere, anche se per lui vedermi in questo stato non è una cosa così rara. Sa che se piango c’è sicuramente un motivo serio. «Ayame! Ayame! Che succede?!» Mi posa le mani sulle spalle e mi scuote un po’, ma dolcemente.

«Ehi, stupida!» Questo è Ryan, che si è chinato anche lui di fianco a Jin per potermi guardare negli occhi. Non avevo mai sentito questo suo tono di voce, sembra davvero preoccupato anche lui. «Che cos’hai?! Rispondi!»

E io scoppio in lacrime, non riesco a pronunciare una parola. Solamente dopo un po’ riesco a balbettare qualcosa che fa spalancare gli occhi ad entrambi. «I-il ginocchio… mi fa male… il ginocchio…» È quasi un sussurro.

Ma non è la pura verità. Non è solo il ginocchio a farmi male.








 

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Capitolo 9
*** Controvento ***


 



I don't speak American.

 

 

Capitolo 9 ~ Controvento

 






«Il ginocchio… il mio ginocchio!» Sul mio viso scorrono veloci lacrime fredde e amare. Sì, amare. Perché sono finita in questo posto sperduto? Ma soprattutto, perché sto piangendo come un’ebete davanti a loro, a lui! Quello stupido americano che fino a cinque minuti fa mi stava… mi stava… Dio, vuoi punirmi per qualcosa?

I miei pensieri scorrono veloci quanto le mie lacrime. Sento in lontananza delle voci. Sono sicura che siano Jin e Ryan che mi avvertono che l’ambulanza sta per arrivare ma io non ho voce, anzi non ho proprio la forza per muovere un muscolo. Fisso il mio ginocchio con lo sguardo perso. Fa male! Fa malissimo! Cosa mi succederà? E se avessi rovinato per sempre la mia carriera nel basket? No, non ci posso credere. Rovinata la mia intera vita, e per cosa poi? Un bacio… perché c’è stato un bacio? Sento la mia mente sempre più pensante e la mia vista diviene sfuocata. Non vedo più nulla, solo ombre intorno a me. Penso sia colpa delle lacrime ma allora cos’è questa sensazione… mi sento… io… possibile che sia arrivata la mia ora? “Signore degli Inferi”, è lei? Sign-…


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Lentamente riprendo conoscenza. La testa mi sembra star per scoppiare… non capisco, cosa sta succedendo? Sono svenuta? Forse è proprio così… per questo mi sento così svampita. Il mio corpo! Perché non riesco a controllarlo? Forza, Ayame, svegliati! Apri quei maledetti occhi! Perché non riesco a svegliarmi? Eppure, io sono sveglia? O forse è solo un sogno? Cerco di concentrarmi per percepire quello che sta succedendo al mio corpo. Subito sento una strana sensazione… cosa? Dolore.

«Ayame, riesci a sentirmi? Ti fa male quando tocco qui?» La voce sembra appartenere ad un uomo sulla trentina ma purtroppo non riesco ad aprire gli occhi per accertarmene. Sono sicura che sia il dottore che mi hanno affibbiato… ahi! Mi sta controllando il ginocchio. Sento il mio corpo scosso da lunghe fitte di dolore e le lacrime che continuano inesorabili a scendermi lungo il viso. Allora perché non riesco a svegliarmi per tirare un pugno a quell’idiota che mi sta toccan- ahi, idiota! Certo che mi fa male, non sono venuta in ospedale così perché mi piacciono le pareti bianche deprimenti o il cibo riscaldato che fa schifo. Stupido dottore, stupido corpo! Stupida vita…

«Sembra sia ancora in stato di incoscienza, il dolore al ginocchio deve averle fatto perdere i sensi. Ma non c’è nulla di cui preoccuparsi, sono sicuro che si risveglierà al più presto. Ora vado a contattare i genitori della signorina Kazawa. Se si dovesse svegliare o avesse dei problemi non esitate a chiamare l’infermiera.»

Sento la porta sbattere, seguita da due lunghi sospiri… due? I miei pensieri iniziando a scorrere veloci ripassando i fatti degli ultimi giorni. Tutti questi avvenimenti in così poco tempo, la mia gamba, Jin, Ryan… il mio piccolo collage mentale di eventi viene interrotto bruscamente da un male allucinante al ginocchio. Mi sta facendo impazzire! È come se fosse ricoperto di spilli! Il dolore è insopportabile ma… cosa? Il dolore sta diminuendo? Com’è possibile? Mi sto rigenerando? Sono un demone? Che figo!

«Ho appena dato alla vostra amica un po’ di anestetico per sopportare meglio il dolore.» Questa volta è una voce molto più delicata e gentile, un’infermiera, ecco perché il mio corpo sta diventando così leggero. Certo, sento ancora del dolore ma è sopportabile… ahhh come mi sono ridotta, devo accettare la pietà di un’inutile mortale che mi regala un po’ di sollievo? Bah, che schifo… forse è questo quello che si prova quando si va a passeggiare in Australia e un canguro decide di giocare con te… no, non credo.

«Vado a vedere se è arrivato suo padre. Già che ci sono faccio un salto al bar per prendermi qualcosa da mangiare, oggi non ho toccato niente, vuoi qualcosa anche tu?» Riconosco questa voce, è Jin!

«Un panino, per favore. Io resto qui con lei.» Questo è… l’americano? Cosa? Jin, mi lasci sola con questo? Dopo quello che è successo oggi… noooooooooo potrebbe cercare di torturarmi, di baciarmi, di… uccidermi per diventare lui stesso il “Signore degli Inferi”! Nooooooo, Jin, noooooooo!

Sento dei passi allontanarsi dal mio letto e la porta sbattere. Il mio cuore manca un battito… sono sola con lui? Di nuovo…

«Ayame… perché?» Sento dei piccoli passi leggeri avvicinarsi a di me. La sua voce trema leggermente come se stesse trattenendo le lacrime con tutte le forze. Cosa succede a questo stupido? Perché si fa vedere così davanti a me? Perché mi ha baciata?

Sento qualcosa di caldo appoggiarsi sulla mia mano distesa inerme sul letto. È il contatto ben distinto di due mani che sollevano la mia e la stringono forte, ma con delicatezza, per non farmi male. Sono le sue mani. Il mio cuore salta un battito e me lo ritrovo in gola. Cosa sta facendo? Perché lui…?

Sento un altro sospiro, questa volta molto più malinconico. La mia mano viene sollevata leggermente ancora di più verso l’alto e sento qualcosa di morbido che sfiora la mia pelle. Qualcosa di fresco, che contrasta con il palmo bollente della mano dell’americano. Ma io questa sensazione l’ho già provata… sulle mie labbra, oggi. Lui… lui… lui mi sta baciando la mano? Cosa diavolo gli prende a questo qui? Perché si comporta così… con me? Io che sono l’unica a cui non è mai fregato nulla di ragazzi, amore, trucchi, eccetera. Perché si sta aprendo con me? Perché ha lasciato che lo vedessi in quel modo vicino al fiume? Perché mi ha chiesto di andare via insieme a lui? Che io piaccia a…

Vengo subito interrotta da due piccole parole, che mi fanno accelerare il battito tanto da pensare che il mio cuore stia per scoppiare.

«Scusami, Ayame.» Rimane in silenzio, un pesantissimo silenzio. Per fortuna sono in queste condizioni, non penso sarei riuscita a tener testa alle sue scuse faccia a faccia. C’è solo un dubbio che mi assale…

Scusami, per essere uno stupido ed averti fatto peggiorare il ginocchio?

Scusami, per non essere morto quando dovevo? O forse…

Scusami, per averti rubato il tuo primo bacio? Nella mia mente si fa strada la sua risata soddisfatta. Ma io ti uccido, stupido americano!

«Non avrei mai voluto che ti succedesse questo, Ayame. Anche se tu mi… “odi”… devi ammettere che fra noi due…» Fa una piccola pausa, che sembra infinita. «C’è qualcosa, oltre all’odio, non trovi?»

Biip biip, biip biip, biip… biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip! Ora del decesso 18:45. Oggi, siamo qui riuniti per piangere la morte di una delle più promettenti “Regine del Male”, Ayame Kazawa, che per diciassette anni ha monopolizzato l’intera umanità facendola cadere nel terrore con un solo sguardo. Ella sognava di potersi un giorno finalmente sedere sul trono degli Inferi come consorte del Signore, diventando, lei e solo lei, l’unica “Regina degli Inferi”. Oggi, con grande rammarico, piangiamo la sua scomparsa. Ella non è morta per cause naturali come:

Un attacco di un sicario professionista assunto da un’altra pretendente del Signore.

Un fulmine mandato da Zeus per fermare il suo regno mortale.

Ustioni di quarto grado causate da una piccola nuotatina dentro al magma.

Ma… perché “la regina dagli occhi di ghiaccio smeraldo” provava qualcosa per un vile e normalissimo essere umano.

Provava qualcosa per un ess- provava qualcosa?! Ok, stop, mente del cavolo! Io, provare qualcosa per quello stupido americano?

«Non ho parlato di nessun americano, cara.» Una voce risuona nella mia mente.

«C-cosa vorresti insinuare? Ovvio che stavi parlando di lui, di chi altri sennò?»

«Di un umano qualsiasi, no?»

«Cosa…?»

«Ayame, cara, se tu pensi subito a lui, ci sarà un motivo, no?»

«Forse lo penso sempre perché lo odio?»

«Non si pensa sempre alla persona che si odia, bensì a quella che si a-»

Tuuuuuuuuuuuuuu tuuuuuuuuuuu tuuuuuuuuuu sconnessione cervello in corso… connessione di emergenza fra: tre, due, uno… bip, bip

Stupido americano, cosa stai cercando di dirmi? Mi molli la mano? Penso seccata e irritata dalla fantasia che ho appena vissuto per colpa di quel maledetto anestetico, perché era sicuramente colpa dell’anestetico… dev’essere colpa di qualcosa! Non mia di sicuro! Anzi, la colpa è tutta sua!

«Ayame, so che il gesto di poco fa ti ha sconvolta…» Sento le sue mani stringersi sempre di più attorno alla mia. «Ma devi sapere che per me non è stato un errore, io… Aya, io ti v-» Percepisco le sue mani abbandonare la mia e sento un tonfo, come se qualcosa fosse caduto sul pavimento accanto a me.

«Ahio! Ma che cavolo?! Che ti prende?!» La voce di Ryan sembra alquanto seccata. Penso che stia parlando con Jin perché sento dei passi dirigersi verso di me e uno sbuffo che risuona per tutta la stanza. Il tipico sbuffo di Jin quando è irritato.

«Scusami, pensavo si aver sentito le parole: “io voglio un panino”, così te l’ho lanciato. Non hai una bella presa, eh, americano? Eppure l’America è la patria del baseball.»

Sento una piccola risatina finta venire dalla mia sinistra quindi intuisco che adesso Jin si trovi proprio di fianco a me, di fronte all’americano… che abbia sentito tutto? Oddio, no! Jin non deve sapere… non deve… non deve… non posso perdere Jin! Jin è troppo importante… per me.

«Hai sentito male, mi dispiace.»

Cala il silenzio dentro alla stanza, sento rumori simili a quelli di una persona che sta masticando, quindi ne deduco che stiano mangiando. Che ora sarà mai?

Il mio stomaco inizia a lamentarsi. Cavolo, ho fame! Come vorrei svegliarmi e mangiare un bel panino, anzi meglio una pizza! Sì, una pizza in ospedale, ma sono stupida?

«Stop Aya, pensaci bene, ti preoccupi veramente del cibo? Preoccupati del fatto che non riesci neanche a svegliarti!» Di nuovo la voce nella mia mente.

«Ovvio che ci riesco! Sta a guardare!»

Muovo le palpebre leggermente, è come se le ciglia fossero incollate tra di loro… colpa delle lacrime, tsk! Riesco finalmente a staccare le ciglia appiccicose e vedo filtrare la luce del lampadario. È troppo forte per i miei occhi. Aspetto che questi si abituino un po’ alla luce e poi li apro il più possibile. Vedo una stanza banale, di un ospedale banale, banalmente bianca, arredata peggio della casa di Topolino… che posso dire? È così banale. Oh, c’è un lampadario osceno!

Alla mia sinistra intravedo Jin con lo sguardo rivolto verso il basso. Che stia ammirando il pavimento mortalmente banale? Suppongo di no. È intento a sgranocchiarsi il suo panino: würstel, insalata, maionese e pomodori. No, non ne vedo il contenuto, né sono un segugio da tartufi, semplicemente è lo stesso panino che Jin prende da anni. Alla mia destra, invece, trovo quel biondo di un americano girato di schiena, anche lui intento a mangiare. Che allegria questa stanza.

«A-anch’io ho fame…» Dico con voce flebile, mi esce quasi come un sussurro. La gola mi brucia per il solo pronunciare quelle poche parole. Ho sete, mi sento disidratata, la gola è tutta secca e inizia a darmi fastidio. Mi sforzo di pronunciare poche parole ma in modo che siano udibili anche alle loro orecchie. «Non potreste darmi una coca?»

Vedo la figura di Jin diventare sempre più sfuocata e dei movimenti bruschi verso di me. Non distinguo nemmeno più le loro ombre. Sento le loro voci farsi lontane. Eppure sono qui davanti a me, che succede?

«Ryan, presto, prendi dell’acqua!» Esclama Jin. Dov’è la sua solita calma? Oh, Jin, ti sto facendo preoccupare molto, vero? Mi dispiace moltissimo, non volevo causare dei problemi a te, non proprio a te…

La mia vista torna lentamente a farsi più nitida. Vedo difronte a me un bicchiere verde con una cannuccia sempre verde infilata dentro. È sorretto da una mano abbronzata. Che sia quella dell’americano? Penso proprio di sì, anche perché so benissimo che Jin ha la pelle bianca come il latte. In questo ci assomigliamo, odiamo entrambi prendere il sole. La gola inizia di nuovo a provocarmi fastidio quindi decido di accettare l’aiuto dell’americano. Avvicino lentamente le labbra alla cannuccia, cerco di aprirle e poi richiuderle sopra ad essa. Finalmente! Acqua fresca! Da quanto! Stavo proprio per disidratarmi. Ne prendo parecchie sorsate per poi lasciare lentamente la cannuccia. La mia gola finalmente viene rinfrescata. L’acqua scende giù che è una delizia. Nella mia mente ringrazio Ryan per l’aiuto, ma ovviamente non c’è bisogno che io glielo dica a voce. Alzo lo sguardo e incontro subito occhi color cioccolato. Jin è seduto sul mio letto accanto a me e mi fissa attentamente, scrutandomi per capire se sto bene o meno. A lui non servono parole, a lui basta guardarmi per capirmi. Gli regalo un mezzo sorriso, almeno quello che i miei muscoli mi permettono di fare. Sono tutta intorpidita. Com’è possibile che per un ginocchio io sia stata messa del tutto K.O.? L’americano, appena capito che ho finito di bere, allontana il bicchiere, appoggiandolo sul comodino che si trova di fianco al mio letto. Si avvicina per scrutarmi bene. I nostri occhi si incontrarono, blu e verde, verde e blu. Questa sensazione…

«Io…» Cerco di raccogliere le idee per formare una frase di senso compiuto. Inutile dire che è un tentativo completamente privo di senso, la mia mente non è ben sveglia. Mi viene in mente solo una cosa, ma cerco di soffocarla dentro di me. Non sarebbe uscita, mai!

«Dov’è mio padre?» Riesco infine a dire qualcosa, apparentemente normale, ma ad essere onesti non è che mi interessi molto di mio padre in questo momento. Ovvio, vorrei vederlo, stringerlo e chiedergli se andrà tutto bene, ma in questo momento riesco solo a pensare ad una cosa… soltanto una… blu.


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Abbasso il viso, osservo le mie mani bianche giocare fra di loro in modo nervoso. Sono nervosa. Le mani non mi interessano poi molto ma se alzassi lo sguardo incontrerei quello di mio padre preoccupato. Nella stanza ci sono due dottori, uno di mezza età, credo sia il primario dato che sta illustrando a mio padre la situazione del ginocchio, e uno giovane che credo abbia circa 30 anni, con la mia cartella clinica in mano. Mostra le radiografie a mio padre che fra un sospiro e l’altro chiede quando sarò dimessa. Il dottore giovane mi spiega con molta calma la situazione. Con dolcezza mi alza il viso e guardandomi sospira e scandisce: «Questo ospedale è proprio fortunato, avrà la fortuna di avere come ospite questa graziosa giocatrice di basket.»

Lo scruto perplessa, questo doveva essere un complimento? Dovrei essere felice di restare qui così che tu ci possa provare con me? Hai idea della differenza d’età, bello? No… Aya, controllati, non puoi uccidere un dottore, almeno prima fatti guarire.

«Immagino che tutti siano onorati di potermi servire, ma preferirei tornare a casa. Quanto tempo devo essere tenuta sotto controllo?» Rispondo in modo pacato.

«Due settimane, Ayame. Tranquilla, farò in modo che le infermiere non ti diano noie con i loro pettegolezzi.» Mi risponde facendo l’occhiolino, mmh forse mi sono sbagliata non è poi tanto male questo dottore.

Il dottore esce insieme al primario dalla mia stanza, rimaniamo solo io e mio padre. Lui in piedi vicino alla porta che cerca di rimuginare sul da farsi e io bloccata in questo letto. Jin entra con un sorriso smagliante chiudendo la porta in faccia a Ryan che è subito dietro di lui, il quale dopo alcuni secondi riapre la porta, fulminandolo. Jin si siede sul letto al mio fianco, mi sistema le coperte senza mai incontrare i miei occhi. Gli rivolgo un sorriso dolce e pieno di affetto ma non vedo lo stesso nel suo sguardo. Intanto Ryan prende le distanze e si mette vicino alla finestra aperta, dove cade il suo sguardo malinconico. Insomma sono proprio di compagnia questi due, eh? Mio padre dopo una lunga riflessione viene a baciarmi la fronte dicendo che sarebbe andato a prendere le cose che mi sarebbero servite a casa e Ryan, ritornato dal magico mondo della “finestra delle meraviglie” si offre di accompagnare ed aiutare mio padre, il quale accetta cortesemente. Si avviano verso la porta e mio padre mi fa un cenno con la mano per dirmi che sarebbe ritornato più tardi con le cose. Ryan invece mi fissa, nei suoi occhi c’è il caos. So che vorrebbe restare e dirmi molte cose ma trova che questo sia il momento meno opportuno. Rivolge uno sguardo duro a Jin che gli sta dando la schiena.

«Tu resti qui?»

L’unica risposta che riceve è: «Questo è il mio posto.»

Stringe la maniglia senza controbattere e se ne va chiudendo la porta senza salutarmi.

Cosa succede? Non ho mai visto il viso dell’americano con quell’espressione. Perché gli da così fastidio che Jin sia qui al mio fianco? Insomma, solo perché mi ha baciata pensa che io ora sia di sua proprietà?! Rido fra me e me. Hai sbagliato tutto, bello. Ayame non è di nessuno. Un bacio… non cambierà ciò che siamo io e lui. Nemici, nemici, nemici. Ecco quello che siamo e quello che continueremo ad essere. Io non mi innamorerò mai di un stupido americano. Anzi, io non mi innamorerò mai! I miei pensieri continuano a volare da un argomento all’altro senza alcun filo logico per un po’. Chiudo gli occhi e il mio respiro si calma. Finalmente sono sola con me stessa. Il silenzio mi penetra l’anima, è ora di chiarire con me stessa cosa sia realmente successo poco prima con lui. Mi ha baciata, ormai non posso più nasconderlo a me stessa. Sono stata baciata, ma la sensazione che ho provato in quel momento… cosa significa?

Quando finalmente riapro gli occhi trovo Jin seduto in silenzio davanti a me, che mi fissa senza espressione. Sta aspettando con la sua solita calma che io finisca di chiarirmi le idee… per tutto questo tempo è restato al mio fianco senza muoversi, vegliando su di me e sui miei pensieri. Lui è l’unica persona al mondo che mi trasmette questo senso di pace e comprensione, lui è la mia comprensione. Apro la bocca, ma da essa non esce nulla. Cerco di mettere due o tre parole insieme per dirgli anche solo un “ciao, come va?”… ma nulla sembra voler uscire dalle mie labbra. Jin abbassa lo sguardo e si mette a giocare con dei foglietti colorati. Per quanto adori Jin, a volte non sopporto il fatto che lui non prenda mai l'iniziativa. So che sono una ragazza egoista e adoro avere sempre io la prima parola, ma in momenti come questo, ti prego, almeno tu, amico mio, salvami, ti prego… io davvero ho bisogn-

«Ho avuto paura.» Dice, senza smettere di giocherellare con i foglietti. «Quando ti ho vista in questo letto, ho pensato che avrei dovuto difenderti, cha avrei dovuto evitarlo.» Stringe in mano i pezzetti di carta.

Allungo la mia mano verso la sua, la apro con gentilezza e afferro uno di quei foglietti stropicciati. Prendo una penna dal comodino di fianco a me e vi ci scrivo sopra. Lo rimetto dentro alla mano di Jin, che lo porta vicino al viso per leggerlo. Sul foglietto c’è scritto: “Ora sei qui”. Alza lo sguardo amareggiato verso il mio, io ricambio con un sorriso.

«Non dovresti lasciar fare alla futura “Regina degli Inferi” una cosa così smielata, non trovi? Mi rovino la reputazione.» Un sorriso si dipinge sul volto di Jin.

«Mia signora, dopotutto questo è il mio solo privilegio.» Si alza e mi stringe fra le sue braccia.

Non ci abbracciamo spesso io e lui, ma devo ammettere che i suoi abbracci non mi danno fastidio, anzi, sono piccoli gesti da mortali che ancora sopporto. Solo da lui, ovvio. Proprio in quel momento sento la porta sbattere. Entra un ragazzo con i capelli rossi, alto all’incirca poco più di Jin. Tiene fissi i suoi occhi verdi su di noi, che ovviamente eravamo ancora abbracciati e guardavamo straniti quell’individuo.

«Oh cielo, ho disturbato la coppietta? Scusate, pensavo che qui ci fosse il dottor Shion…»

«Daisuke! Non puoi andare in giro per l’ospedale a tuo piacimento!» Entra il dottore giovane di prima, lo prende per il braccio e lo fa inchinare in segno di scusa. Lui sbuffa, fissandoci. «Scusate davvero il disturbo, i bambini non dovrebbero andare in giro da soli.» Fissa il ragazzo al suo fianco.

«Bambino?! Guarda che ormai ho ventiquattro anni! Tsk, sei tu che sei vecchio.» Risponde seccato il ragazzo, liberandosi dalla sua presa e incrociando le braccia al petto. «Mi dispiace di essere entrato così, volevo solo vedere come stava il signor Kazawa…» Mette il muso. «Ma devo avere sbagliato stanza.»

Il dottore tira uno schiaffo leggero sulla fronte del ragazzo. «Ti ho già detto che non è lui ad essere ricoverato, ma sua figlia, la ragazza qui presente.»

Il ragazzo si illumina e corre fino al bordo del mio letto. «Tu sei Ayame? Quella Ayame?! OMG! Vero, assomigli un sacco a tua madre, non ti avevo riconosciuta! Chi è questo? Il tuo ragazzo?» Sorride fissando Jin che era ancora stretto a me. Ci accorgiamo di essere ancora abbracciati e ci stacchiamo imbarazzati. Che figura… mi ero lasciata trasportare dalla situazione. Cerco di far passare il mio colorito bordeaux tentando di collegare ciò che il ragazzo rosso ha cercato di dirmi. Jin lo ferma chiedendo: «Conosci Aya?»

Il ragazzo si calma e mi fa l’occhiolino. Sorride a Jin rispondendogli: «Sì, ma non credo che lei si ricordi di me, eravamo piccoli, sono un vecchio alunno di sua madre e suo padre. Venivi a giocare a casa mia quando eri piccola, Aye.» Rimango stordita dalla rivelazione dello strano ragazzo. Non ricordo assolutamente nulla di lui… aspetta… Aye?! Io mi ricordo di un ragazzo che mi chiamava così! Lui mi ha insegnato i tiri liberi, come potrei mai dimenticarlo!

«Daisuke!» Rispondo.

Lui sorride mostrandomi il pollice all’insù. «Non sono facile da dimenticare, eh?»

«Per niente, sei sempre stato eccentrico, come dimenticarlo.» Rido, ormai a mio agio.

«Forse ti ho un po’ contagiata. Mi sei mancata, Aye.» Sorride, avvicinandosi.

«Anche tu, Dae.» Ricambio.

Jin e il dottore restano sconvolti e rimangono a fissarci per alcuni minuti, poi, in silenzio, decidono di andare alla caffetteria dell’ospedale fin tanto che noi ricordiamo i bei tempi. Mi sembra così strano incontrare una persona che non vedi più da anni e sentirsi così a proprio agio…

«Allora, Aye, chi era il ragazzo di prima?» Mi chiede mangiandosi due o tre cioccolatini che mi aveva portato mio padre.

«È il mio migliore amico, Jin.» Ne rubo uno dalla sua mano e lo mangio.

Scuote la testa. «Migliore amico? E lo abbracci in quel modo? Ah, se Shion ti vede mangiare quello sei nei guai… quindi, mi sacrifico e li mangio tutti io.» Ride di gusto, mangiando i miei cioccolatini.

«Sì, è solo un amico. Così quel dottore si chiama Shion? Mi sembra abbastanza simpatico, è un tuo amico?»

Mi osserva per un secondo e poi risponde pacatamente: «Diciamo che siamo in ottimi rapporti. Oggi sono venuto a trovarlo per mangiare insieme ma poi ho visto la tua cartella clinica e ho pensato che fosse di tuo padre e così sono corso qui per salutarlo, ma alla fine ho incontrato te. Non mi è andata male, no?» Sorrido, serena.

Sento bussare alla porta. Entra Jin con due piatti e li appoggia al tavolino. Deduco che sia già ora di cena. Beh, meno male, stavo morendo di fame.

Daisuke si alza dalla sedia. «Ragazzi, io vi lascio mangiare in pace. Vado a scovare Shion dal suo nascondiglio per costringerlo ad offrirmi la cena. Ci vediamo domani, Ayame!» Ricambio e mi volto verso Jin che sta preparando i nostri piatti. «Tuo padre ha chiamato. Dice che dovrebbe arrivare verso le 20:30 con le tue cose, quindi resterò qui con te fino ad allora.» Sorride porgendomi il mio piatto: insalata, pomodori ciliegini e… pollo? Mmh, il premio per il miglior pasto dell’anno va… all’ospedale di Tokyo! Yeah… beh, meglio di niente.

Jin mangia vicino alla finestra il suo manzo al bambù. Il profumino arriva fino a me. Quanto mi piacerebbe mangiare qualcosa di sostanzioso, non capisco a cosa serva avermi messa a dieta. Insomma, non sono sovrappeso e non sto nemmeno per morire, sono solo una povera ragazza sportiva infortunata al ginocchio che ama mangiare bene. Solo perché ho il ginocchio malandato non significa che una pizza possa uccidermi, dico bene?

«Oh, andiamo mangia e stai zitta!» Di nuovo quella stupida voce nella mia mente.

«Zitta? Guarda che schifezza ci hanno rifilato!»

«Allora continua a nutrirti di aria, contenta te.»

«Uff…»

Inizio a masticare il mio banale pasto, nel mio banale letto, in questo banalissimo ospedale aspettando che succeda qualcosa di altrettanto banale.

Mentre il mio noioso monologo interiore continuava senza sosta, Jin si alza di scatto, girandosi verso di me. «Vuoi andare a fare una passeggiata?»

Rimango zitta per qualche secondo. «Non posso camminare, te ne rendi conto?»

Si avvicina al mio letto, toglie le coperte dalle mie gambe e mi mette il giubbotto. Senza fare tante storie lo lascio fare volendo vedere fin dove ha intenzione di arrivare. Mi prende per le gambe saldamente in braccio, come una principessa. Cerco di resistere alla sua presa. Questa cosa sta diventando un’abitudine, devo troncala sul nascere, devono smetterla di prendermi in braccio!

«Stai ferma o ti farai male al ginocchio.» Dice Jin con tono autoritario.

Mando giù il boccone amaro e mi lascio trasportare da Jin per l’ospedale. Le infermiere ridono fra di loro guardandoci come se stessimo sfilando sul red carpet. Perfetto, per una o due settimane saremo l’argomento più succoso dei pettegolezzi dell’ospedale, altro che Gossip Girl o altri telefilm. Arrivati in giardino, Jin mi fa sedere sotto il gazebo e mette la sua giacca sopra alle mie gambe, per proteggermi dal freddo.

«Grazie.» Rispondo, osservando le sue mani rosse.

«Vuoi qualcosa di caldo da bere?»

«Grazie.» Rispondo ancora.

Scruta la mia espressione e poi dice con euforia: «Bene, allora ti prendo il tè al limone! Ma no Jin, che schifo, io odio il tè al limone! Ok, allora alla pesca. Nooo, non voglio il tè! Prendimi la cioccolata, non sono mica a dieta, sai? Ok, cioccolata sia.» Nel suo mini dialogo Jin cerca di imitare la mia voce ma ne risulta una voce stridula e bambinesca che mi fa scoppiare a ridere.

Fra una risata e l'altra dico: «Io non parlo così, idiota.»

Lui mi sorride. «Io non parlo così, bellissimo idiota.» Mi imita ridendo e si allontana per non rischiare di ricevere un calcio dalla gamba buona.

«Arrivo subito, aspettami qui. Mi raccomando, non ti muovere!» Mi fa l’occhiolino e si allontana verso l’entrata dell’ospedale.

Grrrrrrrrrrr! Quasi quasi gli tiravo una scarpa in testa. Mi ha fatta sorridere, ecco perché è voluto venire fuori. Ora mi sento meglio… forse dovrei ringraziarlo? Mmh… solo se nella cioccolata c’è anche la panna. Muahahah! Mentre sono intenta a fare la mia risata super malefica (nella mia mente ovvio, o la gente mi avrebbe fissata male…) noto che Daisuke è appena passato vicino a me senza accorgersene. Si siede sotto un albero poco lontano da me ma dato che davanti alla sottoscritta c’è uno stupido cespuglio non mi ha notata. Decido di chiamarlo per chiedergli cosa ci faccia qui.

«Daisuke! Ehi, che sta-» Proprio in quel momento, da dietro l’albero spunta il dottore giovane. Quel suo amico, come aveva detto che si chiamava? Shan, Shin? Mmh, no, Shion! Ah, i nomi non sono proprio il mio forte. Ma che ci fanno al buio da soli quei due? Guardano le stelle? Mmh, a me sembra troppo luminoso per vederle. Il dottore si piega verso Daisuke, accarezzandogli i capelli. Cavolo, devono essere amici da un bel po’ di tempo. Jin arriva proprio in quel momento con la mia cioccolata. Ha la panna. Ok, ti adoro.

«Grazie.» La prendo con un mega sorriso. Jin ricambia, sedendosi vicino a me. Mentre sono intenta a godermi la mia cioccolata alzo lo sguardo e mi trovo davanti ad una scena incredibile. Daisuke afferra il viso del dottore, lo porta vicino al suo e lo bacia. Il dottore ricambia chiaramente il bacio… con passione… molta passione… non smettono?! Mi scivola la cioccolata dalle mani che mi si versa tutta sulle gambe.

«Ahiaaaaa!» Jin mi soccorre subito, prendendomi in braccio per portarmi dentro. Dopo pochi minuti arrivano il dottore e Daisuke per vedere di chi erano quelle voci. Il dottore mi fissa e mi prende in braccio per portarmi a controllare che non mi fossi ustionata. Daisuke e Jin ci seguono in silenzio. Che disastro, perché combino solo disastri?! Non riesco nemmeno a guardarlo in faccia…


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«Daisuke, resta qui con Ayame. Io vado a prescriverle una crema da mettere sulle gambe per darle sollievo. Ayame, tranquilla, non è nulla di grave, non rimarranno cicatrici. Jin, puoi seguirmi, per favore? Ti faccio vedere quale devi prendere.» Jin esce dalla stanza insieme al dottore… al dottore che aveva baciato il mio amico d’infanzia… o che era stato baciato dal mio amico d’infanzia? Dal mio amico d’infanzia omosessuale? Scuoto la testa per levarmi questi pensieri dalla mente. Anche se fosse? Che c’è di male nell’essere omosessuale? Di certo non avrei smesso di essere sua amica per quello. Ma allora perché mi ha detto che era un suo amico? Aspetta, l’aveva detto?! La curiosità mi uccide…

Daisuke rimane a fissarmi in silenzio con le braccia incrociate sul petto. Dopo lunghi, lunghissimi attimi di silenzio, sento un sospiro pesante venire da lui.

«Per quanto hai intenzione di andare avanti?» Mi chiede guardandomi freddamente negli occhi. «So che hai visto, non hai nulla da dire? Ti vedo parecchio turbata.»

Il mio corpo si paralizza per qualche secondo, poi trovo la forza di rispondere: «Perché non mi hai detto nulla?» Si passa una mano tra i capelli ravvivandoseli all’indietro. Sorridendo amaramente mi dice: «Sai, non è da me presentarmi dicendo: “Ehi, ciao, sono Daisuke e sono gay”.»

Lo fisso, confusa. «Non mi importa che tu sia gay o no! Ma perché non mi hai detto che stavi con mister camice sexy?!» Sbuffo, un po’ indispettita. Sorpreso dalla mia risposta scoppia a ridere e si avvicina a me.

«Scusami, non volevo nascondertelo, ma sai, a molti non piacciono le relazioni omosessuali e non volevo che tu…» Gli prendo la mano.

«Che io cosa? Che io ti disprezzassi? Io ti voglio bene, sei il mio senpai che mi ha insegnato i tiri liberi! Quello che mi ha regalato le prime scarpe da basket! Come potrei non accertarti?! E poi, cavolo, stai con un dottore!» Scoppiamo a ridere insieme.

«Shion non ama molto le effusioni in pubblico.» Proprio nell’attimo in cui Daisuke termina la frase entrano il dottore e Jin, seguiti da mio padre e Ryan con delle borse. Oh, che bella riunione di famiglia…


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Escono tutti dalla stanza a parte Ryan, che continua a fissarmi mentre mi fascio il piede come una vera esperta… mmh o quasi. Stancatosi di vedermi fallire nell’impossibile impresa di farmi una fasciatura decente, decide di farmela lui stesso. Prende la garza e inizia a fasciarmi il piede. Ogni tanto alzo lo sguardo dalla fasciatura per osservarlo. La tensione si può tagliare con un grissino… oh no, aspetta, quello è il tonno, comunque il silenzio è sprofondato fra noi due.

Prende fiato e senza guardarmi in volto dice: «Scusa per il bacio, non volevo causarti problemi.» Il sangue mi si raggela nelle vene all’istante. Sentirlo dire dalla sua voce è troppo. È tutto il giorno che cerco di distogliere il mio pensiero da quello, ciò che mi ha portata ad essere in questa situazione problematica ed imbarazzante: Ryan mi aveva baciata.

Infarto fra uno, due, tr-

La porta si apre di scatto, vedo Jin spingere contro il muro Ryan. Non parlano ma i loro occhi fanno paura. Non avevo mai visto Jin così arrabbiato in tutta la mia vita. Che lui avesse sentito? No! Non Jin, lui non avrebbe mai dovuto sentirlo, non posso… non voglio! Jin si stacca da Ryan e viene verso di me, mi afferra dietro al collo e mi tira verso di lui. Tutto dura un attimo. Mi ritrovo con le mie labbra contro le sue, calde, morbide, umide. Si stacca da me, fissandomi freddamente negli occhi, e poi fissa l’americano, che in tanto ha stretto le mani a pugno per cercare di controllare la rabbia.

«Che stai facendo?!» Chiede a denti stretti Ryan.

Jin, con fare alquanto altezzoso, risponde: «Non sono affari tuoi, americano.»

In quel momento la porta si spalanca. Vedo la figura di Daisuke appoggiarsi alla parete, con un ghigno sulle labbra. «Ragazzi, ragazzi, la guerra non è ancora iniziata. Ora entro io.» Si girano tutti e due di scatto verso di lui.

Che era successo?! Era un sogno?! Ero stata baciata da due ragazzi nello stesso giorno, e tutte e due le volte contro la mia volontà… no… è un sogno… solo un sogno…

Che cosa sta succedendo nella tua vita, Ayame Kazawa?!


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Quella notte fui tartassata in più e più modi nei mie sogni. Il continuo rigirarmi nel letto, il dolore al ginocchio, sogni che non dovrebbero mai accadere… paure rivelate, troppe cose fatte e poche dichiarazioni rilasciate. La testa mi scoppia. Mi sveglio di soprassalto e controllo il mio cellulare. Segna le 7:20, l’infermiera sarebbe venuta a svegliarmi fra poco. Sono tutta sudata, ho i capelli spettinati, la gola secca, la testa che pulsa… era davvero stata una notte infernale. Ma la domanda era… era solo la notte ad esserlo stata?








 

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Capitolo 10
*** Insicurezze ***


 



I don't speak American.

 

 

Capitolo 10 ~ Insicurezze

 






Dopo il divorzio dei miei genitori tutto il mondo era cambiato, ma con il passare degli anni sono riuscita a ritrovare la mia tranquillità e la serenità. Dopo anni è ritornato tutto al proprio posto e la mia vita è tornata normale, tranquilla. Io e il basket, io e papà, io e Jin.

Ora, tutte queste certezze sono scomparse. Tutto il duro lavoro fatto per riprendermi, per ricominciare, si è dissolto in un colpo solo. Tutto è cominciato con l’arrivo di quell’idiota! Ha sconvolto la mia vita in un secondo! Per colpa sua io non sono più me stessa. Oltre ad avermi fatto dubitare di provare dei sentimenti nei suoi confronti, mi sta facendo dubitare della mia amicizia con Jin.

«Papà, oggi non me la sento di guardare gli allenamenti. Posso andare direttamente a casa dopo la scuola?»

«Scusami?» Mi dispiace papà, però non riesco a vedere la mia squadra allenarsi duramente fino all’ultima goccia di sudore ed io seduta in panchina a guardare e a non poter far niente.

«Non posso fare niente papà, io non ci riesco, davvero, non riesco a guardarle.» Il mio mento sta iniziando a tremare, questo è un segno, penso di essere arrivata al limite delle mie forze. Sono stata forte a non piangere per tutto questo tempo.

«Loro hanno bisogno di me ed io non posso fare niente, niente… niente!» Sto piangendo, non riesco nemmeno a mettere insieme una frase. Mi sento una nullità. La vita mi ha dato la possibilità di amare un gioco, di essere capitano, di diventare la migliore ed io l’ho sprecata quest’occasione.

Papà allarga le sue braccia e mi stringe a sé. Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che mi ha consolata. Deve far male anche a lui, sento che anche lui sta male per me. Ha puntato tanto in alto per sua figlia, si è messo in gioco lui stesso per me, per il mio futuro.

«Ayame… non piangere. Dobbiamo solo aspettare, fare attenzione e sperare in bene…»

«Grazie papà.» Mi stacco, prendo la cartella ed esco di casa.

Non c’è.

Jin non è venuto a prendermi nemmeno oggi. Non mi ha mai inviato un messaggio, non mi ha mai chiamata e a scuola cerco di evitarlo in tutti i modi possibili.

«Ooooh capitano invalido!» Qualcuno urla e mi salta sulla schiena.

«Oh! Vuoi morire?! Cosa mi salti addosso se sono invalida?!» Prendo Myo per il colletto della divisa e la spingo lontano da me. Odio questi contatti tra donne, non siamo best friends, siamo compagne di squadra, un po’ di rispetto.

«Ma stai tranquilla! Vieni oggi?»

«No, oggi sono impegnata.» Rispondo e tiro dritto per entrare a scuola.

«Con l’americano? Sai, girano certe voci a scuola…»

«Cosa?» Voci? G-girano voci… bene! Pezzi di merda!

«Che tu e lui uscite insieme, cosa vuoi che dicano! Cerca di riprenderti e di non farti distrarre da altre cose, abbiamo un campionato da giocare. Già così ci è difficile con te invalida, se perdi tempo con il nuovo arrivato siamo messe bene.»

«Sono io il capitano o tu? Abbassa i toni! Io non esco con nessuno e nessuno ha il diritto di dirmi cosa fare!» Piccola stronza, peggio di Eri sei.

«Solo un consiglio, baby! Byeee!» Ah, questi sorrisi falsi e insulsi. Queste femmine e la loro doppia faccia. Perché non sono nata maschio?

Dopo il suono della campanella tutta la classe si svuota. Tutti fuori per riuscire a prendere la pizza. Se solo potessi correre sarei la prima di sicuro, come ogni volta. Però questa volta si mangia il pranzo a sacco.

«Oh… pensavo fosse vuota l’aula.» Alzo la testa.

«Jin!» Urlo. Mi esce così, di sfuggita, con una nota di rimprovero. Beh, avrei da rimproverarlo eccome! Stronzo, bastardo, idiota!

«Vieni qui immediatamente!» Il suo sguardo si incupisce ma non si oppone, prende la sedia e si siede davanti a me. In momenti come questi dovrei parlargli, dovrei chiedergli spiegazioni, però l’unica cosa che riesco a fare e prenderlo per i capelli.

«Ma sei impazzito? Come ti è venuto in mente di baciarmi, stupido! Eh?!» Urlo.

«Ayaaa, molla! Molla, fai male! Ayaaa, fai male, molla!» Urla lui a sua volta, alzandosi subito dalla sedia. Io faccio altrettanto senza mollare la presa.

«Non mollo! Idiota! Cosa volevi?! Fare il figo davanti a Ryan, eh?!»

«Sei pazza? Lasciami! Chi voleva competere, stupida, io-» Si blocca dall’urlare. «Oh, hai mollato… i miei capelli… Aya?!»

«Perché a me, eh? Perché lo hai fatto a me?! Tutti ma non tu!» Secondo round di lacrime, anche queste non vedevano l’ora di uscire. Gli inizio a colpire il petto tante volte ed ogni volta lui mi chiede scusa.

«Scusa, Aya, io… mi sono lasciato trasportare dalla rabbia…» Mi blocca i pugni.

«Scusami? Rabbia per cosa?! Avresti solo dovuto restartene in disparte!»

«Io non voglio restarmene in disparte, Aya… non più. Voglio starti accanto.»

«Tu mi sei sempre stato accanto, Jin. Che discorso è questo?»

«Sì… hai ragione. Mi dispiace, io… davvero, scusami. Avrei dovuto chiamarti, cercarti però non ne ho avuto il coraggio…» I suoi occhi si addolciscono.

«Se lo fai di nuovo ti spacco la faccia, altro che capelli!»

«No, ci tengo alla faccia, è troppo bella! Dai, dammi da mangiare!» Sorride lui sedendosi di nuovo sulla sedia.

«Tsk, scroccone sei, scroccone rimani. Toh, mangia!»

Non so fino a che punto tutto questo funzionerà, però non voglio perderlo, non voglio litigare con lui. Spero che non ci saranno altri ostacoli fra di noi.

«Sei qui…» Qualcuno appare alla porta.

«Ryan…» Jin alle mie parole si volta verso la porta a cui stava dando le spalle. Il mio cuore inizia a battere forte.

Cosa sta succedendo?







 

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