The reason to fight

di Kaimy_11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Da quando ***
Capitolo 2: *** Dritto al segno ***
Capitolo 3: *** Battiti ***
Capitolo 4: *** Diamante grezzo ***
Capitolo 5: *** Il primo e l'ultimo ***
Capitolo 6: *** Evidente ***
Capitolo 7: *** Tutti crollano ***
Capitolo 8: *** Mia ***
Capitolo 9: *** Dolcezza e ferocia ***
Capitolo 10: *** Solo per te ***
Capitolo 11: *** Acqua che scorre ***
Capitolo 12: *** Dove fa più male ***
Capitolo 13: *** Dentro e fuori ***
Capitolo 14: *** La cosa giusta ***
Capitolo 15: *** Solo il presente ***
Capitolo 16: *** Prendersi cura ***
Capitolo 17: *** Via di fuga ***
Capitolo 18: *** Questione di scelte ***
Capitolo 19: *** Mente avvelenata ***
Capitolo 20: *** Sentire ***
Capitolo 21: *** Nell'inganno ***
Capitolo 22: *** A pezzi ***
Capitolo 23: *** Condannati ***
Capitolo 24: *** Logica e forza ***
Capitolo 25: *** Importanza ***
Capitolo 26: *** Speranza ***
Capitolo 27: *** Rivale ***
Capitolo 28: *** Perso per sempre ***
Capitolo 29: *** Azzerare ***
Capitolo 30: *** La ragione per lottare ***



Capitolo 1
*** Da quando ***


1. Da quando

 

 

 

-Perché?-

Quando le mani del ragazzo le si serrarono con un fremito attorno al  viso, poté scorgere quello stesso tremolio di rabbia e tormento rispecchiarsi in quegli occhi grigi, gli stessi occhi con cui la teneva incollata al suo sguardo. Una luce pallida balenò nelle sue iridi la seconda volta che quelle mani rudi e forti si serrarono maggiormente sulle sue guance, senza tuttavia ferirla.

Lui prese fiato e, con quello che le parve uno sforzo immane, lo vide risponderle. -Perché erano questi gli accordi. Avresti superato l’ultimo test e, invece di raggiungere gli altri iniziati per la cerimonia di ingresso alla fazione, saresti corsa nel mio alloggio e saresti rimasta chiusa lì fino al mio arrivo.-

La ragazza scosse la testa e la malinconia negli occhi del suo interlocutore raggiunse i suoi. Non riusciva a capire, non riusciva a comprendere ciò che stava succedendo senza sospettare qualcosa di molto grave nascosto dietro l’insolito comportamento del ragazzo.

-Gli accordi, Eric? Perché dovrei separarmi dal gruppo per nascondermi nella tua camera? Non ha senso!-

Eric lasciò la presa attorno al suo viso diafano come se si fosse improvvisamente scottato, restò per qualche secondo attonito, apparentemente privo della forza che solitamente lo contraddistingueva.

-Non nascondermi la verità, so benissimo che c’è qualcosa che non va!- insistette lei.

A quel punto, come se il mondo avesse smesso di girare, Eric guidò la sua mano lungo la guancia della ragazza che gli stava ad un palmo dal viso, aggrappandosi a quel contatto come se da quello dipendesse tutta la sua esistenza. Immergendosi poi in quegli occhi cobalto, che erano sempre stati capaci di trasmettergli sicurezza e conforto, si ritrovò a chiedersi da quando quella presenza fosse per lui una vera e propria dipendenza.

Quando aveva iniziato a mettere al secondo posto la sua fazione, i suoi obiettivi e suoi doveri, solo per una ragazza il cui sguardo esprimeva un coraggio ed una determinazioni quasi pari alla sua?

Fu in quel preciso istante che capì che c’erano due cose che gli stavano realmente a cuore, una era la sua fazione e la guerra che stava per iniziare per togliere il potere agli Abneganti, e l’altra gli stava difronte. In un secondo momento, perdendosi a studiare quel viso di cui ormai conosceva ogni centimetro, sentì dentro di sé una cocente rabbia crescere, al pensiero che rischiava di perdere entrambe le cose che per lui erano essenziali se solo il suo piano non fosse andato a buon fine in ogni minima parte.

Prese un profondo respiro per trattenersi e per impedire che la sua rabbia si focalizzasse su l’unica persona che non meritava di soffrire per mano sua, ma l’afferrò dalle spalle avvicinando i loro volti nel tentativo di apparire più deciso che poteva. Era cosciente che in quel modo l’avrebbe spaventata, ma non gli restavano altre carte da giocarsi, e ciò che c’era in ballo era troppo importante per permettersi il rischio di fallire.

Ad ogni modo la colpevole era proprio lei, ed era solo sua la colpa se adesso stava rischiando la propria posizione, e forse anche la propria vita, solo per proteggere una ragazzina testarda. Era colpa sua se, ad ogni secondo che passavano lì a discutere, i rischi per entrambi aumentavano.

Fu sull’onda di quel risentimento che parlò in maniera letale, mirando il suo sguardo adirato dritto in quello della ragazza, incatenandola.

-Adesso farai come ti ho detto. Sei ufficialmente un’Intrepida adesso, ed io sono un tuo capofazione che ti da un ordine, e non hai altra scelta che eseguirlo. Perciò corri.-

Stretta fra quelle mani che in altre circostanze erano state capaci di accarezzarla e di proteggerla, la giovane si lasciò andare alla superiorità di Eric e, mordendosi il labbro inferiore, sentì i proprio occhi inumidirsi. Nessuno avrebbe creduto quel capofazione capace di mettere da parte la propria durezza per difendere qualcun altro, ma con lei lo aveva fatto. Era riuscita a far breccia nel suo muro impenetrabile e a raggiungerlo nelle profondità del suo essere, a tal punto da avere imparato a riconoscere ogni segnale di allarme nel suo comportamento.

E, da quello che vedeva, i segnali presagivano una catastrofe.

-Perché?- Sussurrò ancora, ad un palmo delle labbra di Eric.

Suo malgrado, e nonostante gli sforzi per controllare la voce, calde lacrime erano sfuggite al suo controllo.

Eric prese un respiro profondo, non voleva arrivare a tanto, era disposto a spaventarla ma avrebbe preferito non doversi imporre con la forza.

Avrebbe preferito farla ragionare ma, dacché quella soluzione era ormai esclusa, la strada della cattiveria era l’unica da percorrere.

-Non ti riguarda. Ora fai come ti ho ordinato e sappi solo che, se potessi, ti ci trascinerei io con la forza. Vedi di fare un favore ad entrambi e obbediscimi.-

-Non ha senso…- Sussurrò la ragazza e, nell’abbassare lentamente la testa, diede quasi ad Eric l’illusione di essere stata sconfitta. -Perché mi stai chiedendo di allontanarmi adesso per andare nella tua camera?-

-Perché?- chiese Eric, deciso a non lasciar trapelare alcuna emozione anche mentre un guizzo intrigante gli attraversava lo sguardo. -Non te l’ho mai chiesto?-

La ragazza scosse bruscamente il capo e, con un unico gesto stizzito, si liberò della presa del ragazzo attorno alla sue spalle. -Non così! Perché cerchi di nascondermi? Da cosa vuoi che io…-

Nell’istante che passò, Eric trattenne il fiato. Era a conoscenza che la realtà dei fatti rappresentava un ulteriore rischio, ma sperò con tutto sé stesso che la mente brillante della giovane non la conducesse alla verità.

-Gli Eruditi!- Esclamò lei in un soffio, spazzando via ogni speranza di Eric. -La guerra… il potere che vogliono togliere agli Abneganti… Santo cielo! Non fidarti di loro!-

Proprio mentre la ragazza stava per indietreggiare, terrorizzata dalle sue stesse affermazioni, Eric la riafferrò dalle spalle e con uno scossone la riportò in sé.

-Adesso piantala e vai via di qui prima che possano scoprirci!-

La ragazza scosse la testa. -Stavano studiando un sistema di controllo, ho contribuito alla sua creazione. Tu non puoi neanche immaginare quanto io sia dentro a questa storia, io so tutto! Eric, non fidarti di loro!-

-È l’unico modo che ho per proteggerti, Aria!-

Quando con un gesto improvviso le mani di Eric tornarono a cingerle il viso, Aria capì che ogni suo incubo si era avverato, e che ciò che ancora non sapeva era peggiore di quanto potesse immaginare. Sentì altre lacrime caderle dagli occhi, poi la presa di Eric si rafforzò e sentì le sue labbra scivolarle sulla fronte, posandole un bacio rude e carico di significati.

Era stata una sciocca a sperare e, l’improvvisa consapevolezza che il suo errore avesse rischiato di mettere in pericolo Eric, le piombò addosso come un pugno allo stomaco.

Perché sapeva che era quella la verità, sapeva benissimo che lui stava rischiando tutto e allontanarla era l’unico modo per salvarla, dato che non avrebbe certo potuto agire liberamente senza rischiare di compromettere la sua posizione.

-Non noteranno la mia assenza?- Provò a dire, sperando che lui la tenesse con sé e che le permettesse di affrontare qualsiasi cosa a cui andavano incontro senza farla fuggire via come una codarda.

-Tengo io i registri degli iniziati…-

Ogni speranza persa.

-Corri e non voltarti indietro- Le ordinò, mentre con un braccio solo la stringeva bruscamente a sé.

Persa nei suoi tormenti, Aria rimase a fissare il pavimento mentre Eric scioglieva il fugace abbraccio e si voltava, pronto ad andarsene.

Ma non si lasciò sfuggire un ultima promessa.

Con una mano si allungò per bloccarlo dal polso e, quando lui si voltò a guardarla, lei si concesse poche parole.

-Promettimi che dopo mi dirai tutta la verità.-

Senza risponderle, ma con uno sguardo che valeva più di mille spiegazioni, Eric si sottrasse alla presa e si allontanò deciso, perdendosi fra le ombre del cunicolo.

 

Mentre avanzava per lo stretto corridoio, Aria decise che era più opportuno trasformare l’angoscia che provava in energia per andare avanti. Avrebbe anche potuto farsi sopraffare dalla rabbia, o dalla paura, ma non poteva permettersi nessuna incertezza.

Lo stretto passaggio che si snodava verso il Pozzo, il punto di raccolta per gli Intrepidi, era più buio e silenzioso del solito e, ad ogni passo, poteva sentire il battito del suo cuore rimbombarle nelle orecchie, nelle tempie, nei polsi e lungo le pareti di roccia.

Non poteva fare a meno di essere spaventata all’idea che qualcuno avrebbe potuto scoprire la sua assenza, o intercettarla lungo il suo percorso, perciò non le rimaneva che affrettarsi e sperare che niente andasse storto.

Se l’avessero vista dirigersi dalla parte opposta al luogo della cerimonia avrebbero potuto insospettirsi, tuttavia, se avesse seguito la scorciatoia che Eric le aveva suggerito, le possibilità di raggiungere la sua camera di nascosto e in poco tempo, sarebbero decisamente aumentate.

Immaginò di potersi già considerare al sicuro e, nel ripercorre quei passi che già tante altre volte l’avevano condotta da Eric senza che nessuno fosse a conoscenza del loro rapporto segreto, dovette veder crollare davanti ai propri occhi il castello di sabbia che aveva costruito mentalmente quando, di fronte a lei, si materializzarono due uomini che azzerarono completamente le sue probabilità di salvezza.

Decisa com’era, non si era accorta dei due che avanzavano verso di lei, fino a quando non se li era ritrovati a pochi passi di distanza.

Ma il problema non era stata la sua distrazione, d'altronde, che differenza avrebbe fatto tornare sui suoi passi?

Il vero problema, tuttavia, stava nel fatto che, tra tutte le persone al mondo che avrebbero potuto intercettarla, non poteva capitarle niente di peggio.

Finn era un uomo alto e dal fisico asciutto, con folti capelli grigi e mento spigoloso. Aveva sicuramente più di quarant’anni ed era uno dei capifazione più temuto e rispettato fra tutti quelli al comando. Già una volta in passato, Aria, aveva avuto a che fare con la furia di quell’uomo quando, ad un suo comportamento sbagliato, era stato egli stesso ad impartirle la punizione che meritava. Il tutto era avvenuto sotto gli occhi di Eric che non aveva potuto fare altro che acconsentire in silenzio e assire a quella tortura.

Inseguito, Aria era venuta a sapere che il comandante Finn aveva scoperto l’unione clandestina tra lei ed Eric, e che aveva appesantito la sua punizione proprio per punire Eric per la sua trasgressione alle regole e per sfidarlo ad opporsi al volere di un suo superiore, disubbidendo ancora alle leggi della fazione.

-Dove va così di fretta, signorina? La cerimonia di ammissione si svolge dall’altra parte…- La canzonò il capofazione, con quella sua aria falsamente affabile.

La ragazza indietreggiò, sapeva che oramai ogni speranza era persa, il suo piano di fuga era stato intercettato e nessuna scusa avrebbe funzionato perché, semplicemente, quell’uomo era troppo furbo per essere ingannato.

-Io…- Provò facendo appello a tutto il suo coraggio. -Ho dimenticato di prendere una cosa…-

Mentre parlava tutto il suo corpo si era immobilizzato, vittima di un fastidioso torpore che le impediva di apparire rilassata. Ogni suo muscolo era teso, le braccia ricadevano saldamente lungo i fianchi, ma i suoi occhi erano spalancati a tradire il terrore che provava.

La sua paura triplicò quando l’altro uomo, un ragazzino smilzo e con i capelli rasati, si avvicinò all’orecchio del comandante Finn per sussurrargli qualcosa. Qual ragazzo era il suo tirapiedi più fidato e, forse, la sua intenzione non era propriamente quella di nascondere alla ragazza ciò che aveva da dire, considerato il fatto che quest’ultima colse ogni parola.

Non solo Aria poté ascoltare ciò che il ragazzino aveva da dire, ma riuscì anche a cogliere la nota di scherno e la cattiveria con cui sussurrò il suo messaggio al capofazione.

-…Forse ha perso qualcosa nella stanza di Eric…-

Aria impallidì.

Si accorse troppo tardi, e con un suo rammarico, di aver fatto un passo indietro. La più banale delle scuse aveva ovviamente fallito. Se avesse realmente dimenticato un qualsiasi oggetto, non era certo quella la direzione verso cui avrebbe dovuto correre. I dormitori degli iniziati non erano lì, da quella parte, c’erano solo quelli degli istruttori e dei capifazione.

Venne richiamata all’attenzione da una sottile risata da parte di Finn. -Sì, e scommetto che lui sarà felicissimo di vederla…-

Non c’era più speranza, avevano  fallito.

Prese un respiro profondo e sperò con tutta sé stessa che Eric non finisse in guai seri a causa sua. Quei due uomini sapevano tutto, sapevano che Eric teneva a lei più di quanto avrebbe dovuto, e avrebbero usato quella debolezza contro di lui.

-Vieni, non perdiamo tempo!-

Detto ciò Finn si avvicinò a lei, seguito dal suo fedele braccio destro e, insieme a lui, l’afferrarono bruscamente e la fecero voltare, trascinandola poi verso la direzione da cui era appena arrivata.

Mentre veniva portata via, senza alcuna speranza di opporsi, Aria si lasciò sfuggire un’occhiata alla sue spalle verso la meta che avrebbe dovuto raggiungere ma alla quale non sarebbe mai arrivata.

Tutta la fatica che aveva fatto per arrivare fino a lì era stata inutile, adesso stava tornado esattamente nel posto dalla quale Eric aveva tentato, con tanto impegno, di allontanarla.

Chiuse gli occhi, alla fine sarebbe riuscita davvero a deluderlo.

Ma come erano arrivati a quel punto? Cosa li aveva legati fino a condurli a quella miserevole fine?

Da quando il loro rapporto era diventato così profondo da essere pericoloso?

 

Fra i suoi primi ricordi che potevano spiegare l’inizio del suo rapporto con Eric, Aria non poteva fare a meno di pensare al loro primo incontro.

Era il giorno della Scelta, il giorno in cui avrebbe finalmente potuto liberarsi della sua vecchia fazione e passare a quella a cui si era sempre sentita di appartenere veramente.

Un’arrampicata per prendere un treno in corsa e un salto sul tetto, senza che quello stesso treno si fermasse, non era certo ciò che immaginava, ma niente le avrebbe fatto cambiare idea.

Ogni fibra del suo essere le urlava che era fatta per appartenere Intrepidi.

Radunati tutti davanti ad un muretto basso che segnava la fine del tetto, i nuovi arrivati cercavano di non guardare troppo a lungo i volti dei dirigenti che li avevano accolti e, in particolare, fuggivano con lo sguardo da colui che aveva parlato.

Aveva detto di chiamarsi Eric e si era presentato come uno dei capifazione. Era alto e l’insieme di muscoli, tatuaggi e piercing che esibiva, sembrava studiato a tavolino per incrementare la sua aura minacciosa.

Sembrava uno di quegli uomini a cui puoi dare fastidio anche solo respirando, e che è meglio non fare arrabbiare troppo, se non si vuole finire all’altro mondo. Nessuno sarebbe stato così pazzo da avvicinarglisi, e nemmeno Aria voleva farlo, eppure non poteva fare a meno di guardarlo.

Era come il fuoco per lei, intrigante e affasciante proprio per la sua pericolosità. Non lo si può toccare senza bruciarsi, ma lei avrebbe volentieri corso il rischio.

Lui rappresentava perfettamente tutto il mondo degli Intrepidi che per anni aveva sognato, senza tuttavia poter mai raggiungere.

Esprimeva forza, coraggio, determinazione e potenza. E lei desiderava con tutta sé stessa quella forza.

Voleva quella potenza, e avrebbe fatto di tutta per ottenerla e per diventare una vera Intrepida.

-Vado io, adesso!- Esclamò senza paura.

Prima di lei avevano saltato una ragazza Abnegante e un altro ragazzo che non conosceva.

Era stato detto che il modo che avevano per accedere alla nuova fazione era quello di saltare nel vuoto, e lei avrebbe fatto quello e non solo pur di dimostrarsi degna di entrare.

Quando avanzò tra gli altri ragazzi, qualcuno il cui intelletto era contenibile all’interno di una noce, decise bene di lasciarsi scappare un apprezzamento poco educato ad alta voce.

-Però, niente male!- fece seguire ad un fischio volgare.

Aria fece un altro passo in avanti come se nulla fosse, poi si fermò per un istante, si riabbottonò la sua giacca blu notte e prese un respiro profondo.

In quello che potrebbe essere definito come una frazione di secondo, la ragazza si voltò e con un gesto fulmineo fece scattare il pugno verso il volto del ragazzo che aveva parlato. Il mal capitato non immaginava che Aria non avesse alcuna intenzione di colpirlo e che si sarebbe fermata con il pugno ad un soffio dal suo naso. Perciò si lasciò scappare un gridolino spaventato e, nel tentativo di sottrarsi al colpo, fece un passo indietro che gli fece perdere l’equilibrio e che per poco non lo spedì gambe all’aria.

Quando il giovane con la divisa degli Intrepidi addosso si accorse della figuraccia che aveva fatto, fece una smorfia mentre cercava di ricomporsi. Qualcuno si fece scappare qualche risolino, erano rimasti tutti senza fiato pensando ad una rissa, e una donna adulta lì presente si era già preparata ad intervenire, ma tutto si era risolto tranquillizzando i presenti.

Una ragazza bionda vestita di giallo e arancio mostrò entrambi i pollici ad Aria che, come se nulla fosse successo, ritrasse il pugno fermo a mezz’aria e si ricompose con tranquillità.

Con passo fermo e deciso si avvicinò al cornicione, vi si aggrappò sopra e attesa qualche secondo in piedi mentre fissava il vuoto. Stava calcolando l’altezza e chiedendosi cosa le avrebbe impedito di farsi del male, quando si accorse di colui che la stava osservando.

Girò piano la testa, attenta a non perdere l’equilibrio, e si ritrovò con il capofazione Eric a fissarla.

Le stava donando uno sguardo freddo e tagliente come una lama ma, nell’arricciatura delle sue labbra e nello scintillio dei suoi occhi ghiacciati, Aria colse una punta di divertimento.

Anche se non aveva abbandonato il suo muro di glaciale autorevolezza, aveva in qualche modo gradito lo spettacolo che gli aveva fornito e glielo stava comunicando.

Non era certo cosa di tutti i giorni vedere una ragazzina Erudita riuscire a fingere di colpire un giovane Intrepido per terrorizzarlo.  

Non la stava ammonendo, ritenendo quel comportamento fuori regola, ma si stava addirittura dimostrando complice di quel gesto tanto sfrontato eppure così follemente intrepido come solo lui poteva apprezzare.

Mai uno sguardo aveva comunicato tanto, mai due iridi grigie erano entrate tanto in simbiosi con lei dopo un solo istante.

Eric piegò ancora le labbra in un sempre più evidente sorriso, per quanto minaccioso apparisse in realtà, poi inarcò le sopracciglia con decisione.

Forse, altri al suo posto avrebbero fatto diversamente, ma lei fece ciò che le venne più naturale: ricambiò il suo sguardo e sollevò la bocca in un breve sorriso.

Si sentiva felice come mai prima d’ora, aveva quasi aggredito un suo coetaneo e nessuno era corso a rimproverarla. Per una volta, nonostante ciò che avesse fatto fosse sbagliato, aveva ricevuto un piccolo gesto d’ approvazione, e non era arrivato da un Erudito.

Ma da un Intrepido.

Un mezzo sorriso nascosto dietro uno sguardo arrogante era riuscito a liberarla e a farla finalmente sentire a casa dopo sedici anni.

Prima di voltarsi rivolse ad Eric un’ ultima occhiata maliziosa, poi si voltò verso il vuoto davanti a sé, chiuse gli occhi e provò ad immaginare la sua tunica e la sua giacca blu, sapendo che quella era l’ultima volta che la indossava. Non serviva a nulla calcolare la distanza o la velocità d’impatto che l’attendeva, adesso non era più parte degli Eruditi.

Adesso era un’ Intrepida.

Un Intrepida che, mentre saltava nel vuoto per la sua prima volta, era già schiva di uno sguardo che le aveva fatto battere il cuore.

 

Inutile chiedersi, arrivati a quel punto, se fosse stato quello l’inizio di un’attrazione pericolosa.

A nulla serviva sapere cosa avesse innescato la valanga di emozioni e sensazioni che avevano portato lei, una trasfazione, a perdersi tra le fiamme del fuoco.

Mentre ad ogni passo si avvicinava alla sua fine, trascinata a forza dai due uomini, non poteva fare altro che immaginarsi, con un nodo alla gola, la reazione di Eric quando avrebbe scoperto che il loro piano era fallito.

E in più si domandò, da quando Eric era pronto a rischiare per proteggere qualcun altro?

Forse era amore? E, se lo era, da quando era iniziato?

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

*****

Brevi note:

buon inizio di storia a tutti, spero che abbiate trovato piacevole la lettura e che vi abbia incuriosito per leggere i capitoli successivi.

Volevo, oltre a ringraziarvi per aver letto, precisare alcuni adattamenti per poter seguire al meglio la Fic.

Tanto per iniziare, io seguirò principalmente la trama del film, e poco il libro. Perciò, se trovate alcuni particolari fuori testo rispetto alla storia narrata nel romanzo, non preoccupatevi ma fate riferimento al riadattamento cinematografico.

In oltre ci saranno nuovi personaggi e alcuni particolari di quelli già conosciuti, come l’età e altri piccoli dettagli, che verranno modificati per garantire un adattamento migliore per questa piccola storiella.

Il mio intento è quello di rimanere il più fedele possibile al film, perciò non vorrei modificare i caratteri dei protagonisti o stravolgere il tutto con eventi troppo fantasiosi. Qualche ritocco sì, ma niente di stravolgente!

 

Detto questo, grazie ancora, spero di poter sapere le vostre opinioni attraverso qualche commento =)

Baci!

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Capitolo 2
*** Dritto al segno ***


2. Dritto al segno

 

 

Un colpo di pistola...

 

Due nemici.

Una stretta ferrea, due persone che si osservano.

L’atmosfera tesa, i presenti attoniti.

Anche lei stava trattenendo il fiato, poteva tuttavia sentire quello del suo avversario, poteva percepire lo scricchiolio delle ossa delle proprie dita mentre si serravano sulle sue spalle.

Non le era parso tanto forte quel ragazzo insolente quando, qualche istante prima, le era bastato un calcio ben assestato per farlo finire a terra. Eppure adesso, in un tempo decisamente troppo breve, la situazione sembrava essersi ribaltata.

Non era iniziato nel migliore dei modi quello scontro, detestava il suo avversario e, ancora di più, detestava il fato che fosse stato proprio lui a richiederla come sfidante.

Giunto il momento degli incontri tra gli iniziati, ad aprire le danze erano state due ragazze, identificate come la prima e l’ultima a saltare.

Subito dopo un ragazzino era stato picchiato selvaggiamente da un giovane trasfazione dei Candidi e, quando quest’ultimo era rimasto privo di avversario, per vivacizzare la situazione, gli era stato concesso l’onore di scegliersi da solo il suo prossimo rivale.

E lui aveva scelto proprio lei.

 

Un colpo di pistola che manca il bersaglio…

 

Forse il capofazione, arrivato apposta per vedere qualche goccia di sangue zampillare fuori da qualche naso rotto, aveva trovato intrigante il modo di combattere del ragazzo, e lo aveva voluto sul ring per più di uno scontro a differenza di quanto aveva fatto con i precedenti mal capitati.

Forse voleva vedere un’altra vittima.

Un ricordo le si era ripresentato per sbaglio alla mante, ricordando un pugno sul viso di un ragazzo, appena un mese prima.

Sangue su una giacca bianca, non più immacolata.

Una offesa, una risposta violenta. Un rimprovero e una fitta al cuore le conseguenze.

Mentre saliva sul ring, tra gli sguardi incuriositi e un po’ spaventati dei suoi compagni, Aria aveva scosso la testa per allontanare quel pensiero, ma non era riuscita a respingere la rabbia che ne era conseguita.

Come il cacciatore fa con la sua preda, il suo momentaneo sfidante aveva iniziato a girarle intorno con fare minaccioso. Aria era rimasta al suo posto e, a sua volta, si era concesse un’attenta analisi del nemico.

-Prima le signore.- L’ aveva provocata sfacciatamente il ragazzo. -Ti concerò la prima mossa, ma ti ricordo che sta volta non riuscirai a colpirmi!-

Un’alzata di spalle era stata la risposta. -Come preferisci, ma tu ricordati che questa volta non verrà nessuno a difenderti, Peter!-

Con una sicurezza ammirabile, Aria era avanzata verso il ragazzo che l’attendeva in posizione di difesa, gli fu di fronte e, senza troppi ripensamenti, fece scattare il braccio destro in avanti per colpirlo con un pugno al viso.

Ma quella era stata solo una finta e, quando come era prevedibile, Peter aveva usato entrambe le braccia per farsi scudo, la ragazza gli aveva rifilato un potente calcio al fianco rimasto scoperto. Di conseguenza, Peter si era ritrovato a barcollare all’indietro ma, grazie alla prontezza dei suoi riflessi, aveva recuperato la posizione eretta spingendo con le mani sul pavimento.

E poi tutto era successo troppo in fretta.

Peter, furioso, si era scagliato verso l’avversaria con una seria di pugni violenti, di cui uno era riuscito a superare la barriera che aveva creato con le braccia e a colpirla dritto al mento.

Il pugno era stato tanto forte da farla girare su sé stessa e cadere rovinosamente a terra. Si era ritrovata con le mani arpionate al bordo del ring mentre la testa le vorticava e la sua vista le forniva versioni distorte e offuscate della stanza.

Era rimasta a terra, con la testa affacciata oltre il limite del ring, quando aveva sentito Peter caricare ancora verso di lei.

Aveva deciso di voltarsi, aveva steso la gamba all’ultimo momento e il suo piede era andato a segno nell’addome di Peter, costringendolo a tornare, dolorante, sui suoi passi.

Aria si era rimessa in piedi, giusto in tempo per far in modo che il successivo pugno del ragazzo la colpisse con forza alla spalla, invece che alla guancia.

E poi la situazione era cambiata e, quando Peter era tornato verso di lei, le aveva afferrato entrambe le spalle con le mani.

Ma lei non era disposta a concedergli altro. lo aveva bloccato a sua volta, aggrappandosi anche lei alle sue spalle con le unghie in una stretta ferrea.

 

Un colpo di pistola che certa il bersaglio…

 

E adesso erano lì, due nemici faccia a faccia, bloccati in una morsa che li rendeva prigionieri l’uno dell’altra.

-Incontro terminato!- tuonò la voce di Eric.

Né Aria né Peter mollarono la presa, né smisero di guardarsi negli occhi.

-Noto una certa ostilità, mi piace!- Se la rise il capofazione, godendosi un’insana idea formatasi nella sua testa. -Rimanderemo il vostro scontro al momento in cui sarete realmente pronti.-

Con sguardo tagliente e carico di tensione, Aria e Peter si lasciarono andare, senza tuttavia perdersi di vista fino a quando non furono giù dal ring.

-Per tutti gli altri…- continuò Eric. -Questo è ciò che voglio vedere, la determinazione ed il coraggio! Voglio scontri tra veri Intrepidi, non tra femminucce!-

Mentre Aria si avvicinava a raccogliere la sua giacca lasciata a terra, Sasha, una trasfazione dei Pacifici che le era diventata amica, le passò davanti bisbigliandole qualcosa.

Dal labiale capì che diceva: -Che furia!- Con un’alzata di sopracciglia.

Fece un mezzo sorriso e scosse il capo, l’unica folle Pacifica che diventava Intrepida aveva scelto proprio lei come compagna di scorribande.

Mentre si abbassava sulle ginocchia per raccogliere la giacca della sua divisa da terra, con la coda dell’occhio, vide Eric che parlava animatamente con Peter. Sembrava lo stesse rimproverando di qualcosa.

Aria allungò la mano ma, ad una seconda occhiata, vide Eric fare gesti decisi e Peter che lo ascoltava con concentrazione, chinando più volte la testa.

Con un gesto stizzito diede una scrollata alla sua giacca per liberarla dalla polvere, quello che aveva intravisto non era un rimprovero, ma una serie di consigli.

Lo stava istruendo.

Rindossò il giubbetto di pelle, gli diede una spolverata con le mani lungo i fianchi e successivamente passò a riordinarsi il colletto. Si sentiva leggermente infastidita mentre cercava di disfare la coda di cavallo in cui aveva avvolto i suoi capelli corvini, al pensiero che, a quanto pareva, l’imparzialità non era tra le doti del capofazione tatuato.

Proprio mentre stava per fare un passo avanti, vide sul pavimento davanti a lei l’ombra di qualcuno alla sue spalle.

-Ero già pronto a scommettere sulla tua dipartita, ed io raramente mi sbaglio. Ma, considerando che sei riuscita a rimanere tutta intera contro ogni mia più rosea previsione, avrai qualche punto in più in classifica.-

Quando Aria si voltò, stupita di ritrovarsi davanti l’espressione autorevole di Eric, non riuscì a capire se le parole appena udite fossero da ritenersi come un complimento o come una minaccia. La sua voce era quella dura e spietata che aveva sempre usato in tutte le occasioni in cui lo aveva sentito parlare, lo sguardo era letale come al solito, eppure le sue parole non sembravano del tutto negative.

Senza prendersi il disturbo di chiarire i dubbi apparsi sul volto della ragazza, Eric si voltò e fece per andarsene, senza tuttavia lasciarsi scappare l’occasione di mandarla ancora di più in confusione.

-Peccato che se sarà ancora questo il tuo modo di combattere, uno dei posti in rosso della classifica sarà tutto tuo!-

-Dove ho sbagliato?-

Non sapeva se il fatto che quella ragazzina avesse parlato, senza cogliere al volo che quell’informazione che le aveva concesso non era il via ad un dibattito, ma una frase conclusiva, lo infastidiva oppure lo incuriosiva.

Quando Eric si paralizzò nel punto in cui era, lasciando passare interminabili secondi prima di voltarsi nuovamente, nella sua mente balenò per un attimo l’idea di metterla a tacere per sempre per l’insolenza dimostrata. E, questo suo pensiero spietato, fu chiaramente percepito da Aria.

Alla ragazza, infatti, bastò un’ occhiata ai suoi muscoli pressanti sotto il gilet nero che avvolgeva il suo corpo, per avvertire un brivido di terrore sulla propria schiena.  

Aria vide finalmente il suo capofazione voltarsi e, in quello che come mai prima d’ora appariva uno sguardo realmente in grado di uccidere, le si posizionò ad un palmo dal viso. E se, nei pochi passi che li separavano, si era rifiutato di guardarla anche solo per sbaglio, mentre parlava aveva fissato i suoi occhi in quelli di lei.

Con stupore, Aria notò che erano verdi ma che la luce offuscata li rendeva scuri.

-Pensi che non abbia notato il tuo modo di combattere?- Le sibilò ad un soffio dal viso, senza batter ciglio. -Sei una calcolatrice, e questo ti rende lenta. Le volte in cui è riuscito a colpirti è stato perché eri troppo impegnata a studiare le sue mosse per difenderti.-

Aria restò senza parole ed abbassò  lo sguardo, davvero era come un libro aperto agli occhi esperti di Eric?

-La prossima volta vedi di usare meno la testa e di essere più impulsiva, qui non siamo fra gli Eruditi e non abbiamo tempo da perdere. Agisci e basta!-

Quando Eric si voltò, per la seconda volta, sentì qualcosa che gli impedì di procedere. Per la seconda volta rimase paralizzato a causa di quella ragazza ma, sta volta, sentì distintamente la rabbia accecarlo.

Perché ciò che aveva sentito era una piccola risata.

Quando si voltò, lo fece con un tale impeto che non dovette fare altro per mettere fine a quel ridacchiare e per attirare l’attenzione della ragazza che si era paralizzata dal terrore.

Al sentire quella frase, un brivido le aveva attraversato tutto il corpo in una scossa frizzante che le aveva dato gioia, portandola istintivamente a ridere. Ma, una volta accortasi della sciocchezza commessa, tremava di paura.

Eric era eretto davanti a lei in tutta la sua potenza, ed era pronta a scommettere che non le avrebbe lasciato passare quell’insolenza.

Scosse la testa ed abbassò gli occhi, parlando in maniera confusa -Mi dispiace. Io non volevo. È solo che…-

-È solo che?- La incalzò con un ringhio.

Aria prese un profondo respiro, mortificata. -È solo che quando ero dagli Eruditi, mi sentivo dire continuamente di non essere troppo impulsiva e che dovevo riflettere prima di agire. Mi dicevano di ragionare sempre su ogni cosa che facevo, e di non seguire mai il mio istinto…-

Eric rimase privo di espressione per qualche secondo, concedendosi il tempo per studiare l’espressione sottomessa della ragazzina che, adesso, non aveva più nemmeno il coraggio di tenere alto il mento. Si fissava la scarpe, inseguendo forse qualche ricordo lontano e non del tutto piacevole.

-In tal caso permettimi di darti due consigli che ti permetteranno di rimanere in vita tra gli Intrepidi.- Disse Eric. -Il primo è che adesso non fai più parte degli Eruditi, e qualsiasi cosa tu abbia imparato è il caso di dimenticarla e di ripartire da zero con gli insegnamenti della tua nuova fazione.-

Aria sollevò lentamente la testa e rimase in silenzio. Erano anni che desiderava lasciarsi alla spalle la sua vecchia vita.

-Sì, signore.- disse umilmente.

-Mi chiamo Eric, rivolgiti a me con il mio nome e risparmia le formalità per gli Eruditi.-

Aria fece un cenno e trattenne un sorriso di intendimento. Era ancora pronta a ricevere la furia di Eric da un momento all’altro, eppure non poteva essere più felice di sentirsi dire tutte quelle cose.

-E secondo.- Riprese lui. -La prossima volta che mi ridi alle spalle, ti staccherò la testa e la metterò a penzolare sullo strapiombo!-

 

Un colpo di pistola che sfiora il bersaglio…

 

Con sua grande disapprovazione, Aria si accorse che il caricatore della pistola era scarico. Abbassò l’arma puntata contro il bersaglio e si concesse un sospiro di sollievo nel costatare che, alla fine, la maggioranza di colpi era andata a segno.

Con minore gioia, dovette accettare il fatto che, con la mente, avesse scelto di ripercorrere i momenti del suo primo incontro con Peter e della successiva chiacchierata con Eric.

Quanto c’era di più sbagliato era difficile da calcolare ma, di certo, il ricordo dei fatti avvenuti tre giorni prima le aveva dato la carica giusta per svuotare il caricatore della sua arma contro il fantoccio di carta. Peccato che, forse, se avesse pensato ad altro, avrebbe avuto una mira certamente più decente.

Niente da fare, la sua infallibile memoria tornava a riproporle continuamente avvenimenti del passato da quando aveva cambiato fazione. Il contrasto tra i momenti che ricordava di aver vissuto tra gli Eruditi, e quelli tra gli Intrepidi, era così devastante che la sua mente si prendeva gioca di lei, portandole continui paragoni.

Paragoni a favore degli Intrepidi e che non le toglievano dalla testa avvenimenti come l’ultimo a cui continuava a pensare.

Decise di fare una pausa, perciò tornò alla postazione di tiro alle sue spalle e vi appoggiò sopra la pistola. Dopo averla privata del caricatore, si concesse un attimo per disfare la coda di cavallo che le teneva lontano dagli occhi i capelli scuri mentre sparava.

Proprio in quel momento, Aria vide l’uomo appoggiato all’ingresso della grotta. Ci furono dei dettagli che le risaltarono all’occhio, come le fasce muscolari delle sue braccia e il petto possente imprigionato nel giubbotto nero, che delinearono subito una figura a lei conosciuta.

Eric.

Senza nessuna spiegazione logica, Aria sentì un nodo in gola e un brivido freddo lungo la schiena.

Incatenati in uno sguardo scrutatore, il capofazione e l’iniziata, rimasero in silenzio.

Forse non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto di quella visita inaspettata, ma la ragazza rimase comunque sconvolta al pensiero che Eric potesse essere stato lì ad osservarla per chissà quanto tempo, senza che lei se ne fosse accorta.

Ancora sotto lo sguardo del ragazzo, Aria tentò di ignorare il misto di imbarazzo e orgoglio che provava, e si accinse a caricare nuovamente la sua pistola. Ma, mentre si sforzava di ignorare la sua presenza, il fastidioso brivido lungo la sua schiena si trasformò in una scarica elettrica che aumentava ad ogni secondo che Eric continuava a rimanere in silenzio ad osservarla.

I suoi occhi seguivano ogni movimento del suo corpo come un cacciatore famelico seguirebbe i movimenti della sua preda nella foresta, deciso a non perderla di vista, perché da quella cattura deriva la sua vita.

-Da quanto sei qui?- Gli chiese, stanca di quel prolungato silenzio, senza tuttavia degnarsi di guardarlo.

-Abbastanza per vedere quanto sia peggiorata la tua mira.- Le rispose con strafottenza.

Con uno scatto, Aria tolse la sicura alla pistola e la prese con entrambe le mani, puntandola contro i bersagli alle sue spalle.

-Piano con i complimenti…- affermò, - Sono armata!-

-Anch’io…- Le rispose lui con un’ alzata di sopracciglia.

Mentre parlava, scostò un lato del suo gilet imbottito per mostrarle la pistola e il coltello nascosti nelle tasche interne.

Tuttavia, Aria non seppe mai se a lasciarla davvero impressionata furono le armi che portava con lui, o la linea di addominali scolpiti che aveva reso visibili mostrando la canottiera nera che indossava sotto la giacca. 

D'altronde, non avrebbe avuto bisogno di armi per batterla, dato che avrebbe potuto sottometterla con il solo utilizzo della sua forza fisica. Quando aveva scostato metà del gilet per mostrarle coltello e pistola, forse non pensava alla terza arma costituita dai suoi muscoli che, forse in un’altra situazione, una ragazza avrebbe potuto ritenere attraenti.

Qualcosa l’ aveva indubbiamente infastidita, forse la propria ed evidente inferiorità, forse la sua presenza.

Fatto stava che Eric poteva benissimo leggere il suo cambio emotivo. La vide ricambiare ostinatamente il suo sguardo per poi abbassare la testa, concentrandosi sulla pistola che aveva in mano.

La luce al neon della grotta rendeva diafana la pelle della ragazza, il cui profilo delicato stonava con il luogo. Eric, infatti, si chiese cosa ci facesse una persona così apparentemente fragile nella sala del poligono.

Aveva grandi occhi del colore del cielo notturno, naso all’insù e rosse labbra carnose che la rendevano più simile ad una fatina dei ghiacci che ad una letale tiratrice scelta. L’unica cosa che tradiva la sua reale forza era il suo corpo, le cui curve erano trattenute a stento dalla divisa nera degli Intrepidi. Come negare che quelle erano sinuosità tipiche più di una giovane donne che di una ragazzina e, nel vederle contrarre la sottile muscolatura delle braccia, Eric si ritrovò a pensare che sarebbe stato un vero peccato se fosse finita tra i feriti.

Una come lei avrebbe dovuto stare in una tega ed essere esibita come un trofeo al momento più opportuno, non di certo con un’arma in mano, pronta a colpire senza pietà.

Ma era più appropriato pensare al suo di posto, perché davvero non si spiegava cosa ci facesse lui lì, ad assistere allenamento di una, non poi tanto comune, trasfazione.

Il motivo del suo interesse per quella particolare iniziata alle prese con un bersaglio e un’ arma carica, derivava del fatto che aveva innescato lui stesso la valanga degli eventi che avevano portato la ragazza in questione sotto esame.

Non senza ripensamenti, Eric si ritrovò a ripercorrere le circostanze che lo avevano condotto a quel momento…

 

Era la prima prova che metteva nelle mani degli iniziati delle armi da fuoco e, per tenere la situazione sotto controllo, era stato chiesto al capofazione Eric di essere presente nel ruolo di supervisore.

Cooperava spesso con Quattro nell’addestramento dei sedicenni, ma gli venivano risparmiate parecchie parti noiose per permettergli di dedicarsi agli altri impegni consoni al suo ruolo. Essere un capofazione degli Intrepidi richiedeva molto impegno, ma mai come quell’anno, in cui si pianificava una guerra e ogni tassello doveva muoversi secondo uno schema preciso.

In pochi conoscevano le direttive che giravano fra gli alti ranghi della fazione, e predisporre tutto senza farsi scoprire richiedeva impegno e costanza.

Quell’anno non si stavano solo preoccupando di addestrare soldati ordinari che, al momento del bisogno, forse, sarebbero dovuti scendere in campo a difendere i cittadini. Le mura ormai erano sicure da anni e i problemi causati dagli Esclusi si risolvevano spesso in mezza giornata.

Quell’anno stavano preparando schiere di soldati per un esercito. E lui lo sapeva benissimo.

Gli Eruditi erano pronti a muovere guerra contro gli Abneganti per togliere loro il potere, e gli Intrepidi avrebbero fatto la loro parte mettendo a disposizione una vera e propria armata.

Una volta arrivato al poligono, sapeva di dover tenere d’ occhio i ragazzini, affinché qualche stolto non si facesse male sul serio.

Ma doveva anche prendere nota dei risultati ottenuti da ogni singolo iniziato per assegnargli il giusto punteggio in classica a fine giornata.

Eppure era lì anche per un altro motivo. Doveva infatti capire se, tra tutti, c’era qualcuno che valesse la pena di prendere in considerazione.

Per un esercito servivano soldati forti e pieni di talento ma, se qualcuno si fosse realmente distinto, magari proprio con le armi, sarebbe stato più comodo tenerlo alla base. Magari avrebbero potuto metterlo in difesa o, più semplicemente, tenerlo come informatore, invece che mandarlo allo sbaraglio sul campo di battaglia e rischiare di perdere un valoroso compagno.

E, proprio mentre cercava la persona giusta ai loro scopi, scorse fra tutti i bersagli appesi alla roccia uno in particolare. I fantocci di carta avevano una sagoma umana e un bollino rosso disegnato al centro del petto.

Si dia il caso, che nel bersaglio da lui individuato, il bollino rosso in questione fosse completamente sparito a causa dei colpi che lo avevano centrato.

Fermatosi con stupore ad osservare meglio il povero bersaglio, Eric incrociò le braccia al petto ed attese che il meccanismo automatico tirasse su il vecchio fantoccio e ne facesse scendere al suo posto uno nuovo. Quando questo accadde, si ritrovò ad osservare con sorpresa che il centro del bersaglio veniva nuovamente trivellato di colpi, solo due mancarono il centro, andando però a segno in quelli che sarebbero dovuti essere gli occhi del personaggio di carta.

-Come diamine ci riesci?!-

L’attenzione del capofazione si spostò sulla ragazza che aveva parlato, una trasfazione con una lunga treccia di capelli biondi, che continuò a rivolgersi alla sua vicina di postazione.

-Non può essere solo fortuna!-

-Ti svelo un segreto…- iniziò l’altra ragazza. -Non è la prima volta che sparo.-

A conferma delle sue parole, Eric la vide sostituire il caricatore dell’arma con mano ferma ed esperta, cosa che per gli altri iniziati era pura utopia.

-Due anni fa una squadra di Intrepidi era passata dagli Eruditi e, mentre correvano via per prendere il treno, una pistola deve essere scivolata a qualcuno per sbaglio. L’ho vista cadere dalle rotaie, l’ho raccolta e riparata come potevo e…-

-Non mi dirai che ti sei messa ad usarla?- La bionda era indignata.

La ragazza dalla mira infallibile fece un sorriso furbo e quasi minaccioso, poi scrollò le spalle. -Al confine deserto delle campagne dei Pacifici, vicino alla recinsione. Lì potevo sparare quanto volevo, non mi vedeva nessuno.-

-Per oggi avete finito, fuori dai piedi!- Disse Eric, risoluto.

Tra gli iniziati si levò un coro di stupore, ma ovviamente nessuno si lamentò e, pigramente, iniziarono ad abbandonare la sala.

Lui però non aveva mandato via tutti per caso, si avvicinò alla ragazza che aveva individuato, per parlarle.

-Tu aspetta qui.- Le disse senza tanti giri di parole.

La vide impallidire, forse perché le si era avvicinato troppo, o forse per pura che avesse sentito quello che aveva detto. A conferma di ciò, la vide scambiarsi un’occhiata poco convinta con l’amica bionda.

A quel punto Eric uscì dal poligono insieme agli altri, lasciando lì da sola la ragazza, senza ulteriori spiegazioni.

Di sicuro usare un’ arma senza autorizzazione era totalmente fuori dalle regole, e se il capofazione aveva ascoltato la sua conversazione, cosa altamente probabile dato che se lo era ritrovato proprio alle spalle, sarebbe finita nei guai.

Poco dopo la ragazza vide Eric ritornare nella sala del poligono, seguito da un altro uomo.

-Saresti tu quella con la mira fenomenale con la quale Eric pensa che dovrei sprecare il mio tempo?-

Alle parole dello sconosciuto la ragazza restò in silenzio, facendo scorrere il suo sguardo su entrambi i suoi superiori senza capire la situazione.

Quello che aveva parlato era un uomo molto alto e magro, con un orecchio totalmente ricoperto di piercing e i capelli biondi. Sembrava in là con gli anni, e sembrava anche che se li portasse tutti sulle spalle dato che se ne stava tutto ricurvo. Eppure emanava una forza ed una determinazione che solo un Intrepido poteva avere.

-Se sono stato sottratto al mio sonno pomeridiano e trascinato qui per niente, ti conviene scappare, ragazzina…-

La ragazza in causa dovette imporsi la calma per non apparire seriamente preoccupata.

-Forza, vediamo che sa fare!-

Alle parole dell’uomo, canzonate in modo ironico, Eric fece scattare un interruttore e tutti i bersagli colpiti vennero sostituiti.

La giovane non perse tempo, avanzò verso la postazione e ricaricò la propria pistola. Dovette fare un profondo respiro ma, quando iniziò a sparare, il centro rosso del bersaglio fu inondato di colpi. L’ultimo lo centrò nella fronte del manichino.

Quando si voltò per osservare le reazione dei suoi spettatori, vide Eric che esaminava l’altro uomo con un sorrisino nascosto e, l’altro, che scrutava il bersaglio con la fronte contratta.

Senza perdere altro tempo, l’uomo fece scattare un altro interruttore vicino al muro e tutti i bersagli iniziarono a muoversi da destra a sinistra con velocità diverse e imprevedibili, alcuni scomparivano dalla parete per poi rispuntare dall’altra parte.

Eric vide la ragazza ricaricare la pistola e sparare ancora. Il primo colpo riuscì per miracolo a colpire la sagoma del bersaglio, tutti gli altri finirono contro la roccia.

Quando la giovane si voltò, Eric vide nei suoi occhi un misto di rabbia e risentimento.

-Sarò breve…- Disse l’uomo, rivolgendosi al capofazione. -Da fermo potrebbe essere una tiratrice niente male, ma se complichiamo un po’ le cose è un disastro. La sua postura è completamente da rivedere e la sua tecnica… bè, diciamo chiaramente che non ha una tecnica!-

Nei secondi che trascorsero, Eric rimase ad osservare la ragazzina e si accorse dei pugni che teneva serrati lungo i fianchi. Sembrava quasi che non provasse emozioni ma, nei suoi occhi di un blu molto scuro, scintillava la determinazione che ogni iniziato avrebbe dovuto mostrare.

-Non hai mai sparato prima d’ora?-

Al sentirsi porre quella domanda, la ragazza guardò Eric in silenzio. Lui, dal suo canto, la ricambiò con un sorriso ambiguo e un po’ crudele.

-Certo che no.- disse proprio Eric. -È solo un’iniziata!-

L’uomo parve riflettere. -Qual è il tuo nome?-

-Aria.-

-Stammi a sentire, Aria, Eric ritiene che dovresti seguire un corso di addestramento specifico per le armi da fuoco. Io sono Frederic, e sono il capo istruttore qui al poligono. Se accetterai, devi sapere che si tratta di un corso di livello avanzato, qui si fa sul serio. Non perdiamo tempo, o migliori in fretta e ti adegui alle mie regole oppure sei fuori. Hai capito?-

-Sì!- Rispose Aria, con convinzione.

-Naturalmente devi seguire anche il resto dell’addestramento con gli altri iniziati,- intervenne Eric, serio e letale nella sua postura rigida, con tanto di braccia incrociate al petto. -Ti ricordo che non hai molto tempo libero al momento, e non avrai dei favoritismi per esercitarti al poligono. Perciò dovrai sfruttare i tuoi momenti di riposo e, magari, anche qualche ora di sonno. Non sarà facile, e nessuno ti obbliga a farlo, perciò puoi sempre rinunciare.-

Aria inchiodò Eric con uno sguardo, senza paura.

Sapeva benissimo che quella era una provocazione. Non faceva altro che ripetere che non era da veri Intrepidi arrendersi, e lei non era tanto stupida da lasciarsi scappare un’ occasione d’oro come quella. Lui continuava a sostenere il suo sguardo, con un’ espressione quasi famelica, forse si pregustava il momento in cui avrebbe detto che non era in grado di sostenere quell’addestramento speciale.

-Voglio farlo!- Rispose invece a testa alta, rivolta a Frederic.

L’uomo fece più cenni con il capo. -Non amo mischiarmi con gli altri duranti i pasti. Domani a pranzo sarò qui a sparare per conto mio. Se non hai troppo bisogno di mettere qualcosa nello stomaco per reggerti in piedi, potresti raggiungermi per la tua prima lezione ufficiale…-

Eric ascoltò le parole di Frederic e poi tornò ad osservare la ragazza. Alcuni ciuffi di capelli corvini erano sfuggiti alla sua coda di cavallo, ricadendole disordinati attorno al viso. Si accorse di quanto fosse pallida la sua pelle, di come la sua muscolatura fosse appena accennata, e si chiese se non si fosse sbagliato su di lei.

Forse non era niente di eccezionale ma, ad una seconda occhiata, non si lasciò sfuggire la scintilla che ancora una volta scorgeva nei suoi occhi e ne rimase incuriosito. Il giorno prima l’aveva vista combattere contro Peter e le era parso di scorgere qualcosa in lei, anche quando le aveva parlato.

Ricordò poi che, in tutte le prove a cui gli iniziati erano stati sottoposti fino a quel momento, lei si era sempre distinta. Quella ragazza, Aria, era sempre riuscita ad andare dritto al segno e a farsi sempre notare.

Eric sapeva ancora poco su quella ragazzina e, molto probabilmente, la prima impressione che aveva avuto poteva essere errata e magari sarebbe rimasto deluso da lei. Tuttavia, si segnò mentalmente di continuare a tenerla d’occhio.

Quando la sentì parlare, però, seppe di non essersi sbagliato.

-Ci sarò!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

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Capitolo 3
*** Battiti ***


3. Battiti

                                                                                                 

 

 

Il movimento dei fantocci di carta appesi sembrava irregolare ed imprevedibile, le due fasce su cui erano distribuiti, una sopra e una sotto, schizzavano da destra a sinistra senza alcun preavviso. A volte completavano il giro del binario a cui erano appesi e sparivano oltre la roccia per poi tornare visibili, scappando però via al successivo movimento che il macchinario gli imponeva.

Stava cercando di memorizzare il ritmo con cui i bersagli si muovevano, e quasi ci era riuscita, ma gli scarsi miglioramenti che stava ottenendo non erano neanche lontanamente sufficienti.

Se poi si ci metteva anche lui, ad assistere al suo fallimento, la situazione peggiorava.

Eric non se ne era ancora andato, rimaneva sull’ingresso della grotta ad osservarla e a tenerla d’occhio. Probabilmente si aspettava qualcosa di più da lei, e non si sarebbe accontentato di vederla sparare in quel modo pietoso.

Perché, come le aveva detto l’ultima volta, se lei falliva anche lui ci avrebbe rimesso. Con un brivido lungo la schiena Aria si lasciò trasportare dai ricordi, arrivando al momento successivo al suo primo incontro con Frederic…

 

L’istruttore aveva lasciato il poligono per primo, così Eric si era imposto di scortare la ragazzina fino al Pozzo dove si sarebbe ricongiunta con gli altri iniziati.

Aria non aveva ancora preso pienamente coscienza di quanto le era accaduto, si sentiva molto confusa e non sapeva come fare fronte alla scarica di adrenalina che ancora le scorreva nelle vene. Si sentiva talmente euforica che quasi faticava a dare al suo respiro un ritmo regolare, era consapevole di essersi lanciata in una sfida probabilmente troppo ardua ma non se ne era certo pentita. Per troppo tempo aveva infranto le regole sparando di nascosto con la pistola che era riuscita a recuperare, godendosi la sensazione di libertà che solo quei momenti di sfogo sapevano darle.

Desiderava da sempre entrare a far parte degli Intrepidi, ma mai avrebbe immaginato che le venisse concessa l’opportunità di seguire un corso avanzato al poligono. Frenare la sua gioia sembrava impossibile, peccato che il movimento repertino di Eric le fece salire il cuore in gola, rimettendo subito al loro posto tutte le sue emozioni.

Stavano attraversando un cunicolo scarsamente illuminato fra le rocce, camminando uno davanti all’altra, quando il capofazione si era voltato di scatto e mettendole una mano al collo l’aveva fermata con la schiena contro la parete rocciosa.

Aria aveva battuto più volte le palpebre, non aveva urtato la parete solo con la schiena, ma anche con la testa, perciò le servirono alcuni secondi per riprendersi prima di accorgersi della situazione in cui era finita.

La mano di Eric le stringeva la gola rendendole faticoso respirare, ma ovviamente la ragazza sapeva benissimo che, se lui avesse voluto farle ancora più male, avrebbe potuto benissimo aumentare ancora di più la presa.

Alzò gli occhi e li fissò in quelli del ragazzo, cercandovi una risposta che invece non arrivò. I suoi lineamenti erano contratti e letali, e il suo viso era pericolosamente vicino al suo, poteva sentire il suo respiro sulle guance.

-Ti rendi conto di essere nei guai, ragazzina?- le intimò, bloccandole la vita con l’altra mano, facendola aderire ancora di più alla parete.

Aria cercò di liberarsi dalla presa, avvolgendo le proprie mani attorno a quella di Eric che le premeva sul collo. Ma, quando lo fece, lui intensificò la stretta e le lanciò un’occhiata di intendimento che poi spostò sulle mani con cui aveva cercato di liberarsi.

La ragazza capì e, andando contro il suo istinto di sopravvivenza, lasciò il braccio di Eric, che poco dopo la liberò dalla sua morsa.

A quel punto Aria tornò a respirare normalmente, e si accorse di essere stata in punta di piedi solo quando sentì i propri talloni toccare nuovamente terra. Anche la mano con cui le teneva la vita era stata tolta, permettendole di ripiegarsi su sé stessa per riprendere fiato.

-Vediamo se riesco a spiegarmi…- le sussurrò tra i capelli. -Ti ho raccomandata io a Frederic e, se lui riterrà che non sei degna di seguire il corso avanzato, sarò io a rimetterci. Capito!- finito di parlare colpì con forza la parte vicino alla testa di Aria, facendola sussultare.

Quando la ragazza tornò in posizione eretta, con gli occhi spalancati che lo fissavano, Eric proseguì: -Ti conviene impegnarti perché sei una mia responsabilità e, se mi farai fare la figura dello stupido, sei morta!-

-Puoi stare tranquillo, non ho alcuna intenzione di farmi buttare fuori! Suppongo invece che, se riesco a dimostrare che sono brava, riceverai dei meriti anche tu per avermi notata!-

Aria era indignata, tossicchiò, ancora in debito d’ossigeno. Se tutti gli Intrepidi erano fuori di testa come Eric, i membri delle altre fazioni non avevano poi tutti i torti a definirli dei folli.

-Vedo che hai colto il messaggio!- esclamò il capofazione poi, senza preavviso, assottigliò le distanze fra i loro volti ancora una volta, inchiodandola con il più penetrante degli sguardi. -Cerca di non deludermi.-

Senza aspettare una risposta, Eric si raddrizzò. Rimase per qualche istante a godersi l’espressione offesa e sconvolta della ragazzina e, quando anche lei si ricompose, riprese a camminare sapendo che sarebbe stato seguito.

-Avrò dei punti in più in classifica?- chiese Aria, camminando dietro di lui.

-No, è un allenamento a parte.-

-Non voglio essere mediocre, voglio essere tra i primi!-

Eric si fermò e, con lentezza, si voltò. La scrutò con un’ occhiata dall’alto al basso, con sufficienza.

Era molto determinata per essere solo una ragazzina trasfazione, e questo lo trovava molto interessante. Lei se ne stava lì a guardarlo senza alcun timore, con un’ espressione decisa che di solito non aveva durante gli allenamenti.

Quando era tra gli altri iniziati sembrava impassibile ma, quando si concentrava, cambiava totalmente atteggiamento e diventava molto più risoluta.

-Non vai male negli scontri, ma contro gli avversari più forti non vinceresti mai.-

Aria arricciò le labbra. -Quali sarebbero questi avversari più forti?-

Eric la guardò dall’alto e la sua bocca si piegò in un sorriso maligno. -Peter, per esempio!-

La ragazza scosse la testa, lasciando cadere la provocazione. -Mi pare che l’ultima volta sia finita in parità tra me e lui.- Disse con calma.

-Lo scontro è finito in parità, perché io ho voluto che finisse così…-

Nella penombra del corridoio, Aria non avrebbe mai voluto farsi vedere turbata, ma non poté farne a meno.

Il sopracciglio di Eric, quello con due piercing, si sollevò mostrando il suo compiacimento, dato che era riuscito a lasciarla senza parole.

Mille dubbi le si insinuarono nella mente facendole serrare le labbra in una linea retta, sentiva quasi un sapore amaro difficile da mandare via.

Eric si voltò e fece qualche passo, soddisfatto della reazione ottenuta. -Se ti mettessi oggi stesso di nuovo contro di lui, perderesti sicuramente!-

-E allora dammi una possibilità!-

A quelle parole, Eric si fermò e tornò a guardarla, sta volta fu lui a rimanere interdetto.

-Dammi il tempo di migliorare,- Continuò lei, con quel suo sguardo deciso. -Dammi il tempo di diventare più forte, più brava, e vedrai che sarò io a vincere!-

Il capofazione non disse nulla, piegò la testa di lato e si prese qualche secondo per riflettere. Senza nessuna spiegazione, un sorriso sinistro, più minaccioso che altro, gli increspò le labbra.

Con quella che sembrava ormai essere diventata un’abitudine per lui, si chinò in avanti per posizionare il proprio viso alla stessa altezza di quello della ragazza.

Prima di sentirlo parlare, Aria lo vide inumidirsi la bocca mentre si passava lentamente la lingua sulle labbra sottili.

-In tal caso, vedi di non deludermi due volte.-

 

Un sospiro.

Aria sollevò l’arma e la puntò contro i bersagli. Chiudendo un occhio ne prese di mira uno e provò a seguirne l’andamento lungo il binario a cui era appeso, calcolò il tempo giusto e fece partire un colpo.

Il proiettile mancò di un soffio il bersaglio che scappò a destra, conficcandosi nella parete.

Scocciata, abbassò l’arma e girò la testa dalla parte opposta all’ingresso alla grotta, rifiutandosi di guardare Eric.

Magari sul suo viso avrebbe trovato un sorrisino derisorio che l’avrebbe fatta arrabbiare maggiormente, o magari le avrebbe infuriato contro manifestandole tutto il suo risentimento.

L’ultima volta, come aveva appena ricordato, era stato molto chiaro e l’aveva minacciata di morte, qualora non fosse riuscita ad ottenere buoni risultati nell’addestramento al poligono.

Ma d'altronde, in entrambe le volte in cui le aveva parlato le aveva lanciato sottili minacce, la prima quando si era lasciata scappare una risata alle sue spalle.

Sfuggendo al proprio proposito di non guardare il ragazzo, Aria si voltò verso di lui e si concesse di studiarlo senza farsi troppi scrupoli.

Ora che ci ripensava, subito dopo il suo primo incontro con Frederic, quando si era ritrovata nel corridoio buio con Eric, era successo qualcosa. Vero era che l’aveva fatta sbattere violentemente contro la roccia e minacciata, ma aveva anche rivelato curiose verità.

Aveva ammesso di aver fatto terminare l’incontro con Peter in parità per un qualche motivo preciso e, quando gli aveva chiesto di darle la possibilità di diventare forte abbastanza da battere il ragazzo al prossimo incontro, Eric aveva acconsentito.

Le stava forse concedendo un vantaggio? Le stava realmente dando la possibilità di migliorarsi per ottenere la vittoria in un incontro importante?

Perché?

Cosa aveva visto in lei e quali progetti aveva in serbo? Forse era una nuova sfida per lui, o un gioco divertente su cui scommettere.

Aria lasciò scivolare il suo sguardo sulla figura del suo capofazione, che era rimasto indolentemente appoggiato all’ingresso.

Indossava una t-shirt nera e sopra un gilet imbottito sempre nero, pantaloni in tinta e anfibi scuri. Due piercing neri spuntavano sopra il suo sopracciglio, e anche le orecchie erano entrambe forate da due piercing anch’essi neri. Un altro dettaglio che catturò l’attenzione della ragazza furono le strisce verticali che aveva tatuate sul collo e, dopo che ebbe analizzato anche il complicato intreccio di linee con lo stemma degli Intrepidi che gli decorava tutto l’avambraccio, sollevò lo sguardo sul suo viso.

I capelli erano tagliati molto corti e, data la scarsa luminosità, apparivano scuri come gli occhi che, tuttavia, ricordava fossero di un verde intenso.

Proprio mentre guardava i suoi occhi, si accorse che anche lui la stava guardando, così distolse immediatamente lo sguardo.

Si era accorto di come lo squadrava? Perché era rimasto in silenzio, ad analizzarla a sua volta?

Un fastidioso brivido le attraversò la nuca per poi solleticarle lo stomaco.

-Com’è possibile che dopo l’addestramento con Frederic tu non sia migliorata?- chiese Eric, trattenendo la rabbia.

Aria si voltò di scatto e, se lui si era trattenuto, lei non fu altrettanto brava a nascondere la sua ira. -Questa è bella, l’addestramento con Frederic? È stato qui ad assistere una sola volta e ha detto che non valeva la pena sprecare fiato, e che perciò non mi avrebbe insegnato nulla fino a quando non sarei riuscita a fare andare a segno tutti i colpi del caricatore.-

Eric rimase in silenzio.

Aria scosse la testa e decise di ignorarlo, si avvicinò nuovamente al tavolo dietro di lei per ricaricare l’arma. Forse era riuscita a metterlo a tacere, facendogli capire come erano andate le cose.

-Mi dispiace, ma non so cos’altro fare!- disse lei, a conferma dei propri pensieri.

Si stava impegnando, a bersaglio fermo era sempre molto brava, ma se quei maledetti cosi iniziavano a muoversi faticava persino a far finire il colpo dentro la sagoma nera del fantoccio. Figurarsi poi riuscire a centrare il bollino rosso.

Tolse il caricatore scarico e lo sostituì con un altro, poi si avvicinò ancora davanti ai bersagli posizionandosi sulla linea bianca disegnata sul pavimento.

Tuttavia, una volta in posizione, vide Eric spostarsi dalla sua postazione per la prima volta da quando era arrivato, ed avanzare verso di lei.

-Impugni male la pistola, per questo la tua mira ne risente quando i bersagli sono in movimento. Fammi vedere!-

Alle parole di Eric, e dopo un suo chiaro gesto, Aria capì che voleva vederla in posizione per sparare, e così fece, cercando di rimanere più stabile possibile. Mise entrambe le mani stese davanti al viso a sostenere l’arma, e la gambe leggermente divaricate.

Il ragazzo la guardò per un istante, assottigliando lo sguardo, pensieroso. Poi allungò la mano per afferrarle il polso con la quale lei teneva l’arma, tirandoglielo in avanti.

-Il braccio che tiene la pistola deve essere completamente steso, l’altro, quello che sostiene, può anche essere piegato.-

Terminato il suggerimento, Eric fece passare il proprio piede tra quelli della ragazza, dando un leggero calcio a una delle sue caviglie.

-I piedi alla larghezza delle spalle, e stai più bassa piegando un po’ di più le gambe!- Disse bruscamente.

Aria obbedì, prese un respiro e subito dopo aver espirato fece partire il colpo che sfiorò appena il bordo del bersaglio. A quel punto la ragazza non sapeva se avrebbe dovuto lanciare un’ occhiataccia al ragazzo o se aspettarsi un suo rimprovero.

-Ma quanto sei debole? Devi sostenerla la pistola, altrimenti il contraccolpo ti fa deviare la traiettoria!-

Sentendo che stava perdendo del tutto la pazienza, la ragazza fece per voltarsi, ma ciò che vide la fece paralizzare.

Eric si avvicinò alle sue spalle e l’avvolse con le sue braccia, andando a sostenere insieme a lei la pistola. A quel punto, trovandosi in quel modo, Aria trattenne il fiato.

Poteva sentire i muscoli degli addominali di Eric premerle sulla schiena, e le sue mani sembravano piccolissime avvolte da quelle del ragazzo. Sentire la pelle ruvida di quelle mani sui dorsi delle proprie, le diede una strana sensazione, su cui cercò di concentrarsi per non sentire l’imbarazzo che l’aveva assalita.

In realtà era piacevole trovarsi tra quelle braccia possenti, le dava un senso di calore e di protezione che non aveva mai provato prima, e a quel punto dovette imporsi di pensare ad altro.

Non le rimaneva che sperare che Eric non sentisse il fremito che le attraversava il corpo come una scarica elettrica. Ma, quando le avvicinò il mento alla tempia, respirandole tra i capelli, per poco non tradì un sussulto, che avrebbe mandando all’aria il suo intento di apparire impassibile.

-Prendi la mira.- Le ordinò, alitandole sopra l’orecchio. -Tieni con forza la pistola in modo da non farti spostare il polso dopo il rinculo. In questo modo, anche se il bersaglio si muove, la traiettoria del colpo sarà più precisa e lo raggiungerà lo stesso.-

Ascoltate le sue parole, Aria si concentrò su uno dei bersagli e ne seguì il movimento guardando con un occhio nel mirino dell’arma, faticando tuttavia a mantenere la concentrazione con il respiro di Eric sulla propria tempia.

Sentire la guancia del ragazzo accanto alla sua fronte non l’aiutava e, stretta da lui, il timore di sbagliare era più forte, e al tempo stesso, inesistente.

Quando il colpo partì, andò a lasciare un foro appena sotto al centro rosso del bersaglio.

Aria non credeva ai proprio occhi. Si era accorta di come la potenza del contraccolpo le facesse tremare la mano solo dopo aver sentito la presa salda delle mani di Eric sulle sue, che le avevano impedito di spostare la pistola dopo lo sparo.

Sollevando appena lo sguardo, la ragazza incrociò i proprio occhi con quelli di Eric mentre i loro respiri si sincronizzavano e, per un solo istante, ebbe quasi l’impressione che anche lui stesse trattenendo il fiato.

Quando si scostò da lei, posizionandosi al suo fianco, Aria lo vide scoccare la lingua e guardare dall’altra parte. Era impossibile che fosse imbarazzato come lo era lei, era sicuramente più probabile che fosse rimasto infastidito dal fatto di aver dovuto entrare in contatto con lei e di averle dovuto dare delle dritte.

-Quando i bersagli sono fermi non hai problemi, ma se si muovono, tutto si complica e ti è indispensabile aveva una buona postura e una presa solida.-

Finito di parlare, Eric si voltò leggermente verso la ragazza, sorprendendola a guardare il bersaglio che avevano colpito vicino al centro.

Aveva il respiro leggermente affannato e il suo petto si solleva e si riabbassava velocemente. Un ciuffo di capelli scuri era sfuggito alla sua acconciatura, proprio dove fino ad un attimo prima c’era stato il suo viso, appena sopra l’orecchio. Poteva sentire ancora il respiro della ragazza che la portava a sollevare le spalle contro il suo petto, e la pelle fresca delle sue braccia esili contro le sue.

E poi, quella ciocca fuori posto, attirava la luce in maniera strana, richiamando la sua attenzione.

Poco dopo Aria colse il movimento al suo fianco e, voltando la testa, vide la mano di Eric avvicinarsi al proprio viso e istintivamente chiuse gli occhi.

Successe qualcosa che non si aspettava, la mano del ragazzo andò ad accarezzarle il retro dell’orecchio, rimettendole a posto una ciocca di capelli. Il gesto fu sbrigativo e quasi prepotente, e la sua mano, apparentemente troppo grande vicino al suo viso, si fermò troppo a lungo sotto l’attaccatura dell’orecchio, proprio alla fine della guancia. Per un attimo ebbe paura che solidificasse la presa e le facesse del male, poiché quel tocco aveva poco di dolce, sembrava più una presa leggera per costringerla a guardarlo.

-Quando Frederic verrà a vedere i tuoi progressi.- Le disse incatenandola con lo sguardo. -Tu mostraglieli!-

Le lanciò un’ ultima occhiata eloquente e poi, senza aggiungere altro, si voltò e se ne andò.

Mentre osservava la sua schiena allontanarsi, Aria ebbe l’impressione di sentire un tonfo e pensò che si trattasse dell’eco dei passi di Eric, ma dopo, capì che era il suo cuore che mancava di alcuni battiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Diamante grezzo ***


4. Diamante grezzo

 

 

 

 

Doveva solo tenere duro.

Peccato fosse molto più facile a dirsi che a farsi. La barra di metallo sembrava lottare contro di lei e, ad ogni secondo, sembrava diventare sempre più scivolosa. Le dita poi, iniziavano a minacciare seriamente di abbandonarla, il dolore infatti era talmente insopportabile che iniziò a temere che potessero staccarsi dal resto della mano.

E così, se già di per se la sfida che stava affrontando era dura, le distrazioni e l’insorgere di nuovi problemi, rendevano impossibile raggiungere la vittoria. Il cervello non riusciva a concentrarsi sull’obbiettivo, distratto dai segnali di dolore che il suo corpo continuava a lanciarle. Tutto le diceva di mollare, la ragione le urlava di lasciar perdere e le suggeriva che il risultato che aveva ottenuto fino a quel momento era già ottimo, ma a lei non bastava.

Il dolore lancinante alle dita, i muscoli doloranti che chiedevano sollievo e la barra sempre più scivolosa non dovevano distrarla, non dovevano esistere.

Doveva solo tenere duro e rimanere appesa.

L’allenamento del giorno prevedeva una prova di resistenza per testare l’effettiva forza degli iniziati. Perciò Quattro, il loro allenatore, li aveva divisi in maschi e femmine e aveva chiesto loro di restare appesi ad una trave di ferro il più allungo possibile. La sfida fra i ragazzi si era conclusa con la vittoria di Edward e, subito dopo, era iniziata quella tra le ragazze.

Erano tutte molto agguerrite poiché, a differenza degli scontri con gli altri compagni, quell’allenamento sembrava più facile e meno doloroso, ma niente poteva essere più sbagliato.

Le prime ragazze erano cadute dopo poco, Tris e Christina, invece, avevano resistito molto più a lungo ma, per fortuna, alla fine avevano ceduto.

L’ultimo ostacolo alla vittoria rimaneva lei, Molly, la più alta e larga di spalle di tutte. Era davvero terrificante quando combatteva, aveva mandato al tappeto tutte le altre contro cui aveva lottato senza dimostrarsi poi tanto compassionevole.

Per i primi minuti era riuscita abilmente a chiudere la mente, tenendo fuori dolore e stanchezza per riuscire a rimanere sospesa senza problemi. Aveva allungato i muscoli e controllato il respiro e, mente le altre cadevano o si lamentavano per il male alle mani, lei rimaneva statica e silenziosa.

Peccato che, adesso che rimanevano solo in due e quella serenità mentale le sarebbe potuta tornare molto utile, lo sforzo fisico aveva superato di troppo il limite richiamandola alla realtà dei fatti.

E la realtà non era delle migliori.

Era esausta, non riusciva a smettere di pensare al dolore e Molly non si decideva a cadere. Cercò di chiudere gli occhi per scacciare via tutta la sofferenza ma, quando li riaprì, se ne pentì all’istante.

Il capofazione Eric, che affiancava spesso Quattro nell’addestramento, le si era posizionato di fronte e la guardava con insistenza. Era stato anche davanti a Molly a fissarla e a provocarla, certo, ma di sicuro a lei non aveva fatto lo stesso effetto.

Al solo pensiero che lui la vedesse in quello stato pietoso e che potesse deriderla o insultarla, o peggio, considerarla debole, la rabbia l’accecava e il cuore accelerava i suoi battiti.

Forse avrebbe dovuto chiedersi perché reagiva in quel modo, ma non ne aveva la possibilità.

Doveva subito trovare una soluzione per stabilizzarsi su quella trave altrimenti sarebbe caduta e, a quel punto, non avrebbe sopportato che Eric dichiarasse Molly vincitrice e togliesse a lei dei punti in classifica.

In quel memento trovò la risposta ai suoi problemi, il capofazione fermo davanti a lei a tenerla d’occhio era un problema dal momento in cui aveva deciso di dimostrarsi all’altezza di ogni addestramento.

E lui pretendeva sempre il massimo da loro.

Non era come Quattro, Eric chiedeva sempre agli iniziati di raggiungere il limite, e lei quel limite voleva superarlo. Voleva spingersi oltre e dimostrare il proprio potenziale, magari togliendo quel sorrisino derisorio dalla faccia di Eric, facendogli vedere quanto valeva.

Decise di dover modificare a suo favore la situazione, perciò, con uno sforzo immane, fece ruotare una delle sue mani e cambiò il modo in cui si teneva alla trave. Se prima entrambe le mani erano orientate in avanti, adesso una era girata all’indietro, così seguì la spinata delle braccia messe in opposizione e si girò mettendo la line delle spalle in verticale rispetto alla quella della trave.

Una volta raggiunta quella posizione, le fu più facile dondolarsi in avanti con il bacino per dare uno slancio con la gamba e aggrapparsi anche con il tallone. Ovviamente la spinta le era constato uno sforzo immane, dato che il suo corpo era stremato, e aveva rischiato davvero di cadere. Ma, adesso che tutto il suo peso non scaricava più solo sulle braccia, ma si appoggiava anche sulla caviglia che aveva agganciato alla trave, le sembrava di essere leggera come una piuma.

Forse il sollievo non sarebbe durato tanto a lungo, ma abbandonò ugualmente la testa all’indietro e prese un profondo respiro, sollevata.

-Così non vale!- protestò con voce stridula Molly, appesa poco più avanti.

-Perché?- Esclamò Eric, incrociando le braccia al petto. -Dovete rimanere appese più che potete, nessuno ha specificato come!-

Il capofazione era ancora davanti a lei, così ad Aria bastò voltare appena la testa a sinistra per incrociare il suo sguardo e, con un tuffo al cuore, poté chiaramente scorgere il sorriso con cui le ricambiò lo sguardo.

Per la ragazza quel sorriso fu la più grande delle soddisfazione.

Avrebbe voluto dirgli che tutti gli anni passati fra gli Eruditi non erano stati del tutto inutile, e che ovviamente ingegnarsi per trovare sempre la soluzione migliore faceva parte di lei, ma per svariati motivi non poteva. Dovette quindi accontentarsi di quella piccola vittoria che il sorriso di Eric rappresentava.

Era riuscita a dare dimostrazione delle sue abilità e lui aveva apprezzato, rendendola complice di quel ghigno sinistro con cui era solito manifestare la propria soddisfazione.

Il secondo dopo, Molly si staccò dalla trave e atterrò con un tonfo.

Aria abbandonò ancora la testa all’indietro e sorrise. Lentamente fece passare il piede oltre la trave e, dopo che le gambe furono tornate in verticale, lasciò andare anche le mani e atterrò sulle ginocchia.

-Abbiamo una vincitrice!- dichiarò Eric, e Quattro prese nota scrivendo su una lavagnetta.

Quando, con estrema cautela si raddrizzò, tutti i muscoli del suo corpo protestarono e le lanciarono scariche di dolore che le trapassarono la mente.

Fece un passo e si trovò a zoppicare ma, sollevando gli occhi, Eric le era sempre di fronte e con le braccia ancora incrociate al petto. Prima di raggiungere Quattro, lui le fece un cenno con il capo e i lineamenti del suo viso si allargarono in un sorriso maligno mentre, con fare ammiccante, si inumidiva le labbra passandovi sopra la lingua.

Nel momento in cui la sua amica Sasha le si avvicinò dandole un colpetto sulla spalla, Aria dovette nascondere la soddisfazione che provava, mentre si massaggiava le mani doloranti l’una con l’altra.

-Insomma, vuoi diventare come il Carrarmato!- esclamò la bionda.

Carrarmato era il nomignolo che Sasha aveva affidato a Molly dopo che, nell’incontro che aveva dovuto sostenere contro di lei, si era ritrovata con un occhio nero e un fianco dolorante.

Aria la spintonò via scherzosamente.

-Bene, adesso si combatte!- Disse improvvisamente Quattro, avvicinatosi al ring insieme ad Eric.

Aria alzò la testa e, trattenendo il dolore che aveva alle articolazioni, si trascinò insieme all’amica vicino al resto del gruppo.

-Dato che sono state le ultime due a cadere…- Continuò Eric, -Molly ed Aria sul ring!-

-Wow!- sussurrò con finto entusiasmo Sasha, al suo fianco.

Aria intensificò lo sguardo verso Molly che saliva sul ring. Erano entrambe stremate e la cosa poteva essere sconveniente quanto vantaggiosa.

Sotto lo sguardo preoccupato dell’amica, la ragazza passò accanto agli altri iniziati davanti a lei e salì sul ring. Una volta che furono l’una di fronte all’altra, le ragazze si misero in posizione di difesa e si prepararono a combattere.

Ragionando il più in fretta che poteva, Aria analizzò le proprie possibilità ed individuò il metodo migliore per agire. La stanchezza era il fattore dominante, dato che sia lei che Molly avevano consumato quasi tutte le energie alla trave.

Perciò, l’unica alternativa che aveva era quella di mettere l’avversaria al tappeto il prima possibile, usando tutte le forze che aveva ancora in corpo. Se lo scontro fosse andato avanti per troppo tempo, non avrebbe avuto la forza di sostenerlo, e la superiorità fisica di Molly avrebbe avuto la meglio.

La sua avversaria, oltre ad essere più grossa, era anche sempre la prima ad attaccare, ma non poteva darle questo vantaggio. Era distrutta e le mani le facevano malissimo, anche un solo pugno incassato avrebbe potuto farle perdere energie e farla cadere a terra senza più la forza per rialzarsi.

Doveva annientarla subito.

Quando, come era prevedibile, il pugno di Molly partì verso di lei, il precedente sforzo di rimanere appesa ad una trave di ferro l’aveva rallentata, così Aria riuscì non solo ad intercettare il pugno, ma anche ad afferrarle il polso.

Senza lasciare la presa, l’aggirò e le bloccò il polso contro la schiena piegandolo in maniera innaturale, tanto che Molly urlò dal dolore e cadde in ginocchio. Dato che era alle sue spalle, approfittando della morsa in cui teneva ancora la sua avversaria, le diede un potente calcio ai lombari che la fece finire faccia a terra.

Molly provò a rialzarsi appoggiandosi sulle braccia, ma Aria non le lasciò scampo e la mandò nuovamente al tappeto con un calcio in pieno viso. Per evitare che provasse nuovamente a rialzarsi, le assestò un ulteriore calcio al fianco, strappandole ancora un urlo.

Dopo alcuni secondi, Molly si abbandonò totalmente a terra.

-Incontro terminato!- Dichiarò Quattro.

Mentre scendeva dal ring, Aria vide Eric vicinissimo al bordo dove era ancora accasciata Molly, intento a fissarla con un misto di disgusto e delusione.

Forse credeva che sarebbe stata lei a vincere, considerato che era visibilmente più forte, ma Aria aveva vinto grazie all’astuzia nonostante l’ inferiorità fisica. Il fatto che fossero entrambe reduci da un esercizio sfibrante era stato d’aiuto dato che, probabilmente, con Molly al pieno delle forza la velocità e la brutalità non avrebbero funzionato.

-Hai appena vinto il titolo di Carrarmato in seconda!- Sasha l’aspettava dietro ad altri due ragazzi e, quando la vide, scosse il capo e sospirò.

Aria la raggiunse e si massaggiò le mani doloranti ma, quando notò l’espressione imbronciata dell’amica, sorrise.

 

Come sempre i corridoi sotterranei erano scarsamente illuminati, ma lui li conosceva a memoria e non erano certo un po’ di ombre a spaventarlo.

Percosse il tunnel con passo sicuro, senza prendersi il disturbo di guardarsi in torno troppo a lungo e, quando infine scorse la scia di luce che veniva fuori dalla grotta che voleva raggiungere, decise di rallentare il passo per non fare troppo rumore. Il suo piano funzionò e i suoi passi vennero coperti dal rumore di spari che proveniva dal poligono così, quando raggiunse l’entrata, pensò di non disturbare la persona all’interno e rimase ad attendere che fosse lei ad accorgersi del suo arrivo.

Aria era diversa dalle altre, e su questo punto ormai la discussione con sé stesso era chiusa. Doveva riconoscere che non erano in tante ad essere così brillanti negli addestramenti, così determinate, e a poter vantare un discreto fascino.

La vide schiudere le labbra per lasciare passare un sospiro, mentre con la mano libera dalla pistola si passava il dorso contro la fronte per liberarla da alcuni ciuffi di capelli. Per quel pomeriggio aveva scelto di raccogliere la chioma corvina in una traccia che le scendeva su una spalla e, mentre stendeva i muscoli del suo corpo per rilassarsi, lasciando cadere la mano armata lungo il fianco, Eric pensò che quella ragazzina rasentasse un tipo di perfezione a cui lui non era disposto a rinunciare.

La sentiva come qualcosa di suo a cui doveva dedicare attenzioni e cure, era come un diamante grezzo da modellare perché arrivasse al massimo splendore, per poi custodirlo con attenzione.

Era sempre stato ambizioso da che ne aveva memoria, e uno in costante cerca della perfezione come lui, non poteva certo non spingersi oltre il limite per raggiungere la perfezione di quella ragazzina e prendersela senza lasciare agli altri quella stessa possibilità.

Era la sua rosa nel deserto, che cresce contro ogni previsione, da preservare con cura e da tenere al riparo della intemperie. Perché rinunciarvi e lasciare che qualcun altro la cogliesse al posto suo?

L’attenzione dell’iniziata venne attirata dal suono lento e scandito di un applauso e, quando si voltò verso la fonte del rumore, vide finalmente il capofazione davanti all’ingresso che batteva lentamente le mani verso di lei in modo ironico.

-I miei più sentiti complimenti!-

Non capendo se le parole appena udite fossero una presa un giro oppure un rimprovero, Aria scosse la testa nascondendo un piccolo sorriso.

-Pensavo che un capofazione avesse un sacco di faccende da sbrigare, invece tu devi annoiarti molto se sei sempre qui!-

Eric si concesse un’ alzata di spalle. -Infatti è così, sono pieno di impegni, ma non potevo certo perdermi l’occasione di congratularmi con te.-

Aria lo guardò senza capire.

-Frederic è venuto a cercarmi poco fa,- spiegò avvicinandosi di qualche passo. -Mi ha detto che sei in gamba e che secondo lui potresti diventare una tiratrice niente male. Inoltre si è complimentato con me, per averti portata da lui.-

La ragazza mascherò il suo sorriso di gioia dietro una smorfia strafottente, poi scrollò le spalle. -Bene!-

Mentre la vedeva raggiungere il tavolo con le armi, Eric pensò che non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di ringraziarlo o di apparire felice per il complimento.

Forse faceva parte della sua maschera di orgoglio dare per scontato gli apprezzamenti da parte di Frederic, oppure lo puniva per non aver creduto veramente in lei sin dall’inizio.

Invece di apparire compiaciuta restava impassibile, come a volergli ricordare che era stato lui a minacciarla affinché raggiungesse ottimi risultati, perciò i traguardi raggiunti avrebbero dovuto stupire lui, perché mai lei?

Lei sapeva già come sarebbero andate le cose, ma se si aspettava delle scuse aveva sbagliato del tutto persona.

-Forse ogni tanto dimentichi con chi hai a che fare!- le disse con voce bassa, mentre la raggiungeva al tavolo.

Aria lo guardò e capì perfettamente cosa volesse dire, così fece un piccolo sorriso e scosse la testa, mentre Eric ricaricava una pistola.

-Forse è colpa tua, sei tu che mi dai troppa confidenza!-

-Può darsi…- le concesse il ragazzo, facendo scattare il caricatore quando lo inserì nell’arma.

La ragazza lo seguì quando lo vide voltarsi e avvicinarsi ai bersagli. Vederlo in posizione le diede una scarica elettrica, poiché le trasmise un misto di terrore e ammirazione che non sapeva gestire.

Era come vedere un intero fascio di muscoli scattanti tendersi per colpire, solido come una statua di marmo. Lo osservò in silenzio, mentre lui affilava lo sguardo per prendere la mira e, quando iniziò a sparare, le venne spontaneo paragonarlo alla cosa più letale che avesse mai visto.

Eppure, si riscoprì incapace di togliergli gli occhi di dosso.

Nonostante il meccanismo che muoveva i bersagli fosse in funzione, Eric era riuscito a seguirne uno solo e a trivellarlo di colpi che erano andati a segno tutti vicino al centro rosso. A lei erano voluti giorni e i consigli del ragazzo per raggiungere quel risultato, a lui era bastato caricare un’ arma. Senza contare che vedere sparare lui era terrificante, mentre lei non avrebbe intimorito nessuno.

Eric la vide avvicinarsi alla sua spalla senza alcun timore e piegare la testa di lato per osservare il bersaglio che aveva colpito, mentre arricciava le labbra in una smorfia. Tutti gli anni di addestramento a cui si era sottoposto, da quando era entrato a far parte degli Intrepidi, lo avevano forgiato rendendolo un’ arma letale a tutti gli effetti.

Certo, ognuno aveva il suo talento e la sua materia in cui eccelleva, e sparare era diventato il campo della ragazzina, ma lui non sarebbe mai stato da meno.

-Vuoi che ti mostri quante altre cose so fare?- la provocò, sussurrandole all’orecchio.

Lei si scostò ed incrociò le braccia al petto, con la stessa smorfia di disappunto con cui aveva osservato il bersaglio colpito. -Bè, comunque mi aspettavo di più!-

-Sta zitta!- le disse dandole uno spintone non troppo delicato alla spalla. -Sono solo fuori allenamento!-

Aria si lasciò spostare dalla spinta, e scosse la testa.

Fuori allenamento? E se si impegnava cosa riusciva a fare? Adesso capiva come mai nessuno si stupisse più di tanto dalla sua bravura, lì erano tutti bravi a sparare.

Quando Eric la sentì ridere, in maniera spensierata, si voltò di scatto a guardarla. Era evidentemente bastata una spinta per farla sciogliere, costringendola a liberarsi di quella maschera di gelo che si portava dietro.

Si concesse a sua volta un ghigno di approvazione, mentre abbassava lo sguardo per togliere il caricatore dall’arma. Quella ragazzina non sapeva di stare giocando con il fuoco e che, probabilmente, aveva abbassato le sue difese con la persona sbagliata. Ma, adesso che era caduta nella tela del ragno, non era detto che sarebbe riuscita a liberarsi.

-Si può sapere a cosa pensi quando spari?-  

Alla parole del ragazzo, Aria si voltò senza capire.

-Cosa?- Chiese gentilmente.

Eric non la degnò di uno sguardo mentre raggiungeva il tavolo delle armi per depositarvi la sua pistola. -Sembra sempre che tu voglia uccidere qualcuno!-

Aria alzò gli occhi e poi li fece roteare. -Santo cielo, devi avermi guardata proprio  per bene allora!-

Il ragazzo la fulminò con un’ occhiataccia. Stava ancora rimettendo in ordine le armi, quando la vide appoggiarsi al tavolo, rivolta però verso i bersagli.

La ragazza sospirò accanto a lui, ed incrociò le braccia al petto mentre il suo sguardo si perdeva sui contorni dei bersagli. Secondo il parere di Eric, la sua espressione non era delle più docili mentre si allenava sparando, e forse la chiave stava davvero nei suoi pensieri.

O nei suoi ricordi…

 

Una bambina di circa sei anni, o poco più, stava correndo.

Davanti a lei c’era una vecchia giostra arrugginita, una di quelle con tante piccole scale per arrampicarsi in cima. Non aveva per niente un aspetto rassicurante.

Quattro travi di ferro erano conficcate nel terreno e si ergevano in verticale, le loro estremità in cima erano collegate tra loro da altre quattro travi portanti. Su uno dei lati della struttura, arpionate alle travi verticali, erano state intrecciate delle corde ormai vecchie e logore che formavano una rete sul quale arrampicarsi. Sulle altre tre facciate erano invece state inserite semplici barre di metallo più sottile a formare delle scale.

Ma alla bambina non importava tanto della giostra, lei aveva occhi solo per i bambini che ci si arrampicavano sopra. Avevano pratici pantaloni scuri, anche le ragazze, e comode t-shirt nere. Li vedeva salire sulla giostra senza paura, e appendersi in cima come se la gravità non esistesse.

Erano liberi. Erano figli di Intrepidi.

Corse a perdi fiato verso di loro, sentendo il vento sulla pelle e la gioia scorrerle nelle vene così, quando li raggiunse, si fermò a guardali a testa in su.

Erano due femmine e due maschi, seduti ognuno su una delle travi messe in orizzontale per tenere insieme quelle verticali. Una bambina si lasciò cadere all’indietro, rimanendo aggrappata alla trave con le ginocchia e, una volta a testa in giù, si accorse della nuova arrivata.

-Chi è?- Chiese.

-È solo un’ Erudita, non ce la farà mai a salire qua su!- le rispose un ragazzino più grande, dondolando le gambe oltra la trave.

La piccola non si perse d’animo, anzi, sentì una forza esploderle dentro e darle una scarica di energia. Moriva dalla voglia di sapere cosa si provava ad essere appesi lassù, voleva sentirsi libera come i bambini di quella fazione e non le importava di sporcarsi o di farsi male.

La struttura era alta due volte e mezza lei quando iniziò ad arrampicarsi per la scaletta laterale, aggrappandosi con le mani e con i piedi, salendo gradino dopo gradino. Indossava uno scomodo vestitino blu con tanto di maniche a palloncino che le stringevano le braccia, ma non si lasciò infastidire troppo nemmeno dalla stoffa che le scopriva le gambe mentre saliva, e raggiunse la cima.

Una volta lì rimase in piedi sulla scaletta, appoggiando le mani alla trave sui cui era seduto il ragazzino che aveva parlato per ultimo.

-Brava, c’è l’hai fatta!- canticchiò la bambina seduta sulla trave di fronte, lanciando un pugno per aria in segno di approvazione, con tanto impeto che per poco non cadde.

Il ragazzino accanto a lei ridacchiò. -Forte, sei stata brava! Vuoi venire a giocare con noi anche domani?-

La piccola Erudita lo guardò con occhi luccicanti. -Davvero? Siete qui anche domani?-

-Sì, i nostri genitori sono venuti nel quartiere degli Eruditi per ritarare dei nuovi computer! Come ti chiami?-

La piccola bambina guardò gli altri seduti sulla sommità della giostra, la stavano guardando e l’altro bambino si stava perfino spostando per farle posto. -Mi chiamo…-

-Ariana!-

La piccola si voltò, ancora aggrappata alla scaletta, e vide una donna vestita di blu avanzare a grandi passi verso di lei. L’aveva chiamata con voce adirata e, anche dal modo in cui camminava, non sembrava per nulla calma.

-Devo andare…- disse agli altri bambini, e scese la scaletta tornado con i piedi per terra.

-Ciao!- le disse la bambina che aveva esultato quando l’aveva vista arrampicarsi.

Altri tre ciao l’accompagnarono mentre correva verso la donna.

Nel tragitto i suoi capelli neri le solleticarono il viso e le finirono davanti agli occhi, ma non li scostò, le piaceva sentirsi libera e ribelle.

Quando arrivò vicino alla donna, questa sospirò e alzò gli occhi al cielo, avvilita, portandosi poi una mano al cuore per il sollievo. -Ma cosa ti è saltato in mente? Arrampicarti in quel modo, potevi cadere!-

Senza perdere altro tempo, la donna afferrò bruscamente la bambina da una mano e se la trascinò dietro mentre si incamminava.

Prima di allontanarsi del tutto, però, la piccola si voltò un’ ultima volta a guardare i bambini vestiti di nero che ancora si dondolavano appesi alla giostra.

-Come sapevi che ero lì?- chiese alla donna.

-Me lo ha detto tua sorella, era preoccupata per te!-

La bambina guardò in lontananza e vide una testa bionda fare capolino da dietro una casa non troppo distante, era un’altra bambina della sua stessa età. Assottigliò lo sguardo mettendo il broncio.

-Spia!- bisbigliò.

-Smettila di parlare in quel modo!- la sgridò la donna, continuando a trascinarla malamente dalla mano. -Con tutte le volte che ti ho detto di non giocare con i figli degli Intrepidi, nemmeno a scuola! Sono pericolosi, si comportano come selvaggi e non è un bene che ti faccia vedere con loro!-

La bambina non disse nulla per un po’, poi si voltò verso la sua mano intrecciata a quella della donna e salì con lo sguardo lungo il suo braccio fino a raggiungerle il viso. Aveva anche lei folti capelli neri raccolti in una coda di cavallo e occhi azzurri e sottili, i lineamenti erano delicati e le labbra serrate in una linea retta.

-Ma mamma,- disse la piccola con innocenza, seguendo il passo della donna. -Forse un giorno sarò anch’io un’ Intrepida!-

La donna si voltò di scatto e, con la mano libera, la colpì con uno schiaffo sulla guancia.

Da lontano, la figura della bambina bionda nascosta dietro la casa, sussultò.

La piccola dai capelli neri, invece, si portò timidamente la mano libera alla guancia offesa e trattene le lacrime mordendosi il labbro.

La madre, senza scomporsi, si rimise a posto la giacca di velluto blu e afferrò la bambina dalle spalle, strattonandola.

Poi si chinò per raggiungere l’altezza del suo viso e le parlò, guardandola negli occhi. -Stammi bene a sentire Ariana, tu vieni da una famiglia di Eruditi e non infangherai il nome di tuo padre passando alla fazione dei selvaggi, mi hai capita?-

La piccola Ariana, con ancora una piccola mano paffuta sulla guancia lesa, guardò il volto elegante della madre deturpato dalla rabbia, e tremò leggermente, ancora trattenuta dalle spalle.

Si mordicchiò il labbro, i suoi grandi occhi da bambina erano di un blu leggermente più scuro rispetto a quello degli occhi della madre e, quando li fissò in quelli della donna, luccicarono pieni di lacrime che però non caddero.

-Sì, mamma…-

 

-Allora?-

Quando la voce calda e autorevole di Eric la riscosse, riportandola alla realtà, Aria sussultò. Stava ancora fissando i bersagli e, nella sua mente, uno di essi divenne una sagoma femminile vestita di azzurro. Improvvisamente, sentì una presa immaginaria serrarsi attorno alla sue spalle e, quando la paura le creò un vuoto allo stomaco, sentì un’ irrefrenabile bisogno di sparare e di colpire il bersaglio.

Scosse la testa, si portò una mano alla spalla e la strinse.

-A niente!- disse chinando il capo. -Non penso assolutamente a niente!-

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua… 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Il primo e l'ultimo ***


5. Il primo e l’ultimo 

 

 

-Dai avanti, non fare storie, voglio solo farmi un tatuaggio…-

Aria scosse la testa, Sasha aveva tra le braccia un mucchio di vestiti neri che depositò sul letto.

-Christina ci sta andando con Tris e gli altri, è stata lei a dirmi che vicino al Pozzo potevamo prendere dei vestiti nuovi!- Le disse Sasha, iniziando a rovistare fra i capi d’abbigliamento sulla trapunta.

-Non sono contraria ai tatuaggi, ma perché dobbiamo cambiarci?- Aria si sedette sul letto accanto, accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto.

-Hai visto che vestito aveva Tris e quanto trucco si è messa Christina? Gli Intrepidi vanno lì per divertirsi, per rilassarsi… non puoi andarci con la divisa d’addestramento!-

Aria non rispose e, dopo poco, si ritrovò dentro una gonna nera di pelle che le arriva al ginocchio e un maglione mono spalla intrecciato a rete. Considerata la trasparenza fu costretta ad indossarlo con una canottiera nera sotto.

-Maledizione! Ci vogliono più tette per tenere su questo vestito, è troppo grande e mi scivola…- brontolò Sasha.

Aria la guardò, nel dormitorio c’erano solo loro due e continuava a sforzarsi di assecondare l’amica anche se avrebbe preferito andarsene piuttosto che fare quelle prove d’abito. Sasha indossava un vestitino nero un po’ più corto della sua gonna, ma era senza spalline e dava proprio l’impressione di scivolarle via da un momento all’altro.

-Dobbiamo fare a cambio…-  annunciò la bionda, sfilandosi l’abito. –A te starà meglio, hai più curve!-

-Guarda che non ho chissà cosa…- disse scherzando, indicandosi il seno.

-Bè quello che c’è è comunque più del mio, dovrai accontentarti! Tieni!- le disse passandole il vestito.

Aria lo prese al volo e lo guardò perplessa. –Non mi pare di averlo scelto io, non mi sentirei a mio aggio…-

-Non fare storie, non puoi stare tutto il giorno con la pistola in mano, e io non posso andare in giro nuda perché mi scivola giù il vestito. Togliti quella gonna e dammela!-

 

Pochi minuti dopo Aria è nel bagno femminile davanti allo specchio, con sotto al naso una pochette nera con dentro dei cosmetici. Sasha l’ha presa in prestito da qualcuno, e lei non sa bene cosa dovrebbe farsene, perciò decide di imitare l’amica. Prende una matita nera e la usa per delinearsi il contorno degli occhi e poi massa un po’ di mascara sulle ciglia.

L’immagine che le restituisce lo sguardo da dentro lo specchio non è propriamente la sua, però le piace. Non è passata agli Intrepidi per il trucco e altre cose simili, ma per sentirsi libera e forte. Sa che se suo padre la vedesse in quel modo la riprenderebbe dicendole che le persone per bene non vestono in quel modo e non usavo un trucco pensate e volgare.

La ragazza nello specchio assottiglia lo sguardo e inarca le sopracciglia, arrabbiata. Infila la mano nella pochette ed estrae un rossetto rosso che si passa sulle labbra. Adesso la sua immagina non assomiglia neanche lontanamente a quella delle signorine per bene che girano in tailleur per il quartiere degli Eruditi.

Forse gli Intrepidi sono davvero dei selvaggi, ma adesso lei fa parte di loro, ed è libera.

Esce dal bagno e trova Sasha intenta a pettinarsi i capelli, che da sciolti sono davvero lunghi e belli. Indossa la gonna e il maglioncino che prima indossava lei, ma sotto non ha nulla a parte il reggiseno nero in bella mostra sotto il maglione forato.

-Vedo che tu le cose o le fai per bene o non le fai!- afferma la bionda, facendo un sorrisino furbo alla vista del suo make-up.

Aria decide di ignorare lei e i pensieri sulle opinioni della sua vecchia famiglia, e scrolla le spalle. –Capelli su o giù?-

Sasha le si avvicina e le scompiglia i capelli neri con la mano, che ricadono morbidi sulle spalle, poi estrae dalla tasca una forcina che utilizza per toglierle le ciocche scure dalla fronte e appuntarle all’indietro.

-Scuoti un po’ la testa e starai benissimo!-

 

Lo studio dei tatuatori precede un piccolo punto di raccolta per gli Intrepidi che vogliono rilassarsi e passare del tempo lontani dalle regole. Ci sono in tutto cinque tavoloni e un bancone bar non troppo fornito.

Nel suo tavolo sono in tre, lui e altri due compagni. Non hanno la sua stessa età, hanno entrambi un anno in più. Stanno parlando fittamente, discutono di qualcosa che a lui non interessa, per il semplice fatto che lui è troppo stanco.

È davvero stanco.

Al quartier generale degli Intrepidi la situazione è sempre più complicata, volano ordini e direttive da tutte le parti. Nessuno parla con nessuno, si agisce nel più totale anonimato senza potersi fidare di collaboratori che per anni sono stati fedeli compagni, ed ottimi aiuti. Solo loro capifazione sanno la verità, e non possono smettere neppure per un attimo di raccogliere informazioni e custodirle con cura per scopi futuri.

È così stanco che vorrebbe solo mandare tutto al diavolo e dormire, ma sa che se anche solo ci provasse non ci riuscirebbe. La musica alta del locale allontana i suoi pensieri, e la bottiglia di birra che ha in mano lo aiuta a dimenticarli. I suoi compagni continuano a parlare, e parlano senza sosta, tra risa e insulti.

-Secondo me sei tu che hai gusti difficili, Nick! Insomma, non è che le ragazze non te la danno, sei tu che fai il difficile…-

-Bè, quella me la farei volentieri!-

Eric coglie l’euforia nella voce di Nick e, quando anche l’altro amico si gira per capire di chi stia parlando, lui alza gli occhi e la vede.

La prima cosa che nota sono i suoi occhi, la riconoscerebbe ovunque con quelle iridi color del cielo notturno, che sembrano sempre spenti ed estranei ad ogni emozione. Si posano su ciò che le sta intorno quasi con superiorità, dandole un aspetto altero ed arrogante, ma lui ha visto la scintilla che li attraversa quando è determinata, e sa cosa nasconde.

La seconda cosa che nota, inevitabilmente, sono le sue gambe scoperte. Sono pallide come il resto delle sua pelle, con la leggera muscolatura che inizia a farsi notare dopo tutti gli allenamenti. A lasciarle così scoperte è il vestito nero che indossa, che le arriva a metà coscia, fasciandole poi il corpo e terminando retto sul seno, senza scollature profonde e senza spalline.  

-Pensi che abbia un bel culo? Non riesco a vedere bene …- Chiede Nick, muovendosi di qua e di là per inquadrare meglio la sua preda.

-È un’iniziata, ha sedici anni. Non fare il pervertito!-  

-Pensi che non sappia scopare?-

Eric sente qualcosa che conosce molto bene crescergli nello stomaco e, poiché conosce molto bene quella sensazione, sa come controllarla. Sa che è rabbia, rabbia cieca, e sa che quando lo assale gli toglie la capacità di ragionare in maniera lucida e lo porta ad azioni non sempre adeguate. Sa benissimo cosa scatena in lui quella furia e, se sa come affrontarla, non sa invece per quale ragione lo abbia colto in quel momento.

È così stanco che non ha voglia di pensare, non ha voglia di agire, vorrebbe solo chiudere gli occhi e ucciderli tutti. Vorrebbe che il progetto che sta cercando di realizzare con gli altri capofazione si realizzasse subito e gli togliesse di mezzo il ragazzo che gli sta seduto vicino.

Solleva gli occhi e la osserva ancora, lei è sempre lì, vicino alla biondina sua amica, e aspettano vicino alla porta del tatuatore.

Vede le sue ciglia nere più lunghe del solito, la linea dei suoi occhi affilati più decisa e poi, per ultimo, le sue labbra. Le ha già notate altre volte, sa che sono gonfie e rosse, ma adesso lo sono molto di più. È colpa di un rossetto, si vede. E non è solo colpa del rossetto.

Non è solo colpa di Nick.

È colpa sua. 

È lei che gli toglie la capacità di ragionare in maniera logica e che lo fa infuriare, indossa un abito troppo corto e un trucco troppo provocante. È bellissima, ma non vorrebbe vederla così e non dovrebbe vederla nessun altro. La rabbia lo soffoca, cresce e non accenna a scemare.

Serra le mani attorno alla bottiglia, beve un sorso e desidera che qualcuno picchi a sangue Nick e che prende a schiaffi lei, togliendole quella macchina rossa dalle labbra.

Poi capisce che desidera essere lui a fare entrambe le cose.

La voglia quasi lo spinge ad alzarsi, quando, nella luce soffusa tendente al rosa che avvolge la sala, lei si volta e lo guarda.

I suoi occhi lo incatenano, le sue labbra si schiudono in un accenno di sorriso, così poco evidente, che gli pare quasi di esserselo immaginato. Che ci sia stato o meno, però, le si illumina ugualmente lo sguardo e lui vorrebbe quasi calmarsi, ma non ci riesce e continua a serrare le dita contro la bottiglia. Ha la mascella così tanto contratta che inizia a dolergli e inizia vedere nero.

Poi la vede abbassare timidamente lo sguardo, e le sue ciglia le sfiorano gli zigomi, prima che volti la testa dall’altra parta senza più girarla verso di lui.

Improvvisamente nella sua mente si fa tutto buglio e si sente trasportare in un altro luogo. Lei è lì, davanti a lui e nell’oscurità la spinge contro un muro mentre si china su di lei per assaporare le sue labbra. Vuole sapere che sapore ha quel rossetto, vuole sapere se è amaro o dolce, e lei non oppone resistenza. Risponde al bacio piegando la testa all’indietro e lui ne approfitta per metterle una mano dietro la schiena e spingerla contro il suo petto. Sente le sue piccole mani aggrapparsi al suo petto e una scossa elettrica gli attraversa lo stomaco e scende più in basso, non ha più freni e decide di afferrarle la gamba nuda con la mano libera e di stringerla fino a farle arrossare la pelle.

Poi sbatte le palpebre e torna alla realtà.

E allora capisce che non è lei ad avere colpa, e che nessuno dovrebbe mai schiaffeggiarla, men che meno lui. Capisce che è ancora il suo diamante da custodire.

Nick ha scelto il momento meno opportuno per lasciarsi andare a commenti sgradevoli, ma non merita di morire. Il secondo dopo cambia idea.

-Chissà quante cose sa fare con quella bocca… Ahi!-

L’amico è costretto a finire la frase con un mezzo grido di dolore, poiché un pugno lo ha colpito con forza sulla mano che aveva sul tavolo.

Eric ritira il pugno con cui ha colpito senza scomporsi, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a sé e beve un altro sorso dalla bottiglia.

Nick si guarda la mano colpita, poi si scambia un’ occhiata con il loro compagno che gli sta seduto di fronte e infine guarda Eric. –Scusa amico, non sapevo fosse roba tua.-

Eric vorrebbe tanto dirgli di chiudere il becco, dirgli di tenere i suoi pensieri per sé e che non ha capito nulla. Vorrebbe dire che la ragazzina non è sua, non ancora almeno. Che è troppo piccola per lui, e che non la vede in quel modo. Vorrebbe picchiarlo, ma sa che non può e che dovrebbe limitarsi a dirgli che ha capito male e che le cose non stanno nel modo che pensa.

Dovrebbe.

Solleva ancora la bottiglia e beve un lungo sorso di birra, poi posa la bottiglia sul tavolo.

-Adesso lo sai.-

 

Aria abbassò lo sguardo e non lo risollevò fino a quando Sasha non le si parò di fronte per urlarle all’orecchio, dato il volume alto della musica.

-Ho parlato con la tatuatrice, si chiama Tori. Ha detto che non appena finisce il tatuaggio che sta facendo ad un ragazzo, possiamo andare noi!-

La ragazza bionda notò, nonostante le luci soffuse, la strana espressione dell’amica. –Cosa c’è che non va? Ho scelto la donna per il tatuaggio, come volevi tu!-

Aria la guarda e sorrise. –Sì, perfetto!-

-Sembra che ti sia passata la morte davanti…-

Non rispose. Forse Sasha non era andata poi tanto lontana dalla verità, nonostante non avesse visto lo scambio di occhiate tra lei e il più giovane dei capifazione. Aveva ancora i brividi addosso e, per quanto ne sapesse, un semplice sguardo non avrebbe dovuto avere il potere di scuoterle l’animo a tal punto.

Ma quello non era un semplice sguardo.

Eric se ne stava seduto a bere ad un tavolino con quelli che dovevano essere i suoi amici, vedendola, l’aveva trafitta con un’ occhiata penetrante che sembrava capace di scannerizzare ogni suo pensiero. I suoi occhi sembravano persi in un mondo a lei sconosciuto, come quelli di un esploratore che trova il suo tesoro, ed una strana emozione li aveva attraversati, simile al desiderio.

Puro e semplice desiderio.

Poi qualcosa era cambiato, l’espressione si era indurita e Aria aveva temuto per la sua incolumità. Non credeva possibile individuare tanta rabbia in una sola persona, era una furia ceca pronta ad esplodere e, se prima le era apparso come una bestia affamata, con la collera che traboccava dai suoi occhi sembrava una bestia sul punto di attaccare.

-Voglio farmi tatuare il simbolo degli Intrepidi sul dorso della mano…- spiegò Sasha, cercando di sovrastare la musica. –Così, se mi ritroverò fra gli Esclusi, mi ricorderò della scelta che ho fatto!-

Aria si riscosse dai propri pensieri e guardò l’amica. –Tu non sarai un’ Esclusa!-

-È una possibilità da tenere in considerazione, e voglio essere preparata!-

 

Poco dopo, nelle studio del tatuatore, Aria si ritrovò a ringraziare mentalmente Sasha ed il suo decolté per averle fatto indossare quel vestito che si era rivelato più che adatto alla situazione. Poiché aveva scelto di farsi tatuare parte della schiena, le era bastato abbassare la cerniera dell’abito per poter permettere alla tatuatrice di lavorare senza doversi spogliare e mettere troppo in mostra, cosa che con la maglia forata e la canotta non sarebbe stato possibile fare.

E così se ne stava seduta a cavalcioni sulla poltrona, girata dal verso opposto con i gomiti sul poggia testa, mentre con le braccia sorreggeva la parte davanti del vestito slacciato per non farlo cadere.

Sasha aspettava seduta su una sedia addossata alla parete dello studio, continuando a soffiare sulla propria mano per alleggerire il bruciore del tatuaggio appena fatto. Come aveva detto si era fatta stampare il simbolo degli Intrepidi, che adesso le ricopriva il dorso della mano destra.

Aria chiuse gli occhi e cercò di non pensare al bruciore martellante che le percorreva la schiena. Sentiva la mano di Tori seguire verso l’interno la linea dalla sua scapola sinistra, per poi scendere in diagonale verso le costole, e seguirne la linea sopra il fianco.

Il progetto del tatuaggio che aveva lei stessa scelto ed ideato, con i consigli della tatuatrice, prevedeva un piccolo ghirigoro alla base del collo, proprio sotto l’orecchio sinistro, staccato dal resto del disegno sulla schiena. Vi passò la mano sopra, sentendo la pelle ancora infiammata, e accarezzò con le dite le linee di quella parte di tatuaggio già finito, che si intrecciavano su una piccola parte della sua nuca.

Quando, oltre le tende velate dello studio, vide passare la figura imponete di un capofazione a lei noto, il cuore le mancò di un battito e la sua mano si paralizzò sul collo.

Eric sfilò davanti a lei, seguito dai ragazzi che erano seduti con lui al tavolino e, per tutto il tempo, non le tolse gli occhi di dosso.

Accarezzò con lo sguardo il suo braccio scoperto seguendolo fino alla mano ancora appoggiata al collo, poi si spostò sui contorni della sua figura accavallata alla poltrona e, infine, raggiunse la mano di Tori che continuava a lavorare sulla sua schiena nuda.

Aria si pentì dell’espressione di stupore che aveva delineata fra i proprio lineamenti, poiché in quel momento Eric le ricambiò lo sguardo, e mai avrebbe voluto che la vedesse in quel modo. Forse riusciva a sentire il vuoto che avvertiva lei allo stomaco, forse riusciva a vedere il rossore delle sue guancia attraverso il suo imbarazzo.

Il ragazzo dovette girare la testa per continuare a guardarla mentre avanzava ma, dopo il loro ultimo scambio di sguardi, lo vide sogghignare divertito, ed abbassare finalmente la testa e proseguire per la sua strada sparendo dal suo campo visivo.

Quando l’incanto fu spezzato, Aria ricominciò a respirare. Tolse la mano dal collo e se la portò sul petto, dove il cuore batteva all’impazzata.

 

Aveva abbandonato Quattro sul ring a raccogliere un ragazzino trasfazione, lasciando che fosse lui a prendersi il disturbo di portarlo in infermeria dopo che il suo avversario lo aveva steso.

Lui aveva altro da fare, appartata in un angolo della palestra c’era una ragazza seduta su di una trave di legno che usavano come ostacolo durante gli allenamenti. Dondolava le gambe e si teneva con entrambe le mani ai lati dei fianchi per non cadere e, quando vide che la stava raggiungendo, abbassò tranquillamente la testa come se niente fosse.

Eric l’affiancò appoggiando i reni alla trave, poi incrociò le braccia al petto. –Credo di aver trovato il modo per farti vincere contro Peter!- le annunciò sovrappensiero, senza guardarla.

-A sì?- rispose lei, voltandosi verso di lui. Sul viso aveva un’ espressione serena e vide distintamente la scintilla di entusiasmo e di speranza che le attraversò gli occhi.

Povera illusa. –Sì, potresti presentarti sul ring con il vestito di ieri sera!-

Aria alzò gli occhi al cielo e tornò a prestare attenzione a quello che succedeva davanti a loro, senza cogliere minimamente la provocazione. Al contrario, nascose un risolino e scosse la testa, come se stessero realmente dialogando alla pari. –Dici che gli farei venire un infarto?-

Piegò la testa di lato e scrollò le spalle. –Oppure un’ erezione!-

L’occhiata che gli lanciò, e la velocità con cui si era voltata, per poco non fecero crollare la sua serietà. Era indignata, quasi sconvolta o forse profondamente offesa. Nonostante cercasse di non guardarla, colse con la coda dell’occhio il rossore che le imporporò le guance. –Cosa c’è?- le chiese malizioso, grattandosi distrattamente il collo. –Pensavi di potere andare in giro in quel modo, senza suscitare delle reazioni in un uomo che ti guarda?-

-E in te quali reazioni ho suscitato?-

A quelle parole, si voltò subito verso di lei.

Aria era stanca, se era arrossita una volta non lo avrebbe fatto ancora. Lo vide nel sorrisetto malizioso e arrogante con cui gli sosteneva lo sguardo, e lesse nel suo viso, teso verso il suo, tutta la sua determinazione. Evidentemente non voleva più recitare la parte della brava ragazza, voleva giocare ancora con il fuoco e tenergli testa, per dimostrare che anche lei sapeva provocarlo.

Era un gioco pericoloso il loro, ma a farsi male non sarebbe stato certo lui.

Serrò la mascella, alzò il mento e guardò davanti a sé. Se quella ragazzina intendeva scomporlo o coglierlo in contro piede aveva sbagliato di grosso, tuttavia, era deliziato dalla sua ritrovata arroganza. Non molte avrebbero osato tanto, essendo capaci di ribaltare la situazione.

-Perché, da come mi hai guardata, potrei dire che tu sia quasi riuscito a vedere il colore della biancheria che indossavo sotto…- Gli sussurrò all’orecchio.

Stava decisamente giocando con il fuoco. Un brivido gli attraversò lo stomaco e scese più in basso mentre, qualcosa di simile alla rabbia eppure totalmente diverso, gli solleticava la mente.

Si voltò a guardarla e la trovò ancora con il viso allungato verso di lui per arrivare alla sua altezza, gli occhi scuri brillanti di coraggio.

Avrebbe anche potuto complimentarsi con lei, ma non ne vedeva il motivo dato che sapeva perfettamente come rimetterla al suo posto.

-Magari…-  le disse abbassandosi contro il suo viso, soffiandole sulle labbra. –La prossima volta puoi venire a mostrarmi direttamente tu cosa indossi sotto la gonna…-

Quando il rossore esplose lentamente sotto la pelle delle sue guance, Eric si leccò avidamente le labbra, godendosi la sua vittoria. Vide tornare sul suo viso la vergogna, e i suoi occhi spalancarsi per lo stupore.

Sta volta si fece scappare una risata di pura soddisfazione, mentre lei si raddrizzava sulla trave, imbronciata e ancora tutta rossa in viso. Aria teneva le testa bassa e la mani serrate attorno alla trave, la coda di cavallo in cui aveva raccolto i capelli lasciava scoperto il collo elegante, dove intravide un piccolo tatuaggio. Sotto l’orecchio sinistro si intrecciavano linee stilizzate che riconobbe come onde marine che, sinuose, sembravano accarezzarla la nuca. Era solo un piccolo disegno, raffinato e astratto, ma si chiese perché avesse scelto proprio le linee di un’ onda d’acqua.

Poteva già dichiararsi soddisfatto, aveva ottenuto quello che voleva, ovvero provocarla e imbarazzarla, ma non poteva certo lasciarsi sfuggire l’occasione di mandarle nuovamente in fuoco le guance.

-Magari, la prossima volta, sarò io a toglierti i vestiti per vedere il tatuaggio che ti sei fatta sulla schiena!-

 

Avanzò a grandi a passi, deciso, spietato.

Dentro il poligono la vide, stava rimettendo in ordine le pistole sul tavolo, le vide piegare le labbra in un sorrisino e abbassare gli occhi per non trovarsi faccia a faccia con lui.

-Sei in ritardo, stavo quasi per credere che oggi non saresti venuto!-

Si accorse di ciò che aveva detto, ma non vi prestò attenzione. Ricordava come si erano lasciati, con lui che aveva fatto allusioni sulla sua schiena nuda, per poi lasciarla seduta dov’era per andarsene. Forse era quel loro piccolo scontro che le dava il coraggio per rivolgerglisi in quel modo, forse voleva solo dimostrare che anche lei sapeva giocare ed essere alla sua altezza.

Non gli importava. Non gli importava nulla.

Non si fermò, non passò troppo tempo ad osservarla, si limitò a raggiungerla con passo spedito.

La vide allontanarsi dal tavolo, guardarlo senza capire e posare su di lui il suo sguardo stupefatto, quasi spaventato.

Non gli importava. Non poteva importargli.

Le arrivò davanti e l’afferrò mettendole le mani ai lati del viso per attirarla a sé e baciare ferocemente le sue labbra.

Passarono i secondi, ed Eric si preparava per ricevere le sue proteste, per una sberla sul suo viso, o per uno dei suoi sguardi indignati mentre le guance le si imporporavano.

E invece non successe.

Lei ricambiò il bacio.

La sentì sollevarsi in punta di piedi e allungare le sue braccia delicate verso il suo collo. Lasciò che si aggrappasse a lui, che gli passasse una mano dietro la nuca e che con l’altra, come aveva immaginato, si aggrappasse invece al suo petto.

Quando la sentì inarcare la schiena contro di lui spostò le proprie mani dal suo viso ai suoi fianchi, stringendola a sé con fin troppa forza. Le passò ferocemente la mani sulla vita, sui fianchi, e la imprigionò in una morsa prepotente.

Intanto il bacio cresceva, assaporava quelle labbra e lasciava che si schiudessero per lui, cercando quasi a forza il contatto con la sua lingua ma lei continuava a non opporre resistenza. Così continuo a divorarla tramite quel bacio, a godersi il suo corpo fra la proprie mani, baciandola con crescente bramosia.

Poi le afferrò nuovamente il viso fra le mani, le morse con forza il labbro inferiore e, quando lei si lasciò sfuggire un gemito di dolore, la costrinse a staccarsi e a guardarlo negli occhi.

Lo guardò con rancore.

-Ricordarti bene questo momento,- le disse col fiato corto, abbassando poi gli occhi sulle sue labbra gonfie ed arrossate nel punto da lui morso. –Perché sarà il primo e l’ultimo.-

Detto ciò la lasciò, non prima di essersi assaporato la sua espressione turbata. I suoi occhi cobalto erano colmi di desiderio e di un calore di cui voleva ancora nutrirsi ma, nel profondo di quegli occhi, si nascondeva una scintilla di rabbia. Forse per il morso, forse per la brusca interruzione.

O forse per il momento stesso di passione.

Non disse nulla, se ne andò, lasciandola per la seconda volta nell’arco di poche ore sola e senza fiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua… 

 

 

 

 

Scusate per il ritardo, questo capitolo è un po’… diverso dagli altri! Che ne pensate? Fatami sapere, baci e grazie…

 

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Capitolo 6
*** Evidente ***


6. Evidente

 

 

 

 

Stava seriamente iniziando ad odiare i bersagli.

In particolar modo odiava i cerchi che avevano stampati sul petto e, anche se quello che si trovava davanti era decisamente più grande, era comunque impossibile da colpire.

Ognuno aveva i suoi punti deboli e i suoi punti di forza, e lei aveva appena trovato il suo tallone d’Achille.

Aveva provato più volte a correggere il proprio tiro, aveva provato a lanciare con più forza, con meno forza. Aveva provato a studiarne la traiettoria, e mantenere rigido il braccio per evitare di colpire la parte passa del bersaglio, ma niente.

Con qui maledetti coltelli non c’era verso di ottenere un risultato.

Stava iniziando ad odiarli, anzi no, li odiava già.

Quattro aveva spiegato agli iniziati diverse tecniche di lancio, e lei aveva ascoltato con attenzione, ma senza guadagnarci nulla. Allora aveva chiesto aiuto alla sua mente da Erudita, ma l’intelligenza non era riuscita a farle centrare il bersaglio.

Sospirando e imprecando mentalmente, seguì il resto dei suoi compagni vicino ai pennelli con i bersagli per raccogliere i coltelli ma, mentre gli altri li staccavano via dal centro, lei dovette raccoglierne la maggior parte da terra.

Quando si rimisero in linea per lanciare, Aria fu interrotta.

-Ti ho già detto che non puoi essere brava in tutto, vero?-

Sasha, alla sua destra, lanciò un coltello e lo conficcò vicino al centro del bersaglio. Il nome della sua amica soggiornava pericolosamente nella parte bassa della classifica, e i suoi combattimenti erano uno peggio dell’altro, ma evidentemente c’era qualcosa in cui era brava che le avrebbe permesso di risollevare il suo punteggio.

Al contrario di Aria che, se fino a quel momento si era sempre distinta, con i coltelli stava facendo una pessima figura.

Scossa la testa e lanciò un altro coltello, colpendo il bersaglio ma senza avvicinarsi al centro.

-Sai cervellona,- disse il ragazzo alla sua sinistra. -Forse dovevi restare tra i tuoi amici geni, è evidente che sei brava solo a picchiare la gente.-

Aria si lasciò scappare una mezza risata, scosse la testa. Si era chiesta come mai proprio Peter si fosse messo al suo fianco, e adesso ne capiva il motivo.

-Credo che tu debba stare attento, è veramente una che picchia la gente, proprio una cattiva persona!-

Al sentire quella voce, Aria nascoste un’altra risata, sta volta allegra, poi indietreggiò per vedere oltre la schiena di Peter e scorgere il ragazzo accanto a lui. Era un altro iniziato trasfazione, veniva dagli Eruditi come lei e si conoscevano bene. Aveva folti capelli scuri e un naso decisamente importante.

-Grazie della fiducia, Will!- Rispose.

Will rise.

-Certo, sono a conoscenza della sua fama da ragazzaccia, se la prendeva con tutti!- Disse Peter, spuntando fuori le parole. -Non hai mandato in infermeria un altro Erudito, a scuola, solo per averti guardato storto? Oltre ad aver aggredito me, naturalmente!-

Aria preferì non ricordare il burrascoso incontro tra lei e Peter, avvenuto prima del loro cambio di fazione.

Lanciò un altro coltello. -Dimmi Peter, mammina e papino Candidi non ti hanno insegnato a tenere la bocca chiusa? Ah già, non l’hanno fatto!-

Will colse l’allusione ai Candidi e nascose una risata, mentre Sasha continuava a lanciare coltelli.

-Sai com’è…- Iniziò Peter, soppesando un coltello sulla propria mano. -Almeno i miei genitori mi volevano bene!- Poi lanciò il coltello e centrò il centro del bersaglio.

Aria assottigliò lo sguardo e strinse in mano la lama. Oltre la spalla di Peter, Will la guardò allarmato.

La ragazza decise di non muoversi, la voce nella sua testa le diceva di ignorarlo, di andare avanti.

Prese un profondo respiro e si preparò per colpire il bersaglio. -Sai com’è Peter, non tutti i genitori sono felici di avere un figlio stronzo come te!-

Mentre lanciava, la ragazza lo vide sogghignare.

-Il tuo paparino cervellone non doveva essere tanto contento di avere una figlia come te, una che non si comportava per benino come gli altri cervelloni. È per questo che sei andata via? Perché non ti volevano più?-

Ceca d’ira, scagliò il coltello contro il bersaglio, facendolo finire a terra con un tonfo. In fine si voltò con impeto verso Peter, con il bugno serrato.

Will, che sapeva come sarebbe andata a finire, trattenne Peter per una spalla e si sporse verso di lei. -No, lascia perdere, è solo Peter!-

Peter non sembrava per niente spaventato, guardò con sufficienza la mano di Will sulla propria spalla per poi tornare a sostenere lo sguardo della ragazza davanti a lui.

Aria non si mosse, era ancora faccia a faccia con una delle persone che detestava di più.  Era rigida come una statua, ad un palmo da lui, incenerendosi a vicenda con lo sguardo.

Oltre Peter e Will riuscì a vedere Quattro ed Eric, capendo dal modo in cui li osservavano che avevano notato quello che stava succedendo. Quattro stava anche per avvicinarsi, forse per dividerli oppure per rimproverarli, ma Eric lo aveva afferrato per un braccio e trattenuto.

Forse voleva che risolvessero il loro diverbio alla maniera degli Intrepidi, ovvero da soli e con la forza, oppure voleva semplicemente godersi la scena.

Will la guardò preoccupato, tratteneva ancora Peter ma era pronto e, se fosse stato necessario, li avrebbe divisi.

-Non dargli ascolto!- Le consigliò l’amico, mettendo la mano liberà anche sulla sua spalla.

Lui la conosceva bene, e Aria sapeva che avrebbe dovuto ringraziarlo.

Eppure non vedeva altro che il volto arrogante di Peter e non riusciva a mandare via la furia che la stava soffocando. Strinse i pugni e prese un respiro profondo.

-Vedi Peter,- disse con voce piatta, guardandolo negli occhi. -Se anche un idiota come te se n’è accorto, vorrà dire che era piuttosto evidente!-

Rimase ancora davanti a lui, furibonda, eppure svuotata.

Peter sollevò un sopracciglio mentre Will toglieva le mani dalle loro spalle. Sasha mise via il coltello che aveva in mano, e le si avvicinò di un passo dopo aver sentito ciò che aveva detto.

-Per oggi l’allenamento è finito!- annunciò Quattro.

Solo allora Aria si allontanò da Peter, rifiutandosi di vedere che espressione aveva. Si avviò a grandi passi verso l’uscita, superando i suoi compagni. Passò anche davanti a Eric, ma non si guardarono neppure.

Dietro di lei, Sasha correva per tenerle il passo.

 

-Ne vuoi palare?-

Aria era seduta sulla sua branda, nel dormitorio. Avendo finito tutti gli allenamenti della giornata, tutti i giovani iniziati si stavano godendo il loro momento di riposo prima della cena. Molti si davano i turni per fare la doccia, quasi tutti erano già andati a farsi un giro, e in pochi rimettevano a posto le loro cose sotto ai proprio letti, rimanendo comunque distanti.

Aveva addossato il cuscino alla parete e vi si era appoggiata con la schiena, mentre con i piedi puntellava il materasso, tenendo le ginocchia piegate vicino al petto.

Sasha era seduta nel letto vicino, rivolta verso di lei.

Aria non la guardò, diede un piccolo colpo con la nuca al muro dietro di sé. -Non siamo tra i Pacifici, non si deve per forza fare una discussione per risolvere ogni cosa, e qui le persone non sono sempre felici!- disse sgarbatamente.

Poi si voltò a guardare l’amica, vedendola abbassare la testa.

Scosse il capo. -Scusa.-

-Tranquilla!- Le rispose Sasha.

Aria abbassò lo sguardo sulle proprie mani, intrecciate sulle gambe. Avrebbe dovuto odiare Peter, avrebbe dovuto picchiarlo per le sue insinuazioni, ma come prendersela con qualcuno che dice la verità?

Non era da lei farla passare liscia a chi la provocava e, dare soddisfazione a Peter, era l’ultima cosa che voleva. Forse era vero che crescendo si migliorava, o forse, non aveva trovato le forze per reagire.

Forse avrebbe dovuto essere triste, ma non ci riusciva, erano anni che si rifiutava di esserlo.

In sostanza non riusciva a pensare a niente di ciò che un’altra persona al suo posto avrebbe pensato, l’unica cosa a cui pensava era lui.

Non pensava a Peter, pensava a Eric e al modo in cui l’aveva ignorata quando aveva lasciato la palestra. Gli era passata davanti, ma lui aveva fatto finta che non esistesse.

In realtà erano giorni che la ignorava totalmente, da quando l’aveva baciata al poligono senza nessuna spiegazione, non le si era più avvicinato nemmeno per sbaglio.

Si passò la lingua sul labbro inferiore, dove il rigonfiamento causato dal morso del ragazzo stava via via attenuandosi.

Scosse la testa, non doveva pensare a lui, non solo non era il momento, ma non era neanche la cosa giusta da fare. Era stato lui a baciarla e poi ad allontanarla, non doveva preoccuparsene. Che facesse i conti lui con il suo comportamento, lei si sarebbe limitata a rispettare la sua decisione e ad ignorarlo a sua volta.

Per quanto riguardava i suoi sentimenti, era brava a reprimerli. Era abituata a spegnere tutto.

Avrebbe voluto rifletterci di più, capire perché il suo cuore batteva forte quando lo vedeva, o perché era sempre al centro dei suoi pensieri. Avrebbe voluto capire perché lo aveva baciato senza respingerlo, e perché aveva provato quel turbinio di emozioni e passioni, ma non era il momento per farlo.

Quando, nei giorni precedenti, aveva provato a ragionarci, aveva subito scacciato via il pensiero. Non era una ragazzina alle prese con una cotta, era lì per superare l’iniziazione ed entrare a far parte degli Intrepidi, non poteva perdere tempo dietro gli sbalzi d’umore di uno dei capifazione.

Sapeva che non era solo quello il motivo, ma non voleva convincersi, perché si sarebbe fatta solo del male. Era inutile ammettere di provare qualcosa per una persona con il rischio di non essere ricambiata, era molto più facile chiuderla fuori dalla sua testa, dal suo cuore e dalla sua vita.

Era abituata a non essere amata.

Con il tempo, per difendersi, aveva smesso di affezionarsi e di aspettarsi qualcosa dagli altri.

-Quando ero piccola non ero esattamente una bambina per bene, diciamo che avevo un comportamento un po’ troppo da Intrepida!-

Sasha sorrise. -In che senso?-

-Facevo a botte troppo spesso, mi arrampicavo ovunque e correvo sempre. Crescendo non sono migliorata. I miei genitori non erano per niente contenti del mio comportamento, avrebbero voluto che mi comportassi diversamente, che fossi più a modo. Che fossi come loro.-

Sasha abbassò la testa e rimase in silenzio. Aria, invece, osservò distrattamente due ragazze che le passarono davanti per uscire dal dormitorio.

-Anch’io non ero esattamente come gli altri bambini. Sapevo che non sarei stata per sempre una Pacifica e, quando il risultato del test ha detto che ero un’ Intrepida, ho capito che avevo ragione!- Spiegò la bionda, cercando di ravvivare la situazione.

Ci riuscì, perché Aria si voltò verso di lei con un sorriso malinconico. -Come hanno reagito i tuoi genitori? Voglio dire, sono Pacifici!-

Sasha rise. -Gli è venuto un colpo! Se mi vedessero sparare, o se vedessero come ci fanno combattere, avrebbero di sicuro un infarto! Credo che non accetteranno mai del tutto la mia scelta, ma sanno che ho fatto ciò che era giusto per me.- La guardò e tornò seria per un attimo. -E poi so che mi vogliono bene.-

Aria tornò a guardare le proprie mani, la mente sgombra da ogni pensiero, mentre lottava contro la morsa che le attanagliava lo stomaco.

-Hai fratelli o sorelle?- le chiese Sasha.

Aria spalancò gli occhi e sussultò. Se fino a quel momento era riuscita a non pensare a niente e a non provare quasi nulla, con quella domanda il cuore le andò in gola e serrò i pugni.

-Una sorella.- ammise fra i denti, cercando di regolare il respiro.

-Ho fatto una brutta domanda?- Indagò Sasha, vedendo la sua reazione.

La osservò dubbiosa.

Aria scosse il capo, serrò maggiormente i pugni e si concesse una piccola risata assolutamente priva di gioia. -No, è fantastico avere una sorella, soprattutto se è la tua gemella. O meglio, la  tua copia migliore!-

 

-Ariana Grey!-

La folla si spegne come se qualcuno abbia fatto scattare un interruttore immaginario.

Le due persone sedute accanto a lei, un uomo e una donna, sembrano imprigionarla, ma non riusciranno a impedirle di scappare.

Si alza in uno scatto deciso, forse troppo, come a volersi liberare dalle catene invisibili con cui i suoi genitori la tengono legata. Supera la donna al suo fianco e poi l’altra ragazza seduta vicino, si avvia verso il centro della sala senza alcuna paura.

Chiunque la guarda potrà solo vedere una ragazza a modo che avanza con eleganza, come una vera Erudita, come le è stato insegnato. Potranno vedere i suoi capelli neri accuratamente raccolti davanti e sciolti dietro, come vuole la cultura della sua fazione, poiché lo sguardo deve essere libero e gli occhi bene in mostra.

Ma dentro, sente tutta la furia e il desiderio di raggiungere le coppe il prima possibile.

Arrivata a destinazione le viene offerto un coltello e lei lo prende subito e, con un gesto deciso e violento, si incide il palmo della mano. Ma nessuno dietro di lei avrà notato la sua foga.

Senza alcun ripensamento stende la mano sui carboni ardenti, e gioisce al rumore del suo sangue che vi sfrigola sopra.

La folla si riaccende all’ennesimo scatto dell’interruttore.

Sussulti, lamenti ed esclamazioni stupide e quasi indignate l’accompagnano mentre raggiunge la macchia di colore nero che rappresentano gli Intrepidi. Ignora tutto e tutti, presto non la guarderanno più, e si siede nel posto libero vicino ad un altro ragazzo trasfazione.

Dai posti vicino a quello dove era precedentemente seduta, tre persone, un uomo, una donna e una ragazza, non si scompongono minimamente. Non la guardano, non prestano attenzione ai cori di indignazione attorno a loro, si limitano a guardare avanti come statue di sale.

Ariana non li sta guardando, ma sa che è così.

Sa che non la cercheranno più.

Allora fa come loro, mantiene il corpo rigido e lo sguardo dritto davanti a sé.

-Amber Grey!-

Quando la folla tace nuovamente, una ragazza si stacca dal resto della sua famiglia e raggiunge il centro della sala.

Ariana non segue i suoi movimenti, continua a guardare il punto davanti a lei che si è prefissata e lascia che siano gli altri ad osservare la ragazza che si avvicina alle coppe.

Tuttavia, la conosce così bene che non ha bisogno di vederla per sapere cosa farà. Sa che ha i capelli di un biondo lucente raccolti totalmente in una coda di cavallo, lasciando in mostra la nuca elegante.

Sa che prenderà il coltello con grazia, che si muoverà in maniera sinuosa e che, anche quando si inciderà la mano, lo farà nella maniera più opportuna.

Sa che il suo sangue cadrà nella coppa con l’acqua.

Un coro di applausi si leva dalle file in azzurro.

Decide di continuare a non guardare altro che il punto che ha davanti, scegliendo di non voltarsi verso la ragazza bionda nemmeno quando questa risale verso il posto in cui sedeva precedentemente.

E, poco dopo, è tutto finito.

I nomi degli altri ragazzi sono stati chiamati senza che lei se ne accorgesse, e la cerimonia della Scelta è finita senza che guardasse altro che il punto davanti al proprio viso.

Gli Intrepidi escono per primi e le prime file davanti a lei si alzano rumorosamente, ma decide di aspettare seduta e alzarsi solo quando sarà il suo momento.

Poi si volta, non riuscendo a resistere a quell’impulso.

Si dice che i gemelli si sentano sempre, ovunque si trovano. Sanno cosa prova l’altro, sono empatici, ma la sua famiglia le aveva sempre insegnato che quelle voci erano totalmente illogiche.

Eppure, voltandosi, sapeva per certo che avrebbe incrociato lo sguardo di sua sorella. Anche lei la stava già guardando, così, quando Ariana si voltò, le parve di vedere la sua immagine riflessa nello specchio.

Vide il suo stesso naso, ma più raffinato. Vide le sue stesse labbra, ma non erano rosse e gonfie, ma rosee e sottili. Inoltre non erano corrucciate in una smorfia, ma deliziosamente arricciate in un sorrisino.

Peccato che il sorriso non raggiungesse neanche lontanamente i suoi occhi, dal taglio più allungato rispetto ai propri, e di un celeste ghiacciato invece che blu profondo.

Soltanto sua sorella era capace di fare quell’espressione, di mostrare quel sorriso insolente e di assottigliare lo sguardo in quel modo, come se stesse leggendo ogni suo più profondo segreto e lo trovasse del tutto inappropriato.

Con il mento sollevato esprimeva superiorità, e con le labbra arricciate in quel modo manifestava tutto il suo disprezzo.

Le ricordava la sua inferiorità.

Sentendo qualcosa esploderle dentro e andare in mille pezzi, Ariana si alzò, le mani tremanti, e seguì il resto del gruppo di Intrepidi che si alzavano. Si sentiva vuota, debole, impaurita.

Poi, quando la folla iniziò a correre e a scavalcare malamente le sedie, si sentì libera.

Libera e felice.

Scese verso l’uscita della sala ma, prima di andare del tutto, si voltò un’ ultima volta verso sua sorella. Sua madre, accanto a lei, le stringeva la mano e le diceva qualcosa con dolcezza. Suo padre, oltre la donna, si sporgeva per darle colpetti incoraggianti sulla spalla, dicendo anche lui qualcosa di sicuramente positivo.

Ma Amber non guardava loro.

La ragazza bionda continuava a guardarla con lo stesso sguardo, seguendola in mezzo alla folla degli Intrepidi.

Sta volta Ariana non si lasciò scoraggiare, se avesse letto i suoi pensieri vi avrebbe trovato solo  determinazione. Sorresse lo sguardo con espressione dura, decisa, senza timore, mentre la folla in nero avanzava.

Vide sue sorella arricciare ancora di più le labbra e corrugare la fronte, delusa, disgustata. Poi la vide scuotere la testa e abbassare il capo.

Ariana non la guardò più, uscì insieme alla sua nuova fazione e corse come non aveva mai corso in vita sua.

 

L’indomani, a pranzo, Aria sedeva ad un tavolo di fronte a Sasha. Nello stesso tavolo, in mensa, sedevano anche Will, Christina, Tris e Al, ma se ne stavano in disparte.

Sasha stava mangiando il suo pezzo di pane, discutendo dell’allenamento di quella mattina, e Aria l’ascoltava tranquillamente. Era piacevole avere una persona allegra e tranquilla come lei, e la sua voce era rilassante. La stava guardando attentamente, ridendo ad ogni sua smorfia e battuta, quando, oltre la sua testa bionda, lo vide.

Era seduto ad un tavolo non troppo lontano con altri ragazzi Intrepidi tutti tatuati e ricoperti di piercing, alcuni sicuramente più grandi di lui.

Vedere Eric le fece rivoltare lo stomaco, quella mattina non aveva preso parte ai loro allenamenti, aumentando i giorni in cui non si parlavano. Non la raggiungeva più al poligono a fine giornata, e non le sorrideva più di nascosto quando faceva qualche progresso.

Sembrava non la conoscesse nemmeno.

Però Aria lo aveva sorpreso in più occasioni a guardarla durante gli allenamenti solo che, quando se ne accorgeva e ricambiava il suo sguardo, lui voltava immediatamente la testa e non la degnava più di alcuna considerazione.

Era assurdo che l’avesse baciata in quel medo per poi allontanarla, e più passava il tempo più si convinceva che la cosa giusta da fare fosse ignorarlo a sua volta.

Probabilmente Eric aveva ottenuto ciò che voleva e non era intenzionato a sprecare altro tempo con lei. Forse sapeva che non poteva esserci altro fra di loro ma, qualsiasi fosse la sua motivazione, Aria si convinse che avrebbe fatto bene a non rimuginarci troppo.

Quando guardò ancora oltre la testa bionda di Sasha, il cuore le mancò di un battito.

Una ragazza magra ed alta, con ricci capelli rossi che le solleticavano il mento, si era avvicinata ad Eric e gli aveva sorriso. Gli aveva messo una mano sulla spalla in maniera confidenziale ed era rimasta in piedi vicinissima, poi gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio e lui aveva riso.

La testa bionda di Sasha si mosse, oscurandole il campo visivo, e Aria ne approfittò per abbassare gli occhi.

Si sentiva il cuore in gola e lo sentiva battere all’impazzata senza capirne il motivo.

Eric, ancora al suo posto, continuava a ridere insieme alla ragazza, ma senza tuttavia guardarla. Quando la rossa provò a fargli passare il braccio dietro la testa, tuttavia, lui si scostò rifiutando il contatto

Questi erano dettagli che Aria avrebbe potuto notare, se non  si fosse lasciata stravolgere dalle proprie emozioni.

Mentre continuava ad osservarli di nascosto, vide la sconosciuta parlare all’orecchio di Eric, era seducente e civettuola allo stesso tempo. Il capofazione fece un cenno con la testa ad una sua domanda, poi lei si scostò da lui, non prima di avergli scoccato un bacio sulla guancia.

Aria strinse la forchetta che aveva in mano ma, prima di riuscire a guardare altrove, Eric sollevò la testa verso di lei e i loro sguardi si intrecciarono.

Si voltò subito dall’altra parte, non voleva che lui capisse che lo stava guardando, ma di sicuro era troppo tardi.

Aveva visto nell’espressione di Eric qualcosa, forse rabbia, forse paura, delusione?

Non doveva importarle, mise giù la forchetta e fece un respiro profondo.

Non le interessava nulla di Eric, non era niente per lei come lei non era niente per lui.

Cosa poteva significare un bacio per chi ha un cuore libero e ribelle, infondo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

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Capitolo 7
*** Tutti crollano ***


5. Tutti crollano

 

 

 

 

Strinse la mano attorno alla borsa del ghiaccio e la posizionò meglio sulla testa dolorante. -Ricordami cosa mi sono persa!-

-Il tuo combattimento con Edward!- Rispose Sasha, in piedi accanto a lei.

Aria provò a sollevare lo sguardo verso l’amica, ma avvertì un forte dolore alla tempia e dovette cambiare idea. -Fantastico! Ho vinto, vero?-

Sasha si lasciò scivolare per terra, vicino a lei, e raccolse le ginocchia al petto. -Di cosa ti lamenti? Tutti gli altri sono stati massacrati, tu sei svenuta subito e hai evitato di farti male!-

-La mia testa non è d’accordo, si è fatta male eccome!-

-Per forza, con quella botta che ti sei presa! Peter ha detto che magari eri morta…-

-Gli piacerebbe!- Scosse la testa. -Sapevo che contro Edward non potevo vincere, ma avrei voluto lottare un po’ almeno, invece di svenire!-

Sasha le diede un colpetto sulla spalla. -Sarò anche ripetitiva, ma credo sia meglio finire subito al tappeto, piuttosto che perdere lo stesso dopo essersele prese!-

La sacca del ghiaccio che teneva sulla testa le faceva più male che bene, così decise di toglierla. Aria guardò l’istruttore Quattro che parlava con alcuni trasfazione vicino alla lavagna della classifica, poco lontano, c’era Eric.

Il capofazione era più arrabbiato del solito quel giorno, rimaneva in piedi vicino al ring, rigido come una statua e con uno sguardo terrificante. Persino Quattro, che di solito era l’unico capace di tenergli testa, se ne stava a debita distanza.

La ragazza si rimise la sacca del ghiaccio in testa e, con un sospiro, ripensò al suo scontro con Edward o, almeno, a ciò che ricordava.

Quando Quattro aveva annunciato lo scontro tra lei e il primo in classifica, aveva trattenuto il fiato. In tutti gli altri incontri che aveva affrontato c’era sempre stata la possibilità di perdere, ma non aveva mai avuto paura e la speranza e la determinazione l’avevano fatta salire a testa alta. Aveva sempre lottato al massimo delle sue capacità e, fino a quel momento, aveva sempre vinto.

Ma, salire sul ring, sapendo di avere già perso, era tutta un’altra storia.

Da qualsiasi parte analizzasse la faccenda non c’era speranza per lei.

Edward era più forte, più veloce, tecnicamente più preparato e intelligente. Proveniva anche lui dagli Eruditi, Aria aveva avuto modo di parlargli solo raramente, durante qualche lavoro di gruppo a scuola, ma non lo conosceva quasi per niente. Tutto ciò che sapeva di lui era che studiava tecniche di combattimento da anni e che, con molta probabilità, anche lui era sempre stato orientato verso gli Intrepidi.

Salita sul ring aveva sentito le gambe deboli e la testa vuota, privata di ogni pensiero logico e di ogni emozione motivante. Sentiva persino un fastidioso ronzio alle orecchie, quando strinse i pugni lungo i fianchi.

Si chiese se fosse la paura a farle quell’effetto, ma sapeva che non era quello il problema. Non aveva paura di perdere, ma trovarsi lì, senza nessuna strategia e con la schiacciante consapevolezza di essere senza speranze, le toglieva ogni energia. Era sempre stata abituata a calcolare le proprie mosse in base alle qualità dell’avversario, ma non c’era niente che potesse fare in quel momento.

Il suo cervello le mostrava la sconfitta da più punti di vista, qualsiasi mossa lei decidesse di compiere.

Davanti al ring c’erano Quattro e, ovviamente, Eric.

Il vederlo lì le fece venire i brividi lungo la schiena, e la cosa la fece innervosire. Non guardava nessuno dei due sfidanti, ma lei sapeva che non si sarebbe perso un solo istante di quello scontro.

Si sentì molto nervosa, dovette deglutire e imporsi la calma. Non doveva pensare e lui, doveva ignorarlo.

Forse, se fossero stati in altri tempi, fallire davanti a lui le avrebbe spezzato il cuore, ma non era più così. Lui non le parlava più, non condividevano più nulla, non sarebbe andato da lei al poligono a deriderla per essersi fatta battere da Edward.

Tuttavia, nonostante quella consapevolezza, avrebbe voluto che lui non ci fosse, ad assistere e a vederla incassare un pugno dopo l’altro.

Voleva solo non doverlo guardare quando tutto sarebbe finito, e lei si sarebbe ritrovata agonizzante e magari sanguinante.

Abbassò la testa e trattenne a stento la rabbia. Si accorse di odiarlo, di detestare il modo in cui fingeva che non esistesse dopo averla baciata senza preavviso.

Decise di usare quell’emozione per lanciarsi contro il suo avversario, avrebbe perso era vero, ma non aveva paura del dolore e, magari, Eric l’avrebbe insultata a dovere per aver perso.

E un insulto era meglio di niente.

Quando colpì Edward al viso immaginò di colpire Eric dopo il loro bacio, perché era quello che avrebbe dovuto fare, invece che lasciarsi trasportare dalle emozioni.

La risposta le arrivò subito e in maniera decisamente dolorosa, come la verità. Edward la colpì al viso a suo volta, ferendola, come a volerle ricordare il suo errore. Quando un pugno le arrivò dritto alla stomaco, annebbiandole la vista e togliendole l’aria dai polmoni, la ragazza venne assalita dall’umiliazione. Ma non derivava dallo scontro, ma dalla consapevolezza di essersi fatta manipolare da Eric e dalle proprie emozioni.  

Sentiva la sconcertante vergogna di essere passata da esca a vittima.

Edward si lanciò verso di lei, se la caricò in spalla prendendola dalle gambe e, dopo aver preso il giusto slancio, la scaraventò a terra con forza.  La ragazza cadde sulla schiena a peso morto e, quando la sua testa colpì con un rumore sordo il ring, tutto si spense.

Aria si ritrovò con la sua borsa del ghiaccio premuta sulla parte dolorante della testa, a guardare in lontananza Eric che era ancora posizionato davanti al ring. L’idea di essersi afflosciata al suolo come una bambola di pezza proprio davanti a lui, le fece perdere un battito cardiaco.

-Cos’ è successo dopo che sono svenuta?- chiese a Sasha, per distrarsi.

-Edward è stato gentile,- rispose sbrigativa la bionda, inseguendo i ricordi. -Si è subito avvicinato a te per accertarsi delle tue condizioni. Poi Quattro è salito sul ring, e insieme anno cercato di rianimarti. Hanno dovuto prenderti a schiaffi, sai?-

-Meraviglioso!-

-Alla fine ti sei svegliata, così siamo arrivati io e Will e ti abbiamo aiutata e rialzarti in piedi e a scendere dal ring. Will era della tua stessa fazione?-

Aria fece un cenno sbrigativo con la testa.

L’idea di essere scesa dal ring sulle proprie gambe le dava conforto, peccato che non se lo ricordasse minimamente.

Ricordava di aver sbattuto la testa, e poi di essersi ritrovata seduta per terra vicino a Sasha con una sacca del ghiaccio in testa, senza sapere cosa c’era stato in mezzo.

-E quella chi è?- chiese Sasha, facendo voltare Aria verso l’ingresso della palestra.

La ragazza appena arrivata era alta e magra, con ricci capelli rossi che le solleticavano il mento. Era la stessa che si era avvicinata ad Eric in mensa.

Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a lui che lo vide muoversi e spostarsi verso la porta.

-A quanto pare qualcuno è riuscito a schiodare Eric, è tutto il tempo che se ne sta lì fermo. Credo fosse piuttosto arrabbiato per qualcosa, ha avuto anche una piccola discussione con Quattro, ma non ho idea di cosa si siano detti.- affermò Sasha, seguendo insieme a lei il capofazione che si avvicinava alla ragazza appena arrivata.

Insieme lo videro dirle qualcosa in maniera brusca, poi videro la ragazza dai capelli rossi scuotere la testa e cercare di fargli una carezza sul viso. Eric si era scostato bruscamente e le aveva fatto chiaramente segno di andarsene. Ma lei rimaneva e continuava a guardarlo con dolcezza.

-Che sia una sua fiamma? Eric fa paura, ce lo vedi con una ragazza?- Iniziò Sasha, senza smettere di guardare i due davanti l’ingresso. -O forse è una sua vecchia fiamma, perché non sembrano più tanto intimi…-

Aria non disse nulla, ma quando vide la rossa poggiare delicatamente una mano sul braccio di Eric, riuscendo a calmarlo e a fargli fare più cenni a testa bassa mentre lei gli parlava piano, pensò che tra di loro ci fosse eccome una certa intimità.

Che fosse una fiamma attuale o passata, poco importava, perché iniziava a dare un volto al motivo per la quale Eric le si era allontanato.  

 

Non c’era un vero motivo per allontanarla.

O meglio, il motivo c’era, ma non era abbastanza forte da tenerlo lontano a lungo.

Stava iniziando a cedere, e se ne rendeva sempre più conto, ma non poteva permetterselo. Non riusciva a smettere di guardarla, la voleva, voleva sentirla sulla propria pelle, voleva parlarle.

Ma non poteva.

Non erano servite le distrazioni, non era servito a niente tornare fra le braccia di una sua ex piuttosto attraente per qualche notte, se poi la mattina tornava in palestra e vederla gli mandava in tilt il cervello. Non riusciva a togliersela dalla tasta, non riusciva a smettere di desiderarla nemmeno mentre era nel letto di un’altra a sfogare i suoi istinti più profondi.

Immaginava le sue labbra, voleva assaporarle ancora, era come una droga ma lui era forte e non avrebbe ceduto.

Perché non poteva cedere.

Quella piccola iniziata non era come le altre, non poteva prendersela, toglierle i vestiti di dosso e farla sua. Con una come lei bisognava avvicinarsi in punta di piedi, attirarla e poi intrappolarla ma senza tirare troppo la corda, o sarebbe scappata.

Con lei non poteva abbandonarsi su un letto caldo per una notte, e tornare ad essere lo stesso di sempre il giorno dopo. Non era adatto ai legami, non poteva costringersi a rispettare una sola persona. Aveva troppi impegni e doveri, e troppe notti davanti per divertirsi a cui non era pronto a rinunciare.

E poi c’era il motivo principale.

Un capofazione non può legarsi sentimentalmente ad un’iniziata, andava contro ogni regola. C’erano i favoreggiamenti, la perdita dell’imparzialità, e la possibilità che la persona in questione non superasse l’iniziazione e finisse fra gli Esclusi.

Aria non sarebbe mai finita tra gli Esclusi, era troppo forte, ma se così fosse stato avrebbe sprecato solo tempo. Se gli altri capifazione avessero notato il suo interesse lo avrebbero subito ripreso, e magari sarebbero anche intervenuti. Forse avrebbe agito su di lei, forse su di lui. Forse gli avrebbero solo fatto un richiamo verbale, un avvertimento.

Oppure gli avrebbero riservato di peggio.

Certo, poteva fare tutto di nascosto e non perdere mai di vista le regole rimanendo imparziale. Non avrebbe mai falsato i risultati in classifica, non le avrebbe mai concesso aiuti aumentandole il punteggio o abbassandolo ad altri, anche perché non ci sarebbe riuscito con Quattro sempre a controllarlo.

Sapeva che, per nessuno al mondo, avrebbe compromesso la propria posizione all’interno della fazione e che, se anche fosse stato possibile, non l’avrebbe aiutata.

Lei poi non lo avrebbe mai voluto, era troppo determinata ed orgogliosa per accettare, e lui era fiero di lei proprio per la sua forza. Se avesse avuto bisogno di favoritismi per farcela, tanto valeva mandarla via subito.

Quindi, forse, un modo per sfuggire alle regole c’era. Bastava agire di nascosto e non favoreggiare nessuno.

Ma c’era altro.

Alla fine dell’iniziazione tutti gli Intrepidi sarebbero scesi in guerra, e quello non era certo il momento adatto per concedersi una distrazione o per preoccuparsi per qualcuno.

Non c’era spazio per i legami, doveva solo eseguire gli ordini, sapendo che sarebbero sopravvissuti solo i più forti.

Si chiese perché mai non facesse l’unica cosa giusta da fare, facendo ciò che avrebbe fatto in qualsiasi altra circostanza, invece di arrovellarsi il cervello in quella maniera. Bastava solo assecondare i suoi istinti, se non riusciva a togliersela dalla testa e la desiderava così tanto, perché non sfogare ogni suo desiderio con lei, e poi liberarsene al momento più opportuno? Si era già preso le sue labbra per placare il desiderio, perché non prendersi tutto il resto?

Aveva bisogno solo di uno sfogo, nessuno lo avrebbe scoperto e la faccenda si sarebbe chiusa ancora prima di iniziare.

Niente sarebbe andato storto.

Non era come le altre, non sarebbe più tornata nel suo letto se avesse sbagliato con lei. Il che poteva anche essere un vantaggio che gli avrebbe permesso di disfarsene non appena avesse finito.

Scosse il capo e serrò un pugno, non ne era in grado.

Gli piaceva vederla sorridere, condividere del tempo con lei al poligono, adorava il modo in cui lo guardava, sempre a testa alta.  Voleva sempre dimostrarsi all’altezza, migliorarsi, e lui ne era fiero. Come poteva mettere fine a quel legame, tradendola senza alcun rispetto?

Semplice, non poteva.

Per questo doveva troncare sul nascere ogni desiderio, ogni legame, allontanandola prima che fosse tardi.

Era riuscito a non provare nulla quando l’aveva vista salire sul ring contro Edward, faceva parte dell’essere Intrepidi prendere qualche pugno, lo scontro l’avrebbe solo resa più forte.

Quando l’aveva vista svenire subito, però, anziché provare disgusto per la sua debolezza, si era riscoperto sollevato per non aver dovuto assistere al suo massacro.

Ma non era da lui, non poteva permettersi di ragionare in quel modo.

Non avrebbe mai capito cosa avesse fatto quella ragazzina per ridurlo in quel modo, per renderlo schiavo come nessun’altra donna aveva mai saputo fare. Aveva erroneamente creduto che fosse stata lei a cadere nella sua trappola, e invece era l’esatto contrario.

Lui, Eric, era caduto vittima di un’iniziata di nome Aria.

Era molto bella, con le sue labbra gonfie e i suoi occhi blu, era forte e riusciva a tenergli testa senza perdere la sua dolcezza, ma come aveva fatto a fargli quell’effetto?

Il giorno dopo averla baciata era rimasto soddisfatto nel vedere il rigonfiamento violaceo sul suo labbro inferiore, causato dal suo morso, e si era chiesto se sarebbe realmente stato capace di starle lontano.

Alla fine c’era riuscito, ma con grande fatica e dovendo ripetersi ogni giorni i motivi per cui aveva preso quella decisione.

Non c’era una vera spiegazione per quell’attrazione, lo aveva colpito e basta, come un fulmine a ciel sereno.

Prima o poi, tutti crollano e cadono vittima di un sentimento sconosciuto che li attira e li inganna, intrappolandoli in una prigione da cui non riescono a fuggire perché non vogliono fuggire.

Eppure lui era riuscito a compiere lo sforzo e a scappare, e non doveva voltarsi indietro.

Quando, invece, si voltò indietro tornando alla realtà dei fatti, vide le file di ragazzini seguirlo su per lo strapiombo, per gli stretti canali che salivano a spirale dando sul Pozzo senza tuttavia nessuna rete di protezione.  Erano talmente in tanti che dovevano camminare in file di massimo tre persone per tenersi lontani dal bordo, riuscendo così a non cadere.

Quattro era l’ultimo della fila, insieme stavano conducendo gli iniziati al palazzo di vetro sopra il Pozzo, per mostrare loro il centro di controllo. Era infastidito da quella faccenda e da quella noiosa attività che lo costringeva ad entrare in contatto con la sua tentazione. Poteva pensarci Quattro da solo, d'altronde lui lavorava proprio lì quando non faceva l’istruttore.

Si voltò nuovamente guardando avanti a sé, era lui il capo fila e, prima arrivavano a destinazione, prima sarebbero tornati indietro.

Dall’alto vide scendere un gruppetto di tre bambini di circa otto anni, figli di Intrepidi incoscienti che non tenevano al guinzaglio i loro marmocchi. I ragazzini correvano senza riguardo, scatenati come una mandria inferocita. Era abitudine dei figli degli Intrepidi inseguirsi e giocare al Pozzo, salendo a volte per i sentieri rigidi che portavano ai vari settori della residenza della fazione, senza tenere conto del pericolo che correvano. Fin troppo spesso in molti cadevano giù nel Pozzo finendo, nel migliore dei casi, con un braccio rotto.

-Ehi!- Li ammonì deciso, quando dovette scostarsi per lasciarli passare.

Ma i tre bambini non si lasciarono per nulla intimorire dal suo tono, e continuarono a correre zigzagando tra le file di iniziati che dovettero aprirsi per lasciarli passare.

-Arrivo prima io!- gridò uno dei bambini, inseguendo gli altri.

Alcuni dei sedicenni ridacchiarono, altri imprecarono mentre si spostavano, rischiando di cadere nello strapiombo. Altri ancora si schiacciarono contro la parete lasciando che i più piccoli si rincorressero al bordo del precipizio, ma ovunque decidessero di andare le tre pesti avevano seminato scompiglio.

E poi Eric vide le due ragazze in fondo alla fila, una bionda e l’altra mora, spostarsi verso la parete per fare passare il primo del trio delle pesti. Risero con lui quando le superò di corsa, raggiungendo e oltrepassando anche Quattro. Poi vide quello che, a suo avviso, era il gesto più fottutamente abnegante che avesse mai visto nel momento meno opportuno. Vide la ragazza dai capelli neri divedersi dalla bionda e aprirsi per fare passare gli altri due bambini, mettendosi lei vicina al bordo non protetto.

Uno dei due bambini passò in mezzo alle due ragazze senza problemi, inseguendo il compagno più avanti, ma il terzo passò sgomitando con troppo impeto e allargandosi verso il bordo.

Inevitabilmente colpì la ragazza mora con una spallata allo stomaco, facendole perdere l’equilibrio e barcollare all’indietro. Colta alla sprovvista, la ragazza mise il piede in fallo oltre il bordo del sentiero, scivolò e cadde di schiena verso il Pozzo con un urlo.

Eric spalancò gli occhi e il cuore gli salì in gola, seguì la caduta della giovane dai capelli corvini sapendo benissimo di chi si trattasse. Era Aria, la sua piccola Intrepida testarda era caduta dal sentiero e sarebbe atterrata dopo un volo di almeno sette metri. Colse il movimento della bionda sua amica e degli altri iniziati che si sporsero per guardare la caduta, e poi non registrò altro.

Scollegò il cervello e seguì l’istinto, lasciandosi scivolare oltre il limite del sentiero. Atterrò in una sporgenza della roccia pochi metri più sotto, dopo di che scese aggrappandosi con mani e piedi agli appigli rocciosi e raggiunse il suolo in pochi minuti.

Una volta a terra si voltò verso la ragazza e, quando la vide faticosamente far forza sulle proprie braccia per sollevarsi, tornò dolorosamente cosciente.

Si accorse della presenza degli altri Intrepidi, tutti lontani dal punto in cui era caduta Aria ma pur sempre in grado di vedere la scena. Si era precipitato giù dal precipizio senza pensarci, e tutti lo avevano visto. Non era un atteggiamento tipico del più giovane dei capifazione, noto per la sua freddezza e per la sua totale assenza di sensibilità, soprattutto verso gli iniziati.

Persino Quattro, che lo rimproverava sempre quando non si degnava di dare una mano con i ragazzini che finivano al tappeto dopo uno scontro particolarmente cruento, non era ancora arrivato. Aveva anche lui scelto di scendere lungo la parete rocciosa, poiché seguire il sentiero avrebbe rappresentato un giro troppo lungo, ma non aveva ancora messo i piedi per terra.

Non poteva dare quella dimostrazione di sé, se a cadere fosse stata un’ altra persona non si sarebbe neppure preoccupato di sporgersi per vedere chi era. E invece, per lei, si era praticamente lanciato giù sfruttando tutta la sua forza e la sua abilità per un atterraggio rapido e perfetto.

Ma la forza non era una giustificazione sufficiente per il suo gesto tanto repentino, doveva rimediare.

Mantenendo gli occhi fissi sul corpo fragile, ancora a terra che si muoveva al ritmo di un respiro decisamente alterato, ritrovò la propria calma e assunse un’ espressione gelida quando Quattro atterrò accanto a lui con un tonfo.

-No!- ordinò all’istruttore, stendendo un braccio davanti al suo petto per impedirgli di avanzare, dopo averlo visto lanciarsi verso la ragazza.

Quattro si fermò ma lo guardò, indignato. –Eric, che stai facendo? Avrà di sicuro qualche osso rotto e potrebbe avere un trauma cranico, va subito portata in infermeria!-

Eric seguì i movimenti della figura ancora a terra, vedendola fare ancora forza sulle braccia e muovere le gambe.

-Non mi pare abbia niente di rotto!-

-Sei impazzito?- gli ringhiò contro Quattro.

Abbassò il braccio, sapendo che non avrebbe fatto un solo passo senza il suo permesso, e spostò il suo sguardo su Aria, scrutandola con apparente indifferenza.

-Ehi!- le urlò contro.

Aria, che era miracolosamente riuscita a sollevarsi sulle braccia, voltò il capo verso di lui.

Trattenendo il fiato e, sforzandosi di non mostrare alcuna espressione, Eric vide la macchia rossa sul suo zigomo destro, gli occhi lucidi e le labbra serrate per il dolore. Sulle braccia era piena di tagli e i capelli erano sporchi di polvere e inumiditi da un sostanza viscida.

Si accorse che era sangue senza capire da dove venisse fuori.

-Alzati e arriva fino a qui sulle tue gambe e, se riesci e raggiungere Quattro da sola, gli permetterò di portarti in infermeria.-

Aria batté le palpebre per metterlo a fuoco, non si scompose, non sembrava neppure che avesse colto le sue parole.

-Eric, se ha battuto la testa ogni movimento che fa potrebbe peggiorare le cose, non può farcela! Lascia che la porti subito dall’infermiera, è già tanto che sia ancora tutta intera!- Gli urlò contro Quattro, afferrandolo da un braccio.

Il capofazione si divincolò dalla presa di Quattro e tornò a guardare con sufficienza la ragazza a terra, sembrava sempre più debole con le braccia che minacciavano di cedere e lo sguardo vacuo.

-Se è una vera Intrepida ce la farà!- urlò, per farsi sentire dagli altri iniziati, dagli Intrepidi poco lontani e soprattutto da lei.

Qualcosa parve scintillare negli occhi bagnati di Aria.

-Mi hai sentito?- urlò ancora verso di lei, senza pietà. -Alzati e raggiungi Quattro da sola, ed io dimenticherò la tua caduta pietosa!-

Non dubitò di lei neppure per un secondo, sapeva che c’è l’avrebbe fatta, e quello era l’unico modo per rendere lei più forte e non mettere sé stesso in cattiva luce. Avrebbe fatto così con un altro iniziato, perciò doveva farlo anche con lei.

Se si fosse fatta realmente male e la convalescenza si fosse rivelata troppo lunga, sarebbe stata eliminata dell’iniziazione. Ma, se riusciva a fare vedere agli Intrepidi che si erano radunati per vedere la scena, che era capace di camminare sulle sue gambe da sola, nessuno avrebbe ritenuto opportuno mandarla fra gli Esclusi, e le avrebbero concesso un’altra possibilità.

Doveva dimostrare la forza di Aria e la propria, per prevenire ogni dubbio.

La ragazza fece ancora forza sulle braccia e si sollevò sulle gambe, barcollando pericolosamente quando si rimise in piedi.

Eric si accorse del sangue che le gocciolava sul collo, e finalmente vide la ferita rossa sulla sua testa, nascosta dai capelli. Vide le sue braccia ferite e sanguinanti, il rossore sul suo zigomo che sembrava ingigantirsi secondo dopo secondo, e il modo in cui sussultava dopo ogni passo.

Faticosamente la vide avanzare, lenta ma decisa, le labbra serrate per lo sforzo e gli occhi pieni di lacrime. La vide trascinarsi faticosamente avanti, prima un piede e poi l’altro, poi un sussulto di dolore. Sapeva che stava soffrendo, ma non la vide né piangere, né gemere, né lamentarsi.

Serrò le labbra insieme a lei e mantenne il suo sguardo atterrito sulla sua figura, mostrando solo la sua rabbia crescente. Non era difficile fingersi furioso, era davvero sconvolto, d'altronde.

Seguì quel corpo tremante e tornò a respirare quando vide Aria arrivare finalmente davanti a Quattro.

Raggiunto il suo obbiettivo, Aria si afflosciò come un guscio vuoto, le pupille sparirono oltre le palpebre superiori e svenne lasciandosi cadere. Quattro le mise prontamente un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena, raccogliendola in braccio e portandola di corsa in infermeria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua… 

 

 

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Capitolo 8
*** Mia ***


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8. Mia

 

 

 

-Credo che tu abbia preso qualche botta in testa di troppo, negli ultimi giorni!- La provocò Will, ridendo.

Aria alzò gli occhi al cielo e si mise in posizione di difesa. Gli scontri erano quasi terminati, così gli iniziati avevano diverso tempo libero da dedicare agli incontri amichevoli.

Sul ring, Edward e un’altra ragazza stavano combattendo da diverso tempo, altri ragazzi si allenavano correndo, qualcuno facendo flessioni, la maggior parte era impegnata in piccoli duelli proprio come lei e Will.

Lo scontro vero fra loro due c’era stato giusto la settimana prima e, con immensa fatica, la ragazza era riuscita a vincere portandosi come ricordo un occhio nero e una mano dolorante. Ma Will si era accasciato a terra dopo tutti i calci presi allo stomaco e non si era più alzato.

Fortunatamente Aria non aveva dovuto combattere contro Sasha.

-Non ricordarglielo poverina, credo abbia battuto un record. Insomma, nello stesso giorno ha battuto la testa due volte ed è pure svenuta due volte…- Intervenne proprio la bionda, poco distante.

Will rise.

-Fatemi sapere quando avete finito di prendermi in giro!- intervenne Aria, avanzando verso Will e colpendolo ad una spalla con un pugno.

Christina e Tris, molto amiche di Will, assistevano da lontano provando fra di loro qualche tecnica di combattimento appresa.

-Andiamo, non essere permalosa, è solo che adesso posso vincere! Voglio dire, ti ci vorrà del tempo per riprenderti dalla caduta…- disse Will, avanzando con i pugni alzati verso di lei.

Aria si spostò e lo spintonò via con forza. –Sono perfettamente in grado di batterti una seconda volta!-

Dopo la sua caduta al Pozzo, Aria si era ritrovata in infermeria e ci era rimasta per un giorno intero, dovendovi passare anche una notte. A quanto le era stato detto, durante l’atterraggio dopo il suo volo di diversi metri dal sentiero che saliva verso il centro di controllo, aveva compiuto alcune rotazioni involontarie che le avevano permesso di scaricare il peso della caduta su più parti del corpo invece che su una sola. Per cui niente ossa rotte, solo diversi tagli e ferite che erano state abilmente medicate. La ferita sulla testa, la più preoccupante, fortunatamente si era aperta e aveva sanguinato invece di formare un coagulo all’interno. Le erano stati applicati dei punti, spalmata una crema di fattura Erudita per accelerare il processo di guarigione e, dopo qualche ora in osservazione, era stata dimessa.

L’unico segno dell’incidente rimaneva la macchia violacea sullo zigomo destro, che le creme degli Eruditi non erano riusciti a risanare del tutto. I tagli sulle braccia erano scomparsi, ma il livido sul volto ci avrebbe messo un po’ di più a guarire.

-Credo di doverti dare una dimostrazione!- disse Aria, afferrando Will da un braccio e piegandoglielo dietro la schiena.

Il ragazzo protestò dal dolore. –Va bene, va bene, mi stai facendo male adesso!-

-Cosa devi dire?- lo punzecchiò Aria, stringendo la presa al braccio.

-Che hai ragione, sei più forte di me. Ahi, mi stai facendo male!-

Aria lo lasciò andare e scoppiò a ridere.

-Non hai pietà neppure per gli amici, che cattiveria!- sentenziò scherzosa Sasha, scuotendo addirittura la testa per fingersi indignata.

Aria rise ancora.

-Già, ha ragione!- disse Will, massaggiandosi il gomito dolente. –Un po’ di rispetto almeno per me, dopo tutto quello che ho fatto per te!-

Aria sapeva che stava solo scherzando, ma avvertì un nodo in gola.

Will aveva fatto molto per lei in passato, era vero, e vederlo lì a scherzare tranquillamente con lei, come se nulla fosse cambiato rispetto ai giorni in cui erano fra gli Eruditi, le riempì il cuore di gioia.

-La prossima volta lasciami vincere però, okay?- le disse Will, avvicinandosi per scompigliarle i capelli.

Quando le fu vicino, Aria non riuscì a trattenere il fremito del suo cuore, così gettò un braccio attorno al collo di Will e lo stritolò in un abbraccio, premendo la tempia contro quella del ragazzo.

-Grazie Will!- gli disse sottovoce, seria.

Will capì, si divisero e la guardò con un sorriso sincero, facendo un cenno con la testa. –Vedi di fare la brava d’ora in poi, non ci sarò sempre io a guardarti le spalle!-

Aria scosse la testa. –Devo ricordarti che sono più forte di te?-

-Come vuoi!- le rispose il ragazzo, avviandosi verso la sue amiche Christina e Tris.

-Cos’era quello? A me non mi abbracci mai!- protestò Sasha, incrociando le braccia al petto.

-Finiscila!-

Era vero però, Aria non era tipo da abbracci, al massimo da spinte affettuose, ma mai da abbracci. Era difficile per lei aprirsi a qualcuno, permettere ad un'altra persona di entrare in contatto con lei e di scavare dentro il suo animo. Era molto più facile difendersi, difendersi sempre, e valutare ogni contatto prima di accettarlo.

-Eravate amici anche prima vero, quando eravate ancora Eruditi?-

Alla domanda di Sasha, Aria sollevò lo sguardo.

Con Will era diverso però, lui era sempre stato suo amico, si fidava di lui, e non era riuscita a trattenersi, concedendosi così un puro gesto d’affetto come un piccolo abbraccio.

-Io non avevo tanti amici,- Continuò Sasha. –Gli altri erano tutti così… gentili e pacifici, era difficile per me trovare qualcuno con cui giocare da piccola. Adesso che sono fra gli Intrepidi è tutto diverso.-

Aria si guardò le scarpe e sospirò. –Credo sia il destino dei trasfazione. Will, infatti, era il mio unico amico…-

 

Pioveva a dirotto.

Sembrava quasi una pioggia irreale da quanto era forte. Cadeva insistentemente, goccia dopo goccia, creando un frastuono insopportabile e ingrigendo totalmente l’atmosfera.

Quando il ragazzino undicenne che correva per la via principale del proprio quartiere, si fermò di colpo vedendo la figura seduta sui gradini davanti alla porta di una casa, la piccola non lo guardò neppure.

Il bambino si avvicinò e vide che si trattava di una bambina della sua stessa età, che se ne stava lì seduta sotto la piaggia, con i capelli e i vestiti fradici.

-Ariana, che stai facendo?- urlò per sovrastare il rumore costante del temporale.

Si fermò proprio davanti a lei, mettendosi una mano davanti agli occhi per proteggersi dall’acqua.

La bambina non rispose subito, era immobile con le ginocchia al petto e la mani sulle gambe, lo sguardo puntato per terra. –Mia madre dice che dato che mi comporto come un animale, devo stare fuori, proprio come un cane…- Disse poco dopo, parlando con un tono neutro e basso, tanto che il ragazzino dovette sporgersi per sentirla.

Will scosse il capo, guardò la sua camicia azzurra bagnata e poi la sua amica, sempre più inzuppata. –E ti ha detto anche di restare proprio sotto la pioggia a prenderti un malanno?-  le disse ad alta voce, indicando con la testa la tettoia del capanno lì di fianco.

Vedendo che non rispondeva, Will l’afferrò da un braccio e la trascinò al riparo sotto la tettoia, dove il rumore della pioggia era anche meno insistente. La bambina lo seguì obbediente, in silenzio.

-Cosa hai combinato sta volta?- le chiese il ragazzino, alzando gli occhi al cielo.

Ariana si strinse nelle spalle. –La palla di mia sorella era finita sulla grondaia in cortile…-

-E tu che hai fatto?- chiese lui. –Ti sei arrampicata per riprenderla?-

Per il tono che usò, la bambina non riuscì a trattenersi e si liberò in una risata. –Sì!- ammise.

Anche Will rise, mentre scuoteva la testa.

Ariana si strinse ancora nelle spalle, decisamente più serena rispetto a qualche minuto prima, ma non disse nulla. La presenza dell’amico però, le era molto d’aiuto. Era riuscita a non piangere isolandosi sui gradini davanti la porta di casa, affogando i suoi pensieri e dispiaceri sotto la pioggia prepotente, sperando che l’acqua le lavasse via di dosso le spiacevoli sensazioni.

Ma Will era stato più efficace.

-Senti,- iniziò quest’ultimo. –Stavo tornando a casa per la merenda, e mia madre mi rimprovera sempre perché dice che non porto mai nessuno a giocare con me. Potresti venire anche tu, così lei sarebbe contenta di farti assaggiare i suoi biscotti e di vedere una mia amica, e poi non dovresti restare qui al freddo!-

Ariana si voltò timidamente verso la casa, ed abbassò la testa.

-Ascolta, mi dispiace dirlo, ma tua madre non si accorgerà nemmeno che ti sei allontanata. E, se dovesse accorgersene, magari si prenderà un bello spavento e così impara a lasciarti fuori!- disse Will.

La bambina rise insieme a lui.

-Quei biscotti sono davvero ottimi, ed io non posso certo mangiarli da solo. Allora, voi venire con me?- Le chiese.

Guardò un’ ultima volta la propria casa e, dopo di che, Ariana si voltò verso il suo amico e sorrise. –Grazie Will!-

 

Non era mai stato bravo con le gentilezze, perciò, quando la vide camminare da sola nel corridoio in penombra, la prese da un braccio e la trascinò in una zona cieca per le innumerevoli telecamere che sorvegliano la residenza.

Nonostante l’avesse colta alla sprovvista arrivandole alle spalle, lei non oppose resistenza, quasi sapesse anche senza vederlo che era lui. Così la trascinò in un angolo appartato e la fece voltare verso di sé, spingendola delicatamente con le spalle contro la parete.

-Ehy!- La salutò brevemente, senza tuttavia incrociare il suo sguardo.

I suoi occhi si persero sui contorni del suo viso, seguendo la forma della testa avvolta da un manto morbido di capelli neri e, per ultimo, sulla macchia violacea che ricopriva il suo zigomo.

-Ehy!- disse lei, con tranquillità assoluta.

Non si mosse, non disse nulla. Restava semplicemente lì ad osservarlo con quel suo sguardo freddo e le labbra sensualmente corrucciate. Sollevò il mento e attese, con così tante cose che avrebbe potuto dire, evidentemente, aspettava che fosse lui a parlare. Come al solito, lei non aveva niente di cui scusarsi, quella mossa spettava a lui.

E, come sempre, lui non avrebbe mosso un solo muscolo verso quella direzione.

-Avanti!- Le disse allargando le braccia. –Dimmi tutto ciò che hai da dirmi!-

Aria sollevò un sopracciglio e la sua espressione si fece ancora più distante e altezzosa.

-Non pensi che sia stato un mostro a farti camminare dopo quella caduta?-

A quel punto, Eric la vide fare qualcosa di assolutamente spiazzate: la vide sorridere.

-E perché mai dovrei essere arrabbiata? Non sono debole, e non puoi certo fare favoritismi…-

La sua risposta lo spiazzò, si allontanò leggermente e rimase ad osservarla. Sapeva che era sveglia, ma sentirsi dire quelle esatte parole gli fece provare una sensazione elettrizzante.

-Anche se, forse, era quello che volevi…- il suo sorriso cambiò e passò da dolce a intrigante. Da solare e provocatorio.

Serrò la mascella e fece un cenno con il capo, mai abbassare la guardia con quella ragazzina, non perdeva occasione di provocarlo. La vide mordersi le labbra e guardarlo con attenzione, pronta a cogliere ogni suo segno di debolezza.

Ma era davvero la debolezza che voleva vedere? Se l’avesse vista davvero, però, probabilmente avrebbe provato un altro tipo di emozione. Sarebbe rimasta soddisfatta, certo, ma non solo.

Se la ragazza voleva vedere quel lato di lui allora l’avrebbe accontenta, poiché gli avversari cambiano sempre tattica quando colgono le debolezze del nemico.

Alcuni abbassano la guardia.

Tuttavia non voleva solo valutare la sua reazione, ma anche la propria, poiché non era mai arrivato al punto di mostrare le sue vulnerabilità a nessuno. Quella sarebbe stata un’ esperienza nuova anche per lui, e a lui, le sfide erano sempre piaciute.

Aria era una sfida.

Le accarezzò con la mano la testa, con delicatezza, e poi sfiorò con attenzione il livido sotto il suo occhio destro. –Come stai?- le sussurrò, senza togliere gli occhi dalle sue labbra.

Aria ebbe un fremito, si scostò dal suo tocco e abbassò la testa. –Sono tutta intera!- ammise con un piccolo sorriso.

Colpita.

Come era prevedibile, la piccola lottatrice non aveva più il coraggio di provocarlo, quando era lui ad avvicinarsi a lei in maniera così evidente e intima. Sfuggiva abilmente al contatto, abbassavo lo sguardo e nascondeva il rossore delle guance. Senza contare la dolcezza da cui si lasciava avvolgere come un velo di protezione.

Come il gatto fa con il topo, Eric adorava stuzzicare la sua giovane preda, poiché non solo amava la lotta, ma anche esserne il vincitore.

-Ho visto che tu e il tuo amichetto Will oggi eravate in vena di effusioni, è il tuo nuovo fidanzatino?- le chiese maligno, accarezzandole con la punta delle dita le braccia scoperte.

-Cosa c’è, sei geloso?-

Il più terrificante dei sorrisi gli illuminò il volto. Si passò la lingua fra le labbra e lasciò che il suo ghigno si trasformasse in una piccola risata. Eccola di nuovo lì la lottatrice, con il suo sguardo deciso e il broncio fra le labbra seducenti. Fece scorrere le proprie dita sulla pelle fresca delle braccia di Aria, salendo verso le spalle per poi scendere verso i polsi, in una lenta carezza che in realtà era più simile ad un graffio.

-Forse è ora che tu capisca una cosa, piccola…-

La vide inarcare le sopracciglia a sentire l’ appellativo con cui le si era rivolto, ma non vi prestò attenzione. Al contrario, piegò la testa di lato riservandole un’ occhiata irrisoria ed allargò le labbra in un sorriso beffardo.

Le prese il viso con una mano, facendo scorrere il proprio pollice su quelle labbra che aveva già assaporato. –Tu sei mia!-

-Tu sei pazzo!- gli rispose senza scomporsi, si limitò a spalancare gli occhi e a guardarlo come se fosse un insetto sul punto di saltarle sul viso.

Piegò la testa dal lato opposto e rimase a godersi la sua reazione, sorridendole senza alcun riguardo.

-E immagino che tu, invece, non sia di nessuno!- gli disse Aria, sul punto di perdere la pazienza, e lo spintonò mettendogli entrambe le mani sul petto.

Si lasciò spostare e fece qualche passo indietro, incrociando le braccia al petto. –Esattamente!- ammise.

-Ed io invece sarei tua?-

-Come ho appena detto!-

Gli rivolse il più disprezzevole degli sguardi, scosse la testa, ed esibì una smorfia. –Forse stai male!-

Detto ciò fece per andarsene, ma lui la bloccò da un braccio.

-Dove credi di andare?-

-Magari trovo qualcuno che ha ancora un po’ di cervello!- rispose lanciandogli un’ occhiataccia.

Il modo in cui passava dalla lottatrice provocante, alla bambina indignata, era disarmante. Ma gli piaceva, sorrise e l’avvicinò a sé tirandola dal braccio da cui ancora la teneva.

-Cosa non ti è chiaro? Sei mia, mi appartieni e nessun altro può toccarti!- le alitò sulle labbra.

Aria si scostò bruscamente dalla presa e lo spintonò ancora, sta volta decisamente più arrabbiata. –E per cosa dovrei essere tua? Perché tu possa farmi quello che ti pare, e poi mandarmi al diavolo quando ti va?- gli ringhiò contro. –Trovati un altro giocattolo!-

Si voltò ancora una volta e fece un passo, ma lui la riafferrò prontamente dalle spalle e appoggiò le proprie labbra al suo orecchio. –Chi ti dice che io voglia giocare con te?-

Eric sentì la ragazza paralizzarsi fra le sue mani, tenendola ancora da entrambe la spalle la guidò davanti a lui, per poterla guardare negli occhi. Vide che era disarmata, senza fiato, con quei suoi occhi blu che lo fissavano intensamente.

-E allora cosa vuoi?- Gli chiese con un filo di voce.

La liberò dalla sua presa e fece spallucce. –Sei troppo piccola per me, perché io possa fare sul serio!-

Aria arricciò le labbra e fece un passo indietro. –Perché, quanti anni hai?-

-Ventidue.-

-Che grande uomo!- lo canzonò, alzando gli occhi al cielo.

-Tu ne hai sedici!-  Le ricordò.

-Fra tre giorni diciassette!- affermò incrociando le braccia al petto. –Per tre mesi di differenza non ho fatto la Scelta l’anno scorso…-

Eric scoppiò a ridere. –Che meraviglia, un anno in più cambia tutto! Allora siamo a posto!-

Aria era infuriata, mantenne le braccia al petto e lo guardò con rammarico. –Da diciassette a ventidue sono solo cinque anni di differenza, cosa ti dà il diritto di trattarmi come una bambina?-

Eric prese un respiro profondo e le accarezzò le spalle con le mani, prendendola poi dal viso. –Perché sei una bambina!- le disse tranquillamente. –Voglio solo che tu faccia la brava e non ti conceda a nessun altro, per il momento.-

Aria batté le palpebre, incredula. –Mi stai dicendo che…-

-Ti sto dicendo che voglio che tu rimanga vergine fino a quando non sarai grande abbastanza!- Le disse, stringendo la presa delle sue mani attorno al suo viso.

-Chi ti dice che io lo sia ancora?- chiese per coprire il suo imbarazzo, ma fingersi decisa non servì a nascondere il rossore delle sue guance.

-So che è così…- le sussurrò ad un soffio dal viso.

Non negò.

-Quando sarà il momento…- disse piano, facendo scorrere le proprie mani lungo le sue braccia, per poi prenderla da fianchi. –Sarò io a farti diventare una donna…-

Con la scarica di elettricità che gli attraversò la nuca, per poi scendergli lungo la schiena e attraversagli lo stomaco, decise che non era ancora il momento di rinunciare a quel contatto che per giorni si era negato. Si avvicinò con il viso al collo della ragazza, le respirò sotto l’ orecchio sinistro, posando poi un piccolo bacio sulla parte di pelle tatuata.

Non c’era niente di dolce in quel bacio, né nel modo in cui la teneva stretta da fianchi, ma sentirla totalmente in sua balia gli diede una forte emozione che gli solleticò le gambe e gli infiammò il petto.

La strinse più forte sui fianchi e risalì il lato sinistro del suo collo per assaporarle l’orecchio in un lieve morso, senza ferirla. La sentiva immobile, rigida come una stata e silenziosa, ma era impossibile che non stesse provando le sue stesse emozioni. Il fuoco che gli era esploso nel petto e gli incendiava la gola, il cuore, lo stomaco e scendeva verso il basso, era così potente che di sicuro era arrivato anche a lei. Lo sentiva dai leggeri brividi che la scuotevano appena, dal modo in cui si sforzava di rimanere ferma nonostante il respiro affannoso che non era riuscita a nascondere.

-Quindi è solo l’esclusiva che vuoi? Dopo potrò anche andare con chiunque altro?- disse Aria, gelida.

Si fermò, sentendola parlare nonostante non si fosse mossa. Sollevò la testa e la guardò negli occhi, senza dire nulla. La trapassò con il suo sguardo, cercando ogni sua debolezza, ogni più piccola incertezza dietro quell’espressione gelata.

Aria colse la risposta e serrò le labbra, una strana scintilla le attraversò lo sguardo e gli rivolse l’ennesima smorfia indignata.

Profondamente indignata.

-Non toccarmi più!- Sibilò, poi si voltò e si allontanò da lui.

Eric non la fermò, rimase a pensare ed incrociò le braccia la petto. Evidentemente aveva tirato troppo la corda, sapeva che con lei doveva essere estremamente cauto.

Ma non tutto era ancora tutto perduto.

-Ti va di uscire da qui per un po’?-

Come al richiamo di uno strumento magico, Aria si fermò di colpo e si voltò ad occhi spalancati, cercando di nascondere il suo desiderio.

Il ragazzo nascose un sorriso abbassando la testa e le si avvicinò. Sapeva che tutti gli iniziati soffrivano la reclusione forzata all’interno della residenza, era successo anche a lui d’altronde, ed era deciso ad usare quel bisogno per rimediare al suo sbaglio.

-Magari dopo gli allenamenti, prima di cena, potremmo incontrarci ai binari del treno. Che ne dici?- propose, rimettendole a posto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e lanciando qualche occhiata alle spalle della ragazza per vedere se arrivava qualcuno.

Aria lo guardò e analizzò con assoluta attenzione la sua espressione. Sapeva che non si sarebbe mai scusato apertamente, e che non avrebbe certo ammesso di aver esagerato, ma era arrivata al punto di conoscerlo abbastanza a fondo da cogliere ugualmente le sue intenzioni di riappacificazione. Soppesò fino all’ultimo la propria risposta prima di concedergliela, arricciò le labbra un’ ultima volta, mostrò il suo solito sguardo altezzoso e fece un cenno con la testa.

Eric si concesse un ghigno nella penombra. –Allora a più tardi, piccola!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

Eccoci qui, altro capitolo diciamo particolare!!

Come vi avevo già accennato ad inizio storia, avrei cambiato qualche età. In particolare ho alzato quella di Eric e, per quanto possibile, anche quella di Aria, per renderli più adatti alle tematiche della FanFic. Per la storia d’amore che sto creando mi servivano personaggio un po’ più maturi, in particolare il personaggio maschile, e mi piaceva l’idea che fosse più grande di lei e non più un ragazzino…

Come avrete visto, ho anche messo un immagine, vi avevo lasciato il tempo per farvi la vostra idea del personaggio femminile, coincide con come l’avevate immaginata?

Che ne dite? Fatemi pure sapere le vostre opinioni.

Baci e grazie per aver letto! : ) : ) : )

 

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Capitolo 9
*** Dolcezza e ferocia ***


9. Dolcezza e ferocia

 

 

 

Le rotaie erano deserte, in lontananza si vedeva la città abbandonata e cadente e, alle sue spalle, il sole si preparava a tramontare.

Dal buio della residenza, Aria vide uscire Eric, che seguiva le rotaie con passo lento e sicuro.

-Tutta questa fretta?- Le chiese, notando che lo avevo preceduto.

Decise di non rispondere.

Eric le arrivò vicino e chinò la testa per un breve sorriso. Con lui non si capiva mai se sorrideva davvero, per deriderla o con cattiveria. Era un sorriso sempre sinistro che arrivava agli occhi come una scintilla pericolosa, ma aveva imparato ad apprezzare quel suo ghigno strafottente.

-Riuscirai a prendere il treno, o devo prenderti in braccio e farti salire io?- la stuzzicò, senza perdersi un suo solo respiro.

Aria incrociò le braccia al petto e lo trapassò con un’occhiata impassibile. –Non saprei, magari mi divertirò a fare la povera ragazza in difficoltà…-

-Non hai che da chiedere!- le sussurrò avvicinandosi.

Quando la luce del treno fece capolino dal fondo della residenza, Aria si spostò dal ragazzo ed iniziò a calcolare il tempo migliore per saltare a bordo. Eric, dal suo canto, non si era mosso di un millimetro e rimaneva lì a guardarla.

Capì cosa voleva fare, voleva godersi ogni secondo della sua corsa per salire sul treno, magari limitandosi a raggiungerla l’istante dopo, dimostrando la sua superiorità. Per uno come lui doveva essere una passeggiata prendere il treno, probabilmente avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi. Correre non gli serviva, e con un minimo sforzo sarebbe stato a bordo, ne era certa.

Rimase a ricambiare il suo sguardo per un po’, non voleva dargli la soddisfazione di mettersi a correre disperatamente per raggiungere i vagoni, ma le serviva un minimo di rincorsa e non poteva negarlo. Perciò, quando il treno le arrivò vicino, fece una breve corsa e si aggroppò con un salto ad uno dei maniglioni, rimanendo in piedi sulla pedana per accedere alla carrozza. Dovette tuttavia lanciarsi all’interno quando vide Eric correre e saltare sulla sua stessa pedana, senza preoccuparsi di lei.

Un volta all’interno del vagone del treno Eric la seguì a distanza di un secondo, e lei dovette fare qualche passo in avanti per non ritrovarselo addosso.

-Se hai paura di me, non dovresti essere qui, siamo soli se non te ne fossi accorta.-

Aria si appoggiò con la schiena alla struttura del vagone, dalla parte opposta dell’apertura, rispondendogli a tono senza pensarci. –Sei tu che dovresti smettere di starmi così attaccato!-

-Ma davvero?- chiese, avanzando famelico. –Pensavo ti piacesse!-

Eric le si posizionò davanti appoggiandosi con una mano sola vicino al suo orecchio, facendola sentire in trappola. Era evidente il divertimento che provava in quelle situazioni, sottomettendola con gesti imbarazzanti e possessivi, ma lei non aveva intenzione di lasciarsi andare.

La sua vicinanza stava iniziando a farle strani effetti, solleticandole lo stomaco e facendole tremare le mani, mentre uno strano calore le avvolgeva il cuore, ma non poteva dimostrare nulla. Doveva nascondere abilmente le sue sensazioni e tenergli testa, oppure sarebbe stata divorata senza via di scampo.

-Mi domando come mai tu mi stia sempre vicino,- disse, lanciando un’occhiata al braccio che le teneva vicino al viso e al suo corpo muscolo piazzato ad un palmo dal suo. –Se non sono un giocattolo e se sono troppo piccola per te, perché non mi lasci in pace e basta?-

Eric piegò la testa all’indietro e rise fragorosamente, come se avesse appena udito la più grande delle battute o, peggio, come se avesse sentito una sciocchezza tanto assurda da non riuscire a trattenere le sue risa.

Aria inarcò le sopracciglia, cosa c’era di tanto divertente non lo capiva, ma la risata di Eric era tutto tranne che allegra, era puramente derisoria.

Come sempre.

-Perché dovrei perdermi tutto il divertimento?- Rispose guardandola negli occhi, piegando poi la testa da un lato come se stesse realmente aspettando una sua risposta, e fosse pronto ad analizzarla.

La ragazza si rifiutò di guardarlo, si sistemò meglio contro la parete e sospirò. -Lasciami un attimo fare il punto della situazione… - iniziò. -Tu non provi niente per me?-

-Mi hai preso per un sentimentalista?-

-Certo che no, uno come te!- lo canzonò. -Però sono tua?-

Eric incrociò le braccia al petto, rimanendo abilmente in piedi nonostante il movimento del treno. -Sì, e cerca di non dimenticarlo.-

Aria dovette trattenere l’impulso di prenderlo a schiaffi, odiava lo sguardo sicuro con cui la fissava, manifestando a forza la sua superiorità. Scosse il capo e si guardò la punta delle scarpe. - Però non sei geloso di me?-

-Perché dovrei?- chiese serrando la mascella.

A quel punto Aria fece una piccola risata nervosa, tornando poi a fissarlo negli occhi. -E tutto questo per te ha un senso?-

Eric parve fermassi un attimo a riflettere, abbassando lo sguardo sulle sue labbra come faceva spesso. -Per me c’è l’ha.- Rispose alla fine.

Non ne dubitava.

-È per quella faccenda dell’esclusiva?- Decise di chiedergli, faticando a ricordare la discussione in cui Eric le chiedeva di concedersi solo a lui, naturalmente quando sarebbe arrivato il momento giusto. La faccenda era così assurda che le veniva voglia di prendere a schiaffi qualcuno, di urlare, di svegliarsi e scoprire che era un sogno.

-In parte.- Rispose Eric profondamente, con una certa serietà impressa nei lineamenti.

Si morse il labbro inferiore. -E se non fossi d’accordo?-

A quel punto il predatore fece la sua mossa, e avvicinò il viso verso quello di lei respirandole sensualmente sulle labbra. -Non saresti qui!-

-Ma io non ho accettato niente.- Riuscì a mala pena a dire, vergognandosi mentalmente di avere il fiato corto.

-Ed io non ti ho chiesto né proposto niente.- Puntualizzò con assoluta calma, lanciandole uno sguardo d’intendimento.

Aria rimase in silenzio per diversi secondi, lui non si spostò e rimase in equilibrio davanti a lei senza sorreggersi da nessuna parte.

-Quindi per te sono solo un’iniziata qualunque con cui ti diverti a passare del tempo?- Gli chiese poco dopo.

-Sì, e sei mia!-

-Ma certo!- esclamò con una smorfia, alzando gli occhi al cielo.

Il cielo fuori iniziava a ingrigirsi, e il sole richiamava a sé i suoi raggi di luce e calore, lasciando spazio alla sera. L’aria iniziava a rinfrescarsi, ma fortunatamente rimaneva ancora un po’ di luce, tanto da riuscire a rendere visibile il profilo della città a cui si stavano avvicinando.

-Dove stiamo andando?- Chiese la ragazza, inseguendo le linee degli edifici che superarono del tutto.

-A fare un sopralluogo.- Esclamò il ragazzo, avanzando.

Aria lo vide aggrapparsi al maniglione e sporgersi oltre l’ apertura del vagone, cercando probabilmente il punto giusto per scendere.

-Tieniti pronta per saltare, siamo quasi arrivati.- Le disse poco dopo.

Aria si rimise a posto la giacca nera e gli si avvicinò e, solo quando Eric le fece un segnale, saltò fuori dal treno subito dopo di lui. Atterrò con una mezza capriola sull’erba secca e si rialzò velocemente, scrollandosi di dosso la polvere.

Ancora prima di capire dove fossero, la ragazza si portò una mano alla guancia ancora livida, poiché l’atterraggio brusco aveva risvegliato il dolere della ferita. Eric la vide e fece un’ espressione strana, quasi preoccupata, sembrava anche intenzionato ad avvicinarsi ma qualcosa gli fece cambiare idea.

-Dove siamo?- decise di chiedere la ragazza, lasciando vagare il proprio sguardo sul luogo in cui si trovavano.

Vide il letto del fiume poco distante, e gli scheletri di giostre e vecchi capannoni attorno a loro.

Eric fece un piccolo sorriso e si grattò distrattamente il collo. –Abbiamo un piccolo lavoro da svolgere…-

Aria gli si avvicinò e lo seguì in silenzio, cercando di rimanergli il più vicina possibile. Quel luogo era abbandonato da tanto tempo ed aveva un aspetto decisamente spettrale, e fortuna che il sole non era ancora calato del tutto. Con l’arrivo della notte si sarebbe sentita decisamente meno a suo aggio.

-Cosa dobbiamo fare esattamente?-

Il ragazzo continuò ad avanzare, guardandosi bene intorno come in cerca di qualcosa che neppure lui sapeva dove trovare. –Fra due giorni esatti ci sarà un’ esercitazione per voi iniziati, ma questo tu non avresti dovuto saperlo.-

Aria registrò l’informazione e, l’idea di un’ attività di addestramento fuori dalla residenza degli Intrepidi, le diede una scarica di entusiasmo. –Che tipo di esercitazione?-

Eric la guardò per un attimo con una smorfia, come se stesse pensando di non rivelarle altro, ma alla fine scrollò le spalle e decise evidentemente che, a quel punto, poco importava mantenere il segreto. –Faremo due squadre, una io e una Quattro, e l’anno scorso ha vinto lui. Non posso certo permettere che la cosa si ripeta, devo rimetterlo al suo posto!-

La ragazza rimase in silenzio, ancora eccitata per la futura esercitazione, ed ogni informazione che riceveva le piaceva sempre di più.

-Giocheremo a ruba bandiera, mi serve una buona posizione d’attacco e, ovviamente, un posto in cui nascondere la bandiera!- Disse Eric, continuando a camminare e a guardarsi intorno. –Se volessi renderti utile, non mi dispiacerebbe!-

-Non sono mai stata qui, ma vedrò cosa posso fare.- Aria nascose un sorriso. –Quindi sarò nella tua squadra? Perché, se finisco in quella di Quattro, potrei rivelargli tutti i tuoi piani…-

Eric finse di non ascoltarla, o forse non la sentì per davvero, impegnato com’era ad analizzare il territorio. Aria scosse la testa e decise di non allontanarsi troppo da lui, quando lo spettro di una gigantesca ruota panoramica spuntò all’orizzonte, sovrastandoli minacciosa.

La ragazza prese un respiro profondo e diede voce ai suoi pensieri, per scacciare la fastidiosa inquietudine che provava, e perché non poteva accettare che Eric la ignorasse in quel modo.

-Perché mi hai portata con te?-  

Eric la guardò di sfuggita. –Che vuoi dire?-

-Davvero non capisco perché sprechi il tuo tempo come me, non hai altri modi per divertirti?-

Eric decise di ignorarla ancora una volta, accelerando il passo.

-Non significo niente per te, non siamo niente, e con me non vuoi né giocare né divertirti.-

-Cosa c’è che non va?- chiese infastidito.

-Quello che dici non ha alcun senso logico! Io dico che a me ci tieni eccome, è solo che non vuoi ammetterlo.- Affermò decisa, rimanendogli vicina mentre lo seguiva. –Perché non dici che ho ragione e basta? Guarda che non puoi fregarmi, certe cose le capisco benissimo…-

-Stai diventando insistente!- le urlò contro, fermandosi un attimo per incenerirla con uno sguardo.

Aria allargò le braccia in segno di resa. –Perfetto allora, la smetto, magari mi sto sbagliando…-

Eric la guardò ancora di traverso e riprese a camminare, seguito dalla ragazza.

-Perdonami ma è nella mia natura da ex Erudita, probabilmente mi ci vorrà un po’ per liberarmi del loro modo di pensare e della loro abitudine di cercare sempre la verità e di analizzarla nella maniera più logica.-

-Vedi di farlo in fretta o ti faccio a pezzi!- sentenziò Eric, decisamente adirato. Si muoveva fra i capannoni abbandonati come una tigre in gabbia, cercando di camminare in fretta per allontanarla.

Ma Aria non aveva alcuna intenzione di rimanere indietro, né di lasciarlo in pace. –E come faresti senza di me, dopo? Non ti dispiacerebbe farmi fuori?-

-Ne me ne frega un cazzo di che fine fai!- le urlò contro, fermandosi di scatto per voltarsi a fronteggiarla.

La ragazza si arrestò di colpo e ricambiò il suo sguardo arrabbiata, senza timore ma con un certo fastidio. Quando lo vide voltarsi fece una smorfia e tornò a seguirlo in silenzio, rimanendo al suo fianco e lui non l’allontanò, ma rimanevano entrambi tesi ed arrabbiati.

-Sono calde quelle giacche?-

Aria non si era accorta che la sera era finalmente arrivata, né del punto che avevano raggiunto. Avevano infatti superato il vecchio parco giochi, e si erano addentrati i una zona fra i vecchi capanni bianchi, che dovevano essere serviti ad ospitare le varie bancarelle del parco, e grandi container rossi abbandonati l’uno sull’altro.

Da uno di quei vecchi capannoni ceratati aveva fatto capolino un uomo di mezz’età, sbucando fuori dalla tenda bianca che circondava la vecchia bancarella. La ragazza sussultò inspiegabilmente alla vista dell’Escluso che indossava abiti logori ingrigiti, non c’era niente di cui aver paura, eppure si sentiva turbata.

-Fate i bravi, a voi ne daranno altre, vi alleggerisco il viaggio di ritorno!- canticchiò l’uomo, mostrando il suo sorriso sdentato.

Quando l’Escluso afferrò una vecchia trave di legno lì vicina, gli innumerevoli chiodi arrugginiti che vi erano conficcati, luccicarono alla luce della luna.

Stranamente, quando l’uomo impugnò la sua arma improvvisata, Aria non ebbe più paura. Sapeva che lei ed Eric erano più forti di lui, e decise che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Ma, quando il ragazzo al suo fianco allungò un braccio davanti a lei, Aria trattenne bruscamente il fiato.

Mai si sarebbe aspettata quel gesto da Eric, perciò rimase ad occhi sbarrati mentre con il braccio che le aveva steso davanti la spinse, con un gesto delicato e insieme deciso, dietro la sua schiena. Il modo in cui si era offerto di farle da scudo, togliendole la possibilità di difendersi da sola e assumendosi la totale responsabilità dello scontro, era insieme sconvolgente eppure dannatamente rincuorante.

Si ritrovò dietro di lui, così vicina alla sua schiena che poteva sentirlo respirare e, in un attimo, un calore potente l’assalì e le infiammò il cuore. Non si era mai sentita in quel modo, mai nessuno si era preso cura di lei fino al punto da ergersi in sua difesa. Eppure l’atteggiamento di Eric non era solo protettivo, era insieme prepotente e forte, come ogni gesto che si concedeva verso di lei.

-Hai un secondo per sparire!- intimò Eric all’Escluso, estraendo la sua pistola dalla tasca interna della giacca.

Alle sue parole, altri due Esclusi uscirono dal capanno e affiancarono il loro compagno armato di trave.

-Non c’è bisogno di arrabbiarsi…- Disse uno degli Esclusi arrivati. –Vogliamo solo le vostre giacche, e magari qualcos’altro…-

Aria provò a sbirciare da dietro la schiena di Eric, ma lo sentì stranamente indietreggiare verso di lei, mentre l’Escluso armato avanzava con la trave chiodata sollevata sopra la testa, pronto a colpire. In quel momento la ragazza capì che Eric non era indietreggiato per paura, uno come lui non si sarebbe certo lasciato intimorire da un gruppo di infermi pressoché disarmati, ma per lei. Aveva fatto un mezzo passo indietro per toccarla con la schiena, per rassicurarla ulteriormente e per nasconderla completamente con il suo corpo.

Aria tremò appena per un brivido che l’aveva attraversata, avrebbe dovuto essere preoccupata per la situazione in cui erano finiti, ma non riusciva a pensare ad altro che alla schiena di Eric. Sentiva la sua forza, la sua sicurezza e, quel contatto con i suoi muscoli, la riscaldava e placava ogni tipo di paura.

Chiuse gli occhi per un attimo, inebriata dalle sue emozioni e dal profumo di Eric che le arrivò dritto al cuore, in un misto di essenza maschile e l’odore della pelle del suo giubbotto imbottito.

-Non guardare.- gli sentì sussurrare, rivolto a lei.

Aria capì perfettamente e, serrando ancora di più le palpebre, posò la propria fronte sulla schiena di Eric e lo trattenne, afferrando e stringendo con le mani i lati della sua giacca, sperando che lui capisse.

E lui capì.

Eric sparò mirando alla mano con cui l’Escluso aveva sollevato la trave per colpirlo, capendo che non era il momento opportuno per fare saltare in aria qualche testa. Dietro di lui sentiva la ragazza aggrappata alla sua schiena, con la fronte premuta contro di lui, e sapeva che non era pronta a vedere un corpo accasciarsi a terra e, di certo, non avrebbe dato una buona impressione di sé uccidendo qualcuno proprio mentre erano da soli.

Al rumore secco dello sparo, Aria sussultò, e sentì l’uomo colpito gridare di dolore. Il sangue zampillò fuori dalla sua mano e la trave cadde a terra, ma lei si rifiutò di assistere alla scena e rimase al sicuro dietro la schiena di Eric.

Gli altri due Esclusi guardarono terrorizzati il loro compagno e si precipitarono a recuperarlo.

-Se non volete fare una brutta fine, toglietevi di mezzo e non fatevi più vedere.- Gli ordinò Eric, con tono deciso e minaccioso, mentre si rimetteva in tasca la pistola.

Gli Esclusi, raccolto l’uomo che urlava ferito e pieno di sangue che gli colava lungo il braccio, capirono l’avvertimento e si affrettarono a scappare via.

Eric, senza preavviso, allungò un braccio dietro di sé e afferrò Aria da un polso per trascinarla. Qualche passo dopo, sicuro di essersi allontanato dalla zona degli Esclusi, la lasciò andare e le fece strada, sicuro di essere seguito.

-Sei un bugiardo!-

Quando la situazione si era ristabilizzata e si era ritrovata nuovamente sola con Eric, seguendolo nel buio, Aria non aveva potuto fare a meno di lasciarsi sfuggire quelle parole.

Eric, dal suo canto, si voltò verso di lei e rimase a guardarla senza capire. –Che ti prende?-

-Sei un bugiardo, ho detto!- disse decisa, sollevando lo sguardo e fissandolo con rabbia. –Tutto quello che hai detto, non solo non aveva alcun senso, ma era anche una grandissima stronzata!-

Il capofazione degli Intrepidi ebbe un sussulto di puro stupore, era preparato a combattimenti estenuanti e a prove pericolose, ma non di certo a quella reazione da parte di una ragazzina che di solito era fredda e controllata. Stava per chiederle spiegazioni ma lei lo precedette, avanzando addirittura verso di lui.

-Hai detto che non ti importa niente di me, che non provi nulla ma non è vero, e me lo hai appena dimostrato!-

Eric capì che si riferiva al modo in cui le aveva fatto da scudo proteggendola, e si concesse una risata. –Sei sotto la mia responsabilità, che figura pensi che ci farei se tornassi alla residenza dopo un attaccato da parte di tre idioti Esclusi? E cosa avrei raccontato se ti fosse successo qualcosa?-

-Chiudi quella bocca!- Gli ringhiò contro, accecata dalla furia, mentre si fermava ad un palmo da lui. –Dici sempre che un vero Intrepido non si arrende mai, che non ha paura e fai di tutto per rendere la vita degli iniziati un inferno con prove assurde e pericolose.  E, quando la faccenda si complica, mi tratti coma una ragazzina indifesa e ti metti davanti a me per proteggermi? Pensavi che avessi paura o che mi servisse il tuo aiuto?-

Eric rimase in silenzio, con gli occhi spalancati puntatati sulla ragazza che ancora gli urlava contro.

-Se ti fossi trovato con un altro iniziato, non solo lo avresti lasciato al suo destino, fregandotene delle fine che avrebbe fatto, ma ti saresti anche infuriato se non fosse stato in grado di difendersi da solo e lo avresti scaricato fra gli Esclusi!-

Aria non gli diede il tempo di pensare, lo fissava con occhi ardenti e lo spintonò via con entrambe le mani puntate sul suo petto.

-Stronzate!- riuscì a risponderle, indietreggiando per la spinta.

-Stronzate un corno! Ho sentito il modo in cui mi hai difesa, non lo hai fatto solo per dovere, ma perché volevi farlo!- gli si avvicinò ancora e si fermò quando i loro corpi furono tanto vicini da toccarsi. –Non ti sono indifferente Eric, hai pensato solo a me e ti sei preoccupato persino di non farmi guardare mentre sparavi. Ti sei messo davanti, e lo hai fatto solo e soltanto per proteggermi. Sono troppo intelligente perché tu posso fregarmi in questo modo!-

Eric guardò da un’altra parte, per poi tornare a prestarle attenzione, analizzando il modo in cui i loro copri si toccavano, l’uno di fronte all’altra.

-Dici che sono solo una ragazzina,- continuò imperterrita, senza frenare il flusso di parole. –Ma qui l’unico che si sta comportando come un bambino sei tu! Non hai il coraggio di ammettere ciò che provi, e questo non solo è un comportamento infantile, ma anche da codardo.-

Aria si accorse dello sguardo freddo e autoritario con cui la fissava, così scosse il capo avvilita e lo spintonò via ancora una volta, con rabbia.

-Quando vorrai comportanti come un uomo, fammelo sapere!- gli disse allontanandosi a grandi passi.

E poi successe.

Eric sentì una scarica di rabbia ceca assalirlo e, con il sangue al cervello e lo sguardo annerito, si voltò come una furia e afferrò la ragazza da una spalla facendola voltare. La prese dalle spalline della giacca e a la sollevo con forza, facendola sbattere contro uno dei container rossi che li accerchiavano. Quando toccò nuovamente terra con i piedi, Aria era stordita, si era fatta male sul serio ed Eric la stringeva tanto forte de farle ancora più male. Era davanti a lei e la immobilizzava in parte con le mani, e in parte con il suo corpo muscoloso.

Le afferrò il viso con le mani e appoggiò violentemente la propria fronte sulle sua, schiacciandole la testa contro il ferro rosso senza preoccuparsi di ferirla.

-Sì ti voglio, ti desidero e non me ne frega un cazzo di tutto il resto.- sibilò a denti stretti contro le sue labbra. -Ti ho sempre in testa e non riesco a smettere di pensarti, ti voglio come non ho mai voluto nessun’altra e voglio che tu sia mia, voglio toglierti quei vestiti di dosso e farti male fino a farti gridare. Ti voglio maledizione, ti voglio e basta!-

E, prima che lei potesse rispondere, le chiuse la bocca con un bacio che le tolse definitivamente il respiro. Intrecciò con ferocia la lingua con la sua e mordicchiò con rabbia quelle labbra che tanto desiderava, prima di lasciarla bruscamente andare.

La liberò dalla sua presa quasi con una spinta, lasciandola lì a scivolare contro il container, per poi allontanarsi. Aveva bisogno di spazio per ritrovare il controllo e, con la rabbia che aveva in corpo, non poteva permettersi di guardarla ancora e di sentirsi sconfitto in quel modo.

Aria riprese a rispirare a fatica, guardando la schiena di Eric che si allontanava con un misto di emozioni, con rabbia e passione. Si rimise a posto la giacca e si passò con forza il polso sulle labbra umide e ferite dai morsi del ragazzo.

-E perché diamine non lo hai detto subito?- disse alla sua schiena, risentita.

Poi, senza pensarci troppo a lungo, gli corse dietro e lo afferrò da una spalla, senza dover fare troppa fatica per convincerlo a voltarsi. Eric infatti si lasciò afferrare dal collo e si abbassò per permetterle di baciarlo senza opporre resistenza. Aria ebbe quasi l’impressione che, una volta svuotatosi della rabbia e da ciò che provava, fosse talmente privo di energie da lasciarsi fare tutto ciò che lei voleva.

Tuttavia, mentre gli intrecciava le braccia dietro la nuca e si sollevava in punta di piedi per continuare a baciarlo, Eric ritrovò tutte le sue energie. Le passo le mani attorno alla schiena e la strinse con forza, baciandola per la prima volta con dolcezza e non solo con ferocia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 10
*** Solo per te ***


10. Solo per te

 

 

 

 

-Raccogliete tutte le vostre armi e mettete a posto il resto dell’attrezzatura.- Disse, cercando di mantenere la calma. –Fate in fretta, voglio andarmene da questo posto!-

-Sì Eric!- gli risposero, quasi in coro, Edward e Lynn.

Quando i due ragazzi che aveva scelto per la sua squadra se ne andarono, ad Eric non restò altro che lasciare ricadere la testa all’indietro, contro il container a cui era appoggiato. Non si era neanche preso il disturbo di mettersi in piedi, e rimaneva lì seduto a terra come uno dei tanti sconfitti.

Poi un bruciore acuto alla gamba gli fece sfuggire un ringhio di dolore, e si voltò verso la figura inginocchiata al suo fianco.

-Questo volevi tenerlo per ricordo?- Gli chiese Aria, mostrando il proiettile che aveva in mano.

Glielo aveva appena estratto dalla gamba, senza alcuna delicatezza, e lui non si riservò di lanciarle un’ occhiataccia.

Quando Quattro gli aveva sparato, per ben due volte, si era tolto subito il proiettile che aveva al petto ma, quando aveva capito che presto sarebbero stati sconfitti, si era seduto e non si era più mosso. Si era limitato ad impartire ordini, e a riservare qualche offesa al suo rivale Quattro, senza nemmeno preoccuparsi di estrarsi dalla gamba il secondo proiettile.

Guardò la ragazza che gli stava vicino e le tolse bruscamente di mano quel dannato proiettile che gli aveva estratto, ma lei nascose una piccola risata vedendo la sua rabbia.

Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo e li teneva al loro posto con una fascia nera che le avvolgeva la testa. Quella notte le sue labbra erano così gonfie che resistere all’impulso di baciarle era quasi una tortura, peccato che la sua allegria aumentasse solo il suo malumore.

-Dove diavolo eri tu?- Le abbaiò contro, nonostante fossero vicinissimi. –Ti avevo messo là in alto come mia tiratrice migliore e ti avevo detto…-

-Di tenere d’occhio Quattro e di sparargli non appena lo vedevo!- Aria finì la sua frase, indicando il punto d’osservazione in cui aveva piazzato i ragazzi con una mira più decente.  

Aria ovviamente era la più brava a sparare, e Quattro il nemico più pericoloso. Aveva organizzato tutto a dovere, avevano nascosto la bandiera e messo qualcuno di guardia, diviso il campo d’ azione in modo da poter attaccare da più direzioni e posizionato una squadra di tiratori su un container per il fuoco di copertura.

Ma avevano fallito ugualmente.

-Senti, non è colpa mia se tu e Quattro avete deciso di giocare a nascondino dietro questi cosi!- si lamentò la ragazza, falsamente indignata mentre indicava i container che avevano attorno. –Non vedevo niente da lassù, e poi hai visto in quanti sono arrivati? Ho sparato a parecchi di loro!-

Eric notò il sorrisino compiaciuto con cui terminò la frase, e scosse la testa. Non c’era verso di prendersela con lei e farla sentire in colpa, ne sarebbe sempre uscita da vincitrice.

-Dai spostati!- Le ordinò, decisamente più sereno anche se faticava ad ammetterlo.

Si alzò in piedi e dovette fare i conti con i suoi pensieri più nascosti, e con il fatto che era bastata qualche parola da parte di quella ragazzina trasfazione per allontanare il suo malessere. La rabbia per aver perso per l’ennesima volta contro Quattro non lo avrebbe abbandonato di certo, ma almeno aveva un buon motivo per scherzarci sopra e qualche aspetto positivo da tenere in conto. Avrebbe risparmiato i ragazzini della sua squadra, ma a molti avrebbe tolto diversi punti in classifica per la loro inefficienza. Magari si sarebbe anche divertito a farlo, e con alcuni si sarebbe addirittura vendicato, ad esempio non capiva come avesse fatto Molly a farsi soffiare via la bandiera da Tris e Christina. 

Serrò i pugni e sentì di dover dare un freno alla sua ira e al risentimento, così guardò Aria vicino a lui e decise che per quella sera il tempo di comportarsi per bene era finito. Sollevò il braccio facendoglielo passare attorno alle spalle e l’avvicinò bruscamente a sé, stringendola contro il suo fianco.

Abbassò lo sguardo verso di lei e le concesse un breve sorriso d’intesa, giusto un arricciamento di labbra.

Anche lei sorrise e lo guardò intensamente, chiaramente rallegrata dal quel gesto, tanto che si strinse di più vicino a lui. –Ma Eric,- disse piano, cercando di moderare il suo sorriso. –Potrebbero vederci…-

Eric scosse la testa e riprese a camminare senza togliere il braccio.

Quando, due giorni prima, erano rientrati insieme dopo il loro giro di perlustrazione, aveva dovuto mettere subito in chiaro la situazione. Erano scesi dal treno poco fuori la residenza e, mentre tornavano all’interno, Eric l’aveva fatta fermare per poterle parlare seriamente. –Non puoi dire a nessuno dove sei stata, né con chi…- Le aveva detto, e lei aveva capito. Le aveva accarezzato il viso per poi dirle di rientrare per prima e di raggiungere la mensa da sola, per dividersi e non destare sospetti.

Nei giorni successivi si erano concessi solo brevi incontri di sfuggita, in cui aveva potuto spiegarle meglio l’intera faccenda, parlandole della regola che vieta agli Intrepidi e, soprattutto, agli istruttori, di avere relazioni con gli iniziati. Aria non aveva detto nulla, aveva compreso e accettato il fatto che avrebbero dovuto agire di nascosto e con prudenza.

Ma, nonostante tutto, Eric pensò che avrebbero potuto rilassarsi almeno per il momento. Non solo non li avrebbe notati nessuno, considerato il trambusto e i container che gli facevano da scudo, ma che in fine non c’era niente di male se il capo squadra, alla fine di un’ esercitazione faticosa, si concedeva un brave gesto d’incoraggiamento verso una delle poche persone che aveva fatto il suo dovere.

Certo, non era assolutamente da lui comportarsi in maniera così confidenziale, ma per una volta nessuno ci avrebbe fatto caso.

Tuttavia, giusto per esserne sicuri, quando il corridoio di container che stavano attraversando stava per finire, mostrando lo spiazzo davanti a loro in cui erano radunati gli altri componenti della squadra che raccoglievano l’attrezzatura e si preparavano al rientro, Eric ne approfittò per rapire per qualche secondo Aria.

Le fece fare un passo indietro e si nascose contro la parete del container, stampandole a forza un bacio sulle labbra, prima di lasciarla andare.

 

-Che ero sono? Presto, ditemi che ora è!-

Nel viaggio di ritorno in treno, Eric si era scelto un angolo per conto suo, decidendo di tenersi alla larga da quegli incapaci della sua squadra e, soprattutto, da Quattro.

In fondo al vagone, invece, Aria si teneva ad uno dei maniglioni e se ne stava comodamente appoggiata nell’angolo. Intorno a lei, la sua amichetta bionda saltellava e si muoveva istericamente in cerca di un orologio, e le sue parole avevano richiamato la sua attenzione.

Quando finalmente trovò qualcuno che portava l’orologio gli afferrò malamente il polso e, guardato l’orario, si mise a strillare tutta contenta.

-È passata la mezzanotte!-

-Sasha, per favore!- disse Aria, avvilita ma, quando si coprì il volto con una mano, nascondeva un sorriso.

-Tanti auguri! Tanti auguri!- canticchiò la bionda, battendo le mani.

Eric inarcò un sopracciglio.

Aria rise. –Grazie Sasha, ora puoi anche calmarti…-

Ma la biondina continuava a saltellarle intorno.

-Cos’è questa storia? Nessuno mi ha detto niente!- Disse il trasfazione di nome Will, avvicinandosi ad Aria.

Lo guardò storto.

-Auguri allora!- disse il ragazzo, passando energicamente una mano in testa ad Aria, come a volerle scompigliare i capelli in maniera confidenziale. Peccato che i capelli neri di Aria fossero accuratamente raccolti.

-Buon compleanno!- disse Christina, raggiunto l’amico Will.

In breve tutti quelli in fondo al vagone si radunarono in cerchio attorno ad Aria, festeggiandola con pacche sulle spalle, con sorrisi e risate. La biondina continuava a saltarle intorno e diceva a tutti quelli che si avvicinavano che era il compleanno della sua amica, costringendoli quasi a festeggiarla con lei.

Aria era imbarazzata, aveva le guance in fiamme e teneva bassa la testa. Will era ancora vicino a lei, troppo vicino. Christina disse loro qualcosa, e risero tutti e tre insieme.

Eric vide che, nonostante l’imbarazzo e la mano con cui si teneva la guancia arrossata quasi cercasse di nascondersi, Aria era felice.

Lasciò che un piccolo sorriso increspasse anche le sue labbra, perché, per quanto singolare fosse, Aria sorrideva solo raramente. Non ne capiva il motivo conoscendola, eppure, quando era con gli altri iniziati, erano più le volte che teneva la testa basta che quelle in cui rideva spensieratamente.

Ma lui l’aveva vista spesso sorridere quando erano da soli e, i piccoli sguardi felici che gli riservava, erano capaci di scaldare persino la notte più fredda.

Riscaldavano perfino lui.

Nascose il sorriso e pensò che fosse un bene che Aria avesse degli amici che la facessero ridere, almeno la sua iniziazione sarebbe stata serena e avrebbe avuto qualcuno su cui contare, così la guardò ancora per un po’ e poi si preparò per saltare giù dal treno. Per un attimo pensò alla sua di iniziazione, ma scacciò via immediatamente il pensiero, e prese ad insultare qualche ragazzino distratto.

Una volta giù dal treno, all’interno della residenza, tutti gli iniziati si divisero. Alcuni iniziarono a correre ai dormitori in una specie di gara a chi arrivava prima per fare la doccia, altri si attardarono per chiacchierare in compagnia, e qualcuno degli iniziati interni scappò in cucina a vedere se riuscivano a rubare qualcosa da mangiare.

Ma lui puntò dritto alla sua preda e la raggiunse.

Quando l’affiancò, Aria sollevò lo sguardo verso di lui, con ancora il ricordo di un sorriso fra le labbra.

Eric scosse il capo. –Bè, è il tuo compleanno allora!-

Lei lo guardò timidamente e gli regalò un sorriso, diverso da quelli che aveva riversato agli altri. Quello era un sorriso tutto per lui. –Sì!- disse leggermente in imbarazzo. –Ma te lo aveva già detto, ricordi?-

Fece un cenno con la testa, pensandoci meglio in una delle loro discussioni gli aveva accennato che mancavano tre giorni al suo compleanno.

-Sai che ti dico?- le disse, mentre si massaggiava i muscoli delle braccia. –Non vedo l’ora di andare nella mia camera a farmi un bagno caldo. Credo che mi ci addormenterò dentro, dopo una sera passata con una mandria di idioti iniziati, penso proprio che sia il minimo…-

Aria sollevò le spalle e fece una strana smorfia. –Sai, credo che sia crudele, da parte tua, dirlo proprio a me.-

-Perché?-

-Il massimo a cui posso aspirare è una doccia fredda, in comune!-

Eric rimase per un attimo spiazzato, e batté più volte le palpebre.  –In comune? Mi stai dicendo che ti spogli davanti agli altri?- Aveva dimenticato gli alloggi poco confortevoli riservati agli iniziati.

Aria nascose una risata di pura soddisfazione, decidendo di non dirgli che alle ragazze era stato assegnato un piccolo bagno privato in corridoio, che usavano a turno. –Sì centro. Bè, ci dividiamo in maschi e femmine, ma avrai visto come è diviso il dormitorio, a volte capita di vedere qualcosa in più…-

-Qualcosa in più?- Ripeté Eric, -Quindi tu hai visto i ragazzi nudi e loro hanno visto te?-

-I ragazzi sono sfrontati e senza il minimo segno di imbarazzo, camminano senza niente addosso senza alcun problema.- E questo era vero. –E se, mentre noi ragazze ci laviamo, qualcuno viene a sbirciare, non possiamo farci nulla!- bugia.

Non solo avevano il bagno in privato, ma lei e Sasha andavano in coppia e, mentre una era dentro, l’altra stava fuori di guardia.

La ragazza ebbe l’impressione di vedere chiaramente le scintele fuoriuscire dalle orecchie di Eric e sentì quasi il rumore degli ingranaggi che si muovevano nel suo cervello.

Un sorriso crudele le fece arricciare le labbra. –Sei geloso?-

-Certo che lo sono!- Ringhiò, quasi si fosse bruscamente risvegliato dai suoi pensieri, e non si fosse accorto di ciò che aveva detto.

Aria spalancò gli occhi e rimase senza fiato, smise addirittura di camminare. Superato lo shock iniziale non riuscì a fare a mano di sorridere e, così, riprese a camminare dietro Eric che, nel frattempo, aveva continuato ad avanzare.

Sembrava imbronciato e immerso nei suoi dubbi, non si era neppure preoccupato di ciò che aveva detto. Camminava a testa bassa, in lotta con qualche pensiero molesto che gli girava per la mente.

Aria rimase indietro, dato che il ragazzo aveva smesso di considerarla, e decise di tornarsene al dormitorio. Eric, sempre arrabbiato e concentrato sui suoi pensieri, continuò per la sua strada e sparì dalla sua vista. Tuttavia ebbe l’illuminazione che avrebbe risolto tutti i suoi problemi e gli avrebbe perfino dato qualche piacere in più.

Tornò indietro quasi di corsa, prese la strada che portava ai dormitori dei trasfazione e, fortunatamente, lei era l’ultima della fila.

La prese da un braccio e si nascose nella penombra per non farsi vedere. –Prendi quello che ti serve e poi torna qui.- Le disse, nascondendosi poi in un punto del corridoio al buio.

Aria capì quello che voleva dire e sapeva perfettamente cosa sarebbe successo.

Sapeva che non portava a nulla di buono quello che stava per fare, ma non cambiò idea, mettendo a tacere la parte delle sua coscienza.

 

Dopo essersi intrufolata di nascosto nel dormitorio, senza farsi vedere da Sasha per evitare domande, prese un paio di mutandine nere e una canottiera pulita, li arrotolò e mise tutto nella tasca interna della sua giacca chiudendola per non far vedere nulla. Si avviò verso il corridoio accertandosi che nessuno che la seguisse e, quando raggiunse il punto in cui Eric l’attendeva, lui le sorrise.

Lo vide scostarsi dalla parete a cui si era appoggiato a farle segno di seguirlo.

Superarono corridoi scarsamente illuminati, deserti data l’ora tarda, e si spostarono in una zona della residenza che Aria non aveva mai visto fino a quel momento. Da quello che le parve di capire, era la zona in cui alloggiavano i capi e i membri più importanti della fazione, lo capì dal cambio di illuminazione e di ambiante. La roccia sembrava scavata con più attenzione e barre di metallo nero sostenevano il soffitto.

Quando sentirono dei rumori, Eric le mise un braccio davanti e la fece segno di fermarsi, poi guardò oltre un angolo e, quando un uomo passò in silenzio senza vederli, ripresero a camminare.

Si ritrovarono così in un lungo corridoio con una serie di porte su di un lato solo, ne superarono circa otto, poi svoltarono l’angolo ed arrivarono alla fine, dove c’era un'unica porta in quella parte finale del percorso.

Eric estrasse da una tasca una chiava appesa ad un cordoncino e fece scattare la serratura, aprendo la porta e facendole segno di entrare. Aria lo precedette all’interno e avanzò di un passo, aspettando che anche lui entrasse e, quando lo fece, accese la luce e si chiuse la porta alle spalle.

Ciò che si trovò davanti la lasciò senza fiato, proprio davanti a lei, contro la parete alla sua destra, c’era un imponete letto matrimoniale. Era più altro e largo di quelli a cui era abituata, con la testata nera in legno e la trapunta color panna.

Nella parete difronte alla porta, invece, c’erano una serie di vetrate dal soffitto al pavimento e due portefinestre alle estremità, una a destra ed una a sinistra.

Il letto era praticamente al centro della stanza, ma avanzando di un passo e spostandosi un po’ a sinistra, vide il resto della stanza dato che aveva una forma a elle. Sull’ estremità a sinistra della camera c’era un lungo bancone nero con cassetti e sportellini, su un angolo un lavello e un piccolo fornello. Sopra era appeso un grande specchio.

Tra la fine del bancone e la finestra c’era una piccola porta, e pensò si trattasse del guardaroba.

Eric sparì oltre il muro alla sua sinistra, la superò e aprì una porta posizionata dietro l’angolo a elle, sulla parete disposta a novanta gradi rispetto a quella dove era addossato il lungo bancone.

Capì che quello doveva essere il bagno, e decise di attenderlo davanti al letto.

Avrebbe dovuto essere in imbarazzo, e in parte era così, ma quella situazione era talmente nuova per lei che la mente era concentrata sull’acquisizione di informazioni e non si preoccupava del resto.  

Senti girare un rubinetto e riconobbe l’inconfondibile rumore di acqua che scorreva e, solo in quel momento, arrossì.

-Ma ciao!- disse poi la ragazza, quando vide una macchia nera avanzare.

Eric uscì dal bagno, indaffarato, e si accorse del gatto entrato dalla finestra aperta e alzò gli occhi al cielo.

Aria non guardò più lui, ma il nuovo arrivato. –E lui chi è?- chiese incrociando le braccia al petto, mentre seguiva l’animale camminare per la stanza.

Eric sbuffò, o forse fece un ringhio, difficile dirlo. –È un randagio, credo fosse del vecchio proprietario di questa stanza o di quelle che affacciano sul cortile interno.  Da quando vivo qui, non fa che entrare dalla finestra e non riesco a liberarmene!-

Aria tuttavia non parlò, poiché il gatto si avvicinò con una certa confidenza ad Eric e si strofinò abilmente sulle sue gambe, senza tenere conto del suo malumore. O era un gatto folle e incurante del pericolo, oppure, sapeva per certo che non si sarebbe ritrovato scacciato via da un calcio.

-Sembra affezionato…-

Eric la guardò storto. -È una femmina!-

Sorrise e tornò a guardare la gatta, ancora intenta a strofinarsi contro le gambe di Eric, probabilmente in cerca di attenzioni che non arrivavano.

Al contrario, Eric si scostò bruscamente facendo quasi ribaltare l’animale che gli si strusciava contro. –Che vuoi farci, nessuna donna sa resistermi!-

Aria scosse il capo, ma poi Eric le fece segno di seguirlo e lei lo raggiunse. La face entrare in bagno e lei avanzò incantata.

Nascosto nell’angolo difronte a lei c’era un wc, alla sua destra un lavello bianco grande e pieno di luci. Oltre al lavello, ad angolo, c’era una doccia enorme. Era tutta di vetro bordata di nero, con diversi pomelli.

Ma, la cosa che la colpì di più, fu la grande vasca sulla parete sinistra. Era bianca come il lavello, anche lei con diversi pomelli e un rubinetto aperto che lasciava fuoriuscire l’acqua che già iniziava a riempire la vasca.

Se pensava che a loro iniziati spettava un minuscolo bagno in comune, e Eric aveva un bagno gigante con una doccia ed una vasca da sogno, iniziava a capire i vantaggi di avere una posizione favorevole all’interno della fazione.

-Fai pure con comodo- le disse Eric, dietro di lei. –Io vado a farmi un giro da qualche parte…-

Aria realizzò solo a quel punto dove si trovava realmente, era con Eric, nella sua camera, nel suo bagno insieme a lui. Doveva fare un bagno lì, spogliarsi, e lui le avrebbe lasciato il suo spazio.

Arrossì.

-Ti ho messo un’ asciugamano pulito.- Le disse, indicando il telo panna piagato sul lavello.

La ragazza non ebbe il coraggio di dire nulla, rimase lì paralizzata.

Eric stava quasi per uscire dalla stanza ma, prima di farlo, tornò sui suoi passi e le si posizionò davanti. Aria sentì una scarica elettrica percorrerla, rabbrividì quando sollevò gli occhi su di lui. Era forte, alto, e le trasmetteva qualcosa che non riusciva a spiegarsi.

-Vorrei che restassi qui, sta notte.- le sussurrò, guardandola dritto negli occhi.

Aria arrossì ancora, si strinse nelle spalle e, guardandolo, cercò di esprimere ciò che provava. –Ma Eric, io…-

-Non sono un animale come sembra, Aria!- L’ammonì, avvicinandosi alla porta. –Sono grande abbastanza da saper controllare i miei istinti, non ti salterò addosso!-

Alla ragazza non restò altro che abbassare la testa e sorridere.

-E, perché tu lo sappia,- Continuò Eric, appoggiandosi con una spalla alla porta. –Quando sarà il momento, sarai tu a saltarmi addosso!-

Rise. –Lo vedremo!- decise di concedergli.

Anche Eric sorrise, ma il suo sembrò quasi un ghigno minaccioso. Il predatore dentro di lui faticava a rimanere nascosto.

-Consideralo il mio regalo di compleanno.- Le disse, lanciando uno sguardo alla vasca che continuava a riempirsi.

Prese la maniglia della porta e fece per chiuderla ma, prima, si scambiarono uno sguardo intenso e pieno di significati. Cominciava a perdere il fiato tutte le volte che Eric faceva quel sorriso enigmatico, bello ed insieme terribilmente pericoloso.

-Non ho mai concesso tanto a nessuno, l’ho fatto solo per te…- ammise lui, poi la porta si chiuse e Aria si impose di tornare a rispirare.

Ma, con il cuore in gola e le mani tremanti, riuscì solo a sorridere.

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 11
*** Acqua che scorre ***


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11. Acqua che scorre

 

 

 

Eric soffriva d’insogna.

C’era ben poco da fare, negli anni aveva tentato diversi sistemi per porre rimedio al problema, ma con scarsi risultati. E così, armandosi unicamente di buona pazienza, aveva accettato la situazione.

Il che non era del tutto vero, poiché la pazienza non era mai stata fra le sue virtù, la sua era stata più che altro rassegnazione e così, quando il sonno veniva meno, non gli restava altro che alzarsi dal letto e trovare il modo di ingannare il tempo.

Ma almeno quella sera non era da solo.

Nella sua camera c’era una poltroncina mono posto a pianta girevole, che aveva scelto di posizionare davanti alla finestra, non troppo distante dal letto. Le sere in cui si ritrovava a vagare per la stanza senza riuscire a dormire guardava fuori ma, per quella sera, aveva scelto di girare la poltrona verso il letto.

Aria dormiva ancora e, per non disturbarla, aveva acceso solo la luce dell’abatjour che di solito teneva sul comodino, ma che in quel momento aveva sistemato sul pavimento perché la luce non le andasse sugli occhi, svegliandola. Era avvolta nella trapunta bianca, quasi fino alla testa. Aveva sciolto i capelli che le circondavano il capo in ciuffi neri disordinati, mentre la sua pelle aveva preso un po’ di colore per il calore del letto. Un braccio nudo era piegato sul cuscino, ma non riusciva a vedere poi tanto altro, dato il modo in cui si era avvolta fra le coperte, spostandosi verso la parte centrale del letto, quasi si fosse accorta della sua assenza e lo stesse cercando.

Eric la guardò ancora per attimo e poi osservò il cielo fuori, piegando le labbra in un sorriso malinconico, mentre ricordava quello che era successo solo un paio d’ore prima…

 

Era andato a fare un breve giro al Pozzo per lasciare alla ragazza il tempo di godersi un bagno caldo e, quando era tornato, l’aveva trovata affacciata al bancone della camera. Dopo essersi chiuso la porta alla spalle si era avvicinato a lei che, accortasi della sua presenza, gli aveva sorriso. Indossava una canottiera nera e un paio di pantaloni stretti, si era tolta la fascia di tessuto nero dalla testa e aveva sciolto i capelli, che avevano le punte ancora umide per il bagno.

Aria rientrò nella camera e socchiuse la porta di vetro, poi si avvicinò al gatto disteso sul pavimento e si inginocchiò per accarezzarlo.

-Credo che tu mi abbia preso in giro,- disse tranquillamente, mentre il gatto iniziava a fare le fusa. –Con quelle non ti libererai certo di lui…-

Eric seguì il suo sguardo e vide le due ciotole di metallo che aveva sistemato in un angolo per la gatta, per l’acqua e per qualcosa da mangiare. Incrociò le braccia al petto e la sfidò con lo sguardo.

-Ha un nome?- gli chiese lei, continuando ad accarezzare l’animale.

-Stai scherzando?- Esclamò, ad un passo dal perdere la pazienza.

-E come fai a chiamarla?-

-Non ne ho certo bisogno, è sempre fra i piedi!-

La gatta si rotolò sulla schiena e leccò le dita della ragazza, sicuramente contenta che almeno qualcuno le dedicasse un po’ di attenzioni.

-Ma un nome le serve!-

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, con quella ragazza era inutile discutere. –Dagliene uno tu, se ci tieni tanto!-

Aria osservò la gatta, aveva quasi tutto il pelo nero, eccezione fatta per la punta della coda e delle zampe anteriori. Inoltre, sul petto, aveva una macchia rotonda tutta bianca che ricordava una luna piena.

-Che ne dici di Luna?-

-Se ti piace…- Le rispose, senza che la faccenda del nome lo coinvolgesse più di tanto.

La ragazza fece un cennò e si sedette sul pavimento per continuare ad accarezzare la gatta.

-Se permetti, adesso è il mio turno!- affermò Eric, sfilandosi la giacca che indossava e appendendola ad un gancio dietro la porta.

Vide Aria abbassare lo sguardo e fece un sorrisetto divertito, senza tuttavia cambiare le sue intenzione per risparmiarla all’imbarazzo.

La ragazza rimase ad osservarlo mentre si toglieva la maglia come solo un uomo poteva fare, senza prenderla dalla parte sui fianchi, ma togliendosela via dalla schiena, facendo passare le braccia dietro la testa. Si ritrovò davanti il ragazzo a torso scoperto e non fu facile, per lei, dissociarsi dalle emozioni che l’assalirono.

Gli avambracci di Eric erano entrambi tatuati, ma il resto del suo petto era libero da ogni disegno e, anche le linee che aveva stampate lungo il collo, si fermavano lì senza scendere oltre. La linea prepotente dei suoi addominali scendeva sui suoi fianchi scolpiti e forti e, quando lo vide voltarsi di schiena, sentì distintamente l’impulso di voler toccare quella pelle solita, sicura che sarebbe stata calda.

-Vuoi venire anche tu con me?- le chiese malizioso, alzando un sopracciglio. –Oppure non hai voglia di un altro bagno, e preferisci che mi spogli qui per non farti perdere lo spettacolo?-

Aria lo guardò di traverso, ma non riuscì a nascondere del tutto un piccolo sorriso divertito. –Va via!-

Eric sghignazzò e si chiuse in bagno. –Come vuoi!-

Ne uscì poco dopo con addosso solo i boxer neri che lasciavano ben poco all’immaginazione, trovando Aria seduta sulla poltrona girevole. Non incrociò il suo sguardo, ma sapeva perfettamente che aveva visto il modo in cui era uscito dal bagno, altrimenti non avrebbe fatto ruotare la sedia verso il letto con tanta velocità.

Con una certa nota di divertimento in corpo, si avviò verso la porta del guardaroba e l’aprì. Prese una semplice t-shirt nera che si infilò addosso mentre si dirigeva verso il letto, scostando le coperte e sedendosi dal lato più vicino alla porta. –Dai vieni qui!- Le disse piano, battendo con una mano sull’altra metà del letto.

Ebbe tuttavia il tempo di mettersi a posto le coperte, dato che Aria non si era mossa. Lo stava guardando dritto negli occhi con una strana espressione, tanto profonda da potercisi perdere dentro. Colse ogni suo pensiero, tanto che gli parve di sentire la vocina nella sua testa e i mille calcoli che stava facendo. Non si arrabbiò con lei perché capiva il suo imbarazzo, immaginava che il pensiero di ritrovarsi sotto le coperte con lui, in un’ intimità che fino a quel momento non avevano mai condiviso, le toglieva il fiato.

Sogghignò e decise di toglierla, a modo suo, dall’imbarazzo. –Non avrai mica pura di farmi vedere le gambe…-

Aria non pensava alle proprie gambe, ma a quelle di Eric quando gli era sfilato davanti. Vedendolo uscire con solo le mutande addosso, era arrossita e aveva fatto girare la sedia per voltarsi verso il letto ma, mentre si metteva la maglia, Eric le era passato accanto per raggiungere il letto. Aveva visto le sue gambe e studiato ogni suo muscolo, cercando poi di non soffermarsi con lo sguardo sui glutei solidi e su tutto il resto per paura che il suo cuore si fermasse del tutto.

In quel preciso momento, l’idea di raggiungerlo sotto le lenzuola, rappresentava per lei la più grande delle paure e, al tempo stesso, un’ enorme tentazione. Dovette imporsi mentalmente la calma, regolare il respiro e farsi forza.

E poi ovvio, Eric aveva ragione, non poteva certo andare a letto con addosso quei pantaloni da allenamento.

Ripensando all’imbarazzo alla quale l’aveva sottoposta, si alzò in piedi e si sfilò di dosso i pantaloni scuri rimanendo con solo la canottiera nera, corta ed aderente, e le mutandine. Se ci riusciva, sta volta toccava ad Eric smettere di respirare.

Avanzò verso il letto, sperando di non fare un infarto, scostò le coperte e si sedette nella metà libera, quella vicina alle finestre.

Eric la guardò in silenzio e respirò a fondo, ovviamente quella ragazzina incosciente non sapeva quanto gli costasse trattenersi. Non sapeva, o faceva finta di non sapere, che vederla in quel modo gli mandava il sangue al cervello e lo faceva letteralmente impazzire. Non poteva neanche immaginare che effetto gli facesse la sua pelle nuda, le forme del suo corpo, e lo sforzo che doveva fare per controllarsi e rispettare la promessa che le aveva fatto di non saltarle addosso.  Il suo sangue in realtà, al pensiero di avere l’oggetto del suo desiderio lì, con lui nel suo letto, abbandonava totalmente la testa e scendeva da un’altra parte.

Per distrarsi le risistemò il cuscino dietro la schiena e le rimboccò le coperte, invitandola a stendersi con un gesto della mano.

-Eric?..-

-Lasciami fare, okay?-

Si concentrò sulle lenzuola per non guardare quel copro che tanto desiderava. Guardò invece gli occhi pieni di domande con i quali lei lo stava fissando, senza saperle dare alcuna risposta. Era consapevole che i gesti su cui si stava concentrando non erano adatti alla sua persona, ma non aveva altro modo per distrarsi e per ritrovare la calma. Inoltre, non era mai successo che si dedicasse a qualcun altro in quel modo, e trovò quella nuova esperienza piuttosto interessante.

Aria si stese al suo fianco e rimase a guardarlo in silenzio, e per lui fu difficile capire se era imbarazzata o se, come lui, lottava contro i suoi istinti. 

-Cerca di dormire,- Le disse. –Il primo modulo dell’addestramento è finito, domani mattina io e Quattro sommeremo i punteggi dell’ultima esercitazione. Prima di sera, potrete vedere la classifica.-

-E quelli negli ultimi posti finiranno fra gli Esclusi?- chiese lei, appoggiando meglio la testa sul cuscino.

-Sì, ma tu non hai di che preoccuparti!-

Aria pensò a quanto fosse orribile che alcuni dei suoi compagni, giovani iniziati come lei, soltanto la sera dopo avrebbero potuto ritrovarsi a dormire fuori dalla fazione.

-Domani voi iniziati avete la mattina libera, e invece a me tocca lavorare, con Quattro per giunta.- Si diede un colpetto sulla fronte. –Dovremo alzarci presto, devo farti uscire quando gli altri sono in mensa per la colazione. È meglio che nessuno sappia che sei stata qui.-

-Va bene.- Concordò, stringendosi nelle coperte.

Eric la guardò, e per un istante quella situazione gli sembrò irreale. Sapeva che avevano a diposizione poche ore di sonno e che, ogni secondo passato con lei su quel letto, era una vera e propria tentazione. Decise di spegnere la luce da un interruttore sul muro, vicino al suo comodino.

-Aria?-

-Mmh?-

Era stesa su un fianco, gli occhi già chiusi, girata verso di lui e con le mani nascoste sotto al cuscino.

Fece un sospiro e sorrise, sicuro di non essere visto. -Buon compleanno!-

Nel buio della camera, stretta fra le lenzuola, Aria sorrise…

 

E così, quando mancava poco più di un’ ora al suono della sveglia, Eric si ritrovava seduto sulla poltrona a contemplare il proprio letto occupato. Era rincuorante averla lì, ed avere un respiro da ascoltare nel silenzio della notte, mentre a lui non restava altro da fare che attendere che la stanchezza lo facesse crollare nell’abbraccio del sonno.

Purtroppo era riuscito a dormire solo due o tre ora al massimo, e già prevedeva il mal di tasta che lo avrebbe assillato per tutta la mattina, perciò si decise ad alzarsi e a raggiungere il letto.

Forse sarebbe riuscito a riaddormentarsi, spense la luce ancora a terra e si infilò piano fra le coperte, attento a non svegliare la ragazza. Quando mise la testa sul cuscino si sentì subito meglio, poi si voltò verso Aria e rimase ad osservarla dormire per qualche istante, illuminata dal chiarore della luna che attraversava le finestre. Le prese la mano che teneva sul cuscino e l’accarezzò di sfuggita, prima di concentrarsi sul ritmo confortante del suo respiro, e abbandonarsi, finalmente, al sonno.

 

Si risvegliò a causa dalla luce del sole che entrava prepotentemente dalle vetrate, e per il rumore di acqua che sorre.

Aprì timidamente gli occhi e, ancora assonnata, memorizzò i dettagli della stanza e ricordò dove si trovava. Il letto le offriva ancora un riparo caldo e confortante, perciò si strinse alla trapunta e chiuse ancora gli occhi, abbandonandosi sul cuscino. Allungò poi il braccio verso l’altra metà del letto, sentendo le lenzuola tiepide e, per istinto, si spostò verso quella parte e mise la testa sull’altro cuscino, respirandone a pieno il profumo.

Era l’odore di Eric.

Eric.

Aprì gli occhi di scatto e, dal rumore di acqua che continuava a sentire, capì che lui era in bagno sotto la doccia. Decise perciò di restare lì ancora per qualche secondo, avvolgendosi sempre più sotto la trapunta. Prese un profondo respiro e assaporò gli odori del cuscino di Eric, percependo un misto di odori puramente maschili, da uomo, odore di sudore e il profumo degli alberi. La palle di Eric, forse per i prodotti da bagno che usava, aveva l’aroma di corteccia d’albero e foglie bagnate. Lo sentiva ogni volta che la baciava o, semplicemente, quando gli stava vicino.

Si mise a sedere sul letto e si guardò intorno, passandosi una mano sulla fronte.

Eric.

Aveva smesso di negare e di lottare, lui la prendeva con la sua forza e lei lasciava che accadesse. Ma non era debolezza la sua, al contrario, per la prima volta si sentiva in grado di lottare ad armi pari. Non doveva nascondersi, non doveva sopprimere ciò che provava per paura di affidare il suo cuore nelle mani di qualcuno che glielo avrebbe restituito distrutto. Era lei la padrona del suo cuore e, se per tutto quel tempo gli aveva impedito di battere, con Eric lasciava che i suoi battiti esplodessero. Non le importava come sarebbe finita, era brava a rialzarsi dopo una caduta, l’unica cosa che le importava era quella sensazione di estremo benessere che le davano le sua braccia forti. Mai nessuno l’aveva fatta sentire in quel modo, si era sempre sentita debole e priva di protezione, e così era sempre pronta a combattere. Ma con Eric, non solo si sentiva lei stessa più forte e sicura di sé, ma si sentiva anche al sicuro e sotto la sua protezione, con lui sapeva solo deporre le armi perché non c’erano ragioni per combattere.

E lei era stanca di combattere.

Non era più fra gli Eruditi, perennemente fuori posto, quello era il passato. Nel presente lei era perfettamente a suo agio. Nessuno l’avrebbe più criticata e, soprattutto, non era più sola.

Poiché aveva sempre criticato il modo di agire della sua vecchia fazione, capì che quello non era il momento per fare la scelta più logica, ma per seguire l’istinto.

Se avesse sbagliato sarebbe stata pronta a pagarne le conseguenze, ma almeno avrebbe seguito il suo cuore e si sarebbe goduta a pieno quelle emozioni, senza perdersi più niente.

E avrebbe creduto, per la prima volta, in qualcun altro.

Sentì il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e, consapevole, si lasciò scivolare giù dal letto. Percorse la strada che la divideva dalla porta del bagno a piedi nudi, sentendo il freddo del pavimento che le saliva lungo la schiena. Quando arrivò, mise la mano sulla maniglia e, nonostante tremasse da capo a piedi per la paura di fare la mossa che il cervello etichettava come quella sbagliata, aprì la porta.

 

Il getto dell’acqua era potente e serviva a lavare via tutti i cattivi pensieri e alleggerirlo, se possibile, dalle ore di sonno passate in bianco. Era riuscito a rimettersi a letto e a riaddormentarsi, per poco tempo, ma sentiva il bisogno di una doccia rigenerante, prima di iniziare una lunga giornata, e prepararsi all’incontro con Quattro dopo la sua vittoria a ruba bandiera.

Il rumore dell’acqua era forte e gli copriva le orecchie, ma mentre si lavava il viso, sentì qualcosa e decise di voltarsi verso la porta. Ciò che vide, non solo lo stupì, ma impedì al suo cuore di continuare a battere regolarmente.

Fu assalito da un calore soffocante quando, dalla piccola fessura della porta semiaperta, vide fare capolino la figura esile di Aria. Vide due grandi occhi blu fissarlo, spalancati e pieni di paura.

Ma non era solo paura la sua.

Vide la mano che teneva saldamente la maniglia della porta, e quegli occhi con cui continuava a guardarlo, senza osare abbassarli su qualcos’altro, apparivano come quelli di una bambina.

Eppure dentro vi erano intrappolate mille emozioni, troppo forti per essere quelle di una piccola innocente.

Lei non era innocente.

Eric era consapevole di avere un’ espressione ancora assonnata e anche un po’ brusca, ma le fece segno con la testa di raggiungerlo, per spezzare l’incanto che la immobilizzava. La vide sussultare, eppure entrò nella stanza e chiuse la porta.

Avanzò verso la doccia, sfilandogli davanti, e si fermò proprio davanti a lui mettendo i piedi sul tappeto. Non osò guardarlo, mentre si liberava della canottiera che indossava, rimanendo in biancheria. Il cuore gli andò in gola e il sangue abbandonò il suo cervello quando la vide sfilarsi il reggiseno nero, e lanciarlo poco distante.

Avrebbe tanto voluto essere più discreto e non metterla in imbarazzo guardandola in quel modo, ma non poteva farne a meno, ogni suo pensiero si concentrò su di lei mentre si faceva scivolare le mutandine lungo le gambe pallide. Voleva tanto farla sentire a suo agio, essere dolce con lei, ma la bestia imprigionata nel suo petto non era più in grado di controllarsi. Per troppo tempo aveva soffocato ogni suo istinto, ma vederla nuda annebbiò ogni sua capacità di ragionamento logico.

La vide tremare leggermente mentre guardava l’apertura della doccia, così fu lui a fare scorrere la porta di vetro leggermente appannato, e ad allungare una mano verso di lei per aiutarla ad entrare.

Quando lei prese la sua mano, fu sua.

La trascinò dentro con fin troppo impeto, richiuse il vetro e la imprigionò fra le braccia, stringendola e baciandola con tanta forza che temette di farle male sul serio. Ma non era sua la colpa, la colpa era di Aria che lo provocava e lo sfidava in quel modo senza la benché minima paura. Era stata lei a presentarsi a lui, a spogliarsi e a farsi intrappolare.

La mise contro una parete piastrellata, e seguì l’acqua che scorreva sui loro corpi, toccandola e accarezzandola senza alcun riguardo.

Era davvero intenzionato a fare piano con lei, ma resistere era impossibile. La baciò sul collo, strinse i suoi seni e poi scese con le mani sulle curve dei suoi fianchi e sulle cosce. Baciò le sue labbra e assaporò la sua lingua mentre lei, con le sue mani non più tremanti, gli faceva scorrere le dita sul petto e sugli addominali. Sentì quelle mani scendere sotto la sua pancia, e lasciò che lo toccasse a suo modo e con i suoi tempi, senza dirle nulla e senza fretta.

La fratte gli era passata, voleva fare tutto con calma.

Stavano prendendo confidenza con i loro corpi, assaggiandosi e scoprendosi, Eric non si preoccupava nemmeno di soddisfare il suo piacere, troppo impegnato com’era sulla pelle di Aria. La guardò negli occhi e la perse dalle spalle, non aveva più paura, adesso anche lei era pervasa dal desiderio. La morse sul collo e si accorse del piccolo ghirigoro che aveva disegnato, ricordandosi di una parte di tatuaggio sulla schiena che non aveva ancora visto.

La fece voltare, e lei appoggiò le mani sulle piastrelle, mentre sentiva la mano di Eric accarezzarle la schiena e inseguire le onde del suo tatuaggio.

Perché era quello che si era tatuata, una serie di onde marine.

Oltre al piccolo disegno sulla base del collo, Aria aveva una linea stilizzata e sottile di ghirigori e onde che si intrecciavano e si sovrapponevano. Il tragitto delle onde stilizzate seguiva la spalla e la scapola, si avvicinava alla nuca e poi scendeva in diagonale verso le costole, per riaprirsi ancora in una curva che ritornava sul fianco sinistro. In complesso formava un numero tre, che le decorava la parte sinistra della schiena, creando un forte contrasto tra la sua pelle candida e il nero dell’inchiostro.

-Perché?- chiese Eric con voce rauca, inseguendo ancora con lo sguardo gli arabeschi d’acqua. 

-Perché mi rappresenta,- Gli rispose voltandosi, per accarezzargli poi il viso. –Vogli essere libera senza che nessuno possa mai incatenarmi, come acqua che scorre.-

Eric le prese la mano tra le sue e se la portò alla labbra, per posarvi un piccolo bacio. Sollevo il suo sguardo spietato su di lei e la fissò intensamente.

-Poi essere libera quanto vuoi, ma ricordati che mi appartieni.- Disse.

E, sotto il getto insistente e caldo della doccia, Eric la baciò, sentendo i loro cuori che battevano all’ unisono.

Liberi, e finalmente sereni.

 

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Capitolo 12
*** Dove fa più male ***


12. Dove fa più male

 

 

 

Da oltre la tavola, Sasha la guardava con le sopracciglia contratte ed una mano sotto il mento. Abbassava lo sguardo solo per dare qualche morso alla brioches che aveva scelto per colazione, e poi tornava a fissarla. I secondi passavano a la sua amica non le toglieva gli occhi di dosso, iniziando quasi ad incupirsi, tanto era lo sforzo che stava compiendo per cogliere qualsiasi sua incertezza.

-Tu non me la racconti giusta…- le disse.

Aria sorrise e scosse la testa. –Te l’ho già detto, avevo bisogno di stare da sola e sono andata a fare un giro, e alla fine mi sono addormenta in palestra.-

-Quindi mi stai dicendo che, dopo una passeggiatina notturna, ti sei messa a dormire a terra invece di ritornare nel dormitorio?-

Alzò gli occhi verso Sasha è capì che non credeva ad una sola parola.

-E dimmi,- continuò la bionda, abbandonando la sua colazione nel piatto. –È stato dormire per terra che ti ha messo così di buon umore?-

Il pezzo di crostata che stava mangiando le andò di traverso. Aria riprese fiato e la guardò con un sorriso tranquillo. –Come dici?-

A quel punto Sasha ebbe la conferma che mentiva. –Vai a raccontare le tue storielle a qualcun altro, a me non mi freghi!-

-Insomma cosa c’è che non va? Ti ho detto la verità!- provò, nascondendo una risata.

-Sei entrata in mensa con un sorriso da orecchio e orecchio e, per quanto tu ci possa provare, non credo che troveresti qui dentro una sola persona che potrebbe dire di averti visto quello stesso sorriso altre volte. Io non me lo ricordo di certo!-

-Adesso è vietato sorridere?- Chiese, cercando di cambiare argomento. Da quando Sasha era tanto perspicacie? Era forse cresciuta fra i Candidi, e aveva imparato a scovare le bugie nel viso degli altri?

-Fammi il piacere!- disse, facendo roteare gli occhi. –A volte sei talmente tanto pensierosa che metti paura, per non parlare della luna storta con cui ti svegli certe mattine. Non sai che fatica faccio quei giorni, devo provarle tutte per farti fare almeno un sorrisetto. Anche uno piccolo!-

-Meno male che ci sei tu Sasha…- le rispose, con il più abbagliante, e pure più finto, dei sorrisi che riuscì a fare.

-Piantala!-

Aria tornò al suo pezzo di crostata, sbuffando. Sasha poteva indagare quanto voleva, ma non poteva dirle la verità.

-Perché sei andata a dormire da sola?- provò, con un tono di voce più deciso.

-Il mio compleanno mi mette tristezza, avevo bisogno di pensare…- Finite quelle parole, Aria ebbe un tuffo al cuore.

Non riusciva a credere alla semplicità con cui si era lasciata scappare quella confessione, usandola come scusa, per giunta. Sapeva che se si fosse mostrata debole, Sasha l’avrebbe smessa con le domande ma, oltre a ritenere assurdo usare quella verità come scusa, non riuscì a capire come avesse fatto a pensarci nonostante la felicità che aveva ancora addosso.

La mattinata con Eric l’aveva caricata positivamente, aveva ancora i brividi e, al pensiero dei momenti che avevano condiviso, quasi arrossiva, oppure le veniva un sorriso ebete. Eppure, nonostante il suo riparo fra le braccia di Eric, i suoi incubi erano arrivati a tormentarla quando meno se l’aspettava.

Come una spada infuocata il suo malessere le aveva attraversato il costato e, senza che se ne accorgesse, aveva ammesso a voce alta la verità che aveva quasi dimenticato.

Per tutta la sua vita, aveva odiato l’arrivo del giorno del suo compleanno e, ogni anno, si ritrovava sempre ad affrontare i suoi tormenti da sola. Ricardava torte e candeline, regali incartati e sorrisi festosi.

E il senso di solitudine che l’invadeva.

Ogni anno, per un motivo o per un altro, si ritrovava sempre in lacrime proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto essere felice di festeggiare.

-Sono successe sempre cose brutte per il mio compleanno…- decise di confessare, come se quel macigno che aveva in gola fosse troppo pesante da mandare giù, e avesse avuto bisogno di mandarlo fuori con le parole.

Piano piano la sua corazza si stava indebolendo, prima aveva fatto avvicinare Eric, e adesso sentiva il bisogno di confidarsi con Sasha. I tempi in cui si rifugiava in sé stessa, sfuggendo al contatto con gli altri, stavano finendo. Evidentemente, la forza degli Intrepidi le stava entrando in circolo.

-Potevi dirmelo subito.- le disse Sasha, con uno sguardo gentile e un sorriso rincuorante.

Come immaginava, la curiosità dell’amica era sparita, sopraffatta dal suo animo pacifico, sempre pronto e far sorridere gli altri.

Le mise una mano sulla sua, sopra il tavolo. –Se ne vuoi parlare, con me puoi farlo…-

In passato, come era già successo, Aria si sarebbe arrabbiata per quella proposta di aiuto. Avrebbe reagito male, abituata com’era a difendersi da sola con le unghie e con i denti, senza chiedere mai aiuto a nessuno per non dimostrare nessun punto debole. Ma le cose stavano cambiando e, per quanto fosse spiacevole ammetterlo, aveva bisogno di mantenere Sasha distratta.

-Per il momento voglio solo smettere di pensarci ed essere felice, ma grazie.- Provò a sorridere.

Sasha batté le mani sotto al mento e tornò all’attacco. –Di questo non devi assolutamente preoccuparti. Abbiamo la mattina libera dagli allenamenti, e anche il pomeriggio, preparati a passare una giornata con i fiocchi.-

Aria sorrise, fino a quando la sua attenzione non fu richiamata dalla persona che aveva fatto il suo ingresso nella sala. Era un ragazzo alto, muscoloso e con i capelli molto corti.

Registrò i suoi occhi color fumo e i suoi tatuaggi sulle braccia, seguendo poi le linee che aveva disegnate sul collo, mentre il suo cuore mancava di un battito. Sentì mille brividi sulla pelle, e non riuscì a fare a meno di sorridere.

Eric era entrato insieme ad altri ragazzi e, quando incrociò il suo sguardo, fece un piccolo sorriso che solo lei riuscì a vedere, prima di distogliere lo sguardo e andarsi a sedere ad un tavolo con i suoi compagni. Anche Aria abbassò subito lo sguardo, per evitare che qualcuno si accorgesse di qualcosa, ma il sorriso che aveva sulle labbra non scomparve.

Sasha vide il suo sorriso e, per pura curiosità, si voltò a guardare nella direzione verso cui guardava lei poco prima, seguendo Eric che rideva con i suoi amici mentre raggiungevano il tavolo che avevano scelto.

-Guarda un po’!- disse la bionda. –Eric è di buon umore proprio oggi che non ci sono allenamenti. Non poteva esserlo quando ha appeso Christina sullo strapiombo, o quando ci faceva combattere fino allo svenimento?-

Aria sussultò.

Come se un fulmine le avesse attraversato la mente, Sasha sollevò lo sguardo su di lei per poi girarsi a guardare un’altra volta Eric. Chiaramente stava facendo due più due, ma poi la vide scuotere violentemente la testa, come se l’idea che le si era formata davanti fosse decisamente troppo assurda.

Mai dubitare del proprio istinto.

Aria fece un respiro di sollievo e, mentre la bionda riprendeva a mangiare, la sua attenzione venne catturata da Peter seduto nel tavolo vicino.

Il ragazzo dai capelli neri era rigido come una statua, troppo concentrato a studiare Eric seduto poco distante, per ricordarsi di respirare. Aveva gli occhi puntati sul capofazione, quasi non batteva ciglio. Poco dopo Aria si ritrovò quegli stessi occhi di falco puntati contro, ma qualcosa le disse che il ragazzo non si fosse voltato verso di lei perché si era sentito osservato, ma per un altro motivo.

Mentre la guardava, Peter assottigliò lo sguardo.

 

Il punteggio di ogni iniziato, interno ed esterno, veniva calcolato tenendo conto delle esercitazioni affrontate e, soprattutto, in base agli scontri che erano stati sostenuti. Al termine del primo modulo d’addestramento, la classifica generale mostrava i nomi di tutti gli iniziati, e decretava coloro che avrebbero dovuto abbandonare l’iniziazione. I migliori potevano vedere i loro nomi scritti in bianco, e magari nei primi posti ma, per quelli il cui nome era scritto in rosso, si presentava un futuro fra gli Esclusi.

Aria aveva dato il meglio di sé in ogni esercitazione, distinguendosi sempre. Per quanto riguardava i combattimenti, aveva affrontato solo i trasfazione. I figli degli Intrepidi si allenavano separatamente, affrontandosi fra di loro, ma contro gli interni aveva sempre vinto lei tranne che contro Edward.

Non aveva combattuto contro tutti naturalmente ma, in base ai duelli sostenuti, era stato comunque possibile calcolare le loro effettive capacità.

Il primo della classifica era proprio Edward, seguito da Peter e da un iniziato interno di nome Uriah, loro tre avevano conquistato il podio. Aria vide il suo nome al quinto posto e, pur sentendosi estremamente soddisfatta del risultato ottenuto, provò un profondo dispiacere per non essere riuscita a fare di meglio.

Era ambiziosa ed aspettava quel momento da tutta la vita, non era pronta ad accontentarsi di essere passata al secondo modulo, voleva essere la migliore.  Vedere però che era la prima fra le ragazze, proprio davanti a Molly, la fece comunque sorridere.

Sasha era passata, ma era fra gli ultimi posti. La sua amica non era ambiziosa come lei, infatti la vita esultare di felicità, e anche lei sorrise.

-Non pensi che manchi qualcosa?-

Aria rabbrividì.

Abituata com’era a sfuggire al contatto umano, già di per sé sentire qualcuno che le alitava sul collo era qualcosa che non sopportava. Ma, riconoscere in quella voce il suo rivale Peter, le fece rivoltare lo stomaco.

Tutti gli iniziati erano ammassati davanti alla classifica, Aria era accanto a Sasha, ma aveva altre persona attaccate al braccio e davanti. Nonostante tutto quel contatto fisico, sentire la propria schiena contro il petto di Peter le fece salire il sangue al cervello, accecandola dalla rabbia.

Lo ignorò, non capendo cosa volesse da lei, e sollevò lo sguardo sulla balconata che affacciava sulla palestra. Lì sopra erano radunati i cinque capifazione e gli istruttori degli iniziati esterni e interni, Quattro e Lauren. Si trovavano sulla passerella che spesso i capi usavano per supervisionare gli addestramenti.

Saldamente aggrappato alla ringhiera, quasi stesse per cadere di sotto, c’era Eric. Un uomo dai capelli ingrigiti gli era al fianco, ma Aria non riuscì a vederlo in viso dato che era di spalle. Capì ugualmente che gli stava dicendo qualcosa e, più parlava, più Eric impallidiva.

Aria storse il naso, chiedendosi cosa mai poteva avergli detto quell’uomo per sconvolgere tanto uno come Eric. Il più giovane dei capi non era facilmente impressionabile, ma il modo in cui spalancò gli occhi quando l’altro capo si allontanò, dopo avergli detto un’ ultima frase, le lasciò una sgradevole sensazione.

Senza alcun preavviso, Eric fece scattare il suo sguardo tra la folla, e lei capì che la stava cercando ma, quando i loro occhi si incrociarono, l’attenzione del ragazzo si spostò immediatamente sulla figura dietro di lei. Peter le era ancora vicinissimo, ed Eric studiò proprio il modo in cui le era attaccato alla schiena. Lo trapassò con un’ occhiata talmente cupa e terrificante che, non solo Aria si stupì di non vedere Peter dissolversi in cenere, ma dovette guardare altrove, tanta era la paura che provò. Non aveva mai visto Eric in quel modo, lo aveva visto prendersela con gli iniziati, minacciarli.

Ma non aveva mai visto quello sguardo così arrabbiato.

Per un attimo ebbe seriamente paura per la vita di Peter, e si chiese se fosse davvero necessario guardarlo in quel modo solo perché le si era avvicinato troppo ma, la sua mente brillante, le disse che la reazione di Eric non era solo gelosia.

Si chiese cosa avesse fatto Peter di tanto sbagliato per guadagnarsi quell’ira, e cosa aveva detto l’altro capo ad Eric per sconvolgerlo tanto.

Poi Eric scappò via, e lei smise di pensare.

-Che cosa vuoi, Peter?-

Gli iniziati erano ancora davanti alla classifica a festeggiare, mentre quelli che non avevano superato il modulo venivano allontanati da alcuni Intrepidi adulti.

Peter, dietro di lei, sghignazzò.

-Eric era troppo impegnato a scoparti, per ricordarsi del nostro incontro sospeso?-

Un dolore mai provato prima le esplose nel petto.

Spalancò gli occhi e trattenne un fremito, resistendo anche all’impulso di portarsi una mano al petto, dove il suo cuore aveva avuto un sussulto tanto forte da farle male.

In un solo istante, come una lama infuocata, la consapevolezza di quello che era successo l’attraversò. Ogni cosa andò al suo posto e, la sua mente da Erudita, le presentò in maniera dettagliata tutto ciò che era accaduto realmente.

Rivide Eric aggrappato alla ringhiera e l’altro capo che gli diceva qualcosa, pensò alla sua espressione storpiata dal terrore, e poi ricordò l’allusione fin troppo precisa di Peter.

Proprio Peter, che era tanto abile a fare il lecchino per eccellenza dei capifazione, e che non voleva altro che mettersi in mostra per diventare un giorno un comandante.

Si voltò, consapevole dell’espressione stravolta che le alterava i lineamenti, ma non le importava. I suoi occhi non vedevano altro che quel volto strafottente.

-Che cosa hai detto?- sibilò, non tanto per intimorirlo, ma perché non riusciva a parlare in altro modo.

Nessuno dei ragazzi che gli erano attorno fece caso a loro, nemmeno Sasha, troppo impegnata a festeggiare.

Peter rise nel modo più odioso che poteva immaginare. –Non ti ricordi del nostro combattimento fermato a metà? Eric non ci aveva interrotti, per farci combattere ancora quando saremo stati abbastanza bravi da fare sul serio?-

Aria lo guardò, ma non lo vedeva realmente, vedeva solo rosso. –Non mi riferivo a quello, come osi fare insinuazioni di quel tipo, se non sai niente?-

Il ragazzo sorrise malefico e, capendo le sue parole, osò metterle un braccio attorno al collo. Sconvolta com’era, Aria non si oppose, si limitò a guardarlo di traverso e ad incanalare la rabbia.

-Ti svelo un segreto,- Le alitò in un orecchio. –Per sopravvivere qui dentro devi essere furbo, e qui le informazioni vengono pagate molto bene…-

-Informazioni?- Aria si sentiva soffocare.

-Dove hai passato la notte, cervellona?-

La sua rabbia esplose come un vulcano, e la lava le incendiva le vene. Non vide più nulla, si liberò del suo abbraccio e gli mise entrambe le mani attorno al collo.

-Cosa vuoi da me?- gli ringhiò ad un palmo da viso, furiosa come poche volte in vita sua.

Alcuni degli altri iniziati si voltarono di scatto verso di loro ma, un po’ perché fra gli Intrepidi i litigi erano all’ordine del giorno, un po’ perché nonostante la rabbia tutto appariva sotto controllo, nessuno fece niente.

Sasha però si allontanò dal resto del gruppo e raggiunse lei e Peter, che si erano spostati nel fondo della fila.

-Voglio che combatti con me, perché voglio fartela pagare per quella volta che mi hai preso a pugni davanti scuola.-  Disse Peter, sostenendo il suo sguardo.

Non aveva neppure bisogno di scrollarsela di dosso, non gli faceva per niente paura.

Aria serrò i pugni ai lati del suo collo, tanta era la rabia. –Vuoi combattere?-

-Volevo farlo sul ring in maniera ufficiale, per umiliarti, come tu hai fatto con me quella volta. Mi hai fatto fare la figura dello stupido per essermi fatto picchiare da una donna, ma non sei più forte di me, mi hai solo colto alla sprovvista.- Peter si decise a spintonarla via, togliendosi le sue mani dal collo. –Ma il tuo amico Eric ha barato, forse non voleva che ti spaccassi la testa. Aveva paura di vederti piangere?-

Il primo schiaffo partì, muovendo la mano di Aria con forza verso la guancia del ragazzo.

Peter piego la testa da un lato per lo schiaffo, ma rise di gusto. –Pensi che i punteggi in classifica sarebbero stati gli stessi se, quella volta, non avesse interrotto lo scontro? Io avrei una vittoria in più, e tu una in meno.-

-Sei secondo in classifica, sei davanti a me, che altro vuoi? Nessuno ha barato e, se vuoi batterti con me, fallo!-

Peter le prese un polso senza che lei potesse impedirglielo, e lo strinse con forza. –Aspettavo da tanto questo momento, per pareggiare i conti.-

Aria serrò le labbra e trattenne il dolore al polso, rifiutandosi di toglierlo alla presa del ragazzo e dargli la soddisfazione di averle fatto male. –Cos’ hai detto ai capi?- sibilò a denti stretti.

Dal sorriso che Peter le mostrò, capì che non aspettava altro che quella domanda. –Ho solo detto ad uno di loro lo strano atteggiamento che avevate tu ed Eric, e che questa notte non eri nel dormitorio.-

Aria spalancò gli occhi dalla rabbia.

-Dovevi essere più furba, magari potevi nascondere i tuoi occhietti dolci ogni volta che Eric arrivava…-

Quando Peter parlò, Aria liberò il polso dalla sua presa e lo colpì con un pugno al viso.

Gli altri ragazzi lasciarono la palestra, senza fare caso a loro rimasti indietro. Vicino a lei, Sasha assunse una strana espressione.

-Questo è l’ultimo pugno che mi dai, cervellona!- disse Peter, realmente minaccioso per la prima volta.

Aria si spostò da lui e si preparò per combattere.

-Non dovete farlo…- Disse piano la bionda, facendosi notare.

Si voltò verso l’amica e, ancora infuriata, la guardò. –Vai via Sasha…-

-Ma Aria...-

-Vai!- le disse sgarbatamente. –So quello che faccio!-

Sasha strinse le labbra, abbassò lo sguardo e se ne andò. Aria, tuttavia, capì che non sarebbe stata perdonata tanto facilmente.

Mentre guardava gli altri uscire e la palestra svuotata, Aria si sentì afferrare dai capelli e un braccio le passò intorno al collo.

-Adesso siamo soli…- Disse Peter, stringendo la presa.

La ragazza si sentì soffocare.

Carica di rabbia e coraggio, diede una gomitata allo stomaco del ragazzo e si liberò della sua presa. Decise di dargli anche un calcio, sfruttando l’occasione e ci riuscì.

Peter non demorse però e, con decisione, l’afferrò da un braccio e la prese a pugni tenendola ferma. Un colpo la prese al viso, l’altro al fianco e il terzo sulla spalla. Riuscì a schivare l’ultimo pugno, liberandosi con uno strattone.

Il polso che poco prima Peter aveva stretto le doleva, e i pugni presi le avrebbero lasciato dei lividi e facevano male sul serio. Di sicuro l’avrebbero rallentata e, in preda al dolore, capì che avrebbe perso e che lo aveva sempre saputo. Non poteva battere Peter, e se anche Eric lo avesse capito e si fosse rifiutato di farli combattere ancora proprio per proteggerla?

Gli occhi le pizzicarono e calde lacrime minacciarono di caderle sulle guance, ma si trattenne. Non poteva essere vero, Eric non avrebbe mai annullato uno scontro solo per lei.

Arrabbiata, rifiutandosi di accettare che fosse quella la verità, mise tutta la forza che le restava in una gamba e cercò di dare un calcio all’addome del ragazzo.

Ma Peter fu più veloce, e le sue mani si serrano sulla sua caviglia, bloccando il calcio.

Quando il ragazzo rise, Aria cercò di liberare il piede, ma fallì. Il secondo dopo Peter stritolò la sua caviglia e la costrinse in una posizione innaturale con uno scatto, divertendosi poi a torcerla e a tirarla con forza.

Aria urlò di dolore, provò a farlo smettere ma non ci riusciva e, mentre si lamentava per il male, cadde a terra.

A quel punto Peter la lasciò andare e le diede un calcio fra le costole, facendola tossire. Il dolore che provava in tutto il corpo era molto forte, ma la caviglia faceva un male davvero insopportabile. Sentì gli occhi inumidirsi, e poi una voce.

-Che state facendo? Fermatevi subito!-

Due uomini avanzarono verso di loro, uno era un ragazzino smilzo con la testa rasata, e l’altro un uomo con i capelli brizzolati. Era ancora a terra, tutta dolorante, ma capì che quello che aveva appena parlato era il capofazione che aveva visto con Eric poco prima.

Peter si paralizzò di colpo e indietreggiò, con una strana espressione in viso.

-Stavate forse combattendo senza permesso?- chiese l’uomo.

Aria, lentamente, cercò di rialzarsi. Aveva la vista offuscata dalle lacrime che non voleva versare, e la caviglia faceva così male che avrebbe solo voluto urlare.

-Non disturbarti cara ragazza, rimani a terra!- disse l’uomo, avvicinandosi.

Sentì, dal tono di voce usato, che il nuovo arrivato era serio e carico di rabbia. Lo vide avanzare verso di lei e, quando lo sentì fermarsi proprio vicino al suo fianco, rabbrividì.

Aria non si era mossa, era ancora stesa a pancia in giù, la caviglia dolorante abbandonata malamente e le mani aperte sul pavimento freddo. Sollevò la testa e notò tre cose, principalmente. La prima era lo sguardo carico di disprezzo con cui il capofazione la squadrava, la seconda era l’espressione spaventata di Peter, che faceva scorrere lo sguardo da lei all’uomo con ansia.

La terza, fu la bacchetta nera che l’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni.

Tirandola da parte a parte con entrambe le mani la fece allungare, rendendola una verga di metallo che luccicava sotto le luci al neon.

-Chi disubbidisce alle regole va punito, mia cara…- sussurrò minaccioso.

Senza sapere perché, Aria capì che non si riferiva al loro combattimento non autorizzato, e che era lui il capofazione a cui Peter aveva detto di lei ed Eric.

L’avrebbe punita per qualcos’altro.

Quando il colpo partì, la ragazza sentì distintamente la linea infuocata delinearsi sulla sua schiena. Serrò i pugni e si lasciò sfuggire un gridolino di dolore, quando venne colpita da quella verga.

-Direi che dieci frustate potrebbero andare bene, non trovi?-

Peter sussultò alle parole dell’uomo. –Non erano questi gli accordi…- disse coraggiosamente.

Il capo si voltò verso di lui e fece una smorfia di disappunto. –Perché? Hai qualche problema se le do quello che si merita?-

Peter prese un profondo respiro. –Pensavo avreste punito lui…-

Il sorriso crudele che piegò le labbra del capo fu tanto oscuro quanto ambio. –Oh, non temere ragazzo, anche lui subirà la sua punizione…-

Quando la seconda frustata le colpì violentemente la schiena, Aria si lasciò sfuggire il secondo urlo soffocato, mentre si mordeva le labbra per il dolore.

Poi sentì lui.

-Cosa sta succedendo qui?-

Quando sentì la voce di Eric attraversarle il cuore e rimbombare nella palestra, Aria si abbandonò con la fronte sul pavimento e, non per il dolore, le lacrime che fino a quel momento aveva trattenuto scesero lungo le sue guance.

Cercando di concentrarsi solo sul rumore dei passi di Eric che avanzava, senza considerare il sorriso maligno con cui l’uomo dai capelli grigi aveva accolto l’arrivo dell’altro capofazione, Aria capì che c’erano dolori peggiori di quelli fisici.

Una ferita sulla pelle guarisce, una all’anima, dove fa più male, non passa mai. Se la sua punizione sarebbe stata fisica, ad Eric sarebbe andata molto peggio.

 

 

 

 

 

 Continua…

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Capitolo 13
*** Dentro e fuori ***


13. Dentro e fuori

 

 

 

Nel momento esatto in cui la vide per terra, in quel modo, capì che non avrebbe potuto fare nulla per salvarla, e che la situazione poteva solo peggiorare.

Si avvicinò, sentiva sulla pelle qualcosa che non aveva mai provato. Se fosse stata semplicemente paura, l’avrebbe riconosciuta. Se fosse stata solo rabbia, avrebbe saputo come combatterla. Se fosse stato dolore, lo avrebbe superato.

Era l’unione di quelle tre emozioni che non sarebbe mai riuscito ad affrontare. All’altezza dello stomaco sentiva una morsa tanto ferrea da rendergli faticoso persino respirare, e la mente non faceva che lanciargli segnali di pericolo.

Vide Aria stesa per terra e notò subito una delle sue caviglie capendo, dalla posizione in cui la teneva, che si era fatta male. Poi abbassò gli occhi sulla sua schiena, e dovette deglutire per respingere l’impulso di uccidere qualcuno.

Indossava una canottiera nera e, dalle parti di spalle che lasciava scoperte, Eric vide distintamente la linea rossa che le attraversava le scapole. Su di una spalla, il segno della frustata che aveva ricevuto, si stava aprendo là dove aveva trovato la carne più tenera, mostrando tracie di sangue.

Serrò la mascella con tanta forza che sentì i propri denti stridere e, poiché con la sofferenza non era mai stato in buoni rapporti, lasciò che fosse la rabbia ad invaderlo. Non era abituato a provare dispiacere, perciò non ne provo, sentì solo la furia di un’ ira ceca scorrergli nelle vene.

Senza la benché minima traccia di paura o dispiacere sollevò il mento, fissando il suo sguardo adirato in quello dell’uomo che gli stava davanti.

-Che cosa stai combinando, Finn?-

Solitamente Eric metteva paura a chiunque osasse sfidarlo, ma evidentemente quella era una caratteristica da affidare al più giovane dei capifazione tanto quanto a quello più anziano. Finn non perdonava, non trattava, agiva e basta e, nella maggior parte dei casi, le sue azioni spietate facevano parlare di lui a lungo.

Finn spalancò le narici dalla rabbia e fece un ghignò quasi divertito, che tuttavia voleva apparire minaccioso. E lo era, ma se si aspettava che Eric ne rimanesse impressionato si sbagliava di grosso. Avrebbe potuto farlo a pezzi con una mano sola, se solo quella fosse stata la cosa giusta da fare.

-Ho trovato questi due iniziati a combattere fra di loro senza alcuna autorizzazione.- Spiegò l’uomo, serio e impassibile. –E ho deciso di dargli la punizione che si meritano…-

Eric lo guardò in silenzio, iniziarono a fargli male le mandibole a furia di stringere, così si concentrò sui propri pugni e strinse anche quelli, controllando l’impulso di colpire l’altro capo.

-Hai qualcosa in contrario?-

Quando si sentì porgere quella domanda, Eric avrebbe voluto esplodere. Avrebbe voluto urlargli contro, afferrarlo e colpirlo senza alcuna pietà. Avrebbe voluto strappargli gli occhi dalle orbite e farglieli ingoiare, ma non lo fece.

Ciò a cui aveva pensato non appena era arrivato in palestra era vero, non poteva fare nulla per lei. Con un peso al petto, Eric dovette far defluire tutte le sue emozioni da dentro a fuori, svuotandosi completamente per non affondare. Sapeva sin dall’inizio come sarebbe andata, e la parte razionale di lui gli aveva impedito di compiere una sciocchezza.

Finn aveva saputo del suo interesse verso quell’iniziata da capelli neri e, poco prima, sulla passerella, gli aveva detto chiaramente che avrebbe fatto quanto in suo potere per fargliela pagare.

Il problema era che non poteva fare nulla, non c’erano prove, forse c’erano i filmati delle telecamere che sorvegliano la residenza, ma quelle non dimostravano il suo reale interesse. Mostravano loro due insieme, magari li avevano anche visti entrare nella sua camera, ma non c’era nulla che provasse il suo coinvolgimento emotivo. Da quando si buttava fuori un capofazione per una scopata, che poi non c’era nemmeno stata, con  una ragazza?

Per una voce che girava, e per qualche filmato nascosto, gli altri capi compreso Max lo avrebbero ammonito e strigliato a dovere. Magari ci avrebbero anche riso sopra, suggerendoli di essere più discreto. Se avessero avuto dei dubbi in più, avrebbero potuto chiedere a Quattro, scoprendo che nessun risultato in classifica era stato alterato.

Non aveva commesso un errore così grave e, se Finn voleva dirlo agli altri e voleva farlo punire per la sua distrazione, che facesse pure. Avrebbe accettato quello che gli spettava con coraggio, certo che avrebbe comunque mantenuto la sua posizione al comando.

Ma Finn, questo, lo sapeva benissimo.

Ecco perché, quel vecchio bastardo, si era trovato un altro modo per fargli del male, un modo molto più subdolo.

Se si fosse opposto, se fosse intervenuto in difesa di Aria, non solo avrebbe dimostrato il suo coinvolgimento emotivo, ma sarebbe andato anche contro al volere di un altro capofazione. Le decisioni prese da un altro capo, soprattutto se era in carica da più tempo, non andavano discusse o intralciate per nessuna ragione. E, se per una scappatella si poteva anche chiudere un occhio, non avrebbero mai tollerato il suo legame con un’iniziata.

Non poteva dare quel vantaggio e quella soddisfazione a Finn che voleva solo sfidarlo, che voleva che si scontrasse con lui per Aria, in modo da poterlo incastrare. Non aveva accettato l’idea di non poterlo mettere nei guai e, il sapersi inferiore fisicamente, doveva infastidirlo molto. Così ecco che cercava un modo per metterlo realmente in difficoltà, cercando di spingerlo a fare un passo falso.

Ma non ci sarebbe riuscito.

Te la fai con le bambine, gli aveva detto sulla balconata, per provocarlo.

Ma niente avrebbe intaccato il suo autocontrollo, non esisteva ancora qualcosa in grado di metterlo in difficoltà.

-Fai come vuoi!- rispose con strafottenza, mostrando solo la sua espressione più gelida.

Quando il colpo di frusta partì, schioccando ferocemente sulla pelle della schiena di Aria, Eric capì quali erano le vere intenzioni di Finn. L’uomo non voleva solo provocarlo, per ottenere un motivo per punirlo del suo errore.

Lo stava già punendo.

Sapendo che non c’era modo di fargli avere una pena per aver avuto una relazione con un’ iniziata, e che picchiare lui sarebbe stato a dir poco ridicolo e inconcludente, aveva trovato il modo per colpirlo nel profondo, dove faceva più male.

Quando l’ennesima frustata ferì la ragazza, facendola sussultare visibilmente, Eric strinse i pugni con tanta forza da farsi male, e si convinse che l’unica cosa che poteva fare era rimanere al suo posto. Se fosse caduto nella provocazione di Finn, e avesse perso il rispetto degli altri capi e magari anche il suo ruolo, si sarebbe ritrovato in una posizione sfavorevole.

Essere un capofazione non era solo un modo per ottenere dei vantaggi, ma era anche l’unico modo che aveva per sopravvivere alla guerra che ci sarebbe stata. Aveva da sempre desiderato di fare parte del comando della propria fazione e non voleva certo rinunciarvi ma, a dargli una motivazione in più, c’era la consapevolezza che aveva del futuro. Se la guerra che stavano programmando fosse scoppiata, l’unico modo che aveva per salvare sé stesso e la ragazza, era proprio quello di rimanere un capo.

Prese un respiro profondo, facendo una smorfia mentre guardava Finn e il suo ghigno arrogante, e si convinse che il dolore a cui lasciava Aria in quel momento, era un dolore che le risparmiava nel domani.

Al successivo schiocco causato da quella verga maledetta, Aria fece un piccolo balzo ed emise un gemito soffocato. Ed Eric credette di sentirsi male. Non era possibile spiegare altrimenti  il modo in cui la sua testa vorticò, né il dolore che avvertì al petto, doveva trattarsi per forza di un malessere.

Un ulteriore colpo su quella schiena delicata ed ebbe la certezza di stare male, male davvero. Fu come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco e la sua mascella ebbe un fremito.

Sollevò la testa e si sforzò di respirare, bastava inspirare ed espirare, e nient’altro. Non c’era bisogno di pensare a nulla, e non doveva pensarci, lasciare tutto fuori era più semplice ed era di vitale importanza. Finn non doveva vedere che, ad ogni colpo, anche lui sussultava con lei.

Non doveva vedere che era riuscito a turbarlo.

-Siamo a sette…- Disse senza preavviso l’uomo, fissando con disgusto la ragazza stesa a terra.

Quando Eric sentì Aria urlare, ebbe un fremito più violento degli altri, ed abbassò di scatto gli occhi su ciò che stava succedendo realmente.

Aveva tenuto lo sguardo fiero, alto, fissando un punto lontano, ed era stato un bene. Se avesse visto prima le condizioni in cui era Aria, probabilmente si sarebbe scagliato contro Finn e lo avrebbe ucciso con le sue mani.

La canottiera nera che indossava era inumidita da una sostanza viscida che riconobbe come sangue, linee rosse si vedevano sulla pelle scoperta. I piccoli tagli sanguinavano. Non riusciva a vederla bene in viso, dato che teneva la fronte vicino al pavimento e usava le mani per nascondersi.

Ma vide chiaramente le sue lacrime.

Finn era riuscito a farla urlare perché, evidentemente stanco del silenzio con cui Aria si rifiutava di manifestare il suo dolore, aveva trovato un modo per farle ancora più male. La sua canottiera lasciava scoperti i fianchi e la parte bassa della schiena, dove la pelle era più delicata e, con un colpo di frusta lì, le aveva strappato un grido disperato.

Finn la colpì ancora, sullo stesso punto, ma Aria fu più furba di lui. Si mise una mano in bocca e se la morse, piuttosto che gridare ancora.

E a quel punto Eric capì che non poteva farcela, Aria era sua, e sua non voleva solo dire che non poteva essere toccata da altri uomini, voleva anche dire che nessuno poteva farle del male senza scatenare la sua furia.

Mostrando, per la prima volta, tutta la sua rabbia, Eric ricambiò lo sguardo di Finn e lo sfidò a continuare. Non aveva paura di lui, né di quello che poteva dire agli altri capi.

L’ultimo colpo di frusta si abbatté sulla parte di schiena scoperta di Aria, lasciando una linea di sangue. Eric si rifiutò di guardare i segni delle frustate, e non volle pensare al fatto che, quella che indossava, era la stessa canottiera con cui aveva dormito con lui, nel suo letto, solo la sera prima.

-Vedi Eric,- disse Finn, passando una mano sulla verga metallica per ripulirla da qualche goccia di sangue. –Chi sbaglia deve pagare…-

Quando ripiegò la verga e sa la mise in tasca, il suo tirapiedi smilzo si staccò da Peter e si avviò per seguirlo. Finn, prima di andare, guardò un’ ultima volta Eric, potendo vedere la solita espressione impassibile che caratterizzava il più giovane dei capifazione.

Una volta che i due se ne andarono, Eric si accorse delle presenza di Peter, poiché quest’ultimo mosse un passo verso Aria.

-Ti ammazzo.- Gli ringhiò contro, muovendo un passo anche lui, ma verso il ragazzino.

Doveva fare qualcosa, o sarebbe esploso. Non aveva la forza per avvicinarsi ad Aria, non ancora, ma almeno avrebbe potuto fare del male e quel ragazzino che aveva osato fare la spia.

Come osava credere di potersi avvicinare a lei?

Peter si fermò e rimase a guardarlo con occhi terrorizzati, dandogli un certo piacere. Stava per prenderlo con le sue mani per fargliela pagare, ma una voce lo fermò.

-No, lascialo stare…-

Aria aveva parlato con voce talmente flebile, che credette che non sarebbe nemmeno riuscita a finire la frase. Sentire la sua voce lo riscosse.  

Guardò Peter, vedendo il suo stupore per quelle parole, e serrò i pugni prendendo un profondo respiro.

-Sparisci- gli ordinò.

Quando i passi di Peter si allontanarono, Eric rimase immobile come una statua, continuando a rifiutarsi di guardare la ragazza.

-Alzati.- Le disse, semplicemente perché non era capace di fare altro.

-Eric…- Sussurrò lei, sollevandosi a fatica sulle braccia tremanti. –Non ce la faccio.-

Sentirle invocare il suo nome in quel modo, lo scosse e lo attraversò come un brivido lungo la schiena. Quella non era la voce della sua lottatrice testarda, se le frustate non erano riuscite a farla gridare dal dolore, erano riuscite a spazzare via la sua parte combattiva, lasciando solo una ragazzina indifesa.

 

Quando Eric si voltò verso di lei, ad Aria parve che la vedesse realmente per la prima volta.

Lo vide sussultare appena prima di avvicinarsi a lei e, a quel punto, le si inginocchiò davanti.

-Riesci ad alzarti?-  le chiese con voce strana.

Scosse la testa. –La caviglia…-

Eric guardò la sua gamba e fece più cenni. –Vieni, ti prendo io.-

Ma, quando allungò un braccio verso le sue spalle, si scostò immediatamente. –No!- gemette. Se aveva intenzione di prenderla mettendole un braccio sotto le gambe e uno dietro la schiena, si era sbagliato di grosso.

Non poteva sopportare altro dolore sulle ferite.

Eric parve capire, così le si mise davanti offrendogli la sua schiena. –Cerca di salire sulle mie spalle, allora.-

Aria gli mise entrambe le braccia attorno al collo e, con il piede sano, si alzò insieme a lui. Poi gli avvolse le gambe alla vita ed Eric le mise le sue braccia sotto le ginocchia, per sostenerla.

Quando iniziarono a camminare, Aria si abbandonò completamente su di lui, appoggiando la fronte sulla sua spalla. Ma, un po’ per il dolore che aveva dentro e un po’ per il dolore che aveva fuori, scoppiò a piangere. –Mi dispiace Eric!-

Sentì il ragazzo irrigidirsi, ma non ottenne nessuna riposta.

-Sono stata una stupida, è tutta colpa mia…-

-Aria!- l’ammonì adirato. –Fammi il favore di stare zitta!-

Nascose il viso contro il suo collo e trattenne un gemito. –Mi dispiace, io…-

Ma Eric non parlò più. Continuò a camminare, ed Aria sentì solo il suo respiro accelerato.

-È colpa mia…-

-Non è colpa tua, stai zitta!-

Sentendolo urlarle contro in quel modo, Aria si zittì all’istante, tornando ad appoggiare la fronte sulla sua spalla.

Si avvicinarono alla fine delle palestra ma, prima di uscire, Eric si fermò e fece un profondo respiro. –Non è colpa tua,- disse con voce strana, la stessa con cui le aveva chiesto se riusciva ad alzarsi. –Ma la prossima volta che ti viene in mente di picchiare Peter, almeno spaccagli la faccia!-

Aria aprì piano gli occhi e guardò l’orecchio del ragazzo, dato che non riusciva a vedere altro. Gli strinse le braccia al collo e appoggiò la guancia nell’incavo della sua spalla, sentendo che la maglia che il ragazzo indossava si era bagnata a causa delle sue lacrime.

Continuarono a camminare, ed Aria si lasciò cullare dal ritmo del passo di Eric, fino a quando il dispiacere non si attenuò lasciando spazio al dolore. Strinse i denti quando, dopo un passo, sentì la pelle della schiena bruciare.

Eric respirò a fondo, ma non disse nulla.

-Fa male…- gemette lei, sforzandosi di non piangere, ma la voce le tremava.

-Lo so.- Fu la risposta.

Avrebbe voluto prenderlo a calci, magari con il piede sano dato che l’altro era già dolorante, per quella risposta così priva di sentimento. Dove aveva imparato a parlare in quel modo così asettico e freddo?

Strofinò la guancia contro la spalla di Eric, dato che lui l’aveva chiusa fuori e non voleva parlare, almeno avrebbe rubato quel poco contatto che poteva. Decise, in oltre, che non serviva a niente trattenere le lacrime, tanto lui non se ne sarebbe nemmeno accorto. Se l’avesse sentita sussultare, magari avrebbe creduto che era per il dolore. Il che era vero. Si sentiva così piccola ed indifesa che quasi avrebbe voluto urlare, Eric appariva sempre estremamente forte e sicuro, mentre, appesa alla sua schiena, lei sembrava solo una bambina. Piagnucolante per giunta.

-Dove andiamo?- chiese nel tentativo di distrarsi, ma il dolore le fece tremare ancora la voce.

-In infermeria.-

Lasciò cadere la fronte sulla spalla, rassegnata e ancora in cerca di contatto. Ad ogni passo del ragazzo la pelle sulla sua schiena si tendeva oppure strofinava contro la canottiera, e il dolore aumentava. Come se non bastasse, le faceva male il fianco, dove Peter l’aveva colpita.

La palestra era vicina all’infermeria, bastava attraversare un corridoio, che come al solito era deserto.

-Eric,- gemette piano. –Non hai paura che ci vedano?-

E, proprio quando si aspettava che Eric la mandasse al diavolo o che non le rispondesse affatto, il ragazzo digrignò i denti e scattò come se qualcuno lo avesse colpito. -Non me ne frega un cazzo, vadano tutti a farsi fottere, faccio quello che voglio!-

Sorrise di nascosto, sentendosi realmente protetta e difesa da quel ragazzo tutto muscoli che tutti temevano e, attraverso la sua rabia, capì che stava rischiando solo per portarla in infermeria. Non avrebbe dovuto farlo, eppure si era rifiutato di lasciarla a terra in palestra e, se pur contro le regole, si stava occupando di lei come non avrebbe fatto con nessun altro.

Non poteva chiedere niente di più, era la più grande dimostrazione d’affetto che Eric poteva darle, al diavolo le carinerie. Peccato che il dolore che avvertiva non si placava nonostante il suo benessere emotivo.

Il ragazzo le fece fare un piccolo salto, per rimettersela meglio in spalla dato che stava scivolando, ma quel balzo la fece tendere la pelle ferita. Strinse i pugni e si lasciò sfuggire un lamento soffocato.

Eric si irrigidì ancora. Aria non poteva sapere cosa stava realmente nascondendo dentro di sé con quel suo prolungato silenzio, né poteva capire quanto gli costasse sentirla gemere. Ad ogni lamento di dolore che si lasciava scapare anche lui barcollava, schiacciato da quello che riconobbe come un senso di colpa.

La ragazza strinse con una mano la maglia di Eric, all’altezza del petto, mentre si metteva l’altra in bocca per non piangere. Il dolore stava diventando insopportabile, quel tragitto verso le cure sembrava allungarsi ad ogni passo, e lei non ce le faceva più.

Stava cedendo, ed Eric se ne accorse.

-Mordi la mia spalla, la mano te la sei già morsa abbastanza…- le disse, nel modo più brusco con cui Aria avesse mai sentito dire qualcosa che, per lei, era estremamente dolce.

Non riuscì a fare a meno di piangere ancora, tanto era il bruciore, ma smise di martoriarsi la mano e si abbandonò sulla spalla forte di Eric, sapendo che ormai erano arrivati in infermeria.

Con le sue ultime parole, Eric le aveva fatto capire che, anche se apparentemente non l’aveva guardata, si era accorto di come si mordeva la mano per non gridare, mentre Finn la frustava.

Invasa dal dolore sempre più insistente, Aria pensò che forse sarebbe stato meglio che Eric la portasse di corsa, invece di camminare piano per limitare i sussulti. Quando, finalmente, arrivarono in infermeria, era stremata.

Stava perdendo lucidità.

Subito dopo i colpi di frusta ricevuti, la pelle era quasi anestetizzata dal dolore stesso ma, passando il tempo, il bruciore si era triplicato. Scosse la testa per non gridare, ma i suoi lamenti aumentarono.

Eric la guardò da oltre la propria spalla, preoccupato.

-Cos’ è successo?- Chiese una donna, avanzando.

Era giovane e, sotto il camice bianco, indossava abiti neri.

-Santo cielo, è stato Finn, vero?- Esclamò, aggirando Eric per vedere le condizioni dalle ragazza che portava in spalla. –Gli ho detto mille volte di piantarla con quella specie di frustino, ma d'altronde non è mica lui che poi deve medicare i mal capitati!-

Aria si accorse a mala pena di Eric che la faceva scivolare su un lettino, mettendola seduta. Si sedette a sua volta vicino a lei e la sorresse dalle spalle, attento a non toccarle la schiena. La ragazza si chiese in che modo doveva apparire, se Eric decideva di sorreggerla, ma poi si accorse che barcollava anche se era seduta sul letto.

I pugni che Peter le aveva dato allo stomaco e al viso si facevano sentire, stava malissimo, la caviglia aveva iniziato a pulsare dal dolore.

-Devo tagliare la maglietta, distendila a pancia in giù sul lettino, così posso medicarla.- disse l’infermiera.

-No.- Fece Eric, deciso. –Dammi quello che mi serve, la porto con me e ci penso io!-

Aria credette di aver perso del tutto la lucidità.

L’infermiera lo studiò per alcuni secondi. –Sei sicuro? Devi pulire bene la ferita e…-

-So quello che devo fare!- rispose sgarbato. –Ha anche qualcosa che non va ad una caviglia!-

L’infermiera si inginocchiò davanti ad Aria e, quando individuò la caviglia in questione, la tastò con mano esperta.

Aria urlò dal dolore e si irrigidì. Riprese a scuotere la testa e a lamentarsi, non ce la faceva più, non riusciva più a fare ragionamenti logici, sentiva solo il dolore.

-Non è rotta.- disse la donna. –Ma ha bisogno di una fasciatura…-

-Ci penso io, dammi quello che serve!-

All’ennesimo ordine di Eric, l’infermiera non disse nulla, si alzò ed andò in cerca di qualcosa dentro un armadietto. Tornò poco dopo con un fagottino bianco, che andava riempendo mentre tornava al lettino.

-So che ci sai fare con queste cose, ma assicurati che la fasciatura sia ben stretta e fissala a novanta gradi. Per la schiena ti ho messo il disinfettante e la crema a cicatrizzazione rapida.-

Quando la donna finì di parlare, Aria gemette ancora, chiuse gli occhi e pianse senza lacrime.

-Non c’è qualcosa per il dolore?- chiese Eric, adirato per chissà quale ragione.

-Posso darle un anestetico, sta delirando e non sopporterebbe la medicazione alla schiena da sveglia.- Dopo aver analizzato la ragazza, incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio. –Le scorte di anestetico sono limitate, e mi serve l’autorizzazione di un capofazione per somministrarlo…-

Aria, fra un lamento e l’altro, sempre più in preda al delirio del dolore, notò la nota di ironia con cui l’infermiera aveva parlato.

-Concessa! Ora muoviti!- Eric, invece, era tutt’altro che divertito.

 La donna andò all’armadietto e, quando tornò verso di loro, aveva in mano una siringa luccicante.

Quando la vide, anche se scossa dal malessere, Aria spalancò gli occhi ed iniziò a urlare. Con la mente annebbiata da mille immagini di aghi, e con il dolore che le aveva tolto ogni capacità di ragionamento, cominciò a dire di no e a dimenarsi.

-Che le prende?- chiese la donna, con la siringa in mano.

-Non ne ho idea!-

-Bè, tienila ferma!-

Il tono di voce deciso dell’infermiera scosse Eric che, di getto, avvolse Aria con le braccia e la strinse a sé. Ma, nel farlo, dovette mettergli un braccio contro la ferita alla schiena e lei urlò ancora di più.

-Stai ferma, faccio in un attimo…- disse piano la donna, conficcandole l’ago nella vena del collo.

Aria sia dimenò ancora ma, stretta dalle braccia di Eric, si ritrovò in trappola contro il suo copro saldo e irremovibile. L’effetto dell’anestetico arrivò presto e, prima di sentirsi privare di ogni pensiero, la ragazza sentì ogni dolore e bruciore lasciare il suo corpo.

Esausta, si abbandonò con la testa contro il petto del ragazzo, sentendolo caldo e forte.

Quando la sentì smettere di lottare, e capì che il sonno l’aveva sopraffatta, Eric tornò a respirare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 14
*** La cosa giusta ***


14. La cosa giusta

 

 

 

Aprì gli occhi e rimase incantata dallo spettacolo del sole che tramontava fuori dalle vetrate, la luce arancione inondava i palazzi abbandonati ed entrava fin dentro la stanza. Sulle pareti c’erano giochi di chiaro scuro e, sui vetri, splendevano i bagliori aranciati.

Tuttavia, oltre al gioco di ombre che accarezzavano gli edifici fuori, Aria vide qualcosa di ancora più bello.

Eric era in piedi davanti alle vetrate, dandole le spalle, e guardava fuori assorto. Indossava pantaloni pieni di tasche, ovviamente neri, e una t-shirt dello stesso colore. In pubblico non era mai solo con la maglietta smanicata, poiché indossava sempre sopra un giubbino di pelle o un gilet imbottito, perciò le piaceva ancora di più vederlo in quel modo. Poteva vedere la sua muscolatura, le spalle forti e i fianchi solidi. La nuca era scoperta, i capelli erano tagliati molto corti, tranne la parte sopra la testa che, colpita dal sole, mostrava riflessi dorati. Eric in realtà era biondo ma, con le luci soffuse della residenza, i suoi capelli sembravano sempre neri, o al massimo castani. Pensò che fosse un vero peccato che non si vedessero tanto spesso le sfumature dei suoi capelli di un castano chiaro, dorato. I suoi occhi poi, che riuscì a vedere di sfuggita tramite il suo profilo, non erano grigio fumo, né cerulei o neri, erano verde chiaro.

Aria sorrise e pensò che Eric sarebbe dovuto uscire alla luce del sole più spesso, tanto erano belli i suoi veri colori.

Il ragazzo se ne stava con un mano in tasca, mentre con l’altra sorreggeva un bicchiere di vetro con dentro un liquido trasparente. Poteva trattarsi d’ acqua ma, dal modo in cui la luce rossastra lo attraversava, pensò che si trattasse di alcol di qualche tipo.

L’espressione era come al solito tesa e letale, quasi anche il sole che tramontava avesse commesso un peccato troppo grave per essere perdonato. Bevve un sorso dal suo bicchiere e, quando si voltò, lo fece per un solo istante, quasi per sbaglio, e la ragazza capì che era un modo per controllarla. Tornò al paesaggio fuori, sovrappensiero, ma poi si ricordò del dettaglio dei due occhi blu che lo fissavano e si girò ancora una volta verso il letto.

Aria si accorse di essere distasa sulla metà in cui aveva dormito la notte prima, quella vicina alle finestre, stesa a pancia in giù. Non indossava più la sua canottiera, aveva solo i pantaloni stretti da allenamento. Si accorse di avere ancora addosso per lo meno il suo reggiseno, che però era slacciato e le rimaneva addosso solo perché c’era distasa sopra. Aveva la guancia sul cuscino e un braccio che penzolava giù dal letto, così guardò Eric, immaginando il momento in cui il ragazzo l’aveva sistemata in quel modo.

-Stai bene?- chiese lui,  con una mano ancora in tasca mentre con l’altra soppesava il bicchiere.

Aria lo guardò senza capire cosa provava, e si limitò a fare un cenno contro il cuscino.

Eric parve fermarsi un attimo a riflettere, poi si allontanò per posare il bicchiere sul bancone lì vicino e, una volta tornato indietro, si sedette vicino alle sue gambe sul letto.

-Hai intenzione di metterti a frignare come prima? Perché se devi comportarti come una poppante dimmelo subito, così me ne vado!-

Aria alzò gli occhi al cielo e sorrise, per i soliti modi di Eric che non erano mai dolci. Peccato che sapeva benissimo che, nella sua affermazione, c’era anche una punta di verità. –Penso che tu sia uno stronzo…- gli disse, valutando l’idea di sollevarsi.

Eric inarcò un sopracciglio. –Prova a dirlo ancora.- La minacciò.

-Dacci un taglio!- borbottò Aria, facendo leva sulle braccia per mettersi a sedere. –Dovresti avere almeno un minimo di considerazione per me!-

Quando riuscì a sedersi vicino ad Eric, dovette tenersi un braccio davanti al petto per sostenere il reggiseno. Valutò l’idea di riagganciarlo, ma si ricordò delle ferite sulla schiena e cambiò idea. Ripensandoci, il ricordo di quello che era successo e delle frustate le fece torcere lo stomaco, ed ebbe un sussulto.

-Ti fa ancora male?- chiese Eric, male interpretando il suo fremito.

Lo guardò, aveva usato ancora quella voce strana, quasi preoccupata e tremendamente grave, molto bassa.

Cercò di guardarsi la schiena, ma sulla spalla non c’erano più i segni delle frustate, così cercò di toccarsi con le mani. Non aveva più le strisce rosse, ne sanguinava, c’era solo qualche piccolo taglietto non ancora rimarginato.

-Cos’ è successo?- chiese, ancora in cerca dei segni infuocati.

Eric scrollò le spalle e guardò fuori dalla finestra. –Quella pomata cicatrizzante fa miracoli.- rispose semplicemente.

Aria non chiese come mai la sua schiena fosse pulita, senza nessuna traccia di sangue, né perché avesse scelto di portarla nella sua camera e medicarla lui, invece di lasciare quel compito all’infermiera.

Si guardò la spalla sinistra. –Il mio tatuaggio è a posto vero, non c’è rimasto qualche segno?-

-No, è tutto al suo posto!- disse scocciato.

-E non mi rimarrà qualche cicatrice?-

Eric fece un’ espressione strana, i suoi occhi si assottigliarono alla ricerca di qualche ricordo lontano, e la guardò. Ma non in viso. –Credo di sì, ti rimarrà qualche traccia sulla parte bassa…-

Aria ricordò le frustate che aveva ricevuto sui fianchi scoperti, e deglutì al ricordo del dolore. Muovendosi appena, in realtà, i piccoli tagli non ancora rimarginati bruciavano e, proprio sulla parte bassa della schiena, sentì i segni delle frustate dolerle ancora.

Si mosse in cerca della sua canottiera, stanca di doversi sostenere il reggiseno e di essere praticamente nuda.

-Non cercare quello straccio che avevi addosso, l’ho buttato!-

Aria si voltò verso di lui, e notò la sua espressione cupa. C’era qualcosa nel modo in cui parlava che la incuriosiva, era come se faticasse a dire certe parole. A volte, sembrava pronto ad esplodere dalla rabbia.

Eric si alzò dal letto e si avviò verso il bancone, quello vicino alla piccola porta del guardaroba. Aprì un’ anta e prese qualcosa, poi tornò sui suoi passi.

-Mettiti questa,- le disse sventolandole davanti una t-shirt come quella che indossava. –È anche larga, così non ti si attacca sulle ferite.-

La ragazza prese la maglia che le veniva data con una mano, mentre con l’altra lasciava cadere il reggiseno. Vide, con la coda dell’occhio, Eric irrigidirsi. Era ancora in piedi e fece scattare la testa verso il tramonto.

Aria sorrise, mentre infilava la testa dentro la maglietta. –Guarda che puoi anche guardare…-

Eric la incenerì con uno sguardo ma, fortunatamente, il secondo dopo sospirò e le si sedette nuovamente accanto.

Con la sua t-shirt addosso, si sentiva al sicuro. Era davvero troppo grande per lei, non solo era una taglia da uomo, ma Eric e i suoi muscoli avevano anche bisogno di più tessuto. Così Aria si ritrovava con le maniche che le arrivavano ai gomiti anziché a metà braccio, e con le gambe coperte fino alle cosce.

Si guardò le gambe fasciate dai pantaloni e si morse un labbro. -Eric…?-

Il ragazzo parve intuire ciò che stava per dire, e si rifiutò di guardarla.

-…Per quello che è successo, io volevo dirti che mi dispiace.-

Eric scattò come se fosse stato aggredito, e si voltò verso di lei carico di collera. –Perché parli se non sai quello che dici?-

Aria abbassò la testa e assorbì la rabbia del ragazzo riparandosi nelle spalle. –So che non mi ha frustata per lo scontro con Peter!- disse d’un fiato.

Il ragazzo la guardò per un attimo, incerto, studiandola con un sopracciglio alzato.

-Peter ha detto a quel capofazione, Finn, di noi due- disse timidamente, sollevando appena gli occhi sul ragazzo. –È anche colpa mia, avevo paura che ti facessero qualcosa di brutto.-

-Ma quanto sei stupida?- sbottò, alzandosi e allontanandosi dal letto. –Eri a terra che schizzavi sangue da tutte le parti, e tu pensavi a quello che potevano fare a me?-

Aria lo guardò stizzita. –E cos’altro avrei dovuto pensare?-

Eric serrò la mascella e scosse la testa. –Avresti potuto pensare che ero un vero bastardo a lasciarti lì senza fare niente. Potevi pensare che dovevo esserci io al tuo posto, che sono un mostro e che è tutta colpa mia se quello schifoso di Finn ti ha fatto del male!-

-Eric!- provò a dire, percependo il suo turbamento.

Ma sentire il suo nome lo fece solo infuriare di più. –Perché non sei come le persone normali? Arrabbiati e basta invece di dire stronzate!-

-Perché uso la testa, Eric!- urlò a sua volta, stanca di sentirlo parlare in quel modo. –Cosa avresti ottenuto mettendoti in mezzo? Mi sarei arrabbiata molto di più se, per qualche graffio, avresti fermato quel pazzo facendolo infuriare ancora di più!-

Eric rimase di sasso, smettendo quasi di respirare. Tuttavia, metteva paura anche solo guardarlo, tanto erano tesi i suoi muscoli.

-Chissà cosa avrebbe fatto se lo fermavi, sarebbe solo finita peggio. Poteva prendersela con te, oppure poteva arrabbiarsi ancora di più e fare di peggio a me! Era solo una scusa quella della punizione per lo scontro non autorizzato, lo sai.- Disse guardandolo negli occhi.

Eric guardò verso la finestra.

-Perché dovrei essere arrabbiata con te, quando hai fatto solo la cosa giusta?-

-La cosa giusta?- Le chiese con un ringhio, incenerendola con un’ occhiataccia.

-Non potevi metterti contro di lui, avresti fatto solo il suo gioco e saresti finito nei guai per niente. Non trattarmi come una bambina Eric, non è niente qualche colpo di frusta, so riprendermi. Non avrei mai voluto che rischiassi per me.-

Il ragazzo scosse la testa. –Stai zitta!-

-Eric!- lo chiamò, mettendosi in ginocchio sul letto. –A me il dolore è già passato, ora fatti passare il tuo…-

Come se fosse appena arrivata, Eric si accorse finalmente di Aria e della scintilla di coraggio nei suoi occhi blu. Vide la sua espressione risoluta, che contrastava con la dolcezza nascosta nel suo sguardo. Smise di pensare, dato che farlo gli dava solo dei problemi, e si avvicinò al letto.

Mise un ginocchio sul materasso e, avvolgendo il viso della ragazza con entrambe le mani, intrappolò le sue labbra in un bacio.

Dapprima fu lento e dolce, poi la strinse maggiormente e diventò quasi violento mentre cercava il contatto con la sua lingua.

Quando smise di baciarla, tenendo conto solo delle sue intenzioni e non del volere della ragazza, Eric si spostò leggermente con il viso per poterla guardare, senza toglierle le mani dal viso.

-Hai fame?- Le chiese.

Aria scosse la testa con una strana espressione.

-Bè- disse rimettendosi in piedi. –Io credo che mangiare qualcosa ti farebbe bene. Vado a prendere quello che trovo e te lo porto qui.-

Si avvicinò alla porta e prese la sua giacca nera, sotto lo sguardo attento di Aria. Si voltò vero di lei e la vide ancora in ginocchio sul letto, ma colse il sorriso intrappolato nei suoi occhi. Non poteva dirle come le sue parole fossero riuscite a placare la sua rabbia, né di come la sua presenza fosse diventata per lui una vera e propria dipendenza. Ma lei era più furba, e aveva già capito tutto. Sapeva che per orgoglio non si sarebbe mai fermato a discutere ulteriormente, che il loro breve dibattito si era concluso e che tutto era tornato al suo posto.

E sorrideva.

Avrebbe voluto sorridere anche lui, ma non ne era capace.

-Ed io…- chiese lei, osservandolo. –Resto qui?-

Capì ciò che voleva dire e riuscì a concederle un breve sorriso d’intesa. –Sì Aria, dormi qui anche sta notte!-

La vide sorridere ancora, sta volta senza riserve.

Poi qualcosa nel suo sguardo cambiò, e vide il lieve sussulto che la scosse. –Adesso sanno di noi?- chiese senza guardarlo.

Serro la mascella. –Sono andato a parlare con gli altri capi, mentre dormivi…-

Aria lo guardò in silenzio.

-Mi sono assunto le mie responsabilità e gli ho detto tutto prima che fosse Finn a farlo.- Fece una pausa, in cerca di una qualche espressione sul viso della ragazza. –Si fidano di me, e per questa volta chiuderanno un occhio, ma dobbiamo essere discreti.-

Incrociò le braccia al petto ed attese che lei dicesse la sua.

-Quindi rimane sempre un segreto, anche se non è poi più così segreto?-

-Esatto!- disse. –Il primo modulo d’addestramento, dove eravamo io e Quattro e stabilire i punteggi degli iniziati, è finito. Adesso sarà un computer a stabilire la vostra classifica, anche se volessi, non avrei più modo di aiutarti.-

Le fece capire che, dato che non c’era più il rischio di un favoreggiamento, i capi avevano lasciato correre la sua scappatella. Non solo non lo avevano punito, ma gli avevano anche concesso di continuare a vedere la ragazza, purché agisse con  circospezione.

Ma la realtà era tutt’altra, perché ai capi non importava nulla dei punteggi alterati degli iniziati, tutto ciò che gli avevano chiesto era se fosse o meno consapevole del fatto che, scoppiata la guerra, non avrebbero accettato favoritismi o richieste particolari per quella ragazza.

Anche lei sarebbe scesa in guerra.

Se era disposto a non interferire per lei, poteva farci quello che voleva. Ai capi bastava solo che la lasciasse al suo destino, insieme a tutti gli altri membri della fazione, quando sarebbe arrivato il momento. E quando glielo avevano chiesto, lui aveva acconsentito.

Peccato che sapesse benissimo che si trattava di una bugia, dopo averla vista piangere, e dopo non aver potuto fare nulla per risparmiarla alla furia di Finn, non avrebbe più permesso a niente e a nessuno di farle del male.

-Torno presto.- Le promise, poi uscì dalla stanza.

 

Aprì la porta della camera e la richiuse subito dopo essere entrato, in equilibrio su un braccio aveva due piatti sovrapposti e avvolti in un panno. Portò tutto sul bancone dietro l’angolo e poi tornò indietro, per appendere la sua giacca all’appendi abiti dietro la porta.

Aria era sul balcone, le braccia sul davanzale e lo sguardo perso nell’orizzonte quasi buio. Oltre gli edifici che circondavano la residenza si vedeva il bagliore lontano del sole morente, che illuminava il blu del cielo serale.

Eric piegò la testa da un lato notando il suo strano abbigliamento. Non indossava più i pantaloni neri, che se ne stavano abbandonati sulla poltroncina, era coperta unicamente dalla t-shirt che lui stesso le aveva dato. La maglia in questione la copriva per bene fino alle cosce, e nei dintorni non c’era nessuno che poteva vederla, perciò quello spettacolo era tutto per lui. A quanto pareva la ragazza aveva abbandonato del tutto il suo pudore, esibendo senza imbarazzo le sue gambe nude. Era a piedi scalzi e aveva raccolti i capelli in uno chignon scomposto dietro la nuca.

Uscì anche lui sul balcone, e si appoggiò alla ringhiera con le braccia, vicino a lei.

-Sei già arrivato?- gli chiese, con un mezzo sorriso.

-Vuoi che vada via?-

-No!- Aria rise. –Sei stato tu a fasciarmi la caviglia?-

Eric abbassò lo sguardo sulla caviglia, abilmente fasciata con la garza bianca.

-Non dovresti stare in piedi…- La rimproverò.

-Ma non mi fa male, e poi cerco di spostare il peso sull’altro piede.-

-Fai come ti pare!- rispose schietto, guardando il cielo inscurirsi.

Aria non rispose, abbassò la testa e assottigliò lo sguardo, inseguendo pensieri lontani. Ma il modo in cui si era rabbuiata all’improvviso fu notato da Eric, che allungò una mano verso di lei per rimetterle dietro l’orecchio un ciuffo di capelli.

-Cosa c’è che non va? Stai pensando a quello che è successo?-

Aria chiuse gli occhi e sperò che quel contatto con la mano calda di Eric non finisse mai ma, ovviamente, quando ebbe finito di parlare ritrasse il braccio.

-Sto solo aspettando che sia notte fonda, così che oggi finisca. Dato che è ancora il mio compleanno…-

Eric la guardò di sottecchi e, per una ragione ignota, la sua espressione si indurì. –Immagino che avresti voluto ricordarlo per qualcosa di diverso, invece sarà il giorno in cui sei sta frustata da un idiota!- Lo vide serrare i pugni attorno alla ringhiera. –La pagherà per quello che ti ha fatto, credimi!-

-Non m’ importa niente di quello che è successo, Eric!- disse con decisone, voltandosi a guardarlo. –Che tu ci creda o no, questo non è il peggior compleanno della mia vita…-

Si sforzò di sorridergli, ma Eric scosse la testa.

-Come fai a dire una stronzata simile, ti picchiavano da piccola?-

Aria alzò gli occhi al cielo. –No, cosa dici?-

-Però il giorno in cui devo portati in infermeria ricoperta di sangue, non è il tuo peggiore compleanno?- Disse quasi arrabbiato.

Perché era sempre arrabbiato?

-No, non lo è!-

-E allora cosa può esserti successo di peggio?- chiese, con una punta di ironia, mentre la rabbia iniziava ad abbandonarlo con la stessa velocità con cui lo aveva assalito.

-La curiosità è per gli Eruditi Eric, e tu non sei uno di loro!-

Per una delle tante ignote ragioni che spingevano Eric a reagire in modo strano, il ragazzo nascose una risata.

Aria inarcò un sopracciglio, non capendo.

Scosse il capo e guardò il cielo, non aveva voglia di raccontargli dei suoi ultimi compleanni, e di quanto li avesse odiati. Eric non era certo il tipo con cui scambiarsi confidenze, e lei non aveva né voglia di annoiarlo, né voglia di deprimersi con quei racconti. Ricordò il suo nono compleanno, quando si era rotta un braccio correndo sotto la pioggia, ma non c’era motivo per parlarne. C’era il suo tredicesimo compleanno, quello in cui sua madre le aveva finalmente comprato il libro che tanto desiderava. Peccato che, invece di darlo a lei, lo unì ai regali di sua sorella, per punirla per una colpa che in realtà non aveva. Era stata proprio sua sorella a fare cadere la torta che c’era in frigorifero ma, per difenderla, si era assunta lei la colpa. Quella stessa sera, sua sorella aveva presto il libro e lo aveva strappato solo per dispetto. 

Si morse il labbro inferiore, pensando che quello era il primo compleanno che passava lontano dalla sua gemella. Guardò oltre i palazzi bui e immaginò sua  sorella ad affrontare al meglio la sua iniziazione fra gli Eruditi, magari felice di essersi liberata di lei.

Abbassò la testa e si morse ancora di più il labbro.

-Quindi preferisci tenerti il segreto, piuttosto che dirmi qual è stato il tuo compleanno peggiore?- La provocò.

Non guardò Eric sentendolo parlare, al contrario rimase con la testa bassa. –Non è un segreto!- Sbottò. –Solo che non vedevo l’ora di andarmene dagli Eruditi. I miei genitori non facevano che dirmene di tuti i colori perché volevo cambiare fazione, non avevo niente da festeggiare con loro. Volevo solo andarmene…-

-Odiavi così tanto la tua vecchia fazione?- Le chiese il ragazzo, con uno strano sorriso nascosto.

-Per favore! Qualsiasi cosa che facevo per loro era illogica. Credo che non sappiano dire altro, solo illogico!- lo guardò per un istante. –Non credo che tu possa capire cosa voglia dire vivere sedici anni fra gli Eruditi…-

E, per l’ennesima volta, Eric rise. Solo che, sta volta, Aria percepì un sapore amaro nella sua risata.

-Lo trovi tanto divertente?- Gli chiese, studiandolo.

Il ragazzo non le rispose, si limitò a studiarla in silenzio, osservando la sua fronte corrugata.

A volte, nella mente di Aria, passava l’idea di poter condividere qualcosa in più con Eric. Non se la sentiva di fargli delle domande sul suo passato, perché temeva che non le rispondesse e, d’altro canto, nemmeno lei era ben disposta a parlargli della sua vita prima dell’arrivo fra gli Intepidi.

Era buona abitudine, non appena si cambiava fazione, dimenticarsi dei sedici anni passati, e lei voleva riuscirci. Forse anche Eric la pensava in quel modo.

-Vuoi rimanere qui fuori tutta la sera?-

Aria si riscosse alla parole di Eric, e si accorse del modo in cui la guardava.

Ricambiò il sorriso malizioso e si scostò dalla ringhiera, posandosi una mano sul fianco. –Hai di meglio da fare?-

Il ragazzo si lasciò attraversare lo sguardo da una scintilla sinistra, prima che le sue labbra si piegassero nell’ennesimo ghigno. Fece un cenno con la testa e le si avvicinò. Aria non si oppose quando Eric la prese in braccio, mettendole un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena ormai guarita.

Mentre tornava dentro la stanza e si avvicinavano al letto, Aria gli fece passare un braccio dietro il collo e, quando lui la baciò, lei ricambiò e gli accarezzò il viso con la mano libera.

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 15
*** Solo il presente ***


15. Solo il presente

 

 

 

 

La giacca che indossava era di pelle, stretta e aderente che le fasciava i fianchi e metteva in evidenza il seno. Quando l’aveva vista con quella addosso, Eric l’aveva afferrata dai capelli dietro la nuca e l’aveva costretta a baciarlo. Non le era dispiaciuto quel bacio, solo iniziava a sperare che i modi del ragazzo si addolcissero giusto un po’, quel tanto che bastava per non ritrovarsi con qualche livido.

Era stato lui a sgattaiolare di prima mattina nei pressi del Pozzo, dove distribuivano i vestiti, per prenderle qualcosa con cui poteva lasciare la sua camera. Non poteva certo andarsene con la t-shirt che lui le aveva dato che, chiaramente, non apparteneva a lei essendo maschile. I capi erano stati informati, ma non era il caso di sbandierare a tutta la fazione che era stata a dormire con un uomo e che lasciava la sua stanza con la sua maglietta addosso.

Non potendo raggiungere il dormitori degli iniziati, Eric aveva pensato che l’unico modo che aveva per procurarle qualcosa che sembrasse appartenere realmente a lei, dato che non aveva altro con sé se non i pantaloni e le scarpe, era prendere qualcosa di nuovo vicino al Pozzo, e così aveva fatto.

Grazie alla giacca di pelle, con un taglio tipicamente da donna, sagomato e stretto, Aria aveva potuto lasciare la stanza di Eric senza destare sospetti. Aveva nascosto i bordi troppo lunghi della t-shirt nera infilandoli nel bordo del giubbino nuovo, che aveva poi chiuso fino al collo per non fare vedere cosa indossava sotto. La cerniera era in diagonale, partendo dal fianco destro per salire alla spalla sinistra.

Le piaceva molto la sua nuova giacca, decise infatti che l’avrebbe tenuta, così come avrebbe tenuto la maglietta di Eric, anche se quella avrebbe dovuto nasconderla.

Quella mattina aveva deciso di uscire per prima per raggiungere i dormitori, lasciando Eric da solo e libero di sbrigare le sue faccende.

Avevano passato la notte insieme, dormendo nello stesso letto, e i momenti imbarazzanti fra di loro erano stati molti e difficili da dimenticare. Quando Eric l’aveva portata in braccio sul suo letto, avevano iniziato a baciarsi e le mani di entrambi erano corse ad esplorare il corpo dell’altro.

Lui le aveva accarezzato il viso, i fianchi, le cosce, aveva indugiato sul suo seno per poi toccarglielo senza timore. Le aveva baciato il collo e lei non si era opposta, stringendogli con le mani la schiena muscolosa e accarezzandogliela con le unghia, lasciando sulla sua pelle una scia di piccoli brividi.

Quando aveva iniziato a sentirsi accaldata, e aveva capito che anche Eric si stava trattenendo, aveva provato a parlargli.

Gli aveva detto nel modo più deciso che conosceva che, per quanto lui pensasse il contrario, non era una bambina. Aveva detto di essere pronta e per nulla spaventata ad aumentare il tipo di contatto che fino a quel momento avevano condiviso. –Ricordi quanto hai detto che, quando sarebbe stato il momento, sarei stata io saltarti addosso?- Aveva chiesto, lasciandolo interdetto. –E se volessi farlo adesso?-

Eric l’aveva guardata intensamente per diversi secondi, e le era parso di vedere le scintille di desiderio accendersi nei suoi occhi cerulei, ma poi le aveva tolto le mani dai fianchi e si era messo a sedere vicino a lei. Stranamente serio, ma come se facesse fatica ad esserlo. –Per oggi ne hai passate abbastanza, direi che è il caso di fermarsi qui con il carico di adrenalina, per adesso…-

Aveva provato a fargli cambiare idea, ma lui era stato categorico. Aveva messo fine al loro momento di carezze e baci rubati e, secondo Aria, lo aveva fatto per non rischiare di cedere alla tentazione. Sentiva il suo respiro affannato, e sapeva che anche lui sentiva una lava incandescente scorrergli nelle vene, e la voglia di non fermarsi e di continuare ad esplorarsi a vicenda fino alla fine.

Poi Eric aveva tirato fuori un argomento capace non solo di farla arrossire in maniera vergognosa, ma persino di farle passare la voglia di convincerlo. Le aveva sbattuto davanti la storia che, per molte donne, la loro priva volta era piuttosto dolorosa e, dato quello che aveva subito solo poche ore prima, non se la sentiva di procurarle altro dolore.

-Sai, per quanto bravo io sia,- Le aveva detto malizioso, tenendo d’occhio il rossore delle sue guance. –Credo che sentirai comunque un po’ di male, dipende da te, e per oggi non voglio più vederti piangere o sentirti frignare!-

Aria era avvampata e si era rifiutata di approfondire l’argomento, se Eric voleva farle cambiare idea mettendola terribilmente in imbarazzo, c’era riuscito. Sanza considerare che era riuscito ad offenderla e a farla arrabbiare. Si divertiva davvero a provocarla e, in qual caso, voleva anche metterla in difficoltà. Per consolarsi, si ritrovò a pensare che, forse, Eric era più spaventato di lei per quell’argomento.

Ma era impossibile.

Gli aveva dato un pugno sul petto e poi si erano ritrovati a mangiare torta al cioccolato, l’unica cosa che Eric era riuscito a recuperare delle cucine, sul letto.

E poi avevano dormito. Vicini.

Scosse la testa per cancellare i ricordi della notte precedente e proseguì per la sua strada, diretta ai dormitori. La prima cosa che doveva fare era trovare Sasha e parlare con lei.

La sua amica bionda aveva messo anima e corpo per farle passare un felice compleanno, le era rimasta accanto per tutto il giorno precedente, aveva perfino convinto un’ iniziata interna a fargli fare il giro della residenza. Era stato piacevole conoscere quella ragazza, si chiamava Marlene, e anche il suo amico Uriah. A quanto pareva i due conoscevano Tris, così anche lei si era aggiunta al giro turistico insieme a Christina, Will e il loro amico Al.

Aria aveva sorriso per tutta la mattina, non era mai stata così tanto bene con un gruppo di persone così numeroso. Era stato estremamente piacevole conoscere stanze della residenza che non conoscevano, e trovarsi a ridere e scherzare in maniera spensierata. Gli Intrepidi erano pazzi, e Uriah ne era l’esempio, aveva raccontato a Tris una serie di sciocchezze che aveva combinato, facendo ridere tutti.

Non si era mai sentita tanto bene, si convinse che quella era casa sua e che quello sarebbe stato solo primo di una seria di giorni folli e felice.

E tutto questo grazie a Sasha.

Sospirò, per ringraziarla l’aveva cacciata via quando aveva cercato di farle capire che combattere con Peter non era la cosa migliore da fare. Non avrebbe dovuto mandarla via in quel modo, non dopo tutto quello che aveva fatto per lei. Doveva sicuramente scusarsi.

Accelerò il passo e si infilò nel dormitorio, il suo letto era il primo vicino all’entrata e quello di Sasha quello subito dopo. Non si preoccupò degli altri iniziati, la maggior parte dei quali era già andata via, e si avvicinò a Sasha trovandola lì vicino che riordinava le sue cose sotto al suo letto.

-Ciao, possiamo parlare?- le chiese dolcemente, a bassa voce.

Sasha serrò le labbra, alzò gli occhi e la fissò in silenzio con un’espressione dura e distaccata.

Aria non se ne accorse, le fece segno con la testa di seguirla fuori.

Si incamminarono lungo il corridoio in penombra e Aria svoltò verso l’angolo in cui si era nascosto Eric quando, poche sere prima, l’aveva aspettata dopo l’esercitazione per condurla nella sua camera. Le aveva spiegato che, in quell’angolo, non c’erano telecamere.

Si voltò verso Sasha e mise le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, prendendo un respiro profondo. –Volevo scusarmi con te, ieri non avrei dovuto trattarti in quel modo in palestra,- disse d’un fiato. –Mi perdoni?-

Le mostrò un sorrisino tutto denti, cercando di scherzarci sopra.

Sasha incrociò le braccia al petto e serrò la mascella, il suo sguardo era sempre più distante. –C’è altro?-

Aria spalancò gli occhi ed una strana sensazione le si agitò nel petto. Non capiva come mai Sasha, che era sempre ironica, non coglieva la sue intenzioni allegre, né capiva come mai, proprio la sua amica che si lamentava delle scarse dimostrazioni d’affetto che le riservava, non era felice di quel gesto di scuse così tanto sentite.

-Altro?- chiese alzando le spalle.

Sasha assottigliò le sguardo. –Eric…-

In quel momento Aria capì che Sasha non l’avrebbe mai perdonata.

Il modo sgarbato con cui le aveva detto di andare via per scontrarsi con Peter non era niente, era un altro il problema. Il giorno prima, in palestra, mentre Peter la provocava per ottenere l’incontro che tanto voleva, le aveva detto di aver scoperto di lei ed Eric. Aveva detto ciò che aveva riferito a Finn, e di aver capito doveva aveva passato quella notte.

E Sasha era lì, e aveva sentito tutto.

Spalancò la bocca e non ebbe il coraggio di dire niente, non solo aveva scoperto nel modo peggiore il suo piccolo segreto sentimentale ma, conoscendola, si accorse di averla ferita.

-Avevi detto che avevi dormito per terra in palestra, quando ti ho chiesto dov’eri stata l’altra notte. Hai inventato la storia che il tuo compleanno ti mette tristezza, e invece eri con lui?-

Aria sentì le mani tremarle, le aveva mentito, e lei adesso lo sapeva. Sasha era cresciuta tra i Pacifici e, per quanto si ritenesse diversa dai suoi vecchi compagni di fazione, era una delle persone più buone e gentili che avesse mai conosciuto. Teneva davvero all’amicizia e, se poteva perdonare il suo strano carattere, non avrebbe mai perdonato quel tradimento.

-Era vero, odio il giorno del mio compleanno perché…-

-Hai dormito con lui o no?- Le chiese, togliendole la parola.

Aria abbassò lo sguardo è serro i pugni, sentiva un vuoto al petto così grande che pensò che non sarebbe rimasta in piedi. –Sì, ma…-

-Ma non mi hai detto niente!-

La guardò, vedendo tutto il risentimento che provava. Scosse la testa. –Non potevo dirti niente, doveva rimanere un segreto, è proibito avere relazioni con gli Iniziati!-

Sasha scosse la testa a sua volta, rifiutandosi di guardarla. –E pensavi che proprio io andassi in giro a rivelarlo a tutti?-

Rimase in silenzio. Avrebbe voluto dirle che aveva paura delle telecamere nella residenza, e che non poteva dirle nulla senza essere scoperti, ma non era vero. Non le aveva detto niente per tenere per sé quel piccolo segreto. –Avevo paura che pensassi male di me…- sussurrò ad occhi bassi. –Sai, voglio dire, è Eric!-

-Credevi che ti giudicassi? Se ti piaceva io lo avrei capito, anche se parliamo di lui.- Sasha la guardò e sembrò disturbata da ciò che vedeva. –È questa la considerazione che hai di me? Non mi hai detto niente per paura che lo dicessi in giro o perché pensavi che avrei avuto una considerazione sbagliata su di te?- 

Non sapeva cosa rispondere, sentì sola una lama invisibile attraversarle lo stomaco. Strinse i pugni e rimase a fissarsi le scarpe.

-Ho cercato di esserti amica,- iniziò Sasha, disincrociando finalmente le braccia da davanti al petto per gesticolare. –Ti sono stata vicina, ho cercato sempre di farti aprire di più e di farti sentire felice. Io ti voglio bene Aria, ma se non ti fidi di me, se non mi vuoi come amica, io non so per cosa fatico a fare…-

A quel punto sapeva cosa doveva dire, alzò gli occhi e guardò l’amica. –Io ti voglio come amica, ti voglio bene Sasha e mi dispiace, davvero!-

Le erano uscite spontanea quelle parole, anche se credeva che non sarebbe mai stata capace di dire ciò che provava così apertamente.

Forse Sasha colse il suo tono di voce basso e pensò che fosse poco convinta di ciò che aveva detto, oppure colse la sua rigidità e l’incapacità che aveva di dire veramente tutto quello che pensava. –Se ti infastidisco tanto, ti lascio in pace…-

Aria scosse la testa e fece un passo avanti, sentiva il vuoto nel suo petto crescere. –No, voglio che continui ad essere mia amica. Mi dispiace davvero, scusami!-

Sasha la studiò in silenzio, poi scosse il capo. –Ci penserò…-

Quando la sua amica si voltò per andarsene, Aria appoggiò una mano alla parete e si lasciò scivolare per terra. Si sedette con le ginocchia al petto e pensò che scusarsi non era bastato. L’unica amica che aveva era arrabbiata con lei e, forse, l’aveva persa per sempre.

 

Essendo la seconda giornata che gli iniziati avevano libera dopo il duro allenamento per superare il primo modulo, erano tutti in giro per la residenza. Aria decise di passare la mattina da sola, nel dormitorio. Fece una lunga doccia e si lavò i capelli poi, tornata al suo letto, ripose con cura la maglietta di Eric sotto il cassettone e cercò di nasconderla sotto altri indumenti.

Fece passare il tempo spazzolandosi i capelli e scegliendo con cura gli abiti per la giornata, optando per un paio di pantaloni neri aderenti, canottiera e, dato il freddo, un maglioncino di cotone ovviamente nero con scollo a V. Riuscì anche ad addormentarsi per un po’, facendo passare il tempo senza dover pensare a nulla.

A pranzo Sasha aveva scelto di sedersi ad un tavolo con alcuni iniziati interni, vicino a Marlene. Aria invece si era seduta al solito posto, con Tris e Christina e, quando anche Will ed Al erano arrivati, avevano pranzato tutti insieme tranquillamente.

Nel pomeriggio gli iniziati interni ed esterni avrebbero dovuto prestare servizio subito fuori dalla residenza, aiutando a scaricare le risorse alimentari portate dai Pacifici con i loro furgoni. Aria avrebbe voluto chiedere a Sasha cosa provava entrando in contatto con alcuni della sua precedente fazione, ma l’amica continuò a starle lontano.

Messe al loro posto le riserve alimentari, i Pacifici erano andati via e gli iniziati si spostarono a cena.

Stanca di dover stare lì a guardare la sua migliore amica sedersi lontano da lei, cenò velocemente vicino a Will e ai suoi amici e poi se ne andò, lasciando la mensa per prima. 

Quella giornata sarebbe dovuta essere da cancellare, ma lei conosceva un modo per sfogarsi e per sentirsi subito meglio. Raggiunse infatti il poligono a grandi passi e, presa una pistola, la caricò e si concentrò sui bersagli.

Pensò al giorno precedente, quello del suo compleanno, e pensò a come Sasha ed Eric lo avevano reso speciale. Il tutto era iniziato con Eric che la portava nella sua camera, le preparava un bagno caldo e la invitava a passare la notte con lui, nel suo letto. La parte migliore era stato il risveglio quando, oltre ogni ragionamento logico, si era intrufolata con lui nella doccia e, spogliandosi non solo dei suoi vestiti, si era lasciata andare veramente per la prima volta. Si erano baciati e scoperti, con carezze leggere e feroci, e lei si era sentita come in paradiso. A rendere speciale il resto della mattinata ci aveva pensato Sasha e, poi, era successo qualcosa di spiacevole.

Adesso che non c’era Eric ad osservare ogni sua reazione, Aria lasciò che un brivido la scuotesse da capo a piede, soffrendo al ricordo delle scontro con Peter e con il capo fazione Finn che aveva ben pensato di punirla per farla pagare ad Eric.

Scosse la testa, per quanto spiacevole fosse il ricordo, alla fine Eric l’aveva ricondotta nella sua camera, regalandole un’ altra notte insieme tra baci e istinti soffocati.

-Ti ho mai detto quanto reputo attraenti le donne con una pistola?-

Aria smise di sparare e abbassò l’arma, voltandosi verso l’ entrata della grotta.

Non riuscì a trattenere un sorriso quando si accorse di Eric, appoggiato con una spalla contro l’ingresso, con le braccia incrociate al petto e il sorriso furbo. Era davvero tanto tempo che non la raggiungeva al poligono, spiandola di nascosto. Fu felice di vederlo di nuovo lì, come ai vecchi tempi e come se nulla fosse cambiato da quando iniziavano ad avvicinarsi l’un l’altro, proprio attraverso quegli incontri al poligono.

-Adesso sarei un donna? Quindi smetterai di trattarmi con una bambina, immagino!- lo provocò, avvicinandosi al tavolo di fronte ai bersagli per posarvi la pistola.

-Te l’ho già detto, Piccola.- ripose Eric, pazientemente. –Sarò io a farti diventare una donna…-

Aria si voltò e il suo sorriso si accese. Piegò la testa da un lato e si mise una mano sul fianco. –Ma non spetta a te decidere quando…-

Eric si strinse nelle spalle e le mostrò il suo ghigno più crudele. –So aspettare!-

-Io no!-

La ragazza vide distintamente la scintilla attraversare lo sguardo di Eric e, per un attimo, le parve anche di vederlo stupito e quasi spaventato. Assottigliò lo sguardo e si dondolò sul posto con fare ammiccante, sorridendogli, mentre lo guardava dritto negli occhi.

Il fatto che l’atteggiamento di Aria passasse da provocatrice a bambina era una delle cose che Eric apprezzava di più. Alzò gli occhi ad indicare una telecamera nascosta e poi guardò il punto davanti ai suoi piedi.

Aria capì che le stava indicando una telecamera e che, evidentemente, il punto in cui lui si trovava era cieco. Forse era per quello che, quando andava ad osservare i suoi allenamenti, rimaneva sull’ingresso.

Decise di raggiungerlo e si fermò proprio davanti a lui, sfidandolo con uno sguardo intenso e provocante. –Non puoi decidere sempre tutto tu, a volte devi lasciare anche a me la possibilità di decidere e di fare le mi scelte…-

Eric non disse nulla, la guardò come se attraverso quello sguardo potesse assorbirla completamente. Lasciò scivolare una mano sul suo viso e si chinò per baciarla sulle labbra.

-Se ti può interessare,- Le disse terminato il bacio, ancora vicinino al suo viso. –Ero venuto a prenderti…-

-A prendermi?- Chiese Aria, tornando ad appoggiare i talloni per terra, dato che per baciare Eric doveva mettersi sulle punte dei piedi.

Eric le risistemò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e si concesse, per l’ennesima volta, il suo ghigno sinistro. –Credo di essermi abituato a dormire con te. Sai, lenzuola calde, vederti spogliare al mattino per entrare con me nella doccia… poterti toccare.-

Aria avvampò e, per non farsi scoprire senza fiato, parlò. –Mi piace questa tua abitudine!-

 

Arrivati nella stanza, Aria ed Eric uscirono nell’ampio balcone, e rimasero per un po’ ad osservare il cielo. Chiacchierano tranquillamente, si provocarono e si scambiarono qualche bacio. Il tempo passò senza che se ne accorgessero e, quando fu buio, tornarono dentro ed Eric tirò le tende.

Aria rimase in silenzio mentre il ragazzo si avvicinava all’appendiabiti per lasciarvi la propria giacca.

Era sempre bello, con i muscoli pressanti e gli occhi chiari e profondi, perfino il suo atteggiamento cupo era attraente per lei. Gli si avvicinò in silenzio e, cogliendolo di sorpresa, gli mise le mani sul petto e lo baciò. Eric aveva gli occhi bassi e non si aspettava quel bacio, ma fu comunque felice di ricambiarlo mettendole le mani sui fianchi.

E poi, nel silenzio della stanza, Aria lo guardò negli occhi. Aveva le mani sul suo petto, teneva le labbra serrata e, con quello sguardo, stava cercando di trasmettergli ciò che provava.

Non gli importava nulla dell’età, né del poco tempo che avevano passato insieme, le importava solo di quello che stava vivendo. Forse avrebbe potuto aspettare, conoscere meglio l’uomo che le stava davanti, ma aveva già visto dentro di lui e non desiderava altro che perdersi totalmente fra le sue braccia. Non si erano promessi né chiesti nulla, e a lei andava bene. Ci sarebbero stati giorni difficili, giorni in cui forse quello che provavano in quel momento sarebbe svanito, ma non le importava.

Il quel preciso istante, dentro quella stanza, c’era solo il presente.

Sentiva solo il suo cuore battere all’impazzata e la testa leggera, come non le era mai successo. Forse era quello che si provava quando ci si invaghisce di qualcuno, quando si a che fare con la prima cotta, ma per lei era diverso. Il legame che sentiva con quel capofazione spietato e beffardo, era troppo forte, troppo intenso e troppo grande per essere solo un’ infatuazione da poco conto.

E lei, oltretutto, non era il tipo di ragazza che lasciava entrare qualcuno nella sua vita con tanta facilità. Al contrario, era sempre stata contraria ai legami e spaventata dalle persone ma, se Eric era riuscito ad abbattere il suo muro, doveva per forza essere speciale.

Meritava tutta sé stessa.

Qualcosa, nel profondo del suo cuore, le disse che, forse, anche per Eric quel legame era speciale.

-Io lo voglio davvero, Eric…- sussurrò in punta di piedi, immergendosi nei suoi occhi verde chiaro.

Eric mosse le labbra ma non disse nulla, le strinse il viso con le mani e la guardò intensamente, forse stava cercando qualcosa in lei, come un segno di debolezza, d’ incertezza e forse di follia, ma non trovò nulla. La baciò con ferocia, stringendole i capelli fra le mani, per poi avvolgerle le braccia attorno alla schiena per stringerla con forza contro il suo petto. Scese con le labbra a baciarle il collo, le afferrò con una mano la coscia e sollevò la sua gamba portandosela attorno a un fianco.

La guardò ancora e, quel velo di serietà dietro cui si era nascosto, scomparve. I suoi occhi erano affogati nel desiderio e le sue labbra schiuse, pronte a baciarla ancora.

-Non sai quanto ti voglio…-  le sussurrò con voce rauca, posandole una mano sulla guancia per baciarla ancora, mentre con l’altra mano le teneva il ginocchio sollevato contro il suo fianco.

-Allora non trattenerti…- Gli rispose, con tanta sicurezza che Eric rimase per un attimo a guardarla, quasi sconvolto.

Attraverso quelle parole Eric percepì la sua determinazione, ma anche la sua dolcezza. Ciò che però gli aveva tolto il fiato era il calore che gli aveva trasmesso.

Si baciarono ancora, sempre di più e con sempre più bramosia. Aria gli mise le mani dietro la nuca e poi le fece scendere ancora sul suo petto, per arrivare agli addominali scolpiti e al bordo della sua maglietta.

-Aspetta!- Le disse lui, la voce affannata, bloccandole i polsi. –Perché non facciamo una doccia insieme prima, ti va?-

Aria abbassò gli occhi sulle sue mani, imprigionate da quelle di Eric, e sorrise.

Mentre il ragazzo la trascinava con lentezza verso il bagno, senza che riuscissero a separarsi, ancora carichi di desiderio, Aria si sentì pervadere dalla paura e dall’imbarazzo. Quando le mani iniziarono a tremarle e il cuore le salì in gola, minacciando di soffocarla, capì che Eric le aveva fatto quella proposta per smorzare la tensione. Sapeva che, prima o dopo, si sarebbe sentita in imbarazzo, che magari avrebbe avuto anche timore di quello che stavano per fare, così cercava un modo per metterla a suo agio prima di abbandonarsi fra lenzuola.

Era assurdo arrossire, si era già spogliata davanti a lui, e poi Eric era l’unico che le dava una sicurezza immensa e piena di calore.

Quando Eric chiuse la porta del bagno e, quando la baciò abbracciandola, Aria sentì il suo cuore alleggerirsi e mille brividi lungo la sua schiena. Quando il ragazzo le sfilò, con estrema dolcezza, il maglioncino che indossava, si sentì al sicuro e si abbandonò alle sue mani che le accarezzavano la pelle lasciando scie infuocate.

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Prendersi cura ***


16. Prendersi cura

 

 

Si era preso cura di lei in tutti i modi possibili a lui noti, trattandola con riguardo e delicatezza.

L’aveva accudita con attenzione, come avrebbe fatto con una scultura di vetro, tanto fragile da dovere essere maneggiata con calma.

Perché era quello che era realmente, qualcosa di estremamente fragile e bisognosa di cure, troppo preziosa per essere distrutta a causa di una mossa sbagliata. E, quando l’aveva fatta stendere sul letto, nuda e con la schiena sulle lenzuola bianche, aveva capito che era davvero estremamente delicata.

Ma non debole.

L’aveva accarezzata lentamente e le aveva dato tutte le attenzione che non aveva mai concesso a nessun’ altra.

Perché lei non era come le altre.

Lei era la sua piccola lottatrice orgogliosa, bella e dolce, ma con un talento innato per le battaglie. E, quelle contro di lui, le vinceva sempre.

Come aveva vinto quella sera quando, con un’ oculata strategia di tentazioni e piccole suppliche, era riuscita a convincerlo e ad attirarlo fra le sue braccia. Non che fosse contrario a quel rapporto fisico, dato che era ciò che desiderava con tutto sé stesso, solo avrebbe voluto farlo con il giusto tempo. A lui non importava di aspettare, sapeva quanto la desiderava e che prima o poi sarebbe stata sua, e per lui prima era meglio di poi. Ma, per lei, era pronto a fare tutto per bene per lasciarle il tempo di cui aveva bisogno per concedersi.

Perché anche quella forma di rispetto faceva parte dei sentimenti che provava per lei. La desiderava nella maniera più infima e carnale che avesse mai sperimentato, era attratto dalla sua dolcezza quanto dalla sua forza, ma c’era altro. La considerava ancora come una rosa nel deserto da proteggere e da salvaguardare, per lui era davvero la sua piccola ragazza di cui doveva prendersi cura. Lui era più grande, ma non vedeva quella differenza d’età come una limitazione. Si sarebbe occupato di lei, l’avrebbe fatta crescere insieme a lui e non avrebbe permesso a niente e nessuno di farle del male o di portargliela via.

Perché, anche se in modi singolari e non tanto evidenti, era stata lei per prima a prendersi cura di lui.

Lo aveva attratto come la luce fa con le falene, lo aveva intrappolato in un limbo di sguardi e desideri repressi e poi lo aveva addomesticato con maestria. Lo aveva preso, lasciato, attirato, scacciato, aveva dettato le regole pur vestendo i panni del mite agnellino. Era lui il più forte, era vero, e lei era veramente in sua balia diverse volte, pronta a lasciarsi guidare e ad obbedire.

Ma lo teneva legato a sé come se fosse suo.

E lui, per la prima volta, era pronto ad accettare di appartenere a qualcun altro.

Completamente nudo, ritrovandosi privo non solo dei suoi vestiti, si era sentito tuttavia forte quando si era sistemato su di lei. L’aveva guardata negli occhi, si era chinato a baciarla e aveva intrecciato una mano in quella della ragazza.

Lei era arrossita e si era irrigidita più volte, alternando momenti di imbarazzo a momenti di piacere. L’aveva rassicurata, aveva cercato di farla rilassare e l’aveva guidata verso quell’ esperienza che non aveva mai vissuto. Aveva fatto scorrere la propria mano sul quel corpo pallido, scivolando sul suo ventre fino alla parte più intima del suo copro, l’aveva sentita soffocare piccoli gemiti di dolore ma non si era frenato. Poi era entrato in lei, lentamente. Le aveva posato un bacio sul collo quando lei aveva gettato la testa all’indietro, serrando gli occhi, e le aveva posato un dito sulle labbra per indicarle di mantenere il silenzio quando aveva visto che iniziava a lasciarsi scappare qualche lacrima. Si era preoccupato lui stesso di asciugare quelle poche lacrime tamponandole con le sue labbra e aveva baciato, a ogni piccola spinta, quelle sue labbra serrate, costringendola a schiuderle e ad abbandonarsi totalmente a lui. E, quando il dolore era passato, si erano persi nella passione e avevano raggiunto il piacere insieme.

E adesso lei dormiva.

Mentre Eric, invece, era perfettamente sveglio.

Era seduto nella sua metà di letto, schiena al muro. Guardava la spalla scoperta di Aria alzarsi ed abbassarsi al ritmo del suo respiro, vedeva la sua testa corvina, ma non riusciva a scorgere altro dato che era rivolta dal lato opposto a lui. Senza conoscerne realmente il motivo, sentiva un’ondata di calore serrargli la gola, ma non era passione.

Era rabbia.

Il rancore che si riscoprì a provare verso quella ragazzina gli fece capire che non poteva più sopportare di sentirsi debole. La breccia nel suo cuore che Aria aveva creato lo rendeva fragile e la sua forza, la sua freddezza, ne risentivano. Non era più disposto a tollerare quella distrazione compromettente che gli sottraeva tempo prezioso, il tempo per abbondarsi al piacere doveva giungere al termine. Non c’era nessun legame che lo tenesse realmente incatenato a lei.

Luna, la gatta con il suo nuovo nome, assegnatole proprio da Aria, si era intrufolata nella stanza e si era raggomitolata sul letto vicino ai piedi del ragazzo, ronfando tranquillamente. Ma dovette disturbare il suo sonno quando, dopo aver scostato le coperte, si alzò in piedi e il gatto rotolò giù miagolando. Eric aggirò il letto mettendosi con le spalle rivolte alle finestre e abbassò gli occhi su di lei. Aria dormiva su di un fianco, i pugni raccolti vicino al petto, sotto al mento, e i capelli tutti in disordine sul cuscino. La guardò, spense ogni voce nella sua testa sporgendosi verso di lei e, con il dorso di una mano, seguì il profilo del suo viso. Avrebbe potuto intensificare il tocco e farle dal mano, avrebbe potuto serrare la mano attorno al suo esile collo e mettere fine alla sua vita.

Avrebbe potuto liberarsi di lei e porre fine al suo tormento.

Ritrasse la mano ed intensificò lo sguardo, cercando di analizzarle il viso nella scarsa luce della stanza.

Era il ghiaccio che poteva spegnere le fiamme del suo cuore.

Lei era cura, la sua cura.

-Ti proteggerò io…- sussurrò.

La luce delle stelle attraversava le tende e, in quel gioco di luci ed ombre, tornò dalla sua parte del letto e andò a stendersi al suo posto. Si coprì con la trapunta e si avvicinò al corpo della ragazza, si mise su di un fianco rivolto verso la finestra e, con la schiena di Aria ancora addormentata contro il suo petto, gli mise un braccio attorno ai fianchi e la strinse a sé.

Con i loro respiri che si fondevano, Eric chiuse gli occhi e si abbandonò ai sogni che, forse per una notte, non sarebbero stati incubi.

 

Quando il corpo vicino a lei scivolò fuori dal letto, Aria si rigirò verso il posto vuoto lasciato dal ragazzo e si raggomitolò su sé stessa. Poi sentì dei passi e, subito dopo, il rumore della cordicella che faceva scorrere le pesanti tende ai lati delle finestre, lasciando il sole del mattino libero di entrare. Quando la luce illuminò prepotentemente la stanza, infastidendola, si portò la coperta sopra la testa e mugugnò piano. Sentì qualcuno ridacchiare e poi la porta del bagno che si apriva per poi richiudersi.

Respirò il profumo del cuscino di Eric e rimase per qualche altro secondo a godersi il calore residuo del letto poi, aprì gli occhi. Essendo ancora sotto le lenzuola, si accorse della macchia rossa che spiccava sul bianco candido, stampata al centro sul lenzuolo che copriva il materasso.

Scattò seduta e si tolse le coperte dalla testa, le guance dello stesso colore della macchia sul letto e il cuore a mille per l’imbarazzo. Si guardò intorno, rossa di vergogna, e coprì con la trapunta il punto incriminato per non doverlo guardare più.

A distrarla ci pensò Luna, la gatta nera, che balzò sul fondo del letto in silenzio. Evidentemente era accucciata per terra, oltre i loro piedi e, percependo il suo risveglio, si era fatta avanti in cerca di attenzioni. Di fatti la gatta strisciò abilmente vicino alle sue gambe, dove si rotolò più volte sulla schiena facendo le fusa. Aria sorrise, si sistemò il lenzuolo sotto le ascelle a coprire il seno scoperto, e accarezzò il pelo soffice del gatto.

Eric aprì la porta del bagno in quel momento e, incrociando il suo sguardo, fece un ampio sorriso. –Buongiorno!- Esclamò malizioso, con un sopracciglio alzato.

Aria deglutì. Aveva il cuore a mille già per il sorriso di Eric, che mai aveva visto, poi per il suo saluto arrogante. Eric aveva già fissato all’indietro i ciuffi più lunghi dei suoi capelli biondo scuro, che  creavano quell’immagine di disordine perfetto. Si accorse che, in realtà, quella di pettinare all’indietro i capelli, fissandoli con il gel, era un abitudine degli uomini Eruditi. Ma lui si era rasato i lati della testa e dalla nuca, da perfetto Intrepido, cosa che un Erudito non avrebbe mai fatto. Come, del resto, non avrebbe mai avuto la sua fila di addominali.

Era uscito dal bagno con indosso i suoi pantaloni neri, ma il petto era completamente scoperto, con i muscoli in bella mostra alla luce del sole. Aria arrossì al pensiero che, la sera prima, aveva fatto scorrere le sue dita tremanti su di lui e sul suo petto forte, quando l’aveva sovrastata.

-‘giorno…- biascicò, guardando da un’ altra parte mentre si portava indietro i capelli con una mano.

Il ragazzo accennò un sorriso e si avvicinò a lei, camminando verso il suo posto e passando davanti la porta. Luna saltò giù dal letto e sgattaiolò fuori dalla finestra, ed Aria non riuscì a fare a meno di pensare che l’istinto del gatto le avesse suggerito di allontanarsi, non appena aveva sentito l’energia del predatore invadere il suo spazio.

Peccato che Aria sapesse benissimo di non avere quella stessa possibilità di fuga.

Eric infatti fece per sedersi sulla metà di letto in cui aveva dormito, ma Aria, al pensiero della macchia al centro delle lenzuola, sussultò e cercò di tirare su le coperte.

-Cosa nascondi?- Le chiese lui.

Le tolse la mano e scostò le coperte, piegando poi la testa da un lato quando incrociò la macchia incriminante.

Mentre Aria si metteva una mano sulla guancia per coprire l’imbarazzo, Eric rideva.

-Però…- commentò. –Quasi quasi potrei tenermela lì, per ricordo!-

Il ragazzo si sedette vicino a lei ad Aria si sentì avvolgere da un suo braccio forte, percependo tutta la sua energia con cui la incatenava a sé.

-Mi dispiace…- bisbigliò, coprendosi il volto con entrambe le mani.

Eric le afferrò un polso e le fece abbassare il braccio. –Sai, ogni mattina viene un’ addetta alle pulizie, ci penserà lei…-

Ma Aria arrossì ancora di più.

Il secondo dopo non ebbe tempo per pensare alla macchia del suo sangue sul letto, poiché Eric, che ancora le teneva un braccio attorno alle spalle, prese a baciarle sensualmente il collo e a mordicchiarle l’orecchio.

-Eric?...-

Ma Eric non le prestò ascoltò, al contrario, si mise sopra di lei facendola stendere, poi le tolse bruscamente il lenzuolo con cui si copriva e fece scendere la scia dei suoi baci infuocati lungo la sua clavicola.

-Eric!- Riprovò, sussultando quando le baciò un seno.

-Cosa c’è?- le chiese rauco, sollevandosi per lanciarle un’ occhiata provocante. –Ti metto in imbarazzo?-

Aria avvampò. –Sì!-

-Bè, è un problema tuo!-

E, senza nessun contegno, tornò a spostare i suoi baci sempre più in basso, fino ad arrivare alla pancia. Fortunatamente però, quando la sentì irrigidirsi del tutto, rise e si fermò.

-Meglio che mi fermi qui…- Le disse, rimettendosi a sedere con i piedi giù dal letto. –Altrimenti mi verrà voglia di saltarti addosso ma, dato che non abbiamo tempo, se vorrai rifarlo dovrai aspettare!-

Aria alzò gli occhi al cielo, si mise a sedere coprendosi con il lenzuolo e si portò le ginocchi al petto, appoggiandovi sopra i gomiti.

Tuttavia, mentre guardava Eric allungare le braccia sopra la testa per tendere i muscoli, non riuscì a fare a meno di elaborare una serie di pensieri su di lui. Non capiva come, quella stessa persona, fosse capace di spaventare mezza fazione di giorno e, di notte, fosse in grado di concedersi attimi di estrema passione e dolcezza. Quelle mani, in grado di ferire senza pietà, erano le stesse che l’accarezzavano e che le tenevano il viso mentre la bacia. Forse aveva un’ abilità e il suo atteggiamento da duro era solo una messa in scena, ma sapeva che non era quella la verità. Lui era davvero spietato a dal cuore di pietra eppure, in sua compagnia, quegli stessi muscoli che di solito esprimevano determinazione e ferocia, diventano braccia sicure in cui rifugiarsi.

Non avrebbe dovuto stupirsi in realtà, d’altro canto anche lei, che solitamente era fredda come il ghiaccio e cercava costantemente di tenersi alla larga dai contatti troppo intimi con altre persone, con lui era totalmente diversa. Si apriva come i petali di un fiore al mattino, perché solo lui sapeva come prenderla. Ogni suo istinto di difesa crollava, ed Eric arrivava al suo cuore senza che lei avesse la forza, né la voglia, di opporsi.

Nonostante tutto si lasciò sfuggire una domanda. -Come ci riesci?-

Eric la guardò e sollevò le sopracciglia, incuriosito. –A fare cosa?-

Aria abbassò gli occhi. –Ad essere totalmente un’ altra persona quando sei con me…-

In un primo momento Aria vide il volto di Eric rabbuiarsi, e il suo sguardo attraversarla con diffidenza ma poi, cogliendo il vero significato di quella frase, accennò un sorriso.

Era più un insieme di malinconia e serenità, più che un sorriso, ma gli angoli delle sue labbra sottili si curvarono appena all’insù, qual tanto che bastava a farlo passare davvero per un sorriso.

-Lo faccio per me stesso…- le spiegò con voce bassa e profonda, mettendole una mano sul viso.

-Per te?- chiese lei, stringendosi nelle spalle al contatto con la mano calda di Eric sulla sua guancia.

Eric piegò la testa da un lato e il suo sguardo si accese. –So che se ti mostrassi il mio lato più oscuro, ti perderei. Perciò ti mostro solo quello che vale la pena di vedere…-

Aria sentì il cuore infuocarsi e le sua labbra si schiusero. Guardò Eric negli occhi e prese tra la sue la mano del ragazzo, ancora sulla sua guancia, per portarsela sulle gambe, poi abbassò gli occhi.  

-Ho fatto una scelta, e ho scelto quello che per me era più importante…- Le disse, liberando la sua mano da quelle di Aria, per sollevarle il mento affinché lo guardasse negli occhi.

Nel ricambiare il suo sguardo, un mite sorriso le comparve fra le labbra. –So chi sei Eric, non dare per scontato che se vedessi tutto di te me ne andrei, perché non sarà così!-

Eric fece una risata strana, totalmente priva di gioia. Poi scosse la testa e si passò la lingua sulle labbra. –Lo vedremo…-

Si voltò verso di lei e le mise una mano dietro le nuca in modo che le loro fronti fossero una contro l’altra, quando le si avvicinò ad un palmo dal viso. –Ricordati quello che hai detto…- le sussurrò soffiandole sulle labbra. –Perché ne avrò bisogno in futuro.-

 

Raggiunse di corsa la mensa e superò il tavolo alla quale sedeva di solito, raggiungendo la ragazza bionda in fila per il dolce. La presa da un polso e la trascinò fuori dalla sala, verso un corridoio più tranquillo.

-Posso sapere che stai facendo?- Protestò Sasha, con voce fredda.

Aria la ignorò, continuò a trascinarla fino a quando non raggiunsero un punto che ritenne adatto. La lasciò andare e si voltò verso di lei, guardandola negli occhi.

Era stato Eric a darle l’intuizione che le permettesse di capire come riappacificarsi con la sua amica, se lui riusciva a mettere da parte sé stesso per comportarsi meglio solo per non perderla, perché ci teneva davvero, allora sarebbe riuscita a fare lo stesso per Sasha.

Avrebbe messo da parte l’orgoglio e, come Eric, avrebbe scelto ciò che per lei era veramente importante. Le sue abitudini e il suo carattere non lo erano, l’amicizia con Sasha sì.

Prese un profondo respiro. –Sono un’ idiota, okay? Ho passato la mia vita a non fidarmi delle persone, perché ero diversa e non sapevo cosa avrebbero pensato di me. Così ho sempre pensato che era meglio stare da sola, anche adesso non riesco a confidarmi con nessuno e non so come ci si comporti con un’amica, perché non ne ho mai avuto una!- fece una pausa e prese un altro respiro. –Ma tu sei la migliore amica che potesse capitarmi, e ti ringrazio per quello che fai per me. La tua amicizia per me è veramente importante, non voglio perderti, perciò ti prego di perdonarmi. Ho sbagliato a non fidarmi di te e a trattarti male, non lo farò mai più…-

Sasha mosse appena la testa ma non disse nulla, però continuò a guardarla con attenzione.

Aria abbassò la testa, strinse i pugni e, quando sollevò lo sguardo, tornò a guardare la sua amica. –Io ti voglio davvero bene e ti prego di perdonarmi perché sei la migliore amica che ho, e voglio che sia ancora così!-

Le labbra di Sasha si arricciarono in un sorriso, che via via si ampliò, poi fece un cenno con la testa e fece per andarsene.

Era felice del fatto che avesse accettato le sue scuse, ma Aria pensò ancora ad Eric. Inoltre, era tempo di chiudere con la sua vecchia vita e con le sue vecchie paure.

Inseguì Sasha e gli si lanciò al collo poco prima che le desse completamente le spalle, ritrovandosi stretta alla sua spalla.

La bionda, guardando la testa scura di Aria nascondersi sul suo braccio, rise. –Addirittura?- chiese, stretta ancora dall’amica. –Se arrivi addirittura ad abbracciarmi, allora devo proprio perdonarti!-

 

Eric camminava per il corridoio perennemente al buio che portava alla camere dei capi e dei membri più importanti della fazione, era assorto nei suoi pensieri e particolarmente di cattivo umore. Erano arrivati altri ordini dal quartier generale degli Eruditi, ovviamente segretissimi, e solo il pensiero gli faceva venire il mal di testa.

Aveva cercato Aria per tutta la residenza, era andato persino al poligono, ma non l’aveva vista per l’intera giornata. Non aveva bisogno di lei per calmarsi, ma almeno avrebbe voluto vederla dopo la notte precedente e, il pensiero che lei fosse chissà dove senza essersi preoccupata di farsi trovare, gli dava un certo fastidio.

Svoltò l’angolo che portava alla sua camera con la mascella serrata e, quando la vide, quasi sussultò. Tanto per cominciare non si aspettava di trovare qualcuno in quell’angolo buio in cui nessuno andava mai, dato che portava unicamente alla sua porta, perciò vedere quella figura seduta per terra al buio, lo colse sicuramente di sorpresa. E poi, si trattava di Aria.

La studiò lasciando che gli angoli della sua bocci si sollevassero in una smorfia, era tutto il giorno che la cercava e se la ritrovava seduta davanti alla sua porta. La cosa avrebbe dovuto fargli piacere, ma la giornata era stata troppo pessima perché ragionasse in maniera lucida.

-Cosa diamine ci fai qui?- Bisbigliò per non farsi sentire, ma era chiaramente adirato.

Aria si strinse nelle spalle e abbassò la testa.

Eric alzò gli occhi al cielo, ci mancava solo la versione debole di Aria. –Cosa ti passa per la testa, venire qui da sola? E poi cosa fai ferma lì seduta, potrebbero vederti!-

Non aveva tempo per capire per quale ragione la ragazza fosse stata irrintracciabile per tutto il giorno per poi attenderlo davanti alla sua camera, con il rischio che qualcuno li scoprisse, ma la faccenda non gli piaceva per niente.

Poi la parte del suo cervello tornò vigile e lo portò ad osservare meglio la ragazza, cogliendo il tremore lieve delle sue braccia. Era seduta con la schiena contro la parete, le ginocchia al petto e le braccia strette attorno alle gambe, teneva la testa bassa e il suo sguardo era assente.

Mettendo insieme i pezzi del puzzle che aveva davanti, Eric si ricordò che quello era il primo giorno del secondo modulo d’addestramento, ovvero il giorno a cui agli iniziati veniva iniettato per la prima volta il siero di simulazione per vedere come reagivano alle loro peggiori paure.

E, in molti, non reagivano. Per giunta, la prima volta era sempre la peggiore.

Sospirò e si passò una mano fra i capelli, mentre si guardava intorno e controllava che non ci fosse nessuno nel corridoio precedente. Guardò Aria, ancora seduta per terra, stretta nelle spalle e con le labbra serrate.

-È stato così terribile?- Indagò, guardandola dall’alto.

E Aria si mosse, ebbe un sussulto con il quale gli segnalò che aveva colto perfettamente il significato della sua domanda, poi lo trapassò con un’ occhiata profonda ma spenta. I suoi occhi scuri erano lucidi e tremanti, ma estremamente seri.

Eric serrò la mascella e alzò un’ ultima volta gli occhi al cielo, prima di sospirare. Estrasse dalla tasca una chiava e, oltrepassando la ragazza, aprì la porta della stanza. -Dai entra, prima che ti veda qualcuno…-

 

 

 

 

 

 

 

 

 Continua…

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Capitolo 17
*** Via di fuga ***


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17. Via di fuga

 

 

 

 

Entrarono nella stanza ed Eric non accese nemmeno la luce, si tolse la giacca e la appese, guardando Aria che avanzava nella penombra. Le tende della stanza erano aperte e, delle vetrate, entravano le prime luci della sera.

Aria si muoveva come se avesse mille scosse elettriche che le attraversavano il corpo, la vide contrarre le dita delle mani e portarsene una ai capelli, che iniziò a scompigliare. Si sedette ai piedi del letto e incassò la testa fra le spalle.

-Le tue paure erano così sconvolgenti?- chiese, in un misto di impazienza e risentimento.

Con una parte di sé stesso era preoccupato per Aria ed era ansioso di scoprire cosa aveva visto nella sua allucinazione, ma con l’altra parte avrebbe sperato di vederle affrontare il secondo modulo con la stessa determinazione con cui aveva superato il primo.

Inoltre, lui non era certo bravo a dare conforto.

-Stai scherzando?- sbottò Aria, guardandolo indignata. –Non me ne frega niente delle mie paure, so quali sono e so come affrontarle…-

Guardò le sue mani, le teneva fra le ginocchia, e alzò le sopracciglia. –Allora qual è il problema?-

Aria arricciò le labbra per la rabbia e si alzò in piedi. –Il problema, Eric, è che ho fatto un tempo pietoso!-

A quel punto Eric strabuzzò gli occhi, non sapendo se ridere o arrabbiarsi.

-Ho fatto schifo, almeno qui volevo essere la prima, e invece sono tra gli ultimi!- Disse Aria, iniziando a fare avanti e indietro davanti a lui. –Non so nemmeno se farò dei tempi abbastanza decenti per passare il modulo, ma dannazione volevo essere fra primi, non voglio dovermi accontentare del lavoro che mi lasciano. Voglio scegliere!-

Eric incrociò le braccia al petto e la guardò l’alto. –Che tempo hai fatto?-

Si fermò di colpo a quella domanda, e lo guardò abbassando lo sguardo. –Sedici minuti…-

Riflettendoci, Eric dovette ammettere che era un tempo piuttosto alto, i migliori riuscivano a restare sui dieci muniti e, quelli che volevano realmente distinguersi, non dovevano neanche arrivarci a dieci. Sedici era un bel po’ di tempo, ma non erano tante le ragazze che, risvegliatesi dall’allucinazione, si ponevano il problema del tempo. La maggior parte andava in crisi.

Scosse la testa. –Dovresti comunque farcela, considerando che eri fra i primi alla fine del primo modulo. Ma, effettivamente, è un tempo a dir poco pietoso!-

Aria allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo. –Lo so! per questo è un problema…-

Seguì con gli occhi la ragazza che si fermava davanti alle finestre, a guardare fuori, e si ritrovò a pensare a quanto adorasse quella parte fiera e coraggiosa di lei. Sorrise appena ma, dentro di lui, c’era qualcosa che era cambiato e che si era totalmente smarrito fra le curve di Aria. Così, nel profondo di sé stesso, sentì quel bisogno che avvertiva spesso di proteggerla, e non poté fare a meno di chiedersi cosa avesse visto nei suoi peggiori incubi. Inoltre, per quanto determinata fosse, Eric aveva visto il modo in cui tremava quando l’aveva trovata davanti la sua porta.

E aveva anche visto il vuoto nei suoi occhi.

Conosceva quel vuoto, era lo stesso sguardo che avevano tutti quelli che erano appena usciti dalla lotta contro i loro peggiori tormenti. Per alcuni le proprie paure erano generiche, per altri invece, erano piuttosto personali. Pensò ai colpi di frusta che aveva ricevuto solo pochi giorni prima, ai suoi deliri per il dolore quando l’aveva portata in infermeria, ricordò il suo sguardo triste quando pensava alla sua vecchia fazione, e si chiese se quei dettagli avessero influito con le sue paure.

Improvvisamente, ripensò al modo in cui si era comportata quando l’infermiera le aveva mostrato la siringa con l’anestetico, e al fatto che il siero di simulazione, a differenza di quello per il test attitudinale, veniva iniettato.

-C’erano per caso degli aghi nella tua allucinazione?-

Aveva posto quella domanda per caso ma, dal modo in cui Aria si voltò verso di lui, con gli occhi sbarrati e le guance in fiamme, capì che la risposta era affermativa.

-Aghi?- squittì, fingendosi sorpresa. –No, perché?-

Eric sogghignò fra sé e sé, ma fece spallucce. –Così, chiedevo…-

Vide gli occhi di Aria scaldarsi mentre avanzava verso di lei, lento e minaccioso, con i tratti del viso in ombra che lo rendevano ancora più temibile.

-Ti sei fatta trovare davanti alla mia porta, con il rischio che qualcuno ti vedesse…- iniziò, lento e letale. – E, come se non bastasse, mi hai assillato con le tue lagne!-

Aria arrossì e si appiattì con la schiena contro i vetri, gli occhi aperti da preda impaurita.

E faceva bene ad avere paura.

-Io non ti ho assillato, tu mi hai fatto delle domande ed io ho risposto… non sono una lagna!-

Alle parole della ragazza, Eric le mise le mani ai lati della testa e ne fece scorrere una sul suo viso. –Hai ragione piccola Aria, vorrà dire che ti serve una distrazione…-

Aria inarcò un sopracciglio quando percepì l’ironia con cui Eric la derideva, tuttavia non ebbe tempo di lamentarsi, perché il ragazzo l’afferrò dai fianchi e la gettò malamente sul letto.

-Eric, io non sono spaventata o altro…- provò a dire.

Ma Eric si mise davanti al letto e si tolse la maglietta che indossava. –Quindi, se non sei sconvolta, non hai bisogno che io ti distragga?-

Aria guardò i suoi addominali nella scarsa luce della stanza e deglutì. –Sono sconvolta, Eric!-

Il ghignò di Eric la fece rabbrividire. Il ragazzo saltò sul letto, la baciò e le fece scivolare via dalle gambe i pantaloni che indossava.   

 

Fuori era già notte inoltrata, ovunque regnava solo il buio ma, nel reparto di vetro sovrastante il Pozzo, era come se fosse pieno giorno. Il centro di controllo nella residenza degli Intrepidi era ancora in piena attività, i monitor e gli altri dispositivi di segnalazione erano collegati e le luci accese.

Quando Eric arrivò, il passo lento e silenzioso come quello di un animale a caccia, vide un addetto ai computer spegnere i macchinari e riordinare le scrivanie. Quando l’umo vestito di nero si accorse del capofazione, gli rivolse un breve cenno di saluto e spense tutte le luci degli ambienti adiacenti, lasciando accesa solo quella vicino al computer principale.

Ma la scrivania del dispositivo centrale, oltre ad essere rimasta l’unica illuminata, era già occupata. Eric storse il naso quando riconobbe il ragazzo, studiando i suoi capelli corti e le line del tatuaggio che gli salivano sulla nuca. Era Quattro, colui che odiava di più.

-Che cosa stai facendo?- Gli abbaiò contro.

Quattro si voltò e lo guardò ostentando una certa sicurezza e, con assoluta tranquillità, come se non avesse percepito la sua ira, gli rispose. –Ho inserito nel sistema i video delle simulazioni degli iniziati. Stavo giusto finendo di catalogarli…-

Eric sollevò il mento e continuò a fissarlo. Quattro si divertiva ad ignorarlo, non rispondeva alle provocazioni e non si sbilanciava mai. Avrebbe voluto mandarlo via, ma era fra i suoi compiti quello di passare nel computer centrale i risultati delle allucinazioni a cui erano stati sottoposti gli iniziati.

-Tempo migliore e peggiore degli esterni?- chiese, autoritario.

-Tre minuti Tris, ventuno Molly.- Gli rispose senza voltarsi.

Eric inarcò un sopracciglio non appena sentì il tempo più basso, forse il più breve mai registrato, e non si lasciò ingannare dalla superficialità di Quattro. Nemmeno lui, l’Intrepido con il più basso numero di paure mai incontrato, aveva impiegato così poco tempo ad uscire dall’allucinazione.

Vide il ragazzo terminare il suo lavoro e alzarsi, e rimase in silenzio.

-Come mai sei qui?- indagò Quattro.

Eric fece un ghigno, avendo finalmente un riscontro da parte del suo rivale, e cogliendo l’occasione per rimetterlo subito al suo posto. –Spetta a me analizzare i filmati, in quanto capofazione che supervisiona gli addestramenti…-

Quattro gli lanciò un’ occhiata penetrante, ma il secondo dopo si dimenticò completamente della sua presenza e uscì dal centro di controllo.

Rimasto finalmente solo, Eric si sedette davanti al computer centrale, lo stesso che era stato occupato da Quattro, e aprì il file con le ultime simulazioni.

Prese un respiro profondo pensando al vero compito che aveva da svolgere, ovvero analizzare i video in cerca di qualche dettaglio anomalo, per poi inviarli al quartiere generale degli Eruditi. A quel punto i filmati sarebbero stati esaminati con attenzioni da mani esperti e, in caso di sospetti, gli sarebbero arrivati ordini aggiuntivi. Quegli ordini altro non erano che condanne a morte dato che, nel caso in cui fossero stati trovati dei Divergenti, era compito dei capifazione eliminarli il prima possibile.

Sentì un sapore amaro invadergli la bocca al pensiero di quella parola, Divergenti, e di quante persone erano state fatte accidentalmente scivolare nello strapiombo. Ma faceva parte dei suoi doveri e dei suoi accordi, se voleva mantenere il suo ruolo di capo doveva consegnare i Divergenti agli Eruditi. Oltretutto, gli era sempre stato insegnato che i Divergenti provocavano disordini e problemi, e andavano individuati e fermati.

Il problema va estirpato alla radice, e quello era l’unico modo che avevano per salvaguardare l’ordine della loro città. In altre parole, poche morti erano un sacrificio necessario per un bene maggiore.

Ciò che odiava, e che temeva, era il fatto di dover prendere ordini da una donna che giocava a nascondere la realtà dei fatti e costringeva, lui e gli altri capi, ad obbedirle sulla base di false promesse e minacce velate. Parlava di un crollo del sistema delle fazioni che dovevano assolutamente evitare, ma non spiegava nient’altro.

Iniziò, con addosso un misto di rabbia e stanchezza, a visualizzare i video delle simulazioni di paura, in cerca di eventuali dati da comunicare. Poiché le allucinazioni erano già state catalogate in base al tempo, dal più breve al più lungo, si ritrovò ad analizzare l’allucinazione di Tris. Dato che tre minuti erano molto più che un record, Eric decise di studiare con attenzione il video.

Non notò nulla di strano, a parte un offuscamento dell’immagine nel passaggio tra la sua prima paura e il modo in cui si era gettata in acqua. A dire il vero era un dettaglio piuttosto strano, ma non spettava a lui stabilire se quella ragazza era o no un problema, così si limitò a copiare quel file nella cartella da inviare agli Eruditi, lasciando a loro il dilemma.

Seguì tutte le altre allucinazione registrate degli iniziati esterni senza riscontrare nulla di strano, fino a quando non arrivò agli ultimi filmati e si accorse che, il quartultimo, era intitolato Aria. Dopo di lei c’erano solo Drew, Al e Molly. Serrò la mandibola al pensiero che, proprio Aria, non fosse riuscita a fare di meglio.

Sospirò, decidendo di tenersi per ultimo il video di Aria. Così, quando finalmente ebbe finito di visionare le simulazioni degli altri, aprì il file della ragazza e seguì le immagini che scorrevano con attenzione, e anche con una certa curiosità del tutto personale…

 

Pareti di roccia delineavano una prigione circolare, da cui cascate d’acqua scorrevano verso un fondo sabbioso. Al centro esatto del letto di sabbia, era distesa una ragazza.

Il livello dell’acqua era arrivato a ricoprirle il corpo ma, poiché la parte sabbiosa su cui era adagiata aveva la stessa sagoma della poltrona reclinabile della stanza in cui veniva iniettato il siero per le allucinazioni, riusciva a mantenere la parte superiore del copro fuori dall’acqua.

La ragazza, ovviamente, era Aria. Era come addormentata, con la pelle del volto diafano su cui spiccavano le labbra rosse e le ciglia nere. Aveva i suoi vestiti da Intrepida, e le braccia erano nude, ma interamente ricoperte di siringhe che si insinuavano sotto la sua pelle con i loro aghi.

Quando aprì gli occhi, furono la prima cosa che vide.

Aria iniziò ad agitarsi, a respirare affannosamente mentre lottava contro gli aghi attaccati alla sua pelle, nel tentativo di liberarsene. Il suo battito cardiaco, segnalato da una serie di numeri ai lati dello schermo, saliva pericolosamente.

Ma ad un’occhiata più attenta, si accorse che tutte le siringhe erano collegate a dei tubicini trasparenti che venivano fuori direttamente dalla sabbia. Sollevò la testa e si accorse di un’ ulteriore siringa che penzolava sopra la sua testa con l’ago che luccicava pericolosamente, appesa anch’ essa ad un tubicino. Forse le sarebbe bastato tirare quella siringa, ma lei la guardò e scosse violentemente la testa.

Il secondo dopo, gli aghi si staccarono magicamente dalla sua pelle, la siringa appesa sopra di lei scomparve e la sua paura mutò, ma lo scenario rimase lo stesso.

Il livello dell’acqua crebbe e il fondo sabbioso iniziò ad assorbire il suo corpo lasciandolo sprofondare. Aria riprese ad agitarsi, a muovere freneticamente le braccia e a guardarsi intorno disperata.

Continuò a sprofondare nell’acqua e nella sabbia, fino a quando non rimase fuori solo la testa.

Poi accadde qualcosa di strano.

Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, immergendosi totalmente in acqua e trattenendo il fiato.

Inspiegabilmente, il battito cardiaco scese a livelli nella norma, e il computer registrò il dato passando alla paura successiva. Ma Aria non aveva fatto nulla per superare quell’ostacolo, si era solo lasciata annegare.

Lo scenario cambiò nuovamente, Aria era ancora distesa ma sta volta su un letto. Si trovava in una camera da letto dalle pareti lilla, e sul pavimento c’era un ambio tappeto colorato. Quando la ragazza aprì gli occhi, vide la porta della cameretta chiudersi di scatto e sentì distintamente il rumore della serratura che scattava.

Troppo tardi, Aria saltò giù dal letto e si scagliò contro la porta, cercando di aprirla ma senza riuscirci. Iniziò a battere con i pugni contro il legno, agitandosi ancora.

Sconfitta, diede le spalle alla porta e vi si lasciò scivolare contro, ritrovandosi seduta per terra.

Osservò la stanza in preda al panico, studiando le mensole stracolme di libri e notando la finestra spalancata di fronte a lei.

Era la sua via di fuga, ogni scenario della paura ne aveva una, ma lei non lo sapeva.

Guardò allora la punta delle sue scarpe nere, e qualcosa sembrò scattare nella sua mente. Si abbracciò le ginocchia con le braccia e vi appoggiò sopra la fronte, iniziando a dondolarsi piano avanti a indietro.

-Intrepida, Intrepida, Intrepida…- iniziò a sussurrare, in una cantilena lenta e continua.

Il battito cardiaco segnalato dal monitor scese, sempre di più. I minuti erano arrivati a sedici, ma la sua simulazione della paura si concluse senza alcuna spiegazione.

 

Quanto Eric si ritrovò davanti al monitor dopo che il file con il video si era chiuso, il suo respiro era accelerato e la fronte imperlata di sudore. Si affrettò ad inviare le registrazioni dei quattro iniziati con i tempi più bassi, e archiviò tutti gli altri.

Il suo compito era quello di visionare le allucinazioni e di inviare quelle che, secondo lui, avevano qualcosa di sospetto. Aveva deciso di inviare quelle con i tempi migliori, dato che i Divergenti, di solito, erano bravissimi ad uscire dalle simulazioni. In quel modo, i video con le allucinazioni che erano durate troppo a lungo, erano al sicuro. A nessuno sarebbe venuto in mente di andare a guardarle, dando per scontato che nessun Divergente poteva nascondersi fra chi aveva impiegato più di dieci muniti per uscire dalle proprie paure.

E, invece, fra di loro un Divergente c’era.

Appoggiò i gomiti sulla scrivania e seppellì il volto fra le mani.

Una Divergente.

Aria era Divergente.

Come spiegare in altro modo le siringhe che sparivano da sole, senza che avesse fatto nulla per superare quella paura? Come giustificare il cambio di scena dopo che si era lasciata affogare nell’acqua? Come era possibile che, attraverso le sue scarpe, avesse capito che, in quanto Intrepida, non poteva trovarsi in quella che doveva essere stata la sua camera quando era fra gli Eruditi?

Solo i Divergenti erano coscienti duranti le allucinazioni.

Si passò le mani sopra la testa e si afferrò i capelli corti, tirandoli con forza.

Spense il computer e si alzò con uno scatto, dando un calcio alla sedia, poi uscì dalla stanza senza disturbarsi di spegnere la luce.

Camminò per i corridoi bui con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, i pugni serrati per la rabbia e la mascella che, a furia di contrarla, iniziava a fargli male come tutte le volte che si lasciava accecare dall’ira.

Perché, fra tutti quanti, proprio lei doveva essere una maledetta Divergente? Lo era davvero, o si era sbagliato? Magari era stato un giudizio troppo affrettato, forse c’era un'altra spiegazione.

Ma, se aveva visto giusto, era spacciato.

L’avrebbero scoperta e lui non avrebbe potuto nasconderla e, se mai fosse riuscito a proteggerla, quanto gli sarebbe costato quel gesto?

Cosa stavano rischiando realmente, a cosa stavano andando incontro?

Quello, nella sua vita, era uno dei momenti in cui doveva chiedersi cosa era realmente importante per lui. Poteva salvare la sua posizione, svolgere il compito che gli era stato assegnato e consegnare Aria. Oppure poteva sfruttare quella sua stessa posizione per nascondere i video incriminanti e proteggerla.

Credeva ancora nella guerra e nel loro obbiettivo, e non aveva alcun motivo per proteggere i Divergenti, che li sterminassero pure, avrebbero avuto tutti meno problemi. Non era cambiato niente nel suo modi di pensare, di essere e di comportarsi.

Ma, nelle sue priorità, qualcosa era salito al primo posto.

Aria era al primo posto.

Gli bastava pensare ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo corpo caldo abbandonato fra le sue braccia per capire che per niente al mondo avrebbe lasciato che qualcuno la gettasse nello strapiombo.

L’ aveva vista cadere dal sentiero che risaliva il Pozzo, e aveva dovuto mantenere il controllo. Aveva visto il suo corpo ricoperto di sangue e ferite per le frustate di Finn, e non aveva potuto fare altro che rimanere al suo posto. Ma, dopo averla vista piangere in infermeria, e dopo averla vista disperarsi nelle sue allucinazioni della paura, sapeva che non si sarebbe mai più sentito impotente e che non avrebbe mai più permesso a niente di farle del male.

Aveva già deciso di tenerla al sicuro dalla guerra, e di certo non avrebbe rischiato che gliela portassero via e la uccidessero perché era una Divergente.

Lei era sua, sua e basta, l’avrebbe protetta a qualsiasi costo.

Avrebbe trovato la sua via di fuga.

Era pur sempre il capofazione degli Intrepidi, aveva rispetto e potere, doveva esserci per forza il modo di tenere al sicuro l’unica persona a cui teneva.

Arrivato alla sua stanza aprì la porta ed entrò dentro al buio, chiudendola di scatto il secondo dopo.

Le tende lasciavano filtrare la luce lunare, che illuminava il letto dove, seduta al centro, c’era Aria. Pensò che fosse un bene averla trovata già sveglia, così non avrebbe dovuto svegliarla.

Luna era distesa vicino ai suoi piedi, mentre la ragazza sedeva con la trapunta tutta raggruppata attorno alle gambe. Aveva i capelli arruffati, e si strofinò gli occhi con i pugni come una bambina.

-Dove sei stato?- biascicò, con la voce impastata dal sonno.

-Aria…-

Quando posò gli occhi su di lui, per il tono allarmato con cui gli aveva sentito pronunciare il suo nome, Aria dovette sicuramente notare la sua espressione sconvolta e il modo in cui il suo petto si sollevava e si riabbassava, al ritmo del suo respiro decisamente accelerato, perché lo guardò corrugando le sopracciglia.

Eric prese un profondo respiro e serrò un pugno. –Che risultato ha dato il tuo test attitudinale?-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 18
*** Questione di scelte ***


18. Questione di scelte

 

 

-Che risultato ha dato il tuo test attitudinale?-

Aria lo guardò e rimase a studiarlo per diversi secondi, continuando a corrugare la fronte e a piegare la testa per guardarlo da diverse angolazioni.

Scosse la testa. –Intrepida. Ma perché me lo chiedi?-

Eric parve tornare a respirare in quel momento, fece una brave corsa fino ad arrivare al letto e vi puntò le ginocchia mettendosi accanto a lei.

La ragazza però ebbe quasi un fremito di paura, per la velocità e l’intensità del gesto.

-Ne sei sicura?- Le chiese Eric, guardandola dritto negli occhi. –Se c’è qualcos’altro a me puoi dirlo...-

Aria guardò da un’ altra parte, ma Eric, sempre più agitato, le prese il viso fra le mani.

-Devi dirmelo, è importante!- le disse.

Ma lei non capiva, lo guardò storto e scosse la testa, divincolandosi dalle sue mani che le tenevano il viso. –Eric è notte, che ti prende? Io non…-

-Aria!- L’ammonì, tornando serio e con la solita autorità.

-Intrepida!- sbottò alzando le braccia. –Ne sono sicura!-

Il ragazzo si ricompose, si passò una mano fra i capelli e respirò profondamente, ma poi, qualcosa dovette saltargli alla mente perché la guardò spaventato. –Chi ha eseguito il tuo test?-

-Un uomo Abnegante.- Rispose, alzando le spalle.

Eric scattò. –Lo hai visto scrivere qualcosa al computer, ha inserito lui manualmente il risultato?-

-No, è apparso sul monitor!- disse con voce squillante, guardandolo storto. –Lo ha perfino girato per farmi vedere!-

Le sue parole non bastarono a convincere Eric, che ancora la guardava come se stesse aspettando che cadesse a pezzi da un momento all’altro.

Sembrava ossessionato da qualcosa. –Ha detto altro? Era in dubbio per qualche motivo?- Quando vide il volto di Aria rabbuiarsi, e i suoi occhi perdersi in qualche vecchio ricordo, Eric impallidì. –Parla!-

-Ha detto che era strano, perché per un attimo aveva creduto che il risultato sarebbe stato Erudita…-

Il ragazzo scosse la testa e la guardò dubbioso. –E perché mai credeva che il test avrebbe dato come risultato gli Eruditi?- chiese, scandendo e sputando fuori con disprezzo ogni singola parola.

Aria si scostò leggermente da lui, intimorita. –Non lo so…-

Eric a quel punto, si mise le mani davanti agli occhi, avvilito. –Aria…- iniziò, ma poi capì che doveva controllarsi, perciò prese un pesante respiro e ricominciò. –Va bene, procediamo con calma.- Propose.

La ragazza parve tranquillizzarsi, e gli prestò attenzione.

-Nel tuo test, dovevi fare subito una scelta. La carne o il coltello, giusto?-

-Sì- Rispose Aria, attenta e decisa ora che la conversazione stava svoltando verso qualcosa che comprendeva. –Io ho preso il coltello.-

-Perfetto!- Eric assottigliò lo sguardo, soddisfatto. –Poi è sbucato fuori il cane inferocito, e tu lo hai attaccato con il coltello?-

Considerato l’entusiasmo con cui le pose la domanda, Aria capì che si aspettava una risposta positiva, si strinse nelle spalle e abbassò la testa, sapendo di non poterlo accontentare.

Eric, sedutole accanto, colse il significato dietro il suo atteggiamento e attesa la sua risposta con il cuore che aveva smesso di battere.

-Io ho pensato che, con un misero coltello, non avevo speranza contro i suoi denti e contro le sue zampe, se mi fosse saltato addosso. Così mi sono lasciata cadere a terra, fingendomi svenuta. Sapevo che avrebbe abbassato la guardia e che non mi avrebbe attaccata.-

Eric abbassò la testa, lo sguardo spalancato e perso nel vuoto di chi ha appena visto ogni sua certezza dissolversi nel vento. Aveva considerato quell’opzione, ma trovarsela davanti era devastante. Chiuse gli occhi per qualche secondo e cercò di ricordare a sé stesso quali erano le priorità e come risolvere il problema.

–Cosa è successo dopo?- chiese senza guardarla, con un filo di voce.

Sapeva già che qualsiasi cosa la ragazza avesse aggiunto non avrebbe migliorato la realtà.

-È apparsa una bambina, che ha attirato l’attenzione del cane e lo ha fatto tornare a ringhiare.-

Fece una pausa per studiare l’espressione di Eric, trovandolo con la testa bassa e lo sguardo spento. Si rifiutava di guardarla, e pensò che fosse tanto immerso nei suoi tormenti che non l’ascoltasse neppure. –Avevo ancora il coltello in mano, così sono corsa dietro al cane e gli sono saltata addosso, pugnalandolo sulla schiena.-

Il ragazzo sollevò la testa e nei suoi occhi balenò una piccola scintilla, piegò la testa da un lato e si prese alcuni secondi per riflettere.

–Aria, nessun Intrepido risparmia il cane e arriva alla bambina.- Spiegò con rammarico. –Ma è anche vero che nessuno, tra quelli che ci arrivano, ha ancora il coltello in mano e lo usa contro il cane.-

Aria, sentendolo parlare, si accorse della punta di orgoglio e speranza che gli era apparsa nello sguardo, ma non disse nulla.

-La visione si è conclusa a quel punto, vero?- Le chiese, spiandola con la coda dell’occhio.

Si strinse ancora nelle spalle e abbassò la testa. –No…-

Eric serrò la mascella e i suoi occhi si spalancarono per la rabbia, aveva un’ espressione feroce, quasi spaventata.

Aria continuò. –Mi sono trovata su un autobus, un uomo aveva in mano un giornale e continuava a chiedermi se conoscevo il tizio ritratto in prima pagina. A me sembrava di conoscerlo, ma quello lì era così insistente e maleducato…-

-E quindi?- La incalzò Eric, vedendo che impiegava troppo tempo per dargli la risposta che aspettava.

-Gli ho dato un pugno sulla faccia.- Ammise in imbarazzo, abbassando la testa e sollevando solo gli occhi per vedere se lui si infuriava o altro. –Sul naso!-

Forse per tutta la tensione accumulata, forse per il modo in cui aveva parlato, come una bambina che confessa una marachella, Eric si concesse una breve risata.

Aria si rilassò e, se in parte era offesa per il fatto che si fosse messo a ridere, dall’altra parte era sollevata per averlo visto tornare calmo.

Eric, infatti, alzò per un attimo gli occhi al cielo, per concentrarsi, e poi li posò su di lei. Le si avvicinò e le accarezzò una spalla con la mano, cercando poi di guardare in basso per nascondere l’agitazione che ancora gli si muoveva nello stomaco.

–Aria, quando il test mostra diverse scene, è perché il risultato è incerto.- Le spiegò. –Tutti quelli che hanno avuto come esito gli Intrepidi, hanno preso il coltello e lo hanno usato contro il cane alla prima occasione, e il loro test si è concluso lì. Il tuo, invece, aveva bisogno di escludere gli Eruditi…-

Quando Eric lasciò cadere la testa in avanti, come se il peso che aveva sulle spalle fosse troppo grande, Aria sollevò le sopracciglia. –Di escluderli?- chiese.

-Il test attitudinale è tutta una questione di scelte,- Le disse, con calma e pazienza, tornando finalmente a guardarla. –A seconda di come decidi di agire, vengono escluse determinate fazioni.-

-Spiegami.- Disse Aria, osservandolo con attenzione.

Per un attimo, la ragazza ebbe quasi l’impressione che Eric si divertisse a darle tutte quelle delucidazioni, come amavano fare gli Eruditi. Ma le sembrò assurdo, così scosse la testa senza essere vista.

-Prendendo il coltello, all’inizio, hai escluso i Pacifici e gli Abneganti. Loro non avrebbero mai preso un’ arma.- Le disse, avvicinandosi ancora. –Il problema nasce all’arrivo del cane, quando hai iniziato a riflettere sulla mossa migliore da fare, decidendo poi di buttarti a terra. Quella è una cosa che farebbero gli Eruditi…-

La paralizzò con uno sguardo affilato e tagliente come una spada.

Aria capì che Eric era contrariato dal suo modo di agire da Erudita e, oltre a rimanere intimorita da quello sguardo, si arrabbiò con sé stessa.

-Ma un Erudito non si metterebbe mai ad inseguire il cane, scapperebbe via, e non lo colpirebbe. Quella è una scelta da Intrepida.- Le disse Eric, con una punta di dolcezza, per quanto il suo carattere gli permettesse di essere gentile. –Scelta che hai confermato sull’autobus. Non hai confessato il nome del ricercato sul giornale, come farebbe un Candido, e non ti sei messa a discutere con quell’uomo, come farebbe un Erudito.-

La ragazza si portò le ginocchia al petto e rimase in silenzio, decisamente più sollevata ma carica di dubbi.

-Hai fatto qualcosa che solo un Intrepido poteva fare.- Le disse malizioso, con tanto di sopracciglio alzato.

-Quindi adesso ti sei convinto del mio risultato?-

Eric si incupì, serrò le labbra e parlò seriamente. –Sei sicura che il risultato del test sia comparso e non sia stato inserito?-

-Sì, ma Eric…-

-Credo che tu abbia una lieve divergenza…- Buttò lì, togliendole la parola.

Aveva lanciato quella bomba tutta d’un fiato, perché sapeva che se si fosse fermato a riflettere, non sarebbe mai riuscito a dire quello che provava. Peccato che, il solo dire quella parola ad alta voce, lo fece sentire come se avesse appena incassato un pugno in pieno stomaco.

Aria, dal suo canto, ebbe una reazione tipica da Erudita. La sua vecchia fazione, infatti, odiava i Divergenti e insegnava ai bambini a stare alla larga da quelle persone con strani poteri mentali.

–Cosa? Stai scherzando, divergenza?- farfugliò con voce squillante. –Dove hai sbattuto la testa?-

-Eri cosciente durante la tua allucinazione della paura, oggi?- Le chiese deciso, quasi fosse un severo rimprovero.

Lei scosse la testa e lo guardò come se avesse detto la più grande delle assurdità. –No! Ero confusa, non capivo cosa mi stava succedendo e…-

-E allora come hai fatto a fare sparire gli aghi e a non affogare?- Le urlò contro, avvicinandosi al suo viso come una sfida a mentire ancora.

-Bè perché…- Ma poi Aria lo guardò e sul suo volto apparve una profonda indignazione. –Aspetta un momento, come lo sai?-

Eric deglutì e sollevò il mento con fare distaccato, rifiutandosi di farsi condizionare dalla sua espressione offesa, pur sapendo di essere stato colto in flagrante. –Rientra nei mie compiti visionare le simulazioni per il secondo modulo…-

Gli occhi di Aria si spalancarono insieme alla sua bocca, e il suo sguardo si accese di rabbia, così come le sue guance si accesero di rosso. –Cosa? Non è giusto, perché hai visto le mie paure, è tipo una cosa personale!-

-Aria rispondi!- ringhiò Eric.

-Non sapevo dove mi trovavo né perché ero lì- Sbottò, guardandolo di traverso. –So solo che, ad un certo punto, mi sono chiesta: come fanno delle siringhe ad essere collegate alla sabbia? E, quando il livello dell’acqua è salito, ho pensato che non serviva e nulla avere paura, così mi sono lasciata andare..-

Il ragazzo scosse la testa, ancora arrabbiato. –E come hai fatto ad uscire da quella stanza?-

Aria storse il naso e lo guardò con profondo rammarico, facendogli capire che quella paura era davvero personale e che avrebbe preferito non parlarne. –Ho visto le mie scarpe e i miei vesti neri e ho pensato che, anche se non capivo come ero finita ancora lì dentro, voleva dire che non facevo più parte degli Eruditi, ma che avevo già scelto gli Intrepidi. Perciò, prima o dopo, mi avrebbero fatta uscire!-

-Era la tua stanza quando vivevi ancora con la tua famiglia?-

Aria lo guardò con rabbia. –Sì!- sibilò a denti stretti.

Eric analizzò la sua reazione, e capì che non era il caso di aggiungere altro, anche perché il modo in cui gli aveva risposto era sufficiente. Iniziò a riflettere, e poi cercò il suo sguardo per parlarle.

–Avresti potuto avere due risultati al test, Eruditi ed Intrepidi, risultando così una Divergente!-

La ragazza lo guardò con le sopracciglia contratte, dubbiosa e ancora arrabbiata.

Eric continuò. –In pochi sanno però che, molti Divergenti, stranamente, ottengono un solo risultato e nessuno si accorge della loro divergenza. È anche vero che, in alcuni casi, nonostante nel test si evidenzi chiaramente la predisposizione per una determinata fazione, alcune scelte vengano influenzate dal modo di pensare della vecchia fazione d’appartenenza. Quindi, se si ha una lieve divergenza verso la fazione in cui si è nati, e se il test attitudinale non la conferma, è tutto nella norma.-

-Eric, non sono una Divergente!-

-No, non lo sei!- ammise, tornando finalmente in sé. –Tutte le scelte che hai fatto hanno determinato che sei un’ Intrepida. E, per quando riguarda la scelta di buttarsi a terra, non solo gli Eruditi calcolano la mossa migliore per attaccare…-

Quando Eric rise, per la prima volta in maniera sincera e spensierata, senza arroganza, Aria rimase ad osservarlo e nascose un sorriso.

–Perché ridi?- gli chiese.

Il ragazzo la guardò e, nei suoi occhi verde chiaro, la nebbia che di solito li avvolgeva si dissolse. –Perché era lo stesso metodo che usavo io per superare le mie paure: usavo la logica!-

Aria abbassò la testa e si strinse nelle spalle, con un piccolo sorriso a fior di labbra. Per una sconosciuta ragione, scoprire i punti in comune che aveva con Eric le scaldava il cuore. Tuttavia non capiva come fosse possibile che il capofazione degli Intrepidi usasse proprio la logica per uscire dalle simulazioni, era una cosa da Eruditi, ed Eric era la persona più Intrepida che avesse mai conosciuto. Scrollò le spalle e decise che era meglio non chiedere nulla.

-Devi stare attenta,- Le sussurrò il ragazzo, mettendole una mano dietro la schiena. –La tua lieve divergenza potrebbe essere notata, devi cambiare il modo in cui affronti le tue paure nelle simulazioni, e non raccontare a nessuno il tuo test attitudinale.-

Ascoltò in silenzio ma, ad un centro punto, ad Aria venne un dubbio. –Come fai a sapere tutte queste cose sul test attitudinale e sui Divergenti?-

Eric si irrigidì e guardò da un'altra parte senza nascondere la sua rabbia, tornata a deturpargli i lineamenti. –Fa parte del mio lavoro…-

-Fa parte del tuo lavoro?- Aria lo guardò con sospetto.

-Non fare domande di cui potresti pentirti!- le sibilò contro il viso, assumendo un comportamento spietato.

Non poteva certo raccontarle delle sue discussioni con la rappresentate degli Eruditi, né del suo ruolo nella caccia ai Divergenti.

-Perché eri tanto spaventato all’idea che potessi essere una Divergente?-

Sentendosi porgere quella domanda, Eric si incupì e smise di ricambiare il suo sguardo. Non poteva dirle la verità, certo, ma una parte di realtà poteva anche concedergliela. Sarebbe servito a metterla in guardia e, dire ciò che pensava ad alta voce, avrebbe aiutato lui a prendere coscienza di ciò che realmente provava nei confronti di quella ragazza. –I Divergenti non hanno vita lunga fra gli Intrepidi, e non mi piacerebbe vederti fare una brutta fine…-

Perché era quella la sua preoccupazione, e l’unica risposta che poteva concederle. Era quello che aveva fatto cambiare le sue priorità, e che aveva sconvolto il suo modo di essere e di pensare. Se in gioco c’era la vita di Aria, Eric era disposto a cambiare le carte in tavola e a fare i conti con sé stesso e con chiunque altro, solo per lei.

Sul volto di Aria si inseguirono la paura per la brutalità della sua frase, ma poi capì che Eric stava cercando di proteggerla e abbassò lo sguardo.

Preferì cambiare i toni della conversazione, spostandosi su qualcosa di più leggero.

-Non vale, tu conosci le mie paure!- gli disse con tono falsamente offeso.

Eric fece un ghigno divertito. –Sì, è ho qualche domanda per te. Ad esempio, da dove viene la paura per gli aghi?-

La ragazza lo guardò storto. –Non intendo rispondere, sono fatti miei!-

-Perché dovresti avere paura di qualche piccolo ago, non sai resistere al dolore di una puntura?- La provocò, leccandosi abilmente le labbra con la punta della lingua

-Non ho paura di uno stupido ago!- sbottò, incenerendolo con lo sguardo. –Ho paura delle iniezioni!-

Eric la osservò per un attimo, studiando il modo in cui si stringeva nelle spalle, come a volersi fare sempre più piccola quasi fino a sparire.

-Ho paura di quello che può esserci dentro le siringhe…- sussurrò, con gli occhi fisse sulle proprie gambe.

Le passò una mano sul viso, con la sua solita dolcezza rude e prepotente. –Dimmi perché.-

-No!-

-Andiamo…- le disse con voce rauca, mettendole anche l’altra mano sull’altra guancia. –Perché non vuoi mai dirmi niente? Pensi di essere più seducente con tutti i tuoi segreti?-

Alzò i suoi occhi scuri su di lui e fece un’ espressione furba. –Parla prima tu allora, tu mi dici una delle tue paure, e io ti spiego una delle mie.-

Eric sollevò un sopracciglio e serrò la mascella, era piuttosto infastidito dalla piega che la situazione aveva preso, non essere più quello in vantaggio non gli piaceva affatto. Tuttavia era curioso, e voleva a tutti i costi scoprire da cosa derivava quella paura e, dato che lei ci teneva tanto a tenerla nascosta, per Eric scoprirla diventava una questione d’orgoglio. In una battaglia immaginaria, ottenere quell’informazione rappresentava la vittoria e, di sicuro, lui voleva vincere.

-Avevo paura dell’obbedienza. Il pensiero di dover sottostare a qualcuno, o il dover obbedire agli ordini, mi faceva salire i nervi.- Acconsentì di dire, distaccato.

Gli occhi blu di Aria lo incatenarono, carichi di attenzione e calore. –E perché avevi quella paura?-

Piegò la testa da un lato, la sua curiosità lo esaltava. Ghignò. –Proprio tu, una ragazzina ribelle che veniva dagli Eruditi e che non vedeva l’ora di liberarsi, mi chiedi da dove venga la mia paura per l’obbedienza? Aria, non ti dice niente?-

La ragazza fece un cenno con la testa, continuando a prestargli attenzione. Per lei era normale cercare la libertà, era stata per anni imprigionata in una fazione che odiava, ma da dove nasceva la ribellione di Eric? Dava per scontato che fosse nato fra gli Intrepidi e che fosse stato sempre il più forte, che si fosse sbagliata?

Eric la guardò in silenzio per diversi secondi, con i suoi occhi chiari ridotti a due fessure da cui la fissava minaccioso, illuminati da una strana emozione che non riusciva a riconoscere. Era come se si aspettasse qualcosa da lei, forse c’erano delle cose che le sfuggivano, ma le parole del ragazzo misero fine ai suoi pensieri.

-Ho affrontato la mia iniziazione carico di rabbia e con la voglia di arrivare in alto, ero determinato, e qualsiasi ostacolo sulla mia strada era d’intralcio. Non sopportavo dover obbedire agli istruttori e agli altri capi.-

-E poi sei diventato un Capofazione, così non c’è nessuno che può dirti cosa fare!-

Eric guardò Aria e le accarezzò i capelli che le ricadevano sul braccio. –Direi di essere stato piuttosto esaustivo, ora tocca a te…-

Quando si passò una mano sulla testa per ravviarsi i capelli, Aria sospirò ed abbassò lo sguardo. –mia madre era un medico così, quando iniziai a comportarmi come un animale selvaggio, come diceva lei, si portò a casa una scorta di sedativi e siringhe che  chiuse in un armadietto.- sollevò gli occhi su di lui e lo guardò intensamente. –Tutte le volte che correvo per strada, o quando mi arrampicavo da qualche parte, o se scopriva che a scuola ero andata a giocare con i figli degli Intrepidi, mi inseguiva con una di quelle dannate siringhe e mi iniettava il sedativo.-

Eric osservò il modo in cui iniziò a stringere la trapunta fra le mani e, dentro di lui, sentì la rabbia crescere e soffocarlo. Avrebbe dovuto essere dispiaciuto per lei, provare dolore, e invece era solo arrabbiato. Forse era vero che l’unica cosa che era in grado di provare era la rabbia.

-Avrei preferito qualsiasi cosa, ma non quella sensazione d’ impotenza che provavo tutte le volte che mi iniettava quel maledetto sedativo. Dormivo per qualche ora e, tutte le volte, mi svegliavo sentendomi inutile ed arrabbiata. Ho scelto gli Intrepidi per non sentirmi più debole e indifesa.-

-È per questo che quella volta in infermeria, quando ti ho fatto dare quell’anestetico, ti sei agitata in quel modo?- le chiese piegando la testa da un lato, cauto.

Aria sollevò lo sguardo verso di lui e spalancò gli occhi, lo guardò con rammarico per qualche munito, ma poi parve rassegnarsi e abbassò la testa scrollando le spalle.

-Basta parlare!- affermò Eric. –È tardi e sono stanco!-

Si alzò in piedi e si liberò dei pantaloni che indossava, infilandosi sotto le coperte.

Aria si spostò per fargli posto, e gli allungò le coperte. La gatta, che ancora dormiva nella parte bassa del letto, saltò giù e si riappisolò sul pavimento. Le luci della stanza erano spente, ma attraverso le tende iniziava ad entrare un po’ di luce, segno che il mattino non era lontano.

-Se non hai abbastanza sonno per dormire, posso stancarti io…- Disse Eric con voce calda e sensuale, prendendole il viso fra le mani ed iniziando a baciarla con crescente bramosia.

Aria sorrise contro le labbra di Eric e gli mise le mani sulle spalle, si sdraiarono insieme e si persero in un gioco di baci e carezze che orami erano abili a fare, fino a quando non si separarono per addormentarsi.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

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Capitolo 19
*** Mente avvelenata ***


19. Mente avvelenata

 

 

-Non posso crederci che tu non mi abbia mai parlato di questo!-

Aria caricò la pistola con uno scatto e sollevò lo sguardo su Sasha, appoggiata al muro poco distante dal tavolo con le armi. -Ti avevo detto che stavo seguendo un corso al poligono, dove pensavi che andassi quando sparivo prima di cena?-

Sasha alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. –Certo, ma non mi hai portata qui, e non mi hai detto quando sei brava!-

La bionda si riferiva alla fila di bersagli appesi al meccanismo mobile che aveva centrato nonostante il movimento. Il macchinario aveva già sostituito i bersagli colpiti con altri nuovi.

-Ti ho promesso che mi sarei comportata da vera amica e ti ho portata con me, semplice!- le spiegò Aria.

Dopo il loro litigio si stava impegnando per condividere di più con la sua amica, ma sorrise, quella situazione sembrava strana per entrambe. Si risistemò i capelli dietro l’orecchio e si avvicinò alla posizione per sparare con la pistola in una mano.

I primi tre colpi partirono e lasciarono un foro al centro del bersaglio, Sasha indietreggiò ma fece un piccolo sorriso. Aria si voltò verso di lei e le fece segno perché vedesse i suoi risultati. Stava per riprendere a sparare, quando sentì delle voci rimbombare nel corridoio prima del poligono e, di fatti, poco dopo, due ragazze entrarono nella grotta.

La prima che aveva fatto il suo ingresso era una giovane Intrepida con i capelli neri striati di blu, era molto alta e magra, con un naso a punta ad occhi piccoli eppure, nel complesso, aveva un aspetto molto gradevole. Ma, alla vista della seconda ragazza, Aria trattenne un fremito e per poco non lasciò trasparire quello che provava. Non era la prima la volta che la vedeva, aveva i capelli rossi raccolti in uno chignon scomposto che non riusciva a contenere i suoi ricci ribelli, era alta e magra e piuttosto attraente con il suo sorriso furbo.

Non aveva avuto modo di analizzarla le altre volte che l’aveva notata, ma l’aveva riconosciuta ugualmente. Si scambiò un’occhiata con Sasha e vide che anche lei aveva capito di chi si trattava, d'altronde, erano insieme quando l’avevano vista avvicinarsi ad Eric in palestra. In realtà Aria l’aveva anche vista parlare con lui a mensa.

Ebbe un tuffò al cuore quando i suoi occhi si incrociarono con quelli della rossa.

-Oh!- esclamò proprio lei, con un sorriso imbarazzato eppure perfetto. –Non sapevamo che ci fosse già qualcun altro!-

Aria avrebbe voluto dirle qualcosa, dato che si era rivolta a lei con un atteggiamento piuttosto gentile, ma era rimasta paralizzata.

-Bè, c’è posto per tutti!- tagliò corto l’altra ragazza, avanzando verso i bersagli.

La ragazza con i capelli rossi alzò gli occhi al cielo e poi lanciò un’ occhiata divertita ad Aria, come a volersi scusare per i modi sbrigativi della sua amica.

Mentre le due si avvicinavano al tavolo con le armi per scambiarsi qualche parola, Aria si voltò verso Sasha e le mostrò ogni dettaglio della sua espressione allarmata, facendole segno di andare.

Ma Sasha la guardò storto e scosse le testa, mosse le labbra per dirle di no e la incitò con le mani a tornare a sparare.

Aria non era d’accordo, sfruttò il fatto che le due le dessero le spalle, e che quindi non potessero vederla, per parlare usando solo il labiale -Ma hai capito chi è?-

La bionda fece un cenno, si accertò che le altre ragazze non la vedessero e mosse le labbra scandendo poche parole. –Vecchia fiamma Eric!- poi aggrottò le sopracciglia aggiungendo, sempre senza voce: -Che t’importa?-

L’occhiataccia che le rivolse fu sia per l’assurdità che aveva detto, come se fosse facile per lei condividere la stanza con una che chissà in che rapporti era stata con Eric e, soprattutto, per l’aggettivo vecchia fiamma.

Stava davvero per andarsene, quando sentì una voce cristallina rivolgersi a lei.

-Sei stata tu a farlo?- chiese la rossa, indicandole il bersaglio con i tre fori al centro.

Aria deglutì e fece un cenno poco convinto.

-Però, complimenti!-  E sorrise.

Mentre sorrideva le si delineavano deliziose fossette ai lati della bocca. La sua voce era molto sottile e melodica.

Aria si impose di rimanere ferma nella sua postazione quando le due presero posto vicino a lei, mentre lanciava un’ altra occhiata a Sasha. L’amica continuava a farle segni senza farsi vedere per incitarla a comportarsi come se nulla fosse.

Ma come faceva a comportarsi con naturalezza? Sentiva le gambe deboli e il cuore le batteva a mille, era troppo imbarazzante trovarsi quella ragazza vicino. La guardò e si accorse che, l’unico difetto che poteva trovarle per farsi coraggio, erano le sua ossa lunghe e spigolose. Forse era un po’ troppo magra, ma per il resto era perfetta. Aveva gli occhi di un verde caldo e un viso semplice ed elegante.

Trascinandosi dietro il peso delle gambe che sembravano di gomma, e cercando di ripetere a sé stessa che non c’era niente di cui preoccuparsi, tornò in posizione per sparare dando le spalle a Sasha.

Prese un profondo respiro, cogliendo l’ironia di quella situazione e prese la mira.

-Allora, Leah, di cosa doveva parlarmi?- Chiese la ragazza dai capelli neri e blu, puntando un bersaglio.

Leah? Pensò Aria, era quello il nome di quella ragazza?

-Niente d’importante.- Anche Leah prese la mira. –Come ti va con il tuo lavoro alla recinsione?-

Tra un sospiro e l’altro, Aria sparò un colpo mancando il bersaglio, e cercò di ritrovare la calma. Sasha osservava da poco lontano, con le braccia incrociate al petto. Le due ragazze, invece, posizionate sulla linea di tiro vicino a lei, continuarono la loro discussione. La mora raccontò della noia del suo impiego come guardia.

-Anche io mi sto annoiando, ultimamente. Come ti va con quel Roger?- Chiese Leah alla sua amica.

Aria guardò un’altra volta Sasha, sperando che cambiasse idea e che si decidesse ad andare via, ma la trovò concentrata sulla conversazione che stavano avendo le due Intrepide che, dandole le spalle, non potevano accorgersi di essere osservate.

Alzò gli occhi al cielo e sparò un colpo, raggiungendo la testa del fantoccio.

La ragazza con i ciuffi blu si perse in una lunga conversazione sulla sua relazione con un tizio che lavorava con lei alla recinzione e, insieme alla rossa, si alternavano per sparare.

-Come è finita con quel ragazzo con cui ti vedevi?-

-Katy, te l’ho già detto, mi annoiava e l’ho scaricato!- Disse Leah, facendo partire un colpo di pistola.

-E con Eric?-

Aria sparò un colpo che colpì pietosamente la parte bassa del bersaglio. Si voltò verso Sasha e la trovò con gli occhi incollati sulla rossa, mentre si mordicchiava l’unghia del pollice. Non si accorse nemmeno dello sguardo disperato che le lanciò.

-Non me ne parlare!- Fece Leah, alzando una mano. –Non so che gli prende, mi ignora totalmente da diversi giorni!-

Avendo realmente finito i colpi del caricatore, Aria si avvicinò al tavolo dietro di lei e caricò l’arma. Sasha colse l’occasione per avvicinarla e per sussurrarle in un orecchio. -Sai come si dice, conosci bene il tuo amico, e meglio il tuo nemico!-

Sentiva un calore scorrere sulla pelle, era agitata e nervosa, ma serrò le labbra e tornò in posizione.

-Non vorrei ricordartelo,- Disse Katy, poco distante. –Ma è da quando vi siete lasciati che Eric ti ignora, e non è che prima ti degnasse poi di chissà quali attenzioni!-

Aria mandò giù il nodo che aveva in gola e sparò.

-Certo, ma almeno prima veniva a cercarmi!- brontolò Leah.

-A sì? E per cosa ti cercava, per scopare?-

Aria si paralizzò sul posto e sentì il cuore balzarle contro il petto.

-Certo! Perché, cosa pensi che volessi farci io, giocare a carte?-

Katy rise. –Dico solo che, se vuoi una relazione di quel tipo, conosco molti ragazzi molto più disponibili di Eric!-

-Ma vuoi paragonarli con lui? È così eccitante, e poi scopa benissimo!-

Aria sussultò e sentì le mani tremarle.

-Dai Leah!-

-E poi è un Capofazione, pensa che bello sarebbe essere la sua compagna! Sarei rispettata, sarebbe forte!-

-Su questo ti do ragione…-

-Secondo me si fa un’altra, è l’unica spiegazione!-

Sta volta non si voltò verso Sasha, si voltò e basta. Raggiunse il tavolo con le armi e vi lasciò sopra la sua pistola, senza nemmeno privarla del caricatore come le avevano detto di fare quando le avevano spiegato le regole del poligono.

Aveva il battito cardiaco a mille, la mente e le mani in fiamme e le orecchie che fischiavano.

Scopare,

Sarei rispettata,

Si fa un’altra, è l’unica spiegazione,

L’unica spiegazione.

Aria aggirò il tavolo e si riallacciò il suo nuovo giubbotto di pelle, quello che Eric aveva preso per lei. Quella ragazza, Leah, forse era carina e gentile ma era un’idiota.

Forse a lui piacciono così, le disse maligna la voce nella sua testa.

No, non era vero. Forse Eric non aveva mai avuto una relazione seria in vita sua, ma non l’aveva portata nella sua camera e nel suo letto solo per scopare. E, se si era stufato di quella sgualdrinella da quattro soldi, non era solo perché aveva trovato un’altra da portarsi a letto.

Quella non era l’unica spiegazione.

L’aveva allontanata perché aveva trovato di meglio, e quella Leah avrebbe dovuto farsene una ragione.

Si accorse che stava ragionando in modo diverso dal solito, e non capì se fosse la rabbia a farla delirare, o se gli Intrepidi erano entrati in lei fino al punto di condizionare il suo modo di pensare.

-Aspetta un attimo!- Disse Leah.

Aria sia voltò e la guardò senza fiato, cosa voleva? Per un attimo nella sua mente si delineò l’idea che avesse scoperto tutto.

-Vuoi siete iniziate?-

Strabuzzò gli occhi a quella domanda.

-Sì, perché?- intervenne Sasha.

Leah spostò il suo sguardo da Aria a Sasha e sorrise. –Quindi vedete spesso Eric, il capofazione, perché vi addestra anche lui, vero?-

Sasha fece un cenno.

-E non è che, per caso, sapete se si vede con qualcuna?-

Sasha guardò per un attimo Aria, ma poi scosse la testa. –Non che io sappia.-

Leah fece un’ espressione demoralizzata e tornò vicino all’altra ragazza.

Aria raggiunse Sasha a grandi passi e la seguì verso il corridoio ma, un attimo primo, ebbe un ripensamento. Sentì tutta la sua forza tornarle in circolo e si lasciò piegare le labbra da uno strano sorriso.

-Aspetta!- disse richiamando l’attenzione di Leah. –Se vuoi, se dovessimo notare qualcosa, te lo diciamo!-

Leah la guardò per attimo stranita, poi si scambiò uno sguardo con Katy e sorrise raggiante. –Sarebbe forte e, se vuoi, io potrei insegnarti a sparare…- disse, indicando il suo bersaglio.

Guardandolo, Aria si accorse che solo i primi tre colpi, quella che aveva sparato quando era da sola con Sasha, erano andati a segno al centro. Gli altri erano tutti sparsi sulla figura, lontani dal bollino rosso.

Fece un sorrisetto o, forse, stava iniziando ad adottare il ghigno strafottente di Eric.

–Ma certo!- rispose.

Quando uscirono nel corridoio, Sasha le diede una gomitata. –Sei perfida!-

-Hai detto tu che devo conoscere bene il mio nemico, stavo solo cercando di tenermela buona…-

La bionda la guardò per un attimo, poi le si avvicinò. –Va tutto bene? Non sei arrabbiata per quello che ha detto?-

Aria continuò a camminare, senza disdegnare la vicinanza dell’amica, e per un attimo pensò alle parole di Leah.

Pensò ad Eric, ma poi scosse la testa. –E perché? Lui ha smesso di vedersi con lei per me, dovrebbe essere lei ad avere qualche problema!-

 

Nella sezione pomeridiana per il secondo modulo, Aria si era trovata nuovamente difronte alle sue paure. A differenza della prima volta, il suo copro aveva reagito molto meglio permettendole di concentrarsi sul coraggio e non sul timore.

Si era ritrovata in un luogo buio con degli scheletri luminescenti che avanzavano verso di lei ma, superato lo shock iniziale, li aveva affrontati prendendoli a calci. Spariti gli scheletri, aveva dovuto affrontare una paura peggiore, ritrovandosi in una stanza ampia e sempre buia, ma davanti a lei era posizionata un’ urna cineraria.

Vedendola, era andata per un attimo nel panico ma poi, pensando che non poteva sapere a chi appartenevano quelle ceneri, aveva preso fiducia in sé stessa e aveva dato un calcio all’urna mettendo fine all’allucinazione.

In quel momento, ripensando alla sua simulazione della paura e al perché dei suoi timori più profondi, Aria stava raggiungendo il ponte vicino allo Strapiombo, noto punto cieco per le telecamere, diventato punto di incontri segreti. Svoltò l’angolo e, accorgendosi della figura appoggiata alla parete rocciosa, sentì il cuore saltarle in gola.

Eric aveva le braccia comodamente incrociate al petto, con il complicato intreccio di tatuaggi in mostra, e i due piercing sul sopracciglio che luccicavano sotto la flebile luce. Colse il sorriso arrogante con il quale l’accolse e si gettò fra le sue braccia forti, lasciandosi accarezzare i capelli da una delle sue mani ruvide. Respirò a pieno il suo profumo maschile, godendosi i brividi che le percorsero la schiena.

-Ehy!- La salutò Eric, abbassando il suo sguardo su di lei.

-Ehy!- gli rispose, con un sorriso nascosto.

La mano di Eric si spostò sotto il suo mento, costringendola a sollevare la testa per baciarlo. E, mentre le loro labbra si univano in un crescere di passione e calore, la mente di Aria fu attraversata dall’immagine della mano di Eric che si posava sulla fossetta ai lati della bocca di Leah, mentre le teneva il viso per baciarla.

Dovette scostarsi bruscamente, cercando di scacciare il brivido che l’aveva colpita come un pugno al petto.

-Che ti prende?- Sbottò Eric, scocciato, mentre le scoccava un’occhiata di traverso.

Si sforzò di sorridergli. –Niente, scusami…-

Eric sospirò e la osservò abbassando la testa verso di lei. –Come è andata la tua allucinazione di oggi?-

Il sorriso che gli mostrò non fu per nulla sforzato, al contrario, faticò a trattenerlo. –Decisamente meglio, erano paure secondarie!-

-Tempo?-

-Sei minuti!-

Il ragazzo mostrò un ghigno divertito. –Molto bene!-

Aria si strinse nelle spalle quando Eric le accarezzò il braccio. –E tu, che hai fatto oggi? Adesso non devi più prendere parte agli allenamenti!- gli disse.

-Ho comunque il mio carico di impegni!- le rispose, tornando serio. –Come ti dicevo stamattina, è meglio che sta notte rimani al dormitorio. Eviteremo di dare nell’occhio, e poi domani devo alzarmi presto per delle faccende da sbrigare.-

-Va bene!- affermò Aria, con un piccolo sorriso.

La ragazza si accorse della scintilla di delusione che comparve negli occhi di Eric, forse si aspettava che fosse dispiaciuta all’idea di non poter dormire con lui, ma ne avevano già parlato e trovava appropriata quella decisione. Una parte di lei sentiva già la mancanza e il bisogno disparato di perdersi nel calore di Eric, ma non poteva dipendere in quel modo da lui.

Non quando la sua mente era bombardata da immagini di corpi nudi che si intrecciavano, o dal pensiero delle mani di Eric sul copro esile di Leah, magari avvolti fra le stesse lenzuola in cui aveva dormito lei.

Il ragazzo la strinse contro il suo petto e le baciò sensualmente il collo, inondandola con il suo desiderio, mentre le faceva scorrere le mani lungo la schiena. Le piacevano quelle attenzione, le carezze di Eric erano selvagge e prepotenti, la facevano sentire desiderata e completamente sua.

E lei voleva essere sua.

Come quando aveva trovato il coraggio di raggiungerlo sotto la doccia, abbattendo ogni suo muro ed Eric l’aveva stretta a sé come a non volerla più lasciare andare via.

Magari anche Leah aveva fatto la doccia con lui al mattino.

Si irrigidì.

-Ma che hai?- scattò Eric, liberandola bruscamente dal suo abbraccio.

Aria abbassò gli occhi e scosse la testa, non voleva che capisse a cosa pensava, né voleva dimostrarsi tanto incline ai suoi sentimenti. –Niente, sono solo piuttosto stanca…-

Eric piegò la testa da un lato e la guardò con una smorfia, non credendo assolutamente alle sue parole. Lo vide di sfuggita mentre le si avvicinava e analizzava l’espressione del suo volto con crescente disgusto.

Abbassò ancora lo sguardo per impedirgli di scorgere qualcosa che avrebbe potuto tradirla, anche se era impossibile che le leggesse nella mente e che scoprisse i suoi pensieri.

Dovette, però, sollevare la testa quando ebbe un fremito, causato dalla mano di Eric che colpiva con forza la parete vicino al suo viso.

-Mi stai nascondendo qualcosa, Aria?- Le disse tra i denti, quando finalmente ebbe la sua attenzione.

Il braccio muscoloso di Eric era steso contro la parete alla quale era appoggiata, creando una piccola gabbia in cui il ragazzo la imprigionava. Vedeva il suo petto alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro carico di collera e si strinse ancora nelle spalle con il cuore a mille, notando il modo in cui la rabbia tendeva i lineamenti del viso di Eric.

-No!- disse decisa, guardandolo negli occhi.

Eric serrò la mascella e prese alcuni respiri profondi, iniziando a guardarsi intorno come se stesse cercando di ritrovare la calma. Si ridrizzò, togliendo anche il braccio dal muro e serrò con forza la mascella.

-Fa’ come ti pare!- Le disse con voce rauca, la stessa che usava quando era arrabbiato.

Si rifiutò di guardarla, tenne lo sguardo alto e rivolto da un’altra parta, mente spostava in avanti la mandibola e serrava le labbra.

Aria si scostò dalla parete e sentì le mani tremarle, mentre seguiva con lo sguardo la schiena di Eric allontanarsi. Diede un leggero pugno alla roccia e trattenne le lacrime dalla rabbia, dandosi mentalmente della stupida.

Era vero, le parole di quella ragazza le risuonavano ancora nelle orecchie e le immagini di lei con Eric le danzavano davanti agli occhi, ma non avrebbe dovuto lasciarsi influenzare da quella sciocchezza. Chissà con quante ragazze Eric era già stato, e chissà con quante ancora sarebbe stato, pensarci era assurdo.

Si avviò verso il dormitorio ignorando il dolore che sentiva al petto, si era lasciata trasportare dalla sua mente avvelenata, ed era finita col trasmettere quel veleno al suo cuore e perfino ad Eric.

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

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Capitolo 20
*** Sentire ***


20. Sentire

 

 

 

Quella mattina si era svegliata con una strana sensazione, ma aveva deciso di non tenere troppo conto della cosa.

Nel pomeriggio si era seduta, per l’ennesima volta, sulla poltrona per le allucinazioni del secondo modulo, e aveva serrato gli occhi quando Quattro le aveva iniettato il siero. Si era trovata ad affrontare una paura piuttosto assurda, ovvero quella per uno specchio che le restituiva la sua immagine. Aveva ragionato per pochi secondi e poi aveva caricato il pugno contro la superfice riflettente, rompendola.

Terminati gli impegni giornalieri, Aria si era ritrovata diretta verso il poligono, senza sapere con precisione quando avesse realmente preso la decisione di andarci. Nei pressi della grotta, però, aveva avvertito chiaramente il rumore di spari. Considerato l’incontro non proprio piacevole che aveva fatto l’ultima volta che era stata al poligono, decise di procedere con cautela, e di sbirciare all’interno prima di entrare. Facendo capolino solo con la testa, Aria si accorse del ragazzo che sparava. Aveva i muscoli del copro tesi e scattanti e, dato che teneva le braccia distese per reggere la pistola, i tatuaggi che gli decoravano entrambi gli avambracci erano in bella mostra.

Si fece coraggio ed entrò, richiamando subito l’attenzione del ragazzo, pur non avendo fatto nulla.

-La tua crisi da adolescente mestruata ti è passata?- Esordì Eric, sgarbato, o forse era più opportuno definirlo letale.

Lo vide ricaricare la sua pistola con movimenti secchi e colmi di rabbia, mentre i lineamenti del suo viso erano contratti, come se fosse sull’orlo di esploderle.

Non la degnò di uno sguardo.

Aria strabuzzo gli occhi e incrociò le braccia al petto, senza sapere se ridere oppure offendersi per le sue parole. –Non ho avuto nessuna crisi, Eric!-

-Certo, come no!- la canzonò, mentre si posizionava per sparare. –Quindi sono io che mi sono immaginato tutto, o sei solo lunatica?-

La ragazza pensò di avvicinarsi ma, quando lui iniziò a sparare, cambiò idea. In posizione, con l’arma in mano, Eric era quanto di più temibile avesse mai visto, il bersaglio che aveva scelto era trivellato di colpi tutti intorno al centro rosso.

-E poi,- riprese Eric, sostituendo ancora un volta il caricatore della pistola. –Anche se la tua fosse stata una crisi, non me ne diresti il motivo.-

Aria non rispose, lo guardò intensamente, decisa.

-Ti diverte non dirmi mai niente, sei proprio una bambina quando fai così!- Sentenziò lui, gettando malamente sul tavolo l’arma che aveva in mano.

-Eric, se fosse stato qualcosa d’importante te lo avrei detto. Perché non puoi credermi e basta?-

Il ragazzo la guardò e rimase per diversi secondi in silenzio, in un gioco di sguardi letali e arrabbiati, in una sfida silenziosa.

Incrociò le braccia al petto. –Ti credo.-

-Le donne che ti facevi prima ti dicevano sempre tutto?- lo provocò, senza tuttavia abbassare la guardia.

I ruoli sembravano invertiti, Eric era vicino alle pistole, dove era lei di solito. E lei, prendendo il posto che di solito occupava lui, era sull’ingresso con le braccia al petto.

-Sì e, di fatto, non sono qui. Mi hanno stancato e le ho scaricate.- Le rispose. –Qui ci sei tu.-

Aria scosse la testa. –Allora, se ti piace se ogni tanto tengo la bocca chiusa, perché mi offendi definendomi continuamente una bambina?-

Eric mise in mostra il suo ghigno più brillante, e le si avvicinò minaccioso. –Chi ti dice che sia un’offesa?-

Nel momento stesso un cui le si parò davanti, in tutta la sua forza, Aria capì di essere in trappola. Guardò i suoi occhi scintillanti e la sua espressione beffarda, incapace di formulare un ragionamento logico.

-Dormi con me stanotte?- Le chiese con la sua voce suadente, abbassando la testa in avanti per esserle più vicino.

In un istante, Eric vide gli occhi blu di Aria accendersi come fari nella notte, e il suo sorriso incurvarsi. Solo lei sapeva compiere quegli sbalzi d’atteggiamento così rapidi, passando da arrabbiata a provocante.

-Se vuoi…- gli rispose, arricciando le labbra.

Il ragazzo inarcò un sopracciglio. –Se voglio?- scandì.

Aria fece un sorriso irritante, eppure, seducente. –Ti sono mancata?-

Cogliendo la sfida, pronto a ribaltare la situazione a suo favore, Eric le mise un braccio intorno ad un fianco. –Si, mi sei mancata.-

La vide arrossire.

-Per te, forse, non deve essere stato un problema dormire senza di me. Oppure ti sono mancato?- indagò, perfido.

Lei alzò gli occhi al cielo e sorrise ancora, sta volta guardandolo. –Mi sei mancato, Eric!-

A quel punto anche l’altro braccio di Eric andò a cingerle la vita. –Apprezzo ogni lato di te Aria, sia quello ribelle, che trovo estremamente sensuale, sia quello più semplice.- spostò una mano sulla sua guancia imporporata. –Mi eccita la tua innocenza…-

La ragazza lo vide inumidirsi le labbra con la punta della lingua, come faceva spesso, e sentì il cuore mancarle di un battito. Aria, infatti, era una falena vittima dell’incanto della luce. Ma, nel suo caso, Eric era molto più pericoloso, e insieme molto più attraente, di un innocuo bagliore.

-Anche se, a conti fatti, non sei più tanto innocente!- costatò lui, osservandola dall’alto.

Sentendo la sua lieve risata di scherno, Aria gli diede un pugno scherzoso sul petto. –Bè, è colpa tua!-

-Lo so!- rispose tranquillamente, con tanto di alzata di spalle.

Aria lo guardò imbronciata.

Lui non le tolse gli occhi di dosso neppure per un istante. –Ma devi fare la brava, perché non puoi più comportarti come ieri sera.-

La ragazza colse il guizzo maligno nel suo sguardo. –Perché, se no che fai?- sussurrò con gli occhi nei suoi.

Il modo in cui piegò le labbra lo rese dannatamente eccitante. –Dovrò arrabbiarmi!-

-Non mi fai paura!-

-Risposta sbagliata!-

Quando la strinse forte, avvolgendole i fianchi con i suoi muscoli per morderle il collo, Aria si lasciò sfuggire un gridolino di dolore.

Eric allentò la presa e la guardò preoccupato.

Aria riprese fiato e strinse le mani attorno alle braccia di Eric, mordendosi il labbro inferiore. –Il dolore al fianco, va e viene…- spiegò.

Piegano la testa da un lato, il ragazzo le tastò, con mano esperta, il punto fra le costole dove aveva un livido violaceo. –Non è ancora passato?- le chiese.

Sussultò quando le dita di Eric iniziarono a premere sul punto esatto da cui si irradiava il dolore. –No!- gemette.

Nessuno dei due accennò al fatto che, quel livido, era stato causato dal calcio di Peter quando avevano combattuto il giorno della classifica. Nonché il giorno del suo compleanno, noto anche come il giorno in cui Finn l’aveva aggredita dopo aver scoperto che si vedeva con Eric.

-Vieni con me,- Le sussurrò Eric in un orecchio. –Dopo ci pensò io a farti passare il dolore…-

Con assoluta tranquillità, le fece passare un braccio intorno alle spalle e la guidò lungo il corridoio fuori dal poligono. Guardandolo di sottecchi, Aria arricciò le labbra. –Davvero? E come fai, facendomi male da altre parti?-

Eric incurvò le sopracciglia e fece un sorriso sinistro. –Potrebbe essere un’idea!-

Aria gli diede una piccola gomitata sulle costole. –Non mi dai un bacio?-

-Non te lo meriti!-

-Cosa?- chiese, falsamente offesa.

-Il fatto che ti conceda di non spiegarmi il motivo del tuo comportamento di ieri sera, non vuol dire che ti abbia perdonata…-

La ragazza sbuffò e scosse la testa.

Attraversarono tutto il corridoio sotterraneo e, solo quando arrivarono ad un altro passaggio solitamente più trafficato, Eric le tolse il braccio da attorno al collo, ma rimasero comunque molto vicini. In quell’ala, le parati erano in cemento a vista e il pavimento lucido e scivoloso, ogni loro passo rimpiombava in un eco. Grazie all’amplificazione dei suoni, i due colsero prima il chiacchiericcio e il rumore di passi e, dopo, videro il gruppo di persone che svoltò l’angolo e che stava avanzando verso di loro.

Si scambiarono un’ occhiata.

Eric si raddrizzò ed iniziò a camminare dritto con le spalle, allacciando le mani dietro la schiena. Aria, da parte sua, cambiò mentalmente la situazione in cui era, comportarsi come se fosse stata una qualsiasi iniziata in compagnia del suo istruttore, nonché capofazione, limitando a zero i contatti e dimenticandosi del rapporto che condividevano.

Non era un bene che qualcuno li incontrasse da soli in un corridoio, gli altri capi ormai sapevano di loro, ma gli avevano imposto di non dare nell’occhio. E, farsi scoprire da soli, quando in altre circostante Eric non avrebbe mai condiviso il suo tempo con un’ iniziata, poteva destare sospetti.

Ma poi Aria si accorse che, nel gruppo di persone che si avvicinavano, il colore predominante era l’azzurro. Erano tutti Eruditi, ad eccezione dell’Intrepido che gli faceva strada e, se da una parte si tranquillizzò perché agli Eruditi non importava nulla della regola della sua nuova fazione che vietava le relazioni con gli iniziati, dall’altra parte si sentì mancare.

Perché gli Eruditi erano nella residenza degli Intrepidi, possibile che la seguissero persino lì?

In particolare, una volta che procedendo con il loro cammino lei ed Eric si trovarono in prossimità del gruppo, notò due persone che le fecero fermare il cuore.

Erano entrambe bionde ma, quella in prima fila era una donna con un caschetto ordinato di ciuffi chiari, occhi freddi e un sorriso severo. Era Jeanine Matthews, la rappresentante degli Eruditi e, dati i suoi trascorsi personali con lei, Aria avrebbe preferito non incontrarla.

Eric, al suo fianco, si irrigidì e serro la mascella con un’ espressione terrificante, a stento trattenuta. Lo vide fermarsi un passo indietro a lei per avvicinarsi alla parete e permettere al gruppo di passare, e anche lei lo imitò.

Non le piaceva il fatto di trovarsi in linea retta con Eric, come se gli Eruditi, passando, avessero dovuto scandagliarli. E, tanto meno, le piaceva essere la prima della fila. Quando Jeanine le passò davanti, infatti, posò prima i suoi occhi su di lei per studiarla in silenzio, poi li posò su Eric.

Ma Eric, invece di guardare la donna, spostò il suo sguardo sulla seconda testa bionda individuata precedentemente da Aria. Inarcò le sopracciglia e schiuse le labbra, probabilmente colpito dalla somiglianza disarmante che quella ragazzina Erudita aveva proprio con Aria.

-Eric, ti cercavo. Posso parlarti un attimo?-

Nonostante il suo tono di voce fosse come al solito educato e composto, Aria notò che quella di Jeanine non era una domanda, ma un ordine velato da un sorriso. Notò, inoltre, il modo brusco con cui aveva parlato, come se non avesse altro tempo da perdere e fosse già sull’orlo di arrabbiarsi.

Storse il naso al pensiero che qualcuno potesse rivolgersi in quel modo ad Eric, tanto più considerato che era una donna, di un’altra fazione per giunta. Nemmeno ad Eric doveva essere piaciuto quell’atteggiamento, di fatti lo vide serrare la mascella e guardare Jeanine dall’alto con le spalle ancora dritte. Tuttavia non disse nulla e, la cosa, insospettì Aria. Lo vide seguire quella donna pochi passi più in là, senza perdere la sicurezza che ogni suo muscolo trasmetteva, ma con una nota di accondiscendenza che su di lui stonava terribilmente.

-Ciao!- 

Aria non si preoccupò di voltarsi, poiché sapeva già a chi apparteneva quella voce, rimase per un attimo con lo sguardo su Eric e sul modo in cui i suoi muscoli si tendevano ad ogni parola di Jeanine. Quando invece si voltò verso chi le aveva parlato, poté vedere sua sorella gemella che la osservava con un sorrisino. Serrò la labbra per la somiglianza che, per fortuna, con la crescita era diminuita, ma rimanevano comunque quasi identiche.

Avevano la stessa forma del viso, lo stesso colore diafano della pelle, gli stessi occhi, anche se cambiava il colore e un po’ il taglio. I suoi erano leggermente più tondi, dandole un aspetto più innocente, quelli della sorella erano allungati e le conferivano un’ aria austera.

-Ciao Amber!- rispose con finta calma, per togliersi di dosso il disaggio che le procurava quello sguardo inquisitorio.

-Come va la tua iniziazione?- 

A quell’ennesimo sorrisino, che conosceva bene, Aria pensò che sua sorella fosse rimasta bloccata in quell’espressione antipatica e falsa, forse incapace di manifestare realmente i propri sentimenti come la maggior parte degli Eruditi.

-Molto bene, grazie. Ti chiederei della tua, ma immaginò già che tu abbia superato i primi test al massimo dei voti.- Le rispose.

Gli altri Eruditi che avevano seguito Jeanine si erano radunati in un religioso silenzio vicino alla parete opposta, come a voler lasciare il giusto spazio a Jeanine che discuteva con Eric.

Amber però si era staccata dal gruppo per piazzarsi davanti a lei. –Grazie della fiducia!- disse con quello che, per la prima volta, sembrò un vero sorriso di gratitudine.

Con la coda dell’occhio, Aria tornò a seguire la discussione fra Eric e la rappresentante della sua vecchia fazione. Non riusciva a sentire cosa si dicevano, ma vedeva l’agitazione della donna e l’immobilità del suo capofazione.

-E ti trovi bene qui?- Le chiese Amber, per richiamarla.

Tornando a guardarla, si accorse che aveva ancora il suo sorrisino arrogante. –Benissimo!-

Incrociò le braccia al petto e guardò verso Eric sperando che avesse finito con Jeanine, perché non riusciva più a sopportare la presenza della sorella, né tutti i ricordi che si portava dietro.

-Ma certo, d'altronde la grande Ariana non sbaglia mai!-

Tuttavia, quando sentì il tono di voce usato stavolta contro di lei, Aria si voltò di scatto. Gli occhi di Amber si erano fatti più sottili e, nella scarsa luce del corridoi sotterraneo, i suoi lineamenti affilati si erano fatti minacciosi.

-Oh, scusa- Fece portandosi una mano davanti alle labbra. -Immagino che qui tu ti faccia chiamare Aria!-

Eccola lì la sua vera sorella, ora sì che la riconosceva. Solo lei era capace di fingersi gentile il secondo prima, e di lanciare frecciate avvelenate quello dopo. E, solo lei, poteva squadrarla in quel modo penetrante.

-Che cosa vuoi, Amber?- Sbottò. -Tu hai fatto la tua scelta ed io la mia, sto bene qui, lasciami in pace!-

Lo sguardo di Amber si affilò ancora di più e le sue sopracciglia si abbassarono verso il naso. -Qui non si tratta semplicemente di me o di te!- le sibilò contro, lanciando occhiate frenetiche verso i suoi compagni di fazione, per assicurarsi che non la sentissero.

Aria era stanca delle occhiate crudeli che le lanciava e, se Amber aveva intensione di infuriarsi e di farsi venire un attacco proprio lì, lei non voleva esserne partecipe. Aveva ancora le braccia incrociate davanti al petto quando lanciò l’ennesima occhiata verso Eric, accorgendosi che anche lui la stava guardando. Per un attimo i lori sguardi si incrociarono e Aria pensò che fossero nella stessa situazione, entrambi infatti stavano cercando di sfuggire mentalmente alle due donne bionde che gli inveivano contro. Peccato che lei fosse abituata all’atteggiamento di sua sorella, e la lasciava fare, ma come era possibile che Eric permettesse a quella donna di mancargli di rispetto in quel modo?

Jeanine manteneva la solita compostezza che si chiedeva ad ogni Erudito, esibendo una postura rigida del copro ma, il suo volto solitamente inespressivo, era stravolto dalla cattiveria. Aveva persino sollevato un dito per puntarlo contro Eric che, fermo al suo posto, non si era lasciato intimidire.

Che la stesse assecondando anche lui?

-Non ti accorgi di quello che sta per succedere?-

L’ennesima domanda di sua sorella la riscosse, costringendola a voltarsi. Dovette però riconoscere che, sta volta, le sue parole avevano colto nel segno.

-Di che stai parlando?-

-Prova a sentire Aria, le cose stanno per cambiare.-

Aria inarcò le sopracciglia e serrò le labbra, osservando con attenzione il viso della sorella. Sentire era il termine che usavano da bambine per scambiarsi informazioni segrete, senza che i loro genitori sospettassero nulla. Derivava dalla credenza che i gemelli sentissero i pensieri e le emozioni l’uno dell’altro. Dirle di sentire, in altre parole, significava cogli i segnali.

-Ma che stai dicendo?- Chiese ad occhi sbarrati, riflettendo per la prima volta sulla serietà delle parole della sorella.

Ma Amber non l’ascoltava nemmeno più, sembrava che recitasse la parte di un copione che si era già stampata nella mente.

-Quando tutto accadrà, io sarò dalla parte giusta, mentre tu…- i suoi occhi azzurri si posarono su di lei e la trapassarono con un’ ondata di rabbia e paura. –Farai solo la parte del burattino!-

Aria rimase senza fiato e, pur non riuscendo a dare un nome a ciò che provava, venne invasa da una serie di ricordi e considerazioni, che le fecero capire che il comportamento di Amber non era del tutto immotivato.

Avrebbero voluto chiedere spiegazioni in più, ma la voce di Jeanine si fece udire senza preavviso.

-Possiamo andare!- Disse, rivolgendosi al gruppo di Eruditi.

La testa di Aria si abbassò, avrebbe voluto sapere da Amber perché parlava di burattini e parti sbagliate, ma non c’era più tempo. Guardò un’ ultima volta sua sorella e scosse la testa per levarsi di dosso la sensazione sgradevole che le aveva lasciato. Si disse che non c’era motivo per darle ascolto, dato che l’odio di Amber verso gli Intrepidi e verso di lei poteva bastare per spiegare tutto quello che aveva detto.

-Quasi dimenticavo…- Disse Jeanine con voce elegante.  -È stato un piacere rivederti, Ariana!-

Aria si voltò verso di lei e sentì il suo copro paralizzarsi, la gola le si era seccata e non riuscì a rispondere nulla, limitandosi a ricambiare con un cenno del capo il sorriso della donna.

Rimase a guardare anche quando Jeanine e il suo gruppo di Eruditi proseguirono lungo il corridoio, stringendo i pugni per la rabbia che aveva provato sentendosi chiamare per nome da quella rappresentante che tanto disprezzava.

Amber seguì il gruppo e passò davanti ad Eric, sollevando i suoi occhi inquisitori per analizzarlo. Ma la sua sicurezza si disperse del tutto quando anche il ragazzo abbassò gli occhi su di lei, costringendola a stringersi nelle spalle.

Aria scosse la testa per quello scambio di sguardi tra sua sorella e il suo capofazione, sapendo che la forza fisica di Eric era pari a quella mentale di Amber, e sorrise al pensiero di un possibile dibattito fra i due. E, quando il ragazzo si riscosse dalla sua immobilità, Aria si accorse della sua espressione e sentì una fitta al petto, ebbe addirittura timore di lui quando si avviò a passo di carica verso di lei, afferrandola brutalmente da un braccio perché lo guardasse negli occhi.

-Che cosa ti ha detto?- le ringhiò contro.

-Chi, mia sorella? Mi stai facendo male!-

Eric la lasciò andare quando cercò di togliere il braccio dalla sua presa con uno strattone, e rimase a guardarla mentre si massaggiava la parte del braccio che le aveva stretto.

-Rispondi!- la incalzò.

-Niente! Ha solo colto l’occasione per ricordarmi quanto sono stata stupida a cambiare fazione, e quanto brava sia stata lei a rimanere fra gli Eruditi.- Disse con rabbia, alzando gli occhi al cielo.

Eric parve calmarsi, guardò il braccio che le aveva afferrato senza alcun riguardo e serrò la mascella. –Ti somiglia molto.- constatò.

Aria si strinse nelle spalle con un’ espressione imbronciata, o forse disgustata. –Per forza, è mia sorella gemella!- Ammise con rammarico. -In realtà siamo gemelle eterozigote, ci assomigliamo molto ma non siamo identiche!-

-Io non ho detto questo!- puntualizzò con un sopracciglio alzato.

Guardandolo, Aria trattenne un sorriso. Era ancora rigido e in collera per qualcosa, ma non vi prestò attenzione. -Mi stai dicendo che hai notato le differenze, o parli solo del colore dei capelli?- Indagò con un sorriso nascosto.

Quando il migliore dei suoi ghigni strafottenti comparve sul suo volto beffardo, Aria seppe che Eric era tornato in sé.

-Sei più bella!- Le disse piegando la testa da un lato. –Lei ha il naso troppo dritto e, soprattutto, non ha le tue labbra…-

-Le mie labbra?-

Eric sogghignò e le sollevò il mento con due dita. –Sì, mi piacciono molto, ancora di più quando posso morderle, Aria.- La guardò arrossire e aggiunse. -Oppure dovrei dire Ariana?-

Il volto della ragazza passò dal rossore per l’imbarazzo a quello per la rabbia. –Tanto per cominciare non puoi mordermi!- gli disse assottigliando lo sguardo. –Secondo, non chiamarmi in quel modo o mi arrabbio sul serio!-

Eric parve soppesare le sue parole e fece un cenno con la testa, prima di guardarla con occhi crudeli. –Ultimamente stai alzando un po’ troppo la testa per i miei gusti, è meglio che ti rimetta al tuo posto e che ti ricordi con chi hai a che fare…-

Ignorando le sue proteste, se la caricò in spalla tenendole ferme le ginocchia contro il suo petto, portandosela via contro la sua volontà e godendosi i suoi lamenti e i pugni che gli batteva sulla schiena, pensando con soddisfazione a quando insignificante fosse il suo tentativo di ribellione.

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Nell'inganno ***


21. Nell’inganno

 

Un ciuffo di capelli corvini le scivolò davanti al viso e lo riportò al suo posto passandosi una mano sulla fronte, intanto cercava di scaldarsi il più possibile. Il freddo stava definitivamente arrivando e, anche se sotto le coperte, aveva i piedi gelati. Sospirò, cercando di scorgere qualcosa oltre le pesanti tende davanti alla vetrate, ma non era tanto facile.

Il copro accanto a lei si rigirò con poco grazia, mugugnando in cerca delle coperte.

Aria, infatti, era seduta al centro del letto, tendendo le lenzuola e lasciando scoperto il petto del ragazzo.

-Dormi!- farfugliò Eric contro il cuscino, tirandola per la canottiera che indossava.

Sorridendo, la ragazza si voltò verso di lui.

Eric che dormiva era un ossimoro. Era privo della solita aura minacciosa che solitamente lo avvolgeva, rimanendo comunque una massa di muscoli letali e pronti a scattare. Anche mentre riposava, era impossibile dissociarlo dal suo carattere tenebroso, i tatuaggi lo marchiavano con un’ aria selvaggia accentuata dalla muscolatura solida. I lineamenti del viso, sicuramente meno crudeli senza il suo classico sguardo, erano comunque contratti.

Allungò una mano verso il volto del ragazzo e accarezzò, con la punta delle dita, la linea sulla sua fronte, sperando che sparisse insieme a qualche brutto pensiero. Seguì la linea del sopracciglio con i due piercing e scese sul suo zigomo, osservando le sue labbra sottili serrate in una linea rigorosa. A quel punto due occhi grigi si aprirono contro di lei e la studiarono con attenzione e con una certa serietà, riuscendo quasi a spaventarla.

La forza ferina di Eric era solo assopita mentre dormiva, ma era pronta a farlo scattare al minimo segnale, togliendogli la pace che solitamente il sonno dovrebbe concedere.

-Non riesco a dormire…- disse ritirando la mano, ancora scossa dai brividi che le procurava quello sguardo penetrante.

Eric rimase in silenzio per alcuni secondi, incurvando le sopracciglia. Fece un cenno e si sistemò meglio contro il cuscino. –Come mai?- chiese con voce rauca.

Aria vide che era infastidito e ancora assonnato, ma non poteva nascondergli ancora i suoi pensieri. Abbassò gli occhi sulle proprie gambe e strinse le labbra con amarezza. –Perché ti ho mentito!-

Le sopracciglia di Eric si curvarono ancora di più verso il centro.

-Riguardo quello che mi ha detto mia sorella, non mi ha solo accusato per aver scelto gli Intrepidi. È convinta che stia per succedere qualcosa, e ha parlato di scelte sbagliate e del fatto che farò solo la parte del burattino!-

Eric si irrigidì.

-Non riesco a smettere di pensarci…- concluse la ragazza.

Con la coda dell’occhio, seguì la reazione di Eric, senza capirla. Il ragazzo aveva contratto tutti i muscoli del viso e si era portato una mano davanti alle labbra, come a volersi impedire di dire qualcosa di avventato.

-Dimentica tutto quello che ti ha detto!- scandì  in seguito a bassa voce, nell’evidente sforzo di controllarsi ad ogni singola parola per non perdere la calma. –A te ci penso io, non hai di che preoccuparti.-

La ragazza lo guardò e piegò di lato la testa, rincuorata dalla sicurezza con cui aveva affermato di occuparsi personalmente di lei. Tuttavia vide il suo turbamento, il suo petto che si sollevava freneticamente e la nota folle nel suo sguardo cupo.

-Cosa sapete tu e mia sorella che io non so?- Chiese.

Eric serrò le mascella e scosse la testa. –Nulla di cui tu debba interessarti. Me ne occupo io, e ho tutto sotto controllo.-

-Eric...-

-Non farmi domande se sai già che non potrò risponderti!- scattò. –Dovrai fidarti di me!-

Aria vide il malessere che quella discussione aveva provocato in Eric, e rimase in silenzio. Lo vedeva irrigidirsi sempre di più e coglieva ogni tormento dentro i suoi occhi, sentendosi quasi in colpa per averlo fatto agitare tanto.

-D’accordo, mi fiderò ti de!- affermò. –Ma, qualunque questione ci sia dietro, tu non può fidarti di Jeanine!-

Il ragazzo ebbe un sussulto decisamente evidente e si voltò di scatto verso di lei, guardandola come se avesse appena ucciso qualcuno. –Che cosa ne vuoi sapere tu?-

Ignorò il modo sgarbato e arrogante con cui terminò la domanda, apostrofandola con cattiveria. –La conosco molto meglio di quanto credi, mio padre è uno dei suoi collaboratori più fidati. O forse, dovrei dire che fa parte del gruppo dei suoi fedelissimi, come li chiamo io.-

-Cosa ne sai?-

-So cosa può arrivare a fare.- gli disse. –Mi ha più o meno minacciata, quando mio padre le ha detto che volevo cambiare fazione. Ha detto che gli Eruditi avrebbero preso il governo della città e che gli Intrepidi sarebbero stati usati solo come mezzo per raggiungere lo scopo. Mi ha chiesto cosa volevo essere, se il braccio oppure la mente.-

Eric trattenne un ringhio e si portò entrambe le mani sopra la fronte, stringendosi le ciocche di capelli. Respirò con ferocia e sibilò fra i denti: -Ora piantala Aria, tieni chiusa quella bocca!-

Aria arricciò le labbra e assottigliò lo sguardo, forse Eric era infastidito dal fatto che Jeanine considerasse gli Intrepidi come un mezzo per raggiungere i suoi scopi, ma la sua reazione era troppo sentita. Doveva esserci altro.

-Non puoi fidarti di lei!- continuò Aria, senza darsi pace. –Perché quella donna, nell’inganno, può farti fare tutto quello che vuole. Ti induce a pensare come lei, a comportarti come lei. Ti convince che ciò in cui crede lei, non solo è giusto, ma è di vitale importanza. Poi ti demoralizza, ti fa sentire inutile e debole e riesce sempre a far crollare ogni tua certezza, spingendoti ad aggrapparti disperatamente a lei.-

Eric serrò un pugno.

-Ti dà qualcosa in cui credere, un motivo per cui lottare, o addirittura un motivo per vivere.- Spiegò Aria. –Fa così con tutti, ecco come riesce sempre a manipolare le persone. Altro che carisma!-

-Ora basta!- sbottò Eric, mettendosi seduto ad un palmo dal suo viso. –Chiudi quella bocca, o te la chiudo io!-

Aria si paralizzò, ritrovandosi il volto furioso di Eric a pochi centimetri dal suo. Era davvero spaventoso quando si irrigidiva in quel modo, e il suo sguardo non ammetteva repliche.

Con gli occhi fissi sulla vena pulsante del suo collo, Aria prese coraggio e gli rispose. –Sai che ho ragione!-

-Voglio che questa discussione si chiuda qua!- sibilò Eric, furioso. –Ho la situazione sotto controllo e sto facendo di tutto per proteggerti. So quello che faccio, dannazione!-

Aria abbassò la testa in silenzio, ma mantenne la sua espressione offesa. Odiava quando Eric le si rivolgeva in quel modo, non aveva paura di lui, sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, ma i suoi picchi d’ira erano comunque poco graditi e la facevano sentire piccola ed indifesa.

E odiava sentirti in quel modo.

-Forza vieni qui!- Le ordinò Eric, stendendosi al suo posto.

La ragazza guardò con la coda dell’occhio le braccia aperte del ragazzo che le offrivano il suo petto come appoggio e l’idea era piuttosto invitante, peccato fosse ancora arrabbiata con lui.

-Avanti vieni qui!- le disse ancora, con voce rauca ma non più adirata. –Dobbiamo dormire.-

Sospirò pesantemente e gli lanciò un’occhiata imbronciata ma, alla fine, sbuffò e si lasciò cadere vicino a lui. Si accoccolò sul suo petto caldo e solido, strofinando la guancia sulla sua pelle e stringendosi contro il suo fianco.

-Non mi permetti mai di abbracciati mentre dormiamo, ogni volta che mi avvicino ti giri dall’altra parte oppure mi cacci via!- brontolò, stendendo una mano sui suoi addominali, mentre si portava l’altra sotto il mento.

Eric soffocò in gola una risata e giocò con i capelli della ragazza. –Allora cogli l’occasione!-

Un piccolo sorriso comparve sulle labbra di Aria e, stringendosi nelle spalle, avvolse una gamba di Eric con i suoi piedi. -Fa freddo…-

-Aria!- l’ammonì, scalciando via i suoi piedi gelati. –Poi ti lamanti se ti rimando al tuo posto?-

Tuttavia, fra un lamento e l’altro, dopo essersi liberato del contatto con i piedi freddi di Aria, la mantenne vicino a sé sul suo petto. Avvolse perfino la coperta su entrambi, assicurandosi che la ragazza fosse ben protetta dalla trapunta, rimboccandogliela bene attorno alle spalle.

Aria sorrise di nascosto, sapeva che Eric era impaciato e infastidito da quei gesti così affettuosi, faticando a dissociarli dalla prepotenza con cui a volte la prendeva, ma doveva farsi perdonare per essersi arrabbiato.

-Devo farti una domanda.- Esordì Eric, dopo qualche minuto di tranquillità. –Come mai tua sorella era con Jeanine. Non è solo un’iniziata?-

-Ma Eric, mia sorella è speciale!- disse con ironia, senza nascondere la sua amarezza.

-Come mai?-

Aria sospirò. –Ha preso parte ad un progetto importante e ha fatto una scoperta significativa. Anche se, a dire la verità, non è stato tutto merito suo…-

Avvolta dal calore del corpo di Eric, la ragazza sospirò e riuscì a non lasciarsi troppo turbare dai ricordi, quando chiuse gli occhi e ne fu assalita…

 

I problemi andavano risolti.

In quei giorni, in particolar modo, un fastidioso rompicapo disturbava gli studi e i progetti degli Eruditi. E, poiché, non era nella natura degli Eruditi arrendersi difronte alle difficoltà, avevano escogitato un sistema per venire a capo del problema.

Era stato deciso che il compito di trovare il tassello mancante, sarebbe stato affidato al gruppo di sedicenni che quell’anno avrebbero fatto la loro scelta, scegliendo a quale società appartenere. In quel modo avrebbero avuto occasione di testare le effettive capacità dai futuri iniziati, vedendo di cosa erano capaci, e sperare  di trovare la chiave di volta che gli sfuggiva.

Ariana era seduta su uno sgabello ad uno dei tavoli del laboratorio, come tutti gli altri futuri iniziati, guardandosi intorno annoiata. In realtà non ne poteva più, i suoi compagni erano entusiasti di quell’occasione che gli era stata concessa, dandosi da fare per riuscire nel loro compito e mettersi in mostra per le loro abilità. Sua sorella Amber, seduta al suo fianco, era china sul microscopio che aveva davanti e non batteva ciglio tanta era la concentrazione.

Ma lei sbuffò sonoramente, non le importava nulla di mettersi in mostra avendo successo per prima su quella ricerca, lei non sarebbe rimasta in quella fazione. Era infastidita dai collant che indossava, infatti si grattò disperatamente una gamba, con poca grazia e cercando di tirare la propria gonna azzurra di più sulle gambe.

-Hai finito?- Le chiese Amber, piccata. –Mi stai distraendo…-

Ariana la guardò di traverso. –Scusami tanto, non tutti qui si stanno divertendo!-

-Se ti annoi tanto puoi anche andartene, sto cercando di concentrarmi e non ci riesco con te che ti muovi in continuazione.-

Alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

Non poteva andarsene purtroppo, era un compito obbligatorio e tutti gli altri la pensavo come Amber, concentrati in una gara per la vittoria.

I membri principali della fazione stavano lavorando ad un particolare siero di sicurezza che controllava le azioni a distanza tramite un computer centrale, capace di inviare segnali tramite dei trasmettitori che venivano iniettati nel sangue. Ariana non aveva idea di cosa se ne facessero di un siero di quel tipo, le era stato detto che sarebbe stato usato in caso di guerre e scontri pericolosi, ma lei cercava di interessarsi il meno possibile delle faccende degli Eruditi.

Il problema principale era che, dopo studi continui, gli scienziati e gli addetti ai sieri non erano riusciti a scoprire il sistema che avrebbe legato i trasmettitori al cervello.

Si erano affidati ai ragazzini che stavano per entrare in società, forse per disperazione, o forse perché volevano realmente analizzare il livello dei loro futuri iniziati. O, molto più semplicemente, speravano che fra di loro si nascondesse qualche mente brillante che avrebbe risolto l’enigma e scoperto come legare i trasmettitori alle cellule celebrali.

Gli Eruditi credevano molto nei talenti giovanili, convinti che una mente giovane fosse più elastica e più sveglia, affidando senza problemi un lavoro importante a giovani ragazzi non ancora membri effettivi della società. In particolare, la loro rappresentate, era convinta che i giovani avrebbero avuto successo dove i migliori avevano fallito, grazie alla loro innocenza e al loro modo di approcciarsi alla realtà, diverso e più istintivo rispetto a quello degli esperti di laboratorio.

Ariana incrociò le braccia sul tavolo e ci nascose il viso sopra, stanca. Poi sollevò lo sguardo e vide il riflesso di sua sorella in un’ ampolla contenente un liquido trasparente per gli esperimenti e, se non fosse stato per il colore dei capelli, avrebbe scambiato il volto di sua sorella per il suo.

Erano davvero simili e, ad un’ occhiata meno attenta, a causa delle scarse capacità di refrazione del vetro trasparente, qualcun altro avrebbe potuto confonderla con suo sorella.

Quando il liquido dentro l’ampolla vibrò, Ariana spalancò gli occhi e sentì un brivido attraversarle la mente, in un’ intuizione improvvisa.

-Amber, noi siamo gemelle, se non fosse per il colore dei capelli non riuscirebbero a riconoscerci con tanta facilità…-

-Ariana!- sbottò la sorella. –Adesso basta, stai cercando di distrarmi con le tue assurdità? Certo che siamo gemelle!-

-Sto dicendo sul serio!- Le disse seria, mettendole una mano sul braccio. -Se i trasmettitori avessero la stessa composizione chimica o lo stesso aspetto delle cellule celebrali, il cervello li confonderebbe e li assorbirebbe senza problemi.-

Amber assottigliò i suoi occhi color del ghiaccio e la guardò con diffidenza, irrigidendosi.

-Pensaci.- La incalzò con voce assente, persa nei suoi stessi pensieri. -Ci serve un travestimento per gemellare i trasmettitori con le cellule celebrali, affinché vengano confusi e vengano riconosciuti dal cervello.-

L’espressione scettica di sua sorella cambiò, i suoi occhi si spalancarono e le sue labbra si schiusero. Si voltò ed iniziò a scrivere freneticamente su un pezzo di carta, facendo calcoli e analisi.

-Si può fare!- affermò Amber, a bassa voce. –Potrebbe essere l’idea che serviva e, anche se con qualche complicazione, possiamo modificare i trasmettitori affinché vengano riconosciuti come cellule del cervello.-

Ariana non disse altro, attese in silenzio. Non era abituata ad avere dei successi, era sempre Amber a fare scoperte brillanti e a rimproverarla quando, continuamente, falliva.

-Hai trovato il tassello mancante, il tuo potrebbe essere definito un sistema a spettro gemello.- dichiarò Amber, con calma. –Hai fatto un ottimo lavoro, Aria.-

Spalancò gli occhi per lo stupore e avvertì una fitta al cuore. –Mi hai chiamata Aria?-

Sua sorella si voltò verso di lei e le regalò un vero sorriso, uno di quelli che non le mostrava mai. –Te lo sei meritato!-

Desiderava sentirsi chiamare solo Aria, ma nessuno nella sua famiglia voleva accontentarla. Al contrario, le imponevano il suo nome completo e non accettavano minimamente la sua richiesta, ritenendola insensata e poco a modo.

Ariana sorrise.

-Domani mattina andremo da papà e da Jeanine, e gli diremo della scoperta che hai fatto. Ne saranno entusiasti!- Le disse Amber.

Scosse la testa. –Gli diremo che abbiamo fatto questa scoperta insieme. Senza i tuoi calcoli  le mie sarebbero state solo parole al vento.-

-Ma è stata una tua idea, sei tu che hai trovato la soluzione! Io non ci sarei mai arrivata.-

-Non dire sciocchezze!- esclamò. –La mia è stata solo fortuna, è stato un pensiero assurdo che mi è passato per la mente. Tu invece hai capito che era possibile.-

Amber le sorrise ancora. –Sei sicura?-

-Sì, è davvero una scoperta che abbiamo fatto insieme. Sei stata tu a farmi avere l’intuizione, perché sei la mia gemella!-

Ariana vide sua sorella nascondere un altro sorriso e si sentì felice, non erano molte le occasioni in cui andavano d’accordo.

-Allora è deciso!- dichiarò Amber. –Domani comunicheremo la tua scoperta.-

-La nostra scoperta!- la corresse.

Ma l’indomani mattina, Ariana ebbe una spiacevole sorpresa.

Arrivate al laboratorio, Amber si era allontanata senza dire nulla, ma lei non se ne era preoccupata. Quando, tuttavia, era passato diverso tempo senza che la sorella tornasse da lei, aveva deciso di andare a cercarla.

Una parte della sua mente l’aveva guidata verso l’ufficio di suo padre, per chissà quale ragione e, attraverso le parati di vetro, aveva visto la peggiore delle scene, capendo immediatamente cosa stava succedendo.

Dentro lo studio c’erano quattro persone tutte in piedi. Amber era tra i loro genitori, sua madre la teneva da entrambe le spalle con un sorriso raggiante, mentre il padre le stava orgogliosamente accanto. Di fronte a loro, in tutta la sua eleganza, c’era la rappresentante della loro fazione.

Jeanine parlava cordialmente con Amber, e anche lei sorrideva.

Nessuno sembrava felice quanto sua sorella.

Era composta, con le spalle dritte ed un sorriso educato mentre dialogava con Jeanine, ma Ariana la conosceva bene e vedeva il suo autocompiacimento e tutta la sua arroganza.

E vedeva il modo in cui i suoi genitori le stavano vicini, con sorrisi entusiasti e pieni di orgoglio.

Prima che potesse arrivare alla porta, Amber si voltò verso di lei e fece un’ espressione terrorizzata, che tuttavia durò un solo istante. Il secondo dopo le regalò il più gelido dei suoi sorrisini.

Ariana non si mosse, era paralizzata dalla verità che le era piombata addosso, però vide suo padre scusarsi con Jeanine e uscire dall’ufficio. Si avvicinò a lei e le mise una mano sulla spalla accompagnandola verso un corridoio poco distante.

A quel punto la strattonò da un braccio e la costrinse a guardarlo. –Ascoltami bene, signorina, tua sorella ha appena fatto una scoperta importantissima che potrebbe cambiare la sua e le nostre vite. Vedi di non rovinare tutto!-

Ariana sentiva le orecchie fischiarle e si sentiva vuota dentro, ma pesante come un macigno. Guardò suo padre e scosse la testa. –Rovinare tutto?-

Suo padre alzò gli occhi al cielo. –Amber ha capito come far funzionare i trasmettitori del nostro nuovo siero di simulazione a distanza. Jeanine vuole vederti, cerca di non combinarne una delle tue e mettere in imbarazzo tua sorella!-

-Perché Jeanine vuole vedermi?- chiese con un filo di voce.

-Perché Amber ha detto che le hai dato una mano nella sua ricerca.- serrò la presa attorno al suo braccio. –Ma io so perfettamente che non è così, è tutto merito di tua sorella, ed è già tanto se non le hai dato fastidio!-

Ariana sentì le lacrime pungerle gli occhi ma le ricacciò indietro, decise però di liberare il proprio braccio dalla presa di suo padre con uno strattone. –Cosa ha detto Amber di preciso?-

-Che ha capito come fare perché i trasmettitori vengano assorbiti dal cervello. Poi ha spiegato che è stata un’intuizione che le è venuta grazie a te, perché siete gemelle…-

Avvertendo un dolore simile a quello di una lama infuocata che le attraversava il costato, la ragazza serrò le labbra e rimase in silenzio.

-Sappiamo entrambi che è una sua scoperta ma, nonostante il modo in cui la tratti, tua sorella ti ha sempre a cuore e ha cercato di condividere con te il suo successo.- L’umo la guardò dall’alto con una smorfia. –Ma a te non interessa niente delle nostre ricerche, Amber merita che questa scoperta le sia riconosciuta interamente!-

Il ronzio nelle sue orecchie stava iniziando ad allontanarsi, così da permetterle di sentire il battito del suo cuore. Strinse i pugni con forza e serrò ancora le labbra, guardando con espressione vuota un punto imprecisato nella parete che aveva difronte. Erano anni che non piangeva a causa della sua famiglia, e aveva giurato che non avrebbe ripetuto quell’errore come quando era piccola, così non pianse.

Alzò il mento e parlò con voce gelida, senza guardare il padre. –Hai ragione, non mi importa nulla di voi, della vostra fazione e delle vostre scoperte.-

Si voltò e si allontanò a grandi passi, sentì suo padre chiamarla ma non vi prestò ascoltò. Raggiunse l’ufficio dove erano ancora radunati sua madre, sua sorella e Jeanine, ed entrò. Mascherò i proprio sentimenti con un sorriso composto e avanzò verso la rappresentante di quella fazione.

-Ariana, è un piacere vederti!- esordì Jeanine. –Tua sorella mi ha detto che le sei stata d’aiuto…-

Non le rispose, si voltò verso Amber, vedendo il suo sorriso tirato, e le sorrise a sua volta. –Sono venuta apposta per congratularmi  con mia sorella per la sua scoperta.-

Amber ricambiò il suo sguardo e fece un cenno composto con la testa.

Ariana si voltò verso Jeanine. –Mia sorella è stata molto gentile, dicendo che le sono stata d’aiuto, ma è stato tutto merito del suo intelletto.-

-Davvero?- Chiese Jeanine, assottigliando lo sguardo come se stesse cercando di leggerle nella mente. –Ha fatto tutto Amber?-

Sorrise elegantemente. –Assolutamente sì, è stata bravissima!-

Sua madre la guardò in modo strano, poi abbassò gli occhi verso di Amber e fece un sorriso accarezzandole una spalla.

Decise di non guardare sua sorella, rivolse un saluto coriale alla rappresentate degli Eruditi ed uscì dalla stanza. Si avviò verso l’ esterno con i pugni serrati, rifiutandosi di piangere mentre si mordeva con forza il labbro inferiore.

Gli altri futuri trasfazione soffrivano all’idea di dover abbandonare la propria famiglia, combattuti tra la scelta  per una fazione che ritenevano più adatta al loro futuro, e i loro familiari.

Ma quello non era il suo caso, per lei il giorno della Scelta sarebbe stato il giorno in cui si sarebbe liberata della sua famiglia e sarebbe finalmente entrata a far parte degli Intrepidi.

Sarebbe stata libera.

 

 

Continua…

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Capitolo 22
*** A pezzi ***


22. A pezzi

 

 

Quando la vide arrivare, ancheggiando sinuosamente, provò una sensazione di vuoto assoluto, chiedendosi come avesse fatto in passato a trovare quella persona interessante.

Ma la risposta era piuttosto semplice, e preferì non ricordare il periodo in cui si vedeva con quella ragazza, tanto meno voleva ricordare il tempo che aveva inutilmente sprecato con lei. Si era divertito, si era sfogato al momento del bisogno, ma doversi rifugiare in un letto insieme a lei era più una sconfitta che una vittoria.

Vide la sicurezza con cui avanzava, e lo sguardo provocante che gli offriva, come se si credesse in grado di poter esercitare un certo tipo di influenza su di lui, ma si sbagliava. L’unica cosa che stava ottenendo, con il suo atteggiamento conturbante, era risvegliare la sua rabbia.

Strano, se credeva di essere tanto significativa, avrebbe dovuto sapere che la sua rabbia dormiente era un pericolo da tenere sempre in considerazione, e che mandarlo in bestia era la mossa peggiore che potesse fare.

-Trovarti un attimo da solo sembra più difficile del solito, ultimamente…- esordì melodica, appoggiandosi distrattamente alla ringhiera davanti a lui.

Non rispose, ma il suo sguardo assottigliato e letale come una lama, poteva bastare.

Era vicino allo strapiombo, nel posto cieco per le telecamere, la schiena contro la roccia e le mani indolentemente abbandonate nelle tasche dei pantaloni. La guardò con un sopracciglio alzato, studiando il suo fisico asciutto e lineare, decisamente troppo spigoloso, per quanto le sue forme potessero essere definite attraenti da qualcun altro.  Per lui era stata attraente, ma non lo era più, non in quel momento che la sua mente era invasa dall’ultimo corpo nudo che era stato fra le sue braccia. Pensava a quella pelle pallida che aveva accarezzato, alle sue curve morbide che gli davano calore, e immaginava di intrecciarsi i suoi capelli neri fra le dita.

E invece, davanti, aveva un’altra donna. I capelli non erano corvini ma rosso fuoco, i lineamenti del suo viso erano affilati ma tuttavia armoniosi, e le sue labbra sottili erano piegate in un sorriso intrigante.

-Allora Eric, che fine hai fatto?- Gli chiese incrociando le braccia al petto, rimanendo con i reni appoggiati alla ringhiera.

Alzò il mento e respirò a fondo. –Non sono affari tuoi, Leah.-

Rise coprendosi le labbra con una mano. –Ti diverte essere così scontroso, vero? Ma non riuscirai a mandarmi via così, trovo estremamente eccitante il tuo comportamento da cattivo…-

Serrò i pugno e fece una smorfia. –Rendimi le cose più semplici, sparisci senza costringermi ad arrabbiarmi sul serio!-

La ragazza finse una smorfia di tristezza e poi sorrise ancora, piegando la testa con fare sensuale. –Fai sempre così, all’inizio non mi vuoi mai fra i piedi ma poi, quando stiamo insieme, riesco sempre a farti rilassare.-

-In questo momento, perché tu lo sappia,- disse con voce sottile e crudele. –Mi stai solo facendo perdere la pazienza.-

-Allora perché non saltiamo questi inutili convenevoli e non andiamo subito in camera mia a scopare?-

Eric digrignò la mascella e fece scricchiolare le ossa delle proprie dita. –Perché, piuttosto che scopare con te, mi butterei giù dallo strapiombo.-

Qualcosa attraversò lo sguardo di Leah, costringendola al silenzio per alcuni secondi, forze iniziava a capire che aveva scelto il momento sbagliato per richiedere la sua compagnia. –Questo non lo avevi mai detto- Affermò con un’ alzata di spalle. –ma mi pare che tutte le volte che siamo stati a letto insieme, tu ti sia divertito…-

-Erano altri tempi, e sai perfettamente che ti usavo per scoparti quanto ne avevo voglia. Se non sono venuto io a cercarti, vuol dire che non ti voglio, perciò sparisci!-

-Dato che non venivi a cercarmi,- disse. –Sono venuta io da te!-

-Mossa sbagliata!- ringhiò Eric, con un tono basso e letale.

Si scostò dalla roccia e con due passi le fu di fronte, afferrandola dalle spalle e strattonandola.

-Chi è?- Gli urlò lei contro, resistendo alla sua presa.

Eric rimase interdetto per alcuni secondi, allentando la stretta.

Cogliendo la sua confusione, Leah lo anticipò. –Chi è quella che ti fai adesso?-

 

Quando aveva visto la chioma di capelli rossi in lontananza, Aria si era appiattita contro la parete e aveva iniziato ad avanzare con passi lenti e silenziosi, cercando di mantenere le distanze per non farsi vedere. Era stato un colpo scoprire che quella ragazza, Leah, stava andando proprio dove doveva andare lei.

Era sicuramente un’ ex di Eric e, all’orario e nel punto prestabilito per il proprio incontro segreto, si stava presentando quella ragazza al posto suo. Si chiese cosa avrebbe fatto lui, ma prima ancora si chiese cosa avrebbe fatto lei stessa. Sarebbe rimasta indietro? Sarebbe tornata sui suoi passi? Oppure, sarebbe andata lì ugualmente?

Non sapeva che intenzioni avesse Leah, ma voleva scoprirle, perché era chiaro che il suo obbiettivo fosse Eric. E, se c’era lui di mezzo, a lei spettava sapere.

Con quella convinzione, aveva seguito la rossa per fermarsi dietro una parete rocciosa subito prima del punto cieco per le telecamere che Eric aveva stabilito come loro punto d’incontro.

Aveva sentito la loro conversazione e aveva colto l’arroganza e la sicurezza di Leah, restando infastidita dal metodo che usava con Eric, come se credesse che bastasse ancheggiare un po’ per conquistarlo.

Forse in passato aveva funzionato, si disse, ma scosse la testa.

La cosa che realmente la stupì fu l’atteggiamento di Eric, spietato e sicuro. Era abituata a sentirlo parlare in quel modo con gli iniziati, ma non pensava che avrebbe trattato così una donna, una con cui era stato, tra l’altro.

Quando Eric si era spostato in avanti, emanando un’ondata di energia crudele, Aria aveva temuto per Leah e aveva trattenuto il fiato quando l’aveva vista urtare contro la ringhiera alle sue spalle. Se Eric avesse voluto, avrebbe benissimo potuto buttarla giù dallo strapiombo.

-Chi è quella che ti fai adesso?-

Con la sua domanda, forse Leah si era salvata la vita, riuscendo a coglierlo in contropiede.

-Che vuoi sapere?- ringhiò Eric.

-Voglio sapere chi è quella con cui stai adesso, perché è evidente che c’è un’altra!-

Eric la lasciò andare e fece un sorrisino sinistro, rimanendo davanti a lei, dritto e solido come una statua. –Quindi, solo perché non vengo più a cercarti, tu dai per scontato che ci sia un’altra che mi porto a letto?-

Leah scosse la testa. –A parte quello, gira voce che il nostro giovane capofazione si sia invaghito di una ragazzina, c’è chi dice che si tratti di un’iniziata, addirittura. È vero?-

Aria sussultò, sforzandosi di rimanere nascosta e in silenzio.

Eric incrociò le braccia al petto e fece una risatina arrogante. –Chi è che non ha niente di meglio da fare che mettere in giro strane voci su di me?-

-La domanda che mi pongo io è un’altra.- Gli disse Leah a bassa voce, mettendogli una mano sul petto. –Mi piacerebbe sapere se, questa fantomatica ragazza, sa già di quanto sangue sono ricoperte le tue mani…-

Aria non ebbe il tempo di scandalizzarsi per le parole di Leah, poiché il suo cuore mancò di un battito e le salì in gola a causa della reazione violenta e improvvisa di Eric.

Il ragazzo infatti le mise di scatto le mani intorno al collo, sollevandola fino a costringerla in punta di piedi. I muscoli delle sue braccia tatuate erano tesi, lasciando trasparire la forza con cui la stringeva.

-Non osare dire altro!- la minacciò con voce rauca.

Quando decise che era tempo di lasciare che tornasse a respirare, non si militò ad allentare la presa attorno al suo collo, ma la scaraventò a terra con una spinta decisa, facendole urtare la testa contro la ringhiera.

Nascosta dietro la roccia, Aria spalancò gli occhi e cercò di fermare il fremito delle proprie mani.

Leah, accasciata a terra, si sollevò sulle braccia e tossì in debito d’ossigeno. –All’interno della fazione, in pochi sanno che fine avete fatto fare, tu egli altri capi, ai Divergenti. Cosa farebbe se sapesse quante persone sono accidentalmente cadute nello strapiombo, sapendo che sei responsabile di quelle morti?-

Eric si avventò su di lei e l’afferrò per i capelli, facendole sfuggire un lamento di dolore. –Magari potrei far fare anche a te un volo oltre la ringhiera, che ne dici?-

La sua voce era tanto minacciosa che Aria smise di tremare, si paralizzò di colpo e trattenne il fiato. Osservava i muscoli tesi di Eric e il modo in cui il suo copro vibrava, scosso dalla furia. Ma non era l’Eric crudele che se la prendeva con gli iniziati, era un ragazzo diverso, più controllato ma decisamente più letale.

Lasciò andare i capelli di Leah con una spinta, e lei chinò per un attimo la testa, forse per paura che le facesse del male. L’instante dopo, però, sollevò lo sguardo su di lui e lo mantenne con ostinazione. –Perché non vai dai lei e le dici la verità?-

-Ora basta!- sibilò Eric.

Si era allontanato per un attimo da lei, forse per riprendere il controllo, ma Leah aveva fatto l’errore di provocarlo ulteriormente. Persino Aria aveva capito che avrebbe dovuto lasciarlo stare.

Eric si abbatté sulla ragazza dai capelli rossi come una furia, con movimenti secchi e precisi, in un ammasso di muscoli e crudeltà. La prese nuovamente dalle spalle e la sollevò di peso, facendole urtare malamente la schiena contro la ringhiera, sbilanciando però quel copro esile verso l’abisso. Era lui che la teneva dalle spalle ma, se l’avesse lasciata, a causa della posizione in bilico in cui la costringeva, Leah sarebbe caduta nello strapiombo. 

-Dille la verità Eric!- Gli urlò lei contro, per nulla spaventata dalla sua furia né dalla sottile minaccia di morte. –Dille chi sei veramente, e vediamo se rimarrà con te!-

Qualcosa dovette scattare nella mente di Eric, poiché i muscoli minacciosi delle sue braccia si rilassarono, e sul suo voltò balenò per un istante un’espressione vuota e assente. Trascinò Leah verso di sé, permettendole di ritornare al sicuro davanti alla ringhiera e la lasciò andare.

Fece un passo indietro e rimase in silenzio, con la mascella contratta.

-Sabbiamo benissimo entrambi che non accetterebbe mai quello che hai fatto, e che scapperebbe se sapesse cosa nascondi…- Continuò Leah, con lentezza. –E chi raccoglierà i tuoi pezzi, dopo?-

-Cosa?- Eric parve tornare minaccioso.

-Ogni volta che venivi da me eri a pezzi, Eric, e io ti rimettevo in sesto! Lei fa lo stesso?-

Passarono interminabili secondi, tesi e silenziosi. Eric aveva assunto le sembianze di una statua, il suo corpo era rigido e quasi totalmente immobile, eccezione fatta per la sua fronte, che si contraeva e si rilassava a seconda dei suoi pensieri.

Aria si nascose ancora di più contro la parete e smise di guardare, decisamente troppo sconvolta per continuare a raccogliere informazioni. Pensava alle mani di Eric sporche di sangue, ma anche ai momenti di sconforto in cui andava a cercare calore fra le braccia di Leah, in passato. E, con quei pensieri, non poteva accettare il fatto che Eric si prendesse del tempo per riflettere sulla parole di quella ragazza, perché lui non aveva bisogno di Leah.

Ma sarebbe mai riuscita ad accettare i crimini che aveva commesso?

Sentì passi pesanti strisciare verso la ringhiera, e tornò a sbirciare, attenta a non farsi vedere.

Eric stava avanzando verso Leah, era calmo, quasi rilassato, e il suo viso mostrava un’ espressione profonda e intrisa di amarezza. Puntò i suoi occhi grigi sulla ragazza e parlò con voce bassa e vibrante.

-Nessuno ha bisogno di raccogliere i mie pezzi, Leah.- Le mise una mano sulla guancia e accarezzò con il pollice la fossetta che le si delineava ai lati dalla bocca. –Perché, adesso, sono perfettamente integro.-

Leah serrò le labbra e lo guardò attentamente, osservando la sua figura, ad un soffio da lei. Eric le teneva ancora la mano sul viso, quando sospirò pesantemente.

-Tu eri solo una distrazione…- Le disse con uno sguardo intenso.

-Lei è la cura?- Chiese Leah, con un’alzata di sopracciglia. Ma non ottenne risposta.

Eric fece scivolare la mano che aveva sul suo viso lungo il suo braccio, ma mantenne il suo sguardo puntato su di lei.

-Ora vattene e non farti più vedere.- Le disse con calma. –O ti ammazzo veramente!-

Aria sussultò ancora, quella era una versione di Eric decisamente più minacciosa. La calma con cui aveva parlato rendeva reale la sua minaccia, terrorizzandola molto più dei suoi muscoli e della sua ferocia.

Leah non disse nulla, lo guardò per un istante, cogliendo solo la sua serietà, e poi fece per andarsene. Aria si preoccupò che tornasse per la strada per cui entrambe erano arrivate, rischiando di scoprirla, invece se ne andò dalla parte opposta e sparì nel buio.

Quando l’aria tornò nei suoi polmoni, ridandole per un attimo coscienza, Aria si abbandonò contro la roccia e lasciò che i secondi passassero. Non sapeva cosa fare, era terrorizzata dal comportamento che Eric aveva avuto con Leah, le aveva messo le mani al collo, l’aveva spinta per terra e aveva minacciato di ucciderla. E se, una volta stufo di lei, le avesse riservato lo stesso trattamento?

Ma poi pensò a due cose. La prima era che non sarebbe più andata e cercarlo, qualora fra loro fosse finita. Inoltre, le parole di Eric le risuonarono nella mente.

Tu eri solo una distrazione.  

Un moto di rabbia le infiammò il cuore al pensiero di come Leah avesse tentato di farlo sentire debole, insinuando che la sua nuova ragazza lo avrebbe lasciato se avesse saputo di cosa era capace.

Ma forse era vero, forse sarebbe rimasta per sempre turbata da ciò che aveva visto e sentito.

Ma da quando faceva ciò che si aspettavano gli altri? Sapeva già di cosa era capace Eric ma sapeva, con altrettanta certezza, che non si sarebbe mai comportato in quel modo con lei.

Soprattutto, non poteva sopportare che Leah insinuasse che Eric avesse bisogno di andare a cercarla quando era distrutto o sconfortato. Eric non era debole e, se lo fosse stato, gli sarebbe rimasta accanto, senza che Leah insinuasse il contrario.

Adesso, aveva detto il ragazzo, sono perfettamente integro.

Eric le aveva parlato del suo lato oscuro, spiegandole che lo teneva nascosto per paura di perderla. Ma Aria non temeva l’ oscurità, lei stessa vi era rimasta per anni, prima di arrivare fra gli Intrepidi. Aveva molta più affinità con Eric che con tutte le altre persone, lui era riuscito a farla sentire veramente a casa, cattiverie a parte.

Anche lei si sentiva integra con lui, forse erano entrambi fatti di ombre più che di luce.

Non poteva lasciarlo andare via.

Leah diceva che era colpevole della morte di alcuni Divergenti, ma non poteva fidarsi di lei, se avesse avuto dei dubbi avrebbe chiesto direttamente al ragazzo.

Prese un profondo respiro, si allontanò di qualche passo e uscì allo scoperto camminando verso di lui, come se fosse appena arrivata.

Eric si stava stringendo le ossa delle dita, per farle scricchiolare, con uno sguardo minaccioso e le spalle rigide. Quando la vide, però, le sorrise e allungò una mano verso di lei. 

Nel momento in cui prese la sua mano, il ragazzo la tirò verso di sé, stringendola contro il suo petto solido.

-Piccola…- le sussurrò fra i capelli.

Lei alzò gli occhi al cielo. –Eric!- lo ammonì, non apprezzando quell’appellativo con cui le si riferiva.

Per un attimo pensò ancora a Leah accasciata a terra, e alle sue parole, ma scacciò via il pensiero e abbracciò forte il ragazzo.

Eric rimase piuttosto sorpreso per quello slanciò d’affetto e, poiché non era abituato ad attimi di pura dolcezza, la  spinse contro la parete ed iniziò a baciarle il collo.

-Non puoi immaginare quanta voglia avevo di vederti.- Le sussurrò tra un bacio e l’altro, salendo verso le sue labbra. –Andiamo subito nel mio letto e facciamolo, sto impazzendo dalla voglia!-

Aria rabbrividì, un po’ per l’ardore dei suoi baci, un po’ per il pensiero della malvagità che aveva manifestato poco prima.

Scacciò il pensiero, cosa avrebbe pensato lui di lei se l’avesse vista negli anni passati, quando i suoi compagni di scuola si spostavano vedendola passare? Cosa avrebbe pensato vedendola picchiare senza pietà i suoi coetanei che le facevano un torno? Forse anche Eric non sopportava sentirsi inferiore e debole, e si difendeva con la forza, senza pietà.

-Eric, temo che per sta sera dovremo limitarci a dormire…- Disse, stretta nelle spalle, con il corpo di lui che la schiacciava contro il muro.

Il ragazzo trattenne un grugnito e la guardò scettico. –Non dirmi che sanguini!-

Aria storse il naso per la definizione usata da Eric, quando ne esistevano mille altre per spiegare la situazione piuttosto femminile in cui si trovava. –Che vuoi farci? Una volta al mese alle donne capita!-

La smorfia di Eric fu tanto evidente che temette che si staccasse da lei schifato. –Proprio sta sera?-

La ragazza alzò le spalle.

Eric assottigliò lo sguardo e sbuffò.

-Infatti, stavo pensando che forse è meglio se resto nel dormitorio…-

-E perché?- le chiese, quasi offeso.

-Perché ho bisogno del bagno, delle mie cose…-

-Io ho un bagno piuttosto confortevole, se non te ne fossi accorta!- Le ricordò. –E puoi andare a prenderti quello che ti serve.-

-Ma non sto tanto bene, e che farai se durante la notte mi sveglio e iniziò a lamentarmi perché mi fa male la pancia?-

Il ragazzo fece ruotare gli occhi e piegò le labbra nell’ennesima smorfia. –Vorrà dire che andrò a riempirti la vasca d’acqua calda e che ti ci metterò dentro, così ti rilassi, non ti fa più male e non rompi più. Va bene?-

Aria sorrise, ma non capiva come facesse Eric a cambiare identità con tanta velocità. –E come la mattiamo con i miei sbalzi d’umore?-

-Di cosa potresti essere capace?- indagò, con entrambe le sopracciglia sollevate.

-Attacchi d’ira!-

-So difendermi!-

-E momenti in cui ho bisogno d’affetto…- Abbassò la testa, sapeva che a quello non poteva resistere. O si sarebbe arrabbiato, oppure l’avrebbe mandata via.

Eric fece un ghigno. –Se sta notte ti avvicinerai a me, vedrò ti non scacciarti via!-

Aria rise e iniziò ad intrecciarsi una ciocca di capelli attorno a un dito.

-Adesso basta con le richieste!- esclamò Eric, rubandole un bacio a fior di labbra. –Oppure dovrò arrabbiarmi!-

Le mani di Aria si intrecciarono dietro la sua nuca, facendolo rabbrividire di piacere, e riprese a baciarla. –Sei mia Aria, e ti voglio con me anche mentre ti contorci dal dolore. E poi posso resistere una notte senza sesso.-

-Tanto per cominciare io non mi contorcerò dal dolore, lamenti a parte!- Gli disse imbronciata, mettendogli una mano sul viso per allontanarlo e impedirgli di baciarla. –E poi non si tratta solo di una sera…-

-Ma stai zitta!- sbottò, mordendole la mano che gli aveva messo davanti.

Aria rise, in quel modo dolce e spensierato che si concedeva solo con lui, e gli prese il viso fra le mani per tornare a baciare quelle labbra calde. Fece scivolare le sue braccia oltre le sua nuca, avvicinandosi al suo petto solido, mentre le mani ardenti di Eric le stringevano i fianchi e salivano lungo la sua schiena. Si strinsero, si assaporarono desiderosi di assorbirsi a vicenda e di fondersi in quel calore travolgente. Non si era mai spinta tanto, non fuori dalla camera di Eric almeno, si era sempre contenuta e controllata. Peccato che non fosse in grado di trovare pace con le braccia del ragazzo che l’avvolgevano, qualcosa le si agitava dentro in un misto di paura e desiderio.

Quelle braccia, quelle mani, avevano fatto del male ad altre persone, era inutile negarlo, lo sapeva e non era sciocca. C’era qualcosa di estremamente eccitante in quella consapevolezza, e si vergognò dei suoi sentimenti, chiedendosi perché non riuscisse ad esserne terrorizzata.

Era stata per così tanto tempo la persona sbagliata, la ragazza cattiva e fuori posto che, in quel momento, sapere di essere con qualcuno che era più sbagliato e più malvagio di lei, le dava sicurezza.

La sua famiglia e i suoi compagni di scuola si erano sbagliati, lei non era mai stata una cattiva ragazza, solo una persona estremamente debole che aveva bisogno di difendersi e di dimostrare la sua forza.

E se anche Eric avesse avuto quel bisogno?

Se Leah avesse detto la verità, e magari anche Eric, a volte, cadeva a pezzi?

I Divergenti erano persone pericolose, persone che andavano fermate. Non le importava chi fosse stato a farli cadere nello strapiombo, magari c’erano altri dettagli da tenere in considerazione, Eric non poteva essere un assassino spietato.

Non poteva.

Le labbra del ragazzo si chiusero attorno al suo labbro inferiore e lei inarcò la schiena contro di lui, mentre erano ancora intrecciati in un abbraccio sempre più spinto e travolgente.

Talmente travolgente che, i due, troppo impegnati a baciarsi, non si accorsero dell’umo che era arrivato. Non sentirono i suoi passi, sentirono solo la sua voce quando ormai era troppo tardi.

-Eric!-

Sentendo quel tono di voce serio e asciutto, non troppo arrabbiato ma severo, Eric sussultò e si scostò da Aria, voltandosi verso il nuovo arrivato.

Lo aveva riconosciuto subito, era Max, il più importante fra i capifazione e quello con cui collaborava per la missione segreta con gli Eruditi. Serrò la mascella e si allontanò da Aria, rimanendole comunque davanti con fare possessivo. Non poteva permettere che la guardasse troppo a lungo, ed era suo dovere darle sicurezza, dato che la sentiva tremare impercettibilmente. Forse aveva paura perché erano stati colti in flagrante, quando l’ordine era di agire con riservatezza. O forse aveva colto, con la sua mente da Erudita, la reale gravità della situazione, capendo che Max voleva qualcos’altro e che non gli interessava nulla della ragazza con cui lo aveva trovato in intimità.

-Dobbiamo parlarti…- Disse l’uomo dalla pelle scura, quasi con rassegnazione.

Nell’instante che trascorse senza essere in grado di dire una sola parola, Eric serrò i pugni e contrasse la mascella.

Sapeva benissimo cosa volevano dirgli.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 23
*** Condannati ***


23. Condannati

 

 

 

 

Quando Eric le mise una chiave in mano, chiudendole subito il pugno attorno al metallo sottile per impedire che Max vedesse il loro scambio, Aria capì le intenzioni del ragazzo.

Scivolò via tra il muro ed Eric, che non si era spostato e le rimaneva davanti, teso e silenzioso. Aveva le vene del collo tirate e la mascella contratta, senza perdere di vista Max. Anche lei si concesse un’ occhiata al capofazione da poco arrivato, sorprendendolo con lo sguardo fisso su Eric in un’ espressione a metà fra l’accondiscendente e il serio.

Se ne andò, diretta verso i corridoi appartati che portavano agli alloggi preferenziali, senza dire una parola.

Si divincolò nella penombra della residenza, raggiungendo la camera di Eric che aprì con la chiave appesa ad un cordoncino che il ragazzo le aveva dato.

 

Provò ad aprire la porta, ma la trovò chiusa, così bussò. –Aria? Sono io!- sussurrò.

Sentì il rumore della ragazza che saltava giù dal letto, per poi cogliere il ticchettio dei suoi piedi nudi sul pavimento. Attese il rumore della serratura che scattava e si intrufolò in camera quando gli venne aperta la porta.

Aria aveva un’ espressione spaventata, e capì che era tesa anche lei e che, probabilmente, aveva paura che fosse stato qualcun altro a presentarsi al posto suo.

-Scusa se ho chiuso la porta a chiave…- Gli disse a conferma, con tono incerto.

-Nessun problema.- La tranquillizzò sbrigativo. –Hai fatto bene.-

Avrebbe voluto accarezzarle il viso, baciarla, dato che sul suo volto leggeva la paura che aveva provato e il bisogno che aveva di essere rassicurata.

Ma non se la sentiva.

Si trascinò, insieme al suo lato più oscuro, verso la poltrona girevole vicino alla finestra. Si lasciò cadere seduto, sentendosi estremamente pesante e stanco. Aria lo osservò in silenzio e studiò il modo in cui teneva contratte le spalle, il suo sguardo profondo e la sua espressione dura.

Lei non poteva sapere cosa era successo, e cosa avessero avuto da dirgli gli altri capifazione, ma doveva essere qualcosa di importante, e sperare che fosse una bella notizia era assurdo.

Eric era troppo provato, sicuramente si trattava di qualcosa di grave.

Non voleva chiedere, voleva lasciarlo sereno. Nella sua mente ritornarono le parole di Leah, che si riferiva ai momenti in cui Eric cadeva a pezzi e aveva bisogno di conforto.

Ed era quella la situazione che aveva davanti, ovvero un Eric che lottava contro sé stesso per tenere i propri pezzi insieme, seduto sulla poltrona da solo.

Scivolò verso di lui e si sedette sulle sue gambe, passandogli le braccia intorno al collo. Lui non si mosse quasi per nulla, si limitò a sollevare un braccio per sorreggerle la schiena, mentre teneva l’altro sul bracciolo, stringendolo con il pugno. La sua espressione rimaneva vuota e i suoi occhi puntati su di un punto imprecisato, senza seguire i movimenti dalla ragazza.

Eric serrò la mascella.

Ci aveva provato, aveva tentato la strada alla luce del sole ma non aveva funzionato.

Era stato fissato un incontro per discutere gli ultimi dettagli del loro piano per togliere il potere governativo agli Abneganti, valutando il momento migliore per agire e per iniettare il siero che Jeanine aveva inviato per tutti i membri della fazione. Tuttavia, non tutti avrebbero aderito alla simulazione, per cui i cinque capifazione degli Intrepidi si erano radunati e si erano trovati d’accordo sui nomi delle persone che sarebbero rimaste coscienti.

A tutti i bambini della fazione sarebbe comunque stato iniettato il siero, ma gli sarebbe stato ordinato di rimanere in gruppo in un luogo specifico.

Max aveva una moglie e un figlio piccolo, decisamente poco adatti per la guerra e quindi risparmiabili. Loro sarebbero rimasti nei loro alloggi senza sapere cosa succedeva fuori, e sarebbe spettato proprio a Max imporgli di non uscire senza dirgli la verità. In questo modo il capofazione sarebbe stato anche più libero di agire e di dedicarsi al loro impegno.

Sarah, l’unica donna al comando, aveva un compagno forte e robusto che sarebbe stato sicuramente utile nell’esercito e, poiché non erano nemmeno sposati, le era stato ordinato di lasciarlo alla simulazione e lei si era trovata d’accordo.

Marcus, il più tranquillo e taciturno, con una folta barba e i capelli radi, non era sposato e non aveva figli ed, essendo stato un trasfazione, non aveva altra famiglia e altri legami affettivi.

In pochi sapevano che il ragazzino smilzo con i capelli rasati che seguiva il capofazione Finn come un’ombra, non era solo il suo braccio destro, ma anche il suo unico figlio. La moglie era morta in un incidente anni a dietro, e quel ragazzo era tutto ciò che gli restava. Dopo il consenso da parte di Max, Finn aveva potuto rivelare al figlio i loro accordi con gli Eruditi e quindi, dato che sapeva, non sarebbe stato sottoposto all’iniezione e avrebbe collaborato dando il suo contributo alla causa.

E così  era stato confermato che i ragazzini sotto i sedici anni, la famiglia di Max, il figlio di Finn e qualche guardia scelta di particolare valore, sarebbero rimasti fuori dalla simulazione.

L’ultimo capo fazione era Eric che, quando tutto era iniziato e aveva accettato di immolarsi nella missione, non aveva nessuno per cui chiedere un permesso speciale. Ma le cose erano cambiate.

Aveva comunque avanzato la sua richiesta, chiedendo di tenere fuori dalla simulazione la sua ragazza, ma sapeva sin dall’ inizio che se non avevano risparmiato il compagno si Sarah, non avrebbero certo concesso a lui quel vantaggio.

Finn, conoscendo la ragazza in questione, gli aveva riso in faccia senza alcun riguardo. Anche gli altri sapevano che si riferiva all’iniziata con cui, oltre ogni regola, aveva una relazione quasi clandestina. Non avevano riso, ma avevano detto di no.

Aria era giovane e forte, sarebbe scesa in campo come tutti gli altri iniziati che avrebbero superato il test finale. E, proprio dopo il test e dopo la cerimonia d’ ingresso alla fazione, gli sarebbe stata fatta l’iniezione e il siero di simulazione le sarebbe entrato in circolo, guidando lei e gli altri ad agire contro la loro volontà, il giorno seguente.

Erano condannati, entrambi.

Lei perché sarebbe stata mandata in guerra, e lui perché avrebbe rischiato ogni cosa opponendosi.

Ma, mandando mentalmente al diavolo Finn che aveva osato deriderlo, con ancora la rabbia che gli ribolliva nelle vene per quell’affronto a cui non aveva potuto replicare, Eric aveva preso la sua decisione.

Se non avevano voluto dargli il permesso di tenere Aria al sicuro, avrebbe fatto di sua volontà concedendosi da solo quell’autorizzazione. Per niente al mondo la ragazza sarebbe stata manovrata dagli Eruditi contro gli Abneganti.

Gli era stata data la garanzia che alla loro fazione non sarebbe successo niente di male, altrimenti lui e gli altri capi Intrepidi non avrebbero accettato l’accordo con Jeanine. Si trattava di un gioco da ragazzi, gli Abneganti erano innocui e si parlava solo di un’azione intimidatoria verso tutta la città e non solo verso la fazione al governo, ma c’era sempre il rischio che si aprisse il fuoco e che qualcuno, privo di conoscenza perché sotto simulazione, ci rimettesse la vita.

Ed Aria doveva essere protetta e risparmiata a quella tortura umiliante.

Forte e determinata com’era, non avrebbe mai accettato di avere la mente soggiogata da un computer. Inoltre, dagli studi raccolti, si diceva che chi era sotto simulazione mantenesse le facoltà visive e uditive, pur non riuscendo più ad agire di volontà propria.

Scosse la testa e serrò i pugni fino a conficcarsi le unghia nei palmi delle mani.

Aria, ancora seduta in braccio a lui, gli posò un bacio sulla guancia, cogliendo il suo turbamento.

Decise di non dire nulla, era talmente tanto in collera che doveva utilizzare tutte le sue energie per mantenere la calma, perciò non poteva sprecarne per inutili parole. Mise un braccio sotto le ginocchia della ragazza, mentre l’altro era già dietro la sua schiena, e si alzò in piedi con lei ancora in braccio.

Per la paura del gesto improvviso, Aria sussultò appena, ma si strinse di più al suo collo, sicura che fra le sue braccia non corresse alcun pericolo.

Eric avanzò e la depositò con cura al centro del letto, poi si spogliò e andò a stendersi nella sua parte, spegnendo la luce. Era steso supino, con un braccio sotto la testa e l’altro abbandonato lungo il fianco, aveva il petto scoperto che si alzava e si abbassava ad un ritmo sempre più controllato, mentre guardava il soffitto in silenzio.

Al buio, Aria si strinse al braccio di Eric che, esausto e ancora chiuso in sé stesso, serrò gli occhi.

 

Si alzò dal letto su cui era seduta per allacciarsi le scarpe e si avvicinò alla porta, prese la propria giacca dall’appendi abiti e la indossò, tirando su la cerniera.

Quando una mano si posò sulla sua spalla, voltò solo la testa in silenzio, incrociando il proprio sguardo con quello del ragazzo. Era decisamente più alto di lei, forte, e la guardava con un’ espressione e metà fra il malinconico e il determinato.

-Oggi è il giorno del test finale.- Le disse, con una serietà che sembrava emanare vita propria.

Aveva ancora le mani sui bordi della giacca. Annuì.

-Voglio che tu mi faccia una promessa…-

Curvò le sopracciglia e arricciò le labbra, guardandolo interrogativamente, senza nascondere una certa diffidenza. Altro che incoraggiarla o augurarle buona fortuna, si era illusa per niente.

-Alla fine di tutte le simulazioni, voglio che tu ti separi dagli altri iniziati e che vieni qui, invece di andare alla cerimonia d’ingresso alla fazione.-

Le sue sopracciglia si curvarono ancora di più e il suo atteggiamento diffidente scivolò verso lo scettiscismo, fino all’offeso. –Che storia sarebbe questa?-

Eric sospirò e guardò la porta, perché non era più in grado di guardarla negli occhi, non mentre la metteva al corrente, mentendole, dei fatti funesti che stavano per accadere.

-Non puoi farmi domande. Sai che sta per succedere qualcosa, e che sto facendo di tutto per tenerti al sicuro!-

Aria si voltò completamente verso di lui, la sua espressione si addolcì, e posò le proprie mani sui suoi avambracci tatuati. –Ma Eric, perché non vuoi spiegarmi nulla? Cosa c’entra saltare la cerimonia per venire in camera tua?-

Il ragazzo scosse la testa, si limerò delle mani della ragazza e le mise le proprie sulle sue spalle esili. –Capisci cosa sto rischiando per te?- le disse, con la furia che iniziava a scaldargli le vene. –C’è in ballo qualcosa che non puoi immaginare, è una situazione pericolosa, e tu dovrai fidarti di me!-

La ragazza rimase ad osservarlo per qualche istante, cogliendo il tormento e la rabbia che gli facevano tremare le mani e pulsare le vene del collo. –Perché la cerimonia degli iniziati? Succederà qualcosa a loro?-

-No, non propriamente, hai la mia parola che rimarranno integri e che li rivedrai per cena.-

-Allora cosa…?-

-Aria!- la sua voce salì e le fiamme nei suoi occhi si risvegliarono. –Vuoi che finisca in guai seri? Vuoi vedermi rovinato, sapendo tutto quello che sto facendo solo per proteggerti? Forse tu sei pronta a rischiare, ma io non posso permettertelo.-

-Non farò niente che possa crearti problemi.- gli disse, a testa bassa. –Vorrei solo sapere la verità.-

-La verità?- Eric abbassò il capo e il suo solito ghigno gli piegò le labbra. –La verità non ti serve, ma saprai tutto al momento opportuno.-

Poi Eric le tolse le mani dalle spalle, e lei si sentì improvvisamente debole e vuota. Iniziò a rigirarsi le dita delle mani, senza osare guardarlo. I suoi muscoli erano tesi, il suo sguardo affilato come una lama e non voleva rischiare di vedergli perdere la pazienza. –Vuoi che mi fidi di te, ma tu non ti fidi abbastanza di me da dirmi chiaramente come stanno le cose…-

Il suo braccio venne improvvisamente stretto in una morsa dalla mano di Eric. –Forse non hai capito, ho provato a chiedertelo gentilmente, ma forse vuoi le miniere forti. Finito il test, tu devi lasciare tutti e venire nella mia stanza, ti è chiaro?-

Aria liberò il braccio con uno strattone e lo guardò di traverso. –Smettila di trattarmi come tratti tutti gli altri, io non ho paura di te e tu non devi comportarti così!-

Rimasto in silenzio, Eric e la guardò intensamente, il suo sguardo era quasi folle, poi si riempì di desiderio e, nonostante la ragazza non riuscisse a crederci, si riempì anche di paura.

-Allora fallo per me.- Le disse con voce suadente, letale in tutta la sua calma. Avanzò verso di lei e si fermò ad un palmo dal suo viso. –Non posso permetterti di rovinare tutto. Non possiamo commettere errori, oppure saremo morti.-

Abbassando gli occhi, Aria sentì il suo cuore stringersi.

-Verrai nel mia stanza, come ti ho detto?-

A quella domanda tornò a guardarlo, provando per la prima volta paura, ma non per lui, ma per la gravità di ciò che nascondeva. –Va bene, lo farò.-

 

Ancora sconvolta e con il cuore a mille, si recò in mensa per la colazione e si trovò davanti una scena alquanto insolita. Uno dei tavoli era stracolmo, con seduti attorno ben sette persone. C’era Sasha, con Will seduto tra Tris e Christina, ma c’erano anche tre iniziati interni. Il primo era Uriah, poi c’era Marlene e l’altra loro amica che doveva chiamarsi Lynn. Aria la riconobbe perché era nella squadra di Eric a ruba bandiera e perché aveva seguito Marlene durante il giro per la residenza che Sasha aveva organizzato per il suo compleanno.

Si avvicinò e si intrufolò nell’unico posto libero, tra Tris e Will.

-Era ora!- la salutò Sasha, alzando una mano dall’altra parte del tavolo.

Vicino alla bionda, Marlene aveva un muffin in ogni mano, uno al cioccolato e uno alla vaniglia, e dava un morso prima ad uno e poi all’altro.

-Allora, pronti per vedermi fare il tempo minore in assoluto?- Scherzò Uriah.

Lynn gli rispose qualcosa, scatenando una discussione a cui si aggiunse anche Tris.

-Ci avresti mai pensato che saremo arrivati a questo punto?-

Aria, sentendo la voce di Will, si girò verso di lui. Cogliendo il suo messaggio, sorrise.

-Adesso non dovrai più sentirti dire che ti comporti come un’animale, qui in mezzo siamo i più raffinati!- le disse.

Scoppiò a ridere. –Decisamente, noi non siamo così pazzi!-

Will fece un cenno. –Sempre se riusciamo a superare l’ultimo test!-

-Sappiamo già chi farà i tempi peggiori, e sia tu che io siamo salvi!-

-Non sei contenta?- le chiese. –È da quando ti conosco che dici che vuoi diventare un’ Intrepida, non dovresti saltare di gioia?-

Alzò gli occhi al cielo. –Nemmeno tu eri convinto quanto lo ero io, e adesso eccoci qui. Ovviamente sono felicissima!-

-Bene!- le mise una mano sulla spalla. –Adesso non dovrò più preoccuparmi che tu faccia a botte con qualcuno, ero stanco di farti da guardia del corpo!-

-Sarebbe più corretto dire che facevi la guardia del corpo a quelli che mi rompevano le scatole!-

-Per forza! Se rompi il naso a qualcuno fra gli Eruditi finisci nei guai, qui è tutto normale, perciò da oggi il mio lavoro finisce!-

A quel punto Christina si voltò verso di lui. –A proposito, che lavoro vuoi fare?-

-Guardia della recisione! Sono abituato a controllare e mi piace l’idea di tenere d’occhio i confini. Inoltre, in caso succedesse qualcosa di anomalo là fuori, sarei il primo a saperlo!- 

-Ed ecco che viene fuori il tuo lato curioso da Erudito!- lo beffeggiò affettuosamente Christina.

-E tu, vuoi ancora fare l’istruttrice?-

-Penso di sì!-

-E tu?- chiese Will, sta volta rivolto ad Aria.

La ragazza si strinse nelle spalle. –Non ne ho idea…-

Improvvisamente Tris si alzò e lasciò il tavolo, salutò e se ne andò chissà dove e chissà con chi.

Aria tornò a parlare con Will. –Che lavoro potrei fare?-

Will rise. –Uno da dura!-

-Non so solo picchiare la gente, so fare altro, sai?-

-Allora potresti fare un lavoro di comando, potresti farti valere senza picchiare nessuno!- Intervenne Christina, sporgendosi verso di lei.

In silenzio, Aria valutò la proposta per alcuni secondi.

-Il posto di apprendista capofazione è già preso!- Puntualizzò Will, lanciando un’occhiata a Peter seduto al tavolo vicino. -A meno che non arrivi prima di lui in classifica…-

Scosse la testa. -Non voglio diventare capofazione, per niente, però forse c’è qualcos’altro di simile che potrei fare!-

Christina mandò giù un pezzo di Muffin. –Magari ci sono altri ruoli di comando!-

-Giusto!- Rispose Will.

Aria appoggiò il mento su una mano e pensò alla mattina del giorno dopo, quando tutti gli iniziati sarebbero stati considerati a tutti gli effetti membri degli Intrepidi e avrebbero dovuto individuare il tipo di lavoro da svolgere per la fazione. Aveva sentito dire che i capifazione, che avevano tenuto d’occhi gli iniziati, avrebbero dato qualche suggerimento ad ognuno di loro per aiutarli nella scelta. Immaginò il momento imbarazzante in cui Eric sarebbe stato insieme ai capi, forse sarebbe stato proprio lui a consigliarla. Di certo non sarebbe diventata un’ aspirante capofazione, sarebbe stato troppo imbarazzante trovarsi tutti i giorni a lavorare con Eric. Assolutamente non era un’ idea che le piaceva.

-Io e gli altri andiamo a fare un giro prima che ci chiamino per il test finale, vieni con noi?- le chiese Will, sottraendola ai suoi pensieri.

Sasha, che si stava alzando insieme a Marlene, le fece segno di seguirli.

-Come vi siete conosciuti?-

Alle domanda che Christina rivolse a Will, Aria sollevò gli occhi e vide il ragazzo ridere mentre si alzava in piedi.

-Perché le ho salvato la pelle, ovviamente!-

-Non darti troppi meriti!- intervenne, seguendo lui e Christina.

Will rise ancora.

Mentre camminavano, Aria sorrise a sua volta e ripensò a quel giorno a scuola di diversi anni prima, quando aveva conosciuto Will. Erano della stessa fazione e le loro famiglie si conoscevano, ma i due bambini non avevano mai parlato fra di loro…

 

Avano sette anni, e quel giorno a scuola faceva piuttosto caldo. Aria era seduta vicino agli altri bambini Eruditi ad un tavolo per la pausa pranzo, ma era piuttosto infastidita.

Il bambino che era seduto davanti a lei continuava a guardarla in modo strano, facendo smorfie di continuo.

-Perché tu non studi?- le aveva chiesto, puntandole un dito contro.

Aria lo aveva guardato di traverso, sapeva benissimo che era abitudine dei bambini Eruditi sfruttare ogni pausa per apprendere qualcosa di nuovo, ma faceva davvero troppo caldo e lei non ne aveva voglia.

-Lo dico alla maestra, che lo dirà ai tuoi genitori! Devi apprendere cose nuove invece di sprecare tempo!- aveva strillato il ragazzino, alzandosi in piedi e battendo le mani sul tavolo.

Sentendosi parlare con quel tono, Aria si era alzata in piedi con uno scatto e si era sporta oltre il tavolo per dare uno spintone a quel bambino antipatico.

-Come hai potuto? Non ci si comporta così, lo dirò al mio papà. Sei scorretta!-

La bambina aveva incassato quelle parole imbronciata, senza dire nulla, fino a quando non era arrivato un altro bambino della loro età.

-Non dirai niente a nessuno!- aveva detto al ragazzino che l’aveva accusata, posandogli una mano sulla spalla. –Non stava studiando perché è già avanti con tutti i compiti e sa già tutto quello che sai tu. E non c’è bisogno di dire niente ai suoi genitori, ti ha spinto perché sei stato sgarbato!-

Lei aveva osservato a lungo il bambino appena arrivato, aveva folti capelli neri e un naso un po’ troppo grande per il resto del viso.

-Perché la difendi, Will?-

Will, il bambino con i capelli scuri, aveva preso un respiro profondo e sostenuto lo sguardo accusatorio dell’altro bambino. –Perché conosco i suoi genitori, lei è una mia amica!-

L’altro non aveva saputo ribattere, così se ne era andato via.

-Ciao, ignora Igor, è un idiota presuntuoso!- le aveva detto Will, sorridendole.

-Ciao, grazie!- aveva risposto Aria, timidamente.

-Come ti chiami?-

-Ariana!- Si strinse ancora di più nelle spalle. –Da grande sarò un’ Intrepida!-

Will aveva riso, e i suoi occhi si erano socchiusi. –Anche a me piacciono gli Intrepidi, ma pensò che rimarrò fra gli Eruditi.-

-Peccato, potevamo essere amici!- Aveva dichiarato, scollando le spalle. –Perché hai detto a quello lì che sono tua amica?-

-Perché, non vuoi esserlo?-

Ariana aveva sollevato le sopracciglia. A scuola tutti la evitavano di continuo, non aveva nessuno con cui parlare liberamente perché erano tutti perennemente chini sui libri e, se nominava gli Intrepidi, si scatenava una tragedia. Quel bambino invece sembrava sereno, non pensava solo allo studio, aveva accettato la sua idea sugli Intrepidi ed era stato molto gentile con lei.

-Okay, allora è deciso Will: saremo amici!-

-Okay!- Le aveva risposto. –E, se sceglierò gli Intrepidi, saremo amici per sempre!-

 

Aria continuò a seguire i suoi amici, Sasha scherzava con Uriah e Marlene, mente Will era vicino a Christina.

Sorrise, pensando alla promessa di due giovani bambini Eruditi, spensierati e forse ingenui, che tuttavia si stava trasformando in realtà.

Will era il suo primo vero amico, avrebbero superato l’iniziazione e sarebbero rimasti insieme.  Sarebbe rimasta sua amica per sempre.

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 24
*** Logica e forza ***


24. Logica e forza

 

 

Gli iniziati erano stati radunati e chiusi in una stanza scarsamente illuminata e non troppo grande, in cui tutti erano vicini fra loro e il chiacchiericcio copriva ogni altro suono. Aria si portò indietro i ciuffi ribelli di capelli corvini, si passò una mano sulla fronte e sospirò, fino a quando una porta venne aperta e fece il suo ingresso il capofazione.

Ovviamente, il capo in questione era Eric.

Gli altri ragazzi, soprattutto gli iniziati interni, si zittirono all’istante e si voltarono verso di lui per prestargli attenzione, ed Aria si chiese se fosse per paura o per rispetto.

-Verrete chiamati in ordine, dal primo all’ultimo, in base alla classifica finale del primo modulo!- Esordì Eric, schietto e letale come suo solito.

-Perché in base alla classifica del primo modulo e non del secondo?- chiese qualcuno.

-Dato che il primo in classifica ci ha lasciati…- continuò Eric, riferendosi all’incidente capitato ad Edward. –Il primo è Peter. Uriah? Preparati per dopo.-

Aria si voltò, individuando subito la massa di capelli neri lucidi che identificava Peter, e lo guardò con disprezzo. Dopo il loro ultimo scontro, e dopo aver saputo che aveva fatto la spia su di lei ed Eric, non si erano più rivolti la parola.

Non si erano nemmeno guardati per sbaglio, era come se si fossero trasferiti su fronti opposti della città.

Uriah, poco distante, fece un sorriso e piegò la testa da una parte all’altra per stendere i muscoli del collo. Il ragazzo che si era classificato terzo, tremava da capo a piede.

E, dopo loro tre, Aria sapeva che sarebbe stato il suo turno.

Tutti gli altri iniziati si spostarono da un lato mettendosi in fila, mentre lei, avvolta nei suoi pensieri, si era distratta ed era rimasta ferma davanti alla porta.

Per un attimo guardò Eric che stava uscendo, era pronta ad abbassare lo sguardo per non farsi vedere da nessuno, ma lui si girò verso di lei e la guardò a sua volta.

Le lanciò uno sguardo penetrante, era già nel corridoio, solo lei che gli era davanti poteva vederlo. Così, prima di chiudersi dietro la porta, Eric fissò i suoi occhi grigi in quelli di Aria e avvicinò una mano alla testa indicandosi la tempia, picchiettando tre volte il dito indice.

Per un attimo la ragazza piegò la testa senza comprendere, ma poi capì che non era solo un gesto con cui le diceva di usare la testa e, soprattutto, che le stava comunicando qualcosa.

Qualcosa di importante.

Le altre persone, normalmente, si sarebbero indicate la testa per invitare qualcun altro a ragionare, ma gli Eruditi avevano un segreto. Ogni fazione aveva un suo codice nascosto che permetteva ai suoi componenti di indentificarsi fra di loro.

Eric non si era solo indicato la fronte, l’aveva toccata con il dito per tre volte ad un ritmo particolare, prima due colpi veloci e poi, dopo un attimo, il terzo tocco.

Quello era il gesto identificativo fra gli Eruditi, veniva anche usato come suggerimento ad usare la testa e la logica fino a risolvere ogni problema.

Non gli davano solo il significato comune, era inteso come un ragionamento più profondo.

Indicando la logica e la sua forza.

Era una cosa da Eruditi.

In un attimo le ritornarono alla mente frammenti di ricordi, come il giorno del suo compleanno in cui Eric le aveva medicato con cura la schiena e fasciato la caviglia con maestria. Quando erano andati in infermeria, la donna che si sarebbe dovuta occupare di lei aveva lasciato tranquillamente il compito al ragazzo, dicendo che sapeva benissimo che era in grado di farcela da solo.

Ma perché mai un Intrepido avrebbe dovuto intendersene di medicina, quando solo gli Eruditi ricevevano un istruzione generale che li rendeva in grado di affrontare qualsiasi circostanza, e  che comprendeva principalmente le nozioni scientifiche e le tecniche di primo soccorso medico?

E come dimenticare il modo in cui Eric si era messo a ridere? Quello stesso giorno, Aria gli aveva espresso il suo personale risentimento per gli Eruditi, accusandolo di non essere in grado di capire cosa volesse dire crescere per sedici anni in quella fazione.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò del metodo con cui il ragazzo le aveva confidato di aver affrontato le sue paure durante la sua iniziazione, anni a dietro. Le aveva detto che anche lui usava la logica per ristabilizzare il battito cardiaco e per superare la simulazione, ma come era possibile che un Intrepido convinto e spietato come lui, si fermasse a ragionare?

Persino il modo in cui portava i capelli era sospetto, si era in parte rasato la testa certo, ma teneva in ordine i ciuffi più lunghi pettinandoli all’indietro come gli Eruditi.

Incredibilmente, in quel momento, tutto aveva trovato una spiegazione.

Eric era stato un Erudito.

Proprio come lei, era nato nella fazione degli astuti per poi trasferirsi fra gli Intrepidi.

Quando spalancò gli occhi per lo stupore, Eric sogghignò divertito e si chiuse finalmente la porta alle spalle.

 

Quando chiamarono il suo nome, Aria avanzò in silenzio a testa bassa, fino a quando il corridoio non si aprì su un salone enorme. Era una stanza circolare con ampie vetrate in alto e guardie che supervisionavano ovunque. Grandi monitor quadrati erano sistemati a semicerchio di fronte a lei, con gruppi di persone dietro ogni schermo, pronti ad analizzare la sua allucinazione della paura.

Al centro della sala, su un piano rialzato, l’attendeva una poltrona come quella su cui si era già seduta durante le sue precedenti simulazioni. Ma questa non era imbottita, era rigida ed emanava una luce propria tra il giallo e l’arancione.

Ed era decisamente più spaventosa.

La metteva in agitazione e le faceva tremare le mani.

Avanzò decisa, rifiutandosi di guardare il gruppo di capifazione radunati dietro ad un monitor, per paura di incrociare lo sguardo di Eric, fino a quando non raggiunse la pedana e si avvicinò alla poltrona.

-Siediti pure!- la invitò Tory.

Sapere che quella donna era la stessa che le aveva tatuato il collo e parte della schiena, le diede una certa tranquillità, d'altronde una persona capace di decorarle con maestria la pelle, non poteva certo farle del male.

Ma sapeva che non era di lei che doveva preoccuparsi, ma del siero che le sarebbe stato iniettato.

Si sedette sulla poltrona e si distese in pozione, rimanendo il più immobile possibile, ma le scappò un sussultò quando venne punta dall’ago e chiuse gli occhi mentre le veniva fatta l’iniezione.

Si concentrò sul proprio respiro, aspettando che accadesse, mentre cercava con tutta sé stessa di non perdere la calma.

Ma perse coscienza e si ritrovò fra i suoi peggiori incubi…

 

La sedia su cui era adagiata era rimasta, ma era diventata di sabbia, sotto ad una distesa d’acqua che le copriva gli arti e parte del busto fino ai fianchi.

Strinse i pugni e si sforzò di respirare con calma, quando si accorse di tutte le siringhe che aveva conficcate sulla pelle delle braccia e delle gambe.

Voleva liberarsi, quando si accorse della siringa che era appesa sopra la sua testa. Penzolava lentamente, luccicando minacciosa.

Forse, se avesse trovato il coraggio di usare contro di lei quella siringa pericola, Avrebbe ottenuto qualcosa.

Ma non riusciva a toccarla.

Scosse la testa, aveva paura delle iniezioni di sonnifero che le faceva sua madre, non degli aghi di per sé.

Prese di scatto la siringa e se la conficcò in gola, il secondo dopo tutte le altre erano scomparse.

Ma accadde qualcosa di altrettanto spiacevole, la poltrona di sabbia su cui sedeva iniziò ad assorbirla e il livello dell’ acqua salì lentamente.

Stava affondando, ma le importava veramente?

A quel punto capì che non aveva paura di sprofondare nella sabbia, ma nei suoi tormenti interiori.

E l’acqua che rischiava di soffocarla non era niente, non era quello il problema, ma i suoi stessi sentimenti.

Chiuse gli occhi, riportò il battito cardiaco ad un livello nella norma e capì che quella paura era del tutto immotivata. In un attimo, quando fu capace di accettare il suo destino con coraggio, la sabbia e l’acqua sparirono.

Riaprì gli occhi ritrovandosi su un letto comodo, con la trapunta color lavanda. Sentì il rumore di una porta che si chiudeva e di una serratura che scattava.

Saltò giù dal letto e corse verso la porta, ma non ci fu verso di aprirla. Si guardò intorno, era nella sua cameretta quando viveva ancora con la sua famiglia, riconobbe le pareti azzurre, il tappeto e lo scaffale stracolmo di libri.

Poi vide la finestra aperta e si avvicinò.

Oltre non si vedeva nulla, non si scorgeva il terreno, né i dintorni e tanto meno il cielo. Si vedeva solo una massa di bianco sconfinato.

L’ignoto.

Aria guardò un’ altra volta la porta chiusa, non voleva rimanere lì dentro, schiava delle follie dei suoi genitori che potevano decidere di tenerla chiusa nella sua camera per ore. Non c’era niente di peggio, il nulla fuori dalla finestra non le faceva per niente paura.

Si arrampicò sul davanzale e saltò fuori, perdendosi nella nube bianca.

Atterrò su un pavimento liscio senza farsi alcun male, ritrovandosi in una stanza buia. Agli angoli erano accese fiaccole che emanavano la luce rossastra del fuoco, che illuminarono i tre scheletri che avanzarono dinoccolati verso di lei.

Storse il naso, ricordava gli scheletri raffigurati sul suo libro di biologia. La faceva sentire estremamente vulnerabile il pensiero che dentro, sotto gli strati di pelle, tutti quanti fossero uguali e così disgustosamente fragili.

Prese a calci il primo che le si avvicinò, poi avanzo verso il secondo e gli diede un pugno all’altezza delle costole mandandolo in frantumi. Al terzo decise di staccargli la testa.

Le ossa distrutte sparirono ma la stanza rimase buia.

Davanti a lei, adesso,  c’era un’ urna funeraria.

Il pensiero che le poche persone a cui voleva bene potessero venirle sottratte dalla morte le toglieva il respiro. A chi potevano appartenere le ceneri racchiuse in quell’urna argentata sistema sul pavimento?

A sua sorella, a Sasha? a Will? Pensò alle braccia forti di Eric che l’abbracciavano e si sentì mancare.

Strinse i pugni, non poteva permettere che la sua vita venisse interrotta da una perdita.

La solitudine non doveva farle paura, dato che l’aveva già combattuta e superata.

Si chinò a raccogliere l’urna cineraria e la scagliò lontano, vedendola andare in mille pezzi mentre le ceneri si spargevano nell’aria.

Al posto dell’urna, ormai distrutta, comparve uno specchio.

Aria si ritrovò davanti il suo stesso riflesso, ma la sua immagine nello specchio sembrava avere vita propria e non rispondeva ai suoi movimenti.

Piegò la testa da un lato, ma la ragazza riflessa non fece altrettanto.

Il sorriso della ragazza che aveva davanti era arrogante e i suoi abiti erano blu ed eleganti.

Era intimorita da quella versione anomala di sé stessa, sarebbe diventata fredda e crudele come tutti gli Eruditi se non avesse cambiato fazione.

Ma l’Erudita sicura di sé che aveva il suo stesso viso, non aveva certo una pistola appesa alla cintura.

Lei sì.

La estrasse, la caricò puntandola verso la versione distorta di sé stessa, e fece fuoco infrangendo lo specchio.

Quando riaprì gli occhi dopo lo sparo, si ritrovò in una stanza dalle pareti totalmente bianche che emettevano luce propria.

Non aveva più la pistola, ma i palmi delle mani sudate.

Le cedettero le gambe e si ritrovò in ginocchio.

Iniziò a sentire la gola restringersi, le mancava l’aria. I polmoni bruciavano poiché non riusciva a respirare.

Sentì il battito del suo cuore aumentare, lo sentì rimbombarle nel petto, nelle orecchie, nei polsi, in gola.

Iniziò a tremare da capo a piede, a sudare per le forti vampate di calore che la soffocavano, e sentiva la testa che girava vorticosamente.

Era tremendo. Insopportabile.

Si portò le mani ai lati della fronte, era come morire.

No, stava bene. Era solo un attacco di panico.

Le capitava da piccola, quando si sentiva sola e prigioniera, priva dell’affetto dei genitori e di veri amici.

Aveva sempre avuto paura di perdere il controllo.

Nella sua mente rivide una bambina bionda che correva in suo aiuto. Le copriva le orecchie con i propri polsi e, sentire il battito cardiaco rilassato dai polsi  di sua sorella, era la chiava per vincere.

Poiché era da sola, si tappò le orecchie con i polsi e ascoltò il proprio battito fino a quando non lo sentì nuovamente stabile e tranquillo.

 

Con uno schiocco sordo si ritrovò cosciente ed aprì gli occhi. Il suo scenario della paura si era concluso, aveva superato il test finale.

Batté più volte le palpebre e si mise a sedere di scatto, era nuovamente al centro dell’ampia sala tonda, accanto a lei Tory le sorrise e la invitò a tornare dagli altri iniziati con un gesto della mano.

Saltò giù dalla sedia e si sforzò di non correre, dirigendosi a passo spedito verso la stanza in cui erano radunati i suoi compagni, senza voltarsi neppure per un istante verso gli altri supervisori e verso i capifazione.

Tanto sapeva benissimo che Eric la stava guardando e che aveva seguito, con particolare attenzione, tutte le sue paure sullo schermo del monitor.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

Ciao a tutti! Volevo consigliarvi, se lo desiderate, di andare a dare un’occhiata al primo capitolo della storia (che definirei un prologo) perché vi sarà utile ricordarlo per comprendere meglio i prossimi aggiornamenti...

Inoltre approfitto dell’occasione per ringraziare di cuore tutti quelli che leggono questa storia, spero che i capitoli vi piacciono. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, e scusarmi per gli aggiornamenti così poco frequenti e per questo capitolo un po’ breve.

Grazie ancora davvero. Baci. : )

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Capitolo 25
*** Importanza ***


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25. Importanza

 

 

 

 

Non riusciva a credere di aver pianto davanti ad Eric, di essersi dimostrata tanto debole mentre lui continuava per la sua strada con la sua determinazione. Ma non era riuscita a non crollare, non con il siero delle allucinazioni ancora nel sangue e il ricordo troppo vivido delle sue paure.

Era troppo sconvolta e, con quel turbamento emotivo, aveva capito ogni cosa.

Si era ricordata degli Eruditi e dei loro piani per togliere il potere governativo agli Abneganti, di Jeanine che riteneva che gli Eruditi avrebbero presto governato e che gli Intrepidi sarebbero stati usati come mezzo per raggiungere il loro scopo.

Ed era crollata.

E, quando tutti gli iniziati erano stati sottoposti al test finale, Eric era sbucato fuori dal nulla e l’aveva trascinata in un corridoio appartato, impedendole di seguire i suoi compagni per i festeggiamenti.

Le aveva ordinato di andare nella sua stanza e di rimanerci, rammentandole la sua promessa senza lasciarle alcuna scelta. Aria avrebbe voluto convincerlo a dirle la verità, ma aveva capito ugualmente la gravità di ciò che stava per accadere, e così aveva accettato.

Era riuscita ad ottenere la promessa di avere delle risposte, quando sarebbe arrivato il momento opportuno, e poi aveva tentato di raggiungere la camera del capofazione.

Ma aveva fallito.

Finn, che si era trasformato nel loro nemico principale, aveva intercettato la sua fuga. L’aveva derisa, aveva fatto allusioni sul suo rapporto con Eric e poi, insieme al suo fedele braccio destro, l’aveva presa e trascinata indietro.

L’avrebbe riportata da Eric e messa insieme agli altri iniziati, vanificando tutti i loro sforzi per evitarlo.

Ripensò a quanto debole si era sentita contro Eric, e contro la sua richiesta incontrastabile, e si chiese cosa avrebbe fatto e come si sarebbe sentita quando sarebbe arrivata da lui.

Forse il senso di sconfitta sarebbe stato troppo insopportabile e si sarebbe nuovamente ritrovata a piangere.

Ma no, non poteva, doveva essere forte e trovare una soluzione.

La mano di Finn si serrò attorno al suo braccio rubandole un lamento, quando la trascinò a forza lungo l’ultimo corridoio e, in fine, nella sala di passaggio in cui sembrava essersi radunata tutta la fazione.

Residui di quattro file erano ancora davanti a loro e quattro uomini, uno ad ogni capo fila, iniettavano qualcosa agli altri che gli scorrevano davanti uno per volta.

Erano rimasti in pochi, e tutti in fondo alla sala, Aria era impegnata a guardare gli Intrepidi a cui veniva fatta l’iniezione andare via senza scomporsi.

Ma rabbrividiva al pensiero di cosa potesse esserci all’interno di quelle siringhe.

Quando incrociò due occhi chiari e sconvolti fissarla, il suo cuore le andò in pezzi e sentì la terra cederle sotto i piedi.

Il viso di Eric era avvolto dalla paura e dalla delusione.

Si scambiarono uno sguardo intenso, per interminabili secondi. La ragazza gli concesse un’ espressione desolata e scosse piano la testa, come a volergli dire che avevano fallito.

A quel segnale, gli occhi di Eric si serrarono per un istante e, quando si riaprivano, mostravano la sua sofferenza.

Ma lo sconforto si trasformò in rabbia.

Avanzò a grandi passi, spinse via un suo collaboratore e raggiunse lei e Finn in un attimo, impedendogli di avanzare. Si piazzò proprio davanti al capofazione con i capelli bianchi e lo fermò con il suo corpo.

Sentendolo trattenere un ringhio cupo nel petto,  Aria ebbe quasi paura.

Più di quanta ne aveva già.

-Toglile le mani di dosso!- sbraitò Eric contro Finn, pur cercando di mantenere un tono di voce basso per non farsi sentire dagli uomini radunati poco dietro di lui.

Finn rise. –Assolutamente no, le regole stabilivano che anche a questa ragazzina sarebbe stato iniettato il localizzatore. Come mai l’ho trovata diretta verso gli alloggi preferenziali? Non sarà mica stata opera tua, Eric?...-

Eric impallidì, ma serrò la mascella tanto forte che Aria temette che se la rompesse.

–Ti ho detto di lasciarla!- scandì il ragazzo.

-Se no?- A quella domanda, con il suo tono più arrogante, Finn serrò la presa attorno al braccio della sua vittima.

Aria gemette.

Gli occhi di Eric scattarono su di lei, inferociti.

E fu allora che la ragazza capì, quando le parole di Finn le risuonarono alla mente come un campanello d’allarme.

Il pericolo a cui Eric voleva sottrarla era proprio quell’iniezione misteriosa a cui venivano sottoposti tutti gli altri. Finn lo aveva definito un localizzatore, ma quelle parole per lei non avevano alcun significato, la portavano invece a pensare ad un altro tipo di localizzatori, quelli usati per i trasmettitori.

E lei conosceva i trasmettitori di comando a distanza, inseriti nel siero di simulazione a lunga azione che gli Eruditi cercavano di mettere a punto.

Lo stesso siero a cui lei e sua sorella avevano lavorato, prima che cambiasse fazione.

Eric era in contatto con gli Eruditi, con Jeanine in particolare, e quella donna aveva portato con sé  al quartier generale degli Intrepidi sua sorella Amber.

Amber, che risultava essere colei che aveva messo a punto il siero.

Un siero. Come quello che iniettavano a tutti gli Intrepidi.

C’era una sola cosa che poteva accomunare gli Eruditi agli Intrepidi, e quel qualcosa poteva essere il potere governativo in mano alla fazione degli Abneganti.

Le parole di Jeanine, udite in passato, sembravano un sussurro nella sua memoria.

Presto gli Eruditi prenderanno il governo, e gli Intrepidi saranno solo il mezzo che ci permetterà di raggiungere il nostro scopo.

Gli Intrepidi avevano armi e forza, ma non sarebbero scesi in campo consapevolmente, poiché avrebbero agito contro la loro volontà.

Sarebbe stato un computer a decidere le loro azioni.

Ogni segreto era stato scoperto, ogni pezzo del puzzle messo al suo posto.

L’unico dubbio che aveva era il quando, poiché sapere il momento esatto in cui tutto sarebbe avvenuto sembrava impossibile.

Ma ormai aveva chiara la situazione, e il sangue le ribolliva nelle vene in un misto di terrore e rabbia. Era tanto sconvolta da non essere più in grado di provare nulla.

-Perché mai a questa ragazza non dovrebbe essere iniettato il localizzatore, Eric?- Chiese Finn, maligno. –Perché lo hai deciso tu?-

-Perché Jeanine non ne sarebbe contenta!-

Quando quelle parole uscirono dalla bocca di Aria, fu lei per prima a stupirsi del coraggio con cui aveva parlato e di ciò che aveva detto.

Gli occhi di Finn scesero su di lei carici d’ira, per poi spostarsi su Eric e incenerirlo.

Eric, invece, la guardò allibito.

-Come fa a sapere di Jeanine? Hai disobbedito ancora alle regole, rivelando il nostro piano a questa ragazzina?- sbraitò Finn contro Eric, senza preoccuparsi di essere sentito, e continuando a strattonare Aria dal braccio per cui la teneva.

-Non aveva bisogno di dirmi niente, sapevo già tutto prima di voi!- precisò Aria, guadagnandosi gli sguardi dei due capifazione. –È stata proprio Jeanine, insieme a mio padre e a mia sorella, a dirmi del piano contro gli Abneganti!-

Sentendo quella frase, Finn spalancò gli occhi e la strattonò più forte per avvicinarla a sé. –Di che cosa stai parlando?- la sua voce non era più minacciosa, stava diventando spaventata.

Aria lo guardò negli occhi senza timore. –Sono la figlia di Richard Grey!-

Il fedele braccio destro di Finn, il ragazzino dalla testa rasata che si portava sempre dietro, riemerse dal buio e dal silenzio in cui si era nascosto, avvicinandosi all’orecchio del suo capo.

-Richard Grey è l’inventore di tutti i sieri della città, anche di quello che usiamo per l’addestramento degli iniziati…-

Ma Finn non si scompose per quelle parole, aveva gli occhi puntati su Aria e la fissava dall’ alto con sospetto. Sicuramente aveva capito subito chi era suo padre anche senza la precisazione del ragazzo, altrimenti non si sarebbe messo in allerta.

-Qual è il tuo nome completo?- Le chiese, con un tono di voce più composto e meno alterato.

Aria abbassò gli occhi sulla mano che ancora l’uomo teneva attorno al suo braccio.

–Ariana Grey.-

Passarono diversi secondi, Finn continuava a studiarla in silenzio e poi, senza preavviso, le liberò il braccio.

Indietreggiando, la ragazza si ritrovò con la schiena contro il petto di Eric. Non si mosse.

-Quindi abbiamo un’altra Erudita infiltrata fra gli Intrepidi per i progetti di Jeanine?- Chiese Finn tranquillamente, con il mento sollevato.

Eric non rispose, ma Aria lo sentì irrigidirsi.

-Potevi dircelo subito, Eric.- Continuò Finn, posando una mano sulla spalla del ragazzino che era sempre con lui. –Ci avresti evitato spiacevoli inconvenienti…-

Vedendo il sorrisino tirato con cui il capofazione anziano guardò Eric, ad Aria parve di capire che tirare fuori il nome di suo padre aveva scatenato in quell’uomo una certa ansia.

Forse lo aveva terrorizzato, oppure infastidito.

Era come se sapesse che mettersi contro Jeanine e suoi fedeli collaboratori fosse una mossa sbagliata e, forse, a lui la cosa non andava a genio.

Il giovane rasato guardò Aria in modo strano.

-Ora capisco perché eravate così amici…- sogghignò Finn, guardo prima lei e poi Eric.

Aria non gradì l’allusione e storse il naso, il loro legame non era certo nato grazie agli Eruditi, tanto meno grazie ai piani di Jeanine.

-Sappiamo tutti che compito aveva Eric, mi domando quale sia il tuo…- volle sapere l’uomo.

A causa della tensione, Aria sentì le proprie mani intorpidirsi.

Dalle parole di Finn, aveva capito che Eric agiva per Jeanine anche fra gli Intrepidi con un ruolo ben preciso. Ma quale poteva essere il suo?

-Mia sorella, Amber, si occupa del controllo dei trasmettitori…- Dal modo in cui disse l’ultima parola, face capire che sapeva benissimo che si trattava di altro, in realtà. –Il mio compito è quello di assicurarmi che non le accada nulla.-

Finn analizzò la sua risposta, e parve convincersi. –Ma certo, una guardia del corpo! Non potevano certo affidare la protezione di una persona così importate ad un idiota qualunque…-

Aria colse perfettamente il significato delle sue parole, ovvero che non gradiva che gli Eruditi inviassero scorte personali per i loro uomini, invece che fidarsi degli Intrepidi.

Ma lei era veramente un’ Intrepida, non aveva niente a che fare con Jeanine e i suoi interessi.

Ma doveva fingere.

-Bene allora, ci rivedremo quando sarà il momento!- E, con quelle parole, Finn si congedò.

Il ragazzino che era con lui lo seguì, dopo aver lanciato ancora una strana occhiata ad Aria.

Quando furono soli, la ragazza sentì la mano di Eric afferrarla da un polso e si lasciò trascinare via, mentre le emozioni e la paura che aveva cercato di nascondere fino a quel momento, esplodevano dentro di lei.

Non seppe come c’erano arrivati, dato che aveva smesso di ragionare, ma Aria si ritrovò nella camera di Eric mentre il ragazzo chiudeva a chiave la porta dietro di loro.

-Che cosa ti è saltato in mente?-

La voce profonda di Eric la risvegliò, erano ancora in piedi, l’uno di fronte all’altra.

Alzò gli occhi e vide la sua l’espressione furiosa e le sue labbra serrate, sentendo così la lava incandescente che le bruciava le vene serrarle la gola.

E quindi dovette urlare.

-Cosa mi è salto in mente? Di salvarmi la testa, ecco cosa mi è saltato in mente!-

Eric storse il naso e la guardò con decisione, ancora arrabbiato. -E se non funzionava?-

-Se non funzionava mi iniettavano il siero di simulazione a distanza, ecco cosa succedeva!-

Lo aveva detto di getto ma, finito di parlare, sentì una fitta al petto.

La reazione di Eric si manifestò con una smorfia che lo costrinse a piegare malamente la bocca, come se avesse appena ingerito qualcosa di disgustoso.

Aria si mise le mani ai lati della fronte e scosse la testa. -È questo che stavi nascondendo? Manderai la tua fazione contro gli Abneganti, lasciando che siano gli Eruditi a guidarli? È per questo che sei diventato un capofazione?-

Con uno scatto, Eric la prese da una spalla. -E cosa avrei dovuto fare, allora? Rinunciare alla possibilità di diventare il capo e finire anch’io come una pedina?-

Cogliendo lo sguardo disperato di Aria, decise di lasciarla andare e di ricomporsi, cercando di riprendere la calma.

-Non so in quale mondo delle favole tu viva, ma nel mio avevo solo due scelte. O ero la vittima oppure il carnefice. Ho scelto la seconda e non me ne pento!-

-Sapevi tutto fin dall’inizio?- Chiese a voce alta.

-Sì, Jeanine mi ha trovato quando ero ancora fra gli Eruditi e mi ha affidato un compito. In cambio sarei diventato un capofazione e avrei preso parte a questa rivolta, da comandante e non da pedina!-

-Che compito?-

-Non ha importanza.- Sentenziò Eric, brusco.

-Si, invece!- Replicò, sconvolta ed arrabbiata. -Ho ascoltato di nascosto, quella volta allo strapiombo quanto hai incontrato Leah!-

Eric parve perde il controllo come se qualcuno lo avesse aggredito senza preavviso, trasformandosi in un animale minaccioso. - Come sai di Leah? E cosa hai sentito?-

La ragazza indietreggiò di un passo, deglutì ma non perse la determinazione del suo sguardo.

-Sapevo che stavi con lei già da prima, è una lunga storia. Ho sentito che ha detto che avete ucciso i Divergenti, è vero?-

La mascella del ragazzo scatto ferocemente, i suoi occhi scintillarono crudeli, ma poco dopo prese un profondo respiro e si passò una mano fra i capelli.

-Il mio compito era quello di scovarli, dovevo analizzare le simulazioni del secondo modulo d’addestramento, dove emergono solitamente le anomalie.- Decise di spiegarle con calma. - Una volta consegnati i nomi dei sospettati, Max e gli altri capi si occupavano di loro.-

Aria si morse il labbro e guardò da un’altra parte. -Quindi tu non hai mai spinto nessuno oltre la ringhiera?-

Le parole fin tropo allusive al discorso di Leah fecero sollevare pericolosamente le spalle di Eric, che le lanciò un’occhiataccia per poi guardare anche lui da un’altra parte.

Si spostò verso la finestra, rifiutandosi di incrociare lo sguardo con lei. –A volte ho assistito!-

Scuotendo con forza la testa, Aria gli urlò contro. - Ti ho fatto un’altra domanda!-

Sta volta gli occhi della ragazza erano ostinatamente puntati in quelli di Eric, e lui vi lesse il suo coraggio ma anche il suo dolore.

Decise di avvicinarla con passo sicuro, a testa alta, stanco di sentirsi vinto e messo all’angolo.

Avanzò in tutta la sua forza, i passi che si susseguivano l’uno dopo l’altro per assottigliare la distanza fra di loro.

Si fermò ad un soffio da lei e chinò gli occhi sul suo viso ancora arrabbiato.

-E dimmi,- Le disse con voce crudele. -Arrivati a questo punto, ha veramente tanta importanza?-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Speranza ***


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26. Speranza

 

 

Nel silenzio della stanza che sembrava improvvisamente essersi gelata, Aria si ritrovò gli occhi grigi di Eric puntati contro, e dovette fare i conti con la sua espressione più impassibile.

Una statua di ghiaccio sarebbe stata più calorosa, mentre lui rappresentava il gelo senza fine. Non esprimeva nulla, non parlava, la guardava in attesa della sua risposta e lei si mordeva il labbro inferiore in attesa di avere le parole adatte da offrirgli.

Voleva sapere se, oltre ad aver preso parte alle esecuzioni dei Divergenti, avesse anche agito di mano propria. Ma lui le aveva rivolto un’altra domanda, chiedendole se quel dettaglio fosse realmente rilevante.

Si morse il labro con più forza, Eric aveva ammesso di aver fatto i nomi dei Divergenti che successivamente venivano assassinati, di essere stato partecipe.

Dopo aver confessato di aver guardato negli occhi tutti quei ragazzini che venivano lasciati cadere oltre la recinsione dello strapiombo, la mano che aveva di fatto spinto quei malcapitati, come poteva fare la differenza?

Certo, le mani di Eric erano sporche di sangue innocente, si era fatto comandare da Jeanine come uno schiavo e aveva agito in modi spregevoli e spaventosi. Era responsabile di ogni singola morte e non aveva fatto nulla per cambiare la situazione, di conseguenza, anche lui aveva ucciso tutti i Divergenti che avevano tentato di superare l’iniziazione degli Intrepidi.

Però, con le sue parole, forse Eric intendeva ben altro.

Le aveva chiesto se, arrivati a quel punto, avesse realmente importanza quantificare le sue effettive colpe.

Era ovvio che fosse colpevole, che fosse un assassino, perché concentrarsi su inutili dettagli?

Ma, soprattutto, dopo tutto quello che avevano condiviso e dopo essere caduti vittima di quel sentimento che li dilaniava dall’interno e gli impediva di separarsi, aveva davvero importanza di quante gocce di sangue si fosse realmente macchiato? Poteva un particolare distruggere quello che c’era fra di loro?

E, con quel pensiero, rispose. –No…-

Eric piegò appena la testa e la guardò in silenzio per alcuni secondi, come se si aspettasse che potesse cambiare idea.

-Ma ho bisogno di sapere un’ altra cosa.- Continuò, sostenendo il suo sguardo arrabbiato. – Finn credeva che fossi un’altra Erudita infiltrata tra gli Intrepidi, sei tu l’altro?-

-Lascia perdere Finn, lui si diverte a vederla così, piuttosto che ammettere che mi sono meritato il mio posto.- Scattò Eric, scuotendo la testa. -È vero, Jeanine ha parlato con Max durante la mia iniziazione e gli ha detto di tenermi in considerazione, ma il resto l’ho fatto io. Sono un capofazione Intrepido, non un Erudito sotto copertura!-

Il ragazzo la guardò attentamente, ma a lei non importava. Si morse il labbro e gli rispose con decisione.

-Perché hai cambiato fazione allora, se eri tanto fedele a Jeanine? Non è che le servivi dove sei adesso?-

Lui capì quello che intendeva e trattenne una smorfia di puro odio, strinse un pugno e tentò di parlare con un tono di voce controllato.

-Si, le servivo dove sono adesso, ma non ha preso un Erudito e lo ha travestito da Intrepido! Ha capito che volevo cambiare fazione, che ero ambizioso e determinato, così mi ha proposto il suo piano.-

Aria si concesse alcuni secondi per riflettere, abbassò lo sguardo e prese un respiro profondo, per poi tornare a fissarlo con insistenza, per nulla soddisfatta.

-Diciamo che ci siamo aiutati a vicenda, lei voleva un capo Intrepido che l’aiutasse ad organizzare il nostro piano e che le consegnasse i Divergenti, ed io volevo diventare capofazione!- Precisò il ragazzo.

-Il prezzo non aveva alcuna importanza, vero?-

La mascella di Eric scattò quando la strinse con ferocia, prima di urlare. -Ho fatto la mia scelta, Aria, sono anni che so che gli Eruditi progettano qualcosa, e non volevo essere usato per i loro piani. Volevo avere un posto in prima linea.-

-Ti sei fatto usare, Eric!- urlò a sua volta. -E hai ucciso delle persone!-

-Persone? Erano Divergenti! Sai quanto possono essere pericolosi, sei cresciuta anche tu fra gli Eruditi! Vanno fermati, sono come un virus pericoloso che non deve diffondersi!-

Le mani tremanti di Aria si strinsero e i suoi occhi si chiusero per assorbire l’ennesima sfuriata di Eric.

- D’accordo vanno evitati e sono pericolosi, ma non potevi considerarli persone?-

-Le ho considerate persone e le ho mandate a morire lo stesso, va bene?- Sbraitò.

Aria si zittì all’instante.

La rabbia aveva reso Eric ancora più pericoloso, si era accorto che Aria aveva smesso di respirare, ma non si calmò.

-Se non lo avessi fatto non saremmo qui, saremmo entrambi stati iniettati con il siero di simulazione! Non so cosa volessi tu, ma io di certo non faccio il burattino! Ho passato degli anni al comando, sono stato rispettato, sono stato bene, me lo meritavo! Se in cambio c’era da smascherare qualche fottuto Divergente, l’ho fatto e lo rifarei di nuovo!-

Eric prese a girovagare per la stanza, ceco d’ira e con i muscoli contratti carichi di forza.

Qualcosa però scattò nella mente di Aria e così, ancora indebolita dalla paura, si lasciò sfuggire una domanda con un filo di voce.

-Cosa sarebbe successo se ti fossi opposto?-

Il ragazzo smise di camminare avanti e indietro e si voltò di scatto verso di lei, ancora ferma vicino alla porta.

-Vedo che finalmente usi il cervello per uscire dal tuo mondo incantato!- La beffeggiò, crudele.

Girando la testa da una parte, Aria non seguì Eric mentre avanzava tronandole davanti, ma si accorse benissimo della mano che le mise sulla spalla.

-Mi avrebbero ucciso, Aria. Sapevo troppo, non potevano rischiare. Inoltre un patto è un patto, se non mi occupavo più dei Divergenti avrei perso prima il rispetto di Max e poi tutto il resto.-

Scossa da un leggero brivido, Aria sentì la confessione di Eric e la sua voce vibrante attraversarla come una lama infuocata.

-Lo sai quello che ho fatto per proteggerti?- La incalzò lui, chinandosi in avanti a mettendo il viso all’altezza del suo in cerca del suo sguardo.

Gli occhi di Aria incontrarono finalmente quelli del ragazzo, ma rimase in silenzio.

-Non era solo la relazione con un’iniziata il problema. Avevo dato la mia parola che ti avrei lasciato alla simulazione, e invece non avevo alcuna intenzione di farlo! Ma non potevo fare di testa mia, mi sono dovuto attenere agli ordini solo per poter avere la certezza di garantire sicurezza a me stesso e a te.-

-Tu odi obbedire agli ordini degli altri!- disse piano, guardandolo.

-Bene, allora saprai quanto mi è costato!- Scandì a denti stretti, afferrandola da entrambe le braccia.

Con una scrollata di spalle, Aria si liberò delle mani di Eric, abbassando lo sguardo perché non voleva più guardarlo, dato il peso elevato che sentiva dentro.

-Perché tu e gli altri capifazione vi siete alleati con gli Eruditi?-

Eric fece un cenno. -Perché, se riusciranno a togliere il governo agli Abneganti, Gli Eruditi ci hanno promesso un posto nel consiglio.-

Le sopracciglia di Aria scattarono verso l’alto, guardando il ragazzo con scetticismo.

-Quindi governeranno loro con il vostro appoggio? È questo che volete, che vi tengano in considerazione per ogni decisione importante?-

-Potremo finalmente dire la nostra, nessuno ci ascolta mai!- precisò Eric, mostrandole una smorfia per la sua mancanza di intuito.

-Si, è vero!- dovette concordare dopo una breve riflessione. -Perché i capifazione Intrepidi sono solitamente troppo giovani e troppo impetuosi. Sono considerati animali selvaggi senza buon senso…-

-E dovrebbe andarci bene? È da troppo tempo che veniamo ignorati, adesso vogliamo rispetto!-

Ma Aria non disse nulla, al contrario, si rifugiò in un lungo silenzio e si abbracciò da sola portandosi le mani sulle braccia, come in cerca di conforto.

Capì in quel momento che avrebbe dovuto scegliere.

Scegliere se essere complice o meno dei crimini e dei piani contro l’intera fazione in cui era appena entrata, ma quella decisione non spettava più a lei.

Avrebbe potuto opporsi, decidere liberamente di scappare, qualora non fosse successo nulla fra di loro.

Ma oramai, dopo tutto quello che c’era stato, arrivati a quel punto, non aveva più nulla da decidere.

Nulla poteva avere importanza.

Non si poteva più tornare indietro.

Eric era parte di lei e aveva lottato per proteggerla.

Avrebbe dovuto convivere con la consapevolezza che lui, negli anni, avesse dovuto sottostare a ordini folli ed obbedire eseguendo gesti sconsiderati.

Forse a causa della paura che aveva provato, forse per colpa della sensazione di vuoto che sentiva dentro di sé o per la voragine che minacciava di aprirsi sotto i suoi piedi e di inghiottirla, Aria non poteva fare a meno che aggrapparsi con tutte le sue forze ad Eric e di sentirsi sua alleata.

Sentiva il peso di quella guerra, di quelle morti, di quei sacrifici e di quelle azioni fuori dai limiti su di loro, schiacciarli e soffocarli, e non poteva fare altro che lottare con lui.

-Aria...-

Quando sentì la sofferenza nella voce del ragazzo, e si accorse della scintilla di speranza che illuminava i suoi occhi, Aria sperò che non tutto in lui fosse perduto.

Il mostro che teneva imprigionato dentro di sé non si cibava solo di cattiveria. Eric era sconsiderato, malvagio, ma era anche coraggioso e in grado di rischiare ogni cosa per proteggere qualcuno.

Per proteggere lei.

E, qualcuno in grado di amare, non poteva essere del tutto cattivo.

Doveva esserci del buono in lui, doveva esserci una luce dietro l’oscurità.

Quel ragazzo era entrato dentro il suo animo senza permesso. Aveva fatto irruzione nella prigione in cui si era rifugiata, sfondando le porte e portandola in salvo dal buio in cui si era lasciata sprofondare.

Aveva riacceso la sua luce, quella luce che si era spenta per colpa del suo senso di solitudine.

Era sempre stata sola e diversa.

Solo lui le aveva ridato speranza.

E se la speranza era la chiave, trovare la luce di Eric diventava la sua missione primaria. La sua unica soluzione di vita.

Poiché vivere senza di lui sembrava follia, non le restava che dimostrare che c’era ancora speranza per il suo cuore ribelle.

Nella sua mente dovette giustificare tutti i suoi crimini, cancellare le sue cattiverie e trasformare la rabbia che solitamente lo indentificava in disperazione.

Doveva usare quella chiave di lettura, o sarebbe caduta in un limbo senza ritorno.

Arrivati a quel punto, non aveva davvero importanza quante morti Eric avesse realmente sulla coscienza.

Non poteva considerarlo un assassino.

O sarebbe stata lei a morire.

Aveva bisogno di lui come ne aveva del sole, perciò doveva trascinarlo fuori dal buio.

Salvare lui avrebbe salvato lei.

Il ragazzo provò a metterle una mano sul viso, ma lei si scostò bruscamente, lo aggirò e si allontanò.

-Aria!- riprovò Eric, avvilito.

-Lasciami un attimo!- gli disse alterata.

Si voltò verso di lui e si fissarono in silenzio, lui che abbandonava la sua collera e cercava di rasserenarsi, lei che tentava di dimostrarsi calma facendo dei lunghi respiri.

-Mi serve un momento da sola…-

Le sue parole sembravano quasi una supplica così, per evitare di scoppiare a piangere, decise di rifugiarsi nel bagno.

Tuttavia, prima che di richiudere la porta, la voce di Eric la richiamò.

-Non c’è altra scelta!- le disse lui, con la voce tremante per lo sforzo di mantenere un tono pacato. La guardava con attenzione, scandendo ogni sillaba.

Aria abbassò la testa.

-Adeguati come ho fatto io!-

Sollevando gli occhi verso di lui, Aria vide il suo sguardo feroce e, allo stesso tempo, lo vide arrendersi.

Ma lei non voleva arrendersi.

Si chiuse in bagno rifiutandosi di rispondere.

 

Quando Eric rientrò nella sua camera, dopo aver fatto un giro di supervisione all’esterno per accertarsi che tutto procedesse per il meglio, trovò Aria seduta sul letto.

Era dovuto andare ad assistere alla cerimonia per l’ingresso nella fazione dei nuovi iniziati, e fortunatamente nessuno aveva fatto domande per l’assenza di Aria.

Lei era decisamente più al sicuro dove era in quel momento, con la possibilità di calmarsi e di riprendersi dopo tutto quello che aveva scoperto. Inevitabilmente adesso condivideva anche lei quel peso opprimente sulle spalle, che sembrava capace di togliere ogni respiro. Era la costante paura che qualcosa andasse storto, e l’orrore della consapevolezza di essere dalla parte sbagliata e di aver fatto, o di stare per fare, cose terribili.  

Si sedette vicino a lei sul letto, rimanendo in silenzio a fissare la luna fuori dalle vetrate, con Luna la gatta raggomitolata vicino alle loro gambe.

-Almeno mi risparmio la scelta della carriera, tanto non avevo idea di cosa prendere.- Lo voce di Aria si fece udire senza preavviso, accompagnata da una sua alzata di spalle.

Eric la guardò e sorrise nella penombra, un po’ per quello che aveva detto e un po’ per la sua volontà di intrattenere una conversazione meno grave di quella che avevano avuto poco prima.

-È per questo che esistono i capifazione: osservano gli iniziati durante l’addestramento per consigliarli nella scelta.- Le disse ironico. -E tu ne hai uno tutto per te che ti ha osservata e che ti conosce abbasta bene da sapere cosa potrebbe fare al caso tuo.-

Aria guardò il suo sorriso beffardo e sollevò le sopracciglia. -A sì, e che lavoro dovrei scegliere?-

-Secondo te qual è il tuo punto di forza?-

-L’unica cosa di cui mi sono convinta, è che vorrei un lavoro che mi permettesse di sfruttare la mia intelligenza. Anche se ho scelto gli Intrepidi, so che uso sempre la testa!- ammise, stretta nelle spalle.

-Tu fai una riflessione per ogni passo che fai, sei una calcolatrice nata, ed è su quello che devi puntare.-

Senza rispondere nulla, la ragazza lo osservò con attenzione.

-Senza dimenticarti però che hai un carattere molto forte, che sicuramente può tornarti utile.- sottolineò Eric, con uno sguardo deciso ed intrigante.

-Quindi?-

-Quindi sei perfetta per un ruolo di comando!-

La ragazza fece per aprire bocca per parlare, per rispondergli che era folle a pensarla in quel modo. Poi si ricordò che, nell’ultima discussione sulle carriere che aveva avuto con Will e Christina, anche l’amica le aveva consigliato un lavoro che avesse a che fare con il comando.

Se anche Eric era di quel pensiero, voleva dire che aveva davvero trovato il tipo di carriera che doveva seguire. Per un attimo si sentì felice, quella piccola vittoria era una distrazione piuttosto piacevole e confortante.

-Guarda che non voglio fare il capofazione!-Precisò, trattenendo una risata.

-Infatti ci sono altri ruoli, anche più adatti per te.-

Eric sembrava piuttosto protettivo nei suoi riguardi, come un vero maestro con la sua allieva, e realmente coinvolto nella discussione.

Aria sospirò. –Tipo?-

-Supervisore area logistica!-

-O mio dio, sembra una cosa da Eruditi!-

Eric ignorò il suo tono di protesta. -È vero!- ammise, concedendosi una breve risata. -L’area logistica è il centro operativo che controlla tutta la residenza, coordina i vari reparti e divide gli ordini per garantire il funzionamento della fazione. All’inizio ti occuperesti del passaggio delle consegne ai settori, e per il primo anno saresti solo un’ apprendista. Ma, se raggiungerai il massimo della carriera, potresti essere importante come un capofazione.-

Assorbendo quell’ informazione, Aria rimase in silenzio con lo sguardo basso e concentrato.

-Avresti una grande responsabilità, all’interno della fazione nessuno si muoverebbe senza un tuo ordine, avresti il controllo generale su tutto.- Affermò Eric, studiandola con attenzione, pronto a cogliere ogni sua reazione.

Ed Aria sorrise, sollevando gli occhi pieni di gioia su di lui. - Mi piace!-

Le sorrise a sua volta, orgogliosamente. -Oppure potresti scegliere di partire come addetto al poligono.-

Lei lo guardò interrogativa.

-Sei brava a sparare, partiresti come addetto alle armi, ma potresti diventare istruttore e anche dirigente del poligono e del reparto armamenti. E, sai com’è, in una fazione come la nostra, il reparto delle armi è molto importante!-

Aria si mordicchiò un labro. -Potrebbe essere un’idea, ma preferisco la prima opzione. Tutto dipende da cosa scelgono quelli prima di me in classifica…- A quella parola sussultò. -Aspetta… la classifica!-

-Già, la classifica!- Il naso di Eric si arricciò per il disgusto e una smorfia lo rese terrificante.

Spalancando gli occhi, Aria si strinse nelle spalle, mortificata. -Cosa c’è? Che posto ho?-

-Sei quinta!- Le rispose, sputando fuori quelle parole con rabbia.

Inizialmente Aria non condivise il suo dissenso, aver superato entrambi i moduli della terribile iniziazione degli Intrepidi e classificarsi al quinto posto era qualcosa di cui andare fieri. Ma poi si trovò a riflettere sulla delusione di Eric, e capì che essere quarta su più di venti persone era un buon risultato, soprattutto se lo si era ottenuto battendosi contro ragazzi più forti. Ma essere quinta su dieci persone che erano riuscite a passare, dopo aver superato le proprie paure, era un traguardo appena sufficiente.

-Quinta? Sono scesa di un posto ma la classifica si è dimezzata quindi, se ero tra i primi, adesso sono a metà…- Constatò a bassa voce.

-Mi aspettavo molto di più di te, hai spaccato la faccia a gente contro cui ti davamo per spacciata, e poi è tutto qui quello che sai fare?-

Come immaginava, dopo il risultato che aveva avuto nei combattimenti, il suo quinto posto a fine iniziazione non era all’altezza delle aspettative. Anche lei c’era rimasta male, d'altronde aspettava quel momento da anni, ma a quanto pareva anche Eric si aspettava molto di più da lei.

E, la delusione di Eric, era molto peggiore da mandare giù, faceva più male e sarebbe stata molto più difficile da superare.

Probabilmente glielo avrebbe rinfacciato a vita.

-Grazie per l’incoraggiamento! È stata colpa del tempo pietoso che ho fatto alla prima simulazione, e poi avevo troppe paure.- Provò a giustificarsi, nascondendo dietro una smorfia il suo malessere.

-Per tua fortuna, invece, c’era chi ne aveva molte di più di te.- Le rispose Eric, guardandola dall’alto, ancora infastidito.

Aria sospirò imbronciata e scosse la testa, non le piaceva quella situazione. -Bè, allora, com’era la classifica? Sai com’è, io non l’ho vista!-

-Primo Uriah, secondo Peter e terza Tris.- Disse Eric in tono piatto.

-Che? Tris, ma stai scherzando?-  esclamò indignata, guardandolo con incredulità.

-Ha fatto dei tempi da record durante le simulazioni. Avrebbe superato perfino Uriah se non fosse stato per il distacco di punti che avevano nel primo modulo, dato che lei è passata per un pelo.- Ammise schifato.

-E dopo chi c’è?-

-Lynn, e poi tu!- Si rifiutò di guardarla, di nuovo infastidito per il risultato mediocre a cui era arrivata.

Aria lo guardò storto e sospirò con rabbia, stanca di vederlo offeso e di sentirsi rinfacciare che lo aveva deluso per non essere riuscita a fare meglio. - Mi ha superato anche lei?-

-Ha fatto dei tempi perfino migliori di quelli di Uriah nelle simulazioni, ma in combattimento ha dovuto affrontare tutti ragazzi interni decisamente forti. Solo per questo, nel primo modulo, eri davanti a lei.- Precisò aspro.

Lei alzò gli occhi al cielo. – Continua!-

-Marlene, poi Will e Christina e poi la tua amica Sasha. Infine altri due interni.-

-Non è male quinta…- provò a dire timidamente, con voce dolce, ma l’occhiataccia di Eric le fece capire che era inutile continuare su quella strada. -Però sì, mi aspettavo di più. Scusa se non siamo tutti forti e coraggiosi come te!-

-Io sono arrivato primo nel mio anno!- le disse arrogante.

-Complimenti!- canticchiò sarcastica. -Facendo risultati da record, immagino!-

-No, i risultati da record li ha fatti Quattro quando, qualche anno dopo, è arrivato fra gli Intrepidi.-

Vedendo come aveva reagito, Aria capì di aver toccato un tasto delicato. -È per questo che lo ami tanto?- provò ad ironizzare.

-Max lo voleva al comando, ma i capifazione possono essere solo di numero dispari, e cinque è già un numero elevato. Indovina chi avrebbe dovuto cedergli il posto se lui avesse accettato?-

Eric aveva la voce avvelenata, forse non solo dalla rabbia, ma anche per qualche sconfitta nascosta.

Si alzò dal letto ed iniziò a spogliarsi frettolosamente, lanciando i propri vestiti sul pavimento, poi si infilò sotto le coperte e si stese su di un fianco dandole le spalle.

Aria sospirò, si tolse i pantaloni e si stese anche lei sotto le coperte, guardando con rabbia la schiena del ragazzo.

Come poteva arrabbiarsi lui con lei, dopo tutto quello che aveva combinato e dopo tutto quello che stava per accadere?

Ma, al pensiero degli Eruditi e di tutti i possibili morti per mano loro, Aria sentì lo stomaco attorcigliarsi e un dolore colpirle il petto. Era decisamente meglio che la loro attenzione si fosse spostata su quei discorsi che, se pur carichi di risentimento, erano una distrazione dalla realtà sconvolgente da cui volevano fuggire.

Non era in grado di pensare ad Eric come fedelissimo di Jeanine, non voleva, così scacciò via quella verità e tornò solo al presente che stava vivendo. Peccato che fosse comunque sconvolta e non sarebbe stato facile illudersi che niente sarebbe accaduto, così si avvicinò alla schiena del ragazzo e lo avvolse con un braccio.

Quando il ragazzo le prese in silenzio la mano che gli aveva posato sull’addome, stringendola con forza, Aria pensò che Eric avesse bisogno di quell’abbraccio più di quanto ne aveva lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Grazie a tutti i lettori,

Sto cercando di aggiornare più in fretta, dato che siamo agli ultimi capitoli e non voglio farvi perdere il filo.

Spero di farvi contenti, e mi farebbe enormemente piacere sapere cosa ne pensate : )

Biacioniiiii

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Rivale ***


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27. Rivale

 

 

 

Ovviamente non erano riusciti a chiudere occhio.

Soltanto dopo qualche ora che si erano stesi nel tentativo di trovare qualche momento di riposo, Eric si era alzato dicendo che era ora di andare.

Ora di andare.

Nella mente di Aria un nero sconfinato avvolgeva immagini spaventose ed angoscianti.

Entrambi si rivestirono, si diedero il cambio per rinfrescarsi in bagno e, mentre Eric impiegava più tempo del normale per allacciarsi la giacca nera degli Intrepidi, Aria avvolgeva i suoi capelli in una treccia laterale.

Ciocca dopo ciocca, la ragazza era sempre più silenziosa, così Eric la guardò mentre si intrecciava i capelli e le si avvicinò.

-Vedrai,- Le disse mettendole una mano sul viso. -quando tutto questo sarà finito, torneremo tutti qui e potrai scegliere la tua carriera!-

Aria avvolse l’elastico nero alle fine della treccia, l’abbandonò sulla sua spalla destra e sollevò i suoi occhi cupi e malinconici sul ragazzo. –Cosa ti da la sicurezza che andrà tutto bene?-

-Gli Eruditi ci hanno garantito che i nostri uomini non correranno alcun rischio, gli Abneganti sono innocui!- rispose, spavaldo.

-E quando tutti si saranno svegliati? Saranno piuttosto arrabbiati, o direi infuriati!-

-Forse, ma a quel punto ci sarà un nuovo governo e loro dovranno farsene una ragione e obbedire alle nuove regole. Dovranno accettare di aver contribuito, anche se contro la loro volontà, ad un sistema governativo diverso.- Fece un sorriso arrogante e sicuro. –E credimi, a molti di loro il nuovo sistema piacerà.-

Aria pensò che forse Eric poteva avere ragione, magari sapere che finalmente la loro fazione sarebbe stata determinante per il funzionamento dell’intera città, avrebbe convinto diversi Intrepidi che il piano a cui avevano aderito era qualcosa di giusto.

-Se lo dici tu!-

-E poi potrai scegliere la tua carriera, così vedrai veramente cosa vuol dire vivere fra gli Intrepidi!- le fece un sorriso malizioso, ma la guardò serio, vestendo ancora una volta i panni del maestro.

-Sempre che mi lascino il lavoro che mi piace!- abbassò gli occhi.

-Uriah vuole lavorare al centro di controllo come suo fratello, ne sono sicuro. E Peter- fece una pausa per riprendersi dal fastidioso sapore amaro che gli aveva lasciato in bocca quel nome. - sappiamo benissimo cosa sceglierà!-

-Mi stai dicendo che potrei riuscire a prendere uno dei due lavori di cui abbiamo parlato? Magari proprio quello all’area logistica?- Sorrise speranzosa.

Eric sogghignò. -Perché no? Lynn punterà di sicuro su qualcosa di più fisico, agli allenamenti l’ho sentita parlare del servizio di sorveglianza. Ma non ho idea di cosa sceglierà quella Tris.-

Tris era un mistero, era capace di far parlare di sé pur rimanendo riservata e sempre apparentemente fragile. Forse il lavoro di supervisore all’area logistica poteva fare per lei, anche se Aria sperava con tutta sé stesse che fosse meno ambiziosa e che scegliesse altro.

Increspò le lebbra in un sorriso tirato per Eric, poter sperare in un futuro tranquillo anche dopo la battaglia che stava per avvenire, le dava serenità.

Ma il dolore e la paura non passavano, accompagnati da un insopportabile senso di colpa.

Chiuse gli occhi e vide gente ferita, Divergenti trascinati via dall’acqua dello strapiombo e Abneganti che lottavano finendo in un mare di sangue.

Vide la folla di Intrepidi risvegliarsi senza preavviso e scagliarsi contro i capifazione che avevano permesso quell’attacco.

Vide Eric a terra, e sussultò.

Quando aprendo gli occhi se lo trovò davanti, riprese a respirare.

Eric le accarezzò ancora una guancia, la guardò attentamente e parve cogliere ogni suo tormento. Altrimenti non l’avrebbe stratta a sé in uno dei suoi abbracci rudi eppure caldi.

-Tornerò presto vedrai, non ti accorgerai di nulla!- la rassicurò.

Si scostò da lei, si risistemò il colletto della giacca e fece per uscire, mentre Aria si spostava verso il letto.

Ma poi bussarono alla porta.

-Eric?- Era la voce di Max. –Sbrigati! È lì con te la ragazza?-

I due si scambiarono uno sguardo allarmato.

Aria era interdetta, perché la cercavano?

Eric, come era prevedibile, era già sul punto di perdere la pazienza. Se di mezzo c’era lei, non permetteva a niente e nessuno di toccarla. Aveva stabilito che avrebbe aspettato in camera sua, non aveva senso che Max chiedesse di lei.

Con i muscoli del corpo tesi e lo sguardo ferino, Eric fece segno ad Aria di nascondersi dietro l’angolo dove c’era il bagno, e aprì la porta della camera trovandosi davanti l’altro capofazione.

-Siamo in ritardo.- Iniziò l’uomo. –Immagino che sia qui quella ragazza, la nata Erudita. Avresti potuto dirci che non era un’ iniziata qualunque, anziché tenere l’informazione per te. Ti ricordo che sei uno di noi, è tuo dovere dirci tutto quello che ti viene comunicato dagli Eruditi.- Il suo tono era severo.

Eric rimase in silenzio, assottigliò lo sguardo cercando di capire cosa stava realmente accadendo.

-La tua ragazza è richiesta.- Proseguì Max, in un misto di ironia e fastidio. -Fortuna che Finn mi ha detto che era con te e che gli Eruditi avrebbero chiesto di lei.-

Aria, con la schiena contro il muro, scosse la testa senza essere vista poiché non capiva. Aveva inventato con Finn quella scusa, dicendo che sarebbe stata la scorta personale di sua sorella Amber, ma non era vero. Lo aveva detto solo per convincerlo e salvarsi, ma rimaneva comunque un’ enorme bugia.

Probabilmente aveva combinato un guaio, perché lui ci aveva creduto, e avrebbero rischiato di essere scoperti.

Poi intervenne Eric. –Chi la cerca?-

-Jeanine e i suoi uomini sono arrivati, e la prima cosa che ha fatto quella ragazzina bionda, è stato pretendere che le portassero sua sorella!-

Fu allora che Aria capì.

Aveva presupposto che, se realmente sua sorella avesse preso parte a quella follia, avrebbe avuto bisogno di protezione. Così aveva inventato la scusa della guardia personale, pur sapendo che nessun accordo era stato preso a riguardo.

Ma, fortuna voleva, che avesse visto giusto.

Amber era nel gruppo di Eruditi che avrebbero controllato la simulazione a distanza e, da come aveva scoperto, conosceva i dettagli del piano da molto prima di lei.

L’ultima volta che l’aveva incontrata, nei sotterranei della residenza, sua sorella aveva cercato di metterla in guardia e di dirle cosa stava accadendo.

Amber sapeva che gli Intrepidi sarebbero stati controllati con una simulazione, per questo aveva detto ad Aria che sarebbe stata usata come un burattino.

Forse, se aveva cercato di avvertila, voleva dire che stava cercando di proteggerla.

Se avesse chiesto di lei come sua scorta personale, l’avrebbe risparmiata a tutto quell’orrore.

Non c’erano dubbi, la richiesta di Max si basava su fatti reali, e non solo sull’informazione che aveva ricevuto da Finn.

Sua sorella aveva realmente chiesto di lei.

Avevano avuto la stessa idea, solo che Aria aveva dovuto usarla prima per difendersi da Finn, ma alla fine anche Amber aveva fatto la sua parte.

Anche senza mettersi d’accordo, erano riuscite ad escogitare lo stesso sistema.

Sorrise e scosse la testa, era pur sempre la sua gemella.

Uscì dall’angolo in cui era nascosta e avanzò verso Eric, coperta tuttavia dalla porta semi aperta, e gli fece un cenno.

Lui la guardò dubbioso per un attimo, con un misto di rabbia e timore negli occhi, ma alla fine aprì del tutto la porta rendendo la ragazza visibile anche a Max.

Mentre Aria incrociava lo sguardo dell’uomo, intimorita, lui non si stupì minimante di scoprire che era lì.

-Bene!- esclamò il capofazione più anziano, squadrandola da capo a piede con un’espressione poco convinta. –Adesso che ci siamo tutti, possiamo andare!-

Max si avviò spedito verso il corridoio, lasciando i due indietro, cosicché Eric ebbe il tempo di chiudere a chiave la porta della sua camera mentre lanciava un’occhiata minacciosa ed interrogativa ad Aria.

La ragazza colse il messaggio, probabilmente Eric credeva che fosse impazzita o che la sua mossa fosse troppo rischiosa.

-Mia sorella ha davvero chiesto di me! Avevo detto che lo avrebbe fatto solo per convincere Finn, ma alla fine lei lo ha fatto veramente.-

Vide lo sguardo profondo con cui Eric la studiò in silenzio, e gli mise una mano sul braccio. –Fidati di me!-

Con un respirò profondo, il ragazzo sollevò il mento e serrò la mascella, iniziando a camminare e superando la ragazza, che lo seguì. 

Camminarono fianco a fianco lungo i corridoi bui e innaturalmente deserti, salirono il complicato intreccio di sentieri che portava al punto più alto della residenza e si lasciarono guidare da Max. Arrivarono ad un passaggio appartato, spento e minaccioso, che dava su una porta blindata a scorrimento. Giusto per aumentare quell’atmosfera sinistra, la porta era sorvegliata da due guardie e aveva un pesante maniglione al centro, all’apparenza difficilissimo da far scorrere.

Ma le due guardie non erano sole, con loro c’era un altro uomo e due ragazzi.

-Siete arrivati!- Disse l’uomo dai capelli grigi, voltandosi. -Robert accompagnerà i due novellini al reparto armamenti.-

Aria ebbe un sussulto che riuscì a controllare solo grazie alla presenza di Eric al suo fianco, quando, nella penombra, si accorse che l’uomo che aveva parlato era Finn.

Robert era il ragazzo più alto vicino alle guardie, nonché il ragazzino dai capelli rasati che il capofazione si portava sempre dietro.

Ma, l’altro ragazzo, era Peter.

Lo vide avanzare sotto la luce al neon, con i capelli neri lucidi e lo sguardo fiero ed arrogante che tanto si divertiva ad esibire e, se alla vista di Finn Aria aveva trattenuto un gemito, alla vista di Peter assottigliò lo sguardo e strinse i pugni.

-Faremo in fretta.- Disse seriamente Robert. –Vuoi due, seguitemi.-

Lo aveva sentito parlare pochissime volte ma, accorgendosi che si riferiva a lei e a Peter, Aria pensò che non avrebbe potuto presentarsi con una frase peggiore.

Le stava chiedendo di divedersi da Eric per seguirlo insieme a Peter. Non c’era niente di peggio.

Alzò gli occhi verso Eric, aspettando il suo permesso, peccato che, come era prevedibile, lui fosse stato assalito dalla rabbia.

Non abbassò lo sguardo verso di lei, aveva gli occhi carichi d’odio puntati su Peter, la mascella serrata e le vene del collo pulsanti.

Fece una smorfia e, sempre serrando i denti, anche un lieve e rigido cenno con la testa.

Aria si accorse che non la stava guardando, forse per non far trapelare il loro legame e per non far capire che eseguiva solo i suoi ordini e non quelli di Finn, ma capì che le stava dicendo di fare come le era stato detto.

Ovviamente lui non era d’accordo.

Si allontanò facendo un respiro profondo, aspettò che Robert e Peter la precedessero e poi tentò di guardare un’ ultima volta Eric prima di incamminarsi. Ma lui restò con lo sguardo fisso davanti a sé. Aveva assunto l’atteggiamento composto e fiero che lo etichettava come il capofazione più spietato.

La ragazza seguì Peter lungo un sentiero latere, scesero anche delle scale, ma lei non guardava realmente dove andava, stava solo cercando di non pensare e di non crollare a pezzi. Doveva andare tutto per il meglio, doveva farlo per Eric e non poteva permettersi errori.

Quando Robert fece scorrere una pesante porta e fece scattare un interruttore, la stanza davanti a loro si illuminò a giorno facendo risplendere le molteplici armi raggruppate all’interno.

Aria fece un passo avanti, completamente a bocca aperta, era ovvio che il reparto armamenti degli Intrepidi fosse ben fornito, ma non poteva credere ai suoi occhi.

La luce era accecante, le pareti erano ricoperte di pistole e fucili, sulle mensole c’erano coltelli di tutti i tipi, tavoli ricoperti di caricatori e proiettili per le pistole meno avanzate. C’erano bersagli di ricambio, bastoni di metallo, e altre armi da lancio che aveva visto solo nei libri.

Quello era il deposito di tutte le armi della città, non c’era un posto più fornito.

Per un attimo la sensazione di essere a casa, di essere libera, tornò a vibrarle sulla pelle mentre avanzava. Ricordò la loro missione, intuendo che spettava anche lei tentare di fare avere alla sua nuova fazione un posto nel consiglio.

Poi immaginò corpi Abneganti che cadevano al suolo, e gli sguardi vuoti dei suoi compagni sotto simulazione. Pensò a Jeanine a capo della città, a Eric che obbediva agli ordini e uccideva i Divergenti, e le si serrò lo stomaco.

Dovette imporsi di respirare con calma, ma avvertì ugualmente una fitta al petto.

-Prendete tutto quello che potete, vi aspetto fuori!- Disse Robert, spostandosi oltre la porta.

Ancora incantata per la vista di tutte quelle pistole, e al tempo stesso disgustata, Aria rimase immobile a guardare Peter che si riforniva di armi con gesti veloci e precisi.

Era carico di adrenalina, un vero guerriero pronto ad andare in guerra. Forse per lui quello che stava accadendo era un divertimento, o forse era troppo impegnato a vantarsi per essere stato scelto e risparmiato alla simulazione.

-Come mai non sei nel mondo dei sogni insieme agli altri, cervellona?-

Sentendolo parlare, Aria sentì la rabbia scuoterla.

-Che stupido, è ovvio il perché…- Peter sogghignò caricando una pisola.

Capì che alludeva alla sua relazione con Eric, in fondo era evidente che pensasse che fosse stato lui a tenerla fuori dalla simulazione. In fin dei conti era la verità, ma l’allusione maligna la fece infuriare maggiormente.

-Mia sorella guida la simulazione e ha chiesto di me, devo proteggerla!- specificò, sputando fuori le parole con risentimento.

-Capisco…-

-E tu che ci fai qui?-

Peter si finse offeso, poi fece un sorriso tutto denti. –Perché si sono accorti di me e hanno capito che sono più utile da cosciente, naturalmente!-

Aria scosse la testa, mentre un pensiero le si insinuava nella mente. –Mi stai dicendo che fra tutti quelli che c’erano, hanno individuato proprio te? Devi esserti fatto notare, magari da Finn!-

Colto il messaggio, il sorriso di Peter si spense, trasformandosi in una risata amara. –Non sminuirmi così!-

-Quindi non sei qui per aver fatto la spia?-

Due occhi neri si puntarono su di lei. -In parte è così, Finn mi tiene molto in considerazione dopo quella storia…-

Per un attimo la ragazza desiderò prendere una qualsiasi di quelle armi e usarla contro di lui, ma poi un ricordo fugace e avvolto dal dolore le fece cambiare idea. –Perché hai cercato di aiutarmi?-

Gli angoli della bocca di Peter guizzarono verso il basso e il suo sguardo si incupì, Aria lo vide perfino deglutire.

Stavano entrambi pensando a quando Finn era arrivato ad interrompere il loro scontro in palestra e aveva annunciato di voler punire lei.

Peter avrebbe potuto gioire, e invece aveva sfidato Finn chiedendogli perché aveva deciso di prendersela solo con Aria.

-Volevo che si arrabbiasse con il tuo amico Eric per aver infranto le regole, magari avrebbero creduto che eri arrivata quarta in classifica grazie a lui.-

Aria incurvò le sopracciglia. –D’accordo, ma perché?-

-Perché voglio diventare un capofazione, cervellona!- Le disse avanzando verso di lei con una pisola in mano. –Ma per esserlo qualcuno deve cedermi il suo posto, e lo sanno tutti che l’ultimo arrivato è quello più a rischio!-

-Volevi soffiargli il posto, che vigliacco!-

Peter parve non ascoltarla e le arrivò davanti con un sorriso strano. –E poi perché dovevo essere io a farti a pezzi, non Finn!-

Le pose la pistola dal lato dell’impugnatura ed Aria guardò l’arma senza capire.

-Sei la mia rivale numero uno, volevo essere io a metterti in ginocchio. Tu sei mia!- 

Non si scompose alle parole dal ragazzo, ma solo perché ne era rimasta sconvolta.

Capiva perfettamente cosa voleva dire, era l’esclusiva dal nemico che voleva, nessuno doveva mettersi in mezzo e ostacolare la loro personale guerra. Voleva essere lui a batterla ma, fino a quel momento, chiunque avesse cercato di farle del male rappresentava il nemico comune.

O avversari diretti, oppure alleati.

Pensando però che Peter l’aveva definita sua e che voleva l’esclusiva su di lei, non poté fare a meno di pensare ad Eric. Anche lui aveva detto chiaramente che era sua e che avrebbe avuto l’esclusiva di lei, anche se si riferiva ad altro.

Prese la pistola che Peter le porgeva, senza riuscire a fare a meno di ridere.

-Che c’è? Sei impazzita?- Le chiese lui, con una smorfia.

Aria scosse la testa. –Lascia perdere.- Nascose la pistola nella tasca dei pantaloni. –Comunque ti ricordo che hai vinto tu!-

-Come?-

-Noi abbiamo combattuto e tu hai vinto regolarmente!-

Peter scosse la testa a si avvicinò al reparto coltelli. -Ma non siamo pari!-

-Che vuoi dire?- chiese, seguendolo.

-Tu mi hai colpito quella volta davanti scuola, ed io ti ho battuto in palestra. Così saremo stati pari!- prese un coltello piuttosto affilato e se lo nascose nello stivale. –Ma è stato per colpa mia se Finn ti ha aggredita, quindi sono in debito con te se voglio pareggiare i conti!-

-Ci tieni così tanto ai tuoi conti da pareggiare?- incrociò le braccia al petto.

-È un cosa personale!- Scandì, porgendole un coltello.

Rimase a guardare la lama per un attimo, poi prese il coltello e si piegò in avanti per nasconderlo a sua volta dentro uno stivale. -Se vuoi ti prendo a pugni!-

Peter fece un sorrisetto cattivo. -Non ci sperare troppo. Per sentirmi meno in debito con te cercherò di evitare che qualcuno ti spacchi quella testolina da Erudita che ti ritrovi!-

Aria lo ignorò e si riempì le tasche di caricatori per la sua pistola.

-Se non te ne fossi accorta, è una cosa seria questa!- precisò Peter, osservandola di nascosto.

-Bada alla tua di testa, Peter!- Gli rispose, incamminandosi verso la porta. –Non si sa mai che mi venga voglia di spaccartela. La mia, invece, è più che al sicuro!-

 

Mancavano meno di due mesi alla cerimonia della scelta, e la felicità di Aria era incrinata.

Se lei era serena e decisa, la sua famiglia, al contrario, faceva di tutto per ostacolarla e per farle cambiare idea.

Avevano provato con le minacce, ricordandole che se cambiava fazione poteva scordarsi di aver avuto una famiglia. Avevano provato con i sensi di colpa, non rivolgendole la parola per giorni interni e, da bravi Eruditi, non si erano certo fermati alle soluzioni più banali.

Le avevano provate tutte, sua madre le aveva perfino fatto fare una risonanza al cervello.

Ma suo padre aveva scelto di giocarsi anche l’ultima carta.

Quel giorno erano in macchina, il ricercatore fidato di Jeanine era uno dei pochi a possedere un’ auto propria, e aveva deciso di portare a scuola la figlia per guadagnarsi un attimo da solo con lei. Amber era andata a piedi.

Ma Aria avrebbe preferito andare lei al suo posto, e lasciare la sorella con il padre in auto perché era impossibile sopportare le prediche del genitore. Le aveva detto di riflettere, di usare la logica, di non lasciarsi prendere da alcuni istinti inferiori che non potevano guidare la sua vita.

-Aria, non puoi almeno pensarci? Sei così intelligenti, potresti diventare una ricercatrice come me…-

Quando la macchina si era fermata davanti scuola e l’uomo aveva parlato, Aria si era girata verso di lui ad occhi spalancati e con il cuore palpitante.

Per la prima volta le aveva parlato con dolcezza, compressivo. Ma la cosa sconvolgente che aveva lasciato la ragazza senza fiato, era stato il nome con cui l’aveva chiamata.

Non Ariana, come la sua famiglia si ostinava a scandire, ma Aria, come piaceva a lei.

Se il padre, per una volta, aveva esaudito il suo desiderio e la chiamava come desiderava lei, forse c’era speranza. Forse l’avrebbe ascoltata a capita.

-Ma Papà, io voglio essere davvero un’ Intrepida, non puoi provare a capirmi?- Gli chiese guardandolo negli occhi, con dolcezza.

Ma la mascella di suo padre era scattata con severità e il suo sguardo si era indurito.

Si era irrigidito e aveva guardato con cattiveria la figlia. –Vattene a scuola Ariana, con te parlare è inutile.-

Il suo cuore si era spezzato, aveva scosso la testa e serrato i pugni, tremante. –Me ne andrò, tenetevi Amber, tanto lei fa sempre come volete voi!-

Era scesa dall’auto di corsa, aveva sbattuto la portella ed era corsa su per le scale fino alla grande porta di vetri della scuola.

Mentre saliva i gradini, ancora sconvolta e a testa bassa, si era a mala pena accorta dei vari ragazzi radunati dentro l’atrio oltre i vetri.

Vide solo il ragazzino Candido con i capelli neri lucidi, che avanzava con un sorriso spavaldo verso di lei.

-Cosa c’è, cervellona? Hai litigato con il paparino?-

Alla sue parole aveva alzato la testa per guardarlo, era Peter, il ragazzo che si divertiva ad essere cattivo e spietato con tutti. Sicuramente aveva visto il modo in cui era scesa dalla macchina e magari l’aveva vista anche parlare con suo padre.

Colta la sua risata arrogante, era salita di un gradino e lo aveva colpito con forza con un pugno al centro del viso.

Una folla di scolari si era radunata oltre i vetri in cima alle scale, e il naso di Peter aveva sanguinato dopo i suoi lamenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Perso per sempre ***


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28. Perso per sempre

 

 

 

Quando erano ritornati davanti alla pesante porta scorrevole, questa era stata aperta dalle due guardie per permettere ad Aria di entrare come le era stato ordinato.

Peter invece sarebbe rimasto fuori, di guardia.

Avevano appreso da Robert i loro rispettivi ruoli, e ricevuto l’informazione che i capifazione si erano radunati nei sotterranei per gestire gli Intrepidi che si stavano risvegliando.

Ovviamente Aria non volle soffermarsi su quel particolare, altrimenti avrebbe dovuto chiedersi come sarebbe stato essere mossi e comandati da un computer a distanza senza aver più nessun controllo del proprio corpo. Non sapeva, e non voleva sapere, cosa ne era della propria coscienza, forse veniva spazzata via anche quella insieme alla intenzioni motorie.

Non riusciva a pensare a Sasha o a Will spenti e privi di ogni emozioni e senza pensieri, guidati unicamente dalla simulazione.

Non le restava che sperare che andasse tutto per il meglio e che non accadesse niente di brutto a nessuno.

Dentro la sala, dovette attraversare un ampio corridoio e, svoltato l’angolo, vide i macchinari sistemati nella parte più luminosa dell’ampia camerata intervallata e sorretta da diverse colonne portanti. Gli Eruditi erano indaffarati e si muovevano come degli automi unicamente concentrati sui loro compiti ma, fra tutti, Aria individuò una persona che lei conosceva molto bene.

Vide la sua chioma di capelli dorati raccolti accuratamente in una coda di cavallo e distinse il modo elegante con cui muoveva il collo, le sue spalle elegantemente diritte, ed avvertì un moto di nausea.

Sua sorella Amber era la figlia perfetta che ogni Erudito avrebbe voluto, era la preferita dei loro genitori e la rappresentazione vivente del tipo di persona che Aria sarebbe dovuta diventare, se avesse seguito alla lettera gli insegnamenti della sua famiglia e dalla sua vecchia fazione. Ma lei non aveva mai prestato attenzione a quelle regole, manifestando fin da subito il suo desiderio di libertà e di appartenere ad un’ altra fazione e, quella sua scelta, era stata la sua rovina.

Amber era stata più fortunata, per lei era stato semplice identificarsi con la sua famiglia e diventare non solo un’Erudita rispettabile, ma anche un fedele aiuto per la loro rappresentante Jeanine.

Affiancò la postazione a cui sedeva e rimase in silenzio, un passo dietro di lei, senza emettere nemmeno un suono. Notò che sua sorella sedeva in un angolo appartato rispetto agli altri operatori che si occupavano di faccende e di comandi secondari, questo le fece capire che Amber, lì dentro, doveva avere un ruolo particolare.

Per la comunità era stata proprio quest’ultima a scoprire il meccanismo che permetteva di unire i trasmettitori del siero alle cellule celebrali. Nessuno sapeva che derivava dalla mente di Aria l’idea che l’ aveva portata ad elaborare un progetto soddisfacente.

Sua sorella aveva mentito e si era presa tutto il merito della loro scoperta solo per farsi notare da Jeanine, ma chissà se sapeva quanti vantaggi le avrebbe concesso realmente la sua scoperta.

-Un “grazie”, potrebbe anche andare bene!-

Sentendola, Aria sussultò, non l’aveva neanche vista parlare. Continuando a tamburellare con le dita sullo schermo che stava gestendo, aveva colto l’occasione  per aggredirla. Con lei usava sempre un tono di voce freddo e superficiale, si divertiva a correggerla di continuo e a sminuire ogni cosa che faceva.

-Come, scusa?- le rispose, battendo la palpebra per comprendere meglio la situazione, pur mantenendo la calma.

A quel punto Amber si girò verso la sorella e, i suoi occhi cristallini perennemente freddi e privi di emozioni, si posarono su Aria come si sarebbero posati su qualcosa di estremamente sgradevole.

-Sei qui grazie a me!- sottolineò, spiegandosi con precisione come se stesse dialogando con un bambino. –Se non avessi chiesto di te, saresti insieme agli altri… sai cosa intendo!-

Una volta soppresso l’impulso di urlare, Aria serrò ancora di più i pugni.

Sua sorella faceva parte di quei mostri privi d’anima che avevano pianificato un attacco ai danni degli Abneganti usando i soldati Intrepidi, a cui però non avrebbero chiesto il permesso, poiché avevano trovato un sistema per farli combattere anche conto la loro volontà. Era spregevole manipolare un’intera fazione e, per quanto gli Abneganti non fossero adatti al governo, non credeva ci fosse bisogno di far scoppiare una guerra.

Forse, invece, Amber credeva che tutto quello che stava accadendo fosse lecito e si preoccupava solo di averla risparmiata alla simulazione. Sapeva che era qualcosa di sbagliato, ma a lei bastava aver salvato sua sorella e pretendeva di essere ringraziata. Oppure, dettaglio da non sottovalutare, voleva unicamente evidenziare la sua superiorità, come sempre.

Era lei quella con un ruolo importante, in fondo.

Ma non l’avrebbe mai ringraziata, non mentre guidava i suoi di compagni come se fossero semplice e vuoti burattini contro un’altra fazione innocente.

Si prese del tempo per fingere di ragionare sulle sue parole, poi mosse un dito in aria come se avesse afferrato la risposta, piegò le labbra in un sorriso spento e avanzò verso di lei.

Si chinò per sussurrarle direttamente all’orecchio.

-Lascia che ti dica una cosa: se fosse stato per te, sarei già sotto simulazione!- si scostò e le lanciò un’occhiata carica di risentimento. –A tutti è stata fatta un’iniezione ieri sera, ma la tua personale richiesta è arrivata solo sta mattina.-

Amber non si scompose. –Tutto calcolato! Se non te ne fossi accorta, guido io la simulazione, e ti avrei tenuto fuori.-

-Sono qui grazie a me stessa, Amber!- dichiarò, puntandosi un dito contro al petto. –E anche grazie a… qualcun altro!-

Concluse distogliendo lo sguardo e rifiutandosi di pensare ad Eric, altrimenti l’angoscia l’avrebbe assalita di sicuro.

Chissà dov’era e cosa avrebbe realmente fatto.

Si rifiutò di ricordare, inoltre, che se lei ed Eric erano riusciti a convincere Finn a lasciarli andare, era stato proprio perché aveva inventato la storia che sua sorella avrebbe avuto bisogno di lei.

Che poi, fortunatamente, si era rivelata la verità.

-Si può sapere cos’è tutto questo astio nei miei confronti?- volle sapere Amber, allargando le braccia. –Insomma mi sono preoccupata per te!-

Una risata amara le sfuggì dalle labbra. -È esattamente questo il problema! Tu che ti preoccupi per me? Sei forse fuori di testa?-

Amber inarcò le sopracciglia e la guardò per interminabili secondi, come se si aspettasse che aggiungesse altro.

Un Erudito vicino a loro guardò Amber e si tranquillizzò solo quando lei gli fece segno che era tutto a posto.

-Che stai dicendo?-

Aria scosse la testa. -Fai finta di non capire? Non mi pare di ricordare di aver avuto una sorella gentile e premurosa, ma solo una presuntuosa so tutto io che non perdeva occasione per farmi sentire inutile!- Serrò un pugno. -Vogliamo parlare di tutte le volte che sei corsa dalla mamma a fare la spia contro di me, ogni volta che facevo qualcosa?-

Il silenzio si prolungò per diversi secondi, poi Amber assottigliò il suo sguardo solitamente altezzoso e parlò con calma.

-Lo facevo per te…-

-Che cosa?- Aria si riscoprì indignata e profondamente offesa da quella semplice risposta.

-Volevo che capissi che non dovevi cambiare fazione!-

-E perché? Cosa c’era di sbagliato?-

L’Erudita abbassò per un attimo la testa e, quando tornò a guardarla, era estremamente seria.

-Avevo dodici anni quando ho scoperto, da nostro padre, che gli Eruditi pianificavano qualcosa contro gli Abneganti. Quando ho capito che gli Intrepidi non sarebbero stati trattati esattamente nel migliore di modi, ho tentato di proteggerti!-

-Menti!-

-Non volevo perdere mia sorella, okay?-

-Che grande gesto di egoismo, sempre ammesso che sia vero quello che dici!-

Amber sollevò un mano per indicarle di lasciarla finire di parlare. –Volevo che restassi con noi, che diventassimo entrambe ricercatrici, come papà! E lo volevano anche i nostri genitori, per questo ti riprendevano sempre!-

Fu quello il preciso momento in cui Aria sentì qualcosa rompersi dentro di lei e la sua tolleranza azzerarsi.

Non poteva più tollerare quel discorso privo di senso. Sollevò il mento e fece un respiro profondo, imponendosi di mantenere i nervi saldi, anche se dovette intrecciare le braccia al petto per impedirsi di compiere qualche sciocchezza.

-E dimmi, era con le minacce che cercavano di tenermi con loro?-

Guardò Amber negli occhi, sforzandosi di non mostrarle il suo turbamento, ma la voce le tremava per la rabbia.

-Era terrorizzandomi a morte, e facendomi sempre sentire inutile e debole, che volevano dimostrarmi il loro affetto? L’unica cosa che hanno ottenuto è stato farmi scappare!-

-Nessuno è perfetto!-

-Perdonami, ma detto da te suona ridicolo. Un’Erudita che non crede nella perfezione? Attenta a non farti sentire in giro, o crederanno che sei pazza!- La beffeggiò.

-Abbiamo commesso un errore con te. Nemmeno io ho fatto la scelta migliore, avrei dovuto fare la sorella, non la maestrina!- Proclamò Amber, senza lasciarsi intimorire.

-Come puoi dirlo? I nostri genitori ti adoravano e tu non facevi che ricordarmelo. Mi toglievi tutto e ti credevi sempre migliore di me!- Le ricordò.

Controllare le proprie emozioni, per Aria, diventava sempre più difficile. Avrebbe quasi preferito finire sotto simulazione.

-Ti ho sempre protetto!-

-E come? Facendo la spia?-

-Te l’ho già detto, volevo che smettessi di comportarti come un’ Intrepida, sperando che restassi un’ Erudita!-

-Il tuo è stato un grave errore!- scosse il capo e smise di guardarla, abbracciandosi tenendo le braccia incrociate al petto.

-Lo so!- Ammise Amber, scivolò giù dalla sedia ed avanzò di un passo.

E, per la prima volta da anni, le mostrò un’espressione realmente pentita e veritiera.

Non il solito gelo che emanava con abitudine.

-Ma, tutte le volte che stavi male, io c’ero!-

Nella mente di Aria tornò il ricordo del suo test finale e delle sue paure. Le era bastato il ricordo di sua sorella che correva in suo soccorso quando veniva stravolta da terribili attacchi di panico, intrufolandosi nella sua camera, per superare la paura. Era Amber che le copriva le orecchie con i suoi polsi e la tranquillizzava facendole sentire il battito del suo cuore.

Ma era stato molto tempo prima, quando erano solo due bambine gemelle che si aiutavano a vicenda.

Da bambine era bello giocare a recitare la parte della dura, della sorella maggiore che proteggeva sempre Amber. Si era assunta le colpe al posto suo per anni, l’aveva difesa quando la prendevano in giro, ma crescendo tutto si era ribaltato contro di lei.

Se da piccole essere la sorella forte e intraprendente era stato apprezzato, da grande il suo comportamento veniva identificato come sbagliato.

Assumersi le responsabilità per entrambe non era più un dovere gratificante, ma una condanna del tutto inutile e inapprezzata.

Crescendo le risate erano scemate in un sussurro lontano, e il loro legame si era affievolito sempre di più.

Scosse la testa.

-Io mi prendevo cura di te!- scandì indicandosi. –E come sono stata ripagata? Finendo in punizione quando mi arrampicavo per recuperare la tua stupida palla?-

Amber non rispose.

-Ricordi il giorno del nostro compleanno, quando mi sono presa la colpa per la torta che tu avevi fatto cadere? La mamma ha preso il mio regalo, il libro che voleva tanto e lo ha dato a te. E tu, invece di darmelo, lo hai strappato durante la notte!-

Amber Trasalì. -Non potevo dartelo, la mamma ci avrebbe scoperte e te lo avrebbe portato via. Se non potevi averlo tu, io di certo non lo volevo, e non volevo farti stare male sapendo che era in casa e che non potevi leggerlo. Così l’ho strappato!-

Aria batté le palpebre più volte, non sapendo se credere a ciò che aveva sentito. Poi le ritornarono ancora alla mente le risate di due bambine gemelle che spezzavano il silenzio del quartiere degli Eruditi, e per un attimo fu difficile allontanarle.

Ma sua sorella era cresciuta e non aveva più riso né giocato con lei.

-Ho avuto io l’idea del sistema a spettro gemello, ti ho convinto a dire a tutti che era un’ intuizione che avevamo avuto insieme. E tu invece sei corsa di nascosto da nostro padre per prenderti tutto il merito, inventandoti che avevi scoperto tutto da sola!-

Aria non si sforzò di nascondere il risentimento che la stravolgeva.

-L’ho fatto per te!- fu la risposta di Amber, che la guardò negli occhi senza timore. –Ormai avevo capito che non stavi più bene con noi e che volevi davvero diventare un’ Intrepida. Pensi davvero che ti avrebbero lasciato andare via, se fossi stata l’artefice di una scoperta tanto importante?-

-E come avrebbero mai potuto impedirmelo?-

Però, quando smise di parlare, capì subito che Amber aveva ragione.

La verità le attraverso la mente come una scarica elettrica. Nessuno poteva impedirle di fare la scelta della fazione che preferiva, ma potevano costringerla e minacciarla.

Esistevano mille modi che gli Eruditi, suo padre, e soprattutto Jeanine, avrebbero potuto usare contro di lei per convincerla con le cattive a restare fra gli Eruditi e a lavorare per loro. Magari le avrebbero rivelato il loro piano, le avrebbero detto che quel siero di simulazione era destinato agli Intrepidi e, a quel punto, non avrebbe avuto altra scelta che restare.

-Sai che c‘è?- disse Aria, rifiutandosi di sostenere lo sguardo della sorella. –Credo che posso proteggerti anche da fuori!-

Si voltò e si avviò a grandi passi verso l’uscita.

Non era quella la verità, sua sorella e suoi genitori non le avrebbero mai perdonato la scelta che aveva fatto, senza dimenticare che le avevano fatto passare un infanzia da inferno. Le avevano sempre detto che, se avesse cambiato fazione, avrebbe dovuto dimenticarsi di avere avuto una famiglia e lei lo aveva fatto.

Non poteva arrivare sua sorella e dirle che, in tutti quegli anni, le aveva davvero voluto bene.

Si rifiutava di crederci.

Purtroppo non poteva lasciare il centro di controllo, non senza rischiare di venire ripresa da Robert, che le avrebbe chiesto perché era uscita quando il suo compito era quello di sorvegliare gli Eruditi addetti alla simulazione.

Forse persino Peter le avrebbe posto fastidiose domande, quindi non aveva intenzione di disobbedire agli ordini in un momento tanto delicato come quello.

Svoltò l’angolo e si fermò nell’androne subito dopo la pesante porta scorrevole. Probabilmente non sarebbe successo niente per diverso tempo e, se mai qualcosa fosse andato storto, di certo gli aggressori sarebbero passati dalla porta a meno che non fossero dotati di corpi evanescenti, perciò non poteva scegliersi un posto migliore per rispettare i suoi doveri.

Si lasciò scivolare contro una parete e si sedette per terra, lontana da occhi indiscreti, anche se di tanto in tanto qualche Erudito si sporgeva per tenerla d’occhio. Notò che quelle persone, invece di lavorare ai macchinari come Amber, erano solo di controllo e si accorse della pistola che avevano legata alle loro cinture, chiedendosi se sapessero davvero usarla.

Inoltre, con la fazione addetta alla armi dalla loro parte, di cosa avevano realmente paura?

Aria serrò gli occhi e desiderò con tutta sé stessa che, in caso che il piano non fossero andato come previsto, i suoi compagni non si infuriassero per essere stati messi sotto simulazione e non si rivoltassero contro tutti loro, contro gli Eruditi e contro i capifazione Intrepidi.

I minuti passarono, il tempo iniziò a scorrere quieto, scandito dal rumore di dita che battevano sui monitor dei computer.

Continuava a sentire il ticchettio delle scarpe degli Eruditi che si muovevano continuamente per l’ambia sala e, da fuori, le guardie rimanevano assolutamente silenziose.

Chiuse gli occhi e si concentrò sul proprio respiro, illudendosi che tutto sarebbe andando per il meglio.

 

Un allarme scattò all’improvviso, cogliendo tutti di sorpresa.

Sentì una sirena che continuava a strillare e a martellarle le orecchie con il suo suono acuto ed insistente, così scattò in piedi aiutandosi ad alzarsi con le mani, aggirò l’angolo di corsa e si fermò proprio di fronte ai monitor.

Tutti gli Eruditi erano corsi alle loro postazioni, trafficando animatamente con i loro macchinari, sopra ogni dispositivo lampeggiava una luce rossa che segnalava l’allarme.

Doveva sicuramente essere successo qualcosa di grave, altrimenti non sarebbero scattato lo stato di allerta.

-Grey!- urlò qualcuno.

Per un attimo Aria, ancora paralizzata alle spalle degli operatori, pensò che si riferissero a lei, ma poi capì che avevano richiamato sua sorella.

Infatti, dalla sua postazione appartata, Amber scattò all’opera ed iniziò anche lei a ticchettare freneticamente con le dita sul suo schermo e, in un attimo, su tutti i monitor della stanza comparve un’immagine.

Aria capì all’istante che si trattava della ripresa di una delle tante telecamere che sorvegliavano la citta, mostrando in diretta quello che stava accadendo.

L’inquadratura era su una via principale del quartiere degli Abneganti e seguiva la corsa disperata di due donne. Una era un’ Abnegante, vestita interamente di grigio e con una lunga coda di capelli castani, l’altra era una giovane Intrepida.

Aria la riconobbe subito, con i suoi capelli di un biondo ramato e il visto tondo, paonazzo per lo sforzo.

Il motivo per cui l’allarme era scattato era chiaro, ed Aria inarcò le sopracciglia seguendo la fuga di Tris attraverso lo schermo. Il problema era che sarebbe dovuta essere sotto simulazione, e invece fuggiva via insieme all’atra donna, ma solo i Divergenti erano immuni ai sieri e alle simulazioni. Questo voleva dire solo una cosa, ovvero che Tris, la sua amica e compagna di iniziazione, era una Divergente.

Ma non se ne stupì, finalmente aveva capito come era riuscita a fare quei tempi strabilianti durante il secondo modulo.

Per un attimo ebbe timore per lei, sentì il cuore salirle in gola al pensiero di cosa le avrebbero fatto se fossero riusciti a catturarla.

In seguito, le due donne si nascosero in un vicolo e la telecamera inquadrò il gruppo di soldati che erano stati mandati a fermare le fuggiasche.

Le fu subito evidente che fossero sotto simulazione, poiché vide i loro sguardi vuoti.

Tuttavia, ciò che creò un vuoto nel suo cuore, fu la vista del suo migliore amico Will che correva armato verso Tris, totalmente privo di coscienza.

Non ebbe il tempo di chiedersi quale sfortunata coincidenza avesse portato il computer centrale a scegliere proprio Will per quella missione di recupero ma, mentre lui avanzava verso la sue stessa amica con il fucile carico in mano, Aria intuì che tutto si sarebbe risolto per il verso giusto.

Tris e Will erano amici, non potevano farsi male a vicenda, ne sarebbero usciti entrambi incolumi.

Ma poi tutto accadde troppo in fretta e con troppa ferocia.

Tris fece capolino dal vicolo con l’arma alzata contro Will, mentre lui avanzava con la chiara intenzione di aprire il fuoco.

Quando un colpo di pistola partì dall’arma della ragazza e la telecamera si spostò sul buco in fronte di Will, seguendo la caduta del suo copro ormai privo di vita che si accasciava tristemente al suolo, Aria sentì il dolore di quel colpo esploderle in petto, e l’ossigeno che le entro nei polmoni lasciò una scia di fuoco e terrore.

Brividi di freddo, che tuttavia bruciavano, le attraversarono la pelle e, mentre il dolore cresceva prendendo pienamente possesso del suo copro e della sua mente, sua sorella Amber si voltò verso di lei.

Gli Eruditi attorno a lei continuavano a muoversi frenetici, ma Amber guardava solo sua sorella.

Sapeva che Will era suo amico, ma tutto era già perso per sempre.

Forse Amber vide gli occhi spalancati di Aria, il vuoto che le vibrava dentro e il gelo che bloccava totalmente il suo corpo.

Aria mosse le labbra, ma le serrò prima che qualche suono vi uscisse. Strinse i pugni, senza avere la forza per farlo e, quando le lacrime sfuggirono al suo controllo nella manifestazione della sua sofferenza, si voltò e scappò via.

Corse disperatamente verso la pesante porta scorrevole, che aprì senza sapere da dove avesse tirato fuori la forza per farlo da sola.

Non ascoltò i richiami delle due guardie fuori, superò lo sguardo stupito di Peter e si avviò disperatamente verso le scale, scese, scappò via, si perse in cunicoli che non sapeva nemmeno di conoscere ma alla fine si fermò.

Era arrivata ad un angolo buio e vuoto, si accasciò per terra, colpì con tutta la forza che aveva un muro ma, se la roccia era rimasta intatta, il suo cuore e la sua anima erano esplosi in mille pezzi di vetro tagliente che la laceravano dall’interno.

Nel silenzio di quel cunicolo, accentuato dall’eco delle rocce, esplose un urlo tremendo, ed Aria scoppiò a piangere quando capì che era stata lei stessa ad emetterlo.

Will era perso per sempre, e lei con lui.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Eccoci ad un momento particolare della storia, spero che vi sia piaciuto e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.

Siamo ormai alla fine, avrei davvero bisogno di qualche commento in più giusto per sapere se sto procedendo bene o casa vi farebbe piacere vedere.

Sono già ad un ottimo punto con la seconda parte, e sto facendo di tutto per aggiornare in fretta.

 

Piccola precisazione, questa storia… arriva a 30 capitoli…

Contenti per la fine vicinissima? Volete il continuo?

 

Grazie per aver letto fino a qui, grazie davvero.

Baci!

 

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Capitolo 29
*** Azzerare ***


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29. Azzerare

 

 

 

Si alzò in piedi e, la prima cosa su cui posò il suo sguardo, furono le sue mani.

Le sottili linee di sangue dei tagli seguivano il profilo delle nocche, le dita stavano già iniziando ad annerirsi e i punti in cui la pelle era lacerata bruciavano.

Serrò i pugni, incrementando il dolore. Aveva perso il conto dei colpi che aveva sferrato alla parete rocciosa, delle volte in cui aveva graffiato fino a rompersi le unghie, colpendolo fino a quando non aveva avuto più la forza per continuare a muoversi.

Subito dopo si era accasciata a terra e aveva solo continuato a piangere, fino a smettere di sentire l’angoscia e la sofferenza così, quando era arrivata al punto di non provare più nulla, aveva trovato la forza per ritornare sui suoi passi.

In quel momento, tutto ciò che le faceva ricordare di essere viva era il dolore che avvertiva alle mani martoriate.

Si passò e palmi sulle guance per liberarle dalle lacrime residue, respirò a fondo l’aria della grotta ed iniziò a camminare. Ad ogni passo i ricordi svanivano, i pensieri si allontanavano fino a perdere consistenza, tutto veniva sepolto da uno spesso manto di ghiaccio e indifferenza.

Negli anni aveva imperato che, se non era in grado di affrontare qualcosa, l’unica cosa che le restava da fare era chiudere fuori ogni sentimento, ogni emozione, e proseguire come se nulla fosse accaduto.

Nel corso degli anni, merito anche delle avversità che aveva incontrato fin da bambina, era diventata piuttosto brava ad azzerare se stessa.

Salì due rampe di scale e seguì lo stretto corridoio che portava fino al centro di controllo, chiedendosi come era possibile che si fosse allontanata così tanto. Non sapeva quanto fosse rimasta via, preda del suo tormento, ma non le importava cosa avrebbero detto gli altri o cosa le avrebbero ordinato.

Giunta in prossimità della porta blindata, intravide un ragazzo correrle in contro, ma non sollevò lo sguardo, né si prese il disturbo di prestargli attenzione nonostante avesse colto la sua agitazione.

Si fermò e voltò appena il capo verso di lui solo quando questo l’afferrò da un braccio.

-Cosa è successo? Devo preoccuparmi?- Le chiese Peter, piuttosto adirato.

Aria fece scorrere il suo sguardo su di lui con sufficienza, senza vederlo realmente, incurvò appena le sopracciglia per il fastidio e sottrasse il proprio braccio al tocco di Peter.

-Aria!- le gridò dietro, quando lo superò.

Qualcosa scattò per un solo istante dentro di lei, quel tanto che la spinse a voltarsi ancora verso il ragazzo, così rimase per un attimo a guardarlo in silenzio.

Osservò la sua espressione sconvolta che a stento nascondeva la sua rabbia, il disgusto che provava verso di lei, ma non le importò. Penso che per Peter era di vitale importanza sapere come procedevano le cose al quartiere degli Abneganti, ma solo perché aveva a cuore sé stesso.

Gli lanciò un’ occhiata profonda ma priva di alcun sentimento, respirò a fondo e poi si voltò lasciandolo lì ancora interdetto.

-Dimmi se è successo qualcosa!- gridò ancora Peter.

Aria lo ignorò.

Arrivata alla porta blindata, trovò le due guardie che parlavano con Robert, che appariva piuttosto agitato. Quando la videro si zittirono all’istante e la studiarono per un attimo, ma non ebbero il tempo di dirle nulla, poiché la porta si aprì e Amber uscì seguita da un uomo Erudito.  

-Jeanine ci ha mandato una comunicazione.- Esordì schietta la bionda. -Sta arrivando qui e si occuperà lei della simulazione. Dopo quello che è successo, vuole assicurarsi che tutto proceda per il verso giusto.-

Quando finì di parlare, l’altro Erudito si avvicinò alle guardie ed iniziò a parlare con Robert, comunicandogli chissà quale informazione riservata.

Aria vide Robert spalancare gli occhi e scuotere la testa.

-Jeanine ha detto che dovresti scortarmi a casa, la situazione ha preso una piega inaspettata. Il mio aiuto qui non è più indispensabile e, dato il rischio di complicazioni, è meglio che torni al quartier generale degli Eruditi dove sarò al sicuro.-

Sentendo che sua sorella si stava rivolgendo direttamente a lei, Aria dissolse lo sguardo da Robert e lo spostò su di lei, senza emettere alcun suono e senza cambiare espressione.

-Inoltre da lì potrò continuare a seguire le direttiva di Jeanine.- Proseguì Amber, decisa.

In silenzio, mentre si metteva le mani nelle tasche della giacca che indossava, Aria si voltò e fece strada ad Amber, che la seguì all’istante.

-Dobbiamo prendere il treno, ce n’è già uno che ci aspetta fermo al vostro punto di partenza.-

Mentre camminavano, probabilmente qualcosa nel suo procedere con freddezza, nella sua espressione vuota, dovette fare scattare in Amber un campanello d’allarme. E, consapevole del suo malessere, la sorella accelerò il passo per esserle più vicina.

-Mi dispiace davvero per Will, ma è stato il computer a selezionarlo e a mandarlo lì. Se avessi potuto impedirlo, io…-

-Non osare parlare di Will!- sibilò minacciosa Aria, dopo essersi fermata di colpo per voltarsi ad incenerire con un’occhiata furibonda sua sorella. –Non venire da me cercando di liberarti dei tuoi sensi di colpa!-

Amber serrò le labbra.

Scuotendo la testa e studiandola con amarezza, Aria si voltò lentamente, si risistemò il colletto della sua giacca di pelle e tornò a camminare.

Proseguirono in silenzio e, passo dopo passo, qualcosa si risvegliava in lei, ma non era la migliore delle emozioni a tornarle in circolo e a ridarle consapevolezza del suo corpo.

La rabbia si impossessò di lei, portandola a stringere i pugni. Fece scattare i muscoli mentre, con fin troppa foga, si mordeva il labbro inferiore.

Sentiva un peso sulle spalle e avrebbe tanto voluto liberarsene ma non sapeva come, dato che l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la fronte del suo migliore amico di infanzia perforata da un proiettile. Tuttavia, l’immagine del suo sguardo che si spegnava mentre la vita lo abbandonava, veniva fortunatamente sostituita dal volto di Tris.

Vedeva quella che aveva creduto un’amica puntare l’arma contro un compagno innocente, contro un amico privato della sua volontà di agire, e poi vedeva le sue mani serrarsi attorno all’arma e aprire il fuoco. Rivedeva il suo sguardo terrorizzato, ma anche la determinazione dei suoi muscoli mentre tenevano salda l’arma anche dopo il colpo sparato.

Codarda, pensò.

Una vera intrepida non si sarebbe lasciata guidare dalla paura di morire, avrebbe trovato la maniera migliore di agire senza causare la morte di persone innocenti. Gli Intrepidi avrebbero dovuto proteggerle le persona, non ucciderle per salvarsi la vita.

Assassina, pensò ancora, mordendosi con più forza il labro.

Non era stata solo la paura a spingere Tris a sparare contro Will. Una parte di lei doveva averle suggerito che quella era l’unica soluzione che aveva per salvarsi la vita, e aveva scelto quella strada consapevolmente.

Ma, con un crescendo d’ira dentro, Aria pensò che avrebbe sacrificato sé stessa piuttosto che uccidere un suo amico, vittima di una simulazione.

Arrivati alla stazione di partenza dei treni, all’interno della residenza degli Intrepidi, pensò che fosse un bene che Tris non fosse lì con lei.

Sperò di non incontrarla mai, altrimenti non avrebbe potuto garantire che l’avrebbe lasciata tutta intera. In un attimo, aveva azzerato ogni forma di amicizia che credeva di provare per quella dannata Tris.

Amber si aggrappò al corrimano fuori da una carrozza per issarsi sul treno, e andò subito a sedersi. Aria si prese qualche secondo per analizzare l’immobilità dei vagoni, e si chiese come sarebbe stato vedere gli Intrepidi salirci tranquillamente sopra senza dovergli correre dietro tutte le volte. Scosse la testa e seguì la sorella, andando a sedersi vicino a lei. E, proprio nel momento in cui si furono accomodate, il treno iniziò a muoversi e partì lentamente per poi iniziare la sua corsa fra i quartieri della città.

Viaggiarono in silenzio ma, ogni secondo di quel tragitto, riportava nella mente di Aria mille ricordi e paure.

Si rivedeva bambina, ad adorare quei treni che sembravano volare sopra la citta, sperando di poterci salire sopra anche lei, un giorno. Non poteva fare a meno di pensare, quando passarono sopra all’edificio più importante della citta dove si era tenuta la cerimonia della Scelta, al primo giorno in cui aveva davvero potuto correre dietro quei vagoni e sentirsi una vera Intrepida.

Anche se si sforzava di non pensarci, ricordò il viaggio con Eric quando lui le aveva mostrato il luogo dell’esercitazione a ruba bandiera. Quel giorno il loro rapporto era iniziato e non si era più fermato, libero e ribelle, proprio come i treni della città che correvano senza che si sapesse chi li guidasse o dove avesse intenzione di portarli.

Poi ritornò alla sera dell’esercitazione, a quando era scattata la mezza notte sul giorno del suo compleanno e Will le si era avvicinato e le aveva augurato un felice giorno fra sorrisi e battute, e non riuscì a trattenere un fremito.

Dovette serrare gli occhi per non rimettersi a piangere.

Si abbracciò le ginocchia contro il petto, e Amber se ne accorse, ma in realtà sua sorella non si era persa un suo solo respiro.

La stava osservando da quando erano partite dalla stazione degli Intrepidi. Senza alcun preavviso, le braccia di Amber, quelle stesse braccia che da bambina erano l’unica cosa che le dava conforto nei suoi momenti bui, l’avvolsero in silenzio.

Avrebbe voluto opporsi, ma non ne era capace, non in quel momento, così sospirò e si lasciò scivolare fra le braccia di sua sorella, appoggiandole la fronte sulla clavicola.

-Riuscirai mai a perdonarmi?- Chiese Amber.

Aria inarcò le sopracciglia. Amber era stata la sorella peggiore del mondo, le faceva i dispetti, era la preferita dei loro genitori e non faceva che vantarsi, divertendosi sempre a deriderla a rimproverarla.

Eppure, l’immagine di una bambina bionda che apriva la porta della sua camera, intrufolandosi dentro a piedi nudi per andare a dormire con lei nel suo letto, le era tornata alla mente. Quando i loro genitori avevano deciso di sistemarle in due camerette separate, portando Amber nella stanza accanto, le due gemelle avevano solo sei anni ed erano molto legate. Non avevano affatto  preso come un regalo quella divisione. In particolare, Aria odiava la solitudine, così Amber sgattaiolava tutte le sere da lei per dormire insieme, tenendole compagnia.

-Per cosa?-

Amber sollevò le spalle. -Per qualunque sia il motivo che ti spinge ad odiarmi tanto…-

Sua sorella, dopo un tempo sostanzialmente lungo, le stava chiedendo di cancellare tutto e di ripartire da zero.

-Io ti ho sempre voluto bene, devi credermi.- Disse Amber, come se le avesse letto nel pensiero.

Aria sospirò, crescendo si erano sempre più divise.

E così, poco tempo dopo, Aria aveva iniziato a chiudere a chiave la porta della sua camera per impedire che sua sorella la raggiungesse durante la notte. Si sentiva tradita, Amber non giocava più con lei, aveva iniziato a studiare ad ogni momento libero a fare tutto quello che le dicevano i loro genitori.

Fino a quando non erano iniziati gli attacchi di panico e, a quel punto, Aria aveva rivisto Amber correre nella sua camera le notti  e starle vicino.

Sorrise senza essere vista, quella paura si era inaspettatamente presentata anche nel suo scenario della paura. Così come la sua paura per la solitudine, che si era manifestata con le sembianze di un’urna funeraria che non rivelava di chi erano i resti al suo interno.

E, purtroppo, quella paura si era avverata con la morte di una delle persone che non avrebbe mai voluto perdere. Ma ormai Will se ne era andato per sempre.

Per porre fine alle sue paure, la soluzione non era di certo rimanere sola e chiudersi in sé stessa come faceva spesso. Le persone che amava erano la cura, e non poteva più permettersi di perdere nessuno. Non dopo la scomparsa del suo migliore amico.

-Può darsi…- Concesse alla sorella, sciogliendo il loro abbraccio per rimettersi in piedi.

Erano ormai arrivate in prossimità del quartiere degli Eruditi, e dovevano prepararsi per scendere alla fermata giusta.

-Vieni, credo che il treno non si fermerà e dovremo saltare!- Disse per avvisare Amber, mentre si appoggiava ad un’apertura per guardare fuori in cerca del punto giusto in cui scendere.

-Che cosa?-

Sentendola parlare, Aria si voltò verso di lei e sentì un fitta di dolere fermarle il cuore.

Non poteva odiarla, non ci sarebbe mai riuscita.

Nella suo test finale di ammissione fra gli Intrepidi, quando aveva dovuto affrontare la paura che le incuteva quell’urna misteriosa, aveva temuto per la morte di Eric, di Will e di Sasha.

Ma anche per quella di Amber.

Se durante la sua allucinazione della paura si era spaventata per la morte di sua sorella, probabilmente il suo subconscio le suggeriva che il legame con lei non era del tutto perduto.

Sorrise appena e tese una mano verso di lei. -Ci sono, non ti farò cadere!-

Amber avanzò con passi incerti, aggrappandosi ad un maniglione per non cadere a causa del movimento del treno, ma accennò a sua volta un sorriso.

-Cosa c’è, adesso vuoi occuparti di me?-

-L’ho sempre fatto!- sottolineò Aria, inarcando le sopracciglia.

-Bè!- fece Amber, accettando la sua mano. –Anche io mi sono presa cura di te, a mio modo!-

Alzando gli occhi al cielo, Aria scosse la testa, non aveva voglia di iniziare quel tipo di conversazione.

Poco distante, intravide una piccola collina, fortunatamente il treno passava da delle posizioni strategiche che permettevano agli Intrepidi di saltare giù dal treno in corsa senza correre grossi pericoli.

-Vedi quella collina? Salteremo sull’erba, cerca di rotolare quando atterri, così non ti farai male!- Urlò Aria, per farsi sentire da Amber nonostante il trambusto del vento che si sentiva prepotentemente a causa della loro posizione sul bordo di un’apertura.

-Tieniti pronta!-

Quando furono vicini al punto giusto, Aria fece un segnale ad Amber e saltò decisa, trascinandosela dietro. Dovette tuttavia lasciarla la mano mentre rotolavano in discesa lungo la piccola collina verde, per evitare di farsi del male.

Quando si fermarono, Aria si mise subito a sedere per accettarsi che anche Amber fosse tutta intera, e la vide poco distante che si scrollava i vestiti, ancora sconvolta.

Senza sapere perché, forse a causa di tutta la tensione e di tutta l’ansia accumulata, Aria si concesse una risata liberatoria.

Amber se ne accorse e prima si imbronciò, ma dopo rise anche lei, in maniera decisamente più elegante.

Era proprio vero, la morte del suo migliore amico doveva aver sconvolto Aria profondamente, perché altrimenti, in nessun altra circostanza, si sarebbe mai ritrovata a ridere con sua sorella.

-Amber!-

Sentendo una voce femminile chiamare il nome di sua sorella, Aria si voltò e vide un uomo e una donna avvicinarsi e, riconoscendo i propri genitori, avverti una fitta lancinante al petto che le fece capire che non le sarebbe stato così facile perdonare tutto.

Le era bastato sentire la voce di sua madre per sentire la gola secca e le mani tremanti, e si trovò a pensare che non avrebbe mai voluto essere lì, ma non poteva certo scappare.

Aria si alzò sbrigativamente in piedi e si avvicinò a sua sorella, aiutandola a rialzarsi. Si scambiarono un breve sguardo d’intesa, poiché Amber aveva colto immediatamente il suo irrigidimento, e poi si avviarono verso i loro genitori.

Raggiuntasi a metà strada, sua madre, una donna con folti capelli neri, gettò subito le braccia verso Amber.

-Per fortuna che stai bene!- Sopirò contro la guancia della figlia.

Aria guardò sua madre e dovette trattenere una smorfia, studiò il suo volto annebbiato da qualche segno dell’età ma pur sempre fiero ed elegante.

Non era mai stata una madre affettuosa, forse anche per quel motivo lei stessa era molto introversa. Ma, ad ogni modo, le assomigliava molto. Avevano lo stesso modo di incurvare le sopracciglia quando erano arrabbiate, anche se i lineamenti della donna erano leggermente più raffinati come quelli di Amber, e aveva anche i suoi stessi occhi azzurri.

-Grazie per avercela riportata sana a salva!- Disse ancora sua madre, ma sta volta si rivolse direttamente a lei, mettendole addirittura una mano sulla spalla.

Aria si sentì raggelare da quel contatto e abbassò gli occhi sulla propria spalla, guardando la mano della madre appoggiata vicino alla treccia in cui aveva raccolto i suoi capelli, senza sapere cosa fare.

-Tu stai bene?-

Quando sentì per la prima volta la voce di suo padre, Aria alzò gli occhi e li incrociò con quelli dell’uomo attraverso gli occhiali da vista che indossava.

Anche lui aveva una folta chioma di capelli neri ordinatamente pettinati all’indietro, ed i suoi occhi azzurri avevano una tonalità più scura, come quelli di Aria.

In silenziò, la ragazza si prese qualche secondo per osservare la camicia blu dell’uomo e il suo sguardo serio e leggermente in allarme, per poi offrirgli un cenno con la testa.

-Sarebbe meglio che tu non tornassi nella residenza degli Intrepidi.- Le disse.

Aria rimase in silenzio, ad ascoltare.

-I tuoi capifazione sono tutti qui, radunati all’ospedale perché hanno sparato ad uno di loro. Dovresti raggiungerli, così potranno spiegarti cosa è successo e dirti cosa fare.-

Non ebbe il tempo di analizzare quelle parole, il pensiero di poter correre dai suoi capifazione la tranquillizzava, poiché rimanere ferma in quell’insolita riunione di famiglia la stava tormentando e non vedeva l’ora di allontanarsi da lì.

Ma Amber fu più furba e, guardando suo padre, chiese: -A chi hanno sparato?-

Per un attimo lui rimase a guardare la figlia bionda senza comprendere la sua curiosità, ma poi le rispose senza problemi. -A quello giovane, Eric.-

Mentre il suo cuore mancava di un battito, Aria si trovò a ringraziare mentalmente sua sorella. Lei non aveva pensato a quella possibilità ma, scoprendola, si sentì mancare.

-Ma sta bene?- chiese sempre Amber.

-Sì, lo hanno colpito ad una gamba, o ad un piede, non ricordo!-

Tirando un sospirò di sollievo, Aria guardò Amber e capì che, senza sapere perché, la stava aiutando. Forse sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di fare quelle domande a loro padre, oppure la stava aiutando a non esporsi troppo.

-Credo sia maglio che accompagni Ariana all’ospedale, magari vedendo me la faranno entrare senza troppi problemi!-

Suo padre parve riflettere, guardò la moglie e poi parlò. -Sì hai ragione, credo sia meglio. Ma state attente!-

Amber face un cenno, baciò sbrigativamente una guancia della madre e fece segno ad Aria di seguirla, e lei lo fece rifiutandosi di incrociare lo sguardo con i suoi genitori.

Quando si furono allontanate a sufficienza, imboccando la via principale del quartiere, Aria si avvicinò alla sorella e la guardò intensamente.

-Perché hai parlato al posto mio, mio stavi aiutando?-

Amber la guardò e sorrise. -Sembrava che ti avesse morso una tarantola, temevo che non fossi in grado di aprire bocca!-

La ignorò. -Perché mi stai accompagnando?-

-Che rapporto c’è tra te e quel capofazione pieno di tatuaggi, che sembra sempre sul punto di voler uccidere qualcuno da un momento all’altro?-

Strabuzzando gli occhi, Aria si voltò verso sua sorella e la fece fermare. -Che hai detto?-

-Jeanine pensa che state insieme, e vero? Secondo me sì, ho visto come ti guardava quella volta nei sotterranei della vostra residenza!- Amber fece un sorriso strano.

Non sapendo cosa risponderle, riprese a camminare. -Tu e Jeanine sapete sempre tutto, vero?-

Amber rise.

Arrivati davanti l’imponente struttura di vetro che ospitava il più grande ospedale della città, Aria si fermò e la sorella le mise una mano sulla spalla.

-Stai tranquilla.- Le disse piano. -Sta bene, gli hanno solo sparato ad una gamba e i nostri dottori lo avranno già rimesso in sesto!-

-Non sono preoccupata!- Rispose, ed era vero.

Come subito dopo la morte di Will, Aria si ritrovava paralizzata in una sorta di apatia che la teneva lontana da ogni angoscia ogni timore.

Forse era la sua mente che reagiva per proteggerla dal dolore ma, inspiegabilmente, si sentì travolgere dalla rabbia. Ultimamente il suo corpo reagiva in modi curiosi e, quando pensò ad Eric ferito, capì che doveva essersi trovato in una situazione pericolosa. Sentì una fitta al petto e lacrime che minacciavano di rigarle le guance, ma riuscì a spegnere tutto e a concentrarsi unicamente sui suoi passi.

Eric era forte, fin troppo forte.

Salirono la scalinata che precedeva l’ingresso e, una volta entrate, Amber si fermò per scambiare qualche parola con una donna seduta dietro ad una scrivania. Subito dopo guidò Aria lungo il corridoio principale, fino ad arrivare ad una grande porta sorvegliata da due guardie Intrepide.

Alla destra della porta, c’era una dottoressa che sollevò la testa dai moduli che stava compilando quando le vide arrivare.

-Lei ha l’autorizzazione per vedere il capo Intrepido che è in questa stanza!- Esordì freddamente Amber, con l’autorevolezza che ogni Erudito avrebbe dovuto avere.

La dottoressa fece un cenno alle due guardie Intrepide che, riconoscendo in Aria una loro compagna di fazione, le fecero un cenno di saluto ed uno di loro fece scattare l’interruttore che face aprire la porta automatica.

Ma, quando avanzò pronta a rivedere finalmente Eric, sentì il suo cuore battere all’impazzata. Tutta la paura e tutto il dolore che era riuscita a tenere a freno fino a quel momento, presero il sopravvento, fino a distruggerla.

Con le emozioni azzerate, entrò in silenzio.

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Scusate il ritardo, forse è meglio che non dica più che aggiornerò presto perché, ogni volta che lo dico, ritardo!!

Secondo capitolo senza Eric, ma si prepara per riapparire per il gran finale!!!

Se sarà grande lo deciderete voi!

Il prossimo aggiornamento, come ho già detto, sarà l’ultimo di questa storia… E poi il seguito!!!!

 

Fatemi sapere cosa ne pensate, per favore : ) !!!!

Baci a tutti e grazie mille!

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Capitolo 30
*** La ragione per lottare ***


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30. La ragione per lottare

 

 

 

 

Vedendo la porta aprirsi, Eric si mise faticosamente a sedere sul quel fastidioso lettino d’ospedale, stringendo i denti e trattenendo un lamento di dolore quando sentì i punti della ferita tirare.

Non poteva credere a ciò che era successo e a come era finito lì, depositato da solo al centro in quella stanza asettica, come uno qualunque dei tanti feriti.

Ma non appena riconobbe nella ragazza appena entrata Aria, sentì la gola improvvisamente secca e una mano si tese automaticamente verso di lei.

-Piccola?- Esclamò in confusione, guardandola ad occhi sbarrati.

Era così bella che non riusciva a pensare ad altro, aveva le labbra rosse, la pelle chiara, e i capelli neri che le incorniciavano il viso scendendo su di una spalla avvolti in una traccia. Tuttavia c’era qualcosa che stonava terribilmente in quel quadro paradisiaco, perché la sua espressione e il suo sguardo sembravano quelli di un’ estranea, non la rispecchiavano assolutamente.

Sembrava sconvolta e fragile come mai prima di quel momento.

L’aveva creduta al sicuro al centro di controllo, con sua sorella e gli altri Eruditi, c’erano anche delle loro guardie Intrepide, e niente avrebbe dovuto compromettere la sua incolumità.

E invece le cose erano andate diversamente.

Quando Jeanine gli aveva comunicato di aver dato ordine a quella ragazzina di nome Amber di rientrare al quartier generale degli Eruditi, facendosi scortare da sua sorella Aria, aveva tirato un sospiro di sollievo.

Le strade non erano più sicure al momento ma, quando le due erano partite, il viaggio in treno verso gli Eruditi rappresentava l’unico mezzo per arrivare al sicuro.

Sapere che Aria stava arrivando da lui lo aveva sicuramente tranquillizzato, ma mai si sarebbe illuso di poterla rivedere tanto presto.

Eppure, nonostante la sua totale assenza di espressività, Eric capì che c’era qualcosa che stava turbando la sua piccola lottatrice. Ma, per quanto vederla sconvolta gli desse un dispiacere, sapere che stava bene e averla lì, gli bastava.

-Stai bene?- Le chiese, cauto.

Qualcosa gli dava l’impressione che anche una parola fuori posto avrebbe potuto distruggerla.

Quando alzò gli occhi su di lui, Eric intuì che si era sbagliato di grosso, perché non c’era più traccia di debolezza in quella ragazza.

Aria avanzò verso di lui senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi e, quando si fermò accanto al suo letto, fece una strana espressione spostando la sua attenzione sulla sua gamba ferita.

-Mi chiedi se sto bene?-

Eric fece il grave errore di non cogliere la nota gelida nella sua voce, e non si accorse neppure del modo in cui serrò entrambi i pugni.

Il suo piede ferito da un colpo di arma da fuoco era in bella mostra sul letto, senza nessuna coperta sopra, come se fosse un trofeo da esibire. Ma, guardandolo con rabbia, il capofazione pensò che non ci fosse assolutamente nulla di cui andare fieri. La sua non era una ferita di guerra, ma il risultato di una distrazione che poteva costargli molto cara.

E che gli sarebbe costata cara.

Si era fatto sfuggire quella Rigida insignificante, l’aveva sottovalutata durante l’iniziazione e le aveva permesso, non solo di sparargli a sangue freddo, ma anche di scappare. Gli era stato comunicato che lei e quel dannato Quattro erano riusciti a raggiungere la residenza degli Intrepidi, ma non sapeva ancora quanti danni erano riusciti a fare.

Serrò la mascella con forza e si ritrovò a desiderare una fine lenta e dolorosa per quei due trasgressori.  

-Non è niente!- disse infastidito, cogliendo lo sguardo attento con cui Aria analizzava la sua fasciatura ancora sporca di sangue.

Poi, con la stessa determinazione con cui un falco si lancia in picchiata sulla sua preda, la mano di Aria si avventò sul piede leso di Eric e strinse, senza alcuna pietà, il punto dove era stato attraversato dal proiettile.

Mentre qualche punto di sutura si riapriva facendolo sanguinare, un grido disumano e grottesco scappò al controllo di Eric, costringendolo a serrare gli occhi e a contrarre tutti i muscoli del viso in una smorfia terrificante.

Le afferrò la mano per risparmiare al suo piede altre torture e con poco grazia, forse a causa del dolore che provava alla ferita, la strinse nella sua come se volesse stritolarle le dita. Si accorse che le stava facendo del male, d'altronde era più forte di lei e lo sapeva benissimo, ma Aria non emise alcun suono e lo guardò impassibile.

-Che diamine ti prende?- Le ringhiò contro, con voce rauca.

-Doveva andare tutto per il meglio, vero?- Gli parlò senza che nessun’emozione animasse i lineamenti del suo viso, erano solo le labbra a muoversi. -Il mio migliore amico è morto perché i nostri capifazione hanno mandato tutti gli Intrepidi a farsi massacrare come carne da macello! Doveva essere un tuo dovere quello di garantire l’incolumità di tutti e invece hai fallito!-

In un solo frammento di secondo, Eric allentò la presa che aveva attorno alla sua mano come se fosse stato folgorato da una scarica elettrica. Si sporse verso di lei con i muscoli che fremevano di rabbia, l’afferrò dalla nuca serrando le dita attorno ai suoi capelli, e la costrinse ad avvicinarsi a lui.

-Chiudi la bocca e non parlarmi in questo modo!- sibilò a denti stretti.

Senza sapere come, Eric capì di essere sul punto di perdere  il controllo.

Il modo orribile in cui la stava guardando, e le forza con cui le teneva i capelli da dietro la nuca, non appartenevano certo all’Eric che Aria conosceva. Erano più che altro i tratti distintivi del capofazione spietato che tutti conoscevano e, per quanto avesse cercato di nasconderla, quella era una parte di lui reale e consistente con cui Aria avrebbe dovuto imparare a fare i conti.

-Tu non toccarmi e non parlarmi in questo modo!- Strillò la ragazza, alzando le braccia per liberarsi di lui.

La vide fare un passo indietro, ed ebbe l’accortezza di non toccarla ancora, cogliendo i segnali capì che lei non lo avrebbe tollerato. Accolse a testa alta l’occhiata gelida e ferita con cui Aria lo trafisse, con la stessa forza di una lama affilata, e scosse il capo.

-Cosa pensi che ti faranno là fuori se userai questo tipo di linguaggio?- La sfidò, indicando con una mano la porta che si era fortunatamente richiusa. -Nessuno voleva che le cose andassero storte, credimi! Adeguati come ho fatto io!-

Aria scosse la testa, portandosi entrambe le mani ai lati delle tempie. Il riverbero di luce gli fece credere per un attimo che avesse gli occhi lucidi ma, che fosse sul punto di piangere o meno, Eric capì lo stesso che stava per cedere.

-Non voglio adeguarmi, quanti altri dovranno morire prima che tu abbia il coraggio di agire? Magari la prossima volta toccherà a me, e tu forse sarai troppo codardo per ribellarti e fare qualcosa.-

Sentendola strillare in quel modo, e cogliendo il disgusto che aveva imprigionato negli occhi mentre lo guardava, Eric venne attraversato dal pensiero che tutto ciò in cui credeva poteva venirgli portato via.

Scosse il capo, digrignò i denti e perse del tutto il controllo.

-Adesso basta!- Inveì, afferrandola dalle braccia e stringendo la presa attorno alle sue spalle, senza preoccuparsi di controllare la propria forza. -Stai esagerando ragazzina, non sono un codardo, vuoi che te lo dimostri?-

Aria si rifiutò di trovarsi faccia a faccia con quella versione tremenda di Eric, serrò gli occhi e cercò di liberarsi. -Lasciami subito!- strillò.

Ma Eric non allentò la presa, al contrario, la strinse con più forza lottando contro di lei per tenerla ferma.

-Non lo capisci che ti amo?- Sbraitò.

Le parole di Eric ebbero il potere di fendere l’aria come una corrente elettrica, che portò entrambi a staccarsi bruscamente l’uno dall’altra come se un fuoco fosse improvvisamente scoppiato fra di loro.

Sulla sua pelle, Aria sentì le mani di Eric bruciare.

Il ragazzo la guardò e non si perse un solo dettagliò delle mille emozioni che modificarono la sua espressione.

-Che..?- la sentì sussurrare, con un’ insolita paura.

Prese un respiro e si sforzò di apparire calmo, passandosi una mano fra i capelli. Peccato che per lui, in quel momento, fosse difficile cercare di imporsi il controllo.

Di fatti fallì miseramente, e le urlò contro. -Pensi che avrei rischiato la mia vita, il piano che preparo da una vita, per niente? Sei tutto ciò che ho, non ti permetterò di farti ammazzare perché non sai tenere la bocca chiusa, piuttosto te la chiudo io!-

Quando il ragazzo allungò ancora la mano verso di lei, nel tentativo di prenderle una spalla, Aria abbassò la testa e sfuggì ancora al suo tocco.

Sta volta Eric non aveva più a che fare con una ribelle ferita, ma solo con una persona profondamente abbattuta e privata di tutta la sua combattività.

-Non voglio ascoltarti, è tutto sbagliato!- La sentì piagnucolare, ancora intenta a nascondere il viso, tenendolo basso.

-E noi lo rimetteremo a posto!- Le garantì, sollevandole il mento con due dita, mentre almeno la propria voce appariva più pacata.

-Non c’è niente da mettere a posto.- Gli rispose Aria, offrendogli il suo sguardo colmo di lacrime trattenute.  -È tutto finito.-

Non era nell’animo degli Intrepidi demoralizzarsi ed escludere ogni possibilità di riuscita, Eric aveva forgiato sé stesso fra forza e coraggio, perciò non poteva accettare di vedere quel senso di vuoto emergere dagli occhi di Aria.

Qualcosa scattò dentro di lui, forse era il bisogno che aveva di proteggerla, forse era il fastidio che provava nel vederla abbattersi in quel modo. O, semplicemente, il combattente che era in lui stava riemergendo.

-No, smettila di dire stronzate e guardami!- Le prese il viso fra le mani e l’avvicinò a sé. -Hai la mia parola, farò di tutto, farò qualsiasi cosa per rimettere tutto a posto. Non permetterò mai che la nostra fazione venga distrutta da qualche idiota che non ha accettato la simulazione, e non lasceremo il governo agli Abneganti. Faremo tornare tutto com’ era, ci prenderemo il potere con la forza. Credi in me!-

-Io non voglio credere più in niente- Ribadì, abbassando ancora il viso, adesso pieno di lacrime che le correvano lungo le guance.

-Ma io ci credo, e non smetterò di combattere!-

Il ragazzo aveva ancora le mani attorno al suo viso, così le strofinò gli zigomi con i pollici per liberarla da quelle lacrime che non voleva affatto vedere.

Dopo aver battuto più volte le palpebre, per prendersi il tempo per riflettere, Aria sollevò il mento verso di lui.

-Ed io per cosa dovrei combattere?- Gli chiese a bassa voce.

Eric sorrise con arroganza e raddrizzò la schiena. -Tutti hanno una ragione per cui lottare.-

-Io no!-

Seduto rigido sul letto, la guardò dall’alto con freddezza.

-La tua qual è?- gli chiese Aria a quel punto.

Forse erano davvero arrivati ad un punto delicato perché, quando Eric tornò a posare il suo sguardo su di lei, capì che non era più il tempo delle provocazioni, ma quello di raccogliere i frutti della loro unione.    

-Sei tu la mia ragione per cui lottare!- Le sussurrò, cauto.

Sotto il suo sguardo forte e sicuro, Aria sentì il coraggio tornare a scorrerle nelle vene. -Chi ti dice che mi fiderò ancora di te?-

-Devi!- Le rispose, sempre più distaccato e con un’espressione autoritaria, quasi austera. -Perché dobbiamo riaggiustare le cose!-

-Io non voglio riaggiustare niente!-

Eric accolse il suo tentativo di protesta limitandosi ad ignorare la sua occhiataccia, si allungò per prendere la sua giacca appesa al fianco del letto e se la rimise lentamente. Ma, dal modo in cui i suoi muscoli si tendevano, non era difficile capire quanta rabbia gli ribolliva ancora in corpo.

-Devi!- le ripeté serrando la mascella. -Ci riprenderemo quello che è nostro e staremo bene, bene davvero.-

Aria non disse nulla, ma sussultò quando il ragazzo le lanciò un’occhiata tremenda.

-Te lo garantisco!- le disse, in quella che sembrava più una minaccia che una promessa.

-Lo vuoi capire che io non credo più in niente?!- Gli urlò contro, con i pugni stretti e le lacrime a stento trattenute.

-Io credo in te!- In quel momento Eric allungò una mano verso di lei per prenderla da una spalla.

Sarebbe potuto apparire come un gesto gentile e confortante, invece era solo uno dei suoi soliti modi possessivi con cui la prendeva con la forza e la costringeva ad ascoltarlo.

-So che hai la forza per affrontare tutto questo, e credo in me stesso. Lo faremo insieme!-

Lei non si liberò, al contrario, si gettò contro il suo petto e nascose il viso sulla sua spalla. -Lasciami in pace Eric, non voglio più combattere…-

Facendole scivolare una mano dietro la nuca per accarezzarle i capelli e accoglierla, Eric ruotò leggermente il busto verso di lei, appoggiò il mento sulla sua testa e respirò il profumo dei suoi capelli.

-Allora lo farò io per entrambi. Lo farò per te!- Le promise fissando un punto imprecisato.

Aveva ripreso il controllo di sé stesso, d'altronde non sarebbe stato capace di alcun atto di crudeltà verso la ragazza che aveva ammesso di amare, non certo dopo averla vista crollare. E, averla lì stretta al suo petto, lo rendeva in grado di placare ogni suo tormento.

Con la mano che teneva ancora dietro la sua nuca, le tirò leggermente i capelli per costringerla a sollevare lo sguardo su di lui. 

-Sei con me, Aria?-

La ragazza chiuse gli occhi e non parlò, poi sollevò le palpebre e mostrò solo la sua debolezza. -Ma non so più per cosa lottare…-

Il ghigno sinistro di Eric comparve sul suo volto, le prese ancora una volta il viso fra le mani, come al solito prepotentemente, e posò la propria fronte sulla sua.

-Non importa!- Le disse.

Nella sua mente, Eric credeva davvero in una città come quella che aveva cercato di realizzare.

Voleva un posto dove le morti avvenute fossero state sacrifici necessari e non un peso insostenibile da portarsi addosso come un macigno dentro l’anima. Sperava davvero, con ogni fibra del suo essere, nella risoluzione di tutti i problemi e in un futuro dove avrebbe potuto continuare a mantenere il suo ruolo e la sua rispettabilità. Un lungo dove tutta la sua forza gli avrebbe permesso di rimanere al comando e di arrivare sempre più in alto.

-Staremo bene!- Le promise in un sussurro carezzevole. -Mi occuperò io di te…-

Poteva apparire tutto perfetto. Peccato che, per quanto abilmente nascosta, Aria colse la nota avvelenata nella sua voce e colse addirittura una vena di follia che la spinse a serrare violentemente le palpebre e a mordersi il labro inferiore.

Tuttavia sentì Eric respirare insieme a lei e comprese che non poteva andare avanti senza di lui, perché era la sua luce nel buio. Strinse le mani attorno alla sua giacca e promise a sé stessa che non lo avrebbe abbandonato, poiché era chiaro che il bisogno che aveva di lui era equivalente alla necessità che aveva Eric di averla ancora al suo fianco.

Sentì il suo cuore ritornare a battere nonostante la tempesta in cui era rimasta imprigionata, eppure sapeva che non c’erano fiamme abbastanza forti da sciogliere il gelo che aveva dentro e che non esisteva ghiaccio abbastanza potente da placare il fuoco di Eric.

Forse sarebbero sprofondati, oppure sarebbero risorti dalle loro stesse ceneri e si sarebbero placati e rianimati a vicenda. Ma qualsiasi cosa avrebbero fatto e qualsiasi sarebbe stata la loro fine, sarebbero rimasti insieme.

Poi Eric la sentì parlare e una fiamma di speranza si accese nel suo petto.

-Sì, sono con te, Eric.-

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

Oh santo cielo, la parola “fine”, quasi non ci credo!

 

Ho mille cose da dire, ma volevo iniziare con il ringraziare tutti i lettori, tutti coloro che hanno inserito la storia tra preferite, da ricordare e seguite!

Grazie davvero, spero di non avervi deluso.

Per me è stato un immenso piacere condividere con voi questa storia, con tutte le emozioni che ne sono seguite. Spero davvero di essere riuscita a trasmettervi qualcosa e a lasciarvi qualcosa. (magari di positivo!!)

 

Grazie di cuore a chi ha recensito, vi adoro, siete stati importantissimi e mi avete reso immensamente felice!

Un piccolo ringraziamento particolare alla mia scrittrice di recensioni/poemi/dibattiti/poesie che si è presa il disturbo di seguirmi quasi dall’inizio e di recensire, a suo modo, praticamente tutti i capitoli. Grazie Kaithlyn!

Scusate ma dovevo, senza nulla togliere agli altri che ringrazierò sempre all’infinito.

 

Parliamo di cose serie, ovvero del seguito!

Come vi dicevo ci sto già lavorando, peccato ci siano parecchie cose da rivedere ed errori da correggere.  Nel tentativo di fare più in fretta che posso, e nella speranza di non avere imprevisti, avrete presto il continuo.

 

Il titolo sarà: The reason to survive.

 

Cosa pensate che succederà adesso? Quali sono le vostre ipotesi? E, soprattutto, avete gradito il finale o immaginavate qualcosa di diverso?

 

Ci sarà un cambio di stile nella narrazione (sempre nella speranza che possa piacervi) e diverse sorprese.

Per quanto riguarda la trama e le vicissitudini dei due protagonisti sono piuttosto soddisfatta e credo davvero che rimarrete piacevolmente sorpresi! (ovviamente è quello che spero, ma prima devo riuscire a rendere il tutto presentabile e leggibile XD)

 

Per non soffrire troppo nell’attesa, ho pensato di farvi un piccolo regalino con cui ingannare il tempo e anche per tenerci in contatto.

Ho creato una pagina facebook dove troverete il famoso regalo, vari post su Eric e Aria e piccole anticipazioni dei prossimo capitoli. Ovviamente saranno segnalate, così se preferite che non vi venga svelato nulla in anticipo, potrete evitare di rovinarvi la sorpresa!

Ecco il link per chi avesse voglio di fare un salto: https://www.facebook.com/Kaimy11

Che dire, ancora grazie infinite a tutti, fatemi un regalo facendomi sapere cosa ne pensate. Adesso la smetto!

Alla prossima, o meglio al continuo, a presto.

Baci, grazie mille. <3

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