L'Alchimista

di Rosencranz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Deserto ***
Capitolo 3: *** Babilonia ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Documento senza titolo





Preludio.



La luna mi guarda ed io cammino per lei.
La luna mi veglia ed io sogno per lei.
Su duna di cammello e gobbe di sabbia ho viaggiato.
Oltre l’Oriente e l’Occidente ho viaggiato.
Ho cercato i segreti che mi erano ignoti,
Ho fatto mie le verità che mi erano celate.
Ed ora ho raggiunto la vecchiaia, e questo destino:
Sono forse divenuto schiavo della mia Conoscenza?

E’ tardi quando scrivo queste parole, in un luogo dimenticato da tutti se non anche da Dio. C’è solo una candela di sego a scortare il cammino del mio pennino in questa distesa gialla di pergamene ripulite, mentre riordino i pensieri di quella che è stata una vita vissuta fin troppo, oltre il mio stesso desiderio di proseguirla. Il mio nome è ***. ma sono stato chiamato in fin troppi modi nel corso del Tempo, tanto che il mio vero nome oramai è divenuto più che altro quello che il popolo mi ha attribuito, e non più quello che mi fu dato: ma coloro che leggeranno queste mie parole potranno chiamarmi Conte, se così vorranno. E’ un buon modo per iniziare questa Storia, affinchè sia ricordata come frutto di un nobile, e di nobili propositi essa stessa. E poi Conte oltre che da Contea potete farlo venire da Contare in senso letterario e non matematico. Cosicchè io, Conte, vi racconterò queste mie parole, divenendo un Conteur.
Perchè è di parole che è costituita la mia vita, la mia esistenza che non vuole giungere ad una fine precisa: di parole accavallate le une sulle altre, le prime sulle seconde, e le terze sulle prime stesse. Parole numeri e proporzioni sono tutto ciò per cui ho vissuto, per cui sono morto, e per cui la morte stessa mi ha concesso di continuare a vivere.
La mia mano è un gioco di ombre, o forse essa stessa è tale. Invecchia e ringiovanisce a seconda di come mi decido a guardarla, quando è tale il suo e mio proposito: altrimenti, sarebbe un’appendice senza un’età e senza un nome. La concepirei in quanto proprietaria di uno scopo, e solo per quello.
Ma sto divagando.
Nacqui in un luogo dove le montagne non oscuravano il sole, e dove l’erba era bianca d’inverno, e verde in primavera, ammantata dai mille colori dei fiori; dove l’acqua era trasparente e cristallina, e dove il vento seguiva la danza della Rosa senza mai mancarne una punta ed un petalo, scoprendo e mostrando ai pochi abitanti l’immutabile perfezione delle Stagioni e degli Anni. Fu in un villaggio isolato dalla brama Temporale e dalla boria Secolare che nacqui, da genitori di cui il tempo ha cancellato ogni ricordo se non quello delle sensazioni: erano calore e risa, saggezza e comprensione. Fui fortunato per nascita, e per questo il mio animo fu ricco: decisi difatti io stesso d’impoverirlo col tempo e con la civiltà, come fa ogni ragazzo che pensa che il Paradiso della sua giovinezza non sia abbastanza, al punto da desiderare di vivere nell’Inferno degli adulti.
Studiai, studiai ciò che il mio animo già seppe nell’attimo del concepimento, infuso da un dio benevolo e distratto, che si dimenticò della mia apparente umanità, o che forse semplicemente volle rinnegarla a favore di un qualcosa di più. Il mio studio era mera rilettura, era comprendere le parole che in questo tempo e luogo si usavano per definire ciò che io consideravo normalità, o rimembranza. Storia, Filosofia, Medicina e Retorica: materie che sembrano immergersi fino in fondo al mio cervello sin dalla primissima età, per divenire parte di me, per compensare con il lessico ciò di cui non ero privo in potenzialità. Trivio e Quadrivio divennero un gioco, e presto il terreno sapere fu per me uno svago da mostrare nei salotti, il ricordo dell’Eden da cui nacqui e presi congedo sempre più confuso nella mia mente, soppiantato dall’artificio creato da mano umana per far sentire i ricchi superiori ed i poveri invisibili.
Ed in quell’artificio mossi i miei primi passi, persi la mia innocenza ritrovandola solo dopo molto, e decisi di mostrare al mondo quanto poco egli sapesse della realtà, della potenza. Era un’epoca strana, un’epoca di cambiamenti e di riflessioni, se non di Riflessi stessi; nasceva a quei tempi una materia che in realtà era sempre esistiva, che cercava nei numeri e nelle proporzioni che io così tanto conoscevo una nuova via di fuga, un’elevazione spirituale, una verità ulteriore. La chiamavano con un nome che aveva qualcosa di Arabo, da cui attualmente presero la parola che da’ il nome ad una materia più semplice. Chimica, Kymeia, Alchimia. Sì, era qualcosa di questo genere, se ben ricordo. Veniva dalla Kabbalah, veniva dalle mille permutazioni del tetragrammaton e veniva dalle grotte sperdute dell’Oriente e dell’Arabia. Veniva da dove venivano gli Egizi, con il loro desiderio di pesare le anime tanto quanto i Rosacroce desiderarono pesare l’Eterno. E mischiando in quell’Occidente che era come un calderone di sogni e speranze lo spirituale al materiale, la verità dalla finzione, divenne Alchimia, e divenne una materia che non si evolvè mai, eppure che continuò a mutare sempre. E lì, in quella materia, io venni conosciuto con un nuovo nome, e le mie parole, i miei numeri e le mie proporzioni trovarono un senso. Il tre, il sette, il quattro ed il cinque, che diviene dieci: ognuno dei loro misteri mi fu chiaro, e fu chiaro a coloro che mi seguirono. I misteri dei materiali, l’anima nascosta in ogni pietra, che triturata e fusa viene chiamata Colore, l’osservazione del mondo che crea le Specie, poichè la visione stessa è Spicio, categorizzazione, e conoscenza mediante gli occhi… Tutto questo divenne realtà, e la materia dell’Anima tramite la materia dei corpi divenne materia di Studio: perchè era tutta materia, capite? Tutta materia, ed il contrario di tutto questo; non seppero mai creare dal niente, ma solo mutare ciò che già di creato c’era, e fu questa la sublimazione della loro umanità; eppure, per una cosa del genere non mi fu mai possibile aiutarli.
Cercai anche io con loro i segreti che definivano veri e sinceri, puri e perfetti. L’Elixir di lunga vita che pare in Cina e nei monti sperduti dell’India fu già conosciuto sotto altri nomi e respirato dai santi meditativi in grado di sparire per anni e riapparire in ogni luogo; La pietra filosofale, pietra poichè non è nell’esterno che si trova in sui segreto, ma nel suo interno, ed ogni castello di pietra deve venire costruito se vuole reggere al tempo ed agli assalti. E filosofale poichè era in ciò la chiave per aprirne la porta, per carpirne i segreti. Era un simbolo di materia e spirito al pari della Clavicola Salomonis, che usarono in passato di smeraldo sangue e rubini, e che si scoprì col tempo che poteva venire incisa in pergamene corpi e pezzi di vetro. Provai anche questo, anche a spiegare quanto non era l’oggetto la chiave, ma era nella chiave stessa da ricercare l’oggetto, e che una simile Chiave qualsiasi porta avrebbe potuto aprire, anche l’ortum misterii che loro chiamavano in quella maniera così gretta e sublime assieme.
Ma fui chiamato satanista ed eretico, fu messo al bando il testo che scrissi assieme ad altri che furono Conti nella mia epoca ed ora sono solo ombre e fantasmi, e fui ucciso. Fu dura morire abbandonando i miei cari che in quel periodo di vita mortale cercai, ma fu ancora più triste per l’animo mio scoprire come oramai la morte stessa nel corso delle mie ricerche era un sentiero già percorso, affrontato e superato. Viaggiai, viaggiai ancora. Ma non ha più senso parlarne per ora: la candela è giunta alla sua fine, e devo mettere il punto forse finale a queste parole.

Coloro che hanno occhi per vedere, vedano.
Coloro che hanno mani per toccare, tocchino.
Apprendano col gusto dell’infante, e la saggezza degli anziani.
E non rinneghino mai ciò che viene considerato inferiore.
Dal basso come dall’alto,
ciò che è sopra andrà in fondo,
e ciò che è in fondo troverà la cima.
Questo è il segreto che lasciai prima di sparire.





NOTA DELL'AUTORE:
Non sono bravo con i racconti. O meglio, credo di poter creare qualcosa, ma non è questo il caso. Questo è un esperimento più che altro, un viaggio. Per i poveri due tre lettori di turno, questi diari saranno non sequenziali, quindi non avranno uno scorrimento lineare. Immaginateli come qualcosa che di tanto in tanto trovate fra i libri, pagine sparsi in mezzo a qualche capitolo, nascosti dietro un tavolo, incastrati nella cornice di un quadro. E considerate voi il filo logico che li possa unire, la storia che possono raccontare, e l'identità dei protagonisti. Via via l'ordine risulterà chiaro, ma in mancanza di quello, ognuno acquisirà senso rileggendolo assieme ai successivi.


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Capitolo 2
*** Deserto ***


Documento senza titolo





Preludio.



A.D. MDCLX

A volte vorrei veramente ricordarmi in quanti giorni ho maledetto la Cristianità che in queste terre ha portato scempio e distruzione. Assieme all’Ebreo ed al Ragazzo ho viaggiato per giorni con una carovana che portava spezie lungo la via a questo viaggio preposta da anni, secoli forse. E’ vecchia quanto noi, e per questo ci strappa momenti di sorriso in preda al biancore dell’alba dei nostri animi.
Da qualche anno oramai mi trovo in questo luogo che dicono “Culla del Divino”, ma che sembra esser stato più che altro dimenticato da ogni Creatore di questa palla di fango; il Deserto ci abbraccia come se fossimo i suoi figli perduti, scorticandoci la pelle e labbra con le tempeste di sabbia, e facendoci tremare come foglie di alberi mai sorti di notte.
Abbiamo mischiato i nostri Vini per creare il Fuoco necessario a riscaldarci, e sotto il benevolo sguardo del sole e della luna abbiamo viaggiato, ripercorrendo la strada da Oriente ad Occidente, perchè la nostra cometa fosse l’astro diurno e non il Vespero che ad esso segue. Il lucifero celeste è a volte visibile nel cielo, e speriamo che quest’evento che deve avvenire ci comunichi le risposte che desideriamo.
Abbiamo avuto notizia a Roma, presso la Santa Sede, che ci saranno degli sconvolgimenti nella Curia: ridiamo internamente, perchè non è più affar nostro. Il Ragazzo, fisicamente giovane, c’invita al rispetto dei primi sacerdoti della vera magia talismanica e sacerdotale che in seno alla Babilonia terrestre continuano ad insegnare ed a perseguire i loro scopi. Rimaniamo in silenzio, incapaci di manifestargli apertamente ogni nostro dubbio maturato. l’Ebreo che da troppo tempo cammina su questa terra vorrebbe dire qualcosa di più, ma gli fu interdetto quel giorno montano macchiato di sangue e di abbandoni, e dunque Tace.
A me non furono dati gli stessi obblighi, ma credo che il tempo - anzi, ne sono certo - sconfesserà le sue Teorie: il mondo è destinato a dimenticarsi di noi, a dimenticarci. A.S. è rimasto un nome senza volto, o forse lo diventerà, o forse lo è sempre stato. Non m’interessa, le nostre eredità sono diverse, così come quelle del P.S. e dei R+C, che per un po’ mi videro affrontare il mio personale matrimonio per possedere la criniera del Leone Verde, necessaria per acquisire il Fuoco e riscaldare la mia notte.
Ma ora, come C. e S.G. - li ho rivisti, nelle loro raffigurazioni attuali, in Russia anni fa. Il secondo doveva iniziare il suo sentiero; il primo promise di essergli allievo in queste reincarnazioni. - viaggio per le mie strade, per i miei percorsi. Ho scoperto un’informazione in più per ottenere il cerchio ed il triangolo, e scavare fino al cerchio iniziale che racchiude la Coppa e la Spada. Devo vedere. (Forse gli chiederò in prestito il nome per compiere qualcosa, è faccenda di Conti, di Conteurs per dirla come già dissi o dirò).
Il Deserto continua a bruciare, ma giorni fa siamo riusciti a trovare ospitalità presso un gruppo di confratelli. La loro Via è simile alla nostra, e ci siamo scambiati i Segni e le Promesse, mostrando il reciproco frutto per saggiarne il Succo: il loro sapore è diverso, più carico di notti e di vento di scirocco, più spinto al viaggio ed all’Aria. Il nostro è ancora legato alla Terra, e ci siamo sentiti ignobili ed ingenui. Ora presso queste tende vergo in questa lingua che ho deciso di fare mia per il tempo di questa rappresentazione queste nuove pagine di Diario: La Città del Tempio ci attende, Gerusalemme è a qualche giorno di viaggio, e lì dentro, presso una delle vie che s’affacciano alla sinistra della Seconda porta d’ingresso, dovremo chiedere del nostro vecchio amico A. Probabilmente questa volta il testo che gli abbiamo chiesto è vero, e dunque non sarà troppo difficile aggiungere alla mappa nuove punte di freccia e punti stellati.
Mi guardo allo specchio metallico appeso mentre vergo queste parole, e sospiro: la febbre della Caccia ha preso già il mio sguardo, ma oramai mi porto appresso questa ricerca da ben più d’una vita. E’ inutile che rifletta sull’inanità di questo fatto, quanto più che altro è giusto che ne affronti le piene conseguenze, qualsiasi esse siano.
So che non finirà qui, che non potrà finire qui, e che i ricordi che possiedo affronteranno nuove vite, nuove realtà. Vergo queste parole affinchè nuovamente vengano vergate dai miei successori, dalle mie successive manifestazioni.
Che la Caccia non si concluda finchè non sarà la fine, chiedo solo questo. Che non si perda la Memoria, che l’Ombra che io rappresento non svanisca ancora, e perpetua si rigeneri all’alzarsi del Sole, al nascere del Fuoco Interiore.
Così sia,
I.O.S.S.A.





NOTA DELL'AUTORE:
Non sono bravo con i racconti. O meglio, credo di poter creare qualcosa, ma non è questo il caso. Questo è un esperimento più che altro, un viaggio. Per i poveri due tre lettori di turno, questi diari saranno non sequenziali, quindi non avranno uno scorrimento lineare. Immaginateli come qualcosa che di tanto in tanto trovate fra i libri, pagine sparsi in mezzo a qualche capitolo, nascosti dietro un tavolo, incastrati nella cornice di un quadro. E considerate voi il filo logico che li possa unire, la storia che possono raccontare, e l'identità dei protagonisti. Via via l'ordine risulterà chiaro, ma in mancanza di quello, ognuno acquisirà senso rileggendolo assieme ai successivi.


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Capitolo 3
*** Babilonia ***


Documento senza titolo





Babilonia.



Esiste una Babilonia celeste collegata a quella terrestre, o così mi ha detto l'Ebreo, mentre camminiamo per i vicoli di questa città del mediterraneo. Non ricordo il nome, si trova a nord comunque, oltre il valico delle Alpi. Vi hanno combattuto una battaglia secoli addietro, e le grida dei morti ancora permeano il terreno.
Raccontano che in certe primavere nascano ancora fiori con i petali rosso sangue, e che se usati per preparare infusi durante le notti dove la luna è satura della luce solare e dove il suo volto si mostra solo per il quarto calante possano permettere di parlare con gli spiriti deceduti di morte violenta.
In questo paese le donne parlano una lingua segreta fatta di segni sconosciuti agli uomini, e portano abiti che verrebbero considerati licenziosi nel ventre di santa madre chiesa. Eppure nei loro occhi vedo un sapere che a tutt'ora mi sfugge, e che purtroppo non sono riuscito ancora a trovare, sebbene le mie vite siano oceano e la loro un semplice passaggio di schiuma.
S.G. ci ha raggiunto dopo giorni, l'abbiamo incontrato lungo il sentiero, lui ed il Giovane si sono di nuovo persi di vista in Russia, o nella terra che adesso che scrivo ha assunto nomi diversi a seconda del popolo che si ostina a volerla abitare. Hanno scoperto un passaggio per il centro della terra, o forse è solamente un altro dei loro deliri mistici, non ne sono più troppo convinto. Quello che so invece, è che non è invecchiato di un solo anno, e che il sorriso che mi mostra ha ancora l'inquietante bellezza della perfezione.
L'Ebreo ci esorta a partire, e noi acconsentiamo. Ho dovuto nuovamente rinvigorire il mio corpo con l'Elisir, ma non so quanto durerà: scavare la Pietra è un lavoro complesso, e dopo che incendiarono il mio sancta sanctorum a Brema, diffido di poter trovare una nuova sistemazione. Mi ha offerto più e più volte ospitalità in quella strana terra di eretici e miscredenti dove ha trovato dimora, troppo vicina al monte che ne ha causato il suo vagare fino a questi giorni, ma ho rifiutato: ci sono religioni che non mi possono appartenere, e certe terre non hanno alberi piantati, ma croci in attesa delle persone da appendervi addosso. Lui ha scosso il capo, mormorando qualcosa nella sua lingua natìa, ed io ho finto di non sapere che ha ripreso a pregare per me. E' qualcosa che oramai nella nostra comitiva tendiamo spesso a fare, pregare i nostri dei ed i nostri misteri per sperare che questo ci garantisca a vicenda la salvezza. Pur consapevoli che l'eternità è una prigione a cui non ci è concesso sfuggire, cerchiamo il perdono in ogni possibile modo, ottenendo in cambio solamente nuovi corpi da abitare, e nuove torture che gli ignari chiamano consapevolezze. Ma finalmente siamo giunti dove dovevamo giungere, spostandoci a piedi ed a cavallo prima a sud, oltre le Alpi, e poi di nuovo viaggiando verso est, vicino all'oriente. C'è una città fatta sull'acqua, Venezia, che esiste da sempre, da ancora prima della sua fondazione, perchè è una città nata dalla mente di un folle mentre sognava, ed in quanto tale è destinata a perdurare nelle menti di coloro che ancora la devono visitare.
Lì, in una calle nascosta, c'è la porta per Babilonia, dice l'Ebreo, e S.G. conferma con una scrollata di spalle. Chissà che direbbe il Giovane, forse uno dei suoi motti di spirito fuoriluogo al punto da sembrare calzanti.
Fatichiamo giorni a trovarla, perchè Venezia nasconde i suoi segreti a chiunque sia così ostinato da volerli trovare, e mostra i suoi doni soltanto quando si decide di abbandonare ogni ricerca. E così, seduti all'ombra di un portico, un bambino si è presentato a noi. Dicono che oggi è Quaresima, ma il conto dei giorni è qualcosa a cui ho rinunciato. I suoi occhi sono azzurri, e riflettono il cielo sopra di noi come uno specchio: se esiste una descrizione dell'anima, quello sguardo mi ha permesso per pochi istanti di assaporarla. Indossa stracci sporchi con la dignità dei re, e ci tende una mano piena di graffi e dalle unghie rotte con una serietà priva di suppliche. Chiede il prezzo di qualcosa che noi non abbiamo ancora comprato, eppure ci spinge a frugarci febbrilmente nelle tasche per poterlo pagare.
L'Ebreo gli dona una fiala di un liquido verde, ci dirà in seguito che inseguì i mangiatori di loto di Omero per trovarne la pianta ed estrarne il succo: era la sua speranza di redenzione, l'oblio da ogni ricordo. Separarsene gli dev'essere sembrata una benedizione ed una maledizione, ma lì al momento non sembrò pensarci.
S.G. si è chinato ed ha sussurrato uno dei suoi segreti che tutti noi desideriamo al bambino, che lo ha guardato a lungo prima di annuire. Quale sia stata la verità che gli ha dato in pagamento non lo sappiamo, ma sembrava valere tanto quanto la fiala presa dal nostro amico comune.
Quando si è voltato verso di me, io ho avvertito un misto di angoscia e smarrimento: possedevo, in tutti i miei secoli di esistenza, davvero qualcosa che valesse il prezzo di quegli occhi, e di quella sincerità? Ero rimasto forse paralizzato da qualcosa, eppure lui non si scosse di un singolo passo, di un singolo momento. Mi guardò, ed aprendo la bocca tirò fuori da sotto la lingua una chiave, prima di porgermela.
Guardandolo negli occhi capii che il prezzo che io dovevo pagare a quella creatura sarebbe stato il farmi carico di quello che lui aveva portato fino ad adesso, il peso di guardare quell'apertura che ci accingevamo a violare.
Stretta nel pugno la Chiave, io vidi immediatamente la Porta, e tutto mi fu chiaro. Feci solamente in tempo a vederlo indicarci una direzione, prima che la pelle e la carne delle sue braccia iniziassero a mummificarsi, diventando poi un brandello di polvere. Solamente uno smeraldo verde e sferico rimaneva al centro del corpo, segno che l'Ordo Templis aveva posato le sue mani anche su questo innocente.
Non pregammo per lui, la sua anima da tempo era già andata nei reami, ma ci apprestammo a seguire la direzione del dito, verso un nuovo passaggio che non eravamo riusciti - o Venezia stessa non voleva che ciò accadesse - a notare.
Ciò che avvenne, è troppo doloroso adesso da narrare, ed oramai la candela è finita.
Ma dicono esista una Babilonia Celeste nascosta dietro una Porta, per chiunque sappia dove trovarla. E che tale Porta cambi direzione e forma nel tempo.
Se passando per una via notate un nuovo arco, o vedete un uscio dischiuso che prima non esisteva, fermatevi e rendetegli grazia, ma non osate addentrarvi, se non vi è stata data una chiave.





NOTA DELL'AUTORE:
Non sono bravo con i racconti. O meglio, credo di poter creare qualcosa, ma non è questo il caso. Questo è un esperimento più che altro, un viaggio. Per i poveri due tre lettori di turno, questi diari saranno non sequenziali, quindi non avranno uno scorrimento lineare. Immaginateli come qualcosa che di tanto in tanto trovate fra i libri, pagine sparsi in mezzo a qualche capitolo, nascosti dietro un tavolo, incastrati nella cornice di un quadro. E considerate voi il filo logico che li possa unire, la storia che possono raccontare, e l'identità dei protagonisti. Via via l'ordine risulterà chiaro, ma in mancanza di quello, ognuno acquisirà senso rileggendolo assieme ai successivi.


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