Inanimus

di Lantheros
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Genesis ***
Capitolo 2: *** Satus Innovationis ***
Capitolo 3: *** Cernere ex Simulacra ***
Capitolo 4: *** Accedente Veritas ***
Capitolo 5: *** Lumen da Aere ***
Capitolo 6: *** Ignis Animi ***
Capitolo 7: *** Oriri ***
Capitolo 8: *** Augescere ***
Capitolo 9: *** In Memoria Sacrifici - Principium ***
Capitolo 10: *** In Memoria Sacrifici - Postremus ***



Capitolo 1
*** Genesis ***


    La creatura millenaria fece ritorno al luogo di Ogni Origine.

Gli zoccoli si mossero leggeri sulla roccia vermiglia, sfiorandola appena e producendo un rumore accennato, nonostante le calzature in metallo.

L’alicorno si spostò attraverso i cunicoli della grotta, con passo leggero ma deciso. Il suo corno riluceva di magia, permettendo ad un sestante planare di fluttuare di fronte al suo volto. Attorno al baricentro del corpo alato, invece, oscillavano alcuni strani oggetti, in un moto orbitale lento e costante: sacchetti, pietre colorate e un libro dall’aspetto antico.

La creatura continuò lungo il proprio cammino, immergendosi sempre di più nelle profondità della terra. Di tanto in tanto, conformazioni cristalline luminose fuoriuscivano da alcune crepe, scacciando le ombre e permettendo di vedere senza ricorrere alla magia.

L’alicorno era difficile da scorgere poiché il suo manto era pressoché identico alle pareti rocciose. Sembrava persino che il pelo ne imitasse le asperità. Coda e criniera erano pesanti, come se la gravità li tirasse a sé più di quanto avrebbe dovuto.

Lungo il corpo e gli arti tintinnavano dei minuscoli monili luminosi, simili ad amuleti e ciondoli. Alcuni erano stati applicati al corpo in modo permanente, forando la pelle.

    L’essere millenario giunse quindi in un’ampia sala circolare e prese a percorrere una scala di rocce che conduceva nelle profondità della terra. I suoi occhi azzurri, privi di pupilla, mostravano chiari segni di impazienza e il muso era scolpito in un’accennata espressione di felicità.

A circa metà percorso, i cristalli luminosi si fecero sempre più radi e l’oscurità divenne opprimente. L’alicorno sfiorò con uno zoccolo una delle ultime fonti luminose: la zampa assunse la consistenza del cristallo e il fenomeno si dipanò al resto del corpo, tramutandolo in un equino costituito dalla curiosa sostanza minerale. Un tenue bagliore si diffuse nei dintorni, permettendogli di riprendere la marcia.

Dopo svariati minuti, giunse infine davanti ad una piccola porta in legno e la spalancò.

 

    La creatura assunse rapidamente le proprie sembianze originali: manto blu scuro e folta criniera verde smeraldo. Fece il suo ingresso in un’ampia stanza illuminata; non aveva più bisogno della trasmutazione e la dissolse.

Il luogo era stato scavato direttamente dalle viscere della terra, sempre di un intenso colore rosso scuro. Al centro vi era un falò su cui borbottava un pentolone in ferro battuto. Cristalli magici e candele dai colori più assurdi fluttuavano dolcemente lungo le pareti, come sospesi in una stasi temporale perpetua. Scansie di libri, tavolini, alambicchi e montagne di papiri erano stati collocati in modo da riempire quasi tutto lo spazio disponibile, che si sviluppava su più livelli, sempre grazie alle scalinate di pietra.

Ma il padrone di casa non aveva tempo da perdere: compì un lieve balzello, si gettò dai gradini e fluttuò magicamente verso uno dei tanti ripiani in legno. Su uno di essi erano stati appoggiati diversi contenitori di terracotta e dei fogli alla rinfusa.

L’alicorno ripose il sestante e collocò sulla superficie tutti gli oggetti che, fedelissimi, lo avevano seguito volando.

Il volto equino parve quindi accendersi di curiosità ed impazienza, quando l’alicorno prese a rivelare il contenuto dei sacchetti. Sistemò diverse polveri colorate nelle ciotole, aggiunse il liquido di alcuni reagenti sugli scaffali, quindi iniziò a lavorare di levitazione su un pestello in marmo.

Alle sue spalle vi era un enorme foro nella parete, di almeno una ventina di metri di diametro. A differenza del resto della stanza, non era illuminato e non si riusciva quindi a scorgerne il contenuto.

Passarono alcuni minuti e la creatura mistica, completamente assorta nel proprio operato, non si accorse che qualcosa stava emergendo dalle tenebre dietro di lui.

    Un’enorme zampa artigliata, grossa cinque volte l’alicorno, sbucò dalle ombre e si poggiò delicatamente sulla roccia, cercando di non produrre rumore. Scaglie rosso fuoco ne ricoprivano la superficie per l’intera lunghezza.

L’altro non parve accorgersi di nulla.

I massicci muscoli della bestia si contrassero ed un volto mostruoso fuoriuscì lentamente dall’oscurità: un colossale drago rosso, dai gialli occhi da rettile, fece la propria comparsa, osservando minacciosamente lo sventurato.

Si prese tutta la calma possibile, in modo da celare la propria presenza, e fece emergere dal foro anche l’altra zampa anteriore.

Scrutò quindi il piccolo equino per qualche istante, spalancò le fauci e fece guizzare la lingua biforcuta tra i denti affilati. Chinò il muso, alzò una zampa e si preparò a saltargli addosso per dilaniarlo.

 

“Non ora, Sirrush”, tagliò corto l’alicorno, senza neanche voltarsi. La tonalità della voce vibrava di potere magico, come se diverse voci si fossero unite per crearne una sola, impossibile dire se maschile o femminile.

La bestia draconica si immobilizzò come una statua, quindi il suo volto divenne momentaneamente intriso di delusione.

Abbassò lentamente gli artigli e riprese ad osservare l’alicorno blu. Sbuffò, visibilmente annoiato dal tentativo fallito di divertirsi con lui.

Decise quindi di coricarsi sul terreno: fece un profondo respiro e soffiò un getto di fuoco liquido sulla nuda roccia sotto di lui. Vi si distese sopra, tra sfrigolii e sfiammate. Mise le zampe una sull’altra e vi poggiò sopra il mento.

Le palpebre gli calarono a mezz’altezza.

 

Continuò ad osservarlo e l’altro continuò a dargli le spalle e a mescolare polverine e sostanze varie.

Dopo un po’, il drago decise di rompere il silenzio. Si stava annoiando troppo.

La creatura parlò con profonda e gutturale voce maschile: “A quale altra stramberia stai lavorando ora, o Demiurgo?”.

“Lo vedrai”, rispose l’amico, sempre più assorto.

Il drago non lo prese sul serio e, sicuro di non essere visto, alzò le sopracciglia in segno di sufficienza: “Mh. Come l’ultima volta, intendi? Il… progetto Ornithorhynchus, dico bene?”.

L’alicorno si bloccò e si girò il tempo sufficiente per rispondergli con tono orgoglioso: “Il mio Ornithorhynchus non è un progetto! È un prodotto perfettamente riuscito!”.

“Ah!”, ridacchiò, colpendo la roccia con un pugno. L’intera caverna tremò leggermente. Alcuni oggetti caddero ma poi tornarono diligentemente al proprio posto, fluttuando. Sirrush continuò: “Andiamo! Ti erano avanzati gli scarti di altri progetti e non hai fatto altro che metterli insieme! Cos’erano, poi? Un’anatra… un porcellino d’india e… una marmotta, mi pare?”.

Il padrone di casa riportò l’attenzione sul tavolo da lavoro: “Beh… ho preso qualcosa un po’ qui e un po’ là, te lo concedo. Ma alla fine funziona”.

“Sì ma non ci speravi nemmeno tu”.

“Non è vero. Ah e, comunque, non chiamarmi Demiurgo. Sai che non mi piace”.

“Gli altri alicorni ti chiamano così. Perché non posso farlo anche io?”.

“Ti farebbe piacere se ti chiamassi Mushushu?”.

Il drago fece un volto schifato: “Ok, ok. Capito”.

“Phanes andrà benissimo”.

“D’accordo, signor Phanes”.

“Solo Phanes”.

 

    Con quelle parole, il Demiurgo si fermò. Il corno si arricchì di magia e la cosa gli permise di sollevare magicamente un’ampolla colma di liquido rilucente.

“Quello cos’è?”, domandò Sirrush.

“Lo vedrai, lo vedrai!”.

“Dici sempre così. E poi non vedo mai niente”.

“Questa volta sarà diverso!”.

Phanes diede un colpetto di zoccolo sul pavimento e decine di libri emersero dalle scansie e svolazzarono verso di lui, disponendosi poi a cerchio. L’alicorno, con volto eccitato, prese a leggere rapidamente decine e decine di pagine.

Sirrush poggiò di nuovo il mento sulle zampe, con rinnovato senso di noia.

“Se fai esplodere di nuovo il laboratorio, sappi che ti denuncerò per maltrattamento sui draghi”.

“Non mi dire”, rispose il compagno, sempre assorto nelle letture. “Non sapevo avessi le scaglie delicate, poverino”.

“Venti centimetri di corazza non significano che non possa percepire una detonazione arcana… intendo… dolorosamente. E comunque mi stai stufando. Mi sa che torno dentro a dormire”, e iniziò a retrocedere.

“No, Sirrush!!”, lo bloccò immediatamente. “Se tutto va come deve andare... questa sarà la volta buona!”.

Il drago gli concesse un’occasione: “Mh. Sorprendimi”.

“Ci sono, Sirrush! Questa volta ne sono sicuro!”, continuò eccitato. “Credo di aver ottenuto un Infuso di Vita!”.

Sirrush rimase interdetto per qualche secondo, quindi si colpì la fronte con un palmo artigliato: “Oh, per tutti i Creatori…”.

“Non è uno scherzo! Questa volta funzionerà!”.

“Phanes”, lo riprese, con tono ammonitore. “Non c’entra nulla. NON è un tuo compito e lo sai bene”.

“Funzionerà, ti dico!”.

“Non importa!”, ribadì scocciato, agitando le zampe per aria. “Tu non hai la facoltà di animare la materia. Questo spetta ad altri alicorni”.

Phanes sembrò assumere un’espressione amareggiata: “…già. Al Demiurgo il compito di creare pupazzi di creta. Ad Aruru e ai suoi amichetti il compito di infondergli l’Alito Vitale e tutti i meriti…”.

“Phanes… sei un egocentrico, lo sai?”.

“Vorrei solo un po’ di riconoscimento per quello che faccio!”, spiegò, alzando gli zoccoli a mezz’aria e facendo tintinnare i svariati monili penzolanti.

“Ma lo hai! Tutto ciò che troverà vita nel Creato sarà per qualcosa che appartiene a te!”.

“No, Sirrush. Non è così”. L’alicorno parve intristirsi un po’ ed iniziò ad osservare l’incredibile laboratorio in cui si trovava. “Io… io rimarrò sempre dietro le quinte. Come un… come un fabbro che continuerà a creare fantastiche armi per una guerra che mai vedrò… Così… per sempre”.

Il drago cercò di essere convincente: “Senti… là fuori è in corso un progetto su scala multiversale. Le più potenti creature esistenti stanno unendo le loro capacità per generare l’Essenza di un Nuovo Mondo. Tutti devono collaborare, affinché non sia un fallimento totale. Tutto deve funzionare alla perfezione e ognuno dovrà fare la propria parte. Niente di più. Niente di meno”.

 

    Il Demiurgo rimase tuttavia estraneo alle parole delle bestia draconica. Ripose i libri e si diresse lentamente verso una parete a cui erano affissi decine di progetti su papiro, incisi in un linguaggio e una forma incomprensibili per gli esseri mortali. Portò con sè la fiala dal contenuto luminoso.

Phanes alzò il muso verso i disegni e, sempre tramite la levitazione, iniziò ad estrarre diversi tipi di materiali da un grosso baule in un angolo. Prese a vagliarli tutti.

“Ora che stai facendo?”, intervenne il drago, fuoriuscendo dalla grotta fino a metà corpo.

L’amico, estremamente concentrato, non gli rispose.

“Phanes… che stai facendo?”, ripeté.

“Devo dargli la giusta consistenza”.

“Cosa?”, chiese perplesso.

“Devo… devo trovare il giusto materiale che lo accolga”.

“Phanes… seriamente… combinerai un disastro, ne sono sicuro. Ti ricordi quando hai creato quella figura impossibile e per poco il velo del Mutamento non collassava su se stesso? Ecco, qui andrà anche peggio…”.

“Correrò il rischio”.

Sirrush, questa volta, parve innervosirsi sul serio. Raccolse fiato nei polmoni e, anticipato da un terrificante ruggito, riversò un’immensa fiammata rovente verso l’alicorno. Il fuoco si dipanò per tutto il laboratorio, annerendo le pareti e illuminando a giorno la quasi totalità dei sotterranei.

Quando le fiamme cessarono, Phanes era al suo posto, illeso, protetto da una bolla invisibile. Il suo volto era triste e melanconico, con gli occhi rivolti appena verso il basso. Alcuni oggetti erano inceneriti, altri ancora avvolti dalle fiamme.

“PHANES!!”, urlò l’amico draconico. “Questo non è un gioco!! Non puoi fare di testa tua!!”.

L’altro, per tutta risposta, si girò lentamente e lo osservò con un volto estremamente sofferente. Il drago impietrì. Non aveva mai visto il compagno in quello stato d’animo.

L’alicorno sembrò in evidente difficoltà nel parlare: “…Sirrush… io…”.

Il drago rimase in silenzio.

Phanes vuotò il sacco: “Senti, Sirrush… io… io è da millenni che… che continuo a plasmare… a definire… a modellare e combinare la materia. È bello, lo ammetto. Mi piace. Sennò non lo farei. Ma…”. La voce arcana perse di intensità e gli occhi vitrei si rivolsero ai suoi stessi zoccoli. “…ma… per quanto io possa sforzarmi… per quanto io possa spingermi oltre… mai mi verrà concessa l’occasione di creare qualcosa di mio. Di… di poter… DAVVERO creare qualcosa…”.

“Tu stai creando i mattoni per un nuovo mondo, Phanes! Non è cosa da poco”.

L’alicorno si agitò leggermente: “È questo il punto, Sirrush! Non farò altro che creare dei pupazzi di creta, dei balocchi che altre creature millenarie penseranno a rendere vitali e coscienti! A… a me… a me non verrà mai concesso di… di generare una MIA autentica creazione. Qualcosa che… che non dipenda dall’Alito Vitale degli altri… ma da me soltanto”.

La fiala incantata fluttuò d’innanzi al volto del Demiurgo, che ne osservò intensamente il contenuto.

Il drago parve calmarsi e pensò di capire cosa cercasse di dirgli l’amico.

“Io”, riprese Phanes, “…io vorrei solo… che una mia piccola goccia di vita… entrasse a far parte del Nuovo Mondo… e non soltanto fornire i mattoni per costruirlo…”.

Sirrush si mise indice e pollice sugli occhi e fece un profondo sospiro.

“Senti, Phanes…”, gli rispose con calma. “Io… ok, ho capito. Ma… ma tu non sai nulla di Creazione Vitale. Tu sei uno scultore. Non… non hai la benché minima competenza nell’animazione. Così come un animatore non sa nulla della tua arte di creazione. Ad ognuno il suo…”.

La creatura blu gli rispose con un semplice sorriso.

“Non ti sto convincendo, vero?”, domandò retoricamente il drago.

“Apprezzo molto la tua comprensione, Sirrush. Non scherzo. Ma… devo farlo. Voglio… avere una mia creazione… nel Nuovo Mondo. Qualcosa di assolutamente mio”.

“Non è previsto. Inserirai un’anomalia in un piano perfetto creato da esseri supremi. Potrebbe causare un disastro inimmaginabile”.

Phanes si voltò di nuovo verso i progetti un po’ bruciacchiati e continuò a vagliare i materiali, dando le spalle al compagno rosso.

Sirrush decise di non demordere: “Pensa… pensa alle conseguenze… e, soprattutto… che ne sai di cosa sarà? Cosa farà? Potrebbe essere un’entità cosciente o avrà l’intelletto limitato di un essere primordiale?”.

“Non ne ho la più pallida idea, amico mio”.

“Bene! Allora pensaci attentamente, prima di fare una cosa così sciocca. Se dovesse essere cosciente… come si inserirà in un piano superiore che è stato creato senza tener conto della sua presenza? Cosa succederà a lui o alle altre creature senzienti a lui attorno?”.

 

    La parole del drago continuarono a trapanare il cervello dell’alicorno, che però cercò di non dar loro troppo peso. Il Demiurgo si focalizzò nel controllare i vari tipi di materiale, esaurendoli quasi tutti. Non vi era nulla, apparentemente, che potesse soddisfare le sue esigenze. Tornò ad essere sconsolato. Il drago, intanto, continuava a blaterare e a lanciargli ammonimenti, ma non lo stava più ascoltando.

Il suo sguardo cadde quindi su un mucchio di ciarpame pronto per la fonderia. Sollevò magicamente alcuni oggetti di scarto e il suo volto parve illuminarsi, improvvisamente folgorato.

Eliminò parte del materiale e fece levitare alcune placche metalliche d’innanzi a sé. Dietro, come su uno strato inferiore, dispose infine alcuni ingranaggi arrugginiti. Sistemò la composizione dandole una forma animale ben definita e, per vederla meglio, la puntò in direzione di una fornace. Gli oggetti fluttuanti, in contrasto con il bagliore delle fiamme sullo sfondo, sembrarono essere corroborati da una calda luce vibrante. Una sorta di… energia vitale pronta ad essere utilizzata.

“Phanes!! Mi stai ascoltando??”, intervenne il drago, colpendolo con un dito sulla spalla.

 

L’amico stappò la provetta e ruotò il capo verso l’enorme creatura dagli occhi gialli.

Stava sorridendo.

 

“Sai, Sirrush?”.

“…cosa?”.

“Non so cosa potrà succedere. Ma so che succederà”.

 

Una perla di liquido scintillante fuoriuscì dalla provetta e si mescolo ad un’altra perla, questa volta rossa, emersa da un taglio che il Demiurgo si era causato estraendo uno dei suoi monili.

 

Mushushu, il drago guardiano, si chetò e fece qualche passo indietro, a testimonianza di un evento che mai si era verificato nel corso di migliaia e migliaia di anni.

 

L’avvento di un’anomalia.

 

Di un’essenza imprevista.

 

Che senza alcuna preparazione si sarebbe affacciata nel Nuovo Mondo.


Dalla materia. Alla vita.

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Capitolo 2
*** Satus Innovationis ***


    Il giovane puledro emerse dalla propria lettura. Tanto era inutile: non riusciva a concentrarsi.

L’intera cabina pressurizzata era mossa da traballii e scossoni; il ronzare assordante dei motori a carbone, nel compartimento accanto, era così possente da far tremare i vetri circolari delle piccole finestre.

Silver Dust osservò nervosamente gli altri occupanti: passeggeri, esattamente come lui e quasi tutti in viaggio da chissà quale luogo lontano. Ognuno di essi presentava tratti e vestiario provenienti da zone ai confini del Creato. Vi erano gli scialle pittoreschi degli abitanti del Deserto Orientale, ad incorniciarne il pelo color corteccia e i penetranti occhi neri; i longilinei e delicati corpi degli Shirity, dalle tonalità verde acqua e abbelliti da monili d’argento di splendida fattura; in un angolo della cabina, taciturni e dal volto serio, era impossibile non notare un assembramento compatto di Palafreni della Steppa, grossi e robusti come massi di granito.

E poi vi era lui, Silver Dust. Un gracile unicorno collocato più o meno al centro della stanza.

    Era stato lui stesso a selezionare quel posto. Pur essendo un pony di scienza, non si fidava granché di quella tecnologia a lui sconosciuta. E tantomeno si sentiva al sicuro nel volare a centinaia di metri di quota, sorretto semplicemente da un pallone riempito di gas altamente esplosivo.

Così, per tenersi lontano dai finestrini, dal paesaggio e quindi da ulteriore nervosismo, si era collocato al centro. Ma la cosa non lo aveva aiutato granché.

Non appena aveva udito il mezzo sollevarsi da terra, alla partenza, si era irrigidito come uno stoccafisso, affondando gli zoccoli nei braccioli e senza emettere un fiato. Il viaggio era però lungo e, nel corso delle ore, aveva iniziato ad abituarsi alla sensazione.

Le paratie metalliche della cabina avevano continuato a cigolare e vagire in continuazione, come se dovessero staccarsi e prendere il volo come cartone al vento da un momento all’altro. Dagli oblò, inoltre, altro non poteva scorgere se non l’azzurro del cielo e qualche sporadico batuffolo bianco: assembramenti nuvolosi di bassa quota che scorrevano veloci attorno allo zeppelin.

Dust deglutì.

    Era un magro e giovanissimo puledro dal manto grigio intenso, più precisamente grigio lilla, come amava puntualizzare lui. Coda e criniera erano neri, con alcuni riflessi blu notte, mentre gli occhi possedevano le tonalità del verde. Il suo marchio era un insieme di goccioline argentate, in grado di riflettere la luce come se avesse avuto una manciata di frammenti di specchio attaccati sui fianchi.

A differenza degli altri passeggeri, non indossava alcunché. Possedeva un semplice ma funzionale zaino a tracolla, munito di due tasconi laterali. Grazie ad esso era stato in grado di portare con sé un paio di libri e un’ampolla piena d’acqua (che aveva già nervosamente svuotato da un pezzo, per via della sudorazione da ansia).

Non trasportava altro. Da dove veniva lui, una terra lontana denominata Equestria, raramente gli abitanti indossavano abiti. Il più delle volte era qualcosa riservato ai nobili o ai pony di alto rango sociale.

L’unicorno tornò con la mente al suo luogo d’origine, per qualche istante. Si ricordò l’ultimo dialogo avuto con la sua maestra, un alicorno bianco dai lunghi crini fluenti.

 

“Sono sicura che saprai cavartela, mio caro allievo”, gli aveva detto con volto sorridente.

Silver, tuttavia, aveva cercato di nascondere l’agitazione e il senso di inadeguatezza.  “È un luogo molto lontano, è vero. Un luogo che persino io conosco solo per fama, caratterizzato da una tecnologia e una cultura a me quasi estranee. Proprio per questo voglio che tu vada là. Per studiare quei luoghi e quella cultura”.

L’alicorno si era quindi avvicinato a lui con passo gentile e gli aveva sfiorato il mento con uno zoccolo, facendo in modo che gli occhi di lui puntassero dritti nei propri.

“Non temere, Silver Dust. Avrai qualcuno ad accoglierti e sono certa che sapranno darti tutto l’aiuto di cui hai bisogno. E non sia mai che possa essere tu ad aiutare loro!”.

 

Quelle ultime parole lo avevano lasciato sconcertato.

“Tu ad aiutare loro”, aveva detto.

Durante il tragitto, il puledro ebbe modo di spulciare a menazampa uno dei libri che stava trasportando, che parlava proprio della fantomatica città di Mechanus: veniva descritta come un ingegnoso assembramento di ingranaggi e macchinari. Un ambizioso progetto per creare una metropoli avanzata, come mai se ne erano viste. Sulle pagine erano descritti minuziosamente i prodigi tecnologici adottati per ottenere il massimo dell’efficienza dall’energia a vapore, unitamente agli incantesimi di transizione più potenti del Regno.

Il grosso della popolazione di Mechanus era infatti costituita da scienziati ed incantatori. Non c’era quindi da stupirsi di come l’innovazione avesse cercato di apportare benefici al loro stile di vita.

Molte cose, tuttavia, lo lasciavano scettico.

    Silver Dust possedeva invero un dono particolare. Non era particolarmente geniale o ligio allo studio ma la sua mente era una sorta di macchina matematica, il perfetto connubio tra razionalità ed elaborazione numerica. Non era semplicemente bravo, bensì un vero e proprio portento: pur non spiccando per doti magiche particolari (cosa importante per un unicorno), Silver era in grado di eseguire complessi calcoli matematici in pochissimi istanti. Questo gli dava non solo un vantaggio sui libri ma gli permetteva di affrontare qualsiasi problematica di vita quotidiana riconducendo il tutto ad un insieme di calcoli e risultati a dir poco ineccepibili.

Era come se ragionasse in un modo che ben pochi sarebbero riusciti a comprendere.

Quando i genitori si resero conto delle sue capacità, quando ancora era un puledrino, lo sottoposero all’attenzione di alcuni esperti della Corte Reale, che ne intuirono subito le potenzialità.

Dust iniziò quindi a studiare presso una scuola prestigiosa, finché la Principessa del Regno venne a conoscenza delle sue caratteristiche uniche e lo prese sotto custodia.

I genitori ne furono molto orgogliosi, anche se quello avrebbe significato vederlo molto di rado. Silver, invece, fu solo parzialmente entusiasta della cosa. Ma era sempre stato un puledro… difficile. Raramente si relazionava con gli altri e se ne stava solitamente per conto proprio.

Senza alcun amico, andare presso la Corte Reale e studiare da mattino a sera non gli sembrò un grosso cambiamento. Sentiva la mancanza dei genitori, certo, ma il mondo matematico a cui aveva avuto accesso lo affascinava non poco e ben presto iniziò ad affinare le proprie competenze.

    Nel bel mezzo dei propri pensieri gli tornò di nuovo in mente quella frase.

“Non sia mai che possa essere tu ad aiutare loro”.

Ci aveva riflettuto a lungo ed era giunto alla conclusione che il suo portento matematico avrebbe potuto essere di qualche utilità in una metropoli costituita da meccanismi basati sul rigore scientifico. Ma era solo un’ipotesi. E lui non tollerava le ipotesi. Tutto doveva avere una risposta netta e coincisa, proprio come un’equazione non poteva rimanere irrisolta.

 

    Uno scossone lo fece tornare alla realtà.

Lo zeppelin iniziò a perdere gradualmente di quota e velocità.

Il pony grigio sperò fosse una procedura di atterraggio… e non un’avaria o qualche guasto imprevisto.

Si aprì una portella cigolante, da cui fuoriuscì un controllore col monocolo. La magia del corno gli permetteva di reggere e scrutare un’enorme cipolla ticchettante, sospesa a mezz’aria.

“Prossima fermata: capolinea!!”, dichiarò con decisione, in modo che tutti potessero udirlo. “Stazione di Mechanus Centrale, attracco imminente!!”.

Gli occupanti raccolsero i propri bagagli e quindi si sistemarono con attenzione nelle rispettive poltroncine. Dust, invece, non aveva abbandonato per un solo istante la propria postazione. Controllò che la cintura di sicurezza fosse collocata correttamente e percepì un lieve calo di tensione nel meccanismo.

Alzò una zampa, poco prima che il controllore se ne andasse.

“Mi scusi!”, intervenne, con giovane voce. L’altro si girò. “M… mi scusi!”.

Lo stallone occhialuto si avvicinò al pony dai crini neri: “Dimmi, figliolo”.

“Eh… uh… ecco… questa cintura è correttamente funzionante? Mi sembra che il meccanismo di tensione a spirale sia un po’ logoro…”.

L’altro lo osservò con sguardo inespressivo.

Dust continuò: “…e… uhm… potrebbe controllare se… cioè… c’è una ragionevole probabilità statistica che il meccanismo possa…”.

Il controllore afferrò la cintura e diede due forti strattoni.

Picchiettò quindi il capo del passeggero con uno zoccolo e si allontano da lui: “È tutto a posto, figliolo”. Aprì quindi il portello da cui era venuto e, prima di richiuderlo, borbottò: “…turisti”.

L’unicorno grigio corrugò la fronte.

Dannazione.

Perché nessuno lo prendeva mai sul serio? Sette virgola trentacinque percento di possibilità che la cintura potesse staccarsi non era qualcosa con cui scherzare, pur contemplando il margine di incertezza.

    Un secondo scossone lo convinse a sprofondare nel sedile e a non lanciarsi più in simili ragionamenti.

I motori iniziarono a rombare ancor più rumorosamente, imprimendo una spinta vettoriale opposta a quella di atterraggio. La procedura fece oscillare la cabina di viaggio come se fosse un ponte di corde sospeso nel vuoto.

“Oh… per tutti i versori…”, intonò il puledro, sentendosi cuore e stomaco salirgli in gola.

Uno dei Palafreni della Steppa iniziò a ridacchiare col vocione e alzò le zampe verso il soffitto, nemmeno si trovasse in un parco giochi.

Con la coda dell’occhio, attraverso i finestrini un po’ sporchi, il giovane puledro inizio a scorgere gli edifici esterni. Non riuscì tuttavia a scrutarli chiaramente, vuoi per l’agitazione, vuoi per una strana cappa biancastra che sembrava avvolgere buona parte del luogo.

Si udì quindi un fischio acuto e un clangore metallico da sfondare i timpani a tutti i presenti.

Un ultimo scossone indicò che il pallone era stato correttamente agganciato dai meccanismi di attracco, seguito quindi da un sibilo di sfiato e dall’apertura della portella d’ingresso.

    I passeggeri slacciarono le cinture e si diressero verso l’esterno.

Dust cercò impacciatamente di fare altrettanto, riuscendo a liberarsi solo dopo svariati tentativi.

Uno degli Shirity lo notò di sfuggita e non riuscì a trattenere una risata.

“Beh??”, inveì l’unicorno. “Il controllore l’ha quasi inceppata a furia di strattonarla!”.

 

Fu l’ultimo ad uscire.

 

*** ***** ***

 

    L’unicorno si avvicinò timidamente alla portella e sporse solamente il muso, come se ad attenderlo potesse esserci una minaccia imminente.

Tutto ciò che vide inizialmente fu una spessa cappa di vapore, che ovattava ogni cosa nei paraggi. I rumori non potevano tuttavia essere ignorati: sembrava che tutt’attorno vi fosse il vociare di una folla intera, mescolata a rumori metallici che gli ricordavano alcuni cantieri edili che aveva visto.

Quando il vapore si diradò, Dust poté finalmente capire dov’era finito. E ciò che vide lo lasciò letteralmente senza fiato.

    Lo zeppelin su cui viaggiava era attraccato su un immenso molo parzialmente sospeso nel vuoto. Solo in quel momento si rese conto di come la città di Mechanus non si trovasse in piano ma fosse stata edificata lungo l’intero crinale di una montagna.

Il porto volante era costituito da un intricatissimo sistema di travi e passerelle metalliche, quasi tutte in bronzo o ferro arrugginito, esattamente come le pareti della stazione e degli immensi edifici lontani, donando tonalità seppia a quasi tutto ciò che lo circondava.

Altri zeppelin e strambi velivoli fluttuanti continuavano a decollare e atterrare dalle numerose postazioni adibite allo scopo, permettendo ad un flusso impressionante di pony di uscire ed entrare ad ondate attraverso le grosse arcate della stazione. La struttura stessa era enorme, alta decine e decine di metri e sostenuta da un’infinità di impalcature e cavi metallici.

Il puledro iniziò impulsivamente a muoversi lungo la passerella del porto, senza rendersi conto che, sotto di lui, vi era il vuoto assoluto. Il suo sguardo era rivolto verso l’alto, con bocca lievemente spalancata per la meraviglia.

Oltre la stazione, sullo sfondo, si stagliava in un’immensa distesa di edifici e grattacieli altissimi. Essendo stati edificati su un territorio montano, l’intero paesaggio (da un lato) era costituito da una parete di strutture in salita, che si disperdevano verso la sommità della montagna. Silver mosse lo sguardo per l’intera lunghezza dell’intricatissima metropoli, scorgendo innumerevoli comignoli fumosi, per giungere quindi a ciò che lo fece rabbrividire: proprio sul cocuzzolo del monte, una colossale colonna di fumo nero si innalzava verso la volta (quasi) celeste.

L’unicorno strabuzzò i bulbi oculari.

Non poteva essere.

“M-m-ma…!”, balbettò. “Ma… ma questa non è una montagna! È un dannatissimo vulcano!”.

Poi, come se quello non fosse abbastanza, qualcosa di mastodontico emerse dalla barriera di fumo. Sulle prime non capì cosa fosse, anche perché mai avrebbe pensato che potesse esistere qualcosa di simile. Il cielo era sì costellato da innumerevoli velivoli mossi da inquinanti motori a carbone e vapore, diversi per forma e dimensioni. Ma quello li batteva tutti: decine e decine di palloni gonfi di gas erano stati uniti tra loro tramite impalcature in bronzo (o almeno ciò che poteva essere bronzo) per sorreggere un’impressionante scafo simile ad una nave da crociera con svariati intarsi decorativi e numerose bocche di fuoco. Un complesso di tubi di scarico riversava una impenetrabile scia di combusto nero dietro di sé. Due enormi ali laterali terminavano quindi in una coppia di turbine gigantesche, che emettevano un flusso d’aria diretto verso terra. A giudicare dalla moltitudine di armi che sporgeva dallo scafo, doveva sicuramente trattarsi di un mezzo da battaglia.

Il sole riluceva alto nel cielo d’alta quota (Dust stesso doveva trovarsi ad almeno un paio di chilometri di altitudine), riflettendo i propri raggi sulle pareti più o meno lucide della fregata volante e degli edifici sotto di sé.

Mai si sarebbe aspettato che Mechanus potesse essere così spettacolare.

Tanto fu lo stupore che Silver Dust prese a roteare lentamente su se stesso, con il viso fisso nel cielo. Impattò inavvertitamente contro un pedone. Questo gli fece portare l’attenzione sugli abitanti che affollavano il luogo.

Se si era sentito fuori luogo in cabina, essendo tra i pochi a non indossare abiti, allora lì avrebbe avuto di che sprofondare per la vergogna. Tutti erano vestiti e per di più con abiti tutt’altro che comuni.

Ogni pony indossava capi d’abbigliamento che sarebbero stati di moda almeno due secoli fa: giacche in doppiopetto, maniche orlate, cappelli d’altri tempi, monocoli, gilet con cipollotti, fino alle gonne con crinolina.

Tutti si muovevano a loro agio lungo le strade accanto alla stazione, nei succinti indumenti che, per il puledro, sarebbero stati perfetti in un museo o alla parata storica di Ponalamo.

Si rese anche conto di come fosse un ambiente molto affollato, dove la raffinatezza e la cura paesaggistica erano state sostituite dall’utilità pratica offerta dalla tecnologia locale. Svariati ingranaggi, piccoli come una mela o grossi quanto una casa, sbucavano casualmente da pavimentazioni e pareti, ruotando secondo ritmi predefiniti. Diverse tubature, costellate di valvole, manometri e altri strumenti, ricoprivano sinuosamente strade ed edifici. Di tanto in tanto qualcosa si apriva o scattava, emettendo uno sfiato di gas, vapore o chissà quale altra diavoleria aeriforme. Il pony dagli occhi verdi fece una rapida stima del bronzo e del ferro ossidato che erano stati impiegati per costruire quella gargantuesca giungla urbana… e rabbrividì.

Tutto era stato progettato per assicurare un perfetto funzionamento esteso, proprio come il meccanismo di un orologio esportato su vasta, vastissima scala. Ma erano così tanti i sistemi e i macchinari sparsi per la città che a stento sembrava poco più di un caotico ribollire di metallo rumoroso, unto e arrugginito.  

    Nuovamente assorto nella propria contemplazione, il puledro non si rese conto che aveva iniziato ad indietreggiare. Toccò una sezione di ringhiera con un fianco e si voltò di scatto.

Senza pensarci due volte, si aggrappò alla struttura di sostegno con gesto felino. Spalancò gli occhi e strinse i denti.

Se da un lato la “montagna” saliva di quota… dall’altro doveva condurre a valle. E Silver Dust si rese conto di trovarsi su una piattaforma che era stata edificata orizzontalmente, a diverse centinaia di metri dal suolo montano, sostenuta da immense fondamenta di acciaio sottostanti, i quali si conficcavano diagonalmente nel terreno sottostante. La città di Mechanus occupava l’intera facciata del vulcano: quindi, sotto di lui, a chissà quanti metri di distanza, case e grattacieli continuavano a perdersi a vista d’occhio, fino a valle. Il vento fischiava forte, a malapena udibile in mezzo al caos urbano, e l’intera struttura non la smetteva di oscillare debolmente.

La paura per quell’improvvisa sensazione di vuoto venne parzialmente sostituita dall’ennesima emozione di stupore quando, risollevando lo sguardo, notò il cielo che sconfinava con le verdeggianti colline, su uno sfondo distante chilometri e chilometri.

Si sostenne alla ringhiera e si riportò tentennando in posizione eretta, con la criniera lambita dal vento e il volto bloccato in un’espressione di incredulità.

Fece qualche passo a ritroso, come se in quel modo potesse illudersi di avere la terraferma sotto gli zoccoli.

Passarono i minuti e il puledro prese qualche momento per ristabilire il controllo sull’ondata di sensazioni che lo aveva travolto. Tornò a scrutare tutto ciò che aveva visto, sperando che si sarebbe lentamente abituato a quel luogo a lui completamente estraneo.

Lo ammise: non pensava affatto che Mechanus potesse metterlo in tale soggezione. Tutto sembrava ruotare attorno ad una quotidianità per lui assolutamente incredibile. Nulla di ciò che aveva visto fino ad allora si poteva minimamente avvicinare alla metropoli di metallo su cui era approdato giusto pochi minuti prima.

Gli parve di essere finito in un altro universo, modulato dal ritmico ticchettare del proprio cuore di ingranaggi e vapore.

 

    Scosse il capo e fece un profondo respiro. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi.

Dopotutto, lui era lì per un motivo. E a Mechanus ci sarebbe rimasto a lungo, almeno fino a quando non sarebbe stato richiamato dalla Principessa: volente o nolente si sarebbe dovuto abituare al luogo, agli abitanti e a chissà quali stramberie che ancora non aveva avuto l’occasione di ammirare.

Riaprì le palpebre, sfoggiando uno sguardo deciso.

Inalò nuovamente aria nei polmoni e si fece coraggio.

“Andiamo…”, sussurrò a se stesso, pronto ad immergersi nella folla di pony non lontana da lui.

 

*** ***** ***

 

    L’unicorno dal manto grigio si ritrovò nel bel mezzo di una calca apocalittica.

Si sentiva decisamente fuori luogo, in mezzo a quell’assembramento di pony di stampo settecentesco. Di sicuro i visitatori non passavano inosservati, a Mechanus.

Si mise l’anima in pace e attese pazientemente che la folla avanzasse.

La stazione di attracco era davvero ingorgata. Sapeva che, all’esterno, qualcuno era lì ad attenderlo. Non aveva idea di chi fosse. Celestia non gli aveva detto nulla a riguardo.

Dopo svariati passettini e subendo innumerevoli spintoni, riuscì finalmente ad attraversare completamente l’enorme volta metallica della stazione, in cui voci e clangori rimbombavano in tutte le direzioni.

Si ritrovò infine al di fuori della struttura, dove poté rendersi conto di come appariva Mechanus vista dall’esterno.

    Gli enormi edifici svettavano alti nel cielo, impedendo sostanzialmente ai raggi solari di illuminare decentemente le strade e gli innumerevoli svicoli che si diramavano come radici nel terreno.

Le strade erano tappezzate di piastrelle vermiglie, su cui viaggiavano scoppiettanti mezzi su ruote, pilotati da tizi in tenuta da aviatore. I veicoli erano azionati da curiosi sistemi a vapore, in parte simili alle caldaie delle locomotive che già aveva visto. Erano soltanto più piccole ma lo smog nerastro che producevano era davvero paragonabile a quello di un treno su rotaia.

A quote più elevate, come al solito, sfrecciavano improbabili mezzi volanti, mossi da propellente sotto forma di vapore o meccanismi che azionavano ali di tela, eliche e altro ancora.

Perlomeno era riuscito ad allontanarsi dalla piattaforma sospesa nel vuoto, ritrovandosi lungo le strade che risalivano le pareti del vulcano fino alla cima.

Pur rimanendo caotica e sovraffollata, la zona gli donò una maggior sensazione di respiro, almeno rispetto alla stazione da cui era appena uscito.

Scrutò i dintorni, aspettandosi di incrociare lo sguardo di qualcuno che lo avrebbe riconosciuto. Si vedeva lontano un miglio che non era di quelle parti. E poi il marchio serviva anche a quello: un immediato riconoscimento.

Attese svariati minuti, ritto sulle zampe, ma nessuno parve notarlo.

Dopo un po’ la sua mente glielo comunicò chiaramente: erano passati ventotto minuti e quindici secondi e nessuno si era ancora fatto vivo.

Decise quindi di camminare lungo la facciata della stazione: forse così lo avrebbero notato.

 

    Percorse alcune decine di metri in una direzione, stando attento a non allontanarsi troppo. Niente. Tornò quindi indietro e fece altrettanto nella direzione opposta.

Si fermò, con volto parecchio scocciato. Decise di controllare alcuni vicoletti e si rese conto di come, negli anfratti lontani dalle strade principali, grasso, olio e rottami fossero ammassati in modo tutt’altro che piacevole allo sguardo. Alcuni pony, con abiti sgualciti e aria malandata, erano seduti lungo il ciglio o camminavano lentamente per i marciapiedi. Qualche disgraziato rovistava nei mucchi di scarti metallici.

Ingranaggi e stantuffi erano in moto perpetuo, esattamente come gli altri, ma quelli in particolare gli sembrarono visibilmente logori e  rovinati, come se le opere di manutenzione fossero più uniche che rare.

I vicoli, insomma, nascondevano una realtà ben diversa da ciò che poteva invece apparire lungo i viali principali. Silver Dust decise che era meglio non addentrarsi troppo.

Spazientito, sbuffò dalle labbra, sollevando un ciuffone di crini scuri che gli era calato sul muso.

Si girò e fece per andarsene, quando un rumore improvviso lo costrinse a gettarsi a terra, digrignando i denti.

 

    Un boato fragoroso proruppe alle sue spalle. L’unicorno si coprì il capo con gli zoccoli e si sdraiò fulmineamente, come se si trovasse nel bel mezzo di una rapina in  banca. Sentì qualcosa sfrecciare sopra di lui, simile ad una lama che fende l’aria: con la coda dell’occhio intravide una grossa lamiera di metallo sorpassarlo come un frisbee. L’oggetto rimbalzò un paio di volte sulle piastrelle del viale, quindi si conficcò di netto in una delle pareti dei palazzi, sollevando una miriade di scintille. Uno dei passanti per poco non si vide fare lo scalpo e corse via urlando terrorizzato.

Silver cercò di capire cosa diamine fosse successo ma un’improvvisa cappa di fumo lo investi in pieno.

Vuoi vedere che uno di quei trabiccoli è saltato in aria?”, pensò, ancora decisamente confuso.

Non fece in tempo a terminare il pensiero che delle imprecazioni sguaiate proruppero dalla stessa direzione dello scoppio e qualcuno gli galoppò accanto, mancandolo per un soffio.

“STUPIDA PULEDRA!!”, tuonò un vocione. “CHE CAVOLO HAI COMBINATO AL MIO LOCALE??”.

Il fumo iniziò a diradarsi. L’unicorno era sempre riverso a terra e spostò leggermente una delle zampe dalla fronte, permettendogli di vedere.

    Uno stallone stava urlando da un piccolo edificio a lato della strada. Il fumo proveniva dalla porticina divelta da cui sbraitava. Della porta, tuttavia, non rimanevano che i cardini penzolanti. Il pony dai crini neri intuì come quest’ultima fosse l’oggetto che aveva appena tentato di decapitarlo.

L’energumeno (probabilmente il proprietario) era su tutte le furie. Agitava una zampa a mezz’aria e strillava a squarciagola. Sembrava inveisse verso di lui, mentre in realtà ce l’aveva con il pony che per poco non lo travolgeva.

Si rimise in piedi, spaventato quanto preoccupato. Dalle ultime lingue fumose vide emergere un unicorno.

Era una giovane puledra che indossava una curiosa bardatura, qualcosa che Dust ancora non aveva visto a Mechanus. Il corpo del pony era infatti ricoperto da una raffinata corazza formata da sottili placche sovrapposte. Il metallo, simile al rame, era tirato a specchio; sotto le giunture era invece visibile una sottoveste in cuoio. La corazza la avvolgeva completamente fino alla base del collo, zampe comprese. Sempre nei punti di giuntura, proprio sotto le placche, piccoli ingranaggi ruotavano in moto frenetico e costante. Un paio di ali meccaniche erano infine ripiegate lungo i suoi fianchi, con piume simili a lame scintillanti.

Non ebbe molto tempo per soffermarsi sul vestiario, poiché i due iniziarono a litigare animatamente.

La proprietaria della corazza possedeva un manto color creta, con scompigliati crini color ruggine, intervallati da ciuffi ramati. Anche la coda era scompigliata e sbucava dalla parte posteriore dell’armatura, su cui era stata applicato del tessuto vermiglio che le copriva parte delle zampe. Il suo sguardo, sulle prime, gli parve mortificato. Non appena l’altro iniziò ad apostrofarla con male parole, divenne tuttavia fiero e deciso, mettendo in risalto penetranti occhi smeraldo.

“MI HAI SFASCIATO LA MACCHINA PER IL CAFFÈ E DISTRUTTO LA PORTA, RAZZA DI PAZZOIDE!!”, riprese lo stallone.

L’altra rispose a tono, pur mantenendo le distanze: “HO SOLO CERCATO DI MIGLIORARE QUEL CATORCIO!!”.

“MIGLIORARE??”, ruggì. “Ti avevo solo chiesto di dargli una controllata!!”.

L’unicorno bardato aggrottò le sopracciglia: “Quella macchina era obsoleta!”, spiegò. “Con quella modifica avresti potuto incrementare la pressione peristaltica di almeno…”.

Il proprietario del locale si spazientì ulteriormente: “…peri… che cosa? Ma che diavolo vai blaterando?? VOLEVO UNA RIPARAZIONE!! ORA INVECE MI TOCCHERA’ ROTTAMARLA E PRENDERNE UNA NUOVA!!”.

“Se non avessi evitato la manutenzione periodica non…”.

“NON DIRMI COSA DEVO O NON DEVO FARE CON LE MIE COSE!! Stai pure tranquilla che farò il conto dei danni e che mi risarcirai!!”.

Dopo aver udito quelle parole, la puledra abbassò le orecchie e perse la sua baldanza. Assunse un’espressione dispiaciuta e si avvicinò di qualche passo al bestione, dichiarando con voce incerta: “…m-ma… Lo… lo sai che non ho quasi un quattrino…”.

“Non mi importa una carrucola!! Trova i soldi! Chiedi un prestito! Vendi una delle tue stramberie!!”.

“Non puoi farmi questo!!”, protestò.

L’altro si avvicinò ad un mucchio di rottami in un angolo, afferrò una paratia metallica mezza sfracassata e la utilizzò come porta momentanea. Prima di richiuderla le intimò: “QUESTA È L’ULTIMA VOLTA CHE TI FACCIO METTERE ZAMPA SULLE MIE COSE!! Non mi importa se tuo padre era un cliente abituale! Dammi i soldi e poi… NON FARTI PIU’ VEDERE!!”.

L’oggetto improvvisato si incastrò malamente nei cardini e il pony tornò all’interno, sbattendo violentemente la portella dietro di sé (che per poco non si staccò di nuovo).

 

    Silver scosse il capo, decisamente inebetito.

Che diavolo era successo?

L’unicorno di fronte a lui, dandogli le spalle, chinò il capo e parve incupirsi.

Il puledro rimase in silenzio ad osservarla. Gli sembrò l’occasione giusta per girare gli zoccoli e andarsene ma l’altra lo bruciò sul tempo: si voltò e, furente, iniziò a camminare su e giù come una furia.

“STUPIDO BIFOLCO RAZZA DI IMBECILLE PRIVO DI ENCEFALO CRETINO IDIOTA!! EHY!!”, strillò verso il locale. “AVEVO UN PAIO DI OCCHIALI CON ME, MI PARE!!”.

La portella si riaprì un ultimo istante ed un paio di occhialoni da aviatore volò verso di lei, cadendo sulle piastrelle annerite dall’esplosione.

“Mhf. Grazie a ‘sta marmitta…”, borbottò il pony in armatura, sollevando magicamente l’oggetto ed infilandoselo sotto al muso a mo’ di girocollo. Si accorse quindi che Silver la stava fissando.

“E TU CHE HAI DA GUARDARE??”, strillò inviperita.

L’altro ebbe un sussultò e si ritrasse leggermente, alzando una zampa al petto: “Orgh… eh… cioè… io…”.

La puledra gli passò accanto, allontanandosi con camminata decisa, tipica di chi aveva un diavolo per crine. Alcuni sfiati di vapore sibilarono improvvisamente da minuscole valvole della bardatura. “Senti non ho tempo”, commentò dandogli le spalle, senza smettere di muoversi. “Se anche tu vuoi rivolgermi qualche insulto allora scrivimeli e spediscimeli per raccomandata. Ho perso già fin troppo tempo, qui…”.

Dust pensò fosse meglio non rispondere e lasciare che la pazzoide se ne andasse con le buone.

La tizia si fermò all’improvviso e si voltò lentamente verso l’unicorno grigio, con occhi socchiusi.

“…quel marchio…”, sussurrò.

“Eh… q-questo?”, farfugliò l’altro, posando per un secondo lo sguardo verso la propria coda.

Il pony dai crini ramati assunse un atteggiamento a metà tra l’impettito e l’autoritario. Lo scrutò da cima a fondo e poi gli disse: “Mh… Tu sei… Silver Bust, per caso?”.

“Uh… Dust… Silver Dust…”, rispose debolmente.

“Ah”, puntualizzò, con una lieve nota di arroganza. “Quindi sei già arrivato…”.

Il pony dagli occhi dicromici avrebbe voluto lanciare un incantesimo di invisibilità (se solo ne fosse stato in grado): quella schizofrenica era il suo… comitato d’accoglienza?

“Devo ammettere”, continuò l’altra, “che mi aspettavo qualcuno un po’ più…”.

“…più?”.

“Sì insomma… fighetto”.

“…fighetto??”.

“Tu non arrivi direttamente da qualche stamberga per principessine?”, gli domandò sgarbatamente.

“Stamb… intendi il castello della Principessa…?”.

La puledra sembrò annoiata e, con volto di sufficienza, lo interruppe: “Intendo… il regno magico e incantato, con farfalle e tulipani, da cui dovresti arrivare…”.

“Il… cosa?”.

L’unicorno dagli occhi smeraldo scosse il capo, si mise una zampa sul muso e chiuse le palpebre. Fece un profondo sospiro.

“Ok”, gli disse infine. “Senti… dammi un secondo che mi riprendo. Ho ancora l’arrabbiatura che mi pompa nelle vene, come una turbina a cavitazione in un reattore…”.

Silver attese.

L’altra si avvicinò a lui e, con volto leggermente più rilassato, dichiarò: “Mi chiamo Copper. Copper Head”.

“…piacere. Silv…”.
“Sì, lo so, l’hai già detto prima. Silver Dust”, tagliò corto. “Senti… ti dispiace se ci leviamo di torno? Più rimango qui e più mi vien voglia di fargli saltare ben altro, oltre alla macchina del caffè, a quello zotico ignorante…”.

“Ah… o… ok…”.

“Seguimi”, gli intimò, trottando verso uno dei viottoli malfamati.

 

Dust, sulle prime, penso di far finta di nulla, imboccare uno svincolo e prendere il primo zeppelin di ritorno per Canterlot.

Ma aveva stretto un patto con la Principessa. Non si sarebbe fatto molti problemi a romperlo, nel caso di un pony qualsiasi… ma la Principessa… no, non poteva proprio farlo.

Così raccolse perseveranza e coraggio e (anche se con un’elevatissima dose di controvoglia) prese a seguirla.

 

Il suo ultimo pensiero, addentrandosi nei viottoli e sapendo in quale tipo di sozzume si sarebbe ritrovato, andò al richiamo antitetanica.

 

E anche a qualche spergiuro.

 

*** ***** ***

 

    La coppia trottò tra le strette mura dei vicoli laterali.

Copper era in testa, con passo spedito, mentre Silver era più impegnato a schivare la sporcizia e la spazzatura arrugginita sparsa un po’ ovunque.

Durante la veloce camminata, passarono d’innanzi a numerose abitazioni fatiscenti, logore insegne penzolanti e meccanismi rumorosi. Incrociarono anche parecchi abitanti dall’aspetto trasandato ma la puledra li oltrepassò senza farci molto caso.

Dust cercò di tenere il ritmo e poté osservare meglio la curiosa bardatura della sua nuova guida. Nonostante fosse quasi completamente di metallo, lucido e rifinito, era estremamente silenziosa. Il clangore tipico delle corazze era sostituito dal ronzio altalenante degli ingranaggi che si intravedevano dalle giunture. Soltanto alcune valvole, di tanto in tanto, si aprivano e lasciavano sfogare un filo di vapore. Il puledro intuì come quell’apparecchiatura nascondesse in realtà un’anima ben più complessa di quanto apparisse dall’esterno.

La curiosità iniziò a crescere in lui, ben presto sostituita da una sensazione di lieve preoccupazione: dove si stavano dirigendo?

“Uh…”, accennò, continuando a seguirla. “Dove… dove stiamo andando?”.

“Te l’ho detto”, rispose, senza nemmeno rallentare. “Ci allontaniamo da qui”.

“Sì ma…”, aggiunse perplesso, “…perché dobbiamo… insomma… passare per questi vicoletti? Non sarebbe molto meglio muoversi per le strade principali? Mi sembrano molto più…”.

“Non mi va di farmi vedere troppo in giro”, concluse seccamente.

“Ah. O-ok. Ma… da qui non posso vedere nulla a parte…”. Silver Dust mise inavvertitamente una zampa su una chiazza d’olio, ebbe uno svarione e per poco non capitombolò a terra. Riprese quindi a trottare. “…dicevo… a parte questo… luridume… E invece dovrei carpire informazioni sulla città e…”.

L’altra si fermò di colpo, voltandosi. Il pony dai crini scuri ebbe un leggero sussulto.

“A proposito…”, intervenne Copper, con aria indagatoria. “Esattamente tu cosa ci fai qui, mh?”.

“Ah… io… te l’ho detto… Mi ha inviato la Principessa Celestia…”.

“Ok. Intendo… a parte questo. Cosa devi fare qui? Qual è la tua scala operativa?”.

“Scala… operativa? In verità…”, confessò, “pensavo che tu potessi dirmi di più…”.

“Io? E che ne dovrei sapere, io? Ho solo ricevuto un telegramma da un fattorino, per il resto ho avuto ben altri grattacapi a cui pensare, piuttosto che progettare la tua permanenza qui…”. Dust pensò si trattasse di una puledra decisamente affaccendata. O estremamente folle. L’altra continuò: “Quindi? Cosa devi fare qui, esattamente?”.

“Beh… non saprei. Mi è stato chiesto di studiare la vostra cultura, la vostra tecnologia… insomma… prendere informazioni”. Il puledro omise volontariamente la parte in cui lui avrebbe potuto essere d’aiuto a Mechanus (per cosa, poi, manco lo sapeva).

Le palpebre dell’unicorno in armatura calarono visibilmente: “Cioè… fammi capire… La Principessa ti manda qui senza un obiettivo preciso se non… studiare le nostre usanze?”.

“Detta in parole semplici… sì”.

“Ah!”, ridacchio sfacciatamente. “Voi sempliciotti di campagna pensate di venire a Mechanus a prendere appunti?”.

Il matematico non era tipo da polemica ma l’atteggiamento strafottente della puledra iniziò ad innervosirlo. Le lanciò un’occhiataccia: “…siete tutti così nervosi da queste parti o sei tu ad aver bevuto troppo caffè? Intendo… prima di far esplodere qualche altra caffettiera…”.

L’altra tornò improvvisamente seria e lo ammonì: “Ehy…”.

“Senti”, cercò di spiegare. “Sono qui da meno di un’ora e mi son visto quasi mozzare la testa da una porta rotante, sono stato investito da un’esplosione ed ora sto correndo con una sconosciuta in mezzo a vicoletti puzzolenti. Scusa se mi chiedo se sono l’unico sano di mente, qui”.

“Mhf”, borbottò l’unicorno color creta, alzando le sopracciglia. “Ok, ok… Va bene. Quindi? Che vorresti fare?”.

Silver si grattò la chioma: “Uhm… Magari potrei… non so… fare un giro per Mechanus, tanto per cominciare?”.

“Stiamo girando per Mechanus…”.

Il puledro si sentì preso in giro: “Intendo… fuori da vicoli fetenti. E possibilmente alla luce del sole”.

L’altra sospirò, come se la cosa non le piacesse affatto: “Uff… va bene, come vuoi. Facciamo un giro per la città. Buttiamoci in mezzo alla calca di passanti e al casino del pieno centro…”.

E lo condusse al di fuori dei budelli.

 

    La coppia sbucò in una grossa piazza circolare, sufficientemente ampia da far arrivare un po’ di sole. La zona era lambita dal solito andirivieni di passanti, mezzi e velivoli. L’ambiente, pur rimanendo tutt’altro che lindo, era decisamente più ordinato e presentabile, rispetto alle stradine che avevano appena abbandonato.

Attorno alla piazza, al pian terreno dei colossali edifici, era persino possibile ammirare alcune vetrine con assurde stramberie esposte.

Silver Dust si prese qualche minuto per rimirare l’ambiente a lui completamente estraneo. Copper Head, invece, si annoiò rapidamente: “…soddisfatto? Ora possiamo andarcene?”.

“Che fretta che hai”, protestò. “Siamo appena arrivati. Dammi almeno il tempo di scrivere qualcosa”.

L’unicorno dai crini color ruggine ruotò gli occhi al cielo, mentre il compagno estrasse magicamente un libro e una matita. Li tenne sollevati d’innanzi a sé e si concentrò verso ciò che stava osservando. Iniziò a scrivere, cercando di estraniarsi dal rumore della folla e dell’intera città.

Si avvicinò quindi ad una delle vetrine e vide alcuni manichini agghindati con gli abiti d’altri tempi che quasi tutti indossavano. In un altro negozio vide invece strani alambicchi di metallo, di cui si domandò l’utilità. Notò inoltre come, a quasi ogni angolo delle mura urbane, fosse affissa una miriade di volantini, dalle dimensioni variabili. Su ognuno di essi era reclamizzato un qualche tipo di prodotto, dalle creme ringiovanenti all’ultimo modello di mezzo su ruote. Le pubblicità ricordavano la propaganda di quasi un secolo fa, con pony sorridenti e acquirenti felici.

 

Mai più con gli zoccoli a terra, con la nuovissima Speedster 3000!”, era riportato su un cartellone, che raffigurava un tizio che, gioioso, guidava un osceno veicolo a carbone, pieno di tubi e marmitte.

 

Su un altro vi era riportato un pony triste e stanco, schiacciato da una montagna di fogli da compilare.

La stanchezza ti annerisce? Mandala in bianco, con la nuovissima Pillola Rinvigorente!”.

Seguiva un’altra scenetta in cui il pony, improvvisamente pimpante e muscoloso, si disfava bellamente del mucchio di carta.

 

Copper Head, intanto, si sedette ad aspettarlo, vagamente nervosa. Iniziò a scrutare con diffidenza chiunque le passasse attorno, come se si sentisse in enorme disagio o dovesse nascondere qualche segreto. Non le piaceva starsene ferma in un posto troppo a lungo, così colse la palla al balzo.

“Ehy, coso. Dust?”, disse al pony.

“Mh?”, mugugnò l’altro, assorto nelle proprie scritture.

“Senti… da qui non si vede nulla. Perché non saliamo un po’ lungo il crinale? Più in alto ci dovrebbero essere dei punti di osservazione”.

Silver si bloccò, improvvisamente interessato, e ruotò lentamente il capo in direzione dell’altro unicorno.

 

“Nel mentre”, continuò Copper, “potrei spiegarti qualcosa in più su Mechanus. Che ne dici?”.

 

*** ***** ***

 

    I due si ritrovarono quindi a marciare lungo una lieve pendenza in salita, verso alcuni degli edifici posti ad altitudini maggiori.

Questa volta, Copper stava camminando tranquillamente, a fianco dell’altro, e sembrava essere meno nervosa.

Dust, sempre col libro sollevato, la ascoltava con attenzione, scrivendo qualcosa di tanto in tanto.

“...così, dopo aver affinato la tecnologia a vapore”, gli spiegò l’abitante di Mechanus, “partì un enorme progetto per l’integrazione dei meccanismi per l’edilizia”.

“Affascinante”, commentò il puledro, prendendo nota. “Non ho mai visto un uso così intensivo della forza vapore”.

Copper non era troppo avvezza al ruolo di oratrice ma si sentì in dovere. Era pur sempre un allievo della Principessa.

“Già”, rispose. “Beh, è il motivo per cui Mechanus è famosa, dopotutto”.

La coppia continuò a camminare, dirigendosi verso uno spiazzo in fondo ai viali, passando in mezzo al solito trantran di macchine e abitanti.

“E… che materiali sono questi?”, chiese, osservando i numerosi edifici attorno. “Dall’aspetto direi… bronzo? Rame? Qualche lega particolare, insomma?”.

“Più o meno. Mechanus estrae una quantità spropositata di minerali. In parte li vendiamo e in parte li convertiamo in materiale da fonderia”.

“Quindi sono metalli raffinati?”.

Copper si fermò e puntò uno zoccolo in direzione della lontana colonna di fumo del vulcano.

“Lo vedi quello?”.

“Direi che si nota facilmente…”.

“Bene. Ora segui la mia zampa”. Con quelle parole, Dust notò un complesso e intricato sistema di tubi che proseguiva fino a valle, in parte sospeso sopra o tra le abitazioni, in parte interrato sotto le strade.

“Quei condotti”, riprese, “convogliano il magma incandescente dritto a valle”.

“M-magma??”, sbottò preoccupato. “Ma… ma non è possibile!”.

“Non sarebbe possibile… se non fosse che i metalli di Mechanus vengono fusi sotto l’assistenza di incantatori specializzati nell’arte della fusione. Si tratta di un materiale estremamente flessibile e refrattario al calore. Fornisce inoltre un isolamento perfetto e consente alla lava di giungere a valle senza solidificarsi”.

Silver stentò a crederci: “E… perché convogliate la lava?”.

L’insegnante improvvisata lo invitò a controllare il paesaggio alle sue spalle, costituito da colline e vallate lontane, piene zeppe di enormi laghi.

“Vedi quelle pozzanghere un po’ grosse? Si chiamano laghi”. Dust si sentì di nuovo trattato come un poppante. “La lava viene spedita in alcune strutture ed utilizzata per produrre vapore pressurizzato dall’acqua dolce. Condotti analoghi permettono quindi al vapore di risalire e venire poi distribuito per l’intera città, grazie ad enormi centraline di smistamento”.

“…pazzesco… sul serio…”.

“L’esubero torna nell’atmosfera e il processo di condensazione dei pegasi fa il resto. Poi piove, l’acqua torna ai laghi e…”.

“Sì, grazie”, la interruppe infastidito. “Conosco il normale ciclo piovano…”.

“Ah già. Dimenticavo che tu vieni dai campi di riso”.

Il pony grigio cercò di risponderle per le rime ma Copper lo invitò a raggiungere lo spiazzo.

 

    Il piazzale, meno affollato rispetto al centro cittadino, era stato costruito orizzontalmente, proprio come la stazione di attracco. Era però molto più piccolo e grazioso, con strane sculture metalliche sparse qua e là (forse una forma d’arte decisamente atipica per le abitudini del puledro). Non vi erano passerelle, sotto i loro zoccoli, bensì solide e (quasi) lucide piastrelle. Grazie a tale conformazione, Dust poté ragionevolmente avvicinarsi alle ringhiere, senza farsi cogliere dalle vertigini.

E non poteva non ammetterlo. Mechanus, vista da certe angolazioni, era davvero spettacolare. Un lucente tappeto urbano di sotto; prodigiosi velivoli fluttuanti sparpagliati invece nel cielo.

Dopo una breve pausa per ammirare il paesaggio, riprese a segnarsi alcune cose sul libro.

Copper Head si avvicinò alla ringhiera e vi poggiò le zampe anteriori, evidentemente abituata a sporgersi da simili altitudini.

Silver sollevò gli occhi per un istante e si accorse di come il volto della compagna si fosse momentaneamente perso verso l’orizzonte, con un vago segno di melanconia.

Ripose delicatamente il libro nella sacca e scrutò meglio la città, decidendosi poi a farle altre domande.

“…ho anche notato…”, sussurrò, “…che c’è una certa… disparità sociale… o sbaglio?”.

L’altra si voltò sorpresa: “…ti riferisci a…?”.

“Da qui non si nota bene, inghiottito dalla maestosità di questi grattacieli. Ma è impossibile non notare il degrado di alcune zone… come dire? In ombra?”.

“No… no, hai ragione”, ammise, con un velo di tristezza. “È uno degli effetti collaterali di questo boom demografico”.

“Crescita incontrollata?”.

“Diciamo che il problema più grande è stato il potenziale che i privati hanno intuito in questa città”.

“Privati? Intendi… ditte private?”.

“Esattamente. Questo posto è un concentrato di minerali interrati, opportunità capitaliste e altre cose interessanti. Cose che solo a Mechanus possono essere trovate”.

“Il vapore? I velivoli?”.

“Non solo il vapore. Nel vulcano di prima, ad esempio, vengono estratte le Pietre Ignee. Sono rocce incantate che nascono nelle profondità dei luoghi più caldi del Creato. Hanno la proprietà di trattenere e sprigionare quantità incredibili di calore, per le loro dimensioni. Una risorsa più unica che rara, soprattutto per lo sviluppo di mezzi semoventi mossi da vapore”.

Il vento d’alta quota si levò gentile, scompigliando leggermente le chiome ai due.

“Insomma c’è stata una sorta di… corsa al fuoco?”, ipotizzò il visitatore.

“Sì. Un sacco di imprenditori sono giunti per fare fortuna e, tra tutti, sono spiccati solo i più ricchi e potenti. Gli altri o sono falliti o sono stati mangiati dai pesci grossi. Si sono fatti una montagna di soldi, investiti nello sviluppo di infrastrutture, per fare ancora più quattrini”.

“Un circolo vizioso…”.

“Già. Peccato che, in mezzo a tutto questo sviluppo, c’è chi deve andare a lavorare negli scavi, in condizioni pietose… per garantire vapore e comodità ai ricchi che sono nati da questo sviluppo smodato”. La puledra si girò ad osservare la piazza. Era molto bella ma, in alcuni angoli più o meno nascosti, iniziavano ad intravedersi lerciume e povertà. “Il grosso della città, vista da occhio inesperto, può sembrare una sorta di… enorme macchina prodigiosa”, narrò, aiutandosi con ampi gesti delle zampe.

Poi si incupì leggermente.

“La verità… è che il degrado viene nascosto. Gli operai ed i manovali partono all’imbrunire e tornano a casa prima dell’alba, viaggiando ammassati su enormi zeppelin volanti o in colossali treni a vapore. Nessuno quasi li nota. Vengono pagati una miseria, mentre le industrie si arricchiscono in modo spietato. E tutto questo è stato incentivato dall’espansione incontrollata, che non ha lasciato il tempo ai capitali di diluirsi tra la popolazione”.

Silver si sfregò una zampa, mostrando un volto estremamente dispiaciuto: “Uao… cioè… non… non credevo che esistesse una realtà simile…”.

Copper lo invitò nuovamente a controllare l’enorme città di metallo, con un ampio gesto dello zoccolo: “Da fuori potrai vedere una stupenda pelle scintillante. Ma sotto… nelle viscere… il vero cuore di Mechanus viene mosso da un unico insieme di povertà e miseria”.

“E la giustizia non fa nulla?”, domandò indignato. “Non potete denunciare queste cose al vostro Regnante?”.

L’altra gli rispose con una risata forzata, quindi cercò di essere più precisa: “Regnante? Vuoi scherzare? Forse, da dove vieni tu, c’è una puledra volante dai boccoli dorati, in grado di gestire in pace ed armonia qualche villaggetto sparso per le campagne. Qui, invece, hai idea della densità demografica in cui ci troviamo?”.

“Beh ma dovrà pure esserci qualcuno che gestisce questa parte del Regno!”.

“Certo. Attualmente è… uhh… aspetta fammi controllare…”. Il pony dagli occhi smeraldo controllò alcuni manifesti, quindi puntò lo sguardo sull’enorme fregata che volava nel cielo.

“Umh…”, bofonchiò. “Direi che quello è lo stemma dei Divites. Sì. Sono loro in carica, attualmente”.

“…carica? Cioè non avete un Regnante fisso?”, domandò perplesso.

“Te l’ho già detto, pony di campagna. Qui non ci sono Regnanti. L’ordine generale viene mantenuto da chi ha più soldi, per farla breve”.

Dust sembrò trasalire: “…ma! È un’assurdità! In pratica vi fate comandare dal più ricco??”.

“Qualcosa del genere. I soldi sono tutto, a Mechanus. Te ne renderai ben presto conto”.

    L’allievo della Principessa notò quindi un piccolo distaccamento armato eseguire una breve ronda attorno al piazzale. Anche Copper li notò e distolse subito lo sguardo, come se non volesse farsi vedere.

Era una manciata di unicorni, ricoperti da una pesante e rumorosa corazza di bronzo o rame (o qualsiasi cosa si avvicinasse all’aspetto dei due materiali). Gli stalloni, con andamento lento e implacabile, si spostarono con circospezione tra i passanti. L’armatura doveva essere molto pesante, con spessi rinforzi applicati al petto, agli zoccoli e al collo. Inquietanti elmi ne nascondevano i volti: la celata poteva ricoprirne l’intero muso ed era stata modellata imitando il ghigno rabbioso di un equino. L’unicorno in testa, tuttavia, teneva il viso scoperto.

L’armatura di Copper Head, in confronto, sembrava una vestaglia intarsiata. Le loro erano enormi, sproporzionate e, con quegli elmi, anche piuttosto spaventose. Su ciascun fianco portavano rispettivamente uno scudo circolare pieno di bozzi e una lancia stranamente corta.

Uno dei soldati pizzicò un poveraccio intento ad elemosinare. Il suo corno, debitamente protetto dal casco, in modo da farne uscire solo la parte terminale, accumulò potere. La lancia prese a levitare di fronte a lui e, dopo uno scatto metallico e sbuffi di vapore dall’impugnatura, triplicò quasi di lunghezza, puntando dritta al petto dello sfortunato.

La voce dell’energumeno proruppe profonda e metallica, amplificata dal metallo che indossava: “Non è permesso svolgere simili attività illegali, feccia”.

“M-m-ma… ma io…” protestò.

“Seguici e non fare storie”, gli consigliò il pony dal volto scoperto. “Opponi resistenza e dovremo agire con la forza”.

L’altro non poté far altro se non ubbidire.

Lo portarono via, accompagnati dal clangore delle loro corazze.

 

    Dust tornò con l’attenzione sulla compagna, che parve visibilmente risollevata.

“Quella è… la vostra forza di sicurezza?”.

“Chiamali pure così”, commentò infastidita. “Io userei termini ben più folcloristici…”.

“Ma a chi obbediscono?”.

“Difficile dirlo. Ogni tanto si mettono al servizio del riccone in carica… ogni tanto si comportano da mercenari… altre volte obbediscono solamente a se stessi”.

“Che caos…”, sussurrò il puledro, scuotendo il capo. Si accorse quindi di come non fossero di certo gli unici soldati, da quelle parti. Ce n’erano più o meno ad ogni angolo della città.

Udì quindi un tonfo lontano e si sporse dalla ringhiera, per osservare meglio. Sotto di loro, in mezzo ad uno dei viali lontani, notò qualcosa di gigantesco avanzare lentamente per le strade.

Era una poderosa macchina a vapore, grossa quanto una casetta. Possedeva le sembianze di un equino di metallo e si muoveva con passo lento e pesantissimo, producendo vibrazioni ad ogni colpo di zoccolo sul lastricato. Attorno a lui, di scorta, vi erano altri soldati in armatura.

“CHE CAVOLO È QUEL COSO??”, domandò sbalordito.

Il macchinario cigolava e strideva come un ferrovecchio, accompagnato da costanti fughe di vapore. Ciò che non era protetto dallo spesso strato di corazza metteva in bella mostra ingranaggi e meccanismi in costante movimento.

“Oh, quello?”, rispose l’altra, con aria annoiata. “Quello è un Calcator. Ma io lo chiamerei grosso e rumoroso aggeggio su zampe”.

“È grande quanto il vagone di un treno!”.

Il Calcator si fermò e il suo muso, con due grosse lenti un po’ sporche come occhi, ruotò alcune volte, producendo nuovamente stridii fastidiosi. Riprese quindi la propria marcia, dopo l’ennesimo sfiato. Sembrava una sorta di soldato troppo cresciuto, con una corazza ramata mostruosamente pesante. Era anche discretamente danneggiata, piena di graffi e ammaccature.

“E poi”, domandò nuovamente l’unicorno grigio, “non vedo alcun tipo di combusto! Solo sfiati di vapore! Come fa a muoversi?”.

“La Pietre Ignee, te l’ho detto prima. Con una manciata di pietruzze magiche e una caldaia, quell’affare può sviluppare pressioni così potenti e così a lungo da permettergli di marciare per ore ed ore. L’interno è occupato da uno di quei maniaci militari: basta legarsi alcuni cavi in punti chiave del corpo e l’aggeggio riprodurrà i movimenti del pilota”.

“Ma a che diavolo serve?”.

“Tante cose”.

“…cose?”, ribadì incerto. “Cavolo, Copper! Le ho viste le corazze e le armi di quei tizi! Sembrano piuttosto logore e malandate… e questo significa che le usano spesso”.

L’altra assunse un atteggiamento schivo e sembrò evitare il discorso.

Dust riprese a controllare la pattuglia: “…più che una forza di sicurezza sembra un distaccamento d’assedio…”. Alzò quindi gli occhi al cielo e notò le spaventose armi da fuoco che la fregata volante aveva in bella mostra. Il puledro si voltò verso l’altro unicorno per porle altre domande ma Copper si stava lentamente allontanando.

“Ehy! Dove vai?”.

“Mi sono stufata di stare qui”, gli rispose, con voce calante.

Il pony grigio riaccorciò le distanze. Aveva la netta impressione che l’altra volesse volutamente chiudere il discorso. Ma lui non era molto avvezzo all’empatia sociale, così pensò di poter essere in errore.

“O-ok. Ma… riguardo questi soldati…”, continuò mettendosi al suo fianco.

“Sono soldati”, sbottò seccamente l’altra. “Prendono, pigliano, affettano. Fanno roba da soldati. Voi non avete soldati, da dove vieni?”.

“Beh, sì ma… ma non sembrano equipaggiati come se dovessero muovere guerra da un momento all’altro…”.

Copper si fermò: “Senti… mi hai riempita di domande… ti spiace se facciamo un po’ di pausa, per oggi? Ho la gola secca…”.

Quelle parole non convinsero per niente il giovane, che decise comunque di non insistere ulteriormente.

Pensò di porle un’ultima domanda: “Solo un’altra cosa”.

“Mi sembrava di averti detto: basta per oggi”.

Dust alzò gli occhi al cielo: “Noto che è pieno di aggeggi volanti, qui a Mechanus. Ma di pegasi nemmeno l’ombra”.

“Queste zone sono interdette al traffico aereo dei pegasi”.

“…come, scusa?”.

L’interlocutrice, sempre più spazientita, cercò di essere chiara: “I pegasi non possono volare, fatta eccezione per determinate scorte armate”.

“E per quale motivo, scusa?”.

Copper alzò le spalle: “Che vuoi che ti dica? È così e basta. Il grosso di Mechanus è composto da unicorni. Credo che gli unicorni, da queste parti, abbiano da sempre invidiato la capacità di volare dei pegasi. Quindi, quando si sono arricchiti e ne hanno avuto la possibilità, hanno creato un traffico aereo artificiale, rendendolo l’unico legalmente tollerato”.

“Quindi non c’è solo un divario sociale… ma anche… razziale?”.

“Cosa ti avevo detto un attimo fa? I soldi sono tutto, a Mechanus”.

“Non credevo si arrivasse a simili livelli…”.

“Ti dirò di più. La maggior parte dei manovali che lavora nelle cave sono tutti pony di terra. Un’assonanza beffarda, non trovi?”.

Silver notò le lunghe ali metalliche che il pony bardato teneva ripiegate sui fianchi.

“È per questo che la tua corazza ha… le ali?”.

Copper si fermò, quindi si voltò verso di lui, con aria saccente.

“Primo”, specificò, alzando uno zoccolo e chiudendo gli occhi. “Questa non è un’armatura. È un esoscheletro di potenziamento assistito. E secondo…”.

“…secondo?”.

“Niente. Niente di importante…”, concluse, riprendendo la marcia.

“Può o non può volare? E poi sei l’unica, in giro, ad indossare una cosa simile. Non ne ho viste altre, perlomeno”.

Ogni cosa, in lui, sembrò infastidire Copper e il puledro non ne comprese il motivo.

“Senti… ti ho già detto che per oggi chiudiamo qua. Magari ne riparliamo domani, mh?”.

“…d’accordo. Come vuoi…”.

“Bene. Arrivederci”, e fece per allontanarsi.

“Ehy! Come arrivederci??”, trasalì.

“Me ne torno a casa. Tu vai dove preferisci”.

“Ma non ho un posto dove stare!”.

“Beh, pagati un ostello. Sei il ninnolo di una Principessa. Scommetto che in quelle sacche avrai borse di monete o un mazzo di assegni firmati”.

“In verità la Principessa confidava nella tua ospitalità…”.

L’unicorno in armatura assunse un atteggiamento indisponente: “Cosa? Non scherzare. Non ho il becco di un quattrino. Riesco a malapena ad arrivare a fine giornata, figuriamoci se devo mantenere te durante la tua visita di piacere…”.

“In verità”, la informò Dust, “la Principessa coprirà tutte le spese del caso…”.

Copper Head rizzò le orecchie e parve accendersi improvvisamente di interesse. Scattò come una molla verso di lui e, con gesto inspiegabilmente rapido, gli stritolò le guance tra gli zoccoli.

“STAI DICENDO”, berciò, “CHE… che finché tu rimani da me… avrò le spese coperte dalla tua Principessa Boccoli d’Oro??”.

L’altro si sentì il volto chiuso in una morsa d’acciaio. Con labbrucce sporgenti e occhi preoccupati rispose: “uhhhh… fì?”.

“AH!!”, esultò, mollando la presa. “Ma allora questo cambia tutto!!”. Gli diede quindi una poderosa zampata sulla schiena, infliggendogli un colpo decisamente violento, forse grazie all’esoscheletro che indossava. “Sei il benvenuto nella mia stamberga fino a contrordine!!”.

“Gra… grazie…”, rispose, sentendosi in realtà accetto solo per via della convenzione monetaria.

“Oh, per tutte le valvole!”, festeggiò, sfregando gli zoccoli tra loro. “Potrò finalmente mangiare pasti decenti dopo… dopo mesi!!”.

Con quelle parole, gli fece cenno di seguirla ed iniziò a galoppare lungo una via secondaria.

Il matematico iniziò immediatamente a correrle dietro ma si rese presto conto di come qualcosa non andasse. Quella puledra sembrava un corridore professionista: compiva falcate pazzesche, sterzando bruscamente ad ogni angolo e senza perdere la presa sul terreno. Gli ingranaggi della tuta ruotavano e sibilavano a pieno regime.

Non aveva dubbi.

Quell’esoscheletro, qualsiasi cosa fosse, le permetteva di eseguire manovre decisamente strabilianti.

Chissà cos’altro avrebbe potuto compiere, tramite quell’arnese?

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust e Copper Head raggiunsero una delle stazioni ferroviarie, proprio quando il sole iniziava ad eclissarsi al di là del vulcano.

Il marchio sul fianco dell’unicorno iniziò a riflettere i primi bagliori rossastri del tramonto e i due attesero pazientemente il convoglio, che non tardò ad arrivare.

Dust vide sopraggiungere una locomotiva gigantesca, grossa almeno tre volte quelle che era abituato a vedere in Equestria e ben più rumorosa. Possedeva numerose ruote circolari e una moltitudine di comignoli fumosi. Lungo le fiancate, invece, spiccavano tubi e manometri di ogni forma e dimensione.

La colonna di vagoni era immensa e il visitatore ipotizzò che quello fosse il motivo di una locomotrice così grande.

Salirono, immediatamente schiacciati contro un angolo dalla folla di passeggeri.

    Si sorbirono quindi un viaggio piuttosto lungo, in cui il mezzo prese via via a svuotarsi. Quando ci fu un po’ più di spazio, Silver si avvicinò ad una delle finestre (decisamente sporche) e prese ad osservare il cielo lontano, che diveniva sempre più scuro. Per contrasto: gli edifici di Mechanus si arricchirono di innumerevoli lucette luminose (uno dei tanti vantaggi permessi dal vapore centralizzato).

Gli stabili, durante il tragitto, iniziarono lentamente a cambiare. Gli altissimi palazzi vennero progressivamente sostituiti da strutture molto più basse e larghe, dotate di camini da cui usciva un fumo denso e nero. Qualcosa gli fece intuire che si stavano allontanando dall’area urbana, per entrare nell’ancor più inquinata zona industriale. L’aria, all’esterno, divenne infatti scura e pesante, rendendo il crepuscolo tutto tranne che luminoso, e le luminarie parzialmente occultate dal velo di combusti.

“La prossima fermata è la nostra”, lo informò Copper, con un tocco sulla spalla.

Il veicolo iniziò a rallentare.

“Ma non dovevamo andare a casa tua?”, domandò scettico.

La carrozza ebbe un sussulto e i fischi dei freni saturarono i timpani dei passeggeri.

Il meccanismo a pressione si svuotò, permettendo alle portelle di spalancarsi.

“Infatti”, gli rispose uscendo.

Il compagno la seguì all’esterno e si ritrovò circondato da uno stuolo di industrie a pieno regime.

Gli bastò un unico respiro per percepire un odore simile a quello delle ferramenta, accompagnato da un improvviso bruciore in fondo alla gola. Tossì alcune volte.

Le strade erano praticamente deserte, illuminate da sporadici lampioni e assolutamente piene di sporcizia d’ogni sorta: ammassi metallici, barili scoperti da cui gocciolavano sostanze oleose e, per finire, rottami di veicoli abbandonati da chissà quanto.

I numerosi volantini pubblicitari di Mechanus erano giunti fin lì, trasportati dal vento, e viaggiavano per le strade come sterpaglie in un deserto .

Il trambusto delle folle era assente, sostituito però dalla cacofonia di meccanismi e reattori posti all’interno di ciascuna struttura. Le pareti delle fabbriche riuscivano solo in parte a mascherarne la presenza, creando di fatto un costante clangore di sottofondo.

Silver riportò l’attenzione sull’unicorno dai crini rugginosi e riprese il discorso di prima: “Quindi tu… abiteresti da queste parti?”.

“Esatto”.

“Mh…”.

“Sì, lo so. Non è propriamente l’angolo più accattivante di Mechanus”.

“Sembra un settore industriale”.

“Lo è”, gli spiegò, iniziando a trottare e invitandolo a seguirla. Gli unicorni presero a muoversi lungo le strade, caratterizzate da incroci perfettamente perpendicolare ed equidistanti tra loro. La simmetria geometrica del luogo era impeccabile, creando una ripetitività che avrebbe mandato in confusione chiunque. E non c’erano quasi indicazioni. Copper Head continuò a parlare: “Qui è dove vengono condotte le materie prime, per essere trasformate in prodotti elaborati”.

“Le fonderie?”.

“No. Le fonderie sono sul picco del vulcano, in modo da avere a portata di zampa sia il calore che i minerali estratti. Qui arrivano materiali in parte già processati”.

“Quindi… tu vivresti in mezzo alle fabbriche?”.

L’altra si voltò verso di lui con volto infastidito: “Beh?? Ti crea qualche problema?”.

“N-no!”, ribatté preoccupato. “Era… era solo per sapere…”.

Copper riprese la marcia. Dust, invece, era sempre più convinto che quella puledra avesse una scorza molto dura. C’erano tante cose che la infastidivano e di cui non voleva parlare. E di certo lui non era intenzionato a mandare su tutte le furie una sorta di unicorno agghindato con una corazza ad ingranaggi. Preferì tacere.

Proseguirono in silenzio, con la compagna in testa, muovendosi tra i fabbricati rumorosi. Dopo un po’, Silver notò come si stessero addentrando in zone dismesse: gli edifici divennero via via vuoti, silenziosi e abbandonati a se stessi. Anche le luminarie erano più esigue; la maggior parte di esse rotte o mal funzionanti. Le vetrate degli stabili erano quasi tutte in frantumi o ricoperte da assi inchiodati.

Il frastuono e la luce delle fabbriche in funzione divennero sempre più tenui, lasciando il posto ad un ambiente oscuro e lambito dal lieve ululare del vento.

Poi, senza nemmeno voltarsi e continuando a camminare, Copper snocciolò rapidamente una frase. Dust percepì una certa dose di disagio, nelle sue parole.

“È un locale in sublocazione. È conveniente…”.

“Mh?”.

“Dove vivo, dico. Non posso permettermi altro, con le mie finanze. A dire il vero… è già tanto che io abbia un tetto sopra la testa”.

Il pony dai crini scuri si domandò se fosse vero. Si era potuta permettere una corazza così strabiliante… Possibile che avesse difficoltà a pagare l’affitto?

“Posso… posso chiederti che lavoro fai?”.

Copper ebbe un attimo di esitazione: “Non saprei se chiamarlo davvero lavoro”.

Dust si fermò; la puledra, quando se ne accorse, fece altrettanto o lo guardò con aria interrogativa.

Il compagno la fissò intensamente.

“Scusa, Copper”, disse infine. L’altra spalancò le palpebre, visibilmente sorpresa. “Hai ragione. È tutto il giorno che ti assillo. Mi pare anche che tu abbia avuto un po’ di grattacapi… ed ora ti sto facendo domande troppo riservate. Scusami”.

Quelle parole fecero uno strano effetto alla compagna che, sulle prime, non seppe cosa dire. Rimase alcuni secondi immobile, fissandolo negli occhi.

“Non… non fa niente…”, farfugliò, come se quel discorso la mettesse in imbarazzo. Si voltò di scatto e  riprese a trottare.

 

    Dopo un paio di svincoli giunsero infine di fronte ad una grossa fabbrica dismessa.

Tutto era buio e silenzioso. Dust si mise davanti all’enorme struttura in mattoni rossi e alzò lo sguardo, seguendola per tutta l’altezza. Era davvero grossa e terminava con numerosi comignoli che sfidavano le leggi della gravità, completamente inattivi. Vi erano delle finestre, per lo più integre, nonostante molte fossero state rotte o sbarrate con scarti metallici.

Tutt’attorno erano presenti enormi mucchi di rottami e lamiere, oltre le solite chiazze d’olio e lampioni semifunzionanti.

Vi era un’enorme insegna in ferro battuto, sopra l’ingresso principale, ma la scritta che un tempo riportava era stata completamente mangiata dalla ruggine.

Copper si avvicinò al portone in metallo che conduceva all’interno.

“…invenzioni”, gli sussurrò a bassa voce, osservando un punto indefinito sul muro, con aria triste.

“Come?”.

“Dovrei progettare e vendere invenzioni”.

“Dovresti? In che senso?”.

L’altra non rispose.

Afferrò invece il volano della porta ed iniziò a ruotarlo secondo uno schema preciso.

Dust, senza nemmeno farlo apposta, udì il meccanismo ruotare e individuò immediatamente lo schema matematico per far scattare la chiusura di sicurezza. Una combinazione relativamente semplice.

Copper aprì la portella, che si spalancò con un vagito cigolante.

    L’interno era buio pesto.

La padrona di casa entrò, sicura nei propri movimenti.

Silver fece altrettanto ma qualcosa lo costrinse a immobilizzarsi.

Nell’oscurità, senza alcun preavviso, si accesero quattro minuscoli lumini azzurri.

Le lucine iniziarono a muoversi disordinatamente, avvicinandosi ai due, accompagnate da un ticchettare metallico simile a spilli che cadevano per terra.

Il puledro fece qualche passo indietro, preoccupato.

Dall’ombra fuoriuscirono quindi quattro piccoli esserini, grossi quanto una mela.

Erano dei minuscoli costrutti simili a scarabei, costituiti da un telaio dorato. Si muovevano proprio come insetti, tramite le sottili zampe collegate al ventre. La loro corazza era piena di spiragli da cui si intravedevano i canonici ingranaggi e un pulsante nucleo di luce azzurra.

Tre di essi si arrampicarono letteralmente addosso a Copper, che ne sollevò uno con una zampa e sorrise felice.

“Ciao, piccoletti”, disse. “Vi sono mancata?”. Uno di loro si fermò a guardarla e rispose con uno squittio meccanico, prendendo quasi a scodinzolare.

Un quarto, invece, si avvicinò incuriosito a Dust.

L’ospite continuò ad indietreggiare.

“C-Copper!?”, blaterò.

“Mh?”.

“Che è ‘sto… ‘sto affare?? Che vuole da me?”.

“Oh. Sono dispositivi di sicurezza. Hanno il compito di infilarsi sotto la pelle degli sconosciuti e di salire fino a cervello per ucciderli”.

“COSA??”.

La puledra rise: “Scherzo… Non sono in grado di fare del male”.

L’insetto artificiale continuò ad avvicinarsi sempre di più al pony, tutt’altro che rassicurato.

“Sei sicura?”.

“Certo. Non fa parte del loro schema mnemonico”, lo tranquillizzò, giochicchiando con uno dei costrutti che le era salito addosso.

“Sarei comunque più tranquillo se mi stesse alla larga!”, protestò, comportandosi come un elefante col topolino.

“Sembri una puledrina dell’asilo. Su, ragazzi. Il signore se la sta facendo sotto, tornate qui”.

Dopo quelle parole, tutti e quattro gli insetti si diressero prontamente sull’esoscheletro di Copper. Due si piazzarono sulle sue spalle e si richiusero su se stessi, celando le fonti luminose e divenendo sostanzialmente gli spallacci per l’armatura. Gli altri due si collocarono invece sotto le ali meccaniche e fecero altrettanto.

L’unicorno color creta si diresse verso una parete nel buio.

Silver tirò un sospiro di sollievo.

“Ma… ma cos’erano?”.

“Costrutti”, rispose, armeggiando con qualcosa nell’ombra.

“Non… non ho mai visto nulla di simile…”.

“Perché li ho fatti io”.

“…sul serio?”.

“Sì”.

“Sempre con le… Pietre Ignee?”.

Copper tirò alcune leve, senza che accadesse nulla.

“No. Non sono così sofisticati. In pratica sono un piccolo insieme di meccanismi alimentati da una pietra mnemonica”.

Il puledro si avvicinò a lei: “…credevo che le pietre mnemoniche servissero solo ad immagazzinare dati”.

“Infatti. In ogni pietra ho sostanzialmente inciso un codice preciso abbastanza complesso. Poi le ho infuse con un po’ di magia extra. Collegandolo ad opportuni dispositivi ho creato queste minuscole macchine, in grado di agire secondo quello schema preimpostato”.

Dust spalancò le palpebre: “Stai scherzando?? Mi stai dicendo che hai creato una sorta di… intelligenza artificiale?”.

“Oh no, no”, si affrettò a precisare, sorridendogli. “Sono solo dei comandi. Gli forniscono le direttive per ubbidirmi e per la loro incolumità. Non hanno la benché minima capacità decisionale o di apprendimento. Sono soltanto… beh… un’interpretazione matematica”.

L’interesse dell’ospite si accese.

   

 

Copper Head finì quindi di armeggiare e concluse sollevando un’ultima leva. Quando il meccanismo fece contatto, partirono alcuni lampi e sfrigolii: l’intera stanza si illuminò progressivamente, alimentata dall’elettricità generata dalle turbine a vapore di Mechanus.

Dust rimase interdetto.

L’interno era lercio e fatiscente almeno quanto l’esterno, se non di più.

Un’enorme stanzone, pieno di tavoli e ripiani, straripava di componenti meccanici alla rinfusa. Tubi e cavi penzolavano dal soffitto, unitamente a strane intelaiature e oggetti strani, probabilmente dei progetti in corso d’opera. Attrezzi e altre stramberie erano appoggiati sulle mensole o riposti a casaccio. Molteplici tubature correvano in tutte le direzioni, perdendo anche un po’ d’olio.

“Beh”, lo accolse l’inventrice, con una leggera pacca sulle spalle. “Benvenuto nel mio castello incantato”.

Il compagno si grattò nervosamente la criniera, mentre la proprietaria lo invitò a seguirla.

“Qui è dove sto quasi tutto il giorno”, gli disse. Gli puntò quindi uno zoccolo al petto e divenne vagamente minacciosa: “Non, e ripeto, NON toccare mai nulla. Se tocchi una chiave inglese, io me ne accorgo e te la faccio ingoiare. Se giri una valvola, io me ne accorgo e ti ci appendo per la coda. Se prendi una lamiera…”.

“Fammi indovinare: te ne accorgi?”.

“Sì. E non vuoi sapere cosa potrei farti con quella”.

“Caaapito”, canzonò il puledro, scrutando con attenzione il posto. “Questo tugurio di rottami è offlimits”.

“Come tutto il resto, caro mio. Se ho cercato un posto isolato dove poter stare è per un motivo. E non voglio che la gente vada a ficcanasare o a toccare le mie cose”.

“Credevo che questa ubicazione dipendesse dalle tue finanze…”.

L’interlocutrice fece finta di non aver sentito: “Vieni. Ti faccio vedere dove potresti stare”.

    La puledra gli fece fare un rapido giro dello stabile. Gli mostrò dove teneva il cibo (un refrigeratore che produceva un ronzio infernale), i sanitari (incrostati e pieni di ruggine) e infine la sua stanza, sita ai piani superiori.

Ci volle qualche minuto per aprire la porta, che sembrava inchiodata dall’ossido di ferro sui cardini. Gli ingranaggi della bardatura acquisirono improvvisamente giri e l’unicorno riuscì a forzarla senza troppe difficoltà.

Silver Dust si trovò d’innanzi ad uno stanzino striminzito con una finestra, una branda piena di cianfrusaglie e un tavolino. Tutto sembrava inutilizzato da tempi immemori.

“Mh…”, commentò interdetto.

“Uhh…”, borbottò Copper. “In effetti era da un po’ che non entravo qui dentro…”.

Dust invocò la levitazione ed iniziò a mettere a terra gli oggetti posti sul materassino.

La compagna azionò un interruttore ed una minuscola lampadina penzolante si accese.

“Beh, dai”, lo incoraggiò. “L’elettricità arriva”.

Silver si avvicinò alla finestra ed osservò l’esterno. Era buio pesto ed anche piuttosto inquietante.

“Immagino che tu sarai abituato a letti col baldacchino e servitori in camera, dove stavi”, lo punzecchiò.

“Copper…”, le rispose a tono, “…guarda che non sono un principe. Non sono il parente di qualche riccone. Sono un unicorno normalissimo che è divenuto un allievo della Principessa”.

“Chiamalo poco”.

“Mi so accontentare, dico davvero. I miei genitori erano dei semplici contadini. Ho dormito su materassi di foglie di granturco per anni”.

L’unicorno in armatura sfoggiò un piccolo sorriso sincero: “Lo dicevo io che eri un contadinotto. Dai vieni”, ed uscì.

“Hai delle coperte?”, chiese, mentre la seguiva.

“Se vuoi. Ma qui quello che non manca è proprio il riscaldamento. Nella maggior parte delle tubature scorre vapore pressurizzato, quindi…”.

Passarono d’innanzi ad una portella di cui non gli aveva detto nulla.

“E questa?”.

“È una porta”.

“Non mi dire… Seriamente, qui cosa c’è?”.

“Sai quando ti ho detto che è tutto offlimits a parte la tua stanza?”.

“E i sanitari? Speravo di poter usare almeno quelli”.

“In quella porta non si entra. E non potresti comunque: è chiusa da un meccanismo a combinazione”.

Silver Dust fece finta di niente, pensando alle probabilità che avrebbe avuto nel riuscire a scoprirla.

Tornarono nello stanzone di prima.

 

    Copper lo fece accomodare (per quanto potesse essere comodo) ad uno dei tavoli. Creò un po’ di spazio tra gli oggetti e andò a prendere un cesto con qualche mela.

Il puledro sgranò gli occhi. Erano le mele più grandi e rosse che avesse mai visto. Il suo stomacò borbottò.

Copper si sedette dall’altro lato.

“Tò, mangiamo qualcosa”.

“In effetti… è da stamattina che non metto qualcosa sotto i denti. Posso?”.

“Abbuffati. Se è vero quello che hai detto sulla copertura delle spese… domani andremo a prendere del cibo decente”.

“Decente? Cavolo, scherzi?”, commentò divertito, sollevando magicamente una delle mele e portandosela alle labbra. “Non ho mai visto delle mele più succulente!”.

Diede un morso.

Masticò.

Si fermò.

Il suo volto assunse un’espressione curiosa.

“Mh…”, mormorò, riprendendo a masticare con indecisione.

Copper mangiò a sua volta e lo osservò con volto interrogativo.

“Beh? Qualcosa non va?”.

“Mhh… no. No. Va tutto bene”, rispose, deglutendo a forza. “Soltanto… uh… mi aspettavo un… ecco… un sapore diverso”.

La compagna gli sorrise sinceramente, per la seconda volta nell’arco della giornata: “Te l’ho detto. Da domani… cibo decente”.

“Se devo essere sincero, Copper… non ho mai mangiato una mela così terribile in vita mia. Eppure sembrava così… bella”.

Ed ecco il terzo sorriso giornaliero: “Benvenuto a Mechanus. Dove tutto non è come sembra e dove conta di più una buona immagine, piuttosto che un buon contenuto”.

“Ma non ci sono mele migliori?”.

“Oh, sì. Quelle di importazione. Soltanto che costano dieci volte queste, che vengono da coltivazioni intensive”.

“Le concimate col catrame? Sono terribili… E poi… dieci volte il prezzo? Pazzesco…”.

    La coppia finì il poco appetibile pasto.

La stanchezza iniziò ad impossessarsi del puledro, decisamente provato dal lungo viaggio e dall’intensa giornata. Gli occhi si fecero pesanti.

Copper portò via il cesto e prese ad arrabattare tra le sue cose. Si accorse quindi dell’ospite che sbadigliava e si stropicciava gli occhi.

“Perché non vai a dormire?”, gli chiese.

“Mh. Avrei voluto… stare ancora un po’ sveglio”, rispose ciondolando. “Tranquilla. Niente domande. Per oggi, inteso. Dovrei semplicemente buttar giù un altro po’ di appunti, preparare alcune lettere per la Principessa…”.

“Boh, vedi tu”.

“Tu non vai a dormire?”.

“No. Devo rimanere qui e sistemare alcune cose. Tu vai pure, se vuoi. Non farò rumore”.

“…ok”.

In effetti c’erano tante cose che avrebbe voluto chiederle.

Sapere qualcosa di più su di lei. Della sua situazione. Il suo mestiere. Del perché del suo atteggiamento schivo che aveva manifestato in alcune occasioni della giornata. E poi, ovviamente, altre informazioni su Mechanus.

Ma era decisamente stanco, così optò per una sana dormita.

Si incamminò verso le scale.

“Domani che vuoi fare?”, le domandò, prima di andarsene.

“Io devo rimanere qui almeno fino a metà pomeriggio, poi andrò in città per qualche spesa. A tal proposito… se vuoi lasciarmi l’attestato per la convenzione…”.

Dust estrasse magicamente una pergamena arrotolata dalla sacca e gliela consegnò.

“Tranquillo, ti prometto che prenderò solo il necessario. Non sono una scroccona”.

“Non ho mai detto questo…”.

“Sono solo… stufa di mangiare sassi dipinti di rosso…”.

“Sono perfettamente d’accordo. Ma io, allora, cosa farò domani?”.

L’altra si infilò una maschera da saldatrice sul muso. Il suo corno generò quindi un’abbagliante fonte di luce sulla punta. Silver si coprì gli occhi, infastidito.

“Quello che vuoi”, gli rispose, dirigendo l’energia verso alcuni pezzi metallici. “Puoi prendere un treno, tornare a Mechanus e girare per i cavoli tuoi”.

Girare a Mechanus? Quell’enorme caos urbano? Per lui che era un pony nato e vissuto nelle campagne, sembrò un’opzione alquanto terrificante.

“Uhh… i-io…”.

Copper si fermò, sollevò la visiera e gli disse: “Scusa, Silver. Se potessi ti accompagnerei. Ma, davvero, ho una cosa importante da sistemare. Poi ti prometto che darò una zampa a te e alla tua Principessa dalle Chiappe Regali. Dai, stai tranquillo che non ti succederà nulla. Nel peggiore dei casi vai a piagnucolare da una delle guardie e ti fai rispedire qui”. Riprese a saldare.

“Mh. Sei molto comprensiva, vedo…”.

“Non ti sento”, dichiarò con voce ovattata.

“Ok. BUONANOTTE!”, urlò.

“Buonanotte”.

 

    L’allievo di Celestia tornò nella propria camera, soffermandosi giusto qualche attimo sulla porta misteriosa.

Entrò nella cameretta e chiuse a fatica la portella.

“…mininale ma essenziale”, commentò, dopo una rapida occhiata.

Si slacciò la sacca e si sedette sul materassino, facendo partire qualche molla. Non gli importava. Si sdraiò a zampe aperte, emettendo un verso di sollievo.

Rimase quindi immobile a fissare il soffitto.

 

Mechanus.

Già. Che posto incredibile.

 

Incredibile e in parte terrificante.

Ripensò alle meraviglie che aveva visto, all’ingegno e alla maestosità della metropoli.

Poi, però, non poté fare a meno di rimembrare le cose spiacevoli che aveva notato e sentito.

 

Il degrado.

La miseria.

Le guardie armate.

Il discorso sullo sfruttamento degli operai.

 

Si rialzò, con un colpo di reni, dirigendosi alla finestra.

Come al solito, tutto era buio.

Tutto taceva.

 

In lontananza poteva però vedere l’enorme assembramento di edifici urbani, che si abbarbicava attorno al vulcano, pieno zeppo di lucette (ovvero le luminarie della schiera di palazzi abitati).

 

All’orizzonte, infine, scorse l’enorme fregata volante che aveva notato all’arrivo.

Fluttuava lenta sopra la città di Mechanus. Sullo scafo erano presenti potentissimi generatori di luce, che proiettavano coni bianchi in tutte le direzioni, come se stessero scandagliando il suolo.

 

Dust scosse la testa. Sul pavimento notò una paio di tendine stropicciate.

Le raccolse e le appuntò sopra al vetro.

 

Era troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa, così decise infine di sdraiarsi su un fianco.

Pensieri e strane sensazioni si mescolarono al sonno crescente, gettandolo in un curioso dormiveglia.

 

“Domani”, sussurrò a se stesso.

“…domani”.

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Capitolo 3
*** Cernere ex Simulacra ***


    Il mattino sopraggiunse silente.

Uno dei vantaggi offerti dalla zona dismessa era la totale assenza dei rumori che caratterizzavano invece il quartiere abitato di Mechanus.

Dust si svegliò a causa dei raggi solari che filtrarono attraverso l’unica finestrella della camera.

Aveva dormito a lungo e sorprendentemente bene. Doveva essere davvero stanco, quando si era coricato.

Sbatté ripetutamente la palpebre e notò come il sole fosse già alto nel cielo. Probabilmente era già mattina inoltrata.

Si stiracchiò e si diede una sonora grattata alla schiena. Si sentiva abbastanza pimpante.

Rimise la sacca sulla groppa, si assicurò che tutto fosse all’interno e quindi uscì nei corridoi, facendo una capatina in bagno, dove si sciacquò il viso.

Scese quindi al pianterreno, in cui vigeva il silenzio più assoluto. Copper Head, evidentemente, doveva essere da qualche altra parte.

Quando terminò i gradini, tuttavia, la vide.

    La puledra era seduta d’innanzi al tavolo di lavoro, con le zampe conserte sul ripiano e il capo chino su di esse. Aveva gli occhi chiusi e dormiva profondamente. D’innanzi a lei, l’ospite notò un curioso assembramento di meccanismi ed ingranaggi. Non sapeva di cosa si trattasse. Molto probabilmente qualcosa che l’inventrice aveva prodotto durante la notte.

Avrebbe dovuto svegliarla?

Si avvicinò attentamente a lei, cercando di non fare rumore. L’unicorno dai crini aranciati respirava con il lento ritmo del sonno. Gli ingranaggi stessi della tuta ruotavano molto lentamente, producendo un ronzio pacato e appena percettibile.

C’era davvero qualcosa di curioso, in quell’esoscheletro. Sembrava quasi fosse entrato in simbiosi con le proprietaria. Era inoltre in ottimo stato, a differenza di quasi tutto quello che aveva visto a Mechanus, in quel periodo.

Le orecchie del pony grigio ebbero quindi un tic nervoso. Di nuovo, senza farlo apposta, aveva colto una sorta di schema ritmico, nel lento ruotare degli ingranaggi della tuta.

Si concentrò e ascoltò con maggior attenzione.

Sì. Non vi era alcun dubbio. Tutto rispondeva ad uno schema predefinito. Uno schema che Dust avrebbe anche potuto decodificare e comprendere, se solo si fosse impegnato.

Udì quindi un ticchettio accanto a lui; si voltò e si ritrovò d’innanzi ad uno degli scarabei meccanici della puledra, intento ad osservarlo dal tavolo. Si irrigidì, esattamente come la sera prima.

Non sapeva perché… ma quei curiosi esserini lo mettevano in soggezione.

“Uh…”, bofonchiò sottovoce. “Allora io… vado, ok?”, gli disse, senza nemmeno sapere se il piccoletto potesse capirlo.

Si allontanò senza dargli le spalle, arrivando quindi alla portella d’uscita.

Abbandonò lo stabile, cercando di fare meno rumore possibile.

 

    Si ritrovò nella via con i rottami, questa volta debolmente illuminata dal sole.

Se di notte era inquietante, di giorno appariva semplicemente opprimente.

Scrutò un numero quasi infinito di incroci davanti a sé, tutti uguali. Chiunque si sarebbe messo le zampe nei crini, di fronte a quell’eterna successione di svincoli perfettamente identici. Ma lui, quando sopraggiunse con Copper, si era fatto uno schema numerico da ripetere a ritroso, in modo da non potersi perdere. Era quindi sicuro di sé, in tal senso. Non poteva sperare in niente di meglio che uno stuolo di edifici distribuiti con rigore geometrico. Ma doversi buttare in mezzo ad una città grande e caotica come Mechanus, per lui che veniva da un piccolo villaggio… beh, quello sì che lo metteva in forte agitazione.

    Alzò lo sguardo al cielo e lasciò che il sole lo scaldasse un po’.

Fece un profondo sospiro.

 

“Va bene”, disse alla fine, con sguardo deciso.

“Andiamo”.

 

*** ***** ***

 

    Dust compì il percorso a ritroso, attraversando la fabbriche rumorose. Non vide quasi nessuno, fatta eccezione per qualche operaio che saltuariamente appariva attraverso le vetrate sporche delle strutture.

Tornò alla fermata e salì su una delle carrozze del gigantesco treno a vapore: era praticamente vuota ma prese a riempiersi con l’avvicinarsi al centro urbano di Mechanus.

Il paesaggio, dai finestrini, mutò di nuovo e le industrie lasciarono posto al fitto intreccio di case e palazzi. Bastarono poche fermate per colmare la carrozza con uno stuolo di abitanti agghindati di tutto punto.

Silver si fece piccolo, vagamente assoggettato al caos e alla presenza di così tanti pony sconosciuti. Il brusio delle chiacchiere si mescolò a quello delle rotaie in metallo.

Dopo alcune fermate, il suo cervello lo avvertì che la destinazione era ormai prossima.

Quando la raggiunse, cercò di seguire coloro che, come lui, sarebbero dovuti scendere. Si fece strada tra la calca, con una timidezza che per poco non gli costò cara. Nessuno lo fece passare, come se quasi non esistesse. Le sue parole di scuse vennero ignorate e riuscì a sgusciare dalla carrozza un attimo prima che le portelle a pressione gli pinzassero malamente la coda.

Si gettò letteralmente sul marciapiede e, subito dopo, il treno riprese la propria, rumorosa corsa.

Si alzò, vagamente agitato, ed allontanò la polvere di dosso. Osservò la città farcita di passanti e velivoli nel cielo fumoso.

Ce l’aveva fatta.

 

Era tornato a Mechanus.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust, sulle prime, iniziò a girovagare per le giungla urbana completamente spaesato.

Mechanus era… COSI’ enorme! Così… pulsante di vita, artificiale o meno.

Attorno a lui centinaia di pony camminavano o guidavano; meccanismi cigolavano e si contorcevano; qualcuno galoppava per non perdere il bus a vapore, qualcuno precipitava al suolo causa avaria del velivolo e qualcuno affiggeva grossi manifesti alle pareti, tramite una lunga scopa.

Nulla a che vedere col suo paesello di campagna.

Era come se non contasse nulla, in mezzo a quel mare metallico.

Semplicemente insignificante.

 

    Il cuore prese a battergli forte ma poi, facendo appello alla propria ragione, cercò di calmarsi.

Si portò ad una panchina e scrutò il paesaggio che si stagliava verso valle, dalla sommità montana in cui si trovava lui.

Il cielo azzurro e l’accecante disco del sole gli infusero un po’ di sicurezza.

Il mondo, dopotutto, aveva sempre un cielo sopra e la terra sotto. Poco importava se ci avessero edificato tonnellate di edifici… o se gli abitanti sciamassero peggio delle formiche a primavera.

Quando il respiro tornò regolare, si diede un’occhiata in giro e notò piccoli dettagli che, inizialmente, sovrastato dall’imponenza del luogo, gli erano sfuggiti.

C’era un piccolo banco ambulante, da cui un curioso tizio baffuto vendeva zucchero filato e palloncini colorati. Non molto lontano, appena visibile attraverso l’andirivieni generale, alcune bancarelle mostravano libri, aggeggi e persino frutta e verdura in esposizione. Una graziosa puledrina vendeva invece fiori da un negozietto, che a stento risaltava nell’anonimo ammasso di Mechanus: non erano tuttavia fiori veri, bensì graziose creazioni in leghe ferrose, luccicanti come specchi.

Dust si grattò la chioma.

Beh… forse non è poi così male”, pensò. “Posso dare un’occhiata in giro”.

Tornò sulle quattro zampe e controllò i soldi nella borsa. Si trovava in quel luogo per prendere appunti, certo, ma nulla gli vietava di fare qualche acquisto. Aveva messo da parte un piccolo gruzzolo personale. Non si sarebbe mai azzardato ad usare i soldi concessi dalla Principessa, per acquisti che esulassero dal suo compito. Che figura ci avrebbe fatto?

    Così, con rinnovato entusiasmo, prese il coraggio tra le zampe e si buttò nella mischia, infervorato da uno stato d’animo non dissimile da un soldato che entra in battaglia. Certo… non era proprio la stessa cosa. Ma, in un modo o nell’altro, ogni singola azione si riduce ad affrontare una piccola battaglia personale, alla fine.

 

    Il puledro girò per i negozi, controllò le vetrine, si mescolò tra i passanti, percependo la situazione di disagio farsi sempre più lieve.

Da uno stato di iniziale preoccupazione passò ad uno di meraviglia e di interesse per quel posto così ricco e singolare.

Cercò di trasferire l’attenzione dal caos cittadino alle attrazioni che Mechanus aveva da offrire. E le ore iniziarono a passare, con sorprendente piacere da parte sua.

    L’immersione nella città a vapore fu così profonda che, verso l’ora di pranzo, l’unicorno lilla si ritrovò appoggiato con nonchalance sul parapetto a ridosso di una balconata, intento a sgranocchiare una pietanza locale che aveva da poco acquistato.

L’alimento, uno strano agglomerato solido simile a fieno pressato, non era di certo la cosa più buona che avesse mangiato ma rimaneva comunque un sapore nuovo per il suo palato. Il cibo fluttuava magicamente accanto alla sua bocca, intenta a masticare. Poco lontano, sempre grazie alla magia, il suo libro di appunti veniva continuamente arricchito dal movimento incessante della matita.

Dust osservava tutto ciò che avveniva attorno a lui e riportava impressioni e ragionamenti personali. Iniziò a capire qualcosa di più sullo stile di vita degli abitanti: i loro orari, gli impegni, le cose che li attiravano o li respingevano, le predilezioni per un veicolo piuttosto che un altro… Piccole cose ma che, nell’insieme, sarebbero riuscite a comporre un mosaico molto più ampio.

Iniziò persino a disegnare ciò che osservava.

Silver non era affatto un artista, lo sapeva bene. Ma aveva un grosso vantaggio: possedeva una memoria eidetica e adorava le forme geometriche. Per lui non era quindi difficile trasporre su carta ciò che vedeva. Il suo era pertanto uno stile di disegno molto preciso e accurato, ricco di dettagli, quasi iperrealista. Molti, avendo visto alcuni suoi lavori, avevano però notato come mancassero di sentimento, di profondità…

 

…di vita.

 

Dust, tuttavia, non aveva mai compreso appieno tali commenti, finendo con l’ignorarli.

 

    Alcune voci si levarono da un angolo della piazza da cui stava disegnando: voci molto più forti del brusio urbano a cui si stava ormai abituando.

Drizzò le orecchie e si voltò.

Dal fondo del piazzale provenivano alcune urla e i pony si stavano allontanando, alcuni camminando all’indietro e con volti decisamente preoccupati.

L’unicorno divorò in tutta fretta ciò che rimaneva (un boccone effettivamente eccessivo), ripose gli appunti e si apprestò a controllare cosa stesse succedendo.

Una piccola calca iniziò a formarsi tra lui ed il luogo in questione, obbligandolo a gironzolare tra i curiosi e sporgere il muso in timidi tentativi d’osservazione.

“FATE LARGO!!”, tuonò qualcuno, con un riverbero metallico che aveva già sentito.

Gli abitanti iniziarono a scambiarsi commenti e sussurri. Silver cercò di coglierne il significato: tutti si riferivano a qualcosa che stava nuovamente accadendo. Qualcosa di poco rassicurante.

Fece sbucare il capo tra due dame agghindate da gran gala e vide un piccolo corteo armato farsi strada lungo la piazza.

    Erano soldati, equipaggiati nello stesso modo che aveva visto il giorno prima.

La maggior parte aveva le visiere calate e le armature erano piene di graffi e ammaccature. Avanzavano con passo lento ed implacabile.

“LASCIATE PASSARE, CIVILI!!”, intimò un ufficiale in testa.

“Sono… sono di nuovo stati loro, vero??”, si azzardò un giovane stallone in gilet.

“PENSATE AI VOSTRI AFFARI!”, ribatté l’altro, per tutta risposta.

La terra iniziò quindi a vibrare e, dall’angolo di una casa, emerse l’imponente figura di un Calcator, inserita nel mezzo alla formazione militare.

La macchina era però visibilmente danneggiata: pezzi di lamiera e tubi penzolavano un po’ ovunque e una zampa posteriore era completamente divelta, costringendolo a trascinarsela dietro con lento zoppicare. Sopra di lui, avvinghiato con delle cinture di sicurezza, un tizio con occhialoni e tenuta da meccanico stava apportando le riparazioni direttamente in situ. Indossava una palandrana in pelle, con innumerevoli tasche da cui sbucavano attrezzi e aggeggi strani. Tra le zampe reggeva un saldatore collegato ad una bombola sulla sua schiena. Lo strumento produceva un bagliore accecante e sollevava lampi e scintille come una fontanella pirotecnica.

Dust si vide passare il colosso a pochi metri dal muso, beccandosi anche uno sfiato di vapore in faccia, e si chiese quale forza in Terra sarebbe stata in grado di ridurre in quello stato una macchina da guerra di quelle dimensioni.

    Notò quindi come il corteo finisse con un assembramento di stalloni intenti a trainare alcuni carretti. Su di essi erano riversi altri soldati, la maggior parte spogliati di quasi tutta la corazza. Gli stalloni erano visibilmente feriti, alcuni con fasciature intrise di sangue su svariate parti del corpo. Altri erano stati ancor più sfortunati e versavano in gravi condizioni, coperti da lenzuola improvvisate.

Silver deglutì, sgranando gli occhi dalla paura.

 

Quale razza di battaglia avevano appena combattuto??

 

“CIRCOLARE!!”, sbottò un soldato in coda, facendolo sobbalzare. “LO SPETTACOLO È FINITO!”.

Il visitatore si ritrasse, continuando però ad osservare il distaccamento lungo la propria marcia, che scomparve tra gli edifici lontani dopo svariati minuti.

 

    Passato il fenomeno, gli abitanti sembrarono riprendere le rispettive mansioni, senza però risparmiarsi in commenti su quanto successo.

L’unicorno dagli occhi verdi, facendo finta di nulla, si mise accanto ai vari gruppetti di chiacchiere, cercando di far chiarezza. Qualcuno parlò di scandali, qualcun altro citò la sicurezza pubblica, altri ancora avanzarono teorie di complotto.

Alla fine, decise di intromettersi di persona.

 

“Eh… uh, scusate…”, sussurrò tentennando.

Un grassoccio stallone scuro, con bombetta e monocolo, lo squadrò con curiosità.

Silver continuò: “Ehm… P-posso sapere… cosa… insomma… Perché sono passati i militari… in quelle condizioni?”.

L’altro alzò le sopracciglia, quindi si grattò la fronte, spostando il cappello leggermente di lato. Sbuffò.

“Ehh… caro ragazzo… Perché qui le cose vanno di male in peggio!”.

“Può dirlo, mio caro!”, aggiunse una giumenta sovratruccata.

“Come si può pretendere di vivere in queste condizioni?!”, protestò un terzo, un puledro color celeste.

L’allievo dell’alicorno bianco fece un altro tentativo: “Ma, esattamente… di cosa state parlando?”.

“Guai! Ecco di cosa parliamo!”, commentò il pony  azzurro.

“Esattamente, caro mio!”, ribadì la giumenta.

“Guai, grossissimi guai!”, concluse lo stallone sovrappeso, allontanandosi come se non volesse parlarne oltre.

Dust si sfregò una zampa con lo zoccolo.

“Questa situazione è insostenibile!”, riprese il puledro, rimasto solo con la collega.

“Assolutamente!”.

“Da quant’è che va avanti? Possibile che le forze armate non riescano ad arginare il problema?”.

Silver rimase in silenzio ad ascoltarli.

“Cosa vuole che le dica! Ogni volta è sempre la stessa storia! Disordini alle fabbriche, i soldati che si mobilitano e poi tornano senza aver risolto nulla!”.

“Infatti, non vedo proprio perché dovremmo pagare una difesa armata se non riescono a difendere nemmeno le nostre fabbriche! Io ho un lavoro importante, qui a Mechanus! Se le fabbriche si bloccano per qualche motivo, rischiamo che i rifornimenti arrivino a singhiozzo e l’azienda in cui lavoro non può permetterselo!”.

“Fosse solo questo il problema, caro mio!”, insistette l’altra. “Non solo buttiamo via soldi in un esercito inefficiente ma ci tocca anche subirci le loro angherie, senza venir informati di cosa sta succedendo!”.

“Non ce lo dicono perché non stanno facendo progressi, sennò se ne vanterebbero subito, signora!”.

“Concordo appieno!”.

“Ora, mi scusi, devo tornare ai miei affari”.
“È uno scandalo, ecco cosa!”, e fecero per allontanarsi.

Silver rimase a bocca aperta. Sollevò uno zoccolo e, con un filo di voce, farfugliò: “M-ma…!”.

 

    Il puledro ne sapeva poco più di prima.

C’era un problema, quello era certo. Qualcosa che richiedeva addirittura l’intervento dei soldati… e che era in grado di rispedirli indietro a calci nel posteriore. Com’era possibile?

La faccenda non lo riguardava personalmente ma la curiosità era tanta e una cosa del genere DOVEVA assolutamente approfondirla. Se non era importante quello, per la ricerca di Celestia, allora cosa lo sarebbe stato?

Ma nessuno sembrava volerne parlare chiaramente.

Chiedere a Copper? No… lei sembrava la più riluttante di tutti a voler parlare.

Continuò a pensare, finché il suo sguardo non cadde verso uno dei tanti vicoletti bui a bordo strada.

Pur essendo un puledro di campagna, Dust sapeva benissimo che i vicoletti erano il luogo ideale di ogni grande città, al fine di trovare informazioni o qualche aggancio extra. Persino Canterlot aveva alcune stradine poco battute, in cui l’occhio dei Reali era meno vigile e da cui gli era sempre stato detto di tenersi alla larga.

Ma quella non era Canterlot.

Era una megalopoli con un cuore pulsante di caldaie e vene attraversate da vapore.
Una smorfia di indecisione si dipinse sul suo muso.

La strada in questione era abbastanza buia, sporca e apparentemente abbandonata. Come lei, tuttavia, ve ne erano innumerevoli e sbucavano tutte in diverse angolazioni dello spiazzo. Quest’ultimo era ben tenuto e relativamente pulito. Sembrava quasi che i passanti stessi ignorassero la presenza di tali svincoli.

Il puledro ricontrollò i volti degli abitanti, tutti agghindati come damerini e intenti a scambiarsi commenti di bassa caricatura intellettuale.

Non ne avrebbe cavato fuori nulla.

 

Ci pensò a lungo.

 

Giusto una sbirciatina.

Avrebbe gettato un’occhiata.

Nulla più.

Si avvicinò circospetto ad un imbocco, facendo finta di niente e rendendosi di fatto ancor più visibile. Ma nessuno ci fece caso, in mezzo a quel marasma di equini e scalpiccio di zoccoli, permettendogli di giungere inosservato alla propria destinazione.

 

Un vicoletto angusto.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust, l’allievo di Celestia, si ritrovò all’interno del budello, improvvisamente soverchiato dalle strette e altissime mura degli edifici limitrofi.

Dietro di lui ancora si poteva udire il brusio della piazza, che aveva appena abbandonato per addentrarsi in un luogo molto più angusto ed oscuro.

Il suolo era costituito da un lastricato danneggiato e arrugginito di piastrelle metalliche, mentre ai lati erano ammassi rifiuti, scarti di macchinari, chiazze d’olio e altre amenità rugginose.
Diversi tubi e altrettante valvole di sfogo difettose sbucavano da ogni centimetro del luogo e rilasciavano nei dintorni una costante cappa di vapore o, peggio ancora, chissà quale gas di combustione.

L’unicorno scosse il capo, percependo un repentino cambio di atmosfera: non solo tutto era più ombroso e fatiscente ma persino l’aria gli sembrava più insalubre, anche per gli standard di Mechanus.
Si grattò la chioma, scrutando poco convinto il diramarsi della stradina in chissà quale labirinto suburbano.

 

“Giusto una sbirciatina… no?”, si ripeté, con un filo di voce, per farsi forza.

Mosse il primo passo.

 

    I suoi zoccoli risuonarono appena lungo le pareti. Il ciarpame e le tubazioni fungevano da perfetto ostacolo a qualsiasi fenomeno di riflessione sonora.

Continuò a controllare nervosamente i dintorni, continuando ad addentrarsi sempre più.

Il brusio della piazza divenne sempre più flebile, fino a scomparire; contemporaneamente, il vicolo si fece sempre più sporco e sinistro, iniziando poi ad intrecciarsi con una quantità sempre crescente di ulteriori svincoli.
Dust decise di proseguire il più possibile in linea retta, in modo da riguadagnare facilmente l’uscita in caso di necessità.
Per non lasciarsi distrarre dall’ambiente inospitale, prese a calcolare mentalmente il numero di rimbalzi che una sfera dalle proprietà elastiche avrebbe idealmente potuto compiere lungo le pareti, considerando i fenomeni di dispersione cinetica ma ignorando l’attrito dell’aria.

Stette quasi per giungere alla soluzione quando, dopo l’ennesimo angolo svoltato, si ritrovò in una strada molto più ampia e spaziosa.

Gli edifici attorno ad essa erano sempre alti e soffocanti ma vi era spazio sufficiente per far passare anche quattro o cinque pony uno di fianco all’altro.
Con sua somma sorpresa, la zona non era disabitata.

    Una serie di cavi penzolanti era stato tirato da un capo all’altro delle mura, fino alle sommità delle rispettive costruzioni, e fungeva da supporto per stendere sgualciti abiti appena lavati.

Alcuni abitanti erano addirittura affacciati da finestroni lontani, intenti a sbattere alcuni panni o chiacchierare col vicino. Altri, pochi, erano invece in strada, assorti a rovistare tra i mucchi di rottami o a parlocchiare sotto i portici.

Lamiere e tondini arrugginiti erano stati assemblati qua e là, a formare pericolanti impalcature dall’aspetto rozzo e assai poco sicuro.

I presenti non erano tuttavia vestiti come il tipico abitante di Mechanus. La maggior parte di loro, infatti, non portava indumenti oppure si trascinava appresso logori giacconi pieni di buchi, copricapo trovati nei cassonetti o diversi componenti di vestiario raccattati a casaccio.

Silver si bloccò, assolutamente impreparato ad una simile visione.

Si sarebbe aspettato di trovare qualcuno ma mai avrebbe pensato che esistesse una simile attività, occultata dagli edifici principali dell’enorme città-vapore.

E si era appena addentrato di qualche centinaio di metri all’interno dei vicoli. Chissà cosa avrebbe potuto scoprire, continuando lungo il percorso.

 

    Prima ancora di decidere il da farsi, Dust vide qualcosa muoversi accanto a lui.

Senza essersene accorto, un pony stava rovistando in mezzo ad alcuni barili pieni di ingranaggi. Il tizio, trovato ciò che cercava, risollevò il muso e notò l’allievo di Celestia senza troppe difficoltà.

Lo guardò dritto negli occhi.
Ero uno stallone dal pelo aranciato, con una grossa mantella trasandata sulla groppa, dotata di un enorme tascone ripieno di cianfrusaglie.

La criniera era arruffata e lercia; il volto scolpito in un’espressione poco raccomandabile.

Silver tirò il collo all’indietro e sgranò gli occhi.

“Mh, ma guarda…”, mugugnò l’altro, con voce gracchiante. Emise quindi un disgustoso verso nasale e poi sputò qualcosa di improponibile sul marciapiede. “Cosa abbiamo qui?”, concluse malevolmente.

“P… prego…?”, biascicò l’incantatore, sollevando una zampa al petto, visibilmente spaventato.

Il tizio si asciugò le labbra con il dorso di uno zoccolo, quindi fece qualche passo verso di lui. Il puledro, intimorito, retrocesse di schiena, colpendo qualcosa durante l’avventata manovra.

“Si direbbe… un damerino”, berciò colui che aveva appena urtato.

Era un altro stallone dall’aspetto tutto tranne che invitante.

In pochi secondi, Dust si ritrovò in mezzo a due sconosciuti dal muso torvo.

“Ah… i-io…”, balbettò, ruotando il capo più volte verso i due.

“Mhh… un unicorno, eh?”, commentò il pony arancione, aguzzando lo sguardo.

“Cos’è?”, disse l’altro, dopo una breve risata. “Ti sei perso nel tuo quartiere di ricconi e sei finito qui? O cosa?”.

“N… no…”, cercò di spiegare, inducendosi un forzatissimo sorriso. “Io… io non… non sono di Mechanus…”.

I due proruppero in un finto verso di stupore, osservandosi l’un l’altro.

“Ohh! Un turista!”, dichiarò ironicamente lo stallone in mantella.

L’altro gli diede corda: “Avremmo dovuto capirlo subito… I turisti non portano gli spocchiosi abiti che passano a Mechanus…”.

“Già… però…”, continuò il compare, “…vedo che hai una bella sacca a tracolla…”.

Lo sventurato osservò la propria cintura, quindi risollevò il muso verso la coppia: “…la… la mia tracolla?”.

“È proprio bella”, lo informò il pony aranciato, con un ghigno. “Sembra roba d’alta fattura…”.

“Ma…”.

La zampa del compagno lo strattonò per la cinghia.

Silver fece uno scatto e si allontanò: “EHY!!”.

I due pony si serrarono attorno a lui.

“Su… non fare storie…”, gli intimò uno sorridendo.

Il puledro si sentì seriamente in pericolo e non seppe come reagire. Continuò ad indietreggiare, finché non scivolò su dell’olio e cadde impacciatamente a terra. I malintenzionati risero.

 

Nell’impeto della foga, traviato dalla sua stessa paura, Silver illuminò il corno di potere.

Non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto ma, in quel momento, gli sembrò l’unica possibilità per potersi difendere.

A Canterlot gli erano stati insegnati innumerevoli incantesimi di difesa ma mai si era ritrovato nella situazione da poterli… o doverli usare. In quel preciso istante comprese come la pratica sarebbe servita a poco.

 

Danneggiare qualcuno con il proprio potere non è una cosa che si impara sui banchi di scuola.

 

L’incantatore chiuse gli occhi e strinse i denti, assolutamente terrorizzato.

 

“Ed io che pensavo che oggi sarebbe stata una giornata di magra…”, concluse il borseggiatore in mantella, allungando una zampa verso la cintura dell’unicorno.

 

    Un clangore metallico riecheggiò per la strada.

Una pesante lamiera si era appena abbattuta sul capo del ladro, ribaltandolo su un lato e costringendolo a strizzarsi le tempie tra gli zoccoli.

Il compare si voltò sbigottito.

Dust riaprì gli occhi.

Dietro ai due si trovava un terzo stallone dal pelo fulvo, avvolto da un cappotto in pelle pieno di tagli e svariate cuciture di fortuna. Il tizio li osservava con volto estremamente serio, quasi severo; portava una barba incolta e la sua criniera rosso scuro era decisamente rada, perlomeno per l’età che dimostrava.

Tra le labbra reggeva il mozzicone di un sigaro in procinto di spegnersi.

“E-EHY!!”, protestò il tizio ancora in piedi. “MA CHE DIAV…”.

L’altro gli si avventò contro, con un leggero zoppicare anteriore, e lo costrinse al muro con una poderosa zoccolata sulla guancia.
“Senti…”, gli disse il pony col sigaro, con voce profonda e un po’ rauca. “Capisco borseggiare i fighetti a Mechanus… ma terrorizzare un puledro non ti sembra un po’ troppo?”.

“MALEDIZIONE, COAL!!”, lo apostrofò il tizio a terra, contorcendosi dolorante.

Dust si fece da parte, agitatissimo.

“Non…”, cercò di spiegarsi il compare, con la bocca schiacciata contro il muro. “Non stavamo facendo… nulla di male…”.

“Ah no?”.

“NO! Volevamo solo… solo prendergli il…”.

La presa si allentò e l’altro cadde sul pavimento oleoso.
“Non me ne frega un accidenti!!”, sbottò adirato, perdendo persino il sigaro. “Shade!! Tu e quell’imbecille di tuo fratello siete più stupidi di un mulo!”. Coal iniziò a sbracciarsi. “Se volete piantare casino, fatelo nei quartieri ricchi! Cosa cavolo succederebbe se uno ci denunciasse qui?? Hai idea del casino che esce se le guardie hanno un pretesto per venire a romperci il posteriore??”.

“M-ma…”, balbettò riverso sulla schiena, proteggendosi il volto.

L’altro gli diede un calcio nel sedere, quindi prese il fratello per la mantella e lo strattonò lontano.

“FUORI DAGLI ZOCCOLI!!”, sbraitò, mentre i due arrancavano per mettersi sulle quattro zampe e galoppare via. “Se vi ripesco a fare una cosa così stupida vi ficco tante di quelle mazzate…!!”.

La coppia si allontanò, veloce come un fulmine, disperdendosi poi nei numerosi vicoletti.

Nessuno dei presenti fece troppo caso alla scena.

 

    Coal prese qualche attimo per calmarsi, quindi si girò e cercò il sigaro a terra.

Lo trovò, ormai spento e ricoperto di pece catramosa.

Lo fece rotolare qualche volta tra gli zoccoli, con volto spazientito.

“Bah”, protestò. “Ecco che se ne va un altro sigaro buono…”.

Si voltò quindi verso il malcapitato, per sincerarsi delle sue condizioni.

Silver era rimasto ritto sulla schiena, ad occhi sgranati e corno scintillante. La paura era decisamente visibile nei suoi occhi.
“Ehy!”, lo fece sobbalzare lo stallone. “Spegni quel lumino se non vuoi attirare l’attenzione di mezzo quartiere”.

Dust annuì rapidamente e altrettanto rapidamente smorzò la magia.

Si chetò, osservando impassibile il proprio salvatore.

L’altro, intanto, ancora cercava di recuperare inutilmente il proprio amato sigaro, provando a strofinarlo più volte sul cappotto.

Coal si sentì osservato e la cosa non gli piaceva.

“MBEH??”, ruggì con volto rabbioso. Dust ebbe l’ennesimo sussulto. “Si può sapere che hai da guardare? E chi cavolo sei? Che ci fai qui?”.

Il pony lilla cercò di rispondere ma la tensione per lo scampato pericolo lo indusse in iperventilazione. Si votò su un lato, estrasse magicamente un sacchetto dalla tracolla ed iniziò a respirarvi convulsamente dentro.

Coal rimase esterrefatto a guardarlo.

“…sei proprio un damerino, mica sbagliavano quei due…”, lo apostrofò, gettando il sigaro tra i cumuli di rifiuti.

Dopo un’altra serie di lunghi respiri, Silver riuscì finalmente e riguadagnare la calma. Il cuore, tuttavia, ancora gli batteva forte. Aveva il fiatone.

Si appoggiò appena alla parete, di schiena, e si fece scivolare fino al pavimento.

“I… io…”, farfugliò, osservando prima i pochi spicchi azzurri nel cielo e poi il barbuto stallone.

“Mh?”, mugugnò Coal, estraendo un altro mozzicone di sigaro dalla giacca. Lo strinse tra le labbra e lo portò su una fiammella di sfogo, accendendolo con alcune boccate.

“Ecco… io…”.

“Quindi sei un turista, eh?”, gli domandò, soffiando fumo nell’aria già fumosa di suo.

“Ah! S… sì. Sono… sono un t…”.

“E da dove vieni, si può sapere?”, lo interruppe, sistemandosi con un fianco su un bidone e scrutandolo in modo indagatorio.

Il puledro pensò di aver commesso un grave errore ad addentrarsi in quel postaccio.

“Da… vengo da Canterlot…”.

“Canterlot? Mai sentita”.

“M-ma… come non l’hai mai sent…”.

“Cosa ancora più importante. Cosa cavolo ci fai qui, mh?”.

“Uh… ecco, io…”.

Dust non voleva rivelare il suo vero scopo. Non era certo nulla di sbagliato ma… chi era quel tizio? Forse gli aveva appena salvato la borsa… e il pelo. O magari… poteva essere un altro malintenzionato. Di sicuro non gli avrebbe detto la verità. Un allievo di una Principessa era pur sempre passibile di un discreto riscatto...

“Sono qui per… per una ricerca sul sistema a vapore della città…”, mentì improvvisando.

L’altro annuì lentamente, mostrando un muso tutt’altro che convinto.

“Capisco. E perché sei finito nei vicoli? Qui non ci sono caldaie…”.

“Io… io mi sono… mi sono perso…”.

“È facile perdersi in una città così grande”.

“Già…”.
“Un po’ meno scambiare un vicolo malfamato per un tour guidato tra le caldaie…”.

“Uhh…”.

Coal si avvicinò all’unicorno, che si senti di nuovo in soggezione. Mise il muso vicinissimo al suo.

“Sai. Io le balle le riconosco al volo. Ho un radar antiballe”.

“C… capisco…?”, sussurrò, facendosi piccolo.

“Perché sei venuto qui?”.

“P-per…”.
“La verità…”, gli intimò, con intenso sguardo inquietante.

 

Silver Dust si grattò nervosamente la chioma.

La verità?

Tutta la verità?
Magari con mezza verità il radar antiballe non avrebbe funzionato.

 

Forse…

 

“E-ecco… come ti dicevo”, gli spiegò, sforzandosi di sorridere, “stavo svolgendo le mie ricerche su… sulle caldaie…”. Coal strizzò le palpebre. “…quando… quando ho visto un corpo armato comparire in piazza. Avevano… un sacco di soldati… di feriti… e… e uno di quei cosi mezzo distrutto. E… e così ho cercato di capire quale fosse il motivo. I-insomma… per quale motivo dei soldati avessero fatto ritorno in quelle condizioni. Il fatto è che…”.

“Che nessuno ti ha risposto, vero?”, domandò retoricamente.

Bingo.

“Esatto!”.
“Mhf”, continuò Coal, con un sorrisetto sardonico. “Se pretendi di avere risposte dai cittadini di Mechanus, stai fresco”.

“Infatti non mi hanno detto granchè…”.

“Ma non perché non lo vogliano. Semplicemente perché ne sanno quanto te. Se non meno”.

“Ah…”.

 

Lo stallone tornò a scrutarlo intensamente.

Gli stava forse credendo?

“…facciamo finta che sia la verità. E quindi saresti venuto qui a cercare più informazioni, dico bene?”.

“Beh… sì…”.

“Nei vicoli”.

“Sì”.

“Un damerino come te?”.

Dust si spazientì un po’: “Basta con questo damerino!”.

“Calma, tigre. Non ho mica voglia che poi mi minacci col tuo punteruolo luccicoso. O che mi soffochi nei tuoi sacchetti incantati”.

L’unicorno si chetò ma lo maledì mentalmente.

“Scherzi a parte, coso, come ti chiami?”.

“Mi chiamo Silver… Silver Dust”.

L’altro serrò i denti al sigaro, strofinò malamente una zampa al cappotto e gliela porse: “Smoky Coal”.

Silver la sfiorò appena, ricordandosi poi di essere a sua volta sporco d’olio.

“In ogni caso”, riprese Coal, “questo non posto per uno come te”.
“Me ne sono accorto…”, ribatté l’altro.

“Parli di quei due deficienti di prima?”, gli chiese, con aria di sufficienza.

“Eh…”.

“Bah. Non sono cattivi. Sono solo stupidi”.

“A me non sembravano tanto buoni…”.

Smoky fece spallucce: “Naa. Non è colpa loro. È la vita da queste parti che è dura. Se non borseggiassero, di tanto in tanto, a malapena avrebbero da mangiare… In effetti tutti qui, bene o male, devono rubacchiare qualcosa…”.

Il pony dagli occhi verdi corrugò la fronte: “Ma… come… come mai questa situazione? Insomma… vista da fuori la città sembrava, sì fatiscente, ma… cioè… mai mi sarei aspettato un posto simile…”.

Coal rise sotto i baffi, abbassò il muso e iniziò a scuoterlo.

“Mechanus è tutta apparenza, Silver Coso”.

“Dust…”.

“Ti stupiresti di quanto marciume è celato sotto il guscio di metallo…”.

“Ok ma… non mi sembra che qui il lavoro manchi… So che ci sono un sacco di miniere. Di scavi. Industrie, fabbriche… Ben contemplando un boom economico, mi stupisco di una simile miseria. I miei calcoli sociologici, perlomeno, punterebbero verso un’altra direz…”.

“Socioche? Sei proprio un damerino…”.

“Ma…!”.

 

    Smoky Coal consumò il proprio sigaro con un’ultima boccata, fino a quasi ustionarsi le labbra. Gettò a terra i rimasugli cinerini.

“Senti, Coso. Vuoi davvero renderti conto della realtà che si cela a Mechanus?”, gli domandò, con un mezzo sorriso.

“Uhh…”, mugugnò l’altro indeciso.

 

“Lo prendo per un sì. Ma vedi di non allontanarti troppo dal sottoscritto…”.

 

*** ***** ***

 

    Il duo iniziò a svolgere un’improbabile gita guidata tra gli intricati viottoli della zona malfamata di Mechanus.

Coal avanzava con sicurezza tra la spazzatura e gli abitanti trasandati, come se quei vicoli bui li conoscesse bene. Una zampa anteriore gli zoppicava regolarmente.

Silver, per tutta risposta, si sentì addosso gli occhi di tutti. Non erano assolutamente abituati a vedere un tizio come lui da quelle parti. Ma si attenne alle direttive e non mollò la sua guida nemmeno per un attimo.

Smoky lo fece addentrare sempre di più in quei luoghi, portandolo in mezzo a zone sempre più affollate e ricche di miseria.

Gli abitanti erano tristi. Stanchi. Sporchi.
I puledrini correvano liberamente tra il metallo ed il lerciume.
Ogni angolo di strada era arricchito da prodotti e sottoprodotti di scarto di diverse industrie, dai motori dismessi ai contenitori di materiali da smaltire.

In quel luogo Dust venne a conoscenza di una nuova, enorme e spaventosa realtà: l’intero nucleo di Mechanus era un insieme di budelli che si diramavano tra gli enormi edifici, completamente celati agli occhi dei pony in situazioni più agiate. Con suo sommo stupore: vi era più popolazione benestante che povera e il divario sociale ed economico era enorme.
Si poteva quasi affermare che vi fosse una seconda città, sotto alla luccicante Mechanus. Se gli edifici imponenti erano la pelle del colosso di metallo, allora gli assembramenti di poveri e disadattati ne costituiva l’ossatura.

Dust non riusciva a crederci.
Non soltanto i passanti versavano in condizioni pietose ma erano quasi tutti menomanti o riportavano comunque evidenti cicatrici superficiali.

“Vedi, ragazzo?”, gli disse ad un certo punto Coal, sbucando in un grosso spiazzo adibito ad affollatissimo (e sporchissimo) mercato. “Questa è la verità sotto Mechanus…”.

L’altro scosse la testa, sinceramente sbigottito.

“I-io… io non ho parole…”.

Smoky si accese l’ennesimo sigaro e, boccheggiando a sguardo basso, gli rispose: “Non sei l’unico, Coso”.

L’unicorno si ritrovò in mezzo ad una folla di pony di terra completamente trasandati. Si voltò verso lo stallone dai crini rossi.
“Ma… tutto questo… per via delle fabbriche? Possibile?”.

Smoky rise.
“Già. Beh, non solo. Innanzitutto… hai notato una differenza importante tra gli abitanti qui e quelli tra i grattacieli?”.

“Sì… lì sono quasi tutti unicorni. Qui, invece…”.

“Ecco. Quindi inizia a fare così…”, lo incitò, ficcandogli una padella in testa e occultandogli il corno. “Secondo… questo è quello che succede quando si scopre una terra ricca e dalle spropositate potenzialità economiche”.

Coal puntò lo zoccolo verso un punto del poco cielo visibile. Nonostante l’assembramento di edifici, il vulcano su cui si ergeva l’intera megalopoli poteva essere scorto con relativa facilità.

“Quel posto è pieno di minerali preziosi. E Rocce Ignee”.

“Ne ho sentito parlare…”.

“Non solo sono il cuore pulsante della città, senza le quali non potrebbe essere ciò che è ora. Ma vengono vendute a caro, carissimo prezzo. Così i primi ricconi che sono arrivati ci hanno lucrato sopra, spedendo i poveracci ad estrarle dagli scavi”.
“Sfruttamento?”, si informò.
“Sì, sfruttamento”, rispose, dopo aver sputato per terra. “Ma non è solo questo, ragazzo mio”.

“In effetti…”, continuò Silver pensieroso, “…in città si vedono solo pony benestanti. Non ho mai visto lavoratori, operai o quant’altro…”.

“Facciata. Tutta facciata. La manodopera va a lavorare di notte e si sposta solo all’alba e al tramonto. Così la parte presentabile di Mechanus rimane aperta ai ricchi e al turismo. Mica scemi, eh?”.
“Sì ma… questa gente… quella che c’è qui, intendo…”, affermò con lieve struggimento, evitando di essere investito dalla calca e alzando la voce per non essere sovrastato dal vociare.
Coal lo portò in una zona un po’ in disparte. Si recò ad una bancarella e scambiò del cibo di “seconda zampa” per alcuni bulloni e un pezzo di marmitta.
“Vuoi?”, gli chiese, infilandosi in bocca un pezzo di panino smangiucchiato.
“Ho già mangiato”, declinò garbatamente.

“Mbeh, sì. Qui la gente è messa maluccio, te ne sarai accorto anche tu”.

“Scherzi? È in condizione pietose…”.

Lo stallone divenne improvvisamente serio: “No. Se c’è una cosa di cui questa gente non ha bisogno… è la pietà. Siamo pony dignitosi. Credimi”.

“Sì, non volevo insinuare che…”.

Coal buttò giù l’ultimo boccone.
“I pony che vivono qui, purtroppo… non lavorano. E, se non lavori, non hai la grana. E i soldi sono tutto, qui a Mechanus”.

“Ma perché non lavora? Non... non mi pare abbiate un deficit d’impiego…”.

“No, anzi. La richiesta è sempre costante”.

“E allora… Non capisco…”.

“Lo vedi anche tu”, gli spiegò, con un ampio gesto della zampa. “Qui sono tutti mezzi acciaccati”.

“Sì… è strano”, ammise.
    Smoky sapeva di stringere tra le labbra l’ultimo sigaro del cappotto. Così non lo accese e si limitò a morderlo tra i denti.

“…seguimi”, gli disse.

Dust ubbidì.

    La coppia si allontanò dallo spiazzo ed imboccò un minuscolo viottolo, così infimo da non essere battuto da anima viva.

L’unicorno si incollò allo stallone, divenuto improvvisamente serissimo e taciturno.
Il vicolo, intanto, diventava sempre più angusto ed isolato dal resto.

Ora si gira con un coltello e mi estirpa un rene…”, pensò cinicamente il turista.
Il pony fulvo si fermò d’innanzi all’ennesimo cumulo di spazzatura e rottami, proprio accanto ad un vicolo cieco.
Lo osservò attentamente, quindi vi affondò le zampe e prese a rovistare e scartare materiale.
Il giovane tenne le distanze.
“Vuoi… davvero sapere…”, gli disse Smoky, tra uno sforzo e l’altro, “qual è… il vero problema… di Mechanus?”.

“Uhh… i ricconi, mi pare di aver capito?”.
“Quello è il più piccolo dei problemi. Intendo…”, continuò, gettando via un radiatore forato, “…vuoi sapere… il perché di cosa hai visto?”.
“Messa così mi fa un po’ paura saperlo…”, confessò.
Dopo pochi minuti, a furia di scavare negli scarti, Coal trovò infine ciò che stava cercando, emettendo un verso di soddisfazione. Lo rimirò qualche secondo tra le zampe. La sua stazza impedì a Dust di vedere chiaramente cosa fosse.
Si girò quindi verso l’unicorno e gli lanciò un grosso oggetto metallico. Lo afferrò impacciatamente.
Lo osservò.

    Ciò che l’allievo della Principessa stava reggendo tra gli zoccoli era a tutti gli effetti il volto di un pony metallico.
Sembrava un elmo di bronzo estremamente logoro e graffiato, con grossi occhi opachi di un materiale simile al vetro.
“Un… elmo?”, domandò perplesso.
“Guarda meglio”.

Silver lo fece ruotare tra le zampe e vide il foro di entrata alla base del collo. Sgranò gli occhi.
L’interno non era vuoto.
Ingranaggi, cavetti e piccoli tubi danneggiati si intrecciavano a formare una sorta di sistema interno. Era qualcosa di unico, che mai aveva visto prima…

Se non…

Alzò il muso e drizzò le orecchie.
Non poté non pensare al medesimo sistema che aveva scorto nell’esoscheletro di Copper.
Controllò meglio.
Si trattava di componenti assolutamente strabilianti, di una fattura sicuramente ineccepibile. Ingranaggi piccoli come granelli di sabbia. Meccanismi concepiti in modo da minimizzare l’attrito ai limiti delle regole fisiche. Connettori del diametro di un capello.
Che tecnologia era mai quella?

“Ma… cosa… cos’è?”, domandò titubante, osservando Coal con sguardo interrogativo.
L’altro si sedette e fece un profondo respiro.

Sollevò lo sguardo alle venature di cielo, come se stesse per narrare qualcosa di estremamente importante. E, forse, doloroso.

“Sai…”, gli disse, riabbassando lo sguardo, con voce un po’ calante. “Un tempo… anche fare gli operai a Mechanus non era poi tanto male. Sì… c’era da sgobbare, è vero. E c’erano sempre i ricchi a lucrarci sopra. A sfruttarci”.

“Sfruttarci? Quindi… anche tu lavoravi negli…”.
“Non fui uno dei primi ma sicuramente sono uno dei più anziani…”, lo informò. “Iniziai quando gli scavi erano numerosi ma ancora superficiali. Quando ancora non si moriva dal caldo perché ancora troppo lontani dal trovare le Pietre Ignee che si formano vicino al cuore del vulcano…”.

Dust lo ascoltò attentamente. Gli occhi dell’altro, intanto, si muovevano in svariate direzioni, come se stesse rivivendo gli eventi passati.
“Ed era dura… ma non era così male”.

Sorrise timidamente.

Si incupì.
“Poi arrivò quel giorno…”.

“…quel giorno?”.
“Sì. Una giornata lavorativa come tante. Scavi. E scavi. E scavi… e se trovavi qualcosa lo buttavi nel carrello. Come sempre. Ma poi…”.

Ci fu una pausa.
“Poi ci fu quello scoppio. Un crollo nella miniera accanto. Fortunatamente non ero lì. Ma lo sentimmo. Fu forte. Dannatamente forte. Andammo di corsa a vedere cosa fosse successo. Pensammo subito ad un guasto nelle tubature col vapore. E invece…”.

Gli occhi del pony col sigaro si posarono sull’oggetto dalla forma equina.

“Costrutti…”.

“…costrutti? Cosa?”, chiese interdetto.
“Un piccolo assembramento di pony fatti di metallo”.

“Intendi dire… pony in armatura?”.

“No. Pony fatti di metallo. Come quello che hai tra le zampe. Con le giunture esposte che lasciavano intravedere ingranaggi, tubi e tutta la baracca. Ma senza che vi fosse un occupante…”.

“Ma…”.

“Tu ora non puoi vederlo… e forse potrai anche non credermi”, gli confessò, fissandolo in volto. “Ma quei cosi… erano vuoti, dentro. C’era soltanto una strana luce azzurra ad alimentarli. E gli occhi… che ora vedi opachi e spenti su quell’aggeggio… brillavano come fari nella notte”.

Per un istante, l’unicorno pensò di essere vittima di uno scherzo.
“Beh…”, continuò, rialzandosi e tirando un calcio ad un barattolo. “Quei cosi sono sbucati fuori. E…”.
“…e?”.

Il volto di Coal tornò serissimo.
“E cercarono di ucciderci”.

Il puledro scosse il capo, percependo un brivido lungo la schiena. Scrutò l’oggetto e non riuscì a capacitarsene.

“Stai… mi stai prendendo in giro, vero…?”.
“Mi caschino gli ultimi crini che ho in testa se sto mentendo, ragazzo. Quegli affari sono venuti fuori dai nostri scavi. E hanno iniziato a ricacciarci fuori a suon di pestoni ed uno strano potere dai loro corni di metallo. E fidati che una tonnellata di equino metallico che ti schiaccia sotto le zampe non è piacevole…”.
“Quindi vuoi dire… che…”.

“Da allora…”, riprese, “…lavorare nelle miniere non fu più sicuro. Queste macchine iniziarono a sbucare periodicamente ed in modo del tutto imprevedibile. E dove apparivano, non si facevano problemi a mandarci via. E se tentavamo di resistere o non eravamo abbastanza veloci… beh i più fortunati se la cavavano con qualche osso rotto”.
“Ma… e… le difese? Non ci sono le guardie?”.

Smoky ebbe un impeto d’ira. Prese una chiave inglese e la gettò con violenza verso un bidone, provocando un gran fracasso. Dust si intimorì.

“LE GUARDIE!! AH!”, si lamentò. “Quelli sono mercenari… Non appena gli imprenditori hanno percepito l’odore dei soldi, hanno mandato noi. Non appena i loro introiti si sono trovati in pericolo… non hanno esitato ad assoldare forze armate per respingere il problema. Senza però riuscirci…”.

“Ma… perché?”.

Si sedette.

“Perché i mercenari non fanno domande. Non sono come guardie reali che devono obbedire ad un codice di condotta. Non avrebbe giovato agli affari avere in giro la notizia che dei cosi di origine sconosciuta stavano seminando il caos nelle miniere. Così hanno assoldato loro. E si è creata una piccola oligarchia del tutto autoproclamata…”.

Il puledro non riusciva a crederci.
“Dopo quegli avvenimenti, gli imprenditori si convinsero che era meglio così per tutti. Impossibile combattere queste cose. Per dieci che ne smontano, altre cento ne arrivano, chissà da quali cunicoli che sbucano direttamente nelle miniere. Non sono mai riusciti a trovarli. A risalire da dove provenissero. Non puoi immergerti nel cuore di un vulcano, a quelle temperature e dove manca l’aria. Ma questi affari… loro non sono vivi…”.

“Quindi… tutti quelli che ci sono qui… sono…”.

“Loro sono i reduci di quegli scontri. Operai la cui unica colpa è stata voler racimolare un po’ di soldi per poter sopravvivere. Trovandosi poi nel posto sbagliato al momento sbagliato… E che ora vengono ammassati qui, lontani da occhi indiscreti. Mentre altri vengono continuamente inviati alle miniere. I più sfortunati non tornano più…”.

“E i soldati che ho visto… stavano ripiegando da quegli scontri?”.
“È molto probabile…”.

“Ma… ma è… è terribile…”, ammise, ancora incapace di credere a tutto ciò che stava sentendo.
“Già”. Non resistette. Si accese il sigaro. Fumò.
“Non… perché non fate niente??”, cercò di capire Dust.
“Eh... Cosa vorresti fare? Le miniere sono in mano ai ricchi. E le difese? In mano ai ricchi. E Mechanus fa gola a troppi per potervi rinunciare, già solo per la facciata di benessere e turismo che ostenta all’esterno”.

“Sì… ma all’interno…”.

“A nessuno frega di cosa giace all’interno, ragazzo…”.
“Mi sembra poco credibile…”.
“Io credo a questo…”.

Con quelle parole, Smoky Coal si tolse il proprio giaccone in pelle, con una certa fatica.

Silver osservò con apprensione la sua zampa sinistra. Il pelo era completamente assente, a causa di un qualche tipo di ustione. O chissà cosa. Intuì che anche i crini mancanti sul capo dovevano essere reduci di qualche incidente in miniera.
Dopo pochi secondi, si rivestì prontamente.

“…certe prove sono fin troppo evidenti…”, concluse mollemente.

Dust non seppe come reagire e si limitò a rimirare ancora qualche volta lo strano oggetto che reggeva tra le zampe.
Coal si avvicinò a lui e si rimpossessò della testa meccanica, con gesto lento ma deciso.
“Basta così, ragazzo. Hai visto ed udito fin troppo. Volevi la verità su Mechanus? Ora la conosci…”. Lanciò l’elmo lontano, facendolo rotolare tra i rottami a bordo strada. “E questo è meglio se non te lo porti dietro come souvenir. Se ti beccano con ‘sto affare è buono che ti arrestino per complotto o chissà cosa”.

“…capisco”.

Lo stallone fulvo lo osservò per qualche istante, quindi chinò il mento e si avviò per il ritorno.
“Dai. Vieni. Ti riporto fuori da questo buco puzzolente”.

L’unicorno lo seguì diligentemente, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata alla testa metallica tra i rifiuti.
Vide il suo muso inespressivo e gli occhi vitrei.
Provò una strana sensazione.
Se ne andò.

 

    Dopo alcune decine di minuti e una lunga camminata a ritroso tra le viuzze, il duo si ritrovò all’imboccatura della piazza da cui Dust era partito.
Il vociare ed i rumori delle attività cittadine si fecero sempre più forti, sintomo che il suo ritorno era imminente.
Coal si fermò al limitare della stradina. Non voleva assolutamente uscire e mostrarsi alla zona benestante. Forse temeva ritorsioni. O semplicemente non gli andava.
“Capolinea, ragazzo”, lo informò, voltandosi verso Dust.
“Ok…”, rispose, con una nota di sofferenza negli occhi, per quanto aveva appena scoperto.
“Da qui te la sai cavare da solo, spero”.

“Sì. Sì, non sarà un problema”.

“Bene”, tagliò corto, superandolo e facendo ritorno ai budelli.
Silver lo osservò mentre si allontanava, con passo lento e zoppicante, come suo solito.

“Ah…”, proruppe timidamente, inducendolo a fermarsi. “G… grazie per… per le informazioni. E per… per avermi difeso da quei due tipi…”.

“Mhf”, sbuffò, senza nemmeno girarsi. “Sennò avrei avuto un damerino sulla coscienza…”.

Attese un qualche tipo di risposta ma l’altro non disse nulla.

Sorrise e riprese a zoppicare.

“Addio, ragazzo. E vedi di non parlarne troppo in giro, se tieni alla tua permanenza qui a Mechanus…”.

“…lo terrò a mente”, sussurrò, sicuro che non potesse udirlo.
Ad un certo punto, Smoky scomparve dopo aver svoltato un angolo.

Silver Dust sospirò.
Compì un angolo giro.

E riguadagnò l’accesso alla piazza.

 

*** ***** ***

 

    Tornare in mezzo alla popolazione benestante di Mechanus ebbe uno strano effetto su Dust.
La prima volta che vide la città, appena giunto dalle campagne, la trovò sporca e trascurata. Dopo essere uscito dai vicoli, tuttavia, gli sembrò fin troppo ordinata e sfarzosa. La realtà con cui era entrato a contatto lo aveva colpito nel profondo.
I passanti camminavano tranquilli, all’interno dei propri vestiti retrò, conversando e interloquendo tra loro. I velivoli fumosi fluttuavano nel cielo, mentre quelli terrestri smarmittavano rumorosamente per le strade.


Era quella Mechanus?

Si voltò e controllò un’ultima volta i budelli angusti.

Compì un profondo sospiro.
Sembrò rattristarsi.

Rimirò l’enorme città abbarbicata lungo il vulcano, che si stagliava contro il cielo ed il sole luminoso.
I mille rumori della megalopoli si mischiarono ai suoi pensieri già confusi.

Vedi, ragazzo? Questa è la verità sotto Mechanus…”.

Silver si sentì di nuovo isolato dal mondo, seppur immerso in una folla in movimento.
Avrebbe potuto continuare le proprie ricerche sul posto ma non ne ebbe lo stimolo.
Non avrebbe potuto. Non ci sarebbe riuscito.

Decise così di rincasare molto prima del tramonto e si diresse verso una delle fermate dell’enorme treno a vapore che, implacabile, solcava le rotaie di metallo sparse tra gli edifici.

Vi salì un po’ risollevato.
Percepì il bisogno di tornare nell’abitazione di Copper e riordinare le idee.


Dopo alcune decine di minuti, l’intromettersi dei fabbricati tra gli edifici residenziali gli confermò che la destinazione non era lontana.

 

*** ***** ***

 

    Il sole era ancora alto nel cielo quando l’unicorno lilla giunse nuovamente per le strade dell’area industriale.
Ripercorse la via del ritorno, con la mente a vagare in mille e più questioni irrisolvibili. Sbagliò persino direzione, ritrovandola per pura fortuna.

Riconobbe infine l’ampio spiazzo che conduceva all’edificio in cui viveva Copper.
Ma qualcosa di molto diverso da rottami e costruzioni fatiscenti attirò la sua attenzione.

    Non molto lontano dal punto d’arrivo, fluttuando a pochi centimetri da terra, vi era una stupenda imbarcazione volante, dotata di chiglia lunga almeno una ventina di metri. Le paratie laterali sembravano costituite da rame lucidissimo, praticamente tirato a specchio. Numerosi intarsi e cesellature dorate occultavano i punti di giunzione delle lamiere e donavano all’intero velivolo un’aria sfarzosa e assolutamente mozzafiato. La plancia era vicino alla poppa ed era anche relativamente piccola. Ricordava più una spaziosa cabina di comando.

Furono tuttavia due le cose a destare la preoccupazione del giovane dai crini scuri.
Primo: nella parte apicale della prua era stato collocato uno stupendo e spaventoso spara arpioni, anch’esso cesellato e rifinito in dettagli che ne nascondevano solo apparentemente la pericolosità.
E secondo… Un’asta al centro del castello reggeva la bandiera che riportava il simbolo che aveva scorto giusto il giorno prima. Si trattava dello stemma dei Divites, almeno da quanto aveva affermato Copper, ovvero la casata in carica in quel momento.

Il tutto terminava con un grosso pallone aerostatico, assicurato allo scafo da numerosi e robusti cavi in tensione. La nave era stata ancorata a terra tramite dispositivi di attracco simili a morse d’acciaio.

Silver tenne le distanze e non si mosse, per paura che qualcuno potesse notarlo.
In realtà non aveva assolutamente nulla da temere; non solo era un allievo di Celestia, dotato di tutti i documenti in regola per la permanenza a Mechanus, ma non aveva compiuto nessun atto illegale di sorta.
Ciò che lo spaventava, tuttavia, era la presunta libertà che le forze armate avrebbero potuto ostentare. Senza un gerarca o un codice di condotta a cui rispondere, non aveva la benché minima certezza che sarebbe stato al sicuro dai presunti soldati.
E quella non sembrava certo una nave turistica, quanto più un letale mezzo da combattimento.

 

La domanda era: perché quel mezzo era atterrato accanto all’abitazione di Copper?

Silver decise di muoversi cautamente.
Deviò per un percorso alternativo, allungando il tragitto ma rimanendo relativamente nascosto dalle pile di rottami sparse un po’ ovunque.
Alla fine giunse a lato dell’entrata. Si accostò ad un mucchio di metallo e si sporse con cautela.

Di fronte alla facciata principale, proprio nel cortiletto che precedeva l’uscio, Copper Head e tre soldati stavano discutendo animatamente tra loro.
Dust aguzzò lo sguardo e cercò di capire cosa stesse succedendo.
Due erano semplici soldati, come tanti ne aveva visti fino a quel momento. La differenza sostanziale risiedeva nell’armatura: una corazza priva di elmo, più leggera e che permetteva alle ali di muoversi liberamente. Sì. Si trattava di pegasi in tenuta militare.
Il terzo, quasi sicuramente un ufficiale, era invece un colossale unicorno in armatura completa. Era davvero massiccio, sia in corporatura che altezza, e superava l’interlocutrice color creta di almeno mezzo metro abbondante. Lo stile della corazza ricordava quello della nave da poco superata, piena zeppa di ghirigori e abbellimenti dorati. La superficie era tuttavia logora e rovinata, probabilmente reduce da numerose battaglie.
L’elmo, tuttavia, era assolutamente terrificante e riportava il ghigno rabbioso di uno stallone dalle sembianze mostruose. Un foro sulla fronte permetteva ad un lungo corno bianco di fuoriuscire.
Il puledro non seppe cosa fare e si limitò a rimanere nascosto. Era tuttavia troppo lontano per capire cosa stessero dicendo.
Copper sembrava visibilmente seccata e si sbracciava come suo solito, nel tentativo di esprimersi al meglio.
Ad un certo punto, l’attenzione dell’inventrice cadde casualmente verso la direzione del pony lilla. Copper disse qualcosa ai soldati, quindi puntò lo zoccolo verso di lui.
I tre si voltarono.
Dust sgranò gli occhi e percepì un tuffo al cuore.

Il più grosso dei tre iniziò a camminare verso di lui, con passo lento e pesante.

Il giovane, colto impreparato, si mosse leggermente di lato, uscendo dal riparo e optando per la via più pacifica di tutte.
“Oh… ehm…”, balbettò, poco prima che l’altro lo raggiungesse. Ma non riuscì a finire il discorso. Il bestione fece brillare il corno ed una lancia si sganciò dalla bardatura da combattimento.
Silver si ritrasse, temendo per il peggio.
L’unicorno corazzato gli puntò immediatamente l’arma contro, che si estese con alcuni sbuffi di vapore. La punta si fermò a pochi centimetri dal suo collo.

“FINALMENTE TI ABBIAMO TROVATO!!”, tuonò il colosso, con voce profonda quanto metallica.
Il poveretto fissò l’elmo ghignante, colto dal terrore più assoluto.
“ALLORA??”, continuò minacciosamente la guardia. “COS’HAI DA DICHIARARE??”.
Copper sbucò improvvisamente dietro l’imperiosa figura e, con fare rabbioso, si appoggiò alla lancia per abbassarla.
“Ehy, Zamak!! Che ti piglia?? Piantala di fare il cretino!”, lo ammonì.

L’altro, per tutta risposta, alzò la lancia e si sollevò rapidamente la celata dell’elmo, rivelando un bianco faccione bonario e divertito.

“Eddai, Coppy!”, le rispose ridacchiando, sempre con profonda voce baritonale. “Stavo solo scherzando un po’!”.
Silver non ci stava capendo nulla. Sapeva solo che quello era il secondo, grosso spavento della giornata.
Il tizio di fronte a lui era un colossale unicorno in armatura, dotato di crini dorati e classicissimi occhi azzurri. Il tipico esemplare di razza “chiara”.
“Non me ne frega un accidente!”, ribadì la puledra. “Ti pare il modo di fare??”.

“Ohh, dai!”, minimizzò, riponendo l’arma sui fianchi. “È solo una burla innocente!”.

“No che non lo è! Un giorno farai prendere un infarto a qualcuno!”.
“Bah! Come sei esagerata. Mica ti sei spaventato, vero?”, chiese a Dust, girandosi improvvisamente verso di lui.
“I-i-io…”, rantolò.

“Visto??”, la rassicurò, dando una sonora e dolorosissima pacca sulle gracili spalle color lilla. Silver per poco non cadde a terra. “Ha capito che scherzavo!”.
Copper si imbronciò.
Il soldato allungò quindi le zampe verso l’unicorno dai crini scuri e lo aiutò a rimettersi sulle quattro zampe.
Si diede una spolverata allo zoccolo e glielo porse.

“Piacere!”, gli disse. “Zamak Kirksite!”.

Tutto quello che riuscì a fare Dust, ancora confuso ed agitato, fu osservare la zampa, quindi rivolgere lo sguardo interrogativo verso Copper Head.
“…lui è Zamak”, sbuffò infine la puledra, rassegnata alla situazione. “Capitano in comando del Second Reggimento Divites…”.

“…ah…”, commentò sorpreso.

L’incantatrice si sforzò quindi di terminare ciò che non voleva dire: “…nonché mio fratello”.

“Capis…COSA?”, si meravigliò.

“EGGIA’!!”, li interruppe bonariamente il bestione, stringendo a sé la puledra con un’unica zampa. L’altra mantenne un’espressione annoiata per tutto il tempo. “Lei è la mia piccola sorellina con il cervellino pieno di idee e strambosaggini!”.

“Evvivaaa…”, rispose Copper, sentendosi schernita.

“Voi… voi due siete fratelli?”, chiese stupito.
“Già! Si nota, vero??”, gli domando Zamak, schiacciando il viso di profilo contro quello della sorella e sfoggiando un terribile sorriso. Per Silver, potevano essere stati adottati in epoche e continenti completamente diversi.

“M-ma… non capisco…”, cercò di chiarire. “Cosa… cosa ci fanno i soldati, qui?”.

“Oh è semplice!”, riprese Zamak, mollando la presa. La sorella minore cadde impacciatamente a terra. “Abbiamo saputo che l’allievo di una Principessa è giunto direttamente nella nostra straordinaria città! E non potevamo non venire a darti il benvenuto!”.
“Ma certo!”, berciò l’altra, rialzandosi da terra e cercando di contenere gli improperi. “Sei qui per il benvenuto, mh? Sei qui solo per questo, non è vero?”, domandò sarcasticamente.
“Certo che sì”, la liquidò, con aria di sufficienza. Si rivolse quindi al forestiero: “E, infatti, con chi ho l’onore di parlare?”.

“Ah… uhm… Dust. Silver Dust…”, dichiarò, poco convinto.

“Lieto di conoscerti, allievo della Principessa!”.

“Non sai manco come si chiami la sua Principessa, cretino!!”, lo apostrofò la parente.

“Certo che lo so!”, ribatté. “Si… si chiama… uh… Ermengilda, giusto?”.

“Visto? Lo sapevo!”.

“Oh, senti!”, tagliò corto. “Poche storie! Sono lieto di fare la tua conoscenza, Silver Dust!”.

“…piacere mio”.

“Se dovessi avere qualsiasi tipo di esigenza o richiesta… sappi che le forze armate dei Divites sono a tua completa ed assoluta disposizione!”.

“…lieto di saperlo”, tentennò, guardandolo con sospetto. “Lo terrò a mente…”.

“Ottimo, ottimo!”, si rallegrò.

“Bene!”, riprese Copper, con rinnovata foga. “Hai fatto il tuo spettacolino? Sei contento? Ora puoi andartene!”.

“Ma che modi sono, sbatter via tuo fratello dopo neanche dieci minuti che son qui?!”, protestò, inscenando un volto vittimizzato.

“Via. Smamma. Fuori”, lo incitò, cercando di spintonarlo lontano (senza muoverlo di un millimetro).

“È così carina, non è vero?”, domandò a Silver, con un grosso sorriso sulla bocca.

“Uh… io…”.

 

Il puledro non sapeva più cosa fare o pensare.
O quel posto era pieno di matti o lui era l’unicorno più sfortunato nel regno ad averli incontrati tutti, uno per uno.

 

“Senti, se non te ne vai io…”.

Zamak si scostò di colpo e Copper, che ancora cercava di spingerlo, si ritrovò distesa a terra.

“Va bene, va bene. Me ne vado. Che modi!”.

“Uff… ecco… bravo… levati di torno…”, blaterò, sollevando il volto impolverato.

 

    Il fratello fece per andarsene ma poi, all’ultimo minuto, si girò nuovamente verso il pony color creta.

“Comunque, Copper…”, sussurrò, con volto decisamente più serio, “…ricordati che c’è sempre quella questione che conosci…”.

“Ecco… lo sapevo che andavi a parare lì…”.

Si rimise in piedi.

Lo stallone tornò leggermente più bonario: “Dai, Coppy! Sai benissimo che…”.

“NO!”, lo zittì. “Quante volte te lo devo dire che non serve a nulla insistere!! Non vi darò nulla!”.

“Ma… pensa a papà che…”.

“NULLA!! Né a te, né a quel guerrafondaio di nostro padre!”.

Zamak si agitò sempre più. Osservò attentamente l’armatura della sorella.

“Cavolo, Copper, ma non capisci le implicazioni?! Sai quante vite potresti salvare?? Quanti soldati potrebbero respingere i problemi che sai se solo tu…”.

“Vite salvate? VITE SALVATE??”, strillò, sempre più inviperita. Sollevò magicamente un lavandino tra i rifiuti e glielo scagliò contro. Il bestione lo schivò per un soffio, quindi strinse i denti e prese a galoppare rapidamente verso il velivolo poco distante. I pegasi spiccarono il volo.

“È STATO UN PIACERE ANCHE PER ME RIVEDERTI, COPPER!!”, urlò, sempre più lontano.

“TE LE DO’ IO LE VITE SALVATE, RAZZA DI PAGLIACCIO VESTITO DA BARATTOLO!!”, continuò ad inveire, con volto contratto dal nervoso.

In tutto questo, Silver cercò di starne fuori il più possibile.

    Dopo alcuni minuti, recuperarono gli ormeggi ed il pallone aerostatico iniziò a sollevarli alti nel cielo.

Dust era senza parole.

Copper, accanto a lui, ansimava per la rabbia. Si stava leggermente calmando ma gli ingranaggi della sua tuta ruotavano velocissimi, emettendo un ronzio costante e ben percepibile.
Si voltò improvvisamente e si diresse ai suoi laboratori.

“Tu che fai?”, gli chiese stizzita. “Rimani qui fuori?”.

“N-no…”.

“E allora entra, sbrigati”.

Silver non amava essere trattato in quel modo ma aveva capito che, con i nervi a duemila, quella puledra poteva essere una pentola a pressione. Decise di non darle peso e la seguì.

    Una volta all’interno, Copper Head iniziò a trafficare tra i suoi arnesi, in modo decisamente distruttivo: afferrò bulloni, scaraventò attrezzi, spezzò lamiere… il tutto accompagnato da manifestazioni quali “pagliaccio”, “buffone” e il meno folcloristico “incrostazione piroforica”.

Dust posò cautamente i suoi acquisti su un tavolino, continuando ad osservare la puledra, in silenzio.
“Dannato, stupido scemo, faccia da chiapp…”.

“Ehm…”, cercò di intromettersi Dust.

“Che c’è??”.

“Uh. Niente”.

Copper riprese a trafficare e Dust riprese ad osservarla in silenzio.

Passarono alcuni minuti.
“Mh, Copper?”.

“Cosa?”.

“Posso chiederti una cosa?”.

“No”.

“Quindi quello è tuo fratello?”.

“No, è un cretino”.

“Quel cretino è tuo fratello?”.

“È un imbecille”.

“Capisco. Beh, se non ne vuoi parlare…”.

La puledra si voltò di scatto, puntandogli un saldatore (fortunatamente spento) dritto tra gli occhi, tramite la levitazione.

“Quello scemo deve ringraziare che è mio fratello!!”, sbottò. “Sennò lo avrei già rispedito a calci dalla sua amata casata!”.

“Ook…”, commentò Silver, scostando cautamente l’attrezzo con una zampa. “Eee quindi dici che non era qui solo per via del sottoscritto?”.

“Bah”, sentenziò, riprendendo ad armeggiare. “Se hanno un potenziale interesse in te, stai sicuro che si faranno vedere”.

Dust scrutò l’esoscheletro della puledra.

“Mh. E, mi pare di capire, aveva anche altri interessi? Sempre se ne vuoi p…”.

“No, non ne voglio parlare. Quindi evita”.

“…va bene”.

La padrona di casa alzò lo sguardo verso una finestra e notò come il sole stesse iniziando a calare.

Si fermò.
Chiuse gli occhi.
Puntellò le zampe al tavolo.

 

Fece un profondo respiro.

Il puledro percepì il rumore degli ingranaggi rallentare progressivamente.

Forse si stava calmando.

“Ok. Senti”, dichiarò Copper, dirigendosi verso l’angolo cucina (ovvero la zona meno ricolma di oggetti e roba varia). “Io e mio fratello non siamo in buoni rapporti. Immagino si sia visto”.

“Diciamo che avevo il sospetto”, commentò raggiungendola.

“Anche se, a dirla tutta, io non sono in buoni rapporti con il mondo”.
Il pony dai crini ramati aprì un contenitore di metallo ed estrasse un paio di sacchetti di carta.
“Trovo difficile crederlo. Ci deve essere qualcuno che…”.

“No, non c’è nessuno”, lo liquidò, poggiando gli oggetti sul tavolo. “Qui c’è del fieno fritto e un po’ di contorno sintetico”.

“…sintetico?”.

“Sì. Ho usato la delibera che mi hai consegnato. Ho optato per i cibi meno costosi ma sempre meglio della miseria a cui sono abituata. Non volevo approfittarne. Te l’ho detto che non sono una scroccona…”.

“…non l’ho mai pensato”, le rispose sedendosi.

 

I due si fermarono, uno di fronte all’altro, con il tavolo in mezzo.

Copper lo fissò intensamente e sembrò calmarsi quasi del tutto.

Mostrò anche un volto vagamente dispiaciuto. Forse si era resa conto di aver dato pessimo sfoggio di sé e di aver trattato Silver in modo un po’ troppo distaccato.

 

“Anzi…”, riprese l’incantatore. “Non farti problemi a prendere qualcosa che ti possa servire, se pensi che…”.

“No, tranquillo…”, lo rassicurò, osservando la propria porzione di cibo. “Voglio prendere solamente l’indispensabile…”.
“Ok…”.

I due iniziarono a mangiare, incluso l’allievo di Celestia, che così conobbe il famigerato cibo sintetico: qualcosa che non riuscì a definire né classificare in una categoria di prodotto commestibile.
Copper, invece, quasi si strafogò e, alla fine, proruppe in un verso liberatorio.
Sollevò il muso al soffitto e tirò il capo all’indietro.

“Uff… per tutte le valvole di raccordo… erano settimane… anzi no, che dico? Mesi…! Che non mangiavo qualcosa di così buono…”.

Silver non era nemmeno a metà.

“Davvero?”.

“Già…”.

“Ma… ti vanno così male le cose, qui? Cioè… scusa, so che non vuoi parlarne ma… mi sembra che tuo fratello non versi in pessime situazioni economiche…”.

Copper, contrariamente alle sue previsioni, non rispose affatto male. Forse si era calmata sul serio. Iniziò ad osservare un punto indefinito sulla parete, corrugò la fronte e rispose: “Bah. Non è quello…”.

“…no?”.

“No. Non è che non potrei avere soldi… nel senso… Voglio essere autosufficiente. Vorrei potermi guadagnare i soldi per conto mio…”.

“Lo posso capire”. Ingoiò il boccone. “Ma non riesci proprio a guadagnarti da vivere? O non puoi chiedere aiuto a qualcuno? A tuo fratello, per esempio?”.

“Io non voglio avere nulla a che fare con mio fratello. O con i soldati. Lui vorrebbe aiutarmi. Sono io che non voglio…”.

“Perché?”.

“Perché è così. I soldati, a Mechanus, sono solo pronti a costruire cose da usare per distruggere altre cose. O, peggio ancora… altre vite…”.

“Sì ma…”.

Copper colpì il tavolo con una zampa.

“Non voglio nulla da lui. Vorrei poter vivere delle mie creazioni, invece…”.

“E… non ci riesci?”.

La puledra si rattristò.

“Non… non è così semplice…”.

Dust assunse un’espressione interrogativa.

L’altra cercò di spiegarsi meglio: “…non sono propriamente un’inventrice molto abile. Hai visto il casino che ho fatto quando ci siamo incontrati, no?”.

“Dici in quel locale?”.

“Già. Volevo solo installargli un controllo di pressione… e invece…”.

“Beh… ma mica tutti i tuoi tentativi saranno fallimentari, credo…”.

“Quasi tutti…”.

Il pony lilla non poté non osservare nuovamente l’esoscheletro.

“E… la tua armatura?”, buttò lì con titubanza. “Anche quella è…”.

 

Copper si alzò all’improvviso e sollevò i vassoi di entrambi, tramite la magia.

“Spero tu abbia mangiato bene”, lo interruppe.

“Ah… io…”.

“Vado a buttarli nell’inceneritore”. Fece per allontanarsi. “Per me è stato il primo piatto decente dopo un sacco di tempo… altro che mele a coltura intensiva…”.

Dust sembrò illuminarsi all’improvviso.

Drizzò le orecchie e sorrise: “A proposito!”.

Copper si fermò, posò i vassoi e si voltò incuriosita.

L’ospite estrasse un piccolo cestino dalla sacca, in cui erano state collocate due mele rosse.

Lo posò sul tavolo, quindi ne sollevò una tramite il corno incantato.

“Tieni. Una per te. Una per me”, le disse.

“Una… una mela?”.

“Sì. Ma non quelle che fanno qui. Questa è stata importata direttamente dalle campagne. Infatti costava quasi dieci volte tanto!”.

“M-ma…”, balbettò Copper, mentre la levitazione dell’altro le portava il frutto tra le zampe.

“…mi pareva di aver capito che non ne avessi mai assaggiata una…”.

“Ma… non dovevi”, ammise dispiaciuta. “Non mi sembra il caso di spendere i soldi della Principessa per…”.

“Non sono soldi della principessa. Ho usato i miei risparmi personali”.

“…come?”, domandò perplessa.

“L’ho comprata coi miei soldi. Manco io l’avrei mai presa con i soldi della Principessa. Sennò sai la figura…”.


La puledra osservò attentamente il proprio riflesso nella buccia rosso fuoco (fatta eccezione per una zona ancora un po’ ammaccata, sintomo che arrivava davvero dalle campagne). Riportò l’attenzione su Dust.

“Non… non era il caso… Non spendere i tuoi soldi per una roba così…”.

“Senti. Assaggiala”, la rassicurò sorridendo. “Se ti farà schifo potrò dire di aver buttato i miei soldi”.

Copper scosse il capo. Proprio non le andava quello che aveva fatto. Ma di certo l’avrebbe almeno assaggiata. Sbuffò, cercando di apparire scorbutica. Diede un morso e prese a masticare prima con lentezza e poi sempre maggior energia.

Le sue palpebre si spalancarono e i suoi occhi espressero meraviglia. Osservò il puledro accanto a sé, incredula.

L’altro continuò a sorriderle.

In pochi secondi, la foga di Copper le permise di sgranocchiarla in men che non si dica, torsolo incluso. La puledra si baciò persino gli zoccoli, a pasto ultimato.

“Cavolo, Silver!!”, ammise entusiasta, mordicchiandosi una zampa sporca di succo. “Era dannatamente squisita!!”.

“Ti è piaciuta così tanto?”.

“Cavolo sì!”.

Il puledro osservò la propria mela. Gliela avvicinò con l’incantesimo.

“Allora tieni”.

“Ehy… quella è la tua”.

“Non la voglio”.

“No”, tagliò corto, facendo un passo indietro. “Non ci provare…”.

“Dai, prendila”.

“Ho detto no”.

Cercò di mettergliela tra le zampe ma le aprì.

Tentò di avvicinargliela al muso ma si girò.

Optò per un diversivo: la sollevò in aria e riuscì a conficcargliela nel corno.

“EHY!!”, protestò.

Dust iniziò a ridere, fino a doversi coprire la bocca con una zampa: “Oh! Ora sembra che tu abbia in testa una di quelle leve con pomello che vedo ogni tanto in giro per Mechanus!”.

Copper si staccò la mela e sollevò una zampa, assolutamente intenta a centrarlo in piena fronte. Le guance le divennero rossissime e gli ingranaggi parvero impazzire.

“Piantala!!”, strillò imbarazzata. Silver continuò a ridere. “Guarda che non la mangio e te la sparo sulla zucca!”.

“No, no! Ok! Se è così allora la smetto! Almeno la mangi!”.

Copper gli diede improvvisamente le spalle e iniziò a giocherellare nervosamente con la mela. Abbassò lo sguardo.

“Idiota…”, sussurrò, con un filo di voce.

Si fermò. Non resistette.

Ne addentò un pezzo ed iniziò a masticare, con sommo piacere del puledro.

“Ah… e… senti…”, buttò lì Silver.

“Mh?”, mugunò a bocca piena.

Dust pensò attentamente se e cose dire. Alla fine ipotizzò fosse meglio parlarne.

“…oggi ho… ho svolto qualche ricerca su Mechanus…”

“M-mh”.

“E… ecco… ho scoperto alcune cose…”.

“He fenere hi hofe?”.

“…cose su…”. Fece una smorfia di indecisione. “…sulle miniere. E sugli incidenti che ci sono stati”.
Copper si fermò e si girò lentamente verso di lui, asciugandosi poi le labbra con il dorso di una zampa.

Lo sguardo le divenne molto serio.
“..sei stato nei vicoli, vero?”.

“Già”.

Chiuse gli occhi e riprese a mangiare.

“Certe cose puoi scoprirle solo in certi posti…”.

“In effetti è paradossale che gli abitanti siano all’oscuro di tutto”.

“Il grosso è all’oscuro. Nessuno tra i benestanti ci tiene ad entrare nei vicoli e la vigilanza impedisce a chi vi penetra di uscirne… o perlomeno ci prova”.

Dust abbassò il capo e non rispose.

“Beh”, continuò Copper, finendo l’ultimo boccone. “Volevi saperne di più su Mechanus, no? Eccoti accontentato…”.

Il puledro tornò a controllare gli ingranaggi della tuta.
“Sai…”, la informò cautamente. “Mi hanno anche fatto vedere… quelle cose che avrebbero attaccato le miniere. E che ancora adesso sarebbero causa di tanti problemi…”. L’altra non disse nulla. “Devo confessarti che… non ho potuto non pensare a quella corazza che indossi…”.

“Molto interessante”, gli rispose allontanandosi. Stava di nuovo evitando il discorso. “Ma ogni correlazione è casuale. Non conosco bene nemmeno io le faccende nelle miniere. E questo esoscheletro è una mia invenzione”.

“Capisco”.

“E ora…”, concluse, ruotando il capo verso di lui. “Scusami ma… devo concludere una faccenda”.

Salì le scale e si diresse verso il portone il cui accesso era stato precluso all’ospite.

 

Poco prima di terminare la rampa, Copper si sporse verso di lui.

“Ah… e… Dust?”.

“Sì?”.

“Ecco… Cioè… L-la mela era molto buona…”.

“Sono contento ti sia… anzi… ti siano piaciute!”.

“Ascolta… domani cosa vuoi fare?”.

“Non saprei… ora sono un po’ rintronato. Credo che deciderò sul momento. Almeno che tu non abbia qualcosa in programma, ovvio”.

“No. Cioè ho i miei progetti, eccetera. Ma… sei pur sempre affidato a me. Forse… forse posso farti vedere qualche altra zona della città? O portarti da qualche parte… non saprei”.

“Mhh, perché no?”.

“…ok”.

“Allora… ci vediamo domani…”.

“A domani”.

Si congedò.

 

    Silver Dust rimase al piano di sotto ma avrebbe presto raggiunto il proprio letto.

In mezzo a quel silenzio, inavvertitamente, udì dei piccoli ticchettii provenire dalla stanza di Copper.

La puledra stava probabilmente inserendo la combinazione del meccanismo di chiusura.

 

Non lo fece apposta.

Non fu un gesto consapevole.

 

Le sue orecchie si drizzarono.

La sue mente prese a conteggiare gli scatti, mettendosi poi in moto per elaborare le quasi infinite combinazioni che ben pochi sarebbero riusciti ad identificare.


Ticchettio dopo ticchettio.

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Capitolo 4
*** Accedente Veritas ***


    L’ufficiale percorse lo sfarzoso corridoio di metallo, facendo rimbalzare debolmente il suono degli zoccoli lungo le pareti; queste, anch’esse foderate con pannelli di legno, erano addobbate con un’ordinata sfilza di dipinti, ciascuno riportante pony in abiti militari da parata. Ad intervallare la serie di quadri vi erano alcune armi bianche appese e dei drappi riportanti l’emblema dei Divites. Piccoli oblò, posti a distanza regolare l’uno dall’altro, permettevano di scorgere l’esterno, ovvero un cielo azzurro solcato da nubi di bassa quota. Il costante ronzare dei rotori confermava come la fregata fosse in perenne volo ormai da ore.

Il pony giunse alla fine del corridoio, incrociando una coppia di soldati che piantonava un grosso portone. Si scambiarono dei saluti militari e lo fecero entrare.

    L’ufficiale si ritrovò in un grosso stanzone circolare, con un’enorme platea a due piani lungo le pareti, completamente vuota.

Al centro era stato collocato un grosso tavolo in metallo tirato a specchio. Lungo il perimetro si trovavano numerose sedie, ciascuna corrispondente ad una targhetta con nome posta sulla superficie. Tutti i posti erano vuoti. Fatta eccezione per uno.

L’ospite fece il proprio ingresso, facendo rimbombare il rumore del portone che si richiuse dietro di lui. Si mise sull’attenti ed osservò l’unico occupante presente. Un unicorno grigio scuro, la cui targhetta riportava “Generale Steel Hammer”.

Il generale era un unicorno oltre la mezza età, relativamente magro, con i crini neri che iniziavano a sbiancare e numerose rughe sul volto. Vestiva un indumento adorno di stelle ed onorificenze. Era seduto al tavolo, puntellandosi il mento ad uno zoccolo, ed osservava l’ufficiale con volto serio e inespressivo.

L’altro deglutì e cercò di non scomporsi.

Fissò Hammer dritto negli occhi azzurro ghiaccio, quindi si mise sull’attenti e parlò: “Generale”.

Steel, per tutta risposta, scostò la seggiola su cui era seduto ed iniziò a muoversi verso di lui, producendo uno strano ronzio accompagnato da un ritmo metallico. Uscì dalla copertura del tavolo, rivelando una protesi meccanica che ne sostituiva l’intera zampa anteriore sinistra; un congegno formato da logore lamiere metalliche, ingranaggi e alcune valvole. Il dispositivo terminava all’attaccatura della spalla, mentre numerosi cavi si articolavano verso un piccolo congegno meccanico posto sul fianco opposto del generale, quasi sicuramente un nucleo motore.

Steel Hammer si portò d’innanzi all’ufficiale, con fare assolutamente severo e sicuro di sé, ponendolo in fortissima soggezione. Lo scrutò da vicino, quindi sentenziò con voce un po’ roca: “Rapporto”.

L’ufficiale cercò di mantenere il sangue freddo: “Undici… undici feriti, generale”.

Hammer gli diede lentamente le spalle, quindi si portò d’innanzi ad un grosso finestrone, da cui si godeva un’ampia panoramica verso la sottostante Mechanus.

“Settore”, richiese il generale.

“Le… miniere ad Ovest del quartiere minerario”.

“Dettagli”, continuò senza voltarsi nemmeno per un istante.

“Undici soldati feriti. Tre in gravi condizioni. Un Calcator danneggiato. Tra i civili sono stati conteggiati fino a…”.

“Non mi interessa dei civili”, lo interruppe. “Quanti danni ha sostenuto il nemico?”.

L’altro sudò freddo.

“N… nessuno, generale. Solamente danni di lieve entità che non hanno impedito loro di…”.

Hammer si voltò improvvisamente, sfoderando uno sguardo inquisitorio e zittendo improvvisamente l’interlocutore.

“E il settore tecnologico?”, domandò.

Il sottoposto sollevò una cartellina che portava sottozampa, la sfogliò, quindi disse: “I nostri… ricercatori, generale, ci informano che gli studi procedono a rilento”.

Steel tornò ad osservare il panorama: “Non ne vedo il motivo”.

“Dicono che i campioni non sono adatti allo scopo, generale”.

“Hanno tutti i componenti di cui necessitano. Abbiamo consegnato più di una dozzina di macchine, l’ultima volta”.

“Sì ma…”, cercò di spiegare, temendo ritorsioni. “Dicono che i soggetti distrutti forniscono ben poche informazioni, mentre quelli danneggiati sono troppo malridotti e possiedono longevità limitata”.

Il generale non disse nulla e cadde il silenzio per svariati secondi.

“Insomma… non ci sono progressi, mh?”.

“Ah… generale… io…”.

“Riaprite le miniere. Mandate altri operai. Raddoppiate la scorta armata e fornite il preciso ordine di catturarne il più possibile, casomai dovessero ripresentarsi”.

L’altro si grattò la chioma: “Ma… generale… Se… se mandiamo altri operai… cioè le miniere non sono ancora bonificate e… e altri soldati…”.

“Mandando altri operai”, tagliò corto il pony grigio, “aumenteremo le possibilità che si ripresentino. Per i soldati non preoccuparti, sono pagati per questo”.

L’ufficiale tentò di ribattere ma sapeva che sarebbe servito a poco. E di certo non voleva giocarsi la carriera militare per un commento fuori luogo. Così si serrò le labbra, richiuse la cartellina e dichiarò: “Sì… generale”.

“Non abbiamo altro da dirci”.

Il pony porse saluto militare, fece una giravolta e se ne andò, facendo nuovamente rimbombare la porta.

 

    Hammer, intanto, rimase sul posto a controllare Mechanus.

Il ronzio dei rotori divenne predominante, seppur attenuato dalla lunga distanza tra la sua posizione e la sala macchine.

Osservò con attenzione la colossale città di metallo, spalmata in ogni direzione attorno al vulcano, che da quelle altitudini sembrava nemmeno troppo mastodontico.

 

Il suo volto severo si riflesse parzialmente nel vetro.

 

*** ***** ***

 

    A terra, intanto, la vita proseguì secondo gli infallibili ritmi della città meccanica.

Silver Dust ebbe un risveglio tutto sommato gradevole, prima di ripiombare nell’angusta sensazione di aver scoperto una dolorosa verità riguardante Mechanus.

Ci impiegò parecchio tempo a digerire la notizia (che comunque non gli andò mai giù del tutto) anche se, alla fine, dovette accettare la realtà. Non avrebbe potuto fare altrimenti.

Lui era un semplice inviato della Principessa, la cui unica responsabilità era raccogliere materiale e informazioni per poi elaborarli e consegnarli a Celestia. Stabilire cosa fosse giusto o sbagliato rientrava nelle sue capacità di libero pensiero e nient’altro.

Così, anche se un po’ a malincuore, decise di non pensarci e di continuare le proprie ricerche sul posto, girando per i fatti suoi o insieme all’unicorno che lo stava ospitando durante la prolungata permanenza.

Copper Head, dapprima riluttante, prese via via ad abituarsi alla presenza del coinquilino. Non era di certo entusiasta di avere qualcuno attorno. Sembrava che la solitudine fosse per lei una questione che rasentava la sacralità e i relativi continui sbalzi d’umore (nonché un carattere fondamentalmente taciturno e riservato) le impedirono di entrare in particolare confidenza con l’incantatore color lilla.

Non poté in ogni caso negare come Dust fosse un tipo tutto sommato piacevole.

Non le dava troppo fastidio.

Non avanzava richieste.

Non la trattava come un’inventrice folle e senza rotelle…

Insomma… non le dava troppo fastidio e fu ben contenta di condividere con lui le informazioni e le nozioni che aveva accumulato durante la vita a Mechanus.

Gli svelò il funzionamento di quasi ogni cosa che incrociassero per strada, inclusi i velivoli in cielo e le tubature sotterranee. Fornì dettagliate informazioni sui quartieri, il loro sviluppo, la presenza di classi sociali più diversificate di quanto Silver credesse…

Dust, per canto suo, tentò di sdebitarsi come poteva, cercando di portarla in qualche locale a prendere una bibita o uno spuntino ma, ogni volta, la puledra reclinava in modo distaccato.

Non le piaceva gironzolare a Mechanus, quello era più che evidente. Ancor meno le garbava fermarsi a lungo in locali troppo affollati o dove più occhi potessero posarsi su di lei, cosa che tuttavia accadeva di rado, dato che certi abitanti indossavano abiti ancor più strambi della sua corazza.

 

Passarono così alcuni giorni.

Il libro dell’unicorno dai crini scuri si arricchì sempre più di appunti e scarabocchi.

Silver passò qualche ora a ricreare un modello iperrealistico delle varie zone che visitavano, ricorrendo a tecniche geometriche che gli permettevano di fotografare letteralmente la città su carta. Fu un metodo che suscitò immediatamente la curiosità della puledra, quasi meravigliata da una simile bravura.

La permanenza di Dust, insomma, parve procedere tranquillamente e senza troppi intoppi.

 

Finché, un giorno, un curioso avvenimento avrebbe attirato la sua attenzione.

Un giorno come tanti.

 

In un tiepido pomeriggio soleggiato.

Ai piedi di un piccolo albero il cui verde reclamava la propria vitalità.

 

Una piccola macchia atipica, in un universo di metalli arrugginiti e nebbie cinerine.

 

*** **** ***

 

    La matita compose l’ultimo tratto, completando l’edificio che Silver Dust stava tentando di riportare sui fogli.

Fece ancora un paio di controlli, sollevando più volte il muso verso la struttura e poi di nuovo sulla carta.

Copper Head, accanto a lui, si sporse leggermente e non poté nascondere una certa dose di meraviglia.

    I due si erano seduti ai piedi di uno dei pochissimi alberi presenti in città. Un castagno dalla chioma verde smeraldo. Era stato collocato al centro di una piazzetta, con appena qualche metro quadro di erba attorno a sé, come se il metallo limitrofo cercasse in ogni modo di accerchiarlo e soffocarlo.
La maggior parte dei passanti passeggiava o era seduta su apposite panchine. Nessuno degnava di uno sguardo l’alberello, così la coppia di unicorni decise di sedersi accanto alle radici, evitando il sole diretto e godendosi un parziale isolamento.

Silver ne approfittò subito per mettersi a disegnare.

 

La calma di quel piccolo angolino di natura lo riportò indietro con il pensiero, alle giornate in mezzo alle campagne in cui soleva giocare da puledrino.

Non era affatto la stessa cosa ma, per qualche minuto, riuscì ad ottenere un effetto analogo, che gli recò una profonda pace nel cuore.

“Hai mancato un dettaglio”, lo informò Copper, controllando i tratti del disegno e riportandolo alla realtà.

“Mh?”.

“Lì”, precisò con uno zoccolo. “Hai dimenticato quella chiazza di untume sulla parete laterale”.

Silver sorrise: “Direi che posso anche ometterla…”.

“Ma non è fedele”.

“Non importa. È più bello senza”.

“Ma non sarebbe fedele!”, ripeté.

“E dov’è il problema? Così non è meglio?”.

“Scusa ma che senso ha disegnare qualcosa in modo diverso da com’è?”.

“Non è che deve avere un senso… penso semplicemente che sia meglio”.

La puledra iniziò a gesticolare lentamente: “Scusa, se io faccio un progetto di costruzione non posso omettere dettagli o particolari, altrimenti incorrerei in un errore che…”.

“Ma questo non è un progetto di costruzione, Copper…”.

“Sì ma…”.

“Perché non provi a disegnarlo tu?”, le domandò, porgendole il materiale.

“Nà”, reclinò. “Io non so disegnare”.

“Hai mai provato?”.

“Sì. Cioè faccio gli schizzi per i progetti a livello tecnico. Quello lo so fare”.

“Allora?”.

“Beh, devo prima conoscere i parametri dell’edificio. La lunghezza delle pareti alla seconda decimale. I moduli di stress dei materiali. Le sigma. I coefficienti di compressione…”.

“Devi solo disegnare…”.

“Guarda, io…”.

 

Un rumore improvviso attirò la loro attenzione; un vociare che proveniva da una delle tante strade.

Silver Dust ebbe come un déjà vu: un piccolo corteo di soldati in armatura fece la propria comparsa, accompagnato dalle canoniche grida che intimavano ai residenti di non impicciarsi.

I militari versavano nuovamente in pessime condizioni, con tanto di feriti ed equipaggiamento danneggiato.

“Mhf”, sbuffò Copper, con una smorfia di disapprovazione. “Eccoli lì. I barattoli armati… di ritorno da qualche onorevole scontro all’arma bianca…”.

“Combattono spesso, da quel che vedo…”.

“Sono dei vigliacchi, altro che combattimento. Sanno solo spadroneggiare contro i più deboli e se non venissero profumatamente pagati manco gli fregherebbe di mettere a rischio uno zoccolo per difendere qualcuno…”.

“Non ti sembra di esagerare? Magari non tutti sono così”.
“Come no…”.

“Tuo fratello, ad esempio…”.

L’altra si incupì e abbassò lo sguardo.

“Mio fratello…”.

 

Un altro rumore, questa volta assolutamente sconcertante, fece contrarre i muscoli delle orecchie ai due.

Sembrò una sorta di frizione tra due piastre di acciaio; un verso metallico, ripetuto e chiaramente udibile.

Silver cercò di capire da dove provenisse e, ad un certo punto, si soffermò su un grosso sacco posto su uno dei carretti trainati dalle truppe.

Era un semplice sacco di stoffa, grosso più o meno quanto la metà di un pony. Ma qualcosa non andava. Il materiale era pieno zeppo di chiazze scure, come se avesse assorbito dell’olio dall’interno. Parte del liquido si era accumulato sul fondo del carro e ora gocciolava saltuariamente lungo il percorso, creando una piccola traccia maculata lungo il tragitto.

L’allievo di Celestia corrugò la fronte e osservò in silenzio.

Ne fu quasi sicuro: ad un certo punto il contenitore si mosse appena, come se qualcosa lo avesse spinto dall’interno, producendo un altro rumore metallico. Una flebile luce bluastra si intravide attraverso la trama della stoffa, giusto per un istante.

“COPPER!”, sbottò all’improvviso, strattonandola a casaccio.

“EHY!”.

“Guarda!! Hai visto??”.

“Visto che?”, protestò.

“In… in quella sacca…”.

“È una… una sacca?”, rispose, aguzzando lo sguardo. Poi anche lei notò il fenomeno. “Ah…”.

“C’è qualcosa lì dentro!”.

“Shht!!”, gli intimò, facendogli cenno di abbassare la voce e controllando che nessuno avesse sentito. “Tappati quel forno! Qui è meglio non fare commenti di questo tipo…”.

“Ma…!”, continuò, in lieve agitazione per quanto aveva assistito.

“Senti, Silver… Se vuoi stare bello e tranquillo a Mechanus devi imparare alcune cose”, lo informò con serietà. “E una di queste è che non ci si impiccia degli affari dei militari”.

“…però l’hai visto. Non puoi negarlo”.

“Io ho solo visto un sacco sporco di roba oleosa…”.

“Oh, andiamo!”. Copper cercò nuovamente di fargli abbassare la voce. “Ora non dirmi che non lo pensi anche tu!”.

“Vuoi abbassare la voce?? E non penso niente!”.

“È palese, Copper!”.

“Cosa è palese? Niente è palese!”.

“Sì! Ne hanno catturato uno!”.

“E se anche fosse?”.

“Cavolo!”, dichiarò entusiasta. “Non ne ho mai visto uno!”.

“E non lo vedrai. Se ti pizzicano a ficcanasare tra i loro affari ti useranno come palla di cannone nelle loro fregate”.

L’unicorno lilla, tuttavia, sembrò non ascoltarla e, senza tanti riguardi, le domandò: “Tu ne hai mai visto uno, Copper??”. Dust continuò a controllare intensamente il sacco sporco, finché questo non divenne troppo lontano e il carretto svoltò un angolo, ponendo fine alla linea di visuale.

L’altra gli diede uno spintone.

“Senti, andiamocene. Odio quando attorno a me ci sono ‘sti guerrafondai agghindati da pentolame”.

“Ok, ok…”, disse alzandosi. “Ti innervosisci troppo facilmente…”.

“E questo non è un bene. Per TE, dico…”.

 

La coppia si incamminò lentamente verso un’altra piazzetta.

Dust rimase con il chiodo fisso di quanto aveva appena visto. La sua curiosità premeva assiduamente. Fu un piccolo locale a riuscire a distrarlo. Sembrava un pub o qualche sorta di luogo di ritrovo.

“Ehy, Copper”.

“No. Non andiamo a vedere quel cavolo di sacco solo perché…”.

“No, no. Tranquilla. Volevo solo chiederti… qui ci sono locali notturni?”.

“...locali… notturni?”, commentò perplessa.

“Sì. Locali dove i pony si possano ritrovare a bere o parlare, dopo i tipici orari di chiusura”.

“Perché ti interessa?”.

“Mmh… boh. È che sai…”, raccontò, con un lieve imbarazzo. “Ho sempre… insomma… vissuto nelle campagne. Nella mia fattoria o nei paeselli accanto. Non c’era molto da fare…”.

“Ma tu non hai studiato a Canterlot? Dovrebbe essere… insomma… una città affollata”.

“Sì ma è piena di locali raffinati che servono sidro di marca e due fili di fieno da cinquanta monete a porzione…”.

“Apperò… economico…”.

“Appunto. Senza contare che, stando nelle stanze del castello, non sono mai potuto uscire liberamente e girare”.

“Mh. Quindi ora vorresti darti alla pazza gioia, eh?”, dichiarò.

“No… no, davvero”, spiegò, ancor più imbarazzato. “Io non… io non sono un tipo molto sociale”. Copper drizzò le orecchie e lo ascoltò con attenzione. “Insomma… non ci tengo a… boh… andare in locali affollati o a far bagordi. Però… volevo semplicemente vedere una volta uno di questi locali. Vedere come sono. Cosa ti servono. La gente che c’è. Quando ero a Canterlot, alcuni studenti poco ligi alla disciplina ogni tanto tornavano nelle camere il fine settimana e… sembravano così allegri! Ridevano, urlavano, scherzavano! Poi qualcuno si chiudeva in bagno e usciva dopo parecchio tempo, con la faccia stravolta… mi chiedevo perché. Forse qualcosa che gli era rimasto sullo stomaco?”.

“L’alcol etilico è tossico per gli organismi biologici”, sentenziò saccentemente l’inventrice, ad occhi chiusi e muso altezzoso. “I tuoi cosiddetti… amici… si sono gonfiati il fegato di veleno ed hanno avvertito un’inibizione dei recettori neurali, cosa che li ha resi ancor più stupidi di quanto probabilmente già fossero”.

“Grazie, signora maestra”.

“Ehy!”, sbottò. “Se vuoi andare anche tu a rimpinzarti di alcolici, fai pure, eh!”.

“Ma non ho detto questo. Vorrei solo visitare qualche locale. Me ne mostreresti qualcuno?”.

“Cioè vorresti che venissi con te?”.
“Beh… sì”.

“Stai fresco”, lo liquidò, con un sorriso ironico e affrettando il passo.

“Dai! Offro io!”, precisò, trottando e raggiungendola.

“Molto gentile, davvero. Ma no”.

“Perché no?”.

“Perché no”.

“Eddai!”, cercò di convincerla, con muso gentile. “Me ne mostri uno e basta. Non dobbiamo mica bere per forza! Puoi prenderti qualcosa da mangiare o una bibita analcolica”.

“No”.

“Daiii!”.

“Sembri mio fratello!”.

“Senti!”. La superò con un balzo e le impedì di proseguire oltre. La puledra ruotò gli occhi al cielo, desiderando che sparisse. “Ascolta. Te la faccio semplice. Vieni con me una di queste sere. Se poi ti annoi, non ti piace o che ne so io… allora prometto che non ti chiederò più nulla”.

“Facciamo anche che, nel caso, spazzi e risistemi completamente le mie stanze, mh?”.

“Ci sto!”.

Copper Head cercò di controbattere ma non si sarebbe aspettata una simile risposta. Immaginava avrebbe declinato.

“Ah… m-ma…”.

“Fidati!”, cercò di entusiasmarla Dust, con un enorme sorriso.

 

“Vedrai che ci divertiremo!”.

*** ***** ***

 

    Un’imbarazzatissima Copper Head sedeva ad uno dei tanti tavolini interni del locale. Attorno a lei, l’ambiente esplodeva di vita e attività sociale.

La stanza era decisamente ampia e accoglieva altri commensali, una piccola pista da ballo e, di fronte ad essa, un’orchestrina con tanto di terzetto corale che proponeva Charleston, swing e altri generi retrò.

Musica e vociare si diffondevano e si mescolavano ovunque, circondati da un arredo che richiamava gli speakeasy ormai di moda in quel periodo: poltrone raffinate, abatjour, tendaggi sfarzosi.

La puledra continuava ad osservare ogni singola attività con enorme attenzione, come se qualcosa di brutto potesse sopraggiungere da un momento all’altro. Non era assolutamente abituata ad immergersi in quel tipo di ambiente. E di certo ne avrebbe fatto a meno. Si fece piccola piccola, stringendosi nelle spalle e abbassando lo sguardo al tavolo ancora intonso.

Dust, di fronte a lei, sembrava invece meno a disagio. Certo, era un ambiente nuovo anche per lui, ma l’unicorno lilla nutriva comunque un maggior senso di curiosità per quanto di nuovo appariva ai suoi occhi.

Dove Copper scrutava con sospetto tutto ciò che aveva attorno, lui invece lo controllava con vivacità e interesse. Non per ultimo, un piacevole sorriso iniziò a  formarsi sulle sue labbra.

Ad un certo punto gli sguardi di entrambi si incrociarono.

Copper gli inviò un’occhiataccia, come se lo stesse maledicendo dal profondo.

“Ehy, Copper!”, disse ad alta voce il puledro, cercando di non farsi sovrastare dal frastuono generale. “Perché quella faccia?”.

L’inventrice corrugò la fronte e parve seriamente seccata.

“Eddai!”, continuò, cercando di entusiasmarla. “Non è poi così male!”.

Una giovane puledra lo colpì inavvertitamente sculettando. Silver si girò e la tizia gli chiese scusa, mascherando le proprie parole con una risatina infantile e un po’ provocatoria. Sbatté più volte le palpebre dalle lunga ciglia e sì allontanò. L’unicorno parve gradire abbastanza quell’urto involontario.

Copper, per tutta risposta, chiuse gli occhi e assunse un atteggiamento di superiorità.

“Forse a mister campagnolo garbano questi ambienti chiassosi. Nonché essere intercettato da curve sporgenti e languidi occhioni a calamita”.

“…curve… cosa?”, domandò interdetto.

“Ah!”, si inalberò, puntando il volto al soffitto per un istante. “Come ho fatto a farmi convincere a…”.

Dust allungò una zampa verso lo zoccolo di Copper, che però si ritrasse prontamente.

“Suvvia, Copper!”, cercò di tranquillizzarla. “Cosa c’è che non va, qui?”.

L’altra si mise a zampe conserte e fece il broncio: “…c’è troppo chiasso”.

“Non più di quello che fanno i macchinari normalmente a Mechanus…”.

“Non è la stessa cosa…”.

“Dai, sei troppo tesa”.

“Non sono tesa”.

Una coppietta si gettò sulla pista, sfoderando discrete doti ballerine. Una piccola calca si formò attorno ai due, accompagnando le loro mosse con esultanze e fischi di approvazione.

“Ecco, vedi?”, riprese Dust. “Fai come loro. Rilassati”.

“Stai fresco”.

Silver fece labbrucce e si picchiettò il mento, prendendo a pensare: “Mmmhh…”. Sì illuminò. “Aspetta, ci sono! Cosa avevi detto a proposito degli alcolici?”.

“Che ti avvelenano. E che ti inibiscono i neuroni. Che nel tuo caso sarebbe tutta attività sprecata visto che di neur…”.

“CAMERIEREEE!!”, strillò l’unicorno all’improvviso, sbracciandosi verso una direzione a caso.

“DUST!!”, sbottò Copper, allungando le zampe verso di lui e cercando di trattenerlo. “Dust! Non ti azzardare nemmeno!”.

“CAMERIEREEE!”.

“Dust, per tutti resistori!! Piantala subito, non fare il cretino!!”, berciò, tentando inutilmente di bloccarlo.

“Non posso chiamare un cameriere?”.

“Ti ho detto che non bevo quella broda!”.

“Magari voglio solo ordinare uno spuntino”, le rispose con un sorrisetto. “CAMERIEREEE!”.

“Silver!!”, ribadì con sguardo serissimo. “Ti avviso che se tu ordini quello che penso, allora io…”.

“I puledri desiderano?”, si intromise un unicorno secco e sorridente, con un paio di baffetti ordinati e un abito a code di pinguino.

Copper si ritrasse prontamente, arrossendo a vista d’occhio. Infilò le zampe anteriori sotto il tavolo e desiderò di evaporare.

“Ehm… uh…”, balbettò Silver. “Siamo… siamo nuovi di qui. Cosa potreste consigliarci?”.

“Mhh”, mugugnò l’altro affabilmente, controllando la lista. “Abbiamo tutta una serie di spuntini e snack che potrebbero fare al caso vostro. Alternativamente, alcuni cocktail di nostra produzione. Sidro. Sciroppi di frutta corretti con alcol buongusto”.

Copper fece cenno con la testa verso Silver, minacciandolo mentalmente di morte.

“Altrimenti…”, continuò l’inserviente, “…c’è la nostra specialità della sera. Sidro del Monte con una spruzzata di Gran Riserva Rugginosa”.

“Mi ispira!”, esultò l’unicorno dai crini scuri, battendo gli zoccoli tra loro. “Ce ne porti due!”.

“COSA??”, ruggì Copper.

“Saggia scelta!”, si complimentò il baffetto, segnando l’ordine e sgattaiolando via.

“DUST! Cosa cavolo ti avevo detto! Guarda che non lo bevo! E tantomeno lo pago!”.

“Non si rifiuta mai un drink, suvvia! Questo lo so persino io!”.

“Tu non sai nulla!”.

“Ma te lo offro io. Con i miei soldi”.

“Bravo scemo. Dovevi pensarci prima”.

“Non puoi essere così crudele!”, cercò di convincerla.

“Io bevo solo acqua, più la versione deionizzata da mettere nella tuta per evitare carbonati cationici. Il resto non mi interessa…”.

Silver Dust storse il naso, osservando Copper immusonirsi per l’ennesima volta. Sbuffò.

La puledra distolse lo sguardo e prese ad osservare un punto qualsiasi del locale. In realtà era semplicemente arrabbiata con lui e non voleva guardarlo.

Dust decise di provarci ancora una volta. Allungò molto lentamente la zampa verso di lei, fino a sfiorarle uno zoccolo metallico.

“Copper…”.

L’altra gli diede una dolorosa sberla sulla zampa: “Con te non ci parlo!”.

Il poveretto ritrasse l’arto: “Aio!”.

“Ben ti sta!”.

“Senti… ti chiedo solo una cosa…”.

“Non voglio ascoltarti”.

“Assaggialo soltanto. Poi, se non ti piace, sei libera di buttarmelo in faccia”.

“Proprio in testa? Sui crini?”, si informò.

“Sì. Lo puoi anche usare su di me come collirio”.

“Lo farò per partito preso a prescindere, lo sai?”.

“Copper…”.

“Va bene, va bene!”, si rassegnò. “Solo un assaggio, però…”.

“Certo!”.

    Passarono alcuni minuti, in cui i due rimasero in mutuo silenzio.

Copper, da un lato, continuava a fare l’imbronciata; Dust, dall’altra, la osservava sorridendo e causandole saltuarie uscite quali “che hai?”, “che ti guardi?”.

Dopo un po’ arrivarono due boccali schiumosi.

Silver saldò il conto, quindi osservò meravigliato il liquido ambrato che intravedeva attraverso il vetro. Copper, invece, mostrò un ghigno parzialmente disgustato.

“Dovrei… ingurgitare questo schifo? No. Non esiste”.

“Dai, non l’hai manco assaggiato!”.

“Non è per nulla invitante. Non può essere buono”.

“Ma che ne sai! Senti… un sorso io e un sorso te. Mh? Se fa schifo potrai farmi tutto il male fisico che ti pare”.

L’altra non parve convinta ma decise di dargli quell’ultima soddisfazione. Almeno sarebbe stato zitto.

Il puledro sollevò attentamente il boccale con uno zoccolo, allontanò un po’ di schiuma e ne prese un sorso. Copper lo osservò. Dust fece schioccare un paio di volte le labbra e poi, con volto meravigliato, affermò: “Cavolo… ti assicuro che merita!”.

L’inventrice portò il boccale accanto a sé.

“…lo dici solo per invogliarmi…”.

Dust ne prese un altro sorso: “Come ti pare. Mi sa che se non la bevi tu, te la finisco io!”.

“No. Piuttosto la infilo nel radiatore della corazza”.

Con quelle ultima parole, chiuse impacciatamente il contenitore tra ambo le zampe, quindi se lo portò tremolante alle labbra. Prese coraggio e bevve.

Riportò il boccale sul tavolo, mostrando il muso imbiancato da alcuni baffi schiumosi.

Dust sorrise.

“Beh… com’è?”, le domandò.

Dopo alcuni secondi, Copper ruotò gli occhi verso di lui, mantenendo il muso basso, e rispose: “…mh. Ok.

Passabile”.

 

*** ***** ***

 

    Era ormai notte inoltrata quando il portone del laboratorio di Copper si aprì con uno scatto, permettendo alla coppia di unicorni di fare la propria comparsa.

Il duo entrò lentamente, uno appoggiato al fianco dell’altra. Ma non si trattava di un atteggiamento equivoco.

Non appena furono all’interno e le luminarie si accesero, Dust cercò di scostare delicatamente la puledra da sé, che aveva la testa penzolante verso il basso e sembrava dormisse.

Parve ridestarsi. Riaprì due pesantissimi occhi, emise qualche verso sommesso e infine ciondolò verso un bancone. Vi si aggrappò per un soffio, evitando la caduta rovinosa sul pavimento pieno di amenicoli.

“Copper! Tutto… tutto a posto?”, gli chiese l’amico raggiungendola, un po’ preoccupato.

L’altra lo tenne a distanza con una zampa.

“Mmmhhhshì…”, farfugliò.

“Ook…”, commentò, massaggiandosi il dorso del collo. “E meno male… che era solo passabile…”.

“Pass… pasb… passabile?”, chiese, voltandosi verso di lui con sguardo un po’ inebetito. Gli ingranaggi ruotavano lenti e ogni tanto si inceppavano, come se mancassero uno scatto o una rotazione.

“Sì… il sidro. Te ne sei bevuti tre boccali”.

“Mhh? Davvero?”, chiese sorridendo. “Naa… menti… sei… bugiardo…”.

“Ce ne siamo sparati tre a testa, Copper. Infatti ho speso un capitale…”.

Anche Silver Dust non era abituato a bere e si sentiva decisamente alticcio. Ma, si sa, l’alcol veniva metabolizzato meglio dai puledri; in ogni caso, nelle campagne, sua nonna soleva sempre versare un bicchiere di sidro nella minestra. Diceva che rendeva belli e forti. Di sicuro lo aveva abituato un po’ di più agli effetti dell’etanolo.

L’attenzione dell’incantatrice cadde sul suo bancone di lavoro, quindi sui progetti al muro.

“Il… il progetto…”, balbettò. “Devo… finirlo entro… domani…”.

Dust chiuse la porta, quindi controllò l’orologio a muro.

“Ehm, Copper?”.

“…shì?”.

“La buona notizia è che il tuo orologio funziona”.

“…e… quella diversamente buonah?”.

“Mancano meno di quattro ore all’alba…”.

Sentendo quelle parole, Copper parve trasalire leggermente e si mise a trafficare a caso su tutto ciò che fosse presente al bancone. Iniziò a creare un caos non meglio definibile.

“Q… quattro ore?? D-devo… devo sbrigarmi… o… oppure…”.

“Copper… Copper!”, si intromise, cercando di contenerla. “Sei… uh… non credo tu sia in grado di finire alcun progetto, per domani…”.

“Banfracchere!”, lo liquidò. Schiacciò quindi alcuni punti sul petto della corazza e quattro componenti, sulle spalle e sui fianchi, si sganciarono con un fischio vaporoso. Una volta a terra, prolungarono alcune zampette ed iniziarono a muoversi in giro. Erano i suoi piccoli costrutti a forma d’insetto, che rilucevano di una tenue luce interna. I dispositivi, tuttavia, sembravano comportarsi in modo atipico: ondeggiavano, sbattevano tra loro e si ribaltavano senza riuscire a rimettersi in piedi.
“Ma… anche loro?”, domandò stupito.

“Dammi un… cacciavite a stella…”, domandò Copper ad un insettino. Questo gli riportò la parte superiore di una caffettiera. “Mhno!”, protestò. “Ho detto un cacciastella a vite!”. Il costrutto fece cadere la caffettiera ed emise un pigolio sommesso, cercando di elaborare quella strana richiesta.

“Copper… ti aiuto io, forse è meglio”, si offrì, avvicinandosi a lei.

“Giù le zampe!”, lo ricacciò indietro. “Non tocchi la mia roba!”.

“Eddai! Tu e i tuoi cosi sembrate il circo itinerante dopo una serata di sbronze!”.

Copper afferrò due oggetti completamente diversi tra loro ed iniziò a colpirli reciprocamente, nell’inutile speranza che si incastrassero.

“Non… non ho bisogno del tuo aiuto…”.

Dust scosse il capo.

“Non tocco nulla. Almeno fammi controllare quello che fai…”, le disse gentilmente, mettendole una zampa sulla spalla.

    Copper, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, parve calmarsi un po’. Osservò lo zoccolo su di lei, quindi punto lo sguardo dritto negli occhi verdi di Silver. Questa volta fu lui a  sentirsi vagamente a disagio.

“…aspetta”, sussurrò l’altra, improvvisamente seria.

Toccò qualche altro sistema sulla tuta e, di punto in bianco, gli ingranaggi presero a girare molto più velocemente di prima.

“…cosa… cos’hai fatto?”, chiese Silver.

Copper sembrò rattristarsi, senza un apparente motivo.

“…niente. Ho attivato un sistema di depurazione del flusso sanguigno”.

“…cosa??”, chiese meravigliato. “La tua tuta… può fare quello?”.

“Sì… Tra un po’ dovrei iniziare a… uh…”. L’inventrice strizzò gli occhi, quindi ebbe un mancamento e si appoggiò al bancone con le zampe.

Dust si avvicinò per aiutarla: “Copper!”.

“Non… non è niente…”, lo tranquillizzò, facendogli sempre mantenere le distanze. “Ho soltanto… bevuto un po’… credo… e non l’ho mai fatto…”.

“Ah… i-io…”.

“E il sistema di depurazione è un po’… debilitante… finché è in funzione…”.

Silver Dust parve dispiacersi. Le mise di nuovo una zampa sulla spalla, inducendola a girarsi verso di lui.

“M… mi dispiace, Copper… Non… non volevo indurti a bere per forza… È che…”. Sospirò. “…è che ti ho sempre vista così rigida e… e a disagio… E quando ho visto che iniziavi a scioglierti un po’ e ad apprezzare quel momento… insomma… Ma forse non avrei dovuto pagarti quei due boccali extra… forse così…”.

 

    Un tenue e dolce sorriso si dipinse appena sul muso della puledra.

Silver rimase stranamente colpito e provò una sensazione incomprensibile, dentro di sé.

 

“Stai tranquillo…”, gli disse. “In effetti… è stata una cosa piacevole… una… un’esperienza”.

“…ora però stai male…”.

“Ah!”, sbottò, cercando di mostrarsi arrogante. “Penserai mica che basti così poco per mettermi al tappeto?”.

“Beh…”.

“Dai…”, lo rassicurò, tornando agli attrezzi. “Non volevi offrirti per darmi una zampa?”.

“Mh… ok…”.

I due, fianco a fianco, si dedicarono all’opera di Copper.

La puledra armeggiava con i componenti, mentre Dust si assicurava che il tutto seguisse l’ordine secondo i progetti affissi alle pareti.

L’incantatrice sembrava stesse meglio, man mano che il tempo passava.

“Copper, aspetta. Questo giunto va collegato al punto E. Quello è il punto F”. La fermò.

L’amica scosse il capo: “Mh… già. Vero…”.

Silver non poté ignorare come lo stato d’animo del pony color creta stesse ora divenendo sempre più triste e melanconico.

Gli insetti, intanto, si erano ripresi e agevolavano i due nelle rispettive faccende.

Continuarono a lavorare.

 

Passarono i minuti.

 

“La valvola va stretta in senso orario. Così almeno c’è scritto…”, la informò.

“…giusto…”, ripeté l’altra, con un filo di voce.

Armeggiarono ancora, finché le zampe di Copper non sembrarono perdere vitalità.

Silver, incuriosito, la osservò.

La puledra aveva gli occhi lucidi e stava osservando i pezzi che aveva sul tavolo.

I piccoli costrutti si radunarono dinnanzi a lei, a musetto alto, come se cercassero di empatizzare con il suo malessere.

“…Copper?”.

L’amica tirò su col naso.

“Copper… che c’è?”.

“…c’è che faccio schifo… ecco che c’è…”.

“…come, scusa?”.

“Lo vedi anche tu…”, gli spiegò, passandosi una zampa sotto le narici. “Una cosa su tre è sbagliata. E se non è sbagliata… la sbaglio io mentre la assemblo…”.

“Beh ma… hai tre boccali in corpo… è notte fonda… e…”.

“Credi sia solo questo?”, gli intimò, facendosi trascinare dallo sconforto. “Pensi che sennò sarebbe molto diverso?”.

“Io… io non…”.

“Perché credi che… che viva nella miseria? Pensi che non sarei più che lieta di vivere delle mie invenzioni?”.

“Sì… sì, cioè…”.

“Ma il punto…”. Si schiarì la voce. “Il punto è che… faccio i progetti… li preparo… i conti tornano… ma poi… poi boh. Basta un niente. Una cifra fuori posto. Un piccolo errore. Un pezzo non perfettamente allineato… e paf. Tutto inutile… l’ennesimo fallimento…”.

Silver Dust diede una rapida occhiata ai progetti sulla parete.

“Le tue bozze mi sembrano corrette… Forse… sono solo un po’… confusionarie?”.

“Fanno schifo. Come me…”.

“Ehy, ehy! Pensavo ti piacesse insultare me e gli altri, non te!”, disse, per farla sorridere. Non ci riuscì.

“Faccio schifo…”, concluse a sguardo basso.

“Ook…”, commentò imbarazzato. Cercò di farsi venire un’idea. “Sssenti… perché… cioè… Non conviene continuare il progetto nel tuo stato… e non che io sia molto più sobrio di te, eh… Faremmo solo dei danni”.

“Non ho abbastanza tempo… pensavo di tornare a casa prima, questa sera…”.

“Ecco!”. Forse aveva trovato la scappatoia. “Mi… mi sento responsabile, in fondo… E… e quindi… perché non vai a svegliarti con una doccia… o… a rilassarti in un bagno caldo, mh? Io intanto ricontrollo solo i tuoi progetti. Che ne dici?”.

“Certo che no”.

“Non tocco nulla, promesso!”.

“Maniaco… ci manca ancora che vieni a toccare mentre faccio la doccia…”.

Dust cadde in evidente imbarazzo e trasalì: “M-m-ma!! Che vai farneticando?? Non tocco nulla dei tuoi attrezzi e metallame vario! Ti controllo solo i progetti…!”.

“…mh. Non mi convinci…”.

Silver decise di non andare per il sottile. Si puntellò verso di lei e cercò di spingerla lontano.

“EHY!”, protestò.

“Vai a darti una svegliata”.

“Sono a casa mia, decido io cosa fare!”, blaterò, cercando di opporsi. “E poi c’è il progetto…”.

“In questo stato trasformeremmo qualsiasi progetto in una bomba di sterminio di massa… Evitiamo, magari?”.

“M… ma…”.

Con un ultimo sforzo, il puledro riuscì ad allontanarla e a convincerla.

“Uff!”, sbuffò. “Dai, ti fai un bagno e torni. Io intanto butto un’occhiata…”.

“Lo dicevo che eri un maniaco…”.

“Piantala!!”.

“Ook…”, lo accontentò, dirigendosi mollemente verso le scale.

L’inventrice salì un gradino dopo l’altro, ancora un po’ barcollante e senza perdere di vista l’insistente coinquilino.

“Su. Via. Pedalare”, la invitò Silver, accompagnandosi con alcuni gesti degli zoccoli.

“Mhf…”.

Il pony dai crini ramati scomparve dalla sua vista, ormai al piano superiore.

    Dust si passò uno zoccolo sulla fronte.

Avere a che fare con quella puledra poteva essere davvero impegnativo.

Ma non le dispiaceva la sua compagnia.

Si scrocchiò le giunture del collo, per poi riportare lo sguardo verso il bancone e rendersi conto del guaio in cui si era cacciato.

Staccò i progetti tramite la magia e se li portò sotto al muso. Erano un caos assoluto di rigacce, numeri e correzioni incomprensibili.

“Oh per Celestia…”, commentò affranto. “Non ho mai visto… niente di così… confuso!”.

Il puledro dalla mente matematica cercò di portare ordine in quel tugurio di grafite.

Gli schemi di Copper, sulle prime, gli parvero completamente fuori di testa. I valori combaciavano assurdamente, forse per pura fortuna, mentre alcuni elementi sembravano assenti e altri completamente superflui.
Prese un foglio pulito ed iniziò a trascriverli, scremando la mole di correzioni e righe inutili. Cercando, insomma, di ottenere un progetto il più preciso e funzionale possibile, almeno rispetto all’originale.

Poi, poco per volta, impegnato in quel minuzioso lavoro di rielaborazione, si rese conto di come gli elementi stessero in realtà combaciando alla perfezione. Notò alcuni errori nei calcoli, nonché svariate dimenticanze in alcuni parametri, quasi sicuramente dovuti alla distrazione. Ma non aveva dubbi. I progetti di Copper, seppur inizialmente assurdi, avevano davvero un senso. E non un senso qualunque. Bensì potevano e dovevano funzionare, secondo linee logiche e di pensiero che sarebbero sfuggite a qualsiasi progettista.

Cercò di capirci meglio e analizzò altri progetti, cercando comunque di non dilungarsi troppo.

Li sfogliò attentamente, percependo la fronte imperlarsi di sudore per il notevole sforzo mentale.

 

Ed era così.

 

Avevano tutti un senso. E tutti bypassano le normali procedure di creazione scientifica, per approdare verso lidi a dir poco rivoluzionari. Erano solo piccoli meccanismi, certo, ma ciò che lo colpì fu il modo di ragionare della puledra, assolutamente inusuale e imprevisto.
Dopotutto… Copper indossava una corazza di sua invenzione. Una corazza assolutamente incredibile e probabilmente unica, visto che persino i militari le facevano visita per saperne di più.

Come poteva, allora, ritenersi un’inventrice così mediocre?
Quella e altre domande lo assillarono per tutto il procedimento. Ma non poteva perdere tempo. Doveva ultimare il progetto in questione, così si rimise al lavoro.

Ma lavorare di notte, specialmente dopo una copiosa bevuta, si sa, porta mente e fisico ad affaticarsi parecchio… inducendo magari il sonno senza alcun tipo di preavviso.

 

    Dopo un periodo di tempo non meglio definito, Copper fece il proprio ritorno.

Stava decisamente meglio e l’armatura, indossata da poco, ronzava alla grande. Scese rapidamente le scale e fu contenta nel constatare come il suo laboratorio fosse ancora integro. Ciò che la rallegrò meno fu vedere Silver Dust disteso lungo il bancone, con il volto sopito tra le zampe e i progetti sotto di esse.

Il volto della puledra, per un istante, assunse connotati un po’ adirati. Ma non poteva di certo prendersela con lui. Era stato fin troppo gentile, cercando di farla rilassare e sorbendosi parte del lavoro che non gli spettava minimamente.

Alzò le spalle. Nel peggiore dei casi avrebbe lavorato il doppio. L’alba non era molto lontana, ormai.

Si avvicinò attentamente a lui, senza produrre il benché minimo rumore, fatta eccezione per il brusio costante e gentile dei propri ingranaggi. Dust dormiva profondamente. Non doveva proprio aver retto.

Con estrema delicatezza, cercò di sfilare uno dei progetti. Ci riuscì e l’unicorno lilla emise un mugugno accennato, ma non si destò.

“Vediamo un po’ quanto mi toccherà sgobbare…”, bisbigliò tra sé e sé.

Sgranò quindi gli occhi.

Controllò il papiro.

Lo ruotò a mezz’aria.

Spalancò la bocca.

Osservo Silver, quindi di nuovo il disegno.

 

Era praticamente perfetto.

 

Quando riabbassò lo schema, notò l’amico stropicciarsi gli occhi.

“Ah… uh…”, balbettò Copper. “N-non… non ti ho mica svegliato?”.

“Eh? Sv… svegliato?”. Parve quindi ravvedersi all’improvviso e si colpì la fronte con uno zoccolo. “I tuoi progetti!! Devo… devo essermi addormentato!”.

“Credo… credo di sì…”.

“Cavolo… scusami Copper, io…”, cercò di spiegarle.

“Non… non fa nulla”, lo rassicurò, ancora stupita. “Il progetto che mi serviva… è finito… Cioè… l’hai finito…”.

“Ah… è finito?”.

“…sì”.

Silver si grattò la chioma: “Uhm… alloraaa… mi sa che l’ho finito subito prima di addormentarmi”.

La creatrice ricontrollò tutto: “È così… cioè… è… è come un progetto dovrebbe essere…”.

“Quindi va bene?”.

“Cavolo, scherzi?? È perfetto!”, dichiarò con entusiasmo.

“Ah. Ok. Sono contento che vada bene!”, rispose sollevato. “Non sapevo se… insomma… se potesse andare. Ho effettuato alcune correzioni personali e aggiunto delle costanti che avevi omesso… ma per il resto era già perfetto di suo”.

“Non dire fesserie”, lo liquidò, con sguardo furbetto. “Prima era un casino. Ora ha un senso”.

“No, Copper”, la interruppe, sollevando gli altri progetti. “Non scherzo. Questi progetti… cioè… ok… sono un po’ confusionari… ma sono strabilianti!”.

Le orecchie color creta si drizzarono: “Uh… che stai farneticando?”.

La foga di lui prese il sopravvento: “…queste… queste cose. Queste macchine, questi dispositivi che stai progettando… cioè… io non ho mai visto nulla di simile in vita mia…”.

“Bah. Questo perché non funzionano, ecco perché non ne vedi tante in giro…”.

“No! Sono… dannatamente giusti!”.

Copper sembrò non credere a quelle parole. Qualcuno le stava dicendo che le cose che faceva e che puntualmente esplodevano o si smontavano erano… giuste?
“Gli errori di distrazione ti impedivano di rendere il prototipo funzionante”, continuò sorridendo. “Ma… che io sia dannato, Copper! Le tue intuizioni sono geniali!”.

La puledra si sedette e prese a lisciarsi nervosamente i crini con entrambi gli zoccoli.

“Uh… Copper?”.

L’altra sembrò arrossire, quindi fece uno scatto verso di lui, quasi a spaventarlo, e si rimise repentinamente al lavoro.

“…basta chiacchiere”, tagliò corto, cercando di uscire dall’imbarazzo. “Devo avere ‘sto robo pronto entro poche ore…”.

“O-ok…”.

Dopo qualche minuto, la puledra si fermò e, senza guardarlo, gli disse: “…grazie… Dust…”.
Riprese quindi ad armeggiare.

“Non… uh… non c’è di che…”.

Dopo un paio d’ore di sforzi congiunti, ai primi raggi di un’alba prossima ad arrivare, la coppia finì ciò che aveva iniziato la notte stessa.

Copper indossava la sua maschera da saldatrice e aveva appena smorzato la fiamma ossidrica. Sollevò la protezione e si asciugò il volto dal sudore, sporcandosi un po’ d’olio. Il suo muso, tuttavia, parve estremamente soddisfatto.

Dust, accanto a lei, sembrava uno spazzacamino stakanovista.

Quando l’inventrice lo vide non riuscì a trattenere una risata.

“Santo cielo, Silver!”.

“Uh… cosa?”.

“Si vede troppo che non hai mai usato un attrezzo in vita tua!”.

“Ma non è vero!”, protestò. “Da piccolo andavo ad aiutare i miei nei campi!”.

“Ceeerto… e poi?”.

“Poi… uh… studio matto e disperatissimo”.

“Cividì. Come volevasi dimostrare!”.

I due rimirarono il pezzo fatto e finito. Non sembrava nemmeno qualcosa di troppo complicato. Una sorta di… aggeggio cilindrico con qualche tubo qua e là.

“Ah!”, esclamò Copper. “Non è fantastico??”.

“Certo. Figo… Cos’è?”.

“Un giunto peristaltico modulare”.

“Per me senza zucchero, grazie…”.

Il pony in armatura lo avvolse accuratamente in un panno un po’ lercio, quindi lo appoggiò in un apposito comparto che aveva fatto espellere dai fianchi della tuta. Controllò l’ora.

“Meravigliante! Siamo in anticipo di almeno un’oretta!”.

Dust sbadigliò oscenamente.

“Uuuhm… evviva?”.

Copper si sforzò di nuovo di apparire gentile, inducendosi automaticamente in un rinnovato imbarazzo: “Sì… cioè… grazie per l’aiuto. Non fosse stato per te… insomma…”.

L’altro cercò di nascondere l’ennesimo sbadiglio dietro ad uno zoccolo: “A-auhm… non he hi he…”.
La puledra non riuscì a trattenere un sorriso, quindi si avviò lentamente verso la porta d’uscita.

Silver, decisamente assonnato, cercò di fermarla.

“A-aspetta, Copper!”.
“Mh?”.

“Esci?”.

“Sì, guarda… devo portare questo affare al richiedente. Non sia mai che questa volta possa guadagnarci davvero qualche soldo. Sperando che non salti in aria o non inizi ad emettere fumo come una ciminiera, ovviamente…”.

“Posso venire con te?”, domandò speranzoso, con un paio di occhiaie apocalittiche.

“Sei sicuro, Dust? Io sono abituata a fare le ore piccole. Tu, invece, ti reggi a malapena in piedi… Non sarebbe meglio rimanessi qui a dormire?”.

L’allievo di Celestia si sforzò di essere chiaro.

“Ehm… sì capisco… però…”.

“…però?”.

Dopo aver giochicchiato con i suoi stessi zoccoli, decise di vuotare il sacco.

“…ecco… sarebbe un problema se… se mi recassi dove hanno portato quel carico particolare che abbiamo visto oggi? Anzi… ieri?”.

“COSA??”, berciò. “DUST! Lo sapevo che avevi ancora quell’idea in testa! Non esiste! Piantala di rimuginarci!”.

“Ma… Copper…”.

“Guarda che non sto scherzando! Stai alla larga da quella gente, se non vuoi finire male!”, ribadì, picchiettandolo sul busto con una zampa.

“Ma non è che esageri un po’…? Che potranno mai farmi?”.

“Senti…”, aggiunse sconsolata, coprendosi gli occhi con uno zoccolo. “Tu sei libero di fare quel che ti pare. Ma se vuoi un consiglio da amica, allora…”.

“Quindi siamo amici”.

“…come, scusa?”.

“Qualche giorno fa mi hai detto che non avevi amici. Ora pare tu ne abbia almeno uno”.

“M-ma…”, balbettò impreparata. “Guarda che…”.

Dust avanzò con decisione verso di lei, le afferrò delicatamente le zampe e se le portò al petto. Copper si irrigidì come uno stoccafisso, sgranò gli occhi e drizzò le orecchie. Le pupille si rimpicciolirono e gli ingranaggi della tuta salirono di giri.

“Senti, Copper…”, le confessò con sincerità. “Lo so che ti chiedo tanto… ma… ho come l’irrefrenabile bisogno di vedere una di quelle… cose. Di capire cosa sono queste macchine che causano così tanti problemi a Mechanus…”.

L’altra iniziò ad arrossire e abbassò lo sguardo: “I-io…”.

“Ti prego… non ti voglio fare ricatti morali. Ti sto solo chiedendo se mi faresti questo favore”.

“Favore…?”.

“Sì… Io ho un attestato di Celestia ma mi pare che qui le autorità regali non siano granché riconosciute. Ma tu hai un fratello alle armi. Dovrà pur servire a qualcosa…”.

Copper ruotò il capo: “…non credo cambi molto…”.

“…in più mi sembra che i militari siano abbastanza ben disposti verso di te. Forse per la tua tuta…”.

“…stai cercando di usarmi?”, domandò scettica.

Silver serrò la presa sulle zampe metalliche di lei. Gli ingranaggi incrementarono ulteriormente la rotazione.

“No, Copper. Se mi dirai di no io lascerò stare e non tirerò più fuori il discorso. Ma se c’è la possibilità… allora ti chiedo se vuoi aiutarmi in questa cosa che, lo so, a te sembra tanto stupida…”.

“…è stupida…”.

“Allora vuoi aiutarmi in questa cosa stupida?”.

 

Il pony in bardatura fece un profondo sospiro.

Ci pensò a lungo.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust e Copper Head si presentarono d’innanzi ad un grosso edificio simile a rame tirato a lucido. Era uno dei più accattivanti e curati dell’intero quartiere residenziale. Si articolava su due piani, accompagnato da uno stile minimale ma abbellito da numerose bandiere dei Divites e svariate statue metalliche rappresentanti pony in assetto da battaglia.

Vi era persino un fossato, da cui si potevano scorgere spuntoni e rottami acuminati, posti come rozzo ma efficace mezzo di difesa.

Un ponte levatoio in acciaio era perennemente abbassato, permettendo l’accesso al massiccio portone rinforzato che conduceva all’interno. Vi era in realtà una seconda entrata, più piccola, collocata su un’anta dell’ingresso. Questo permetteva ai pony di entrare ed uscire senza dover ogni volta azionare l’enorme porta corazzata, che si metteva in moto solo per il traffico di colossi come i Calcator.

L’intera struttura emanava un’aura di inviolabile marzialità.

Una coppia di unicorni in assetto da battaglia era posta a guardia dell’ingresso; i loro musi incattiviti dai soliti elmi ghignanti.

Silver Dust, che tanto desiderava saperne di più su quanto aveva visto, perse improvvisamente entusiasmo.

    “Allora, genio incompreso”, lo canzonò l’amica. “Ecco il tuo sogno realizzarsi…”.

“Ehm… evviva?”.

“Vediamo quanto tempo ci mettono a sbatterci fuori a calci. Io punto su due minuti e tredici secondi”.

La zona, essendo sotto restrizione militare, non era molto battuta dai civili. Non era loro proibito transitare o recarsi alle rispettive strutture; semplicemente, non c’era granché da fare in quei posti, che venivano così evitati per disinteresse generale.

Silver deglutì e mosse i primi, timidi passi sul ponte levatoio, facendo risuonare gli zoccoli sul metallo. Copper sospirò e lo seguì.

L’unicorno lilla si sentì in soggezione, come soverchiato dalle statue, gli alti drappi sventolanti e gli inquietanti elmi delle armature.

A pochi metri dall’ingresso, le guardie spiegarono automaticamente le lance e le incrociarono. Silver ebbe un sussultò.

“ALT”, intimò una. “L’accesso ai civili non è autorizzato”.

Il matematico cercò di non perdere la calma. Aprì delicatamente la sacca, aiutandosi con il muso  (era meglio evitare l’uso della magia o avrebbero potuto ridurlo allo spiedo senza problemi) e tirò fuori un documento ufficiale. Il corno di una guardia si illuminò e l’oggetto fluttuò verso di lei.

“Io…”, cercò di spiegare Silver. “Io non sono propriamente un civile. Sono… un allievo della Principessa Celestia, la suprema regnante di Equestria. Mi chiamo Silver Dust”.

I soldati si guardarono nelle rispettive celate.

“Lei è la mia mentore. Il… il mio compito, come potete leggere dal documento ufficiale, è di… ottenere informazioni su questa… prestigiosa città meccanica…”.

Copper ruotò i bulbi oculari al cielo: “…ma sentitelo… prestigiosa…”.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui i militari non seppero bene cosa rispondere. Era la prima volta che capitava loro un simile caso.

“Qual è il motivo della vostra presenza qui, Silver Dust?”, domandò improvvisamente uno dei due.

“Ora gli danno pure del lei…”, borbottò la puledra.

“Sono a conoscenza di alcuni problemi che affliggono Mechanus e… e vorrei poterne sapere di più. Anche solo per poter dare una zampa, magari…”.

Tornò il silenzio.

“…aspetti qui”, concluse un soldato, ritirandosi nell’edificio e portando la lettera con sé.

“Bene”, disse Copper durante l’attesa. “Ora tornerà indietro con un cannone e ti sparerà sulla luna. Lo sai, vero?”.

“Eppiantala!”, sbottò. “Potevi essere almeno un po’ più collaborativa!”.

“Oh ma lo sono stata! Pensa che non li ho nemmeno ricoperti di insulti e lattine trovate nei rifiuti!”.

“Fantastico…”.

Dopo alcuni minuti, la guardia tornò, in presenza di altri due unicorni, uno in armatura da ufficiale e l’altro in abiti più comodi ed eleganti.

Il tizio in armatura non indossava l’elmo e scrutava la coppia con volto severo.

Si avvicinò e restituì gentilmente la lettera.

“Così voi sareste un allievo della Regnante, giusto?”, domandò, con tono inquisitorio.

“…sì”.

“E andate in giro sbandierando questa pezzo di carta”.

“Beh… io…”.

“Gli affari di Mechanus non sono sotto la giurisdizione di principessine dai boccoli d’oro. Mechanus si gestisce da sola”.

Quella risposta irritò leggermente il giovane pony, che comunque mantenne la calma.

“Capisco. Ma… confidavo di poter essere eventualmente d’aiuto. Conoscendo meglio la situazione potrei richiedere supporto alla Principessa e…”.

“Non abbiamo bisogno di aiuto”.

“Ma sono uno dei suoi studenti più capaci”.
“Modesto…”, commentò Copper.

“Nonché un matematico con attestato a pieni voti. Sicuri che non possa esserci nulla che possa fare per voi?”.

L’attenzione dell’ufficiale cadde su Copper.

“Mi ricordo di te…”, le disse. “Vieni nominata spesso, tra queste mura”. La puledra corrugò la fronte. “Alcune volte citano la tua corazza. Altre volte parlano di tuo fratello in arme. Ma tipicamente è per via di qualcosa che hai fatto saltare in aria o qualche edificio che hai dato involontariamente alle fiamme…”.

“EHY!!”, tuonò, portandosi avanti. “Guarda che non mi faccio intimidire da una sardina in scatola come te!”. Dust la trattenne.

“Sto tremando”, ridacchiò l’altro. “E fosse per me attaccherei pure briga con voi. Ma non ne vale la pena. Per cui fate un favore a voi stessi: prendete i vostri foglietti regali e toglietevi dagli zoccoli”.

Silver Dust cercò di contenere la propria frustrazione, al contrario di Copper che stava per saltare addosso al militare. Cercò di essere più furbo e giocare d’astuzia.

“Capisco…”, rispose, inarcando le sopracciglia e riponendo il foglio nella borsa. “Riferirò allora alla Principessa del Regno il vostro rifiuto e il modo con cui ci avete trattati. Dovrò solamente attendere che torni dal Concilio sulle forze armate. Sapete… occorre una grande forza militare per proteggere un Regno così vasto…”.

Questa volta fu l’altro a perdere le staffe.

“Cos’è?? Una minaccia??”, lo attaccò impettito.

Il compare ben vestito, che fino a quel momento era rimasto in silente attesa, lo cinse da dietro e lo prese in disparte. Ebbero un rapido scambio di battute sottovoce.

Silver Dust comprese chiaramente le parole “incidente diplomatico” e “correre rischi”. Forse aveva fatto centro.

L’ufficiale fece quindi ritorno, con un’espressione poco convinta.

“Anche volendo”, riprese, “ci sono cose, segreti militari che non potete assolutamente vedere. Principessa o meno”.

L’incantatore dal marchio scintillante si chetò. Cercò di trovare un modo per ribattere ma non vi riuscì. Copper percepì lo sconforto farsi strada nell’amico.

Decise di agire.

“E se diventassi più propensa a fornirvi dettagli sulla mia armatura, hm?”. Il compagno la osservò meravigliato. “Così avreste tanti segreti militari in più da custodire. Pensate un po’ che bello…”.

Gli occhi del soldato divennero sottili.

“…che garanzie ho… che non ruberete i segreti qui custoditi? Questo stabile è adibito alla ricerca…”.

“Oh suvvia”, spiegò Copper con sufficienza. “Un allievo della Regnante e la sorella di un alto ufficiale dei Divites. Che garanzie volete ancora? Mh? Posso sempre fare giurin giurella, se volete…”.

Il tizio ben vestito si portò alle orecchie del collega e gli disse poche parole.

Dopo alcuni secondi, con riluttanza, l’unicorno in corazza decise di acconsentire.

“Va bene. Potete entrare”. Silver si riaccese di entusiasmo. “Ma ci sono zone che non potrete visitare nel modo più assoluto e sarete costantemente sorvegliati dalla sicurezza. Se ci accorgiamo che cercate di fare i furbi o che non me la contate giusta… beh…”. Il muso dello stallone si dipinse di un ghigno preoccupante. “State pur certi che da qui non ci uscirete più…”.

“Blah blah blah… grazie e arrivederci”, lo liquidò Copper, superandolo senza nemmeno guardarlo. Silver, invece, si fece intimorire parecchio.

 

Entrarono, sotto stretta sorveglianza.

 

*** ***** ***

 

    I visitatori avanzarono all’interno dell’edificio, con l’ufficiale in testa. Sia Dust che Copper si sentirono abbastanza a disagio. Dopotutto si trovavano all’interno di una struttura in cui la volontà dei Divites era legge, ancor più che nelle zone abitate di Mechanus. Se fosse successo loro qualcosa, probabilmente nessuno sarebbe venuto a sapere alcunché.

    Nel tratto iniziale del percorso i due poterono ammirare il salone principale: una grande stanza circolare da cui si diramavano corridoi e scale per raggiungere diversi settori nella struttura. L’andirivieni di pony, in armatura e non, era costante e tutti trasportavano carichi sulle groppe, fascicoli e carretti coperti da teli. C’erano anche un sacco di ingegneri e costruttori, in transito oppure in pausa, sporchi di untume dalla testa agli zoccoli e con addosso curiose protesi per il supporto assistito.

Al centro della stanza si stagliava un cilindro che connetteva il pavimento al soffitto e fungeva da supporto per diverse luminarie alimentate dalle turbine a vapore. Le pareti erano molto meno curate, rispetto l’esterno, e riportavano numerosi segni di decadimento, ruggine e quant’altro.

Il rumore di macchinari lontani, attrezzi e vociare sommesso era infine predominante.

    Il soldato corazzato li condusse proprio d’innanzi al cilindro luminoso, sotto gli occhi indiscreti dei colleghi, che non nascosero la perplessità nel vedere due civili in quella struttura.

“Bene, piccioncini”, li apostrofò l’accompagnatore, un po’ strafottente. “Da qui in poi è un tiro di dado, per vedere dove e se potrete andare. Confido che la vostra permanenza sarà quanto più breve e spiacevole…”.

“Un augurio di buon accidenti anche a lei!”, ringraziò Copper.

“Dunque… dove i signori desiderano recarsi?”.

“Uhm…”, mugugnò Silver. “In verità… c’è una cosa in particolare che vorrei… vedere”.

“Sentiamo”.

“Quei… quei cosi che vi attaccano nelle miniere… non so come poterli chiamare…”.

L’altro non parve troppo sorpreso.

“Gli Inanimus”.

“Come? Si chiamano così?”.

Copper intervenne: “È solo un termine che hanno affibbiato per praticità… Così per loro è più semplice comunicare che gli Inanimus li hanno sconfitti in battaglia e robe simili”.

“Qui non abbiamo Inanimus”, puntualizzò l’ufficiale.

Silver scosse il capo: “Capisco. Ma dovrete pur averne qualcuno, anche distrutto. Almeno che non siate così incapaci dall’aver già distrutto l’ultimo che avete catturato”.

“Invece è perfettamente funzionante”, lo informò con saccenza.

L’interlocutore dai crini neri sorrise maliziosamente: “Dunque ne avete almeno uno funzionante…”.

Il militare aprì la bocca ma non riuscì a rispondere. La rabbia in lui continuò a crescere.

“Non sono sicuro che possiate accedere ad un livello così restrittivo”.

“Niente Inanimus. Niente corazza delle meraviglie”, lo istigò Dust, battendo uno zoccolo sui fianchi di Copper e producendo un rumore metallico.

“Rifallo e ti stacco il calcaneo…”.

La loro guida dovette desistere: “Va bene. Seguitemi. Ma sappiate che non spetta a me l’ultima parola. Se i supervisori ritenessero la vostra presenza inopportuna, dovrete andarvene”.

“Facciamo almeno un tentativo, le pare?”, insistette Silver Dust.

 

    Il gruppetto si avvio quindi verso una scala metallica che portava ai piani inferiori.

Percorsero una serie di corridoi, per poi sbucare in una struttura interrata secondaria, assolutamente spettacolare.

Centinaia di rampe e passerelle metalliche erano sospese tramite cavi e impalcature, a formare un intreccio informe che si estendeva per centinaia di metri in ogni direzione. Le pareti, altrimenti rocciose, erano state foderate da lamiere sgangherate (l’attenzione per l’estetica era secondaria, in quel posto) e l’illuminazione garantita da un piccolo numero di potenti emettitori di luce. La stanza e le rampe erano tuttavia così estese da far sì che i giochi di luce ed ombre fossero costanti e l’ambiente relativamente inquietante.

Pony d’ogni tipo e vestiario si spostavano lungo i tragitti sospesi, mentre altri erano appesi a strani supporti e si prodigavano in lavori manuali quali saldature, assemblaggio di parti meccaniche e riparazioni.

Il rumore ed i clangori crebbero sempre più d’intensità. Lampi e scintille degli strumenti sfrigolavano e cadevano in tutte le direzioni, come piccole fontanelle di lucciole.

Ganci e morse semoventi trainavano sezioni di Calcator, armi sovradimensionate e chissà quali altri ordigni.

Copper arricciò il naso.

“Questa è una fabbrica di morte…”, commentò.

Nessuno disse nulla.

Dust, spaventato e meravigliato al tempo stesso, seguì il soldato fino al termine del percorso, che li condusse in un altro corridoio, questa volta al chiuso, piccolo ma molto ben tenuto.

Il trio giunse al termine dello snodo, ponendosi di fronte ad un portone in ferro scuro, irto di bulloni e altri supporti di rinforzo saldati alla bene e meglio.

Sembrava un portone grezzo ma estremamente resistente, come se dovesse custodire qualcosa di importante.

O pericoloso.

 

    “Quindi”, intimò l’ufficiale all’allievo della Principessa, “tu vuoi vedere un Inanimus, mh?”.

“S… sì… io…”, balbettò.

“A me sembri più impaurito che curioso… Silver Dust”.

“Scusa, abbiamo chiesto il tuo parere?”, intervenne Copper seccata. “Ti pagano per menare le spadine, non per cianciare. Quindi muoviti”.

L’altro sorrise e si avvicinò ad un pannello, su cui pigiò qualche pulsante e attivò alcune leve.

Un rombo improvviso fece tremare tutta la stanza. Numerosi fischi e sfiati di vapore provennero da alcuni tubi posti a lato del portone, finché questo non iniziò lentamente ad aprirsi, rivelando un antro oscuro e pochi bagliori luminosi lontani.

Entrarono, con non poca titubanza da parte dei due, specialmente di Dust.

 

I giovani puledri si ritrovarono in un altro stanzone, questa volta scarsamente illuminato. L’unica cosa ben visibile era uno spiazzo di alcuni metri di diametro, al centro della mura, raggiungibile con un insieme di scale in discesa. La piattaforma era circondata da un piccolo fossato di cui non si intravedeva la fine (nonostante l’oscurità potesse trarre in inganno). Cavi, tubi e strani aggeggi penzolavano ovunque dal soffitto, anch’esso immerso nel buio. Quell’ambiente così decadente e grezzo, unitamente ad una penombra perenne, contribuiva a creare una situazione tutto tranne che piacevole.

Ciò che impressionò maggiormente i visitatori fu una strana creatura equina, posta proprio sulla piazzola circondata dal vuoto.

 

    Un pony di metallo, del tutto simile ad un’armatura priva di giunzioni, era stato ancorato ad un supporto verticale, come un prigioniero inchiodato al muro di una prigione tramite le manette.

La creatura, sicuramente un costrutto, aveva le zampe anteriori sollevate sopra il capo e assicurate alla parete attraverso morse arrugginite. Il capo era leggermente chino, quasi identico all’elmo che il puledro aveva visto durante la visita ai quartieri malfamati. Un occhio (forse di vetro) era spaccato e privo di vita ma l’altro era luminoso e brillava di un azzurro lucente. Il resto del corpo era quasi assente. Danni da battaglia dovevano avergli asportato la parte inferiore sicché, al posto delle zampe posteriori, non rimanevano che brandelli di lamiere, ingranaggi rotti e un groviglio intricato di tubi e cavettume, che quasi ricordava le interiora di un essere vivente. Fortunatamente non era così. Un liquido nerastro, forse olio, gocciolava copiosamente dalle parti danneggiate.

Le sezioni ancora integre, invece, mostravano parte esposte da cui erano ben visibili piccoli ingranaggi ruotare lentamente.

Dust non ebbe dubbi. Adocchiò rapidamente l’armatura di Copper, cercando di non farsi notare. Ci avrebbe scommesso il corno. Quel costrutto gli ricordava dannatamente la corazza dell’amica.

 

    Il silenzio più assoluto calò immediatamente, mentre i pony scrutavano meravigliati quella strana presenza equina.

Poi, senza preavviso, il costrutto ruotò il capo verso di loro, producendo uno stridio metallico dalle giunture. Silver Dust strinse i denti, percependo l’occhio luminoso fissarlo come un faro nella notte.

 

“COSA CI FATE QUI??”, sbraitò qualcuno.

Silver e Copper per poco non ebbero un principio d’infarto, mentre l’ufficiale non si scompose minimamente.

Un unicorno bianco, dai corti e ordinati crini blu cobalto, si palesò dall’oscurità.

Indossava una curiosa mascherina metallica, che ne ricopriva gli occhi e la parte inferiore dell’osso frontale. Anziché essere munita di lenti, presentava invece due piccoli fori da cui era impossibile scorgere gli occhi. Il suo marchio era un semplice tondino nero da cui era stata cancellata una porzione rettangolare.

“Dottore…”, lo salutò mollemente il soldato.

“Chi sono questi due??”, insistette l’altro, mostrandosi più interessato che rabbioso. Si avvicinò alla coppia ed iniziò a controllarli da vicino. Molto da vicino.

I due si sentirono decisamente disagio e cercarono di proteggersi inconsciamente anche solo sollevando una zampa al petto.

Il tizio si fermò con volto inespressivo, quindi illuminò il corno e fece emergere un piattino dall’oscurità. Sul piatto vi era un budino tremolante: vi ficcò una posata e ingoiò un boccone, producendo un rumore di risucchio decisamente inappropriato per il galateo. Stette fermo ad osservarli, specialmente Copper Head.

“Eeehm…”, farfugliò Dust.

“Questi due dicono di avere contatti con la Principessa Celestia”, lo informò l’ufficiale, con scarsissimo entusiasmo.

“Mh. Capisco”, commentò l’altro, pappandosi un’altra cucchiaiata.

“Quella con la chioma rugginosa ha un fratello nell’esercito. Due raccomandati, insomma”.

“RACCOMANDATA??”, ruggì la puledra. “Scommetto tutti i miei ingranaggi che hai almeno un paio di zii tra i Divites, razza di…”.

“Che peperino!”, ridacchiò il pony bianco.

“Già. Beh, ‘sti due volevano vedere un Inanimus e…”.

Il collega ebbe un singulto e gli sputò addosso del budino semimasticato.

“C… cosa?”.

“Mh. Dicevo”, continuò, cercando di sopportare l’inondazione culinaria. “Vorrebbero saperne di più sugli Inanimus. Fosse dipeso da me, li avrei schiaffati subito fuori o su un diretto per l’accademia militare. Ma a quanto pare non conosco abbastanza la diplomazia regale affinché…”.

“Ma… ma questi sono progetti segreti!”.

“È quello che ho detto anch’io. Ma spetta a lei l’ultima parola, dottor Novarius. Mi dia solo il pretesto e li caccio seduta stante”.

“Beh… io… Non vedo nemmeno perché dovrebbero essere qui…”.

“Mhf. Questa è la puledra con la corazza di sua invenzione…”, lo informò riluttante.

Novarius parve accendersi di interesse: “Oh! Davvero? Mi sembrava un esoscheletro decisamente atipico, quello che indossa!”. Lo scienziato mantenne il budino sollevato tramite la levitazione, quindi allungò le zampe verso il pony color creta. “Fammi un po’ dare un’occ…”.

 

Copper, cogliendo tutti impreparati, puntellò saldamente le zampe a terra.

Le sue ali si spiegarono con uno scatto improvviso, rivelando piume metalliche simili a coltelli. Gli ingranaggi presero a vorticare furiosamente, mentre gli spallacci e le coperture ai fianchi iniziarono ad accumulare potere, producendo una luce azzurra visibile da piccoli spiragli nella corazza.

“GIU’ LE ZAMPE!!”, sbraitò, con volto adirato.

Il soldato spalancò gli occhi e si ritrasse intimorito, mentre Novarius ebbe un sussulto. Il suo budino finì a terra e la bocca si scolpì in un’espressione di meraviglia.

“C-Copper!”, intervenne Silver, anch’egli spaventato. La cinse per le spalle e la rivolse a sé. “Copper!”.

L’amica lo degnò di attenzioni giusto il tempo sufficiente per calmarsi un po’.

Le luci si smorzarono e gli ingranaggi presero a rallentare progressivamente.

“Non… non toccate me o la mia corazza. Chiaro??”, concluse, cercando di riprendere il controllo.

“F… formidabile!”, commentò l’unicorno bianco, entusiasta, assicurandosi che gli occhiali fossero al loro posto.

Copper ripiegò le ali; quindi, con volto ancora un po’ corrucciato, si sedette a fianco di Silver, molto vicino a lui.

Il puledro, tuttavia, rimase davvero colpito da quella manifestazione. Credeva che la corazza di Copper fosse una sorta di tutore meccanico in grado di aiutarla nelle faccende comuni. Ma, con ogni probabilità… forse si era sbagliato. L’armatura della giovane inventrice custodiva qualcosa che lei ancora non gli aveva mostrato. L’idea lo spaventava un po’. Ma, in quel momento, avevano ben altro a cui pensare.

 

“Fallo ancora!”, la incitò lo scienziato.

“Cosa??”, berciò l’accompagnatore.

Copper chinò il muso verso il pavimento, mostrando un evidente nervosismo. Dust, tuttavia, percepì anche una nota di dispiacere, sul suo viso.

“Uh… Dottor… Novarius, giusto?”, domandò cautamente Silver.

“Mh. Sì sono io!”, rispose con baldanza.

“Quindi la… nostra permanenza qui dipende da lei, giusto?”.

“Mmmbeh…”, ci pensò su. “Sono il responsabile del progetto Inanimus… Quindi sì, direi che decido chi entra e chi esce”.

“Credevo che fossero i militari ad avere l’ultima parola su tutto…”.

Novarius rise sguaiatamente: “Ah, questa è bella! I militari possono fare tante cose ma di certo non possono imporsi su coloro che non condividono le conoscenze di cui hanno bisogno! Io so pescare e do’ a loro i pesci. Non gli insegnerò mai a pescare o diventerò obsoleto!”.

“Dottore”, lo riprese il tizio armato. “La invito a non spifferare troppo, altrimenti…”.

Lo scienziato fece levitare a sé un altro budino (probabilmente ne aveva la scorta) ed iniziò a mangiarselo golosamente, cucchiaiata dopo cucchiaiata.

“Altrimenti lei cosa, mhh?”, lo interruppe, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.

“…Dottore, le ricordo che le sovvenzioni per la ricerca vengono dalle casse dei Divites…”.

“E allora? Mi ha preso per un fesso? Lei è un galoppino qualunque. So benissimo che è nel suo interesse ottenere risultati da questa ricerca. Se non porterà qualcosa di concreto, con ogni probabilità verrà retrocesso a lavastalle”.

Il soldato subì un contraccolpo sociale.

Copper diede una leggera gomitata a Silver e gli sussurrò: “…’sto Novarium mi sta già più simpatico…”.

“Dottore, io…”.

“Senta, non tergiversi. Lei non rompe la valvole a me ed io eviterò di fracassare l’armatura a lei. Direi che la cosa può funzionare, no? Fino ad oggi ha funzionato benissimo…”.

Il nervosismo era palpabile, nello stallone in armatura.

“Dunque… cosa devo fare con questi due?”.

“Li lasci pure qui”, rispose dopo aver deglutito. “Me ne occuperò personalmente”.

“È sicuro? La puledra, specialmente, non mi sembra un soggetto inoffensivo…”.

“Puoi giurarci…”, lo minacciò Copper, guardandolo in cagnesco.

“Non si preoccupi”, concluse lo scienziato con un sorriso. “Se ne vada pure, metta qualche soldatino fuori e se avrò bisogno vi chiamerò”.

“Mhf… molto bene. Come vuole”, dichiarò stizzito, voltandosi per andarsene.

Abbandonò la stanza, lasciando che il meccanismo di chiusura serrasse ermeticamente l’enorme portone di ferro.

I tre rimasero soli.

 

    Novarius si prese tutto il tempo che aveva per finire con calma il suo budino. Non spiccicò parola, mentre Copper e Dust si osservarono con aria interrogativa.

Finito il pasto, emise un verso soddisfatto e ne richiamò a sé subito un altro.

La coppia di unicorni iniziò a pensare che non avrebbero concluso molto.

“Mh! Gradite??”, domandò cortesemente il pony bianco, facendogli ballonzolare la massa gelatinosa davanti al muso.

“Uh, no grazie. Ho già mangiato”, si scusò Silver.

“La mia religione mi impedisce di mangiare budini”, mentì Copper.

“Oh. Ok! Più per me!”.

“Ehm, mi scusi Dottor Novarius…”, avanzò timidamente Dust. “Volevo sapere… se…”.

“MHHH!”, mugugnò l’altro, cercando di non strozzarsi col cibo. “Giusto! L’Inanimus!”.

“Possiamo vederlo, quindi?”.

“Direi proprio di sì!”.

Copper non fu convinta: “Mi sembra un po’ strano… Perché acconsentite ad una richiesta simile?”.

“Mia cara puledra bardata”, le spiegò. “Un emissario della Principessa ed un’inventrice strabiliante sono qui, nel mio laboratorio, e potrebbero fornirmi chissà quali rivelazioni!”.

“Str… strabiliante?”, balbettò, senza credere a quelle parole.

“Non teme che rubiamo i vostri segreti?”, chiese Silver Dust.

Lo scienziato smise improvvisamente di mangiare. Il puledro pensò di aver toccato qualche tasto sensibile.

Novarius alzò lentamente il viso verso di lui, sfoderando un grande sorriso beffardo.

“Seguitemi”.

 

    Il trio percorse le rampe di scale che conducevano al luogo in cui era stato bloccato il costrutto animato.

Mentre scendevano, Dust constatò come la creatura continuasse ad osservarli con il suo muso inespressivo, senza perderli di vista per un solo istante. Si sentì scrutato da un’entità assolutamente sconosciuta e la cosa lo getto in una profonda irrequietezza.

“Sapete?”, riprese Novarius. “Non ho paura che rubiate i segreti custoditi in questa stanza. Semplicemente perché… non ci sono segreti”.

“Come, scusi?”, chiese Copper, bloccandosi.

“Non c’è niente di particolare. Nessuna grande scoperta. Sì, ok, qualche progresso lo abbiamo fatto maa…”.

I tre giunsero di fronte al piccolo fossato e Dust poté osservare da vicino il decantato Inanimus.

Sembrava a tutti gli effetti un pony meccanico, con la corazza simile a metalli aranciati ricoperti di untume e incrostazioni corrosive.

Li avrebbe fissati in assoluto silenzio, se non fosse stato per il lento ritmare degli ingranaggi.

Al centro, più o meno sul petto, alcune fenditure lasciavano intravedere un lieve pulsare azzurro.

L’inquietudine di Silver crebbe.

Novarius riprese a mangiare il budino, osservando il pony metallico: “…la verità è che abbiamo scoperto davvero poco su queste… macchine”.

Copper si limitò a rimanere in silenzio.

“Ne avete studiate parecchie?”, chiese Dust.

“Abbastanza. Ma di rado ci arrivano campioni ancora operativi, come in questo caso. Ed è quasi impossibile reperirne di intatti”.

“Cosa state cercando di scoprire, se posso saperlo?”.

“Mh. Un po’ di tutto. Cosa sono. Cosa vogliono. Come funzionano”.

“E non avete proprio scoperto nulla?”.

“Ben poco”, ammise con amarezza. “Abbiamo grossomodo compreso la loro struttura, i meccanismi che li muovono… ma tutto finisce lì. Questa è una tecnologia che fonde l’arcano con la meccanica grezza. È quasi impossibile riuscire a comprenderla completamente, senza ricorrere a studi approfonditi”.

“Beh, mi sembra abbiate un team abbastanza corposo e attrezzato…”.

Novarius si voltò verso di lui, con l’ennesimo sorriso: “Non serve a granché. Sai… i soggetti operativi… dopo un po’… si disattivano”.

Dust scosse il capo.
“Come…?”.

Il tecnico si girò verso un pannello con delle leve e ne tirò un paio. Una porta a scorrimento, in un angolo della stanza, si aprì, rivelando il contenuto: un grosso mucchio di macchine equine ammassate una sull’altra, assolutamente prive di qualsivoglia forma di vita.

“In parte ci sono arrivati già così. Un’altra parte era funzionante ma si è spenta molto rapidamente”.

“Per i danni subiti in battaglia?”.

“Non lo sappiamo”, rispose, mangiando un’altra cucchiaiata. “Potrebbero essere i danni. O, semplicemente… dopo un po’ si spengono e basta. Per sempre”.

Silver puntò di nuovo gli occhi in quello luminoso del costrutto e quello fece altrettanto. L’armatura animata emise qualche cigolio sommesso, come se stesse cercando di muoversi, inutilmente.

“E… sono pericolosi?”.

“Secondo te perché è inchiodato ad una parete e in mezzo ad un fossato, ragazzo?”.

“Quindi… tutto quello che fanno… è…?”.

“Sì”, ammise Novarius, con un volto serio, fissando intensamente il prigioniero. “Se possono, cercano di ucciderci”.

Silver Dust deglutì.

“Non… non siete mai riusciti a comunicare con loro?”.

“Ci abbiamo provato ma sono carenti su qualsivoglia piano comunicativo”.

“Non… parlano tra di loro?”.

“Impossibile dirlo. Con ogni probabilità sono automi programmati in modo da seguire uno schema, quindi non hanno bisogno di rielaborazione euristica o di comunicare in senso stretto. Questo credo renda impossibile da parte nostra poter instaurare qualsivoglia tipo di dialogo… e ci abbiamo provato più volte”.

“Eu… ristica?”.

Copper fece un intervento: “Intende dire che non hanno capacità intuitive o di improvvisazione”.

“Ma bene!”, esclamò Novarius con felicità. “Sono contento che un civile parli la mia lingua!”.

“In verità ho costruito piccole macchine dotate di cristalli mnemonici. Ho inciso dei codici che hanno permesso alla mia magia di animarli”.

Il Dottore colpì gli zoccoli tra loro: “Affascinante. Assolutamente affascinante!”.

“…e di certo non li mostrerò a lei”.

L’entusiasmo dell’altro si spense.

 

Dust, intanto, continuava a scrutare con attenzione il costrutto bloccato alla parete, così come lui continuava ad osservarlo a sua volta.

Era davvero tutto lì?

Una macchina strabiliante, progettata con l’unico intento di attaccare altri esseri viventi?

Poteva essere?

 

“Mah. Non ne sono convinto…”, buttò lì.

“Scusa, ragazzo… ma detto da uno che non sa nemmeno cosa sia un processore euristico… Senza offesa, eh…”.

“No, no. Ha ragione. È solo che… Non sono convinto, tutto lì”.

“Cos’è che non ti convince?”, gli chiese Copper, improvvisamente interessata.

L’amico parve immergersi nei suoi pensieri, quindi parlò: “Non lo so, Copper. Ma… pensaci bene. Una… macchina… cioè, delle macchine così sofisticate… progettate SOLO per aggredire altri pony? Così. Senza nemmeno una bandiera sotto cui combattere? Senza qualcuno che ne reclami le vittorie? A caso, insomma?”.

Novarius minimizzò: “Non ci deve essere necessariamente uno scopo. Non conosciamo tutte le leggi che governano il nostro mondo. Queste creature potrebbero ricoprire un ruolo ben preciso, come essere macchine impazzite che ora ci attaccano senza un motivo. Dopo alcune analisi statistiche incrociate, io opto per quest’ultima versione”.

Dust aguzzò lo sguardo: “Quegli… quegli ingranaggi… quella corazza così ben scolpita e longilinea… Hanno un design particolare. Non sembrano nemmeno macchine da guerra…”.

Copper continuò ad ascoltarlo, con volto vagamente sorpreso.

“Io ho visto le macchine da combattimento”, continuò il puledro, rivolgendosi allo scienziato. “E sono grosse. Rozze. Visibilmente pericolose”.

“Un nemico che non sembra pericoloso lo è ancora di più”, lo informò ridacchiando. “Sei ancora molto inesperto. E fidati se ti dico che non ci vanno per il sottile. Tu non lo vedi perché glielo abbiamo rimosso ma, tipicamente, hanno un corno in fronte. Un corno da cui sono in grado di proiettare energia decisamente distruttiva…”.

Silver non ebbe più argomentazioni da esporre.

“Non avere dubbi, ragazzo”, concluse il pony con la mascherina facciale. “Queste creature puntano solo a farci del male. Il perché non lo so… ma è così”.

Il puledro sospirò sconsolato.

 

    Ci fu un attimo di silenzio, in cui non accadde sostanzialmente nulla. Dust continuò ad osservare la creatura, che di tanto in tanto emetteva dei cigolii dalle giunture.

“Durerà ancora molto?”, domandò.

“Chissà. Potrebbe spegnersi tra poche ore come tra alcuni giorni”.

“Capisco…”, mugugnò, girandosi lentamente dall’altra parte.

“Ehy, Dust…”, lo riprese gentilmente l’amica. “Sbaglio o sei rimasto… deluso?”.

“Mh? No. No… Non mi aspettavo nulla di diverso da questo. Forse… ci speravo soltanto”.

“E cosa speravi?”.

L’amico alzò lo sguardo verso di lei: “Non lo so, Copper… Trovo soltanto… assurda la situazione qui a Mechanus. Non solo ci sono i potenti che spadroneggiano sui più deboli… ma ora scopro che dei pony pazzi di metallo tentano di uccidere i minatori che non ne possono nulla… Non ha senso”.

La puledra dai crini ramati mostrò un flebile sorriso: “…forse… certe volte non c’è niente da capire. Magari basta solo accettare che le cose vanno così…”.

“Già…”.

“Io… insomma… sono contenta che tu comprenda come le cose qui non vadano come dovrebbero. Ma purtroppo non ci puoi fare nulla. Nemmeno se sei l’allievo della Principessa”.

“Lo sai che l’ho detto solo come scusa per entrare qui dentro, sì?”.

Copper rise: “Sì, scemo! L’avevo capito…”.

Dust gettò uno sguardo verso il pony meccanico, fermo nella stessa posizione di sempre.

    Novarius si avvicinò ai due, con un nuovo budino.

“Ora cosa avete intenzione di fare?”.

“Mh”, mugugnò il pony lilla. “Non credo potremo far molto…”.

“Ma non vi eravate proposti di…”.

“Sì ma… non so come potrei essere utile…”.

“Capisco… E lei, invece, giovane puledra? Non… insomma… non potrebbe offrire la sua armatura per la nobile causa scient…”.

L’altra lo fulminò con lo sguardo e lo fece tacere immediatamente.

“Ok. Messaggio ricevuto”.

Silver alzò le spalle: “Beh. Direi che possiamo proprio andarcene, mi sa…”.

Il Dottore ingoiò una porzione di budino: “Sicuri che non ne volete un po’? Tanto ne ho in abbondanza!”.

“No, stia tranquillo Dottore”, tagliò corto, dirigendosi verso l’uscita. “È tutto a posto così. La ringrazio per la disponibilità…”.

“Vabbè. Come volete… non c’è di che…”.

Si allontanarono.

 

    Silver Dust salì i gradini.

Si avvicinò al pannello per aprire il portone del laboratorio.

Dentro di sé percepiva un certo sconforto ma non poteva farci granché.

La sua zampa si spostò verso le leve.

Un istante prima di sfiorarle, udì qualcosa.

Un gemito metallico.

Le sue orecchie ebbero un fremito. Si fermò.

Sgranò gli occhi.

“…uh… Dust?”, domandò Copper.

L’altro alzò repentinamente una zampa, facendole cenno di tacere.

Si girò lentamente verso il costrutto lontano.

Lo guardò intensamente.

“Lo… lo avete sentito anche voi?”.

“Uh… sentito cosa?”, chiese Novarius.

“Quel… quel cigolio…”.

“Mh… quale dei tanti?”.

Silver iniziò a controllare i dintorni. Stava cercando qualcosa. Doveva trovare qualcosa per quanto aveva appena udito.

Vide il budino spappolato per terra, quello che era caduto al Dottore appena arrivarono.

Si gettò letteralmente sul pavimento, come se non potesse attendere, ed iniziò a spalmare il composto con gli zoccoli.

Copper assunse un’espressione schifata: “Uuuhmmm… D-Dust?”.

“Se volevi un budino bastava dirlo! È fino adesso che ve ne offro!”.

Ma l’unicorno sembrava fuori dal mondo. Dopo alcuni secondi, si ritrasse dal pavimento.

Aveva disposto piccoli pezzettini di budino, a formare una sorta di sequenza di diversa forma e lunghezza.

“Cosa… cos’è quello?”, chiese il pony in armatura.

L’amico sollevò lo sguardo verso la creatura animata.

“È…”, disse, con un filo di voce. “È una sequenza…”.

“Una sequenza?”, ribatté Copper.

“Sì… sì!!”. Si voltò verso di lei e la cinse per le spalle, sorridendo entusiasta. “Ne sono sicuro! Ho… ho udito una sequenza ben precisa in quei rumori! Una sequenza composta da undici variabili e dieci alla sesta combinazioni!”.

“Uh… e… quindi?”.

“Non sono rumori a caso!”, le spiegò, rivolgendo la zampa in direzione della piattaforma. “È… è come se stesse cercando di comunicare qualcosa!”.

“Ma che stai dicendo?”, si intromise Novarius. “Sono solo dei cavolo di cigolii! Un po’ di olio alle giunture e passa tutto…”.

“No, Dottore!”, precisò con energia. “Sta utilizzando una sorta di… di codice. Di alfabeto!”.

“E avresti intuito tutto questo in mezz’ora appena? Dove i nostri scienziati non ci sono riusciti in mesi…? O forse è merito del budino??”.

Ma Dust era troppo felice per poterlo ascoltare. Iniziò a zampettare qua e là, come se avesse risolto un mistero irrisolvibile.

“Ehm… Dust?”, lo informò Copper, un po’ preoccupata. “Non ti sembra… insomma… di correre un po’ troppo? Che certezze hai che…”.

“È così, ti dico!! Quel coso… l’Inanimus!! Sta tentando di dirci qualcosa!”.

“O magari ti stai sbagliando?”.

“Copper!”, la cinse nuovamente per le spalle. “Nella vita compio ed ho compiuto un sacco di cavolate! Ma non ho mai toppato in una sequenza matematica in vita mia! È la mia dote e la mia condanna! Pensa che ho riconosciuto sequenze matematiche nel frusciare del vento tra i campi!”.

“Si chiama anche Cereidolipofuscinosi neuronale”, tagliò corto lo scienziato, continuando a mangiare, “ed è una malattia, non una dote. Fossi in te mi farei controllare…”.

“La prego, dottore!”, lo implorò. “Mi dia un foglio e una matita! Mi faccia copiare quello schema, prima che lei si mangi anche il budino sul pavimento!”.

L’altro rimase interdetto.

“Senta…”, affermò con decisione, avvicinandosi lentamente all’altro. “Lei… lei mi dia un’opportunità per dimostrarle che… che ho ragione. Che non sto farneticando. Mi faccia venire qui regolarmente a studiare questa creatura”.

Un bolo di cibo gli andò di traverso.

“Umph! C… come? Venire qui regolarmente??”.

“Sì! Se… se lei mi fa venire qui… io sono sicuro al novantanove virgola nove periodico di poter individuare uno schema e magari coniare un alfabeto!”.

“Io non so se…”.

“Un tentativo!”, ripeté Silver, alzando una zampa. “Un unico tentativo. Mi lasci provare…”.

 

Novarius si fece dubbioso.

Posò il budino su un ripiano. Passeggiò lentamente su e giù per il laboratorio, dando loro le spalle.

Ruotò quindi il volto di profilo verso il giovane matematico, osservandolo appena con la coda dell’occhio.


“Un unico tentativo, eh…?”.

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Capitolo 5
*** Lumen da Aere ***


    Non appena la porta d’ingresso si aprì, un trepidante Silver Dust entrò saltellando come un matto.

“Assolutamente fantastico!!”, sbraitò con gioia.

Attorno a lui, sospeso dalla levitazione, svolazzava un foglio su cui era stato scribacchiato qualcosa.

Le luci della stanza si accesero e Copper Head lo seguì subito dopo, decisamente più sottotono. La puledra aveva lo sguardo un po’ infastidito, come se quella manifestazione da parte di Dust non le andasse a genio.

“AH!”, ribadì Silver, rimirando la superficie cartacea. “Incredibilmente meraviglioso!”.

“Ehy, rallenta”, lo ammonì Copper. “Smettila di rimbalzare come una palla o finirai per danneggiare qualcosa…”.

“È fenomenale!!”.

“Sì, sì. Abbiamo capito”.

“Ma ci pensi??”. Il suo viso sprizzava contentezza da ogni poro. “Ho la base di partenza per decifrare il linguaggio di quelle creature!”.

La compagna chiuse la porta e andò sistemare alcune valvole di controllo alla parete, dandogli le spalle.

“Io vedo solo un foglio con degli scarabocchi…”.

“È un codice! È la chiave per costruire un potenziale alfabeto ora sconosciuto!”.

Il pony color creta ruotò il collo e lo osservò con occhi scettici: “Mh. E così avresti decifrato la base di un alfabeto in meno di mezza giornata? Dove scienziati che ci lavorano da mesi non hanno ottenuto niente?”.

“Oh, ora non ti ci mettere anche tu”, protestò, abbassando il foglio e sentendo il suo entusiasmo scemare.

Copper continuò a smanettare, facendo partire sibili e sbuffi di vapore da alcuni tubi limitrofi.

Silver cercò di essere più convincente: “Ti assicuro che questi codici sono corretti!”.

“Cosa te lo fa pensare?”.

“Perché non ho mai sbagliato in questo campo!”.
“C’è sempre una prima volta…”.

Dust si fermò.

Quelle parole lo ferirono in modo inaspettato.

 

Si fidava così poco di lui e delle sue capacità?

 

“Beh… ma ne sono praticamente sicuro…”.

Copper divenne ancor più amareggiata: “…anche io mi sono sempre ritenuta sicura su quello che facevo. Solo per scoprire che poi mi sbagliavo…”.

L’amico scosse il capo.

“Ma… cosa c’è che non va? Sembra che… che per te io non possa essere in grado di… di…”.

Questa volta fu Copper a fermarsi.

Fece un lungo sospiro e si voltò completamente verso l’incantatore lilla. I muscoli del viso divennero più rilassati.

“No… no io…”, balbettò la puledra, passandosi una zampa sull’incavo tra gli occhi. “Non intendevo quello. Scusami, Dust… Sono solo un po’ stanca. E… e poi…”.

“…poi?”.

“…niente. Non mi va semplicemente che tu stia a stretto contatto con quei tizi. E ora che hai trovato questa… presunta chiave di lettura… temo che tu vorrai tornare ancora…”.

Il puledro non capì: “Beh… ma è normale che voglia tornarci… Più che altro non comprendo questa tua apprensione. Cos’è che non ti va, esattamente?”.

Copper distolse lo sguardo e prese a sfregarsi nervosamente una zampa con l’altra: “Non… non è che ci sia qualcosa… È che… Ovunque passino quei soldati… non fa altro che nascere dolore e miseria…”.

Dust sorrise e risollevò magicamente il foglio: “Non è solo la questione dei soldati, Copper! Un grosso problema a Mechanus deriva dagli attacchi alle miniere da parte di quelle creature! Se riuscissi a carpire il loro alfabeto allora potremmo cercare di…”.

“Credi davvero che gli Inanimus siano il peggior problema che c’è a Mechanus?”, lo interruppe, guardandolo seriamente negli occhi.

“Beh… io penso…”.

“Cosa pensi accadrebbe, senza di loro? Credi che la vita di tutti sarebbe molto diversa?”.

“…se non altro ci sarebbero meno feriti…”.

“E quindi? Ci sono sfruttatori che inviano ondate di poveracci a lavorare in condizioni pietose, tra scavi, grotte e lava. Gli Inanimus non sono altro che un contrattempo…”.

Dust si grattò la chioma: “Ok… ma si tratta comunque di un qualche tipo di creatura dotata di linguaggio proprio… Magari c’è molto che potremmo scoprire…”.

“…tu ne sei fermamente convinto, mh?”.

“Di cosa?”.

“Che loro abbiano un linguaggio. E di essere riuscito a decifrarlo…”.

L’unicorno dalla chioma scura si sentì nuovamente sottostimato: “…proprio non ti fidi, eh?”.

“Non è quello, Dust… È che… è inverosimile. Sono… sono solo un po’ scettica”.

Silver sorrise: “Allora ti dimostrerò che sbagli!”.

Quelle parole, tuttavia, non riuscirono a demolire il muro di sfiducia che l’inventrice sembrava aver eretto all’improvviso.

“Fa come credi, Dust…”, concluse mollemente, dirigendosi verso la scalinata per i piani superiori. Si voltò, lanciandogli un serissimo sguardo ammonitore. “Mechanus è un intricato insieme di ingranaggi spaventosi… È come una bestia di metallo che cigola e si contorce”. L’altro, un po’ in soggezione, corrugò la fronte. “…e il rischio più grande è che i suoi denti ti afferrino e ti inghiottano… per non lasciarti mai più riemergere”.

“Cosa… cosa significa?”.

Copper riprese a salire le scale: “Niente. Soltanto… stai attento. Ci sono tante cose che qui non funzionano. Dipendesse da me… me ne sarei già andata anni addietro…”.

    Gli zoccoli metallici dell’unicorno furono l’ultima cosa che Silver ebbe modo di vedere, poco prima che Copper svanisse nella stanza al primo piano.
Non capiva come mai la puledra avesse così timore dei militari, di quelle strane creature meccaniche… e di Mechanus in generale.
Scrutò nuovamente il foglio con il codice abbozzato.
Sorrise.
Era troppo contento e ansioso per potersene preoccupare. Presto avrebbe iniziato a lavorare all’intero alfabeto. E, lo sapeva bene, sarebbe sicuramente riuscito a comporre un sistema di decifratura.
Non poteva essere altrimenti.

 

*** ***** ***

 

    L’intera stanza del laboratorio militare era stata tappezzata con una miriade di fogli, foglietti e appunti; i risultati di quasi tre giorni di studi senza sosta. Le zone prive di fogli erano state utilizzate bellamente a mo’ di lavagna improvvisate, mentre per terra era presente una quantità indecente di scarti di cibo, piatti sporchi di budino e carta appallottolata.

Dust era a pochi metri dall’Inanimus, quest’ultimo ancora assicurato alla parete tramite morse e catene. Il puledro era disteso sul ventre ed osservava alcuni appunti che teneva sotto il muso; il corno permetteva ad una matita di levitare tra le sue labbra, lasciandogli la libertà di mordicchiarla nervosamente. L’espressione del suo volto era a metà tra il concentrato e l’interessato.
Dietro di lui, con la curiosa mascherina ad occultarne il volto, Novarius osservava il costrutto, infilandosi in bocca svariate cucchiaiate di budino volante.
    Ad un certo punto, Silver proruppe in un verso di saturazione. Accartocciò il foglio e lo gettò lontano, quindi si mise pancia all’aria e si serrò le tempie tra gli zoccoli.

“Naa! Dannazione!!”, sbottò.

“Sbagliato sequenza?”, gli domandò lo scienziato, con voce atona.

“Sì, per la miseria!”.
“Te lo avevo detto che non sarebbe stato facile”, commentò, mandando giù un altro boccone.

“È assurdo!”, rispose sbracciandosi. “Non mi era mai successo prima! Non ha senso!”.

“Cosa non ha senso?”.

“Questa… questo.. questo coso!!”, spiegò, lanciando occhiatacce d’odio verso l’Inanimus. “Non capisco… C’è uno schema naturale e matematico in tutte le cose. Persino nel canto degli uccelli… Ma… ma questo aggeggio… Non ha senso!!”.

“Forse perché non è naturale?”.

“Impossibile…”.

“Ah!”, ridacchiò. “Come fai a dirlo? Come fai a sapere cosa è naturale e cosa non lo è, mh?”.

“Ma… ma! Insomma! Guardatelo! È a nostra immagine! Ha un muso, un garrese, degli occhi!”.

“Anche una statua può averceli, ragazzo…”.

“Ma una statua non si muove…”.

“Potrebbe, con i giusti incantesimi…”.

“Sì, ok, ma si tratterebbe comunque di un costrutto senza cervello… un automa”.

Novarius finì il budino. “E cosa ti fa credere che questo aggeggio non sia un automa privo di intelletto? Fino ad ora non mi è sembrato chissà che animale sociale…”.
    Dust si voltò verso il costrutto e vide il suo unico occhio luminoso fissarlo intensamente. Scosse leggermente il capo, quindi si rivolse di nuovo al dottore.

“Io… io non lo so… Ma… c’è qualcosa in questa… creatura… che non risponde agli schemi degli oggetti animati…”.

“E rieccolo con la storia degli schemi!”.

“Non è una storia! Tutto, in natura, risponde a degli schemi! Per quanto entropici siano non possono sottrarsi a degli effetti di causalità!”.

“Mai sentito nulla del genere”.

Silver si placò leggermente: “È… è una cosa mia. Da sempre riconosco e catalogo lo schema di ogni cosa, nel mondo… Così come so che tra tre secondi quella valvola farà uno sfiato”.

Dopo tre secondi, una valvola di un tubo alla parete emise uno sbuffo di vapore.

“Non significa nulla”, ribadì Novarius. “E poi l’hai appena detto, no? Questo affare non risponde ad alcuno schema”.
“Deve avercelo! Soltanto… è molto difficile da identificare”.

“E questo cosa significa?”.

    In quel preciso istante… Silver avvertì una strana sensazione dentro di sé.
Divenne silenzioso. Il suo sguardo mutò in un’espressione quasi bambinesca, di muta perplessità. I suoi occhi tornarono al costrutto.
“È… è come…”, sussurrò. “Come se questa creatura non fosse dovuta esistere… Come se non avesse dovuto far parte dell’ordine naturale delle cose…”.

Novarius, che aveva appena preso un altro budino, si bloccò di colpo ad ascoltarlo, con il cucchiaino in bocca.

Dust ebbe l’impressione che l’occhio dell’Inanimus si fosse arricchito di luce sempre più accecante. O forse era solo un effetto suggestivo, dato che lo stava fissando da parecchio tempo ormai.
“…è come… come se fosse un’anomalia in un sistema perfetto…”.

 

    La zampa di Novarius si poggiò sulle spalle del giovane.

“Ragazzo… forse è meglio se torni a casa”.

“…ma…”, protestò, con occhi stanchi.

“Sai da quant’è che sei qui?”.

“Uh… qualche ora?”.

“Tredici ore filate…”.

Silver sembrò non crederci: “Cos… impossibile…”.

“No. Hai perso la cognizione del tempo. E non credo tu possa fare granché se non ti riposi almeno un po’…”.

“Ah… io…”.

Lo scienziato si girò dall’altra parte e riprese a mangiare: “Guarda… sarò sincero con te. Stai facendo più progressi tu in pochi giorni che non la mia equipe nell’arco di settimane. Quindi… ho tutto l’interesse affinché tu riesca in questa impresa”.

L’altro non rispose ma sembrò capire.

“Quindi”, riprese Novarius, “è meglio se stacchi un po’. Tanto qui il laboratorio non scappa. Tantomeno l’Inanimus. Metterò una buona parola affinché i militari ti ostacolino il meno possibile negli spostamenti”.

“Ok…”, sospirò Silver.

Il puledro lilla iniziò a raccogliere le sue cose, inclusi gli ultimi risultati delle ricerche. Avrebbe di sicuro voluto lavorarci anche a casa. Prese quasi mezzo metro di fogli e appunti, quindi si diresse verso l’uscita.

“Se per lei va bene”, disse al dottore, “tornerei domani mattina alla solita ora”.

“Come vuoi”, rispose l’altro, osservando l’Inanimus con portamento professionale. “Può anche darsi che dovrò assentarmi qualche ora per un convegno. Un… interessantissimo convegno sulle traslazioni peristaltiche secondo il modello di Whebler”.

“Capisco”, mentì, prima di congedarsi.


Lanciò un’ultima occhiata all’Inanimus che, per tutto il tempo, non smise di puntarlo con il suo azzurro occhio luminoso.

 

*** ***** ***

 

    L’allievo di Celestia tornò nell’abitazione che lo ospitava, portando con sé (e con non poca fatica) il malloppo di cellulosa e grafite.
Sembrava piuttosto impaziente di rimettersi a studiare sugli appunti.
All’interno, Copper Head stava smanettando sulle sue invenzioni al banco di lavoro.

“Ciao, Copper”, disse, passandole accanto.

L’altra sollevò la maschera da saldatore e lanciò un’occhiataccia interdetta: “Uh… ciao?”.

Dust si mise a sedere accanto ad un ripiano e prese a sfogliare i documenti.
Per un attimo calò il silenzio.

“Uhm… Silver?”, si decise a chiedere l’amica.

“Mh?”.

“Vedo che stai… facendo progressi”.
“M-mh”, mugugnò, senza smettere di leggere.

La puledra sembrava un po’ a disagio, quasi imbarazzata.

Prese a strusciarsi gli zoccoli tra loro.

“E… quindi immagino tu abbia molto da fare…”.
“Più o meno”.

Il disagio di Copper parve crescere.

“Q-quindi… se… se ti chiedessi una cosa… tu…”.

“Cosa?”.

“Ecco…”, farfugliò, lisciandosi nervosamente la criniera. “Stamane… mi… mi hanno affidato un grosso progetto per un sistema di compensazione della pressione. È… è davvero un marchingegno abbastanza complicato. Io… avrei in mente come costruirlo. O almeno… penso… Cioè…”. Si schiarì la voce. “Ho in testa tutto quanto… ma… sai che… insomma… sono abbastanza sbadata. Quindi… quindi mi chiedevo se… se tu… Cioè, come hai fatto… abbiamo fatto l’altra volta…”.

“Vuoi che ti dia una zampa?”.

Le orecchie di Copper si drizzarono: “Lo farest… cioè… se… se non ti è di troppo disturbo…”.

Silver continuò a leggere: “Ora non posso”.

L’unicorno dai crini neri non si accorse del forte contraccolpo che le sue parole causarono alla puledra.

“Oh… i-io… ok… capisco…”.

“Scusa, Copper, sono davvero impegnato con questa roba. Ma quando ho finito ti prometto che guardo i tuoi progetti”.

“Va… va bene…”, gli rispose l’altra, sforzandosi di sorridere.

Copper tornò al bancone, con una vaga espressione di delusione sul muso. Prima di rimettersi a lavoro, lanciò un’occhiata triste verso il compagno, assolutamente immerso nella lettura.

 

Si rimise la maschera.

Riprese a saldare.

 

*** ***** ***

 

    Passarono i giorni. Giorni in cui Silver Dust altro non fece se non alternate ore di studio nel laboratorio di Copper con ore di ricerca nel laboratorio dei Divites.
Per un certo periodo gli sembrò di essere tornato ai giorni nell’accademia di Canterlot, in cui la sua vita veniva ripartita tra ore di lezione ed ore di studio. Il tempo libero veniva dedicato a pochissime faccende, come riassettare la stanza in cui viveva o fare piccole spese di prima necessità.

Per lui non era un problema. Gli piaceva studiare, specialmente se le materie riguardavano tematiche scientifiche o, meglio ancora, matematiche.
Così l’impegno che si prese a Mechanus non gli gravò minimamente addosso. Anzi… lo risucchiò completamente in un mondo farcito di numeri, sequenze e tabelle.
L’attività lo rapì letteralmente, mettendolo di fronte ad una realtà che non aveva mai affrontato prima.

Dust, infatti, si era sempre dedicato allo studio e all’applicazione teorica. In quel frangente, invece, ebbe l’opportunità di mettere in pratica ciò che aveva appreso, nonché sfruttare le sue innate doti matematiche.

Si scoprì a discutere con Novarius delle varie scoperte, progressi e risultati.

Lo scienziato parve entrare piuttosto in confidenza con il giovane, pur mantenendo un certo distacco professionale con lui.
Le truppe dei Divites continuarono ad osservare con sospetto i suoi movimenti… ma Novarius si fece garante dell’intera faccenda, permettendo al puledro di entrare ed uscire indisturbato dallo stabile.

 

Silver non poté negarlo.

Non gli dispiaceva affatto quella sorta di lavoro.
E l’Inanimus… Quella macchina lo affascinava tantissimo.

I suoi cigolii costanti, del tutto inconcludenti per una mente comune, custodivano in realtà mille sfumature di rumori.

Non gli fu facile individuare una sequenza che potesse tradursi in un alfabeto ma… lo sentiva, lo sapeva! La creatura meccanica non emetteva suoni metallici senza apparente motivo. C’era qualcosa… un collegamento… un nesso… un legame tra quei rumori e il tentativo di comunicare.

 

O forse si stava immaginando ogni cosa?
Per Novarius era sicuramente così.

 

    Ma un pomeriggio, Silver Dust fece una curiosa scoperta.

Il puledro era intento come suo solito a studiare la creatura ed i suoi comportamenti.

Il padrone del laboratorio non c’era.
Si fidava così tanto di lui? Al punto da lasciarlo solo nel suo sancta sanctorum?

Poteva essere?
Ma poco gli importava, in quel momento. Sommerso letteralmente da una marea di scartoffie, di appunti irrisolti, di scarabocchi sul pavimento e sulle pareti.
Silver non la smise un solo istante: si spostò freneticamente da un alto all’altro della stanza. Sollevò magicamente un gessetto, appuntò qualcosa, ne cancellò una parte… Quindi tornò ad osservare l’Inanimus, che a sua volta lo seguì con l’occhio luminoso. Così, per poi ricominciare da capo.


“…cosa cerchi di dirmi?”, gli chiese ad un certo punto, con volto serio.
La macchina lo scrutò in silenzio.
Lo studioso divenne interdetto.

“Ho decifrato quasi il novanta per cento del tuo apparente linguaggio…”, precisò.
L’Inanimus rimase silente, mentre la pazienza di Dust iniziò a vacillare.

Le occhiaie si erano fatte più marcate. La criniera era scompigliata e trasandata.

Aveva male alla fronte, sia per il troppo pensare che per il costante uso della levitazione.
“Dimmi qualcosa…”, sussurrò. “Qualsiasi cosa… Rispondi ai miei stimoli… Ti sto… sto cercando di comunicare con te… Perché non possiedi un nesso causale come ogni cosa nel mondo?”.
La macchina rimase immobile.
Il pony lilla sembrò sbottare.

Sollevò magicamente una matita ed iniziò a picchiettarla sul pavimento.
“Lo senti??”, sbraitò. “È una sequenza! Corrisponde al tuo linguaggio! Vedi?”.
Sollevò un foglietto e lo guardò con attenzione, quindi compose un'altra cacofonia di ticchettii.
“Ascolta! Ascolta bene! Secondo questo schema… ti sto chiedendo… chi sei…”.

Nessuna risposta.
Silver accumulò frustrazione. Si stropicciò i crini e strinse gli occhi.

“Dannazione!”, urlò. “Non mi capisci?? O lo fai apposta? Ho forse sbagliato qualcosa nei calcoli?? No… no! Non è possibile, sono giustissimi…”.

L’Inanimus era sempre lì. Con le zampe sollevate e piantate al muro; i cavi inferiori penzolanti, ormai quasi completamente rinsecchiti e privi di lubrificante.
Sotto di lui vi era una pozza nera, unico rimasuglio di quanto fosse colato dal costrutto.

L’occhio scintillava come sempre. O forse con un’intensità di poco inferiore.

Dust gli gettò la matita addosso.

“REAGISCI MALEDIZIONE!!”.
Si voltò adirato, prese una pila di piattini sporchi e li ruppe con violenza a terra.

“VEDI?? LO VEDI?? Causalità! Se rompo dei piatti, questi si frantumano! È un normale nesso causa effetto presente nell’ordine naturale delle cose!”. Il giovane prese a camminare nervosamente per il laboratorio, mentre l’elmo dell’Inanimus si limitava a ruotare verso di lui per seguirlo.
“Se tiro una martellata ad una pietra… questa si rompe!”, berciò, osservando punti casuali del laboratorio, in preda ad incontenibili manifestazioni d’ira. “Se urlo in faccia ad una puledra, questa mi tira un ceffone! Tu perché non rispondi, allora??”.
Tornò ad osservare la macchina, che non fece proprio nulla.
Silver emise un verso di rassegnazione, ruotò gli occhi al cielo, appallottolò il foglio e lo gettò lontano.

Lo sconforto parve attanagliarlo.
Sembrò calmarsi leggermente.

Con la coda dell’occhio notò quindi il punto in cui la carta era rotolata, finendo dritta nel cumulo di Inanimus distrutti che gli aveva mostrato Novarius, il giorno della sua prima venuta.

La fronte lilla si corrugò.

Qualcosa aveva attirato l’attenzione del ricercatore.

 

Silver Dust parve cadere in un profondo senso di concentrazione.

Si mosse lentamente verso gli scarti ammassati uno sull’altro.
Si avvicinò e affondò le zampe nelle lamiere contorte, quindi estrasse qualcosa, facendo cadere a terra un buon numero di frammenti tintinnanti.


Era un’articolazione di un Inanimus, probabilmente un pezzo di zampa anteriore.

Lo sollevò attentamente a mezz’aria, quindi tornò dall’oggetto dei suoi studi.
La sua espressione era difficile da decifrare ma un barlume di speranza scintillava nei bulbi oculari. Richiamò a sé alcuni fogli. Li dispose ordinatamente di fronte a lui, sempre grazie alla magia.
Lesse.
Prese l’arto.

E lo mosse secondo il punto di giunzione.

L’oggetto emise alcuni vagiti metallici.
Le orecchie dell’Inanimus si drizzarono all’improvviso e di risposta fecero altrettanto quelle di Dust.

Continuò.
Compose altri rumori.
E infine… l’Inanimus gli rispose.

 

    Il muso dell’incantatore mutò improvvisamente in una incontenibile espressione di meraviglia.
Non poteva essere.

Mosse di nuovo l’arto.
E l’Inanimus rispose di nuovo.

“…per tutte le derivate parziali…”, borbottò il pony, ad occhi sbarrati.
Scosse il capo.

C’era riuscito.

Il suo alfabeto era ancora incompleto e non era sicuro di cosa si stessero dicendo i due.

Ma c’era riuscito. Aveva capito come comunicare con gli Inanimus. Fino a quel momento si era limitato a mettere insieme i frammenti. A comporre un puzzle ad occhi chiusi. Senza poter comunicare con la macchina, mai avrebbe avuto un riscontro sull’effettiva funzionalità del codice. Ma ora… ora avrebbe potuto.
Aveva trovato la chiave per completare il linguaggio.
Per carpire appieno i segreti dei costrutti.

Per apportare forse qualche sorta di cambiamento nella colossale città di Mechanus.

 

    Un fischio improvviso lo fece tornare alla realtà.
Un sistema a vapore collocato contro una parete lo avvertì che stabile avrebbe presto chiuso i battenti. Nemmeno sotto la supervisione di Novarius avrebbe potuto trattenersi oltre. I Divites erano stati chiari.
Ma non gli importava minimamente.
Si sentì felice. Felice come non mai. Dentro di sé provò una gioia immensa. La gioia nell’aver veramente ottenuto un risultato concreto e rivoluzionario, per la prima volta in vita sua.
    Senza indugiare oltre, raccolse i fogli che gli interessavano, mise la zampa meccanica nella sacca a tracolla e sorrise all’Inanimus.

“Amico mio”, gli disse con volto radioso. “I prossimi giorni… io e te avremo molto di cui discutere…”. Il sorriso si intensificò. “Ma confido che non te ne andrai di qui”.

Si allontanò un po’ impacciatamente, decisamente esaltato per la scoperta. Fece cadere goffamente alcuni fogli. Li raccolse. Gli sorrise di nuovo.

Si recò all’uscita.

 

*** ***** ***

 

    Era ormai il tramonto quando il treno lo riportò alla fermata della zona industriale.
Non stava più nel pelo. Avrebbe voluto urlare a tutti della sua scoperta. Avrebbe desiderato informare ogni singolo abitante. Si sarebbe persino messo a sbraitare in una piazza se solo si fosse osato abbastanza.

Ma non poteva. Tutto doveva rimanere un po’ sottotono, almeno fino ad ulteriori accertamenti e non prima di averne discusso con Novarius. La ricerca sugli Inanimus era comunque un suo progetto.

Ma… Copper. Di sicuro lei sarebbe stata felicissima di sentire quanto accaduto.

Uscì di gran fretta dal treno, trottando per la strada che conosceva ormai a memoria.
Il sole del tramonto brillava rosso e maestoso nel cielo, pronto a lasciar spazio ad una notte di stelle.

Affrettò il passo.

Superò il primo incrocio.

Passò i piccoli ammassi di rottami.

Entrò nel cortile dello stabile.

“Copper!”, iniziò ad urlare, ancor prima di vedere la porta d’ingresso. “Copper! Non ci crederai mai! Cop…”.

 

Il puledro si fermò, assolutamente basito.
I suoi occhi ruotarono fino al cielo.
Alcune funi di metallo, in testa alla fabbrica dismessa della puledra, erano tesi fino alle sommità delle nuvole di bassa quota, svanendo all’interno delle stesse.

Dust non capì. Era come se qualcosa premesse per spiccare il volo e le funi fossero l’unico mezzo ad impedirlo.

Si trovava così in alto da aver oltrepassato le nuvole vermiglie, rendendogli di fatto impossibile capire cosa fosse.
Aguzzò lo sguardo.
In mezzo al rossore del tramonto, che corroborava ogni cosa, vi era una tenue luce azzurra che si intravedeva in mezzo alle nubi stesse. Era come se qualcuno avesse gettato un faro celeste tra la nebbia.
Il puledro rimase svariati minuti ad osservare il fenomeno, assolutamente interdetto.
Cosa poteva mai essere?

Un velivolo dei Divites?
Una strana invenzione del pony in armatura?

Scosse il capo.
Si addentro nell’edificio.

    L’interno era disordinato come sempre. Vi erano le solite creazioni incomplete, qualche attrezzo qua e là e progetti affissi alle pareti.
Il tavolo da lavoro dell’amica, tuttavia, era apparentemente abbandonato.
La cosa non gli piacque per nulla.
Posò delicatamente gli appunti su un tavolo, quindi prese a controllare l’ambiente.

Le luci erano accese ancor prima del suo arrivo.
“…Copper?”, domandò, osservando la stanza. Nessuno gli rispose.
Andò a controllare i piani superiori ma della puledra non vi era alcuna traccia.
Decise quindi di raggiungere una zona in cui non aveva mai posto zoccolo.
Avanzò per la rampa di scale, finendo verso una porticina di ferro arrugginito che conduceva verso il tetto del fabbricato. La spalancò.

Di fronte a lui comparve un paesaggio un po’ meno opprimente della zona industriale, dato che da lì avrebbe potuto godere di una panoramica decisamente migliore.
Ma le industrie limitrofe erano comunque imponenti e impedivano di scorgere l’orizzonte con chiarezza. Poté tuttavia constatare come i cavi penzolanti fossero a tutti gli effetti assicurati ad alcune morse sul tetto.
Vi era anche una doppia fune, la cui parte terminale era avvolta ad un rocchetto meccanico: una sorta di meccanismo di avvolgimento collocato proprio al centro del tetto. L’estremità opposta si perdeva a sua volta nel cielo. Il tutto era collegato ad un piccolo motorino a scoppio. Piccoli supporti, simili a tondini di ferro, erano stati sistemati lungo la fune, creando una sorta di scaletta a cui aggrapparsi.
Intuì come si trattasse del sistema con avrebbe potuto elevarsi fino al punto luminoso tra le nuvole.

La domanda era… avrebbe voluto azionarlo?
Non sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare… ma la curiosità era troppa.

Si avvicinò al motore e ne apprese subito il funzionamento.
Afferrò un filo di avviamento tra i denti e, dopo un paio di strattoni decisi, fece partire il motorino, tra scoppi e sussulti. La scaletta prese a ruotare e muoversi lentamente: una sezione scendeva mentre l’altra saliva.
Scrutò nuovamente il cielo aranciato.
La fune saliva in alto… dannatamente in alto. E quello gli sembrava tutto tranne che un sistema di movimentazione sicuro…
Controllò un’ultima volta i dintorni, inclusa la porticina spalancata che aveva da poco varcato.
Deglutì.
Si avvicinò ai tondini.
E si avvinghiò ad una coppia di essi.

    La fune entrò in tensione e il corpo di Silver venne sollevato da terra.
Il puledro provò un’improvvisa sensazione di vuoto sotto di sé, nonché una discreta dose di paura.
Anzi… un’immensa dose di paura.
Solo in quel momento, mentre i metri che lo separavano da terra continuavano a crescere, si rese conto della stupidaggine che stava compiendo.
L’aggeggio lo stava conducendo in alto. E non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe trovato oltre le nubi.
Certo… sempre che non fosse precipitato prima.
Commise il madornale errore di guardare sotto di sé e vide lo stabile dismesso farsi sempre più lontano. Strinse i denti e si avvinghiò come un gatto ai precari supporti a sua disposizione.
Non avrebbe più potuto tornare indietro, ormai.
Salì sempre di più. Il sistema cigolava e traballava. Il vento iniziò a fischiare leggermente, mentre le nubi si facevano sempre più vicine.
Chiuse gli occhi e maledì l’istante in cui decise di mettere zoccolo su quell’affare.
Dopo alcuni minuti di risalita, raggiunse infine lo strato nebuloso, immergendosi completamente in esso. Non poté vedere più nulla.
Finchè…

Finché non sbucò dall’altra parte.

Un paesaggio mozzafiato si palesò ai suoi occhi.
Da lassù, oltre gli strati di nubi più basse e oltre la tipica cappa di smog a cui era abituato… la visuale su Mechanus era praticamente completa.
L’intera zona era tappezzata da una moltitudine di industrie, comignoli e sistemi di scarico. I fumi salivano alti nel cielo, andando a comporre miscele dalle tonalità di grigio assolutamente incredibili. Il vento li spargeva ovunque, come gocce d’inchiostro disperse in un bicchiere di acqua limpida. Il sole arancione brillava con forza attraverso le montagne lontane, perfettamente visibili, fin nei più piccoli dettagli.
Dust comprese inoltre quale sarebbe stata la sua destinazione, in quanto le funi terminavano in una piccola chiatta volante, sostenuta da un rozzo assembramento di grossi palloni in cuoio, composti da una miriade di pezze cucite tra loro alla bene e meglio.
La nave non era molto raffinata; decisamente diversa dalle maestose fregate dei Divites. Non poteva appartenere a loro. O forse sì?
Sul ponte, nascosto dalla chiglia, Silver notò una poderosa fonte di luce azzurra. Il vento d’alta quota spennellava letteralmente i fasci luminosi, come se fossero code di una cometa dotate di consistenza propria.
L’unicorno aprì la bocca dalla meraviglia.

Percorse gli ultimi metri, arrivando infine ad una piccola piattaforma, su cui spiccava un altro ingranaggio che permetteva lo scorrimento della fune.
Tremante e timoroso di cadere, allentò la presa e atterrò precariamente sulla sporgenza. Buttò ancora un occhio sotto di sé. Si sforzo di deglutire di nuovo ma la bocca era quasi completamente secca.
Si diresse cautamente verso una scaletta a chiocciola che lo avrebbe fatto sbucare sul ponte della chiatta.

Terminati gli ultimi gradini… la vide.

    Copper era proprio sul limitare della prua, quasi sul punto di cadere.
La puledra aveva gli occhi chiusi e la chioma spazzata dal vento.
La sua corazza era decisamente diversa da come se la ricordava.
Le varie placche sul corpo sembravano essere leggermente sollevate, come se l’intera armatura si fosse sganciata, pur senza abbandonare la sua padrona.
Sotto le lamiere luccicanti erano visibili intricatissimi sistemi di ingranaggi e, sotto ancora, una incredibile fonte di luce azzurra, assolutamente accecante.

L’aria si insinuava tra gli spiragli e spingeva lontano la luce stessa, creando dietro all’unicorno un vero e proprio mantello cangiante, che si disperdeva delicatamente nel vuoto.
Silver rimase affascinato ad osservarla.

Gli ingranaggi ruotavano con una sincronia perfetta, non emettevano nemmeno rumore. Sembravano girare senza il minimo attrito.
Le ali metalliche erano spalancate e… ne fu sicuro… udì un tenue pulsare provenire dal petto del pony color creta.
Copper non si accorse della sua presenza. Si limitò a tenere gli occhi chiusi ed il muso rilassato, come se il vento sul pelo le stesse donando indescrivibili sensazioni di benessere.

Tanta fu la meraviglia che il pony dai crini scuri, camminando lentamente verso di lei, urtò per sbaglio alcuni bulloni per terra. Tanto bastò per attirare l’attenzione dell’amica.

    Copper Head parve trasalire.
La corazza si richiuse all’istante e la luce cessò.
“D-DUST!!”, strillò impanicata.
“Ah… i-io…”.

“Santo cielo!!”, continuò spaventata, quasi perdendo l’equilibrio. “C-cosa ci fai qui??”.
“Io… io sono… sono arrivato qui… e… ed ho visto… i cavi… e…”.

“I… i cavi? Ma…”. L’inventrice notò il sole all’orizzonte. “…per tutti i modulatori… quanto... Io… devo aver perso la cognizione del tempo…”.
Il compagno non disse nulla e si limitò ad osservarla in silenzio, col rumore del vento come unico accompagnamento.
Copper abbassò capo ed orecchie, come se lo sguardo di lui la mettesse in forte soggezione.

“Che… che c’hai da guardare…?”.
“Io… cioè…”.

“È tardi”, tagliò corto, cercando di fingersi disinteressata e muovendosi verso la passerella da cui era arrivato Dust. L’altro, tuttavia, si frappose di fronte a lei.
“Ehy! A… aspetta un attimo”.

“No. È… è tardi. Dobbiamo scendere. Anzi… tu non dovresti nemmeno trovarti qui…”.

Silver continuò ad imporsi: “Ti… ti prego… Aspetta solo un istante”.

Copper corrugò lo sguardo, pur mantenendolo basso: “…che c’è?”.

“Come… che c’è? Cioè… cosa… cosa stava… cosa stavi…”.

“…non era niente”.

“Niente? Quello me lo chiami niente??”, protestò, indicando la scia di luce azzurra che ancora si allontanava verso l’orizzonte.

“Già…”.

“Ma… Non… cioè…”.

Il pony in bardatura sospirò.

“Senti… davvero… non era niente di che…”.

“Tutta quella luce… La… la tua corazza… Questo coso volante… Davvero non è niente di che?”.
Copper sospirò di nuovo e parve combattuta.

Alzò lentamente gli occhi verso i suoi, riuscendo finalmente a guardarlo di nuovo.
“…mettila come ti pare…”.
“Aspetta, Copper… Non… non voglio metterti a disagio… Ma… mi sembra scontato che tu mi dica almeno qualcosa…”.

“E cosa ti dovrei dire?”, domandò imbronciata. “Che non dovevi essere qui, mh?”.

“Beh non sono io che ho lasciato cosi volanti in giro!”.

“Già. Dannazione a me, dunque…”.
Lo sguardo di Silver divenne nuovamente sincero.
Copper provò una sensazione spiacevole, dentro di sé. Aveva appena capito che, con quello sguardo, le difese sociali che aveva adottato fino a quei giorni si sarebbero presto allentate.
“Non… non vuoi dirmi cosa stavi facendo?”, le domandò dolcemente.
“Io…”, farfugliò l’altra, in preda ad un forte nervosismo e distogliendo nuovamente lo sguardo. “Io… Niente. Stavo… mi stavo solo… rilassando un po’…”.

Silver cercò di capire. Si mosse lentamente verso la prua, più o meno dove si trovava Copper fino ad un attimo prima ed osservò l’orizzonte rossastro.
“Tu… prendi una nave volante… ti porti fin qui… e la trovi una cosa rilassante?”, chiese stupito.

“…sì”, ammise, come se avesse appena confessato qualcosa di molto personale.
“Qui… nel cielo?”.

“Già…”, continuò, avvicinandosi a lui e osservando il paesaggio a sua volta. “Mi… mi piace salire oltre le nuvole… oltre la cappa opprimente che sovrasta Mechanus… Qui. Dove non… non si odono i rumori ed i trambusti della città. Dove non vi è afa a nascondere le montagne. O seccatori pronti ad infastidirti…”.

Silver le sorrise appena: “…a parte me vuoi dire…”.
Copper si sforzò ma non riuscì a nascondere un debole sorriso di rimando.
“E… quindi niente”, continuò. “Vengo qui… e mi rilasso. Non c’è molto da dire”.

L’amico la osservò dritto negli occhi: “E… e quella… quella luce? La tua armatura… Insomma…”.

“Non c’è molto che tu possa capire su questo esoscheletro”, lo interruppe. “Sappi solo… che…”.

“…che?”.

“Che… che funziona così. E basta”.

“Cioè? Si apre… e fa luce?”.

“Più o meno”.

“Oh, andiamo! Cos’era quel… quella cosa luminosa? Quel pulsare?? E gli ingranaggi… Non ho mai visto ingranaggi ruotare così…”.

Copper tornò scostante: “È un meccanismo molto complesso. Non aveva un’utilità pratica… Diciamo solo… che… che questa corazza risponde molto bene agli stimoli di chi la indossa”.

Dust si grattò la chioma: “Intendi dire… che questa corazza… risponde a te?”.

“Non esattamente”.

“E… allora?”.
“Allora niente”.

Il puledro manifestò un ghigno accennato e scosse il capo: “Immagino che non mi dirai altro, vero?”.

“Già”.

“Fa forse parte di… di una sorta di segreto?”.
L’amica alzò le spalle: “La faccenda è molto più semplice di quanto tu creda”.

“E allora perché non me la vuoi spiegare?”.

“Te ne intendi di catalizzatori nootici, giunti ipersensibili e termodinamica sperimentale?”.
“Certo che no”.

“Allora è inutile parlarne”.
Il sole, intanto, continuava a calare all’orizzonte, lasciando che il buio della notte iniziasse a serrarsi attorno al rosso tramonto.
Silver lasciò vagare lo sguardo per qualche istante, quindi affermò sorridendo: “Sai, Copper? Ho visto i medesimi meccanismi nell’Inanimus in laboratorio”.

“E quindi?”, domandò, per nulla sorpresa.

“Niente… Diciamo che non mi stupirei affatto se fossi un Inanimus anche tu…”.
    La puledra sgranò gli occhi e lo fissò intensamente, subito prima di scoppiare in una risata sguaiata. Dust, per tutta risposta, cadde in un profondo imbarazzo che lo fece arrossire.
“Un… un Inanimus??”, blaterò l’inventrice, stringendosi le zampe attorno alla cassa toracica, nel tentativo di trattenere le risate.

“E-ehy! Cosa ridi?? È un ragionamento causale perfettamente lecito!”.

“Un Inanimus!!”.

“Non ti sei mai tolta la corazza! Non ho mai visto se sotto il metallo c’è il pelo o chissà quale scheletro meccanico!”.

Il riso della compagna coprì presto la voce dell’altro, costringendola inoltre a rotolare letteralmente sul legno del ponte. Silver si imbronciò.
Dopo qualche secondo, Copper Head si asciugò una lacrimuccia e parve riprendersi.

“Santo cielo… Matematico, disegnatore… ed ora anche comico!”.

“…che ridere… davvero…”.

“Suvvia, Dust! Eri sempre tu che cercavi di non farmi imbronciare. Ora vedi di non fare altrettanto…”.

“Non sono imbronciato…”, mentì a muso chino.

“Cos’è? Ti piace l’inversione dei ruoli?”.

“Dico solo che non ti ho mai vista senza vestiti o armature…”.

“Maniaco…”.
“Eddai!!”, sbottò, più rosso di prima. “Sai di cosa parlo!”.

Copper cercò di trattenere un’altra timida risata, quindi si rivolse a lui con un dolce sorriso: “Sai, Dust? Mi piace un sacco farti trasalire e metterti in imbarazzo…”.

“Sì vabbè…”, minimizzò. “Resta il fatto che potresti davvero essere una macchina dalle sembianze equine…”.

“E notoriamente le macchine mangiano fieno fritto e mele. Ragionamento impeccabile, Dust”.

“Che ne so che non hai un sistema digerente sintetico? O magari un incantesimo di conversione energetica?”.

“O un cannone al plasma installato sulle spalle?”.

 

    Calò il silenzio.

Silenzio durante il quale i due incrociarono casualmente gli sguardi.

Occhi smeraldo rivolti verso altri occhi smeraldo.

I volti stranamente seri e concentrati.
Dopo qualche istante, Copper parve tornare in sé.

“Comunque…”, riprese, “…ora è davvero tardi… Dovremmo scendere. E… inoltre… se hai tempo… c’è sempre quel progetto che dovrei finir…”.
Silver Dust si riaccese improvvisamente di entusiasmo.

“A proposito di progetti!”, strillò felice. “Ho grandissime notizie! Una scoperta eccezionale! Non lo sa ancora nessuno! Volevo assolutamente fartela vedere!”.

Copper aveva ben altri problemi per la testa ma la trepidazione dell’amico la fece desistere. Non lo aveva mai visto così felice e lo assecondò.

“Ah… davvero?”, domandò, sforzandosi di sorridere.

“Sì! Non crederai alle tue orecchie!”.

 

Senza ulteriori indugi, Dust trotterellò fino al meccanismo di trasporto, rivolgendo poi uno sguardo speranzoso verso l’inventrice.

Il pony color creta sorrise di nuovo.

 

Lo raggiunse.

 

Il sole tramontò lentamente.
Il cielo si dipinse di stelle.

E, da tutt’altra parte, una colossale fregata da combattimento accese i propri fari notturni, proiettando inquietanti fasci bianchi verso il terreno sottostante.

 

*** ***** ***

 

    Un robusto unicorno corazzato galoppò lungo il fianco dell’enorme vulcano, superando diverse stradine scoscese che si proiettavano lungo un precipizio senza fine apparente.
Era buio ma la luce sul suo corno gli permetteva di vedere dove si stava muovendo, impedendogli di fatto di precipitare verso una fine decisamente ingloriosa.

Nel cupo cielo stellato, in lontananza, era visibile la più potente fregata da battaglia dei Divites, la stessa che Silver Dust aveva incrociato con lo sguardo quando arrivò a Mechanus.
Il velivolo aveva azionato una decina di potentissimi fari, che ora saettavano nella notte come lame di luce. Dopo alcuni secondi, i fasci convergerono in un unico punto.
L’unicorno in armatura, l’ufficiale Zamak Kirksite, fratello di Copper Head, capì che quello era il punto caldo della situazione.
Sopra di lui, quasi invisibili, una coppia di fidati pegasi da combattimento lo stava scortando in volo.
Zamak, dopo svariati minuti di corsa e col fiatone in gola, giunse quindi a destinazione.
Uno scenario di devastazione si palesò ai suoi occhi, dopo aver svoltato un grosso pietrone.

 

    L’allarme era sopraggiunto a tramonto inoltrato: una staffetta volante aveva portato notizie di un violento attacco a sorpresa da parte degli Inanimus. Il nemico si era mostrato all’interno di una delle miniere del settore orientale, attaccando indiscriminatamente gli operai. A nulla era servito l’intervento della squadra di sicurezza: le forze locali erano state rapidamente sbaragliate da una delle sortite più violente mai manifestate dalle macchine animate.
Kirksite dovette quindi indossare l’armatura in fretta e furia, salire sul suo piccolo incrociatore e recarsi tra le profonde gole del fianco orientale. Essendo una zona mineraria, irta di protuberanze e sporgenze, non gli era stato possibile avvicinarsi con mezzi propri.
Era inoltre molto preoccupato. Raramente dispiegavano la fregata dei Divites. Doveva trattarsi di un attacco davvero spaventoso. In quel luogo, inoltre, non sarebbe servita a granché, sempre per via delle rocce soffocanti. Almeno avrebbe potuto illuminare la zona con i propri fari.
Giunse quindi all’imboccatura di una miniera.

La gola si affacciava su un enorme spiazzo roccioso.
Un centinaio di soldati si era disordinatamente disposto all’esterno, mentre un’enorme nuvola di fumo nero emergeva lentamente dalla caverna. Dai fumi continuavano ad uscire minatori e altri soldati, tutti sporchi, logori e tossenti.

I fari, dall’alto dei cieli, cercarono di illuminare l’intera scena.

Zamak si fermò e bandì la magia sul corno. La scorta volante planò prontamente ai suoi fianchi.
L’unicorno bianco scrutò meglio la zona.
Erano tutti agitati, quasi in preda al panico. Urla confuse e direttive inconsistenti venivano lanciate in ogni direzione.

Non c’era tempo da perdere.

L’ufficiale caricò un’impennata e sbatté violentemente gli zoccoli a terra, evocando un potente incantesimo sonoro.
L’onda d’urto fece tremare il terreno, costringendo tutti a bloccarsi e voltarsi verso di lui.
Zamak, quando ebbe l’attenzione su di sé, sollevò la celata della visiera, mostrando un volto serio e marziale.
“ORDINE!!”, ruggì con la voce possente. “COS’È QUESTO SFACELO?? PIANTATELA DI GIROVAGARE COME FORMICHE IMPAZZITE!! RICOMPONETE I RANGHI, MALEDIZIONE!!”.
Le urla riecheggiarono tra le pareti, seguite da un’altra sfilza di ordini e parolacce, impartiti con assoluta efficienza e che consentirono ai ranghi di ricompattarsi in un solido fronte di armature, scudi e lance, rivolte verso l’imboccatura della grotta.
“VOI DUE!!”, tuonò verso i pegasi. “SPICCATE IL VOLO E ANDATE A SOCCORRERE CHI ANCORA STA USCENDO DAL FUMO!!”.

“SISSIGNORE!!”, rispose automaticamente la coppia, accompagnandosi poi con un colpo d’ali.

“CHI CAVOLO È IL CAPOPLOTONE, QUI??”, sbraitò verso la folla.

Un unicorno in armatura color rubino lo raggiunse al galoppo. Sollevò l’elmo, rivelando un muso preoccupato e sporco di polvere. Aveva il fiatone.

“E… ecc… eccomi, signore!!”, balbettò. “Capoplotone RedShield! Terzo reggimento, tredicesima centuria!”.

“SI PUO’ SAPERE CHE DIAMINE STA SUCCEDENDO??”, gli urlò in faccia.

“Un… un attacco degli Inanimus, signore!!”, cercò di spiegargli. “Sono… sono apparsi nelle gallerie!!”.

“COME? DOVE?? SPIEGATI MEGLIO, CAPOPOSTO!! NON ABBIAMO TEMPO DA PERDERE!!”.

“Hanno sfondato alcune pareti con la magia!! Le hanno letteralmente sbriciolate con fasci arcani!”.

Zamak scosse il capo: “IMPOSSIBILE!!”.

“Le assicuro che è andata così!! Hanno sfondato le pareti e hanno riversato un’orda di macchine assassine!! Erano… erano tantissime!!”.

“E NON AVETE OPPOSTO RESISTENZA??”.

“Certo!! Ma… ma erano troppi!! Li abbiamo bersagliati con incantesimi, trafitti con le lance, schiacciati sotto i nostri zoccoli… ma… ma… non si fermavano!! Avanzavano lenti come un muro di ferro e ingranaggi!! Sparavano raggi dai corni! Ci assaltavano con le loro zampe e quintali di peso per schiacciarci! Avanzavano nonostante gli avessimo spezzato gli arti o divelti come un petardo in una lattina!!”.

L’unicorno bianco manifestò un volto di seria preoccupazione, quindi si rivolse verso la buia fenditura da cui la polvere continuava lentamente ad uscire.

Calò il silenzio.


Tutti osservarono con attenzione la cupa galleria.

 

Dopo qualche secondo… una cacofonia lontana di passi e cigolii iniziò a riecheggiare tra le gallerie.
Il capoposto e quasi tutti i soldati strizzarono i denti.
“RIECCOLI!!”, urlò terrorizzato. “SONO LORO!! STANNO TORNANDO!!”.

“Mantenga la calma, Capoposto! E veda di comunicare con i suoi uomini!”, sentenziò Kirksite.

RedShield, tuttavia, sembrò farsi cogliere dal panico, così come almeno metà reggimento.

“NO! NO!! STANNO TORNANDO!!”.

I cigolii divennero sempre più chiari e vicini.

“CAPOPOSTO!!”, lo minacciò il pony dagli occhi azzurri. “MANTENGA LA CALMA O MANDERA’ NEL PANICO L’INTERA CENTURIA!!”.

Ma l’ufficiale in armatura rossa iniziò a respirare sempre più velocemente e gli occhi, puntati verso la gola fumosa, sprizzavano puro terrore.

“DOBBIAMO CHIUDERE QUEL BUCO MALEDETTO!!”, starnazzò RedShield, iniziando ad accumulare potere sul corno.

“CAPOPOSTO!! NON SI AZZARDI!! POTREBBERO ANCORA ESSERCI DEI SUPERSTITI!!”.

“ME NE FREGO DEI SUPERSTITI!! SE QUELLI ESCONO ALLORA SIAMO TUTTI…”.

“CAPOPOSTO!!”.

Un cigolio più marcato fece saltare i nervi al povero RedShield, che scagliò un’ondata di potere verso la zona apicale della grotta. L’impatto causò una violenta esplosione, seguita dall’inevitabile crollo della volta pietrosa.
Un ammasso di frammenti si riversò copiosamente a terra, sigillando di fatto l’entrata della miniera.

Il Capoposto parve sorridere di sollievo, un istante prima che Zamak lo afferrasse per il collo.

“LURIDO VIGLIACCO!!”, ruggì adirato. “HAI IDEA DI COSA DIAVOLO HAI FATTO?? DELLA GENTE CHE PUOI AVER CONDANNATO??”.

“M-m-ma…”, cercò di spiegare.

“PER QUESTO GESTO… FINIRAI DRITTO ALLA CORTE MARZ…”.

 

Un altro rumore attirò l’attenzione di tutti.

Dalle pietre appena crollate iniziarono a dipanarsi luminescenti venature azzurre, come se una potente fonte luminosa interna premesse per uscire.

Zamak mollò la presa e il Capoposto crollò al suolo.

Si rivolse quindi ai soldati.

“UOMINI!! SERRATE LE FILA!! SCUDI ALZATI!!”.

Gli unicorni in armatura, spronati dal carisma del comandante, si strinsero tra loro e sollevarono magicamente gli scudi di fronte ai rispettivi musi. Tra una fessura e l’altra fecero fuoriuscire le lance, che presero a scattare ed allungarsi di almeno un paio di metri, unitamente a sfiati di vapore dalle impugnature.

“Dannazione…”, sibilò l’unicorno bianco, preparandosi al peggio.

Le venature divennero sempre più abbaglianti, costringendo i presenti a coprirsi lo sguardo, finché una seconda, terribile esplosione non proiettò le macerie verso la formazione militare.

Gli scudi e le corazze tintinnarono sotto i colpi delle pietre e dei detriti e un’altra nube di polvere invase lo spiazzo.

“MANTENETE LA CALMA!!”, li esortò Zamak, senza vedere nulla a parte i fasci che, dal cielo, ancora cercavano di rischiarare la zona.

Altri colpi di tosse si unirono al caos dello scoppio appena passato.

Dopo svariati secondi, la quiete tornò a fare da padrone e la nube si fece sempre più sottile.

I presenti, scossi, sporchi ma illesi, si focalizzarono sull’entrata di nuovo libera.

 

Non si vedeva nulla.

 

Ma i cigolii…

Quelli tornarono a farsi sentire.

Forti.

Incessabili.

Striduli.

Terrificanti…

Tutti percepirono la tensione sollevarsi improvvisamente.

Le zampe di qualcuno presero a tremare.
Finché…

Una selva di azzurri occhi luminosi emerse dal buio dell’oscurità.

Zamak decise di non attendere oltre.

E il mondo stesso parve crollare.

 

    “FUOCOOO!!”.

I soldati si impuntarono sulle zampe e scagliarono un nugolo di raggi dai corni, dritti verso l’imboccatura.

Decine e decine di esplosioni ebbero luogo all’interno, creando un rumore assordante.

Una serie di incantesimi simili a fulmini partirono quindi dallo schieramento degli Inanimus, abbattendosi con lampi e scintille sugli sventurati. L’armatura non li protesse minimamente da un simile potere che, anzi, contribuì ad amplificarne gli effetti.

I ranghi, sotto i colpi del nemico, iniziarono a scomporsi e a cadere. Un pungente odore di metallo bruciato iniziò a diffondersi in ogni direzioni, lo stesso che si libera quando le fiamme saldatrici entrano in funzione.

Kirksite strinse i denti, quindi chiuse la celata dell’elmo.

Compì un balzo, portandosi proprio in mezzo ai suoi uomini.

Il suo corno evocò una bolla semicircolare di fronte a sé, su cui i fulmini iniziarono ad infrangersi sonoramente.

L’unicorno, tuttavia, cadde preda di un enorme sforzo.

Non aveva mai percepito degli incantesimi così devastanti e cercare di contrastarli lo stava prosciugando ad un velocità allarmante.

Non ci volle molto, tuttavia, affinché le macchine smettessero di contrattaccare e si mostrassero.

Un vero e proprio mare di Inanimus emerse dalla gola buia.

Erano a tutti gli effetti delle vere e proprie corazze animate, con decine di ingranaggi sotto le lamiere e un lento pulsare azzurro ad alimentarli.
Si muovevano a passo di camminata, assolutamente incapaci di provare paura, terrore o qualsiasi altra sensazione apparente.

I loro musi, privi di qualsivoglia espressione facciale, mostravano solamente gli occhi celesti.

I soldati continuarono a bersagliarli di incantesimi, abbattendone a decine.

I corpi meccanici esplodevano, si smontavano e cadevano a pezzi… immediatamente calpestati dagli Inanimus dietro di loro, in una marcia inesorabile verso i loro bersagli. In mezzo alle zampe metalliche, alcuni Inanimus semidistrutti ancora cercavano di arrancare e di muoversi nella polvere.

Nonostante la pioggia di magia… ben presto i due schieramenti dovettero ingaggiare uno scontro armato.

    I soldati dei Divites, colti dalla frenesia da battaglia, abbassarono gli scudi e fecero saettare le lance, perforando e graffiando i corpi degli avversari.

Per tutta risposta, gli Inanimus riversarono la loro forza meccanica sugli unicorni, che a stento riuscirono a sopportare le zoccolate di metallo, che fecero tremare loro scudi, corazza e persino le ossa.

Urla e clangori si diffusero ovunque.

Anche Zamak sfoderò lancia e scudo, tuffandosi nella mischia come un ariete da sfondamento… Ma speronare altri pony era un discorso... Abbattere qualche tonnellata di metallo animato un altro.
I Divites cercarono quindi di respingere l’assalitore, in mezzo al caos più totale, con i fasci della fregata che cercavano di portare luce e ordine.

Ma gli Inanimus non solo erano davvero tanti.
Ma non provavano dolore.

Non risentivano della fatica.

Il morale era inesistente.

E i loro corpi perfettamente in grado di resistere agli affondi, alle magie e ai colpi di scudo.

In pochissimi minuti, quasi metà reggimento venne completamente sbaragliato.

E il nemico continuò a marciare inesorabile.

Zamak, che aveva a sua volta subito qualche percossa di troppo, sollevò la celata dell’elmo.

La fronte gli sanguinava.

Osservò lo svolgersi della battaglia, in un minuscolo istante di calma in mezzo alla pugna.

Corrugò la fronte e capì che le cose non stavano andando affatto bene.
Decise che non era proprio il caso di andare per il sottile.

 

    L’unicorno dai crini dorati invocò uno strano incantesimo multicolore sulla fronte, lanciando poi un fascio cangiante verso il cielo, che esplose in una miriade di luccichii.
Era solo questione di tempo ma tutti si chiesero cosa stesse per accadere.

Dopo alcuni secondi, un sibilo si fece sempre più chiaro e distinto, risuonando come un razzo che stava piombando direttamente dagli astri.
Un’enorme figura lucente, poco più piccola di una casetta, si abbatté di fronte al comandante, schiacciando almeno mezza dozzina di Inanimus sotto il proprio peso e generando un’onda d’urto non indifferente.

Era il Calcator da battaglia del comandante Zamak Kirksite, spedito per direttissima dalla fregata volante.

Si trattava di un meraviglioso (e spaventoso) colosso dorato, pieno di intarsi e rifiniture. Era notte ma rifletteva come uno specchio le esplosioni degli incantesimi e i fasci dei fari lontani. Le giunture e tutte le parti sensibili erano rinforzate all’inverosimile, con inoltre zoccoli sproporzionati ed un terrificante elmo con visiera. Un Calcator normale, in confronto, sembrava un fuscello. Questo era valso all’esemplare in questione l’appellativo di Titan.

L’armatura gigante emise degli sfiati, sotto gli occhi meravigliati dei presenti limitrofi e, lasciando che la testa e una sezione del torace si sollevassero, mise in mostra una sorta di abitacolo interno.
Zamak non perse tempo e balzò nel Titan, richiudendo repentinamente la corazza e ritrovandosi al buio.

Agganciò le zampe ad una serie di cavi sospesi, si legò l’imbracatura e quindi piazzò il viso contro una sorta di binocolo dotato di cristalli arcani come lenti.

Il Calcator, come un vero e proprio mostro di metallo, iniziò lentamente a muoversi.

I suoi occhi si accesero di bianco, mentre l’intero corpo cigolava ed emetteva una quantità incredibile di vapore.

I soldati si tennero e debita distanza.

Gli Inanimus ebbero giusto un attimo di esitazione, quindi iniziarono a marciare verso di lui.

Alcuni fulmini si infransero addosso alla macchina dorata, sfrigolando inutilmente lungo la superficie.

Il volto del Calcator ruotò verso i propri nemici e la voce del comandante Kirksite, distorta da un profondo effetto cavernoso e metallico, risuonò in ogni direzione.

“AH SI’???”.


Un’enorme zampa del colosso si abbatté su una coppia di Inanimus, schiantandoli a terra.

Un’altra zampa venne utilizzata a mo’ di maglio, spaccando il terreno e proiettando una manciata di equini animati verso le fila inferiori.

I soldati, alla vista di quel mostro scintillante, ripresero completamente fiducia in sé. Caricarono un terribile grido di battaglia, quindi si avventarono con rinnovata foga sulle truppe nemiche, che però non si accennavano a diminuire.


Le lance affondavano dieci, cento, mille volte nei corpi rugginosi.

 

Gli incantesimi schizzavano da tutte le parti.

Il Calcator schiacciava, percuoteva e stritolava ingranaggi come un puledrino calpesterebbe dei soldatini di plastica.
I costrutti avversari sciamavano letteralmente attorno all’armatura da battaglia, cercando di sopraffarla col numero. I tentativi di scalfirla non andarono però a buon fine, in quanto il Titan era sostanzialmente un blocco di acciaio dorato spesso quasi mezzo metro. Non ci volle molto affinché gli Inanimus si adattassero al nuovo nemico, iniziando a colpirne i giunti con un fascio focalizzato del corno. Stavano letteralmente cercando di dissaldarlo in svariate porzioni. Zamak, tuttavia, continuò a muoversi e a macinare colpi su colpi, rendendo quasi completamente vani i tentativi di fermarlo.

Ad un certo punto, l’ufficiale pensò che la battaglia stesse volgendo a loro favore, visto che i corpi distrutti degli Inanimus crescevano a vista d’occhio.

“FORZA UOMINI!!”, urlò con foga. “ANCORA QUALCHE SFORZO E LI AVREMO ANNIENTATI!!”.

 

Ma il suo entusiasmo si spense tanto rapidamente quanto era cresciuto

 

    Improvvisamente, dal cumulo di rottami, gli ingranaggi, i cavi e le lamiere iniziarono di nuovo a ruotare e fremere. Le parti danneggiate si mossero le une verso le altre, alimentate da un potere che non poteva essere compreso da mente mortale.
Nel giro di pochi minuti, gli Inanimus si stavano lentamente ricomponendo, in mezzo a scoppi, urla della folla e clangori.
“SONO TROPPI!!”, urlò un soldato esausto.

“SI STANNO RIAGGIUSTANDO!!”, strillò un altro.

Zamak capì che aveva cantato vittoria troppo presto.

Confidò tuttavia come non tutto fosse perduto.
“UOMINI!! SOLDATI!!”, riprese, in mezzo alla foga del combattimento. “NON LASCIATEVI ABBATTERE!! COMBATTETE!! CONTINUATE A COMB…”.

 

Gli occhi del comandante, per un fugace momento, finirono sulla fregata in alto nel cielo.

E ciò che vide non gli piacque per niente.

L’enorme velivolo stava lentamente ruotando le bocche di fuoco verso terra.

“…non… non possono… cosa… cosa stanno facendo?”, sussurrò a se stesso, chiuso nel buio dell’abitacolo e con il volto imperlato di sudore. La voce risuonava come in una stanza priva di mobili. La battaglia, attorno a lui, sembrava essersi arrestata ma era solamente un’impressione.

I cannoni, intanto, continuarono a direzionarsi verso terra.

“COMANDANTE!!”.

 

“COMANDANTE SONO TROPPI!! NON CE LA FACCIAMO!!”.

 

“SIGNORE!! SIGNORE ATTENDIAMO ORDINI!!”.

 

“IL FIANCO DESTRO HA CEDUTO!!”.

 

Zamak vide un rossore brillare dagli obici dei Divites e una pioggia di fuoco giunse dal cielo, illuminandolo quasi a giorno.
L’unicorno sgranò gli occhi.



“…buon Dio…”.

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Capitolo 6
*** Ignis Animi ***


    Il giorno seguente, Silver Dust si recò come di consueto presso il laboratorio di ricerca dei Divites. Notò fin da subito come il personale e i soldati di pattuglia fossero stranamente silenziosi. Non diede troppa importanza al fenomeno e continuò a studiare l’Inanimus per ore ed ore filate, sotto la parziale supervisione del goloso divoratore di budini.

L’allievo della Principessa aveva quasi completato l’alfabeto. Avrebbe solamente più dovuto metterlo in pratica e affinarlo, in modo da capire se permettesse o meno di comunicare con le macchine animate.
Se fosse stato possibile… allora quell’eterno e assurdo conflitto tra viventi e non viventi sarebbe finalmente potuto terminare. Forse…
Novarius, tuttavia, era scettico. Divenne ancor più scettico quando vide il giovane puledro piazzarsi davanti all’Inanimus con scartoffie, appunti e quindi tentare di comunicare con lui facendo cigolare un arto mezzo arrugginito.

Avrebbe voluto farlo smettere ma sapeva che, prima o poi, avrebbe capito quanto fosse inutile provare a parlare con i costrutti.

Silver, in ogni caso, non desistette.

Continuò incessantemente a provare.
Tentò di approcciarsi all’Inanimus, di presentarsi a lui, di fargli domande. E ogni volta la macchina gli rispondeva ma era tremendamente difficile decodificarne i versi, pieni di varianti sonore e che dovevano passare attraverso una codice ancora incompleto. Era un po’ come costruire un codice morse cento volte più complesso dell’originale.

    Silver Dust continuò fino a sera, senza smettere un solo istante.
Con il volto imperlato di sudore e un annoiatissimo Novarius intento a leggere qualche scartoffia, fu quasi sul punto di abbandonare… finché…
Cambiò qualche segno sui fogli. Cancellò alcuni punti e li trasformò in linee. Ogni singolo scarabocchio aveva un significato ben preciso. Un millimetro in più o in meno sul foglio avrebbe rappresentato una sfumatura impercettibilmente diversa che avrebbe dovuto produrre con l’arto meccanico.
Si strinse la lingua tra i denti e corrugò la fronte.
C’era vicino. Dannatamente vicino…
Ad un certo punto, la luce nell’occhio dell’Inanimus parve smorzarsi e riaccendersi, quindi perse di intensità.
Dust drizzò le orecchie, impreparato. Si rivolse allo scienziato.
“Dottor Novarius?”.

“Mh?”, mugugnò l’altro, senza prestargli molta attenzione.

“L’Inanimus… cioè… la sua luce… sembra sia diminuita un po’…”.

“Mh… oh, è normale. Fanno tutti così quando sono sul punto di spegnersi”.

“…spegnersi?”, chiese perplesso.

“Già. Te l’ho detto, no? Impossibile trattenere un esemplare per molto tempo. Non importa quanto siano danneggiati. Dopo un po’, tutti gli Inanimus perdono di forza. Le loro luci si affievoliscono. Gli ingranaggi si bloccano. E i corpi si trasformano in gusci completamente inanimati”.

Dust tornò ad osservare la macchina.

In effetti, la rotazione dei suoi ingranaggi era mutata, cosa che avrebbe complicato ulteriormente le cose. I ritmi erano rallentati e un po’ sballati. Il casco, inespressivo, lo seguiva lentamente, come se ci fosse un ritardo tra ciò che voleva fare e la possibilità concreta di farlo.

“Quindi…”, continuò Dust. “Sta per spegnersi?”.

“Molto probabile”.

L’unicorno lilla abbassò mollemente l’arto meccanico e fissò l’occhio azzurro del costrutto.

L’Inanimus ricambiò con il canonico volto inespressivo.

“…quanto tempo ci vorrà?”.

“Quando gli occhi iniziano a fare così… di solito è questione di minuti. Qualche decina di minuti, ad essere ottimisti”.

L’altro ricontrollò la mole di appunti.
Era così vicino…

Tornò ad osservare il bulbo luminoso.

Provò una strana sensazione, dentro di sé.
Non aveva avuto modo di interagire con quella macchina. Non a livello sociale, perlomeno.

Ma…

Starle costantemente vicino… cercare di carpirne i segreti… verificare come, a tutti gli effetti, possedesse un suo “modo di esistere”, nonostante sconfinasse da qualsiasi concetto di ordine naturale…

Non sapeva perché.

Gli sarebbe dispiaciuto un sacco non poter terminare gli studi su quella creatura.
In un angolino del proprio cuore, tuttavia… gli dispiacque altresì che si stesse semplicemente spegnendo.

Certo… se gli avesse tolto le catene, come minimo avrebbe potuto cercare di saltargli addosso e fargli del male.
Ma… ne era davvero così sicuro?
Per tutto il tempo l’Inanimus aveva sommariamente collaborato con lui.

Ed ora… stava per spegnersi.
Per sempre.

Stava forse provando compassione… per una macchina?

“Senta, dottore…”.

“Dimmi, ragazzo”.

“Acconsentirebbe a farmi fare una cosa molto avventata, se questo potesse servire a completare il codice in tempo?”.

Novarius inarcò le sopracciglia, quindi osservò l’amico con volto sorpreso: “Uh… avventato? Cos’hai in mente…?”.

Dust si accorse che gli occhi dell’Inanimus si erano spenti e riaccesi più volte. I suoi ingranaggi si erano apparentemente bloccati, per poi riprendere con ritmo scoordinato.

Non poteva esitare.

“Se non le va bene, allora mi fermi”, dichiarò con tono convinto.

 

Buttò a terra gli appunti e invocò potere sul corno, dirigendo quindi un fascio rossastro verso i polsi della creatura.
Novarius mandò all’aria i fogli degli appunti e balzò verso il giovane, sfoggiando un ghigno decisamente preoccupato.

“La prego, dottore”, lo bloccò Dust, con labbra ed occhi contratti per lo sforzo. “Mi… mi lasci provare…”.

“D-Dust!!”, balbettò, allungando una zampa tremante verso di lui. “Non… non credo sia molto sicuro… che…”.

Una catena, tra lampi e scintille, si sganciò e l’arto sinistro dell’Inanimus penzolò lungo un suo fianco, sbattendo contro la parete.
“Quale… quale minaccia può essere, ormai?”, precisò Silver, dirigendo il raggio verso l’altro zoccolo. “È senza corno… sta per spegnersi… e qui avete soldati armati fino ai denti che non vedono l’ora di menare le zampe… Siamo perfettamente al sicuro…”.

Novarius deglutì e si ritrasse lentamente. Mostrò persino un ghigno sardonico, ad un certo punto. Non gli spiaceva affatto il modo di pensare del giovane unicorno.

Quando anche la seconda catena cedette sotto il potere della magia, l’Inanimus crollò a terra, producendo un sordo tonfo metallico.

Il respiro di Dust si accelerò.

Si affrettò a sollevare l’arto spezzato e si avvicinò al costrutto, che era ancora con il muso riverso a terra. Solamente il piccolo baratro li separava.

Novarius, che era sì un po’ avventato ma di certo non stupido, iniziò a preparare un potente incantesimo di distruzione, nel caso il prigioniero si fosse dimostrato più ostico del previsto.

 

Silver Dust si concentrò.

L’Inanimus, intanto, cercò di sollevare il capo, puntellandosi con le zampe anteriori. L’intero corpo gemeva e cigolava. Sembrava un giocattolo a molla con la carica quasi esaurita, in quanto sussultava e ronzava in modo anomalo.

Puntò l'occhio verso Dust. Lampeggiava casualmente.

Arrancò pesantemente verso di lui, trascinandosi a peso morto. Sembrava quasi gemesse ma erano in realtà i rumori prodotti dalle giunture sul punto di incastrarsi.

I cavi del busto reciso strusciavano dietro di lui, macchiando di nero il pavimento.

Novarius si preparò ad intervenire.

Con calma, con moltissima calma, il puledro dai crini scuri fece cigolare la giuntura della zampa in suo possesso.

Chi sei?”, cercò di comunicargli.

 

L’Inanimus lo scrutò in silenzio.

“Ti prego…”, sussurrò a voce. “Cerca di… di capirmi…”.
Chi sei?”, ripeté.

 

Passarono alcuni secondi.

 

Alcuni vagiti rugginosi provennero dalla macchina.

Dust, che stava ormai lavorando da giorni sulla decodifica e che possedeva una mente eccezionale, mise subito in moto i neuroni e riuscì a percepire quasi immediatamente le sue “parole”.

Sgranò gli occhi per lo stupore.

Forse non stava azzeccando ogni singola parola ma la frase aveva sicuramente un senso.

 

Noi siamo i figli del Primordiale”.

 

Ci fu un attimo in cui Dust non riuscì semplicemente a reagire.
Afferrò impulsivamente carta e matita e prese a segnarsi minuziosamente l’intero dialogo.

Tornò a far oscillare l’articolazione.

 

Io mi chiamo Silver Dust”.

 

Noi siamo i figli del Primordiale. Del Creatore. Padre di tutte le forme”.

C’erano mille cose che il puledro avrebbe voluto chiedere al costrutto. Mille domande farcite di mere curiosità personali.
Ma non era quello il momento.
L’Inanimus si sarebbe presto spento e questioni ben più gravose premevano per essere risolte.
Dovette essere diretto. Si sentì persino insensibile.

Perché ci fate del male?”.

 

Passarono altri secondi.

Definisci male”.

 

Dust scosse il capo.

Novarius, intanto, non ci stava capendo granché.
Stava sbagliando terminologie? O quelle macchine animate non conoscevano determinati significati?
Cambiò approccio.

Perché ci attaccate?”.

 

Per la conservazione”.

Quindi… gli Inanimus attaccavano per una sorta di… conservazione della specie? O stava forse fraintendo tutto quanto?
Era molto difficile cercare di comunicare con lui… tra cigolii e striduli rumori… e con un codice probabilmente imperfetto.

Per la conservazione di cosa?”.

Dell’esistenza”.


La conservazione della vostra esistenza?”.


Incorretto”.

L’Inanimus si bloccò all’improvviso e l’occhio si spense, per poi riaccendersi cupo e smorto, accompagnato da un ronzio forzato degli ingranaggi. Rimaneva davvero poco tempo.

 

Cosa cercate di conservare?”.

Il costrutto alzò faticosamente l’elmo, cercando di costruire una linea di visuale quanto più chiara possibile con il proprio interlocutore.
Dust si pietrificò, assolutamente impreparato a quanto l’Inanimus stesse per fare.

La macchina cercò di allungare un arto verso di lui, con uno sforzo immane; come se si trovasse in mezzo ad una forza di gravità amplificata.

“Attento!”, intervenne Novarius. Dust, tuttavia, gli fece cenno di non muoversi.
Lo zoccolo di metallo, tremante, si protese oltre il piccolo fossato.

Silver allungò a sua volta una zampa, estremamente timoroso.

Sembrava che l’Inanimus facesse di tutto per raggiungerlo.


Ad un certo punto, i due si sfiorarono appena.

 

Con un ultimo barlume di energia, la macchina equina produsse un’ultima serie di cigolii.

Poi si spense del tutto.
Il corpo franò rumorosamente al suolo.
La zampa si afflosciò e prese a penzolare nel vuoto.

L’occhio brillò di luci dalle mille tonalità, quindi divenne opaco e smorto.

La fonte azzurra sotto gli ingranaggi ebbe un ultimo singulto, producendo un lampo e quindi svanendo definitivamente.

Gli ingranaggi si fermarono uno dopo l’altro.

 

    Dust rimase con la zampa alzata e il volto quasi sconvolto.

Tornò improvvisamente in sé e si ritrasse. Novarius lo strinse immediatamente per le spalle.

“Ragazzo! Ragazzo!!”.

“C… cosa?”, farfugliò l’altro, ancora provato dall’avvenimento.

“Che… che è successo…?”.

“I… io…”.

“Ho visto che stavi scrivendo qualcosa! Sei… sei riuscito a comunicare con lui??”.

“I-io… io credo… di sì…”.

Novarius stentò a credergli ma ammise di essere quanto mai sorpreso ed eccitato.

“Non… non è possibile… Ma… ammettendo che sia andata così… cosa vi siete detti?”.

Silver stava lentamente riguadagnando la calma.

Ricontrollò minuziosamente i propri appunti.

“Non… non molto…”.

“Non molto… ok. Non molto è più che niente! Su! Cosa ha detto l’Inanimus??”.

Il matematico cercò di reinterpretare il tutto. Prese a leggere i suoi scarabocchi.

“Lui ha… uh… detto che… cioè… che loro sono i figli di un certo Primordiale…”.

“P… Primordiale?”.

“Sì… o almeno credo… Poi…”.

“Poi? Poi?? Su, ragazzo, che cavolo ha detto??”.

“Poi… ha detto che gli Inanimus ci stanno attaccando per la conservazione…”.

“Conservazione? Conservazione di cosa?”.

“È l’ultima cosa che gli ho chiesto. Mi ha risposto un attimo prima di… di morire…”.

“Morire? Ragazzo, quel coso è una macchina! Al massimo si sarà spento o avrò finito le batterie! Su! Cosa ti ha risposto??”.

“Aspetti”, lo tranquillizzò. “Ero un po’… agitato… così mi sono segnato i rumori ma non li ho tradotti immediatamente”. Si concentrò sulle ultime parole segnate. “Allora… La conservazione di cui mi ha parlato… è…”.

 

Dust non riuscì a proseguire.

Scosse il capo, incredulo.
Ricontrollò le scritte.

Una.

Due.

Tre volte.
Aveva davvero… dato una risposta simile?
No… non aveva senso. Doveva sicuramente esserci un errore.

“Ehy!”, sbottò Novarius impaziente. “Allora! Cosa ti avrebbe risposto??”.

Silver si voltò verso lo scienziato, visibilmente a disagio.

“Ecco… ecco lui…”.

L’unicorno con la mascherina attese impazientemente una sua risposta. Ma Silver sembrava restio a parlare, come se avesse appena appreso qualcosa di terribilmente sconcertante.

“…ebbene??”.
“Io…”.
“Senti, fammi leggere!”, ragliò stizzito. Dust, tuttavia, fece un passo indietro e gli impedì di avvicinarsi ulteriormente.
“Io…”, riprese. “Ho bisogno… di più tempo per valutare se la traduzione è stata corretta…”.

“Eh? Ma cos…”.

Silver Dust iniziò a raccattare disordinatamente le proprie cose, quindi si recò alla portella d’uscita.

“DUST!!”, lo richiamò lo scienziato. “Dust!! Che diamine significa??”.

“Io…”, ripeté il puledro, fermandosi un’ultima volta prima di uscire. “Io le farò sapere a breve… glielo prometto”.
Uscì.

“M-m-ma!”, starnazzò Novarius, più confuso che mai. “Sapere cosa??”.

    Silver trottò sconnessamente per i corridoio, urtando persino una coppia di guardie che lo apostrofarono con parole poco gentili.
Il puledro era agitatissimo.

Un pensiero per lui ingestibile gli stava rimbalzando in continuazione per la scatola cranica.

Non era affatto preparato ad una risposta di quel tipo.
Non se la sarebbe mai aspettata.
Che si fosse sbagliato?
Che avesse tradotto malamente una sfumatura sonora con un’altra?
Un sinonimo errato?

Eppure…
Il suo lavoro era lungi dal definirsi impeccabile ma non avrebbe potuto sbagliare fino a quel punto, ne era certo.

Forse… l’unica cosa che avrebbe potuto fare era ricontrollare tutto ed eseguire delle verifiche incrociate.

E magari…

Sì…
Avrebbe potuto… parlarne con Copper.

Lei… sembrava in qualche modo legata a quelle strane creature animate, nonostante non ne volesse mai parlare. Forse… lei avrebbe potuto dargli qualche consiglio?
Troppe domande…
Ora… l’unica cosa che contava era uscire di lì.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust si riversò all’esterno, con il fiatone in gola. Controllò i dintorni con sguardo assente, quindi galoppò verso la fermata più vicina.
Una volta sul vagone si accorse di aver passato molto più tempo del solito, rinchiuso nel laboratorio. Il sole era quasi completamente scomparso all’orizzonte e la sera era sul procinto di tramutarsi in notte.
Durante il ritorno, l’unicorno altro non fece se non pensare e ripensare a quanto era da poco accaduto.

Riportò alla mente l’Inanimus.
Il suo corpo acciaccato e arrugginito.
Il suo occhio, che per quasi tutto il tempo non aveva mai smesso di fissarlo…
Ripensò al suo ultimo barlume di energia… che aveva speso nel tentativo di sfiorarlo…

Ma voleva davvero protendersi verso di lui e basta?
Forse avrebbe voluto fargli del male e non c’era riuscito?

E quella frase… che si era segnato come ultima risposta alla sua domanda…

Come poteva avere un senso?

 

I freni fischiarono e Silver dovette reggersi per non perdere l’equilibrio. Era la sua fermata.
Emerse dal vagone (ormai quasi del tutto privo di passeggeri) e si mise a galoppare per le geometriche vie del settore industriale.
Aveva una sola cosa in testa: arrivare il più rapidamente possibile all’abitazione di Copper e poi cercare di riordinare le idee.

L’inventrice avrebbe forse potuto dargli una zampa a capirci di più?
Non lo sapeva. Ora voleva solo giungere a destinazione.

    Dopo una decina di minuti, lo stabile dismesso apparve ai suoi occhi, con i canonici mucchi di immondizia metallica a farcire lo spiazzo frontale. Non perse tempo e spalancò furiosamente la porta principale.
“COPPER!!”, sbraitò, senza nemmeno sincerarsi dove fosse. “COP…”.

La stanza era vuota.

Le luci accese, ad illuminare il bancone di lavoro, si cui non erano stranamente presenti aggeggi o attrezzi vari. Il puledro aggrottò le sopracciglia. I progetti che tappezzavano il muro erano stati rimossi malamente.

“…Copper?”, chiese, guardandosi attorno.

Era forse di nuovo salita sulla chiatta volante? No, impossibile; arrivando avrebbe sicuramente visto i cavi sul tetto.
Senza nemmeno svuotare il carico dalle borse, iniziò a perlustrare frettolosamente ogni stanza.

Il pony in bardatura sembrava scomparso.

Non gli rimaneva che controllare il tetto, anche se non sapeva perché mai sarebbe dovuta recarsi lì.

Salì la piccola scalinata che conduceva all’ultimo piano e, effettivamente, notò come la porticina che portava all’esterno fosse appena dischiusa. Si avvicinò e la aprì lentamente.

 

    La notte era calata quasi completamente, così non gli fu facile scorgere la sagoma di Copper, proprio al limitare delle ringhiere corrose dall’ossido.

La puledra era seduta e gli dava le spalle, con i crini ramati dolcemente mossi dall’aria.

Questa volta, però, l’armatura non stava rilucendo com’era successo oltre le nubi.
La zona era calma e silenziosa.

In lontananza, sullo sfondo, l’enorme vulcano iniziava a tappezzarsi di centinaia e centinaia di lumini gialli: la moltitudine di case e palazzi di Mechanus che attingevano energia elettrica dalle turbine a vapore.

Dust si fermò, senza capire il motivo della presenza dell’amica in quel luogo.

Rimase qualche secondo in silenzio, quindi si decise a parlare.

“…Copper?”, chiese sottovoce. L’altra non rispose.

L’allievo di Celestia mosse qualche passo verso di lei, raggiungendola.

“…Copper? Che… che ci fai qui?”.

Si sporse per osservarla meglio in muso e vide un volto estremamente abbattuto; Copper aveva gli occhi tristi e lucidi, con palpebre leggermente cascanti. L’attenzione dell’unicorno color creta era rivolta al paesaggio ma, con ogni probabilità, non stava osservando alcunché.
Sebbene Silver non fosse un mostro d’empatia, qualcosa gli suggerì come l’inventrice stesse soffrendo profondamente.

“…Copper…”, ripeté.
“…ciao Dust”, rispose l’altra, con tono quasi impercettibile e senza cambiare espressione.
Il puledro si grattò il collo: “Uh… va… va tutto bene?”.
Copper sospirò, senza proferir parola.
“Cosa… cosa ci fai quassù? Nella notte…?”.

“…niente. Avevo solo voglia di uscire”.
“…capisco…”.
Silver Dust non sapeva bene cosa fare. Quando Copper faceva la schiva era sempre molto difficile riuscire a smuoverla.
Improvvisò e prese delicatamente posto accanto a lei.
Si schiarì la voce.

“E… uhm… sbaglio o… o c’è qualcosa che non va?”.
L’amica assunse un atteggiamento stizzito: “Lampante deduzione”.

“Ah… sì… ok, quindi non mi sbagliavo… Vuoi… vuoi dirmi cosa c’è che ti fa star male?”.

Copper mostrò un ghigno sarcastico e sbuffò dalle labbra. Scosse il capo e poi lo abbassò.

“Ora vuoi sapere cosa c’è che mi fa star male?”.

“Ma… cos’hai? Ti… ti ho forse fatto qualcosa?”.

Copper lo scrutò con la coda dell’occhio, quindi si intristì di nuovo. Sembrò cercare le parole e, alla fine, mutò di nuovo atteggiamento, divenendo estremamente seria.

“Oggi sono andata a consegnare il sistema per la compensazione della pressione. Doveva essere installato in serata”.

Il pony lilla cercò di far mente locale: “…sistema per la pressione? Ma…”. Si mise quindi le zampe tra i crini e sembrò cascare dal pero. “IL TUO PROGETTO!!”.

“…già”, ammise amaramente.

“Oddio, Copper!”, cercò di scusarsi, assolutamente dispiaciuto. “Il… il progetto! Io… io… scusa, sono stato… così preso dalla mia ricerca! Io…”. Il puledro  allungò una zampa verso di lei ma l’altra si scostò. “Scusami… scusami, Copper… te lo giuro… non volevo…”.

“Non importa. Ho visto che avevi altro per la testa. Sapevo comunque che non mi avresti aiutata”.

“Ma… ma no… Ti assicuro che mi avrebbe fatto piacere aiutarti…”.

“M-mh…”.

“Davvero… se… se solo non fossi stato così… così distratto dal mio lavoro, allora io…”. Dust si sentì davvero male per essersi scordato il favore che Copper gli aveva chiesto. Non riusciva a dirglielo ma era una cosa a cui teneva davvero molto. “Ma… alla fine com’è andata?”.

L’inventrice sorrise di nuovo e alzò gli occhi al cielo: “Come pensi che sia andata? Come sempre… Ho creato il sistema e l’ho installato. È durato… mh… quanto? Penso tra i due e i tre minuti. Poi ha sparato una nuvola di fumo e si è divelto. Per poco un bullone non acchiappava il committente in piena fronte…”.

Silver cercò di nuovo di intervenire, sentendosi ancor più mortificato, ma la puledra glielo impedì.

“Ma non ha importanza, ormai. Sono abituata ai fallimenti. Poteva solo essere l’occasione per fare qualche soldo… e… invece…”.

“Copper, io…”.

“Ma non è solo questo”, lo interruppe di nuovo, fissandolo dritto negli occhi. “Circa un’ora fa… ho… ho ricevuto una notizia…”.

“…notizia?”.

“È arrivata una chiatta dei Divites… con una lettera…”.

“Cos’è successo?”, comandò, leggendo la sofferenza nella sua stessa voce.

“Mio… mio fratello… C’è stata una… feroce battaglia nel settore minerario, giusto la notte appena trascorsa”.

Silver scosse la testa. La voce di Copper tremò leggermente.

“Pare… pare sia stato un attacco violentissimo. Un’orda di macchine si è riversata nelle gallerie e mio fratello è stato chiamato in difesa… Ci sono stati… un sacco di…”.

“Ma sta bene??”.

Copper si asciugò uno zigomo e trattenne un singhiozzo. Dust ebbe l’impulso di abbracciarla ma si trattenne.

“Lui… lui è vivo… ma… Pare sia stato ferito molto gravemente… Ha alcune ustioni… e… forse potrebbe aver perso l’uso di un arto… nel migliore dei casi…”.

Il matematico si portò le zampe alla bocca, assolutamente incredulo.

La sua teoria sugli Inanimus… sul fatto che potessero non essere poi così terribili… gli crollò improvvisamente addosso.

“Ora… ora dov’è?”.

“È in uno degli ospedali militari dei Divites…”.

L’unicorno dai crini neri si strinse il viso tra gli zoccoli.
“Non… non ci posso credere…”.

“…te lo avevo detto, Dust”, precisò l’amica, tirando su col naso. “Non ha importanza quanto ti impegni… Non ha… non ha senso tentare di comunicare con quelle macchine. E… e Mechanus è con una zampa nella fossa da tantissimo tempo, ormai. Prima ancora che gli Inanimus facessero la propria comparsa… Loro hanno solo creato un pretesto ai Divites per mandare più pony allo sbaraglio…”.


Quelle notizie sconvolsero il giovane apprendista, che rimase per parecchio tempo in silenzio a pensare.

Si rivolse infine a Copper.
“Io… mi dispiace Copper… Mi spiace siano successe queste brutte cose tutte nella stessa giornata… e… ancor di più mi spiace non… non esserci stato… e non aver potuto… aiutarti nel…”.

“Lascia stare”, tagliò corto, riprendendo ad osservare l’orizzonte. “Quel che è stato… è stato, ormai”.

“Sì ma… io forse… avrei dovuto esserci… anche se…”.

Dust sembrò trattenere nervosamente le proprie parole.

“…anche se?”, domandò Copper Head.
L’amico estrasse i documenti dalla borsa a tracolla, con estrema lentezza. Le sue parole sembravano prive di brio, come se non fosse più sicuro della propria scoperta.

“Anche se… Ho lavorato parecchio sull’Inanimus in laboratorio. E… e ho fatto delle scoperte…”.

Copper si passò una zampa sulla fronte: “…non dirmi che ce l’hai ancora con quella sorta di… alfabeto? Non puoi comunicare con quelle cose, Dust, te l’ho già detto. Smettila di fantasticare…”.

“Invece no!”, spiegò con energia. “Sono… sono riuscito a comunicare con l’Inanimus che era sotto custodia dei Divites!”.

“Non farmi ridere…”, lo sminuì, girandosi stizzita dalla parte opposta.

“Copper!”, esclamò, girandole attorno. “Ti assicuro che quelle macchine possono comunicare! Qui ne ho le prove!”, aggiunse, mettendole alcuni fogli sotto al naso.

L’altra ruotò gli occhi al cielo, quindi si decise a dare un’occhiata.

“…qui vedo solo alcune frasi senza senso”.

“È la trascrizione del dialogo avvenuto tra me e l’Inanimus”.

“…noi siamo i figli del Primordiale? E che vorrebbe dire?”.
“Non lo so…”.

“Ah ok. Bella scoperta. Complimenti”.

Dust sembrò innervosirsi un po’.

“Beh non è stato semplice, Copper… Ho lavorato sodo per cercare di decifrare il loro linguaggio. Per cercare di comunicare con questi costrutti e, forse, provare a risolvere il problema che c’è a Mechanus”.

Copper tornò a scuotere la testa, attraverso un gesto che non piacque per niente al pony dal marchio lucente.
“…e così… ci attaccherebbero per la conservazione dell’esistenza, eh?”, commentò, continuando a leggere.

“Già. Ma… ma la cosa sconcertante è…”.

“Cosa?”.

Silver indicò un punto nell’ultimo foglio che le aveva consegnato.

“…quando gli ho chiesto cosa cercassero di conservare… lui mi ha… risposto questo…”.

Copper diede un’occhiata, quindi lo guardò con volto poco serio.

“Ah… davvero?”.

“Sì”, ribadì Dust, con muso serissimo. “Lui mi ha risposto…”.

…per la conservazione della vostra fiamma vitale”.

 

Copper assunse un atteggiamento un po’ strafottente e gli riconsegnò malamente i fogli, schiacciandoli addosso al suo petto.

“Molto interessante…”, commentò.

“Non mi stai prendendo sul serio…”.

“Ma non mi dire!”, sbottò.

“Ma capisci cosa cerco di fare??”, spiegò arrabbiato. “Questo indicherebbe che gli Inanimus non ci stanno ostacolando ma si stanno battendo per qualcosa che ha a che fare con noi… con la nostra… conservazione…”.

“Certo… sicuro. Ah, aspetta”, lo schernì, picchiettandosi il mento con uno zoccolo. “Vuoi quindi dirmi che tutti i pony vittime di attacchi nelle miniere, i feriti e mio fratello che rischia di perdere una zampa a causa degli Inanimus… non sono altro che… incidenti di percorso per la nostra sopravvivenza? Mi sembra giusto”.

“Continui a non credermi…”.

“Come faccio, Dust?!”, si inalberò, agitando le zampe. “Come cavolo faccio a prenderti sul serio?? Quelle macchine assassine continuano ad attaccarci, mentre i Divites spingono pony al macello… E tu… ti rinchiudi in un laboratorio per più di una settimana, ti allontani da tutto il resto… ti dimentichi persino di…”. Copper fece una pausa. “…e …e, come se nulla fosse, te ne esci con questa teoria strampalata? Asserendo di aver trovato un… un… un codice per parlare con dei costrutti che non fanno altro che colpirci giorno dopo giorno?”.

“Il mio lavoro non è una teoria strampalata!! E potrebbe essere la soluzione per salvare molte vite!”.

Gli animi si scaldarono.
“Dust! Io sapevo che un allievo di una Principessa potesse essere altezzoso ma qui sei semplicemente arrogante!”.

“Cos…”.

“Forse non ti stai sovrastimando un po’ troppo, mh? Pensi di aver svolto in pochi giorni il lavoro su cui un’equipe di scienziati strapagata non ne è venuta a capo da mesi? E arrivi bello bello, con una sorta di… di soluzione definitiva? Dicendoci che le macchine che ci stanno massacrando in realtà ci vogliono bene? Che mio fratello è all’ospedale per via del loro buon cuore?”.

“…io…”.

“Abbassa un po’ la cresta e vedi di scendere dal piedistallo!!”, gli intimò, completamente travolta dalla propria ira.
Silver Dust non resistette.
    “Ah, davvero? La metti così??”, berciò, con volto corrucciato. “Così sarei solo un arrogante visionario?”. Copper lo guardò in silenzio, con volto vagamente sdegnato. “Pensi che io valga così poco? Che le mie capacità siano spazzatura??”.
“Io non…”.

“Va bene”, puntualizzò, dirigendosi verso la porta per rientrare. “Allora… se sono così incapace… non potrei aver decifrato la combinazione della tua… porta segreta? Semplicemente ascoltando gli scatti del meccanismo, giusto?”.
Copper spalancò gli occhi e drizzò le orecchie: “…cosa?”.
Dust continuò nella propria marcia e Copper Head gli corse dietro: “Hey!!”.
Lo seguì all’interno.

    “Non sono in grado di aprirla, dunque??”, continuò a blaterare, decisamente fuori di sé e scendendo scalino dopo scalino.
“Sono quattro lucchetti arcani, Dust… Da dieci valori ciascuno impostati secondo algoritmi che ho ideato personalmente… NON PUOI averli decifrati. È impossibile…”.
L’altro, per tutta risposta, si portò d’innanzi alla porta e poi fissò intensamente l’inventrice negli occhi. Senza distogliere lo sguardo da lei, iniziò a far ruotare il dispositivo sulla portella metallica. Copper ebbe un sussultò quando udì il primo meccanismo scattare e aprirsi.

“Questa era la combinazione del primo algoritmo”, sentenziò Silver, assolutamente sicuro di sé. “Ne rimangono altri tre, per almeno dieci alla dodicesima combinazioni possibili e valori rivelanti incrociati”.
“Dust…”, lo richiamò Copper, iniziando a preoccuparsi.

“Sarebbe impossibile, giusto? Come dici tu… giusto??”, continuò imperterrito il matematico, senza schiodare gli occhi da lei e continuando a ruotare il dispositivo. Dopo pochi secondi, si udì un secondo scatto.

“DUST!!”.

“Non ti ho spiata. Mi è bastato sentire gli impercettibili ticchettii che componevi. Questo mi ha gettato alla testa più di un milione di combinazioni possibili. E, nel tempo libero… sai che facevo? Li catalogavo tutti e poi li verificavo ogni volta che andavi alla portella e ti chiudevi dentro. Impossibile, vero?”.

“DUST PIANTALA SUBITO!!”.

“Ma io sono solo un pomposo arrogante, no? NON posso aver trovato il codice per parlare con quelle bestie di metallo…”.
Un terzo scatto provenne dalla portella.

Gli ingranaggi di Copper iniziarono a salire di giri.

“DUST! Smettila immediatamente!!”, lo minacciò. “Non osare aprire quella porta!!”.

“Perché?”, domandò retoricamente. “Se sono inetto come dici… non dovrei esserne in grado, no?”.

“Dust… ti avverto…”.

Ma l’altro non la ascoltò e, con rinnovata aria di sfida, riprese a ruotare il dispositivo.


Copper Head strinse i denti e, agendo completamente d’impulso, fece un’impennata, colpendo violentemente l’unicorno lilla all’altezza del fianco.

Dust fece un volo di un paio di metri e urtò di schiena la parete alle sue spalle, emettendo un verso di dolore. Il colpo era stato molto forte.

 

L’inventrice sgranò gli occhi e si coprì il muso con le zampe.

Lo osservò, mentre cercava dolorosamente di rialzarsi.

 

Scosse il capo.

 

Sembrava non volerci credere…

“O… oddio…”, balbettò la puledra, iniziando a respirare sempre più forte. Si passò una zampa sulla fronte. Spalancò completamente le palpebre e parve andare in iperventilazione. Allungò quindi una zampa tremante verso l’amico, come per aiutarlo, ma poi la ritrasse prontamente.

“Oddio… oddio, oddio…”.

“C… Copper…”.

L’unicorno color creta scosse il capo.

“Oddio… l’ho… l’ho fatto di nuovo…”, e corse via, dirigendosi verso il cortile esterno, assolutamente stravolta.

“COPPER!!”, urlò Dust, protendendo una zampa.

Silver la inseguì, emergendo nella fredda e buia notte, appena illuminata dai fari esterni dell’edificio.
Copper era poco distante, accanto ad un cumulo di lamiere.
Gli dava le spalle e il suo corpo sussultava, come se fosse preda di un pianto pronto ad esplodere.

“COPPER!!”, urlò il puledro, sopraggiungendo repentinamente. Le mise una zampa sulla spalla.

“NON MI TOCCARE!!”, strillò il pony bardato, strizzando gli occhi. Un paio di gocce saline le scesero lungo le guance. “STAMMI LONTANO!!”.

“C-Copper…”, ripeté l’amico, assolutamente scosso.

“Non… non ti avvicinare…”, continuò Copper, facendo qualche passo in direzione opposta alla sua.

“I… io… Copper… Copper… ti prego… perdonami… io…”.

“…stammi lontano…”, singhiozzò l’altra, quasi terrorizzata.

“Copper… io… io non volevo… Scusami… Ho… ho agito come un idiota… scusami… scusami, scusami…”.

L’inventrice pianse per alcuni secondi e poi, con volto ancora stravolto, parlò a singulti: “…è… è successo di nuovo…!”.

“C-cosa? Cosa è successo di nuovo??”.
La puledra affondò il volto tra le zampe.

“Ho… ho di nuovo fatto del male a qualcuno…”.

“No… non mi hai fatto male, Copper…”.

“…ho di nuovo… usato questa… MALEDETTA ARMATURA…!! Finendo per… per fare del male… a…”.

Dust si fece forza e si avvicinò cautamente a lei, inducendola di nuovo a ritrarsi. Si bloccò.

“Copper… Non… non sei stata tu… Ho agito da idiota… Anzi… sono un idiota… Mi sono sentito… ferito nell’orgoglio… e… e allora… ho agito d’impulso…”.

“…mi… mi dispiace… non… non volevo farti del male…”, continuò a piangere.

“Sto bene… davvero…”, cercò di rassicurarla con un sorriso. “La colpa… è solo mia… Ci tenevo un sacco che tu prendessi in considerazione le mie parole… e quando non l’hai fatto… mi è sembrato che tutto ciò che avevo scoperto fosse stato… buttato via. Sai… tengo molto… in considerazione… il tuo parere…”.

Dopo qualche istante (e aver tirato su col naso innumerevoli volte), Copper Head sollevò debolmente lo sguardo bagnato e lo fissò negli occhi.

“D… davvero?”.

“Sì… Ecco perché ho… insomma… perso la testa… e… e mi dispiace da morire. Sono stato un insensibile…”.

“…sì ma…”.

“No, Copper”, precisò con serietà. “Prima ti ho delusa col progetto… e… e poi hai ricevuto la notizia di tuo fratello nello stesso giorno. E io… mi sono comportato in modo terribile…”.

L’unicorno dai crini ramati si asciugò lentamente gli zigomi: “…è… è stata anche colpa mia. Non avrei dovuto… trattarti in quel modo… sminuendoti così…”.

“Eri sconvolta per tutto quanto. E… me lo sono anche un po’ meritato…”.

“Non è vero, Dust… Io per prima so cosa significhi essere trattati con sufficienza dagli altri. Quando… le tue scoperte non vengono tenute in considerazione e… e ti reputano solo un fallimento… Non… non so perché ti ho detto quelle cose…”.

“Eri solo arrabbiata… Lo capisco…”.

“…non volevo colpirti…”, si scusò nuovamente, estremamente dispiaciuta. “Ho… ho avuto paura che stessi per aprire… quella porta… Scusami…”.

“Avresti dovuto colpirmi ancor più forte, altroché!”, ridacchiò. “Me lo sarei meritato, te l’ho detto…”.

“…davvero non ti ho fatto male?”, domandò preoccupata.

Silver sorrise dolcemente: “…niente che una buona denuncia per lesioni non possa sistemare tramite la tua reclusione nelle prigioni regali…”.

Copper tornò a sorridere debolmente.

“Però…”, riprese seriamente Silver Dust, “…su una cosa hai ragione. Io non… cioè… Mi sono impicciato troppo degli affari di Mechanus. E non ho… alcun diritto di venire qui a coinvolgerti nei miei progetti. Che… in effetti… potrebbero essere completamenti sballati…”.

“…Dust, io…”.

“No…”, la bloccò con decisione. “Ho… agito male. E… e non è giusto. È molto meglio che porti a termine da solo quanto ho iniziato”.

“…di cosa stai parlando?”, domandò, leggermente preoccupata.

Lo sguardo di Silver si rivolse al vulcano in lontananza.

“Io… sono convinto che quanto mi ha detto quell’Inanimus sia vero. Sono convinto… che ci sia dell’altro”.

“Dust…”.

“Lo so che tu ritieni il contrario… ma…”. Silver sospirò. “Ma se c’è una sola possibilità che abbia ragione… allora voglio sfruttarla…”.

“Cosa vuoi dire?”.

“…io… volevo in realtà parlartene. Ma… ora mi rendo conto di quanto siano deliranti le mie parole. Così, forse, è meglio se me la sbrigo da solo”.

“Si può sapere cosa vuoi fare??”, ripeté spazientita.

Dopo un attimo di esitazione, il puledro si decise a spiegarle tutto quanto.

“…io vorrei… entrare in contatto con altri Inanimus…”.

“Cosa?? Impossibile… Non si sa dove stiano. Le uniche volte che si mostrano è per attaccare le miniere…”.

Dust sorrise.
Copper corrugò la fronte: “…a cosa diamine stai pensando?”.

“Io pensavo… di entrare nelle miniere… con… con il mio codice ben impresso nella testa e… e questo arto meccanico”, le spiegò, tirando fuori l’oggetto. “Spero in questo modo di… poter incontrare altri Inanimus. E, con un pizzico di fortuna, riuscire a capirne un po’ di più…”.

“Ma sei scemo?!”, starnazzò. “Vorresti andare in una miniera vulcanica con… con… un coso cigolante e la tua borsetta da puledrina??”.

“Ehy! È una borsa firmata! La portano tutti a Canterl…”.
“NON ESISTE!!”, lo interruppe. “Quel posto brulica di macchine, che potrebbero uscire in qualsiasi momento!”.

“Ecco perché voglio andarci, Copper…”.

“Là fa un caldo apocalittico… e tu sei un cretino!!”.

“Dimmi qualcosa che non so…”.

“Tu fai tutto questo… solo perché pensi che si possa parlare con quegli affari??”.

“Già”, rispose con sincerità. “Penso che… il mio codice funzioni. E che quello che mi ha detto l’Inanimus… abbia un fondo di verità”.

“Ma cosa ne sai?? Perché vuoi fare una cosa così rischiosa… e stupida??”.

“Io…”, sussurrò. “Io non ho mai potuto compiere qualcosa di importante, prima d’ora. Ho sempre e solo passato tempo sui libri e poco altro. Ma da quando sono qui… da quando quel Novarius mi ha mostrato l’Inanimus… da quando sono riuscito a compiere alcune scoperte su questi costrutti animati… boh… mi sono sentito… utile…”.

“Ma tu non devi dimostrare niente a nessuno!”.

Silver sistemò i vari oggetti nella sacca e abbandonò i fogli sul terreno.

“Devo dimostrarlo a me stesso… dimostrarmi che ho ragione… che questa città può essere salvata senza che queste macchine e gli abitanti si massacrino a vicenda… Grazie al mio lavoro…”. Si bloccò senza preavviso, proprio mentre trafficava nello zaino. Sembrava aver trovato qualcosa. Estrasse magicamente una mela rossa e, con estrema delicatezza e volto sorridente, la conficcò sul corno di Copper. “Vedi?”, riprese. “Sono stato così… stupido, ultimamente… che mi stavo dimenticando di darti questa…”.

Copper la estrasse e la osservò da vicino. La sua espressione mutò e si arricchì di dispiacere.

“Ora devo andare a dimostrare che non mi sono sbagliato”, dichiarò Silver.

“Ma non hai nessuna prova certa! Ehy! Dove stai andando?!”, lo richiamò, vedendolo allontanarsi.
“Vado alle miniere”.

“Non fare altre stupidaggini!!”.

“Stupidaggine più, stupidaggine meno… A chi vuoi che importi?”.

 

Copper Head lo raggiunse ad ampie falcate e si frappose tra lui e il suo tragitto.
La puledra abbassò capo e orecchie, cercando di mascherare un’espressione di estremo disagio.
Con un filo di voce e senza riuscire a guardarlo negli occhi, dichiarò: “…a… a me importa…”.

“Come, scusa?”, domandò perplesso.

“…non… non voglio che tu vada…”.

“Ma… non ti darò nessun problema. Sarà una cosa solo mia… Tu non devi provvedere a nulla…”.

“Non voglio che tu vada in quel posto, Dust…”, gli spiegò, tornando ad osservarlo in viso. “...è… è un luogo pericoloso. E…”. La puledra deglutì. “…e non voglio rischiare di… di perderti…”.

 

Silver sembrò non comprendere chiaramente le sue parole.

“…perdermi?”.

Copper, sempre con estremo sforzo e disagio, cercò di essere esaustiva.

“…i-io…”, dichiarò imbarazzata. “Io… ho apprezzato molto la tua presenza, Dust… Mi… mi è piaciuto quando… quando mi hai aiutata con i miei progetti… quando abbiamo lavorato insieme… quando mi hai fatto vedere come disegni… e…”. Dust drizzò le orecchie, decisamente stupito. “…e sei l’unico pony, qui… che mi tratti come un unicorno normale… e non come una squinternata o un’inventrice pazza…”.

“…ma tu sei un’inventrice pazza”, la schernì, cercando di sdrammatizzare.

Ma Copper divenne serissima e si avvicinò incredibilmente al suo muso, costringendolo quasi a fare un passo indietro.

“…sto bene con te, Dust. Mi piace la tua compagnia… E anche se è una tua decisione e non ne avrei il diritto… non voglio che tu vada in quel vulcano che brulica di quadrupedi meccanici… Ho… paura che ti possa succedere qualcosa…”.

“Uh… i-io… ammetto che non me l’aspettavo… C-cioè…”.

Senza accorgersene, Copper alzò una zampa su di lui e gli sfiorò delicatamente i crini in fronte.

“…non… voglio tornare come prima. Sola… nel mio laboratorio… Da quando ci sei tu… mi sono sentita un po’ meno… isolata dal mondo e… e dalla vita nel mondo…”.

“Ah… i-io…”.


Ci fu un momento di stallo, in cui i due non fecero altro che fissarsi negli occhi.

Fu Dust a riprendere a parlare.

“Però… però credo… credo davvero di avere una soluzione per questo… problema… anche se… anche se tu fatichi a credermi o pensi sia un’assurdità…”.

Copper abbassò lo sguardo e sospirò di nuovo. Tornò ad osservarlo e quindi dichiarò: “…vuoi vedere cosa custodisco dietro quella porta, Dust? E perché ho paura che tu vada in quel luogo?”.

“Non mi importa, Copper. Non fissarti sulla mia reazione di prima… Non ha alcuna importanza. È qualcosa di tuo e che non vuoi far sapere. Sono stato uno scemo a…”.

“Sì, sei uno scemo. Si è capito. Infatti non voglio farti nessuna concessione… Voglio solo sapere… se ti andrebbe di scoprire cosa c’è dietro…”.

“Ma non è il caso… davvero…”.

“Non hai capito…”, spiegò. “Voglio… mostrarti quello che c’è. Voglio… farti vedere una parte di me e del mio passato…”.

“Del tuo… passato? Ma… perché?”.

Copper sorrise: “…perché mi fido di te, Dust…”.

“Io…”.

“Seguimi…”, lo invitò la puledra, dirigendosi lentamente verso l’ingresso dello stabile.

 

    La coppia tornò all’ingresso, con Copper in testa, e giunse di nuovo d’innanzi alla portella di metallo. Solamente un ultimo meccanismo separava i due dal contenuto.
L’unicorno color creta si posizionò davanti ad esso e quindi si rivolse a Dust.

L’altro le mise una zampa sulla spalla: “…ti ripeto che non è il caso…”.
Copper, tuttavia, non disse nulla e si limitò a sorridergli. Azionò il dispositivo e tutti cardini di blocco della porta vennero liberati, permettendole di aprirsi lentamente con un gracchiante cigolio.
Dopo un profondo respiro, l’amica lo invitò ad entrare con lei.
    La stanza interna era buia, non si vedeva praticamente nulla. Solamente un po’ di luce filtrava dalle camere alle loro spalle ma era appena sufficiente a rischiarare i primi metri della zona. Silver intuì come il luogo segreto fosse abbastanza ampio.
Non riuscì a scorgere nulla, nell’ombra, se non alcuni cavi penzolanti dal soffitto e una moltitudine di figure immobili sullo sfondo.

Alcune gli ricordarono oggetti senza senso apparente mentre altre gli sembrarono le silhouette di figure equine. Era tuttavia troppo buio per poterlo capire chiaramente.
“…non… non c’è luce?”, chiese tentennando.

Alcuni scatti metallici provennero dalla puledra: quattro puntini luminosi, ovvero i piccoli insetti dell’inventrice, partirono dalla padrona ed iniziarono a scorrazzare per la stanza. Si arrampicarono sulle pareti, collocandosi infine in alcune ampolle affisse al muro. La loro luce azzurrognola, amplificata dagli appositi contenitori vetrosi, diffuse un lieve barlume per l’intera camera.
Dust spalancò la bocca, notando un ammasso più o meno ordinato di creazioni per lo più incomplete.
Vi era di tutto, da veicoli sperimentali mai ultimati a strane apparecchiature appartenenti a macchinari di dimensioni incalcolabili. La maggior parte era affissa alle pareti o abbandonata negli angoli. Una giungla di liane sintetiche, ovvero un intricato insieme di cavetteria variegata, emergeva letteralmente dal soffitto.

L’unicorno lilla iniziò a camminare con lentezza, ruotando attorno a sé lo sguardo meravigliato. Vi erano un sacco di invenzioni dall’aspetto strabiliante, molte delle quali possedevano un funzionamento che mai avrebbe potuto intuire.
“Cosa… cos’è questo posto?”, chiese titubante, senza smettere di rimirare gli oggetti. Copper non disse nulla.

Silver Dust notò quindi una serie di esoscheletri ordinatamente riposti lungo un lato della stanza. Si avvicinò ad essi: erano molto simili all’armatura di Copper ma, in confronto, potevano definirsi grezzi o praticamente incompiuti.

Il matematico si voltò verso la compagna: “…queste… sono le corazze che hai… progettato? Come la tua?”.

Dando le spalle alle armature, tuttavia, non si rese conto di come una di esse si fosse improvvisamente mossa. Era l’unico esoscheletro a possedere un elmo, che ruotò lentamente verso di lui, spalancando quindi una coppia di occhi illuminati di arancione.

Il puledro avvertì il cigolio della rotazione e tornò cautamente con l’attenzione sulle bardature.
Quando vide i due lumini fissarlo, ebbe un sussulto; balzò all’indietro e cascò rovinosamente a terra.

L’armatura fece qualche passo verso di lui.

Solo in quel preciso istante… Dust capì.

Non si trattava di un’armatura.

Era un Inanimus.

Non l’aveva riconosciuto subito, poiché l’aspetto era abbastanza differente dagli esemplari che aveva visto fino a quel momento.

Il corpo era più affusolato, nonché estremamente elegante.

Le lamiere esterne erano tirate a lucido e percorse da numerosi intarsi. Si trattava di una fattura completamente differente dagli Inanimus ordinari; qualcosa che più si addiceva ad uno scultore o un fabbro dai pregiati gusti artistici.

L’elmo, infine, non era inespressivo come quello dei suoi coetanei. Era molto più “emotivo”. Non poteva di certo muoversi ma Silver notò subito un dolce sorriso scolpito sul muso. Anche i tratti del viso erano più morbidi e addolciti, donandogli nel complesso un’aria quasi rassicurante.

L’interno del corpo non emanava luce azzurra ma bensì una calda sorgente arancione, che metteva in risalto gli ingranaggi che ruotavano nell’intercapedine della struttura di supporto.

Il puledro arrancò all’indietro, a denti stretti.

Copper intervenne immediatamente e lo cinse per le spalle.

“Fermati Dust! Non… non ti devi preoccupare…”.

“Q-q-quello…!”.

“Sì, Dust…”, gli spiegò sorridendo. “Quello è un… un Inanimus…”.

“M…ma…”, balbettò interdetto.

La macchina, intanto, li aveva raggiunti e li stava ora fissando senza dire nulla.

Copper si voltò verso l’Inanimus e parve intenerirsi in modo inspiegabile.
Si avvicinò ulteriormente e gli mise gli zoccoli attorno al volto metallico, inducendo la sua fronte a poggiarsi contro quella dell’inventrice. L’unicorno chiuse gli occhi e sorrise ancora di più.
“Ciao… amico mio…”, gli disse, con voce calma.

Dust si alzò cautamente da terra, decisamente sbigottito.

L’amica stava letteralmente abbracciando il costrutto animato.

“…in effetti…”, buttò lì. “Forse… era qualcosa che dovevo vedere…”.
Copper si voltò verso il pony in carne e ossa, senza mollare la presa dal collo dell’Inanimus.
“…e forse”, continuò Silver, “sarebbe buona cosa ottenere uno straccio di spiegazione… cioè… sempre se ti va…”.

La puledra lasciò l’Inanimus ed invocò potere dal corno.

Una piccola pietra luminosa si sollevò da un cumulo di progetti e finì ai piedi di Dust.
Dopo una breve occhiata, il puledro disse: “…questa è… una pietra mnemonica… la riconosco. È come quelle che hai usato per i tuoi… uh… insetti meccanici…”.

“Sì… Ma questa l’ho usata per lo scopo originale. Ci ho inciso sopra… le mie memorie”.

Silver la guardò negli occhi.

“Azionala”, gli indicò Copper, sollevandola verso di lui. “E intanto… vedrò di spiegarti meglio alcune cose…”.

Dust, dapprima un po’ indeciso, afferrò l’artefatto tra gli zoccoli e, dopo un’ultima occhiata verso l’amica e il suo curioso compagno scintillante, decise di attivare l’oggetto.

    I ricordi incisi nel cristallo gli invasero la mente come un fiume in piena.
Il pony si ritrovò improvvisamente nel cielo, per poi precipitare repentinamente verso un puntolino nel terreno lontano. Si fece sempre più vicino, rivelandosi l’intricata giungla urbana della città di Mechanus. Percorse alcune vie, si infilò a velocità folle tra sciami di passanti, per arrivare infine al settore delle miniere. Si tuffò nel buio, superò diversi minatori e raggiunse infine un pony dalla sagoma indistinta. Non capì chi fosse. Gli parve solamente di entrare nel suo corpo, come se ora lui fosse un osservatore in prima persona. Doveva sicuramente trattarsi del corpo di Copper.

La puledra, quella vera, prese intanto a spiegargli cosa stava accadendo.

“…quanto vedrai… è uno dei primi ricordi che ebbi di Mechanus. Accadde circa… poco meno di un anno fa, quando iniziai la mia carriera come inventrice. Quando decisi… che così mi sarei guadagnata da vivere”.

 

Dust, nei panni della fu Copper, era d’innanzi ad un grosso macchinario incastonato nella roccia; una sorta di grosso scavatore apparentemente silente.

 

Era un semplice lavoro di manutenzione. Avrei dovuto sistemare alcuni giunti e un raccordo. Niente che non potessi aggiustare”.

Il puledro vide le proprie zampe color creta smanettare con alcune leve e pulsanti, quindi beccarsi in pieno muso uno sfiato d’aria compressa. Alcune risate dei minatori limitrofi rimbombarono per i cuniculi.

 

Quello fu il mio primo incarico. Ma fu anche… il giorno in cui certe cose, a Mechanus, cambiarono drasticamente”.

Uno scoppio improvviso risuonò in fondo ad una galleria. Tutti, compreso Dust, si voltarono per osservare e vennero investiti da un nuvolone di polvere. Si sollevarono colpi di tosse e urla allarmate. Le zampe di Copper cercarono di dissipare la coltre di fumo.

Ci fu un istante di smarrimento, in cui tutti si chiesero con agitazione cosa diamine fosse successo.

Calò il silenzio, immediatamente sostituito da strani cigolii e clangori metallici.
Una decina di luminosi occhi azzurri fece la comparsa tra la polvere.

Dopo qualche secondo, alcuni incantesimi distruttivi piovvero sui presenti, sollevando un putiferio assolutamente incontenibile.

 

Quello fu… il primo giorno in cui gli Inanimus attaccarono. Il primo giorno in cui le macchine si palesarono al mondo. Ed io mi trovavo proprio lì…”.


Dust fuggì, sentendo il rumore del fiato in gola e le urla attorno a sé. Era tutto molto confuso. Non aveva il controllo delle proprie azioni, essendo un ricordo, ma la sensazione di trovarsi lì, in prima persona, gli parve dannatamente reale.
Vi fu quindi un’altra serie di scoppi.

Il puledro venne investito da un’onda d’urto e si ritrovò con il muso sul terreno. Percepì persino una fittizia sensazione di dolore. Si voltò pancia all’aria e vide un Inanimus emergere dalla polvere, a pochi metri da lui.
Il terrore si fece largo dentro il suo cuore.

Il costrutto si impennò e cercò di schiacciarlo sotto il peso dei propri zoccoli.

Silver riuscì a schivarli per pura fortuna, quindi iniziò ad evocare impulsivamente potere sul corno. L’Inanimus si impennò una seconda volta e Dust scagliò un dardo arcano verso di lui. Il colpo lo sfiorò appena e si infranse contro il soffitto di roccia, causandone il crollo accidentale. Alcuni grossi massi franarono sulla macchina, sfasciandola quasi completamente. Il puledro si mise gli zoccoli attorno al volto, per proteggersi dai frammenti.

Dopo alcuni secondi, notò come dell’Inanimus non rimanessero che il casco e una parte del busto.

Le luci degli occhi erano spente.

L’unicorno si alzò frettolosamente e fece per allontanarsi… per poi fermarsi e voltarsi ancora una volta verso l’Inanimus.

Avrei dovuto fuggire. Ero terrorizzata. Ma… qualcosa mi indusse… a ritornare accanto a quella cosa che non avevo mai visto”.

 

Silver si avvicinò.

 

Aveva appena cercato di uccidermi. Eppure… non so per quale motivo lo feci. Non so come mai non riuscii semplicemente a scappare… So solo che… dovetti farlo…”.

 

La Copper Head del ricordo sollevò cautamente alcuni resti del costrutto, tra cui il casco quasi illeso. Li osservò con attenzione. Al rumore di altri scoppi lontani, si decise a riporlo nella sacca a tracolla e ad allontanarsi di gran lena verso l’uscita.

Il ricordo si spostò quindi verso una seconda locazione. Dust lo riconobbe subito: era il laboratorio di Copper, ai tempi molto più spoglio e semplice.
L’unicorno aveva disposto il casco sul ripiano e lo stava studiando attentamente.

Fu con la comparsa di quelle macchine che i Divites trovarono un pretesto per inserirsi a Mechanus tramite le forze armate. Il giorno dell’attacco io riuscii a fuggire e, in mezzo al caos generale, riuscii a portare a casa l’elmo e parte del torso di quelle creature”.

Dust prese tra le zampe i componenti ed iniziò ad osservarli con attenzione.

Ero come… affascinata da quella tecnologia. Sapevo che gli Inanimus avevano cercato di eliminarci ma… non saprei. Forse è insito nel mio codice genetico… intendo… analizzare e scoprire il più possibile sulle tecnologie assurde. Così lo studiai attentamente… finché…”.

Gli occhi dell’elmo si accesero all’improvviso di arancione e Silver mollò istintivamente la presa. L’almo rimbalzò sonoramente a terra un paio di volte. Dopo alcuni secondi di attesa, tornò a recuperarlo.

L’Inanimus che mi ero portata a casa… non era distrutto. Funzionava ancora. E non riluceva più di azzurro, bensì di un candido arancione…”.

 

Il puledro, come ipnotizzato, continuò ad osservare la curiosa creatura che reggeva tra le zampe.

 

Forse avrei dovuto consegnarlo ai gruppi di ricerca… forse avrei dovuto parlarne con qualcuno. Ma la verità, Dust… è che non avevo nessuno con cui parlarne”.

Ci fu un altro cambio di scena, che riportò l’osservatore in un passato indefinito in cui visse spezzoni dell’infanzia di Copper Head, specialmente del suo periodo di isolamento dalla vita sociale.

“…sai, Dust? Sono sempre stata una puledra molto… scostante. Non è che non avessi mai cercato di farmi degli amici...”.

 

L’unicorno, ora un puledrino, aveva tra le zampe un curioso progetto scolastico di scienza. Lo mostrò con orgoglio a tutti, per poi scoprire con rammarico che non funzionava affatto. Tutti i compagni lo schernirono.

Ma avevo i miei interessi… le mie fisse per le invenzioni e i progetti più disparati. Cose a cui nessuno sembrava importare… E il fatto che fossero per lo più dei fallimenti non mi incoraggiò di certo a continuare”.

Dust era riverso su un lettino.
Piangeva.

Così iniziai ad isolarmi sempre di più dietro la facciata dei libri e delle mie stesse invenzioni. Mio padre avrebbe voluto che conducessi un altro tipo di carriera”.

Uno stallone in giacca militare stava urlando qualcosa d’innanzi a lui. Dust percepì una sorta di disagio interiore. Accanto al padre, con una sontuosa giacca militare da parata, si ergeva fiero il fratello dal manto bianco.

Mio fratello, invece, fece successo presso le forze armate dei Divites. Così mi sentii… la pecora nera della famiglia. Mi tagliarono qualsiasi tipo di supporto, dicendo che se volevo fare la testarda, allora l’avrei fatta da sola. Mi rimboccai le maniche e tentai di vendere le mie invenzioni. Ma non ebbi molto successo… E tutto questo… i fallimenti… gli scherni, le risa… mi allontanarono sempre di più dal mondo”.

Silver era nel laboratorio.

Stava costruendo un sacco di oggetti strani, con attrezzi vari e zampe sporche d’olio scuro.

Non volevo vedere più nessuno. E non mi importava nemmeno. Iniziai a vivere gli altri pony come un mero motivo di sofferenza. Perché quando ero con gli altri… mi sentivo in soggezione. Avevo fallito troppe volte… e ne avevo sofferto altrettanto”.

Il ricordo fece ritorno al periodo in cui Copper portò con sé l’elmo dell’Inanimus.
Il puledro, sempre in prima persona, reggeva una sorta di sega circolare tra le zampe e stava intagliando delle lamiere tra mille scintille. Indossava una maschera da saldatore.

Così studiai l’Inanimus. Cercai di carpirne i segreti e il funzionamento. Non sapevo quanto sarebbe durato, con il volto separato dal corpo e così…”.

Dust stava rimirando, orgoglioso, un esoscheletro dalle fattezze equine, del tutto identico a quelli che erano ammassati nel laboratorio quando era entrato.

 

…decisi di costruirgliene uno. Mi ci volle un sacco di tempo, di studi e di tentativi. Ne costruii a decine. Alcuni di essi, più avanti, li avrei convertiti in progetti simili all’armatura che indosso. Compresi il meccanismo che li alimentava ed era… stupefacente”.

Silver aveva scoperchiato il guscio esterno dell’elmo e stava ora scrutando con stupore il meccanismo interno: un intricato sistema di ingranaggi e microtubi, corroborati dalla luce arancione che vi pulsava al di sotto.

Era un perfetto connubio tra meccanica, magia e… qualcos’altro. Qualcosa che… non riuscii bene a cogliere. Una sorta di… essenza… di fiamma vitale. Non saprei ancora adesso definirlo. Fatto sta che, dopo mesi e mesi di lavoro, riuscii ad ideare un corpo che gli andasse bene… che fosse in grado di muoversi”.

 

L’Inanimus si ergeva di fronte a lui, con lo stesso corpo intarsiato con cui l’aveva incontrato nel laboratorio. Il muso, tuttavia, era ancora inespressivo.

Io… io non…”. La voce di Copper parve tremare leggermente. Si abbassò di tono e si fece emozionata. “Io non avevo mai avuto un vero amico… mai nella vita…”.


Dust si avvicinò lentamente all’Inanimus.

E questa… macchina… cioè… Non potevamo parlare. Non potevamo comunicare… Non so perché rilucesse di arancione anziché di azzurro. Il danno alle miniere lo aveva forse… guastato? Non saprei. Ma… sembrò formarsi una… curiosa empatia tra me e lui”.

Silver Dust era chino sul bancone da lavoro, con l’ennesimo progetto fallito tra le zampe. Lo sconforto lo attanagliava dall’interno. Udì un rumore. Un cigolio. Si voltò. L’Inanimus era lì e lo stava osservando. Si avvicinò e si sedette accanto a lui, senza smettere di fissarlo.
Dust afferrò un piccolo incisore tra gli zoccoli.

Non… non avevo mai avuto un amico. E non so se ne avrei mai avuti… E non potendo averne di mio… decisi…”.

 

L’incisore scolpì un dolce sorriso sul muso del pony di metallo.

 

“…di costruirmene uno…”.

 

    Il racconto si interruppe improvvisamente.

Dust si sentì risucchiare nel proprio corpo, ritrovandosi improvvisamente tra le soffuse luci del laboratorio. La sensazione fu drastica quanto debilitante.
Puntellò le zampe a terra.
Abbassò il collo.

La testa gli girava e una sensazione di nausea gli pervase lo stomaco.
Dopo qualche istante sembrò riprendersi e riportò l’attenzione su Copper.
L’amica lo fissava con volto inespressivo. Gli occhi erano lucidi e riflettevano le fonti di luce sulle pareti.
“…così…”, riprese l’amica, “…l’Inanimus anomalo rimase al sicuro tra queste mura. Poco dopo avergli costruito un corpo… i Divites iniziarono a muovere guerra contro gli Inanimus. Se avessero scoperto che ne custodivo uno… lo avrebbero sicuramente fatto a pezzi”. Copper sfiorò il muso sorridente del costrutto. “Inoltre… lui mi permise di procedere nelle mie ricerche. Avevo tra le mani un Inanimus e nulla sembrava voler bloccare il conflitto che si stava infiammando a Mechanus. Non potevo semplicemente… stare a guardare. Così pensai…”. Il volto dell’inventrice si rivolse alle corazze lungo le pareti. “…pensai di costruire degli esoscheletri di supporto. Avrebbero semplicemente dovuto proteggere i minatori e i manovali dalle insidie sul lavoro. Avrebbero potuto assistere costruttori e ingegneri tramite una forza incrementata. Avevo in mente, insomma… di migliorare la qualità della vita in un posto dove… dove tutti venivano trattati come mera forza lavoro. Forse avrei potuto… restituire una… dignità… agli abitanti meno fortunati di Mechanus. Così mi misi al lavoro”

Copper si spostò verso le bardature e le scrutò attentamente.
“Feci diverse prove… mi basai sulla tecnologia che avevo appreso dagli studi su questo Inanimus. Riprodussi lo stesso esoscheletro di base, gli stessi meccanismi, gli stessi principi. Nonostante i miei sforzi, tuttavia, mancava quella sorta di… di impulso vitale in grado di azionarlo. E quindi…”.

Il pony color creta si voltò verso Dust, fissandolo con un certo disagio.

“Quindi… feci degli studi… non proprio leciti. Entrai in possesso di tomi banditi. Compii delle prove e degli esperimenti. Mi feci anche… del male. Molto male… Ma alla fine… riuscii a capire… e… e tramite una serie di incantesimi… imprigionai una parte della mia essenza dentro questo esoscheletro. Ciò che lo mise in moto, tuttavia, fu anche una parte dell’essenza dell’Inanimus”.

“Aspetta, aspetta…”, la bloccò preoccupato. “Frena… Hai detto… imprigionare una parte di essenza?”. Copper annuì e Silver divenne serissimo. “Copper! Non… non si gioca con questo tipo di incantesimi! Sono dannatamente pericolosi! Ci hanno messi in guardia più volte durante le lezioni di magia, a Canterlot!”.

“Lo so, Dust… ma… desideravo troppo andare a fondo della cosa. Ad avere un fantastico progetto tutto mio. Così lo feci… Presi una parte della mia essenza, una parte dell’essenza dell’Inanimus e le fusi assieme. Le imprigionai nell’esoscheletro. Così diedi… un’Anima alla corazza. Piccoli frammenti di pietre Ignee divennero il cuore. Microscopiche tubature piene di vapore, le vene. E il risultato… lo puoi vedere con i tuoi occhi…”, gli spiegò, mettendo in mostra il proprio esoscheletro.

“Quindi…”, avanzò timidamente il puledro. “Quello che vidi oltre le nuvole, quella sera… era questa sorta di… essenza? Il risultato della fusione di una parte di te e dell’Inanimus?”.
“Puoi metterla così, se vuoi…”.

“Ma quali sono le conseguenze?”.

“Non c’è nessuna conseguenza. È stato solo… molto doloroso”.

“È per questo che indossi sempre la corazza? C’è una sorta di… legame con essa?”.

Copper sorrise amaramente.

“In realtà no. Sono io che… che decido deliberatamente di indossarla. Non c’è nulla che mi vincoli a lei”.

“E allora perché non te la togli mai?”.

Il sorriso di Copper si fece più dolce.

“…per due motivi. Il primo è che…”.

“…che?”.

“…che mi fa sentire… protetta. È come… se portassi sempre accanto a me un amico… una parte del…”. L’unicorno si rivolse all’Inanimus. “…del mio amico. Quando indosso questa armatura… non mi preoccupo del male che gli altri possono farmi. Nemmeno a parole, dico. Mi sento… serena…”.

“…e l’altro motivo?”.
Copper si incupì. Sospirò un paio di volte.

“…so che non ti sarà facile credermi, Dust… ma…”.

“Dopo stasera sto rivalutando seriamente le cose che ritenevo impossibili…”.

“…vedi… La… la fusione delle essenze… ha prodotto qualcosa di… strabiliante. Il potere che è custodito dentro questa corazza è… inimmaginabile. Non hai idea… del potenziale in suo possesso”.

“Intendi dire che… è molto forte?”.

“Intendo dire che… che volevo un esoscheletro per migliorare la vita dei pony. E invece… mi resi conto… che era una macchina potentissima. Anche ora, mentre parliamo, è depotenziata da una serie di limitatori che ho installato. Con tali presupposti… mille pony avrebbero potuto trarne benefici incredibili. Avrebbe realmente potuto fare la differenza”.

“E… allora perché non la mostri al mondo intero??”.

“Non capisci, Dust?!”, gli spiegò con foga, prendendo le zampe tra i suoi zoccoli e con volto sofferente. “Se questa corazza finisse nelle grinfie sbagliate… Se… se qualcuno la prendesse, la studiasse e devolvesse la scoperta per scopi illeciti… Cioè… immagina le conseguenze…”.

“…è davvero così pericolosa?”.

“Sì, Dust! Non lo dico con leggerezza… Ne ho avuto… prove in passato”, concluse intristendosi.

“…questo spiegherebbe la tua reazione di prima… nonché il tuo astio verso i militari”.

“Loro sanno di cosa può essere capace. Dicono che la userebbero per sgominare la minaccia degli Inanimus. Ma non sono così stupida. So che la impiegherebbero poi per munirsi di una terrificante macchina di guerra… Loro sono bravissimi in queste cose…”.

    Dust scosse il capo.

Tutte quelle notizie lo avevano decisamente scombussolato.
Si prese un attimo per riordinare le idee. Si allontanò da Copper, per avvicinarsi quindi al costrutto.
“Capisci ora…”, riprese la puledra, “…perché non voglio che tu ti immischi in queste faccende? Capisci perché… non può venir fuori nulla di buono da questo caos? È… è tutto semplicemente sbagliato… tutto confuso… pieno di doppiogiochisti e chissà quante altre cose che non conosciamo. Io volevo solo cercare di fare del bene… e… e invece…”.

“Ma puoi farlo, Copper!”, le rispose con convinzione. “Questo… questo Inanimus… è la prova che le macchine possono DAVVERO essere in grado di qualcosa che non sia solo attaccarci e distruggerci!”.

“Questo Inanimus non fa testo. Non sappiamo cosa l’abbia portato in questo stato così mansueto”.

“Ma non ha importanza! È comunque la prova che è possibile avvicinarsi ai costrutti senza temere necessariamente delle ritorsioni. Significa che il mio piano per parlare con loro non è così campato in aria! Che ancora c’è speranza!”.

“Oh, sì che è campato in aria…”.

“Perché?”.

“Andiamo Dust!”, cercò di convincerlo. “Questo è un unico esemplare. Ma… tu vuoi andare dentro a miniere incandescenti, buttandoti in pasto a queste bestie di ingranaggi! Armato solo di… di… di una zampa arrugginita!”.

“Fino ad ora tutti hanno sempre risposto agli Inanimus con la violenza. Ma io ho una chiave di lettura. Ora posso parlarci…”.

“Ah, davvero? Allora comunica con questo Inanimus. Qui ed ora…”, lo esortò.

Silver si fece serio e accettò la sfida.
Si avvicinò alla macchina, estrasse l’arto e lo fece cigolare un paio di volte.

L’Inanimus non fece una piega. Dust ci riprovò più volte ma non cambiò nulla.

“…beh?”, borbottò Copper, con le zampe ai fianchi.

“Io non… Magari è diverso dagli altri… Oppure non è in grado di rispondermi con un corpo diverso dal suo originale…”.

“Dust, senti…”.

“No, Copper!”, la interruppe, fissandola con assoluta serietà. “Ho intenzione… almeno di provarci. Non posso girarmi dall’altra parte e andarmene, dopo tutto quello che ho fatto… senza nemmeno provarci. So che tu riesci a capire di cosa parlo…”.

“Lo… lo so…”, ammise sofferente. “È solo che… è dannatamente pericoloso… e non voglio che tu vada laggiù…”.

Silver afferrò una zampa della puledra e se la portò al petto.

Gli ingranaggi della tuta ebbero un’impennata di giri e le guance di lei arrossirono appena.

“Copper… ho… ho capito che sei preoccupata per me. Ma… devo farlo…”.

Dopo un istante di esitazione, la puledra decise di parlare: “Allora vengo con te…”.

“…cosa?”.

“Io conosco la città. Conosco anche un po’ le miniere…”.

“…Copper…”.

“E poi”, precisò, “posso fornirti uno dei miei esoscheletri. Non sono come quello che indosso ma possono proteggerti in caso di necessità. Posso anche aiutarti ad entrare non visto. Non sarebbe la prima volta che mi intrufolo nelle miniere per rubare pezzi di Inanimus sparsi in giro…”.

“…perché mi vuoi aiutare? L’hai detto anche tu che, con ogni probabilità, è una follia…”.


Copper Head controllò attentamente le invenzioni alle pareti, per soffermarsi infine sull’Inanimus, che non aveva smesso di osservarli per tutto il tempo.

La puledra tornò ad addolcirsi.
“…ne ho viste tante di follie, fino ad oggi… e alcune di queste si sono inaspettatamente realizzate”. Il pony color creta tornò a guardare quello lilla. “E magari… non sia mai che anche questa possa rivelarsi azzeccata…”.

“…mi stai quindi dicendo… che credi in questa mia… iniziativa?”.

“…ti sto dicendo che credo in te. E nel tuo intuito… Nel peggiore dei casi… verremo assaliti da un’orda di macchine assassine…”.

“O arrestati da soldatacci in armatura…”.

“O cadremo nei fiumi di lava…”.

“Oook…”, canzonò, preda di una certa inquietudine. “Sarà pericoloso. Messaggio ricevuto…”.

    Copper Head si avvicinò a lui e lo fissò intensamente negli occhi.

Dust si sentì nuovamente in soggezione.

Entrambi si rivolsero quindi all’Inanimus sorridente.
“E poi…”, concluse Copper. “Ammetto di essere curiosa a mia volta… di poter scoprire… se si può parlare con queste creature”.

“Spero solo che anche gli altri Inanimus si dimostrino… uh… ricettivi come l’ultimo…”.

“Cos’è?”, gli chiese scherzando. “Ora inizi improvvisamente a vacillare? Sembravi così sicuro!”.

“Non è quello… è  che…”, spiegò, immusonendosi appena.

Ammirò nuovamente il costrutto sorridente e i suoi occhi arancioni.


“Spero solo… che Novarius si stesse sbagliando…”.

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Capitolo 7
*** Oriri ***


    “Sei sicura che questo sia il modo migliore per avvicinarci indisturbati…?”, domandò Silver sottovoce, muovendosi impacciatamente nel cunicolo sotterraneo. I suoi zoccoli trottavano in un sottile strato di acqua sul terreno, sollevando qualche spruzzo e producendo rumore di schizzi.

Era buio e non ci vedeva quasi nulla, fatta eccezione per l’amica davanti a lui: le piccole fessure della sua corazza emanavano un’accennata tonalità azzurra. Si stavano immergendo sempre di più nelle profondità di una stretta caverna rocciosa.

“Fidati”, lo rassicurò, continuando a spostarsi con decisione. “Uso spesso questi passaggi per giungere alle miniere”.

“…e perché lo fai?”.

“Per prendere… cose che mi servono”.

“E non ti hanno mai scoperta?”.

“Quasi mai”.

“…quasi?”.

“Oh senti!”, si voltò rabbiosa. “Ti fidi di me o no?? Io mi sto fidando di t…”.

“Ok! Ok!”, blaterò preoccupato. “Scusa, sono solo un po’… agitato…!”.

“Beh se sei agitato ora…”, commentò riprendendo a camminare, “allora non so come sarai quando entreremo in un formicaio di macchine animate…”.

Dust continuò a seguirla, deglutendo un bolo di saliva.

Dopo svariati minuti di marcia, i due giunsero al termine del cunicolo. Quest’ultimo conduceva ad una seconda grotta, ancor più grande e profonda della precedente. Anche in questo caso, era tutto praticamente buio.
Copper si sporse con attenzione dal buco ed evocò una luce molto debole. Controllò in entrambe le direzioni e poi fece cenno a Dust di uscire a sua volta.

Il puledro indossava una corazza molto simile a quella dell’amica. Era però meno raffinata e decisamente più pesante. Doveva sicuramente trattarsi di una versione abbozzata rispetto al modello definitivo. Possedeva tuttavia anche lei svariati ingranaggi che ruotavano, nonché ali ripiegate ai fianchi. Non vi era nessuna luce a pulsare al suo interno.
“Siamo… siamo nelle miniere?”, domandò, a metà tra l’impaurito e l’incuriosito.

“Shh!”, lo ammonì.

“Scusa…”.

“Sì. Siamo in una delle miniere”, gli spiegò con sguardo circospetto. “Più precisamente siamo nella miniera in cui è avvenuto… l’attacco a mio fratello”.

“…ah…”.

“Sì. L’ho scelta perché c’è stato un assalto recente. E inoltre… l’entrata principale è ancora sigillata da un cumulo di macerie. Non le hanno ancora rimosse. Quindi dovremmo essere… relativamente isolati”.

“Relativamente?”.

“…tu sai come facciano gli Inanimus a colpirci?”.

“Uh… non proprio”.

 

La puledra intensificò la luce e prese a camminare lentamente per la caverna, superando una serie di impalcature che ne rafforzavano la struttura minerale. Silver si incollò a lei.

La luce proiettò un insieme confuso di ombre in tutte le direzioni, derivanti da stalagmiti e stalattiti disperse un po’ ovunque. L’effetto era alquanto inquietante.

Gli zoccoli dei due presero a risuonare lungo le pareti, unitamente al riverbero delle loro voci. Nonostante cercassero di parlare sottovoce, era praticamente impossibile non farsi udire.

 

“Loro… pare siano in grado di scavare vie secondarie e di sbucare un po’ dove desiderano”.

“Davvero?”.

“Sì. Fanno il loro ingresso da budelli striminziti, in cui un pony soffocherebbe o impazzirebbe di claustrofobia. Il fatto è che loro pare non abbiano timori. E di certo non possiedono un metabolismo respiratorio… e ciò li rende… tremendamente efficaci nello scavare e nel mostrarsi in luoghi impensabili”.

“E non avete mai cercato di inseguirli lungo questi fori che praticano?”.

“Chi sarebbe così pazzo? E poi provengono dalle profondità del vulcano, dove le temperature sono proibitive”.

“Capisco…”.

“Inoltre non tutti lo sanno… ma queste gallerie si estendono non solo nelle miniere ma anche nei settori residenziali”.

“Non lo avrei mai detto…”.

“Già. Certe volte gli abitanti spianano una zona e ci gettano le fondamenta per costruire, solo per scoprire che un attacco li costringerà ad abbandonare la zona e edificare da un’altra parte. E lo stesso avviene con le tubature che convogliano il vapore. Certe volte devono fare delle deviazioni forzate alquanto assurde o incrocerebbero una di quelle vene sotterranee. Idem per gli enormi meccanismi ad ingranaggi che regolano il pulsare della città. Gli abitanti non lo sanno… ma tutto avviene in funzione di dove gli Inanimus si palesano”.

“Non sapevo fosse un problema così… vasto”.

“Te l’ho detto. Ci sono molte cose che non sai di Mechanus. Sono tutti molto attenti a quali notizie far trapelare dalle proprie bocche…”.

 

I due continuarono a camminare per decine e decine di minuti, entrando sempre più in profondità nella miniera.

Dust vide diverse attrezzature da scavatore abbandonate alla rinfusa, nonché evidenti segni di battaglia e pezzi di Inanimus sparsi in giro.

“D’ora in poi… stiamo attenti…”, lo avvertì Copper, facendosi ancor più cauta.

“O… ok”.

 

    Dopo quasi un’ora di monotono cammino, la temperatura iniziò a salire e un vago odore di zolfo penetrò nelle loro narici.

“Siamo sempre più vicini al nucleo del vulcano…”, dichiarò Copper.

Silver si fermò un attimo, con il fiato accelerato. Non sapeva se era per l’agitazione o per l’ossigeno che iniziava a scarseggiare.

Copper si accorse della sua sosta e lo raggiunse.

“Scusa… scusa Copper… dammi solo un minuto…”.

“Mh…”, mugugnò l’amica, mettendogli le zampe al petto.

Dust ebbe un sussultò: “E-ehy!! Ma che fai??”.

L’inventrice estrasse una bocchetta con cavi e la infilò sulle narici dell’amico, senza troppi riguardi.

“AHIO!!”, protestò, con voce nasale.

“Vuoi far silenzio?”.

“Mi hai ficcato un coso nel naso, scusa! Che roba è??”.

“È un ossigenatore. Ti farà respirare senza problemi per un po’”, disse, riprendendo poi la marcia.

“Un… ossigenatore…? Tu… uh… tu non ne hai bisogno?”, chiese.

“No. L’ossigenazione mi arriva direttamente in vena. Un po’ come il dispositivo di depurazione che hai visto in azione…”.

Silver continuava a stupirsi ogni volta di più del meraviglioso esoscheletro di Copper.

Proseguirono ancora per alcune centinaia di metri, finché il calore non divenne quasi insopportabile. Copper gli azionò quindi un secondo meccanismo della tuta, blaterando qualcosa sulle reazioni endotermiche. Dopo pochi minuti, Dust si sentì subito meglio.

Un leggero strato di condensa si formò sulle corazze di entrambi.

 

Giunsero infine ad un vicolo cieco.

    La caverna terminava con una serie di macchinari da scavo, che avrebbero dovuto proseguire nella creazione della galleria.

Tutt’attorno, quasi avessero appena tagliato una forma di groviera, erano presenti diversi fori oscuri, sia sulle pareti che sul soffitto o il pavimento.

I due scrutarono il fenomeno.

“Quindi…”, buttò lì il puledro, “…è da qui che gli Inanimus sono arrivati?”.

“Molto probabile”.

“Cavolo…”.

“E… direi che il nostro viaggio si conclude qui…”, ammise, voltandosi verso di lui.

“Cosa?”, protestò. “Perché?”.

“Cosa vuoi fare? Non vorrai mica metterti a strisciare in quegli anfratti angusti, vero?”.

L’amico non rispose e Copper, ancor più preoccupata, berciò: “…stai scherzando, sì?”.

“Beh, io…”.

“Non sai cosa ci sia lì dentro. E non c’è quasi aria. Le temperature sono sopra i cinquanta, forse sessanta gradi Celsius, come minimo…”.

“Ma… ho la corazza e…”.

“Quella corazza non è affidabile. E inoltre non le ho mai testate in questo tipo di ambienti…”.

“…c’è sempre una prima volta…”, dichiarò Silver, avvicinandosi ad uno dei fori.

“Dust! Per l’amor dei resistori! Non spingerti così oltre!”.

Ma il compagno era dannatamente convinto delle proprie azioni.

Controllò il pertugio, quindi si rivolse a Copper, con un sorriso.

“…tu che fai? Credo sarebbe meglio se tornassi a casa… Questa follia… è una MIA follia…”.

L’unicorno dai crini ramati sembrò pensarci un attimo e poi, sbuffando al soffitto, gli diede uno spintone e lo infilò nella stretta apertura.

 

“Muoviamoci, scemo…”.

 

*** ***** ***

 

    Silver Dust si ritrovò a strisciare tra le striminzite pareti che gli Inanimus avevano scavato.
Si faceva strada grazie alla luce sul corno ma, nonostante questo, il percorso era così angusto da creare un incredibile senso di claustrofobia.
Il materiale roccioso del tunnel era liscio e levigato. Con ogni probabilità si erano fatti strada nel terreno attraverso la magia, magari fondendo o distruggendo la materia solida.

Questo però non cambiava minimamente la situazione: Dust arrancava faticosamente.

L’aria, nonostante il respiratore e la tuta, era pesantissima ed estremamente calda. Gli occhi iniziarono a bruciargli, forse per via di esalazioni sulfuree o chissà cosa.

La sensazione di trovarsi immerso in un mare di roccia era terribile e più volte temette un attacco di panico improvviso.

Ma strinse i denti e tenne duro.
    Si mosse nei minuscoli budelli per un tempo che non riuscì a definire, dato che non vedeva l’ora di andarsene. E più si addentrava… più l’uscita non si palesava ai suoi occhi… più gli sembrava di immergersi in un universo cupo e silenzioso, da togliergli il fiato ai polmoni.

    Improvvisamente, uno strano rumore ribollente gli fece vibrare le orecchie.

Un piccolo lumino rossastro fece la propria comparsa in fondo al tunnel.
“C… cos’è?”, domandò col fiatone.

“…credo sia l’uscita…”, rispose Copper dietro di lui, anch’ella con il fiato corto.

“Sì ma… cos’è questo… rumore?”.

“Credo sia… il nucleo del vulcano…”.

“Siamo davvero così vicini al cuore?”.

“Magari è una vena di lava… Tu non puoi sentirlo, attraverso la corazza… ma ti assicuro che qui fa dannatamente caldo e l’aria è praticamente irrespirabile per via di combusti ed ossidi…”.

Uscire da un buco per finire nella lava non era di certo la prospettiva più allettante, per il puledro, ma Silver non ne poteva più di rimanere in quell’anfratto e così si affrettò ad andarsene.

Si avvicinò sempre di più al foro, continuando a strisciare, finché non fu in grado di emergere e lasciarsi cadere esausto al suolo. Copper lo seguì subito dopo.

Ci volle qualche secondo prima che i due si riprendessero e capissero dove fossero finiti.

Ciò che apparve ai loro occhi li lasciò con ancor meno fiato nei polmoni.

 

    Una enorme caverna si stagliò d’innanzi ai due, disseminata di formazioni cristalline mastodontiche, che rilucevano di tenue luce azzurra.

Il bagliore azzurrastro era però contrastato dal rossore della lava che scorreva in una voragine sotto i loro zoccoli.
Il magma incandescente si muoveva lento, come un denso fiume di melassa rovente, e provocava quel rumore cupo e sordo che i due avevano udito un attimo prima.

Svariate protuberanze rocciose creavano un intricato sistema di ponti sospesi a diverse altezze, che mettevano in comunicazione numerose grotte e strettoie. Non si trattava di strutture artificiali ma bensì di curiose conformazioni naturali irte di stalattiti e sporgenze.

La coppia, persino con l’armatura addosso e i respiratori, si rese conto del calore proibitivo che vigeva in quel luogo. L’aria era così satura di sostanze irritanti da costringerli a stringere gli occhi e lacrimare di tanto in tanto.

Nonostante quello, il luogo era assolutamente spettacolare e incredibilmente singolare.

Copper e Dust iniziarono a camminare lentamente lungo il bordo del crepaccio, con le bocche spalancate e il capo che ruotava in tutte le direzioni.
“…è… è…”, farfugliò Silver.

“…è pazzesco…”, continuò Copper.

La sensazione di meraviglia, tuttavia, durò poco.

Mossi i primi passi, un tintinnante rumore metallico iniziò a rimbombare nelle grotte disseminate lungo le pareti.

Gli ingranaggi di Copper salirono immediatamente di giri e la puledra si guardò attorno con volto pronto ad ogni minaccia.

“A-aspetta!”, la ammansì Dust, mettendole una zampa sulla spalla. “Non… non agire in modo impulsivo!”.

“Non sto agendo in modo impulsivo”, dichiarò con tono lapidario, senza perdere la concentrazione. “Voglio solo… essere pronta al peggio…”.

 

E il “peggio” arrivò.

 

    Un vero e proprio esercito di Inanimus iniziò a fuoriuscire dai grossi fori oscuri.
I loro occhi rilucevano come sciami di lucciole. I loro corpi avanzavano lenti, cigolanti e implacabili. Alcuni di essi fusero istantaneamente le rocce limitrofe e crearono altri spiragli da cui palesarsi.
Agli occhi dei pony in carne ed ossa, sembrò un gigantesco e brulicante formicaio vivente… o quasi.
I ponti si riempirono di macchine animate, quasi tutte identiche tra loro se non per graffi e bozzi sulla carena esterna. Altri marciarono fino agi intrusi, facendo rapidamente cerchio attorno a loro.

Copper cercò di non perdere la calma. Non poteva tuttavia lasciare che gli Inanimus, senza conoscere le loro intenzioni, li circondassero impuniti.
Lo sguardo dell’inventrice si fece rabbioso. Con un rapido colpo di zoccolo all’altezza del collo, colpì uno degli insetti che fungeva da spallaccio. Quest’ultimo aprì le proprie elitre ed iniziò ad emanare un’intensa luce azzurra.

“C-che stai facendo??”, esclamò preoccupato l’amico.

Per tutta risposta, Copper carico un’impennata e sbatté violentemente la zampe a terra. Alcune placche sulla corazza si aprirono, emanando una sfera di luce e producendo un boato fragoroso.

Il cuore pulsante della tuta iniziò ad espandere energia sotto forma di lingue lucenti. Si formò anche un’enorme corrente d’aria, che aveva come epicentro il pony color creta. I crini di entrambi iniziarono a vibrare mossi dal vento, che produceva inoltre un sibilo costante.
L’impatto sembrò in qualche modo atterrire gli Inanimus, che si fermarono.

“COPPER!!”, urlò Dust. “CHE STAI FACENDO??”.

“MISURE PREVENTIVE!!”.

“Non dobbiamo minacciarli!”.

“Infatti non li sto minacciando!”, asserì con decisione, rimanendo con le zampe puntellate a terra e controllando attentamente che nessun costrutto compisse mosse avventate. “Mi sto difendendo dalle LORO, di minacce!”.

“M-ma… cosa stai facendo? Cos’è questo… potere??”, domandò, proteggendosi il volto con una zampa.

“Ti ricordi il discorso sui blocchi di depotenziamento che ho messo nella corazza?”.

“Sì!”.

Gli Inanimus, intanto, sembravano essersi fermati e li scrutavano in silenzio.

“Beh… ce ne sono quattro. Ora ne ho sbloccato uno…”.

Dust non riuscì a crederci.

Tutto quel potere… derivante da un quarto delle potenzialità complessiva dell’esoscheletro?

 

“O-ok… ma… cosa facciamo adesso?”.

“Se si avvicinano li sbriciolo, ecco cosa!!”.

“A… aspetta! Prima fammi tentare… un contatto…”.

L’idea non sembrò andarle a genio ma, dopotutto, erano giunti fin lì proprio per quello.

“Mhf. Beh, provaci. Ma se non funziona… io li uso come pentole di scorta per cucinarci gli spaghetti…”.

“Fammi… fammi provare…”, buttò lì, molto insicuro di sé.

Silver Dust controllò la schiera di Inanimus che li stavano fissando e sentì il sangue raggelarsi nelle vene, nonostante l’alta temperatura ambientale. Copper, intanto, continuava ad emanare potere e a controllare i dintorni con circospezione. Era davvero pronta a reagire, se solo le avessero dato un preteso.
La situazione era molto tesa. Non poteva permettersi errori.

Con estrema delicatezza, mosse qualche passo in avanti e poi invocò potere sul corno. La sacca a tracolla si aprì e l’arto metallico fuoriuscì lentamente, iniziando a fluttuare d’innanzi a lui.

L’amica lo osservò, non sapendo se il “piano” avrebbe funzionato o meno.
Il volto di Silver divenne quindi serio e concentrato.

Prese a muovere ritmicamente l’oggetto, probabilmente cercando di comporre qualche tipo di discorso.

Gli Inanimus, con sua terribile sorpresa, non parvero rispondere.

Cercò di calmarsi. Riformulò mentalmente il discorso e lo tradusse in suoni. Mosse l’arto.

Nessuna risposta.

“Dust?”, chiese retoricamente Copper, che temeva avrebbero attaccato da un momento all’altro. “Sbaglio o sta facendo cilecca?”.

Il puledro ci riprovò ancora e, questa volta, decise di aggiungere qualcosa di nuovo.

Il tentativo sembrò sortire qualche risultato.
Dalla massa di Inanimus, uno di essi, perfettamente identico agli altri, avanzò lentamente verso di lui.

“DUST!!”.

“Shh!”, la zittì l’altro.

La macchina parve quindi emettere dei cigolii quasi impercettibili.

Silver corrugò la fronte.

“…Copper…”.

“Cosa?”.

“Copper… puoi… fermare quel potere che stai emanando? Non capisco cosa cerchi di dirmi…”.

“COSA?? Stai fresco se io…”.

“Copper!”, ripeté, con volto sincero, voltandosi verso di lei. “Ti prego… fidati di me…”.

“Ma…”.

“Prova a fidarti… mi stanno ascoltando!”.

“Lo sai che se ti stai sbagliando allora siamo morti entrambi??”.

“Non succederà…”.

“Come fai a dirlo??”.

“Non succederà e basta! Fidati… ti prego…”.

Copper dovette pensarci a lungo e le sembrò un’emerita follia. Alla fine si decise e, con estrema riluttanza, placò il bagliore dal suo petto. La corazza e l’insetto richiusero le lamiere.

Gli Inanimus non mossero un solo ingranaggio.
Dust prese quindi ad ascoltare con attenzione i cigolii del costrutto d’innanzi a sé, ribattendo con alcuni cigolii della zampa che si era portato dalla superficie.

Copper non ci stava capendo nulla; sentiva solo una miriade di rumori e si sentiva vulnerabile come non mai, in quella situazione.

Il curioso “dialogo” proseguì per svariati minuti e, alla fine, così come erano arrivati, gli Inanimus se ne andarono. Si allontanarono tuttavia con estrema calma e pacatezza, come se non vi fosse alcuna urgenza. Solamente il costrutto vicino a Silver Dust rimase al proprio posto e si limitò a ruotare verso una delle tante uscite a disposizione.

Copper, ancora confusa, si avvicinò al compagno, notando come il suo volto fosse semplicemente esterrefatto.

    “Uh… Dust?”, gli domandò, riportandolo alla realtà.

L’altro scosse il capo: “Eh… uh?”.

“Che diavolo… è successo? Si può sapere?”.

“I-io…”.

L’Inanimus di prima iniziò quindi a camminare verso una grotta.

“Ah!”, esordì Dust. “Vieni con me! Seguiamolo!”.

“Cosa?? Seguirlo? Dove?”.

“Seguiamolo!!”, ripeté, trotterellando verso il costrutto e facendole cenno di andare con lui.

“TU SEI MATTO!!”, ribadì la compagna. Lo raggiunse. “Mi spieghi che diamine sta succedendo?? Perché all’improvviso ti hanno ascoltato? Cosa hai detto loro? Di che cavolo avete parlato?”.

“Io…”, le spiegò, mentre continuavano a camminare dietro la nuova guida, “…cioè… mi hanno ascoltato quando ho detto loro come mi chiamavo…”.

“…come, scusa?”.

“…te lo giuro…”.

“Cos’è? Saresti una sorta di VIP presso gli Inanimus?”.

“Come no. In verità… ho il sospetto che queste macchine non siano in realtà un insieme di organismi… ma… bensì… una specie di coscienza collettiva…”.

“…una mente alveare?”.

“Non lo so. Ma, secondo me, loro sapevano del mio nome… poiché lo dissi all’Inanimus nel laboratorio di Novarius”.

“…molto interessante, Dust… ma ora si può sapere perché seguiamo questo barattolo ambulante??”.

 

    L’Inanimus si addentrò in una delle caverne e i due continuarono a seguirlo.

Sarebbero dovute essere buie ma le continue conformazioni cristalline luminose aiutavano a mantenere il tutto immerso in una delicata luce azzurra.

Lungo alcune pareti, degli Inanimus stavano fondendo sezioni di roccia col corno, da cui estraevano minerale grezzo liquefatto dalla loro stessa magia.

Copper li osservò perplessa, quindi tornò a discutere con Dust.

“Beh??”.

“Io… io ho cercato di comunicare con loro. Gli ho spiegato… che venivamo in pace… e che volevamo solo parlare…”.

“Eh. Poi?”.

“Poi… ho cercato di fare più domande possibili. Per lo più mi hanno ignorato… Nel senso… Mi hanno ribadito che agiscono per la conservazione…”.

“Fammi indovinare?”, domandò, come annoiata. “La conservazione della nostra… uh… fiamma vitale…”.

“…sì”.

“E ti pareva…”.

“E poi… mi hanno parlato di un pericolo. Un pericolo di… di annientamento…”.

“Annientamento?”.

“Già… Pare che un pericolo di annientamento minacci di spegnere le nostre fiamme vitali…”.

“Ma che pericolo?”.

“Non… non sono riuscito a capirlo… O forse non me lo hanno voluto dire…”.

“Fantastico… E ora dove stiamo andando?”.

“Mi ha chiesto di seguirlo… poiché c’è una cosa che deve consegnarmi…”.

“…non mi piace per niente questa situazione…”, concluse amaramente Copper, osservando con diffidenza gli Inanimus che lavoravano attorno ai due.

 

    L’inventrice e l’unicorno color lilla continuarono a proseguire all’interno delle vie scavate nel vulcano.
Gli Inanimus erano tutti indaffarati a muoversi accanto a loro, ignorandoli completamente.
La pareti rilucevano di cristalli o per via del calore della lava semisolida che fuoriusciva da alcune crepe nella roccia.

Si stavano palesemente avvicinando al centro ribollente del vulcano e le armature faticavano a raffreddare i propri occupanti, che iniziarono a sudare copiosamente.

“Dust”, riprese l’amica. “Non abbiamo la più pallida idea di dove stiamo andando… Potremmo finire nel bel mezzo del magma, per quanto ne sappiamo… E non abbiamo garanzia su questi Inanimus”.

“Se avessero voluto ucciderci”, le rispose Silver, asciugandosi il sudore sulla fronte, “non credi che lo avrebbero già fatto?”.

“Se non ci uccidono loro, allora lo farà questo posto. Le corazze sono al limite e non pensare che continuino a fornirti ossigeno respirabile troppo a lungo…”.

“Ok…”, continuò, percependo l’aria nei polmoni farsi pesante. “Ma… siamo… cioè… siamo così vicini…”.

“Vicini a cosa? Siamo più confusi di prima. Stiamo solo seguendo un coso metallico in mezzo ad un vulc…”.

La coppia voltò uno dei tanti angoli che aveva percorso, sbucando questa volta in una sorta di grotta verticale, la più ampia e grandiosa che avessero visto fin ora.
L’intera struttura naturale si estendeva verso una cima troppo lontana per essere scorta. Dal fondale, su cui scoppiettava un enorme lago di lava, si sollevava una scura colonna di fumo grigio.

Schizzi di lava e lapilli si muovevano dal basso verso l’alto, fino quasi a raggiungerli, per poi essere richiamati dalla forza di gravità e far ritorno alla polla incandescente. Produceva un costante rumore simile ad un pentolone sul fuoco.

Il foro da cui erano emersi permetteva di camminare ancora lungo una sporgenza rocciosa, ampia qualche decina di metri quadri. Sulla punta di quest’ultima, a precipizio verso la lava, si ergeva una conformazione cristallina, come tante ne avevano incrociate prima. Una curiosa placca di metallo incisa era però stata incastonata nel minerale. Accanto alla parete rocciosa dietro di loro erano infine state appoggiate le due metà di uno grosso stampo, alto poco più di loro e largo altrettanto.

“…cos’è questo posto?”, domandò Copper.

L’Inanimus si fermò, mettendosi quindi ad osservarli in silenzio.

Dust percepì il calore farsi quasi insopportabile. Il bagliore della lava che schizzava verso di loro era inoltre estremamente fastidioso, senza contare le esalazioni irritanti che lo facevano lacrimare.
Si avvicinò alla lastra di metallo, cercando di proteggere il volto dal calore rovente, tramite una zampa sollevata.

“Dust!!”, lo richiamò l’amica, senza muovere un altro passo. “Fermati! C’è troppo calore!”.

L’altro la ignorò.
Quando fu sufficientemente vicino alla targhetta, notò alcuni segni molto simili a quelli che lui stesso aveva ideato durante la compilazione dell’alfabeto per i costrutti animati.

La lesse rapidamente, dovendo poi retrocedere verso Copper, che lo sostenne un attimo prima che crollasse a terra.

“DUST!!”, urlò preoccupata. L’amico scosse il capo e si riprese quasi subito. “Dust! Stai bene??”.

“S… sì…”.

“TU SEI TUTTO SCEMO!!”, gli inveì contro.

“Dovevo leggerla…”.

“Spero almeno che ne sia valsa la pena! Stupido scemo!”, borbottò innervosita.

Silver portò l’attenzione sullo stampo.
“Quella targhetta…”, sussurrò, con sguardo perso verso i due oggetti.

“…cosa?”.

“Quella placca… C’erano… delle scritte incise su di essa… assieme alla figura stilizzata di una creatura equina…”.

Copper non seppe cosa dire e rimase in silenzio.

“Parlavano… di nuovo di una sorta di Creatore… di Primordiale. Pare sia qualcuno che ha avuto la possibilità di… di forgiare gli Inanimus come li conosciamo ora…”.

“Insomma… sarebbe il pazzo che ha creato queste macchine assassine?”, domandò incattivita.

“Io… io non lo so. Ma… chiunque abbia scritto o inciso quelle immagini… cioè… capisci, Copper??”.

“Cosa dovrei capire?”.

“Che… che queste macchine sarebbero in grado di… di scrivere… e di comporre immagini in un certo senso… artistiche…”.

“Ah. Perfetto”, rispose scocciata, sollevando le zampe in aria. “Siamo di fronte a un esercito di artisti metallizzati pronti a ridurci in briciole”.

“Dico che possiedono una… una forma di creatività… Che bisogno avrebbero di scrivere? O di riportare queste cose su una lastra?”.

“Non capisco dove vuoi arrivare…”.

“Copper!”, rafforzò, cingendola per le spalle. “Significherebbe che queste… macchine… non sono solamente dei costrutti privi di… di…”.

“…di cosa? Di anima?”, chiese reticente.

“Io… io non lo so…”.

“Bah…”, bofonchiò. Si rivolse quindi ai due stampi. “E quella roba?”.

“Io… io credo che quello sia… lo stampo che ha prodotto il primo Inanimus. Ne accenna qualcosa, sulla targhetta. Lo chiama… il Primogenito”.

“Tutto questo è molto interessante, Dust, ma non stiamo scoprendo un bel niente!”, lo interruppe rabbiosa.
    L’Inanimus accanto a loro fece quindi brillare il corno e un frammento dei minerali attorno alla targa si staccò; era grosso quanto una mela. Glielo porse tramite la levitazione.

Copper lo guardò con sospetto, mentre Silver lo accolse delicatamente tra le zampe.
Una sensazione inconfondibile fece intuire alla coppia come si trattasse di qualcosa di magico.

“Sembra…”, buttò lì Dust.

“…è un frammento di… cristallo mnemonico”, spiegò Copper. “Un GROSSO frammento di cristallo mnemonico. Li uso spesso… e lo riconoscerei tra mille”.

Dust osservò l’Inanimus, quindi si voltò di nuovo verso la compagna.

L’altra scosse il capo: “Ah no… Non ci pensare nemmeno!”.
“Ma…”.

“Dust!!”, lo mise in guardia con serietà, ponendo gli zoccoli di lei accanto ai suoi. “Ora non esagerare! I cristalli mnemonici possono essere pericolosissimi, specialmente se così grossi!”.

“…cioè?”.

“Non sai cosa ci sia lì dentro! Non sai la mole di… di… informazioni che quel coso può custodire! Potrebbe riversartele in testa come un fiume in piena e friggerti il cervello!”.

“E perché dovrebbe?”.

“SANTO CIELO, DUST!!”, urlò, realmente adirata. “Cosa vuoi fare, mh?? Fino a che punto vuoi spingerti, prima che sia troppo tardi…?”.

“Io…”, borbottò l’altro, con volto incerto quanto sincero, “…io devo… io devo sapere…”.

La fissò intensamente, finché l’espressione arrabbiata sul muso della puledra non crollò, sostituendola con una di sofferenza.
Dust la abbracciò improvvisamente, cogliendola impreparata.

Le diede un bacio sulla guancia e, ad occhi chiusi, le sussurrò: “…io devo… VOGLIO sapere… Perdonami…”.
Con quella frase, la allontanò con un leggero spintone e un filo luminoso fuoriuscì dal corno, connettendosi direttamente col cristallo.

“DUST!!”, strillò il pony creta, allungando una zampa verso di lui. Ma sapeva bene che era pericolosissimo interrompere un collegamento mnemonico, una volta avviato. Era troppo tardi per fermarlo, ormai.

 

    La mente del puledro venne invasa da una quantità incalcolabile di locazioni e scene assolutamente assurde e oniriche.

Una rapidissima sequenza di immagini si susseguì nel suo cervello, causandogli uno spaesamento assoluto.

Voci lontane…
Antiche…
Confuse…
...si mescolarono tra loro e risuonarono in lui.

Volti fugaci.
Occhi.
Figure dalle parvenze equine.
Strane sensazioni e rumori.

 

Quindi accadde.

Un flash improvviso lo bloccò in una sorta di ricordo specifico.

Silver si ritrovò nel buio più assoluto.

Udì uno scatto ed una sorta di lastra si allontanò dai suoi occhi. Era come se fosse stato seppellito in un loculo verticale e qualcuno lo avesse appena scoperchiato.

Di fronte a lui, si palesò una grotta farcita di fiammelle danzanti.
Una strana figura lo stava osservando, con volto appena sorridente.

Si trattava di un alicorno dal manto blu e folta criniera verde smeraldo.
Possedeva un fisico slanciato ed asciutto.
I suoi occhi azzurri, privi di pupilla, lo osservavano con espressione quasi intenerita.

Dust si sentì stranissimo, come se le sensazioni che provava dentro di sé fossero difficili anche solo da interpretare.

L’alicorno continuò a guardarlo, sempre sorridendo.
Decise infine di parlare.


Utilizzò parole arcane, che rimandavano ad un passato lontano e assolutamente sovrannaturale. Una lingua di chissà quante migliaia di anni fa. Silver non seppe come riuscì a comprenderla. Ma ce la fece.

“…tu sarai il primo.
Sarai la mia creatura.
La mia Essenza scorre in te.

Non so cosa accadrà.
Ma tu vivrai per me.
In questo luogo di eterna segregazione…
…continuamente coinvolto nell’arte creativa…
…tu sarai invece il mio alito vitale”.

La grotta, attorno all’alicorno, parve tremare e sbriciolarsi letteralmente in una sabbia finissima.

 

L’essere millenario sembrò sul punto di piangere per la commozione.
Allungò una zampa verso il volto di Dust, che non poteva sapere chi stesse impersonando, e parve accarezzarlo. L’alicorno si voltò e parlò con qualcuno nell’ombra. Silver non capì le sue parole e non vide chi fosse. La creatura alata tornò quindi con l’attenzione su di lui.

“Il Nuovo Mondo sta per nascere.
E tu nascerai con esso.
…sarai il piccolo sassolino che si infila in un meccanismo perfetto…
…chissà cosa sarai in grado di fare…”.

Anche il corpo dell’alicorno prese a dissolversi come sabbia al vento.
Il suo viso gentile fu l’ultima cosa a sparire, poco prima che una lacrima ne solcasse la guancia.


“…chissà… quanta luce potrà portare in questo mondo…

 

…la tua fiamma?”.


Ci fu un altro flash e la mente di Silver venne investita da una mole incalcolabile di informazioni, simili ad un linguaggio matematico che gli penetrò nella mente come un ago acuminato.

 

    Silver Dust rinsavì all’improvviso, cadendo rovinosamente a terra.
Era di nuovo nel vulcano e il cristallo gli scivolò dagli zoccoli.
Copper corse immediatamente verso di lui, assolutamente spaventata.
“DUST!!”.

L’altro rispose con un verso di dolore e si portò gli zoccoli alle tempie.
“DUST!! CHE CAVOLO TI AVEVO DETTO?! BRUTTO STUPIDO!!”.

L’amico cercò di rimettersi sulle quattro zampe, barcollando in modo evidente.
“I… io… Ah… La mia… la mia testa…”.

“SCEMO! IDIOTA!! IMBECILLE!!”, lo apostrofò, dandogli dei colpi sulle spalle.

“Ho… ho capito… Ma così non mi aiuti…”.

“…scemo…”, concluse, perdendo sempre più foga ed energia.

I due si presero qualche secondo di pausa. Le tute stavano lavorando al massimo e l’aria dei respiratori diveniva sempre più viziata. Non avrebbero potuto attendere oltre.
Dust si aggrappò per un istante alla compagna, cercando di non perdere l’equilibrio, quindi osservò l’Inanimus; la macchina, per tutta risposta, lo scrutò con i suoi occhi luminosi, quindi emise una serie di cigolii. Si bloccò e non si mosse più.
“…Dust?”, gli chiese titubante Copper. “Che cosa… che cosa ha detto? Che cosa c’era in quel cristallo?”.

Silver le rivolse un muso preoccupatissimo, quindi sollevò il cristallo mnemonico e lo mise al sicuro in una tasca dell’esoscheletro.
“Io ho… avuto delle visioni…”.

“…e fin qui…”.

“Ho visto… credo… l’atto di creazione del Primogenito. Cioè… io…”. Il puledro sembrava decisamente esausto e scosso da tutto ciò che stava provando, sia mentalmente che fisicamente. “Io… penso fossi il Primogenito… ed ho visto… il Creatore…”.

“Il Creatore…? E… chi sarebbe?”.

“…era un ricordo molto indistinto… ma rimembro un volto che mi sorrideva…”.

“E poi?”.

“Poi… tutto è collassato. E il ricordo si è interrotto… Una sequenza spaventosa di numeri mi è arrivata in testa…”.

“Numeri?”.

“Sì… Mi ha ricordato… i cristalli mnemonici che hai usato per i tuoi piccoli insetti. Con la differenza che era… cento… mille volte più complicato dei tuoi algoritmi. È come… se una forma di intelligenza sia stata incisa in questo cristallo… sotto forma di numeri ed espressioni”.

Copper corrugò la fronte: “…come sarebbe a dire?”.

“Intendo dire…”, cercò di spiegarle, “…che è come… se in quel cristallo sia presente un qualche tipo di… di intelligenza euristica… Potrebbe essere un frammento della mente collettiva degli Inanimus…? Non saprei…”.
“Lo hai interpretato? Sei sicuro di quanto stai dicendo?”.

“No, nel modo più assoluto”, confessò, asciugandosi nuovamente la fronte dal sudore. “È troppo… complicato. Troppo… assurdo per i miei canoni… Sembra fuoriuscito da qualcosa che non…”.

“…che non…?”.

“Che non dovrebbe appartenere a questo mondo…”.

La coppia fissò l’Inanimus.

“…e lui cosa ti ha detto?”, riprese la puledra.

Silver divenne improvvisamente irrequieto.

Scrutò l’amica con occhi preoccupati, quindi le chiese: “…tu… sai se a Mechanus… c’è qualche sistema che controlli i meccanismi della città?”.

“…come, prego?”, cercò di capire.

“Intendo… se c’è… un qualche tipo di nucleo centralizzato… un… una sorta di… cuore della città…”.

Copper si sfregò nervosamente il dorso del collo: “…beh… effettivamente c’è la stazione centrale che regola tutte le condotte e gli ingranaggi della megalopoli. È un complesso sistema costituito da cristalli mnemonici, meccanismi complicati e un sacco di supervisione da parte di tecnici specializzati”. L’unicorno creta sembrò quindi impensierirsi. “…Dust…”, gli sussurrò.

“Sì?”.

“…perché me lo chiedi? A cosa ti serve saperlo?”.

Il compagno fece un profondo respiro: “…questo… Inanimus… mi ha chiesto di inserire il cristallo mnemonico che mi ha consegnato… nel cuore della città…”.

“…stai scherzando, vero?”.

“No”, rispose con sincerità.

Un ghigno divertito si dipinse sul muso di Copper: “E tu non vorrai mica…”. Dust ricambiò con un altro sorriso accennato, cosa che la rese improvvisamente seria. “Dust… ti prego… non scherzare…”.

“Io…”.

“Senti”, dichiarò lapidariamente. “Siamo venuti qui… in mezzo ad un vulcano… Ok. Te lo concedo… Avevi ragione. Sei riuscito a comunicare con questi costrutti… Hai… hai scoperto che non ci sono totalmente ostici. Va bene. Ma… Fermati. Fermati un secondo e rifletti su quanto potrebbe accedere…”.

“E cosa potrebbe accadere?”.

“Non lo so!”, sbottò. “È questo il punto! Se inserisci quell’affare nel nucleo cittadino… chissà quale disastro potrebbe accadere! Non hai la più pallida idea di cosa significhi quel codice che vi è inciso! Per quanto mi riguarda potrebbe essere un tentativo da parte di queste macchine di usarti per i loro scopi”.

“L’ho preso in considerazione. Non sono così stupido…”.
“E allora perché?!”, continuò, agitandosi sempre di più. “Perché continui a fidarti di queste… di queste… COSE??”.

Dust fissò l’Inanimus di rimando. Riconobbe la luce azzurra nei suoi occhi. La stessa luce azzurra che possedeva il pony metallico nel laboratorio di Novarius, subito prima di spegnersi.
“Io… io non ho detto che… quello che lui vorrebbe… però…”.

Il puledro sentì un bruciore alla gola e tossì alcune volte.

“PERO’ UN ACCIDENTE!!”, ruggì Copper, afferrandolo per una zampa e cominciando a strattonarlo verso la strada del ritorno. “Andiamocene. O qui ci rimaniamo secchi entrambi…”.

“O… ok…”, concordò.

 

I due iniziarono a ripercorrere la strada a ritroso, cercando di affrettare il passo.

Dust, un istante prima di abbandonare la caverna con il cristallo, si girò un ultima volta verso l’Inanimus all’imboccatura.

Due lumini azzurri furono l’ultima cosa che vide.

 

    Gli unicorni galopparono frettolosamente, strisciando poi nei piccoli anfratti da cui erano giunti. Si ritrovarono nella caverna scura e, quando sentirono l’acqua di nuovo agli zoccoli, capirono che erano prossimi all’uscita.
Il ritorno fu così faticoso che persero la cognizione del tempo. Potevano averci messo svariati minuti come una manciata di ore. Desideravano solamente uscire da quegli spazi angusti e tornare a respirare aria pulita.
    Emersero dall’ultima grotta e si ritrovarono in uno spiazzo tra le miniere, con il cielo prossimo all’alba sopra le loro teste. La frescura li invase come un’ondata di sollievo.
Erano sudati fradici e col fiatone.

Dust si strappò il respiratore dal muso e cascò a terra, ansimante.

Copper respirava affannosamente ma riuscì a rimanere in piedi.

Le criniere di entrambi penzolavano bagnate verso terra.

Erano letteralmente esausti.

Ci vollero parecchi minuti prima che riprendessero a respirare regolarmente.

Il puledro si issò sulle zampe e fissò Copper negli occhi. Avrebbe voluto dirle qualcosa ma l’espressione terrorizzata che vide in lei lo fece desistere. Si voltò lentamente.

Tre soldati in armatura, ad armi sguainate e corni colmi di potere, li tenevano sotto tiro.

I giovani pony avevano atteso troppo. O erano semplicemente incappati in una ronda mattutina.

“FERMI!! NON MUOVETEVI!!”, sbraitò uno dei tre.

“EHY!”, aggiunse un altro. “Guarda i loro corpi!! Sono pieni di ingranaggi!”.
“Sono degli Inanimus??”.

Copper e Silver alzarono lentamente gli zoccoli al cielo.
La puledra emise un verso di rassegnazione.


“…perfetto”, disse sottovoce.

 

*** ***** ***

 

    Il mattino si aprì in modo piuttosto brusco per i due unicorni.
Erano reduci da una stremante nottata in un vulcano, che li aveva prosciugati di ogni energia. Non avevano nemmeno avuto il tempo di riposarsi, prima che le truppe dei Divites li catturassero e li conducessero presso l’enorme fregata volante; Dust, fin dal primo giorno che la vide, ne rimase completamente affascinato. Chissà come doveva essere all’interno? Non avrebbe mai immaginato di poterlo scoprire in prima persona…

La coppia venne fatta salire su una piccola chiatta aerostatica, che li trasportò fino alla colossale nave fluttuante.
Durante il tragitto, a nulla servirono le domande dei soldati e i ripetuti tentativi per togliere loro le bardature. Un militare si beccò addirittura una scarica elettrica da Copper, quando tentò di allentarle una delle tante cinghie che assicuravano la corazza al suo corpo.
Riuscirono ad impadronirsi di alcune scartoffie nelle borse del puledro e scoprirono come si trattasse dell’allievo di una Principessa. Riconobbero anche Copper e considerarono il suo legame di parentela con uno degli ufficiali. Decisero quindi di interrompere gli interrogatori e di portarli presso qualche pezzo grosso sulla nave.

Dopotutto… si trattava pur sempre di una faccenda molto delicata.

 

    Giunti a destinazione, vennero condotti tra i numerosi corridoi interni.
La struttura, agli occhi di Silver, apparve come un intricato quanto meraviglioso sistema di meccanismi e ponteggi. Non si trattava della tecnologia grezza e vetusta di Mechanus, bensì di una splendida opera ingegneristica rifinita fin nei minimi dettagli.
Le superfici sembravano lastre d’oro tirate a specchio. I sistemi a vapore erano raffinati e pulitissimi. Gli spazi inutilizzati erano stati abbelliti con intarsi e creazioni artistiche dal fascino retrò.
Ma la fregata rimaneva pur sempre una nave militare e, in contrapposizione alla bellezza dell’opera, spiccavano le spaventose bocche da fuoco e il gran numero di truppe che pattugliava i ponti. Arpioni, cannoni e altri strumenti d’offesa erano stati disposti lungo tutto il perimetro della chiglia, abbelliti con i soliti intarsi raffinati.
Raffinati strumenti di morte”, pensò Dust.

    Dopo una breve sosta presso una piccola sala degli ospiti, in cui ebbero l’opportunità di bere e recuperare un po’ le forze, vennero infine condotti in una grossa stanza circolare, piena zeppa di spalti lungo le pareti. Solamente le prime file erano occupate ed ospitavano una manciata di pony agghindati come militari decorati.
Al centro era stato collocato un grosso tavolo in legno farcito di sedie. Dal lato opposto al loro, ad attenderli con sguardo severo e gli zoccoli incrociati d’innanzi al muso, vi era il grigio Generale Steel Hammer. Dust notò immediatamente il suo vetusto arto meccanico.
Tutti puntarono gli occhi verso di loro, in silente attesa, mentre i soldati li conducevano proprio al centro della stanza, dove ognuno potesse vederli.

Solo in quell’istante la puledra si rese conto della presenza del fratello tra gli ufficiali: le sue orecchie creta si drizzarono e il volto, per qualche secondo, si accese di gioia.

L’unicorno bianco, tuttavia, sembrava piuttosto triste e cupo; la sua criniera era scompigliata ed indossava numerose fasciature, tra cui il gesso per una zampa.
Copper si chiese come mai lo avessero condotto lì in quelle condizioni, piuttosto che lasciarlo a riposare o fornirgli le dovute cure. Un istante prima che l’interrogatorio iniziasse, si raccomandò con Silver di non dire assolutamente nulla. L’altro, sostanzialmente terrorizzato, acconsentì con un timido cenno del capo.

La porta si chiuse pesantemente dietro di loro, causando un sussulto al puledro.
Cadde il silenzio più assoluto, fatta eccezione per il ronzio lontano dei motori.

 

    Per alcuni secondi non accadde sostanzialmente nulla.

Steel si limitò ad osservarli con sguardo intenso e così fecero i presenti. Il viso di Copper, invece, si mantenne fiero e vagamente rabbioso. Il suo odio per la classe dei Divites era evidente. I suoi ingranaggi presero a vorticare con energia via via maggiore.
Ad un certo punto, Hammer abbandonò la propria postazione, riponendo ordinatamente la sedia e facendola scricchiolare appena sul pavimento.
Si avvicinò alla coppia, con lentezza quasi snervante. La sua zampa meccanica cigolava e ronzava, donandogli inoltre un’andatura appena zoppicante.

Raggiunse i due pony e li scrutò dall’alto verso il basso, con freddissime pupille glaciali.
Dust si fece piccolo, mentre Copper si impettì ulteriormente e sostenne la linea di visuale come una leonessa.
Le parole uscirono roche dalla bocca dell’ufficiale menomato.

“E così… siete voi due, mh?”. I due non risposero. “Voi sareste… i tizi che si sono intrufolati in una miniera sotto restrizione militare… rompendo chiaramente il coprifuoco e violando i confini demaniali”.

Copper sembrò accumulare una quantità incalcolabile di rabbia e gli ingranaggi furono sul punto di saltar via, tanto ruotavano veloci. Lo fulminò letteralmente con lo sguardo ma riuscì a non dire nulla.

“Tu”, continuò Steel Hammer, controllando la puledra. “Tu sei quella che ci dà sempre un sacco di grattacapi. Esplosioni. Locali inceneriti. Progetti fallimentari… A quanto vedo l’inventrice perde il pelo ma non il vizio”.

Le ali meccaniche della puledra presero a spiegarsi lentamente e una tenue luce azzurra iniziò a fuoriuscire dalle intercapedini della corazza.

Dust allungò una zampa verso di lei.
“C-Copper…”, sussurrò preoccupato.
“E tu”, lo interruppe bruscamente il generale. “Tu sei invece l’allievo della decantata Principessa Celestia, vero?”.

“Uhh… i-io…”, balbettò.

“Abbiamo rinvenuto dei documenti ufficiali, nella tua borsa. Pare tu sia qui per svolgere ricerche sullo stile di vita di Mechanus”, lo informò, sollevando magicamente i documenti citati e leggendoli con scarsa attenzione.

“Io…”.

“Siamo sempre stati favorevoli agli scambi interculturali”, dichiarò Steel sorridendo. “Quindi siamo lieti di averti qui da noi”.

Silver deglutì.
“Tuttavia…”, specificò, riponendo il materiale sul tavolo. “Sei consapevole che… avete violato una zona restrittiva… che vi siete introdotti forzatamente in un luogo pericoloso… e che avete infranto un buon numero di divieti disciplinari?”.
“QUESTE REGOLE VE LE SIETE CREATE SU MISURA!!”, tuonò improvvisamente Copper, che non ne poteva più dell’atteggiamento strafottente del generale.

Hammer non si scompose.
“Le regole sono regole. Eravate entrambi consapevoli della loro presenza e delle relative conseguenze in caso di infrazione. Siete adulti e vaccinati, suppongo”.

“GUARDA CHE NON MI SPAVENTI, IMBECILLE!!”, lo insultò la puledra, perdendo completamente la pazienza.

Alcuni ufficiali sgranarono gli occhi e i soldati si prepararono ad intervenire. Steel li bloccò, con un cenno della zampa sollevata.
“Sei molto agguerrita, almeno a parole”, commentò, con volto calmissimo.

“E pensi che a zampate addosso ti tratterei in modo diverso, razza di pagliaccio da parata?!”.
“Davvero?”, chiese, ponendosi di fronte a lei. “Allora perché non me lo dimostri?”.
Copper sembrò perdere improvvisamente la propria baldanza, come se il fatto di poter utilizzare l’armatura per opporsi con l’uso della forza la terrorizzasse più di ogni cosa.
Passarono alcuni secondi. Gli ingranaggi rallentarono e l’unicorno dai crini ramati abbassò progressivamente il muso verso il pavimento.
Steel Hammer scrutò la sua corazza e poi sorrise beffardamente.

“Sei molto fortunata”, continuò. “Anzi… A dire il vero siete molto fortunati entrambi. Se tu non fossi la sorella di un nostro ufficiale… e se tu”, rivolgendosi a Silver, “non fossi l’allievo di una Principessa… beh… ora non sareste qui a parlare. Con ogni probabilità vi ritrovereste in una cella dalle sbarre arrugginite”.

Dust non sapeva cosa dire o pensare.

“Tuttavia… Non è questo il caso”, li rassicurò il generale. “Inoltre sarei curioso di sapere cosa ci facevate in quelle caverne colme di pericoli”.

“Cavoli nostri”, buttò lì Copper.

“Non ne dubito. Ma vorrei sapere qualcosa più nel dettaglio”.

“Stavamo raccogliendo funghi sotterranei”, lo schernì la puledra.

Steel sorrise di nuovo.

“Sei molto sicura di ciò che dici, maa…”. Tornò a rivolgersi a Dust. “Mi chiedo cosa accadrebbe se vi interrogassimo in separata sede. Uno per volta…”.

Copper sentì la bocca dello stomaco serrarsi. Lei era da una vita che si barcamenava in diatribe con i militari. Ma Dust… Lui era un puledro di campagna che aveva poi vissuto in un lussureggiante castello. Era tutto sommato molto ingenuo e assolutamente vulnerabile nei confronti delle tecniche intimidatorie dei Divites. Non poteva lasciare che li separassero.
“…raccoglievamo pezzi di Inanimus…”, dichiarò l’inventrice, sperando che se la bevesse.

Steel non sembrò completamente convinto e la guardò torvo: “Mh. E perché?”.

“…per i miei progetti. Per i miei studi”.

“Che genere di studi?”.
“Ma come?”, chiese, con aria un po’ altezzosa. “Siete sempre voi che venite a rompermi le scatole per avere questa armatura ed i relativi progetti… Stavo solo cercando di incrementarne le potenzialità”.

“Capisco”.

“Potenzialità di un’armatura che non avrete mai, ovviamente”.

“Avete violato i nostri confini e le nostre leggi. Potremmo strapparti quella cosa di dosso in qualsiasi momento”.


Dust osservò la sua amica e vide un repentino cambio di atteggiamento in lei. Il muso si arricchì di un’espressione divertita e gli ingranaggi presero di nuovo a vorticare. Sembrava quasi che una scarica improvvisa di adrenalina le fosse stata riversata in corpo.

 

“…potete sempre provarci…”, lo istigò, con aria di sfida.

“Cos’è? Un invito?”, ribatté l’altro.

La luce interna dell’esoscheletro crebbe nuovamente d’intensità e le vetrate dello stanzone presero a tremolare.

“Perché non prova a scoprirlo…?”.

 

    Una quarta voce, profonda ma un po’ smorzata, si intromise nella discussione, che stava letteralmente sfuggendo di zampa.

“PIANTALA, COPPY!!”, ruggì il fratello, sporgendosi dagli spalti. Tutti si voltarono. “Stai compromettendo sempre di più la tua posizione e quella del tuo amico!! Cerca di collaborare!”.

Hammer sembrò compiaciuto.

“COSA?!”, gli rispose Copper, visibilmente sofferente. “Ma sei tutto matto?? Dovrei scendere a patti con questi macellai??”.

Anche il fratello sembrò in evidente disagio: “Devi collaborare, Copper! O sarà peggio…”.

“Io non ho nulla da spartire con te o questi mercenari guerrafondai! Possibile che non capisci, Zamak? Possibile??”.

“…cosa dovrei capire?”.

“Ti stanno usando!! Stanno usando tutti per i loro scopi!”, spiegò, quasi urlando. “Tu sei solo una pedina, per loro! Guarda! GUARDATI!! Hai visto come sei ridotto?? E tutto questo per cosa??”.

Kirksite si incupì. Una strana sensazione sembrava divorarlo dall’interno.

“Ti conviene ascoltare tuo fratello”, le consigliò Hammer.

“Sta zitto, tu… sottospecie di… di…”. La rabbia la fece letteralmente scoppiare. “…mezzo pony dalla zampa di latta!”.

Quel commento sembrò demolire la calma che aveva contraddistinto il generale fino a quell’istante. Steel si avvicinò a lei con aria minacciosa.

“…attenta, ragazzina…”, sibilò a denti stretti. “Sono stato MOLTO magnanimo con te, fino ad ora. Non ti conviene abusare della mia pazienza…”.


    Dust, per canto suo, non ne poteva più di tutte quelle diatribe e quelle minacce. Non voleva trovarsi in quella situazione… Mai lo avrebbe voluto. Ma ora era lì e gli sembrava che la situazione fosse sul punto di scoppiare.
Copper non faceva altro che lanciare insulti e improperi all’ufficiale. Quest’ultimo era sempre più nervoso e avrebbe potuto reagire nel modo sbagliato da un momento all’altro.

Non sapeva se fosse la mossa giusta.

Ma decise di provarci.

Era un azzardo.

Era proprio ciò che Copper gli aveva pregato di non fare.

Ma era forse giunto il momento di dare una svolta nel triste destino di Mechanus…

Magari lo avrebbero ascoltato? C’era solo un modo per scoprirlo…

“…io… ho parlato con gli Inanimus”, asserì improvvisamente.

Tutti si bloccarono e il battibecco cessò all’istante.
Copper trasalì completamente, mentre gli altri presenti puntarono l’attenzione sul giovane pony color lilla.

“DUST!”, intervenne la compagna.

“…come sarebbe a dire?”, chiese il generale, con aria indagatoria.

“Io…”, si sforzò di parlare. “Io sono entrato nelle miniere… per parlare con gli Inanimus”.

Un unicorno tra gli spalti lo interruppe urlando: “Cos’è questa sceneggiata?? Ho di meglio da fare che ascoltare le deliranti stupidaggini di un forestiero! Non mi importa se è l’allievo di una Principessa o chissà che altro!”.

“Non sono stupidaggini!!”, ribatté con foga. “Io ho DAVVERO parlato con gli Inanimus!”.

Copper lo afferrò per una zampa e lo tirò a sé, senza tanti riguardi.

“Dust, che cavolo stai facendo!? Sei completamente rincretinito??”.

L’altro si divincolò dalla presa.

“No, Copper! Basta con le mezze verità! Non ha senso continuare così…”.

“Così come??”.

Silver scosse il capo e sospirò, quindi iniziò a parlare ad alta voce, rivolgendosi un po’ a tutti.

“È… è da quando sono giunto a Mechanus che mi accorgo di cose che non vanno… Subito mi sembrava un’enorme metropoli sovraffollata… Ma poi… mi sono reso conto del divario sociale. Ho visto e parlato con pony reduci dagli attacchi di queste creature nelle miniere. Ho… ho assistito all’omertà generale! Ai soldati che, anziché mantenere l’ordine in città, non hanno fatto altro che spadroneggiare e…”.

Il corno di Hammer si illuminò ed una morsa traslucida si formò attorno al collo del puledro, costringendolo ad avvicinarsi a lui. Gli occhi dell’ufficiale grigio erano spaventosamente rabbiosi. Non gli fece male ma tantomeno lo trattò con riguardo.

“Ehy, ragazzino… Credi davvero di sapere come mantenere l’ordine in un’area così densamente popolata? Hai la più pallida idea delle contromisure necessarie per evitare che questa storia causi il panico generale e sfoci nel caos più assoluto?”.

“I-io…”.

“Mollalo!!”, berciò Copper. L’altro fece uno scatto all’indietro e annullò l’incantesimo. Dust si ritrasse a sua volta, massaggiandosi il collo.

“Non… non ho detto che sarebbe una cosa semplice!”, continuò il giovane unicorno, cercando di non farsi intimidire. “Ma non è massacrando orde di macchine semoventi o mandando al macello fiotti di soldati e lavoratori che sarete in grado di salvarvi il posteriore!”.

Un altro ufficiale intervenne dagli spalti: “Cosa vuole saperne un puledro di città degli affari di Mechanus??”.

“IO CI HO PARLATO CON QUELLE MACCHINE!!”, ruggì, sperando che questa volta gli credessero. “Sono riuscito a comunicare con loro! Chiedete al Dottor Novarius, se preferite! Sono entrato nella miniera ed ho parlato con loro!”.

“E cosa avresti scoperto?”, domandò Steel.

“Dust!!”, lo riprese Copper, cingendolo per la seconda volta lungo una zampa. “Dust… stai zitto, ti prego! Nulla di buono può uscire fuori dagli accordi con questi guerrafondai!”.

L’amico si sforzò di ascoltarla ma non poteva trattenersi.
Aveva una scoperta, tra le zampe. Qualcosa che avrebbe potuto risolvere la faccenda in modo pacifico. O almeno così sperava.

Il matematico fissò Hammer negli occhi azzurri.

“…loro… loro non ci hanno attaccati”, confessò. “Sono… assolutamente aperti alla comunicazione…”.

Vociare e brusii si levarono un po’ ovunque.
“…comunicazione?”, asserì beffardamente Steel Hammer. Mise in mostra il suo arto meccanico. “Dimmi un po’… Non penserai mica che questo me lo sia fatto per una questione estetica o andando per funghi, mh?”.
“No, io…”.

Il generale puntò la zampa verso la platea.

“Per quale motivo pensi che il fratello della tua amica versi in quelle condizioni?”. Zamak chinò il capo e sembrò intristirsi.

“Perché gli Inanimus non ragionano secondo i canoni di noi viventi!”, Dust si sforzò oltremisura di spiegargli. “Non sappiamo come funzionino o cosa pensino! Non hanno mai avuto la possibilità di parlare con noi! Essendo delle macchine, magari non si rendono conto di cosa sia il dolore! Magari non capiscono che, così facendo, possono farci del male!”.

“Che marea di fesserie…”, commentò qualcuno.

Steel sembrò invece acquisire interesse: “Mh. Quindi tu sostieni che questi… costrutti siano in realtà pacifici? È molto difficile crederlo, visto l’alto tasso di morti e feriti che causano…”.

“Io non so cos’abbiano in mente in realtà. Ma so che stanno cercando in qualche modo di dirci qualcosa, solo che non possono farlo facilmente, viste le nostre diversità! E se tutto quello che fate voi è mandare altri pony ad occupare le miniere, beh allora non stupitevi se vi tornano indietro feriti o non tornano affatto. Al macello ce li avete mandati voi!!”, concluse, alzando la voce e ponendo enfasi sull’ultima frase.

I brusii si trasformarono in vere e proprie urla di disappunto.

Hammer fece cenno a tutti di calmarsi e riuscì a ristabilire un certo ordine.

    “Tutto questo è molto interessante, giovane unicorno”, asserì, rivolgendosi a Dust con rinnovata calma. “Ma resta il fatto che le macchine reagiscono sempre con forza e violenza. È un dato innegabile”.

“Voi vi state forse comportando in modo diverso?”.

“Dico solo che, almeno che tu non abbia delle prove concrete su quanto sostieni, le tue rimarranno mere congetture. E sulle chiacchiere ci puoi al massimo costruire pettegolezzi da salotto”.

“Non sono chiacchiere… Io ho… ho le prove…”.

L’ufficiale aggrottò le sopracciglia.

“Dust!”, lo riprese l’amica. “Per l’amor del cielo… non…”.

“Lascialo finire…”, la interruppe Steel. Si avvicinò al puledro. “…che genere di prove?”.

L’allievo della Principessa cadde in una profonda e sofferta indecisione. Non era sicuro di cosa stesse facendo. Sapeva benissimo che non ci si poteva fidare dei Divites… ma aveva tra le zampe qualcosa che avrebbe potuto porre termine ai conflitti a Mechanus. Una volta per tutte… e in modo pacifico.

“Io ho… un cristallo mnemonico…”, confessò tentennando.

“Dust, no…”, ribadì Copper, con un filo di voce.
“Un cristallo mnemonico?”, indagò il soldato.

“Sì… Me lo hanno consegnato all’interno del vulcano… Contiene… alcuni ricordi… e… e una sorta di codice…”.

I brusii generali tornarono a farsi sentire.

“Spiegati meglio”.

Silver Dust osservò Copper dritta negli occhi e percepì lo sgomento all’interno del pony color creta.

“Io… io ho parlato con loro… Mi hanno indicato una sorta di… minaccia che metterebbe a rischio le nostre… fiamme vitali…”.

Steel Hammer dovette di nuovo contenere l’agitazione dei presenti.

“Una… minaccia?”, chiese. “Che genere di minaccia?”.

“Non lo so… Non sono stati molto chiari… Ma mi hanno consegnato quel cristallo… con la richiesta di… di…”.

“…di?”.

“Dust… ti prego…”, intervenne l’inventrice.

Il puledro chiuse gli occhi e abbassò il capo.

“…mi hanno chiesto di portarlo nel cuore della città. Credo si riferissero al centro che controlla l’intero sistema meccanizzato di Mechanus”.

Hammer, questa volta ignorando il vociare dei colleghi, si fece pensieroso ed iniziò a passeggiare di fronte a loro, con il tipico zoppicare. Passarono alcuni secondi, quindi tornò dalla coppia.

“Quindi… ci stai dicendo che delle macchine assassine ti hanno chiesto di inserire un cristallo mnemonico nella zona più sensibile della città?”.

“Non sono macchine assassine!”, ribadì con foga. “Non ci hanno attaccati! È bastato reagire in modo pacifico e loro hanno fatto altrettanto!”.

“Giovane inesperto”, gli spiegò retoricamente l’altro. “Sono loro ad attaccarci per primi nelle miniere. Nessuno ha mai mosso loro guerra o azioni ostili. Non per primi, almeno. Ed ora tu vieni qui… con un cristallo creato da quelle entità… e conti di inserirlo nel centro di Mechanus?”.

“Io…”.

“Per quanto mi riguarda… è assolutamente impossibile”, tagliò corto. “Non sappiamo cosa accadrebbe e, con ogni probabilità, potrebbe essere un tentativo da parte degli Inanimus per usarti contro la città stessa. Per sabotarla…”.

“No!”, ribatté. “Vi assicuro che non è così! Io… io ho visto delle cose! Non… non ho percepito malignità nelle loro azioni! Io…”.

Steel proruppe in una debole risata, quindi assunse un atteggiamento più minaccioso.

“Mhf. Acolta… Silver Dust… Tu sei un allievo di una Principessa… ma questo non ti fornisce la facoltà di mettere a rischio l’intera sicurezza di una megalopoli come Mechanus. NOI siamo l’autorità. Quel cristallo deve essere analizzato e NESSUNA azione potenzialmente pericolosa verrà intrapresa contro la città stessa”.

“Io vorrei solo che… per UNA volta… voi rivalutaste i vostri metodi… che la piantaste di fare solo come vi gira e di utilizzare la forza come…”.

Una vampata di energia si dipanò dal corno dell’ufficiale, provocando un boato fragoroso che zittì tutti quanti.

“Basta”, dichiarò lapidariamente l’unicorno grigio. “Sono stufo di sentire le tue supposizioni su come dovremmo gestire una città con milioni di abitanti. Non hai la più pallida idea delle sofferenze che quelle macchine hanno causato a noi e alla popolazione. Famiglie distrutte. Miseria. Imprese fallite. E ora, come se nulla fosse, pretendi di venire qua e mettere a repentaglio un precario equilibrio che ci permette di sopravvivere anche in presenza di questa minaccia? Ma chi ti credi di essere?”.

“VOI CHI VI CREDETE DI ESSERE?!”, tuonò Copper.

“Ho sentito abbastanza”, concluse. Allungò la zampa metallica verso Silver. “Consegnami il cristallo”.

Il pony lilla parve bloccarsi. Non sapeva assolutamente come reagire.

“Dust! Non dargli un bel niente!”, lo esortò la compagna.

“I-io…”.

“Stai fuori da questa faccenda e torna ai tuoi studi, ragazzo. È un consiglio. Consegnami il cristallo e lascia che Mechanus pensi a Mechanus. Tu non c’entri nulla”.

“Ma… io… io ho la chiave per comunicare con loro! Io posso…”.

“Allora consegnaci tutto quanto e lascia che ce la sbrighiamo noi…”.
Copper lo cinse per una spalla: “Te l’avevo detto, Dust! Ora questi vogliono ciò che ti appartiene!”.
“Errato, signorina. Siete sotto la giurisdizione dei Divites. La vostra stessa vita apparterrebbe a noi, se solo lo volessimo. E ora… consegnatemi il cristallo e il materiale in vostro possesso…”.

Silver iniziò ad agitarsi sul serio; i suoi polmoni iniziarono a contrarsi a ritmi sempre più serrati e non poté far altro che guardare Copper con aria affitta. Aveva davvero… sbagliato tutto, agendo in quel modo?

“Il cristallo”, ribadì Steel.

“Lui non vi darà proprio un bel niente”, rispose Copper, con aria serissima. “E le sue scoperte sono al sicuro negli scomparti di quella tuta. Toccatela e vi posso assicurare che vi friggerà da crine a zoccolo…”.

“…sei d’accordo con lei, giovane unicorno?”.

Silver non rispose.

“…molto bene”, concluse Steel, sorridendo. Fece un cenno con una zampa e due soldati bloccarono prontamente il pony dai crini scuri, cingendolo da dietro.

“EHY!! MA COS…”, urlò Dust, assolutamente impreparato.

Zamak, dalla platea, ebbe un sussulto e spalancò gli occhi, incredulo.

Copper cercò di intervenire ma Hammer la esortò a non muoversi.

“Vi sconsiglio di intervenire. Servirebbe solo a complicare le cose… e forse a rendere questa procedura assai più… pericolosa per il tuo amico”.

“MALEDETTI SCHIFOSI!!”, ruggì la puledra.

“Non abbiamo fretta. Se vi opporrete… verrete condotti nelle sale interne, dove provvederemo a smantellare le vostre corazze, pezzo dopo pezzo. Non abbiamo paura di una leggera scossetta. Abbiamo i nostri metodi per opporci a simili resistenze. Non è la prima volta che ci capitano… soggetti ostici…”.

Silver venne letteralmente gettato a terra dai due, in una dolorosa morsa di costrizione. Un verso sofferente uscì dalle sue labbra. I presenti osservarono la scena, senza nemmeno impressionarsi troppo. Tutti… tranne Zamak.

“Te lo chiedo ancora una volta…”, intimò Hammer. “Il cristallo…”.

Dust strinse i denti dal dolore.

 

    In quel preciso istante, qualcosa scattò nel cuore della puledra in armatura.

Le vennero in mente le numerose volte in cui aveva assistito a simili scene, magari in una piazza cittadina o un vicoletto isolato. Pony che venivano bloccati con la forza dai soldati. Pony i cui unici intenti erano stati quelli di mettere al corrente Mechanus di una verità sofferta e da sempre celata; colpevoli del fatto di voler migliorare la vita in una città colma di problemi che nessuno soleva affrontare.

Lei stessa ci aveva provato… Aveva costruito quell’armatura. Aveva cercato di contribuire con invenzioni utili, nella precisa speranza di aiutare i bisognosi e risollevare un po’ le sorti della città meccanizzata.

E ogni volta… aveva fallito. Era stata costretta a nascondersi, per evitare che i più forti strumentalizzassero le invenzioni, favorendo ulteriormente la sofferenza e il disagio sociale.
E dove lei non poteva arrivare… giungevano loro. Con la violenza. Con l’omertà. Con l’intento di far soldi e accumulare altro potere. A cosa serviva migliorare le condizioni di una comunità, quando potevano arricchire i pochi soggetti che detenevano il controllo?

E l’unica invenzione davvero utile che mai avesse prodotto… era quella corazza. Uno strumento potentissimo, che più di una volta aveva messo a rischio i pony che le stavano attorno. Per quello l’aveva posta sotto blocchi restrittivi. Per quello non la lasciava incustodita nemmeno per un solo istante…
Aveva troppa paura di perderne il controllo… e di lasciarla nelle zampe sbagliate.


Ma in quel preciso istante… qualcosa scattò nel suo cuore.

 

    “Il cristallo!”, berciò Hammer, rivolgendosi ad un sofferente quanto agitato Silver Dust.

Un’onda di energia azzurra scaturì violentemente nell’aula. Fogli e oggetti volarono in tutte le direzioni e chi stava in piedi venne gettato a terra. Gli ospiti sugli spalti cercarono copertura grazie ai banconi.

 

Copper Head era accanto a Dust, improvvisamente libero di muoversi, dato che i soldati avevano mollato la presa per lo spavento.
Il volto dell’inventrice era assolutamente adirato e sicuro di sé.

Gli spallacci erano entrambi sbloccati e un’intensa luce azzurra si spandeva dal cuore dell’esoscheletro, in modo non dissimile da quanto avvenuto nel vulcano. L’energia era tale da smuovere i crini di tutti i pony nella stanza. Le ali erano spiegate ed ogni piuma rifletteva come uno specchio.

Steel cercò di proteggersi il volto con una zampa, rialzandosi faticosamente da terra. Prese ad osservare il fenomeno con assoluto sbigottimento e altrettanto fecero i colleghi, incluso il fratello ferito.

“…non muovete un altro passo…”, li minacciò Copper.

Per qualche secondo, nessuno disse nulla.

“Lasciateci andare… e vedrete che non succederà nulla…”.

Ma la situazione era immancabilmente caduta in una posizione a cui i Divites erano purtroppo abituati. Conoscevano solamente un modo per zittire qualcuno che cercava di opporsi con la forza…

 

“PRENDETELI!!”, ruggì l’ufficiale.

I soldati impiegarono qualche istante per ricomporsi e si avventarono immediatamente sulla coppia.

Copper ebbe un tuffo al cuore. Sperava che quella manifestazione di energia fosse sufficiente ad intimorirli. Purtroppo non fu così.
Ed ebbe paura.

Paura di poter scatenare qualcosa che non sarebbe stata in grado di gestire…
Odiava i Divites ma non al punto da far loro seriamente del male.

 

In quei pochi secondi, che per lei sembrarono quasi minuti, si ritrovò ad osservare l’amico spaventato. Le tornarono alla mente le sue scoperte, il suo desiderio di voler aiutare pacificamente la città… Ripensò ai pony che si erano battuti per una vita migliore e che erano stati inghiottiti dal sistema meritocratico imposto dai più forti…

Così… decise di buttare all’aria tutte le sue convinzioni.

E di reagire.

    Un militare si avventò su di lei. Copper rispose con una giravolta impeccabile e lo intercettò con un calcio posteriore. Il tizio percepì una cannonata sullo sterno e venne proiettato in aria per alcuni metri, schiantandosi in mezzo agli spalti in legno.

Il secondo, visto l’uso della forza, decise di sfoderare la lancia: la estrasse , quindi la indirizzò magicamente verso il bersaglio. La punta colpì la pettorina e si bloccò, unitamente ad alcune scintille. Lo sguardo dell’avversario cadde nel terrore.

Copper alzò una zampa e la puntellò contro l’arma, schiantandola a terra, quindi rispose con una spallata che lo fece ruzzolare rovinosamente contro alcuni colleghi. Steel schivò il proiettile equino per un soffio.

Dust, esterrefatto, si rimise in piedi.

 

Gli ufficiali e tutti i soldati si prepararono ad agire, invocando potere sui rispettivi corni.
La situazione divenne estremamente caotica ed uno dei presenti si fiondò su una leva accanto al muro, a cui seguì il rumore di una sirena lontana.

Copper osservò l’amico, con espressione difficile da decifrare.

“…scappa”, gli sussurrò.

“…m-ma…”.
“SCAPPA!!”, ripeté.

La luce attorno a Copper si concentrò sulla sua fronte e si sfogò quindi in una deflagrazione sonora. Le vetrate esplosero e il portone schizzò via come un missile. Tutti finirono zampe all’aria, tranne i due fuggiaschi, che imboccarono repentinamente il corridoio principale.

 

Silver Dust e Copper Head si trovarono a galoppare di tutta furia per gli intricati budelli della fregata da battaglia. Rumori di sirene si levarono in ogni direzione e l’equipaggio passò immediatamente alle contromisure.

“PER TUTTI I VERSORI!!”, blaterò Copper, continuando a correre. “Che diavolo sto facendo??”.

“Copper, io…”, disse l’amico, cercando di starle dietro.

“È TUTTA COLPA TUA!! IMBECILLE!!”.

Un trio di soldati sbarrò loro la strada.

“ALT!!”.

La puledra rispose con muso adirato e scagliò un proiettile arcano verso di loro, amplificato dalla magia dell’esoscheletro. L’incantesimo intercettò il primo della fila, che finì addosso agli altri due e infine contro il muro, piegandolo malamente.

“Porca miseria…!”, commentò Silver, mentre li superavano e ammirando il risultato.

“ZITTO E CORRI!! CRETINO!!”.

“Ma dove stiamo andando??”.

“CHECCAVOLO VUOI CHE NE SAPPIA?? PORCA BINDELLA! SIAMO IN MEZZO AD UNA FREGATA D’ASSEDIO!!”.

“S… sì ma…”.

“TACI!! VEDI SOLO DI TACERE!!”.

“Mi ricordo il percorso da cui siamo arrivati! Dalla zona di attracco, dico!”.

Copper si fermò.

“Davvero??”.

Un ufficiale, decisamente un veterano, voltò l’angolo di un incrocio e se li ritrovò a pochi metri. Non tergiversò a lungo ed invocò una potente lancia elettrica, simile ad un fulmine. Il colpo scaturì dal suo corno e viaggiò verso Dust, lambendo di scariche voltaiche le pareti e facendo saltare le luminarie tra mille scintille.

“DUST!!”, intervenne preoccupata la puledra, spintonandolo lontano. Il colpo la investì in pieno e produsse una vampata accecante, seguita da un rumore simile ad un tuono.

Silver si alzò da terra e osservò terrorizzato la scena.

“COPPER!!”.

Ma l’amica era apparentemente illesa.

Aveva disteso saldamente le zampe e conficcato a terra le ali affilate. Il fulmine aveva percorso l’esoscheletro, che l’aveva protetta come una gabbia di Faraday, e si era scaricato senza provocar danni. Copper aveva il capo chino e tutta la superficie del suo corpo fumava copiosamente. Quando rialzò lentamente il muso verso il nemico, questo atterrì stupefatto.

Il pony bardato scattò come una furia verso di lui, raggiungendolo in meno di un secondo. Gli puntò le ali acuminate al collo e lo costrinse alla parete con le zampe anteriori. La puledra ansimava dall’agitazione e sembrava sul punto di compiere una pazzia.

La voce di Silver la richiamò e l’altra sembrò tornare in sé. Sollevò magicamente il poveretto e lo scagliò lontanissimo, in fondo al corridoio, proprio addosso agli inseguitori che stavano sopraggiungendo.

“A-andiamo!!”, la esortò Dust, cercando di strattonarla per una zampa. “Seguimi! So come tornare alle portelle d’embargo!”.

 

La coppia galoppò attraverso altri corridoi.

Dust si ricordava perfettamente il tragitto che avevano seguito all’andata (uno dei tanti vantaggi offerti da una mente eidetica) e così non ebbero problemi a tornare indietro.

Allarmi e sistemi di chiusura si azionarono in numero via via crescente, allertando gli occupanti e cercando di sbarrare il cammino ai due.

Una paratia si frappose lungo il loro percorso; gli ingranaggi di Copper acquisirono giri e la puledra si scagliò con violenza verso l’ostacolo, immergendosi nella luce della sua stessa energia pulsante. La porta venne divelta come cartone, accompagnata da un clangore fragoroso.

Giunsero infine d’innanzi ad una grossa portella sigillata, che conduceva ad uno degli hangar secondari da cui smistavano prigionieri o carichi preziosi. Alcuni contenitori erano stati ammassati alla rinfusa d’innanzi ad essa.

“È… è questa?”, chiese titubante Copper.

“S-sì”, rispose l’amico, con il fiatone. “Ma… è chiusa. Devo trovare la leva per aprirl…”.

Una serie di raggi magici si infranse contro la parete accanto ai due, creando un nugolo di lampi e scintille arcane. Silver si gettò a terra. Gli inseguitori stavano arrivando e non avevano perso occasione per bersagliarli con il repertorio d’offesa.

“PROTEGGIMI!!”, urlò l’inventrice, cercando riparo tra alcune casse metalliche.
“COSA??”, chiese spaventato.

“SEI UN UNICORNO!!”, urlò, mentre la copertura incassava alcuni dei fasci arcani in arrivo. “HAI STUDIATO A CANTERLOT!! CONOSCERAI PURE QUALCHE INCANTESIMO DIFENSIVO, NO?!”.

Dust si spalmò a terra come un tappeto. Era assolutamente terrorizzato.

“LI HO SOLO STUDIATI!! MERA TEORIA!!”.

“E ALLORA È GIUNTO IL MOMENTO DELLA PRATICA!!”.

“M-m-ma…”.

Una saetta si infranse contro un piccolo contenitore metallico e lo smembrò in un ciuffo di lamiere contorte.

“DUST!!”, ripeté preoccupata. “SE NON FAI SUBITO QUALCOSA… QUI CI LASCIAMO IL PELO!!”.

Il giovane cercò di riprendere il controllo di sé. Era atterrito da quella situazione così pericolosa. Non poteva credere di essere finito in un tale caos. Non riusciva a realizzare di essersi aizzato contro l’intera squadriglia a bordo della fregata. E, cosa ancor peggiore… stava realmente rischiando la vita.

Cercò di portare alla memoria le parole d’evocazione e, senza perdere altro tempo, si drizzò sulle zampe e canalizzò il potere attraverso il corno.

Uno scudo traslucido, simile ad acqua sospesa, apparve d’innanzi a lui. Era sufficientemente grande da coprire l’apertura del corridoio e prese ad assorbire efficacemente gli incantesimi in arrivo.

Silver tirò un sospiro di sollievo, quasi meravigliato di sé.

“Bravo il mio secchione!!”, esultò Copper, uscendo dal riparo e dirigendosi alla portella. “Ora sta indietro!”.

L’amica allungò le zampe verso un angolo della porta e, spingendo gli ingranaggi al massimo, riuscì a piegarne una sezione, che rientrò verso l’hangar e creò un varco sufficiente ai due per passare.

“Passa! Muoviti!”, lo esortò.

“STANNO ENTRANDO NELL’HANGAR!!”, strillò una delle guardie, ormai vicinissima ai due.

Dust sgattaiolò nell’apertura, subito seguito da Copper, un attimo prima che lo scudo svanisse e gli inseguitori li raggiungessero.

Una volta dall’altra parte, l’unicorno color creta spinse la lamiera nel verso opposto, richiudendo di fatto l’entrata improvvisata. Si rivolse quindi al sistema che ne azionava la chiusura e lo fece esplodere con un raggio azzurro.

Si voltò, per capire meglio come fuggire da quel posto.

 

    L’hangar era in realtà una stiva di carico di modeste dimensioni. Avrebbe potuto ancorare una, forse due chiatte volanti. La paratia, collocata sul pavimento, era attualmente sigillata. Tutt’attorno, appesi o appoggiati in giro, si trovavano attrezzi, sacchi, scatoloni e diversi componenti meccanici.  

Il ronzio dei motori della nave, essendo prossimi all’uscita posteriore della fregata, era quasi assordante.

Copper cercò di formulare un piano di fuga. Si rese quindi conto di come il suo amico stesse letteralmente perdendo la calma.

Dust camminava nervosamente di fronte a lei, con volto preoccupatissimo e dimenando le zampe come un matto.

“Per la miseria… per la miseria… PERLAMISERIA!!”, ripeteva ostentatamente.

“Uh… Dust?”, domandò.

“PER LA MISERIA!!”, si rivolse a lei.

“Ehy, ehy, calma! Ora l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che uno di noi due sbrocchi e perda i bulloni dalla scatola cranica!”.

“Santo cielo, Copper…!”, dichiarò, scuotendo il capo e reggendosi la fronte con uno zoccolo. “Ti… ti rendi conto??”.

“Di cosa, di preciso?”, domandò senza scomporsi e continuando a guardarsi attorno in cerca di indizi per andarsene.

“Io… io… cos’ho fatto??”.

“Uhm”, mugugnò, rovistando nel contenuto di alcune casse. “Ti sei sostanzialmente tirato contro l’ira dell’intera forza armata di Mechanus”.

“ODDIO!!”.

“Bah, non sei il primo e non sarai l’ultimo, se può consolarti”.

“MA È SPAVENTOSO!!”, piagnucolò, rimuginando sulle conseguenze. “Pensa… PENSA A QUANDO LO VERRA’ A SAPERE LA PRINCIPESSA!!”.

Copper sollevò del ciarpame arrugginito e lo gettò lontano.

Delle voci agguerrite provennero dall’altro lato della porta, ovattate dalla spessa lastra metallica. Un lieve rossore luminoso iniziò a dipanarsi sulla superficie della portella.
“Si stanno facendo strada con la magia. Vogliono fondere il metallo e crearsi un varco”, commentò l’amica.

“ODDIO!!”, ripeté Silver, ancor più preoccupato.

La puledra dagli occhi smeraldo capì che non c’era molto tempo da perdere. Sarebbero entrati a minuti.

Si rivolse verso Dust e gli cinse il viso tra gli zoccoli, senza troppi riguardi.

“Dust… DUST!!”.

“…eh??”.

“Guardami bene…”, gli comunicò con calma. “E ascoltami… ascoltami attentamente…”.

“Copper io…”.

“Sta zitto e ascoltami”.

“No”, protestò, liberandosi dalla presa. “Copper! Mi… mi dispiace, te lo giuro! Sono stato un imbecille, hai ragione!! Sono… sono venuto qui con l’assurda idea di poter ragionare con questi esaltati militari! Tu… tu hai cercato di mettermi in guardia e io, due volte imbecille, ho…”.

“ASCOLTAMI!”, urlò, stringendogli di nuovo il capo e mettendo il muso praticamente attaccato al suo. L’amico sgranò gli occhi, impreparato a quel gesto.

Il volto di Copper parve rattristarsi leggermente.

“…ascoltami, Dust…”, continuò, con voce un po’ calante. “Tu… io… insomma… mi… mi fido di te…”.

“…come?”.

“Io… io mi fido di quello che vuoi fare. Ok, sono incavolata come una bestia, con te… per il fatto che non mi sei stato a sentire. E dopo ti meno. Ma ora…”. Il volto, sormontato dai crini ramati, si addolcì ulteriormente. “…ma ora… ti credo. Sono stufa di… di scappare… e… e di non poter far nulla per la città in cui sono nata e cresciuta… E… e anche se può sembrare una pazzia… Anzi… Anche se È una follia… io…”.

Altre urla li riportarono alla realtà. La macchia di metallo fuso si era ingrandita in modo preoccupante. Sarebbero entrati da un momento all’altro.

Copper scrutò Silver con occhi serissimi.

“Ora non c’è tempo”, tagliò corto. “Quindi devi ascoltarmi”.

“O-ok…”.

La puledra azionò alcuni meccanismi sulla tuta del compagno, colpendo delle piccole placche situate lungo il corpo. Le ali dell’esoscheletro si aprirono con uno scatto e altri ingranaggi presero lentamente i propri giri.

“Ma… ma cosa…”.

“Senti”, ripeté, avvicinandosi ad un pannello di comando e identificando alcune leve. Mise una zampa su una di esse. “Ora dovrai fare… una cosa molto… MOLTO pericolosa…”.

“C-cioè??”.

“Ti ricordi quando mi chiedesti se queste corazze possono volare?”.

“Uh… ma…”.

Copper azionò la leva e la paratia accanto a loro, lungo il pavimento, si spalancò lentamente. Il rumore dei motori invase la stanza, assieme ad una folata di vento incontenibile. Panni e altri tessuti, utilizzati come protezione per i carichi, presero a sventolare energicamente.

“Beh”, gli spiegò il pony avvolto dalla luce. “Tecnicamente non possono volare… Ma possono planare… e sfruttare la propulsione prodotta dal vapore gassoso contenuto nelle intercapedini tubolari…”.

Silver si aggrappò ad una ringhiera e strinse i denti. Osservò il paesaggio lontano che scorreva a chissà quanti metri di distanza. Riconobbe alcuni boschi e le periferie cittadine.
“COSA?? NON VORRAI MICA…”.

Copper indossò gli occhialoni che teneva da sempre appesi al collo. Le ali si allinearono parallelamente al suolo.

Si avvicinò quindi al compagno e lo osservò dritto nei bulbi oculari. Tornò a cingergli il volto, questa volta molto più delicatamente.

“…hai una mente geniale, Dust…”, asserì dolcemente. “E hai un talento innato per tutto ciò che riguarda schemi e funzionamenti artificiali…”.

“Ma…! Non… non so come si voli! O plani! Insomma, quel che è!”.

“Sai quanto tempo ci vuole per imparare ad utilizzare la corazza che indossi? Minimo tre settimane”.
“E… quindi??”.

“Tu ci hai messo una ventina di minuti… Hai capito da subito il nesso causale tra le tue azioni e il modo che ha l’esoscheletro di risponderti. E… e ti invidio, per questo. Non so come ci riesci…”.

“I-io… io sento gli scatti, i rumori… e… e percepisco i movimenti… quindi li associo automaticamente a delle funzioni che mi creo nella testa e…”.

La portella fu sul punto di fondere completamente.

Copper strinse l’amico a sé, quindi gli diede un bacio sulla guancia. Tornò ad osservarlo negli occhi.

“…tu… cerca solo di starmi accanto… io ti terrò costantemente d’occhio…”.

“COSA?? ALLORA PENSI DAVVERO DI BUT…”.

“Sono sicura…”, lo rassicurò sorridendo. “…che il tuo talento ti spingerà fin dove nessuno potrà mai arrivare…”.

“L’ULTIMA VOLTA HO AVUTO VENTI MINUTI!! ORA NON HO VENTI MINUTI DI CADUTA LIB…”.

Gli inseguitori fecero breccia nell’hangar, gettando improperi in tutte le direzioni.

Copper strinse i fianchi del puledro a sé.

 

Con un colpo di reni gettò entrambi nel vuoto.

 

*** ***** ***

 

    Silver si ritrovò improvvisamente nell’aria, catapultato da una nave che viaggiava ad estrema velocità.

Gli spostamenti eolici delle eliche e dei motori lo investirono come un tornado e tutto ciò che vide fu l’azzurro del cielo e il verdeggiare del suolo ruotargli attorno, come fosse una trottola. Il fragore nelle orecchie era insopportabile.

Copper mantenne il sangue freddo e non mollò la presa su di lui.

Superata la violenta perturbazione, Dust poté finalmente capire costa stesse succedendo: la coppia stava precipitando in caduta libera. Lo stomaco gli salì fino in gola, accompagnato da una terribile sensazione di panico.

L’amica, accanto a lui, lo afferrò saldamente per le guance o lo fissò intensamente.

“DUST!!”, urlò. “DUST GUARDAMI!!”.

L’altro rispose con un urlo.

“CONCENTRATI DUST!! CONCENTRATI E ANDRA’ TUTTO BENE!!”. Tentò di spostare l’attenzione del puledro verso una macchia di vegetazione nelle periferie di Mechanus. “VEDI QUEL BOSCO FITTO, DUST??”.

“COSA?!”.
“QUEL BOSCO!! LO VEDI??”.

“S-SI’!!”.

Copper alzò lo sguardo. La fregata si stava allontanando da loro ma i pegasi dei Divites già sciamavano da essa per raggiungerli. Una piccola chiatta ad alta velocità, dai tipici ornamenti sfarzosi della fazione, si era inoltre sganciata dalla chiglia e stava iniziando le manovre per intercettarli.

La puledra fece scattare alcuni meccanismi sulla tuta dell’amico. Le ali meccaniche di Dust si irrigidirono per poi spiegarsi, perfettamente allineate. L’unicorno lilla avvertì un sibilo, seguito da una sensazione di calore dietro di sé. Con la coda dell’occhio notò una scia di vapore provenire dai suoi fianchi.

“PLANA FINO A QUEL BOSCO!!”.

“P-P-PLANARE?? MA IO NON…”.

“DUST!!”, ribadì, guardandolo con sincerità. “SONO SICURA CHE CE LA FARAI!!”.

“MA…!”.

“IO TI TERRO’ D’OCCHIO!! MA DEVO OCCUPARMI DEGLI INSEGUITORI!”.

“COPPER!”, rispose, cercando di riconquistare faticosamente l’autocontrollo. “LASCIA PERDERE!! ANDIAMOCENE E BASTA!!”.

Una serie di sibili si manifestò accanto ai due. Il piccolo intercettore, scortato dai pegasi volanti, li stava bersagliando con un dispositivo a prua, scagliando una miriade di dardi acuminati espulsi dal vapore.

“NON CI LASCERANNO ANDARE, DUST!”, gli spiegò preoccupata. “TU VAI!! AL RESTO CI PENSO IO!”.

“COPPER!!”.

Ma il suo lamento non venne ascoltato.

La compagna si allontanò da lui, spalancando le ali e acquisendo immediatamente portanza. Silver alzò il muso e la vide schizzare verso l’alto, emettendo a sua volta una scia di vapore dai fianchi e rilasciando luce come una cometa nel cielo.

Copper stava impostando una traiettoria per intercettare gli inseguitori.

L’allievo di Celestia si ritrovò da solo, in balia di se stesso e della caduta verso il suolo.

Tutto attorno a lui parve tremare.

Il suolo lontano era come se vibrasse, mentre il cielo azzurro era scandito da alcune nuvole ed un sole abbagliante.

Percepiva la propulsione del vapore ma non aveva la più pallida idea di come utilizzarlo.

Sembrò farsi nuovamente cogliere dal panico quando, facendo appello a tutta la sua volontà, riuscì a concentrarsi.

 

Chiuse gli occhi.

Sentì il suo cuore battere all’impazzata e rimbombargli in testa.

Il rombo del vento nelle orecchie.

Il respiro.

Tentò di calmarsi.

Quindi…

 

Eccoli.

Tanti minuscoli ticchettii.

I ticchettii dell’esoscheletro.

Riaprì gli occhi.

Mosse debolmente una zampa.

Notò un lieve cambio di rotta.

La sua mente compose un’associazione immediata tra causa ed effetto.

I ticchettii cambiarono.

Il puledro deglutì ed iniziò a riguadagnare fiducia in se stesso.

 

    Copper, intanto, aveva acquisito pieno controllo della propria rotta.

La tuta dell’inventrice splendeva e gli ingranaggi sembravano come impazziti. Minuscoli ugelli posti lungo i fianchi, sotto le ali, creavano una scia densa e biancastra, rendendo ancor più visibile la sua presenza nel cielo.

L’esoscheletro, lo sapeva bene, non le permetteva di volare e non le garantiva la manovrabilità tipica dei pegasi. Ciò che non poteva sfruttare in termini di agilità lo recuperava però con una velocità superiore e la possibilità di impostare evoluzioni come se fosse alla guida di un minuscolo velivolo. Non poteva però sottrarsi alle leggi della fisica: planare significava dover perdere progressivamente quota.

La puledra gettò un’occhiata dietro di sé: la fregata era relativamente lontana ma l’intercettore e i numerosi pegasi di scorta si stavano muovendo per catturarli. Riportò l’attenzione su Dust: l’amico, ancora un po’ impacciato e molto più vicino al suolo rispetto a lei, stava però acquisendo padronanza dell’armatura; le ali erano spiegate e la planata in corso.

Sorrise.

Lo sapeva. Sapeva che avrebbe imparato immediatamente.
Una scia di aghi acuminati le sibilò accanto, riportandola alla realtà. Non c’era un secondo da perdere… Gli inseguitori andavano fermati.

 

    Copper fece fremere i muscoli delle zampe, in modo impercettibile. L’esoscheletro interpretò istantaneamente quei gesti e i meccanismi della tuta si azionarono, spostando la posizione delle ali. L’inventrice impostò un’ampia parabola curva, in modo da allontanarsi dalla nave e poi riallinearsi verso di essa.

Gli ugelli emisero un rumore acutissimo e un’ondata di vapore sospinse il pilota a folle velocità. Il mitragliere dell’intercettore vide il proprio bersaglio schizzare e allontanarsi improvvisamente. Non avrebbe tuttavia potuto perderla d’occhio: si trattava di una luce scintillante preceduta da una lunga coda di condensa biancastra. Ed era quello che Copper voleva: attirare completamente l’attenzione su di sé e permettere a Silver Dust di allontanarsi indisturbato.

Una volta raggiunto il fuoco dell’ellisse che aveva impostato, Copper fece tacere i propulsori a vapore, ruotò a mezz’aria e allungò infine le zampe in direzione della nave volante. Un secondo getto la sparò letteralmente verso gli inseguitori.

I pegasi di scorta volarono per intercettarla. Indossavano corazze leggere ed erano armati con sottili lance lungo i fianchi. Crearono una formazione serrata, generando di fatto un muro di spunzoni.

Copper aumentò la velocità e vi si fiondò all’interno, mirando con precisione al pegaso al centro della forza militare.

Il suo avversario non andò per il sottile: mirò al cuore e si preparò all’impatto.

La lancia, tuttavia, si infranse contro l’esoscheletro della fuggiasca, spaccandosi in più punti. Il pony color creta fuoriuscì dalla parte opposta della formazione, senza nemmeno perdere velocità. Mandò allo sbaraglio il malcapitato che aveva tentato di bloccarla, frantumandogli la pettorina con gli zoccoli e gettandolo in avvitamento verso il suolo.

La nave, intanto, continuava a sparare e a cercare di colpirla, osservando la posizione dei dardi che scagliava e cercando di aggiustare il tiro. Copper era però un bersaglio troppo veloce, un bersaglio che non erano abituati a fronteggiare.

In pochi secondi, atterrò prepotentemente sul ponte della nave. L’impatto fu tale da spaccare le doghe della pavimentazione e provocare uno sbandamento di rotta.

Gli occupanti (il mitragliere, quattro soldati e un ufficiale) rimasero sbigottiti ad osservarla.

La puledra era atterrata sulle zampe, compiendo una manovra che avrebbe spezzato le ossa a chiunque. Alzò lentamente lo sguardo e rivelò un volto ansimante ma tremendamente battagliero.

Il comandante ordinò di eliminarla e tutti, compresi i pegasi che stavano arrivando, si focalizzarono su di lei.

 

Due soldati tentarono di trafiggerla.

La prima lancia scivolò lungo la corazza frontale e si conficcò nel legno. La seconda venne intercettata da una zoccolata dell’unicorno e finì in frantumi, grazie ai poderosi riflessi donati dall’esoscheletro. Una spallata e un calcio spedirono i due soldati contro alcuni cassoni abbandonati, accanto alla chiglia.

Il mitragliere ruotò verso di lei quella che chiamavano “la sparachiodi”, ovvero un piccolo cannone di prua montato su meccanismo scorrevole. L’ennesima raffica di dardi saettò verso il pony, che spalancò un’ala e si fece scudo con essa, producendo scintille e tintinnii. La richiuse improvvisamente e, con un potere amplificato dal corno, sollevò e scagliò una cassa limitrofa contro l’avversario. Il tizio subì un contraccolpo terribile: l’oggetto andò in frantumi, spedendo il poveretto nel vuoto. Cadde per alcuni metri, finché il cavo di sicurezza, saldamente legato alla nave, non entrò in tensione e ne bloccò la caduta.

Copper si voltò quindi verso i nemici rimanenti.

I presenti atterrirono: il pony in armatura aveva il fiatone ma manifestava altresì un ghigno di folle divertimento sul muso. Nessuno avrebbe mai pensato che quella fosse la Copper mite e timida che viveva a Mechanus.

Tre pegasi atterrarono dietro di lei.

Dovevano passare alle maniere forti.

 

    Più lontano, intanto, Dust continuava la propria discesa.

Aveva acquisito una discreta padronanza della tuta e sapeva più o meno come utilizzarla in planata. Il bosco era a poche centinaia di metri. Sarebbe presto giunto a destinazione ma ciò che lo preoccupava più di tutto era… come avrebbe fatto ad atterrare tra gli alberi?
Si voltò un istante: dietro di lui, troppo lontani per minacciarlo, una coppia di pegasi cercava inutilmente di raggiungerlo. Ancora più indietro vi era invece l’intercettore ed era chiaramente visibile il potere azzurro della sua amica.

Poi, improvvisamente, dalla nave scaturì un’esplosione, sempre di colore azzurro. Il colpo sollevò una miriade di frammenti e pezzi di chiglia. Il velivolo dei Divites non si sbriciolò per miracolo ma iniziò ad emettere fumo nero dai motori e quindi a discendere verso il suolo.

Di Copper, tuttavia, non vi era alcuna traccia.

Dust sentì un tuffo al cuore.

Cercò di pensare rapidamente, tentando di non farsi cogliere dal panico.

Attese alcuni secondi ma non vide alcuna scia blu o comunque nulla che indicasse la presenza di Copper.
Controllò di nuovo la foresta. Era così vicino.
Scosse il capo.
Deve essere tutto a posto…”, pensò. “Deve avercela fatta”.

Attese altri secondi.

“…ora… ora prende il volo e mi raggiunge…”.

Non accadde nulla.
“OH DANNAZIONE!!”, sbottò, piegando le zampe e ruotando le ali.

Dust non ne sapeva niente di volo ma la sua mente matematica lo aiutò a tracciare una traiettoria impeccabile da seguire.
Impostò il percorso e lo seguì senza sbagliare di neanche un metro, ottenendo un’inversione di rotta. I pegasi, tuttavia, rimanevano ancora un problema. Li avrebbe sicuramente incrociati.

Ma lui aveva un vantaggio assoluto che loro non avrebbero potuto eguagliare. Qualcosa che, in quelle condizioni, si addiceva solo agli Alicorni. Lui non era Alicorno… ma possedeva pur sempre gli attrezzi del mestiere in materia di magia… assieme ad un paio di ali.

 

Silver Dust si fece coraggio: strinse i denti e scagliò una vampata di energia di fronte a sé. Uno dei due pegasi cercò di schivarla ma venne colpito in pieno e si ritrovò stordito a precipitare. Dust non avrebbe voluto ricorrere a simili misure e confidò che il nemico si potesse riprendere prima dello schianto.

Il secondo avversario incrementò il battito d’ali e si lanciò in un terrificante frontale con il pony lilla. Sapeva bene che, riducendo le distanze, non gli avrebbe dato il tempo e lo spazio per lanciare altri incantesimi offensivi. A pochi metri dall’impatto, Dust svanì letteralmente ai suoi occhi, per riapparire istantaneamente dietro di lui, continuando a volare verso l’incrociatore danneggiato.

 

Si avvicinò sempre di più alla nave, fino ad identificare un lumino azzurro in mezzo al fumo scuro che stava ormai fuoriuscendo dalle eliche e dai meccanismi interni del mezzo.

“COPPER!!”, urlò, cercando di impostare una manovra d’atterraggio. L’amica era troppo lontana e troppo occultata dal fumo. Non capiva bene cose stesse succedendo.

Dust, talentuoso ma inesperto, giunse troppo velocemente verso il ponte. Riuscì ad atterrare ma lo fece colpendo violentemente il legno e ruzzolando per svariati metri.

La tuta, fortunatamente, fece il proprio dovere e attutì l’urto.

Il puledro si ritrovò disteso in mezzo a scatoloni rotti e una miriade di schegge e lamiere contorte. Alzò lentamente il muso, cercando di riprendersi, notando quindi una manciata di soldati riversi a terra, feriti e con le armature in frantumi.

Il fumo circondava quasi ogni cosa e alcune sezioni della nave avevano preso fuoco.

Si rimise sulle zampe, aiutato dalla corazza, e cercò l’amica.

La vide.

 

Copper era accanto alla plancia di comando e marciava lentamente verso la parete. Contro di essa, bloccato da un incantesimo che gli stava serrando il collo, un ufficiale stringeva i denti e scalciava. La puledra lo stava soffocando e, contemporaneamente, reggeva magicamente la punta di una lancia spezzata, pronta ad usarla contro di lui.

Quando Silver scorse il ghignò dell’inventrice, atterrì.
Copper sorrideva malignamente, in un’espressione di follia che mai le aveva visto negli occhi.

“COPPER!!”, urlò.

L’altra ebbe un sussulto e l’espressione sul viso si spense all’istante. L’arma cadde sulle doghe e altrettanto fece l’ufficiale, prendendo poi a tossire e a massaggiarsi il collo.

“COPPER!”, ribadì stupefatto. “Che… CHE DIAVOLO STAI FACENDO??”.

L’amica sembrò riguadagnare improvvisamente la consapevolezza di sé. Si guardò attorno, fino a scorgere il comandante ferito. Si mise istantaneamente gli zoccoli sulla bocca e manifestò chiari segni di sofferenza.

“COPPER!!”, insistette l’altro, scuotendola per una spalla. “Copper! Che hai??”.

“I-io…”, balbettò, completamente stravolta.

Silver alzò gli occhi al cielo, che si intravedeva appena come spicchi celesti nel fumo.

“Dobbiamo andarcene, Copper! Stanno arrivando altri pegasi!”.

“S… sì!”, annuì.

“Non… non ve la caverete!”, berciò l’ufficiale con voce roca, ancora disteso a terra e il collo dolorante.

Quelle parole fecero ripiombare la puledra in uno strano stato d’alterazione.

Copper si fermò quindi tornò a marciare lentamente verso il comandante.

Silver cercò di fermarla ma la compagna gli fece cenno di non preoccuparsi. Dust, titubante, non seppe se crederle.

Con un ulteriore impeto magico, l’incantatrice schiacciò nuovamente il nemico contro la parete, quindi affondò il muso contro il suo.

“Stammi bene a sentire”, dichiarò, con voce spaventosamente minacciosa. L’altro atterrì. “Questa volta ve la cavate con una nave distrutta e la relativa scorta completamente annientata. Non ti rompo tutte le ossa solo perché non ho tempo. Ma voglio che tu dica ai tuoi amichetti dei piani alti quello che hai visto oggi”. L’incantesimo si intensificò, provocandogli versi di dolore. “DI’ LORO QUELLO CHE HAI VISTO! E CHE SE OSERANNO ANCORA DARCI FASTIDIO ALLORA GLI INANIMUS SARANNO L’ULTIMO DEI LORO PROBLEMI!!”.

“Copper! Andiamocene!!”.

Il pony corazzato annullò l’incantesimo, ributtandolo a terra.

Fece un cenno di assenso rivolto a Dust e quindi, dopo una breve galoppata, si tuffò nel vuoto, seguita a ruota dall’amico.

Le ali metalliche si riaprirono con uno scatto e i due ripresero a planare verso la foresta ormai prossima.

 

Dust, durante il tragitto, osservò preoccupato l’amica accanto a sé.

Copper volava vicino a lui, senza degnarlo di uno sguardo o proferir parola.

Il puledro scrutò il disastro che si stavano lasciando alle spalle.

La nave aveva ormai quasi raggiunto terra e si sarebbe schiantata entro pochi minuti, preceduta da una densa scia scura.

I pegasi erano in procinto di riorganizzarsi ma erano troppo lontani per costituire una minaccia.

Dust sospirò. Forse si trovavano al sicuro.

O quasi.

L’ufficiale superstite, senza che i due potessero accorgersene, si era trascinato fino alla celeberrima “sparachiodi”, armando il meccanismo di carica.

 

Una raffica scaturì dall’arma e sfrecciò verso i bersagli.

Copper avvertì i sibili, quindi percepì un dolore lancinante alla coscia sinistra, prorompendo in un urlo di dolore.

 

Dust si voltò e scorse l’amica precipitare rovinosamente verso la foresta.

Impostò prontamente la traiettoria per recuperarla… ma qualcosa andò storto e gli ugelli cessarono di emettere vapore. L’armatura parve irrigidirsi e qualcosa gli suggerì come si fosse probabilmente esaurita.

 

Con assoluto terrore negli occhi, osservò Copper schiantarsi contro la fitta vegetazione e sparire tra gli alberi.

Iniziò a perdere di quota. Completamente preda dell’agitazione, cercò uno spiazzo libero in cui poter atterrare. Non trovò nulla.
Osservò i rami scorrere velocissimi sotto di lui, sempre più vicini.

 

Strinse i denti e chiuse gli occhi.

Si preparò all’impatto.

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Capitolo 8
*** Augescere ***


    L’atterraggio di fortuna fu devastante.

 

Dust si raggomitolò su se stesso e sperò con tutte le energie di limitare il contraccolpo con gli arbusti.
Il giovane puledro si trasformò letteralmente in un proiettile senza meta  e si schiantò con violenza contro gli alberi sotto di sé. Percepì un dolore lancinante in tutto il corpo, seguito dal rumore confuso di rami e legna che si spezzano, con il terrore che potesse trattarsi delle proprie ossa.

Ruzzolò, colpì altri alberi, si schiantò al suolo e scivolò rovinosamente nel sottobosco.

 

Tutto, per un singolo istante, divenne scuro e confuso.

Le orecchie rimbombarono.

Il corpo si contrasse per il dolore.

Foglie e rametti continuarono a cadere copiosamente dalle fronde, per svariati secondi, nonostante il suo volo si fosse ormai concluso.

 

Scosse il capo. Cercò di ristabilire il controllo di sé.
Ma era confuso. Dannatamente confuso e agitato.

Si issò sulle zampe ma si sentì pesante, provando al tempo stesso una fitta terribile alle giunture. Sapeva che l’adrenalina poteva mascherare il dolore di fratture e contusioni, così iniziò a controllare affannosamente ogni centimetro del suo corpo.

La corazza era solo parzialmente integra: parte dei fianchi erano graffiati e pieni di bozzi. La copertura sul posteriore si era quasi divelta e un costante flusso di vapore iniziava a dipanarsi dalla zona danneggiata.

Silver ebbe paura. Paura che il contenuto ustionante delle intercapedini potesse fuoriuscire e bruciarlo, quindi iniziò a staccarsi frettolosamente i vari componenti dell’esoscheletro; l’armatura non lo stava più agevolando nei movimenti. Si era sostanzialmente spenta, divenendo di fatto un ostacolo che lo costringeva a forzarne le giunture e gli ingranaggi.

Pezzo dopo pezzo, la corazza venne rimossa e sparpagliata malamente sulla fitta coltre erbosa. Un attimo dopo aver scagliato l’ultimo pezzo, da una lamiera scaturì un fiotto di acqua bollente, seguito da minuscoli cristalli incandescenti. Quando le pietre entrarono a contatto con l’acqua, provocarono uno sfrigolio e un’immediata emissione di vapore bianco.

Dust, col fiatone, si passò uno zoccolo sulla fronte sudata. Ancora un attimo e avrebbe fatto una sauna poco piacevole.

 

Iniziò a tastarsi il corpo e constatò come fosse sostanzialmente illeso. Non escluse di essersi preso qualche botta di troppo, cosa che gli sarebbe costata qualche livido al massimo. L’armatura aveva svolto il proprio compito fino all’ultimo, proteggendolo persino da una caduta a cui nessuno sarebbe sopravvissuto.

Osservò i dintorni, tentando di calmarsi.

Era finito in un verdeggiante e fitto sottobosco.

Tronchi e arbusti erano disseminati ovunque, creando una cappa di fogliame che lo avrebbe occultato facilmente agli occhi di eventuali visitatori volanti.

L’aria era fresca (dato che solo pochi raggi di sole riuscivano a filtrare) e l’ambiente apparentemente calmo.

Poco distante da lui erano visibili le tracce della sua rovinosa caduta: piccoli alberelli frantumati, cumuli di foglie e qualche metro di solco nel terreno. Non ebbe dubbi. Senza tuta sarebbe sicuramente finita molto male.

Gettò un’occhiata dietro di sé e vide i pezzi della corazza. Riuscì a recuperare il cristallo mnemonico e la sua sacca con gli appunti, quindi optò per una fuga alquanto repentina.
Un po’ gli dispiacque abbandonarla in quel modo ma era ormai inutilizzabile e una faccenda molto più importante gli balenò all’improvviso nella mente.

Copper.

    Silver Dust mosse qualche passo, con estrema attenzione.

Un’intera squadriglia era sulle sue tracce. Dalla sua parte aveva una zona bucolica estremamente vasta in cui nascondersi ma i Divites non andavano per il sottile in certe faccende. Per quanto gli riguardava, avrebbero semplicemente potuto puntare i cannoni verso il bosco e procedere per il tabula rasa.

Optò quindi per avanzare verso la direzione opposta a quella dello schianto. Copper non era precipitata molto lontano da lui.

Camminando tra la vegetazione, si rese conto di quanto il suo fisico avesse risentito degli ultimi avvenimenti. Indossare la tuta, inoltre, poteva non essere così salutare come credeva.

Notò di sfuggita alcune chiazze scure volare oltre le chiome degli alberi.

Si bloccò e si accucciò ai piedi di un sempreverde.

Erano dei pegasi e lo stavano sicuramente cercando, data l’andatura lenta e regolare.

Per trovarlo avrebbero dovuto scandagliare minuziosamente ogni centimetro. Anche i Divites avevano però visto i luoghi degli schianti. Qualunque cosa fosse successa a Copper… non era al sicuro. Doveva trovarla quanto prima.

    L’allievo di Celestia continuò nella ricerca per diversi minuti, inoltrandosi in un ripetersi di vegetazione sempre uguale.

Notò quindi una zona analoga a quella del suo atterraggio.

Vi era un piccolo ruscello che scorreva gentile, insinuandosi in minuscole cascate create dall’erosione naturale.

Sul terreno era visibile una buca simile ad un cratere, seguita da solchi e frammenti di legno.

Copper era riversa nell’acqua, aggrappata con le zampe posteriori alle sponde del fiumiciattolo.

La corrente era minima; la puledra aveva gli occhi chiusi e il volto contratto dalla stanchezza e dalla sofferenza. Respirava in modo lento e pesante.

“COPPER!!”, urlò l’amico, quando la vide.

Trottò in fretta e furia verso di lei.

L’altra riuscì appena a riaprire le palpebre, guardarlo e poi richiuderle.

Il compagno si tuffò letteralmente verso di lei, sollevando spruzzi d’acqua gelata. La afferrò per le zampe e cercò di trascinarla rapidamente verso l’erba asciutta. Ma un pony in armatura non era di certo un carico leggero e così dovette ricorrere all’aiuto della magia.

“COPPER!”, ripeté, dopo averla adagiata a terra.

L’inventrice respirava affannosamente. Il suo esoscheletro non riluceva più e gli ingranaggi erano apparentemente immobili. Sembrava una normalissima armatura in metallo.
“C… Copper?”.

“…Dust…”, sussurrò, con un filo di voce.

“Come… come stai?”, le chiese, passandole una zampa sulla spalla, con volto estremamente preoccupato.

“I… io…”. Cercò di sollevarsi lungo un fianco ma dovette fermarsi ed emettere un gemito di sofferenza.

“Non ti muovere!”.

“Dobbiamo… dobbiamo andarcene…”.

“Sì! Assolutamente! Ma… ma tu come stai??”.

Copper si diede una rapida controllata al corpo.

“Io… credo che l’armatura abbia esaurito il vapore. Forse… forse l’ho spinta troppo oltre e… e l’acqua… o le Pietre Ignee… insomma… si sono… esaurite…”.

“Credo sia quello che è successo anche a me…”.

“…l’hai tolta?”.

“Sì o mi avrebbe cotto al vapore”. Dust si accostò a lei e cercò di aiutarla a rialzarsi. “Ora, però… bando alle ciance. Muoviamoci”.

La puledra emise un altro verso di dolore e cadde a terra.

“Ah… l-la mia… zampa…”.

Silver controllò le sue zampe posteriori e vide un punto, più o meno sulla coscia, in cui le lamiere rientravano di almeno un paio di centimetri. Doveva essere la zona in cui era stata colpita.

“Non… non riesco… a camminare… e la corazza pesa troppo…”, si lamentò, sibilando tra i denti per il dolore.

“Allora toglitela!”.

“No…”, rispose, scuotendo il capo.

“Come no?? Levati ‘sta cosa e andiamocene!”.

“…e per cosa? Per lasciarla qui ai Divites?”.

“Copper! Che senso ha rimanere con la corazza?! Vi prenderebbero entrambi!”.

“…tu non puoi capire…”, tagliò corto, cercando di rimanere in piedi ma senza riuscire ad avanzare.
“Cosa non capisco? Copper!!”.

“Vai tu, piuttosto”.

“…che??”.

“Hai con te il cristallo?”.
“…sì”.

“Allora vattene. È quello che vogliono, oltre a me e al mio esoscheletro. Tu non gli servi a nulla… non ti cercheranno”.

“Copper, non dire cretinate!”, le rispose stizzito.

“Non hai idea… di quanto io… mi senta stanca… di quanto… senta dolere in ogni muscolo del mio corpo… di quanto…”.

 

Silver Dust strinse i denti e fece scintillare il corno.

Copper, con sua meraviglia, si sentì sollevare appena dal terreno e si avvicinò all’amico. L’unicorno lilla le spalancò un’ala meccanica e la appoggiò sulla propria groppa, quindi fece passare una zampa attorno al fianco di lei e annullò l’incantesimo. Il pony e la bardatura gli finirono sul groppone come un macigno. Le zampe di Dust tremarono ma non si perse d’animo e mosse i primi passi, accompagnati da quelli tremanti dell’amica.

“Dust! Che cavolo fai??”.

“Sta zitta…”, rantolò, con volto affaticato.

“Dust!!”.
“Copper… non è facile trasportarti in questo stato… tantomeno se mi urli in un orecchio…”. Silver camminò senza sosta, senza nascondere la fatica. “Inoltre… ti direi di metterti a dieta… ma so che ti arrabbieresti ancora di più…”.

“Dust…”, continuò l’altra, con voce un po’ calante.

 

Il matematico non disse più nulla e si limitò a concentrarsi e a camminare.

Copper non sapeva più cosa dire. Nessuno si era mai preoccupato così tanto per lei, a costo di mettere a repentaglio la sua stessa vita. Ma era così stanca, così infreddolita e dolorante… da non riuscire a lanciarsi in manifestazioni di entusiasmo.

Dust non lo sapeva ma gli usi della corazza erano più pericolosi di quanto credesse.

 

    La coppia continuò ad avanzare lentamente nel sottobosco, nella speranza di trovare una zona in cui fermarsi e recuperare le forze. Anche se non l’avessero trovata, era pur sempre meglio che rimanere fermi fino a farsi scovare dalla ronda dei Divites.

Dopo quasi mezz’ora di marcia estenuante, le loro aspettative vennero soddisfatte.

Silver incrociò una piccola collinetta su cui era cresciuto un albero dalle radici profonde. Parte del terreno era franato ma le radici ne avevano trattenuto una sezione, creando sostanzialmente un piccolo anfratto simile ad una grotta.

 

Lo raggiunse ansimante, quindi liberò Copper dalla presa e si accasciarono entrambi a terra, lui su di lei.

Il giovane emise un verso liberatorio e si fermò a respirare.

 

Copper, senza un motivo apparente, gli passò delicatamente le zampe attorno al collo e strinse appena.

Silver non seppe come reagire.

Non cadde in imbarazzo. Si fece invece assalire da una dolce sensazione di tranquillità.

 

Rimasero in quella posizione per alcuni minuti.

 

Ad un certo punto, il puledro percepì il corpo dell’amica tremare. Si voltò a guardarla.

“…Copper?”.

L’unicorno color creta si era raggomitolato su se stesso ed era preda di deboli convulsioni. Aveva gli occhi chiusi e leggermente sofferenti.

“Copper, che hai?”.

“N-niente…”, balbettò. “Ho… ho solo un po’… un po’ di freddo…”.

“Per forza!”, la sgridò. “Sei caduta in un fiume ghiacciato! Sei tutta zuppa e con del metallo addosso! Levati quella roba!”.

“…n-no”.

“Copper! Vuoi morire congelata?? Togliti quell’affare!”.

“…no”.

“Oh, mia Celestia!”, sbottò, ruotando gli occhi agli spicchi di cielo. “Senti… Io vado a prendere un po’ di legna per accendere un fuoco…”.

“S-sei scemo? Così c-ci vedranno…”.

“Sono sempre un incantatore. E non sono così stupido…”.

“S-sì, lo sei…”.

Dust si allontanò.

“Per quando torno dovrai esserti tolta quell’aggeggio, intesi?”.

 

Quando Dust fece ritorno, con un piccolo mucchietto di legni, ritrovò Copper nella stessa situazione di prima.

“E ti pareva…”.

L’altra non rispose e continuò a tremare.

Silver dispose la legna a formare una catasta circolare, quindi indirizzò un raggio dal corno e creò una fiammella. Evocò un secondo incantesimo e una sfera traslucida avvolse il piccolo falò.

“Ecco”, spiegò. “Questo dovrebbe deviare i fasci di luce su altri piani polarizzati. In pratica non dovrebbe notarsi granché…”.

“O-ok…”, rispose.

 

La puledra era riversa su un fianco, con i crini zuppi e penzolanti.

 

Dust si sedette accanto a lei, cercando di ravvivare la fiamma di un fuocherello ancora estremamente timido.

“Copper…”, la riprese, con volto ammonitore. “Già questa fiammella è striminzita… Se non ti togli il pentolame stai pur certa che domani ti ritroveremo a fare la bella statuina. Per sempre…”.

 

L’amica sospirò.

 

Passarono alcuni secondi.

 

“…no eh?”, domandò Dust.

“C-cosa?”.

“Non te la vuoi proprio togliere…”.

“Cavolo, Dust!! Che p-pizza che s-sei!”.

“C-che p-pizza che s-sono?”, la schernì. “Ma ti senti? Mi spieghi perché non vuoi levartela? Ora non ci sono i Divites…”.

“Non importa…”.

“Non è che sei veramente fatta di ingranaggi e bulloni, sotto la corazza?”.

“C-cosa? Ancora con q-questa storia?”.

“Allora spiegami… Dammi UN SINGOLO motivo per cui non vuoi toglierti quella roba…”.

 

Copper sospirò di nuovo e abbassò lo sguardo. Sembrò cadere in una sorta di dispiacere.

 

“G-già… sto morendo di freddo…”.

“E allora!”.

“È che…”, sussurrò, spostando lo sguardo verso una zona indefinita.

“Cosa…?”.

“…è che… ho… ho paura…”.

“Paura? Di cosa?”.

Copper lo fissò timidamente con lo sguardo, come se si sentisse in profondo disagio.

“…paura… che… che qualcuno… che… che tu mi veda…”.

“…cosa?”, berciò, sollevando una narice. “Copper… ti devo ricordare… che solitamente non indossiamo vestiti?”.

“N-non è quello, imbecille!”, gli rispose imbronciata. “Possibile che non capisci?”.

“Cosa non capisco?? Già non sono un mostro d’empatia! E tu non sei proprio un libro aperto!”.

Copper guadagnò un po’ di brio: “Io… io ho… ho da sempre indossato questa corazza… La indosso praticamente da quando l’ho costruita… da…”. Si incupì. “…da quando ho fuso la mia essenza con quell’Inanimus”.

“E… quindi?”.

“Quindi… Mi… mi sono sentita protetta fin da allora. Mi sono sentita… cioè… non più sola…”.

“…ma tu non sei sola, Copper…”, le spiegò con sincerità. “…almeno non ora…”.

“…lo so”, ammise. “È che… mi sono isolata… per anni. E l’unico amico… o… la cosa che più si avvicinasse ad un amico che mai abbia avuto… era quell’Inanimus. Da quando ho fuso parte delle nostre essenze… l’ho portato sempre con me. E mi faceva sentire… protetta…”.

“Ma ora stai morendo congelata, Copper…”.

“Lo so… È che senza questa corazza… Lo so che è stupido…”.

“…non è stupido…”.

“…senza di lei… mi sento…”. Copper tremò ancora più forte e contrasse le labbra. Gli angoli degli occhi divennero lucidi. “Mi sento… inerme…”. Si strinse le spalle tra gli zoccoli. “…mi sento… dannatamente vulnerabile… non solo fisicamente… ma…”.

Dust allungò le zampe verso di lei e le sfiorò appena le guance. La scrutò intensamente.

“…Copper… Non ti chiedo di fidarti di me sulla parola. Ma… io non credo potrei mai farti del male… Sia fisicamente che non”. Una piccola lacrima scivolò su un volto decisamente spiazzato di Copper. “Anzi… se vuoi… cioè… puoi toglierti la corazza e… cioè, nemmeno ti guardo… non ti parlo… Ti asciughi, ti rivesti… e…”.

 

Copper si passò il dorso di una zampa sulla guancia, quindi lo abbracciò delicatamente e si strinse a lui.

 

“Perdona le mie paure…”, gli confessò, demolendo parte di quel muro che si era costruita nel corso degli anni. “Perdona i miei… strani modi di fare…”.

“Copper, io…”.

“Perdonami… Io… io lo so che non è facile avere a che fare con me…”.

“Copper…”.

“Lo so che sono… scostante… antipatica…”. Ebbe un singhiozzo. Chiuse gli occhi e incrociò il collo col suo. “…che… che non riesco sempre a…”.

Silver le prese il volto tra le zampe.

Ebbe giusto un attimo di esitazione, prima di serrare le palpebre e darle un bacio sulla fronte.

“Ora non ha importanza. Scaldati… è la cosa di cui hai più bisogno… Io mi giro dall’altra parte, se vuoi…”.

 

L’amica arrossì appena ma non ci furono ingranaggi ad accompagnarne la reazione. Erano sempre fermi e silenti.

 

Copper si allontanò appena da lui, quindi si portò gli zoccoli al petto, preparandosi a sganciare i sostegni della corazza.

Dust fece per voltarsi ma l’altra lo fermò con un gesto.

“…non… non voltarti…”, gli disse, arrossendo ancora di più.

“…sicura?”.

Una pressione fece scattare la pettorina, che si sganciò.

Pezzo dopo pezzo, con una certa reticenza mista a timidezza, l’esoscheletro venne delicatamente ed ordinatamente rimosso.

Su Copper non rimaneva che una tuta in pelle aderente, che ne ricopriva quasi interamente il corpo. Doveva essere un supporto aggiuntivo per sopportare il peso e lo sfregamento continuo della sua invenzione. Anche quell’indumento era bagnato fradicio e quindi andava rimosso.

La puledra accostò la zampa ad uno dei bottoni. Si fermò. Il cuore iniziò a batterle forte.

“…non so quanti anni sono… che qualcuno non mi vede… senza…”.

“…te l’ho detto… se vuoi mi giro…”.

Copper fece un profondissimo respiro.

Sganciò il bottone e rimosse la tuta.

 

Dust non poté negare di come vi fosse qualcosa di molto dolce e stimolante, in una puledra che stava lentamente rimuovendo ogni singolo blocco che si portava dietro da anni, sotto forma di corazza ed indumenti.

Non seppe perché. Forse la aveva da sempre avuta attorno in quel modo, quindi non era abituato a vederla a pelo nudo. Avvertì semplicemente un formicolio al petto e una vampata di calore alle guance.


Copper era di fronte a lui, come mai l’aveva vista prima.

Teneva il muso basso e si sfregava nervosamente una zampa con l’altra.

Il pelo color creta era umido e un po’ arruffato.

Sulle zampe posteriori era presente il suo marchio:

un cuore rosso all’interno di un ingranaggio appena arrugginito.

 

L’amica non riuscì a sollevare lo sguardo, per tutto il tempo.

Riprese a tremare.

 

Silver, senza avvicinarsi a lei, invocò una curiosa magia ed un gentile flusso di aria iniziò a dipanarsi dal fuoco, portandole addosso un venticello tiepido.

L’inventrice sorrise timidamente e parve gradire.

Tornò a coricarsi lungo un fianco, avvicinandosi al fuoco e lasciando che l’incantesimo l’aiutasse a riscaldarsi.

Dust, invece, si allontanò qualche minuto e tornò con altri legnetti. Ne intrecciò alcuni, costruendo un rudimentale supporto sopra al fuoco, su cui adagiare la tuta in pelle affinché si asciugasse.

 

Si soffermò ad osservare Copper.
La puledra si era appallottolata come un gatto e aveva gli occhi pesanti, come se fosse combattuta tra il desiderio di addormentarsi e quello di rimaner sveglia.

Il corpo, però, ancora le tremava.

 

Fu in quel momento che Dust decise di compiere un gesto a suo avviso avventato.

Gli sembro una follia.

Eppure volle farlo.

Si portò accanto a lei e si distese alle sue spalle.

Perché lo fece?
La situazione?

Il fatto che si stavano giocando il tutto per tutto, con le avventatezze che avevano da poco compiuto?

 

Silver mise il petto contro la sua schiena e la avvolse con una zampa.

Poggiò il muso contro il suo collo, percependo i crini ancora umidi sul viso.

Si sarebbe aspettato una gomitata ma Copper rispose stringendo a sé la zampa color lilla.

 

Non dissero nulla per molti minuti.

Ad un certo punto, Copper smise di tremare.

 

“…stai un po’ meglio?”, domandò Dust, con voce calma e profonda.

“…sì”.

“Se… se vuoi che vada via… io…”.

Copper strinse la zampa ancora più forte. Tanto gli bastò come risposta.

 

Il tempo continuò a scorrere lentamente e il fuoco dipanò il suo magico calore verso i due.

Silver si fece un po’ più audace e prese a strofinare teneramente la fronte contro il collo di lei. Si accorse quindi di un dettaglio che gli era sfuggito.

 

Sulla schiena dell’amica, praticamente lungo tutta la colonna vertebrale, erano presenti dei minuscoli forellini, simili ai buchi di un piercing. La zona limitrofa era leggermente arrossata.


“…Copper?”.

“…mh?”, mugugnò sorridendo. Quella situazione sembrava non dispiacerle affatto.

“Vedo… dei fori… sul tuo corpo…”.

“Ah…”, esclamò impreparata. “Ehm…”.

“Se non vuoi parlarne…”.

“N-no… Cioè… ormai posso dirtelo…”.

“…è la tuta?”.

“…sì”.

“…vuoi dire che… che la tuta…”.

“Non spaventarti”, gli spiegò, continuando a godere del calore di lui sulla sua schiena. “Non è… brutto come sembra”.

“…se lo dici tu”.

“Davvero…”.

“La mia tuta non ha dovuto… insomma… sforacchiarmi…”.

“Questo perché il mio esoscheletro è un modello avanzato. Si interconnette direttamente al midollo spinale ma lo fa con dei microtubuli. È quasi indolore”.

“…quasi?”.

“Beh… i primi tempi faceva un po’ male. Poi ti ci abitui…”.

“…ammetto che mi fa un po’ paura…”.

“Sì, può spaventare. Ma ti assicuro che… che è il metodo migliore per creare un… perfetto connubio tra macchina e corpo. Non è invasivo come credi. Ed è l’unico modo per…”.

“…per?”.

L’inventrice si fermò per un istante, quindi sollevò la zampa lilla e se la portò alle labbra. Iniziò a baciarla delicatamente.

Silver si intirizzì e virò violentemente al rosso.

“…hai presente”, continuò Copper, “quando parlavo di ricircolo del sangue… del fatto che si depurasse o cose così?”.
“S-sì…”, balbettò, un po’ agitato.

“Non sarebbe possibile, senza quello. Inoltre… dopo la fusione delle essenze… l’esoscheletro risponde istantaneamente ai miei stimoli nervosi. E può reagire senza latenza ad ogni mia necessità”.

“…forte…”.

“Già”, ammise amaramente. “Ma è anche… il motivo per cui mi spaventa tanto usarla… specialmente senza blocchi inibitori”.

“…tipo oggi? Quando… insomma…”.

 

Copper si girò verso di lui, cambiando fianco su cui era poggiata.

Dust se la ritrovò col muso accanto al suo.

 

“Oggi cosa?”, domandò, corrugando la fronte.

“Eeehm… o-oggi… cioè… insomma…”.

La puledra premette il muso accanto al suo: “Mh?”.

“Ecco… insomma… mi sembravi un po’… alterata… o sbaglio?”.

Copper si ritrasse appena e divenne seria.

“No… no, hai ragione…”.

“Non voglio insinuare nulla, eh…”.

“No… è quello di cui ti parlavo. Vedi… Questa corazza”, lo informò, indicando i pezzi ordinatamente accatastati in un angolo della grotta, “è in grado di… interpretare le esigenze di chi la indossa. E… lo predispone ad affrontare al meglio tutte le evenienze. Hai bisogno di essere calmo? Allora induce il cervello a produrre neurotrasmettitori, catecolamine o robe così… Qualcosa ti emoziona? Alè, via di sintesi ormonale… E se devi combattere…”, l’incantatrice fece una pausa. “Allora… puoi star certo che ti inonda di adrenalina. Non… non senti più dolore… non hai più paura… sei…”. Gli occhi smeraldo brillarono di una strana luce inquietante. “Sei tutto un fremito… sei un tutt’uno con il tuo corpo e non ti frega più nulla di…”.

Dust assunse un atteggiamento preoccupato.

“Vedi?”, concluse lapidariamente la compagna. “È… è MOLTO pericolosa. E in passato… mi ha causato molti problemi. È uno strumento magnifico ma bisogna saperlo usare e non farsi prendere la zampa…”.

“Sì… cioè… mi ricordo l’espressione che avevi oggi… Mi… mi hai un po’ spaventato, lo sai?”.

“Mi… mi dispiace”, dichiarò affranta. “Ma ora capirai… perché ero così spaventata nell’usarla”.

“Già. E tutto questo con solo due blocchi rimossi… su quattro…”.

“In verità”, aggiunse, stiracchiandosi e prorompendo in un sonoro sbadiglio, “quando tutti i blocchi sono rimossi… la faccenda è un po’ diversa”.

“Ah… in che senso?”.

Copper parve appisolarsi contro il suo petto, sorridendo.

“…nel senso… nel senso che…”, borbottò, cadendo preda di un sonno sempre crescente.

Ebbe ancora qualche strascico di parola, quindi rilassò i muscoli facciali ed iniziò a respirare profondamente.

Dust si sentì un po’ un idiota, in quel modo, ma avere Copper tra gli zoccoli non gli dispiaceva affatto.

Decise quindi di godersi l’attimo: mise il muso accanto al suo e lasciò che quelle dolci sensazioni lo cullassero e lo coccolassero.

 

Chiuse gli occhi.

 

*** ***** ***

 

    Da tutt’altra parte, a centinaia di metri dal suolo, un unicorno in divisa bruciacchiata entrava nell’androne principale della fregata Divites.
La stanza era completamente a soqquadro: le finestre in frantumi, cosa che faceva entrare continue raffiche di vento, mentre pareti e arredo erano stati completamente distrutte.

Un imbronciatissimo Steel Hammer scrutava con severità i danni che i due avevano causato con la loro fuga. Gli occupanti se ne erano già andati da tempo, fatta eccezione per qualche guardia e per l’unicorno bianco Zamak Kirksite, che necessitava dell’aiuto di un commilitone per sorreggersi.

Il fratello di Copper versava in condizioni decisamente gravi, con un arto fasciato e medicamenti per proteggere le numerose ustioni. Il volto dagli occhi celesti mostrava evidenti segni di sgomento.

Hammer allontanò alcuni frammenti sul pavimento, con una zampata, quindi si rivolse a Zamak.

“Vostra sorella è davvero una tipetta che non va per il sottile, hm?”.

“Io…”, sussurrò, abbassando lo sguardo.

“Non dovete rammaricarvi. Il vostro grado di parentela è ininfluente, in questo caso. Non saranno di certo presi provvedimenti. Di fatto… avete sempre compiuto un onorevole servizio”.

“Capisco… però…”.

“Quella puledra…”, ammise, massaggiandosi il mento e distogliendo lo sguardo. “Non credevo che avesse creato un’armatura così potente. E noi che pensavamo si trattasse di un’altra invenzione fallimentare”.

“Potrei parlarle.... Farle capire che è meglio che non opponga resistenza”, buttò lì, evidentemente preoccupato.

“Non sarà necessario, amico mio”, lo interruppe a zoccolo alzato. “Una squadra è sulle loro tracce. Pare abbiano abbandonato la nave con i loro dispositivi ma confido che non andranno lontano”.

L’ufficiale in divisa sgualcita si schiarì la voce, attirando di fatto l’attenzione di due.

“Parli del Diavolo…”, commentò Steel. “Allora? Aggiornamenti?”.

“Io… uh…”, farfugliò, non sapendo bene cosa rispondere. Iniziò a grattarsi nervosamente il capo.

“Mh?”.

“…i prigionieri… sono fuggiti…”.

“Fuggiti?”, domandò perplesso. “Avevo dato preciso ordine di rilasciare due squadriglie volanti e un intercettore, il più veloce a nostra disposizione. Come hanno fatto a scappare?”.

“Loro… loro volavano, signore”.
“…volavano?”, chiese.

“Sì. Con le loro… uh… corazze…”.

“Quindi… sono fuggiti con le rispettive armature?”.
“Non… non solo”, continuò con rassegnazione. “Hanno incapacitato metà dei pegasi di scorta e abbattuto un intercettore di classe Falco”.

L’ufficiale si sarebbe aspettato una reazione adirata da parte del comandante ma quest’ultimo si limito ad impensierirsi.

Dopo qualche secondo di silenzio, riprese a parlare.

“Molto bene. Intensificate le ricerche. Mandate altri pegasi a controllare le zone più probabili. Risparmiate gli intercettori”.

“S-sissignore”.

“Date inoltre ordine alle truppe a terra di raddoppiare, anzi triplicare la sicurezza in città, particolarmente alle zone di snodo, gli ingressi e il cuore centrale. MASSIMA priorità. Comunicate il coprifuoco. Chiunque verrà sorpreso a bighellonare in giro dovrà rispondere direttamente al Capoposto in comando. È inoltre fondamentale che gli abitanti attorno al cuore centrale vengano fatti evacuare presso le periferie. Chiaro?”.

“Chiarissimo, signore”, rispose prontamente, porgendo saluto militare.

“Esegua, colonnello”.

L’altro girò gli zoccoli e se ne andò.

Hammer prese quindi a passeggiare su e giù per la stanza, con chissà quali pensieri per la mente.

“C… comandante?”, chiese Zamak, vagamente preoccupato.
“Sì?”.

“Cosa… cosa avete in mente?”.

“Niente. Voglio solo garantire la sicurezza cittadina”.

“Ma… sono solo… due puledri… Non…”.

“Fandonie”, tagliò corto. “Hanno esfiltrato da una zona di massima sicurezza, incapacitato un’intera forza armata e abbattuto un intercettore da battaglia. Questi soggetti sono altamente pericolosi”.

“Comandante!!”, sbottò disperato. Il soldato a suo fianco lo trattenne. “Sono due giovani unicorni! Uno di loro è mia sorella e l’altro l’allievo di una Principessa!”.

“Stia tranquillo. Non ho intenzione di liquidarli o che altro. Di fatto… non ho incentivi a causare un incidente diplomatico con un intero Regno, così come non voglio distruggere l’occupante dell’esoscheletro, in quanto questo significherebbe perdere l’esoscheletro stesso”.

Kirksite rispose con una smorfia di repulsione. Ancora poco e gli avrebbe risposto per le rime.

“Dunque stia tranquillo e si riposi, Kirksite”, lo rassicurò sorridendo. “La situazione è sotto controllo. Confido che la coppia verrà prima o poi trovata. E se non verrà trovata… allora potrebbe recarsi in città. Per allora saremo pronti ad accoglierli. Con le buone… o con le cattive”.

“Lasciate che vada a cercarli!!”, lo implorò. “Ve ne prego!”.

Hammer fece un cenno e un secondo soldato lo bloccò saldamente.

“Conducetelo in infermeria. È in evidente stato di shock per la sorella. Lasciate che si calmi”.

“COMANDANTE!!”, ruggì, mentre veniva trascinato via.

“Se necessario… sedatelo”.

“Sissignore”, rispose un sottoposto.

“Ah…!”, aggiunse Steel, prima che il soldato se ne andasse.

“Sì, comandante?”.

 

“…portatemi qui quel tizio… quel tale.

 

Novarius”.

 

*** ***** ***

 

    Copper Head riaprì gli occhi, senza essersi resa conto di quanto avesse dormito.

Era ancora coricata all’interno della piccola grotta terrosa.

Il fuocherello si era praticamente estinto, lasciando giusto qualche brace fumosa come unica testimonianza del combusto.

Alzò delicatamente il muso e vide il cielo azzurro, oltre le fronde degli alberi. Probabilmente era pomeriggio inoltrato.

Si mosse e percepì una zampa lilla cingerla da dietro.

Con la coda dell’occhio notò Dust, appisolato contro la sua schiena.

 

Sorrise dolcemente.

 

Tornò nella posizione di riposo. Si sentiva ancora stanca ed acciaccata.
Aveva spinto la corazza al limite, si era fatta bombardare da sostanze biochimiche ed ora versava in condizioni di esaurimento fisico. Non era la prima volta che le capitava… ma era sempre una strana sensazione.

Rimase in silenzio ad osservare la natura di fronte a sé.

 

Quella non era Mechanus.

Non si trattava del suo laboratorio unto e polveroso o delle rumorose strade metropolitane.

Non vi erano ciminiere nerastre e velivoli che scoppiettavano nell’aria.

 

La sua attenzione cadde quindi sulla sacca a tracolla di Silver; il puledro l’aveva abbandonata accanto al fuoco, proprio vicino alla tuta in pelle, ormai quasi asciutta.

 

Senza fare rumore, Copper fece brillare il corno e il contenitore si avvicinò, fluttuando verso di lei.

Si assicurò che il proprietario continuasse a dormire, quindi la aprì con curiosità.

 

Trovò il cristallo mnemonico.

Lo scrutò con attenzione, facendo luccicare le sfaccettature irregolare di un blu intenso.

Lo ripose. Non aveva alcuna intenzione di farsi esplodere il cervello con una marea di ricordi. Le era bastata la reazione di Dust.

Trovò quindi il suo quaderno degli appunti e, assieme ad esso, una risma di fogli rigidi.

Diede una rapida occhiata: erano gli schizzi che Dust aveva fatto durante la sua permanenza. Vi erano strade, palazzi cittadini, alcuni particolari dei meccanismi urbani…

Il pony color creta li osservò con interesse. Il suo sorriso si intensificò.

I tratti artistici dell’amico erano netti e spigolosi… proprio come si potrebbe additare ad un matematico. Erano perfetti, quasi fosse stato una fotocopiatrice ad inchiostro.

Continuò a sfogliarli.

 

Finché…

 

Si bloccò.

Il sorriso si spense e venne sostituito da una neutra espressione di incredulità.

Su uno dei fogli… era presente il ritratto di una puledra.

La riconobbe subito.

Copper Head era riversa sul suo banco da lavoro, assopita.

Indossava la tuta ed aveva il volto poggiato sulle zampe anteriori.

Gli occhi erano chiusi.

 

Erano presenti ancora alcuni fogli disegnati, su cui era stato riproposto lo stesso disegno, più e più volte.

Ed ogni volta…

 

Il tratto diveniva più morbido.

I colori più sfumati.

I lineamenti più dolci.

 

Era lo stesso Dust che aveva disegnato quegli edifici spigolosi…?

Lo stesso tratto?

Lo stesso zoccolo?


Un verso di risveglio, dietro di lei, la fece trasalire.

Si affrettò a riporre i documenti, chiuse il tutto e lo buttò accanto al fuoco spento.

Gettò quindi la testa sul terreno, ad occhi sgranati, sperando che l’amico non si fosse accorto che era sveglia.

“Mhf…”, mugugnò Dust, stropicciandosi gli occhi.

L’altra rimase immobile e non disse nulla.

“…Copper? Sei sveglia?”, domandò mollemente.

“Uh… s-sì. Mi sono appena svegliata”.

Senza preavviso, il puledro le scostò i crini alla base del collo e le diede un bacio, proprio sulla zona vertebrale. Quel gesto fece contrarre i muscoli dell’unicorno creta e la gettò in un profondissimo imbarazzo.

“Ti sei riposata un po’?”.

“Eeehm…”.

La presa di Silver si allentò e il giovane si mise sulla quattro zampe, sporgendosi leggermente dal riparo e scrutando il cielo.

“…è già molto che non ci abbiano trovati”, commentò, con muso serio.

“Già…”.

Si voltò quindi verso di lei ed iniziò a passarle le zampe sul pelo.

Copper gli menò una zoccolata sulla guancia.

“EHY!!”, tuonò.

“AHIO!! Ma che ti piglia??”.

“Che sono tutte queste libertà??”.

“Stavo solo controllando se eri asciutta! E poi ti sei beccata un dardo su una zampa! Volevo vedere com’eri messa!”.

L’inventrice comprese di aver frainteso e di aver agito un po’ di impulso. Non lo volle ammettere.

“…maniaco”, commentò.

“Cosa?? Eccerto, potevo approfittarne mentre dormivi e invece aspetto che ti svegli. Sono due volte scemo, insomma”.

“Sì sei scemo. E poi che ne sai tu di medicina?”.

“A Canterlot ho seguito alcuni corsi di pronto soccorso e conosco la magia curativa di livello Rosa”.

Copper rise sotto i baffi: “…Rosa?”.

“Sì. Rosa. Perché?”.
“No niente”.

“Guarda che la magia curativa si divide in livelli Rosa, Rubino, Magenta e Bianco”.

“Secondo me ti stai inventando tutto…”.

“Senti, vuoi che ti dia un’occhiata o no?”.

“Io…”.

Dust prese l’iniziativa: premette leggermente su di lei con entrambe le zampe, in modo da distenderla completamente. L’amica non seppe bene come comportarsi e cadde preda dell’ennesimo imbarazzo.

L’incantatore iniziò quindi a controllarle la zampa ferita.

Sulle prime, Copper si irrigidì dal disagio ma poi, a poco a poco, provò una strana sensazione nel cuore e poté rilassarsi leggermente.
Era una sensazione a lei molto famigliare, che però era venuta a mancare nelle ultime ore… più precisamente da quando si era tolta la bardatura.

Non era abituata.
Non era abituata ad avere qualcuno che si preoccupasse così tanto per lei.

Che la coccolasse e, a modo suo, cercasse di proteggerla.

Si sentiva come quando l’essenza dell’Inanimus pulsava accanto al suo petto, attraverso la pettorina.

 

Per la prima volta in vita sua, anche senza corazza, ebbe la sensazione di non essere sola.

C’era qualcuno che voleva tenerla al sicuro.


Socchiuse gli occhi e si calmò.

Emise un verso di dolore, percependo la coscia bruciare.

 

“Sta ferma”, le disse Dust, proiettando un fascio rosato dal corno. “Fa un po’ male, lo so. È una magia lenitiva. Non serve a curare i danni a lungo termine. Sono solo un novizio… ma dovrebbe bastare…”.

 

Copper cercò di rilassarsi e la tensione dei muscoli scemò.

La sensazione di bruciore si trasformò in un tenue tepore.

Sorrise.

 

“Fatto!”, dichiarò infine. “Non è stato così terribile, vero?”.

L’amica rimase distesa a guardarlo.

“Copper?”, domandò, senza capire.

L’unicorno dai crini ramati si sollevò lentamente. Gli arti le facevano ancora male ma la magia aveva fatto il suo effetto e poteva ora muoversi con meno problemi.

Si avvicinò a Silver.

“…Copper?”.

Gli passò le zampe attorno al collo e portò il muso a fianco del viso color lilla. Chiuse gli occhi e fece scorrere delicatamente la lingua sulla sua guancia; un gesto estremamente dolce ed intimo.

Il respiro di Dust si fece lento e profondo.

“Ora conosco ben due essenze meravigliose…”, lo informò, sfregando il viso contro il suo.

Silver non disse nulla.

Si limitò a stringerla a sé e chiudere a sua volta gli occhi.

Rimasero abbracciati per diversi minuti.

 

    Si separarono e si sorrisero a vicenda.

Dust le sfiorò il volto con uno zoccolo e Copper ricambiò con una zampata sul costato.

“OW! E adesso che ho fatto??”, si lamentò, cingendosi il fianco.

“Niente”, rispose con nonchalance, a muso alto. “Basta smancerie”.

“Ma…”.

“Cos’è? Ti piacciono queste mielaggini?”.

“…beh… sì”, ammise.

“Uhm. Mammoletta”.

“Proprio…”.

Copper gli lanciò un ennesimo sorriso: “…piacciono molto anche a me. Ma ora abbiamo altro a cui pensare…”.

“Sì, concordo”.

    La coppia si guardò attorno, soffermandosi poi sulla corazza smontata.

“Ehm… e ora?”, domandò Dust, grattandosi la chioma.

Copper sospirò.

“Ora… ora non lo so…”.

“Mi… mi dispiace tanto, Copper. È stata tutta colpa mia…”.
“Beh… di certo hai la tua dose di responsabilità, in tutto questo”.

“È che… avevi ragione. Cioè a me importava solo… andare a fondo di questi problemi. Avevo trovato qualcosa in cui potevo servire… in cui potevo fare la differenza… e questa differenza riguardava un aiuto concreto nei confronti della città. E… e ci ho creduto… Ma avevi ragione tu. Ho toppato in p…”.

“Senti, Dust…”, lo interruppe, con volto sincero. “Tu non hai sbagliato… Hai solo… avuto il coraggio di prendere in mano la situazione, dove molti non ci hanno nemmeno provato o si sono arresi…”.

“Coraggio mica tanto…”.

“Non sei un leone… ma hai affrontato pericoli che nemmeno certi veterani in arme hanno mai dovuto fronteggiare. Ti sei voluto spingere all’interno dei laboratori dei Divites. Hai strisciato nei cuniculi di un vulcano attivo…”.
“Non farmici ripensare…”.

“…hai preso nella zucca chissà quali ricordi ancestrali, come un proiettile mnemonico, e sei fuggito da una fregata Divites…”.

“Beh, questo grazie a te”.

“Ma ci sei riuscito!”, aggiunse con foga. “Sei stato…”. Il tono di voce si spense appena. “Sei stato… fenomenale…”.

“Magari ho solo avuto fortuna… e senza la tua corazza…”.

Si voltarono verso l’esoscheletro.

“Già”, continuò Copper. “La corazza…”.

“Ha smesso di funzionare? Non brilla più. Che ne è dell’Essenza? Mica è svanita?”.

“No. L’Essenza ha origini arcane ma necessita di un corpo alimentato da una fonte di energia, per funzionare. In questo caso: Pietre Ignee ed acqua sotto forma di vapore”.

“Quindi è… come in letargo?”.

“Boh. Vedila come vuoi. È un po’ come se il vapore fosse i suoi muscoli e tendini, e l’Essenza il suo cervello o la sua anim…”. Copper si bloccò.

“…anima?”, la invogliò il compagno.

“Mh”, sussurrò, abbassando gli occhi. “Non so se definirla tale…”.

“Resta il fatto… che siamo in mezzo ad una foresta… a chissà quanta strada da Mechanus. E con un esoscheletro inutilizzabile”.

L’amica sospirò e puntò il muso ai piccoli sprazzi di cielo tra le foglie.

“Già. È un dannato casino…”.

“Per questo mi sento in colpa… Tu non volevi tutto questo. E io, stupido, ti ho trascinata con me in questa follia…”.

“Sei stupido, sì. Ma… se non avessi voluto… non ti avrei seguito. Quindi piantala di blaterare o ti meno di nuovo”.

“Ora però siamo fermi… cioè… cosa possiamo fare?”.

“Tu puoi sempre tornare a Canterlot, dalla tua principessina”.

“Già. Bella roba”. Silver Dust iniziò a gesticolare. “Salve Principessa! Ah! Com’è andata?! Uuuhm… Beh ho quasi causato un incidente diplomatico, distrutto mezzi militari e massacrato i soldati della città che dovevo studiare. Sì, poi ho anche parlato con delle lattine animate ed ho conosciuto una puledra con cui mi sono ubriacato e ci ho pure dormito assieme”.

Copper gli rifilò una zampata ma Dust la schivò.

“Dai e dai, imparo anche io, eh…”, la derise.

“…scemo”.

“Seriamente… Sì, potrei tornare… però…”.

“…però?”.

“Però… tu che farai?”.

“Che vuoi che faccia?”, ammise amaramente. “Tornerò a Mechanus”.

“Scherzi, vero?”.

“Per nulla”, asserì con serietà. “Nel mio laboratorio ho cose che non devono trovare. E mi ci gioco il pelo che tenteranno di entrare con la forza, ora che non ci sono. E all’interno… c’è lui…”.

“L’Inanimus?”.

“Sì”, ammise, iniziando a preoccuparsi. “Io… io non posso lasciare… che… che loro…”.

“Ma esattamente perché ti sei affezionata così tanto a lui?”.

“So che è difficile da capire, Dust… ma… Nel corso del tempo… giorno dopo giorno… mese dopo mese… si è creato un vero e proprio legame tra noi due. Quando io stavo male, lui inaspettatamente arrivava. E si limitava ad osservarmi col suo sorriso eternamente scolpito. Se mi serviva magari un arnese mentre lavoravo, lui mi anticipava e me lo portava. Sembreranno sciocchezze ma…”.

“Non mi sembrano affatto sciocchezze. Più che altro trovo assurdo che un Inanimus abbia sviluppato una tale… uh… empatia…?”.

“Non so che dirti… se non che è successo. E mi ricorderò sempre… quel giorno… Il giorno in cui tornai distrutta da uno dei miei lavori fallimentari. Mi coricai col muso sul bancone… ed iniziai a piangere. E… sentii qualcosa di freddo spingermi lungo un fianco. Era la sua fronte. Cioè… capisci?? Non so come… ma sapeva che quello era un gesto affettuoso, per noi pony. E… e mi sono sempre chiesta… se avesse davvero provato qualcosa per me, in quell’istante… oppure… se avesse semplicemente riprodotto un gesto meccanico”.

“Ma allora perché hai continuato a dirmi che gli Inanimus erano solo macchine sanguinarie? Perché non mi hai spiegato prima quanto ti era successo?”.

“Perché…”, asserì timidamente. “Perché avevo paura… Cioè… Quello era l’unico Inanimus ad aver manifestato tali… comportamenti. E… ed è… mio amico”.

Dust divenne pensieroso.

Copper continuò: “Quando poi fusi le nostre Essenze… tutto mi divenne ancora più chiaro. Non sono propriamente un’incantatrice provetta ma mi informai. Sapevo che la fusione delle Essenze è molto pericolosa, se la compatibilità non è più che perfetta”.

“Infatti…”.

“E… con mio sommo stupore, passato il dolore iniziale…”. La compagna scosse il capo, quindi sorrise, con gli occhi lucidi. “Tu… tu non puoi capire come mi sono sentita in quel momento… Mai avevo percepito una tale… affinità. L’Essenza dell’Inanimus era… era… Sembrava forgiata apposta per quello scopo. Una somiglianza incredibile. Una fusone… un tepore che non posso descrivere…”.

“E pensare che loro sono così diversi da noi… Te lo posso garantire, avendone studiato i linguaggi e i comportamenti. È come se non dovessero… appartenere a questo mondo. Come se fossero frutto di una anomalia non prevista…”.

“Ma il cuore… il motore, la fiamma che li spinge ad agire…”. A silver venne in mente il discorso sulla Fiamma Vitale che aveva appreso nel vulcano. “…è dannatamente simile alla nostra. Per quanto mi riguarda… siamo frutto della stessa pianta. Abbiamo solo… preso ramificazioni diverse…”.

“Quindi, secondo te”, buttò lì, “c’è una sorta di affinità tra le nostre Essenze? Viventi e non viventi?”.

“Corpo, mente, Essenza… anima? Sono tutte cose misteriose che sfuggono alla nostra comprensione”, affermò l’unicorno colo creta. “Non sappiamo nemmeno quali esistano davvero e le connessioni che potrebbe sussistere tra di esse”.

    Dust si avvicinò alla corazza e ne sfiorò la superficie con una zampa.

“…quindi… resta il fatto che vorresti tornare a Mechanus?”.

“Sì”.

L’amico si girò verso di lei, con muso preoccupato: “…non voglio che tu vada”.

“Devo farlo”.

“Vengo con te…”.

“Non pensarci nemmeno”.

“Ora non hai più la corazza con cui fermarmi. Se decido di venire… allora verrò”.

Copper cadde preda di un profondo struggimento.

“Dust… ti prego”, continuò, con voce smorzata. “Ho… ho già paura di perdere un amico prezioso… Non… non voglio rischiare di perdere anche te…”.

“Io…”.

“Non mi succederà nulla. Nel peggiore dei casi mi cattureranno, mi faranno un interrogatorio e poi si prenderanno tutti i miei progetti”.

“Che bella prospettiva…”.

“Non ho altra scelta, Dust…”.

“Non c’è modo di recuperare altre Pietre Ignee? Per la corazza, dico?”.

“No. Le pietre nascono solo all’interno del vulcano, che è giurisdizione dei Divites. Inoltre è impossibile estrarle a zoccolo nudo. Servono protezioni e macchinari specifici”.

Silver la ascoltò con apprensione, quindi espirò rumorosamente e si sedette sconsolato.

 

Copper si avvicinò a lui e appoggiò la fronte contro la sua spalla.

Sorrise.

 

“Dai…”, lo rincuorò. “Forse la cosa migliore… è che torni davvero dalla Principessa. Magari riuscirete a trovare… insomma… a pensare a qualcosa…”.

“Mhf. Ne dubito. Vedo che i Divites non riconoscono alcuna autorità a parte la loro. A che servirebbe?”.

 

    Qualcosa, sullo sfondo tra le frasche verdeggianti, si mosse e attirò l’attenzione della coppia.

Dust si mise istintivamente in posa da “Talionis”, che nel gergo arcano significava puntare il corno e prepararsi a lanciare incantesimi “al volo”.

Copper, senza la propria corazza, si sentì nuovamente vulnerabile.

“…rimani ferma”, la rassicurò sottovoce, con volto agguerrito.

“Dust…”, sussurrò preoccupata. “Non farlo! Se sono i Divites… allora a nulla serve opporsi! Non… non abbiamo modo per difenderci…”.

Una flebile luce azzurra scintillò tra le foglie.

Un incantatore?

Silver Dust, nel dubbio, caricò potere sulla fronte.

“Dust!”, ripeté Copper, cercando di mantenere un basso tono di voce. “Annulla la magia!”.

“No…”.

La luce si mosse leggermente. Copper si mise in piedi e si avvicinò preoccupata al compagno.
“Non fare pazzie! Sai che questi non vanno per il sottile!”.

Silver rimase in attesa, pronto a scaraventare il proprio repertorio da iniziato verso il bersaglio. Sapeva benissimo, tuttavia, che mai avrebbe potuto contrastare un incantatore professionista, così come sarebbe stato completamente inutile opporre resistenza ad una squadra di soldati, in quelle condizioni.


Senza l’armatura di Copper… poteva fare ben poco.

Alcuni cigolii sommessi gli fecero rizzare le orecchie e spalancare le palpebre.
La magia sul corno si affievolì all’istante.


Era sicuro.
Avrebbe riconosciuto quei rumori tra mille.

 

“Dust!”, lo richiamò la compagna.

“A-aspetta…”, rispose l’altro.

    Passi pesanti e rumorosi si fecero strada tra la vegetazione.

Un Inanimus emerse dai cespugli, con i suoi luccicanti occhi azzurri, e si fermò a pochi metri dai due. Il ticchettare degli ingranaggi, sotto le intercapedini, iniziò a saturare l’ambiente.

Il costrutto, accompagnato dal canonico muso inespressivo, sembrò scrutarli intensamente.

Dust parve preda di una folgorazione.

“COPPER!”, dichiarò improvvisamente, voltandosi verso di lei. “La mia borsa! Prendi la mia borsa con l’arto e gli appunti!”.

“Ah! S-subito…!”.

Prima che i due potessero fare alcunché, assistettero ad un fenomeno assolutamente inspiegabile.

 

Gli ingranaggi del costrutto presero a vorticare sempre più forte, producendo un fischio acuto dovuto allo sfregamento tra metalli, nonché numerose scintille.

Copper e Dust fecero qualche passo indietro, non sapendo cosa aspettarsi.

La luce negli occhi acquisì progressivamente intensità e altrettanto fece la fonte luminosa, che si poteva intravedere al di sotto della struttura esterna.

L’inventrice si protesse dall’accecamento con una zampa.

 

L’Inanimus parve impettirsi e la luminosità si fece così possente da virare al bianco e inghiottirlo del tutto.
Vi fu quindi una vera e propria sfiammata bluastra, che si dipanò dalle giunture della creatura e salì rapidamente verso il cielo, svanendo quasi istantaneamente.

La coppia distolse lo sguardo per pochi istanti e, quando lo riportò su di lui, dell’Inanimus non rimaneva che un corpo spento e privo di qualsivoglia traccia di vita.

Gli occhi erano vitrei e opachi.
Gli ingranaggi perfettamente immobili.

La luce completamente assente.
Parte delle lamiere erano state annerite dalla manifestazione d’energia a cui avevano appena assistito.

I pony rimasero basiti e in silenzio.

“Che… che diamine è successo?”, domandò perplessa la puledra.
Il volto di Silver esprimeva inquietudine esattamente quanto la sua amica dal manto ocra.

“Io…”, rispose tentennando. “Io… non lo so…”.


Si avvicinarono cautamente.

 

Visto da vicino, il costrutto era perfettamente identico ad un qualsiasi Inanimus, come tanti ne avevano visti. Mancavano ovviamente le luci e le rotazioni dei meccanismi interni ma, a parte quello, nulla lasciava intuire il motivo di tale, sconcertante avvenimento.

Copper osservò le opalescenze annerite incastonate nelle orbite.

“…si è… spento?”.

Anche l’amico controllò con attenzione il corpo della macchina.

“Sembra… sembra di sì?”.

“Ma… perché? L’ha fatto apposta?”.

I due si guardarono in volto.

“Non ne ho la più pallida idea…”.

Dopo alcuni secondi di attesa, Copper corrugò lo sguardo e si avvicinò al petto della creatura, che era rimasta perfettamente in piedi.

“Copper?”.

L’inventrice esaminò minuziosamente la pettorina, cercando di ottenere qualche informazione, senza però azzardarsi a toccarla.

“…vuoi vedere che…”, buttò lì la giovane.

Copper accostò gli zoccoli all’Inanimus. Le zampe le tremarono per alcuni istanti.

Dust non sembrò convinto: “Ehy… Cosa… cosa hai intenzione di f…”.

Con una lieve pressione degli arti, Copper fece scattare i meccanismi di sgancio del costrutto. Piccole paratie si azionarono, una dopo l’altra, sotto le sapienti zampe dell’inventrice (che ne aveva intuito al volo il possibile funzionamento).

A procedura ultimata, un violento sfiato di vapore si riverso versò di loro, costringendoli ad allontanarsi.

Minuscoli lumini rossastri, ancora occultati dal fumo, caddero verso il terreno.

I due, con estrema cautela, attesero che il vapore svanisse, quindi si avvicinarono di nuovo.
Sul suolo, accanto all’erba che iniziava ad incenerirsi e fumare, erano presenti piccoli frammenti di Pietra Ignea. Il minerale incantato riluceva come braci perenni e stava lentamente consumando la cellulosa su cui era atterrato, riducendola ad un ammasso annerito.
Gli unicorni si scambiarono l’ennesimo sguardo di stupore.
“Sono… sono quelle”, ipotizzò Silver Dust, “le pietre di cui parlavi?”.

“…che mi possano saltare tutte le valvole… Sì… Sì! Sono loro!”.

Dust si avvicinò al materiale magico, scrutandolo da vicino.

“Ma… erano all’interno dell’Inanimus?”.

“Sì…”, spiegò meravigliata. “Io stessa ho… creato i progetti della mia corazza a partire dagli studi sull’Inanimus nel mio laboratorio. Ne ho sostanzialmente riprodotto il funzionamento. E… e così…”.

“Quindi anche queste creature necessitano di acqua e calore, per funzionare?”.

“Dust”, dichiarò, voltandosi verso di lui, “che si tratti di magia o di mera chimica, tutto deve provenire da una trasformazione della materia, sia essa energia o composto solido”.

“Ma… perché questo Inanimus… si è… spento?”.

“Non lo so…”.

Il puledro parve pensarci un po’ su, quindi buttò lì un’ipotesi.

“Non credo sia una caso”.

Copper, intanto, sollevò magicamente le pietre prima che appiccassero un incendio. Silver scrutò il casco ormai privo di luce vitale.

“In che senso?”, domandò la compagna.

“Insomma… Gli Inanimus mi mostrano questo cristallo nelle caverne. Condividono con me determinati ricordi… e mi chiedono… di portare l’oggetto nel cuore di Mechanus. E ora che siamo senza alcuna possibilità… sbucano fuori e ci portano queste pietre? Davvero è tutto successo senza motivo?”.

“Quindi, secondo te… questo costrutto si è volutamente… terminato? Per darci le Pietre Ignee?”.

Dust sospirò e scosse il capo.

“Non lo so… Di sicuro è strano”.

“Arriverebbero a… suicidarsi?”.

“Partendo dal presupposto che non siano gestiti da un’unica mente alveare. Non sappiamo se ognuno di essi sia un’entità individuale oppure una sorta di… di…”.

Copper ripensò al suo amico meccanico. Più unico che raro.

“Ma se anche fosse…”, continuò l’unicorno dai crini rossastri, “… rimane pur sempre una sorta di… sacrificio?”.

“Non so cosa pensare, Copper… Stanno… succedendo un sacco di cose… e tutte così in fretta… Diciamo che non era proprio ciò che mi aspettavo quando misi zoccolo sullo zeppelin per Mechanus”.

L’amica sorrise: “Me lo immagino…”. L’espressione sul volto si fece serio. “Ora però… cioè… In effetti mi pare un messaggio che lascia poco spazio a fraintendimenti…”.

“In che senso?”.

    L’incantatrice si allontanò dalla carcassa priva di vita e fece qualche passo nel bosco. Ad un certo punto, attraverso uno spiraglio tra i rami, notò il grosso vulcano metropolitano, sullo sfondo. Era completamente circondato dalle costruzioni metalliche tipiche di Mechanus.
Dust la seguì lentamente.

“È chiarissimo, Dust”, gli spiegò. “Queste creature… vogliono a tutti i costi che tu porti il cristallo mnemonico nel cuore della città”.

“Sì… ma…”.

Copper si voltò verso di lui.

“Tu sei riuscito a comunicare con loro. Vedono qualcosa in te. Non so se dipenda solo da questo… ma uno di loro si è volutamente distrutto per darci accesso alle Pietre Ignee. Mente alveare o meno… significa che ci tengono davvero tanto”.

Il pony lilla continuò a pensare, decisamente confuso.

“Il problema”, continuò Copper, “è che nessuno, e ripeto, NESSUNO di noi sa cosa vogliano esattamente. E per quanto tu possa fidarti di loro… devi ammettere che non hai la più pallida idea di cosa potrebbe accedere…”.
“Sì. Sì, è vero…”, ammise.

La puledra si avvicinò a lui e gli strinse le zampe al petto. Lo scrutò con occhi preoccupati.

“Dimmi, Dust…”.

L’unicorno drizzò le orecchie.

“Tu… cosa vuoi? Cosa desideri fare, in cuor tuo?”.

“Io…”, dichiarò con timidezza. “Io vorrei solo… poter aiutare”.
“…e come pensi di poter aiutare Mechanus?”.

“…non lo so”.

“…tu ti fidi di queste… creature?”.

“Non… posso dire di fidarmi… ma…”.

“Che sensazioni ti suscitano? Vorresti… andare fino in fondo, consapevole di tutti i rischi?”.

L’altro non rispose.

L’inventrice continuò: “Vorresti portare la pietra nel cuore di Mechanus?”.

“Io… io credo ci proverei, sì…”.

“Lo sai, vero”, aggiunse, con tono estremamente soppesato, “che potresti essere davvero un semplice strumento, per loro? Potrebbero averti ingannato. Il cristallo, inserito nel flusso arcano del sistema di gestione, potrebbe disabilitare tutti i meccanismi della città. Inclusi quelli di difesa. Sai cosa significherebbe, vero?”.
“Io…”.

“Dust”, lo interruppe, fissandolo dritto negli occhi. “Ti rendi conto… di quanto può essere pericoloso quel cristallo che porti con te?”.

“Io… sì, me ne rendo conto…”.
“Hai idea di quante vite… quante centinaia di migliaia di vite… potrebbero essere in pericolo, se ti stai sbagliando?”.


Quelle parole gettarono il puledro in uno stato di confusione assoluta.

Si liberò dalla presa dell’amica e fece dietro front, iniziando a respirare con ritmi sempre più accelerati.

Prese a camminare su e giù d’innanzi a lei, dandole l’impressione di poter esplodere da un momento all’altro in una sorta di confessione liberatoria.

 

“Dannazione, Copper…”, disse infine, mettendosi le zampe alle tempie. “Io… io sono solo un cavolo di allievo! Non… non ho mai fatto nulla se non… studiare e… e studiare. Ho passato anni sui libri, a prendere appunti e ricreare alcune evocazioni arcane. Ma per il resto? Cosa pensi che abbia fatto?”.

“Dust…”.

“Ora… ho… Mi sono immischiato in questa faccenda. Sì… lo ammetto!”, sbottò con convinzione. “Forse mi sono lasciato un po’ prendere lo zoccolo… Ho visto che ci riuscivo! Che potevo davvero fare la differenza…”.

“Ma tu hai fatto la differenza, Dust!”.

“Sì ma ora?? Ora che faccio? Sono sostanzialmente ricercato dalle forze armate. La Principessa confida nel mio operato. E mi ritrovo un cavolo di cristallo che potrebbe essere la più grande salvezza per questa città oppure condannarla per sempre…”.

Copper lo ascoltò attentamente e non seppe cosa rispondergli.

“Forse…”, concluse Silver, assumendo un atteggiamento sconsolato. “Forse ho sbagliato tutto… Forse avrei davvero dovuto rimanere al mio posto… e… e non ficcare il naso in faccende che non mi riguardavano”.

    Calò il silenzio.

La puledra sembrò incupirsi, così come l’amico.
Poi, però, qualcosa scattò, dentro di lei. Un po’ come era successo sulla fregata dei Divites.
Il suo volto si corrugò, tornando battagliero.
Il pony color creta si mosse con decisione verso l’esoscheletro, portando con sé i piccoli frammenti di pietra fluttuanti.

“…Copper?”, domandò sorpreso l’altro.

La puledra tolse la tuta in pelle dal ramo ed iniziò ad infilarsela.

“Copper… che fai?”.

Chiuse tutti i bottoni, quindi si avvicinò all’armatura ed iniziò attentamente e minuziosamente ad indossarla. Agganciò le placche dorsali, stringendo i denti per il dolore, quando gli aghi si conficcarono nelle sue carni. Proseguì con il secondo strato di intelaiatura, incastrando i pezzi tra loro, come un curioso puzzle tridimensionale.

“Copper!”, insistette l’amico.

“Senti Dust”, dichiarò con decisione, continuando a vestirsi. “Abbiamo entrambi i nostri problemi. E tutti e due non brilliamo certo per iniziativa. In un modo o nell’altro siamo giunti fin qui poiché spinti da cause di forza maggiore”.

“Sì ma…”.

“Resta il fatto che ci abbiamo creduto. O saremmo ancora inchiodati nel mio cavolo di laboratorio ad assemblare abbattitori di microfibre”. La puledra sfoggiò un rinnovato entusiasmo. Continuò ad applicare gli ultimi strati di corazza. “Siamo stati noi. Io e te. Tu, soprattutto. Entrambi sapevamo che c’era qualcosa che non andava. Io, perlomeno… lo sapevo. E tu sei voluto andare oltre. E la tua voglia, il tuo entusiasmo… mi hanno trascinata con te”.

“Io… io non volevo trascinarti con…”.

Copper, completamente agghindata come una puledra da battaglia, aprì uno scomparto accanto al petto e vi infilò magicamente le pietre. Chiuse il tutto e diede alcuni colpetti su una serie di meccanismi.

L’intero esoscheletro si serrò su di lei, assumendo le sembianze che entrambi ricordavano.

Una miriade di ugelli proiettò nugoli di vapore in tutte le direzioni.

Gli ingranaggi ricominciarono lentamente a ruotare, divenendo via via più veloci.

La luce, attraverso le intercapedini, tornò a mostrarsi e a luccicare di azzurro.

Dust fece qualche passo indietro, per allontanarsi dal vapore rovente.

Quando quest’ultimo si dissolse nell’aria… Copper era d’innanzi a lui.

 

Fiera.

Decisa.

Battagliera.

I sistemi della corazza vorticavano a pieno regime.

La luce pulsava con possanza, accecante come non mai.

I quattro spallacci si animarono e i rispettivi scarabei semoventi scesero dalla padrona e parvero sciamarle felicemente attorno.

“Se davvero credi un briciolo in tutto quello che abbiamo fatto”, gli comunicò infervorata, “allora  sappi che io… che io confido in te, Dust”.

Il puledro la ascoltò assorto.

“Credo nelle tue scoperte. Nelle tue teorie. Credo che… se c’è anche solo la minima possibilità per cambiare le cose… beh… allora dobbiamo provarci. Anche se dannatamente rischioso…”.

“Copper… sei sicura?”.

“Vuoi la verità?”, domandò sorridendo. “Non sono più sicura di nulla. Da quando sei arrivato… non sono più stata sicura nemmeno della gravità che mi trattiene al suolo…”.

“Insomma…”, commentò, stando al gioco. “Sono una sorta di mina vagante, mh?”.

Copper tornò seria e si avvicinò al compagno, sfiorandogli una guancia con lo zoccolo metallico (su cui saltellò alcune volte un insetto meccanico, prima di balzare a terra).

“…io… sono disposta a spingermi fin dove non avrei mai pensato…”.

“…perché?”.

“Perché… sono stufa di rimanere a muso basso e non far nulla. E io e te abbiamo i mezzi per poter finalmente cambiare qualcosa. Tu hai quello strano cristallo e la possibilità di comunicare con gli Inanimus. Io ho questa corazza con cui potremo arrivare fin dove non arriverebbe nemmeno un esercito”.

“È questo che mi preoccupa”, la informò, voltandosi verso il vulcano sullo sfondo. “Con ogni probabilità saranno pronti. Avranno allertato le guardie e messo in sicurezza la zona. E… per quanto io abbia visto cosa può fare il tuo esoscheletro… cioè… stiamo pur sempre parlando di centinaia, forse migliaia di soldati… Per non parlare di quei colossi… i Calcator…”.

Il ghigno di Copper si fece sardonico.

“Quattro sigilli, ricordi? Beh. Potrei sbloccarli tutti e vedere cosa succede”.

“Ma non ti preoccupava da morire?”.

“In verità… sì”, ammise, perdendo un po’ di baldanza.

“Quali sono i rischi?”.

 

Copper chiuse gli occhi, richiamando a sé ricordi lontani, quindi li riaprì. Silver Dust rimase un po’ sconcertato dall’espressione determinata che scorse in lei.

 

“Quando rimuovo tutti i sigilli… cioè… quando riporto la corazza al suo stato originale… allora le Essenze mia e dell’Inanimus entrano in perfetta sincronia. Il sistema mi inonda di sostanze biochimiche, mi manda letteralmente il cervello in uno stato alterato e l’energia fluisce in me come un fiume in piena”.

“…è davvero così potente?”, domandò.

“Sì. I sigilli, in realtà, non limitano l’energia. Bensì la dissipano all’esterno. Ecco perché, quando li sbloccavo, vedevi tutta quella luce dipanarsi dall’armatura. Quando sono tutti e quattro disattivati, invece, non c’è alcuna libertà di sfogo. Le Essenze pulsano e si incanalano dentro di me, senza poter uscire. Le connessioni spinali reagiscono all’istante, creando un perfetto connubio corpo-macchina”.

“E… pensi di poter fronteggiare i Divites, in questo modo?”.

“Dust”, specificò preoccupata, mettendogli entrambe le zampe attorno al collo. “Quando i sigilli saranno inattivi… il problema più grave è che io perda il controllo… Avrò ogni mia cellula bombardata da potere arcano e stimolatori endogeni. Il mio corpo sarà un mero strumento per trasformare tutta quell’energia in azioni e incantesimi, in una sorta di stato alterato che non posso spiegarti facilmente a parole…”.

“Quindi… Questo cosa significa?”.

“Quando sono in quel modo… tutto diventa… strano. Vedo l’energia di ogni cosa fluire come un sistema perfetto di fasci e correlazioni potenziali. Posso letteralmente prevedere e anticipare i movimenti di una creatura, semplicemente leggendone le alterazioni energetiche. Sono in grado di muovere le mie Essenze in un punto specifico del mio corpo, in modo da schermarlo e renderlo quasi indistruttibile alle sollecitazioni o altri poteri magici”.

“Tutto questo… solo dalla fusione delle Essenze?”. Ancora non poteva crederci.

“Sì, Dust…”, rispose sorridendo con dolcezza. “Ecco perché ti dissi… che trovai una fortissima affinità con l’Essenza dell’Inanimus. C’è qualcosa di tremendamente simile che ci correla. E capirai anche… perché fossi così spaventata nell’usare questo strumento che indosso. E… e ancora ne ho paura…”.

Silver riprese a scrutare la lontana Mechanus.

“E… quale sarebbe la tua idea?”.

“Non ho ancora un’idea… Ma so cos’è giusto fare. E provarci… credo sarebbe quella cosa giusta”.

“Vorresti entrare nella città ed inserire il cristallo, quindi?”.
L’amica, nonostante i propri sforzi, non riuscì a mascherare un certo senso di insicurezza.

“Io… posso spingere la corazza al limite. Questo significa che disporremo di un asso nella manica insostituibile”.

Dust deglutì: “Pensi di… di farti strada attraverso Mechanus? Con l’uso della forza, dico…”.

“Quando tolgo i sigilli, l’autonomia dell’armatura cala drasticamente. Non credo riuscirei a raggiungere il cuore della metropoli, in mezzo al putiferio che potrebbe scatenarsi… Ma i Divites credono di conoscere bene il luogo. Invece non è così…”.

“Sarebbe a dire?”.

Copper sorrise maliziosamente.

“Dust! Sono una puledra di strada, io! Mi sono dovuta barcamenare nella miseria e nelle difficoltà, non appena i miei genitori chiusero ogni contatto verso di me. Mi sono dovuta arrangiare e questo significa che sono entrata nelle aree malfamate di Mechanus quanto prima. E lì i soldati non ci vanno”.

“Hanno paura? Trovo difficile crederlo…”.

“Lì troverebbero solo orde di cittadini incavolati come iene e pronti a fargli il pelo, in vicoletti angusti e che non conoscono. I pony di terra segregati, invece, battono i luoghi a menazampa e non si farebbero problemi a riversare una guerriglia nei loro stessi territori. Sanno che difficilmente i Divites riuscirebbero a spuntarla…”.

“Dunque… pensi di passare dai vicoli?”.

“Sì. Non è la prima volta che esco ed entro da Mechanus senza che anima viva si accorga della mia presenza. Il punto è che…”.
“…che?”.

La voce della puledra divenne lapidaria.

“Il punto è che… una volta giunti in prossimità del cuore, che sarà comunque molto lontano da dove potremmo sbucare… cosa abbiamo intenzione di fare? Quella zona sarà pesantemente sorvegliata. E per una buona ragione…”.

“Dimmi, Copper…”, le domandò con sincerità. “Tu… tu cosa ne pensi di tutta questa faccenda? Delle mie idee… degli Inanimus… di questo cristallo…?”.

Il pony corazzato espirò rumorosamente.

“Io… io non lo so, Dust. So solo che le cose vanno male da troppo tempo, ormai… E non solo continuano ad andare male ma peggiorano di mese in mese. Quindi…”.

“Quindi pensi valga la pena rischiare?”.

“Forse… Ma non riesco a fidarmi ciecamente di quelle macchine. Davvero… Non le conosciamo per nulla, alla fine… Potrebbero volerci aiutare… oppure distruggerci per sempre. E, in entrambi i casi, non ne coglierei il motivo…”.

“Quello che cerco di dirti, Copper… è che se abbiamo intenzione di fiondarci in questa impresa al limite del suicidio… dobbiamo esserne convinti entrambi. Sennò tanto vale…”.

“Lo so… Lo so, hai ragione…”.

“Quindi…?”.

 

L’amica ci pensò un po’, quindi tornò a sorridergli.

 

“Quindi… io sono convinta a volerci provare. Non ho la benché minima certezza delle conseguenze. Ma… vale la pena provarci”.

“Se falliremo… saremo in guai molto seri…”.

“Ci sono già”.

“E se invece riusciremo nell’impresa… potremmo finire in guai ben peggiori. E gettare guai addosso ad altri pony innocenti…”.

“Secondo me, Dust”, gli spiegò lentamente, “tu stai solo cercando degli alibi per non muoverti. Ti si legge negli occhi quanto tu voglia andare a fondo della faccenda…”.

“Forse hai ragione. È che è una cosa dannatamente… assurda, se ci ripenso…”.

“Allora è inutile rimuginarci sopra. Agiamo. E se le cose dovessero andare per il verso sbagliato… ci penseremo quando sarà il momento…”, lo rassicurò.

“Sì… credo tu abbia ragione”, ammise, senza nascondere un profondo velo di paura.

“Allora… è meglio se ci avviamo quanto prima. Più aspettiamo e più i Divites avranno tempo per riorganizzarsi o scovarci”.

Silver deglutì di nuovo, ancor più rumorosamente.

Copper mosse qualche passo e il puledro allungò una zampa verso di lei.

“A-aspetta! Almeno prima stabiliamo il da farsi…”.

“Avremo tempo per discuterne mentre ci avviciniamo al cuore. In ogni caso… non credo sarà un piano granché raffinato…”.

“Cioè?”, cercò di capire, camminando al suo fianco.

“Secondo me… l’unica possibilità che abbiamo… è che io attivi la tuta nella zona più protetta della cintura. Farò un casino che nemmeno ti immagini!”, dichiarò, sforzandosi di apparire divertita, per sdrammatizzare la serietà dell’evento. “Quindi… dovrei crearti un diversivo sufficiente per muoverti verso il centro di gestione mnemonica. Potresti sfruttare vie secondarie o il caos che creerò…”.

“Quindi… mentre tu ti diverti con l’esoscheletro… io… io dovrei…”.

Copper si bloccò.

“…se vuoi fermarti ora… basta tu me lo dica, Dust. Se pensi… che non me la stia facendo sotto anche io”, asserì con voce insicura, “…allora sappi che ti sbagli di grosso. Sarà pericoloso. Dannatamente pericoloso. Cercheranno di fermarci… e non andranno per il sottile. Gli importerà poco che tu sia l’allievo di una Principessa. Non metteranno a rischio la città solo per questo. E faranno tutto il possibile. Sai cosa significa? Sei… disposto ad accettare le estreme conseguenze di una tale scelta?”.

Le zampe color lilla ebbero un tremore.

 

In fondo… non era obbligato a tuffarsi nell’impresa.

Avrebbe potuto andarsene e lasciare che tutto si sistemasse, lontano dai suoi occhi.

 

Già…

Sistemasse…
Come se i Divites avessero mai migliorato nulla, in anni di gestione forzata.
Migliaia di famiglie distrutte.

Violenza.

Omertà.

Sfruttamento.

In un luogo dove solo i prepotenti facevano da padrone.
Ma lui… era disposto a rischiare così tanto?
A mettere a repentaglio la sua stessa vita?
E se… e se fosse…

Le zampe di Copper si serrarono attorno al suo collo e la puledra gli sfiorò il muso con il suo.

“Io”, gli assicurò con fermezza, “ti giuro che non ti lascerò solo nemmeno per un istante. Mi rendo conto… che sarai in serio pericolo. Non avrai una corazza con cui proteggerti… ma ci sarò io”.

“…ok”, rispose Dust, ritrovando un po’ di fiducia e apprezzando tantissimo quelle dolci parole.

“Il mio problema più grande… sarà non farmi trascinare dalla foga… e da tutto quello che ti ho spiegato. Ma ci sarò. Sempre. Tu dovrai solo fare tutto quello che puoi per avvicinarti il più rapidamente possibile. Darò loro ogni pretesto per bersagliarmi con tutto ciò che possiedono… Saranno così impegnati a salvare la pelle che magari neanche ti vedranno passare…”.

“…lo… lo spero…”.

“Io…”, confessò, stringendolo con forza a sé. “Ho… ho molta paura, Dust… Per te… e per me. Ma… sono pronta a tentare. Perché so che è quello che vuoi. E che sarebbe la cosa giusta da fare… Solo tu disponi dei mezzi per attivare con sicurezza quel cristallo mnemonico… indipendentemente da cosa custodisca… Hai vissuto certi ricordi e sai come relazionarti agli Inanimus…”.

“Anche… anche io ho paura, Copper…”.

“Non pensiamoci”, concluse, tentando di tranquillizzarlo un po’. “Iniziamo ad andare. Finché non saremo giunti a destinazione… siamo sempre in tempo a ripensarci e tornare indietro…”.

“S-sì…”.

 

La possibilità di poter alterare il percorso che stava scegliendo donò una maggior dose di sicurezza, alla mente del matematico.

Dust continuò a seguire la compagna, che gli rivolse un ultimo sorriso, prima di riprendere il cammino.

Mille pensieri e sensazioni iniziarono a flagellargli mente e cuore.
Non conosceva l’esito delle proprie azioni.
Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di andare fino in fondo.

Silver Dust e Copper Head.

Due unicorni un po’ singolari ma perfettamente uguali a tutti gli altri.

Un giovane allievo ed un’inventrice in erba.

Nulla più.

Avrebbero davvero potuto fare la differenza?
O erano semplicemente degli illusi?

Il puledro ripensò per un istante al ricordo che aveva vissuto nel vulcano, quando la strana creatura dal manto blu lo aveva osservato, quasi sul punto di piangere.

 

“…chissà… quanta luce potrà portare in questo mondo…

 

…la tua fiamma?”.

 

“No”, disse a sé stesso.


Doveva essere la cosa giusta da fare.

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Capitolo 9
*** In Memoria Sacrifici - Principium ***


    Una zampa meccanica aprì la tenda della finestra, con un gesto secco e deciso, permettendo alla luce esterna di illuminare meglio la stanza dell’edificio.

Il generale Steel Hammer controllò attentamente l’ambiente urbano.

Le strade erano prive di mezzi civili e di passanti ma brulicavano di soldati in piena manovra militare. Gli ufficiali impartivano instancabilmente ordini, guidando le truppe presso le rispettive posizioni.

L’unicorno grigio alzò gli occhi al cielo, scorgendo un ammasso più o meno omogeneo di chiatte da battaglia che dalla fregata madre si dirigevano al suolo, trasportando fanteria armata fino ai denti.

I pegasi corazzati giungevano come se piovesse, scortando le navi e fungendo da staffette volanti per coordinare meglio il dispiegamento di forze.

Uno dei velivoli attraccò a qualche decina di metri dalla finestra del generale, sfracassando alcune panchine, senza tanti riguardi. Una serie di ingranaggi si mise in moto e la portella frontale si spalancò rumorosamente: i soldati occupanti si riversarono impeccabilmente all’esterno, permettendo ad un spaventoso Calcator in assetto da guerra di fare il proprio ingresso in campo.

Quando tali mostruosità venivano impiegate come strumenti da battaglia, e non come semplice ronda cittadina, allora era d’uso equipaggiarli con placche di rinforzo e spunzoni acuminati, rendendoli di fatto ancor più minacciosi.

Il colosso si animò rumorosamente, tra sbuffi e cigolii, e prese a camminare verso l’uscita. Le mattonelle del lastricato si sbriciolarono sotto i suoi passi, accompagnati da tonfi sordi e un lieve tremore delle vetrate da cui Steel stava osservando la scena.

L’ufficiale sorrise soddisfatto.

    Una voce maschile sopraggiunse alle sue spalle.

“Non le sembra un po’ troppo eccessivo? Persino per voi?”.

Hammer si voltò lentamente e, con passo tranquillo, si portò al centro della camera, che era deliziosamente arredata.

Assieme a lui, oltre ad un unicorno in camice e mascherina facciale, vi erano altri soldati ed un manipolo di graduati agghindati con onorificenze e stellette.

Il generale si avvicinò ad un tavolo imbandito e, utilizzando l’arto meccanico come fosse un mero bastone di metallo, spazzò via tutti gli oggetti. Bicchieri, posate e portacandele si sfracassarono a terra.

Quella casa si trovava in una zona perfetta, da cui si poteva godere di un’ottima vista del nucleo centrale, non molto lontano, e delle zone limitrofe. Era così stata confiscata e, senza tanti complimenti, convertita a quartier generale provvisorio.

Non appena la tavola fu libera, i soldati vi disposero sopra fogli e cartine tattiche.

Steel si puntellò saldamente con entrambe le zampe ed osservò attentamente l’area geografica.

“Le assicuro che sono contromisure perfettamente necessarie, dottore”, gli rispose, dopo una lunga pausa.

Novarius si schiacciò gli occhiali contro il muso, con gesto sicuro e parzialmente strafottente.

“Davvero? Tutto questo per due… puledri?”.

Hammer sorrise e non si degnò nemmeno di alzare lo sguardo dalle cartine: “Le assicuro che, dopo quello che ho visto, queste misure difensive saranno perfettamente adeguate allo scopo”.

“Due puledri…”.

“Due puledri, esatto”, ribatté seccamente, abbandonando la postazione e dirigendosi verso di lui. “Due puledri, di cui uno in possesso di un esoscheletro da combattimento e un altro in possesso della chiave per poter comunicare con queste bestie meccaniche”. Lo scienziato corrugò la fronte e non disse nulla. “E quest’ultimo, dottore… le ha fatto da assistente per almeno una settimana, nei nostri laboratori. Credo che lei lo conosca”.

Novarius cercò di rimanere sul vago e di mantenere il sangue freddo.

“Passano… molti tirocinanti, sotto la mia direzione. Non posso ricordarmeli tutti”.

“Oh!”, esclamò divertito, riempiendosi magicamente un calice con del liquore. “Questo sono sicuro che se lo ricorda. Vuole?”, chiese, porgendogli la bottiglia.

“No. Mi basta l’alcol etilico al novantotto percento che ho sotto cappa”.

Steel bevve un sorso, quindi posò i contenitori.

“Beh. È un unicorno color viola chiaro. Ha un bel ciuffone nero e va in giro con una sacca firmata. Nient’altro. Piuttosto atipico, persino per gli stramboidi che si possono scorgere a Mechanus, non trova?”.

Lo scienziato sapeva benissimo quanto potesse essere pericoloso un generale dei Divites. Ma non riuscì a tenere a freno la lingua.

“Anche pony con protesi meccaniche non sono proprio all’ordine del giorno, eppure non mobilito un reparto di soldati solo per questo”.

Hammer si bloccò improvvisamente, quindi gli diede le spalle e tornò al tavolo.

“Lei mi è sempre piaciuto, Novarius”.

“Per lei sono il Dottor Novarius”, lo interruppe saccentemente.

“Ha sempre svolto impeccabilmente il proprio lavoro e ci ha fornito tecnologie non indifferenti, specialmente quelle da cui abbiamo potuto progettare i Calcator su vasta scala”.

Lo scienziato parve rabbuiarsi leggermente. Il militare continuò.

“Ora però necessito di un tipo di collaborazione differente, da parte sua”.

“Si sbrighi. Tra mezz’ora ho cose più importanti da fare. Come scrostare i matracci dalle incrostazioni piroforiche”.

 

Steel chiuse gli occhi e chinò il muso verso il tavolo.

Li riaprì lentamente e fulminò lo scienziato con i penetranti occhi glaciali.

“…cosa ha scoperto quel puledro, sugli Inanimus?”.

Novarius si sentì in forte soggezione.

“Lui… lui ha svolto alcune ricerche. Nient’altro”.

“Che tipo di ricerche?”.

Le vetrate tremarono di nuovo. Altre navi erano atterrate nei paraggi, provocando un fracasso infernale.

“Niente di importante. Ha solo cercato di stabilire un contatto verso di loro”.

“E c’è riuscito?”.

“No”, mentì. “Ogni approccio è stato completamente fallimentare”.

Due soldati si serrarono ai fianchi del ricercatore.

“Non è ciò che mi risulta, dottore”, ammise con tranquillità, scrutandosi lo zoccolo sano.

 

Novarius si era da sempre fatto beffe dei Divites.

Sapeva che, finché lavorava per loro, avrebbe avuto l’ultima parola e una sorta di “immunità scientifica”. Ma ora le cose erano cambiate.
Il generale, e tutta la casta dei Divites con lui, si era impuntato e aveva riorganizzato le priorità. Cambiando le priorità, anche la posizione del dottore era stata riconsiderata. Ed ora era più importante estorcergli informazioni, piuttosto che avere un altro galoppino in camice nei laboratori.

Doveva stare attento.

 

“Questo è quanto”, concluse, avvertendo una profonda sensazione di pericolo.

Steel fece un cenno e i due lo piegarono verso il pavimento, con fare deciso e poco riguardevole.

Durante la manovra, Novarius perse gli occhialini, che finirono sul parquet, accanto ai cocci dei piatti in frantumi.

Due stanchi occhi nocciola sbucarono al di sotto degli ordinati crini blu cobalto.

“Ne è sicuro… dottore?”, domandò il generale.

Il ricercatore strinse i denti, quindi sbottò: “Si può sapere cosa diavolo credete di fare?? Cos’è questo dispiegamento di forze? Un intero regno sta forse per invaderci??”.

“Non sono affari che la riguardino. Si limiti a rispondere alle domande e tutto finirà in modo rapido e privo di conseguenze”.

“Come se mi fidassi di voi schifosi guerrafondai!”, ringhiò inviperito.

Un militare lo colpì violentemente alla nuca, con l’elsa di una lancia.

“Sta rendendo le cose molto più lunghe di quanto dovrebbero”, lo informò Steel. “Noi avremo le nostre informazioni. Lei dovrà solo decidere il tempo che ci vorrà e quanto sudore dovrà versare. Il resto è mera speculazione empirica”.

Novarius, un po’ spettinato, lanciò un’occhiata furiosa verso l’unicorno grigio.

“Un giorno”, lo informò rabbiosamente, “la pianterete di spadroneggiare ovunque posiate le vostre luride zampe. State costruendo il vostro impero sul potere e sulla paura”.

“Il tempo scorre, dottore…”.

“… e arriverà il momento… in cui incontrerete qualcuno più potente e più spaventoso di voi. Allora… non vi rimarrà più niente. E farete una fine orribile…”.

La coppia di aguzzini gli torse una zampa dietro alla schiena. Il poveretto emise un verso soffocato.

“Basta così”, li fermò il superiore.

Novarius venne rilasciato. Lo scienziato si massaggiò dolorosamente l’arto.

“Senta, dottore”, riprese l’altro, iniziando a passeggiargli attorno, osservandolo dall’alto verso il basso. “Lei potrà pensare quello che vuole di noi e dei nostri metodi. Che ci siano in mezzo giochi di potere è innegabile. Ma non abbia dubbi… tengo alla salvezza di questa città…”.

“…sai che novità”, asserì, ancora dolorante e senza guardarlo in muso. “Perdendo la città… se ne andrebbe anche la vostra autorità e credibilità”.

“Resta il fatto che è mio interesse proteggere le vite di migliaia di abitanti. Questo non può negarlo”. Novarius tacque. “Quell’unicorno… Silver Dust… pare sia entrato in contatto con gli Inanimus… che abbia parlato con loro”. Il ricercatore sollevò gli occhi verso di lui. “E sembra anche… che possieda un cristallo mnemonico che gli hanno donato”.

“Un cristallo… mnemonico?”.

“Esatto, dottore. Glielo hanno consegnato, strappandogli la promessa di condurlo e inserirlo nel centro di gestione di Mechanus. Ora… io non sono un plurilaureato… ma non credo ci voglia un genio per capire quanto questa potrebbe essere una mossa azzardata. Non sappiamo cosa contenga quell’oggetto. Non conosciamo i comandi algoritmici che potrebbero ordinare al sistema di regolare i meccanismi in modi imprevedibili”. Il generale osservò compiaciuto il volto di Novarius, che sembrava sempre più incredulo. “Potrebbe ordinare il blocco degli ingranaggi. Causare lo sfiato delle turbine o riversare un mare di magma incandescente dalle condotte che si diramano a valle”.

L’unicorno in camice sembrò cambiare atteggiamento e si rivolse al generale con tono preoccupato.

“Ne siete… ne siete sicuro? Possiede davvero un cristallo mnemonico degli Inanimus? Ha davvero parlato con loro?”.

“Non l’ho visto con i miei occhi ma l’amichetta sembrava piuttosto preoccupata, a riguardo. Quindi confido sia vero. Sul fatto che abbiano parlato… dovrebbe essere lei a dirmi se fosse in grado di farlo”.

 

Il respiro del dottore si fece affannoso.

Il volto incerto tradì la sua sfiducia.

Non riusciva a capire se il generale lo stesse soggiogando o fino a che punto le parole corrispondessero a verità.

 

Dust… si era davvero spinto così oltre?

Tramava davvero di portare un cristallo dalle origini sconosciute al cuore urbano di Mechanus?

“Io… io non…”, balbettò.

“Dottore”, continuò Steel, sicuro di sé e porgendogli la zampa metallica. “Io non ho la certezza di quanto le sto dicendo. Ma ritengo a buon ragione che i sospetti necessitino della massima serietà. Che io abbia i miei interessi personali a riguardo è innegabile ma converrà con me che la sicurezza generale è in serio pericolo, con simili premesse”.
Novarius non seppe cosa rispondere.

“Se lei mi aiuta… se lei mi rileva quanto più possibile su tali affari… se mi dirà tutto ciò che sa di questo Silver Dust e delle sue ricerche… se mi aiuta ad organizzarmi per ricevere lui e la sua amica… allora…”.

 

    Schiamazzi e urla sempre più caotiche iniziarono a levarsi dalle strade sottostanti.

Steel ritrasse la zampa e si avvicinò rapidamente alla finestra.

Scrutò con attenzione i dintorni, scorgendo i soldati muoversi in modo piuttosto frettoloso e scoordinato. Corrugò le sopracciglia.
Una serie di passi rimbombò per le scale che conducevano alla stanza, un istante prima che la porta si spalancasse e rivelasse un pegaso col fiatone, in divisa leggera.

“G-generale!!”, dichiarò la staffetta.
“Che succede?”, chiese interdetto.

“Generale! La… la puledra! La puledra in armatura…!”.

L’ufficiale fece uno scatto in avanti: “…l’avete vista??”.

“È… è proprio al centro del piazzale, all’incrocio della tredicesima!”.

Hammer si fece dubbioso; uno dei graduati presenti parve non capire e aggiunse: “Come… come ha fatto?? Ci sono decine di isolati tra l’ingresso principale di Mechanus e quella piazza! L’avremmo sicuramente notata!”.

Il generale raccattò rapidamente dei documenti e si allentò alcuni bulloni sull’arto artificiale, preparandosi ad uscire.

“Evidentemente”, gli spiegò, “è passata per vie e strade secondarie. Mechanus è grande. Molto grande. Non possiamo battere l’intera zona, col rischio di sparpagliare troppo le nostre forze. Quindi non sono così sorpreso… La cosa importante è garantire che il cuore sia al sicuro. Infatti è lì che ho concentrato le difese…”.

L’unicorno grigio si avvicinò al pegaso e gli ordinò di far strada.

Si voltò un’ultima volta verso lo scienziato incapacitato.

“…la nostra discussione è rimandata. Valuti bene quello che le ho detto e tragga le dovute conclusioni”.

Novarius gli lanciò un’occhiata in cagnesco.

 

Steel Hammer chiuse la porta e se ne andò.

 

*** ***** ***

 

    La coppia di militari si riversò tra i lastricati cittadini, camminando a passo spedito e deciso.

Vigeva una gran confusione.
Intere squadriglie armate sciamavano da un lato all’altro del quartiere, mentre alcuni civili venivano forzatamente costretti ad abbandonare le relative abitazioni e dirigersi verso le periferie.

Non era di certo buoncuore: Steel non poteva permettersi perdite, cosa che ne avrebbe compromesso la credibilità.

I due avanzarono verso la destinazione, incrociando numerosi commilitoni e una manciata di Calcator in manovra.

“Com’è la situazione?”, domandò l’ufficiale alla staffetta, continuando a marciare.

“Crediamo sia giunta dalle zone in ombra, signore”.

“Come sospettavo…”.

“Si è semplicemente palesata in mezzo alla piazza”.

“Indossa la corazza?”.
“Sissignore”.

“Allora MASSIMA allerta. Sono stato chiarissimo con le disposizioni a riguardo”.

“Certo, signore”.

“Non mi importa di lei. Ma la corazza deve rimanere integra. Mirate alla testa. Al collo. Quel che vi pare. Ma lasciate intatta l’armatura”.
“Sissignore. Nel caso dovesse reagire, applicheremo le sue direttive alla lettera”.

Steel lo guardò incuriosito.

“Nel caso dovesse reagire? Non sta combattendo?”.

“Nossignore. Non ha opposto la benché minima resistenza, per ora. Si è limitata e starsene ferma, mentre le truppe la circondavano, tenendo le debite distanze. Di fatto… ha chiesto di parlare con qualche superiore. Così ho deciso di chiamarla. Che voglia arrendersi con le buone?”.

Hammer sorrise malevolmente: “Ne dubito…”.

Dopo svariati minuti di camminata, la coppia giunse finalmente verso la piazza in questione.

 

    Steel sbucò da una delle strade, nel punto in cui la zona si allargava sull’ampio spiazzo circolare.

Il perimetro era completamente circondato da una doppia fila di fanteria corazzata, tutti a lance spiegate e rivolte verso il centro dell’area.

Due Calcator erano in prima linea: immobili ma accompagnati dai numerosi rumori dei meccanismi interni, perfettamente funzionanti.  

Sulle case attorno, alle finestre e sui tetti, si erano piazzati altri unicorni e un piccolo distaccamento di pegasi da combattimento.

Hammer si sentì rassicurato.

Quando la piccola folla si accorse della sua presenza, aprì un varco tra i pony e lo fece passare indisturbato.

 

Copper Head era ad alcune decine di metri dalla formazione.


    La puledra era seduta accanto all’unica pianta dell’intero quartiere. La stessa sotto cui si era ritrovata più volte con l’amico color lilla.

Sembrava relativamente tranquilla.

 

Osservava il cielo.

Un cielo azzurro, con giusto qualche nuvola qua e là, ad occultare saltuariamente il disco accecante del Sole.

Da un lato, tuttavia, spiccava prominente la fregata Divites, con la flotta di chiatte che si dispiegava da essa.

 

La piazza non era completamente attorniata dagli edifici. Vi era uno spiraglio di alcuni metri, da cui si poteva godere di una vista mozzafiato, che contemplava l’intera vallata sottostante e le montagne sullo sfondo.

Era inoltre l’unico modo che aveva il vento per spingersi gentile fino a lei, scompigliandole appena i crini.

 

Copper sorrise.

 

    Steel Hammer si portò d’innanzi a tutti e scrutò divertito l’inventrice, i cui sigilli erano ancora perfettamente serrati.

I soldati erano silenti e concentrati, pronti ad agire al minimo segnale.

La situazione aveva del surreale, dato che quell’area era tipicamente lambita da orde di passanti e mezzi rumorosi.

 

In quel momento, invece, tutto taceva.

 

Si poteva persino udire il sibilare dell’aria.

 

Il generale gonfiò il petto e si preparò a parlare.

 

“Bentornata a casa, giovane puledra”, le disse con leggerezza. Le sue parole rimbombarono alcune volte nel vuoto della piazza.

Una manciata di fogli svolazzò tra i due, sospinta dal vento.

Copper portò lo sguardo dal cielo al suo interlocutore, senza perdere il sorriso inciso sulle labbra.

“Me la ricordavo un po’ diversa”, lo informò. “C’era… molto più caos. Il cielo era difficile da scorgere, in mezzo a tutti quei velivoli fumosi. Ora invece si vede benissimo…”.

“Sì. Oggi è proprio una bella giornata”.

“Si può godere del silenzio. Della brezza dell’aria sul pelo. Di uno spazio aperto. È davvero molto rilassante, non trova?”.

“Relativamente”.

Copper si alzò e tutti i presenti serrarono le fila, preparandosi ad un contrattacco.

L’altra, tuttavia, non fece nulla se non stiracchiarsi come un gatto.

“Cos’è”?, chiese divertita. “Avete paura di una puledrina?”.

“Lo sai vero… che tutto questo dispiegamento è solo causa tua e del tuo amichetto?”.

Il pony color creta si mise di profilo e accentuò il sorriso. Lo fissò dritto negli occhi.

“Lo sa, vero… che tutto ciò che di brutto è accaduto a Mechanus fino ad oggi… è causa sua?”.

“Oh, suvvia”, commentò sarcastico. “Non mi ritengo così influente. Penso che tu stia ingigantendo un po’ le cose. Non che questo abbia la minima rilevanza, ora…”.

“E cosa sarebbe rilevante?”.

Hammer divenne serissimo.

“…dov’è il tuo amico? Silver Dust?”.

“Oh, lui?”, dichiarò, fingendosi volutamente disinteressata. “Boh. Credo sia tornato dalla sua amata Principessa, in un regno incantato fatto di dolci e pan di zenzero”.

Secondo Hammer, con ogni probabilità la puledra stava bluffando. Ma non poteva esserne sicuro. Un giovane allievo, messo alle strette, avrebbe semplicemente desiderato levar le tende e andarsene, ovvio.

“E il cristallo in suo possesso?”, domandò. “Che fine ha fatto?”.

“Non ne ho la più pallida idea”.

Il generale convocò l’ufficiale in comando e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’altro fece alcuni gesti e i soldati negli edifici sembrarono prepararsi ad un attacco.

“Non ti conviene mentire, giovane unicorno”, la minacciò con tranquillità.

Copper ribatté con un ghigno sicuro di sé: “…altrimenti?”.

“Quella corazza”, asserì. “Consegnacela”.

“Perché mai dovrei? È mia”.

“È uno strumento equiparabile ad un’arma militare e non d’uso civile. E non mi risulta tu abbia seguito un corso di addestramento per cadetti”.

“Quest’armatura è prettamente decorativa”, lo derise.

Hammer diede un secondo ordine e la fanteria attorno a lui invocò potere sui corni. I Calcator fecero sbuffare i relativi ugelli e si misero in postura da combattimento.

“Non starò qui a perdere altro tempo con te”, berciò incattivito. “Me ne hai già fatto perdere fin troppo. Quindi te lo chiederò ancora una volta. Dicci dove sta il tuo amico. Consegnaci il cristallo e tutte le informazioni in tuo possesso. Togliti l’esoscheletro e verrai trattata con tutti riguardi”.

“La menzogna fatta a pony…”.

“Non ho alcun interesse a farti del male. Voglio solo assicurarmi che quel cristallo non raggiunga il cuore. E che la tua corazza non causi altri danni, com’è successo più volte…”.

“Danneggiare voi è come fare un favore al mondo…”.

La truppa si preparò a contrattaccare.

“La mia pazienza si sta esaurendo, ragazzina”, concluse, facendolo sembrare un ultimatum. “Possiamo risolverla con le buone… o con le cattive… A te la scelta”.

 

La baldanza di Copper si spense, come sostituita da un improvviso senso di rassegnazione.

Chiuse gli occhi e sospirò, colta da una curiosa forma di disagio interiore.

Riaprì le palpebre e scrutò intensamente i nemici che stavano per fermarla.

 

“…è… sicuro delle sue scelte, generale?”, domandò tentennante. L’altro rimase visibilmente sorpreso da tale reazione. “Si ricordi… che sta decidendo delle sorti dei suoi uomini…”.

I presenti si guardarono a vicenda, esterrefatti.

Hammer rispose seccato: “Parli come se fossi tu a dettare le regole. Ma non sei nella posizione di poterlo fare. E ora basta. Ti fornisco un’ultima possibilità per…”.

La voce della puledra sovrastò quella dell’ufficiale: “Sono io che le fornisco l’ultima possibilità per ripensarci, generale!!”, urlò. “Ci pensi bene! Può anche essere che alla fine io cada sotto i vostri colpi… ma… prima di allora…”. Copper sorrise di nuovo. “…non ha idea della distruzione a cui andrete incontro…”.

 

Steel Hammer chinò leggermente il capo.

 

“Prendetela”, sentenziò.

 

    La magie degli incantatori crebbero di intensità, pronti a scagliarsi contro il bersaglio.

Copper scosse il capo.

Aveva dato loro un’ultima possibilità.

La coscienza, almeno, non l’avrebbe perseguitata troppo duramente.

 

Uno sciame di sfere luminose si scatenò a mitraglia dagli assalitori, convergendo verso di lei.

L’inventrice serrò le palpebre e colpì un meccanismo al centro del petto.

 

Una sferzata di energia scaturì dalla sua armatura, provocando un’onda d’urto paragonabile ad una barriera del suono infranta. I quattro sigilli, due sulle spalle e due sulle cosce, si aprirono, come se degli scarabei avessero spalancato le elitre.

La luce azzurra dell’esoscheletro creò una vera e propria esplosione accecante, che dileguò gli incantesimi in arrivo, come fossero stati sabbia al vento.

I presenti vennero letteralmente scaraventati zampe all’aria.

Steel strinse i denti e si mise uno zoccolo sul muso. Ma non bastò.

L’impatto lo fece volare all’indietro, schiantandolo contro una parete vicina. Il colpo non fu di certo piacevole e il meccanismo di supporto ai suoi fianchi esplose in un’insalata di valvole e ingranaggi.

 

Avvenne quindi un fenomeno curioso quanto singolare.

 

Tutta la luce appena emessa dalla puledra venne richiamata nuovamente al petto.

Le lamiere esterne della corazza si serrarono ermeticamente, racchiudendo tutto il potere e annullando la sensazione di accecamento che aveva colpito gli osservatori.

La chioma dell’alberello, accanto alla puledra, venne spazzata violentemente. Quando tornò in posizione di riposo, un nugolo di foglie prese a cadere verso di lei, con estrema dolcezza.

La luce, bloccata all’interno dell’armatura e visibile solo attraverso le fessure delle intercapedini, virò inspiegabilmente da un azzurro acceso ad un tenue e corroborante arancione.

 

Gli ingranaggi si fermarono e presero a ruotare in direzione invertita, con moto lento e regolare.

 

Copper strizzò gli occhi, come invasa da un dolore incontenibile, quindi li riaprì.

Le sue pupille si rimpicciolirono progressivamente.

 

Ebbe un fremito per tutto il corpo.

 

Le ali si spalancarono, come code di pavoni.

Le Essenze si allinearono.

 

L’esoscheletro sembrò cadere in una forma di funzionamento rallentato.

Anche il volto di Copper parve rilassarsi.

 

    I soldati precipitarono nel panico.

Solamente i Calcator rimasero fermi ai propri posti, mascherando nell’abitacolo la sorpresa dei rispettivi piloti.

Steel si rialzò dolorosamente da terra e scosse il capo.

Osservò il proprio arto meccanico, divelto all’altezza della giuntura.

Si rimise in piedi, sfruttando le sole tre zampe sane, con non poca fatica.

I suoi crini, notoriamente ordinati, erano completamente scompigliati e il suo volto si arricchì di una rabbia come nessuno aveva mai visto.

Puntò la puledra, che lo osservava con muso inespressivo, adirandosi ancora di più.

“UCCIDETE QUELLA TRADITRICEEE!!!”, ruggì come un pazzo.

 

I soldati ebbero pochi secondi per riprendersi, quindi caricarono prepotentemente il bersaglio, saettando tra le imponenti zampe dei Calcator, che si erano appena messi in moto.

Copper non reagì. Si limitò ad attenderli, senza nemmeno alterare la propria espressione facciale.

Bastarono pochi secondi e i nemici le furono quasi addosso.

 

Copper sfoderò quindi un sorriso spaventoso, degno di un folle.

 

    Il corpo dell’inventrice scattò come una molla, annullando le distanze in un batter di ciglia.

“Cos…”, farfugliò un soldato in prima fila, ad occhi sgranati.

Il pony corazzato ruotò a mezz’aria e gli schiantò addosso gli zoccoli posteriori. L’impatto fu tale da spaccare metri di lastricato e spazzare via i suoi compagni, solamente a causa del contraccolpo.

Una decina di lance cercò di trafiggerla, da ogni direzione.

 

Copper, come se il tempo stesso fosse improvvisamente rallentato, lesse il flusso delle loro azioni; era come se percepisse un lento fluire di energia nei loro colpi, anticipando così le relative mosse.

Spostò l’Essenza che scorreva in lei, concentrandola in alcune zone specifiche del corpo.

Tutto avvenne in una frazione di secondo.

 

Quando le armi la trafissero… non fecero altro che scalfire un muro indistruttibile di energia invisibile, disposto impercettibilmente sulla superficie della corazza.

 

La combattente, infervorata dalle sostanze che si stavano diffondendo attraverso le vene, passò ad un immediato contrattacco.

Drizzò le ali, come un ventaglio di affilati coltelli, e vorticò su se stessa, aiutata da un violento getto di vapore dai fianchi.

Gli assalitori vennero lambiti dalle lame, che ne scalfirono le corazze e provocarono alcuni tagli superficiali alla pelle. L’attacco fu così potente da respingerli come foglie secche al vento.

 

Il varco così creato permise ad un Calcator di abbattere immediatamente una zampata sul nemico, come fosse un maglio gigantesco.

Lo zoccolo di metallo schiacciò la puledra sul terreno, causando un cratere sulle piastrelle e facendo tremare le strade.

Sollevò l’arto, permettendo ad un’illesa Copper di balzare direttamente verso la testa del colosso, con occhi da pazza. Un raggio incandescente, simile ad una lama di energia, si palesò dal suo corno e troncò di netto l’enorme casco della macchina da combattimento.

La testa decapitata, con tanto di cavi penzolanti, ruotò più volte nell’aria, spandendo spruzzi d’olio nerastro in ogni direzione. Colpì il suolo e rimbalzò rumorosamente più volte.

Il resto del corpo, privo dell’organo sensoriale, iniziò ad oscillare impacciatamente. Una serie di imprecazioni, ovattate dalla corazza, provenne dal suo interno.

Copper fece una giravolta all’indietro e atterrò agilmente sulle quattro zampe. Ancora non aveva finito.

Diede un secondo colpo di reni e si lanciò contro il busto del Calcator, colpendolo così forte da ribaltarlo all’indietro. L’enorme macchina emise una quantità incalcolabile di sfiati, nel tentativo di non perdere l’equilibrio, finendo rovinosamente a terra. Il costrutto cadde proprio sull’albero al centro della piazza, sbriciolandolo come fosse stato di compensato. Tutto tremò, sotto gli occhi terrorizzati dei soldati limitrofi.

La puledra si portò quindi sul ventre del Calcator, che era rimasto pancia all’aria, ed iniziò a scavare un solco con un raggio dal corno, simile ad un cannello ossidrico. Ad opera compiuta, sradicò la lamiera dissaldata e la lanciò lontano.

Il pilota, agganciato ai meccanismi di movimento, non poté far altro che osservare il volto dell’inventrice, senza possibilità di reagire.

Copper stringeva i denti, formando un ghigno inquietante.

Gli occhi erano spalancati e le pupille, minuscole, le donavano un’aura di furia omicida.

“Toctoc!!”, commentò divertita, assolutamente fuori di sé. “Posso entrare??”.

 

    Non molto lontano, debitamente al riparo nei vicoletti accanto, Silver Dust scrutava la scena dall’ombra.

Non poteva crederci…

“Santo cielo, Copper…”, commentò sottovoce, con muso interdetto. “E meno male che non volevi perdere il controllo…”.

Il secondo Calcator la intercettò con un manrovescio, scagliando il pony in esoscheletro verso una parete, come un proiettile.

Dust strizzò gli occhi, nell’istante in cui udì l’impatto, e vide chili di mattoni franarle addosso.

Chiunque sarebbe morto.

Dopo pochi secondi, tuttavia, la sua compagna emerse dal fumo, scrollandosi di dosso polvere e calcinacci.

Sorrideva ancora di più, pronta a mandare avanti uno scontro che era appena iniziato.

I pegasi spiccarono il volto, pronti a ridurla allo spiedo.
Gli unicorni caricarono altri incantesimi e i rinforzi presero a convergere verso la zona calda.

 

La fiducia, nel giovane puledro, parve vacillare.

Osservò preoccupato il cristallo mnemonico che reggeva tra gli zoccoli.

Ne vide il riflesso, giusto un istante.

 

Aveva davvero senso?

Copper sarebbe riuscita a mantenere il controllo? Per ora sembrava decisamente di no…

Il pony color creta stava agendo ai limiti della forza letale. Forse, in lei, ancora vigeva un barlume di buonsenso, che le impediva di sfracassare le ossa a chiunque le capitasse a tiro. O almeno… così sperava.

Ma era troppo tardi, ormai.

L’unico motivo per cui Copper era lì, affrontando il suo peggior timore e pronta a farsi massacrare da centinaia di soldati… era quel maledetto cristallo e la convinzione che potesse rivoluzionare in meglio le sorti della megalopoli.

No.

Non poteva fermarsi ora.

Erano in ballo e bisognava ballare.

 

    Silver si voltò e cercò di ignorare le urla dei soldati e i rumori della battaglia.

Raccolse fiato nei polmoni, assolutamente terrorizzato, ed iniziò a galoppare per i budelli, in direzione del cuore mnemonico: una struttura pesantemente controllata, a poche centinaia di metri dalla loro attuale posizione.

L’unico modo per avvicinarsi era proprio attirare l’attenzione in un punto vicino, in modo che la via fosse sgombra.

Un piano sensato ma completamente privo di alcuna perizia.

   

    Copper, intanto, si era tirata addosso l’ira di quasi un reggimento.

I soldati l’avevano accerchiata e tentavano di soverchiarla con attacchi combinati.

Ma qualcosa, nella loro tattica, non funzionava.

Non capivano perché… ma quella puledra sembrava non presentasse nemmeno un punto debole.

A nulla servivano i tentativi per attaccarla alle spalle o coglierla impreparata.

Il suo corpo reagiva come una macchina infallibile, intercettando o deviando tutti i colpi in arrivo. E dove riuscivano invece ad arrivare, ci pensava la corazza incantata a resistere come un baluardo.

Quando era invece Copper a contrattaccare… non c’era armatura o scudo che reggessero. Le sue zoccolate, amplificate dall’esoscheletro, erano terribili e precisissime. I raggi del suo corno pericolosi quanto quelli di un evocatore centenario.

E più la battaglia infuriava, più Copper si sentiva eccitata e corroborata dall’estasi dell’azione. Era come se ne reclamasse ancora. E ancora… finché non iniziò a ridere sguaiatamente, in un gesto a dir poco demoralizzante per i nemici.

Steel Hammer, dalle retrovie, pensò di aver scatenato una forza inarrestabile e, vedendo i suoi uomini venire sconfitti come soldatini di plastica, percepì una sensazione di puro terrore, come mai aveva provato in vita sua.

La zampa frantumata di un Calcator si levò nel cielo, nascondendo per alcuni istanti il sole abbagliante, quindi prese a precipitare verso di lui.

L’ufficiale ebbe un tuffò al cuore e riuscì a malapena a gettarsi di lato, prima che l’oggetto abbattesse parte della casa su cui si era scontrato un attimo prima.

Hammer finì rovinosamente nella polvere, alzando poi il muso esterrefatto.

 

Copper, ad una dozzina di metri  e asserragliata da militari impauriti, lo stava fissando con espressione di follia. Aveva appena sradicato e poi spedito nel cielo l’arto del Calcator.

“La prossima volta”, gli comunicò ridacchiando, “non sarà così fortunato, generale!!”.

 

Uno stormo di pegasi le sciamò addosso, cercando di chiuderle ogni via di fuga.

Copper fece scaturire una violenta nube di vapore, da cui emerse verticalmente, ritrovandosi a svariati metri dal suolo, grazie alla propulsione degli ugelli.

I suoi sensi amplificati colsero quindi un dettaglio fondamentale: qualcuno stava trottando per i vicoli lì accanto.

 

Fu una fortuna, probabilmente, poiché tanto le bastò per ritrovare un po’ di coscienza.

Non era lì per massacrare ondate di nemici.

Non solo, perlomeno…

 

Aveva un compito più importante.

Qualcuno a cui teneva e che doveva proteggere.

Dust.

    Il pony dai crini ramati azionò le ali e riuscì a modificare la traiettoria ascensionale, finendo su uno dei tetti accanto, con un tonfo che sbriciolò diverse tegole.

Avrebbe spostato il combattimento su quel livello, continuando a spostarsi per seguire Dust nel suo tragitto e, contemporaneamente, evitare che si accorgessero di lui.

 

Hammer, per canto suo, rimase basito a guardarla.

Corrugò la fronte.

Qualcosa non gli tornava.


…perché si era improvvisamente spostata sui tetti?

Perché indirizzare la battaglia in campo aperto, dove sarebbe stata più suscettibile agli attacchi su vasta scala?

 

Copper non era di certo una stratega ma qualcosa suggerì al generale di non dare nulla per scontato.

 

“TU!!”, urlò improvvisamente, bloccando un pegaso che stava per spiccare il volo.

“Signore??”, chiese l’altro.

“Tu! Prendi una manciata di pegasi e solcate il cielo! Non dovete intercettare la puledra!”, ordinò, rimettendosi sulle zampe e cercando di seguire l’evolversi della battaglia. “Rimanete a distanza di sicurezza e controllate qualsiasi movimento sospetto attorno al bersaglio in armatura!! Se notate qualcosa di strano, avvertitemi immediatamente. Intesi??”.

“Sissignore!!”, rispose prontamente, allontanandosi dopo un colpo d’ali.

 

Steel iniziò a zoppicare verso Copper, mantenendo le dovute distanze e lasciando che il grosso degli uomini fungesse da scudo vivente.

Il volto grigio era ebbro di fatica e rabbia; la fronte madida di sudore.

Si fece ancor più agguerrito.

 

Non mi freghi…”, pensò dentro di sé.

 

    I pegasi raggiunsero la posizione di Copper, mentre le truppe di terra invasero i vicoli sottostanti, pronti a riceverla casomai avesse tentato di tornare giù.

Si udì un boato nelle vicinanze: fumo e calcinacci si sollevarono da alcuni edifici. Il muso di un Calcator apparve tra i caseggiati più bassi: aveva appena demolito alcune mura per crearsi un varco, implacabilmente deciso a raggiungere il bersaglio e dar man forte agli alleati.

Una dozzina di pony alati atterrò attorno alla puledra, armati di lame a arpioni montati sui fianchi.

Un’altra decina di pegasi continuò a vorticarle sopra la testa, prendendo accuratamente la mira.

“Arrenditi, dolcezza!”, gli intimò uno degli assalitori, caricando pressione nel sistema di lancio dell’arpione. Le sorrise malignamente.

Per tutta risposta, Copper diede un colpetto ad una delle mattonelle del tetto, che si sollevò a mezz’aria, quindi roteò su se stessa e la spedì contro il muso dell’interlocutore, tramite una zoccolata posteriore.

La terracotta si sbriciolò sul suo ghigno e lo catapultò qualche metro oltre la tettoia. Cadde in mezzo alla strada.

“Chi ne vuole ancora??”, urlò inviperita.

Alcuni arpioni con cavo metallico piovvero dal cielo. L’unicorno dagli occhi smeraldo agì schivandone mirabilmente alcuni; altri le finirono dritti tra le zampe. Li afferrò, quindi si gettò verso l’edificio di fronte, trascinando con sé gli avversari alati. Questi non riuscirono ad opporsi alla sua forza e, costretti dalla fune a cui erano assicurati, piombarono verso terra e si schiantarono contro le pareti degli edifici in mezzo.

Sotto di lei, intanto, gli unicorni si prepararono a martellarla con i rispettivi incantesimi. Copper scagliò un impressionante dardo arcano verso una casetta a più piani. La magia deflagrò, causando il cedimento della struttura e facendola franare lungo le strade. Gli occupanti galopparono via, schivandola per un soffio. Li avrebbe rallentati per un po’.

Riportò quindi l’attenzione all’amico ed iniziò a retrocedere verso di lui, in modo da non perderlo d’occhio, sfruttando il piano soprelevato dei tetti.

Udì altre macerie crollare. I Calcator la stavano raggiungendo e, con essi, sarebbero sicuramente arrivati altri soldati.

Un ronzio lontano anticipò inoltre la comparsa di alcuni intercettori da battaglia, discesi direttamente per fornire supporto con le terrificanti armi di prua.

 

Silver, intanto, galoppava a più non posso, optando ogni volta per la via più angusta e malfamata. Sapeva che, in quel modo, avrebbe ridotto al minimo un incontro con altre truppe dei Divites.

Con la coda dell’occhio cercò di non perdere di vista Copper, che dai tetti vegliava su di lui e, al tempo stesso, combatteva per non farlo scoprire.

Il cuore iniziò a battergli forte, sia per lo sforzo che per la tensione, e il fiato divenne cortissimo.

Con ogni probabilità non era nemmeno ad un terzo del percorso totale.

 

    I pegasi incaricati dal generale Steel sorvolarono attentamente la puledra, mantenendosi a distanza di sicurezza. Videro Copper sfoggiare mosse leggiadre quanto terrificanti, liquidando ondate di assalitori e causando danni devastanti all’ambiente circostante.

Corrugarono lo sguardo e si concentrarono sul relativo compito.

Ci vollero alcuni minuti, prima che uno di essi spalancasse le palpebre ed indicasse un punto preciso tra i viali.

“Tenente!!”, urlò uno degli aviatori. “Tenente guardi!!”.
L’ufficiale in comando aguzzò lo sguardo e vide una macchia viola saettare tra i viali, quasi completamente occultata dal caos e dall’intricato sistema suburbano.

“Continuate a volare e a cercare altri movimenti sospetti!”, ordinò alla formazione. “Io vado a riferire rapporto!”.

“Sissignore!”.

Il pegaso si distaccò dai sottoposti, piegò le ali e impostò una traiettoria ascensionale. Atterrò a pochi metri da Steel Hammer che, incurante dell’arto danneggiato, continuava  seguire i propri uomini in battaglia.

“Generale!”, si annunciò frettolosamente.

“Cosa?”.

“Abbiamo individuato un possibile spostamento tra i vicoli! Un pony dal manto viola”.

L’unicorno grigio sorrise sardonicamente.

“Perfetto, tenente. Torni a sorvegliare l’area”, e lo congedò. Si rivolse quindi alla propria squadra e, con rinnovato fervore, strillò: “SOLDATI!! LASCIATE PERDERE LA PULEDRA!! IGNORATELA! NON È LEI CHE VOGLIAMO! CERCATE UN UNICORNO VIOLA TRA LE STRADE CITTADINE!! SI STA DIRIGENDO AL CUORE MNEMONICO DELLA CITTA’ E DEVE ESSERE FERMATO AD OGNI COSTO!!”.

Dust era troppo lontano e troppo immerso tra i budelli per poterli udire chiaramente ma Copper, dall’alto dei tetti, comprese tutto alla perfezione.

Il suo entusiasmo calò drasticamente, lasciando spazio ad un volto preoccupatissimo.

“D… Dust…”, sussurrò a se stessa, rivolgendo lo sguardo verso l’amico lontano e vedendo i militari sciamare verso la sua posizione, ignorandola totalmente.


La puledra ebbe paura.

Il cuore le finì direttamente in gola, preoccupata che il piano si rivelasse completamente fallimentare.

…e che Silver potesse fare una brutta fine.

 

“VE LO DARO’ IO UN BUON MOTIVO PER NON IGNORARMI, MALEDETTI!!”, ruggì come una leonessa.

Il corno si illuminò, richiamando fiotti di energia arancione dal cuore della corazza.

I soldati si bloccarono all’unisono, percependo la terra tremare sotto i loro stessi zoccoli. Si osservarono attorno, spaesati.

Una casa, nelle vicinanze, assunse una debole luminescenza, quindi si sradicò lentamente dalle proprie fondamenta, sollevando uno tsunami di calcinacci e tubature penzolanti.

Copper strinse i denti per lo sforzo.

Gli ingranaggi presero a vorticare, come impazziti, e la sua spina dorsale venne attraversata da un fulmine di dolore.


Non le importava.

 

L’edificio prese a fluttuare debolmente sopra le teste dei presenti, completamente terrorizzati, quindi venne scagliato con violenza al suolo, creando un frastuono terribile. La maggior parte dei nemici riuscì a schivare il colpo, vedendolo arrivare, mentre altri vennero investiti dai pezzi di mura e dal colossale vento polveroso che li intercettò.

 

Copper, ansimante, cercò di riprendere il controllo e di raggiungere il proprio compagno.

Una pioggia di proiettili sibilanti si abbatté su di lei, cogliendola impreparata.

Erano dardi metallici, gli stessi che l’avevano ferita l’ultima volta. Non fece in tempo ad irrobustire la corazza con l’Essenza, così alcuni di essi si conficcarono sulle lamiere e raggiunsero la carne, causandole però solo alcuni danni superficiali.

La puledra urlò di dolore, quindi evocò istintivamente uno scudo magico attorno a sé.

Si voltò e vide un incrociatore che la stava bersagliando di colpi, ad una cinquantina di metri dal suolo. I proiettili metallici si bloccarono a mezz’aria, fluttuando grazie allo scudo difensivo.

I pegasi di scorta si mossero per intercettarla.

Un Calcator frantumò l’ennesimo muro, ormai dannatamente vicino.

 

L’esoscheletro reagì alla situazione critica e un’ulteriore scarica di adrenalina le arrivò dritta in testa.

I quattro sigilli dovettero persino dissipare un po’ di energia, tanto era il potere che fluiva nel corpo del pony, con conseguenze non meglio prevedibili.

 

Copper raccolse aria nei polmoni e urlò a squarciagola: “CON CHI CREDETE DI AVERE A CHE FAREEE?!?”.

Fece quindi esplodere il muro arcano, scagliando i proiettili trattenuti verso i pegasi. Questi dovettero proteggersi con zampe e scudi, subendo però ferite che li incapacitarono, costringendoli a precipitare.

L’unicorno riuscì a farsi propellere verso l’alto, con un violento getto di vapore, un istante prima che il Calcator sfondasse la sua posizione con una zampata.

Raggiunto l’apice dell’elevazione, azionò le ali e impostò una traiettoria di planata che la condusse rapidamente verso il velivolo, che non la smise di spararle, senza successo.

Questa volta, tuttavia, non andò per il sottile.

Non atterrò sul ponte, bensì tranciò l’intero scafo in due parti, grazie ad un impressionante fendente incantato.

La metà posteriore, quella con i motori, si ritrovò senza stabilizzatori ed iniziò a volteggiare verso una meta indefinita. La parte anteriore subì invece il pieno effetto della gravita e precipitò verso gli edifici disabitati, sfracassandosi addosso al Calcator e sollevando una colonna di fumo nero, accompagnata da qualche sfiammata.

 

Copper ricadde pesantemente su uno dei tetti, sfondandolo quasi completamente.

L’incantatrice era madida di sudore e in preda ad evidente dolore fisico. Respirava come se stesse correndo da ore.

Sollevò lo sguardo ed osservò minacciosamente i soldati sparpagliati per le strade, lasciando che il disastro che aveva appena causato la incorniciasse sullo sfondo.

Gli altri atterrirono.

Qualcuno abbandonò le armi e fuggì, sostenendo che non erano pagati abbastanza.

Steel andò su tutte le furie.

“IDIOTI!!”, urlò. “CHE STATE FACENDO?! VUOLE SOLO INTIMORIRVI! LASCIATELA PERDERE E CERCATE IL PULEDRO!!”.

 

    Silver, infatti, continuò a galoppare, cercando di sopportare la fatica.

Udì i rumori della battaglia e pregò che tutto stesse andando per il meglio. Sapeva tuttavia che, finché c’era baccano, significava che la sua amica era viva e combattiva.

Forse… avrebbero potuto farcela.

Forse…

 

Un dardo incantato gli saettò sopra la testa, provenendo dalle sue spalle e sfrigolando contro una delle pareti.

Si voltò, senza smettere di correre.

Un gruppetto di soldati era sulla sua scia.

Era stato scoperto.

“MALEDIZIONE!!”, berciò, affrettando il passo.

“FERMATI!!”, gli ordinarono, scagliandogli altri incantesimi.

Controllò il cielo, che si intravedeva tra le case che angustiavano il tragitto, e scorse le sagome scure dei pegasi.

 

Non vi era dubbio.

Avevano mangiato la foglia e si sarebbero prodigati fino in fondo, pur di bloccarlo.

 

Ma Silver Dust non aveva intenzione di farsi atterrire dalla paura.

Continuò a correre, sempre più convinto che avrebbe presto raggiunto il cuore. Come si sarebbe liberato degli inseguitori, però… beh, di quello non ne aveva proprio idea.

 

Svoltò un angolo e si ritrovò d’innanzi una lunga scalinata che conduceva ad un livello inferiore delle strade.

Altri raggi arcani gli passarono accanto, alcuni mancandolo per un soffio.

Decise di osare e di giocarsi il tutto per tutto.

 

Spiccò un balzo a zampe protese, cercando di intercettare una balconata sporgente.

Pensò che, in quel modo, dei soldati in armatura non sarebbero riusciti a raggiungerlo, almeno per un po’.

La sua mente fece tutti i calcoli del caso, più veloce della luce. Non tenne tuttavia conto di un dettaglio importantissimo… ovvero che era quasi allo stremo delle forze.

Compì il balzo, che lo avvicinò tantissimo al balcone, senza però caderci direttamente sopra.

Silver Dust agguantò la sporgenza tra le zampe anteriori e ricadde dolorosamente con il ventre sulla parete. Strizzò gli occhi e non perse la presa per puro miracolo, rimanendo però a penzolare come un salame. Cercò di issarsi, facendo appello ad ogni briciolo di energia residua, senza riuscire ad ottenere granché.

Alcuni fanti, intanto, lo avevano raggiunto e si prepararono a colpirlo con la magia. Poco importava loro che fosse indifeso e in difficoltà. Quella era la filosofia dei mercenari.

Il poveretto sembrò perdere ogni speranza, non riuscendo in nessuno modo a tirarsi su.

Si preparò al peggio, ad occhi serrati.

 

    Una zampa marrone agguantò quella lilla, un attimo prima che scivolasse via.

Dust riaprì le palpebre.

Di fronte a lui, sulla balconata, vi era uno stallone dal manto fulvo, barba incolta ed un sigaro tra i denti.

“Non ti muovere, ragazzo”, lo rassicurò con voce roca.

Silver sbirciò sotto di sé e vide un manipolo di scalmanati fuoriuscire dalla spazzatura ai bordi della strada, nonché da porticine di legno marcio e altri anfratti.

I soldati, completamente impreparati, si videro assalire da pony di terra armati di grondaie, chiavi inglesi e persino oggettistica da sanitari.

Ci fu una breve colluttazione: partì qualche incantesimo e volarono alcune urla. In pochi secondi, dei Divites non rimaneva che un mucchietto di corpi pesti e privi di sensi. Anche qualcuno degli abitanti rimase ferito, ma senza gravi conseguenze. Tra di essi vi erano Shade e suo fratello, gli stessi che avevano cercato di derubarlo il secondo giorno.

Coal agguantò il puledro e lo aiutò a salire.

L’altro scivolò lentamente sul pavimento esterno, madido di sudore.

“Santo… santo cielo…”, biascicò col fiatone.

Smoky lo scrutò con aria interrogativa, quindi gettò il sigaro a terra e lo spense.

“Non voglio sapere cosa stai facendo…”, dichiarò.

“C… Coal… io…”.

“RIPETO”, lo interruppe con decisione. “Non so cosa vuoi fare… ma… che mi esplodano le chiappe se ho mai visto uno sfacelo simile in più di trent’anni che vivo a Mechanus”.

“Io…”.

Lo stallone lo rimise in piedi, sollevandolo di peso e senza dargli il tempo di riprendersi.

“Non ho mai visto i Divites così incacchiati. Devi proprio avergli fatto qualcosa di brutto!”.

“Io…”, ripeté, ancora in preda ad un senso di panico. “Io… devo andare… devo raggiungere il cuore di Mechanus…”.

“Il… cuore di Mechanus?”.

“COAL!!”, urlò qualcuno ai piani inferiori. “NE STANNO ARRIVANDO ALTRI! SONO ARMATI FINO AI DENTI! CHE FACCIAMO??”.

“UN SECONDO!”, rispose frettolosamente. Cinse quindi Dust per le spalle e lo scrutò con intensità.

“…perché fai tutto questo, ragazzo??”, gli domandò con volto severo.

L’altro deglutì.

“…per… per la città. E… per i suoi abitanti…”.

“Ne sei sicuro? Posso fidarmi di te?”.

“COAL!!”, strillò il pony di prima.

 

Silver riconquistò un po’ di autocontrollo ed annuì debolmente.

 

“…allora tanto mi basta”, concluse l’altro.

Afferrò Dust per le spalle e lo spintonò verso una porticina sconnessa.

“VAI!!”, gli ordinò.

“M-ma… Coal!!”, protestò.

“Levati dagli zoccoli! Tra un po’ arriveranno altri pony in barattolo!”, gli spiegò, sporgendosi dalla balconata per osservare meglio.

“COAL!!”.

 

L’amico si voltò lentamente, con un tenue sorriso scolpito sulle labbra barbute, come mai aveva mostrato prima d’ora.

 

“Non so cosa tu stia combinando…”, ammise. “Ma… sono sicuro che sarà qualcosa di epocale…”.

“…come fai a dirlo?”.

“Mi pizzica sempre l’occhio balengo, quando stanno per succedere cose epocali”, ridacchiò. “E ora… levati di torno. Noi li terremo impegnati per un po’. Si pentiranno di averci trattati come spazzatura. È tempo di restituire colpo su colpo…”.

“Ma sei sicuro che…”.

“VATTENE!!”, sbottò.

Dust cercò di ricambiare con un altro sorriso, quindi si costrinse a spalancare la porta e dirigersi nuovamente in strada, attraversando alcune stanze scarsamente arredate.

 

Si riversò nell’ennesimo viottolo, lasciandosi alle spalle altri rumori di battaglia.

Riprese a galoppare.

 

Il corpo gli doleva.

La mente continuava a gettargli addosso mille dubbi e incertezze.

 

Tornò a scrutare i tetti.

Di Copper non vi era nessuna traccia.

Cosa le era successo?

Aveva forse perso il controllo?

Era solo rimasta un po’ indietro?

Oppure…

 

Gettò un’occhiata alle proprie spalle.

Non vi era nessuno.

Coal e i suoi compari avrebbero dato filo da torcere a qualunque soldatino che li avesse incrociati.

 

Nonostante la sua marcia stesse proseguendo… Dust non riuscì a non sentirsi responsabile.

Per lui.

Per la sua compagna.

Per Coal.

E per Mechanus stessa, verso cui stava portando una marea di scontri, feriti e sofferenza.

 

Per cosa, poi?

Per un cristallo dal dubbio funzionamento?

Per un serie di macchine misteriose, che da sempre avevano reagito con la violenza e che non gli avevano spiegato proprio un bel niente?

 

Era… davvero sicuro di ciò che stava facendo?

 

Troppo tardi per ripensarci.

E il cuore della città poteva ormai essere scorto in lontananza.

 

*** ***** ***

 

    Puntini.

Sì.
Puntini.

Tanti piccoli puntini luminosi dalle tonalità dell’azzurro, la tipica colorazione delle essenze viventi.

Tutt’attorno una flebile aura traslucida, ad indicare la materia inanimata ma comunque intrisa di energia creativa. Atomi, molecole e altre forme sconosciute di creazione, unite tra loro a formare mura, case ed edifici.

Questo, ormai, era ciò che vedeva Copper, completamente travolta dalla forza incontenibile delle Essenze fuse tra loro.

    Gli ingranaggi vorticavano a pieno regime.
I meccanismi di sblocco erano ormai saturi, producendo sfiammate di magia rossa da spalle e fianchi, incapaci di contenere il devastante potere che fluiva nel corpo dell’inventrice.

Gli stimolatori interni continuavano ad inviare un unico segnale costante, al cervello.

Non fermarti.

Produci altre sostanze iperattive.

Sfrutta questo potenziale.

Non fermarti.

Osserva.
Essenze.
Di chi?
Non importa.
Conteggiale.
Pianifica.

Leggile.

Pronta?
Attacca.
Sfrutta il tuo corpo.

I tuoi sistemi meccanici.
Sposta l’Essenza dove devi proteggerti.
Annienta i puntini luminosi.
Abbatti.

Distruggi.

Produci altre sostanze.

Ricomincia.

 

Era successo quello che l’unicorno color creta temeva.
Completamente ebbra dell’esoscheletro, aveva dato vita ad un perfetto e terrificante connubio tra carne e macchina. Tra materia vivente e non.

    I soldati, a dozzine, accorsero per cercare di fermarla.
Ma fu tutto inutile.

Copper si muoveva come una furia, di bersaglio in bersaglio, accompagnata da un alone di luce arancione che pulsava e si diffondeva a metri di distanza.
Il suo muso era contratto in un’espressione di estatico sforzo, completamente madido di sudore.

Sfrecciava da un pony all’altro, sfracassandogli la corazza a colpi di zoccolo e riversando ondate di magia devastante su interi schieramenti: fulmini, sfere e qualsiasi oggetto nei paraggi, scagliato tramite la levitazione.
I Calcator cercarono di sopraffarla ma la puledra non solo era resistente come il granito; poteva muoversi con la rapidità di una pantera e rispondere con la potenza di un maglio meccanico.
E più andava avanti… più ne voleva.

Non si ricordava nemmeno più chi fosse.

Perché era lì?
Cosa stava facendo?


Non le importava.

 

Sì…

Era divertente.
Non le importava.
Era come trovarsi nella costante sensazione di cadere giù per un dirupo, con il cuore in gola e l’eccitazione a mille.

Non poteva fermarsi.
La corazza non l’avrebbe aiutata a smettere.

    “GENERALE!!”, strillò uno degli ufficiali, ripiegando dal massacro e tornando nelle retrovie, in direzione di Steel. “GENERALE!! NON RIUSCIAMO A FERMARLA!!”.

Un contraccolpo lontano mandò in mille pezzi uno dei tanti edifici della metropoli. L’esplosione fu così violenta da scagliare in cielo intere sezioni di mura, che iniziarono lentamente a vorticare e ricadere a terra.

Hammer si riparò il volto dalla polvere.

“NON IMPORTA!!”, rispose, urlando in mezzo al fragore della battaglia. “TENETELA IMPEGNATA! E CONTINUATE AD INSEGUIRE IL PULEDRO VIOLA! DOBBIAMO TENERLA LONTANA DAL CUORE!”.

Una cacofonia di versi doloranti li raggiunse, subito prima di qualche corpo volante, che saettò sopra le loro teste, sospinto dall’ennesimo attacco della puledra. Si schiantarono contro un muro lì vicino.

Risate di puledra iniziarono a riecheggiare tra le case.

“GENERALE!!”, insistette l’altro. “QUI NON REGGIAMO ALTRI TRENTA SECONDI!!”.

Steel non voleva demordere.

“CONTINUATE A MARTELLARLA! CHIAMATE ALTRI RINFORZI! BERSAGLIATELA CON LE NAVI! NON IMPORTA COME, MA NON FERMATE L’ATTACCO!!”.

L’interlocutore porse un timido saluto militare, con volto preoccupatissimo: “…s-sì, generale…”. Si congedò.

L’unicorno menomato spostò l’attenzione di nuovo sulla puledra, in mezzo a cumuli di macerie, palazzi che crollavano e soldati in preda al panico.

Sfoggiò un volto caparbio quanto colmo di follia.

“…non potrai continuare così per sempre…”, disse sottovoce.

 

*** ***** ***

 

    Dust correva.

Correva come mai aveva fatto in vita sua.

Non era nemmeno più sicuro di dove stesse andando.

Serpeggiava tra i budelli in modo completamente casuale.

Aveva perso il controllo ma era ancora sufficientemente lucido da notare un’enorme torre, intravista negli spiragli di cielo tra i tetti.

Il cuore…
Una struttura alta un centinaio di metri, circolare, ricoperta interamente da lamiere di rame un po’ ossidato. In cima: una stanza con una serie di grandi vetrate a smeriglio, che lo facevano sembrare un faro in mezzo ai grattacieli.

La vista della struttura gli riportò un po’ di speranza.
Non era poi così lontano… ma gli inseguitori non avrebbero mollato.
Tra le nubi, poteva intravederli, i pegasi svolazzavano freneticamente, pronti ad individuarlo. In mezzo agli edifici, tuttavia, sarebbe riuscito a non farsi vedere. Se avessero deciso di attaccarlo, avrebbero avuto uno spazio di manovra pressoché nullo.

I soldati dietro di lui, invece, sarebbero sempre rimasti un problema e Coal non avrebbe resistito per sempre.

 

Doveva continuare a correre e a muoversi.


Mille dubbi tornarono ad attanagliarlo ma cercò di scacciarli.

Non vedeva Copper ormai da parecchi minuti.
I rumori di battaglia erano flebili e lontani, quasi impercettibili, ormai.

Si concentrò sul proprio obbiettivo.
Era solo questione di tempo prima che raggiungesse la torre.
Sorrise, in preda al fiatone.

La zona, tuttavia, sarebbe stata sicuramente presidiata.
Come avrebbe fatto ad entrare? Solamente Copper avrebbe potuto garantirgli l’accesso e, contemporaneamente, tenere alla larga gli invasori.
Senza di lei… come avrebbe fatto?

Inutile pensarci, senza prima essere giunti a destinazione.

Continuò… finchè…

 

    Un’esplosione, a pochi metri da lui, mandò in frantumi una sezione di muro.

Silver venne letteralmente sollevato da terra e volò per alcuni metri, sfracassando una finestra protetta da assi malandate. Finì all’interno di un edificio, cadendo dolorosamente di schiena e ricoperto di polvere e frammenti di legno.

Gli ci vollero parecchi secondi per riprendersi, sollevare il capo e ruotare su un fianco.

Scosse la testa, facendo scendere pulviscolo dai crini.


Era finito in una camera disabitata, scarsamente arredata.

 

Di fronte a lui, al di là della finestra, era visibile la possente zampa metallica di un Calcator: aveva appena sfondato una parete urbana.

Quando il polverone si dissolse, Dust dovette digrignare i denti dal terrore.

Dai fumi, accompagnato da un terribile cigolio, emerse la colossale macchina da guerra, con luccicanti occhi bianchi.

Riportò lentamente l’arto in posizione di riposo, sempre cigolando rumorosamente.

Assunse una postura eretta, quindi sollevò il casco metallico verso il proprio bersaglio.

 

Silver Dust non perse tempo: si rimise sulle zampe e cercò di allontanarsi all’interno della casa.

Il Calcator si mosse con sorprendente velocità e menò una zoccolota verso di lui. Il puledro si abbassò, mentre un’intera sezione di muro veniva divelta dal passaggio della zampa meccanica.

Una voce metallica divertita provenne dall’interno del mezzo: “Dove credi di andare??”.

Dust, completamente in preda al panico, arrancò affannosamente verso una rampa di scale in pietra e cercò di salire al piano superiore.


Il Calcator non dovette far altro che dirigersi verso di lui, abbattendo mura, mobili e quant’altro. Era sufficientemente alto da poter tranquillamente raggiungere l’unicorno dal piano inferiore.

Silver, tuttavia, voleva semplicemente andarsene.

 

Corse verso una finestra, un attimo prima che un secondo colpo, dal piano terra, sfondasse il pavimento accanto a lui.

 

Dust, colto alla sprovvista, scivolò e finì nella voragine appena creata. Cadde di nuovo di sotto, colpendo la groppa del Calcator e rovinando quindi a terra, in un cumulo di macerie.

 

Il bestione riprese a muoversi, cigolando e sbuffando vapore.

 

Il giovane emise un verso di dolore, quindi tentò nuovamente di rimettersi in piedi.

Con suo sommo terrore, notò la borsa a tracolla in un angolo della casa. Doveva essersi slacciata durante la caduta.

Il Calcator era proprio nel mezzo.

“È come schiacciare un insetto!”, commentò il pilota, pronto ad abbattere lo zoccolo contro di lui.

Silver ebbe un fugace momento di lucidità, che gli permise di evocare un incantesimo: si teletrasportò sotto le zampe del Calcator, un secondo prima che l’arto sfondasse il pavimento da cui era appena scomparso.

Si tuffò verso la sacca, agguantandola. Se la mise frettolosamente attorno al collo e cercò di guadagnare l’uscita.
Questa volta, però, non fu così fortunato.

Il mezzo da combattimento, dietro di lui, fece una giravolta e schiantò l’ennesimo colpo, che questa volta andò a segno.
Dust sentì le ossa scricchiolare e venne proiettato di nuovo attraverso una finestra, colpendo violentemente le mura dall’altro lato della strada.

Ricadde a terra, senza aria nei polmoni.

Tossì più volte.

Il Calcator, implacabile, si creò il proprio passaggio personale, semplicemente attraversando le mura.

“Pensi davvero di cavartela così, moccioso??”, lo derise, avanzando verso di lui.

Dust tentò di alzarsi ma il dolore glielo impedì.

Non riuscì nemmeno ad evocare un incantesimo, che comunque sarebbe servito a ben poco, contro un simile avversario.

Completamente atterrito e privo di qualsivoglia possibilità di fuga, si preparò ad arrendersi, nella speranza di essere risparmiato.

 

Udì quindi un rimbombo lontano, in mezzo agli edifici lì accanto. Un rumore simile ad un sibilo acuto, accompagnato da un tonfo così pesante da far tremare la terra.

Non riuscì a capire di cosa si trattasse, essendo a ridosso di una parete.

Il nemico, tuttavia, parve bloccarsi, anch’egli confuso.

Dust udì altri cigolii.

Corrugò la fronte.

Quindi accadde.

L’ennesimo muro demolito precedette la comparsa di un altro Calcator, ancor più grosso e massiccio dell’altro.
Era una macchina dalla corazza dorata, elegante nell’aspetto quanto spaventosa nei movimenti. Un Calcator di classe Titan.

Il colosso abbatté una zampa sull’altro costrutto, facendolo vacillare all’indietro di parecchi metri.

Il casco del Titan fece brillare gli occhi color verde acqua, emettendo svariati sbuffi di vapore.

L’avversario, ristabilito l’equilibrio, si fermò.

“S… signore??”, balbettò interdetto il pilota.

Per tutta risposta, il Calcator dorato intercettò il bersaglio, ingaggiando una furiosa battaglia. Il pilota cercò di difendersi ma, colto alla sprovvista da un presunto traditore, si ritrovò ben presto ad incassare i devastanti colpi di una macchina da combattimento di livello superiore.

Il Titan venne colpito da alcuni attacchi, che riuscirono ad ammaccare appena la corazza.

I due presero a spostarsi caoticamente per i paraggi, sfondando e devastando le strutture.

Dust vide alcune tonnellate di zampe sfracassare il lastricato attorno a sé.

Si coprì il viso, nel vano tentativo di proteggersi. Per fortuna, il Titan fece di tutto per tenere la battaglia lontana da lui.

Con un ultimo, fortissimo colpo di zoccolo, il Calcator dorato devastò il petto del nemico, mandando completamente in avaria i sistemi di movimento.

Il nemico cadde rumorosamente di schiena, contro il tetto di una casa a piano singolo, sollevando calcinacci e nugoli di polvere.

 

“D-dannazione!!”, berciò l’occupante, cercando inutilmente di uscire dall’abitacolo semidistrutto.

In mezzo a quello sfacelo, intanto, Dust non ci stava più capendo niente.

Cercò di rimettersi in sesto, con non poca fatica. Si issò sulle zampe tremanti, quindi zoppicò in direzione del presunto salvatore.

Non sapeva chi fosse ma, se avesse voluto attaccarlo, lo avrebbe già fatto.

 

    Il Calcator classe Titan rimase immobile, emettendo giusto alcune lingue di vapor acqueo dalle giunture.
Il matematico scrutò il cielo (dato che la battaglia aveva sostanzialmente generato un cratere in mezzo agli edifici) e notò i pegasi nell’atto di riorganizzare le formazioni.
Qualsiasi cosa fosse successa, non aveva tempo da perdere. In quelle condizioni, tuttavia, non sarebbe andato lontano.
Dal petto della macchina provennero altri rumori di sfiato, prima che una sezione della corazza si sganciasse e si aprisse, rivelando l’occupante.
    Un unicorno bianco, ricoperto da numerose bende strappate, era assicurato ai meccanismi di movimento del mezzo.

Silver lo riconobbe immediatamente.

“Zamak??”, domandò perplesso.

L’altro era in evidente sforzo fisico, dolorante.
Si voltò lentamente verso di lui e si sforzò di sorridergli.
“…ehy… ragazzo…”, gli disse ansimante. “Tutto bene…?”.

“Ma… ma cosa…”, farfugliò.

“Senti… vorrei anche io fermarmi a chiacchierare…”, gli spiegò esausto. “Ma… saresti così gentile da staccarmi da questo affare?”.

Silver non se lo fece ripetere due volte e si arrampicò alla bene e meglio lungo la struttura del Titan. Quando giunse nell’abitacolo, notò una serie di strani comandi e leveraggi disposti lungo l’intera cabina.
Zamak era tenuto in sospeso da una serie di fibbie, mentre lungo gli arti e le giunture erano assicurati dei cavi in tensione, ovvero il meccanismo in grado di leggere i movimenti del pilota.

L’unicorno sibilò tra i denti, per il dolore. Le ferite, a malapena coperte dalle bende, si stavano forse riaprendo.
Dust si apprestò a slacciare le sicure, stando attento affinché l’occupante non capitombolasse a terra.

Il bestione bianco dovette reggersi al gracile pony lilla, causandogli non pochi problemi nel riportarlo sulla terraferma. Una volta lì, si accasciò sul lastricato distrutto, con un verso liberatorio.

“…dannazione…”, gli disse, strizzando gli occhi. “Mi sa… mi sa che controllare uno di quei cosi… non è consigliabile quando sei ridotto ad un cencio…”.

“Zamak… ma… sei venuto qui… per me?”.

“Già”, sorrise, con la fronte imperlata dal sudore. “Brillante deduzione. Ora capisco perché sei l’allievo di una Principessa”, lo schernì.

“Ma… ora… ora i Divites…”.

I pegasi nel cielo scrutarono i due, non sapendo bene come reagire di fronte ad un ufficiale traditore.

L’unicorno sollevò gli occhi azzurri verso di loro, quindi li riportò in direzione di Dust.
“Ascolta…”, gli spiegò con serietà. “Non c’è un minuto da perdere… Tra poco quelli verranno qui per catturarci…”.

“Perché li hai traditi??”, domandò energicamente.

Zamak sospirò ma non perse il proprio muso temerario. Alzò una zampa e fece dondolare alcune bende dinnanzi al puledro.

“…credi… che siano stati gli Inanimus a farmi questo…?”.

“…intendi dire…”.

L’amico si rimise in piedi, aiutandosi contro un muretto ancora intatto.

“Ora vattene… sei ad passo dal tuo obbiettivo…”.

Silver scrutò la torre ormai vicina.

“Ma… ma senza Copper… io…”, farfugliò interdetto.

“Prendi il mio Calcator…”, gli propose, aspettandosi i pegasi corazzati da un momento all’altro.

“Cosa?”.

“Sali su quell’affare. Ti darò una zampa a sistemarti nella cabina”.

“Ma non ho mai pilotato un aggeggio simile!”.

Zamak gli diede uno spintone in direzione del Titan, quindi zoppicò per accompagnarlo fino alla cabina.

“Se è per questo…”, continuò, cercando di nascondere il dolore, “non avevi mai usato le corazze di quella stramboide di mia sorella. Eppure ci sei riuscito…”.

“S-sì… ma…”.

I pony alati giunsero uno dopo l’altro, appollaiandosi sulle sommità dei tetti più bassi. Erano visibilmente confusi.

“…comandante Zamak?”, domandò uno di loro, non capendo se stesse catturando il prigioniero o cosa. Il Calcator abbattuto lasciava però poco spazio ai dubbi.

L’unicorno dai crini dorati cercò di velocizzare le cose. Con le sue ultime forze, evocò un potente incantesimo sulla fronte, generando una bolla circolare sufficiente a proteggere loro due e il Calcator.

“TRADITORE!!”, berciò uno dei pegasi, armando l’arpione laterale.

“Vai! Sali!”, intimò il fratello di Copper al puledro.

L’altro ubbidì.

 

I pegasi fecero cerchio attorno allo scudo di energia. Sapevano che non sarebbe potuto durare in eterno e, per allora, li avrebbero assaliti da tutte le direzioni.

Zamak legò i meccanismi di movimento del Calcator ad un agitatissimo Silver Dust, che si stava probabilmente pentendo di ogni scelta compiuta nelle ultime ventiquattro ore.

Gli fece passare una spessa cinghia in pelle attorno al busto, in modo che rimanesse sospeso nella cabina, quindi legò altri cavi alle zampe e ai punti mobili del suo corpo.

I pegasi, intanto, li avevano completamente circondati.

“Zamak!”, riprese Dust, sentendosi ridicolo, appeso in quel modo. “Perché lo fai?? Perché mi aiuti?”.

L’ufficiale tirò una leva e l’intera struttura metallica ebbe un sussulto. Si udirono rumori di vapore e piccoli vagiti metallici. Una sorta di binocolo si sganciò dalla parte apicale dell’abitacolo, ricoprendo gli occhi dell’occupante. Zamak si allontanò, in quanto la portella si stava lentamente chiudendo.

“Zamak!”, ripeté Silver.

 

L’altro sorrise.


Scese dal Calcator, lasciando il pilota completamente in balia di sé.

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Capitolo 10
*** In Memoria Sacrifici - Postremus ***


    Quando la portella si richiuse ermeticamente, Dust si ritrovò al buio e isolato dai rumori esterni.
Si guardò nervosamente attorno, sospeso nel vuoto grazie ai cavi, senza poter scorgere nulla attraverso gli strani occhiali che indossava.

 

All’interno della minuscola cabina non poteva sentir altro se non il rumore del suo respiro affannoso e il battito del suo cuore.


Urla ovattate provennero dall’esterno.

Stavano forse cercando di catturare Zamak?

 

    L’intero pony meccanico prese quindi a vibrare. Il binocolo gli mandò una serie di lampi accecanti alla vista, sfumando poi verso un’immagine appena distorta di cosa potesse vedere il Titan.
Non sapeva bene come funzionasse il colosso in cui era rinchiuso ma le vibrazioni dietro di lui gli fecero intuire come si trattasse di un meccanismo mosso da caldaia, sicuramente grazie a chissà quante Pietre Ignee.
Cristalli arcani e altri incantesimi permanenti gli consentivano di vedere attraverso quegli strani occhiali, nonché gestire il sistema di leveraggi meccanici per muoverlo.

Dust provò a guardarsi attorno e percepì il cigolare dell’elmo, unitamente alle immagini che gli giungevano dall’esterno.

Vide l’intera zona, ovviamente da posizione rialzata, compresi i pegasi che si stavano preparando ad assaltarlo.

Un piccolo assembramento si stava allontanando per i vicoli, probabilmente scortando il traditore verso le retrovie.
Avrebbe voluto voltarsi e andare a salvarlo ma sarebbe significato mandare all’aria tutto ciò che lui e Copper avevano affrontato fino a quel momento.
Non poteva farlo.

Con molta delicatezza, mosse appena le proprie zampe, cercando di comprendere il meccanismo di azione/reazione alla base del Calcator. Con sua somma sorpresa, sebbene con circa un secondo di ritardo, l’enorme macchina da battaglia sembrava rispondere in modo perfetto ai suoi spostamenti, proprio come se non dovesse far altro che mimarne i movimenti. La cabina sussultava e gemeva, lasciandolo piuttosto spaventato durante i primi istanti.

Il rumore degli ingranaggi iniziò subito ad essere elaborato dal suo cervello, che prese a creare i nessi causali proprio come aveva fatto con l’esoscheletro di Copper.

 

Il talento è una dote naturale che non si impara.

 

Dust fece oscillare il capo, aspettando che il visore del Calcator inquadrasse la sommità del cuore, non troppo lontano dalla sua posizione. Solamente un isolato scarso lo separava dall’agognata meta.

Non avrebbe atteso oltre.

Cercò di camminare a mezz’aria, muovendo gli zoccoli come se dovesse spostarsi, e il Titan iniziò le sua lenta marcia frontale.
La cabina iniziò ad ondeggiare, unitamente alle vibrazioni che ogni singolo tonfo dei passi causava all’intera struttura.

Gli edifici ai suoi lati risentivano delle zoccolate sul terreno e riversavano cocci e polvere sulle strade, ad ogni falcata.

I pegasi si tenevano a debita distanza, senza perderlo di vista: sapevano che la fanteria non avrebbe potuto nulla contro una simile mostruosità da guerra.
Il pilota, nonostante fosse protetto da spesse lamiere di solido metallo, aveva una paura matta.
Fino a qualche giorno fa era Silver Dust, l’allievo della Principessa Celestia, giunto in visita a studiare una curiosa città meccanica. Ora era il pilota di un costrutto da battaglia, in marcia verso un obiettivo che avrebbe messo a rischio un’intera metropoli.
Ancora non si capacitava di quanto stesse succedendo.

    D’innanzi a lui si parò un assembramento di edifici.

Ebbe un attimo di esitazione, per poi ricordarsi cosa stesse guidando.
Deglutì e quindi si mosse con decisione: il Titan impattò contro le pareti esterne, riducendo i mattoni in briciole e le lamiere in fogli accartocciati. L’urto scosse l’abitacolo e i cavi in tensione gli diedero dolorosi strattoni alle zampe; nonostante fosse solo un pilota, i colpi esterni potevano essere purtroppo percepiti direttamente sul corpo, proprio a causa del curioso sistema di guida.

Strinse i denti e continuò. Gli ingranaggi del veicolo presero giri e numerosi sfiati di vapore emersero attorno a lui, mentre si spingeva con forza attraverso gli ostacoli, creando un nugolo di polvere e detriti.

Sbucò infine in uno spiazzo, a qualche decina di metri dall’enorme torre centrale.

Quando il fumo si diradò, Dust si rese conto di come sarebbe potuta finire se fosse giunto senza il Titan.

Lo spiazzo era presidiato da una coppia di Calcator, spediti direttamente dalle navi volanti (i crateri nel terreno ne erano testimonianza), mentre tutti gli edifici limitrofi ospitavano un piccolo reggimento di incantatori da battaglia, pronti a riversare distruzione tramite i rispettivi corni.

Il puledro ebbe un brivido lungo la spina dorsale.

 

I Calcator si attivarono e gli unicorni evocarono potere.

 

    Dust non ebbe tempo per pensare e, colto dal panico, rimase imbambolato ad osservare la scena.

Decine di fulmini e sfere di fuoco saettarono verso di lui, impattando violentemente contro la corazza. Silver venne sballottato da una parte all’altra della cabina, completamente assordato dai botti che schioccavano attorno.

Il corpo del Titan era però ancor più massiccio, rispetto a quello delle versioni depotenziate, e resse perfettamente  all’assalto.

I fumi e le scintille delle magie non fecero in tempo a diradarsi che gli zoccoli dei Calcator nemici lo percossero frontalmente. Nonostante la stazza, il Titan vacillò e cadde di schiena contro un edificio alle spalle, demolendolo quasi del tutto.


“Non saresti dovuto venire qui, ragazzino!”, intimò uno dei piloti nemici, con la solita inflessione metallica.

 

Il collega fece impennare il proprio colosso, cercando di sfondare l’armatura del Titan durante la ricaduta. Questa volta, però, l’istinto di sopravvivenza di Dust ebbe il sopravvento.

 

    Il puledro sollevò istintivamente una zampa, per proteggersi, e il colpo del soldato cozzò violentemente contro l’arto sollevato del Titan. Con un altro gesto, scostò violentemente la macchina che lo aveva assalito, facendola franare sullo spiazzo retrostante.

Il Titan non era solo più massiccio ma anche più potente dei modelli precedenti.

Il collega intervenne per bloccarlo. Dust si rialzò e si preparò a difendersi. Venne intercettato da altri colpi ma tutto resse alla perfezione. Il suo viso si fece agguerrito, un istante prima di menare una spallata e spedire il suo assalitore contro un altro edificio.

Altri incantesimi giunsero a fornire man forte, senza causare nulla se non baccano e spettacolari effetti esplosivi.

Il Titan premette contro il Calcator del Divites, cercando di schiacciarlo contro le case. Il commilitone, da poco gettato a terra, si era prontamente ripreso, cingendo l’elmo di Dust da dietro e cercando di allontanarlo. Durante la manovra, i due soldati ebbero l’occasione di colpirlo dritto al muso.

Silver avvertì un boato e vide la metà destra dell’immagine svanire. Gli avevano sicuramente distrutto un occhio del veicolo.
Come aveva fatto a non pensarci prima?

I Calcator lo stavano stringendo in una morsa metallica ma al puledro bastò spalancare le zampe: gli ingranaggi ruotarono senza sosta, emettendo lampi e scintille, permettendo al Titan di liberarsi.

Afferrò quindi l’elmo di un nemico e lo frantumò con un diretto.

Lamiere e fiotti di liquido oleoso schizzarono in tutte le direzioni.

Il secondo nemico cercò di intervenire ma i suoi attacchi non potevano semplicemente danneggiare il Titan in modo serio. Tentò di mirare alle giunture ma anche quei punti erano stati rinforzati.

Così, nonostante la sua inesperienza, Dust non fece altro che imparare dai suoi nemici: dopo aver sfondato il casco di un Calcator, menò una zampata all’altezza delle ginocchia e spaccò di netto un arto anteriore dell’altro Divites. La macchina, priva di un supporto, franò sul moncherino grondante di olio.

Un secondo colpo del Titan intercettò il collo e spinse all’indietro il capo, che rimase a penzolare, sostenuto da una serie di cavi e tubi divelti. Altri spruzzi di liquido e fiotti di vapore ebbero libero sfogo.

 

“CHIAMATE I RINFORZI!! CALCATOR E INTERCETTORI!!”, urlò uno degli unicorni, stando debitamente al riparo negli edifici.

I colleghi, intanto, continuavano a bersagliare il Titan e la zona vicina con fiotti di magia, trasformando l’intera zona in una tabula rasa farcita di esplosioni.

Dust era ormai mezzo assordato e la cabina risentiva di ogni colpo in arrivo.

Si voltò e vide la struttura circolare del cuore.

Decise di chiudere la faccenda il più in fretta possibile.

    L’unicorno lilla iniziò a galoppare nell’abitacolo e altrettanto fece il Calcator, nemmeno fosse stato un treno in partenza.

La macchina sfrecciò dritta verso la torre, spaccando il lastricato della piazza su cui si muoveva, in mezzo ad esplosioni e botti arcani.
A pochi metri dall’impatto con le mura, Dust distolse impulsivamente lo sguardo e strinse i denti: il Titan sfondò le spesse pareti di lamiera, permettendo a quasi metà Calcator di penetrare all’interno della struttura.

I cavi gli diedero dei contraccolpi terribili, facendolo urlare dal dolore.

Poi, tutto parve chetarsi.


    Silver scosse il capo, estremamente dolorante. Non vedeva più nulla. Con ogni probabilità, il sistema visivo era stato definitivamente compromesso.

Anche i cavi non erano più in tensione, sintomo che il mezzo poteva essersi danneggiato.

Sollevò impacciatamente il visore, ritrovandosi di nuovo nel buio della cabina. Dietro di lui, intanto, gli scoppi si stavano affievolendo. Cercò di sganciarsi dai sistemi di supporto, in preda all’agitazione della fretta.

Cadde sul pavimento della cabina, sentendo le ossa del corpo dolergli per gli sforzi appena compiuti.

 

Attese qualche secondo sdraiato, ansimante, per poter riprendere fiato.

Con un po’ di fortuna, forse, il Calcator si era incastrato perfettamente nel foro appena creato, rendendo inagibile l’apertura agli inseguitori. Questo gli avrebbe fatto guadagnare un po’ di tempo.

 

Altre urla esterne lo convinsero a non esitare troppo.

Si rimise sulle zampe ed invocò un piccolo lumino bianco sul corno. Osservò nervosamente la console dei comandi, individuando la leva che Zamak aveva tirato per chiudere la portella. La azionò, sperando che i meccanismi di sgancio non si fossero compromessi.

Dopo i canonici sfiati di vapore, la portella si aprì cigolando, portando con sé alcuni frammenti di soffitto, che cascarono disordinatamente dall’alto.

 

    Dust si ritrovò al primo piano della torre centrale.

Il cuore.

Ce l’aveva fatta.

 

La stanza in cui aveva appena fatto irruzione era nella penombra, con una serie di flebili cristalli luminescenti affissi alle pareti come unica fonte di luce.

Numerose tubature creavano un intricato sistema metallico, che si diramava in modo più o meno caotico per l’intera area sotto il suo sguardo. Le condotte sembravano tuffarsi direttamente nel terreno, per chissà quale destinazione. Manometri, indicatori e valvole un po’ unte erano disseminati ovunque, creando un ambiente abbastanza inquietante assieme alle parti arrugginite e ai giochi di luce ed ombra, tipici degli ambienti scarsamente illuminati.

Alle orecchie del puledro giunse un costante ronzio di sottofondo, ad indicare come qualcosa stesse scorrendo all’interno dei tubi.

Notò quindi una rampa di scale a chiocciola, in ferro battuto nero, che dal centro della camera si innalzava fino ai piani superiori.

Diede un’ultima occhiata al Calcator alle sue spalle: un colosso di acciaio e ingranaggi, schiantato malamente contro un’enorme torre circolare. Lo aveva servito per poco. Ma lo aveva servito bene.
Trottò verso la rampa, iniziando una lunga arrampicata.

 

Gli zoccoli fecero tintinnare il ferro dei gradini, mentre Silver Dust si spostava verso il proprio obiettivo finale. Non sapeva bene dove fosse ma, con ogni probabilità, lo avrebbe trovato all’ultimo piano dello stabile.

Durante la camminata incrociò i piani intermedi, ciascuno ospitante la solita selva di tubi e canaline. Man mano che saliva, tuttavia, il ronzio si faceva sempre più flebile.

Non vi erano finestre: l’illuminazione era completamente artificiale, così Dust non poté stabilire cosa stesse accadendo all’esterno. Poteva solo sperare di raggiungere in fretta il cuore e far sì che gli sforzi suoi e di Copper non fossero stati inutili.

Continuò a salire finché, quasi allo stremo delle forze, non trovò la via bloccata da una botola meccanica sul soffitto. Accanto vi era una leva. La mise in funzione.

La portella si spalancò lentamente, lasciando che un’accecante luce bianca si palesasse dalla stanza che aveva in custodia.

 

    Dust si coprì lo sguardo per un istante, dovendo riabituarsi ad un ambiente privo di oscurità.

Quando la via fu sgombra, il giovane incantatore non riuscì a trattenere lo stupore.

    La zona apicale della torre era quasi completamente costituita da vetro pregiato, lasciando che una gran quantità di luce naturale potesse filtrare da ogni direzione.

I tubi, in modo analogo ai piani inferiori, erano sparsi un po’ ovunque ma in modo molto più ordinato. I materiali (quali infissi, supporti per le finestre e le pavimentazioni) erano simili al rame pregiato, completamente diverso da quello degradato visibile lungo le strade suburbane di Mechanus.

Silver gettò un’occhiata a trecentosessanta gradi, estasiato.

Dall’esterno erano visibili gli alti grattacieli della metropoli, mentre un cielo costellato di navi da guerra gettava l’intera stanza in una situazione quasi surreale, degna del un dipinto di un folle.

Al centro, infine, si ergeva imponente una colossale macchina cilindrica, costellata di cristalli, fori, leve e centinaia di microtuboli iridescenti, probabilmente composti dello stesso cristallo incastonato nel sistema.

I minerali pulsavano di luce bianca ed inviavano segnali ritmici e costanti, attraverso i piccoli condotti incantati.

Dust non aveva mai visto nulla di simile: una sorta di console centralizzata in cui era possibile inserire cristalli mnemonici precompilati. Con i giusti algoritmi, Mechanus era stata in grado di usare un vasto insieme di cristalli come un connubio di processori, permettendo alla matematica di occuparsi delle operazioni di routine quali l’indirizzamento della lava, del vapore, l’apertura o la chiusura dei meccanismi tramite gli ingranaggi e così via.

Quasi non era richiesta manodopera; tutto ciò di cui necessitava il cuore era un insieme di cristalli correttamente generati, nonché una manutenzione straordinaria.

Il pony color lilla camminò lentamente verso l’impianto, senza schiodargli gli occhi di dosso.

Il suo cervello venne invaso da tonnellate di schemi ripetitivi, dovuti al rumore e alla vista delle infinite pulsazioni cristalline.

Un boato esterno lo riportò alla realtà.

Altri Calcator erano stati sganciati dalle sommità dei cieli e, con ogni probabilità, non ci sarebbe voluto molto affinché i soldati facessero irruzione dalla base dell’edificio.

Avrebbe desiderato rimirare l’opera ancora più fondo ma non era quello il momento.

 

    Con un balzo deciso, il puledro salì su una delle tante impalcature in rame che circondavano il cuore, permettendo così l’accesso alla sua superficie verticale, in cui i cristalli potevano cioè essere estratti o inseriti con facilità.

Dust notò immediatamente un foro sufficientemente grande da ospitare l’oggetto magico che trasportava con sé.

 

Era quindi giunto il momento.

Con estrema delicatezza, aprì magicamente la sacca a tracolla ed estrasse il cristallo mnemonico.

Lo osservò attentamente, con muso inespressivo.

 

Tutto.

 

Tutto ciò che aveva compiuto, dal voler studiare a fondo gli Inanimus all’assurdo assalto a Mechanus, era avvenuto in funzione di quel piccolo oggetto multisfaccettato.

Fece una rapida rielaborazione di quanto avvenuto in quegli ultimi giorni e l’unica cosa che gli venne alla mente fu: follia.

Follia!

Come aveva potuto gettare un’intera metropoli nel caos più totale?

Come aveva anche solo pensato di sfidare i Divites? E per cosa, poi?

Per delle meccaniche animate?

Per un cristallo dal contenuto misterioso?

Cosa avrebbe pensato la Principessa, una volta venuta a conoscenza dei suoi stupidi gesti avventati? Silver Dust, l’allievo che avrebbe dovuto studiare usi e costumi di Mechanus, si era erto a guida di un colpo di stato, mettendo a rischio non solo la propria vita ma anche quella di migliaia di altri pony.

Sì.

 

Follia.

 

Ma a pensarci bene…

C’era sicuramente qualcosa che non andava, in quella città. Lo aveva notato fin dai primi giorni.

 

Perché non era normale che i pony venissero sfruttati dai più forti.

Non era normale che i minatori venissero mandati al macello, vittime di presunte macchine assassine… che però avevano cercato di entrare in contatto con lui pacificamente.

Non era PER NULLA normale che le forze armate avessero la libertà di spadroneggiare sull’intero suolo civile.

 

No.

Scosse il capo.

La vera follia non era stata la sua.

Bensì quella dei Divites e di coloro che non si accorgevano dell’assurdità di quello stile di vita.

 

Silver osservò il cristallo fluttuare d’innanzi a lui. Lo fece ruotare, in modo che la luce della stanza venisse riflessa più volte sulla sua superficie.

 

Decise di non dilungarsi ulteriormente.

Inserì il cristallo in uno dei fori.

 

    Sulle prime, non accadde nulla.

L’oggetto si limitò ad oscillare dolcemente nel vano.

Dopo alcuni secondi, tuttavia, acquisì una rapida rotazione sul proprio asse.

Dust fece qualche passo indietro, rischiando di cadere dalla rampa, quando udì l’intera struttura tremare. Alzò lo sguardo e controllò la stanza.

 

Un’accecante bagliore azzurro provenne dal cristallo ed iniziò a contaminare le piccole tubature bianche che fuoriuscivano dalle zone vicine.

Ad uno ad uno, in modo concentrico, la luce di tutti i cristalli bianchi venne sostituita da quella azzurra. Quando tutti i dispositivi furono privati della loro colorazione originale, avvenne un’assordante onda d’urto. Silver venne sbalzato a terra e tutte le vetrate andarono in frantumi, creando una vera e propria pioggia di piccoli frammenti luccicanti, diretti verso il terreno.

Ci fu quindi una pausa, in cui Dust ebbe il tempo per rialzarsi e cercare di capire cosa fosse successo.

Per un istante pensò che fosse tutto finito…

 

…finché un tremore, simile ad una scossa sismica, non iniziò a diffondersi lentamente lungo la torre, per estendersi quindi all’intero quartiere circostante.

 

*** ***** ***

 

    Pegasi e soldati in armatura stavano trascinando un pony dal vestito vecchio e sgualcito, lungo i viottoli cittadini.

Attorno a loro, senza che fortunatamente ne fossero coinvolti, un unicorno in esoscheletro teneva testa ad un intero reggimento di difesa.

 

Copper era esausta.

Non soltanto si era lasciata trascinare dalla foga della battaglia, perdendo completamente il controllo di sé, ma era anche avvenuto un fenomeno assai pericoloso: non era più lei a sfruttare l’esoscheletro. Di fatto, se non fosse stato per la corazza che indossava, sarebbe crollata a terra priva di energie. Non vi era più volontà da parte sua, in quanto l’aveva completamente devoluta negli istanti di battaglia che stava ancora consumando.

Il suo corpo era ormai una mera impalcatura, sorretta dalla struttura della corazza e utilizzato come canale di energia.

Nient’altro.

Alle Essenze non servivano altro che tendini per muoversi, occhi per vedere ed un sistema nervoso che connettesse tutto quanto.

 

La zona, per centinaia di metri attorno alla puledra, si era trasformata in uno scenario apocalittico.

Il grosso delle abitazioni era in frantumi, mentre gli scheletri metallici di navi volanti erano riverse tra le macerie, alcune in fiamme. Nuvoloni neri si innalzavano minacciosi verso il cielo, derivanti dalla combustione delle sostanze impiegate dai motori come propellente.

Una manciata di Calcator era letteralmente sparsa ovunque; i soldati riversi sul campo, feriti oppure in fuga verso un riparo.

 

Al centro della devastazione, in cima ad un frammento di palazzo ancora in piedi, l’inventrice ansimava e gemeva dal dolore, circondata dal canonico alone di luce vermiglia.

Il sudore l’aveva inzuppata completamente, lasciando che i crini le penzolassero fradici lungo il volto, come se fosse appena uscita dall’acqua.

Si era puntellata con le zampe, senza avere la forza di sorreggersi grazie ai muscoli. Lo sguardo era chino e la bocca spalancata, nell’atto di iperventilazione.

Nonostante sembrasse sul punto di crollare, l’esoscheletro le impediva di fermarsi, inondandole il fisico con sempre più sostanze stimolanti.


La linea di confine era stata superata.

Se la corazza avesse smesso di funzionare, la sua occupante sarebbe con ogni probabilità svenuta per lo sforzo. Era andata oltre. Non poteva più tornare indietro.

L’unica cosa che forse le rimaneva da fare… era spingersi fino alle estreme conseguenze.

 

Rialzò lentamente il capo, mostrando due occhi arrossati.

I muscoli del suo corpo, allo stremo, ebbero svariati tic nervosi.

La mente della puledra fu sul punto di vacillare ma una scarica di adrenalina le arrivò puntualmente al cervello, ridestandola immediatamente.

Non fu affatto piacevole.

 

    A terra, intanto, Steel Hammer stava riorganizzando le forze, debitamente al riparo tra le macerie, in mezzo ai suoi uomini.

“S-signore!!”, balbettò uno dei militari, completamente pesto. “Non riusciamo a fare nulla!”.

Hammer, senza scomporsi, si sporse per osservarla, quindi scrutò l’interlocutore: “Non importa. La stiamo tenendo impegnata e… distratta dal suo compito. Confido che sarà solo questione di tempo prima che l’unicorno viola venga intercettato dalla squadra volante”.

 

Un terrificante urlo femminile provenne dal campo di battaglia.

Copper aveva letteralmente lanciato un ruggito rabbioso nell’aria e, colta dalla frenesia, si era messa a cercare il suo prossimo bersaglio.

“HAMMER!!”, tuonò adirata. “ESCI FUORI, VIGLIACCO!! AFFRONTAMI MUSO A MUSO!!”.

I soldati si girarono ad osservare il generale, che si era prontamente ritirato dietro le mura distrutte.

Per la prima volta, i sottoposti riuscirono a leggere una vena di paura nell’espressione del proprio superiore.

 

Giunse quindi un piccolo distaccamento dai viottoli: stavano trascinando alcuni corpi, aiutandosi con la levitazione. Raggiunsero Steel e, assicurandosi che non potessero reagire, buttarono a terra un gruppetto di prigionieri, tra cui il barbuto Smoky Coal.

 

“Signore! Questi facevano parte del gruppo che ci ha rallentato durante l’inseguimento, signore!”.

Il puledro fulvo venne fatto sdraiare a terra come un sacco di patate. Le zampe erano legate dietro alla schiena.

Uno dei militari ne afferrò i crini e gli sollevò il capo, permettendo al generale di guardarlo dritto negli occhi.

Hammer si avvicinò, con aria di superiorità.

“Una… resistenza, mh?”, commentò. “Per quale diavolo di motivo avete protetto quel puledrino? Vi doveva forse dei soldi?”.

Smoky digrignò i denti dal dolore, quindi cercò di rispondergli senza perdere la propria strafottenza: “Il… il puledrino c’entra fino ad un certo punto…”.

“Ah sì? E quale altro motivo avreste avuto per…”.

Lo stallone ridacchiò sotto i baffi: “…certe volte è semplicemente divertente prendere a sberle i vostri soldatini…”.

Uno dei suoi compagni cercò di divincolarsi dalla presa di sottomissione, inutilmente: “SIETE SOLO DEGLI SCHIFOSI APPROFITTATORI!! SIAMO STUFI DELLA MISERIA CHE CI AVETE GETTATO ADDOSSO!”.

Una zoccolata in armatura lo zittì immediatamente.

“Credo che il vostro gesto sia stato completamente inutile”, rispose il generale. “Come potete vedere… avete solamente rallentato l’esito degli eventi”.

“Ma almeno è stato divertente…”, ribatté Coal.

 

Un secondo gruppo di soldati, questa volta dei pegasi a terra, si fece largo nello scenario devastato.

Due di loro afferrarono un prigioniero dal manto bianco e lo condussero da Steel, riunendolo agli altri pony catturati.

Zamak non aveva posto resistenza. Nelle condizioni in cui versava non sarebbe servito a nulla, così si era offerto di seguirli spontaneamente. Non c’era stato bisogno di legarlo.

Quando Hammer lo vide, non riuscì a nascondere una certa sorpresa.

“…comandante Kirksite…”, disse. “Devo ammettere che sono alquanto sorpreso di vederla qui…”.

“Signore!”, intervenne uno dei pegasi, dopo aver porto saluto militare. “Il comandante Zamak Kirksite è stato sorpreso mentre offriva aiuto al puledro viola, signore!”.

L’unicorno grigio puntò gli occhi glaciali in quelli celesti: “…corrisponde al vero, comandante?”.

Il volto dello stallone bianco mutò in un’espressione indignata.

“Ha deliberatamente attaccato un Calcator con il suo veicolo di classe Titan”, continuò il pegaso, “offrendolo poi al fuggiasco per continuare verso il proprio obbiettivo”.

Steel corrugò la fronte. Non aveva previsto una cosa del genere.

“…quindi… il comandante Zamak avrebbe offerto il suo Calcator al…”

“Sì, ho aiutato quell’unicorno!!”, lo interruppe stizzito. “Gli ho fornito il Titan e, con un po’ di fortuna, sarà ormai giunto al cuore!”.

Il generale gli lanciò un’espressione truce quindi, tentando di contenere la rabbia, rispose: “…di tutte le azioni sconsiderate che poteva fare, generale, questa è stata di gran lunga la più stupida. Spero si renda conto delle conseguenze delle sue azioni…”.

“Con tutto il dovuto rispetto, signore… me ne frego! È già un miracolo che io sia in vita dopo che avete aperto fuoco amico sulle vostre stesse truppe!”.

“Le vostre azioni avranno gravi ripercussioni. Verrete messo alla corte marziale…”.

“Non mi importa…”.

“…e la vostra famiglia, nonché vostra sorella, subirà l’onta del vostro tradimento”.

“COSA??”, tuonò Zamak, un istante prima di volargli addosso. Una coppia di soldati lo trattenne prontamente. “LASCIA FUORI LA MIA FAMIGLIA DA QUESTA STORIA!!”.

“Troppo tardi, ex-comandante…”, dichiarò il generale con tranquillità.

Diede quindi precise disposizioni ai suoi uomini.

 

Da lontano, intanto, Copper ruotava nervosamente il capo in ogni direzione, nella speranza di individuare qualche “puntino luminoso” troppo avventato. Con un po’ di fortuna, magari, sarebbe stato proprio il generale Hammer.

Notò quindi un piccolo manipolo di militari fuoriuscire dalla copertura degli edifici crollati.

Senza nemmeno pensare, mossa solamente dall’istinto di cui era caduta preda, piegò le zampe, attivò gli ingranaggi e si preparò ad assalirli.

Diede un colpo di reni, frantumando la sezione di palazzo sotto gli zoccoli. Aprì le ali e atterrò pesantemente a pochi metri dai bersagli.

Si preparò all’azione.

Quando vide di chi si trattava… qualcosa in lei cambiò radicalmente.

L’armatura rallentò immediatamente il moto dei meccanismi, cessando all’istante la propria funzione stimolante.

 

Il generale era uscito allo scoperto, assieme a Zamak, opportunamente scortato dai soldati. Le lame di alcune lance erano a pochi centimetri dal collo bianco.

Steel sorrideva, sicuro di sé.

 

L’espressione sul volto della puledra passò da un’ira estatica ad una profonda e immediata preoccupazione. Perlomeno fu lucida a sufficienza da riconoscere il parente.

L’armatura, tuttavia, non cessò di produrre energia dalla fusione delle Essenze, continuando a brillare come una cometa.

 

“ZAMAK!!”, urlò terrorizzata.

“COPPER!”, cercò di risponderle. “VATTENE!! NON…”.

Alcune percosse lo gettarono a terra, interrompendo la sua supplica.

Copper si mosse per aiutarlo ma Steel le fece cenno di non muoversi.

“A-a-ah”, la canzonò. “Un altro passo e tuo fratello si riduce ad uno spiedo…”.

“STEEL!!”, lo apostrofò. “SCHIFOSO, LURIDO VIGLIACCO!! SMETTILA DI NASCONDERTI DIETRO AD ALTRI CORPI! VIENI QUI ED AFFRONTAMI, SE HAI IL CORAGGIO!”.

“Non è una questione di coraggio, mia cara. Tu possiedi un’arma imponente. A me manca persino una zampa. Sarebbe uno  scontro impari, non trovi?”.

“IL TUO ESERCITO NON CONTA??”.

“Sono pagati. Non stanno mica combattendo per beneficienza…”.

L’esoscheletro riacquisì potenza: “MOLLA SUBITO MIO FRATELLO!!”, ribadì Copper.

“Datti una calmata. Subito. Non costringermi a fargli il contropelo”.

L’ira si impadronì di nuovo dell’unicorno dai crini ramati, che fece appello ad ogni rimasuglio di buonsenso rimasto in lei, per evitare di perdere nuovamente il controllo.

Kirksite tentò nuovamente di dissuaderla: “COPPER! VATTENE SUBITO! TU NON HAI NULLA DA SPARTIRE CON QUESTI CRIMINALI!”.

I mercenari di Hammer sollevarono lo stallone ferito e gli puntarono altre armi.

“Disattiva l’armatura”, dichiarò Steel. Copper strinse i denti. “Sai benissimo che non avrei remore a ferirlo… o ucciderlo…”, puntualizzò l’ufficiale.

“Torcigli anche solo un pelo e ti assicuro che ti pentirai di essere venuto al mondo…”.

“Copper, ti prego!”, la implorò Zamak. “Da troppo tempo usiamo la violenza per risolvere ogni singolo problema!! Avevi ragione!!”, urlò, agitandosi tra le grinfie dei Divites. “Avevi ragione e io torto!! Ora però… vattene, non hai niente da guadagnarci a contrattare con loro!”.

“LA CORAZZA!!”, lo interruppe Hammer.

 

Il pony in esoscheletro cadde preda di una profonda sofferenza.

Non sapeva cosa fare.
Arrendersi?

A quale pro? I Divites non erano rinomati per l’affidabilità delle loro promesse. Cosa avrebbe impedito loro di farli fuori entrambi, una volta tolta l’armatura?

E se li avesse attaccati… che certezze avrebbe avuto che il fratello sarebbe stato salvo?

 

“I… io…”, balbettò.

 

    Un imperioso rumore metallico avanzò quindi verso di loro.

Tutti si voltarono.

 

Fu un rumore sordo.

Possente.

 

Un rumore simile alle lamiere che si contorcono ma mille volte più forte, mille volte più profondo; come se decine di grattacieli si fossero accartocciati su loro stessi.

 

Ma nulla, apparentemente, accadde.

 

Tutti i presenti, compresi soldati ed ufficiali, indirizzarono l’attenzione verso un punto indefinito della metropoli lontana.

Passarono alcuni secondi, quindi giunse un secondo rumore, questa volta così potente da far tremare il terreno per la semplice vibrazione nell’aria.

 

“C-che diamine è stato??”, domandò uno dei militari, visibilmente agitato.

 

Anche Copper dimenticò per un istante la spinosa situazione in cui si trovava. Si girò a sua volta, quindi una consapevolezza improvvisa, ora che si era calmata, la fulminò istantaneamente.


“…DUST!”, dichiarò ad occhi sgranati.

 

Ci fu uno scossone.

 

Uno scossone violentissimo, del tutto simile ad un terremoto.

La maggior parte dei pony cadde a terra, mentre una minoranza riuscì a mantenere l’equilibrio aggrappandosi a qualcosa.

 

Un altro scossone.

 

Le tegole delle case più basse caddero e si frantumarono.

Rumore di arredo che si spaccava sul pavimento iniziò a provenire dalle abitazioni ancora illese.

 

Dopo un lungo attimo di silenzio, giunse infine un terzo scossone, il più devastante di tutti, seguito da una vibrazione crescente, che fece tremare le ossa a tutti i pony nel raggio di chilometri.

 

Urla di terrore iniziarono a levarsi ovunque.

 

Copper tentò inutilmente di scrutare la zona lontana.

Era stato Dust?

Tutto quello era… per via del cristallo?

 

La puledra ebbe un sussulto quando vide alcuni edifici sullo sfondo variare letteralmente di altezza, come se le fondamenta avessero ceduto. E, dopo di loro, altre strutture presero a sprofondare ed elevarsi, come mosse da chissà quale poderosa forza sconosciuta.

Uno dopo l’altro, interi quartieri residenziali presero a vibrare e contorcersi, producendo rumori assordanti e terrificanti.

Nugoli di polvere e detriti si spansero in ogni direzione.

I soldati e tutti i pony coinvolti iniziarono a retrocedere rapidamente, assolutamente impreparati all’assurdo fenomeno a cui stavano assistendo.

 

I numerosi ingranaggi della città si misero in moto all’unisono.

 

La case si mossero, incastrandosi tra loro come i pezzi di un puzzle.

 

Fondamenta ancorate nel terreno emersero, sollevate dagli ingranaggi accanto.

 

La tubature sotterranee vennero estirpate, spezzandosi in alcuni punti ed iniziando a riversare ondate di lava e vapore per le strade.

 

In quel preciso istante, Copper ringraziò il lavoro di evacuazione che i Divites avevano attuato per preparare il campo di battaglia.

 

Nessuno capì cosa stesse accadendo. Sembrava che interi quartieri cittadini si stessero letteralmente riorganizzando e riassemblando sotto gli occhi attoniti dei presenti. Schianti e suoni di lamiere contorte saturarono l’ambiente.

Dalle stradine secondarie giunsero gli ultimi residenti che avevano preferito evitare l’evacuazione, scorrazzando verso le periferie come un piccolo sciame impazzito.

 

Il polverone di detriti iniziò a riempire il cielo, per centinaia e centinaia di metri, gonfiandosi inesorabile nelle zone circostanti. Giunse anche verso Copper e l’esercito dei Divites, costringendo tutti a gettarsi a terra e ripararsi alla bene e meglio.

 

Dopo molti secondi di puro terrore, il fumo iniziò a depositarsi, permettendo agli osservatori di rimirare uno spettacolo unico quanto spaventoso.

 

    Quasi un terzo di Mechanus, ai piedi della vallata, si era letteralmente sradicato dal suolo. I componenti si erano avvicinati uno all’altro, grazie agli ingranaggi di cui era composta la metropoli.

Copper e gli altri non ci potevano credere.

Una gargantuesca figura equina si stava formando proprio sotto i loro occhi.

Gli ingranaggi sembravano fungere da giunture, mentre le tubature di lava e vapore, come vene, ne costituivano il sistema circolatorio. Palazzi ed edifici si erano raggruppati e ne modellavano la forma.

 

Secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, il volto di un gigantesco costrutto si era plasmato, pur rimanendo grezzo ed abbozzato.

 

Una spaventosa colonna di edifici, animata da tonnellate di ingranaggi, si elevò dal terreno, schiantandosi al suolo e producendo un boato così potente da far sussultare la terra.

Una zampa.

 

L’enorme macchina semovente si stava lentamente sollevando da terra, producendo una quantità incalcolabile di baccano e frammenti di edifici.

Durante l’intero fenomeno, molte strutture vennero semplicemente raccolte da terra, a formare il corpo del pony metallico, solo per poi staccarsi da esso e tornare dritte al suolo, percorrendo decine di metri e causando impatti terrificanti con il terreno sottostante.

 

Il petto del costrutto si illuminò improvvisamente, debitamente coperto da un assembramento di palazzi. Il cuore della città di Mechanus era diventato il vero cuore pulsante di quella bestia colossale.

 

Quando Copper lo vide, lasciò da parte la paura e la meraviglia che l’avevano invasa, pensando ad una cosa soltanto.

 

DUST

 

    “COS’È QUELL’AFFARE??”, domandò Zamak, tenendosi al riparo di un muretto.

Soltanto lui e pochi temerari (o irrefrenabili curiosi) si trattennero dal fuggire in preda al panico.

Il pony di metallo era ormai quasi completo.

Dietro di sé aveva cancellato interi isolati, attualmente parte integrante del suo corpo. La sua stazza era impressionante , arrivando a quasi un terzo dell’altezza complessiva del vulcano: un vero e proprio mostro che si stagliava all’orizzonte e che occupava buona parte dell’azzurro del cielo.

Un secondo lampo di luce precedette l’accensione di due enormi soli azzurri. Tutti i sistemi di emissione erano confluiti ai lati dell’elmo, formando di fatto gli occhi della creatura.

 

Steel, cogliendo tutti impreparati, avanzò zoppicante in mezzo alla devastazione.

 

“AVETE VISTO??”, berciò, fuori di sé. “AVEVO RAGIONE!!”. Il frastuono era così soverchiante da costringerlo ad urlare, impedendo in ogni caso di udirlo chiaramente. “SAI COS’HA FATTO IL TUO AMICO??”, chiese a Copper. “CI HA CONDANNATI TUTTI A MORTE!! HA CONDANNATO MECHANUS INTERA!!”.

“NO!!”, rispose urlando. “LUI… LUI NON PUO’ AVERLO FATTO!!”.

“COSA STAI DICENDO??”, le spiegò, con un ghigno malevolo. Hammer sembrava aver perso completamente il senno. “GUARDA QUELL’AFFARE!! GUARDA! GUARDA COSA HA RISVEGLIATO!! UNA BESTIA DI METALLO, GENERATA DALLA CITTA’ STESSA!”.

Copper cercò di controbattere ma la realtà dei fatti non poteva essere negata.

 

Qualsiasi cosa fosse contenuta in quel cristallo… aveva inserito una coscienza di qualche tipo nel cuore della città. Una volontà che, inspiegabilmente, era riuscita a collegare tra di loro i sistemi di interi edifici e ad usarli come materiale da costruzione per un corpo dalle proporzioni epiche.

 

“QUELL’UNICORNO HA DECRETATO LA FINE DI MECHANUS!!”, ripeté, ridendo come un folle e sollevando l’unica zampa sana verso il cielo, beandosi dei frammenti che continuavano a piovere a terra. Il pezzo di un grattacielo si infranse a pochi metri da lui, facendo drizzare il pelo ai presenti. Hammer, invece, non mosse un muscolo. Continuò a ridere.

 

Nel giro di pochi istanti, tutte le forze armate, soprattutto le navi volanti, si riorganizzarono per fronteggiare la nuova minaccia.

 

L’Inanimus fece ruotare l’elmo. Ogni singolo movimento era lento, per via del peso impressionante che doveva gestire, e accompagnato da stridii che riecheggiavano per l’intera vallata, causando inoltre il distacco di vari frammenti dal corpo.

 

Mosse un passo.

L’enorme zampa anteriore si sollevò dal suolo, portando con sé terra e lamiere. Quando tornò a terra, tutto tremò per svariati secondi.

Si stava muovendo. Lento e implacabile ma si stava muovendo.

 

E, in mezzo a quel delirio, Steel non la smetteva un solo istante di ridere.

 

Copper decise che ne aveva abbastanza.

 

    Spiegò le ali e si focalizzò sull’unica cosa che le importasse veramente in quel momento.

La tuta era quasi al limite e si sarebbe presto esaurita.

Non le importava.

Produsse un portentoso getto di vapore dai fianchi, permettendole di schizzare nel cielo come un missile, in direzione della possibile locazione di Dust.

“COPPEEER!!!”, la richiamò il fratello, vedendola allontanarsi a velocità incredibile.

 

L’inventrice non aveva mai spinto l’armatura fino a quei livelli.

Non solo dovette sopportare un’impressionante forza G, per via dell’accelerazione priva del benché minimo riguardo, ma si stava sostanzialmente gettando in mezzo ad una pioggia di detriti; il più piccolo misurava come minimo quanto un quarto di casa.

Non aveva importanza.

 

Non era stata all’altezza.

 

Non era riuscita a vegliare su di lui.

 

Aveva perso il controllo, lasciando che la cosa più importante che mai avesse avuto al mondo si isolasse da lei.


Ed ora…

 

Dust si trovava in mezzo a quell’inferno. O almeno sperava che fosse ancora vivo.

 

La paura iniziò ad attanagliarla dall’interno.

 

I frammenti di edifici cadevano.

 

L’Inanimus avanzava lento sullo sfondo, come una colossale macchina d’assedio.

 

Le fregate iniziarono a puntare i cannoni da guerra contro di lui.

 

Come poteva… come poteva farcela??


Come avrebbe potuto?? Una singola puledra!

Armata solamente di una corazza infusa dell’Essenza di una creatura sconosciuta!

Era al limite…

Non avrebbe potuto…

Non avrebbe retto…

Sia fisicamente che mentalmente…

 

Ma Dust era là, in mezzo all’inferno in terra.

 

Così…

 

…avvenne.


    Le Essenze allineate entrarono in perfetta simbiosi, come mai le era successo prima.

Copper Head si era sempre limitata ad utilizzare l’esoscheletro per ottenere qualcosa di concreto, fino a quel momento.

 

Per difendersi.

 

Per attaccare.

 

Per offrire un supporto a se stessa o per altri.

 

Ma mai…

 

Mai si era trovata a mettere a repentaglio la propria vita pur di salvare qualcuno.

E così… l’Essenza dell’Inanimus, racchiusa nella corazza, interpretò il suo desiderio…

 

Non avrebbe più dovuto invaderla con sostanze neurochimiche.

Non avrebbe dovuto potenziarla per il combattimento.

 

Non necessitava nulla di tutto quello.

 

L’unica cosa che voleva Copper… era salvare il suo amico.

 

Una fiamma per una fiamma.


Fu così che si accese un fuoco, nel cuore del perfetto connubio di macchina e carne.


Essere vivente e non.

 

Due Essenze diverse. Eppure così affini.


    Le lamiere esterne dell’armatura si serrarono, unitamente ai dispositivi di sblocco.

Una rinnovata fonte di energia, alimentata dal desiderio dell’unicorno di salvare qualcuno che amava, esplose nel suo corpo ormai allo stremo.

Anche l’acqua di sistema era evaporata quasi del tutto.

La corazza iniziò a surriscaldarsi e Copper percepì il metallo divenire sempre più bruciante.

 

L’aura attorno a lei sprigionò una quantità di energia così grande da confondersi con la radiosità del sole.

 

Tutti, a terra, videro una colonna di luce perdersi nella pioggia di oggetti che l’Inanimus stava generando durante il proprio passaggio.

 

Copper non stava più ragionando; era mossa dal semplice desiderio di trovare Dust… e portarlo fuori di lì.

 

Iniziò a leggere l’essenza degli oggetti in caduta libera, potendo così stabilire come e dove sarebbero precipitati. Spinse il flusso di vapore al massimo ed iniziò a planare da un detrito all’alto, correndo lungo cartelloni pubblicitari volanti, enormi tubi e intere sezioni di parete divelte.

 

La scia di luce che lasciava dietro di sé era impressionante, così come le manovre impossibili che stava compiendo pur di ritrovare il compagno.

 

Sullo sfondo, intanto, l’Inanimus continuava nella sua lenta marcia verso la parte ancora sana di Mechanus.

Le navi volanti aprirono il fuoco, generando una selva di dardi fiammeggianti che si infransero contro il suo corpo, producendo un danno pressoché irrilevante.

 

L’intera zona sembrava essere finita in mezzo ad una apocalisse delirante, con un cielo farcito di esplosioni, fiamme e metallo.

 

Per poter raggiungere repentinamente l’amico, Copper si ritrovò a dover galoppare e planare tra i frammenti sottostanti il ventre del costrutto.

Ad ogni passo, pezzi di edifici e fiotti di lava colavano letteralmente dalla mole del pony meccanico, costringendo Copper ad una serie di manovre al limite del possibile.

Sospinta da una nuova energia e agevolata al cento per cento dalle Essenze fuse nell’esoscheletro, raggiunse la zona in cui si sarebbe dovuto trovare Dust.

Prima di potersi avvicinare, venne intercettata dalla parete di una fabbrica. L’incantatrice invocò potere al corno e metri e metri di metallo della struttura divennero incandescenti. La materia si fuse e la puledra vi passò attraverso, creando uno spettacolare spruzzo di rovente metallo liquido.

 

Stabilizzò le ali e impostò un’attenta planata parallela al terreno.

Cercò di individuare qualsiasi forma d’Essenza che potesse scorgere al suolo.

Lo vide.

 

Dust, a centinaia di metri di distanza, era rimasto imprigionato in una ragnatela di palazzi distrutti. Si stava freneticamente spostando da una parte all’altra, nel tentativo di trovare uno spiraglio e, al tempo stesso, evitare ciò che gli stava piovendo dal cielo (e che lo avrebbe sicuramente ucciso in caso di impatto).

 

Il volto di Copper si illuminò di un sorriso raggiante.

“DUUUUST!!!”, strillò, con tutto il fiato che aveva in gola. L’esoscheletro, intanto, aveva raggiunto temperature al limite dell’ustione.

Silver, a terra, era completamente terrorizzato.

Non udì la voce dell’amica ma la sua luce si palesò come un raggio di sole attraverso le nubi.

Alzò lo sguardo.

“COPPEEER!!!”, rispose, improvvisamente euforico. Un intero ammasso di tubature gli crollò a pochi metri, costringendolo a gettarsi a terra.

La compagna ebbe un tuffo al cuore e tanto bastò a distrarla: il container di un’industria le piombò letteralmente addosso, con un impatto mortale.

Silver riportò l’attenzione sopra di sé e non poté far altro che urlare a squarciagola il nome dell’amica, temendo per il peggio.

 

Ci fu una sfiammata di energia, che dal container giunse al terreno come una stella cadente.

 

Copper atterrò violentemente sulle zampe, emettendo un’aura degna di un astro del cielo. Era finita a pochi metri da Dust, che dovette aggrapparsi ad un tondino piantato nel terreno, per non essere spazzato via dal suo arrivo.

 

“DUST!!”, ripeté, mentre altri frammenti giungevano dal cielo, in procinto di schiacciarli entro pochi secondi.

L’altro ebbe appena la forza di tuffarsi verso di lei.

Per tutta risposta, Copper lo afferrò saldamente con le zampe anteriori e altrettanto fece l’amico, ventre contro ventre.

L’unicorno lilla cacciò un urlo, quando percepì il metallo rovente dell’esoscheletro sulla pelle.

Non appena Copper fu sicura di averlo stretto a sé, un secondo prima che una valanga di macerie li seppellisse, attivò gli ugelli a piena potenza, in una traiettoria verticale spezza collo.

 

I due si ritrovarono a volare contro gli ostacoli in caduta libera.

Copper fece appello a tutto il proprio istinto e capacità, riuscendo non solo a schivare ogni singolo frammento, ma anche a circumnavigare il corpo dell’Inanimus e a portare entrambi in una zona isolata, nell’azzurro del cielo.

 

Il tutto avvenne in pochissimi attimi, toccando velocità che misero a dura prova la coppia di unicorni.

I due continuarono a cabrare verticalmente, in una manovra mai vista o tentata prima da pegasi o aviatori. Dovettero quasi chiudere gli occhi, per non subire l’effetto tagliente dell’aria sui musi.
Durante la manovra, Dust gettò un’occhiata alle proprie spalle. Vide il terreno roteare, in quanto Copper stava guadagnando quota in avvitamento, lasciando dietro di sé un’impressionante colonna di fumo bianco, attorcigliata su se stessa.

L’Inanimus si stava facendo sempre più lontano ma era così massiccio da far da padrone all’intera scena. Dardi incandescenti saettavano dalle fregate, viaggiando verso di lui e infrangendosi in sonore esplosioni.

La marcia del costrutto, tuttavia, non ne risentì minimamente. Ad ogni scoppio, altre sezioni di città si allontanavano dal suo corpo, schiantandosi con violenza al suolo.

 

Gli ugelli dell’armatura di Copper cessarono improvvisamente di emettere vapore.

La riserva di acqua si era esaurita definitivamente.

L’unicorno dai crini ramati, con ancora una discreta quantità di adrenalina in corpo, sembrò non accorgersi della temperatura che l’esoscheletro aveva raggiunto, finché non vide Dust lamentarsi dal dolore.

Preoccupata per le sorti del compagno, cercò prontamente una zona verso cui atterrare: non avrebbe di certo potuto mollare la presa su di lui. Meglio qualche ustione che non la caduta libera verso terra.

 

“RESISTI!”, gli disse, cercando di non perdere la calma.

 

Dopo qualche secondo, in cui la loro traiettoria parabolica raggiunse l’apice della curva, Copper individuò una grossa fontana in una piazza urbana.

Ripiegò le ali sui fianchi, assumendo una postura simile alla punta di una freccia, e prese a precipitare veloce come un fulmine.

 

“RESISTI!!”, ribadì, non sapendo più quanto avrebbe dovuto stringerlo a sé per non farlo scivolare e quanto gli avrebbe invece causato del male.

 

Visti da terra, sembrarono davvero una cometa in procinto di schiantarsi contro la città.

E fu quanto che avvenne.

 

Un istante prima dell’impatto, Copper afferrò saldamente il busto dell’amico e, con una piroetta a mezz’aria, puntò la schiena verso il punto d’arrivo, cercando di proteggerlo. Lei poteva sempre contare sulla propria armatura. Lui no.

 

La fontana esplose sonoramente, sollevando enormi spruzzi d’acqua e di terra.

Gli unicorni continuarono a proseguire nella traiettoria, scavando un solco di svariati metri sul terreno e schiantandosi infine contro una casa.

Zamak vide tutto e percepì le zampe tremare dalla paura.

Corse verso di loro, incurante delle ferite, urlando a squarciagola il nome della sorella.

I Divites, completamente spiazzati dalla situazione in cui si erano venuti a trovare, non badarono più agli ordini che gli erano stati impartiti. Era tutto troppo assurdo. Tutto troppo pericoloso.

La paga non valeva tanto.

Alcuni lo seguirono, senza però alcun intento malevolo.

 

Kirksite scivolò tra le stradine, verso il punto d’impatto, raggiungendolo dopo eterni minuti di corsa.

Li trovò riversi tra alcune macerie.

 

    Copper stringeva gli occhi e aveva le zampe serrate attorno all’amico.

Era atterrata di schiena; Silver era accasciato su di lei.

La corazza era ricoperta dall’acqua della fontana, ora ridotta ad un cratere zampillante, e fumava copiosamente per via della temperatura raggiunta.

Sia lei che Dust sembravano privi di sensi.

Poi, poco per volta, Copper iniziò ad aprire timidamente un occhio.

Spalancò le palpebre.

“DUST!!”, urlò, rimettendosi in piedi, emergendo da chili di terra e detriti.

L’esoscheletro non emetteva più alcuna luce ed era visibilmente ammaccato e danneggiato. Di fatto, le stava più che altro impedendo i movimenti.

La puledra osservò il corpo esanime del compagno. Lo girò su un fianco ed iniziò a strattonarlo, urlando più volte il suo nome.

Zamak e i soldati giunsero immediatamente.

“COPPER!! COPPER STAI BENE??”, le domandò lo stallone.

 

Attorno a loro, un inquietante silenzio stava facendo da padrone alla scena. Era possibile udire i rimbombi lontani dei passi dell’Inanimus e delle continue esplosioni delle armi da fuoco dalle fregate.
A parte quello, tutto taceva.

 

Dopo pochi secondi, Dust parve rinvenire.

Si destò di soprassalto, come se fosse appena emerso da un’apnea.

L’amica, per l’emozione, si coprì il muso con le zampe, quindi si fiondò su di lui e lo abbracciò al collo.

“A-ah…”, mugugnò l’altro, ancora dolorante, cercando di allontanarla con delicatezza.

“S-scusa!”, balbettò Copper, tirandosi indietro con volto preoccupato.

“No… tran… tranquilla…”, farfugliò sorridendo, rimanendo però sdraiato. “È che… mi sa che ho qualche osso incrinato…”.

“ODDIO!! ODDIO MI DISPIACE!!”, cercò di scusarsi, sinceramente afflitta. “Io… io ho cercato di fare il possibile!! Ho… ho cercato di vegliare su di te!”, gli spiegò con foga, percependo alcune lacrime solcarle le guance. “Sono… sono rimasta sui tetti ma… ma poi… ho perso il controllo e… e tu sei scomparso… e quindi…”.

“…Copper…”.

La puledra stava cadendo nel panico e gesticolava come una matta.

“…poi c’è stato quel frastuono e… e il terremoto! E quell’enorme affare si è assemblato dal nulla! Non sapevo dove fossi! Mi sono fiondata a cercarti, ho fatto tutto il possibile per…”.

Silver aveva iniziato a muovere i muscoli. Zamak era intervenuto prontamente per aiutarlo a rialzarsi. Anche se ferito, rimaneva pur sempre uno stallone grosso quanto un armadio.

“Forse… forse le ossa sono a posto…”, commentò, fornendo però chiare manifestazioni di dolore. “Ma mi sa… che domani sentirò male dappertutto…”.

“Mi… mi dispiace, Dust…”.

Silver le sorrise dolcemente.

“…per cosa? Sei venuta a salvarmi come una stella dal cielo. Di questo dovresti dispiacerti?”. “L’armatura era rovente…”.

“Beh mi sono bruciacchiato un po’… E ammetto che mi hai fatto prendere un colpo quando ti sei tuffata in picchiata verso i palazzi…”.

“Copper”, intervenne Zamak. “Tu stai bene?”.

La puledra si rese conto solo in quel momento dello stato in cui era ridotta.

 

La corazza era quasi a brandelli.

Il cuore era spento.

Gli ingranaggi completamente fermi.

La spossatezza le cadde addosso come un’incudine, costringendola improvvisamente a tremare e accasciarsi su uno zoccolo.

“COPPER!”, urlò il fratello.

“Non… non è niente…”, precisò. “È normale… è quello che succede quando calco un po’ troppo lo zoccolo…”.

 

Una roca voce famigliare provenne alle loro spalle.

Steel Hammer camminava zoppicante verso la zona d’impatto, con volto stranamente inespressivo.

“Bravi…”, commentò, fissandoli intensamente.

Dietro di lui, dalle lontane vie cittadine, piccole folle di evacuati stavano lentamente emergendo allo scoperto.

Ora che l’Inanimus si era allontanato, la curiosità aveva preso il sopravvento, inducendoli ad avvicinarsi cautamente al luogo del disastro.

Gli abitanti di Mechanus, agghindati con i soliti vestiti retrò, gli occhiali e i copricapo sgargianti, continuavano ad osservare basiti lo spettacolo di distruzione, nonché l’Inanimus che marciava lentamente sullo sfondo.

 

Il cielo e l’aria erano saturi di pulviscolo in fiamme.

Odore di terra, polvere e cenere saturavano l’intera zona.

 

“Soprattutto te, Silver Dust”, riprese Hammer, quando fu accanto al trio.

“Ehy”, sbottò Zamak. “Avvicinati ancora di un passo… Mi rimane forza sufficiente da spezzarti anche l’altra zampa…”.

“Mhf… Cosa vuoi che faccia?”, domandò retoricamente la sorella. “Senza un esercito o una carica legale è poco più di un vecchietto menomato…”.

Hammer non si scompose.

Dust osservò tristemente i presenti, quindi rivolse l’attenzione all’Inanimus.

“Sei soddisfatto?”, gli chiese il generale. “Sei contento di tutto questo?”.

Il pony lilla non rispose. Aggrappato al fianco di Zamak, non riusciva a smettere di osservare l’apocalisse che aveva scatenato.

“Io…”.

“Eri stato messo in guardia”, continuò. “Tutti hanno cercato di avvertirti”. Poco per volta, gli abitanti iniziarono a raggiungerli. Tra loro c’erano anche Novarius, di nuovo con gli occhialini, e il burbero Smoky Coal. “Eri stato messo in guardia. Invece hai voluto fare di testa tua. Per cosa, poi? Per un mucchio di ingranaggi e metallo?”.

Dust osservò il professore, da cui non trapelava alcun tipo di emozione apparente.

“Loro…”, buttò lì, cercando di spiegarsi. “Loro non sono solamente ingranaggi e metallo! Io li ho visti! Ho comunicato con loro!”.

Steel si allontanò, salendo faticosamente su un mucchio di macerie, con l’Inanimus bersagliato dalle navi sullo sfondo, intento a marciare verso la parte ancora intera di Mechanus.

“Certo”, rispose ironicamente, sollevando la zampa al cielo. “E questo è il risultato. Dico… ma sei cieco o ci vedi??”. L’unicorno dai crini scuri cadde preda di un profondo senso di delusione e rammarico. “Guarda. GUARDA! Interi quartieri distrutti! Un mostro di ferro che ora sta marciando implacabile, distruggendo tutto ciò che incontra sul suo cammino!”.

Voci e brusii si levarono ovunque.

“IO HO SOLO CERCATO DI AIUTARE LA CITTA’!!”, si sgolò.

“Ci hai proprio aiutati, sì! Ci hai aiutati a crollare definitivamente!”.

Smoky emerse dalla folla come un leone, puntando una zampa verso l’ufficiale: “FAI POCO LA VOCE GROSSA, LURIDO GALOPPINO! Tu meno che tutti hai il diritto di fare la morale a questo puledro! Non hai mai fatto nulla per Mechanus che non fosse negli interessi della vostra casata! Questo forestiero ha capito in pochi giorni che c’era qualcosa che non andava e ha avuto il coraggio di provare a cambiare le cose!”.

“Cambiamento?? CAMBIAMENTO?! È questo il cambiamento che volevate?? Mechanus condannata a sparire per sempre??”.

“La vera condanna di Mechanus siete stati voi!! Questo giovane unicorno potrà anche aver sbagliato ma non ha fatto altro che accelerare l’inevitabile!”.

“S… sbagliato?”, sussurrò Dust a sé stesso, che ancora non riusciva a realizzare cosa avesse compiuto a Mechanus. Puntò lo sguardo verso Copper.

I due si osservarono a lungo e il compagno lesse nel suo sguardo una profonda vena di rassegnazione.

Lontano da loro, intanto, l’Inanimus aveva iniziato a salire lungo il fianco della sommità montuosa, per raggiungere la parte superiore della Metropoli.

“Quindi…”, esordì timidamente il puledro, rivolgendosi a Copper, “… è così che va a finire?”.

“Io…”.

“Un… disastro? Un completo disastro? Questo ho causato?”.

“Dust…”, cercò di spiegargli, sfiorandogli delicatamente una zampa.  “Sapevamo entrambi… che sarebbe potuta finire in mille modi. Ci… ci abbiamo provato…”.

Il matematico si spense, come la fiamma di una candela soffocata.

 

Chinò il muso.

Aveva fallito…

Cosa ancora peggiore… aveva condannato un’intera metropoli alla distruzione.

 

Non gli importava più cosa avrebbe pensato la Principessa.

Non gli importava come lo avrebbero punito.

 

Si sentiva semplicemente in colpa per tutto ciò che aveva messo in atto.

Pensò di essere un completo fallimento, su tutti i fronti.

E…

 

Aveva condannato chissà quante vite a patire le conseguenze delle sue azioni.

 

Steel riprese a parlare.

“Solleva quello sguardo”, gli intimò severamente. “Abbi almeno la decenza di guardare la devastazione che hai causato!”.


    In quel preciso istante, il rumore di un’esplosione investì tutti i pony nello spiazzo.

I corpi di tutti sussultarono dalla paura, compreso quello di Steel, che si voltò rapidamente per capire cosa fosse stato.

Non si trattò del rumore degli scoppi delle armi da fuoco o dei palazzi che crollavano a terra.

 

Fu un boato completamente diverso.

Ad alcune centinaia di metri dall’Inanimus, la sommità del vulcano era deflagrata in modo spettacolare, sollevando muri di terra e polvere in tutto il cielo.

 

“Ma… ma cosa…”, balbettò Hammer.

 

Un secondo scoppio fece tremare il suolo, che quel giorno non ne avrebbe potuto più di botte e scossoni.

 

Dal vulcano emerse una terrificante ondata di lapilli rossi, che si spansero lentamente nell’aria.

 

Dust fece un cenno di dissenso con il capo, incredulo.

 

Urla di terrore provennero dagli osservatori accanto.

 

Scosse di terremoto colpirono più volte la zona, accompagnate dal sordo ribollire del vulcano, che non la smetteva di riversare fumo nel cielo.

 

Lenti fiotti di lava cominciarono quindi a fuoriuscire dal cratere e da numerose bocche che si erano venute a creare lateralmente.
I fiumi di magma iniziarono a riversarsi in ogni direzione, sia dal lato disabitato del vulcano che in direzione della megalopoli.

 

Fu allora che il colosso di metallo smise di marciare, lasciando l’intera popolazione di Mechanus a bocche aperte.

 

Il mostro spalancò le zampe e si lanciò verso la pietra fusa, in un impatto terribile.

La lava si infranse contro la sua mole, facendo schizzare fuoco e spruzzi incandescenti in ogni direzione. I rumori di quanto stava accadendo giunsero ovattati, per via della lunga distanza che li separava dagli ascoltatori.

 

Nessuno riusciva a crederci.

 

L’Inanimus si era letteralmente gettato contro la lava, cercando di fare scudo con il proprio corpo.

 

Ulteriori muri di fumo, vapore e detriti si scatenarono violentemente, iniziando a saturare tutta la zona circostante.

Lo spiazzo in cui si trovava Dust venne lentamente invaso da un ulteriore caos tempestoso, formato da cenere e altro materiale che era stato proiettato verso di loro già dal momento dell’eruzione.

 

Zamak afferrò saldamente Copper e Dust e li protesse con la propria stazza imponente.

 

I cittadini caddero nel panico e fecero il possibile per non farsi travolgere.

 

Steel cadde a terra. Cercò di osservare il fenomeno ma gli fu praticamente impossibile, in mezzo a quella coltre impenetrabile.

 

Ci vollero interminabili minuti di attesa, prima che l’intera zona potesse tornare ad una situazione apparentemente tranquilla.


    Provenivano ancora gorgoglii lontani, quando la visibilità parve ripristinarsi.

Zamak era completamente ricoperto da pulviscolo e altrettanto era accaduto a pony, strade e strutture. Tutto era stato parzialmente sommerso da alcuni centimetri di sabbia e cenere.

L’unicorno bianco, ancora sbigottito, si sollevò lentamente, facendo cascare fiotti di materiale dal pelo.

Gli unicorni sotto di lui, a loro volta spaventati, si guardarono attorno increduli.

 

Tutti, abitanti e soldati, riemersero timidamente dai ripari.

Alcuni sbucarono letteralmente da una spessa coltre di calcinacci.

 

Sullo sfondo, ancora parzialmente invaso dalla foschia dell’esplosione, era visibile il lucente magma che scendeva dal vulcano. Il materiale rovente terminava in un informe ammasso di edifici, tubi e ingranaggi.

 

Quello era ciò che rimaneva dell’Inanimus, completamente distorto dal calore della lava.

Molte delle strutture di Mechanus, tuttavia, erano adibite al trasporto di tale materiale ed erano quindi molto resistenti al calore. Il corpo della macchina era cioè stato in grado di resistere meglio di quanto avrebbe potuto.

 

Nonostante il suo intervento, tuttavia, l’avanzata delle lava non poteva essere arrestata del tutto ma avrebbe comunque donato tempo a sufficienza per rallentarla. Con un po’ di fortuna, tutta la zona poteva essere evacuata e, magari, la roccia fusa si sarebbe rappresa prima di causare dei danni.

 

    Dust, incurante di ogni cosa, si mosse lentamente di fronte a sé, per osservare meglio il fenomeno.

Aveva la bocca spalancata in una smorfia di meraviglia.

Copper fece altrettanto.

 

Gli occhi del pony meccanico erano spenti e il suo cuore aveva cessato di pulsare.

 

“Non… non può essere…”, ammise Dust. “Che Celestia mi sia testimone…”.

 

“Ma…”, dichiarò timidamente Copper. “Ha… ha fatto quello che penso?”.

 

“Un’eruzione!! C’è stata un’eruzione del vulcano!!”, strillò qualcuno.

 

Urla confuse si mescolarono tra loro.

Nessuno ci stava capendo più niente.

Terremoti, città che si animavano, invasioni militari… ed ora persino un’eruzione.

 

Avvenne quindi un altro curioso fenomeno.

 

Fasci di luce azzurra iniziarono a filtrare tra i vicoli lontani, ancora intatti, facendosi sempre più vicini. Era come se una notevole fonte di luce si stesse lentamente avvicinando, spostandosi con pazienza tra budelli e stradine.

 

La coppia di pony non sapeva più cosa aspettarsi.

 

Quando la luce fu sufficientemente vicina, poterono finalmente capire chi o cosa fosse.

 

*** ***** ***

 

    Il fumo imperversava per i vicoli tra i palazzi.

 

La colata di lava avanzava con lentezza, creando baluginanti effetti di calore sopra di sé.

 

Edifici collassavano.

 

Motori e sistemi meccanici (travolti dal magma e dai danni causati dall’Inanimus) presero fuoco, gettando verso l’alto sinuose lingue di fumo nero.

 

Tubature sparse ovunque presero a riversare acqua e vapore.

 

Le navi da guerra si chetarono improvvisamente.


Tutto questo stava accadendo a Mechanus, per centinaia e centinaia di metri quadri.

 

E in mezzo a quella distruzione… una creatura millenaria fece la propria comparsa.


    Un Inanimus, in parte simile ai pony meccanici che Dust aveva avuto modo di conoscere, avanzò con estrema grazia e lentezza verso di lui, emergendo dalle strade semidistrutte.

 

L’abbagliante luce azzurra proveniva dal suo cuore.

 

Il costrutto era molto più alto e slanciato, rispetto ai suoi simili, con fattezze che ricordavano vagamente la figura di un alicorno.

La sua superficie era opaca e corrosa dalla ruggine. Sembrava anche molto fragile e diversi componenti risultavano mancanti o incompleti.

Gli ingranaggi, sotto il telaio, erano molto sottili e ricordavano i meccanismi di antichi orologi ormai datati.

 

La creatura camminava con passo leggiadro, del tutto differente da quello pesante degli Inanimus ordinari. La sua immagine rimandava ad una struttura leggiadra ed estremamente debole.

Il materiale di cui era composto era così rosicchiato dal tempo da poter avere centinaia, forse migliaia di anni.

 

Dust lo osservò in silenzio, completamente affascinato.

Copper stette al suo fianco.

Nessuno a parte loro osò avvicinarsi alla macchina semovente.

 

Ticchettii.

Tanti, stranissimi ticchettii giunsero alle orecchie del matematico dalla mente eidetica.

 

Gli occhi dell’Inanimus scintillavano come cristalli.

 

Entrambi riconobbero qualcosa di famigliare, in lui.

Per Copper fu lo strano tepore azzurro che proveniva dal suo petto.

Per Silver… fu quel curioso sistema di meccanismi, del tutto simili a quelli dell’Inanimus che aveva conosciuto nel laboratorio di Novarius.

 

    La figura slanciata del pony meccanico si fermò a circa un metro dalla coppia.

Zamak tentò istintivamente di avvicinarsi ma la sorella gli fece cenno di non muoversi.

 

Dust si avvicinò ancora di più potendo osservarlo in modo estremamente accurato, dal basso verso l’alto.


Nessuno dei due parlò.

Nessuno fece niente.

Pony e macchina stettero uno di fronte all’altro, in muto silenzio.

Si fissarono.

Nulla più.

 

“Eri… eri tu…”, bisbigliò quindi il puledro, avvertendo una strana morsa al petto.

 

Gli ingranaggi del costrutto iniziarono a rallentare.

La sua luce divenne baluginante e incostante.

Silver, preoccupato, fece qualche passo indietro.

 

Il cuore della creatura parve esplodere in un’onda di luce, sollevando una colonna di energia abbagliante verso il cielo, che deflagrò in una spettacolare bolla concentrica.

Tutti dovettero ripararsi gli occhi.

 

Piccoli fiocchi luminosi, simili a coriandoli luccicanti, iniziarono a discendere dolcemente dal cielo; unica fugace traccia dell’esalazione di potere appena avvenuta.

 

I cittadini, rapiti da tale meraviglia, sollevarono gli occhi verso l’alto. Alcuni protesero le zampe, per raccogliere i piccoli frammenti, che presero a svanire uno dopo l’altro.

 

Una dolce nevicata di effimera bellezza.

 

    Il puledro riportò lo sguardo all’Inanimus. Di lui non rimanevano che i resti.

Le giunture avevano ceduto e il corpo era collassato su se stesso, come un’armatura priva di sostegni.

 

Tutto parve tacere.


    Un flebile vento iniziò a lambire la zona, creando qualche fiotto sabbioso dalle macerie e facendo oscillare i crini dei pony.

Dust non si mosse e rimase a scrutare intensamente ciò che rimaneva della creatura.

 

Zamak, Novarius, Coal e persino Steel, assieme ad altri curiosi tra civili e soldati, si avvicinarono cautamente al pony lilla.

 

Fu l’unicorno bianco a rompere il silenzio.

 

“…cosa… cos’era?”.

L’altro non rispose.

“Un… Inanimus…”, buttò lì lo scienziato occhialuto.

“…sì. Un Inanimus”, rispose Dust, con volto imperscrutabile, senza nemmeno voltarsi. “Ma non un Inanimus qualunque”.

 

Il puledro raccolse delicatamente l’elmo tra le zampe e lo fece ruotare tra gli zoccoli.

 

“Cos’era, allora?”, domandò nuovamente Kirksite.

“Lui è… Cioè… io credo… che lui sia stato… il primo…”.

Copper gli sfiorò una spalla: “…in che senso… il primo?”.

“Io penso”, le spiegò, osservandola dritta negli occhi, “che lui fosse quello che, nei ricordi del cristallo, venne definito come… il Primogenito. Il primo. Il primo Inanimus mai creato”.

“Creato?”, intervenne Novarius. “Creato da chi?”.

Silver si girò appena, sorridendogli. Tornò quindi ad osservare la devastazione che aveva ridotto Mechanus ad un campo da battaglia.

“…credo che non lo sapremo mai, dottore…”.

 

Zamak ebbe una folgorazione.

“I civili!!”, sbottò. “Dobbiamo assicurarci che i civili siano al sicuro! La lava non è stata bloccata del tutto!”.

L’unicorno dagli occhi azzurri si voltò verso i presenti, sfoggiando un muso estremamente battagliero.

“Chiunque sia in grado di sollevare un attrezzo, con la magia o che altro, venga con me!! Dobbiamo andare a verificare che non ci siano feriti e che tutti possano fuggire in sicurezza!”.

Dopo qualche secondo di esitazione, alcuni pony si mossero verso di lui, comprendendo la gravità della situazione.

“Ehy… EHY!!”, intervenne Hammer, avvicinandosi all’ex-comandante. “Le ricordo che lei non ha più alcuna autorità, qui! Non mi costringa a…”.

Una zoccolata in pieno volto gli spaccò qualche dente e lo spedì dritto tra i cumuli di detriti. Zamak non ci era andato nemmeno troppo pesante.

“Oltre alla zampa, ora si metta in lista anche per una protesi dentaria, generale”, lo liquidò, ponendosi a capo della piccola formazione di volontari e conducendola tra le strade, con fare impeccabile.

Un vasto numero di pony, compresi alcuni militari, si unì all’operazione.

 

Dust e Copper, esausti, rimasero ad osservare l’Inanimus.

 

Coal si accese un mozzicone di sigaro, con la tipica aria da finto duro che lo accompagnava costantemente.

Sbuffò un po’ di fumo e si avvicinò all’amico, rimirando il devastante (e spettacolare) scenario che si stagliava all’orizzonte.

“Tutto questo è molto interessante, coso”, gli disse, continuando a guardare il paesaggio. “Ma ci sono molte faccende che non mi tornano”.

“Dust…”, aggiunse l’amica color creta, “ammetto che sono confusa anche io”.

 

Il puledro mantenne un’aria di apparente inespressività.

 

“Io… non posso dirlo con certezza”, suppose. “Ma… solo ora… solamente adesso… credo di aver compreso ogni singola cosa”.

“Davvero?”, domandò incuriosito Novarius, che risentiva dell’astinenza da budino.

“Io… io credo che queste macchine… abbiano compiuto un sacrificio nel vero senso del termine”.

“…sacrificio??”, blaterò Hammer, asciugandosi le labbra dal sangue, nell’impacciato tentativo di rimettersi in piedi. “Cosa vai dicendo? Ti sei forse dimenticato dei feriti e dei morti nelle miniere?? Nessuno ha mosso loro alcuna offesa! Sono stati loro ad attaccarci per primi! Vallo a spiegare alle loro famiglie!”.

“Davvero, generale?”, commentò, fulminandolo con lo sguardo. “Ci pensi bene… Anni ed anni di sfruttamento intensivo della zona. Non parlo solo dei minerali ma anche degli scavi che sono andati sempre più in profondità nel vulcano, estraendo le Pietre Ignee che lui stesso generava. Come qualsiasi risorsa naturale che si rispetti… siete sicuri di non averla condotta verso il collasso?”.

Novarius si schiacciò gli occhialini contro il muso: “Beh… c’è sempre stata la remota possibilità… cioè… che il vulcano potesse…”.

“BALLE!”, lo interruppe l’ufficiale.

Silver continuò a spiegare le sue ragioni: “E se gli Inanimus avessero capito fin da subito? Sono macchine. Forse ragionano secondo metodi probabilistici o statistici. Potrebbero aver compreso come le possibilità di un collasso fossero imminenti. Loro già si trovavano nel vulcano e necessitavano delle Pietre Ignee per poter vivere”.

“Quelle creature non sono vive!”, sbottò Hammer.

“Vive o morte non ha importanza. Con o senza anima, non importa. Hanno cercato di tenervi alla larga dalla vostra stessa distruzione, con l’unico metodo che conoscevano”.

“Attaccando i minatori…?”, suggerì amaramente Copper, che aveva assistito agli assalti in prima persona. “Cercando di… ucciderli?”.

“Pensateci un attimo”, continuò l’allievo della Principessa. “Sono costrutti mossi da una mente alveare. Per loro… importa salvare l’intera comunità. Sacrificarne una parte equivale a quello che per noi è amputare un ramo malato per salvare la pianta. Non credo abbiano mai avuto la concezione di vita individuale come la intendiamo noi… Hanno ragionato secondo la loro natura, cercando di allontanarvi il più possibile dalla distruzione dell’intera città. Pensate… pensate a cosa sarebbe successo se, ignari, foste stati colpiti dall’eruzione…”.

“Sono solo ipotesi, però…”, osservò Novarius.

“Non sono solo ipotesi. Guardate”, rafforzò, indicando gli edifici sradicati. “Guardate cos’hanno fatto! Interi sistemi di tubature immuni alla lava utilizzati come vene! Ingranaggi perfettamente incastrati tra loro come muscoli! Hanno preventivato tutto! L’hai detto tu stessa, Copper! Loro attaccavano in funzione di dove edificavate! Vi hanno così obbligati a creare inconsapevolmente una rete che gli avrebbe permesso tutto questo! L’unica cosa che gli serviva era inviare il giusto impulso dal cuore della città…”.

“È… è pazzesco…”, ammise l’inventrice. “Stai dicendo… che avevano previsto tutto?? Che ci hanno anche usati per costruire quel gigante??”.

“Cosa ti aspetti da un perfetto insieme di nessi causali? Perché credo che quello fosse il loro modo di ragionare. Hanno previsto che vi sareste annientati da soli. Hanno cercato di dirvelo ma non potevate comunicare! Eravate troppo diversi! Poi sono arrivato io e c’è stato il primo contatto. Hanno capito! Hanno intuito che sarei andato a fondo della faccenda! Sapevano di te e della tua armatura. Hanno previsto ogni singola cosa! Sapevano che ci avremmo provato e così ci hanno fornito il cristallo, nonché le Pietre Ignee per la tua corazza. Hanno persino previsto che i Divites avrebbero fatto sgombrare la zona per il nostro arrivo, minimizzando così i rischi per la popolazione, qualora avessimo risvegliato il loro colosso!”.

Steel non riuscì più a controbattere.

“E siete stati fortunati”, concluse Dust, rivolgendosi all’intera folla di presenti. “Siete stati immensamente fortunati! Queste creature si sono completamente sacrificate per voi, un attimo prima che il vulcano esplodesse! Ogni singolo istante della loro recente esistenza si è mossa SOLAMENTE per salvare voi! Sapevano dei rischi e li hanno corsi! Hanno preparato tutto questo per salvare migliaia, forse milioni di vite!”.

“Ma perché??”, domandò Copper. “Perché lo avrebbero fatto?? Sono macchine! Perché si sono… sacrificate per noi…?”.

Silver si chetò, assumendo un atteggiamento sofferente.

Guardò nuovamente l’elmo del Primogenito, ancora tra le sue zampe.

“…non lo so, Copper. Non so perché queste creature abbiano sacrificato… la loro fiamma vitale… per salvare le nostre. Non lo so…”.

Cadde un breve silenzio.

 

“Forse”, riprese pacatamente il puledro, “certe volte non c’è una spiegazione. Forse… è questo il vero significato del sacrificio. Non c’è un reale motivo per cui una fiamma bruci. Brucia perché è nella sua natura farlo”. Coal e Novarius lo ascoltarono pensierosi. “Queste creature… non hanno chiesto niente a nessuno. Non hanno chiesto di essere capite o comprese. Non hanno preteso favori o quant’altro. Hanno capito che eravate in pericolo… e vedendo che non riuscivano a dissuadervi attraverso i loro canoni… hanno agito di conseguenza”.

Smoky aggrottò la sopracciglia. Persino lui era rimasto sorpreso dalla possibile realtà dei fatti.

“L’unica cosa che so…”, sospirò Dust. “È che gli Inanimus hanno agito per salvarci tutti, fin dal primo giorno. E sono sicuro… che tante cose sbagliate verranno dette verso di loro. Dal fatto che fossero degli assassini, fino a presunte implicazioni di sabotaggio da parte mia. Ma la verità… è che la loro fiamma è bruciata per un unico scopo soltanto. Quello di salvarvi…”.

 

Tornò il silenzio.

 

“E… e ora?”, chiese titubante Copper, sollevando il muso verso il compagno. “Cosa… cosa ne è stato di loro?”.

“Si sono… spenti? Svaniti. Morti, forse? Non saprei dirlo…”.

“Tutti quanti?”.

“Forse. Se è vero che erano mossi da una coscienza collettiva… Beh, credo che tutto si sia concentrato in quell’enorme costrutto. Con la sua distruzione… penso che l’intera… anima che lo muoveva sia svanita per sempre. E con lei, tutti gli Inanimus che guidava. È solo un’ipotesi…”.

 

L’unicorno dai crini ramati percepì un profondo senso di tristezza, sostituito quasi immediatamente da una consapevolezza terribile, che le fulminò improvvisamente i pensieri.


    Copper si allontanò dal gruppo, galoppando come una matta, senza dire niente a nessuno.

Il suo volto trasudava un’agghiacciante preoccupazione.

Dust lasciò l’elmo allo scienziato, che per poco non lo fece cadere, e si lanciò all’inseguimento della compagna.

“COPPEEER!!”, urlò. “DOVE STAI ANDANDO??”.

L’altra quasi non lo sentiva, assolutamente rapita dall’agitazione.

 

Cercò di spostarsi più rapidamente che poteva ma non era solamente stanca, aveva anche un’armatura che la ostacolava nei movimenti.

Così, senza interrompere la marcia, iniziò a staccare pezzi di esoscheletro dal corpo.

 

Dust vide la scia di frammenti.

Non poteva crederci.

 

Copper si stava liberando della sua adorata armatura, come se ora avesse qualcosa di più importante a cui pensare.

Sembrava non si sentisse più costretta dalla protezione in cui si era rintanata, da quando aveva costruito quella portentosa invenzione.

 

Quindi capì.

 

Si stava dirigendo verso il settore industriale.


Corse.


Corsero entrambi.

 

Affannosamente.

 

Dust era alle sue calcagna, non riuscendo però a raggiungerla.

 

Attraversarono gli edifici in macerie.

 

Si intrufolarono tra angusti spazi crollati.

 

Emersero in enormi piazzali, incorniciati dal cielo apocalittico sullo sfondo.

 

La preoccupazione dell’amica, ormai col fiatone e quasi completamente esausta, era palpabile.


…tu sarai il primo.
Sarai la mia creatura.
La mia Essenza scorre in te.


Copper, scivolò su alcuni calcinacci, sbucciandosi dolorosamente le ginocchia, ormai prive di protezioni. Ignorò il dolore; si rimise sulla zampe e continuò a galoppare.


Non so cosa accadrà.
Ma tu vivrai per me.


Percorse ponti crollati, sempre con Silver Dust al seguito.

Balzò da un plinto crollato all’altro, rischiando per poco di cadere nel vuoto.


In questo luogo di eterna segregazione…
…continuamente coinvolto nell’arte creativa…
…tu sarai invece il mio alito vitale.


Raggiunse l’infinito ripetersi degli stabili industriali.

La zona era stata toccata marginalmente dal disastro ma alcuni pezzi di edificio e lapilli di lava erano comunque giunti fino a quel punto, causando il crollo di alcuni stabili.


Sai, Sirrush?
È vero.

Io non ne avrei alcun diritto.

Non spetterebbe a me, tale compito.


La coppia avanzò freneticamente in direzione del laboratorio dell’inventrice.


Ma… pur essendo un essere millenario…
Rimango comunque una creatura fallibile.
Una creatura pervasa da emozioni e necessità.


Copper rabbrividì quando vide la facciata del proprio edificio, quasi completamente crollata. Una sezione di tubatura l’aveva colpito in pieno.
Senza perdersi d’animo, si gettò in mezzo alle macerie.

Dust la richiamò, inutilmente, e continuò a seguirla.


Forse non lo sai.

Ma in ogni cosa che ho creato…

Ci ho messo una parte di me.


La puledra si districò affannosamente in mezzo alle lamiere.

Sbucò nella stanza dove assemblava le invenzioni, irriconoscibile a causa dei danni.

Inquadrò le scalinate e le percorse, inciampando più volte.


E quindi…

Una parte di me scorre in tutte le cose.

Tutto si ricollegherà.

Tutto è comunque parte di un unico insieme.

Ne sono sicuro.

Ecco perché non temo per lui.


Raggiunse la stanza blindata. I meccanismi erano disattivati, probabilmente in avaria a causa dei crolli. Parte del soffitto era divelto, piegando una sezione di porta e creando un fortuito foro da cui passare. Si chinò e cercò di giungere dall’altra parte.

 


Il Nuovo Mondo sta per nascere.
E tu nascerai con esso.


Dust vide l’amica scomparire nell’apertura. Era troppo piccola affinché lui, di corporatura maschile, riuscisse a passarci agilmente. Fece quindi appello a tutte le sue energie ed evocò un incantesimo di levitazione, cercando di ingrandire il varco. Dopo aver fatto scricchiolare la porta sul pavimento semidistrutto, riuscì finalmente a passare.


…sarai il piccolo sassolino che si infila in un meccanismo perfetto…
…chissà cosa sarai in grado di fare…


Evocò un lumino sulla fronte.

Copper era vicino a lui.

In lacrime.

Teneva le zampe sul muso ed osservava una figura di fronte a sé.


…chissà… quanta luce potrà portare in questo mondo…


La puledra si gettò al collo dell’amico meccanico.

Il suo volto metallico sorrideva.

Il suo cuore pulsava di calda luce arancione.

Un pianto liberatorio scaturì dai polmoni del pony color creta.


…la tua fiamma?


Dust si sentì invadere da una quantità ingestibile di emozioni.

Nessuno ci avrebbe mai creduto.

Persino la Principessa avrebbe stentato a credergli.

 

L’avvento di un’anomalia.

 

Di un’essenza imprevista.

 

Che senza alcuna preparazione si sarebbe affacciata nel Nuovo Mondo.


Dalla materia.



 

All’Anima.

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