Cronache da Lordran

di Mister Mistero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lama della Luna Oscura - Gwyndolin ***
Capitolo 2: *** Il primo dei morti - Nito ***
Capitolo 3: *** La strega del Chaos - Quelaag ***
Capitolo 4: *** La volontà dell'Abisso - Manus ***
Capitolo 5: *** Folle ricerca - Seath il Senzascaglie ***



Capitolo 1
*** Lama della Luna Oscura - Gwyndolin ***


Lama della Luna Oscura

~ Gwyndolin ~

Grande pena è non essere accettati dal proprio padre. Non essere riconosciuti da una delle persone che ha dato la propria vita per metterti al mondo. Essere considerati un rifiuto, uno scarto, un abominio che non meritava di conoscere la luce del sole. Gwyndolin credeva che fosse ciò che passasse nella testa di suo padre, Gwyn.

Il Sole Oscuro entrò nella tomba del grande lord nelle profondità di Anor Londo, guardando come il sole filtrava dalle vetrate e illuminava il marmoreo coperchio di quella tomba vuota. Gwyndolin poggiò come omaggio un mazzo di fiori variopinti sul coperchio marmoreo della tomba di Gwyn, mentre sul suo volto si disegnava un amaro sorriso. Se poteva sembrare ironico che lui andasse a visitare la tomba di colui che lo aveva sempre allontanato da se, era ancora più ironico che visitasse la tomba di un re che non aveva ancora conosciuto la morte. Per alcuni era semplicemente assurdo che un essere potente e regale come Gwyn potesse morire, ma Gwyndolin lo sapeva. Non per niente Gwyn era chiamato “il Signore della Luce Solare”. Finchè il sole, manifestazione fisica della prima fiamma, avrebbe continuato a brillare su Lordran, Gwyn non avrebbe conosciuto la morte.

Ma il sole presto sarebbe tramontato, e avrebbe lasciato posto all’ombra, e alla pallida luce della luna, suo simbolo. Essere cresciuto sotto il segno della Luna per Gwyndolin era un dono, ma anche una maledizione. Nonostante fosse un maschio, il suo corpo crebbe come quello di una femmina, e ciò deluse profondamente suo padre, che, dopo che ebbe cacciato il suo primogenito dalle terre dei Lord, si aspettava un erede maschio che potesse succedergli al trono.

Lui, il terzogenito di una famiglia di divinità. Per via del suo aspetto, aveva sempre avuto un occhio di riguardo ai suoi fratelli maggiori che a lui.

Suo fratello, il primogenito di Gwyn, il cui nome era stato cancellato da ogni iscrizione, libro o statua, fu l’unica figura maschile che avesse provato affetto nei suoi confronti. Forte e coraggioso, era l’unica parte del padre ad essere sopravvissuta alla grande battaglia che segnò la fine dei draghi e l’inizio dell’era dei Lord. Nonostante fosse la copia sputata del padre, un dio della guerra a tutti gli effetti, era anche l’opposto del loro genitore. Per i suoi fratelli, avrebbe sacrificato perfino la sua stessa vita, e questo Gwyndolin l’avrebbe ricordato per sempre.

Poi c’era Gwynevere, la sua amata sorella, un anima pura, dal cuore buono, come se ne vedevano poche. Forse è per questa sua bontà d’animo che Gwyn scelse lei come Regina della Luce Solare, quando lui partì a riavvivare la Prima Fiamma. In teoria, per diritto ereditario, avrebbe dovuto lui governare Anor Londo dopo la scomparsa di Gwyn, ma tutti credevano che fosse una ragazza, quindi per Gwyn era l’ultimo della lista. Quel giorno, Gwyndolin ingoiò in silenzio quell’ennesimo boccone amaro, ma qualunque risentimento che aveva nei confronti di sua sorella fu in gran parte soffocato dallo smisurato affetto che lei gli mostrava.

Con Gwynevere al comando, il popolo sembrava accettare il nuovo monarca e la pace continuava senza interruzioni. Tutto sembrava andare per il meglio, almeno fino a quando la calamità dell’Abisso si abbattè su Petite Londo. Gwynevere capì che, nonostante il sacrificio del padre, la Prima Fiamma continuava ad indebolirsi, e prima o poi si sarebbe spenta. Capendo di essere impotente di fronte all’avanzata delle tenebre, così decise che per lei era meglio lasciare Lordran.

Gwyndolin era diventato il nuovo Signore della Luce Solare, ma ben prestò capì che quella non era altro che un’illusione. Solo la metà dei cavalieri d'argento proteggevano ancora Anor Londo, l'altra metà aveva seguito Gwyn, e probabilmente ora bruciavano tra le fiamme della fornace insieme al loro signore. Dei Quattro Cavalieri di Gwyn, orgoglio e vanto di Anor Londo, rimaneva solo Ornstein l’Ammazzadraghi. Gwyndolin non ci mise molto a trovare un altro guerriero per affiancarlo, Smough il Giustiziere, il boia di Anor Londo, ma capì subito che quell’accoppiata non poteva funzionare. Ornstein definiva il suo compagno “un animale rabbioso che non riesce a controllare i propri istinti”, mentre Smough lo odiava per non essere riuscito ad entrare nei Quattro Cavalieri a causa delle sue discutibili abitudini alimentari.

Questa era l’attuale forza di Anor Londo: solo la metà di un esercito e due capitani che si detestavano a vicenda. Gwyndolin era il Signore della Luce Solare, ma di un sole che non brillava. Un sole nero, un sole oscuro.

Fu allora che prese una decisione. Impugnò il catalizzatore e si teletrasportò nella camera di sua sorella, un’enorme sala con un tappeto rosso con cuciture d'oro, con un enorme divano con cuscini rosso sangue ed intarsi dorati, troppo grande per qualsiasi essere umano. Gwynevere avrebbe fatto la sua parte, volente o nolente, e avrebbe donato il Ricettacolo dei Lord a chiunque fosse stato abbastanza forte da giungere fin li.

Poi radunò nel salone tutti gli assassini a lui fedeli, conferendogli il dono della magia per fermare il caos che lentamente stava divorando il mondo sotto forma di invasori e peccatori. Chi avrebbe voluto voluto distruggere l'illusione di Gwynevere avrebbe subito l'ira delle Lame della Luna Oscura.

Lui non sarebbe scappato come sua sorella. Voleva dimostrare a suo padre che, nonostante il suo aspetto fragile, avrebbe fatto qualcosa per mantenere accesa la Prima Fiamma, e con essa la speranza di poter tornare a rivedere il sole.

Gwyndolin si destò dai suoi pensieri, rigiungendo dopo quel viaggio mentale nella tomba di suo padre. Qualcuno aveva varcato la nebbia nella Tomba della Luna Oscura. Nessuno doveva profanare quel luogo sacro, la tomba del grande lord, dove erano conservate le sue memorie. Doveva impedirlo. Nelle sue mani apparvero le sue armi, l’arco della Luna Oscura e il suo fido catalizzatore.

«Che insensatezza…»

Una voce flebile riecheggiò nell’aria.

«Perché profani la tomba del Grande Lord, se sei un discepolo della Luna Oscura? Ascolta la mia voce… la voce di Gwyndolin!»

Il catalizzatore brillò di una luce che invase e distorse il corridoio che giungeva alla tomba.

«Tu non resterai impunito!»

††††

~ Angolo dell'autore ~

Innanzitutto, grazie per aver letto. L’idea per questa one-shot mi è venuta proprio giocando a Dark Soul, gioco ineccepibile per difficoltà ma anche per per la storia dei suoi personaggi. Gli sviluppatori danno giusto quel poco per lasciare che l’immaginazione dei giocatori faccia il resto. E così è stato. Ho volute iniziare con Gwyndolin perchè è quello che da più spunti e di cui ho apprezzato maggiormente la storia: un “abominio” emarginato dal padre per il suo aspetto (di sue statue ad Anor Londo non se ne vedono infatti), ma con abbastanza forza di volontà per vegliare per anni sulla sua tomba e per punire i peccatori con i suoi assassini.

Ci tengo a precisare che i personaggi che sto trattando non mi appartengono, ma sono di proprietà della From Software; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


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Capitolo 2
*** Il primo dei morti - Nito ***


Il primo dei morti

~ Nito ~

Buio. Chi si avventurava nelle profondità delle Catacombe non poteva vedere nient’altro che questo. Un’uniforme e indefinita coltre di nero che impediva la vista e rendeva cieco qualunque essere vivente. Già, perché quel luogo sotterraneo ed oscuro non era il luogo adatto per degli esseri aggrappati ancora alla vita. Quello era il regno della morte e del freddo, che neanche il bagliore della lava di Lost Izalith o i deboli fasci di luce che filtravano dalle nubi del Lago di cenere riuscivano ad illuminare. E nel meandro più profondo di quel luogo tanto oscuro che risiedeva il suo signore.

Nito riposava come al solito nella grotta più profonda della Tomba dei Giganti, adagiato nella sua gigantesca bara di pietra, che a stento riusciva a contenere la grande massa di ossa umane che formava il suo corpo, reso più imponente e maestoso dal largo mantello di pelliccia purpurea che di solito lo ricopriva.

Se qualcuno fosse arrivato li e avesse visto il Re Tombale in quello stato, avrebbe creduto che fosse morto. In realtà era proprio così, lui era già morto, la sua vita era passata quando aveva trovato l’anima dei lord che gli aveva permesso di diventare quello che era adesso.

C’era un tempo in cui era stato un umano, un periodo buio, dove il mondo era solo una landa desolata, immersa nell'ombra e dominata da arcialberi colossali. A quei tempi non vi era distinzione tra gli esseri viventi, eccezzion fatta per i draghi che dominavano quelle terre, e seduti sul loro trono di immortalità regnavano come signori su tutta la superficie. Tutte le altre creature erano oppresse da loro, ed erano costrette a sottomettersi a loro o a fuggire per sottarsi alla loro furia.

Fra quelli che fuggirono per sottrarsi alla schiavitù vi era un essere umano. Lui, Nito. La sua gente fu costretta a trovare rifugio sottoterra, nelle grotte, dove i draghi con la loro mole non potevano arrivare. E fu li che la trovarono. Il fuoco brillava davanti a loro, con le sue fiamme che disegnavano molteplici volute nella loro danza, e con la sua luce che allungava le ombre dei presenti fino a renderle figure mostruose. Nito, come tutti gli altri, ne era affascinato, poichè era una cosa che contrastava dal buio e dal freddo che dominavano mondo. Ma, al contrario degli altri uomini, che ne erano intimoriti da quella manifestazione, lui ne era attratto, consapevole che la dentro si celasse un grande potere. Senza paura, Nito si gettò tra le fiamme, e il fuoco cominciò prima a bruciare la sua pelle, poi la carne sottostante, dissolvendola in cenere insieme agli organi fino ad arrivare alle ossa. Tutti gli altri osservavano sgomenti quell’orrore, fino a quando non si accorsero che le ossa di Nito non solo continuavano a muoversi, ma crescevano di dimensione, fondendosi con l’arma ben stretta nella sua mano destra, che divenne una lunga lama ricurva.

La fiamma divampò nella caverna, investendo e incenerendo qualunque umano si trovasse sulla sua strada, e quando la furia del fuoco si placò, a troneggiare in mezzo ad una montagna di ossa e teschi, rimaneva in piedi soltanto il suo scheletro gigantesco e imponente. Usò quelle stesse ossa per adornare il suo corpo, mentre le ceneri si raccolsero sulla sua schiena, formando un lungo mantello di pelliccia purpurea che gli scendeva fino alle ginocchia ossute. Il Nito che conoscevano non esisteva più: era nato un nuovo Nito, il primo tra i morti e signore della morte stessa.

Nito iniziò a vagare per le lande desolate, accorgendosi che la morte lo seguiva dovunque andava. Al suo passaggio le imponenti radici degli arcialberi si seccavano e marcivano, e ogni suo alito emanava un miasma che avvelenava qualunque cosa. Capì che la nascita del fuoco aveva portato anche alla nascita del giorno e della notte, del caldo e del freddo, della vita e della morte. E la morte aveva bisogno di un rappresentante, qualcuno che amministrasse la morte di tutti gli esseri viventi, e chi era meglio di lui, il primo ad essere morto?

Fu proprio grazie alla scia di cadaveri che si lasciava dietro al suo passaggio, che loro lo vennero da lui. Una donna vestita da un tunica blu scura, accompagnata da numerose altre fanciulle con lo stesso vestito, e ognuna brandiva un bastone da cui scaturivano fiamme. L’altro invece era un re dall’aspetto regale come mai ne aveva visto uno, accompagnato da cavalieri rivestiti di armature d’argento. Le fanciulle indietreggiarono intimorite, mentre i cavalieri, presi dalla paura, furono tentati di attaccarlo, ma si placarono quando Nito mostrò una fiamma che brillava nella sua mano scheletrica. Gli altri due fecero lo stesso, mostrando le loro fiamme e capendo che erano tutti dalla stessa parte. Il primo dei morti, la Strega di Izalith e le sue figlie del Chaos, e infine Gwyn, con i suoi cavalieri.

Nito ricordava ancora la loro battaglia per spodestare i draghi. Mentre la Strega e le sue figlie bruciavano con la loro magia gli arcialberi, dimora dei draghi, Gwyn superò le loro scaglie con le sue saette e Nito diede loro il colpo di grazia con il suo miasma mortale. Fu una dura lotta, che riuscirono a vincere anche grazie all’aiuto del traditore della sua stirpe, il Senzascaglie, Seath.

Quando Gwyn spartì i domini con gli altri lord, Nito scelse le stesse caverne dove aveva trovato la sua anima, in modo da preservare il luogo dove lui era morto e rinato. Perché la morte non aveva bisogno di grandi ostentazioni, di fasti o di grandi palazzi. La morte agiva in silenzio, nel buio, e colpiva tutti, dei e re, sacerdoti e pagani, nobili e mendicanti. Sarebbero tutti caduti in egual modo.

Ancora adagiato all’interno di quella bara, Nito avvertiva i secoli passare, e capiva che presto, il calore sarebbe cessato, e che la luce della Prima Fiamma sarebbe svanita nel buio. E senza di essa, tutto sarebbe cessato, così come la vita e la morte. Cosa che lui non poteva permettere.

Un suono, un rumore di passi. Se qualcuno era riuscito ad arrivare fin li, al limite estremo della Tomba dei Giganti, doveva possedere il Ricettacolo dei Lord. Forse era arrivato il momento che aspettava. Con un gran fragore, Nito si alzò lentamente dalla bara su cui era deposto, facendo oscillare la sua lama davanti a se. Avrebbe constatato di persona se colui che aveva fatto così tanta strada e affrontato così tanti pericoli si sarebbe rivelato degno di possedere la sua anima. E se ciò fosse accaduto, la morte avrebbe potuto continuare a regnare.


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Capitolo 3
*** La strega del Chaos - Quelaag ***


La strega del Chaos

~ Quelaag ~

Tutti a Lordran conoscono la catastrofe che si abbattè su Izalith, quando la Strega portatrice dell’anima dei Lord tentò di creare una nuova Prima fiamma per sostituire la prima, che andava man mano estinguendosi, finendo solo per diventare la madre di tutti i demoni, e i suoi figli distorti nella sua progenie demoniaca.

Ma solo chi era sopravvissuto a quella calamità poteva conoscere tutti i dettagli. Della stirpe di Izalith, solo tre ne rimanevano: Quelana nella grande palude, la nobile strega ragno bianca, sorella di un'altra strega, che mieteva numerose vittime tra chi si avventurava per suonare la seconda campana del risveglio. Quelaag, la strega del Chaos.

La sua pelle pallida e i lunghi capelli neri, che drappeggiavano sulle splendide curve dei suoi seni, avrebbero deliziato qualsiasi uomo. Tuttavia, molti credevano che l’aspetto minaccioso di quella che doveva essere la parte inferiore del suo corpo avesse inquinato anche il suo spirito, che l’avesse resa un mostro assetato di carne umana. In verità, per chi in tempi passati aveva avuto il piacere di conoscerla bene, Quelaag era una donna forte e leale, con un’incrollabile forza di volontà. Famosa in tutta Izalith era la sua testardaggine: se Quelaag si imponeva un obiettivo, lo seguiva finchè non lo portava a termine. E così è ancora adesso.

L’unico sentimento che poteva superare questa impareggiabile forza d’animo era il suo affetto per sua sorella, Quelaan. Belli erano i tempi in cui Izalith non era ancora quell’inferno vulcanico che è oggi, ma una ridente e vivace cittadella sotterranea, ben lontana dall’imponenza di Anor Londo, ma abbastanza accogliente che i suoi abitanti non fecero molto caso alla mancanza della luce del sole. Quelle erano le giornate in cui lei e Quelaan erano una coppia affiatata; lei, la corvina forte e senza paura, sempre pronta a proteggere la sua sorella albina, timida e fragile, ma dal sorriso raggiante capace di illuminare la giornata a chiunque.

Tutto fino a quel giorno maledetto. La madre le aveva convocate nell’anfiteatro per il rituale, in modo da ridurre al minimo i danni per la gente di Izalith nel caso qualcosa fosse andato storto. La loro madre aveva radunato tutti, ma proprio tutti, compreso l’ultimo arrivato, un ragazzo adolescente, l’unico maschio nella stirpe delle figlie del Chaos. Quelaag e Quelana furono chiamate ad assistere la loro madre durante la cerimonia, in quanto le più esperte nel controllo delle fiamme, mentre le altre ebbero il compito di domare le fiamme nel caso qualcosa andasse storto. E cominciò

Il rituale sembrava procedere per il meglio: la strega continuava ad alimentare la fiamma con innumerevoli umanità, principio base di accensione di ogni falò, qualcosa che ogni figlia del Chaos era capace di sopportare, ma appena raggiunse la sua fase finale, appena l’anima dei Lord venne a contatto con le fiamme, queste cambiarono improvvisamente colore, diventando di un inquietante rosso acceso, e innalzandosi in una colonna rossastra che arrivava a lambire il soffitto. Quelana indietreggiò in tempo prima di essere raggiunta da una vampata, ma tutti gli altri non ebbero la stessa fortuna. La strega di Izalith fu completamente avvolta dalle fiamme, mentre si sprigionavano delle lingue di fuoco che, muovendosi come di propria iniziativa, colpivano e bruciavano qualunque cosa capitasse loro a tiro. Il primo a soccombere fu il loro fratello minore, che, in un tentativo disperato di salvare la madre, fu anch’egli avvolto completamente dalle fiamme. Molte sorelle furono predate e colpite, e i loro corpi trasformati in qualcosa che non aveva più nulla di umano.

Quelaag si gettò su sua sorella nel tentativo di proteggerla, ma entrambe furono colpite alle gambe, che tra atroci dolori si gonfiarono e le fecero diventare simili ai centauri delle antiche leggende, mezzi umani, fusi nell’addome di enormi ragni demoniaci. Nonostante le urla di dolore, Quelaag vide con orrore anche sua madre mutare, la pelle trasformarsi in qualcosa simile a legno, mentre gli arti si allungavano come rami e radici e si estendevano a lunghezze quasi impossibili.

«Andate… via…»

La loro madre le stava implorando, con gli occhi sbarrati da quella visione tanto orribile, di fuggire e di lasciarla al suo destino. Sapeva benissimo che Quelaag non se ne sarebbe andata senza lottare, e usò le sue ultime forze per impedirle di buttare al vento la sua vita.

«ANDATE VIA!!!»

Quelaag si accorse per la prima volta di quanto fosse impotente, e fece l’unica cosa ragionevole da fare: prese Quelaan per mano e corse insieme a lei il più lontano possibile da Izalith, fino ad arrivare ben oltre, al suo limite estremo, alla tanto conosciuta campana del risveglio. In quei giorni, Quelaag pianse come non aveva mai fatto in vita sua. Mentre Quelaan non solo aveva accettato la sua nuova forma con il sorriso, ma con coraggio e compassione si era fatta carico di tutto il male degli appestati che provenivano dalla Città Infame, Quelaag invece si odiava con tutta se stessa. Secondo lei si meritava di vivere attaccata a quella mostruosità che aveva al posto delle gambe, per non essere riuscita a salvare la propria madre, e per non aver impedito che sua sorella rischiasse la vita in un modo tanto assurdo. Si sentiva per la prima volta fragile e vulnerabile, moralmente distrutta, sotto ogni punto di vista.

Non passò molto tempo, prima che qualcuno arrivasse laggiù. Appena vide quelle membra mostruose zampettare verso di lui, il guerriero attaccò preso da una paura che non conosceva eguali. Quelaag lo incenerì senza batter ciglio, accorgendosi di una piccola umanità al posto del suo cadavere sciolti dalla lava, umanità con la quale riuscì ad alleviare gli atroci dolori della sua sorella morente. Asciugandosi le lacrime dal viso, promise che non avrebbe più pianto, che non avrebbe avuto più rimpianti, che non avrebbe avuto più rimorsi. Avrebbe salvato l’unica famiglia rimastale, lo avrebbe fatto solo per sua sorella, e per nessun altro al mondo.

Chiunque da quel momento provò a suonare la campana del risveglio, non fece più ritorno, e i sopravvissuti ribattezzarono quella zona, come monito a tutti i viaggiatori, il Dominio di Quelaag.

Il ragno ruggì, non appena avvertì l’ennesimo sciocco varcare la nebbia del suo dominio, e il pavimento tremò come lui scese le scale della sua torre. Nessuno le avrebbe impedito di continuare la sua missione, ne gli spettri di Kaathe l’oscuro, ne i guardiani della principessa Gwynevere. Avrebbe affrontato chiunque, per il bene di sua sorella.



††††

~ Angolo dell'autore ~

Mi scuso se ho divagato un po’, ma ho voluto approfittare di questo capitolo anche per descrivere la caduta di Izalith e la nascita dei demoni del Chaos. Comunque, Quelaag è il secondo personaggio (dopo Gwyndolin) che più ho amato nella storia di DS. Anche se può sembrare uno di quei nemici che entri nella loro area e ti attaccano senza motivo, in realtà lei fa tutto per la sorella (e quando l’ho scoperto ci sono rimasto malissimo).

Ringrazio tutti quelli che (silenziosamente) hanno letto, in particolare moltissimo Crazymoonlight per aver recensito.

Prossimo capitolo: La volontà dell’Abisso - Manus.


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Capitolo 4
*** La volontà dell'Abisso - Manus ***


La volontà dell’Abisso

~ Manus ~

Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te.

Gli abitanti della contea di Oolacile lo scoprirono a loro spese.

Il mostro non era lui. Lui era il salvatore, il liberatore padrone di un dominio buio e tetro. I veri mostri erano quelle creature presuntuose e arroganti chiamate “esseri umani", cieche nella loro convizione che tutto sia loro dovuto, di essere padroni del mondo. Si sbagliavano di grosso. Chiuso nella sua buia cella, aveva avuto il tempo di pensare, a lungo, ancora e ancora. Gli avevano portato via tutto, la famiglia, gli amici, solo per aver creduto ad una sciocca leggenda. L’unica cosa che gli impediva di perdere totalmente il senno era un piccolo ciondolo d’argento. Non sapeva da dove provenisse, ma era legato a quell’oggetto più di qualunque altra cosa al mondo. Con solo il falò ad illuminare il tempo trascorso, attese e attese.

Fino a quando dall’oscurità della cella apparve lui, il serpente tentatore, il messaggero dell’oscurità, così si definiva. Ogni parola che usciva da quella bocca larga irta di denti spessi e squadrati trasudava di adulazione e tentazione. Poche di quelle parole bastavano a convincerti che il tuo migliore amico era il tuo peggior nemico, trascinandoti lentamente verso il baratro della follia. L’antica leggenda per il quale era rinchiuso li era vera, e il serpente diceva che lui era il messia che avrebbe potuto guidare il mondo verso l’era definitiva, l’era dell’oscurità, la sua era. Lentamente, la rabbia e l’odio si concretizzarono in qualcosa di più che semplice astio, presero forma fisica e privarono l’uomo dell’unica cosa rimastagli: la sua umanità.

Con un ruggito di rabbia che scosse le fondamenta stessa di Oolacile, il mostro appena nato colpì con la sua grande mano le mura che lo imprigionavano, aprendo le porte per il mondo oscuro dell’Abisso, ora la sua casa. Da li, avrebbe mostrato a tutti la vera natura degli esseri umani.

Da mostro che gli uomini bramavano di uccidere, ora era diventato il loro aguzzino. Con il potere dell’Abisso torturò le creature della superficie, mostrando a tutti la verità, spogliando gli abitanti della loro umanità. Non importava quanto buoni e sinceri fossero, l’Abisso fece emergere l’oscurità nei loro cuori, mutando le loro forme in ciò di più appropriato, in ciò che erano in realtà: bestie assetate di sangue prive alcuno raziocinio. E mentre i suoi ricordi andavano man mano svanendo nell’ombra, come ogni abitante che veniva trasformato, il mostro gioiva. Il regno che stava creando era bellissimo, privo di bugie, dolore e angoscia, e presto sarebbe diventato tutto come avrebbe dovuto essere all’origine: una landa uniforme dominata dalle tenebre.

Ogni cosa sarebbe caduta sotto il potere dell’oscurità, così come quel cavaliere che invano aveva sfidato il suo regno, tentando di fermarne l’avanzata. Anche i Lord erano bestie, non migliori di lui, e anche loro avrebbero condiviso il dolore che gli era stato inflitto.

****

Qualcuno camminava verso di lui, attraversando senza indugio l’oscurità. Nessuno poteva attraversare l’Abisso senza esserne corrotto, senza perdere il senno e l’umanità, e ciò spaventò il mostro, che allungò la sua enorme mano nel tentativo di trovarsi davanti quell’essere che aveva osato giungere così in basso. Stupore si dipinse sul suo volto quando scoprì che quell’umano che aveva davanti era più simile a lui che a qualunque altra creatura, ma soprattutto, che teneva in mano il ciondolo d’argento che gli aguzzini gli avevano strappato.

Qualunque fossero i suoi piani, al mostro ormai non importavano più. Quell’umano aveva il SUO ciondolo, e avrebbe pagato per il suo peccato.



††††

Capitolo corto ma intenso, dove ho tentato di spiegare cose che nel gioco pare si trovino quasi per caso (il ciondolo in primis) e ciò che ha portato alla nascita del Padre dell'Abisso. Come al solito, ringrazio tutti quelli che leggono e Crazymoonlight per aver recensito.

Prossimo capitolo: Folle ricerca – Seath il Senzascaglie.


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Capitolo 5
*** Folle ricerca - Seath il Senzascaglie ***


Folle ricerca

~ Seath il Senzascaglie ~

Immortalità.

Vivere per sempre intoccati, eterni, senza alcun remore. Tutti i suoi simili ne erano provvisti. Scaglie dure e affilate che li rendevano invincibili macchine da guerra. Tutti ne erano provvisti, tranne lui. Abbandonato da tutti, perfino dai suoi genitori, per il suo aspetto così diverso, così anormale, con quelle tre appendici troppo simili a dei tentacoli, al posto delle zampe, con quelle ali lunghe e esili, più simili a quelle di una fata che ad un drago eterno. Ma soprattutto, la sua pelle, che bianca e perfettamente liscia, aderiva ad ossa e muscoli, mettendo in evidenza un fisico magro e scarno, fragile e debole, che lasciava in rilievo le costole.

E mentre in loro si accendeva come fiamma viva la superbia, la bramosia di potere e la superiorità, nel drago albino ne cresceva uno solo. L'invidia. Scoprì la tristezza, la malinconia, e che l’invidia per i propri troppo perfetti simili si stava rivelando una terribile fonte di infelicità. Era come avere una malattia del cuore che nemmeno la sua natura di drago riusciva a curare.

Poi dal nulla venne il fuoco, e con il fuoco venne anche la diversità. Giorno e notte. Caldo e freddo. Vita e morte. Fu proprio da quella piccola fiammella che venne la loro, e la sua, rovina.

Con orrore scoprì che le scaglie rendevano i corpi dei suoi simili eterni e imperituri. Immortali. E lui non poteva esserlo giacchè privo. Il suo corpo sarebbe deperito, la sua mente scomparsa. La paura di morire, il solo pensarci si rivelò un morbo ancora peggiore dell’invidia, che lentamente si trasformò in rabbia, rabbia per ogni drago che lo aveva emarginato e scacciato per il suo aspetto. Rabbia per essere stato messo al mondo.

Seath, il Senzascaglie, decise di tradire la sua stessa razza. Alleatosi con i Lord, le uniche creature capaci di capirlo, il drago albino iniziò la sua mattanza. E alla fine, quando vide il sangue dei suoi simili macchiargli le mani, il suo gridò di dolore e di disperazione risuonò per tutta la terra. E i draghi si estinsero. La guerra tra i draghi immortali e i Lord si era appena conclusa, e Gwyn diede a tutti i sopravvissuti onorificenze e titoli. Il drago albino venne nominato duca, e un’intera biblioteca messa a sua disposizione nella ricerca di cosa lo aveva reso così diverso.

Immortalità.

Per tutti i giorni che trascorse negli archivi, quel pensiero fisso rimbombava nella sua testa. Non riusciva a pensare ad altro, se non a diventare come la sua razza che aveva odiato e distrutto.

Immortale.

Ma nemmeno i sei occhi degli stregoni che Gwyn aveva messo al suo servizio sembravano trovare risposte. Un enigma senza soluzione….

Immortalità.

Seath si rese conto che la complessità non lo avrebbe portato alla vita eterna. Il segreto dell’immortalità era decisamente più semplice, più elegante. La morte. I non-morti serbavano in se la risposta. Sguinzagliò gli stregoni per tutta Lordran, per trovare quegli esseri che ingiustamente avevano quello che gli spettava di diritto fin dalla nascita.

Immortalità.

Immortalità.

Li corruppe tutti, trasfigurò i loro corpi con il suo soffio cristallino, privandoli della loro natura e facendone suoi servi. E dalle loro essenze, riuscì a creare qualcosa che superava le sue più rosee aspettative. Il cristallo primordiale traboccante di energia, nel quale trasferì la propria anima, il frammento che Gwyn gli aveva donato, e ciò fece di lui non un semplice non-morto, ma un “vero non-morto”. Finalmente aveva ottenuto ciò che aveva sempre desiderato…

Immortalità.

Immortalità.

Tuttavia, vivere per sempre si presentò come la peggiore delle condanne, il destino più terrificante. Cercò e ricercò, lesse e scrisse, sperimentò e creò, non facendosi scrupolo ad usare come cavie giovani donne per il suo diletto. La sua conoscenza finì per renderlo folle, una follia delirante che gli fece perdere completamente il senno. Tutto il resto ormai non aveva alcun valore, tutti i suoi scritti erano solo parole vuote. Chiuso nella sua fortezza di cristallo, all'interno degli archivi maledetti, solo una cosa contava, quella cosa per cui aveva donato mente e corpo…

Immortalità.

Immortalità.

Immortalità



††††

Prima che diciate qualsiasi cosa, nella mia versione il Cristallo Primordiale è un’invenzione di Seath, e non un cimelio dei draghi (anche perché i draghi erano già immortali, quindi non se ne facevano nulla di un oggetto del genere). Ringrazio tutti quelli che hanno recensito (Crazymoonlight e Master Chopper) per il loro sostegno a continuare questa splendida raccolta.

Per il prossimo capitolo sono terribilmente indeciso tra Priscilla e Girandola. Ditemi quale dei due preferite.


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