Just Give Me a Reason

di Para_muse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Momenti d'impatto ***
Capitolo 2: *** We do somethings ***
Capitolo 3: *** Choice the name ***
Capitolo 4: *** Meet the big family ***
Capitolo 5: *** Let's go to adventure! ***
Capitolo 6: *** I promise you. I trust you. ***
Capitolo 7: *** Time to Time ***
Capitolo 8: *** We need to talk. ***
Capitolo 9: *** Several Revelation ***
Capitolo 10: *** Correct & Incorrect Choices ***



Capitolo 1
*** Momenti d'impatto ***


*spazio autrice*
Per chi mi conosce, sapeva che avrei prima o poi pubblicato una nuova storia su Jensen Ackles. Per chi non mi conosce, bhè sto finendo di pubblicare una storia su Jensen e un Nuovo Personaggio. Se a qualcuno interessa leggerla dopo questa piccola presentazione, posterò i link :3
Per il resto, spero che questa storia sia di vostro gradimento. Mi sto lanciando in un baratro…perché questa storia diciamo che non è ben definita come trama, e dico la verità se non sono quando e come finirà. Ma so di chi sto scrivendo, so chi sono i personaggi, e posso assicurarvi, che li farò miei come mai prima d’ora :)
Buona lettura,
 
1° FanFiction con Jensen Ackles/Nuovo Personaggio:
"The Second Chance" - Racchiusi in un... bookstory.
Della serie fanno parte:
FanFiction: Racchiusi in un... click.
Missing Moment dal Cap 8: The Real Vacancy of Year
Missing Moment Rossa dal Cap 21: Fire in the Water
 
 
 
1° Capitolo
Momenti d’impatto
 
La pioggia iniziò a bagnarmi tutta.
Grande.
Afferrai la borsa verde, e la strinsi al mio petto, raccogliendo anche quello che era caduto fuori.
Poi mi voltai intorno, cercando dove avessi parcheggiato la mia auto.
La mia vecchia auto.
Mi girai intorno all’isolato, e quando vidi una Ford vecchio tipo, rossa, mi avvicinai speranzosa.
Tirai fuori da una delle tante tasche dello zaino, la chiave, e infilandola, aprii la portiera mezza ammaccata.
Me la richiusi dietro, e l’odore di lavanda mi invase le narici. Il deodorante a forma di albero pendeva ancora dallo specchietto retrovisore, e mi fece così tenerezza vederlo ancora li appeso e odoroso, che mi fece quasi dimenticare le lacrime che scendevano giù.
- Forza piccola, portami fuori da qui…- mormorai, infilando la chiave nel quadro di accensione.
Un po’ di tosse dopo, il motore si accese e notai che il serbatoio era più o meno pieno, dopo il mio arrivo da Delta, una città confinante con Vancouver. La mia città natale.
Vancouver invece la città ospitante.
- Andiamo a farci un giro prima di tornare in quella topaia… - sussurrai all’auto, azionando i tergicristalli. Scivolando un poco sulla strada per via delle ruote vecchie e consumate, ingranai la prima e mi avviai per le vie della città.
Dopo un quasi un chilometro e un paio di semafori, riuscii ad accendere il riscaldamento, facendo si che l’aria uscisse almeno calda.
Le mie dita era incollate per il freddo al manubrio, e il mio fiato faceva la condensa sul freddo vetro del parabrezza. Non riuscivo a vedere bene fuori, ma mi sforzavo di andare a venti all’ora, per non fermare il traffico dietro. Cercai uno dei tanti fazzoletti usati dentro la tasca, e li passai sopra le mie palpebre per togliere via il velo di acqua salata.
Arrivata ad un ennesimo semaforo, frenai, lentamente, e aspettai che diventasse verde. Staccai le dita dal manubrio e le riscaldai davanti ai canali d’aria mezzi aperti, perché fredde e bagnate.
In teoria sarebbero dovuti essere stati aggiustati da mio padre, che adesso chissà in quale ricovero per alcolisti era rinchiuso. O mia madre, drogata e indifesa forse morta di overdose.
Forse la cosa più scontata sarebbe stata se li avessi aggiustati da sola, o meglio se avessi portato l’auto dal meccanico per fargli dare una controllatina. Cosa che non potevo permettermi visto che dovevo pagare l’affitto (che ormai era andato a farsi benedire), i corsi online ormai conclusi (ma ormai laureata) dell’Università di Vancouver, per non parlare del cibo in scatola, un giorno si e uno no, per sopravvivere.
Con la miseria di appena 350 dollari al mese, in teoria avrei potuto pagarli.
Bhè in teoria perché, come sarei riuscita a pagare i canali d’aria mezzi rotti con quella miseria?
Le mie teorie erano poche, anzi era una sola. Su quei momenti d’impatto, quei momenti di alta intensità che capovolgono dei momenti nella nostra vita, segnandoci per sempre. Ma quei momenti non eravamo noi a segnarli. Essi venivano disegnati dai ricordi della vita vissuta, con altre persone, con diverse esperienze: brutte o belle che siano, rivissute giorno dopo giorno. Come una playlists della tua musica preferita. Che la suoni e la risuoni nella tua mente, sempre.
Come il mio trasferimento nella grande città di Vancouver.
 
~ Tre anni fa, lo stesso giorno…
 
- Mio Dio, è bellissimo qui! – sussurrai, fissando la stanza in affitto insieme ad Anna, mia migliore amica fin dalle prime scuole.
- Già, meno male che mio padre ci ha trovato questo posto…chissà dove saremmo andati a finire se i tuoi ci avessero aiutato! – borbottò maldestramente, facendo una smorfia.
Il mio sguardo cadde sul pavimento e voltandomi, lasciai la mia valigia sul letto che avrei occupato.
- Già, chissà quale posto… - gli feci eco.
Sentii i passi di Anna farsi più vicini e stringendosi a me in un affettuoso abbraccio, mi fece quasi piangere.
- Non pensarci. Sei qui con me, il tuo sogno si è avverato. Andremo all’Università, e diventeremo attrici, qual è il problema Syb? – domandò, facendomi sedere sul letto, accanto alla valigiai aperta.
Il mio sguardo rincorse il suo e sorridendo timidamente, la strinsi a me.
- Nessuno, ma… mi sento in colpa per averli lasciati soli… - borbottai, cercando di trattenere le lacrime agli occhi.
- Non devi esserlo, loro non ti hanno mai amato, quanto almeno ti amo io! Siamo sorelle noi due, puoi fidarti di me! Supererai questo momento, e staremo benissimo qui! -, mi mostrò un sorriso rassicuratore e poi mi lasciò un bacio sulla guancia.
Mi fidai delle sue parole.
 
~ Tre anni dopo, oggi…
 
Ma non mi fidai delle sue non azioni.
Chiusi gli occhi cercando di schiacciare le lacrime, e togliendo dalla guancia, quelle che erano già cadute giù, non notai il luccichio di qualcosa che colpiva assiduamente lo specchietto retrovisore.
Tutto sembrò andare così a rallentatore.
Qualcuno mi stava aspettando a braccia aperte.
Era l’incoscienza.
 
 
Jensen’s POV
Se ieri mi avessero detto: “l’amore esiste anche a prima vista”; non ci avrei creduto.
Se oggi me l’avessero ribadito, allora ci avrei creduto. E mi sarei fidato…ad occhi chiusi.
 
Sybil’s POV
 
Aprii gli occhi e iniziai a sentire diversi suoni attorno a me. Suoni che prima non avevo mai sentito.
Cadenti, ritmici e il mio respiro pesante e faticoso. I miei occhi erano pesanti. Provai ad aprirli un paio di volte prima che riuscissi a mettere a fuoco qualcuno davanti a me.
Una donna e un uomo. Non li riconobbi subito. Bhè in realtà non li conoscevo proprio. Ma erano i miei dottori. Erano loro.
- E’ ancora stordita, non dovremmo opprimerla così… - dichiarò la voce femminile.
- Dovremmo iniziare a farle qualche domanda, magari chiedendo se questi documenti sono veri – borbottò la voce maschile.
- Lasci almeno che si svegli completamente, ha subbito…- sussurrò qualcuno in lontananza. Poi iniziare a vedere chiaro.
Ero in ospedale? Avevo dei dottori ovviamente, era logico.
- Ma cosa…? – la mia voce si udì così fievole che credetti non mi avessero sentito.
- Sybil…? – domandò l’infermiera, afferrando la cartella poggiata alla ringhiera di metallo ai miei piedi.
Mi chiamavo Sybil. Certo che era il mio nome.
- Si, dove sono? – sussurrai, guardandomi in torno.
- Sybil, stai tranquilla. Sei in ospedale, hai avuto un’incidente, hai sbattuto la testa ma stai bene, ti abbiamo tenuto addormentata per un po’ – mi schierii le idee con un discorso fluido e netto.
- Come ti senti? – domandò cortese il dottore, lasciandomi un sorriso pieno di appresione.
Volevo rispondere con verità a quella domanda, e mi presi un paio di secondi per capire cosa mi ero successo.
Smossi le gambe e capii che riuscivo a muoverle. Smossi le braccia che tenevo appoggiate sopra lo stomaco e potevo smuovere anche quelle. Quando arrivai alla testa, notai quando quella pulsasse forsennatamente.
Dum. Dum. Dum. Una rockband continuava a lasciarsi andare con strimpelli di chitarra, basso e batteria.
- Mi fa male la testa – sussurrai, chiudendo gli occhi, stanca del dolore insopportabile.
- Bhè, è normale, ti do’ subito un anelgesico per calmare il dolore… - costatò l’infermiera allontandosi di qualche passo.
Incidente. Com’era successo? Perché non ricordavo niente?
- Si è fatto male qualcun’altro dottore? – domandai flebile, fissando l’uomo che ai piedi del mio letto, stringeva a pugni chiusi il tubo in ferro ospedaliero.
Il suo sguardò si allarmò appena. Il mio invece non si smorzò. L’infermiera tornò indietro.
- Ma? – si voltò a domandare all’infermiera. Quest’ultima si avvicinò preoccupata e sussurrò qualcosa di strano al dottore: - E’ normale che non l’abbia riconosciuta, è un estraneo per lei… -.
Il dottore si voltò verso l’infermiera dandomi le spalle: - Ma abbiamo parlato, abbiamo pure litigato, e quando l’ho trovato in mezza alla strada, lei si è svegliata e mi ha…mi ha….- sibilò senza finire presa dalla rabbia, dolore? Cosa?
- Può essere stato solo qualcosa di momentaneo. Sono passati tre giorni dall’incidente, è possibile che abbia rimosso quel ricordo… - sottolineò l’infermiera, toccando uno spalla al dottore.
Cercai di richiamare l’attenzione per avere una risposta alla mia domanda.
- Sybil,  - mi richiamò il dottore, voltandosi. – Lo sai chi sono vero? – domandò corrugando la fronte.
A quella domanda alzai appena le spalla, piene di dolore e pesanti.
- Si, è il mio dottore… - borbottai, sospirando stanca.
- Cosa? – domandò più a se stesso che al resto delle persone nella stanza. Cioè me e l’infermiera.
Il suo sguardo si spostò da una parte all’altra del mio viso, cercando di cogliere qualcosa nel mio sguardo che gli avrebbe riacceso quella speranza che avevo perso dopo la mia risposta.
- Sybil, io sono Jensen, Jensen Ackles, la persona che ti ha trovato dopo l’incidente…e che… - sussurrò, avvicinandosi, e sedendosi su una parte del letto, allungò una mano per cercare la mia.
Jensen Ackles?
Chi era Jensen Ackles?
Tirai indietro la mano, e fissando con sguardo spaventato, mi rivoltai verso l’infermiera.
- Io non lo conosco… - sussurrai.
- E’ normale Sybil, non ricordi molte cose…magari iniziamo dalle più basilari…sai il tuo cognome? – domandò l’infermiera cercando di cambiare argomento.
Ma il mio pensiero era fisso su quell’uomo, e su quello sguardo, che ostinato, continuava a guardarmi.
- Sybil Quest – risposi.
- Quanti anni hai? –.
- Ventinove anni -.
- Quando sei nata? -.
- 14 aprile 1982 -.
- In che anno siamo? -.
- Gennaio 2011 -.
- In quale città ti trovi adesso? -.
- Delta -, risposi.
L’infermieri stava per fare l’altra domanda, quando si fermò. Mi fissò stranita.
- Sybil, non siamo a Delta. Siamo a Vancouver – dichiarò l’infermiera con espressione preoccupata, ma con sguardo abbastanza sicuro di quello che stesse dicendo.
- No, è impossibile…siamo a Delta. Dov’è mia madre? – domandai, fissandomi intorno agitata.
- E’ tutto okay, Sybil. Tua madre non sappiamo dove sia. Tu sei da sola a Vancouver, hai detto così a Mister Singer quando hai fatto il colloquio per il lavoro di assistente! – dichiarò l’uomo al mio fianco, stringendomi una mano.
Sgusciai dalla presa, e mi tirai indietro, cercando di non star accanto alle fandonie che quell’uomo ancora sputava fuori a casaccio.
- Quale colloquio? Quale lavoro? Io vado all’Università…devo prendere il treno! Chi è Mister Singer? – domandai agitandomi a dir poco in una maniera esagerata.
Chi erano queste persone?
- Non sei ancora laureata? Avevi detto… - borbotto Jensen, voltandosi a fissare il vuoto.
- Cosa? Io non lavoro, sto insieme ad un’amica… Anna si chiama… - borbottai, ricordando un volto paffuto e capelli neri e corti.
Flash si precipitarono a quel volto. Liti, parole, gesti. La mia testa iniziò ad esplodere.
- Ha bisogno di riposare, lasciamo stare, riproviamo più tardi. Mister Ackles vorrebbe seguirmi? – domandò l’infermiera, indicando la porta della camera.
Mister Ackles mi lanciò uno sguardo e prima che potesse uscire, mi fece una promessa.
- Ricorderai… tempo a tempo. Io sono qui – sussurrò, lasciando la stanza con passo svelto.
Fu l’ultima volta che lo vidi per quel giorno. Dormii l’intera notte, tra sogni ed incubi.
Iniziai a ricordare.
E poi a dimenticare.
- Ho litigato con la mia migliore amica. L’ho ricordato stanotte. Abbiamo pure alzato le mani, me lo ricordo…come se fosse successo ieri… - sussurrai all’infermiera, quasi con vergogna.
- E’ già un buon passo! Ricordare è un buon passo, ed è solo l’inizio. Sarebbe meglio mettere sotto sorveglianza i ricordi… prenderai quasi ce ne sarà bisogno alcune pillole che ti prescriverò. Non farne abuso mi raccomando – sottolineò lasciandomi nella stanza sola, in balia del buio più totale.
Dove abitavo?
Cosa facevo nella vita?
Lavoravo per davvero come assistente in uno studio? E di cosa poi?
E l’università? Andavo a quella di Vancouver. Il corso di teatro. Ci andavo ancora? O meglio ci andavo. Ero a Vancouver. Perché non a Delta?
Quante domande senza risposta.
Avevo bisogno di qualcuno che sapesse darmele. La mia famiglia. Dov’era?
Alcol. Droga. Già, vero. Io non abitavo più con loro.
Perché? Erano i miei genitori in fondo.
- Vi lasciò un po’ da soli – sussurrò l’infermiera, risvegliandomi dal vortice dei pensieri. Alzai lo sguardo e vidi di nuovo quell’uomo di nome Jensen, avvicinarsi a letto in una vesta diversa da ieri. Sembrava più…lui.
- Ciao Sybil, come stai? – domandò con voce cortese, sedendosi ai piedi del letto.
 
Jensen’s POV
 
Lo sguardo di Sybil restò a fissarmi per un po’ di tempo prima che iniziasse a parlarmi.
- Bene e…tu? – domandò tentennando, come a decidere quale tono usare, quale tipo di persona usare.
- Bene. E tu va bene, tranquilla… - sussurrai, avvicinandomi un poco, per togliergli una ciocca di capello castano scuro dal viso.
Appena vide la mia mano allungarsi verso il suo viso, si tirò indietro come una tartaruga. Lascia che la mia mano cadesse sul materasso. Corrugai la fronte e cercai di capire cosa non andava in lei.
- E’ tutto okay, cosa c’è che non va? Sono Jensen, un tuo amico… - sussurrai, cercando di tirarla su di morale…
I suoi occhi si sgranarono e restarono a squadrami per un po’, prima di scuotere la testa quasi mortificata.
- Sul serio… hai detto di chiamarti? – domandò non ricordando il mio nome. Più che logico.
- Jensen…Jensen – borbottai appena.
- Ricordavo Justin. Bhè Jensen, non che non ti voglia a male, o che non ti voglia conoscere, ma sul serio, io non mi ricordo di te, non so chi tu sia, cosa faccia… ma nella mia mente, non ricordo nessuno che possa associare a te – concluse, triste, cercando di sforzarsi per essere gentile.
Le sue parole non mi ferirono per niente. Anzi, mi fecero più battere il martello sul ferro ancora caldo.
Avevo deciso, l’avrei aiutata, costi quel che costi, l’avrei fatto. In tutti i modi possibili e immaginabili. Nessun trauma cranico mi avrebbe ostacolato e aiutato a far ritornare la memoria ad una ragazza così sensibile.
- Lo so, ma sono l’unica persona a parte Misha che possa aiutarti. Jared è troppo impegnato con sua moglie. Sarebbe troppo inutile. – dichiarai, ridendo divertito.
Il suo sguardo si fece più vacuo, e pensai che forse di quello che avevo appena detto, lei non ci avesse capito nulla.
- Scusami, hai ragione, tu non sai di cosa sto parlando, o meglio di chi…forse magari quando usciremo da qui, te li farò conoscere – sussurrai, sorridendo calorosamente.
Il suo sguardo si fece timido e sorrise appena: - Io quindi…verrò con te? Non mi riporti a casa? A Delta? – domandò quasi curiosa.
Quella domanda mi lasciò un po’ di stucco, e riportai quello che Robert mi aveva consigliato.
- Avevi detto che la tua residenza è ormai a Vancouver. Hai una casa qui, ma non sappiamo dove si trova. Magari possiamo informarci… - sussurrai, ripensando alle parole di Misha, che mi aveva pregato di non parlare sulla situazione “casa”.
Lei non doveva sapere. Avrebbe dovuto rinascere…
- Forse abito vicino all’università. Dovrò fare un certificato medico per le assenze… - mormorò tra se, risvegliandomi dai miei pensieri.
- Cosa? Università? No, tu sei già laureata. Sei un attrice a tutti gli effetti adesso… -. – Cosa? – squittì quasi scioccata.
- Si, l’hai presentato per il colloquio… - le ricordai nuovamente.
Scosse la testa, e strinse le mani a pugni. Le vene sulla fronte le si ingrossarono.
- Come faccio a non ricordarlo? Cosa mi è successo? – borbottò con rabbia, fissandomi con gli occhi pieni di liquido trasparente. Lacrime. Stava per piangere dal nervoso.
- Ehi, Sybil. È tutto okay, può capitare… hai avuto un incidente d’altronde anche più tosto scontroso – borbottai ricordato il camion in mezzo alla strada, mentre la sua auto rossa, era schiantata sul palo del semaforo di fronte, dove il suo corpo era steso sul cofano anteriore.
- Cosa è successo? – domandò ancora una volta. Ormai era scontato rispondere a tutte quelle sue domande. Una tira un’altra. Come i baci.
- Non avevi la cintura di sicurezza, non avevi le catene alla macchina, non ti sei accorta che il semaforo era verde. Il camionista non si è accorto di te, ti ha preso in pieno da dietro e… - espirai tristemente, e alzai le mani in aria come a voler evidenziare che fosse ovvia la cosa.
- Ti ho ritrovata distesa sul cofano anteriore, con il parabrezza completamente rotto in mille pezzi. Hai la testa dura eh? – ridemmo insieme, e il suo sorriso provocò il mio, prima che il suo muso triste, facesse di nuovo lo stesso effetto.
- Mi fa male tanto però… - sussurrò, toccandosi la tempia.
- La dottoressa aveva detto che può succedere, e molto volte anche quando sarai fuori dall’ospedale. Ti prescriverà riposo e medicina, poi passerà…tranquilla – le strinse una mano nelle mie, senza che me ne potessi rendere conto, questa volta, strinse anche lei la mia.
- Jensen? – mi chiamò, invitando il mio sguardo a rialzarsi dalle nostre mani strette. Le sorrisi sapendo quando fosse strano per lei, dire il mio nome.
- Si? -.
Tirò un sospiro di sollievo, e ricambiando il sorriso esclamò: - Non ti ho ancora detto grazie -.
Il mio sguardo si fece serio e le mie spalle si alzarono involontariamente, prima ancora di sorridere di nuovo contento.
- Bhè l’hai appena fatto -.
E lei rise divertita, contenta e sincera, per la prima volta, nella sua nuova vita.
 
 
*spazio autrice*
 
Allora, se qualcuno mi ha già letto, sa che alla fine di ogni capitolo, troverò lo spazio autrice, dove mi spiego e dove parlo del capitolo.
In questo non c’è molto da dire. Avete ben capito la storia come si baserà. Tra diversi POV’s e Flashbacks, andremo avanti e indietro nel tempo.
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, e se c’è qualcosa che non avete capito su trauma cranici e altro, basta dirlo, mi sono documentata, e di certo posso rispondere a qualsiasi vostra domanda. :) per chi mi conosce, sa che amo fare ricerche prima di scrivere qualcosa del tutto sbagliata; se quest’ultima dovrebbe per forza essere scritta in quel modo, bhè sappiate che amo immischiare molto la fantasia alla scienza xD
Un grosso bacio, e al prossimo capitolo, che non so bene quando arriverà…
 
Para_muse

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Capitolo 2
*** We do somethings ***


*Spazio Autrice Iniziale*
Scusamite tanto, ma vi spiego tutto alla fine. Ho aperto solo questo spazio autrice qui sopra solo per avvisarvi che ho cambiato titolo da:
"La vita che avrei voluto"
a
"Just a Give me a Reason" 
Solo perchè mi sono accorta che il titolo di adesso si attiene meglio alla trama e alla storia in generale :)
A voi il capitolo :)






2 Capitolo
 
We do somethings

 
Sybil’s POV
 

~ Tre anni fa…
 
- Dunque chi si propone per questa parte? – esclamò il professore, alzando il copione. Anna non ci mise un secondo di più ad alzare il braccio.
Io non ero abbastanza brava per la parte di Julietta, ma non potevo fare altro. Perciò avrei deciso di fare da sfondo al palco, quando sarebbe andato in scena il dramma.
- Nessun’altro? – propose il professore, scrutando il volto delle altre ragazze, compreso il mio, abbastanza timido.
- Io, professore, vorrei farlo io! – squittì Anna, contenta.
Il professore, alzò le spalle, e allungò il braccio. Prima che potesse consegnarlo però, qualcuno di colpo mi fece alzare il braccia, tenendolo su.
- Guardi professore, Sybil vorrebbe provarla! – esclamò di colpo Ben, un ragazzo del corso di teatro. Molto carino, simpatico ed efficiente, aveva avuto la parte di Romeo senza che il professore ci avesse almeno pensato due volte.
Bhè non potevamo avere nessun dubbio nemmeno noi compagni. Era molto bravo. Avrebbe fatto strada, soprattutto carriera.
Quando sentii la sua mano, stretta con una morsa delicata alla mia, sentii un brivido percorrermi le vertebre, mentre il mio sguardo si allargava spaventato, fissando il suo, sorridente e sicuro di se.
- Signorina Quest, vorrebbe leggermi qualche passo? – domandò, sorridendomi cortese il professore, passandomi il copione che avrebbe dovuto essere tra le mani di Anna.
 
~Tre anni dopo…
 
- Questa è la tua camera – borbottò Jensen, aprendo la porta di una camera a quattro muri, tinti di un beige caldo e accogliente.
Entrai zoppicando un po’. Avevo scoperto all’ospedale che non riuscivo a camminare abbastanza bene, avevo una piccola slogatura al piede, ma era una cosa di niente. Poteva risolversi benissimo con una fasciatura da cambiare ogni tanto.
- Ti ringrazio Jen-sen. Sei molto gentile – sussurrai, voltandomi a fissarlo, sorridendogli.
Il suo fu un sorriso di ricambio, ed entrò di seguito a me, per poter poggiare poi la valigia sul letto coperto da una copertina di lana e una trapunta marrone. Colori perfettamente abbinati all’ambiente. Era un uomo squisitamente preciso sulla sistemazione delle cose, in generale. Me ne ero accorto appena entrata in casa, quando avevo visto il suo bel salotto sistemato, la sua cucina era moderna. Il resto della casa era abbastanza minimalista. Bianca, beige. Luminosa. Ariosa.
Forse stavo facendo caso alla casa solo perché non avevo mai visto una casa del genere.
- Ecco qui, se hai bisogno del bagno, e la porta in fondo al corridoio. Se hai bisogno della cucina o della tv, sai dove trovare tutto. Per il resto se dovessi sentirti male, di notte… la mia stanza è a sinistra, quasi di fronte alla tua – sussurrò, portandosi una mano alla nuca, cercando di far qualcosa. Si spostò su un piede ad un altro, e notai che non fosse abituato ad avere gente in casa.
A partire dal suo modo di fare. Era imbarazzato. Forse non aveva mai avuto una ragazza a casa.
- Grazie. Grazie mille anche per avermi ospitata. Insomma… non starò molto qui, appena cercherò casa, lascerò la tua libera – dissi, avvicinandomi alla valigia per aprirle e prendere un cambio di abiti. Quelli che mi aveva portato Jensen non erano male, ma una tuta sarebbe stata più comoda, mentre jeans e maglia mi stavano così stretti e mi sembrava di soffocarci dentro.
- Okay. Ehm io vado di la. Quando finisci raggiungimi pure se vuoi…e Sybil? – mi chiamò, vedendomi concentrata a cercare nella piccola valigia vestiti che non ricordavo avessi mai visto.
- Si? – risposi, voltandomi a guardarlo negli occhi, sorridendo appena.
- Tranquilla, puoi restare quando vuoi… - disse, lasciandomi una carezza sul braccio. E mi lasciò così, con un brivido a percorrermi dove mi aveva appena sfiorata.
 
Jensen’s POV
 
Sentii il rumore della porta del bagno chiudersi, e la chiave della toppa non girare. Bene, iniziava a fidarsi di me allora.
Sorrisi contento, e mi stravaccai sul divano, accendendo la tv. Mi accorsi che il dvd era accesso e mi avvicinai per togliere “Barbie e il Lago dei Cigni” dal lettore e lo chiusi nella sua custodia, riponendolo sullo scaffale dove c’erano tutti gli altri cartoni.
Sorridendo notai che non era ben pochi. Holly era fuori di sé dalla gioia per avere tutta colazione di Barbie in un colpo solo.
Chissà come stava in quel momento.
Afferra il telefono portatile dal suo posto, e composi il numero a memoria di Padalecki.
- Ehi Jenny – esclamò J.
- Ehi Pada ciao. Come va? Tutto apposto spero… - borbottai al ricevitore, allungando un orecchio verso il bagno, dove scroscia l’acqua nella doccia.
- Tranquillo, io e Holly ce la stiamo spassando. Tu invece? Come va con la ragazza? Ricorda? – domandò.
- Non ancora, ricorda solo le cose basilari. Vediamo di fare progressi a partire da domani. -.
- Pensi che possa ricordare magari se preferiva te e biscotti o bacon e uova strapazzate? Ma dai, ha bisogno di ricorda cose più serie! – esclamò ridendo, e tossendo allo stesso tempo.
- La dottoressa ha detto che è meglio iniziare da cose più piccole… - borbottai, sentendo dei rumore provenire dal bagno.
- Ah, se lo dicono loro… bhè buona fortuna amico. E tranquillo, Holly qui se la spassa con Genevieve. Stanno giocando a monopoli, e tua figlia ci sta rompendo il cul…! -. – Jared! Per favore, non far imparare a Holly un simile linguaggio! – esclamai inorridito, avvicinandomi alla porta del bagno, bussando piano.
- Scusami amico! – e rise divertito, riprendendosi poco dopo dagli spasmi, disse qualcosa a qualcuno che era li presente (Genevieve molto probabilmente) e poi lasciai che la mano bussasse di nuovo, senza aver nessun risposta.
- Devo andare -, esclamai di colpo preoccupato, spegnendo il telefono, infilandolo nella tasca di dietro.
Mentre mille pensieri mi attraversarono la mente, bussai un’altra volta e la mia voce uscii più spaventata di prima.
- Sybil, sto aprendo la porta se sei… - aprii lentamente la porta, e appena fui a metà tra l’aperto e il chiuso notai qualcosa bloccarmi l’entrata, e dita flebili toccare terrà come se fossero morte.
- Sybil! – esclamai preoccupato, aprendo piano la porta, evitando che si facesse male. Quando riuscii a entrare, la prima cosa che feci fu sistemarle il braccio che si era piegato in un brutto modo.
Poi, la voltai, perché era caduta sulla spalla destra, e quando la distesi a terra, notai un piccolo bernoccolo che si stava formando nella tempia.
“C’è ne voleva un altro!” pensai irritato, accarezzandole il voto con una carezza, aspettando che si riprendesse da uno dei tanti svenimenti che sarebbero susseguiti nel corso dei mesi, o degli anni. La dottoressa l’aveva ben specificato.
Questione di pochi secondi e si sarebbe ripresa. Incrociai le dita e attesi…
 
Sybil’s POV
 
- Sybil, ehi Syb, svegliati piccola… -.
Le parole di Jensen mi risvegliarono come un pugno nella pancia. Sentii la nausea pervadermi. Perciò quando aprii gli occhi mi orientai verso la ceramica fredda del wc, gettandoci la testa quasi dentro, vomitando quello che avevo mangiato a pranzo in ospedale. Poi appoggiai l’avambraccio sul bordo a vi appoggiai la fronte, tirando un sospiro di sollievo, mentre il petto mi si liberava da un peso.
E un forte mal di testa mi pervase, facendomi chiudere gli occhi.
- La dottoressa l’aveva previsto – sussurrò Jensen, appoggiando una mano ad accarezzarmi la guancia, mentre scendeva più sotto facendomi un massaggiò alla schiena, lento e rilassante.
Mi fece tirare un altro sospiro di sollievo, cercando di compensare il dolore alla testa e la nausea che persisteva ancora. Ed ecco un’altra ondata di…
- Devo vomitare… - borbottai appena in tempo, per sollevarmi per fare c’entro dentro al water. Jensen non ci mise nemmeno un secondo a raccogliermi i capelli in una crocchia tra le dita, lasciando che l’altra mano facesse su e giù lungo la mia schiena, facendomi rilassare.
Quando la nausea sembrò andar via, mi abbandonai al suo abbraccio.
- Tutto okay? Ti fa male ancora la testa? – domandò gentile, ma con tono preoccupato.
Scossi la testa chiudendo gli occhi per un colpo di sonno improvviso. Forse era la stanchezza dovuta a questi giorni pieni di stress.
Chissà cosa avevo fatto i giorni prima dell’incidente… avevo un lavoro?
- Hai ancora la nausea? Ti fa male la pancia o il collo? – domandò, passandomi una mano sulla fronte, togliendomi il velo di sudore che si ero formato.
Scossi di nuovo la testa e sussultai appena, quando Jensen, sfiorò un punto vicino alla tempia destra.
- E’ un piccolo bernoccolo tranquilla, ora passiamo una pomata… - sussurrò, alzandomi da terra di peso, prendendomi in braccio. Prima che andasse in camera gli vidi afferrare un paio di cose, poi ci dirigemmo in quest’ultima, chiudendo la porta, e accendendo il climatizzatore in modo che la stanza si riscaldasse.
Non ebbi nemmeno il tempo di appoggiare la testa sulla sua spalla morbida, che mi appoggiò sul letto che adesso era mio, lasciandomi un attimo scoperta ed infreddolita nella sola biancheria intima che sembrava essere nuova.
Semplice e dalle misure perfette.
- Jensen – sussurrai quasi allungando le braccia verso qualcosa di caldo come il suo corpo.
Gli vidi aprire la piccola valigia che avevo spostato vicino all’armadio, e lo guardai cercare qualcosa a casaccio tra gli altri vestiti. Quando sembrò trovare quello che cercava tornò da me con un pigiama a stampa. Orsacchiotti precisamente.
Sul suo viso era dipinto un sorriso divertente e sincero. – Non sapevo amassi gli orsacchiotti! – esclamò trattenendo un ghigno.
“Bhè neanche io” riflettei tra me e me, lasciando che il mio viso si corrugasse, afferrando con una mossa repentina il maglione e i pantaloni, infilandomeli di corsa.
- Bene, vedo che ti è passato tutto! – rise divertito, osservandomi mentre mi sistemavo uno dei cuscini al petto, nascondendo la fantasia di quell’orrenda “cosa”.
Gli lanciai uno sguardo omicida.
- Okay, okay…ehm… - tossicò appena, portandosi una mano alla nuca, imbarazzato come quasi una mezz’oretta prima?
- Io sono di la… - borbottò di nuovo, indicando la porta. Io annuii, e notai come eravamo passati dalla essere confidenti l’un nell’altro, a due persone sconosciute qual eravamo.
- Okay, io penso di andare a letto. Ho sonno e sono molto stanca… - sussurrai, voltandomi a indicare il letto mezzo sfatto.
- Okay, io…ehm…più tardi passo a darti un’occhiata, la dottoressa ha lasciato delle prassi da seguire…quindi…okay, buon sonnellino – sussurrò, avvicinandosi alla porta, e chiudendola dietro le sue spalle, non prima però di avermi lanciato uno sguardo preoccupato.
“Cosa faremo veramente, Jensen?” pensai preoccupata anch’io, fissando la stanza anonima e sconosciuta che mi circondava. Abbassai lo sguardo ai miei piedi dove c’era lo smalto rosso che torreggiava sulle unghie. Sgranai gli occhi e mi fissai inorridita.
Io smalto rosso? Lo usavo veramente? Avrei dovuto comprare quello strano liquido per toglierlo via…com’era il nome?
Alzai le gambe per distenderle lungo il materasso coperto da un piumone morbido e profumato alla lavanda.
Mi piaceva. Sembrava essere il profumo di fiori che preferivo di più… anche se l’odore di muschio sulla pelle che mi aveva lasciato il bagnoschiuma di Jensen, mi piaceva comunque. E lo shampoo dalla bottiglia grande e gialla con quel profumo di miele e di bambino, era così buono da sentirlo addosso. Mi faceva ricordare l’infanzia. Mi faceva ricordare quando la zia mi lavava i capelli insieme alla mia dolce cuginetta.
I ricordi di bambina mi perseguitarono un dopo l’altro, e cercai di sforzarmi, mentre i ricordi avanzarono fino all’età dei tredici anni, quando feci la prima conquista… il mio primo ragazzo.
E poi… il vuoto.
E di nuovo l’adolescenza, i miei genitori, l’Università. E altro vuoto.
Cos’era successo alla mia memoria? Perché era andata perduta così? In un semplice battito ciglia?
- Jensen? – chiamai.
Senza rendermene conto mi ritrovai alzata in mezzo al salotto ben arredato, con l’adulto a volte sconosciuto e a volte in confidenza che mi fissava dalla testa ai piedi nudi, mentre tra le braccia tenevo il cuscino come se potesse proteggermi dai demoni del passato.
Si era demoni che non avrei potuto sconfiggere, senza un aiuto…
 
Jensen’s POV
 
Fissai Sybil con sguardo preoccupato. Mi tirai su dalla spalliera, voltandomi con il busto teso verso di lei.
- Cosa succede? Stai male? – domandai, fissando la ragazza un po’ sorpresa e un po’ indecisa sulla risposta da darmi.
In piedi nel suo pigiama, con le dita dei piedi che le si arricciavano come a nascondersi, e il cuscino che le faceva da scudo. Sembrava una bambina con i primi problemi da adulta.
- Sybil… - sussurrai, facendomi scivolare il suo nome sulla lingua come il succo del frutto della passione.
- … vieni. Non ti mordo mica… - borbottai, sorridendole dolcemente, facendole spazio nel lungo divano. Si avvicinò tentennando, e quando si sedette tesa e dritta con le spalle, lascia che le mie mani si comandassero da sole.
Le allungai verso di lei, tirai indietro i suoi capelli, e poggiai i palmi sulle sue spalle, cercando di farla rilassare.
- Non ti mordo stai tranquilla… - ripeti facendo roteare i pollicini sui muscoli che sembravano annodati tra di loro.
Sembrò rilassarsi e stiracchiarsi quasi. Poi emise un sospiro triste, che mi fece allungare sopra la sua spalla, fissandola con un sopracciglio alzato. Lei quasi si spaventò, e tirandosi indietro, con una mano al cuore, mi fece ridere di cuore.
Quando sembrò un attimo riprendersi, si ricompose, appoggiandosi alla spalliera, stringendo sempre a sé il cuscino con cui dormiva.
- Non riesco a dormire… i pensieri mi affollavano la mente. Cosa posso fare? – domandò con voce così bassa, che ci volle più di una sforzo per riuscire a capirla.
Le sue labbra si strinsero in una linea sottile, come se fosse preoccupata. Bhè lo era, ma non come lo ero anch’io.
Involontariamente seguii il suo esempio e mi morsi le labbra in una morsa stretta mentre cercavo di pensare a qualcosa da fare. Di certo non poteva portarlo di nuovo all’ospedale, non c’era nulla da fare se non riuscire a pensare come farla ricordare.
La mia mente mi faceva spesso un brutto scherzo quando pensavo a lei, al mondo per aiutarla. Perché mentre pensavo, mi scervellavo, i momenti dell’incidente mi venivano davanti come un flash. Boom. Baam. Crash.
E poi il suo volto così familiare, come se l’avessi vista, ma una nebbiolina nella mia mente, non mi faceva ricordare come, dove e quando è stato…
Dove ti ho vista?
La fissai attentamente. Fissai i suoi tratti segnati e allo stesso tempo da bambina innocente.
La sua fronte aggrottata, le sue ciglia a forma una via tra gli occhi che mii fissavano cauti e impauriti. Di quel così chiaro ma allo stesso tempo unico e misto nel suo genere. Tra un castano dorato e un verde appena accennato, per poi sfumare in un blu cielo così intenso e sconvolgente.
Tutto fu così involontario che non mi accorsi quando la mia mano si allungo su per la sua guancia appena arrossata dal mio gesto, mentre la pelle calda e soffice si surriscaldava sotto i miei polpastrelli, che scivolarono più in alto, come a voler appianare le piccole rughe di espressione.
- Cosa fai? – sussurrò lei con una voce da ragazza.
Non mi accorsi del suo sussultò quando tentai di avvicinarmi al suo viso per un bacio. Sybil si tirò indietro e si portò il cuscino davanti al viso, nascondendosi dietro il riparo morbido.
Scossi la testa più volte, cercando di riprendermi dal quello stato confuso. Sbattei più volte le palpebre e la fissai senza che la patina di desidero mi offuscasse ancora la mente.
Dove ti avevo visto Sybil?
- Scusami io… - sussurrai piano, cercando di allungare una mano di nuovo, come a rassicurarla. Peccato che ottenni il contrario. Spaventata, si alzò con un salto dal divano, impigliandosi sulle sue stessa gambe. Quando fu al in piedi, aiutandosi con una mano sul bracciolo del divano, si allontanò dal salotto di corsa, chiudendo la porta della sua camera con un leggero tonfo.
Potei giurare di sentire la chiave girare nella toppa.
“Jensen, cosa hai combinato?” pensai innoridito.
 
Sybil’s POV
 
~ Tre anni fa…
 
- Oh, Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre…eh..ehm… - dimenticai la battuta e il professore scatenò la sua ira contro di me.
- Sybil, dimentichi ancora le battute? Assurdo, non mi era capitato di avere alunni così scadenti! – sbottò, lasciando cadere il copione sulla scrivania, uscendo di colpo dal teatro, dove ci abbandonò nelle posizioni da copione.
Ben mi fissò sorridendomi con conforto, mentre un braccio si allungava per stringermi in un abbraccio. – E’ tutto okay, adesso torna – sussurrò, carezzandomi i capelli.
Dopo solo una settimana io e Ben avevamo legato molto. Non so come ci fossi riuscita visto che ero timida, e abbastanza contraria a relazionarmi con maschi. Lui però era speciale. Mi faceva ridere e piangere allo stesso tempo. Divertente e da una parlantina facile, mi faceva stare male quando i pensieri della mia famiglia mi affollavano la mente, distraendomi. Lui c’era a tirarmi su di morale, e mi ero così affezionata che avrei fatto fatica quando ci saremmo infine laureati e quindi ci saremmo divisi per sempre, ognuno per la propria strada.
- Faccio pena, lo so Ben, non c’è bisogno che l’ometti! – sussurrai triste, trattenendo singhiozzi e lacrime sulla sua spalla.
- Non è vero, tranquilla – sussurrò stringendomi più forte, quando stavo per sciogliere l’abbraccio.
Senza coscienza, mi lasciai stringere ancora una volta in quell’abbraccio così strano, diverso dagli altri, quasi più intimo.
~ Tre anni dopo…
 
“Sono così ingenua?” pensai, mentre il ricordo del bacio sconvolgente che venne dopo quell’abbraccio, durante quei ricordi, mi faceva rivivere i momenti che erano appena passati con Jensen. Sconvolgenti e nuovi per me, come se quello che stava per succedere in salotto fosse la prima volta.
Ero così innocente come credevo? Mi sembrava tutto così strano, non mi sentivo me stessa. Forse ero così ma non sentivo quelle strane azioni come le mie. Le mie giornate erano diverse più movimentate, le prove lo mostravano.
I tatuaggi, uno al polso e l’altro sul piede, che avevo notato solo sotto la doccia. Le unghie tinte di rosso e i segni dell’abbronzatura sul sedere.
Com’era la vera la Sybil?
La mia mente si riempii di nebbia quando provai a ricordare ancora una volta, e il dolore di testa mi portò a stringere il cuscino al petto, appoggiandoci in parte la testa.
I miei occhi si chiusero e i pensieri si dissiparono nel sonno ristoratore.
 
*spazio autrice*
 
FINALMENTE DIRETE VOI?
MA ANCHE NO! (direi io)
 
Lo so, sono mancata per un bel po’, ma da quando ho finito “Racchiusi in un… click!” non ho avuto molto tempo per scrivere, perché mi sono occupata di una pagina, e della mia pagina di grafica: Gilraen’s Graphic. Dove le richieste ne arrivano parecchie. Per di più c’è stato il mio compleanno, e niente, sono stata MOLTO, MOLTO, MOLTO INDAFARATA.
Ma adesso eccomi qui, con un nuovo capitolo tutto per voi. Spero vi sia piaciuto.
Non so come spiegarvi in generale questo capitolo, ma c’è qualcosa di nuovo in esso, e non so se avete letto di una certa Holly…secondo voi chi è? :D
Per il resto, il trauma di Sybil la porta ad avere tutti questi primi sintomi che vi ho elencato nel capitolo. Nausea, mal di testa, cambi di umore. Insomma mi sono aggiornata su questo tipo di patologia e ho seguito wikipedia allla lettera u.u
Spero abbiate capito diciamo per ora come funzione appunto questo tipo di trauma.
E che dire ad un prossimo capitolo, sperando che sia veloce da scrivere, e che abbia almeno un po’ di tempo per farlo :)
Un abbraccio e un bacione. Soprattutto grazie per essere ancora qui.
 
PARA_MUSE

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Choice the name ***


Finalmente dire voi!? Ebbene si sono qui :D Non vi resta che augurarvi una buona lettura, ma prima volevo ricordarvi che "Racchiusi in un click" ha iniziato il betaggio, quindi ho il piacere di dirvi che il primo capitolo è betato e per bene ;D Andate a dare un'occhiata qui.

Enjoy...
 


 
Capitolo 3
Choice the name

 
Sybil’s POV
 
La luce del mattino entrò dalla piccola finestra che dava in una delle tante finestra sui vicoli. Mi alzai dal letto morbido e così diverso da quello che ricordavo la notte scorsa. Fissai il materasso e lo vidi coperto da un lenzuolo color panna. Mi stupii di vedere qualcosa di così bello e pulito. Perciò inizia ad avere le palpitazioni quando mi accorsi che non era nella mia stanza tra i vicoli più malfidati di Vancouver. Ero a casa di qualcun altro… Jensen.
Poggiai i piedi a terra, nella morbida moquette dello stesso colore delle pareti – beige -  e mi fissai attorno, guardando la mia nuova stanza. Già il primo giorno della mia nuova vita…
Chissà come sarebbe passato.
Mi diressi verso la valigia che era ancora da disfare, e iniziare ad aprirla e a tirare fuori vestiti così diversi tra di loro.
Alcuni sembravano troppo maschili ed altri femminili, ma tutti con qualcosa in comune: ancora il cartellino del prezzo attaccato; Mi domandai perché fossero nella mia valigia visto che non avevo fatto acquisti…cioè non potevo, visto che ero stata in ospedale tutto quel tempo; e poi non avevo avuto il tempo di mettere il naso fuori dalla porta, e vedere almeno in quale parte di Vancouver mi trovassi. 
Acquietai i miei pensieri cercando di ordinare un po’ le idee su quello che avrei fatto quella mattina. 
Intanto vestirmi, ovvio. Poi magari avrei fatto il giro della casa, mentre Jensen ancora dormiva, o almeno sembrava così, visto il silenzio che regnava tra le mura.
Scelsi un paio di leggins morbidi, mi piaceva stare comoda, non volevo qualcosa di troppo stretto e fasciato come erano un paio di jeans tra i vestiti nuovi. Mi sembravano troppo femminili per una ragazza come me. O per quella me che conoscevo. Magari la “me” che non ricordo amava quelle cose: lustrini, pagliette e altre robe.
Presi una maglia lunga da abbinarci sopra, l’intimo – abbastanza semplice anche quello -  e mi diressi in bagno cercando di fare meno rumore possibile.
Mi chiusi la porta alle spalle con un udibile “click” e poi a passo felpato e scalzo mi avvicinai alla maniglia dorata a pochi passi da me, sembrava andare tutto secondo i piani, quando sentii qualcuno russare forte… mi scappò un mesto riso divertito che cercai di tappare con la mano libera. 
Jensen russava, qualcosa in più sul nuovo coinquilino che aveva cercato di baciarmi. Già. Quel pensiero mi affollò la mente e mi fermai quasi sconvolta a fissare la parete, come se in quell’istante ci fosse proiettato gli attimi della sera precedente. I suoi occhi verdi mi avevano messo paura…ed euforia da fangirl.
Cosa strana, al quanto strana. Come se li ricordassi in una serie tv…
Scossi la testa e cercai di fare mente locale per l’ennesima volta delle azioni che avrei dovuto compiere quella mattina. Come un robot programmatore.
 
Misi tutto in forno e mi sedetti su uno dei sgabelli alti e lineari della cucina di Jensen, che ancora le sette, dormiva beato in camera sua, mentre io tra fruste elettriche e microonde molto sonoro, avevo preparato i cupcakes. Quelli che amavo mangiare da bambina insieme a nonna.
Avevo pulito il casino dal grande ripiano sull’isola, e adesso come una sconsolata aspettavo fissando l’orologio che almeno fossero passati trenta minuti di cottura.
Sbruffai e stanca di stare appoggiata come una statua greca annoiata, scesi con un saltellino dallo sgabello e mi guardai attorno, avvicinandomi alla sala relax-soggiorno. Alzai lo sguardo verso alcuni scaffali strapieni di cd, dvd e libri. Dai più vasti generi, rock, blues, metal, classica; horror, sentimentale, comico e animato; dai titoli più improbabili come Sarò tua, ai classici Romeo e Juliette al genere di F. Scott Fitzgerald “Il grande Gatsby”. Jensen aveva molti generi diversi tra di loro, ma mi accorsi che avevano tutti un collegamento comune o quasi. 
Erano in ordine di genere per le tre categorie differenti: dvd, cd e libri. L’angolo dell’animazione prendeva un bel po’ di spazio. I vari classici Disney padroneggiavano molto, e classici fumetti di Topolino erano in risalto tra le copertine scure degli Horror. Era un maniaco della perfezione?
Mi piaceva l’ordine, e molto. Guardandomi in giro non vedo un calzino fuori posto in quella stanza pulita e minimalista. Jensen sapeva il fatto suo.
Iniziai a sentire l’odore di muffin quasi pronto quando avvertii una presenza alle mie spalle molto silenziosa.
Sgranai gli occhi e le palpitazioni salirono alle stelle. La testa iniziò a pulsarmi così forte che credetti mi stesse per scoppiare.
- Ciao – sussurrò la bambina dagli occhi cielo, scrutandomi come se fossi un alieno. Magari lo sembravo. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma le parole mi mancarono, non riuscii a lasciar passare nessun suono. Qualcosa mi aveva sconvolto.
- Come ti chiami? – mi domandò la bambina avvicinandosi a me di qualche passo. Nel suo body rosa si avvicino a me con il suo coniglietto di peluche tra le braccia.
- Sybil – sussurrai aggrottando la fronte per la difficoltà di quelle parole. Ed era soltanto il mio nome.
- Io mi chiamo JJ Holly Ack-les. Tu sei la mia nuova mamma? – domandò avvicinandosi ancora per allungare le braccia verso le mie. 
Quella tenerezza fu un pugno in pieno viso. Mi sentii cedere le gambe e caddi in ginocchio con un tonfo. Le palpitazioni toccarono vette così altre, che potetti giurare di sentire i tintinnii delle campane del paradiso suonare per il mio arrivo.
- PAPA’! – urlò la bambina e poi riconobbi il paradiso della quiete.
 
- Sybil svegliati, ehi… - sentii qualcosa di forte uccidermi i sensi. Essenza di limone. La riconobbi quasi subito. Sbattei più volte le palpebre prima di riuscire a capire da dove venisse.
Vidi la mano di Jensen ritirarsi un poco, e notai una boccetta piena zeppa di quel liquido giallo. – Toglimi quella boccetta di davanti – borbottai con voce secca, cercando di cacciare via la nausea che mi assalì la pancia e la gola, che sentii stretta, quasi come se non potessi respirare.
- Papà, papà secondo te la mamma starà bene? – domandò la voce squillante di una bambina preoccupata.
- Holly?! Quante volte ti ho detto che nessuno è la “nuova mamma!” – borbottò con tono di voce un po’ troppo alto per una bambina di soli quanto? Cinque, sei anni?
- Holly? – tentennai, attirando l’attenzione della bambina. – Sto bene Holly, non preoccupati – sussurrai, sorridendole in modo amichevole.
La bambina mi fece un sorriso sdentato ma comunque pieno di affetto e prima che suo padre potesse mandarla in camera sua a cambiarsi per essere pronta alla scuola, mi donò il suo coniglietto di peluche. – Spero che Dean possa aiutarti a guarire, lui è molto bravo con me quando mi scotta la fronte – sussurrò diventando tutta rossa, prima di scappare via correndo.
Appoggiandomi sui gomiti mi tirai su e la fissai scomparire nel corridoio, poi abbassai lo sguardo sul peluche che strinsi quasi con ossessione al petto, senza fare caso alla presenza inquietante che avevo alla mia destra, ancora inginocchiato come se avessi ancora bisogno di aiuto. 
- Posso farcela… ce la faccio – mi alzai con qualche difficoltà, ma ci riuscii senza il suo aiuto. Mentre mi pulivo dalla polvere sui leggins scuri, vidi una macchia bianca di impasto per dolci e ricordai i cupcakes in forno. Quasi urlai dallo spavento. 
- Cosa c’è adesso? – domandò preoccupato, venendomi dietro. Aprii il forno di corsa e… niente fumo, niente roba bruciata, tutto in ordine. 
- Sono in frigo, ho messo già la glassa. Vuoi smetterla di preoccuparti di tutto? Ci penso io a questa casa, a questa cucina, a te… e ad Holly. – sussurrò infine con un sospiro amaro.
Holly. E chi se l’aspettava che Jensen fosse padre.
- Quanti anni ha? – domandai involontariamente, sedendomi per lo stato di stanchezza che mi si attaccò dietro la nuca. Appoggia la guancia su un palmo e  lo fissai, li in piedi davanti al forno chiuso, che si tira con una mano il contorno delle labbra contorniate dalla leggera barba del mattino ancora sfatta.
- Cinque anni e mezzo, e… - non sapeva come continuare. Sì, si era creato dell’imbarazzo, ma cercai di scongelare un attimo la tensione che mi attanagliava la mente.
- Senti, non ho nulla in contrario che lei possa pensare che io sia sua madre, capisco, una bambina di quell’età si aspetta sempre che qualcuno… - venni interrotta dalla sua mano che si fermò per aria come per chiudere un discorso.
- Non sei la persona adatta in questo momento Sybil, non ci conosciamo, non ti conosci tu stessa, non ricordi nulla, mi svieni e mi stressi ogni giorno, ho una bambina a cui badare, e una bambina un po’ più grande a cui pensare che saresti tu, quindi per favore non farmi la predica da donna vissuta perché in questo momento non lo sei! – borbottò con tono concitato, chiudendo le mani in un pugno mi fissò serio. 
E mi mise paura. Non aspettai che mi dicesse altro, scesi dallo sgabello quasi con difficoltà sotto il suo sguardo minaccioso, e corsi a chiudermi nella mia stanza come sua figlia aveva fatto poco prima.
 
Sentii bussare alla porta e mi rigirai nel letto aprendo lentamente gli occhi pensanti dal sonno.  Dissi “avanti” e la maniglia prima che girasse ci impiegò un po’; poi però vidi qualcosa che pendeva da essa. Due braccine che spinsero con forza la porta. 
- Ciao – esultò Holly, lasciando andare la porta al padre che dietro di lei apriva completamente la porta con il palmo aperto sul legno bianco.
- Ciao – gracchiai con voce assonnata. Repressi uno sbadiglio e fissai la bambina che prima si avvicinò con un sorriso amichevole, poi timido.
- Forse ti ho disturbato vero? Cosa stavi sognando? – domandò sbattendo le palpebre più volte, stringendo un nuovo peluche. La domanda un po’ mi spiazzò ma sorrisi e allungandole un braccio a toccare il pelo folto dell’orsacchiotto, scossi la testa e alzai le spalle per come potevo fare nella mia posizione.
- Tu non sogni? Tutti sogniamo, Cinderella canta pure una canzone sui sogni! – dichiarò annuendo e smuovendosi nella sua tenuta da scuola.
Iniziò a dondolare avanti e indietro e mi ricordò tanto me stessa, quando da bambina mi fissavo allo specchia per ore, cercando di passare il tempo con l’amica immaginaria.
Era così triste sapere di non averne una vera solo perché la mia mamma non voleva altre bambine a casa nostra.
- Holly tutti sogniamo, certo che anche Sybil sogna mentre dorme – sussurrò Jensen, facendogli una carezza sui capelli, trovando un modo per avvicinarsi a letto, sedendosi dove le mie gambe non erano distese.
- Papà allora perché Sybil non ha… ho giusto, l’uomo cattivo! – disse mettendo il muso e stringendosi ad una gamba del padre, possente e grande quanto lei.
- Holly! – sussurrai quasi stupita, sgranando gli occhi a quel gesto inaspettato. Una bambina tanto impaurita da sciocchezze e leggende sceme create dagli adulti ancora più scemi.
- L’uomo nero non esiste, ed io non sono riuscita a sognare perché… perché ero così stanca da non riuscire a farlo. Magari avrò sognato un bel principe azzurro e nemmeno lo ricordo. – sorrisi dolcemente e alzai lo sguardo involontariamente verso quello di Jensen. Io suo sorriso sparì quando ci fissammo entrambi negli occhi. Sembrava strano, ma mi sembrò rabbuiarsi un po’ quando, abbassò poco dopo il viso verso quello della sua bambina invitandola ad uscire un attimo, perché doveva parlare con me.
Mi preoccupai un po’, e le soliti palpitazioni presero ad occuparmi il petto e la mente, cercando il karma in qualche cassetto dentro la mia testolina.
“Sta calma, un bel respiro, sta calma!” cercai di ripetermi, mentre fissavo la bambina correre verso la porta, aprirla con qualche difficoltà e poi uscire fuori dalla stanza a tutta velocità, lasciando la porta socchiusa.
- E’ una bellissima bambina – sussurrai involontariamente, alzando lo sguardo verso il suo. Lui annuii e si sedette sul bordo. Mi tirai un po’ indietro al centro del letto per fargli più spazio.
- C’è qualcosa che non va? – domandai con tono innocente. Lui abbassò lo sguardo sulle sue mani grandi e rosse per il freddo inverno.
- Volevo, volevo scusarmi per l’atteggiamento di stamattina. Non mi sono comportato da vero padrone di casa quale sono. Infondo sono stato io ad ospitarti e non lasciarti per strada – sussurrò cercando di trovare altre parole giuste, senza riuscirci.
Lo fissai quasi stupita, non spensavo venisse a chiedermi scusa, anzi più che altro avevo iniziato a pensare dove andare se Jensen non si fosse presentato nella mia stanza a chiedere scusa, anche se avevo pienamente ragione alla fine.
Ero una bambina in un corpo da donna, che cercava di crescere e imparare quello che doveva e non doveva fare.
- E’ tutto okay, ho capito benissimo la tua reazione alla discussione, in fondo è tua figlia, tua e di tua moglie – sottolineai, lasciando un veloce sguardo alla mano sinistra, non notando nessuna fede.
Lui alzò lo sguardo ridendo divertito. – Non sono sposato, per l’amor di Dio, dovrà nevicare ed esserci il sole e solo allora Jensen Ross Ackles farà una fatidica proposta di matrimonio alla donna della sua vita! – borbottò tutto fiero, alzando un pugno in aria.
Risi divertita di quella scenetta, e mi tirai indietro appoggiandomi alla testate, fissandolo meglio.
- Allora sarà una compagna? Come si chiama? – domandai curiosa fissandolo attentamente in volto.
Lui alzò le spalle e scosse la testa. Poi tirò un sospirò sconsolato e cerco nuovamente le parole adatte.
- E’ una storia lunga, e voglio spiegartela una volta per tutte: Holly è orfana da parte della madre. Cioè in realtà sua madre esiste, ma non sappiamo chi è. Ho cercato in tutti gli ospedali possibili e immaginabili per avere notizie sulla madre e la data di nascita di Holly, ma non ho saputo proprio nulla. Cioè solo la data di nascita della mia orsacchiotta ma della madre nessuna notizia – borbottò contrito.
Socchiusi lo sguardo dubbiosa. 
- E allora… -  non mi fece nemmeno concludere.
- Come hai saputo dell’esistenza di Holly? Me l’hanno lasciata come se fosse un pacco posta dentro un cesto per bambini agli studios dove lavoro. Puoi pensare com’è stato al quanto scioccante per me vedermi recapitare qualcosa del genere. Ho dato un po’ di chiacchera alle persone – sussurrò abbassando lo sguardo, come se fosse imbarazzato. Ma non doveva esserlo, lo ero io per avergli fatto una domanda tanto privata e indicibile.
- Scusami, sono stata di poco tatto. Dovrei farmi gli affaracci miei, ma non devi vergognartene, anzi dovresti essere fiero di aver cresciuto una così bella e splendida bambina. 
- Si è vero, è una bellissima bambina – disse alzando lo sguardo verso la porta, come a voler fissare un fotogramma di Holly.
- Hai scelto tu il nome? – sussurrai stringendomi le gambe al petto, appoggiando il mento sulle ginocchia.
Sorrise e si voltò verso di me, appoggiando la fronte sui pugni chiusi. Scosse la testa e rise spensierato, al ricordo forse di qualche momento familiare passato.
- L’ha scelto mia sorella, e non è l’unico! – sbottò ridendo divertito. Lo fissai incuriosita e corrugando la fronte mormorai un: - Ne ha altri? -.
Lui annuii e mi disse il nome completo: - Justice Jay Holly Ackles. Il primo l’ha scelto mia madre. Jay glielo scelto io, volevo qualcosa di semplice… -. – A dir poco semplice, Jensen – sbottai ridendo divertita. Un così piccolo nome non poteva eguagliare una bambina così perfetta. 
-… e Holly alla fine gliel’ha scelto Mackenzie! Diceva che non era giusto, che pure lei doveva metterle il suo, e ha scelto quel nome un po’ comune. Alla fine è uscito JJH – borbottò, facendo una smorfia che mi fece sorridere.
- Sembra quasi un nome di una serie tv: JJH! Scena del crimine – esclamai, ridendo all’espressione di sdegno che gli provocai a Jensen.
- Ma è un bel nome. Mi piace tanto Holly, anche se Justice è molto più bello da sentire. Lei lo sa? Il suo nome completo?  - domandai curiosa. Jensen annuii e mi spiegò che a scuola rispondeva molto al suo primo nome, mentre al secondo o al terzo rispondeva in famiglia.
- Quando mi fa arrabbiare di solito uso il suo primo nome, oppure quello completo – disse sorridendo sghembo.
Mi misi a ridere al sol pensiero di pronunciare quel nome così lungo in momenti in cui il tempo è essenziale.
- Prima che tu possa riuscire a sgridarla, sarà scappata in camera sua a farsi due risate per le cose birichine che avrà combinato poco prima! Jensen mi fai cadere le braccia così! – risi tenendomi la pancia per il forte dolore che provai al costato. Cercai di non darlo a vedere, ma era sempre meglio farsi due risate che tenere il muso.
- Lo so è un po’ lungo da urlare, ma riesco ad ottenere un po’ di attenzione e paura soprattutto. Lei lo sa, trasgredisce una regola, papà le detta la punizione – disse serio, alzando il dito per accompagnare le parole con i gesti.
Io scossi la testa e ci restai delusa. – Così la traumatizzi, e le insegni cattive abitudini che si porterà con se fin alla nascita e alla crescita dei suoi figli – sussurrai seria, fissandolo dritto in quegli occhi così armoniosi. Non mi resi conto nemmeno della sua risposta, troppo intenta a fissarlo negli occhi. 
Solo poco dopo mi accorsi della sua mano che mi svolazza davanti cercando la mia attenzione.
- Scusami non era nel focus della discussione, dicevi? – domandai confusa, pensando a quello di cui parlavamo.
- Niente, tranquilla, sei stanca posso capirlo – sussurrò preoccupato, fissandomi attento. Mi sentii quasi in imbarazzo. Mi toccai la fronte, i capelli, un vizio che ho avuto fin da bambina, cercare di apparire più tranquilla e normale possibile.
- Che c’è? Ho qualcosa che non va? – domandai con tono di voce basso, poco udibile. Conseguenza del mio imbarazzo improvviso.
- No, è tutto okay, ehm…vado. Se mi cerchi sai dove trovarmi e se hai fame lascerò qualcosa nel microonde, pronto per essere scaldato – disse, alzandosi dal letto e allontanandosi verso la porta, si fermò con la mano sulla maniglia.
- Sybil? – mi chiamò attirando nuovamente la mia attenzione.  – Si? -.
- Il tuo nome è solo Sybil, o ne hai un altro? – domandò curioso, corrucciando la fronte. Io sorrisi e scossi la testa.
Lui alzò le spalle e fece una smorfia con le labbra, come per dire “non male”: - Penserò a qualcosa di diverso, Sybil è troppo lungo! – sbottò così, senza chiedere il mio parere.
Misi il finto muso e lo fissai scettica: - Sentiamo allora cosa avresti in mente? Ti ricordo che Sybil è sempre meglio di Jensen che non esiste proprio! – esclamai indicandolo con un dito.
Lui socchiuse gli occhi come se fosse stato colpito nel vivo. Sorrisi con aria di sfida e aspettai un suo responso.
Ci mise un po’ per rispondermi ma quando lo fece mi lasciò senza fiato.
- Memory. E’ carino ma troppo lungo. Memo sarebbe perfetto: corto e adatto alla situazione – mi lasciò un ultimo sguardo di sfida prima di aprire la porta e uscire, scansando così un cuscino dalla sua traiettoria.
- Razza di ignorante e stupido, guarda che ti chiamo Justin, come quel ragazzino tutto acne che di cognome fa Bieber, mi ha sentito? – urlai scendendo dal letto, rincorrendolo per il corridoio.
 
 
Le urla di tre bambini che si rincorrevano, tra cui una realmente bambina, e altri due un po’ bambin-oni arrivarono fin al centro di Vancouver.
Non mi ero mai divertita così tanto in vita mia! Non ricordavo delle rincorse o lanci di cuscini nei momenti trascorsi da bambina. 
Più che altro ricordavo la nonna che mi faceva giocare con impasti di dolciumi, pane e pasta. Non ricordai per niente se mia madre mi avesse mai portato al parco, solo la nonna mi accompagnava sulle altalene, spingendomi e facendomi urlare divertita, arrivando quasi a toccare il cielo.
La mia tenera e dolce nonna.
- Papà che cosa ha Sybil? – borbottò in lontananza la voce di Justice mentre la memoria cercava ancora di farsi spazio nella mia mente.
- Niente orsacchiotto, è solo un po’ stanca vero Sybil? Syb? Memo! – sentii quel nuovo nome familiare e le palpebre si chiusero più volte prima di mettere a fuoco Jensen che mi stringeva una mano tra le sue.
- Cosa mi sono persa? – sussurrai sorridendo a Holly che incuriosita dalle mie azioni, mi era salita addosso bussando in testa.
- Terra chiama Sybil! Eravamo preoccupati che un demone o un angelo ti avesse presa! – borbottò con qualche difficoltà sorridendomi poi divertita.
Corrugai la fronte e fissai stupita Jensen chiedendo delle spiegazioni su quell’affermazione al quanto strana da parta di Holly.
- Cose del mio lavoro… - borbottò quest’ultimo cercando di trattenere un risolino.
- Lavoro? Demoni e angeli? – domandai sconvolta e incuriosita.
- Non lo sai? – sbottò scioccata Holly scendendo dalle mie braccia e facendosi largo tra il divano e il basso tavolo che occupavano il salotto.
- Papà è un super… super-eroe! E’ Dean Winchester! Il cacciato-re di tutti i tempi! – disse facendo la morsa di una pistola con le manine e sparando per finta dritta verso di noi.
Sgranai gli occhi scioccata, voltandomi una volta verso il “supereroe” e una volta verso la bambina che doppiava il lavoro del padre.
- Cosa diavolo succede qui dentro? – sbottai ridendo isterica.
Jensen mi appoggio una mano sulla spalla. - Ho una lunga cosa da raccontarti su di me – sussurrò nascondendo un sorriso.
 
*spazio autrice*
 
Finalmente sono tornata. Con un nuovo capitolo più lungo del solito e più strano del solito. Non so dove le mie manine e la mia poca fantasia mi hanno portato ma eccomi qui con questo capitolo dove parlo un po’ di tante cose. 
Del nome di una bambina che poi si scopre essere la figlia di Jensen. Cose troppo complicate che si immischiano ad altre e la prima litigata dell’ospite con ospitante. Insomma non mi sono risparmiata proprio nulla u.u la sadica che è in me sta tornando e.e
Per il resto spero sia stato un po’ chiaro, insomma si sono conosciuti solo in una piccolissima parte e hanno chiacchierato un po’ del più e del meno. Si è stato un mezzo capitolo di passaggio.
Ah volevo avvisare che ho intenzione di far scegliere a Sybil un nome tra i tanti di come chiamare la piccola Holly (che non mi piace tanto come nome per questo ho aggiunto la parte strana dei nome in questo capitolo) quindi penso che Justice Jay (Come si chiama appunto la vera figlia di Jensen tanti auguri a lui *-*) sia perfetto. Contrarie a questo? Spero di no.
Poi alla fine è tornato un po’ la memoria a Sybil, cosa strana non credete? xD Un po’ di memoria per il capitolo ci vuole dai u.u
Vabbè, chiudo così le note, sennò mi dilungo oltre e niente…
That’s it!
 
Xoxo Para_muse
 
 
 

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Capitolo 4
*** Meet the big family ***


Già sono qui :) P.S: Vi ricordo che "Racchiusi in un...click" è in betazione :D

Enjoy...



4 Capitolo
Meet the big family

 
Sybil’s POV
 
Jensen mi trattene per l’intera serata tra chiacchiere continue sulla sua vita, sul suo lavoro e sulla sua grande famiglia.
Si enorme direi. Non avrei mai pensato che l’uomo che mi aveva soccorsa e poi aiutata in una maniera molto umana, dal mio punto di vista, considerando che mi stava ospitando a casa sua, non conoscendomi e senza che io possa aiutarlo finanziariamente, visto che non ricordo nemmeno che lavoro facessi.
Il suo l’avevo scoperto da poco e mi aveva stupito non molto, ma tanto. Jensen Ross Ackles era l’attore più acclamato degli ultimi anni o quasi, così aveva definito Justice suo padre: “piace a tutte, piace anche ai miei peluche”; come dar torto ad una bambina di soli cinque anni? Era di una bellezza mozzafiato, spesso i suoi occhi non mi aiutavano a mettere a focus la situazione, e certamente non c’entrava proprio nulla il fatto che io avessi subìto o meno un grave trauma cranico, che mi riportava continui giramenti di testa, e altri casini che complicavano il legame di coinquilini che io e Jensen stavamo cercare di adottare e di applicare insieme alla presenza di JJ.
Di certo non ero il massimo come coinquilina. che non ricordava nemmeno cosa preferiva tra bacon o insalata. Alla fine scoprii addirittura che ero allergica alle carote.
I pensieri confusionari mi scombussolarono la mente, mentre cercavo di pensare alla vita che Jensen affrontava giorno dopo giorno.
Attore. Pagato, stra pagato. Ed io era una coinquilina. Chissà che invidia avrebbero provato certe ragazze sapendo quanto io fossi fortunata.
Risi divertita e pulii il resto del bagno prima di andare a letto e rilassarmi un po’ per la notte, prima che l’indomani sarebbe arrivato, e nuove avventure si prospettavano davanti. Come una visita al posto di lavoro di Jensen. Un po’ come incontrare la sua famiglia. Leggermente più grande. Molto grande.
Sospirai e prima di dirigermi a letto, passo per la porta e controllo che in corridoio la luce sia spenta, ma noto ancora che è accesa. Dirigendomi verso l’interruttore passo per la stanza di Justice Jay e noto che la porta è socchiusa e, che qualcuno mormora dentro. La apro lentamente e sento una voce profonda ma soave cantare un motivetto intonato e sconosciuto:
- Someone’s always coming around here/Trailing some new kill/Says ,I’ve seen your picture on a Hundred-dollar bill/What’s a game of chance to you/Here is one of real skill/So glad to meet you, Angeles… - sussurrava a ritmo Jensen ad una dolce e quasi addormentata JJ. Sembrò un quadro così perfetto che stavo per andare via, ma mi fermai quando sentii la voce sonnolenta di JJ  che diceva di cantarne un’altra.
Non resistetti e aspettai che riiniziasse a cantare.
- She's got a fine sense of humor when I'm feeling down /And I'm running to her when the sun goes down /She takes away my trouble, she takes away my grief /She takes away my heartache and I go right to sleep. She give me love, love, love, love, crazy love /She give me love, love, love, love, crazy love…dolce notte Jay Jay – sussurrò piano Jensen allontanandosi dal letto di Justice, venendo verso la porta. Mi sorprese così tanto che non mi accorsi mi stesse togliendo dalle mani la maniglia della porta.
- Ssh – mi fece segno di zittirmi, anche se lo ero già, e chiudendo piano la porta, tirò un sospiro di sollievo e sorrise quasi felice.
- E’ così dolce – sussurrai appena con le labbra, preoccupata di svegliare la bambina tra le braccia di Morfeo.
Lui tirò su un angolo della bocca e lasciandomi una pacca sulla spalla, mi lasciò dov’ero dirigendosi verso la sua stanza. In silenzio feci lo stesso e attendendo sulla soglia aspettai che spegnesse le luci per augurargli buona notte.
Prima che potessi pronunciare le parole, fu lui a farlo, e spegnendo le luci mi diede solo il tempo di dire: - Sogni d’oro – e mi chiusi la porta alle spalle, sentendo ancora l’eco di quelle parole intonate nella stanza accanto.
 
Mi risvegliai per via delle urla di Justice che per qualche motivo non suscitarono le urla di rabbia di Jensen. Mi preoccupai e alzandomi dal letto, notai che già erano le otto e Jensen forse era già a lavoro. Mentre io ero ancora a letto, aspettando che la sveglia fasulla suonasse alle sette.
Mi diressi verso al porta e quando l’aprii vidi un uragano dirigersi verso il bagno. Justice Jay si tirava i capelli urlando qualcosa tipo: - Non vanno bene papà! Devi farle dritte! Odio andare  a scuola con i capelli sciolti, sono lunghissimi e mi danno tanto fastidio! – esclamò adirata, fissandomi poi sorpresa.
-Sybil! Scusa se ti ho svegliata, ma papà è proprio una frana con i miei capelli! – disse ironicamente, saltellando per fissarsi allo specchio. Quella scena mi fece così tenerezza che mi provocò il primo sorriso mattutino.
Prima che potessi dirigermi in bagno, attraversando il corridoio, Jensen mi tagliò la strada ed entrò prima che potessi aiutare JJ a guardarsi allo specchio.
- Tesoro mi dispiace tanto, proviamoci di nuovo ti va? – disse Jensen con tono dispiaciuto, cercando con la spazzola di districarle i nodi alle due code storte.
- No, ahi, fa male papà! – esclamò mettendosi il muso per dolore, singhiozzando anche. Non potendo vedere più il labbro inferiore di Justice Jay tremolare mi avvicinai e mi proposi come hair-style improvvisa.
- Posso provarci io, dai lascia fare a me Ackles! – esclamai allungando la mano alla spazzola che teneva tra le mani. Me la porse dopo una smorfia triste con le labbra, e lasciandogli una pacca sulla spalla, presi posto appoggiandomi alla vasca, facendo poi avvicinare Justice Jay tra le mie gambe.
- Ecco tesoro adesso abbassati un po’, magari vuoi sederti qui sullo scalino? – dissi, indicandogli lo scalino che permetteva un migliore accesso alla vasca idromassaggio.
- Ti prego Sybil, non mi fare male, ho la testa che mi brucia– sussurrò tristemente voltandosi, mostrandomi i suoi occhietti lucidi. Mi fece una così tenerezza che le lasciai un bacio sulla fronte, facendola poi girare. Ed inizia. Lentamente, come se fosse un massaggio alla spa. Prima tirai via gli elastici e poi ciocca per ciocca inizia a pettinare i capelli, dalla cute alle punte. Sentii quasi un sospiro di sollievo da parte della bambina, che mi portò a sorridere e a fissare Jensen che ci fissava più che stupito. Troppo contento per parlare, continuava a fissare JJ con un sorriso da un orecchio all’altro.
- Facciamo una treccia? Ti va? E’ più alla moda! – dissi convincendola. Perciò quando districai tutti i capelli, divisi le ciocche in due e feci una di quelle a lisca di pesce.
Con i suoi capelli lunghi e morbidi, venne così perfetta che quasi mi commossi al pensiero di un lavoro così facile da fare, ma perfetto nella riuscita.
Attorcigliai alla fine un solo codino e sorridendo, appoggiai una mano alla spalla per farla alzare e girare, sistemandole i ciuffetti di capelli che le scapparono sul davanti, le sistemai con una moletta colorata che trovai in un cestino li vicino, pieno di mollette di quel tipo. Avrei scommesso che Jensen al mattino le acconciava i capelli con tante forcine. Povera Justice Jay.
Quando fini le lascia un buffetto sul nasino piccolo, e afferrando per le ascelle, me la portai in braccio per farle vedere allo specchio il risultato.
Lei esclamò tutto contenta e stringendomi forte in un abbraccio mi lasciò un grosso bacio sulla guancia, quasi soffocandomi.
- Ma non c’è di che! – esclamai sorridendo divertita. Jensen ci fissava dallo specchio tutta contento e sorpreso dagli gesti della figlia, che poi prese per mano portandola in cucina per metterle lo zaino in spalla.
Io li seguii nelle azioni quotidiane di ogni mattina, almeno per loro, ma azioni nuove per me, che mi fecero quasi impressione.
Justice Jay mi salutò con la manina prima di uscire fuori di casa con il suo giubbotto imbottito verde.
- Ci vediamo tra poco, tu fai colazione con tranquillità – mi raccomandò Jensen, uscendo anche lui per accompagnare a scuola la piccola.
Annuendo li fissai andare via dalla finestra dell’ingresso, poco dopo, feci colazione con tranquillità come mi aveva suggerito Jensen: cornetto caldo e thè all’inglese.
Quando finii quel momento un po’ grata che potesse esistere un momento di pace, mi diressi nella mia stanza a prepararmi. Quando Jensen ormai fu di ritorno, io lo aspettavo in salotto, seduta a guardare la tv che faceva un po’ di zapping.
- Già pronta? Wow pensavo di trovarti ancora chiusa in bagno – borbottò passando i piedi sul tappetto. Fuori aveva iniziato a piovere? Non me ne ero accorta.
- E’ meglio che metto qualcosa di più pesante forse? Fa freddo? – domandai preoccupata. Lui annuii e si avvolse una sciarpa intorno al collo, aspettandomi davanti la porta. Mi alzai dal divano e spegnendo la tv, mi diressi nell’armadio dove avevo ordinato i vestiti e afferrando un giubbotto e un paio di guanti con la sciarpa, mi diressi da Jensen bella imbacuccata.
Gli sorrisi e battendo le mani dissi: - Andiamo a questa famosa gita su un set? – domandai con tono prettamente ironico. E lui lasciandomi un buffetto sulla guancia con le dita fredde, mi aprii la porta e chiudendosela poi alle spalle, ci dirigemmo verso la macchina quasi di corsa per ripararci dalla pioggia.
 
Arrivati agli enormi studios mi meraviglia del continuo traffico che c’era. Persone che andavano e venivano con tanto di attrezzi in spalla, persone con copioni in mano, e persone con tanto di cinture piene di strumenti per il make up, aggiustando e ritoccando la base di qualche comparsa che ci sarebbe stata in quella scena. Appena qualcuno notò Jensen al mio fianco, venne chiamato a destra e a sinistra ricordandogli gli orari da rispettare per la postazione capelli, make up e addirittura chiacchera con il regista, per un chiarimento della scena.
Insomma un set tenuto sotto controllo e in fermento. Più che rimanere scioccata, restai muta come un pesce lesso.
- Quindi, cosa ne pensi? – domandò sorridendomi, fissandomi, mentre il mio sguardo andava da una persona ad un’altra, fissandoli incuriosita. Potevo sembrare invadente con quei continui sguardi, ma ero come una bambina nel mondo dei dolciumi.
- E’ magnifico qui, un po’ confusionario, ma mi piace! – dissi, sorridendogli appena, continuando a fissarmi intorno. Mentre il mio sguardo cadeva su un mostro, più che una persona travestita in un fantasma, sentii qualcuno scherzare con Jensen alle mie spalle, mi voltai e notai un omone alto quasi due metri e forse poco più, ridere e prendere a pugni scherzosamente Jensen. Sorrisi per quell’affetto espresso in quel modo – come due cuccioli che giocavano nel fango – e mi avvicinai di un passo a loro.
Jensen si voltò verso di me, allargando un braccio per avvicinarmi ancora.
- Jared ho il piacere di presentarti Sybil, la ragazza smemorata! – esclamò sorridendo divertito per quell’affermazione. Gli sorrisi divertita anch’io, e allungai una mano a quell’enorme di Jared.
- Jared Padalecki, il fratello più alto di Jensen! – esclamò, stringendomi la mano molto calorosamente.
Aggrottai la fronte e presentandomi alla fine gli chiesi: - Fratello? Ma lui fa Ackles di cognome – borbottai dubbiosa, lui mi avvicino a lui con una spintarella e abbassandomi – di parecchio -  al mio orecchio, borbottò: - La nostra amicizia è molto, ehm… compatta? Ma mi definisco il più alto perché qualcos’altro in me è abbastanza alto!– esclamò poi indicando qualcosa con il dito, verso il proprio cavallo dei pantaloni.
Aggrottai ancora una volta le sopracciglia e concentrandomi un altro po’ capii… non riuscii a ridere completamente trasportata dalla battuta un po’ troppo spinta, ma cercai di apparire il più entusiasta possibile.
- Bella battuta! – sbottò Jensen annoiato, spingendolo per una spalla; dopodiché prima che Jared potesse riuscire a ribattere, mi lasciò con un batti cinque, perché richiamato dai ragazzi della troupe.
- Ci vediamo più tardi sulla scena BigJ – sbottò Jensen salutandolo. Voltandosi verso di me, mi invitò nella postazione di regia presentandomi un po’ a chi governava tutta la squadra.
- Sybil, Robert Singer, produttore esecutivo. Eric Kripke creatore di questo speciale progetto. Sera Gamble produttore anche lei, e poi il resto della crew: Ben, Jeremy, e ce ne sono altri che ti presenterò molto presto – disse lasciandomi andare a varie strette di mano e ad un “piacere” ciascuno.
- La ragazza smemorata eh? – esclamò Singer, fissandomi in volto. Sorrisi timidamente e cercai di dare una spiegazione che alla fine venne data da Jensen.
- Purtroppo si, mi tocca farle un po’ da babysitter, quindi pensavo… - l’uomo dai baffi bianchi non lasciò finire Jensen e disse: - Tranquillo ragazzo, potrà restare sul set per tutto il tempo, naturalmente al costo del silenzio purtroppo –.
- Ma certo! Sarò muta come un pesce! – dissi, tappandomi la bocca. L’uomo mi sorrise e prendendo una sedia l’avvicinò a quella che sembrava la sua. – Ecco puoi anche sederti qui e fissare le riprese se vuoi – mi invitò sorridendomi cordiale.
- Sarebbe perfetto! – esclamammo nello stesso momento io e Jensen, e dopo esserci fissati sorridemmo divertiti.
- Allora, ve l’affido, ehm, Robert puoi venire un secondo, devo parlarti – disse Jensen, allontanandosi con il signor Robert, lasciandomi seduta con il resto della crew a fissarmi incuriositi.
- Come va? – cercai di sdrammatizzare. Gli altri mi sorrisero cortesi, e qualcuno di loro rispose monosillabe.
- Abbiamo facce nuove in crew! – esclamò qualcuno dietro le mie spalle, facendomi spaventare. Mi voltai sulla sedia e notai un’ennesima faccia… quasi nuova. Dove l’avevo visto?
- Non proprio nuove. Ti ho vista da qualche parte – borbottò l’uomo dagli occhi chiari, mettendomi un po’ di timore. – Mi presento comunque Misha Collins al vostro servizio, la signorina è? – domandò allungando una mano.
- Sybil Quest, e si anch’io ho l’impressione di avervi già visto da qualche parte, ma mi dispiace dirle che sono una “smemorata” – dissi enfatizzando l’ultima parola tra le virgolette immaginarie.
- Ho saputo – chiarì Misha, lasciandomi un attimo sorpresa. Vedendomi curiosa dichiarò: - E’ stato Jensen a dirmi tutto -. Per caso aveva avvertito anche il Presidente degli Stati Uniti?
Lo dissi forse ad alta voce, perché sentii molto risolini trattenuti alle mie spalle, mentre Misha si lasciava andare ad una risata libera.
- Può darsi, ma è il suo dovere avvisare il capo, non può mica prendersi un giorno libero così sai? – disse tutto sapiente, alzando un dito per lasciarmi poi un buffetto sul naso. Mi tirai indietro sulla sedia quasi spaventata da quella spavalderia.
- E tu, posso darti del tu vero? Anche se in realtà tu l’hai già fatto! -. – Ma certo! – esclamò sorridendomi, cercando di mettermi al mio agio.
- E tu cosa fai qui? Fai parte degli attrezzisti o roba del genere? – domandai curiosa, fissando la sua mise di quel giorno: trench champagne, giacca nera, pantaloni neri, camicia e cravatta. Sembrava un manager che stesse andando via proprio allora.
- Recito, faccio parte del cast. Non mi conosci? Cioè tutti mi conosco – e fece finta che il naso gli si allungasse come se avesse appena detto una bugia.
Gli sorrisi divertita, e annuendo gli chiesi che parte facesse, mi rispose con un tono di voce più basso e roco: - Castiel, l’angelo di Dio in persona! -.
Annuii convincendomi, e trattenni un attacco di risa a quella interpretazione.
Suonò un allarme che mi fece prendere un colpo, e tutti iniziarono a fare più rumore, tra brusii e rumori di attrezzi che si spostavano.
- Stiamo per iniziare, è meglio che vada a parlare con Singer, a dopo Sybil! E’ stato un piacere conoscerti – esclamò Misha, lasciandomi una pacca sulla spalla. Lo salutai con un movimento della mano, e voltandomi verso gli schermi e alla scena ambientata più avanti delle telecamere, mi sedetti comoda godendomi quel momento quasi normale di un’esistenza sconosciuta e mai provata prima.
Tutti sembravano correre a destra e sinistra. Un paio di persone chiesero di sgomberare il set con dei megafoni, mentre degli omoni grandi e grossi si appostavano alle porte di uscita di entrata controllando qualcosa. Uno in particolare mi incuriosì perché stava parlando proprio con Jensen. Mentre li fissavo, l’uomo alto, grande e grosso mi lanciò uno sguardo che mi fece quasi paura.
In risposta io abbassai il mio, e fissai Robert Singer, il produttore che si sedeva comodo alla sedia accanto alla mia. Dopodiché mi porse delle cuffie: - E’ per avere un suono migliore – borbottò, afferrandone un paio anche per lui.
Io le infilai e poi sentii solo le voci di qualcuno che rileggeva velocemente il copione, perché le parole erano molto formate e non naturali.
- Silenzio sul set – disse qualcun altro al di fuori. Quando tutto fu pronto…
 
Supernatural, Sesta Stagione, Puntate 16, Scena 2.
CIAK.


- Azione! – urlò il regista.
 


*spazio autrice*
 
Ed eccomi qui, più veloce della luce, non sembra vero? :D
Sono felice di riuscire a scrivere e così velocemente addirittura. Non pensavo che sarei riuscita a sfornare un capitolo così velocemente, forse sarà che ormai ci sono dentro, intendo nella storia. Quando apro ormai una pagina di word, riesco comunque a far uscire fuori il meglio della mia fantasia per questa trama un po’ stramba.
Non dico altro sennò mi scappano futuri spoilers xD
Spero che il fatto di aver cambiato il nome alla bambina da Holly a JJ o Justice Jay non vi abbia creato problemi :3
Questo è stato un po’ come un capitolo di passaggio, diciamo che Sybil sta iniziando a conoscere un po’ di gente e un po’ quello che fa Jensen nella vita. Speriamo che adesso sia Jensen a scoprire un po’ della vita di Sybil u.u
Che dirvi ad un prossimo capitolo, sperando di avere un po’ più visite di quello precedente :/
Se volete potete trovarmi adesso anche su tumblr. Ci sono già da un po’, ma adesso diciamo che lo uso più come un tu-BLOG! ;D Se volete passarci, e vedere cosa posto di bello su Jensen soprattutto cliccate QUI.
That’s it!
 
Xoxo Para_muse

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Let's go to adventure! ***


Finalmente direte voi! :D 

Enjoy...



Capitolo 5
Let's go to adventure!

 

Sybil's POV


 
 
Mi svegliai con il respiro affannato e grondante di sudore. Mi portai una mano al petto, cercando di far calmare il cuore che voleva uscire dalla sua gabbia toracica. Presa dal panico, smossi le gambe liberandomi dalle coperte che le avvolgevano. Quando fui libera dall’ingombro, saltai giù dal letto, e quasi le gambe mi cedettero. Il sogno ancora sembrava offuscarmi gli occhi, e non avevo ancora ben presente la camera sotto il mio sguardo scrutatore. La luce della luna piena iniziò a schiarire il buio nella stanza, e potetti avanzare verso la porta, e dopo verso il bagno, dove accesi la luce e mi rinfrescai il viso con l’acqua gelida.
Lascia che le goccioline scendessero lungo il collo, e lavassero via il sudore lì deposto. Afferrai l’asciugamano dal suo posto e lo sfregai con rinnovata forza sul viso, cercando di togliere via anche gli ultimi residui dell’incubo. Non ci riuscii del tutto, la mente sembrava aggrapparsi a quelle scene:
 
- Vieni qua, piccola sgualdrina! – due enormi mani sudice e piene di calli, mi afferrarono per le gambe tirandomi verso di se. Mentre cercavo di sfuggirgli, e scuotevo le gambe a più non posso su e giù, lo presi a un orecchio togliendogli il fiato per il dolore.
- Brutta troia! Se ti prendo… - iniziai a correre lungo il corridoio del locale dalla tappezzeria marrone e dai muri rosso fuoco. Mi aiuti con i palmi poggiati al muro a darmi una spinta, per svoltare subito nella mia stanza dove sbarrai la porta, chiudendomela alle spalle.
Senti un tonfo, e un pugno al legno, ciò mi fece balzare in avanti, ruzzolando sopra la spalla destra che iniziò a bruciarmi dal dolore.
Quando, portandomi una mano a terra per alzarmi e l’altra sulla spalla che bruciava, fissai la causa della mia caduta, inizia a pregare che fosse un incubo, che adesso aprivo gli occhi ed ero lì sul mio letto, senza nessuno che volesse farmi del male.
- Ecco la mia piccola principessa! – borbotto, chiudendosi la porta alle spalle avvicinandosi a me.
- Non ti avvicinare! Non toccar…AH!– mi afferrò per il braccio buono, tirandomi su come un sacco di patate. Quando fui in piedi, malferma, l’altra sua mano volò sul mio viso, stringendolo tra due dita, facendomi male all’incavo delle guance.
- Ti faccio vedere io chi comanda! – mi strattonò facendomi avvicinare al mio letto, dove mi ci lasciò cadere con una spinta. Appena fui lasciata andare, mi tirai indietro e cercai di scappare da un lato, mentre lui ai piedi del letto, iniziava a slacciarsi la chiusura del pantalone.
- Vieni qua! Dove vai? La sella è pronta, puledra! – mi schiaffeggiò sul viso e afferrandomi per le braccia, mi bloccò sul letto nuovamente. Iniziai a muovere le gambe convulsamente, cercando di divincolarmi dalle sue mani.
- Lasciami andare! Non toccarmi! LASCIAMI! AIUTO! – urlai, prima che potesse tapparmi la bocca con la mano enorme, vietandomi quasi di respirare oltre che urlare.
- Non ti hanno insegnato ancora le buone maniere eh? – sbottò sorridendomi in un ghignò malefico. I miei gemiti e le mie lacrime iniziarono a offuscarmi la mente e senti qualcosa strapparsi, mentre le mie gambe continuavano ancora a stare stretta tra di loro. Sentii un dolore improvvisò alla coscia sinistra, e qualcosa bruciarmi dopo. Ciò mi portò ad alzare la gamba al petto, e quello fu il gesto peggiore che potessi fare. Le sue mani s’infilarono tra di loro, e aprendomi a forza, sentii quasi un dolore al basso ventre. Qualcosa che fu strappato, qualcos’altro che veniva tirato giù, e mentre cercavo di dibattermi ancora, dentro la mia testa un urlò glaciale divenne eco, e il mio aiuto era più una preghiera.
- Finalmente sei… -
 
Sussultai mentre il pensiero svaniva, e un tonfo sordo mi fece risvegliare nuovamente da quell’incubo a occhi aperti.
- Jensen – sussurrai appena, lasciando l’asciugamano al suo posto, e avvicinandomi alla porta, mi affacciai nel corridoio silenzioso. Sentii un altro tonfo e poi un gemito. Mi diressi verso la probabile fonte del rumore e finii davanti alla stanza di Jensen, dove non ero mai entrata. Ruotai lentamente la maniglia, e aprendo appena in uno spiraglio la porta, fissai dentro, notando la luce della lampada posta sul comodino accesa. Aprii completamente la porta e fissai Jensen strofinarsi la testa e mormorare qualcosa tra se.
- Jensen – sussurrai appena, fissando poi la sua figura intera. Spalle larghe, vita snella, pelle bianca nella notte e linee sinuose all’apparenza. Gambe lunghe, distese e impigliate tra le lenzuola blu.
- Sybil! Che cosa fai sveglia? – esclamò a bassa voce, fissandomi stupito. Le mie labbra si schiusero come per dire qualcosa, ma non ci riuscirono perché troppo intenda a fissarlo e a farmi la stessa domanda anch’io: perché era sveglio, e mezzo nudo?
- Sybil? Stai male? – il tono sconvolto soggiunse a quello stupito, alzandosi dal letto, e quindi avvicinandosi a piedi scalzi verso di me.
Sembrai un attimo rinvenire, quando il suo movimento attivò la mia vista e il mio cervello. – Ehm io… io – non sapevo cosa dire. Non potevo raccontargli del sogno, ma forse dovevo farlo. Sembrava così reale, più che un ricordo era un incubo. Forse la memoria mi giocava brutti scherzi, ma se quello che nell’incubo era vero, allora non potevo certo rilassarmi. Perché quell’uomo aveva cercato di prendersi ciò che apparteneva… a me stessa?
Insomma, perché aveva cercato di…di…
- Sybil? Perché piangi? Che cosa è successo? – le parole di Jensen mi fecero ricordare dov’ero, e alzando lo sguardo verso il suo, non lo vidi ben definito. Le lacrime mi offuscavano la vista. E i singhiozzi mi tolsero le parole di bocca. Jensen ancora più sconvolto, mi prese con delicatezza per un braccio invitandomi a entrare, chiudendosi la porta alle spalle. Poi mi avvicinò al suo petto e stringendomi a se, mi portò ai piedi del letto, facendomi sedere tra le sue braccia.
- Ehi,Memo che succede? – sussurrò, portando due dita sotto il mento, obbligandomi ad alzare il viso verso il suo.
- Io…io ho fatto un incubo, io… - mi appoggiai con la fronte al suo mento, e chiudendo gli occhi cercai di trovare le parole più adatte, ma senza riuscirci, perché più ci pensavo, più lo sguardo divertito e di scherno di quell’uomo mi ritornava ad ostruirmi la mente.
- Sybil, parlami. Ehi, piccola, guardarmi… - mi portò di nuovo sulla traiettoria dei suoi occhi, e il suo sguardo mi catturò lasciandomi intontita.
- Fai un bel respiro e raccontami quest’incubo. Con calma, non c’è nessuna fretta. Non avere paura, ci sono io con te! – sussurrò stringendomi a se.
Lo fissai intimorita, e appena mi strinsi a lui tirai un bel respiro di sollievo. Poco dopo annuii e iniziai a raccontargli l’incubo, quasi come se fosse un ricordo, e quando finii, iniziò a farmi delle domande, come se fosse un detective: forse si stata calando un po’ troppo nei panni di Dean Winchester travestito a sua volta da agente del F.B.I.
- Ti ricordi il viso dell’uomo? - . – Solo un po’, era di stazza grossa, e poi aveva un naso aquilino e una bocca piena di bava, poi era tutto sfocato -. Lui annuì e fissò un punto indefinito. Sembrava riflettere, ma sicuramente non era arrivato a molto con quelle informazioni. Erano un non niente.
- Il posto? Descrivimelo ancora! – sussurrò, e gli ripetei il corridoio rosso, la stanza familiare. – E il nome? Hai sentito magari il suo nome? Non so ricordi come si chiamava? – domandò curioso, fissandomi negli occhi.
Il mio sguardo si allargò involontariamente, e cercai di pensare ma senza risultato. Scossi la testa afflitta, mentre nascondevo il mio viso tra le spalle, triste. – Non ricorderò mai più Jensen. La dottoressa si sbaglia, sono una ragazza davvero smemorata! – sbottai, cercando di trattenere le lacrime.
- Non è vero, ce la farai, a poco a poco nel sonno ricordi, magari vediamo di indagare tramite i tuoi effetti personali più privati, come carte di credito, indirizzi, email, ne ricordi qualcuna? – domandò.
Io scossi la testa: - Magari con la carta di credito possiamo ricorrere alla mia banca, e all’agenzia immobiliare se avevo una casa in affitto. Possiamo provare così? – costatai, mentre una piccola parte di me esultava.
Jensen sembrò entusiasmarsi, ma poco dopo si ricordò del suo lavoro. – Non so come aiutarti. Magari, possiamo andarci sabato, se sono libero. Mi dispiace dirti che ho tutta la settimana impegnata, e quasi dimenticavo: il tuo appuntamento con la dottoressa sarà domani. Dovrai andarci con Cliff – borbottò dispiaciuto, lasciandomi per alzarsi e iniziare a fare avanti e indietro ai piedi del letto.
- Non c’è problema, ho fatto amicizia con lui in questi giorni sul set – sussurrai, fissandolo appena sorridente. – Lui è amichevole, e mi ha iscritta su twitter sai? E’ figo quel programma! – sbottai divertita.
Lui si fermò fissandomi incuriosito, poi rise a bassa voce quando dissi qualcosa di divertente. Almeno per lui.
- Che cosa ho fatto di così divertente? – domandai curiosa e allo stesso tempo scocciata di apparire come una sciocca.
- Twitter è un social network, come facebook. Non è un programma, sciocchina! – esclamò lasciandomi un buffetto sul naso, come se fossi una bambina di appena due anni.
- Va bene un social network, senti non ricordo di essermi mai iscritta a twitter, e per me è qualcosa di strano rispetto a facebook. E’ tutta una serie di tweet o twot o come si chiamano, e poi i re-comesichiamano- e poi ci sono sempre tante parole tutte uguali tra loro. Insomma! – esclamai di colpo, fermandomi su quel ragionamento inutile.
Lui rise divertito e si lanciò sul letto tenendosi la pancia. Mi voltai a fissarlo di spalle, arrabbiata. Si stava prendendo gioco di me. – Beh almeno io ci provo a starci, tu non hai nemmeno un profilo! – esclamai convinta di essere superiore a lui.
Lui si alzò, puntandomi il suo sguardo sul mio, con un sopracciglio alzando, come a volersi far temere da me.
- Non mi piace mettere la mia vita privata lì sopra, meglio tenere tutto per me! Certe volte scrivo qualcosa al posto di Cliff o  di Jared, posto qualche sciocca foto, ma niente di particolare. Giacché adesso l’hai tu, posso scrivere qualcosa di stupido a nome tuo senza che tu te ne accorga! – mi fece una linguaccia, e si prese un mio scappellotto. – Non ti azzardare sennò ti pubblico lì sopra dicendo che sei il vero tu! E poi vediamo la tua vita privata che fine farà! – sbottai sorridendo maligna. Il suo sorriso si fece altrettanto e avvicinandosi con quelle sue enormi mani, mi afferrò per i fianchi iniziando a farmi il solletico. Soffocai un urlo, per non svegliare JJ ma non resistetti e risi divertita da morire.
Jensen rise insieme a me, mentre cercavo di divincolarmi senza poterci riuscire. Quando mi vide in difficoltà respiratorie, perché troppo presa dal ridere si fermò, anche lui con il fiatone, ridendo ancora con le lacrime agli occhi.
- Che scemo che sei! – sbottai, ridendo ancora, sovrastando il richiamo di JJ che alla fine si era svegliata sicuramente per il baccano che avevamo fatto entrambi. – Papà, Sybil! Che cosa state facendo? È notte fonda… - sussurrò la bambina, strofinandosi un occhio, mentre con l’altra mano teneva stretto al petto Dean, il peluche.
- Piccola, papà faceva il solletico a una bambina disubbidiente. Scusaci tanto! – esclamò suo padre dolcemente, scendendo dal letto per prendere in braccio la piccola Ackles.
- Domani dovrò andare a scuola e tu lavorare, Sybil deve lavorare e tutti ci… - si fermò per sbadigliare, e poi socchiuse gli occhi stanca. Mi fece una tenerezza, che non potei evitare un sorriso fissando padre e figlia dolcemente abbracciati. – … e tutti ci dobbiamo alzare presto. – finì la frase, appoggiando la testa sulla spalla del padre.
- E’ meglio che vada a letto – sussurrai scendendo dal bordo laterale sinistro.
- Puoi restare se vuoi – sussurrò d’un tratto Jensen, lasciandomi seduta e sorpresa. – Io… - mi lasciò senza parole, ma non mi fece finire di parlare, si avvicinò a me e lasciò tra le mie braccia Justice Jay, mentre lui apriva le porte della cabina armadio per prendere un cuscino da un alto scaffale. Tornò di nuovo vicino a me, per sbarazzare il letto dalla pesante trapunta, e facendomi spazio, mi lasciò adagiare JJ al centro del letto, invitandomi poi con una spintarella alla schiena a coricarmi da quel lato.
Come una bambina, come JJ, mi lasciai rimboccare le coperte e depositò addirittura un bacio sulla mia fronte, dove ancora, dopo che Jensen fu a letto e la luce fu spenta, sembrava alleggiare il bacio e l’odore di Jensen, che mi fecero addormentare in un sonno profondo.
 
Jensen’s POV
 
Quando quel mattino mi risvegliai, sentii un odore di frutti di bosco alleggiare nell’aria, e invadere la stanza che di solito profumava di deodorante per casa. Mi voltai a occhi chiusi e il familiare odore di Lavanda m’invase di colpo le narici sopraffacendo il precedente aroma di frutta.
Justice Jay. La mia orsacchiotta. Aprii gli occhi lentamente e la trovai a pochissimi centimetri dal mio collo, alzai il mento lentamente, facendo attenzione a non darle una botta, e tirandomi indietro, mi abbassai con il corpo arrivando alla sua altezza. La fissai dritta in viso, disegnando con lo sguardo i lineamenti perfetti e morbidi di una bambina di sei anni. La mia bambina. Naso a patatina, labbra da far invidia a una top model adulta, morbide come un piccolo bocciolo di rosa appena schiuso in primavera; Ciglia folte e lunghe, che gettavano lunghe ombre su quelle guance paffute e lisce come piume che si tingevano di rosso quando si arrabbiava o si intimidiva. Tutta al suo papà timido ma scherzoso.
Allungai un dito ad accarezzargli il viso, e le tolsi qualche ciocca di setosi capelli color cioccolato, una parte del suo corpo che non aveva copiato da me, ma da sua madre, che ancora mi chiedevo chi fosse…
Nel dubbio, mi dilettavo in ritratti immaginari di una possibile madre, dagli occhi azzurri, quasi grigi, come quelli che aveva JJ, misti: verdi – presi da me – e grigi – presi da sua madre.
Doveva essere veramente bella, se Justice Jay era venuta così perfetta.
Sospirai frustrato e sentii qualcuno muoversi nel letto e respirare rumorosamente, per lasciarsi andare di nuovo nel sonno. Alzai la testa di qualche centimetro dal cuscino per vedere qualcuno che mi tolse il fiato. Un sorriso dolce mi spuntò dal nulla, senza che me ne accorgessi.
Sybil si era appena rannicchiata alle spalle di JJ e tra di loro era il rimasto il povero coniglietto Dean, incastrato tra una gamba della mia orsacchiotta e una di Sybil, che non so come era giunta proprio fin li sopra. Forse amava dormire tutta rannicchiata e sul fianco, visto i suoi capelli. Tutti sparsi per il cuscino come un sole che sta sorgendo.
Una mano a coprirle la bocca, mentre l’altra le faceva da guanciale. Sembrava stesse comoda, anche se a me dava un’impressione completamente diversa.
Sybil sospirò nel sonno, e si rabbuiò come se avesse seguito un po’ la mia linea di pensieri, ma non fu così, era solo un sogno forse, perciò le espressione del suo viso cambiavano.
Le labbra si schiusero sotto le dita chiuse a pugno, e gli occhi si rilassarono, appianando così la ruga tra le sopracciglia.
Tirai un sospiro di sollievo e sorrisi nuovamente, appoggiandomi dalla mia parte, fissando la pulce attaccata ad un fianco. Presto si sarebbe svegliata, non so come ma capiva quando era il momento, ovvero quando il suo papà la fissava continuamente, accarezzandole ogni parte del corpo possibile.
Si perché amavo delineare il suo viso, e accarezzare i suoi capelli. Mi facevano sentire a casa, e mi facevano sentire sicuro sul fatto che lei fosse amata e soprattutto protetta.
- Mmh…Jensen – sussurrò la voce di Sybil facendomi bloccare, fermando così le carezze sui capelli di JJ per lo stupore. Alzai lo sguardo fissando quello addormentato di Sybil. Sentii altri borbotti e si voltò dandomi le spalle. Mi riabbassai sulla schiena e la sentii parlare di nuovo nel sonno: - Si, si ti prego, resta – sussurrò girandosi nuovamente sul letto, smuovendoci tutti. Tra un po’ JJ si sarebbe infuriata se Sybil avrebbe continuato a muoversi.
- Jensen… - sussurrò ridendo appena, e poi si lasciò andare ad un sospiro. Sorrisi divertito, chissà cosa stavo combinando nel sonno. Facevo delle porcate con lei? Non riuscii a trattenermi.
- Mmh, papà – borbottò Justice Jay, strofinando ogni voltai il nasino sulla mia spalla, salendomi poi addosso come un panda.
- Ehi piccolina, ti sei svegliata – sussurrai, lasciandogli un bacio sul capo. Lei annuii e strofinò la guancia calda sulla canotta bianca che avevo indossato prima di andare a letto per la seconda volta.
- Non riesci a… - sbadigliò soffocando le parole sul mio petto: - stare fermo neanche un po’? – sussurrò aprendo gli occhietti in due minuscole fessure umide e sonnolente.
- Non sono stato io questa volta orsacchiotta, abbiamo compagnia a letto! – esclamai a bassa voce, strofinando il naso con il suo, indicandole poi con un cenno del capo, l’altro lato del letto, dove Sybil si era rotolata nuovamente, avvicinandosi un po’ a noi.
- Oh, guarda non sembra una principessa Disney? – sussurrò piano JJ svegliandosi di colpo. Mi voltai a fissare a mia volta Sybil insieme a mia figlia, e notai quando fosse calma adesso, respirando tranquillamente nel sonno.
- Già, è perfetta – sussurrai senza volerlo.
- Dovremmo svegliarla papà? – domandò la mia bambina, strofinando il palmo delle mani sulle mie guance piene della prima barba.
- Tu che dici? – chiesi a lei sorridendole divertito. Lei rise furba e afferrando il mio cuscino, si issò in piedi al centro del letto, nello spazio rimanente tra me e Sybil.
- Uno – sussurrò pianissimo, sorridendomi.
- Due – dissi a mia volta io. – Tre! – esclamò iniziando a saltellare e a far ondeggiare il letto con i piedini.
- MMH! – esclamò Sybil, muovendosi e alzando le braccia cercò di capire cosa stava accadendo.
- Ma cosa? – sussurrò poco dopo quando aprii gli occhi.
- SVEGLIA! -  urlò la mia piccola vipera, saltando ancora in aria, scagliando poi il cuscino addosso a Sybil un paio di volte.
Io non potetti trattenere le grosse risata che sgorgarono spontaneamente, senza che potessi riuscire a trattenerle.
- Oh Justice Jay! Per favore! – esclamò Sybil nascondendosi sotto il cuscino con la testa. Justice Jay allora eseguì la supplica, e si lasciò andare indietro da brava bambina. Poco dopo si nascose sotto il cuscino insieme a Sybil, da dove provenne poi qualcosa borbottato.
Sorrisi di quella scena così strana ai miei occhi, ma dolce e che sapeva di famiglia. Quando i miei pensieri sembrano prendere una piega un po’ al di fuori dal contesto che si era creato, l’orsacchiotta uscì da sotto il cuscino e mi volse un sorrisino divertito. – Lasciamola dormire un po’ papà! – e fa per salirmi addosso, facendosi così prendere in braccio. Mi alzai con lei addosso e ci dirigemmo in bagno. La appoggiai sul water, e le lasciai fare i suoi bisognini, mentre io mi nascosi - per mio e suo pudore – il viso con gli getti d’acqua fresca per risvegliarmi completamente. Dopodiché l’aiutai a mettersi sulla montagna di tutti i miei vecchi copioni delle stagioni passate, e le lasciai lavare il viso da sola, mentre io mi diressi in camera a prendere una maglia a maniche lunghe, un paio di jeans e un cambio per la doccia.
- Tesoro hai tutto pronto per la scuola? – domandai affacciandomi dal bagno. Justice Jay sbucò da sotto l’asciugamano e annuii ridendo divertita. Le sorrisi e lasciandola passare per la porta, me la richiudo alle spalle, iniziando così a spogliarmi.
Ma mentre mi stavo per togliermi i boxer, sentii la maniglia della porta andare giù e qualcuno entrare velocemente sedendosi dopo cinque secondi sul water. Sybil.
- Porca put… mmh! – mi tappo la bocca e cerco di trattenere la parolaccia. - Nessuno ti dice di bussare prima? – esclamai di colpo, coprendomi con un asciugamano. Lei si risvegliò di colpo, e raddrizzandosi sul water con un’imprecazione, cercò di tirare giù la maglia del pigiama nascondendosi.
- Non me n’ero accorta! Scusami e che non riesco a tenere la pipì a letto la mattina! Devo farla e basta! – borbotta rossa in viso. Per pudore e diligenza mi voltai e la lasciai fare. Quando sentii il rumore dello sciacquone che andava giù, le lasciai lo spazio sul lavabo per lavarsi le mani, e anche il viso.
- Finito? – esclamai quasi impaziente. Lei annuiì e timidamente, si allontanò dal bagno con uno – scusa – appena sussurrato.
Mi fisso allo specchio pensando e sperando che la doccia possa cercare di sciogliere quei nodi troppo stretti che ho lungo il collo. Perciò mi ci infilai dentro affidandomici.
 
Quando uscii bello profumato dal bagno, sentii un certo odorino pervadere la casa, e quando mi affacciai sulla cucina, vidi una donna tutta punto e una bambina già pronta per la scuola fare colazione e ridere divertite.
- Mmh, vedo che qualcuno qui si è dato da fare... – afferrai un pancake, e ci spalmai sopra un po’ di sciroppi d’acero.
- Spero siano buoni – disse Sybil sorridendomi cordiale, come una buona padrona di casa. Le sorrisi a mia volta e presi il primo boccone in bocca. Erano a dir poco squisiti.
- Papà puoi cercare di trattenere quei gemiti sai? Sembri sul punto di… - entrambe le ragazze si misero a ridere, e io fissai mia figlia un po’ sconvolto. Come faceva a sapere di quelle cose?
- Justice Jay noi due dopo parleremo a quattro occhi. Non so se mi son spiegato… - borbottai fissandola di sottecchi. Lei si fece serie, e Sybil sorridendomi sotto i baffi, le si avvicinò confortandola con un abbraccio.
- Tranquillo Jen, è solo un po’ cresciuta giusto? – fece per dire Sybil, facendo ritornare il sorriso alla mia orsacchiotta.
Fissandola con gli occhi da padre innamorato, quando finii di mangiare l’ultimo  boccone, mi avvicinai a lei per dargli i soliti bacini mattutini, mentre ci dirigiamo in bagno per l’ora del spazzolino e dentifricio.
Quando siamo pronti per partire, saliamo tutti in macchina, e lasciando a scuola JJ, ci dirigiamo sul set io e Sybil.
- Allora stamattina appena arriviamo sul set, ti lascio nelle mani di Cliff. Insieme andrete all’ospedale per la prima visita medica dopo l’incidente – sussurrai, fissandola solo per un attimo, prima di concentrarmi sulla strada nuovamente.  – Dopodiché vi farete un giro sulle due banche in città. Ma credo che alla Bank of Vancouver City, potrete trovare più possibilità rispetto alla Bank National of Columbia. – mi voltai un’altra volta e trovai Sybil con gli occhi chiusi appoggiata al finestrino. Mi preoccupai e accostando con pieno controllo alla mia destra, mi sporsi verso di lei smuovendole una spalla.
- Ehi Sybil, mi senti? Sybil? – borbottai preoccupato. Vidi le sue palpebre aprirsi e chiudersi prima di fissarmi e di mettermi a fuoco.
- Mmh, cosa c’è Jensen? – sussurrò con voce impastata. Stanca. Stava dormento allora. Tirai un sospiro di sollievo e sorridendole appena tornai ad appoggiarmi al sedile.
- No niente, tutto apposto – sussurrai, ingranando la prima e rinfilandomi in corsia.
 
Sybil’s POV
 
Arrivati sul set, il sonno si fece benedire, perché il rumore delle persone che parlavano, e gli scenografi che sistemavano la scena, mi  risvegliarono completamente. Per di più il caffè che veniva offerto da una ragazza che stava dietro ad un piccolo bancone, mi diede il giusto inizio per una giornata così cupa ma piena di avventure da affrontare. Affianco a Jensen aspettavamo di trovare Cliff in mezzo a tutte quelle persone. Tuttavia riconobbi subito il giubbotto di pelle nero e largo, che ci dava le spalle, e afferrando involontariamente Jensen per una mano, ci dirigemmo verso l’omone grande a passo svelto.
- Cliff! – esclamai, afferrandolo per un braccio. Quando l’omone simpatico si voltò con un sorriso, a mia volta gli sorrisi anch’io abbracciandolo.
- Come va? – domandai, tirandomi poi indietro per lasciare che si salutassero con Jensen.
- Bene e voi? – il suo sguardo involontariamente cadde sulle nostre mani strette, e con una mossa quasi repentina, entrambi sciogliemmo la presa fissando altrove imbarazzati. Sembrò che quella linea naturale di pensiero che si era formata nella mia mente, si era dissolta in non nulla quando il legame era stato rotto. Come se Jensen potesse darmi quella carica in più…
Scossi la testa e fissai i ragazzi parlare di me, tra di loro. Sentii Jensen spiegare quello che avevamo programmato – o meglio aveva programmato Jensen – per la mattinata in vista di nuove scoperte.
- Okay, nessuna problema, resta Taylor con voi due, io accompagno la signorina in giro con molto piacere! – si volta e mi fa un occhiolino alzandomi il pollice in segno di okay.
Gli sorrisi a mia volta, e mentre aspetto che Jensen definisca con Cliff tutto il resto, mi volta a cercare di nuovo quella ragazza per il caffè che mi era sembrata così simpatica e carina, così da poterci fare amicizia.
- Ehi ragazza smemorata! – esclamò qualcuno alle mie spalle. Saltai sul posto e mi cadde dalle mani il bicchiere di caffè ormai vuoto. Mi abbassai per riprenderlo, ma qualcuno più veloce di me, lo prese al posto mio. Mi rialzai e davanti mi si presentò Misha, l’angelo di Dio. Sorrisi involontariamente, e allungai una mano per farmi passare il bicchiere.
- Ehi salve Mr. Collins! – esclamai, con tono cortese. Lui mi diede una pacca sulla spalla, e lanciò il bicchiere con un lungo gesto del braccio, così facendo centro nel cestino poco più lontano da noi.
- Centro! – esclamò, allungandomi le braccia per un batti-dieci.
- E sono Misha per te baby! – sottolineò poi, stringendomi per una spalla a sé, avvicinandosi alla coppia Jensen-Cliff che discutevano ancora su qualcosa.
- Resti di nuovo sul set stamattina? – domandò curioso Misha, ricordandomi che l’aveva di fianco. Mi voltai a fissarlo e a sua volta lui tornò a fissarmi negli occhi. Il mio respiro si mozzò appena notando di che bel colore erano i suoi.
- Ha un bel blu intenso sa? – dissi, rivolgendomi ancora con il lei. Lui mi sorrise e appoggiò il capo sul mio, in un abbraccio paterno.
- Uguale al tuo tranquilla! – esclamò alzando di nuovo la testa, per allungarsi con una pacca alla schiena, rivolta a Jensen.
- Ehi Jenny! – salutò. – Misha! – esclamò Jensen a sua volta sorridendoci. – Nessuna scena Destiel oggi? – domandò Jensen sorridendo divertito.
Misha fece una smorfia triste e scosse la testa infelice. – Niente da fare, mattinata libera – borbottò, grattandosi la barba sotto il mento.
- Bhè se vuoi puoi fare compagnia a me e Cliff in giro per Vancouver – dissi, fissandolo contenta. – Certo perché no!? – esclamò Cliff, schioccando le dita come ad aver avuto lui l’idea.
- Sarebbe figo! Okay ci sto’! Vado a prendere la giacca e torno! – sintetizzò, scappando per il suo camerino, mentre Jensen scuoteva la testa.
- Sarà una giornata lunghissima vi avviso! – sottolineò Jensen, alzando le mani in segno di resa. – Vi ho avvertito! – e poi scappò perché richiamato dalla ragazza del trucco.
- Ci vediamo più tardi, Cliff sai cosa fare! – disse, indicandolo e poi salutandolo come un militare.
- Agli ordini JRoss! – esclamò Cliff. Mi voltai a fissare un po’ in giro, mentre aspettavamo Misha dal ritorno del suo camerino.
Cliff era un uomo di poche parole, e io lo ero altrettanto. Perciò c’era quel silenzio imbarazzante tra noi due. Ovvio se c’era un discorso iniziato discutevamo, ma dalla prima che ci siamo conosciuti, ho capito che il silenzio è il nostro migliore amico.
- Ecco Misha! Aspetta cosa ha in mano? Oh no! – esclamò di colpo Cliff, nascondendosi dietro le mie spalle.
- Ehi Cliff, guarda, vuoi metterlo? Fuori fa freddo amico! – esultò Misha dal fondo del set, sventolando qualcosa che teneva tra le mani.
Lo fissai socchiudendo gli occhi e capii che fosse un capello di lana per bambini, con un animaletto strano disegnato sopra. Era veramente carino. Sorrisi teneramente quando Misha lo calcò sulla testa di Cliff, facendolo apparire più che un bodyguard, un bambinone.
- Non lo metto! Ecco guarda, lo mettiamo a Sybil! – esclamò frustrato, togliendoselo dal capo, per calcarlo sul mio. A me non faceva tanto differenza tenerlo o no, perciò me lo lasciai mettere e sorrisi facendo la piccola bambina.
- Ti sta perfetto! – sintetizzò Misha, lasciandomi un buffetto sul naso.- Grazie! -.
- Allora? Vogliamo andare? Abbiamo un bel giro da fare ragazzi! – borbottò Cliff, richiamandoci all’attenzione.
- Okay, let’s go to adventure! – esclamò Misha, avviandoci fuori per i set, alla ricerca di qualcosa sulla mia identità.
 
 
 

*spazio autrice*
 
Tra un po’ posto ogni mese xD ma scusate il ritardo comunque.
La storia ormai ha iniziato a prendere una piega, che riesco a seguire bene o male, ogni giorno. Si perché mi vengo molte più idee insomma da poter mettere sempre nel capitolo che segue, quindi posso affermarmi che la trama adesso sta iniziando a costruirsi da sola nella mia testolina :D
La fantasia è ricomparsa, e Jensen mi aiuta tantissimo con tutte le sue faccine beautiful che trovo su facebook *Q* da sbavo.
Mi sto dileguando inutilmente, comunque per quando riguarda il capitolo… è ritornato un bel punto di vista di Jensen, e devo dire che un po’ difficilino entrare nella sua testa perché ancora in questa FF lo devo inquadrare bene, anche se devo dire per quello che leggo e so su di lui, cerco sempre di far rispecchiare la realtà con la finzione di una FF: cioè il carattere di Jensen pressoché uguale al carattere reale dell’attore dagli occhi che mi fanno innamorà!
E ritornando di nuovo al capitolo, finalmente vediamo un po’ il lato paterno di Jen. Come vi è sembrato? Troppo sdolcinato? Fatemi sapere se è stato così…oppure lo lascio carico di zucchero u.u
Per quando riguarda Sybil, il sogno? E bhè io da quello che ho scritto e poi riletto direi che qualcosa – da persona estranea alla storia – dovei capirci qualcosa. Scommesse? Cosa pensate che sia??
Bhè fatemi sapere e niente, al prossimo capito che già ho ben stabilizzato sulla fronte u.u
P.S: Le diplomate e le universitarie? Come vanno gli esami o come sono finiti insomma? :D Auguri a tutte quelle che ce l’hanno fatta u.u ovvio!
 
Xoxo Para_muse

 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** I promise you. I trust you. ***


Enjoy, read this chap for you! :D


Capitolo 6
I promise you. I trust you.

 
Cliff parcheggiò davanti alla prima banca, e tirando via la chiave, aprii la portiera, per scendere; io e Misha lo seguimmo entusiasti.
- Cosa pensi di trovare qui? – domandò Misha curioso, prendendomi a braccetto. Alzai lo sguardo verso il suo curioso, e alzando le spalle, sperai di aver fatto afferrare il concetto di: “non ne ho idea”.
- Risposta molto gratificante devo dire – sbottò ridendo, aspettando che la porta si aprisse, facendoci così entrare.
Quando l’aria seria e silenziosa della banca ci accolse, mi sentii un po’ inquieta tra due uomini, come se fossi scortata per prelevare chissà quale somma dal mio conto bancario. Ma la gente non sapeva però che ero lì solo per avere alcune informazione sul mio ipotetico conto in banca.
Ci dirigemmo verso la direzione, dove la consulenza del dirigente poteva più o meno aiutarci.
Bussammo alla porta color mogano due volte, il pugno di Cliff si trattene leggero, e quando qualcuno disse “avanti” la mia pancia fece una capriola per l’agitazione.
Non so perché iniziai a sudare freddo, sembrava come se stessi andando sul patibolo, ma non era così.
Presi un bel respiro e mi sedetti accanto ad un Misha piuttosto serio, quasi stesse recitando la parte di Castiel: l’angelo silenzioso.
- Salve Mister Cliff la stavo attendendo. Problemi con qualche conto in banca del signor Ackles? – domandò il direttore Kent, così c’era scritto sulla targhetta davanti al computer portatile.
- Salve, no, niente di grave, soltanto un po’ di consulenza, le spiego la situazione – borbottò Cliff avvicinando la sedia alla scrivania, appoggiandosi così sul tavolo con un braccio, spiegando la situazione al direttore con una tranquillità che io non avrei avuto.
- Quindi mi faccia capire bene, la signorina qui ha avuto un brutto incidente stradale, e non ricorda più nulla? Nemmeno se avesse avuto conti in banca? Che disgrazia! – schioccò con la lingua, sotto shock. Mi rivolse uno sguardo di apprensione. – Mi dispiace tanto signorina… -. – Quest, direttore. Grazie, ma sto bene adesso, mi sono rimessa e adesso vorrei iniziare di nuovo con la mia vita, e possibilmente con una rendita, spero, vitalizia – sussurrai inceppando e, arrossendo appena al sorriso divertito del direttore.
- Certo, bene che dire, diamo subito un’occhiata al database della Banca. Se gentilmente mi mostra un documento di riconoscimento – affermò il direttore Kent, allungando una mano verso di me. Io annuii e cercando dentro una delle tante nuove borse che Jensen mi aveva comprato insieme agli accessori femminili più comuni, l’aprii e uscii il borsellino con qualche spiccio e una banconota da venti dollari. Dentro si trovava la mia carta d’identità un po’ stropicciata.
- Perfetto, grazie – borbottò a bassa voce l’uomo d’aria vispa, mentre si dedicava a battere ritmicamente le dita sui tasti della tastiera.
Aspettammo un paio di secondi, prima che il direttore alzasse la testa scuotendola, per me quelli parvero i più lunghi secondi della mia vita.
- Non ha nessun conto in banca qui, signorina Quest. Mi dispiace – borbottò il direttore, afferrando il mouse per chiudere qualche finestra aperta sullo schermo.
Annuii e abbassai la testa sconsolata. Avevamo fatto un buco nell’acqua. – Ancora abbiamo l’altra banca per dare un’occhiata, dai! – mi consolò Misha, stringendomi alla sua spalla con un braccio.
Annuii e alzai lo sguardo velato di lacrime verso il direttore ringraziandolo. Lui mi sorrise cordiale, e poi schioccando le dita, posò una mano sulla cornetta. Mi fece quasi saltare dalla sedia per lo spavento. Quel cambio improvviso da parte sua mi fece pensare che avesse un’altra idea.
- Intanto se voi siete d’accordo facciamo una chiamata veloce alla Bank National of Columbia e vedo se c’è qualcosa che possa interessarvi? – chiese gentilmente, alzando la cornetta.
Cliff annuì e io sorrisi con la speranza disegnata sul viso.
- Okay… Nancy passami nella linea uno, il direttore Mensch, o la sua segretaria… va bene – borbottò alla cornetta, mentre giocherellava con la matita su una agenda.
- Si. Si certo, grazie Nancy – premette un bottone e una voce maschile si levò dalla piccola cassa del telefono.
- Pronto Daniel, dimmi tutto qualche problema? – domandò qualcuno dall’altra capo. Il direttore Kent scosse la testa e spiegò la situazione al direttore di nome Stephen Mensch.
- Capisco, resta un attimo in linea – borbottò l’uomo dall’altra parte. Si iniziò a sentire rumore di tasti che battevano, e poi qualcuno fare versi trattenuti di apprezzamento quasi.
- Mmh, Daniel ci sei? – borbottò di nuovo Mensch.
- Si, sempre qui Stephen. Novità? – domandò speranzoso il signore Kent.
- Si, c’è qualcosa d’interessante per questa ragazza, l’aspetto qui per l’appunto delle dieci, dovrei mostrarle qualcosa che l’interessa. Spero sia stato utile – disse.
- Si, si, grazie per l’info Stephen, ci sentiamo, e ti aspetto alla partita di golf sabato prossimo! – esclamò il direttore Kent, sorridendo prima di chiudere la linea con un breve “ci si vede”.
Il direttore ci fissò sorridenti e alzando le spalle ci disse: - Sentito? Speriamo siano buone notizie per lei signorina Quest -.
- Sì, speriamo – borbottai sorridendo gentilmente.
- Grazie per l’aiuto direttore, le saremo immensamente grati! – esclamò Misha, alzandosi per porgergli la mano; la stessa cosa facemmo io e Cliff.
 
- Pronti? Altro giro, altra corsa! – esclamò Cliff, aprendo la porta della Back National of Columbia. Più sofisticata e monocolore rispetto alla Bank of Vancouver, mi sentii un po’ più a disagio a girare tra gli alti corridoi a vetro, passando sotto lo sguardo attento di ogni dipendente.
- Salve, avete un appuntamento? – domandò una donna dietro ad una scrivania di vetro, posta appena fuori ad un ufficio con vetri oscurati.
- Si, il direttore Mensch ci attendeva per le dieci, cioè adesso – borbottò Cliff con aria seria, fissando la donna, che alzandosi, ci sorrise e si avviò alla porta bussando piano.
La voce dietro i vetri oscurati disse “avanti”, e la donna aprendoci la porta, ci fece entrare in un stanza grande quando la stanza che Jensen mi aveva… prestato? Per poterci dormire al momento.
- Prego, signorina Quest! Signori! – esclamò aprendo le braccia per farci accomodare sulle sedie poste davanti alla scrivania in legno, due volte grande di una normale.
- Grazie – sussurrai, sedendomi sempre con la mia sinistra occupata da Misha, mentre Cliff si sedeva di fronte a me.
Il direttore si sedette, e voltandosi verso di me iniziò a spiegare la situazione.
- Allora signorina Quest, ho avuto modo di controllare con più cura, mentre aspettavo il vostro arrivo, la sua situazione riguarda conti in banca, e liquidità monetaria. Non posso dire che è messa propria bene, ma nemmeno male – borbottò Mensch, afferrando una penna, iniziando a farla dondolare tra il pollice e l’indice.
Spalancai gli occhi e lo fissai preoccupata. – Cosa vuol dire? – domandai.
- Dopo la morte dei suoi genitore, essendo l’unica figlia legittima della signora e del signor Quest, i loro debiti sono stati addebitati al suo conto bancario che ha proprio qui, nella nostra banca e… -. La mia testa non seguii più nessun filo logico.
I miei genitori. Morti…
- Signorina Quest? Mi sta ascoltando? Le stavo dicendo, ha una casa pignorata a causa di questi debiti, per cui lei tutt’ora ha altre dieci rate mensili da pagare entro alla fine di quest’anno. Ha un lavoro spero, ho saputo dell’incidente… - borbottò fissandomi con sguardo quasi triste.
- Si, capisco, posso sapere se avete l’indirizzo di questa casa pignorata? Mi scusi ma non ricordo nulla – sussurrai appena, fissando il vuoto.
- Si certo, glielo scrivo in un post-it – disse. – Ehm, vorrei sapere, lei ha per caso un recapito dove posso trovare la casa dei miei genitori? – domandai anche, fissandolo negli occhi.
Lui annuii e scrisse anche quello, poi me lo porse, e piegandolo lo infilai in borsa. Dopo di ché mi informai sugli ultimi debiti da pagare e cosa dovevo fare per chiudere tutti i conti sospesi. Dopo un quart’ora di chiacchere, ci alzammo e ci dirigemmo fuori dalla banca, prima che potessi uscire completamente, il direttore mi richiamò, e avvicinandosi con passo svelto si scusò per il poco tatto che aveva avuto durante l’appuntamento, riguardo alla discussione sui miei genitori.
- Stia tranquillo – borbottai, prima di uscire e salire in macchina velocemente, visto che stava piovigginando. Il clima nuvoloso, peggiorò ancora di più il mio umore. O fu il mio umore a far peggiore il clima.
Forse la verità era quella.
 
Prima che portassi la mano alla portiera, chiusi la sicura e bloccai tutti all’interno anche se era inutile, visto che Cliff poteva benissimo ri-sbloccarla.
- Cosa succede? – disse Misha, cercando di aprire la portiera senza successo.
- Devo parlarvi, aspettate un secondo – sussurrai, sbucando dai due sedili anteriore, fissandoli dritti negli occhi, prima uno e poi l’altro.
- Parlare di cosa? – domandò preoccupato Cliff, arricciando le labbra e a sua volta i suoi baffetti. Lo fissai dritto negli occhi, senza più cambiare sguardo: - Non voglio che, quello che sia uscito fuori oggi, esca fuori davanti a Jensen. Non voglio che lui sappia niente, non voglio che sappia che sono in banca rotta, che cerco un lavoro, che ho bisogno di aiuto, e che per di più sia senza un tetto in cui stare e con una orfana di madre e padre, intesi? Voglio che lo sappia solo dalla me, esclusivamente da me! Per quando riguarda la visita dalla dottoressa, potete dirgli tutto, sono solo buone notizie, ma nient’altro! Intesi? – esclamai, facendo un gesto con la mano, chiudendo il discorso. Restai con lo sguardo incatenato a quello di Cliff. Sapevo che Jensen gli aveva pregato – se non ordinato – di riportargli i resoconti dei miei incontri, ma sapevo anche che se a Cliff si fosse chiesto di promettere, l’avrebbe fatto, a costo della propria vita, o lingua – in questo caso.
- Ci siamo capiti? Misha vale anche per te – borbottai, voltandomi verso di lui, fissandolo seria. Lui annuii e voltandosi aspettò che si aprissero di nuovo le portiere, per scendere e ritornare sul set.
Cliff scese e aprendo la portiera per galanteria, mi fece scendere e mettere sotto il suo braccio, dove ero al riparo sotto il suo giubbotto di pelle nera, alzato.
- Grazie di tutto Cliff – sussurrai, alzando appena lo sguardo, cercando di non bagnarmi. Lui borbotto qualcosa in segno di un “prego” e continuammo a tenere un passo lungo, per ripararci al più presto.
- Eccovi, pensavo che non sareste più tornati! – esclamò Jensen, sorridendo. A mia volta gli sorrisi e abbassai immediatamente lo sguardo, cercando di non far trasparire il mio umore e il mio stato d’animo, completamente a terra, per non dire sotto le suole delle scarpe.
- Com’è andata? Niente di nuovo? – domandò curioso, andando incontro a Cliff, dove con una pacca, l’invitò ad allontanarsi da me, come se volesse dirgli qualcosa che io non dovessi sentire.
Ma ormai sapevo quello che c’era da sapere, e Jensen non l’avrebbe saputo mai. Mai. Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere quello di Cliff cercare il mio. Io scossi la testa, e lui annuii impercettibile, sorridendo a Jensen e scuotendo la testa, desolato di non potergli dare notizie. Mentre con un fazzolettino mi pulivo le scarpe sporche di fanghiglia sulle punte, Misha si avvicinò e sorridendomi, si inginocchiò al mio fianco, cercando di capire qualcosa, che a mia volta non riuscivo a comprendere.
- Perché non vuoi che Jensen sappia? Lui infondo cerca solo di aiutare. E sta aiutando qualcuno che non conosce proprio. Perciò perché stai cercando di ostacolargli il cammino? Cosa ti frulla per la testa Sybil? – domandò a bassa voce, stavo per aprire bocca e spiegargli i motivi del mio rifiuto a far conoscere parte passata della mia vita a Jensen, quando sentii dei passi alle spalle che mi fecero raddrizzare.
- Ehi tu! – una signora dalla pelle, dai capelli e dagli occhi scuri, mi afferrò per un braccio e mi strattonò alzandomi da terra.
- Scusi?! Mi lasci andare! – esclamai sgranando gli occhi, spaventata. – Tu sei quella nuova nel guardaroba non è così? E da una mattinata che ti cerco, che ci fai in giro? E per di più dai fastidio anche agli attori? Madre di Dio! – borbottò l’ultima frase in una lingua sconosciuta. Quasi sembrasse spagnolo, ma non lo era.
- Maria, che succede qui? – domandò Jensen, avvicinandosi con passo svelto verso il gruppetto che si era formato: Maria che mi stringeva il braccio in una morsa d’acciaio; Misha che se la rideva a crepa pelle. Cliff che ci aveva raggiunto, con un sorrisino sotto i baffi, e quegli occhietti a mandorla che si stringevano per trattenere la grossa risata.
- Non lo so Jensen, potresti dire alla signora che non sono io la ragazza del guardaroba? Sembra parlare un’altra lingua, e non capisce che deve lasciarmi andare, mi fa male!... Mi fa male la testa! – esclamai spaventata, fissando la signora, sdoppiata.
- Maria, è una mia amica, lasciala andare, non è la persona che stai cercando – borbottò preoccupato Jensen, afferrandomi delicatamente per l’altro braccio, lasciando che mi appoggiassi a lui con il capo.
- Non capisco – sussurrai, stringendomi a lui lasciandomi andare con il corpo in avanti, per un forte e atroce mal di testa.
- Sybil? Sybil! – esclamò Jensen, stringendomi a se, poi persi i sensi e non sentii più nulla.
Nemmeno il dolore.
 
Mi risvegliai di colpo aprendo gli occhi e ritrovandomi con il petto di qualcuno a farmi da guanciale. Jensen.
- Si tesoro, guarda stai attenta a non bruciarti a quando lo tiri via, perché scotta! – sentii un campanellino, e poi sentii la voce di JJ parlare dolcemente con il padre. – Tranquillo papà, ho le presine sulle dita delle mani – borbottò e poi sbattei più volte le palpebre per vedere cosa stava accadendo.
- Ehi, finalmente ti sei svegliata – sussurrò Jensen, accarezzandomi la spalla che mi teneva stretta al suo petto, mentre le mie gambe erano distese sul divano bianco di ecopelle.
- Jensen – sussurrai, con voce arrochita, stringendomi a lui, strofinando la guancia sulla sua maglia bianca.
- Ehi, piccola – sussurrò, avvicinandosi con il viso al mio. Sorrisi intimida, e strinsi le palpebre, godendomi un attimo di tranquillità, la pace assolutamente, la mia mente libera.
- Mmh, mi piace stare sdraiata così – sussurrai, riaprendo gli occhi, fissandolo dritto nei suoi verdi. Il mio viso si appianò e restai come una sciocca a fissarlo ancora.
- Si? Stai bene? – domandò accarezzandomi con un gesto tenero la fronte, togliendomi qualche ciocca di capelli cadente. Alla sua domanda diedi un cenno di assenso, poi allungai un braccio verso il suo viso e gli toccai con dita tese, il mento, la linea della mandibola, la guancia con i primi segni della barba.
- Sono qui – sussurrò con voce flebile, avvicinando il viso al mio, come se volesse baciarmi.
Ed io volevo che fosse così.
- Papà, tu non hai fame? – domandò la voce divertita di JJ. Le mie palpebre sbatterono più volte prima di sbarrarsi, e di spingermi ad alzarmi e a mettermi in una posizione più consona, con JJ presente nella stanza.
Mi ero dimenticata di lei.
- Cosa, orsacchiotta? – domandò Jensen quasi sconvolto, fissando prima me con uno sguardo intenso, e poi Justice Jay, che sorridendole scuosse la testa e voltandosi verso di me, mi sorrise teneramente, lasciandomi andare. Mi alzai con un po’ di incertezza sulle gambe, ma appena mi stabilii, mossi i primi passi verso la mia stanza, per andare a letto. – ‘Notte JJ – la salutai con la mano, ma mi costringe però a fermarmi, correndomi incontro per un bacio.
- ‘Notte Sybil – sussurrò, e corse di nuovo a cenare. Voltai le spalle alla stanza, ma non prima di aver dato un’ultima occhiata a Jensen, sorridendogli. Dopodiché allungai il passo, per correre e chiudermi la porta alle spalle, per una giornata abbastanza pessima, e non solo pessima, come l’avevo definita quella mattina.
 
 
- Sei una lurida sgualdrina! Ecco cosa facevi la sera! Altro che Ben! Andavi in quel postaccio di merda a farti… scopare come una bambola gonfiabile! Mi fai schifo! Fuori da casa mia! FUORI!
 
- Mhuaaa! – presi una boccata d’aria, e sbarrai gli occhi con il cuore in gola. Le tempie mi facevano così male per le continue pulsazioni, e il sudore colava con rivoli insistenti, lungo di esse e sulla nuca.
Alzai i capelli in una coda stretta nel pugno, poi cercai di prendere aria, come se stessi soffocando. Allontanai le coperte spingendole via con le gambe, che smossi più volte, prima che riuscissi nell’intendo.
- Che cosa è successo? – dissi ad alta voce, tra me e me, fissando il vuoto, mentre la mia migliore amica, mi urlava contro di andare fuori da casa mia. Cosa avevo fatto di così male per meritarti quel suo tono inusuale e soprattutto volgare.
C’era qualcosa dentro di me, che mi faceva credere che il mio passato, i ricordi che non riuscivano venire a galla, dopo tutti quei sogni che facevo, potevano essere brutti, e che non sarebbero stati belli, se avessi saputo la verità così come stava.
I miei genitori morti per cause sconosciute – anche se avevo alcuni dubbi che dovevano essere risolti; la mia migliore amica – forse ormai ex – che si arrabbiava con me sbattendomi fuori di casa – quella che possibilmente il direttore Mensch mi aveva riportato sul post-it; e l’uomo del sogno, che mi trattava come se fossi veramente una ragazza che vende il suo corpo per una cosa così ripugnante.
Dovevo darmi una mossa, dovevo iniziare a darmi delle risposte. Dovevo iniziare subito. Avevo bisogno di parlare con Jensen, e chiedergli l’ennesimo aiuto.
Mi lasciai andare i capelli dietro la nuca, e spingendomi con le braccia, scesi dal letto scalza. Sentii brividi di freddo attraversarmi le gambe e arrivarmi fin sulla nuca. Strofinai le mani alle braccia, e stringendomi nel pigiamone, percorsi con piedi leggeri il pavimento freddo, e aprendo la porta, cercando di non fare rumore, mi diressi con passo svelto alla porta di Jensen, che aprii piano, sperando di non fare rumore, e non far svegliare Justice Jay.
Voltandomi e dando le spalle al letto, lasciai la porta appena socchiusa, accertandomi che non sbattesse per qualche spiffero che provocasse corrente, e quindi il continuo oscillare della porta contro lo stipite della porta, provocando rumore.
Mi voltai di nuovo verso il letto, e vidi Jensen voltarsi e lasciare un sospiro nel sonno, stringendo il cuscino verso il suo viso. Le sue gambe sporgevano fuori dalla coperta, una piegata mentre l’altra distesa, mostravano polpacci ben torniti e quasi lisci, nel poco chiarore della stanza.
Mi avvicinai e gli abbassai la coperta a coprirli, mentre già le sue spalle sotto la maglia di cotone bianca, erano ben calde e coperte. Fissai il suo viso rilassato e mi feci scappare un sorriso dolce, alla vista di come quelle labbra fossero così perfette e schiuse tra di loro. La sua linfa vitale entrava ed usciva con un lieve respiro arrochito, tipico in inverno. Mi distesi accanto a lui, piano, senza cercare di far smuovere tanto il materasso, e senza alzare le coperte, perché sarei stata pochissimo tempo lì, a contemplarlo, se solo lui avesse aperto gli occhi. Ma non lo faceva, ed ora mi ero venuto quel risentimento di non farlo, di non svegliarlo. Mi piaceva vederlo dormire. Senza pensieri, senza preoccupazioni.
Sospirai e adagiai il capo sull’altro cuscino, portai una mano sotto la guancia, e sospirando mi strinsi le gambe al petto. La tensione del sonno si era dissipato, e il sonno prevaleva sugli altri sensi. Sentii le braccia essere più molli, e le gambe tese si rilassarono. Le mie palpebre sbatterono più di una volta, e sbadigliando, li chiusi memorizzando tutti i lineamenti di Jensen. Magari avrei fatto un altro bel sogno insieme a lui.
 
 
Senti qualcosa sfiorarmi lentamente. Prima la guancia, poi qualcosa dietro al collo che mi provocarono brividi di freddo. Mi strinsi le gambe al petto, e sentii qualcosa bloccarmele. Altre gambe tornite, e un po’ pelose. Aprii gli occhi, e vidi un dito percorrere la mia tempia, e scendere giù sul mio mento. Era Jensen.
Cosa ci faceva nel mio letto? Mi girai a fissarlo, e lo trovai intendo a squadrarmi, come se fossi una creatura rara.
- Cosa ci fai qui? – sussurrai, stiracchiandomi sotto una coperta che non era quella del mio letto. Ma del suo. Ero nel suo letto. La scorsa notte, certo.
- In realtà dovrei chiedertelo io – sussurrò sorridendomi, e avvicinandosi per lasciarmi un bacio sulla fronte, leggero, lento, che faceva accapponare la pelle per l’emozione.
- Scusami ieri sera avevo bisogno di parlarti, ma tu dormivi… -. – Certo che dormivo, ma potevi chiamarmi -. Alzai lo sguardo dalle sue labbra ai suoi occhi ancora semi addormentati. – Non volevo farlo -. – La prossima volta, puoi! – sussurrò lasciandomi una carezza prima di voltarsi di scatto per scendere dal letto con un balzo, stiracchiandosi in tutta la sua altezza.
- Cosa dovevi dirmi? – domandò curioso, voltandosi verso di me, allungo le braccia sopra la sua testa, facendo stretching mattutino. Il suo addominali urlarono un “welcome” ai miei occhi avidi del suo corpo. Restai un attimo intontito prima che potessi dire qualcosa, e soprattutto formulare una frase completa: - Speravo che mi potessi aiutare a trovare lavoro. Voglio tornare a fare qualcosa, non posso stare sul set senza fare nulla. Magari posso aiutare qualcuno a fare qualcosa. Come la signora di ieri diceva, forse posso aiutarla veramente in guardaroba! – esclamai, alzandomi a mia volta. Lui finì di fare i suoi esercizi, e abbassando le braccia, si avvicinò con qualche passo alla fine del letto dove mi ero fermata.
- Pensi di riuscire a lavorare? E se ti venissero i soliti attacchi? Hai sentito la dottoressa, non sono da escludere ancora – sussurrò, allungando un braccio, accarezzando il mio con mosse leggere.
- Lo so, ma devo pur far qualcosa. Devo pur andare avanti, e aiutarti. Non posso stare con le mani in mano, mentre tu ti fai in quattro per me, e soprattutto per Justice Jay. E il tuo lavoro, so quanto ami recitare, non posso distrarti, devo togliermi dai piedi, e darmi da fare! – sottolineai, fissandolo da basso.
Le sue labbra si strinsero in una linea sottile, e stringendo le sopracciglia in una “v”, tirò un passo indietro sedendosi, e tirandomi accanto a se, mi sedetti; gamba contro gamba.
-Okay, forse hai ragione, ma prometti che se il lavoro sarò faticoso me lo dirai, così io provvederò a trovare qualcosa più adatto per te – sussurrò voltandosi a fissarmi con sguardo preoccupato. – Promettimelo – sussurrò, stringendomi una mano. Lo fissai negli occhi e annuii, sussurrando a mia volta le sue parole. – Te lo prometto -.
- Io mi fido di te, ma ho bisogno che tu lo faccia lo stesso con me. Ho bisogno di sapere che tu stai bene, così io starò più tranquillo… - sospirò su l’ultima parola, rilassandosi un attimo.
Purtroppo però ancora non sapeva la richiesta che avrei voluto fargli.
- C’è dell’altro – dissi, abbassando lo sguardo verso i piedi, distesi davanti a me. Percepii il suo viso cambiare espressione, e chiusi gli occhi per non vedere altro, quando chiesi: - Mi aiuteresti a recuperare la mia aiuto dal carrozziere. Avrei bisogno di nuovo di lei – sussurrai, mordendomi poi la lingua per lo schioccò della sua lingua.
- Non se ne parla. Anche se la dottoressa ha detto che potevi ritornare a guidare, non se ne parla! Non voglio vederti di nuovo sfracellata sul cofano di un auto, con la testa piena di pezzi di vetro. No! – esclamò, alzandosi dal letto, e iniziando a gesticolare.
- Okay, okay! Ma ne avrò bisogno comunque prima o poi! – dissi, appoggiandomi all’indietro sul letto.
- Tra un paio di mesi forse, a natale magari. Ma non adesso, non da poche settimane dall’incidente! Per me l’argomento è chiuso. Niente auto, niente incidenti per te, e niente preoccupazioni per me! – esclamò senza ripensamenti, chiudendo il discorso con un colpo secco della porta del bagno, a dividerci.
Avevo perso un’altra battaglia. Era stato tutto inutile. A parte il lavoro. Magari forse sarebbe stato proprio un nuovo lavoro con orari diversi a costringerlo ad assecondare la mia richiesta. Se solo qualcuno me l’avesse mandata buona.
Se solo la fortuna fosse stata dalla mia parte per una volta.
 



*spazio autrice*
 
Praticamente ormai aggiorno o a inizio mese o a fine mese :) spero non ci restiate male per tutto questo tempo. Non so perché con questa storia ho più bisogno per scrivere, ma sarà il fatto che voglio scriverla bene u.u o magari perché la trama ancora sembra tentennare un po’; penso forse la prima opzione sia più fattibile. Mi piace scrivere su Jensen e tutta la sua famiglia, quindi mi piace scriverla bene una storia u.u quindi meglio prendersi il tempo, e scrivere qualcosa di decente, che pubblicare ogni settimana una paginetta e via giusto? :D
Comunque passando al capitolo, spero vi piaccia… mi è uscito un po’ di getto, e non so perché Jensen e Sybil si sia avvicinati così tanto. Mi sa che uno dei due sta capendo che non può fare a meno dell’altro :) o forse sono stata io a dettare loro cosa fare giusto? xD
La mia fantasia sembra essere un’altra me in versione umana che sa scrivere, e fa esperimenti su questa storia xD
Bhè è stato un po’ di passaggio, ma anche pieno di novità. La storia inizia a prendere forma, e spero che con i varii indizi che vi vado lasciando, possiate capire un po’ la vita burrascosa? (forse) di Sybil.
E che dire al prossimo capitolo, che già ho scritto e devo concludere, magari quello ve lo ritrovate tra una dozzina di giorni <3
Un grosso bacio, e GRAZIE PER IL SOSTENIMENTO E I MESSAGGI CHE MI MANDATE SEMPRE! *-* mi fate piangere ç___ç e mi motivate ogni giorni di più!
 
Un grosso bacio e abbraccio dalla vostra @Para_muse
 
P.S: Se non dovessi postare prima di ferragosto, BUONA VACANZA E BUONA FINE ESTATE! ;D

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Time to Time ***


Enjoy :D



Capitolo 7
Time to Time
 
 
Quando quel mattino, dopo aver lasciato Justice Jay per un ennesimo giorno scolastico, io e Jensen ci dirigemmo come al solito sul set, dove stavano costruendo una stanza che sarebbe servita per una scena che avrebbe girato quel giorno della sesta stagione di Supernatural. Avevano già confermato su alcuni siti che Supernatural sarebbe continuato per una settima e ottava stagione, bhè più contento di Jensen in quel periodo non c’era nessuno. Più per la felicità che avrebbe avuto un ruolo assicurato e quindi soldi certi, era felice di restare ancora unito con la seconda famiglia: il cast, la crew, e il resto dei ragazzi della CW.
Insieme, braccio contro braccio, ci dirigemmo verso mister Singer, dove si sarebbe parlato di un possibile colloquio con Maria, la donna italiana del guardaroba.
Quando Jensen con un amichevole pacca a Robert, spiegò la situazione, mister Singer fu più che d’accordo che avrei dovuto darmi un po’ da fare, in fondo alle apparenze io ero in piena forma ormai, potevo essere libera di andare dove volevo, perciò si mise d’accordo con Jensen per quel pomeriggio di preparare un contratto da farmi firmare, per essere tutto il regola, e seguire le solite prassi contrattuali.
Quando mister Singer scappò per indicare ai ragazzi della crew come disegnare un particolare simbolo a terra inerenti a demoni – o quella roba strana che trattava la serie – Jensen mi strinse una mano nella sua, e ci avviamo fuori dal set, percorrendo bianchi corridoio pieni di porte, e poster della serie tv attaccati a intervalli quasi regolari. Prendendo l’ascensore salimmo di solo un piano, e appena le porte scorrevoli si aprirono, un’enorme stanza dal tetto enorme, si presentò ai miei occhi.
- Wow – sussurrai restando più che a bocca aperta: scioccata e rimbecillita. Come avrei potuto lavorare qui? Con tutto quel materiale che pendeva da altissima grucce. 
- Sì, sono tantissimi! – borbottò Jensen, avvicinandosi ad un gruppo di donne e ragazze della mia stessa età che cucivano, tagliavano, strappavano e sporcavano stoffa in un grande tavolo da lavoro.
- Ehi Jensen! -. – Guardate c’è Jensen! -. – Ehi Jensen! -. – Jensen! Cosa ti porta da queste parti? -. Fu tutto un vociare di voci femminili che mi fecero sorridere. Alzai un braccio in segno di saluto, che fu ricambiato con un coro di – Salve -. – Ciao -. 
- Buongiorno signore, come va? – domandò Jensen cortese, avvicinandosi ad una donna piegata con il collo, intenda a lavorare con ago e filo su una maglia grigia.
- Maria, mi dedichi un minuto? – domandò gentile Jensen, alla signora che mi aveva provocata al piano di sotto, spaventandomi.
- Si, eccomi – borbottò, lasciando la maglia sul tavolo da lavoro, voltandosi a guardarci. – Dimmi tutto figliolo! – esclamò, sfregano la mano sul braccio tornito di Jensen. Lui sorrise e indicò uno dei corridoio che divideva vari stand pieni zeppi di blue jeans, maglie grigie, giacche di pelle, camicie a quadretti, abiti neri, trench. Insomma un’infinità di vestiti. Un’enorme guardaroba.
Maria si alzò dalla sedia consumata in cui era seduta, e seguendo la scia di Jensen, tutti e tre ci appartammo a parlare.
- Mi chiedevo, Maria, se ti andava di prenderti sotto l’ala la mia amica Sybil? Cosa ne pensi? Può esserti utile qui ai piani alti? – domandò Jensen cortese, mettendo gli occhioni per non farsi regalare un no.
- Bhè, non so, lei è capace a cucire? – domandò, lasciandomi uno sguardo di sbieco, come se avessi fatto qualcosa di male. 
Jensen allora mi squadrò un po’, e poi mi fissò dritto negli occhi disperato. Alzando le spalle, scossi la testa. – Bhè insomma non me cavo alla grande, cucivo il minimo e indispensabile nel guardaroba del teatro. Però so classificare, etichettare e sistemare al suo posto ogni vestito. Se questo può essere d’aiuto… - sussurrai, fissando prima Jensen e poi la donna, sperando di riuscire ad incastrarla con lo sguardo da cucciolo, un po’ come quello di Jensen.
- Cosa ne pensi Maria? Potrebbe esserti d’aiuto? Magari potresti insegnarle dove è sistemato tutto, e potrebbe farvi come da facchino…ahi! – borbottò d’un tratto Jensen, quando gli pestai un piede. Non mi andava di andare e venire dalla postazione ago-filo, al tavolo di cucito, porgendo e prendendo quello che serviva e non.
- Potrebbe etichettare e sistemare i vestiti prima e dopo che vengono utilizzati sul set. Sistemarli sulla carella e fare su e giù dal piano di sotto, dai vostri camerini, diciamo un lavoro come postino consegna guardaroba, ecco! Anche se non penso che esista… - borbottò portandosi una mano al mento, fissandomi. Poi esclamò: - Sarebbe perfetta anche come manichino, chissà quanti vestiti a misura di donna reale potremmo fare addosso a lei! -. Sgranai un attimo lo sguardo, preoccupato per quella signora un po’ strana e dalla mente contorta.
- Può andare bene anche il postino guardaroba, basta che ha qualcosa da fare. Mi raccomando Maria, trattala bene eh! – borbottò Jensen, spingendoci di nuovo fuori dal corridoio, portandoci verso le altre donne, che continuavo imperterrite il lavoro.
- Bene, io vado, aspetto il postino di sotto per i primi cambio di scena! – esclamò Jensen, lasciandomi con buffetto sulla guancia.
Le ragazze salutarono a coro, e poco dopo calò il silenzio, sentendomi inequivocabilmente tutti gli sguardi addosso.
- Allora ragazze, questa è Sybil, sarà una specie di postino, che etichetterà, farà un po’ di ordine ai cataloghi, e porterà i vestiti, facendo un po’ di scale, e un po’ su e giù con l’ascensore. Insomma è nuova, salutate in coro! – esclamò Maria, facendo un gesto con la mano, come se le donne fossero un’orchestra. 
- Ciao Sybil! -. – Buongiorno! – borbottai, rossa d’imbarazza, fissandole una ad una. Chi più giovane e chi no, mi sorrisero tutte. Quando mi avvicinai  e mi sedetti su un posto libero accanto le più giovani, fissando quello che stavano facendo, mi incuriosii, e iniziai a fare domande, ma non prima che loro le iniziassero a farle a me:
- Stai con Jensen? -. – Ci sono voci in giro, che dicono che state insieme! -. – La sua casa è grande come dicono? -. – Sei stata in quella di Malibù? -. – Hai conosciuto Justice Jay? Sua figlia? Non la porta quasi mai sul set! -.
La testa iniziò a farmi male con tutte quelle domande, ma cercai di rispondere a quelle a cui potevo senza esitazione. 
- No, non sto con Jensen, e la sua casa è okay; e no, non sono mai stata in quella di Malibù – borbottai, abbassando lo sguardo sulle mie dita, che si stringevano tra di loro.
- La bambina? E’ bella come il padre? – domandò una ragazza mora, dagli occhi verdi, fissandomi curiosa. 
Io alzai semplicemente lo sguardo, e poi lo spostai su Maria, che aspettava come tutte le altre la risposta, ma appena il mio sguardo si posò sul suo, sembrò risvegliarsi, e battendo le mani, richiamò tutti all’attenzione e al lavoro.
- Scusale, sono sempre pettegole – sussurrò qualcuno al mio fianco. Una ragazza dai capelli scuri, e dalla pelle panna, silenziosa, aveva continuato a cucire con ago e filo una giacca nera da donna.
- Si l’ho notato. Tu non lo saresti? – domandai, curiosa di sentire la risposta.
- No, sinceramente. Non ha importanza la bambina, la casa, e tutto il resto. Io qui lavoro solo per l’attore, non per la persona – borbottò, alzando lo sguardo, sorridendomi cortese.
- Tu cosa avresti fatto? – domandò questa volta lei, curiosa di sentire la risposta. Io alzai le spalle, e sorrisi divertita.
- Non lo so, se fossi attratta da Jensen… -. – Perché non lo sei? – domandò ironica interrompendomi, continuando però a cucire.
Mi tolse qualsiasi risposta possibile da bocca. Non sapevo cosa rispondere in realtà. Volevo dire si, aveva voglia di farlo sapere a tutti, ma sarebbe stato inutile, visto che per Jensen apparivo come la sorella minore da proteggere.
- Sybil! – mi richiamò Maria, facendomi alzare lo sguardo verso di lei. – Si? -. – Che ne dici se inizi a prendere i vestiti che gli stylist hanno richiesto, e li appendi sul carrello? – domandò, sollecitandomi a iniziare e a darmi una mossa. Io annuii e balzando dalla sedia, stavo per dirigermi verso una delle ragazze che Maria aveva fatto smettere di lavorare per aiutarmi.
- Secondo me, è meglio se ti svegli un attimo, e vedi come si comporta Jensen con te. Io vi vedo in modo diverso da una sorella e fratello – borbottò la ragazza, continuando a cucire.
Fermandomi un attimo a riflettere sorrisi tra me e me, e lasciandole una carezza sulla spalla, mi voltai e corsi in direzione di Rachel, prima che Maria potesse sollecitarmi di nuovo. Quando afferrai il foglio con un paio di codici, capii che dovevo seguire le indicazione tra un stand ed un altro di vestiti, trovando poi la sezione alfabetica, e il codice numerico del vestito in questione.
Perciò inizia a fare zig e zag da una parta ad un'altra dei vari corridoio, prima che potessi arrivare finalmente ad un giubbotto di pelle marrone scuro, che avrei dovuto appendere, e poi consegnare all’attore al piano di sotto. Quello sarebbe stato l’outfit di Dean per quella scena, ovvero di Jensen. Sorrisi tra me e me, contenta che ci saremmo visti più volte al giorno con lui, almeno non sarei rimasta sempre con facce poche conosciute. Non avrei dovuto portare i vestiti solo a lui, sicuramente gli altri – Jared, Misha, Mark – avrebbero avuto bisogno di qualche outfit dal guardaroba, perciò mi rallegrai un po’ e a fine giornata sarei, tornata a casa, con il sorriso sul volto e dalla mia famiglia. Già, famiglia.
 
- Cosa pensi di fare dopo il lavoro? – domandò Jensen, facendomi voltare sullo stipite del suo camerina, prima che potessi uscire con il carrello.
A quella domanda, in un primo momento non seppi rispondere, ma poi sorrisi e alzando le spalle, ironicamente dissi: - Tornare a casa tua, ovvio no? – borbottai, girandomi di nuovo, per uscire dal camerino.
- No, aspetta! – esclamò di colpo, fermandomi di nuovo al di fuori della stanza. Mi voltai a fissarlo, sorridendo sardonico.
- Lo so che torni a casa insieme a me, ma pensavo avessi progetti con le ragazze del piano di sopra – sussurrò, aggiustandosi la giacca di pelle che gli avevo portato, insieme al resto del vestiario. Strinsi le sopracciglia in una ruga di espressione stupida. – No certo che no! Non riuscirei mai a legare con una sola di loro -. “Forse una”, pensai, ricordando la ragazza dai capelli scuri e dalla pelle panna, di cui non sapevo nemmeno il nome. 
- Perché non provi a socializzare con qualcuno di loro? – domandò sorridendomi apprensivo. Lo fissai e notai nel suo sguardo segni di rancore. Come se volesse nascondermi l’idea di non volere più una coinquilina.
- Certo – dissi, - ci proverò non preoccuparti! – conclusi, chiudendomi la porta alle spalle, con mille dubbi incollati sotto le suola delle scarpe ma con uno ben risolto: Jensen era abbastanza strano, e lunatico se si poteva definire tale.
La parole bipolare lampeggiava sulla mia fronte come un’insegnate a neon tipo quelli con su scritto “open”.
 
- Andiamo? – la voce di Jensen, appena un sussurro, mi fece saltare in aria per mezzo centimetro dalla sedia. 
- Mi hai fatto spaventare – borbottai, fissandolo tetra, nel suo cambio d’abiti normale, senza trucco, senza sangue o finte cicatrici sul volto.
- Scusami, non volevo – disse, dimostrandosi preoccupato, e poco dopo accigliato, quando vide le mie mani e le mie braccia tutte scarabocchiate dal pennarello. 
- Cosa hai combinato? – domandò, stringendomi con delicatezza il polso con le dita. Sorrisi divertita, e portandomi la mano libera dietro la nuca, per un insopportabile dolore al collo, spiegai quello che mi era successo quel pomeriggio con un paio di vestiti.
- Non riuscivo a memorizzare alcuni codici, e allora per ricordarli, me li scrivevo sul braccio. Non so perché ma non riesco a catalogarli e organizzarmi con la mente – sbadigliai stanca, e lasciando andare il braccio, mi abbassai le maniche del maglione a righe.
- Dai andiamo a casa, ti fai una doccia e vai a letto – sussurrò, appoggiandomi una mano sul capo, la lasciò scivolare con una carezza sulla guancia, facendo scorrere il pollice sullo zigomo, prima di lasciarmi andare, per togliere di mezzo il materiale che stavo già catalogando.
Mi voltai verso il computer, e mentre con una mano lasciavo la firma sul libro delle presenze – una cosa al quanto assurda, ma che Maria controllava periodicamente una volta a settimana, cercai di scrivere gli ultimi numeri seriali, ma la concentrazione fu così tesa, che un filo dentro la mia testa si ruppe in due parti; ciò mi obbligò ad abbandonare il computer con un sbruffo, dedicandomi a firmare e a scrivere la data sul libro. Poi mi voltai al pc, e digitando la password uscii dal programma, lo spensi, e mi voltai verso Jensen che mi fissava con apprensione. Gli sorrisi lieta, e ci dirigemmo entrambi fuori dal guardaroba, per andare a prendere JJ dalla sua migliore amica per riportarla a casa.
Arrivati al parcheggio, notai Cliff che ci attendeva davanti al cofano del sub nero di Jensen con le chiavi dell’auto tra le mani.
- Ehi boss, tutto okay? – domandò curioso, lasciando in aria con un colpo di polso le chiavi, che Jensen prontamente afferrò senza lasciarle cadere a terra.
- Si tutto okay, Cliff. Ci vediamo domani! – aprii l’auto, e con un gesto fluido aprii la portiera, chiudendosi in auto in un batter d’occhio. Con tutta la pace del mondo invece, lasciai un abbraccio veloce a Cliff, e sorridendogli, con gioiosità mi diressi alla portiera del passeggero per aprirla e salire sopra il sedile.
Appena mi richiusi contro la portiera, l’aria che si respirava in auto era così strana e oserei pensare pesante, che mi voltai a fissare Jensen senza più quel sorriso che mi ero stampata sul volto poco prima. 
- E’ tutto apposto? – gli chiesi, mentre afferravo la cintura di sicurezza per indossarla. Non ricevetti nessuna risposta, solo l’improvviso stridulo dei pneumatici, che lasciarono il parcheggio con una piccola sgommata.
 
- Ciao papà! Ciao Sybil! – esclamò felice Justice Jay, sporgendosi dai sedili posteriori per lasciare un grosso bacio alla guancia del padre, e poi uno un po’ più cordiale a me.
- Ciao tesoro! – sussurrò ora più tranquillo Jensen, voltandosi a fissare dal finestrino se arrivavano auto, prima di infiltrarsi di nuovo nella corsia di marcia.
- Come è andata oggi a scuola, Justice? – domandai curiosa, voltandomi a fissare la ragazza dagli occhi dolci e adesso stanchi.
- Benone, ho preso una A+ nel compito di inglese. Non è magnifico, papà? – esclamò la bambina dal suo sedile, sorridendomi contenta.
- Certo tesoro! E’ tutta opera tua e delle ore passate sui libri, per questi bei voti! – borbottò Jensen, fissando la strada, stringendo il volante con una presa diversa.
- Non dovremmo festeggiare? Mi porti…ehm al McDownald’s? – domandò speranzosa, incrociando le dita. Le sorrisi e facendole un occhiolino, mi voltai a fissare Jensen, proponendogli la stessa cosa: - Sarebbe un’ottima idea, perché no? -.
- No tesoro, stasera no -. – Perché no? Papà ti prego, ci andiamo? Voglio il gelato! – esclamò frustrata JJ, mettendo le manine giunte in segno di preghiera.
- No Justice, magari un’altra volta, domani forse, ma non stasera – borbottò Jensen, fissandola dallo specchietto retrovisore.
- Papà! – si lamentò Justice triste. Desolata per la bambina cercai di fare il possibile per convincerlo: - In frigo non abbiamo nemmeno gli avanzi del pranzo, sarebbe perfetto mangiare al McDrive, e tornare a casa per mettere il pigiama e andare a letto, dai Jensen! – sussurrai, facendo lo sguardo dolce.
- Ti prego papà! – sussurrò Justice, mettendo il muso.
- Justice! – richiamò Jensen, fissandola di nuovo dallo specchietto. – Va bene, scusami! – borbottò, abbassando lo sguardo, stringendo le dita nelle altre.
- Jensen, non puoi dirle… -. Si voltò a lanciarmi uno sguardo duro, che mi fece zittire completamente. Mi voltai a fissare davanti al parabrezza, dopo però aver lanciato l’ultimo sguardo a Justice Jay, che piangeva silenziosamente dietro la frangia di capelli ormai scompigliata.
Mi fece così tanta rabbia, che non rivolsi più lo sguardo verso di lui; e quando scesi dall’auto, afferrai JJ per una mano portandola in casa, aiutandola con lo zaino.
- Vieni Justice, ti va di prepararci per la notte insieme? – domandai, cercando di tirarle su il morale con qualche crema di bellezza, e smalto per unghie rosa ai piedi.
Quando fummo pronte entrambe, uscimmo per fare una veloce cena in scatola, o qualcos’altro visto che in frigo non c’era nulla di commestibile. 
- Domani faccio la spesa, e compro tante di quelle leccornie per noi donne, che tuo padre non potrà mai e poi mai sopportarne la vista – le sussurrai all’orecchio.
Lei mi sorrise felice, e mi strinse in un abbraccio materno.
- Cosa complottate? – domandò Jensen quasi con tono di voce scherzoso, fissandoci entrambe sorridere. Ma dopo un fissarci silenzioso a vicenda, io e Justice Jay decidemmo di ignorarlo, come se non fosse nella stanza con noi.
Quando finimmo di lavarci i denti, ci dirigemmo ognuno nella propria stanza, ma prima JJ decise di farmi fare un giro nella sua stanza, in cui ero stata prima di allora, ma non avevo mai ispezionato dettaglio per dettaglio. Aveva un angolo sommerso di peluche, e mi sorpresi com’è  che non ci fosse un mostro degli acari! Justice comunque mi assicurò che venivano spolverati due volte ogni settimana, toglievo via la polvere che accumulavano. Ogni giorno poi ci giocava, e venivano spostati continuamente. 
- Guarda mi ci nascondo pure! Quando io e papà giochiamo a nascondino per casa, questo è il mio posto segreto, non mi trova mai! – esclamò ridendo e tossendo allo stesso tempo, sotto la coltre di peluche di vari colori e forme.
- Sembra divertente! Tu, tuo padre e il nascondino! – esclamai, sorridendole divertita, mentre lei stava saltando sul letto, per mettersi supina, facendosi imboccare le coperte da me.
Mi sorrise con le sole sopracciglia, mentre con le manine si tirava su la coperta a coprirsi completamente.
- Si, papà certe volte è così divertente, che non è più il mio papà, ma il mio migliore amico! E tu sei la mia migliore amica! – sussurrò, sbucando da sotto le coperte per stringermi in un abbraccio, attaccandosi al mio collo per un bacio quasi bavoso – e adorabile – sulla guancia.
Sorrisi dolcemente, e lasciandola cadere di nuovo giù, le tirai indietro i capelli per lasciarle un bacio sulla fronte.
- Dimentica la discussione di oggi, tuo padre era nervoso per il lavoro. Domani si farà perdonare sicuramente! – borbottai, lisciandole ancora con altre nuove carezze i capelli indietro.
Lei mi sorrise, e con gli occhi semichiusi borbottò: - Spero che un giorno trovi qualcuno che lo renda meno nervoso! Una mamma felice di essere la mia mamma e una fidanzata che papà ami per sempre! – poi sbadigliò e si voltò su un fianco, stringendo il peluche Dean in un forte abbraccio.
Sorrisi a quelle parole, e lasciandole un altro bacio sulla guancia, mi alzai da terra, e mi voltai avviandomi verso la porta. Spensi la luce, e mi chiusi la porta alle spalle. Prima di potermi voltare verso la mia porta, sentii una presenza alle mie spalle, abbastanza inquietante. Era Jensen che, appoggiato al muro accanto alla porta di JJ, aveva fissato sicuramente la scena della buona notte tra me e la sua bambina.
- Mi hai fatta spaventare un’altra volta – sussurrai per non svegliare JJ dall’altra parte della porta.
- E tu fai preoccupare me – borbottò, afferrandomi per un braccio, trascinandomi con forza. Presa di stizza, cercai di frenarmi sui miei piedi, ma mi accorsi che ci stavamo dirigendo nella mia stanza.
- Cosa ti è preso? Lasciami andare! – esclamai a bassa voce, divincolando il braccio dalla sua morsa quasi ferrea.
- Cosa mi prende? – domandò infuriato, entrando nella mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Quello per me segnò quasi un campanellino d’allarme che mi fece rizzare i capelli dietro la nuca.
- Esci dalla mia stanza -. – E’ casa mia, faccio quello che mi pare, mentre tu stai alle mie condizioni! – borbottò, facendo avanti e indietro davanti la porta, creando quasi un solco proprio li davanti.
- Stai consumando la moquette – borbottai scocciata, incrociando le braccia al petto, aspettando una sua spiegazione.
- Senti Sybil, noi non andremo più d’accordo se la cosa andrà avanti in questo modo – borbottò, fermandosi e iniziando a parlare tramite lo specchio delle sue riflessioni. Adesso più calmo, prese un bel respiro e si fermò.
- Che cosa vuoi dire? – domandi preoccupata, fissandolo allo stesso modo. Le sue sopracciglia si accigliarono, il suo viso divenne una maschera di concretezza.
- Se tu sei qui a stravolgere la vita a me e a mia figlia è solo perché la mia compassione l’ha voluto, perché se solo ci avessi riflettuto un secondo di più forse ti avrei abbandonato sopra il cofano di quell’auto, da sola, al freddo, e sicuramente non saresti stata in questo momento qui, a parlarmi e a fissarmi con quegli occhi da cerbiatta che ti ritrovi – borbottò, abbassando lo sguardo come a sfuggirvi. 
- Io sto cercando di aiutarmi con tutti i mezzi possibili che mi ritrovo, ma se tu continui a frenarmi, a cercare di fare a modo tuo, non posso continuare a farlo: non posso più continuare ad aiutarti se mi vieni contro -. – Jensen, io volevo solo… -. La sua mano si alzò e mi fece zittire, facendomi innervosire. Un insolito tic alle dita mi portò a morderle.
- Sybil quello che è successo oggi non è stato un mio gesto da padre perentorio verso una figlia viziata, perché Justice Jay non lo è affatto! Non ho cresciuto una bambina che vuole tutto ai suoi piedi, e che, appena alza un dito tutto le verrà concesso: NO! Io ho cresciuto mia figlia con le buone maniere, e un’ottima educazione. L’ho cresciuta da solo, e voglio continuare a farlo, senza l’interferenza di nessuno -. – Nemmeno la mia – borbottai, stringendo le dita in un pugno chiuso, portandomelo alla tempia.
- Esatto. Non voglio che tutto quello che è successo oggi, si ripeta un’altra volta. Interferisci nel mio rapporto con JJ, e la mia compassione avrà una fine, e mi dispiace dirlo ma sarà così. Non voglio che mia figlia cresca con l’idea sbagliata di qualcuno che… -. Gemetti e stringendo gli occhi in una morsa, li riaprii puntandoli verso lo sguardo stupito di Jensen. Le sue parole morte sulle labbra semi aperte, restarono tali fin quando non sbreccai il silenzio: - Se pensi che io sia un’idea sbagliata per lei, allora smettila di aggrapparti agli specchi e di costruire altarini, perché so che tu non mi vuoi più qui dentro, so che mi vuoi fuori dalla tua vita, dal quadro perfetto di famiglia che ti sei creato con quella bellissima bambina. Io sono una pennellata di nero sul quel quadro pulito, ma non posso farci nulla Jensen, non sono io! Non so chi sono! Sono vuota dentro, sono rotta e tu non riesci a ripararmi. Lo vedo: le preoccupazione sul tuo volto quando percepisci i miei continui mal di testa, i vuoti di memoria, gli incubi orribili che ti racconto, gli svenimenti. Secondo te verrei da te a raccontarteli se sapessi che sarebbero inutili per le ricerche sul mio passato? No, non sarei qui! Recito quando vedo buio e non riesco a riprendermi da quei forti mal di testa? No Jensen! Io. Non. Sarei. Qui. Non sarei qui adesso se fossi me stessa! – sussurrai, battendomi la mano sul petto, frustrata, con le lacrime che mi solcavano le guance a fuoco. Con un singhiozzo, chiusi gli occhi e lasciai andare un sospiro di sollievo quando li riaprii con un sorriso mesto e pieno di rimorso.
- Ho solo chiesto aiuto, quando ho visto la luce alla fine del tunnel quel maledetto giorno dell’incidente. Ho solo chiesto aiuto, e quando sono tornata indietro, ritornando in questa vita ho riaperto gli occhi e ti ho visto. Ho pensato che fossi un angelo, e adesso ho scoperto che lo eri. Un angelo compassionevole. Ringrazio Dio ancora una volta, adesso, per avermi mandato te, e non importa che tu decida di mandarmi via o di farmi restare, ma voglio solo dirti che lo so, sono un’idea sbagliata di persona, per te e soprattutto per Justice Jay. Soprattutto per lei, e mi dispiace tanto, ma non posso farci nulla perché sul serio, non so chi sono più ormai Jensen. Non lo so più ormai – singhiozzai, lasciando che altre calde lacrime bagnassero i miei palmi mentre nascosi il viso pieno di vergogna tra di essi.
Sentii i suoi palmi caldi scivolarmi sulle braccia, sulle spalle e poi sulla schiena, avvicinandomi al suo petto, stringendomi in un abbraccio.
- Ssh -. 
Le sue labbra scivolarono sulla mia tempia, e le mie dita salirono sulle sue spalle, stringendogli convulsamente la maglia scura in una morsa.
- Mi dispiace tanto – singhiozzai. – Dispiace anche a me Syb, non sai quanto – gracchiò con voce roca, lasciandomi un bacio o due sulla pelle accaldata. 
Tirai su col naso, e alzai lo sguardo verso il suo, tirandomi indietro con la testa. Le sue braccia continuarono a circondarmi, e le sue mani corsero in un continuo gioco altalenante sulla mia schiena, facendo quasi sciogliere l’intenso dolore accumulato.
- Io non volevo dirti quelle cose, ferendoti. Volevo solo che tu capissi quando io ci tengo a te, ma che ho bisogno dei miei spazi, e volevo mostrarti i miei limiti che non possono e non voglio che vengano superati ancora – sussurrò, alternando lo sguardo da una parte del viso all’altra.
- Jensen la stessa cosa vale per me, ma io tengo a te tanto quanto Justice Jay, lei adesso fa parte della mia vita come se fosse… - la parola figlia non riuscì a formularsi e la mia lingua restò tra i denti. 
- Lo so, ma un passo alla volta sarebbe fantastico… - sussurrò, interrompendo il gioco di mani, per lasciare che il palmo della sua mano, stringesse la mia guancia umida dalle lacrime.
- Un passo alla volta – ribadii anch’io, sorridendogli appena.
- Iniziamo con qualcosa su cui poter basare il rapporto che hai con Justice, d’accordo? – sussurrò dolcemente, sorridendomi. Corrugai la fronte, e lo fissai incuriosita.
- Qualcosa, come? – domandai, corrucciando la fronte.
Le sue labbra si schiusero, e inevitabilmente la sua lingua li inumidì prima che potessero sorridere un’altra volta.
- Come qualcosa di inaspettato… - sussurrò, prima di abbassare lo sguardo sulle mie labbra e avvicinarsi imperterrito con le sue, in un bacio pieno di sentimentalismo e dolcezza. Qualcosa di soave, di appena palpabile, come una piuma nel posarsi leggera sul palmo della mano. 
Le sue labbra restarono immobili sulle mie, e il suo respiro si udì percettibilmente, prima che potessero schiudersi in un sospiro, e lasciare che giocassero con le mie in una presa leggera sul mio labbro superiore. Il mio shock forse fu sintomo della mia inattività. Ma quando le sua labbra si spostarono appena, scivolando sul mio collo come in un abbraccio da amanti, i miei pensieri esplosero come una bomba, e le mie mani scivolarono intorno alla sua mascella, facendogli rialzare il viso per fissarlo dritto nei suoi occhi. In quel momento capii che si poteva dire tanto senza dire una parola. Perciò chiusi di riflesso i miei, e mi avvicinai alle sue labbra, suggendogli quello superiore con ingenuità come se fosse stato il mio primo bacio. Si, forse lo era, nella mia nuova e strana bizzarra vita, lo era. Jensen sembrò capirlo, e le sue labbra giocarono con le mie quasi con struggente lentezza e con la stessa mia identica ingenuità. Gemetti irritata e quasi sconvolta. Per Jensen quello sembrò tutt’altro tipo di segnale, perciò si tirò indietro preoccupato, fissandomi.
- Non ho detto di fermarti – sussurrai, priva di vergogna, avvicinandomi al suo viso per rubargli un altro bacio.
- Aspetta – sussurrò, tirandomi indietro, appoggiando la fronte alla mia. – Io… - sussurrò.
- Scusami, forse ho esagerato – sussurrai sconvolta e rossa in viso, tirandomi indietro. Se si era già pentito bhè non potevo negarglielo.
- No, non hai esagerato, anzi in realtà potevamo fare di meglio, ma… forse stiamo correndo un po’ troppo – sussurrò, puntando lo sguardo sul mio, mentre le sue mani strinsero le mie in una morsa.
Il mio respiro accelerato, sembrò attenuarsi, e il mio sorriso fu così spontaneo, che non riuscii a non smettere di ridere, neanche quando Jensen tentò di tapparmi la bocca con un ennesimo bacio.
- Mi piaci Sybil, ma dobbiamo rompere quei limiti lentamente, con il tempo – mormorò a ridosso delle mie labbra.
Annuii semplicemente, e con un ultimo bacio della buona notte sulla guancia, mi tirai indietro lasciandolo andare.
Il suo sorriso fu il più dolce di tutti, e quando si chiuse la porta alle spalle, il mondo mi crollo addosso.
E adesso come avrei fatto a nascondergli tutto quello che avevo escogitato quella mattina? Ero nei guai più seri.
Jensen cosa abbiamo combinato?
 



*spazio autrice*
 
Ed eccomi qui, quasi non vi sembra e non mi sembra vero giusto? :D Ahahahaah sono quasi commossa! Un nuovo capitolo, direi quasi strabiliante! .-. “se come no” direte voi xD
Finalmente qualcosa si è smosso tra i due, ci voleva qualcosa del genere? Sinceramente questa domanda me la sono posta, pensando che forse per il bacio era troppo presto, però da quando ho iniziato a scrivere questo capitolo, pensavo solo alla scena di quando l’avrei scritto e proprio in questo capitolo, alleggiava questa cosa… ora non so, voi cosa ne pensate? La domanda appunto la sto ponendo a voi: LA SCENA BACIO E’ STATA TROPPO PRESTO? Esigo una risposta u.u No, sto scherzando, fatemi sapere se vi va il vostro parere, ecco :D
Per il resto, niente, finalmente lei ha un lavoretto strambo e tutto fare per se, quindi cosa vorrebbe più dalla vita?
MILLE LITRI DI ULLUCANO! xD ahahahaha non so cosa mi prende, sarà che sono felice, ma non so per cosa.
Ah, si per il capitolo appena finito :D
Vabbè, adesso vi lascio in pace, e al prossimo capitolo, sperando in qualcosa di veloce come questo xD
 
Xoxo
 
Para_muse

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Capitolo 8
*** We need to talk. ***




 
- Forza piccola, portami fuori da qui…- mormorai, infilando la chiave nel quadro di accensione. […] Non notai il luccichio di qualcosa che colpiva assiduamente lo specchietto retrovisore.
Tutto sembrò andare così a rallentatore.
Qualcuno mi stava aspettando a braccia aperte.
Era l’incoscienza.

Sybil resta coinvolta in un incidente stradale, ma prima che possa arrivare alla fine del tunnel, qualcuno è disposta ad aiutarla, e a recuperare la memoria. Il suo nome è Jensen, il suo angelo salvatore:
Ho solo chiesto aiuto, quando ho visto la luce alla fine del tunnel quel maledetto giorno dell’incidente. Ho solo chiesto aiuto, e quando sono tornata indietro, ritornando in questa vita ho riaperto gli occhi e ti ho visto. Ho pensato che fossi un angelo, e adesso ho scoperto che lo eri. Non importa che tu decida di mandarmi via o di farmi restare, ma voglio solo dirti che lo so, sono un’idea sbagliata di persona, per te e soprattutto per lei. Mi dispiace tanto, non so chi sono più ormai Jensen. Non lo so più ormai.[…]
Un passo alla volta –
ribadii anch’io, sorridendogli appena.
- Iniziamo con qualcosa su cui poter basare il rapporto. – sussurrò.


 

 Capitolo 8
 We need to talk.

 

Due settimane dopo…
 
 
- E stop! Una pausa di cinque minuti e si ricomincia ragazzi! – urlò Singer, lasciando liberi sul set tutto i ragazzi della crew. Jensen appena mi vide mi venne incontro, e con un sorriso mi strinse le mani in una morsa, avvicinandomi a lui per un bacio a fior di labbra.
- Stai andando via? – domandò sorridendomi dolcemente. Io annuii e distaccandomi da lui, troppo timida per mostrarmi ancora al pubblico e agli sguardi curiosi dei ragazzi, gli sorrisi e divenni rossa.
- Non farci caso, ci sono abituati – mormorò, avvicinandosi a me di nuovo in un abbraccio protettivo.
- Lo so, sono io che devo abituarmi. Non sai quante domande mi fanno le ragazze al piano di sopra – borbottai, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lentamente si stavano facendo sempre più lunghi, e mi piacevano molto così com’erano: lunghi, morbidi e ben curati, come piacevano anche a Jensen.
- A che ora hai l’appuntamento dalla dottoressa? – domandò curioso. Io fissai l’orologio e alzai le spalle.
- Tra una mezz’oretta, ma penso proprio di dover andare adesso se non voglio incontrare traffico – sussurrai, facendo dondolare le chiavi dell’auto che mi ero fatta finalmente aggiustare, dopo aver convinto Jensen per ore e ore.
- Allora va. È sta attenta per favore – borbottò, facendomi un carezza sul viso, prima  di lasciarmi con un bacio sulle labbra.
- A stasera – dissi, lasciando andare la sua mano, dirigendomi fuori nel parcheggio. Infilai la chiave e con un piccolo rombo feci partire la mia piccola. – Quando mi sei mancata! Ti adoro! – esclamai alla mia adorabile autovettura.
Mi infilai nel traffico, e raggiunsi con estrema cautela l’ospedale per un ennesimo controllo mensile. Febbraio ormai era iniziato, e i giorni sembravano volare, a differenza dei primi. Si mi piaceva un sacco vivere con Jensen, e adesso che stavamo insieme, era ancora più divertente portare in scena, come in un evento al teatro, il fatto di tornare a casa dopo il lavoro, con una bambina adorabile a raccontarti le cose più belle o le cose più brutte che le fossero capitate a scuola. Mentre la mia mente viaggiava nelle fantasia matrimoniali e familiari, vidi il parcheggio dell’ospedale stagliarsi alla mia destra, perciò misi la freccia, e da brava patentata, parcheggiai nella giusta posizione in un box, e in retromarcia.
Scesi dall’auto, chiusi la portiera, e mi diressi alla reception, facendomi aiutare da un infermiera.
- Si la dottoressa Smith l’aspetta al secondo piano, può trovarla nel suo studio, basta chiedere arrivata di sopra – disse cordialmente, lasciandomi con un sorriso. Le sorrisi a mia volta, e ricambiandole il sorriso, salii con l’ascensore al secondo piano, appunto. Chiesi informazione, e non poco complicate, presi un lungo corridoio, fissando le varie porte, aperte e chiuse, fin quando non arrivai davanti ad una porta bianca, con su scritto: “Studio Clinico Dott.sa Smith”. Bussai due volte, e lentamente aprii la porta, quando me lo fu permesso. Entrai, e con un sorriso, la dottoressa mi invitò nuovamente ad entrare e ad accomodarmi. Lo feci, e iniziammo a parlare del più e del meno, poi mi chiese come andava, dopo l’ultima visita: - Abbastanza bene. Io e Jensen ci comprendiamo meglio, io prendo le mie vitamine, e la mia pillola della nanna, per fare sonni tranquilli, mentre Jensen prende nei migliori dei modi i piccoli passi avanti che faccio. Adesso lavoro, guido di nuovo, e non dimentico così facilmente le cose. Meno capogiri, insomma, sto meglio con me stessa! – esclamai felice, fissandola contenta, e ringraziandola, perché in fondo era tutto merito suo se ero riuscita a migliorare.
- Dunque… Jensen eh? Siamo passati già al nome. L’ultima visita era solo Mister Ackles. Facciamo passi avanti con le relazione mi pare di aver compreso… - la dottoressa mi guardò con sguardo curioso, da donna quasi pettegola, poi fece un gesto con la mano, come per dire non ha importanza, e si mise a ridere felice: - E’ bello sapere che qualcuno ti è vicino, dopo quello che hai passato, con quel brutto incidente. E’ un angelo custode quel Jensen Ackles. E’ un grande attore, oh! Mia figlia impazzisce per Dean Winchester! – borbottò, portandosi una mano alla fronte, come se fosse disperata.
Sorrisi divertita, e alzando le spalle, mi nascosi dietro al bicchiere d’acqua che poco prima mi aveva riempito.
- Allora, facciamo un controllo veloce, e poi ti lascio andare alle tue faccende, dovrai sicuramente tornare a lavoro, dunque… -; Non lasciai intendere che non avevo nulla da fare, ma mi lasciai semplicemente visitare, e un paio di minuti dopo, uscii dall’ospedale con un sospiro di felicità alle spalle. Tutto apposto, dovevo continuare con la cura, nulla di ché.
Salii in macchina e uscii dal parcheggio con un sorriso stampato in faccia… fino a quando però lo sguardo non si spostò sullo specchietto retrovisore, e notai che qualcuno con un sub dietro mi veniva dietro. Capii d’un tratto che si trattasse dell’auto di Jensen, ma non era lui. Era Cliff.
E addio al piano che avevo pensato di attuare quella mattina, dopo che avrei finito con visita medica.
Accostai al marciapiede, e lasciai che il sub si fermasse dalla mia parte. Abbassai il finestrino e fissai contrariata Cliff.
- Mi ha mandato a Jensen a vedere se era tutto okay. Com’è andata la visita? – domandò un po’ frettoloso, preoccupato per l’intralcio al traffico.
Lo fissai un po’ amareggiata. Maledetto Jensen iperprotettivo!
- La visita tutto okay? E tu? Lo spionaggio è tutto okay? – borbottai contrariata, lasciandogli uno sguardo di sbieco. Lui mi fece un risolino di scuse, e rimettendosi in moto, mi lasciò il via libera, per tornare in strada, e a casa, visto che lui si stava dirigendo proprio la.
Parcheggiai nel vialetto, proprio dietro il sub, pronta a correre subito in casa, visto che era iniziato a piovigginare.
Cliff prese le chiavi da sotto la tegola li vicino la porta, e infilandola nella toppa, aprii e mi fece entrare per prima, da galante uomo qual era.
- Jensen deve smetterla di farmi pedinare, non posso nemmeno andare che ne so, a far la spesa? Perché ci sarà lui a farmi perseguitare da altri! Tra un po’ vado in bagno, sappilo Cliff, li non voglio sentirmi osservata e seguita da nessuno, tanto meno da te! – gli dissi arrabbiata, dirigendomi verso il bagno, chiudendo la porta furiosamente.
Mi portai davanti al lavabo, e aprii l’acqua senza che facessi sentire altro rumore. Dopo di ché, infilai le mani a coppa sotto il getto, e mi spruzzai l’acqua sul viso, cercando di calmare il senso di rabbia e di calore che sentii in tutto il corpo.
Dopo un po’, quando pensai che riuscissi a parlare civilmente con Cliff, uscii dalla porta, e non trovai nessuno in cucina, tanto meno in soggiorno. Spiai fuori dalla finestra se c’era ancora il sub, ero li appunto, ma Cliff non c’era. Forse era andato via a piedi. Mi sentii un po’ in colpa, perché in fondo stava piovendo, e anche se Cliff era un omone che resisteva a tutto, non penso che riuscisse a resistere anche alla pioggia fredda di febbraio.
Delusa adesso, presi il cappotto che avevo lasciato sul divano, e infilandomelo, andai un po’ in giro con l’auto, facendo un po’ di shopping nei charity shop. Erano comunque ottimi libri che compravo in quei negozi, e anche ottimi vestiti, in fondo non aveva una paga così alta da mettermi capi di alta moda. A me bastavano anche quelli di secondo mano.
Mentre passavo da una vetrina ad un’altra, con l’ombrello aperto, non stavo così attenta alle persone che venivano contromano sul marciapiede, pensando che in fondo sarebbero state attente a me, che ero intendo a fissare le vetrine, e non io a loro, che avevano fretta di fare altro, invece di godersi un po’ di sano relax con lo shopping.
Mentre fissavo una torta di compleanno da una vetrina di una pasticceria abbastanza famosa – per la folla dentro il locale – qualcuno mi spinse così indietro il braccio con cui tenevo in alto l’ombrello, che mi fece scappare di mano il manico, borsa e una delle tante buste che avevo tra le mani.
- Ehi! – esclamai spaventata e allo stesso tempo arrabbiata, abbassandomi a prendere tutto, prima che potessero rovinarsi o addirittura essere calpestati. Non mi accorsi a prima impatto chi fosse ad avermi spinto, ma quando alzai lo sguardo per farmi dare di nuovo la busta del charity shop, lo sguardo si soffermò su uno sguardo dagli occhi chiari e sotto shock.
Ben.
- Sybil? – domandò stupito, fissandomi come se fossi un’aliena. – Cavolo sei tu? Nemmeno ti riconoscevo, ti sei tinta i capelli e non sembri nemmeno tu! – esclamò di colpo, sorridendomi e sporgendomi ad abbracciarmi.
Vari ricordi invasero la mia mente: baci, carezze, parole sussurrate. Ben era più di un amico. L’avevo intuito da quel semplice e leggero abbraccio. Non mi accorsi immediatamente di una persone in disparte, che stava tornando indietro per richiamare l’attenzione di Ben, ma quando alzai lo sguardo verso una ragazza dagli occhi celesti, e di un biondo brillante nascosto sotto un cappellino di lana, riconobbi la mia ex migliore amica.
- Anna – sussurrai, fissandola stupita. Sembrava più adulta, più seria, con quel tratti spigolosi.
- Tesoro, andiamo! – esclamò di colpo, stupita e frustrata, afferrando il braccio di Ben, per tirarlo via dal mio abbraccio.
- Anna! – esclamai di colpo, cercando di fermarla, parlandole. – Aspetta, devo chiederti un paio di cose! – dissi di getto, ma senza ottenere la sua attenzione. Mi fuggì da sotto gli occhi, tra la gente di Vancouver.
 
Visto che dopo pranzo, ero ancora da sola a casa, non volevo che JJ andasse dalla sua migliore amica come al solito, perciò decisi di andare a prenderla da scuola, per portala a casa, e prepararla una bella merenda. Quando parcheggiai il sub – visto che c’era il seggiolino incorporato apposito per lei – scesi dall’auto e aspettai con l’ombrello aperto, proprio davanti la portiera del passeggero.
Quando vidi i bambini uscire dalle porte principali, feci giusto in tempo ad alzare le braccia per farmi notare da lei, che stupita, portandosi le mani alla bocca mi venne incontro, abbracciandomi.
- Sybil, che bello vederti qui! Ti ha mandato papà? – domandò curiosa, stritolandomi una mano. Le sorrisi e scuotendo la testa le spiegai che oggi non avevo avuto proprio nulla da fare.
- Bene, possiamo passare un bel pomeriggio insieme! – esclamò abbracciandomi di nuovo. Fu allora che sentii un paio di rumori susseguirsi. Clik, Clik. Sembravano rumori da macchine fotografiche, alzai lo sguardo guardandomi attorno, e notai due uomini farmi le foto. Farci le foto. Cosa volevano?
- Dai, andiamo a casa! – disse Justice Jay, attirando la mia attenzione. Sorridendole, aprii la portiera posteriore, e la feci entrare, sistemandole accanto lo zaino pieno di libri. Dopo di ché, feci il giro ed entrai dalla parte del guidatore, chiudendo l’ombrello e la portiera al seguito.
Quando furono allacciate le cintura di sicurezza, accessi il quadro dell’auto, e mi misi in marcia, con qualche dubbio su quei uomini che mi ricordarono tanto dei paparazzi. Sicuramene avrei trovato la risposta sul web, magari con qualche titolo mastodontico sul fatto che fossi la fidanzata di Jensen Ackles. Mitico.
 
- Cosa stai facendo? – domandò Justice Jay, alzando lo sguardo dal suo quaderno, dove stava facendo gli esercizi.
Alzai lo sguardo dal cellulare, e dalle foto incriminanti di me e Justice Jay, tutte sorridenti. Perfetto.
- Niente, twitto qualcosa di sciocco – borbottai, poggiando la guancia sul pugno chiuso. Lei mi sorrise, e curiosa si avvicinò alla mia sedia per vedere. Immediatamente aprii la schermata di twitter,



e feci finta di scrivere qualcosa: - BOREEEEED! – borbottai, e scrissi, twittando il mio duemila centotrentasettesimo tweet.
- Posso vedere le tendenze di oggi? – mi chiese cortese, aspettando che le dicessi si. Gli porsi il telefono, e sotto la mia più totale sotto sorveglianza, notai che faceva veramente quello che aveva chiesto. Le più classiche erano: #Justinbelibersloveyou, oppure #lovaticsforever. Roba del genere. Girovagò un po’ e lesse qualche stupito tweet divertente, poi però tornò di nuovo a fare i compiti, e mi annoiai ancora un po’, prima che finalmente dicesse: -Finito, che facciamo adesso? -.
L’unica cosa che mi venne in mente fu un film, e fu proprio quello che facemmo. Fissammo Ryan Gosling e la sua performance in “Le pagine della nostra vita”.
- Che sdolcinato, vero? – domandò JJ, sbruffando e mangiando allo stesso tempo i popcorn con il caramello sopra.
- Già… mettiamo qualcos’altro? – domandai, fissando i vari scaffali pieni di film. – Che ne dici della “Carica dei 101”? – domandai, mostrandole il dvd. Le si illuminarono gli occhi e annuendo, si sistemò di nuovo il cuscino dietro le spalle, e sedendosi bella comoda, aspettammo che iniziasse il film.
 
- Ti va di fare un giro? Sono stanca di stare a casa – borbottai, smaniando dalla voglia di fare qualcosa di diverso. La prossima volta che avrei preso una pausa da lavoro, l’avrei presa solo per fare la visita, e poi sarei ritornata. Non riesco a stare con le mani in mano, e non fare nulla.
- Okay, papà non tornerà proprio ora, quindi… andiamo! – esclamò, prendendo il cappotto e il cappellino di lana. Se lo infilò, e aspettandomi davanti la porta bella imbacuccata, le sorrisi e afferrando le chiavi dell’auto, uscimmo alla scoperta di Vancouver.
- C’è un posto carino dove vendono dolciumi. Fanno cose carinissima con la cioccolata, ci andiamo? Ti pregooooo! – implorò accanto a me, nella sedia del passeggero, seduta sul suo seggiolino per bambini “adulti”.
- Possiamo provarci! – borbottai, nascondendo un sorriso.
- Ti pregoooo! – implorò di nuovo, tirandomi per una manica. Le sorrisi e annuii, stando attenta alla strada.
- Mitico! – esclamò entusiasta, battendo le mani.
 
Quando uscimmo dal negozietto con una cioccolata all’essenza di more, e una all’essenza di mandorle, girovagammo un po’ tra le coppiette, famigliole e bambini che scorrazzavano per la strada chiusa al traffico, ma aperto al pubblico ovviamente.
- Anche se Natale è passato, sembra di esserlo ancora vero? Forse è il tempo! – esclamò JJ, tenendomi per mano, mentre beveva lentamente la sua cioccolata a piccoli sorsi. Mi voltai a fissarla e ad annuire, quando scoppiai in un riso per i suoi baffetti fatti di cioccolato.
- Cosa c’è? – domandò sorridendo a sua volta, un po’ stupita, fissandosi attorno. – Perché ridi? Voglio farlo anch’io, Syb! – esclamò frustrata, guardandosi attorno.
- Girati un attimo, e guardarti… e guardati nel riflesso di quella vetrina! – dissi indicandogliela, mentre cercavo di trattenere le risate.
La bambina si voltò e mortificata, si portò una mano davanti la bocca, sgranando gli occhi.
- Me lo potevi… mmh, dire cavolo! – borbottò arrabbiata, mentre si leccava via il cioccolato rimasto li per un po’.
- Eri buffa! – dissi, lasciandole un buffetto in testa, prima di prenderla di nuovo per mano, e percorrere la via del ritorno in auto.
- Scema! – borbotto, dandomi un colpo di fianco alla gamba, facendomi tendere verso sinistra. Sorrisi e scossi la testa. Bambini!
 
- Vorrei fare una visita alla mia vecchia università. Vuoi venirci? -. – Si, certo che si! – esclamò Justice Jay, allacciandosi la cintura di sicurezza, fissando poi davanti a sé.
- Okay, però promettimi che non lo dirai a papà, capito? Deve restare una cosa tra ragazze! – borbottai, fissandola seria, dritta negli occhi. Lei mi fissò stupita, con due occhioni grandi e con le labbra strette in una linea sottile. Annuii solamente, e mosse le palpebre qualche volta, prima di ritornare a fissare fuori.
- La vista da qui davanti è migliore! – disse, fissandosi intorno, mentre percorrevamo le strade di Vancouver, raggiungendo l’Università di Vancouver.
Quando parcheggiai, aspettai che scendesse, e chiudendo con un semplice “click,click”, presi per mano JJ e ci dirigemmo alla segreteria.
Bussai un paio di volte, e dopo “avanti”, aprii la porta, e chiesi aiuto.
- Sono informazioni private, non possiamo riferirle a terzi, mi dispiace – disse irremovibile la segretaria.
- Ma ne ho bisogno, devo recapitarle un pacco dei suoi genitori, e poi mi conosce, siamo amiche, mi creda – sussurrai, cercando di essere convincente.
- Quale pacco? – domandò stranita la bambina, fissandomi, e attirando l’attenzione della segretaria.
- Quello degli zii, tesoro. Non ricordi? – dissi, voltandomi, e facendole un occhiolino cercai di farle capire di mettersi in gioco.
- Oh, è vero! Quello dei vestiti di scena, la mamma ha ragione! – disse Justice, voltandosi a fare la faccina d’angioletto, verso la segretaria ammaliata.
- Eh va bene, ma solo per questa volta. Ecco qua – disse, digitando qualcosa sul pc, e scrivendo l’indirizzo su un post it giallo, me lo porse, sorridendomi.
- Grazie per l’aiuto, è stata veramente gentile! – esclamai, stringendole la mano, scappando da quel posto, prima che potesse come minimo riconoscermi.
- Arrivederci! – salutò JJ tranquilla. La segretaria ricambiò con un sorriso, poi ritornò al suo lavoro, mentre noi ritornavamo alla macchina.
- Ma a cosa ti serve l’indirizzo di questa persona, Sybil? – domandò curiosa Justice Jay, facendomi pentire di averla portata con me. Io scossi la testa e me ne uscii con: - Niente, devo parlarle di una cosa – sussurrai, sorridendole tranquillamente.
- Ah, se lo dici tu – borbottò, salendo sul sedile, e poi sul seggiolino, attaccandosi la cintura.
Bene, almeno si era un po’ convinta.
 
- Resta qui, non ti muovere. Faccio un attimo! – borbottai, voltandomi appena verso JJ, prima di sganciare la cintura, mettere il freno a mano, e scendere dall’auto, correndo verso il porticato della casa, prima di bagnarmi la testa.
Non sapevo cosa mi aveva spinta fin li. Forse il fatto che l’avessi vista quel pomeriggio, o magari la relazione che avevo avuto con Ben, e adesso era una “loro” relazione.
Insomma, non so perché portai il dito sul quel campanello, ma avevo bisogno di parlarle, di chiarire alcuni buchi neri nella mia memoria.
“Ti prego, fa che mia dia una possibilità!” pensai, incrociando le dita nel pugno della mano.
Vidi qualcosa muoversi dietro le tende del salotto, e poi della porta, prima che Ben l’aprisse, e mi sorridesse come se fossi una vecchia amica di famiglia, e non una semplicemente “sgualdrina” come aveva detto in sogno Anna.
- Ciao, Ben! C’è Anna? – sussurrai, facendo un sorriso forzato.
Lui mi sorrise a sua volta, e aprendo di più la porta chiamò ad alta voce: - Annabella! -. – Si tesoro che c’è? – chiese, forse dalla cucina, o dal piano di sopra. Quando sbucò dalle sue spalle, mi sorprese. Avevo immaginato un’entrata a scena. Magari scendendo dalle scale appunto. Quando mi vide restò ferma sul posto, sotto shock, senza dire nemmeno una parola.
- Ciao Anna – sussurrai, alzando una mano, e abbassando subito lo sguardo, quasi trafitta dal suo. “Se solo gli sguardi potessero uccidere”, una voce nel profondo del mio alter ego, me la citò come un’attrice drammatica.
- Che cosa sei venuta a fare? Vattene via, non vogliamo sgualdrine a casa nostra! – borbottò, prima di afferrare la maniglia della porta, per sbattermela in faccia.
Mi lanciai verso di essa, cercando di non farla chiudere.
- Aspetta, abbiamo bisogno di parlare. Io, ho bisogno del tuo aiuto! – sussurrai, cercando di mettere da parte l’orgoglio, per ricostruire un’amicizia piena di ricordi.
 
 
 
*Spazio autrice*
 
VI CONSIGLIO DI LEGGERE FINO ALLA FINE u.u
Allora si è un po’ cortino, ma meglio di niente no? :D
Questo capitolo non è stato difficile di scrivere, è uscito fluido, e l’ho scritto con più frequenza, quella che mi fa scrivere con più tranquillità.
Non c’è molto da dire, a parte la nuova coppia che ne è uscita fuori ovvero Sybil/Jensen, da aspettarselo, forse un po’ troppo scontato, ma vedrete, che di scontato in questa storia, a parte questa relazione non c’è nulla u.u tutto ben programmato e studiato nei piccoli dettagli. Tutto fatto per lasciarvi sotto shock u.u mhuahahahaha *risata malefica* v.v
Per il resto, avete visto chi abbiamo beccato? Annabella e Ben! E stanno insieme, e chi se l’aspettava?
Bhè spero via sia piaciuto il finale capitolo. Quando ho iniziato a scriverlo, sapevo già che doveva finire così xD
Al prossimo, che già sto cercando di programmare; perché quello che voi non sapete e che para_muse invece di dormire alle 7 di mattina, sta a letto e con gli occhi chiusi ancora semi addormentata, la sua mente mezza sveglia si fa dei flash sui possibili colpi di scena sui capitoli avvenire, e devo dire che ce ne sono un paio davvero da *smack* bacio sulle dita. xD
 
Vi lascio e al prossimo capitolo, sperando sia imminente come questo, perché ormai ho tutta la trama pronta lettrice care u.u

 

 
Sybil parlerà con Annabella, anche se quest’ultima è un attimo indecisa sul da farsi. Jensen cerca di calmare gli animi in casa Ackles, e con sorrisi finti cercherà di svelare la vera identità di Sybil… come la prenderanno le persone a loro care? Scopritelo nel prossimo capitolo di Just a give me a reason, solo su EFP!
 

P.S: Ecco qui una video richiesta che ho fatto La vida es un Carnaval. Non era proprio quello che volevo intendere, ma è carino, e volevo farvelo vedere :D Comunque penso di cimentarmi in un video tutto mio ;D Non preoccupatevi! E non fatevi sviare da certe scene, perchè appunto non era quello che mi ero programmata io!  LO TROVATE QUI!


Xoxo Para_muse ;D
 
 
 

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Capitolo 9
*** Several Revelation ***


Nei capitolo precedenti di “Just give me a reason”
Dopo le prime foto uscite sui giornali e sui siti di gossip, e dopo la non reazione di Jensen, Sybil e Justice Jay sembrano avvicinarsi sempre di più, e non solo tra la ragazza e la bambina. Jensen sembra essere più preoccupato per Sybil (dopo che Lei ha trovato finalmente un lavoro), e mette alle calcagna di quest’ultima Cliff, che scoperto dalla sua vittima, rifiuta di seguire la ragazza, lasciamo in giro da sola. Così facendo Lei è libera di andare dove vuole, perfino ritornare nella casa della sua ex migliore amica, rivista in giro per le vie della città, insieme ad un suo ex compagno di università.  Anna, ritrovandosi davanti la porta la ex migliore amica, si rifiuta di riaverla nella propria vita, perciò Sybil sarà così costretta ad abbassare le ali del suo orgoglio. Riuscirà a parlare con Anna? Scoprilo in questo capitolo :)
 
Ci vediamo alla fine del capitolo, li dico tutto ed altro sul prossimo capitolo ;D
 
Capitolo 9
Several Revelation

Passeggiavo per le vie del centro, visto che avevo un’ora di pausa pranzo dopo il lavoro, sarei dovuto andare in un piccolo ristorante in centro dove avrei potuto sapere tutto o quasi della mia vita precedente.
Finalmente, ci sarei riuscita! Avrei dato luce alla porta oscura che attanagliava la mai mente. Annabella era stata alla fine disposta ad accettare la mia offerta. Non so se la convinsero le lacrime o la mia forza e il mio coraggio, quando mi gettai su quella porta per lasciarla aperta, facendo si che quel legame che si era legato tra i nostri sguardi restasse unito e tale come l’avevamo ricongiunto; forse era stato proprio quel legame a portarci a fare quello che stavamo per fare: pranzare dopo tanto tempo divise, insieme. Come i vecchi tempi.
Trovai il piccolo ristorante sulla strada che mi aveva indicato Annabella, e vi entrai cercandola. Quando la vidi, alzai una mano salutandola e raggiungendola. Dopodiché dalla sedia tolse la borsa, e mi fece accomodare, senza un sorriso ad accogliermi. Potevo comprenderla.
- Scusa il ritardo, ho fatto tardi a lavoro – sussurrai, poggiando la borsa a terra, e la giacca sulla spalliera della mia sedia, mentre lei giocava aprendo e chiudendo il menù di carta del ristorante.
- Ordiniamo? Io sto morendo di fare – borbottò, alzando un braccio per richiamare l’attenzione di uno dei camerieri.
A quell’ora il locale era un po’ pieno, perciò mi stupii che ci fossero comunque camerieri disponibili ad occuparsi delle nostre ordinazioni.
- Io prendo un piatto di insalata con pollo grigliato e verdure miste – disse, posando il menù con cui aveva giocato fin all’arrivo del cameriere.
- Per me lo stesso – sussurrai timidamente, fissando il cameriere.
- E da bere le signore gradiscono? -.
- Un bicchiere d’acqua – borbottammo all’unisono. Mi scappò un sorriso che non travolsero le sue labbra, lei restò seria e contrariata.
- Le vostre ordinazioni arrivano subito – disse il cameriere gentile. Lo congedai con un movimento del capo, e poi mi volsi un po’ contrita e preoccupata verso Annabella.
Cercai di mantenere dentro l’adrenalina e la voglia di sapere, ma non ci riuscii.
- Perché abbiamo litigato? Cosa ci ha portato a farlo? – domandai congiungendo le mani sotto il mento.
Prima che iniziasse a parlarmi e a chiarirmi le idee, si voltò più a volte, guardandosi attorno. Dopodiché abbassò lo sguardo sul tovagliolo sotto le posate, lo afferrò e inizio a giocarci.
- Il tuo lavoro, ecco cosa ci ha divise – sussurrò, alzando per un attimo lo sguardo, fissandomi dritta negli occhi, provocandomi una fitta al petto.
- Il mio lavoro? Cosa aveva che non andava? Ti ho sentito varie volte darmi delle puttana in queste ventiquattrore, potresti spiegarti meglio? – domandai un po’ precipitosamente.
- Certo, la questione è semplice da spiegare. I tuoi genitori sono morti, il tuo conto in banca è andato a farsi fottere e tu per guadagnare dei soldi, sei andata a cercarti un lavoro non poco ben visto dalle mie parti e da noi ragazze per bene – borbottò a bassa voce, abbassando la testa tra le spalle, e avvicinandosi di più spanne al mio viso stupito.
- Conosco la mia situazione alla banca adesso, sto cercando di riparare il debito che i miei genitori mi hanno lasciato. Ma cosa intendi per “lavoro non poco ben visto”? Facevo davvero la… puttana? – domandai a bassa voce senza farmi sentire dalle persone sedute ai tavoli vicini al nostro.
Lei mi fissò, ma non parlò prima che il cameriere che era appena arrivato con le nostre ordinazioni fosse andato via.
- No, ma qualcosa di più vicino a quel mestiere. Mi ricordo che una volta… - la fermai alzando una mano.
- Cosa intendi dire? – domandai preoccupata.
- Sybil? Ancora non ci sei arrivata? Facevi la spogliarellista in un club, e per di più ti sei data ad alcuni uomini pur di far qualche spicciolo in più e riuscire a pagarti gli studi e la catapecchia in cui sei andata ad abitare – borbottò schifata, iniziando a mangiare il primo boccone di insalata e pollo.
Feci la stessa cosa anch’io all’inizio, ma quando iniziò a parlarmi di striptease e di vendere il mio corpo, mi fermai, tenendo la forchetta attaccata al piatto.
- Io… non ricordo nulla di tutto ciò – sussurrai, senza fiato, fissandola. Lei sembrò quasi dispiaciuta.
- Chissà perché… non sono stupita se sei finita in ospedale per qualche strana overdose di stupefacenti – borbottò, bevendo un sorso d’acqua.
La fissai sbarrando gli occhi.
- Facevo uso di sostanze stupefacenti? – domandai preoccupata, portandomi una mano alla gola spaventata.
- Questo lo penso io, sennò per quale motivo sei andata a sbattere contro un palo senza motivo? – domandò quasi divertita.
Riflettei sulle sue parole, e poi la rabbia prese il sopravvento. Stava parlando del mio incidente: - Ma è stato un incidente! Non era sotto effetti di droga o altro! Mi hanno investito ed ho perso la memoria! – esclamai, facendomi quasi sentire da tutti.
Le persone mi lanciarono qualche sguardo curioso, poi quando cercai di nascondermi dietro un bicchiere d’acqua ormai mezzo vuoto Annabelle si chiarì:
- Senti non so cosa ti sia successo se hai perso la memoria per l’incidente o hai dimenticato la tua vita precedente per qualche droga, insomma abbiamo litigato perché eri considerata una prostituta che la dava a tutti, e io non volevo appartenere al tuo giro. Tu mi hai nascosto tutto, e io l’ho scoperto solo per voci di corridoio, all’università. Perciò ti ho sbattuto fuori di casa, mi dispiace per questo – sussurrò rammaricata, - ma almeno io mi son salvata la reputazione, e tu alla fine sei riuscita a rifarti una nuova vita. Hai un attore che si prende cura di te, un buon lavoro, e uno stipendio che ti aiuterà a risolvere i problemi. Ti ho detto tutto quello che c’era da sapere, spero ti sia stata d’aiuto! – borbottò, portandosi in bocca l’ultimo boccone di insalata.
Abbassai lo sguardo sul mio piatto ancora pieno e poco invitante. Avevo la pancia così chiusa che non so se sarei riuscita a mandare giù un altro sorso d’acqua. Dopo tutte quelle verità venute a galla, mi preoccupai e mi tormentai un sacco. Come avrei potuto dire a Jensen che la mia vecchia vita era qualcosa di così sbagliato solamente da raccontare?
Prostituta, spogliarellista, puttana… chissà all’università come mi avevano cucita. Che brutta situazione.
- Se volessi fare un giro da quelle mie vecchie parti, per sapere qualche informazioni in più, sai dirmi per caso la via di questo club? – domandai con voce monocorde, triste.
Annabelle bevve il suo ultimo sorso d’acqua e poi si alzò, prendendo la borsa dall’altra sedia.
- Dicevano Red Point o qualcosa del genere. Cerca su google, ti darà la via e tutto il resto – borbottò, infilando il giubbotto e la sciarpa.
- Senti – disse, fermandosi accanto alla mia sedia, fissandomi dall’alto. – Mi dispiace per quello che hai passato, ma è meglio se è andata così. Adesso devo andare, se hai bisogno… - prese qualcosa dalla borsa e me la porse – qui c’è il mio numero, ma non sono molto disponibile, ho gli esami da fare quest’anno, quindi… se hai bisogno, io cercherò di esserci. Ora… devo andare, ci vediamo – mi diede un colpo sulla spalla, e andò via, pagando la sua parte alla casa prima di uscire.
Fissai il piatto che si faceva sempre poco più invitante, e alzandomi dalla sedia come un robot appena attivo, andai alla cassa per pagare il pranzo non consumato, uscendo dal ristorante con la pancia piena di farfalle e non di cibo.
 
- Sono a casa – sussurrai, scrollandomi di dosso qualche goccia di pioggia appena caduta. Dopo pranzo ero ritornata a lavoro, e a fine di quello con Jensen ci eravamo divisi i compiti. Lui sarebbe andato a prendere Justice Jay, mentre io a fare la spesa. Ero arrivata appena in tempo per parcheggiare l’auto dietro al sub nero di Jensen, che la pioggia era iniziata a cadere giù con grosse chiazze sui mattoni grezzi e gialli.
- Eccoti! – esclamò Jensen, avvicinandosi per darmi una mano con le buste della spesa, lasciandomi una bacio sulla fronte come ringraziamento. Sorrisi dolcemente e tesa, ancora per il pomeriggio passato a pensare e ripensare alle verità venute fuori a pranzo.
- Syby! – esclamò JJ, allungando l’ultima consonante del mio nome, correndomi incontro. Mi si attaccò alla pancia, e stringendomi forte mi impedì di camminare oltre.
- Ciao JJ, com’è andata oggi? – domandai, lasciandole un buffetto sulla testa, prima di riuscire a liberarmi dalla morsa.
- Abbastanza discretamente. Oggi ho preso una A+ in scienze, e una B in francese. Non è il mio forte purtroppo! – borbottò triste, storcendo le labbra in una smorfia, mentre si sedeva sullo sgabello in cucina, fissandoci disfare le buste.
- E voi invece? A lavoro? – domandò, fissandoci sorridente.
Io alzai semplicemente le spalle, passando lo zucchero e un pacco di patatine a Jensen, che sistemò in una delle mensole in alto.
- E tu papà? Che scene hai girato? – domandò curiosa sua figlia, ascoltando la trama un po’ abbozzata della prossima puntata nella settima stagione di Supernatural.
- Non vedo l’ora di vedere cosa combinerà Dean! I miei amici ti adorano, e Jake mi ha chiesto se puoi fargli un autografo? Puoi farlo, per favore? – domandò JJ mettendo il musino.
- Vedremo – disse nascondendo un sorriso tra le labbra strette in una morsa.
- Per favore! – esclamò di colpo JJ, saltandogli addosso come una scimmietta. Jensen sorrise, e stringendosela al petto, le diede un bacione sulla guancia e la lasciò cadere giù accordandole l’autografo.
Non avevo mai visto un Jensen così affettuoso. Era da un paio di giorno che era così, da quando ci eravamo dati quel bacio in camera mia. Sembrava diverso, più vivo, più felice.
Lasciandole una pacca sul sedere, si volto verso di me, per lasciarmi un bacio sulla guancia, prima di posare l’ultima cosa e dirigersi poi in bagno per una veloce doccia.
- Preparo la cena e poi ci diamo il cambio! – gli urlai dietro, sorridendogli furba. Lui mi alzo una mano con il pollice in su, e sorridendo, iniziai a preparare qualcosa da mettere sotto i denti.
- Ti va di aiutarmi JJ? – domandai dolcemente, abbassandomi a prendere una padella da una delle mensole in basso.
- Okay! – esclamò entusiasta, avvicinandosi a me per vedere cosa fare.
 
- Dovresti conoscere mia sorella Mackenzie, è una versione più grande di JJ. Piena di sprint e pazza! Soprattutto fuori di testa! – esclamò stringendomi al suo fianco caldo, tra le sue braccia.
Portai un braccio a circondargli il petto e la spalla, mentre una gamba era intrecciata alla sua, sul letto matrimoniale, nella sua stanza.
- Mmh, mmh – borbottai, poco convinta. Non pensavo fosse una brutta idea, ma conoscere subito la famiglia di Jensen, bhè non era nei miei piani, e soprattutto accettabile adesso, in un momento così delicato della mia vita in cui, il bivio da scegliere non è più uno soltanto.
- Mia madre andrebbe pazza per te. Saresti la nuora perfetta! – esclamò quasi senza rifletterci un secondo di più.
A quelle parole mi bloccai un attimo. Fermai il respiro e mi irrigidii. Lui se ne accorse subito, e scuotendomi appena, mi strinse ancora più forte a se, cercando di tranquillizzarmi.
- Ehi, Smemo, tranquilla, non ci sposeremo domani! – borbottò con una mezza risata di fondo, tranquillizzandomi un po’.
- Sarebbe meglio andarci piano con tutte queste cose: famiglia, matrimonio etc…etc.. -. – Lo so, non sei pronta – sussurrò, poggiando le labbra sulla mia tempia sinistra, lasciandoci sopra baci leggeri come petali di rose.
- No, non lo sono per niente – sussurrai, alzandomi verso il suo viso, e avvicinando le labbra alle sue, gli lasciai un bacio come un battito di ali.
- Quando lo sarai, lo saprà tutto il mondo… - borbottò, socchiudendo gli occhi, facendo un mezzo sorriso divertito.
Lo fissai più che seria e pizzicandola ad una spalla, dissi: - Magari iniziamo con la tua famiglia, e poi vediamo… - borbottai contrariata a tutte quelle sue voglie di protagonismo.
Lui si lasciò andare indietro con un sospirò, e chiudendo gli occhi non mi rispose più. Mi strinse solo a se, e lasciò che il silenzio calasse su di noi.
Sospirai piena di pensieri, e con la mente in subbuglio, appoggiai la guancia sulla sua spalla sinistra, accoccolandomi al suo corpo caldo e accogliente. Chiusi gli occhi e sperai di addormentarmi, ma così non fu. I ricordi del pranzo di quel stesso giorno, mi tormentavano, e troppa presa dall’angoscia, mi districai dal suo abbraccio, alzandomi, e mettendomi seduta al centro del letto, lo fissai stampandomi un finto sorriso.
- Forse è meglio che vada, ci vediamo domani mattina, okay? – sussurrai, riabbassandomi per un bacio della buonanotte.
Le sue dite corsero al mio viso, e aggrappandosi come un àncora sulla terra ferma, mi tennero vicino al suo viso per uno scambio di sguardi sinceri e indivisibili.
- Ti prego resta – sussurrò, avvicinando le sue labbra alle mie per un bacio non più che casto, ma pieno di passione e di romanticismo allo stato puro.
- Non posso – mormorai sulle sue labbra, stringendo tra le dita la sua mascella, coperta appena dalla barba.
- Si che puoi -. – No -  sussurrai, lasciandogli l’ultimo bacio, e una carezza sui capelli morbidi che gli cadevano sulla fronte.
Lui mi lasciò andare con riluttanza e ci lasciammo con un sfiorarci di dita.
 

Più di un anno fa, la stessa sera…

 
- Toglila! Toglila! Toglila! – esclamavano in coro gli uomini alla ragazza sul palco che teneva le mani sulla gonna, con una posa così timidamente finta.
- Non prova un po’ di pudore – sussurrai, senza volerlo, fissando il ragazzo dietro il bancone, con cui lavoravo da un po’, imparando i primi nomi e ingredienti di cocktail sconosciuti.
- Sotto porta il perizoma, non c’è nulla da preoccuparsi -  borbottò, prima di abbassare la sguardo al posto mio sul miscuglio incompreso di cocktail che stavo facendo, mentre il mio sguardo era occupato sulla ragazza che senza problemi si era data al pubblico, spogliandosi completamente, o quasi.
- Un giorno ci sarai tu al suo posto, vedrai, sei carina per fare queste cose, e guadagnerai di più stando li sopra, che qui a fare casini! – borbottò il barman, togliendomi di mano le bottiglie di vodka.
- Pensi che succederà? -, gli lanciai uno sguardo scrutatore e lui ammiccando rispose: - Non lo penso, lo sarà e basta! -.
 

Un anno dopo…

 
- Che cosa ho fatto? – uscirono dalle mie labbra quelle parole, mentre svegliata nella notte da brutti sogni, scesi dal letto, dirigendomi in soggiorno, dove accessi il pc e iniziai a picchiettare piano i tasti, cercando di non svegliare nessuno.
Scrissi Red Point, e il primo link che mi elencò Google fu proprio il sito ufficiale. Vi entrai e non trovai molto, se non una foto del locale esternamente, e varie frasi provocatorie, che richiamavano le attenzioni di un qualsiasi cliente al quanto eccitato di vedere quei tipi di spettacoli piacevoli.
Cercai per l’indirizzo e trovai qualcosa, cercai un po’ di carta e penna, dove segnarlo, e quando finii di scrivere, uscii dal sito per cercare altre notizie. Trovai qualcosa riguardante una ragazza scomparsa, ma non trovai altro, un paio di collegamenti con lo spaccio di droga, e infine foto sexy di ragazze che ci lavoravano, delle mie nessuna.. o forse una. Tornai indietro, in quella in cui avevo appena visto una ragazza in primo piano, con una sigaretta degli anni ’20. Dietro alle sue spalle, vidi me stessa, in una mise sexy, sorridente, stringermi ad un uomo girato di spalle, biondo, muscolo. Sembravo essere contenta di starci addosso, chissà perché… dallo sguardo in foto sembravo divertita, eccitata, e forse fatta di qualche sostanza… mio Dio che vita era quella? Cosa facevo prima di tutto questo? Che principi avevo?
- Sybby, cosa stai facendo? -.
La   domanda di JJ, e l’improvvisa comparsa, mi misero una paura matta addosso, che non impiegai nemmeno un secondo a spegnere il pc, chiusi di botto il Mac, e voltandomi di scatto, cercai di prendere un bel respiro per dare una risposta.
- Controllavo una cosa riguardo alla banca, non riuscivo a dormire, insomma… e tu? Hai fatto brutti sogni? – domandai irrequieta, cercando di calmarmi. La bambina mi fissò preoccupata, e strofinandosi un occhio con il palmo della mano, si diresse in cucina per prendere la sua tazza, e versarci del semplice latte.
- Di solito mi calma sempre, e si, stavo facendo un brutto sogno – borbottò assonnata, fissandomi ancora curiosa.
- Ah-ah, capito! – borbottai, alzandomi dal divano e lasciando il pc sul mobiletto li davanti, mi diressi in cucina, facendole compagnia.
- Tuo padre sa che ti svegli spesso la notte? – sussurrai, cercando di fare piano, dopo tutto il casino che avevamo già fatto.
- Si, infatti mi fa sempre trovare la mia tazza fuori, sul ripiano, perché alle mensole io non arrivo – borbottò, lasciando la tazza vuota, sopra il ripiano, richiudendo il latte freddo in frigo, e voltandosi verso di me, iniziò a giocherellare con ciocche dei suoi capelli color caramello, quasi come i miei, solo un po’ più chiari.
- Che facciamo? – domandò curiosa. Io alzai le spalle e sorridendole l’afferrai per una mano, e l’accompagnai nella sua stanza.
- Ci rimettiamo a letto, forse? – constatai, sorridendole dolcemente, e rimettendola a letto, canticchiai una canzoncina, sperando di farle riprendere il sonno.
 
- Stanotte ho sentito qualcuno parlare, per caso qualcuno è sonnambulo e io non so nulla? – domandò Jensen, bevendo dalla sua tazza di caffè, un sorso di quell’amore classico. Io e JJ ci fissammo e sorridendo dietro le nostre tazze, facemmo finta di nulla.
- Eh va bene, ho capito, niente da fare, saranno stati i fantasmini formaggini! – borbottò Jensen, fissando JJ con aria scherzosamente severa.
- Vorrà dire che metteremo un po’ di sale su porte e finestre – borbottò JJ, tutta sapientona. Jensen la fissò alzando un sopracciglio, e scuotendo la testa, si dedicò al giornale.
Io fissai JJ tutta sorridente, e finendo la mia tazza di thè, iniziai a sparecchiare.
- Oggi ho solo una scena da girare, cosa ti andrebbe di fare? – domandò, alzando lo sguardo. Mi fermai a fissarlo e alzando le spalle dissi: - Non lo so! Prima dovrei vedere cosa dice il capo, e poi magari so dirti qualcosa. Tu cosa proponi? – chiesi curiosa.
- Magari un giro in centro, e poi al parco? – borbottò, ritornando al giornale. Mi voltai a lasciare le tazze nel lavello, e pensando a cosa avrei potuto fare in quel tempo tanto utile e prezioso per le ricerche del mio passato, che rassegnata alzai le spalle e risposi un semplice: - Vedremo -.
 
-  Stamattina ti ho visto un attimo dubbiosa su questa uscita, sei preoccupata per qualcosa? – domandò Jensen, mentre passeggiavamo per il sentiero nel parco naturalistico di Vancouver.
Mi voltai a fissarlo, e continuando a camminare, scossi la testa e diedi la mia spiegazione prefissata a quella domanda: - No, è il lavoro, lo sai, devo pensare a come vestire un certo attore, sai quel ragazzo che interpreta Dean Winchester in Supernatural? Hai capito di chi sto parlando? – cercai di fare umorismo, ma ci riuscii ben poco, Jensen mi sorrise e dandomi una spallata, ritornò poco dopo serio, prendendomi per mano. Fu un cercarsi di dita, le sue lunghe e ben fatte, si sfiorano con le mie, e prima che i nostri palmi si toccassero, le sue dita mi lasciarono una scia di brividi proprio li, dove poco dopo si unirono le nostre vite, le nostre linee della vita, dell’amore, del denaro, della fortuna…
- Sto bene, non c’è bisogno di preoccuparsi di nulla Jensen – sussurrai, abbassando lo sguardo all’orizzonte.
- Spero proprio che sia così – sussurrò, stringendomi a se, lasciandomi un bacio sulla tempia.
- Ho bisogno di sapere che tu approvi questa cosa, insomma noi due, tu e Justice Jay insieme! Lo so, forse da uomo sto correndo fin troppo, ma non so, tu hai portato un non so che cosa nelle nostre vite impassibili che… son contento delle scelte che ho fatto e sto facendo! – chiarì, fermandosi nel bel mezzo del sentiero, facendomi fermare insieme a lui. Lo fissai, e pensando alle sue parole, restai più che scioccata nel prevedere quello che avrebbe potuto dire dopo, perciò gli tappai la bocca con un bacio, cercando di spostare l’argomento su qualcos’altro.
- Mmh, approvi alla grande! – borbottò sulle mie labbra, stringendomi il viso tra le sue mani morbide. Gli sorrisi appena, prima di impegnarmi in un altro bacio più focoso.
Si, se avrei dovuto affidarmi ad una qualsiasi persona, sarebbe stata sicuramente Jensen. La persona di cui potevo fidarmi, a cui potevo donare tutta me stessa, donare anche il mio cuore.
 
*spazio autrice*
 
 
Salveeeeee, e voi dite: “E che ca**o finalmente! Te la potevi concedere un’altra settimana!”
 
S    C    U    S   A    T   E   M   I!
 
Sul serio, sono stata troppo impegnata con la scuola e con la pagina di grafica ecco D: Scusatemi davvero tanto. Vi prometto che scriverò di più, e poi le vacanze ci sono, quindi a Natale mi darò da fare, ma non preoccupatevi che scriverò a novembre e dicembre dai! U.u
Ora, piaciuto il capitolo? Diciamo che si sono svelate un paio di cose… si, giusto un paio davvero poco piccanti xD ahahaah
Come sempre, riepilogo sempre alla fine il capitolo appena scritto, e qui c’è da dire, che finalmente Anna è entrata in scena, e ha detto quello che ha detto, Sybil ha le pulci in testa per tutte le cose che le ha detto e Jensen è diventato un amore di papà e di ragazzo, che tutte noi vorremo avere.
A differenza della storia precedente, posso dire che mi sto legando molto di più solo alla protagonista che è Sybil, e non tanto a Jensen come avevo pensato di fare sia nella storia precedente, sia all’inizio di questa storia, ma penso di farlo comunque, cioè poi vedrete, promesso u.u
 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che accettiate le mie scuse :/ <3 Spero che sia stato all’altezza dell’attesa.
 
Un grosso abbraccio, Para_muse

 
Nel prossimo capitolo di “Just give me a reasion” 
 Nuove amicizie nascono in città, Sybil e Clara. Vecchie conoscenze sbocceranno e avranno un ruolo fondamentale per Sybil.
Certe  città ritornano: Delta sarà protagonista, e altre nuove sconvolgenti rivelazioni verranno fuori! Cosa accadrà a Sybil?
Scoprilo nel prossimo ecapitolo di "Just give me a Reason" solo qui, su EFP!

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Capitolo 10
*** Correct & Incorrect Choices ***


*spazio autrice*
Ormai lo sapete, quando inizio con lo spazio autrice, significa: o che ho qualcosa da dirvi importante, o…che mi devo scusare, come in questo caso.
Da quant’è che non scrivo e pubblico? Da un bel po’ eh! S C U S A T E M I   T A N T O, sono IMPERDONABILE lo so! Ma cosa posso farci? “E cavolicchi tuoi” risponderete voi, e avete tutta la ragione del mondo, ma posso dirvi che ho delle spiegazioni plausibili e che voglio darvele in fondo, così non occupo più spazio qui sopra e vi lascio al capitolo e a due indicazioni. La prima ad un piccolo riassunto e la seconda a due video: uno che feci tanto tempo fa; l’altro nuovo, “diciamo” che si ricollega al piccolo riassunto scritto qui sotto:

 

 
Sybil, Jensen e Justice Jay sembrano apparire più una famiglia. La sua vita continua
progressivamente ad essere positiva. L’incidente legato ai suoi problemi, sembrano un vecchio ricordo, e allora Sybil, sembra pronta a riallacciare le sue vecchie amicizie e a crearne delle nuove: Anna e Clara, due nuove amiche che nelle sua vita avranno un ruolo fondamentale.
Intanto, alcuni ricordi sorgono dai suoi incubi, e cercando di trovare delle risposte, la sua famiglia sembra ostacolarla.
Allora, cosa farà Sybil per risolvere i suoi problemi? Scopritelo in questo nuovo capitolo di Just Give Me a Reason.
 
Qui in allegato il vecchio trailer che ho creato per la storia.
Mentre qui un teaser trailer di “ben tornato” della storia.
E se vi va, qui, un video che ho fatto sulla Season 9 Finale di SPN! :D

 
Buona Visione e
Buona Lettura again…enjoy! :D
 
 

Capitolo 10
Correct & Incorrect Choices

 
Tutto era in fermento sul set. Supernatural andava avanti, ogni puntata era sempre più apprezzata dal pubblico, e Jensen amava il suo lavoro; ed io amavo il mio.
Mi piaceva scegliere i capi, vestirlo, aggiustare il suo look sul set, e ultimamente anche quello per strada, quello di tutti i giorni. Ci stavo prendendo gusto.
Ormai lavoravo a tempo pieno, la mattina, il pomeriggio, la sera, la notte, le mattinate. E non solo sul posto di lavoro. Jensen e Sybil erano la mia famiglia, facevo di tutto per rendermi utile, e far in modo che tutto andasse per il meglio a casa. Potevo definirmi quasi una donna casalinga, tutto fare, precisina, e una mamma o quasi, dinamica, accondiscende e amica, soprattutto amica.
JJ ormai mi si era affezionata, come lo ero anch’io. Come si può rifiutare il bene da una bambina così solare, sveglia e dolcissima, tale e quale al padre? Come?
Jensen. Tra pochi giorni avrebbe compiuto trentatré anni, e stavo cercando qualcuno per aiutarmi ad organizzare una festa a casa nostra. Qualcuno di cui potermi fidare, qualcuno che non avrebbe spifferato tutto quello che avevo in mente. Mentre salgo le scale per ritornare al piano di sopra, mi scontro con un spalla minuta e delicata, mi volto per scusarmi e lo sguardo sincero e pieno di scuse di Clara mi accende l’ingegno.
-  Scusami Clara, ero persa nei miei pensieri! – esclamai, allungando una mano verso il suo braccio, per trattenerla.
- No, scusami tu, pensavo a tutt’altro anch’io – sussurra, sorridendomi cordiale. Sorrido ancora di più, e non posso fare a meno, di avvicinarmi a lei e a stringerle le spalle, cercando un suo punto debole.
- Clara, ho bisogno di te! – sussurrai, fissandola dritta agli occhi. La sua pelle diventa rossa e a chiazze sul collo; imbarazzata forse, intimidita, ma ciò mi porta a sorridere e a saltellare di gioia.
- Ti prego, dimmi di si, dimmi che sei disponibile! – pregai, mettendo il musino. Lei mi lanciò uno sguardo preoccupata ma con un sospirò, mi strinse un braccio con una mano e disse: - Di cosa si tratta? -.
La presi sottobraccio, e fu allora che architettammo il piano.
  

Jensen’s POV

 
Erano due giorni che Sybil non mi rivolgeva la parola, troppo indaffarata con il lavoro, e con JJ, che non mi riteneva degno per le sue attenzioni.
Cercavo di fermarla più volte al camerino, ma sembrava preoccupata, e messa troppo sottopressione, che lasciavo perdere di fare domande per delle risposte che non mi sarebbero state comunque di grande aiuto. Ero preoccupato. Qualcosa forse l’aveva sconvolta? L’argomento famiglia forse l’aveva messa in ansia? Justice Jay aveva combinato qualcosa? Qualche problema fisico o psicologico? Non mi parlava, perciò non riuscivo a capire cosa potesse essere.
Perciò cercai aiuto in mia figlia prima di tutto quella mattina: l’uno marzo, il mio trentatreesimo compleanno.
- Tesoro… - iniziai, infilandole uno dei calzini su per un piede. – Sì, papà, cosa c’è? – domandò mia figlia fissandomi sorridente e ancora sonnolenta.
- Mi chiedevo se con Sybil fosse successo qualcosa, amore… sai per ora papà la vede un attimino, chiusa in se stessa. A te ha detto qualcosa, JJ? – domandai, fissando dritta negli occhi, cercando di capire se stesse dicendo una bugia oppure no.
Lei mi fissa, e da brava bambina, pone il suo sguardo come il più onesto di tutti. – No papà, è tutto apposto! Zia Sybil sta bene! – esclamai, sistemando il fiocco sulla calza, mentre io le infilo l’altra.
- Tu dici? – ribadii. Lei annuii, e poi scese dalla sedia, per guardarsi allo specchio in corridoio.
- Eh va bene – borbottai, fissando la mia piccola ometta, sistemarsi le treccine sulle spalle, prima di infilarsi il giubbino ed essere pronta per la scuola.
Quella mattina era compito mio andare a lasciare JJ a scuola. Sybil aveva un appuntamento dalla dottoressa curante, per una veloce visita mensile.
Quando mi chiusi la porta alle spalle, ricordai che oggi era il mio compleanno, e per un momento l’avevo quasi dimenticato. JJ di solito non avrebbe fatto altro che parlare di me, e di quanto diventassi ogni minuto più vecchio – ma solo per quel giorno ovvio – lei faceva sempre così.
Mi fermai a fissarla solo un secondo, e non notai nessuna parlantina spigliata, nessun sorriso entusiasta, nessun augurio ancora fatto.
Magnifico, mia figlia si era dimenticata del mio compleanno. Sono così superficiale? “Ehi sono qui, tesoro!”, pensai triste.
Salii in macchina e la fissai per tutto il tragitto con la coda dell’occhio, per qualche ragione, nessun segno di cedimento.
Arrivati a scuola, si sporse, come ogni giorno in cui svolgevo il mio dovere, per lasciarmi un bacio sulla guancia e sul naso, e poi scappò via senza tirarmi le orecchie, come faceva negli anni passati.
Avevo quasi la tentazione di richiamarla indietro e di obbligarla a farlo, ma la lasciai andare, e la fissai con un sorriso triste, scorrazzare tra le bambine della sua compagnia.
Magari qualcuno a scuola le ricorderà di suo padre, in fondo sono famoso o no?
Il dubbio adesso mi sorgeva un po’.
 
Arrivai sul set, qualcuno iniziò a farmi gli auguri più sinceri, augurandomi altri trentatré anni in più, con magari dieci spesi ancora in Supernatural, per me forse troppi, ma chi lo sa!
- Ehi J-Ross, buon compleanno! – disse il mio migliore amico, nonché co protagonista nella serie, Jared.
- Grazie J, sei un amico fedele, grazie per esserti ricordato del mio compleanno – borbottai, stringendolo in un abbraccio.
- Come lo sei tu per me! Ma perché dici questo? – domandò incuriosito, sorridendomi sornione. Alzai le spalle, e mi fissai attorno. Tutti stavano preparando il set per una nuova scena della puntata settimanale. Tra la folla sbucò Misha, che avvicinandosi allargò le braccia in un sorriso sornione.
- Buon compleanno socio! – esclamò abbracciandomi. - Grazie Misha! -.
- Allora? – domandò Jared, preoccupato. – Le persone a cui tengo di più si son dimenticate del mio compleanno, credevo ci tenessero a me! Spero solo che stiano organizzando qualcosa a sorpresa, perché mi vendicherò, lo giuro! - esclamai.
- Come sempre – borbottò Misha, ridendo divertito.
Fissai i miei amici, cercando di cogliere qualcosa sull’espressioni facciali, che da attori, seppero tenere neutrali, non facendomi capire nulla.
Mi rassegnai e da bravo attore, mi diressi alla postazione trucco, dove mi attendeva Suzanne, la make up artist.
  

Sybil’s POV

 
- Tu dici che basta tutta questa roba da bere per stasera? Sai credo che si ubriacheranno un po’ tutti, e non vorrei far spaventare Justice Jay! – borbottai preoccupata, fissando Clara che teneva un paio di buste della spesa appena fatta.
- Tranquilla, basterà. E non li farai ubriacare con tutto quel cibo che hai prenotato al ristorante qui accanto – mi rassicurò, con un sorriso sul volto al cuore perfetto.
Le sorrisi a mia volta e aprendo il cofano con il telecomando-chiave, sistemammo tutto dentro e ci rimettemmo in marcia per tornare a casa e sistemare tutto per la festa a sorpresa di stasera.
Cercavo di tenere la mente leggere, con il pensiero dei preparativi e la festa, ma i ricordi della notta scorsa martellavano per ritornare a galla.
- Clara? -. – Si? -.
- Se ti chiedessi un parere, me lo daresti il più sincero possibile? – chiesi con un filo di voce, pensando a quello che avrebbe potuto pensare quella povera ragazza appena conosciuta. Il massimo che potevo fare era farla correre a gambe levate, diecimila chilometri lontana da me.
- Dipende, spara! – disse, fissandomi curiosa.
La fissai più volte, alternando il mio sguardo tra la strada e il suo viso, cercando di mettere insieme i pensieri meno inquietanti, e di raccontare la verità, ma meno nuda e cruda possibile.
Tirai un sospiro e iniziai a spiegare la situazione in cui mi trovavo: - Non so se hai saputo, ma nel set e negli uffici, la voce è girata parecchio i primi giorni: ho avuto un incidente e questo mi ha causato la perdita di tutto, materiale e non. Sto parlando della mia memoria tra le non cose materiali… - mi voltai a fissarla e la vidi annuire seriamente, corrucciata e ancora di più incuriosita.
- Jensen mi ha trovato in mezzo alla strada, mi ha dato lui il primo soccorso, perciò sono con lui adesso, perché non ho nessuno della mia famiglia che mi possa aiutare. I miei genitori sono morti, ma vabbè… lasciamo stare, io…la domanda è questa: se sapessi qualcosa sul mio passato, che potrebbe aiutarmi con i ricordi, dovrei dirlo a qualcuno o tenerlo per me, e indagare su qualcosa che è ancora un punto interrogativo? – sbottai, fissando l’incrocio davanti a me, e svoltando a sinistra, nella nostra via.
Clara, schioccò la lingua e mi scosse la testa, la fissai preoccupata, forse l’avevo un po’ sconvolta.
- Che domande fai? Certo che lo direi a Jensen, a maggior ragione che è stata l’unica persona a starti accanto! – esclamò con ovvietà.
Parcheggiai l’auto davanti al garage, e scesi con il cuore più pesante di un macigno, con le idee ancor più confuse.
Forse non avrei dovuto chiedere nessun parere, sentirmi ancora più in colpa verso Jensen e non raccontargli nulla, mi faceva stare male.
- Allora? Glielo dirai? – mi chiese Clara, fissandomi curiosa, mentre afferrava le buste della spesa dal cofano per portarle sugli scalini dell’ingresso.
Non le diedi una risposta, le chiesi solo di non dire niente a nessuno, e di lasciare  la scelta a me.
- Stai facendo un grosso sbaglio secondo me – borbottò, aiutandomi con le  buste per portare dentro, fin al tavolo della cucina.
- Lo so – sussurrai, più a me stessa che a lei.
 
- Ssh, sta arrivando, nascondetevi! – dissi ai ragazzi della crew, gli amici e a Justice che super contenta non faceva altro che strillare per l’eccitazione.
Iniziai a spegnere le luci, lasciando accesa solo quella del corridoio dell’ingresso. Mi nascosi dietro al muro che vi dava accesso, e cercai nuovamente di far fare silenzio a tutti, soprattutto a chi già scherzava con le trombette che gli avevo consegnato per suonarle solo quando sarebbe entrato Jensen a casa.
- Amico ti ricordi quella volta quando sul set…aspetta che accendo la luce, Sybil non è in casa? – borbottò Jensen, avvicinandosi alla fine del corridoio, accedendo la luce….
- SORPRESA! – urlammo tutti in coro, accompagnando il grido di augurio con le trombette e i coriandoli.
- OH MIO DIO! – sbottò Jensen frastornato, con gli occhi sbarrati e un sorriso stampato in faccia.
- Buon compleanno tesoro! – esclamai, saltandogli addosso, abbracciandolo forte. Mi strinse a se, sollevandomi quasi di peso, facendomi fare una giravolta.
- Grazie amore, è stato un pensiero fantastico! – esclamò tra i capelli, mentre mi metteva giù, staccandosi e regalandomi il miglior sorriso di sempre.
- Grazie con tutto il cuore! -  disse a tutti, lasciando un bacio con la mano.
- E’ stata un’idea solo di Sybil, devi ringraziare solo lei! – disse Jared alle sue spalle, dandogli una pacca su di esse.
- Allora la ringrazierò meglio dopo – sussurrò, facendosi solo sentire da me e Jared, che non si fece scapare per niente al mondo, una bella risata divertita.
- Ssh, ora divertiti scemo! – gli dissi, lasciandogli uno schiaffetto sulle mani che mi tenevano strette la vita.
- Lo farò, con tutto me stesso – borbottò, avvicinandosi alle mie labbra, per un bacio casto.
 
- Papà mi metti a letto? – borbottò con voce impastata JJ, tirando suo padre per la maglia, che sembrava stanco, disteso sul divano per riposarsi dopo una lunga serata movimentata.
- Si JJ, arrivo, tu avviati, sto arrivando – borbottò, con un braccio sopra gli occhi, per evitare la luce proveniente dai faretti.
- Jensen si è fatto tardi, accompagnala su! – dissi, avvicinandomi da dietro la spalliera, convincendolo ad alzarsi con una spintarella alla spalla.
Alzò il braccio e mi fisso con il broncio triste, cercando di convincere me a farlo al posto suo, ma non demorsi, lo spinsi un’altra volta e costretto dal mio gesto, si alzò e accompagnò sua figlia a letto, non prima però di avermi sussurrato: - Ti aspetto in camera -.
Lo fissai con sguardo di sfida, e lo fissai andare via. Ritornai in cucina, sistemando le ultime cose: lavai gli ultimi bicchieri e portai la spazzatura fuori. Quando ritornai in casa, mi accertai di aver chiuso bene la porta, e chiudendo il gas dei fornelli, mi diressi in camera, dove trovai un Jensen spaparanzato sul letto, occupandolo quasi tutto.
- Jensen! – sbottai divertita, avvicinandomi al letto e cercando di buttarlo giù, mi ci distesi anch’io stanca.
- Ahi, mi fai male, pesi! Togliti di dosso! – sbottò, afferrandomi per i fianchi, facendomi rotolare sopra di se.
- Jensen! – esclamai sorpresa, fissando la posizione in cui eravamo messi: io a cavalcioni su di lui con il suo sguardo scrutatore e più che sensuale che mai.
- Cosa stai pensando? Spegni la ragione, lasciati andare – sussurrò, alzando il collo per avvicinare il viso al mio che, accostò sempre di più grazie alla mano che teneva premuta sulla mia nuca.
Mi baciò una volta, un’altra… mi abbandonai al bacio come lava che cola dal vulcano, con i sentimenti e i pensieri completamente in subbuglio. Gli accarezzai e gli strinsi i capelli morbidi come seta tra le mia dita, assetate quasi di accarezzarlo.
Lasciai che il corpo si abbandonasse e allo stesso tempo si accendesse nel fuoco della passione che stava divampando tra i nostri corpi.
- Grazie… per tutto– sussurrò tra le mie labbra, accarezzandole ad ogni parola con una carezza lenta e perversa della lingua, che fece divampare ancor di più la fiamma in un incendio di sentimenti puri e naturali.
- Grazie a te, per esserci sempre – sussurrai, chiudendo gli occhi, abbandonandomi al sentimento del contrario.
 
Ero appena uscita da casa, con il torpore della camera da letto e del thè appena condiviso con l’uomo che aveva invaso la mia vita, colui che mi faceva stare bene. Per la prima volta Io. Stavo. Bene: fisicamente e… non psicologicamente. Con me stessa ancora cercavo di combattere i demoni del passato, senza riuscirci. Perciò decisi di prendere un permesso dal lavoro quella mattina, cercando ancora delle risposte dall’unica persona che mi conosceva fin da prima che l’incidente mi facesse perdere la memoria, l’unica forse a cui potevo confidare tutte le mie nuove scoperte.
Annabella, o semplicemente Anna.
Le feci uno squillo e le inviai successivamente un messaggio, dove le scrivevo di vederci urgentemente. Aspettai una risposta affermativa e quello che ricevetti e lessi fu positivo.
Perciò digitai quello che per ora mi occupava e mi tormentava la mente:
 
Ho bisogne di risposte. Ci vediamo alla caffetteria del centro, ti prego fa presto.
 
Salii in macchina, misi la prima e partii per la caffetteria, sperando che il destino mi giocasse un buon tiro.
Impiegai un po’ a trovare parcheggio, ma quando raggiunsi la porta del Peppe’s Coffee Bar, quasi con un po’ di fiato per la corsetta, trovai Anna già seduta in un tavolo ad aspettarmi.
Feci un po’ di slalom tra i tavoli e la raggiunsi, salutandola con un bacio sulla guancia, sedendomi con sguardo carico di adrenalina e di preoccupazione.
- Cosa succede? – domandò, allungando una mano sopra il tavolo, verso di me, come se volesse stringermele per rasserenarmi.
- Come stai? – chiesi cortese, sorridendole sornione. – Bene, ma arriva al dunque – disse, facendo un gesto con la mano, come a incitarmi a sbrigare quella matassa.
- Nelle scorsi notti ho sognato qualcosa che mi ha fatto ripensare a quello che tu mi hai detto giorni fa. E’ vero, credo proprio di aver lavorato come una spogliarellista, ma non ricordo che locale fosse. Ricordo una ragazza, un ragazzo, degli uomini e poi ho trovato questa… - presi il cellulare, e cercai la stesa foto che vidi sul pc quella notte. Tra le altre ragazzi, ritrovai di nuovo una ipotetica me stessa.
- Si, sembri tu – sussurrò tristemente fissandomi. Scosse la testa e si tirò indietro.
- Non pensavo arrivassi a ricordare tanto…mi dispiace tanto sapere che nel cuore della notte ti svegli per certi incubi – borbottò accigliata, - ma purtroppo capita, credo che la dottoressa te l’abbia anche sottolineato. – concluse, alzando le spalle, e scuotendo un’altra volta la testa, si mostrò al quanto desolata.
- Si, me l’aveva accennato, ma non che avrei ricordato tramite i sogni. Ma non è questo il punto, io vorrei sapere di preciso come sono arrivata a tutto questo, adesso in modo particolare al locale. Aspetta, mi sono segnata pure il nome… - mi tirai indietro e afferrando la borsa cercai il pezzo di carta dove mi ero segnata il nome del locale e l’indirizzo a me sconosciuto.
- Non ho avuto modo di cercare altro, purtroppo la figlia di Jensen mi ha sorpresa mentre ero al pc, e spaventandomi ho messo via tutto – commentai, mentre con le dita trovai il pezzo di carta stropicciata. – Ecco, guarda… Red Point, ti dice qualcosa? C’è anche l’indirizzo – dissi indicandoglielo. Lei afferrò il foglio, lesse un paio di volte e poi annuì. – Si, so’ dove si trova, è una zona molto affollata… ma non di gente per bene. Credo che si trovi li anche il motel dove alloggiavi... si credo proprio di si. Sai anche della casa pignorata, vero? E… - si fermò fissandomi attentamente prima di parlare, ma l’anticipai. – Sì, so anche dei miei genitori! – sussurrai, abbassando lo sguardo un attimo, fissando poi dentro la borsa il pezzo di carta con la via che il presidente della Banca, dove tenevo i miei risparmi, mi aveva gentilmente appuntato.
- Mi dispiace, ma sai com’erano, diciamo...ridotti. Banca rotta, alcool… - borbottò lei, giocando con la tazza che nel mentre un cameriere aveva portato con il caffè.
Annuii semplicemente, e chiusi gli occhi cercando di ricordare qualcosa del passato, ma fu il buio più totale e vuoto ad invadermi. Mi sentivo da sola.
Mi sentivo vuota…nessuno.
Lacrime calde sgorgarono e mi rigarono il viso, in una muta richiesta di essere liberata da tutte le difficoltà e i problemi che sorgevano notte dopo notte, in conseguenza degli incubi che facevo e che mi facevano male, facendo sgretolare pezzo dopo l’altro un cuore incollato con i sentimenti delle poche persone che riuscivano a starmi accanto.
Sentii un braccio circondarmi le spalle, e porgermi poi un fazzoletto di carta. – Mi dispiace, ma sono le scelte sbagliate che nella vita, purtroppo, facciamo tutti – mi consolò così Anna, facendomi riaprire gli occhi, e riflettere molto su quella che aveva detto.
- Hai ragione, delle scelte che hanno avuto delle conseguenze, ma che ora voglio riprendere, e riordinare in questa mia nuova vita – mormorai con poca voce, ancora scossa da singhiozzi silenziosi.
- Sembri la vecchia Sybil. E’ così che mi piacevi… ora dimmi, nuova Sybil, vuoi percorrere la tua nuova vita mettendo in ordine la vecchia? – mi domandò con un sorriso divertito stampato sul viso.
Annuii e la fissai con determinazione: - Voglio delle risposte, e tu mi aiuterai! -.
Anna annuì e la prima cosa che chiesi fu: - Portami dove tutto ha avuto inizio, portami al Red Point! –.
Lei mi fissò con preoccupazione, ma annuì e si alzò allungandomi  una mano. – Andiamo -.
 
Quando intrapresi quella via, sembrò la porta d’entrata per il purgatorio, se non inferno. Sembrò essere un posto oscuro, più nuvoloso, silenzioso e pieno di sguardi scrutatori.
Inserii il fermo alle porte dell’auto, e accelerando un po’, mi fissai intorno con preoccupazione. C’erano molti barboni che fissavano la mia aiuto: curiosi di vedere un’auto nuova o di vedere me? Non seppi rispondere a quella domanda, ma Anna spaventata, si strinse alla cintura di sicurezza.
- Come facevi a vivere in questo postaccio? Non mi piace, è inquietante – sussurrò con un filo di voce, accedendo la radio, come per farsi compagnia. Io non ci feci molto caso, perché come un flash, davanti al mio sguardo sbucò un viso familiare, che non sembrò notare il mio passaggio, ma ricordai quel vecchietto dalla lunga barba a cui portavo sempre qualcosa da mangiare, perché troppo vecchio per alzarsi. Donald si chiamava. Era ancora vivo. Frenai lentamente, ma Anna spaventata dal mio gesto, iniziò a incitarmi di continuare a camminare.
- Perché ci siamo fermati? Accelera! Cammina! – squittì, fissandomi con sguardo spaventato. Inserii la prima e accelerai, lasciandomi Donald indietro. Chissà se la prossima volta l’avrei ritrovato di nuovo lì.
- E’ strano questo posto, Dio l’ha proprio abbandonato… ah! Ecco! Guarda, Red Point! – indicò col dito davanti a noi sulla sinistra, e si spostò alla fine del sedile per vederci meglio. – Si, è questo! – affermò.
Lo fissai a lungo, ma nessun ricordò sbocciò, perché? – Non mi dice niente – sussurrai, fissandomi attorno. Vidi palazzi dalle facciate sporche e luride, vetri rotti, finestre spalancate, fognature fumanti e puzzolenti.
- Questo posto è veramente disperso – sussurrai quasi tristemente, fissando un vicolo che stavamo attraversando, quasi più affollato delle strade. Era li che avvenivano tutti quegli scambi di droga, di donne, di sguardi ostinati… che vita era quella? Cosa mi aveva portato a tanto? Che cosa mi era passato per la testa.
- Non ricordi nulla? – chiese Anna, fissandomi curiosa.
Scossi la testa e fissando la strada davanti a me, desolata, inserii la seconda. – Torniamo a casa, non ho più voglia di vedere altro -.
Avevo bisogno di più tempo, e se altre risposte non sarebbero sorte da Anna, sapevo ora a chi rivolgermi, anzi, dove cercare.
 
- Dove sei stata stamattina? -  domandò Jensen, quando ritornò quella sera. Io alzai le spalle, facendo finta di nulla. – Nulla in particolare, un giro in centro, cercavo qualcosa per la nuova stagione, sai cose di donne. Ho fatto anche la spesa: ti ho comprato le caramelle che ti piacciono tanto – dissi, sorridendogli sornione. Gli si illuminarono gli occhi e mentre finii di cuocere il sugo con le polpette per la pasta che amava tanto, sentii due mani stringermi la vita e avvicinarmi al suo petto.
- Sei donna giusta per me, speciale e semplice allo stesso tempo. Sei perfetta – sussurrò al mio orecchio, solleticandomi e facendomi sorridere, felice. Ciò mi aiutò quasi a dissipare i pensieri negativi che mi avevano accompagnato per tutto il giorno.
- E tu sei l’angelo che mi ha salvato dall’inferno – borbottai, voltandomi verso di lui, tirando un sospiro di sollievo.
- Grazie – dissi, riabbassando lo sguardo.
- Non c’è di ché – rispose, sorridendo divertito, lasciandomi con un occhiolino.
- JJ è quasi pronto, vieni amore! – urlò Jensen, gettandosi sul divano. – Eccomi! – urlò la bambina, arrivando di corsa dal corridoio, tuffandosi a capofitto sul padre coricato. – Oh! Male! Male! MALE! -.
Scossi la testa e sorridendo divertita, mi concentrai sulla pasta da scolare, anche se le urla dei due “bambini” mi attiravano facendomi sorridere e ridere senza difficoltà. Sembravamo una famiglia felice, quasi come quelle delle pubblicità, peccato che quel legame non era un legame che sarebbe durato nel tempo, prima o poi qualcosa avrebbe rovinato tutto. Se era successo nel passato perché non poteva succedere anche adesso? Qualcosa porterà a delle conseguenze che a domino ne porterà ad altre ancora e che infine  inciderà su delle scelte: giuste o sbagliate…le inciderà.
 
 

*ri-spazio autrice*
 
Salve, allora letto? Interessante? Avete trovato qualche indizio in più? Scrivo con i piedi? Lo so, l’ho ripreso e l’ho rilasciato un sacco di volte, ma finalmente l’ho finito, lo rivisto, un po’ coretto (alla va là che vieni) e l’ho postato finalmente, come promesso.
Allora spero vi abbia un po’ rinfrescato le idee sia con il piccolo riassunto all’inizio, sia con il capitolo stesso, visto che ho riportato un po’ di cose passate (tipo, la casa pignorata, i familiari morti, la roba dei ricordi, etc…) per aiutarvi un po’ a riprendere il ritmo della storia. Spero vi abbia un po’ aiutato ecco…lo so ormai voi direte: “sta storia non ce ne frega un cavolicchio” ma io vi dirò “sto ritentando”. Io incrocio le dita per un paio di visite e per un paio di vecchie recensioni delle mie adorate lettrici di sempre: Nevrea (?), Ottolina e non ricordo più come vi chiamate! Maledetti Nicknames!
Ma adesso, tirando in ballo loro, vorrei spiegare il motivo della mia lunga assenza, giustificandomi finalmente in questo modo:
Ho studiato! Come tutti gli studenti con un po’ di cervello e che vogliono delle soddisfazioni, alla fine ho studiato! Volevo conquistare il podio, dare e avere delle soddisfazioni alla mia famiglia e a me stessa ed, essendo l’ultimo anno di scuola, ho voluto impegnarmi e dedicarmi ad essa. Mi sono finalmente diploma, con un 90/100 pienamente meritato, e posso dirvi che non ho fatto solo l’esame di maturità. Ho fatto anche un corso di inglese, non so se conoscete il PET, ma ho preso anche quello, (alla faccia di quelli che pensavano che non ce l’avrei mai fatta, e che tutto ciò mi avrebbe distolta dallo studio, in particolare alla faccia di una mia compagna di classe, che studiosa, ha rinunciato al PET solo perché voleva concentrarsi agli esami u.u, e alla fine posso dirvi che ha preso quanto me, mentre io ho preso due diplomi TIE’!). Il risultato per questo PET è stato 85/100. E sono fiera, perché il giorno prima, ripassando l’inglese mi sembrava arabo! °-°
Dopodiché tra lo studio, la famiglia e il mio lato nerd/fangirl/hippister (che non ha avuto modo di sfogarsi del tutto, ma solo con le series tv invernali quali SUPERNATURAL – avete visto che season finale? Sono rimasta sotto shock .-. ) è sorto anche il vero amore, e sono felice di dirvi che Para_muse è in love con un suo Jensen Ackles personale da ben 6 mesi; e come dice mia madre: se son rose, fioriranno!
Quindi il boy mi ha tirato via anche quel piccolo spazio che mi ritagliavo per la mia parte da fangirl: niente più computer se non la domenica mattina (se mi svegliavo presto) e la domenica pomeriggio, poi le settimane volavano via tra libri di Economia, Diritto e Angoli Amorosi… ^-^
Perciò adesso posso UFFICIALMENTE DICHIARARE CHE SONO SINGLE  ma DALLA SCUOLA! E se in un futuro lontano non c’è un’università, posso affermarvi che HO UN RELAZIONE COMPLICATA con la mia dolce metà da FANGIRL mentre ho una relazione tranquillissima con il mio boy! :D
Adesso, dopo essermi giustificata se voi professor…volevo dire lettrici volete firmarmi…echm recensire con un pollice in su il capitolo vi RINGRAZIO INFINITAMENTE DELL’ATTESSA, E VI ASPETTO TRA UNA SETTIMANA (max due, causa un’ipotetica laurea di parente) AL PROSSIMO CAPITOLO!
Dimenticavo, su twitter ho più possibilità di tenervi aggiornati, quindi cercatemi su @Para_muse oppure basta cercare l’hashtag:
#JGMaR
 
Un grosso bacio, e un GRAZIE di nuovo!
Para_muse

 
 

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