Cap. 2 Amore a prima... svista!
Stava già ricominciando a piovere, dopo che aveva smesso per
qualche ora quella notte.
Una ragazzina correva forsennatamente con un giornale in
testa, tolto dalla mano di un ragazzino, dannando la pioggia e chi l’aveva
creata, dirigendosi verso un grande stabile bianco sporco.
- Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in RITARDOOOO!! -
urlò la ragazzina creando con il suono acuto della sua voce, un varco tra i
molti studenti che si riversavano nel giardino scolastico.
Stava ancora correndo quando quasi non soffocò sentendo il
colletto della divisa scolastica stringerlesi attorno al collo. Si fermò
prendendo fiato, e si voltò per vedere una lunga chioma rosso e un sorriso
strafottente sul il viso colorito di...
- RENOOO!!?? Che diavolo ti è preso di tirare in quel modo
il mio colletto??! Potevo morire!
- No, con la pellaccia dura che hai, è impossibile! - le
disse mollandola e prendendola sotto il suo l’ombrello.
Dopo che la ragazza si fu ripresa, anche se ancora
arrabbiata con l’amico, lui le chiese con fare incurante: - Come mai correvi
tanto, per una volta che sei in orario Kisaragi?
La ragazza lo guardò con gli occhi a palla: - Come in
orario? Il mio orologio fa le otto e dieci…
Si fermò nel vedere un sorriso appena accennato e trattenuto
di lui e allora, la sua espressione cambiò così velocemente che Reno non la
vide neanche saltargli addosso e tirargli un pungo in faccia.
In classe ormai non mancava più nessuno, e il professore
scrutava in faccia tutti i suoi alunni.
Arrivato agli ultimi banchi, come al solito, chiuse gli
occhi un attimo e sospirò pensando se sarebbe mai potuta arrivare in orario;
riaprì gli occhi sapendo che non ci sarebbe mai potuta essere, era impossibile
che almeno una volta nella vita lei potesse … essere lì.
- Oh mio Dio, Kisaragi sei veramente tu? O è un’illusione
ottica? - chiese con voce teatrale.
La ragazza tirò su gli occhi nocciola con sguardo
imbarazzato e rispose semplicemente: - Sono qui.
Il docente, felice per la notizia della prima venuta in orario
dell’alunna, non si rese nemmeno conto dell’occhio nero del ragazzo vicino.
Solo durante la lezione, chiamandolo interrogato vide il
grande livido sull’occhio sinistro che, inutilmente, Reno cercava di nascondere
con i folti capelli rossi.
- E tu che diavolo hai combinato?!
- Io? Niente! - mentì il ragazzo portando le braccia sopra
la testa.
- Dimmi chi ti ha dato un pugno. - il tono della voce
suggeriva che era un ordine. I suoi alunni saranno anche stati degli
scapestrati, ma voleva loro lo stesso bene.
- Un bulletto di un’altra scuola... - sviò guardando
dall’altra parte.
- Reno!
Yuffie alzò svogliatamente la mano: - Sono stata io.
Reno si girò di scatto: - Yuffie no..!
Il prof si girò verso lei e la guardò con gli occhi a palla
e chiese solamente: - Perché?
- Mi ha fatto uno scherzo stupido - fece offesa lei, girando
il viso dall’altra parte. - E mi ha quasi soffocato. - aggiunse.
Il docente la guardò sconsolato: - Yuffie, in punizione.
Lei si alzò scocciata e si mise davanti al prof, aspettando
il lavoro rognoso che le sarebbe stato affibbiato: - Comunque era fuori
dall’orario scolastico. - proferì guardando di sottecchi Reno, che la guardava
contrariato.
- Non mi importa. Finché non imparerai un po’ di disciplina
continuerò a punirti, ricordalo. - mentre parlava scriveva su un post-it ciò
che avrebbe dovuto fare.
- Dopo scuola vai in biblioteca e fai una ricerca sulle
armi. Ho specificato il tutto sul foglietto.
- Solo una ricerca?! - domandò meravigliata.
- Su cui poi sarai interrogata.
- COSA?! - l’eco dell’urlo si sentì per tutta la scuola.
- Una ricerca sulle armi, una ricerca sulle armi!! Dico io
non su le favole della Disney, o sui telefilm più in voga, NO! Su delle inutili
armi che servono solo ad ammazzare della gente!! E poi un tema di otto pagine!
Ti sembra possibile?! - si sfogò dopo l’ultima campanella che significava la
fine della lezione per gli studenti. Ma non per tutti.
Yuffie incrociò le braccia al petto: - E tutto per colpa
tua! - sottolineò l’aggettivo in modo che si capisse.
- Mia?!MIA?! Io te l’avevo detto di stare zitta, e tu invece
una volta tanto ti prendi le tue responsabilità e salti su dicendo che sei
stata tu! E poi invece la colpa è mia, che tranquillo tranquillo
non avrei detto il tuo nome..
- Ma se tu non facevi quello stupido scherzo di mandare
avanti tutti gli orologi di casa mia - dico io, ma proprio tutti! Anche quello
in camera di mia nonna!
-Ieri non avevo nient’altro da fare quando tu, mi hai
lasciato solo in casa tua per andare dalla tua amicona-ona-ona
Shelke..
La ragazza si voltò furiosa verso il ragazzo noncurante e
gli saltò di nuovo addosso, buttandolo per terra, ma minacciandolo solamente
con il pugno invece di picchiarlo.
- Prova a ripeterlo un’altra volta: cosa sarebbe S... - si
fermò cercando di pronunciare l’odiato nome - Shelke??!
- La tua grande amica da cui corri ogni volta che ti chiama!
- disse tranquillo sedendosi con Yuffie a cavalcioni che lo guardava come una
furia.
- Non è vero! Lo sai che non è vero!! Io devo correre per
forza da lei!! Non è mia amica, non è MIA AMICA!!!! - urlò, sull’orlo del
pianto, stringendo i pugni.
- Yuffie! - la prese per le spalle e la scosse - Come faccio
a saperlo io che ogni volta che ti chiedo di lei tu non mi dici mai niente?
- È lei che mi ha ordinato di non dire a nessuno il legame
che intercorre fra noi... io la odio, la odio! -silenziose lacrime le rigarono
le guance tonde, e Reno le mise delicatamente una mano in testa e le sussurrò:
- Dai, tranquilla adesso; ma promettimi che un giorno me ne parlerai, ok?
- Promesso. - rispose con voce rotta.
La tirò su facendo attenzione a non bagnarsi la camicia di
lacrime e le porse un fazzoletto di carta che si trovava stipato in una tasca
dei pantaloni – Adesso smettila di piangere, non si addice ad una ragazza
adulta!
A quelle parole la moretta tirò su il viso rosso e afferrò
il fazzoletto asciugandosi le guance.
Quando ebbe finito buttò diligentemente la carta nel secchio
dell’immondizia, e, mentre si avviava con Reno al suo fianco verso il piccolo
bar della scuola, la porta della sala insegnanti si aprì facendo uscire una
donna dall’aspetto sinuoso, con lunghi capelli castani raccolti in una coda
alta.
Quella doveva essere una professoressa delle classi più
grandi... che invidia! Era proprio una bella donna, con due sottili occhi
marrone chiaro e un viso pulito che inspirava sicurezza solo a vederlo.
Vicino a lei il professor Palmer, un grassone con tre ciuffi
di capelli in testa e un carattere menefreghista, si sporgeva davanti a lei
cercando di vedere una scollatura inesistente, visto il vestito sobrio che
indossava la professoressa.
- Oh, signorina Lucrecia lei è così brillante! Dovrebbe
insegnare all’università, altro che scuole superiori!!- esclamò mostrando i
denti corrosi dal fumo.
La donna sospirò stancamente e si fermò a guardarlo.
- Signor Palmer, per prima cosa io sono sposata e insegno
anche all’università. È la terza volta che glielo ripeto. - disse con una nota
di irritazione.
- Oh, ha ragione! La mia memoria fa cilecca! - esclamò
cacciandosi a ridere sguaiatamente.
“E anche con le donne non ha molto successo” pensò
trattenendosi dal ridere la piccola ragazza.
- Mi scusi, ma io ades… - la donna
fece per continuare la frase, ma dalle labbra non le uscì un suono; al
contrario cadde con le ginocchia sul pavimento e facendo cadere alcuni
raccoglitori che portava in mano.
Reno scattò in avanti e le appoggiò una mano sulla spalla
chiedendole se si sentiva bene.
Anche Yuffie accorse e si inginocchiò di fianco a lei,
spostandole la frangetta per controllare il viso.
Lei al gesto sorrise e con la mano libera prese quella di
Yuffie, facendole un sorriso dolcemente forzato.
- Grazie, ma sto bene. – fece un sorriso più ampio – È solo
che sono incinta. – proferì
tranquillamente.
La moretta dischiuse le labbra a O e si portò una mano alla
bocca: - Ahem.. congratulazioni! - disse imbarazzata
dalla notizia. Non aveva mai conosciuto una donna incinta, con una piccola vita
dentro di sé, che dopo alcuni mesi sarebbe nata, e questo la emozionò a tal
punto da farla arrossire.
La ragazzina non aveva fratelli e nessun parente così vicino
che le avesse dato dei cuginetti... aspetta aspetta,
un fratello maggiore ce lo aveva, ma Storm (FF VS XIII NdMe) non si era mai
comportato da tale, e da qualche anno non veniva più a trovare la famiglia,
troppo impegnato nel suo “lavoro”.
Però, da quando si era trasferita in quella grande capitale
economica, ormai sette anni fa, aveva conosciuto un sacco di bambini,
cominciando ad andare a scuola.
Renuccio lo conosceva soltanto da tre anni, ma era già da
quando erano molto più piccoli che si guardavano da lontano e si facevano
scherzi innocenti (seh, innocenti! Creare una frana montana in miniatura e
buttarla addosso a qualcuno, non era innocente era malefico... Yuffie era una
creatura del male, Reno lo sapeva) e la prima volta che si erano parlati
avevano tredici anni, era ottobre ed erano a ricreazione, a scuola.
Yuffie aveva dimenticato la sua merenda e il suo tormento da
quasi tre anni, le si era seduto vicino, sulla panchina su cui lei stava seduta,
e le aveva porto
davanti alla faccia metà del suo panino, che lei spaesata aveva
preso fra le mani, senza però degnarlo di uno sguardo.
Tutta la sua attenzione ce l’aveva colui che le aveva porto
il pezzo di pane.
Il ragazzo a cui aveva fatto più dispetti nella sua vita
(visto che era praticamente l’unico - solo dopo essersi alleata con lui
cominciò una vita di attive azioni terroristiche contro qualsiasi cosa si
muovesse) era seduto di fianco a lei con l‘altro pezzo del panino in grembo a
guardare esattamente nella direzione opposta a lei. Reno aveva una capigliatura
molto più scalmanata di lei, con tutti i capelli MAI e poi mai pettinati, e
legati malamente in un codino. E poi di quel colore così strambo! Rossi, rossi
come il fuoco! “Non è possibile un colore del genere in natura, e un ragazzino
che si colorava i capelli a quell’età non era normale…” questo aveva pensato la
testolina di Yuffie mentre allungava lentamente la mano verso il codino del
compagno e lo tirava verso di sé, con forza.
Il grido strozzato del ragazzo era echeggiato due o tre
volte per il cortile e poi era avveduta la cosa più logica: Reno si era girato
con gli occhi iniettati di sangue e le aveva urlato in faccia: - Ma che diavolo
fai!!?!
Yuffie senza degnarlo di uno sguardo era rimasta ad
osservare la punta del codino che, dopo aver tirato (e così provato che non era
finto) aveva ancora tra le mani, e osservava i vari riflessi che facevano i
suoi capelli, troppo belli per essere il prodotto di una scatoletta di colori
artificiali.
- Ma allora sono veri! – aveva esclamato muovendoli di qua e
di là, mentre finalmente sollevava lo sguardo su di lui.
Lui ci aveva messo un po’ a realizzare cosa intendesse e poi
aveva ribattuto, offeso: - Certo che sono veri! Cosa credevi?
Lei angelicamente aveva risposto: - Che te li fossi tinti.
- No! Sono naturalmente naturali! – aveva detto lui
strappandole di mano il codino e facendo per riprendersi anche il panino che le
aveva dato.
Ma lei, con una velocità anormale, se l’era tirato a se e
aveva afferrato la mano che aveva tentato di rubare quello che ormai le
apparteneva.
Con molta ripugnanza aveva esordito un “scusa” diretto
all’episodio di poco prima e, lasciando la mano del ragazzo, gli aveva teso
nuovamente la sua: - Diventiamo amici, e faremo degli scherzi fantastici agli
altri, invece che tra di noi; ormai mi sono stufata di farti sempre piangere. -
ghignò.
- Guarda che io non ho mai pianto per i tuoi insulsi
scherzetti da bambina. – aveva risposto con aria di superiorità.
- Sicuro? Io mi ricordo di tante volte in cui l’hai fatto...
soprattutto quando ti è arrivata la palla da basket in facc…
- Reno si era precipitato a chiuderle la bocca con entrambe le mani, e appena
lei si era messa a ridere lui aveva incrociato le braccia stizzito.
Quando finalmente lei aveva smesso di ridere, lui le aveva
porto la mano e lei gliela aveva stretta con forza, ma si era sorpresa che lui
rispondesse subito e quasi le stritolasse la sua.
- Basta, basta! Almeno per oggi, niente fra di noi. Oggi è
un giorno memorabile. – aveva detto la pestifera, sciogliendosi dalla stretta e
alzandosi in piedi sulla panchina. Aveva messo le mani a megafono davanti alla
bocca e aveva cominciato a urlare, facendo prendere uno spavento ai ragazzi che
se ne stavano tranquilli a mangiare, “Yuffie Kisaragi e Reno-non-so-ancora-il-suo-cognome,
da oggi sono amici. Cominciate ad avere paura!!”
Da sotto di lei aveva sentito le risate di Reno riempirle le
orecchie e aveva sorriso per il suono cristallino che aveva la sua risata.
- Yuffie, mi stai spulciando per caso?
Yuffie si risvegliò dai suoi pensieri e si rese conto di
aver sciolto il codino del rosso e aver cominciato a pettinargli i capelli con
le mani.
- Sì, non si sa mai. Quest’anno non ti ho ancora fatto il
trattamento. - rispose tranquilla riprendendo l’elastico per legargli i
capelli.
- Sono commosso per la tua gentilezza. Un giorno dovrò
ripagarti, vuoi che ti faccia un bagno con la schiuma anti-zecche al profumo di
lampone? - rispose ironico Reno, girando la pagina della rivista che stava
leggendo.
- No, grazie. Le zecche non me le hai ancora attaccate.
Quando lo farai, ti chiamerò. - legò stretti stretti
i capelli e poi si impegnò ad occupare il suo tempo arrotolandoli da un parte e
dall’altra e guardandoli tornare lisci quasi come prima.
- Io sono pulitissimo. - ribatté semplicemente il ragazzo.
Yuffie protese il viso verso il suo orecchio e toccò dietro
il lobo con l’indice: - Ma guarda come sei nero qui! O sei in realtà un nero,
oppure credo che sia da un po’ che tu non ti lavi dietro le orecchie. E devo
dedurre che se non ti lavi lì, non ti lavi del tutto.
- Piantala di dire stronzate, mi stai annoiando. Quand’è che
apre la biblioteca, così te ne vai? – chiese scocciato muovendo una mano su e giù
contro di lei.
- Quanto sei cattivo con la tua amichetta così dolce e
premurosa. - sospirò e buttò le braccia al collo di Reno, che, essendo davanti
a lei, finì per avere le sue ingombranti braccia davanti alla rivista.
Lei tranquillamente, come fosse il suo corpo, prese il suo
braccio destro e guardò l’orologio che aveva al polso.
- La pausa pranzo finisce fra cinque minuti e quindi quel
dannato bibliotecario dovrebbe essere tornato nel suo regno di libri.
- Finalmente te ne vai. E prego per aver usato il mio corpo
a piacimento. - disse riportando il braccio a tenere la rivista.
Lei, veloce come un gatto, gli stampò un bacio sulla
guancia, e lui, preso alla sprovvista, si alzò di scatto, tenendosi la guancia
offesa, con gli occhi talmente aperti che le pupille erano accerchiate dal
bianco delle iridi.
Yuffie si mise a ridere, tenendosi con una mano la gonna in
mezzo alle gambe, per non mostrare le sue preziose mutandine a nessuno. Ma il
gesto che aveva appena fatto non era di affetto - certo, voleva bene a Reno, ma
non lo avrebbe mai ammesso - ma era come al solito uno scherno che aveva
scoperto da poco, ai danni di Reno, a cui imbarazzava molto essere
sbaciucchiato.
Il rosso si sfregò la guancia, fino a farla diventare rossa
e, riponendo il giornale nella sua cartella, le diede un buffetto sulla fronte
e disinteressato la salutò andandosene.
Yuffie ancora sorridente prese le sue cose e si diresse nel
luogo dove nessuno studente aveva mai voglia di andare: la Gigantesca
Biblioteca (Labirintica).
Alcuni studenti le passavano davanti andando a casa, o,
essendo sfigati come lei, dirigendosi verso il lugubre luogo in cui era
destinata a passare ore infernali.
Arrivata davanti alla porta, si fermò e, presa una lunga
boccata d’aria, si accinse ad aprirla in legno pesante, che la sovrastava
parecchio in altezza.
Appena entrata, lasciò subito l’idea che si era fatta - di
un luogo oscuro, con grandi finestre chiuse sbarrate, e ragnatele attaccate
sopra ogni libro (e zombie che sbucavano quando meno te lo aspettavi... ma
questo sapeva che non poteva essere vero... vero? VERO??) - e rimase estasiata
da come la scuola avesse speso bene i suoi soldi: ad ogni pareti grandi
finestre facevano passare un’enorme quantità di luce, e, quando veniva buio,
enormi lampadari in stile ottocentesco si accendevano di luce elettrica,
il che dava un’aria alquanto antica e regale alla sala, ma i computer
supertecnologici riportavano subito alla realtà. I libri risplendevano, e si
sorprese di non trovare neanche un granellino di polvere sugli scaffali; okay,
che fosse ben mantenuta, ma che cosa usavano per tenerla così pulita??
Seguendo le indicazioni dei cartelloni che delimitavano le
varie sezioni, cercò di trovare da sola il reparto dedicato alle armi,
chiedendosi chi mai avesse avuto la buona idea di inventarle, fino a quando con
la coda dell’occhio lesse un “arm” su un libro dalla
copertina bianca.
Si fiondò a vedere se era quello che stava cercando e vide
che era incastrato in mezzo ad altri libri, dallo spessore molto più grande, e
ignorando le conseguenze, iniziò a tirarlo prima con una mano, e poi con tutte
e due, e alla fine appoggiò anche un piede contro il mobile.
Quando sentì un lieve cedimento da parte del libro, fece un
ghigno, pensando che nessuno poteva resisterle, ma nel momento in cui il libro
cedette, anche quelli che erano intorno a lui cedettero, cadendo tutti addosso
alla povera sfortunata.
Mezza ricoperta dai libri, tirò leggermente il braccio con
cui aveva strappato alle grinfie degli altri libri il libro che cercava, e
lesse il titolo: “Arms - All
the things you must know to draw
this part of the body”.
“Che titolo lungo!” pensò, poi traducendolo mentalmente
riconobbe che “Braccia - Tutte le cose che devi conoscere per disegnare questa
parte del corpo” non le sarebbe servito a niente nella sua ricerca.
Per sfogare la rabbia di essere stata investita da una massa
informe di libri completamente inutili fece un breve urlo.
Al banco dove sedeva il bibliotecario, il suddetto si alzò
in piedi, togliendosi gli occhiali che usava per leggere, e si avviò per andare
a vedere chi era che continuava a far tanto casino.
Si aggirò con eleganza e destrezza nei corridoi che
conosceva a memoria e arrivò dove qualcosa di informe si stagliava sul terreno.
Tra i libri, che erano la cosa informe, vide il viso di una ragazzina e il suo
lungo braccio affusolato teso all’insù con un libro bianco in mano; la scena
era talmente comica che se fosse stato un uomo propenso alle risate si sarebbe
messo a ridere a crepapelle, invece gli scappò solo un sorriso, che illuminò il
suo viso costantemente serio.
La ragazzina lo fissò un attimo imbarazzata per poi
sciogliersi di fronte al suo sorriso, aprendo la bocca a formare una perfetta
O.
Il bibliotecario chiese, gentile: - Serve una mano?
Yuffie non capì se era una battuta, o dicesse davvero, ma
vide che lui la guardava in attesa di una risposta perciò sussurrò un secco
“sì“.
A parola ultimata l’uomo si calò velocemente ma
silenziosamente sui ginocchi e cominciò a togliere i pesanti libri da sopra il
corpicino di Yuffie, che nonostante fosse un maschiaccio, era un po’ gracilina
di costituzione.
Finito di togliere l’ultima opera dal ventre della ragazza,
l’uomo si alzò spolverando le ginocchia e le tese una mano, lei appoggiando il
tomo che le aveva fatto passare quell’avventura, accettò la gentilezza del
ragazzo e si lasciò tirare su dal suo possente braccio.
Adesso che ci guardava quello non aveva l’aria di essere un
bibliotecario, neanche un po’; ma di sicuro non era un alunno, era troppo
adulto, responsabile e alto per essere di quella scuola.
E se guardava meglio poteva vedere che, oltre a sembrare
molto maturo, era veramente… bello.
Sì, bello era l’unica parola che racchiudesse quello che
era. Anzi, ce ne erano altre più adatte: magnifico, stupendo, bellissimo,
meraviglioso, […], insomma bellerrimo. (Yuffie non sa parlare NdMe)
Lunghi capelli neri, leggermente ondulati nelle punte e
occhi rossi taglienti come daghe; e una pelle talmente diafana che si
confondeva con la candida camicia che portava sotto la giacca blu sbottonata.
Le venne da chiedergli se si sentisse bene, visto il suo
colorito, ma l’uomo non mostrava di essere in alcun modo turbato, e anzi
sembrava in piena forma, con un corpo leggermente muscolo da come traspariva
dalla camicia.
Rimessa in piedi le spostò amabilmente una ciocca di capelli
dalla fronte e lei perse un battito; si diede un piccolo colpetto sul petto e
disse, per la prima volta nella sua vita indecisa: - G-grazie,
adesso... metto a posto...
- Ti aiuto. - “Ah, quant’è gentile!” pensò estasiata la
mora.
Il corvino continuò: - Ma non pensare che io sia gentile -
le fece l’occhiolino - è che sono molto pignolo e i libri li voglio in un
ordine preciso!
- V-va bene, li metterò secondo il suo ordine..
- Te ne serve qualcuno? Sei per caso una mangaka che cerca
di migliorarsi?
- Ah, no, no è che… ho letto male un titolo e mi sono
cacciata in un guaio... - si portò una mano dietro la testa imbarazzata.
- Non è successo niente. Visto che ci siamo, cosa stavi
cercando? Sai, io posso esserti d’aiuto, se non si fosse capito! - increspò le
labbra verso l’alto e Yuffie poté ammirare ancora lo splendido sorriso del
moro.
- Lei è un bibliotecario utile! - esclamò sorridendo – Però
devo scusarmi per la mia sbadataggine, di solito non sono così.
- Fa lo stesso.. Come ti chiami? - chiese cercando di
ricordare se l’aveva già vista.
- Yuffie Kisaragi. - dichiarò per poi inchinarsi per
rispetto.
- ...Yuffie. Io sono Vincent Valentine, bibliotecario a
rapporto. - fece un piccolo saluto militare.
La mora sorrise ancora di più, e si perse nel bagliore che i
suoi occhi facevano al contatto con la luce del sole.
Sentì il cuore battergli forte nel petto. Una, due, tre
volte... L’unica cosa a cui pensava era: Perché?
Sono
riuscita a finirloooooooooooo!! Sìsìsìsìsìsìssìsììsìsìsìsìsìsìsìssì!!!
Che bello! Però non so come fare il prox cap…… cosa faccio fare a CloClo e Tif.. già quella cosa (niente
sconcerie) o no?? Chissà…
Spero
vi sia piaciuto! Commentate in tanti!!! ^-^
E
grazie ha chi ha letto e recensito lo scorso capitolo e a chi ha messo la fic
tra i preferiti!