Not Existing Life

di Roy4ever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Potrà mai cambiare qualcosa nella mia vita? ***
Capitolo 2: *** Amore a prima... svista! ***
Capitolo 3: *** Comme d'habitude ***



Capitolo 1
*** Potrà mai cambiare qualcosa nella mia vita? ***


Bonjour!!!! Eccomi qui con una fan fic AU sulla mia coppia preferita: CloudXTifa!!!!!

Pubblico Immaginario: Clap clap clap[applaudisce] Siiiii!!

Grazie, grazie. Cmq passando a cose normali..

P I: Fiu, finalmente... -o-‘'

... perché, non vi è piaciuto il mio inizio?? è_é

P I: ‘nsomma..

"E il pubblico immaginario sparì: puff!"

Non badate ai miei scleramenti dovuti al caldo e allo stress, stavo dicendo che questa è un'AU, ambientata tipo ai giorni nostri (non ci ho pensato molto quando la scrivevo...) e con tutti i personaggi che conosciamo bene. I personaggi, solo alcuni credo, sono OOC - tipo Tifa - perché lo richiede il copione...

Tornando alla storia, i capitoli saranno su personaggi diversi, finché il procedere della storia non li farà incontrare e... Buona lettura!!!

Unico obbligo: lasciare un commento-anche piccolissimo!

 

 

 

Cap. 1 Potrà mai cambiare qualcosa nella mia vita?

 

Le vie della città, nell'oscurità della notte, erano sempre state tetre e avvolgenti, come se da un momento all'altro ti potessero inglobare all'interno dei loro muri neri.

La notte era sempre stata misteriosa e fantastica nei suoi sogni da bambina, dove i lupi si muovevano furtivi per cogliere di sorpresa le loro prede, i gufi volavano da un ramo all'altro, e le fragili principesse venivano sempre soccorse dai loro principi; ma la realtà è sempre diversa dalle stupide storielle che si raccontano ai bambini, la sera prima di andare a letto.

La notte adesso era solo un periodo di tempo oscurato dalla luce del sole, che ogni giorno cercava di dimenticare, di dimenticare il suo "lavoro".

 

Si alzò dal letto senza tanti complimenti e si rivestì velocemente, senza badare alle spalline messe male del reggiseno e prese i soldi appoggiati sbadatamente al comodino.

Lanciò un'ultima occhiata al corpo riverso sul letto che russava animatamente, e aprì la porta, andandosene per le terza volta in quella settimana dallo stesso motel di periferia.

Ormai erano già le sei di mattina, e l'alba affiorava dai tetti delle case, che via via si alzavano fino a formare un enorme unico tetto di grattacieli; avrebbe fatto la strada fino a casa a piedi, nonostante abitasse quasi agli antipodi di dove era ora.

Si strinse nel giubbottino di pelle e sentì la nebbia infrangersi sulla pelle scoperta del suo viso, mentre camminava a testa bassa, guardando un po' le sue gambe e un po' il marciapiede.

Ogni tanto lanciava un'occhiata alle poche macchine che passavano ma poi ritornava a posare il suo triste sguardo sopra il marciapiede grigio e spoglio; si sentiva sempre più sporca, pian piano stava cadendo in un baratro senza via di uscita per una nuova vita, e non riusciva neanche a guardare in faccia le persone che a volte la additavano e altre volte commentavano il suo modo di vita mentre le passavano vicino.

Fortuna che di prima mattina di gente in giro praticamente non ce ne era, anche i pochi che praticavano jogging si erano probabilmente rintanati in casa per le strade bagnate dalla pioggia della sera prima e dalla presente nebbia.

Ogni tanto però scorgeva una figura solitaria dall'altra parte della strada, e allora guardava le pozzanghere che si divertivano a prendere le forme più svariate e le evitava lentamente, scostandosi di lato.

Ormai aveva superato la periferia e stava entrando nel cuore della città, dove le imponenti banche e gli alti edifici facevano intendere che Midgar fosse una città molto ricca, quando cominciò a sentire dei passi di corsa, che rompevano il silenzio mattutino, sull'acqua delle pozzanghere davanti a lei e pensò un attimo di scostarsi dal centro del marciapiedi. Ma un attimo fu troppo tempo.

Una figura alta ma con contorni confusi entrò in rotta di collisione con il suo corpo e lei rovinosamente cadde a terra, quasi al centro della pozzanghera appena superata, mentre l'altra figura si era sbilanciata un po', ma era rimasta in piedi.

L'uomo, da quanto poteva constatare, si inginocchiò subito e con una voce leggermente affannata e penetrante parlò.

- Scusa, colpa della nebbia; come va? - disse facendo la domanda con tono incerto.

- Bene, bene... - disse solamente e tentò di rialzarsi, ma constatando di essere completamente bagnata,  ancora di più di quanto non lo fosse prima, al contatto con la nebbia, rimase a suo agio nell'acqua.

- Ehi ma sei caduta nella pozzanghera! Se non ti cambi subito ti beccherai un malanno, e non un semplice raffreddore. - disse squadrandola un attimo - Dove abiti?

- Nella 5th Avenue, dall'altra parte della città. - rispose automaticamente.

- Fiuu, quando sarai lì potresti già essere morta. - la ragazza sorrise per la faccia buffa che aveva fatto il ragazzo - Se vuoi puoi venire ad asciugarti a casa mia, è solo a due isolati da qui; che ne dici?

La ragazza ci pensò su molto seriamente non sapendo se accettare la gentilezza e mandare in imbarazzo il ragazzo, oppure non accettare e tornarsene morente a casa, ma salvandogli la faccia.

- Ehi hai battuto anche la testa, per caso?

- No, stavo solo pensando alla risposta alla domanda; non so proprio come rispondere..

Il ragazzo la guardò come se le avesse appena chiesto come si chiamasse e lei non sapesse rispondere, poi disse tranquillamente, scandendo le parole: - Dì di sì?

Lei piegò leggermente la testa di lato: - Hmm, ok vengo.

Probabilmente aveva dato di sé una prima impressione pessima, di una ragazza strana ed egocentrica, ma tanto se lui avesse saputo cosa faceva lei per mantenersi...

 

Anche quella stanza era buia, ma cercava di non farci caso.

Guardava i contorni dei mobili in stile antico, scuriti dal tempo, che si stagliavano intorno a lei, seduta su una poltrona che stonava un po' con il suo verde acceso e lo stile moderno.

Il ragazzo le aveva dato un asciugamano provvisorio per permetterle di sedersi, mentre ne cercava uno pulito nella sua camera probabilmente.

Sentì un rumore come di qualcosa che cozza contro qualcos'altro e sentì la voce del ragazzo trattenere un grido:-Ahia, porco......

Stringendosi addosso l'asciugamano si diresse nella sala dove si trovava il ragazzo e constatò che aveva sbattuto contro l'anta dell'armadio aperta mentre si tirava su da terra.

Subito si chinò vicino a lui, che era ritornato a sedersi sul pavimento, e lo guardò interrogativamente.

- Tutto bene?

- Ahia.. non pensavo fosse così duro il legno... - disse sommessamente grattandosi la testa.

Lasciando l'asciugamano scivolare lungo le sue spalle, si sporse in avanti per vedere dove avesse sbattuto la testa, alzando la mano di lui per vedere se si era già formato un bernoccolo.

- È qui che ti fa male? - disse posando un dito su dove si vedeva un piccolo rialzamento.

L'urlo che seguì le affermò che la risposta era affermativa.

- Scusa! Non è che hai qualche crema per gli ematomi?

- Sì, dovrei averne in bagno... - tentò di alzarsi con ancora l'anta aperta sopra di sé e la ragazza lo trattenne prontamente, evitandogli un altro incontro poco piacevole con lo sportello.

- Sembri piuttosto sbadato... - commentò la ragazza osservandolo rialzarsi lentamente dal pavimento.

- È solo che non dormo da un po' di giorni... - sorrise forzatamente.

- E ti metti a correre presto la mattina, invece di dormire in un comodo letto?... - chiese poco convinta.

Lui la guardò tristemente: - Mia sorella ha...a lei.. a lei rimane poco tempo da vivere; non riesco ad addormentarmi sapendo questo. - annunciò con tono atono.

Lei si portò una mano alla bocca, dandosi della stupida mentalmente: - Scusa, scusa non volevo, scusami! - ripeté imbarazzata, abbassando lo sguardo.

- Non potevi saperlo... - sussurrò lui attraversando la porta aperta ed entrando in quella adiacente.

Lei rimase sul pavimento, pensando al dolore che comportava la perdita di una persona amata e si asciugò una lacrima solitaria con il dorso della mano, finché non si sentì posare un caldo panno sopra le spalle.

- Su non c'è bisogno che tu mi compianga. Sono cose che sfortunatamente succedono e... - ma si fermò, constatando che la giovane ragazza stava piangendo, cercando di soffocare il tremore.

- Ehi, che ti prende? Non è che... - cominciò ad immaginare la ragione del pianto; non poteva essere lui, ma che forse aveva perso qualcuno di importante recentemente?

Le si avvicinò per vedere il viso, mettendole un braccio intorno alle esili spalle, e vide le gote infiammate dalle calde gocce che ricadevano dalle ciglia nere, sbavando il leggero trucco che ricopriva gli occhi.

Si domandò quale fosse la reale causa delle sue lacrime e mosso da un'infinita tenerezza l'abbracciò, e le lunghe braccia affusolate della ragazza lo ricambiarono impacciatamente.

 

 

Quella poltrona però era proprio comoda.

Dopo la sua riprovevole sfogata con il ragazzo - non conosceva neanche il suo nome - lui le aveva gentilmente proposto di farsi una doccia, nel mentre che lui le asciugava i panni per permetterle di tornare a casa.

Stordita aveva accettato la proposta e si era crogiolata nella piccola doccia, e poi visto che lui non aveva ancora finito di asciugarle i vestiti, per cui lei gli aveva detto che aveva già procurato troppo disturbo e aveva provato a svignarsela prima, ed a convincerlo che lo avrebbe fatto lei poi, ma lui non aveva sentito scuse e aveva continuato imperterrito a stirarle la stretta maglietta che portava sotto il giubbino, che era ancora completamente fradicio.

Adesso era sulla sua poltrona, con il suo accappatoio verde indosso, che le faceva da larga tunica, che sorseggiava del the caldo nella sua tazza e che ascoltava la sua canzone preferita al suo stereo.

Anche se le aveva detto che era la sua canzone preferita, era molto malinconica e lenta; che fosse un tipo triste di natura? O era la sua preferita in quel periodo preciso?

Dal bordo della tazza lo vedeva lavorare attentamente, avendo cura anche dei particolari, e visto che non sapeva di cosa poter parlare, rimase in silenzio, osservandolo per la prima volta da quando si erano scontrati.

E constatò che era davvero un bel ragazzo.

Come i principi azzurri aveva lisci capelli biondi, un po' arruffati per il mancato sonno, ed azzurri occhi a mandorla, sottili come una lama tagliente e dai contorni ben definiti, e il viso pulito e candido, dai contorni ammorbiditi,  e rosee labbra piene. A pensarci bene sembrava quasi una figura androgina, troppo perfetto per essere né uomo né donna.

Ma soprattutto l'avevano colpita gli occhi, che, anche se erano notoriamente azzurri, avevano sfumature verdi, ed erano molto penetranti, come se guardandoli venissi congelata in quella posizione dal ghiaccio azzurro che ne scaturiva.

E lei si era proprio congelata al suo sguardo che la guardava sia incuriosito che seducente, con la bocca socchiusa e le palpebre leggermente abbassate.

- Ti sei incantata? - le chiese candido.

- Sì, cioè no... anch'io ho dormito poco stanotte. - si giustificò, soffiando poi sul the che si era dimenticata di bere.

Come se la sua frase fosse stata un ordine, il ragazzo sbadigliò, mostrando denti in forma smagliante, e tutte le sue corde vocali. Lei sorrise e finì l'ultimo sorso della bevanda e si sporse in avanti per appoggiarla al tavolino.

Tornata raggomitolata sul piccolo spazio, si strinse nell'accappatoio.

- Hai freddo? - le chiese guardandola di sottecchi.

- No, no, solo che questo accappatoio è così comodo che sembra una coperta. - disse arrossendo.

Sorrise e continuò con quei movimenti ripetitivi con il ferro da stiro: avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro...

 

Com'era caldo quel luogo. E morbido, dolce, bello.

Strinse con la mano il lembo della coperta che aveva sentito vicino a sé, e se lo portò vicino al petto, coprendosi completamente con la massa informe di tessuto, desiderando ancora più calore vicino a sé.

Ma quello di cui aveva davvero bisogno era calore umano, comprensione, dolcezza, una famiglia, e... magari amore...

Aprì lentamente gli occhi e cominciò a chiedersi perché si trovava in un letto: l'ultima cosa che si ricordava era acqua, molta acqua, in una pozzanghera. Ah, sì, il ragazzo! Era andata a casa del ragazzo biondo.

Si alzò lentamente a sedere e si guardò intorno, sì, era la stanza del ragazzo.

Adesso che ci guardava era abbastanza spoglia, tranne per qualche complemento d'arredo, quali il comodino e l'armadio, incolore e senza personalità. Chissà, forse aveva un lavoro che toglieva tutto il tempo per la sua vita, oppure era povero in canna.

Aguzzò le orecchie per sentire qualunque rumore provenisse dalla sala confinante e sentì gli sbuffi del ferro da stiro che ancora rimbombavano per tutta la casa.

Si rilassò e appoggiò le mani sul materasso, facendole sprofondare nelle lenzuola e chiudendo gli occhi  amaranto.

Questo finché non sentì una consistente palla di pelo sfiorarle la mano. Colta di sorpresa le scappò un acuto che scosse parecchio le orecchie del pover'uomo di là, che quasi si ustionò una mano riponendo il ferro nel suo apposito contenitore, per correre a vedere cos'era successo.

Ritrovò la ragazza che guardava meravigliata la sua "palla di pelo preferita", il suo gatto.

- Scusa, scusa. Va sempre a dormire sul letto questo gattaccio. - disse prendendo di peso il gatto e sollevandolo come un pupazzetto.

- No, no mi sono solamente sorpresa. - disse scuotendo le mani e acciuffando il gatto dalle sue mani - Io amo i gatti! - e gli sorrise di cuore.

Lui si sedette sul bordo del letto guardandola giocare col suo gatto, e divertirsi veramente.

I lunghi capelli marrone scuro, con sfumature rossicce, le ricadevano sul viso pallido, e nel mentre il micio cercava di acchiapparli con poco successo: lei lo spostava sempre quando era quasi al compimento della sua opera.

La bocca sottile era curvata in un dolce sorriso e anche gli occhi scarlatti erano ridenti, ma con un tono triste stampato costantemente.

- Come si chiama? - gli chiese distogliendolo dall'osservazione.

- Ah, che cosa difficile... è di mia sorella, quindi, beh dovrebbe essere... - si grattò la testa intento a ricordarsi quello strano nome.

- Ok, domanda troppo difficile. Cambiamo: come-ti-chiami-tu?- gli chiese sillabando la frase.

- Un aiutino?

- No, hai già usato l'ultimo, devi rispondere da solo. Forza, puoi farcela!

- Allora, comincia con la C, segue una L, O... - si fermò per aumentare la suspense.

- Clo? Clo-Clo?

- U..

- Clou?

- D.

- Cloud? È la tua risposta definitiva?

- Sì, e aggiungo, visto che sono esperto in materia, il nome completo di quest'illustre uomo è Cloud Strife.

- Lei è proprio un uomo colto! - la ragazza sorrise ancora, delicatamente.

- E posso sapere il suo incantevole nome? - chiese con modi ottocenteschi.

- Non è poi così incantevole. - disse distogliendo lo sguardo ma rimanendo serena - Tifa Lockhart. - e si rigirò guardandolo con i suoi giganteschi occhi rossi, più grandi di qualsiasi persona sulla terra.

- Non è vero è molto grazioso.

Tifa lo guardò fisso come avesse detto qualcosa di impossibile e si scostò una ciocca di capelli dietro la sua spalla... scoperta.

......

No, i suoi istinti maschili non potevano far capolino proprio in quel momento...  non se n'era accorto prima, ma la manica del suo massiccio accappatoio era scesa fino a scoprirle l'intera spalla, e si poteva intravedere la forma del seno diafano.

Lo squillo del telefono salvò la situazione, visto che anche lei si era accorta di avere qualcosa di strano, dal modo in cui lui la guardava.

Si precipitò a rispondere immaginando chi era, e quando sentì la voce delicata dall'altra parte della cornetta ne fu convinto.

- Clo vieni di qua??

- Cos'hai Aeris?

- Sto davvero tanto-tanto male! - fece con voce sofferente.

- Sei sicura? Non è come l'altra volta che mi hai fatto fare il giro di mezza città per dei farmaci Inesistenti, soltanto perché volevi stare un po' con me?

- ... No, sento di star veramente male, ho un capogiro, sto per cad... -  cadde la linea.

- Ae!? Uff, sempre così, e "visto che lei è degente, devo correre subito da lei". - sbuffò mentre tornava nella sua camera.

Prese per le mani Tifa : - Puoi venire con me, da mia sorella? - le fece con tono angelico, ma gli venne in mente un'idea che non lo era per niente: se Aeris avesse trovato una figura femminile con lui, lo avrebbe lasciato stare e avrebbe cominciato a tormentare la povera Tifa - disse mentalmente scusa alla ragazza - e mentre loro due erano impegnate a sparlare.. avrebbero potuto anche diventare amiche, e lui avrebbe anche potuto rivederla.. 

- Perché?

- Non ti posso lasciare qua tutta sola in casa mia! - continuò ad avere una faccia angelica.

- Hai ragione. - scese dal letto, rimanendo ferma nonostante lui le stesse tirando la mano.

- Ma devo venire vestita così? - chiese imbarazzata.

-Mia sorella abita esattamente nell'appartamento accanto - [purtroppo -_-]

- Sì, ma cosa penserà vedendo che esci con una... - non finì la frase pensando di essere eloquente.

- Una avvenente ragazza? Niente, tranquilla. Ormai conosco mia sorella, non si stupirebbe neanche se mi trasformassi in un mostro davanti a lei. Mi immagino già la scena: io mi trasformo in un gigantesco cagnaccio, con la bava alla bocca, e lei tranquillamente seduta su una poltrona fa: "Vai a lavarti le mani, e asciugati quella bava, non sta bene! E poi torna qui, che insieme al the ho preparato anche i biscotti!!"

Dopo la scenetta di Cloud, Tifa si mise a ridere di gusto, come ormai non faceva da tempo e seguì il ragazzo nell'altro locale.

Aprì la porta che era già aperta e Cloud entrò dentro la stanza, arredata con colori caldi e solari, come piaceva a sua sorella.

Lei si trovava su una sedia arancione scuro, con una mano sulla faccia, che sembrava sofferente.

- Aeris sono già qui, puoi smetterla di star male. - disse come seccato ma divertito.

La ragazza rimase ancora qualche secondo nella sua posizione poi si stropicciò gli occhi e lentamente si tirò su dalla sedia.

- Cloud... - tirò su la testa con un gran sorriso e si buttò fra le braccia del fratello.

- Quale malattia hai oggi?

- La nostalgia del mio fratellone!

Tifa guardava la scenetta con un sorriso amaro sulle labbra. Quell'affetto... lei non poteva averlo più, e forse non l'avrebbe mai più potuto avere...

- Ehi, fratellone, chi è questa ragazza? - disse guardandola con gli occhi a palla.

- È Miss Lockhart, trattala bene è un'ospite delicata.

Aeris si staccò dall'abbraccio e si catapultò ad afferrare le mani di Tifa e stringendole cominciò a parlarle ad una velocità anormale per qualunque essere umano.

Le uniche cose che capì è che lei si chiamava Aeris Gainsborough, era una fiorista ed era molto felice di conoscerla.

- A-anch'io, Tifa Lockhart! - disse frastornata, mentre l'altra ragazza le sorrideva insistentemente mostrando uno splendido sorriso.

 

Fra un pubblico anche il secondo cap, che ho già pronto, ma la mia beta-rider me lo deve ancora controllare... cmq sto già scrivendo il terzo U_U..

Non so di cosa parlare, quindi saluto, sperando che i commenti (che riceverò, VERO?? ò_O) siano positivi.... ciao!!

Serena

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Capitolo 2
*** Amore a prima... svista! ***


Cap

Cap. 2 Amore a prima... svista!

 

Stava già ricominciando a piovere, dopo che aveva smesso per qualche ora quella notte.

Una ragazzina correva forsennatamente con un giornale in testa, tolto dalla mano di un ragazzino, dannando la pioggia e chi l’aveva creata, dirigendosi verso un grande stabile bianco sporco.

- Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in RITARDOOOO!! - urlò la ragazzina creando con il suono acuto della sua voce, un varco tra i molti studenti che si riversavano nel giardino scolastico.

Stava ancora correndo quando quasi non soffocò sentendo il colletto della divisa scolastica stringerlesi attorno al collo. Si fermò prendendo fiato, e si voltò per vedere una lunga chioma rosso e un sorriso strafottente sul il viso colorito di...

- RENOOO!!?? Che diavolo ti è preso di tirare in quel modo il mio colletto??! Potevo morire!

- No, con la pellaccia dura che hai, è impossibile! - le disse mollandola e prendendola sotto il suo l’ombrello.

Dopo che la ragazza si fu ripresa, anche se ancora arrabbiata con l’amico, lui le chiese con fare incurante: - Come mai correvi tanto, per una volta che sei in orario Kisaragi?

La ragazza lo guardò con gli occhi a palla: - Come in orario? Il mio orologio fa le otto e dieci…

Si fermò nel vedere un sorriso appena accennato e trattenuto di lui e allora, la sua espressione cambiò così velocemente che Reno non la vide neanche saltargli addosso e tirargli un pungo in faccia.

 

In classe ormai non mancava più nessuno, e il professore scrutava in faccia tutti i suoi alunni.

Arrivato agli ultimi banchi, come al solito, chiuse gli occhi un attimo e sospirò pensando se sarebbe mai potuta arrivare in orario; riaprì gli occhi sapendo che non ci sarebbe mai potuta essere, era impossibile che almeno una volta nella vita lei potesse … essere lì.

- Oh mio Dio, Kisaragi sei veramente tu? O è un’illusione ottica? - chiese con voce teatrale.

La ragazza tirò su gli occhi nocciola con sguardo imbarazzato e rispose semplicemente: - Sono qui.

Il docente, felice per la notizia della prima venuta in orario dell’alunna, non si rese nemmeno conto dell’occhio nero del ragazzo vicino.

Solo durante la lezione, chiamandolo interrogato vide il grande livido sull’occhio sinistro che, inutilmente, Reno cercava di nascondere con i folti capelli rossi.

- E tu che diavolo hai combinato?!

- Io? Niente! - mentì il ragazzo portando le braccia sopra la testa.

- Dimmi chi ti ha dato un pugno. - il tono della voce suggeriva che era un ordine. I suoi alunni saranno anche stati degli scapestrati, ma voleva loro lo stesso bene.

- Un bulletto di un’altra scuola... - sviò guardando dall’altra parte.

- Reno!

Yuffie alzò svogliatamente la mano: - Sono stata io.

Reno si girò di scatto: - Yuffie no..!

Il prof si girò verso lei e la guardò con gli occhi a palla e chiese solamente: - Perché?

- Mi ha fatto uno scherzo stupido - fece offesa lei, girando il viso dall’altra parte. - E mi ha quasi soffocato. - aggiunse.

Il docente la guardò sconsolato: - Yuffie, in punizione.

Lei si alzò scocciata e si mise davanti al prof, aspettando il lavoro rognoso che le sarebbe stato affibbiato: - Comunque era fuori dall’orario scolastico. - proferì guardando di sottecchi Reno, che la guardava contrariato.

- Non mi importa. Finché non imparerai un po’ di disciplina continuerò a punirti, ricordalo. - mentre parlava scriveva su un post-it ciò che avrebbe dovuto fare.

- Dopo scuola vai in biblioteca e fai una ricerca sulle armi. Ho specificato il tutto sul foglietto.

- Solo una ricerca?! - domandò meravigliata.

- Su cui poi sarai interrogata.

- COSA?! - l’eco dell’urlo si sentì per tutta la scuola.

 

- Una ricerca sulle armi, una ricerca sulle armi!! Dico io non su le favole della Disney, o sui telefilm più in voga, NO! Su delle inutili armi che servono solo ad ammazzare della gente!! E poi un tema di otto pagine! Ti sembra possibile?! - si sfogò dopo l’ultima campanella che significava la fine della lezione per gli studenti. Ma non per tutti.

Yuffie incrociò le braccia al petto: - E tutto per colpa tua! - sottolineò l’aggettivo in modo che si capisse.

- Mia?!MIA?! Io te l’avevo detto di stare zitta, e tu invece una volta tanto ti prendi le tue responsabilità e salti su dicendo che sei stata tu! E poi invece la colpa è mia, che tranquillo tranquillo non avrei detto il tuo nome.. 

- Ma se tu non facevi quello stupido scherzo di mandare avanti tutti gli orologi di casa mia - dico io, ma proprio tutti! Anche quello in camera di mia nonna!

-Ieri non avevo nient’altro da fare quando tu, mi hai lasciato solo in casa tua per andare dalla tua amicona-ona-ona Shelke..

La ragazza si voltò furiosa verso il ragazzo noncurante e gli saltò di nuovo addosso, buttandolo per terra, ma minacciandolo solamente con il pugno invece di picchiarlo.

- Prova a ripeterlo un’altra volta: cosa sarebbe S... - si fermò cercando di pronunciare l’odiato nome - Shelke??!

- La tua grande amica da cui corri ogni volta che ti chiama! - disse tranquillo sedendosi con Yuffie a cavalcioni che lo guardava come una furia.

- Non è vero! Lo sai che non è vero!! Io devo correre per forza da lei!! Non è mia amica, non è MIA AMICA!!!! - urlò, sull’orlo del pianto, stringendo i pugni.

- Yuffie! - la prese per le spalle e la scosse - Come faccio a saperlo io che ogni volta che ti chiedo di lei tu non mi dici mai niente?

- È lei che mi ha ordinato di non dire a nessuno il legame che intercorre fra noi... io la odio, la odio! -silenziose lacrime le rigarono le guance tonde, e Reno le mise delicatamente una mano in testa e le sussurrò: - Dai, tranquilla adesso; ma promettimi che un giorno me ne parlerai, ok?

- Promesso. - rispose con voce rotta.

La tirò su facendo attenzione a non bagnarsi la camicia di lacrime e le porse un fazzoletto di carta che si trovava stipato in una tasca dei pantaloni – Adesso smettila di piangere, non si addice ad una ragazza adulta!

A quelle parole la moretta tirò su il viso rosso e afferrò il fazzoletto asciugandosi le guance.

Quando ebbe finito buttò diligentemente la carta nel secchio dell’immondizia, e, mentre si avviava con Reno al suo fianco verso il piccolo bar della scuola, la porta della sala insegnanti si aprì facendo uscire una donna dall’aspetto sinuoso, con lunghi capelli castani raccolti in una coda alta.

Quella doveva essere una professoressa delle classi più grandi... che invidia! Era proprio una bella donna, con due sottili occhi marrone chiaro e un viso pulito che inspirava sicurezza solo a vederlo.

Vicino a lei il professor Palmer, un grassone con tre ciuffi di capelli in testa e un carattere menefreghista, si sporgeva davanti a lei cercando di vedere una scollatura inesistente, visto il vestito sobrio che indossava la professoressa.

- Oh, signorina Lucrecia lei è così brillante! Dovrebbe insegnare all’università, altro che scuole superiori!!- esclamò mostrando i denti corrosi dal fumo.

La donna sospirò stancamente e si fermò a guardarlo.

- Signor Palmer, per prima cosa io sono sposata e insegno anche all’università. È la terza volta che glielo ripeto. - disse con una nota di irritazione.

- Oh, ha ragione! La mia memoria fa cilecca! - esclamò cacciandosi a ridere sguaiatamente.

“E anche con le donne non ha molto successo” pensò trattenendosi dal ridere la piccola ragazza.

- Mi scusi, ma io ades… - la donna fece per continuare la frase, ma dalle labbra non le uscì un suono; al contrario cadde con le ginocchia sul pavimento e facendo cadere alcuni raccoglitori che portava in mano.

Reno scattò in avanti e le appoggiò una mano sulla spalla chiedendole se si sentiva bene.

Anche Yuffie accorse e si inginocchiò di fianco a lei, spostandole la frangetta per controllare il viso.

Lei al gesto sorrise e con la mano libera prese quella di Yuffie, facendole un sorriso dolcemente forzato.

- Grazie, ma sto bene. – fece un sorriso più ampio – È solo che sono incinta.  – proferì tranquillamente.

La moretta dischiuse le labbra a O e si portò una mano alla bocca: - Ahem.. congratulazioni! - disse imbarazzata dalla notizia. Non aveva mai conosciuto una donna incinta, con una piccola vita dentro di sé, che dopo alcuni mesi sarebbe nata, e questo la emozionò a tal punto da farla arrossire.

La ragazzina non aveva fratelli e nessun parente così vicino che le avesse dato dei cuginetti... aspetta aspetta, un fratello maggiore ce lo aveva, ma Storm (FF VS XIII NdMe) non si era mai comportato da tale, e da qualche anno non veniva più a trovare la famiglia, troppo impegnato nel suo “lavoro”.

Però, da quando si era trasferita in quella grande capitale economica, ormai sette anni fa, aveva conosciuto un sacco di bambini, cominciando ad andare a scuola.

Renuccio lo conosceva soltanto da tre anni, ma era già da quando erano molto più piccoli che si guardavano da lontano e si facevano scherzi innocenti (seh, innocenti! Creare una frana montana in miniatura e buttarla addosso a qualcuno, non era innocente era malefico... Yuffie era una creatura del male, Reno lo sapeva) e la prima volta che si erano parlati avevano tredici anni, era ottobre ed erano a ricreazione, a scuola.

Yuffie aveva dimenticato la sua merenda e il suo tormento da quasi tre anni, le si era seduto vicino, sulla panchina su cui lei stava seduta, e le aveva porto davanti alla faccia metà del suo panino, che lei spaesata aveva preso fra le mani, senza però degnarlo di uno sguardo.

Tutta la sua attenzione ce l’aveva colui che le aveva porto il pezzo di pane.

Il ragazzo a cui aveva fatto più dispetti nella sua vita (visto che era praticamente l’unico - solo dopo essersi alleata con lui cominciò una vita di attive azioni terroristiche contro qualsiasi cosa si muovesse) era seduto di fianco a lei con l‘altro pezzo del panino in grembo a guardare esattamente nella direzione opposta a lei. Reno aveva una capigliatura molto più scalmanata di lei, con tutti i capelli MAI e poi mai pettinati, e legati malamente in un codino. E poi di quel colore così strambo! Rossi, rossi come il fuoco! “Non è possibile un colore del genere in natura, e un ragazzino che si colorava i capelli a quell’età non era normale…” questo aveva pensato la testolina di Yuffie mentre allungava lentamente la mano verso il codino del compagno e lo tirava verso di sé, con forza.

Il grido strozzato del ragazzo era echeggiato due o tre volte per il cortile e poi era avveduta la cosa più logica: Reno si era girato con gli occhi iniettati di sangue e le aveva urlato in faccia: - Ma che diavolo fai!!?!

Yuffie senza degnarlo di uno sguardo era rimasta ad osservare la punta del codino che, dopo aver tirato (e così provato che non era finto) aveva ancora tra le mani, e osservava i vari riflessi che facevano i suoi capelli, troppo belli per essere il prodotto di una scatoletta di colori artificiali.

- Ma allora sono veri! – aveva esclamato muovendoli di qua e di là, mentre finalmente sollevava lo sguardo su di lui.

Lui ci aveva messo un po’ a realizzare cosa intendesse e poi aveva ribattuto, offeso: - Certo che sono veri! Cosa credevi?

Lei angelicamente aveva risposto: - Che te li fossi tinti.

- No! Sono naturalmente naturali! – aveva detto lui strappandole di mano il codino e facendo per riprendersi anche il panino che le aveva dato.

Ma lei, con una velocità anormale, se l’era tirato a se e aveva afferrato la mano che aveva tentato di rubare quello che ormai le apparteneva.

Con molta ripugnanza aveva esordito un “scusa” diretto all’episodio di poco prima e, lasciando la mano del ragazzo, gli aveva teso nuovamente la sua: - Diventiamo amici, e faremo degli scherzi fantastici agli altri, invece che tra di noi; ormai mi sono stufata di farti sempre piangere. - ghignò.

- Guarda che io non ho mai pianto per i tuoi insulsi scherzetti da bambina. – aveva risposto con aria di superiorità.

- Sicuro? Io mi ricordo di tante volte in cui l’hai fatto... soprattutto quando ti è arrivata la palla da basket in facc… - Reno si era precipitato a chiuderle la bocca con entrambe le mani, e appena lei si era messa a ridere lui aveva incrociato le braccia stizzito.

Quando finalmente lei aveva smesso di ridere, lui le aveva porto la mano e lei gliela aveva stretta con forza, ma si era sorpresa che lui rispondesse subito e quasi le stritolasse la sua.

- Basta, basta! Almeno per oggi, niente fra di noi. Oggi è un giorno memorabile. – aveva detto la pestifera, sciogliendosi dalla stretta e alzandosi in piedi sulla panchina. Aveva messo le mani a megafono davanti alla bocca e aveva cominciato a urlare, facendo prendere uno spavento ai ragazzi che se ne stavano tranquilli a mangiare, “Yuffie Kisaragi e Reno-non-so-ancora-il-suo-cognome, da oggi sono amici. Cominciate ad avere paura!!”

Da sotto di lei aveva sentito le risate di Reno riempirle le orecchie e aveva sorriso per il suono cristallino che aveva la sua risata.

 

- Yuffie, mi stai spulciando per caso?

Yuffie si risvegliò dai suoi pensieri e si rese conto di aver sciolto il codino del rosso e aver cominciato a pettinargli i capelli con le mani.

- Sì, non si sa mai. Quest’anno non ti ho ancora fatto il trattamento. - rispose tranquilla riprendendo l’elastico per legargli i capelli.

- Sono commosso per la tua gentilezza. Un giorno dovrò ripagarti, vuoi che ti faccia un bagno con la schiuma anti-zecche al profumo di lampone? - rispose ironico Reno, girando la pagina della rivista che stava leggendo.

- No, grazie. Le zecche non me le hai ancora attaccate. Quando lo farai, ti chiamerò. - legò stretti stretti i capelli e poi si impegnò ad occupare il suo tempo arrotolandoli da un parte e dall’altra e guardandoli tornare lisci quasi come prima.

- Io sono pulitissimo. - ribatté semplicemente il ragazzo.

Yuffie protese il viso verso il suo orecchio e toccò dietro il lobo con l’indice: - Ma guarda come sei nero qui! O sei in realtà un nero, oppure credo che sia da un po’ che tu non ti lavi dietro le orecchie. E devo dedurre che se non ti lavi lì, non ti lavi del tutto.

- Piantala di dire stronzate, mi stai annoiando. Quand’è che apre la biblioteca, così te ne vai? – chiese scocciato muovendo una mano su e giù contro di lei.

- Quanto sei cattivo con la tua amichetta così dolce e premurosa. - sospirò e buttò le braccia al collo di Reno, che, essendo davanti a lei, finì per avere le sue ingombranti braccia davanti alla rivista.

Lei tranquillamente, come fosse il suo corpo, prese il suo braccio destro e guardò l’orologio che aveva al polso.

- La pausa pranzo finisce fra cinque minuti e quindi quel dannato bibliotecario dovrebbe essere tornato nel suo regno di libri.

- Finalmente te ne vai. E prego per aver usato il mio corpo a piacimento. - disse riportando il braccio a tenere la rivista.

Lei, veloce come un gatto, gli stampò un bacio sulla guancia, e lui, preso alla sprovvista, si alzò di scatto, tenendosi la guancia offesa, con gli occhi talmente aperti che le pupille erano accerchiate dal bianco delle iridi.

Yuffie si mise a ridere, tenendosi con una mano la gonna in mezzo alle gambe, per non mostrare le sue preziose mutandine a nessuno. Ma il gesto che aveva appena fatto non era di affetto - certo, voleva bene a Reno, ma non lo avrebbe mai ammesso - ma era come al solito uno scherno che aveva scoperto da poco, ai danni di Reno, a cui imbarazzava molto essere sbaciucchiato.

Il rosso si sfregò la guancia, fino a farla diventare rossa e, riponendo il giornale nella sua cartella, le diede un buffetto sulla fronte e disinteressato la salutò andandosene.

Yuffie ancora sorridente prese le sue cose e si diresse nel luogo dove nessuno studente aveva mai voglia di andare: la Gigantesca Biblioteca (Labirintica).

 

Alcuni studenti le passavano davanti andando a casa, o, essendo sfigati come lei, dirigendosi verso il lugubre luogo in cui era destinata a passare ore infernali.

Arrivata davanti alla porta, si fermò e, presa una lunga boccata d’aria, si accinse ad aprirla in legno pesante, che la sovrastava parecchio in altezza.

Appena entrata, lasciò subito l’idea che si era fatta - di un luogo oscuro, con grandi finestre chiuse sbarrate, e ragnatele attaccate sopra ogni libro (e zombie che sbucavano quando meno te lo aspettavi... ma questo sapeva che non poteva essere vero... vero? VERO??) - e rimase estasiata da come la scuola avesse speso bene i suoi soldi: ad ogni pareti grandi finestre facevano passare un’enorme quantità di luce, e, quando veniva buio, enormi lampadari in stile ottocentesco si accendevano di luce elettrica, il che dava un’aria alquanto antica e regale alla sala, ma i computer supertecnologici riportavano subito alla realtà. I libri risplendevano, e si sorprese di non trovare neanche un granellino di polvere sugli scaffali; okay, che fosse ben mantenuta, ma che cosa usavano per tenerla così pulita??

Seguendo le indicazioni dei cartelloni che delimitavano le varie sezioni, cercò di trovare da sola il reparto dedicato alle armi, chiedendosi chi mai avesse avuto la buona idea di inventarle, fino a quando con la coda dell’occhio lesse un “arm” su un libro dalla copertina bianca.

Si fiondò a vedere se era quello che stava cercando e vide che era incastrato in mezzo ad altri libri, dallo spessore molto più grande, e ignorando le conseguenze, iniziò a tirarlo prima con una mano, e poi con tutte e due, e alla fine appoggiò anche un piede contro il mobile.

Quando sentì un lieve cedimento da parte del libro, fece un ghigno, pensando che nessuno poteva resisterle, ma nel momento in cui il libro cedette, anche quelli che erano intorno a lui cedettero, cadendo tutti addosso alla povera sfortunata.

Mezza ricoperta dai libri, tirò leggermente il braccio con cui aveva strappato alle grinfie degli altri libri il libro che cercava, e lesse il titolo: “Arms - All the things you must know to draw this part of the body”.

“Che titolo lungo!” pensò, poi traducendolo mentalmente riconobbe che “Braccia - Tutte le cose che devi conoscere per disegnare questa parte del corpo” non le sarebbe servito a niente nella sua ricerca.

Per sfogare la rabbia di essere stata investita da una massa informe di libri completamente inutili fece un breve urlo.

 

Al banco dove sedeva il bibliotecario, il suddetto si alzò in piedi, togliendosi gli occhiali che usava per leggere, e si avviò per andare a vedere chi era che continuava a far tanto casino.

Si aggirò con eleganza e destrezza nei corridoi che conosceva a memoria e arrivò dove qualcosa di informe si stagliava sul terreno. Tra i libri, che erano la cosa informe, vide il viso di una ragazzina e il suo lungo braccio affusolato teso all’insù con un libro bianco in mano; la scena era talmente comica che se fosse stato un uomo propenso alle risate si sarebbe messo a ridere a crepapelle, invece gli scappò solo un sorriso, che illuminò il suo viso costantemente serio.

La ragazzina lo fissò un attimo imbarazzata per poi sciogliersi di fronte al suo sorriso, aprendo la bocca a formare una perfetta O.

Il bibliotecario chiese, gentile: - Serve una mano?

Yuffie non capì se era una battuta, o dicesse davvero, ma vide che lui la guardava in attesa di una risposta perciò sussurrò un secco “sì“.

A parola ultimata l’uomo si calò velocemente ma silenziosamente sui ginocchi e cominciò a togliere i pesanti libri da sopra il corpicino di Yuffie, che nonostante fosse un maschiaccio, era un po’ gracilina di costituzione.

Finito di togliere l’ultima opera dal ventre della ragazza, l’uomo si alzò spolverando le ginocchia e le tese una mano, lei appoggiando il tomo che le aveva fatto passare quell’avventura, accettò la gentilezza del ragazzo e si lasciò tirare su dal suo possente braccio.

Adesso che ci guardava quello non aveva l’aria di essere un bibliotecario, neanche un po’; ma di sicuro non era un alunno, era troppo adulto, responsabile e alto per essere di quella scuola.

E se guardava meglio poteva vedere che, oltre a sembrare molto maturo, era veramente… bello.

Sì, bello era l’unica parola che racchiudesse quello che era. Anzi, ce ne erano altre più adatte: magnifico, stupendo, bellissimo, meraviglioso, […], insomma bellerrimo. (Yuffie non sa parlare NdMe)

Lunghi capelli neri, leggermente ondulati nelle punte e occhi rossi taglienti come daghe; e una pelle talmente diafana che si confondeva con la candida camicia che portava sotto la giacca blu sbottonata.

Le venne da chiedergli se si sentisse bene, visto il suo colorito, ma l’uomo non mostrava di essere in alcun modo turbato, e anzi sembrava in piena forma, con un corpo leggermente muscolo da come traspariva dalla camicia.

Rimessa in piedi le spostò amabilmente una ciocca di capelli dalla fronte e lei perse un battito; si diede un piccolo colpetto sul petto e disse, per la prima volta nella sua vita indecisa: - G-grazie, adesso... metto a posto...

- Ti aiuto. - “Ah, quant’è gentile!” pensò estasiata la mora.

Il corvino continuò: - Ma non pensare che io sia gentile - le fece l’occhiolino - è che sono molto pignolo e i libri li voglio in un ordine preciso!

- V-va bene, li metterò secondo il suo ordine..

- Te ne serve qualcuno? Sei per caso una mangaka che cerca di migliorarsi?

- Ah, no, no è che… ho letto male un titolo e mi sono cacciata in un guaio... - si portò una mano dietro la testa imbarazzata.

- Non è successo niente. Visto che ci siamo, cosa stavi cercando? Sai, io posso esserti d’aiuto, se non si fosse capito! - increspò le labbra verso l’alto e Yuffie poté ammirare ancora lo splendido sorriso del moro.

- Lei è un bibliotecario utile! - esclamò sorridendo – Però devo scusarmi per la mia sbadataggine, di solito non sono così.

- Fa lo stesso.. Come ti chiami? - chiese cercando di ricordare se l’aveva già vista.

- Yuffie Kisaragi. - dichiarò per poi inchinarsi per rispetto.

- ...Yuffie. Io sono Vincent Valentine, bibliotecario a rapporto. - fece un piccolo saluto militare.

La mora sorrise ancora di più, e si perse nel bagliore che i suoi occhi facevano al contatto con la luce del sole.

Sentì il cuore battergli forte nel petto. Una, due, tre volte... L’unica cosa a cui pensava era: Perché?

 

 

Sono riuscita a finirloooooooooooo!! Sìsìsìsìsìsìssìsììsìsìsìsìsìsìsìssì!!! Che bello! Però non so come fare il prox cap…… cosa faccio fare a CloClo e Tif.. già quella cosa (niente sconcerie) o no?? Chissà…

Spero vi sia piaciuto! Commentate in tanti!!! ^-^

E grazie ha chi ha letto e recensito lo scorso capitolo e a chi ha messo la fic tra i preferiti!

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Capitolo 3
*** Comme d'habitude ***


Ed ecco a voi uno scorcio dell’infanzia di Aeris e Cloud

Ed ecco a voi uno scorcio dell’infanzia di Aeris e Cloud. È un capitolo molto malinconico e deprimente, ma quando lo scrivevo mi veniva da ridere O_O… sono sadica.. Mi dispiace Aeris. ;__;

 

Cap. 3 Comme d’habitude

 

Che bel tepore che emanava il suo fratellone. Fin da quando si erano conosciuti, Aeris gli era sempre stata attaccata come una ventosa, sperando che lui potesse sempre proteggerla, e volerle bene.

Anche adesso sul divano arancione del suo appartamento, abbarbicata come una piantina di gramigna sul suo albererello personale, facendo la parte del parassita in senso buono, lei stava chiedendo protezione per una vita migliore di quella che l’aspettava e di quella che aveva trovato da bambina.

Da bambini infatti, quando lui doveva tornare a casa con suo padre, lasciandola tutta sola con il suo di papà, e la sua debole madre, lei aveva paura. Terribilmente paura. E si sentiva l’unica persona capace di amare al mondo. Quando Cloud se ne andava via, nella sua bella casetta di campagna, con i suoi dolci animaletti che gli facevano le feste e i suoi genitori che lo coccolavano donandogli tutto l’amore di cui aveva bisogno, lei rimaneva sola, sola contro un padre insano e una madre troppo debole per combatterlo.

Non poteva certo cercare di combatterlo lei, una bambina di soli dieci anni, per giunta fragile come un giunco e con una paura enorme.

Suo padre la sgridava sempre di vedersi troppo tempo con il suo “bastardino” come lo chiamava lui, e poi di dedicarne poco a lui; quando voleva, suo padre, che mai e poi mai avrebbe più chiamato tale, se la prendeva sotto un braccio e, prima con pianti isterici e urla della piccola, poi con una silenziosa disperazione segnata dalle amare lacrime che scendevano dalle rosee guance di porcellana, la portava nella sua stanza, chiudendosi dietro la porta a chiave.

Sua madre si disperava giorno e notte, cercando di proteggere la sua bambina, facendosi picchiare a sangue, al posto di farla abusare da quell’uomo che un tempo, veramente remoto, amava.

Un giorno, quando ormai da bambina si era già fatta una ragazzina, aveva appena subito un’altra delle sue tremende torture, che cercava di dimenticare appena avvenute, tanto che se qualcuno le avesse chiesto che cosa si era fatta all’occhio, che era pesto e di un viola chiaro, lei avrebbe risposto “Quale occhio nero? Io non ho niente..”, quando andò fuori in giardino, a consolarsi con i suoi amati fiori di campo.

Si era rivestita velocemente, sperando che quell’”uomo” non volesse un bis, ed era corsa fuori, con un’aria e il vestito scombussolati.

Si buttò sotto l’ombra dell’albero sotto il quale giocavano spesso lei e Cloud, quando veniva a trovarla, vale a dire quasi ogni giorno. Si adagiò con il viso rivolto verso la voluminosa chioma del sicomoro, a guardare con gli occhi vacui di pensieri i raggi di sole che filtravano attraverso le larghe foglie verdi.

Quando sentì un rumore vicino al suo viso, vide un uccellino non troppo lontano da lei che frugava tra gli steli d’erba alla ricerca di qualche insetto e gli sorrise con un sorriso spento, non adatto al suo viso ancora da dolce bambina.

Riportando la sua mente nel mondo crudele e reale in cui viveva, sentì un dolore atroce nel mezzo delle sue gambe, e si rese conto che era completamente scarlatta di sangue sul vestito marrone chiaro, e andò in chock.

Ogni anno in cui aveva sopportato le ingiurie a cui la costringeva quell’uomo non le aveva mai fatto accadere una cosa del genere, e adesso invece la sua piccola mano era colorata di un rosso acceso, che tra poco si sarebbe seccato diventando di un marrone opaco e tetro.

Avrebbe potuto rimanere a fissare il suo sangue completare lentamente il suo processo fino a quando non fosse morta per mancanza di nutrimento, ma la sua unica luce in quel mondo ebbe il buon intuito di venirle a fare visita in quel momento.

 

Cloud si guardò in giro alla ricerca della sua sorellastra, dopo essere uscito dalla casa in cui la madre- con volto funereo- gli aveva detto che probabilmente era fuori nel boschetto vicino a casa.

Non vedendola subito lì, immaginò fosse andata al loro albero preferito, di cui non si ricordava mai il nome, e si incamminò nell’intrigo di rami e erbacce che facevano da siepe anti-sguardi indiscreti all’enorme albero che si trovava quasi al centro di quella barriera.

Arrivato davanti all’albero trovò la sua graziosa sorellina con una chiazza di sangue in mezzo al femminile abito che portava, proprio dove si trovavano le esili gambe; lei si stringeva convulsamente una mano facendo avanzare altro sangue sul palmo, e giù per il braccio.

Cloud la guardò sconvolto, non sapendo cosa potesse esserle accaduto per far diventare la sua bellissima Aeris, la sua dolcissima Aeris, la sua infelice Aeris, la sua shockata Aeris.

Corse verso di lei, inginocchiandosi frettolosamente e prendendole il viso tra le mani.

-Cos’è successo? COS’È SUCCESSO, PER DIO!?- fece più terrorizzato di lei, scuotendola per le spalle.

Prima silenziosamente, eteree lacrime cominciarono a rigarle gli zigomi, poi accompagnate da singhiozzi sempre più forzi, cominciarono a scendere sempre più rapidamente a abbondantemente.

-Cloud!!- gemette tra i forti singhiozzi che le percorrevano il corpo, mentre si stringeva al corpo del fratello, pregando che tutta la sua vita all’infuori di Cloud fosse un’illusione.

Cloud la strinse al petto, cominciando a seguirla nel pianto.

Dopo essersi calmata un po’, dopo un lasso di tempo piuttosto lungo, il giovane fratello la prese in braccio, ancora tremante e pian piano si avviò verso la casa degli Incubi.

Entrato in casa, fece sedere la piccola sorella sul tavolo e le spostò alcuni capelli della frangetta verso i lati del viso.

-Rimani qui. Vado a chiamare la mamma.- le disse carezzandole il viso.

Dopo cinque minuti Cloud tornò con la madre al seguito e, con apatia, le lasciò da sole.

 

In realtà quello che era successo alla piccola Aeris non era una cosa legata al padre. Era diventata una donna.

Se ci ripensava in quel momento le veniva quasi da ridere; ne era rimasta shockata per giorni, incolpando dentro di se il padre, e poi era saltato fuori che erano solo le sue prime mestruazioni mensili.

 

Ma le angherie del padre cominciavano a farsi sentire sempre di più nella vita di Aeris, e nel suo carattere. Dalla bambina allegra e solare che era, il viso si era inscurito, facendo scomparire il sorriso puro che colorava sempre le sue labbra.

E Cloud se ne accorse, e come se se ne accorse.

Ogni giorno, quando passava a trovarla, Aeris ne approfittava per abbracciarlo e cercare conforto fra le sue braccia; Cloud cercava di sostenerla come meglio poteva, ma non sapendo il motivo del suo bisogno d’affetto, non poteva fare molto.

Ma un giorno si decise a chiedere spiegazioni.

Come ogni singolo giorno da quando si conoscevano, era andato a farle visita e la loro madre si era offerta di preparare loro la merenda nel pomeriggio.

-Aeris, cara, va a lavarti le mani, che prima sei andata in giardino- le disse sorridendo stancamente Elmyra, la madre.

Aeris fece un cenno del capo e andò, camminando elegantemente, verso il bagno.

Cloud colse al balzo la palla lanciata dalla madre e si accinse ad iniziare il discorso.

-Madre, devo parlarvi di una cosa.

Elmyra si girò lentamente, aspettando il fatidico discorso che sapeva il figlio meditare da molto tempo.

Con la determinazione che si leggeva perfettamente negli occhi, disse semplicemente:-Cosa sta succedendo ad Aeris.

Non era una domanda, e lei lo sapeva, lui esigeva una risposta.

Con voce sofferente e le lacrime agli occhi, la sera stessa, da soli, gli raccontò tutto quello che aveva sopportato e sopportava Aeris.

Cloud era rimasto ad ascoltarla con gli occhi furenti di rabbia e la bocca aperta in un urlo sordo di sconcerto.

Appena finì, con una determinata rabbia nella voce le disse che lui avrebbe portato via di lì Aeris, seduta stante, la notte stessa.

 

Ed era per quello che da qualche annetto vivevano a Midgar, in due appartamenti vicini, come la sofferenza che provavano entrambi.

Fortunatamente, da quando se ne erano andati, l’antico carattere radioso di Aeris stava facendo capolino dalle sue labbra, di nuovo cosparse di un sorriso pulito e pronte a donare parole di conforto verso gli altri. Come poteva una persona così meravigliosa lasciare così presto questo mondo malato?

-Cloooud.- chiamò lamentosa Aeris dall’altra parte del divano.

Lui la guardò, distogliendo la mente dai pensieri che decisamente non riguardavano il film che stavano guardando.

-Ti voglio bene!- esclamò sorridendo.

Cloud le sorrise di rimando:-Anch’io Aeris.

-Hai chiesto il numero di cellulare di Tifa?

Lui sobbalzò per la domanda inaspettata e scosse la testa, guardando la televisione.

-Ah, non si può lasciar far niente ai ragazzi!- esclamò scuotendo la testa esasperata.

Passarono alcuni minuti di silenzio, in cui una pubblicità recitava l’ultimo slogan del momento su un dentifricio.

La voce di Cloud avanzò nel loro silenzio:- Invece tu… gliel’hai chiesto?

La risata cristallina di Aeris si levò.

-Certo!

-C-cosa? E, ehm…

-E? Lo vorresti, vero?- Cloud assentì con noncuranza- Ma io non te lo do!!- cantilenò la ragazza.

-Come?! Aeriiis!- strepitò allungandosi verso di lei.

-Non posso dartelo!- fece una linguaccia.

Il ragazzo si imbronciò:-E perché mai?

La castana rise ancora, abbracciando il fratello:- Perché non ce l’ha!! Il cellulare le si è rotto!- gli esclamò nell’orecchio.

Il biondo sospirò e sostenne con un braccio il corpo esile della ragazza.

-Domattina è lunedì. Devo andare a lavoro. Quindi chiamami solo per le vere emergenze.- sottolineò la parola con uno sguardo bieco verso il visino angelico che continuava ad annuire, con un sorriso a fior di labbra.

-A proposito di lavoro, signor Facchino, potrei darti un pacco da portare ad un preciso indirizzo?- chiese trattenendo un sorrisetto saccente.

-E a chi dovrei portarlo?- domandò sorpreso il fratello, guardandola con gli occhi spalancati.

-Oh, niente di che… è solo una cliente a cui avevo promesso di portare un fiore raro…- disse prima di alzarsi dal comodo rifugio e andare verso la porta della camera.

Cloud allungò il collo per vederla attraverso la porta:-Vai già a letto?- le chiese, per poi aggiungere- E comunque ti costerà caro il trasporto!

Aeris rise e sventolò una mano davanti a sé:- Tanto i soldi ritornerebbero lo stesso nelle mie tasche! Buona notte!! E va a letto anche tu!

Cloud la salutò con una mano e spense la tv per ritornare nel suo appartamento.

 

Chiusa la porta dietro di sé, il ragazzo si levò con noncuranza la maglia e la buttò sopra la poltrona dove, quella stessa mattina, quella ragazza così bella quanto malinconica vi si era addormentata comodamente.

Chissà se l’avrebbe mai più rincontrata?

 

*******

 

Il suono insistente del campanello, quando chiuse il rubinetto dell’acqua, la risvegliò dallo stato catatonico in cui si trovava, dopo una notte insonne. Fortunatamente aveva dormito un bel pò il giorno prima, a casa del biondo ragazzo.

Era stato molto gentile con lei. Però forse era un po’ tonto, non per insultarlo, ma probabilmente non aveva ancora capito il “mestiere” che purtroppo lei faceva.

L’aveva trattata troppo bene, da persona normale. L’aveva persino accolta in casa sua senza voler niente in cambio, e le aveva fatto conoscere la sua meravigliosa sorella, che le assomigliava molto.

Entrambe avevano molti fantasmi nel loro passato. In pochi minuti Aeris aveva fatto un riassunto dei suoi primi vent’anni di vita.

Si chiuse l’asciugamano intorno al seno e si accinse a uscire dal bagno.

Forse finalmente la persona con cui divideva la sua anima era andata a trovarla di nuovo.

Aprì tranquillamente la porta, senza pensare minimamente a come era vestita. Ad una come lei non si dava rilevanza. Puttana era, puttana rimaneva.

Si portò una mano davanti alla bocca, e si nascose completamente dietro la porta.

Non era.. era possibile..

Nascosti da un berrettino da facchino, irti capelli biondi cercavano di uscire da tutte le parti, e due assonnati occhi azzurri si erano spalancati dalla sorpresa.

-TU!- esclamarono all’unisono entrambi.

Tifa si scostò una ciocca dal viso, imbarazzata, e si accostò di più alla porta, cercando di nascondersi.

Cloud sorrise, anch’esso in evidente imbarazzo, e si accinse a salutarla.

-Ehm, ciao, Tifa!- cominciò.

Lei rise piano.

Aeris.

-Ciao, Cloud.

 

Sono tornata dopo mesi, e non ho ancora nessuna recensione!!!! è_é (Y4M4 non conta perché lo costretto XP) Vi costa tanto?? Ç_Ç Mi sento così incompresa…

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