Attrazione Universale

di Brokenhearted Bitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sulla Strada ***
Capitolo 2: *** Strage di Insufficienze ***
Capitolo 3: *** Offerta d'Aiuto ***



Capitolo 1
*** Sulla Strada ***


Pedalo veloce, sulla bici vecchia e arrugginita, sempre quella, che uso ormai da tre anni e che era stata di mia madre, quand’era giovane, nel tentativo disperato di arrivare puntuale almeno oggi, mercoledì 10 Gennaio, giorno di apertura della scuola dopo le vacanze di Natale. Non che mi importi tanto, perché a dire il vero, odio dover andare a scuola ogni giorno e vorrei che questo giorno non fosse mai arrivato. Oh, e.. non per altro, ma.. non ho nemmeno trascorso delle vacanze così rilassanti. I primi giorni sono passati molto tranquillamente: ho letto un libro, ho guardato un sacco di puntate della mia nuova serie tv preferita e.. dormito, dormito, dormito. Ma si sa, quando tutto è troppo tranquillo vuol dire che una tempesta è in arrivo. Spero di non essere troppo pessimista (si, ok forse lo sono davvero!),  ma è proprio ciò che è successo dopo questi pochi e pacifici giorni di vacanza. A quanto pare la mia famiglia ( un impiegato sui cinquant’anni, una farmacista sui quaranta-cinque e una bambina sui 10 anni, che dovrebbe essere mia sorella, eppure è totalmente diversa da me) riesce ad essere più insopportabile durante le ferie che nel resto dell’anno, e come se non bastasse è cominciata a venirmi anche l’ansia, per tutto quello che avevo da studiare per le verifiche del rientro a scuola. Ma la parte peggiore, mi ha colta di sorpresa.

Un virus fulminante, era un sacco di tempo che non stavo così male: ogni mezzora ero in bagno a rimettere, come se qualcuno avesse lanciato una maledizione sul mio stomaco. E così, in una rapida e grottesca successione, mia sorella, io, mia nonna e mio padre abbiamo provato quest’indimenticabile ebbrezza del “Virus natalizio”, come l’abbiamo battezzato. Per fortuna, in un paio di giorni è tutto finito.

Perciò no, non me fotte un cazzo se non ho studiato abbastanza, ho avuto i miei problemi e ho intenzione di non avere sensi di colpa per i prossimi 3 giorni. Ma suppongo ai professori non possa fregare minimamente del mio caro Virus Natalizio, a raccontarglielo si farebbero solo una grassa risata. Li vedo ingollarsi di pandoro e champagne, nello stesso momento in cui io non ce la faccio neanche a bagnarmi le labbra con un sorso d’acqua. Li vedo gustare un Mon Chèrie o un Ferrero Rocher mentre leggono il quotidiano, mentre io sono alle prese con il secolo dei lumi e una buona dose d’ansia. Avete passato un buon Natale, infami?

Basta con l’odio represso. Mi concentro sulla strada, quando arrivo al semaforo idiota, quello che per una strada il verde dura almeno 2 minuti e rotti, mentre per la strada perpendicolare (quella che percorro io) non dura neanche 10 secondi. Se sono a 50 metri dal semaforo e in quel momento scatta il verde, devo raddoppiare la velocità e sperare che lo spirito di Bolt si incarni in me o rimango palesemente fottuta perché mi tocca inchiodare al simpatico rosso che scatta nel momento esatto in cui arrivo all’incrocio. Non di meno, la mia bici mezza scassata ha i freni che funzionano solo quando pare a loro. Per la bici posso rimediare, non al sistema stradale vergognoso di questo stupido paese di provincia, però.

Aspetto almeno un minuto buono, prima di poter attraversare e raggiungere il centro storico. Porca miseria, sono già le 8 meno cinque. A fare lo stesso percorso da 3 anni e mezzo sono diventata abile a destreggiarmi nelle strade trafficate che collegano il punto in cui abito io al centro, nelle strade più strette e claustrofobiche di quest’ultimo, che nonostante questo sono altrettanto trafficate, negli incroci più bastardi e tra le buche nell’asfalto. A quest’ora e con questo clima non c’è quasi nessuno per le strade, salvo qualche studente. Rallento solo alle curve, sulla bici che gracchia insistentemente e sento l’aria gelida dell’inverno e del mattino pungermi le guance e bruciarmi gli occhi.

Quando arrivo all’ultimo incrocio, che imbocca il viale alberato per arrivare all’istituto, devo frenare con i piedi. Scendo dalla bici e due auto, una grigia e una nera dall’aspetto trascurato, procedenti in direzioni opposte sulle relative corsie di marcia di fermano davanti alle strisce pedonali per farmi passare. Ma quando sono già verso l’altro lato della strada, sento un rombo del motore accelerare improvvisamente di fianco a me e la macchina nera fa uno scatto proprio nel momento in cui le sono di fronte. E’ tutto simultaneo. Emetto un piccolo grido, e lascio cadere la bici per lo spavento, mentre con l’altra mano tocco il muso dell’auto che inspiegabilmente si è già fermata. Ed è allora che sento gracchiare il conducente dell’auto nera, una voce da rozzo camionista “Scherzetto! Scusa, dolcezza..”. Sconvolta, indietreggio. Ma sì, sono ancora viva. Con la coda dell’occhio vedo la portiera dell’auto grigia aprirsi, qualcuno venire fuori, forse in mio soccorso. Ma ho già raccolto la bici con mano tremante e scappo via per il viale, senza più fermarmi né guardarmi indietro. Fa’ che non mi seguano.

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Capitolo 2
*** Strage di Insufficienze ***


Sono completamente sudata quando entro in classe. Per la corsa con la paura di arrivare in ritardo, il cappotto pesante, lo spavento, tutto. Non guardo in faccia nessuno, vado dritta al mio banco e butto lo zaino per terra. Molti dei miei compagni di classe smettono di parlare tra di loro e si girano verso di me, stupiti. Che la discretezza vada a farsi fottere, Annika. Dire che “Oggi non è giornata” è un eufemismo. Alzo lo sguardo solo per accorgermi che la Mayserly, professoressa di Lettere, non è ancora presente. Sarà in ritardo come al solito. Grazie a Dio. Le tapparelle dell’aula sono ancora abbassate a metà, le luci accese.
- Annika, sei di cattivo umore stamattina? – sento schernirmi da una voce femminile.
- Brant, datti una calmata, tra un po’ tiri giù il pavimento – questo è Harry, il figo della classe. Tanto figo quanto arrogante.
- Sì, scusate.. – dico guardandoli con la testa bassa e cercando di liberarmi dalla sciarpa e dal cappotto. Ora sì che sono decisamente di cattivo umore. Quei coglioni stanno lì a ridacchiare e a fare i loro immancabili commenti. Così faccio come sempre: cerco di ignorarli e mi fiondo in bagno per sciacquarmi le mani prima che arrivi la Mayserly, una donnina sui quarant’anni, che in questo momento è proprio in fondo al corridoio, con una risma di libri e fotocopie sotto braccio, dirigendosi verso la nostra aula. Proprio mentre attraverso la porta del bagno incrocio Natasha, la mia migliore amica. Nonostante abbia un anno in più, frequenta la mia classe. Non è mai stata molto brillante negli studi, ma ammiro il modo in cui si impegna.. considerando che ha scoperto da poco di essere discalcula (ecco spiegate le frequenti insufficienze nelle materie scientifiche).
A dire il vero, ho altre amiche in mezzo a quei selvaggi dei miei compagni di classe, ma nessuna di loro è in grado di ascoltarmi e consigliarmi come sa fare lei.
- Oh Annika! – dice tirandomi per un braccio – gira voce che ci siano state un sacco di insufficienze nell’ultima verifica di fisica. Io l’ho presa sotto sicuro.. – credo che ormai non gliene importi nemmeno più tanto, perché lo dice con voce mista tra la seccatura e la rassegnazione. Ormai sarà abituata a tutte queste delusioni continue. Mi sciacquo veloce le mani, mente lei si spazzola allo specchio i capelli lisci e neri. Per essere bassa e rotondetta, Natasha è senza dubbio una bella ragazza, ed è anche sicura di sé. Ha la fissazione di pettinarsi troppo frequentemente, a volte perfino in classe, appena un professore si assenta per pochi minuti. Si pettina appena arriva a scuola, si pettina ai cambi d’ora, si pettina di continuo. E’ davvero buffa! Ma almeno si vede che ci tiene molto alla cura personale, ed è l’unica ad avere l’astuccio equipaggiato di spazzola, specchietto, mascara e lucidalabbra, anziché cancelleria. - Finché quegli infami del preside e della Finne non acconsentiranno a darmi il programma facilitato, non credo proprio che le cose cambieranno. – conclude mentre si concentra a ripassare l’ennesimo strato di mascara intorno ai grandi occhi azzurri. - Proprio in quel momento, Jenn Lodfield, una nostra compagna di classe, fa capolino – Ragazze, la Mayserly è già in classe, sbrigatevi. – Ok veniamo – rispondo, ma Natasha mi ferma ancora – Tu come credi di essere andata in fisica? – La guardo, pensandoci. La sua pelle chiarissima sembra ancora più pallida, quasi malata sotto la luce atona del bagno. – Mmh.. non ne ho idea.. non è stato facile studiare. Fino adesso ho sperato in una sufficienza, ma se è vera questa voce che gira, nella strage di insufficienze è molto probabile che ci sia dentro anch’io. Ad ogni modo tra qualche ora lo sapremo.

Passiamo le prime due ore ad ascoltare distrattamente l’importanza del liberalismo di John Locke e l’influsso della borghesia nella letteratura seicentesca, mentre dalle vetrate della classe un fitto muro di nebbia mattutina contribuisce a rendere claustrofobici i pochi metri quadrati di una quarta della George Orwell High School. Benchè mi trovi nella prima fila di banchi, così vicina alla cattedra da riconoscere la tonalità del rossetto della Mayserly, faccio un tour tra le pagine della mia agenda senza farmi notare, per appuntarmi anche mentalmente i prossimi compiti in classe e facendo un conto veloce delle medie nelle varie materie. Se prendo sotto questa verifica di fisica, va sotto anche la media intera. Grandioso.

Abbiamo iniziato fisica l’anno scorso, così prevede il nostro indirizzo, e ho sempre avuto un voto abbastanza alto e la professoressa precedente era un tipo davvero in gamba. Lei sì che insegnava davvero bene. Prima di imbattermi in questa nuova materia ero convinta che sarebbe stato un dramma. Chiunque ne parlasse diceva che la fisica era una delle materie più difficili e seccanti, e per andarci d’accordo bisognava essere bravi a prescindere. Paradossalmente è stato il contrario. Mi sono appassionata sin da subito e ho preso un’insufficienza solo una volta. Molti la paragonano a matematica ma è tutta un’altra storia. A mio parere la matematica è utile solo fino a un certo punto, dopodiché è solo una scusa per impegnare il povero cervello già abbastanza fuso degli studenti, senza un vero scopo né utilità. Ma la fisica, per quanto a volte sembri ardua da comprendere, ci spiega davvero tutto ciò che accade intorno a noi. – Annika! Hai delle forbici? – chiede a voce bassa Jenn da due file dietro. – Sì…passagliele  – rispondo allungando il braccio a Harry, che si trova tra il mio banco e quello di Jenn. La cartoleria Brant apre le saracinesche, penso ironica. Sono una dei pochi ad avere sempre l’astuccio completo di tutto. Infine mi rigiro verso la Mayserly, che pacifica scruta la classe con gli occhietti piccoli piccoli, poco proporzionati al resto del corpo, che fa fatica a contenere dentro la sedia. Con le mani paffute sotto il mento, la Mayserly spiega la sua lezione, facendo di tanto in tanto qualche domanda qua e là ai migliori studenti della classe, quando vuole assicurarsi che ci sia qualcuno a seguire con costanza la sua lezione, o a qualche altro che non si prende nemmeno il fastidio di sbrigare altre faccende con discretezza, ad esempio Harry che dorme sulle espressioni di matematica, o Travis, il suo migliore amico, altrettanto idiota quanto lui, che chiacchera con la sua compagna di banco.
- Natasha, fai pure un riassunto di quanto ho detto finora – cinguetta la professoressa. Ma la mia amica alza per la prima volta il naso dal banco, con un’espressione imbarazzata. Quando tutta la classe si gira a guardarla, la sua seduta di manicure non è più un segreto. Anziché l’ingombrante tomo di letteratura, trousse, fazzolettini e smalto blu sono tutto ciò che Natasha ha davanti. – Non so risponderle – ammette, mentre la Mayserly sorride prendendone atto in silenzio e concludendo con un ironico “Il centro estetico lo improvvisi a casa, non a scuola, Natasha”.

Al suono del cambio d’ora tutta la classe entra in agitazione, facendo pronostici sull’esito della verifica all’ultimo minuto. Il caos non si placa nemmeno quando la Finne, professoressa di Matematica e Fisica, entra in classe a testa alta e il pacco di fogli ordinatamente impilato tra le mani. Se la Mayserly è una professoressa alquanto buffa e curiosa a vedersi, la Finne lo è altrettanto. Solo che è l’esatto contrario di lei: alta, magrissima e con poco senso dell’umorismo. Sebbene abbia già una cinquantina d’anni, è una donna raffinata che si intende di stile, e ciò la rende piuttosto bella, anche se non ha tratti fisici particolari. Venti persone piombano nel silenzio, quando la voce circa le numerose insufficienze  si rivela vera. Man mano che la pila di fogli si accorcia, cresce la tensione, e io comincio davvero ad avere un po’ d’ansia. – Reboski – annuncia la Finne allungando la verifica mezza bianca e mezza rossa a Natasha, che a sua volta l’allunga a me senza guardarla. – Guardala prima tu, e dimmi se ci prendo. – Natasha comincia a elencare i voti dalla A alla F, e come previsto annuisco solo all’ultima lettera. – Non avevo dubbi. – sbotta, riprendendo con forzata indifferenza a smaltarsi le unghie da dove la Mayserly l’aveva interrotta. – Brant.  – sono la penultima. Mi si gela il sangue quando una E barra F molesta il mio campo visivo. No… non poteva essere andata così male.. – L’unica domanda di teoria la sapevi, ma gli esercizi, i calcoli… un vero disastro.

Passano dieci minuti di lamenti, pianti e proteste. Risultato: dodici insufficienze su venti, più di metà classe. Perfino quella stronzetta della Roden ha preso una C barra E, lei che brilla in qualunque materia e lo sbatte allegramente in faccia agli altri. Quanto godo. Adesso non fa più la spaccona, guardala come sta seduta buona e zitta al suo posto, fissando la verifica come se fosse una multa piovuta dal cielo. Appena suona la pausa vado in bagno a bere un sorso d’acqua. Mi sento stanca, spossata e demotivata. E’ come se le vacanze non ci fossero state affatto e non mi fossi riposata per niente. Azzardo a guardarmi allo specchio e tutto ciò che vedo è una ragazza con capelli color rame odiosamente e costantemente spettinati, senza una forma vera e propria, né lisci né ricci, così ribelli che sembrano avere vita propria. Perfino gli occhi non si capisce che colore abbiano: tutti dicono che li ho tendenti al marrone, nessuno ha mai fatto caso, invece, che alla luce del sole sono verdi scuro. Per questo, preferisco dire che ho gli occhi verdi.. Il marrone sembra un colore così triste e insignificante attribuito agli occhi. Le occhiaie, per fortuna, non sono così evidenti, a differenza di una pelle chiara ma piena di imperfezioni, che nemmeno con cipria e correttore riesco a nascondere. Per lo meno ho un naso dritto e sono magra, e la matita agli occhi è un grande ausilio. Provo una fitta allo stomaco e so che è ora di andare a prendere qualcosa da mangiare, ma è solo quando ho già il cibo sotto i denti che mi rendo conto che quella sensazione non era dovuta più per la fame, ma piuttosto al pensiero del rombo di quell’auto. Dovrei dirlo ai miei? E come? “Mamma, papà, ho preso un’insufficienza a scuola, ma spero siate abbastanza clementi da non scaldarvi troppo…vostra figlia oggi ha rischiato di essere investita!”. Alla fine, decido di non dire proprio niente.

Nonostante le lezioni siano finite, approfitto della palestra vuota e incustodita per stare un po’ da sola e sfogarmi, prendendo a pugni un pallone da box, e sono così concentrata sui miei problemi che solo quando sento il pallone fermarsi, trattenuto da qualcosa, mi accorgo che il mio momento di pacifica solitudine non può durare ancora a lungo, e mi ritrovo davanti qualcuno che non dovrebbe esserci. L’ultimo dei miei problemi.

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Capitolo 3
*** Offerta d'Aiuto ***


- Da quanto tempo sei qui?

Chris ha 17 anni, la mia stessa età... tuttavia frequenta un corso diverso poichè l'anno precedente è stato rimandato. Quando l'ho conosciuto, l'estate prima che iniziassimo la scuola superiore, era alto quanto me. Anzi, credo addirittura meno di me. Be'.. adesso lo guardo dal basso. E intendo anche metaforicamente. Lui ormai ha conquistato i piani alti della nostra gerarchia studentesca. Nel senso che è diventato così eclettico e popolare che almeno i tre quarti della scuola sa chi è. Partendo dal presupposto che Chris è stato sempre consapevole del suo fascino magnetico e della sua affabilità, sin dai tempi in cui non avevo bisogno di alzare troppo lo sguardo per guardarlo in faccia, il passo verso la cima della piramide non è stato lungo. E quando ha capito che non bastava l'essere belloccio e attacar bottone con chiunque gli passasse davanti, ha cominciato a frequentare vari corsi extrascolastici e studiare per avere una media più alta. Si sa poi come funziona la scalata del successo: la bellezza e l'intelligenza portano alla popolarità e quindi, alla sicurezza di sè, che nella sua forma più avanzata e controproducente (più per quanti gli stanno attorno che per lui stesso) si tramuta in arroganza e superiorità.
Ma Chris è anche il mio migliore amico. E diventare amici, in modo incondizionato, è stata una delle mie grandi battaglie. Dopo tanto tempo, dopo una lunga spirale di sofferenza e desideri mai del tutto realizzati, abbiamo raggiunto l'equilibrio. O almeno, così sembra. Fatto sta, che ho imparato ad accettare molte cose di lui per le quali prima andavo fuori di testa. Non cose: atteggiamenti infantili, incomprensioni, silenzi e.... la scia di ragazze col batticuore e gli occhi che brillano, che lui definisce ''Conoscenti'', o nel peggiore dei casi ''Amiche''. E la triste verità è che per tanto tempo anch'io ho fatto parte del club. Club per modo di dire ovviamente, visto che tante ragazze competono per la stessa persona. Quindi non pensate a un crocchio di ragazzine con i nastri rosa tra i capelli (Lo Sleepover Club) ma piuttosto a un ring dove omoni muscolosi dalle facce cattive smaniano dal prendersi a botte (Il Fight Club). Ma col tempo, la gelosia ha ceduto il posto all'indifferenza e l'indifferenza, prima dovuta all'odio e alla disperata decisione di dimenticarlo, poi dovuta proprio all'assenza di sentimenti nei suoi confronti, mi ha permesso di perdonarlo e ricominciare da capo. Perdonarlo perchè dopotutto, lui è stato il primo ragazzo a vedermi quando per il resto del mondo ero invisibile, a dare una pennellata di colore nella mia vita grigia e opaca. Mi ha fatta sentire importante, desiderabile e come una calamita mi ha trascinata fuori dal mio mondo distrutto e mi ha portata all'aria fresca, verso nuovi posti, nuove avventure. Chris è entrato nella mia vita nel momento in cui avevo disperatamente bisogno di qualcuno e da allora ci è sempre stato... fino adesso.

- Da quanto tempo tu sei qui, piuttosto - gli rispondo. Sono un po' infastidita e imbarazzata dal pensiero che lui avesse assistito a una me che prendeva a pugni un oggetto inerme. Ma dura poco, perchè poi mi ricordo che tutto lo stress che avevo da scaricare era dovuto anche per colpa sua. - Sai è strano che tu sia qui, pensavo avessi deciso di dimenticarmi. - Chris ricambia il mio atteggiamento di sfida con una faccia stranita, che poco dopo si rilassa in un sorriso - Dai, prendi la tua roba.. andiamo a fare un giro - esordisce come se nulla fosse, lanciando un'occhiata verso l'uscita. - Ah ah ah sicuuro. Col cavolo che esco con zero gradi e un coglione che non si è fatto sentire per tutte le vacanze di Natale! - L'ultima parola mi esce con un volume della voce più basso, per essermi ricordata (forse un po' in ritardo) che siamo a scuola e non in un posto sperduto. Attirare l'attenzione di qualcun'altro è un'idea che mi secca ancora di più. Meno male che ero venuta lì per stare in pace e da sola!

- Grida pure, ormai non c'è più nessuno, sono tutti a casa davanti al loro piatto caldo di pasta - lo dice con quel tono di voce che mi dà tanto fastidio, il tono di chi non gliene importa poi così tanto della tua reazione.

- Tu non hai fame, quindi? Sto ancora cercando di capire perchè sei qua..

- Ok, scusa se non mi sono fatto sentire... - dice tenendo gli occhi verde acqua incollati al pavimento.

Rimaniamo un po' in silenzio e io non so come rispondere. Di colpo, le mie mani diventano un soggetto interessante, mentre assorbo le scuse del mio migliore amico studiandomi le nocche un po' arrossate e le unghie mangiate. - Ti ho mandato un messaggio... con scritto che ero ridotta come uno straccio... e tu hai risposto solo ''Avrai mangiato roba pesante, ah ah ah'' - è difficile non tradire l'amara ironia nella mia voce - tu non sei di quelli che fanno parte della categoria ''A Natale sono tutti più buoni'', eh?

- Andiamo, era per scherzare..

- Scherzare?! Mi hai compleatamente messa da parte! E adesso vieni qui fingendo che sia tutto a posto? - ormai me ne frego della voce troppo alta. Sono stanca e arrabbiata. Voglio che sappia come mi sento.

Chris mi prende per le spalle - Chissene fotte, Annika, adesso le vacanze sono finite e io sono qua.. noi siamo qua, quindi vestiti e andiamo a mangiare insieme, prima che perda l'ultimo autobus! - la sua voce mi riempie la testa e mi rimbomba dentro, rimbomba sulle pareti della palestra vuota ed enorme. Ringhiando, gli dò uno spintone sul petto con i palmi delle mani, come un istinto a liberarmi dalla sua presa - Vienimi a cercare quando vorrai scusarti sinceramente.

In questo momento non so più cosa pensare. Ho le guance roventi per lo sforzo fisico e la rabbia, e sto fissando Chris, che è già girato dall’altra parte, rifiutandosi ancora di guardarmi negli occhi. Peccato. Perché vorrei che invece mi guardasse in faccia eccome e che leggesse negli occhi quello che ho passato durante queste fottute vacanze. E quello che mi è successo stamattina, e l’anno scorso, e tutta la vita. Vorrei che Chris si sforzasse di capirmi, di capire quello che provo, perché è quello che io ho imparato a far sempre con lui, a mie spese. Almeno io cerco di capire il motivo dei suoi comportamenti perennemente ambigui. Ma capirci l’un l’altra è qualcosa in cui non siamo mai stati bravi. Pazienza.

E’ proprio nel momento in cui Chris comincia a far rimbalzare pigramente una palla da basket, e io sono ancora in piedi a fissarlo esausta per aver gridato fino adesso, che una terza voce si materializza da qualche parte. Una voce che non riconosco, ma che mi fa subito capire di dover dare delle spiegazioni, una voce autoritaria. -Si può sapere chi diamine grida qua dentro?

Quando mi volto, vedo alla mia destra un uomo che avanza a passi moderati verso di noi. Dall’aspetto che ha sembra un professore della nostra scuola, ma non sono sicura di averlo mai visto. Ma non è lo stesso per Chris, che con la faccia di un bambino che ha appena rovesciato il suo bicchiere di latte davanti alla mamma, sussurra un ‘Cazzo!’, e subito dopo comincia a balbettare – P…Professore, scusi.. non sapevo fosse da queste parti…

-Nellwood, a dire il vero mi chiedevo che ci facessi tu da queste parti. Sono le due del pomeriggio passate e te ne stai ancora qui in palestra.. – il professore guarda anche me stavolta, come se se ne accorgesse per la prima volta da quando è entrato, e mi fissa per qualche secondo, con un’espressione strana, come se stesse cercando di capire qualcosa, per poi correggersi - ..ve ne state qui in palestra.

- Scusi ancora, io e lei.. stavamo.. discutendo - ovviamente il professore deve averlo già capito e anche Chris lo sa, ma è ancora lì a buttare giù qualche parola e biascicare qualche scusa. Scusa Annika, scusi professore.. da quante altre persone dovrà farsi scusare prima di arrivare a domani? Che idiota.

Chris ormai capisce che rimanere lì gli reca solo guai, così si affretta a recuperare il suo zaino blu e verde abbandonato sulla panchina, prima che il professore gli appioppi qualche bella punizione. - Nellwood? -Chris si gira esasperato. Adesso lo porta in presidenza, penso. Comincio a sentirmi in colpa...

- Domani ricordati di dire ai tuoi compagni di classe che martedì prossimo interrogo sull'ultimo capitolo di fisica. - lo congeda il professore con un sorriso malizioso, come a dire ''Puoi andare, ti ho fatto venire un accidenti, vero? Che ti aspettavi, eh?'' . - Senz'altro. Arrivederci, professor Rope. - risponde sommesso Chris. Dopodichè esce dalla palestra, senza degnarmi di un saluto, di uno sguardo, come se fossi diventata invisibile. Appena distolgo gli occhi dalla chioma bionda che si allonatana, vengo improvvisamente colta da una vampata di imbarazzo.. Devo andarmene anch'io. Ci manca solo che mi metto contro un professore che non è nemmeno un mio professore. - Scusi, ha ragione.. io... sono rimasta qui perchè.. ho perso l'autobus... - non so come mi viene questa bugia gigantesca, ma ad ogni modo mi affretto verso la panchina per rimettermi la felpa nera col cappuccio, quella che uso più spesso e non tanto perchè mi piace ma perchè è comoda e semplice. E' così. A scuola, soprattutto d'inverno indosso sempre vestiti neutri, sempre i soliti: felpe con cerniera e cappuccio, veloci da mettere e togliere, se ho freddo le chiudo, se ho caldo le tengo aperte, jeans o leggins scuri a tinta unita. A differenza di tutte le mie compagne di scuola, che spavalde e cool come sanno di essere loro sfilano per i corridoi come se stessi sfogliando le pagine di una rivista di moda: capi colorati, attillati, accessori enormi e scintillanti, leggins con motivi floereali e assurdi. Ci sono due motivi se il mio outfit giornaliero invece è così lugubre: il guardaroba invernale anno dopo anno si è ridotto paurosamente, tra vestiti diventati troppo piccoli o stretti e altri ormai troppo vecchi e io non impazzisco per lo shopping. Non che lo trovi noioso, anzi, ma so che se vedo troppe cose che mi piacciono allora comincio a spendere e spandere, e al quel punto entrerei nel panico se dovessi trovarmi al verde. Mi dà fastidio il solo pensiero di aver bisogno di soldi in qualunque momento e ficcare il naso nel salvadanaio miseramente vuoto. Se invece mi rendo conto che lo shopping non è un pretesto per divertirsi e ammazzare il tempo, bensì una necessità (come in questo caso) dico a me stessa che il primo weekend che mi capita andrò assolutamente a fare spese, costi quel che costi, prima che finisca per andare a scuola in mutande. Alla fine, però, annullo o rimando, per un motivo o per l'altro. A volte non c'è nemmeno un motivo. E questo è solo uno dei tanti esempi che fanno di me una ragazza pigra e inconcludente. La seconda ragione è che sono piuttosto insicura, e per una persona insicura non c'è niente di più rassicurante che passare il più inosservata possibile. Un abbigliamento neutro e modesto è quello che fa al caso mio.

Quando ho finito di allacciarmi la felpa, il professore si avvicina lentamente, con le mani nelle tasche dei pantaloni e mi guarda sottecchi con la testa leggermente abbassata - Sicura di stare bene?

- Come, scusi?

- Ti sei fatta male?

All'inizio non capisco. Poi sorrido timidamente per la sua apprensione - Oh, no. Chris non mi ha messo le mani addosso.. abbiamo solo avuto una discussione.

- Sì questo lo so... Io parlavo di quel che ti è successo stamattina. - il suo sguardo si posa su una parte del mio corpo. Lo seguo finchè non scopro di avere un ematoma al ginocchio destro, appena dove finisce la stoffa dei pantaloncini da ginnastica. Emetto un verso di stupore. Chiaro. Il dolore l'avevo avvertito subito, nell'istante in cui avevo lasciato cadere la bici per lo spavento e questa mi aveva preso contro al ginocchio, ma prima il danno non era reso visibile dai jeans pesanti che avevo indossato per tutta la mattinata. Sfioro il livido blu e mi chiedo come abbia fatto a non accorgermene prima. Nemmeno Chris ci ha fatto caso.

Infine realizzo due cose: 1. Il professore ha assistito all'incidente che ho avuto sulle strisce pedonali; 2. Se è così mi sono aggiudicata un'altra bella figura di merda, perchè vorrebbe dire che lui sa che sono venuta a scuola in bici, mentre un attimo fa gli ho detto che ho perso l'autobus. Mi mordo un labbro - L'altra macchina ferma alle strisce era sua?

Annuisce - Ero uscito a soccorrerti ma sei corsa via.. almeno mi hai fatto intendere che non ti eri fatta nulla di grave..

- Sì, sono dovuta scappare perchè rischiavo di entrare in ritardo

- Se hai bisogno parlo io con il tuo professore o la tua professoressa che hai avuto alla prima ora, così ti risparmio qualche punizione che non meriti, immagino non ti abbiano creduta..

- Grazie - dico sistemandomi dietro l'orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla coda - ma non ce n'è bisogno.. la prof è arrivata dopo di me.

- Meglio così - sorride il professore - l'importante è che tu stia bene

- Grazie per la considerazione, professor... - ho già dimenticato come l'ha chiamato Chris.

- Anthony Rope - si presenta stringendomi la mano e ritrendola, per essersi accorto della mia espressione sorpresa mentre guardo le nostre mani unirsi - Oh, - ride imbarazzato - ti ho salutata come se fossi una collega, perdona l'imbranataggine. - Viene da ridere anche a me e alziamo lo sguardo contemporaneamente. Guardandolo meglio, mi rendo conto che probabilmente l'ho già visto prima d'ora. Forse ha cominciato a insegnare solo quest'anno nella mia scuola. E non mi meraviglio nemmeno che l'abbiano assegnato al corso di Chris, quello incentrato principalmente sulle materie tecnico-scientifiche, piuttosto che al mio. Forse non tutti ci fanno caso, ma al corso di materie letterarie-umanistiche insegnano prevalentemente professoresse, mentre sono pochi gli insegnanti uomini, e quei pochi che ci sono sono vecchi e mezzi pazzi. Quelli a posto con la testa, giovani e belli non sono un nostro privilegio. Il professor Rope non sembra uno di quei nuovi professori laureati di fresco che si vedono perlopiù nei film americani. Ad occhio e croce potrebbe avere sulla quarantina. Che sappia insegnare bene non lo so ancora ma di certo non è uno squilibrato. E.. beh, devo ammettere che è un uomo di bell'aspetto. Niente di straordinario, ma ha un certo fascino. Ha occhi color cioccolato con delle piccole rughe intorno che ne addolciscono la forma e i capelli, leggermente lunghi e castano scuro con dei piccoli riflessi argentati, incorniciano la pelle olivastra del viso con delle onde. Forse una decina di centimetri più alto di me, penso. E una corporatura equilibrata.

- Annika Brant - mi presento a mia volta - Adesso vado, arrivederci e grazie ancora!

Mentre mi volto in direzione dello spogliatoio, dove ho lasciato cappotto e zaino, ringrazio il destino di avermi fatto incontrare per una volta un insegnante tutt'altro che stronzo. Dev'essere proprio questo pensiero a bloccare le mie gambe proprio sulla soglia della palestra. Prima che mi chieda se non sia una domanda spropositata, mi rivolgo ancora una volta a lui - Senta.. lei insegna fisica, giusto?

- Sì, al corso tecnico-scientifico - fa lui smettendosi di aggiustarsi un polsino della giacca scura e sorridendo.

- Le è.. mai capitato di avere studenti che amano la sua materia ma non riescono in ogni modo ad avere buoni risultati?

- Certo che sì. Insegno da quindici anni, è una cosa normale.. di solito cerco di aiutarli come posso e con pazienza. Il fatto che una buona dose di interesse ci sia è già un ottimo traguardo, poi ovviamente non tutti hanno le stesse capacità intellettive.

- Volere non è sempre potere... - dico affranta, come se stessi ragionando ad alta voce. Segue una pausa.

- E' un peccato rassegnarsi davanti a una cosa cui si è appassionati.

- Questo è vero. Ma una E barra F è come un calcio nello stinco - ironizzo a testa bassa, puntellando il piede sul suolo di gomma verde della palestra.

Il professor Rope si infila una mano in tasca e riflette pensieroso - Posso trovare qualche pomeriggio libero da dedicarti in modo che tu possa esercitarti con il mio aiuto.

- Ripetizioni? - riassumo la sua sua frase in un'unica parola.

- Preferisco il termine ''Tutoraggio''.. ne dà un'idea più seria - sorride lui compiaciuto.

Non so cosa rispondere. Cerco di improvvisare mentalmente una lista di pro e contro, come faccio ogni volta che devo prendere una decisione. Mi conviene davvero? Servirebbe a qualcosa o rimarrei la solita schiappa perdendo solo del tempo? Devo fidarmi? Dopotutto è una persona che ho appena conosciuto, un uomo. E chi pagherebbe le lezioni? Penso a tutte le volte che mia madre si lamenta quando prendo un votaccio e comincia a dire ''Studia di più che non ho voglia di svuotare il portafoglio per pagarti ripetizioni.'' Opto per una ritirata neutra - Posso farglielo sapere in questi giorni? Ci penso su o magari ne parlo con i miei..

- Nessun problema, quando hai bisogno mi farò trovare.

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