Destini paralleli

di Leopimpa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gioco di corrispondenze ***
Capitolo 2: *** Sangue e lacrime ***



Capitolo 1
*** Gioco di corrispondenze ***


Semi sdraiato sul letto Giacomo respirava lentamente, guardando con orrore a quella vita che gli era saltata addosso brutalmente diciannove anni prima, senza chiedergli il permesso, perché l’esistenza è quanto di più prepotente esista, non vi è rimedio che non siano l’amara accettazione o la più cupa disperazione. Si osservò di sottecchi le mani lunghe e scarne , assomigliavano tanto alle mani di sua madre, al pensiero il suo corpo venne scosso da un lieve sussulto, perfido destino, quello di avere le stesse mani di colei che quasi mai durante l’infanzia aveva avuto un momento di tenerezza nei suoi confronti, uno dei tanti fattori che avevano contribuito a scavare quella voragine immensa come la sua anima cupa come la notte, profonda come il suo sguardo. Si appoggiò entrambe le mani sul volto e timidamente lo accarezzò chiudendo gli occhi e pensando che nessuno avrebbe mai voluto accarezzare quel volto. Sentì una spada trafiggergli il petto o forse era solo la lucida consapevolezza della sua prigionia a pugnalarlo senza pietà. Si osservò nel grande specchio di ottone e finse di essere estraneo a se stesso. C’era qualcosa, qualcosa di dannatamente sbagliato in lui da suscitare il ribrezzo nel prossimo. Strinse forte i pugni e deglutì piano, la sua bocca era intrisa del sapore del fiele. Riflettè sull’amara realtà che ciò che lo faceva sentire bene, comporre poesie o immergersi nella lettura non erano altro che cure palliative ad una malattia inevitabilmente mortale, incurabile: la vita. Aspettava qualcosa, o forse qualcuno che possedesse la chiave di volta della sua condizione esistenziale, qualcuno in grado di ribaltare per sempre le regole del gioco. Iniziò a mordersi nervosamente le unghie fino a che il sapore amarognolo del sangue lo calmò leggermente. Osservò una goccia di sangue scendere lungo il dito e nel suo rosso vide tutta la forza misteriosa della vita, che in un altro tempo, in un altro luogo avrebbe potuto dargli così tanto…

 

Salì in fretta i gradini di legno che gemettero sotto al suo seppur esile peso. Doveva farlo. Era una piccola vendetta innocente che per lei significava tantissimo. Entrò nella camera dei suoi genitori, si tolse le scarpe e con gesti lenti si avvicinò all’anta sinistra dell’armadio. Aprì pregando che non scricchiolasse come tutto il legno di casa sua consumato dal troppo uso e dalle tarme. Se li vide davanti, i pantaloni “buoni” di suo padre e ancora prima di essersi resa conto di ciò che stava facendo li strinse avidamente fra le mani e senza esitazione iniziò a togliersi il vestito. Rimase con il corsetto e la biancheria intima e ansimando lievemente se li infilò mentre  i brividi scuotevano le sue gambe. Mosse qualche passo incerto e sorrise a se stessa, riflessa nel vecchio specchio vicino all’armadio. “Teresa…” Una voce flebile si spinse su per le scale fino a lei, e il mondo le crollò di nuovo addosso. “Mamma! Vengo, vengo subito!” gridò trasalendo. Iniziò a togliersi i pantaloni con foga ma data la sua  scarsa dimestichezza con quel tipo di indumento inciampò e cadde a terra goffamente. “Teresa” La voce si era fatta più flebile. Gemette piano e si rialzò sistemandosi il vestito alla bell’e meglio. Sentiva dolore ovunque. Ripose i pantaloni nell’armadio e  si precipitò giù per le scale e posò lo sguardo sull’esile corpo di sua madre, oramai immobile in quel letto da più di tre mesi. Prese la brocca d’acqua che aveva precedentemente riempito al pozzo, la versò in un bicchiere e dopo averle messo le mani dietro alla testa per farla raddrizzare un poco le avvicinò il bicchiere alle labbra secche. “Devo parlarti” mormorò con affanno. “Ditemi, vi ascolto” Rispose la fanciulla ignorando la fitta al petto provocate dalle parole di sua madre. “Io temo, cioè credo di essere incinta, di nuovo.” Teresa si ritrasse schifata. “Ma…” Mormorò con gli occhi gonfi di lacrime “Come ha potuto… voglio dire lo vede come state e poi… non comprende che è molto rischioso per voi portare avanti una gravidanza?” Vide che sua madre cercava di scuotere la testa. Appoggiò delicatamente sua madre al guanciale, sentì il pianto stridulo della sua sorellina di cinque mesi. Strinse forte i pugni e la prese in braccio, aveva voglia di fare qualcosa con le mani, i pensieri e la rabbia la stavano uccidendo. La cambiò in fretta con gesti rapidi e meccanici, poi si interruppe di colpo, udendo in lontananza i passi di suo padre avvicinarsi sempre di più.

 

Era avvolto in un dolce torpore, in grado, anche se momentaneamente di attenuare la sua sofferenza. Sentì il rumore di una carrozza, sperò che non fosse suo padre invece riconobbe la loro carrozza e i loro cavalli e sbuffò leggermente. Osservò il cocchiere scendere, aprire la porta della carrozza a suo padre e accennare un rozzo inchino prima di  dirigersi verso casa. Lo invidiava con tutte le sue forze.

 

Teresa cercò a fatica di controllare la rabbia e per fare ciò si sforzava di non guardare sua madre ma era più forte di lei. Aspettò di sentire suo padre chiudere dietro di sé la porta della sua prigione prima di sibilare, con tutta la cattiveria che aveva in corpo “Voi siete un mostro”. Vide suo padre spalancare gli occhi senza accennare una risposta fu allora che alzò la voce sbattè i piatti sul tavolo che sua madre le aveva chiesto di apparecchiare gridando “Si, avete capito bene. Un mostro della peggior specie. Vergogna!!!” Sentì suo padre afferrarle uno dei suoi esili polsi e scaraventarla contro la credenza. Sua madre sobbalzò ma non ebbe la forza di fare altro. Cercò di chiamare suo fratello che stava zappando nell’orto ma non le uscì che un flebile gemito. Aveva sbattuto forte la testa e un fiume di sangue usciva dalle sue narici, erano giorni che mangiava un frutto a pranzo e un tozzo di pane a cena ed ora perdere sangue significava perdere quelle poche forze che le rimanevano per reggersi in piedi. Si accasciò per terra aspettando di morire, invece il dolore era sempre più vivo mentre sentiva i piedi di suo padre affondare nella sua schiena.

 

Sentì un urlo lontano e si alzò in fretta dal letto, scese lo scalone del palazzo con un leggero affanno, la luce del tramonto lo accecò facendogli ricordare che anche in un altro tempo, in un altro luogo non avrebbe potuto avere una vita normale era la vita stessa che glielo impediva. Uscì dal portone e spalancò gli occhi incredulo e terrorizzato allo stesso tempo.

 

Teresa aveva raccolto tutte le sue ultime forze in preda al più crudo istinto di sopravvivenza che ti spinge a proseguire la tua esistenza seppure sia peggio di una perenne tortura e si era trascinata fuori dalla porta di casa, le usciva sangue dal naso dalle labbra e dalla fronte, respirava a fatica senza smettere di singhiozzare. Quando vide il conte Giacomo avvicinarsi a lei titubante sentì il desiderio di sparire, la sua umile condizione non aveva mai spento in lei l’orgoglio che in quell’istante ribolliva e fremeva in lei, tuttavia nel passo tremolante di quel giovane uomo e nel suo sguardo triste scorse qualcosa di diverso dalla commiserazione, ma forse era un’altra illusione confezionata dalla sua mente per sopravvivere.

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Capitolo 2
*** Sangue e lacrime ***


"Ciò che propriamente fa rivoltare contro la sofferenza non è la sofferenza in sé, bensì l'assurdità del soffrire"

Friedrich Nietzsche, Genealogia della morale, 1887

Le si avvicinò con passo incerto e il corpo scosso da un lieve tremore. Avrebbe voluto sparire ma allo stesso tempo inglobarla nella sua anima, si sarebbe incastrata bene in quell’immenso baratro di solitudine e di amarezza e allora le loro ferite, profonde come voragini avrebbero pulsato all’unisono, nel perfetto silenzio del cosmo sottraendosi alla consapevolezza dell’insensatezza del vivere. Cercò i suoi occhi e vi si fissò per un istante soltanto, perché la loro profondità gli scavò addosso vertigini.

C’era il tutto in quei grandi oceani nocciola, la dilaniante quotidianità, lo spietato diktat di un secolo crudele verso il suo sesso e la sua condizione. Aveva gli occhi da principessa, Teresa, ma nell’assurda commedia dell’esistenza le era stata assegnata la parte sbagliata ed ora sentiva ardere nei meandri più oscuri e riposti della sua anima il desiderio di riscrivere il copione o di scendere dal palco.

 

Distolse lo sguardo, Teresa, anch’ella stordita dalla profondità e dall’amara mestizia che traboccava da quegli occhi color del cielo nei quali a fatica riusciva a scorgere una luce fioca e tremolante, come una vaga folle immotivata speranza che resisteva al disincanto più gelido. Cercò di ritrarsi con gesti impercettibili, sebbene non desiderasse altro che essere salvata. Vide una mano incerta protendersi verso di lei, una mano consapevole di essere rifiutata a prescindere. Istintivamente allungò un braccio sino a sfiorarla, poi chiuse gli occhi e la strinse convulsamente

 

“Signorina… permettetemi di aiutarvi, per quanto mi sarà possibile” Mormorò senza posare gli occhi su di lei. Si rese conto di non essere mai stato tanto vicino ad una donna in vita sua.

 

Teresa non disse nulla, non ne aveva le forze. Inspirò a fondo e tentò di rimettersi in piedi, aggrappandosi ancora di più a quella mano. C’era tutto il peso dell’umiliazione ad appesantire il suo esile corpo eppure riusciva ancora, anche se a stento, a fare leva sulle sue gambe stanche, prive di forze. Si trattenne fino a che le fu possibile poi scoppiò in un pianto convulso.

 

Giacomo le strinse appena la mano. “E’ tutto finito, venite con me, abbiate fiducia vi aiuterò, non dovete avere timore alcuno”. Si stupì di tanta fermezza, guardò la fanciulla di sottecchi e la vide fare lo stesso.

 

La fanciulla annuì asciugandosi le lacrime, in fondo non aveva altra scelta.

“Che è successo?” Sentì suo fratello rivolgersi a suo padre.

“Nulla. Quella puttana di tua sorella non riesce a ficcarsi nella testa chi comanda qui”

La parola “puttana” pronunciata con il peggior disprezzo da suo padre la pugnalò a morte. Pianse ancora ma di rabbia . “State perdendo molto sangue” Constatò Giacomo riportandola alla realtà. “Seguitemi, vi aiuterò” le ripetè rendendosi conto in quell’istante che “in pratica” non sapeva nemmeno fare una medicazione.

 

La condusse nelle scuderie e la fece sedere su un covone di fieno. “Aspettatemi qui…” Ritornò dopo un tempo che le parve interminabile con una bacinella di acqua, delle bende e una bottiglia di aceto. Nessuno dei due osò rompere quel silenzio meraviglioso e terribile, quel ponte sospeso sull’eternità e sulle loro fragili esistenze.

 

“Vi ringrazio… conte” mormorò Teresa con un filo di voce. Sollevò appena lo sguardo e capì all’istante. Si allungò a fatica verso la bottiglia di aceto, la aprì e versò un po’ del suo contenuto su di una benda. Giacomo la fissò immobile mentre cercava di slacciarsi il corsetto, macchiato di sangue in più punti. “Sentite molto male?” Teresa sobbalzò quasi incredula del suo interesse. Continuò ad armeggiare con il corsetto, inutilmente. “Le ferite che sanguinano dolgono per poi rimarginarsi e guarire, quelle all’orgoglio e al cuore invece… uccidono.” Mormorò la fanciulla più a se stessa che a lui. Rimase esterefatto da tale considerazione, era stata veramente lei a parlare oppure aveva udito la voce della sua coscienza parlare attraverso le labbra della povera figlia del cocchiere? “Non permetteteglielo, di uccidervi”. Teresa scoprì completamente le spalle e con le mani tremanti si avvicinò la benda alle scapole. Il contatto con l’aceto la fece rabbrividire. Vide Giacomo voltarsi in fretta e senza volerlo sorrise lievemente. “Sapete di mia madre?” Azzardò lei levandosi in piedi “Si, signorina. Non sapete quanto mi rincresce per la sua malattia, vi auguro giungano tempi migliori per la vostra famiglia, ve lo meritate.” Teresa si rese conto di non riuscire ad arrivare a tamponarsi le ferite e si fece scorrere l’aceto lungo la spina dorsale. “Mia madre aspetta un figlio, oltretutto” Aggiunse stringendo forte i pugni e trattenendo le lacrime per il forte bruciore che l’aceto le stava causando. Vide Giacomo voltarsi lentamente verso di lei. Non disse nulla, nessuna parola era degna di arginare quella voragine. “Ho detto a mio padre ciò che pensavo di lui” Proseguì Teresa con un filo di voce. “Io non mi sposerò mai” aggiunse con un tono di involontario disprezzo. Giacomo si voltò di nuovo, tornando a darle le spalle. “Voi conte avete letto tanti libri…” Affermò quasi con disperazione “Voi sapete il senso di tutto questo, non è vero?”

 

Giacomo inspirò a fondo. “Vedete… io vorrei dirvi che il sapere rappresenta una via di fuga al non senso del tutto, che ogni libro letto, che ogni frase scritta sono un passo in più verso la scoperta del senso delle cose, ma non è così. Tutto ciò che so, che ho appreso non ha fatto altro che farmi avvertire la mia infinita piccolezza a darmi certezze circa il non senso del tutto”

 

Teresa ascoltò quelle parole difficili e sentì le lacrime salire veloci e poi scenderle copiose sulle guance, il suo divenne un pianto convulso. “V…venite qui” mormorò con voce strozzata. Aveva bisogno di un barlume di certezza nell’assurdità dell’esistenza.

 

“Prego?” Le rispose Giacomo ansimando lievemente. “Ho bisogno di un abbraccio, non ditemi di no” Lo implorò Teresa con un filo di voce. Si chiese dove fosse finito il suo orgoglio, ma si rese conto che era stato il suo istinto di sopravvivenza a parlare, come se solo quell’abbraccio avrebbe potuto tenerla in vita. Le si avvicinò quasi barcollando, le orecchie gli fischiavano stordendolo, si sentiva la febbre. La avvolse impacciatamente fra le sue braccia e le tolse dalle mani la garza imbevuta di aceto. “Se volete posso guardarvi le ferite” La fanciulla scosse lievemente il capo e si appoggiò timidamente sulla sua spalla, leggermente ricurva, il respiro del conte divenne più frequente- “E… le vostre ferite di che natura sono?” Azzardò Teresa con un filo di voce. “Sono fra quelle che uccidono, come avete detto voi”. Teresa avvolse timidamente le sue braccia attorno al collo di quel giovane uomo così diverso eppure dannato tanto quanto lei. Rimasero in quella posizione per qualche minuto, poi Giacomo le sussurrò in un orecchio “Immagino che voi possiate capire cosa significhi detestare la propria vita, il fatto stesso di esistere eppure non riuscire razionalmente a rinunciarvi” “Ogni giorno” “Vedete, Teresa, anche se l’amore sembra ciò che di più disinteressato esista, al contrario sfocia nella più alta forma di egoismo…” Teresa chiuse gli occhi, non riusciva a reggere quello sguardo. “Vi prego, non ditelo…” Lo implorò invano la fanciulla “Mettere al mondo dei figli, condannarli alla vita e alla morte” Proseguì Giacomo con voce leggermente incrinata “Voi lo sapete bene”. Teresa inspirò a fondo e senza dire nulla gli accarezzò il volto. Giacomo arrossì completamente, incapace di trovare spiegazione a quel gesto. “Ora ditemi che sono egoista” Giacomo sorrise della tiepida semplicità di quell’affermazione. “Ad ogni modo vi ringrazio” Concluse lui senza sollevare lo sguardo. “Mi ha giovato parlare con voi. Vi lascerò le bende e l’aceto. E’ meglio che me ne vada ora, in fondo non posso esservi di aiuto in alcun modo…” Disse allontanandosi un poco e maledicendosi per la sua stessa affermazione. Teresa capì un’altra volta di aver bisogno della sua presenza, lì, in quell’istante. Gli afferrò debolmente la mano impedendogli di allontanarsi e senza indugi gli sfiorò le labbra con un bacio. Giacomo avvertì il sapore del sangue, un guazzabuglio di pensieri si agitarono in lui, per poi spegnersi uno dopo l’altro. “Questo è per tutto l’affetto che vi ha negato vostra madre, conte” Evidentemente anche la servitù era a conoscenza  della rigidità della marchesa Adelaide. A quelle parole Giacomo ricambiò impacciatamente il bacio e le sussurrò “semplicemente Giacomo. E questo è per quello che vi ha fatto vostro padre".

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