Filo Rosso di LyraB (/viewuser.php?uid=60378)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due. ***
Capitolo 3: *** Tre. ***
Capitolo 4: *** Quattro. ***
Capitolo 5: *** Cinque. ***
Capitolo 6: *** Sei. ***
Capitolo 7: *** Sette. ***
Capitolo 8: *** Otto. ***
Capitolo 9: *** Nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***
Capitolo 12: *** Dodici. ***
Capitolo 13: *** Tredici. ***
Capitolo 1 *** Uno ***
Filo
Rosso
La mattina era calda e soleggiata, a Sacramento: il sole splendeva
caldo e vivace nel cielo turchese e gli studenti attraversavano la
strada schiamazzando, lieti per l'avvicinarsi delle vacanze estive.
Patrick era sdraiato sul divano dell'open space con le braccia
incrociate e gli occhi chiusi. Sembrava addormentato, ma chi lo
conosceva sapeva che era sveglissimo e perfettamente consapevole di
quello che stava succedendo attorno a lui: Grace era seduta alla sua
scrivania e civettava con Wayne mentre lui toglieva dal tabellone i
documenti del caso chiuso il giorno precedente, Kimball sarebbe
arrivato a momenti… e i passi che si avvicinavano sul
linoleum erano inconfondibili.
- Buongiorno, Lisbon. - Disse il consulente, rimanendo immobile sul
divano.
Teresa, comparsa in quel momento nell'open space, rimase per un istante
incredula davanti alla capacità del suo collega di
riconoscerla perfino con gli occhi chiusi, ma si stupì del
suo stesso stupore: dopo dieci anni in sua compagnia non c'era
più niente di sorprendente nella sua capacità di
sapere sempre di più di quello che dimostrava.
- Buongiorno, Jane. - Rispose - Rigsby, Van Pelt. -
- Buongiorno capo. -
- Ci sono novità? - Domandò Teresa.
- Ancora nessuna chiamata, oggi. - Disse Grace allegramente. - Possiamo
goderci la bella giornata. -
- Meglio non parlare troppo forte. - Replicò una voce
maschile.
"Ed ecco Cho." Pensò Patrick con un sorrisetto trionfante.
Si mise seduto e guardò la scena davanti a lui, sorridendo
al pensiero di averla immaginata proprio in quel modo: Grace alla
scrivania, Wayne in piedi, Teresa con ancora giacca e borsa sulla porta
e Kimball con un bicchiere di caffè in mano già
intento ad accendere il suo pc.
Fu solo quando Teresa si allontanò per raggiungere il suo
ufficio che Patrick si alzò.
- Avanti, dimmi. - Disse Teresa con un sospiro quando si accorse di
essere stata seguita. - Lo so che stai per farmi una domanda a cui non
mi piacerà rispondere. -
- Hai già deciso dove andare con Dorothy in vacanza? -
Teresa sollevò le sopracciglia, stupita dal sentirsi fare
quella domanda.
Lei e Dorothy vivevano insieme da quasi sei mesi, ormai, e non si
stupiva dell'interesse che Patrick nutriva per quella bambina: forse
gli ricordava la figlia che aveva perso, forse era il piacere di avere
intorno una persona infantile quanto lui… o forse era solo
perchè Dorothy era una di quelle persone che era impossibile
non amare. Anche se sapeva quanto bene Patrick volesse a Dorothy,
però, proprio non si aspettava di sentirsi fare quella
domanda.
- Davvero, hai già deciso dove andrete? - Insistette Patrick.
- Ho cercato una pensione al mare, qui vicino. - Fu la risposta di
Teresa, mentre si dedicava a sistemare le sue cose sulla scrivania per
evitare lo sguardo inquisitore del suo consulente.
- Al mare? L'ultima volta mi ha detto che l'avresti portata a
Disneyworld. - Replicò Patrick.
Teresa alzò lo sguardo verso di lui punta sul vivo: quella
di Disneyworld era una proposta che Dorothy le faceva a giorni alterni,
mettendo a dura prova la sua pazienza.
- Non le ho mai detto di sì e lo sai benissimo anche tu. -
- Oh, avanti, Lisbon. Ogni bambino sogna di andarci, una volta nella
vita. E scommetto che piacerebbe moltissimo anche a te. - Disse con uno
dei suoi migliori sorrisi sornioni.
- Non vedo perchè dovrei andare a stressarmi nella calca di
un parco divertimenti quando con gli stessi soldi posso pagarmi tre
giorni in più di relax e di salutare vita da spiaggia. Stare
un po' all'aria aperta farà bene a entrambe. -
- Il tuo discorso è molto logico, certo, ma prova a guardare
la faccenda dal punto di vista di Dorothy… -
- Non pensavo che avrei mai sperato di sentirti fare una domanda su
John il Rosso. - Lo interruppe Teresa.
Per tutta risposta, Patrick sorrise divertito. Non fece in tempo a
replicare, però, perchè la porta si
aprì e Kimball si affacciò con aria
più seria del solito.
- Capo, abbiamo una chiamata. Un cadavere a Monterey. -
- Monterey? Come mai chiamano noi? -
- È uno dei nostri. -
Senza dire altro Teresa recuperò il distintivo e il
cellulare, li infilò nelle tasche della giacca e fece per
uscire. Quando si accorse che Patrick non l'aveva seguita si
voltò verso di lui.
- Non vieni? - Domandò.
- Sì. Sì, certo. - Fu la risposta, pronunciata
come se in realtà il consulente stesse in realtà
pensando ad altro. Mentre si chiudeva la porta alle spalle, infatti,
continuò: - Comunque, se tu tornassi per un solo momento con
la mente a quando avevi sei anni… -
- Chiudi il becco. - Fu la secca risposta.
Bene.
Sono contenta di essere finalmente riuscita a concludere questa storia,
così potrò finalmente vedere la puntata in cui
Patrick scopre chi è John il Rosso.
Nel caso ve lo stiate chiedendo no, non l'ho ancora vista.
Non volevo essere distratta mentre scrivevo questa storia, non volevo
essere influenzata.
Onde per cui vi chiedo per cortesia di non farmi spoiler nè
su John nè sulla storia dopo di lui. Grazie.
Naturalmente spero che anche questo racconto sia lineare e avvincente...
se trovate delle discrepanze o cose che non funzionano fatemelo sapere,
perchè è per questo che faccio leggere ad altri
le mie storie: per migliorarmi sempre di più.
Una piccola nota: se state leggendo questa fanfiction e non avete letto
Pastelli Rossi e Scarpette Rosse
vi consiglio di andarle a leggere, così questa storia
acquisterà più senso.
Le trovate qui, nella mia raccolta chiamata Al
di là del rosso dell'arcobaleno.
Grazie in anticipo per essere arrivati fin qui e per aver letto il
primo capitolo di questo terzo e ultimo racconto.
Flora
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Capitolo 2 *** Due. ***
Il giardino pubblico di Monterey aveva visto di certo giorni migliori,
vista l'erbaccia incolta e i vecchi giochi per bambini cadenti e
coperti di scritte. L'albero sotto cui avevano trovato il corpo sorgeva
proprio al centro del giardino pubblico e stendeva i suoi rami carichi
di foglie a punta sull'area giochi dove sparuti passanti rallentavano
appena per curiosare un momento prima di tirare dritto. Teresa si
diresse verso la scena del crimine senza guardarsi troppo attorno,
trascinandosi dietro un Patrick che camminava con la sua consueta aria
svagata, quella che tirava fuori ogni volta che voleva memorizzare ogni
dettaglio senza che nessuno se ne potesse rendere conto.
Una mezza dozzina di uomini in divisa si stava affaccendando attorno al
cadavere e lo sceriffo si avvicinò a Teresa non appena la
vide.
Si presentò toccandosi la falda del cappello in segno di
saluto:
- Sceriffo Cross. -
- Agente Lisbon, Patrick Jane. - Disse Teresa. - Sappiamo chi
è? -
Lo sceriffo aprì la bocca per rispondere, ma Patrick lo
anticipò:
- Warren Doyle. - Disse. - Lavorava al CBI, ma non viene al quartier
generale da tre mesi. -
- Esatto. È tutto quello che sappiamo di lui anche noi. -
Disse lo sceriffo, stupito. - Ma come ha fatto? -
- Ho buona memoria. - Disse Patrick evasivo, avvicinandosi al corpo per
guardarlo meglio.
Warren Doyle era un uomo robusto sulla sessantina, alto e quasi calvo,
con piccole rughe d'espressione attorno agli occhi che accentuavano lo
sguardo - fermo nell'immobilità della morte - dei suoi occhi
grigi ormai spenti. La camicia bianca sotto la giacca scura era
macchiata di sangue sul ventre, dove c'era il segno di un unico taglio
netto. Disteso supino, con gli arti composti, guardava le foglie
dell'albero sopra la sua testa senza vederle.
Mentre il consulente si dedicava ad osservare la scena, Teresa si fece
raccontare quello che lo sceriffo aveva saputo dal coroner:
- Una sola coltellata allo stomaco ha reciso l'aorta addominale:
è morto dissanguato in pochi minuti. Verosimilmente
è morto qui: l'erba è coperta di sangue. -
- Impronte? - Domandò Teresa.
- Non piove da molto e la terra è troppo dura per mantenere
le impronte delle scarpe. Sul corpo non abbiamo trovato indizi e manca
anche l'arma del delitto. - Rispose lo sceriffo, voltandosi per dare
un'occhiata al cadavere. - Comunque stiamo ultimando i rilievi. -
Tornò a rivolgersi a Teresa e poi si voltò di
nuovo, bruscamente, per essere certo di aver visto bene: il viso del
consulente del CBI era vicinissimo al volto del morto.
- Ma che sta facendo? - Domandò all'agente.
Teresa si strinse nelle spalle.
- Lui lavora così. -
Patrick si sollevò, scrollò i calzoni e le mani
per spazzare via le ultime tracce di terra e fissò con aria
mogia il corpo.
- Era una persona molto sola. - Sentenziò - Una persona che
non aveva altro che il suo lavoro. -
Un istante di silenzio seguì le sue parole, rotto poi dalla
voce dello sceriffo:
- Mi hanno detto che è uno dei vostri. Mi dispiace. -
- Grazie. - Rispose Teresa meccanicamente. - La prima cosa che faremo
sarà scoprire dov'è stato Doyle in questi mesi di
assenza dal CBI. -
- Credo di poterti rispondere io. - Sentenziò una voce alle
loro spalle.
Teresa ci mise meno di un attimo a riconoscere la sensazione di disagio
che le provocava la presenza di Ray Haffner. Lo salutò
cercando di suonare il più disinvolta possibile:
- Ray. -
- Ciao, Teresa. - Disse lui con calore, avvicinandosi per salutarla un
po' più di quanto sarebbe stato normale per un collega. -
È bello poter lavorare di nuovo con te. -
Teresa si limitò a fare un passo indietro, sorridendo
nervosa. Ray ammiccò divertito alla sua ritrosia e poi si
voltò verso Patrick, salutandolo con uno sguardo velatamente
ostile.
- Jane. -
- Hai detto di sapere dov'è stato Doyle in questi due mesi.
- Disse Teresa, impedendo al suo consulente di dire qualcosa di
maleducato a cui avrebbe dovuto rimediare.
- Certamente. Lavorava per me. - Rispose Ray.
- Per te? -
- Nella mia agenzia privata. Aveva chiesto il prepensionamento al CBI e
faceva qualche lavoretto per me. -
- E come mai non lo sapeva nessuno? -
- Per lavorare da me avrebbe dovuto rinunciare agli ultimi mesi di
stipendio. Non molto corretto, forse, ma comprensibile. Coi tempi che
corrono i soldi non bastano mai. - Rispose Ray stringendosi nelle
spalle. Poi si rivolse allo sceriffo: - Avete già quale
sospetto? -
- Nessuno, per ora. - Rispose l'uomo.
- Chi ha trovato il corpo? - Domandò Teresa.
- Abbiamo ricevuto una chiamata anonima che ci segnalava la presenza di
un corpo ai giardini pubblici, senza però specificare dove.
Abbiamo dovuto girare per un'ora prima di scoprire a quali giardini
pubblici si stessero riferendo. -
- Eppure è strano. - Esordì Patrick.
- Cosa è strano? - Chiese lo sceriffo.
- Che lascino il corpo qui, in bella vista, nel luogo più
centrale di un posto frequentato. Potevano scaricarlo nel canale appena
fuori dal parco, oppure nasconderlo tra i cespugli…
è come se avessero voluto farvelo trovare. - Disse Patrick.
- E perchè? - Domandò lo sceriffo.
Patrick si strinse nelle spalle:
- Non lo so. Siete voi i detective. - Rispose.
- Chiamo VanPelt e le dico di controllare il mittente della telefonata
arrivata alla vostra centrale. - Disse Teresa tirando fuori il
telefonino.
- Non serve, abbiamo già controllato. La chiamata
è arrivata da una scheda prepagata, il telefonino risulta
spento e non siamo riusciti a localizzarlo. - Disse lo sceriffo.
- Doyle aveva parenti in vita? - Chiese Teresa.
Si era rivolta allo sceriffo, ma fu Ray a rispondere:
- No, non che io sappia. Ma conosco il suo indirizzo, possiamo andare a
dare un'occhiata al suo appartamento. Magari scopriamo qualcosa di
più sulle sue frequentazioni. -
- Forse sarebbe utile sapere anche su quali casi stava lavorando. Per
quanto ne sappiamo potrebbero averlo scoperto a investigare e averlo
colpito perchè non potesse dire cos'aveva visto. - Propose
Teresa.
Ray capì subito a cosa si stava riferendo:
- Non posso darti i fascicoli dei suoi casi, Teresa. -
- È un'indagine di omicidio, Ray, sai come funziona. Faccio
una telefonata, ottengo un mandato e tutti sapranno che stiamo frugando
nei vostri archivi. - Rispose l'agente, senza farsi intenerire
dall'occhiata conciliante del collega.
Ray sospirò, nascondendo un sorriso divertito dietro un tono
vagamente dispiaciuto.
- D'accordo, ho capito. Te li farò avere nel pomeriggio.
Vogliamo andare ora? Abbiamo una casa dove fare un sopralluogo. -
- Ci tenga informati sugli sviluppi, sceriffo Cross. - Disse Teresa,
stringendogli la mano. - Jane, andiamo. -
- Va' pure, Lisbon. Io rimango qui a dare un'occhiata. - Disse il
consulente, stiracchiandosi e guardandosi attorno.
- Jane. -
- Davvero, vai tranquilla. È una bella giornata, fare due
passi mi schiarirà le idee. Mi farò dare un
passaggio al CBI più tardi. -
Teresa gli scoccò uno sguardo a metà tra la
preoccupazione e il rimprovero, ma poi seguì Ray Haffner
fuori dal parco pubblico, dirigendosi verso la sua Chevrolet
parcheggiata poco lontano.
- Oh, andiamo. Non vorrai andare per conto tuo. - Fu il commento di
Ray, accennando alla propria auto sportiva, nera e lucente, posteggiata
proprio davanti a loro.
- Preferisco essere autonoma. Mandami l'indirizzo sul cellulare, ci
vediamo lì. - Replicò Teresa, allontanandosi
senza dargli tempo di replicare.
Secondo
capitolo. Spero di essere riuscita a descrivere a dovere la scena del
crimine
e di aver riportato il personaggio di Haffner così
com'è...
anche se le mie opinioni personali su di lui di sicuro me l'avranno
impedito (:
Come sempre, grazie di aver letto e grazie in anticipo se vorrete
commentare.
Bacibaci!
Flora
|
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Capitolo 3 *** Tre. ***
La casa di Warren Doyle era una villa in quartiere residenziale nella
campagna che circondava Sacramento, molto lontano dal CBI e ancora
più lontano da Monterey. Era arredata in modo semplice e
antiquato, con foto sbiadite in cornici impolverate e pochissimi altri
oggetti d'arredo. Un solo spazzolino in bagno, una sola tazzina nel
lavandino e il letto sfatto da un solo lato, con un piccolo flacone di
sonniferi posato sul comodino, lasciavano intuire che non ci fosse
nessun altro a vivere in quella casa.
"Era davvero una persona molto sola" pensò Teresa, posando
una mano sullo schienale dell'unica poltrona davanti alla televisione
"nessuno verrà a chiedere di lui".
Si sentiva toccata da vicino da quella situazione: solo qualche mese
prima la sua vita era stata altrettanto solitaria, altrettanto
aggrappata al lavoro; anche lei si sarebbe cercata un altro impiego, se
fosse stata a un passo dalla pensione... l'idea di rimanere a casa
senza niente da fare la faceva impazzire. Ora però si
ritrovava a giostrarsi tra tutti i suoi impegni e tutti quelli di
Dorothy e non aveva più problemi a prendere sonno: il solo
toccare il cuscino la faceva crollare addormentata per la stanchezza.
- Tutto bene? -
La voce di Ray interruppe il filo dei suoi pensieri e Teresa
trasalì:
- Certo. Scoperto qualcosa? - rispose.
Ray scrollò le spalle.
- Niente. Ma era una persona così anonima, mi aspettavo di
non trovare granché - sorrise all'espressione dipinta sul
viso di Teresa e continuò: - lo so a cosa stai pensando. -
- Io non credo. -
- Stai pensando a quanto la vita che avevi ti sembra vuota, adesso. -
Teresa lo guardò sbattendo le ciglia, chiedendosi come
facesse ad aver letto davvero i suoi pensieri, ma Ray rispose subito
alla sua muta domanda.
- Sono rimasto in contatto con molte persone, al CBI… e la
solitaria e razionale agente Lisbon in compagna di una bambina non
passa esattamente inosservata - disse con dolcezza - quanti anni ha? -
- Ne ha compiuti sei a maggio. -
Un attimo di silenzio seguì le sue parole, poi Ray
commentò a bassa voce:
- È bello sapere che non sei sola, Teresa. -
I suoi occhi incontrarono quelli di lei e lo sguardo che le rivolse
mise Teresa così a disagio da spingerla a troncare la
conversazione a metà.
- Torniamo al CBI. Vediamo se ci sono novità - disse,
avviandosi verso la porta.
Ray la afferrò per un braccio.
- Aspetta. -
Spaventata, Teresa non si permise nemmeno il tempo di un pensiero: si
divincolò prima che Ray potesse fare qualunque cosa e
uscì dall'abitazione senza voltarsi indietro neanche una
volta. Fu solo quando fu nella sua auto, ferma ad un semaforo e diretta
al CBI, che si concesse di respirare di nuovo profondamente: non capiva
perchè Haffner dovesse sempre impegnarsi per metterla tanto
a disagio, e soprattutto non capiva perché lei si concedesse
di essere così nervosa in sua presenza.
Il semaforo diventò verde e Teresa fu felice di aver deciso
di spostarsi con la propria macchina: per quanto la sua vita ora non
fosse più vuota e solitaria, trovava ancora confortante
stare ogni tanto per conto proprio, senza avere intorno colleghi tutti
allusioni e occhiatine. Sfogò la sua frustrazione sul
cambio, ingranando la prima così bruscamente da grattare, e
imboccò la via del quartier generale.
Appena Teresa rientrò CBI, Grace le si avvicinò:
- Ehi, capo. -
- Novità? -
- L'agenzia di Haffner ci ha mandato tutti i fascicoli dei casi seguiti
da Doyle: non sono molti. Io e Rigsby ce li siamo divisi, ci stiamo
lavorando. -
- C'è qualcosa di interessante? -
- Purtroppo no. Sono tutti casi secondari, più che altro
frodi e indagini private per cause di divorzio. Nessuno dei coinvolti
è schedato, in più nessuno abita dalle parti di
Monterey. -
Teresa sospirò.
- Continuate a cercare e convocate chiunque vi sembri un possibile
colpevole. -
- D'accordo. -
- Hai visto Jane? -
- È arrivato mezz'ora fa, ma poi è sparito di
nuovo. -
- D'accordo. Avvertimi se ci sono sviluppi. -
- Sicuro. -
Seduta nel suo ufficio davanti a un toast, Teresa pensò che
non avrebbe fatto in tempo a staccare per le cinque: Grace e Wayne
avevano ancora da contattare una mezza dozzina di persone e c'erano
già due sospettati in sala interrogatori, pronti a
rispondere alle loro domande. Sospirando decise che era arrivato il
momento di telefonare alla baby sitter per chiederle di andare a
prendere Dorothy a scuola.
La sedicenne baby sitter di Dorothy rispose dopo solo uno squillo.
- Juliet, ciao. -
- Agente Lisbon, buongiorno. Che posso fare per lei? -
- Non riesco ad andare a prendere Dorothy a scuola, oggi. Potresti
pensarci tu? -
- Ma certo, non ci sono problemi. -
- Perfetto. Dovrei essere indietro per cena. -
"O almeno spero", aggiunse mentalmente.
Aveva appena riattaccato quando la testa bionda di Patrick comparve nel
suo ufficio.
- Oh, ciao. Ti sei degnato di farti vivo, finalmente. Che hai scoperto?
- gli disse.
- Scoperto? Niente, perchè? Avrei dovuto scoprire qualcosa? -
- Sei stato in giro tutto il giorno e speravo almeno che saresti
tornato con qualche indizio, qualche sospetto, qualcosa di utile! -
Patrick si sitrinse nelle spalle:
- Sono rimasto in giro perchè è una bella
giornata. Sulla strada del ritorno ho mangiato in una tavola calda dove
fanno dei waffles deliziosi: te ne ho portati un po' - disse
lanciandole un sacchettino di carta.
Teresa lo afferrò al volo, ma invece di lasciarsi addolcire
dal pensiero del suo consulente, spostò il sacchetto di lato
e si alzò irritata.
- Non li assaggi? - domandò Patrick deluso.
- Vorrei essere a casa il prima possibile e abbiamo due sospetti da
interrogare: non abbiamo proprio il tempo di fare merenda - gli
intimò, fulminandolo con gli occhi prima di uscire.
- Possiamo mangiarli mentre seguiamo gli interrogatori? - propose
Patrick recuperando il sacchetto e seguendola fuori.
La prima dei due sospettati convocati al CBI era Lisa Stan, una donna
sulla cinquantina che aveva chiesto all'agenza di Haffner di seguire il
marito.
- Ho chiesto un investigatore privato perchè credo che Anton
abbia un'amante. Sicuramente è una delle duecento squinzie
adolescenti che fanno le segretarie nel suo ufficio di assicurazioni.
E, giusto perchè lo sappiate, ho deciso di non incontrare
mai di persona l'investigatore che seguiva la pratica: non volevo che
mio marito pensasse che sospettavo qualcosa, altrimenti addio effetto
sorpresa e addio alimenti. -
Giocherellando con il ciondolo della collana, osservava Kimball da
sotto ciglia scure appesantite da molti strati di mascara.
- Mi dispiace per quest'uomo, ma io non ho niente a che fare con lui.
Non lo conoscevo nemmeno - si giustificò.
- Dove si trovava stamattina tra le sei e le otto? - domandò
Kimball.
- Sospettate di me? - esclamò la donna con orrore.
- È la prassi, signora Stan. Risponda, per favore. -
La donna alzò gli occhi al cielo, fulminò Kimball
con uno sguardo feroce e poi rispose:
- Ero a casa mia, ancora a letto. Non mi alzo mai così
presto. -
- C'è qualcuno che può confermarlo? Suo marito,
magari? -
- No, Anton è a Philadelphia per lavoro. Ero da sola. -
Teresa, nascosta dal vetro a specchio della sala degli interrogatori,
si voltò verso Patrick:
- Che ne pensi? -
- Secondo me è sincera - disse Patrick distratto, sbirciando
nel sacchettino di waffles con l'aria di un bambino che vorrebbe
arrivare al dolce senza mangiare la minestra.
Teresa gli strappò il sacchetto dalle mani e lo
fissò con aria seria per obbligarlo a rispondere.
- E da cosa lo deduci? -
- Solo gli innocenti non si preoccupano di avere un alibi - disse
Patrick.
- Tutto qui? -
- Tutto qui - replicò il consulente, approfittando della
guardia abbassata di Teresa per sfilarle di mano il sacchetto di dolci
e addentare una cialda prima che lei potesse dire o fare qualunque cosa.
Un'ora più tardi nella sala degli interrogatori c'era il
secondo sospettato: Gregory Mendelev.
- Come mai la sua officina ha aperto a metà giornata, oggi,
signor Mendelev? - chiese Wayne sbirciando il suo taccuino degli
appunti.
- Dovevo fare l'inventario. - Disse l'uomo, pronunciando le parole con
una spiccata cadenza dell'europa orientale.
- Non aveva avvertito i suoi clienti, però. È
strano che una persona decida di punto in bianco di tenere chiuso il
negozio, non le pare? I guadagni diminuiscono. -
- Gli orari del mio negozio e i miei guadagni non la riguardano,
agente. - Disse l'uomo.
I suoi occhi grigi erano persi in un reticolo di rughe che si
spandevano lungo il suo viso dalla carnagione chiara. Le unghie sporche
di grasso per motori e la salopette da lavoro grigio scuro gli davano
proprio l'aria del meccanico di officina.
- In che rapporti era con Warren Doyle? - Domandò Wayne,
rendendosi conto che l'uomo non era particolarmente incline alla
collaborazione.
- Mai sentito. -
- Eppure Doyle faceva delle indagini per lei. -
- Non sapevo che se ne occupasse lui. Ho pagato l'agenzia
perchè scoprisse chi ruba attrezzi e materiali nella mia
officina. - Scocciato, Gregory Mendelev si allungò sulla
sedia, avvicinandosi a Wayne con aria irritata. - Senta, agente, non mi
piace perdere tempo. Mi dica perchè mi ha convocato e
facciamola finita. -
- D'accordo. Dove si trovava tra le sei e le otto di stamattina? -
- Nella mia officina. - Disse. - Facevo l'inventario, appunto. -
- Era da solo? -
- No. -
Wayne aprì il blocco degli appunti e iniziò a
scrivere.
- Può dirmi con chi era? -
- Con Wilson. -
Wayne si appuntò il nome, interessato.
- E sarebbe? -
- Il mio cane. - Sbottò l'uomo, sogghignando.
Wayne sospirò, chiudendo il blocco.
- Ora posso andare? - Domandò il meccanico.
- Sì, certo. Si tenga a disposizione. -
Gregory Mendelev uscì dalla stanza borbottando qualcosa sul
sistema sovietico che era entrato in vigore negli Stati Uniti negli
ultimi anni e Wayne si stiracchiò, facendo scrocchiare le
ossa del collo e allungando le gambe sotto il tavolo.
Teresa aprì la porta della sala interrogatori.
- Rigsby, vieni di là. Haffner ci vuole parlare. - Disse.
In
questo capitolo abbiamo conosciuto i sospettati... avete già
un'idea su chi sia stato?
Come
sempre, grazie di aver letto e grazie in anticipo se vorrete
anche lasciare un commentino.
A mercoledì per il prossimo capitolo. Bacibaci!
Flora
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Capitolo 4 *** Quattro. ***
La lavagna nell'open space era di nuovo piena di appunti, schede e
fotografie.
Gli agenti, Ray compreso, erano seduti tutti attorno al tavolo mentre
Patrick sorseggiava il suo tè guardando i volti delle
persone ritratte nelle fotografie.
Dopo una giornata di indagini erano ad un punto morto: la scientifica
non aveva trovato niente di utile nè sulla scena del crimine
nè sul corpo di Doyle, l'arma del delitto non era ancora
saltata fuori e non avevano nemmeno uno straccio di pista; pur dopo
tutte le indagini sulla vita (privata e non) della vittima non avevano
in mano niente di interessante, fatta eccezione per Lisa Stan e Gregory
Mendelev.
- Nè la Stan nè Mendelev hanno un alibi per
stamattina. - Disse Teresa. - Ma non abbiamo nessun elemento che li
colleghi direttamente a Doyle o che provi che siano stati a Monterey. -
- E tutti gli altri che avevano un qualche collegamento con Doyle erano
troppo lontani o con alibi confermati. - Continuò Rigsby.
- Dev'esserci sfuggito qualcosa. - Disse Ray.
Teresa si voltò a guardare la lavagna ma i suoi occhi
sfuggirono involontariamente verso l'orologio appeso al muro: erano
quasi le nove. Forse il buio completo in cui si trovavano a brancolare
derivava dalla loro stanchezza, oltre che dall'effettiva confusione del
caso. Come sempre, quando si ritrovava a non sapere che pesci prendere
si rivolse al suo consulente.
- Jane. - Lo chiamò - Idee? -
- Secondo me non è nessuno di loro. - Rispose Patrick.
- Che vuol dire nessuno di loro? - domandò Wayne, vagamente
irritato all'idea di aver perso l'intero pomeriggio a interrogare
inutilmente degli innocenti.
- Chi ha ucciso Warren era qualcuno che lo voleva morto. Qualcuno che
l'ha convocato in un posto preciso con la precisa intenzione di
ucciderlo. Perchè farlo fuori in un posto così in
vista, altrimenti? E perchè ucciderlo in una
città così lontana dalla sua abitazione e dal suo
posto di lavoro? -
- Belle domande. Magari però hai anche qualche bella
risposta. Sai, ci sarebbero un tantino più utili. -
Replicò Ray.
- Purtroppo no. Non ancora. Ma sono certo che nessuno di loro
è l'assassino. -
- Ah, sei certo. Ma davvero. - Replicò Ray.
- Non proprio certo... diciamo al 75%. - Replicò Patrick.
- Ma la sua opinione è davvero utile, nei casi? -
Domandò Ray, voltandosi verso la squadra di agenti ancora
seduta al tavolo.
- Va bene, per oggi basta così. - Intervenne Teresa,
troncando la discussione sul nascere. - Continueremo domani. VanPelt,
chiama la squadra tecnica e dì loro di tenere sotto
controllo i movimenti della Stan e di Mendelev. Rigsby, tu e Cho domani
andate a fare un giro nel quartiere di Doyle, magari scoprite qualcosa.
-
- Ottimo lavoro, Teresa. - Commentò Ray con un sorriso.
Teresa ricambiò con un sorriso imbarazzato e poi si
alzò dal tavolo, affrettandosi verso il suo ufficio.
- Lisbon. -
- Dimmi, Jane. - Disse Teresa infilando la giacca e prendendo la borsa.
- C'è qualcosa che non mi convince, in questo caso. -
- Spiegati meglio. -
- Haffner. -
- Haffner è un bravo detective, ha lavorato per il CBI e
conosceva Doyle, per questo è qui. - Disse Teresa. Poi si
lasciò andare ad un sorrisetto. - Non sarai mica geloso. -
Patrick non rispose, limitandosi a guardarla con intensità.
I suoi occhi azzurri erano così attenti che il sorrisetto
malizioso sulle labbra di Teresa si spense e l'agente si
sentì improvvisamente in imbarazzo.
- Va' a riposarti, Jane. Ci vediamo domani. -
Teresa parcheggiò come al solito appena fuori dall'isolato e
si avviò verso casa, felice di aver concluso quella giornata
e avvertendo la stanchezza molto più dei morsi della fame.
Mentre recuperava le chiavi dalla borsa, si rese conto con rammarico
che la luce non filtrava dalle tende del salotto.
"Juliet avrà già messo Dorothy a letto."
Pensò con disappunto. Le dispiaceva non essere riempita di
parole dalla sua bambina, quando tornava a casa.
Fece per infilare la chiave nella toppa ma la sua mano
scivolò sulla serratura e la porta girò sui
cardini per qualche centimetro. Era aperta.
Con il respiro corto, Teresa posò una mano sull'uscio e lo
spinse delicatamente. La luce dei lampioni della strada disegnava una
lama pallida sulla moquette dell'ingresso e sui mobili al di
là della porta, facendoli risaltare nel buio. Non c'era
nessuna luce, nell'appartamento: nè la piccola luce da notte
che teneva accesa in salotto per Dorothy nè quelle della
cucina o del corridoio. Il buio era rotto solo dalla fioca di luce dei
lampioni che disegnava sul pavimento un riquadro argentato su cui si
stagliava il profilo della sua ombra.
Istintivamente la mano di Teresa scivolò sulla fondina della
pistola. C'era troppo buio e troppo silenzio: qualcosa non andava.
Con la sensazione rassicurante dell'arma tra le dita della mano destra,
allungò la sinistra verso il muro e cercò a
tentoni l'interruttore. Quando scattò e la luce invase la
stanza, Teresa notò immediatamente la mancanza di Dorothy:
il divano letto era chiuso e ordinato così come l'aveva
lasciato quella mattina.
- Dorothy! - Chiamò, sperando di sentire i suoi passi
provenire dal corridoio. - Juliet! -
Nessuna risposta.
Con la pistola stretta in pugno e il cuore che batteva talmente forte
da impedirle di pensare lucidamente, Teresa percorse il corridoio
gettando uno sguardo in bagno e in cucina: il buio e il silenzio le
facevano capire che era tutto come l'aveva lasciato.
Arrivata in camera accese la luce, sperando di trovare Dorothy e Juliet
addormentate sul letto con un libro ancora in mano. Quando non le vide,
il suo cuore mancò un battito.
Alla luce fioca della lampada posata sul cassettone, però,
notò un foglio posato sul proprio cuscino. Si
avvicinò e sorrise, riconoscendo uno dei bellissimi disegni
di Dorothy: la bambina si era ritratta con il consueto abbinamento di
codini, abito azzurro e ballerine di vernice rossa davanti a un
castello rosa e blu che era inconfodibilmente quello di Disneyworld.
Teresa sorrise, scuotendo la testa, e voltò il foglio per
vedere se le avessero lasciato un messaggio: magari erano solo andate a
mangiare un hamburger… oppure si erano fermate a casa di
Juliet per cena e lei si stava preoccupando inutilmente.
Quello che vide, però, la raggelò al punto tale
da farla rimanere immobile, così spaventata da non riuscire
nemmeno a gridare.
Ok.
Devo dire che ho scelto un momento un po' infelice per il mio "hiatus"
estivo.
Ma abbiate fede, la storia continuerà prima del previsto!
Conto di farci stare un aggiornamento verso il 10 di agosto, se tutto
va bene.
Ma se questo non dovesse avvenire, niente paura: la storia
continuerà a settembre,
detesto i racconti incompiuti!
(Nel mentre ho deciso che mi metterò in pari e
guarderò finalmente la sesta stagione)
Buona estate a tutti!!!
Flora
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Capitolo 5 *** Cinque. ***
L'unica cosa che le faceva capire di essere ancora viva era la voce di
Patrick, che rompeva con il suo timbro morbido il silenzio ovattato
della cucina.
Quando il suo consulente l'aveva raggiunta, Teresa tremava al punto
tale che lui aveva dovuto stringerle le mani sulle spalle e obbligarla
a guardarlo negli occhi per permettergli di far rallentare un po' i
battiti del cuore. Un po' accompagnandola e un po' trascinandola
l'aveva costretta poi a sedersi alla penisola della cucina e nel
più completo silenzio le aveva preparato un tè.
Ora era seduto davanti a lei e mentre Teresa tentava di respirare e
mandare giù qualche sorso di tè al miele, lui
continuava a ripeterle che avrebbero risolto tutto.
- Andrà tutto bene, Lisbon. Fidati di me. -
Teresa annuì, ma all'improvviso la paura la
riassalì e dovette appoggiare la tazza sul tavolo per
evitare di farla cadere, passandosi poi le mani tremanti sul viso per
impedirsi di scoppiare disperatamente in lacrime. Patrick doveva avere
notato tutti gli stati d'animo che si facevano guerra dentro di lei,
perchè quando fece per prendere di nuovo in mano la sua
tazza la mano calda del consulente si strinse attorno alle sue dita
gelate.
- La riporteremo a casa. - Le disse in un sussurro.
Teresa strinse le labbra, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Il disegno di Dorothy era posato sulla penisola accanto a loro e la
bambina disegnata li guardava con il suo sorriso allegro e spensierato.
Nulla, in quel disegno, faceva intuire lo smile disegnato sul retro. E
anche se non era fatto con il sangue ma con un pennarello, poco
importava: era l'inconfondibile firma di John il Rosso.
- Dobbiamo denunciare la scomparsa. - Disse Teresa con un filo di voce.
- Dobbiamo dirlo al CBI, avvertire i federali, iniziare le indagini. -
- Meglio di no. -
- Jane, non abbiamo tempo per i giochetti! -
- No, certo che no. Ma avere altra gente intorno ci renderebbe solo le
cose più difficili: se lo dici al capo o all'FBI ci
toglieranno il caso e non solo dovrai passare le giornate a sfuggire a
curiosi e giornalisti, ma in più non saranno in grado di
fare niente di utile. Se esistono delle persone in grado di riportare a
casa Dorothy, Lisbon, sono quelle in questa stanza. -
Un attimo di silenzio seguì le sue parole, poi fu Teresa a
parlare.
- Non me la sento di affrontare questo caso. -
Si alzò, posò la tazza vuota nel lavandino e si
passò una mano sul viso.
- Devo dormire un po'. - Disse.
- D'accordo. -
Teresa lo accompagnò alla porta e un attimo prima che
Patrick uscisse alzò timidamente gli occhi verso di lui.
- Grazie per essere venuto. - Mormorò.
- Qualunque cosa per te, Lisbon. - Replicò lui con un
sorriso.
Teresa chiuse la porta, appoggiandosi al battente e chiudendo gli
occhi. Era stata una serata così assurda che non aveva idea
nemmeno di che ore fossero, così lanciò uno
sguardo al display del lettore dvd sotto la televisione: segnava
l’una e quarantacinque.
Sicura che non avrebbe chiuso occhio nemmeno un istante, Teresa si
diresse verso la poltrona, rannicchiandosi tra i cuscini e cercando di
accantonare per qualche ora la sensazione di disperazione che le aveva
lasciato addosso la firma di John dietro al disegno di Dorothy.
Sdraiato sul divano dell'open space, Patrick attendeva i passi di
Teresa sul linoleum da almeno un'ora: Grace e Wayne erano arrivati da
un pezzo, ma di lei nessuna traccia.
Si mise seduto e guardò i suoi colleghi chiacchierare
serenamente, seduti alle loro scrivanie con i loro caffè in
mano, sentendosi esentati dal dover iniziare a lavorare vista la
mancanza del loro capo; Grace si sentì osservata e gli
scoccò un sorriso imbarazzato.
- Posso fare qualcosa per te, Jane? - Gli domandò poi.
Per tutta risposta Patrick si alzò, diretto all'ufficio di
Teresa: senza neanche bussare spalancò la porta sperando di
vederla seduta alla scrivania… ma lei non c'era.
Aggrottando le sopracciglia, tornò nell'open space.
- Avete visto Lisbon? - Domandò.
Grace e Wayne si scambiarono un'occhiata.
- Non è ancora arrivata. - Disse la ragazza.
- È strano. - Sentenziò Kimball, avvicinandosi
alla sua scrivania con un caffè fumante in mano. - Non
è da lei essere in ritardo. -
- No, in effetti no. - Disse Rigbsy.
- Provo a chiamarla. - Propose Grace, prendendo il telefono.
- Meglio di no. - Intervenne Patrick. Davanti alle occhiate
interrogative degli altri, il consulente minimizzò: - Come
avete detto voi, non è da Lisbon fare tardi. Avrà
degli impegni, o magari è già arrivata ed
è dal capo. E poi voi avrete di sicuro molte cose da fare:
vado io a cercarla di persona. -
Grace, Wayne e Kimball si scambiarono occhiate eloquenti, poi fu
Kimball a prendere in mano la situazione:
- D'accordo. - Disse. - Mettiamoci al lavoro. Avvisaci se la trovi. -
Disse poi, rivolto a Patrick.
- Contaci. - Patrick recuperò il telefono e la giacca dal
divano e fece per uscire.
Invece di allontanarsi, però, salì le scale
diretto al sottotetto dove si era accampato. Si avvicinò
alla vetrata impolverata e avviò con aria preoccupata una
chiamata verso il cellulare di Teresa.
La voce registrata della segreteria telefonica lo fece
riattaccare e rimase a fissare il display del cellulare per
lunghissimi minuti, prima di prendere le chiavi dell'auto e uscire.
Trascorse la mattina in giro per Sacramento, passando continuamente
davanti a casa di Teresa e attaccandosi al campanello per
mezz'ora ogni volta che decideva di fermarsi. Fece un giro ai grandi
magazzini, al parco pubblico, arrivò perfino alla periferia
di Sacramento, nel quartiere dove avevano trovato Dorothy l'anno
precedente.
Rientrò al CBI all'ora di pranzo con aria afflitta e
determinata insieme. Evitando Wayne, Grace e Kimball si
preparò un tè e andò a sedersi sul
divano dell'ufficio di Teresa per pensare.
Ecco
qui, piccolo aggiornamento prima di ripartire per le vacanze!
Grazie a chi si è fermato a leggere e soprattutto a chi ha
commentato,
grazie, grazie di cuore! Mi sento sempre superesaltata quando leggo le
vostre parole!
Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno al 24 agosto,
ma vi anticipo già che conterrà una delle mie
scene preferite, perciò: stay tuned!
Di nuovo buona estate a tutti!!!
Flora
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Capitolo 6 *** Sei. ***
Questo capitolo
è dedicato a Daenerys. Quando lo leggerai, capirai il
perchè.
Quando Teresa aprì la porta del suo ufficio,
trovò Patrick immobile sul divano, con lo sguardo fisso nel
vuoto e una tazza di tè ferma tra le mani. Doveva essere
fermo lì da molto tempo, perchè il tè
aveva l'aria di essere freddo.
Rimase ferma sulla soglia a guardarlo e dopo qualche secondo il
consulente si accorse di lei, salutandola con uno sguardo intenso e
silenzioso.
- Non ce la facevo più a rimanere a casa. - Disse Teresa,
entrando e chiudendosi la porta alle spalle.
Si voltò per guardare Patrick, ma il suo consulente non
sembrava più perso nei suoi pensieri: la guardava come per
cercare la risposta ad una domanda che non aveva il coraggio di fare ad
alta voce.
Teresa ricambiò per un momento il suo sguardo ma poi
distolse gli occhi, imbarazzata. Guardò per un istante gli
agenti andare e venire al di là delle veneziane, intenti ai
loro soliti compiti, poi si voltò verso Patrick, fissandolo
con intensità.
- Dobbiamo salvarla. - Disse in un sussurro. - Dobbiamo impedire a quel
bastardo di metterle le mani addosso. Non deve farle del male: lei non
c'entra. Non c'entra niente con il CBI, con me, con te o con la nostra
crociata contro di lui. - Si fermò per un istante, con gli
occhi verdi che scintillavano di determinazione. Quando
continuò la sua voce era più alta e
più ferma:
- Non voglio che le faccia del male e non voglio che nessun altro si
senta come mi sento io adesso, come si sono sentite le famiglie di
tutte le altre persone che ha preso... come ti senti tu ogni giorno
della tua vita. Dobbiamo fermarlo. Dobbiamo farlo per salvare Dorothy,
ma anche per dare pace a tutte quelli che ha ucciso e per dare
giustizia alle loro famiglie… non mi importa cosa dice la
legge, quali sarebbero le procedure o i protocolli: dobbiamo prenderlo,
costi quel che costi. E ho capito la cosa giusta da fare in questo caso
è smettere di autocommiserarsi e iniziare a combattere. -
Si fermò un istante, guardando Patrick con uno sguardo che
diceva molto più di quanto lei non fosse in grado di dire a
parole: fino a quel momento non si era resa conto di quanto coraggio ci
volesse per reagire a una situazione come quella. E lei aveva ancora
una speranza di riabbracciare Dorothy.
Fece un passo verso di lui e gli sfilò il tè
dalle mani, facendo tintinnare tazza e piattino mentre li appoggiava
sul tavolinetto.
- Perciò adesso ti alzi da quel divano e andiamo a
riprenderci la nostra bambina. -
Nell'istante che seguì Patrick si alzò e
colmò la distanza che li divideva. Le prese il viso tra le
mani e le posò un bacio sulle labbra. Poi, senza allontanare
le mani dalle sue guance la guardò intensamente negli occhi.
- Vado a prendere Juliet. - Disse.
Uscì dall'ufficio lasciandosi alle spalle una Teresa
confusa, emozionata e senza parole.
Non era ancora riuscita a riprendersi del tutto quando la porta si
aprì bruscamente e la figura alta ed elegante di Ray Haffner
fece il suo ingresso nell'ufficio.
- Buongiorno, Teresa. Speravo proprio tu fossi arrivata, i ragazzi mi
hanno detto che non ti avevano ancora vista. - Disse con un gran
sorriso.
Teresa lo guardò per un istante sbattendo le ciglia, ancora
troppo scossa da quello che era successo per capire chi fosse o cosa
volesse l'agente sulla porta.
- Ti senti bene? - Domandò ridacchiando Ray, vedendola
così confusa.
- Sì. Sì, certamente. Hai bisogno di me? -
- Mi chiedevo se ci fossero delle novità sul caso. -
L'ansia assalì Teresa come un'onda anomala: come faceva Ray
a sapere già dell'indagine?
- In-indagine? -
- La morte di Warren, Teresa. - Ray chinò un po' il capo per
poter avere gli occhi alla stessa altezza di quelli della collega. -
Sei sicura di sentirti bene? Ti vedo un po' distratta. -
- Sto benissimo. - Rispose Teresa, piccata. - E no, non ci sono
novità. Se ci fossero, te le avremmo comunicate. -
- D'accordo, d'accordo! Chiedevo solamente! Non è necessario
essere così scontrosi! - Esclamò Ray ridendo.
- L'indagine è sotto la nostra giurisdizione, comunque,
perciò non sono tenuta ad aggiornarti. -
- Ed è qui che ti sbagli. - Replicò Ray. - Sono
passato un attimo fa dal capo e gli ho chiesto di poter collaborare.
Conoscevo bene Doyle e conosco le procedure del CBI: il mio aiuto
potrebbe farvi comodo. -
L'idea di dover sopportare Ray Haffner per l'intera durata del caso
fece venire a Teresa l'improvvisa voglia di chiudere la questione nel
minore tempo possibile. Si sforzò di sorridere nel modo
più naturale che le riuscì e disse:
- Bene. In questo caso sono… sono contenta di averti a
bordo. Ci sarai d'aiuto. Se vieni di là, i ragazzi ti
aggiorneranno sul caso. -
- Con molto piacere. -
Mezz'ora più tardi la squadra stava riassumendo a Ray e
Teresa gli ultimi movimenti dei sospetti:
- La signora Stan è rimasta in casa tutto il giorno,
Mendelev è stato visto lavorare alla sua officina. - Disse
Grace. - Non hanno fatto niente di sospetto, nè telefonate
nè incontri fuori dal comune. -
- Io e Rigsby siamo andati a parlare con i vicini di casa di Doyle. -
Intervenne Kimball. - E ci hanno detto che non vedevano mai nessuno a
casa sua: usciva alla mattina presto e rientrava a metà
pomeriggio, sempre da solo. Conduceva una vita molto ritirata. -
- Nel pomeriggio andiamo a parlare con la vicina di casa che gli dava
una mano con le faccende domestiche. - Concluse Wayne. - Ma non
c'è molto su cui lavorare. -
In quel momento Teresa vide Patrick comparire in corridoio assieme a
una ragazza dai capelli neri e ondulati. Al consulente bastò
uno sguardo per dirle che l'avrebbe aspettata nel suo ufficio assieme
alla babysitter di Dorothy.
- Devo andare. - Disse Teresa alzandosi.
Il gesto improvviso fece voltare tutti verso di lei: nei loro sguardi
c'erano sopresa e perplessità e Teresa si ritrovò
costretta ad abbozzare una giustificazione.
- Devo sbrigare delle cose piuttosto urgenti. - Disse. Poi si rivolse a
Ray con il migliore dei suoi sorrisi. - E poi siete in ottime mani,
potete fare a meno di me per un'ora. -
- Sapete che vi dico? Teresa ha ragione. - Disse Ray. - Possiamo
sbrigarcela anche da soli: io vado a fare visita alla villa di Lisa
Stan, forse qualcuno dei suoi maggiordomi sa qualcosa. -
- È una buona idea. - Convenne Teresa. - VanPelt, va' con
lui: magari la singora Stan sarà più espansiva
con una donna. -
Soddisfatta per essersi liberata dalla situazione scomoda senza troppi
problemi Teresa si affrettò nel suo ufficio, entrando e
chiudendo le veneziane.
Juliet era seduta sul divano accanto a Patrick e pareva molto nervosa:
si guardava attorno con occhi saettanti pieni di ansia e non faceva
altro che arrotolarsi una ciocca di capelli attorno alle dita.
- Ciao, Juliet. - La salutò Teresa.
- Agente Lisbon. Sono... sono così confusa, cosa ci faccio
qui? Il suo collega mi ha fatto salire in macchina mentre tornavo a
casa da scuola e non mi ha spiegato niente. Si staranno preoccupando
tutti, le mie amiche penseranno che sono stata rapita! -
Guardò Teresa, poi Patrick, poi di nuovo Teresa. La sua voce
tremava appena quando chiese: - È successo…
È successo qualcosa a Dorothy? -
- È buffo che tu me lo chieda, visto che ieri pomeriggio sei
stata tu l'ultima a vederla. - Fu la risposta di Teresa.
- Io non vedo Dorothy da una settimana! - Esclamò Juliet.
- Da una settimana? Non sei andata a prenderla a scuola, ieri? Ti avevo
telefonato e mi avevi detto che te ne saresti occupata tu! -
- Sono andata a scuola. - Disse Juliet, stringendo nervosamente le mani
l'una nell'altra ma trovando il coraggio di guardare Teresa dritto
negli occhi - Ma Dorothy era già uscita. -
- Non avrebbero mai fatto uscire una bambina da sola. - Intervenne
Patrick.
- No, ovviamente no. Quando non l'ho vista uscire sono entrata, sono
arrivata fino alla classe e lì la maestra mi ha detto che
l'aveva consegnata al padre, mezz'ora prima della fine delle lezioni. -
Il gelo scese sulla stanza.
- Al padre? -
- Io lo so che lei non ha un compagno, agente Lisbon. - Disse Juliet. -
Cioè, io… magari mi sbaglio, è solo
che penso… pensavo che Dorothy non avesse un padre. -
Teresa e Patrick si scambiarono uno sguardo e Juliet si girò
verso Patrick alla ricerca di una risposta alla sua affermazione.
- Il padre di Dorothy è in prigione. - Rispose il consulente.
- O almeno è dove pensiamo che sia. - Intervenne Teresa. -
Quindi tu dici che Dorothy è con suo padre? -
- Così mi ha detto la signora Scheer. -
- Forse è il caso di controllare se McDale è
ancora dietro le sbarre. - Disse Patrick.
- Credo sia una buona idea. - Rispose Teresa.
- Io intanto riaccompagno Juliet a casa. Credo non le
dispiacerà un'altro giro sulla mia auto. -
Replicò Patrick con un sorrisetto, prendendo le chiavi
dell'auto dalla tasca della giacca e osservando gli occhi di Juliet
luccicare di entusiasmo.
La ragazza si alzò e fece per seguire Patrick fuori dalla
porta, ma proprio all'ultimo momento si girò e
tornò da Teresa. I suoi occhi scuri erano di nuovo colmi di
preoccupazione mentre parlava:
- La prego, agente Lisbon… mi avverta quando la trovate. -
- Te lo prometto. - Disse con un sorriso tirato.
- Grazie. - Disse Juliet con un sospiro. - Dorothy è una
bambina sveglia, comunque. Sono sicura che sta bene. -
Teresa ebbe un istante di esitazione, prima di rispondere con voce
incerta:
- Ma sì, certo. -
Rieccomi
a casa!
Ho passato un bellissimo mese di vacanza, tra montagna, campagna e
Sarajevo!
La vacanza con i miei amici dell'oratorio è stata tremila
volte più bella di come mi immaginavo
e consiglio a chiunque di andare in Bosnia, se può: mai un
viaggio è stato tanto sorprendente e intenso!
Tornando alla nostra storia, spero che abbiate trovato i personaggi
abbastanza IC...
spero che il gesto di Jane non vi abbia scioccate troppo, io ce lo
vedevo e alla fine l'ho scritto.
Grazie infinite per aver letto e seguito la storia fin qui
e grazie il doppio a chi lascia anche un commento! Grazie di cuore,
davvero!
Flora
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Capitolo 7 *** Sette. ***
Patrick parcheggiò la sua Citroën azzurra davanti
alla scuola elementare di Dorothy e scese guardandosi intorno con aria
curiosa prima di avvicinarsi all'ingresso: il portone era aperto e gli
bastò spingerlo appena per ritrovarsi in un atrio quadrato
decorato da molti cartelloni colorati pieni di disegni e scritte
infantili. Il linoleum attutiva il rumore dei suoi passi e mentre si
avviava verso il corridoio Patrick si guardava attorno incuriosito: era
sempre affascinato dai luoghi dove i bambini "normali" trascorrevano la
loro infanzia.
- Mi scusi, lei sarebbe? - La voce di una inserviente corpulenta
interuppe il filo dei suoi pensieri.
- Patrick Jane, CBI. Cerco la signora Scheer. - Rispose l'uomo,
mostrando il tesserino senza scomporsi.
- Nessun esterno può entrare durante l'orario delle lezioni.
- Sbottò la donna, incrociando le braccia sul petto per
sembrare più temibile.
- Si tratta di un'indagine di polizia e ho urgentemente bisogno di
parlarle: potrebbero esserci degli innocenti in pericolo. -
La donna lo guardò di sbieco, poi gli fece cenno di seguirla.
- Per di qua. La classe della signora Scheer è quella in
fondo al corridoio. Ma sta ancora facendo lezione. -
Lungo il corridoio si sentivano il vociare dei bambini e i richiami
delle insegnanti, musica di flauti stonati e il rumore di passi, di
sedie e banchi trascinati. La classe della signora Scheer aveva un
enorme cartellone con un albero dalla chioma rossa appeso alla porta e
dall'interno venivano i suoni di bambini che ridevano e parlavano.
L'inserviente fece fermare Patrick appena al di là del
raggio di visuale della porta ed entrò nell'aula per parlare
con la maestra.
Il consulente, però, non riuscì a trattenersi e
fece un passo avanti, sbucando con la testa al di là
dell'uscio e attirando l'attenzione di una bambina bionda in prima fila.
- Ciao. Io sono Patrick. - Disse.
La bambina sollevò le sopracciglia con aria incredula e poi
tornò a colorare il suo disegno.
Patrick fece per entrare nell'aula ma una donna alta ed elegante sulla
cinquantina lo fermò prima che potesse continuare col suo
piano, afferrandolo per un braccio.
- Agente Jane, possiamo parlare fuori. - Disse.
- Non sono un'agente. E parliamo dove preferisce, basta che mi lascia
andare. - Rispose Patrick divincolandosi.
L'inserviente rimase nell'aula a tenere a bada i bambini mentre la
signora Scheer e Patrick parlavano nel corridoio.
- A cosa devo questa visita? - Disse la donna.
- Si tratta di Dorothy McDale. - Disse Patrick.
Immediatamente l'espressione della donna divenne preoccupata.
- Dorothy? Stamattina era assente… le è forse
successo qualcosa? -
- Lei è stata l'ultima persona a vederla, ieri pomeriggio. -
- Sì, ha fatto le ultime ore di lezione con me, ma
è uscita con suo padre mezz'ora prima del suono dell'ultima
campanella e non l'ho più vista. -
- Suo padre è in prigione, signora Scheer. Sono certo che
lei ne era al corrente. -
- In… in prigione. Ma certo. Pensavo che avesse…
che avesse scontato la pena… - La voce della maestra si
affievoliva sempre di più mentre capiva di aver fatto un
grosso sbaglio. - Ma dovevo immaginare che la signorina Lisbon me
l'avrebbe detto, se fosse stato così. Dio, come sono stata
sciocca. -
Sentendosi improvvisamente mancare le forze, la signora Scheer si
appoggiò all'albero appeso alla porta alle sue spalle.
- È molto importante che lei mi dica tutto quello che
ricorda dell'uomo che è venuto a prendere Dorothy. -
- Io… io non ricordo molto. -
- La prego. - Ribadì Patrick, prendendole una mano tra le
sue. - Ci vorranno solo cinque minuti e per Dorothy potrebbe fare
davvero la differenza. -
La donna sospirò e posò gli occhi su Patrick, poi
iniziò a parlare lentamente, guardando il linoleum sotto le
sue scarpe.
- La lezione era finita e stavamo riordinando l'aula, c'era molta
confusione. Hanno bussato alla porta, sono andata ad aprire e c'era un
uomo sulla trentina, alto e con le spalle larghe, con indosso una
camicia chiara e una giacca nera di pelle. Mi ha detto di essere il
padre di Dorothy e che se ne sarebbe occupato lui quel pomeriggio. Io
ho chiamato Dorothy, lei si è avvicinata, lui l'ha presa in
braccio, mi ha stretto la mano augurandomi buon pomeriggo ed
è uscito. -
Patrick rimase immobile, scrutando il volto della donna per un attimo.
- Non ricorda altro di lui? -
- No, ma… ma l'avevo già visto. All'ora di
pranzo. - Disse la signora Scheer, illuminandosi - Non so
perchè io non ci abbia pensato prima ma sì:
all'intervallo era fermo dietro la cancellata del cortile della scuola
e guardava i bambini giocare in compagnia di un'altra persona.
È strano, perchè la cancellata dà su
una via chiusa in cui non passa nessuno. -
- Saprebbe descriverlo? - Domandò Patrick, sentendo di
essere vicino a qualcosa di importante.
La signora Scheer però lo deluse, scuotendo la testa.
- No. Mi dispiace, ma non ricordo nulla del suo viso. L'ho visto per
troppo poco tempo. -
Patrick rimase in silenzio per un istante, poi strinse ancora la mano
della signora Scheer tra le proprie per farle un'ultima domanda:
- Dorothy voleva andare con suo padre? -
- Cosa, scusi? -
- Ha capito bene: Dorothy voleva andare con suo padre o è
stata portata via con la forza? -
- Non… non è stata costretta. Era in braccio a
suo padre quando mi ha stretto la mano. -
- Ne è certa? -
- Assolutamente. Non avrei mai fatto andare via Dorothy se non fossi
stata certa che sarebbe stata bene. -
- D'accordo. - Patrick lasciò andare la mano della maestra -
Grazie del suo aiuto. -
- Avrei voluto poter fare di più. -
- Ci è stata molto utile, signora Scheer, mi creda. - Disse
Patrick, allontanandosi.
- Signor Jane! - La voce dell'inserviente lo raggiunse quando era
già a metà corridoio. - Devo accompagnarla! -
- Conosco la strada! - Esclamò Patrick agitando una mano in
segno di saluto e continuando a camminare senza fermarsi.
Quando rientrò al CBI, fu fermato da Wayne:
- Dove sei stato? Lisbon è furibonda, non rispondevi al
cellulare! -
- Avevo delle cose da fare. -
- Ti conviene andare da lei. -
- Jane! - La voce di Teresa li interruppe e l'agente raggiunse Patrick
a grandi passi. - Dove diavolo ti sei cacciato? Sono due ore che ti
cerco! -
Wayne guardò rapidamente il suo capo e il suo collega, poi
se la svignò senza che nè l'uno nè
l'altra si rendessero conto della sua improvvisa assenza.
- Ho accompagnato Juliet a scuola e ho fatto una piccola deviazione
sulla via del ritorno. - Fu la giustificazione di Patrick, raccontata
con un sorriso leggero.
- Deviazione? -
Patrick le fece un cenno con la mano, come a dirle che non era
importante.
- Jane. Dove sei stato? -
- Da nessuna parte. -
- Che di solito vuol dire che sei stato in un posto in cui non ti avrei
dato il permesso di andare. -
- Invece di cercare sottintesi alle mie parole potresti dirmi se hai
scoperto qualcosa. -
- Non ho potuto: il caso Doyle ha la precedenza. - Rispose Teresa, ma
davanti all'occhiata allibita di Patrick aggiunse. - Ufficialmente,
almeno. Comunque stavo andando al carcere della contea. Vieni con me? -
- Come mai andate al carcere? - Domandò Ray, comparendo alle
spalle di Teresa.
- Indagini, ovviamente. - Disse Patrick.
- Non mi pare che nessuno dei sospettati sia in carcere. -
Replicò Ray, sollevando un sopracciglio.
- Nessuno dei vostri sospettati. Andiamo, Lisbon? - Rispose Patrick.
- Avete altri sospettati e non mi avete detto niente? - Ora Ray non era
più ammicante o stupito: sembrava solo molto irritato.
Teresa spostò rapidamente lo sguardo da lui a Patrick,
sperando di riuscire ad imbastire una bugia credibile.
- Non abbiamo ancora niente di serio, pensavo di battere questa pista e
poi metterti al corrente se si rivelava fondata. - Disse poi.
- Non state cercando di risolvermi il caso sotto il naso a mia
insaputa, vero? -
- Assolutamente no. - Fu la risposta di Teresa.
- Sai, non sarebbe la prima volta. - Sbottò lui, lanciando a
Patrick un'occhiata ostile.
- Non preoccuparti. Appena torneremo dal carcere ti faremo sapere
tutto. - Replicò Teresa con un mezzo sorriso.
- O forse no. - Sentenziò Patrick.
Teresa si voltò di scatto verso di lui e non ebbe bisogno di
parlare: i suoi occhi lo fulminarono in modo più eloquente
di qualunque rimprovero. Patrick alzò le mani in segno di
resa.
- Sei tu il capo. -
- Appunto, e si fa come dico io. -
Innanzitutto
voglio ringraziare ufficialmente Live
In Love e ILoveBooks
per la sua fedeltà nelle recensioni:
grazie, grazie di cuore!
Poi voglio ovviamente dedicare un grazie anche a tutti quelli che
leggono la storia in silenzio
e a chi si ferma ad aprirla anche solo per curiosità!
Portare avanti due indagini parallele, in questa storia, è
stato difficilissimo...
spero di riuscire a far incastrare tutti i pezzi a dovere in modo da
permettervi di risolvere il caso!
Flora
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Capitolo 8 *** Otto. ***
La macchina sfrecciava lungo la superstrada che collegava Sacramento al
carcere dove era detenuto McDale. Il silenzio aleggiava nella macchina,
ma non era la semplice mancanza di parole: Patrick e Teresa erano
entrambi immersi nei loro pensieri.
- C'è una cosa che non capisco. - Esordì Teresa
ad un certo punto. - Qual è il legame tra Frank McDale e
John il Rosso? -
Un istante di silenzio seguì le sue parole, poi Patrick
parlò in un sussurro.
- Dorothy. -
- Scusa? -
- L'unica cosa che li lega è Dorothy: Frank
perchè rivuole sua figlia e John perchè l'ha
presa. -
- Sì, ma perchè John avrebbe dovuto prendere una
bambina? Non ha fatto niente di male! Avrebbe dovuto prendere me al suo
posto! -
Teresa si voltò verso Patrick e lui non le rispose,
guardandola in silenzio.
- Scusami. - Disse, consapevole di cosa le stava dicendo il suo
consulente con gli occhi.
Teresa era consapevole che John il Rosso era un grande conoscitore
dell'animo umano: sapeva bene che colpire una persona vicina al proprio
nemico era molto peggio che colpire lui direttamente; la dimostrazione
dell'efficacia quel ragionamento era lì, seduta accanto a
lei, con occhi tristi che non riuscivano mai a sorridere davvero.
- Ma se fosse tutto un depistaggio? - Propose Teresa. - Se Frank McDale
avesse rapito Dorothy e avesse inscenato il rapimento da parte di John
il Rosso solo per spaventarmi e farmi passare la voglia di cercarla?
Forse lanciarci così a capofitto in un caso su John era il
suo piano fin dall'inizio… -
- E come avrebbe fatto ad arrivare a casa tua e a lasciare il disegno
con lo smile sul tuo letto? No, Frank McDale sarà anche
determinato, ma troppo sciocco e disorganizzato per fare una cosa del
genere. E poi, per quello che ne sappiamo noi, non si è mai
mosso dal carcere. Senza contare che se voglio fuggire con la bambina
di un agente di polizia l'ultima cosa che farei è fingermi
un serial killer ricercato dall'FBI: avrei troppi occhi addosso, mi
starebbe dietro troppa gente. Sono certo che ci sia davvero John il
Rosso dietro tutto questo: solo lui poteva aver interesse nel dirci di
avere con sè Dorothy, perchè pensava che
dicendocelo ci avrebbe fatto paura e che ci avrebbe tenuto in pugno. -
Sorrise appena, prima di aggiungere. - Ma non ha saputo prevedere la
reazione che avresti avuto. Hai stupito perfino me! -
Teresa colse lo scintillio negli occhi del suo consulente e fu
costretta ad abbassare lo sguardo, sorridendo imbarazzata al pensiero
di come Patrick aveva reagito alla sua presa di posizione contro il
serial killer.
L'automobile rallentò nel parcheggio del carcere e Teresa
spense il motore. Patrick aveva già aperto la portiera ed
era uscito, coprendo a grandi passi la distanza che lo separava
dall'ingresso. Mentre scalpitava sulla porta, Teresa capì il
perchè della sua irrequietezza.
- John è troppo furbo per essersi lasciato dietro delle
tracce, Patrick. - Gli disse con dolcezza. - Non sperarci troppo. -
- Non sto sperando. Sto facendo il mio lavoro: scoprire il colpevole,
arrestarlo e restituire una bambina alla sua famiglia. -
Teresa lo guardò seria.
- Non sperarci troppo comunque. -
Il portone di metallo si aprì e i due agenti entrarono nel
cortile. Nonostante fosse pomeriggio inoltrato il sole splendeva
impietoso in un cielo di un turchese intenso, riflettendosi sulle
finestre sigillate e sulle spesse porte di acciaio della prigione. Un
secondino accaldato li raggiunse e chiese loro di cosa avessero
bisogno: a Teresa bastò mostrare il tesserino del CBI per
essere portata dal direttore del carcere senza altre domande.
Il direttore era un omino basso e con il cranio lucido di nome August
Max. Indossava un paio di pantaloni di velluto a coste tenuti su da un
paio di logore bretelle e una camicia a righine.
- Buongiorno, agente Lisbon. A cosa devo? -
- Siamo qui per chiederle informazioni su uno dei vostri detenuti. -
- Ma certo. Di chi si tratta? - Disse August, aprendo il grosso faldone
che conteneva i fascicoli delle persone presenti in carcere.
- Frank McDale. -
Il direttore si prese qualche minuto per sfogliare i suoi documenti.
- Ah, sì, certo. Quarantotto anni, vedovo, una figlia di sei
anni. Era nella cella 61/b assieme a Roger Hoover. -
- Era detenuto? Non è più qui? -
- No, ha avuto un permesso di quattro giorni, è uscito due
giorni fa. Ha l'obbligo di firma ogni giorno alle 10 e alle 18 al
commissariato centrale di Sacramento ed è piantonato da due
agenti all'ingresso del condominio. -
Teresa si voltò verso Patrick, lanciandogli un'occhiata
sgomenta. Patrick sembrava ancora più confuso e scioccato di
lei da quella notizia.
- McDale ha ucciso due persone, ha venduto sua figlia e adesso esce in
permesso? - Domandò Teresa al direttore.
- Sa, agente Lisbon, io di detenuti ne ho visti tanti… ma
nessuno è stato trasformato dalla detenzione quanto Frank
McDale. Quando è arrivato era un uomo distrutto, disperato e
arrabbiato col mondo. Risse, tentativi di evasione, minacce…
comportamenti inaccettabili sotto ogni aspetto: la cella di isolamento
era diventata la sua cella abituale. - Disse il direttore, sedendosi
più comodo sulla sua sedia e guardando Teresa con
serietà. - Ma poi, lentamente, ha iniziato a ravvedersi. Si
è calmato, ha iniziato ad essere conciliante, a
ragionare… a diventare perfino una guida per i detenuti
più chiassosi e rissosi. Riusciva ad aver ragione anche
delle persone peggiori e aveva iniziato a intrattenere fitte
corrispondenze con molte persone al di fuori del carcere. Quattro
giorni fa abbiamo avuto la richiesta di permesso per una testimonianza
e l'abbiamo accolta, non c'era motivo di negarla. Se lo vedesse,
agente, concorderebbe con me sul suo cambiamento. -
- Di che testimonianza si trattava? - domandò Teresa.
- Aveva un incontro con alcuni studenti a proposito delle
possibilità di ravvedersi dopo il carcere. Un incontro
importante e istruttivo, era importante che i ragazzi potessero avere
una prova concreta della possibilità di un uomo di rifarsi
una vita. -
- L'uomo che avete lasciato in libertà è
pericoloso. Incontro o no, l'avete messo in condizioni di fare ancora
del male. - Disse Teresa, gelida.
- Lei è credente, agente Lisbon? - Domandò il
direttore. - Forse non ci viene insegnato che con il pentimento e la
conversione non possiamo trasformarci da peccatori a persone in cerca
di luce e portatrici di luce? -
A quelle parole Patrick smise di gironzolare per la stanza guardando i
quadri e si avvicinò al tavolo.
- Come ha detto, scusi? -
- Ho detto che con il pentimento e la conversione… -
- Ha detto "portatrici di luce", vero? -
- Sì, è quello che ho detto, signor Jane. Come
mai tutto questo interesse? -
- Niente, niente. Lisbon, vieni, andiamo. - Disse Patrick
all'improvviso, affrettandosi verso la porta e spalancandola sotto gli
occhi esterrefatti dell'agente e del direttore del carcere.
- Jane. -
- Abbiamo finito, qui. Andiamo. Abbiamo molte cose da fare. -
- Jane, ti ho già spiegato che… -
- Mi puoi sgridare anche in macchina. Forza. - Disse precedendola nel
corridoio.
Senza capire perchè lo stesse assecondando per l'ennesima
volta, Teresa si alzò.
- Grazie per il suo aiuto. - disse, stringendo la mano al direttore -
Ci è stato molto utile. -
- È sempre un piacere aiutare dei colleghi. - Fu la
risposta. - Se avete bisogno, sapete dove trovarmi. -
Scesero precipitosamente le scale e mentre Teresa faticava a tenere il
passo di marcia del suo consulente, Patrick non sembrava intenzionato a
rallentare. Quando arrivarono alla macchina, però, Teresa si
mise tra lui e la portiera.
- Non ci muoviamo da qui se non mi dici cosa sta succedendo. -
- Non c'è tempo. Dobbiamo tornare a Sacramento e trovare
McDale. -
- Jane, esigo una risposta. Adesso. -
Patrick sospirò.
- Quell'allusione alla luce. - Spiegò. - Il direttore del
carcere è un membro della Visualize. E dalle sue parole
credo che anche Frank McDale lo sia, adesso. E dobbiamo tornare
indietro perchè, se è come penso, il direttore
starà già chiamando il suo contatto a Sacramento
in modo da far sapere a McDale che siamo sulle sue tracce.
Così potrà scappare, facendo sparire qualunque
pista. -
Teresa rimase un istante immobile a immagazzinare quelle informazioni,
poi si riscosse e si affrettò dal lato del guidatore,
mettendo in moto in fretta e sgommando mentre ripartiva alla volta di
Sacramento.
Avevano fatto non più di due chilometri verso la base quando
il telefono nella tasca di Teresa iniziò a suonare.
- Lisbon. - Rispose Teresa, sperando che fosse una telefonata breve.
- Capo, la polizia di Sacramento ha mandato un fax. - La voce
di Grace dall'altra parte era turbata, scioccata e incredula insieme. -
È stato trovato un cadavere alla periferia della
città. -
- Dì loro che abbiamo già un caso e
che… -
- Capo. - La interruppe Grace, con voce grave. - È Frank
McDale. È il padre di Dorothy. -
Teresa si voltò verso Patrick, guardandolo sgomenta.
Lo
so che i capitoli sono molto corti, ma è la
suspance a obbligarmi a dividerli!
Comunque ho deciso che aggiornerò un paio di volte alla
settimana, in modo da non trascinare troppo a lungo questa storia...
Nel frattempo vi comunico che ho scoperto chi è John Il
Rosso... e devo dire che la mia versione della storia mi piace molto ma
molto di
più.
Presto inizierò gli episodi del post Red-John, che spero non
mi deluderanno (anche se ho ricevuto spoiler molto Jisboniosi ^^)
L'università sta per ricominciare, il mio oratorio
è in fermento per la festa annuale e mi sto appassionando a
Bones e Chicago Fire:
il tempo per The Mentalist si riduce a vista d'occhio!
Grazie a chiunque si sia fermato a leggere... e soprattutto a chi
lascia un commento!
Naturalmente sono curiosa di sentire le vostre teorie a proposito di
entrambi i casi! ;)
Il prossimo aggiornamento sarà il 17
settembre...
e andremo sulla scena del crimine di McDale.
Flora
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Capitolo 9 *** Nove. ***
Il vicolo cieco era sporco e buio, nonostante il pomeriggio fosse pieno
di sole. Non c'erano lampioni e l'unica cosa che riempiva il piccolo
spazio tra i due condomini vicini era una scala antincendio di
alluminio e una serie di cassonetti per l'immondizia che riempivano
l'aria di odore acidulo e riversavano rivoletti di unto sull'asfalto.
In sottofondo lo sferragliare dei treni rivelava le vicinanze di una
ferrovia.
Un nastro giallo e nero chiudeva l'ingresso al vicolo e due volanti
della polizia di Sacramento erano posteggiate appena fuori; un gran via
vai di agenti si affaccendava per tenere i curiosi lontani ed
effettuare i primi rilievi.
Teresa e Patrick lasciarono la macchina in doppia fila e si
precipitarono nel vicolo, incuranti del nastro e della polizia.
- Ehi, voi due, dove credete di andare? - Esclamò un agente,
acciuffando Patrick per un braccio.
- Siamo agenti del CBI. Beh, per la verità lei è
un'agente del CBI. - Disse indicando Teresa, già arrivata a
metà del vicolo - Io sono solo un consulente, ma…
-
Non gli servì finire la frase, perchè il
poliziotto lo lasciò andare e Patrick potè
raggiungere Teresa, la quale stava battibeccando con il comandante
della pattuglia per potersi avvicinare di più.
- Il caso non è del CBI, agente Lisbon, mi dispiace. -
- McDale è una nostra vecchia conoscenza: vorremmo solo dare
un'occhiata, non interferiremo nelle indagini, glielo assicuro. -
Patrick li raggiunse e li superò con aria disinvolta senza
degnarli nemmeno di uno sguardo.
- Ehi! Non può andare oltre! - Esclamò il
comandante.
Patrick aveva deciso però che c'erano cose ben
più importanti da fare che non ascoltare qualcuno che voleva
dargli ordini.
Si fermò a un passo dal corpo di McDale, chinandosi per
osservarlo meglio: era steso a terra con gli arti scomposti, l'asfalto
intriso di sangue sotto il suo corpo, gli occhi sbarrati rivolti al
cielo e il viso contratto in una smorfia di dolore.
- Jane, non potevi passare! - Esclamò Teresa, più
per dovere che per vero rimprovero.
- Sempre meglio chiedere il perdono che il permesso, Lisbon. -
Sentenziò lui.
Alle spalle di Teresa l'agente in comando stava brontolando al telefono
e Teresa disse:
- Abbiamo cinque minuti prima che il capo mi chiami per dirmi di
lasciare questo posto a chi è di competenza. Dobbiamo
muoverci. -
Senza farselo ripetere due volte, Patrick alzò gli occhi per
capire da dove era precipitato.
- Allora? - Lo incalzò Teresa.
- Non è stato un incidente. -
- E lo dici perchè… -
- Perchè incidente significa sporgersi troppo e sporgersi
troppo implica finire proni, non supini. Lui è
indietreggiato, indietreggiato fino a precipitare. Lo dice anche lo
sguardo di terrore nei suoi occhi. -
- Che non può essere causato semplicemente dal fatto di
stare precipitando? - Domandò Teresa polemica, alzando un
sopracciglio.
- Non ha avuto il tempo di realizzarlo. È caduto dal secondo
piano. - Rispose Patrick.
Stavolta Teresa lo guardò sbattendo le ciglia, sinceramente
ammirata.
- E questo come lo sai? -
- Perchè è l'unica finestra da cui si stanno
affacciando degli agenti. - Disse Patrick con un sorrisetto, indicando
il palazzo alle spalle della sua collega e i due ragazzi in divisa che
si sporgevano da una finestra per guardare nel vicolo.
Teresa ebbe appena il tempo di alzare gli occhi al cielo prima di
sentire il telefonino vibrare.
- Lisbon. - Rispose a malincuore.
La voce irata del capo la costrinse a scostare il telefono
dall'orecchio e a fare cenno a Patrick di seguirla. Gli sguardi degli
agenti della polizia di Sacramento li seguirono con lo sguardo mentre
si allontanavano, ascoltando compiaciuti Teresa che si scusava
ripetutamente al telefono per essere andata oltre le proprie competenze.
La sera era scesa su Sacramento e il cielo era indaco e turchese. Le
prime stelle si accendevano ad est e il traffico si stava
intensificando, mentre la gente si affrettava verso casa.
Anche la palazzina del CBI si era svuotata, solo la luce nell'ufficio
di Teresa era ancora accesa: Patrick le aveva rifilato metà
dei fascicoli sui dipendenti della Visualize per scoprire dove si
nascondeva John il Rosso e insistere sul fatto che avevano sfogliato
inutilmente quei file migliaia di volte era stato come parlare al vento.
- Un'ultima occhiata, Lisbon. Solo un'ultima occhiata. - Le aveva detto
con quei suoi intensi occhi azzurri.
E come le capitava spesso, Teresa si era ritrovata a sospirare e
accettare. Seduta alla sua scrivania con una enorme tazza di
caffè davanti, aprì il primo file e si mise a
rileggere i dati su uno dei giovani membri della Visualize. Bevve un
sorso di caffè dando un'occhiata all'orologio: erano solo le
nove, ci sarebbe voluta tutta la notte.
Grace entrò nell'ufficio del suo capo con un sorriso gentile.
- Capo, io e Rigsby siamo di turno per tenere sotto controllo i
telefoni della Stan e di Mendelev. - Disse con dolcezza. - Se vuoi
possiamo sbrigare un po' di lavoro per te, così puoi andare
a casa. -
Teresa la guardò colpita e Grace si accorse dello stupore
nei suoi occhi.
- Pensavamo che forse ti piacerebbe passare più tempo a
casa, adesso. - Spiegò con un sorriso.
- È un pensiero gentile, Grace, ma preferisco pensarci io. -
Disse Teresa, suonando molto più fredda di quanto avesse
voluto per non permettere alla voce di incrinarsi al pensiero della
casa vuota che l'aspettava al suo rientro.
Grace rimase un attimo in silenzio, spiazzata da quella reazione, poi
si sforzò di sorridere.
- Se cambi idea siamo di là. -
Teresa rimase seduta alla scrivania quasi un'ora, sfogliando file su
file senza leggerli con troppa attenzione. Era molto stanca, la sera
prima non aveva dormito quasi per niente e la giornata si era rivelata
molto più faticosa del previsto. Si sorprese a guardare
sempre più spesso l'orologio e a valutare seriamente la
proposta di Grace.
Certo, non sapeva come spiegare loro quell'improvviso interesse per la
Visualize e John il Rosso… ma dopotutto poteva inventare
qualunque cosa e Wayne e Grace non avrebbero fatto domande: non era la
prima volta che si buttavano in una ricerca non autorizzata. E poi, a
ben guardare, quella ricerca non era neanche un suo dovere: era solo
per fare contento quell'insopportabile consulente che riusciva sempre a
fare il bello e il cattivo tempo nella sua vita. Poteva benissimo
lasciarla a metà.
Nonostante il timore del silenzio che regnava a casa, Teresa
pensò che con la mente riposata sarebbe riuscita a trovare
qualche nuovo indizio con più facilità; qualche
minuto più tardi comparve nell'open space con la giacca in
mano e la borsa a tracolla.
- Credo che andrò a casa, ho bisogno di riposarmi un po'. -
Disse. - Se volete sulla mia scrivania ci sono dei fascicoli da
guardare. Stiamo cercando nuove connessioni tra John il Rosso e la
Visualize. -
Grace e Wayne si scambiarono uno sguardo e poi guardarono Teresa, ma
non chiesero spiegazioni.
- D'accordo. Faremo del nostro meglio. - Disse Grace con un sorriso. -
Buonanotte, capo. -
- Grazie, ragazzi. Buonanotte. - Rispose Teresa.
Quando uscì dall'edificio del CBI per dirigersi a casa si
rese conto di aver inconsciamente tirato un sospiro di sollievo.
Wayne sfogliava svogliatamente le pagine del fascicolo che aveva
davanti mentre aspettava che Grace tornasse con i due caffè
doppi che aveva promesso. Il rumore di passi affrettati sul linoleum lo
fece trasalire: si mise composto e si sfregò gli occhi,
cercando di non sembrare troppo assonnato.
- Jane. - Disse quando vide il consulente apparire sulla porta
dell'open space.
Nonostante fosse notte fonda Patrick non sembrava nè stanco
nè insonnolito, anzi: pareva in agitazione.
- Lisbon. Dov'è Lisbon? -
- È andata a casa. - Disse Grace comparendo alle sue spalle
con una tazza di caffè in ogni mano. - Era stanca e ha
lasciato a noi il suo lavoro. -
- A casa? - Domandò Patrick, la voce alterata.
- Sì. - Disse Grace, scioccata da quella reazione. - Ma che
succede? -
- Con tutto il lavoro da fare che le ho lasciato è andata a
casa? - Domandò ancora Patrick.
- Ci siamo offerti di aiutarla e… - Tentò Grace,
ma fu subito interrotta:
- Quanto tempo fa è andata via? - Domandò Patrick.
- Verso le nove. - Intervenne Wayne. Ora anche lui era preoccupato. -
Jane, è tutto a posto? C'è qualcosa che dobbiamo
sapere? -
Jane si voltò e si diresse verso l'ascensore senza
rispondere a nessuna domanda.
Mentre la sua Citroën azzurra sfrecciava nel buio di
Sacramento superando di gran lunga ogni limite di velocità
Patrick teneva una mano sul volante e una sul cellulare, richiamando
Teresa ogni volta che il telefono si ostinava a dirgli che "il numero
da lei chiamato è spento o non raggiungibile".
- Rispondi, Lisbon, accidenti. -
L'auto inchiodò davanti all'ingresso del complesso
residenziale dove abitava Teresa e Patrick scese in fretta. Non si
curò nemmeno di spegnere i fari o di chiudere la macchina:
raggiunse la porta e si lanciò verso il campanello, sperando
di svegliare la proprietaria e di ricevere i suoi insulti. Dopo cinque
minuti di insistente scampanellio, però, dovette ammettere
che in casa non c'era nessuno. Nessuno che potesse rispondere, per lo
meno.
Prese il cellulare provando a telefonare ancora, sperando di sentirsi
dire da Teresa che non era tornata subito a casa e che era altrove, ma
proprio mentre stava per avviare l'ennesima chiamata i suoi occhi acuti
notarnono uno scintillio vicino allo zerbino.
Riattaccando bruscamente, si chinò e sfiorò con
le dita il piccolo oggetto che rifletteva la luce fioca dei lampioni,
sollevandolo per guardarlo meglio.
Era un piccolo crocefisso d'argento con l'anellino spezzato. Le sottili
decorazioni d'argento e i minuscoli zirconi che lo decoravano erano
incofondibili: era il crocefisso preferito di Teresa, quello che aveva
ereditato da sua madre. Lo portava raramente, solo nei momenti in cui
sentiva di avere più bisogno di forza; come quando decidi di
tornare al lavoro dopo aver scoperto che la tua bambina è
stata rapita da un serial killer, per esempio.
Patrick strinse il ciondolo nel pugno, pensando che non poteva essere
caduto da solo: Teresa non se ne sarebbe mai separata. Le punte del
crocefisso affondarono nel suo palmo quando capì cosa voleva
dirgli: non si era allontanata di sua spontanea volontà.
Due
capitoli in uno, stavolta!
Prendetelo come un... doppio episodio!
(Tra l'altro stasera c'è The Mentalist su Rete4... ho deciso
che guarderò il resto degli episodi in tv)
Ringrazio chiunque si fermi a leggere e a chi troverà il
tempo per un piccolo commento.
Il prossimo aggiornamento sarà il 20
settembre
(prima della festa dell'oratorio che mi prenderà molto tempo)
... e le indagini saranno costrette a prendere un ritmo più
serrato.
Il tempo stringe.
Flora
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Capitolo 10 *** Dieci. ***
Il sole non era ancora sorto su Sacramento, quando Patrick
suonò il campanello della guardiola del carcere. Il
secondino del turno di notte andò ad aprire con gli occhi
stanchi e la barba non fatta.
- Non è orario di visite. -
- Mi faccia entrare. Devo parlare coi detenuti. -
- Ripassi ad un'ora decente. - Sbottò la guardia, chiudendo
lo spioncino della guardiola.
Per tutta risposta Patrick tornò ad attaccarsi al campanello.
- Le ho detto di ripassare più tardi! -
- Devo parlarci adesso. Ci sono delle persone in pericolo. È
importante. -
- Non ho nessuna intenzione... -
- Senta, mi rendo conto che è stanco e che le tocca fare il
turno di notte perchè temono che se ha a che fare con
qualcuno gli metterebbe le mani addosso a causa di tutta quella rabbia
repressa difficile da controllare. Ma nessuno capisce che lei ha
ragione, che dopotutto arrivare alla sua età senza aver
avuto nessuna possibilità di carriera è dura.
Dimostri loro che sbagliano, che sa avere a che fare con le persone. Mi
lasci entrare. -
Il secondino lo guardò con gli occhi sbarrati per un
secondo, sbattè le ciglia e poi sparì dallo
spioncino. La porta si aprì grattando e Patrick
entrò.
- Lei è un sensitivo? - Domandò la guarda, tra
l'incredulo e l'ammirato.
- No. Ma lei è gentile. Grazie. - Fu la risposta del
consulente, che si affrettò a coprire la distanza tra il
cancello e l'edificio prima di venire fermato da altre domande.
Si intrufolò nell'edificio e riuscì ad incantare
la guardia al cancello con il tesserino del CBI e qualche parola
delicata, facendosi accompagnare senza troppi problemi dall'ultimo
compagno di cella di Frank McDale. Il galeotto - Roger Hoover - era un
ragazzo sui trenta, con lunghi capelli unticci e le braccia coperte di
tatuaggi e cicatrici. Quando fu svegliato dal rumore della cella che si
apriva non sembrava particolarmente felice di quella visita inaspettata.
- Ciao. - lo salutò amichevolmente Patrick.
L'uomo grugnì, sfregandosi gli occhi.
- Tu conosci Frank McDale, giusto? -
- Dipende perchè lo vuoi sapere. -
Fu il secondino a rispondere:
- È morto. -
Patrick gli lanciò un'occhiata di disapprovazione:
- Certe notizie vanno date con tatto. - Lo riprese. Poi si
avvicinò al ragazzo e si accovacciò di fronte a
lui per guardarlo negli occhi. - Ascoltami bene, Roger. Frank
è stato ucciso e io voglio scoprire chi è stato,
ma per farlo devo sapere chi incontrava qui in carcere. -
- Gente. -
- Che tipo di gente? -
- Gente tirata. Scarpe lucide, capelli in ordine, camicia bianca. Uno
di 'sti figli di papà con la puzza sotto il naso che si
vedono nei notiziari. -
- Era uno della tv? -
- Era per dire. - Sbottò Roger - Una "faccia da notiziario".
-
Patrick rimase un secondo in silenzio, riflettendo.
- A te non piaceva, vero? -
- Quelli vengono per tutti noi. I tipi tirati, intendo. Vengono, ti
parlano... si sentono Gesù Cristo che converte i peccatori.
Tutti coi loro bla bla bla, che possiamo avere e fare ed essere... le
chiacchiere di chi non sa cosa vuol dire prendersi un coltello nella
pancia. Gente tirata. Gente bene, di quella che con i bigliettoni da
cento euro ci si pulisce quando va al cesso. -
- Che diritto ha gente così di venirvi a dire cosa dovete
fare? - Domandò Patrick.
- Nessuna! - Sbottò Roger, gli occhi accesi dall'entusiasmo.
- Nessuna, dico io. Di solito vengono tre, quattro volte…
alla quinta se ne vanno col naso rotto o un braccio lussato e non
tornano più. -
- Ma Frank li ha ascoltati. -
- Non subito. Il primo a venire è stato un ragazzetto che
non sapeva di niente. Frank non lo voleva nemmeno ascoltare e lo
insultava tutte le volte. Più di una volta ha tentato di
mettergli le mani addosso... ma poi è arrivato 'sto
fotomodello. E allora lì Frank si è messo in
testa idee strane. E ha smesso di piacermi. -
- È cambiato? -
- È diventato un'altra persona! Tutto con 'sti discorsi
filosofici sul redimersi, sull'avere un'altra occasione, una nuova
vita… sull'immaginare un "te migliore per un futuro
migliore". -
- Ti ha mai detto come si chiamava? L'altro, intendo. -
Roger scosse la testa.
- Quanto attaccava con quelle frottole lo minacciavo di spaccargli
tutti i denti. Di solito taceva, ma durava due giorni al massimo. Poi
ricominciava. - Rispose. - Diceva sempre che 'sta religione a cui si
era votato l'avrebbe portato fuori di qui. Non ci ho creduto
finchè non l'ho visto uscire davvero, con la sua valigetta e
tutto… e prima del tempo! -
- Prima del tempo? -
- Sì. Mi aveva detto che stava organizzando di andare fuori
in autunno. Ma poi è arrivata 'sta chiamata e lui era
terribilmente gasato. Negli ultimi giorni non parlava d'altro. Non di
uscire, eh. Di parlare con quattro mocciosi del fatto che "puoi davvero
cambiare te stesso". Come se fosse davvero possibile. - Disse Roger
sconfortato.
In quel momento il suono del campanello che svegliava i detenuti fece
riscuotere il secondino dal mezzo stato di trance con cui Patrick
l'aveva convinto ad accompagnarlo alla cella.
- Bene, la visita è finita. - Sbottò, afferrando
Patrick per un braccio.
- Ok, ok, non mi trascini. Cammino da solo. - Disse l'uomo.
Appena prima di andarsene, però, Roger disse:
- È stato lui ad uccidere Frank. Il tizio ben tirato. -
- Come lo sai? -
- Io sono cresciuto per strada. Voi saprete tanto di indagini e di
leggi, ma io riconosco subito un assassino, quando lo vedo. -
Lo scambio di sguardi che seguì durò meno di un
secondo, ma fu molto più intenso di una stretta di mano.
Mentre guidava verso Sacramento, Patrick non guardava veramente la
strada. I suoi pensieri erano così densi nella sua mente che
stava perfino rispettando i limiti di velocità, viaggiando a
velocità di crociera sulla corsia di destra e lasciandosi
superare da chiunque.
All'improvviso inchiodò, ritrovandosi il conducente della
Jeep alle sue spalle praticamente nel cofano della macchina. Il suono
di un clacson anticipò il rumore di una portiera che si
apriva e si chiudeva sbattendo, ma Patrick non aspettò di
vedere il conducente per rimettere in moto.
Alzando una mano per scusarsi, fuggì sgasando lungo la
strada, spostandosi rapidamente a sinistra per imboccare la prima
uscita utile in direzione di Monterey.
Ripercorrendo tutte le tappe della sua indagine si era soffermato sulla
visita alla scuola di Dorothy, sulla sua maestra e sul dialogo che
avevano avuto fuori dalla porta.
E lì si era reso conto di una cosa, di una piccola
coincidenza - se le coincidenze esistevano davvero - che gli aveva
richiamato alla mente il cadavere di Warren Doyle. Era solo un
piccolo, ininfluente dettaglio. Una di quelle piccole cose
che però rientravano perfettamente nello stile di John: il
suo amore per i dettagli, la scelta di location, luci e momenti
appropriati per tutto… lui non lasciava mai niente al caso.
Niente, nemmeno il luogo dove lasciare un cadavere perchè
venisse ritrovato.
Con
qualche ora di ritardo, ecco il nuovo capitolo!
L'indagine procede, ora dovreste avere in mano tutti gli elementi
necessari a svelare il colpevole...
riuscire ad arrivare alla soluzione del caso prima di Jane è
una delle cose che mi gasa di più, a voi no?
Grazie ad I
Love Books
e alle sue bellissime e costanti recensioni e a tutti quelli che
leggono anche senza commentare!
il prossimo capitolo vedrà un sopralluogo su una scena del
crimine e dovrei pubblicarlo verso il 24
settembre!
Ormai la storia si avvia (ahimè) alla sua conclusione.
Flora
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Capitolo 11 *** Undici. ***
Quando Patrick rientrò al CBI era pomeriggio inoltrato.
- Dove sei stato? - Domandò Wayne quando lo vide entrare
nell'open space.
Per tutta risposta Patrick gettò la giacca su un bracciolo
del divano e si distese, stiracchiandosi con aria compiaciuta.
- A fare un giretto. È una giornata così bella! -
Rispose.
- Lisbon era con te? - Chiese Grace.
Patrick li guardò fingendo sorpresa.
- No, perchè dovrebbe essere stata con me? -
Domandò con falsa innocenza.
- Non si è vista per tutto il giorno. - Replicò
Kimball, alzando per un attimo lo sguardo dal suo pc e dimostrando
così anche lui una certa preoccupazione.
- Conoscete Lisbon. Non si assenta mai senza una buona ragione. -
Minimizzò Patrick. - Anche l'ultima volta eravamo tutti
preoccupati e poi è arrivata solo un po' in ritardo. -
- Nessuno l'ha vista nè sentita da ieri sera, quando
è uscita dal CBI verso le nove. - Iniziò Grace.
- E tu sei corso dietro di lei preoccupato come non mai. Che succede,
Jane? - Concluse Wayne.
- Non ero preoccupato. -
- È inutile che tenti di negare: la tua faccia parlava da
sola. - Intervenne Grace.
- Chi è che parlava da solo? - Ray comparve in quel momento
nell'open space con una tazza di caffè in mano e la giacca
nell'altra.
- Lisbon non si vede da stamattina. Siamo preoccupati. - Disse Kimball,
asciutto.
Ray li guardò tutti, uno dopo l'altro, con aria scioccata.
Poi si lasciò andare ad una risata.
- È un'altro dei tuoi giochetti, vero Jane? Ma stavolta non
me la farai sotto al naso: l'ultima volta ho fatto talmente tanto la
figura del cretino che non mi giocherai un'altro brutto scherzo! -
Disse cercando di fingere allegria.
- Hai ragione. - Replicò Patrick con un mezzo sorriso. -
Almeno sul fatto che l'altra volta hai fatto proprio la figura del
cretino. -
I tre membri della squadra si aspettavano una reazione, ma Ray
dimostrò un notevole autocontrollo, incassando il colpo e
limitandosi a lanciargli un'occhiata tagliente. Poi si diresse con
disinvoltura verso la scrivania di Wayne e gli chiese il resoconto
della nottata di indagini.
Patrick si stese sul divano, pronto ad un po' di riposo fisico mentre
metteva a punto il suo piano, ma ad un certo punto Ray disse una frase
che lo fece saltare subito in piedi, dimentico dei suoi progetti di
pisolino.
- Rigsby, VanPelt: andate all'appartamento che Doyle usava come
appoggio qui a Sacramento e vedete se c'è qualcosa di utile.
È sulla North Bridge. Cho, a te il prossimo turno di
controlli telefonici sulla Stan e Mendelev. -
Wayne e Grace si guardarono con occhi stanchi: dopo una notte quasi
insonne e solo una manciata di ore di riposo durante la mattina non
erano proprio pronti a fare un sopralluogo.
- Grace, rimani. - Disse Patrick affabile. - Vado io con Rigsby. -
Ray aprì la bocca per parlare, ma Patrick lo
anticipò:
- Loro hanno fatto una notte in piedi, io mi sono presentato al lavoro
solo ora. Non ti sembra giusto che almeno lei possa riposare? -
- E sia. Ma se succede qualcosa, Rigbsy, farò rapporto al
capo. Tienilo d'occhio in ogni istante. -
- Come sempre. - Rispose Wayne, lanciando un'occhiata di traverso a
Patrick prima di anticiparlo fuori. Patrick lo seguì con un
malcelato sorriso di vittoria dipinto sul volto.
Mentre scendeva dalla macchina, Wayne si guardò intorno.
- Sei sicuro che sia il posto giusto? - Domandò, scrutando i
vicoli e i palazzi di periferia.
Quella non sembrava proprio la North Bridge: pareva uno di quegli
squallidi sobborghi cresciuti disordinatamente vicino alla ferrovia.
- Ma certo, ricordo perfettamente l'indirizzo, era questo. - Disse
Patrick, scendendo ed evitando che delle pozze di liquido non meglio
identificato provenienti dai cassonetti dell'immondizia poco lontano
gli macchiassero l'orlo dei pantaloni.
Wayne, ancora dubbioso, tentennava vicino all'automobile.
- Io penso ancora che faremmo meglio a controllare col GPS. - Disse,
tirando fuori il cellulare.
- Dubiti della mia memoria? - Domandò Patrick, scandalizzato.
Wayne sorrise, imbarazzato.
- No, ovviamente no, ma… -
- E allora forza, seguimi. Non abbiamo tempo da perdere: prima
chiudiamo questo caso prima Haffner si leva dai piedi. -
Patrick si avviò tra i cassonetti e gli idranti ammaccati
fino all'ingresso di un palazzo alto, con la facciata di piastrelle
marrone scuro. Il portone d'ingresso aveva i vetri incrinati da colpi
di sassi e la moquette dell'atrio aveva un forte odore di polvere e
muffa.
- Se abitava in un posto come questo ci credo che avesse bisogno di due
lavori. -
- Era solo il suo appoggio quando aveva turni consecutivi al CBI.
Abitava fuori città. - Rispose vago Patrick, aprendo una
porta e sparendo nella penombra del vano scale.
Wayne entrò subito dopo di lui, ma non abbastanza in fretta:
uno sbadiglio di troppo e si ritrovò da solo, su un
pianerottolo spoglio con la sola compagnia di tre porte sbarrate e di
una, divelta, chiusa solo dal nastro giallo della polizia. Di Patrick
nessuna traccia.
- Jane! - Chiamò.
Non ricevendo risposta, tentò di affacciarsi dal vano delle
scale, per vedere se per caso fosse salito di un altro piano a sua
insaputa. La testa bionda del consulente però non si vedeva
nè più in alto nè più in
basso e l'agente sospirò, guardandosi intorno con l'aria di
chi non aveva nessuna voglia di giocare a nascondino con un bambino
troppo cresciuto.
Alla fine si avvicinò alla porta chiusa dal nastro della
polizia, lo scavalcò con circospezione e si fece strada nel
minuscolo monolocale con la moquette grigia e una scialba carta da
parati a righine. Un vecchio televisore, una poltrona reclinabile e una
brandina in un angolo erano tutto l'arredamento della stanza, fatta
eccezione per la vecchia cucina a gas con i fornelli incrostati di
caffè: più che un appartamento era un rifugio di
fortuna.
Fu con sollievo che Wayne scorse Patrick: era fermo accanto al letto
nella stanza buia e stava scorrendo con lo sguardo i libri posati
vicino sul comodino con aria più pensosa che mai. Il
sollievo di Wayne durò ben poco, però,
perchè una voce scocciata irruppe nel silenzio alle sue
spalle:
- Oh, finalmente è qui. Mi mostri il mandato. -
Wayne si voltò e guardò un po' stupito il
poliziotto dai grossi baffi neri fermo a un passo da lui:
- Prego? -
- Il mandato. Il suo collega mi ha detto che l'aveva lei. - Disse,
indicando Patrick e tenendo una mano aperta verso di lui mentre lo
fissava con i suoi occhietti porcini senza battere ciglio.
- Jane. - Sbottò Wayne, sperando di attirare la sua
attenzione e farsi cavare dagli impicci.
- Il mandato. - Insistette l'uomo.
L'agente tentò un'ultima occhiata disperata a Patrick, ma
lui era girato dall'altra parte: che non volesse aiutarlo o non si
fosse accorto di lui, non poteva essergli utile.
- Non abbiamo nessun mandato. - Sbottò alla fine.
- Come nessun mandato? Mi avete preso in giro? - Sbottò. Le
sue guance tonde diventarono paonazze in un minuto e i suoi grossi
baffi iniziarono a fremere.
- Stia tranquillo, agente, ce ne stiamo andando. - Disse Patrick con un
sorrisetto, avvicinandosi allegramente come se invece che infrangere
una mezza dozzina di regolamenti avesse appena bevuto un bicchiere di
latte. - E scommetto che la nostra visita qui sarà
così insignificante, nella sua lunga giornata, che non si
ricorderà affatto di noi. -
Si chinò, mettendo i suoi occhi all'altezza di quelli del
poliziotto, e sorrise suadente. Gli posò una mano sul
braccio, stringendo con delicatezza mentre diceva:
- Non si ricorderà proprio niente. -
- Proprio… proprio niente. - Rispose il poliziotto, confuso.
- Benissimo. Le auguriamo una buona giornata! Rigsby, andiamo. Avevi
ragione, ho sbagliato indirizzo: la casa di Doyle è dalla
parte opposta della città. Ci conviene sbrigarci, Haffner
non gradirà sapere che ci siamo persi in chiacchiere invece
di lavorare. -
Lasciandosi alle spalle un agente della polizia locale più
confuso che mai, Wayne gli sorrise in modo molto formale e poi
seguì Patrick fuori, cercando di trattenersi dall'inutile
desiderio di chiedergli qualche spiegazione.
Teresa si svegliò con un gran mal di testa. Era gettata su
un pavimento umido e freddo, la testa le pulsava e il buio l'avvolgeva
completamente. Si mosse lentamente sperando di abituarsi in fretta
all'oscurità per capire dov'era e si rese conto di essere
rinchiusa in un piccolissimo spazio dove poteva a malapena stendere le
gambe: sembrava uno sgabuzzino o qualcosa del genere. Si
allungò per capire di quanto spazio poteva disporre e
all'improvviso le sue dita si posarono su quella che era senza ombra di
dubbio una mano umana. Una piccola mano umana, fredda come il ghiaccio.
Teresa deglutì, temendo di scoprire qualcosa che non voleva
sapere.
Le sue dita seguirono la mano e poi il braccio, raggiungendo il collo
della persona rinchiusa con lei. Era senza ombra di dubbio una bambina,
accoccolata contro la parete opposta alla sua, con indosso solo un paio
di pantaloncini e una maglietta a maniche corte. La sua pelle era
gelida, ma la bambina era viva. Teresa allungò il braccio
per tirarla contro di sè e posò una guancia sui
suoi capelli, respirando il profumo dello shampoo all'albicocca e
ringraziando il Cielo con tutto il suo cuore. Era Dorothy. Era Dorothy
ed era ancora viva.
La bambina si mosse, stringendosi a lei e rifugiando le mani gelide
sotto la giacca della donna, alla ricerca di un po' di calore.
- Mamma? - Mormorò Dorothy.
- Dorothy. Sono io, Teresa. -
Dorothy tirò su rumorosamente col naso, mentre la
abbracciava più stretta.
- Io non volevo andare con quell'uomo! - Esordì - Io non
volevo, ma lui mi ha detto che era uno del CBI, mi ha fatto vedere il
suo distintivo, era come il tuo… e mi ha detto che mi
avrebbe accompagnata al lavoro da te perchè eri occupata.
Non gli dovevo credere, mamma, mi dispiace tanto tanto… -
Disse con la voce spezzata dalle lacrime.
- Non è colpa tua, Dorothy. - Disse Teresa. L'ultima cosa
che voleva era sentire la sua bambina darsi la colpa di tutta quella
situazione.
- Ho provato a tornare a casa un sacco di volte, sai? Ma mi sa che la
magia funziona solo con le scarpette rosse, non con queste da
ginnastica… - Disse Dorothy con la voce impastata dalla
stanchezza e dalla paura.
- Sta' tranquilla. Adesso siamo insieme. - Le disse, sfiorandole i
capelli con una carezza. Con un filo di voce, le fece la domanda che
teneva per sè da quando non l'aveva trovata a casa:
- Ti ha fatto del male? -
Dorothy scosse la testa
- No. Ma ho tanto freddo e tanta fame. -
Teresa sospirò di sollievo.
- Cerca di dormire. - Rispose. - Presto staremo fuori di qui. -
Dorothy si rannicchiò contro di lei come facevano quando
decidevano di leggere assieme un libro e Teresa chiuse gli occhi per
impedirsi di versare anche solo una piccola lacrima: agitarsi non
sarebbe servito a niente e dimostrare a Dorothy quanto era spaventata
era la cosa peggiore che poteva fare. Doveva rimanere forte, dimostrare
che se la sarebbero cavata.
In quel momento passi pesanti echeggiarono fuori dalla loro prigione:
era il rumore di scarpe sul metallo, ritmiche, sempre più
vicine.
Istintivamente Teresa strinse Dorothy a sè con un braccio e
la mano destra corse alla fondina… ma si rese conto di
essere senza pistola. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Consapevole di essere disarmata, sentì rapidamente il panico
farsi strada in lei.
I passi all'esterno nel frattempo si erano fermati e nessun rumore
rompeva il denso silenzio del piccolo spazio buio.
Teresa contò fino a trenta e quando nulla accadde, si
concesse di tirare il fiato.
Appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi,
obbligandosi a respirare con calma per un momento e concedendosi il
tempo di una preghiera. Istintivamente le sue dita corsero al
crocifisso, incontrando però solo il suo collo nudo.
Come in risposta alla sua preghiera, Dorothy ruppe di nuovo il silenzio:
- Mamma? -
Teresa non ebbe il cuore di correggerla.
- Dimmi, tesoro. -
- Patrick verrà a salvarci, vero? - Disse in un sussurro. -
Io sono sicura che verrà. -
A Teresa bastò un attimo di silenzio per sciogliere il nodo
che le impediva di parlare. E quando lo fece, la sua voce sorrideva.
- Sì, ne sono sicura anch’io. -
Il ticchettio dell'orologio sulla scrivania di Teresa scandiva i
pensieri di Patrick.
Sdraiato sul divano dell'ufficio del suo capo il consulente sfogliava
distrattamente il libro che aveva preso dal comodino della casa di
Frank McDale sotto gli occhi dell'agente di sorveglianza. Era una
raccolta di favole e leggende, niente di particolarmente
interessante… ma era un libro molto usurato che indicava la
predilezione del proprietario verso alcune storie piuttosto che altre.
Fece scorrere rapidamente le pagine tra le dita, sconfortato al
pensiero di aver letto tre quarti di quel libro senza aver avuto la
minima rivelazione. All'improvviso un commento a margine del foglio lo
fece fermare. Cercò di nuovo la pagina, si mise seduto e
avvicinò il libro alla lampada per guardare meglio la riga
scarabocchiata a matita che riportava una citazione:
"I falliti si dividono in due categorie: coloro che hanno agito senza
pensare e coloro che hanno pensato senza agire. - John Charles Salak."
La frase era senza dubbio interessante, ma ancora di più lo
era la scrittura in cui era tracciata: sebbene quella sul libro fosse
la scrittura di un adolescente, Patrick conosceva qualcuno che scriveva
esattamente in quel modo, con le lettere alte, sottili e inclinate.
Senza contare il nome dell'autore della frase, che poteva sembrare
casuale ma che messo insieme a tutti gli altri piccoli suggerimenti
diventava l'ennesimo indizo.
Appoggiò il libro sul divano, fermandosi per un istante con
lo sguardo fisso nel vuoto mentre la storia si ricostruiva piano nella
sua mente, componendo un puzzle fatto di fienili, seminari alla
Visualize, visi di donna e firme maschili.
Si alzò e si diresse verso la porta, ma all'ultimo istante
tornò indietro, afferrò il libro e lo nascose
nella tasca interna della giacca prima di uscire di nuovo nell'open
space deserto.
Nonostante fosse notte fonda si precipitò verso gli
ascensori e scese direttamente nel parcheggio del quartier generale. Si
avvicinò alla guardia e la salutò con un sorriso.
- Buonasera Henry. -
- Buonasera signor Jane. Devo aprirle il cancello? -
- No, devo solo andare a recuperare una cosa nella mia automobile. -
Disse lui.
Patrick si diresse in fretta verso la sua Citroen, ma la
superò senza nemmeno considerarla: percorse ad una ad una
tutte le corsie del parcheggio, osservando con metodo tutte le
automobili parcheggiate finchè non ne vide una.
Era nera, lucente, dal modello sportivo. Ed era lì, ferma,
proprio dove l'aveva vista il mattino precedente… e quello
prima ancora.
Patrick la fissò con un malcelato sorriso di trionfo dipinto
sul volto, sentendo la sua vittoria farsi sempre più vicina.
Gli
aggiornamenti sono un pochino in ritardo, ma è colpa della
festa dell'oratorio, sono sempre fuori!
Doppio episodio anche stavolta... ho pensato che avreste gradito!
Due capitoli al termine. Ormai, come avrete capito, Jane ha in pugno il
suo John il Rosso.
La vera domanda è se riuscirà a salvare Dorothy e
Teresa.
Flora
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Capitolo 12 *** Dodici. ***
Il mattino successivo Grace, Wayne e Kimball trovarono Patrick disteso
sul divano, con le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi
chiusi. Il suo respiro lento e regolare poteva sembrare quello di una
persona addormentata, ma il consulente era sveglio, sveglio ed attento
a quello che lo circondava: Grace che faceva una relazione al pc,
ticchettando rapida sui tasti; Wayne che sbadigliava sonoramente,
convinto che nessuno potesse notarlo, e Kimball che sistemava le sue
cose sulla scrivania, riordinandola metodicamente come ogni mattina.
A quei rumori così familiari si aggiunse il suono di costose
scarpe sul linoleum, la cui cadenza era inconfondibile: Ray Haffner.
- Buongiorno a tutti. - Salutò, avvicinandosi.
- Buongiorno. - Grace fu la sola a replicare. Wayne e Kimball si
limitarono ad alzare gli occhi dai loro computer.
- Ho due annunci da fare. - Disse poi, appoggiando la giacca e la
ventiquattrore sul tavolo.
Al vedere che Patrick non dava nemmeno segno di averlo sentito, si
avvicinò al divano.
- Jane. Sto parlando anche con te. Alzati. -
Patrick rimase fermo e in silenzio.
- Jane! - Sbottò Ray, dando un colpo al divano con un piede.
Patrick non si mosse, limitandosi a rispondere con tono piatto:
- Sto dormendo. Non ti sembra che io stia dormendo? Non è
educato pretendere che io risponda. -
- Adesso basta con i giochetti, Jane. So cos'hai fatto. -
- Davvero? Spiegamelo, perchè credo di non saperlo io. -
Rispose Patrick, rimanendo immobile sul divano senza nemmeno aprire gli
occhi.
- Sei andato a fare un sopralluogo in una scena del crimine che non
è di nostra competenza! -
- Non so di cosa tu stia parlando. -
- Non prendermi in giro! Sono stato chiamato dal capo di Vaughn, il
poliziotto della territoriale che stazionava a casa di quel morto fuori
città. Ha detto che siete andati a fargli visita. Tu e
quell'idiota senza spina dorsale di Rigsby. - Si voltò verso
Wayne e lo indicò con fare minaccioso. - Ti avevo detto di
tenerlo d'occhio e non ne sei stato capace. Non credere che non ci
saranno conseguenze! -
Wayne lo guardò aprendo e chiudendo la bocca un paio di
volte, incerto se arrabbiarsi o spaventarsi davanti a
quell'intimazione. Ray però aveva già perso
interesse per lui ed era tornato a rivolgersi a Patrick:
- Ieri sera sono stato dal capo e ho ottenuto il permesso di buttarti
fuori dalla squadra per insubordinazione e ripetuta infrazione delle
regole. Sei fuori dal caso. - Disse fissandolo con occhi gelidi. -
Inizia a fare le valigie, Jane, perchè entro stasera sarai
fuori anche dal CBI. -
Patrick si mise seduto molto lentamente e altrettanto lentamente si
alzò in piedi. Fissò Ray negli occhi per un lungo
momento, poi sorrise divertito.
- Sai una cosa, Ray? Non sei il mio capo, non mi puoi cacciare. Solo
Lisbon può farlo. -
- E qui arriva il secondo annuncio. Lisbon si è presa un
periodo di aspettativa, il capo ha messo me a capo della squadra fino a
nuovo ordine. -
- Un periodo di aspettativa? - Domandò Grace incredula. -
Non l'avrebbe mai fatto senza avvisarci. -
- Jane, tu ne sapevi qualcosa? - Intervenne Wayne.
- Non vedo perchè lui debba saperne qualcosa. - Disse Ray. -
Gli affari di Teresa sono fatti suoi, non deve spiegazioni a nessuno.
Soprattutto non a Jane. -
- Jane? - Lo incalzò Kimball.
Patrick non distolse lo sguardo da Ray, ancora in piedi davanti a lui,
e rispose in tono piatto:
- No, Cho. Non ne sapevo niente. -
- Tutto questo non è da Lisbon. - Sentenziò Grace
cupamente. - Non mi piace questa storia. -
- Stare con Jane vi ha reso paranoici quanto lui, ritenetevi fortunati
se non vi sbatto fuori tutti insieme. Lisbon non c'è e io
sono in capo alla squadra al suo posto, fine della storia. E adesso
tornate al lavoro, il caso di Warren Doyle è ancora aperto. -
Afferrando giacca e borsa uscì dall'open space a lunghi
passi, sparendo in direzione dell'ufficio di Teresa.
Intanto, nell'open space, Grace fissava gli altri agenti con gli occhi
preoccupati.
- Anche a me questa storia non convince. - Disse Wayne, in risposta
alla sua aria dubbiosa.
- Dobbiamo scoprire dov'è Lisbon. - Replicò
Kimball.
Patrick si avvicinò alla scrivania di Wayne e li
guardò tutti e tre con un'aria insolitamente seria e
determinata negli occhi azzurri. In mano aveva il libro che aveva
sfogliato tutta la notte.
- La troverò io. - Disse, serio.
- E come pensi di fare? - Domandò Wayne.
- Seguirò un filo rosso. - Disse Patrick, sibillino.
Appoggiò il libro sulla scrivania e poi sparì
fuori dalla porta. Wayne si sporse per leggerne il titolo - Leggende e racconti dall'oriente
- senza però ottenere le risposte che cercava.
Il rumore di una porta che sbatteva in lontananza svegliò
Teresa.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando si era concessa un po'
di riposo, ma i suoi muscoli intorpiditi le dicevano che era ferma da
troppo tempo nella stessa posizione; mentre cercava di riattivare la
circolazione nelle gambe indolenzite le parve di udire dei passi.
Tese l'orecchio per ascoltare meglio quello che accadeva fuori da quel
ripostiglio buio, ma l'unico suono che lo riempiva era il battito
violento del suo cuore.
Il pensiero di essere ad un passo dall'incontrare di persona John il
Rosso le fece rizzare i capelli sulla nuca.
Non avrebbe dovuto addormentarsi, avrebbe dovuto rimanere sveglia e
escogitare un piano.
Gentilmente svegliò Dorothy, scostandole i capelli dal viso.
- Dorothy. Dorothy, sveglia. -
- Ancora cinque minuti. - Mormorò la bambina.
- Tesoro, ascoltami bene: dobbiamo essere sveglie. Se qualcuno scende
qui non possiamo farci trovare addormentate. -
- Hai sentito qualcuno aprire la porta? -
- Sì, ma… -
- È Patrick che viene a prenderci? -
- Non lo so. - Sussurrò Teresa, posandole un dito sulla
bocca per impedirle di parlare ancora a voce così alta. - Se
la porta si aprirà dovrai fare esattamente quello che ti
dico: dovrai scappare e correre finchè puoi, il
più lontano possibile da qui. Ci penserò io a
fermarlo, se cercherà di inseguirti. -
- Non voglio andare via da sola. - Rispose la bambina. - Quell'uomo fa
tanta paura. Lui ha… ha spinto giù dalla
finestra il mio vero papà. Eravamo in quella stanza, loro
gridavano, lui lo ha spinto forte e poi… -
La voce di Dorothy si spense in un sussurro e la bambina
tirò su col naso.
Teresa le prese il viso tra le mani e le accarezzò le
guance, posando la propria fronte contro quella di lei.
- Devi essere forte, Dorothy, devi essere coraggiosa: sarà
facile come sconfiggere la Malvagia Strega dell'Ovest. -
Dorothy si limitò a tirare su col naso.
- Ci riuscirai? Mi prometti che sarai coraggiosa e correrai, se la
porta si apre? -
- Te lo prometto. - Mormorò Dorothy. - Ma tu vieni con me,
vero? -
- Ma certo. - Disse Teresa, cercando di suonare più sicura
di quanto non fosse in realtà. - Verrò dietro di
te, sta' tranquilla. -
Si alzò in piedi lentamente, riprendendo il controllo delle
sue gambe intorpidite, e strinse la mano di Dorothy nella propria.
In quel momento il rimbombo di passi pesanti spezzò il
silenzio.
Era lo stesso rumore che aveva avvertito prima di addormentarsi, un
suono lontano di passi su gradini metallici, un rumore che riecheggiava
in stanze vuote, moltiplicato dal silenzio che fino a quel momento
aveva riempito il posto dove si trovavano.
Dorothy gridò nascondendo il viso contro le ginocchia di
Teresa, proprio come aveva fatto la prima volta che si erano incontrate.
- È lui, mamma. - Disse con la voce rotta. - Li conosco i
suoi passi. -
- Sta' tranquilla. Ce la caveremo. Devi solo essere pronta a scappare.
- Mormorò Teresa, appoggiando una mano sul capo della
bambina, con tutti i sensi all'erta e pronta a reagire davanti a
qualunque evenienza.
I passi si fermarono a pochi centimetri da loro e qualcuno prese ad
armeggiare con un lucchetto e delle serrature, facendole scattare
meccanicamente una dopo l'altra. Chiunque fosse pareva avere molta
fretta, perchè faceva sbattere l'alluminio e l'acciaio tra
loro incuranti del suono che emettevano.
All'improvviso una parete si aprì, con un forte stridore di
metallo che girava su cardini arrugginiti.
Un'ondata di luce dorata e accecante inondò il ripostiglio,
schermata solo dal profilo di un uomo dalle spalle larghe fermo appena
al di là dell'uscio.
La luce si rifletteva sulla lama del lungo coltello che teneva in mano,
scintillando minaccioso nell'ombra. La sua sola presenza metteva la
pelle d'oca. Il suo respiro pesante e la sensazione di paura e follia
che la sua figura emanava bloccarono Teresa in preda al panico, con
Dorothy ancora aggrappata ai suoi jeans.
- In ginocchio. -
La voce dell'uomo era poco più che un sussurro, strozzata e
sibilante.
- Ti troveranno. - Disse Teresa con quel po' di coraggio che ancora le
rimaneva. - Ti troveranno e allora pagherai per tutto il male che hai
fatto. -
- In ginocchio. Ora. - Ripetè la voce, atona e
irriconoscibile come un momento prima. Il coltello era alzato di fronte
a lui e luccicava minaccioso.
Teresa si schermò gli occhi con una mano e tentò
di scorgere il volto della figura alta di fronte a lei: era un uomo
dalla corporatura slanciata, ma non riusciva a distinguere niente di
più; i suoi occhi erano troppo abituati al buio per mettere
a fuoco i suoi lineamenti, tanto più che alle spalle di John
il Rosso una piccola finestra sulla parete opposta della stanza faceva
piovere la luce dorata del sole direttamente nei suoi occhi, lasciando
la figura in controluce.
L'uomo tese un braccio e afferrò Dorothy per i capelli,
strappandola alla stretta di Teresa e bloccandola contro le proprie
gambe. La bambina gridò e scoppiò a piangere, ma
John le tappò la bocca con una mano, mentre con l'altra
teneva il coltello fermo contro la sua maglietta.
- In ginocchio, Teresa. - Ripetè.
Tenendo gli occhi fissi su di lui, Teresa si inginocchiò
lentamente sul pavimento umido, tremante di rabbia e impotente.
Dorothy singhiozzava piano, terrorizzata, rompendo con la sua piccola
voce il silenzio che regnava nel seminterrato.
- Non avrei voluto che finisse così. - Disse l'uomo in un
sussurro, con una voce che non era più folle e fredda.
Pareva quasi umana. Pareva quasi… familiare.
John alzò il braccio con il coltello. Dorothy
gridò, divincolandosi. Teresa fece per mettersi tra il
coltello e la bambina prima che John potesse colpirla, ma in
quell'istante il suono di uno sparo echeggiò nel
seminterrato.
Per qualche istante tutto rimase immobile, poi il tintinnio del
coltello sul pavimento anticipò il rumore del corpo di John
il Rosso che crollava sul pavimento.
Dorothy, tremante, si rifugiò tra le braccia di Teresa,
piangendo disperatamente con il viso nascosto contro la sua spalla.
Lì dove un attimo prima c'era il profilo spaventoso di John
il Rosso ora c'era Patrick, con il sole che si rifletteva sui capelli
biondi, una pistola fumante in mano e un'espressione seria negli occhi
azzurri.
Fece un passo avanti e lasciò cadere la pistola accanto al
cadavere di John il Rosso, fissando la donna e la bambina rannicchiate
nel buio davanti a lui, baciate dalla luce d'oro del mattino. Nella
penombra della stanza gli erano sembrate Angela e Charlotte, ma era
stato solo per il tempo di un battito di ciglia: un attimo dopo aveva
riconosciuto i capelli bruni di Dorothy e gli occhi verdi di Teresa.
Rimase immobile, in piedi davanti a loro, guardandole senza aver ancora
realizzato cosa fosse successo; Teresa lo guardava senza parlare,
stringendo Dorothy tra le braccia. Ad un certo punto la bambina si
voltò, gli occhi ancora pieni di lacrime, e quando lo vide
tese una mano tremante verso di lui.
Patrick scavalcò il corpo senza vita di Ray Haffner e prima
ancora di rendersene si ritrovò anche lui a terra, stretto a
loro in un abbraccio incredulo e disperato.
Ed
eccolo. Il finale.
Ve lo aspettavate? Spero di sì, perchè vuol dire
che siete stati attenti e che io ho disseminato bene le mie prove...
ma se vi ho sorpreso sono stata contenta comunque.
Solo una piccola postilla per dire che non sono affatto felice di come
è finita la storia di John nel telefilm,
mi ha lasciato amareggiata e insoddisfatta... non so, mi aspettavo
qualcosa di più.
E poi sinceramente speravo in un assassino più motivato, non
solo una "pedina" nel gioco della Blake Association...
quindi ecco qui, il mio John il Rosso era Ray Haffner.
L'ho sempre detestato, quindi quale fine migliore potevo fargli fare?
E ha i suoi buoni motivi per fare quello che ha fatto... il prossimo
capitolo - l'ultimo - vi chiarirà ogni cosa.
Grazie a chi legge e ancor di più a chi recensisce.
Alla prossima.
Flora
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Capitolo 13 *** Tredici. ***
Una
settimana dopo
Quando Teresa comparve nell'open space, il primo a vederla fu Kimball.
- Ehi, capo. - Le disse, salutandola con un cenno della testa.
Wayne e Grace alzarono gli occhi dalle loro scrivanie e sorrisero al
vedere Teresa, ferma sulla porta, con Dorothy per mano. Con un po' di
imbarazzo Teresa ricambiò l'abbraccio di Grace e sorrise a
Wayne, dicendo loro che sì, stava bene, e che aveva bisogno
di qualche minuto in ufficio per riordinare le sue cose prima di
prendersi una vacanza.
- Per qualunque cosa noi siamo qui. - Disse Grace, solerte.
- Lo so. - Replicò Teresa con un sorriso. -
Dov’è Jane? - Domandò, rendendosi conto
un attimo dopo che il suo consulente non era in ufficio.
Wayne si strinse nelle spalle.
- Era qui un minuto fa. Sarà in giro come al solito. -
Un quarto d'ora più tardi, mentre la squadra riordinava i
documenti del caso Doyle e Dorothy disegnava sdraiata a pancia in
giù sul pavimento del suo ufficio, Teresa stava cercando di
aver ragione della montagna di lavoro arretrato che si era arenato
sulla sua scrivania. In quel momento la porta si aprì
all'improvviso, facendole perdere per l'ennesima volta la
concentrazione. Alzò gli occhi per vedere chi era entranto,
ma la sua bambina fu più veloce: si precipitò
verso la porta esclamando con gioia il nome del consulente del CBI e
facendosi prendere in braccio per stampare a Patrick un bacio sulla
guancia.
- Ciao, Dorothy. - Replicò Patrick con un sorriso.
Senza metterla giù, si avvicinò alla scrivania di
Teresa con un sorriso.
- È bello vederti di nuovo qui. - Disse.
Anche Teresa sorrise.
- È bello essere tornata. -
- Speravo di poterti parlare. - Disse Patrick.
Alle sue parole seguì un attimo di silenzio, ma Teresa
riuscì a cogliere quello che l'uomo le voleva dire senza
bisogno di altre spiegazioni.
- Dorothy, aspettami un minuto di là. - Disse.
Dorothy mise il broncio, ma Teresa la guardò con uno sguardo
che non ametteva repliche.
- Sono sicura che Grace e Wayne ti racconteranno una bella favola, se
glielo chiedi. - Aggiunse con un sorriso.
Dorothy sbuffò, ma prese i suoi fogli e i suoi colori e si
avviò verso la porta. Si fermò un solo momento
per guardarsi indietro, ma quando i due adulti rimasero a fissarla
senza parlare capì che non c'era molto da negoziare,
così uscì di corsa, diretta all'open space.
Quando Dorothy fu uscita, Teresa si alzò per andare a
chiudere la porta. Poi si sedette sul divano, accavallando le gambe e
appoggiandosi allo schienale.
- Come l'hai capito? -
Patrick non rispose, limitandosi a guardarla.
- Come hai capito che era Haffner? -
- Ho seguito un filo rosso. - Replicò Patrick con un sorriso.
Teresa rimase per un momento in silenzio, cercando inutilmente un senso
a quelle parole.
Patrick colse il dubbio nei suoi occhi e le fece cenno di non fare caso
alla sua risposta. Si sedette accanto a lei e iniziò a
raccontare.
- È stato l'albero sulla porta della classe di Dorothy:
è stato quello che mi ha fatto pensare. Era un acero
rosso… e le sue foglie avevano la stessa forma di quelle
dell'albero sotto cui avevamo trovato Doyle. Immagina un cadavere sotto
un albero coperto di foglie rosse: è la scenografia perfetta
per un delitto alla John il Rosso. -
- Ma non c'era il suo simbolo. E non è autunno, l'albero era
pieno di foglie verdi. -
- Questo è vero. Ma se John avesse dovuto affrettare le
cose? Se il suo piano perfetto avesse dovuto essere anticipato? Di
rosso rimaneva almeno il nome dell'albero... e d'altronde è
difficile trovare un albero rosso in piena estate, non trovi? -
Teresa alzò un sopracciglio, scettica, ma Patrick
continuò imperterrito il suo racconto:
- Quando ho avuto questa intuizione sono tornato al carcere e ho
parlato con il compagno di cella di McDale, che mi ha confidato che
McDale non sarebbe dovuto uscire adesso, ma in autunno. In autunno,
capisci? John era entrato in contatto con lui in carcere mediante la
Visualize e aveva predisposto il tutto per l'autunno. Ma poi McDale
è stato mandato a casa prima, lui si è ritrovato
spiazzato e ha dovuto anticipare. -
- Quindi il fatto che Doyle è stato ucciso da John il
Rosso… -
- Mi ha fatto pensare che Haffner doveva essere un pezzo della storia:
la morte di Doyle era solo il pretesto per farlo tornare al CBI. -
- Tutto qui? Hai ucciso l'uomo che tormentava i tuoi incubi solo grazie
a un cartellone di una classe di prima elementare? - Domandò
Teresa incredula. - O sei molto furbo o molto fortunato. -
- Non è tutto qui. Quella dell'albero era solo
un'intuizione, io avevo bisogno di certezze. - Rispose Patrick. -
Quando sono andato a casa di McDale con Rigsby ho notato che sul
comodino c'era un vecchio libro. Mi sembrava interessante,
così l'ho preso… e su una pagina c'era una frase.
Una frase di John Charles Salak. Il nome mi ha fatto pensare,
così mi sono fermato a guardare meglio... e ho notato che la
frase era stata scritta dalla mano di un adolescente dalla calligrafia
alta e obliqua. -
Patrick si fermò un momento, dando a Teresa il tempo
necessario per abbinare quel tipo di scrittura alla firma sottile ed
elegante di Ray Haffner.
- Ma cosa ci faceva un libro di Haffner a casa di McDale? -
- Ottima domanda, Lisbon. Ottima domanda. - Replicò Patrick.
- All'inizio ho pensato che si fossero semplicemente visti in carcere,
dopotutto il "tipo tirato" di cui mi aveva parlato il compagno di cella
del padre di Dorothy si sposava perfettamente con Ray e sapevamo
già dei suoi legami con la Visualize... ma poi mi
è venuta in mente una cosa che ha detto la signora Scheer:
ti ricordi quanta paura aveva Dorothy di suo padre? -
- Certo. -
- Non sarebbe mai andata con lui di sua volontà. E per di
più la signora Scheer mi ha detto di aver visto il padre di
Dorothy fuori dal cortile della scuola insieme ad un altro uomo: se
Dorothy avesse visto Frank non si sarebbe mai mossa, quindi ho pensato
che doveva essere stato Haffner ad andare a prendere Dorothy in classe,
portandosi dietro Frank McDale perchè la riconoscesse tra le
sue compagne. Chissà, forse gli aveva detto che l'avrebbe
potuta portare via per ricominciare una vita assieme... non dimenticare
che McDale era cambiato. -
- Ma Dorothy non avrebbe mai voluto ricominciare una vita con suo
padre. - Mormorò Teresa, ripensando alla voce spaventata di
Dorothy quando le diceva che non voleva andare con il "signore col
distintivo". Come aveva fatto a non pensarci? Forse le sembrava troppo
assurdo che Ray, quello stesso Ray Haffner con cui aveva lavorato,
parlato e discusso fosse uno spietato serial killer senza scrupoli.
- Lo penso anche io. E penso che la morte di Frank sia stato un
incidente: forse quando si è reso conto che non si sarebbe
mai potuto redimere agli occhi della figlia, che Dorothy sarebbe stata
più felice senza di lui, ha deciso che voleva riportarla
alla sua vita... e allora Haffner, John il Rosso, ha deciso di farlo
fuori. -
Patrick diede a Teresa il tempo di metabolizzare la notizia e poi
continuò:
- Quando mi sono accorto che Haffner andava e veniva dall'ufficio ma la
sua automobile non si muoveva dal parcheggio ho pensato che doveva
avere una base da qualche parte, un posto in cui andare quando diceva
di "andare a casa". E quale posto migliore di una centrale di polizia
per nascondere due persone? Ma è stato quando i ragazzi gli
hanno detto che rivolevano te che mi sono reso conto che lui sapeva
tutto, era così arrabbiato e infastidito dalla mancanza di
rispetto che gli stavano dimostrando che ha perso per un momento il
controllo e ho capito. Ho capito che nascondeva qualcosa, che non era
il rispettabile agente che tutti conoscevano. Allora ho deciso che non
potevo più aspettare e l'ho seguito nel seminterrato. -
Il resto non c'era bisogno di raccontarlo, così Patrick
tacque.
Teresa non aveva mai smesso di guardarlo per tutta la durata del suo
racconto e ci mise un momento per rompere il silenzio.
- Patrick, io... - Iniziò Teresa, con la voce che tremava.
- Ti ho portato una cosa. - La interruppe Patrick, sfilando dalla tasca
interna della giacca una grossa busta. - Stiles mi ha fatto avere il
fascicolo su Haffner della Visualize. Non possiamo usarlo tra le prove,
ma credo che dovresti leggerlo. -
Teresa lo prese meccanicamente, appoggiandolo sulle ginocchia e poi
alzando gli occhi. Aprì la bocca per dire qualcosa ma
Patrick alzò un dito, bloccandola.
- Leggilo. -
Si alzò e uscì prima che Teresa potesse dire
qualsiasi cosa per fermarlo.
L'agente sospirò e decise di aprire il fascicolo.
La foto di un giovanissimo Ray Haffner, appena adolescente, era pinzata
in cima a un modulo riempito di dati anagrafici. Orfano di entrambi i
genitori, si era ritrovato tra le file della Visualize ancora
ragazzino, mentre lavorava in un fienile di proprietà
dell'associazione. Era stato lì che, per gioco, aveva
dipinto per la prima volta uno smile dagli occhi tristi sulla parete:
quel simbolo era diventato la sua firma. La firma di un uomo che faceva
buon viso a cattivo gioco, che nascondeva la sua paura di rimanere solo
dietro alla facciata di chi sapeva essere allegro e professionale.
Il fascicolo era ricco di relazioni e trascrizioni di colloqui e Teresa
le lesse sbirciando una frase qua e una là fino ad arrivare
ai documenti che risalivano a dieci anni prima, dove trovò -
tra le relazioni dei medici della Visualize - anche alcune lettere,
tutte scritte a mano da Haffner (la scrittura, sottile e obliqua, era
inconfondibile). In quelle lettere l'uomo raccontava la rabbia e la
frustrazione di chi non riesce ad emergere, di chi non riesce a
dimostrare al mondo quanto vale. Aveva tentato di utilizzare le sue
capacità carismatiche e intellettive per diventare qualcuno,
aveva tentato di sfondare nel mondo dello spettacolo e del paranormale,
ma nessuno l'aveva preso sul serio. Nonostante le sue indubbie
capacità e il tanto lavoro, non era riuscito a diventare
famoso, non era riuscito a costruirsi una famiglia… e non
riusciva nemmeno a tenersi una donna. Amava Rosalyn Parker, la pianista
cieca conosciuta per caso molti anni prima, ma non riusciva a pensare
di trascorrere la vita con lei. Non era abbastanza.
Non si rendeva nemmeno conto di essere arrivato ad uccidere. Teresa
ricordava bene i nomi delle sue prime dieci vittime e le
ritrovò tra quelle righe: racconti di storie
d’amore finite, di rimproveri sul lavoro e di insulti finiti
nel sangue. Chiunque insultasse la sua intelligenza o il suo carisma
veniva eliminato con metodo, precisione e freddezza.
Scorse rapidamente le ultime relazioni, fermandosi sull'ultima pagina.
In una breve lettera scritta in modo impeccabile su un foglio color
ocra Ray riportava la rabbia, feroce e divoratrice, che provava per
quell'uomo che era tutto quello che lui non era riuscito ad essere:
quel Patrick Jane che non era bravo nemmeno la metà di lui
con la mente delle persone ma che era famoso, era importante, era amato
e aveva perfino una famiglia. E che aveva avuto il coraggio di
affrontarlo in diretta televisiva.
Era stato in quel momento che si era reso conto che quell'uomo non
meritava di morire, no. Meritava di venire punito per la sua arroganza,
meritava di capire che non era nessuno, in confronto a lui. In
confronto al poliziotto diventato serial killer, a Ray Haffner
diventato John il Rosso.
Con un groppo in gola Teresa lesse la descrizione, accurata e
compiaciuta, di come Ray aveva tolto la vita a una donna e a una
bambina, sorprendendole nel sonno, vittime innocenti di un gioco di
potere di cui non erano nemmeno a conoscenza.
Chiuse il fascicolo e fece per rimetterlo nella busta, quando si
accorse che al suo interno era rimasta una busta più
piccola, con la linguetta strappata.
Incuriosita, la prese per guardarne il contenuto. Il cuore le si
fermò quando vide che conteneva una singola fotografia
scattata davanti all'ingresso del CBI: ritraeva Patrick con Dorothy in
braccio e lei ferma acanto a loro. Lui doveva aver appena detto
qualcosa di irriverente, perché Dorothy stava ridendo e lei
lo guardava con aria di divertito rimprovero.
Quella foto doveva essere stata la scintilla che aveva infiammato
l'animo di John il Rosso, che gli aveva fatto capire che il suo rivale
era riuscito di nuovo a farsi una vita. Teresa sorrise istintivamente
nel guardare quella foto, stupita da come le trasmettesse
serenità. Sembravano proprio una famiglia.
Chiuse il fascicolo con un gesto brusco, facendo sparire tutto nella
busta, e tenendola in mano raggiunse a passo di marcia l'open space.
Dorothy disegnava seduta alla piccola scrivania di Patrick, in fondo
alla sala: dondolava le gambe a ritmo e sembrava veramente molto presa
dai suoi colori. Gli altri della squadra erano seduti alle loro
scrivanie e lavoravano tranquillamente.
Teresa si voltò e senza far rumore si avviò verso
le scale che portavano al sottotetto.
La porta di alluminio era aperta e il sole dell'estate filtrava
attraverso i vetri polverosi disegnando riquadri dorati sulle assi del
pavimento. Patrick era in piedi vicino alla finestra; stava guardando
fuori, ma si voltò non appena riconobbe i passi di Teresa
sull'impiantito.
- Lisbon. - Disse solamente.
Teresa abbandonò la busta su un ripiano impolverato e si
avvicinò a lui.
- Grazie. Grazie per averci salvate. - Disse.
- Sei tu che hai salvato me. - Disse Patrick a bassa voce, guardando
fuori dalla finestra. - Mi hai salvato dandomi un motivo per alzarmi
dal letto ogni mattina. Un motivo per ritrovare l'equilibrio, per
ricominciare a pettinarmi e a mangiare. Mi hai ridato la forza di
svegliarmi e affrontare la giornata, consapevole che potevo ancora fare
la differenza nel mondo. - Si voltò a guardarla con gli
occhi azzurri che splendevano della luce riflessa dalle finestre. - Mi
hai dato un motivo per andare avanti diverso dalla vendetta. Un motivo
che mi fa alzare ancora dal letto anche adesso, ora che l'obiettivo a
cui ho dato la caccia per dieci anni è stato raggiunto. Sei
stata tu a salvare me, Teresa. -
Teresa abbassò gli occhi, arrosendo, e Patrick fece un passo
verso di lei, fermandosi al suo fianco e guardandola intensamente
mentre lei si sforzava di guardare altrove.
Le loro mani erano così vicine che ad ogni respiro si
sfioravano, finchè le dita di Patrick si allungarono
timidamente verso quelle di lei: era un tocco timido, gentile, a cui
lei avrebbe potuto ritrarsi senza creare troppo imbarazzo.
Continuando a fissare i tetti, Teresa cedette al proprio istinto e fece
scivolare le proprie dita tra quelle di lui, stringendo la sua mano
nella propria. Non aveva voce nè parole per rispondergli:
sperava che quella stretta gli sarebbe bastata per capire.
Patrick ricambiò la sua stretta con la stessa
intensità e non appena Teresa trovò il coraggio
di alzare gli occhi verso di lui, sorridendo timidamente, una voce alle
loro spalle li fece trasalire:
- Eccomi! - Gridò Dorothy, fermandosi sulla porta con i
capelli in disordine e le guance rosse.
- Dorothy! Cosa ci fai qui? - Esclamò Teresa.
- Ti ho visto che uscivi e che andavi via senza di me, ma io lo sapevo
che venivi qui, quindi sono venuta anche io. - Rispose Dorothy
allegramente, avvicinandosi a loro. Li guardò per un momento
con aria critica e poi si rivolse a Teresa, domandando in tono serio: -
Glielo hai detto? -
Teresa avvampò, sciogliendo immediatamente la mano dalla
stretta di Patrick.
- Dorothy, non mi sembra il caso. -
- Allora posso io? - Fu la reazione della bambina, illuminandosi tutta.
- Dorothy... - Tentò debolmente Teresa, interrotta
immediatamente da Patrick.
Il consulente infatti scoccò a Teresa un'occhiata divertita
e poi si rivolse a Dorothy, accovacciandosi per avere gli occhi
all'altezza di quelli della bambina:
- Dirmi cosa? -
- La mamma ha prenotato a Disneyworld. Per tutti e tre! - Disse con
gioia.
Patrick si alzò, così colpito da quella
rivelazione da non crederci ancora del tutto. Si rivolse a Teresa per
avere una conferma, e la donna lo guardò con aria colpevole.
- Non devi sentirti obbligato. - Fu il suo commento.
Patrick la guardò senza parlare, ma i suoi occhi dicevano la
gratitudine e l'emozione che quella proposta gli aveva fatto provare.
- Vero che vieni? - lo incalzò Dorothy, scrollandolo per una
manica.
Patrick le posò una mano sui capelli, sorridendo commosso.
- Ma certo. Certo che verrò. -
- Grande! Sarà bellissimissimo! - Esclamò
Dorothy, raggiante.
- E per festeggiare ho già in mente dove potremmo andare. -
Le disse Patrick con un sorrisetto. - Ma solo se hai voglia di muffin
alla banana. -
Dorothy non se lo fece dire due volte. Giunse le mani e si rivolse a
Teresa con gli occhi che brillavano di emozione:
- Oh, sì! Possiamo, mamma? Possiamo? Tipregotipregotiprego. -
Teresa sospirò sorridendo.
- D'accordo. Andiamo. -
- Evvai! - Con un saltello Dorothy si voltò, correndo felice
fuori dalla stanza.
Patrick si voltò verso Teresa e le sorrise.
- Ti ricordi cosa mi hai detto quando ci siamo conosciuti? -
Teresa lo guardò senza capire.
- Mi hai detto che dalla mia caccia a John il Rosso non sarebbe mai
venuto niente di buono. - Le sorrise con occhi più sereni e
luminosi che mai. - Ti sbagliavi. -
Si chinò verso di lei e la baciò con tenerezza
sulle labbra.
Cinque minuti più tardi Dorothy camminava allegramente sul
selciato della strada principale di Sacramento tenendo Patrick e Teresa
per mano. Il sole baciava le mattonelle del marciapiede inondandole con
una luce dorata così intensa da darle l'illusione che la
strada fosse fatta di mattoni gialli.
(NDA
lunghissime stavolta. Chiedo venia)
Sono quasi commossa, nel mettere la parola fine a questa storia.
Adoro Patrick e Teresa e ho scoperto di amare Dorothy quasi quanto
loro... mi mancheranno.
Dpero che il finale abbia chiarito i vostri dubbi e che sia stato non
troppo intricato!
Mi auguro anche che vi abbia soddisfatto più del finale vero,
in cui John Il Rosso è solo una pedina e non ha una vera
motivazione per fare quello che fa.
La frase che Patrick dice a Teresa alla fine è ripresa
dall'episodio "Alba Rossa"... ho pensato che era perfetta per questo
finale!
Le ultime due righe invece ricalcano il disegno che Dorothy lascia a
Patrick e Teresa alla fine della prima storia,
volevo che fosse un po' come un cerchio che si chiude!
Per chi non la conosce, il "filo rosso" a cui Patrick allude due
volte, prima con Rigsby e poi con Teresa,
è quello di una leggenda giapponese: due anime gemelle
sono legate da un filo rosso invisibile
che le farà sempre rincontrare, qualunque cosa accada.
Mi piaceva l'idea che fosse un po' così anche per Jane e
Lisbon, perciò l'ho usata nella storia...
mi sembrava romantica (e rossa!) al punto giusto!
Spero di avervi donato qualche momento Mentalistico all'altezza.
Vi ringrazio per aver letto e recensito.
Grazie, grazie davvero, di cuore.
Alla prossima storia.
Flora
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