Vecchi ricordi e nuove avventure...

di Tomocchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Legame spezzato ***
Capitolo 2: *** Sorridi, Ranocchia! ***
Capitolo 3: *** Punch Rosso ***



Capitolo 1
*** Legame spezzato ***


ANOTHER WAY
UN ALTRO MODO DI ESSERE VAMPIRO

 

Capitolo Bonus
Legame spezzato

 

Stoccolma, gennaio del 1699

Stoyán si era da poco seduto ad un lunghissimo tavolo, tamburellando le dita sul piano liscio di ciliegio e dando un’occhiata alla lussuosa stanza in cui lo avevano fatto accomodare, dove regnava un silenzio quasi innaturale.
Era ampia, ben strutturata e con un soffitto dipinto con scene tratte da antichi miti religiosi, probabilmente greci; agli angoli erano poste delle poltroncine molto comode di colore verde e oro,
così come attorno al tavolo c’erano molte sedie, come se si fosse svolta da poco una riunione. Alle pareti c’erano altri quadri, raffiguranti delle persone molto belle e con un’aria altezzosa, almeno una decina.
Voltò la testa quando sentì la porta dietro di sé cigolare, da cui sbucarono altre due persone, un uomo e una donna.
“Stoyán, che piacere vederti.” Commentò la donna, alta, bionda e con un’aria nordica, avvicinandosi a lui per accarezzargli le spalle.
“Nonostante tu abbia più di trent’anni, sei sempre un bell’uomo…Come stai?”
“Bando ai convenevoli… come mai mi avete chiamato qui? Chi è morto?” sputò l’interpellato, tornando a fissare il tavolo con uno sguardo spento.
L’uomo, che al contrario era poco più basso della compagna e dai capelli castano caldo, scoppiò a ridere, raggiungendolo a sua volta: “ Sempre perspicace…”
“Non sono stupido. Allora, chi è morto?” richiese Stoyán, con un tono impaziente.
“Hansel. Il solito motivo, per amore…” commentò sprezzante il moro, continuando: “ Ha privato di tutto il sangue la sua amata umana e, impazzito, è uscito al sole. Ha spaventato un paio di passanti, abbiamo dovuto andare a rassicurarli e ipnotizzarli per far credere loro che non fosse successo nulla…”
Stoyán sospirò pesantemente, mentre una leggera stretta gli attanagliava il petto in una morsa.
L’ennesimo vampiro, che moriva per amore.
“Sii più chiaro Enrique, dove devo andare?”
“Austria. Devi reclutarne uno nuovo, cerca di seguire qualcuno di giovane, così da potergli dire quanto più possibile dopo la sua trasformazione.”
Già. Quando un umano veniva trasformato in vampiro, perdeva sia l’anima, sia i ricordi, e toccava al creatore raccontare quello che sapeva alla propria progenie. Non era possibile mentire, e questo faceva parte del legame.
“Ne sei in grado? Ci puoi riuscire, nonostante tu abbia perso da poco…?” domandò la bionda, prima di venir bruscamente interrotta.
“Posso farcela,
Adelhild.” Assicurò Stoyán, smettendo di tamburellare solo per stringere la mano in un pugno.
“Posso farcela.”

Belgrado, 16 agosto del 1717, notte fonda

Stoyán aveva sudato freddo.
Il ragazzo che aveva scelto di seguire, Niklas Reiter, era stato reclutato nella battaglia austro-turca e, successivamente, gravemente colpito al petto, rischiando la morte.
Non poteva permetterlo, non poteva buttare tutti quegli anni che lo aveva seguito con attenzione.
Senza contare che quel ragazzo dai capelli castano scuro gli ricordava terribilmente la persona che aveva amato anni fa, una persona che aveva, però, perso la vita.
Non sarebbe stato capace di sopportare una seconda perdita, non a così poca distanza l’una dall’altra.
Senza curarsi degli spari e dei colpi di cannone, l’uomo dai lunghi capelli neri, raccolti in una coda stretta, attraversò il campo di battaglia e si lanciò sul ragazzo per prenderlo tra le braccia e trarlo in salvo, lontano da quella pazzia.
Ansante e con l’adrenalina che gli scorreva in corpo, una volta nella sua tenda al sicuro, piantò i denti nel collo di Niklas e iniziò a succhiargli del sangue, poco meno della metà che aveva dentro di sé e si staccò, mordendo poi il proprio polso per far fuoriuscire il liquido rossastro e accostarlo alle labbra del giovane.
“Bevi.” Lo implorò, premendolo e insistendo affinché se ne cibasse. “Bevi!” gli ordinò, ancora.
Era necessario per la trasformazione, o non si sarebbe salvato.
Ma fortunatamente, anche se il ragazzo era più nell’aldilà che tra i vivi, riuscì nell’impresa e avvenne quella specie di trasfusione, che lo avrebbe reso una creatura della notte.
Quando stava per finire, sul volto di Niklas apparvero smorfie di dolore, la prova che la metamorfosi stava avvenendo, e tolse il polso, per leccare e cicatrizzare la ferita.
Stoyán non perse tempo e iniziò a scavare una buca per poterlo sotterrare, come la procedura richiedeva per completare la mutazione in vampiro.
Lo depose nella fossa e lo ricoprì di terra con attenzione, cercando di calmarsi e riprendere il controllo della situazione.
Era stato precipitoso, ma necessario.
Ora avrebbe dovuto aspettare il suo risveglio la notte dopo, sperando che fosse andato tutto bene...

***

 

Rinn, provincia di Innsbruck, Austria, fine agosto del 1717, sera.

Un vampiro.
Niklas era stato trasformato in vampiro da poco meno di una settimana da un uomo che diceva di chiamarsi Stoyán, e di averlo fatto per  salvargli la vita, o qualcosa di simile, ma faticava a crederci.
Attorno a lui erano morti un sacco di uomini, quindi perché lo aveva scelto tra quelle tante vittime?
Qualcosa non tornava, ogni volta che chiedeva qualcosa relativo a quella notte, l’altro era sempre evasivo, o generico.
In quella settimana aveva bevuto il sangue da lui. Non perché lo avesse voluto, ma perché il corvino gli aveva spiegato che prima avrebbe dovuto istruirlo di come muoversi e di cosa comportava la sua nuova natura.
Il primo passo del suo ‘addestramento’ era tornare nella sua terra natia, nella città doveva aveva vissuto, per poter prendere gli effetti personali.
Non avrebbe potuto parlare con la propria famiglia, perché da quello che Stoyán gli aveva raccontato, i suoi parenti erano molto cattolici, certamente non avrebbero accolto un cadavere maledetto a braccia aperte, anzi…
Quell’uomo, quel Stoyán, era quindi l’unica persona che gli era rimasta e sulla quale poteva contare.
Sentì come una sensazione di familiarità, quando mise piede nella piccola corte davanti a casa.
Sensazioni, ecco cosa gli rimaneva. Aveva perso i ricordi, ma gli erano rimaste delle sensazioni, ed era una magra consolazione.
Strinse le labbra, mentre l’uomo gli faceva cenno di seguirlo nella casa diroccata di fianco.
Salirono delle scale che erano tutto fuorché sicure, e raggiunsero il tetto, notando che da quel punto si vedeva una stanza.
“La tua camera, Niklas. Ora dovremo entrare e prendere un paio di vestiti, qualche tuo oggetto e …qualcosa che per te significhi qualcosa. Chiaro?” gli spiegò, in un sussurro.
Il moro annuì, seppur non del tutto convinto, e insieme al compagno saltarono verso la finestra, aggrappandosi a una delle imposte a fatica.
Quasi scivolò, visto che era al secondo piano, ma piantando le unghie nel legno riuscì a sostenersi per un soffio, trattenendo il respiro per lo spavento.
Facendo attenzione, Stoyán riuscì ad aprire la finestra, penetrando all’interno della stanza, che mostrava un letto, un armadio, una cassettiera, un comodino e una piccola scrivania, tutto rigorosamente in legno, dall’aria ben tenuta.
Il ragazzo si guardò attorno, avvicinandosi all’armadio e accarezzando un’anta con lentezza, quasi trattenendo il respiro.
Non ricordava nulla, eppure tutto questo era appartenuto a lui.
Strinse le labbra, mentre il maestro prendeva dei vestiti e li buttava alla rinfusa in un sacco.
“Sbrigati!” sussurrò l’uomo ancora, incitandolo a muoversi.
Niklas si riscosse e si guardò ancora attorno, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse trasmettergli qualcosa.
Si avvicinò a quello che doveva essere il suo vecchio letto, e prese un vecchio animaletto di pezza che aveva la forma di un coniglio, cucito a mano.
Lo faceva sentire sicuro, protetto, legato a…qualcosa.
“Questo. Questo…significa qualcosa.” Mormorò, deciso, lanciando un’occhiata all’uomo, che annuì e gli indicò una custodia.
“Prendi anche quella.” Ordinò, prima di saltare di nuovo giù dalla finestra, atterrando con grazia nella piccola corte.
Niklas lo fissò a bocca aperta, ammirato.
Il corvino gli sillabò un Salta!, facendogli cenno con la mano di seguirlo ancora una volta.
Niklas deglutì a vuoto e, seppur tremante, saltò a sua volta, stringendo i denti e gli occhi per la paura di farsi male, ma il suo risultato fu solo quello di ruzzolare un po’.
Okay, non era stato per nulla figo come Stoyán…
Si rimise in piedi e seguì il maestro fino in strada e poi nella stanza che avevano preso per quella notte.
Una volta dentro, il maestro accese il cero e lo porse al neo vampiro, serio in volto.
“Ora dovrai bruciare quel pupazzetto.” Disse solo, mentre il ragazzo sgranava gli occhi.
“Perché?”  chiese, più perché era sconvolto che per reale curiosità.
“È come una specie di taglio con la tua vita precedente. Devi farlo, brucialo, e sarà meglio. È come un rito di iniziazione, poi riuscirai a bere il sangue altrui.”
Il solo pensiero di bere del sangue, di essere umani…gli faceva contorcere lo stomaco.
Sospirò, tremante, e prese incerto la candela, mentre, nell’altra mano, teneva quel coniglietto di pezza. Sarebbe stato come bruciare una parte di sé…
Lo sguardo del suo creatore gli metteva talmente pressione addosso che decise di compiere quel gesto.
“D’a…d’accordo.”
L’odore della stoffa bruciata era nauseante…
Così come la sensazione che si stava impadronendo di lui dall’interno.

***

Russia, Odessa, sul Mar Nero, anno 1801

Gli era capitato il ragazzo più scansafatiche del mondo.
“Maestro, quando andiamo a casa?” domandò Niklas, prendendo una delle ceste di pesce che erano incaricati di portare al mercato. “Manca poco al sorgere del sole…”
“Lŭzhliv! Abbiamo ancora un’ora buona, piccolo mio. Riusciamo a fare un altro giro.” Assicurò l’uomo dai capelli neri, fissando il ragazzo con severità ma anche dolcezza.
Nonostante soleva lamentarsi spesso, alla fine era una buona compagnia, e non passava giorno in cui pensava di raccontagli la verità per cui l’aveva scelto.
Solo che, ogni volta, qualcosa lo bloccava.
Aveva paura di allontanarlo da sé…
Gli accarezzò la testa e lo spinse in avanti, per farlo muovere, seguito da uno sbuffo imbarazzato del moro.
Il mercato di non era lontanissimo, e in quel periodo invernale la notte durava di più e significava più tempo per loro.

Una volta consegnata la merce, vide Niklas adocchiare una donna dai capelli rossi e dalla carnagione chiara all’angolo della strada, intenta a civettare con un uomo, probabilmente un commerciante.
“…Maestro, cosa fa quella signorina?” domandò il moro, con un’ingenuità che poteva appartenere solo a un ragazzo ancora illibato, curioso ma anche timoroso.
“Quella, pupillo mio, è una…prostituta. Il mestiere più antico del mondo.” Rise di gusto, circondandogli le spalle con un braccio, per stringerlo a sé.
“Se facciamo attenzione, possiamo portarcela a casa come cena.” Propose, girandosi per guardarlo.
“V…va bene…”mugugnò l’altro, abbassando appena il capo, in imbarazzo.
“E or dunque andiamo.” lo esortò, avvicinandosi alla signorina con un sorriso sornione.
“Buonasera.” Salutò l’uomo, facendo un piccolo inchino e dando un leggera gomitata al suo allievo per intimargli di fare lo stesso.
“Buonasera.” Salutò affabile la donna di rimando, lasciando perdere l’altro uomo per dedicare più attenzione ai nuovi arrivati, molto più invitanti e probabilmente, danarosi.
“Vorrebbe accompagnarci sino alla nostra abitazione?” domandò il corvino, offrendole il braccio.
La donna sorrise, perdendosi nei suoi occhi neri.
“Con piacere.”

***

“Quello che devi ricordarti sulle donne è…”
Stoyán si era lanciato in un discorso dettagliato di cosa dovevano fare gli uomini in un letto, o possibilmente in un luogo comodo, con una donna.
“..trattarle con rispetto innanzitutto, e dedicare del tempo ai preleminari, che si eseguono facendo…”
Niklas era a dir poco allucinato da quello che stava udendo.
Gli occhi erano sgranati, la donna dai capelli rossi nella stanza accanto al corridoio dove era ora e il suo maestro stava facendogli una lezione di educazione sessuale talmente dettagliata da far venire l’ansia.
Lo trovava…terribilmente sconveniente!
“Ma…ma…” balbettò, cercando di bloccare quel fiume in piena.
“Che c’è? Vuoi che te lo rispiego, c’è qualche parte poco chiara?”
“NO!” Non voleva di nuovo udire – e soprattutto immaginare quelle cose- “Ma…quindi quella signorina serve per…”
“Ah, malandrino, vuoi andare subito alla parte interessante! Certo, devi fare…”
No, non ancora!
Era sconvolto…
Il ragazzo si coprì, vergognoso, la faccia con le mani, e ne voleva un altro paio per tapparsi anche le orecchie.
“ …e mi raccomando, sii gentile anche alla fine e chiedi loro se sono state bene, se desiderano qualcosa o se…”
“N…non voglio nulla maestro, non voglio nulla di tutto questo.” protestò debolmente, lanciando un’altra occhiata alla signorina che lo salutò maliziosa con un cenno della mano.
ARGH.
Stoyán inarcò un sopracciglio, stranito: “Un ragazzo della tua età, che non…”
“Davvero, nulla.” Ripeté, sicuro come non mai e terribilmente in ansia.
Il maestro sorrise, scompigliandogli i capelli per poi raggiungere la signorina in camera.
“Tu vai nell’altra stanza, ti chiamerò quando sarà…pronta per la cena.” Promise, chiudendo la porta.

Il sole era sorto da almeno un’ora, ma le tende scure e i muri spessi lo proteggevano dalla luce e quindi dalla morte.
Anche se l’avrebbe volentieri preferita, visto i rumori che sentiva nella stanza accanto.
Tremendo.
Avrebbe solo voluto mangiare e andare a letto, complice anche la stanchezza del lavoro di quella notte, e invece…
Sospirò, appoggiato ad una colonna portante del muro, quando vide finalmente la porta aprirsi, dove fece capolino la figura del suo maestro, ancora vestito.
…Cosa aveva fatto in quella camera allora? In effetti aveva sentito solo gli ansiti della signorina.
Deglutì a vuoto, mentre l’uomo gli faceva cenno di avvicinarsi e di entrare nella stanza.
“Io ho bevuto solo qualche goccio, il resto lo lascio a te.” Soffiò, indicandogli la donna stesa sul letto che aveva un’aria trasognata.
Si avvicinò a lei, titubante, e accostò le labbra al suo collo, prima di piantare i canini e iniziare a bere il suo sangue, ferroso e con un retro gusto salato che, in fondo, non era niente male.
Ormai quel senso di nausea che aveva provato le prime volte era scomparso, lasciandogli solo una fredda necessità, ovvero quella di sopravvivere.
Era un predatore della notte, e come tale doveva nutrirsi.
E ci aveva preso anche gusto, nel farlo…

Romania, Tulcea, sul Mar Nero, anno 1848

“Voglio quello.”
“No.”
“Ma tu hai i soldi! Sei pieno di soldi!”
“Lŭzhliv! Io non sono ricco, ho giusto il mio stipendio guadagnato con il sudore della fronte.”
Niklas sbuffò, esibendo poi un verso esasperato davanti ad una vetrina.
Si era fissato su una bellissima scacchiera, e diamine, la voleva da matti.
Sarebbe entrata nella collezione di oggetti che teneva nel suo baule del sedicesimo secolo, un baule regalatogli dal suo maestro e che –doveva ammetterlo- gli aveva fatto piacere e gli era dannatamente utile.
Non avrebbe occupato molto spazio, in fondo quel bagaglio era ancora vuoto, visto che conteneva solo il suo violino, qualche biglia colorata con cui era solito giocare e i vestiti che usava abitualmente.
Quella scacchiera era unica e la voleva.
Poteva concedersi un capriccio almeno una volta al secolo!
Chiedeva solo un piccolo prestito, ma quell’uomo che si definiva suo creatore era più che certo di non volergli scucire nulla.
Sbuffò ancora, fissando malissimo l’uomo di fronte a lui che non ammetteva discussioni.
“Non chiedo mai nulla. E suono anche il violino per te, qualche volta.” Mormorò, con un tono sofferto, cercando di farlo sentire in colpa.
Già, il violino, era il suo orgoglio. Ricordava ancora quando lo aveva aperto, per la prima volta, da vampiro.

Nella stanza in cui alloggiavano, dopo aver bruciato il pupazzetto, Niklas aveva appoggiato la custodia misteriosa sul tavolo e l’aveva accarezzata con dolcezza.
Anche questa gli stava trasmettendo qualcosa, ma cosa?
“Aprilo.” Lo invitò Stoyán, accarezzandogli la schiena “Non aver timore.”
Seppur incerto, il ragazzo lo aveva aperto e ci aveva trovato uno splendido violino.
“Questo violino è uno Stainer, del suo terzo periodo, acquistato da tuo padre per regalartelo quando avevi sei anni. È unico nel suo genere, questo artista non aveva allievi e perciò non ne troverai altri in giro, fai attenzione.” Gli raccontò l’uomo, preciso.
“Ma…lo so suonare? Davvero?” domandò Niklas sempre più titubante, prendendolo in mano e studiandolo da tutte le sue angolazioni.
Stoyán gli aveva allora sorriso incoraggiante: “Provaci.”

Ci aveva provato eccome. Quella sera aveva eseguito il suo primo concertino privato al suo maestro.
Certo, era ancora un po’ inesperto e rozzo, ma era tutta questione di pratica: già dopo un secolo, il suo stile era migliorato, e nel tempo libero era pure riuscito a comporre un pezzo.
Gli dispiaceva tenerlo solo come hobby; Stoyán non faceva che ripetergli che quello del musicista era un lavoro precario e che non avrebbe portato a nulla, e che se voleva avere del reale denaro in tasca avrebbe dovuto sudare parecchio con lavori di fatica.
Oltretutto, anche fosse stato bravo, non poteva esporsi troppo: avrebbero scoperto che quel ragazzo talentuoso e che non invecchiava mai era un maledetto vampiro. Non avrebbero esitato un secondo a fargli la pelle…
Lanciò un’occhiataccia ferita a Stoyán, che strinse le labbra e lo fissò di rimando.
“Credimi Niklas, è per il tuo bene. Pensa al futuro, a quanto ancora hai da vivere, devi avere dei soldi da parte.”
Ma quando mai gli aveva fatto del bene?
Già il solo fatto di averlo trasformato in vampiro gli aveva rovinato la vita, la sua vita da essere umano vivo, che si nutriva come tutti gli altri.
“Li guadagnerò più avanti quando sarà il momento.”
“Lŭzhliv! Ragazzo mio, il costo della vita sarà sempre più alto, rammendalo.”
“E cercherò un lavoro adatto al mio tenore di vita.”
“Lŭzhliv! Non sarà sempre così semplice trovare lavoro…”
Quant’era saccente! Si comportava come se fosse il detentore della verità assoluta.
Il solo fatto che quell’uomo fosse più vecchio di lui di almeno cinquecento anni non voleva dire nulla!
Il vampiro più giovane sbuffò ancora, irritato per quel comportamento.
Quell’uomo continuava a correggerlo, non poteva sbagliare qualcosa che il maestro era subito pronto a bacchettarlo con quel suo Lŭzhliv!, che odio!
“Forza, andiamo a casa, non abbiamo tutta la notte.” Gli ordinò il vecchio vampiro, facendogli cenno con la mano di andare.
Oh, sì che lo avrebbe seguito a casa….per il momento.

Mancava solo un’ora all’alba.
Niklas, silenziosamente, aveva raccattato tutte le sue cose –che non erano molte, in fondo- e le aveva messe nel proprio baule.
I soldi erano pochi, sì, ma per un po’ sarebbe sopravvissuto.
Ma non riusciva più a stare sotto il tetto con quell’uomo.
Non lo sopportava più.
Essere vampiro era una noia mortale, odiava da matti sottostare al suo creatore e ormai si reputava abbastanza adulto e responsabile per badare a sé stesso.
Sempre facendo attenzione, controllò che il maestro fosse ancora impegnato nei propri conti e prese il proprio bagaglio, per uscire dalla porta.
Doveva fare pianissimo, anche solo il più piccolo rumore avrebbe attirato la sua attenzione e quella era la sua unica occasione.
Non l’avrebbe sprecata.
Uscì e scese le scale con lentezza, sperando che il legno non scricchiolasse, e di non incontrare qualcun altro degli inquilini, anche se a quell’ora di notte dubitava che sarebbe successo.
Per sua fortuna, riuscì a raggiungere l’atrio e poi la strada fuori.
Inspirò l’aria e gettò un ultimo sguardo al condominio, prima di dare un’occhiata in giro.
Doveva nascondersi da qualche parte; non sarebbe riuscito ad andare troppo lontano, ma avrebbe dovuto far credere a Stoyán di esserci riuscito.

***

Il corvino aveva appena finito di fare il conto dei soldi che aveva, di cosa avrebbe dovuto pagare quel mese di affitto e altro.
Non c’era male, avanzava qualcosa…
Forse avrebbe potuto prestare i soldi a Niklas per quella scacchiera, ma quel ragazzo doveva imparare il valore del denaro e a tener conto di tutto ciò che aveva attorno…
Non poteva sperperare così.
Magari avrebbe potuto fargli un regalo, se si fosse comportato bene…
Sorrise un po’ tra sé, cercando di recuperare contegno e tornare serio, o sarebbe sembrato sospetto.
E lui voleva fargli una sorpresa.
Si alzò, per andare a vedere se il suo pupillo stava già dormendo, ma una volta arrivato sulla soglia della stanza dove riposava il giovane, rimase come pietrificato.
Era completamente vuota.
Non vi era un solo oggetto nella camera, solo il letto ancora sfatto dalla notte precedente e che l’altro non rifaceva mai, per pigrizia.
Si voltò di scatto, andando a vedere nelle altre stanze, ma anche lì non vi era traccia del compagno.
Rapido, uscì di casa e scese frettolosamente le scale, quasi affannato, raggiungendo il piccolo atrio che dava poi sulla via.
Dovette fermarsi perché, appena mise piede fuori, un raggio di sole lo investì, facendolo gemere di dolore e ritrarre immediatamente di nuovo all’interno, al sicuro tra le mura.
Maledizione, c’era già la luce fuori…
Si sedette a terra ,ansante ed esausto, gli occhi chiusi.
Niklas era fuggito.
Era fuggito e lui non se ne era accorto.
Sentiva un profondo vuoto, dentro di sé, e non riusciva a concepire la sua assenza.
Come aveva potuto abbandonarlo in quel modo?
Nemmeno un biglietto, una parola, un tentativo di mettere le cose a posto.
Lo aveva scelto tra i tanti perché gli ricordava quella persona, ma dopo averlo conosciuto, dopo averci vissuto…
Si era affezionato a lui.
Tantissimo.
E non voleva stare senza la sua presenza, seppur pigra.
Serrò le labbra e riaprì gli occhi, dopo aver preso una decisione.
Lui avrebbe ritrovato il suo piccolo ad ogni costo.
Ad ogni costo.


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Parla Tomocchi:
One-Shot Premio per Blackrose_96, ovvero il passato di Niklas e Stoyán :3
Ci ho messo parecchio a riordinare le idee, a mettere a posto le cose, e ci sono riuscita dopo…quanto? Un mese?x°D
Come potete notare, anche i vampiri hanno problemi con l’affitto (lol) e ci sono ragazzi ancora pudici…sì, credetemi, esistono eccome.
Quest’ultima parte volevo che fosse un po’ straziante (?) spero di esserci riuscita…
Comunque spero ti piaccia ragazza mia, fammi sapere *3* e grazie anche a chi passa e chi legge! :3

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Capitolo 2
*** Sorridi, Ranocchia! ***


ANOTHER WAY
UN ALTRO MODO DI ESSERE VAMPIRO

 

Capitolo Bonus 2
Sorridi, Ranocchia!

 

Provincia di Dublino, 13 Febbraio 2014, casa di Niklas Reiter.

Regnava un silenzio quasi innaturale in quella casa dove stavano convivendo ben quattro vampiri di diverse nazionalità.
Taylor, il più giovane e ultimo trasformato tra quei quattro –relativamente parlando, perché dimostrava circa vent’anni, tre più di Niklas, il padrone di casa- si alzò, verso inizio pomeriggio, per fregare dalla dispensa una delle sacche di sangue di Stoyán, il più anziano nonché mentore di tutti loro: li aveva aiutati nei momenti più duri, era il loro amico più prezioso, ma il languorino che aveva lo costringeva a placare presto quella sua sete di sangue, e di uscire non ne aveva proprio voglia.
Prima di recarsi in cucina, andò prima in bagno, desideroso di darsi una rinfrescata al viso.
Solo che, quando aprì la porta, gli si presentò davanti uno spettacolo niente male.
Charlotte, l’unica donna della casa, era appena uscita dalla doccia, completamente nuda; l’unico asciugamano della stanza era sui suoi lunghi capelli castani, che li stava frizionando con la salvietta per asciugarli un po’ prima di passare al phon.
La vampira francese era di schiena, e nonostante il vapore dovuto all’acqua calda alleggiasse per il bagno, si vedevano fin troppo bene le sue forme sinuose e abbondanti.
Taylor rimase qualche secondo a fissarla, completamente perso in quella visione, prima che la ragazza si accorgesse della sua presenza, probabilmente avvenuta per uno spiffero freddo dovuto alla porta aperta.
Si girò di scatto, coprendosi velocemente con l’asciugamano e cacciando uno strillo imbarazzato, seguito da un: “Taylov!” detto con rimprovero e sorpresa.
Il vampiro dai corti capelli color sabbia si riscosse, borbottò delle scuse smozzicate e richiuse immediatamente la porta alle proprie spalle, appoggiandosi ad essa con un sospiro.
Cavoli, doveva ammettere che Charlotte era insopportabile, quel suo difetto di pronuncia irritante, però… in quel momento aveva maledetto quel particolare che i vampiri non potevano riflettersi allo specchio, perché in quel caso avrebbe potuto dare una sbirciata anche al suo gran davanzale…
Scosse il capo, per mandar via quei pensieri che solitamente non aveva.
Lui non sopportava lei, lei non sopportava lui, solo Stoyán faceva loro da tramite e tutto questo andava più che bene.

“Sei un guavdone.” Soffiò irritata la vampira, una volta asciugata e vestita, ravvivandosi indietro i vaporosi capelli castani, mentre faceva il suo ingresso nell’ampia stanza che comprendeva cucina a destra e salotto a sinistra.
Taylor inarcò le sopracciglia, alzando la testa per guardarla meglio.
“Scusa, che hai detto? Parla bene, invece di gracidare, Ranocchia.”
Ranocchia era il suo personalissimo insulto/nomignolo nei confronti di Charlotte.
Perché Ranocchia?
Ovviamente era tutto collegato: Francia, cibo, ranocchie. I francesi mangiavano le ranocchie e dato che lei era francese era risultato molto semplice associarla a quella parola.
Okay, mangiavano solo le cosce, ma sempre rane erano.
“Io non gvacido! E non sono una vanocchia!” ribatté ancora la giovane donna, stringendo le mani in pugni, pronti a colpire, se necessario.
“Come no… guarda lì, hai pure la faccia verde.” la prese ancora in giro, indicandola con un gesto circolare dell’indice.
Ci provava davvero gusto a provocarla, era uno spasso.
“Ah!” esclamò trionfante la vampira: “Qui sbagli, cavo mio! Quello con la faccia vevde di solito sei tu con le tue vidicole mascheve di bellezza!”
Aehm.
Touché.” Ammise, alzando le mani in segno di resa, prima di riprendere a bere il sangue della sacca fregata a Stoyán.
In effetti, faceva spesso uso volentieri dei prodotti per la pelle, che fossero creme, maschere, o tanto altro. Ci teneva a tenere bella la sua epidermide: il fatto che fosse morto e resuscitato come cadav- ehm, vampiro, non voleva automaticamente dire di tenersi male, vedi Niklas.
Quell’austriaco girava peggio messo di un barbone… non per niente si nutriva della maggior parte della gente di quel determinato ceto sociale.
Vide Charlotte sorridere soddisfatta di quella sua piccola vittoria giornaliera.
“Così sembri proprio la rana dalla bocca larga, con quel sorriso da un orecchio all’altro…” quella sua ultima frase riaccese la discussione, causando il risveglio di Stoyán che rispedì a letto entrambi i giovani, rabbioso.

A fine giornata, ovviamente era giunta la sera.
Niklas salutò con un grugnito, borbottando qualcosa sul fatto che doveva uscire a mangiare.
Stoyán aveva salutato a sua volta prima di recarsi al lavoro: era stato assunto come addetto alle pulizie serali in un ufficio, e così Charlotte e Taylor si erano ritrovati a casa da soli, seduti sul divano.
Non era la prima e nemmeno l’ultima volta che succedeva, ma il silenzio imbarazzante che cadeva ogni volta era un po’ sfiancante.
Così Taylor decise di rompere quella routine, con…
“Ti va… di uscire fuori? A bere, dico.” Si affrettò di aggiungere, salvo fraintendimenti.
La castana lo fulminò con lo sguardo, fissandolo con aria critica, come a captare una qualche trappola.
Rimase con quell’espressione per un paio di minuti buoni, prima di dare il suo responso.
“D’accordo.” Sibilò, alzandosi per andare a prendere il cappotto.
Il vampiro alzò gli occhi al soffitto, esasperato, maledicendo la volta che aveva aperto bocca.
Nonostante tutto, si preparò a sua volta, passando circa tre quarti d’ora in bagno prima di farsi trovare davanti alla porta.
“Ci hai messo una vita!” lo rimproverò lei, aprendo l’uscio per recarsi fuori dalla abitazione.
“Dovevo finire di farmi la barba e mettermi la crema, darmi una sistematina alle unghie…” si lagnò il ragazzo, prima di venir interrotto da un beffardo: “Potevi favlo pvima.” Della coinquilina.
“Prima non ne avevo voglia, ranocchia, pensaci prima di aprir quella bocca larga.” La schernì subito l’altro, acido come del latto rancido lasciato per mesi in frigo.
Come poteva permettersi di fargli la predica?
Lui non si lamentava mai quando lei occupava il bagno, sapeva tutte le implicazioni che c’erano nello prepararsi, e solo perché lui era un uomo non voleva dire che doveva metterci poco tempo.
“La smetti di chiamavmi vanocchia? È pesante.” Sbottò Charlotte, mentre il rumore delle sue scarpe con il tacco risuonavano sull’asfalto della strada come schiocchi, facendo un gran rumore.
“Dici Ranocchia? Ti si addice. O preferisci gallina, in riferimento all’antica Gallia? O ancora, peripatetica, in rappresentanza della tendenza di voi francesi ai facili costumi? Lumaca? Ma no, quello lo userò solo quando sbaverai dietro Stoyán…” rise di gusto, tanto da tenersi la pancia con le mani, soddisfatto di tutti gli epiteti che era riuscito a trovare.
Solo che doveva aver detto una parola di troppo, perché la donna si fermò, lasciandolo proseguire da solo per qualche metro.
“Ehi, che ti prende? Andiamo, scherzavo.” Non erano dette con cattiveria, erano semplici… insulti.
Come quando lei chiamava lui donnicciola, fighetta.
“Mi hai dato della pvostituta. ” il tono era piatto, privo d’espressione.
Taylor si fermò e si voltò per riavvicinarsi un po’.
“Ho detto che scherzavo. Dai, torno a ranocchia, va bene?”
“Tu che ne sai delle pvostitute?” ora era fredda, distante, altezzosa. “Cosa ne sai tu di quello che costvinge una donna a fave la pvostituta? Non nego che ci sia qualcuna che lo faccia per piaceve, ma c’è anche chi è costvetta a fave quella vita, a sovbive chissà quali pevsonaggi, finché qualcuno non avviva a toglievla dalla stvada.”
“Ehi, così sembra che l’hai presa sul personale.” Cercò di sdrammatizzare il ragazzo, alzando appena l’angolo della bocca.
“Non sembva. Lo è.” Ringhiò la francese, dandogli uno spintone così forte da mandarlo dritto disteso a terra.
Una volta a contatto con la strada, Charlotte lo tenne sull’asfalto piantandogli il tacco proprio sullo sterno, con forza.
“Vai a quel paese, Taylov. O fovse dovvei chiamavti…”
“Non dire quel nome!” la bloccò l’interpellato con un tono strozzato.
Odiava il suo vero nome e odiava sentirlo pronunciare.
La donna lo guardò sprezzante, prima di lasciarlo e voltarsi offesa, ripercorrendo la strada fatta poco prima per tornare a casa.
Probabilmente quella stupida avrebbe digiunato…

Il giorno dopo, San Valentino, venerdì mattina, sempre a casa di Niklas.

Charlotte si era davvero rifiutata di uscire a mangiare pur di non incontrare Taylor.
La giovane donna si era chiusa nella propria stanza e si rifiutava di uscire.
Niklas non ci aveva badato granché, pensava fosse solo un capriccio ed era andato a scuola senza farsi troppi problemi.
Taylor invece era rimasto a rimuginare sull’accaduto, mentre si massaggiava la parte lesa dal tacco a spillo, cercando un qualche pensiero che non lo facesse sentire in colpa.
Se lei aveva ammesso che se la era presa perché la cosa era appunto personale, voleva dire che lei stessa o qualche sua conoscenza aveva vissuto da prostituta.
Aveva venduto il suo corpo e la sua dignità per sopravvivere.
Prima o dopo l’essere diventata un vampiro? Ma questo non aveva importanza.
Il punto era che lui era uno sciocco e si era spinto oltre, troppo oltre, quella volta.
Si morse il labbro, indeciso.
Avrebbe potuto chiedere a Stoyán aiuto, ma l’uomo stava dormendo e non voleva disturbarlo.
Così, dopo essersi imbacuccato a dovere per affrontare la giornata, uscì.
Il tempo sembrava dalla sua parte: nuvoloso. Ottimo inizio, non rischiava di morir bruciato.
Si tolse il cappellino che si era messo e se lo infilò in tasca, tenendosi comunque gli occhiali da sole come sicurezza. Non avrebbero fatto molto, ma lo rendevano figo e tanto bastava.
Si recò a passo svelto fino alla piazza del paesino e si guardò attorno, alla ricerca del negozio che faceva al caso suo.

***

Quell’insulso e maledetto Taylor.
Lui e quella sua boccaccia!
E poi Stoyán si chiedeva perché loro non potevano andare d’accordo… ah!
Sarebbe morta prima di riuscire a stare con lui nella stessa stanza senza insultarlo.
E ci teneva parecchio alla propria pelle, quindi quel rapporto sarebbe rimasto così per parecchio tempo.
Sapeva solo “scherzare”, il cretino!
Perché lui non aveva vissuto nulla del genere. Non era stato preso dalla sua famiglia e poi abbandonato dal proprio creatore.
Anzi, quello sì. In effetti avevano quella cosa in comune.
Ma lui poi era stato raccolto e allevato da Stoyán, mentre lei aveva patito le pene dell’inferno, sotto luride mani, prima di essere salvata da Ginevra e Artorius, la coppia di vampiri che l’avevano accolta come propria figlia.
I due poi l’avevano abbandonata di nuovo, e lei si era sentita nuovamente perduta, prima che il vampiro bulgaro giungesse in suo aiuto.
E grazie a lui, di recente, aveva ritrovato i due suddetti vampiri e aveva scoperto il perché della loro fuga improvvisa.1
Strinse le labbra e si asciugò una lacrima sfuggita al suo controllo, tamponandosi l’angolo dell’occhio con un fazzoletto, in modo da non danneggiare il trucco presente ancora dalla sera prima.
Non ci teneva ad andare in giro in modalità panda depresso.
Strinse il lenzuolo tra le dita, stesa sul letto, quando un bussare alla porta attirò la sua attenzione.
Fissò quel pezzo di legno con astio, prima di tornare a guardare ostinatamente il muro, imbronciata.
Non voleva vedere nessuno, e nessuno sarebbe entrato.
Era ancora troppo presto perché Niklas fosse tornato da scuola, e troppo presto perché Stoyán fosse già in piedi. Perciò, l’unico, poteva essere solo…
“Ranocchia, aprimi.”
“No, Taylov. Vattene.” Sibilò, mentre l’idea di azzannarlo e di farlo a brandelli la allettava più che mai. Altro che tacco a spillo sullo sterno, avrebbe dovuto renderlo paraplegico.
Lo sentì sospirare, afflitto.
“Vabbeh, toh.”
Spinta dalla curiosità –maledizione!- alzò il capo appena in tempo per vedere un foglietto scivolare sotto la porta.
Un foglietto.
Doveva esserci scritto qualcosa, non poteva essere bianco, no?
Si alzò, quatta quatta, e lo prese lesta, tornando a rannicchiarsi sul letto per aprirlo.
Erano una serie di lettere maiuscole e minuscole con numeri a casaccio, di circa otto cifre.
Non poté trattenersi dal chiedere spiegazioni, anche se una idea ce la aveva: “Cos’è?” domandò, sospettosa.
“Se mi apri te lo dico, altrimenti nulla.” Pose come condizione quello stupido.
La curiosità è donna.
Ma la curiosità uccise il gatto.
Se la curiosità è donna, Charlotte era la curiosità, e in tal caso avrebbe ucciso il gatto, ovvero Taylor, che continuava a stuzzicarla imperterrito.
Si accostò alla porta e aprì appena uno spiraglio, pronta a graffiargli la faccia, che si trovò davanti un piccolo mazzo di giacinti color porpora.
Oh.
“Mi dispiace, ranocchia. Non volevo offenderti. Cioè, anche ora, lo sai che è il tuo nomignolo…” borbottò il vampiro dai capelli color sabbia, grattandosi la nuca un po’ a disagio.
Lei prese i fiori e aprì un po’ di più la porta, rivelandosi la sua mise.
Babydoll rosa praticamente trasparente con mutandine di pizzo dello stesso colore, che fecero voltare Taylor da un’altra parte.
“La solita… non potresti metterti in tenuta da casa come fa Nik? Una semplice maglietta e pantaloni della tuta, mica devi andare ad una sfilata…” mugugnò, coprendosi gli occhi con una mano.
“Io mi tvovo bene così, sto comoda così.” Rispose piccata la francese, per poi mostrare il biglietto.
“Ho chiesto: Che cos’è?” domandò, con un tono indecifrabile. Sembrava disagio misto paura con un pizzico di riconoscenza.
“Uhm… è la password del computer di Niklas. Hai ancora due ore prima che torni, così puoi giocare a quel robo che fai finta di odiare quando in realtà si vede che sei una nerd nascosta.” Spiegò, mentre lei lo guardava a bocca aperta.
Ma…! Ma…!
“Non mi piace!” sbottò ad alta voce, prima di sentire un verso lamentoso di Stoyán provenire dalla camera accanto ed abbassare i toni.
“Io non… non gioco a…. non mi piace quella voba…” disse a denti stretti, mostrando i canini.
Odiava quella parte di sé e odiava che quella fighetta ne fosse a conoscenza.
“Sì, sì, e io odio andare dall’estetista…! Ma va’ a giocare e zitta!” la provocò lui, con un sorrisetto che sembrava dire Coraggio, picchiami!
Ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
“D’accovdo, d’accovdo! Contvollo se sono avvivate email e poi chiudo!” borbottò lei, scostandolo malamente per poter raggiungere il divano e mettersi sulle gambe il portatile.
“E… questi a cosa sevvono?” domandò poi, titubante, agitando il mazzolino che, senza accorgersene, si era portata dietro.
Doveva ammettere che quelle scuse le avevano fatto piacere e l’avevano rabbonita un po’ nei suoi confronti. E anche i fiori, sì.
“Sono giacinti. Per farmi perdonare.” Buttò là il giovane, per poi guardarla di sottecchi.
“Che c’è? Che hai da guavdave?” soffiò indispettita la vampira per tutta quella attenzione nei suoi confronti.
Taylor sbuffò divertito.
“Sorridi, ranocchia! Non mi offendo mica, sai.”
Ah, voleva pure la soddisfazione di sapere che lei lo aveva perdonato.
Ma non così in fretta.
Avrebbe dovuto sopportare ancora un po’ i suoi sensi di colpa, così imparava.
Richiuse il portatile, alzandosi per tornare in camera a prepararsi.
“Pvima povtami a beve da qualche bell’uomo decente.” Disse, pizzicandogli il naso per dispetto, cosa che provocò una piccola smorfia sul volto di Taylor.
“Poi ne vipavliamo.” Concluse, ancheggiando fino a sparire nella stanza, non prima di aver lanciato un sorrisetto divertito all’indirizzo del coinquilino, che ricambiò con un altrettanto sorriso soddisfatto.
“ E muoviti a pvepavavti, che poi il bagno lo devo usave io, fighetta!”

 

1 Per saperne di più, se non lo avete fatto, leggere Secrets from the past
AskAnotherWay
Il gruppo Facebook
Parla Tomocchi:
uhm. Da dove iniziare. Questa Os (un po’ missing moment, perché è ambientata comunque all’interno della storia principale e spiega perché Char e Tay a S. Valentino non erano in casa –Stoyán si sa che era al lavoro-)  è nata dal post di Ludovica/Blackrose_96 sul mio gruppo FB, che recitava “Secondo me Taylor e Charlotte hanno avuto (o avranno) una relazione *fugge via dalla lapidazione*” sostenuta da commenti come “Chi si odia si ama. Vedi Niklas con Jackie U.U” oppure “Anche a me hanno dato quest’impressione *-*”… poi mi è stata suggerita una trama eh… come potevo dire di no? Dopo circa un mese e mezzo (il post ho notato che risale al 30 marzo x°D) ho partorito dopo 5 ore e mezza di travaglio questa creaturina. Spero che le fan di AW siano contente x°D non è nulla di troppo romantico, e i fiori ci stanno sempre, secondo me. Il vero regalo per farsi perdonare è la pass del pc di Nik x°D
I giacinti color porpora, nel linguaggio dei fiori, significano proprio “Perdonami”, un tentativo di comprensione e di scuse, mi pare.
Sappiatemi dire °3°

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Capitolo 3
*** Punch Rosso ***


ANOTHER WAY
UN ALTRO MODO DI ESSERE VAMPIRO

 

Capitolo bonus 3
Punch rosso

 

 

Provincia di Dublino, venerdì 30 Maggio 2014

Era una serata tranquilla, in quella zona residenziale, dove le case erano già illuminate e le famiglie finivano di consumare la cena.
Ma non tutte stavano ancora mangiando.
Mancava circa un’oretta alle otto e Jackie O’Moore stava seduta sul divano con indosso un abito elegante, un vestito il cui corpetto le fasciava il petto e la gonna di tulle di un blu Prussia molto cupo ma che, come aveva pensato la ragazza, si sarebbe perfettamente intonato con gli occhi del suo ragazzo, Niklas Reiter.
“Non dovrebbe essere già qui?” domandò Marion, sua madre, pensierosa.
La brunetta, che aveva iniziato a lisciarsi i lunghi capelli mossi per distrarsi, si morse il labbro inferiore, nervosa.
Come poteva spiegare che non sarebbe arrivato finché il sole non fosse calato, visto che Nik era un vampiro?
Guardò i suoi genitori, vicini a lei, soprattutto il padre Howard, che teneva tra le mani una fotocamera digitale che non vedeva l’ora di immortalare la coppietta che da lì a poco si sarebbe recata al Pre-Debs, il piccolo ballo dell’ultimo anno tipico di alcune scuole irlandesi.
Jackie, doveva ammetterlo, stava escogitando un modo per poter evitare quella foto, non tanto per l’essere immortalata –nonostante i chiletti di troppo il vestito era stupendo e si era rimirata allo specchio per tre quarti d’ora in camera- ma più che altro per il fatto che Niklas non sarebbe venuto in foto.
Ogni volta che ripensava a quel particolare se ne dispiaceva; tra tutte le caratteristiche che avevano i vampiri dei libri, lui aveva le più sfigate: non poteva sopportare l’aglio, la rosa canina e il biancospino; non veniva in foto, non poteva entrare senza essere invitato e non poteva stare alla luce del sole.
Eppure Edward Cullen e Stefan Salvatore potevano!
Con un verso lamentoso ringraziò il nulla che il Pre-Debs si sarebbe tenuto di sera, almeno quel musone di Niklas non avrebbe potuto tirare fuori la scusa del non poter uscire per attaccarsi al quello stupido pc portatile a cui era solito giocare.
Niklas era un vampiro di 313 anni con l’aspetto di un diciasettenne, scontroso, asociale e fanatico di videogiochi per il computer. Per cinque anni non lo aveva degnato di attenzione, per cinque anni lo aveva creduto normale, ma quando Daniel Hill, un suo compagno di classe, le aveva confessato che quel ragazzo che si teneva peggio di un barbone era un vampiro, aveva deciso di rimetterlo in riga e di renderlo come una vera creatura della notte doveva essere: affascinante, bello e dannato!
Come fan di Twilight e di molte altre saghe simili, Jackie aveva stilato un programmino e si era presentata alla sua porta per convincerlo a cambiare, promettendogli che lo avrebbe aiutato a conquistare la bella ragazza per cui il vampiro aveva una cotta, ovvero Rogan Macklemore.
Alla fine, dopo avventure, baci inaspettati e tanto altro, Niklas aveva conquistato la sua amata, ma anche lei nel frattempo si era innamorata di lui, perciò aveva deciso di troncare ogni rapporto per non poter più soffrire nel vederlo con un’altra.
I ricordi di quei momenti si facevano vaghi, ma, non sapeva come, erano tornati a parlarsi ed a essere amici; Nik nel frattempo aveva chiuso la relazione con Rogan, o per meglio dire, Rogan aveva lasciato lui, visto quant’era stato freddo con lei.
Col tempo, si erano accorti di provare qualcosa l’uno per l’altra, ma ci avevano messo parecchio per potersi dichiarare.
Alla fine erano lì.
Ce la avevano fatta.
“Se non arriva presto, farete tardi…”aggiunse ancora sua madre, preoccupata, gettando uno sguardo all’orologio e interrompendo così il flusso di pensieri della ragazza.
Jackie sospirò, tirando fuori il cellulare dalla pochette intonata al vestito per vedere se erano arrivati dei messaggi.
Uno era di Leenane, la sua migliore amica nonché parrucchiera emergente: la avvisava che sarebbe arrivata entro un minuto a prenderla con l’auto per accompagnarla all’hotel dove si sarebbe tenuto il ballo.
L’altro era di Niklas, semplice e conciso, che le diceva di venire fuori, che lui non sarebbe entrato per paura di venir appunto fotografato: il poveretto conosceva la numerosa e strampalata famiglia O’Moore, doveva dargli atto che non aveva tutti i torti.
“Mamma, papà, io esco. Lee è già arrivata e passiamo a prendere Nik!” avvisò la ragazza bruna, alzandosi in piedi di scatto.
Sarebbe volentieri fuggita, ma con i tacchi alti era un pochino difficile.
“D’accordo… Le solite cose, fai attenzione, non metterti nei guai e niente cose affrettate…” la reguardì la madre, salutandola con un sonoro bacio sulla guancia.
“Non vogliamo nipotini troppo presto.” Si aggiunse il padre, facendo così arrossire la figlia.
“Tranquilli! A-Andrà tutto bene!” balbettò la ragazza, distogliendo lo sguardo rossa come un peperone.
Il suo vampiro non poteva avere figli… un’altra caratteristica stupenda! Poteva dare la “vita” solo attraverso il sangue…
“Io vado!” salutò ancora, dirigendosi alla porta mentre le scarpe dello stesso blu del vestito picchettavano sul parquet facendo un rumore impressionante.
“È un peccato per la foto, però… ci tenevo…” piagnucolò la donna, con le mani congiunte.
“Sarà per un’altra volta!” liquidò in fretta la ragazza. Aprì la porta e uscì, camminando a passo svelto lungo il vialetto che l’avrebbe portata al marciapiede, dove era già presente la Suzuki nera della sua amica e Niklas davanti alla porta del passeggero che la attendeva nel suo completo blu -aveva insistito perché indossassero lo stesso colore- e un piccolo bouquet di rose rosse.
Con un sorriso lo raggiunse, gli mise le braccia al collo e si alzò appena sulle punte dei piedi per scoccargli un bacio, che lui accettò ben volentieri.
Il suo Nik! Con quei suoi capelli castani mossi un po’ disordinati, quegli occhiali spessi perché cieco come una talpa, quegli occhi blu che adorava... aveva iniziato ad apprezzare tutte quelle piccole cose.
“Aspetta che ti metto questo...” mormorò il ragazzo, prima di prenderle il polso e allacciarle il piccolo bouquet ad esso, come era usanza fare per quei tipi di balli.
“Grazie... però potevi entrare un attimo a salutare i miei genitori!” si lamentò la brunetta, mentre lui sospirava, già stanco ancor prima di iniziare la discussione:” Non avevo voglia di inventarmi scuse per evitare la foto... su, sali.”
Una volta in auto, Jackie salutò l’amica con un bacio sulla guancia entusiasta, che mise in moto dopo aver acceso la radio e aver fatto partire un cd che entrambe adoravano.

***


Subito Niklas alzò gli occhi al soffitto, coprendosi le orecchie con le mani, infastidito.
Non sopportava molto quel gruppo di bimbetti, quei cinque dilettanti di nome One Direction, non avevano nulla a che vedere con i grandi quali Frank Sinatra, tanto per dirne una, ma Jackie li adorava quasi fossero stati divinità scese in terra.
Non la capiva, ma accettava. Dopotutto i gusti erano gusti, almeno Jackie non gli contestava troppo i suoi giochi del pc a patto che lui limitasse i propri commenti su quel gruppo.
Mentre le due ragazze si dilettavano in urletti cantando le loro canzoni preferite, il vampiro guardava fuori dal finestrino, osservando il paesaggio cambiare mano a mano che il tempo passava, pensieroso.
Il primo pre-Debs, il primo ballo organizzato prima di quello dei debuttanti vero e proprio, a cui partecipava...
Quando una persona veniva trasformata in vampiro, perdeva tutti i ricordi della sua vita umana, rimanendo solo con mere sensazioni che contavano poco o nulla, ma chiuse un attimo gli occhi, ricordando ciò che gli aveva raccontato il proprio creatore, un paio di mesi prima.
L’uomo gli aveva parlato del suo primo ballo, nel lontano 1700, dove era rimasto in disparte, limitandosi ad osservare danzare suo fratello Dietrich con una ragazza. Tutti si erano divertiti, meno che lui, troppo timido per interagire.
Ripensò quella atmosfera allegra che aveva paura di sfiorare, di entrare e di ritrovarsi coinvolto, senza sapere come agire e come muoversi...
“Siamo arrivati!” cinguettò Jackie, riportandolo bruscamente alla realtà come se avesse ricevuto uno schiaffo.
Quelle sensazioni si erano impadronite di lui, avvolgendolo come una coperta calda e accogliente, tanto da fargli dimenticare la realtà.
Sospirando per l’ennesima volta, scese dall’auto e salutò Leenane, ringraziandola con un grugnito e un cenno della mano, prima di dirigersi a braccetto -quant’era imbarazzante!- con la propria ragazza all’interno dell’hotel.
L’atrio era luminoso e accogliente, una volta superate le porte scorrevoli di vetro: il pavimento, di un rosso mattone, si sposava perfettamente con il giallo tenue delle pareti, ornate da una deliziosa cornicetta di fiori al centro, mentre sul soffitto campeggiava un bellissimo ed enorme lampadario fatto di piccoli cristalli.
Alcuni dei loro compagni erano già presenti, così come altri studenti dell’ultimo anno che Niklas conosceva solo di vista.
In quell’enorme salone adibito per il ballo già risuonava della musica tranquilla in attesa dell’arrivo della band che si sarebbe esibita sul palco.
Tavole imbandite di stuzzichini e bibite poste contro il muro a destra, il palchetto per il gruppo ingaggiato a sinistra.
“Direi che non è niente male, no?” cinguettò ancora Jackie, trascinandolo subito al centro della pista con una forza incredibile.
Riusciva sempre a sottometterlo, in un modo o nell’altro...
“Sì, carino.” grugnì l’austriaco, sentendosi osservato da tutte le persone presenti in sala.
Probabilmente li stavano guardando perché erano gli unici due cretini che si erano già messi a ballare... o perlomeno, perché aveva a fianco l’unica cretina che stava già ballando.
Lui si sentiva rigido come un palo, non sapeva assolutamente come muoversi e non voleva fare figuracce che avrebbero potuto attirare l’attenzione di fotografi che avrebbero immortalato quella scena epica, scoprendo così la sua natura...
Sentì delle risate alle sue spalle, e quando si voltò per guardare, scoprì che l’autrice era Rogan, la sua ex ragazza.
Si erano lasciati in malo modo, ma non riusciva a sentirsi in colpa: lei si era mostrata sempre diversa da come appariva, aveva venduto false illusioni... certo anche lui non era stato del tutto sincero -non aveva ammesso di provare qualcosa per Jackie ancor prima di mettersi con la bella dai capelli rossi- ma nemmeno sforzandosi poteva rimpiangere quello che aveva perso.
Già, lui aveva tutto quello che desiderava.
Sorrise, senza poterselo impedire, osservando la faccia stupita della sua ex che lo guardava con un misto di curiosità e confusione per quello sguardo.
Probabilmente si erano messe a ridere per il comportamento ridicolo di Jackie, dei suoi movimenti goffi, ma a lui non importava, ed era certo che lo pensasse anche la brunetta.
Stava per iniziare a muoversi anche lui, dopo aver preso un minimo di coraggio, quando udì delle nuove voci che si fecero sentire una volta varcata la porta di vetro.

***

 

Jackie non poteva credere ai propri occhi.
Quello era Kevin, il suo ex ragazzo! Quello con cui era stata insieme per una settimana quando era alle medie, prima di mollarlo perché insultava Justin Bieber -che lei al contrario adorava, ovviamente-.
D’istinto si nascose dietro Niklas, in modo da non farsi vedere.
Ricordava che suonava la chitarra, ma non sapeva che avesse messo su addirittura un gruppo!
Osservò il quintetto di ragazzi camminare fino al palco e iniziare a sistemare gli strumenti, abbastanza frettolosi perché a breve avrebbero dovuto iniziare.
La sala si stava riempiendo sempre più, finché le luci non vennero abbassate e  prese parola il presidente del comitato scolastico che aveva organizzato l’evento.
Picchiettò con l’indice sul microfono, fece qualche versaccio di prova e poi parlò.
“Benvenuti al pre-Debs, organizzato prima del ballo dei debuttanti vero e proprio, che ti terrà in autunno! Stasera ci si scatena, grazie alla musica dei Pink Bullet, per festeggiare insieme l’ultimo anno del liceo! Yu-uh!”
Certo che quel ragazzo biondo belloccio sembrava già matto di suo... o era soltanto eccitato anche lui per l’occasione?
Jackie sorrise appena, nonostante l’ombra del suo ex a pungolarle il pensiero in modo fastidioso, come uno spillo.
Prese le mani di Niklas nelle sue, sempre nascosta dietro di lui, e le strinse, cercando di recuperare un po’ di entusiasmo.
Non voleva rovinarsi la festa con un umore simile, non lo avrebbe permesso.
La musica pop-rock iniziò a riempire la sala, invitando tutti gli studenti a muoversi a ritmo con entusiasmo, cosa che gli invitati accettarono volentieri.
Risa, coretti idioti ed esclamazioni eccitate si unirono a quei suoni allegri, mentre si alternavano luci colorate che andavano dal fucsia all’azzurro illuminando così le figure dei presenti in modo bizzarro.
Si respirava un’aria più leggera, quasi frivola, che aiutò Jackie a sciogliersi e ad immergersi completamente in quel momento, lasciando le preoccupazioni alle proprie spalle.
Lei era lì con Niklas, il suo Niklas che aveva iniziato a muoversi a sua volta con incertezza, con il viso talmente concentrato da risultare buffo.
La ragazza si lasciò sfuggire un risolino, dandogli un pizzicotto al fianco e sussurrandogli, vicino: “E bravo il vampiretto nerd che prova a essere normale!”

 

***

 

Beh certo che ci provava. Sarebbe stato più imbarazzante fare il palo, dritto in piedi, in mezzo a gente che si scatenava tanto da risultare ridicola.
Invece, se provava a ballare, seppur goffamente, si mischiava e confondeva con la massa ed evitava di attirare sguardi curiosi o, peggio, ancora foto.
Ne aveva il terrore, davvero.
Vedeva macchinette digitali e cellulari ovunque, sprazzi di flash e rumori di click, suggeriti dal suo maledetto udito più sviluppato del normale.
Doveva ammettere che la musica non era male, anche se non era il suo genere.
Ma tutto quel movimento lo stava rendendo affamato e perciò decise di comunicarlo a Jackie.
“Ho fame.” disse solo, asciutto, una volta allontanati dalla folla, vicino al ai tavoli delle vivande.
“Ho capito Nik, ma non posso darti il succo di frutta così, davanti a tutti! Ci potrebbero vedere, sarebbe strano e anche imbarazzante!” sibilò la brunetta, con il rossore presente sulle guance leggermente paffute.
Il succo di frutta era un modo di dire esclusivamente loro.
All’inizio della loro amicizia, una sera dopo essere tornati dalla lezione di nuoto per perdere peso e rafforzare i muscoli, si erano recati alla casa dell’austriaco, passando a prendere ogni sorta di cibo al fast-food più vicino -mandando a quel paese tutto l’esercizio che avevano fatto-.

“Ho ancora fame.” aveva mormorato il moro, dopo aver finito l’ultimo trancio di pizza.
“Ma abbiamo ordinato una marea di roba.” aveva obbiettato Jackie.
“Non intendo questa ‘fame’! Insomma, è da domenica che non metto del sangue sotto i denti!” aveva spiegato lui, frustato.
Il suo sguardo era andato a posarsi su Jackie che si era portata le mani al collo per istinto.
“Non vuoi farmi una donazione? Dai, non ho voglia di uscire.” aveva detto, mentre si avvicinava a lei, lentamente.
“Uhm... maaaa... senti, non...”
“Ah, tanto amica e amante dei vampiri, ma ora ti tiri indietro!” aveva recriminato Niklas, pungolandole un braccio col dito.
“Scommetto che se te lo chiedesse il tuo amato Ernie Callie...”
“Edward Cullen!”
“Ah, ho sbagliato di poco. Comunque, non cambia la mia domanda.”
“N-no, non lo... non lo darei nemmeno a lui.”
“Vigliacca.”
“No, beh, dai aspetta! Senti un po’, ho il ciclo ora... Se io ti do il mio assorbente, non è la stessa cosa?” aveva domandato incerta la ragazza, dopo aver bevuto un sorso d’acqua.
La faccia di Niklas era cambiata nel giro di pochi attimi.
“Ma che schifo! CHE SCHIFO!” aveva esclamato, dopo essersi passato una mano sul viso, incredulo, ed essersi allontanato da lei con orrore.
“Accidenti, mi fai vomitare ora! Ma ti sembrano cose da dire?” aveva aggiunto, boccheggiando in cerca d’aria.
“Ma non far tanto lo schizzinoso! Non è la stessa cosa?”
“Scherzi? Ma ti pare? Dai Jackie, è come se io passassi tutto il giorno con una maglietta addosso a fare sport: a fine giornata tu mi dici che hai sete, che hai bisogno di bere, io mi tolgo questa maglietta e ti dò il mio sudore! CHE-SCHI-FO!” ed era toccata a Jackie la faccia nauseata. “Ok, ok, ho capito ora! Prometto che non te lo chiederò più!”
“Ecco! Grazie!”
“C... comunque... va bene insomma... un goccino!”
“Tu credi che un goccino mi basti?”
“Te lo farai bastare!”.
La ragazza aveva cercato uno spillo e si era punta un dito, da cui era fuoriuscita subito una goccia di sangue.
Niklas lo aveva preso tra le proprie mani e si era avvicinato con la bocca, iniziando a succhiare avidamente.
Jackie faceva fatto una smorfia, aveva provato una sensazione stranissima, vederlo lì, su di sé, con il proprio indice tra le labbra.
La ragazza era arrossita, forse perché era una cosa piuttosto intima, ma lui non ci aveva dato molta importanza.
“Beh, è stato come bere un succo di frutta.” aveva ammesso il vampiro, dopo essersi passato nuovamente la lingua attorno alla bocca come a cercare qualche residuo.

Da quel momento in poi, era diventato un rituale solo loro, bastava dire “Succo di frutta?” e si capivano al volo, qualche sorriso e la brunetta offriva il suo indice al ragazzo.
Ma lì erano in un luogo pubblico, non potevano certo dare spettacolo...
Niklas osservò il tavolo per qualche minuto, pensieroso, prima di prendere un bicchiere di plastica e avvicinarsi alla bacinella del punch, prendere un mestolo e versarselo con nonchalance.
“Puoi metterlo qui dentro.” suggerì, avvicinando il bicchiere a lei.
Jackie guardò Niklas, guardò il punch, rivolse di nuovo la propria attenzione a Nik e poi ancora a quel liquido così rosso.
Sarebbe stato perfetto, in effetti.
“Va bene.” mugugnò. “Ma solo per questa volta.”
“Beh, non bevo punch tutti i giorni.” commentò sarcastico il ragazzo, impaziente.
La brunetta sospirò, si mordicchiò il labbro inferiore e si punse con uno spillo che teneva nella piccola pochette a tracolla.
Appoggiò il dito sul bordo del bicchiere e vide gocce di sangue scendere dentro di esso, andando a fondersi con il punch.
Doveva essere delizioso...
A operazione finita, Niklas prese il bicchiere e bevve, bevve come un assetato nel deserto, sentendo tornare il vigore già dai primi sorsi, dolci e corposi.
Si sentiva meglio, decisamente.
Si volse verso Jackie, che nel frattempo aveva arraffato panini, dolciumi e bibite per recuperare energie e liquidi, per offrirle il braccio e accompagnarla a sedersi tranquilla da una parte.

Una volta ripresi, erano tornati a scatenarsi in pista e con qualche goccio di alcool in corpo, il vampiro non sembrava più un rigido pezzo di legno, cosa che fece sorridere la brunetta, entusiasta nel vederlo così sciolto.
L’atmosfera non era mai stata così distesa tra loro, entrambi stavano vivendo quel momento.
Non il passato. Non il futuro.
Il presente era la cosa più importante, il divertimento e la gioia di vivere in compagnia di chi amavano e a cui volevano bene...
Il ballo andò avanti per tutta la notte. Nessuno sembrava stanco, anche se ricordava vagamente di aver accompagnato Jackie in una stanza e averla aiutata a stendersi su un letto, e, perché no, ci si era sistemato anche lui.

***

 

Jackie si era risvegliata con un leggero mal di testa e giramento, insieme al suo ragazzo si era recata nel salone dove molti di loro stavano già facendo colazione insieme, com’era usanza fare: l’odore del cibo le dava la nausea, ma doveva sforzarsi di mangiare, se voleva stare in piedi.
Niklas sembrava messo peggio di lei, ma solo perché lui di giorno doveva dormire, non stare in piedi a fingere di nutrirsi di comuni cibarie umane.
“Ci siamo divertiti dai.”
Era anche riuscita ad evitare il suo ex fino alla fine. E quella antipatica di Rogan si era tenuta al largo da suo Nik. Meglio di così si moriva.
“Già.” l’austriaco concordò con un grugnito stanco, il completo stropicciato che reclamava un ferro da stiro ma che avrebbe dovuto aspettare il ritorno a casa.
“Vabbeh, passami quelle crepés, mi ispirano...” mugugnò, prima di accorgersi di una cosa.
Che mancava qualcosa.
“Nik hai... visto la mia pochette?” domandò con un senso di panico che le attanagliava lo stomaco.
Ok. Non aveva più voglia di crepés.
Niklas parve assumere un colorito più pallido del solito.
“Io... io non ne ho idea...”
Jackie si passò stancamente la mano sulla faccia. Ricordava poco o nulla...
“Perfetto... ci mancava solo il furto da parte di qualche ladro imbecille...” piagnucolò, appoggiandosi al suo ragazzo in cerca di conforto.
“Magari l’hai solo persa qui in giro, quando ti ho praticamente raccolto da terra non ce la avevi...”
Rimasero per qualche minuto in silenzio, accorgendosi di un rumore che li raggelò.
Dapprima sottile e quasi impalpabile, si era fatto sempre più insistente lo scrosciare della pioggia.
Tutti avevano iniziato a lamentarsi, mentre i più previdenti sghignazzavano vantandosi di essersi portati dietro l’ombrello.
“...Il cellulare per poter avvisare qualcuno di venire a prenderci era nella tua borsettina, vero?”
“Pochette Nik, è una pochette. Sì.”
“Che differenza fa? Siamo fregati e bloccati qui finché non smette. Perfetto. Perfetto!”

Tanto era bella la serata passata...
Quanto era stata sfortunata la mattina dopo!
Ma avrebbero ricordato quei momenti per sempre, insieme.

 

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Note Finali:
Questo capitolo partecipa al contest “Frammenti di Feste” organizzato sul forum di EFP >v< avevo già voglia di scrivere un capitolo così su un qualche ballo ed è arrivata l’occasione xD ringrazio le giudicE per l’occasione e spero possa piacervi! :D
Alla prossima <3

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