Soli tra il vento e il cielo

di lunadelpassato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Soli tra il vento e il cielo ***
Capitolo 2: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 3: *** Damio ***
Capitolo 4: *** ricordi di un paio di guanti ***
Capitolo 5: *** Warm hugs ***
Capitolo 6: *** La regina delle Nevi ***
Capitolo 7: *** Rivelazioni ***
Capitolo 8: *** Una farfalla scarlatta ***
Capitolo 9: *** L'identità di Damio ***
Capitolo 10: *** Il viaggio ***
Capitolo 11: *** Bucaneve ***
Capitolo 12: *** Nuove responsabilità ***
Capitolo 13: *** Quattro anni dopo ***
Capitolo 14: *** Nessun impronta da seguire – La prima battaglia ***
Capitolo 15: *** Fragile come cristallo – la battaglia di Elsa ***
Capitolo 16: *** Non mi vedrai mai più piangere- Epilogo ***



Capitolo 1
*** Soli tra il vento e il cielo ***



-Elsa? Svegliati!
Una voce familiare le entrò nei pensieri, e il buio del sonno senza sogni incominciò a calare.
-ti giuro che questa volta è una cosa seria!
Era una voce femminile, calda. La proprietaria della voce la scosse delicatamente.
-non c’entra con i pupazzi di neve.
Elsa aprì gli occhi a metà. Allora era una cosa importante, forse.
Dopotutto si fidava di sua sorella. Era stata lei a salvarle la vita, esattamente un anno e tre mesi prima. Voleva dormire, ma si costrinse a tenere gli occhi semiaperti.
-che ore sono?
Nonostante la penombra, scorse il volto della sorella. Era serio, quasi sconvolto.
Si risvegliò quasi del tutto. Sbatté gli occhi un paio di volte, finché questi non si abituarono alla fioca luce che entrava dalla finestra. Era molta di più di quella di una normale notte.
Il cielo si è svegliato, pensò Elsa. E prima di lei l'aveva pensato Anna, la sorella minore, ma questo non poteva saperlo. Si alzò a sedere, stropicciandosi gli occhi.
-non importa che ore sono. Devi venire subito.
Pensò che la sorella non era mai stata così seria.
- cos' è successo?- chiese smettendo di strofinarsi gli occhi.
Vide chiaramente Anna morsicarsi il labbro, come se volesse nascondere qualcosa.
In tutta risposta le tolse le mani dalle spalle e si avvicinò alla finestra. Tremava, e non voleva darlo a vedere. Elsa si alzò definitivamente, convinta che ormai non avrebbe ripreso sonno. Si avvolse nel copriletto per non sentire freddo, e raggiunse Anna.
-questa notte è fredda. Meglio andare subito.- sussurrò lei, e senza nemmeno guardarla si voltò e si diresse a passo deciso verso la porta della stanza. Elsa la seguì in silenzio.
Dieci minuti dopo erano nel salone da ballo, la prima sala che accoglieva gli ospiti del castello, dopo i cancelli.
Non saranno mai più chiusi, pensarono insieme, ma nessuna delle due aprì bocca.
Anna aveva addosso solo la lunga camicia da notte, mentre Elsa avanzava trainandosi dietro la calda coperta nelle spalle.
Solo nelle notti non particolarmente fredde le porte del castello erano chiuse, e si dà il caso che quella era una di quelle notti; soffiava un leggero vento, ma non era così freddo e continuo da creare brividi lungo la schiena delle ragazze. Solo Anna avvertì un leggero brivido.
Arrivarono fino ai cancelli. Anna guardò la sorella, e lei subito capì; in punta di piedi -nella curiosità aveva dimenticato le scarpe- si avvicinò alla destra dell'anta orientale, e trafficò per alcuni secondi nell'ombra.
Poco dopo tornò da Anna vittoriosa, con una chiave lunga e grossa stretta nella mano destra.
Infilò le chiavi nella toppa, quando qualcosa la fece immobilizzare. Ad Anna sortì l'effetto contrario, perché si aggrappò con tutte le sue forze al braccio sinistro della sorella.
Soffocati, come se venissero da lontano, si potevano sentire dei guaiti. Anzi, non erano guaiti; assomigliavano più a un pianto.
Un pianto di un bambino piccolo, piccolissimo, di quelli che stanno tutto il giorno in grembo alla madre e che sono così delicati che un soffio li porta via.
-vado?- disse Elsa, a voce alta per sovrastare quelle urla disperate.
Anna annuì, ma la sorella non osava ancora girare le chiavi e aprire la porta.
Alla fine fu lei che, tolta la mano di Elsa dalla chiave, la girò.
Si sentì uno scatto, e la porta si aprì lentamente. Le sue sorelle ora erano aggrappate l'una all'altra, aspettandosi chissà quale mostro.
Le mani di Elsa erano ghiacciate, la pelle fredda come la neve. Si sarebbero aspettate tutto, da un piccolo troll giocherellone a un enorme drago sputafuoco, ma non si sarebbero mai aspettate di vedere quello che videro.
Le urla disperate provenivano da sotto di loro, così abbassarono la testa nello stesso momento verso la dura terra che si estendeva oltre il cancello. Davanti a loro, un piccolo fagotto informe si muoveva energicamente, mentre urlava a più non posso.
Elsa era paralizzata dal terrore. Anna, invece, si chinò lentamente a terra, inginocchiata proprio accanto al fagotto, e scostò un lembo di quello che sembrava un vecchio straccio scuro.
Intanto il cielo brillava più che mai.
-è un bambino!
La voce soffocata arrivò come una secchiata d'acqua bollente su Elsa.
-U-un bambino?
Anna prese in braccio il fagotto, portandolo all'altezza della sorella.
-guarda! È un bambino, e sembra nato da poche ore soltanto.
Elsa si sporse, e in effetti notò due manine grinzose e degli occhi serrati dentro agli stracci. Il bambino aveva la bocca spalancata, e urlava come un condannato.
-con me non si calma. Prova a prenderlo tu- disse Anna, mettendo il fagotto in braccio alla sorella, ancora stupefatta.
-Anna, io non so prendere in braccio i bambini!
-Smettila, lo sanno fare tutti. È facilissimo: metti una mano sotto, così ecco, e l'altra qui. Hai visto? Non era così difficile.
Elsa guardò il batuffolo che le si agitava tra le braccia calmarsi e diminuire l'intensità del pianto, fino a che non rimase tranquillo, assopito. La coperta, che nel frattempo le era caduta di dosso, aveva formato un cumulo intorno ai suoi piedi, ma lei non se ne accorse nemmeno.
-andiamo dentro, veloce. C'è il rischio che si prenda un raffreddore.- disse Anna, sfiorando un attimo le mani della sorella. Dovette toglierle subito, come se si fosse scottata.
-Diamine, Elsa! Hai le mani ghiacciate. E a quanto pare al bimbo non dà fastidio. Questo è molto strano.
Una volta dentro le mura calde, prepararono un giaciglio comodo di coperte e vi misero il bambino dentro. Ci fu qualche litigio a mezza voce su con chi doveva dormire quel fagotto, e alla fine si decise per Elsa.
-Accidenti, nello stupore ci siamo dimenticati di guardare se c'era la madre nelle vicinanze.- disse Anna un po' triste, ma la sorella la consolò.
-Tranquilla, questa non sarà una notte fredda, la potremo curare domani all'alba. Tanto dubito che qualcuna di noi dormirà, stanotte.
Anna, tranquillizzata, andò in camera sua a sdraiarsi, ed Elsa fece lo stesso, non prima di aver avvicinato il più possibile il cumulo di coperte al letto. Il bambino dormiva profondamente.
-Buonanotte piccino. Chissà come ti chiami.

 

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Capitolo 2
*** Nuove conoscenze ***


Al bambino fu messo il nome di Damio, e dopo una vivace chiacchierata tra sorelle fu deciso che  la persona che lo avrebbe cresciuto sarebbe stata  Elsa, che promise di allevarlo come se fosse il suo primogenito di sangue. I suoi capelli erano biondi come il grano, gli occhi celesti come il cielo del sud nell’ora più calda.
Era un bambino molto sveglio, e imparò a camminare che aveva solo pochi mesi, ma ci vollero tre anni prima che spiccasse la sua prima parola, che non fu mamma: fu acqua.
Aveva un carattere molto introverso e simile a quello della madre adottiva per molti versi, ma così distante per altri, e godeva di un certo rispetto da parte di tutti, persino degli adulti.
Il giorno dopo la decisione di tenere il piccolo come un principe le due sorelle decisero di non svelare i poteri della regina al bambino fino a che non fosse stato necessario; tutto questo per evitare che il piccolo si sentisse in pericolo o a disagio al castello.
Da quel giorno erano ormai passati due anni abbondanti, e Damio dormiva tranquillo nella sua stanzetta personale con il sorriso nelle piccole labbra.
Elsa, invece, era tutt’altro che tranquilla.
Affacciata alla finestra, guardava verso l'alto senza poter dormire con un'aria molto preoccupata.
 Per la prima volta dalla notte in cui trovò Damio, il cielo si era svegliato.
Elsa sospirò forte, tradendo l’ansia che la divorava. La luce del cielo si riversava nella stanza, creando giochi di ombre tra le stalagmiti appuntite che ricoprivano il soffitto.
Tutt’ intorno, piccoli fiocchi di neve volteggiavano dentro la stanza dalle pareti ricoperte di ghiaccio. Era uno spettacolo magnifico da vedere, contornato dalla volubile luce verde. Se solo Elsa si fosse girata…
Invece restava lì, i gomiti appoggiato al davanzale e il naso all’insù, immobile mentre spiava le luci in movimento. Tre timidi colpi rimbombarono tra le pareti. Elsa sussultò, ma rimase a fissare il cielo.
-Avanti.- disse tremante.
Sentì la porta aprirsi e passi leggeri venire verso di lei. Conosceva perfettamente il proprietario di quei passi, ma questo stranamente non la fece sentire meglio come faceva al solito.
Non ci fu bisogno di parole; Anna la abbracciò, e insieme guardarono il cielo muoversi, pieno di luce.
-Che cosa potrebbe succedere ora?
La voce di Elsa era tremante, e la regina sembrava sull’orlo del pianto. Non l'avrebbe mai ammesso davanti alla sorella, ma aveva paura.
Anna non rispose. Lentamente sciolse l’abbraccio e si voltò.
- È meglio che vada in camera, da Kristoff. La notte è ancora lunga e io so di non poterti aiutare. È giunto il momento in cui devi essere coraggiosa anche da sola. Mi sembra soltanto la solita luce che si intravede ogni tanto sopra il nostro cielo, tutto qui.
Dopo queste parole si incamminò lenta verso la porta e senza girarsi nemmeno un’ attimo, oltrepassò l’ entrata. Elsa chiuse gli occhi. Doveva imparare ad avere fiducia in sé stessa. Anna l'aveva aiutata tantissimo nel periodo che successe il suo ritorno ad Arendelle, e sapeva bene che doveva arrivare il momento in cui bisognava fare la scelta giusta, e quel momento doveva superarlo da sola. Se sentiva che c'era qualcosa che non andava doveva semplicemente affrontarla; era questa la lezione che le aveva dato la sorella minore.
Abbassò la testa. Il collo protestò, dopo tanto tempo passato a fissare il cielo.
La leggera brezza che volava cambiò improvvisamente intensità, portando con sé il freddo pungente dell’inverno. La treccia della regina tremò assecondando quel nuovo vento.
- Oggi fa più freddo dell’ultima volta delle luci- notò sussurrando tristemente al cielo.
- È quello che penso anch’io- le rispose una voce ignota.
Aprì gli occhi di scatto e si girò indietro, sorpresa. Dietro di lei, solo la stanza ghiacciata illuminata dalle luci mistiche.
-Anna?- chiese tremante frugando con lo sguardo ogni angolo della stanza in penombra.
-Mi senti?- riprese la voce meravigliata.
Elsa fece qualche passo indietro e si rigirò di scatto verso la finestra, le mani pronte a sferrare un’ attacco. Spalancò gli occhi dallo stupore. Davanti a lei, un ragazzo sedeva nel punto in cui aveva poggiato i gomiti fino a un momento prima. Aveva un lungo bastone con sé, e la guardava con occhi colmi di sorpresa. Era scalzo.
- E mi vedi?- sussurrò il ragazzo.
Elsa non mosse un muscolo, tesa fino al midollo. La treccia le ricadeva morbida nella spalla destra. Poteva sentire il ghiaccio che le premeva contro i palmi.
- Chi sei?- chiese fingendosi aggressiva.
Il ragazzo scese dal balcone e ricadde con un lieve tonfo nel pavimento freddo. Aveva i capelli candidi, quasi bianchi. Azzardò qualche passo verso Elsa, e in tutta risposta lei lanciò una scaglia di ghiaccio dalla mano destra. la scaglia si andò a conficcare nel muro dietro il ragazzo, passando a meno di due centimetri dal suo viso.
Ora la sorpresa dello sconosciuto era enorme.
-Io… io mi chiamo Jack.
Elsa rilassò leggermente i muscoli.
-Jack chi? Mi sembra troppo vago per poterti riconoscere.
Il ragazzo non rispose. Batté tranquillo il bastone una volta nel pavimento. Il rumore fu quello di uno schianto secco. Tra disegni incredibili, dal punto in cui il bastone aveva colpito il suo obiettivo, spuntò nel pavimento un sottile strato di ghiaccio. Elsa ne poteva sentire la consistenza sotto i piedi nudi.
-Anche tu hai… la magia?- farfugliò piano.
Jack annuì piano.
Elsa era sbalordita. Era così meravigliata che non ebbe più il controllo sul suo equilibrio. Cadde a terra, lo sguardo fisso su Jack. Lui la guardava confuso, lei lo guardava diffidente.
-Non pensavo esistessi veramente- disse Jack piano. Si muoveva lentamente per evitare di mettere in allarme la ragazza davanti a sé.
Elsa non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
-Figurati io- disse infine.
Jack le offrì cavallerescamente la mano, e lei si rialzò. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, e in quell’attimo entrambi trattennero il respiro. Avevano la stessa espressione negli occhi chiari.
-Mi dispiace, non volevo spaventarti.
-Non fa nulla, tranquillo. È che… è strano trovare uno come me.
Rimasero in silenzio, studiandosi a vicenda.
Elsa guardava l'abbigliamento di Jack, malridotto ma adatto al personaggio, che emanava una sorta di aura; a sua volta, Jack ammirava lo sguardo della regina, così misterioso e pieno di rimpianti.
Fu Elsa a riscuotersi per prima. Ricordò ad un tratto le buone maniere che le erano state insegnate e, presa una sedia, invitò Jack a sedersi.
-Vieni, non vorrai restare in piedi per tutto il tempo.- gli disse.
Jack accolse la cortesia, e un attimo dopo erano seduti accanto, lui nella sedia offerta, lei nel letto disfatto. Il cielo continuava a brillare, e la luce chiara proiettava sui due ragazzi ombre danzanti.
Parlarono a lungo, e non sto ad elencarvi tutti gli argomenti di cui discussero. Ma parlarono di esperienze tristi e di ricordi più piacevoli, così profondi che il loro umore cambiava a seconda della storia. Piansero e risero insieme per tutta la notte, e quando l’alba inondò la stanza di fresca luce rosata, parlavano ancora.
- A me è successo di ghiacciare per sbaglio un’ intero parco giochi, ma mai una sala da ballo.- stava dicendo Jack.
- E pensa che all’epoca ero solo una bambina.
Jack emise un lungo fischio di ammirazione che ruppe l’aria gelata di quella mattina.
Elsa  ridacchiò composta sotto la mano che aveva pudicamente portato alla bocca.
Ora che c’era abbastanza luce, poteva vedere bene come le donava la lunga camicia da notte celeste, semplice ma elegante, che nascondeva al punto giusto le sue forme.
Sotto gli occhi andavano formandosi due leggere occhiaie e  capelli avevano qualche ciuffo fuori posto, ma anche in quello stato Jack trovava Elsa veramente bella.
Elsa dal canto suo trovava Jack un ragazzo di spessore, un tantino infantile ma con un grande cuore.
Dopo che il riverbero del fischio si spense, Jack si alzò dalla sedia, un po’ indolenzito per la posizione tenuta per tutta la notte, e si avvicinò alla finestra.
-Ora devo andare,- incominciò, -ma spero di rivederti presto. Addio!
E detto questo, si buttò giù. Elsa accorse preoccupata, ma dovette ricredersi quando vide in lontananza, verso ovest, una leggera figura volare, trasportata dal vento.

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Capitolo 3
*** Damio ***


Una piccola figura si mosse da sotto le coperte.
Emerse dal groviglio e lenzuola una massa di capelli biondi, seguiti da due enormi occhioni azzurri semichiusi. La luce entrava già abbondante dalle finestre.
La figura sbatté velocemente le palpebre un paio di volte; il tanto giusto per abituare gli occhi alla luce del nuovo giorno.
Due piccoli piedi nudi spuntarono all'improvviso dalle coperte, e con un leggero tonfo andarono a posarsi sul pavimento. 
Era nella sua cameretta, completamente dipinta di azzurro, e la luce entrava accecante dalla finestra ancora troppo alta per lui. Guardò verso l'uscita della stanza.
Era aperta e invitante, e la figura non ci pensò due volte ad attraversarla.
Si ritrovò in un lungo corridoio che conosceva bene, con le pareti ricoperte di velluto rosso e le lampade dorate che lo affascinavano tanto. Si sporse verso destra.
Era deserto, e dalla porta aperta usciva la calda luce del mattino, che si allungava pigramente nel pavimento di legno levigato.
Un sorriso timido gli spuntò nel volto e, con il pupazzo ancora stretto tra le braccia, provò a correre in direzione della luce. Non sapeva ancora correre benissimo, così dopo pochi passi franò rovinosamente.
Si controllò il ginocchio. Era preoccupato, ma non sembrava graffiato. Si alzò e ricominciò a correre (più lentamente dopo la caduta), e finalmente arrivò nel rettangolo di luce.
Si affacciò nella porta, incuriosito dall'insolita quantità di luce che lasciava uscire.
 Lasciò andare il pupazzo, che si afflosciò molle sul pavimento. Rimase sbalordito.
La camera era ricoperta di stalattiti, che riflettevano la luce del sole nascente nei sette colori dell’arcobaleno. Ai suoi occhi, il candore era quasi accecante.
Trattenne il respiro. L’aria era fredda e umida, come se per tutta la notte fosse piovuto o nevicato, e quando espirò, una sottile nuvoletta di fumo bianco sporse dalle sue labbra.
Rimase immobile, incantato a guardare quello spettacolo meraviglioso di luce e colori, finché una voce ben nota non lo riscosse dai suoi sogni.
-Damio! Che ci fai qui?
Damio ebbe un tremito di sorpresa. Cercò con lo sguardo la persona che aveva parlato.
Fermò i suoi occhi al centro della stanza.
Elsa, di fianco alla finestra, guardava il bambino con lo stupore dipinto nel volto candido.
Aveva ancora una mano poggiata nel davanzale, e Damio vedeva  la sua mamma contornata dalla luce del mattino, come se fosse stata ricoperta da una sorta di aura magica.
-Vieni avanti, tranquillo. Mica ti mangio!- lo invitò con le braccia spalancate.
Un leggero sorriso le aleggiava nelle labbra. Se solo Damio fosse stato più grande, avrebbe capito subito a cosa era dovuto quel sorriso, ma per ora gli sembrò solo enigmatico.
Il bambino si affrettò sulle gambette per raggiungere la mamma, e lei lo aspettò a braccia aperte.
Appena la raggiunse, Elsa lo prese in braccio e lo abbracciò affettuosamente.
Damio rimase impassibile, e la regina lo guardò preoccupata.
-Cosa ti prende?
In tutta risposta il bambino rivolse lo sguardo verso le stalattiti che pendevano dal soffitto, e bastò quel gesto a far spaventare Elsa.
Forse il bambino conosceva già il suo segreto? Oppure l’aveva intuito?
Sentì le mani che diventavano fredde e cercò di tenerle il meno a contatto con la pelle di Damio, anche se non fu molto utile.
Il bambino riposò lo sguardo sul viso di Elsa. La regina pensò che aveva lo sguardo misterioso dei saggi, ma fu solo per un istante.
-Buongiorno!!
I due sussultarono simultaneamente. I loro sguardi si rivolsero alla porta, dove la principessa Anna aveva appena fatto la sua apparizione ballando.
Con una leggera piroetta si avvicinò ad Elsa, che sorrideva tranquilla alla sua vista. La sorella era l’unica persona con cui si sentiva al sicuro, sensazione che nemmeno Damio riusciva a darle.
Era come se il bambino sapesse di essere stato abbandonato davanti ad un portone freddo in una notte tiepida d’inverno.
-ehi, c’è anche il piccolo Damio!- disse allegra Anna, e per un attimo dentro la stanza ghiacciata sembrò esserci veramente un quadretto familiare felice.
La principessa prese dalle braccia di Elsa il bambino e incominciò una serie di giochi infantili con lui, come:
-Guarda Damio, ti ho preso il nasino! Lo rivuoi, vero? Prendilo dai, guarda cosa c’è qui, tra le mie dita!
Oppure:
-Adesso ti faccio il solletico al pancino!
Elsa smise di sorridere beatamente dopo pochi minuti. Si era infatti ricordata della strana reazione di Anna in quella notte, e le era andato via il buonumore.
-è ora di fare colazione- disse col broncio. Era molto gelosa di quel bambino, e non sopportava quando sua sorella ci giocava così puerilmente.
Lo strappò dalle braccia di Anna.
Damio  non ebbe nessuna reazione sul cambio. Sembrava ancora immerso nei suoi pensieri, e non mostrava nessun sentimento. Sembrava una statua di cera.
Anna invece si zittì di scatto, e si mise a fissare la sorella con uno sguardo di rimprovero.
-nostra madre non avrebbe mai fatto così.
Elsa si raggelò all’istante. La morte dei genitori era per lei ancora una ferita aperta, e Anna con quella frase aveva toccato un punto dolente. L’aria iniziò a riempirsi di piccoli fiocchi di neve, e la regina non fece nulla per fermarli. Avanzò invece a passo spedito, aspettò che Anna uscisse dalla stanza e chiuse la porta con forza. Il rimbombo echeggiò per tutto il corridoio.
-andiamo a mangiare- disse autoritaria, poi si girò e sparì nel lungo corridoio, con il bambino che mostrava i capelli dello stesso colore del grano.
Anna la guardò sparire. Da quando Damio era entrato nella loro vita, c’era stato una specie di regresso nei loro rapporti, e non sapeva capacitarsi del perché. Si incamminò nel corridoio a passi lenti, nella direzione opposta rispetto a quella che aveva imboccato la sorella.
Arrivò ad una porta bianca, decorata con disegni blu, e si fermò, presa da un improvviso sobbalzo del cuore. Alzò lentamente il braccio destro e sfiorò il legno dipinto dello stipite. Si sentì immediatamente triste. Ricordò tutte le volte che si era fermata davanti a quella porta, sinonimo di rabbia e frustrazione.
Il cuore che accelerava, la speranza di ricevere finalmente una risposta che si trasformava in una nuova delusione. L’ unica stanza di tutto il castello in cui non le era mai stato permesso di entrare.
Il motivo per cui Elsa le aveva nascosto tutto quello per così tanto tempo le era sconosciuto. Forse aveva paura dei suoi poteri, o forse era solo il suo carattere da per fettina.
Scosse la testa, come per togliere quel pensiero malevolo. Si era solo immaginata il suo carattere, perché lei conosceva poco o nulla della sorella.
Abbassò lo sguardo sul pomello e una lacrima invisibile andò a cadere sull’ottone lucidato.
-se solo avessi saputo…
-tu non potevi sapere- le rispose Kristoff.
Silenzioso come una volpe, il ragazzo era andato dietro Anna, e l’aveva abbracciata con le sue braccia forti, ma la principessa aveva gli occhi vuoti e privi di ogni emozione.
-si, invece. Dovevo solo insistere di più. Prima o poi avrebbe aperto, e il disastro del ricevimento regale non sarebbe mai successo.
-E tu come fai a saperlo? Sarebbe successo, e sarebbe stato ancora più grave di quello che è successo. Non ci pensare adesso. Fai un bel respiro di sollievo e…- le passò velocemente un braccio sotto le ginocchia e la tirò su – andiamo a mangiare.
La tristezza sparì subito dal viso di Anna, che incominciò a scalciare divertita mentre il suo (forse) futuro marito la trasportava giù dalle scale.
-mollami! Se ho due piedi è perché li devo usare- sbraitava tra le risate, ma Kritoff non la ascoltava e si limitava a ridacchiare.
La mise giù solo quando arrivarono nella sala da pranzo. Elsa e Damio erano già seduti nei loro posti, e Anna si affrettò a raggiungerli. Kristoff si guardò un po’ intorno, abbagliato dalla sontuosa sala, e alla fine sedette accanto alla principessa.
Dopotutto abitava da pochi giorni in quel palazzo; dopo le continue insistenze di Anna, Elsa aveva acconsentito, e la sorella aveva corso fino alla sua modesta casa a dargli la lieta notizia.
Per tutta la durata del pasto nessuno parlò; l’unico rumore udibile era quello delle posate d’argento che battevano sui piatti.
Elsa era stranamente imbarazzata, e quando Anna provò ad iniziare un discorso sull’amore, ecco che la regina diventò del colore del pomodoro e balbettò qualcosa riguardo alla salsa al cioccolato, dall’altra parte del tavolo.
Dopo la colazione, Anna convinse Elsa a parlargli della visita notturna.
-un misterioso ragazzo che appare dalla finestra e vola? Sembra che tu abbia appena incontrato Peter Pan- ridacchiava Anna.
-ma che dici! Aveva i miei stessi poteri.- ribattè Elsa arrossendo furiosamente.
Anna smise di ridere di botto. A questo fatto Elsa non aveva accennato.
-sei proprio sicura di questo?
Elsa capì subito di essersi fatta scivolare qualcosa che non doveva dalle labbra. Istintivamente si portò una mano alla bocca, come per cancellare quello che aveva appena detto. Ripensò a Jack e al suo volo con il vento, e provò uno strano calore al centro del suo essere.
Solo un atto di vero amore scioglierà un cuore ghiacciato.
Impallidì. Jack non aveva fatto nessun atto di vero amore. E allora che diavolo le stava succedendo?
Intanto, dalla sala da pranzo, le giungevano le grida allegre di Damio, che giocava con Kristoff ad “essere lanciato in aria”.
Damio era la persona a cui teneva di più, e non avrebbe mai voluto che qualcun’ altro prendesse l’affetto che gli era riservato da parte sua.
Come se le avesse letto nel pensiero, Anna la guardò teneramente.
-Damio avrà bisogno di un padre.
La principessa prese le mani della sorella tra le sue. Erano ghiacciate.

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Capitolo 4
*** ricordi di un paio di guanti ***


-Si, ma non so se sarà il padre giusto per lui.

Erano queste le parole che Elsa si ripeteva ogni volta che incontrava Jack. Il ragazzo appariva in camera sua nei momenti più disparati, e appena se ne andava desiderava di rivederlo.

Ogni volta che ripensava a lui sentiva il calore crescere dentro di sé.

-se continuo di questo passo, finirà che perderò il potere del ghiaccio.

In effetti il suo potere si era indebolito leggermente, ma non poteva essere che un bene, visto il carattere sempre più strano di Damio. Il bambino sembrava sempre triste, come se nascondesse qualcosa. Naturalmente Elsa aveva provato a scoprire in cosa consisteva quel “qualcosa”, senza riuscirci.

Così, quando Damio si era avvicinato a lei con un disegno ben specifico (era il suo modo di comunicare), era caduta dalle nuvole.

-Guanti? Cosa ci devi fare con dei guanti?

Il bambino si era limitato ad abbassare lo sguardo e a fissarsi le dita intrecciate.

Elsa era stupefatta, sopratutto per il fatto che Damio non ne aveva mai visto uno.

-dove hai visto questi guanti?- chiese la regina pazientemente sventolando il disegno.

Il bambino sollevò lo sguardo, per poi frugare furiosamente nella tasca sinistra dei pantaloni come in cerca di qualcosa.

Vedendolo in difficoltà, Elsa decise di aiutarlo.

-avvicinati di più, così ti do una mano.

Il bambino la lasciò fare, e Elsa tirò fuori dalla tasca quelli che sembravano in tutto due fazzoletti celesti.

-Ma sono solo dei..

La voce le morì in gola. In mano aveva due piccoli guanti azzurri, leggeri e finemente decorati.

I guanti di quando era piccola. Di quando aveva dovuto nascondere il potere per il bene di Anna. Sentiva ancora le parole del padre il giorno in cui li indossò per la prima volta.

Ecco Elsa, questi ti aiuteranno.

Ricorda: celarlo, domarlo, non mostrarlo.

Quella frase le rimbombava nell'animo, impertinente, nonostante fosse convinta di averla ormai dimenticata.

Damio vide la mamma irrigidirsi all'improvviso, e capì subito che aveva fatto qualcosa di sbagliato. Fece per riprendere i guanti, ma Elsa li teneva stretti in una morsa glaciale che glielo impediva, così decise di allontanarsi dalla stanza. Era meglio dirglielo in un altro momento. Vagò per i corridoi, ad ammirare i tanti quadri appesi per le stanze. Zia Anna e zio Kristoff erano usciti, e lui non aveva niente da fare.

Sentì una leggera brezza scomporgli il ciuffo biondo e si girò di scatto, giusto in tempo per vedere una figura correre nella direzione opposta alla sua.

Prima che la sua mente elaborasse il pensiero, allungò la manina e strinse il pugno nel bordo della camicia candida della figura.

Jack sentì qualcosa che lo tratteneva e si fermò, convinto che si trattasse di un chiodo sporgente che aveva avuto la brillante idea di agganciarsi alla camicia. Girò la testa e il braccio contemporaneamente per liberare il lembo impigliato, e rimase immobile. Il “chiodo” infatti era un bambino di circa due anni, che lo fissava con gli occhi chiari e seri.

Jack aveva visto tanti bambini nella sua vita, ma nessuno di loro aveva uno sguardo così enigmatico. Sembrava lo sguardo di un' adulto.

-ciao piccolo- disse inginocchiandosi all'altezza del bambino, -come ti chiami?

La figurina rimase a fissarlo, come se non avesse capito la domanda.

-hai capito cosa ti ho chiesto?

Il bambino annuì.

-e perché non mi vuoi rispondere?

Questa volta abbassò lo sguardo, e incominciò ad incrociarsi le dita.

Jack si tirò su leggero. Aveva capito chi era quel bambino.

-tu sei Damio, il figlio della notte. Tua mamma mi ha parlato tanto di te. Mi ha detto anche che non parli mai.

Damio alzò lo sguardo e scosse energicamente la testa.

-perché non parli mai? Scommetto che hai una bellissima voce.

Il bambino lo fissò negli occhi per qualche secondo, e Jack non riuscì a sostenere tutta la gravità del suo sguardo.

Appena abbassò gli occhi, Damio si girò e continuò per la sua strada.

Che strano bambino, pensò Jack, e ricominciò a correre verso Elsa.

La neve le arrivava fino alle ginocchia. Candidi fiocchi ghiacciati si materializzavano e scendevano intorno a lei in un'eterna danza lenta. Aveva ancora in mano i guanti. Mille ricordi si erano affollati nella mente di Elsa: ora una frase, prepotente, cantava come un ritornello dentro la sua testa.

Lo vuoi fare un pupazzo di neve?

Sentì un leggero fruscio dietro di lei, ma era un suono lontano, troppo vago per essere reale.

I guantini, dentro le sue mani, si erano ghiacciati, e lacrime di rimorso le scendevano lungo le guance. Una mano si posò sulla sua spalla, e lei girò lentamente il viso verso destra.

Jack la guardava intensamente. Un singhiozzo la scosse dall'interno, ed Elsa lasciò andare i guantini congelati, per portarsi le mani ricoperte di neve agli occhi. Incominciò a piangere forte.

-non devi fare così.

Jack ora la abbracciava timidamente, un abbraccio leggero e freddo, ma che la faceva comunque sentire bene.

Elsa voleva parlargli, voleva dirgli quanto le piaceva stare con lui, anche semplicemente chiacchierare; voleva dirgli come si sentiva quando non lo vedeva per giorni, quanto amasse i momenti in cui le insegnava qualche trucchetto con la neve e quanto desiderasse vederlo ogni attimo.

Ma riusciva solo a singhiozzare, invasa dal rimorso e dai ricordi dell'infanzia mai avuta, costretta ad essere rinchiusa in una stanza.

-Shh. Tranquilla, è tutto apposto.

Jack fece diventare il leggero abbraccio un abbraccio vero e proprio.

Restarono così, finché finalmente le lacrime ghiacciate di Elsa trovarono una fine.

Con un gesto stanco, si alzò, e fece scomparire la neve che aveva creato con un piccolo gesto della mano.

Si guardò intorno, in cerca della sua consolazione, ma la stanza era vuota.

Jack era scomparso.

Con un sospiro, uscì dalla stanza e andò nella cameretta di Damio.

Il piccolo si muoveva nel sonno e sembrava stesse facendo un incubo.

Elsa gli diede un bacio leggero nella fronte, poi stanca andò a dormire.

Nel bel mezzo della notte, Damio urlò.

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Capitolo 5
*** Warm hugs ***


Olaf si svegliò da un sonno profondo. I suoi occhi di neve si spalancarono nell’oscurità. Era notte, e il cielo dormiva. Le stelle erano l’unica fonte di luce in mezzo alla tenebra che lo avvolgeva.
-ma dove accipicchia sono?
Il pupazzo di neve si alzò, si pulì da qualche filo di paglia che gli era rimasto attaccato, e finalmente capì.
Era nella stalla. Poteva sentire il respiro di Sven dietro di lui.
-Ma dove sono finiti tutti?
Aggrottò le sopracciglia (due legnetti orizzontali sopra gli occhi) e uscì nella notte.
La nuvoletta che gli permetteva di vivere lo seguiva fedelmente.
-Elsa? Anna?
Olaf aveva il vizio di parlare da solo, e dopotutto era giustificato dal fatto di essere l’unico pupazzo di neve parlante del mondo conosciuto.
Incominciò a parlottare tra sé e sé, e intanto si avvicinava sempre di più alle porte del castello. Tutto era silenzioso e sospetto, ma Olaf non aveva paura. Conosceva ogni angolo del Regno, e sapeva bene che era solo un’ impressione passeggera.
Bussò con le nocche di legno all'enorme porta che dava l'ingresso del castello.
-Come mai è tutto così silenzioso?- disse il pupazzo a voce alta, incurante del fatto che la sua era l'unica voce che risuonava nella notte.
Ribussò, e con sua enorme sorpresa vide il portone schiudersi.
-Era aperta! A saperlo prima...
Entrò cauto, per paura che Damio lo vedesse. Infatti, Olaf non poteva vedere il bambino e viceversa, per via del segreto che Elsa gli nascondeva.
-Elsa dice sempre che è un bambino molto intelligente. Oh, quanto vorrei conoscerlo.
  Tese l' orecchio: ora sentiva un leggero scalpiccio.
Non fece in tempo a chiedersi chi ,nel cuore della notte, si faceva una passeggiata per il piazzale davanti al castello. Lo scalpiccio diventava sempre più forte, e poco dopo un piccolo corpo lo travolse.
Olaf perse l'equilibrio e scivolò all'indietro, battendo la testa nel selciato. Non si fece male, essendo fatto di neve, ma si preoccupò subito per la piccola figura che era rimbalzata su di lui, finendogli nella pancia bianca.
Nella fioca luce delle lampade, vide che sopra di lui, a cavalcioni, sedeva un bambino con gli occhi serrati.
-Ehi, ciao! Come ti chiami?
Damio aprì gli occhi. Ci volle qualche secondo per abituarsi alla luce fioca delle lampade, ma alla fine rimase imbambolato a fissare la figura su cui sedeva.
Un pupazzo di neve, più o meno della sua altezza, lo fissava da sotto di lui con un sorriso da un' orecchio all'altro. Per naso aveva una bella carota fresca, che emergeva dalla faccia di neve in modo buffo, e due occhi tondi lo fissavano curiosi.
-Non vuoi dirmi il tuo nome? Beh, allora ti dirò prima il mio.
Damio fissava quella faccia innevata, imbambolato dallo stupore.
-Io mi chiamo Olaf, e amo i caldi abbracci!- urlò il pupazzo di neve, stringendo i rami che costituivano le sue braccia intorno a Damio.
Il bambino ebbe un sussulto quando si sentì stringere, ma capì velocemente che Olaf lo voleva semplicemente abbracciare. Si buttò sopra il pupazzo di neve, abbracciandolo a sua volta.
-Ehi, ma quanto siamo affettuosi!
Damio sorrise debolmente, tirandosi su a cavalcioni su Olaf.
-Non c'è proprio verso di sapere il tuo nome?- chiese il pupazzo di neve.
Il tono leggermente deluso sortì l'effetto sperato su Damio, che tirò fuori dalla tasca un foglio spiegazzato e un carboncino. Scrisse qualcosa e lo porse a braccia tese ad Olaf.
Due forti rami presero il foglietto, e due occhi tondi e simpatici lessero il contenuto.
-Damio! Tu sei Damio!- fece soddisfatto il pupazzo di neve.
Il bambino annuì energicamente.
-Oh, non sai quanto ho desiderato conoscerti!
Olaf spostò Damio dalla sua pancia, posandolo nel terreno brullo accanto a lui.
Il bambino lo guardava con i suoi occhi seri mentre lui si rialzava, un po' ammaccato dalla caduta inattesa.
-Sei proprio un bel bambino. Aveva ragione Elsa! Ma ora dimmi: come mai vai in giro tutto solo a quest'ora della notte? Dovresti essere a letto da un bel po'.
La piccola figura davanti a lui incominciò a tremare, ricordando forse che il motivo della sua fuga notturna non era piacevole.
Lacrimoni incominciavano a scendere dai suoi occhi. Olaf si preoccupò nel vedere questo, e subito si accostò al bambino, consolandolo con una serie di piccoli colpetti nella spalla minuta.
-Non c'è motivo di piangere così... se non ti va, puoi anche non dirmelo.
Damio alzò lo sguardo, incrociando quello del pupazzo di neve parlante. I suoi occhi non nascondevano nulla: erano semplici e puri, al contrario di quelli di Elsa, che sembrava nascondergli qualcosa di veramente importante.
In effetti anche lui le nascondeva una cosa, ma per il motivo che la mamma non era ancora pronta per il suo segreto.
Olaf sembrava così reale... non poteva essere un'altra illusione, e Damio, nella sua innocenza di bambino, credeva in lui come credeva in Babbo Natale.
Una folata improvvisa di vento lo fece rabbrividire, e il pupazzo se ne accorse.
-Che stupido! Quasi dimenticavo che tu soffri il freddo. Su, dammi la mano. Ti riporterò dentro il palazzo. Promettimi una cosa: non dirai a nessuno di avermi incontrato, va bene? Tanto meno ad Elsa.
Damio annuì, ma era perso dietro i suoi pensieri. Teneva la mano legnosa del suo vivace accompagnatore, dimentico di quello che l'aveva tanto spaventato.
                                                                             “””
 
Elsa si svegliò di scatto. Le era parso di sentire Damio urlare.
-Il bambino!
Accanto a lei, una figura esile emerse dalle coperte. Si girò appena in tempo per veder sbucare dalle coperte il viso di Jack.
Subito si alzò dal letto, indietreggiando di qualche passo per allontanarsi.
-Che diavolo ci fai nel mio letto?
Jack sbattè gli occhi, perplesso.
-Nel tuo letto? Io non sono mai..
le parole gli morirono nelle labbra. Distolse lo sguardo da Elsa, e anche alla tenue luce che filtrava dalle finestre si poteva scorgere l'imbarazzo dipinto sul volto.
La regina sentì un leggero refolo di vento inondargli la pelle e, quando guardò giù, capì la causa dell'imbarazzo di Jack. Era nuda.
In preda al panico, afferrò i lembi del lenzuolo che scendeva mollemente dal letto sfatto, trascinandoselo sopra a mo' di vestito. Intanto l'aria andava riempendosi di fiocchi candidi.
Ma quello che trascinò via, purtroppo, era anche lo stesso lenzuolo che stava usando Jack, e questa volta fu lei a scostare lo sguardo imbarazzata.
-Io... sono sicuro che non è successo niente. N-non ricordo nulla di... bè, insomma...
-Si, ho capito! Non dirlo.
La voce di Elsa era aumentata di almeno due ottave, e lei teneva lo sguardo fisso alla finestra, senza il coraggio di guardare.
-Ma che diavolo...
Jack intanto si era alzato a cercare i vestiti, ma non c'era traccia di nulla che aveva indossato.
-Non ci sono nemmeno i tuoi! Elsa, il tuo guardaroba è vuoto.
La regina ebbe un sussulto.
-Come vuoto?
Jack spalancò le ante del suo armadio, e finalmente Elsa si decise a guardare. Con non poco sollievo, vide che il ragazzo aveva trovato qualcosa da mettersi su, e guardava l'interno dell'armadio a bocca spalancata.
-Nulla, nemmeno un paio di calze.
Ad un tratto, entrambi sentirono dei risolini provenire da sotto il letto.
-Forse ho una mezza idea sul colpevole...- disse Elsa.
Si abbassò di scatto, e una faccia conosciuta apparve dal buio.
-Anna!
La principessa emerse ridacchiando dal suo nascondiglio.
-scusate, ma eravate così imbarazzati... non ho potuto resistere!
Elsa strinse il lenzuolo a sé più forte.
-Sei stata tu a toglierci i vestiti?
Anna scoppiò in una risata fragorosa.
-Si, ma è stato uno scherzo grandioso! Non ho mai riso tanto. Ci ho messo un bel po’ a togliervi i vestiti di dosso senza svegliarvi, ma ne è valsa la pena!
Elsa la fulminò con lo sguardo.
-Ok, è stato divertente. Ora ridammi tutti i vestiti che hai nascosto, immediatamente.
Ridacchiando, Anna si accucciò e tirò fuori da sotto il letto una camicia da notte azzurra e l’abbigliamento di Jack, porgendoli dopo alla sorella.
Dopo essersi rivestiti, Elsa e Jack convinsero Anna a rivelare dove nascondeva gli abiti dell’armadio, per poi sprecare una buona mezz’ora a rimetterli dove dovevano stare.
Elsa si era quasi dimenticata della causa della sua sveglia, così quando Anna disse:
-Avete sentito anche voi quell’urlo di prima? Sembrava provenire dalla camera di Damio.-
, sussultò e corse immediatamente per il lungo corridoio, fino alla cameretta del bimbo.
Jack non la seguì; il suo sesto senso gli diceva che presto sarebbe successo qualcosa in quella camera, e voleva accertarsene.

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Capitolo 6
*** La regina delle Nevi ***


Damio si fermò di colpo. Aveva sentito qualcosa, ne era certo.
Olaf, che fino a quel momento aveva parlato incessantemente al bambino su com'è interessante la vita di un pupazzo di neve, zittì.
-Hai sentito anche tu?
Damio accennò un sì con la testa, fisso verso un punto ben preciso.
Non era stata una sua impressione. Ora vedeva bene: quel cespuglio si scuoteva da solo. Era un bel cespuglio, di quelli che il giorno illumina e che i passanti ammirano. Faceva parte della piazza da sempre, come il suo gemello nella parte opposta. Ma ora, al buio, aveva un aspetto tutt'altro che rassicurante.
Sprezzante del pericolo, il bambino si diresse a passi esitanti verso le foglie verde scuro. Nella notte sembravano in preda all'oscurità.
-Fossi in te non mi avvicinerei- sussurrò Olaf.
Damio si immobilizzò, una gamba in avanti pronta a fare un' altro passo, e spalancò gli occhi per cercare di vedere meglio davanti a sé.
Ad un tratto fece un passo indietro; aveva sentito un guaito.
-Torniamo indietro.
Il pupazzo di neve tremava, così come la sua voce, ma non di paura.
Per la prima volta nella sua vita, Olaf provò freddo.
Anche se ovviamente non sapeva che cosa stava provando, che così scambiava per un' altro sentimento sconosciuto a lui, la paura.
Dal cespuglio vennero altri guaiti, più forti questa volta, e i rami presero a scuotersi fortemente dall'interno. Si poté intravedere per un attimo qualcosa di bianco dimenarsi dentro.
Tutta la curiosità di Damio svanì in quel momento, e così si ritrovò a sbirciare dalle spalle del pupazzo di neve senza nemmeno sapere come avesse fatto ad arrivarci. Intanto Olaf teneva le braccia legnose intorno al suo corpo, e piccoli brividi lo scuotevano di tanto in tanto.
Olaf sentì il bambino irrigidirsi.
Il cespuglio aveva incominciato ad emanare una luce bianchissima, quasi accecante, che aumentava ogni attimo di più. Fu allora che Damio incominciò a vedere.
La luce prese presto forme che si rincorrevano in circolo, cantando una canzone antica e incantevole.
No, era una melodia: non c'erano parole, solo una serie di lunghi versi di diversa intensità, che creavano un'insieme di mille voci che s'intrecciavano in quel canto melodioso. Se Damio fosse stato un poeta, la avrebbe descritta come la musica che suona nel centro di ogni essere.
La luce si trasformò lentamente in due figure indistinte che, danzando e ballando, giravano sempre più velocemente intorno. I due esseri di luce sembravano contenere i tratti di ogni essere vivente. Dopo poco tempo, non restò davanti ai suoi occhi che un turbine di luce.
La visione si riempì del colore blu. La luce diventò celeste, del più vivido celeste che avesse mai visto. 
Le due figure si fermarono e attorno a loro si creò una stanza. Tenevano in braccio un bambino, ma piangevano in ginocchio davanti ad un piccolo quadro davanti a loro.
Damio non riusciva a vedere bene la figura su cui piangevano; ma era convinto che si trattasse di qualcosa di veramente importante. Provò ad avvicinarsi, ma qualcosa lo bloccava per il braccio. Allora si sporse più che potè.
Fece appena in tempo a vedere, che la visione scoppiò, inondandolo di luce celeste.
Un'immagine restava ferma nella sua meoria: l'ultima che aveva visto dopo lo scoppio. In quel quadro c'era disegnato il suo profilo, dalla punta dei capelli alle spalle.
Cadde all'indietro, sforzandosi in tutti modi di non piangere.
-Damio!
Olaf lo prese al volo. Il bambino intanto si accovacciò per terra, nascondendo la faccia tra le braccia.
-Cos'hai visto? Era solo un cespuglio normale, niente di cui preoccuparsi. Che sciocchi! Mi è parso di avere dei brividi, ma dev'essere stata la paura... anche se io non ho mai provato la paura.
Olaf aveva rincominciato con il monologo, ma Damio era da tutt'altra parte in quel momento. Possibile che il pupazzo di neve non avesse visto niente?
Guardava per terra, pensieroso. Sentiva che qualcosa lo stava seguendo, ma non voleva girarsi.
In tutto questo turbinio aveva capito solo che Olaf era reale, e non voleva spaventarlo girandosi per niente.
Quando però la cosa gli si strusciò nelle gambe, fece un salto di almeno quindici centimetri.
Abbassò lo sguardo e mise a fuoco i suoi piedi. In mezzo, una piccola palla di pelliccia bianca lo guardava con gli occhi lucenti tipici degli animali notturni.
Questa volta Damio non si fermò, ma lasciò andare avanti il pupazzo di neve che, preso com'era dal suo discorso, non immaginò neppure cosa stesse facendo.
Appena il pupazzo fu ad una distanza di sicurezza, il bambino allungò le braccia e raccattò la palla di pelo.
Pesava all'incirca come il suo pupazzo. L'animale emise un lieve guaito di soddisfazione, che strappò a Damio un sorrisetto mesto.
-Olaf! Devi aiutarci!
Il pupazzo di neve interruppe il suo monologo per l'ultima volta.
-Ehi, finalmente hai deciso di parlare! Aspetta: aiutarci?
Rumore di passi rimbombavano nella piazza, e dopo qualche minuto due figure si fermarono davanti ad Olaf.
Elsa e Anna.
Intanto, Jack era rimasto da solo nella camera, e si chiedeva a che cosa si riferisse di preciso il suo sesto sesto, dandogli quell'avvertimento.
Non dovette aspettare molto.
Qualcuno bussò alla porta, ma non chiese se poteva entrare. Subito Jack si alzò, il bastone in mano pronto a sferrare un' attacco, ma coloro che entrarono non avevano nulla di pericoloso.
-Salve, noi... cerchiamo la regina.
Erano un' uomo e una donna, probabilmente molto amici tra loro.
Jack ripose il bastone: avevano l'uniforme del castello, segno che erano persone fidate.
-Ora la regina non c'è, ma potete dirlo a me. Sarò io a parlarle più tardi.
L'uomo fece un bel respiro e scambiò uno sguardo con la donna, che subito iniziò a parlare.
-Noi siamo due normali servitori del castello, ma deve sapere che un tempo, quando eravamo ancora bambini, abitavamo in delle case (non al castello come ora), ed eravamo semplici figli di commercianti. Io mi chiamo Gerda, e lui è il mio amico d'infanzia, Kai.
Jack intanto prendeva appunti mentalmente. La donna fece un sospiro.
-si dà il caso che ci siamo offerti volontari per questo mestiere quando nacque la primogenita del re, la ora regina Elsa. E oggi siamo qui per spiegare perché.
La storia dei due servitori fu molto lunga, eccone per voi il succo:
Kai e Gerda, da bambini, erano molto amici (ma questo lo sapete già), nonché vicini di casa. Infatti abitavano uno di fronte all'altro, e coltivavano entrambi delle bellissime rose. Tutti e due bambini ubbidienti e tranquilli, finchè un giorno successe qualcosa di inspiegabile: Kai divenne cattivo, e un bel giorno scappò di casa.
Subito Gerda, che aveva sopportato pazientemente le sue angherie dal giorno del cambiamento, andò a cercarlo, e fece un viaggio molto lungo, nonché pittoresco.
Infine trovò l'amico, prigioniero della Regina delle nevi, una donna malefica che l'aveva costretto a giocare con dei cubi magici. Solo se il bambino avrebbe formato la parola “eternità”, sarebbe stato libero. Quando Gerda pianse davanti a lui, raccontandogli tutte le cose che faceva quando era buono, Kai si stupì, e gettò i cubi a terra, dove formarono proprio la parola necessaria. Da quel giorno, dopo essere tornati a casa, Kai aveva sentito ,in ricordo dell'evento, un pizzicorino all'occhio destro, dovuto alla scheggia di vetro di specchio magico che, entrata nell'occhio, aveva trasformato il suo animo in peggio.
Quel pizzicorino era tornato poche volte nella sua vita: il giorno della nascita di Elsa, il giorno dell'arrivo di Damio, e quella notte.
Jack era estrefatto: in tutta la sua lunga vita -aveva smesso di contare gli anni arrivato a diecimila- , non era mai stato così stupito. Beh, c'erano tante cose che stava provando in quel tempo in particolare, che non aveva mai provato. Ad esempio, quello che sentiva guardando Elsa.
Ma ora non era importante: bisognava trovare Damio al più presto.
-potrebbe succedergli qualsiasi cosa...- sussurrò Jack.
Kai e Gerda si scambiarono uno sguardo preoccupato.
-Il bambino!
Il ragazzo annuì. Poi si girò verso la finestra e, con un salto, la raggiunse. Si preparava a cadere, quando si voltò per l'ultima volta dai due servitori.
-Grazie per la vostra confessione. Vi sarò sempre debitore.
Detto questo, si buttò.
Anna lo squadrò, sicura che il pupazzo di neve le nascondesse qualcosa.
-Ne sei proprio sicuro, Olaf?
L'interessato annuì con foga. Nonostante vivesse da ormai quattro anni, non aveva ancora imparato a mentire.
-E allora di chi è quella gamba che spunta dietro la tua?
Elsa si riscosse. Non aveva notato la gamba, presa com'era dalla preoccupazione di trovare Damio.
Sbatté gli occhi e incominciò a girare intorno al pupazzo di neve. Si sentiva come in un sogno. Non dovette fare nemmeno mezzo giro, perché il bambino era ben visibile anche da quel punto. Con un sospiro, si lanciò su Damio.
-Piccolo mio! Dove eri finito?- urlò.
Damio strabuzzò gli occhi e guardò la madre spaventato.
Elsa lo abbracciò forte.
-non devi avere paura di me, ti prego. Non sono un mostro.
Intanto Anna e Olaf guardavano la scena sorpresi. Erano infatti impegnati a parlare, quando avevano sentito Elsa urlare.
-Non ti farò mai niente, niente! Damio, promettimi che non scapperai mai più. Promettimelo!
Elsa stava perdendo il contegno regale, e si comportava come sotto trance. Sopra di loro, il cielo si ricopriva di nuvole tempestose, e un vento freddo spirava concentricamente.
Intanto la regina stringeva le mani sulle esili spalle di Damio, ormai in preda al panico.
Fu allora che successe. Fu un' attimo, un sussurro quasi; ma fu in qualche modo udibile da tutti i presenti.
Nella mente del bambino si formò una parola, una parola così prepotente, che arrivò per prima fino alle labbra.
-Acqua.
Elsa smise di farneticare e contemporaneamente il vento si fermò.
Non si sentiva un respiro.
-D-Damio?
Il bambino ripeté la parola.
-Acqua!
Ora aveva capito. Nella sua testa, le parole si formavano ordinatamente, ma non arrivavano alla bocca perché si dissolvevano prima. Ma adesso era diverso.
Riusciva a farle arrivare.
-Acqua! Acqua!
La regina aveva gli occhi lucidi, e stessa cosa succedeva ad Anna.
Olaf, dal canto suo, saltava di gioia.
-Damio ha parlato!

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Capitolo 7
*** Rivelazioni ***


Dopo la prima parola, divenne tutto in discesa.

Damio non era un gran chiacchierone, ma quando parlava destava l'ammirazione di tutti. Il batuffolo che aveva accolto tra le sue braccia si era rivelato essere un cane dal manto candido come la neve, a cui aveva riservato la sua seconda parola: Vento.

Intanto Jack era diventato frequentatore abituale del castello e il suo rapporto con Elsa era cambiato in meglio.

Avevano ammesso entrambi di provare qualcosa l'uno per l'altro (non incominciate a fare gli sdolcinati, leggete) mentre facevano una gara a chi creava il fiocco di neve più bello. Gara che, ovviamente, non aveva avuto vincitori, e dove i due sfidanti avevano dato il meglio di sé senza esclusione di colpi.

Dalla notte in cui era scappato Damio erano passati sei mesi , e in quel momento il bambino giocava con Kristoff.

-Fallo ancora!

Kristoff sbuffò, ma aveva l'aria di chi aveva già deciso.

Damio rideva, e per una volta aveva perso la sua aria da serio, comportandosi quasi come un bambino normale.

-Ancora!? Guarda che sei pesante!

Il bambino fece gli occhi dolci.

-Ti prego...

Kristoff sorrise. Quel marmocchio aveva sempre qualche arma a suo favore.

-Va bene, ma per l'ultima volta, ok?

Damio annuì compiaciuto, e si preparò per essere di nuovo catapultato in aria.

Anna li guardava sorridente di nascosto da un' angolo della porta.

Aveva riflettuto a lungo su questa cosa, e aveva passato due notti insonni a parlarne con Kristoff. Voleva chiedere ad Elsa la sua benedizione.

Aveva già immaginato la scena:

“Sorellona, vorrei tanto la tua benedizione” (faccia carina);

“Per cosa?” (faccia stupita);

“beh, mi sembra ovvio! Ormai io e Kristoff stiamo insieme da quattro anni...” (faccia speranzosa;

(sospiro) “va bene, vi sposerete tra.... due mesi!”;

-E poi baci, abbracci, e bum! Finalmente potrò avere il mio giorno di glooooria!!

pensa, potrei anche fare leva su Jack, ma non mi sembra il caso... ehi, non credo sarà così dura! Ora so molto di più sull'amore! In particolare sul vero... (sospiro).

Non si era mai sentita più pronta di quel momento. Attraversò il corridoio, girò a destra e arrivò ad una stanza chiusa. Da dietro si sentiva un leggero brusio.

Senza bussare, aprì la porta e si fiondò dentro la stanza. Anche se non aveva contato che il pavimento era ricoperto da un grosso tappeto persiano, dettaglio che la fece arrivare lunga distesa proprio davanti alla scrivania di Elsa.

La regina era intenta a scrivere con una bella piuma d'oca (probabilmente a firmare qualche modulo),e non notò subito Anna.

La principessa così ebbe tutto il tempo di rialzarsi, mettersi in ordine il vestito e ravvivarsi un ciuffo ribelle uscito dalla pettinatura.

Per attirare l'attenzione di Elsa, dovette schiarirsi la voce, tossire per finta e infine battere il palmo aperto sulla scrivania di legno, cosa che non le fece proprio bene.

-Anna? Che ci fai qui?

Anna smise di imprecare a bassa voce e alzò lo sguardo di scatto sugli occhi della sorella.

-Oh, finalmente! Pensavo fossi diventata sorda!

Elsa arrossì leggermente.

-No, che dici! Ero solo molto impegnata, tutto qui. Cosa volevi dirmi?

Anna fece un bel respiro profondo, mise le mani dietro la schiena e con vocina sottile chiese:

-Posso sposarmi con Kristoff?

Elsa rimase immobile, sorpresissima dalla domanda inattesa, con la penna a mezz'aria e la bocca aperta in una O perfetta.

-Dai, lo sai che ormai ci conosciamo già da quattro anni, e poi pensavo: cavolo, abita già qui, non ci sarebbe problema se ci sposassimo e poi è il vero amore, l'ha detto anche Olaf!

Oh! E poi è un amore, lo devi vedere quando...

-si, Anna.

La principessa rimase a metà frase.

-Che?

-Ho detto si. Ti do la mia benedizione.

Fu come se qualcosa molto simile a una bomba esplodesse dentro Anna. Con un' urlo ad ultrasuoni degno del miglior pipistrello, si levò in un salto alto almeno la metà della sua altezza, e con un'incredibile allegria corse fuori dalla stanza.

Non salutò Elsa, ma la regina pensò che il saluto fosse sottinteso. La ragazza ventiduenne si limitò a ridacchiare, poi tornò alle sue carte burocratiche.

Non era ancora finita la giornata, che tutto il regno conosceva la lieta notizia. La principessa era stata esauriente sulle notizie e sul giorno del matrimonio, nonché sul fatto che ogni singolo abitante -dal più ricco al più povero- fosse ufficialmente invitato alla festa. Per le strade di tutto il regno si trovavano vassalli e consiglieri.

-Mamma, anche noi andremo?

Damio in quel momento giocava con un puzzle di legno per bambini e ,davanti a lui, sedeva Elsa.

La regina alzò gli occhi dal libro che stava leggendo.

-Certo tesoro, e vedrai che sarà bellissimo.

Ci fu silenzio per un paio di minuti; poi Damio esclamò:

-verrà anche Jack?

Elsa chiuse il libro con un sospiro.

-Vediamo.

Il lieve calo iniziale dei suoi poteri ora era scomparso, ed era più cauta che mai con Damio. Non sapeva ancora se il bambino le nascondeva qualcosa e di certo non sospettava nulla, ma credeva lo stesso che non era ancora giunto il momento giusto per parlagliene.

Intanto passarono le ore, e arrivò la sera anche nella stanza del trono.

Damio andò a giocare con Kristoff ed Elsa si ritrovò sola. Posò il libro nelle ginocchia e aspettò, sapendo già cosa sarebbe successo. Un leggero sorriso le aleggiava nelle labbra.

-Aspettavi me?

Nonostante fosse atteso, Jack ebbe la splendida idea di spuntare da dietro il trono della regina, facendola sobbalzare.

Quando il cuore di Elsa riprese il ritmo normale, Jack si sedette accanto a lei, nel trono perennemente vuoto destinato ad un futuro re.

-Mi hai spaventato- ansimò Elsa.

In tutta risposta, il ragazzo alzò le spalle e poggiò il bastone alla parete dietro di lui.

-Era il mio obiettivo.

Elsa non sorrise; al contrario, abbassò gli occhi nel libro chiuso nelle sue gambe e sospirò.

-Cos'hai?

La regina tremò leggermente.

-Devo chiederti una cosa.

Jack sgranò gli occhi.

-Dimmi pure.

Elsa deglutì. Non era abituata a fare discorsi importanti alle persone che le stavano a cuore.

-Io... non so da dove iniziare. So solo che la persona a cui tengo di più al mondo è Damio, e il bambino non può crescere senza un padre. Ho provato a immaginare mille modi per risolvere il problema e nessuno faceva al caso mio. Sai, fin da bambina sapevo che il mio destino era di rimanere triste e sola fino alla fine dei miei giorni, e avevo già accettato il fatto che non mi sarei mai sposata a causa dei miei poteri. Ma dopo... dopo aver ghiacciato il cuore di Anna, ho capito molte cose. È cambiato tanto da allora e ormai non sono più triste né sola, ma anche adesso sento che non va tutto bene, che non c'è ancora stato un lieto fine.

La regina si alzò e poggiò il libro in un ripiano accanto al trono.

Jack la guardava fare immobile.

-Ho scoperto che anch'io voglio il mio lieto fine, e lo voglio con te.

Il ragazzo s' irrigidì.

-Elsa...

-No, Jack.- lo fermò la regina.

-Ho avuto paura di me stessa per troppo tempo. Ora ho trovato finalmente qualcuno che mi capisce, e non me lo lascerò scappare così. Ecco, vorrei che tu diventassi il mio compagno di vita.

Il ragazzo si rilassò visibilmente. Pensava che Elsa volesse rinunciare ai suoi poteri, e nel suo caso per quello c'era una sola soluzione, drastica e da cui non si poteva tornare indietro.

-Elsa, sai già la mia risposta. Ma so che non mi hai detto tutto.

La regina sorrise: un sorriso tirato e visibilmente falso.

-Hai vissuto tanto che conosci gli animi della gente come il palmo della tua mano; infatti non ti ho detto tutto, ma come ti ho già accennato prima, Damio ha bisogno di un padre. Tu saresti disposto a voler bene al bambino come se fosse carne della tua carne? È tutta qua la questione, perché se non vorrai bene a lui, allora non vorrai bene nemmeno a me.

Dicendo questo, Elsa lanciò una scaglia di ghiaccio dalla mano sinistra. La scaglia si conficcò nel soffitto.

Jack però non si spaventò, anzi si avvicinò a lei e la strinse nelle sue braccia.

-Tranquilla, vorrò bene a Damio come ne vorrò a te.

Nella stanza incominciò a nevicare piano.

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Capitolo 8
*** Una farfalla scarlatta ***


La stanza era particolarmente gelida quella mattina.
Damio stava giocando con alcuni cubi colorati che aveva trovato nel castello, e con quelli formava delle parole.
-B...A...L...E...N... poi cosa viene? Umm... la A! B-A-L-E-N-A!
Mise un cubo verde alla fine della fila formata da altri cinque, per poi rimirare il risultato soddisfatto.
Si annoiava a giocare tutto solo, ma quel giorno lo zio Kristoff era a lavoro, mentre la zia era in città. Mentre guardava quei cubi messi in fila, gli venne un'idea. Con il piccolo indice della mano destra indicò il primo quadrato davanti a lui, e agitò il dito velocemente come ad imitare un mago farlocco. Ma, al contrario del mago farlocco, a lui la magia funzionò: dove prima c'era un bel blocco scarlatto, ora una piccola farfalla rossa si guardava disorientata. Agitò piano le antenne delicate guardandosi intorno e poi, dopo una scrollatina alle ali, spiccò il volo.
Damio la guardò alzarsi nell'aria arrancando, cercare la finestra, trovarla e uscire all'aria aperta.
-vivrà solo qualche settimana, ma sempre meglio che essere un cubo senza vita. - sussurrò il bambino tra sé e sé.
Preso com'era dalla farfalla, non si era accorto della porta che si apriva lentamente dietro di lui. Così, quando un grazioso pupazzo di neve emerse dal nulla sotto i suoi occhi, emise un gridolino spaventato (di quelli che appena sarebbe stato un po' più grande avrebbe chiamato “da femminuccia”) e allungò le mani davanti a lui.
Olaf non si sorprese; era abituato a spaventare i bambini, ma poi trovava sempre il modo per essere simpatico a tutti.
-Da quando sono diventato così brutto? -esclamò il pupazzo di neve in risposta alla reazione del bambino.
-mi hai spaventato!- fece Damio, mettendo teatralmente una mano sul cuore (o sul polmone destro; non conosceva ancora l'anatomia!).
-Oh! Meno male che gli spaventi durano poco! E lo sai cosa arriva dopo lo spavento?
Damio scosse la testa.
-Allora te lo dico io: arriva l' avventura!
Il bambino lo guardò in modo strano, poi sbiancò all'improvviso.
-Olaf! Nasconditi! Sta arrivando qualcuno.
Subito il pupazzo di neve si infilò sotto il letto, e il bambino si sedette per terra con i suoi cubi con le lettere.
Fece appena in tempo a ricreare il cubo rosso dall' aria, che la porta si aprì e una faccia nota gli venne incontro.
-Ciao, Jack.
Il ragazzo sorrise, e si abbassò al livello del bambino.
-Ciao Damio. A che giochi di bello?
Il bambino abbassò gli occhi di scatto.
Jack ne fu sorpreso; grazie alla  sua attività millenaria conosceva ogni singola reazione umana, e quella del bambino diceva chiaro e tondo che nascondeva qualcosa.
'forse nasconde un topolino, o una lucertola. Insomma, come tutti i bambini di questo mondo' pensò Jack, e purtroppo non ci andò nemmeno vicino.
-Ehi piccolo, lo sai che io ho un superpotere?
Damio lo guardò negli occhi, serio.
-Lo so. Tu fai venire l'inverno, giusto?
Il ragazzo ridacchiò.
-Si, ma ne ho anche un' altro.
Il bambino lo guardò con curiosità.
-E qual'è l'altro?
Jack avvicinò la bocca all'orecchio del bambino e gli sussurrò:
-Riconosco i bambini che nascondono qualcosa da un miglio.
Damio lo guardò con occhi spaventati, poi sospirò.
-Se te lo faccio vedere, prometti di non dirlo a nessuno?
Jack gli mostrò il mignolo.
-Giuro.
Ma Damio non aveva ancora finito:
-Per nessuno intendo nemmeno a mamma.
Jack tirò su la schiena e scoppiò in una risata. Era un suono gradevole, che ricordava molto il suono della pioggia.
-Soprattutto ad Elsa. Vedrai, sarà un segreto tra uomini. Ci stai?
Damio annuì.
-Perfetto. Allora, dove nascondi quel qualcosa?
Il bambino gli mostrò le mani col palmo ben aperto.
-Qui dentro.
                                                                   \\\
-No, non così! La sottoveste non si deve intravedere!
Anna, circondata dai sarti reali, provava il suo vestito da sposa.
-Non essere impaziente, il matrimonio è tra due giorni!- disse sbuffando una sarta con due spille in bocca.
A quell'affermazione, Anna si scatenò.
-E lo dici così? Appunto, il matrimonio è tra due giorni e siamo ancora a questo punto! Solo 48 ore, cioè appena 172.800 minuti, se non di meno, e ancora dobbiamo preparare la torta, i fiori... ehi! Qualcuno vada a ritirare l'anello dal fabbro! Aiuto... è difficile preparare tante cose!
La principessa si scatenava e le persone che gironzolavano attorno a lei avevano un bel daffare per misurare l'abito e mettere spilli dove sembrava troppo lungo o dove invece andava aggiunto qualcosa. Ma nonostante l'immenso lavoro, ebbero tutti il tempo di inchinarsi quando nella stanza entrò Elsa.
-Buonasera a tutti. Come procedono i preparativi?
Anna in tutta risposta alzò gli occhi a cielo e con uno sbuffo si sollevò un ciuffo di capelli ribelle dagli occhi.
Camilla, la sarta reale, rispose per lei:
-Abbiamo quasi finito e ci mancano solo gli ultimi ritocchi. Ma questa testarda della principessa crede di essere in alto mare...
Alla regina sfuggì un lieve sorriso: non era la prima volta che trovava Anna così pessimista.
-Quanto manca ancora?
-Sii tranquilla, Anna; manca solo l'ultimo punto... ecco fatto. Ora, se non ti dispiace, puoi spogliarti di questo vestito.
La principessa non se lo fece dire due volte; con un balzo uscì fuori dal vestito da sposa, e nel giro di due secondi aveva indossato un comodo abito verde smeraldo.
-Ecco qua. Dovevi dirmi qualcosa, Elsa?
La regina ridacchiò.
-Non esattamente. Ma a questo punto, aspetterò a darti il mio regalo di nozze al giorno prescelto. Conoscendoti, entro due attimi l’avresti già rotto.
Anna spalancò gli occhi.
-Tu… il regalo di nozze? No, aspetta… che!? Il tuo regalo è stata la benedizione e l’assenso al matrimonio!
-Oh, Anna… devi imparare ancora molto delle tradizioni del nostro regno. Avrai il tuo vero regalo tra due giorni, insieme agli altri che riceverai dai regnanti vicini.
La principessa aggrottò la fronte. Odiava aspettare, e la sorella lo sapeva.
-Potevi aspettare a dirmelo! Adesso mi torturerà la curiosità di sapere che cosa mi regalerai… e ovviamente, io torturerò te sul contenuto del regalo!!
Prima che Elsa potesse ribattere, Anna era già uscita dalla stanza e le sue risate rimbombavano per tutto il lungo corridoio.
La regina scosse la testa, divertita dalla reazione della sorella. Cercava di sfruttare quel poco che conosceva di Anna per renderla felice in ogni modo. Ora che erano di nuovo insieme, nulla le avrebbe più separate.
Con passi lenti e leggeri, Elsa imboccò il grande corridoio che portava fuori dal castello. Conosceva ogni angolo della casa in cui aveva vissuto per tanto tempo senza poter uscire.
Eccolo, l’angolo in cui Anna sedeva quando era in castigo; più avanti, in fondo a sinistra, c’è la stanza contenente il pendolo che piaceva tento alla bambina.
Elsa spiava la sorella da uno spiraglio della porta, abbastanza grande per guardarla, ma troppo piccolo per fare in modo che scappasse qualche fiocco di neve.
Passava anche ore così, immaginando di giocare con Anna, pensando di essere con lei in ogni occasione. Da bambina sperava tanto in un miracolo che le facesse avere subito il controllo della sua maledizione solo per giocare con lei.
Elsa sospirò. Erano ricordi tristi in cui non voleva imbattersi proprio in un periodo così allegro.
Pensò alle cose che la mettevano di buonumore, poi trotterellando oltrepassò il portone d’ingresso al castello.
Il giardino reale era il più variegato del regno, e ospitava tante piante provenienti da regni lontani, regali di re e regine amiche dei suoi genitori. Alla fine del giardino c’era un portone più grande di quello che dava l’accesso al castello: era l’entrata del regno, la già nominata porta che restava chiusa solo nelle notti serene. La porta dove, tre anni prima, aveva trovato Damio.
Il bambino che nella notte le era apparso così fragile, ora giocava spensierato (o quasi) da qualche parte del castello.
La regina abbozzò un sorriso al pensiero di quella massa di capelli color del grano che sgambettava felice nel castello, magari con Jack che gli insegnava qualche gioco antico.
A proposito, quanti anni aveva? Elsa non gliel’aveva mai chiesto per il semplice motivo che non le importava più di tanto.
-Dopotutto, l’amore non ha età!- disse a voce alta convinta che nessuno potesse sentirla.
-Ecco, adesso non sono più l’unico a parlare da solo!
Olaf era dietro di lei, intento ad annusare delle bellissime orchidee.
L’operazione però lo fece starnutire, con la conseguenza che il suo naso volò dritto in mano ad Elsa.
-Scusa, potresti ridarmi il naso?
La regina nel frattempo si era girata, e fissava il pupazzo di neve incantata in chissà cosa.
Alla domanda di Olaf, si risvegliò e porse il naso al braccio di legno che le si tendeva davanti.
-Graaazie… ecco fatto! Ora sono di nuovo perfetto!
Elsa ridacchiò divertita: Olaf le toglieva ogni cattivo pensiero dalla testa.
- ma tu non eri insieme a Damio nella sua cameretta?
Il pupazzo di neve si fece serio.
-Lo ero infatti: poi Damio ha sentito dei passi e mi ha fatto nascondere sotto il letto; così nella stanza è entrato Jack, ma siccome ero stanco di aspettare sono uscito di nascosto dalla finestra. Mi sono un po’ ammaccato: con la neve è più facile scivolare!
Elsa rivolse uno sguardo confuso ad Olaf.
-Jack era nella cameretta di Damio?
-Certo! Stavano parlando di… caspita, i pupazzi di neve non hanno molta memoria! Non mi ricordo più. E poi, mica in quel momento pensavo a cosa si dicevano tra loro!
La regina annuì soprappensiero.
-Sai,- le sussurrò all’orecchio Olaf, -Sarebbe veramente un’ ottimo padre per quel bambino.
Elsa prese un respiro profondo.
-Lo spero.

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Capitolo 9
*** L'identità di Damio ***


Jack correva a perdifiato. A chiunque incontrasse, chiedeva di Elsa: doveva dirglielo immediatamente.

Trovò la regina nel parco del castello, intenta a parlare con il pupazzo di neve di cui non si ricordava mai il nome.

-Elsa!

La regina si girò di scatto.

-Oggi è il giorno degli incontri in giardino?

Jack si fermò davanti a lei, le mani nelle ginocchia per riprendere fiato prima.

Appena il battito del cuore si calmò appena, esplose in un’esclamazione

-DAMIO HA POTERI MAGICI!-

che fece crollare il mondo addosso ad Elsa.

Per un attimo si sentì solo il cinguettio degli uccelli del giardino.

Olaf fu il primo a parlare dopo quell’attimo.

-Poteri… magici? – fu tutto quello che riuscì a dire.

-Davanti a me. L’ho visto trasformare. Un cubo. In una libellula.- continuò Jack ansimando.

-In una libellula?- sussurrò Elsa. Se non fosse già stata chiara di carnagione, si poteva dire che in quel momento fosse diventata pallida come un cencio lavato.

-Ne sei sicuro?

Jack prese le mani della regina tra le sue e la guardò dritta negli occhi.

-Come per la sensazione che provo quando sono con te.

Elsa non reagì minimamente a quella frase. Invece, puntò lo sguardo oltre Jack, verso l’entrata del castello. Due secondi dopo stava già correndo.

-Elsa! Lo spaventerai e basta adesso!- urlò Jack, ma la regina sembrava diventata sorda.

 

Damio era triste. Aveva fatto vedere il suo segreto a Jack, e lui in tutta risposta era indietreggiato verso la porta e si era messo a correre.

Probabilmente l’aveva detto anche alla mamma.

-Tanto l’ho visto che ha incrociato le dita mentre faceva la promessa.

Stanco dei cubi, ora giocava con una marionetta. Non era capace di manovrarne i fili, ma la usava a mo’ di bambola, muovendone direttamente gli arti con le mani.

Era seduto sotto la finestra con la marionetta-bambola tra le gambe incrociate.

I capelli gialli gli ricadevano sopra la fronde corrugata, intenta a fissare l’oggetto che due minuscole manine facevano ballare scoordinatamente.

-Sento già i passi di mamma. La porta si aprirà tra tre, due, uno…

Più che aprirsi, la porta sbatté contro il muro così violentemente che più d’uno dei servitori successivamente accusò un lieve terremoto inspiegabile che si propagava per tutto il castello.

Sulla soglia, gli occhi sgranati, stava Elsa. Numerosi fiocchi di neve le vorticavano intorno; questi erano anche molto più grandi del normale.

Damio, che ancora non sapeva del dono della madre, decise di non trovare nessuna spiegazione logica per quell’evento.

-è una maledizione?- fu la domanda di Elsa, che non osava avvicinarsi. Aveva notato i fiocchi di neve che le ruotavano attorno, e non voleva fare del male al bambino.

Damio scosse la testa.

-Da quando succede?

il bambino sbatté gli occhi innocentemente.

-Da quanto ricordo, da sempre.

Elsa abbassò lo sguardo fino a terra. Si ritrovò a studiare il complicato disegno delle mattonelle nel pavimento.

Damio la guardava con un misto tra il curioso e l'offeso, deciso a tenere il broncio per la promessa infranta.

La regina era immobile, gli occhi assenti e con mille fiocchi di neve che vorticavano intorno a lei. Pensava a come aiutare il bambino.

Se non avrebbe avuto eredi (cosa improbabile) il trono sarebbe stato suo, ed Elsa non voleva costringere Damio a vivere la stessa infanzia che aveva vissuto lei.

Al solo pensiero del piccolo trovatello con i guanti

i guanti! Lui me lo voleva dire...

lo stomaco le si richiudeva in una morsa glaciale.

No, Damio non meritava quello. Aveva già sofferto molto per l'essere stato abbandonato dalla sua madre di sangue, non doveva essere abbandonato anche da lei.

C'era solo una piccola speranza. Doveva esserci un modo per farlo diventare un bambino normale, e una sola persona che poteva saperne la cura.

Le ginocchia di Elsa cedettero all'improvviso. Si ritrovò accovacciata per terra, gli occhi del bambino posati su di lei. Era l'unico modo. Una lacrima solitaria le solcò il viso e si congelò a metà strada, per poi cadere nel pavimento. Nel silenzio totale, un tintinnio leggero echeggiò per tutta la stanza.

-Damio... tu vuoi essere... così?

Il bambino sgranò gli occhi. Davvero mamma gli stava chiedendo questo?

-Mamma, io sono così. Non voglio cambiare.

Elsa trattenne il fiato per non scoppiare a piangere. Ingoiò il groppo che le si era formato in gola.

-Allora incomincia a fare i bagagli. Dobbiamo fare un viaggio.

 

Anna aspettava impaziente il suo promesso sposo. Dovevano ancora discutere dei dettagli per la festa di matrimonio! Ci sarebbero state un sacco di persone da ogni regno, e Kristoff doveva imparare un po' di educazione regale. Non avrebbe fatto una bella figura al banchetto con i suoi soliti modi “da montanaro” e Anna questo non poteva soffrirlo.

Mentre era assorta in questi pensieri, l'oggetto delle sue riflessioni arrivò correndo, un po' impacciato nei vestiti da principe (eredità del re) e con i capelli chiari sconvolti.

-Visto? Sono arrivato in orario!

Anna si risvegliò dai pensieri e si ritrovò a fissare la brutta copia di un ubriacone che si credeva re. L'uomo davanti a sé era talmente buffo che...

-Dai, smettila adesso! Ho capito di essere ridicolo, puoi anche evitare.

La principessa si teneva la pancia dal gran ridere: ci vollero dieci minuti buoni per farla calmare. A quel punto, con gli occhi traboccanti di lacrime per il gran riso, Anna esclamò:

-Ok, ok. Sono calma, adesso sono calma. Pff! No, tranquillo, ti prometto che non riderò più. Forza, adesso entriamo nella stanza del trono, così incominciamo la lezione!

Kristoff fece per incamminarsi, ma fu fermato da Anna.

-Aspetta, prima togliti quei vestiti! Non stai assolutamente bene.

Il montanaro sorrise pacificamente. Aveva il sorriso di un vero re.

E sarebbe diventato re, se Elsa non avesse avuto eredi; Kristoff era un uomo modesto e tranquillo, terrorizzato dall'idea di avere un regno sulla coscienza, e non si sarebbe mai sognato di aspirare al trono o di prenderlo con la forza. Al contrario di Hans, fatto di tutt'altra pasta. Al solo pensiero che quel vile verme era ancora vivo gli prudevano le mani. Hans (il solo nome lo faceva imbestialire) non solo aveva osato tramare contro Anna, ma anche contro il Arendelle, un semplice e pacifico regno che si affacciava nel fiordo. Per fortuna aveva avuto la punizione che meritava: ricondotto nel suo regno, era stato trasformato in un'orribile bestia e costretto a rinchiudersi in un castello al confine del mondo. Il suo unico motivo di vita ora era coltivare rose rosse, e si diceva che fossero le rose più belle di tutta la terra, coltivate grazie alle amare lacrime di rimpianto del principe rinnegato.

Ma Kristoff era di tutt'altra idea; conoscendolo, infatti pensava che la causa del colore di quei fiori fosse il sangue di omicidi che quel vile compiva, scambiato per un lupo, nei villaggi vicini.

Ad un tratto nei pensieri del montanaro esplose un dolore accecante: la causa era un lampione nel posto sbagliato al momento sbagliato, in cui era andato a sbattere preso com'era dalla sua testa. Anna ridacchiò divertita.

-Stai attento! Devi restare integro almeno fino al giorno del matrimonio!

Lo aiutò a rialzarsi ed insieme oltrepassarono la soglia della sala reale.

 

-Forza, questo è facile!

-Facile per te, forse! Sei abituata a fare queste stramberie!

Kristoff era intento a camminare cercando di no far cadere il libro in equilibrio precario nella sua testa. Era la ventesima volta che ci riprovava senza raggiungere i risultati sperati.

Anna non riusciva a smettere di ridere: era talmente impacciato!

-Che diranno le dame quando ti vedranno camminare tutto storto e gobbo?

-Le dame impareranno a farsi i fattacci loro.

La risata di Anna echeggiò limpida per la stanza.

-Prima o poi ce la farai. Siamo tutti con te!

Kristoff si rimise il libro in testa sbuffando e ricominciò il percorso. Concentrato, un passo dopo l'altro, riuscì ad arrivare alla fine. Anna ne era contentissima:

-Hai visto che non era così difficile?- applaudì eccitata.

Kristoff, in tutta risposta, posò il libro, accorse nella sua direzione e la sollevò da terra, causando una serie di gridolini divertiti da Anna.

-Guarda che non sono Damio! Mettimi giù!

Kristoff obbedì, e questa volta la prese tra le braccia.

-E quando lo potrò fare con un bambino che non è Damio?

Anna lo spinse via scherzosamente.

-Aspetta almeno che ci sposiamo; lo sai com'è fatta mia sorella.

-Tua sorella si dovrebbe lasciare un po' andare.

Anna lo guardò fisso negli occhi, seria.

-Ti sfido a lasciarti andare dopo anni di reclusione in una stanza, costretto ad avere paura di te stesso.

Kristoff prese aria per ribattere, ma Anna si divincolò via dalle braccia e uscì dalla stanza.

-Vado a vedere a che punto sono i preparativi.- fu la sua spiegazione.

Il montanaro sospirò e parlò alla stanza.

-Ci sono alcuni argomenti che non vanno ancora toccati.

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Capitolo 10
*** Il viaggio ***


Eccolo... il momento più emozionante di tutti.

-E adesso, puoi baciare la sposa.

Anna ridacchiò dalla tensione.

Kristoff la guardò per un lungo attimo, e nel suo sguardo c'era la luce della felicità; poi la baciò. Fu un bacio tenero e lungo, e non pochi presenti si misero a piangere.

Anna non si era mai sentita così felice: finalmente un giorno riservato a lei, dove era la sola festeggiata. Quasi non ci credeva. Mentre si guardava allo specchio, dopo l'incredibile serata di festa che aveva bloccato l'intero Regno (che sarebbe stata ricordata come una tra le più belle mai fatte) con il velo di traverso e il vestito candido macchiato di cioccolato, pensò che finalmente tutto andava per il verso giusto.

-Sei bellissima.

La principessa si girò pudicamente verso la voce.

Il suo sposo la guardava dalla soglia, gli occhi pieni della sua immagine. Anna lo raggiunse e lo baciò piano.

-Grazie. Hai visto Elsa?

Kristoff si guardò intorno smarrito.

- L’ultima volta che l’ho vista era in chiesa, seduta nel posto d’onore.

La trattenne a sé teneramente.

-Ma adesso non pensarci. Sarà sicuramente in compagnia di qualcuna di quelle dame chiacchierone di cui mi parlavi qualche giorno fa.

Anna sorrise, e in tutta risposta si accoccolò nel petto di Kristoff, severamente nascosto da una camicia di seta.

-Adesso cosa facciamo? La festa è finita.

Kristoff sorrise dolcemente tra i capelli della sua sposa.

-Per noi deve ancora iniziare.

 

Le supposizioni di Kristoff erano errate; infatti la regina era nello studio di suo padre.

Non poteva stare ferma; ogni cassetto era svuotato del suo contenuto,e lei sembrava cercare freneticamente qualcosa.

Aveva incominciato a cercare anche tra i libri adesso. Sfogliava le pagine fitte di lettere in ricerca di una mappa.

La stessa mappa che aveva visto il padre cercare tanti anni prima.

È per Damio, si ripeteva ogni minuto che passava, senza rendersi conto che in realtà era per lei.

Tra l’altro non si sentiva tanto bene: forse aveva mangiato troppo al buffet.

Continuò a sfogliare febbrilmente un libro intitolato ‘La fuga ’ mentre si teneva con una mano lo stomaco dolorante.

Dall'altra parte della stanza, in silenzio totale, Jack la guardava curiosamente. Era seduto sopra una pila di libri e ne teneva in mano uno svogliatamente, facendo finta di aiutare Elsa a cercare qualcosa di cui lei non gli aveva minimamente parlato.

Sapeva solamente che cercava una vecchia mappa che poteva anche essere persa negli anni: per lui, un vero spreco di tempo; ma a quanto pare la regina la pensava diversamente, e quando lui si era offerto per aiutarla non aveva minimamente considerato la quantità di carte e libri che affollavano quel piccolo (rispetto al castello) studio.

-Ammettilo; non lo troveremo mai. Sono sicuro che qualche domestico l'avrà buttata via, scambiandola magari per qualche vecchia cartaccia.

Lo sguardo che Elsa gli lanciò lo convinse ad incominciare davvero ad aiutarla, ma la tentazione di fermarla era più forte.

-Dimmi la verità: quand'è l'ultima volta che hai visto quella mappa?

Elsa si fermò un attimo per pensare.

-Saranno.. sedici anni, a occhio e croce.

Jack sbuffò incredulo e voltò la pagina del libro.

-E tu ti fidi di una cosa che hai visto di sfuggita sedici anni fa?

La regina non rispose, decidendo di ignorare il ragazzo che doveva darle aiuto, ma che in realtà le procurava solo irriverenti domande.

Jack bofonchiò tra sé:

-è proprio vero che la speranza l'ultima a morire- a voce abbastanza alta da farsi sentire da Elsa, che in tutta risposta gli lanciò il libro che aveva appena finito di sfogliare.

Il ragazzo fece per scansarlo, e così facendo perse l'equilibrio precario che aveva dalla cima della pila dei libri; cadde nel pavimento freddo, seguito da innumerabili libri che decisero di effettuare un atterraggio più comodo.

-Ahi! Anche l'enciclopedia no!

Prese tra le mani il grosso libro che gli era caduto in testa.

-Ehi, Elsa! Prova questo. Il titolo è: ''alla scoperta dei troll. Vita e abitudini delle pietre animate”.

La regina accorse immediatamente e strappò il libro dalle mani di Jack. Dalle pagine fitte uscì una mappa, che andò ondeggiando a posarsi nel pavimento.

Elsa la prese raggiante.

-Eccola! Finalmente possiamo andare.

La raggomitolò e corse via dalla stanza sottosopra.

-Comunque grazie per avermi tirato fuori dai libri.- ironizzò Jack.

Elsa non rispose, troppo impegnata a stringere la mappa tra le mani tremanti.

Arrivò alla stanza di Damio di gran carriera. Il bambino era impegnato a giocare con Olaf. È ancora vestito da matrimonio,m osservò tra sé e sé Elsa, ma accantonò l'osservazione in un cassetto mentale. Aveva cose più importanti da dire.

Damio fece finta di non vederla arrivare. Probabilmente l'avrebbe sgridato per aver mostrato ad Olaf i guanti di quando era piccola, così appena sentì i passi della mamma si affrettò a nasconderli sotto il letto. Il pupazzo di neve, dal canto suo, giurò di non fiatare.

Elsa attraversò la stanza e si sedette di fianco al bambino e, senza tante cerimonie, srotolò la mappa sotto il suo naso, nel pavimento.

Olaf, seduto di fronte al piccolo, allungò gli occhi sopra le montagne disegnate.

-Ehi, ma io questa strada la conosco!- esclamò soddisfatto.

Damio accarezzò la cartina: non ne aveva mai vista una, ed era così vecchia!

-Guarda piccolo: noi dobbiamo andare qui.

Elsa indicò una grossa X disegnata nella mappa, proprio in mezzo alle montagne: a far la guardia a quel segno era disegnato un essere tozzo e dal naso grosso di colore grigiastro.

Damio, lettore appassionato (aveva imparato in un tempo straordinariamente breve a leggere) la riconobbe subito:

-Ma è un troll!

La regina annuì.

-Qui abitano delle creature che ci possono aiutare.

-Mamma, io...

elsa lo fermò.

-Damio. Tu non sei abbastanza grande, ma so che capirai anche tu la mia scelta quando sarai grande. Non puoi diventare un buon re sapendo che potresti fare del male a qualcuno, guarda me! Sola e timorosa, senza un re al mio fianco, condannata a restare sola fino al resto dei miei giorni.

Se non fossi arrivato tu, il trono sarebbe andato ad Anna, e tu sai quanto zia sia impulsiva e poco adatta al ruolo. Lo faccio solo per il tuo bene. Sei d'accordo?

Il bambino rimase un po' in silenzio. Poi esclamò:

-Ma come posso far del male a qualcuno? Trasformandolo in una farfalla?

Elsa scosse la testa.

-Sai come farlo tornare normale?

Damio si morse le labbra. In effetti, non sapeva come annullare gli effetti del suo potere.

Elsa intuì la risposta.

-Come pensavo. Forza, incomincia a preparare le valigie. Il viaggio durerà poche ore, non devi portare molto; giusto qualche maglietta di ricambio.

Elsa si alzò dal pavimento si pulì dalla polvere e prese per mano il bambino, che nel frattempo aveva seguito l'esempio della madre adottiva.

-Per questa volta, la prima della tua vita, ti aiuto io a preparare l'occorrente.

-Cosa sta succedendo?

Anna era apparsa nella stanza, ed ora stava impietrita senza andare né avanti né indietro.

Si era cambiata il vestito da sposa e ne indossava uno semplice ricamato alla moda del regno.

Elsa le rivolse uno sguardo lungo e regale.

-Partiamo.- fu la sua unica parola.

Alla principessa mancò il respiro. Partire?

-Vengo con voi.

La regina si fermò e spalancò gli occhi.

-Vuoi venire davvero?

Anna si piantò risoluta per terra, con l'atteggiamento tipico di chi non cambia idea.

Elsa mandò gli occhi al cielo, sospirò e sconfitta disse:

-Ok, dopotutto tu conosci la strada meglio di chiunque altro.

Anna non batté ciglio, ma si tolse l'aria da testarda e ritornò la solita di sempre.

-Portate vestiti pesanti, farà freddo. Ah, una cosa: mi sembra ovvio che verrà anche Kristoff.

-Era incluso nel pacchetto!

Esclamò Elsa troppo tardi: la sorella era già nel lungo corridoio.

 

Due cavalli e una renna correvano solitari nel pieno della notte. Non c'erano lupi né gufi a vegliare la strada; tutto dormiva.

L'unica luce presente era quella verdastra che proveniva dal cielo.

-Il cielo si è svegliato!

Olaf sedeva davanti ad Anna ed indicava sopra di lui. Aveva insistito tanto per andare con gli altri che non gli si era potuto dire di no.

Damio fissava ipnotizzato le orecchie del cavallo candido in cui era seduto insieme ad Elsa, e pensava a tante cose. A come un semplice cubo potesse complicare così tanto la vita, per esempio.

Ma nonostante tutto, era anche curioso di conoscere di più le misteriose creature che abitavano tra le montagne.

-Hai freddo?

Elsa lo stringeva tra le braccia più che poteva, nonostante l'impedimento dovuto dal tenere le redini per direzionare l'animale in cui era nella groppa.

Damio scosse la testa.

Sven teneva testa al gruppo e faceva strada mentre Kristoff, nella sua sella, lo incitava ad andare più veloce.

Era iniziato il viaggio.

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Capitolo 11
*** Bucaneve ***


-Dovremo esserci.

I cavalli si fermarono in mezzo ad una radura apparentemente spoglia. L'unica vegetazione che cresceva rigogliosa erano i numerosi tipi di muschio che invadevano le rocce nude.

Rocce straordinariamente tonde e molto simili tra loro.

Anna fu la prima a scendere, seguita da Kristoff e da Olaf. Elsa aiutò Damio e insieme arrivarono al centro di quella che – ad uno sguardo più attento- sembrava un'arena molto antica.

-Mamma?

Damio si aggrappò al vestito di Elsa.

La regina lo strinse a sé preoccupata. Durante il viaggio aveva avvertito una nausea crescente che non l'aveva abbandonata nemmeno per un secondo, e aveva paura di sentirsi male davanti a tutti.

Inoltre, l'ansia la divorava da giorni: non poteva spiegarsi da dove provenisse l'origine dei poteri di Damio.

Dopotutto, non si conosce nemmeno quella dei miei.

Allontanò da lei quel pensiero intruso e decisamente scoraggiante chiudendo gli occhi un attimo, e il groppo che aveva in gola si fece più difficile da ingoiare.

È solo un po' di nausea, passerà tra poco, si diceva per calmarsi.

Intanto Anna, Olaf, Sven e Kristoff si davano alla pazza gioia: chi salutava una pietra ricoperta di muschio verde, chi saltellava qua e là tra le rocce, chi scodinzolava come un cane davanti a un' osso (nel caso della renna).

Le trecce della principessa volavano al ritmo dei suoi passi leggeri quando questa si chinava ad accarezzare una roccia o a salutarne un'altra timidamente.

Elsa si trovava incredibilmente fuori posto in quell'ambiente così vivace, e la stessa cosa provava Damio, che non la smetteva di stringere la gonna del vestito della mamma.

Era così pallido sotto la luce della luna...

Le luci del cielo ora erano cessate, come se aspettassero qualcosa. Qualcosa che non arrivò mai.

 

Qualche metro più in là, dove il bosco era più fitto e terribile, una ragazza passeggiava sola e triste. Si guardava continuamente intorno per paura degli attacchi di animali feroci.

Indossava un mantello bruno, che lasciava intravedere due occhi spaventati e un viso pallido contornato da una massa di capelli neri. Negli occhi c'era la luce della follia.

Era stata scacciata da casa sua, il suo villaggio, e nel suo cuore albeggiavano le tenebre. Queste si andavano addensando sempre più.

-Tutto per colpa del potere. Hanno paura del potere.- continuava a ripetere come una cantilena.

Tutto era incominciato qualche anno prima. Era ancora una bambina quando Distrusse per la prima volta, e subito fu allontanata da tutti, obbligata a restare rinchiusa in casa dai suoi fratelli.

-Perché loro hanno paura. Hanno sempre avuto paura.

La ragazza scoppiò in una risata rauca, mostrando alla luna denti bianchi e perfetti.

Lei era nata per Distruggere, e avrebbe Distrutto.

-Loro vogliono una strega? E l'avranno, oh si se l'avranno!

Con un colpo di spalle fece scivolare il mantello per terra.

Finalmente libera, pensava, mentre la tenebra tesseva una ragnatela sempre più resistente nel suo cuore.

-Volevano incastrarmi, volevano bruciarmi vilmente! Stupidi vermi

sputò nella terra per rafforzare il concetto

-Mangiasassi!

Laddove aveva sputato, una sostanza vischiosa e puzzolente aveva preso il posto della terra. A vedere questo la strega rise di nuovo.

-Nessuno potrà fermarmi.

Con un fulmineo gesto del braccio si strappò un lembo del vestito. Quando era partita non era che un normalissimo vestito candido, che ancora profumava di bucato; ma ora non era che un cencio nero e ammuffito (i vestiti possono ammuffire? Ebbe sì.) addosso a lei.

In un secondo un pensiero le passò fulmineo per la testa. Un ricordo. Una storia.

L'anno prima era arrivato un cantastorie nella cittadina, e alla ragazza era stata concessa una breve uscita (scortata ovviamente da Gerard, il maggiore dei suoi fratelli).

La storia che aveva sentito le era rimasta nel cuore. Parlava di una regina... si!

-La regina di ghiaccio.

Sputò di nuovo per terra. Questa volta il grumo era di sangue.

La regina della storia aveva scelto il bene, l'amore (altra risata sguaiata) fraterno e altre cose imbecilli.

-Il bene! Quella stolta aveva tutto quello di cui c'era bisogno per servire il Male. Pessima scelta, cara. Il treno passa una volta sola.

Le cadde un dente dalla gengiva. Lo sputò via.

-Ma forse in questo caso avrà un'altra chance.

C'era un solo particolare che non conosceva: questa regina esisteva davvero?

Si strappò la manica destra del vestito. Ora cominciava a camminare zoppa.

Si sentiva stanca e potente, aveva voglia di passare dall'altra parte.

-Sono troppo potente per restare nel Bene.

Allungò una mano e sfiorò le foglie verdi di un fiorente corbezzolo; queste si polverizzarono all'istante. Il nero avvolse la pianta, diventò un'edera di polvere nera che la soffocò. Qualche minuto, e dell'albero non rimase che cenere. Ma la strega non aveva tempo da perdere. In una blanda imitazione della regina della storia, aprì il palmo verso la luna.

-Let it go, baby.

Dalla mano scaturì uno sbuffo di vapore nero come inchiostro, talmente fitto che si poteva palpare, che veloce si disperse nell'aria.

La strega rise di nuovo. La risata era sempre più gracchiante, ma il suo viso era sempre lo stesso.

I capelli si arricciarono leggermente.

C'era solo una cosa che la tratteneva ancora dallo sprigionare tutto il suo potere: la collana che aveva indosso.

Regalo di una fata, l'aveva sempre portata al collo, perché il potere della collana era quello di moderare il suo potere, fare in modo di alleviarne molto la presenza anche se non totalmente.

La strega avvolse le dita lungo la grossa pietra legata ad un filo di seta.

-Regno del Male, arrivo.

Con un colpo secco, straccio dal collo la collana, che cadde con un leggero tonfo nell'erba. La leggera luce che emanava si spense.

 

-Ma sei proprio sicura che siano...vivi?- domandò Elsa, sempre più preoccupata.

-Certo, hanno solo bisogno di un po' di tempo.- le rispose Anna.

Le rocce non si erano spostate nemmeno di una virgola.

Anche Damio si era unito all'allegra combriccola, e ora era tutto concentrato a bussare ritmicamente sopra una pietra con un piccolo ciuffo di fiori che spiccava al centro.

Le luci del cielo riapparvero.

-Guardate! Si è risvegliato!- esclamò Olaf di punto in bianco indicando verso l'alto.

Tutti alzarono il naso per ammirare le bellissime nuvole versi che ondeggiavano nel cielo.

Anche Elsa, nonostante il nodo alla gola, alzò lo sguardo.

Mentre tutti fissavano il cielo, qualcun altro -o qualcos'altro – incominciò a muoversi.

Le pietre ora tremavano forte, come se si fosse scatenato un'improvviso terremoto. Quelle posizionate ai margini dell'arena caddero verso il centro, ma nessuna colpì quelle personcine col naso per aria.

Una delle più piccole si spaccò in due, mostrando un viso paffutello e quattro arti antropomorfi completamente di pietra.

-è tornata Anna! E Kristoff!

A quella voce trillante, sei nasi scesero di nuovo sulla terra, dopo essere stati per così tanto tempo tra le stelle.

-Trimi?- esclamò Kristoff.

Il piccolo troll annuì felice e saltò in braccio al venditore di ghiaccio, che lo prese prontamente al volo.

Altre mille facce si erano aggiunte a quella di Trimi, e migliaia di occhi fissavano i nuovi arrivati con curiosità.

Una troll di mezza età corse ad abbracciare Kristoff: era lei che l'aveva allevato fin da bambino. A quel gesto, tutti gli altri incominciarono a gridare e ballare intorno al gruppo, cantando una canzone di bentornato e di benvenuto per i vecchi e nuovi arrivati. Ma la canzone si spense prima della fine: Damio emanava qualcosa che li faceva sentire a disagio, così si fermarono sconsolati dopo poco, creando un cerchio intorno ai sei viaggiatori.

Dal gruppo di troll stranamente zitti emerse una pietra enorme, la più grande di tutte quelle presenti intorno.

Si fermò al centro dell'arena, davanti al piccolo Damio e ad Elsa stupefatta.

La roccia si aprì, mostrando un vecchio troll dall'aria saggia e stanca.

-Elsa, è un'onore incontrarti di nuovo.

La regina fece un piccolo inchino con la testa, rimanendo seria, mentre Damio si riattaccò alla gonna del vestito.

-E noto che non siete sola.

Elsa si ritrovò a stringere involontariamente la mano del bambino. L'ultima volta che era stata lì aveva ricevuto solo brutte notizie.

-So che hai domato il potere, che ne hai il controllo.

-Io... è stato tutto merito di Anna.- disse la regina.

La persona sopracitata scattò in avanti a quell'affermazione:

-Non è vero! Io l'ho solo aiutata, ma ha fatto tutto da sola.

Granpapà sorrise.

-Vedo che non siete affatto cambiate, e questa è una cosa bella. Ma sento che non è per una visita di piacere che siete venuti fin qui.

Elsa guardò verso la sorella, che capì immediatamente.

-Kristoff, Sven, Olaf! Andiamo a giocare con i troll, non vorremo disturbare proprio adesso!

Subito i tre accorsero, seguiti dai troll bambini divertiti.

Appena si furono allontanati, Granpapà allungò le mani, e prese quelle di Elsa tra le sue.

La regina avvertiva il nodo alla gola sempre più forte. Per un miracolo, riuscì a deglutire in tempo.

-So perché siete venuti qui. È per il bambino, non è vero?

Elsa annuì senza aprire la bocca.

L'attenzione del troll si posò sul bambino.

-Piccolo Damio, tu possiedi un potere immenso, molto più grande di qualsiasi potere esistente. Tu possiedi il dono che Crea.

-È un potere che di solito è dato solo alle creature magiche e agli elfi, e nel tuo caso è ereditato da una persona che non ti è stata, purtroppo, molto vicina.

Damio abbassò gli occhi, rattristato.

-La mia vera mamma.

Il cuore di Elsa perse un battito. Granpapà invece non fece una piega.

-Esatto, piccolo. Vedo che la tua mente è molto saggia. Ma vedi, il tuo dono, se usato nella maniera sbagliata, può distruggere. Devi fare in modo che questo non accada mai. Intesi?

Damio sbatté gli occhi sorpreso.

-Come posso distruggere... creando?

Il troll chiuse gli occhi e si concentrò. Alzò le mani al cielo e da queste si formarono delle immagini di luce che vagavano nella notte.

-Semplice: creando qualcosa in grado di distruggere. Nella tua vita dovrai controllarti e (ripeto) fare in modo che questo non succeda. Dovrai agire per conto del Bene, ma la strada per questa via non è sempre priva di ostacoli.

Ricorda: l'Ira è la scelta peggiore; segui il vento, e inseguirai i tuoi sogni.

Il bambino annuì concentrato.

-Cosa...farò con lui?- disse Elsa. La voce le tremava.

Granpapà sciolse la visione di luce e le rivolse lo sguardo.

-Fai quello che ti dice il cuore, ma ricorda gli errori del passato. Non dovranno ricapitare.

La regina capì: i suoi genitori non erano stati di certo d'aiuto con il suo potere, rinchiudendola in una stanza da sola ad aver paura di tutti e tutto.

-Lo farò.

Granpapà non tolse gli occhi da quelli di Elsa: aveva notato un bagliore strano, l'ultima scintilla che avrebbe mai pensato di trovare negli occhi della regina.

Mi sarò sbagliato, pensò per tranquillizzarsi. Finalmente rivolse lo sguardo verso il bambino dai capelli di grano.

-Forza Damio, sono curioso: mostrami quello che sai fare.

Il bambino lo guardò senza capire. Pensava fossero andati fin lì per reprimere i poteri, non di certo per mostrarli.

Granpapà lo invitò di nuovo:

-Tranquillo, qui non puoi creare qualcosa di distruttivo. Questo posto è stato costruito tanto tempo fa, dalle creature incantate che abitavano in questa regione. Non temere.

Damio prese sulla fiducia le parole del vecchio troll. Si chinò a raccogliere una piccola pietra da terra, e la rimirò alla luce della luna: aveva un colorito pallido e slavato, levigata per anni dalle forze della natura.

Strinse il pugno sul sasso, si concentrò, e dopo pochi secondi aprì il palmo di scatto.

Dalla mano uscì un piccolo insetto candido, simile ad uno scarabeo ma di dimensioni più ridotte.

Granpapà osservò la procedura estrefatto.

-Notevole. I tuoi poteri sono completi e molto più potenti di quello che pensavo. Il potere di dare la vita non è molto comune nemmeno tra i più magici degli esseri.

Elsa guardava tutto questo immobile. Si sentiva sempre peggio, e il suo stomaco era completamente rivoltato.

Non sapeva spiegarsi il motivo del suo male: era contenta per Damio, non aveva nessun motivo per essere... così.

Incominciò a fantasticare sulle possibili cause del male. Forse l'avevano avvelenata, e solo in quel momento il veleno faceva effetto; oppure il suo sesto senso la avvisava di un pericolo.

Optò per la seconda. Si girò di scatto, ma alle sue spalle non c'era nessuno. La platea era vuota.

Sentì un' altro conato avviarsi su per la gola, troppo veloce per essere ingoiato. Senza pensarci due volte (anzi, nemmeno una) iniziò a correre verso l'esterno. Purtroppo non riuscì mai a raggiungere il bordo in tempo.

A metà percorso il conato le arrivò alle labbra.

Mentre accadeva questo, Granpapà teneva la testa del bambino tra le sue braccia, impedendogli di girarsi e di ammirare il dramma che si consumava alle sue spalle.

Non mi ero sbagliato.

Purtroppo aveva una cosa importante da dire ad Elsa. Perché la storia non era ancora finita.

-Damio, è meglio che tu vada con gli altri. Devo parlare con tua mamma.

Il bambino lo guardò scettico.

-Non so dove sono andati. Come faccio?

Il troll avvicinò la bocca all'orecchio del piccolo, e gli sussurrò:
-Non sono lontani. Sono alla Fonte Cristallo, a pochi minuti da qui. Basta andare sempre dritti per questa direzione -indicò il sud- , e si arriva in un baleno.

Damio annuì pensoso, poi incominciò la camminata senza nemmeno guardarsi indietro (per sua fortuna; non c'era uno spettacolo interessante), cercando di sentire qualche voce a lui nota per seguirla.

Appena il bambino fu ad una distanza di sicurezza, Granpapà prese a zoppicare verso la regina, che era accasciata a terra senza forze. Si sentiva svuotata da ogni cosa, e un leggero malditesta andava avviandosi tra i suoi pensieri. Alcuni ciuffi le erano sfuggiti dall'acconciatura e il respiro era ancora affannoso, ma la nausea sembrava temporaneamente svanita.

Provò a rialzarsi e le gambe non cedettero.

So che non era veleno, pensava leggermente sollevata; se lo fosse stato, adesso sarei in agonia già da un po'.

-Elsa,- la chiamò da dietro Granpapà,

-C'è una cosa importante di cui dobbiamo parlare.

La regina si girò, negli occhi uno sguardo disperato, la bocca socchiusa.

-Dimmi tutto.

 

Il suo nome? Ormai non se lo ricordava più. Ogni cosa che precedeva la sua fuga non era che un cumulo di nubi nere che si susseguivano nella sua testa.

Continuava a camminare, più lentamente adesso.

-Quella luce nel cielo...- sussurrò.

Era ricomparsa la Nuvola di Colore; la foresta ne era inondata.

Da quanto camminava? Ore, forse giorni, ma non importava. L'importante era l'essere libera.

Libera da tutti quelli che la volevano uccidere, bruciare come una di quelle insulse streghe di cui sentiva tanto parlare dai suoi fratelli.

I suoi occhi erano rossi come il fuoco e neri come la tenebra, e scrutavano tutt'intorno in cerca di qualcosa. O meglio, qualcuno.

-Sento odore di magia.

Fissò il cielo in cerca di un' aiuto, e lo trovò senza nemmeno pensarci tanto.

-Le Luci confluiscono tutte in un punto ben preciso. Un punto che conosco bene, per la disgrazia di quelle creature.

Scoppiò nell'ennesima risata. Sentiva sempre più vivo il suo potere, sempre più forte la sua rabbia.

Ci vollero pochi minuti per scalare le ripide rocce che la separavano dall'arena dei troll.

-Se venissi da nord o sud sarebbe più facile, e invece no! Il mio villaggio doveva essere costruito ad ovest!

Imprecò forte. Nella fretta si era ferita con gli speroni di roccia, e ora brandelli del vestito le pendevano inutili dalle braccia, contornati da sangue coagulato.

Non si era preoccupata delle ferite: per lei contava trovare la cosa che emanava tanta magia e ucciderla. Perché?

-Perché devo dare una prova di quanto posso essere cattiva. Tutti devono sapere da che parte ho scelto di essere. Tutti!

Mentre digrignava tra i denti l'ultima parola, si aggrappò all'ultima roccia e la scavalcò rabbiosamente.

Da quella posizione poteva avere una visuale completa dell'arena. Non c'era la quantità di pietre che si sarebbe aspettata, e nemmeno la marea di troll intenti a ballare e insudiciarsi per qualche loro disgustosa festa. Di troll ce n'era uno solo, e parlava con una donna.

Aveva i capelli molto chiari ed era vestita di azzurro. Altro la strega non poteva vedere, per via della distanza.

Lentamente si spostò, nascosta dai radi arbusti e dalle pietre vere, finché non riuscì a carpire le parole di quelle due figure.

 

-Elsa, tu sai a cosa è dovuto il tuo malessere?

La regina abbassò gli occhi tristi, scervellandosi per darsi una risposta.

-No. Non ne ho idea.

Il troll la fissò con uno sguardo indecifrabile, e la ragazza cercò di spiegarsi meglio.

-I-io, io non... ho provato a capirlo, ma non ci sono riuscita. So solo che non è veleno.

Granpapà corrugò la fronte.

-In questo momento dentro di te porti una delle più grandi magie esistenti. Non è un maleficio, né una cosa negativa; tutt'altro. Elsa, presto diventerai madre.

Fu un duro colpo per la ragazza. Sentì qualcosa spezzarsi dentro il suo cuore. Non riusciva a pensare, a darsi un perché.

-è impossibile- mormorò tremando, -io non ho mai fatto niente!

Il troll le prese le mani delicatamente, come farebbe un padre con la propria figlia.

-è possibile, invece. Vedi, quando due anime simili si incontrano e sono del sesso opposto, può succedere che anche un semplice bacio dia il suo frutto. Purtroppo questo succede assai raramente nel nostro mondo; sei la sesta che conosco personalmente, ed io sono in vita da oltre diecimila anni.

Elsa tremava vistosamente, e questa volta il groppo che sentiva in gola era di pianto. Non riusciva a pensare, e le parole le uscirono involontarie dalla bocca.

-Avrà i miei stessi poteri?

Granpapà si irrigidì.

-Elsa, questo bambino è destinato a fare grandi cose; avrà la forza di un bucaneve. Non avere paura, la paura è il tuo peggior nemico, e lo sarà sempre. Sono sicuro che sarai un'ottima madre, ma ricorda: non devi trattare il tuo figlio di sangue in modo diverso da come tratti Damio o viceversa. Se accadesse, sarebbe la fine per tutti.

-Non hai risposto alla mia domanda.

Il vecchio troll percepì la tensione di Elsa. Conosceva bene che cosa potevano creare le sue emozioni nell'ambiente circostante, ma decise di rischiare. Doveva sapere.

-Figlia dell'inverno, lui erediterà i suoi poteri da te e dalla persona che gli farà da padre.

Non ci fu molto da capire per la regina.

-Jack...- sussurrò.

Elsa scoppiò a piangere.

 












Angolo autore

Ciao a tutti! Questa è la prima volta che scrivo direttamente sulla storia.. è un capitolo più lungo rispetto agli altri perché bisognava spiegare molte cose.
Come avete visto, la storia durerà ancora per un bel po' e contiene in sé un accenno di molte altre storie disney (no, il villain di questo capitolo è un personaggio inventato da me).
I capitoli, ora che posso finalmente scrivere in pace, usciranno ogni quattro giorni circa, anche a seconda della lunghezza e dell'ispirazione. Grazie a tutti coloro che la seguono ;) ci vediamo al prossimo capitolo

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Capitolo 12
*** Nuove responsabilità ***


Il ragazzo dai capelli d'argento volò letteralmente giù dalle scale. Ormai erano a pochi minuti dal castello, doveva sbrigarsi se voleva accoglierli come si deve.
Felice come non mai, corse per i lunghi corridoi scarlatti e spinse la porta del giardino interno del castello. La giornata era soleggiata e calda, e gli uccelli dei dintorni intonavano magnifici canti tra i rami fiorenti degli alberi.
La primavera, pensò distrattamente Jack mentre volava dritto, trasportato dal vento gentile e gradevole.
Poco dopo vide un gruppo di cavalli dirigersi a passo lento verso il piccolo regno; sembravano stanchi e malandati, vestiti di mantelli scuri. A guardare bene, tra loro c'era anche una renna.
-Sono tornati!- disse Jack entusiasta.
Subito scese di quota e andò loro incontro.
Una figura rotolò rovinosamente nella polvere della strada, facendo imbizzarrire i cavalli.
-Che cos'è stato?
Anna scese cautamente dal suo cavallo e si avvicinò, impavida davanti a quella circostanza.
-Ehi! È Jack! Che ci fai qui?
Elsa ebbe un tuffo al cuore. Non aveva ancora detto nulla sulla notizia che le aveva comunicato Granpapà, e al solo pensiero che doveva dirlo a Jack, le mani le diventavano fredde.
Jack si rialzò con l'aiuto della principessa.
-Sto bene, grazie. Sono venuto per darvi il bentornato e per farmi raccontare cosa è successo, ovviamente.
Elsa nascose il viso tra i capelli di Damio, che tranquillo le sedeva davanti.
Sperava così che il cappuccio la nascondesse per un po', anche se avrebbe voluto volentieri scomparire dalla faccia del pianeta.
Fortunatamente, Anna ed Olaf intrattennero Jack con i loro racconti per tutta la durata del viaggio, e lei poté rimuginare su quali parole usare per dirlo al ragazzo.
Arrivarono finalmente al castello, ed Anna e Kristoff si ritirarono nella loro camera per dormire; anche Damio, esausto, era nella via per i sogni, coricato nel suo lettino.
Solo Elsa restava sveglia, evidentemente preoccupata.
Jack la osservò mentre metteva a dormire Damio con due cerchi neri intorno agli occhi, per poi dedicarsi alle solite cose burocratiche.
-Perché non vai a dormire?
Elsa sussultò. Alzò lo sguardo dal solito accordo di scambio e si ritrovò a fissare Jack.
Cercò di tenere un'espressione neutra e tornò alle sue carte.
-Una regina deve adempiere ai suoi doveri.
Il ragazzo si scambiò il bastone da una mano all'altra. C'era qualcosa che non andava. Qualcosa di grosso.
-Lo sai che a me puoi dire tutto, vero?
Elsa strinse inavvertitamente la lunga piuma d'oca che stava usando, e questa si ghiacciò in un istante. Singhiozzò.
Subito Jack le andò vicino, offrendogli la spalla per piangere. Ci volle un po' per calmarla.
-è qualcosa che riguarda me?
La regina annuì con gli occhi chiusi. Non aveva il coraggio di guardarlo mentre glielo diceva.
-Dimmelo, Elsa. Qualunque cosa sia, non sarà mai così grave.
La ragazza aprì gli occhi chiari e lo guardò profondamente. Jack chiedeva la verità, non gli importava quale fosse. Inspirò e espirò profondamente.
-S-sono incinta.
Lo sussurrò appena, ma Jack aveva un udito fino. Le sussurrò anche lui, visibilmente turbato.
-Non è possibile.
-Granpapà ha detto che lo è, se due anime simili si incontrano. Non sono la prima a cui succede.
Jack sbiancò. Anche lui aveva conosciuto due persone a cui era successo, quando era ancora vivo. Si era trattato di due giovani contadini che avevano avuto due gemelli. Purtroppo la loro storia non era a lieto fine: dopo la morte della madre, il padre aveva dovuto abbandonare i figli nel bosco per fame, augurandogli la sopravvivenza.
Per fortuna questo bambino non avrebbe patito la fame, figlio della regina qual'era, ma a cosa era destinato?
-I bambini che nascono da...questo sono destinati a grandi cose, siano brutte o belle. Ho conosciuto una famiglia a cui era successo, e la loro storia non è a lieto fine; dei gemelli nati non è stata trovata traccia, dopo che sono stati abbandonati.
-Abbandonati?
-è una lunga storia.
Elsa sbatté le palpebre ripetutamente; Jack non aveva avuto la reazione che si era spettata.
-Quindi non sei sorpreso che sia capitato questo?
Il ragazzo guardò dolcemente la regina, che aveva messo su un'espressione sorpresa adorabile. Si sentiva semplicemente felice, come se tutta la felicità del mondo avesse deciso di trasferirsi nel suo cuore.
-Certo che lo sono. Ma sono anche contento. Io ti amo, Elsa, e amerò questo bambino.
 
-Mamma! Manchi solo tu a tavola, sbrigati!
Damio trascinava la mano di Elsa per i lunghi corridoi, e la regina sorrideva cercando di stare al passo col bambino.
-Non posso correre veloce, Josè tira certi calci!
Damio si fermò con la faccio imbronciata e si avvicinò al pancione della mamma.
-Cattivo, non si danno i calci! Adesso corri, mamma, c'è una sorpresa per te!
Elsa ridacchiò divertita e si lasciò trascinare da Damio fino alla sala da pranzo. Indossava un elegante vestito blu, e una cinta sottile le sottolineava la gravidanza. I capelli in una crocchia voluminosa le davano un aspetto più sereno, rilassato.
Appena arrivò nella stanza, tutti i presenti scattarono in esclamazioni e applausi che fecero arrossire alla regina, che si sedette composta come a suo solito a capotavola. Anna stava alla sua sinistra, troppo impegnata a tormentare il povero Kristoff, e alla sua destra sedeva l'immancabile Gerda, che l'aveva (e l' avrebbe) aiutata tanto e che voleva mangiasse alla tavola reale insieme a Kai, il suo migliore amico.
Tutti parlavano allegramente del più e del meno, e perfino Damio quel giorno era molto allegro e divertito.
Ad un tratto qualcuno le chiuse gli occhi con le mani; non era difficile da indovinare il nome del colpevole.
-Jack!
Il ragazzo ritirò le mani e le sussurrò all'orecchio:
-Si, sono proprio io.- lasciò cadere le mani sul pancione. Elsa sorrise.
-Come sta oggi Josè?
-Benone, anche troppo. Pensa che tra qualche giorno potrai prenderlo in braccio e tenerlo tutto per te.
Questa volta fu Jack a sorridere. Aveva lasciato il piatto a metà per venire a stuzzicare la sua “anima simile” e lei glielo fece notare.
-Lo sai che io non ho bisogno di mangiare, perché insisti tanto?
Elsa inghiottì il boccone che stava masticando.
-Non sopporto che il cibo venga sprecato.
Il ragazzo sorrise tra i capelli della regina. Aveva fatto tanto per lui senza volere nulla in cambio, e a volte senza nemmeno immaginarlo.
Come quando aveva istituito un discorso pubblico in cui annunciava che lo Spirito dell'Inverno esisteva davvero, rendendolo visibile a tutto il regno, oppure ancora quando gli aveva raccontato la sua storia, così triste ma fortunatamente a lieto fine, in quella notte tranquilla in cui si erano conosciuti.
Si staccò da Elsa e fece qualche passo indietro, in modo da avere la visuale di tutti i componenti di quella tavola. Ne avevano passate tante, eppure erano ancora uniti dalla fiducia.
Osservò Gerda passare il sale ad Anna e Kristoff scompigliare i capelli di Damio.
Sarebbe impossibile sgretolare questo ambiente così sereno, pensò col sorriso sulle labbra.
Perché lui era parte di quella famiglia, parte di quella pace che aveva davanti agli occhi in quel momento.
In modo da non farsi sentire uscì dalla stanza, diretto alla finestra del corridoio più vicina; aveva voglia di volare un po' e di schiarirsi le idee. Salì e saltò dal cornicione gettandosi nel vuoto, per poi riprendere quota e lasciarsi trasportare dal flebile vento che soffiava dal mare.
 
La strega si incamminava veloce tra le numerose ortiche presenti in quel campo.
-Dannazione, il proprietario dev'essere un vero fannullone per lasciare tutte queste ortiche!
Aveva scelto la via dei campi per far perdere le proprie traccie in caso l'avessero inseguita. Era più determinata che mai.
Aveva sentito bene le parole del troll: la ragazza bionda avrebbe avuto un bambino con un futuro molto importante, e se era molto importante per i troll, doveva avere sicuramente qualche orribile fine che li avrebbe portati a fare qualcosa di malvagio.
Ricordava bene le storie che si dicevano in giro su quelle creature, tra cui quella della loro passione per la carne umana, soprattutto quella dei bambini, la più tenera.
Doveva fare in modo che questo non accadesse. Il suo villaggio era il più vicino all'arena dei troll, e se il bambino avesse dato inizio al suo futuro, avrebbero iniziato ad attaccare proprio lì.
-Devo uccidere quel bambino, e per farlo, dovrò ammazzare la donna che lo porta in grembo.
Ci erano voluti nove mesi per trovare la città che gli avrebbe dato i natali (la strega non era molto abile nell'arte dell'orientamento con le stelle).
Finalmente uscì da quel campo malmesso. Davanti a lei si estendeva la notte, e oltre, piccole luci si affacciavano nel fiordo.
-Sto arrivando, Arendelle.
Zoppicando per le vesciche causate dalle ortiche, incominciò ad incamminarsi verso le luci della città.
 
Damio si girò di scatto. Gli era parso di aver sentito un rumore sinistro.
-Tranquillo, era solo la teiera che sta usando zia Anna.
Jack giocava col bambino, nella speranza di apparire per lui come un padre di sangue.
Damio, dal canto suo, cercava ogni pretesto per far fare al ragazzo una delle sue magie con la neve. La mamma a quella richiesta spesso rabbrividiva, ma Jack invece era ben felice di creare qualche coniglietto o fiore di neve.
-Jack, lo fai un pupazzo di neve?
Il ragazzo scoppiò a ridere e mollò di colpo il burattino di legno con cui stavano giocando.
-Questo dovresti chiederlo ad Elsa. Lei è molto più brava di me a costruirli.
Damio ribatté pensoso.
-Io non voglio che lo costruisci, ma che lo crei dall'aria. Mamma non vuole mai farlo perché non accetta ancora l'idea che io sappia del suo potere.
Jack smise di ridere. Accarezzò teneramente la testa del bambino con fare paterno, poi cambiò argomento.
-Questo burattino ha un nome? Perché in caso contrario potremo sceglierlo insieme.
Gli occhi del bambino brillarono, e Jack capì che aveva fatto la cosa giusta.
-No, ma avevo pensato a qualcosa come Pino, l'albero da cui proviene.
Il ragazzo rifletté un attimo, preso dal gioco. Appena l'ombra di un'idea gli invase la testa schioccò le dita ed esclamò:
-Che ne pensi di Pinuccio? Pinetto?
Damio scoppiò a ridere divertito. Jack ne fu felice; forse qualcosa stava entrando nel cuore di quel bambino.
-Io avevo pensato a Pinocchio.- disse Damio timidamente. Jack sorrise di cuore.
-E che Pinocchio sia.
Prese il burattino da terra e lo sollevò in aria come prima di un battesimo. Damio lo guardava attento e incuriosito.
-Io ti battezzo... Pinocchio! - Bofonchiò Jack imitando la voce di un prete, ed al bambino sfuggì un gridolino divertito.
Il ragazzo dai capelli d'argento sorrise per l'ennesima volta. Stare con quel bambino lo faceva sentire bene, quasi stare bene come quando era con Elsa.
È proprio vero; questo bambino è speciale.
Qualcuno molto agitato aprì la porta sbattendola contro il muro. I due “uomini” presenti nella stanza sussultarono insieme a quella vista, per poi rilassarsi sensibilmente quando i lineamenti della donna entrata all'improvviso diventarono quelli di Gerda. Portava degli stracci candidi ben piegati tra le braccia e sembrava sconvolta.
-Il bambino...Josè...sta nascendo!
Elsa era alle prese con uno dei soliti contratti di alleanza da parte di regni terrorizzati dal suo potere quando aveva sentito la prima fitta di dolore partirle dal ventre.
Era arrivata inaspettata, ma non le aveva fatto molto male, ed era quindi riuscita a strapparle solamente un leggero gemito di sorpresa.
Mezz'ora dopo ne arrivò un'altra, più dolorosa della precedente, e fu questa a preoccupare la regina. Si alzò lentamente dalla sedia da cui stava esaminando il trattato e si mise a girare per la stanza inquieta, tenendo sotto controllo l'orologio. Dopo un quarto d'ora, un'altra fitta. Ognuna era più forte e durevole della precedente.
-Mi sa che ha deciso di nascere – bisbigliò all'aria. La voce le tremava.
Si fermò in mezzo alla stanza, una mano sotto la pancia, senza poter andare né avanti né indietro. Aveva paura che se si fosse mossa, il dolore alla prossima fitta sarebbe aumentato più del dovuto.
-Sapevo che ti avr...
Le parole morirono nella bocca di Anna. Sua sorella guardava fisso l'orologio appeso alla parete della stanza. Aveva una mano appoggiata alla scrivania di legno, e con l'altra si teneva il ventre. Sembrava sorpresa e spaventata, e come per dimostrarlo la stanza era fredda e lievi fiocchi di neve scendevano dalle pareti.
-Elsa.
La regina non staccò gli occhi dall'orologio.
-Anna, ti prego, vattene.
La principessa avanzò incerta di un passo. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato. Qualcosa che non andava.
-Che cosa è successo? Stai bene?
La regina impallidì: erano passati nove minuti, e se i suoi calcoli erano esatti, tra un solo minuto sarebbe arrivata un'altra fitta.
-Si Anna, sto bene. Vai via adesso!
La principessa resistette. Non voleva lasciare da sola sua sorella. Era sempre stata lei la più forte, e sentiva che doveva aiutarla.
 -Elsa, che cosa sta succedendo?
-Ti prego, vai via. Sto bene, non è successo nien...
Proprio in quel momento sentì l'ennesima fitta arrivare, prepotente, inarrestabile, che la fece piegare e digrignare i denti.
Durò un minuto. Quando il dolore si fece meno intenso, Elsa scoprì che si trovava tra le braccia della sorella, che la guardava stranamente. La sua espressione era un misto di preoccupazione ed eccitazione.
-Sta nascendo. Elsa, sta nascendo! Stai tranquilla, fai un bel respiro profondo, ok? Wow, non ci credo, proprio adesso! Ascolta, io vado a chiamare un dottore, tu stai qui e non muoverti. Rimani coricata nel pavimento e non alzarti. Torno subito!
Anna si alzò e iniziò a correre verso la porta, ma Elsa la fermò.
-Aspetta!
Anna bloccò il passo e si girò verso la sorella, aspettando (anche se si vedeva da un miglio che era impaziente) che incominciasse a parlare.
Non sapeva perché l'aveva chiamata e fermata. Probabilmente l'aveva fatto perché non voleva restare sola. Aveva paura dell'intensità delle fitte,e la sorella l'aveva sempre aiutata. Le era stata vicino in ogni occasione. Era stata lei a trovare e scoprire Damio e che aveva sacrificato la sua vita per lei, facendo in modo che scoprisse la chiave per controllare i suoi poteri.
Non poteva immaginare una vita senza Anna, e in quel momento la voleva accanto a sé più che mai.
-Niente, vai pure.
Le parole le uscirono dalle labbra leggere e finte, mentre con gli occhi fissava il pavimento.
Quando sarà la prossima? E quanto forte sarà?
Anna annuì e sparì dalla sua vista. Elsa si sdraiò a pancia in su aspettando la prossima fitta, che non tardò ad arrivare, e la regina non riuscì a contenerla come le precedenti. L'urlo di dolore arrivò fino ad Anna.
-Resisti Elsa, sto arrivando.
Erano ormai da più di due ore che la stanza era chiusa al pubblico. Davanti ad esse si affollavano le donne del castello (alla maggioranza servitrici) intente a ritirare i panni intrisi di sangue e a portarne di puliti e bolliti. Nonostante la porta chiusa, si potevano sentire le urla disperate della regina che stringeva con vigore la mano di Jack, bianco come un cencio, mentre Anna era intenta ad aiutare la levatrice che aveva costretto a venire. Damio e Kristoff erano seduti per terra a fianco alla porta chiusa, e ad ogni nuovo urlo di Elsa si guardavano sorpresi che un essere umano potesse urlare così tanto.
Intanto le ore passarono e un maestoso tramonto si profilò dalla finestra. Dentro il castello lo scenario non era cambiato: tutti erano in allerta, e la processioni di panni sporchi e puliti sembrava interminabile, come gli urli che provenivano dalla stanza. Ma ci fu un momento in cui tutti rabbrividirono: un' ultimo urlo sorprendentemente alto squarciò la serafica aria del crepuscolo, e a questo seguì un verso molto diverso. Damio e Kristoff sorrisero, così come Anna all'interno della stanza. Jack era troppo intento a svenire per godersi la scena, ed Elsa così esausta da lasciar cadere la testa nel pavimento, incurante della dolorosa fitta che sentì (in confronto a quelle che aveva passato, sembrava un niente), ma ebbe abbastanza forza per prendere in braccio il nuovo arrivato. Anna la aiutò a sollevare il busto per vederlo meglio.
-è bellissimo. -sussurrò la regina guardando il fagotto che aveva in braccio.
Era ancora sporco di sangue, ma si potevano vedere bene i lineamenti del piccolo intento a strillare con i piccoli pugni chiusi.
Damio aveva pochi giorno in più quando l'abbiamo trovato. Elsa cacciò via quel pensiero fuori posto e liberò la mente. Quel piccolo le trasmetteva una sensazione calda che la pervadeva da capo a piedi.
Anche Jack si risvegliò e si avvicinò ad Elsa per ammirare il piccolo.
-Ti assomiglia tanto.- disse teneramente.
-Dici così solo per farmi contenta- sussurrò Elsa. Non aveva mai vissuto un momento più magico. Jack fece spallucce.
-Può darsi.
Anche a Damio fu permesso di entrare, e Jack si scostò per fargli vedere il bambino.
Lui lo osservò attentamente, poi disse due semplici parole:
 -Benvenuto, Josè.
 
Sentì un boato assordante diffondersi nell'aria, seguito da applausi e un gran vocio.
Era nella strada principale, nascosta da un mantello marrone che aveva comprato in un' emporio lì vicino. Sembrava che tutta la città -che dico, tutto il regno- fosse sceso per le strade. Fermò una giovane ragazza per la strada, chiedendole il motivo di tanta confusione.
-Non dev'essere di queste parti per non sapere cosa sta succedendo. È nato il figlio della regina Elsa!
La strega si insospettì. Erano passati nove mesi da quando aveva sentito quella conversazione nell'arena. Rivolse un blando sorriso alla ragazza.
-Brava ragazza, hai avuto occhio, io non sono di qui. Desidero tanto vedere la regina, ma purtroppo i miei occhi non possiedono questa virtù. Potreste descriverla ad una povera vecchia cieca?
La ragazza abboccò all'amo della strega, e genuinamente la descrisse così:
-Certo che posso: i suoi occhi sono celesti come il cielo d'estate, i suoi capelli del colore della neve e la sua pelle chiara. Ama vestirsi di azzurro,e spesso porta i capelli raccolti in una lunga treccia o in una crocchia. Ma deve stare attenta con lei: possiede infatti il potere di governare i ghiacci e la neve.
Questa ultima rivelazione la lasciò spiazzata. Ringraziò la ragazza, che svanì inghiottita dalla folla.
Il bambino è un principe.
Ricordò una profezia che le aveva raccontato il fratello più vicino a lei di età: un giorno, la Creazione e la Distruzione si scontreranno, ma non ci sarà la vittoria della distruzione finché il figlio della neve siederà nel trono di ghiaccio e la Creazione non avrà il Nero nella sua anima.
Quella profezia in parte era vera: amava considerarsi la Distruzione, e a quanto pare il principino appena nato avrebbe ereditato il trono di Arendelle.
Ma questo solo se è il primogenito.
La strega sputò per terra infastidita. Questo dettaglio l'aveva dimenticato.
Chiamò un' uomo alto e robusto, che rese fondati i suoi sospetti.
Il principe era secondogenito, ma suo fratello maggiore non era il figlio naturale della regina.
Bestemmiò aspramente e si infilò dentro una locanda. L'unica persona che era all'interno era un' uomo barbuto e nero, intento a pulire con lo sputo i suoi boccali di birra.
Quest'uomo ha il Nero nel cuore, ma non ha niente della Creazione.
-Vorrei una stanza, prego.
L'uomo alzò gli occhi dal boccale che era intento a sfregare con un lurido straccio moccioso. Davanti a lui c'era una donna dal volto nascosto da un pesante mantello scuro. Aveva buttato dieci monete d'oro nel bancone davanti a lei. L'uomo le mostrò i denti marci nell'imitazione di un sorriso.
-Tutti quelli che hanno monete sono i benvenuti, madame. Ma lo sono ancora di più se dicono il loro nome. Qui non giudichiamo nessuno, tranquilla.
La strega esitò. Non ricordava nulla del suo passato, e il nome apparteneva a questo.
Prese l'uomo per il bavero della giacca malridotta e deforme che indossava.
-Chiamami strega.- gli soffiò in faccia, prima di trasformarlo in un topo di fogna, prenderlo e affogarlo miseramente nel lavandino pieno di acqua lurida.
-Questa è la fine che fanno i curiosi davanti a me.- soffiò all'aria, prima di esplodere in una risata.
Riprese le dieci monete d'oro dal bancone (e ne prese venti d'argento dalla cassa), prese un mazzo di chiavi e salì diretta alla stanza.
-Quel bambino non vivrà abbastanza da vedersi adulto.

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Capitolo 13
*** Quattro anni dopo ***


-Pronto?
Damio teneva un bastone tra le mani, così come Josè, che lo stringeva a malapena a causa del peso.
-Ma non è troppo pesante?
Damio alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente.
-Se non vuoi combattere e vuoi fare il pappamolle dillo subito, la prossima volta.
Il bambino si sentì punto sul vivo. Diventò tutto rosso, e con un riflesso felino (almeno dal suo punto di vista) puntò il bastone mirando al cuore del fratello.
-Sono pronto!
Damio preparò uno dei suoi colpi migliori portando il bastone tra il collo e la spalla ad imitazione del più audace cavaliere. Immaginò di avere la più letale spada mai costruita nella faccia della terra, pronto a sconfiggere il suo peggior nemico e, con un urlo, si buttò su Josè, che parò il colpo freddamente. Non per niente aveva preso la prontezza di riflessi dal padre.
Damio iniziò a sentire l’adrenalina che gli scorreva nelle vene. Strinse il bastone tra le mani, preparò un altro colpo e si lanciò nuovamente sopra il bambino che aveva davanti.
Non registrò affatto che tra le mani stringeva qualcosa di molto più pesante di quello che doveva essere, ma si lasciò semplicemente prendere dall’entusiasmo tipico dei bambini di sette anni che giocano con i loro fratelli.
Appena vide in cosa di era trasformato il bastone che teneva tra le mani il fratello, Josè  mollò il suo e indietreggiò di un passo, spaventato. Prima che potesse pensare o dire qualcosa tra le sue mani si formò un fiocco di neve grande quanto il suo palmo che schizzò verso l’ affare di metallo che ora teneva in pugno Damio.
La lama si congelò. Il peso della spada, aggiunto a quello del ghiaccio che la ricopriva, fece sbilanciare Damio che cadde all’indietro battendo forte la testa. Josè era impietrito.
 
-Damio! Vuoi giocare insieme a me? Daaaai... ti prometto che non ti faccio più gli scherzi!
Josè stava davanti alla porta della camera di suo fratello. Tra le mani aveva una palla di neve, che fremeva di essere lanciata appena Damio avrebbe aperto la porta.
Ma stranamente il fratello non rispondeva.
Dentro la stanza, Damio piangeva. Era scappato lasciando la spada a terra e tenendosi le mani strette al petto rifugiandosi nella sua cameretta, per poi chiudere la porta a chiave per paura che Josè potesse entrare. Il bambino l’aveva seguito in silenzio e aveva aspettato davanti alla porta così per qualche minuto. Dopo quel po’ di tempo, si era messo a chiamare il fratello senza ottenere risposta, per poi  smettere di bussare e andarsene sconsolato e frustrato. 
Lo incontrò Elsa poco più in là, mentre stava andando ad un'importante riunione tra paesi marittimi.
-Josè! Che ci fai qui? Non stavi giocando con Damio?
Il bambino fece spallucce. Aveva i capelli argentei corti e irti e due occhi vispi e grigi, cosa che gli dava un' aspetto selvatico e ribelle; infatti aveva preso il carattere del padre, e non passava giorno che ne combinasse una. Che dicesse una bugia non era raro.
Elsa si abbassò al livello del piccolo.
-Avete di nuovo litigato?
I due fratelli litigavano spesso per via dei caratteri diversi, e non era raro che Damio uscisse dai giochi ricoperto di neve oppure che Josè si ritrovasse un bruco che gli risaliva pigramente nel  braccio. Il più piccolo infatti aveva un sacrosanto terrore di quei piccoli animaletti, e il fratello amava ricordarglielo con piccoli “regalini” (come diceva lui).
Josè scosse la testa.
-No, ma lui non vuole uscire dalla stanza. Ho provato anche con le buone maniere, ho pure bussato! Ma lui non mi risponde.
Elsa sentì un leggero deja vù  farsi strada tra i pensieri. Ricordò anche la frase che le aveva detto Granpapà : Fai quello che ti dice il cuore, ma ricorda gli errori del passato. Non dovranno ricapitare.
I suoi genitori avevano messo sempre il regno prima della famiglia, e la conseguenza era stata catastrofica. Lei non voleva fare lo stesso terribile errore.
-Portami da Damio. Gli voglio parlare.
Josè le prese la mano e incominciò a guidarla.
La porta era chiusa a chiave. Elsa provava a strattonare invano la maniglia della camera invano, e incominciò a chiamare il figlio adottivo.
-Damio apri, sono io! Mamma!
Il bambino alzò la testa e guardò verso la porta chiusa davanti a sé. Non voleva che nessuno oltre Josè sapesse cosa aveva involontariamente creato. Si era andato a sedere a fianco al letto, nascosto, ed era scoppiato in lacrime.
Ma non era scoppiato in lacrime solo per quel piccolo incidente.
Aveva rivissuto le parole che gli aveva detto Granpapà. Doveva imparare a controllarlo per non fare del male a nessuno, e doveva farlo da solo. Nessuno aveva un potere simile, nessun’altro che lui stesso poteva aiutarlo.
Forse doveva scappare dal castello. Una volta nel mondo, avrebbe potuto incontrare qualcuno capace di aiutarlo con il suo potere, in modo che una volta imparato a controllarlo sarebbe tornato a casa per governare il regno, da buon primogenito.
Diresse lo sguardo verso la finestra dal bel vetro colorato opera di illustri mastri vetrai ormai morti da secoli.
-Mi dispiace dover rovinare il lavoro di tutta una vita di tante persone, - sussurrò tra sé e sé,
-Ma devo farlo se non voglio fare del male a mio fratello.
Piccoli fiocchi di neve incominciavano a scendere dal soffitto, segno che Elsa era preoccupata. Sentiva dei rumori sinistri provenire al di là della porta di Damio.
-Ti prego, apri. Mi fai paura quando non rispondi.
Un rumore di vetri infranti si sparse lungo il corridoio.
I nervi di Elsa si ruppero a quel rumore. Si inginocchiò davanti alla porta e sfiorò la porta con le mani, incapace di liberarsi dallo stato di trance in cui era finita.
-Damio! –Urlò totalmente nel panico.
Dietro di lei la neve era sempre più abbondante.
Josè avanzò verso la porta chiusa, premendo le mani verso il legno lavorato, e subito il ghiaccio ricoprì la superficie facendo sbloccare la porta, che si spalancò facendo cadere il piccolo dentro la stanza.
Quando il figlio della neve alzò la testa dalle macerie, non vide altro che una finestra rotta e una stanza vuota.
-Mamma.
La regina si alzò e rimise Josè in piedi, ma il bambino si svincolò veloce e corse al centro della stanza, sicuro di trovare Damio nascosto da qualche parte, pronto a fargli uno scherzo. Solo quando arrivò davanti alla finestra ridotta in mille pezzi capì che il fratello non c'era. Si girò verso Elsa.
-Dov'è andato Damio?- chiese innocentemente.
Una lacrima di ghiaccio scese nel volto della regina, che sbatté gli occhi per mandarla via.
-dov'è andata Elsa?
Aveva sbirciato dalla fessura tutta la scena. Anna con il suo vestito migliore e la nuova ciocca candida racchiusa in una delle codette che amava tanto farle la mamma. Lo sguardo che si erano lanciati suo padre e sua madre alla domanda, era stata una delle cose peggiori da sopportare, ma l'espressione di Anna alla risposta era stata mille volte peggiore.
-Elsa sta un po' male, penso che oggi non verrà a giocare.
 Aveva rivolto un solo, lungo sguardo nella sua direzione, poi aveva tirato dritto diretta verso il salone in cui, solo la notte prima, era successa la tragedia. Solo quando aveva visto svanire l'ultima piega del vestito di Anna aveva avuto la forza di chiudere anche quell'ultimo spiraglio, certa che non avrebbe mai più potuto giocare con lei.
Elsa si riscosse dai pensieri e fissò Josè, che la ricambiava perplesso dalla stanza, e seppe qual'era la cosa giusta da fare. Per l'ennesima volta si fece guidare dall'istinto.
-Andremo a cercarlo. Ma adesso spiegami bene la causa di questo. So che la sai.
 
Damio correva a perdifiato. Voleva allontanarsi più che poteva dal castello e da Josè. Non voleva fargli del male.
Correva senza nemmeno guardare dove andava, senza nemmeno notare che sopra di lui il cielo andava rannuvolandosi, e i primi fiocchi il neve incominciavano a toccare il suolo leggeri come piume. Trovò un sasso che rischiava di farlo cadere, ma ritrovò subito l'equilibrio e lanciò le braccia davanti a sé, in preda a qualcosa che non riusciva a controllare. Arrivò senza accorgersene al porto. Le navi colorate ondeggiavano pigramente sulle onde, ignare del bambino che correva sul molo, diretto verso il mare. Dietro di lui, dal legno della passerella sospesa, spuntavano fiori di ogni genere e colore, mentre il mare ribolliva di pesci di ogni genere che saltavano fuori dall'acqua. Chiuse gli occhi mentre correva, certo che il molo fosse ancora lungo, ma pochi secondi dopo sentì il vuoto sotto i piedi e l'acqua fresca lambirgli la pelle.
Almeno adesso so che non posso camminare sull'acqua, pensò cercando di rincuorarsi. Mentre cercava di risalire in superficie, sentì una mano forzuta che lo afferrava per il colletto e lo tirava su, e presto poté sentire il duro della passerella sotto la schiena. Appena la sensazione dell'essere sulla terraferma lo pervase alzò la schiena e tossì l'acqua che aveva bevuto nella caduta. La mano ora gli teneva la schiena.
-Tutto bene piccolo? Mi sono preoccupata a vederti arrivare lanciato qui al molo.
Damio girò la testa per guardare la sua salvatrice. Era una donna sulla trentina, la pelle olivastra e i capelli corvini, vestita di scuro. I suoi occhi invece erano misti: erano di base castani, ma all'interno dell'iride si muovevano tanti riflessi rosso fiamma, che li rendevano inquietanti.
-Come ti chiami? Vorrei sapere il nome del bambino che ho salvato.
Damio si alzò in piedi e si passò le mani sui vestiti, come per togliere l'acqua in eccesso, poi rispose alla donna.
-Io mi chiamo Damio. Anch'io credo di avere il diritto di sapere il nome della mia salvatrice.
La donna ridusse gli occhi a due fessure. Non poteva mentirgli, ma nemmeno dirgli la verità. Lei non ricordava il suo nome.
-Puoi chiamarmi come preferisci. Ma adesso dimmi: perché scappavi in quel modo? Hai per caso rubato qualcosa?
Il bambino scosse la testa.
-Cerco qualcuno che abbia poteri magici. Devo...devo chiedergli una cosa.
La donna ebbe un sussulto. Squadrò Damio con maggior interesse, certa di averlo già visto da qualche parte.
-Ma tu sei Damio, il figlio della regina Elsa?
Il bambino la guardò spaventato. Non conosceva molte persone della città per via del motto “meno persone sanno che esisti meglio è”, creato da Elsa per via della successione al trono, che in quel caso era piuttosto difficoltosa. Era già successo che un regnante adottasse un bambino, ma mai che avesse figli naturali dopo questo, e poteva creare qualche polemica.
-Dipende da cosa vuoi sentirti dire.
La donna scoppiò a ridere. Era una risata gradevole ma tuttavia malsana, come se avesse qualcosa di sbagliato.
-Caro, per me non ha importanza chi sei. Sappi soltanto che la tua ricerca è finita prima di cominciare, perché io -modestamente- pratico la magia da molto, molto tempo.
Gli occhi di Damio brillarono di speranza, mentre la donna gongolava di felicità.
Sicuramente  il principino Josè ha manifestato i suoi poteri, e lui vuole qualche spiegazione a caldo da qualche mago, mentre l'avrà da una strega.
Damio gli mostrò la mano, impaziente, sperando che la donna fosse anche indovina così da non dover esprimere a parole il suo problema. Purtroppo per lui, la donna non lo era, anzi, gli rivolse un'espressione stupefatta e interrogativa. Damio provò a darle qualche indizio.
-è un potere molto potente ma che devo imparare a controllare. Questo almeno secondo i troll; qualche ora fa però ho colpito senza volerlo mio fratello, Josè, e questo mi ha fatto venire paura.
La donna rimase spiazzata. Anche Damio ha poteri magici? La curiosità la sopraffò, e rischiò di mandare all'aria tutto lo spettacolo che aveva messo su.
-Fammi vedere un po' cosa sai fare. Così vediamo qual'è la cosa migliore per te.
Non era nemmeno finita la frase, che nel palmo del bambino si materializzò un piccolo ciondolo di pietra levigata. La donna spalancò gli occhi. 
La profezia non diceva che il mio peggior nemico e il figlio della neve erano fratellastri!
-Tu... possiedi il dono che crea, non è così?
La donna aveva assunto improvvisamente un'aria minacciosa agli occhi di Damio, che non poté far altro che annuire. Sul viso della strega apparve l'ombra di un sorriso gelido.
-Vieni con me. Prometto che non ti troverà nessuno.
Perché sarai sotto tre metri di terra fresca, tesoro.
Damio prese la mano della donna, che reagì sorpresa. Le due mani insieme sembravano irreali, come se non facessero parte della realtà circostante.
Il bambino sembrava impaziente.
-Allora, quando si parte?
La donna sogghignò, mostrando i denti leggermente ingialliti e strizzando gli occhi al cielo coperto di nuvole scure.
-Anche subito. Non vorrei che peggiori il tempo, e quelle nuvole non mi sembrano di buon auspicio.
 
Faceva sempre più freddo. Elsa teneva le mani di Josè, che era in piedi sopra la base della finestra. Era scalzo, e i capelli argentei gli ondeggiavano al ritmo del vento sempre più forte.
-Tranquilla mamma, non succederà niente. Troverò Damio e presto torneremo tutti e due a casa. Non ti accorgerai nemmeno che sono uscito.
Elsa non era dello stesso parere. C'era un motivo se non aveva ancora lasciato andare il bambino nel vento.
-Non sappiamo nemmeno se puoi volare. Stai rischiando troppo. E se nessuno dei due dovesse far ritorno? Perderei tutto.
-Giuro che lo troverò ovunque sia!
Una lacrima calda sfuggì dall'occhio destro della regina.
-Adesso lasciami andare!
Josè stava urlando per cercare di superare l'ululo del vento, che si era triplicato andando di pari passo con l'angoscia che serpeggiava tra le viscere di Elsa.
La regina lasciò i polsi di Josè.
Non ebbe il coraggio di guardarlo cadere verso il vuoto, ma il suo sollievo fu immane quando vide il bambino volare tra le correnti.
-Ha preso il dono dal padre. - sussurrò soltanto, prima di cadere svenuta davanti alla finestra spaccata.
Jack non aveva sentito il rumore del vetro che si rompeva. Era nel castello di ghiaccio creato anni prima da Elsa, intento a provare a creare un golem di neve vivente uguale a Marshmallow per non farlo sentire solo. Intanto il gigante se ne stava seduto nel pavimento di ghiaccio intento a rimirare la corona che aveva trovato per terra tanti anni prima. Adorava pensare che  fosse diventata sua dopo che la regina aveva abbandonato il suo castello, distrutto da quei stessi soldati che si erano permessi di tagliargli la gamba (che grazie all'acqua che aveva fatto da colla era riuscito a riattaccare) e che lui aveva con tanta cura rimesso a posto.
-Mi dispiace piccolo, ma proprio non ci riesco.
Era ormai il quindicesimo tentativo dello spirito senza risultati, e si sentiva stanco di stare in mezzo a tutta quella neve e quel ghiaccio.
Marshmallow annuì con la sua enorme testa di neve e lo salutò con la sua voce cavernosa.
Jack ricambiò con un gesto della mano, due attimi prima che prendesse il volo e si disperdesse nel vento.
C'è più vento di quanto dovrebbe esserci, pensò sospettoso quando vide le immense nuvole e la neve fuori stagione farsi strada nella sua traiettoria, così che dovette prendere quota più volte per non finire contro qualche punta.
Quel giorno, per la prima volta, entrò dall'ingresso principale. La prima persona che lo accolse fu Anna, intenta a cercare la sorella per tutto il castello a causa della tempesta che aveva creato.
-Per fortuna questa volta il regno era preparato. Dopo l'ultima crisi di Elsa, hanno sempre a portata di mano gli abiti invernali.
-Va bene, tutto molto interessante, ma dov'è adesso?
Anna lo fulminò con lo sguardo, scrollò le spalle e corse a cercare in un'altra stanza.
Jack andò nella direzione opposta a quella della principessa.
Aveva qualche idea su dove poteva essere la regina.

 
 
 
 




Scusate il ritardo... colpa di troppe cose da fare ^-^
se trovate errori sui periodi o sui verbi, o se volete semplicemente dare nuovi spunti alla storia non avete che recensire, come anche se non avete capito un passaggio o cose del genere. Il prossimo capitolo sarà molto importante, quindi non garantisco che esca tra quattro giorni. Ci vediamo tra...?
Baci, l'autrice (mi sento importante ad autochiamarmi così. Capitemi.)

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Capitolo 14
*** Nessun impronta da seguire – La prima battaglia ***


Camminavano ormai da ore. Damio aveva provato a tenere il conto delle ore da quando aveva incontrato la strega (non era che il primo pomeriggio), mentre ora la luce della luna rischiarava loro la strada.

-Dove andiamo adesso?

Si erano fermati dove finiva la strada impolverata che avevano seguito fino ad allora e, davanti a loro, si stagliava con tutta la sua maestosità la prima foresta che Damio avesse mai avuto occasione di ammirare. I tronchi degli alberi più vicini avevano un diametro tale che nemmeno due uomini adulti tenuti per mano avrebbero potuto eguagliare, e il bambino ne era estrefatto. La donna, dal canto suo, stava escogitando un modo per aprire un varco tra quella vegetazione selvaggia.

Ovunque mi stiano portando le gambe, si deve passare di qui.

Aveva preso subito in considerazione l'idea di usare la sua magia (la sua distruzione) per far sparire nel nulla quel che bastava, e per far camminare nel terreno libero la creatura più potente dell'universo stregato che viaggiava con un bambinetto con ancora il moccio al naso che cercava di distruggerla con quella finta aria da innocente. Si girò, nascondendo metà viso sotto la spalla. Ora quel marmocchio si stava guardando intorno smarrito.

Povero, il vermiciattolo vuole la sua mammina, anche se è una stupida mentecatta che ha scelto di vivere da debole e buona, invece di seguire la sua vera natura.

Con un gesto brusco la donna si portò il palmo vicino alla bocca, riempì i polmoni e soffiò più forte che poteva verso la foresta davanti a sé. A contatto con la mano, il suo respiro si condensò in un fumo nerastro e sgradevole all'olfatto che si diresse dritto verso l' obiettivo. Qualche secondo dopo una serie di alberi prese a precipitare al suolo, per poi sparire senza lasciare traccia appena toccato il suolo.

-Che cosa aspetti, Damio? Non vorrai rimanere indietro?

Il bambino rivolse lo sguardo tremante verso la sua accompagnatrice senza capire.

-Ma davanti a noi c'è una foresta scura come... come...

Spazientita, la strega afferrò di nuovo il polso del piccolo dai capelli di grano e lo trascinò verso l'insieme di quegli alberi possenti.

-Ho trovato un sentiero che ci può permettere di attraversare. Guarda, è proprio davanti a noi.

In quel momento Damio avrebbe giurato sul suo onore di non aver visto quel sentiero prima di allora, eppure davanti a lui gli alberi di dividevano in due gruppi, lasciando tra loro una via di almeno due metri di larghezza.

Seguì la donna con quella fiducia tipica dei bambini verso gli adulti, anche se l'odore acre della Distruzione gli metteva in testa tanti dubbi a cui non trovava risposta. Un brontolio profondo emerse dai suoi pensieri, intenso e famelico, e senza pensarci due volte il bambino fece apparire nella sua mano una bella mela rossa, che incominciò a mordicchiare pacifico. Pensò che forse anche la donna che lo guidava aveva fame, così creò dall'aria un'altra mela.

-Scusa, hai fame?- le chiese tirandole la mano.

La donna abbassò lo sguardo alla mela solo per un'istante, senza smettere di camminare.

-Non mangio spesso. Meno che mai quello che mi offri tu.- grugnì in risposta.

Damio non la prese molto male. Semplicemente fece volatilizzare la mela trasformandola in aria, poi sbadigliò stanco. Chissà che cosa staranno facendo mamma e José, pensò nostalgico dopo il gesto. Dopo non pensò più a nulla, perché nel luogo in cui si trovava era inutile pensare.

 

Elsa delirava. Quando Jack l'aveva trovata (dentro il grande salone in cui, tanti anni prima, aveva congelato la testa della sorella), tremava come una foglia, e ogni cosa intorno a lei era ghiaccio. Jack le era andata vicino e l'aveva cinta con le braccia, mentre lei piangeva amare lacrime di ghiaccio rannicchiata nel pavimento. Fiocchi di neve di ogni forma e dimensione danzavano lenti per tutta la stanza. Non riusciva più a controllarlo. Dopo che Damio era scappato, aveva paura. Paura di perdere il controllo, paura di non essere più in grado di amare. Paura di fare del male a qualcuno. Jack l'aveva ascoltata piangere finché lei, senza più lacrime, era svenuta. Allora lui l'aveva presa tra le braccia e l'aveva trasportata fino alla sua camera, dove l'aveva adagiata delicatamente nel suo letto. Qualche minuto dopo aver ripreso coscienza aveva cominciato a delirare. Diceva che era stata lei ad uccidere Anna, che meritava tutta la pena che era possibile infliggere. Inutile era stato far accorrere la sorella nella sua stanza, dove lei l'aveva chiamata “mamma” ed era scoppiata a piangere. Nemmeno il medico di corte era riuscito a fare nulla; nemmeno un'erba medicinale era utile a tranquillizzare una donna a pezzi. Anna piangeva accanto alla sorella, e le stringeva forte la mano gelida per donarle la forza di cui aveva bisogno, senza purtroppo molti risultati.

Proprio nel momento in cui Anna stava per perdere la fiducia e si apprestava ad andare via dalla camera, lasciando Elsa da sola, successe qualcosa. La regina smise di delirare. Anna osservò la sorella con un briciolo di speranza, ed Elsa sembrò aver ritrovato un po' di senno. Le tirò delicatamente il braccio facendole segno di avvicinarsi a lei, poi sussurrò.

-Damio è scappato. È colpa mia, come quando ti ho colpito anni fa. Non sono stata una brava madre per lui, saresti stata migliore tu.

-Elsa...

-No, Anna lasciami finire. Sono stata una madre pessima per Damio, ma lo sono stata ancora di più per Josè. Dovevo fermarlo, ma non potevo perché... perché mi sembravi tu. Anna, nonostante tutto mi sei sempre rimasta vicina, anche quando io ti allontanavo, e questo non l'ho mai dimenticato e mai lo dimenticherò. Ma adesso è successo qualcosa di terribile che non posso perdonarmi.

Anna guardò la sorella sospirare e tossire convulsamente tre volte. Strinse le unghie nel braccio di Elsa. Era successo qualcosa di brutto ai bambini, ne era sicura.

-Continua. So che Damio è scappato, quindi salta quella parte perché non ne voglio sapere il motivo. Adesso non è importante. Cos'è successo a Josè?

Elsa rivolse gli occhi verso la sorella e la guardò profondamente. Anna si spaventò: i suoi occhi erano vuoti, opachi. Ma nonostante tutto, continuò a stringere con forza il braccio della regina. Quando lei parlò, la sua voce tremava.

-è andato a cercare suo fratello.

Un rumore improvviso squarciò il silenzio innaturale della camera e le ante che chiudevano la finestra si spalancarono lasciando entrare un vento impetuoso. Anna corse per richiuderle, ma dovette fermarsi spaventata. Arendelle era ricoperta di neve.

-Che cosa hai fatto...- disse a bassa voce rivolta alla sorella. Elsa respirò forte.

-Non riesco più a controllarlo. Ricordi la soluzione per controllarlo? L'amore. E niente, nemmeno l'amore fraterno, può rimpiazzare quello che si crea tra una mamma e i suoi figli. Qui vince l'amore più forte.

La regina si sentiva sempre più debole e insicura. Forse la soluzione era sbagliata. Forse doveva lasciar andare il suo potere senza paura di far del male a qualcuno, preoccupandosi solo di se stessa. Questo voleva dire passare dall'altra parte, dalla parte mortale del ghiaccio, dalla parte del Male, ma soprattutto voleva dire abbandonare il suo regno e i suoi bambini in mano ad un inverno perenne.

Cosa te ne importa? Avrai tutto quello che vuoi. Sarai libera e potrai lasciarlo andare.

La regina corrugò la fronte. Non avrebbe mai pensato questo. Era un pensiero anomalo ed era sicura non fosse suo.

Certo che è tuo, idiota! Sono un tuo pensiero, e voglio che tu passi dall'altra parte. Vieni con noi, Elsa.

Ora aveva sentito bene: era una voce. Qualcuno in qualche modo le stava parlando telepaticamente. Elsa si alzò seduta nel letto e si schiacciò le meningi con le dita congelate.

-A costo di morire, non oserò mai far male a qualcuno con i miei poteri. - disse a denti stretti.

Oh, si che lo farai. L'hai già fatto e lo farai ancora. Hai già dimenticato tua sorella? Prima le hai ghiacciato il cervello, poi non contenta, anche il cuore. Le hai negato la vicinanza di una sorella per la tua stupida paura delle tue mani. Illusa, una piccola illusa di poter controllare il ghiaccio con un paio di guanti.

Elsa urlò. La voce si faceva sempre più forte nella sua testa e la colpiva come un pugnale rigirato nella ferita. Anna la abbracciò forte per cercare di consolarla. Qualunque cosa le stesse succedendo, non doveva essere molto piacevole.

Si, lascia entrare la paura dentro di te. Falla parte di te. Passa alla nostra sponda. È molto più facile lasciarlo andare quando non hai niente da perdere.

La regina incominciò a dibattersi. Non sapeva più in quale mondo si trovata; intorno a lei era tutto buio e si sentiva immobilizzata da qualcosa. Ci volle un po' perché capisse che quella cosa era Anna, e che la sorella minore cercava di proteggerla da quell'attacco mentale. È l'unica cosa solida a cui aggrapparsi per non cadere nella follia , pensò Elsa, si attaccò ad Anna con tutte le sue forze e gridò:

-IO FARO' SOLTANTO LA COSA GIUSTA!

Un lampo accecante le invase la testa.

 

Damio era stanco di camminare. . Se solo la strega non gli avesse tenuto così forte il polso, sarebbe già corso indietro, dalla mamma, per farsi consolare e rimediare una cioccolata calda, da bere accoccolato nelle ginocchia di Jack. La donna, al contrario, non sembrava tenere molto a lui e ne ignorava le richieste di sosta.

-Andiamo verso sud. -era la sua unica frase.

-Quello l'avevo capito anche io- bofonchiò Damio, troppo stanco per intraprendere un discorso. La strega, d'altro canto, non ribatté.

Era intenta a scrutare il cielo, preoccupata. Tra le stelle si poteva scrutare un accenno di luce magica.

Diavolo. Doveva ucciderlo al più presto, prima che arrivasse il figlio della neve e mandasse tutto all'aria e prima che i troll la scoprissero, ma doveva farlo in un luogo ben specifico per poter vincere. Questo non era scritto su nessuna profezia di sua conoscenza; semplicemente se lo sentiva dentro.

Se voleva incominciare a servire il Male, doveva liberarsi innanzitutto del suo nemico più acerrimo, bambino o adulto che fosse. E quel bambino adesso era giusto dietro di lei.

Damio camminava due passi dietro la donna. La sensazione di pericolo che provava era più forte che mai, e aveva la netta sensazione di dover combattere quel pericolo che avvertiva. Si fermò in mezzo al sentiero, colto da un presentimento.

Come se avesse visto il bambino fermarsi, la donna fece lo stesso.

-Ci accamperemo qui per la notte. La strada è ancora lunga e mi sta incominciando a venire sonno. - si girò verso il bambino.

-Vedo che abbiamo avuto la stessa idea. - continuò riducendo gli occhi a due fessure. Riconosceva bene lo sguardo di quel bambino.

Sta iniziando a sospettare. Dobbiamo fare in fretta se non vogliamo che la battaglia inizi in questo istante. Deve iniziare nel luogo sacro.

C'era un modo per arrivare prima: volando. Lei, nonostante si chiamasse tra sé e sé “strega” da quando aveva dimenticato, non volava con la scopa, ma con una formula.

Per portare con lei il bambino nel posto stabilito per la battaglia sarebbe bastato tenerlo stretto a sé.

-con questa formula magica tutte le creature dotate di vita possono volare- sussurrò la donna.

Damio non sentì nulla, anche se continuava a sentire il senso di pericolo ovunque. Era una sensazione che non aveva mai provato prima e che lo spaventava non poco.

-Ehi piccolo, ho cambiato idea. Che ne dici di

(dannazione qualcuno si sta avvicinando) arrivare dove dobbiamo andare.... volando?

Damio era visibilmente diffidente, e la donna sapeva che non si sarebbe mai avvicinato di sua spontanea volontà più di quanto lei non sarebbe mai tornata al suo vecchio paese (che nemmeno ricordava più), così aspettò che si distraesse (sembra un cane che abbia fiutato la preda) e gli balzò letteralmente sopra. Damio urlò di sorpresa e spavento, ma prima che avesse l'idea di divincolarsi fu immobilizzato da un' incantesimo della donna, che così ebbe il tempo di esclamare la formula:

-Seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino!

Non ricordava da chi aveva sentito quella frase, né come sapesse gli incantesimi. Gli faceva e basta. Ricordate bene: nessuno è più pericoloso di chi non ricorda il proprio passato, perché non ha nulla da perdere.

Fatto sta che funzionò: i due si alzarono in volo e la donna si mise a pensare al luogo in cui avrebbero combattuto; nonostante non ricordasse nulla, un'immagine affiorò nella sua mente.

-L'arena del Pendolo.

Il volo iniziò.

 

Il vento aveva improvvisamente cambiato direzione, e Josè si vide costretto a prendere una corrente ascensionale e a prendere quota. Cercava di uscire il più veloce possibile dalla tempesta di neve che alle sue spalle infuriava e si ingrandiva sempre più, di cui conosceva la causa.

-Mamma dev'essere veramente molto preoccupata.

Entrò in un vuoto d'aria e prese un piccolo refolo di vento per trasportarsi in una corrente più ampia e forte. Cercava Damio. Sentiva che in qualche modo era in pericolo, e non poteva perdere il proprio fratello per colpa sua. Josè credeva che fosse stata colpa sua per via della spada che aveva congelato mentre il fratello maggiore lo stava per colpire, e che per via di quel gesto si fosse offeso e se ne fosse andato per non vederlo mai più. Voleva solo trovarlo per dirgli che gli voleva bene e riportarlo a casa dopo aver fatto la pace, come facevano di solito. Ma non era mai successo che Damio scappasse di casa per una palla di neve o una spada di ghiaccio, ed era questo che lo scoraggiava e non poco. Arrivò a volare sopra una foresta. Era la prima foresta che vedeva in vita sua, e la trovò bellissima e... verde scuro. La foresta era divisa in due da una strada contorta e scura che sembrava essere stata generata dalla potenza più oscura e malvagia esistente. In mezzo a quella strada scorse due puntini grigi che avanzavano lentamente; sembrava fossero molto stanchi. Prese una corrente che lo portò a volare molto basso. Troppo basso, visto che si stava per schiantare contro il terreno e virò appena due attimi prima di schiantarsi contro quella terra di colore innaturale. Con il cuore che ancora pompava adrenalina in ogni sua cellula, Josè riprese quota. Era riuscito per un’ attimo a scorgere uno scorcio del viso della figura più piccola e l’aveva riconosciuta.

-Damio. – sussurrò con il vento, mentre cercava di nascondersi volando tra le folte chiome degli alberi. Il fratello sembrò risvegliarsi e si guardò intorno.

Josè sorrise e mollò la leggera corrente che lo sosteneva, cadendo così a terra sui suoi piedi, come se avesse appena fatto un enorme salto. Il leggero tonfo che ne seguì fece trattenere il fiato al bambino, ma nessuno sembrò notarlo. Forse mi hanno scambiato per un’animale, pensò sollevato dopo aver notato che nessuna delle due figure sembrava allarmata o spaventata. Da quella angolazione riuscì a vedere perfettamente il viso di Damio. Quasi si commosse, ma per precauzione (e anche a causa di un sesto senso di misterioso odio crescente verso l’altra figura) rimase nascosto dietro il grosso tronco di un salice piangente. Non riusciva a sentire cosa si dicevano. Ad un tratto l’altra figura prese suo fratello per il braccio e, prima che Josè potesse anche pensare di salvarlo, lo strinse forte e urlò le uniche parole che arrivarono sino all’orecchio del bambino nascosto:

-seconda stella a destra e poi dritti fino al mattino!

Josè sbatté le palpebre confuso per un’ attimo dall’urlo. Non aveva mai sentito quella frase, eppure sentiva che non prometteva niente di buono. Come aveva inconsciamente intuito, la figura e suo fratello presero il volo. Non era come il suo, notò spaventato. Le figure volavano controvento e molto velocemente.

Senza nemmeno pensare a cosa stava facendo, Josè si mise a correre con la mano destra tesa all’aria, e appena un filo di vento favorevole la colpì, afferrò la corrente e si tirò su. Guardò le stelle per qualche secondo, poi sfrecciò verso la stessa direzione in cui aveva visto volare suo fratello. La stella polare era dietro di lui; andavano a sud.

 

Qualche chilometro più avanti si intravedeva un’arena. Era molto simile a quella dei troll, ma allo stesso tempo completamente diversa. La donna frenò con i piedi la folle volata e scese dolcemente a terra, nel centro di quell’incredibile luogo. Teneva ancora Damio stretto tra le sue braccia quando atterrò. La notte era chiara e limpida e per di più, nessuna oscena luce verde era presente ad illuminare il paesaggio. Solo uno spicchio di luna osservava quel paesaggio desolato.

-Sai perché ti ho portato qui? – disse mollando Damio e scuotendolo per le spalle. Nei suoi occhi si poteva vedere chiara la sensazione che stava provando: tradimento. Il bambino si sentiva tradito nella fiducia. La donna bestemmiò nella sua mente.

Se questo verme si sente tradito, allora vuol dire che tradirà. Tanto più facile per me portarlo dall’altra parte. Non si fida più di me e va bene così. Per di più la profezia si sbagliava: non ho visto nessun “figlio della neve” o altri diavoli del genere in giro.

Rise di una risata gutturale che mise i brividi al bambino di fronte a lei. Damio indietreggiò di qualche passo e involontariamente chiuse i pugni, pronto a far vedere cosa poteva fare grazie al suo potere. Questa donna non mi piace, continuava a pensare come una cantilena, mi fa venire i brividi.

-Allora, lo sai o no? – urlò la ragazza. Damio scosse la testa, e lei sembrò molto soddisfatta.

-Preparati al mio personale monologo da cattivo. – rise forte di nuovo. Nella notte la sua risata echeggiò per tutta l’arena. Il bambino rabbrividì.

-Io ho la magia. Questo te l’avevo già detto, ma non avevo specificato quale magia. Io possiedo il potere della Distruzione, Damio. Sono sempre stata destinata a quello che voi stupidi esaltati in calzamaglia chiamate “il Male”, ovvero l’insieme di cose “cattive” che fanno tanto tanto male. Come dice il nome. Uno dei pochissimi giorni in cui ero riuscita ad uscire segretamente di casa (avrò dimenticato il mio nome, ma non dimenticherò mai cosa mi ha fatto passare la mia famiglia) sono andata ad ascoltare un cantastorie. Lui parlò di una profezia quel giorno. Una profezia potente e forte, ma purtroppo totalmente sbagliata. Sai chi riguardava quella profezia? Riguardava me e te. Tu sei la Creazione (o meglio, ne hai il potere) e io vincerò soltanto quando tu morirai. Il cantastorie blaterava cose su un’ equilibrio e cose del genere, ma io non ho nessuna voglia di formare un’equilibrio con te.

Avvicinò la sua faccia a quella di Damio e ripeté le ultime parole accentuandole. Il suo alito sapeva di ortica. Il bambino indietreggiò di un’ altro passo.

-Sai che cos’è questo posto? lo sai, Damio?

La donna sputava il suo nome come fosse un boccone avvelenato. Il bambino negò di nuovo.

-Questo un tempo era un tempio. Un tempio dedicato ad una delle dee più venerate dell’antichità. Una dea di cui tu non avrai mai sentito parlare, ovviamente, perché qui siamo molto più lontani da casa di quanto sembri. Era la dea della ragione. Ogni battaglia in questo posto è vinta da chi ha le ragioni più valide. Per questo è chiamata arena del Pendolo.

Damio aveva la bocca completamente asciutta. Si sentiva come un’ uccello in gabbia. Senza via di scampo.

La donna aveva preso a fissarlo mentre un’ odio crescente gli invadeva ogni singola parte delle sue membra. Non aveva mai desiderato ucciderlo come in quel momento. Devo conquistarmi il mio posto del regno del Buio. Dalla sua mano destra uscì un denso fumo nero che prese le sembianze di una freccia oscura, e la lanciò con tutte le sue forze verso Damio. Il bambino rispose afferrando la freccia con la mano nuda a meno di un centimetro di distanza dal suo occhio. Sembrava essere molto calmo ora, mentre in realtà dominavano in lui tanti sentimenti contrastanti.

-Perché vuoi per forza uccidermi?

La donna avvertì con non poco piacere il tremore che si avvertiva in quella parole. Avrebbe potuto farci l’abitudine.

-Perché la profezia diceva che non avrei mai vinto fino a che la Creazione non avrebbe avuto il Nero nel cuore. – rispose a sdenti stretti.

Questa volta creò dal nero una piccola palla e la lanciò al bambino ad una velocità invidiabile dalle più efficienti pistole di oggi (e pensare che allora quelle armi non erano nemmeno immaginate) , che si buttò a destra per schivarla. Quando sentì la sua pelle a contatto con il freddo marmo del pavimento sfatto capì che non poteva soltanto difendersi. Doveva contrattaccare. Con un balzo animalesco si rimise in piedi e fece apparire tra le sue mani una spada molto simile a quella con cui per poco non aveva ucciso Josè. Con un urlo sorprendente si gettò verso la strega. La donna non aspettava altro. Questa volta il fumo denso si trasformò in una spada scintillante, nera come la pece, e anche lei si gettò incontro a Damio. Le spade si scontrarono sprizzando scintille nella loro perfetta metà. La donna fu la prima a distogliere la spada per attaccare altrove mostrando i denti. Damio pensò che quando l’aveva incontrata era sicuro di averli visti un po’ gialli, ma non di certo cariati a quel modo. Erano quasi completamente neri. Fu distratto subito da quel pensiero ritrovandosi a parare una stoccata da parte della strega, che non perse tempo a cambiare obiettivo. Le spade ritornarono a cozzare.

-Se la profezia diceva veramente del nero nel cuore non vuol dire che devi uccidermi – riuscì a digrignare Damio. Il blu dei suoi occhi era acceso più che mai.

La donna si bloccò di sasso. In effetti la profezia parlava di un cuore, probabilmente pulsante e vivo, che si doveva riempire del Nero. Ma l’interrogativo la torturò per poco.

-Non c’è niente di più nero della morte per mano della distruzione – ringhiò.

Tornò all’attacco. Damio si sentiva sempre più stanco, mentre la donna con cui combatteva sembrava spinta da una forza sovrannaturale. È la forza dell’ossessione, pensò Damio mentre parava l’ennesimo colpo di spada della rivale. Ci fu di nuovo uno scontro tra le lame. Le scintille questa volta furono molte di più, visto che nessuno dei due voleva desistere. Damio dalla sua parte aveva il buon allenamento del suo vecchio maestro d’armi, mentre la donna aveva dalla sua il numero maggiore di anni e la determinazione di voler uccidere quell’insetto che le si parava davanti. Damio spinse con tutte le forze la lama della sua spada contro quella nera della donna. Le lame si spezzarono. I due sfidanti si allontanarono velocemente di qualche passo, guardando esausti e rabbiosi i monconi delle armi che tenevano ancora stretti in pugno. Damio buttò via il suo. Il rumore del metallo contro il marmo si mescolò a quello dei loro respiri.

-Io non voglio combattere – iniziò Damio –ma non voglio nemmeno morire. Ci dev’essere un altro mod..

La donna lanciò dal palmo libero una nuvola densa e Damio la trasformò in un piccolo grillo. L’animale si affrettò a saltare via da quel posto. Ora l’unico suono oltre i loro respiri era il leggero canto di quell’unico grillo solitario. La donna abbassò le mani lungo i fianchi e lasciò finalmente cadere il moncherino della sua spada.

-Posso concederti l’ultimo desiderio del condannato. Cosa preferisci? Essere ammazzato dopo una tremenda agonia o che il tuo cuore ti venga strappato dal petto e poi riempito della mia magia?

Rise sguaiatamente, ma il riso si trasformò presto in un’ accesso di tosse. Damio era rimasto serio, e la guardava con i suoi occhi saggi e profondi.

-Perché vuoi ammazzarmi a tutti i costi?

La donna, per la prima volta da quando ricordava, era in difficoltà. Si reggeva in piedi solo grazie alla forza di volontà e l'adrenalina che le scorreva in corpo. Abbassò la testa verso la pietra erosa che fasciava il terreno, mentre cercava in ogni più remoto angolo della sua mente una ragione valida per farlo tacere, e all'improvviso capì. Alzò gli occhi da terra e fissò malignamente il bambino che ansimava davanti a lei.

-Non c'è niente di più nero di un cuore morto a causa della Distruzione.

I suoi occhi erano rosso acceso. Con un ghigno perfido disegnato in volto, rivolse i palmi verso l'alto e alzò le braccia verso l'alto. A quel gesto la roccia sotto di lei rigurgitò la nebbia più maligna e oscura che uomo mortale avesse mai visto. L'aria ne fu presto piena, e un' odore pestifero e nauseabondo si diffuse intorno alla strega. La foschia formava spirali grottesche (e nel loro insieme, nonostante tutto, belle) che emergevano dal terreno tutt'intorno alla donna fremente. Non soffiava un' alito di vento.

-Mi dispiace piccolo. Anzi, a pensarci bene no.

Scoppiò di nuovo in una delle sue risate maligne.

Sollevò le mani sopra la testa (i monconi delle maniche le scendevano inutili verso il terreno), facendo confluire le spirali in un'unica massa densa e nera. Fu questione di pochi attimi e la sfera fu pronta. La lanciò contro Damio.

-No!

Un getto di ghiaccio sibilò nell'aria verso la grossa palla diretta verso il bambino stupefatto e la colpì. Ci fu una forte luce che abbagliò per un'istante i presenti, poi si vide solo un'innocua sfera nera ricoperta di acqua allo stato solido che rimbalzò per due volte nella roccia bianca, per poi fermarsi. La donna scoprì i denti marci.

È impossibile. Dannazione, è impossibile!

Un bambino dai capelli argentei ansimava alla destra di Damio. Era vistosamente più piccolo e teneva le mani ancora tese nell'attacco che aveva lanciato. Si mise davanti al bambino dai capelli di grano e allargò le braccia, in un gesto che indicava protezione.

-Lascialo stare!- gridò con la voce stridula.

La donna strinse gli occhi. La profezia dopotutto ci aveva azzeccato. Josè le mostrava il petto fiero e orgoglioso, e il fratello da dietro gli sussurrò qualcosa, a cui rispose annuendo senza spostare lo sguardo da lei.

-Josè?

Il bambino argentato sorrise al fratello e annuì soddisfatto. Gli occhi chiari di Damio si riempirono di silenziose lacrime senza che lui le volesse.

-Ti sei sacrificato per me? - sussurrò ancora con la meraviglia nella voce. Josè rivolse uno sguardo di sfida alla strega davanti a lui.

-Ti voglio bene. - bisbigliò rivolto al fratello maggiore.

La donna alzò le mani in segno di resa. Il mio monologo da cattivo non è ancora finito, pensò. Oggi le morti saranno due.

Josè fece uno scatto col mento per farle capire che stava alla tregua. Non si era fidata per nulla della figura incappucciata che portava con sé suo fratello, e ora si ringraziava infinitamente per essersi ascoltato. La donna ridacchiò divertita.

-E così tu saresti il glorioso futuro re di Arendelle? - disse soppesando le parole ad una ad una mentre, con le mani dietro la schiena, azzardava pochi passi intorno all'arena.

-O sei il principino viziato e geloso perché non lo diventerà mai?

Josè non reagì. Fu un duro colpo per la strega, che credeva di avere a che fare con un normale cucciolo di quattro anni che voleva fare l'eroe. A quell'affermazione avrebbe dovuto -in teoria- urlare che voleva bene a suo fratello e cose inutili del genere. Scoppiò in una risata nervosa.

-Non sei un tipo molto loquace. Come tuo fratello. - continuò la strega.

Ad un tratto si sentiva nuda sotto lo sguardo del piccolo figlio della neve. Si sentiva... inutile, e questo non riusciva a sopportarlo. La strega si fermò immobile ad un tratto. Nell'aria si andava spargendo un sentore di magia che non conosceva. Si guardò intorno inutilmente: la magia che sentiva infatti era emanata dall'arena in cui aveva i piedi in quel momento. La Dea aveva deciso di far vincere Damio.

Il suolo incominciò a tremare, e grossi massi bianchi di marmo si librarono a pochi centimetri da terra, diretti verso un' unico obiettivo. Damio emerse dalle braccia del fratellino, e con un' urlo lanciò una piccola sfera di luce bianca e fresca verso lo stesso obiettivo delle pietre. La donna non aveva via di scampo. Aveva immaginato di uscire di scena con un bel “non finisce qui”, per poi volatilizzarsi nell'aria, ma fu invece costretta a ricorrere alla sua formula magica per volare. Questa volta la sussurrò soltanto e, un' attimo prima che la palla di luce (inseguita dai massi di marmo) venisse a contatto con la sua pelle, riuscì a volare via, lasciando la sfera a schiantarsi contro una delle vecchie colonne che ancora stavano in piedi. La colonna la assorbì benevolmente, mentre i pezzi di marmo caddero innocui a terra. Damio si girò verso Josè, che era rimasto indietro, e i due fratelli si riabbracciarono stanchi.

-Finalmente è finita la battaglia. Ora possiamo tornare a casa?

Josè guardava il fratello con gli occhi speranzosi. Damio sembrò assentire.

-Non credo che sia finita. Staremo qui fino a domani, tanto ormai tra poche ore c'è l'alba, e poi vedrai che arriveranno mamma e zia a prenderci. Ne sono sicuro.

Josè annuì, per poi accoccolarsi tra le dure rocce. Dopo aver passato una notte tanto agitata, aveva proprio bisogno di dormire. Damio si coricò accanto a lui, e quando i primi raggi dell'alba sorsero, illuminarono due piccoli corpi coricati tra le dure roccie. Accanto a loro, una donna armata li sorvegliava guardinga.

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Capitolo 15
*** Fragile come cristallo – la battaglia di Elsa ***


Cominciò a distinguere qualcosa. C'era acqua. Molta acqua. Lo scroscio intenso proveniva da ovunque: lo sentiva sopra, sotto e dappertutto su di lei. Provò ad alzarsi e subito
 
(è colpa tua è tutta colpa tua è)
 
colpa sua. Sbatté gli occhi e li sentì bruciare. Era coricata sopra dei mattoni che emanavano un odore nauseabondo, quasi di stagno, ed era in un tunnel fatto dello stesso materiale.
Provò a
 
(attenta al mostro il mostro è dentro è dentro di te il mostro)
 
rialzarsi. Lo scroscio dell'acqua aumentò a dismisura. Sentì ad un tratto una voce familiare.
 
(-Elsa! Non devi essere il mostro che tutti credono!)
 
La voce echeggiò nello spazio angusto e cambiò tonalità e parole, finché ai suoi orecchi non si trasformarono in
 
(tu sei il mostro libera il mostro che c'è in te libera il mostro)
 
Provò a urlare inutilmente. Dalla sua bocca non usciva nemmeno un suono.
Una palla emerse dall'oscurità. Era rossa e giocosa e rimbalzava verso di lei. Provò a prenderla, ma scoprì che non si poteva muovere. La palla si fermò a mezz'aria nell'ultimo balzo. E scoppiò.
 
-Come sta?
Anna era restata a fianco della sorella per tutta la notte. Girò gli occhi gonfi e stanchi verso la voce che aveva udito, poi rispose alla domanda con una voce gracchiante e atona.
-Non si è mossa. Il dottore dice che probabilmente è in una specie di sonno profondo.
Jack strinse le mani attorno al suo bastone, facendo sbiancare le nocche. Per la seconda volta nella sua vita da quando era immortale si sentiva seriamente preoccupato. Tutta la sua infantilità era svanita nel momento in cui aveva visto Elsa in quello stato. Ora lei giaceva nel letto di Anna, la treccia candida scomposta e gli occhi chiari serrati in preda a chissà quale orribile incubo. La sorella era seduta nel bordo del letto, intenta a fissare le pallide labbra di Elsa, sperando almeno in una sua parola.
-Preferivo quasi quando delirava - biascicò Anna distrutta. L'alba aveva sorpreso una Arendelle in piena allerta, con ormai venti centimetri di neve per le strade e una bufera gelida che pioveva dal cielo.
-è anche quasi peggiore di quella dell'incoronazione.
Gerda guardava le grosse nuvole grigie raggrupparsi come vecchi gatti in cerca di calore. Era intenta a coprire Kai con una grossa coperta di lana, riservandogli la camera per la servitù più accogliente e calda. L'uomo avvertiva un forte dolore all'occhio destro che si propagava per tutto il suo sistema nervoso e che lo rendeva goffo e impossibilitato al movimento. Fuori dalla finestra la tempesta infuriava.
-Speriamo che la regina si riprenda presto.
 
Fu una questione di tempismo. Jack consigliò ad Anna di dormire un po' e le promise che l'avrebbe controllata lui, e solo a questi termini la principessa acconsentì. Tre minuti dopo già dormiva nel letto della sorella, immersa nel buio del sonno ristoratore. Jack  decise che Elsa aveva bisogni del freddo e non del caldo, così spalancò la finestra che dava al letto della regina e fece entrare la tempesta gelata. Accadde il miracolo. Un piccolo fiocco di neve era riuscito miracolosamente a viaggiare attraverso le nuvole sino a quella tempesta, e proprio quello si posò nella fronte pallida di Elsa. Quel fiocco di neve era diverso: creato da Josè nel sonno. Entrò nel sogno prepotente della regina, si sciolse insieme all'incubo e la riportò cosciente. Elsa mosse la mano sinistra. Jack subito la strinse tra le sue, speranzoso.
-Elsa?
La regina aprì gli occhi. Le pupille erano dilatate e impaurite, e Jack per qualche secondo fu convinto del fatto che non si fosse risvegliata, che fosse solo definitivamente impazzita. -Sono qui. Sono dalla parte giusta.
Le pupille incominciarono a tornare alla loro dimensione originaria. Guardò Jack con un'espressione di stupore dipinta in volto.
-Non farò del male a nessuno.
Si alzò dal letto con l'aiuto di Jack, poi sorrise beatamente in preda ad una visione. Era Damio che, in sogno, aveva scoperto un lato del suo potere ancora semi sconosciuto: sapeva di poter vedere la visioni, ma mai di poterne mandare. Alla fine il volto di Elsa era vittorioso.
-So dove sono i bambini.
Senza nemmeno dare il tempo a Jack di capire che cosa stava succedendo, corse verso camera sua e saccheggiò l'armadio, dove tirò fuori il suo vestito di ghiaccio. Aveva preso un po' di polvere, ma per il resto era perfetto. Tornò poi nella stanza della sorella. Senza curarsi del ragazzo che ancora la guardava interrogativo si spogliò e indossò febbrilmente quell'abito splendente che non metteva da anni. Si inchinò sotto il letto e prese anche le scarpe di quei tempi, per poi sedersi sopra le coperte sfatte e calzarle veloce.
-Erano sotto il letto di Anna perché in teoria gliele avevo regalate, ma penso che oggi servano più a me che a lei. - disse a mo' di spiegazione al sempre più interdetto Jack.
Si disfò la treccia sfatta, lasciando la folta chioma bionda a ricoprirgli le spalle esili, e solo allora degnò di uno sguardo il ragazzo confuso che la fissava.
-Tu puoi volare giusto? Dobbiamo andare abbastanza lontano, quindi incomincia a metterti in forze.
Kristoff e Olaf si affacciarono alla porta della stanza. La bocca formava una perfetta O nella loro faccia. Elsa gli invitò ad entrare con un cenno della mano.
-Venite anche voi, ovviamente! Devono esserci tutti. Dobbiamo sconfiggerla.
Lo sguardo dei due uomini presenti si incrociò cercando risposte, ma nessuno riuscì a cavarne nulla.
-Chi? -esclamarono contemporaneamente Jack, Kristoff e Olaf.
Elsa roteò gli occhi all'insù come se avesse già spiegato il motivo una decina di volte.
-La strega, no? Dobbiamo aiutare Josè e Damio.
I tre restarono ancora più confusi di prima. Arrivò alla porta anche Anna, intenta a strofinarsi gli occhi ancora abbondantemente rossi, ma appena vide la sorellona sveglia e attiva non poté trattenersi dal correre ad abbracciarla più forte che poteva.
-Sono stata tanto in pensiero! - disse, e molta della stanchezza che sembrava provare scivolò via in un' attimo. Fu un' abbraccio lungo e molto commovente.
-Adesso è tutto a posto. Non succederà più.
Elsa si staccò dalla sorella con un leggero sorriso. Si vedeva che aveva in mente qualcosa da un miglio. Non sapeva ancora chi le aveva mandato le voci telepatiche, ma sapeva che qualsiasi cosa fosse, la stava distraendo dall'andare a cercare i suoi figli. Doveva recuperare terreno e trovarli immediatamente.
-La tempesta! È finita!
Gerda fece capolino dall'ingresso tutta accaldata e contenta, e tanta fu la sua sorpresa nel vedere la regina in piedi e così scattante che per poco non svenne. Fu Olaf che prontamente riuscì a tenerla in piedi mentre per caso si ritrovava a passare dietro la fedele servitrice.
-Tranquilla, adesso è tutto passato.  - disse Elsa nel pieno delle sue forze. Cercava di far sembrare tutto normale, mentre in realtà dentro di lei la tempesta infuriava ancora impetuosa. E se il mio posto è veramente dalla parte del Male? E se il Male fosse il vero Bene?
Per ora teneva i suoi dubbi per sé; voleva l'attenzione di tutti rivolta verso Damio e Josè. Prometto che appena li rivedo sani e salvi li abbraccio così forte da lasciarli il segno per settimane, pensò teneramente mentre apriva il secondo cassetto della scrivania. Si ritrovò a fissare due piccoli pezzi di stoffa celeste custoditi in quel cassetto dalla notte dei tempi. Mentre li prendeva delicatamente tra le mani, trattenne il respiro. Erano i piccoli guanti che usava quando era piccola, li stessi che Damio le aveva portato anni prima per provare a rivelarle il suo potere. Scosse la testa, liberandosi dai pensieri tristi che incominciavano ad affollarle la mente e rimise i piccoli guantini al loro posto, diretta ad un' altro obiettivo. Questa volta non ci fu bisogno di trattenere il respiro. Erano guanti molto più grandi, finemente decorati, quelli che teneva in mano adesso. I guanti della sua incoronazione. Senza dare nell'occhio li nascose nella tasca nascosta che si era creata nel vestito quando l'aveva “modificato” nel castello di ghiaccio allora appena nato, si girò e fece un sospiro.
Vide con piacere che erano tutti pronti: Kristoff e la sua giacca di pelo, Anna e il suo mantello, Olaf e la sua nuvoletta... e Jack.
Il ragazzo era già salito nel balcone della finestra e aspettava impaziente che l'allegra combriccola si aggrappasse a lui. Avrebbero tutti volato mano nella mano, come una catena umana che incominciava con l'unico di loro che sapeva volare e finiva con il più leggero (il piccolo Olaf).
-Siamo pronti? - chiese Elsa a tutti. Se lo chiese anche a sé stessa.
Anna e Kristoff si scambiarono un bacio affettuoso, mentre Olaf incominciò a saltellare per tutta la stanza gridando di essere pronto, anzi, prontissimo. Incominciò così il viaggio.
Più di un'abitante avrebbe raccontato un giorno ai suoi nipoti davanti al fuoco di un camino scoppiettante che quel pomeriggio, dopo la tempesta, aveva visto la famiglia reale volare.
Perse i sensi dopo un'ora di volo. Questa volta si trovava in un villaggio di campagna. Non l'aveva mai visto prima.
(La Distruzione cerca la Distruzione cerca)
Vide il suo corpo muoversi verso quella che sembrava la via principale. Il suo vestito era di campagna, i suoi capelli castani e ondulati. Non si riconobbe. Doveva cercare
(la bambina del passato del passato la bambina del)
la trovò. Aveva forse due anni e mezzo. Era insieme alla mamma e ad un ragazzo di dodici anni che le somigliava
(il fratello)
molto, in mezzo alla via, proprio davanti ad una bancarella di frutta. Il venditore era un' uomo baffuto la cui pelle grassa era rivestita da una sottile patina di sudore e sporco. La bambina aveva i capelli corvini e lisci. Allungò la manina ancora acerba verso la mela più vicina, ma il venditore in tutta risposta le riservò una manata nel piccolo visino. La mamma non fece niente per consolarla, ma non serviva; infatti la bambina non era scoppiata a piangere, ma era intenta anzi a strofinarsi i palmi l'uno con l'altro. Ora che guardava meglio non li stava strofinando. Infatti dalle mani della piccola partì un lampo nero che avvolse la bancarella. Un' attimo dopo davanti alla famiglia non c'era più nulla: sia venditore corpulento sia bancarella si erano dissolti nel nulla. Fu allora che la mamma rimproverò aspramente la bambina, menandole un'altra manata nella faccia e la trascinò fino ad una casa dissestata, dove la rinchiuse senza molte cerimonie sbattendo la porta. Elsa era immobilizzata. Dove si trovava?
(la Distruzione è tua amica la bambina è tua amica)
le voci erano rincominciate. Le tuonavano dentro la testa in un terribile accavallamento. Non desiderava altro che tapparsi le orecchie, ma scoprì che né nella realtà (qual'era la realtà? Volava verso un'arena abbandonata o guardava la Distruzione da piccola?) né nel sogno riusciva a muovere un muscolo.
(la bambina è la vera via tu sei fatta per il male vai con la Distruzione è la tua via)
La via principale di quel villaggio sfumò sotto i suoi occhi, diventò una mano dalle unghie nere che stringeva una mela rossa e matura. Le venne l'impulso di assaggiarla, ma scoprì di non poter controllare nessun muscolo del suo corpo. Le passò tutta la voglia quando vide la mano immergere il frutto in un miscuglio verde e ribollente, sentendosi dire con voce suadente:
-questa mela avvelenata la ucciderà di sicuro.
(segui il tuo istinto le regine sono cattive tutte le regine tu devi essere cattiva la regina cattiva)
la vista si offuscò. Ora le voci le riempivano la mente vietandole di vedere qualsiasi cosa. Sapeva di non dover cedere a quel richiamo. Doveva resistere per Damio e per Josè. I suoi unici pensieri. Doveva salvarli. Doveva...
(Il male e il ghiaccio vanno d'accordo Elsa tu puoi infliggere morti dolorose e lente con un dito puoi vendicare tutti ma stai con la Distruzione Josè è il vero Male fallo per il Bene del Male Elsa tu ce l'hai dentro è destino)
la regina strinse gli occhi più che poté, finché le voci non si attenuarono del tutto. Ora sentiva soltanto il fruscio del vento che le scorreva sulla pelle.  
-Jack.. - mormorò esausta. Le voci erano sempre più forti, ed Elsa aveva paura che prima o poi riuscissero a persuaderla e a metterla contro il suo stesso figlio. Realizzò di avere la mano destra chiusa in quella del ragazzo dai capelli d'argento e quella sinistra serrata in quella di Anna, che ora la guardava senza sguardo, immersa nei pensieri. Forse sarebbe meglio se fossi diventata cattiva, pensò la regina.
Si stava veramente convincendo? Le immagini mentali dei suoi bambini ora erano ricoperte di macchie nere, come se nel suo archivio celebrale qualcuno ci avesse versato inchiostro sopra. Ma Elsa sapeva bene che non era inchiostro. Serrò i denti in un ghigno.
Stava cedendo. Senza che potesse vederla, una ciocca dei suoi capelli candidi divenne grigia. Chiuse gli occhi, e subito le voci rincominciarono ad attanagliarla, ma ora lei era diversa. Le sue difese mentali erano quasi tutte abbattute. Ricadde nell'oblio.
 
Damio socchiuse gli occhi alla luce pomeridiana del sole. Sentiva che faceva più caldo di quando era ad Arendelle. Si tirò a sedere ancora con gli occhi socchiusi, tirò fuori uno sbadiglio di quelli che solo i bambini e gli ubriachi sono in grado di fare e si guardò intorno. La vecchia arena era ancora lì. Questa volta gli uccelli cinguettavano allegramente, al contrario della notte prima. Guardò Josè, che dormiva ancora beatamente, e approfittò del sonno di suo fratello per ammirare il luogo che non aveva fatto in tempo ad osservare. Nonostante l'arena emanasse la tipica aria delle cose decadenti e vecchie, poté osservare le numerose piante di ulivi che la circondavano.
Molte di queste piante erano cave e venivano usate come rifugio da numerosi uccelli notturni. Corse verso la parte dell'arena opposta rispetto a Josè cercando qualche avanzo di statua o altare o qualsiasi cosa che fosse diversa da cumuli di pietre di marmo e basi di colonne crollate: era curioso di sapere di più su questa struttura misteriosa.
Spinto dalla curiosità guardò dietro un’ ammasso di polverose pietre di marmo, immaginando magari di trovarci qualcosa di utile per la prossima volta che la strega si sarebbe fatta viva, ma quello che vi trovò lo lasciò di stucco. Una donna era intenta ad osservare il fuoco davanti a lei, su dove erano posate in equilibrio su un legno tre uova intente a cuocere. Non sembrava essersi accorta di Damio che la fissava con la bocca aperta.
Il bambino la osservò bene (l’avrebbe ricordata per tutta la sua vita): era vestita di una tunica bianca che emanava lo stesso sapore antico dell’arena e calzava due sandali impolverati, ma cosa più straordinaria, indossava un’ elmo.  Il bambino si convinse di aver visto quel modello soltanto nei numerosi libri di storia della biblioteca reale; sembrava di fattezza romana, se non più antica. Sentì qualcosa premergli nel braccio e si girò lentamente. Josè si era svegliato di soppiatto e aveva seguito il fratello fino alla donna misteriosa. Damio gli avvolse il braccio attorno alla vita e continuò ad aspettare.
Cercava di capire se quella donna emanava energia “buona” o energia “cattiva”, ma la persona intenta a punzecchiare le uova emanava un’energia a lui sconosciuta.
-Che aspettate? Le uova sono pronte.
La voce della donna era suadente e autoritaria allo stesso tempo. Lanciò uno sguardo verso i due bambini.
-Allora? Parlo con voi due.
Damio si guardò indietro per assicurarsi che la donna chiamasse proprio loro, mentre Josè semplicemente scavalcò una delle rocce più basse e le si accomodò di fianco.
-Si, Damio, sto parlando a te. Non vedi che l’ha capito anche il figlio della neve?
Il bambino seguì l’esempio del fratello. Solo dopo che tutti e tre ebbero mangiato l’uovo vennero le spiegazioni da parte della donna.
-Credo di dovervi una presentazione.
Josè intervenne: - Noi vogliamo sapere solo se sei buona o cattiva.
La donna si lasciò andare in un’ espressione di ammirazione, colpita dalla tranquillità del bambino. C’era infatti un tempo in cui il suo solo nome faceva tremare gli animi dei più terribili uomini assetati di sangue.
-Tutto a suo tempo, Josè. Io sono la protettrice di quest’arena fin dal tempo lontano in cui era un tempio, e come lei, sto dalla parte della ragione. Sta a voi decidere se vi sono avversa o favorevole.
-Cosa vuol dire ‘avversa’? – chiese di nuovo Josè. Quella donna gli ispirava un senso di fiducia innata. Damio ascoltava silenzioso.
-Vuol dire ‘contro qualcuno ’.   Il mio compito era semplicemente quello di sorvegliarvi per la notte, quindi credo sia terminato. Credo di dovervi dire addio. – finì la dea.  Si, perché un tempo lontano la figura vestita di una tunica era venerata dagli uomini. Si alzò e scosse la polvere che le si era accumulata addosso, preparandosi ad intraprendere il lungo viaggio per tornare a casa.
-Te ne vai di già?- chiese Damio terrorizzato. Non voleva rivedere quella strega da solo. Voleva un’ adulto che lo aiutasse. La dea  si sentì in dovere di infondere coraggio a quel bambino, ancora così piccolo e nonostante tutto così potente. Prese il suo scudo e la lancia, poggiate in una delle rocce là vicino, poi con la punta di quest’ultima toccò lievemente Damio. Decise di sussurrargli una vecchia frase che di sicuro l’avrebbe rinfrancato, e pensato così si abbassò a livello dei due bambini, che nel frattempo si erano alzati a loro volta.
-Bambini, ricordatevi solamente che il Bene vince sempre.
Detto questo, sparì, lasciando i due bambini più spaesati di prima, prigionieri del destino.
 
Elsa aprì gli occhi. Attorno a lei c’erano Jack, Anna, Kristoff ed Olaf che la guardavano preoccupati. La regina aveva i capelli completamente grigi, e alcune ciocche si apprestavano a diventare più scure. Scoprì di non ricordare più chi stava cercando. Sentiva che erano andati fin là per cercare qualcuno, ma il nome era avvolto da un’insana nebbia scura che allungava le braccia sempre più nei suoi ricordi.
-Dove siamo? – chiese soltanto. Non riconobbe la sua voce. Anna scoppiò a piangere, mentre Kristoff la stringeva forte tra le braccia, facendole nascondere il viso alla vista di quella donna che non era più sua sorella. Lui invece la guardava ipnotizzato. Jack allungò semplicemente la mano, ma in cambio ricevette una saetta di ghiaccio nero (dove l’aveva già vista?) che quasi lo colpì alla guancia, così la ritrasse subito.
Elsa si alzò seduta. Registrò di lato che il suo vestito celeste si stava ricoprendo di macchie scure, come se si stesse riempiendo di grossi funghi neri che lo mangiavano lentamente e inesorabilmente. Si sentiva diversa.
-Siamo a pochi passi da una strana arena. Ci siamo fermati perché avevi incominciato ad urlare come se ti stessero scotennando viva, e non abbiamo voluto quindi proseguire oltre. – rispose Jack meccanicamente. Ricordava infatti bene cosa potevano fare ghiaccio e buio insieme e pensava quindi ad un modo per non perdere per sempre Elsa senza causargli danni permanenti. Aveva già conosciuto il Male sotto un’altra forma. Poteva combatterlo di nuovo. Si alzò in piedi, la punta del bastone rivolta verso la regina intenta a guardarsi intorno. Doveva trovarsi in una sorta di antico oliveto che, crescendo, era diventato un piccolo bosco di ulivi dai frutti grandi e verdi. Non è stagione di olive, pensò sdegnata, poi quasi inconsciamente sbatté il piede a terra. Una sottile lastra di ghiaccio striato di nero avanzò veloce verso l’ulivo più vicino a lei, avvolgendolo e soffocandolo nella sua morsa gelida. L’albero divenne cenere fredda e un sorrisetto di soddisfazione affiorò nelle labbra della regina.
-Che cosa stai facendo? – le gridò Krostoff. Era ancora seduto con Anna piangente tra le braccia. Elsa non l’ascoltò nemmeno. Le voci le stavano parlando.
Lascialo andare. Hai visto com’è facile? Ora vai: l’Arena ti aspetta. Devi conquistare il tuo nuovo posto tra il Male. Meglio tardi che mai, vero Elsa?
Non gridavano più. Ora parlavano lentamente, strascicanti e calme e la invitavano a vivere tutto quello che aveva sacrificato per il bene. Entravano come miele nei neuroni affaticati della regina. Mancava soltanto una barriera da abbattere per loro: la barriera che si chiamava ‘Damio e Josè’. Una volta distrutta quella, sarebbe stato l’inizio della fine. Elsa sarebbe entrata a far parte dei ‘cattivi’.
La sorpresa ti aspetta nell’Arena. Elsa incominciò a camminare a grandi falcate, senza nemmeno notare che i tacchi delle scarpe si erano spezzati e che Olaf, nonostante la nuvoletta, avesse incominciato a sciogliersi.
-Elsa!
La regina fu costretta a fermarsi. Quella voce… quella voce andava oltre il Male, oltre tutte le barriere abbattute nella sua mente. Si girò, l’azzurro dei suoi occhi che prendeva una sfumatura rossiccia.
Anna era davanti a lei in una posa che non ammetteva repliche. Si asciugò rabbiosa le ultime lacrime che le scendevano dagli occhi. Non avrebbe perso di nuovo la sorella.
-Tu non sei questo. Io non lo so cosa ti sta succedendo, so soltanto che non devi ascoltare, ok? Non ascoltare quello che ti dicono. Tu non sei un mostro, Elsa. – fece una pausa per trattenere un singhiozzo.
-Tu sei mia sorella.
Elsa rimase immobile, ma le ciocche di capelli che andavano sul nero schiarirono tornando grigie. Le voci si intensificarono di nuovo.
Non ascoltarla, lei vuole che tu non ti lasci andare vuole che ti rimetti i guanti tu devi solo lasciarti andare
-Anna io
lasciati andate lascialo andare
io non …
lascialo andare i guanti lei vuole che rimetti i guanti
io non posso.
Una lacrima di sangue scese dagli occhi della regina. Anna allora si avvicinò di un passo, facendo arretrare Elsa.
-Non voglio che succeda anche a te. Fa…
lascialo andare lascialo andare lei non ti vuole bene lascialo andare
fa male – finì tenendosi le tempi. Le voci erano tornate forti, mentre il polpo nero che le oscurava i ricordi accorciava sensibilmente i suoi tentacoli, mostrandole un pezzo di quello che aveva nascosto.
Lo vuoi fare un pupazzo di neve?
La voce di Anna bambina la colpì come uno schiaffo. Il ricordo liberato era il momento in cui Elsa bambina aveva smesso di rispondere alla sorellina. L’unica che aveva sempre creduto nella sua bontà.
-Non tutte le regine sono cattive. Pensa a…
Non le veniva in mente nessuna, quindi lasciò cadere l’argomento.
-Io ho sempre creduto in te. Io sento che sei buona. Io lo so! Tu hai protetto tutti dai tuoi poteri per non far male a nessuno, non puoi essere cattiva.
Alcune ciocche dei capelli di Elsa schiarirono, diventando grigio chiaro. Le voci ormai avevano ripreso a gridarle nella testa, devastandole ogni minimo ragionamento che cercava di fare. Le gambe le cedettero e si ritrovò inginocchiata a terra mentre, con gli occhi strizzati e il labbro inferiore stretto nella morsa dei denti ancora bianchi, si stringeva le orecchie. Urlava.
Anna era intimorita da tutto quello che stava succedendo davanti a lei, ma nonostante tutto decise di avvicinarsi alla sorella. Aveva un unico pensiero fisso: Io ho sempre creduto in te. Lo rigirava dentro la sua testa come un monile prezioso mentre si avvicinava ad Elsa, come per proteggersi da quella qualsiasi cosa che stava divorando la sorella.
Anna la abbracciò. La abbracciò finché non sentì la regina smettere di divincolarsi, finché non si tolse le mani dalle orecchie e finché non smise di morsicarsi il labbro già sanguinante. Le voci dalla testa di Elsa, con l’arrivo della sorella, avevano preso ad aumentare di volume abbastanza da far contrarre ogni muscolo che conteneva il suo corpo per poi sparire senza lasciare traccia. Beh, non proprio: la devastazione e il senso di vertigine che avevano lasciato nella sua testa l’avrebbero torturata per giorni.
Appena le voci sparirono, sparirono anche le ciocche grigie rimanenti, lasciandone solo una piccola grigio chiaro nel lato destro della testa. Un segno della lotta che aveva combattuto. Scoppiò a piangere tra le braccia della sorella, insieme ad Anna che la stringeva. Le loro lacrime lasciavano nel terreno polveroso piccoli cerchi concentrici, che lentamente riportarono alla luce le migliaia di radici che la magia malefica della strega aveva fatto sparire per creare  il sentiero rivelatosi alla fine inutile. Olaf si ricompose in solida neve e alla vista delle due sorelle abbracciate e piangenti si asciugò una piccola lacrima di neve, che cadde nel terreno alimentando un piccolo fiore giallo che cresceva a vista d’occhio. 
-Adesso andiamo a cercare i bambini. – disse Anna appena riuscì a parlare. Elsa la guardò interrogativa, gli occhi pieni di lacrime. Notò con orrore che la traccia rossastra non era sparita dall’iride della sorella maggiore.
-Che bambini? – chiese innocentemente. Se Anna avesse potuto vedere dentro i ricordi della regina, avrebbe potuto notare un’unica macchia scura e, in trasparenza, una scritta leggera sopra il ricordo nascosto: Damio e Josè.
Si fece avanti Jack mentre Anna tornava sconfitta ed esausta tra le braccia del marito. Posò il bastone a terra e sfiorò il viso di Elsa leggero con le dita fredde. La regina socchiuse gli occhi.
-Ti ricordi di me? – gli chiese in un soffio. Se Elsa si fosse dimenticata di lui, sarebbe veramente stata la fine, ma per fortuna l’unico ricordo malmesso non lo riguardava.
-Certo. – rispose Elsa. Lo fissò con gli occhi di ghiaccio, ancora velati di rosso, poi lo baciò.
Jack rimase all’inizio sorpreso da quella manifestazione d’affetto così viva, poi ricambiò il bacio.
-Strano. Sono facile da dimenticare. –sussurrò il ragazzo appena il bacio si concluse.
Elsa impallidì ad un tratto, poi barcollante si diresse verso un cespuglio. Lì si piegò e vuotò il poco contenuto del suo stomaco per terra, per poi rimirare ansante quello che aveva gettato fuori dal suo corpo tanto violentemente. Conteneva per di più sangue misto ad un liquido nero e puzzolente che restava raggrumato senza espandersi come di solito fanno i liquidi, ma restando invece nella stessa forma in cui era stato gettato.
Jack e Anna si avvicinarono con due dita pinzate nel naso per non avvertire l’odore pungente di quel prodotto strano. Fu Jack a riconoscerlo, e a capire con che cosa aveva avuto a che fare negli anni prima di incontrare Elsa. Era la stessa materia che scorreva nelle vene dell’uomo che aveva incontrato tante volte nelle sue battaglie, nonché di ogni creatura fedele al Male che avesse incontrato.
Prima che qualcuno potesse fermarlo allungò una mano al fianco, dove teneva un piccolo pugnale per le evenienze, e passò veloce il filo leggero sul braccio più vicino a lui di Elsa. Dalla ferita sgorgò sangue rosso puntellato da gocce della sostanza nera che sostava ancora dietro al cespuglio.
Imprecò. La regina lo guardava spaventata, mentre Anna impallidiva mentre si portava la mano destra alla bocca. Aveva già visto quella sostanza.
Aveva quindici anni. Era successo un giorno prima che i suoi genitori si imbarcassero per il loro ultimo viaggio. Come ogni mattina da quando la sorella le aveva chiuso la porta, si apprestava ad andare a bussare alla sorella, quando aveva visto una figura nera come inchiostro ferma davanti alla porta bianca.
All’inizio si era nascosta dietro una rientranza del muro, ma quando aveva visto una lingua da rospo sorprendentemente lunga uscire dall’animale per entrare nella serratura della porta non era riuscita a resistere. Con una mossa fulminea si era tolta la scarpa e l’aveva lanciata contro quell’essere.
 Era stato uno scatto talmente veloce che il mostro aveva appena fatto in tempo a ritirare la lingua (non perché avesse compiuto il suo dovere, ma perché aveva sentito un rumore sospetto) per poi essere spiaccicato a terra. La giovane Anna allora si era avvicinata e aveva visto.
Il liquido nero uscito dall’essere si era volatilizzato velocemente nell’aria, così riprese la sua scarpetta e si preparò a cantare alla sorella per l’ennesima volta. La voce era così spenta che decise che quella era l’ultima volta che bussava, e così in effetti fu.
-Non può essere – mormorò Anna incredula. Quel liquido scorreva adesso anche in sua sorella.
Jack strappò una striscia dalla maglia che portava e con quella strinse e coprì lo squarcio nel braccio di Elsa, immobile nella paura. Ho delle cose nere nel sangue, pensò raccapricciata.
-Ora dovremo andare da Damio e Josè.
Olaf sembrava intervenire proprio nel momento giusto. Le due sorelle annuirono, poi Elsa fece strada all’arena dove gli aveva diretti.
Ma chi sono Damio e Josè, pensò, forse i bambini da salvare?
Intanto nei suoi ricordi la macchia si risvegliò e allungò un tentacolo verso un altro ricordo. Era pericoloso per il Male che la guidava. È il ricordo più pericoloso di tutti, pensarono le voci. Sopra il ricordo c’era scritto un solo nome di quattro lettere: Anna.
 
Fu Josè il primo a vederli. Stavano giocando con  dei piccoli dadi tratti dall’aria da Damio e toccava a lui a lanciare, quando vide avvicinarsi delle figure a lui ben note. Subito si alzò dal polveroso pavimento marmoreo e gli corse incontro, gridando:
-Sono loro! Ci hanno trovati, ci hanno trovati!
Anche Damio si alzò in piedi, ma non si avvicinò alle figure. Aspettò che fosse il fratello a portarli nel punto in cui si erano accampati. Sentiva che c’era qualcosa che non andava.
Come se sentisse che Elsa fosse diversa. La regina stava distaccata da tutti, la ciocca grigia nascosta tra i capelli chiari e gli occhi che guardavano i bei disegni del pavimento (o almeno, quello che si poteva scorgere attraverso la polvere e gli anni di abbandono). Anna, Olaf e Kristoff sembravano indubbiamente troppo allegri per un viaggio di recupero come quello, Damio lo sapeva, e perdipiù non aveva mai visto sua mamma così seria.
Anche Jack, nonostante in altre circostante si sarebbe unito all’allegria generale, restava muto, e il suo sguardo andava dalla regina a Josè e viceversa. Sembrava preoccupato. Ad un tratto il sorriso di Anna si disfò e la sua espressione falsa di qualche secondo prima si dissolse in una maschera di stanchezza e tristezza.
-Vogliamo prendere in giro due bambini che ne sanno molto più di noi? Smettiamola.
Josè smise di ridere e Olaf di strapazzarlo. Anna si mise accanto alla sorella maggiore, che sembrava avere vergogna di alzare gli occhi verso qualsiasi essere umano. Intanto la macchia era intenta a tessere la sua bava nera attorno al ricordo di Anna.
Il tempo che la principessa finiva di raccontare la storia ai due bambini, che Elsa aveva dimenticato tutto della figura che ora le aveva avvolto un braccio intorno alle spalle. Alzò gli occhi verso di lei, e alla ragazza morirono le ultime parole sulle labbra. Il rosso andava facendosi strada negli occhi di Elsa sempre più.
-Chi sei tu? – chiese alla sconosciuta con le trecce che la guardava paralizzata.
Intanto la luce del giorno andava spegnendosi lentamente nell’arancione del tramonto.
Una risata ben nota ai bambini emerse da dietro una delle poche colonne ancora in piedi, e presto da questa spuntò anche un viso familiare.
-La donna!- urlò Damio indietreggiando spaventato. La strega si smaterializzò e riapparve a pochi metro dal gruppo.
-Bravo nanerottolo. Hai indovinato.
Istintivamente, Anna scivolò davanti alla sorella. Era quasi sicura che la donna che aveva di fronte aveva qualcosa a che fare con Elsa. Le dava una sensazione di… sbagliato.
-Non farai del male a mia sorella. Non di nuovo.
La strega scoppiò a ridere.
-Tesoro, io non sto facendo del male alla sua sorellina. Si sta facendo male da sola. O meglio, bene da sola.
-Che cosa vorresti dire?
La donna avanzò verso Anna finché non le fu a pochi centimetri dal naso.
-Lei sta solo decidendo da che parte stare.
Come a conferma della frase, negli occhi di Elsa baluginò una luce sinistra. Damio ritrovò a quella vista tutto il coraggio che aveva perso durante l’ultimo scontro (e avvertì anche la dose leggera che gli aveva donato l’antica dea) e con un balzo raggiunse la strega e la fece cadere nella polvere.
Elsa guardava tutto questo senza reagire. Jack scomparve nella foresta a cercare delle erbe ben specifiche. Infatti gli pareva di aver sentito, in un momento del suo lungo passato, una leggenda su delle piante che potessero estrarre il male dalle persone. Ahimè, non poteva sapere che così facendo si modificava il cuore di quella persona per sempre!
La strega intanto lanciò un globo di nero al bambino, e quello fu parato da Damio con una lancia ghiacciata lanciata al momento giusto. Fu così che iniziò la lotta, ma questa volta con l’aggiunta di Kristoff e di Anna che lottavano con tutte le loro forze contro le ombre che la strega attirava a sé dalla terra.
 
Affondo, virata, attacco. Espèra trafisse l’ultimo dei suoi carcerieri con un colpo all’addome, poi volò via più veloce che poteva da quel luogo infernale. Le ali di una fata potevano sembrare molto fragili eppure erano dotate di una forza straordinaria.
Vide finalmente il tunnel di cui gli aveva parlato l’uomo che la teneva prigioniera, lo imboccò e finalmente uscì alla luce del sole morente. Dovette arrampicarsi sulle radici sporgenti nell’ultimo pezzo per via delle dimensioni ridotte, ma uscì.
Alberi. La prima cosa che vide dopo sette anni di buio erano alberi. Tantissime piante di ulivo (com’era bello riconoscerle anche dopo tanto tempo) sfociavano dal terreno forti e impassibili, cariche di frutti. A giudicare dai frutti dovremmo essere in autunno, ma non vedo foglie colorate a testimoniarlo, pensò mentre si rimboccava le maniche della tunica col cappuccio che aveva rubato per evadere dalla sua prigione. A meno che…
Fece un giro intorno a sé stessa per avere la panoramica della zona.
-Mio Dio… - sussurrò incredula. Aveva cercato quell’arena per anni prima che venisse rapita, e adesso era proprio davanti a lei. L’arena del Pendolo si innalzava davanti a lei, immensa nel suo antico marmo, bellissima anche dopo tanti anni di abbandono.
Felice annusò l’aria e, come si aspettava, sentì l’odore della primavera.
- C’è solo un posto al mondo in cui gli olivi fruttano tutto l’anno. Qui.
Esaltata dall’ebbrezza della nuova libertà e della scoperta derivata da essa annusò l’aria di nuovo. Le fate sono creature estremamente sensibili agli odori, e anche Espèra non era da meno.
Avvertì intorno a sé l’odore forte della magia. Magia potente, magia che sapeva di conoscere bene ma che non afferrava. Scoprì continuando ad annusare che proveniva dall’arena davanti a sé, così nascose le ali sotto la tunica e si incamminò verso i grossi massi da spostare. Riuscì a fare due passi, poi venne letteralmente travolta da un giovane ragazzo argentato (fu la sua prima impressione) che correva in tutta velocità verso l’arena con delle erbe in mano. Il cappuccio le cadde all’indietro. Per la fata non fu difficile riconoscerlo.
-Jack? Che ci fai qui in primavera?
Il ragazzo sembrò spaesato, poi azzardò un nome.
-Sei la fata dei dentini? – chiese alla ragazza dai capelli gialli come il grano davanti a lui.
Lei scoppiò a ridere di gusto (la sua risata ricordava quasi quella della strega, ma non dava i brividi che l’altra procurava) e quasi soffocò.
-No! Io.. io non sono una fata. – mentì lei. Non era di certo la “fata dei dentini”: era una semplice creatura magica che si era trasferita in quella terra anni prima, ma per il meglio desiderava nascondere la sua identità a tutti.
Jack la aiutò a rialzarsi, poi con rammarico indicò le piante che aveva colto.
-Servivano per curare una persona molto speciale, ma ora tutte rovinate così non servono a nulla.
Espèra sorrise: un sorriso caldo, capace di sciogliere anche il più tenero tra i giganti. Prese la mano libera di Jack e con un’abile gesto creò dall’aria alcuni esemplari perfettamente integri della pianta che voleva il ragazzo. Jack lasciò cadere le piante malmesse a terra e strinse le fresche nel pugno.
-Non so come ringraziarti. Come hai fatto?
La ragazza si rimise il cappuccio e non rispose. semplicemente si incominciò ad arrampicare nelle rocce più basse, per poi fare a Jack segno di seguirlo.
 
Kristoff era gravemente ferito. La luce morente del sole lanciava ombre incredibili sul suo volto segnato dalla sofferenza. Anna stava inesorabilmente per ricevere la stessa sorte: la donna con cui combatteva per proteggere i bambini aveva i poteri magici, e nonostante lei facesse di tutto per bloccarli e i suoi due nipoti facessero di tutto per deviarli, si sentiva sempre più stanca. La spada creata da Damio diventava sempre più pesante nelle sue mani, mentre invece la strega non dava minimi segni di stanchezza. Poi ci fu l’attimo.
Un riflesso del sole che si riflette nell’occhio, ed eccola a terra, la lama scura della spada nemica puntata verso di sé e la sua lontana, troppo lontana per essere presa. Questa volta la donna non si fece prendere dai monologhi da cattivo. Preparò il colpo finale.
 
La nube nera che avvolgeva i suoi ricordi si dissolse completamente adesso. Sua sorella era in pericolo di vita. Ricordò in un’ istante il gesto che Anna aveva fatto per lei tanti anni prima, quella spada che  non  aveva mai raggiunto il suo obiettivo, e in quell’istante nei suoi occhi sparì completamente il rosso che sembrava volerla divorare.
-No!
Elsa non raggiunse mai la spada. Una grossa scheggia di ghiaccio si creò dal suo palmo e si andò ad unire con quella più piccola creata da Josè, creando una barriera contro cui la spada nera si frantumò al tocco. Anna intanto stringeva gli occhi attendendo la morte che non arrivò mai. Quando finalmente aprì gli occhi, vide Elsa che la guardava raggiante e benevola. Nei suoi occhi non c’era più traccia di rosso.
-Avevi ragione. Non tutte le regine sono cattive.
Lacrime di gioia e di vita splenderono nel viso di Anna, che abbracciò forte la sorella ridendo e piangendo nello stesso momento.
La strega bestemmiò contro la protettrice dell’arena a quella vista e lanciò un dardo di nero verso Damio che lo schivò senza problemi. Nella foga del momento, il bambino creò delle grosse saette di luce che viaggiarono dritte verso la strega, che restò immobile. Fu colpita di striscio alla guancia. Gocce di sangue nero le si riversarono dalla ferita superficiale.
-Tu. Mi. Hai. Colpito. – ringhiò rivolta a Damio. Il bambino mostrò i denti, e la donna ghignò nella sua direzione.
-La battaglia non è ancora incominciata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







Ciao a tutti. Come avrete intuito, i pensieri scritti in corsivo sono malevoli, mentre quelli scritti nel carattere normale sono l’opposto. Ringrazio ancora tutti quelli che seguono questa storia dal profondo del mio cuore, e vi annuncio che il prossimo sarà l’ultimo capitolo. No, non c’entra nulla Pitch o la fatina dei denti o altri personaggi de “le 5 leggende”, quindi non fatevi illusioni (l’unico personaggio tratto da quel film è Jack Frost)
L’ultimo capitolo sarà veramente… difficile da scrivere, quindi dubito che uscirà tra quattro giorni, ma piuttosto appena sarà finito sarà dura riprendersi dalla batosta.
Ci vediamo al prossimo e ultimo capitolo!
;)

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Capitolo 16
*** Non mi vedrai mai più piangere- Epilogo ***


Elsa si staccò dall’abbraccio della sorella appena sentì il sibilo di una freccia diretta verso Josè. Il bambino la schivò abilmente, ma la regina non riusciva a sentirsi tranquilla. Intanto le ombre andavano moltiplicandosi con il diminuire della luce. Con un grido di sforzo lanciò una lancia di ghiaccio contro quella più vicina a lei; l’ombra cadde e si dissolse nell’aria.
-Forza Anna, dobbiamo aiutarli.
La sorella minore si alzò di scatto e di conseguenza un piccolo capogiro si fece strada nella sua testa. Subito Elsa trasse dall’aria due spade di ghiaccio e lanciò la seconda ad Anna, ancora intenta a cercare di vedere dritto. Fatto questo, si gettarono tra le ombre. Era un combattimento impari: infatti le figure di buio si moltiplicavano sempre più, tanto che ben presto tutta l’arena ne fu piena, mentre gli unici a combatterle erano una regina, una principessa e due bambini sotto i dieci anni intenti a schivare anche i colpi mortali della strega.
Sembrava non ci fossero speranze.
Espèra era intenta ad osservare la scena a bocca aperta. Sembrava veramente la fine di tutto quello che conosceva e aveva sempre conosciuto: ai suoi occhi, quella era una battaglia tra una Strega e una Maga, anche se quell’ipotesi non spiegava i bambini e le due donne. Magari è una Strega talmente potente che una sola Maga non basta a sconfiggerla, pensò in un piccolo angolo della sua mente. Ma c’era qualcosa che escludeva totalmente questa ipotesi, e questa cosa era la quantità abnorme di magia che aleggiava nell’aria. Poteva riconoscere almeno tre tipi di quella magia, tra cui una a lei sconosciuta, una che conosceva fin troppo bene e l’altra… l’altra era strana. Non riusciva a capirla.
-La persona da salvare è la in mezzo – disse Jack riportandola alla realtà, -anche se sembra aver ritrovato il senno anche da sola.
La fata chiese chiarimenti, e il ragazzo dai capelli d’argento le indicò la regina. Per poco Espèra non scoppiò a ridere.
-Tu volevi salvare una Maga con un’ intruglio di erbe?
Jack la guardò interrogativo. Quella ragazza che sembrava tanto interessata all’arena si rivelava piuttosto strana per essere una “normale persona comune” come si era definita.
-Non ho mai detto che è una Maga, e infatti non lo è.
La fata corrugò la fronte incerta. Ma allora…
-Non so se noti, ma sta usando la magia. Si vede anche da qui perfettamente. È… ghiaccio. Sta usando ghiaccio. Ma perché? Non lo sa che la miglior cosa contro una strega è un fiore?
Sentì la punta da qualcosa di duro e appuntito premergli sotto la gola. Jack la guardava con occhi duri e indagatori, mentre con la mano destra stringeva il manico del suo pugnale, ora puntato al collo della ragazza.
-Dimmi chi sei. Basta giochetti sul “sono normale sei tu strano”. Sei amica  o nemica?
Espèra deglutì sonoramente. Non le piaceva il contatto della sua pelle contro il metallo freddo (reso ancora più gelato dal tocco di Jack) ma allo stesso tempo non voleva spargere ai quattro venti la sua vera identità. Ringraziò il cielo di non avergli detto il suo nome. Sentì con orrore il pugnale premere nella sua gola. Una solitaria goccia di sangue trasparente si allungò nella lama del pugnale.
-Allora? – ringhiò Jack.
Sapeva che non poteva dirglielo: lui non avrebbe capito, come non aveva mai capito nessuno al di fuori di lei. Spinse il ragazzo all’indietro con una forza straordinaria, poi scappò via verso l’arena, arrampicandosi nelle ultime pietre, mentre dietro di lei Jack gridava con il pugnale ancora in pugno: - Non ti permetterò di farle del male!
Quando raggiunse il bordo più esterno dell’arena era ansante. Davvero quel ragazzo pensava che fosse capace di far del male a qualcuno? Illuso. Un’ ombra dagli occhi rossi le sbarrava il passaggio per arrivare al posto in cui le altre figure combattevano eroicamente, così con uno schiocco delle dita la fece sparire nel nulla, come se non fosse mai esistita. Avanzava lenta ma decisa.
Elsa combatteva a fianco di Damio e allontanava le ombre a suon di lance di ghiaccio e mostri di neve, mentre il bambino era impegnato ad attaccare la strega davanti a lui. Sembrava ancora in perfetta forma. Stupido pidocchio, credevi veramente che sarei stata sola? Ho il Male dalla mia parte. La ferita della guancia si era ormai cicatrizzata del tutto, ma perfino nella scarsa luce della notte appena scesa si poteva notare che la sua pelle aveva assunto un colore grigiastro, assumendo una consistenza squamosa. Alla donna non dispiaceva: la faceva sentire sempre più vicina al suo scopo. La nube che uscì dai suoi palmi questa volta si trasformò in un lungo tritone nero con cui si scagliò addosso al bambino. Damio preferì creare dall’aria un meraviglioso scudo candido, che fece sparire subito dopo che questo aveva adempito al suo compito. Il tritone andò in mille pezzi.
La strega imprecò aspramente contro tutti i presenti in quell’arena, poi con un ringhio che non aveva nulla di umano richiamò a sé tutto il suo potere. Anche le ombra si fermarono un attimo per guardare meravigliate la metamorfosi che avveniva nella donna dai capelli corvini. I suoi occhi divennero enormi e infuocati della luce rossa che sprigionavano, mentre il vestito malmesso divenne un tutt’uno con il corpo, tramutandosi in una folta pelliccia che rivestiva la donna da capo a piedi. Anche i capelli divennero più corti e folti, e la strega aumentò di statura e di massa, diventando infine un mostro di tre metri dagli occhi lucenti e le zanne nere delle carie. Per poco Anna non svenne a quella vista.
Un’ombra si accorse della distrazione della principessa e con un balzo fulmineo riuscì a morderla. Tre dita della sua mano sinistra volarono via, mentre il mostro si apprestava al suo secondo morso. Anna lo vide e fulminea schiacciò i pugni sanguinanti nel globo evanescente che aveva per testa, ma era troppo tardi. Barcollante dal dolore, si trascinò fino a Kristoff, dove finalmente si lasciò cadere a terra esausta. L’ombra le aveva spezzato di netto la caviglia.
La regina assistette a quella scena da lontano, e subito vide rosso. Raggomitolò la parte superiore del corpo (come aveva già fatto tanti anni prima, quando l’unica vittima era stata sua sorella)e, in uno slancio di rabbia, gridò. Mille scaglie di ghiaccio volarono tutt’attorno a lei, colpendo tutte le ombre presenti e dissolvendole nell’aria fresca di quella sera. Era stata attenta a risparmiare dai proiettili congelati le zone in cui si trovavano Damio e Josè, mentre Anna e Kristoff erano al sicuro rifugiati dietro ad un cespuglio di more. I frutti della pianta erano grandi e succosi come le olive del bosco che circondava quell’arena.
Appena la polvere di ghiaccio si sciolse strinse i pugni rabbiosa. La strega era ancora lì, ora tornata nelle sembianze della ragazza dai capelli neri, e la guardava con una furia cieca da dietro un liquido scudo nero che teneva in vita con i palmi rivolti davanti a sé.
-Hai mai sentito la frase : tento il freddo non mi ha mai dato fastidio?
Elsa spalancò gli occhi dallo stupore. Ricordava di essere completamente sola quando aveva sussurrato quella frase alla montagna. La strega restava ansante e immobile, un’ ascia scura in pugno che le accarezzava il fianco. Forse c’era ancora speranza che cambiasse idea.
-Noi sappiamo tutto di te. Possiamo essere una famiglia. Una grande famiglia di regine vendicative e di ragazze sottovalutate. Che ne pensi? Non è fantastico?
Non rispose. Damio preparò una sfera di luce tra le piccole mani, pronti a scagliarla in caso di attacco da parte della strega a sua mamma. La donna stava perdendo la pazienza. Aveva finto fin troppo di fare la buona. Lanciò una piccola sfera di inchiostro, che andò a schiantarsi a pochi centimetri dai piedi della regina. Damio non intervenne.
-Allora? Non mi piacciono le persone silenziose. Parla!
Elsa continuò nel suo silenzio. Non poteva lasciare i suoi bambini in preda ad una strega affamata che non vedeva l’ora di ammazzarli. Avrebbe dato la sua vita per loro. Se era quello il prezzo per la felicità di Damio e Josè voleva pagarlo lei, e voleva pagarlo fino all’ultimo centesimo. La strega preparò un’altra sfera di nero, questa molto più grande della precedente e molto più distruttiva. Voleva far sparire dalla faccia della terra quell’odiosa figura così sicura di sé. Voleva vincere. Intanto Josè aveva incominciato a far fluire di nascosto il suo potere nella sfera di Damio; entrambi sapevano che sarebbe bastato un secondo di ritardo per renderli orfani, e quel secondo sembrava stesse per venire da un momento all’altro. Elsa chiuse gli occhi lentamente. Non provò nemmeno a spostarsi. Era giunta l'ora di mettere fine all'inverno che la dominava.
-Questa è la tua ultima possibilità, - urlò al donna, - Unisciti a noi e avrai salva la vita.
Una lacrima calda scese dall’occhio sinistro della regina. A contatto con la pelle fredda del suo viso si solidificò, poi cadde nel pavimento crepato con un rumore di cristallo che rimbombò dappertutto nel silenzio dell’arena. Jack a quel suono cominciò a correre a perdifiato. Aveva intuito cosa stava per fare la regina. Nella sua mente si susseguivano troppo veloci pensieri sconnessi sul fatto che nonostante la sua immortalità, poteva essere ucciso se l'azione era dettata da una creatura appartenente al Male. Con la sua morte sarebbe morta una stagione, ma lui accantonava quel pensiero in un' angolo recondito della sua mente. Non gli importava se l’inverno non fosse più tornato. Voleva soltanto salvarla.
La sfera della donna seguì i sui palmi posizionandosi sopra la testa dai capelli corvini. I denti neri emersero dalla sua bocca in un ringhio sinistro, facendo trapelare l'enorme soddisfazione donatagli dalla voglia di morire della regina davanti a sè. Prese un leggero slancio all’indietro, poi lanciò la sfera oscura a tutta velocità verso Elsa. Jack aumentò il ritmo della sua corsa già forsennata. Mancavano solo pochi balzi per arrivare davanti alla regina. Non vide niente: sentì solo un grosso bruciore che gli si espandeva dallo stomaco, poi non sentì più nulla. La palla l' aveva colpito in pieno petto pochi secondi prima che colpisse Elsa, ma poi la forza di quel lancio aveva scaraventato il suo corpo all'indietro, colpendo anche la donna che voleva proteggere con il terribile morbo che si era esteso in tutto il suo corpo, rendendo vano il sacrificio.
Appena Damio aveva visto la grossa palla di nero staccarsi dalle mani della donna e puntare dritta verso sua mamma non aveva esitato a lanciare la sua. Con molto dispiacere notò che era molto più piccola di quella della strega, ma sperò che avesse abbastanza potenza per respingerla. La sfera candida si schiantò contro la nera un attimo dopo che l'ultima aveva tolto la vita dei due innamorati. I due bambini avevano aspettato un secondo di troppo, e come dar loro una colpa? Un bambino di sette anni e uno di quattro non possono sapere nulla sul tempismo e sulle leggi basilari della fisica.
I due corpi ricaddero con un tonfo secco sul pavimento di marmo. Lentamente, sotto l'effetto della sfera di Damio e Josè, ghiacciarono in un maestoso complesso che avrebbe tolto il fiato perfino al migliore degli scultori. Il nero restò ghiacciato all'interno dei loro cuori.
Anna si sporse per un secondo dal cespuglio che la proteggeva e ,alla vista della sorella tanto amata ormai definitivamente congelata e irrimediabilmente morta non riuscì più a respirare, il suo cuore perse un battito e le lacrime che avrebbero dovuto scendere copiose sulle sue guance si bloccarono irrimediabilmente all'interno dei suoi occhi.
Olaf, che per tutto il tempo era rimasto nascosto dietro una pietra sotto consiglio di Kristoff, svanì in uno sbuffo di neve candida.
Sembrava che fosse la fine. La fine della battaglia, la fine di tutto, la vincita della Distruzione.
Damio fissava impietrito il viso congelato della mamma, destinato per sempre a rimanere con la stessa espressione sorpresa e triste. La donna, invece, rideva di gusto.
-Alla fine sono sempre i migliori che se ne vanno. I migliori pappamolli! Pensa, piccolo Damio, e anche tu, Josè: se vostra mamma avesse scelto di venire dalla nostra parte, a quest'ora sarebbe viva, e sarebbe vivo anche quello spirito che vi ha fatto da padre per tutti questi anni. Era destinata a passare a noi tanti anni fa, quando inviammo Hans per farle odiare tutto quello che aveva, per farla diventare una normalissima regina cattiva; lei riuscì a scamparla grazie alla sorella, ma adesso Anna è irrimediabilmente ferita, come il suo adorato spaccaghiaccio che la stringe tanto affettuoso tra le sue braccia.
Josè aveva le lacrime agli occhi. Sarebbero rimasti completamente soli, sia lui che Damio, se fossero morti anche i loro unici zii. Sentì una sensazione sconosciuta ribollirgli nelle vene.
-Voi potete rimediare all'errore di vostra madre; basta che venite con me. Passate dall'altra parte, piccoli, e vedrete che non vi interesserà più nulla di nessun' altro che non sia voi stessi. Potrete lasciarlo andare.
Le ultime parole le uscirono dalla bocca lente e strascicate. I due bambini, che avevano sentito la storia della mamma migliaia di volte, rabbrividirono. Erano le due parole che avevano segnato la vita di Elsa.
-Ci prometti che zio e zia saranno vivi?- chiese il più piccolo avanzando di un passo. La strega rise di gusto a quella domanda, incurante dello sguardo truce dei bambini davanti a sé.
-Non vi posso promettere niente. Dipende tutto da voi.
Damio sentì un potere enorme riversarsi in ogni cellula del suo corpo, alimentato dalla rabbia e dalla disperazione che cercava di tenere dentro. Bastò solo allungare il braccio: dal palmo apparve una spada dall'elsa bianca. Era molto più affilata delle precedenti da lui create. Con un grido di battaglia, si gettò contro la donna che lo osservava divertita. Era ormai consapevole dell'enorme potere che aveva dentro: la Distruzione. Sbarazzarsi di quel nanerottolo che le correva incontro sarebbe stato un gioco da ragazzi. Mentre la donna aspettava il momento giusto per attaccare Damio, Josè fece apparire nel suo pugno una lancia di ghiaccio, che lanciò in direzione della strega distratta. La lancia colpì al fianco la donna, che si piegò immediatamente in due in preda al dolore. Dalla sua bocca usciva liquido nero. Damio completò la sua corsa, e la donna fu colpita anche alla spalla. Il suo sangue scuro incominciò a emergere a fiotti dalle due ferite. Incurante del dolore procuratogli dalla spada e dalla lancia la donna prese a scagliare una serie di piccole lance buie in direzione dei bambini. Nessuna di queste colpì i bersagli.
 
Espèra raggiunse il bordo estremo dell'arena giusto i tempo per vedere i corpi esanimi di Elsa e Jack congelarsi. Mentre la strega parlava ai due bambini aveva sentito un rantolo da sotto i suoi piedi, così si era chinata e aveva visto gli ormai moribondi Anna e Kristoff cercare di comunicare con lei. Espèra, senza esitazioni, aveva curato le gravi ferite che laceravano i loro corpi (la magia di una fata ha questo potere), poi aveva chiesto loro i nomi e il perché sul come mai si trovavano in quel luogo pericoloso.
-Sono sicura che la chiave sia Damio. È incominciato tutto quando lo trovammo, io ed Elsa, davanti al portone esterno del castello. Dopo qualche anno abbiamo scoperto che controllava una strana magia...
Qui la fata aveva fermato Anna ed era corsa ad aiutare i bambini.
 
Una figura incappucciata emerse dall'oscurità della notte. Era stata lei a fermare i dardi neri rivolti a Damio e a Josè. La donna non la conosceva, ma era quasi sicura che volesse ostacolare la morte di quei due mostriciattoli contro cui combatteva ormai da ore.
-Chi sei?-le chiese soltanto. La figura si limitò a lanciare un' oggetto appuntito nella sua direzione. La strega sibilò quando la freccia candida le sfiorò la guancia destra, facendone uscire un leggero filo di sangue. Intanto le ferite precedenti avevano smesso di sanguinare  e incominciato a rimarginarsi. Una lancia nera si materializzò nella mano della donna, mentre la figura incappucciata creò nel suo palmo un' arco d'argento. Le frecce erano candide come la neve e decorate da leggere piume di cigno.
La lancia scura vibrò nell'aria ferma nell'esatto momento in cui una freccia bianca venne scoccata dall'arco argentato, ma nessuna delle due armi colpì o sfiorò un' essere umano.
Caddero nel pavimento polveroso, andando in frantumi al tocco.
La strega incominciava a sentire una leggera stanchezza. Fece un sorrisetto forzato, poi creò un piccolo globo scuro che lanciò contro la figura incappucciata (che altro non era che Espèra), che fu veloce a scansarlo ed a contrattaccare con un’altra freccia bianca. La donna dai capelli corvini era troppo stanca: non riuscì a scansarsi in tempo e la freccia le si incastrò nella spalla, tra l’osso e il tendine. Non un lamento uscì dalla sua bocca serrata in quell’odioso sorriso. Si strappò la freccia dalla spalla e la buttò per terra, ignara che la ferita provocata aveva i bordi bruciati e fumanti.
-Sei un’ osso duro – disse la strega mentre incominciava a sentire un leggero pizzicore nel punto in cui la freccia l’aveva colpita. L’ incappucciata fece sparire l’arco dalle sue mani.
-Me lo dicono in tanti. – ribatté. A Damio sembrò di riconoscere la voce della figura che li stava aiutando.
-La freccia che ti ha colpito conteneva un veleno molto potente, - continuò,
-Non vivrai a lungo. Non c’è più bisogno di combattere.
La donna rimase zitta. Sapeva che la persona che si nascondeva sotto il cappuccio aveva ragione; lo poteva sentire nell’inflessione della voce, così segretamente soddisfatta e orgogliosa. Il bruciore alla spalla scoppiò tremendo e la costrinse a premere la ferita soffocando un grido di dolore. Non voleva dare quella soddisfazione alla sua avversaria.
-Ho ammazzato tutta la loro famiglia, tesoro. Mi basta.
La donna cercava di non dare a vedere che il dolore le diventava insopportabile, ma la voce aveva incominciato a tremarle. Decise di non parlare più.
-Non esattamente, strega.
La donna vide stupefatta la principessa schierata in prima linea con una lunga spada di bronzo in mano. Nei suoi occhi balenava la luce del dolore.
-Non ti perdonerò mai per ciò che hai fatto a mia sorella. – disse atona saggiando la spada.
Con mossa calcolata avanzò di qualche passo verso la strega e le fece assaggiare il bronzo sul fianco. Il dolore fu immenso.
Non devo sentire dolore, io devo sconfiggerli.
Sentì una voce solitaria vagargli per la testa come non ricordava essergli mai successo.
(hai fallito devi morire devi morire hai fallito)
sentì le forze che le diventavano sempre più deboli. Le ginocchia le scivolarono a terra, e lei ricordò una cosa che tanto tempo prima aveva dimenticato.
Il suo nome era Celia.
L’aveva dimenticato a causa delle voci sempre più forti che avevano incominciato ad invaderle la testa, l’avevano torturata finché non era scappata di casa col suo abito migliore. Ricordava quando, un tempo, era solo una ragazza dai capelli neri e dagli occhi castani che faceva sparire qualche oggetto ogni tanto, niente di più.
Ricordava quando, vagando nel bosco oltre il suo villaggio, aveva dimenticato le ultime cose che sapeva di sé. Le voci l’avevano costretta a vedere tutto in una cattiva luce.
Le avevano fatto dimenticare quando i fratelli le portavano i dolci delle feste a cui non poteva andare; quando suo padre le leggeva le fiabe facendola sedere sopra le ginocchia. Ricordava anche lo schiaffo che le aveva dato la madre quando aveva solo tre anni e aveva fatto sparire un’intera bancarella. L’aveva fatto per scena, perché quando la mamma tornò a casa pianse amare lacrime e si fece perdonare con un’ abbraccio.
Il sangue che sgorgava dalle ferite era sempre più rosso, i suoi occhi che tornavano al loro colore naturale.
-Mi sono fatta abbindolare dalle voci- sussurrò lentamente inorridita. Guardò verso la figura incappucciata e verso i due bambini che la fissavano con gli occhi sgranati, poi disse solo una parola prima di svenire:
-Aiuto.
Damio si avvicinò subito alla donna rivolta a terra e, con un potere che non sapeva ancora di possedere, le curò le ferite e la guardò mentre il suo respiro accelerava e la sua pelle tornava rosea.
Anche Josè si avvicinò lentamente. Senza quel piccolo bambino di quattro anni, quante volte Damio sarebbe morto! La donna aprì gli occhi e la prima cosa che disse fu il suo nome riscoperto.
-Celia. Mi chiamo Celia. E sono la Distruzione, ma la distruzione non è sempre cattiva.
Sorrise a Josè, che la ricambiò tranquillo. Non era più un pericolo.
-Cosa vorresti fare adesso che non vuoi più uccidermi? – domandò Damio (segretamente pronto a lanciare qualsiasi cosa al minimo segno di pericolo).
Celia lo guardò con morbidi occhi castani e si rialzò in piedi.
-Vorrei solamente tornare a casa, dalla mia famiglia. E prometto che non mi farò più abbindolare dalle voci!
Kristoff, Damio e Josè la guardarono interrogativi, mentre Anna apprensiva le sorrideva; aveva visto gli effetti che quelle dannate avevano fatto su Elsa.
Celia ringraziò tutti per averla aiutata a riprendere il controllo di sé e particolarmente Damio per averle risparmiato la morte a causa delle ferite, poi si avviò lontano. Tutti notarono che il vestito che indossava da tanti anni si era vistosamente scolorito.
 
Dopo che anche l’ombra di Celia fu invisibile successero tante cose. Anna quasi stritolò i due bambini dalla felicità, mentre Espèra ancora incappucciata guardava la scena da lontano, sapendo di non poter ancora seguire l’esempio della principessa. Kristoff poi omaggiò la sua sposa di un lungo e dolce bacio.
-Credevo seriamente che l’ultima cosa che avrei visto sarebbe stata un cespuglio di more- confidò ad Anna.
-Anche io! Aspetta… ma dov’è Olaf?
Nell’arena scese il silenzio per la seconda volta, anche se tutt’intorno gli uccelli notturni intonavano il loro lugubre canto per la prima volta da quando era apparsa la strega.
Una tacita risposta era contenuta negli occhi di tutti. Olaf era svanito nel nulla, volatilizzato a causa della morte della sua datrice di vita.
Fu allora che Josè ed Anna scoppiarono a piangere. Espèra decise di aiutarli: prese alcuni grossi rami secchi e accese un grosso fuoco per scaldare gli  animi e far sciogliere i due corpi congelati che tutti piangevano. Non ci fu bisogno di fare la guardia per nessuno, così tutti dormirono attorno al fuoco, aspettando l’alba che non sarebbe tardata ad arrivare.
Un ciuffo biondo grano uscì da sotto il grosso cappuccio della donna mentre dormiva.
La mattina dopo si accorsero che i corpi di Elsa e Jack si erano sciolti sotto il calore del fuoco, ma non si erano altrettanto liberati i loro cuori dalla pestilenza nera che li aveva dati la morte.
-Damio, puoi resuscitarli?
La domanda di Josè era arrivata dritta al cuore del fratello e la scintilla si riaccese negli occhi di tutti. Solo la donna continuò a guardare la terra davanti a sé.
-Solo una persona che condivide lo stesso sangue con entrambi può farlo, e da quanto ho capito Damio è un trovatello.
Anna e Kristoff le lanciarono uno sguardo furente. Nessuno aveva mai definito il loro nipotino a quel modo, né l'avevano mai considerato tale; per loro era sempre stato il bambino di Elsa. Se se la prese a male per il nome lui non lo diede a vedere. Josè non ci aveva nemmeno fatto caso: stava tutto concentrato a pensare alla soluzione.
-Io però sono figlio di loro due. Quindi ho il loro stesso sangue. Posso resuscitarli!
Il tono gioioso del piccolo riscaldò i cuori di tutti i presenti. Senza indugiare oltre, si avvicinò ai due corpi senza vita e poggiò le mani sul posto dove doveva essere il loro cuore. Chiuse gli occhi e lasciò andare. Lasciò andare il potere ancora acerbo ma potente che gli era sempre scorso nelle vene. Restò inginocchiato in quella posizione per cinque lunghi minuti, poi aprì gli occhi e incominciò a fissare quelli dei suoi genitori, speranzoso di vederli riaprirsi.
Aspettarono col fiato sospeso per pochi secondi soltanto: gli occhi di Jack furono i primi a schiudersi e a mostrare loro il celeste delle iridi. Lo seguì di pochi attimi Elsa.
-Cosa è successo?- chiese il ragazzo dai capelli d'argento. Si sentiva formicolare in tutto il corpo. Damio e Josè lo strinsero in un abbraccio forte, e anche se lui non sapeva ancora il perché di tutta quella intensità, li ricambiò. Elsa ricevette l'abbraccio stritolaossa della sorella minore.
-Per una notte ho creduto di dover diventare regina al posto tuo. - le disse con la voce tremante,
-Non sai quanta paura ho avuto.
Elsa la guardò dolcemente negli occhi, confusa. L'ultima cosa che ricordava era un forte sibilo e il peso di un corpo che la travolgeva e oltre quello i suoi ricordi si tranciavano di netto.
-Sarei grato se qualcuno mi spiegasse il perché su come mai siamo vivi e... dov'è sparita la strega?
Ci vollero venti minuti abbondanti di spiegazioni per metterli al corrente di tutta la storia, e alla fine l'abbraccio fu collettivo.
-Cosa mi sono perso?
Olaf aveva fatto ritorno da dietro la pietra e, stranamente, non ci fu bisogno di spiegazioni: aveva ascoltato tutto per poi fare l'entrata in scena a sorpresa. Si era ricomposto appena il cuore della regina aveva ripreso a battere, e appena il giro di sangue nuovo si era ristabilito nel corpo della sua creatrice, il pupazzo di neve era ormai di nuovo in grado di pensare.
-Credo che per adesso i pericoli siano finiti. Che ne dite di tornare tutti al castello?
-Aspettate!
Sette paia di occhi fissarono la figura incappucciata. Non aveva parlato da quando Josè si era avvicinato ai corpi ancora morti dei genitori.
-C'è una cosa che dovete sapere.
Si sedette comoda in una pietra sporgente dell'arena e tutti seguirono il suo esempio. Espèra sospirò tremante. Sarebbero state le uniche persone a cui avrebbe rivelato la sua vera identità.
-Il mio nome è Espèra, e otto anni fa scappai dal mondo a cui appartenevo. Sapevo che la mia fuga sarebbe stata molto discussa per via del mio stato, ma in quel momento la mia unica volontà era di cercare una prova di quello che fin da piccola mi era stato negato. Quando arrivai nella terraferma capì che il bambino che portavo era ormai prossimo alla nascita, e infatti poche ore dopo nacque la creature più dolce che avessi mai visto. Mi somigliava molto: aveva i miei stessi occhi e i capelli biondi come il grano. Mentre lo guardavo un'Ombra mi afferrò la caviglia e mi costrinse a seguirla, ma per fortuna riuscì a fare un' incantesimo sul piccolo che lo avrebbe portato davanti alla casa delle persone che se ne sarebbero prese cura con amore e attenzione. Non gli diedi un nome, ma nell'istante in cui entrai dentro le viscere del terreno seppi che lo avei rivisto. Così è stato: non nelle circostanze che credevo, ma in una migliore. La famiglia che l'ha preso con sé gli vuole molto bene e io sono mortalmente sicura di non poter strappare un bambino alla sua mamma. Lasciate almeno che lo abbracci un’unica volta, vi prego.
Espèra si portò le mani tremanti ai bordi del cappuccio che le nascondeva il volto e lo fece lentamente discendere nelle sue spalle. Due occhi celesti e fieri si mostrarono alla luce. Il viso era sottile e contornato da morbidi capelli biondi e lisci molto simili a quelli di Damio, mentre due leggere ali fecero capolino dalle pieghe della tunica bruna che ancora indossava.
Elsa strinse le labbra finché non le diventarono esangui. Aveva sempre immaginato che Damio fosse stato abbandonato da una donna senza scrupoli poche ore dopo la sua nascita, magari perché frutto di un rapporto non consensuale, e sapere che in tutti quegli anni non aveva fatto che ingannarsi la faceva sentire male. Il bambino che sette anni prima aveva accolto a palazzo ora le si stringeva contro senza mostrare segno di voler abbracciare Espèra. Con un gesto lento Elsa passò il braccio sulle spalle di Damio, come per proteggerlo.
-Dimostra che sei la madre di sangue di questo bambino. Solo allora ti permetterò di abbracciarlo.
Le parole della regina erano state gelide e terribili. Non voleva rischiare che la donna dalle ali diafane le portasse via il suo primogenito, il suo legittimo erede al trono, e temeva che Damio potesse scegliere di vivere con la sua mamma naturale. Damio è un bambino giudizioso, pensò nell’ unico angolino libero della sua mente dall’istinto materno, saprà fare la scelta giusta.
La fata non si sorprese della sfida che le proponeva Elsa: si era aspettata una reazione simile, ma la voglia di vedere il piccolo che non aveva potuto allevare si era fatta troppo intensa per lasciarlo andare così, ignaro delle sue origini. Incrociò lo sguardo ostile della regina che teneva stretto il suo bambino. Alzò il palmo destro verso l’alto, poi con un piccolo colpo della mano verso su fece apparire una piccola farfalla variopinta. La piccola si guardò intorno per qualche secondo prima di spiccare il suo primo volo come creature dotata di vita. Dense nuvole oscurarono il cielo sopra l’arena. Damio aveva azzardato pochi passi timidi verso Espèra, che aveva aperto le braccia con un piccolo sorriso disegnato in volto. Davanti a quell’espressione così sincera non poté resistere. Corse verso la fata, che lo strinse in un’ abbraccio caldo, poi scoppiò a piangere nel suo petto.
Anna e Kristoff sorrisero. Elsa rimase impassibile, immobile per evitare che il ghiaccio o la neve potessero turbare quel momento di riunione familiare. Le nuvole scure sopra di lei la tradivano.
-Se vuoi puoi venire con noi a palazzo.
Elsa tremava. Voleva tenersi stretto Damio e voleva la sua felicità e pensò così che quella sarebbe stata la soluzione migliore. Mettendo a nudo tutti i suoi timori, la fata declinò l’offerta.
-Mi dispiace, ma devo tornare nel mio regno. Sono mancata tanti anni e poi tutti vorranno conoscere Damio! Sempre se tu vuoi venire nel mondo a cui appartieni, s’intende.
Il cuore di Elsa perse un battito. Anna se ne accorse, e subito si strinse intorno alla sorella maggiore, cercando di donargli quel po’ di calore sufficiente a non congelare tutto. Dalle nuvole incominciarono a fiorire candidi fiocchi di neve.
Damio, da parte sua, non rispose.
-Scusatemi. Ho appena detto che non volevo rovinare una famiglia, ed ecco che la mia bocca mi tradisce. Non volevo dirlo… beh, in realtà si, ma non in questo modo. Il problema è che ho aspettato tanto chiedendomi che sorte fosse capitata al piccolo che non avevo potuto veder crescere… scusatemi. So di non essere nessuno per lui.
Allontanò dolcemente Damio dalle sue braccia e dall’occhio sinistro le volò leggera una lacrima. Quando toccò il terreno quella piccola goccia si trasformò in un fiore aranciato e visibilmente magico, ma nessuno se ne accorse.
-Questa volta sono io a chiederti di aspettare.- disse a mezza voce il bambino dai capelli di grano. La fata gli rivolse due occhi colmi di speranza.
-Sinceramente devo dirti che non mi sono mai chiesto quali erano le mie origini, anche se mi sono domandato tante volte quella dei miei poteri. Mia mamma –Elsa- è stata bravissima con me fin da quando ricordo. Per quanto riguarda la mia vita… tra diciassette anni verrò incoronato re di Arendelle, ho degli zii che hanno affrontato tanti anni la peggior bufera di neve dalle nostre parti, una mamma che può proteggermi con un solo dito e un papà che vola nel vento e mi racconta un sacco di storie buffe dai regni lontani. Per non parlare di Josè: anche se non è il mio fratello di sangue, lo considero tale e non immaginerei mai una vita senza di lui. Come vedi, non ho nessuna ragione che mi spinge a trasferirmi in un altro mondo.
Espèra rimase per un’ attimo sorpresa dal discorso del bambino di sette anni e qualche mese che conteneva il suo stesso sangue; dopo esplose in un caldo sorriso orgoglioso.
-Sono veramente contenta che tu sia così. Sai, la nostra famiglia è rinomata per i grandi avventurieri a cui ha dato origine e sono portata a credere che nelle tue vene scorre questa bellissima qualità. Spero ci rivedremo presto, Damio, e ti auguro la miglior vita che ci possa essere. Ti vorrò sempre bene.
Ci fu un’ ultimo abbraccio tra madre e figlio, poi Espèra aggiunse:
-Ricorda: io ci sarò sempre. Se hai bisogno di qualcosa non hai che chiedere alla prima stella ad ovest del Piccolo Carro: allora io ti sentirò.
Con queste ultime parole, le ali della fata incominciarono a vibrare veloci e a portarla sempre più su, finché non fu un piccolo puntino chiaro nel cielo ormai limpido.
Damio osservò il puntino finché non lo vide sparire completamente.  Elsa gli si avvicinò e gli posò una mano nella piccola spalla.
-Alla fine hai scelto di tornare ad Arendelle con noi. – chiese Elsa visibilmente sollevata.
Damio girò la testa per incontrare gli occhi della regina che gli voleva tanto bene. Pensò di non averla mai vista così tranquilla.
-Io vi voglio bene. – sussurrò.
Quella stessa sera incominciò il loro lungo ritorno a casa, capitanato dal piccolo Josè che, insieme al papà, controllava la strada dall’alto.
Le prime stelle erano apparse nel cielo ancora rischiarato dai primi raggi del tramonto. Damio, sopra le spalle forzute di Kristoff, guardò in alto, e vide una piccola luce rischiarargli la pelle da lassù.
-Non ti dimenticherò mai, mamma. – sussurrò prima che la sua testa si posasse stanca sopra quella di suo zio.
I grilli intonavano il loro canto nella tarda primavera che si espandeva tutt’intorno a loro.
 
EPILOGO
 
-Re Josè Primo, qualcuno chiede il permesso per entrare a parlare con la Sua persona.
L’uomo sulla quarantina che sedeva al trono si grattò lieve il pizzetto argentato, poi fece un cenno all’annunciatore.
-Fallo entrare pure, Roger.
Il servitore si esibì in un profondo inchino, poi corse a chiamare la persona interessata. Davanti al re si inchinò un’ uomo vestito di pelli brune e una faretra ricolma di frecce che gli mordeva la spalla. I suoi capelli erano biondi come il grano.
-Da quanto tempo, Damio.
L’uomo alzò la testa a cercare gli occhi del re che sedeva davanti a lui. I lunghi capelli gli accarezzavano lievi il collo. Subito si rialzò in piedi, si sistemò la faretra in modo più comodo e lanciò al fratello un’occhiata terribile dai suoi occhi blu chiaro.
-Da quando ho rinunciato al trono per la vita selvaggia. Più o meno… vent’anni fa, se non sbaglio.
Josè si alzò dal trono per andare incontro a Damio. Il mantello che portava, pesante e scarlatto, gli ricordava il peso dell’essere a capo di un regno. Il regno di Arendelle. Dai capelli argentati, tagliati corti, si intravedeva la mole di una corona d’oro massiccio.
-Sei invecchiato –osservò divertito Damio. Il re sbuffò a quella affermazione: non aveva dimenticato il carattere contemporaneamente serio e dolce del fratellastro.
-Non posso dire la stessa cosa, “fata”. Sei identico al giorno in cui, poche ore prima che ti incoronassero, hai detto al popolo che rinunciavi a mio favore al trono. Non sai quanti danni hai procurato alla vita da principe che mi ero programmato.
Damio esplose in una risata leggera, mentre Josè lo guardò bonariamente con i suoi occhi di ghiaccio.
Elsa era morta di un grave malanno due settimane prima l’incoronazione. I funerali erano stati fatti tre giorni dopo, suntuosi e regali come tutti si aspettavano. Anna e i suoi figli maggiori (due dei sei che la natura le aveva dispensato) avevano assistito a tutta la cerimonia, e sempre la principessa aveva consolato i due nipoti della perdita. Olaf era svanito nello stesso momento in cui se n’era andata la vita da Elsa, mentre Jack era stato richiamato a svolgere il proprio lavoro per riportare l’inverno, e ormai vedeva pochissimo i suoi “ragazzi”, anche perché era dura avere le sembianze di un ragazzino davanti a due omoni grandi e grossi e, soprattutto, mortali.
Josè era stato incoronato a vent’anni; quattro anni prima della data a causa dell’abdicazione del fratello, ma fin da allora non aveva fatto rimpiangere la regina perduta al popolo: i suoi  discorsi erano assennati, le sue alleanze ben studiate e i commerci sotto di lui andavano a gonfie vele.
Il fratello maggiore, invece, aveva rinunciato ai suoi diritti da principe e aveva deciso di viaggiare per tutti i regni conosciuti e non. Era stato lui a fondare tre città a sud e a scoprire diverse terre e popoli antichi e leggendari.
-Ho saputo che nonostante tutte le terre che hai visitato non hai ancora trovato una donna giusta - lo punzecchiò il re.
-Al tuo contrario, uomo sposato e con tre bellissimi figli.- rispose Damio. Nelle sue lettere Josè descriveva i suoi pargoli come i più bei doni che avesse mai ricevuto. La sua primogenita aveva ricevuto lo stesso nome di sua nonna, nonché gli stessi difficili poteri. La piccola Elsa aveva dieci anni ed era l’ unica sua figlia con il potere della neve. Il piccolo in mezzo aveva invece sette anni e tanta voglia di vivere, e il suo nome era Gherardo; mentre la più piccola, di soli tre anni, si chiamava Melissa. 
-Sai, fratellino, ci sono notti in cui ripenso alla nostra avventura. Sai, quella della strega e della mia madre di sangue.
Josè passò il braccio regale nelle spalle di Damio, che a confronto sembrava più giovane di almeno una decina d’anni.
-La ricordo bene. Se ci pensi bene è iniziato tutto da lì; la prima volta che siamo stati veramente soli tra il vento e il cielo.






Eccoci giunti alla fine di questa storia. Questo capitolo è stato abbastanza duro da scrivere, ma alla fine eccolo in tutta la sua...?
Vorrei ringraziare in particolare 
cats_4ever per le sue recensioni fantastiche e per il suo costante impegno nell'aver seguito la storia fino alla fine.
RINGRAZIAMENTI:
un'altro ringraziamento va a
Mintaka94 , Xemerius_Miggy, _angiu_ e Lady Darkrose per aver recensito (scusate se mi sono dimenticata qualcuno);
alle 22 persone che l' hanno seguita ed alle 9 persone che l' hanno preferita.

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