Broken

di Allie_Carrots
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four ***
Capitolo 5: *** Five ***
Capitolo 6: *** Seven ***
Capitolo 7: *** Six ***
Capitolo 8: *** Eight ***
Capitolo 9: *** Nine ***
Capitolo 10: *** Ten ***
Capitolo 11: *** Eleven ***
Capitolo 12: *** Twelve ***
Capitolo 13: *** Thirteen ***
Capitolo 14: *** Fourteen ***
Capitolo 15: *** Fifteen ***
Capitolo 16: *** Sixteen ***
Capitolo 17: *** Seventeen ***
Capitolo 18: *** Eighteen ***
Capitolo 19: *** Nineteen ***
Capitolo 20: *** Twenty ***
Capitolo 21: *** Twenty One ***
Capitolo 22: *** AVVISO! LEGGETE PER FAVORE ***



Capitolo 1
*** One ***


1. ONE

Alzai gli occhi al cielo, dopo essere rimasta a lungo in silenzio. Diedi una leggera pacca sulla spalla al ragazzo seduto di fronte a me, richiamando la sua attenzione. I suoi occhi verdi scattarono verso i miei. «Dobbiamo andare», dissi. «Britney ci sta aspettando».               

Si prese il labbro inferiore tra i denti e il suo sguardo venne di nuovo catturato da qualcosa oltre le mie spalle. Passai in rassegna ogni centimetro del Caffè, fino ad arrivare all’oggetto del suo interesse. Una bionda alta e formosa in bilico su un paio di trampoli, con un abitino che lasciava poco spazio all’immaginazione. 

Mi lasciai sfuggire uno sbuffo. «Harry, puoi tenere gli ormoni a freno per quindici secondi?», chiesi annoiata.

Lui ridacchiò prima di alzarsi dalla sedia. Lo imitai. «Già, non facciamo aspettare la piccola Britney».

Lo inchiodai con lo sguardo. «Non cominciare. Perché, se proprio vogliamo essere onesti, in una scala da uno a dieci l’eccentricità di Brit è otto. La tua dodici».

Lo accompagnai fino al bancone. «Un cappuccino e un caffè nero», disse al cassiere. «Mettilo pure sul conto di mio padre, Tim».

La famiglia di Harry era molto ricca e possedeva numerosi immobili, tra cui il Central Styles Caffè, uno dei posti più chic della città che prevedeva solo un certo tipo di clientela. Clientela con un conto corrente bancario grande almeno la metà di quello degli Styles.

Presi il mio amico a braccetto e mi lasciai guidare fuori dal locale, fino alla sua BMW nera. Salimmo in macchina e Harry mise in moto, facendo stridere le gomme sull’asfalto e partendo a tutta velocità. Non mi è mai piaciuto il suo modo di guidare imprudente, soprattutto perché gli incidenti causati da lui non si contavano sulle dita delle mani. Cercai la bocchetta da cui usciva aria calda con le dita.

«Rallenta», gli intimai. Lui si limitò a scuotere la testa, sghignazzando.

Sfrecciammo per le strade di Holmes Chapel per diversi minuti, finché l’auto non si infilò nel vialetto di una casa enorme, circondata da un grande giardino piuttosto curato. Attraversammo la stradina sterrata, e non feci in tempo a bussare alla porta che venimmo risucchiati all’interno da un tornado biondo.

«Sempre insieme voi due, eh? Non mi sorprenderei se un giorno vi trovassi in un bagno a scopare», fece Britney, sistemando i nostri cappotti sull’appendiabiti. Harry mi rivolse un’occhiata sfacciata, alzando le sopracciglia. Gli diedi le spalle per nascondere il rossore sulle mie guance. Anche se sapevamo tutti che una cosa del genere non sarebbe mai stata possibile, i commenti di Britney erano sempre così imbarazzanti.

«Perché ci hai fatto venire?», le domandò Harry diretto. Ci sedemmo sul grande divano bianco di pelle, una caraffa di tea e delle tazze erano state sistemate sul tavolino di mogano.

Britney si scostò i capelli dalle spalle. «Io ho chiamato Haley, tu sei un extra non gradito. Ma visto che voi due siete come gemelli siamesi, me lo farò andare bene». Ci rivolse un sorriso amichevole. «Tra una settimana sarà Halloween. Voglio dare una festa, e voi mi aiuterete».

Harry alzò gli occhi al cielo e si accasciò allo schienale del divano. «E come?». 

I lati delle labbra di Britney presero una piega furbesca. «La faremo a casa tua, che domande. Non c’è niente di meglio che una festa a casa Styles. E in quanto a te, beh, basterà la tua presenza a far venire tutti i ragazzi etero della scuola». Sospirai, troppo stanca per iniziare l’ennesima discussione su quell’argomento.

Britney confondeva la bellezza con la popolarità. Si era messa in testa di usarmi come esca per i ragazzi in qualsiasi occasione ne avesse bisogno. Lo sanno tutti che le ragazze popolari attirano gli sguardi maschili più delle altre, soprattutto se ricche. Quindi la mia teoria era che invece essendo molto conosciuta all’interno della scuola (questo solo perché frequentavo Britney e Harry e perché la mia famiglia è sempre stata benestante), non passavo inosservata agli sguardi maschili. Sarebbe stato lo stesso, anzi forse molto di più, per Brit se solo non fosse che è dalla terza media che rimane single per dieci minuti al massimo ogni due mesi.

Harry fece spallucce e annuì, probabilmente per lui era solo l’ennesima occasione di rimorchiare. «Io do la casa, ma al resto pensate voi».

«No, al resto pensi tu», gli feci eco io indicando Britney.

Lei rise. «Come sempre». Poi, dopo aver sorseggiato la sua tazza di tea non zuccherato: «Allora, stasera che si fa?». 

Harry scostò i riccioli scuri che gli erano caduti sulla fronte e mi rivolse un’occhiata interrogativa. 

«Non vengo in discoteca», chiarii. «Ci siamo andati anche sabato scorso!».

Britney scattò in piedi. «Ma ci vengo io. Ovviamente non con te e mantenendo una distanza di sicurezza di almeno tre metri», disse, indicandolo come fosse stato una specie di maniaco.

Harry si drizzò a sua volta, torreggiando su di noi in tutta la sua altezza. «Oh, tranquilla, sei fuori pericolo. Non mi sono mai piaciuti i giocattoli di decima mano», e detto questo uscì di scena, senza preoccuparsi di salutare.

Quando fu sicura di essere fuori dalla sua portata d’udito, Britney si tornò a sedere accanto a me. «Io ne ho abbastanza di vederlo “all’opera”, quindi stasera usciamo tu ed io. E basta. Intesi?».

Sospirai, facendo un cenno d’assenso. Era inconcepibile che i miei due migliori amici si odiassero a tal punto dal farmi scegliere continuamente tra l’uno e l’altro. Ma io ero convinta che in fondo (molto, molto, molto in fondo) un po’ di affetto reciproco ci fosse. Giusto quel tanto da impedir loro di prendersi a frustate. Senza contare che era grazie a Brit se io ed Harry ci eravamo conosciuti.

«Oh, buon pomeriggio signorina Haley», mi salutò una donna bassa e paffuta.

«Salve Claire», dissi a mia volta, aiutandola a mettere le tazze sporche sul vassoio. Britney fece una smorfia di disapprovazione e sparì al piano di sopra. «Come sta?».

L’anziana signora ridacchiò, mentre le sue guance tonde si tingevano di rosa. «Oh beh, non mi lamento». Mi diede un leggero buffetto sulla guancia. «E tu invece? Diventi sempre più bella».

Prima che potessi replicare, la voce acuta di Britney mi ordinò di salire in camera sua. Salutai velocemente la domestica e obbedii alla mia amica.

«Che c’è?», le domandai entrando. La trovai in biancheria intima, intenta a contemplare due abiti un po’ troppo corti e striminziti.

«Aiutami a scegliere», m’implorò. «Rosso o blu?».

«Un pugno nello stomaco».

Mi rifilò quello che tutti a scuola definivano “Lo Sguardo”. Britney era famosa soprattutto per quell’occhiata che tramortiva le matricole indifese e intimidiva i ragazzi. Ma io la fissai di rimando, ormai completamente immune. «Britney, santo cielo, non voglio che tu vada in giro come una prostituta. Leva quella roba dalla mia vista e lascia fare a me». Spalancai la cabina armadio e mi seppellii fra le centinaia e centinaia di abiti. Dopo qualche minuto di meditazione, riemersi con in mano i vestiti. Il grazioso tubino nero che le avevo scelto bastò a placare la sua ira, e forse anche il fatto che le permisi di scegliersi le scarpe da sola.

 

Il mio entusiasmo per l’incombente serata in qualche club snob insieme a Britney scese ancora di più sotto lo zero, quando alla porta di casa sua si presentò Pete, il suo ragazzo attuale. Di tutti quelli che aveva avuto, Pete era quello che mi piaceva meno. “Giocatore di football senza cervello” penso che renda bene l’idea. Infatti, nonostante i nostri ripetuti e non poi così sottili tentativi di mandarlo via, lui insistette così tanto che fummo costrette a portarcelo dietro. 

Così passai il più bel viaggio in auto di tutta la mia vita, da sola sul sedile posteriore, obbligata ad assistere alle loro effusioni vietate a minori di quattordici anni. Fu quando la mano di Pete si spostò più vicina alle zone intime di Britney che mi schiarii la voce. I due si voltarono in contemporanea, ma solo uno sembrava infastidito dalla mia presenza. 

Sorrisi debolmente per scusarmi. «Fa un po’ caldo qui dentro… Potremmo aprire i finestrini?». In realtà stavo congelando, ma perlomeno dopo il mio piccolo intervento pensarono di far finire lì lo show.

Pete ci portò in un locale appena fuori città dove non eravamo mai state, e dopo esservi rimasta un paio di minuti, appurai che avevamo fatto male a non continuare ad evitarlo. L’enorme sala era piena di gente di almeno quattro anni più grande di noi, la cui maggioranza ignorava la musica a tutto volume per dedicarsi ad altre attività poco raccomandabili. Dopo esserci mimetizzate tra la folla per sfuggire a un Pete euforico e ubriaco fradicio, venimmo trascinate da lui e alcuni suoi amici verso i bagni. I suoi nuovi compagni di sbronza erano due uomini dalle spalle larghe e le braccia coperte da tatuaggi, con un marcato accento russo. Finimmo rinchiuse nel bagno degli uomini prima di rendercene conto, e il mio cervello non fece neanche in tempo ad allarmarsi che uno dei due estrasse dalla tasca dei jeans una scatolina di legno.

«Pete, che diavolo ci facciamo qui?», chiesi con voce stridula.

Lui scoppiò in una fragorosa risata e prese tra il pollice e l’indice il bastoncino che l’uomo gli porgeva. «Ci divertiamo un po’ tutto qui», biascicò con la bocca piena di vodka. Alzò la bottiglia che reggeva in mano verso di me. «Perché non provi a rilassarti? Fatti un sorso». Si portò lo spinello alla bocca e lo accese. Aspirò e soffiò verso di me una grande nuvola grigia che mi invase le narici e la mente.

«Pete, piantala», mugugnai tra un colpo di tosse e l’altro. Lanciai una richiesta d’aiuto con gli occhi a Britney, ma constatai che anche lei aveva optato per il “divertimento”. «Ehi Brit, avanti andiamocene di qui». Lei mi osservò come se mi vedesse per la prima volta, i suoi occhi erano già arrossati a causa dell’alcool. «Hal, dà retta a Pete. È sabato sera e…», smise di prestarmi attenzione e si rivolse all’uomo calvo di fronte a lei. «Ehi, ma lo sai che hai dei capelli davvero belli?». Si avvicinò al tizio, strusciandosi contro la sua figura imponente ed egli parve apprezzare.

« Pete! », lo chiamai quasi urlando. Mi ignorò. «PETE! Idiota, fa qualcosa. Non lo vedi che è ubriaca? È la tua ragazza cavolo!», inveii. Lui barcollò verso di me, rovesciandomi addosso tutto il liquido contenuto nella bottiglia. Mi prese per un braccio, costringendomi a sentire l’odore acre del fumo e dell’alcool.

«Senti, piccola puttana guasta feste, o ti dai una calmata o te ne vai, con le buone o con le cattive. E ti consiglio di scegliere la prima opzione perché io non uso mai le buone maniere. Ehi ragazzi, mi è venuta un’idea. Perché non facciamo una cosa a cinque?». 

Dopodiché proruppe in una risata sguaiata che mi schizzò la sua ripugnante saliva addosso. 

Mi ritrassi, schifata, correndo verso la porta del bagno. Abbassai la maniglia, ma quella non si mosse di un millimetro. Mi accovacciai per terra, nell’angolo più lontano dal gruppo. Cercai il cellulare nella borsa con la mano tremante, sperando di passare inosservata. Con un po’ di fatica lo trovai e composi il numero che ormai conoscevo a memoria.

Uno, due… otto squilli. Stavo quasi per riattaccare, quando la sua voce profonda rispose. «Sì?». Sembrava leggermente seccato, potevo udire la musica e il rumore in sottofondo, ma mi spinsi a parlare.

«Harry», cercai di eliminare il tremore dalla mia voce, con scarsi risultati.

«Haley?». Il fastidio era sparito, sostituito dalla sorpresa.

Deglutii rumorosamente. «Senti, io…», un singhiozzo convulso mi bloccò le parole in gola.

«Haley che succede?». Sentivo che man mano i suoni in sottofondo scomparivano. «Haley?», ripeté.

Feci un respiro profondo. «Pete ci ha portato in un posto e… Britney è ubriaca, l-lo sono tutti. Puoi venirmi a prendere? Mi dispiace non volevo chiamarti, ma non sapevo a…».

«Dimmi dove sei».

***
 
Ciao a tutti, allora: partiamo dal presupposto che è la mia prima FF in assoluto, quindi abbiate pietà di me. Ho già in mente tante ideuzze(?) per andare avanti, anzi, qualche capitolo è già pronto. Spero davvero che qualcuno sia interessato e che magari la leggerà.. Boh, vabbé. *Fischietta allegramente* Penso che aspetterò un paio di giorni prima di postare il capitolo successivo, soltanto perché qualcuno possa fermarmi in tempo prima di fare qualche danno(?) Okay, oggi non sono ufficialmente normale. Va bene basta, mi dileguo. Un grande bacio a tutti quelli che leggeranno, spero ci rivedremo presto.
#Allie

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Capitolo 2
*** Two ***


2. TWO


La porta venne scossa da diversi colpi violenti. «Haley? Haley sei lì dentro?».

Scattai in piedi e mi precipitai verso il punto da cui proveniva la voce di Harry. 

«Har…», dalle mie labbra proruppe un piccolo grido quando mi sentii trascinare via. 

Pete mi mise una mano davanti alla bocca, mentre gli altri si affrettavano a nascondere la droga. Un altro colpo, questa volta molto più potente, fece tremare tutta la stanza.

«L’hai chiamato tu?», sibilò l’uomo calvo lanciandomi occhiate di fuoco.

Con un ultimo tonfo la porta si spalancò, la serratura venne strappata via. Harry irruppe nel bagno con una spinta tale da spaventare i due uomini (che erano almeno il doppio di lui) e si diresse a grandi passi verso di me. Mi prese delicatamente per la vita, spingendomi lontana da Pete. Dopodiché lo afferrò per il colletto della camicia e lo sbatté con forza contro il muro, facendogli emettere un verso strozzato.

«Cos’hai nel cervello, merda?», ringhiò. I suoi occhi erano diventati più scuri, la tensione nella stanza era quasi palpabile.

«Harry». Lo afferrai per un lembo della t-shirt, tirandolo leggermente indietro. «Lascialo perdere». Non mi sarebbe dispiaciuto vedere Pete messo KO, ma non volevo che Harry finisse nei guai per colpa mia. Soprattutto dati i suoi precedenti: non era quel che si dice un ”tipo tranquillo”.

Mi voltai verso Britney, che non sembrava ancora del tutto in sé. «Ehi Brit. Andiamo, forza», la esortai.

Lei mi fissò di rimando, lo sguardo vuoto. «No… No, io resto».

Feci per replicare, ma prima che riuscissi a dire qualsiasi cosa, Harry mi aveva già preso su di peso e portata via. Tentai di protestare, ma il forte rumore della musica copriva la mia voce.

Mi lasciò andare soltanto dopo avermi posato sul sedile del passeggero. «Dobbiamo andare a prendere Britney!».

Lui chiuse la portiera dietro di sé e aggrottò le sopracciglia. «Non mi sembrava volesse andarsene». Sbuffai, il giorno seguente Brit se la sarebbe vista con me, eccome. «Che ci facevi in un posto del genere?», chiese dopo un po’.

«Te l’ho detto, è Pete che ci ha portate qui». Poi, con una punta d’ironia nella voce:«Scusa se ti ho interrotto… Qualsiasi cosa tu stessi facendo». Non riuscii a trattenere un sorriso e notai anche Harry si era rilassato. Aprì la bocca per parlare, ma lo interruppi. «Oh, no! Non voglio saperlo». Lui scoppiò a ridere e disse qualcosa, ma io avevo le orecchie tappate dagli indici. «Non ti sento, come dici?».

Approfittò del semaforo rosso per togliermi le mani dalle orecchie e bloccarmi entrambi i polsi con una sola delle sue. 

«La vuoi smettere?», gridò per sovrastare la mia voce, continuando a sghignazzare.

«Mi spiace, sono troppo giovane per entrare a conoscenza di certe cose».

Mi liberò le mani e ripartì. «Lo sai che sei una vera seccatura?».

Incrociai le braccia, fingendomi offesa. «E tu lo sai che sei permaloso?».

Accesi la radio e vi inserii il disco dei The Fray che gli avevo regalato per il compleanno quasi un anno prima. Quell’auto era piena di dischi che gli avevo dato io, lo avevo assillato così tanto con quel genere che era finito col piacere anche a lui.

«Stai bene?», mi chiese di punto in bianco, improvvisamente serio.

Aggrottai le sopracciglia. «Certo. Pete è un’idiota, lo sapevamo già. Ciò che mi preoccupa davvero è Brit. Spero che questa storia finisca il prima possibile».

Ridacchiò. «Oh, di questo non devi preoccuparti. È di Britney che stiamo parlando».

L’auto accostò di fronte casa mia, una fugace occhiata all’orologio mi fece sperare che fossero già tutti a letto. 

Mi voltai verso di lui. «Harry… Non so come ringraziarti, davvero».

Liquidò le mie parole con un gesto della mano. «Se vuoi stanotte puoi rimanere da me. Così, solo per darmi una piccola dimostrazione della tua gratitudine».

Scoppiai a ridere e gli lasciai un piccolo bacio sulla guancia. «Certo, ti piacerebbe». Una volta fuori, mi sporsi dal finestrino verso di lui. «Notte Styles».

 

Scivolai in punta di piedi al piano di sopra. Trattenni il respiro quando fui costretta a passare davanti alla stanza di mia sorella. C’ero quasi…

Un tonfo secco mi suggerì che dovevo aver urtato qualcosa col piede.  «Merd…». Mi tappai la bocca, ma ormai era troppo tardi. Il frusciare di lenzuola e dei piccoli passi anticiparono la comparsa teatrale di mia sorella. Il suo perverso modo di essere perfetta anche alle due e mezza di notte era incredibile e fastidioso.

«Haley? Ma che…?», fece lei con la voce impastata dal sonno. Quando si rese conto di chi aveva realmente di fronte, i suoi occhi si spalancarono. «Haley Clarissa Grantham! Per l’amor del cielo, hai idea di che ore siano?», sbraitò.

«Shhh, parla piano! Così sveglierai mamma e papà!».

Si strofinò il viso con le mani. «Mamma e papà non ci sono! Sono partiti proprio ieri, ma tu non puoi saperlo, perché non ci sei mai». Puntò le mani sui fianchi. «Cos’è quest’odore? Puzzi di alcool da far vomitare, diamine».

Per un momento mi passò per la testa di spiegarle ciò che era successo davvero, ma sapevo che non mi avrebbe mai creduto. Sospirai. «Mi spiace, ieri sera sono rimasta da Britney. E poi loro sono via continuamente, scusa tanto se non riesco a tenermi aggiornata». Decisi di usare quella battuta per uscire di scena, quindi mi chiusi in camera prima che potesse dire qualcos’altro.

 

«Haley, tesoro. È ora di pranzo». Una mano mi sfiorò da sopra il piumone.

Riconobbi immediatamente la voce della mia domestica e nascosi la testa sotto il cuscino. «Lasciami qualcosa nel piatto, sto arrivando», borbottai. L’ultima cosa che udii furono i suoi passi che si allontanavano lungo il corridoio.

 

Qualcosa mi colpì alla nuca, come una piccola pallina di carta. Mi sollevai leggermente dal letto, mentre i miei occhi si abituavano alla luce. «Oh, allora sei viva». Sobbalzai e prima che potessi impedirlo, uno strillo si fece spazio dal profondo della mia gola.

«Harry! Che diavolo ci fai qui?».

Sulle sue guance comparvero due profonde fossette e si fece ruotare sulla sedia girevole della mia scrivania. «Sono qui in missione. Britney mi ha chiesto di verificare che non fossi morta di overdose, visto che non rispondevi al telefono».

Scivolai fuori dalle coperte e prima di stabilizzarmi sui due piedi barcollai un po’ in avanti. «Overdose? Non sono io quella che fuma spinelli. E poi se crede che sia tutto okay si sba… Che c’è?», m’interruppi notando la sua espressione vacua.

«Niente, pensavo che hai proprio un bel pigiamino», mi schernì. Abbassai lo sguardo sui pantaloncini a fiori e la canotta intonata e arrossii.

Mi avvolsi in un plaid e dopo avergli tirato un piccolo calcio negli stinchi, mi sedetti a gambe incrociate di fronte a lui, sul pavimento. «Quanto ti ha pagato per venire fin qui?».

Si strinse nelle spalle, sghignazzando. «Non avevo niente da fare. Trevor ha le prove con la band e Colin è…». Tossì. «Occupato».

Annuii energicamente, decisa a non sapere cosa significasse esattamente “occupato”. Non era difficile da immaginare comunque, conoscendo Harry e i suoi amici.

«E quindi sei venuto a disturbare il mio sonno», conclusi.

«Haley, sono le quattro del pomeriggio».

Il mio sguardo si spense un po’. «A quest’ora dovrei essere al Caffè con Brit, come tutte le domeniche». Feci una piccola pausa. «E tu dovresti essere in qualche locale a ubriacarti, quindi sciò». Enfatizzai le ultime parole con dei gesti frenetici delle mani.

«Già, forse tra una decina di ore. Adesso, siccome sono una persona terribilmente annoiata, ti vesti e vieni con me».

«Dove?».

Sfoggiò uno dei miei sorrisi preferiti, di quelli enormi che non capitavano spesso. Alzò la macchina fotografica che mi accorsi solo in quel momento teneva appesa al collo. «Al parco».

Harry aveva la fissa per la fotografia, il che era piuttosto strano per uno come lui, ma devo dire che era piuttosto bravo. Il suo soggetto preferito era la natura, fotografava qualsiasi cosa da mille angolazioni diverse, in mille tipi di tonalità.

 

«Voi due. Fermi dove siete».

Io e Harry ci voltammo in contemporanea, mentre una figura alta e snella ci veniva incontro. Britney, con la minigonna e il maglioncino di cachemire, stonava un po’ con il verde selvaggio del parco.

«Sapevo che vi avrei trovati qui», esitò un istante alla vista della mia espressione dura. «Hal, ti supplico. Non essere arrabbiata con me. Eravamo tutti ubriachi, lo sai che Pete a volte si lascia prendere la mano».

«“Prendere la mano”? Mi ha minacciata, Britney!», sbottai.

«Che cosa?». Harry fece un passo avanti.

Scossi la testa, lanciandogli un’occhiata di sbieco. «Niente, lascia perdere».

«Esatto Styles, perché non te ne vai e ti fai una gran dose di fatti tuoi?».

Il suo sguardo si assottigliò. «Magari potresti darmi qualche dritta, visto che ormai sei esperta di “dosi”, non è vero?».

«Chiudi il becco, lurido…».

Mi misi in mezzo a loro.  «Ragazzi, piantatela». Il mio sguardo si volse nella direzione di Britney. «Senti, io lo so che Pete è il tuo ragazzo eccetera eccetera, ma lui è pericoloso. Ha una pessima influenza su di te Brit, e tu nemmeno te ne accorgi».

Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Ti rendi conto che sembri mia madre? Senti, tesoro…», sì bloccò di colpo. «Okay, è imbarazzante parlare con lui qui». Roteò il pollice verso Harry.

Il ragazzo grugnì, ma lo anticipai. «Lui resta, Brit. Non c’è niente che tu non possa dire di fronte a lui».

Britney alzò i palmi verso l’alto, come per scaricarsi di qualsiasi responsabilità. «Come vuoi. Io penso che il problema sia che ti senti trascurata da me. Lo capisco, sai? Non te ne farò una colpa, anzi. Anche io mi sentirei a disagio se la mia migliore amica passasse più tempo col suo fidanzato che con me». Aprii la bocca per fermare quel suo monologo insensato, ma non mi lasciò parlare. «Ma ho trovato una soluzione. Già, proprio così. Ti troverò un ragazzo! Così potremo uscire in coppie, non ti sembra grandioso?».

Dovetti impegnarmi seriamente perché la mia mascella non arrivasse a toccare il pavimento.

«Oh, Cristo», fu il commento di Harry, a metà tra un sospiro e un’esclamazione.

La fissai, terribilmente confusa dalle conclusioni distorte che aveva tratto. «Britney, io…».

«Non devi dire niente, Hal! Ho già in mente un paio di persone che fanno al caso tuo», cinguettò soddisfatta.

Harry scosse la testa, facendo oscillare i ricci scuri. «È la cosa più stupida che io abbia mai sentito».

La mia amica gli rifilò un’occhiata tagliente. «Nessuno ha chiesto il tuo parere, Styles».

«D’accordo, allora io me ne vado. Ho di meglio da fare che ascoltare queste cazzate».

Brit alzò le braccia per poi farle ricadere lungo i fianchi. 

«Non chiedevamo altro!», sbraitò, mentre lui scompariva in lontananza.


Spazio autrice:

Di nuovo ciao a tutti, rieccomi qua. Come avevo detto, ho aggiornato nel giro di un paio di giorni circa, visto che comunque un solo capitolo è davvero troppo poco per farsi una chiara idea della storia. Sarò davvero breve: ringrazio di cuore chi l'ha già inserita tra le preferite/seguite ecc.. o chi lo farà. Spero davvero di non deludervi, e vi prego di scrivermi anche solo per lasciare una critica, che non fa mai male. Un bacio a todos <3 <3

#Allie

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Capitolo 3
*** Three ***


3. THREE


Armeggiai con il catenaccio del mio armadietto, troppo stanca per riuscire a individuare il buco della serratura. Al terzo tentativo fallito il mio pugno chiuso coprì lo sportello di metallo.

«Serve una mano?», trillò una voce non troppo gradevole alle otto di mattina. Britney mi sventolò un foglietto di carta sotto il naso. «Ho qualcosa per te…».

«Cos’è?», chiesi arrendendomi e porgendole la chiave del lucchetto.

Lei la prese e si mise al lavoro. «Guarda tu stessa».

Dispiegai il foglio stropicciato. Sopra vi erano almeno una dozzina di nomi, con i rispettivi numeri di telefono. 

Sospirai. «Britney?», il mio tono era abbastanza eloquente.

«E dai! Solo una sbirciatina, ti prego, ci dev’essere qualcuno che ti interessa!».

Scorsi la lunga lista senza prestarvi troppa attenzione. «No, no, no e... no».

«Haley!».

Gli sbattei la lista a pochi centimetri dal viso. «La metà dei ragazzi che hai scritto sono tuoi ex! E l’altra metà non so nemmeno chi siano».

«D’accordo, allora facciamo così. Visto che li conosco, ehm, più o meno tutti, te li indicherò da lontano e se ce n’è qualcuno che ti interessa fai una prova».

Sbuffai. «E chi ti dice che questi ragazzi siano interessati a uscire con me?».

Britney scoppiò a ridere, riprendendosi la lista. «Oh, lo sono tesoro. Eccome se lo sono».

 

La risata roca di Harry rimbombò tra le mura del garage di Trevor. C’eravamo solo io e lui, mentre i ragazzi accordavano gli strumenti nella stanza accanto.

«Cioè, fammi capire. Nella lista c’erano Jules e Christopher?».

Sorrisi, annuendo. «Già, e anche Mike».

«Okay, non pensavo che il suo cervello potesse elaborare qualcosa di così idiota. Voglio dire, ti sta rifilando i suoi avanzi?».

«Sì, ma le ho già detto che non ho la minima intenzione di uscire con nessuno dei suoi ex. Per gli altri, beh, abbiamo trovato un accordo».

Alzò un sopracciglio interrogativamente, ma a quel punto arrivarono Trevor e il resto della band. Gordon, vedendoci seduti per terra, uno a fianco all’altro, ridacchiò.

«Che c’è Haz, noi non ti bastiamo più?». Studiò ogni millimetro del mio corpo, soffermandosi sul petto. «Voi due non state insieme, giusto?», chiese più a me che al suo amico.

Harry sospirò. «No», rispose secco. Probabilmente quella domanda ci era stata fatta milioni di volte.

Lo sguardo di Gordon si illuminò. «Ah, perfetto. Sei libera stasera?».

Scoppiai a ridere e mi alzai, spolverandomi i jeans. «No, Gordon».

«E domani?».

«No. E nemmeno dopodomani. E il giorno dopo. E quello dopo ancora».

Il sorriso poco intelligente non scomparve dal suo volto. «E il mese prossimo?».

Lo inchiodai con lo sguardo e il ragazzo sbuffò, imbracciando la chitarra elettrica rossa come il suo ciuffo.

Mi voltai verso Harry che non la smetteva di sghignazzare alle spalle dell’amico. «Senti, ora devo andare. Ho appuntamento con Brit. Tu vuoi venire?».

Le sue labbra piene accennarono a un sorriso. «E assistere dal vivo al suo piano geniale? No grazie».

 

«Dove stiamo andando?», chiesi.

Britney voltò a destra e rallentò. «Oh, lo vedrai».

L’auto accostò di fronte a un bar, la strada era del colore giallognolo dei lampioni. Un gruppo di ragazzi ne uscì ridendo e schiamazzando.

«Okay, vedi i due tizi là dietro?».

Aggrottai la fronte mentre cercavo di mettere a fuoco i volti. «Quelli con la faccia ricoperta di ferro?».

«Si chiamano piercing e sì, sono loro. Sono il sesto e il settimo della lista».

Annuii. «D’accordo. Quando il mio animo tormentato avrà bisogno di un cambiamento radicale, saprò a chi chiedere, grazie per l’interessamento».

Emise un sospiro di frustrazione e, anche se non la stavo guardando, sapevo che i suoi occhi puntavano il soffitto. «Lo sai che sei proprio difficile?».

«Non sono difficile, sono selettiva».

Mi guardò come fossi stata una specie di extraterrestre. «Selettiva?».

«Già, “selettiva”. Cercalo nel dizionario se non sai cosa significa».

Allungò il collo oltre il cruscotto. «Ecco, ecco il terzo! Guarda!».

«Dove?».

Puntò l’indice in avanti. «Lì, lì! Il biondino sexy con il giubbotto di pelle».

«Brit, ma è proprio necessario?».

La ragazza divenne improvvisamente seria e mi afferrò entrambe le mani. «Necessario? Haley, tu non capisci. Sento che le cose con Pete si stanno facendo più serie, stiamo insieme già da parecchio, e non voglio che tu ti senta trascurata da me. Trovarti un ragazzo è la soluzione migliore, credimi».

«Ma non mi serve un agenzia di matrimoni per trovarmi un ragazzo! Se lo volessi me lo cercherei da sola. E poi cos’è questa storia che lo si deve “cercare”? Se è il momento, arriva e basta».

Per un attimo pensai davvero di aver centrato il segno, perché Britney mi sembrava molto ammirata e presa. Quando però aprì la bocca mi tolse ogni dubbio. «Perfetto, allora il momento è arrivato. Perché ti sta aspettando proprio adesso».

«CHE COSA?!».

Fece un largo sorriso. «Esatto. Siccome so che sei un po’ timida ho deciso di prendere io l’iniziativa. Quindi ora, via i capelli dagli occhi e fa vedere quel bel visino che ti ritrovi, capito?».

Socchiusi le palpebre, sforzandomi di controllare quell’improvviso istinto omicida. In fondo era solo un’oretta e magari dopo quel primo tentativo Britney avrebbe capito che non era una cosa fattibile.

«Ma tu verrai con me, non è vero?».

«Ma certo! Non ti lascerei mai da sola, specialmente se si rivelasse un maniaco o qualcosa del genere».

Aprii la portiera con un gesto secco. «Avanti. Prima iniziamo questa cosa, prima la finiremo».

 

Ci avvicinammo con cautela al ragazzo biondo, Britney mi camminava davanti come una specie di guardia del corpo. Non sapendo dell'appuntamento imminiente, poiché la mia amica aveva deciso di tendermi una trappola, indossavo ancora i jeans e la felpa, mentre Brit era impeccabile come sempre. Un’altra carta a mio favore, pensai. Probabilmente i due si conoscevano già, perché si salutarono con un bacio sulla guancia.

«Nate, questa è Haley, ma credo che tu lo sappia. Haley, Nate». Lo salutai con la manina come una bimba obbediente e lui mi fece un cenno del capo, ammiccando.

Entrammo nel grill, prendendo posto a un tavolo così vicino alla cucina che potevo quasi avvertire il calore dei fornelli passare attraverso i muri. Nate fu il primo a sedersi e di conseguenza io e Brit scivolammo di fronte a lui. Illuminato dalla luce del neon era anche più carino di come mi era sembrato all’inizio.

Una cameriera sulla ventina si avvicinò a noi con il blocchetto delle ordinazioni in mano. «Volete ordinare?», chiese senza sforzarsi di apparire cordiale. Probabilmente odiava essere lì in quel momento almeno quanto me.

«Per me solo un caffè», dissi. «Con panna».

Nate si passò una mano sulla nuca, scompigliando volontariamente i capelli. «Mm… Una birra grazie».

«Io prendo una coca-cola».

«Come la vuoi?»

«Alla ciliegia», fece Britney, rivolgendo alla cameriera occhiate impazienti. Non appena fummo di nuovo soli, si rivolse a Nate. «Allora, giochi ancora a lacrosse?».

«Sì… Sì. Siamo proprio forti!», esclamò con un’espressione poco intelligente.

Così, nel caso avessi avuto anche il più piccolo pensiero nei suoi confronti, svanì non appena la conversazione prese il via. La stupidità di quel ragazzo era qualcosa di indescrivibile, specialmente perché sembrava che il suo vocabolario contenesse soltanto dei “forte”, “figo” e “wow”.

Quindi fui terribilmente grata a Britney quando con una scusa perfetta, ci permise di dileguarci.

Una volta in macchina, mi lasciai sfuggire un sospiro soddisfatto. La serata aveva avuto l’effetto desiderato.

«Togliti quel sorrisetto, non è ancora detta l’ultima parola. Magari era un po’ nervoso, tutto qui. Devi dargli un’altra occasione».

Presi un bel respiro. «“L'anno scorso il suo cervello ha partorito un pensiero, ma è morto di solitudine!”», proferii teatralmente.

Britney sbuffò, ma non riuscì a non sorridere riconoscendo la frase di Gossip Girl. «D’accordo, hai vinto tu. Per questa volta però, perché manca l’ultimo della lista. E sono certa che ti piacerà».


Spazio autrice:

Allora, per prima cosa BUON NATALE! <3

Oggi sono su di giri, forse perché è Natale, forse perché a qualcuno la mia storia è piaciuta e non è che ci sperassi granché :)

Ne approfitto per ringraziare tutte quelle che hanno recensito e chi ha aggiunto la storia tra le seguite/preferite/da ricordare... Vi amo, e non sapete quanto mi fa piacere! Spero che continuerete a seguirla. D'accordo, ora scappo che devo aiutare mia madre con i preparativi, ancora auguri a tutti!

#Allie

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Capitolo 4
*** Four ***


4. FOUR

Un paio di occhi verdi mi colsero di sorpresa mentre camminavo a passo spedito, con lo sguardo perso nel vuoto. M’inchiodai sul posto, evitando appena in tempo di finirgli addosso.

«Harry», lo salutai. Mi guardai intorno confusamente. «Che ci fai qui?».

Il centro non era esattamente un posto adatto a lui, specialmente la parte dei negozi e delle vetrine.

Sollevò il borsone che teneva in mano e le cerniere tintinnarono. «Ho appena finito l’allenamento in palestra», disse sbrigativo.

«Io sto cercando Britney, non riesco a trovarla. Sarà sicuramente rintanata in qualche negozio».

Annuì. «Vengo con te».

Proseguimmo fianco a fianco, e per parecchi minuti nessuno parlò. Nonostante Harry fosse sempre stato uno di poche parole, sentivo che in quel silenzio c’era qualcosa che non andava.

Sollevai il viso di parecchi centimetri per riuscire a guardarlo in faccia. «Va tutto bene?».

La mia domanda lo colse di sorpresa. «Sì, certo. Perché?».

Scossi la testa energicamente, giocherellando con la manica della giacca.

«Non lo so. Sei strano».

Mi portai il pollice alla bocca, rosicchiando l’unghia con i denti, un pessimo vizio che mi era rimasto da quando ero piccola. Lo stesso che giustificava le decine di boccette di smalto al peperoncino rintanate in qualche scatola in cantina.

Svoltammo l’angolo ed ero quasi sicura che avesse cominciato a dire qualcosa, ma non riuscii a sentirlo, perché sbattei contro qualcosa di duro.

I miei occhi ruotarono automaticamente verso la vittima della mia goffaggine. Quando incrociai un paio di iridi azzurro cielo mi parve di sentire una piccola esclamazione di stupore uscire dalle mie labbra.

Il ragazzo aveva lineamenti delicati e la pelle abbronzata, che faceva risaltare i denti bianchissimi.

«Scusami», mi affrettai a dire, presa da un improvviso imbarazzo.

Lui non rispose, ma si limitò a sorridermi divertito. Mi spostai di lato per lasciarlo passare, ma non diede impressione di volersi muovere. Restammo lì, immobili per qualche istante, finché una voce non interruppe quella bizzarra situazione.

«Oh, Haley, eccoti qui. Vedo che hai già conosciuto Declan», Britney comparve da dietro le spalle del ragazzo sconosciuto, raggiante come al solito.

La mia mente cercò di collegare il suo viso al nome, ma ero sicura di non averlo mai visto.

«Come scusa?», chiesi uscendo improvvisamente da quello stato di ibernazione.

Un’occhiata espressiva di Brit mi portò immediatamente alla soluzione. “Declan Bi-qualcosa”, l’ultimo della lista.

Un po’ indecisa sul da farsi, indirizzai un’occhiata veloce alla mia amica, che mi lanciava segnali d’incoraggiamento in ogni modo possibile.

Dischiusi le labbra per dire qualcosa di probabilmente stupido e insensato, ma fortunatamente il ragazzo mi precedette.

«Sono Declan», disse quasi sussurrando, senza staccare gli occhi dai miei.

«Ehm, Haley», borbottai.

«Sì, lo so».

Alzai le sopracciglia, colta alla sprovvista.

«Frequentavamo la stessa scuola, fino a due anni fa», mi spiegò.

Il suo sguardo si spostò dietro di me e un lampo di stupore illuminò il suo viso. «Harry? Harry Styles?».

Mi voltai bruscamente verso Harry, di cui avevo dimenticato la presenza fino a quel momento. La sua espressione era lo specchio di quella di Declan, con una punta di fastidio in aggiunta.

«Declan Burton», fece lui con meno convinzione.

Declan proruppe in una sonora risata. «Mio Dio, Harry! Quanto tempo è passato? Quattro, cinque anni?».

Harry sbuffò dalle narici. «Già».

Britney sembrava spiazzata almeno quanto me. «Voi due vi conoscete?», domandò incredula.

«Sì. Gli ho dato ripetizioni di matematica per un anno intero».

Harry s’irrigidì. «Ero alle medie, Declan», bofonchiò seccato.

Ecco perché non l’avevo mai nemmeno sentito nominare. Harry ed io ci eravamo conosciuti soltanto al liceo, tre anni prima, quando io ero una matricola e lui al secondo anno.

Nonostante il tono scortese di Harry, sembrava che Declan non avesse intenzione di far scomparire quel sorriso dal proprio volto.  «Già, ma eri proprio una frana!», lo schernì. Si rivolse a me:«Ti ha mai raccontato di…».

«Lascia stare, Burton», tagliò corto Harry. 

I due si scambiarono una lunga occhiata, in cui mi pareva scorressero mille parole, un messaggio soltanto io e Brit non potevamo cogliere. Non sapevo cosa fosse successo tra quei due, ma sembrava che Harry tollerasse a malapena la sua presenza.

Britney avanzò di un passo, prendendo in mano la situazione. «Bene. Ora io e Haley dovremmo continuare il nostro giro…». La sua domanda era quasi esplicita.

Infatti Declan annuì freneticamente. «Certo. Non vi dispiace se vi accompagno?».

Brit s’illuminò, mentre mi tirava una gomitata discreta. «No, certo che no!».

Spostai involontariamente lo sguardo su Harry, ancora stordita dalla precipitosità degli eventi. Il ragazzo era immobile, al mio fianco, con le braccia tese.

I nostri occhi s’incontrarono solo per una frazione di secondo, perché Harry distolse lo sguardo immediatamente.

«Harry?», il mio fu un bisbiglio appena percettibile. Ma il suo viso scattò all’istante nella mia direzione.

Scosse la testa. «No, no. Io ho… Delle cose da fare».

Annuii. «Oh, okay. Ci vediamo domani a scuo…».

Ma lui era già diversi metri più avanti, le sue lunghe gambe guadagnavano terreno velocemente.

Io, Declan e Britney ci incamminammo lungo il sentiero coperto che costeggiava la piazza. La brezza pungente che aveva iniziato a soffiare quella mattina era andata via via aumentando, segno che i pochi giorni di sole autunnale che ci erano stati concessi erano finiti.

Brit interruppe bruscamente di camminare e con la scusa di dover comprare un antibiotico in farmacia, ci lasciò momentaneamente soli.

In un normale contesto sarei stata felice di restare in compagnia un ragazzo così attraente e apparentemente simpatico. Ma la mia mente era troppo occupata a pensare all’inspiegabile comportamento di Harry. Erano un paio di giorni che era strano, dopo che eravamo stati nel garage di Trevor non ci eravamo quasi più parlati. Fino a qualche minuto prima.

«È  da molto che…?», chiesi nello stesso momento in cui lui diceva qualcosa che non riuscii ad afferrare.

Scoppiammo a ridere entrambi e lui mi fece cenno di proseguire con la mia domanda.

Mi morsi il labbro inferiore. «È da molto tempo che conosci Harry?».

Si fermò a pensare qualche secondo. «In realtà sì. I nostri genitori erano molto amici e tutte le volte che si riunivano ci facevano… ehm, “giocare” insieme. Poi, una volta cresciuti ci siamo persi di vista, finché sua madre non lo ha obbligato a prendere ripetizioni di matematica da me».

Non c'era niente che non andasse in quella storia, e l'aveva esposta con tale naturalezza che mi sembrava impossibile avesse mentito. Eppure per scaturire in Harry una reazione simile non potevano essere stati semplicemente vecchi compagni di giochi che si erano allontanati da tempo. Qualcosa non quadrava.

Aggrottai le sopracciglia. «Ma i suoi sono continuamente in viaggio, lui non li vede quasi mai».

Harry si era così abituato a stare solo che alla fine aveva finito col comprarsi un appartamento tutto suo, poiché sosteneva che la casa dei suoi fosse troppo grande per lui.

«Forse ora. Le cose sono un po’ cambiate da quando eravamo piccoli». Avrei voluto chiedergli di più, ma lui cambiò argomento. «Quindi… Hai già pensato a cosa fare dopo il diploma?».

Abbassai lo sguardo, arrossendo. «In realtà ci penso da quando avevo nove anni».

Lui rise, mostrandomi ancora una volta quei denti perfetti. «E…?».

Sospirai. «E mi piacerebbe andare a Oxford».

«Piuttosto ambiziosa. E cosa ti fa preferire Oxford a Cambridge?».

«Mi piacciono le materie umanistiche. E trovo che Oxford sia… Più seria, rigorosa». Spinsi le mani infondo alle tasche. «E tu?».

«Studio legge, una cosa voluta più dai miei che da me».

«Perché?».

Si strinse nelle spalle. «Avrei voluto fare un provino per X-Factor, diventare un artista». La mia espressione doveva essere alquanto sconcertata, perché Declan scoppiò a ridere. «Sto scherzando. A me va benissimo quello che faccio, anche se non vedo l’ora di finire».

Britney uscì dalla farmacia con una piccola busta in mano. Guardò prima Declan poi me, e la sua bocca si piegò in un sorriso di approvazione. «Ehi ragazzi! Sentite, si è fatto un po’ tardi, io devo andare, ma…».

La interruppi. «Sì, anche per me».

Declan annuì. «D’accordo, allora… Beh, ciao», mi disse rivolgendomi un sorriso dolce.

«Ciao».

Avevamo fatto solo qualche passo, quando mi sentii chiamare. Mi voltai. «Ehi, non è che ti andrebbe di vederci, un giorno di questi?».

«Domani sera diamo una festa di Halloween, a casa dei genitori di Harry. Puoi venire se vuoi», disse Britney al posto mio.

«Tu ci sarai?», mi chiese. Annuii, guadagnandomi l’ennesimo sorriso a trentadue denti.

 

Mentre tornavo a casa decisi di chiamare Harry. Ero preoccupata per lui e non m’importava se il mio comportamento gli sarebbe apparso morboso. Rispose dopo pochi squilli.

«Pronto?».

«Ciao. Ehm, io… Volevo sapere se, sì, insomma. Come stai?».

La sua risposta si fece attendere qualche secondo, potevo quasi vedere il cipiglio formarsi pian piano sulla sua fronte e le labbra corrugarsi. «Ci siamo visti neanche un’ora fa, Haley», mi fece notare. Il suo tono distaccato mi provocò una strana sensazione alla bocca dello stomaco.

«Lo so. Ma sembravi a disagio, prima. Con Declan».

Non rispose.

«Britney l’ha invitato alla festa, domani sera. Siccome è casa tua, volevo solo essere certa che per te andasse bene».

Odiai il tono quasi supplichevole della mia voce. Sembrava che gli stessi chiedendo il permesso, il che non avrebbe avuto alcun senso.

«Non è casa mia, e Britney può invitare chi le pare».

Riattaccò.


 

***


 

Spazio autrice:

Hello pipol! Per prima cosa ringrazio di cuore chi ha recensito gli scorsi capitoli; mi fa davvero piacere quando lo fate, mi date la possibilità di migliorarmi e quindi vi prego di continuare perché è davvero importante per me. Qualcuno mi ha fatto notare la banalità della trama in generale, avete ragione, ma è ancora all'inizio e sviluppi un po' più.. interessanti(?) ci saranno più avanti. Tutto quello che succede, il comportamento di Harry, ha tutto un senso che però si scoprirà alla fine e non posso assolutamente anticiparvi niente.

Ancora grazie mille a tutti, in particolare a chi mi ha dato fiducia e quindi continuerà a leggere.

Siete delle meraviglie.

Ciauciau, al prossimo capitolo. Xx

#Allie

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Capitolo 5
*** Five ***


5. FIVE

Fissai la mia esile figura riflessa nel grande specchio di fronte al letto di Britney. Infilai gli indumenti e studiai il risultato con sguardo critico. Non mi ero mai preoccupata granché del mio aspetto fisico, ma ero consapevole di non avere curve molto prosperose e quegli abiti lo sottolineavano alla grande. L’idea dell’infermiera sexy era stata di Brit, ovviamente, ma ora mi sentivo più un manico di scopa che altro.

Tolsi il fermaglio dai capelli e lasciai ricadere le onde castane lungo la mia schiena. Infilai i tacchi, incespicando un po’ prima di stabilizzarmi sui due piedi.

«Tesoro, sei uno schianto», disse Brit avvicinandosi.

Ogni suo passo provocava un pesante ticchettio sul pavimento, mi chiedevo come facesse a stare in equilibrio su quelle scarpe così alte.

«Questa gonna è troppo corta», dichiarai. «E guarda qua, se avessi la tua taglia di seno mi si vedrebbero i capezzoli per quanto è profonda questa scollatura».

Lei sbuffò, facendomi segno di allacciarle la zip della tuta da Catwoman.

«Si chiama “infermiera sexy” per qualcosa Haley. Altrimenti l’avrebbero chiamata “Madre Teresa di Calcutta” o che so io».

M’incollai allo specchio, mentre spazzolavo accuratamente le ciglia con il mascara. Mi agitai le mani davanti al viso per farlo asciugare, mentre controllavo di aver fatto un lavoro decente. Britney mi afferrò la faccia con una mano sola, guardandomi da più angolazioni. Dopodiché, continuando a tenermi ferma, estrasse il suo gloss rosso acceso e me lo passò sulle labbra.

«Ecco, ora ci siamo».

Emisi un lungo sospiro, per una volta senza protestare, e mi sedetti sul letto.

«Declan impazzirà, vedrai».

«Chi?».

Alzò le braccia al cielo. «DECLAN. Quel pezzo di universitario che ti ho fatto conoscere, proprio ieri».

Annuii. «Ah, sì».

Britney appoggiò l’eyeliner sul comodino e si voltò. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Voglio dire, a chi non piacerebbe? Se non fossi fidanzata ci avrei fatto un pensierino». Rise. «Ma è tutto tuo».

Scossi la testa. «Lo conosco appena, Brit».

«È per questo che hanno inventato le feste, sai?».

 

La casa dei genitori di Harry era quasi irriconoscibile, piena di decorazioni macabre e di colori sgargianti allo stesso tempo. Britney doveva essersi proprio impegnata. Passammo attraverso la folla che popolava il giardino, salutando qualcuno di tanto in tanto. Una volta dentro avanzai verso il salotto, facendomi spazio a gomitate tra la calca di gente.

Allungai il collo, in cerca di qualche viso conosciuto, ma quasi tutti i presenti indossavano maschere o erano truccati in modo irriconoscibile. Avevo perso Brit in mezzo al casino e dubitavo che l’avrei ritrovata molto presto. E poi c'era Pete con lei, e dopo l'ultima volta non avevo molta voglia di rivedere la sua faccia inquietante.

Qualcuno mi sfiorò la schiena per attirare la mia attenzione.

«Ehi, Haley», quelle parole furono accompagnate da un sorriso tutto canini e scintillii. Declan indossava un mantello nero con il colletto alzato.

«Ehi», lo salutai. «Ma che bel… Conte Dracula?».

«Già. In realtà avevo pensato più a qualcosa come Edward Cullen, ma non avevo abbastanza gel per capelli». 

Risi, portandomi la mano alla bocca.

«E tu dovresti essere…».

«…una suora», finii io per lui.

Ghignò. «Io avrei detto un’infermiera molto, molto sexy, ma se questa è la tua versione».

Mi prese per mano. «In ogni modo, sei davvero una favola».

Sentii le guance surriscaldarsi, non mi ero accorta che stessimo flirtando palesemente fino a quel momento. 

«Grazie. Anche tu non sei niente male».

«Vuoi ballare?».

Annuii e mi lasciai condurre in mezzo ai corpi in movimento. Ci muovemmo l’uno davanti all’altro per un po’, senza ballare davvero. I miei occhi vagarono per tutto il tempo nello spazio intorno a noi, alla ricerca di una chioma riccia e scura, ma non riuscivo a scorgerla da nessuna parte.

Poi le labbra di Declan si avvicinarono al mio orecchio destro.

«Che ne dici di andare a parlare dove c’è meno rumore?».

Acconsentii, tutte quelle persone cominciavano a darmi l’ansia. Gli feci strada verso la cucina, dove non c’era ancora nessuno. Quando la porta si chiuse alle nostre spalle, il suono della musica si attutì un po’.

Mi versai dell’acqua nel bicchiere di carta e la trangugiai in un solo sorso.

«Quindi non è la prima volta che vieni qui?», chiesi.

«No, infatti. Ma ormai non me la ricordavo più».

Aprii il frigorifero. «Vuoi qualcosa da bere?».

«C’è dell’aranciata?».

Studiai le bottiglie impilate una sopra all’altra e feci sì con la testa. Qualcuno doveva averla agitata un po’ troppo perché quando riuscii a svitare il tappo, della schiuma gialla schizzò da tutte le parti.

«Cavolo!», esclamai constatando le pozzanghere di aranciata per terra e sul bancone.

Alzai lo sguardo verso Declan, sentendolo ridere di gusto. 

«È un disastro».

Si piegò su se stesso, le lacrime agli occhi. «Già, lo è».

Nascosi un sorriso. «Piantala, dobbiamo ripulire tutto ora».

«Ma io non ho ancora bevuto la mia aranciata».

«Ti sembra il momento?».

Tese la mano verso di me. «Avanti, bevo e poi ci mettiamo al lavoro».

Alzai la bottiglia sopra la testa per allontanarla dalla sua portata. «No».

Declan scattò in avanti, facendoci finire contro il lavello. «Avanti dammela!».

Scoppiai a ridere. «Noo!».

Mi accorsi che eravamo un po’ troppo vicini solo quando il suo naso quasi sfiorò il mio. Appoggiai una mano sul suo petto per spingerlo più lontano, ma mi bloccai quando udii il volume della musica alzarsi, segno che qualcuno aveva aperto la porta. La bottiglia di aranciata mi scivolò di mano e il liquido colorato si sparse sul pavimento.

La sua figura alta era immobile, il braccio bloccato a mezz’aria. Il suo “costume” comprendeva i jeans neri e la camicia, nessuna traccia di maschere o altro. L’espressione era neutra, non sembrava neppure che mi stesse guardando. Se non fosse stato che eravamo al centro della stanza avrei dubitato perfino che ci avesse visti. Lo sguardo lucido e arrossato suggeriva che aveva passato da un po’ la soglia della sobrietà.

Avrei voluto dire qualcosa, spiegare che non era come sembrava e dirgli che lo stavo cercando.

Ma la mia bocca rimase sigillata, le parole bloccate in gola.

Deglutii. «Har…». 

Ma lui era già sparito.

Fu Declan ad allontanarsi, perché sembrava che avessi improvvisamente perso la capacità di muovermi.

Lo guardai confusa, sentivo le orecchie ardere.

«Haley è tutto okay?».

Annuii impercettibilmente. «Quello era Harry?», sussurrai.

Declan mi guardò con una strana espressione in viso. «Voi due non state insieme, giusto?».

Quella domanda mi colpì come uno schiaffo in pieno viso.

No. Certo che non stavamo insieme. E allora perché mi sentivo in quel modo? E perché Harry se n'era andato così? Doveva avere a che fare con Declan, probabilmente fra loro era successo qualcosa che non sapevo. Non riuscivo a trovare altra spiegazione plausibile.

«Haley?».

Sussultai. «No! Siamo ottimi amici, solo questo».

«Okay», disse, ma non mi sembrava convinto.

Rimasi in silenzio qualche minuto con le tempie che pulsavano.

«Che problema ha con te, Declan?», sbottai.

«Non lo so!», rispose, forse troppo in fretta.

Sbuffai, appoggiandomi al bancone dietro di me. Nessuno dei due parlò, mentre picchiettavo insistentemente le dita contro la superficie dura del marmo. L’orologio della cucina batteva i secondi in modo insistente e non faceva che aumentare la tensione fra noi di noi.

Mi lanciai in avanti senza preavviso, uscendo dalla stanza e tuffandomi nella marea di persone. Avanzai infilandomi negli spazi liberi e allungandomi per cercare Harry, ma la mia statura di certo non aiutava. Possibile che una persona riuscisse a scomparire nel giro di pochi minuti? Continuai la mia ricerca imperterrita, dovevo trovarlo. Mi sarei fatta spiegare che gli stava succedendo e perché sembrava avercela con il mondo intero.

Mi resi conto che la mia piccola marcia si era trasformata in una corsa solo quando urtai uno zombie piuttosto violentemente, e questo fu costretto ad aggrapparsi a qualcuno per non cadere. Rallentai il passo quando arrivai davanti alla porta del bagno. Bussai prima di spalancarla e trovarvi una ragazza avvinghiata a un riccio che conoscevo fin troppo bene. 

Harry era incollato a una bottiglia e non sembrava nemmeno far troppo caso alle effusioni spinte di lei.

Indecisa sul da farsi arretrai di qualche passo. Avevo davvero intenzione di andarmene, ma c’era qualcosa che teneva i miei piedi inchiodati al suolo. I gemiti da cagna in calore di quella sgualdrina mi davano sui nervi, ma non ero nessuno per impedir loro di far niente, avrei parlato dopo con Harry.

Nessuno dei due sembrava essersi accorto di me, quindi mi costrinsi a voltarmi per andar via.

«Haley», il mio nome venne sussurrato appena dalla sua voce roca. 

Quando tornai a guardarlo la ragazza era sgusciata via e presto si mescolò tra la folla. Harry era accasciato contro il muro, la pelle del suo viso bianca e tirata.

Mi avvicinai senza esitazione prendendogli il volto tra le mani. «Oh mio Dio Harry, quanto hai bevuto?».

Le sue palpebre si sollevarono leggermente per scrutarmi. «Va-vattene».

Lo aiutai ad alzarsi sorreggendolo con un braccio, ignorando le sue proteste.

Lo trascinai a fatica, ma lui mi tirò all’indietro per costringermi a fermarmi. Mi spinse via mentre si chinava sul lavandino con un lamento. Aspettai pazientemente che fisse di rimettere e quando si sollevò mi parve stesse un po’ meglio. Finché non cadde in avanti e mi finì addosso.

Mi armai di tutta la mia buona volontà e lo portai al piano di sopra, fino alla sua camera da letto. Non so come ci riuscii, Harry da svenuto sembrava pesare cento chili. Se poi ci si aggiungeva il fatto che fosse alto almeno venticinque centimetri più di me l’impresa sembrava praticamente impossibile.

Lo adagiai sul letto e per un po' rimasi inibita a fissarlo, non sapendo bene cosa fare. Ero venuta per parlare con lui, ma ero finita con l'aiutarlo a riprendersi dallo sbocco. 

Optai per slacciargli i primi bottoni della camicia per farlo respirare meglio.

«Mi stai spogliando?».

Sul suo viso era comparso un piccolo sorriso beffardo, ma gli occhi erano ancora chiusi.

«Ti preferivo quando dormivi».

Sbadigliò. «Ti accontento subito. Tu intanto continua pure».

Alzai gli occhi al cielo, arrossendo leggermente. «D’accordo, è meglio che vada».

Allungò una mano verso di me. «No, aspetta. Vieni qui».

Mi sedetti accanto a lui, giocherellando nervosamente con le dita. «Che c’è?».

Scosse la testa, facendomi segno di tacere. «Ho mal di testa».

Sospirai e rimasi in silenzio, obbediente. Doveva sempre essere così lunatico.

«Così tu e Burton, eh?», dalla sua voce traspariva soltanto lo sforzo che gli causava parlare in quello stato. Scossi la testa, dimenticando che non poteva vedermi. «Haley?».

«No, Harry. Non c’è niente tra noi».

«Non ti devi giustificare». Le sue parole erano a malapena udibili.

Cercavo disperatamente di capire dove volesse andare a parare. Gli scostai un ciuffo ribelle dalla fronte. 

«Ma…?».

«Ma non mi piace».

Sbuffai, tirandogli un ricciolo per dispetto e facendolo brontolare.

«Non deve piacere a te», dissi.

Si sollevò sui gomiti per guardarmi meglio, i suoi occhi verdi ancora lucidi per l’alcol scavarono a fondo nei miei.

«Lo so. Ma tu non lo conosci, okay?».

«E tu sì?».

«Sì. Dovresti stargli lontana», dal suo tono era sparita quella giocosità infantile di poco prima.

«Declan è un ragazzo molto dolce, Harry». Ero passata involontariamente sulla difensiva.

La sua mano si chiuse a pugno intorno al mio polso, stringendolo. «Devi ascoltarmi, Haley»

Mi alzai di scatto, allontanandomi da lui, ma non riuscii a liberarmi dalla sua stretta. «Lasciami».

Anche lui si era alzato e ora torreggiava su di me. Nonostante non l'avrei mai ammesso davanti a lui, la sua altezza mi intimidiva.

«Ci sono cose che non sai», ringhiò tra i denti.

Mi divincolai, riuscendo solo a farlo impuntare di più. 

«Pensi che ascolterei uno che sputa sentenze mentre è ubriaco fradicio?». 

Approfittai del suo momento di esitazione per liberarmi.

«Cazzo Haley, sto solo cercando di farti ragionare!», tuonò colpendo la testiera del letto con un pugno. Il legno scricchiolò sotto il peso del suo colpo e per un attimo credetti che cedesse.

Sbarrai gli occhi, indietreggiando di qualche passo. Dovevo aver sottovalutato il livello di alcool nel suo corpo.

«I-io me ne vado».

I miei passi si fecero più urgenti man mano che arretravo, finché non sfiorai la porta con la schiena.

«Haley!».

Me la sbattei alle spalle e iniziai a correre. Mi scontravo con le persone quasi senza accorgermene e non mi fermai finché non fui almeno una decina di metri lontano dal giardino della casa. Sapevo che Harry da ubriaco perdeva spesso il controllo e per questo motivo mi tenevo alla larga da lui quando andavamo in discoteca o a qualche festa.

Continuai a correre fin quando non mi ritrovai, non so bene come, sotto le coperte del mio letto, abbandonandomi alla sensazione dei muscoli doloranti.

***

Spazio autrice:
Dunque, ecco qui il quinto capitolo (ma va? Ahahahah). Non mi fa impazzire, ma era necessario e spero tanto che a voi piaccia. Come sempre ringrazio tutti quelli che hanno recensito e aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate ecc.. Vi prego ancora di farmi sapere cosa ne pensate, ho davvero bisogno dei pareri di qualcuno anche più esperto, è molto molto importante per me. Ora vi lascio, un bacione tessori(?)
#Allie

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Capitolo 6
*** Seven ***


7. SEVEN
 

«Non la toccare, idiota!». Rimasi paralizzata nell’udire la voce di Britney. 

La ragazza puntò il telefono contro Declan come fosse stato un arma da fuoco. 

«Vattene, o chiamo la polizia».

Lui si alzò barcollando e si allontanò, con la coda tra le gambe. Non credevo che la mia amica potesse fare questo effetto su un qualunque ragazzo e ne fui piacevolmente sorpresa.

«Brit».

Lei si voltò e mi corse incontro, abbracciandomi forte. «Mio Dio tesoro, come stai?».

Mi guardò negli occhi come per cercare qualche segno del terrore che non manifestavo.

«Va tutto bene. Che ci facevi qui?».

«Ero venuta ad accertarmi che fossi andata a quello stupido appuntamento. Ma forse sarebbe stato meglio che non l’avessi fatto. Mi sento così in colpa, non pensavo fosse…».

La zittii con un altro abbraccio. «Non potevi saperlo», dissi solo.

Gli pneumatici stridettero sull’asfalto quando l’auto fece marcia indietro. Il finestrino si abbassò con un ronzio.

«Non è finita qui», abbaiò Declan.

Dopodiché partì a tutta velocità, senza nemmeno darmi il tempo di replicare.

Britney mi seguì fino alla mia stanza e ci accomodammo sul letto, l’una di fronte all’altra con le gambe incrociate.

«Vuoi spiegarmi che è successo?».

Sospirai, appoggiandomi al muro dietro di me. «Declan ha provato a baciarmi e io l’ho respinto. Lui crede che Harry c’entri in qualche modo, ma io gli ho…».

«Aspetta, cosa?». Strabuzzò gli occhi. «Harry?».

Annuii. «Crede che mi abbia detto delle cose sul suo conto per allontanarmi da lui».

«Ed è così?».

«No! O meglio sì, ma non c’entra».

Britney alzò un sopracciglio interrogativamente. Il fatto che le stessi nascondendo qualcosa era più che evidente, ma non avevo la minima intenzione di parlarle del bacio.

«Harry mi ha detto solo che Declan è… “pericoloso”», tentai invano di imitare la sua voce profonda. «Ma non mi ha spiegato nient’altro».

«Quindi tu l’hai rifiutato per quello che ti ha detto Harry».

Scossi la testa. «L’ho fatto semplicemente perché non volevo baciarlo!».

«E Harry che c’entra allora?».

Alzai le braccia al cielo e le lasciai ricadere sul materasso. 

«Niente!», sbottai.

«Sei tu che l’hai messo in mezzo», cercai di regolare il tono della voce per non sembrare isterica, ma qualcosa mi diceva che era ormai troppo tardi.

Infatti l’espressione della mia amica era eloquente.

«Okay, Declan si è rivelato un cretino, Hal. Ma il fatto che tu abbia creduto a Harry mi lascia perplessa».

«Ma io non gli ho creduto».

«E allora perché non l’hai baciato? Nessuna ragazza che non sia già presa da qualcun altro non si lascerebbe baciare da uno come lui». Mi soppesò con lo sguardo. «E l’unica persona che conosco che potrebbe batterlo in bellezza, ha la sensibilità dell’uomo di Neanderthal e il cervello di un opossum».

La sua affermazione mi fece ammutolire, la conferma di cui aveva bisogno.

Mi prese le mani e mi parlò dolcemente. «Sono la tua migliore amica e ti conosco meglio di quanto conosco me stessa. Qualunque cosa tu abbia deciso di non dirmi sono sicura che c’è una buona ragione. Quando ti sarai chiarita le idee ne riparleremo».

Era raro sentirle pronunciare parole così mature e profonde, e ogni volta che lo faceva mi lasciava spiazzata. Così rimasi inibita sul mio letto mentre ascoltavo la porta della mia stanza e poi quella d’ingresso chiudersi alle sue spalle.

Un pensiero mi vorticò nella mente, veloce come una meteora.

Harry.

Come se non fosse stato il mio chiodo fisso nelle ultime ore. Come se i suoi occhi verdi che sembravano scavarmi nel fondo dell’anima, non mi si fossero impressi un attimo dopo che le nostre labbra si erano staccate.

Ma che stavo dicendo? Harry e io eravamo amici. Era sempre stato così. La mia teoria era che baciarmi gli era sembrato l’unico modo per impedirmi di andare. Solo per non mettermi in pericolo. Questo implicava però che lui fosse convinto che bastasse un suo bacio per farmi cadere ai suoi piedi, e si sbagliava. Si sbagliava di grosso. Certo, e allora perché non facevo che torturarmi?

Una fredda goccia di pioggia che era rimasta intrappolata nel capelli s’infilò nel colletto della maglia e scivolò giù, facendomi rabbrividire e risvegliandomi dal mio monologo interiore.

Mi alzai e andai in bagno ad asciugarmi i capelli, il getto di aria calda mi permise di rilassarmi un po’. Quando ebbi finito mi accorsi che erano le undici passate, quindi scesi al piano di sotto per ricontrollare di aver chiuso la porta. Non mi ero mai lamentata davanti a Tess o a mamma e papà, ma non mi piaceva stare sola così spesso. Però sapevo che era necessario, i miei genitori erano proprietari di un’impresa edile e viaggiavano spessissimo, per concludere più affari possibili. Così non mi restava altro che accontentarmi dei pochi momenti in cui li vedevo.

Il cellulare vibrò nella tasca dei pantaloni. Il messaggio era di Britney, che mi dava la buonanotte, e mi sorpresi quando avvertii la delusione crescere dentro di me. 

Quasi senza pensarci aprii la sua chat. Il mio cuore fece una capriola quando lessi la parola ‘online’.

Online

Perché non mi aveva ancora scritto? Forse si aspettava che lo facessi io, ma non avevo idea di cosa avrei dovuto dirgli. Nella mia testa c’erano un misto di rabbia, tristezza e confusione. Ma era la rabbia la parte maggiore. Perché non riuscivo a concepire il suo gesto, perché non capivo se gli importava o no l’aver rovinato la nostra amicizia e, soprattutto, perché mi rendevo conto solo in quel momento che quel bacio mi era maledettamente piaciuto.

Una fitta mi scosse quando la scritta ‘online’ venne sostituita da ‘ultimo accesso effettuato alle 23:17’.

Spensi il telefono e lo gettai da una parte.

 

Il viaggio fino a scuola con Britney era stato stranamente silenzioso. Nessun blaterare di cose che normalmente avrei solo finto di ascoltare, nessun pettegolezzo, niente di niente. Ci eravamo salutate e poi lei aveva continuato a guidare, tirando fuori il cellulare di tanto in tanto per scrivere qualche messaggio.

Quindi feci quasi mezzo metro di salto dal sedile quando, dopo aver parcheggiato l’auto, si voltò verso di me.

«Se ti sbrighi forse lo trovi».

«Chi?».

Mi lanciò una strana occhiata. «Forse intendevi cosa. Il quaderno che mi hai detto di aver lasciato in biblioteca», replicò in tono ovvio.

Mi diedi uno schiaffo sulla fronte, trattenendo un enorme sospiro. «Ah, già».

«Prima che inizino le lezioni, voglio dire. Ci vediamo a inglese».

Mi diressi verso l’edificio B4, facendo strisciare le mie converse verdi sull’asfalto umido. Aveva smesso di piovere da qualche ora, ma potevo ancora percepire l’odore intenso della terra bagnata. Nonostante avessi passato diversi minuti in bagno a cercare di dare una forma ai miei capelli, sapevo che i miei sforzi erano andati in fumo non appena avevo messo il naso fuori casa. Quindi mi ero arresa e li avevo raccolti in una treccia disordinata.

«Haley!».

Mi voltai di scatto, sfilandomi l’unica cuffietta che mi era rimasta nelle orecchie. Una ragazza dai capelli biondi a ciuffi rosa fragola mi salutava con la mano. Ero sicura di averla vista a qualche corso, ma non riuscivo a ricordare il suo nome. Mi venne incontro quasi correndo, seguita a ruota dall’amica, che mi lanciava timide occhiate.

«Ciao», mi salutò di nuovo.

Mi accorsi della mia espressione corrucciata quando vidi il grande sorriso sul suo volto affievolirsi. Mi sforzai di assumere un atteggiamento meno ostile e arrischiai un sorriso. Non lo facevo apposta, davvero, è solo che non amavo quella popolarità di cui Brit andava tanto fiera e non ero mai pronta a situazioni come quella. Ma ormai mi ero rassegnata e ogni volta che incontravo qualcuno che sapeva il mio nome e che magari io non avevo nemmeno mai visto, non ci facevo molto caso.

«Posso aiutarti?», chiesi.

«Ehm, veramente io… Frequentiamo lo stesso corso di chimica. E biologia», disse continuando ad annuire come in una specie di tic nervoso. «Mi chiedevo se… Beh, se avessi il numero di H-harry».

Le mie sopracciglia si sollevarono involontariamente. «Oh».

La studiai accuratamente, era un po’ più alta di me, con un paio di grandi occhi castani e il collo lungo e affusolato. E carina, molto carina. Esattamente il genere di ragazza che Harry era solito frequentare, per qualche giorno, settimana al massimo.

«È solo per delle prevendite», si affrettò ad aggiungere. «So che lui è un PR, così…».

Alzai una mano per fermarla. Sapevo benissimo che quella delle prevendita per la discoteca era solo una scusa, benché Harry prestasse davvero quel genere di servizi. E sapevo altrettanto bene che lo faceva soltanto per cose come quella, ovvero attirare clientela femminile. In tutti i sensi.

«Scusa», dissi «ma vado di fretta».

Le scivolai accanto mentre la superavo, dirigendomi a passo svelto verso la biblioteca. Mi sentivo talmente stupida, il fatto che ci fossimo baciati non doveva significare essere infastidita da cose come quella. Capitavano spesso e inoltre a Harry stava bene.

Ero così presa dai miei pensieri che non mi resi conto di essere già nel bel mezzo degli scaffali pieni di libri. Mi guardai intorno attentamente, anche se ormai non ci speravo troppo: erano ormai tre o quattro giorni che il mio quaderno era scomparso e quella della biblioteca era solo un ipotesi. Un ragazzo era seduto proprio nel punto in cui ricordavo di averlo lasciato, al tavolo che stava in mezzo alla narrativa e ai romanzi storici.

Mi avvicinai e gli picchiettai la mano sulla spalla delicatamente.

«Scusa, hai visto…». Mi bloccai a metà frase. I suoi occhi color smeraldo si spalancarono leggermente per la sorpresa. 

Da dietro non ero riuscita a riconoscerlo per via del berretto grigio che indossava.

La mia mano si ritrasse automaticamente, per finire nella tasca del giacca.

«Ciao», disse.

Che diavolo ci faceva in biblioteca? Fino a cinque secondi prima ero convinta non sapesse nemmeno della sua esistenza.

«Ehm, io… Cercavo solo…», balbettai gesticolando.

Lui annuì e tirò fuori un piccolo quaderno blu dalla tracolla, porgendomelo. Lo afferrai esitante, affrettandomi a infilarlo nel mio zaino.

«Grazie».

Feci dietrofront per uscire al più presto, ma la sua grande mano mi afferrò per un braccio. Quando mi voltai Harry si era alzato e per guardarlo in viso dovetti alzare il mio di parecchio. I suoi occhi erano incatenati ai miei in un modo così intenso che credetti di sentir cedere le gambe.

«Perché?». Non so dove presi il coraggio di parlare.

La domanda sembrò colpirlo in pieno petto e per un attimo sperai davvero che mi avrebbe risposto. Ma poi i suoi ricci oscillarono mentre scuoteva la testa.

«Britney mi ha detto di Declan».

Il mio labbro inferiore tremò, mentre contraevo la mascella per non scoppiare a piangere.

«Beh, avevi ragione. È questo che volevi sentirti dire? Sì Harry, Declan è un idiota. Sei contento adesso? Eh?», il tono della mia voce era diventato un po’ troppo alto, ma fortunatamente la biblioteca a quell’ora era deserta.

«Smettila Haley», mi gelò.

Mi liberai dalla sua presa e gli tirai un colpo sul petto, con tutta la forza che avevo in corpo.

«Lo sai cosa sei? Sei uno stronzo! Uno stronzo bambino viziato. Dio!».

Lui dischiuse le labbra per parlare, ma non gliene diedi il tempo. 

«Per te non esiste il concetto di “amicizia”? Per te è tutto o niente, non è vero? No, lasciami finire!», sbraitai quando lui tentò di nuovo di interrompermi. «Credevo che ci fosse qualcosa di diverso tra di noi, qualcosa che contasse. Invece tu devi sempre prenderti tutto».

Mi fermai, permettendogli di spiegarsi, di smentirmi, di dire qualsiasi cosa. Ma lui rimase impassibile, le braccia tese lungo i fianchi, il cappello era sceso un po’ sulla sua fronte.

Prima che potesse fermarmi ancora una volta, corsi via più veloce che potei. Avevo perso il controllo, non erano queste le cose che avrei voluto dirgli, ma ormai era troppo tardi. Se non altro avevo avuto la conferma che non gli importava.

Nella mia marcia verso l’aula di inglese mi scontrai di nuovo con la ragazza-fragola. Senza dire una parola estrassi una penna e le scribacchiai le nove cifre sul palmo della mano, furiosamente, senza preoccuparmi se le stessi facendo male o meno. Infine proseguii senza più fermarmi, lasciandola interdetta e a bocca aperta.

Solo dopo essermi rinchiusa nel bagno delle ragazze lasciai che le lacrime scorressero senza freni lungo mie guance.

 

***

Spazio autrice:
Ed eccoci qua col settimo capitolo. Mmh.. sono un pochino triste, perché qui Harry non riesce (o non può.. ups, SPOILER) a dirle tutto quello che dovrebbe.
Nonono basta ho già detto troppo.
Dunque, come sempre un bacio grande grande a chi legge e recensisce, siete meravigliose! Alla prossima puntata ;)
#Allie

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Capitolo 7
*** Six ***


6. SIX

C’è un momento, quando si è appena svegli, in cui non si ricorda niente. La tua mente è un enorme foglio bianco e sconfinato e per un istante, un brevissimo istante, ci riempiamo di una gioia immensa e immotivata.

Poi però la coscienza ha la meglio, e la violenza della consapevolezza quasi ci toglie il respiro.

Sbattei le palpebre un paio di volte prima di riuscire a mettere a fuoco la stanza intorno a me.

Pioggia. Un forte scrosciare contro il tetto e le finestre.

Girai la testa verso il comodino, la sveglia segnava le nove e un quarto. Mi alzai seppur controvoglia e mi sedetti in cucina con una tazza di tè caldo. Mi godei la sensazione di tepore del plaid per un po’, finché non sentii la porta d’ingresso aprirsi.

«Tess?», chiamai.

Poco dopo una testa candida sbucò dal corridoio. «No, sono io Haley».

«Ah, Karen». Sorrisi alla domestica. «Sai dov’è mia sorella?».

Lei annuì, sistemando una serie di sporte sul tavolo.

«Ha detto di dirti che passerà il ponte a Londra con degli amici».

«Oh… E ti ha detto anche quando torneranno i miei?».

Scosse la testa energicamente e iniziò a sistemare la spesa nei mobili. Dopo averla aiutata mi diressi di nuovo nella mia stanza. Accesi il cellulare e trovai una decina di chiamate perse da Britney, nessuna di Harry.

La richiamai e, come al solito, rispose quasi subito.

«Come si chiama quella tipa con i neuroni ustionati? Ah sì, Haley Grantham».

«Buongiorno Brit».

«Buongiorno un accidente! Io...tu... grr».

«Con parole tue, Brit».

«Ieri sera ti ho cercata per tipo un’ora e chi mi viene a dire che te ne sei andata? Quell’idiota di Styles. Che tra l’altro ho trovato per puro caso, visto che se ne stava barricato in camera sua come una specie di eremita. Mi ha detto che avete litigato, ma fin qui chi se ne frega. Invece ho parlato con Declan, e cosa mi dice? Che sei sparita liquidandolo con due parole a caso».

Fece una pausa per riprendere fiato, temevo le venisse un infarto da pressione troppo alta.

«Quindi la domanda sorge da sé, che cavolo hai nel cervello?».

Sbuffai, strattonando le lenzuola del mio letto per farne uscire le chiavi che chissà come vi erano finite in mezzo.

«Senti, ora non ho voglia di parlarne. Penso che rimanderò i terribili rimpianti a domani o dopodomani, promesso. Nel frattempo sono sicura che troverà qualcosa con cui tenersi occupato».

«Non usare quel tono sarcastico. Anche perché stasera hai un appuntamento con lui».

Lasciai cadere le chiavi sul parquet di legno. «Cosa?».

«Oh, mi ringrazierai più tardi. Ora pensa solo a un modo per farti perdonare, chiaro?».

«Evapora».

«Passa a prenderti alle sette!», gridò prima che le agganciassi il telefono in faccia.

Raccolsi le chiavi dal pavimento e le lanciai sulla scrivania in un gesto esasperato. Perché quella ragazza non era capace di mettersi dei freni? Non mi dispiaceva uscire con Declan, certo, ma il pensiero fisso della litigata con Harry mi avrebbe impedito di godermi la serata. E poi volevo essere io a decidere quando, se e con chi uscire. Nonostante questo sapevo di dovergli delle scuse, non era colpa sua se Harry era un idiota.

Qualcuno bussò delicatamente alla porta della mia stanza e l’aprì. Karen mi rivolse un sorriso cordiale.

«Vuoi qualcosa in particolare per pranzo?».

Scossi la testa, con un espressione nauseata. «No grazie, Karen. Non ho molta fame. Anzi, sai che ti dico? Perché non torni a casa dalla tua famiglia e prepari loro qualcosa di buono, visto che è festa?». L’espressione della donna era incerta. «Ma…».

Abbozzai un sorriso. «Io starò benissimo».

Dopo essere riuscita a convincerla decisi di impegnare la mia mente in qualcosa di utile come i compiti.

Mi resi conto dell’orario solo quando lo schermo del mio cellulare lampeggiò per segnalare un messaggio.

“Va a quell’appuntamento!”

Scattai verso l’armadio e lo spalancai, sfilandomi contemporaneamente i pantaloni della tuta e la canotta. Mi aggrappai alla maniglia per non cadere, mentre i miei occhi guizzavano da un lato all’altro in cerca di qualcosa da mettere. Infilai un maglioncino blu e i jeans scuri e schizzai fuori dalla stanza. Mi bloccai a metà strada tra il bagno e le scale.

Harry era appoggiato alla ringhiera, il suo viso era qualcosa di irriconoscibile. Un paio di occhiaia scure campeggiavano sul suo viso macchiando il verde dei suoi occhi di nero. La maglietta a maniche corte che indossava evidenziava il suo fisico asciutto e i muscoli affusolati delle braccia e dell’addome. Si passò una mano nei capelli umidi e disordinati per scostare i ciuffi che gli erano caduti sulla fronte.

«Ciao», la profondità del suo tono mi fece sobbalzare.

Aprii la bocca per rispondergli, ma non ne uscì alcun suono. Harry fece qualche passo avanti, ma io rimasi immobile a fissarlo.

«Dovresti tenere la porta chiusa quando sei sola in casa», proseguì.

Tutto quello che mi riuscii fu un lieve cenno d’assenso. Lui sbuffò, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi e facendo guizzare i muscoli degli avambracci.

«Mi dispiace, okay? Non volevo essere così… Beh, io. Non avrei dovuto reagire in quel modo. Ma ero ubriaco e ti ho vista con quel cazzone. Già, la mia opinione non è cambiata».

«E allora perché sei qui?».

«Per aggiustare le cose. Per parlare».

Sospirai. «Non c’è niente di cui parlare Harry, la pensiamo in due modi diversi. E poi tra cinque minuti devo andare, sono in ritardo».

«Dove?».

Sbuffai ed entrai in bagno, dandogli le spalle. Mi spazzolai i capelli in tempo record, consapevole della presenza di Harry dietro di me.

«Haley, ti ho fatto una domanda. Dove devi andare?».

Assottigliai lo sguardo, maledicendo la sua testardaggine. «Non sono affari tuoi, okay?», sibilai tagliente.

Entrò nella stanza a grandi falcate, il suo sguardo era incatenato al mio.

«Esci con lui, vero?».

Strinsi il lavandino con una mano, mentre la mia immagine riflessa nello specchio diventava improvvisamente molto interessante. Un paio di occhi verdi mi fissarono di rimando. Ma non era un verde limpido come quello di Harry, era qualcosa di meno puro, “sporco” avrei detto io. Un colore ibrido, la via di mezzo tra un verde scuro e un nocciola.

Un tonfo secco mi fece voltare di scatto verso il mio amico. La sua mano era chiusa a pugno contro la parete dietro di lui. I suoi occhi erano chiusi, le labbra piene aperte mentre faceva respiri profondi per calmarsi.

«Non stavo scherzando quando ti dicevo che è pericoloso», il suo tono era volutamente controllato, forse stava cercando di non spaventarmi. Inutile dire che i suoi tentativi erano vani.

«Se c’è qualcosa che vuoi dirmi sono qui, Harry. Altrimenti lasciami andare, sono in ritardo».

Le sue palpebre si sollevarono di scatto, veloci come quelle di un felino.

«No», sussurrò. «Non posso».

Annuii con calma. «D’accordo. Allora non ti dispiace se…». Il campanello trillò, interrompendomi e chiarendo il concetto allo stesso tempo.

Lo sorpassai senza sforzo e dopo essermi infilata le scarpe velocemente, volai al piano di sotto. Feci per aprire la porta, ma una grande mano si chiuse intorno alla mia proprio mentre premevo sulla maniglia. Il petto di Harry quasi sfiorava la mia schiena quando mi voltai.

«Harry…», dissi quasi implorante.

«Tu non capisci».

Sospirai. A quel punto non sapevo nemmeno perché mi ostinavo ad andarci a quell’appuntamento. Forse solo per spirito di contraddizione, per dimostrargli che non prendevo ordini da lui e che il fatto di essere il mio migliore amico non gli permetteva di avere alcuna influenza su di me.

Così, quando le parole uscirono dalla mia bocca m’impegnai a mettervi più determinazione possibile.

«No, infatti. Non capisco. Ciao, Harry».

Fu talmente veloce che quando me ne resi conto ormai era troppo tardi. Mi afferrò per la vita, facendomi voltare con il corpo verso di lui. Poi, in una frazione di secondo, la sua bocca si posò sulla mia.

In un primo momento rimasi lì, immobile, a godermi la meravigliosa sensazione di lui, delle sue labbra, del suo respiro caldo, dimenticando che si trattava di Harry. La sua mano si posò sulla mia schiena attirandomi più vicina a sé, mentre l’altra afferrava la mia nuca, spingendo i nostri visi l’uno contro l’altro. Fu quando avvertii la sua lingua cercare di penetrare nella mia bocca che mi risvegliai. I miei occhi si spalancarono all’improvviso e mi affrettai ad allontanarmi da lui, interrompendo il bacio.

Mi portai la mano tremante sulle labbra, come per accertarmi che fosse successo davvero. Harry mi guardava come fossi stata una specie di bomba a orologeria, pronta ad esplodere da un momento all’altro.

Dalla mia gola uscì solo un lamento soffocato, mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime. Una serie di pensieri confusi, irrazionali si erano impadroniti della mia mente.

Quando realizzai che le sue mani mi stringevano ancora feci un balzo all’indietro, finendo contro la porta.

«Haley…», mugolò. Sembrava confuso almeno quanto me, le sopracciglia erano aggrottate in quel modo che conoscevo tanto bene.

Il campanello mi fece sussultare e per poco non lanciai un grido. Harry tese la mano verso di me.

«Per favore».

Ma avevo già spalancato la porta per poi richiuderla alle mie spalle, appoggiandomici con la schiena come per impedirle di riaprirsi. Trovai un Declan un po’ perplesso che mi fissava come fossi pazza. Evidentemente la mia espressione non doveva essere delle migliori.

«Ciao», dissi senza fiato.

«Va tutto bene?», chiese, allungando il collo per indicare qualcosa dietro le mie spalle.

Annuii un po’ troppo velocemente. «Sì, sì. Scusa è che ho… Fatto un po’ di corse. Ero in ritardo».

«D’accordo», il solito sorriso si impadronì del suo volto. «Vogliamo andare?».

«C-certo».

Ci coprì con il suo ombrello finché non arrivammo all’auto e aspettò galantemente che chiudessi la portiera prima di salire a sua volta.

Non mi accorsi nemmeno quando mise in moto, i miei occhi erano fissi sulla porta di casa mia che non accennava ad aprirsi. Mi chiedevo cosa stesse facendo in quel momento. Si era reso conto di ciò che aveva fatto ed era pentito? Oppure non gli importava e per lui sarebbe stato tutto come prima?

Declan si schiarì la voce per attirare la mia attenzione.

«Non ti ho più vista ieri sera», disse.

Annuii. «Avevo… Ho litigato con…».

Harry. Possibile che lo trovassi in ogni frase che pronunciavo?

«A causa mia?».

M’irrigidii. Non credevo a quello che mi aveva detto Harry sul suo conto, ma evitare di parlarne proprio con Declan mi sembrava appropriato. «No, no. Insomma, non proprio».

«Ti va di parlarne?». Scossi energicamente la testa. Il mio stomaco era un groviglio indefinito, l’ultima cosa che volevo in quel momento era parlare di lui e peggiorare la situazione.

«Mi dispiace per ieri sera», iniziai. «Non volevo essere scortese».

Lui liquidò le mie scuse con un cenno. «Non preoccuparti, ho capito».

Per qualche ragione mi sentivo in obbligo di fare conversazione, forse per alleviare il mio senso di colpa per il fatto che la mia mente fosse occupata da Harry mente uscivo con lui.

«Dove stiamo andando?», mi sforzai di mantenere un tono allegro.

«In un posto carino».

Il ristorante era un po’ fuori Holmes Chapel, in mezzo a un tratto di campagna. Sintetizzo dicendo che fu la serata più lunga della mia vita. Non riuscivo a toccare cibo e le continue chiacchiere di Declan mi sembravano così false, ogni suo complimento studiato e meschino. Ma sapevo che non era colpa sua e che il mio giudizio era viziato dalle parole di Harry. Probabilmente le sue allusioni mi sarebbero sembrate solo un modo carino per provarci, in un normale contesto. Quindi, una volta davanti a casa mia dovetti trattenermi dal tirare un sospiro di sollievo. Pioveva ancora, quindi Declan scese dall’auto insieme a me e mi accompagnò fino al porticato con l’ombrello.

Quando il suo viso si avvicinò lentamente al mio capii ciò che stava per succedere, e gli misi prontamente una mano sulla spalla per fermarlo. Lui si allontanò un po’ confuso.

«Io credevo che…».

«Mi dispiace», tagliai corto. «Sei un bel ragazzo, e anche simpatico…».

Strinse il manico dell’ombrello. «È per lui, è così?».

«Lui chi?».

«Harry», pronunciò quel nome come fosse una parolaccia. «Ti ha fatto il lavaggio del cervello su di me, non è vero?».

La mia mano cercò le chiavi nella borsa, mentre faticavo a non distogliere lo sguardo da lui. «No! Non c’entra niente…».

«Cosa ti ha detto?», il suo tono di voce si era alzato notevolmente.

Eccole, ecco le chiavi. Le estrassi e le infilai nella serratura.

«Te l’ho già detto, Harry non…».

«Haley, non capisci che è geloso? Tutto quello che ti dice è per farti cambiare idea su di me!».

«Ma che stai dicendo, Declan? Io non ho bisogno di cambiare idea su nessuno. Il fatto che io non voglia baciarti non c’entra niente con Harry, e mi dispiace se ti ho fatto credere di essere interessata a te come qualcosa in più che un’amica!».

«Figlio di puttana», sibilò colpendo la porta con un calcio. «Io giuro che lo ammazzo!».

«Declan, finiscila!».

Mi sbatté contro al muro, facendomi uscire l’aria dai polmoni. «Dimmi che ti ha detto». 

Nei suoi occhi brillava una luce folle che non avevo mai visto. La sua mano era stretta saldamente intorno alla mia gola.

«Sei pazzo?», rantolai.

La porta si aprì di colpo e le chiavi tintinnarono, ancora infilate nella serratura. Declan venne staccato da me all’improvviso, e cadde all’indietro sulle scale e poi sul prato.

***

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Capitolo 8
*** Eight ***


8. EIGHT

Britney’s POV

Inclinai la mia copia di “Orgoglio e Pregiudizio” in modo che nascondesse il cellulare. Tenni d’occhio la professoressa Hopkins per un po’ e quando il suo sguardo fatale si spostò verso la prima fila, aprii la chat di Haley e iniziai a scrivere.

 

“Dove sei?”

 

Nessuna risposta, non era nemmeno online e credevo di conoscerne piuttosto bene la ragione. Quando l’avevo mandata in biblioteca sapevo esattamente che avrebbe incontrato Harry, mi aveva detto che quella mattina avrebbe dovuto finire una ricerca. Haley si ostinava a non volermi raccontare niente, ma il fatto che tra quei due fosse successo qualcosa era più che evidente. In tre anni, non avevano mai litigato; o meglio, Harry si comportava da idiota come al solito, ma il giorno dopo era sempre tutto come prima. Non capivo l’ostinazione di Hal nel mantenere quell’amicizia, ma se la rendeva felice non sarei certo stata io a ostacolarla. Anzi, stavo facendo del mio meglio per farli riappacificare, ma a quanto pareva le cose non erano andate secondo i piani. Scrissi un secondo messaggio, questa volta a Harry.

 

“Cortile fra due minuti”

 

Non dovetti attendere molto la sua risposta, solo che non era quello che mi aspettavo.

 

“Ok”

 

Scesi i gradini velocemente e mi allacciai il cappotto fino al collo quando l’aria fredda d’autunno m’investì. Harry era appoggiato al portabici, le mani in tasca e lo sguardo basso, cupo. Alzò la testa sentendomi arrivare, ma la sua espressione rimase neutra.

Sbuffai, facendo uscire una piccola nuvoletta dalle mie labbra. «Allora?».

«Sei tu che mi hai fatto venire».

Alzai gli occhi al cielo. «Senti Styles, non farmi perdere tempo. Cos’è successo con Haley?».

«Ti ha chiesto lei di parlarmi?».

Allargai le narici, costringendomi a non mandarlo al diavolo. L’arroganza di quel ragazzo era qualcosa di insopportabile. Era la persona più viziata che conoscessi.

«No. Lei non sa nemmeno che sono qui. Anche perché in classe non c’è, e le lezioni sono iniziate da tre quarti d’ora».

Per un attimo vidi passare nei suoi qualcosa di diverso dall’indifferenza, ma non mi sforzai di identificarlo. «L’ho baciata», disse infine.

Il mio primo istinto fu quello di scoppiare in una sonora risata, ma la piega delle sue labbra e la mascella contratta mi suggerirono che non stava scherzando.

«Tu hai fatto cosa?».

«Senti, non ho bisogno che tu mi faccia la paternale. Ho diciotto anni, sono in grado di decidere per me».

«Io non credo proprio, visto che sei riuscito ad allontanare l’unica ragazza con cui eri riuscito a non scopare dopo cinque minuti di conoscenza».

Il suo sguardo si schiarì un po’. «E questa cos’era, una piccola vendetta?».

«No», sputai. «Un dato di fatto».

Lo schermo del telefono lampeggiò per segnalare un nuovo messaggio da Hal. Lo aprii.

 

“Scusa non mi sento bene, credo che salterò la prima ora. Xx”

 

Quando alzai lo sguardo dal cellulare Harry mi dava le spalle e si era allontanato di qualche passo. «Ehi! Dove diavolo stai andando?», gli urlai.

«Torno a lezione. Sai, tra meno di un anno dovrei prendere un diploma», disse senza nemmeno guardarmi.

«Ma che c’entra? Devi chiarire con Hal, hai capito?».

«Non sono affari tuoi. E non usare quel soprannome, fa schifo».

Se gli occhi potessero uccidere, Styles sarebbe morto in quel preciso istante.

 

Haley’s POV

Aspettai che la campana smettesse di suonare per uscire dal bagno. Avevo faticato parecchio per far scomparire gli effetti del pianto, ma il risultato era soddisfacente. Mi ero detta che piangere non aveva alcun senso, specialmente per uno come Harry. Britney mi ripeteva sempre quanto fosse stupido avere un legame così forte con lui, nonostante era stata proprio lei a presentarci. La chiamava “forma di masochismo morale”, ma fino a quel momento mi ero limitata a lasciarla parlare.

 

*INIZIO FLASHBACK*

Sbuffai, mentre la punta delle mie scarpe diventava improvvisamente molto interessante. Aspettai che Brit finisse di salutare tutte quelle persone che non avevo mai visto, poi la tirai per un braccio.

«Quando ce ne andiamo?».

Si aggiustò i capelli per la milionesima volta. Nonostante le avessi caldamente sconsigliato di tagliarsi i capelli così corti, lei non mi aveva dato retta. E ora nemmeno dopo ore e ore di piastra riusciva a tenerli a bada.

«Scherzi? Hal, questo è solo l’inizio di una lunga, lunga, lunga serie di feste, alcool e divertimento. Questa è un “iniziazione alla vita mondana”».

Mi rivolse un’occhiata dall’alto del suo tacco dodici, il primo che avesse mai indossato. Sarei stata comunque molto più bassa di lei, ma quella sera la differenza era enorme. «Tesoro, ti ho detto io di mettere quel vestito?».

Mi guardai un po’ esitante. «Sì, Brit».

«Beh, sono un fottuto genio. La prossima volta ricordami di dirti di abbinarci i tacchi però…Oh, guarda chi c’è!».

Venni trascinata ancora una volta dall’altro lato della stanza. Muoversi in mezzo alla stanza gremita era impossibile, a meno che non ti chiamassi Britney Grey e al tuo passaggio si aprisse un varco tra la folla.

Quando finalmente ci fermammo ero ancora intontita dalla musica alta, a cui non riuscivo ad abituarmi. Capii che Brit stava parlando con qualcuno solo quando mi sentii scuotere con forza.

«Ehi, Hal!».

Distolsi lo sguardo dalle luci stroboscopiche del soffitto e lo spostai alla cieca, cercando di far scomparire le macchie che ora mi annebbiavano la vista.

«Sì?», dissi corrugando la fronte.

«Lui è Harry. Harry, Haley».

Strabuzzai gli occhi per riuscire a metterlo a fuoco e tesi una mano verso un punto casuale. Me la sentii stringere, una stretta forte e salda. Solo quando riacquistai la vista riuscii a vederlo bene.

Ritrovarmelo davanti così all’improvviso mi lasciò di stucco. Era lui. Era il ragazzo che avevo notato fin dal primo giorno di scuola in giro per i corridoi. Quello per cui Brit mi aveva deriso per più di due settimane, lo chiamava “il mio amore segreto”. Le avevo detto che lo trovavo soltanto carino, ma come sempre le mie parole avevano l’effetto dell’acqua sull’inchiostro indelebile. Lo aveva fatto apposta, ne ero sicura.

Avrei voluto lanciarle un’occhiataccia, ma non riuscivo a liberare i miei occhi da quelli verde smeraldo del ragazzo. Il sorriso enorme che gli illuminava il viso, aveva provocato la comparsa di due adorabili fossette sulle guance. Dal modo ordinato in cui erano disposti i ricci, si capiva che aveva trascorso abbastanza tempo a sistemarli. Ritrassi la mano interrompendo quella specie di ipnosi in cui ero caduta, e mormorai un saluto.

«Ti ho già vista a scuola», disse. La sua voce era così profonda che quasi mi intimidiva. «Sei di prima, giusto?».

Annuii, sperando che il colore delle mie guance non somigliasse a quello di una ciliegia.

«Io sono di seconda», continuò.

Azzardai un sorriso, incapace di sostenere il suo sguardo sfacciato. Sembrava così trasparente e così terribilmente misterioso allo stesso tempo.

«S-sì, anche io ti ho visto».

Fece un passo verso di me. «Balliamo», la sua non era una richiesta, il che la diceva lunga sulla consapevolezza che aveva del suo aspetto fisico. E dell’effetto che aveva sulle ragazze.

Questo pensiero mi irritò un po’ e, prendendo Britney a braccetto, arretrai.

«Veramente stiamo cercando i nostri amici», dissi cogliendolo di sorpresa. Infatti nello spazio tra le sopracciglia comparve una piccola ruga di confusione.

«Oh, d’accordo… Beh, ci si vede in giro», mi urlò mentre mi allontanavo insieme a Brit.

Non so bene come, ma ad un tratto non ero più io a trascinare Brit, ma il contrario. Infatti mi portò fino al bagno della casa e ci chiuse dentro. Si diede una veloce occhiata allo specchio prima di voltarsi verso di me.

«Sei fuori? Hai idea di chi hai appena rifiutato?». Sospirai, appoggiandomi al lavello. «Quello lì è il figo che fissi a scuola. Lo stesso che ti ha fatto l’occhiolino quando eravamo in segreteria e quello di cui mi hai parlato per due giorni di fila».

«Io non lo fisso, e non te ne ho mai parlato. Mai», brontolai.

«Certo, come no. In ogni modo, perché non sei andata a ballare con lui?».

Scrollai le spalle. «Perché non mi andava».

Bugia. “Perché non volevo essere una delle tante ragazze abbordate a una festa e a cui non avrebbe parlato mai più”.

«Come vuoi. Sappi però che non ti ricapiterà un’altra occasione del genere con Harry Styles. A meno che tu non diventi una “reginetta della scuola” o qualcosa del genere».

Il suo sorriso malizioso mi spaventava. «In tal caso, posso pensarci io. Ti renderò una di quelle ragazze desiderate dagli uomini e invidiate dalle altre donne. Vedrai».

Non riuscii a trattenere la fragorosa risata che fuoriuscì dal profondo della mia gola. «Sì, Brit. Certo».

*FINE FLASHBACK*

 

«…continuare da qui, signorina Grantham». La voce della professoressa interruppe bruscamente i miei pensieri.

«Sì? Cosa?».

La donna mi fissò dall’alto della sua statura, con quelle sfere gelide che aveva al posto degli occhi. Non mi aveva mai sopportato, probabilmente solo il suo spaventoso cervello da psicanalista sapeva perché.

«Ho detto, ti dispiacerebbe continuare a leggere da dove ho interrotto Lisa?».

Lanciai una breve occhiata alla ragazza in questione e al suo volume de “L’interpretazione dei sogni” di Freud, aperto a una pagina troppo lontana perché riuscissi a vederne il numero.

«Io…», cominciai.

«…Puoi andare a schiarirti le idee fuori», finì per me.

La fissai sbigottita mentre lentamente mi alzavo dalla sedia e raccoglievo le mie cose, consapevole di avere tutti gli occhi puntati addosso. Quella vecchia strega era l’unica ragione per cui non ero sicura che sarei riuscita ad andare a Oxford. Appesi la borsa alla spalla e uscii, chiudendomi delicatamente la porta alle spalle. In un qualsiasi altro momento ne avrei fatto una piccola tragedia, ma ora non riuscivo a non pensare alle parole di Britney tre anni prima. Nonostante la mia poca collaborazione era riuscita a trasformarmi in quello che mi aveva promesso, ma non capivo cosa fosse cambiato nel mio modo di vedere Harry. Forse avevo capito che non volevo essere il tipo di ragazza che lui era solito notare, o forse ero finita con l’eclissare l’attrazione che sentivo con quella grande amicizia.

Mentre aspettavo il suono della campanella decisi di fare un salto in segreteria. Tracy, l’impiegata, mi sorrise riconoscendomi. Più o meno dieci eoni prima, quando erano al liceo, lei e mia madre erano grandi amiche. Aggiungerei che le loro strade si erano separate in modo drammatico o chissà che, ma la verità è che mia madre, sposando Tom Jonathan Grantham, era entrata nel girone degli snob e il suo “rango” non permetteva che frequentasse semplici impiegati.

«Cosa posso fare per te?», mi domandò con un sorriso cordiale.

«Mi serve il permesso per la gita della settimana prossima».

Le unghie laccate di rosso di Tracy ticchettarono sulla tastiera del computer. «Quella del professor McFadden? “Rappresentazione teatrale di Romeo e Giulietta”?», lesse.

Annuii. La donna rovistò tra le centinaia di fogli e fascicoli presenti nella cassettiera metallica ed estrasse una striscia di carta bianca.

«Ecco. Riportalo firmato…», la campanella coprì il suono della sua voce. «…due giorni».

«D’accordo». Sempre che riuscissi a incrociare di sfuggita almeno uno dei miei genitori entro quel lasso di tempo. «Grazie».

Uscii dall’edificio prima che la mandria di studenti irrequieti si riversasse nei corridoi. Persi un po’ di tempo a riporre il foglietto nello zaino e solo quando alzai lo sguardo mi resi conto che il cortile si era ormai svuotato. Il mio sguardo venne catturato dalla grossa sagoma gialla in lontananza.

«Oh no».

Feci uno slancio in avanti e iniziai a correre, la mano sinistra stretta a pugno intorno alla fibbia dello zaino. Le luci rosse dell’autobus si illuminarono e con un rombo si accese.

«NO! ASPETTA», gridai, troppo affaticata dalla corsa per raggiungere un tono decente.

C’ero quasi. Quando mancavano solo pochi metri perché raggiungessi la fermata lo vidi avanzare, allontanandosi sempre di più. Feci uno scatto per bussare alla porta sul retro, ma il mio piede dovette incastrarsi da qualche parte, perché all’improvviso mi ritrovai stesa per terra. Mi morsi la lingua per non imprecare, constatando che lo zaino si era aperto sul pavimento. Mi sollevai dall’asfalto ruvido e mi pulii i palmi sui jeans, scoprendo i piccoli taglietti sparsi sulla mia pelle. Raccolsi le mie cose in fretta, prima che venissero bagnate dalla pioggerellina sottile che aveva preso forma. Chiusi la zip con un movimento brusco e me la appoggiai su una spalla mentre controllavo il cellulare. Nessun messaggio. Non potevo prendermela con Britney, l’avevo spinta io a lasciarmi sola quel giorno. Non ero nemmeno andata a pranzo.

Mi raddrizzai di colpo quando una BMW nera accostò proprio di fronte a me. Il vetro oscurato si abbassò ronzando.

«Sali», disse quella voce profonda che conoscevo bene.

Mi sporsi dal finestrino per assicurarmi che fosse Harry, visto che lui non si era preso il disturbo di farlo.

«Che cosa vuoi?».

Mi studiò con quell’espressione strafottente che mi mandava in bestia. «Parlare».

Rimasi interdetta per un po’, a valutare il significato di quella “frase-non-frase”. Solitamente “parlare” con Harry coincideva in tutto e per tutto con l’acconsentire a ciò che lui diceva, senza altra via d’uscita. Ma non potevo nemmeno comportarmi come se non fossi rimasta due giorni a rimuginare su quanto era accaduto.

«Parliamo allora».

Harry sbuffò, indicando il cielo. «Sta per arrivare un temporale. Un altro. Ma se vuoi possiamo stare qui a discutere sui pro e i contro del salire in macchina con me».

Come se madre natura avesse voluto dire la sua in proposito, un tuono squarciò il cielo a metà.

Aprii la portiera e mi lasciai cadere sul sedile del passeggero con un sospiro. Harry partì e per diversi minuti nessuno aprì bocca. Sbirciai di nascosto nella sua direzione e mi stupii come negli ultimi anni avessi completamente (e appositamente) ignorato quanto in realtà fosse bello. Era cambiato moltissimo dal nostro primo incontro. I ricci ora erano meno ordinati, il suo modo di vestire più trasandato. La mascella aveva preso una linea più definita e il suo sguardo era cupo, aveva perso quell’innocenza che, seppur finta, l’aveva sempre caratterizzato. C’era qualcosa di così misterioso e sexy nel suo modo di fare.

Quando le sue iridi verdi guizzarono nelle mie non potei fare a meno di avvampare, colta in flagrante. Il suo sguardo rimase incatenato al mio, come per sfidarmi. Un duello piuttosto squilibrato a mio parere. Infatti la prima a mollare fui io, mentre utilizzavo come scusa quella del togliermi la giacca.

«Fa un po’ caldo qui dentro. Tu non hai caldo?», domandai cercando di camuffare il nervosismo nella mia voce. Harry non si sforzò di trattenere un ghigno e si slacciò qualche bottone della giacca.

«Se vuoi vedermi nudo basta chiedere».

Un po’ per il caldo, un po’ per l’imbarazzo, credo che le mie guance non fossero mai state più rosse. Ovviamente lui non si rendeva conto di quanto quel commento fosse stupido e fuori luogo.

Sbuffai. «Guarda la strada».

Ma lui non mi diede retta e continuò a osservarmi in quel modo così intenso che avevo paura potesse vedermi sotto i vestiti. Mi agitai sul sedile, mentre l’interesse per l’asfalto che si estendeva a perdita d’occhio di fronte a me, diventava sempre più ossessivo.

Mi rilassai solo quando riconobbi la staccionata di casa mia. Non aspettai nemmeno che spegnesse il motore per scendere dall’auto e mi diressi quasi correndo verso la porta. Le chiavi tintinnarono mentre cercavo di far scattare la serratura che doveva essersi bloccata. Le strattonai con un grugnito e diedi un colpo alla maniglia. Il petto caldo e duro di Harry premette contro la mia schiena quando si allungò per aiutarmi. Un suo breve e semplice scatto del polso bastò a risolvere il problema, e la porta si aprì lentamente. Avanzai esitante, indecisa se invitarlo a entrare o meno, ma lui fu più veloce. Si chiuse la porta alle spalle con una spinta. Lasciai cadere lo zaino per terra e accesi la luce, dandogli la schiena. Mi sfilai la giacca e anche questa finì in mezzo al mucchietto sul pavimento.

«Haley…», sussurrò talmente piano che lo udii a malapena.

«Mi spiace per prima», feci. «Non volevo dire quelle cose».

Scosse la testa impercettibilmente, ma non disse nulla. Emisi uno sbuffo frustrato.

«Harry mi hai chiesto tu di parlare! Tra poco tornerà Karen».

«Sono stato qui miliardi di volte, che vuoi che gliene importi?».

Lo scrutai per diversi secondi prima di avvicinarmi a lui con rabbia.

«Senti, si può sapere cosa c’è che non va in te? Io… Mi sforzo di riuscire a capirti, davvero. Quando tutti mi dicevano che esserti amica era come tentare di cambiare il diavolo, io non ci credevo. Lo so che per te non è stato così Harry, ma io mi sono affezionata. E non in modo sciocco e superficiale, io contavo su di te. Quindi se per favore hai deciso che ti sei stancato, non continuare a fingere. Almeno questo me lo devi. Non credo di essere stata una così pessima amica».

Anche in quella situazione sembrava del tutto a sua agio, le mani infilate pigramente nelle tasche dei jeans e lo sguardo neutro.

«Dì qualcosa per favore», aggiunsi stancamente.

Si strinse nelle spalle. «Cosa vuoi che ti dica? Ti prego dimmelo, così posso accontentarti».

Riecco quella sensazione di tanti piccoli aghi intorno agli occhi. Respirai profondamente, scacciando le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro.

«Non lo so. Magari che ti dispiace, che non volevi. Che ti sei pentito e che vorresti tornasse tutto come prima. O magari, se ti senti talmente in colpa da osare offendere te stesso, che sei stato un coglione e una cosa del genere non capiterà mai più».

Puntai lo sguardo verso l’alto, visto che la tecnica dei respiri aveva smesso di funzionare.

«Sì, ma non posso. Perché è cambiato qualcosa Haley, e mentirei se ti dicessi che mi sono pentito di quello che ho fatto, che mi sento in colpa o che mi dispiace!».

Aggrottai la fronte, le orecchie improvvisamente bollenti. «C-che stai dicendo?».

Harry strinse i pugni talmente forte che credevo si fratturasse un osso.

«Che non possiamo più essere amici».

Dischiusi le labbra, mentre cercavo di assimilare quelle parole. Non riuscivo a trovarvi un senso; non voleva che fossimo più amici. No, non potevamo essere più amici; aveva detto così.

«C-cosa?».

«Non sarei un buon amico per te. Non vado più bene, Haley».

«Ma perché?», sbottai.

«Per questo».

La forza con cui mi venne incontro quasi mi assalì, ma non ebbi il tempo di cadere, perché le sue braccia forti e salde mi cinsero la vita mentre le nostre labbra si incontravano. E ancora una volta non riuscii a impormi su di lui e respingerlo.

C’era qualcosa di diverso in quel bacio, una consapevolezza da parte di entrambi. Mosse la bocca contro la mia e fece scorrere le mani alla base della mia schiena. Gli cinsi il collo con le braccia, affondando le dita nei suoi ricci scuri come fosse il gesto più normale del mondo, come se non avessimo fatto altro tutta la vita. All’improvviso sentii il muro ruvido e freddo premermi contro la schiena e Harry si fece sempre più vicino, finché i nostri corpi non aderirono perfettamente.

Lo allontanai con un leggera spinta per riprendere fiato, ma lui si aggrappò al mio labbro inferiore con i denti.

«Harry…», gemetti.

Si ritrasse di qualche centimetro, mantenendo però il contatto con la mia fronte.

Chiusi gli occhi, respirando a fondo per rallentare il battito cardiaco. «Perché continui a baciarmi?».

«Perché continui a non rifiutare?».

 

***


 

Spazio autrice:
Ave, bellezze! Mh.. Vediamo vediamo vediamo... il capitolo parla da solo, credo. Indipercui(?) non mi soffermerò più di tanto su questo punto, lascerò a voi commentare :) La storia è ancora all'inizio, cioè, lo so che siamo all'ottavo capitolo ma.. Diciamo che non ho il dono della sintesi e ho intenzione di fare più capitoli possibili. Sperando che qualcuno riesca a sopportarmi fino alla fine ^^
Quindi ringrazio tutte le meravigliose anime che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha recensito :*
Lo scorso capitolo ha avuto SETTE recensioni, ommiodeo! *o*
Infine.. che volevo dire? Oddio mi sono scordata. Ma stiamo scherzando? Ragazze certe volte mi faccio paura. Va bene, vorrà dire che non era importante.
Ukei, ora levo le tende e vi saluto, un bashoo. Alla prossima xx
#Allie

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Capitolo 9
*** Nine ***


9. Nine

Averlo ancora così vicino non mi permetteva di ragionare lucidamente, ma entrambe le sue mani puntate sul muro dietro di me m’impedivano di muovermi. Approfittando della mia esitazione, Harry si avvicinò di nuovo e le nostre bocche si sfiorarono delicatamente, quasi per gioco.

Voltai la testa di lato e le sue labbra scivolarono appena sotto le mie.

«No», lo implorai.

«Perché?», mormorò contro la mia pelle, provocandomi brividi in tutto il corpo.

Gli appoggiai una mano sulla bocca. «È… Sbagliato».

«Solo se vuoi che lo sia».

Scossi la testa fermamente. «Harry tu sei… Beh, tu. E noi siamo amici». Esitai. «O almeno lo eravamo».

Sbuffò. «È questa la ragione per cui non possiamo più esserlo. È troppo tempo che volevo farlo».

Abbassò la testa verso di me e fece scivolare le labbra appena sotto il mio orecchio. Lo sentii sghignazzare mentre lasciava una linea di baci lungo il collo. La mia mano strinse la stoffa della sua t-shirt in un pugno quando percepii i denti mordere la pelle e i miei occhi guizzarono verso l’alto. I mugolii di Harry venivano attutiti dai miei capelli sparsi un po’ ovunque.

M’irrigidii quando sentii una chiave girare nella serratura. Harry mi afferrò prontamente e ci trascinò nello sgabuzzino, a pochi metri da noi. Mi accostai alla porta e mi misi in ascolto. Rumore di sportine, segno che Karen doveva essere tornata. Sperai che si rintanasse al più presto in cucina per preparare la cena, in modo che riuscissi a far sgattaiolare Harry dall’ingresso principale.

Mi sentii agganciare per il passante dei jeans e venni tirata all’indietro, contro il corpo fermo di Harry. Tuffò il viso nel punto da cui era stato interrotto poco prima, inalando una boccata d’aria.

«Hai un profumo così buono…».

Mi spostò i capelli di lato, dopodiché le sue mani scesero lungo i miei fianchi e si infilarono nelle tasche posteriori dei miei jeans.

«Smettila, Harry», mi detestai per la nota quasi disperata che la frase assunse. Mi voltai verso di lui, ritrovandomi schiacciata tra gli scaffali stracolmi e il suo corpo. «Karen è a pochi metri da qui».

«Suona quasi come una scusa».

Emisi un suono a metà tra il frustrato e l’imbarazzato. «È tutto un gioco per te, non è vero?».

Silenzio.

«Beh, io non sono una di quelle bamboline che puoi usare e poi gettare via. Quindi, per favore».

I suoi occhi scintillanti mi scrutarono attentamente. «Pensi che mi stia prendendo gioco di te?».

«Penso che ti sia stancato dei soliti giocattoli».

A parte i nostri respiri, l’unico rumore era generato dall’acqua corrente, qualche stanza più avanti.

«Le persone possono cambiare».

«Non tu. E non in un paio di giorni».

Il suo volto bellissimo si rabbuiò. «Tu non sai quello che provo. Non sei nella mia testa».

«Già», sospirai con rammarico.

Il suo sguardo si perse nel vuoto dietro di me, mentre con la mano destra continuava inconsapevolmente a sfiorare la mia guancia. I suoi pensieri s’interruppero bruscamente quando mi mise a fuoco di nuovo.

«Ti farò cambiare idea».

Repressi l’improvvisa voglia di passare una mano tra i suoi ricci meravigliosi. «Io non…»

Appoggiò l’indice sulle mie labbra per zittirmi. «No, non dirlo. Non dire che non sei attratta da me, perché so quando menti».

«Che cosa vuoi, Harry?», sussurrai.

«Te», disse senza esitazione. «E sai bene che ottengo sempre ciò che voglio».

 

Pescai l’ultima nocciolina dal fondo del sacchetto e lo accartocciai, lanciandolo ai piedi del letto senza guardare. Il cellulare prese a vibrare da qualche parte remota del piumone. Chiusi il libro in cui ero immersa e tastai alla cieca finché non lo trovai. Feci una smorfia quando lessi il nome di Britney sul display.

«Ah-ha?», mugolai, con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio mentre ripulivo le tracce del mio sconforto.

«Haley?>.

«Così mi chiamano». Seguì un lungo momento di silenzio a cui non feci caso finché non ebbi buttato l’ultimo sacchetto di arachidi. «Brit?».

«Come stai?».

Sapeva tutto. Me lo diceva il suo tono di voce, il fatto che i miei timpani fossero ancora intatti per la prima volta.

Sospirai, rassegnata. «Cos’altro vuoi sapere?».

Quella domanda le diede la conferma che avevo capito. Certo non mi piaceva il fatto che lei e Harry avessero parlato di me alle mie spalle, ma Britney sarebbe comunque venuta a saperlo da me.

«Avete parlato? Stamattina mi è sembrato… Non lo so, strano. Per carità, non esiste una persona più strana di Harry Styles a questo mondo, però di solito non è così… Smorto, ecco».

«È stato qui oggi».

«E…?», mi spronò.

Non sapevo neppure io come spiegare ciò che era successo. «Ci siamo baciati, di nuovo».

Si udì un tonfo secco, seguito da un frastuono e una serie di imprecazioni che preferisco non riportare.

«Pronto?».

Britney riprese il controllo della situazione. «Sì, scusa. Mi era caduto il telefono. Quel “ci siamo baciati” sta a significare che è stata una cosa reciproca?».

Sbuffai, era proprio necessario sottolinearlo? «Brit, credo che tu sappia perfettamente che di solito cose di quel genere si fanno in due».

Riuscii a immaginarla mentre alzava gli occhi al cielo. «Sai cosa voglio dire. Hai ricambiato».

«Accidenti, sì!», sbottai. «Senti, non voglio che tu mi faccia la predica, perché lo so che è sbagliato. Lo sapevo un attimo prima che succedesse e lo so ora. Ma non posso farci niente».

«Non c’è bisogno di stare sulla difensiva, Hal. Non ti stavo giudicando… Okay, forse un pochino. Ma se ti attrae non è colpa tua».

Aprii la bocca per risponderle, ma mi bloccai. Aveva riassunto in un’unica frase il casino nella mia testa.

Harry mi attraeva. Quell’improvvisa consapevolezza mi provocò un leggero capogiro. Era tutto troppo strano, ero convinta di conoscere ogni minima parte di lui, ma mi rendevo conto solo ora che sapevo davvero poco. Le nostre conversazioni non toccavano mai punti troppo profondi o personali. Anche perché fino a quel momento né io né lui avevamo avuto bisogno di sfogarci per qualcosa. Le mie relazioni amorose non erano particolarmente attive e le sue… Beh, diciamo che non ve ne era nessuna degna di nota.

«Però sono preoccupata», esordì. «Non so cosa ti aspetti da lui, ma so cosa lui si aspetta da te».

«Britney…».

«Sesso», quella parola ebbe l'effetto di una pugnalata. «Solo questo. Lui è Harry Styles», enfatizzò le ultime parole.

Affondai la testa nel cuscino, contorcendomi su me stessa. «Sì, lo so. Continui a ripeterlo».

«Scusa», si calmò. «Ma non riesco ancora a crederci. Tu e lui. Mio Dio».

Questa volta non riuscii a sopprimere l’enorme sospiro seccato. «Io e lui  un bel niente».

«Certo. Ne riparliamo tra un paio di giorni».

Non resistetti e riattaccai.

Mentre parlavo con Brit mi era arrivato un messaggio. Il mio cuore perse un battito quando vidi che era di Harry.

 

“Domani vieni in palestra agli allenamenti.”

 

Una strana sensazione alla bocca dello stomaco s’impadronì di me. Non ero sicura di volerlo rivedere così presto. Mi morsi il labbro inferiore mentre le mie dita digitavano velocemente.

 

“Non posso…”

 

La risposta non si fece attendere a lungo.

 

“Non te lo stavo chiedendo. Xx”

 

Mi abbassai la berretta di lana sulle orecchie e sfregai le mani per ottenere un po’ di calore. Dentro quella palestra si gelava, specialmente alle sei e mezzo di sera. Con la coda dell’occhio notai una figura che si agitava a più non posso per attirare la mia attenzione. Focalizzai la ragazza in minigonna e canottiera con un paio di giganti batuffoli neri al posto delle mani. Quando Britney  intuì di avere tutta la mia attenzione smise di saltellare e lasciò cadere i pompon. Si portò le mani davanti alla bocca a mo’ di conchiglia e mi urlò qualcosa, che però venne coperto dall’eco dei palloni da basket che rimbalzavano.

“Cosa?” mimai con le labbra. Ripeté la frase che di nuovo non riuscii a udire. Quindi scrollò le spalle e sbuffando tornò dalla sua squadra di cheerleader. Il mio sguardo si posò di nuovo sui giocatori che correvano per il campo da basket, ognuno con la propria palla. Avrei riconosciuto Harry anche se avessero indossato tutti la divisa e una maschera con il cappuccio perché era uno dei più alti della squadra e anche il più veloce.

Tanti piccoli ciuffi ribelli erano scivolati via dalla fascia che avrebbe dovuto tenergli il viso scoperto. Non potei fare a meno di notare quanto stesse bene con la canotta attillata e leggermente bagnata sul petto. Harry interruppe la sua corsa a diversi metri dal canestro. Fletté le gambe e alzò il pallone da basket sopra la testa mentre si preparava al tiro. Con un movimento esperto e che doveva aver fatto milioni di volte mandò la palla nel canestro senza che sfiorasse neppure i bordi. Non ero stata a molte sue partite, il basket mi annoiava parecchio, anche se vederlo in azione era davvero bello.

Il coach McBolter soffiò forte nel fischietto, riportando il silenzio. «Tutti qui, adesso!», tuonò.

Nonostante i suoi sessantacinque anni era ancora arzillo e sapeva come farsi rispettare. La squadra si riunì a cerchio intorno all’uomo che con l’indice indicò il petto di Harry.

«Styles!».

Harry ricambiò il suo sguardo severo senza scomporsi. «Sì, coach?».

«La prossima partita è fra due giorni. Due giorni! I White Scorpions sono rimasti imbattuti per ben tre anni di seguito e noi non permetteremo che arrivino al quarto. Intesi?».

Il ragazzo annuì, sul suo viso comparvero quelle fossette adorabili. «Ma siamo primi in classifica…».

«Non m’importa», lo interruppe bruscamente. «Non voglio sentirti mai più dire una cosa tanto idiota. Siamo primi ma possiamo ancora arrivare ultimi. Quindi non voglio che rilassiate quelle chiappe finché non sarà finito il campionato. È chiaro?». Silenzio. «È chiaro?», gridò di nuovo.

«Sì», fece Harry, seguito a ruota dai compagni.

«Bene», disse McBolter. «E ora andate a casa dalla mamma».

Harry si lasciò sfuggire un ghigno e andò a recuperare la sua borraccia, poi mi raggiunse sulle tribune. Si appoggiò l’asciugamano dietro al collo e rimase zitto per un po’.

«Stasera sei mia», dichiarò con un tono che non ammetteva repliche.

«Non credo sia un’idea geniale».

Divenne improvvisamente cupo e lo sguardo che mi rivolse era così profondo che avrebbe potuto soffocarmi.

«Smettila di rendere le cose difficili. Sto cercando di ricominciare da zero, okay?».

Mi rigirai tra le dita la cerniera della borsa evitando i suoi occhi color giada. E all’improvviso mi tese la mano, l’oscurità era sparita completamente dal suo viso. «Ciao, io mi chiamo Harry. E tu?».

Lo fissai esterrefatta, mentre scuotevo la testa. «Ti prego».

Ma lui non diede segno di volersi muovere. Così sospirai e strinsi la sua mano calda e leggermente sudata. «Haley».

Il suo sorriso si allargò, facendo sì che le sue fossette diventassero ancora più profonde. «È un vero piacere, Clarissa», citò con orgoglio il mio secondo nome.

«Ehi!», protestai, ma quando le sue labbra sfiorarono il dorso della mia mano le parole mi morirono in gola. Trattenni il respiro quando alzò il viso verso di me, mostrandomi i denti bianchissimi.

«Esci con me».

Arrossii, ma non riuscii a non sorridere a mia volta. «No, non esco con gli sconosciuti».

Mi studiò qualche istante, le mie mani non riuscivano a stare ferme sotto il peso del suo sguardo. «D’accordo, allora. Facciamo così, sabato vieni a vedere la partita. Se vinciamo sei costretta a venire con me».

Inarcai un sopracciglio. «E se perdete?», lo sfidai.

«Oh, vinceremo».

 

Harry era il capitano nonché playmaker dei Fire Demons ed era nella squadra dall’inizio della seconda. Era la stella del suo anno nel basket, tutte le squadre contro cui avevano giocato lo temevano. Probabilmente avrebbe scelto un college per continuare la sua carriera in quello sport e da quello che dicevano ad alcune partite sarebbero venuti rappresentanti delle più importanti squadre della Gran Bretagna a scegliere i giocatori migliori.

Quando arrivai le tribune erano già piene. I ragazzi erano in campo che si scaldavano e Britney insieme alle altre cheerleader. Trovai un buco nella prima gradinata, tra Liz e Jenna, due ragazze simpatiche che spesso stavano con me e Brit. Mi accolsero con un gran sorriso e Liz mi porse un sacchetto di carta.

«Vuoi?», chiese. I capelli corti e neri la facevano assomigliare a un elfo del bosco. Sbirciai all’interno e quando vidi che si trattava di noccioline ne estrassi una manciata.

«Grazie».

Jenna si sporse oltre la ringhiera. «Ma quello non è Tayler Michins?».

Liz seguì lo sguardo dell’amica con fare annoiato. «Può darsi. Perché?».

«Come perché? È il tizio con cui sono stata l’anno scorso, alla festa dopo la partita. Si era imbucato e non mi ero accorta che era della squadra avversaria».

Liz rise, mettendo in mostra i denti piccoli e perfetti. «Sì, quando ti sei ubriacata dopo neanche…».

«Sta iniziando la partita!» gridò Jenna per sovrastare la sua voce.

L’arbitro fischiò e i giocatori si posizionarono. Harry si sistemò al centro del campo, di fronte al capitano della squadra avversaria. La divisa nera e arancione gli scivolava lungo il torace come se fosse nato per indossarla. I suoi occhi erano stretti per la concentrazione, tutta la palestra aveva abbassato il tono di voce. Le cheerleader, capitanate da una Britney euforica come al solito, erano ora in attesa di partire con la loro performance. Il grosso pallone venne lanciato in aria e per un istante il tempo parve fermarsi. Poi Harry, con un salto rapido e scattante conquistò la palla e la mandò nella nostra metà campo. Disse qualcosa ai compagni che subito gli ubbidirono e si disposero in modo da lasciargli via libera. Riconobbi Gordon, Harry mi aveva spiegato milioni di volte qual era il suo ruolo, ma non mi ricordavo mai se era l’ala grande o quella piccola. Il suo ciuffo cremisi spiccava in mezzo al campo. Evitò diversi avversari e passò a un altro ragazzo il quale a sua volta ridiede la palla a Harry, che nel frattempo era corso vicino al canestro. Ricevette il pallone e con una veloce rotazione del busto tirò.

Canestro. La mia parte di tribuna si sollevò gridando e applaudendo e Liz mi trascinò insieme a loro. Mi disse qualcosa che non riuscii a sentire, quindi le chiesi di ripetere.

«Ho detto, niente male Harry eh?». Vedendomi ferma impalata proseguì. «Insomma se non fosse lo stronzo che è ci avrei fatto un pensierino. Più di uno magari». Scrollò le spalle. «Peccato, è un tale spreco. Senza offesa ovviamente, so che è un tuo amico».

Non risposi, per qualche ragione il suo commento mi aveva dato fastidio, anche se non avrei voluto.

Mi sorprese il modo in cui la partita riuscì a prendermi, seguii ogni passaggio con attenzione, applaudendo e incitando Harry di tanto in tanto quasi involontariamente. Arrivarono all’ultimo minuto che erano in vantaggio, non fosse stato per il canestro da tre punti degli avversari che li portò avanti di uno. Un’ansia sconosciuta s’impadronì di me, ma non sapevo se dipendeva dalla speranza che vincessero o da quella che perdessero. Desideravo le due cose allo stesso tempo.

Il coach McBolter continuava a urlare ordini e insulti ai giocatori, con la speranza di spronarli, ma sembravano tutti piuttosto sfiniti. Lanciai un’occhiata apprensiva al tabellone, mancavano trenta secondi. La palla venne presa da uno dei nostri che però se la lasciò soffiare da un ragazzo alto e grosso. Questo la passò al capitano. Venti secondi. Gordon riuscì a riconquistarla e la cedette ad Harry che tentò un tiro a parecchi metri dal canestro. La palla fece una parabola in alto, colpì il bordo e schizzò via. Undici secondi. Preso dalla rabbia per l’errore si lanciò contro il giocatore che stava per recuperare la palla, ma questo lo spinse via con una forza tale da farlo quasi cadere per terra. L’arbitro soffiò forte nel fischietto, fermando il gioco. Harry nel frattempo si era ricomposto e aveva afferrato l’avversario per la canotta, strattonandolo. L’arbitro gli disse qualcosa per calmarlo e lui annuì.

Mi voltai verso Jenna, i cui occhi erano incollati alla scena.

«Che succede?», chiesi con una punta d’ansia nella voce.

«Abbiamo subito un fallo e adesso dobbiamo fare due tiri liberi, credo», mi spiegò.

Osservai a mia volta. Harry aveva ignorato gli ordini del coach di cedere la palla a un compagno e se n'era impossessato.

«Che succede se sbaglia?».

«Perdiamo, non ci sarebbe il tempo di recuperare».

Strinsi la ringhiera davanti a me, sporgendomi. Il giocatore che aveva ricevuto l’ordine di tirare ora stava tornando indietro. Il coach era furibondo ma non diceva niente, probabilmente per non deconcentrare Harry.

Quest’ultimo si preparò eseguendo una serie di palleggi davanti a sé. Infine tirò, mandando la palla dritta nel canestro. Un punto, ora erano pari. Si preparò di nuovo, ma questa volta il suo sguardo non era fisso sulla palla.

Guardava me.

Sgranai gli occhi, trattennendo il respiro. Anche da lontano riuscivo a vedere il sorriso arrogante e le fossette che lo incorniciavano. Si stava prendendo gioco di me. 

Si preparò di nuovo a tirare, ma non dava segno di volersi voltare. Come pensava di riuscire a segnare se continuava a fissarmi?

Probabilmente Jenna notò quello scambio di occhiate, perché si voltò verso di me. 

«Perché Harry continua a guardarti?».

Scossi la testa impercettibilmente, non riuscendo a formare una frase di senso compiuto.

Finalmente si decise a lanciare la palla, senza interrompere la nostra connessione. Questa rimase in volo per un tempo che mi parve lunghissimo, quasi sentivo i secondi battere nella mia testa.

Colpì il tabellone bianco, poi girò intorno al bordo come una funambola.

E cadde dentro al cestino.

 

***

 


Spazio autrice:
Hi! Allora, eccoci qua (ma no?). Allora, inanzitutto un GRAZIE immenso ai recensori (lo scorso capitolo ne ha avute ben cinque, ma io vi AMO!)
Premetto che non ero molto convinta se pubblicare questa storia o meno, qui su efp ce ne sono così tante ed è dificile non entrare nel banale. Comunque, lasciando perdere le mie riflessioni, sono davvero felice che qualcuno la stia seguendo e che piaccia.
Bene bene, ovviamente ringrazio tutti i lettori e recensori (ma l'ho già detto) <3 e vi mando un megabacione. Al prossimo capitolo xx
#Allie

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Capitolo 10
*** Ten ***


10. TEN

Harry comparve all’improvviso da dietro la folla di persone che chiacchierava nel cortile della scuola, situato proprio di fianco alla palestra. 

I suoi bei lineamenti erano illuminati da un sorriso trionfante. Spiccava in mezzo agli altri ragazzi della squadra tanto da renderli quasi invisibili, e a mio parere poteva facilmente essere scambiato per il modello di qualche rivista di abbigliamento.

Si avvicinò, con il borsone appeso alla spalla. Mi morsi il labbro per non dargli la soddisfazione di vedermi sorridere, non doveva sapere che ero felice della vittoria.

«Togliti quel sorrisetto dalla faccia, non è stato solo merito tuo».

La mia provocazione non lo scosse minimamente. «Stai parlando con il playmaker dei Fire Demons, una promessa del basket, piccola».

Mi lasciai sfuggire un sospiro esasperato mentre lo seguivo fino al parcheggio. Solo lì, lontano da occhi indiscreti, la sua mano sfiorò la mia e pian piano le nostre dita s’intrecciarono. 

Quel gesto mi provocò un’ondata di farfalle nello stomaco. Era già successo qualche volta che ci fossimo presi per mano, ma era un contesto completamente differente.

Mi aprì la portiera della sua auto e aspettò che salissi prima di posare il borsone nel baule e salire a sua volta.

«Dove andiamo?».

«Dove voglio».

Il suo volto era leggermente in penombra, i capelli ancora umidi dalla doccia.

«Bella risposta», brontolai.

Mi aspettavo uno di quei club chic che conosceva lui, con la musica troppo alta e le luci stroboscopiche, quindi rimasi sorpresa quando ci fermammo davanti al Central Styles Caffè.

Rimasi a fissarlo per un po’ quando venne ad aprirmi la portiera.

«Hai intenzione di scendere?».

Mi lasciai guidare all’interno, un po’ confusa. Le luci erano spente e il locale completamente vuoto. Non fosse stato per Harry sarei inciampata e caduta almeno una mezza dozzina di volte, ma lui lo conosceva a memoria e in poco tempo arrivammo al punto in cui doveva esserci l’interruttore.

Però le luci non si accesero.

«Non funziona?», chiesi.

Nessuna risposta.

Lo cercai con le mani e sussultai quando lo trovai a pochi centimetri da me. Non riuscivo a vederlo, ma potevo sentire il suo respiro caldo sulla mia pelle. I suoi occhi scintillavano anche al buio. Mi bloccò i polsi all’improvviso e mi spinse contro una superficie ruvida che immaginai fosse il muro.

«No», gemetti.

Le mie pupille schizzavano da una parte all’altra, alla ricerca di un punto di luce. Odiavo non riuscire a vederlo in faccia, odiavo la sensazione di impotenza che mi dava quella posizione. E il fatto di essere lì, sola con lui mi spaventava più di quanto avrebbe dovuto.

La sua risata interruppe i miei pensieri e le luci si accesero improvvisamente. Si staccò da me e solo ora che riuscivo a vederlo mi accorgevo che il suo sguardo era serio, quasi seccato. 

Mi diede le spalle.

«Che c’è?», domandai.

Scosse la testa, per poi tornare a guardarmi.

«Perché ho come la sensazione che tu abbia paura di me?».

Aprii la bocca per dire qualcosa di probabilmente stupido e insensato, ma non me ne diede il tempo.

«Sono sempre io, Haley». Fece un passo verso di me e mi prese il viso tra le sue grandi mani. «Sono Harry, lo stesso di tre anni fa. Ti prego. Voglio che ti fidi di me».

Non sapeva di cosa stava parlando e non sarebbero bastate tutte le parole del mondo per farglielo capire. Non avevo paura di lui, non ne avevo mai avuta e sarebbe stato totalmente insensato. 

Avevo paura delle emozioni che poteva risvegliare in me, quelle emozioni che mi ero impegnata a reprimere per tutti quegli anni.

Il cuore mi martellava nel petto a una velocità incontrollata. In quel momento avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e non sarei riuscita a dirgli di no. Perché il suo sguardo era qualcosa di terribilmente fragile e intenso da poterci annegare dentro. Senza pensarci due volte affondai il viso nel suo petto e lo abbracciai. Mi strinse contro di lui così forte da togliermi il fiato e mi ritrovai immersa nel suo meraviglioso profumo.

Non so per quanto tempo rimanemmo così, ma quando ci staccammo un brivido mi scosse tutto il corpo. 

Non ebbi il tempo di soffermarmi a pensarci, perché subito sul suo viso riaffiorò il sorriso che lo faceva somigliare a una sorta di dio greco, annebbiando la mia coscenza.

«Siediti», disse.

«Come?».

Liberò un tavolo dalle sedie che vi erano appoggiate sopra a testa in giù, e ne scostò una per me e una per lui. 

«Avanti», mi sollecitò.

Gli ubbidii e prese posto a sua volta, di fronte a me. Appoggiò le lunghe braccia sulla superficie liscia e riflettente.

«Parlami», disse poi.

Lo fissai confusa mentre lui mi aspettava pazientemente. «Che vuoi dire? Perché siamo qui?».

«Per parlare. E perché so che qui non hai scusanti per evitarmi. Ci siamo tu e io».

Sospirai. «Harry io non voglio evitarti». Cercai il suo sguardo, ma lui rimase impassibile. «Insomma, cosa vuoi che ti dica?».

«Quello che vuoi. Recuperiamo il tempo perso».

Alzai gli occhi al cielo mentre riflettevo. 

«D’accordo. Cos’ha Declan che non va?».

Ora era lui a non capire. «Cosa sai di lui che potrebbe metterlo nei guai?».

Credevo di aver capito abbastanza bene quale fosse il problema, Harry sapeva delle cose di cui Declan aveva paura, per questo quando ne avevamo parlato si era comportato in quel modo.

Scrollò le spalle, come per far cadere l’argomento. Il suo viso si era rabbuiato e non mi guardava più.

«Sei tu che mi hai chiesto di parlare e, beh, lo sto facendo. Se però non riesci a sostenere una conversazione con me posso anche andarmene».

Harry soffiò dalle narici. «Niente che dovrebbe preoccuparti».

«Certo allora è per questo che non volevi che ci uscissi?».

«Meriti di meglio».

Le parole rotolarono fuori dalla mia bocca prima che riuscissi a fermarle. 

«Tipo te?».

Le sua labbra si dischiusero in un gesto involontario e per un po’ non diede segno di avermi udita.

«No», disse poi. «Non intendevo questo».

«Si può sapere perché siamo qui allora? Sembra quasi che debba forzarti per tirarti fuori le parole».

Sbuffò, la sua mano si chiuse a pugno. «Ero geloso. Va bene? E se ci aggiungiamo il fatto che Declan è una testa di cazzo, beh, sono partito».

Arrossii violentemente, non era quello che mi sarei voluta sentir dire. «Geloso? Non è il primo ragazzo che mi si avvicina, Harry».

«Sì, ma tu sembravi ricambiare. E poi credo che avesse secondi fini».

«Secondi fini?», ripetei.

«Sì».

Risi, non potei evitarlo. «Cioè, fammi capire. Lui sarebbe uscito con me per arrivare a te?».

La sua mascella si contrasse e in mezzo alle sopracciglia si formò di nuovo quel cipiglio. «Quacosa del genere. Perché diavolo stai fottutamente ridendo? Non è divertente».

«Oh, è più che divertente. È assurdo», continuavo a ridere nervosamente.

«Smettila», disse a denti stretti.

Ridussi gli occhi a due fessure. 

«Oh, scusa. Scusa tanto se mi da fastidio che tu non riesca a concepire il fatto che un ragazzo possa semplicemente interessarsi a me».

«Non intendevo.. Non fare la bambina».

Mi alzai di scatto, facendo stridere la sedia contro il pavimento. «Va al diavolo, Harry Styles».

Voleva che parlassimo e tutto quello che ero riuscita a strappargli era un bel niente.

Afferrai la giacca e la borsa dallo schienale e feci per andarmene, ma la sua mano si chiuse intorno alla mia, trattenendomi. Ora anche lui si era alzato e i molti centimetri che aveva in più di me giocavano a suo favore. 

Lottai contro l’impulso di spostare le ciocche di capelli che erano cadute davanti ai suoi occhi verdi e ostacolavano la nostra connessione.

«Non andartene», mormorò. «Volevo solo.. beh, non lo so».

«In tutto questo tempo non mi hai mai degnata di uno sguardo. Come qualcosa in più che un’amica, intendo. Nemmeno quando avevo una cotta per te Harry, perché sai perfettamente che era così».

La sua espressione confusa diceva però il contrario, e mi fece venire voglia di cucirmi la bocca. Tuttavia, mi spinsi  a continuare. 

«E proprio ora che eravamo riusciti a costruire qualcosa di bello, arrivi e distruggi tutto».

«Ne abbiamo già parlato. Voglio recuperare il tempo perso».

E senza nemmeno aspettare una mia risposta mi avvolse tra le braccia, stringendo i nostri corpi.

«Si vive una volta sola, Haley. Ricordalo».

Fece incontrare le nostre labbra, ma questa volta con meno foga. 

Quel bacio era dolce, gentile, seppur intenso. 

Mi accarezzò la guancia con il pollice mentre lentamente le nostre essenze si fondevano. Appoggiai le mani sul suo petto e le feci scorrere verso l’alto, per poi allacciarle dietro al collo. Giocai con i riccioli scuri mentre Harry muoveva la bocca contro la mia, approfondendo il bacio. 

Non avevo mai provato niente del genere, nonostante quella non fosse la prima volta che baciavo un ragazzo. Harry era così terribilmente sbagliato da sembrare giusto e in quel preciso istante i tre anni passati mi sembrarono irreali. 

Come potevo aver passato tanto tempo con lui senza poterlo baciare in quel modo? Senza affondare le mani nei suoi ricci e guardare quegli occhi così limpidi e oscuri allo stesso tempo.

Solo quando ci staccammo mi accorsi di aver bisogno d’aria. 

Strinsi gli occhi, mentre i nostri respiri affannosi si confondevano. Il suo sorriso, a metà tra l’allegro e il sarcastico, mi procurò una fitta allo stomaco. 

«Credo..».

Qualunque cosa avesse da dire venne interrotta quando cercai di nuovo il contatto con le sue labbra. Erano morbide e calde e Harry non esitò un secondo prima di ricambiare. 

Mi sollevò da terra con un gesto semplice e avvolsi le gambe intorno alla sua vita, stringendomi a lui. I nostri baci divennero sempre più urgenti, dalla sua gola uscì un profondo gemito, mentre si spostava più giù, lungo la gola e poi sulla clavicola. Venni appoggiata al bancone del bar e le sue mani scesero lungo i miei fianchi per aver maggiore presa. 

Chiusi gli occhi e lasciai che i brividi percorressero tutto il mio corpo. 

Lanciai un gridolino quando avvertii i suoi denti penetrare nella mia pelle. Prese a succhiare con forza, lasciandomi senza fiato. Avrei voluto interromperlo, ma non ne avevo la forza. Sapevo che il segno sarebbe rimasto, ma non riuscivo a pensare a nient’altro che non fosse lui, la sua bocca, il suo respiro, il suo odore.

La suoneria del suo cellulare oscurò del tutto i miei pensieri, ma Harry sembrò non udirla neppure, perché continuava a lasciare umidi baci alla base del mio collo. Mi sforzai di riprendere un contegno e feci una leggera pressione sul suo braccio.

«Harry.. Devi rispondere».

«Richiameranno», biascicò tra un bacio e l’altro.

Questa volta mi scostai con più decisione. «Harry».

Lui sbuffò e si staccò riluttante, mentre estraeva il telefono dalla tasca dei pantaloni.

«Pronto?», bofonchiò.

Riconobbi all’istante il modo di parlare troppo veloce e isterico della persona all’altro capo del telefono. Infatti gli occhi di Harry si staccarono dai miei e schizzarono verso il cielo, come una reazione chimica. O allergica.

Urlava così forte che sentivo perfettamente tutto quello che diceva. 

«Perché non risponde al cellulare? È lì con te? Eh? STYLES!».

«Sì», rispose secco.

Silenzio. Harry ne approfittò per riattaccare, ma la sua espressione diceva chiaramente che il suo umore era peggiorato nel giro di pochi secondi.

Abbozzai un sorriso nella sua direzione, che ricambiò. Sfiorò con la punta delle dita un punto appena prima della spalla. Un piccolo livido rosso-violaceo campeggiava sulla mia pelle chiara.

Aspettavo che dicesse qualcosa, invece si limitò a sorridere con soddisfazione.

«Mi piace», ghignò.

Quella sua sfacciataggine m’infastidiva, ma sapevo che poteva essere coperto da una qualsiasi maglia appena un po’ accollata e lasciai perdere. 

Presi delicatamente la sua grande mano tra le mie e iniziai a giocherellare con le sue dita. Seduta su quel ripiano ero quasi alta quanto lui e per guardarlo negli occhi mi bastava alzare appena lo sguardo. 

Ma in quel momento la sua attenzione era tutta per le nostre dita intrecciate. 

Presi il suo viso il più delicatamente possibile, sembrava così grande tra le mie mani. Tracciai con la punta dell’indice la linea delle sue labbra a forma di cuore, poi passai al naso imponente e tornai giù, fino ad arrivare ai piccoli fori ai lati delle guance.

Ridacchiò. «Che stai facendo?».

Gli feci segno di tacere e continuai a tracciare linee immaginarie lungo tutto il suo viso. Chiuse gli occhi. Salii la linea del naso e arrivai alle palpebre, le sue ciglia erano così lunghe.

«Haley», sussurrò con voce roca.

Infilai le mani tra i suoi capelli, ma Harry sgusciò dalla mia stretta all’improvviso, impossessandosi di nuovo delle mie labbra.

Questa volta si staccò dopo pochi secondi. 

«Che c’è?», chiesi allarmata.

«Hai una pessima influenza su di me», disse ridacchiando.

Sgranai gli occhi. «Che cosa? Io avrei una cattiva influenza su di te?».

«Esatto».

L’occhio mi cadde sul display del suo telefono, che segnava mezzanotte passata. «Oh, Harry è tardissimo».

Sospirò, osservando la porta del locale con sguardo truce. «Ti accompagno a casa».

«No, fa niente. Posso tornare a pie..».

«Non te lo stavo chiedendo».

 ***

 

Spazio autrice
Punto uno: Sì, so di essere in ritardo e so che questo capitolo è corto e vi chiedo umilmente perdono :( ma questa settimana sono stata impegnatissima con la scuola, e purtroppo siamo solo a gennaio. Sto già facendo il conto alla rovescia per le vacanze di Pasqua.
Punto due: Veniamo a noi, beh, che ne pensate del capitolo, vi piace? Spero vivamente di sì, certo, ma sono felice di accettare tutti vostri consigli.
Punto tre: Odio parlare per punti e penso che non lo farò mai più (ics di).
Punto quattro: Qualcuno mi aveva consigliato di fare un banner carino per la storia, ma siccome non ho la più pallida di come si faccia, chiedo l'aiuto del pubblico(?), se qualcuno lo sa fare mi farebbe il grosso favore di contattarmi? Sarebbe meraviglioso ^^
Ultimo punto: Un
GRAZIE IMMENSO a tutti voi che seguite, leggete e recensite, non so cosa farei senza di voi, seriamente.
Beh che dire, fatemi sapere le vostre opinioni, io vi aspetto <3
Ventiquattromila baci a tutti, a presto xx
#Allie

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Capitolo 11
*** Eleven ***


11. ELEVEN


Britney appoggiò la schiena al cemento e perlustrò il cortile della scuola con lo sguardo. Sedute sulla gradinata principale come al solito, avevo sempre pensato sembrassimo una regina e il suo braccio destro.  

Non mi infastidiva essere leggermente coperta dalla sua ombra perchè, per quanto la popolarità fosse divertente, amavo la mia bolla di riservatezza.

Vidi la chioma riccia di Harry comparire qualche metro più in là e subito un piccolo sorriso si fece spazio sul mio volto. Sorriso che morì immediatamente alla vista della ragazza di fianco a lui. Smise di camminare quando lei lo tirò per un braccio e immediatamente avvertii una scarica allo stomaco di quella che identificai come gelosia.

I suoi capelli erano così lisci che avrebbero potuto riflettere la luce del sole. Sempre che ce ne fosse, visto che era almeno una settimana che non se ne vedeva un raggio.

«…ma mi stai ascoltando almeno?», strepitò Britney.

«Aha», feci.

Ero ancora indecisa se si trattasse di una parrucca o meno.

«E allora ti andrebbe di degnarmi di una risposta?».

Parrucca, decisamente. E quel fiocco da Barbie che indossava sicuramente non aiutava.

«Hal».

Se continuava a sbattere le palpebre in quel modo probabilmente le sarebbe venuta un’infiammazione alla retina oculare.

«CRISTO, HALEY!».

«Cosa? Cosa vuoi?», sbottai.

Non mi accorsi di quanto il mio tono fosse aggressivo fin quando non scorsi l’espressione ferita sul volto della mia amica.

«Scusa», mormorai più dolcemente.

Lei sbuffò. «Non fa niente, ma rispondimi. Che ci facevi ieri sera con Styles?».

Mi morsi con forza l’interno della guancia per non sputare l’imprecazione che avevo sulla punta della lingua. Cosa mai poteva esserci di tanto importante da trattenerlo a parlare tutto quel tempo? 

«Quello che faccio sempre», risposi.

«Quindi non avete, non so.. Non vi siete dati da fare?».

Mi alzai di scatto dal muretto su cui eravamo appollaiate, afferrando lo zaino.

«No. Non è successo un bel…». 

Lui aveva smesso di parlare con la ragazza. Camminava ora, dritto verso di me. 

«…niente».

Ora come ora non avevo voglia di parlare con lui, ero troppo irritata. Ma il margine di tempo per fuggire era davvero poco, e venne del tutto annientato quando Britney mi afferrò per un braccio. 

«Dove vai?».

«Haley», la sua voce mi provocò una stretta allo stomaco, trattenni il fiato.

Harry si guardò intorno un paio di volte e, prima che decidessi se e come salutarlo, la sua mano si era posata sul fondo della mia schiena, attirandomi verso di lui. 

Le sue labbra mi si avvicinarono pericolosamente, ma riuscii a voltare la testa appena in tempo perché lasciassero un innocuo bacio sulla guancia. Mi lanciò un’occhiata interrogativa, poi la sua attenzione si spostò su Brit, che ci fissava sbalordita.

«Hai dimenticato di dirmi qualcosa, Hal?», i suoi occhi erano fissi sulla mano di Harry, appoggiata appena sopra il sedere. 

Gliela spostai con delicatezza, facendo un passo indietro.

Ero divisa in due tra l'essere felice per la sua dimostrazione d'affetto davanti a Britney o ferita perché prima aveva controllato che non ci fosse nessun altro in vista.

«No», dissi nello stesso istante in cui Harry diceva «Sì».

Entrambi ci lanciammo un’occhiataccia.

«Si può sapere che diavolo mi sono persa?».

Harry ghignò, scrollando le spalle. «Oh, è molto semplice».

Mi fece roteare verso di lui soltanto prendendomi per la vita. Le sue labbra premettero sulle mie con naturalezza, indugiando per diversi secondi.

Mi staccai di colpo, come scottata. Si stava approfittando del fatto che c'eravamo solo noi tre, sapevo che di Brit non gl'importava. Ci fossero stati i suoi amici sarebbe stato diverso.

Le sue fossette incorniciavano un incantevole sorriso beffardo, mentre si leccava le labbra con cura.

L’espressione di Brit era indescrivibile, le sue iridi schizzavano prima su di me poi su Harry come una specie di tic nervoso.

«Va tutto bene?», le chiese il ragazzo, senza smettere di sorridere.

«Un conto è sentirselo dire. Un altro è vedere», deglutì rumorosamente. «Quindi.. Voi due». Mi puntò contro un indice accusatorio. «E tu nemmeno volevi dirmelo.. Gesù».

Alzai gli occhi al cielo infilando in tasca le mani congelate. «Non potresti.. Non lo so.. Cercare almeno di nascondere il tuo disgusto?».

Rifletté sulle mie parole per una manciata di secondi, poi si stampò in faccia un sorriso affettato.

«Certo, congratulazioni. Ora vado a vomit… In classe». 

E sparì.

Diedi un piccolo pugno alla spalla di Harry. «Perché diavolo l’hai fatto?».

Rise. «Perché è divertente. Hai visto la sua faccia?».

«Ti sembro divertita?».

Il suo sorriso si affievolì. «Ehi, ma che cos’hai?».

Quasi a sostituire le mie parole la ragazza-Barbie comparve alle sue spalle e gli sfiorò il braccio per attirare la sua attenzione. Tempismo perfetto.

«Scusami?», fece lei.

Cercai di ignorare il suo continuo svolazzare di ciglia e distolsi lo sguardo da quegli occhi languidi. Se Brit fosse stata ancora lì con noi, avrebbe avuto un vero motivo per vomitare.

«Sì?».

«Ma ci sarai anche tu sabato, giusto?».

Harry scosse la testa e i suoi ricci ondeggiarono. «No. Ma posso comunque procurarti le prevendite, te l’ho già detto».

La ragazza annuì e temporeggiò, come se sentisse il bisogno di aggiungere qualcosa. Poi però prese la saggia decisione di togliere il disturbo, lasciandoci di nuovo soli.

Quel moto di gelosia di poco prima era qualcosa di così stupido e infantile che non mi presi nemmeno il disturbo di indirizzargli qualche commento sarcastico. 

Noi non stavamo insieme.

Harry controllò di nuovo che nel cortile non ci fosse più nessuno e fece un passo verso di me. 

Le sue dita s’infilarono nella giacca e spostarono la maglia che indossavo di qualche centimetro. La mia pelle rabbrividì al contatto con l’aria fredda. Studiò il leggero segno rosso appena sopra la spalla con disappunto.

«Sta già scomparendo. La prossima volta dovrò impegnarmi di più».

Mi allontanai con un brusco passo indietro. «Non ci sarà nessuna prossima volta», lo avvertii.

Non sembrò particolarmente allarmato dalle mie parole, anzi, quel sorriso di scherno non accennava a scomparire. 

Mi cinse la vita con un braccio.

«Eppure ieri sera non mi sembrava che disprezzassi», sussurrò al mio orecchio.

Sentii la sua mano scendere più giù, fino al sedere. Strabuzzai gli occhi.

«Harry!».

Rise, e ne approfittai per allontanarmi. 

«Vado in classe», dissi, rossa come una ciliegia.

***

Calciai un sassolino con la scarpa, che andò a schiantarsi contro il marciapiede e con un rumore metallico finì in un tombino. Negli ultimi giorni era diventato sempre più difficile seguire le lezioni, la mia testa era costantemente altrove.

«Ha bisogno di un passaggio, signorina?».

Non mi serviva alzare lo sguardo per sapere a chi appartenesse quella voce. Soltanto quando vidi la mia immagine riflessa nel vetro dell’auto, mi accorsi che le mie guance si erano sollevate automaticamente in un sorriso. Diverse ore senza di lui avevano annullato del tutto il fastidio di quella mattina per la ragazza-Barbie.

«No grazie, ho già la mia autista».

«Oh, ma lei è già a casa».

«Come?».

Se non le dicevo io di andare, Britney mi aspettava sempre nel parcheggio.

Harry scoppiò a ridere e mi aprì la portiera dall’interno. 

«Cambio di programma. So essere piuttosto convincente, sai? Sali».

Mi arresi e gli ubbidii.

Mi beai del calduccio che m’investì una volta dentro, sfregai le mani l'una contro l'altra.

Mi concessi qualche istante per guardarlo, di nascosto. 

I capelli erano spettinati, come sempre, in quel modo che lo faceva sembrare un cucciolo appena svegliato e il sex-symbol di qualche famosa rivista allo stesso tempo. 

Il giubbotto di pelle era aperto su una maglietta con scollo a v, che lasciava intravedere la catenella argentata che portava al collo. 

Sorrisi involontariamente, mentre nella mia mente si formulava un’ipotesi che mi fece aggrovigliare lo stomaco. Non riuscivo a dirlo con certezza perché il ciondolo era costantemente infilato all’interno del colletto, ma avevo il sospetto che fosse quello che gli avevo regalato tempo prima, al primo compleanno a cui avevo partecipato. 

La sua lingua fuoriuscì dalla bocca e accarezzò il labbro inferiore, mentre si concentrava sulla strada davanti a sé. Strinsi i denti per evitare che la mia mascella cadesse rovinosamente sul tappetino e mi affrettai a distogliere lo sguardo.

«Quest’auto è un vero disastro», commentai osservando le cianfrusaglie sparse un po’ ovunque.

Vi erano una serie di rullini usati e nuovi in ogni spazio libero, e una grossa macchina fotografica era abbandonata sul sedile posteriore, in compagnia di qualche obbiettivo, un paio di album e una mezza dozzina di cd.

«Non insultare la mia macchina».

«Oh, non stavo insultando lei, ma il suo padrone».

Harry ridacchiò mentre frenava bruscamente a un semaforo. Il suo braccio scattò nella mia direzione e mi tenne ferma, per evitare che volassi contro il parabrezza. 

Avvicinò il viso al mio e impresse un piccolo bacio sulla guancia, che mi infuse una sensazione di calore tutt'altro che innocente. Mi chiesi quali sensazioni era in grado di scaturirmi, se un innocuo bacio sulla guancia aveva quest'effetto.

Accartocciai quei pensieri in fondo al cervello, sbattendo mentalmente la testa contro il parabrezza.

«Dovresti allacciare la cintura», soffiò contro il mio orecchio.

«Dovresti andare più piano», ribattei.

Il semaforo scattò, colorandosi di verde, e lui spinse sull’acceleratore con un sorriso strafottente. 

Mi appoggiai al cruscotto per non sbilanciarmi in avanti, quindi allacciai la cintura.

***

«Pronto?».

«Hal!», squittì Brit. «Mi dispiace, Harry non mi ha dato scelta, non ti ho abbandonata!».

«Lo so Brit, non preocc… Sta tranquilla».

«No, odio quando fa così! Ah, e mi devi raccontare un paio di cosucce, oggi te la sei scampata con la scusa del test. Domani sei mia».

Mi morsi il labbro con forza. «Sì… D’accordo».

Ci fu una pausa. 

«Ma hai il fiatone?», chiese sospettosa.

M’irrigidii, strizzando gli occhi per reprimere gli ansimi che non riuscivo a mettere a tacere. «No…».

«Hal, non starai facendo ses…».

«Britney!». 

Il telefono mi venne sottratto e finì nella tasca dei jeans di Harry, il cui viso era seppellito nell’incavo del mio collo.

Lasciò una linea di baci e piccoli morsi sulla mia pelle, ognuno mi provocava una piccola scossa elettrica. 

Un profondo mugolio partì dal fondo della sua gola. I suoi ricci mi solleticavano il viso mentre si spostava appena sotto il mento e con le mani aumentò la stretta sulle mie cosce. Infilai le dita tra i capelli scuri e lo tirai leggermente indietro.

«Har.. Harry basta. C’è Britney in linea!», sibilai.

«Ho riattaccato», mormorò tra un bacio e l’altro.

Le sua labbra cercarono le mie e cancellarono qualsiasi cosa avessi da dire. Mi aggrappai alle sue spalle per non cadere all’indietro sul volante dell’auto e lui mi cinse la vita, portando i nostri corpi l’uno contro l’altro. Cominciavo ad abituarmi al sapore delle sue labbra, al suo odore, alla sensazione delle sue mani su di me. E non ero certa fosse più un bene che un male.

Mi staccai, riluttante. «Devo andare, sul serio».

Harry sbuffò appena e allentò la presa sui miei fianchi, permettendomi di liberarmi e uscire dall’auto. Mi affacciai al finestrino per salutarlo e le mie labbra ricevettero un nuovo bacio, questa volta più veloce.

«A domani», disse.

Sorrisi. «A domani».

Mi chiusi la porta alle spalle con un sospiro. «Sono a casa!», gridai, certa che non avrei ottenuto risposta.

E invece una voce arrivò da qualche punto indefinito della casa. Non sembrava Karen, e nemmeno mia sorella. Però era familiare.

«Non me ne importa un accidente, Tom! Sono stanca». 

Ma.. Quella era la mamma.

«Ascolta, cerca di calmarti. Ho detto che..».

La voce si perse dietro alcuni passi affrettati e non capii più quello che si stavano dicendo.

Una porta sbatté violentemente e pochi secondi dopo mia madre stava scendendo le scale, con una serie di valigie in mano. 

Erano settimane che non vedevo i miei genitori, non sapevo nemmeno fossero tornati, e rimasi sorpresa nello scoprire il suo nuovo taglio. I capelli, dello stesso castano scuro dei miei, erano tagliati appena sotto il mento. Sembrava un’altra persona.

«Mamma».

La donna si voltò e mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.

«Oh, Haley tesoro». 

Mi venne incontro e mi gettò le braccia al collo. Ricambiai l’abbraccio un po’ titubante, mentre il mio sguardo veniva catturato dall’uomo che stava scendendo le scale a sua volta, proprio in quel momento.

«Ciao papà».

Come colpita da una freccia invisibile, mia madre si staccò improvvisamente da me, sollevando le borse da terra.

«Ciao amore», mi salutò mio padre.

«Oh, non fare gli occhi dolci a tua figlia, per l’amor del cielo». Poi si rivolse di nuovo a me. «Tesoro, io e tuo padre abbiamo deciso di separarci».

Aprii la bocca, ma la richiusi, le parole sembravano essersi disperse da qualche parte nel fondo della mia gola.

«Abbiamo? Oh, non fare la solita tragedia. Non succederà niente del genere».

Il cuore mi martellava nel petto, pesante come un macigno. Ero consapevole della poca maturità dei miei genitori, ma non pensavo potessero arrivare al punto di litigare davanti a una loro figlia.

«Non succederà? Vuoi vedere? Haley, io me ne vado da questa casa. E sarei felice se venissi con me».

Resistetti all’impulso di coprirmi le orecchie con le mani come una bambina. 

«Ma che diavolo sta succedendo?».

«Succede che tuo padre è un truffatore e un bugiardo, ecco cosa».

Guardai allibita l’uomo che alzò gli occhi al cielo, esasperato. 

«Andiamo, smettila. Non dire idiozie».

«Idiozie dici? Dunque, allora i cinquantamila dollari che abbiamo spillato a quell’uomo per un lavoro che non verrà mai portato a termine sono idiozie? Come gli operai che saremo costretti a licenziare, lasciandoli senza lavoro, pur sapendo che hanno tutti una famiglia da mantenere? Oppure vogliamo parlare delle impiegate che ti porti a letto mentre sono via per concludere degli affari?».

Una sensazione di nausea s’impadronì del mio stomaco, tuttavia la mia bocca rimase sigillata.

«O potresti dirle che quelle sgualdrine potrebbero essere le tue figlie!».

Lanciai uno sguardo interrogativo a mio padre, che si limitava a tenere la testa china. Mi sentivo come se una pallina da flipper mi stesse schizzando in testa.

«Pa, è vero?», la voce mi uscì strozzata.

Lui annuì, suo malgrado. «Ecco io…».

«Tom, per favore. Evita. Forza Haley, andiamo». 

Mi sorpassò e aprì la porta d’ingresso.

Aggrottai la fronte, senza smettere di guardare mio padre. 

«Non sei costretta ad andar via, H», disse lui dolcemente. 

La mia testa minacciava di esplodere, non riuscivo a credere che stesse accadendo davvero. Le poche volte in cui eravamo tutti insieme sembravamo davvero una famiglia perfetta e felice. E poiché sapevo che erano quasi sempre insieme durante i viaggi, avevo dato per scontato il fatto che fossero l’uno follemente innamorato dell’altro.

«Chiudi quella bocca. Non sei in grado di badare a te stesso, figuriamoci tener dietro a tua figlia».

«Non sono una bambina, mamma», puntualizzai con una punta di acidità nella voce.

«Lascia che sia lei a decidere!», s’intromise mio padre.

Entrambi tenevano gli occhi fissi su di me, come se dalla mia scelta dipendesse lo svolgersi degli avvenimenti futuri. Ed era così probabilmente.

«E Tess?», domandai per prendere tempo.

«Tua sorella ha una casa sua adesso, lo sai. E poi è quasi sempre al college», mi ricordò mio padre.

«Tanto per te che differenza farebbe, Tom? Non le vedresti comunque mai! Accidenti a te e al lavoro che ci hai scelto, non fosse per te questa sarebbe una famiglia normale!».

«Al lavoro che io ho scelto? Ma ti ascolti? Lo sai che è grazie a quel lavoro se puoi permetterti quelle scarpe da ottocento sterline e quelle borse di pelle di serpente che ti piacciono tanto? O questa casa, o quella che hai tanto insistito per comprare a tua figlia!».

«Oh, di questo non devi più preoccuparti! D’ora in poi ci penserò io a me e alle mie figlie».

«Non deciderai per lei!».

«No di certo, ma se ha un briciolo di buon senso stai pur certo che sceglierà sua madre!».

Una risata priva di allegria uscì dalle labbra di mio padre. «Buon senso che immagino abbia ereditato dalla signora Grantham, vero?».

«Prescott, da adesso». Si voltò verso di me e mi fece un cenno stizzito. «Forza, Haley. Prendi le tue cose».

Vedendo che non davo segno di volermi muovere, sbuffò. 

«Voglio andarmene di qui prima di sera», mi esortò.

All'improvviso sentì la rabbia crescermi dentro. Stavano lontani da casa per un sacco di tempo, senza farsi sentire, senza farmi avere loro notizie, e quando tornavano pretendevano di stravolgere la mia vita in pochi minuti. 

Se c’era una cosa che odiavo, erano i cambiamenti. Ero una persona troppo razionale, avevo bisogno di riflettere sulle cose, di certezze. E quel loro assurdo pretendere una mia decisione istantanea oscurò la mia lucidità.

«Io me ne vado», dissi, tutto a un tratto.

«Sì, tesoro, d’accordo. Va a fare i bagagli. Troveremo un posto per stanotte».

Scossi la testa, contraendo la mascella per non piangere. 

«No, mamma. Non ci vengo con te, me ne vado e basta».

Mi diressi a grandi passi verso la porta e uscii, sbattendomela alle spalle.

***


SPAZIO AUTRICE:
Allora, per prima cosa perdonatemi la grafica orrenda, so che è tutto scritto in minuscolo ma non so davvero cosa stia succedendo all'editor di EFP (diamo la colpa a EFP sì sì). No scherzi a parte, non riesco a ingrandire il carattere né a cambiarlo/colorarlo, ma vabbeh. Tra l'altro ho il pc che va a rilento, ma forse la colpa di questo è mia perché, come dice sempre mio padre, faccio venire il mal di pancia ai computer. COMUNQUE, parliamo di cose interessanti.
Che ne pensate del capitolo? Scrivete, scrivete anime impure(?)... oook, sarà il caso che la pianti con gli allucenogeni. No, seriamente, fatemi sapere i vostri pensieri più celati... E ma stantiddio, non riesco a star seria today. Poi stavo riguardando i vecchi capitoli e pensavo che sono davvero morti, nel senso, molto... bianchi e neri(?), quindi avevo in mente di metterci un banner, ma siccome non so come si fa e mi piacerebbe che i personaggi li interpretaste come più vi piace, lascerei stare. Voi che dite? Perfectus, ora vi lascio in pace... fino al prossimo capitolo ovviamente, muhuhuhahahaha. Salute popolo <3
#Allie

Ps. Voi che recensite ogni volta, sì, parlo proprio con voi, soprattutto chi segue la storia dall'inizio, IO VI AMO. GRAZIE DI TUTTO, BELLISSIME. <3

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Capitolo 12
*** Twelve ***


12. TWELVE

Britney’s POV

Emersi dal bagno in punta di piedi, facendo attenzione a non svegliare il ragazzo che dormiva beatamente sul mio letto. Controllai il cellulare, pieno di messaggi e notifiche, ma nessuno di questi era di Hal. Se c’era una cosa che non sapeva fare, era mentire. Ridacchiai tra me e me pensando a cosa le stesse facendo Harry quando le avevo telefonato, non ero sicura di volerlo sapere. Scossi la testa. Quella ragazza aveva uno strano modo di interpretare le parole: le avevo detto di trovarsi un ragazzo, ma certamente non intendevo quell’idiota del suo migliore amico. O meglio, ex-migliore amico. 

Per carità, se era felice lei lo ero anche io, ma non ero sicura che uno come Harry facesse per lei.  Anche se, a dirla tutta, avevo sempre pensato che quei due non potessero essere soltanto amici, ma come al solito Haley non mi dava retta.

I miei pensieri vennero interrotti bruscamente quando una testa bionda sbucò dalla camera da letto dei miei genitori. Lanciai un gridolino acuto.

«Britney?».

«Mamma? Io… Non ti avevo sentita». Solo in quel momento mi accorsi di essere completamente nuda, a parte la maglietta di Pete. «Ero… Ero sotto la doccia!», mi affrettai a spiegarle.

Ma la sua attenzione era tutta per l’enorme display del cellulare. Tipico.

«Mm», mugugnò digitando un messaggio.

Lanciai diverse occhiate preoccupate alla porta semichiusa della mia stanza. Se solo fossi riuscita a chiuderla quel tanto che bastava perché non si accorgesse che non ero sola...

«Sei tornata presto oggi», commentai facendo qualche discreto passo indietro.

«Già, in ufficio non c’era molto da fare». Sollevò il capo. «E ho pensato che… Non lo so, potremo mangiare qualcosa insieme stasera».

«Claire non c’è, mamma», le ricordai.

La donna si morse il labbro inferiore, mentre si sbottonava la giacca grigia del tailleur. «Beh, possiamo ordinare qualcosa allora. Pizza, take-away? Magari del cinese».

Sospirai, mentre richiudevo lentamente la porta della mia camera. «Sarebbe fantastico», dissi senza entusiasmo. «Papà dov’è?».

«A una riunione, finirà tardi».

Dovevo trovare un diversivo, Pete non poteva rimanere nascosto nella mia stanza per tutta la notte. «D’accordo, vado in camera mia a telefonare allora…».

Proprio in quel momento il suo cellulare prese a squillare insistentemente. Mi fece un sorriso di scusa prima di rispondere. «Sì?». Rimase in ascolto per una manciata di secondi, poi annuì. «Certo, d’accordo. No, no! Nessun problema».

Riagganciò, e la sua espressione colpevole mi strappò le parole di bocca.

«Fammi indovinare, devi tornare al lavoro?».

«Tesoro non sai quanto mi dispiace! Sarà per un’altra volta, d’accordo?».

Annuii. «Certo. Come no». Ma lei era già schizzata giù per le scale e non riuscì a sentirmi.

Ascoltai la porta d’ingresso chiudersi dietro mia madre prima di tornare nella mia stanza. Pete dormiva ancora. Mi sedetti sul letto di fianco a lui, abbandonandomi contro la testiera rigida. Quella era proprio una delle cose che aveva contribuito a rendere me e Hal ancora più unite. Avevamo passato quasi un’intera vita a farci compagnia a vicenda. I miei erano sempre in città, ma era come fossero dall’altra parte del mondo e i suoi lo erano davvero. Ormai però ci avevo fatto l’abitudine e l’infinità di cose materiali che riuscivano a comprarmi aveva iniziato a sostituire il bisogno di affetto. 

Bisogno d’affetto? Ma che stavo dicendo? Non avevo mai avuto necessità di quel tipo.

Il ragazzo di fianco a me si mosse nel sonno. Mi allungai sopra di lui per guardare l’ora sulla sveglia. Lo sentii ridere. 

«Da quanto tempo sei sveglio?».

«Abbastanza per sentire la conversazione con la signora Grey», rispose sogghignando. Stese un braccio verso di me e mi attirò giù, sopra di lui. «Abbiamo la casa tutta per noi», sussurrò in un tono che sarebbe dovuto apparire seducente.

Mi allontanai non appena cominciò a stuzzicarmi con la lingua. «Pete, no. Per favore».

Lui mi ignorò e proseguì con la sua tecnica di seduzione, che stava avendo risultati piuttosto scarsi.

«Pete», ripetei infastidita.

Mi alzai di scatto, asciugandomi il collo bagnato di saliva.

«Ma che cazzo ti prende?», fece.

Mi tolsi la sua maglia e gliela lanciai, senza preoccuparmi di essere del tutto nuda di fronte a lui.

«Vattene per favore», mormorai mentre m’infilavo di nuovo la biancheria.

Pete mi raggiunse con uno balzo e mi strinse i polsi. Mi divincolai dalla sua stretta imprecando. «Ma che fai?», ringhiai.

La sua bocca raggiunse la pelle nuda delle mie spalle e iniziò a lasciare piccoli baci veementi.

«Smettila», gli intimai. Con mia sorpresa mi diede ascolto, ma il suo viso era una maschera di ghiaccio.

«Britney Grey che non vuole fare sesso, questa sì che è nuova».

Rimasi impassibile, mentre aspettavo che si allontanasse dal mio corpo immobile.

«D’accordo», sputò. «Me ne vado».

Si rivestì in fretta e in pochi minuti fu fuori da casa mia. Rimasi parecchio tempo con lo sguardo perso nel vuoto, un’orrenda sensazione di gelo si era impadronita di me. Perché avevo come l'impressione che Pete mi usasse solo per il sesso. Oh meglio, che tutti i ragazzi lo facessero. Scacciai quel pensiero più velocemente possibile. No, ero io che usavo loro per fare sesso. 

Ma che mi prendeva? Mi era sempre andato bene così, non volevo che cambiassero le cose. Doveva essere colpa del ciclo imminente, diventavo sempre strana nei giorni che lo precedevano.

Mi sedetti sul grande divano, rabbrividendo al contatto con la pelle fredda. Premetti il tasto di accensione sul telecomando e il televisore prese vita silenziosamente.

«Già», borbottai. «Pare che stasera saremo solo io e te».

Peccato che nemmeno in televisione ci fosse niente di interessante. Solo una catena di programmi demenziali e assolutamente inutili che, in un normale contesto, mi avrebbero permesso di distrarmi. Ma non quella sera.

Dopo aver ingerito più di metà della vaschetta di gelato che avevo trovato in freezer, decisi che era meglio uscire di casa.

«Milk!», urlai alle scale.

Tempo qualche secondo e la bestiola color panna mi venne incontro trotterellando e ansimando per la corsa. Gli feci una carezza sulla testa e ne approfittai per tenerlo fermo e legargli il guinzaglio.

Uscimmo di casa dopo che anche la punta delle mie dita fu coperta da uno spesso strato di lana. Le giornate si stavano accorciando decisamente e per strada i lampioni erano già tutti accesi. Solitamente il compito di portar fuori il piccolo barboncino spettava a Claire, visto che vederlo mentre si liberava dei suoi escrementi non era uno dei miei spettacoli preferiti. Aspettai pazientemente che annusasse un tronco, poi gli diedi una leggera scrollata, trascinandolo avanti. Le mie mani cercarono il cellulare nella borsa. Una volta trovato, litigai per un quarto d’ora con lo schermo touch che si rifiutava di collaborare. Sbuffai e mi sfilai il guanto della mano destra, quando una sagoma scura attirò la mia attenzione. La luce giallastra del lampione m’impediva di vederne il volto, ma potevo distinguere chiaramente la corporatura minuta di una ragazza.

Nel frattempo dovetti portare il telefono all’orecchio perché la chiamata era partita. Aspettai diversi secondi, e quando udii una suoneria partire poco lontano da me sussultai.

 

Haley’s POV

Mi avvolsi nel piumone caldo, respirando a fondo l’odore di pulito. Se Brit non mi avesse trovata probabilmente sarei rimasta in giro per tutta la notte, dato che dopo la mia tragica uscita di scena, non avevo la minima intenzione di ritornare a casa. Almeno non subito.

Brit varcò la soglia del salotto con una tazza di tea bollente in mano. Mi rivolse un sorriso di scusa. «Non so quanto possa essere commestibile, Claire non c’è».

Le circondai il collo con le braccia, e lei appoggiò la tazza sul tavolino prima di ricambiare l’abbraccio. «Grazie Brit», sussurrai.

Sciolse la stretta. «Non dirlo nemmeno. Come stai piuttosto?». Mi strinsi nelle spalle e bevvi un sorso di tea, ma fui costretta a risputarlo. 

«Che c’è?­», chiese preoccupata. «Non ti piace?».

«No!», mentii. «È… è perfetto. Solo che mi sono scottata».

In realtà non ero sicura che fosse davvero tea, e qualcosa mi diceva che avrei preferito non sapere cosa fosse. Però si stava impegnando così tanto ad essere gentile e premurosa con me che non avevo il coraggio di dirglielo. Era più di un’ora che continuava a fare su e giù per la casa in cerca di qualsiasi cosa potesse farmi stare meglio.

«Come ti senti?», ripeté.

«Meglio», la rassicurai.

«Sono sicura che era solo un litigio… Lo sai che i tuoi sono un po’, beh… svitati».

Sorrisi. «Già, ma stavolta credo facessero sul serio. Mio padre ha fatto un bel casino».

Britney annuì e mi appoggiò una mano sulla schiena. «Beh, sappi che puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi», disse.

Rimanemmo in silenzio mentre esaminavo il liquido scuro all’interno della tazza, soffiando di tanto in tanto per dare l’idea che l’unica cosa a impedirmi di berlo fosse la temperatura.

 

In un primo momento credetti che a svegliarmi fosse stata la mano di Brit sulla mia faccia. Quando avevo accettato di dormire insieme a lei ero troppo stanca per pensare al fatto che non sarebbe stata ferma un secondo e avrebbe scalciato nel sonno. Poi, pian piano, il ticchettio contro la finestra divenne sempre più distinto. Lanciai un’occhiata ansiosa alla mia amica che dormiva profondamente, inconsapevole del fatto che stava occupando da sola tre quarti del letto. Scivolai fuori dalle coperte, facendo attenzione a non svegliarla.

E di nuovo quei colpetti penetranti. Il legno freddo del pavimento scricchiolò leggermente sotto il mio peso. Avanzai, arrancando nel buio e tastando alla cieca lo spazio davanti a me. Quando finalmente riuscii ad aprire la finestra, tutto ciò che potei vedere fu il retro dell’enorme giardino dei Grey, vuoto. Ero più che certa di non essermi immaginata tutto.

Deglutii e scesi le scale cautamente, un gradino alla volta. Il cuore mi batteva nelle orecchie alla velocità della luce. E riecco quel rumore… No, questa volta era diverso, era più forte e chiaro e assomigliava a un cigolio. Sgattaiolai in cucina e afferrai un coltello dal cassetto senza pensarci. Mi sentivo davvero stupida e paranoica, ma non era la prima volta che i ladri tentavano di entrare in casa Grey.

Sbirciai dalla finestra, e dovetti tapparmi la bocca con tutte le mie forze per non urlare. Là fuori c'era qualcuno. Riuscivo a distiguere chiaramente una sagoma scura tra le siepi fiorite del giardino.

Armandomi di tutto il coraggio possibile, mi mossi verso la porta d’ingresso, dalla quale mi sembrava provenire il rumore. Afferrai la maniglia e spinsi con delicatezza, lasciando che la porta si aprisse da sé. Contai fino a tre e mi sporsi per guardare oltre la porta, con il coltello ben stretto nella mano sinistra.

Qualcuno mi afferrò per il polso e dalle mie labbra uscì un grido di terrore che venne interrotto da una mano grande e salda. Senza pensarci feci penetrare i denti nel palmo del mio “aggressore”.

«Cazzo, Haley!», il suo fu quasi un sussurro. 

Quando mi resi conto di chi avevo di fronte, feci un repentino balzo indietro. Harry mi seguì, chiudendosi la porta alle spalle silenziosamente. Non ci sono parole per descrivere il sollievo che provai. 

«Che ci fai qui?», sibilai. «Pensavo ci fosse… L-là fuorì c'è...».

«Chi?», fece lui, le labbra piegate in un ghigno. Alzai gli occhi al cielo, posandomi una mano sul cuore per rallentarne il battito.

«Ero sicura di aver visto un uomo».

«Haley, non c'è proprio nessuno. Non volevo spaventarti, ma se vuoi posso aiutarti a calmarti», mi sforzai di ignorare la nota maliziosa nella sua voce e feci qualche respiro profondo. Eppure io l'avevo visto...

«Come facevi a sapere che ero qui?».

«Ero venuto da te, ma dopo essermi arrampicato per la grondaia solo per trovare la tua stanza vuota, ho immaginato fossi qui».

Aguzzai lo sguardo per afferrare l’ora sul grande orologio appeso al muro, proprio sopra l’attaccapanni.

«Sono le quattro del mattino!», constatai incredula. «Perché sei in giro a quest’ora?».

Il suo sguardo era così intenso che mi tolse il respiro. «Non avevo sonno, e la palestra della scuola non apre prima delle sei». 

La mia espressione doveva essere particolarmente delusa, perché un sorriso più dolce sostituì quello beffardo di sempre. «Sto scherzando». 

Le sue dita catturarono il tessuto leggero dei pantaloncini di Brit e mi attirò più vicina a lui. «Avevo voglia di vederti», soffiò sulle mie labbra. «E volevo chiederti di uscire, per davvero stavolta».

Uno stormo di farfalle inferocite decise di prendere il volo nel mio stomaco, proprio in quel momento. «Intendi un appuntamento?», azzardai.

Rise, mettendo in mostra ancora una volta le fossette. Avevo come la sensazione che sapesse piuttosto bene l’effetto che aveva su di me. «Se vuoi chiamarlo così».

«Non lo so. Se intendi due persone che escono insieme, dopo aver stabilito un orario e un luogo preciso, beh allora… Credo di sì».

«E come devono essere queste due persone, perché l’appuntamento possa definirsi tale?». Il sorriso che non accennava a scomparire dal suo volto, mi suggerì che si stava prendendo gioco di me.

«Amici, suppongo».

Mi accorsi che ci eravamo spostati nel soggiorno solo quando sfiorai col polpaccio la pelle ruvida del divano.

Harry posizionò il viso tra la mia spalla e il collo. «Mmh, ma davvero?».

Abbassai le palpebre mentre le sue labbra si dischiudevano appena contro la mia pelle, inspirando delicatamente. «Forse un po’ più che amici», esalai.

Infilò la mano sotto la maglietta di cotone e disegnò ghirigori immaginari lungo la mia schiena. Salì un po’ più su, fermandosi quando le sue dita incontrarono il laccetto del reggiseno. Avvampai.

«Io direi… Molto più che amici», suggerì lui.

Fletté le ginocchia, in modo che la sua gamba s’insinuasse tra le mie, costringendomi a sedermi sul divano. Si chinò su di me, appoggiando le mani ai lati della mia testa. Non dovetti aspettare ancora a lungo perché le nostre labbra si incontrassero, due magneti roventi incapaci di resistere a quell’attrazione. I suoi movimenti erano lenti ma profondi, le mie mani chiuse saldamente dietro al suo collo, come fosse la mia ancora di salvezza. La fremente attività nel mio stomaco emigrò più in basso quando con il pollice accarezzò la porzione di pelle scoperta del mio ventre.

Entrambi ci irrigidimmo nell’udire qualcuno che si schiariva la gola.

***

SPAZIO AUTRICE:

Haaaaai! Come state giovani donzelle? Qui si sopravvive.
Avete visto, sono riuscita a utilizzare una grafica più carina, così non vi sembrerà più di leggere l'elenco della spesa, lol. Sì, oggi mi andava di usare il verde, qua c'è il sole, gli uccellini, e tanta voglia di primavera. E poca di studiare, OVVIAMENTE.
Tipo che ogni volta che devo fare lo 'Spazio Autrice' non so mai cosa scrivere, poi mi vengono in mente mille cose e vi tengo qua per più tempo che per tutto il capitolo, ma vabbé.
Dungue dungue dungue, Harry e Haley sono troppo da diabete per i miei gusti, qua ci vuole qualcosa che smuova la situazione, eh. Non vi preoccupate, per ora il mio cervellino malato è in quiete.
BUGIA, ho già in mente il prossimo capitolo, e quello dopo, e quello dopo ancora. E rimarrò qui a torturarvi finché la morte non vi coglierà, gnaaaaa.
Va bene adesso basta: grazie ai tesori che hanno aggiunto la storia tra le seguite, preferite e ricordate, e grazie di cuore a chi recensice, vi prego di farlo sempre, anche a chi di solito legge in silenzio... Solo un piccolo commentino qua sotto, anche breve, ma per farmi sapere se la storia vi sta piacendo, oppure se vi fa schifo, o se dovrei cambiare qualcosa :')

Un grazie davvero speciale a queste tre persone che recensiscono praticamente sempre, e che amo troppo:
- Cecy_y
- ila and anny
- stylesmadness
- Alice Styles

Un ultimissima cosa, ci terrei davvero di cuore che faceste un salto da questa meravigliosa fanfiction. Io me ne sono innamorata, e sono sicura che anche voi non ve ne pentirete!
Si chiama Soul Torn, di JaymeR.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2198420&i=1

BYE BYE belle bimbe, un kiss <3

#Allie

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Capitolo 13
*** Thirteen ***


13. THIRTEEN

«Non. Sul. Mio. Divano», la voce di Brit era rauca per il brusco risveglio.

Sia io che Harry rimanemmo un attimo immobili in quella posizione, io sdraiata sul divano e lui sopra di me. Scoppiammo a ridere senza preavviso alla vista delle ciocche bionde di Britney ritte sulla testa. Non eravamo abituati a vederla in quello stato, o meglio, solitamente non permetteva a nessuno di vederla così.

«Non c’è niente da ridere!», ci rimbeccò, le mani puntate sui fianchi. «Gesù, se non vi avessi fermati avreste scop…»

«Britney!», urlai per coprire la sua voce.

«…sul mio divano?».

Aggrottai la fronte, sconcertata. «No, noi stavamo solo…».

Harry certamente non mi stava aiutando, continuando a sghignazzare e senza la minima intenzione di spostarsi.

La ragazza fece qualche passo esitante nella nostra direzione, aggirandoci come fossimo mine antiuomo. «Usufruendo di una casa quasi vuota per dare sfogo ai vostri bisogni sessuali, lo capisco. Ma assicuratevi che io stia dormendo profondamente la prossima volta, i vostri miagolii da gattini nella stagione degli accoppiamenti non mi aiutano a riposare».

Harry alzò appena il capo verso di lei, senza smettere di guardarmi. «Ci ha appena chiamati gattini?».

Avvicinò le labbra nel punto del collo appena dietro l’orecchio e lasciò diversi baci sulla mia pelle già rovente. Lo sforzo che feci per non abbandonare la testa all’indietro e dimenticarmi della presenza di Britney non si riesce a spiegare. Invece lo spinsi indietro con la mano, indirizzandogli qualche parola di rimprovero.

Brit aveva le palpebre socchiuse in quello che, lo riconobbi all’istante, ci piaceva chiamare Lo Sguardo. Purtroppo nemmeno Harry sembrò farci caso più di tanto, tuttavia decise di alzarsi, forse per pietà della mia amica.

«Sei una vera seccatura», brontolò il ragazzo.

Nel frattempo Britney si era raccolta i capelli in una coda alta. «Oh, questo sì che mi ferisce», commentò sbadigliando. Indicò poi la porta con un ampio gesto del braccio. «Prego», lo esortò.

Harry sbuffò e mi rivolse un’occhiata famelica. «A dopo», disse.

Non sapendo bene cosa dire rimasi ferma impalata in mezzo alla stanza, mentre lui si avvicinava per salutarmi. Le sue labbra furono sulle mie in un lampo, e riuscii a percepire il suo divertimento nel sentire il sospiro esasperato di Brit, mentre indugiava un po’ più del dovuto. Infine, dopo aver lasciato una piccola pacca sul mio sedere che tentai invano di schivare, se ne andò.

 

«Sai, dubito che il trucco si depositi da solo sulla tua faccia. E tantomeno che i vestiti ti si infilino addosso».

Brit si sedette sul suo letto di fianco a me ed esaminò orripilata il sacchetto vuoto di patatine.

«Ancora non capisco dove vadano a finire i quintali di spazzatura che ingerisci».

Diede un pizzico al mio fianco destro, ma le sue dita catturarono solo un sottile strato di pelle.

«Non è spazzatura», mi giustificai.

Liquidò il discorso con un cenno della mano. «In ogni caso, Harry arriverà tra meno di dieci minuti».

Lanciai un’occhiata furtiva verso di lei. «E da quando ti importa?».

«Da quando quell’idi… ragazzo, esce con la mia migliore amica». Mi afferrò per un braccio e mi obbligò ad alzarmi. «Forza, scegli qualcosa. Subito».

«Posso andare anche così».

Indossavo gli stessi vestiti dalla sera prima e sapevo perfettamente che la mia proposta sarebbe stata cestinata ancora prima di essere udita. A conferma della mia ipotesi Brit si lanciò verso l’enorme guardaroba e inizio a raccogliere decine di abiti alla rinfusa.

«Britney…», sospirai.

Interruppe la sua battaglia contro l’armadio soltanto per lanciarmi un’occhiata velenosa.

«Devi avere qualche disturbo mentale, insomma…».

«Brit!», la chiamai.

Si interruppe bruscamente, e qualcosa nella mia espressione la convinse a posare gli abiti e sedersi di nuovo vicino a me. Fece un respiro profondo e posò una mano sulla mia spalla.

«Cosa c’è che non va? Non ti sto spingendo a uscire con lui, ma mi era parso di capire che ci fosse un interesse…». Ci rifletté qualche istante, prima di proseguire. «In realtà non credo di aver capito proprio niente di questa storia, ma siete entrambi così vaghi che ho pensato preferiste essere lasciati in pace».

Provai un incredibile e impellente voglia di abbracciarla, i suoi modi invadenti e a volte fastidiosi mi facevano dimenticare quanto fosse meravigliosa. Tuttavia mi trattenni, perché intuii che stava per riprendere la parola.

«Non sei interessata a lui? Perché lui a te lo è, si vide lontano miglia e miglia».

Il mio cuore fece una capriola. «Non sono interessata? Stai scherzando? Io… Lui è così…». La mia mente si sforzò di trovare l’aggettivo perfetto, c’erano mille cose che avrei potuto dire. «Bello da star male».

Restai con fiato sospeso dopo quella rivelazione, in attesa di un commento sarcastico che però non arrivò. «Ma…?», chiese invece.

Quella domanda fece scattare qualcosa dentro di me, e come una chiave, sbloccò tutto quello che mi ero tenuta dentro negli ultimi giorni.

«Ma ho paura di quello che sta succedendo. Mi ero abituata a poter contare su di lui come amico e a non far caso alle ragazze con cui passava la notte, o alle serate in discoteca… Adesso è diverso. Qualcosa è cambiato in me, ma non significa che anche lui sia cambiato. E non voglio essere un’altra delle sue conquiste Brit».

Lei annuì, comprensiva. «Sì, capisco. Non vuoi rimanere ferita».

«Esatto! È proprio questo che intendevo, io… Non voglio perderlo».

La ragazza mi rivolse un sorriso dolce. «Tesoro, tu e Harry non siete mai stati amici».

«Ma che dici?».

«Dico quello che è così evidente e che solo tu non hai notato. Dio, io credo nell’amicizia tra ragazzo e ragazza, sul serio. Ma la vostra… è sempre stata molto più che amicizia. Dove c’eri tu c’era lui, ogni volta che ti serviva aiuto lui correva».

«Questo è quello che fanno gli amici. È la stessa cosa che facciamo io e te».

Britney tirò un lungo sospiro. «Non è così facile da spiegare. Forse capirai man mano. Harry rimane un cretino, sappilo. Però fossi in te gli darei una possibilità».

Il suo sguardo venne catturato dall’orologio-sveglia sul comò. Scattò in piedi.

«Accidenti! Cinque minuti! Avanti, su, alzati per l’amor del cielo!».

A volte mi chiedevo dove trovasse anche solo l’energia per cambiare stato d’animo così velocemente.

Mi sollevai di malavoglia dalle coperte morbide e presi al volo i vestiti che Brit mi lanciava. Fortunatamente quel giorno si era munita di un briciolo di senso della misura, e non fui costretta a indossare uno degli abitini imbarazzanti che mi suggeriva di solito. Quindi, dopo essermi infilata un paio di jeans, una canottiera e una camicia a quadri, venni catapultata nell’enorme bagno.

«Lo sa vero che deve venire qui e non da te?», farfugliò mentre rovistava come una pazza nella trousse rosa shocking. In tutta risposta il campanello suonò, forte e chiaro.

«Gli ho accennato qualcosa oggi», spiegai, ma lei era già volata al piano di sotto, facendomi segno di proseguire la sua opera.

Mi guardai allo specchio, esitante. Una sensazione sconosciuta si fece strada dentro di me: era come se un’enorme serpente si fosse insinuato nel mio stomaco, chiudendolo in una morsa.

Si chiama ansia da pre-appuntamento mi suggerì la vocina acida in fondo alla mia mente.

Tirai con forza l’elastico, lasciando che le lunghe onde castane cadessero lungo la schiena. Afferrai la boccetta del mascara e lo spazzolai un po’ lungo le ciglia.

«HALEY!», mi chiamò la voce di Brit.

Mi guardai intorno, in preda al panico. Le scarpe.

La stanza di Britney era sicuramente più ordinata della mia, ma delle mie converse non c’era traccia. Mi sporsi sotto il letto, non erano nemmeno lì. Mi appoggiai alla scrivania, respirando a fondo e imponendomi la calma.

Era solo un appuntamento, e con Harry per di più. Bastava fingessi che fosse tutto come al solito, soltanto un uscita tra amici. Certo, amici che si baciano e si strusciano come…

Scacciai quel pensiero e ispezionai la scarpiera di Brit, in cerca di qualcosa di adatto a me. Afferrai un paio di Vans grigie e le infilai, sperando che non fossero troppo grandi.

Infine scesi le scale di corsa, con la borsa stretta in una mano, la giacca nell’altra e il cellulare stretto tra le labbra.

Quando raggiunsi il pianerottolo d’ingresso Brit stava prendendo fiato per lanciare un altro dei suoi strilli, probabilmente indirizzato alla sottoscritta. Si fermò appena in tempo e mi studiò velocemente, rivolgendomi un discreto occhiolino d’approvazione.

E poi lo vidi.

Dire che il mio cuore si fermò sarebbe decisamente riduttivo. Scomparve del tutto, lasciandomi una sensazione di leggerezza nel petto. I suoi capelli erano leggermente spettinati sulle tempie, e la posa precaria del ciuffo sulla fronte suggeriva che l’aveva spostato più volte. La giacca era aperta su una maglietta semplice, che aderiva al torace e scendeva a picco sull’addome. Indossava un paio di jeans scuri, piuttosto stretti, e le mani erano infilate pigramente nelle tasche. Cercai con lo sguardo la catenina che, come al solito, era infilata nello scollo.

«Ehi», mi salutò.

Aprii la bocca, senza emettere alcun suono, non del tutto certa di essere ancora capace di parlare. Mascherai l’imbarazzo con un sorriso, sforzandomi di non fissare troppo il suo corpo perfetto. Mi concentrai invece sul viso, sul quale comparivano le immancabili fossette e quelle iridi talmente verdi da sembrare irreali.

Camminai verso di lui, lasciando che mi cingesse la vita con il braccio senza dire una parola. Mimai un saluto a Brit e lasciai che il ragazzo mi conducesse fino alla sua auto.

Guidò in silenzio per un breve tratto, poi decise che forse era ora di rompere il ghiaccio.

«Hai sentito tua madre?».

«Ehm, veramente no». Scrollai le spalle. «Ma né lei né mio padre mi hanno telefonato, quindi… Dubito che a loro importi molto».

Harry distolse lo sguardo dalla strada per studiare la mia espressione. «A loro importa di te».

«Già. Fosse per loro potrei anche essere in mezzo alla strada adesso».

Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Tua madre ha chiamato quella di Britney oggi, e Brit le ha detto di dirle che sei qui».

A quell’affermazione seguì un lungo silenzio.

«Oh», dissi infine. «E tu come lo sai?».

Mi indicò il cellulare. «Britney».

Le mie labbra si sigillarono e decisi che le case che sfrecciavano via da noi oltre il finestrino fossero più interessanti. Nonostante fosse ora di cena, per strada vi erano diverse macchine ed Harry fece lo slalom per schivarle e procedere con la sua andatura veloce. Non lo stavo guardando ma ero sicura che lo divertisse.

Quando la sua mano sfiorò la mia sobbalzai per la sorpresa, ma probabilmente credette che si trattasse di fastidio, perché si ritrasse. Lo lasciai fare, era meglio che la mia bocca rimanesse cucita in quel momento, o avrei potuto riversare su di lui tutto il mio nervosismo. Continuavano a farlo, continuavano a parlare di me a mia insaputa.

«Ehi», bisbigliò. «Va tutto bene?».

In fondo non potevo arrabbiarmi per così poco. Se lo facevano era perché si preoccupavano per me, al loro posto avrei agito allo stesso modo.

«Sì», lo rassicurai con un sorriso.

«Mi dispiace davvero per i tuoi. Non dovrebbero comportarsi così davanti a te».

Sospirai, stringendomi nelle spalle. «Lo so. Ma non voglio parlare di loro adesso».

Le sue labbra piene si piegarono in un sorriso malizioso. «Oh e cosa vorresti fare?».

«Di cosa vorrei parlare… Mmm, vediamo…».

La sua bocca catturò la mia in un istante, impedendomi di continuare. Si staccò solo per evitare di andare a sbattere da qualche parte, ma le nostre dita erano rimaste intrecciate.

«Dove mi porti?», chiesi curiosa.

Finse di pensarci. «Domanda inutile», sogghignò.

Sbuffai rassegnata e mi abbandonai contro il sedile, beandomi del sorriso incantevole del ragazzo di fianco a me.

 

Britney’s POV

Erano dieci minuti buoni che facevo avanti e indietro per la stanza vuota.

Pete non si era fatto sentire.

L’avevo intravisto quella mattina a scuola, ma non ero sicura di aver voglia di chiarire. Mi ritrovai a pensare che forse era stato meglio così. Non ne ero mai stata innamorata, ed ero sicura che fosse lo stesso per lui.

Ciò che invece era davvero deprimente e iniziava a preoccuparmi era il fatto di essere a casa da sola di venerdì sera. Dovevo assolutamente trovare qualcosa che mi impegnasse, così sollevai la cornetta del telefono e composi il numero di Liz.

Due squilli. «Qui è Elizabeth Tomlinson», rispose una voce fredda e meccanica.

Per un attimo rimasi interdetta, la bocca semiaperta e lo sguardo confuso. «Ehm, io…».

La voce all’altro capo del telefono scoppiò a ridere. «Brit? Sei ancora viva?».

Emisi una risatina. «Oddio Liz, cos’era quella cosa?».

La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto. «Ti piace? Mi sto allenando per il mio nuovo filmato».

«Sei… Oh mio dio, credevo davvero fosse un risponditore automatico».

«Grazie! Comunque che c’è?», il suo tono non perse quella nota di allegria.

«Volevo sapere se hai da fare stasera. Mi annoiavo e così… Non lo so, potremmo andare in qualche locale».

Sotto quel punto di vista Liz era più divertente di Haley, con lei era davvero uno spasso andare a ballare e alle feste. Hal era più chiusa e difficilmente si lasciava rimorchiare dagli sconosciuti.

«Oh tesoro mi piacerebbe, ma stasera tornano mio fratello e un suo amico dall’esercito… Sono mesi che non lo vedo. Ehi, perché non vieni a cena da noi?».

«Ma… Io non so se…».

«Dai! Gli farà piacere vedrai, in fondo vi conoscete da quando eravate piccoli».

Rimasi in silenzio qualche secondo, esitante. «Non credo sia il caso, non c’entro molto».

«Okay, allora ti aspetto fra venti minuti». E riagganciò.

Sospirai e andai di sopra a cambiarmi, quella ragazza possedeva un’energia positiva capace di contagiare anche i sassi, decisamente quello di cui avevo bisogno quella sera.

Dopo poco più di venti minuti ero davanti all’ingresso di casa Tomlinson, il dito premuto sul campanello.

Una chioma nera spuntò da dietro la porta.

«Ehi straniera!», mi salutò con un sorriso caloroso.

Mi diede un leggero bacio sulla guancia e la seguii all’interno. Dalla cucina proveniva un forte rumore di stoviglie e pentole. Lanciai un’occhiata interrogativa alla mia amica.

«Oh, non preoccuparti, è mio padre. Sta cucinando il mondo, è sempre così felice quando torna Lou».

Annuii. «E Jenna?».

Il suo viso spumeggiante si oscurò appena. «Non mi sembrava molto opportuno invitarla… Anche se avrei voluto».

Jenna e Louis avevano avuto una storia, prima che il ragazzo decidesse di diventare un soldato e partire per l’esercito. Niente di particolarmente importante certo, però sarebbe stato imbarazzante.

Liz fiutò l’aria come un cane da tartufo. «Gnam! Papà sta cucinando il roastbeef con le patate».

Stavamo per buttarci sul divano, quando il campanello suonò.

Liz schizzò come una furia verso la porta schiamazzando eccitatissima, seguita a ruota dal padre.

Li raggiunsi appena in tempo per vedere la mia amica saltare addosso a un ragazzo dai capelli castani

«LOUIS!», gridò.

Il fratello la prese al volo, ridacchiando. «Ehi mostriciattolo!», le disse affettuosamente.

Si staccò dalla piccola ragazza per abbracciare il padre. «Mi sei mancato figliolo».

«Anche tu papà».

Mi feci piccola piccola, sforzandomi di non essere gelosa di quell’amore che trapelava da ogni parola o sguardo. L’amore di una famiglia.

Liz si voltò verso di me e potei chiaramente vedere che aveva gli occhi lucidi, nonostante sorridesse.

«Lou, ti ricordi di…».

«Britney Grey», fece lui, sfoggiando un largo sorriso che mi ricordò quello di Liz.

Non era cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto. Aveva gli stessi lineamenti sottili e gli inconfondibili occhi azzurro ghiaccio della sorella. Non era molto più alto di me e non fosse stato per l’accenno di  barba sul mento e sulle guance gli avrei dato al massimo un anno in più di me.

Nonostante Louis e Liz fossero fratellastri il loro legame era quasi più forte di quello fra gemelli.

«Ciao Louis», dissi.

Lui ridacchiò e catturò anche me in un abbraccio, che dopo un po’ di incertezza ricambiai. Eravamo sempre stati molto amici, ma era davvero un secolo che non lo vedevo.

Una figura comparve alle spalle di Louis, che sciolse la stretta per voltarsi. «Oh, entra Zayn».

I Tomlinson sorrisero al nuovo arrivato che, un po’ imbarazzato, fece qualche passo avanti.

La mia bocca si sigillò, impedendo all’ossigeno di accedervi. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto.

La divisa da soldato ne evidenziava il corpo alto e slanciato e un piccolo berretto color militare era appoggiato sui capelli neri come pece. I suoi occhi scuri scrutarono attentamente la famiglia e poi me; sul suo viso si aprì un sorriso bianchissimo, in contrasto con la carnagione bronzea.

Non sembrava nemmeno umano.

«Piacere, io sono Jonathan», si presentò il signor Tomlinson stringendogli la mano. «E loro sono mia figlia Elizabeth e Britney, una sua amica».

«Zayn Malik, signore», disse il ragazzo.

Strinse la mano a Liz e infine la mia. Temetti che la mia bocca si spalancasse da sola quando i suoi occhi profondi incrociarono i miei e le sue labbra carnose si aprirono in un piccolo sorriso, ma fortunatamente riuscii a mantenere un contegno.

«Zayn», sussurrò.

«Britney», dissi esultando mentalmente per il tono sicuro che ero riuscita a sfoggiare.

La sua voce era così… provocante. Scacciai quel pensiero folle e ritrassi lentamente la mano, chiedendomi se fosse stata solo una mia impressione o avesse davvero indugiato un po’ troppo.

***

SPAZIO AUTRICE: 

Uaaaaah! Lo so faccio schifo, sono in ritardo, di nuovo. 
Ma stavolta non posso dare la colpa solo alla scuola, ho avuto un sacco di  impegni anche con la pallavolo, 
e sinceramente questo capitolo l'ho riguardato parecchie volte perché non mi convinceva, e non mi convince nemmeno ora, quindi spero che almeno a voi piaccia, è questo l'importante alla fine.
Oggi mi spirava il viola, sono in vena ahahahaha.
Comunque, che ve ne pare delle nuove comparse? Era da un po' che aspettavo di mettere questo capitolo, perché entrano in scena Zayn e Louis sisisi.
E ora passiamo ai ringraziamenti, alle meraviglie meravigliose che hanno aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate e ai soliti amorini che recensiscono always:

- Cecy_y

- ila and anny
- stylesmadness
- Alice Styles
E per ultima ma non meno importante (anzi) c'è JaymeR che, oltre a lasciare delle recensioni stupende, sta scrivendo quella storia che sono certa mi farà morire d'infarto un giorno o l'altro e che vi consiglio vivamente di leggere se non siete deboli di cuore *-* Soul Torn.

E ora posso anche togliere le tende e augurarvi una buona... lettura? No idiota, se sono arrivate qui l'hanno già letto il capitolo. 
Cretina. Sì, parlo da sola ommiodio. Okay, vado davvero. Un bacionee xx

#Allie

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Capitolo 14
*** Fourteen ***


14. FOURTEEN

 

Haley’s POV

La stanza era in penombra e mi impediva di vederlo bene in volto mentre si chinava per colpire la palla. Fece scorrere la stecca sul pollice e l’indice un paio di volte, poi diede un colpo secco. La pallina bianca schizzò in avanti e colpì il triangolo, creando una sorta di esplosione di colori. Molte finirono in buca, altre emigrarono in parti diverse del tavolo verde. Si alzò e mi guardo con soddisfazione.

Studiai nervosamente la punta sporca di gesso blu della mia stecca. Non avevo la benché minima idea di come si giocasse a biliardo, e lui ne era consapevole. Si avvicinò con lentezza esasperante, sistemandosi dietro di me. Fece aderire il suo ampio petto alla mia schiena, e nonostante quel gesto fosse stato fatto con naturalezza, quasi casualmente, sapevamo entrambi che era intenzionale. Mi cinse da dietro e mi costrinse a piegarmi per “mettere a fuoco l’obbiettivo”.

«Scegli un colore», mi sussurrò all’orecchio.

Osservai le cinque palline rimaste, individuando quella che a parer mio sarebbe stata la più difficile da mandare in buca.

«Quella verde», dissi infine.

«Ai suoi ordini».

Mi guidò fino a che non ebbi assunto la giusta postura, dopodiché strinse le mie mani per aumentare la presa sulla stecca. «Sei troppo tesa», continuò a bisbigliarmi. «Rilassati».

M’imposi la calma. «Da qui non riuscirai mai a mandarla dentro», commentai in tono di sfida.

«Scommettiamo?».

Scrollai le spalle, per quanto mi fosse in possibile in quella posizione.

«Quanto?», chiesi fingendo indifferenza.

Sogghignò, soffiandomi sul collo. «Non voglio i tuoi soldi, piccola».

Avvampai immediatamente, un po’ per l’allusione, un po’ per il modo in cui mi aveva chiamata. Harry continuò a far scorrere la stecca avanti indietro, non del tutto ignaro dell’effetto che stava esercitando su di me.

«È tutta una questione di concentrazione. Guarda».

Misi a fuoco la pallina bianca dritta di fronte a noi, scacciando la vocina che mi urlava di girarmi e saltargli addosso. Sentivo il peso del suo sguardo addosso, il che non aiutava affatto.

La stecca sgusciò via dalla mia stretta e scattò in avanti. Colpì la pallina con un colpo secco. Quest’ultima scivolò in avanti, si scontrò con una rossa che a sua volta rotolò fino a quella verde. La palla si fermò a pochi centimetri dalla buca, ma non entrò.

Mi voltai verso Harry, un sorriso trionfante sul viso. Lui mi costrinse a guardare ancora verso il tavolo, e avvicinò la bocca al mio orecchio.

«E adesso?».

Era sparita. Completamente sparita, nonostante fossi più che sicura di aver visto bene.

«Ora», disse. «Voglio la mia ricompensa».

Strinsi gli occhi a due fessure. «Odio scommettere con te».

Si morse il labbro inferiore. «Adoro fare scommesse con te. Anche se penso che prima o poi capirai che non ti conviene».

«Ah no?».

Rise. «A meno che non trovi divertente perdere».

Lo colpii allo stomaco, inutile dire che non si scalfì nemmeno un po’. «Guarda che non perdo sempre».

«Finora hai sempre perso».

Sbuffai. Schiacciata com’ero tra il suo corpo e il tavolo da biliardo non ero nelle condizioni di lanciare minacce. D’altronde aveva perfettamente ragione, in tutta la serata non lo avevo battuto una sola volta, in niente.

«D’accordo, allora. Ti sfido a una gara di Ruzzle».

Inarcò le sopracciglia, trattenendo una risata. «Ruzzle?».

«Già».

Al piano di sopra della sala giochi avevo visto una piattaforma dove si poteva giocare a Ruzzle, anche sfidandosi. Ero quasi sicura che in un gioco di logica come quello avrei avuto più possibilità di batterlo.

«Mmh, io credo che la tua lingua potrebbe essere usata in maniera più utile che per uno stupido gioco».

Avvampai. «Guarda che basta usare il cervello».

«Stai forse insinuando che non lo sappia usare?».

Mi sedetti sul tavolo per acquistare qualche centimetro. «Sto mettendo in dubbio la sua esistenza», lo provocai.

Si posizionò in mezzo alle mie gambe e mi bloccò i polsi con una mano sola.

«Attenta a quello che dici, Grantham», sibilò con una finta voce minacciosa. «Ti ho in pugno, lo sai».

«Presuntuoso».

«Prevedibile».

«Arrogante».

«Vulnerabile».

Aprii la bocca per sputare il prossimo insulto, ma mi fermai. «Vulnerabile? Che razza di offesa sarebbe?».

Scoppiò a ridere, e mi ritrovai a pensare che non ci fosse niente di più bello di quelle piccole fossette ai lati della sua bocca. No forse qualcosa c’era, le iridi verde intenso che proprio in quel momento mi studiavano a fondo.

Catturò le mie labbra con le sue, prima timidamente e poi con maggiore foga. Mi staccai appena prima che la situazione diventasse irrecuperabile.

«Harry, no… Non qui», mugugnai.

Nonostante fossimo soli nel piano sotterraneo della sala giochi, mi sentivo a disagio.

Lui si sforzò di riprendere un contegno e si allontanò, continuando a guardarmi con quegli occhi ardenti di desiderio. Deglutì. «Andiamo via di qui», suggerì con voce roca.

Annuii e mi lasciai guidare fuori dal locale.

 

Britney’s POV

Il signor Tomlinson ci sapeva davvero fare in cucina. Forse perché i miei non lo facevano mai, ma non pensavo che un uomo potesse cucinare così bene. Ovviamente non assaggiai tutto, il mio stomaco non era abbastanza grande. I ragazzi invece riuscirono a fare il bis di ogni pietanza presente sulla tavola, tanto che ad un tratto Liz scoppiò a ridere, durante uno dei pochi momenti di silenzio.

«Ragazzi non so quanto vi diano da mangiare nell’esercito, ma d’ora in poi mi preoccuperò di spedirvi qualcosa. Sembra che non tocchiate cibo da secoli».

Louis rise con la bocca ancora piena, ricevendo un’occhiataccia dal padre.

«Qui la questione non è quanto, ma cosa. Non riesco nemmeno a ricordare l’ultima volta che ho mangiato della carne vera».

Zayn annuì freneticamente, a conferma delle parole dell’amico. «Questo pollo è ottimo signor Tomlinson».

«Oh, buon Dio, chiamami Jonathan. Mi fai sembrare terribilmente vecchio».

«Forse perché sei vecchio papà», gli fece notare Louis.

Il padre ridacchiò. «Forse dovrei dire al tuo superiore di dare una moderata a quella linguaccia che ti ritrovi, mh?».

I due amici si lanciarono un’occhiata divertita. «Sempre che tu ne esca vivo, dopo un dialogo col sergente Sparks».

«Quell’uomo è davvero una belva sign… ehm, Jonathan», spiegò Zayn. «Pensi che a cinquantacinque anni riesce ancora a tirare su i nostri stessi pesi».

Ghignai in direzione di Louis. «Oh, beh, ne sono sicura! Da quello che mi ricordo, tu non riuscivi a sollevare nemmeno cinque chili Lou», lo schernii.

Sebbene fosse passato del tempo, il rapporto tra noi non era cambiato ed ero felice di poter ancora scherzare con lui. Louis alzò il capo dal tavolo e mi squadrò, fingendosi offeso.

«Bisogna che tu dia una risistemata alla tua memoria, nonna! Potrei sollevare tre volte te con una mano sola e l’altra legata!».

Scoppiai a ridere, coprendomi la bocca con la mano. Con la coda dell’occhio potei scorgere Zayn che osservava incuriosito quel battibecco.

«Voi due avete la stessa età?», chiese a me e Liz mentre si puliva la bocca con il tovagliolo.

«Sì», dicemmo all’unisono.

Le labbra del ragazzo si piegarono all’insù, in una via di mezzo tra un sorriso e un broncio. Il risultato era comunque qualcosa di molto, molto sexy. «Sembri più grande della tua età», mi disse.

Louis scosse la testa, sghignazzando. «Queste due pesti mi danno il tormento da quando sono nate praticamente!».

«Ehi!», lo rimbeccò la sorella. «Senza di me tu non vivresti, è chiaro?».

«Certo carotina, come vuoi tu», fece lui con un sorriso affettato.

Il signor Tomlinson scattò in piedi. «A proposito! Ti ho preparato la torta alle carote», bofonchiò mentre apriva il forno e ne estraeva una teglia rotonda.

Sul viso di Lou si aprì un sorriso enorme. «Wow! Questa sì che è un’accoglienza».

Dopo aver mangiato almeno tre fette di torta i ragazzi decisero di andare a vedere un po’ di televisione. Li seguimmo in soggiorno, Liz aveva così tante domande da fare a Zayn e al fratello.

«Quindi voi due da quanto tempo vi conoscete? Come vi siete conosciuti? E quanti anni hai Zayn? Sarai sicuramente più piccolo di Lou, altrimenti non lo sopporteresti. Dico bene?».

Il moro scoppiò a ridere e all’interno del mio stomaco si formò un nodo.

Piantala Britney, sei ridicola.

«Calma piccola Tomlinson, una domanda alla volta», fece Zayn.

Louis ghignò. «Piccola Tomlinson? Cosa vorrebbe dire, che è una specie di me in miniatura? Stiamo scherzando?».

Liz sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Che palle Lou, chiudi il becco!», brontolò, approfittando dell’assenza del padre che sicuramente non avrebbe apprezzato il suo linguaggio.

Zayn sorrise di nuovo. «Ci siamo conosciuti un anno fa, quando sono stato arruolato. Lui era lì già da un po’ e mi ha dato molte dritte. Siamo compagni di stanza e… Sì, ho un anno in meno di tuo fratello».

Liz fece schioccare la lingua, soddisfatta. «Aha! Che ti avevo detto? Nessun ragazzo della sua età o più grande lo reggerebbe».

«Louis si è fatto molti amici», tentò di difenderlo Zayn.

La piccola ragazza lanciò al fratello un’occhiata scettica, poi decise di proseguire col suo interrogatorio.

«Quindi da dov’è che vieni tu?».

Quell’entusiasmo la faceva sembrare una bambina nel giorno di Natale.

«I miei genitori hanno origini pakistane, ma io sono nato a Bradford».

Non riuscii a trattenere una smorfia a quell’affermazione. I miei avevano radicato nella mia testa una forma di discriminazione fin da quando ero piccola, dicevano che il modo di pensare di “quella gente” era diverso dal nostro. Mi accorsi in quel momento che la colorazione ambrata della sua pelle e i capelli così neri non potevano appartenere a un comune inglese, e mi sentii stupida per non esserci arrivata prima.

Lui dovette accorgersi della mia espressione, perché mi stava guardando apertamente, come tutti gli altri del resto. Sostenni il suo sguardo fingendo indifferenza.

«Tu invece devi essere un’inglese pura, Britney», commentò con una punta di sfrontatezza.

«Si vede molto?», replicai fieramente.

Scrollò le spalle, un sorriso tirato sul viso. «Diciamo che riesco a distinguere quando qualcuno è completamente inglese. Soprattutto le donne, sono tendenzialmente più… fredde».

Sgranai appena gli occhi, ma mi ricomposi immediatamente. Mi aveva dato dell’acida forse? In fondo io non avevo aperto bocca, era lui che aveva tratto da solo le sue conclusioni, non era certo colpa mia se avevo una marcata espressività del volto.

Sollevai il mento arrogantemente. «Mio nonno era irlandese», mentii.

Liz, che si era persa il nostro scambio di battute mentre scriveva al cellulare, alzò la testa di scatto.

«Davvero?».

Sospirai, sorridendo. «No, stavo solo scherzando». Poi rivolta a Zayn: «E le inglesi non sono acide».

Louis gettò la testa all’indietro, ridendo di gusto. «Attento fratello, la micetta ha artigli molto affilati».

Afferrai un cuscino dal divano e glielo tirai. «Micetta un corno».

Il ragazzo spalancò gli occhi di ghiaccio e sporse il labbro inferiore. «Avanti Spears, non fare la strega»

Gli rivolsi la versione migliore de Lo Sguardo, come lo chiamava Hal. «Non ho più quindici anni Tommo, e quella fissazione per Britney Spears è sparita da un pezzo, insieme a quella per Robert Pattinson e Leonardo di Caprio. Quindi chiamami un’altra volta in quel modo e ti faccio vedere io dove ti ficc…».

Liz si schiarì la gola, interrompendo a metà il mio sproloquio.

«Dunque, perché hai scelto di fare proprio il soldato Zayn? Insomma, sappiamo tutti che Louis non aveva possibilità da nessun’altra parte, che è l’unico motivo per cui mi capacito della sua decisione».

Il ragazzo si lasciò cadere sul divano a braccia conserte, lanciandomi sguardi truci e ancora visibilmente offeso. Distolsi lo sguardo da lui trattenendo un ghigno, e lo spostai su Zayn a cui era stata rivolta la domanda. Sussultai nel constatare che mi stava fissando già da prima, e il mio cuore perse un battito. Tuttavia sostenni il suo sguardo profondo senza il minimo fremito, inarcando appena un sopracciglio come per sfidarlo a distogliere per primo.

«La mia famiglia non è molto ricca e non potevo permettermi una carriera di studi troppo lunga. Ho preferito lasciare questa possibilità alle mie sorelle, mi sembrava più giusto. E poi mi piace aiutare le persone».

«Un gesto molto altruista», commentai piatta. Lui rimase impassibile, i nostri sguardi erano ancora allacciati. «Quindi il generoso stipendio che danno a quelli che vengono spediti in capo al mondo come voi non t’interessa nemmeno un po’?».

Okay, ammetto che era un tantino maligno anche per i miei standard, ma quel ragazzo mi dava parecchio fastidio. Quel suo modo arrogante di atteggiarsi e l’evidente consapevolezza di essere maledettamente bello, erano alquanto seccanti.

«No», rispose lui dopo un lungo silenzio. «Penso che la generosità dovrebbe essere gratuita, senza secondi fini. E se avessi voluto approfittarmi dell’aiuto che fornivo agli altri avrei fatto, non so, l’avvocato».

Gli rifilai un’occhiata tagliente. «Mio padre è un avvocato».

Scrollò le spalle, come per lasciar cadere l’argomento. Non so per quanto tempo rimanemmo lì, a sfidarci con lo sguardo, occhi negli occhi, blu contro marrone. Si poteva quasi avvertire l’energia negativa correre da me a lui e viceversa.

Liz decise di interrompere quel silenzio imbarazzante con l’ennesima domanda.

«Quanto tempo pensate di rimanere?».

Lou afferrò la sorella per i fianchi e la sollevò, stritolandola. «Diciamo fino a per sempre, piccolo mostriciattolo».

Liz rise, colpendolo piano allo stomaco. «Lasciami! E sappi che se non te ne vai da solo ti caccio io!», scherzò.

Mentre i due erano occupati nella loro piccola lotta fraterna, decisi di sbirciare nella direzione del moro.

Mi stava ancora guardando, con quell’espressione tanto intensa quanto indecifrabile.

 

Haley’s POV

Harry sbatté la porta del suo appartamento con una mano sola, l’altra era impegnata a tenermi stretta contro di lui. Strinsi meglio la presa delle gambe intorno alla sua vita e lui gettò le chiavi e la giacca per terra.

Affondai le dita nei suoi capelli e lui si fiondò sulle mie labbra voracemente. Quel bacio era più urgente di qualsiasi altro ci fossimo mai scambiati, entrambi bramavamo quel contatto come l’aria.

Le sue mani scivolarono esperte sotto la mia maglietta, afferrandomi i fianchi per tenermi stretta meglio. Salì le scale mentre mi sfilavo a mia volta la giacca di dosso e la lasciavo cadere.

Le nostre labbra si modellavano alla perfezione, dalla sua gola risalì un ruggito profondo. Senza che me ne accorgessi ci ritrovammo nella camera di Harry. Interruppe il contatto bollente delle nostre bocche solo per posarmi sul letto. Si fermò un attimo, accarezzando con lo sguardo ogni centimetro del mio corpo, soffermandosi sulla porzione di pelle scoperta del ventre, a causa della maglia che mi era venuta su. Si piegò su di me, eliminando del tutto la distanza tra i nostri corpi. Le sue labbra lasciarono una scia di baci lungo tutta la mascella, poi scesero il collo, dove iniziò a mordicchiare la pelle. Non riuscii a reprimere un gemito di piacere e me ne pentii subito dopo, sentendomi totalmente ridicola. Ma lui sembrò accorgersene appena, troppo intento ad assaporare ogni piccola parte di me, prima i capelli, poi le spalle…

Fece una pausa per riprendere aria, le labbra gonfie erano umide e arrossate. Le sue sfere color giada continuavano a scavarmi dentro, nessuna mano o bocca avrebbe potuto compensare il tocco di quegli occhi.

E proprio mentre lo guardavo, mentre speravo con tutta me stessa che mi baciasse ancora e ancora, mi ritrovai a pensare a quante altre ragazze si erano trovate nella mia stessa situazione. Nella stessa identica posizione magari. Quante avevano potuto ammirare quegli occhi meravigliosi e pensare di poterli guardare all’infinito senza stancarsi mai. E quante erano rimaste deluse, ferite, quando avevano realizzato che con Harry Styles non esistevano storie serie. Ma chi volevo prendere in giro? Non era nel suo DNA, non sarei mai riuscita a cambiare quello che era. E, a differenza di tutte le altre ragazze, non mi sarei accontentata di fare sesso con lui per poterlo avere, anche solo per una notte. O tutto o niente. Non sarei mai stata una delle tante, ed era meglio fermarsi prima che mi affezionassi più del dovuto. Prima che potesse farmi male per davvero, anche se sapevo che sarebbe stato abbastanza doloroso anche così.

«Cosa c’è?», sussurrò.

Deglutii rumorosamente, ricacciando indietro le lacrime. «Niente».

Tentai di sollevarmi, ma lui mi bloccava sotto il suo peso. «Harry… è meglio che vada. Scusa».

Lui rotolò di fianco a me, guardandomi mentre mi tiravo su dal letto, ricomponendomi e sperando di riacquistare quella dignità che sentivo di aver perso.

«Cosa? Perché?».

Scossi la testa. «Devo tornare».

Si alzò. «No», replicò accigliandosi. «Britney sarà sicuramente fuori ed è venerdì sera».

Restai un attimo immobile in mezzo alla stanza, sentivo il bisogno di dire qualcosa, ma niente di quello che avrei voluto dire uscì dalla mia bocca.

Mi avviai al piano di sotto a passo svelto, ma Harry mi raggiunse in poco tempo e mi bloccò appena davanti all’ingresso.

«Haley! Che diavolo ti prende? Che ho fatto?».

Respirai profondamente, non ero mai stata brava a reprimere il pianto. Il risultato erano sempre un paio di occhi rossi e la tipica espressione ebete. Infatti Harry se ne accorse e mi prese il viso tra le grandi mani.

«Ehi», bisbigliò sforzandosi di essere dolce, per quanto il fiato corto e l’espressione ancora eccitata gli permettessero.

Mi divincolai dalla sua presa, consapevole che se avessi di nuovo incrociato quei magneti verdi non avrei più avuto la forza di andarmene. Quindi presi la giacca e aprii la porta.

«Io vado. Ciao Harry», dissi richiudendomela poi alle spalle.

Mi incamminai verso casa, con gli occhi che pungevano più del freddo della notte.

***

SPAZIO AUTRICE:
Ciao a tutti, dunque. Questo Spazio Autrice sarà un po' più breve, perché non ho molto tempo.
Chiedo scusa ai tesori che hanno recensito e a cui non ho risposto, mi dispiace tanto, ma non ho avuto un attimo, è un periodo un po' così. Prometto che per questo capitolo m'impegnerò di più per rispondere a tutti. Inoltre non sono più molto sicura di questa storia, mi dispiacerebbe molto cancellarla visto che l'ho pensata dal primo all'ultimo capitolo, ma ho paura che non stia piacendo quanto avrei voluto. Nel modo più sincero possibile, secondo voi dovrei continuare?
Infine grazie a tutti quelli che leggono, e alle mie dolcissime Alice Styles (che oltre ad essere un meraviglioso recensore promette molto bene come scrittrice), ila and anny, stylesmadness e ovviamente quell'amorino di JaymeR che adoro, e a cui chiedo tanto tanto scusa perché ancora non sono riuscita a leggere il suo nuovo capitolo ma vado a farlo immediatamente.
La sua storia, Soul Torn, è una delle più belle che abbia mai letto e non mi stancherò mai di ripeterlo <3
Vi mando tanti baci, a presto
#Allie

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Capitolo 15
*** Fifteen ***


15. FIFTEEN

Quando aprii gli occhi mi resi conto immediatamente di non essere nel letto di Brit, bensì sul divano. Mi sollevai sui gomiti, studiando la coperta che avevo addosso.

Ricordavo di essermi addormentata mentre pensavo a Harry, al modo in cui me n’ero andata. O forse era un sogno? Non seppi dirlo con precisione, forse i pensieri si erano trasformati in sogni o viceversa.

Ma la sera precedente, quello era tutto vero. Mi passai una mano sul viso, e feci una smorfia nel constatare che le mie guance erano ancora bagnate. Una parte di me si era pentita, l’altra pensava ancora che quella fosse la soluzione migliore, forse più per me che per lui.

Una bionda trafelata e già vestita di tutto punto comparve da dietro la porta della cucina, la testa immersa nella borsa enorme.

«Ciao Brit», dissi sbadigliando.

Per tutta risposta dalla sua gola uscì un grugnito sommesso.

«Dove sei stata ieri sera?».

Guizzò fuori dalla borsa, gli occhi sgranati. «Da Liz!», sputò.

Mi avvolsi nella coperta, mettendomi seduta. «Okay», sbuffai. «Però sta calma».

«Ma io sono calma!», sbraitò.

Si fermò qualche istante, rendendosi conto della contraddittorietà della situazione. Poi sbuffò e riprese la sua ricerca furiosa, scaraventando in aria ogni oggetto possibile.

Quando uno specchietto nero minacciò di aprirmi la faccia in due decisi di fermarla.

«Mi spieghi che succede?».

Si fermò in mezzo alla stanza, le mani puntate sui fianchi. La povera borsetta pendeva inerme dal suo braccio, ormai svuotata. Soffiò dalle narici e si sedette di fianco a me.

«Non trovo l’eyeliner glitterato, merda. Ero sicura di averlo messo qui».

«Non credo sia un grosso problema, prima o po…».

Mi fulminò con lo sguardo. «Devo trovarlo!».

Sospirai, riconoscendo immediatamente il suo comportamento. Due erano le ipotesi: o era ingrassata, o qualcosa le era andato storto. E considerando che la sua siluette era perfetta come sempre, rimaneva soltanto un’opzione.

«Britney», dissi con calma. «Cos’è successo ieri sera?».

Le sue pupille schizzarono verso ogni angolo della stanza, e non si fermarono finché non la richiamai con un piccolo buffetto sul braccio.

«Cosa ti fa pensare che sia successo qualcosa?».

«Questa domanda. E il tuo pessimo umore alle…» controllai l’orologio «Dieci di mattina. Di solito sono io quella scorbutica appena alzata».

Scrollò le spalle, incrociando le braccia al petto. «Stasera dovrei andare a una festa con Liz».

Annuii, facendole cenno di proseguire.

«E ci saranno anche suo fratello e quell’idiota del suo amico, probabilmente».

Sgranai gli occhi. «Louis è tornato?». Un sorriso spontaneo si fece largo sul mio viso.

Louis, il fratello di Liz, era nostro amico fin da quando eravamo piccolissime. Era più grande di tre anni, ma ci aveva sempre trattate come pari (o quasi). Avevamo perso i contatti con lui dopo la sua partenza: andando contro le aspettative di tutti aveva deciso di fare il militare. Lou era sempre stato un tipo spiritoso e un po’ superficiale, quindi la sua scelta aveva spiazzato tutti.

«Già», rispose seccata. «E pare che abbia portato con sé un ricordino. Si chiama Zayn Malik, direttamente dal terzo mondo. Probabilmente l’avrà trovato in mezzo a un campo o che so io».

Ridacchiai, nonostante il suo quasi razzismo non mi fosse mai piaciuto molto.

«Sul serio?».

«No. È un suo “compagno d’esercito”», mimò le virgolette con le dita. «E credo sia mezzo pakistano, o inglese… Ma che importa. È la persona più irritante che conosca. E ne conosco di persone irritanti! Mi ha dato dell’acida, ti rendi conto? Acida? Io?».

Mi morsi con forza il labbro inferiore per evitare di riderle in faccia.

«Brit, vorrei solo ricordarti che sei fidanzata».

L’occhiataccia che mi lanciò non può essere spiegata a parole, ma giuro che se ci avesse provato intenzionalmente, non le sarebbe riuscito qualcosa di così esilarante.

«Ho detto irritante Haley, non scopabile. I-r-r-i-t-a-n-t-e. Tecnicamente allude a qualcosa di negativo».

«Mm, e allora perché ti agiti tanto?».

Scrollò le spalle con nonchalance. «Perché stasera sarò costretta a vederlo. E mi innervosisce».

«Probabilmente non vi incrocerete nemmeno, con tutta quella gente».

Dopo una breve riflessione si calmò e decise che avevo ragione, quindi archiviò la questione e passò a quella successiva.

«Non ti ho nemmeno chiesto com’è andata ieri con Harry. Quando sono tornata ti ho vista dormire sul divano ed ero troppo stanca e seccata per parlare».

Sentii le lacrime riaffiorare in superficie e il buon umore prendere il volo velocemente com’era arrivato, così mi costrinsi a fissare il lampadario. Presto la forte luce bianca mi annebbiò la vista e la stanza si coprì di macchioline colorate. Mi resi conto di star piangendo quando avvertii una lacrima calda rigarmi la guancia.

«Hal?».

«Ho rotto con lui».

I suoi occhi si spalancarono. «Tu cosa?».

«Già. Sempre che si possa dire di aver rotto con qualcuno con cui non si stava nemmeno».

E senza troppi giri di parole le raccontai della sera precedente, dei miei dubbi e di ciò che mi aveva spinta a lasciarlo lì, confuso e impotente.

Quella lacrima solitaria si trasformò ben presto in un pianto ininterrotto. Britney mi avvolse in un abbraccio affettuoso, sussurrandomi parole di conforto.

«Tesoro… Capisco che tu sia spaventata, ma queste sono tutte tue supposizioni. Per quanto Harry possa essere un coglione, insomma, non ha fatto niente per farti dubitare di lui».

«Lo so. Ma ho deciso che era meglio chiudere questa cosa prima che potessi farmi male per davvero. Certo, così l’ho perso in ogni caso, sia come amico che altro».

Lei sospirò, battendo un paio di colpetti sulla mia schiena. «Credo che faresti meglio a parlarne con lui».

Mi strinsi nelle spalle. Sciolsi l’abbraccio e accesi il cellulare. Harry mi aveva chiamato sette volte, e aveva lasciato due messaggi. Un’occhiata rassicurante di Brit mi spinse ad ascoltarli.

Nel primo il suo tono di voce era calmo, leggermente assonnato forse.

“Ciao, sono io. Ehm… Volevo solo sapere come stavi. Te ne sei andata così e io mi sono sentito… Non lo so. Sì, volevo solo assicurarmi che andasse tutto bene. Per favore richiamami”.

Un sonoro ‘bip’ introdusse il secondo messaggio.

“Porca puttana Haley. Rispondi!” uno sbuffo. “Io proprio non capisco. Parlami almeno!” E poi una scarica di imprecazioni degne di uno scaricatore di porto.

Lanciai il telefono da una parte, sbuffando. «Adesso non ho voglia di parlargli. Non saprei cosa dirgli e…».

E ogni volta che incontro quegli occhi non riesco a imporre la mia volontà.

Si alzò dal divano con un sospiro teatrale, prendendomi le mani.

«D’accordo. Quello che ci vuole qui è un bel po’ di divertimento, e ieri Louis mi ha chiesto di te. Quindi stasera vieni con me».

 

Britney’s POV

Un uomo robusto vestito di nero si scostò per lasciarci passare. Non appena fummo dentro al locale mi concessi di fermarmi a riprendere fiato. Scavalcare una fila di assatanati infreddoliti grandi al meno il doppio di me non era per niente semplice. Avanzai, facendomi spazio a gomitate tra la folla, in bilico sui tacchi altissimi. Mi voltai per accertarmi di avere ancora Haley dietro.

Era davvero bella, avevo fatto un ottimo lavoro su di lei quella sera. Molti sguardi maschili erano puntati sulle sue gambe lunghe e nemmeno se ne accorgeva, troppo occupata a rimuginare, con gli incollati alla punta delle scarpe.

La tirai per un braccio, guidandola nella stanza successiva, decisamente più tranquilla, con diversi divanetti disposti a cerchio intorno a un tavolino di vetro.

Liz e gli altri due si alzarono non appena ci videro entrare. Salutai la ragazza e suo fratello con un bacio sulla guancia e rivolsi a Zayn un freddo cenno del capo.

Lo sguardo di Louis si spostò sulla figura alle mie spalle e i suoi occhi azzurri si illuminarono.

«Oh mio Dio, Haley!».

Le corse incontro e la strinse in un caloroso abbraccio, sollevandola da terra.

«Lou!», strillò lei ridendo.

Lui le fece fare una giravolta, per poi appoggiarla di nuovo a terra. Le mie labbra scattarono automaticamente in un sorriso, quello era decisamente un saluto più espansivo rispetto a quello che ci eravamo scambiati io e lui il giorno prima. Stavo ancora sorridendo quando i miei occhi ne incrociarono un paio castani. I lati della sua bocca si piegarono leggermente all’insù, annientando completamente il mio sorriso. Alzai gli occhi al cielo con una smorfia e feci qualche passo verso Liz, lasciandolo lì impettito a fissarmi.

«Chi sono questi?», le chiesi indicando le persone intorno a noi.

Lei scrollò le spalle ridacchiando. «Amici di amici, credo».

Afferrò un drink dal tavolino al centro della stanza e lo bevve, tutto in un sorso.

«Stasera voglio divertirmi. Alcool, un bel ragazzo e niente rimp…».

«Cos’è che vorresti fare tu, signorina? Sentiamo un po’», la interruppe Lou.

Liz gli mise in mano il bicchiere vuoto e mi trascinò via. «Non fare il fratello maggiore con me».

«Ma io sono tuo fratello maggiore!».

«Come ti pare. Noi andiamo a caccia di ragazzi carini. Haley ti unisci a noi?».

La nostra amica si sforzò di sorridere. «Veramente no, grazie. Forse vi raggiungo dopo se… Se non siete, beh, impegnate».

 

Haley’s POV

Il ragazzo dagli occhi azzurri mi rivolse l’ennesimo sorriso lucente.

«Sembra passato un secolo», disse mentre sorseggiava un po’ della sua birra.

Ridacchiai. «Beh, prima che tu riparta voglio vederti con la divisa», lo schernii. «Non riesco proprio a immaginarti con qualcosa che non sia una maglia a righe».

A conferma della mia affermazione indicai la maglietta bianca a righe blu che indossava proprio in quel momento. Lui mi mostrò la lingua, infilando una mano nella tasca dei pantaloni rossi. Ne estrasse una moneta e me la porse.

«Su, su. Va a comprarti qualcosa, ma non spendere tutto in lecca-lecca».

Gli lanciai un’occhiata divertita, colpendolo con un pugno alla spalla. «Sei sempre il solito cretino».

«E tu sempre la solita… No, non è vero», finì con un sorriso dolce.

Cercai il suo sguardo sospettosamente. «Che stavi per dire?».

Scrollò le spalle, sghignazzando. «Non lo so, sono quasi ubriaco».

Sbirciai dietro le spalle di Lou, dunque era quello il ragazzo che aveva mandato Brit in escandescenze. Proprio come immaginavo era davvero molto bello. Sorrisi sotto i baffi, avevo notato subito lo scambio di occhiate tra quei due non appena eravamo entrate.

Distolsi lo sguardo prima che mi cogliesse in flagrante a fissarlo, l’ultima cosa che volevo era creare equivoci. Un po’ mi dispiaceva per lui, era rimasto mezz’ora in silenzio ad ascoltare le chiacchiere mie e di Lou. Dopo tanto tempo che non ci vedevamo avevamo così tante cose di cui parlare.

Come se mi avesse letto nel pensiero Zayn si alzò, spolverandosi i jeans. Louis lo seguì con lo sguardo, senza smettere di sorridere.

«Ehi amico, dove vai?».

«A farmi un giro», rispose vago.

Il ragazzo fece spallucce e riportò gli occhi di ghiaccio su di me. «Andiamo a scatenarci un po’ Oxford?».

Alzai gli occhi al cielo nell’udire quello stupido soprannome, frutto delle ore passate a riempirlo di chiacchiere sui miei progetti per il college.

«Solo se ti dimentichi quel soprannome».

Si alzò e mi tese la mano. «Quale soprannome?».

Afferrai le sue dita affusolate e mi lasciai condurre verso la pista da ballo, dove già molte persone si muovevano a tempo di musica.

Mi attirò verso di sé e iniziammo a oscillare senza seguire un ritmo preciso.

Chissà cosa stava facendo Harry in quel momento… No. Dovevo smetterla di pensarci. Ero a quella festa per divertirmi e distrarmi. Riportai l’attenzione su Louis che sembrava essersi accorto che qualcosa non andava, a giudicare da come mi stava studiando.

«Va tutto bene?».

Mi affrettai a sfoggiare uno dei miei sorrisi più convincenti. «Certo, e hanno messo della buona musica finalmente!».

Rise. «Già. Vado a prendere qualcosa da bere, ti va?».

Annuì e lo guardai allontanarsi a fatica. Sì, mandar giù qualcosa di un po’ più forte era proprio ciò di cui avevo bisogno in quel momento.

Continuai a muovermi con disinvoltura mentre aspettavo il mio amico, lo avevo perso di vista in mezzo alla massa. Finalmente lo intravidi, qualche metro più avanti, attento a non far cadere i bicchieri in equilibrio precario nella mano destra, mentre con l’altra si faceva spazio tra la folla.

Mi alzai in punta di piedi perché mi distinguesse in mezzo alle altre persone, quando un paio di mani mi afferrarono per i fianchi da dietro.

 

Britney’s POV

Mi sentii prendere per i fianchi delicatamente mentre ingoiavo circa il terzo drink, ma non mi voltai. Con la coda dell’occhio vidi il ragazzo sedersi di fianco a me e appoggiare i gomiti sul bancone.

«Non starai esagerando?», domandò, puntando gli occhi scuri nei miei.

Solo in quel momento, vedendoli da così vicino, potei constatare che non si trattava di semplici occhi castani. Era una strana combinazione di un caldo color cioccolato con striature più chiare, dorate quasi. Ed erano così espressivi che non mi sarei sorpresa di riuscire a capire quello che pensava soltanto guardandovi all’interno. E in quel momento sembrava rilassato, del tutto a suo agio, leggermente annoiato forse.

Gli rivolsi un’occhiata apatica, studiando il piccolo bicchiere di vetro vuoto.

«So reggere l’alcool perfettamente», mi pavoneggiai.

Allungai il braccio per farmi versare un altro po’ di qualunque cosa fosse quella roba che avevo appena bevuto, ma una mano ambrata mi strappò via il bicchierino.

Mi voltai verso di lui con una lentezza esasperante, l’omicidio negli occhi.

«Tu. Non hai qualcosa da fare? Tipo, non so… Suicidarti?».

Sorrise, sfoggiando ancora una volta quella fila di denti bianchissimi. «Non era nei miei programmi per stasera».

Alzai le spalle. «Peccato».

«Dov’è Elizabeth?», continuò, fingendo di non aver colto l’invito non poi così implicito a levare le tende.

«A divertirsi presumo. Sai, il genere di cose che si fa ad una festa».

Avvicinò lo sgabello al mio. «E perché tu non stai facendo lo stesso?».

«Oh, io mi sto divertendo un mondo. O almeno, era così fino a cinque minuti fa».

«Però eri sola», incalzò.

Questa volta rivolsi tutto il corpo verso di lui e sulle mie labbra affiorò un sorriso dolce, affabile. Mi sporsi lievemente in avanti per assicurarmi che udisse con precisione.

«Ho un ragazzo», esordii, tagliente come una lama.

Probabilmente avrei dovuto parlare al passato, ma questo lui non poteva saperlo. La cosa importante era che me lo togliessi di torno: mi rendeva nervosa, ed io odiavo esserlo. “Nervosa” uguale ad “agitata e impacciata”, il che non mi si addiceva per niente.

Zayn non sembrò particolarmente colpito dalle mie parole, o in caso contrario, non diede a vederlo. Si rigirò invece il bicchiere tra le mani e lo allontanò con un movimento secco, lasciando che scorresse sulla superficie ruvida del legno.

«E dev’essere un vero gentiluomo se lascia la sua ragazza sola di sabato sera. Non si sa mai chi si potrebbe incontrare».

«So badare perfettamente a me stessa».

«Non lo metto in dubbio».

Non sapevo se mi stesse prendendo in giro o meno, quindi decisi di non rispondergli.

Un ragazzo alto, con i capelli sollevati in una cresta verde mi si avvicinò. Un piccolo anello di ferro gli forava il labbro inferiore.

«Ehi bellissima», attaccò mentre si appoggiava alla mia sedia per sorreggersi. Mi rivolse un sorrido viscido. «Ti va di ballare?».

Ci pensai qualche secondo, soppesandolo dalla testa ai piedi.

«Sì», dissi infine.

Mi alzai in piedi e trascinai Zayn verso la pista da ballo.

***

SPAZIO AUTRICE:

Ehi bella genteee <3
Eccomi qui, a torturarvi un altro po'. Stavolta ho aspettato di più a pubblicare il capitolo,
per tutta una serie di mie pare mentali che ho spiegato nello spazio autrice precendente.
Ovviamente, spero che vi sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate.
GRAZIE a tutte voi bellissime anime che recensite e leggete, vi amo, scusate se non faccio i ringraziamenti come si deve stavolta ma è veramente tardi.
(Sono tipo le undici, solo che avevo voglia di pubblicare e domani c'è scuola)

Un bacio enorme a tutte, a presto x

#Allie

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Capitolo 16
*** Sixteen ***


16. SIXTEEN

Mi spostò le braccia verso l’alto, in modo che gli cingessi il collo, e fece scivolare le mani sulla mia vita. Stava ancora ridendo per come avevo liquidato quel ragazzo. Alzai gli occhi al cielo continuando a ondeggiare a ritmo regolare davanti a lui.

«La pianti di fissarmi con quella faccia da idiota?», sbottai infastidita.

Zayn si ricompose e scosse la testa. «Avresti dovuto vedere la sua espressione».

Sbuffai e allungai il collo per sbirciare nel punto in cui ci trovavamo prima.

«Oh, sta zitto. Comunque ora che è scomparso non serve più che continuiamo a ballare».

Sporse il labbro inferiore in un falso broncio. «Quindi stai dicendo che ti sono servito per togliertelo dai piedi e nient’altro?».

«Ammirevole, credevo fossi più stupido».

Si posò una mano sul cuore. «Così ferisci i miei sentimenti».

Scrollai le spalle. «Credo che me ne farò una ragione».

Abbandonai la sua leggera seppur ferma stretta e mi avviai verso la toilette delle signore senza voltarmi indietro. La serata stava prendendo una piega estremamente noiosa, Liz era rintanata da qualche parte a farsi qualche bel ragazzo ubriaco, l’avevo intravista mentre parlava con un biondino. Spalancai la porta, dimenticando di bussare.

Una riccia mezza nuda era avvinghiata a un ragazzo cui copriva quasi interamente il volto. Stavo per aprire la bocca e invitarli non molto cortesemente a togliersi di mezzo perché dovevo usare il bagno, quando notai che il ragazzo si era immobilizzato.

La ragazza si voltò verso di me, permettendomi di vederlo in faccia.

Una fitta alla bocca dello stomaco mi impedì di lanciare un’imprecazione.

Aumentai la presa sulla mia pochette. «Pezzo di merda».

«Britney io no-no… Non è come…», mi interruppe lui.

Alzai una mano per fermarlo. «Chiudi quella fogna che ti ritrovi al posto della bocca, Pete. Non voglio nemmeno sentire cos’hai da dire, perché significherebbe “giustifica”. E non ne hai bisogno, visto che non stiamo più insieme». Scrollai le spalle con indifferenza.

Pete rimase interdetto a fissarmi, il suo sguardo insopportabile viaggiava da me alle mie spalle. Mi voltai per catturare l’oggetto del suo interesse.

Malik era appollaiato sullo stipite della porta, i suoi occhi sembravano potermi penetrare.

«E a te chi ha detto di seguirmi?», sputai acida.

Dovevo andarmene da lì, sentivo che la maschera di indifferenza stava per crollare. Ero ferita, non tanto per Pete, di lui non m’importava. Odiavo quella sensazione, il tradimento: non mi era mai successo prima, di solito ero io a scaricare i ragazzi. Certo, lui non mi aveva ancora scaricata, ma a questo punto anche se l’avevo fatto io non contava, era inevitabile.

Girai i tacchi e uscii dal bagno, i pugni stretti lungo i fianchi. Zayn mi seguì e strinse il mio polso in una morsa, bloccandomi appena fuori.

«Britney», la sua voce era bassa ma chiara.

Mi voltai dalla parte opposta appena in tempo perché non vedesse la smorfia sul mio viso. Tirai due respiri profondi e tornai a guardarlo, ogni traccia di insicurezza era scomparsa.

«Sì?», domandai gelida.

«Va tutto bene?», sembrava sincero.

«Mai stata meglio».

 

Haley’s POV

Venni sbattuta contro la parete esterna del locale. Il vicolo era completamente buio e deserto, eccetto qualche piccola luce in lontananza, ma niente di facilmente raggiungibile.

Solo in quel momento il volto del ragazzo mi comparve di fronte. Le pupille gelide di Declan mi penetrarono come lame. Aprii la bocca per urlare e non rimasi sorpresa nel trovarla completamente asciutta.

«Te l’avevo detto che la questione era ancora aperta, piccola stronza», sibilò. «Ormai sono giorni che ti tengo d’occhio, so che stai insieme a lui».

Rabbrividii. La presenza che avevo avvertito a casa di Brit non era stato solo frutto della mia immaginazione.

«M-mi hai spiata?».

«Devi portarmi da lui, quel bastardo sta facendo in modo di non farsi trovare da me. Ma pare proprio che tu sappia dove cercarlo, visto che siete così intimi».

«Chi? Che cosa stai dicendo D-declan?».

«Styles».

Mi strinse il braccio talmente forte da togliermi il respiro, ma il dolore più grande venne scaturito da quell’unica parola. Ero riuscita a tenere quel pensiero lontano dalla mia testa per quasi tutta la sera.

«Quindi, o tenete la bocca chiusa o vi giuro che…».

«Ma di che stai parlando?».

Strinse le palpebre per captare se stessi mentendo o meno. «Tu non sai niente?».

Mi tornarono in mente le due parole che ero riuscita a strappare ad Harry qualche tempo prima, tuttavia era troppo poco perché riuscissi a capirci qualcosa.

«No».

Ricevetti una ginocchiata nello stomaco. L’unica cosa a impedirmi di accasciarmi al suolo era la sua presa, che mi costringeva a rimanere in piedi.

«Risposta sbagliata», ringhiò.

«Declan ti prego», gemetti. «Giuro che non so di cosa tu stia parlando».

Estrasse un coltellino svizzero dalla tasca dei pantaloni. Non riuscii a trattenere un grido strozzato.

«Chiedilo al tuo ragazzo allora. E adesso, voglio sapere dov’è».

C’era qualcosa che Harry aveva evitato di dirmi. Nonostante ciò l’unica cosa che il mio cervello fu in grado di elaborare fu: «Non è il mio ragazzo».

Un profondo ghigno tagliò il suo viso. «Oh, tanto meglio. Possiamo spassarcela un po’ allora. Sarebbe un tale spreco lasciarti andare così».

Eliminò la distanza tra di noi e annusò il mio collo languidamente.

«Ma prima… Dimmi dov’è».

«Io non lo so, te lo giuro».

Imprecò sottovoce, ma si lasciò andare contro di me, troppo distratto dall’eccitazione. «Allora ci penseremo dopo».

La sua mano scese lungo la mia coscia e risalì lungo la gonna dell’abito. Non avevo nemmeno la forza di divincolarmi, ero paralizzata dal terrore.

Un conato di vomito improvviso mi risvegliò. Declan si ritrasse appena in tempo per non essere schizzato, mormorando qualche parola di disprezzo. Restai china su me stessa finché non fui certa che non ne sarebbero arrivati altri. Guardai per terra, non avevo rimesso niente a parte un po’ di saliva, il mio stomaco doveva essere vuoto.

Però mi ero creata involontariamente un diversivo e non avevo la minima intenzione di sprecarlo. Mi risollevai di scatto e con il piede destro colpii lo stinco del ragazzo, usando tutta la mia forza. Non rimasi a verificare se avesse avuto l’effetto desiderato, ma presi a correre il più velocemente possibile. M’infilai in una via sconosciuta e i passi frettolosi dietro di me mi rivelarono che probabilmente non gli avevo fatto abbastanza male.

Forse era merito dell’adrenalina, ma ero sicura di non aver mai corso così forte in vita mia. Mi portai una mano sullo stomaco, sentivo ancora dolore per il colpo di Declan.

Mi bloccai in mezzo alla stradina per riprendere fiato. Tesi le orecchie, dovevo averlo seminato.

Un paio di braccia forti mi afferrarono per la vita e prima che potessi urlare una mano si serrò davanti alla mia bocca. Mi divincolai inutilmente e venni trascinata in un angolo buio.

Declan mi voltò bruscamente verso di lui e… Mi bloccai. Non era Declan, era Harry.

La gioia di vederlo era così grande che per un momento dimenticai tutti i dubbi e i pensieri precedenti.

Harry ribaltò la situazione e mi fece appoggiare la schiena contro il muro, piazzandosi di fronte a me. Lentamente tolse la mano, ma non allentò la presa sulla mia vita. M’immersi in quegli occhi che mi erano mancati così tanto, nonostante vi fossi rimasta lontana solo per ventiquattrore.

«Che ci fai qui?», riuscii a chiedere poi.

Il suo sguardo, indecifrabile per qualche secondo, ora era duro e freddo. «Resta qui. Io vado a cercarlo».

Mi avvinghiai al suo braccio con le unghie. «No!». Poi, decidendo che non era il caso di sembrare una bambina terrorizzata aggiunsi: «Per favore».

Sembrava combattuto, ma una vocina nell’angolo della mia mente mi diceva che l’unica cosa a trattenerlo era proprio quella che avrei voluto evitare.

«Non hai risposto alle chiamate. E i messaggi».

«Io…», cominciai.

«Ma che bel quadretto».

Entrambi ci voltammo di scatto, Declan si avvicinò di qualche passo, il viso deformato in una smorfia.

La sua mano si chiuse intorno al mio braccio e mi trascinò via da Harry troppo in fretta perché qualsiasi di noi due potesse reagire.

Sentii la gola venire stretta nella sua morsa, e la lama del piccolo coltello premere contro di essa.

Harry scattò in avanti, ma si arrestò immediatamente quando Declan spostò la punta dell’arma proprio sulla mia giugulare. «Che cazzo vuoi fare?».

«E adesso che ho la tua attenzione, Styles…». Mi rivolse un sorriso falso. «Sai cosa voglio».

Gli occhi di Harry saettarono da me a lui, e potei scorgervi chiaramente un lampo di paura.

«Non adesso».

«Oh, non con lei qui intendi? Ascoltami bene, sono ubriaco e ho di meglio da fare che stare qui con te e la tua puttanella, quindi vedi di muovere il culo e fare ciò che ti ho detto».

Strinsi le palpebre e feci diversi respiri profondi, avevo letto da qualche parte che serviva a non lasciarsi prendere dal panico.

«Harry, cos’è che vuole?», domandai, felice che dal tono non trapelasse tutto il mio terrore.

«Sì andiamo Styles, raccontale tutto», lo schernì.

Harry imprecò sottovoce prima di fare un passo avanti.

«Declan lasciala, non sai quello che fai. Sei ubriaco, potresti pentirtene».

Lo conoscevo abbastanza bene da intuire che si stava sforzando di non saltargli addosso. Me lo diceva il modo in cui i pugni chiusi tremavano convulsamente lungo i fianchi e il piccolo muscolo dell’avambraccio, proprio sotto il tatuaggio a forma di rosa, continuava a contrarsi.

«Certo, con piacere. Ma prima quello che ti ho chiesto, se non vuoi che le tagli la gola in due».

Harry aprì la bocca per dire qualcosa, ma la sua voce venne coperta da un forte urlo di sirene, luci rosse e blu illuminavano un punto non molto distante da noi.

Gli occhi di Declan si spalancarono e mollò immediatamente la presa su di me.

«Cazzo, cazzo, cazzo!». Roteò lo sguardo folle verso Harry. «Questa me la paghi», gridò prima di fuggire di corsa.

Mi precipitai tra le braccia di Harry, affondando il viso nel suo petto. Mi avvolse stringendomi a sé. «Mi dispiace», sussurrò tra i miei capelli.

«Cosa voleva da te?».

Lo sentii irrigidirsi, quindi mi allontanai da lui. «Niente, è… Solo una vecchia storia».

«Che storia?».

«Niente che ti riguardi Haley!». Il suo tono duro mi fece trasalire.

«Niente che mi riguardi? Voleva uccidermi!».

«Era solo ubriaco, non l’avrebbe mai fatto. Credimi, non è così importante».

Quelle parole così piatte, indifferenti, erano qualcosa di completamente diverso dalle emozioni che ero riuscita a captare poco prima mentre guardava quel coltello puntarmi alla gola. Stava mentendo.

«Pensi davvero di potermi liquidare così?».

Scrollò le spalle. «Stai ingigantendo la cosa. È solo un…». Sospirò. «Me ne occuperò».

«Sì, ne sono certa. In ogni modo ciao, Harry», conclusi prima di voltarmi e andarmene.

Le sue dita si allacciarono intorno al mio polso e mi fece voltare di nuovo verso di lui. Pensavo che a quel punto mi avrebbe dato una spiegazione, magari la verità.

«Non hai ancora risposto alla mia domanda», disse invece.

Scossi la testa, incredula. «Tu non rispondi a nessuna delle mie, quindi siamo pari».

«Perché te ne sei andata? E perché mi stai evitando?».

«Hai sentito quello ho detto?».

Serrò la mascella, i suoi occhi divennero gelidi. «Non puoi semplicemente ringraziarmi e lasciar perdere?».

«Ringraziarti per cosa?».

«Per averti tolta dai casini».

«L’avevo già seminato da sola», protestai, l’orgoglio che c’era in me s’impose con prepotenza. «E tecnicamente il casino l’hai creato tu».

«Bene!», tuonò. «Adesso puoi rispondermi, per piacere?».

«Non comportarti come se fossi io quella che cerca di cambiare argomento. Sei tu che non vuoi dirmi in quali maledettissimi affari ti sei cacciato!». Harry strinse la presa sul mio polso più di quanto riuscissi a sopportare.

«Resta fuori da questa storia», m’intimò.

«Mi stai facendo male», mi lamentai. «Sai cosa c’è? Che forse era meglio quando eravamo solo amici, quando non ero costretta ad avere a che fare con il vero te!».

Mi coprii la bocca con la mano. Le parole erano uscite troppo velocemente e non era quello che avrei voluto dire.

Contrasse le labbra a una linea sottile e non fosse stato che lo conoscevo abbastanza bene, avrei detto che sembrava persino ferito. L’eco delle mie parole sembrava riecheggiare fra di noi mentre rimanevamo in silenzio, con gli sguardi incatenati.

E ancora una volta feci quello che mi riusciva meglio. Gli voltai le spalle e presi a camminare, sempre più velocemente. E di nuovo lui non mi seguì.

Il cellulare iniziò a squillare mentre stavo ancora camminando. Mi schiarii la voce prima di rispondere per assicurarmi di non sembrare l’uomo delle caverne e inghiottii il magone.

«Brit?».

«Hal, sono io. Non riesco a trovarti ma qui c’è la polizia e stanno per fare un gran casino, il locale è pieno di erba e minorenni ubriachi marci. Ed è successa una cosa, io… Sto andando a casa. Se non vuoi tornare adesso potresti farti accompagnare da Louis, è solo mezzanotte».

«Sei già in macchina?».

«Non ancora».

«Allora aspettami, sto arrivando».

 

«Tesoro mi dispiace non volevo interrompervi».

Le presi le mani da sotto il piumone in cui eravamo avvolte. «No, avevamo già finito, ma… Dio, mi dispiace così tanto…».

«Lo so. Tu me l’avevi detto». Scrollò le spalle. «Ma non importa. Era un cazzone quindi tanto meglio. E poi io sono Britney Grey, è solo questione di giorni».

Ridacchiai. «Hai ragione, probabilmente ne troverai uno dieci volte più bello».

«Già», sorrise. Sapevo che voleva aggiungere qualcosa alla questione di Harry e me, ma si trattenne.

Avevo saltato appositamente l’argomento “Declan” per il momento. Non volevo farla preoccupare più del dovuto, mi ero limitata a dirle del nostro litigio.

 

La mattina seguente mi svegliai presto per recarmi in biblioteca, così lasciai a Britney un biglietto.

In una città piccola come Holmes Chapel l’unica disponibile e sempre aperta era quella della nostra scuola.

Com’era prevedibile non vi era anima viva, eccetto che per Emma, l’anziana custode che mi accolse con un sorriso cordiale.

«Anche di domenica qui?».

«Devo mettermi avanti con alcuni compiti», spiegai.

Scelsi una postazione leggermente in disparte, in mezzo agli scaffali della letteratura inglese. In meno di due ore riuscii a finire il saggio su Emily Bronte e studiare per il test di psicologia.

Quando decisi di uscire di lì trovai l’ingresso vuoto, Emma era sparita. La chiamai per avvertirla che me ne stavo andando, mi sembrava maleducato non salutare, ma non ricevetti risposta.

Mentre varcavo la soglia della biblioteca qualcuno mi spinse indietro e si chiuse la porta alle spalle. L’ultima persona che in quel momento avevo voglia di vedere era proprio di fronte a me.

«Che ci fai qui?».

Harry mi scrutò dall’alto della sua statura. «Voglio parlare», disse.

«Qui?».

«Sì», indicò il bancone vuoto. «È ora di pranzo per la tua amichetta e per un po’ non si farà vedere».

Mi trascinò tra le corsie della biblioteca e si fermò soltanto dopo essere arrivato in fondo, nel punto più nascosto dagli scaffali, per assicurarsi che nessuno ci vedesse.

Incrociai le braccia, in attesa. «Quindi?».

«Mi merito una maledetta spiegazione?».

«Io sto aspettando una tua spiegazione, non tu!».

Inspirò dalle narici mentre si massaggiava le tempie. «Una cosa alla volta. Ti ho detto che di Declan non devi preoccuparti e che ci penserò io».

Sospirai, rassegnandomi. «D’accordo. Di cosa vuoi parlare allora?».

«Di quello che hai detto ieri. E del perché te ne sei andata l’altra sera», riusciva a stento a mantenere un tono di voce normale.

«Mi dispiace».

«Questa non è una spiegazione», mi fece notare.

Era inutile, non potevo continuare a deviare l’argomento. Era difficile, ma ci avrei messo tutta la forza del mondo. Quindi presi un bel respiro, e mi convinsi.

«Non voglio farlo, Harry».

Rimase in silenzio, la bocca stretta nello sforzo di decifrare le mie parole.

«Cosa?».

Aprii la bocca, ma la voce sembrava non voler collaborare. I secondi passavano e la confusione si impadroniva sempre di più del suo volto.

«Questa cosa, noi due».

Le sue pupille guizzarono verso l’alto, trafiggendomi. «Che vuoi dire?».

«Voglio dire che prima era tutto più semplice. Rivoglio la nostra amicizia».

Era tremendamente egoistico da parte mia, ma avevo troppa paura di farmi male. Non sapevo da dove arrivava quell’istinto di autoconservazione. Era come essere sull’orlo di un precipizio. Il mio lato emotivo voleva saltare, sentire la sensazione del vuoto sotto le gambe. Quello razionale aveva il terrore di schiantarsi.

Dopo attimi che mi parvero secoli Harry si ridestò e mi voltò le spalle, il capo chino mentre si passava furiosamente una mano tra i capelli. Aspettai in silenzio che tornasse a guardarmi, e quando lo fece, sentii che una parte di me voleva soltanto che ignorasse tutto ciò che avevo detto e mi baciasse.

«Va bene». Due parole che mi attraversarono in un colpo solo. Mi stava… assecondando?

«V-va bene?», ripetei, più a me stessa che a lui. Cosa mi aspettavo? Che combattesse per me?

«Sì», rispose con ovvietà. «Non è quello che vuoi?».

No che non lo è idiota, volevo solo che mi dicessi che non è quello che vuoi tu, che mi baciassi fino a togliermi il fiato e dimenticassi quello che ho detto.

Annuii, perché se avessi aperto bocca non ero certa di cosa ne sarebbe uscito.

«Bene», abbozzò un sorriso, più simile ad una smorfia. «Amici, come prima».

***

SPAZIO AUTRICE:
Buon salve dolcezze! Come state? So che il capitolo non è esattamente ciò che vi aspettavate, ma sorprendervi è la mia unica ragione di vita (?) muhuhahaha.
Per il resto lascio a voi i commenti, perché so che se comincio a parlare vi svelerò cose che non devono essere svelate XD
Passiamo ai ringraziamenti ora.
Prima di tutto ringrazio i miei tesorini, che recensiscono sempre: stylesmadness, ila and anny, Alice Styles, sapete che vi amo no?
E poi ovviamente quell'amore di JaymeR che legge e recensisce questa fanfiction ogni volta e continua a scrivere un capitolo più bello dell'altro nella sua storia, Soul Torn.
Grazie anche a DevilNight, che mi ha lasciato una sfilza di recensioni meravigliose.
Infine grazie anche a chi legge la storia in generale e chi ha recensito anche occasionalmente, chi l'ha aggiunta tra le seguite/preferite/ricordate.
Siete la mia forza, bacioni x

#Allie

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Capitolo 17
*** Seventeen ***


17. SEVENTEEN

Le cose sembravano essere tornate normali, o quasi. La routine era la stessa, io e Brit quasi sempre insieme, ed Harry che si faceva vedere quando ne aveva voglia. La differenza era che ora tra me e lui campeggiava una barriera invisibile. Niente più battute, niente conversazioni più lunghe di ‘ciao’ e ‘come va?’.

Ma i nostri silenzi erano compensati da Britney che cercava di ridurre al minimo i momenti imbarazzanti fra di noi. Non eravamo nemmeno più rimasti soli, eccetto una volta in cui entrambi ci eravamo ben preoccupati di tenere la bocca sigillata fino al ritorno di Brit. La maggior parte del tempo lo passava con i suoi amici o comunque lontano da me.

Se mi mancava? Certo, da morire. Ma non potevo essere così stupida da pensare che avrebbe fatto diversamente da quello che io gli avevo chiesto.

Ero tornata a stare a casa mia, un compromesso che ero riuscita a trovare con mia madre. Avevo avuto una bella chiacchierata con lei, in cui ci eravamo entrambe scusate (io per essere praticamente scappata di casa e lei per avermi spiattellato la separazione tutto d’un colpo) e mi aveva spiegato alcune cose.

Le carte per le sue dimissioni dall’impresa di famiglia erano già state firmate, e presto sarebbe toccato a quelle per il divorzio. Mia madre era irremovibile, d’altronde non potevo biasimarla. Mi aveva detto anche che avrebbe cercato un nuovo lavoro e un appartamento (non aveva intenzione di chiedere un soldo a mio padre). Aveva finito col rassicurarmi che, se volevo, potevo rimanere nella vecchia casa, ma avevo già deciso, l’avrei seguita.

Quella sera stavo ripassando degli appunti sul letto quando qualcuno picchiettò alla porta.

«Avanti».

I capelli biondi di Britney fecero capolino dalla piccola fessura. «Posso?».

«Certo».

Si avvicinò lentamente e rimase in piedi, appena qualche metro lontana da me.

«Stasera Liz dà una piccola festa a casa sua».

«Sì, vi ho sentite ieri mentre ne parlavate», le dissi.

«Dobbiamo andarci assolutamente». Aprii la bocca, ma non mi diede il tempo di parlare. «‘Non lo so Brit, non me la sento…’», m’imito, facendomi alzare gli occhi al cielo. 

«Non voglio starti a sentire, muoviti, siamo già in ritardo».

«Ma io…».

«Devi studiare, lo so. Ma è sabato sera, non si studia di sabato sera. E nemmeno di sabato mattina ma non è questo il punto». Si stampò in faccia un sorriso convincente. «Devi uscire di qui».

Dopo essermi lasciata persuadere ad andare con lei scelsi velocemente gli indumenti e mi truccai.  Visto che dicembre incombeva decisi di non sfidare la sorte ed evitare un raffreddore, così optai per dei jeans aderenti, Converse bianche e camicetta.

Al nostro arrivo la casa era già affollata e Liz ubriaca abbastanza da mettersi a ballare sul tavolino del divano insieme ad altre ragazze. Seduti sotto di loro c’erano almeno una mezza dozzina di ragazzi che si godevano lo spettacolo. Non appena ci vide si mise a sbracciare e a gridare nella nostra direzione, tenendosi la pancia per le risate.

«Haley, Britney».

Louis comparve dietro di noi in compagnia di Zayn. 

«Ehi», li salutai.

Lanciai un’occhiata divertita in direzione della sorella. «Liz è già fuori, mh?».

Lou scosse la testa ridacchiando. «Dici che dovrei comportarmi da fratello maggiore responsabile e farla scendere?».

«E quando mai saresti stato responsabile tu?», lo schernì Brit.

«Hai ragione», rise. Tese le orecchie in ascolto «Haley, vieni, dobbiamo assolutamente ballare questa canzone».

Mi trascinò al centro dello spazio dove tutti stavano ballando, mentre le prime note di una canzone di Jason Derulo riempivano la stanza.

 

Britney’s POV

Individuai il tavolo degli alcolici poco più lontano e decisi che quella sarebbe stata la mia via di fuga dalla situazione imbarazzante in cui mi ero cacciata. Zayn non mi aveva ancora rivolto la parola, ma sapevo che il fatto di avermi visto mentre scoprivo il tradimento del mio ex gli dava un vantaggio su di me e presto sarebbe arrivata qualche battuta seccante.

Svitai il tappo della vodka e mi resi conto di quanto fosse urgente il mio bisogno d’alcool solo quando ne avvertii il sapore bruciante sulle labbra. La bottiglia mi venne sottratta troppo presto e un profondo lamento abbondonò la mia gola.

Mi allungai per riprendermela, seccata dal fatto che di nuovo Zayn stesse cercando di impedirmi di bere.

«Si può sapere quale diavolo è il tuo problema?», sputai quando alzò la bottiglia troppo in alto perché potessi arrivarci.

Creò un contatto visivo con me e il mio nervosismo crebbe quando notai il piccolo sorriso sprezzante sulle sue labbra, prima che prendesse a sua volta un sorso del liquido trasparente. Si leccò le labbra lentamente, e un piccolo fuoco si accese da qualche parte nel mio basso ventre. Colpa dell’alcool, ovviamente.

«Non lo so», rispose infine. «Il tuo qual è?».

«Ma che…?».

Decisi che non avevo voglia di provare a interpretare le sue stupide parole e mi riappropriai della vodka, scolandomela quasi tutta. Emisi un sospiro soddisfatto, i miei nervi stavano già meglio.

Sfoggiai il mio sorriso migliore e gli permisi di bere l’ultimo goccio. Dopodiché allacciò la sua mano alla mia e mi portò in mezzo alla folla. Mi dissi che non mi stavo opponendo a quel ragazzo irritante solo perché la vodka stava facendo effetto. Rubai il drink di una ragazza per sicurezza e lasciai cadere il bicchiere di carta per terra. La testa già iniziava a girare.

Ballammo per un po’, le sue mani appoggiate pigramente alla mia vita mentre muovevo i fianchi in quel modo che solo l’alcool riusciva a farmi fare. Ubriaca o no, mi rendevo perfettamente conto dell’effetto che stavo avendo su di lui, il suo sguardo scuro che viaggiava su tutto il mio corpo ne era la prova.

«Quindi sei di quelle che bevono per dimenticare», rise.

Strinsi gli occhi per scrutarlo, dovevo trovare un modo per cancellare quel ghigno arrogante dalla sua faccia.

Con mio grande disappunto divennero invece due, e poi tre.

«Credevo che…».

«Oh, spegniti per favore. Dio, sei sempre tipo così…». La mia frase venne interrotta dalla mia stessa risata quando colsi la sua espressione nel cercare di capire ciò che stavo blaterando. Idiota.

«Woah, l’alcool ha un effetto immediato su di te».

Sorrisi dolcemente. «Vuoi un premio adesso, Mr So Tutto?».

«Che? Quanti anni hai, dieci?».

«Lo sai che sei un maledetto rompipa… che c’è?».

Il suo viso era mutato nel giro di pochi secondi, adesso l’oro nei suoi occhi sembrava poter scivolare sotto i miei vestiti. Senza dire una parola mi costrinse a seguirlo da qualche parte nella grande casa dei Tomlinson. Non realizzai cosa stava per accadere finché non sentii le sue labbra premere avidamente contro le mie. Dapprima i miei occhi si spalancarono, ma qualcosa nel suo modo di tenermi stretta per i fianchi e probabilmente l’enorme quantità di bevanda alcolica che avevo ingerito fecero sì che spingessi la mia coscienza in un angolo del cervello.

Le sue mani erano ruvide contro la mia pelle quando si spostarono sul collo e poi dietro la nuca. Dischiusi le labbra, lasciandogli maggiore accesso. Le nostre lingue si trovarono immediatamente, senza indugio. Sapeva di vodka alla fragola, o forse ero io. Potei avvertire una scarica di adrenalina attraversarmi il corpo e senza pensare, ruotai i fianchi contro quelli di Zayn. Capii dal suo profondo respiro che quel gesto l’aveva fatto impazzire, quindi, sentendomi particolarmente coraggiosa, mi aggrappai a lui con le gambe.

«Dio», lo sentii mormorare mentre infilavo le dita tra i suoi ciuffi corvini.

 

Haley’s POV

«Vuoi ballare ancora?», mi chiese Louis alla fine dell’ennesima canzone.

«Io sono a posto».

«Allora vieni».

Mi trascinò per la stanza, tenendo la mia mano saldamente per non perdermi in mezzo al caos. Quando finalmente raggiungemmo il divano, il mio cuore ebbe un fremito.

Harry era seduto con un gruppo di suoi amici, di cui riconobbi almeno la metà. Sulle sue ginocchia era appollaiata una mora intenta a divorargli il collo, mentre lui continuava a chiacchierare come se nulla fosse.

Avvertii un’incontenibile voglia di urlargli in faccia e strappargli quella troia di dosso soltanto per prenderlo a schiaffi. Ma, ricordai a me stessa, non ne avevo alcun diritto.

Quindi strinsi la mano di Louis e mi lasciai guidare verso il divano di fronte, sedendomi poi di fianco a lui, molto più vicina di come avrei fatto normalmente.

Forse risvegliato dal nostro parlottare, lo sguardo di Harry passò su di noi. Quando mi riconobbe i suoi occhi si dilatarono e in un’unica frazione di secondo si posarono su Louis e poi sulle nostre mani ancora unite. Non sapevo perché non avevo ancora sciolto la stretta, ma lui non l’aveva fatto e quella era stata l’ultima cosa a preoccuparmi.

Quando pensavo che avrebbe distolto lo sguardo e finto di non vederci, si alzò quasi facendo cadere la ragazza dalle sue gambe e venne verso di noi.

«Haley».

Dio. Erano almeno tre giorni che non sentivo quella voce.

«E Louis», finii per lui in un celato rimprovero per la sua maleducazione.

Fece un leggero cenno d’assenso, come se poco importasse. Rimase in piedi diversi secondi, prima di lasciarsi cadere di fianco a me con un sospiro.

«Non serve che interrompi quello che stavi facendo, per me».

La ragazza mi stava fissando in cagnesco, il che era davvero fastidioso e scortese da parte sua.

Harry si tirò i capelli dal viso con la mano. Quel gesto richiamò alla mia mente ricordi che non avrebbero dovuto comparire. Come quegli stessi ricci scuri stavano avvolti tra le mie dita quando ci baciavamo, o come le sue mani esploravano il mio corpo.

La mia mano lasciò quella di Louis all’improvviso in un’imminente voglia di prendermi a pugni.

«Stai bene?», mormorò vicino al mio orecchio.

Dimenticavo che lui non sapeva niente della storia con Harry, quindi il mio comportamento doveva sembrargli alquanto strano.

Annuii piano, un po’ a disagio a causa degli occhi di Harry che mi perforavano.

Prima che la situazione diventasse troppo imbarazzante una Liz spumeggiante e se possibile ancora più ubriaca spuntò in compagnia di alcuni ragazzi del liceo.

«Giochiamo a obbligo o verità?», schiamazzò.

La sua proposta venne acclamata da tutti e una valanga di adolescenti in piena crisi ormonale si disposero a cerchio intorno al tavolo.

Liz si posizionò ai piedi del divano, le gambe incrociate e la schiena premuta contro un ragazzo.

«Louis, devi giocare».

Il fratello alzò gli occhi al cielo ma sorrise. «Ti va?», mi chiese.

I miei occhi si posarono involontariamente su Harry, ma mi affrettai a spostarli altrove appena se ne accorse.

«Certo».

«Grande!», fece Liz. «Dov’è Brit? Non sarà divertente senza di lei, qualcuno l’ha vista?». Rise, senza una vera ragione. «Pazienza, arriverà. Quindi, mia casa, mie le regole. Chi si rifiuta di fare gli obblighi o sputare il rospo sarà costretto a togliersi un indumento. E poi ancora, e ancora, finché non sarà nudo».

Nei primi giri ragazze furono costrette a bere bicchieri su bicchieri, baciare sconosciuti o togliersi i vestiti.

Ebbi un sussulto quando la bottiglia si fermò su Harry.

Liz sorrise. «Chi vuole fargli una domanda?».

Nessuno si offrì, e lui ne sembrò compiaciuto. Si sentivano intimiditi da lui, in qualche modo e lo sapeva.

«Bene, faccio io».

«Obbligo».

Sorrise maliziosamente mentre lo studiava. «Ti obbligo a baciare Gordon».

Il ragazzo in questione risputò la birra nella bottiglia. Harry ridacchiò, per nulla scosso.

«Non ci penso neanche».

Liz fece spallucce. «Come pensavo, allora togliti la maglietta».

«Depravata», la schernì mentre si sfilava la t-shirt bianca dalla testa senza pensarci troppo.

Mi obbligai a rimanere impassibile quando gli occhi di una decina di ragazze vennero attirati dal suo corpo in bella vista. Come biasimarle, nemmeno io riuscivo a distogliere lo sguardo dalla pelle dura dell’addome e del petto, ricoperta dall’inchiostro nero.

«Louis», trillò Liz, mostrando orgogliosamente la bottiglia puntata nella sua direzione. «Obbligo o verità».

«Obbligo», sospirò.

«Mhh», mugugnò. «Ti obbligo a slacciare la camicetta di Hal con i denti».

Le guance del ragazzo si colorarono di rosa, ed io ero sicura che le mie fossero viola.

«Che cazzo di obbligo sarebbe?». Sollevai la testa di scatto incontrando lo sguardo duro di Harry.

«Oh, sta zitto», disse Liz ignorando la mia occhiata omicida.

Louis si alzò in piedi e feci lo stesso, fortunatamente sotto indossavo una canottiera. Di pizzo, ma ero pur sempre coperta. Mimò uno “scusa” con le labbra prima di chinarsi e prendere il primo bottone fra i denti.

Quando posò le mani sui miei fianchi per sorreggersi udii lo sbuffo non represso di Harry di fronte a me. In un qualche modo quei cenni di quella che sembrava gelosia mi provocavano le farfalle nello stomaco, ma non ero così ingenua da credere che lo fosse davvero. Probabilmente era solo quel suo stupido orgoglio.

Fui grata a Lou quando, dopo averci preso la mano, non si soffermò troppo tempo sul bottone proprio sopra il seno. Dopo che anche l’ultimo venne slacciato, ci risedemmo sollevati. Ora ero io ad attirare l’attenzione di parecchi ragazzi, quindi mi affrettai a riabbottonarla fino a su.

Ma la pace non durò a lungo, perché dopo un paio di giri la bottiglia decise che era arrivato il mio turno.

«Obbligo o verità?».

«Verità».

«Chi ha una…».

«Io». Harry si sporse verso di me. «Io ho una domanda».

Vidi con la coda dell’occhio Liz nascondere un sorriso con un altro sorso di birra.

«Quanti ragazzi hai baciato nell’ultimo mese?».

Chiusi la bocca che si era aperta da sola con uno scatto. Era impazzito? Da dove gli usciva una domanda del genere? E soprattutto, che diavolo gliene importava? Sapeva che avevo baciato solo lui, era ovviamente così.

«Oh, andiamo Styles, perché non te ne vai a fanculo? Che schifo di domanda sarebbe?».

Liz riacquistò i punti che aveva perso con l’obbligo di poco prima.

«Uno schifo di domanda come i tuoi schifo di obblighi».

Fece spallucce. «Visto che è il mio gioco posso cambiarlo come mi pare. Quindi Hal, ti obbligo a un giro di “sette minuti in paradiso”».

Punti che tornò a perdere velocemente.

«Ma io ho scelto verità», protestai.

«Questo o ti togli la camicia».

No. Non poteva essere una stronza simile. Era ubriaca e tutto quanto, ma non potei fare a meno di odiarla in quel momento. Sbuffai ma accettai, spinta dal mucchio di occhiate infastidite perché il gioco stava diventando meno divertente a causa mia.

«Primo piano, terza porta a sinistra».

Seguii le indicazioni e mi chiusi dentro lo stanzino buio. Feci lo slalom tra le scope e i secchi e mi appoggiai all’unica parete libera da scaffali. Studiai la benda che avevo in mano con disappunto, ma la legai intorno agli occhi prima di rifletterci troppo.

Non hai bevuto abbastanza per questo, continuavo a ripetermi. La verità era che non mi ero mai nella mia vita, ubriacata fino al punto di accettare un’idiozia simile.

I minuti che seguirono furono un’attesa straziante. Il buio non faceva che aumentare la tensione, non volevo baciare nessuno sconosciuto ubriaco o roba simile, il solo pensiero mi faceva venire i conati.

Proprio quando iniziavo a pensare che mi avessero giocato un brutto scherzo, sentii la porta aprirsi piano e poi richiudersi. Silenzio.

Sapevo che le regole del gioco erano che non bisognava togliersi la benda fino alla fine, ma la curiosità mi stava opprimendo. Deglutii, ma non volli rompere il silenzio.

«Levati quella benda», il suo suonò come un ordine.

«Harry?», feci mentre mi strappavo la fascia di dosso. «Che diamine?».

In qualche modo sapevo di chi si trattasse ancora prima parlasse. Mi avvicinai alla porta per uscire di lì, ma lui si mise in mezzo.

«Che vuoi? Perché sei qui?».

«Per evitare che facessi chissà cosa uno dei cazzoni là sotto», disse. «Non pensavo ti piacessero questo genere di cose», aggiunse con una punta di amarezza.

«E tu invece puoi startene tutto il tempo a trastullarti con ragazze diverse, non è vero?».

«Tu non sei così».

«Così come? E poi non mi sembra che tu abbia voce in capitolo».

Il mio nome uscì dalle sue labbra quasi come un sospiro e si appoggiò alla porta dietro di sé.

«Cosa? Perché non te ne torni da dove sei venuto, a fartela con la tua nuova Barbie e mi lasci in pace?».

Alzò le sopracciglia, ma non disse niente.

«Sei… va via», conclusi, prima di dire qualcosa di cui mi sarei potuta pentire.

«No».

Sbuffai e lo spinsi da parte per uscire di lì. La sua mano catturò il mio polso, velocemente.

«Se non sbaglio o sei stata tu a chiedermi di rimanere amici. Cos’è che vuoi da me, Haley?», scattò.

«Niente Harry! Solo essere lasciata in pace».

Dalla mia bocca uscì un lamento quando le sue labbra premettero forte contro le mie. Quel profumo. Un misto di tabacco e qualcos’altro, forse dopobarba. Lo sentii inspirare forte e lavorare perché la mia bocca si aprisse a lui, lo lasciai fare. La sua lingua calda correva con la mia, e il suo petto premeva forte contro di me. Soltanto quando incontrai i suoi occhi capii che era esattamente quello di cui avevo bisogno. Affondai le dita tra i suoi capelli e li strinsi, facendo scivolare l’altra mano sul suo petto ancora nudo. Gemette contro la mia bocca. Ero intossicata dalla sua presenza, completamente intossicata e…

No. Non di nuovo.

Separai le nostra labbra rapidamente, come se avessi preso la scossa.

«Cavolo». Chiusi gli occhi, continuando a imprecare sottovoce. «No, no, no».

Quando riportai lo sguardo su Harry i suoi occhi erano più scuri.

«Perché?», chiesi piano.

Non attesi che mi rispondesse, ma aprii la porta e uscii perché non volevo che mi vedesse piangere.

Venni trattenuta per la vita prima di fare più di due metri.

«Non scapperai da me, non di nuovo», disse.

Mi voltai, e quando notò le lacrime sul mio viso alzò una mano, che però rimase sospesa.

«Non voglio che siamo solo amici».

«Per favore», sussurrai. «Smettila».

Catturò con l’indice la lacrima che stava precipitando lungo la mia guancia e mi ritrovai a pensare che non ci fosse niente di più dolce dei suoi occhi in quel momento.

«Io ti voglio».

«No, Harry. Tu vuoi una persona con cui poterti divertire ogni volta che ti va e io non sono come quelle ragazze», la mia voce si spezzò. «Tu non…».

«Io cosa Haley? Cosa? Non sono il tipo di ragazzo che fa per te? Credimi, lo so! Ti ho detto che sto cercando di cambiare, e tu… Non capisci che è diverso stavolta?».

Sentii il battito del mio cuore accelerare.

«Cosa è diverso?».

Mi prese il volto tra le mani e mi trafisse con lo sguardo.

«Noi lo siamo», soffiò sulle mie labbra. «Devi almeno provarci».

Non lo avevo mai visto così, sembrava un ragazzino alla disperata ricerca d’affetto. Il verde scintillante cercava i miei occhi con foga. Era troppo tardi per tirarmi indietro adesso, lo capii solo in quel momento. Avevo bisogno di lui, e non più come l’amico a cui ero abituata.

E, per una volta, fui io a eliminare la distanza tra le nostre labbra. Lo baciai a fondo, per trasmettergli tutto quello che provavo in quel momento, e lui sembrò cogliere ogni emozione. Rispose al bacio con passione, costringendo i nostri corpi l’uno contro l’altro. Strinsi forte i suoi ricci tra le mani, come per impedirgli di scomparire, anche se ero io quella che se n’era andata. Lui mi tenne stretta a sé senza preoccuparsi troppo di farmi male, ma a quel punto non m’importava.

Come potevo sentire il bisogno così intenso di una persona che mi era stata accanto tutto quel tempo? Lui era sempre stato lì, sapevo che c’era e questo mi era bastato, forse. Ma non era più così, adesso era tutto amplificato.

Ci staccammo lentamente, senza perdere il contatto visivo. Harry distese le labbra arrossate in un sorriso.

«Immagino che questo significhi che ci proverai».

«Immagino di sì».

Liberò il mio labbro inferiore dai denti con il pollice, interrompendone la tortura.

«Lo farai sanguinare».

«Già, forse».

Sospirò. «Haley, cosa c’è?».

Quella domanda mi stava torturando e sapevo che non mi sarei sentita a posto finché non avessi ricevuto una risposta, non importava quanto stupida sarei sembrata.

«Chi era quella ragazza?».

Un piccolo sorriso sarcastico fece sollevare i lati della sua bocca.

«Vuoi davvero parlare di questo adesso?».

«Sì», incalzai.

«Non so nemmeno come si chiama!». Aprii la bocca, ma non mi interruppe. «E tu eri con quel Lars…».

«Louis».

Scrollò le spalle, il volto indurito. «…quindi non parlare a me di questo, se non vuoi che scenda e lo strangoli con quel suo fottuto giacchino di jeans».

Rabbrividii alla sua minaccia, ma nello stesso tempo il fatto che ci avesse guardati tanto da ricordarsi com’era vestito non poteva non compiacermi.

«Siamo solo amici».

«Certo, dillo a lui».

Alzai gli occhi al cielo ma preferii non continuare la discussione, avevamo appena finito di chiarirci.

«Andiamo, ti porto a casa. Questa festa fa schifo».

Non potevo essere più d’accordo, quindi ci avviamo verso l’uscita.

Ci scontrammo con qualcuno poco prima delle scale e proprio quando Harry stava per liberare una scarica di insulti, riconobbi la chioma bionda di Brit.

«Mi dispia…ce», biascicò. Rivolse ad Harry uno sguardo divertito. «Ehi, amico».

Lui sbuffò e fece per scansarla, ma lo fermai. «È ubriaca».

Scoppiò a ridere, barcollando prima di ritrovare l’equilibrio.

«Solo un po’», disse esplicando le parole con l’indice e il pollice.

«Dobbiamo portarla a casa».

«Non esiste».

L’afferrai prima che cadesse per essere inciampata nei suoi stessi piedi.

«Ma non possiamo lasciarla qui!».

Lui alzò gli occhi al cielo, ma non mi contradisse.

***

SPAAAZIO AUTRICE:

Ed eccomi qui, non poi tanto elegantemente in ritardo.
Sì, lo so, lo so, ma ho risistemato alcune cosucce, infatti questo capitolo non doveva essere così lungo, ma ops.
Passo immediatamente ai ringraziamenti perché ho allenamento tra... adesso.
Dunque:
Grazie a chi è arrivato fino a questo punto della storia, grazie a chi legge e apprezza il mio lavoro, ma soprattutto grazie a chi si prende del tempo per recensire, sia per le critiche che per i pareri positivi.
Un grazie particolare e tanti tanti bacioni a:
- Jaymer, che scrive ogni volta recensioni meravigliose oltre che una fanfiction bellissima che amo;
- stylesmadness e Alice Styles, Dio siete una cosa dolcissima, non sapete quanto vi voglio bene;
- ila and anny e Devil Night, anche loro recensiscono e mi supportano sempre, io davvero non so cosa farei senza di voi.
E dopo questi attacchi diabetici posso anche dileguarmi, un bacione grosso splendori! Allla prossima x

#Allie

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Capitolo 18
*** Eighteen ***


18. EIGHTEEN

 

Brit si sporse oltre il mio schienale. «Devo vomitare», annunciò.

Harry premette con forza sul freno e l’auto inchiodò, facendo sbilanciare la mia amica in avanti e poi ricadere sul sedile posteriore.

«Ehi!», si lamentò.

«Hai mezzo secondo per uscire».

Lei sbuffò e tornò a mettersi seduta. «Posso trattenerlo».

«Giuro che se vomiti nella mia macchina…».

«Harry!», lo rimproverai.

«Cosa?», rise Brit, gettando la testa all’indietro. «Giuri che cosa? Papino e mammina potranno comprarti dei sedili nuovi. O un’auto nuova magari».

Harry strinse gli occhi ma non rispose. Ripartimmo e Brit sbadigliò sonoramente prima di infilarsi di nuovo tra il mio posto e quello di Harry.

«Quindi voi due ora vi parlate?», non sapevo se ci stesse prendendo in giro o meno.

Annuii, intuendo che Harry non aveva intenzione di risponderle.

«Mi fate venire il mal di testa. O forse quello è lì da prima». Rise ancora. «Ad ogni modo, finalmente avrò un po’ di pace».

Guardai Harry, che scuoteva la testa sbuffando dalle narici.

«Sì, insomma, sembravate due povere anime infrante. Come Tolomeo e Isotta, ecco».

«Ma che cazzo…», iniziò. «Non dovrebbe tipo essere svenuta a quest’ora?».

Trattenni a stento un sorriso, questo Harry sembrava una persona completamente diversa da quella di poco prima. La dolcezza e l’intensità erano state sostituite dalla solita strafottenza, e non avrei saputo dire quale delle due preferivo, dal momento che anche da stronzo era più affascinante di qualunque altro ragazzo conoscessi.

«“Secondo te dovrei chiamarla?”», fece Brit con una voce studiatamente più profonda. Mi raddrizzai, voltando la testa nella sua direzione. «“O forse farei meglio ad andare lì? E se non vuole ascol…”»

«Chiudi quella cazzo di bocca», ringhiò Harry interrompendola.

«Scusa capo».

Ma io non ero dello stesso avviso e volevo sentire il resto. Harry aveva parlato con Britney?

«Che stavi dicendo?», chiesi prima di riuscire a fermarmi.

«Oh, che il signor Coglione qui pre…».

«Un fottuto niente», Harry parlò nello stesso momento di Brit. «Parla perché ha la bocca».

Britney sorrise ma non disse niente. Volevo davvero saperne di più, ma preferii non tirare la corda.

L’auto accostò appena fuori il cancello della villa di Brit. Prima che riuscissi a chiedergli se voleva entrare, uscì dalla macchina senza aspettarci, chiaramente innervosito.

Aiutai Britney ad arrivare fino alla sua stanza, Harry si era fermato ad aspettare nel salotto.

Si fiondò tra le coperte senza nemmeno togliersi le scarpe, mugugnando.

«Brit, cosa volevi…».

Mi fermai alla vista del suo petto alzarsi e abbassarsi regolarmente, le palpebre abbassate. Sospirai.

Spensi la luce e lasciai a stanza. Quando raggiunsi Harry al piano di sotto era intento a rimettere in piedi una fila di statuine su una mensola. Proprio mentre sistemava una delle ultime urtò la pila, facendole cadere tutte come in un domino.

Sbuffò, arrendendosi e portò lo sguardo su di me.

Sorrisi. «Si è addormentata».

«Era ora», bofonchiò. «Vuoi che ti riporti a casa?».

Annuii. Sarei potuta anche rimanere lì per la notte, ma non volevo ancora salutarlo.

Il viaggio fino a casa fu silenzioso, Harry era pensieroso e a malapena consapevole della mia presenza.

Restai qualche istante in attesa di qualsiasi cosa, e quando fui certa che non avrebbe detto niente aprii la portiera. Il suo umore era già cambiato, grandioso.

Venni tirata dentro di nuovo e coprì le mie labbra con le sue. Chiusi gli occhi e lo assaporai, secondo per secondo, perché non sapevo quale sarebbe stato il suo prossimo stato d’animo. Appoggiò una mano sul mio fianco e l’altra sulla guancia e proprio quando iniziai a sentire il fuoco crescere dentro di me, mi allontanò delicatamente.

«Verrai domani alla partita?».

Annuii e il mio naso si scontrò col suo. Arrossii per la mia goffaggine ma lui sorrise.

«Bene. Buonanotte».

 

«No», dichiarai secca.

«Ma…».

«No».

Britney continuava a saltellare a destra e sinistra, le mani giunte davanti al petto in atteggiamento supplice.

«Non puoi essere così crudele. In fondo sono solo meno di venti minuti in cui non dovrai far altro che sculettare un po’ ed essere carina».

Una schiera di cheerleader imploranti stava dietro il capitano biondo, come tanti fidati cagnolini.

«Ma nemmeno conosco la coreografia!», tentai.

Quella Jill o Jen, o come si chiamava me l’avrebbe pagata cara. Perché aveva deciso proprio in quel momento di slogarsi la caviglia e lasciare la squadra senza un componente importante? Domanda stupida.

«Mancano ancora venti minuti, posso spiegartela. Avanti, tesoro!». Sporse il labbro inferiore e sgranò gli occhioni azzurri. «Ti prego, ti prego, ti prego!».

Alzai gli occhi al cielo, digrignando i denti. «Ah, d’accordo».

La ragazza squittì e fece un salto di almeno mezzo metro, poi mi trascinò nello spogliatoio.

 

Tirai un lungo respiro e mi decisi a uscire, in coda con le altre ragazze pompon. Ignorai i brividi alle cosce al contatto con l’aria fredda dell’ampia palestra e avanzai. Ci fermammo a un lato del campo, tutte perfettamente in fila.

Harry, che si stava scaldando a pochi passi da noi, ruotò il capo nella mia direzione e spalancò gli occhi. Il suo sguardo corse dalla canotta intonata alla sua divisa, alla gonna e infine si soffermò sulle mie gambe nude. Si leccò le labbra, facendomi avvampare.

Decise di tornare a concentrarsi sull’allenamento e continuò a palleggiare.

Ricevetti una leggera spinta dalla mia vicina. «Qualcuno è rimasto a bocca aperta».

«Oh, sta zitta Brit», le intimai ridendo.

Osservai attentamente la stellina nera e arancione che era disegnata sulla sua guancia e mi chiesi se anche a me donasse quanto a lei. Stavo per domandarle se mi si fosse sbavata o cancellata quando notai i suoi occhi attirati da un punto in mezzo alle tribune. Seguii il suo sguardo e incontrai un gruppetto di persone che chiacchierava animatamente. In mezzo vi erano Liz, Louis e… Zayn.

Scelsi di non disturbare il suo contemplamento, quindi presi ad osservare i giocatori impegnati nel pre-partita. Gli avversari erano tutti molto robusti e alti, e davano l’idea di essere piuttosto insidiosi.

Finalmente le due squadre si ritirarono verso le rispettive panchine per un colloquio con i coach e la musica partì. Ci spostammo al centro del campo, disponendoci nell’ordine indicato da Britney.

«Cinque, sei, sette, e…!», ritmò Britney a bassa voce.

Sbattemmo i palmi l’uno contro l’altro, iniziandoci a muovere a tempo di musica.

Mi sforzavo di ricordare i passi appena imparati, cercando di ignorare lo sguardo che sentivo fisso su di me fin dall’altra parte della palestra. Non avrebbe dovuto star a sentire l’allenatore e prepararsi per la partita o qualcosa del genere?

Con una corsa che sperai fosse il più aggraziata possibile, volai a un estremo del campo per prepararmi al passo successivo. Una dopo l’altra le ragazze iniziarono a volteggiare tra ruote, rondate e salti mortali.

Ed ecco il mio turno.

Presi la rincorsa, pregando che da qualche parte dentro di me ci fosse ancora il ricordo delle ore di ginnastica artistica. Ero anche piuttosto brava, ma in prima superiore avevo deciso di smettere perché mi ero stancata.

Le mie mani attecchirono al suolo e con un movimento fluido compii una discreta rovesciata, atterrando saldamente su entrambi i piedi. Britney mi rivolse un sorriso raggiante prima di concentrarsi per il tocco finale, il top della coreografia che spettava a lei.

Due ragazze si unirono e la sollevarono come fosse stata una bambola di nemmeno dieci chili. Spalancai la bocca quando sollevò una gamba e rimase in equilibrio con un piede sulle mani delle cheerleader. Molleggiò un paio di volte e poi spiccò un salto. Ruotò su se stessa varie volte prima di ricadere sulle braccia delle compagne, elegantemente. La folla si lanciò in un fragoroso applauso e qualche fischio. Cercai Zayn in mezzo alla folla e quando lo trovai, vidi che anche lui applaudiva e la fissava estasiato.

Lentamente l’euforia s’attutì e facemmo la nostra uscita di scena, lasciando il posto agli sfidanti.

 

Durò tutto meno del previsto. I nostri, ma soprattutto Harry, erano in formissima e non ci volle molto per battere gli avversari dalla divisa blu elettrico. Il playmaker giocò in maniera impeccabile, senza mancare un canestro né sbagliare un passaggio. Potei vedere quanto il coach fosse fiero di lui dal suo sguardo, Harry Styles stava risollevando la sua squadra che era rimasta schiacciata dalle altre per tanto tempo.

Più tardi mi raggiunse nel cortile gremito, mentre chiacchieravo con Britney e Liz.

Quest’ultima gli rivolse un enorme sorriso.

«Ciao Harry», cinguettò.

Strinsi forte le labbra e ricacciai indietro qualsiasi parola scortese. D’altronde sapevo che Liz aveva sempre avuto un debole per Harry e soprattutto non sapeva di noi, qualunque cosa fossimo.

Lui ricambiò il saluto con un cenno del capo e come se mi avesse letto nel pensiero, intrecciò le dita con le mie e si chinò.

«Ehi», sussurrò prima di lasciarmi un lieve bacio sulle labbra.

Le mie ciglia svolazzarono e un groviglio di farfalle si fece sentire dall’interno del mio stomaco. Il ragazzo mi cinse la vita con un braccio, stringendomi a sé.

Non appena la mia mente si liberò della nebbiolina provocata dalle labbra di Harry mi resi conto dell’espressione dei presenti, che ignoravano tutta la storia e desiderai scomparire.

Liz sembrava aver disimparato come chiudere la bocca e Louis, che fino a poco prima discuteva allegramente con l’amico, ci fissava sbigottito. E poi c’era Britney, che continuava a mandare lo sguardo a destra sinistra nervosamente.

L’unico a sembrare totalmente a suo agio era Zayn, che interruppe il silenzio per complimentarsi con Harry.

«Tu sei Styles, no? Il playmaker». Lui annuì. «Complimenti amico, partita splendida! Anche io quando ero al liceo giocavo, ma non sono molto bravo».

«Voi due state insieme?», sbottò Liz prima che Harry riuscisse a ringraziarlo.

Sentii il sangue andare in ebollizione proprio sotto le guance. C’era una risposta a quella domanda?

Lanciai un’occhiata a Harry e mi morsi il labbro inferiore. «Ehm, noi…».

«Più o meno».

Alzai involontariamente il capo verso di lui, che per tutta risposta strinse ulteriormente la mia mano. Adesso anche Britney era sorpresa.

«Wow, questa me la sono persa», borbottò Louis grattandosi la nuca.

«Non è… Stiamo solo… Vedendoci», balbettai ormai al culmine del rossore.

Zayn decise di nuovo di salvarci tutti da quel momento imbarazzante. «Elizabeth mi ha detto che adesso si festeggia, non è vero?».

Il ragazzo acquistava punti.

«Zayn, ti ho detto mille volte di chiamarmi Liz».

«Scusa».

«Comunque adesso la squadra andrà al Grill credo, organizzano sempre qualcosa dopo la partita», gli spiegò Liz.

Britney annuì, indicando le compagne poco più lontane. «Sì, infatti dovrei andare anche io, la capo cheerleader non può mancare. Voi venite?».

Guardai Harry con la coda dell’occhio e lo vidi scuotere la testa. «No, veramente no».

«Ma sei il capitano», gli feci notare. «Non puoi andartene così».

Sbuffò. «Noi abbiamo di meglio da fare».

Mi morsi l’interno della guancia per non sorridere a quel noi.

Brit guardò Liz, che a sua volta si voltò verso i due ragazzi.

«Io vengo», dichiarò Liz.

Louis le picchiettò sulla testa come fosse stata un metro più bassa di lui, quando lo era di appena un paio di centimetri.

«Allora verrò anche io, così potrò studiare le tue mosse e fare la spia», la prese in giro.

La ragazza sbuffò, ravvivandosi i capelli corti. «Quando hai detto che riparti?», scherzò.

«Quando ci richiamano dall’alto, baby».

 

Per tutto il viaggio la sua mano non lasciò la mia, nemmeno quando doveva usare il cambio, costringendomi ad allungarmi con lui e facendomi ridere ogni volta.

«Non era necessario non andare al Grill. In fondo è la tua vittoria, anche se gli altri ragazzi sono comunque stati bravi».

Solleticò il mio palmo con il pollice mentre superava con cautela un’altra auto. Cominciava a diventare più prudente o era una mia impressione?

«Infatti non è necessario, ma è quello che voglio».

Mi protesi per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia, ma lui mi anticipò e catturò la mia bocca. Chiusi gli occhi e lasciai che l’ondata di sensazioni mi travolgesse, proprio come fosse la prima volta. Però si staccò un po’ troppo presto.

«Non costringermi ad accostare», sussurrò con voce roca.

Dopo quaranta minuti buoni di viaggio, entrammo in un enorme parcheggiò vuoto ed Harry decise di lasciare lì la macchina.

Una volta scesi mi resi conto che il suolo era ricoperto da una patina polverosa che andava inspessendosi man mano che procedevamo.

«Ma dove siamo?».

«Vieni».

Afferrò il mio polso e iniziò a camminare.

Mi lanciai in avanti ancora stordita, faticando a seguire il suo passo veloce.

Ci addentrammo tra un groviglio di piante spinose che mi apparivano più familiari man mano che procedevamo. Il terreno era disconnesso e non faceva che alzarsi e abbassarsi sotto i nostri piedi.

Quando finalmente la vegetazione iniziò a diradarsi, restai senza fiato.

La sabbia si estendeva a perdita d’occhio, deserta, immacolata. Le onde nere s’infrangevano sulla riva pigramente, avanzando e ritraendosi con regolarità.

Non mi resi conto dell’ampio sorriso che si era impadronito del mio volto finché Harry non me lo fece notare. Era tanto tempo che non vedevo il mare nonostante distasse così poco da casa, l’ultima vacanza con i miei genitori risaliva a troppi anni prima.

Quando alzai il viso verso di lui il suo sguardo era audace e non cercò nemmeno di nasconderlo.

Mi morsi il labbro inferiore imbarazzata, sperando capisse che tutta quell’attenzione mi metteva a disagio. Tentativo inutile.

«Che cosa c’è?», brontolai.

Scosse la testa, mentre ancora mi scrutava con un sorriso.

«Sei così bella».

Quel ragazzo mi confondeva le idee in ogni modo possibile, specialmente quando se ne usciva con commenti del genere, che mandavano il mio cuore a mille.

Oltretutto non potevo essere meno d’accordo con lui. Ero reduce di una doccia veloce e una rapida passata di spazzola tra i capelli, completamente senza trucco e con un paio di jeans e una camicia sotto la giacca.

Lui invece era perfetto, nei suoi pantaloni scuri e il giubbotto aperto su un maglione strappato nero.

«Grazie», mormorai abbassando lo sguardo.

Improvvisamente mi afferrò per i fianchi e mi prese in braccio, facendo in modo che attorcigliassi le gambe intorno a lui. La sua bocca mi raggiunse in un istante, famelica. Dischiusi le labbra quando sentii la sua lingua premervi contro e lasciai che approfondisse il bacio, mentre con le grandi mani accarezzava la mia schiena.

«Era da tutta la sera che volevo farlo», disse. «E a proposito, con quel completo eri dannatamente sexy».

Strabuzzai gli occhi, dandogli un leggero pugno sul petto.

«Non accadrà mai più, l’ho fatto solo per Brit».

«Puoi scommetterci».

Inarcai un sopracciglio. «Che?».

«Haley, ci sono almeno ottanta maschi che stasera si masturberanno pensando al tuo culo con quella gonna».

«Harry!».

Rise di gusto, mentre mi posava di nuovo a terra. «Aspetta qui, faccio presto».

Corse via velocemente e in men che non si dica fu di ritorno con una piccola borsa nera a tracolla. Sorrisi riconoscendola. Harry estrasse la grossa macchina fotografica e l’accese.

Lo guardai armeggiare con gli obbiettivi e mi coprii il volto con le mani quando la puntò verso di me.

«Non provarci nemmeno».

Scoppiò a ridere, abbassandola. «Ehi calma, la stavo solo testando».

Quindi immerse le converse nere nella sabbia dorata e camminò verso il mare. Non so perché non lo seguii, ma sentivo che quello era un momento che preferiva tenere per sé. Come un artista che dipinge sulla sua tela, in compagnia solo dei propri pensieri e delle idee.

Lo guardai mentre si fermava a pochi centimetri dall’acqua, scrutando l’orizzonte.

Lo guardai mentre sollevava la macchina e si concentrava sull’obbiettivo.

Lo guardai mentre, con estrema lentezza cercava il soggetto perfetto, il momento perfetto.

Osservavo incantata il modo delicato con cui teneva in mano l’apparecchio, quasi come avesse paura di fargli del male e mi ritrovai a desiderare stupidamente di essere al suo posto.

Infine, lo guardai premere quel tasto per catturare l’immagine e voltarsi soddisfatto verso di me.

Mi tese la mano facendomi cenno di avvicinarmi, così lo feci.

Ci sedemmo l’uno accanto all’altra sulla sabbia fredda, beandoci del silenzio interrotto solo dal rumore delle onde. Non c’era da sorprendersi che fossimo gli unici lì, a inizio dicembre sulla spiaggia soffiava un vento gelido, che ti entrava nelle ossa.

Mi strinsi le braccia intorno al corpo, mentre giocavo a sotterrare e tirare fuori i piedi dalla sabbia.

Sobbalzai quando avvertii il petto di Harry contro la mia schiena, si era mosso silenziosamente. Mi avvolse con le braccia e spostò i capelli dal mio orecchio.

«Non ti serve una scusa per farti abbracciare sai?».

Gli lanciai un’occhiataccia e feci per sollevarmi, ma lui mi trattenne per le braccia.

«Dove vuoi andare?», fece con le labbra a pochi millimetri dal mio collo.

«Lontano almeno dieci metri dalla tua arrogan…».

Non riuscii a terminare la frase perché con una forza impressionante Harry ci fece cadere sdraiati. Rotolammo finché non mi ritrovai schiacciata dal suo corpo, petto contro petto. I suoi gomiti erano appoggiati ai lati della mia testa per far sì che non mi schiacciasse.

«Stavi dicendo qualcosa?».

Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, cercando di rimanergli indifferente e fingermi offesa.

«Oh, andiamo», mi provocò.

Una linea di baci prese il via dalla mia guancia e raggiunse la base del collo. Mi morsi con forza la lingua per non emettere sospiri di piacere e dargli soddisfazione.

«Mm», mugolò mentre stuzzicava la mia pelle con i denti.

Quando mi sfiorò la gola con la punta del naso non resistetti ed esplosi in una sonora risata.

«Non dovresti sprecare energie così inutilmente, piccola. Sappiamo che non puoi resitermi».

«Stronzo», dissi, ma il tono della mia voce non poté che addolcirsi per il modo in cui mi aveva chiamata.

«Già, ma uno stronzo sexy».

Sostenni il suo sguardo. «E narcisista», scandii.

«Baciami», ordinò, mantenendo la voce bassa.

«No». Il mio tono era leggero ma la mia voleva comunque essere una piccola lezione.

Senza dire una parola scattò in piedi e mi sollevò di peso, poi prese a correre verso la riva.

«Che vuoi fare? Lasciami, adesso».

Si tolse le scarpe velocemente senza usare le mani e toccò l’acqua con le punte delle dita, che si arricciarono involontariamente, segno di quanto dovesse essere fredda.

Iniziai a scalciare e colpirlo sulla schiena. «Ehi, hai capito?».

«Baciami, ho detto».

«No».

«Subito».

Risi. «Nemmeno tra un milione di anni».

Lo sentii allentare la presa, quindi strizzai le palpebre in attesa del contatto gelido che non arrivò. Infatti tutto quello che fece fu portarmi col viso dritto davanti al suo, le nostre fronti quasi si sfioravano.

«Un milione di anni?». La sua espressione era così seria e mi fece perdere un battito. «Potremmo non avere tutto quel tempo».

Gli accarezzai la guancia, in cerca del piccolo foro che questa volta non accennava a farsi vedere.

***

SPAZIO AUTRICE (breve):
scusate tanto ma ho pochissimo tempo,
quindi ringrazio come sempre chi legge e recensisce,
spero nel prossimo capitolo di poter essere meno sintetica :(
Bacioni,
#Allie

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Capitolo 19
*** Nineteen ***


19. NINETEEN

 

Britney’s POV

Pessima musica, alcolici squallidi, il Grill peggiorava ogni volta che vi mettevo piede. Ecco perché non lo facevo quasi mai.

Ma dato che la squadra si sarebbe bevuta perfino birra annacquata pur di ubriacarsi, questo era quello che toccava alle cheerleader e a chi ci teneva a festeggiare la vittoria. E la sfortuna voleva facessi parte della prima categoria.

«Annoiata?», chiese una voce.

Mi sollevai dal muro, soffiando dalle narici.

«Malik», sospirai.

«Aspettavi qualcun altro?». Si guardò intorno. «Difficile, visto che non hai un ragazzo».

Gli rivolsi una lunga occhiata in cui misi più gelo possibile.

«Scusa», si affrettò ad aggiungere. «Non volevo».

Alzai le spalle, squadrandolo con fare scocciato. «Chi se ne frega».

Sperai che cogliesse il poco implicito invito ad andarsene e lasciarmi in pace, ma ovviamente non fu così. Ciò che mi procuro non poco fastidio fu il prendere consapevolezza della piccola - minuscola - parte di me, che voleva che restasse.

«Senti, volevo parlare di quello che è successo ieri».

Alzai gli occhi al soffitto, ero sicura che l’avrebbe tirato in ballo. «Non c’è niente di cui parlare, eravamo ubriachi e ci siamo baciati. Gli adolescenti lo fanno tutto il tempo».

«Già, ma io non sono più un adolescente».

Mi morsi il labbro per non ridergli in faccia. «Ma io sì. E poi sei solo due anni più grande, quindi non giocare troppo a fare l’uomo maturo».

Mi scrutò ancora qualche secondo, prima di sfoggiare un sorriso che mi fece aggrovigliare le viscere. Era una cosa che avevo visto fare solo a lui, sorridere con la lingua tra i denti.

Camminò verso di me, portandosi talmente vicino che riuscivo a sentire il suo respiro sul viso. Subito venni investita dall'odore intenso del tabacco.

«Davvero una bella mossa, comunque».

«Prego?».

«Prima, sul campo». Zayn sorrise nuovamente, malizioso. «Hai una apertura delle gambe notevole».

Scrollai le spalle e alzai il mento, sfidandolo. «Lo so».

«Scommetto che potresti farne buon uso».

Lo inchiodai con lo sguardo, grugnendo. «Ti piacerebbe».

«Può darsi».

«Forse tra un paio di secoli».

 ***

Zayn sbatté con forza la porta della stanza dell’hotel. Mi spinse contro la parete opposta al letto senza nemmeno accendere la luce, troppo impegnato a mantenere il contatto con le mie labbra. Mi sfilò la canotta e poi la gonna del completo con un gesto veloce, lasciandomi solo in intimo. 

Sbottonai velocemente la sua camicia e affondai il viso nell’incavo del suo collo, baciando e mordendo la pelle con forza, incurante dei segni che lasciavo. Lui gemette profondamente e si tolse anche i pantaloni. Eravamo tutti fuoco e impeto.

Mi afferrò per le braccia, immobilizzandomi.

«Faccio io», esalò mentre mi avvicinava al suo petto.

La sua lingua tracciò una serie di ghirigori sul collo e poi sempre più giù, fino ad arrivare all’addome.

Mi sollevò per poi appoggiarmi sul grande materasso, abbassandosi su di me in un modo che mi ricordò un puma con la sua preda.

Esitò. 

«Sei… Sei sicura?», fece, lo sguardo incollato alle mie labbra.

Alzai gli occhi al cielo e scambiai le posizioni con uno scatto, portandolo sotto di me.

«Non essere ridicolo».

Non ero una ragazzina inesperta, sai che me ne importava. Premetti la mano sul suo torace tenendolo fermo, beandomi del suo sguardo eccitato e impaziente.

«È solo sesso», dichiarai. «Niente sentimentalismi del cazzo, niente complicazioni».

Zayn cercò di liberarsi dalla mia presa e attirarmi di nuovo giù con lui, ma lo fermai.

«Ah, e nessuno verrà a sapere di questa cosa. Nessuno. È tutto chiaro?».

Il ragazzo mi guardò dal basso, stravolto. 

«Chiaro», mi fece eco.

«Bene», dissi prima di chinarmi di nuovo su di lui, sentendo il già evidente segno della sua eccitazione contro il mio ventre.

Portò le mani dietro la mia schiena e slacciò il laccetto del reggiseno mentre calavo i suoi boxer lungo i fianchi.

 

Haley’s POV

«Perché siamo qui?», il mio tono suonò troppo alto per il silenzio in cui eravamo immersi da un po’.

I miei occhi erano bassi, concentrati sulle mie dita che tracciavano linee curve sulla sabbia morbida.

Harry era seduto a fianco a me, non troppo lontano, ma abbastanza perché le nostre pelli non si toccassero. Sembrava che una nube nera si fosse di nuovo impadronita di lui, cancellando ogni desiderio di comunicare.

Avevamo comunque parlato oltre i suoi standard quella sera, per cui non era giusto essere troppo delusa.

«Non lo so».

Magnifico. Non mi aveva nemmeno più sfiorata dopo che eravamo tornati sulla spiaggia, e adesso non voleva rivolgermi la parola. Era probabilmente a causa della domanda su suo padre, dopo che l’avevo visto rifiutarne la chiamata.

Non volevo essere indiscreta, solo non capivo perché si rifiutasse di parlarci. Nemmeno io avevo un bel rapporto con i miei, ma qualche volta mi preoccupavo di far sapere loro come stavo, quando non chiamavano per non farmi sentire oppressa.

«E allora perché mi ci hai portato?».

Sospirò esasperato e levò lo sguardo verso la scogliera. Il silenzio regnava su di noi mentre entrambi evitavamo di guardarci.

«D’accordo allora, non parlarmi», dissi. «Dovremo tornare comunque».

Lui annuì e si alzò in piedi. Lo seguii nel fitto degli alberi, ma prima lanciai un’ultima occhiata al mare, per imprimermene l’immagine nella mente.

Camminava svelto, incurante del fatto che fossi costantemente almeno due metri dietro di lui.

Quando sbucammo nel parcheggio, si affrettò verso la macchina e aprì la portiera. Lo fermai prima che entrasse.

«Si può sapere che c’è ora?».

«Niente».

«No Harry, non è niente», scattai. «Perché se fosse niente non ti staresti comportando come se ce l’avessi con me e risponderesti normalmente!»

I suoi occhi si accesero di rabbia. «A quale delle milleduecento domande esattamente?», alzò la voce. «Ne fai continuamente Haley, sei irritante!».

«Magari se lo faccio è perché mi importa, non ci pensi?».

Sentivo di star di nuovo per crollare a piangere, e non dovevo. Non potevo mostrarmi sempre così emotiva di fronte a lui.

«Beh, non vedo perché dovrebbe e nessuno te lo ha chiesto».

Ahi. Eccola di nuovo, la ragione per cui mi ero allontanata da lui. Un momento prima era carino e quello dopo non gl’importava di ferirmi, proprio come quando eravamo amici.

Lottai contro l’impulso di replicare, non sarei riuscita a metterlo a tacere e avrei evocato soltanto altre parole offensive nei miei confronti.

Mi diede le spalle.

Mi aspettavo che entrasse in macchina, e invece utilizzò la portiera come sostegno. Non potevo vedere la sua espressione, ma il suo petto si alzava e si abbassava furiosamente.

«Harry?».

Poggiai il palmo della mano sulla sua spalla e lo scrollai leggermente. Quando si voltò le sue pupille erano dilatate, la bocca dischiusa cercava aria.

«Oh mio Dio! Che cosa ti prende?».

«Sto bene», boccheggiò.

«No, non è vero!», strillai, in preda all’agitazione. Cercai furiosamente il cellulare nella tasca. «Chiamo qualcuno».

«Haley, no. Sto..», fu costretto a fermarsi per respirare.

Non lo ascoltai e presi a comporre il numero, ma il telefono mi venne strappato via.

«Ho detto che sto bene!», tuonò.

Chiuse gli occhi ed emise diversi respiri profondi. Dopo secondi che mi parvero secoli, il suo respiro si stabilizzò e mi sembrò stesse meglio.

Sbuffò e mi restituì il cellulare.

«Cos’era quello?», la mia voce involontariamente isterica.

Salimmo in macchina per ripararci dal vento che iniziava a soffiare più forte. Ovviamente non rispose.

Restammo in silenzio per tutto il tragitto, e quando ci fermammo davanti a casa mia non riuscii più a trattenermi.

«Per l’amor del cielo, potresti degnarti di rispondere a una mia domanda? Che cos’era quello?». Questa volta mi preoccupai di marcare meglio la frase, in modo che non potesse ignorarmi.

«Un cazzo», ringhiò.

«A me non sembrava! Potresti smetterla di essere uno stronzo egoista per cinque minuti? Sono solo preoccupata».

Nonostante quello che mi diceva, non riuscivo a non stare in ansia per lui.

«Sei tu che mi stressi Haley, soltanto quello!».

La mia mascella si spalancò.

«Come scusa?!», la mia voce non doveva suonare così orrendamente disperata. «Non sono io che ti ho chiesto di portarmi fuori stasera, o di iniziare una qualunque relazione con me, non sono io che ti ho chiesto niente di tutto questo! Quindi non devi per forza essere così cattivo, nessuno ti obbliga a passare del tempo con me».

Non riuscii più a frenarmi, e le lacrime iniziarono a traboccare dai miei occhi. Aprii la portiera e uscii prima di essere colpita di nuovo da un’altra risposta dannosa per la mia stabilità. Stabilità che in ogni modo stava già vacillando fin troppo.

«Haley!», lo sentii urlare.

Raggiunsi di corsa il porticato di casa e salii i gradini a due a due, consapevole dei passi affrettati dietro di me.

«Dannazione Haley, aspetta!».

Le mie mani rovistavano poco delicatamente nella borsa in cerca delle chiavi, ma il bagnato mi annebbiava la vista e lo rendeva più difficile.

Le sue dita scivolarono intorno al mio braccio per farmi voltare.

«Puoi smetterla per favore di scappare sempre?».

«Non scapperei se tu non me ne dessi motivo», sorpresi me stessa di quanto tranquillo suonasse il mio tono. Una calma che decisamente non rispecchiava ciò che avevo dentro.

«Adesso vattene per favore, voglio solo essere lasciata in pace».

Gli diedi di nuovo le spalle.

Fece strisciare la mano più giù, fino al polso e mi attirò al suo petto. I suoi occhi ora più scuri erano un misto di rabbia e confusione, e sapevo che i miei non dovevano essere molto diversi.

Le sue labbra si scontrarono con le mie senza preavviso e immediatamente tutta la rabbia si dissolse come fumo. I suoi movimenti erano pieni di disperazione, e in un attimo mi ritrovai schiacciata dal bisogno di lui. Dischiuse la labbra e mi lasciò perdermi nel suo sapore leggermente salato, non sapevo se a causa delle mie lacrime o dell’aria salmastre.

Mi sollevò prima di premere la mia schiena contro la porta. Le nostre lingue si stuzzicarono dapprima dolcemente e poi con più foga, smaniose di sentirsi.

Ero a malapena consapevole del freddo pungente sulle mie braccia, persa nel ritmo dei nostri ansimi. Morse con forza le mie labbra, gemendo al suono dei miei lamenti.

Mi attirò ancora più vicina se possibile, senza perdere il contatto con la mia bocca.

«Mi dispiace», le parole appena sussurrate erano quasi impercettibili. «Non volevo dire quelle cose».

Annuii, ancora smarrita dalla passione del bacio. Le nostre labbra si ricongiunsero di nuovo, stavolta solo sfiorandosi.

«Non lo faccio apposta», continuò. «Ad essere un coglione, intendo».

«Lo so».

 ***

La mattina seguente, quando Brit e io arrivammo il parcheggio della scuola era occupato da una folla di studenti in attesa. Tre grandi autobus erano in coda uno dietro l’altro, i professori chiamavano i nomi ad alta voce, sbracciandosi per farsi notare in mezzo alla confusione.

«Ma che…», cominciai. «Oh no».

Mi battei la mano sulla fronte, ricordandomi improvvisamente della visita al teatro. Lanciai un’occhiata verso Brit, la quale non pareva nemmeno avermi sentito.

La chiamai, facendola voltare bruscamente.

«Il permesso per la gita! Tu ce l’hai?».

Lei annuì distrattamente, mentre frugava nella borsa e ne estraeva il piccolo foglietto che riconobbi subito.

«Accidenti, fammi scendere».

Tolse la sicura senza dire una parola e mi permise di uscire.

Dopo il litigio dei miei e la storia di Harry quel particolare mi era del tutto passato di mente, e ovviamente nessuno aveva firmato il permesso. Distrazioni di quel tipo non erano da me.

Feci una corsa fino all’ingresso, fermandomi solo davanti al bancone di Tracy. Ma quel giorno al suo posto vi era un’anziana donna dai capelli d’argento. Mi studiò da dietro gli spessi occhiali, in attesa.

Mi aggrappai al ripiano per riprendere fiato.

«Mi scusi, ma la mia classe di letteratura parte fra pochi minuti e non ho il foglio.. Non c’è un modo per partecipare comunque? Non posso perdere quella rappresentazione, è importantissima».

«I tuoi genitori sanno della gita?».

«Sì», mentii, mossa dalla speranza che quel dettaglio avrebbe cambiato qualcosa.

Sorrise. «Allora avrebbero dovuto firmarti il permesso».

Stronza. «La prego, posso far chiamare i miei genitori se può servire».

«Signorina, non c’è qualcosa su cui discutere. Niente permesso, niente uscita».

«Cosa? Ma io..».

«Queste sono le regole».

Soffiai dalle narici e mi allontanai prima che il nervoso m’inducesse a prenderla a schiaffi. No, non l’avrei mai fatto, ma era comunque meglio evitare possibili sospensioni.

Raggiunsi la mia amica proprio quando stava consegnando il suo permesso alla professoressa.

«Allora?», mi chiese.

Mi strinsi nelle spalle. «Niente, non posso venire», mugugnai.

Rise. «Sai che ti perdi», ribadì, ricevendo un’occhiataccia dalla signora Hopkins.

Non appena quella si voltò, Britney ne imitò lo sguardo da aquila, fingendo di sistemarsi degli occhiali inesistenti sulla punta del naso.

«Ci vediamo», dissi, trattenendo una risatina.

«Oh Clarissa, Clarissa… Perché sei tu, Clarissa?», fece con fare shakespeariano, prima di essere trascinata sull'autobus.

Alzai gli occhi al cielo e mi diressi verso il lato opposto del parcheggio. Forse potevo approfittarne per mettermi avanti con i compiti, magari in biblioteca. E poi avrei assolutamente dovuto trovare un modo per far sì che questa mia assenza non incidesse negativamente sulla mia media. Con un saggio, magari proprio su Romeo e Giulietta.

«Ehi».

Quella voce. Mi voltai, ansiosa di incrociare le sue iridi smeraldo. Il peso sul mio petto si alleggerì alla vista del sorriso enorme sul suo viso, nessuna traccia del cipiglio sulla fronte.

«Dove sono i tuoi libri?», fu la prima cosa che gli chiesi.

Mi catturò in un lampo e avvicinò i nostri visi, ma invece di baciarmi spostò la mano sul fondo della mia schiena. Mi inarcai verso di lui per impedirgli di palparmi.

«Buongiorno anche a te», mi schernì.

Il suo naso sfiorò il mio appena prima che le nostre labbra si incontrassero. Le mie guance divennero bollenti quando mi resi conto degli sguardi di quasi tutto l’istituto puntati su di noi. Era la prima volta che mi baciava davanti a tutte quelle persone.

Per tutti eravamo sempre stati “Harry e Haley, gli amici”. Nessuno si aspettava “Harry ed Haley, la coppia”.

Avevamo appena dato qualcosa di cui parlare a un branco di adolescenti annoiati. Perché, parliamoci chiaro, con cos’altro ci si potrebbe svagare nella scuola di una città piccola e insignificante come Holmes Chapel?

Harry seguì la direzione del mio sguardo e sospirò, gli lessi negli occhi che nemmeno lui avrebbe voluto attirare tutta quell’attenzione. Fece un passo indietro.

Una parte di me era delusa, perché un po’ avevo sperato che fosse consapevole di quella pubblica dimostrazione d’affetto.

«Ti dà fastidio?».

Fece spallucce. «Chi se ne importa», disse e non sapevo se esserne sollevata o meno.

Non gli importava baciarmi o non gli importava che ci vedessero?

«Non vai a lezione?».

«No, e nemmeno tu», constatò.

«Già».

Le sue dita catturarono il ciuffo che gli era caduto davanti agli occhi e lo tirarono indietro. Nonostante quel gesto indicasse normalmente un certo nervosismo, il piccolo sorriso sul suo volto suggeriva che era di buon umore.

«Ti andrebbe.. uhm, di passare del tempo insieme, suppongo?».

«Ma non puoi marinare la scuola».

«La smetti di comportarti come fossi la mia babysitter? Sono maggiorenne, e per giunta più grande di te. Posso fare quello che voglio», rideva, ma sapevo che non stava scherzando. «Rilassati».

Sospirai, ancora indecisa se dargliela vinta o no, ma lui aveva già afferrato la mia mano e si stava dirigendo verso l’auto.

 

Britney’s POV

Sfilammo in fila a due a due davanti a quella strega della Hopkins mentre ci contava.

Liz approfittò del tempo che ci era stato concesso lì fuori prima dell’inizio dello spettacolo per fumarsi una sigaretta.

«Ieri sera sei sparita», commentò. «Stavo parlando con Jeffrey e poi non ti ho più vista. Che ti è successo?».

Roteai gli occhi nella direzione opposta alla sua, sbuffando. «Niente, mi ero stancata».

Ero sempre stata un’ottima bugiarda, ma per qualche ragione dall’occhiata che mi rivolse intuii che non era convinta.

«Non ho più visto nemmeno Zayn», continuò. «E sono stata costretta a tornare a casa con Lou».

«Sì?», finsi indifferenza, mentre il mio interesse per la locandina appesa al muro con la scritta ‘Romeo&Juliet’ s’intensificava.

«Già. E poi tutti i ragazzi della squadra sono così noiosi.. E banali. L’unico degno della mia attenzione non c’era e a quanto pare Miss Verginella se l’è già accaparrato».

Gli tolsi la sigaretta di bocca e ne aspirai una boccata. «Di che parli?».

«Haley, e chi sennò? Insomma, lei ed Harry? Lo sanno tutti che non dureranno nemmeno una settimana».

«E tu che ne sai scusa?», sbottai irritata.

Liz si riprese la sigaretta e la fece oscillare davanti al mio viso, la bocca piegata in un sorriso sardonico.

«Andiamo. L’ultimo ragazzo che Haley ha avuto è stato in terza media e tutto quello che hanno fatto è stato sbaciucchiarsi e tenersi la manina. Harry non è il tipo di ragazzo per lei, lui ama il sesso violento da una notte, quando si è tanto ubriachi da non ricordarsi nemmeno il proprio nome». Il ghigno si allargò. «Ma tu dovresti saperlo piuttosto bene».

La conversazione stava prendendo una strana piega, che proprio non mi piaceva.

«Non parlare di cose che non sai». Non riuscii a nascondere l’irritazione. «Lui è.. giusto, per lei».

«Mh, e da quando lo sopporti?».

Considerai l’ipotesi di mandarla all’inferno, ma ero grata che l’attenzione si fosse spostata dalla mia assenza la sera precedente. Stavo ancora decidendo se ero una totale idiota o solo molto disperata, non avevo bisogno di altri giudizi. 

Ancora non riuscivo a credere di aver baciato Zayn. Due volte.

Ed esserci andata a letto, mi ricordò il mio subconscio.

«Non è che lo sopporto», mi giustificai. «Senti, non lo so. In qualche contorto e malato modo, non dico che sono anime gemelle o sciocchezze simili, ma non riescono a starsi lontani. La conosco bene e, anche se a volte preferirei di no, conosco bene anche Harry».

«Come vuoi», tagliò corto.

***

SPAZIO AUTRICE:
Uaaalalalala, amatemi, stavolta sono in anticipo.
Sì perché ultimamente sto scrivendo come una sorta di macchinetta senza freni, quindi sono impaziente di farvi leggere i prossimi capitoli.
Ho anche elaborato(?) un..come posso chiamarlo.. Un cast, diciamo. Sì, gli attori che ho immaginato per la storia, e adesso ho tipo la testa piena di queste immagini continue. :)
Passiamo ai ringraziamenti.
Prima di tutto i miei amorini, ila and anny, stylesmadness, Alice Styles e Devil Night
Ma anche tutti gli altri che hanno inserito la storia in qualche categoria e la stanno leggendo, pian piano state aumentando e mi fa veramente un gran piacere.
Ah, e poi imploro qui - spero legga - quel tesoro di JaymeR di aggiornare la storia, perché sto impazzendo.
Ora, un bacione a tutti, quanti e buona serata. Alla prossima. <3

#Allie

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Capitolo 20
*** Twenty ***


20. TWENTY

 

Haley’s POV

Il campanello tintinnò in cima alla porta quando Harry la aprì per me. Subito fummo investiti da un’ondata di calore e dalla musica alta del locale. Sembrava un pub, non l’avevo mai visto prima e per arrivarci avevamo impiegato una buona mezzora.

Harry appariva a suo agio, e capii dal modo sicuro in cui si mosse fino al tavolo sul lato est della stanza che c’era già stato. Il tavolo in questione era occupato da almeno una dozzina di persone.

Riconobbi il ciuffo rosso di Gordon, e seguirono Trevor, Colin e qualcun altro. C’era anche Lilith, la ragazza di Trevor e fu proprio di fianco a lei che decisi di sedermi quando Harry prese posto tra due suoi amici, senza preoccuparsi di mettermi in imbarazzo. Nessuno sembrava sorpreso di vedermi né aver colto qualche cambiamento tra me ed Harry. D’altronde perché avrebbero dovuto, dato che si stava comportando come niente fosse.

Lilith mi rivolse un sorriso luminoso, che accese i suoi lineamenti asiatici.

«Ehi, Haley. Come te la passi?».

«Piuttosto bene, e tu?».

Accettò il bicchiere che Trevor le porgeva e ne prese un sorso prima di rispondere. «Alla grande. Sei qui per sentire i ragazzi suonare, immagino».

«Veramente Harry non mi ha detto perché siamo qui».

Come sempre, aggiunsi mentalmente.

«Provano sempre qui, la settimana prima dei concerti», mi spiegò.

Aggrottai la fronte. «E saltano la scuola?».

Per qualche ragione scoppiò a ridere, ridere di gusto. Guardai incuriosita i tatuaggi sui suoi avambracci mentre si reggeva al tavolo per non cadere all’indietro, dondolandosi sulla sedia. Erano così fitti e diversi tra loro, alcuni neri, altri colorati. Non riuscivo a immaginare perché una ragazza dovesse sentire il bisogno di conciarsi in quel modo.

Volevo chiederle perché stesse ridendo, ma Trevor e gli altri si alzarono e salirono sul piccolo palco, lasciando vuoti più della metà dei posti.

Sbirciai con la coda dell’occhio verso Harry, per vedere se si sarebbe avvicinato, ma non lo fece.

«Era un po’ che non ti si vedeva in giro», osservò la ragazza.

Mi mossi sulla sedia a disagio, cercando di rivolgerle un sorriso il più sincero possibile. Come spiegarle che, per un po’, avevo smesso di essere il cagnolino da compagnia di Harry?

Un cane da compagnia Haley, sul serio?

La musica proveniente dalle casse sparse un po’ ovunque venne spenta per lasciar iniziare i ragazzi.   

Il primo ad attaccare fu il batterista, che diede il via alla prima canzone. Il brano mi era familiare, la mia mente riportò alla memoria i pomeriggi passati in compagnia di Harry nel garage di Trevor.

Lilith batteva le mani a tempo di musica, con un sorriso che si specchiava in quello del suo ragazzo, il quale sembrava cantare soltanto per lei. Erano davvero dolci, anche se non riuscivo a trovare niente di romantico in quella musica rabbiosa. L’amore che cantavano era qualcosa di forte, meschino, distruttivo, a cui non si sopravvive senza restarne feriti.

I miei occhi cercarono involontariamente quelli di Harry. Stava parlando con un ragazzo biondo ma il suo sguardo incontrò quasi subito il mio. Avvertii qualcosa esplodere dentro il mio stomaco e, come una stupida timida adolescente, interruppi il contatto arrossendo.

Un ragazzo dai capelli ispidi e rossicci che mi pareva chiamarsi Tyler, si sporse verso Lilith con un ghigno.

«Andiamo, non vorrete farmi venire il diabete?», la provocò. «Se non sapessi di per certo che scopate come conigli penserei che Trevor è diventato gay».

Tutti i presenti risero, Harry compreso. Realizzai solo allora che, prima che arrivassimo, Lilith era l’unica ragazza lì in mezzo, ma ciò non sembrava metterla a disagio.

Lei non distolse lo sguardo da quello del fidanzato, tuttavia sorrise all’amico.

«Brutta bestia l’invidia ragazzi».

«Invidia?», continuò Tyler. «Certo, siamo molto invidiosi del fortunato Trevor che non può farsi chi vuole, quando vuole, mentre prima di domattina noi ci avremo dato dentro con almeno tre ragazze diverse».

Lei scosse la testa, ma li lasciò ridere. «State spaventando Haley coi vostri discorsi da maschi sessisti», li rimbeccò.

«Oh, ma Haley ci è abituata, non è vero Harry? Scommetto che forse le hai anche insegnato qualcosina..».

«Chiudi quella bocca», Harry parlò duramente. Sembrò accorgersi di quanto strano fosse parso a tutti il suo modo brusco, quindi si sforzò di sorridere, come avesse voluto intendere “così, tanto per dire”.

E funzionò, perché allora l’amico proseguì. «State dicendo che non avete mai fatto sesso?».

Harry sbuffò. «Perché avremmo dovuto?».

«Non lo so amico.. tu sei un uomo, e lei è una donna». I suoi piccoli occhi vuoti si fermarono all'altezza del mio petto.

«Un’osservazione davvero brillante», intervenni acida. «Uomo più donna uguale sesso. Solo perché due persone si frequentano non significa che..».

Mi resi conto di quello che avevo appena detto, gli sguardi di tutti erano puntati su di me.

Harry aveva gli occhi fuori dalle orbite, la mano bloccata a mezz’aria.

«Voi due vi frequentate?», Tyler era sul punto di soffocare per le risate.

Aprii la bocca, ma Harry mi precedette.

«No», il suo tono era strano. «Era un fottuto esempio».

L’aria intorno a noi sembrò alleggerirsi, ma non quella che gravitava tra me ed Harry.

Aveva negato. Aveva negato davanti ai suoi amici.

Perché diamine continuavo ad essere così stupida? Lui era Harry Styles, aveva la sua maledetta reputazione da mantenere.

Mi alzai in piedi e subito sentii gli occhi di Harry addosso.

«Vado in bagno», risposi all’occhiata interrogativa di Lilith.

Una volta al riparo da qualsiasi tipo di attenzioni da parte degli amici di Harry, mi permisi di lasciarmi andare contro le piastrelle fredde della parete.

Se avessi potuto mi sarei presa a sberle da sola, mi sentivo così umiliata.

Che cosa stavamo facendo? Che cosa stavo facendo. Sì, perché la colpa era mia, sapevo bene con chi avevo a che fare, l’avevo sempre saputo. Lui non aveva storie serie, con nessuna. L’avevo capito la prima volta che ci avevo parlato, a quella festa, nello stesso momento in cui avevo deciso che qualsiasi sentimento, seppur lieve, che nutrivo verso di lui, andava seppellito. E l’avevo fatto davvero bene, fino ad allora.

Lo compresi solo in quell’istante, lontana dall’influenza dei suoi occhi magnetici, che era troppo tardi.

A me importava di lui più di quanto a lui importasse di me, lo sapevo anche prima di tutto questo certo, ma ora era diverso. Perché non si trattava più del suo sottovalutare la nostra amicizia e basta.

Mi stavo innamorando.

Qualcuno bussò delicatamente alla porta, riportandomi alla realtà.

«Haley, va tutto bene?», domandò Lilith dall’esterno. «Sei lì dentro da un po’».

Aprii la bocca un paio di volte, non ero sicura di come sarebbe uscita la mia voce.

Non mi ero accorta fosse passato tutto quel tempo.

«Sì, sto arrivando scusa».

Tirai un profondo respiro e uscii. Mi accolse con un sorriso caloroso prima di prendermi a braccetto.

«Sul serio, non far caso alle stronzate di Tyler e gli altri, sono solo degli idioti».

«Non importa», la rassicurai.

Tesi le orecchie in ascolto non appena delle familiari note introdussero una nuova canzone.

«Ma.. questa canzone! Non sono i Fall Out Boy?».

«Sì, i ragazzi suonano molte cover. Non credevo li conoscessi».

«Scherzi? Sono fortissimi».

La sua espressione era sinceramente incredula, sicuramente avrebbe detto fossi più il tipo da musica barocca e cantanti lirici.  Il che non era del tutto errato, ma talvolta mi piaceva sperimentare nuovi generi.

Fece per dire qualcosa, ma il suo sguardo si fermò in punto preciso, il sorriso le morì sul volto.

Nel frattempo la voce di Trevor riempì le casse, i bassi mi rimbombavano nel petto.

« Say my name and his in the same breath, I dare you to say they taste the same ».

Mi guardai intorno spaesata, alla ricerca di ciò che aveva così intensamente turbato Lilith.

« Let the leaves fall off in the summer, and let December glow in flames ».

Eravamo ormai vicine al tavolo e impiegai qualche secondo a capire che era proprio lì che guardava.

Seguii il suo sguardo impazientemente.

Sentii il respiro venire risucchiato via, il cuore diventare un immobile pesante macigno.

Per un momento sperai di aver visto male, ma ero sicura di non starmi immaginando la ragazza seduta sulle ginocchia di Harry, che proprio in quel momento gli sussurrava all’orecchio qualcosa che in tutta probabilità era meglio non udissi.

La mano di lui era appoggiata sulla sua coscia seminuda, e a nessuno sembrava importare o farci caso. C’erano altre ragazze, due delle quali erano sedute al posto mio e di Lilith.

Questa mi disse qualcosa che non riuscii ad afferrare, tutto ciò che mi arrivava alle orecchie erano le parole della canzone ovattate dal rumore del mio cuore che pulsava.

Il ritornello esplose nell’esatto momento in cui i miei occhi incontrarono quelli di Harry.

« I don't care what you think as long as it's about me, the best of us can find happiness in misery ».

Vidi tutti i colori prosciugarsi dal suo volto, le labbra dischiudersi inconsapevolmente.

« I said, I don't care what you think as long as it's about me the best of us can find happiness in misery ».

La ragazza si tirò su, e di nuovo avvertii una scheggia trapassarmi da parte a parte quando riconobbi il suo volto.

«Lilith! Oh, e guarda un po’, la piccola Haley», il modo in cui le parole uscirono dalle sue labbra rosse mi ricordò un serpente a sonagli.

Olivia. La ragazza con cui Harry si era trastullato per maggior tempo, la stessa che era stata anche con Trevor, e qualcun altro. Lei e le sue amiche non facevano esattamente parte del gruppo, ma di tanto in tanto si ritrovavano a uscire con loro.

«Che c’è, non si saluta più una vecchia amica?».

«Per quanto mi riguarda non siamo mai state amiche». Il tono rigido di Lilith mi sorprese.

«Woah, ritira gli artigli Shanghai. Che razza di benvenuto, meno male che c’è qualcuno disposto a scaldare l’atmosfera, altrimenti qui si gelerebbe», soffiò facendo le fusa verso Harry.

Mi sembrò che i piedi si muovessero da soli, perché quando mi ritrovai fuori, in mezzo alla pioggia scrosciante, non ricordavo come ci fossi arrivata.

Mi fermai, rendendomi conto che non avevo idea di dove andare né di quanto lontano da Holmes Chapel ci trovassimo.

L’aria gelida mi frustava il viso e i capelli. La porta del pub si spalancò di colpo.

«Haley, ferma!», il suo viso era arrossato nello sforzo di sovrastare l’urlo del vento.

Mi fermai, non perché non avessi nessun modo per andarmene, ma perché volevo sentire quello che aveva da dirmi. Me lo doveva.

Sembrò sorpreso quando mi voltai, ferma sui due piedi, di certo non si aspettava che gli dessi ascolto.

«Cos’altro vuoi da me, Harry?», stavo urlando più forte di lui.

Alzò le braccia esasperato. «Si può sapere qual è il tuo problema?».

Per fortuna eravamo gli unici pazzi sotto quell’acquazzone, altrimenti avremmo dato un bello spettacolo.

«Scusami?», avrei voluto gridare più forte, per riversare ancora più rabbia su di lui, ma stavo utilizzando gran parte delle energie per non piangere di nuovo.

«Quale sarebbe il mio problema? Dici che mi vuoi, fai tutti quei discorsi, mi cerchi ogni volta riempendomi con le tue merdate e un attimo dopo torni lo stronzo che sei, e poi questo!».

Ero stupita dalla severità delle mie stesse parole, ma fui contenta di vedere che l’avevano colpito come desiderato.

«Lei non significa un cazzo, mi si è spalmata contro da sola!».

«Certo, per questo non l’hai mandata via. Che terribile dispiacere, povero Harry in trappola!».

Il mio duro sarcasmo lo fece innervosire.

«Non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio, tantomeno a te!».

Per un momento le sue parole mi lasciarono tramortita, come il veleno di un pericoloso predatore.

«Già», la voce mi uscì fievole. «Peccato che me ne sia accorta soltanto adesso».

Per una volta sembrò a corto di parole, e riecco quell’increspatura sulla fronte.

«E questo che cosa dovrebbe significare?».

Sospirai, esausta. «Che non importa quante volte proveremo a fingere, tu non vai bene per me». Qualcosa gli attraversò lo sguardo, qualcosa di molto simile al dolore. «E io non vado bene per te».

Cercò di prendermi la mano, ma mi scostai.

«Non parli sul serio», sapevo che la sua voce non era controllata quanto avrebbe voluto.

«Sì, invece. L’ho capito, sai? Non sono così cieca da non vedere che ti vergogni».

«Che?».

«Non vuoi che nessuno sappia di noi, non vuoi che i tuoi amici lo sappiano».

Cercai con la mano il telefono in un gesto meccanico, ma ricordai di averlo lasciato nello zaino a casa di Harry, appena prima di venire qui. Fantastico.

Vidi Lilith comparire sulla soglia, così presi a camminare verso di lei. Dovevo andarmene di lì.

«Non è così», lo sentii dire, ma non mi fermai.

Rivolsi a Lilith un sorriso di scuse. «Hai un telefono? Vorrei chiamare un taxi».

«Non qui, ma posso portarti a casa io se vuoi».

Non sapevo che dire. Odiavo dovermi approfittare di lei, ciononostante non avevo mai avuto bisogno di un passaggio come in quel momento.

«Io.. Non è un problema per te?».

«Dove stai andando?».

Harry mi aveva raggiunto sotto la tettoia. Mi afferrò per il braccio, ma me lo scrollai di dosso.

«No di certo, avverto Trevor e arrivo», disse Lilith prima di sparire all’interno.

Fui costretta a voltarmi di nuovo, maledicendo l’enorme differenza tra la sua forza e la mia.

«Rispondimi».

«Da che pulpito!».

Con i denti si torturava l’estremità del labbro inferiore. «Non puoi andartene e basta».

«Oh, posso eccome ed è proprio quello che farò».

Avevo deciso di cambiare strategia e smettere di urlare, più per necessità che per vero e proprio autocontrollo.

Non si poteva dire lo stesso di lui. «Lo vedi come sei? Te ne vai fottutamente sempre».

«Continui a ripeterlo, continui a dire che me ne vado ma non ti chiedi perché».

«Allora spiegamelo», la sua voce spezzata rendeva più faticoso mantenere la mia posizione.

Distolsi l’attenzione dal suo viso, per non cadere nel tranello. Sotto a quella finta vulnerabilità doveva esserci qualche altra arma letale pronta per essere usata, ci avrei scommesso.

«Mi tengo lontana dalle cose che mi feriscono».

Non mi riferivo solo a lui, principalmente, ma non solo.

«Non voglio essere una di queste cose».

«Già». Finalmente vidi Lilith uscire con le chiavi dell’auto in mano. «Non sempre le cose vanno come si vorrebbe».

La ragazza guardò prima me poi Harry con l’aria di una che la sapeva lunga.

«È un brutto momento? Posso tornare den..».

«Sì, torna dentro», disse Harry senza levare gli occhi dai miei.

Fui io a staccarli per prima. «No, possiamo andare».

Lilith ricevette un’occhiata di fuoco da parte di Harry, ma non si lasciò intimidire.

«Forza», disse e la seguii fino alla macchina.

Harry ci rimase alle calcagna, continuando a chiamarmi invano.

Si mise in mezzo per impedirmi di chiudere la portiera quando stavamo per partire.

«Haley ti prego».

I capelli, neri e bagnati, sprigionavano grosse gocce sul suo viso, come le lacrime che non avrebbe mai versato, né per me né per nessun altro.

«Parlami almeno, ma non andartene».

«Non ho più niente da dirti».

Strinse la portiera tra le mani quando tentai di nuovo di chiuderla. «Ma io sì, devi ascoltarmi».

«Perché non torni da Olivia?», quel nome aveva un sapore strano nella mia bocca.

«Smettila».

«Sì, subito».

Approfittai del suo stato confusionario per spingerlo indietro e chiudere la portiera.

Bloccai la sicura appena in tempo, perché subito ripartì all’attacco.

Lilith si affrettò a mettere in moto, l’auto prese vita con un rombo. M’impedii di guardare verso Harry che continuava a imprecare, battendo le mani contro il finestrino.

I secondi mi sembrarono durare un’infinità prima che cominciassimo ad avanzare. Non riuscii a evitare di girare la testa per assicurarmi che non si fosse fatto male.

Supponevo sarebbe stato meglio non farlo, quello che non immaginavo era di trovare un paio di occhi disperati dall’altra parte del vetro. Sentii i polmoni svuotarsi dell’aria quando le sue labbra pronunciarono il mio nome ripetutamente, l’istinto mi urlava di scendere lì e correre da lui.

Ma avevo già avuto molteplici prove di quanto il mio istinto fosse ingannevole, specialmente quando si trattava di quel ragazzo.

Lilith accelerò e presto Harry fu costretto a fermarsi, non prima di aver colpito il mio finestrino con un pugno violento.

«Mi dispiace davvero», dissi quando la sagoma di Harry fu completamente sparita dalla nostra vista. «Non volevo trascinarti in mezzo a questa cosa, lui è tuo amico».

«Non più di quanto lo sia tu».

Mi lasciai andare contro il sedile, rivolgendole un sorriso stanco ma sincero. «Grazie».

Sperai che cogliesse veramente tutta la gratitudine nei suoi confronti, davvero non avrei saputo come fare altrimenti.

«Quindi è vero», esordì. «Tu e lui».

Scossi la testa impercettibilmente, mi sentivo prosciugata di tutte le energie.

Seguii il ritmo regolare del tergicristalli per un po’ prima di rispondere. «No. Eravamo amici, e adesso neanche più quello».

«Non penso siate mai stati soltanto amici».

Serrai gli occhi, Brit aveva detto esattamente la stessa cosa.

«Amici con benefici, forse è questo che Harry vuole che siamo. Ma non sono disposta ad essere l’amica con benefici né sua né di nessun altro». Le mie guance si fecero bollenti non appena realizzai di aver dato voce ai miei pensieri.

«Può darsi», disse tranquillamente. «Ma io non mi metterei ad inseguire un’auto per un amico con benefici».

Furono le ultime parole prima che il silenzio calasse.

 ***

«Dove vuoi che mi fermi?».

«Qui va bene», dissi, facendole segno qualche metro prima del viale di casa mia. «Davvero, non so come ringraziarti».

Si limitò a scrollare le spalle, un sorriso gentile sulla bocca stretta.

«Non c’è problema».

Restare da sola non mi giovò quanto pensavo. Senza nient’altro con cui tenersi occupata la mia testa era libera di vagare quanto le pareva, torturandomi. Mi concentrai quindi sui compiti, l’unica cosa che riusciva a prendermi sul serio.

Karen tornò appena un paio d’ore dopo, come sempre in compagnia di almeno due sportine del negozio.

«Haley? Che stai facendo qui?».

«Sono uscita prima», mentii. Non sapevo quello che i miei le avevano detto riguardo la loro separazione, quindi decisi di tenere nascosta la verità per il momento.

«No, intendo.. Dovresti essere di sopra a preparare le tue cose».

Studiai il suo viso rotondo disorientata. «Che vuoi dire?».

«Tua madre ha detto di averti lasciato un messaggio. Tra meno di mezz’ora verrà qui, a prenderti».

Accidenti. Dovevo assolutamente recuperare il mio cellulare.

«Vuoi dire che ci trasferiamo? E dove?».

«Questo non lo so. Avanti andiamo, ti aiuto a fare i bagagli».

Ci affrettammo in camera mia a preparare le valigie e, poco dopo, mia madre si presentò puntualissima.

Con la parte di soldi che le spettava era riuscita a trovare una casa in periferia, molto più piccola di quella vecchia e con un giardino trascurato. L'intero edificio era in mattoni rossi, la maggior parte consumati dal tempo, con una piccola veranda in legno situata direttamente nel porticato. La facciata nord era quasi interamente ricoperta di edera che oscurava un paio di finestre, ma trovavo che le donasse un tocco di mistero niente male.

Ci concedemmo del tempo per guardarci intorno una volta dentro. Abituarsi non sarebbe stato semplice, dopo aver vissuto per tutto quel tempo in una villa a tre piani.

«C’è solo un bagno e non è un granché, lo so ma..».

«Andrà bene», la rassicurai abbracciandola.

Più tardi, quando ci fummo sistemate del tutto e dopo aver dato una ripulita, ordinammo una pizza per cena.

Sapevo già che avrebbe approfittato di quel momento di tranquillità per parlare, perciò quando lo fece non mi trovai impreparata.

«Ho fatto un resoconto della situazione, in questi giorni». Mentre parlava continuava a torturare le croste di pizza rimaste nel cartone. «Togliendo i soldi per la casa non ci è rimasto molto, e dobbiamo risparmiare finché non troverò un lavoro. Siccome ho esperienza nel settore ho pensato..».

«Mamma», la fermai. «Possiamo chiedere a papà di aiutarci».

I suoi occhi marroni guizzarono verso le dita lunghe e magre. Mi lanciò un’occhiata ma non disse nulla.

«Cosa?», incalzai.

«Se n’è andato, Haley».

Annuii. «Lo so, sta concludendo quegli affari che avete lasciato in sospeso, ma quando tornerà..».

«Amore», il suo tono non era mai stato più indulgente. «Lui non tornerà».

Potei leggere chiaramente la compassione nei suoi occhi mentre la maschera di serenità che avevo creato si sgretolava davanti a lei.

«Che vuoi dire? Lui abita ancora qui».

«Non per molto. Venderà la casa e lascerà la città a breve».

«E il lavoro? L’impresa è stata.. Oh».

Realizzai da sola tutto ciò che nelle ultime settimane mia madre aveva evitato di dirmi.

Le dimissioni erano solo per lei, l’azienda esisteva ancora. Quel nuovo inizio era solo per noi due.

«Lui.. non ha mai voluto avermi con sé, non è vero?».

Guardò altrove, sperando forse che il bagnato agli angoli degli occhi passasse inosservato.

«Non è per te, H. Lui ti vuole molto bene, ma non avrebbe potuto essere un buon genitore. Non ci sarebbe stato praticamente mai».

«Perché invece in tutti questi anni è stato molto diverso, non è vero?­».

Mi pentii delle mie parole appena dopo averle pronunciate. Il dolore era ben visibile nel suo sguardo, ma era quello che pensavo.

«Sto cercando un lavoro il più vicino possibile».

Sentii un fiume di parole pizzicarmi la lingua, quindi mi limitai ad annuire. Sapevo di essere nervosa anche per ciò che era successo con Harry e non volevo che la mia lingua lunga la ferisse ancora. Dopotutto non potevo prendermela con lei, se mio padre era uno stronzo. Se Harry, era uno stronzo.

Decisi di andare a letto presto e nel frattempo pensare a un modo per recuperare la mia roba a casa di Harry. Dopo la mia fuga disperata non potevo semplicemente presentarmi da lui con la coda tra le gambe, non importava quale fosse la ragione.

Mi tormentai con pensieri alternati tra questo, mio padre, il nuovo lavoro ancora inesistente di mia madre, finché vinta dalla stanchezza, non mi addormentai.

***

SPAZIO AUTRICE:

Salve a tutti, spero abbiate passato delle belle festività. Non mi dilungherò molto, ci tenevo solo a capire se il capitolo precedente non vi fosse piaciuto, visto che ha ottenuto soltanto tre recensioni (ne approfitto per ringraziare quelle tre persone che mi riempiono sempre di felicità con le loro parole <3). In ogni caso spero che questo vi piaccia di più, un bacio a tutti voi che leggete. A presto x

#Allie

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Capitolo 21
*** Twenty One ***


21. TWENTY ONE

Britney’s POV

«Qualcuno può spiegarmi dove diavolo è Jennifer?», la mia voce zittì il chiacchiericcio delle ragazze all'interno della palestra. «Siamo in dodici, senza di lei la coreografia non si può fare».

«Ne servono tredici».

Un piccolo sorriso affettato mi si congelò in faccia. «Grazie, Lindsay».

«Non può ancora muoversi», spiegò.

Tirai un respiro profondo, contando mentalmente fino a dieci prima di incenerirle tutte. Avevamo meno di un mese prima della trasferta per il torneo a Chester e dovevamo essere assolutamente pronte.

«E quanto tempo pensi che la terrà ferma una minuscola slogatura al polso?», la mia voce incredibilmente sottile, le labbra tirate.

«Veramente era una microfrattura, alla caviglia».

Strinsi i pugni l’uno contro l’altro, le mie guance erano così tese che avrebbero potuto strapparsi. Tutte le ragazze mi fissavano timorose.

«Già», ripresi. «E dato che sei così illuminante oggi... Che ne dici di proporre una soluzione decente?», la mia voce esplose alla fine della frase.

Camminavo avanti e indietro davanti a loro, le mani puntate contro le tempie. Il cheerleading era l’unica cosa decente in quella scuola del suicidio, e anche l’unica che rendeva quasi irrilevanti i miei voti insoddisfacenti.

Non c’era tempo per reclutare una novellina che a malapena sapesse cosa fosse una rondata e insegnarle tutto daccapo.

«Potremmo riadattare la coreografia», propose lei.

Immagini di me che le sbattevo ripetutamente la testa contro il muro mi scivolarono davanti agli occhi. No. Non avrebbe sicuramente giovato a nessuno, non sarei riuscita a rompergliela e avrei ottenuto soltanto un’altra cheerleader infortunata. O comunque con la faccia ammaccata, il che equivaleva a un disastro.

Avanti Britney pensa, pensa a qualcosa di sensato..

«Uhm, Britney?».

«Cosa?», sbottai.

Avevano tutte gli occhi fissi dietro le mie spalle, e dalle loro espressioni non ci volle un genio per intuire chi stava arrivando.

Harry si avvicinò, con la sua aria da eterno incazzato che non aiutava a tenere concentrate le mie ragazze. Dovetti mordermi la lingua per non far notare a Lindsay che stava lavando il pavimento con la sua bava.

«Che vuoi adesso? Haley non è..». Una lampadina si accese nella mia testa. «Haley. Ma certo, accidenti che idiota! Ah, Dio esiste. E ora levati Harry, se ti serve puoi aiutarmi a cercarla».

Si accigliò. «Veramente cercavo te».

«Che? Adesso non posso, come vedi sono impegnata».

Sbuffò e lanciò un’occhiataccia a Tina e Loren, che subito distolsero lo sguardo imbarazzate. «Si tratta di Haley».

Alzai gli occhi al cielo. «Non mi dire».

Valutai la possibilità di mandare a farsi fottere lui, i suoi comportamenti da coglione e l’infinità di casini che gli procuravano.

«D’accordo, ti ascolto», dissi invece.

Il suo sguardo torvo si fermò sul gruppetto di liceali in piena crisi ormonale che era diventata la mia squadra.

«Non con le tue amichette che continuano a fissare», bofonchiò.

Levai gli occhi al soffitto, per la seconda volta nel giro di un minuto. Mi mancavano i tempi in cui Harry ed Haley erano solo due amici troppo amici, causavano meno rotture.

«Cinque minuti di pausa, non un secondo di più», abbaiai.

Quando anche l’ultima fu sparita dentro lo spogliatoio, mi rivolsi a Harry.

«Ho..».

«Hai fatto un casino», recitai al suo posto.

«Non era quello che intendevo!». Mi seguì sulle tribune aggirando il campo da basket. «Beh, sì».

Sorrisi compiaciuta e mi sedetti,  accavallando le gambe. «E a me dovrebbe interessare perché..?».

«Perché devi aiutarmi, cazzo. Non vuole parlarmi, non risponde nemmeno al telefono, è spento».

«Che hai fatto?».

Si prese qualche secondo prima di rispondere. Potevo quasi sentire le rotelline del suo cervello attivarsi per rendere meno brutta la versione dei fatti. «Ieri mi sono comportato da stronzo quando eravamo con Trevor, Colin e gli altri e.. E poi è arrivata Olivia, che mi si è attaccata come una sanguisuga».

«In che senso ti sei comportato da stronzo?».

Aprì la bocca per sputare qualche insulto, ma poi prese la saggia decisione di richiuderla. Dopo qualche secondo di incertezza, si decise a raccontarmi l’esatto svolgimento della vicenda.

Mi detti qualche secondo per assimilare la confessione.

«Sei ufficialmente uno stronzo», conclusi. Adesso si spiegava il suo comportamento strano di quella mattina.

«Così sì che sei d’aiuto».

Non credevo di non averlo mai visto così agitato e, onestamente, provavo pietà per lui.

«Prima di chiedere il mio di aiuto, prova a imparare ad aiutarti da solo. E ora spiegami, per quale motivo dovrei farlo?».

«Beh perché... Arrivo, un secondo!», rispose ai compagni che lo richiamavano all’allenamento. «Perché te l’ho chiesto, ad esempio».

«Molto democratico da parte tua».

Sospirò e lanciò l’ennesima occhiata apprensiva verso il campo. Sbaglio o qualcuno aveva paura che il coach s’infuriasse? D’altro canto era la prima volta che lo vedevo lasciare tutto nel bel mezzo di un allenamento, e non potei che apprezzarlo.

«Almeno dimmi perché diavolo avresti fatto una cosa simile».

«Non lo so! Perché sono un cazzone, suppongo».

Strinsi gli occhi. «Su questo non ci piove. Credo che abbia a che fare col fatto che davanti ai tuoi amici questa cosa si amplifica. Puah, con quella sgualdrina di Olivia poi?».

«Ho detto che non me ne fotte un cazzo! Non lo so perché non me la sono tolta di dosso».

Scossi la testa, reprimendo un sospiro frustrato. Era un coglione, ma non potevo negare che a lei ci teneva.

«Cosa vorresti che facessi?», gli chiesi.

Smise per un attimo di torturarsi l’orlo della canotta e alzò la testa.

«Uhm, potresti.. Tipo dirmi quando potrei parlare con lei, senza che se ne vada?».

Vidi con la coda dell’occhio le ragazze tornare pian piano in campo. «Che? Non sono la sua babysitter, se non vuole ascoltarti non posso impedirglielo!».

Ero irritata perché mi stava facendo perdere tempo, ma anche divertita da questa strana versione impacciata di Harry. Mi fissò di rimando come se non avesse sentito le mie ultime parole.

Sbuffai e presi a digitare sul mio cellulare.

«Che stai facendo?».

«Sta zitto, e vai a questo indirizzo dopo la scuola. Abita lì adesso, farò in modo che sia lì per quell’ora».

«Sul serio lo farai?». Il suo viso perse per un momento quell’espressione scontrosa.

Ricambiai la sua occhiata senza preoccuparmi di mascherare il divertimento.

«Sì, non è chissà cosa».

Sospirò sollevato e si alzò per tornare in campo. «Grazie a Dio».

«No, grazie a me».

Voltò appena il viso indietro, e quando lo fece, la sua bocca era dipinta in un ghigno.

*** 

Haley’s POV

«Così è questa?». Il disgusto sul volto di Britney cresceva di secondo in secondo. «Mi rincresce dirtelo così tesoro, ma è orribile», commentò ispezionando la mia nuova stanza.

«Non è orribile», la difesi. «Solo.. è un po’ più piccola e vissuta».

Non era così male, se si escludevano le bolle nel legno del pavimento e qualche macchia sui muri bianchi. Ero sicura che dopo averla riempita un po’ e personalizzata magari, sarebbe stata molto più carina.

«Dì pure vecchia».

Il suo sguardo si fermò sulla sottile crepa nera che spuntava da dietro l’armadio. Arricciò il naso.

«Lo sai vero che puoi ancora stare da me?».

Ridacchiai, solo lei riusciva a mettere una buona dose di premura e una altrettanto consistente di malignità nella stessa frase. «Grazie, ma resterò qui. Credo che mia madre stia tentando di riavvicinarsi e..».

Qualcuno bussò alla porta. Britney batté le mani e le strofinò.

«Bene, il mio lavoro qui è finito. Per ora».

«Cosa? Ma che..?».

Quando aprì la porta della mia stanza rimasi paralizzata nel riconoscere Harry.

«Cerca di essere un po’ meno.. beh, tu», la sentii sibilargli all’orecchio.

«Ma che sta succedendo? Perché lui è qui?».

Brit intanto era già a metà della rampa di scale. «Colpa mia».

«Perché l’hai portato qui?», ruggii.

«Io sono proprio qui fuori. Se vi serve qualcosa, non chiamatemi», urlò a sua volta.

Udii la porta d’ingresso sbattere poco dopo.

Harry aprì la bocca per parlare ma lo sorpassai.

«Non voglio parlare con te».

E per rendere più credibili le mie parole scesi al piano di sotto, sperando che mi seguisse soltanto per andarsene. O forse non quello che speravo, ma ciò che era meglio facesse.

«Infatti, ma devi solo ascoltare».

Soppesai per un momento le due opzioni che avevo davanti. Potevo sbraitargli contro affinché mi lasciasse in pace, ma ero certa che non l’avrebbe fatto senza prima fare una scenata e sarei finita col piangere, ancora. Altrimenti, presi in considerazione l’idea di lasciarlo parlare e sorbirmi un altro po’ delle vili giustificazioni che aveva preparato per me. Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti sul divano, a braccia incrociate.

«Oh, grazie», disse.

«Ancora non capisco perché ti prendi tanto disturbo», mentre parlavo evitavo di guardarlo, perché una rapida occhiata appena l’avevo visto sulla soglia, mi era bastata per cogliere i jeans a vita bassa e la maglietta nera che gli aderiva al petto in quel modo dannatamente perfetto...

Per l’amor del cielo Haley, finiscila.

«Cosa? Come fai a non capirlo?».

Alzai le sopracciglia interdetta. Doveva starsi prendendo gioco di me, eppure non captai nessun segno d'ilarità nei suoi occhi.

«Come non faccio a non capire cosa Harry? Cosa dovrebbe suggerirmi il tuo comportamento da stronzo, se non che non ti importa niente di nessuno a parte te stesso!?».

Non avevo programmato di scaldarmi in quel modo, ma ormai la rabbia era in circolo.

«Non sono stato solo uno stronzo con te. Cazzo Haley, sei la persona con cui lo sono meno, se qualcosa!».

«Allora devi seriamente lavorarci sopra, perché non è che ti riesca molto bene».

E rieccoci a urlarci di nuovo contro, evidentemente il giorno prima non gli era bastato.

«Lo so e mi dispiace, ma non.. Non so perché, lo faccio e basta».

«Quindi è questa? La tua spiegazione», le parole troppo affrettate perché riuscissi a trasmettergli il totale disinteressamento che avrei voluto. «Tu lo fai e basta».

«Io.. sì, cioè no, no». I capelli vennero scompigliati dalle sue mani nervose. «Dannazione».

Prese a camminare avanti e indietro, le labbra serrate. Questo suo essere inquieto mi era totalmente nuovo e sconosciuto, giustificai con questo il mio improvviso silenzio.

Fermò i suoi passi rapidi proprio di fronte a me e aprì la bocca, soltanto per richiuderla subito dopo.

«Come pensavo», mi sentii dire.

Frenai la delusione prima che crescesse troppo, ricordando a me stessa che era esattamente quello che mi aspettavo.

Quello che non immaginavo invece era che Harry, senza più degnarmi di uno sguardo, girasse i tacchi e se ne andasse.

***

Capii di essere rimasta impietrita a fissare il vuoto solo quando Britney, dopo molti o forse non così tanti minuti, venne a scuotermi dal mio torpore.

Non mi chiese cosa ci fossimo detti, quindi immaginai che in qualche modo ne fosse già a conoscenza, sorprendentemente non m’importava se avesse parlato con Harry.

Aveva reso abbastanza chiaro che non avevamo più nulla da dirci, quindi la questione poteva dirsi chiusa. Noi avevamo chiuso.

Alzai il viso verso quello di Brit, percepivo che si stava trattenendo dal dire qualcosa che avrebbe voluto. La verità era che non avrebbe dovuto farlo venire, ma non avevo né la forza né la voglia di essere arrabbiata con lei. I nostri occhi s’incontrarono per un breve secondo prima che parlasse.

«Non ha la minima idea di quello che sta lasciando andare», sbottò prima di cingermi con le sue braccia.

Mi lasciai stritolare senza dire una parola, confortata dal suo abbraccio come mai prima.

«Stai bene?», sussurrò, il viso seppellito tra i miei capelli.

Stavo bene? Il ragazzo di cui avevo realizzato starmi innamorando appena il giorno prima non solo non ricambiava i miei sentimenti – questo lo sapevo già da tempo e poteva anche starmi bene – ma aveva appena segnato la fine di qualsiasi cosa fossimo mai stati. Perciò no, non stavo affatto bene.

«Ci starò».

«Ne vuoi parlare?».

Annuii, ma invece che di Harry le raccontai di mio padre, le mie parole mi sembravano lontane e riecheggianti, come fosse stato qualcun altro a pronunciarle. Ciò che sapevo colpirla di più era la facilità con cui ne stavo parlando. Mi rendevo conto, non senza un pizzico di senso di colpa, che il dolore per quello che stava accadendo ai miei genitori non era nulla paragonato all’enorme voragine che Harry aveva aperto andandosene.

«Cos’hai intenzione di fare?».

Mi strinsi nella spalle. «Non lo so, troverò un lavoro mio. Magari alla biblioteca».

«Posso chiedere in giro, se vuoi».

Annuii energicamente. «Sarebbe fantastico».

«Quando vorresti…». Il suo cellulare prese a squillare, interrompendola. Alzò un dito prima di rispondere. «Sì?». La voce femminile all’altro capo del telefono sembrava agitata, non riuscivo a distinguere le parole ma avvertivo quanto fossero affannate. «Che cosa? Mi prendi in giro?». Il tono della mia amica si era già alzato di parecchie ottave. «Due mesi e mezzo?! No, adesso non posso chiederle una cosa simile.. Ascolta, va bene. Tienile buone per altri dieci minuti, sto arrivando».

Riattaccò, rilasciando un profondo respiro. «Una rivoluzione cheerleader, il dovere chiama», spiegò dispiaciuta.

«Non preoccuparti, vai».

«Ma tu..».

«Io starò bene», la rassicurai. «Sto bene», mi corressi dopo aver registrato il tono insicuro della mia voce.

Mi studiò, come per accertarsi che avessi detto la verità, entrambe sapevamo che non era così.

«Facciamo così, vado a calmare le acque e poi torno qui».

Sorrisi, alzando gli occhi al cielo. «Brit, no. Ho detto che sto bene, e tu devi occuparti di loro».

«Sei sicura? Devo occuparmi anche di te».

«Sì!». Le mie labbra si tesero nel sorriso più autentico che mi riuscisse. «E non c’è bisogno che ti occupi di me».

Mi guardò ancora una volta senza convinzione, ma si alzò e camminò verso la porta. «D’accordo, allora io vado».

«D’accordo», le feci eco senza smettere di sorridere.

Quando stavo per chiudere la porta, la sua testa s’infilò di nuovo nel vano. «Giuro che mi faccio perdonare».

«Britney, per l’amor del cielo, vai!». Potevo dire dalla sua espressione che era soddisfatta di essere riuscita a strapparmi una risata. Spinsi la porta obbligandola ad arretrare. «Esci, o ti decapito», la minacciai.

Grugnì, ma si mise in salvo appena prima che chiudessi.

«Ti voglio bene, lo sai vero?», la sentii urlare dall’esterno.

Finsi di sbuffare, ma mi godetti quell’impeto di dolcezza. «Anche io», dissi piano.

Ed era vero, dio se lo era. Passava il tempo, diventavamo più grandi e tutto cambiava tranne noi. Era sempre lì, l’unica certezza della mia vita.

Una volta tornata in soggiorno, il mio sguardo venne catturato dalla vecchia tv che giaceva per terra, forse un supplementare della casa. Non ero nemmeno sicura funzionasse, al momento sembrava solo da collegare. Una brevissima occhiata ai cavi sparsi sul pavimento e decisi che non avevo voglia di imparare come si facesse proprio in quel momento.

Un bussare insistente mi distolse dal salire le scale. Dalla mia bocca uscì un lamento misto a un ghigno mentre andavo ad aprire.

«Britney, ti giuro che se sei ancora qui..».

Per poco non mi strozzai quando la figura di Harry si stagliò davanti a me. Non ebbi neanche il tempo di pensare, di dire qualsiasi cosa, quando la sua mano si allacciò al retro del mio collo e le sue labbra si avventarono sulle mie.

Il familiare fuoco prese vita e non potei fare a meno di portare le mani sul suo petto e dischiudere le labbra. La lingua s’insinuò nella mia bocca con impellenza, bisognosa. Emise un suono strozzato nel tentativo di vincere la mia resistenza avvicinare ancora i nostri visi. Premette duramente il corpo contro il mio facendoci arretrare, le sue braccia mi stringevano così forte che se avessimo potuto, ci saremmo fusi in una cosa sola.

Mi risvegliai all’improvviso e premetti le mani contro di lui.

«No», gemette prima di cercare nuovamente le mie labbra. «Ti prego».

Lottai contro la parte irrazionale che gridava di dargli ascolto e feci un passo indietro. Strinsi le labbra in una linea sottile, come per cancellare quello che era appena stato.

«Lo so che mi vuoi», la sua voce era instabile, quasi disperata e faticavo a riconoscerlo.

I suoi occhi vagarono in cerca dei miei, ma trovarono una barriera a scoraggiarlo. Barriera che non aveva idea di quanto sottile fosse.

«Qui non si tratta di me che non voglio te».

Eliminò la distanza che avevo creato, mi prese il volto tra le mani, i pollici a sfiorarmi le guance. «Pensi che non ti voglia?».

«Non sto parlando dal lato fisico».

Non ero così ingenua da pensare che non mi trovasse attraente, in qualche modo. Me l’aveva dimostrato più di una volta, ma non era questo il punto.

«Haley», pronunciò il mio nome lentamente. «Non è così. Io ti voglio, in tutti i sensi».

Nonostante quella frase sarebbe dovuta suonare dolce, non riuscii a non pensare al suo lato meno innocente. Arrossi scacciando dalla mia mente gli stupidi pensieri perversi.

I suoi occhi mi scavarono dentro, improvvisamente le mie ginocchia erano diventate molli. «Ti voglio così tanto. Più di quanto abbia mai voluto qualcosa in vita mia, io..». Restai col fiato sospeso, come se dalla fine della frase dipendesse il mio prossimo respiro. «Ho bisogno di te».

Il suo pollice prese a scorrere sul mio labbro inferiore, sul naso, sulle palpebre. Appoggiò delicatamente la fronte alla mia, gli occhi socchiusi. «Che cosa mi hai fatto, Haley Grantham?».

«Non possiamo baciarci e tutto quanto e poi comportarci fuori come se niente fosse. Io non posso farlo».

«Lo so», sospirò. «Dammi un’altra possibilità. Ci sto lavorando, non sono abituato a.. questa roba». Fece una smorfia.

«Vuoi dire relazioni», nascosi un sorriso.

Alzò gli occhi al soffitto, ma le sue labbra si piegarono all’insù.

Mi voleva. Forse non era quello che di solito ci si aspetterebbe da un ragazzo, ma per me era abbastanza, mi sarebbe andato bene, per il momento. Non avevo più nemmeno la forza di stargli lontana.

Sembrò notare solo in quel momento tutto ciò che ci circondava, la casa, i mobili. Passò in rassegna ogni particolare, e i suoi occhi si animavano di divertimento ogni secondo di più.

«Carino questo posto», mi prese in giro.

Sbuffai. «La volete smettere tutti quanti? Non è così brutto qui. Dobbiamo solo trovare il tempo di dare una riverniciata alle pareti, e magari aggiustare l’intonaco in due o tre punti, e poi…».

La mia voce sfumò quando mi accorsi che non mi stava più ascoltando, il suo sguardo era incollato alle mie labbra. Fece un passò verso di me, proprio quando il rumore di una chiave che girava nella serratura preannunciò l’entrata di mia madre. Realizzai troppo tardi che avevamo largamente superato il limite della distanza tra due semplici amici, infatti il suo sguardo corse immediatamente sulla sottile lama di spazio che ci separava. Sembrava più sorpresa che arrabbiata, o in caso contrario non mi diede il tempo di coglierlo perché subito distolse lo sguardo per appendere la giacca.

«Ciao Harry», nascose un sorriso fingendo di concentrarsi su qualcosa all’interno della borsa.

«Salve signora, uhm..». Mi lanciò una richiesta d’aiuto con lo sguardo. «Prescott», ripeté più forte e dopo di me.

Aprii la bocca per evitare che un silenzio imbarazzante calasse su tutti noi, ma mi resi conto con rammarico che non sapevo cosa dire. Un Harry irrequieto roteò gli occhi verso la porta d’ingresso, e io mi sorpresi a contare le piastrelle del pavimento.

«Credo che andrò a farmi una doccia», annunciò saggiamente mia madre. «Voi fate pure come se non ci fossi, ehm… Vuoi rimanere per cena? Dobbiamo ancora sistemare alcune cose ma ti assicuro che il frigo è pieno».

Lo interruppi prima che potesse anche solo pensare di accettare, cosa che comunque dubitavo avrebbe fatto.

«Veramente ce ne stavamo andando», le dissi. «Non torno tardi», aggiunsi in fretta, anticipando la sua occhiata d’avvertimento.

○    ○     ○

Piccola nota, canzone che ha ispirato il capitolo: Say Something - Christina Aguilera ft. a Great Big World

Spazio autrice: Eccomi qui, dopo moltissimo tempo. Vi chiedo scusa, mi sono presa un po' di tempo per concentrarmi sullo studio e altre cose. Ora che avrò però un po' di tempo libero, vi prometto che scriverò più spesso.
Ho pensato anche di presentare un quadro dei personaggi, così come me li sono immaginata scrivendo, quindi se non volete che la mia immaginazione oscuri in qualche modo la vostra, vi sconsiglio di andare avanti :).

***

Phoebe Tonkin as Haley Grantham

Blake Lively as Britney Grey

Per ora basta così, più avanti presenterò anche gli altri. Baci x

#Allie

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Capitolo 22
*** AVVISO! LEGGETE PER FAVORE ***


Salve a tutti, come avrete notato è un po' di tempo che non aggiorno questa storia.

Il fatto è che ho avuto la mente totalmente occupata dalla stesura di un secondo racconto, e non me la sono sentita di portarne avanti due contemporaneamente. Ciononostante posso assicurarvi che questa storia non verrà cancellata, solo sospesa, e che appena avrò finito i prossimi capitoli li pubblicherò.

Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno seguito ''Broken'' fino ad ora, e che non smetteranno di farlo a causa di questa pausa. Nel frattempo mi piacerebbe che leggeste l'altra fanfiction che sto scrivendo, si chiama ''Guardians'', sarei felicissima di sapere cosa ne pensate.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2717825

Grazie per l'attenzione, a presto.

#Allie

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