Broken di Allie_Carrots (/viewuser.php?uid=573380)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four ***
Capitolo 5: *** Five ***
Capitolo 6: *** Seven ***
Capitolo 7: *** Six ***
Capitolo 8: *** Eight ***
Capitolo 9: *** Nine ***
Capitolo 10: *** Ten ***
Capitolo 11: *** Eleven ***
Capitolo 12: *** Twelve ***
Capitolo 13: *** Thirteen ***
Capitolo 14: *** Fourteen ***
Capitolo 15: *** Fifteen ***
Capitolo 16: *** Sixteen ***
Capitolo 17: *** Seventeen ***
Capitolo 18: *** Eighteen ***
Capitolo 19: *** Nineteen ***
Capitolo 20: *** Twenty ***
Capitolo 21: *** Twenty One ***
Capitolo 22: *** AVVISO! LEGGETE PER FAVORE ***
Capitolo 1 *** One ***
1.
ONE
Alzai gli occhi al cielo,
dopo essere rimasta a
lungo in silenzio. Diedi una leggera pacca sulla spalla al ragazzo
seduto di
fronte a me, richiamando la sua attenzione. I suoi occhi verdi
scattarono verso
i miei. «Dobbiamo andare», dissi.
«Britney ci sta aspettando».
Si prese il labbro
inferiore tra i denti e il suo
sguardo venne di nuovo catturato da qualcosa oltre le mie spalle.
Passai in
rassegna ogni centimetro del Caffè, fino ad arrivare
all’oggetto del suo
interesse. Una bionda alta e formosa in bilico su un paio di trampoli,
con un
abitino che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Mi lasciai sfuggire uno
sbuffo. «Harry, puoi tenere gli ormoni a freno per quindici
secondi?», chiesi
annoiata.
Lui ridacchiò
prima di alzarsi dalla sedia. Lo
imitai. «Già, non facciamo aspettare la piccola
Britney».
Lo inchiodai con lo
sguardo. «Non cominciare.
Perché, se proprio vogliamo essere onesti, in una scala da
uno a dieci
l’eccentricità di Brit è otto. La tua
dodici».
Lo accompagnai fino al
bancone. «Un cappuccino e
un caffè nero», disse al cassiere.
«Mettilo pure sul conto di mio padre, Tim».
La famiglia di Harry era
molto ricca e possedeva
numerosi immobili, tra cui il Central Styles Caffè, uno dei
posti più chic
della città che prevedeva solo un certo tipo di clientela.
Clientela con un
conto corrente bancario grande almeno la metà di quello
degli Styles.
Presi il mio amico a
braccetto e mi lasciai
guidare fuori dal locale, fino alla sua BMW nera. Salimmo in macchina e
Harry
mise in moto, facendo stridere le gomme sull’asfalto e
partendo a tutta
velocità. Non mi è mai piaciuto il suo modo di
guidare imprudente, soprattutto
perché gli incidenti causati da lui non si contavano sulle
dita delle mani.
Cercai la bocchetta da cui usciva aria calda con le dita.
«Rallenta»,
gli intimai. Lui si limitò a scuotere
la testa, sghignazzando.
Sfrecciammo per le strade
di Holmes Chapel per
diversi minuti, finché l’auto non si
infilò nel vialetto di una casa enorme,
circondata da un grande giardino piuttosto curato. Attraversammo la
stradina
sterrata, e non feci in tempo a bussare alla porta che venimmo
risucchiati all’interno
da un tornado biondo.
«Sempre insieme
voi due, eh? Non mi sorprenderei
se un giorno vi trovassi in un bagno a scopare», fece
Britney, sistemando i
nostri cappotti sull’appendiabiti. Harry mi rivolse
un’occhiata sfacciata,
alzando le sopracciglia. Gli diedi le spalle per nascondere il rossore
sulle
mie guance. Anche se sapevamo tutti che una cosa del genere non sarebbe
mai
stata possibile, i commenti di Britney erano sempre così
imbarazzanti.
«Perché
ci hai fatto venire?», le domandò Harry diretto.
Ci sedemmo sul grande divano
bianco di pelle, una caraffa di tea e delle tazze erano state sistemate
sul
tavolino di mogano.
Britney si
scostò i capelli dalle spalle. «Io ho
chiamato Haley, tu sei un extra non
gradito. Ma visto che voi due siete come gemelli siamesi, me lo
farò andare
bene». Ci rivolse un sorriso amichevole. «Tra una
settimana sarà Halloween.
Voglio dare una festa, e voi mi aiuterete».
Harry alzò gli
occhi al cielo e si accasciò allo
schienale del divano. «E come?».
I lati delle labbra di
Britney presero una
piega furbesca. «La faremo a casa tua, che domande. Non
c’è niente di meglio
che una festa a casa Styles. E in quanto a te, beh, basterà
la tua presenza a
far venire tutti i ragazzi etero della scuola». Sospirai,
troppo stanca per
iniziare l’ennesima discussione su quell’argomento.
Britney confondeva la
bellezza con la popolarità.
Si era messa in testa di usarmi come esca per i ragazzi in qualsiasi
occasione
ne avesse bisogno. Lo sanno tutti che le ragazze popolari attirano gli
sguardi
maschili più delle altre, soprattutto se ricche. Quindi la
mia teoria era che
invece essendo molto conosciuta all’interno della scuola
(questo solo perché
frequentavo Britney e Harry e perché la mia famiglia
è sempre stata
benestante), non passavo inosservata agli sguardi maschili. Sarebbe
stato lo
stesso, anzi forse molto di più, per Brit se solo non fosse
che è dalla terza
media che rimane single per dieci minuti al massimo ogni due mesi.
Harry fece spallucce e
annuì, probabilmente per
lui era solo l’ennesima occasione di rimorchiare.
«Io do la casa, ma al resto
pensate voi».
«No, al resto
pensi tu», gli feci eco
io indicando Britney.
Lei rise. «Come
sempre». Poi, dopo aver sorseggiato
la sua tazza di tea non zuccherato: «Allora, stasera che si
fa?».
Harry scostò
i riccioli scuri che gli erano caduti sulla fronte e mi rivolse
un’occhiata
interrogativa.
«Non vengo in
discoteca», chiarii. «Ci siamo andati anche sabato
scorso!».
Britney scattò
in piedi. «Ma ci vengo io.
Ovviamente non con te e mantenendo
una distanza di sicurezza di almeno tre metri», disse,
indicandolo come fosse
stato una specie di maniaco.
Harry si drizzò
a sua volta, torreggiando su di
noi in tutta la sua altezza. «Oh, tranquilla, sei fuori
pericolo. Non mi sono
mai piaciuti i giocattoli di decima mano», e detto questo
uscì di scena, senza
preoccuparsi di salutare.
Quando fu sicura di essere
fuori dalla sua portata
d’udito, Britney si tornò a sedere accanto a me.
«Io ne ho abbastanza di
vederlo “all’opera”, quindi stasera
usciamo tu ed io. E basta. Intesi?».
Sospirai, facendo un cenno
d’assenso. Era
inconcepibile che i miei due migliori amici si odiassero a tal punto
dal farmi
scegliere continuamente tra l’uno e l’altro. Ma io
ero convinta che in fondo
(molto, molto, molto in fondo) un po’ di affetto reciproco ci
fosse. Giusto
quel tanto da impedir loro di prendersi a frustate. Senza contare che
era
grazie a Brit se io ed Harry ci eravamo conosciuti.
«Oh, buon
pomeriggio signorina Haley», mi salutò
una donna bassa e paffuta.
«Salve
Claire», dissi a mia volta, aiutandola a
mettere le tazze sporche sul vassoio. Britney fece una smorfia di
disapprovazione e sparì al piano di sopra. «Come
sta?».
L’anziana signora
ridacchiò, mentre le sue guance
tonde si tingevano di rosa. «Oh beh, non mi
lamento». Mi diede un leggero
buffetto sulla guancia. «E tu invece? Diventi sempre
più bella».
Prima che potessi
replicare, la voce acuta di
Britney mi ordinò di salire in camera sua. Salutai
velocemente la domestica e
obbedii alla mia amica.
«Che
c’è?», le domandai entrando. La trovai
in
biancheria intima, intenta a contemplare due abiti un po’
troppo corti e striminziti.
«Aiutami a
scegliere», m’implorò. «Rosso
o blu?».
«Un pugno nello
stomaco».
Mi rifilò quello
che tutti a scuola definivano “Lo
Sguardo”. Britney era famosa soprattutto per
quell’occhiata che tramortiva le
matricole indifese e intimidiva i ragazzi. Ma io la fissai di rimando,
ormai
completamente immune. «Britney, santo cielo, non voglio che
tu vada in giro
come una prostituta. Leva quella roba dalla mia vista e lascia fare a
me».
Spalancai la cabina armadio e mi seppellii fra le centinaia e centinaia
di
abiti. Dopo qualche minuto di meditazione, riemersi con in mano i
vestiti. Il
grazioso tubino nero che le avevo scelto bastò a placare la
sua ira, e forse anche
il fatto che le permisi di scegliersi le scarpe da sola.
Il mio entusiasmo per
l’incombente serata in
qualche club snob insieme a Britney scese ancora di più
sotto lo zero, quando
alla porta di casa sua si presentò Pete, il suo ragazzo
attuale. Di tutti
quelli che aveva avuto, Pete era quello che mi piaceva meno.
“Giocatore di
football senza cervello” penso che renda bene
l’idea. Infatti, nonostante i
nostri ripetuti e non poi così sottili tentativi di mandarlo
via, lui
insistette così tanto che fummo costrette a portarcelo
dietro.
Così passai il
più bel viaggio in auto di tutta la mia vita, da sola sul
sedile posteriore,
obbligata ad assistere alle loro effusioni vietate a minori di
quattordici
anni. Fu quando la mano di Pete si spostò più
vicina alle zone intime di
Britney che mi schiarii la voce. I due si voltarono in contemporanea,
ma solo
uno sembrava infastidito dalla mia presenza.
Sorrisi debolmente per
scusarmi. «Fa
un po’ caldo qui dentro… Potremmo aprire i
finestrini?». In realtà stavo
congelando, ma perlomeno dopo il mio piccolo intervento pensarono di
far finire
lì lo show.
Pete ci portò in
un locale appena fuori città dove
non eravamo mai state, e dopo esservi rimasta un paio di minuti,
appurai che
avevamo fatto male a non continuare ad evitarlo. L’enorme
sala era piena di
gente di almeno quattro anni più grande di noi, la cui
maggioranza ignorava la musica
a tutto volume per dedicarsi ad altre attività poco
raccomandabili. Dopo
esserci mimetizzate tra la folla per sfuggire a un Pete euforico e
ubriaco
fradicio, venimmo trascinate da lui e alcuni suoi amici verso i bagni.
I suoi
nuovi compagni di sbronza erano due uomini dalle spalle larghe e le
braccia
coperte da tatuaggi, con un marcato accento russo. Finimmo rinchiuse
nel bagno
degli uomini prima di rendercene conto, e il mio cervello non fece
neanche in
tempo ad allarmarsi che uno dei due estrasse dalla tasca dei jeans una
scatolina di legno.
«Pete, che
diavolo ci facciamo qui?», chiesi con
voce stridula.
Lui scoppiò in
una fragorosa risata e prese tra il
pollice e l’indice il bastoncino che l’uomo gli
porgeva. «Ci divertiamo un po’
tutto qui», biascicò con la bocca piena di vodka.
Alzò la bottiglia che reggeva
in mano verso di me. «Perché non provi a
rilassarti? Fatti un sorso». Si portò
lo spinello alla bocca e lo accese. Aspirò e
soffiò verso di me una grande
nuvola grigia che mi invase le narici e la mente.
«Pete,
piantala», mugugnai tra un colpo di tosse e
l’altro. Lanciai una richiesta d’aiuto con gli
occhi a Britney, ma constatai
che anche lei aveva optato per il “divertimento”.
«Ehi Brit, avanti andiamocene
di qui». Lei mi osservò come se mi vedesse per la
prima volta, i suoi occhi
erano già arrossati a causa dell’alcool.
«Hal, dà retta a Pete. È sabato sera
e…», smise di prestarmi attenzione e si rivolse
all’uomo calvo di fronte a lei.
«Ehi, ma lo sai che hai dei capelli davvero
belli?». Si avvicinò al tizio,
strusciandosi contro la sua figura imponente ed egli parve apprezzare.
« Pete! », lo
chiamai quasi urlando. Mi ignorò. «PETE! Idiota,
fa
qualcosa. Non lo vedi che è ubriaca? È la tua
ragazza cavolo!», inveii. Lui
barcollò verso di me, rovesciandomi addosso tutto il liquido
contenuto nella
bottiglia. Mi prese per un braccio, costringendomi a sentire
l’odore acre del
fumo e dell’alcool.
«Senti, piccola
puttana guasta feste, o ti dai una
calmata o te ne vai, con le buone o con le cattive. E ti consiglio di
scegliere
la prima opzione perché io non uso mai le buone maniere. Ehi
ragazzi, mi è
venuta un’idea. Perché non facciamo una cosa a
cinque?».
Dopodiché
proruppe in
una risata sguaiata che mi schizzò la sua ripugnante saliva
addosso.
Mi ritrassi,
schifata, correndo verso la porta del bagno. Abbassai la maniglia, ma
quella
non si mosse di un millimetro. Mi accovacciai per terra,
nell’angolo più
lontano dal gruppo. Cercai il cellulare nella borsa con la mano
tremante,
sperando di passare inosservata. Con un po’ di fatica lo
trovai e composi il
numero che ormai conoscevo a memoria.
Uno, due… otto
squilli. Stavo quasi per
riattaccare, quando la sua voce profonda rispose.
«Sì?». Sembrava leggermente
seccato, potevo udire la musica e il rumore in sottofondo, ma mi spinsi
a
parlare.
«Harry»,
cercai di eliminare il tremore dalla mia
voce, con scarsi risultati.
«Haley?».
Il fastidio era sparito, sostituito
dalla sorpresa.
Deglutii rumorosamente.
«Senti, io…», un
singhiozzo convulso mi bloccò le parole in gola.
«Haley che
succede?». Sentivo che man mano i suoni
in sottofondo scomparivano. «Haley?»,
ripeté.
Feci un respiro profondo.
«Pete ci ha portato in
un posto e… Britney è ubriaca, l-lo sono tutti.
Puoi venirmi a prendere? Mi
dispiace non volevo chiamarti, ma non sapevo a…».
«Dimmi dove
sei».
***
Ciao a tutti,
allora: partiamo dal presupposto che è la mia prima FF in
assoluto, quindi abbiate pietà di me. Ho già in
mente tante ideuzze(?) per andare avanti, anzi, qualche capitolo
è già pronto. Spero davvero che qualcuno sia
interessato e che magari la leggerà.. Boh, vabbé.
*Fischietta allegramente* Penso che aspetterò un paio di
giorni prima di postare il capitolo successivo, soltanto
perché qualcuno possa fermarmi in tempo prima di fare
qualche danno(?) Okay, oggi non sono ufficialmente normale. Va bene
basta, mi dileguo. Un grande bacio a tutti quelli che leggeranno, spero
ci rivedremo presto.
#Allie
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Capitolo 2 *** Two ***
2. TWO
La porta venne scossa da diversi colpi violenti. «Haley?
Haley sei lì dentro?».
Scattai in piedi e mi precipitai verso il punto da cui
proveniva la voce di Harry.
«Har…», dalle mie labbra
proruppe un piccolo grido quando mi sentii trascinare via.
Pete mi mise una mano davanti alla bocca, mentre gli altri si
affrettavano a nascondere la droga. Un altro colpo, questa volta molto
più potente, fece tremare tutta la stanza.
«L’hai chiamato tu?»,
sibilò l’uomo calvo lanciandomi occhiate di fuoco.
Con un ultimo tonfo la porta si spalancò, la
serratura venne strappata via. Harry irruppe nel bagno con una spinta
tale da spaventare i due uomini (che erano almeno il doppio di lui) e
si diresse a grandi passi verso di me. Mi prese delicatamente per la
vita, spingendomi lontana da Pete. Dopodiché lo
afferrò per il colletto della camicia e lo sbatté
con forza contro il muro, facendogli emettere un verso strozzato.
«Cos’hai nel cervello, merda?»,
ringhiò. I suoi occhi erano diventati più scuri,
la tensione nella stanza era quasi palpabile.
«Harry». Lo afferrai per un lembo della
t-shirt, tirandolo leggermente indietro. «Lascialo
perdere». Non mi sarebbe dispiaciuto vedere Pete messo KO, ma
non volevo che Harry finisse nei guai per colpa mia. Soprattutto dati i
suoi precedenti: non era quel che si dice un ”tipo
tranquillo”.
Mi voltai verso Britney, che non sembrava ancora del tutto in
sé. «Ehi Brit. Andiamo, forza», la
esortai.
Lei mi fissò di rimando, lo sguardo vuoto.
«No… No, io resto».
Feci per replicare, ma prima che riuscissi a dire qualsiasi
cosa, Harry mi aveva già preso su di peso e portata via.
Tentai di protestare, ma il forte rumore della musica copriva la mia
voce.
Mi lasciò andare soltanto dopo avermi posato sul
sedile del passeggero. «Dobbiamo andare a prendere
Britney!».
Lui chiuse la portiera dietro di sé e
aggrottò le sopracciglia. «Non mi sembrava volesse
andarsene». Sbuffai, il giorno seguente Brit se la sarebbe
vista con me, eccome. «Che ci facevi in un posto del
genere?», chiese dopo un po’.
«Te l’ho detto, è Pete che ci
ha portate qui». Poi, con una punta d’ironia nella
voce:«Scusa se ti ho interrotto… Qualsiasi cosa tu
stessi facendo». Non riuscii a trattenere un sorriso e notai
anche Harry si era rilassato. Aprì la bocca per parlare, ma
lo interruppi. «Oh, no! Non voglio saperlo». Lui
scoppiò a ridere e disse qualcosa, ma io avevo le orecchie
tappate dagli indici. «Non ti sento, come dici?».
Approfittò del semaforo rosso per togliermi le mani
dalle orecchie e bloccarmi entrambi i polsi con una sola delle
sue.
«La vuoi smettere?», gridò per
sovrastare la mia voce, continuando a sghignazzare.
«Mi spiace, sono troppo giovane per entrare a
conoscenza di certe cose».
Mi liberò le mani e ripartì.
«Lo sai che sei una vera seccatura?».
Incrociai le braccia, fingendomi offesa. «E tu lo
sai che sei permaloso?».
Accesi la radio e vi inserii il disco dei The Fray che gli
avevo regalato per il compleanno quasi un anno prima.
Quell’auto era piena di dischi che gli avevo dato io, lo
avevo assillato così tanto con quel genere che era finito
col piacere anche a lui.
«Stai bene?», mi chiese di punto in
bianco, improvvisamente serio.
Aggrottai le sopracciglia. «Certo. Pete è
un’idiota, lo sapevamo già. Ciò che mi
preoccupa davvero è Brit. Spero che questa storia finisca il
prima possibile».
Ridacchiò. «Oh, di questo non devi
preoccuparti. È di Britney che stiamo parlando».
L’auto accostò di fronte casa mia, una
fugace occhiata all’orologio mi fece sperare che fossero
già tutti a letto.
Mi voltai verso di lui. «Harry… Non so
come ringraziarti, davvero».
Liquidò le mie parole con un gesto della mano.
«Se vuoi stanotte puoi rimanere da me. Così, solo
per darmi una piccola dimostrazione della tua gratitudine».
Scoppiai a ridere e gli lasciai un piccolo bacio sulla
guancia. «Certo, ti piacerebbe». Una volta fuori,
mi sporsi dal finestrino verso di lui. «Notte
Styles».
Scivolai in punta di piedi al piano di sopra. Trattenni il
respiro quando fui costretta a passare davanti alla stanza di mia
sorella. C’ero quasi…
Un tonfo secco mi suggerì che dovevo aver urtato
qualcosa col piede. «Merd…».
Mi tappai la bocca, ma ormai era troppo tardi. Il frusciare di lenzuola
e dei piccoli passi anticiparono la comparsa teatrale di mia sorella.
Il suo perverso modo di essere perfetta anche alle due e mezza di notte
era incredibile e fastidioso.
«Haley? Ma che…?», fece lei con
la voce impastata dal sonno. Quando si rese conto di chi aveva
realmente di fronte, i suoi occhi si spalancarono. «Haley
Clarissa Grantham! Per l’amor del cielo, hai idea di che ore
siano?», sbraitò.
«Shhh, parla piano! Così sveglierai mamma
e papà!».
Si strofinò il viso con le mani. «Mamma e
papà non ci sono! Sono partiti proprio ieri, ma tu non puoi
saperlo, perché non
ci sei mai». Puntò le mani sui
fianchi. «Cos’è quest’odore?
Puzzi di alcool da far vomitare, diamine».
Per un momento mi passò per la testa di spiegarle
ciò che era successo davvero, ma sapevo che non mi avrebbe
mai creduto. Sospirai. «Mi spiace, ieri sera sono rimasta da
Britney. E poi loro sono via continuamente, scusa tanto se non riesco a
tenermi aggiornata». Decisi di usare quella battuta per
uscire di scena, quindi mi chiusi in camera prima che potesse dire
qualcos’altro.
«Haley, tesoro. È ora di
pranzo». Una mano mi sfiorò da sopra il piumone.
Riconobbi immediatamente la voce della mia domestica e nascosi
la testa sotto il cuscino. «Lasciami qualcosa nel piatto, sto
arrivando», borbottai. L’ultima cosa che udii
furono i suoi passi che si allontanavano lungo il corridoio.
Qualcosa mi colpì alla nuca, come una piccola
pallina di carta. Mi sollevai leggermente dal letto, mentre i miei
occhi si abituavano alla luce. «Oh, allora sei
viva». Sobbalzai e prima che potessi impedirlo, uno strillo
si fece spazio dal profondo della mia gola.
«Harry! Che diavolo ci fai qui?».
Sulle sue guance comparvero due profonde fossette e si fece
ruotare sulla sedia girevole della mia scrivania. «Sono qui
in missione. Britney mi ha chiesto di verificare che non fossi morta di
overdose, visto che non rispondevi al telefono».
Scivolai fuori dalle coperte e prima di stabilizzarmi sui due
piedi barcollai un po’ in avanti. «Overdose? Non
sono io quella che fuma spinelli. E poi se crede che sia tutto okay si
sba… Che c’è?»,
m’interruppi notando la sua espressione vacua.
«Niente, pensavo che hai proprio un bel
pigiamino», mi schernì. Abbassai lo sguardo sui
pantaloncini a fiori e la canotta intonata e arrossii.
Mi avvolsi in un plaid e dopo avergli tirato un piccolo calcio
negli stinchi, mi sedetti a gambe incrociate di fronte a lui, sul
pavimento. «Quanto ti ha pagato per venire fin
qui?».
Si strinse nelle spalle, sghignazzando. «Non avevo
niente da fare. Trevor ha le prove con la band e Colin
è…». Tossì.
«Occupato».
Annuii energicamente, decisa a non sapere cosa significasse
esattamente “occupato”. Non era difficile da
immaginare comunque, conoscendo Harry e i suoi amici.
«E quindi sei venuto a disturbare il mio
sonno», conclusi.
«Haley, sono le quattro del pomeriggio».
Il mio sguardo si spense un po’. «A
quest’ora dovrei essere al Caffè con Brit, come
tutte le domeniche». Feci una piccola pausa. «E tu
dovresti essere in qualche locale a ubriacarti, quindi
sciò». Enfatizzai le ultime parole con dei gesti
frenetici delle mani.
«Già, forse tra una decina di ore.
Adesso, siccome sono una persona terribilmente annoiata, ti vesti e
vieni con me».
«Dove?».
Sfoggiò uno dei miei sorrisi preferiti, di quelli
enormi che non capitavano spesso. Alzò la macchina
fotografica che mi accorsi solo in quel momento teneva appesa al collo.
«Al parco».
Harry aveva la fissa per la fotografia, il che era piuttosto
strano per uno come lui, ma devo dire che era piuttosto bravo. Il suo
soggetto preferito era la natura, fotografava qualsiasi cosa da mille
angolazioni diverse, in mille tipi di tonalità.
«Voi due. Fermi dove siete».
Io e Harry ci voltammo in contemporanea, mentre una figura
alta e snella ci veniva incontro. Britney, con la minigonna e il
maglioncino di cachemire, stonava un po’ con il verde
selvaggio del parco.
«Sapevo che vi avrei trovati qui»,
esitò un istante alla vista della mia espressione dura.
«Hal, ti supplico. Non essere arrabbiata con me. Eravamo
tutti ubriachi, lo sai che Pete a volte si lascia prendere la
mano».
«“Prendere la mano”? Mi ha
minacciata, Britney!», sbottai.
«Che cosa?». Harry fece un passo avanti.
Scossi la testa, lanciandogli un’occhiata di sbieco.
«Niente, lascia perdere».
«Esatto Styles, perché non te ne vai e ti
fai una gran dose di fatti tuoi?».
Il suo sguardo si assottigliò. «Magari
potresti darmi qualche dritta, visto che ormai sei esperta di
“dosi”, non è vero?».
«Chiudi il becco, lurido…».
Mi misi in mezzo a loro. «Ragazzi,
piantatela». Il mio sguardo si volse nella direzione di
Britney. «Senti, io lo so che Pete è il tuo
ragazzo eccetera eccetera, ma lui è pericoloso. Ha una
pessima influenza su di te Brit, e tu nemmeno te ne accorgi».
Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Ti rendi conto che sembri mia madre? Senti,
tesoro…», sì bloccò di
colpo. «Okay, è imbarazzante parlare con lui
qui». Roteò il pollice verso Harry.
Il ragazzo grugnì, ma lo anticipai. «Lui
resta, Brit. Non c’è niente che tu non possa dire
di fronte a lui».
Britney alzò i palmi verso l’alto, come
per scaricarsi di qualsiasi responsabilità. «Come
vuoi. Io penso che il problema sia che ti senti trascurata da me. Lo
capisco, sai? Non te ne farò una colpa, anzi. Anche io mi
sentirei a disagio se la mia migliore amica passasse più
tempo col suo fidanzato che con me». Aprii la bocca per
fermare quel suo monologo insensato, ma non mi lasciò
parlare. «Ma ho trovato una soluzione. Già,
proprio così. Ti troverò un ragazzo!
Così potremo uscire in coppie, non ti sembra
grandioso?».
Dovetti impegnarmi seriamente perché la mia
mascella non arrivasse a toccare il pavimento.
«Oh, Cristo», fu il commento di Harry, a
metà tra un sospiro e un’esclamazione.
La fissai, terribilmente confusa dalle conclusioni distorte
che aveva tratto. «Britney, io…».
«Non devi dire niente, Hal! Ho già in
mente un paio di persone che fanno al caso tuo»,
cinguettò soddisfatta.
Harry scosse la testa, facendo oscillare i ricci scuri.
«È la cosa più stupida che io abbia mai
sentito».
La mia amica gli rifilò un’occhiata
tagliente. «Nessuno ha chiesto il tuo parere,
Styles».
«D’accordo, allora io me ne vado. Ho di
meglio da fare che ascoltare queste cazzate».
Brit alzò le braccia per poi farle ricadere lungo i
fianchi.
«Non chiedevamo altro!»,
sbraitò, mentre lui scompariva in lontananza.
Spazio autrice:
Di nuovo ciao a tutti, rieccomi qua. Come avevo detto, ho
aggiornato nel giro di un paio di giorni circa, visto che comunque un
solo capitolo è davvero troppo poco per farsi una chiara
idea della storia. Sarò davvero breve: ringrazio di cuore
chi l'ha già inserita tra le preferite/seguite ecc.. o chi
lo farà. Spero davvero di non deludervi, e vi prego di
scrivermi anche solo per lasciare una critica, che non fa mai male. Un
bacio a todos <3 <3
#Allie
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Capitolo 3 *** Three ***
3.
THREE
Armeggiai con il catenaccio del mio armadietto, troppo stanca per
riuscire a
individuare il buco della serratura. Al terzo tentativo fallito il mio
pugno
chiuso coprì lo sportello di metallo.
«Serve una mano?», trillò una
voce non troppo gradevole alle otto di mattina.
Britney mi sventolò un foglietto di carta sotto il naso.
«Ho qualcosa per te…».
«Cos’è?», chiesi
arrendendomi e porgendole la chiave del lucchetto.
Lei la prese e si mise al lavoro. «Guarda tu
stessa».
Dispiegai il foglio stropicciato. Sopra vi erano almeno una
dozzina di nomi,
con i rispettivi numeri di telefono.
Sospirai. «Britney?», il mio tono era
abbastanza eloquente.
«E dai! Solo una sbirciatina, ti prego, ci
dev’essere qualcuno che ti
interessa!».
Scorsi la lunga lista senza prestarvi troppa attenzione.
«No, no, no e...
no».
«Haley!».
Gli sbattei la lista a pochi centimetri dal viso.
«La metà dei ragazzi che hai
scritto sono tuoi ex! E l’altra metà non so
nemmeno chi siano».
«D’accordo, allora facciamo
così. Visto che li conosco, ehm, più o meno
tutti, te li indicherò da lontano e se
ce n’è qualcuno che ti interessa fai una
prova».
Sbuffai. «E chi ti dice che questi ragazzi siano
interessati a uscire con me?».
Britney scoppiò a ridere, riprendendosi la lista.
«Oh, lo sono tesoro. Eccome
se lo sono».
La risata roca di Harry rimbombò tra le mura del
garage di Trevor. C’eravamo
solo io e lui, mentre i ragazzi accordavano gli strumenti nella stanza
accanto.
«Cioè, fammi capire. Nella lista
c’erano Jules e Christopher?».
Sorrisi, annuendo. «Già, e anche
Mike».
«Okay, non pensavo che il suo cervello potesse
elaborare qualcosa di così
idiota. Voglio dire, ti sta rifilando i suoi
avanzi?».
«Sì, ma le ho già detto che
non ho la minima intenzione di uscire con nessuno
dei suoi ex. Per gli altri, beh, abbiamo trovato un accordo».
Alzò un sopracciglio interrogativamente, ma a quel
punto arrivarono Trevor e il
resto della band. Gordon, vedendoci seduti per terra, uno a fianco
all’altro,
ridacchiò.
«Che c’è Haz, noi non ti
bastiamo più?». Studiò ogni millimetro
del mio
corpo, soffermandosi sul petto. «Voi due non state insieme,
giusto?», chiese
più a me che al suo amico.
Harry sospirò. «No», rispose
secco. Probabilmente quella domanda ci era stata
fatta milioni di volte.
Lo sguardo di Gordon si illuminò. «Ah,
perfetto. Sei libera stasera?».
Scoppiai a ridere e mi alzai, spolverandomi i jeans.
«No, Gordon».
«E domani?».
«No. E nemmeno dopodomani. E il giorno dopo. E
quello dopo ancora».
Il sorriso poco intelligente non scomparve dal suo volto.
«E il mese
prossimo?».
Lo inchiodai con lo sguardo e il ragazzo sbuffò,
imbracciando la chitarra
elettrica rossa come il suo ciuffo.
Mi voltai verso Harry che non la smetteva di sghignazzare alle
spalle
dell’amico. «Senti, ora devo andare. Ho
appuntamento con Brit. Tu vuoi
venire?».
Le sue labbra piene accennarono a un sorriso. «E
assistere dal vivo al suo
piano geniale? No grazie».
«Dove stiamo andando?», chiesi.
Britney voltò a destra e rallentò.
«Oh, lo vedrai».
L’auto accostò di fronte a un bar, la
strada era del colore giallognolo dei
lampioni. Un gruppo di ragazzi ne uscì ridendo e
schiamazzando.
«Okay, vedi i due tizi là
dietro?».
Aggrottai la fronte mentre cercavo di mettere a fuoco i volti.
«Quelli con la
faccia ricoperta di ferro?».
«Si chiamano piercing
e sì, sono loro. Sono il sesto e il settimo della
lista».
Annuii. «D’accordo. Quando il mio animo
tormentato avrà bisogno di un cambiamento radicale,
saprò a chi
chiedere, grazie per l’interessamento».
Emise un sospiro di frustrazione e, anche se non la stavo
guardando, sapevo che
i suoi occhi puntavano il soffitto. «Lo sai che sei proprio
difficile?».
«Non sono difficile, sono selettiva».
Mi guardò come fossi stata una specie di
extraterrestre. «Selettiva?».
«Già, “selettiva”.
Cercalo nel dizionario se non sai cosa significa».
Allungò il collo oltre il cruscotto.
«Ecco, ecco il terzo! Guarda!».
«Dove?».
Puntò l’indice in avanti.
«Lì, lì! Il biondino sexy con il
giubbotto di pelle».
«Brit, ma è proprio
necessario?».
La ragazza divenne improvvisamente seria e mi
afferrò entrambe le mani.
«Necessario? Haley, tu non capisci. Sento che le cose con
Pete si stanno
facendo più serie, stiamo insieme già da
parecchio, e non voglio che tu ti senta trascurata da me. Trovarti un
ragazzo è la soluzione migliore, credimi».
«Ma non mi serve un agenzia di matrimoni per
trovarmi un ragazzo! Se lo volessi
me lo cercherei da sola. E poi cos’è questa storia
che lo si deve “cercare”? Se
è il momento, arriva e basta».
Per un attimo pensai davvero di aver centrato il segno,
perché Britney mi
sembrava molto ammirata e presa. Quando però aprì
la bocca mi tolse ogni
dubbio. «Perfetto, allora il momento è arrivato.
Perché ti sta aspettando
proprio adesso».
«CHE COSA?!».
Fece un largo sorriso. «Esatto. Siccome so che sei
un po’ timida ho deciso di
prendere io l’iniziativa. Quindi ora, via i capelli dagli
occhi e fa vedere
quel bel visino che ti ritrovi, capito?».
Socchiusi le palpebre, sforzandomi di controllare
quell’improvviso istinto
omicida. In fondo era solo un’oretta e magari dopo quel primo
tentativo Britney
avrebbe capito che non era una cosa fattibile.
«Ma tu verrai con me, non è
vero?».
«Ma certo! Non ti lascerei mai da sola, specialmente
se si rivelasse un maniaco
o qualcosa del genere».
Aprii la portiera con un gesto secco. «Avanti. Prima
iniziamo questa cosa, prima la finiremo».
Ci avvicinammo con cautela al ragazzo biondo, Britney mi
camminava davanti come
una specie di guardia del corpo. Non sapendo dell'appuntamento
imminiente, poiché la mia amica aveva deciso di tendermi una
trappola, indossavo ancora i jeans e la felpa, mentre Brit era
impeccabile come
sempre. Un’altra carta a mio favore, pensai. Probabilmente i
due si conoscevano
già, perché si salutarono con un bacio sulla
guancia.
«Nate, questa è Haley, ma credo che tu lo
sappia. Haley, Nate». Lo salutai
con la manina come una bimba obbediente e lui mi fece un cenno del
capo,
ammiccando.
Entrammo nel grill, prendendo posto a un tavolo
così vicino alla cucina che
potevo quasi avvertire il calore dei fornelli passare attraverso i
muri. Nate
fu il primo a sedersi e di conseguenza io e Brit scivolammo di fronte a
lui.
Illuminato dalla luce del neon era anche più carino di come
mi era sembrato
all’inizio.
Una cameriera sulla ventina si avvicinò a noi con
il blocchetto delle
ordinazioni in mano. «Volete ordinare?», chiese
senza sforzarsi di apparire
cordiale. Probabilmente odiava essere lì in quel momento
almeno quanto me.
«Per me solo un caffè», dissi.
«Con panna».
Nate si passò una mano sulla nuca, scompigliando
volontariamente i capelli.
«Mm… Una birra grazie».
«Io prendo una coca-cola».
«Come la vuoi?»
«Alla ciliegia», fece Britney, rivolgendo
alla cameriera occhiate impazienti. Non
appena fummo di nuovo soli, si rivolse a Nate. «Allora,
giochi ancora a
lacrosse?».
«Sì… Sì. Siamo
proprio forti!», esclamò con
un’espressione poco intelligente.
Così, nel caso avessi avuto anche il più
piccolo pensiero nei suoi confronti,
svanì non appena la conversazione prese il via. La
stupidità di quel ragazzo
era qualcosa di indescrivibile, specialmente perché sembrava
che il suo
vocabolario contenesse soltanto dei “forte”,
“figo” e “wow”.
Quindi fui terribilmente grata a Britney quando con una scusa
perfetta, ci
permise di dileguarci.
Una volta in macchina, mi lasciai sfuggire un sospiro
soddisfatto. La serata
aveva avuto l’effetto desiderato.
«Togliti quel sorrisetto, non è ancora
detta l’ultima parola. Magari era un po’
nervoso, tutto qui. Devi dargli un’altra occasione».
Presi un bel respiro. «“L'anno scorso il
suo cervello ha partorito un pensiero,
ma è morto di solitudine!”», proferii
teatralmente.
Britney sbuffò, ma non riuscì a non
sorridere riconoscendo la frase di Gossip
Girl. «D’accordo, hai vinto tu. Per questa volta
però, perché manca l’ultimo
della lista. E sono certa che ti piacerà».
Spazio
autrice:
Allora,
per prima cosa BUON NATALE! <3
Oggi
sono su di giri, forse perché è Natale, forse
perché a qualcuno la mia
storia è piaciuta e non è che ci sperassi
granché :)
Ne
approfitto per ringraziare tutte quelle che hanno recensito e chi ha
aggiunto la storia tra le seguite/preferite/da ricordare... Vi amo, e
non
sapete quanto mi fa piacere! Spero che continuerete a seguirla.
D'accordo, ora scappo
che devo aiutare mia madre con i preparativi, ancora auguri a tutti!
#Allie
|
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Capitolo 4 *** Four ***
4. FOUR
Un paio di occhi verdi mi colsero
di sorpresa mentre camminavo a passo spedito, con lo sguardo perso nel
vuoto. M’inchiodai sul posto, evitando appena in tempo di
finirgli addosso.
«Harry», lo
salutai. Mi guardai intorno confusamente. «Che ci fai
qui?».
Il centro non era esattamente un
posto adatto a lui, specialmente la parte dei negozi e delle vetrine.
Sollevò il borsone che
teneva in mano e le cerniere tintinnarono. «Ho appena finito
l’allenamento in palestra», disse sbrigativo.
«Io sto cercando Britney,
non riesco a trovarla. Sarà sicuramente rintanata in qualche
negozio».
Annuì. «Vengo
con te».
Proseguimmo fianco a fianco, e per
parecchi minuti nessuno parlò. Nonostante Harry fosse sempre
stato uno di poche parole, sentivo che in quel silenzio c’era
qualcosa che non andava.
Sollevai il viso di parecchi
centimetri per riuscire a guardarlo in faccia. «Va tutto
bene?».
La mia domanda lo colse di
sorpresa. «Sì, certo.
Perché?».
Scossi la testa energicamente,
giocherellando con la manica della giacca.
«Non lo so. Sei
strano».
Mi portai il pollice alla bocca,
rosicchiando l’unghia con i denti, un pessimo vizio che mi
era rimasto da quando ero piccola. Lo stesso che giustificava le decine
di boccette di smalto al peperoncino rintanate in qualche scatola in
cantina.
Svoltammo l’angolo ed
ero quasi sicura che avesse cominciato a dire qualcosa, ma non riuscii
a sentirlo, perché sbattei contro qualcosa di duro.
I miei occhi ruotarono
automaticamente verso la vittima della mia goffaggine. Quando incrociai
un paio di iridi azzurro cielo mi parve di sentire una piccola
esclamazione di stupore uscire dalle mie labbra.
Il ragazzo aveva lineamenti
delicati e la pelle abbronzata, che faceva risaltare i denti
bianchissimi.
«Scusami», mi
affrettai a dire, presa da un improvviso imbarazzo.
Lui non rispose, ma si
limitò a sorridermi divertito. Mi spostai di lato per
lasciarlo passare, ma non diede impressione di volersi muovere.
Restammo lì, immobili per qualche istante, finché
una voce non interruppe quella bizzarra situazione.
«Oh, Haley, eccoti qui.
Vedo che hai già conosciuto Declan», Britney
comparve da dietro le spalle del ragazzo sconosciuto, raggiante come al
solito.
La mia mente cercò di
collegare il suo viso al nome, ma ero sicura di non averlo mai visto.
«Come scusa?»,
chiesi uscendo improvvisamente da quello stato di ibernazione.
Un’occhiata espressiva
di Brit mi portò immediatamente alla soluzione.
“Declan Bi-qualcosa”, l’ultimo della
lista.
Un po’ indecisa sul da
farsi, indirizzai un’occhiata veloce alla mia amica, che mi
lanciava segnali d’incoraggiamento in ogni modo possibile.
Dischiusi le labbra per dire
qualcosa di probabilmente stupido e insensato, ma fortunatamente il
ragazzo mi precedette.
«Sono Declan»,
disse quasi sussurrando, senza staccare gli occhi dai miei.
«Ehm, Haley»,
borbottai.
«Sì, lo
so».
Alzai le sopracciglia, colta alla
sprovvista.
«Frequentavamo la stessa
scuola, fino a due anni fa», mi spiegò.
Il suo sguardo si
spostò dietro di me e un lampo di stupore
illuminò il suo viso. «Harry? Harry
Styles?».
Mi voltai bruscamente verso Harry,
di cui avevo dimenticato la presenza fino a quel momento. La sua
espressione era lo specchio di quella di Declan, con una punta di
fastidio in aggiunta.
«Declan
Burton», fece lui con meno convinzione.
Declan proruppe in una sonora
risata. «Mio Dio, Harry! Quanto tempo è passato?
Quattro, cinque anni?».
Harry sbuffò dalle
narici. «Già».
Britney sembrava spiazzata almeno
quanto me. «Voi due vi conoscete?»,
domandò incredula.
«Sì. Gli ho
dato ripetizioni di matematica per un anno intero».
Harry
s’irrigidì. «Ero alle medie,
Declan», bofonchiò seccato.
Ecco perché non
l’avevo mai nemmeno sentito nominare. Harry ed io ci eravamo
conosciuti soltanto al liceo, tre anni prima, quando io ero una
matricola e lui al secondo anno.
Nonostante il tono scortese di
Harry, sembrava che Declan non avesse intenzione di far scomparire quel
sorriso dal proprio volto. «Già, ma eri
proprio una frana!», lo schernì. Si rivolse a
me:«Ti ha mai raccontato di…».
«Lascia stare,
Burton», tagliò corto Harry.
I due si scambiarono una lunga
occhiata, in cui mi pareva scorressero mille parole, un messaggio
soltanto io e Brit non potevamo cogliere. Non sapevo cosa fosse
successo tra quei due, ma sembrava che Harry tollerasse a malapena la
sua presenza.
Britney avanzò di un
passo, prendendo in mano la situazione. «Bene. Ora io e Haley
dovremmo continuare il nostro giro…». La sua
domanda era quasi esplicita.
Infatti Declan annuì
freneticamente. «Certo. Non vi dispiace se vi
accompagno?».
Brit
s’illuminò, mentre mi tirava una gomitata
discreta. «No, certo che no!».
Spostai involontariamente lo
sguardo su Harry, ancora stordita dalla precipitosità degli
eventi. Il ragazzo era immobile, al mio fianco, con le braccia tese.
I nostri occhi
s’incontrarono solo per una frazione di secondo,
perché Harry distolse lo sguardo immediatamente.
«Harry?», il
mio fu un bisbiglio appena percettibile. Ma il suo viso
scattò all’istante nella mia direzione.
Scosse la testa. «No,
no. Io ho… Delle cose da fare».
Annuii. «Oh, okay. Ci
vediamo domani a scuo…».
Ma lui era già diversi
metri più avanti, le sue lunghe gambe guadagnavano terreno
velocemente.
Io, Declan e Britney ci
incamminammo lungo il sentiero coperto che costeggiava la piazza. La
brezza pungente che aveva iniziato a soffiare quella mattina era andata
via via aumentando, segno che i pochi giorni di sole autunnale che ci
erano stati concessi erano finiti.
Brit interruppe bruscamente di
camminare e con la scusa di dover comprare un antibiotico in farmacia,
ci lasciò momentaneamente soli.
In un normale contesto sarei stata
felice di restare in compagnia un ragazzo così attraente e
apparentemente simpatico. Ma la mia mente era troppo occupata a pensare
all’inspiegabile comportamento di Harry. Erano un paio di
giorni che era strano, dopo che eravamo stati nel garage di Trevor non
ci eravamo quasi più parlati. Fino a qualche minuto prima.
«È
da molto che…?», chiesi nello stesso momento in
cui lui diceva qualcosa che non riuscii ad afferrare.
Scoppiammo a ridere entrambi e lui
mi fece cenno di proseguire con la mia domanda.
Mi morsi il labbro inferiore.
«È da molto tempo che conosci Harry?».
Si fermò a pensare
qualche secondo. «In realtà sì. I
nostri genitori erano molto amici e tutte le volte che si riunivano ci
facevano… ehm, “giocare” insieme. Poi,
una volta cresciuti ci siamo persi di vista, finché sua
madre non lo ha obbligato a prendere ripetizioni di matematica da
me».
Non c'era niente che non andasse in
quella storia, e l'aveva esposta con tale naturalezza che mi sembrava
impossibile avesse mentito. Eppure per scaturire in Harry una reazione
simile non potevano essere stati semplicemente vecchi compagni di
giochi che si erano allontanati da tempo. Qualcosa non quadrava.
Aggrottai le sopracciglia.
«Ma i suoi sono continuamente in viaggio, lui non li vede
quasi mai».
Harry si era così
abituato a stare solo che alla fine aveva finito col comprarsi un
appartamento tutto suo, poiché sosteneva che la casa dei
suoi fosse troppo grande per lui.
«Forse ora. Le cose sono
un po’ cambiate da quando eravamo piccoli». Avrei
voluto chiedergli di più, ma lui cambiò
argomento. «Quindi… Hai già pensato a
cosa fare dopo il diploma?».
Abbassai lo sguardo, arrossendo.
«In realtà ci penso da quando avevo nove
anni».
Lui rise, mostrandomi ancora una
volta quei denti perfetti. «E…?».
Sospirai. «E mi
piacerebbe andare a Oxford».
«Piuttosto ambiziosa. E
cosa ti fa preferire Oxford a Cambridge?».
«Mi piacciono le materie
umanistiche. E trovo che Oxford sia… Più seria,
rigorosa». Spinsi le mani infondo alle tasche. «E
tu?».
«Studio legge, una cosa
voluta più dai miei che da me».
«Perché?».
Si strinse nelle spalle.
«Avrei voluto fare un provino per X-Factor, diventare un
artista». La mia espressione doveva essere alquanto
sconcertata, perché Declan scoppiò a ridere.
«Sto scherzando. A me va benissimo quello che faccio, anche
se non vedo l’ora di finire».
Britney uscì dalla
farmacia con una piccola busta in mano. Guardò prima Declan
poi me, e la sua bocca si piegò in un sorriso di
approvazione. «Ehi ragazzi! Sentite, si è fatto un
po’ tardi, io devo andare, ma…».
La interruppi.
«Sì, anche per me».
Declan annuì.
«D’accordo, allora… Beh,
ciao», mi disse rivolgendomi un sorriso dolce.
«Ciao».
Avevamo fatto solo qualche passo,
quando mi sentii chiamare. Mi voltai. «Ehi, non è
che ti andrebbe di vederci, un giorno di questi?».
«Domani sera diamo una
festa di Halloween, a casa dei genitori di Harry. Puoi venire se vuoi»,
disse Britney al posto mio.
«Tu ci sarai?»,
mi chiese. Annuii, guadagnandomi l’ennesimo sorriso a
trentadue denti.
Mentre tornavo a casa decisi di
chiamare Harry. Ero preoccupata per lui e non m’importava se
il mio comportamento gli sarebbe apparso morboso. Rispose dopo pochi
squilli.
«Pronto?».
«Ciao. Ehm,
io… Volevo sapere se, sì, insomma. Come
stai?».
La sua risposta si fece attendere
qualche secondo, potevo quasi vedere il cipiglio formarsi pian piano
sulla sua fronte e le labbra corrugarsi. «Ci siamo visti
neanche un’ora fa, Haley», mi fece notare. Il suo
tono distaccato mi provocò una strana sensazione alla bocca
dello stomaco.
«Lo so. Ma sembravi a
disagio, prima. Con Declan».
Non rispose.
«Britney l’ha
invitato alla festa, domani sera. Siccome è casa tua, volevo
solo essere certa che per te andasse bene».
Odiai il tono quasi supplichevole
della mia voce. Sembrava che gli stessi chiedendo il permesso, il che
non avrebbe avuto alcun senso.
«Non è casa
mia, e Britney può invitare chi le pare».
Riattaccò.
***
Spazio autrice:
Hello pipol! Per prima cosa
ringrazio di cuore chi ha recensito gli scorsi capitoli; mi fa davvero
piacere quando lo fate, mi date la possibilità di
migliorarmi e quindi vi prego di continuare perché
è davvero importante per me. Qualcuno mi ha fatto notare la
banalità della trama in generale, avete ragione, ma
è ancora all'inizio e sviluppi un po' più..
interessanti(?) ci saranno più avanti. Tutto quello che
succede, il comportamento di Harry, ha tutto un senso che
però si scoprirà alla fine e non posso
assolutamente anticiparvi niente.
Ancora grazie mille a tutti, in
particolare a chi mi ha dato fiducia e quindi continuerà a
leggere.
Siete delle meraviglie.
Ciauciau, al prossimo capitolo. Xx
#Allie
|
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Capitolo 5 *** Five ***
5. FIVE
Fissai la mia
esile figura riflessa nel grande specchio di fronte al letto di
Britney. Infilai gli indumenti e studiai il risultato con sguardo
critico. Non mi ero mai preoccupata granché del mio aspetto
fisico, ma ero consapevole di non avere curve molto prosperose e quegli
abiti lo sottolineavano alla grande. L’idea
dell’infermiera sexy era stata di Brit, ovviamente, ma ora mi
sentivo più un manico di scopa che altro.
Tolsi il
fermaglio dai capelli e lasciai ricadere le onde castane lungo la mia
schiena. Infilai i tacchi, incespicando un po’ prima di
stabilizzarmi sui due piedi.
«Tesoro,
sei uno schianto», disse Brit avvicinandosi.
Ogni suo passo
provocava un pesante ticchettio sul pavimento, mi chiedevo come facesse
a stare in equilibrio su quelle scarpe così alte.
«Questa
gonna è troppo corta», dichiarai. «E
guarda qua, se avessi la tua taglia di seno mi si vedrebbero i
capezzoli per quanto è profonda questa scollatura».
Lei
sbuffò, facendomi segno di allacciarle la zip della tuta da
Catwoman.
«Si
chiama “infermiera sexy” per qualcosa Haley.
Altrimenti l’avrebbero chiamata “Madre Teresa di
Calcutta” o che so io».
M’incollai
allo specchio, mentre spazzolavo accuratamente le ciglia con il
mascara. Mi agitai le mani davanti al viso per farlo asciugare, mentre
controllavo di aver fatto un lavoro decente. Britney mi
afferrò la faccia con una mano sola, guardandomi da
più angolazioni. Dopodiché, continuando a tenermi
ferma, estrasse il suo gloss rosso acceso e me lo passò
sulle labbra.
«Ecco,
ora ci siamo».
Emisi un lungo
sospiro, per una volta senza protestare, e mi sedetti sul letto.
«Declan
impazzirà, vedrai».
«Chi?».
Alzò le
braccia al cielo. «DECLAN. Quel pezzo di universitario che ti
ho fatto conoscere, proprio ieri».
Annuii.
«Ah, sì».
Britney
appoggiò l’eyeliner sul comodino e si
voltò. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Voglio
dire, a chi non piacerebbe? Se non fossi fidanzata ci avrei fatto un
pensierino». Rise. «Ma è tutto
tuo».
Scossi la testa.
«Lo conosco appena, Brit».
«È
per questo che hanno inventato le feste, sai?».
La casa dei
genitori di Harry era quasi irriconoscibile, piena di decorazioni
macabre e di colori sgargianti allo stesso tempo. Britney doveva
essersi proprio impegnata. Passammo attraverso la folla che popolava il
giardino, salutando qualcuno di tanto in tanto. Una volta dentro
avanzai verso il salotto, facendomi spazio a gomitate tra la calca di
gente.
Allungai il
collo, in cerca di qualche viso conosciuto, ma quasi tutti i presenti
indossavano maschere o erano truccati in modo irriconoscibile. Avevo
perso Brit in mezzo al casino e dubitavo che l’avrei
ritrovata molto presto. E poi c'era Pete con lei, e dopo l'ultima volta
non avevo molta voglia di rivedere la sua faccia inquietante.
Qualcuno mi
sfiorò la schiena per attirare la mia attenzione.
«Ehi,
Haley», quelle parole furono accompagnate da un sorriso tutto
canini e scintillii. Declan indossava un mantello nero con il colletto
alzato.
«Ehi»,
lo salutai. «Ma che bel… Conte Dracula?».
«Già.
In realtà avevo pensato più a qualcosa come
Edward Cullen, ma non avevo abbastanza gel per
capelli».
Risi, portandomi
la mano alla bocca.
«E tu
dovresti essere…».
«…una
suora», finii io per lui.
Ghignò. «Io avrei detto un’infermiera
molto, molto sexy, ma se questa è la tua versione».
Mi prese per mano.
«In ogni modo, sei davvero una favola».
Sentii le guance
surriscaldarsi, non mi ero accorta che stessimo flirtando palesemente
fino a quel momento.
«Grazie.
Anche tu non sei niente male».
«Vuoi
ballare?».
Annuii e mi
lasciai condurre in mezzo ai corpi in movimento. Ci muovemmo
l’uno davanti all’altro per un po’, senza
ballare davvero. I miei occhi vagarono per tutto il tempo nello spazio
intorno a noi, alla ricerca di una chioma riccia e scura, ma non
riuscivo a scorgerla da nessuna parte.
Poi le labbra di
Declan si avvicinarono al mio orecchio destro.
«Che ne
dici di andare a parlare dove c’è meno
rumore?».
Acconsentii, tutte
quelle persone cominciavano a darmi l’ansia. Gli feci strada
verso la cucina, dove non c’era ancora nessuno. Quando la
porta si chiuse alle nostre spalle, il suono della musica si
attutì un po’.
Mi versai
dell’acqua nel bicchiere di carta e la trangugiai in un solo
sorso.
«Quindi
non è la prima volta che vieni qui?», chiesi.
«No,
infatti. Ma ormai non me la ricordavo più».
Aprii il
frigorifero. «Vuoi qualcosa da bere?».
«C’è
dell’aranciata?».
Studiai le
bottiglie impilate una sopra all’altra e feci sì
con la testa. Qualcuno doveva averla agitata un po’ troppo
perché quando riuscii a svitare il tappo, della schiuma
gialla schizzò da tutte le parti.
«Cavolo!»,
esclamai constatando le pozzanghere di aranciata per terra e sul
bancone.
Alzai lo sguardo
verso Declan, sentendolo ridere di gusto.
«È
un disastro».
Si
piegò su se stesso, le lacrime agli occhi.
«Già, lo è».
Nascosi un
sorriso. «Piantala, dobbiamo ripulire tutto ora».
«Ma io
non ho ancora bevuto la mia aranciata».
«Ti
sembra il momento?».
Tese la mano verso
di me. «Avanti, bevo e poi ci mettiamo al lavoro».
Alzai la bottiglia
sopra la testa per allontanarla dalla sua portata.
«No».
Declan
scattò in avanti, facendoci finire contro il lavello.
«Avanti dammela!».
Scoppiai a ridere.
«Noo!».
Mi accorsi che
eravamo un po’ troppo vicini solo quando il suo naso quasi
sfiorò il mio. Appoggiai una mano sul suo petto per
spingerlo più lontano, ma mi bloccai quando udii il volume
della musica alzarsi, segno che qualcuno aveva aperto la porta. La
bottiglia di aranciata mi scivolò di mano e il liquido
colorato si sparse sul pavimento.
La sua figura
alta era immobile, il braccio bloccato a mezz’aria. Il suo
“costume” comprendeva i jeans neri e la camicia,
nessuna traccia di maschere o altro. L’espressione era
neutra, non sembrava neppure che mi stesse guardando. Se non fosse
stato che eravamo al centro della stanza avrei dubitato perfino che ci
avesse visti. Lo sguardo lucido e arrossato suggeriva che aveva passato
da un po’ la soglia della sobrietà.
Avrei voluto dire
qualcosa, spiegare che non era come sembrava e dirgli che lo stavo
cercando.
Ma la mia bocca
rimase sigillata, le parole bloccate in gola.
Deglutii.
«Har…».
Ma lui era
già sparito.
Fu Declan ad
allontanarsi, perché sembrava che avessi improvvisamente
perso la capacità di muovermi.
Lo guardai
confusa, sentivo le orecchie ardere.
«Haley
è tutto okay?».
Annuii
impercettibilmente. «Quello era Harry?», sussurrai.
Declan mi
guardò con una strana espressione in viso. «Voi
due non state insieme, giusto?».
Quella domanda mi
colpì come uno schiaffo in pieno viso.
No. Certo che non
stavamo insieme. E allora perché mi sentivo in quel modo? E
perché Harry se n'era andato così? Doveva avere a
che fare con Declan, probabilmente fra loro era successo qualcosa che
non sapevo. Non riuscivo a trovare altra spiegazione plausibile.
«Haley?».
Sussultai.
«No! Siamo ottimi amici, solo questo».
«Okay»,
disse, ma non mi sembrava convinto.
Rimasi in
silenzio qualche minuto con le tempie che pulsavano.
«Che
problema ha con te, Declan?», sbottai.
«Non lo
so!», rispose, forse troppo in fretta.
Sbuffai,
appoggiandomi al bancone dietro di me. Nessuno dei due
parlò, mentre picchiettavo insistentemente le dita contro la
superficie dura del marmo. L’orologio della cucina batteva i
secondi in modo insistente e non faceva che aumentare la tensione fra
noi di noi.
Mi lanciai in
avanti senza preavviso, uscendo dalla stanza e tuffandomi nella marea
di persone. Avanzai infilandomi negli spazi liberi e allungandomi per
cercare Harry, ma la mia statura di certo non aiutava. Possibile che
una persona riuscisse a scomparire nel giro di pochi minuti? Continuai
la mia ricerca imperterrita, dovevo trovarlo. Mi sarei fatta spiegare
che gli stava succedendo e perché sembrava avercela con il
mondo intero.
Mi resi conto che
la mia piccola marcia si era trasformata in una corsa solo quando urtai
uno zombie piuttosto violentemente, e questo fu costretto ad
aggrapparsi a qualcuno per non cadere. Rallentai il passo quando
arrivai davanti alla porta del bagno. Bussai prima di spalancarla e
trovarvi una ragazza avvinghiata a un riccio che conoscevo fin troppo
bene.
Harry era
incollato a una bottiglia e non sembrava nemmeno far troppo caso alle
effusioni spinte di lei.
Indecisa sul da
farsi arretrai di qualche passo. Avevo davvero intenzione di andarmene,
ma c’era qualcosa che teneva i miei piedi inchiodati al
suolo. I gemiti da cagna in calore di quella sgualdrina mi davano sui
nervi, ma non ero nessuno per impedir loro di far niente, avrei parlato
dopo con Harry.
Nessuno dei due
sembrava essersi accorto di me, quindi mi costrinsi a voltarmi per
andar via.
«Haley»,
il mio nome venne sussurrato appena dalla sua voce roca.
Quando tornai a
guardarlo la ragazza era sgusciata via e presto si mescolò
tra la folla. Harry era accasciato contro il muro, la pelle del suo
viso bianca e tirata.
Mi avvicinai
senza esitazione prendendogli il volto tra le mani. «Oh mio
Dio Harry, quanto hai bevuto?».
Le sue palpebre si
sollevarono leggermente per scrutarmi. «Va-vattene».
Lo aiutai ad
alzarsi sorreggendolo con un braccio, ignorando le sue proteste.
Lo trascinai a
fatica, ma lui mi tirò all’indietro per
costringermi a fermarmi. Mi spinse via mentre si chinava sul lavandino
con un lamento. Aspettai pazientemente che fisse di rimettere e quando
si sollevò mi parve stesse un po’ meglio.
Finché non cadde in avanti e mi finì addosso.
Mi armai di tutta
la mia buona volontà e lo portai al piano di sopra, fino
alla sua camera da letto. Non so come ci riuscii, Harry da svenuto
sembrava pesare cento chili. Se poi ci si aggiungeva il fatto che fosse
alto almeno venticinque centimetri più di me
l’impresa sembrava praticamente impossibile.
Lo adagiai sul
letto e per un po' rimasi inibita a fissarlo, non sapendo bene cosa
fare. Ero venuta per parlare con lui, ma ero finita con l'aiutarlo a
riprendersi dallo sbocco.
Optai per
slacciargli i primi bottoni della camicia per farlo respirare meglio.
«Mi stai
spogliando?».
Sul suo viso era
comparso un piccolo sorriso beffardo, ma gli occhi erano ancora chiusi.
«Ti
preferivo quando dormivi».
Sbadigliò.
«Ti accontento subito. Tu intanto continua pure».
Alzai gli occhi al
cielo, arrossendo leggermente. «D’accordo,
è meglio che vada».
Allungò
una mano verso di me. «No, aspetta. Vieni qui».
Mi sedetti accanto
a lui, giocherellando nervosamente con le dita. «Che
c’è?».
Scosse la testa,
facendomi segno di tacere. «Ho mal di testa».
Sospirai e rimasi
in silenzio, obbediente. Doveva sempre essere così lunatico.
«Così
tu e Burton, eh?», dalla sua voce traspariva soltanto lo
sforzo che gli causava parlare in quello stato. Scossi la testa,
dimenticando che non poteva vedermi. «Haley?».
«No,
Harry. Non c’è niente tra noi».
«Non ti
devi giustificare». Le sue parole erano a malapena udibili.
Cercavo
disperatamente di capire dove volesse andare a parare. Gli scostai un
ciuffo ribelle dalla fronte.
«Ma…?».
«Ma non
mi piace».
Sbuffai,
tirandogli un ricciolo per dispetto e facendolo brontolare.
«Non
deve piacere a te», dissi.
Si
sollevò sui gomiti per guardarmi meglio, i suoi occhi verdi
ancora lucidi per l’alcol scavarono a fondo nei miei.
«Lo so.
Ma tu non lo conosci, okay?».
«E tu
sì?».
«Sì.
Dovresti stargli lontana», dal suo tono era sparita quella
giocosità infantile di poco prima.
«Declan
è un ragazzo molto dolce, Harry». Ero passata
involontariamente sulla difensiva.
La sua mano si
chiuse a pugno intorno al mio polso, stringendolo. «Devi
ascoltarmi, Haley»
Mi alzai di
scatto, allontanandomi da lui, ma non riuscii a liberarmi dalla sua
stretta. «Lasciami».
Anche lui si era
alzato e ora torreggiava su di me. Nonostante non l'avrei mai ammesso
davanti a lui, la sua altezza mi intimidiva.
«Ci sono
cose che non sai», ringhiò tra i denti.
Mi divincolai,
riuscendo solo a farlo impuntare di più.
«Pensi
che ascolterei uno che sputa sentenze mentre è ubriaco
fradicio?».
Approfittai del
suo momento di esitazione per liberarmi.
«Cazzo
Haley, sto solo cercando di farti ragionare!»,
tuonò colpendo la testiera del letto con un pugno. Il legno
scricchiolò sotto il peso del suo colpo e per un attimo
credetti che cedesse.
Sbarrai gli
occhi, indietreggiando di qualche passo. Dovevo aver sottovalutato il
livello di alcool nel suo corpo.
«I-io me
ne vado».
I miei passi si
fecero più urgenti man mano che arretravo, finché
non sfiorai la porta con la schiena.
«Haley!».
Me la sbattei alle
spalle e iniziai a correre. Mi scontravo con le persone quasi senza
accorgermene e non mi fermai finché non fui almeno una
decina di metri lontano dal giardino della casa. Sapevo che Harry da
ubriaco perdeva spesso il controllo e per questo motivo mi tenevo alla
larga da lui quando andavamo in discoteca o a qualche festa.
Continuai a
correre fin quando non mi ritrovai, non so bene come, sotto le coperte
del mio letto, abbandonandomi alla sensazione dei muscoli doloranti.
***
Spazio autrice:
Dunque, ecco qui il quinto capitolo (ma va? Ahahahah). Non mi fa
impazzire, ma era necessario e spero tanto che a voi piaccia. Come
sempre ringrazio tutti quelli che hanno recensito e aggiunto la storia
tra le seguite/preferite/ricordate ecc.. Vi prego ancora di farmi
sapere cosa ne pensate, ho davvero bisogno dei pareri di qualcuno anche
più esperto, è molto molto importante per me. Ora
vi lascio, un bacione tessori(?)
#Allie
|
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Capitolo 6 *** Seven ***
7. SEVEN
«Non la
toccare, idiota!». Rimasi paralizzata nell’udire la
voce di Britney.
La ragazza
puntò il telefono contro Declan come fosse stato un arma da
fuoco.
«Vattene,
o chiamo la polizia».
Lui si
alzò barcollando e si allontanò, con la coda tra
le gambe. Non credevo che la mia amica potesse fare questo effetto su
un qualunque ragazzo e ne fui piacevolmente sorpresa.
«Brit».
Lei si
voltò e mi corse incontro, abbracciandomi forte.
«Mio Dio tesoro, come stai?».
Mi
guardò negli occhi come per cercare qualche segno del terrore
che non manifestavo.
«Va
tutto bene. Che ci facevi qui?».
«Ero
venuta ad accertarmi che fossi andata a quello stupido appuntamento. Ma
forse sarebbe stato meglio che non l’avessi fatto. Mi sento
così in colpa, non pensavo fosse…».
La zittii con un
altro abbraccio. «Non potevi saperlo», dissi solo.
Gli pneumatici
stridettero sull’asfalto quando l’auto fece marcia
indietro. Il finestrino si abbassò con un ronzio.
«Non
è finita qui», abbaiò Declan.
Dopodiché partì a tutta velocità,
senza nemmeno darmi il tempo di replicare.
Britney mi
seguì fino alla mia stanza e ci accomodammo sul letto,
l’una di fronte all’altra con le gambe incrociate.
«Vuoi
spiegarmi che è successo?».
Sospirai,
appoggiandomi al muro dietro di me. «Declan ha provato a
baciarmi e io l’ho respinto. Lui crede che Harry
c’entri in qualche modo, ma io gli ho…».
«Aspetta,
cosa?». Strabuzzò gli occhi.
«Harry?».
Annuii.
«Crede che mi abbia detto delle cose sul suo conto per
allontanarmi da lui».
«Ed
è così?».
«No! O
meglio sì, ma non c’entra».
Britney
alzò un sopracciglio interrogativamente. Il fatto che le
stessi nascondendo qualcosa era più che evidente, ma non
avevo la minima intenzione di parlarle del bacio.
«Harry
mi ha detto solo che Declan è…
“pericoloso”», tentai invano di imitare
la sua voce profonda. «Ma non mi ha spiegato
nient’altro».
«Quindi
tu l’hai rifiutato per quello che ti ha detto
Harry».
Scossi la testa.
«L’ho fatto semplicemente perché non
volevo baciarlo!».
«E Harry
che c’entra allora?».
Alzai le braccia
al cielo e le lasciai ricadere sul materasso.
«Niente!»,
sbottai.
«Sei tu
che l’hai messo in mezzo», cercai di regolare il
tono della voce per non sembrare isterica, ma qualcosa mi diceva che
era ormai troppo tardi.
Infatti
l’espressione della mia amica era eloquente.
«Okay,
Declan si è rivelato un cretino, Hal. Ma il fatto che tu
abbia creduto a Harry mi lascia perplessa».
«Ma io
non gli ho creduto».
«E
allora perché non l’hai baciato? Nessuna ragazza
che non sia già presa da qualcun altro non si lascerebbe
baciare da uno come lui». Mi soppesò con lo
sguardo. «E l’unica persona che conosco che
potrebbe batterlo in bellezza, ha la sensibilità
dell’uomo di Neanderthal e il cervello di un
opossum».
La sua
affermazione mi fece ammutolire, la conferma di cui aveva bisogno.
Mi prese le mani
e mi parlò dolcemente. «Sono la tua migliore amica
e ti conosco meglio di quanto conosco me stessa. Qualunque cosa tu
abbia deciso di non dirmi sono sicura che c’è una
buona ragione. Quando ti sarai chiarita le idee ne
riparleremo».
Era raro sentirle
pronunciare parole così mature e profonde, e ogni volta che
lo faceva mi lasciava spiazzata. Così rimasi inibita sul mio
letto mentre ascoltavo la porta della mia stanza e poi quella
d’ingresso chiudersi alle sue spalle.
Un pensiero mi
vorticò nella mente, veloce come una meteora.
Harry.
Come se non fosse
stato il mio chiodo fisso nelle ultime ore. Come se i suoi occhi verdi
che sembravano scavarmi nel fondo dell’anima, non mi si
fossero impressi un attimo dopo che le nostre labbra si erano staccate.
Ma che stavo
dicendo? Harry e io eravamo amici. Era sempre stato così. La
mia teoria era che baciarmi gli era sembrato l’unico modo per
impedirmi di andare. Solo per non mettermi in pericolo. Questo
implicava però che lui fosse convinto che bastasse un suo
bacio per farmi cadere ai suoi piedi, e si sbagliava. Si sbagliava di
grosso. Certo, e allora perché non facevo che torturarmi?
Una fredda goccia di pioggia che era rimasta intrappolata nel
capelli s’infilò nel colletto della maglia e
scivolò giù, facendomi rabbrividire e
risvegliandomi dal mio monologo interiore.
Mi alzai e andai
in bagno ad asciugarmi i capelli, il getto di aria calda mi permise di
rilassarmi un po’. Quando ebbi finito mi accorsi che erano le
undici passate, quindi scesi al piano di sotto per ricontrollare di
aver chiuso la porta. Non mi ero mai lamentata davanti a Tess o a mamma
e papà, ma non mi piaceva stare sola così spesso.
Però sapevo che era necessario, i miei genitori erano
proprietari di un’impresa edile e viaggiavano spessissimo,
per concludere più affari possibili. Così non mi
restava altro che accontentarmi dei pochi momenti in cui li vedevo.
Il cellulare
vibrò nella tasca dei pantaloni. Il messaggio era di
Britney, che mi dava la buonanotte, e mi sorpresi quando avvertii la
delusione crescere dentro di me.
Quasi senza
pensarci aprii la sua chat. Il mio cuore fece una
capriola quando lessi la parola ‘online’.
Online.
Perché
non mi aveva ancora scritto? Forse si aspettava che lo facessi io, ma
non avevo idea di cosa avrei dovuto dirgli. Nella mia testa
c’erano un misto di rabbia, tristezza e confusione. Ma era la
rabbia la parte maggiore. Perché non riuscivo a concepire il
suo gesto, perché non capivo se gli importava o no
l’aver rovinato la nostra amicizia e, soprattutto,
perché mi rendevo conto solo in quel momento che quel bacio
mi era maledettamente piaciuto.
Una fitta mi
scosse quando la scritta ‘online’ venne sostituita
da ‘ultimo accesso effettuato alle 23:17’.
Spensi il telefono
e lo gettai da una parte.
Il viaggio fino a
scuola con Britney era stato stranamente silenzioso. Nessun blaterare
di cose che normalmente avrei solo finto di ascoltare, nessun
pettegolezzo, niente di niente. Ci eravamo salutate e poi lei aveva
continuato a guidare, tirando fuori il cellulare di tanto in tanto per
scrivere qualche messaggio.
Quindi feci quasi
mezzo metro di salto dal sedile quando, dopo aver parcheggiato
l’auto, si voltò verso di me.
«Se ti
sbrighi forse lo trovi».
«Chi?».
Mi
lanciò una strana occhiata. «Forse intendevi cosa.
Il quaderno che mi hai detto di aver lasciato in biblioteca»,
replicò in tono ovvio.
Mi diedi uno
schiaffo sulla fronte, trattenendo un enorme sospiro. «Ah,
già».
«Prima
che inizino le lezioni, voglio dire. Ci vediamo a inglese».
Mi diressi verso
l’edificio B4, facendo strisciare le mie converse verdi
sull’asfalto umido. Aveva smesso di piovere da qualche ora,
ma potevo ancora percepire l’odore intenso della terra
bagnata. Nonostante avessi passato diversi minuti in bagno a cercare di
dare una forma ai miei capelli, sapevo che i miei sforzi erano andati
in fumo non appena avevo messo il naso fuori casa. Quindi mi ero arresa
e li avevo raccolti in una treccia disordinata.
«Haley!».
Mi voltai di
scatto, sfilandomi l’unica cuffietta che mi era rimasta nelle
orecchie. Una ragazza dai capelli biondi a ciuffi rosa fragola mi
salutava con la mano. Ero sicura di averla vista a qualche corso, ma
non riuscivo a ricordare il suo nome. Mi venne incontro quasi correndo,
seguita a ruota dall’amica, che mi lanciava timide occhiate.
«Ciao»,
mi salutò di nuovo.
Mi accorsi della
mia espressione corrucciata quando vidi il grande sorriso sul suo volto
affievolirsi. Mi sforzai di assumere un atteggiamento meno ostile e
arrischiai un sorriso. Non lo facevo apposta, davvero, è
solo che non amavo quella popolarità di cui Brit andava
tanto fiera e non ero mai pronta a situazioni come quella. Ma ormai mi
ero rassegnata e ogni volta che incontravo qualcuno che sapeva il mio
nome e che magari io non avevo nemmeno mai visto, non ci facevo molto
caso.
«Posso
aiutarti?», chiesi.
«Ehm,
veramente io… Frequentiamo lo stesso corso di chimica. E
biologia», disse continuando ad annuire come in una specie di
tic nervoso. «Mi chiedevo se… Beh, se avessi il
numero di H-harry».
Le mie
sopracciglia si sollevarono involontariamente. «Oh».
La studiai
accuratamente, era un po’ più alta di me, con un
paio di grandi occhi castani e il collo lungo e affusolato. E carina,
molto carina. Esattamente il genere di ragazza che Harry era solito
frequentare, per qualche giorno, settimana al massimo.
«È
solo per delle prevendite», si affrettò ad
aggiungere. «So che lui è un PR,
così…».
Alzai una mano per
fermarla. Sapevo benissimo che quella delle prevendita per la discoteca
era solo una scusa, benché Harry prestasse davvero quel
genere di servizi. E sapevo altrettanto bene che lo faceva soltanto per
cose come quella, ovvero attirare clientela femminile. In
tutti i sensi.
«Scusa»,
dissi «ma vado di fretta».
Le scivolai
accanto mentre la superavo, dirigendomi a passo svelto verso la
biblioteca. Mi sentivo talmente stupida, il fatto che ci fossimo
baciati non doveva significare essere infastidita da cose come quella.
Capitavano spesso e inoltre a Harry stava bene.
Ero
così presa dai miei pensieri che non mi resi conto di essere
già nel bel mezzo degli scaffali pieni di libri. Mi guardai
intorno attentamente, anche se ormai non ci speravo troppo: erano ormai
tre o quattro giorni che il mio quaderno era scomparso e quella della
biblioteca era solo un ipotesi. Un ragazzo era seduto proprio nel punto
in cui ricordavo di averlo lasciato, al tavolo che stava in mezzo alla
narrativa e ai romanzi storici.
Mi avvicinai e
gli picchiettai la mano sulla spalla delicatamente.
«Scusa,
hai visto…». Mi bloccai a metà frase. I
suoi occhi color smeraldo si spalancarono leggermente per la
sorpresa.
Da dietro non ero
riuscita a riconoscerlo per via del berretto grigio che indossava.
La mia mano si
ritrasse automaticamente, per finire nella tasca del giacca.
«Ciao»,
disse.
Che diavolo ci
faceva in biblioteca? Fino a cinque secondi prima ero convinta non
sapesse nemmeno della sua esistenza.
«Ehm,
io… Cercavo solo…», balbettai
gesticolando.
Lui
annuì e tirò fuori un piccolo quaderno blu dalla
tracolla, porgendomelo. Lo afferrai esitante, affrettandomi a infilarlo
nel mio zaino.
«Grazie».
Feci dietrofront
per uscire al più presto, ma la sua grande mano mi
afferrò per un braccio. Quando mi voltai Harry si era alzato
e per guardarlo in viso dovetti alzare il mio di parecchio. I suoi
occhi erano incatenati ai miei in un modo così intenso che
credetti di sentir cedere le gambe.
«Perché?». Non so dove presi il coraggio di
parlare.
La domanda
sembrò colpirlo in pieno petto e per un attimo sperai
davvero che mi avrebbe risposto. Ma poi i suoi ricci oscillarono mentre
scuoteva la testa.
«Britney
mi ha detto di Declan».
Il mio labbro
inferiore tremò, mentre contraevo la mascella per non
scoppiare a piangere.
«Beh,
avevi ragione. È questo che volevi sentirti dire?
Sì Harry, Declan è un idiota. Sei contento
adesso? Eh?», il tono della mia voce era diventato un
po’ troppo alto, ma fortunatamente la biblioteca a
quell’ora era deserta.
«Smettila
Haley», mi gelò.
Mi liberai dalla
sua presa e gli tirai un colpo sul petto, con tutta la forza che avevo
in corpo.
«Lo sai
cosa sei? Sei uno stronzo! Uno stronzo bambino
viziato. Dio!».
Lui dischiuse le
labbra per parlare, ma non gliene diedi il tempo.
«Per te
non esiste il concetto di “amicizia”? Per te
è tutto o niente, non è vero? No, lasciami
finire!», sbraitai quando lui tentò di nuovo di
interrompermi. «Credevo che ci fosse qualcosa di diverso tra
di noi, qualcosa che contasse. Invece tu devi sempre prenderti
tutto».
Mi fermai,
permettendogli di spiegarsi, di smentirmi, di dire qualsiasi cosa. Ma
lui rimase impassibile, le braccia tese lungo i fianchi, il cappello
era sceso un po’ sulla sua fronte.
Prima che potesse
fermarmi ancora una volta, corsi via più veloce che potei.
Avevo perso il controllo, non erano queste le cose che avrei voluto
dirgli, ma ormai era troppo tardi. Se non altro avevo avuto la conferma
che non gli importava.
Nella mia marcia
verso l’aula di inglese mi scontrai di nuovo con la
ragazza-fragola. Senza dire una parola estrassi una penna e le
scribacchiai le nove cifre sul palmo della mano, furiosamente, senza
preoccuparmi se le stessi facendo male o meno. Infine proseguii senza
più fermarmi, lasciandola interdetta e a bocca aperta.
Solo dopo essermi
rinchiusa nel bagno delle ragazze lasciai che le lacrime scorressero
senza freni lungo mie guance.
***
Spazio
autrice:
Ed eccoci qua col settimo capitolo. Mmh.. sono un pochino triste,
perché qui Harry non riesce (o non può.. ups,
SPOILER) a dirle tutto quello che dovrebbe.
Nonono basta ho già detto troppo.
Dunque, come sempre un bacio grande grande a chi legge e recensisce,
siete meravigliose! Alla prossima puntata ;)
#Allie
|
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Capitolo 7 *** Six ***
6. SIX
C’è un momento, quando si è
appena svegli, in cui non si ricorda niente. La tua mente è
un enorme foglio bianco e sconfinato e per un istante, un brevissimo
istante, ci riempiamo di una gioia immensa e immotivata.
Poi però la coscienza ha la meglio, e la violenza
della consapevolezza quasi ci toglie il respiro.
Sbattei le palpebre un paio di volte prima di riuscire a
mettere a fuoco la stanza intorno a me.
Pioggia. Un forte scrosciare contro il tetto e le finestre.
Girai la testa verso il comodino, la sveglia segnava le nove e
un quarto. Mi alzai seppur controvoglia e mi sedetti in cucina con una
tazza di tè caldo. Mi godei la sensazione di tepore del
plaid per un po’, finché non sentii la porta
d’ingresso aprirsi.
«Tess?», chiamai.
Poco dopo una testa candida sbucò dal corridoio.
«No, sono io Haley».
«Ah, Karen». Sorrisi alla domestica.
«Sai dov’è mia sorella?».
Lei annuì, sistemando una serie di sporte sul
tavolo.
«Ha detto di dirti che passerà il ponte a
Londra con degli amici».
«Oh… E ti ha detto anche quando
torneranno i miei?».
Scosse la testa energicamente e iniziò a sistemare
la spesa nei mobili. Dopo averla aiutata mi diressi di nuovo nella mia
stanza. Accesi il cellulare e trovai una decina di chiamate perse da
Britney, nessuna di Harry.
La richiamai e, come al solito, rispose quasi subito.
«Come si chiama quella tipa con i neuroni ustionati?
Ah sì, Haley Grantham».
«Buongiorno Brit».
«Buongiorno un accidente! Io...tu... grr».
«Con parole tue, Brit».
«Ieri sera ti ho cercata per tipo un’ora e
chi mi viene a dire che te ne sei andata? Quell’idiota di
Styles. Che tra l’altro ho trovato per puro caso, visto che
se ne stava barricato in camera sua come una specie di
eremita. Mi ha detto che avete litigato, ma fin qui chi se ne
frega. Invece ho parlato con Declan, e cosa mi dice? Che sei
sparita liquidandolo con due parole a caso».
Fece una pausa per riprendere fiato, temevo le venisse un
infarto da pressione troppo alta.
«Quindi la domanda sorge da sé, che
cavolo hai nel cervello?».
Sbuffai, strattonando le lenzuola del mio letto per farne
uscire le chiavi che chissà come vi erano finite in mezzo.
«Senti, ora non ho voglia di parlarne. Penso che
rimanderò i terribili rimpianti a domani o dopodomani,
promesso. Nel frattempo sono sicura che troverà qualcosa con
cui tenersi occupato».
«Non usare quel tono sarcastico. Anche
perché stasera hai un appuntamento con lui».
Lasciai cadere le chiavi sul parquet di legno.
«Cosa?».
«Oh, mi ringrazierai più tardi. Ora pensa
solo a un modo per farti perdonare, chiaro?».
«Evapora».
«Passa a prenderti alle sette!»,
gridò prima che le agganciassi il telefono in faccia.
Raccolsi le chiavi dal pavimento e le lanciai sulla scrivania
in un gesto esasperato. Perché quella ragazza non era capace
di mettersi dei freni? Non mi dispiaceva uscire con Declan, certo, ma
il pensiero fisso della litigata con Harry mi avrebbe impedito di
godermi la serata. E poi volevo essere io a decidere quando, se e con
chi uscire. Nonostante questo sapevo di dovergli delle scuse, non era
colpa sua se Harry era un idiota.
Qualcuno bussò delicatamente alla porta della mia
stanza e l’aprì. Karen mi rivolse un sorriso
cordiale.
«Vuoi qualcosa in particolare per pranzo?».
Scossi la testa, con un espressione nauseata. «No
grazie, Karen. Non ho molta fame. Anzi, sai che ti dico?
Perché non torni a casa dalla tua famiglia e prepari loro
qualcosa di buono, visto che è festa?».
L’espressione della donna era incerta.
«Ma…».
Abbozzai un sorriso. «Io starò
benissimo».
Dopo essere riuscita a convincerla decisi di impegnare la mia
mente in qualcosa di utile come i compiti.
Mi resi conto dell’orario solo quando lo schermo del
mio cellulare lampeggiò per segnalare un messaggio.
“Va a quell’appuntamento!”
Scattai verso l’armadio e lo spalancai, sfilandomi
contemporaneamente i pantaloni della tuta e la canotta. Mi aggrappai
alla maniglia per non cadere, mentre i miei occhi guizzavano da un lato
all’altro in cerca di qualcosa da mettere. Infilai un
maglioncino blu e i jeans scuri e schizzai fuori dalla stanza. Mi
bloccai a metà strada tra il bagno e le scale.
Harry era appoggiato alla ringhiera, il suo viso era qualcosa
di irriconoscibile. Un paio di occhiaia scure campeggiavano sul suo
viso macchiando il verde dei suoi occhi di nero. La maglietta a maniche
corte che indossava evidenziava il suo fisico asciutto e i muscoli
affusolati delle braccia e dell’addome. Si passò
una mano nei capelli umidi e disordinati per scostare i ciuffi che gli
erano caduti sulla fronte.
«Ciao», la profondità del suo
tono mi fece sobbalzare.
Aprii la bocca per rispondergli, ma non ne uscì
alcun suono. Harry fece qualche passo avanti, ma io rimasi immobile a
fissarlo.
«Dovresti tenere la porta chiusa quando sei sola in
casa», proseguì.
Tutto quello che mi riuscii fu un lieve cenno
d’assenso. Lui sbuffò, stringendo le mani a pugno
lungo i fianchi e facendo guizzare i muscoli degli avambracci.
«Mi dispiace, okay? Non volevo essere
così… Beh, io. Non avrei dovuto reagire in quel
modo. Ma ero ubriaco e ti ho vista con quel cazzone. Già, la
mia opinione non è cambiata».
«E allora perché sei qui?».
«Per aggiustare le cose. Per parlare».
Sospirai. «Non c’è niente di
cui parlare Harry, la pensiamo in due modi diversi. E poi tra cinque
minuti devo andare, sono in ritardo».
«Dove?».
Sbuffai ed entrai in bagno, dandogli le spalle. Mi spazzolai i
capelli in tempo record, consapevole della presenza di Harry dietro di
me.
«Haley, ti ho fatto una domanda. Dove devi
andare?».
Assottigliai lo sguardo, maledicendo la sua testardaggine.
«Non sono affari tuoi, okay?», sibilai tagliente.
Entrò nella stanza a grandi falcate, il suo sguardo
era incatenato al mio.
«Esci con lui, vero?».
Strinsi il lavandino con una mano, mentre la mia immagine
riflessa nello specchio diventava improvvisamente molto interessante.
Un paio di occhi verdi mi fissarono di rimando. Ma non era un verde
limpido come quello di Harry, era qualcosa di meno puro,
“sporco” avrei detto io. Un colore ibrido, la via
di mezzo tra un verde scuro e un nocciola.
Un tonfo secco mi fece voltare di scatto verso il mio amico.
La sua mano era chiusa a pugno contro la parete dietro di lui. I suoi
occhi erano chiusi, le labbra piene aperte mentre faceva respiri
profondi per calmarsi.
«Non stavo scherzando quando ti dicevo che
è pericoloso», il suo tono era volutamente
controllato, forse stava cercando di non spaventarmi. Inutile dire che
i suoi tentativi erano vani.
«Se c’è qualcosa che vuoi dirmi
sono qui, Harry. Altrimenti lasciami andare, sono in ritardo».
Le sue palpebre si sollevarono di scatto, veloci come quelle
di un felino.
«No», sussurrò. «Non
posso».
Annuii con calma. «D’accordo. Allora non
ti dispiace se…». Il campanello trillò,
interrompendomi e chiarendo il concetto allo stesso tempo.
Lo sorpassai senza sforzo e dopo essermi infilata le scarpe
velocemente, volai al piano di sotto. Feci per aprire la porta, ma una
grande mano si chiuse intorno alla mia proprio mentre premevo sulla
maniglia. Il petto di Harry quasi sfiorava la mia schiena quando mi
voltai.
«Harry…», dissi quasi
implorante.
«Tu non capisci».
Sospirai. A quel punto non sapevo nemmeno perché mi
ostinavo ad andarci a quell’appuntamento. Forse solo per
spirito di contraddizione, per dimostrargli che non prendevo ordini da
lui e che il fatto di essere il mio migliore amico non gli permetteva
di avere alcuna influenza su di me.
Così, quando le parole uscirono dalla mia bocca
m’impegnai a mettervi più determinazione possibile.
«No, infatti. Non capisco. Ciao, Harry».
Fu talmente veloce che quando me ne resi conto ormai era
troppo tardi. Mi afferrò per la vita, facendomi voltare con
il corpo verso di lui. Poi, in una frazione di secondo, la sua bocca si
posò sulla mia.
In un primo momento rimasi lì, immobile, a godermi
la meravigliosa sensazione di lui, delle sue labbra, del suo respiro
caldo, dimenticando che si trattava di Harry. La sua mano si
posò sulla mia schiena attirandomi più vicina a
sé, mentre l’altra afferrava la mia nuca,
spingendo i nostri visi l’uno contro l’altro. Fu
quando avvertii la sua lingua cercare di penetrare nella mia bocca che
mi risvegliai. I miei occhi si spalancarono all’improvviso e
mi affrettai ad allontanarmi da lui, interrompendo il bacio.
Mi portai la mano tremante sulle labbra, come per accertarmi
che fosse successo davvero. Harry mi guardava come fossi stata una
specie di bomba a orologeria, pronta ad esplodere da un momento
all’altro.
Dalla mia gola uscì solo un lamento soffocato,
mentre sentivo gli occhi riempirsi di lacrime. Una serie di pensieri
confusi, irrazionali si erano impadroniti della mia mente.
Quando realizzai che le sue mani mi stringevano ancora feci un
balzo all’indietro, finendo contro la porta.
«Haley…», mugolò.
Sembrava confuso almeno quanto me, le sopracciglia erano aggrottate in
quel modo che conoscevo tanto bene.
Il campanello mi fece sussultare e per poco non lanciai un
grido. Harry tese la mano verso di me.
«Per favore».
Ma avevo già spalancato la porta per poi
richiuderla alle mie spalle, appoggiandomici con la schiena come per
impedirle di riaprirsi. Trovai un Declan un po’ perplesso che
mi fissava come fossi pazza. Evidentemente la mia espressione non
doveva essere delle migliori.
«Ciao», dissi senza fiato.
«Va tutto bene?», chiese, allungando il
collo per indicare qualcosa dietro le mie spalle.
Annuii un po’ troppo velocemente.
«Sì, sì. Scusa è che
ho… Fatto un po’ di corse. Ero in
ritardo».
«D’accordo», il solito sorriso
si impadronì del suo volto. «Vogliamo
andare?».
«C-certo».
Ci coprì con il suo ombrello finché non
arrivammo all’auto e aspettò galantemente che
chiudessi la portiera prima di salire a sua volta.
Non mi accorsi nemmeno quando mise in moto, i miei occhi erano
fissi sulla porta di casa mia che non accennava ad aprirsi. Mi chiedevo
cosa stesse facendo in quel momento. Si era reso conto di
ciò che aveva fatto ed era pentito? Oppure non gli importava
e per lui sarebbe stato tutto come prima?
Declan si schiarì la voce per attirare la mia
attenzione.
«Non ti ho più vista ieri
sera», disse.
Annuii. «Avevo… Ho litigato
con…».
Harry. Possibile che lo trovassi in ogni frase che pronunciavo?
«A causa mia?».
M’irrigidii. Non credevo a quello che mi aveva detto
Harry sul suo conto, ma evitare di parlarne proprio con Declan mi
sembrava appropriato. «No, no. Insomma, non
proprio».
«Ti va di parlarne?». Scossi energicamente
la testa. Il mio stomaco era un groviglio indefinito,
l’ultima cosa che volevo in quel momento era parlare di lui e
peggiorare la situazione.
«Mi dispiace per ieri sera», iniziai.
«Non volevo essere scortese».
Lui liquidò le mie scuse con un cenno.
«Non preoccuparti, ho capito».
Per qualche ragione mi sentivo in obbligo di fare
conversazione, forse per alleviare il mio senso di colpa per il fatto
che la mia mente fosse occupata da Harry mente uscivo con lui.
«Dove stiamo andando?», mi sforzai di
mantenere un tono allegro.
«In un posto carino».
Il ristorante era un po’ fuori Holmes Chapel, in
mezzo a un tratto di campagna. Sintetizzo dicendo che fu la serata
più lunga della mia vita. Non riuscivo a toccare cibo e le
continue chiacchiere di Declan mi sembravano così false,
ogni suo complimento studiato e meschino. Ma sapevo che non era colpa
sua e che il mio giudizio era viziato dalle parole di Harry.
Probabilmente le sue allusioni mi sarebbero sembrate solo un modo
carino per provarci, in un normale contesto. Quindi, una volta davanti
a casa mia dovetti trattenermi dal tirare un sospiro di sollievo.
Pioveva ancora, quindi Declan scese dall’auto insieme a me e
mi accompagnò fino al porticato con l’ombrello.
Quando il suo viso si avvicinò lentamente al mio
capii ciò che stava per succedere, e gli misi prontamente
una mano sulla spalla per fermarlo. Lui si allontanò un
po’ confuso.
«Io credevo che…».
«Mi dispiace», tagliai corto.
«Sei un bel ragazzo, e anche simpatico…».
Strinse il manico dell’ombrello.
«È per lui, è
così?».
«Lui chi?».
«Harry», pronunciò quel nome
come fosse una parolaccia. «Ti ha fatto il lavaggio del
cervello su di me, non è vero?».
La mia mano cercò le chiavi nella borsa, mentre
faticavo a non distogliere lo sguardo da lui. «No! Non
c’entra niente…».
«Cosa ti ha detto?», il suo tono di voce
si era alzato notevolmente.
Eccole, ecco le chiavi. Le estrassi e le infilai nella
serratura.
«Te l’ho già detto, Harry
non…».
«Haley, non capisci che è geloso? Tutto
quello che ti dice è per farti cambiare idea su di
me!».
«Ma che stai dicendo, Declan? Io non ho bisogno di
cambiare idea su nessuno. Il fatto che io non voglia baciarti non
c’entra niente con Harry, e mi dispiace se ti ho fatto
credere di essere interessata a te come qualcosa in più che
un’amica!».
«Figlio di puttana», sibilò
colpendo la porta con un calcio. «Io giuro che lo
ammazzo!».
«Declan, finiscila!».
Mi sbatté contro al muro, facendomi uscire
l’aria dai polmoni. «Dimmi che ti ha
detto».
Nei suoi occhi brillava una luce folle che non avevo mai
visto. La sua mano era stretta saldamente intorno alla mia gola.
«Sei pazzo?», rantolai.
La porta si aprì di colpo e le chiavi tintinnarono,
ancora infilate nella serratura. Declan venne staccato da me
all’improvviso, e cadde all’indietro sulle scale e
poi sul prato.
***
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Capitolo 8 *** Eight ***
8. EIGHT
Britney’s
POV
Inclinai la mia
copia di “Orgoglio e Pregiudizio” in modo che
nascondesse il cellulare. Tenni d’occhio la professoressa
Hopkins per un po’ e quando il suo sguardo fatale si
spostò verso la prima fila, aprii la chat di Haley e iniziai
a scrivere.
“Dove
sei?”
Nessuna risposta,
non era nemmeno online e credevo di conoscerne piuttosto bene la
ragione. Quando l’avevo mandata in biblioteca sapevo
esattamente che avrebbe incontrato Harry, mi aveva detto che quella
mattina avrebbe dovuto finire una ricerca. Haley si ostinava a non
volermi raccontare niente, ma il fatto che tra quei due fosse successo
qualcosa era più che evidente. In tre anni, non avevano mai
litigato; o meglio, Harry si comportava da idiota come al solito, ma il
giorno dopo era sempre tutto come prima. Non capivo
l’ostinazione di Hal nel mantenere quell’amicizia,
ma se la rendeva felice non sarei certo stata io a ostacolarla. Anzi,
stavo facendo del mio meglio per farli riappacificare, ma a quanto
pareva le cose non erano andate secondo i piani. Scrissi un secondo
messaggio, questa volta a Harry.
“Cortile
fra due minuti”
Non dovetti
attendere molto la sua risposta, solo che non era quello che mi
aspettavo.
“Ok”
Scesi i gradini
velocemente e mi allacciai il cappotto fino al collo quando
l’aria fredda d’autunno
m’investì. Harry era appoggiato al portabici, le
mani in tasca e lo sguardo basso, cupo. Alzò la testa
sentendomi arrivare, ma la sua espressione rimase neutra.
Sbuffai, facendo
uscire una piccola nuvoletta dalle mie labbra.
«Allora?».
«Sei tu
che mi hai fatto venire».
Alzai gli occhi al
cielo. «Senti Styles, non farmi perdere tempo.
Cos’è successo con Haley?».
«Ti ha
chiesto lei di parlarmi?».
Allargai le
narici, costringendomi a non mandarlo al diavolo. L’arroganza
di quel ragazzo era qualcosa di insopportabile. Era la persona
più viziata che conoscessi.
«No. Lei
non sa nemmeno che sono qui. Anche perché in classe non
c’è, e le lezioni sono iniziate da tre quarti
d’ora».
Per un attimo vidi
passare nei suoi qualcosa di diverso dall’indifferenza, ma
non mi sforzai di identificarlo. «L’ho
baciata», disse infine.
Il mio primo
istinto fu quello di scoppiare in una sonora risata, ma la piega delle
sue labbra e la mascella contratta mi suggerirono che non stava
scherzando.
«Tu hai
fatto cosa?».
«Senti,
non ho bisogno che tu mi faccia la paternale. Ho diciotto anni, sono in
grado di decidere per me».
«Io non
credo proprio, visto che sei riuscito ad allontanare l’unica
ragazza con cui eri riuscito a non scopare dopo cinque minuti di
conoscenza».
Il suo sguardo si
schiarì un po’. «E questa
cos’era, una piccola vendetta?».
«No»,
sputai. «Un dato di fatto».
Lo schermo del
telefono lampeggiò per segnalare un nuovo messaggio da Hal.
Lo aprii.
“Scusa
non mi sento bene, credo che salterò la prima ora.
Xx”
Quando alzai lo
sguardo dal cellulare Harry mi dava le spalle e si era allontanato di
qualche passo. «Ehi! Dove diavolo stai andando?»,
gli urlai.
«Torno a
lezione. Sai, tra meno di un anno dovrei prendere un
diploma», disse senza nemmeno guardarmi.
«Ma che
c’entra? Devi chiarire con Hal, hai capito?».
«Non
sono affari tuoi. E non usare quel soprannome, fa schifo».
Se gli occhi
potessero uccidere, Styles sarebbe morto in quel preciso istante.
Haley’s
POV
Aspettai che la
campana smettesse di suonare per uscire dal bagno. Avevo faticato
parecchio per far scomparire gli effetti del pianto, ma il risultato
era soddisfacente. Mi ero detta che piangere non aveva alcun senso,
specialmente per uno come Harry. Britney mi ripeteva sempre quanto
fosse stupido avere un legame così forte con lui, nonostante
era stata proprio lei a presentarci. La chiamava “forma di
masochismo morale”, ma fino a quel momento mi ero limitata a
lasciarla parlare.
*INIZIO FLASHBACK*
Sbuffai, mentre
la punta delle mie scarpe diventava improvvisamente molto interessante.
Aspettai che Brit finisse di salutare tutte quelle persone che non
avevo mai visto, poi la tirai per un braccio.
«Quando
ce ne andiamo?».
Si
aggiustò i capelli per la milionesima volta. Nonostante le
avessi caldamente sconsigliato di tagliarsi i capelli così
corti, lei non mi aveva dato retta. E ora nemmeno dopo ore e ore di
piastra riusciva a tenerli a bada.
«Scherzi?
Hal, questo è solo l’inizio di una lunga, lunga, lunga
serie di feste, alcool e divertimento. Questa è un
“iniziazione alla vita mondana”».
Mi rivolse
un’occhiata dall’alto del suo tacco dodici, il
primo che avesse mai indossato. Sarei stata comunque molto
più bassa di lei, ma quella sera la differenza era enorme.
«Tesoro, ti ho detto io di mettere quel vestito?».
Mi guardai un
po’ esitante. «Sì, Brit».
«Beh,
sono un fottuto genio. La prossima volta ricordami di dirti di
abbinarci i tacchi però…Oh, guarda chi
c’è!».
Venni trascinata
ancora una volta dall’altro lato della stanza. Muoversi in
mezzo alla stanza gremita era impossibile, a meno che non ti chiamassi
Britney Grey e al tuo passaggio si aprisse un varco tra la folla.
Quando finalmente
ci fermammo ero ancora intontita dalla musica alta, a cui non riuscivo
ad abituarmi. Capii che Brit stava parlando con qualcuno solo quando mi
sentii scuotere con forza.
«Ehi,
Hal!».
Distolsi lo
sguardo dalle luci stroboscopiche del soffitto e lo spostai alla cieca,
cercando di far scomparire le macchie che ora mi annebbiavano la vista.
«Sì?»,
dissi corrugando la fronte.
«Lui
è Harry. Harry, Haley».
Strabuzzai gli
occhi per riuscire a metterlo a fuoco e tesi una mano verso un punto
casuale. Me la sentii stringere, una stretta forte e salda. Solo quando
riacquistai la vista riuscii a vederlo bene.
Ritrovarmelo
davanti così all’improvviso mi lasciò
di stucco. Era lui. Era il ragazzo che avevo
notato fin dal primo giorno di scuola in giro per i corridoi. Quello
per cui Brit mi aveva deriso per più di due settimane, lo
chiamava “il mio amore segreto”. Le avevo detto che
lo trovavo soltanto carino, ma come sempre le mie parole avevano
l’effetto dell’acqua sull’inchiostro
indelebile. Lo aveva fatto apposta, ne ero sicura.
Avrei voluto
lanciarle un’occhiataccia, ma non riuscivo a liberare i miei
occhi da quelli verde smeraldo del ragazzo. Il sorriso enorme che gli
illuminava il viso, aveva provocato la comparsa di due adorabili
fossette sulle guance. Dal modo ordinato in cui erano disposti i ricci,
si capiva che aveva trascorso abbastanza tempo a sistemarli. Ritrassi
la mano interrompendo quella specie di ipnosi in cui ero caduta, e
mormorai un saluto.
«Ti ho
già vista a scuola», disse. La sua voce era
così profonda che quasi mi intimidiva. «Sei di
prima, giusto?».
Annuii, sperando
che il colore delle mie guance non somigliasse a quello di una ciliegia.
«Io sono
di seconda», continuò.
Azzardai un
sorriso, incapace di sostenere il suo sguardo sfacciato. Sembrava
così trasparente e così terribilmente misterioso
allo stesso tempo.
«S-sì,
anche io ti ho visto».
Fece un passo
verso di me. «Balliamo», la sua non era una
richiesta, il che la diceva lunga sulla consapevolezza che aveva del
suo aspetto fisico. E dell’effetto che aveva sulle ragazze.
Questo pensiero
mi irritò un po’ e, prendendo Britney a braccetto,
arretrai.
«Veramente
stiamo cercando i nostri amici», dissi cogliendolo di
sorpresa. Infatti nello spazio tra le sopracciglia comparve una piccola
ruga di confusione.
«Oh,
d’accordo… Beh, ci si vede in giro», mi
urlò mentre mi allontanavo insieme a Brit.
Non so bene come,
ma ad un tratto non ero più io a trascinare Brit, ma il
contrario. Infatti mi portò fino al bagno della casa e ci
chiuse dentro. Si diede una veloce occhiata allo specchio prima di
voltarsi verso di me.
«Sei
fuori? Hai idea di chi hai appena rifiutato?». Sospirai,
appoggiandomi al lavello. «Quello lì è
il figo che fissi a scuola. Lo stesso che ti ha fatto
l’occhiolino quando eravamo in segreteria e quello di cui mi
hai parlato per due giorni di fila».
«Io non
lo fisso, e non te ne ho mai parlato. Mai», brontolai.
«Certo,
come no. In ogni modo, perché non sei andata a ballare con
lui?».
Scrollai le
spalle. «Perché non mi andava».
Bugia.
“Perché non volevo essere una delle tante ragazze
abbordate a una festa e a cui non avrebbe parlato mai
più”.
«Come
vuoi. Sappi però che non ti ricapiterà
un’altra occasione del genere con Harry Styles. A meno che tu
non diventi una “reginetta della scuola” o qualcosa
del genere».
Il suo sorriso
malizioso mi spaventava. «In tal caso, posso pensarci io. Ti
renderò una di quelle ragazze desiderate dagli uomini e
invidiate dalle altre donne. Vedrai».
Non riuscii a
trattenere la fragorosa risata che fuoriuscì dal profondo
della mia gola. «Sì, Brit. Certo».
*FINE FLASHBACK*
«…continuare
da qui, signorina Grantham». La voce della professoressa
interruppe bruscamente i miei pensieri.
«Sì?
Cosa?».
La donna mi
fissò dall’alto della sua statura, con quelle
sfere gelide che aveva al posto degli occhi. Non mi aveva mai
sopportato, probabilmente solo il suo spaventoso cervello da
psicanalista sapeva perché.
«Ho
detto, ti dispiacerebbe continuare a leggere da dove ho interrotto
Lisa?».
Lanciai una breve
occhiata alla ragazza in questione e al suo volume de
“L’interpretazione dei sogni” di Freud,
aperto a una pagina troppo lontana perché riuscissi a
vederne il numero.
«Io…»,
cominciai.
«…Puoi
andare a schiarirti le idee fuori», finì per me.
La fissai
sbigottita mentre lentamente mi alzavo dalla sedia e raccoglievo le mie
cose, consapevole di avere tutti gli occhi puntati addosso. Quella
vecchia strega era l’unica ragione per cui non ero sicura che
sarei riuscita ad andare a Oxford. Appesi la borsa alla spalla e uscii,
chiudendomi delicatamente la porta alle spalle. In un qualsiasi altro
momento ne avrei fatto una piccola tragedia, ma ora non riuscivo a non
pensare alle parole di Britney tre anni prima. Nonostante la mia poca
collaborazione era riuscita a trasformarmi in quello che mi aveva
promesso, ma non capivo cosa fosse cambiato nel mio modo di vedere
Harry. Forse avevo capito che non volevo essere il tipo di ragazza che
lui era solito notare, o forse ero finita con l’eclissare
l’attrazione che sentivo con quella grande amicizia.
Mentre aspettavo
il suono della campanella decisi di fare un salto in segreteria. Tracy,
l’impiegata, mi sorrise riconoscendomi. Più o meno
dieci eoni prima, quando erano al liceo, lei e mia madre erano grandi
amiche. Aggiungerei che le loro strade si erano separate in modo
drammatico o chissà che, ma la verità
è che mia madre, sposando Tom Jonathan Grantham, era entrata
nel girone degli snob e il suo “rango” non
permetteva che frequentasse semplici impiegati.
«Cosa
posso fare per te?», mi domandò con un sorriso
cordiale.
«Mi
serve il permesso per la gita della settimana prossima».
Le unghie laccate
di rosso di Tracy ticchettarono sulla tastiera del computer.
«Quella del professor McFadden? “Rappresentazione
teatrale di Romeo e Giulietta”?», lesse.
Annuii. La donna
rovistò tra le centinaia di fogli e fascicoli presenti nella
cassettiera metallica ed estrasse una striscia di carta bianca.
«Ecco.
Riportalo firmato…», la campanella
coprì il suono della sua voce. «…due
giorni».
«D’accordo».
Sempre che riuscissi a incrociare di sfuggita almeno uno dei miei
genitori entro quel lasso di tempo. «Grazie».
Uscii
dall’edificio prima che la mandria di studenti irrequieti si
riversasse nei corridoi. Persi un po’ di tempo a riporre il
foglietto nello zaino e solo quando alzai lo sguardo mi resi conto che
il cortile si era ormai svuotato. Il mio sguardo venne catturato dalla
grossa sagoma gialla in lontananza.
«Oh
no».
Feci uno slancio
in avanti e iniziai a correre, la mano sinistra stretta a pugno intorno
alla fibbia dello zaino. Le luci rosse dell’autobus si
illuminarono e con un rombo si accese.
«NO!
ASPETTA», gridai, troppo affaticata dalla corsa per
raggiungere un tono decente.
C’ero
quasi. Quando mancavano solo pochi metri perché raggiungessi
la fermata lo vidi avanzare, allontanandosi sempre di più.
Feci uno scatto per bussare alla porta sul retro, ma il mio piede
dovette incastrarsi da qualche parte, perché
all’improvviso mi ritrovai stesa per terra. Mi morsi la
lingua per non imprecare, constatando che lo zaino si era aperto sul
pavimento. Mi sollevai dall’asfalto ruvido e mi pulii i palmi
sui jeans, scoprendo i piccoli taglietti sparsi sulla mia pelle.
Raccolsi le mie cose in fretta, prima che venissero bagnate dalla
pioggerellina sottile che aveva preso forma. Chiusi la zip con un
movimento brusco e me la appoggiai su una spalla mentre controllavo il
cellulare. Nessun messaggio. Non potevo prendermela con Britney,
l’avevo spinta io a lasciarmi sola quel giorno. Non ero
nemmeno andata a pranzo.
Mi raddrizzai di
colpo quando una BMW nera accostò proprio di fronte a me. Il
vetro oscurato si abbassò ronzando.
«Sali»,
disse quella voce profonda che conoscevo bene.
Mi sporsi dal
finestrino per assicurarmi che fosse Harry, visto che lui non si era
preso il disturbo di farlo.
«Che
cosa vuoi?».
Mi
studiò con quell’espressione strafottente che mi
mandava in bestia. «Parlare».
Rimasi interdetta
per un po’, a valutare il significato di quella
“frase-non-frase”. Solitamente
“parlare” con Harry coincideva in tutto e per tutto
con l’acconsentire a ciò che lui
diceva, senza altra via d’uscita. Ma non potevo nemmeno
comportarmi come se non fossi rimasta due giorni a rimuginare su quanto
era accaduto.
«Parliamo
allora».
Harry
sbuffò, indicando il cielo. «Sta per arrivare un
temporale. Un altro. Ma se vuoi possiamo stare qui a discutere sui pro
e i contro del salire in macchina con me».
Come se madre
natura avesse voluto dire la sua in proposito, un tuono
squarciò il cielo a metà.
Aprii la portiera
e mi lasciai cadere sul sedile del passeggero con un sospiro. Harry
partì e per diversi minuti nessuno aprì bocca.
Sbirciai di nascosto nella sua direzione e mi stupii come negli ultimi
anni avessi completamente (e appositamente) ignorato quanto in
realtà fosse bello. Era cambiato moltissimo dal nostro primo
incontro. I ricci ora erano meno ordinati, il suo modo di vestire
più trasandato. La mascella aveva preso una linea
più definita e il suo sguardo era cupo, aveva perso
quell’innocenza che, seppur finta, l’aveva sempre
caratterizzato. C’era qualcosa di così misterioso
e sexy nel suo modo di fare.
Quando le sue
iridi verdi guizzarono nelle mie non potei fare a meno di avvampare,
colta in flagrante. Il suo sguardo rimase incatenato al mio, come per
sfidarmi. Un duello piuttosto squilibrato a mio parere. Infatti la
prima a mollare fui io, mentre utilizzavo come scusa quella del
togliermi la giacca.
«Fa un
po’ caldo qui dentro. Tu non hai caldo?», domandai
cercando di camuffare il nervosismo nella mia voce. Harry non si
sforzò di trattenere un ghigno e si slacciò
qualche bottone della giacca.
«Se vuoi
vedermi nudo basta chiedere».
Un po’
per il caldo, un po’ per l’imbarazzo, credo che le
mie guance non fossero mai state più rosse. Ovviamente lui
non si rendeva conto di quanto quel commento fosse stupido e fuori
luogo.
Sbuffai.
«Guarda la strada».
Ma lui non mi
diede retta e continuò a osservarmi in quel modo
così intenso che avevo paura potesse vedermi sotto i
vestiti. Mi agitai sul sedile, mentre l’interesse per
l’asfalto che si estendeva a perdita d’occhio di
fronte a me, diventava sempre più ossessivo.
Mi rilassai solo
quando riconobbi la staccionata di casa mia. Non aspettai nemmeno che
spegnesse il motore per scendere dall’auto e mi diressi quasi
correndo verso la porta. Le chiavi tintinnarono mentre cercavo di far
scattare la serratura che doveva essersi bloccata. Le strattonai con un
grugnito e diedi un colpo alla maniglia. Il petto caldo e duro di Harry
premette contro la mia schiena quando si allungò per
aiutarmi. Un suo breve e semplice scatto del polso bastò a
risolvere il problema, e la porta si aprì lentamente.
Avanzai esitante, indecisa se invitarlo a entrare o meno, ma lui fu
più veloce. Si chiuse la porta alle spalle con una spinta.
Lasciai cadere lo zaino per terra e accesi la luce, dandogli la
schiena. Mi sfilai la giacca e anche questa finì in mezzo al
mucchietto sul pavimento.
«Haley…»,
sussurrò talmente piano che lo udii a malapena.
«Mi
spiace per prima», feci. «Non volevo dire quelle
cose».
Scosse la testa
impercettibilmente, ma non disse nulla. Emisi uno sbuffo frustrato.
«Harry
mi hai chiesto tu di parlare! Tra poco tornerà
Karen».
«Sono
stato qui miliardi di volte, che vuoi che gliene importi?».
Lo scrutai per
diversi secondi prima di avvicinarmi a lui con rabbia.
«Senti,
si può sapere cosa c’è che non va in
te? Io… Mi sforzo di riuscire a capirti, davvero. Quando
tutti mi dicevano che esserti amica era come tentare di cambiare il
diavolo, io non ci credevo. Lo so che per te non è stato
così Harry, ma io mi sono affezionata. E non in modo sciocco
e superficiale, io contavo su di te. Quindi se per favore hai deciso
che ti sei stancato, non continuare a fingere. Almeno questo me lo
devi. Non credo di essere stata una così pessima
amica».
Anche in quella
situazione sembrava del tutto a sua agio, le mani infilate pigramente
nelle tasche dei jeans e lo sguardo neutro.
«Dì
qualcosa per favore», aggiunsi stancamente.
Si strinse nelle
spalle. «Cosa vuoi che ti dica? Ti prego dimmelo,
così posso accontentarti».
Riecco quella
sensazione di tanti piccoli aghi intorno agli occhi. Respirai
profondamente, scacciando le lacrime che minacciavano di uscire da un
momento all’altro.
«Non lo
so. Magari che ti dispiace, che non volevi. Che ti sei pentito e che
vorresti tornasse tutto come prima. O magari, se ti senti talmente in
colpa da osare offendere te stesso, che sei stato un coglione e una
cosa del genere non capiterà mai più».
Puntai lo sguardo
verso l’alto, visto che la tecnica dei respiri aveva smesso
di funzionare.
«Sì,
ma non posso. Perché è cambiato qualcosa Haley, e
mentirei se ti dicessi che mi sono pentito di quello che ho fatto, che
mi sento in colpa o che mi dispiace!».
Aggrottai la
fronte, le orecchie improvvisamente bollenti. «C-che stai
dicendo?».
Harry strinse i
pugni talmente forte che credevo si fratturasse un osso.
«Che non
possiamo più essere amici».
Dischiusi le
labbra, mentre cercavo di assimilare quelle parole. Non riuscivo a
trovarvi un senso; non voleva che fossimo più amici. No, non
potevamo essere più amici; aveva detto così.
«C-cosa?».
«Non
sarei un buon amico per te. Non vado più bene,
Haley».
«Ma perché?»,
sbottai.
«Per
questo».
La forza con cui
mi venne incontro quasi mi assalì, ma non ebbi il tempo di
cadere, perché le sue braccia forti e salde mi cinsero la
vita mentre le nostre labbra si incontravano. E ancora una volta non
riuscii a impormi su di lui e respingerlo.
C’era
qualcosa di diverso in quel bacio, una consapevolezza da parte di
entrambi. Mosse la bocca contro la mia e fece scorrere le mani alla
base della mia schiena. Gli cinsi il collo con le braccia, affondando
le dita nei suoi ricci scuri come fosse il gesto più normale
del mondo, come se non avessimo fatto altro tutta la vita.
All’improvviso sentii il muro ruvido e freddo premermi contro
la schiena e Harry si fece sempre più vicino,
finché i nostri corpi non aderirono perfettamente.
Lo allontanai con
un leggera spinta per riprendere fiato, ma lui si aggrappò
al mio labbro inferiore con i denti.
«Harry…»,
gemetti.
Si ritrasse di
qualche centimetro, mantenendo però il contatto con la mia
fronte.
Chiusi gli occhi,
respirando a fondo per rallentare il battito cardiaco.
«Perché continui a baciarmi?».
«Perché
continui a non rifiutare?».
Spazio autrice:
Ave, bellezze! Mh.. Vediamo vediamo vediamo... il capitolo parla da
solo, credo. Indipercui(?) non mi soffermerò più
di tanto su questo punto, lascerò a voi commentare :) La
storia è ancora all'inizio, cioè, lo so che siamo
all'ottavo capitolo ma.. Diciamo che non ho il dono della sintesi e ho
intenzione di fare più capitoli possibili. Sperando che
qualcuno riesca a sopportarmi fino alla fine ^^
Quindi ringrazio tutte le meravigliose anime che hanno messo la storia
tra le seguite/preferite/ricordate e chi ha recensito :*
Lo scorso capitolo ha avuto SETTE recensioni, ommiodeo! *o*
Infine.. che volevo dire? Oddio mi sono scordata. Ma stiamo scherzando?
Ragazze certe volte mi faccio paura. Va bene, vorrà dire che
non era importante.
Ukei, ora levo le tende e vi saluto, un bashoo. Alla prossima xx
#Allie
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Capitolo 9 *** Nine ***
9.
Nine
Averlo ancora
così vicino non mi permetteva di ragionare lucidamente, ma
entrambe le sue mani puntate sul muro dietro di me
m’impedivano di muovermi. Approfittando della mia esitazione,
Harry si avvicinò di nuovo e le nostre bocche si sfiorarono
delicatamente, quasi per gioco.
Voltai la testa
di lato e le sue labbra scivolarono appena sotto le mie.
«No»,
lo implorai.
«Perché?»,
mormorò contro la mia pelle, provocandomi brividi in tutto
il corpo.
Gli appoggiai una
mano sulla bocca. «È…
Sbagliato».
«Solo se
vuoi che lo sia».
Scossi la testa
fermamente. «Harry tu sei… Beh, tu.
E noi siamo amici». Esitai. «O almeno lo
eravamo».
Sbuffò.
«È questa la ragione per cui non possiamo
più esserlo. È troppo tempo che volevo
farlo».
Abbassò
la testa verso di me e fece scivolare le labbra appena sotto il mio
orecchio. Lo sentii sghignazzare mentre lasciava una linea di baci
lungo il collo. La mia mano strinse la stoffa della sua t-shirt in un
pugno quando percepii i denti mordere la pelle e i miei occhi
guizzarono verso l’alto. I mugolii di Harry venivano attutiti
dai miei capelli sparsi un po’ ovunque.
M’irrigidii quando sentii una chiave girare nella serratura.
Harry mi afferrò prontamente e ci trascinò nello
sgabuzzino, a pochi metri da noi. Mi accostai alla porta e mi misi in
ascolto. Rumore di sportine, segno che Karen doveva essere tornata.
Sperai che si rintanasse al più presto in cucina per
preparare la cena, in modo che riuscissi a far sgattaiolare Harry
dall’ingresso principale.
Mi sentii
agganciare per il passante dei jeans e venni tirata
all’indietro, contro il corpo fermo di Harry.
Tuffò il viso nel punto da cui era stato interrotto poco
prima, inalando una boccata d’aria.
«Hai un
profumo così buono…».
Mi
spostò i capelli di lato, dopodiché le sue mani
scesero lungo i miei fianchi e si infilarono nelle tasche posteriori
dei miei jeans.
«Smettila,
Harry», mi detestai per la nota quasi disperata che la frase
assunse. Mi voltai verso di lui, ritrovandomi schiacciata tra gli
scaffali stracolmi e il suo corpo. «Karen è a
pochi metri da qui».
«Suona
quasi come una scusa».
Emisi un suono a
metà tra il frustrato e l’imbarazzato.
«È tutto un gioco per te, non è
vero?».
Silenzio.
«Beh, io
non sono una di quelle bamboline che puoi usare e poi gettare via.
Quindi, per favore».
I suoi occhi
scintillanti mi scrutarono attentamente. «Pensi che mi stia
prendendo gioco di te?».
«Penso
che ti sia stancato dei soliti giocattoli».
A parte i nostri
respiri, l’unico rumore era generato dall’acqua
corrente, qualche stanza più avanti.
«Le
persone possono cambiare».
«Non tu.
E non in un paio di giorni».
Il suo volto
bellissimo si rabbuiò. «Tu non sai quello che
provo. Non sei nella mia testa».
«Già»,
sospirai con rammarico.
Il suo sguardo si
perse nel vuoto dietro di me, mentre con la mano destra continuava
inconsapevolmente a sfiorare la mia guancia. I suoi pensieri
s’interruppero bruscamente quando mi mise a fuoco di nuovo.
«Ti
farò cambiare idea».
Repressi
l’improvvisa voglia di passare una mano tra i suoi ricci
meravigliosi. «Io non…»
Appoggiò
l’indice sulle mie labbra per zittirmi. «No, non
dirlo. Non dire che non sei attratta da me, perché so quando
menti».
«Che
cosa vuoi, Harry?», sussurrai.
«Te»,
disse senza esitazione. «E sai bene che ottengo sempre
ciò che voglio».
Pescai
l’ultima nocciolina dal fondo del sacchetto e lo
accartocciai, lanciandolo ai piedi del letto senza guardare. Il
cellulare prese a vibrare da qualche parte remota del piumone. Chiusi
il libro in cui ero immersa e tastai alla cieca finché non
lo trovai. Feci una smorfia quando lessi il nome di Britney sul display.
«Ah-ha?»,
mugolai, con il telefono incastrato tra la spalla e
l’orecchio mentre ripulivo le tracce del mio sconforto.
«Haley?>.
«Così
mi chiamano». Seguì un lungo momento di silenzio a
cui non feci caso finché non ebbi buttato l’ultimo
sacchetto di arachidi. «Brit?».
«Come
stai?».
Sapeva tutto. Me
lo diceva il suo tono di voce, il fatto che i miei timpani fossero
ancora intatti per la prima volta.
Sospirai,
rassegnata. «Cos’altro vuoi sapere?».
Quella domanda le
diede la conferma che avevo capito. Certo non mi piaceva il fatto che
lei e Harry avessero parlato di me alle mie spalle, ma Britney sarebbe
comunque venuta a saperlo da me.
«Avete
parlato? Stamattina mi è sembrato… Non lo so,
strano. Per carità, non esiste una persona più
strana di Harry Styles a questo mondo, però di solito non
è così… Smorto, ecco».
«È
stato qui oggi».
«E…?»,
mi spronò.
Non sapevo
neppure io come spiegare ciò che era successo. «Ci
siamo baciati, di nuovo».
Si udì
un tonfo secco, seguito da un frastuono e una serie di imprecazioni che
preferisco non riportare.
«Pronto?».
Britney riprese il
controllo della situazione. «Sì, scusa. Mi era
caduto il telefono. Quel “ci siamo baciati” sta a
significare che è stata una cosa reciproca?».
Sbuffai, era
proprio necessario sottolinearlo? «Brit, credo che tu sappia
perfettamente che di solito cose di quel genere si fanno in
due».
Riuscii a
immaginarla mentre alzava gli occhi al cielo. «Sai cosa
voglio dire. Hai ricambiato».
«Accidenti,
sì!», sbottai. «Senti, non voglio che tu
mi faccia la predica, perché lo so che è
sbagliato. Lo sapevo un attimo prima che succedesse e lo so ora. Ma non
posso farci niente».
«Non
c’è bisogno di stare sulla difensiva, Hal. Non ti
stavo giudicando… Okay, forse un pochino. Ma se ti attrae
non è colpa tua».
Aprii la bocca per
risponderle, ma mi bloccai. Aveva riassunto in un’unica frase
il casino nella mia testa.
Harry mi
attraeva. Quell’improvvisa consapevolezza mi
provocò un leggero capogiro. Era tutto troppo strano, ero
convinta di conoscere ogni minima parte di lui, ma mi rendevo conto
solo ora che sapevo davvero poco. Le nostre conversazioni non toccavano
mai punti troppo profondi o personali. Anche perché fino a
quel momento né io né lui avevamo avuto bisogno
di sfogarci per qualcosa. Le mie relazioni amorose non erano
particolarmente attive e le sue… Beh, diciamo che non ve ne
era nessuna degna di nota.
«Però
sono preoccupata», esordì. «Non so cosa
ti aspetti da lui, ma so cosa lui si aspetta da te».
«Britney…».
«Sesso»,
quella parola ebbe l'effetto di una pugnalata. «Solo
questo. Lui è Harry Styles»,
enfatizzò le ultime parole.
Affondai la testa
nel cuscino, contorcendomi su me stessa. «Sì, lo
so. Continui a ripeterlo».
«Scusa»,
si calmò. «Ma non riesco ancora a crederci. Tu
e lui. Mio Dio».
Questa volta non
riuscii a sopprimere l’enorme sospiro seccato. «Io
e lui un bel niente».
«Certo.
Ne riparliamo tra un paio di giorni».
Non resistetti e
riattaccai.
Mentre parlavo
con Brit mi era arrivato un messaggio. Il mio cuore perse un battito
quando vidi che era di Harry.
“Domani
vieni in palestra agli allenamenti.”
Una strana
sensazione alla bocca dello stomaco s’impadronì di
me. Non ero sicura di volerlo rivedere così presto. Mi morsi
il labbro inferiore mentre le mie dita digitavano velocemente.
“Non
posso…”
La risposta non si
fece attendere a lungo.
“Non te
lo stavo chiedendo. Xx”
Mi abbassai la
berretta di lana sulle orecchie e sfregai le mani per ottenere un
po’ di calore. Dentro quella palestra si gelava, specialmente
alle sei e mezzo di sera. Con la coda dell’occhio notai una
figura che si agitava a più non posso per attirare la mia
attenzione. Focalizzai la ragazza in minigonna e canottiera con un paio
di giganti batuffoli neri al posto delle mani. Quando Britney
intuì di avere tutta la mia attenzione smise di saltellare e
lasciò cadere i pompon. Si portò le mani davanti
alla bocca a mo’ di conchiglia e mi urlò qualcosa,
che però venne coperto dall’eco dei palloni da
basket che rimbalzavano.
“Cosa?”
mimai con le labbra. Ripeté la frase che di nuovo non
riuscii a udire. Quindi scrollò le spalle e sbuffando
tornò dalla sua squadra di cheerleader. Il mio sguardo si
posò di nuovo sui giocatori che correvano per il campo da
basket, ognuno con la propria palla. Avrei riconosciuto Harry anche se
avessero indossato tutti la divisa e una maschera con il cappuccio
perché era uno dei più alti della squadra e anche
il più veloce.
Tanti piccoli
ciuffi ribelli erano scivolati via dalla fascia che avrebbe dovuto
tenergli il viso scoperto. Non potei fare a meno di notare quanto
stesse bene con la canotta attillata e leggermente bagnata sul petto.
Harry interruppe la sua corsa a diversi metri dal canestro.
Fletté le gambe e alzò il pallone da basket sopra
la testa mentre si preparava al tiro. Con un movimento esperto e che
doveva aver fatto milioni di volte mandò la palla nel
canestro senza che sfiorasse neppure i bordi. Non ero stata a molte sue
partite, il basket mi annoiava parecchio, anche se vederlo in azione
era davvero bello.
Il coach McBolter
soffiò forte nel fischietto, riportando il silenzio.
«Tutti qui, adesso!»,
tuonò.
Nonostante i suoi
sessantacinque anni era ancora arzillo e sapeva come farsi rispettare.
La squadra si riunì a cerchio intorno all’uomo che
con l’indice indicò il petto di Harry.
«Styles!».
Harry
ricambiò il suo sguardo severo senza scomporsi.
«Sì, coach?».
«La
prossima partita è fra due giorni. Due giorni!
I White Scorpions sono rimasti imbattuti per ben tre anni di seguito e
noi non permetteremo che arrivino al quarto. Intesi?».
Il ragazzo
annuì, sul suo viso comparvero quelle fossette adorabili.
«Ma siamo primi in classifica…».
«Non
m’importa», lo interruppe bruscamente.
«Non voglio sentirti mai più dire una cosa tanto
idiota. Siamo primi ma possiamo ancora arrivare ultimi. Quindi non
voglio che rilassiate quelle chiappe finché non
sarà finito il campionato. È chiaro?».
Silenzio. «È chiaro?»,
gridò di nuovo.
«Sì»,
fece Harry, seguito a ruota dai compagni.
«Bene»,
disse McBolter. «E ora andate a casa dalla mamma».
Harry si
lasciò sfuggire un ghigno e andò a recuperare la
sua borraccia, poi mi raggiunse sulle tribune. Si appoggiò
l’asciugamano dietro al collo e rimase zitto per un
po’.
«Stasera
sei mia», dichiarò con un tono che non ammetteva
repliche.
«Non
credo sia un’idea geniale».
Divenne
improvvisamente cupo e lo sguardo che mi rivolse era così
profondo che avrebbe potuto soffocarmi.
«Smettila
di rendere le cose difficili. Sto cercando di ricominciare da zero,
okay?».
Mi rigirai tra le
dita la cerniera della borsa evitando i suoi occhi color giada. E
all’improvviso mi tese la mano,
l’oscurità era sparita completamente dal suo viso.
«Ciao, io mi chiamo Harry. E tu?».
Lo fissai
esterrefatta, mentre scuotevo la testa. «Ti prego».
Ma lui non diede
segno di volersi muovere. Così sospirai e strinsi la sua
mano calda e leggermente sudata. «Haley».
Il suo sorriso si
allargò, facendo sì che le sue fossette
diventassero ancora più profonde. «È un
vero piacere, Clarissa», citò con orgoglio il mio
secondo nome.
«Ehi!»,
protestai, ma quando le sue labbra sfiorarono il dorso della mia mano
le parole mi morirono in gola. Trattenni il respiro quando
alzò il viso verso di me, mostrandomi i denti bianchissimi.
«Esci
con me».
Arrossii, ma non
riuscii a non sorridere a mia volta. «No, non esco con gli
sconosciuti».
Mi
studiò qualche istante, le mie mani non riuscivano a stare
ferme sotto il peso del suo sguardo. «D’accordo,
allora. Facciamo così, sabato vieni a vedere la partita. Se
vinciamo sei costretta a venire con me».
Inarcai un
sopracciglio. «E se perdete?», lo sfidai.
«Oh,
vinceremo».
Harry era il
capitano nonché playmaker dei Fire Demons ed era nella
squadra dall’inizio della seconda. Era la stella del suo anno
nel basket, tutte le squadre contro cui avevano giocato lo temevano.
Probabilmente avrebbe scelto un college per continuare la sua carriera
in quello sport e da quello che dicevano ad alcune partite sarebbero
venuti rappresentanti delle più importanti squadre della
Gran Bretagna a scegliere i giocatori migliori.
Quando arrivai le
tribune erano già piene. I ragazzi erano in campo che si
scaldavano e Britney insieme alle altre cheerleader. Trovai un buco
nella prima gradinata, tra Liz e Jenna, due ragazze simpatiche che
spesso stavano con me e Brit. Mi accolsero con un gran sorriso e Liz mi
porse un sacchetto di carta.
«Vuoi?»,
chiese. I capelli corti e neri la facevano assomigliare a un elfo del
bosco. Sbirciai all’interno e quando vidi che si trattava di
noccioline ne estrassi una manciata.
«Grazie».
Jenna si sporse
oltre la ringhiera. «Ma quello non è Tayler
Michins?».
Liz
seguì lo sguardo dell’amica con fare annoiato.
«Può darsi. Perché?».
«Come
perché? È il tizio con cui sono stata
l’anno scorso, alla festa dopo la partita. Si era imbucato e
non mi ero accorta che era della squadra avversaria».
Liz rise, mettendo
in mostra i denti piccoli e perfetti. «Sì, quando
ti sei ubriacata dopo neanche…».
«Sta
iniziando la partita!» gridò Jenna per sovrastare
la sua voce.
L’arbitro fischiò e i giocatori si posizionarono.
Harry si sistemò al centro del campo, di fronte al capitano
della squadra avversaria. La divisa nera e arancione gli scivolava
lungo il torace come se fosse nato per indossarla. I suoi occhi erano
stretti per la concentrazione, tutta la palestra aveva abbassato il
tono di voce. Le cheerleader, capitanate da una Britney euforica come
al solito, erano ora in attesa di partire con la loro performance. Il
grosso pallone venne lanciato in aria e per un istante il tempo parve
fermarsi. Poi Harry, con un salto rapido e scattante
conquistò la palla e la mandò nella nostra
metà campo. Disse qualcosa ai compagni che subito gli
ubbidirono e si disposero in modo da lasciargli via libera. Riconobbi
Gordon, Harry mi aveva spiegato milioni di volte qual era il suo ruolo,
ma non mi ricordavo mai se era l’ala grande o quella piccola.
Il suo ciuffo cremisi spiccava in mezzo al campo. Evitò
diversi avversari e passò a un altro ragazzo il quale a sua
volta ridiede la palla a Harry, che nel frattempo era corso vicino al
canestro. Ricevette il pallone e con una veloce rotazione del busto
tirò.
Canestro. La mia
parte di tribuna si sollevò gridando e applaudendo e Liz mi
trascinò insieme a loro. Mi disse qualcosa che non riuscii a
sentire, quindi le chiesi di ripetere.
«Ho
detto, niente male Harry eh?». Vedendomi ferma impalata
proseguì. «Insomma se non fosse lo stronzo che
è ci avrei fatto un pensierino. Più di uno
magari». Scrollò le spalle. «Peccato,
è un tale spreco. Senza offesa ovviamente, so che
è un tuo amico».
Non risposi, per
qualche ragione il suo commento mi aveva dato fastidio, anche se non
avrei voluto.
Mi sorprese il
modo in cui la partita riuscì a prendermi, seguii ogni
passaggio con attenzione, applaudendo e incitando Harry di tanto in
tanto quasi involontariamente. Arrivarono all’ultimo minuto
che erano in vantaggio, non fosse stato per il canestro da tre punti
degli avversari che li portò avanti di uno.
Un’ansia sconosciuta s’impadronì di me,
ma non sapevo se dipendeva dalla speranza che vincessero o da quella
che perdessero. Desideravo le due cose allo stesso tempo.
Il coach McBolter
continuava a urlare ordini e insulti ai giocatori, con la speranza di
spronarli, ma sembravano tutti piuttosto sfiniti. Lanciai
un’occhiata apprensiva al tabellone, mancavano trenta
secondi. La palla venne presa da uno dei nostri che però se
la lasciò soffiare da un ragazzo alto e grosso. Questo la
passò al capitano. Venti secondi. Gordon riuscì a
riconquistarla e la cedette ad Harry che tentò un tiro a
parecchi metri dal canestro. La palla fece una parabola in alto,
colpì il bordo e schizzò via. Undici secondi.
Preso dalla rabbia per l’errore si lanciò contro
il giocatore che stava per recuperare la palla, ma questo lo spinse via
con una forza tale da farlo quasi cadere per terra. L’arbitro
soffiò forte nel fischietto, fermando il gioco. Harry nel
frattempo si era ricomposto e aveva afferrato l’avversario
per la canotta, strattonandolo. L’arbitro gli disse qualcosa
per calmarlo e lui annuì.
Mi voltai verso
Jenna, i cui occhi erano incollati alla scena.
«Che
succede?», chiesi con una punta d’ansia nella voce.
«Abbiamo
subito un fallo e adesso dobbiamo fare due tiri liberi,
credo», mi spiegò.
Osservai a mia
volta. Harry aveva ignorato gli ordini del coach di cedere la
palla a un compagno e se n'era impossessato.
«Che
succede se sbaglia?».
«Perdiamo,
non ci sarebbe il tempo di recuperare».
Strinsi la
ringhiera davanti a me, sporgendomi. Il giocatore che aveva ricevuto
l’ordine di tirare ora stava tornando indietro. Il coach era
furibondo ma non diceva niente, probabilmente per non deconcentrare
Harry.
Quest’ultimo si preparò eseguendo una serie di
palleggi davanti a sé. Infine tirò, mandando la
palla dritta nel canestro. Un punto, ora erano pari. Si
preparò di nuovo, ma questa volta il suo sguardo non era
fisso sulla palla.
Guardava me.
Sgranai gli
occhi, trattennendo il respiro. Anche da lontano riuscivo a vedere il
sorriso arrogante e le fossette che lo incorniciavano. Si stava
prendendo gioco di me.
Si
preparò di nuovo a tirare, ma non dava segno di volersi
voltare. Come pensava di riuscire a segnare se continuava a fissarmi?
Probabilmente
Jenna notò quello scambio di occhiate, perché si
voltò verso di me.
«Perché
Harry continua a guardarti?».
Scossi la testa
impercettibilmente, non riuscendo a formare una frase di senso compiuto.
Finalmente si
decise a lanciare la palla, senza interrompere la nostra connessione.
Questa rimase in volo per un tempo che mi parve lunghissimo, quasi
sentivo i secondi battere nella mia testa.
Colpì
il tabellone bianco, poi girò intorno al bordo come
una funambola.
E cadde dentro al
cestino.
Spazio autrice:
Hi! Allora, eccoci qua (ma no?). Allora, inanzitutto un GRAZIE immenso
ai recensori (lo scorso capitolo ne ha avute ben cinque, ma io vi AMO!)
Premetto che non ero molto convinta se pubblicare questa storia o meno,
qui su efp ce ne sono così tante ed è dificile
non entrare nel banale. Comunque, lasciando perdere le mie riflessioni,
sono davvero felice che qualcuno la stia seguendo e che piaccia.
Bene bene, ovviamente ringrazio tutti i lettori e recensori (ma l'ho
già detto) <3 e vi mando un megabacione. Al prossimo
capitolo xx
#Allie
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Capitolo 10 *** Ten ***
10. TEN
Harry comparve
all’improvviso da dietro la folla di persone che
chiacchierava nel cortile della scuola, situato proprio di fianco alla
palestra.
I suoi bei
lineamenti erano illuminati da un sorriso trionfante. Spiccava in mezzo
agli altri ragazzi della squadra tanto da renderli quasi invisibili, e
a mio parere poteva facilmente essere scambiato per il modello
di qualche rivista di abbigliamento.
Si
avvicinò, con il borsone appeso alla spalla. Mi morsi il
labbro per non dargli la soddisfazione di vedermi sorridere, non doveva
sapere che ero felice della vittoria.
«Togliti
quel sorrisetto dalla faccia, non è stato solo merito
tuo».
La mia
provocazione non lo scosse minimamente. «Stai parlando con il
playmaker dei Fire Demons, una promessa del
basket, piccola».
Mi lasciai
sfuggire un sospiro esasperato mentre lo seguivo fino al parcheggio.
Solo lì, lontano da occhi indiscreti, la sua mano
sfiorò la mia e pian piano le nostre dita
s’intrecciarono.
Quel gesto mi
provocò un’ondata di farfalle nello stomaco. Era
già successo qualche volta che ci fossimo presi per mano, ma
era un contesto completamente differente.
Mi
aprì la portiera della sua auto e aspettò che
salissi prima di posare il borsone nel baule e salire a sua volta.
«Dove
andiamo?».
«Dove
voglio».
Il suo volto era
leggermente in penombra, i capelli ancora umidi dalla doccia.
«Bella
risposta», brontolai.
Mi aspettavo uno
di quei club chic che conosceva lui, con la musica troppo alta e le
luci stroboscopiche, quindi rimasi sorpresa quando ci fermammo davanti
al Central Styles Caffè.
Rimasi a fissarlo
per un po’ quando venne ad aprirmi la portiera.
«Hai
intenzione di scendere?».
Mi lasciai guidare
all’interno, un po’ confusa. Le luci erano spente e
il locale completamente vuoto. Non fosse stato per Harry sarei
inciampata e caduta almeno una mezza dozzina di volte, ma lui lo
conosceva a memoria e in poco tempo arrivammo al punto in cui doveva
esserci l’interruttore.
Però
le luci non si accesero.
«Non
funziona?», chiesi.
Nessuna risposta.
Lo cercai con le
mani e sussultai quando lo trovai a pochi centimetri da me. Non
riuscivo a vederlo, ma potevo sentire il suo respiro caldo sulla mia
pelle. I suoi occhi scintillavano anche al buio. Mi bloccò i
polsi all’improvviso e mi spinse contro una superficie ruvida
che immaginai fosse il muro.
«No»,
gemetti.
Le mie pupille
schizzavano da una parte all’altra, alla ricerca di un punto
di luce. Odiavo non riuscire a vederlo in faccia, odiavo la sensazione
di impotenza che mi dava quella posizione. E il fatto di essere
lì, sola con lui mi spaventava più di quanto
avrebbe dovuto.
La sua risata
interruppe i miei pensieri e le luci si accesero improvvisamente. Si
staccò da me e solo ora che riuscivo a vederlo mi accorgevo
che il suo sguardo era serio, quasi seccato.
Mi diede le spalle.
«Che
c’è?», domandai.
Scosse la testa,
per poi tornare a guardarmi.
«Perché
ho come la sensazione che tu abbia paura di me?».
Aprii la bocca per
dire qualcosa di probabilmente stupido e insensato, ma non me ne diede
il tempo.
«Sono
sempre io, Haley». Fece un passo verso di me e mi prese il
viso tra le sue grandi mani. «Sono Harry,
lo stesso di tre anni fa. Ti prego. Voglio che ti fidi di me».
Non sapeva di cosa
stava parlando e non sarebbero bastate tutte le parole del mondo per
farglielo capire. Non avevo paura di lui, non ne avevo mai avuta e
sarebbe stato totalmente insensato.
Avevo paura delle
emozioni che poteva risvegliare in me, quelle emozioni che mi ero
impegnata a reprimere per tutti quegli anni.
Il cuore mi
martellava nel petto a una velocità incontrollata. In quel
momento avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e non sarei riuscita a
dirgli di no. Perché il suo sguardo era qualcosa di
terribilmente fragile e intenso da poterci annegare dentro. Senza
pensarci due volte affondai il viso nel suo petto e lo abbracciai. Mi
strinse contro di lui così forte da togliermi il fiato e mi
ritrovai immersa nel suo meraviglioso profumo.
Non so per quanto
tempo rimanemmo così, ma quando ci staccammo un brivido mi
scosse tutto il corpo.
Non ebbi il tempo
di soffermarmi a pensarci, perché subito sul suo viso
riaffiorò il sorriso che lo faceva somigliare a una sorta di
dio greco, annebbiando la mia coscenza.
«Siediti»,
disse.
«Come?».
Liberò
un tavolo dalle sedie che vi erano appoggiate sopra a testa in
giù, e ne scostò una per me e una per
lui.
«Avanti»,
mi sollecitò.
Gli ubbidii e
prese posto a sua volta, di fronte a me. Appoggiò le lunghe
braccia sulla superficie liscia e riflettente.
«Parlami»,
disse poi.
Lo fissai confusa
mentre lui mi aspettava pazientemente. «Che vuoi dire?
Perché siamo qui?».
«Per
parlare. E perché so che qui non hai scusanti per evitarmi.
Ci siamo tu e io».
Sospirai.
«Harry io non voglio evitarti». Cercai il suo
sguardo, ma lui rimase impassibile. «Insomma, cosa vuoi che
ti dica?».
«Quello
che vuoi. Recuperiamo il tempo perso».
Alzai gli occhi al
cielo mentre riflettevo.
«D’accordo.
Cos’ha Declan che non va?».
Ora era lui a non
capire. «Cosa sai di lui che potrebbe metterlo nei
guai?».
Credevo di aver
capito abbastanza bene quale fosse il problema, Harry sapeva delle cose
di cui Declan aveva paura, per questo quando ne avevamo parlato si era
comportato in quel modo.
Scrollò le spalle, come per far cadere
l’argomento. Il suo viso si era rabbuiato e non mi guardava
più.
«Sei tu
che mi hai chiesto di parlare e, beh, lo sto facendo. Se
però non riesci a sostenere una conversazione con me posso
anche andarmene».
Harry
soffiò dalle narici. «Niente che dovrebbe
preoccuparti».
«Certo
allora è per questo che non volevi che ci
uscissi?».
«Meriti
di meglio».
Le parole
rotolarono fuori dalla mia bocca prima che riuscissi a
fermarle.
«Tipo
te?».
Le sua labbra si
dischiusero in un gesto involontario e per un po’ non diede
segno di avermi udita.
«No»,
disse poi. «Non intendevo questo».
«Si
può sapere perché siamo qui allora? Sembra quasi
che debba forzarti per tirarti fuori le parole».
Sbuffò,
la sua mano si chiuse a pugno. «Ero geloso. Va bene? E se ci
aggiungiamo il fatto che Declan è una testa di cazzo, beh,
sono partito».
Arrossii
violentemente, non era quello che mi sarei voluta sentir dire.
«Geloso? Non è il primo ragazzo che mi si
avvicina, Harry».
«Sì,
ma tu sembravi ricambiare. E poi credo che avesse secondi
fini».
«Secondi
fini?», ripetei.
«Sì».
Risi, non potei
evitarlo. «Cioè, fammi capire. Lui sarebbe uscito
con me per arrivare a te?».
La sua mascella si
contrasse e in mezzo alle sopracciglia si formò di nuovo
quel cipiglio. «Quacosa del genere. Perché diavolo
stai fottutamente ridendo? Non è divertente».
«Oh,
è più che divertente. È assurdo»,
continuavo a ridere nervosamente.
«Smettila»,
disse a denti stretti.
Ridussi gli occhi
a due fessure.
«Oh, scusa.
Scusa tanto se mi da fastidio che tu non riesca a concepire il fatto
che un ragazzo possa semplicemente interessarsi a me».
«Non
intendevo.. Non fare la bambina».
Mi alzai di
scatto, facendo stridere la sedia contro il pavimento. «Va al
diavolo, Harry Styles».
Voleva che
parlassimo e tutto quello che ero riuscita a strappargli era un bel
niente.
Afferrai la giacca
e la borsa dallo schienale e feci per andarmene, ma la sua mano si
chiuse intorno alla mia, trattenendomi. Ora anche lui si era alzato e i
molti centimetri che aveva in più di me giocavano a suo
favore.
Lottai contro
l’impulso di spostare le ciocche di capelli che erano cadute
davanti ai suoi occhi verdi e ostacolavano la nostra connessione.
«Non
andartene», mormorò. «Volevo solo.. beh,
non lo so».
«In
tutto questo tempo non mi hai mai degnata di uno sguardo. Come qualcosa
in più che un’amica, intendo. Nemmeno quando avevo
una cotta per te Harry, perché sai perfettamente che era
così».
La sua espressione
confusa diceva però il contrario, e mi fece venire voglia di
cucirmi la bocca. Tuttavia, mi spinsi a continuare.
«E
proprio ora che eravamo riusciti a costruire qualcosa di bello, arrivi
e distruggi tutto».
«Ne
abbiamo già parlato. Voglio recuperare il tempo
perso».
E senza nemmeno
aspettare una mia risposta mi avvolse tra le braccia, stringendo i
nostri corpi.
«Si vive
una volta sola, Haley. Ricordalo».
Fece incontrare le
nostre labbra, ma questa volta con meno foga.
Quel bacio era
dolce, gentile, seppur intenso.
Mi
accarezzò la guancia con il pollice mentre lentamente le
nostre essenze si fondevano. Appoggiai le mani sul suo petto e le feci
scorrere verso l’alto, per poi allacciarle dietro al collo.
Giocai con i riccioli scuri mentre Harry muoveva la bocca contro la
mia, approfondendo il bacio.
Non avevo mai
provato niente del genere, nonostante quella non fosse la prima volta
che baciavo un ragazzo. Harry era così terribilmente
sbagliato da sembrare giusto e in quel preciso istante i tre anni
passati mi sembrarono irreali.
Come potevo aver
passato tanto tempo con lui senza poterlo baciare in quel modo? Senza
affondare le mani nei suoi ricci e guardare quegli occhi
così limpidi e oscuri allo stesso tempo.
Solo quando ci
staccammo mi accorsi di aver bisogno d’aria.
Strinsi gli occhi,
mentre i nostri respiri affannosi si confondevano. Il suo sorriso, a
metà tra l’allegro e il sarcastico, mi
procurò una fitta allo stomaco.
«Credo..».
Qualunque cosa
avesse da dire venne interrotta quando cercai di nuovo il contatto con
le sue labbra. Erano morbide e calde e Harry non esitò un
secondo prima di ricambiare.
Mi
sollevò da terra con un gesto semplice e avvolsi le gambe
intorno alla sua vita, stringendomi a lui. I nostri baci divennero
sempre più urgenti, dalla sua gola uscì un
profondo gemito, mentre si spostava più giù,
lungo la gola e poi sulla clavicola. Venni appoggiata al bancone del
bar e le sue mani scesero lungo i miei fianchi per aver maggiore
presa.
Chiusi gli occhi e
lasciai che i brividi percorressero tutto il mio corpo.
Lanciai un
gridolino quando avvertii i suoi denti penetrare nella mia pelle. Prese
a succhiare con forza, lasciandomi senza fiato. Avrei voluto
interromperlo, ma non ne avevo la forza. Sapevo che il segno sarebbe
rimasto, ma non riuscivo a pensare a nient’altro che non
fosse lui, la sua bocca, il suo respiro, il suo odore.
La suoneria del
suo cellulare oscurò del tutto i miei pensieri, ma Harry
sembrò non udirla neppure, perché continuava a
lasciare umidi baci alla base del mio collo. Mi sforzai di riprendere
un contegno e feci una leggera pressione sul suo braccio.
«Harry..
Devi rispondere».
«Richiameranno»,
biascicò tra un bacio e l’altro.
Questa volta mi
scostai con più decisione. «Harry».
Lui
sbuffò e si staccò riluttante, mentre estraeva il
telefono dalla tasca dei pantaloni.
«Pronto?»,
bofonchiò.
Riconobbi
all’istante il modo di parlare troppo veloce e isterico della
persona all’altro capo del telefono. Infatti gli occhi di
Harry si staccarono dai miei e schizzarono verso il cielo, come una
reazione chimica. O allergica.
Urlava
così forte che sentivo perfettamente tutto quello che
diceva.
«Perché
non risponde al cellulare? È lì con te? Eh?
STYLES!».
«Sì»,
rispose secco.
Silenzio. Harry
ne approfittò per riattaccare, ma la sua espressione diceva
chiaramente che il suo umore era peggiorato nel giro di pochi secondi.
Abbozzai un
sorriso nella sua direzione, che ricambiò. Sfiorò
con la punta delle dita un punto appena prima della spalla. Un piccolo
livido rosso-violaceo campeggiava sulla mia pelle chiara.
Aspettavo che
dicesse qualcosa, invece si limitò a sorridere con
soddisfazione.
«Mi
piace», ghignò.
Quella sua
sfacciataggine m’infastidiva, ma sapevo che poteva essere
coperto da una qualsiasi maglia appena un po’ accollata e
lasciai perdere.
Presi
delicatamente la sua grande mano tra le mie e iniziai a giocherellare
con le sue dita. Seduta su quel ripiano ero quasi alta quanto lui e per
guardarlo negli occhi mi bastava alzare appena lo sguardo.
Ma in quel momento
la sua attenzione era tutta per le nostre dita intrecciate.
Presi il suo viso
il più delicatamente possibile, sembrava così
grande tra le mie mani. Tracciai con la punta dell’indice la
linea delle sue labbra a forma di cuore, poi passai al naso imponente e
tornai giù, fino ad arrivare ai piccoli fori ai lati delle
guance.
Ridacchiò. «Che stai facendo?».
Gli feci segno di
tacere e continuai a tracciare linee immaginarie lungo tutto il suo
viso. Chiuse gli occhi. Salii la linea del naso e arrivai alle
palpebre, le sue ciglia erano così lunghe.
«Haley»,
sussurrò con voce roca.
Infilai le mani
tra i suoi capelli, ma Harry sgusciò dalla mia stretta
all’improvviso, impossessandosi di nuovo delle mie labbra.
Questa volta si
staccò dopo pochi secondi.
«Che
c’è?», chiesi allarmata.
«Hai una
pessima influenza su di me», disse ridacchiando.
Sgranai gli
occhi. «Che cosa? Io avrei una cattiva
influenza su di te?».
«Esatto».
L’occhio
mi cadde sul display del suo telefono, che segnava mezzanotte passata.
«Oh, Harry è tardissimo».
Sospirò,
osservando la porta del locale con sguardo truce. «Ti
accompagno a casa».
«No, fa
niente. Posso tornare a pie..».
«Non te lo stavo
chiedendo».
***
Spazio autrice
Punto uno:
Sì, so di essere in ritardo e so che questo capitolo
è corto e vi chiedo umilmente perdono :( ma questa settimana
sono stata impegnatissima con la scuola, e purtroppo siamo solo a
gennaio. Sto già facendo il conto alla rovescia per le
vacanze di Pasqua.
Punto due: Veniamo a noi, beh, che ne pensate del
capitolo, vi piace? Spero vivamente di sì, certo, ma sono
felice di accettare tutti vostri consigli.
Punto tre: Odio parlare per punti e penso che non lo farò
mai più (ics di).
Punto quattro: Qualcuno mi aveva consigliato di fare un banner
carino per la storia, ma siccome non ho la più
pallida di come si faccia, chiedo l'aiuto del pubblico(?), se qualcuno
lo sa fare mi farebbe il grosso favore di contattarmi? Sarebbe
meraviglioso ^^
Ultimo punto: Un GRAZIE IMMENSO a tutti voi che
seguite, leggete e recensite, non so cosa farei senza di voi,
seriamente.
Beh che dire, fatemi sapere le vostre opinioni, io vi aspetto <3
Ventiquattromila
baci a tutti, a
presto xx
#Allie
|
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Capitolo 11 *** Eleven ***
11. ELEVEN
Britney appoggiò la schiena al cemento e
perlustrò il cortile della scuola con lo sguardo. Sedute
sulla gradinata principale come al solito, avevo sempre pensato
sembrassimo una regina e il suo braccio destro.
Non mi infastidiva essere leggermente coperta dalla sua ombra
perchè, per quanto la popolarità fosse
divertente, amavo la mia bolla di riservatezza.
Vidi la chioma riccia di Harry comparire qualche metro
più in là e subito un piccolo sorriso si fece
spazio sul mio volto. Sorriso che morì immediatamente alla
vista della ragazza di fianco a lui. Smise di camminare quando
lei lo tirò per un braccio e immediatamente avvertii una
scarica allo stomaco di quella che identificai come gelosia.
I suoi capelli erano così lisci che avrebbero
potuto riflettere la luce del sole. Sempre che ce ne fosse, visto che
era almeno una settimana che non se ne vedeva un raggio.
«…ma mi stai ascoltando
almeno?», strepitò Britney.
«Aha», feci.
Ero ancora indecisa se si trattasse di una parrucca o meno.
«E allora ti andrebbe di degnarmi di una
risposta?».
Parrucca, decisamente. E quel fiocco da Barbie che indossava
sicuramente non aiutava.
«Hal».
Se continuava a sbattere le palpebre in quel modo
probabilmente le sarebbe venuta un’infiammazione alla retina
oculare.
«CRISTO, HALEY!».
«Cosa? Cosa vuoi?», sbottai.
Non mi accorsi di quanto il mio tono fosse aggressivo fin
quando non scorsi l’espressione ferita sul volto della mia
amica.
«Scusa», mormorai più
dolcemente.
Lei sbuffò. «Non fa niente, ma
rispondimi. Che ci facevi ieri sera con Styles?».
Mi morsi con forza l’interno della guancia per non
sputare l’imprecazione che avevo sulla punta della lingua.
Cosa mai poteva esserci di tanto importante da trattenerlo a parlare
tutto quel tempo?
«Quello che faccio sempre», risposi.
«Quindi non avete, non so.. Non vi siete dati da
fare?».
Mi alzai di scatto dal muretto su cui eravamo appollaiate,
afferrando lo zaino.
«No. Non è successo un
bel…».
Lui aveva smesso di parlare con la ragazza. Camminava ora,
dritto verso di me.
«…niente».
Ora come ora non avevo voglia di parlare con lui, ero troppo
irritata. Ma il margine di tempo per fuggire era davvero poco, e venne
del tutto annientato quando Britney mi afferrò per un
braccio.
«Dove vai?».
«Haley», la sua voce mi provocò
una stretta allo stomaco, trattenni il fiato.
Harry si guardò intorno un paio di volte e, prima
che decidessi se e come salutarlo, la sua mano si era posata sul fondo
della mia schiena, attirandomi verso di lui.
Le sue labbra mi si avvicinarono pericolosamente, ma riuscii a
voltare la testa appena in tempo perché lasciassero un
innocuo bacio sulla guancia. Mi lanciò un’occhiata
interrogativa, poi la sua attenzione si spostò su Brit, che
ci fissava sbalordita.
«Hai dimenticato di dirmi qualcosa, Hal?»,
i suoi occhi erano fissi sulla mano di Harry, appoggiata appena sopra
il sedere.
Gliela spostai con delicatezza, facendo un passo indietro.
Ero divisa in due tra l'essere felice per la sua dimostrazione
d'affetto davanti a Britney o ferita perché prima aveva
controllato che non ci fosse nessun altro in vista.
«No», dissi nello stesso istante in cui
Harry diceva «Sì».
Entrambi ci lanciammo un’occhiataccia.
«Si può sapere che diavolo mi sono
persa?».
Harry ghignò, scrollando le spalle. «Oh,
è molto semplice».
Mi fece roteare verso di lui soltanto prendendomi per la vita.
Le sue labbra premettero sulle mie con naturalezza, indugiando per
diversi secondi.
Mi staccai di colpo, come scottata. Si stava approfittando
del fatto che c'eravamo solo noi tre, sapevo che di Brit non
gl'importava. Ci fossero stati i suoi amici sarebbe stato diverso.
Le sue fossette incorniciavano un incantevole sorriso
beffardo, mentre si leccava le labbra con cura.
L’espressione di Brit era indescrivibile, le sue
iridi schizzavano prima su di me poi su Harry come una specie di tic
nervoso.
«Va tutto bene?», le chiese il ragazzo,
senza smettere di sorridere.
«Un conto è sentirselo dire. Un altro
è vedere», deglutì rumorosamente.
«Quindi.. Voi due». Mi puntò contro un
indice accusatorio. «E tu nemmeno volevi dirmelo..
Gesù».
Alzai gli occhi al cielo infilando in tasca le mani congelate.
«Non potresti.. Non lo so.. Cercare almeno di nascondere il tuo
disgusto?».
Rifletté sulle mie parole per una manciata di
secondi, poi si stampò in faccia un sorriso affettato.
«Certo, congratulazioni. Ora vado a
vomit… In classe».
E sparì.
Diedi un piccolo pugno alla spalla di Harry.
«Perché diavolo l’hai fatto?».
Rise. «Perché è divertente.
Hai visto la sua faccia?».
«Ti sembro divertita?».
Il suo sorriso si affievolì. «Ehi, ma che
cos’hai?».
Quasi a sostituire le mie parole la ragazza-Barbie comparve
alle sue spalle e gli sfiorò il braccio per attirare la sua
attenzione. Tempismo perfetto.
«Scusami?», fece lei.
Cercai di ignorare il suo continuo svolazzare di ciglia e
distolsi lo sguardo da quegli occhi languidi. Se Brit fosse stata
ancora lì con noi, avrebbe avuto un vero motivo per vomitare.
«Sì?».
«Ma ci sarai anche tu sabato, giusto?».
Harry scosse la testa e i suoi ricci ondeggiarono.
«No. Ma posso comunque procurarti le prevendite, te
l’ho già detto».
La ragazza annuì e temporeggiò, come se
sentisse il bisogno di aggiungere qualcosa. Poi però prese
la saggia decisione di togliere il disturbo, lasciandoci di nuovo soli.
Quel moto di gelosia di poco prima era qualcosa di
così stupido e infantile che non mi presi nemmeno il
disturbo di indirizzargli qualche commento sarcastico.
Noi non stavamo insieme.
Harry controllò di nuovo che nel cortile non ci
fosse più nessuno e fece un passo verso di me.
Le sue dita s’infilarono nella giacca e spostarono
la maglia che indossavo di qualche centimetro. La mia pelle
rabbrividì al contatto con l’aria fredda.
Studiò il leggero segno rosso appena sopra la spalla con
disappunto.
«Sta già scomparendo. La prossima volta
dovrò impegnarmi di più».
Mi allontanai con un brusco passo indietro. «Non ci
sarà nessuna prossima volta», lo avvertii.
Non sembrò particolarmente allarmato dalle mie
parole, anzi, quel sorriso di scherno non accennava a
scomparire.
Mi cinse la vita con un braccio.
«Eppure ieri sera non mi sembrava che
disprezzassi», sussurrò al mio orecchio.
Sentii la sua mano scendere più giù,
fino al sedere. Strabuzzai gli occhi.
«Harry!».
Rise, e ne approfittai per allontanarmi.
«Vado in classe», dissi, rossa come una
ciliegia.
***
Calciai un sassolino con la scarpa, che andò a
schiantarsi contro il marciapiede e con un rumore metallico
finì in un tombino. Negli ultimi giorni era diventato sempre
più difficile seguire le lezioni, la mia testa era
costantemente altrove.
«Ha bisogno di un passaggio, signorina?».
Non mi serviva alzare lo sguardo per sapere a chi appartenesse
quella voce. Soltanto quando vidi la mia immagine riflessa nel vetro
dell’auto, mi accorsi che le mie guance si erano sollevate
automaticamente in un sorriso. Diverse ore senza di lui avevano
annullato del tutto il fastidio di quella mattina per la ragazza-Barbie.
«No grazie, ho già la mia
autista».
«Oh, ma lei è già a
casa».
«Come?».
Se non le dicevo io di andare, Britney mi aspettava sempre nel
parcheggio.
Harry scoppiò a ridere e mi aprì la
portiera dall’interno.
«Cambio di programma. So essere piuttosto
convincente, sai? Sali».
Mi arresi e gli ubbidii.
Mi beai del calduccio che m’investì una
volta dentro, sfregai le mani l'una contro l'altra.
Mi concessi qualche istante per guardarlo, di
nascosto.
I capelli erano spettinati, come sempre, in quel modo che lo
faceva sembrare un cucciolo appena svegliato e il sex-symbol di qualche
famosa rivista allo stesso tempo.
Il giubbotto di pelle era aperto su una maglietta con scollo a
v, che lasciava intravedere la catenella argentata che portava al
collo.
Sorrisi involontariamente, mentre nella mia mente si formulava
un’ipotesi che mi fece aggrovigliare lo stomaco. Non riuscivo
a dirlo con certezza perché il ciondolo era costantemente
infilato all’interno del colletto, ma avevo il sospetto che
fosse quello che gli avevo regalato tempo prima, al primo compleanno a
cui avevo partecipato.
La sua lingua fuoriuscì dalla bocca e
accarezzò il labbro inferiore, mentre si concentrava sulla
strada davanti a sé. Strinsi i denti per evitare che la mia
mascella cadesse rovinosamente sul tappetino e mi affrettai a
distogliere lo sguardo.
«Quest’auto è un vero
disastro», commentai osservando le cianfrusaglie sparse un
po’ ovunque.
Vi erano una serie di rullini usati e nuovi in ogni spazio
libero, e una grossa macchina fotografica era abbandonata sul sedile
posteriore, in compagnia di qualche obbiettivo, un paio di album e una
mezza dozzina di cd.
«Non insultare la mia macchina».
«Oh, non stavo insultando lei, ma il suo padrone».
Harry ridacchiò mentre frenava bruscamente a un
semaforo. Il suo braccio scattò nella mia direzione e mi
tenne ferma, per evitare che volassi contro il parabrezza.
Avvicinò il viso al mio e impresse un piccolo bacio
sulla guancia, che mi infuse una sensazione di calore tutt'altro che
innocente. Mi chiesi quali sensazioni era in grado di scaturirmi, se un
innocuo bacio sulla guancia aveva quest'effetto.
Accartocciai quei pensieri in fondo al cervello, sbattendo
mentalmente la testa contro il parabrezza.
«Dovresti allacciare la cintura»,
soffiò contro il mio orecchio.
«Dovresti andare più piano»,
ribattei.
Il semaforo scattò, colorandosi di verde, e lui
spinse sull’acceleratore con un sorriso
strafottente.
Mi appoggiai al cruscotto per non sbilanciarmi in avanti,
quindi allacciai la cintura.
***
«Pronto?».
«Hal!», squittì Brit.
«Mi dispiace, Harry non mi ha dato scelta, non ti ho
abbandonata!».
«Lo so Brit, non preocc… Sta
tranquilla».
«No, odio quando fa così! Ah, e mi devi
raccontare un paio di cosucce, oggi te la sei scampata con la scusa del
test. Domani sei mia».
Mi morsi il labbro con forza.
«Sì… D’accordo».
Ci fu una pausa.
«Ma hai il fiatone?», chiese sospettosa.
M’irrigidii, strizzando gli occhi per reprimere gli
ansimi che non riuscivo a mettere a tacere.
«No…».
«Hal, non starai facendo ses…».
«Britney!».
Il telefono mi venne sottratto e finì nella tasca
dei jeans di Harry, il cui viso era seppellito nell’incavo
del mio collo.
Lasciò una linea di baci e piccoli morsi sulla mia
pelle, ognuno mi provocava una piccola scossa elettrica.
Un profondo mugolio partì dal fondo della sua gola.
I suoi ricci mi solleticavano il viso mentre si spostava appena sotto
il mento e con le mani aumentò la stretta sulle mie cosce.
Infilai le dita tra i capelli scuri e lo tirai leggermente indietro.
«Har.. Harry basta. C’è Britney
in linea!», sibilai.
«Ho riattaccato», mormorò tra
un bacio e l’altro.
Le sua labbra cercarono le mie e cancellarono qualsiasi cosa
avessi da dire. Mi aggrappai alle sue spalle per non cadere
all’indietro sul volante dell’auto e lui mi cinse
la vita, portando i nostri corpi l’uno contro
l’altro. Cominciavo ad abituarmi al sapore delle sue labbra,
al suo odore, alla sensazione delle sue mani su di me. E non ero certa
fosse più un bene che un male.
Mi staccai, riluttante. «Devo andare, sul
serio».
Harry sbuffò appena e allentò la presa
sui miei fianchi, permettendomi di liberarmi e uscire
dall’auto. Mi affacciai al finestrino per salutarlo e le mie
labbra ricevettero un nuovo bacio, questa volta più veloce.
«A domani», disse.
Sorrisi. «A domani».
Mi chiusi la porta alle spalle con un sospiro. «Sono
a casa!», gridai, certa che non avrei ottenuto risposta.
E invece una voce arrivò da qualche punto
indefinito della casa. Non sembrava Karen, e nemmeno mia sorella.
Però era familiare.
«Non me ne importa un accidente, Tom! Sono
stanca».
Ma.. Quella era la mamma.
«Ascolta, cerca di calmarti. Ho detto
che..».
La voce si perse dietro alcuni passi affrettati e non capii
più quello che si stavano dicendo.
Una porta sbatté violentemente e pochi secondi dopo
mia madre stava scendendo le scale, con una serie di valigie in
mano.
Erano settimane che non vedevo i miei genitori, non sapevo
nemmeno fossero tornati, e rimasi sorpresa nello scoprire il suo nuovo
taglio. I capelli, dello stesso castano scuro dei miei, erano tagliati
appena sotto il mento. Sembrava un’altra persona.
«Mamma».
La donna si voltò e mi guardò come se mi
vedesse per la prima volta.
«Oh, Haley tesoro».
Mi venne incontro e mi gettò le braccia al collo.
Ricambiai l’abbraccio un po’ titubante, mentre il
mio sguardo veniva catturato dall’uomo che stava scendendo le
scale a sua volta, proprio in quel momento.
«Ciao papà».
Come colpita da una freccia invisibile, mia madre si
staccò improvvisamente da me, sollevando le borse da terra.
«Ciao amore», mi salutò mio
padre.
«Oh, non fare gli occhi dolci a tua figlia, per
l’amor del cielo». Poi si rivolse di nuovo a me.
«Tesoro, io e tuo padre abbiamo deciso di
separarci».
Aprii la bocca, ma la richiusi, le parole sembravano essersi
disperse da qualche parte nel fondo della mia gola.
«Abbiamo? Oh, non fare la solita tragedia. Non
succederà niente del genere».
Il cuore mi martellava nel petto, pesante come un macigno. Ero
consapevole della poca maturità dei miei genitori, ma non
pensavo potessero arrivare al punto di litigare davanti a una loro
figlia.
«Non succederà? Vuoi vedere? Haley, io me
ne vado da questa casa. E sarei felice se venissi con me».
Resistetti all’impulso di coprirmi le orecchie con
le mani come una bambina.
«Ma che diavolo sta succedendo?».
«Succede che tuo padre è un truffatore e
un bugiardo, ecco cosa».
Guardai allibita l’uomo che alzò gli
occhi al cielo, esasperato.
«Andiamo, smettila. Non dire idiozie».
«Idiozie dici? Dunque, allora i cinquantamila
dollari che abbiamo spillato a quell’uomo per un lavoro che
non verrà mai portato a termine sono idiozie? Come gli
operai che saremo costretti a licenziare, lasciandoli senza lavoro, pur
sapendo che hanno tutti una famiglia da mantenere? Oppure vogliamo
parlare delle impiegate che ti porti a letto mentre sono via per
concludere degli affari?».
Una sensazione di nausea s’impadronì del
mio stomaco, tuttavia la mia bocca rimase sigillata.
«O potresti dirle che quelle sgualdrine potrebbero
essere le tue figlie!».
Lanciai uno sguardo interrogativo a mio padre, che si limitava
a tenere la testa china. Mi sentivo come se una pallina da flipper mi
stesse schizzando in testa.
«Pa, è vero?», la voce mi
uscì strozzata.
Lui annuì, suo malgrado. «Ecco
io…».
«Tom, per favore. Evita. Forza Haley,
andiamo».
Mi sorpassò e aprì la porta
d’ingresso.
Aggrottai la fronte, senza smettere di guardare mio
padre.
«Non sei costretta ad andar via, H», disse
lui dolcemente.
La mia testa minacciava di esplodere, non riuscivo a credere
che stesse accadendo davvero. Le poche volte in cui eravamo tutti
insieme sembravamo davvero una famiglia perfetta e felice. E
poiché sapevo che erano quasi sempre insieme durante i
viaggi, avevo dato per scontato il fatto che fossero l’uno
follemente innamorato dell’altro.
«Chiudi quella bocca. Non sei in grado di badare a
te stesso, figuriamoci tener dietro a tua figlia».
«Non sono una bambina, mamma»,
puntualizzai con una punta di acidità nella voce.
«Lascia che sia lei a decidere!»,
s’intromise mio padre.
Entrambi tenevano gli occhi fissi su di me, come se dalla mia
scelta dipendesse lo svolgersi degli avvenimenti futuri. Ed era
così probabilmente.
«E Tess?», domandai per prendere tempo.
«Tua sorella ha una casa sua adesso, lo sai. E poi
è quasi sempre al college», mi ricordò
mio padre.
«Tanto per te che differenza farebbe, Tom? Non le
vedresti comunque mai! Accidenti a te e al lavoro che ci hai scelto,
non fosse per te questa sarebbe una famiglia normale!».
«Al lavoro che io ho scelto? Ma ti ascolti? Lo sai
che è grazie a quel lavoro se puoi permetterti quelle scarpe
da ottocento sterline e quelle borse di pelle di serpente che ti
piacciono tanto? O questa casa, o quella che hai tanto insistito per
comprare a tua figlia!».
«Oh, di questo non devi più preoccuparti!
D’ora in poi ci penserò io a me e alle mie
figlie».
«Non deciderai per lei!».
«No di certo, ma se ha un briciolo di buon senso
stai pur certo che sceglierà sua madre!».
Una risata priva di allegria uscì dalle labbra di
mio padre. «Buon senso che immagino abbia ereditato dalla
signora Grantham, vero?».
«Prescott, da adesso». Si voltò
verso di me e mi fece un cenno stizzito. «Forza, Haley.
Prendi le tue cose».
Vedendo che non davo segno di volermi muovere,
sbuffò.
«Voglio andarmene di qui prima di sera»,
mi esortò.
All'improvviso sentì la rabbia crescermi dentro.
Stavano lontani da casa per un sacco di tempo, senza farsi sentire,
senza farmi avere loro notizie, e quando tornavano pretendevano di
stravolgere la mia vita in pochi minuti.
Se c’era una cosa che odiavo, erano i cambiamenti.
Ero una persona troppo razionale, avevo bisogno di riflettere sulle
cose, di certezze. E quel loro assurdo pretendere una mia decisione
istantanea oscurò la mia lucidità.
«Io me ne vado», dissi, tutto a un tratto.
«Sì, tesoro, d’accordo. Va a
fare i bagagli. Troveremo un posto per stanotte».
Scossi la testa, contraendo la mascella per non
piangere.
«No, mamma. Non ci vengo con te, me ne vado e
basta».
Mi diressi a grandi passi verso la porta e uscii,
sbattendomela alle spalle.
***
SPAZIO AUTRICE:
Allora, per prima cosa perdonatemi la grafica orrenda, so che
è tutto scritto in minuscolo ma non so davvero cosa stia
succedendo all'editor di EFP (diamo la colpa a EFP sì
sì). No scherzi a parte, non riesco a ingrandire il
carattere né a cambiarlo/colorarlo, ma vabbeh. Tra l'altro
ho il pc che va a rilento, ma forse la colpa di questo è mia
perché, come dice sempre mio padre, faccio venire il mal di
pancia ai computer. COMUNQUE, parliamo di cose interessanti.
Che ne pensate del capitolo? Scrivete, scrivete anime impure(?)...
oook, sarà il caso che la pianti con gli allucenogeni. No,
seriamente, fatemi sapere i vostri pensieri più celati... E
ma stantiddio, non riesco a star seria today. Poi stavo riguardando i
vecchi capitoli e pensavo che sono davvero morti, nel senso, molto...
bianchi e neri(?), quindi avevo in mente di metterci un banner, ma
siccome non so come si fa e mi piacerebbe che i personaggi li
interpretaste come più vi piace, lascerei stare. Voi che
dite? Perfectus, ora vi lascio in pace... fino al prossimo capitolo
ovviamente, muhuhuhahahaha. Salute popolo <3
#Allie
Ps. Voi che recensite ogni volta, sì, parlo proprio con voi,
soprattutto chi segue la storia dall'inizio, IO VI AMO. GRAZIE DI
TUTTO, BELLISSIME. <3
|
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Capitolo 12 *** Twelve ***
12. TWELVE
Britney’s POV
Emersi
dal
bagno in punta di piedi, facendo attenzione a non svegliare il ragazzo
che
dormiva beatamente sul mio letto. Controllai il cellulare, pieno di
messaggi e
notifiche, ma nessuno di questi era di Hal. Se c’era una cosa
che non sapeva
fare, era mentire. Ridacchiai tra me e me pensando a cosa le stesse
facendo Harry
quando le avevo telefonato, non ero sicura di volerlo sapere. Scossi la
testa.
Quella ragazza aveva uno strano modo di interpretare le parole: le
avevo detto
di trovarsi un ragazzo, ma certamente non intendevo
quell’idiota del suo
migliore amico. O meglio, ex-migliore amico.
Per
carità, se era felice lei lo
ero anche io, ma non ero sicura che uno come Harry facesse per lei.
Anche se, a dirla tutta, avevo sempre pensato che quei due
non potessero essere soltanto amici, ma come al solito Haley non mi
dava retta.
I
miei
pensieri vennero interrotti bruscamente quando una testa bionda
sbucò dalla
camera da letto dei miei genitori. Lanciai un gridolino acuto.
«Britney?».
«Mamma?
Io… Non ti avevo sentita». Solo in quel momento mi
accorsi di essere
completamente nuda, a parte la maglietta di Pete.
«Ero… Ero sotto la doccia!»,
mi affrettai a spiegarle.
Ma
la sua
attenzione era tutta per l’enorme display del cellulare. Tipico.
«Mm»,
mugugnò digitando un messaggio.
Lanciai
diverse occhiate preoccupate alla porta semichiusa della mia stanza. Se
solo fossi riuscita a chiuderla quel tanto che bastava
perché non si accorgesse che non ero sola...
«Sei
tornata presto oggi», commentai facendo qualche discreto
passo indietro.
«Già,
in
ufficio non c’era molto da fare».
Sollevò il capo. «E ho pensato che… Non
lo so, potremo mangiare qualcosa insieme stasera».
«Claire
non c’è, mamma», le ricordai.
La
donna
si morse il labbro inferiore, mentre si sbottonava la giacca grigia del
tailleur. «Beh, possiamo ordinare qualcosa allora. Pizza,
take-away? Magari del
cinese».
Sospirai,
mentre richiudevo lentamente la porta della mia camera.
«Sarebbe fantastico»,
dissi senza entusiasmo. «Papà
dov’è?».
«A
una
riunione, finirà tardi».
Dovevo
trovare un diversivo, Pete non poteva rimanere nascosto nella mia
stanza per
tutta la notte. «D’accordo, vado in camera mia a
telefonare allora…».
Proprio
in
quel momento il suo cellulare prese a squillare insistentemente. Mi
fece un
sorriso di scusa prima di rispondere.
«Sì?». Rimase in ascolto per una
manciata
di secondi, poi annuì. «Certo,
d’accordo. No, no! Nessun problema».
Riagganciò,
e la sua espressione colpevole mi strappò le parole di
bocca.
«Fammi
indovinare, devi tornare al lavoro?».
«Tesoro
non sai quanto mi dispiace! Sarà per un’altra
volta, d’accordo?».
Annuii.
«Certo. Come no». Ma lei era già
schizzata giù per le scale e non riuscì a
sentirmi.
Ascoltai
la porta d’ingresso chiudersi dietro mia madre prima di
tornare nella mia
stanza. Pete dormiva ancora. Mi sedetti sul letto di fianco a lui,
abbandonandomi contro la testiera rigida. Quella era proprio una delle
cose che
aveva contribuito a rendere me e Hal ancora più unite.
Avevamo passato quasi
un’intera vita a farci compagnia a vicenda. I miei erano
sempre in città, ma
era come fossero dall’altra parte del mondo e i suoi lo erano
davvero. Ormai
però ci avevo fatto l’abitudine e
l’infinità di cose materiali che riuscivano a
comprarmi aveva iniziato a sostituire il bisogno di affetto.
Bisogno d’affetto?
Ma che stavo dicendo? Non avevo mai avuto necessità di quel
tipo.
Il
ragazzo
di fianco a me si mosse nel sonno. Mi allungai sopra di lui per
guardare l’ora
sulla sveglia. Lo sentii ridere.
«Da
quanto tempo sei sveglio?».
«Abbastanza
per sentire la conversazione con la signora Grey», rispose
sogghignando. Stese
un braccio verso di me e mi attirò giù, sopra di
lui. «Abbiamo la casa tutta
per noi», sussurrò in un tono che sarebbe dovuto
apparire seducente.
Mi
allontanai non appena cominciò a stuzzicarmi con la lingua.
«Pete, no. Per
favore».
Lui
mi
ignorò e proseguì con la sua tecnica di
seduzione, che stava avendo risultati
piuttosto scarsi.
«Pete»,
ripetei infastidita.
Mi
alzai
di scatto, asciugandomi il collo bagnato di saliva.
«Ma
che
cazzo ti prende?», fece.
Mi
tolsi
la sua maglia e gliela lanciai, senza preoccuparmi di essere del tutto
nuda di
fronte a lui.
«Vattene
per favore», mormorai mentre m’infilavo di nuovo la
biancheria.
Pete
mi
raggiunse con uno balzo e mi strinse i polsi. Mi divincolai dalla sua
stretta imprecando.
«Ma che fai?», ringhiai.
La
sua
bocca raggiunse la pelle nuda delle mie spalle e iniziò a
lasciare piccoli baci
veementi.
«Smettila»,
gli intimai. Con mia sorpresa mi diede ascolto, ma il suo viso era una
maschera
di ghiaccio.
«Britney
Grey che non vuole fare sesso, questa sì che è
nuova».
Rimasi
impassibile, mentre aspettavo che si allontanasse dal mio corpo
immobile.
«D’accordo»,
sputò. «Me ne vado».
Si
rivestì
in fretta e in pochi minuti fu fuori da casa mia. Rimasi parecchio
tempo con lo
sguardo perso nel vuoto, un’orrenda sensazione di gelo si era
impadronita di
me. Perché avevo come l'impressione che Pete mi usasse solo
per il sesso. Oh
meglio, che tutti i ragazzi lo facessero.
Scacciai quel pensiero più velocemente
possibile. No,
ero io che
usavo loro per
fare sesso.
Ma
che mi prendeva? Mi
era sempre andato bene così, non volevo che cambiassero le
cose. Doveva essere
colpa del ciclo imminente, diventavo sempre strana nei giorni che lo
precedevano.
Mi
sedetti
sul grande divano, rabbrividendo al contatto con la pelle fredda.
Premetti il
tasto di accensione sul telecomando e il televisore prese vita
silenziosamente.
«Già»,
borbottai. «Pare che stasera saremo solo io e te».
Peccato
che nemmeno in televisione ci fosse niente di interessante. Solo una
catena di
programmi demenziali e assolutamente inutili che, in un normale
contesto, mi
avrebbero permesso di distrarmi. Ma non quella sera.
Dopo
aver
ingerito più di metà della vaschetta di gelato
che avevo trovato in freezer,
decisi che era meglio uscire di casa.
«Milk!»,
urlai alle scale.
Tempo
qualche secondo e la bestiola color panna mi venne incontro
trotterellando e
ansimando per la corsa. Gli feci una carezza sulla testa e ne
approfittai per
tenerlo fermo e legargli il guinzaglio.
Uscimmo
di
casa dopo che anche la punta delle mie dita fu coperta da uno spesso
strato di
lana. Le giornate si stavano accorciando decisamente e per strada i
lampioni
erano già tutti accesi. Solitamente il compito di portar
fuori il piccolo
barboncino spettava a Claire, visto che vederlo mentre si liberava dei
suoi
escrementi non era uno dei miei spettacoli preferiti. Aspettai
pazientemente
che annusasse un tronco, poi gli diedi una leggera scrollata,
trascinandolo
avanti. Le mie mani cercarono il cellulare nella borsa. Una volta
trovato,
litigai per un quarto d’ora con lo schermo touch che si
rifiutava di
collaborare. Sbuffai e mi sfilai il guanto della mano destra, quando
una sagoma
scura attirò la mia attenzione. La luce giallastra del
lampione m’impediva di
vederne il volto, ma potevo distinguere chiaramente la corporatura
minuta di
una ragazza.
Nel
frattempo dovetti portare il telefono all’orecchio
perché la chiamata era
partita. Aspettai diversi secondi, e quando udii una suoneria partire
poco
lontano da me sussultai.
Haley’s POV
Mi
avvolsi
nel piumone caldo, respirando a fondo l’odore di pulito. Se
Brit non mi avesse
trovata probabilmente sarei rimasta in giro per tutta la notte, dato
che dopo
la mia tragica uscita di scena, non avevo la minima intenzione di
ritornare a
casa. Almeno non subito.
Brit
varcò
la soglia del salotto con una tazza di tea bollente in mano. Mi rivolse
un
sorriso di scusa. «Non so quanto possa essere commestibile,
Claire non c’è».
Le
circondai il collo con le braccia, e lei appoggiò la tazza
sul tavolino prima
di ricambiare l’abbraccio. «Grazie Brit»,
sussurrai.
Sciolse
la
stretta. «Non dirlo nemmeno. Come stai piuttosto?».
Mi strinsi nelle spalle e
bevvi un sorso di tea, ma fui costretta a risputarlo.
«Che
c’è?», chiese
preoccupata. «Non ti piace?».
«No!»,
mentii. «È… è perfetto. Solo
che mi sono scottata».
In
realtà
non ero sicura che fosse davvero tea, e qualcosa mi diceva che avrei
preferito
non sapere cosa fosse. Però si stava impegnando
così tanto ad essere gentile e
premurosa con me che non avevo il coraggio di dirglielo. Era
più di un’ora che
continuava a fare su e giù per la casa in cerca di qualsiasi
cosa potesse farmi
stare meglio.
«Come
ti
senti?», ripeté.
«Meglio»,
la rassicurai.
«Sono
sicura che era solo un litigio… Lo sai che i tuoi sono un
po’, beh… svitati».
Sorrisi.
«Già, ma stavolta credo facessero sul serio. Mio
padre ha fatto un bel casino».
Britney
annuì e mi appoggiò una mano sulla schiena.
«Beh, sappi che puoi rimanere qui
tutto il tempo che vuoi», disse.
Rimanemmo
in silenzio mentre esaminavo il liquido scuro all’interno
della tazza,
soffiando di tanto in tanto per dare l’idea che
l’unica cosa a impedirmi di
berlo fosse la temperatura.
In
un
primo momento credetti che a svegliarmi fosse stata la mano di Brit
sulla mia
faccia. Quando avevo accettato di dormire insieme a lei ero troppo
stanca per
pensare al fatto che non sarebbe stata ferma un secondo e avrebbe
scalciato nel sonno. Poi, pian piano, il
ticchettio contro la finestra divenne sempre più distinto.
Lanciai un’occhiata
ansiosa alla mia amica che dormiva profondamente, inconsapevole del
fatto che
stava occupando da sola tre quarti del letto. Scivolai fuori dalle
coperte,
facendo attenzione a non svegliarla.
E
di nuovo
quei colpetti penetranti. Il legno freddo del pavimento
scricchiolò leggermente
sotto il mio peso. Avanzai, arrancando nel buio e tastando alla cieca
lo spazio
davanti a me. Quando finalmente riuscii ad aprire la finestra, tutto
ciò che potei
vedere fu il retro dell’enorme giardino dei Grey, vuoto. Ero
più che certa di
non essermi immaginata tutto.
Deglutii
e
scesi le scale cautamente, un gradino alla volta. Il cuore mi batteva
nelle
orecchie alla velocità della luce. E riecco quel
rumore… No, questa volta era diverso,
era più forte e chiaro e assomigliava a un cigolio.
Sgattaiolai in cucina e
afferrai un coltello dal cassetto senza pensarci. Mi sentivo davvero
stupida e
paranoica, ma non era la prima volta che i ladri tentavano di entrare
in casa
Grey.
Sbirciai dalla finestra, e
dovetti tapparmi la bocca con tutte le mie forze per non urlare.
Là fuori c'era qualcuno. Riuscivo a distiguere chiaramente
una sagoma scura tra le siepi fiorite del giardino.
Armandomi
di tutto il coraggio possibile, mi mossi verso
la porta d’ingresso, dalla quale mi sembrava provenire il
rumore. Afferrai la
maniglia e spinsi con delicatezza, lasciando che la porta si aprisse da
sé.
Contai fino a tre e mi sporsi per guardare oltre la porta, con il
coltello ben
stretto nella mano sinistra.
Qualcuno
mi afferrò per il polso e dalle mie labbra uscì
un grido di terrore che venne
interrotto da una mano grande e salda. Senza pensarci feci penetrare i
denti
nel palmo del mio “aggressore”.
«Cazzo,
Haley!», il suo fu quasi un sussurro.
Quando
mi resi conto di chi avevo di
fronte, feci un repentino balzo indietro. Harry mi seguì,
chiudendosi la porta
alle spalle silenziosamente. Non ci sono parole
per descrivere il sollievo che provai.
«Che
ci
fai qui?», sibilai. «Pensavo ci fosse…
L-là fuorì c'è...».
«Chi?»,
fece lui, le labbra piegate in un ghigno. Alzai gli occhi al cielo,
posandomi
una mano sul cuore per rallentarne il battito.
«Ero
sicura di aver visto un uomo».
«Haley,
non c'è proprio nessuno. Non
volevo spaventarti, ma se vuoi posso aiutarti a calmarti», mi
sforzai di ignorare
la nota maliziosa nella sua voce e feci qualche respiro profondo.
Eppure io l'avevo visto...
«Come
facevi a sapere che ero qui?».
«Ero
venuto da te, ma dopo essermi arrampicato per la grondaia solo per
trovare la
tua stanza vuota, ho immaginato fossi qui».
Aguzzai
lo
sguardo per afferrare l’ora sul grande orologio appeso al
muro, proprio sopra
l’attaccapanni.
«Sono
le
quattro del mattino!», constatai incredula.
«Perché sei in giro a
quest’ora?».
Il
suo
sguardo era così intenso che mi tolse il respiro.
«Non avevo sonno, e la
palestra della scuola non apre prima delle sei».
La
mia espressione doveva
essere particolarmente delusa, perché un sorriso
più dolce sostituì quello
beffardo di sempre. «Sto scherzando».
Le
sue dita catturarono il tessuto
leggero dei pantaloncini di Brit e mi attirò più
vicina a lui. «Avevo voglia di
vederti», soffiò sulle mie labbra. «E
volevo chiederti di uscire, per davvero
stavolta».
Uno
stormo
di farfalle inferocite decise di prendere il volo nel mio stomaco,
proprio in
quel momento. «Intendi un appuntamento?», azzardai.
Rise,
mettendo in mostra ancora una volta le fossette. Avevo come la
sensazione che
sapesse piuttosto bene l’effetto che aveva su di me.
«Se vuoi chiamarlo così».
«Non
lo
so. Se intendi due persone che escono insieme, dopo aver stabilito un
orario e
un luogo preciso, beh allora… Credo di
sì».
«E
come
devono essere queste due persone, perché
l’appuntamento possa definirsi tale?».
Il sorriso che non accennava a scomparire dal suo volto, mi
suggerì che si
stava prendendo gioco di me.
«Amici,
suppongo».
Mi
accorsi
che ci eravamo spostati nel soggiorno solo quando sfiorai col polpaccio
la
pelle ruvida del divano.
Harry
posizionò il viso tra la mia spalla e il collo.
«Mmh, ma davvero?».
Abbassai
le palpebre mentre le sue labbra si dischiudevano appena contro la mia
pelle,
inspirando delicatamente. «Forse un po’
più che amici», esalai.
Infilò
la
mano sotto la maglietta di cotone e disegnò ghirigori
immaginari lungo la mia
schiena. Salì un po’ più su, fermandosi
quando le sue dita incontrarono il
laccetto del reggiseno. Avvampai.
«Io
direi…
Molto più che
amici», suggerì lui.
Fletté
le
ginocchia, in modo che la sua gamba s’insinuasse tra le mie,
costringendomi a
sedermi sul divano. Si chinò su di me, appoggiando le mani
ai lati della mia
testa. Non dovetti aspettare ancora a lungo perché le nostre
labbra si
incontrassero, due magneti roventi incapaci di resistere a
quell’attrazione. I
suoi movimenti erano lenti ma profondi, le mie mani chiuse saldamente
dietro al
suo collo, come fosse la mia ancora di salvezza. La fremente
attività nel mio stomaco
emigrò più in basso quando con il pollice
accarezzò la porzione di pelle
scoperta del mio ventre.
Entrambi
ci irrigidimmo nell’udire qualcuno che si schiariva la gola.
***
SPAZIO AUTRICE:
Haaaaai!
Come state giovani donzelle? Qui si sopravvive.
Avete visto, sono riuscita a utilizzare una grafica più
carina, così non vi sembrerà più di
leggere l'elenco della spesa, lol. Sì, oggi mi andava di
usare il verde, qua c'è il sole, gli uccellini, e tanta
voglia di primavera. E poca di studiare, OVVIAMENTE.
Tipo che ogni volta che devo fare lo 'Spazio Autrice' non so mai cosa
scrivere, poi mi vengono in mente mille cose e vi tengo qua per
più tempo che per tutto il capitolo, ma vabbé.
Dungue dungue dungue, Harry e Haley sono troppo da diabete per i miei
gusti, qua ci vuole qualcosa che smuova la situazione, eh. Non vi
preoccupate, per ora il mio cervellino malato è in quiete.
BUGIA, ho già in mente il prossimo capitolo, e quello dopo,
e quello dopo ancora. E rimarrò qui a torturarvi
finché la morte non vi coglierà, gnaaaaa.
Va bene adesso basta: grazie ai tesori che hanno aggiunto la storia tra
le seguite, preferite e ricordate, e grazie di cuore a chi recensice,
vi prego di farlo sempre, anche a chi di solito legge in silenzio...
Solo un piccolo commentino qua sotto, anche breve, ma per farmi sapere
se la storia vi sta piacendo, oppure se vi fa schifo, o se dovrei
cambiare qualcosa :')
Un grazie davvero
speciale a queste tre persone che recensiscono
praticamente sempre, e che amo troppo:
- Cecy_y
- ila and anny
- stylesmadness
- Alice Styles
Un ultimissima cosa, ci terrei davvero di cuore che faceste un salto da
questa meravigliosa fanfiction. Io me ne sono innamorata, e sono sicura
che anche voi non ve ne pentirete!
Si chiama Soul Torn,
di JaymeR.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2198420&i=1
BYE BYE belle bimbe, un kiss
<3
#Allie
|
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Capitolo 13 *** Thirteen ***
13.
THIRTEEN
«Non. Sul.
Mio. Divano», la voce di Brit era rauca per il
brusco risveglio.
Sia
io che
Harry rimanemmo un attimo immobili in quella posizione, io sdraiata sul
divano
e lui sopra di me. Scoppiammo a ridere senza preavviso alla vista delle
ciocche
bionde di Britney ritte sulla testa. Non eravamo abituati a vederla in
quello
stato, o meglio, solitamente non permetteva a nessuno di vederla
così.
«Non
c’è
niente da ridere!», ci rimbeccò, le mani puntate
sui fianchi. «Gesù, se non vi
avessi fermati avreste scop…»
«Britney!»,
urlai per coprire la sua voce.
«…sul
mio divano?».
Aggrottai
la fronte, sconcertata. «No, noi stavamo
solo…».
Harry
certamente non mi stava aiutando, continuando a sghignazzare e senza la
minima
intenzione di spostarsi.
La
ragazza
fece qualche passo esitante nella nostra direzione, aggirandoci come
fossimo
mine antiuomo. «Usufruendo di una casa quasi
vuota per dare sfogo ai vostri bisogni sessuali, lo capisco. Ma
assicuratevi
che io stia dormendo profondamente
la
prossima volta, i vostri miagolii da gattini nella stagione degli
accoppiamenti
non mi aiutano a riposare».
Harry
alzò
appena il capo verso di lei, senza smettere di guardarmi. «Ci
ha appena
chiamati gattini?».
Avvicinò
le labbra nel punto del collo appena dietro l’orecchio e
lasciò diversi baci
sulla mia pelle già rovente. Lo sforzo che feci per non
abbandonare la testa
all’indietro e dimenticarmi della presenza di Britney non si
riesce a spiegare.
Invece lo spinsi indietro con la mano, indirizzandogli qualche parola
di
rimprovero.
Brit
aveva
le palpebre socchiuse in quello che, lo riconobbi
all’istante, ci piaceva
chiamare Lo Sguardo. Purtroppo nemmeno Harry sembrò farci
caso più di tanto,
tuttavia decise di alzarsi, forse per pietà della mia amica.
«Sei
una
vera seccatura», brontolò il ragazzo.
Nel
frattempo Britney si era raccolta i capelli in una coda alta.
«Oh, questo sì
che mi ferisce», commentò sbadigliando.
Indicò poi la porta con un ampio gesto
del braccio. «Prego», lo esortò.
Harry
sbuffò e mi rivolse un’occhiata famelica.
«A dopo», disse.
Non
sapendo bene cosa dire rimasi ferma impalata in mezzo alla stanza,
mentre lui
si avvicinava per salutarmi. Le sue labbra furono sulle mie in un
lampo, e
riuscii a percepire il suo divertimento nel sentire il sospiro
esasperato di
Brit, mentre indugiava un po’ più del dovuto.
Infine, dopo aver lasciato una
piccola pacca sul mio sedere che tentai invano di schivare, se ne
andò.
«Sai,
dubito che il trucco si depositi da solo sulla tua faccia. E tantomeno
che i
vestiti ti si infilino addosso».
Brit
si
sedette sul suo letto di fianco a me ed esaminò orripilata
il sacchetto vuoto
di patatine.
«Ancora
non capisco dove vadano a finire i quintali di spazzatura che
ingerisci».
Diede
un
pizzico al mio fianco destro, ma le sue dita catturarono solo un
sottile strato
di pelle.
«Non
è
spazzatura», mi giustificai.
Liquidò
il
discorso con un cenno della mano. «In ogni caso, Harry
arriverà tra meno di
dieci minuti».
Lanciai
un’occhiata furtiva verso di lei. «E da quando ti
importa?».
«Da
quando
quell’idi… ragazzo,
esce con la mia
migliore amica». Mi afferrò per un braccio e mi
obbligò ad alzarmi. «Forza,
scegli qualcosa. Subito».
«Posso
andare
anche così».
Indossavo
gli stessi vestiti dalla sera prima e sapevo perfettamente che la mia
proposta
sarebbe stata cestinata ancora prima di essere udita. A conferma della
mia
ipotesi Brit si lanciò verso l’enorme guardaroba e
inizio a raccogliere decine
di abiti alla rinfusa.
«Britney…»,
sospirai.
Interruppe
la sua battaglia contro l’armadio soltanto per lanciarmi
un’occhiata velenosa.
«Devi
avere qualche disturbo mentale, insomma…».
«Brit!»,
la chiamai.
Si
interruppe bruscamente, e qualcosa nella mia espressione la convinse a
posare
gli abiti e sedersi di nuovo vicino a me. Fece un respiro profondo e
posò una
mano sulla mia spalla.
«Cosa
c’è
che non va? Non ti sto spingendo a uscire con lui, ma mi era parso di
capire
che ci fosse un interesse…». Ci
rifletté qualche istante, prima di proseguire.
«In realtà non credo di aver capito proprio niente
di questa storia, ma siete
entrambi così vaghi che ho pensato preferiste essere
lasciati in pace».
Provai
un
incredibile e impellente voglia di abbracciarla, i suoi modi invadenti
e a
volte fastidiosi mi facevano dimenticare quanto fosse meravigliosa.
Tuttavia mi
trattenni, perché intuii che stava per riprendere la parola.
«Non
sei
interessata a lui? Perché lui a te lo è, si vide
lontano miglia e miglia».
Il
mio
cuore fece una capriola. «Non sono interessata? Stai
scherzando? Io… Lui è
così…». La mia mente si
sforzò di trovare l’aggettivo perfetto,
c’erano mille
cose che avrei potuto dire. «Bello da star male».
Restai
con
fiato sospeso dopo quella rivelazione, in attesa di un commento
sarcastico che
però non arrivò.
«Ma…?», chiese invece.
Quella
domanda fece scattare qualcosa dentro di me, e come una chiave,
sbloccò tutto
quello che mi ero tenuta dentro negli ultimi giorni.
«Ma
ho
paura di quello che sta succedendo. Mi ero abituata a poter contare su
di lui
come amico e a non far caso alle ragazze con cui passava la notte, o
alle
serate in discoteca… Adesso è diverso. Qualcosa
è cambiato in me, ma non
significa che anche lui sia cambiato. E non voglio
essere un’altra delle sue conquiste Brit».
Lei
annuì,
comprensiva. «Sì, capisco. Non vuoi rimanere
ferita».
«Esatto!
È
proprio questo che intendevo, io… Non voglio
perderlo».
La
ragazza
mi rivolse un sorriso dolce. «Tesoro, tu e Harry non siete
mai stati amici».
«Ma
che
dici?».
«Dico
quello che è così evidente e che solo tu non hai
notato. Dio, io credo
nell’amicizia tra ragazzo e ragazza, sul serio. Ma la
vostra… è sempre stata
molto più che amicizia. Dove c’eri tu
c’era lui, ogni volta che ti serviva
aiuto lui correva».
«Questo
è
quello che fanno gli amici. È la stessa cosa che facciamo io
e te».
Britney
tirò un lungo sospiro. «Non è
così facile da spiegare. Forse capirai man mano.
Harry rimane un cretino, sappilo. Però fossi in te gli darei
una possibilità».
Il
suo
sguardo venne catturato dall’orologio-sveglia sul
comò. Scattò in piedi.
«Accidenti!
Cinque minuti! Avanti, su, alzati per l’amor del
cielo!».
A
volte mi
chiedevo dove trovasse anche solo l’energia per cambiare
stato d’animo così
velocemente.
Mi
sollevai di malavoglia dalle coperte morbide e presi al volo i vestiti
che Brit
mi lanciava. Fortunatamente quel giorno si era munita di un briciolo di
senso
della misura, e non fui costretta a indossare uno degli abitini
imbarazzanti
che mi suggeriva di solito. Quindi, dopo essermi infilata un paio di
jeans, una
canottiera e una camicia a quadri, venni catapultata
nell’enorme bagno.
«Lo
sa
vero che deve venire qui e non da te?», farfugliò
mentre rovistava come una
pazza nella trousse rosa shocking. In tutta risposta il campanello
suonò, forte
e chiaro.
«Gli
ho
accennato qualcosa oggi», spiegai, ma lei era già
volata al piano di sotto,
facendomi segno di proseguire la sua opera.
Mi
guardai
allo specchio, esitante. Una sensazione sconosciuta si fece strada
dentro di
me: era come se un’enorme serpente si fosse insinuato nel mio
stomaco, chiudendolo
in una morsa.
Si chiama ansia da pre-appuntamento mi suggerì la vocina acida in fondo
alla mia
mente.
Tirai
con
forza l’elastico, lasciando che le lunghe onde castane
cadessero lungo la
schiena. Afferrai la boccetta del mascara e lo spazzolai un
po’ lungo le
ciglia.
«HALEY!»,
mi chiamò la voce di Brit.
Mi
guardai
intorno, in preda al panico. Le scarpe.
La
stanza
di Britney era sicuramente più ordinata della mia, ma delle
mie converse non
c’era traccia. Mi sporsi sotto il letto, non erano nemmeno
lì. Mi appoggiai
alla scrivania, respirando a fondo e imponendomi la calma.
Era
solo
un appuntamento, e con Harry per di più. Bastava fingessi
che fosse tutto come
al solito, soltanto un uscita tra amici. Certo, amici che si baciano e
si
strusciano come…
Scacciai
quel pensiero e ispezionai la scarpiera di Brit, in cerca di qualcosa
di adatto
a me. Afferrai un paio di Vans grigie e le infilai, sperando che non
fossero
troppo grandi.
Infine
scesi le scale di corsa, con la borsa stretta in una mano, la giacca
nell’altra
e il cellulare stretto tra le labbra.
Quando
raggiunsi il pianerottolo d’ingresso Brit stava prendendo
fiato per lanciare un
altro dei suoi strilli, probabilmente indirizzato alla sottoscritta. Si
fermò
appena in tempo e mi studiò velocemente, rivolgendomi un
discreto occhiolino
d’approvazione.
E
poi lo
vidi.
Dire
che
il mio cuore si fermò sarebbe decisamente riduttivo.
Scomparve del tutto,
lasciandomi una sensazione di leggerezza nel petto. I suoi capelli
erano
leggermente spettinati sulle tempie, e la posa precaria del ciuffo
sulla fronte
suggeriva che l’aveva spostato più volte. La
giacca era aperta su una maglietta
semplice, che aderiva al torace e scendeva a picco
sull’addome. Indossava un
paio di jeans scuri, piuttosto stretti, e le mani erano infilate
pigramente
nelle tasche. Cercai con lo sguardo la catenina che, come al solito,
era
infilata nello scollo.
«Ehi»,
mi
salutò.
Aprii
la
bocca, senza emettere alcun suono, non del tutto certa di essere ancora
capace
di parlare. Mascherai l’imbarazzo con un sorriso, sforzandomi
di non fissare
troppo il suo corpo perfetto. Mi concentrai invece sul viso, sul quale
comparivano le immancabili fossette e quelle iridi talmente verdi da
sembrare
irreali.
Camminai
verso di lui, lasciando che mi cingesse la vita con il braccio senza
dire una
parola. Mimai un saluto a Brit e lasciai che il ragazzo mi conducesse
fino alla
sua auto.
Guidò
in
silenzio per un breve tratto, poi decise che forse era ora di rompere
il
ghiaccio.
«Hai
sentito tua madre?».
«Ehm,
veramente no». Scrollai le spalle. «Ma
né lei né mio padre mi hanno telefonato,
quindi… Dubito che a loro importi molto».
Harry
distolse lo sguardo dalla strada per studiare la mia espressione.
«A loro
importa di te».
«Già.
Fosse per loro potrei anche essere in mezzo alla strada
adesso».
Il
ragazzo
abbozzò un sorriso. «Tua madre ha chiamato quella
di Britney oggi, e Brit le ha
detto di dirle che sei qui».
A
quell’affermazione seguì un lungo silenzio.
«Oh»,
dissi infine. «E tu come lo sai?».
Mi
indicò
il cellulare. «Britney».
Le
mie
labbra si sigillarono e decisi che le case che sfrecciavano via da noi
oltre il
finestrino fossero più interessanti. Nonostante fosse ora di
cena, per strada
vi erano diverse macchine ed Harry fece lo slalom per schivarle e
procedere con
la sua andatura veloce. Non lo stavo guardando ma ero sicura che lo
divertisse.
Quando
la
sua mano sfiorò la mia sobbalzai per la sorpresa, ma
probabilmente credette che
si trattasse di fastidio, perché si ritrasse. Lo lasciai
fare, era meglio che
la mia bocca rimanesse cucita in quel momento, o avrei potuto riversare
su di
lui tutto il mio nervosismo. Continuavano a farlo, continuavano a
parlare di me
a mia insaputa.
«Ehi»,
bisbigliò. «Va tutto bene?».
In
fondo
non potevo arrabbiarmi per così poco. Se lo facevano era
perché si
preoccupavano per me, al loro posto avrei agito allo stesso modo.
«Sì»,
lo
rassicurai con un sorriso.
«Mi
dispiace davvero per i tuoi. Non dovrebbero comportarsi così
davanti a te».
Sospirai,
stringendomi nelle spalle. «Lo so. Ma non voglio parlare di
loro adesso».
Le
sue
labbra piene si piegarono in un sorriso malizioso. «Oh e cosa
vorresti fare?».
«Di
cosa
vorrei parlare… Mmm,
vediamo…».
La
sua
bocca catturò la mia in un istante, impedendomi di
continuare. Si staccò solo
per evitare di andare a sbattere da qualche parte, ma le nostre dita
erano
rimaste intrecciate.
«Dove
mi
porti?», chiesi curiosa.
Finse
di
pensarci. «Domanda inutile», sogghignò.
Sbuffai
rassegnata e mi abbandonai contro il sedile, beandomi del sorriso
incantevole
del ragazzo di fianco a me.
Britney’s POV
Erano
dieci minuti buoni che facevo avanti e indietro per la stanza vuota.
Pete
non
si era fatto sentire.
L’avevo
intravisto quella mattina a scuola, ma non ero sicura di aver voglia di
chiarire. Mi ritrovai a pensare che forse era stato meglio
così. Non ne ero mai
stata innamorata, ed ero sicura che fosse lo stesso per lui.
Ciò
che
invece era davvero deprimente e iniziava a preoccuparmi era il fatto di
essere
a casa da sola di venerdì sera. Dovevo assolutamente trovare
qualcosa che mi
impegnasse, così sollevai la cornetta del telefono e composi
il numero di Liz.
Due
squilli. «Qui è Elizabeth Tomlinson»,
rispose una voce fredda e meccanica.
Per
un
attimo rimasi interdetta, la bocca semiaperta e lo sguardo confuso.
«Ehm, io…».
La
voce
all’altro capo del telefono scoppiò a ridere.
«Brit? Sei ancora viva?».
Emisi
una
risatina. «Oddio Liz, cos’era quella
cosa?».
La
ragazza
si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto. «Ti
piace? Mi sto allenando per il
mio nuovo filmato».
«Sei…
Oh
mio dio, credevo davvero fosse un risponditore automatico».
«Grazie!
Comunque che c’è?», il suo tono non
perse quella nota di allegria.
«Volevo
sapere se hai da fare stasera. Mi annoiavo e
così… Non lo so, potremmo andare
in qualche locale».
Sotto
quel
punto di vista Liz era più divertente di Haley, con lei era
davvero uno spasso
andare a ballare e alle feste. Hal era più chiusa e
difficilmente si lasciava
rimorchiare dagli sconosciuti.
«Oh
tesoro
mi piacerebbe, ma stasera tornano mio fratello e un suo amico
dall’esercito…
Sono mesi che non lo vedo. Ehi, perché non vieni a cena da
noi?».
«Ma…
Io
non so se…».
«Dai!
Gli
farà piacere vedrai, in fondo vi conoscete da quando eravate
piccoli».
Rimasi
in
silenzio qualche secondo, esitante. «Non credo sia il caso,
non c’entro molto».
«Okay,
allora ti aspetto fra venti minuti». E riagganciò.
Sospirai
e
andai di sopra a cambiarmi, quella ragazza possedeva
un’energia positiva capace
di contagiare anche i sassi, decisamente quello di cui avevo bisogno
quella
sera.
Dopo
poco
più di venti minuti ero davanti all’ingresso di
casa Tomlinson, il dito premuto
sul campanello.
Una
chioma
nera spuntò da dietro la porta.
«Ehi
straniera!», mi salutò con un sorriso caloroso.
Mi
diede
un leggero bacio sulla guancia e la seguii all’interno. Dalla
cucina proveniva
un forte rumore di stoviglie e pentole. Lanciai un’occhiata
interrogativa alla
mia amica.
«Oh,
non
preoccuparti, è mio padre. Sta cucinando il mondo,
è sempre così felice quando
torna Lou».
Annuii.
«E
Jenna?».
Il
suo
viso spumeggiante si oscurò appena. «Non mi
sembrava molto opportuno invitarla…
Anche se avrei voluto».
Jenna
e
Louis avevano avuto una storia, prima che il ragazzo decidesse di
diventare un
soldato e partire per l’esercito. Niente di particolarmente
importante certo,
però sarebbe stato imbarazzante.
Liz
fiutò
l’aria come un cane da tartufo. «Gnam!
Papà sta cucinando il roastbeef con le
patate».
Stavamo
per buttarci sul divano, quando il campanello suonò.
Liz
schizzò come una furia verso la porta schiamazzando
eccitatissima, seguita a
ruota dal padre.
Li
raggiunsi appena in tempo per vedere la mia amica saltare addosso a un
ragazzo dai
capelli castani
«LOUIS!»,
gridò.
Il
fratello la prese al volo, ridacchiando. «Ehi
mostriciattolo!», le disse
affettuosamente.
Si
staccò
dalla piccola ragazza per abbracciare il padre. «Mi sei
mancato figliolo».
«Anche
tu
papà».
Mi
feci
piccola piccola, sforzandomi di non essere gelosa di
quell’amore che trapelava
da ogni parola o sguardo. L’amore di una famiglia.
Liz
si
voltò verso di me e potei chiaramente vedere che aveva gli
occhi lucidi,
nonostante sorridesse.
«Lou,
ti
ricordi di…».
«Britney
Grey», fece lui, sfoggiando un largo sorriso che mi
ricordò quello di Liz.
Non
era
cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto.
Aveva gli stessi lineamenti
sottili e gli inconfondibili occhi azzurro ghiaccio della sorella. Non
era
molto più alto di me e non fosse stato per
l’accenno di barba
sul mento e sulle guance gli avrei dato
al massimo un anno in più di me.
Nonostante
Louis e Liz fossero fratellastri il loro legame era quasi
più forte di quello
fra gemelli.
«Ciao
Louis», dissi.
Lui
ridacchiò e catturò anche me in un abbraccio, che
dopo un po’ di incertezza
ricambiai. Eravamo sempre stati molto amici, ma era davvero un secolo
che non
lo vedevo.
Una
figura
comparve alle spalle di Louis, che sciolse la stretta per voltarsi.
«Oh, entra
Zayn».
I
Tomlinson
sorrisero al nuovo arrivato che, un po’ imbarazzato, fece
qualche passo avanti.
La
mia
bocca si sigillò, impedendo all’ossigeno di
accedervi. Era il ragazzo più bello
che avessi mai visto.
La
divisa
da soldato ne evidenziava il corpo alto e slanciato e un piccolo
berretto color
militare era appoggiato sui capelli neri come pece. I suoi occhi scuri
scrutarono attentamente la famiglia e poi me; sul suo viso si
aprì un sorriso
bianchissimo, in contrasto con la carnagione bronzea.
Non
sembrava nemmeno umano.
«Piacere,
io sono Jonathan», si presentò il signor Tomlinson
stringendogli la mano. «E
loro sono mia figlia Elizabeth e Britney, una sua amica».
«Zayn
Malik, signore», disse il ragazzo.
Strinse
la
mano a Liz e infine la mia. Temetti che la mia bocca si spalancasse da
sola quando i suoi occhi profondi incrociarono
i miei e le sue labbra carnose si aprirono in un piccolo sorriso, ma
fortunatamente riuscii a mantenere un contegno.
«Zayn»,
sussurrò.
«Britney»,
dissi esultando mentalmente per il tono sicuro che ero riuscita a
sfoggiare.
La
sua
voce era così… provocante. Scacciai quel pensiero
folle e ritrassi lentamente
la mano, chiedendomi se fosse stata solo una mia impressione o avesse
davvero
indugiato un po’ troppo.
***
SPAZIO AUTRICE:
Uaaaaah! Lo so faccio
schifo, sono in ritardo, di nuovo.
Ma stavolta non posso dare la colpa solo alla scuola, ho avuto un sacco
di impegni anche con la pallavolo,
e sinceramente questo capitolo l'ho riguardato parecchie volte
perché non mi convinceva, e non mi convince nemmeno ora,
quindi spero che almeno a voi piaccia, è questo l'importante
alla fine.
Oggi mi spirava il viola, sono in vena ahahahaha.
Comunque, che ve ne pare delle nuove comparse? Era da un po' che
aspettavo di mettere questo capitolo, perché entrano in
scena Zayn e Louis sisisi.
E ora passiamo ai ringraziamenti, alle meraviglie meravigliose che
hanno aggiunto la storia tra le seguite/preferite/ricordate e ai soliti
amorini che recensiscono always:
- Cecy_y
-
ila and anny
-
stylesmadness
- Alice Styles
E per ultima ma
non meno importante (anzi) c'è JaymeR che, oltre a lasciare
delle recensioni stupende, sta scrivendo quella storia che sono certa
mi farà morire d'infarto un giorno o l'altro e che vi
consiglio vivamente di leggere se non siete deboli di cuore *-* Soul Torn.
E
ora posso anche togliere le tende e augurarvi una buona... lettura? No
idiota, se sono arrivate qui l'hanno già letto il
capitolo.
Cretina. Sì, parlo da sola ommiodio. Okay, vado davvero. Un
bacionee xx
#Allie
|
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Capitolo 14 *** Fourteen ***
14.
FOURTEEN
Haley’s POV
La
stanza
era in penombra e mi impediva di vederlo bene in volto mentre si
chinava per
colpire la palla. Fece scorrere la stecca sul pollice e
l’indice un paio di
volte, poi diede un colpo secco. La pallina bianca schizzò
in avanti e colpì
il triangolo, creando una sorta di esplosione di colori. Molte finirono
in
buca, altre emigrarono in parti diverse del tavolo verde. Si
alzò e mi guardo
con soddisfazione.
Studiai
nervosamente la punta sporca di gesso blu della mia stecca. Non avevo
la benché
minima idea di come si giocasse a biliardo, e lui ne era consapevole.
Si avvicinò con
lentezza esasperante, sistemandosi dietro di me. Fece aderire il suo
ampio
petto alla mia schiena, e nonostante quel gesto fosse stato fatto con
naturalezza, quasi casualmente, sapevamo entrambi che era intenzionale.
Mi cinse da dietro e
mi costrinse a piegarmi per “mettere a fuoco
l’obbiettivo”.
«Scegli
un
colore», mi sussurrò all’orecchio.
Osservai
le cinque palline rimaste, individuando quella che a parer mio sarebbe
stata la
più difficile da mandare in buca.
«Quella
verde», dissi infine.
«Ai
suoi
ordini».
Mi
guidò
fino a che non ebbi assunto la giusta postura, dopodiché
strinse le mie mani
per aumentare la presa sulla stecca. «Sei troppo
tesa», continuò a
bisbigliarmi. «Rilassati».
M’imposi
la calma. «Da qui non riuscirai mai a mandarla
dentro», commentai in tono di
sfida.
«Scommettiamo?».
Scrollai
le spalle, per quanto mi fosse in possibile in quella posizione.
«Quanto?»,
chiesi fingendo indifferenza.
Sogghignò,
soffiandomi sul collo. «Non voglio i tuoi soldi,
piccola».
Avvampai
immediatamente, un po’ per l’allusione, un
po’ per il modo in cui mi aveva
chiamata. Harry continuò a far scorrere la stecca avanti
indietro, non del
tutto ignaro dell’effetto che stava esercitando su di me.
«È
tutta
una questione di concentrazione. Guarda».
Misi
a
fuoco la pallina bianca dritta di fronte a noi, scacciando la vocina
che mi
urlava di girarmi e saltargli addosso. Sentivo il peso del suo sguardo
addosso,
il che non aiutava affatto.
La
stecca
sgusciò via dalla mia stretta e scattò in avanti.
Colpì la pallina con un colpo
secco. Quest’ultima scivolò in avanti, si
scontrò con una rossa che a sua volta
rotolò fino a quella verde. La palla si fermò a
pochi centimetri dalla buca, ma
non entrò.
Mi
voltai
verso Harry, un sorriso trionfante sul viso. Lui mi costrinse a
guardare ancora
verso il tavolo, e avvicinò la bocca al mio orecchio.
«E
adesso?».
Era
sparita. Completamente sparita, nonostante fossi più che
sicura di aver visto
bene.
«Ora»,
disse. «Voglio la mia ricompensa».
Strinsi
gli occhi a due fessure. «Odio scommettere con te».
Si
morse
il labbro inferiore. «Adoro
fare
scommesse con te. Anche se penso che prima o poi capirai che non ti
conviene».
«Ah
no?».
Rise.
«A
meno che non trovi divertente perdere».
Lo
colpii
allo stomaco, inutile dire che non si scalfì nemmeno un
po’. «Guarda che non
perdo sempre».
«Finora
hai sempre perso».
Sbuffai.
Schiacciata com’ero tra il suo corpo e il tavolo da biliardo
non ero nelle
condizioni di lanciare minacce. D’altronde aveva
perfettamente ragione, in
tutta la serata non lo avevo battuto una sola volta, in niente.
«D’accordo,
allora. Ti sfido a una gara di Ruzzle».
Inarcò
le
sopracciglia, trattenendo una risata. «Ruzzle?».
«Già».
Al
piano
di sopra della sala giochi avevo visto una piattaforma dove si poteva
giocare a
Ruzzle, anche sfidandosi. Ero quasi sicura che in un gioco di logica
come
quello avrei avuto più possibilità di batterlo.
«Mmh,
io
credo che la tua lingua potrebbe essere usata in maniera più
utile che per uno
stupido gioco».
Avvampai.
«Guarda che basta usare il cervello».
«Stai
forse insinuando che non lo sappia usare?».
Mi
sedetti
sul tavolo per acquistare qualche centimetro. «Sto mettendo
in dubbio la sua esistenza»,
lo provocai.
Si
posizionò in mezzo alle mie gambe e mi bloccò i
polsi con una mano sola.
«Attenta
a
quello che dici, Grantham», sibilò con una finta
voce minacciosa. «Ti ho in
pugno, lo sai».
«Presuntuoso».
«Prevedibile».
«Arrogante».
«Vulnerabile».
Aprii
la
bocca per sputare il prossimo insulto, ma mi fermai. «Vulnerabile? Che razza di offesa
sarebbe?».
Scoppiò
a
ridere, e mi ritrovai a pensare che non ci fosse niente di
più bello di quelle
piccole fossette ai lati della sua bocca. No forse qualcosa
c’era, le iridi
verde intenso che proprio in quel momento mi studiavano a fondo.
Catturò
le
mie labbra con le sue, prima timidamente e poi con maggiore foga. Mi
staccai
appena prima che la situazione diventasse irrecuperabile.
«Harry,
no… Non qui», mugugnai.
Nonostante
fossimo soli nel piano sotterraneo della sala giochi, mi sentivo a
disagio.
Lui
si
sforzò di riprendere un contegno e si allontanò,
continuando a guardarmi con
quegli occhi ardenti di desiderio. Deglutì.
«Andiamo via di qui», suggerì con
voce roca.
Annuii
e
mi lasciai guidare fuori dal locale.
Britney’s POV
Il
signor Tomlinson
ci sapeva davvero fare in cucina. Forse perché i miei non lo
facevano mai, ma
non pensavo che un uomo potesse cucinare così bene.
Ovviamente non assaggiai
tutto, il mio stomaco non era abbastanza grande.
I ragazzi
invece riuscirono a fare il bis di ogni pietanza presente sulla tavola,
tanto
che ad un tratto Liz scoppiò a ridere, durante uno dei pochi
momenti di
silenzio.
«Ragazzi
non so quanto vi diano da mangiare nell’esercito, ma
d’ora in poi mi
preoccuperò di spedirvi qualcosa. Sembra che non tocchiate
cibo da secoli».
Louis
rise con la bocca ancora piena, ricevendo un’occhiataccia dal
padre.
«Qui
la
questione non è quanto, ma cosa.
Non
riesco nemmeno a ricordare l’ultima volta che ho mangiato
della carne vera».
Zayn
annuì
freneticamente, a conferma delle parole dell’amico.
«Questo pollo è ottimo
signor Tomlinson».
«Oh,
buon
Dio, chiamami Jonathan. Mi fai sembrare terribilmente
vecchio».
«Forse
perché sei vecchio
papà», gli fece
notare Louis.
Il
padre
ridacchiò. «Forse dovrei dire al tuo superiore di
dare una moderata a quella
linguaccia che ti ritrovi, mh?».
I
due
amici si lanciarono un’occhiata divertita. «Sempre
che tu ne esca vivo, dopo un
dialogo col sergente Sparks».
«Quell’uomo
è davvero una belva sign… ehm,
Jonathan», spiegò Zayn. «Pensi che a
cinquantacinque anni riesce ancora a tirare su i nostri stessi
pesi».
Ghignai
in
direzione di Louis. «Oh, beh, ne sono sicura! Da quello che
mi ricordo, tu non
riuscivi a sollevare nemmeno cinque chili Lou», lo schernii.
Sebbene
fosse passato del tempo, il rapporto tra noi non era cambiato ed ero
felice di
poter ancora scherzare con lui. Louis alzò il capo dal
tavolo e mi squadrò,
fingendosi offeso.
«Bisogna
che tu dia una risistemata alla tua memoria, nonna! Potrei sollevare
tre volte
te con una mano sola e l’altra legata!».
Scoppiai
a
ridere, coprendomi la bocca con la mano. Con la coda
dell’occhio potei scorgere
Zayn che osservava incuriosito quel battibecco.
«Voi
due
avete la stessa età?», chiese a me e Liz mentre si
puliva la bocca con il
tovagliolo.
«Sì»,
dicemmo all’unisono.
Le
labbra
del ragazzo si piegarono all’insù, in una via di
mezzo tra un sorriso e un
broncio. Il risultato era comunque qualcosa di molto, molto sexy.
«Sembri più
grande della tua età», mi disse.
Louis
scosse la testa, sghignazzando. «Queste due pesti mi danno il
tormento da
quando sono nate praticamente!».
«Ehi!»,
lo
rimbeccò la sorella. «Senza di me tu non vivresti,
è chiaro?».
«Certo
carotina, come vuoi tu», fece lui con un sorriso affettato.
Il
signor Tomlinson
scattò in piedi. «A proposito! Ti ho preparato la
torta alle carote», bofonchiò
mentre apriva il forno e ne estraeva una teglia rotonda.
Sul
viso
di Lou si aprì un sorriso enorme. «Wow! Questa
sì che è un’accoglienza».
Dopo
aver
mangiato almeno tre fette di torta i ragazzi decisero di andare a
vedere un po’
di televisione. Li seguimmo in soggiorno, Liz aveva così
tante domande da fare
a Zayn e al fratello.
«Quindi
voi due da quanto tempo vi conoscete? Come vi siete conosciuti? E
quanti anni
hai Zayn? Sarai sicuramente più piccolo di Lou, altrimenti
non lo
sopporteresti. Dico bene?».
Il
moro
scoppiò a ridere e all’interno del mio stomaco si
formò un nodo.
Piantala Britney, sei ridicola.
«Calma
piccola Tomlinson, una domanda alla volta», fece Zayn.
Louis
ghignò. «Piccola Tomlinson? Cosa vorrebbe dire,
che è una specie di me in
miniatura? Stiamo scherzando?».
Liz
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Che palle
Lou, chiudi il becco!»,
brontolò, approfittando dell’assenza del padre che
sicuramente non avrebbe
apprezzato il suo linguaggio.
Zayn
sorrise
di nuovo. «Ci siamo conosciuti un anno fa, quando sono stato
arruolato. Lui era
lì già da un po’ e mi ha dato molte
dritte. Siamo compagni di stanza e… Sì, ho
un anno in meno di tuo fratello».
Liz
fece
schioccare la lingua, soddisfatta. «Aha! Che ti avevo detto?
Nessun ragazzo
della sua età o più grande lo
reggerebbe».
«Louis
si
è fatto molti amici», tentò di
difenderlo Zayn.
La
piccola
ragazza lanciò al fratello un’occhiata scettica,
poi decise di proseguire col
suo interrogatorio.
«Quindi
da
dov’è che vieni tu?».
Quell’entusiasmo
la faceva sembrare una bambina nel giorno di Natale.
«I
miei
genitori hanno origini pakistane, ma io sono nato a Bradford».
Non
riuscii
a trattenere una smorfia a quell’affermazione. I miei avevano
radicato nella mia
testa una forma di discriminazione fin da quando ero piccola, dicevano
che il
modo di pensare di “quella gente” era diverso dal
nostro. Mi accorsi in quel
momento che la colorazione ambrata della sua pelle e i capelli
così neri non
potevano appartenere a un comune inglese, e mi sentii stupida per non
esserci
arrivata prima.
Lui
dovette accorgersi della mia espressione, perché mi stava
guardando
apertamente, come tutti gli altri del resto. Sostenni il suo sguardo
fingendo indifferenza.
«Tu
invece
devi essere un’inglese pura,
Britney»,
commentò con una punta di sfrontatezza.
«Si
vede
molto?», replicai fieramente.
Scrollò
le
spalle, un sorriso tirato sul viso. «Diciamo che riesco a
distinguere quando
qualcuno è completamente inglese. Soprattutto le donne, sono
tendenzialmente
più… fredde».
Sgranai
appena gli occhi, ma mi ricomposi immediatamente. Mi aveva dato
dell’acida
forse? In fondo io non avevo aperto bocca, era lui che aveva tratto da
solo le
sue conclusioni, non era certo colpa mia se avevo una marcata
espressività del volto.
Sollevai
il mento arrogantemente. «Mio nonno era irlandese»,
mentii.
Liz,
che
si era persa il nostro scambio di battute mentre scriveva al cellulare,
alzò la
testa di scatto.
«Davvero?».
Sospirai,
sorridendo. «No, stavo solo scherzando». Poi
rivolta a Zayn: «E le inglesi non
sono acide».
Louis
gettò la testa all’indietro, ridendo di gusto.
«Attento fratello, la micetta ha
artigli molto affilati».
Afferrai
un cuscino dal divano e glielo tirai. «Micetta un
corno».
Il
ragazzo
spalancò gli occhi di ghiaccio e sporse il labbro inferiore.
«Avanti Spears,
non fare la strega»
Gli
rivolsi la versione migliore de Lo Sguardo, come lo chiamava Hal.
«Non ho più
quindici anni Tommo, e quella
fissazione per Britney Spears è sparita da un pezzo, insieme
a quella per Robert
Pattinson e Leonardo di Caprio. Quindi chiamami un’altra
volta in quel modo e
ti faccio vedere io dove ti ficc…».
Liz
si
schiarì la gola, interrompendo a metà il mio
sproloquio.
«Dunque,
perché hai scelto di fare proprio il soldato Zayn? Insomma,
sappiamo tutti che
Louis non aveva possibilità da nessun’altra parte,
che è l’unico motivo per cui
mi capacito della sua decisione».
Il
ragazzo
si lasciò cadere sul divano a braccia conserte, lanciandomi
sguardi truci e
ancora visibilmente offeso. Distolsi lo sguardo da lui trattenendo un
ghigno, e
lo spostai su Zayn a cui era stata rivolta la domanda. Sussultai nel
constatare
che mi stava fissando già da prima, e il mio cuore perse un
battito. Tuttavia
sostenni il suo sguardo profondo senza il minimo fremito, inarcando
appena un
sopracciglio come per sfidarlo a distogliere per primo.
«La
mia
famiglia non è molto ricca e non potevo permettermi una
carriera di studi
troppo lunga. Ho preferito lasciare questa possibilità alle
mie sorelle, mi
sembrava più giusto. E poi mi piace aiutare le
persone».
«Un
gesto
molto altruista», commentai piatta. Lui rimase impassibile, i
nostri sguardi
erano ancora allacciati. «Quindi il generoso stipendio che
danno a quelli che
vengono spediti in capo al mondo come voi non t’interessa
nemmeno un po’?».
Okay,
ammetto che era un tantino maligno anche per i miei standard, ma quel
ragazzo
mi dava parecchio fastidio. Quel suo modo arrogante di atteggiarsi e
l’evidente
consapevolezza di essere maledettamente bello, erano alquanto seccanti.
«No»,
rispose lui dopo un lungo silenzio. «Penso che la
generosità dovrebbe essere
gratuita, senza secondi fini. E se avessi voluto approfittarmi
dell’aiuto che
fornivo agli altri avrei fatto, non so, l’avvocato».
Gli
rifilai un’occhiata tagliente. «Mio padre
è un avvocato».
Scrollò
le
spalle, come per lasciar cadere l’argomento. Non so per
quanto tempo rimanemmo
lì, a sfidarci con lo sguardo, occhi negli occhi, blu contro
marrone. Si poteva
quasi avvertire l’energia negativa correre da me a lui e
viceversa.
Liz
decise
di interrompere quel silenzio imbarazzante con l’ennesima
domanda.
«Quanto
tempo pensate di rimanere?».
Lou
afferrò la sorella per i fianchi e la sollevò,
stritolandola. «Diciamo fino a
per sempre, piccolo mostriciattolo».
Liz
rise,
colpendolo piano allo stomaco. «Lasciami! E sappi che se non
te ne vai da solo ti
caccio io!», scherzò.
Mentre
i
due erano occupati nella loro piccola lotta fraterna, decisi di
sbirciare nella
direzione del moro.
Mi
stava
ancora guardando, con quell’espressione tanto intensa quanto
indecifrabile.
Haley’s POV
Harry
sbatté la porta del suo appartamento con una mano sola,
l’altra era impegnata a
tenermi stretta contro di lui. Strinsi meglio la presa delle gambe
intorno alla
sua vita e lui gettò le chiavi e la giacca per terra.
Affondai
le dita nei suoi capelli e lui si fiondò sulle mie labbra
voracemente. Quel
bacio era più urgente di qualsiasi altro ci fossimo mai
scambiati, entrambi
bramavamo quel contatto come l’aria.
Le
sue
mani scivolarono esperte sotto la mia maglietta, afferrandomi i fianchi
per
tenermi stretta meglio. Salì le scale mentre mi sfilavo a
mia volta la giacca
di dosso e la lasciavo cadere.
Le
nostre
labbra si modellavano alla perfezione, dalla sua gola risalì
un ruggito
profondo. Senza che me ne accorgessi ci ritrovammo nella camera di
Harry.
Interruppe il contatto bollente delle nostre bocche solo per posarmi
sul letto.
Si fermò un attimo, accarezzando con lo sguardo ogni
centimetro del mio corpo,
soffermandosi sulla porzione di pelle scoperta del ventre, a causa
della maglia
che mi era venuta su. Si piegò su di me, eliminando del
tutto la distanza tra i
nostri corpi. Le sue labbra lasciarono una scia di baci lungo tutta la
mascella, poi scesero il collo, dove iniziò a mordicchiare
la pelle. Non
riuscii a reprimere un gemito di piacere e me ne pentii subito dopo,
sentendomi
totalmente ridicola. Ma lui sembrò accorgersene appena,
troppo intento ad
assaporare ogni piccola parte di me, prima i capelli, poi le
spalle…
Fece
una
pausa per riprendere aria, le labbra gonfie erano umide e arrossate. Le
sue
sfere color giada continuavano a scavarmi dentro, nessuna mano o bocca
avrebbe
potuto compensare il tocco di quegli occhi.
E
proprio
mentre lo guardavo, mentre speravo con tutta me stessa che mi baciasse
ancora e
ancora, mi ritrovai a pensare a quante altre ragazze si erano trovate
nella mia
stessa situazione. Nella stessa identica posizione
magari. Quante avevano potuto ammirare quegli occhi meravigliosi e
pensare di
poterli guardare all’infinito senza stancarsi mai. E quante
erano rimaste
deluse, ferite, quando avevano realizzato che con Harry Styles non
esistevano
storie serie. Ma chi volevo prendere in giro? Non era nel suo DNA, non
sarei
mai riuscita a cambiare quello che era. E, a differenza di tutte le
altre
ragazze, non mi sarei accontentata di fare sesso con lui per
poterlo avere,
anche solo per una notte. O tutto o niente. Non sarei mai stata una
delle
tante, ed era meglio fermarsi prima che mi affezionassi più
del dovuto. Prima che
potesse farmi male per davvero, anche se sapevo che sarebbe stato
abbastanza
doloroso anche così.
«Cosa
c’è?»,
sussurrò.
Deglutii
rumorosamente, ricacciando indietro le lacrime.
«Niente».
Tentai
di
sollevarmi, ma lui mi bloccava sotto il suo peso.
«Harry… è meglio che vada.
Scusa».
Lui
rotolò
di fianco a me, guardandomi mentre mi tiravo su dal letto,
ricomponendomi e
sperando di riacquistare quella dignità che sentivo di aver
perso.
«Cosa?
Perché?».
Scossi
la
testa. «Devo tornare».
Si
alzò.
«No», replicò accigliandosi.
«Britney sarà sicuramente fuori ed è
venerdì sera».
Restai
un
attimo immobile in mezzo alla stanza, sentivo il bisogno di dire
qualcosa, ma
niente di quello che avrei voluto dire uscì dalla mia bocca.
Mi
avviai
al piano di sotto a passo svelto, ma Harry mi raggiunse in poco tempo e
mi
bloccò appena davanti all’ingresso.
«Haley!
Che diavolo ti prende? Che ho fatto?».
Respirai profondamente, non ero mai stata brava a
reprimere il pianto.
Il risultato erano sempre un paio di occhi rossi e la tipica
espressione ebete.
Infatti Harry se ne accorse e mi prese il viso tra le grandi mani.
«Ehi», bisbigliò
sforzandosi di essere dolce, per quanto il fiato corto
e l’espressione ancora eccitata gli permettessero.
Mi divincolai dalla sua presa, consapevole che se
avessi di nuovo
incrociato quei magneti verdi non avrei più avuto la forza
di andarmene. Quindi
presi la giacca e aprii la porta.
«Io vado. Ciao Harry», dissi
richiudendomela poi alle spalle.
Mi incamminai verso casa, con gli occhi che
pungevano più del freddo
della notte.
***
SPAZIO
AUTRICE:
Ciao a tutti, dunque.
Questo Spazio Autrice sarà un po' più breve,
perché non ho molto tempo.
Chiedo
scusa ai tesori che hanno recensito e a cui non ho risposto,
mi dispiace tanto, ma non ho avuto un attimo, è un periodo
un po' così. Prometto che per questo capitolo
m'impegnerò di più per rispondere a tutti.
Inoltre non sono più molto sicura di questa storia, mi
dispiacerebbe molto cancellarla visto che l'ho pensata dal primo
all'ultimo capitolo, ma ho paura che non stia piacendo quanto avrei
voluto. Nel modo più sincero possibile, secondo voi dovrei
continuare?
Infine grazie a tutti quelli che leggono, e alle mie dolcissime Alice Styles (che oltre ad
essere un meraviglioso recensore promette molto bene come scrittrice),
ila and anny, stylesmadness e
ovviamente quell'amorino di JaymeR
che adoro, e a cui
chiedo tanto tanto scusa perché ancora non sono riuscita a
leggere il suo nuovo capitolo ma vado a farlo immediatamente.
La sua storia, Soul
Torn, è
una delle più belle che abbia mai letto e non mi
stancherò mai di ripeterlo <3
Vi mando tanti baci, a presto
#Allie
|
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Capitolo 15 *** Fifteen ***
15.
FIFTEEN
Quando aprii gli occhi mi resi conto immediatamente
di non essere nel
letto di Brit, bensì sul divano. Mi sollevai sui gomiti,
studiando la coperta
che avevo addosso.
Ricordavo di essermi addormentata mentre pensavo a
Harry, al modo in
cui me n’ero andata. O forse era un sogno? Non seppi dirlo
con precisione,
forse i pensieri si erano trasformati in sogni o viceversa.
Ma la sera precedente, quello era tutto vero. Mi
passai una mano sul
viso, e feci una smorfia nel constatare che le mie guance erano ancora
bagnate.
Una parte di me si era pentita, l’altra pensava ancora che
quella fosse la
soluzione migliore, forse più per me che per lui.
Una bionda trafelata e già vestita di
tutto punto comparve da dietro la
porta della cucina, la testa immersa nella borsa enorme.
«Ciao Brit», dissi sbadigliando.
Per tutta risposta dalla sua gola uscì
un grugnito sommesso.
«Dove sei stata ieri sera?».
Guizzò fuori dalla borsa, gli occhi
sgranati. «Da Liz!», sputò.
Mi avvolsi nella coperta, mettendomi seduta.
«Okay», sbuffai. «Però sta
calma».
«Ma io sono
calma!», sbraitò.
Si fermò qualche istante, rendendosi
conto della contraddittorietà
della situazione. Poi sbuffò e riprese la sua ricerca
furiosa, scaraventando in
aria ogni oggetto possibile.
Quando uno specchietto nero minacciò di
aprirmi la faccia in due decisi
di fermarla.
«Mi spieghi che succede?».
Si fermò in mezzo alla stanza, le mani
puntate sui fianchi. La povera
borsetta pendeva inerme dal suo braccio, ormai svuotata.
Soffiò dalle narici e
si sedette di fianco a me.
«Non trovo l’eyeliner
glitterato, merda. Ero sicura di averlo messo qui».
«Non credo sia un grosso problema, prima
o po…».
Mi fulminò con lo sguardo. «Devo trovarlo!».
Sospirai, riconoscendo immediatamente il suo
comportamento. Due erano
le ipotesi: o era ingrassata, o qualcosa le era andato storto. E
considerando
che la sua siluette era perfetta come sempre, rimaneva soltanto
un’opzione.
«Britney», dissi con calma.
«Cos’è successo ieri sera?».
Le sue pupille schizzarono verso ogni angolo della
stanza, e non si
fermarono finché non la richiamai con un piccolo buffetto
sul braccio.
«Cosa ti fa pensare che sia successo
qualcosa?».
«Questa domanda. E il tuo pessimo umore
alle…» controllai l’orologio
«Dieci di mattina. Di solito sono io quella scorbutica appena
alzata».
Scrollò le spalle, incrociando le
braccia al petto. «Stasera dovrei
andare a una festa con Liz».
Annuii, facendole cenno di proseguire.
«E ci saranno anche suo fratello e
quell’idiota del suo amico,
probabilmente».
Sgranai gli occhi. «Louis è
tornato?». Un sorriso spontaneo si fece
largo sul mio viso.
Louis, il fratello di Liz, era nostro amico fin da
quando eravamo
piccolissime. Era più grande di tre anni, ma ci aveva sempre
trattate come pari
(o quasi). Avevamo perso i contatti con lui dopo la sua partenza:
andando contro
le aspettative di tutti aveva deciso di fare il militare. Lou era
sempre stato
un tipo spiritoso e un po’ superficiale, quindi la sua scelta
aveva spiazzato
tutti.
«Già», rispose
seccata. «E pare che abbia portato con sé un
ricordino.
Si chiama Zayn Malik, direttamente dal terzo mondo. Probabilmente
l’avrà
trovato in mezzo a un campo o che so io».
Ridacchiai, nonostante il suo quasi razzismo non mi
fosse mai piaciuto
molto.
«Sul serio?».
«No. È un suo
“compagno d’esercito”»,
mimò le virgolette con le dita.
«E credo sia mezzo pakistano, o inglese… Ma che
importa. È la persona più
irritante che conosca. E ne conosco di persone irritanti! Mi ha dato
dell’acida, ti rendi conto? Acida?
Io?».
Mi morsi con forza il labbro inferiore per evitare
di riderle in faccia.
«Brit, vorrei solo ricordarti che sei
fidanzata».
L’occhiataccia che mi lanciò
non può essere spiegata a parole, ma giuro
che se ci avesse provato intenzionalmente, non le sarebbe riuscito
qualcosa di
così esilarante.
«Ho detto irritante
Haley,
non scopabile. I-r-r-i-t-a-n-t-e.
Tecnicamente allude a qualcosa di negativo».
«Mm, e allora perché ti agiti
tanto?».
Scrollò le spalle con nonchalance.
«Perché stasera sarò costretta a
vederlo. E mi innervosisce».
«Probabilmente non vi incrocerete
nemmeno, con tutta quella gente».
Dopo una breve riflessione si calmò e
decise che avevo ragione, quindi
archiviò la questione e passò a quella successiva.
«Non ti ho nemmeno chiesto
com’è andata ieri con Harry. Quando sono
tornata ti ho vista dormire sul divano ed ero troppo stanca e seccata
per
parlare».
Sentii le lacrime riaffiorare in superficie e il
buon umore prendere il
volo velocemente com’era arrivato, così mi
costrinsi a fissare il lampadario. Presto
la forte luce bianca mi annebbiò la vista e la stanza si
coprì di macchioline
colorate. Mi resi conto di star piangendo quando avvertii una lacrima
calda
rigarmi la guancia.
«Hal?».
«Ho rotto con lui».
I suoi occhi si spalancarono. «Tu
cosa?».
«Già. Sempre che si possa dire
di aver rotto con qualcuno con cui non si
stava nemmeno».
E senza troppi giri di parole le raccontai della
sera precedente, dei
miei dubbi e di ciò che mi aveva spinta a lasciarlo
lì, confuso e impotente.
Quella lacrima solitaria si trasformò
ben presto in un pianto
ininterrotto. Britney mi avvolse in un abbraccio affettuoso,
sussurrandomi
parole di conforto.
«Tesoro… Capisco che tu sia
spaventata, ma queste sono tutte tue
supposizioni. Per quanto Harry possa essere un coglione, insomma, non
ha fatto
niente per farti dubitare di lui».
«Lo so. Ma ho deciso che era meglio
chiudere questa cosa prima che
potessi farmi male per davvero. Certo, così l’ho
perso in ogni caso, sia come
amico che altro».
Lei sospirò, battendo un paio di
colpetti sulla mia schiena. «Credo che
faresti meglio a parlarne con lui».
Mi strinsi nelle spalle. Sciolsi
l’abbraccio e accesi il cellulare.
Harry mi aveva chiamato sette volte, e aveva lasciato due messaggi.
Un’occhiata
rassicurante di Brit mi spinse ad ascoltarli.
Nel primo il suo tono di voce era calmo,
leggermente assonnato forse.
“Ciao, sono io. Ehm… Volevo
solo sapere come stavi. Te ne sei andata
così e io mi sono sentito… Non lo so.
Sì, volevo solo assicurarmi che andasse
tutto bene. Per favore richiamami”.
Un sonoro ‘bip’ introdusse il
secondo messaggio.
“Porca puttana Haley.
Rispondi!” uno sbuffo. “Io proprio non capisco.
Parlami almeno!” E poi una scarica di imprecazioni degne di
uno scaricatore di
porto.
Lanciai il telefono da una parte, sbuffando.
«Adesso non ho voglia di
parlargli. Non saprei cosa dirgli e…».
E ogni volta che
incontro
quegli occhi non riesco a imporre la mia volontà.
Si alzò dal divano con un sospiro
teatrale, prendendomi le mani.
«D’accordo. Quello che ci vuole
qui è un bel po’ di divertimento, e
ieri Louis mi ha chiesto di te. Quindi stasera vieni con me».
Britney’s POV
Un uomo robusto vestito di nero si
scostò per lasciarci passare. Non
appena fummo dentro al locale mi concessi di fermarmi a riprendere
fiato.
Scavalcare una fila di assatanati infreddoliti grandi al meno il doppio
di me
non era per niente semplice. Avanzai, facendomi spazio a gomitate tra
la folla,
in bilico sui tacchi altissimi. Mi voltai per accertarmi di avere
ancora Haley
dietro.
Era davvero bella, avevo fatto un ottimo lavoro su
di lei quella sera.
Molti sguardi maschili erano puntati sulle sue gambe lunghe e nemmeno
se ne
accorgeva, troppo occupata a rimuginare, con gli incollati alla punta
delle
scarpe.
La tirai per un braccio, guidandola nella stanza
successiva,
decisamente più tranquilla, con diversi divanetti disposti a
cerchio intorno a
un tavolino di vetro.
Liz e gli altri due si alzarono non appena ci
videro entrare. Salutai
la ragazza e suo fratello con un bacio sulla guancia e rivolsi a Zayn
un freddo
cenno del capo.
Lo sguardo di Louis si spostò sulla
figura alle mie spalle e i suoi
occhi azzurri si illuminarono.
«Oh mio Dio, Haley!».
Le corse incontro e la strinse in un caloroso
abbraccio, sollevandola
da terra.
«Lou!», strillò lei
ridendo.
Lui le fece fare una giravolta, per poi appoggiarla
di nuovo a terra.
Le mie labbra scattarono automaticamente in un sorriso, quello era
decisamente
un saluto più espansivo rispetto a quello che ci eravamo
scambiati io e lui il
giorno prima. Stavo ancora sorridendo quando i miei occhi ne
incrociarono un
paio castani. I lati della sua bocca si piegarono leggermente
all’insù,
annientando completamente il mio sorriso. Alzai gli occhi al cielo con
una
smorfia e feci qualche passo verso Liz, lasciandolo lì
impettito a fissarmi.
«Chi sono questi?», le chiesi
indicando le persone intorno a noi.
Lei scrollò le spalle ridacchiando.
«Amici di amici, credo».
Afferrò un drink dal tavolino al centro
della stanza e lo bevve, tutto
in un sorso.
«Stasera voglio divertirmi. Alcool, un
bel ragazzo e niente rimp…».
«Cos’è che vorresti
fare tu, signorina? Sentiamo un po’», la interruppe
Lou.
Liz gli mise in mano il bicchiere vuoto e mi
trascinò via. «Non fare il
fratello maggiore con me».
«Ma io sono tuo fratello
maggiore!».
«Come ti pare. Noi andiamo a caccia di
ragazzi carini. Haley ti unisci
a noi?».
La nostra amica si sforzò di sorridere.
«Veramente no, grazie. Forse vi
raggiungo dopo se… Se non siete, beh, impegnate».
Haley’s POV
Il ragazzo dagli occhi azzurri mi rivolse
l’ennesimo sorriso lucente.
«Sembra passato un secolo»,
disse mentre sorseggiava un po’ della sua
birra.
Ridacchiai. «Beh, prima che tu riparta
voglio vederti con la divisa»,
lo schernii. «Non riesco proprio a immaginarti con qualcosa
che non sia una
maglia a righe».
A conferma della mia affermazione indicai la
maglietta bianca a righe
blu che indossava proprio in quel momento. Lui mi mostrò la
lingua, infilando
una mano nella tasca dei pantaloni rossi. Ne estrasse una moneta e me
la porse.
«Su, su. Va a comprarti qualcosa, ma non
spendere tutto in lecca-lecca».
Gli lanciai un’occhiata divertita,
colpendolo con un pugno alla spalla.
«Sei sempre il solito cretino».
«E tu sempre la solita… No,
non è vero», finì con un sorriso dolce.
Cercai il suo sguardo sospettosamente.
«Che stavi per dire?».
Scrollò le spalle, sghignazzando.
«Non lo so, sono quasi ubriaco».
Sbirciai dietro le spalle di Lou, dunque era quello
il ragazzo che
aveva mandato Brit in escandescenze. Proprio come immaginavo era
davvero molto
bello. Sorrisi sotto i baffi, avevo notato subito lo scambio di
occhiate tra
quei due non appena eravamo entrate.
Distolsi lo sguardo prima che mi cogliesse in
flagrante a fissarlo,
l’ultima cosa che volevo era creare equivoci. Un
po’ mi dispiaceva per lui, era
rimasto mezz’ora in silenzio ad ascoltare le chiacchiere mie
e di Lou. Dopo
tanto tempo che non ci vedevamo avevamo così tante cose di
cui parlare.
Come se mi avesse letto nel pensiero Zayn si
alzò, spolverandosi i
jeans. Louis lo seguì con lo sguardo, senza smettere di
sorridere.
«Ehi amico, dove vai?».
«A farmi un giro», rispose vago.
Il ragazzo fece spallucce e riportò gli
occhi di ghiaccio su di me.
«Andiamo a scatenarci un po’ Oxford?».
Alzai gli occhi al cielo nell’udire
quello stupido soprannome, frutto
delle ore passate a riempirlo di chiacchiere sui miei progetti per il
college.
«Solo se ti dimentichi quel
soprannome».
Si alzò e mi tese la mano.
«Quale soprannome?».
Afferrai le sue dita affusolate e mi lasciai
condurre verso la pista da
ballo, dove già molte persone si muovevano a tempo di musica.
Mi attirò verso di sé e
iniziammo a oscillare senza seguire un ritmo
preciso.
Chissà cosa stava facendo Harry in quel
momento… No. Dovevo smetterla
di pensarci. Ero a quella festa per divertirmi e distrarmi.
Riportai l’attenzione su Louis che sembrava essersi
accorto che qualcosa non andava, a giudicare da come mi stava studiando.
«Va tutto bene?».
Mi affrettai a sfoggiare uno dei miei sorrisi
più convincenti. «Certo,
e hanno messo della buona musica finalmente!».
Rise. «Già. Vado a prendere
qualcosa da bere, ti va?».
Annuì e lo guardai allontanarsi a
fatica. Sì, mandar giù qualcosa di un
po’ più forte era proprio ciò di cui
avevo bisogno in quel momento.
Continuai a muovermi con disinvoltura mentre
aspettavo il mio amico, lo
avevo perso di vista in mezzo alla massa. Finalmente lo intravidi,
qualche
metro più avanti, attento a non far cadere i bicchieri in
equilibrio precario
nella mano destra, mentre con l’altra si faceva spazio tra la
folla.
Mi alzai in punta di piedi perché mi
distinguesse in mezzo alle altre
persone, quando un paio di mani mi afferrarono per i fianchi da dietro.
Britney’s POV
Mi sentii prendere per i fianchi delicatamente
mentre ingoiavo circa il
terzo drink, ma non mi voltai. Con la coda dell’occhio vidi
il ragazzo sedersi
di fianco a me e appoggiare i gomiti sul bancone.
«Non starai esagerando?»,
domandò, puntando gli occhi scuri nei miei.
Solo in quel momento, vedendoli da così
vicino, potei constatare che
non si trattava di semplici occhi castani. Era una strana combinazione
di un
caldo color cioccolato con striature più chiare, dorate
quasi. Ed erano così
espressivi che non mi sarei sorpresa di riuscire a capire quello che
pensava
soltanto guardandovi all’interno. E in quel momento sembrava
rilassato, del
tutto a suo agio, leggermente annoiato forse.
Gli rivolsi un’occhiata apatica,
studiando il piccolo bicchiere di
vetro vuoto.
«So reggere l’alcool
perfettamente», mi pavoneggiai.
Allungai il braccio per farmi versare un altro
po’ di qualunque cosa
fosse quella roba che avevo appena bevuto, ma una mano ambrata mi
strappò via
il bicchierino.
Mi voltai verso di lui con una lentezza
esasperante, l’omicidio negli
occhi.
«Tu.
Non hai qualcosa da
fare? Tipo, non so… Suicidarti?».
Sorrise, sfoggiando ancora una volta quella fila di
denti bianchissimi.
«Non era nei miei programmi per stasera».
Alzai le spalle. «Peccato».
«Dov’è
Elizabeth?», continuò, fingendo di non aver colto
l’invito non
poi così implicito a levare le tende.
«A divertirsi presumo. Sai, il genere di
cose che si fa ad una festa».
Avvicinò lo sgabello al mio.
«E perché tu non stai facendo lo
stesso?».
«Oh, io mi sto divertendo un mondo. O
almeno, era così fino a cinque
minuti fa».
«Però eri sola»,
incalzò.
Questa volta rivolsi tutto il corpo verso di lui e
sulle mie labbra
affiorò un sorriso dolce, affabile. Mi sporsi lievemente in
avanti per
assicurarmi che udisse con precisione.
«Ho un ragazzo», esordii,
tagliente come una lama.
Probabilmente avrei dovuto parlare al passato, ma
questo lui non poteva
saperlo. La cosa importante era che me lo togliessi di torno: mi
rendeva
nervosa, ed io odiavo esserlo. “Nervosa” uguale ad
“agitata e impacciata”, il
che non mi si addiceva per niente.
Zayn non sembrò particolarmente colpito
dalle mie parole, o in caso
contrario, non diede a vederlo. Si rigirò invece il
bicchiere tra le mani e lo
allontanò con un movimento secco, lasciando che scorresse
sulla superficie
ruvida del legno.
«E dev’essere un vero
gentiluomo se lascia la sua ragazza sola di
sabato sera. Non si sa mai chi si potrebbe incontrare».
«So badare perfettamente
a me
stessa».
«Non lo metto in dubbio».
Non sapevo se mi stesse prendendo in giro o meno,
quindi decisi di non
rispondergli.
Un ragazzo alto, con i capelli sollevati in una
cresta verde mi si
avvicinò. Un piccolo anello di ferro gli forava il labbro
inferiore.
«Ehi bellissima»,
attaccò mentre si appoggiava alla mia sedia per sorreggersi.
Mi rivolse un sorrido viscido. «Ti va di
ballare?».
Ci pensai qualche secondo, soppesandolo dalla testa
ai piedi.
«Sì», dissi infine.
Mi alzai in piedi e trascinai Zayn verso la pista
da ballo.
***
SPAZIO AUTRICE:
Ehi bella genteee
<3
Eccomi qui, a torturarvi un altro po'. Stavolta ho aspettato di
più a pubblicare il capitolo,
per tutta una serie di mie pare mentali che ho spiegato nello spazio
autrice precendente.
Ovviamente, spero che vi sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere cosa
ne pensate.
GRAZIE a tutte voi bellissime anime che recensite e leggete, vi amo,
scusate se non faccio i ringraziamenti come si deve stavolta ma
è veramente tardi.
(Sono tipo le undici, solo che avevo voglia di pubblicare e domani
c'è scuola)
Un bacio enorme a tutte, a presto x
#Allie
|
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Capitolo 16 *** Sixteen ***
16. SIXTEEN
Mi spostò le braccia verso
l’alto, in modo che gli cingessi il collo, e
fece scivolare le mani sulla mia vita. Stava ancora ridendo per come
avevo liquidato
quel ragazzo. Alzai gli occhi al cielo continuando a ondeggiare a ritmo
regolare davanti a lui.
«La pianti di fissarmi con quella faccia
da idiota?», sbottai infastidita.
Zayn si ricompose e scosse la testa.
«Avresti dovuto vedere la sua espressione».
Sbuffai e allungai il collo per sbirciare nel punto
in cui ci trovavamo
prima.
«Oh, sta zitto. Comunque ora che
è scomparso non serve più che
continuiamo a ballare».
Sporse il labbro inferiore in un falso broncio.
«Quindi stai dicendo
che ti sono servito per togliertelo dai piedi e
nient’altro?».
«Ammirevole, credevo fossi più
stupido».
Si posò una mano sul cuore.
«Così ferisci i miei sentimenti».
Scrollai le spalle. «Credo che me ne
farò una ragione».
Abbandonai la sua leggera seppur ferma stretta e mi
avviai verso la
toilette delle signore senza voltarmi indietro. La serata stava
prendendo una
piega estremamente noiosa, Liz era rintanata da qualche parte a farsi
qualche bel
ragazzo ubriaco, l’avevo intravista mentre parlava con un
biondino. Spalancai
la porta, dimenticando di bussare.
Una riccia mezza nuda era avvinghiata a un ragazzo
cui copriva quasi
interamente il volto. Stavo per aprire la bocca e invitarli non molto
cortesemente
a togliersi di mezzo perché dovevo usare il bagno, quando
notai che il ragazzo
si era immobilizzato.
La ragazza si voltò verso di me,
permettendomi di vederlo in faccia.
Una fitta alla bocca dello stomaco mi
impedì di lanciare
un’imprecazione.
Aumentai la presa sulla mia pochette.
«Pezzo di merda».
«Britney io no-no… Non
è come…», mi interruppe lui.
Alzai una mano per fermarlo. «Chiudi
quella fogna che ti ritrovi al
posto della bocca, Pete. Non voglio
nemmeno sentire cos’hai da dire, perché
significherebbe “giustifica”. E non ne
hai bisogno, visto che non stiamo più insieme».
Scrollai le spalle con
indifferenza.
Pete rimase interdetto a fissarmi, il suo sguardo
insopportabile
viaggiava da me alle mie spalle. Mi voltai per catturare
l’oggetto del suo
interesse.
Malik era appollaiato sullo stipite della porta, i
suoi occhi
sembravano potermi penetrare.
«E a te chi ha detto di
seguirmi?», sputai acida.
Dovevo andarmene da lì, sentivo che la
maschera di indifferenza stava
per crollare. Ero ferita, non tanto per Pete, di lui non
m’importava. Odiavo
quella sensazione, il tradimento: non mi era mai successo prima, di
solito ero
io a scaricare i ragazzi. Certo, lui non mi aveva ancora scaricata, ma
a questo
punto anche se l’avevo fatto io non contava, era inevitabile.
Girai i tacchi e uscii dal bagno, i pugni stretti
lungo i fianchi. Zayn
mi seguì e strinse il mio polso in una morsa, bloccandomi
appena fuori.
«Britney», la sua voce era
bassa ma chiara.
Mi voltai dalla parte opposta appena in tempo
perché non vedesse la
smorfia sul mio viso. Tirai due respiri profondi e tornai a guardarlo,
ogni
traccia di insicurezza era scomparsa.
«Sì?», domandai
gelida.
«Va tutto bene?», sembrava
sincero.
«Mai stata meglio».
Haley’s POV
Venni sbattuta contro la parete esterna del locale.
Il vicolo era
completamente buio e deserto, eccetto qualche piccola luce in
lontananza, ma
niente di facilmente raggiungibile.
Solo in quel momento il volto del ragazzo mi
comparve di fronte. Le
pupille gelide di Declan mi penetrarono come lame. Aprii la bocca per
urlare e
non rimasi sorpresa nel trovarla completamente asciutta.
«Te l’avevo detto che la
questione era ancora aperta, piccola stronza»,
sibilò. «Ormai sono giorni che ti tengo
d’occhio, so che stai insieme a lui».
Rabbrividii. La presenza che avevo avvertito a casa
di Brit non era
stato solo frutto della mia immaginazione.
«M-mi hai spiata?».
«Devi portarmi da lui, quel bastardo sta
facendo in modo di non farsi
trovare da me. Ma pare proprio che tu sappia dove cercarlo, visto che
siete
così intimi».
«Chi? Che cosa stai dicendo
D-declan?».
«Styles».
Mi strinse il braccio talmente forte da togliermi
il respiro, ma il
dolore più grande venne scaturito da quell’unica
parola. Ero riuscita a tenere
quel pensiero lontano dalla mia testa per quasi tutta la sera.
«Quindi, o tenete la bocca chiusa o vi
giuro che…».
«Ma di che stai parlando?».
Strinse le palpebre per captare se stessi mentendo
o meno. «Tu non sai
niente?».
Mi tornarono in mente le due parole che ero
riuscita a strappare ad Harry
qualche tempo prima, tuttavia era troppo poco perché
riuscissi a capirci
qualcosa.
«No».
Ricevetti una ginocchiata nello stomaco.
L’unica cosa a impedirmi di
accasciarmi al suolo era la sua presa, che mi costringeva a rimanere in
piedi.
«Risposta sbagliata»,
ringhiò.
«Declan ti prego», gemetti.
«Giuro che non so di cosa tu stia parlando».
Estrasse un coltellino svizzero dalla tasca dei
pantaloni. Non riuscii
a trattenere un grido strozzato.
«Chiedilo al tuo ragazzo allora. E
adesso, voglio sapere dov’è».
C’era qualcosa che Harry aveva evitato di
dirmi. Nonostante ciò l’unica
cosa che il mio cervello fu in grado di elaborare fu: «Non
è il mio ragazzo».
Un profondo ghigno tagliò il suo viso.
«Oh, tanto meglio. Possiamo
spassarcela un po’ allora. Sarebbe un tale spreco lasciarti
andare così».
Eliminò la distanza tra di noi e
annusò il mio collo languidamente.
«Ma prima… Dimmi
dov’è».
«Io non lo so, te lo giuro».
Imprecò sottovoce, ma si
lasciò andare contro di me, troppo distratto
dall’eccitazione. «Allora ci penseremo
dopo».
La sua mano scese lungo la mia coscia e
risalì lungo la gonna
dell’abito. Non avevo nemmeno la forza di divincolarmi, ero
paralizzata dal
terrore.
Un conato di vomito improvviso mi
risvegliò. Declan si ritrasse appena
in tempo per non essere schizzato, mormorando qualche parola di
disprezzo.
Restai china su me stessa finché non fui certa che non ne
sarebbero arrivati
altri. Guardai per terra, non avevo rimesso niente a parte un
po’ di saliva, il
mio stomaco doveva essere vuoto.
Però mi ero creata involontariamente un
diversivo e non avevo la minima
intenzione di sprecarlo. Mi risollevai di scatto e con il piede destro
colpii
lo stinco del ragazzo, usando tutta la mia forza. Non rimasi a
verificare se
avesse avuto l’effetto desiderato, ma presi a correre il
più velocemente
possibile. M’infilai in una via sconosciuta e i passi
frettolosi dietro di me
mi rivelarono che probabilmente non gli avevo fatto abbastanza male.
Forse era merito dell’adrenalina, ma ero
sicura di non aver mai corso così
forte in vita mia. Mi portai una mano sullo stomaco, sentivo ancora
dolore per
il colpo di Declan.
Mi bloccai in mezzo alla stradina per riprendere
fiato. Tesi le
orecchie, dovevo averlo seminato.
Un paio di braccia forti mi afferrarono per la vita
e prima che potessi
urlare una mano si serrò davanti alla mia bocca. Mi
divincolai inutilmente e
venni trascinata in un angolo buio.
Declan mi voltò bruscamente verso di lui
e… Mi bloccai. Non era Declan,
era Harry.
La gioia di vederlo era così grande che
per un momento dimenticai tutti
i dubbi e i pensieri precedenti.
Harry ribaltò la situazione e mi fece
appoggiare la schiena contro il
muro, piazzandosi di fronte a me. Lentamente tolse la mano, ma non
allentò la
presa sulla mia vita. M’immersi in quegli occhi che mi erano
mancati così
tanto, nonostante vi fossi rimasta lontana solo per ventiquattrore.
«Che ci fai qui?», riuscii a
chiedere poi.
Il suo sguardo, indecifrabile per qualche secondo,
ora era duro e
freddo. «Resta qui. Io vado a cercarlo».
Mi avvinghiai al suo braccio con le unghie.
«No!». Poi, decidendo che
non era il caso di sembrare una bambina terrorizzata aggiunsi:
«Per favore».
Sembrava combattuto, ma una vocina
nell’angolo della mia mente mi
diceva che l’unica cosa a trattenerlo era proprio quella che
avrei voluto
evitare.
«Non hai risposto alle chiamate. E i
messaggi».
«Io…», cominciai.
«Ma che bel quadretto».
Entrambi ci voltammo di scatto, Declan si
avvicinò di qualche passo, il
viso deformato in una smorfia.
La sua mano si chiuse intorno al mio braccio e mi
trascinò via da Harry
troppo in fretta perché qualsiasi di noi due potesse reagire.
Sentii la gola venire stretta nella sua morsa, e la
lama del piccolo
coltello premere contro di essa.
Harry scattò in avanti, ma si
arrestò immediatamente quando Declan
spostò la punta dell’arma proprio sulla mia
giugulare. «Che cazzo vuoi fare?».
«E adesso che ho la tua attenzione,
Styles…». Mi rivolse un sorriso
falso. «Sai cosa voglio».
Gli occhi di Harry saettarono da me a lui, e potei
scorgervi chiaramente
un lampo di paura.
«Non adesso».
«Oh, non con lei qui intendi? Ascoltami
bene, sono ubriaco e ho di
meglio da fare che stare qui con te e la tua puttanella, quindi vedi di
muovere
il culo e fare ciò che ti ho detto».
Strinsi le palpebre e feci diversi respiri
profondi, avevo letto da
qualche parte che serviva a non lasciarsi prendere dal panico.
«Harry, cos’è che
vuole?», domandai, felice che dal tono non trapelasse
tutto il mio terrore.
«Sì andiamo Styles, raccontale
tutto», lo schernì.
Harry imprecò sottovoce prima di fare un
passo avanti.
«Declan lasciala, non sai quello che fai.
Sei ubriaco, potresti
pentirtene».
Lo conoscevo abbastanza bene da intuire che si
stava sforzando di non
saltargli addosso. Me lo diceva il modo in cui i pugni chiusi tremavano
convulsamente lungo i fianchi e il piccolo muscolo
dell’avambraccio, proprio
sotto il tatuaggio a forma di rosa, continuava a contrarsi.
«Certo, con piacere. Ma prima quello che
ti ho chiesto, se non vuoi che
le tagli la gola in due».
Harry aprì la bocca per dire qualcosa,
ma la sua voce venne coperta da
un forte urlo di sirene, luci rosse e blu illuminavano un punto non
molto
distante da noi.
Gli occhi di Declan si spalancarono e
mollò immediatamente la presa su
di me.
«Cazzo, cazzo, cazzo!».
Roteò lo sguardo folle verso Harry. «Questa me
la paghi», gridò prima di fuggire di corsa.
Mi precipitai tra le braccia di Harry, affondando
il viso nel suo
petto. Mi avvolse stringendomi a sé. «Mi
dispiace», sussurrò tra i miei
capelli.
«Cosa voleva da te?».
Lo sentii irrigidirsi, quindi mi allontanai da lui.
«Niente, è… Solo
una vecchia storia».
«Che storia?».
«Niente che ti riguardi
Haley!». Il suo tono duro mi fece trasalire.
«Niente che mi
riguardi?
Voleva uccidermi!».
«Era solo ubriaco, non
l’avrebbe mai fatto. Credimi, non è
così
importante».
Quelle parole così piatte, indifferenti,
erano qualcosa di
completamente diverso dalle emozioni che ero riuscita a captare poco
prima
mentre guardava quel coltello puntarmi alla gola. Stava mentendo.
«Pensi davvero di potermi liquidare
così?».
Scrollò le spalle. «Stai
ingigantendo la cosa. È solo un…».
Sospirò.
«Me ne occuperò».
«Sì, ne sono certa. In ogni
modo ciao, Harry», conclusi prima di
voltarmi e andarmene.
Le sue dita si allacciarono intorno al mio polso e
mi fece voltare di
nuovo verso di lui. Pensavo che a quel punto mi avrebbe dato una
spiegazione,
magari la verità.
«Non hai ancora risposto alla mia
domanda», disse invece.
Scossi la testa, incredula. «Tu non
rispondi a nessuna delle mie,
quindi siamo pari».
«Perché te ne sei andata? E
perché mi stai evitando?».
«Hai sentito quello ho detto?».
Serrò la mascella, i suoi occhi
divennero gelidi. «Non puoi
semplicemente ringraziarmi e lasciar perdere?».
«Ringraziarti per cosa?».
«Per averti tolta dai casini».
«L’avevo già
seminato da sola», protestai, l’orgoglio che
c’era in me
s’impose con prepotenza. «E tecnicamente il casino
l’hai creato tu».
«Bene!», tuonò.
«Adesso puoi rispondermi, per piacere?».
«Non comportarti come se fossi io quella
che cerca di cambiare argomento.
Sei tu che non vuoi dirmi in quali maledettissimi affari ti sei
cacciato!».
Harry strinse la presa sul mio polso più di quanto riuscissi
a sopportare.
«Resta fuori da questa storia»,
m’intimò.
«Mi stai facendo male», mi
lamentai. «Sai cosa c’è? Che forse era
meglio quando eravamo solo amici, quando non ero costretta ad avere a
che fare
con il vero te!».
Mi coprii la bocca con la mano. Le parole erano
uscite troppo
velocemente e non era quello che avrei voluto dire.
Contrasse le labbra a una linea sottile e non fosse
stato che lo
conoscevo abbastanza bene, avrei detto che sembrava persino ferito.
L’eco delle
mie parole sembrava riecheggiare fra di noi mentre rimanevamo in
silenzio, con
gli sguardi incatenati.
E ancora una volta feci quello che mi riusciva
meglio. Gli voltai le
spalle e presi a camminare, sempre più velocemente. E di
nuovo lui non mi
seguì.
Il cellulare iniziò a squillare mentre
stavo ancora camminando. Mi
schiarii la voce prima di rispondere per assicurarmi di non sembrare
l’uomo
delle caverne e inghiottii il magone.
«Brit?».
«Hal, sono io. Non riesco a trovarti ma
qui c’è la polizia e stanno per
fare un gran casino, il locale è pieno di erba e minorenni
ubriachi marci. Ed è
successa una cosa, io… Sto andando a casa. Se non vuoi
tornare adesso potresti
farti accompagnare da Louis, è solo mezzanotte».
«Sei già in
macchina?».
«Non ancora».
«Allora aspettami, sto
arrivando».
«Tesoro mi dispiace non volevo
interrompervi».
Le presi le mani da sotto il piumone in cui eravamo
avvolte. «No, avevamo
già finito, ma… Dio, mi dispiace così
tanto…».
«Lo so. Tu me
l’avevi detto».
Scrollò le spalle. «Ma non importa. Era un cazzone
quindi tanto meglio. E poi
io sono Britney Grey, è solo questione di giorni».
Ridacchiai. «Hai ragione, probabilmente
ne troverai uno dieci volte più
bello».
«Già», sorrise.
Sapevo che voleva aggiungere qualcosa alla questione di
Harry e me, ma si trattenne.
Avevo saltato appositamente l’argomento
“Declan” per il momento. Non
volevo farla preoccupare più del dovuto, mi ero limitata a
dirle del nostro
litigio.
La mattina seguente mi svegliai presto per recarmi
in biblioteca, così
lasciai a Britney un biglietto.
In una città piccola come Holmes Chapel
l’unica disponibile e sempre
aperta era quella della nostra scuola.
Com’era prevedibile non vi era anima
viva, eccetto che per Emma,
l’anziana custode che mi accolse con un sorriso cordiale.
«Anche di domenica qui?».
«Devo mettermi avanti con alcuni
compiti», spiegai.
Scelsi una postazione leggermente in disparte, in
mezzo agli scaffali
della letteratura inglese. In meno di due ore riuscii a finire il
saggio su
Emily Bronte e studiare per il test di psicologia.
Quando decisi di uscire di lì trovai
l’ingresso vuoto, Emma era
sparita. La chiamai per avvertirla che me ne stavo andando, mi sembrava
maleducato non salutare, ma non ricevetti risposta.
Mentre varcavo la soglia della biblioteca qualcuno
mi spinse indietro e
si chiuse la porta alle spalle. L’ultima persona che in quel
momento avevo
voglia di vedere era proprio di fronte a me.
«Che ci fai qui?».
Harry mi scrutò dall’alto
della sua statura. «Voglio parlare», disse.
«Qui?».
«Sì»,
indicò il bancone vuoto. «È ora di
pranzo per la tua amichetta e
per un po’ non si farà vedere».
Mi trascinò tra le corsie della
biblioteca e si fermò soltanto dopo
essere arrivato in fondo, nel punto più nascosto dagli
scaffali, per
assicurarsi che nessuno ci vedesse.
Incrociai le braccia, in attesa.
«Quindi?».
«Mi merito una maledetta
spiegazione?».
«Io
sto aspettando una tua
spiegazione, non tu!».
Inspirò dalle narici mentre si
massaggiava le tempie. «Una cosa alla
volta. Ti ho detto che di Declan non devi preoccuparti e che ci
penserò io».
Sospirai, rassegnandomi.
«D’accordo. Di cosa vuoi parlare allora?».
«Di quello che hai detto ieri. E del
perché te ne sei andata l’altra
sera», riusciva a stento a mantenere un tono di voce normale.
«Mi dispiace».
«Questa non è una
spiegazione», mi fece notare.
Era inutile, non potevo continuare a deviare
l’argomento. Era
difficile, ma ci avrei messo tutta la forza del mondo. Quindi presi un
bel
respiro, e mi convinsi.
«Non voglio farlo, Harry».
Rimase in silenzio, la bocca stretta nello sforzo
di decifrare le mie
parole.
«Cosa?».
Aprii la bocca, ma la voce sembrava non voler
collaborare. I secondi
passavano e la confusione si impadroniva sempre di più del
suo volto.
«Questa cosa, noi due».
Le sue pupille guizzarono verso l’alto,
trafiggendomi. «Che vuoi
dire?».
«Voglio dire che prima era tutto
più semplice. Rivoglio la nostra
amicizia».
Era tremendamente egoistico da parte mia, ma avevo
troppa paura di
farmi male. Non sapevo da dove arrivava quell’istinto di
autoconservazione. Era
come essere sull’orlo di un precipizio. Il mio lato emotivo
voleva saltare,
sentire la sensazione del vuoto sotto le gambe. Quello razionale aveva
il
terrore di schiantarsi.
Dopo attimi che mi parvero secoli Harry si
ridestò e mi voltò le
spalle, il capo chino mentre si passava furiosamente una mano tra i
capelli.
Aspettai in silenzio che tornasse a guardarmi, e quando lo fece, sentii
che una
parte di me voleva soltanto che ignorasse tutto ciò che
avevo detto e mi
baciasse.
«Va bene». Due parole che mi
attraversarono in un colpo solo. Mi stava…
assecondando?
«V-va bene?», ripetei,
più a me stessa che a lui. Cosa mi aspettavo?
Che combattesse per me?
«Sì», rispose con
ovvietà. «Non è quello che
vuoi?».
No che non lo
è idiota, volevo
solo che mi dicessi che non è quello che vuoi tu, che
mi baciassi fino a togliermi il fiato e dimenticassi quello che ho
detto.
Annuii, perché se avessi aperto bocca
non ero certa di cosa ne sarebbe
uscito.
«Bene», abbozzò un
sorriso, più simile ad una smorfia. «Amici, come
prima».
***
SPAZIO AUTRICE:
Buon salve dolcezze! Come state? So che il capitolo non è
esattamente ciò che vi aspettavate, ma sorprendervi
è la mia unica ragione di vita (?) muhuhahaha.
Per il resto lascio a voi i commenti, perché so che se
comincio a parlare vi svelerò cose che non devono essere
svelate XD
Passiamo ai ringraziamenti ora.
Prima di tutto ringrazio i miei tesorini, che recensiscono sempre: stylesmadness, ila and anny,
Alice Styles,
sapete che vi amo no?
E poi ovviamente
quell'amore di JaymeR che legge e recensisce
questa fanfiction ogni volta e continua a scrivere un capitolo
più bello dell'altro nella sua storia, Soul Torn.
Grazie anche a DevilNight, che mi ha lasciato una
sfilza di recensioni meravigliose.
Infine grazie anche a chi legge la storia in generale e chi ha
recensito anche occasionalmente, chi l'ha aggiunta tra le
seguite/preferite/ricordate.
Siete la mia forza, bacioni x
#Allie
|
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Capitolo 17 *** Seventeen ***
17. SEVENTEEN
Le cose sembravano essere tornate normali, o quasi.
La routine era la
stessa, io e Brit quasi sempre insieme, ed Harry che si faceva vedere
quando
ne aveva voglia. La differenza era che ora tra me e lui campeggiava una
barriera invisibile. Niente più battute, niente
conversazioni più lunghe di
‘ciao’ e ‘come va?’.
Ma i nostri silenzi erano compensati da Britney che
cercava di ridurre
al minimo i momenti imbarazzanti fra di noi. Non eravamo nemmeno
più rimasti
soli, eccetto una volta in cui entrambi ci eravamo ben preoccupati di
tenere la
bocca sigillata fino al ritorno di Brit. La maggior parte del tempo lo
passava
con i suoi amici o comunque lontano da me.
Se mi mancava? Certo, da morire. Ma non potevo
essere così stupida da
pensare che avrebbe fatto diversamente da quello che io
gli avevo chiesto.
Ero tornata a stare a casa mia, un compromesso che
ero riuscita a
trovare con mia madre. Avevo avuto una bella chiacchierata con lei, in
cui ci
eravamo entrambe scusate (io per essere praticamente scappata di casa e
lei per
avermi spiattellato la separazione tutto d’un colpo) e mi
aveva spiegato alcune
cose.
Le carte per le sue dimissioni
dall’impresa di famiglia erano già state
firmate, e presto sarebbe toccato a quelle per il divorzio. Mia madre
era
irremovibile, d’altronde non potevo biasimarla. Mi aveva
detto anche che
avrebbe cercato un nuovo lavoro e un appartamento (non aveva intenzione
di
chiedere un soldo a mio padre). Aveva finito col rassicurarmi che, se
volevo,
potevo rimanere nella vecchia casa, ma avevo già deciso,
l’avrei seguita.
Quella sera stavo ripassando degli appunti sul
letto quando qualcuno
picchiettò alla porta.
«Avanti».
I capelli biondi di Britney fecero capolino dalla
piccola fessura.
«Posso?».
«Certo».
Si avvicinò lentamente e rimase in
piedi, appena
qualche metro lontana da me.
«Stasera Liz dà una piccola
festa a casa sua».
«Sì, vi ho sentite ieri mentre
ne parlavate», le dissi.
«Dobbiamo andarci
assolutamente». Aprii la bocca, ma non mi diede il
tempo di parlare. «‘Non lo so Brit, non me la
sento…’», m’imito, facendomi
alzare gli occhi al cielo.
«Non voglio starti a sentire, muoviti,
siamo già in
ritardo».
«Ma io…».
«Devi studiare, lo so. Ma è
sabato sera, non si studia di sabato sera.
E nemmeno di sabato mattina ma non è questo il
punto». Si stampò in faccia un
sorriso convincente. «Devi uscire di qui».
Dopo essermi lasciata persuadere ad andare con lei
scelsi velocemente
gli indumenti e mi truccai. Visto
che
dicembre incombeva decisi di non sfidare la sorte ed evitare un
raffreddore,
così optai per dei jeans aderenti, Converse bianche e
camicetta.
Al nostro arrivo la casa era già
affollata e Liz ubriaca abbastanza da
mettersi a ballare sul tavolino del divano insieme ad altre ragazze.
Seduti
sotto di loro c’erano almeno una mezza dozzina di ragazzi che
si godevano lo
spettacolo. Non appena ci vide si mise a sbracciare e a gridare nella
nostra direzione,
tenendosi la pancia per le risate.
«Haley, Britney».
Louis comparve dietro di noi in compagnia di
Zayn.
«Ehi», li salutai.
Lanciai un’occhiata divertita in
direzione della sorella. «Liz è già
fuori, mh?».
Lou scosse la testa ridacchiando. «Dici
che dovrei comportarmi da
fratello maggiore responsabile e farla scendere?».
«E quando mai saresti stato responsabile
tu?», lo schernì Brit.
«Hai ragione», rise. Tese le
orecchie in ascolto «Haley, vieni,
dobbiamo assolutamente ballare questa canzone».
Mi trascinò al centro dello spazio dove
tutti stavano ballando, mentre
le prime note di una canzone di Jason Derulo riempivano la stanza.
Britney’s POV
Individuai il tavolo degli alcolici poco
più lontano e decisi che
quella sarebbe stata la mia via di fuga dalla situazione imbarazzante
in cui mi
ero cacciata. Zayn non mi aveva ancora rivolto la parola, ma sapevo che
il
fatto di avermi visto mentre scoprivo il tradimento del mio ex gli dava
un
vantaggio su di me e presto sarebbe arrivata qualche battuta seccante.
Svitai il tappo della vodka e mi resi conto di
quanto fosse urgente il
mio bisogno d’alcool solo quando ne avvertii il sapore
bruciante sulle labbra.
La bottiglia mi venne sottratta troppo presto e un profondo lamento
abbondonò
la mia gola.
Mi allungai per riprendermela, seccata dal fatto
che di nuovo Zayn
stesse cercando di impedirmi di bere.
«Si può sapere quale diavolo
è il tuo problema?», sputai quando alzò
la
bottiglia troppo in alto perché potessi arrivarci.
Creò un contatto visivo con me e il mio
nervosismo crebbe quando notai
il piccolo sorriso sprezzante sulle sue labbra, prima che prendesse a
sua volta
un sorso del liquido trasparente. Si leccò le labbra
lentamente, e un piccolo
fuoco si accese da qualche parte nel mio basso ventre. Colpa
dell’alcool,
ovviamente.
«Non lo so», rispose infine.
«Il tuo qual è?».
«Ma che…?».
Decisi che non avevo voglia di provare a
interpretare le sue stupide
parole e mi riappropriai della vodka, scolandomela quasi tutta. Emisi
un
sospiro soddisfatto, i miei nervi stavano già meglio.
Sfoggiai il mio sorriso migliore e gli permisi di
bere l’ultimo goccio.
Dopodiché allacciò la sua mano alla mia e mi
portò in mezzo alla folla. Mi
dissi che non mi stavo opponendo a quel ragazzo irritante solo
perché la vodka
stava facendo effetto. Rubai il drink di una ragazza per sicurezza e
lasciai
cadere il bicchiere di carta per terra. La testa già
iniziava a girare.
Ballammo per un po’, le sue mani
appoggiate pigramente alla mia vita
mentre muovevo i fianchi in quel modo che solo l’alcool
riusciva a farmi fare.
Ubriaca o no, mi rendevo perfettamente conto dell’effetto che
stavo avendo su
di lui, il suo sguardo scuro che viaggiava su tutto il mio corpo ne era
la
prova.
«Quindi sei di quelle che bevono per
dimenticare», rise.
Strinsi gli occhi per scrutarlo, dovevo trovare un
modo per cancellare
quel ghigno arrogante dalla sua faccia.
Con mio grande disappunto divennero invece due, e
poi tre.
«Credevo che…».
«Oh, spegniti per favore. Dio, sei sempre
tipo così…». La mia frase
venne interrotta dalla mia stessa risata quando colsi la sua
espressione nel
cercare di capire ciò che stavo blaterando. Idiota.
«Woah, l’alcool ha un effetto
immediato su di te».
Sorrisi dolcemente. «Vuoi un premio
adesso, Mr So Tutto?».
«Che? Quanti anni hai, dieci?».
«Lo sai che sei un maledetto
rompipa… che c’è?».
Il suo viso era mutato nel giro di pochi secondi,
adesso l’oro nei suoi
occhi sembrava poter scivolare sotto i miei vestiti. Senza dire una
parola mi
costrinse a seguirlo da qualche parte nella grande casa dei Tomlinson.
Non
realizzai cosa stava per accadere finché non sentii le sue
labbra premere
avidamente contro le mie. Dapprima i miei occhi si spalancarono, ma
qualcosa
nel suo modo di tenermi stretta per i fianchi e probabilmente
l’enorme quantità
di bevanda alcolica che avevo ingerito fecero sì che
spingessi la mia coscienza
in un angolo del cervello.
Le sue mani erano ruvide contro la mia pelle quando
si spostarono sul
collo e poi dietro la nuca. Dischiusi le labbra, lasciandogli maggiore
accesso.
Le nostre lingue si trovarono immediatamente, senza indugio. Sapeva di
vodka
alla fragola, o forse ero io. Potei avvertire una scarica di adrenalina
attraversarmi
il corpo e senza pensare, ruotai i fianchi contro quelli di Zayn. Capii
dal suo
profondo respiro che quel gesto l’aveva fatto impazzire,
quindi, sentendomi
particolarmente coraggiosa, mi aggrappai a lui con le gambe.
«Dio», lo sentii mormorare
mentre infilavo le dita tra i suoi ciuffi
corvini.
Haley’s POV
«Vuoi ballare ancora?», mi
chiese Louis alla fine dell’ennesima
canzone.
«Io sono a posto».
«Allora vieni».
Mi trascinò per la stanza, tenendo la
mia mano saldamente per non
perdermi in mezzo al caos. Quando finalmente raggiungemmo il divano, il
mio
cuore ebbe un fremito.
Harry era seduto con un gruppo di suoi amici, di
cui riconobbi almeno
la metà. Sulle sue ginocchia era appollaiata una mora
intenta a divorargli il
collo, mentre lui continuava a chiacchierare come se nulla fosse.
Avvertii un’incontenibile voglia di
urlargli in faccia e strappargli
quella troia di dosso soltanto per prenderlo a schiaffi. Ma, ricordai a
me
stessa, non ne avevo alcun diritto.
Quindi strinsi la mano di Louis e mi lasciai
guidare verso il divano di
fronte, sedendomi poi di fianco a lui, molto più vicina di
come avrei fatto normalmente.
Forse risvegliato dal nostro parlottare, lo sguardo
di Harry passò su
di noi. Quando mi riconobbe i suoi occhi si dilatarono e in
un’unica frazione
di secondo si posarono su Louis e poi sulle nostre mani ancora unite.
Non
sapevo perché non avevo ancora sciolto la stretta, ma lui
non l’aveva fatto e
quella era stata l’ultima cosa a preoccuparmi.
Quando pensavo che avrebbe distolto lo sguardo e
finto di non vederci,
si alzò quasi facendo cadere la ragazza dalle sue gambe e
venne verso di noi.
«Haley».
Dio. Erano almeno tre giorni che non sentivo quella
voce.
«E Louis»,
finii per lui in
un celato rimprovero per la sua maleducazione.
Fece un leggero cenno d’assenso, come se
poco importasse. Rimase in
piedi diversi secondi, prima di lasciarsi cadere di fianco a me con un
sospiro.
«Non serve che interrompi quello che
stavi facendo, per me».
La ragazza mi stava fissando in cagnesco, il che
era davvero fastidioso
e scortese da parte sua.
Harry si tirò i capelli dal viso con la
mano. Quel gesto richiamò alla
mia mente ricordi che non avrebbero dovuto comparire. Come quegli
stessi ricci
scuri stavano avvolti tra le mie dita quando ci baciavamo, o come le
sue mani
esploravano il mio corpo.
La mia mano lasciò quella di Louis
all’improvviso in un’imminente voglia
di prendermi a pugni.
«Stai bene?»,
mormorò vicino al mio orecchio.
Dimenticavo che lui non sapeva niente della storia
con Harry, quindi il
mio comportamento doveva sembrargli alquanto strano.
Annuii piano, un po’ a disagio a causa
degli occhi di Harry che mi
perforavano.
Prima che la situazione diventasse troppo
imbarazzante una Liz
spumeggiante e se possibile ancora più ubriaca
spuntò in compagnia di alcuni
ragazzi del liceo.
«Giochiamo a obbligo o
verità?», schiamazzò.
La sua proposta venne acclamata da tutti e una
valanga di adolescenti
in piena crisi ormonale si disposero a cerchio intorno al tavolo.
Liz si posizionò ai piedi del divano, le
gambe incrociate e la schiena
premuta contro un ragazzo.
«Louis, devi giocare».
Il fratello alzò gli occhi al cielo ma
sorrise. «Ti va?», mi chiese.
I miei occhi si posarono involontariamente su
Harry, ma mi affrettai a
spostarli altrove appena se ne accorse.
«Certo».
«Grande!», fece Liz.
«Dov’è Brit? Non sarà
divertente senza di lei,
qualcuno l’ha vista?». Rise, senza una vera
ragione. «Pazienza, arriverà.
Quindi, mia casa, mie le regole. Chi si rifiuta di fare gli obblighi o
sputare
il rospo sarà costretto a togliersi un indumento. E poi
ancora, e ancora,
finché non sarà nudo».
Nei primi giri ragazze furono costrette a bere
bicchieri su bicchieri,
baciare sconosciuti o togliersi i vestiti.
Ebbi un sussulto quando la bottiglia si
fermò su Harry.
Liz sorrise. «Chi vuole fargli una
domanda?».
Nessuno si offrì, e lui ne
sembrò compiaciuto. Si sentivano intimiditi
da lui, in qualche modo e lo sapeva.
«Bene, faccio io».
«Obbligo».
Sorrise maliziosamente mentre lo studiava.
«Ti obbligo a baciare Gordon».
Il ragazzo in questione risputò la birra
nella bottiglia. Harry
ridacchiò, per nulla scosso.
«Non ci penso neanche».
Liz fece spallucce. «Come pensavo, allora
togliti la maglietta».
«Depravata», la
schernì mentre si sfilava la t-shirt bianca dalla testa
senza pensarci troppo.
Mi obbligai a rimanere impassibile quando gli occhi
di una decina di
ragazze vennero attirati dal suo corpo in bella vista. Come biasimarle,
nemmeno
io riuscivo a distogliere lo sguardo dalla pelle dura
dell’addome e del petto,
ricoperta dall’inchiostro nero.
«Louis», trillò Liz,
mostrando orgogliosamente la bottiglia puntata
nella sua direzione. «Obbligo o verità».
«Obbligo», sospirò.
«Mhh», mugugnò.
«Ti obbligo a slacciare la camicetta di Hal con i
denti».
Le guance del ragazzo si colorarono di rosa, ed io
ero sicura che le
mie fossero viola.
«Che cazzo di obbligo
sarebbe?». Sollevai la testa di scatto
incontrando lo sguardo duro di Harry.
«Oh, sta zitto», disse Liz
ignorando la mia occhiata omicida.
Louis si alzò in piedi e feci lo stesso,
fortunatamente sotto indossavo
una canottiera. Di pizzo, ma ero pur sempre coperta. Mimò
uno “scusa” con le
labbra prima di chinarsi e prendere il primo bottone fra i denti.
Quando posò le mani sui miei fianchi per
sorreggersi udii lo sbuffo non
represso di Harry di fronte a me. In un qualche modo quei cenni di
quella che
sembrava gelosia mi provocavano le farfalle nello stomaco, ma non ero
così
ingenua da credere che lo fosse davvero. Probabilmente era solo quel
suo
stupido orgoglio.
Fui grata a Lou quando, dopo averci preso la mano,
non si soffermò
troppo tempo sul bottone proprio sopra il seno. Dopo che anche
l’ultimo venne
slacciato, ci risedemmo sollevati. Ora ero io ad attirare
l’attenzione di
parecchi ragazzi, quindi mi affrettai a riabbottonarla fino a su.
Ma la pace non durò a lungo,
perché dopo un paio di giri la bottiglia
decise che era arrivato il mio turno.
«Obbligo o verità?».
«Verità».
«Chi ha una…».
«Io». Harry si sporse verso di
me. «Io ho una domanda».
Vidi con la coda dell’occhio Liz
nascondere un sorriso con un altro
sorso di birra.
«Quanti ragazzi hai baciato
nell’ultimo mese?».
Chiusi la bocca che si era aperta da sola con uno
scatto. Era
impazzito? Da dove gli usciva una domanda del genere? E soprattutto,
che
diavolo gliene importava? Sapeva che avevo baciato solo lui, era
ovviamente
così.
«Oh, andiamo Styles, perché
non te ne vai a fanculo? Che schifo di
domanda sarebbe?».
Liz riacquistò i punti che aveva perso
con l’obbligo di poco prima.
«Uno schifo di domanda come i tuoi schifo
di obblighi».
Fece spallucce. «Visto che è
il mio gioco posso cambiarlo come mi pare.
Quindi Hal, ti obbligo a un giro di “sette minuti in
paradiso”».
Punti che tornò a perdere velocemente.
«Ma io ho scelto
verità», protestai.
«Questo o ti togli la camicia».
No. Non poteva essere una stronza simile. Era
ubriaca e tutto quanto, ma non potei fare a meno di odiarla in quel
momento.
Sbuffai ma accettai, spinta dal mucchio di occhiate infastidite
perché il gioco
stava diventando meno divertente a causa mia.
«Primo piano, terza porta a
sinistra».
Seguii le indicazioni e mi chiusi dentro lo
stanzino buio. Feci lo
slalom tra le scope e i secchi e mi appoggiai all’unica
parete libera da
scaffali. Studiai la benda che avevo in mano con disappunto, ma la
legai
intorno agli occhi prima di rifletterci troppo.
Non hai bevuto
abbastanza per
questo, continuavo a
ripetermi. La verità era che non mi ero mai
nella mia vita, ubriacata fino al punto di accettare
un’idiozia simile.
I minuti che seguirono furono un’attesa
straziante. Il buio non faceva
che aumentare la tensione, non volevo baciare nessuno sconosciuto
ubriaco o
roba simile, il solo pensiero mi faceva venire i conati.
Proprio quando iniziavo a pensare che mi avessero
giocato un brutto
scherzo, sentii la porta aprirsi piano e poi richiudersi. Silenzio.
Sapevo che le regole del gioco erano che non
bisognava togliersi la
benda fino alla fine, ma la curiosità mi stava opprimendo.
Deglutii, ma non
volli rompere il silenzio.
«Levati quella benda», il suo
suonò come un ordine.
«Harry?», feci mentre mi
strappavo la fascia di dosso. «Che diamine?».
In qualche modo sapevo di chi si trattasse ancora
prima parlasse. Mi
avvicinai alla porta per uscire di lì, ma lui si mise in
mezzo.
«Che vuoi? Perché sei
qui?».
«Per evitare che facessi
chissà cosa uno dei cazzoni là sotto»,
disse.
«Non pensavo ti piacessero questo genere di cose»,
aggiunse con una punta di
amarezza.
«E tu invece puoi startene tutto il tempo
a trastullarti con ragazze
diverse, non è vero?».
«Tu non sei così».
«Così come?
E poi non mi
sembra che tu abbia voce in capitolo».
Il mio nome uscì dalle sue labbra quasi
come un sospiro e si appoggiò
alla porta dietro di sé.
«Cosa? Perché non te ne torni
da dove sei venuto, a fartela con la tua
nuova Barbie e mi lasci in pace?».
Alzò le sopracciglia, ma non disse
niente.
«Sei… va via»,
conclusi, prima di dire qualcosa di cui mi sarei potuta
pentire.
«No».
Sbuffai e lo spinsi da parte per uscire di
lì. La sua mano catturò il
mio polso, velocemente.
«Se non sbaglio o sei stata tu a
chiedermi di rimanere amici.
Cos’è che vuoi da me, Haley?»,
scattò.
«Niente Harry! Solo essere lasciata in
pace».
Dalla mia bocca uscì un lamento quando
le sue labbra premettero forte
contro le mie. Quel profumo. Un
misto
di tabacco e qualcos’altro, forse dopobarba. Lo sentii
inspirare forte e
lavorare perché la mia bocca si aprisse a lui, lo lasciai
fare. La sua lingua calda
correva con la mia, e il suo petto premeva forte contro di me. Soltanto
quando
incontrai i suoi occhi capii che era esattamente quello di cui avevo
bisogno.
Affondai le dita tra i suoi capelli e li strinsi, facendo scivolare
l’altra
mano sul suo petto ancora nudo. Gemette contro la mia bocca. Ero
intossicata
dalla sua presenza, completamente intossicata e…
No. Non di nuovo.
Separai le nostra labbra rapidamente, come se
avessi preso la scossa.
«Cavolo». Chiusi gli occhi,
continuando a imprecare sottovoce. «No, no,
no».
Quando riportai lo sguardo su Harry i suoi occhi
erano più scuri.
«Perché?», chiesi
piano.
Non attesi che mi rispondesse, ma aprii la porta e
uscii perché non
volevo che mi vedesse piangere.
Venni trattenuta per la vita prima di fare
più di due metri.
«Non scapperai da me, non di
nuovo», disse.
Mi voltai, e quando notò le lacrime sul
mio viso alzò una mano, che
però rimase sospesa.
«Non voglio che siamo solo
amici».
«Per favore», sussurrai.
«Smettila».
Catturò con l’indice la
lacrima che stava precipitando lungo la mia
guancia e mi ritrovai a pensare che non ci fosse niente di
più dolce dei suoi
occhi in quel momento.
«Io ti voglio».
«No, Harry. Tu vuoi una persona con cui
poterti divertire ogni volta
che ti va e io non sono come quelle ragazze», la mia voce si
spezzò. «Tu non…».
«Io cosa
Haley? Cosa? Non sono il tipo di
ragazzo che fa
per te? Credimi, lo so! Ti ho detto
che sto cercando di cambiare, e tu… Non capisci che
è diverso stavolta?».
Sentii il battito del mio cuore accelerare.
«Cosa è diverso?».
Mi prese il volto tra le mani e mi trafisse con lo
sguardo.
«Noi
lo siamo», soffiò sulle
mie labbra. «Devi almeno provarci».
Non lo avevo mai visto così, sembrava un
ragazzino alla disperata
ricerca d’affetto. Il verde scintillante cercava i miei occhi
con foga. Era
troppo tardi per tirarmi indietro adesso, lo capii solo in quel
momento. Avevo
bisogno di lui, e non più come l’amico a cui ero
abituata.
E, per una volta, fui io a eliminare la distanza
tra le nostre labbra.
Lo baciai a fondo, per trasmettergli tutto quello che provavo in quel
momento,
e lui sembrò cogliere ogni emozione. Rispose al bacio con
passione,
costringendo i nostri corpi l’uno contro l’altro.
Strinsi forte i suoi ricci
tra le mani, come per impedirgli di scomparire, anche se ero io quella
che se
n’era andata. Lui mi tenne stretta a sé senza
preoccuparsi troppo di farmi
male, ma a quel punto non m’importava.
Come potevo sentire il bisogno così
intenso di una persona che mi era
stata accanto tutto quel tempo? Lui era sempre stato lì,
sapevo che c’era e
questo mi era bastato, forse. Ma non era più
così, adesso era tutto
amplificato.
Ci staccammo lentamente, senza perdere il contatto
visivo. Harry
distese le labbra arrossate in un sorriso.
«Immagino che questo significhi che ci
proverai».
«Immagino di sì».
Liberò il mio labbro inferiore dai denti
con il pollice,
interrompendone la tortura.
«Lo farai sanguinare».
«Già, forse».
Sospirò. «Haley, cosa
c’è?».
Quella domanda mi stava torturando e sapevo che non
mi sarei sentita a
posto finché non avessi ricevuto una risposta, non importava
quanto stupida
sarei sembrata.
«Chi era quella ragazza?».
Un piccolo sorriso sarcastico fece sollevare i lati
della sua bocca.
«Vuoi davvero parlare di questo
adesso?».
«Sì», incalzai.
«Non so nemmeno come si
chiama!». Aprii la bocca, ma non mi interruppe.
«E tu eri con quel Lars…».
«Louis».
Scrollò le spalle, il volto indurito.
«…quindi non parlare a me di
questo, se non vuoi che scenda e lo strangoli con quel suo fottuto
giacchino di
jeans».
Rabbrividii alla sua minaccia, ma nello stesso
tempo il fatto che ci
avesse guardati tanto da ricordarsi com’era vestito non
poteva non compiacermi.
«Siamo solo amici».
«Certo, dillo a lui».
Alzai gli occhi al cielo ma preferii non continuare
la discussione,
avevamo appena finito di chiarirci.
«Andiamo, ti porto a casa. Questa festa
fa schifo».
Non potevo essere più
d’accordo, quindi ci avviamo verso l’uscita.
Ci scontrammo con qualcuno poco prima delle scale e
proprio quando
Harry stava per liberare una scarica di insulti, riconobbi la chioma
bionda di
Brit.
«Mi dispia…ce»,
biascicò. Rivolse ad Harry uno sguardo divertito.
«Ehi,
amico».
Lui sbuffò e fece per scansarla, ma lo
fermai. «È ubriaca».
Scoppiò a ridere, barcollando prima di
ritrovare l’equilibrio.
«Solo un po’», disse
esplicando le parole con l’indice e il pollice.
«Dobbiamo portarla a casa».
«Non esiste».
L’afferrai prima che cadesse per essere
inciampata nei suoi stessi
piedi.
«Ma non possiamo lasciarla
qui!».
Lui alzò gli occhi al cielo, ma non mi
contradisse.
***
SPAAAZIO AUTRICE:
Ed eccomi qui, non
poi tanto elegantemente in ritardo.
Sì, lo so, lo so, ma ho risistemato alcune cosucce, infatti
questo capitolo non doveva essere così lungo, ma ops.
Passo immediatamente ai ringraziamenti perché ho allenamento
tra... adesso.
Dunque:
Grazie a chi è arrivato fino a questo punto della storia,
grazie a chi legge e apprezza il mio lavoro, ma soprattutto grazie a
chi si prende del tempo per recensire, sia per le critiche che per i
pareri positivi.
Un grazie particolare e tanti tanti bacioni a:
- Jaymer, che scrive
ogni volta recensioni meravigliose oltre che una fanfiction bellissima
che amo;
- stylesmadness e Alice Styles, Dio siete una cosa dolcissima, non
sapete quanto vi voglio bene;
- ila and anny e Devil Night, anche loro
recensiscono e mi supportano sempre, io davvero non so cosa farei senza
di voi.
E dopo questi
attacchi diabetici posso anche dileguarmi, un bacione grosso splendori!
Allla prossima x
#Allie
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Capitolo 18 *** Eighteen ***
18. EIGHTEEN
Brit si sporse oltre il mio schienale.
«Devo vomitare», annunciò.
Harry premette con forza sul freno e
l’auto inchiodò, facendo
sbilanciare la mia amica in avanti e poi ricadere sul sedile posteriore.
«Ehi!», si lamentò.
«Hai mezzo secondo per uscire».
Lei sbuffò e tornò a mettersi
seduta. «Posso trattenerlo».
«Giuro che se vomiti nella mia
macchina…».
«Harry!», lo rimproverai.
«Cosa?», rise Brit, gettando la
testa all’indietro. «Giuri che cosa?
Papino e mammina potranno
comprarti dei sedili nuovi. O un’auto nuova magari».
Harry strinse gli occhi ma non rispose. Ripartimmo
e Brit sbadigliò sonoramente
prima di infilarsi di nuovo tra il mio posto e quello di Harry.
«Quindi voi due ora vi
parlate?», non sapevo se ci stesse prendendo in
giro o meno.
Annuii, intuendo che Harry non aveva intenzione di
risponderle.
«Mi fate venire il mal di testa. O forse
quello è lì da prima». Rise
ancora. «Ad ogni modo, finalmente avrò un
po’ di pace».
Guardai Harry, che scuoteva la testa sbuffando
dalle narici.
«Sì, insomma, sembravate due
povere anime infrante. Come Tolomeo e
Isotta, ecco».
«Ma che cazzo…»,
iniziò. «Non dovrebbe tipo essere svenuta a
quest’ora?».
Trattenni a stento un sorriso, questo Harry
sembrava una persona
completamente diversa da quella di poco prima. La dolcezza e
l’intensità erano
state sostituite dalla solita strafottenza, e non avrei saputo dire
quale delle
due preferivo, dal momento che anche da stronzo era più
affascinante di
qualunque altro ragazzo conoscessi.
«“Secondo te dovrei
chiamarla?”», fece Brit con una voce studiatamente
più
profonda. Mi raddrizzai, voltando la testa nella sua direzione.
«“O forse farei
meglio ad andare lì? E se non vuole
ascol…”»
«Chiudi quella cazzo di bocca»,
ringhiò Harry interrompendola.
«Scusa capo».
Ma io non ero dello stesso avviso e volevo sentire
il resto. Harry
aveva parlato con Britney?
«Che stavi dicendo?», chiesi
prima di riuscire a fermarmi.
«Oh, che il signor Coglione qui
pre…».
«Un fottuto niente», Harry
parlò nello stesso momento di Brit. «Parla
perché ha la bocca».
Britney sorrise ma non disse niente. Volevo davvero
saperne di più, ma
preferii non tirare la corda.
L’auto accostò appena fuori il
cancello della villa di Brit. Prima che
riuscissi a chiedergli se voleva entrare, uscì dalla
macchina senza aspettarci,
chiaramente innervosito.
Aiutai Britney ad arrivare fino alla sua stanza,
Harry si era fermato
ad aspettare nel salotto.
Si fiondò tra le coperte senza nemmeno
togliersi le scarpe, mugugnando.
«Brit, cosa volevi…».
Mi fermai alla vista del suo petto alzarsi e
abbassarsi regolarmente,
le palpebre abbassate. Sospirai.
Spensi la luce e lasciai a stanza. Quando raggiunsi
Harry al piano di
sotto era intento a rimettere in piedi una fila di statuine su una
mensola.
Proprio mentre sistemava una delle ultime urtò la pila,
facendole cadere tutte
come in un domino.
Sbuffò, arrendendosi e portò
lo sguardo su di me.
Sorrisi. «Si è
addormentata».
«Era ora»,
bofonchiò. «Vuoi che ti riporti a casa?».
Annuii. Sarei potuta anche rimanere lì
per la notte, ma non volevo
ancora salutarlo.
Il viaggio fino a casa fu silenzioso, Harry era
pensieroso e a malapena
consapevole della mia presenza.
Restai qualche istante in attesa di qualsiasi cosa,
e quando fui certa
che non avrebbe detto niente aprii la portiera. Il suo umore era
già cambiato,
grandioso.
Venni tirata dentro di nuovo e coprì le
mie labbra con le sue. Chiusi gli
occhi e lo assaporai, secondo per secondo, perché non sapevo
quale sarebbe
stato il suo prossimo stato d’animo. Appoggiò una
mano sul mio fianco e l’altra
sulla guancia e proprio quando iniziai a sentire il fuoco crescere
dentro di
me, mi allontanò delicatamente.
«Verrai domani alla partita?».
Annuii e il mio naso si scontrò col suo.
Arrossii per la mia goffaggine
ma lui sorrise.
«Bene. Buonanotte».
«No», dichiarai secca.
«Ma…».
«No».
Britney continuava a saltellare a destra e
sinistra, le mani giunte
davanti al petto in atteggiamento supplice.
«Non puoi essere così crudele.
In fondo sono solo meno di venti minuti
in cui non dovrai far altro che sculettare un po’ ed essere
carina».
Una schiera di cheerleader imploranti stava dietro
il capitano biondo,
come tanti fidati cagnolini.
«Ma nemmeno conosco la
coreografia!», tentai.
Quella Jill o Jen, o come si chiamava me
l’avrebbe pagata cara. Perché
aveva deciso proprio in quel momento di slogarsi la caviglia e lasciare
la
squadra senza un componente importante? Domanda stupida.
«Mancano ancora venti minuti, posso
spiegartela. Avanti, tesoro!».
Sporse il labbro inferiore e sgranò gli occhioni azzurri.
«Ti prego, ti prego,
ti prego!».
Alzai gli occhi al cielo, digrignando i denti.
«Ah, d’accordo».
La ragazza squittì e fece un salto di
almeno mezzo metro, poi mi
trascinò nello spogliatoio.
Tirai un lungo respiro e mi decisi a uscire, in
coda con le altre
ragazze pompon. Ignorai i brividi alle cosce al contatto con
l’aria fredda
dell’ampia palestra e avanzai. Ci fermammo a un lato del
campo, tutte
perfettamente in fila.
Harry, che si stava scaldando a pochi passi da noi,
ruotò il capo nella
mia direzione e spalancò gli occhi. Il suo sguardo corse
dalla canotta intonata
alla sua divisa, alla gonna e infine si soffermò sulle mie
gambe nude. Si leccò
le labbra, facendomi avvampare.
Decise di tornare a concentrarsi
sull’allenamento e continuò a
palleggiare.
Ricevetti una leggera spinta dalla mia vicina.
«Qualcuno è rimasto a
bocca aperta».
«Oh, sta zitta Brit», le
intimai ridendo.
Osservai attentamente la stellina nera e arancione
che era disegnata
sulla sua guancia e mi chiesi se anche a me donasse quanto a lei. Stavo
per
domandarle se mi si fosse sbavata o cancellata quando notai i suoi
occhi
attirati da un punto in mezzo alle tribune. Seguii il suo sguardo e
incontrai
un gruppetto di persone che chiacchierava animatamente. In mezzo vi
erano Liz,
Louis e… Zayn.
Scelsi di non disturbare il suo contemplamento,
quindi presi ad
osservare i giocatori impegnati nel pre-partita. Gli avversari erano
tutti
molto robusti e alti, e davano l’idea di essere piuttosto
insidiosi.
Finalmente le due squadre si ritirarono verso le
rispettive panchine
per un colloquio con i coach e la musica partì. Ci spostammo
al centro del
campo, disponendoci nell’ordine indicato da Britney.
«Cinque, sei, sette,
e…!», ritmò Britney a bassa voce.
Sbattemmo i palmi l’uno contro
l’altro, iniziandoci a muovere a tempo
di musica.
Mi sforzavo di ricordare i passi appena imparati,
cercando di ignorare
lo sguardo che sentivo fisso su di me fin dall’altra parte
della palestra. Non
avrebbe dovuto star a sentire l’allenatore e prepararsi per
la partita o
qualcosa del genere?
Con una corsa che sperai fosse il più
aggraziata possibile, volai a un
estremo del campo per prepararmi al passo successivo. Una dopo
l’altra le
ragazze iniziarono a volteggiare tra ruote, rondate e salti mortali.
Ed ecco il mio turno.
Presi la rincorsa, pregando che da qualche parte
dentro di me ci fosse
ancora il ricordo delle ore di ginnastica artistica. Ero anche
piuttosto brava,
ma in prima superiore avevo deciso di smettere perché mi ero
stancata.
Le mie mani attecchirono al suolo e con un
movimento fluido compii una discreta
rovesciata, atterrando saldamente su entrambi i piedi. Britney mi
rivolse un
sorriso raggiante prima di concentrarsi per il tocco finale, il top
della
coreografia che spettava a lei.
Due ragazze si unirono e la sollevarono come fosse
stata una bambola di
nemmeno dieci chili. Spalancai la bocca quando sollevò una
gamba e rimase in equilibrio
con un piede sulle mani delle cheerleader. Molleggiò un paio
di volte e poi
spiccò un salto. Ruotò su se stessa varie volte
prima di ricadere sulle braccia
delle compagne, elegantemente. La folla si lanciò in un
fragoroso applauso e
qualche fischio. Cercai Zayn in mezzo alla folla e quando lo trovai,
vidi che anche
lui applaudiva e la fissava estasiato.
Lentamente l’euforia
s’attutì e facemmo la nostra uscita di scena,
lasciando il posto agli sfidanti.
Durò tutto meno del previsto. I nostri,
ma soprattutto Harry, erano in
formissima e non ci volle molto per battere gli avversari dalla divisa
blu
elettrico. Il playmaker giocò in maniera impeccabile, senza
mancare un canestro
né sbagliare un passaggio. Potei vedere quanto il coach
fosse fiero di lui dal
suo sguardo, Harry Styles stava risollevando la sua squadra che era
rimasta
schiacciata dalle altre per tanto tempo.
Più tardi mi raggiunse nel cortile
gremito, mentre chiacchieravo con
Britney e Liz.
Quest’ultima gli rivolse un enorme
sorriso.
«Ciao Harry»,
cinguettò.
Strinsi forte le labbra e ricacciai indietro
qualsiasi parola scortese.
D’altronde sapevo che Liz aveva sempre avuto un debole per
Harry e soprattutto
non sapeva di noi, qualunque cosa fossimo.
Lui ricambiò il saluto con un cenno del
capo e come se mi avesse letto
nel pensiero, intrecciò le dita con le mie e si
chinò.
«Ehi», sussurrò
prima di lasciarmi un lieve bacio sulle labbra.
Le mie ciglia svolazzarono e un groviglio di
farfalle si fece sentire
dall’interno del mio stomaco. Il ragazzo mi cinse la vita con
un braccio,
stringendomi a sé.
Non appena la mia mente si liberò della
nebbiolina provocata dalle
labbra di Harry mi resi conto dell’espressione dei presenti,
che ignoravano
tutta la storia e desiderai scomparire.
Liz sembrava aver disimparato come chiudere la
bocca e Louis, che fino
a poco prima discuteva allegramente con l’amico, ci fissava
sbigottito. E poi
c’era Britney, che continuava a mandare lo sguardo a destra
sinistra
nervosamente.
L’unico a sembrare totalmente a suo agio
era Zayn, che interruppe il
silenzio per complimentarsi con Harry.
«Tu sei Styles, no? Il
playmaker». Lui annuì. «Complimenti
amico,
partita splendida! Anche io quando ero al liceo giocavo, ma non sono
molto bravo».
«Voi due state insieme?»,
sbottò Liz prima che Harry riuscisse a
ringraziarlo.
Sentii il sangue andare in ebollizione proprio
sotto le guance. C’era
una risposta a quella domanda?
Lanciai un’occhiata a Harry e mi morsi il
labbro inferiore. «Ehm,
noi…».
«Più o meno».
Alzai involontariamente il capo verso di lui, che
per tutta risposta
strinse ulteriormente la mia mano. Adesso anche Britney era sorpresa.
«Wow, questa me la sono persa»,
borbottò Louis grattandosi la nuca.
«Non è… Stiamo
solo… Vedendoci», balbettai ormai al culmine del
rossore.
Zayn decise di nuovo di salvarci tutti da quel
momento imbarazzante.
«Elizabeth mi ha detto che adesso si festeggia, non
è vero?».
Il ragazzo acquistava punti.
«Zayn, ti ho detto mille volte di
chiamarmi Liz».
«Scusa».
«Comunque adesso la squadra
andrà al Grill credo, organizzano sempre
qualcosa dopo la partita», gli spiegò Liz.
Britney annuì, indicando le compagne
poco più lontane. «Sì, infatti
dovrei andare anche io, la capo cheerleader non può mancare.
Voi venite?».
Guardai Harry con la coda dell’occhio e
lo vidi scuotere la testa. «No,
veramente no».
«Ma sei il capitano», gli feci
notare. «Non puoi andartene così».
Sbuffò. «Noi abbiamo di meglio
da fare».
Mi morsi l’interno della guancia per non
sorridere a quel noi.
Brit guardò Liz, che a sua volta si
voltò verso i due ragazzi.
«Io vengo», dichiarò
Liz.
Louis le picchiettò sulla testa come
fosse stata un metro più bassa di
lui, quando lo era di appena un paio di centimetri.
«Allora verrò anche io,
così potrò studiare le tue mosse e fare la
spia»,
la prese in giro.
La ragazza sbuffò, ravvivandosi i
capelli corti. «Quando hai detto che
riparti?», scherzò.
«Quando ci richiamano
dall’alto, baby».
Per tutto il viaggio la sua mano non
lasciò la mia, nemmeno quando
doveva usare il cambio, costringendomi ad allungarmi con lui e
facendomi ridere
ogni volta.
«Non era necessario non andare al Grill.
In fondo è la tua vittoria,
anche se gli altri ragazzi sono comunque stati bravi».
Solleticò il mio palmo con il pollice
mentre superava con cautela
un’altra auto. Cominciava a diventare più prudente
o era una mia impressione?
«Infatti non è necessario, ma
è quello che voglio».
Mi protesi per lasciargli un piccolo bacio sulla
guancia, ma lui mi
anticipò e catturò la mia bocca. Chiusi gli occhi
e lasciai che l’ondata di sensazioni
mi travolgesse, proprio come fosse la prima volta. Però si
staccò un po’ troppo
presto.
«Non costringermi ad
accostare», sussurrò con voce roca.
Dopo quaranta minuti buoni di viaggio, entrammo in
un enorme parcheggiò
vuoto ed Harry decise di lasciare lì la macchina.
Una volta scesi mi resi conto che il suolo era
ricoperto da una patina
polverosa che andava inspessendosi man mano che procedevamo.
«Ma dove siamo?».
«Vieni».
Afferrò il mio polso e iniziò
a camminare.
Mi lanciai in avanti ancora stordita, faticando a
seguire il suo passo
veloce.
Ci addentrammo tra un groviglio di piante spinose
che mi apparivano più
familiari man mano che procedevamo. Il terreno era disconnesso e non
faceva che
alzarsi e abbassarsi sotto i nostri piedi.
Quando finalmente la vegetazione iniziò
a diradarsi, restai senza
fiato.
La sabbia si estendeva a perdita
d’occhio, deserta, immacolata. Le onde
nere s’infrangevano sulla riva pigramente, avanzando e
ritraendosi con
regolarità.
Non mi resi conto dell’ampio sorriso che
si era impadronito del mio
volto finché Harry non me lo fece notare. Era tanto tempo
che non vedevo il
mare nonostante distasse così poco da casa,
l’ultima vacanza con i miei
genitori risaliva a troppi anni prima.
Quando alzai il viso verso di lui il suo sguardo
era audace e non cercò
nemmeno di nasconderlo.
Mi morsi il labbro inferiore imbarazzata, sperando
capisse che tutta
quell’attenzione mi metteva a disagio. Tentativo inutile.
«Che cosa
c’è?», brontolai.
Scosse la testa, mentre ancora mi scrutava con un
sorriso.
«Sei così bella».
Quel ragazzo mi confondeva le idee in ogni modo
possibile, specialmente
quando se ne usciva con commenti del genere, che mandavano il mio cuore
a
mille.
Oltretutto non potevo essere meno
d’accordo con lui. Ero reduce di una
doccia veloce e una rapida passata di spazzola tra i capelli,
completamente
senza trucco e con un paio di jeans e una camicia sotto la giacca.
Lui invece era perfetto, nei suoi pantaloni scuri e
il giubbotto aperto
su un maglione strappato nero.
«Grazie», mormorai abbassando
lo sguardo.
Improvvisamente mi afferrò per i fianchi
e mi prese in braccio, facendo
in modo che attorcigliassi le gambe intorno a lui. La sua bocca mi
raggiunse in
un istante, famelica. Dischiusi le labbra quando sentii la sua lingua
premervi
contro e lasciai che approfondisse il bacio, mentre con le grandi mani
accarezzava la mia schiena.
«Era da tutta la sera che volevo
farlo», disse. «E a proposito, con
quel completo eri dannatamente sexy».
Strabuzzai gli occhi, dandogli un leggero pugno sul
petto.
«Non accadrà mai
più, l’ho fatto solo per Brit».
«Puoi scommetterci».
Inarcai un sopracciglio. «Che?».
«Haley, ci sono almeno ottanta maschi che
stasera si masturberanno
pensando al tuo culo con quella gonna».
«Harry!».
Rise di gusto, mentre mi posava di nuovo a terra.
«Aspetta qui, faccio
presto».
Corse via velocemente e in men che non si dica fu
di ritorno con una
piccola borsa nera a tracolla. Sorrisi riconoscendola. Harry estrasse
la grossa
macchina fotografica e l’accese.
Lo guardai armeggiare con gli obbiettivi e mi
coprii il volto con le
mani quando la puntò verso di me.
«Non provarci nemmeno».
Scoppiò a ridere, abbassandola.
«Ehi calma, la stavo solo testando».
Quindi immerse le converse nere nella sabbia dorata
e camminò verso il
mare. Non so perché non lo seguii, ma sentivo che quello era
un momento che
preferiva tenere per sé. Come un artista che dipinge sulla
sua tela, in
compagnia solo dei propri pensieri e delle idee.
Lo guardai mentre si fermava a pochi centimetri
dall’acqua, scrutando
l’orizzonte.
Lo guardai mentre sollevava la macchina e si
concentrava
sull’obbiettivo.
Lo guardai mentre, con estrema lentezza cercava il
soggetto perfetto,
il momento perfetto.
Osservavo incantata il modo delicato con cui teneva
in mano
l’apparecchio, quasi come avesse paura di fargli del male e
mi ritrovai a
desiderare stupidamente di essere al suo posto.
Infine, lo guardai premere quel tasto per catturare
l’immagine e voltarsi
soddisfatto verso di me.
Mi tese la mano facendomi cenno di avvicinarmi,
così lo feci.
Ci sedemmo l’uno accanto
all’altra sulla sabbia fredda, beandoci del
silenzio interrotto solo dal rumore delle onde. Non c’era da
sorprendersi che
fossimo gli unici lì, a inizio dicembre sulla spiaggia
soffiava un vento
gelido, che ti entrava nelle ossa.
Mi strinsi le braccia intorno al corpo, mentre
giocavo a sotterrare e
tirare fuori i piedi dalla sabbia.
Sobbalzai quando avvertii il petto di Harry contro
la mia schiena, si
era mosso silenziosamente. Mi avvolse con le braccia e
spostò i capelli dal mio
orecchio.
«Non ti serve una scusa per farti
abbracciare sai?».
Gli lanciai un’occhiataccia e feci per
sollevarmi, ma lui mi trattenne
per le braccia.
«Dove vuoi andare?», fece con
le labbra a pochi millimetri dal mio
collo.
«Lontano almeno dieci metri dalla tua
arrogan…».
Non riuscii a terminare la frase perché
con una forza impressionante
Harry ci fece cadere sdraiati. Rotolammo finché non mi
ritrovai schiacciata dal
suo corpo, petto contro petto. I suoi gomiti erano appoggiati ai lati
della mia
testa per far sì che non mi schiacciasse.
«Stavi dicendo qualcosa?».
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, cercando di
rimanergli indifferente
e fingermi offesa.
«Oh, andiamo», mi
provocò.
Una linea di baci prese il via dalla mia guancia e
raggiunse la base
del collo. Mi morsi con forza la lingua per non emettere sospiri di
piacere e
dargli soddisfazione.
«Mm», mugolò mentre
stuzzicava la mia pelle con i denti.
Quando mi sfiorò la gola con la punta
del naso non resistetti ed
esplosi in una sonora risata.
«Non dovresti sprecare energie
così inutilmente, piccola. Sappiamo che
non puoi resitermi».
«Stronzo», dissi, ma il tono
della mia voce non poté che addolcirsi per
il modo in cui mi aveva chiamata.
«Già, ma uno stronzo
sexy».
Sostenni il suo sguardo. «E
narcisista», scandii.
«Baciami», ordinò,
mantenendo la voce bassa.
«No». Il mio tono era leggero
ma la mia voleva comunque essere una
piccola lezione.
Senza dire una parola scattò in piedi e
mi sollevò di peso, poi prese a
correre verso la riva.
«Che vuoi fare? Lasciami, adesso».
Si tolse le scarpe velocemente senza usare le mani
e toccò l’acqua con
le punte delle dita, che si arricciarono involontariamente, segno di
quanto
dovesse essere fredda.
Iniziai a scalciare e colpirlo sulla schiena.
«Ehi, hai capito?».
«Baciami, ho detto».
«No».
«Subito».
Risi. «Nemmeno tra un milione di
anni».
Lo sentii allentare la presa, quindi strizzai le
palpebre in attesa del
contatto gelido che non arrivò. Infatti tutto quello che
fece fu portarmi col
viso dritto davanti al suo, le nostre fronti quasi si sfioravano.
«Un milione di anni?». La sua
espressione era così seria e mi fece
perdere un battito. «Potremmo non avere tutto quel
tempo».
Gli accarezzai la guancia, in cerca del piccolo
foro che questa volta
non accennava a farsi vedere.
***
SPAZIO AUTRICE
(breve):
scusate tanto ma ho pochissimo tempo,
quindi ringrazio come sempre chi legge e recensisce,
spero nel prossimo capitolo di poter essere meno sintetica :(
Bacioni,
#Allie
|
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Capitolo 19 *** Nineteen ***
19. NINETEEN
Britney’s POV
Pessima musica, alcolici squallidi, il Grill
peggiorava ogni volta che
vi mettevo piede. Ecco perché non lo facevo quasi mai.
Ma dato che la squadra si sarebbe bevuta perfino
birra annacquata pur
di ubriacarsi, questo era quello che toccava alle cheerleader e a chi
ci teneva
a festeggiare la vittoria. E la sfortuna voleva facessi parte della
prima
categoria.
«Annoiata?», chiese una voce.
Mi sollevai dal muro, soffiando dalle narici.
«Malik», sospirai.
«Aspettavi qualcun altro?». Si
guardò intorno. «Difficile, visto che
non hai un ragazzo».
Gli rivolsi una lunga occhiata in cui misi
più gelo possibile.
«Scusa», si affrettò
ad aggiungere. «Non volevo».
Alzai le spalle, squadrandolo con fare scocciato.
«Chi se ne frega».
Sperai
che cogliesse il poco implicito invito ad andarsene e lasciarmi in
pace, ma ovviamente non fu così. Ciò che mi
procuro non poco fastidio fu il prendere consapevolezza della piccola -
minuscola - parte di me, che voleva che restasse.
«Senti, volevo parlare di quello che
è successo ieri».
Alzai gli occhi al soffitto, ero sicura che
l’avrebbe tirato in ballo.
«Non c’è niente di cui parlare, eravamo
ubriachi e ci siamo baciati. Gli
adolescenti lo fanno tutto il tempo».
«Già, ma io non sono
più un adolescente».
Mi morsi il labbro per non ridergli in faccia.
«Ma io sì. E poi sei solo due anni più
grande, quindi non giocare
troppo a fare l’uomo maturo».
Mi scrutò ancora qualche secondo, prima
di sfoggiare un sorriso che mi
fece aggrovigliare le viscere. Era una cosa che avevo visto fare solo a
lui,
sorridere con la lingua tra i denti.
Camminò verso di me, portandosi talmente
vicino che riuscivo a sentire
il suo respiro sul viso. Subito venni investita dall'odore intenso del
tabacco.
«Davvero una bella mossa,
comunque».
«Prego?».
«Prima, sul campo». Zayn
sorrise nuovamente, malizioso. «Hai una apertura
delle gambe notevole».
Scrollai le spalle e alzai il mento, sfidandolo.
«Lo so».
«Scommetto che potresti farne buon
uso».
Lo inchiodai con lo sguardo, grugnendo.
«Ti piacerebbe».
«Può darsi».
«Forse tra un paio di secoli».
***
Zayn sbatté con forza la porta della
stanza dell’hotel. Mi spinse
contro la parete opposta al letto senza nemmeno accendere la luce,
troppo
impegnato a mantenere il contatto con le mie labbra. Mi
sfilò la canotta e poi
la gonna del completo con un gesto veloce, lasciandomi solo in
intimo.
Sbottonai velocemente la sua camicia e affondai il
viso nell’incavo del suo
collo, baciando e mordendo la pelle con forza, incurante dei segni che
lasciavo.
Lui gemette profondamente e si tolse anche i pantaloni. Eravamo tutti
fuoco e impeto.
Mi afferrò per le
braccia, immobilizzandomi.
«Faccio io», esalò
mentre mi avvicinava al suo petto.
La sua lingua tracciò una serie di
ghirigori sul collo e poi sempre più
giù, fino ad arrivare all’addome.
Mi sollevò per poi appoggiarmi sul
grande materasso, abbassandosi su di
me in un modo che mi ricordò un puma con la sua preda.
Esitò.
«Sei… Sei sicura?»,
fece, lo sguardo incollato
alle mie labbra.
Alzai gli occhi al cielo e scambiai le posizioni
con uno scatto,
portandolo sotto di me.
«Non essere ridicolo».
Non ero una ragazzina inesperta, sai che me ne
importava. Premetti la
mano sul suo torace tenendolo fermo, beandomi del suo sguardo eccitato
e
impaziente.
«È solo sesso»,
dichiarai. «Niente sentimentalismi del cazzo, niente
complicazioni».
Zayn cercò di liberarsi dalla mia presa
e attirarmi di nuovo giù con
lui, ma lo fermai.
«Ah, e nessuno verrà a sapere
di questa cosa. Nessuno. È
tutto chiaro?».
Il ragazzo mi guardò dal basso,
stravolto.
«Chiaro», mi fece eco.
«Bene», dissi prima di chinarmi
di nuovo su di lui, sentendo il già
evidente segno della sua eccitazione contro il mio ventre.
Portò le mani dietro la mia schiena e
slacciò il laccetto del reggiseno
mentre calavo i suoi boxer lungo i fianchi.
Haley’s POV
«Perché siamo qui?»,
il mio tono suonò troppo alto per il silenzio in
cui eravamo immersi da un po’.
I miei occhi erano bassi, concentrati sulle mie
dita che tracciavano
linee curve sulla sabbia morbida.
Harry era seduto a fianco a me, non troppo lontano,
ma abbastanza
perché le nostre pelli non si toccassero. Sembrava che una
nube nera si fosse
di nuovo impadronita di lui, cancellando ogni desiderio di comunicare.
Avevamo comunque parlato oltre i suoi standard
quella sera, per cui non
era giusto essere troppo delusa.
«Non lo so».
Magnifico. Non mi aveva nemmeno più
sfiorata dopo che eravamo tornati
sulla spiaggia, e adesso non voleva rivolgermi la parola. Era
probabilmente a
causa della domanda su suo padre, dopo che l’avevo visto
rifiutarne la
chiamata.
Non volevo essere indiscreta, solo non capivo
perché si rifiutasse di
parlarci. Nemmeno io avevo un bel rapporto con i miei, ma qualche volta
mi
preoccupavo di far sapere loro come stavo, quando non chiamavano per
non farmi
sentire oppressa.
«E allora perché mi ci hai
portato?».
Sospirò esasperato e levò lo
sguardo verso la scogliera. Il silenzio
regnava su di noi mentre entrambi evitavamo di guardarci.
«D’accordo allora, non
parlarmi», dissi. «Dovremo tornare
comunque».
Lui annuì e si alzò in piedi.
Lo seguii nel fitto degli alberi, ma
prima lanciai un’ultima occhiata al mare, per imprimermene
l’immagine nella
mente.
Camminava svelto, incurante del fatto che fossi
costantemente almeno
due metri dietro di lui.
Quando sbucammo nel parcheggio, si
affrettò verso la macchina e aprì la
portiera. Lo fermai prima che entrasse.
«Si può sapere che
c’è ora?».
«Niente».
«No Harry, non è niente»,
scattai. «Perché se fosse niente
non
ti staresti comportando come se ce l’avessi con me e
risponderesti normalmente!»
I suoi occhi si accesero di rabbia. «A
quale delle milleduecento
domande esattamente?», alzò la voce. «Ne
fai continuamente
Haley, sei irritante!».
«Magari se lo faccio è
perché mi importa, non ci pensi?».
Sentivo di star di nuovo per crollare a piangere, e
non dovevo. Non
potevo mostrarmi sempre così emotiva di fronte a lui.
«Beh, non vedo perché dovrebbe
e nessuno te lo ha chiesto».
Ahi. Eccola di nuovo, la ragione per cui mi ero
allontanata da lui. Un
momento prima era carino e quello dopo non gl’importava di
ferirmi, proprio
come quando eravamo amici.
Lottai contro l’impulso di replicare, non
sarei riuscita a metterlo a
tacere e avrei evocato soltanto altre parole offensive nei miei
confronti.
Mi diede le spalle.
Mi aspettavo che entrasse in macchina, e invece
utilizzò la portiera
come sostegno. Non potevo vedere la sua espressione, ma il suo petto si
alzava
e si abbassava furiosamente.
«Harry?».
Poggiai il palmo della mano sulla sua spalla e lo
scrollai leggermente.
Quando si voltò le sue pupille erano dilatate, la bocca
dischiusa cercava aria.
«Oh mio Dio! Che cosa ti
prende?».
«Sto bene»,
boccheggiò.
«No, non è vero!»,
strillai, in preda all’agitazione. Cercai
furiosamente il cellulare nella tasca. «Chiamo
qualcuno».
«Haley, no. Sto..», fu
costretto a fermarsi per respirare.
Non lo ascoltai e presi a comporre il numero, ma il
telefono mi venne
strappato via.
«Ho detto che sto bene!»,
tuonò.
Chiuse gli occhi ed emise diversi respiri profondi.
Dopo secondi che mi
parvero secoli, il suo respiro si stabilizzò e mi
sembrò stesse meglio.
Sbuffò e mi restituì il
cellulare.
«Cos’era quello?», la
mia voce involontariamente isterica.
Salimmo in macchina per ripararci dal vento che
iniziava a soffiare più
forte. Ovviamente non rispose.
Restammo in silenzio per tutto il tragitto, e
quando ci fermammo
davanti a casa mia non riuscii più a trattenermi.
«Per l’amor del cielo, potresti
degnarti di rispondere a una mia
domanda? Che cos’era quello?».
Questa volta mi preoccupai di marcare meglio la frase, in modo che non
potesse
ignorarmi.
«Un cazzo», ringhiò.
«A me non sembrava! Potresti smetterla di
essere uno stronzo egoista
per cinque minuti? Sono solo preoccupata».
Nonostante quello che mi diceva, non riuscivo a non
stare in ansia per
lui.
«Sei tu che mi stressi Haley, soltanto
quello!».
La mia mascella si spalancò.
«Come scusa?!», la mia voce non
doveva suonare così orrendamente
disperata. «Non sono io che ti ho chiesto di portarmi fuori
stasera, o di
iniziare una qualunque relazione con me, non sono io che ti ho chiesto
niente
di tutto questo! Quindi non devi per forza essere così
cattivo, nessuno ti
obbliga a passare del tempo con me».
Non riuscii più a frenarmi, e le lacrime
iniziarono a traboccare dai
miei occhi. Aprii la portiera e uscii prima di essere colpita di nuovo
da
un’altra risposta dannosa per la mia stabilità.
Stabilità che in ogni modo
stava già vacillando fin troppo.
«Haley!», lo sentii urlare.
Raggiunsi di corsa il porticato di casa e salii i
gradini a due a due,
consapevole dei passi affrettati dietro di me.
«Dannazione Haley, aspetta!».
Le mie mani rovistavano poco delicatamente nella
borsa in cerca delle
chiavi, ma il bagnato mi annebbiava la vista e lo rendeva
più difficile.
Le sue dita scivolarono intorno al mio braccio per
farmi voltare.
«Puoi smetterla per favore di scappare
sempre?».
«Non scapperei se tu non me ne dessi
motivo», sorpresi me stessa di
quanto tranquillo suonasse il mio tono. Una calma che decisamente non
rispecchiava ciò che avevo dentro.
«Adesso vattene per favore, voglio solo
essere lasciata in pace».
Gli diedi di nuovo le spalle.
Fece strisciare la mano più
giù, fino al polso e mi attirò al suo
petto. I suoi occhi ora più scuri erano un misto di rabbia e
confusione, e
sapevo che i miei non dovevano essere molto diversi.
Le sue labbra si scontrarono con le mie senza
preavviso e
immediatamente tutta la rabbia si dissolse come fumo. I suoi movimenti
erano
pieni di disperazione, e in un attimo mi ritrovai schiacciata
dal bisogno di lui. Dischiuse la labbra e mi lasciò perdermi
nel suo sapore
leggermente salato, non sapevo se a causa delle mie lacrime o
dell’aria
salmastre.
Mi sollevò prima di premere la mia
schiena contro la porta. Le nostre
lingue si stuzzicarono dapprima dolcemente e poi con più
foga, smaniose di
sentirsi.
Ero a malapena consapevole del freddo pungente
sulle mie braccia, persa
nel ritmo dei nostri ansimi. Morse con forza le mie labbra, gemendo al
suono
dei miei lamenti.
Mi attirò ancora più vicina
se possibile, senza perdere il contatto con
la mia bocca.
«Mi dispiace», le parole appena
sussurrate erano quasi impercettibili.
«Non volevo dire quelle cose».
Annuii, ancora smarrita dalla passione del bacio.
Le nostre labbra si
ricongiunsero di nuovo, stavolta solo sfiorandosi.
«Non lo faccio apposta»,
continuò. «Ad essere un coglione,
intendo».
«Lo so».
***
La mattina seguente, quando Brit e io arrivammo il
parcheggio della
scuola era occupato da una folla di studenti in attesa. Tre grandi
autobus erano
in coda uno dietro l’altro, i professori chiamavano i nomi ad
alta voce,
sbracciandosi per farsi notare in mezzo alla confusione.
«Ma che…»,
cominciai. «Oh no».
Mi battei la mano sulla fronte, ricordandomi
improvvisamente della visita
al teatro. Lanciai un’occhiata verso Brit, la quale non
pareva nemmeno avermi
sentito.
La chiamai, facendola voltare bruscamente.
«Il permesso per la gita! Tu ce
l’hai?».
Lei annuì distrattamente, mentre frugava
nella borsa e ne estraeva il
piccolo foglietto che riconobbi subito.
«Accidenti, fammi scendere».
Tolse la sicura senza dire una parola e mi permise
di uscire.
Dopo il litigio dei miei e la storia di Harry quel
particolare mi era
del tutto passato di mente, e ovviamente nessuno aveva firmato il
permesso.
Distrazioni di quel tipo non erano da me.
Feci una corsa fino all’ingresso,
fermandomi solo davanti al bancone di
Tracy. Ma quel giorno al suo posto vi era un’anziana donna
dai capelli
d’argento. Mi studiò da dietro gli spessi
occhiali, in attesa.
Mi aggrappai al ripiano per riprendere fiato.
«Mi scusi, ma la mia classe di
letteratura parte fra pochi minuti e non
ho il foglio.. Non c’è un modo per partecipare
comunque? Non posso perdere
quella rappresentazione, è importantissima».
«I tuoi genitori sanno della
gita?».
«Sì», mentii, mossa
dalla speranza che quel dettaglio avrebbe cambiato
qualcosa.
Sorrise. «Allora avrebbero dovuto
firmarti il permesso».
Stronza. «La prego, posso far chiamare i miei
genitori se può servire».
«Signorina, non c’è
qualcosa su cui discutere. Niente permesso, niente
uscita».
«Cosa? Ma io..».
«Queste sono le regole».
Soffiai dalle narici e mi allontanai prima che il
nervoso m’inducesse a
prenderla a schiaffi. No, non l’avrei mai fatto, ma era
comunque meglio evitare
possibili sospensioni.
Raggiunsi la mia amica proprio quando stava
consegnando il suo permesso
alla professoressa.
«Allora?», mi chiese.
Mi strinsi nelle spalle. «Niente, non
posso venire», mugugnai.
Rise. «Sai che ti perdi»,
ribadì, ricevendo un’occhiataccia dalla
signora Hopkins.
Non appena quella si voltò, Britney ne
imitò lo sguardo da aquila,
fingendo di sistemarsi degli occhiali inesistenti sulla punta del naso.
«Ci vediamo», dissi,
trattenendo una risatina.
«Oh Clarissa, Clarissa…
Perché sei tu, Clarissa?», fece con fare
shakespeariano, prima di essere trascinata sull'autobus.
Alzai gli occhi al cielo e mi diressi verso il lato
opposto del
parcheggio. Forse potevo approfittarne per mettermi avanti con i
compiti, magari
in biblioteca. E poi avrei assolutamente dovuto trovare un modo per far
sì che
questa mia assenza non incidesse negativamente sulla mia media. Con un
saggio,
magari proprio su Romeo e Giulietta.
«Ehi».
Quella voce. Mi voltai, ansiosa di incrociare le
sue iridi smeraldo. Il
peso sul mio petto si alleggerì alla vista del sorriso
enorme sul suo viso,
nessuna traccia del cipiglio sulla fronte.
«Dove sono i tuoi libri?», fu
la prima cosa che gli chiesi.
Mi catturò in un lampo e
avvicinò i nostri visi, ma invece di baciarmi
spostò la mano sul fondo della mia schiena. Mi inarcai verso
di lui per
impedirgli di palparmi.
«Buongiorno anche a te», mi
schernì.
Il suo naso sfiorò il mio appena prima
che le nostre labbra si
incontrassero. Le mie guance divennero bollenti quando mi resi conto
degli
sguardi di quasi tutto l’istituto puntati su di noi. Era la
prima volta che mi
baciava davanti a tutte quelle persone.
Per tutti eravamo sempre stati “Harry e
Haley, gli amici”. Nessuno si
aspettava “Harry ed Haley, la coppia”.
Avevamo appena dato qualcosa di cui parlare a un
branco di adolescenti
annoiati. Perché, parliamoci chiaro, con cos’altro
ci si potrebbe svagare nella
scuola di una città piccola e insignificante come Holmes
Chapel?
Harry seguì la direzione del mio sguardo
e sospirò, gli lessi negli occhi che nemmeno lui avrebbe
voluto attirare tutta quell’attenzione. Fece un
passo indietro.
Una parte di me era delusa, perché un
po’ avevo sperato che fosse
consapevole di quella pubblica dimostrazione d’affetto.
«Ti dà fastidio?».
Fece spallucce. «Chi se ne
importa», disse e non sapevo se esserne
sollevata o meno.
Non gli importava baciarmi o non gli importava che
ci vedessero?
«Non vai a lezione?».
«No, e nemmeno tu»,
constatò.
«Già».
Le sue dita catturarono il ciuffo che gli era
caduto davanti agli occhi
e lo tirarono indietro. Nonostante
quel
gesto indicasse normalmente un certo nervosismo, il piccolo sorriso sul
suo
volto suggeriva che era di buon umore.
«Ti andrebbe.. uhm, di passare del tempo
insieme, suppongo?».
«Ma non puoi marinare la
scuola».
«La smetti di comportarti come fossi la
mia babysitter? Sono
maggiorenne, e per giunta più grande di te. Posso fare
quello che voglio»,
rideva, ma sapevo che non stava scherzando.
«Rilassati».
Sospirai, ancora indecisa se dargliela vinta o no,
ma lui aveva già
afferrato la mia mano e si stava dirigendo verso l’auto.
Britney’s POV
Sfilammo in fila a due a due davanti a quella
strega della Hopkins
mentre ci contava.
Liz approfittò del tempo che ci era
stato concesso lì fuori prima
dell’inizio dello spettacolo per fumarsi una sigaretta.
«Ieri sera sei sparita»,
commentò. «Stavo parlando con Jeffrey e poi
non ti ho più vista. Che ti è
successo?».
Roteai gli occhi nella direzione opposta alla sua,
sbuffando. «Niente,
mi ero stancata».
Ero sempre stata un’ottima bugiarda, ma
per qualche ragione dall’occhiata
che mi rivolse intuii che non era convinta.
«Non ho più visto nemmeno
Zayn», continuò. «E sono stata costretta
a
tornare a casa con Lou».
«Sì?», finsi
indifferenza, mentre il mio interesse per la locandina
appesa al muro con la scritta ‘Romeo&Juliet’
s’intensificava.
«Già. E poi tutti i ragazzi
della squadra sono così noiosi.. E banali.
L’unico degno della mia
attenzione non c’era e a quanto pare Miss Verginella se
l’è già accaparrato».
Gli tolsi la sigaretta di bocca e ne aspirai una
boccata. «Di che
parli?».
«Haley,
e chi sennò? Insomma,
lei ed Harry? Lo sanno tutti che non dureranno nemmeno una
settimana».
«E tu che ne sai scusa?»,
sbottai irritata.
Liz si riprese la sigaretta e la fece oscillare
davanti al mio viso, la
bocca piegata in un sorriso sardonico.
«Andiamo. L’ultimo ragazzo che
Haley ha avuto
è stato in terza media e tutto quello che hanno fatto
è stato sbaciucchiarsi e
tenersi la manina. Harry non è il tipo di ragazzo per lei,
lui ama il sesso
violento da una notte, quando si è tanto ubriachi da non
ricordarsi nemmeno il
proprio nome». Il ghigno si
allargò. «Ma tu
dovresti saperlo piuttosto bene».
La conversazione stava prendendo una strana
piega, che proprio non mi piaceva.
«Non parlare di cose che non
sai». Non
riuscii a nascondere l’irritazione. «Lui
è.. giusto, per lei».
«Mh, e da quando lo sopporti?».
Considerai l’ipotesi di mandarla
all’inferno,
ma ero grata che l’attenzione si fosse spostata dalla mia
assenza la sera
precedente. Stavo ancora decidendo se ero una totale idiota o solo
molto
disperata, non avevo bisogno di altri giudizi.
Ancora non riuscivo a credere di
aver baciato Zayn. Due volte.
Ed esserci andata a letto, mi ricordò il
mio subconscio.
«Non è che lo
sopporto», mi giustificai.
«Senti, non lo so. In qualche contorto e malato modo, non
dico che sono anime gemelle o sciocchezze simili, ma non riescono a
starsi lontani. La conosco bene e, anche se a volte preferirei di no,
conosco bene
anche Harry».
«Come vuoi», tagliò
corto.
***
SPAZIO
AUTRICE:
Uaaalalalala, amatemi, stavolta sono in anticipo.
Sì perché ultimamente sto scrivendo come una
sorta di macchinetta senza freni, quindi sono impaziente di farvi
leggere i prossimi capitoli.
Ho anche elaborato(?) un..come posso chiamarlo.. Un cast, diciamo.
Sì, gli attori che ho immaginato per la storia, e adesso ho
tipo la testa piena di queste immagini continue. :)
Passiamo ai ringraziamenti.
Prima di tutto i miei amorini, ila
and anny, stylesmadness, Alice Styles e Devil Night
Ma anche tutti gli
altri che hanno inserito la storia in qualche categoria e la stanno
leggendo, pian piano state aumentando e mi fa veramente un gran piacere.
Ah, e poi imploro qui - spero legga - quel tesoro di JaymeR di aggiornare la storia,
perché sto impazzendo.
Ora, un bacione a tutti, quanti e buona serata. Alla prossima. <3
#Allie
|
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Capitolo 20 *** Twenty ***
20. TWENTY
Haley’s POV
Il campanello tintinnò in cima alla porta quando Harry la aprì per me. Subito fummo investiti da un’ondata di calore e dalla musica alta del locale. Sembrava un pub, non l’avevo mai visto prima e per arrivarci avevamo impiegato una buona mezzora.
Harry appariva a suo agio, e capii dal modo sicuro in cui si mosse fino al tavolo sul lato est della stanza che c’era già stato. Il tavolo in questione era occupato da almeno una dozzina di persone.
Riconobbi il ciuffo rosso di Gordon, e seguirono Trevor, Colin e qualcun altro. C’era anche Lilith, la ragazza di Trevor e fu proprio di fianco a lei che decisi di sedermi quando Harry prese posto tra due suoi amici, senza preoccuparsi di mettermi in imbarazzo. Nessuno sembrava sorpreso di vedermi né aver colto qualche cambiamento tra me ed Harry. D’altronde perché avrebbero dovuto, dato che si stava comportando come niente fosse.
Lilith mi rivolse un sorriso luminoso, che accese i suoi lineamenti asiatici.
«Ehi, Haley. Come te la passi?».
«Piuttosto bene, e tu?».
Accettò il bicchiere che Trevor le porgeva e ne prese un sorso prima di rispondere. «Alla grande. Sei qui per sentire i ragazzi suonare, immagino».
«Veramente Harry non mi ha detto perché siamo qui».
Come sempre, aggiunsi mentalmente.
«Provano sempre qui, la settimana prima dei concerti», mi spiegò.
Aggrottai la fronte. «E saltano la scuola?».
Per qualche ragione scoppiò a ridere, ridere di gusto. Guardai incuriosita i tatuaggi sui suoi avambracci mentre si reggeva al tavolo per non cadere all’indietro, dondolandosi sulla sedia. Erano così fitti e diversi tra loro, alcuni neri, altri colorati. Non riuscivo a immaginare perché una ragazza dovesse sentire il bisogno di conciarsi in quel modo.
Volevo chiederle perché stesse ridendo, ma Trevor e gli altri si alzarono e salirono sul piccolo palco, lasciando vuoti più della metà dei posti.
Sbirciai con la coda dell’occhio verso Harry, per vedere se si sarebbe avvicinato, ma non lo fece.
«Era un po’ che non ti si vedeva in giro», osservò la ragazza.
Mi mossi sulla sedia a disagio, cercando di rivolgerle un sorriso il più sincero possibile. Come spiegarle che, per un po’, avevo smesso di essere il cagnolino da compagnia di Harry?
Un cane da compagnia Haley, sul serio?
La musica proveniente dalle casse sparse un po’ ovunque venne spenta per lasciar iniziare i ragazzi.
Il primo ad attaccare fu il batterista, che diede il via alla prima canzone. Il brano mi era familiare, la mia mente riportò alla memoria i pomeriggi passati in compagnia di Harry nel garage di Trevor.
Lilith batteva le mani a tempo di musica, con un sorriso che si specchiava in quello del suo ragazzo, il quale sembrava cantare soltanto per lei. Erano davvero dolci, anche se non riuscivo a trovare niente di romantico in quella musica rabbiosa. L’amore che cantavano era qualcosa di forte, meschino, distruttivo, a cui non si sopravvive senza restarne feriti.
I miei occhi cercarono involontariamente quelli di Harry. Stava parlando con un ragazzo biondo ma il suo sguardo incontrò quasi subito il mio. Avvertii qualcosa esplodere dentro il mio stomaco e, come una stupida timida adolescente, interruppi il contatto arrossendo.
Un ragazzo dai capelli ispidi e rossicci che mi pareva chiamarsi Tyler, si sporse verso Lilith con un ghigno.
«Andiamo, non vorrete farmi venire il diabete?», la provocò. «Se non sapessi di per certo che scopate come conigli penserei che Trevor è diventato gay».
Tutti i presenti risero, Harry compreso. Realizzai solo allora che, prima che arrivassimo, Lilith era l’unica ragazza lì in mezzo, ma ciò non sembrava metterla a disagio.
Lei non distolse lo sguardo da quello del fidanzato, tuttavia sorrise all’amico.
«Brutta bestia l’invidia ragazzi».
«Invidia?», continuò Tyler. «Certo, siamo molto invidiosi del fortunato Trevor che non può farsi chi vuole, quando vuole, mentre prima di domattina noi ci avremo dato dentro con almeno tre ragazze diverse».
Lei scosse la testa, ma li lasciò ridere. «State spaventando Haley coi vostri discorsi da maschi sessisti», li rimbeccò.
«Oh, ma Haley ci è abituata, non è vero Harry? Scommetto che forse le hai anche insegnato qualcosina..».
«Chiudi quella bocca», Harry parlò duramente. Sembrò accorgersi di quanto strano fosse parso a tutti il suo modo brusco, quindi si sforzò di sorridere, come avesse voluto intendere “così, tanto per dire”.
E funzionò, perché allora l’amico proseguì. «State dicendo che non avete mai fatto sesso?».
Harry sbuffò. «Perché avremmo dovuto?».
«Non lo so amico.. tu sei un uomo, e lei è una donna». I suoi piccoli occhi vuoti si fermarono all'altezza del mio petto.
«Un’osservazione davvero brillante», intervenni acida. «Uomo più donna uguale sesso. Solo perché due persone si frequentano non significa che..».
Mi resi conto di quello che avevo appena detto, gli sguardi di tutti erano puntati su di me.
Harry aveva gli occhi fuori dalle orbite, la mano bloccata a mezz’aria.
«Voi due vi frequentate?», Tyler era sul punto di soffocare per le risate.
Aprii la bocca, ma Harry mi precedette.
«No», il suo tono era strano. «Era un fottuto esempio».
L’aria intorno a noi sembrò alleggerirsi, ma non quella che gravitava tra me ed Harry.
Aveva negato. Aveva negato davanti ai suoi amici.
Perché diamine continuavo ad essere così stupida? Lui era Harry Styles, aveva la sua maledetta reputazione da mantenere.
Mi alzai in piedi e subito sentii gli occhi di Harry addosso.
«Vado in bagno», risposi all’occhiata interrogativa di Lilith.
Una volta al riparo da qualsiasi tipo di attenzioni da parte degli amici di Harry, mi permisi di lasciarmi andare contro le piastrelle fredde della parete.
Se avessi potuto mi sarei presa a sberle da sola, mi sentivo così umiliata.
Che cosa stavamo facendo? Che cosa stavo facendo. Sì, perché la colpa era mia, sapevo bene con chi avevo a che fare, l’avevo sempre saputo. Lui non aveva storie serie, con nessuna. L’avevo capito la prima volta che ci avevo parlato, a quella festa, nello stesso momento in cui avevo deciso che qualsiasi sentimento, seppur lieve, che nutrivo verso di lui, andava seppellito. E l’avevo fatto davvero bene, fino ad allora.
Lo compresi solo in quell’istante, lontana dall’influenza dei suoi occhi magnetici, che era troppo tardi.
A me importava di lui più di quanto a lui importasse di me, lo sapevo anche prima di tutto questo certo, ma ora era diverso. Perché non si trattava più del suo sottovalutare la nostra amicizia e basta.
Mi stavo innamorando.
Qualcuno bussò delicatamente alla porta, riportandomi alla realtà.
«Haley, va tutto bene?», domandò Lilith dall’esterno. «Sei lì dentro da un po’».
Aprii la bocca un paio di volte, non ero sicura di come sarebbe uscita la mia voce.
Non mi ero accorta fosse passato tutto quel tempo.
«Sì, sto arrivando scusa».
Tirai un profondo respiro e uscii. Mi accolse con un sorriso caloroso prima di prendermi a braccetto.
«Sul serio, non far caso alle stronzate di Tyler e gli altri, sono solo degli idioti».
«Non importa», la rassicurai.
Tesi le orecchie in ascolto non appena delle familiari note introdussero una nuova canzone.
«Ma.. questa canzone! Non sono i Fall Out Boy?».
«Sì, i ragazzi suonano molte cover. Non credevo li conoscessi».
«Scherzi? Sono fortissimi».
La sua espressione era sinceramente incredula, sicuramente avrebbe detto fossi più il tipo da musica barocca e cantanti lirici. Il che non era del tutto errato, ma talvolta mi piaceva sperimentare nuovi generi.
Fece per dire qualcosa, ma il suo sguardo si fermò in punto preciso, il sorriso le morì sul volto.
Nel frattempo la voce di Trevor riempì le casse, i bassi mi rimbombavano nel petto.
« Say my name and his in the same breath, I dare you to say they taste the same ».
Mi guardai intorno spaesata, alla ricerca di ciò che aveva così intensamente turbato Lilith.
« Let the leaves fall off in the summer, and let December glow in flames ».
Eravamo ormai vicine al tavolo e impiegai qualche secondo a capire che era proprio lì che guardava.
Seguii il suo sguardo impazientemente.
Sentii il respiro venire risucchiato via, il cuore diventare un immobile pesante macigno.
Per un momento sperai di aver visto male, ma ero sicura di non starmi immaginando la ragazza seduta sulle ginocchia di Harry, che proprio in quel momento gli sussurrava all’orecchio qualcosa che in tutta probabilità era meglio non udissi.
La mano di lui era appoggiata sulla sua coscia seminuda, e a nessuno sembrava importare o farci caso. C’erano altre ragazze, due delle quali erano sedute al posto mio e di Lilith.
Questa mi disse qualcosa che non riuscii ad afferrare, tutto ciò che mi arrivava alle orecchie erano le parole della canzone ovattate dal rumore del mio cuore che pulsava.
Il ritornello esplose nell’esatto momento in cui i miei occhi incontrarono quelli di Harry.
« I don't care what you think as long as it's about me, the best of us can find happiness in misery ».
Vidi tutti i colori prosciugarsi dal suo volto, le labbra dischiudersi inconsapevolmente.
« I said, I don't care what you think as long as it's about me the best of us can find happiness in misery ».
La ragazza si tirò su, e di nuovo avvertii una scheggia trapassarmi da parte a parte quando riconobbi il suo volto.
«Lilith! Oh, e guarda un po’, la piccola Haley», il modo in cui le parole uscirono dalle sue labbra rosse mi ricordò un serpente a sonagli.
Olivia. La ragazza con cui Harry si era trastullato per maggior tempo, la stessa che era stata anche con Trevor, e qualcun altro. Lei e le sue amiche non facevano esattamente parte del gruppo, ma di tanto in tanto si ritrovavano a uscire con loro.
«Che c’è, non si saluta più una vecchia amica?».
«Per quanto mi riguarda non siamo mai state amiche». Il tono rigido di Lilith mi sorprese.
«Woah, ritira gli artigli Shanghai. Che razza di benvenuto, meno male che c’è qualcuno disposto a scaldare l’atmosfera, altrimenti qui si gelerebbe», soffiò facendo le fusa verso Harry.
Mi sembrò che i piedi si muovessero da soli, perché quando mi ritrovai fuori, in mezzo alla pioggia scrosciante, non ricordavo come ci fossi arrivata.
Mi fermai, rendendomi conto che non avevo idea di dove andare né di quanto lontano da Holmes Chapel ci trovassimo.
L’aria gelida mi frustava il viso e i capelli. La porta del pub si spalancò di colpo.
«Haley, ferma!», il suo viso era arrossato nello sforzo di sovrastare l’urlo del vento.
Mi fermai, non perché non avessi nessun modo per andarmene, ma perché volevo sentire quello che aveva da dirmi. Me lo doveva.
Sembrò sorpreso quando mi voltai, ferma sui due piedi, di certo non si aspettava che gli dessi ascolto.
«Cos’altro vuoi da me, Harry?», stavo urlando più forte di lui.
Alzò le braccia esasperato. «Si può sapere qual è il tuo problema?».
Per fortuna eravamo gli unici pazzi sotto quell’acquazzone, altrimenti avremmo dato un bello spettacolo.
«Scusami?», avrei voluto gridare più forte, per riversare ancora più rabbia su di lui, ma stavo utilizzando gran parte delle energie per non piangere di nuovo.
«Quale sarebbe il mio problema? Dici che mi vuoi, fai tutti quei discorsi, mi cerchi ogni volta riempendomi con le tue merdate e un attimo dopo torni lo stronzo che sei, e poi questo!».
Ero stupita dalla severità delle mie stesse parole, ma fui contenta di vedere che l’avevano colpito come desiderato.
«Lei non significa un cazzo, mi si è spalmata contro da sola!».
«Certo, per questo non l’hai mandata via. Che terribile dispiacere, povero Harry in trappola!».
Il mio duro sarcasmo lo fece innervosire.
«Non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio, tantomeno a te!».
Per un momento le sue parole mi lasciarono tramortita, come il veleno di un pericoloso predatore.
«Già», la voce mi uscì fievole. «Peccato che me ne sia accorta soltanto adesso».
Per una volta sembrò a corto di parole, e riecco quell’increspatura sulla fronte.
«E questo che cosa dovrebbe significare?».
Sospirai, esausta. «Che non importa quante volte proveremo a fingere, tu non vai bene per me». Qualcosa gli attraversò lo sguardo, qualcosa di molto simile al dolore. «E io non vado bene per te».
Cercò di prendermi la mano, ma mi scostai.
«Non parli sul serio», sapevo che la sua voce non era controllata quanto avrebbe voluto.
«Sì, invece. L’ho capito, sai? Non sono così cieca da non vedere che ti vergogni».
«Che?».
«Non vuoi che nessuno sappia di noi, non vuoi che i tuoi amici lo sappiano».
Cercai con la mano il telefono in un gesto meccanico, ma ricordai di averlo lasciato nello zaino a casa di Harry, appena prima di venire qui. Fantastico.
Vidi Lilith comparire sulla soglia, così presi a camminare verso di lei. Dovevo andarmene di lì.
«Non è così», lo sentii dire, ma non mi fermai.
Rivolsi a Lilith un sorriso di scuse. «Hai un telefono? Vorrei chiamare un taxi».
«Non qui, ma posso portarti a casa io se vuoi».
Non sapevo che dire. Odiavo dovermi approfittare di lei, ciononostante non avevo mai avuto bisogno di un passaggio come in quel momento.
«Io.. Non è un problema per te?».
«Dove stai andando?».
Harry mi aveva raggiunto sotto la tettoia. Mi afferrò per il braccio, ma me lo scrollai di dosso.
«No di certo, avverto Trevor e arrivo», disse Lilith prima di sparire all’interno.
Fui costretta a voltarmi di nuovo, maledicendo l’enorme differenza tra la sua forza e la mia.
«Rispondimi».
«Da che pulpito!».
Con i denti si torturava l’estremità del labbro inferiore. «Non puoi andartene e basta».
«Oh, posso eccome ed è proprio quello che farò».
Avevo deciso di cambiare strategia e smettere di urlare, più per necessità che per vero e proprio autocontrollo.
Non si poteva dire lo stesso di lui. «Lo vedi come sei? Te ne vai fottutamente sempre».
«Continui a ripeterlo, continui a dire che me ne vado ma non ti chiedi perché».
«Allora spiegamelo», la sua voce spezzata rendeva più faticoso mantenere la mia posizione.
Distolsi l’attenzione dal suo viso, per non cadere nel tranello. Sotto a quella finta vulnerabilità doveva esserci qualche altra arma letale pronta per essere usata, ci avrei scommesso.
«Mi tengo lontana dalle cose che mi feriscono».
Non mi riferivo solo a lui, principalmente, ma non solo.
«Non voglio essere una di queste cose».
«Già». Finalmente vidi Lilith uscire con le chiavi dell’auto in mano. «Non sempre le cose vanno come si vorrebbe».
La ragazza guardò prima me poi Harry con l’aria di una che la sapeva lunga.
«È un brutto momento? Posso tornare den..».
«Sì, torna dentro», disse Harry senza levare gli occhi dai miei.
Fui io a staccarli per prima. «No, possiamo andare».
Lilith ricevette un’occhiata di fuoco da parte di Harry, ma non si lasciò intimidire.
«Forza», disse e la seguii fino alla macchina.
Harry ci rimase alle calcagna, continuando a chiamarmi invano.
Si mise in mezzo per impedirmi di chiudere la portiera quando stavamo per partire.
«Haley ti prego».
I capelli, neri e bagnati, sprigionavano grosse gocce sul suo viso, come le lacrime che non avrebbe mai versato, né per me né per nessun altro.
«Parlami almeno, ma non andartene».
«Non ho più niente da dirti».
Strinse la portiera tra le mani quando tentai di nuovo di chiuderla. «Ma io sì, devi ascoltarmi».
«Perché non torni da Olivia?», quel nome aveva un sapore strano nella mia bocca.
«Smettila».
«Sì, subito».
Approfittai del suo stato confusionario per spingerlo indietro e chiudere la portiera.
Bloccai la sicura appena in tempo, perché subito ripartì all’attacco.
Lilith si affrettò a mettere in moto, l’auto prese vita con un rombo. M’impedii di guardare verso Harry che continuava a imprecare, battendo le mani contro il finestrino.
I secondi mi sembrarono durare un’infinità prima che cominciassimo ad avanzare. Non riuscii a evitare di girare la testa per assicurarmi che non si fosse fatto male.
Supponevo sarebbe stato meglio non farlo, quello che non immaginavo era di trovare un paio di occhi disperati dall’altra parte del vetro. Sentii i polmoni svuotarsi dell’aria quando le sue labbra pronunciarono il mio nome ripetutamente, l’istinto mi urlava di scendere lì e correre da lui.
Ma avevo già avuto molteplici prove di quanto il mio istinto fosse ingannevole, specialmente quando si trattava di quel ragazzo.
Lilith accelerò e presto Harry fu costretto a fermarsi, non prima di aver colpito il mio finestrino con un pugno violento.
«Mi dispiace davvero», dissi quando la sagoma di Harry fu completamente sparita dalla nostra vista. «Non volevo trascinarti in mezzo a questa cosa, lui è tuo amico».
«Non più di quanto lo sia tu».
Mi lasciai andare contro il sedile, rivolgendole un sorriso stanco ma sincero. «Grazie».
Sperai che cogliesse veramente tutta la gratitudine nei suoi confronti, davvero non avrei saputo come fare altrimenti.
«Quindi è vero», esordì. «Tu e lui».
Scossi la testa impercettibilmente, mi sentivo prosciugata di tutte le energie.
Seguii il ritmo regolare del tergicristalli per un po’ prima di rispondere. «No. Eravamo amici, e adesso neanche più quello».
«Non penso siate mai stati soltanto amici».
Serrai gli occhi, Brit aveva detto esattamente la stessa cosa.
«Amici con benefici, forse è questo che Harry vuole che siamo. Ma non sono disposta ad essere l’amica con benefici né sua né di nessun altro». Le mie guance si fecero bollenti non appena realizzai di aver dato voce ai miei pensieri.
«Può darsi», disse tranquillamente. «Ma io non mi metterei ad inseguire un’auto per un amico con benefici».
Furono le ultime parole prima che il silenzio calasse.
***
«Dove vuoi che mi fermi?».
«Qui va bene», dissi, facendole segno qualche metro prima del viale di casa mia. «Davvero, non so come ringraziarti».
Si limitò a scrollare le spalle, un sorriso gentile sulla bocca stretta.
«Non c’è problema».
Restare da sola non mi giovò quanto pensavo. Senza nient’altro con cui tenersi occupata la mia testa era libera di vagare quanto le pareva, torturandomi. Mi concentrai quindi sui compiti, l’unica cosa che riusciva a prendermi sul serio.
Karen tornò appena un paio d’ore dopo, come sempre in compagnia di almeno due sportine del negozio.
«Haley? Che stai facendo qui?».
«Sono uscita prima», mentii. Non sapevo quello che i miei le avevano detto riguardo la loro separazione, quindi decisi di tenere nascosta la verità per il momento.
«No, intendo.. Dovresti essere di sopra a preparare le tue cose».
Studiai il suo viso rotondo disorientata. «Che vuoi dire?».
«Tua madre ha detto di averti lasciato un messaggio. Tra meno di mezz’ora verrà qui, a prenderti».
Accidenti. Dovevo assolutamente recuperare il mio cellulare.
«Vuoi dire che ci trasferiamo? E dove?».
«Questo non lo so. Avanti andiamo, ti aiuto a fare i bagagli».
Ci affrettammo in camera mia a preparare le valigie e, poco dopo, mia madre si presentò puntualissima.
Con la parte di soldi che le spettava era riuscita a trovare una casa in periferia, molto più piccola di quella vecchia e con un giardino trascurato. L'intero edificio era in mattoni rossi, la maggior parte consumati dal tempo, con una piccola veranda in legno situata direttamente nel porticato. La facciata nord era quasi interamente ricoperta di edera che oscurava un paio di finestre, ma trovavo che le donasse un tocco di mistero niente male.
Ci concedemmo del tempo per guardarci intorno una volta dentro. Abituarsi non sarebbe stato semplice, dopo aver vissuto per tutto quel tempo in una villa a tre piani.
«C’è solo un bagno e non è un granché, lo so ma..».
«Andrà bene», la rassicurai abbracciandola.
Più tardi, quando ci fummo sistemate del tutto e dopo aver dato una ripulita, ordinammo una pizza per cena.
Sapevo già che avrebbe approfittato di quel momento di tranquillità per parlare, perciò quando lo fece non mi trovai impreparata.
«Ho fatto un resoconto della situazione, in questi giorni». Mentre parlava continuava a torturare le croste di pizza rimaste nel cartone. «Togliendo i soldi per la casa non ci è rimasto molto, e dobbiamo risparmiare finché non troverò un lavoro. Siccome ho esperienza nel settore ho pensato..».
«Mamma», la fermai. «Possiamo chiedere a papà di aiutarci».
I suoi occhi marroni guizzarono verso le dita lunghe e magre. Mi lanciò un’occhiata ma non disse nulla.
«Cosa?», incalzai.
«Se n’è andato, Haley».
Annuii. «Lo so, sta concludendo quegli affari che avete lasciato in sospeso, ma quando tornerà..».
«Amore», il suo tono non era mai stato più indulgente. «Lui non tornerà».
Potei leggere chiaramente la compassione nei suoi occhi mentre la maschera di serenità che avevo creato si sgretolava davanti a lei.
«Che vuoi dire? Lui abita ancora qui».
«Non per molto. Venderà la casa e lascerà la città a breve».
«E il lavoro? L’impresa è stata.. Oh».
Realizzai da sola tutto ciò che nelle ultime settimane mia madre aveva evitato di dirmi.
Le dimissioni erano solo per lei, l’azienda esisteva ancora. Quel nuovo inizio era solo per noi due.
«Lui.. non ha mai voluto avermi con sé, non è vero?».
Guardò altrove, sperando forse che il bagnato agli angoli degli occhi passasse inosservato.
«Non è per te, H. Lui ti vuole molto bene, ma non avrebbe potuto essere un buon genitore. Non ci sarebbe stato praticamente mai».
«Perché invece in tutti questi anni è stato molto diverso, non è vero?».
Mi pentii delle mie parole appena dopo averle pronunciate. Il dolore era ben visibile nel suo sguardo, ma era quello che pensavo.
«Sto cercando un lavoro il più vicino possibile».
Sentii un fiume di parole pizzicarmi la lingua, quindi mi limitai ad annuire. Sapevo di essere nervosa anche per ciò che era successo con Harry e non volevo che la mia lingua lunga la ferisse ancora. Dopotutto non potevo prendermela con lei, se mio padre era uno stronzo. Se Harry, era uno stronzo.
Decisi di andare a letto presto e nel frattempo pensare a un modo per recuperare la mia roba a casa di Harry. Dopo la mia fuga disperata non potevo semplicemente presentarmi da lui con la coda tra le gambe, non importava quale fosse la ragione.
Mi tormentai con pensieri alternati tra questo, mio padre, il nuovo lavoro ancora inesistente di mia madre, finché vinta dalla stanchezza, non mi addormentai.
***
SPAZIO AUTRICE:
Salve a tutti, spero abbiate passato delle belle festività. Non mi dilungherò molto, ci tenevo solo a capire se il capitolo precedente non vi fosse piaciuto, visto che ha ottenuto soltanto tre recensioni (ne approfitto per ringraziare quelle tre persone che mi riempiono sempre di felicità con le loro parole <3). In ogni caso spero che questo vi piaccia di più, un bacio a tutti voi che leggete. A presto x
#Allie |
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Capitolo 21 *** Twenty One ***
21. TWENTY ONE
Britney’s POV
«Qualcuno può spiegarmi dove diavolo
è Jennifer?», la mia voce zittì il
chiacchiericcio delle ragazze all'interno della palestra.
«Siamo in dodici, senza di lei la coreografia non si
può fare».
«Ne servono tredici».
Un piccolo sorriso affettato mi si congelò in
faccia. «Grazie, Lindsay».
«Non può ancora muoversi»,
spiegò.
Tirai un respiro profondo, contando mentalmente fino a dieci
prima di incenerirle tutte. Avevamo meno di un mese prima della
trasferta per il torneo a Chester e dovevamo essere assolutamente
pronte.
«E quanto tempo pensi che la terrà ferma
una minuscola slogatura al polso?», la mia voce
incredibilmente sottile, le labbra tirate.
«Veramente era una microfrattura, alla
caviglia».
Strinsi i pugni l’uno contro l’altro, le
mie guance erano così tese che avrebbero potuto strapparsi.
Tutte le ragazze mi fissavano timorose.
«Già», ripresi. «E
dato che sei così illuminante oggi... Che ne dici di
proporre una soluzione decente?», la mia voce esplose alla
fine della frase.
Camminavo avanti e indietro davanti a loro, le mani puntate
contro le tempie. Il cheerleading era l’unica cosa decente in
quella scuola del suicidio, e anche l’unica che rendeva quasi
irrilevanti i miei voti insoddisfacenti.
Non c’era tempo per reclutare una novellina che a
malapena sapesse cosa fosse una rondata e insegnarle tutto daccapo.
«Potremmo riadattare la coreografia»,
propose lei.
Immagini di me che le sbattevo ripetutamente la testa contro
il muro mi scivolarono davanti agli occhi. No. Non
avrebbe sicuramente giovato a nessuno, non sarei riuscita a
rompergliela e avrei ottenuto soltanto un’altra cheerleader
infortunata. O comunque con la faccia ammaccata, il che equivaleva a un
disastro.
Avanti Britney pensa, pensa a qualcosa di sensato..
«Uhm, Britney?».
«Cosa?», sbottai.
Avevano tutte gli occhi fissi dietro le mie spalle, e dalle
loro espressioni non ci volle un genio per intuire chi stava arrivando.
Harry si avvicinò, con la sua aria da eterno
incazzato che non aiutava a tenere concentrate le mie ragazze. Dovetti
mordermi la lingua per non far notare a Lindsay che stava lavando il
pavimento con la sua bava.
«Che vuoi adesso? Haley non
è..». Una lampadina si accese nella mia testa.
«Haley. Ma certo,
accidenti che idiota! Ah, Dio esiste. E ora levati Harry, se ti serve
puoi aiutarmi a cercarla».
Si accigliò. «Veramente cercavo
te».
«Che? Adesso non posso, come vedi sono
impegnata».
Sbuffò e lanciò
un’occhiataccia a Tina e Loren, che subito distolsero lo
sguardo imbarazzate. «Si tratta di Haley».
Alzai gli occhi al cielo. «Non mi dire».
Valutai la possibilità di mandare a farsi fottere
lui, i suoi comportamenti da coglione e l’infinità
di casini che gli procuravano.
«D’accordo, ti ascolto», dissi
invece.
Il suo sguardo torvo si fermò sul gruppetto di
liceali in piena crisi ormonale che era diventata la mia squadra.
«Non con le tue amichette che continuano a
fissare», bofonchiò.
Levai gli occhi al soffitto, per la seconda volta nel giro di
un minuto. Mi mancavano i tempi in cui Harry ed Haley erano solo due
amici troppo amici, causavano meno rotture.
«Cinque minuti di pausa, non un secondo di
più», abbaiai.
Quando anche l’ultima fu sparita dentro lo
spogliatoio, mi rivolsi a Harry.
«Ho..».
«Hai fatto un casino», recitai al suo
posto.
«Non era quello che intendevo!». Mi
seguì sulle tribune aggirando il campo da basket.
«Beh, sì».
Sorrisi compiaciuta e mi sedetti, accavallando le
gambe. «E a me dovrebbe interessare
perché..?».
«Perché devi aiutarmi, cazzo. Non vuole
parlarmi, non risponde nemmeno al telefono, è
spento».
«Che hai fatto?».
Si prese qualche secondo prima di rispondere. Potevo quasi
sentire le rotelline del suo cervello attivarsi per rendere meno brutta
la versione dei fatti. «Ieri mi sono comportato da stronzo
quando eravamo con Trevor, Colin e gli altri e.. E poi è
arrivata Olivia, che mi si è attaccata come una
sanguisuga».
«In che senso ti sei comportato da
stronzo?».
Aprì la bocca per sputare qualche insulto, ma poi
prese la saggia decisione di richiuderla. Dopo qualche secondo di
incertezza, si decise a raccontarmi l’esatto svolgimento
della vicenda.
Mi detti qualche secondo per assimilare la confessione.
«Sei ufficialmente uno stronzo», conclusi.
Adesso si spiegava il suo comportamento strano di quella mattina.
«Così sì che sei
d’aiuto».
Non credevo di non averlo mai visto così agitato e,
onestamente, provavo pietà per lui.
«Prima di chiedere il mio di
aiuto, prova a imparare ad aiutarti da solo. E ora spiegami, per quale
motivo dovrei farlo?».
«Beh perché... Arrivo, un
secondo!», rispose ai compagni che lo richiamavano
all’allenamento. «Perché te
l’ho chiesto, ad esempio».
«Molto democratico da parte tua».
Sospirò e lanciò l’ennesima
occhiata apprensiva verso il campo. Sbaglio o qualcuno aveva paura che
il coach s’infuriasse? D’altro canto era la prima
volta che lo vedevo lasciare tutto nel bel mezzo di un allenamento, e
non potei che apprezzarlo.
«Almeno dimmi perché diavolo avresti
fatto una cosa simile».
«Non lo so! Perché sono un cazzone,
suppongo».
Strinsi gli occhi. «Su questo non ci piove. Credo
che abbia a che fare col fatto che davanti ai tuoi amici questa cosa si
amplifica. Puah, con quella sgualdrina di Olivia poi?».
«Ho detto che non me ne fotte un cazzo! Non lo so
perché non me la sono tolta di dosso».
Scossi la testa, reprimendo un sospiro frustrato. Era un
coglione, ma non potevo negare che a lei ci teneva.
«Cosa vorresti che facessi?», gli chiesi.
Smise per un attimo di torturarsi l’orlo della
canotta e alzò la testa.
«Uhm, potresti.. Tipo dirmi quando potrei parlare
con lei, senza che se ne vada?».
Vidi con la coda dell’occhio le ragazze tornare pian
piano in campo. «Che? Non sono la sua babysitter, se non
vuole ascoltarti non posso impedirglielo!».
Ero irritata perché mi stava facendo perdere tempo,
ma anche divertita da questa strana versione impacciata di Harry. Mi
fissò di rimando come se non avesse sentito le mie ultime
parole.
Sbuffai e presi a digitare sul mio cellulare.
«Che stai facendo?».
«Sta zitto, e vai a questo indirizzo dopo la scuola.
Abita lì adesso, farò in modo che sia
lì per quell’ora».
«Sul serio lo farai?». Il suo viso perse
per un momento quell’espressione scontrosa.
Ricambiai la sua occhiata senza preoccuparmi di mascherare il
divertimento.
«Sì, non è chissà
cosa».
Sospirò sollevato e si alzò per tornare
in campo. «Grazie a Dio».
«No, grazie a me».
Voltò appena il viso indietro, e quando lo fece, la
sua bocca era dipinta in un ghigno.
***
Haley’s POV
«Così è questa?». Il
disgusto sul volto di Britney cresceva di secondo in secondo.
«Mi rincresce dirtelo così tesoro, ma è
orribile», commentò ispezionando la mia nuova
stanza.
«Non è orribile», la difesi.
«Solo.. è un po’ più piccola
e vissuta».
Non era così male, se si escludevano le bolle nel
legno del pavimento e qualche macchia sui muri bianchi. Ero sicura che
dopo averla riempita un po’ e personalizzata magari, sarebbe
stata molto più carina.
«Dì pure vecchia».
Il suo sguardo si fermò sulla sottile crepa nera
che spuntava da dietro l’armadio. Arricciò il naso.
«Lo sai vero che puoi ancora stare da me?».
Ridacchiai, solo lei riusciva a mettere una buona dose di
premura e una altrettanto consistente di malignità nella
stessa frase. «Grazie, ma resterò qui. Credo che
mia madre stia tentando di riavvicinarsi e..».
Qualcuno bussò alla porta. Britney batté
le mani e le strofinò.
«Bene, il mio lavoro qui è finito. Per
ora».
«Cosa? Ma che..?».
Quando aprì la porta della mia stanza rimasi
paralizzata nel riconoscere Harry.
«Cerca di essere un po’ meno.. beh, tu»,
la sentii sibilargli all’orecchio.
«Ma che sta succedendo? Perché lui
è qui?».
Brit intanto era già a metà della rampa
di scale. «Colpa mia».
«Perché l’hai portato
qui?», ruggii.
«Io sono proprio qui fuori. Se vi serve qualcosa,
non chiamatemi», urlò a sua volta.
Udii la porta d’ingresso sbattere poco dopo.
Harry aprì la bocca per parlare ma lo sorpassai.
«Non voglio parlare con te».
E per rendere più credibili le mie parole scesi al
piano di sotto, sperando che mi seguisse soltanto per andarsene. O
forse non quello che speravo, ma ciò che era meglio facesse.
«Infatti, ma devi solo ascoltare».
Soppesai per un momento le due opzioni che avevo davanti.
Potevo sbraitargli contro affinché mi lasciasse in pace, ma
ero certa che non l’avrebbe fatto senza prima fare una
scenata e sarei finita col piangere, ancora. Altrimenti, presi in
considerazione l’idea di lasciarlo parlare e sorbirmi un
altro po’ delle vili giustificazioni che aveva preparato per
me. Alzai gli occhi al cielo e mi sedetti sul divano, a braccia
incrociate.
«Oh, grazie», disse.
«Ancora non capisco perché ti prendi
tanto disturbo», mentre parlavo evitavo di guardarlo,
perché una rapida occhiata appena l’avevo visto
sulla soglia, mi era bastata per cogliere i jeans a vita bassa e la
maglietta nera che gli aderiva al petto in quel modo dannatamente
perfetto...
Per l’amor del cielo Haley, finiscila.
«Cosa? Come fai a non capirlo?».
Alzai le sopracciglia interdetta. Doveva starsi prendendo
gioco di me, eppure non captai nessun segno d'ilarità nei
suoi occhi.
«Come non faccio a non capire cosa
Harry? Cosa dovrebbe suggerirmi il tuo comportamento da stronzo, se non
che non ti importa niente di nessuno a parte te stesso!?».
Non avevo programmato di scaldarmi in quel modo, ma ormai la
rabbia era in circolo.
«Non sono stato solo uno stronzo con te. Cazzo
Haley, sei la persona con cui lo sono meno, se qualcosa!».
«Allora devi seriamente lavorarci sopra,
perché non è che ti riesca molto bene».
E rieccoci a urlarci di nuovo contro, evidentemente il giorno
prima non gli era bastato.
«Lo so e mi dispiace, ma non.. Non so
perché, lo faccio e basta».
«Quindi è questa? La tua
spiegazione», le parole troppo affrettate perché
riuscissi a trasmettergli il totale disinteressamento che avrei voluto.
«Tu lo fai e basta».
«Io.. sì, cioè no,
no». I capelli vennero scompigliati dalle sue mani nervose.
«Dannazione».
Prese a camminare avanti e indietro, le labbra serrate. Questo
suo essere inquieto mi era totalmente nuovo e sconosciuto, giustificai
con questo il mio improvviso silenzio.
Fermò i suoi passi rapidi proprio di fronte a me e
aprì la bocca, soltanto per richiuderla subito dopo.
«Come pensavo», mi sentii dire.
Frenai la delusione prima che crescesse troppo, ricordando a
me stessa che era esattamente quello che mi aspettavo.
Quello che non immaginavo invece era che Harry, senza
più degnarmi di uno sguardo, girasse i tacchi e se ne
andasse.
***
Capii di essere rimasta impietrita a fissare il vuoto solo
quando Britney, dopo molti o forse non così tanti minuti,
venne a scuotermi dal mio torpore.
Non mi chiese cosa ci fossimo detti, quindi immaginai che in
qualche modo ne fosse già a conoscenza, sorprendentemente
non m’importava se avesse parlato con Harry.
Aveva reso abbastanza chiaro che non avevamo più
nulla da dirci, quindi la questione poteva dirsi chiusa. Noi
avevamo chiuso.
Alzai il viso verso quello di Brit, percepivo che si stava
trattenendo dal dire qualcosa che avrebbe voluto. La verità
era che non avrebbe dovuto farlo venire, ma non avevo né la
forza né la voglia di essere arrabbiata con lei. I nostri
occhi s’incontrarono per un breve secondo prima che parlasse.
«Non ha la minima idea di quello che sta lasciando
andare», sbottò prima di cingermi con le sue
braccia.
Mi lasciai stritolare senza dire una parola, confortata dal
suo abbraccio come mai prima.
«Stai bene?», sussurrò, il viso
seppellito tra i miei capelli.
Stavo bene? Il ragazzo di cui avevo realizzato starmi
innamorando appena il giorno prima non solo non ricambiava i miei
sentimenti – questo lo sapevo già da tempo e
poteva anche starmi bene – ma aveva appena segnato la fine di
qualsiasi cosa fossimo mai stati. Perciò no, non stavo
affatto bene.
«Ci starò».
«Ne vuoi parlare?».
Annuii, ma invece che di Harry le raccontai di mio padre, le
mie parole mi sembravano lontane e riecheggianti, come fosse stato
qualcun altro a pronunciarle. Ciò che sapevo colpirla di
più era la facilità con cui ne stavo parlando. Mi
rendevo conto, non senza un pizzico di senso di colpa, che il dolore
per quello che stava accadendo ai miei genitori non era nulla
paragonato all’enorme voragine che Harry aveva aperto
andandosene.
«Cos’hai intenzione di fare?».
Mi strinsi nella spalle. «Non lo so,
troverò un lavoro mio. Magari alla biblioteca».
«Posso chiedere in giro, se vuoi».
Annuii energicamente. «Sarebbe fantastico».
«Quando vorresti…». Il suo
cellulare prese a squillare, interrompendola. Alzò un dito
prima di rispondere. «Sì?». La voce
femminile all’altro capo del telefono sembrava agitata, non
riuscivo a distinguere le parole ma avvertivo quanto fossero affannate.
«Che cosa? Mi prendi in giro?». Il tono della mia
amica si era già alzato di parecchie ottave. «Due
mesi e mezzo?! No, adesso non posso chiederle una cosa simile..
Ascolta, va bene. Tienile buone per altri dieci minuti, sto
arrivando».
Riattaccò, rilasciando un profondo respiro.
«Una rivoluzione cheerleader, il dovere chiama»,
spiegò dispiaciuta.
«Non preoccuparti, vai».
«Ma tu..».
«Io starò bene», la rassicurai.
«Sto bene», mi corressi dopo
aver registrato il tono insicuro della mia voce.
Mi studiò, come per accertarsi che avessi detto la
verità, entrambe sapevamo che non era così.
«Facciamo così, vado a calmare le acque e
poi torno qui».
Sorrisi, alzando gli occhi al cielo. «Brit, no. Ho
detto che sto bene, e tu devi occuparti di loro».
«Sei sicura? Devo occuparmi anche di te».
«Sì!». Le mie labbra si tesero
nel sorriso più autentico che mi riuscisse. «E non
c’è bisogno che ti occupi di me».
Mi guardò ancora una volta senza convinzione, ma si
alzò e camminò verso la porta.
«D’accordo, allora io vado».
«D’accordo», le feci eco senza
smettere di sorridere.
Quando stavo per chiudere la porta, la sua testa
s’infilò di nuovo nel vano. «Giuro che
mi faccio perdonare».
«Britney, per l’amor del cielo, vai!».
Potevo dire dalla sua espressione che era soddisfatta di essere
riuscita a strapparmi una risata. Spinsi la porta obbligandola ad
arretrare. «Esci, o ti decapito», la minacciai.
Grugnì, ma si mise in salvo appena prima che
chiudessi.
«Ti voglio bene, lo sai vero?», la sentii
urlare dall’esterno.
Finsi di sbuffare, ma mi godetti quell’impeto di
dolcezza. «Anche io», dissi piano.
Ed era vero, dio se lo era. Passava il tempo, diventavamo
più grandi e tutto cambiava tranne noi. Era sempre
lì, l’unica certezza della mia vita.
Una volta tornata in soggiorno, il mio sguardo venne catturato
dalla vecchia tv che giaceva per terra, forse un supplementare della
casa. Non ero nemmeno sicura funzionasse, al momento sembrava solo da
collegare. Una brevissima occhiata ai cavi sparsi sul pavimento e
decisi che non avevo voglia di imparare come si facesse proprio in quel
momento.
Un bussare insistente mi distolse dal salire le scale. Dalla
mia bocca uscì un lamento misto a un ghigno mentre andavo ad
aprire.
«Britney, ti giuro che se sei ancora
qui..».
Per poco non mi strozzai quando la figura di Harry si
stagliò davanti a me. Non ebbi neanche il tempo di pensare,
di dire qualsiasi cosa, quando la sua mano si allacciò al
retro del mio collo e le sue labbra si avventarono sulle mie.
Il familiare fuoco prese vita e non potei fare a meno di
portare le mani sul suo petto e dischiudere le labbra. La lingua
s’insinuò nella mia bocca con impellenza,
bisognosa. Emise un suono strozzato nel tentativo di vincere la mia
resistenza avvicinare ancora i nostri visi. Premette duramente il corpo
contro il mio facendoci arretrare, le sue braccia mi stringevano
così forte che se avessimo potuto, ci saremmo fusi in una
cosa sola.
Mi risvegliai all’improvviso e premetti le mani
contro di lui.
«No», gemette prima di cercare nuovamente
le mie labbra. «Ti prego».
Lottai contro la parte irrazionale che gridava di dargli
ascolto e feci un passo indietro. Strinsi le labbra in una linea
sottile, come per cancellare quello che era appena stato.
«Lo so che mi vuoi», la sua voce era
instabile, quasi disperata e faticavo a riconoscerlo.
I suoi occhi vagarono in cerca dei miei, ma trovarono una
barriera a scoraggiarlo. Barriera che non aveva idea di quanto sottile
fosse.
«Qui non si tratta di me che non voglio
te».
Eliminò la distanza che avevo creato, mi prese il
volto tra le mani, i pollici a sfiorarmi le guance. «Pensi
che non ti voglia?».
«Non sto parlando dal lato fisico».
Non ero così ingenua da pensare che non mi trovasse
attraente, in qualche modo. Me l’aveva dimostrato
più di una volta, ma non era questo il punto.
«Haley», pronunciò il mio nome
lentamente. «Non è così. Io ti voglio,
in tutti i sensi».
Nonostante quella frase sarebbe dovuta suonare dolce, non
riuscii a non pensare al suo lato meno innocente. Arrossi scacciando
dalla mia mente gli stupidi pensieri perversi.
I suoi occhi mi scavarono dentro, improvvisamente le mie
ginocchia erano diventate molli. «Ti voglio così
tanto. Più di quanto abbia mai voluto qualcosa in
vita mia, io..». Restai col fiato sospeso, come se dalla fine
della frase dipendesse il mio prossimo respiro. «Ho bisogno
di te».
Il suo pollice prese a scorrere sul mio labbro inferiore, sul
naso, sulle palpebre. Appoggiò delicatamente la fronte alla
mia, gli occhi socchiusi. «Che cosa mi hai fatto, Haley
Grantham?».
«Non possiamo baciarci e tutto quanto e poi
comportarci fuori come se niente fosse. Io non
posso farlo».
«Lo so», sospirò.
«Dammi un’altra possibilità. Ci sto
lavorando, non sono abituato a.. questa roba». Fece una
smorfia.
«Vuoi dire relazioni»,
nascosi un sorriso.
Alzò gli occhi al soffitto, ma le sue labbra si
piegarono all’insù.
Mi voleva. Forse non era quello che di
solito ci si aspetterebbe da un ragazzo, ma per me era abbastanza, mi
sarebbe andato bene, per il momento. Non avevo più nemmeno
la forza di stargli lontana.
Sembrò notare solo in quel momento tutto
ciò che ci circondava, la casa, i mobili. Passò
in rassegna ogni particolare, e i suoi occhi si animavano di
divertimento ogni secondo di più.
«Carino questo posto», mi prese in giro.
Sbuffai. «La volete smettere tutti quanti? Non
è così brutto qui. Dobbiamo solo trovare il tempo
di dare una riverniciata alle pareti, e magari aggiustare
l’intonaco in due o tre punti, e poi…».
La mia voce sfumò quando mi accorsi che non mi
stava più ascoltando, il suo sguardo era incollato alle mie
labbra. Fece un passò verso di me, proprio quando il rumore
di una chiave che girava nella serratura preannunciò
l’entrata di mia madre. Realizzai troppo tardi che avevamo
largamente superato il limite della distanza tra due semplici amici,
infatti il suo sguardo corse immediatamente sulla sottile lama di
spazio che ci separava. Sembrava più sorpresa che
arrabbiata, o in caso contrario non mi diede il tempo di coglierlo
perché subito distolse lo sguardo per appendere la giacca.
«Ciao Harry», nascose un sorriso fingendo
di concentrarsi su qualcosa all’interno della borsa.
«Salve signora, uhm..». Mi
lanciò una richiesta d’aiuto con lo sguardo.
«Prescott», ripeté più forte
e dopo di me.
Aprii la bocca per evitare che un silenzio imbarazzante
calasse su tutti noi, ma mi resi conto con rammarico che non sapevo
cosa dire. Un Harry irrequieto roteò gli occhi verso la
porta d’ingresso, e io mi sorpresi a contare le piastrelle
del pavimento.
«Credo che andrò a farmi una
doccia», annunciò saggiamente mia madre.
«Voi fate pure come se non ci fossi, ehm… Vuoi
rimanere per cena? Dobbiamo ancora sistemare alcune cose ma ti assicuro
che il frigo è pieno».
Lo interruppi prima che potesse anche solo pensare di
accettare, cosa che comunque dubitavo avrebbe fatto.
«Veramente ce ne stavamo andando», le
dissi. «Non torno tardi», aggiunsi in fretta,
anticipando la sua occhiata d’avvertimento.
○
○ ○
Piccola nota, canzone che ha ispirato il capitolo: Say
Something - Christina Aguilera ft. a Great Big World
Spazio
autrice: Eccomi qui, dopo moltissimo tempo. Vi chiedo
scusa, mi sono presa un po' di tempo per concentrarmi sullo studio e
altre cose. Ora che avrò però un po' di tempo
libero, vi prometto che scriverò più spesso.
Ho pensato anche di presentare un quadro dei personaggi,
così come me li sono immaginata scrivendo, quindi se non
volete che la mia immaginazione oscuri in qualche modo la vostra, vi
sconsiglio di andare avanti :).
***
Phoebe Tonkin as Haley Grantham
Blake Lively as Britney Grey
Per ora basta così, più avanti
presenterò anche gli altri. Baci x
#Allie
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Capitolo 22 *** AVVISO! LEGGETE PER FAVORE ***
Salve a tutti, come avrete notato è un po' di tempo che non aggiorno questa storia.
Il fatto è che ho avuto la mente totalmente occupata dalla stesura di un secondo racconto, e non me la sono sentita di portarne avanti due contemporaneamente. Ciononostante posso assicurarvi che questa storia non verrà cancellata, solo sospesa, e che appena avrò finito i prossimi capitoli li pubblicherò.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno seguito ''Broken'' fino ad ora, e che non smetteranno di farlo a causa di questa pausa. Nel frattempo mi piacerebbe che leggeste l'altra fanfiction che sto scrivendo, si chiama ''Guardians'', sarei felicissima di sapere cosa ne pensate.
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2717825
Grazie per l'attenzione, a presto.
#Allie
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