~Invention

di ellacowgirl in Madame_Butterfly
(/viewuser.php?uid=105187)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Prologo ***
Capitolo 2: *** Try ***
Capitolo 3: *** Choose ***
Capitolo 4: *** Fight ***
Capitolo 5: *** Sacrifice ***
Capitolo 6: *** Revenge ***
Capitolo 7: *** Unbearable ***
Capitolo 8: *** The Darkness of Light ***
Capitolo 9: *** Dead or live ***
Capitolo 10: *** Broken Line ***
Capitolo 11: *** After ever After ***



Capitolo 1
*** ~ Prologo ***


Note Autrice:
Avendo scritto parecchi capitoli di questa storia (quindi pubblicherò regolarmente) voglio tentare di pubblicarla una seconda volta, dopo averla rivisitata un paio di volte.
Sarà intricata, complicata e, spero, vi entusiasmerà!
Lasciate spazio all'originalità e mettete da parte i canoni delle fiabe: qui si parla di vita, non di favola.



 
~Prologo
 
Era una nube densa, densissima, si muoveva a grande velocità nel cielo che da azzurro diveniva sempre più scuro, a causa della presenza della Montagna Proibita sulla quale si ergeva un antico castello.
L’oscurità che avvolgeva per parecchi chilometri quei territori già lugubri e freddi venne improvvisamente illuminata dal bagliore di quella nube: le piante ripresero colore, le rocce scintillarono, la vita sembrò riacquistare la propria integrità disfandosi delle tenebre.
 
Ma non era solo la natura ad essersi ridestata: una donna, o meglio, una strega dalla pelle olivastra ed i raffinati lineamenti longilinei teneva lo sguardo fisso su ciò che si stava avvicinando.
Iridi gialle, fredde come la morte, scrutavano l’orizzonte oscuro divenire improvvisamente luminoso, qualcosa che le fece assottigliare lo sguardo con fare contrariato.
«Che diavolo è?» Sbottò fra sé e sé.
Teneva lo scettro stretto fra le mani, accarezzando il fedele corvo nero che le restava sulla spalla.
Attese qualche attimo, poi con un gesto rapido voltò le spalle alla finestra per salire una ripida rampa di scale: il mantello nero frusciò a quel movimento, i mostri che la circondavano, stupiti ed impauriti, si fecero rapidamente da parte.
Salì sino alla torre dove lanciava i più terribili sortilegi: fiera, eretta, altezzosa: tremendamente sicura di sé, nonostante conoscesse i propri limiti.
 
La nebulosa di luce rallentò lentamente la propria andatura, sino a fermarsi a poca distanza dalla torre: ogni cosa tornava a sorridere, sotto quella luce, mentre la regina del Male non mostrava il benché minimo segno di debolezza.
Il silenziò calò per parecchi attimi, i servitori di Malefica si radunarono all’interno del palazzo, intimoriti, e nessuno di loro osava avvicinarsi alla torre.
 
Il corvo gracchiava, Malefica lo accarezzò delicatamente sul dorso, le piume setose si lisciavano sotto quel tocco malsano.
Poi una voce echeggiò nell’aria, tanto da far sussultare le piante e risvegliare gli uccelli, mentre il volto della donna restava immutato nella freddezza.
«Salute a te, Regina del Male. Sono il Bene, colui che estirperà le tenebre dal mondo intero!» Una voce delicata eppure solenne, con un pizzico di presunzione.
Il corvo riprese a gracchiare sommessamente, scambiando una semplice occhiata con la regina del male.
Lei non si mosse, ripose entrambe le mani sullo scettro appoggiato a terra, mentre i suoi occhi scrutavano quell’ammasso di luce densa.
«Nessuno vi ha dato il diritto di entrare nel mio territorio, cosiddetto Bene… Qui la luce non è gradita.» Disse con la stessa sicurezza nel tono di voce, nonostante le sue sensazioni dessero tutt’altri segnali: non era qualcosa che conosceva, non faceva parte probabilmente del mondo delle fiabe nel quale lei aveva sempre vissuto.
E questo non poteva che impensierirla.
«Questo non avrà più importanza, dal momento che d’ora in poi la luce regnerà sovrana e del male non resterà più alcuna traccia.» Ripeté la voce, Malefica non riuscì ad identificarla, nemmeno a darle un volto, eppure la sua figura elegante non si smentiva, né si scomponeva, se non per un sorrisetto ironico.
«E’ illusorio, pensare di sbarazzarsi di una parte del mondo… E ancora più stupido è credere che le tenebre possano scomparire.» Ironica, provocatoria, con un lieve accenno sadico.
La voce tacque per qualche attimo, sin quando una parte della nebulosa non cominciò ad estendersi verso la figura di Malefica.
 
Si fece più perplessa, ma non si mosse. Lanciò uno sguardo al corvo, un’ultima carezza prima che quest’ultimo si allontanasse in volo. «Vai, Diablo.»
L’uccello del male non attirò l’attenzione di tale creatura, mentre la strega rimaneva ancora impassibile, forse incuriosita da qualcosa che non conosceva ed infastidita da discorsi che aveva sentito miliardi di volte, senza una fine.
«Vincerò dove tutti i buoni hanno sempre fallito, è stato predetto. E tu, Signora del Male, sarai ciò che mi permetterà di vincere anche tutte le altre creature oscure.»
La nebulosa cominciò ad accerchiare Malefica, le iridi gialle osservavano quei movimenti senza alcun ritegno, anche se cautamente, come se ne avvertissero la potenza oscura piuttosto elevata.
Eppure lo sapeva, in cuor suo, che sprovvisti di conoscenza non si può vincere, ma nonostante questo non avrebbe reso a quell’essere una vita facile.
«Tutto questo non accadrà, mio illuso amico… E non per mia generosità, non per spirito di fratellanza verso gli antieroi: ma per un giusto equilibrio che deve esistere.»
La nube luminosa l’avvolse quasi completamente, oscurando le tenebre che l’avevano circondata sino a quel momento.
Questione d’attimi, e questa venne disintegrata in mille pezzi che andarono a disciogliersi nel nulla: un enorme drago nero e viola si erse sulla torre, alla stessa altezza dell’origine di quella voce.
Sapevano entrambi chi avrebbe vinto quella battaglia… ma non l’intera guerra.
 

In fondo alla luce:
Buonsalve a tutti!
Se siete arrivati sino alla fine, significa che un minimo questa storia vi ha incuriositi ;)
Non sarà la solita favoletta, non ci saranno i veri eroi, né degli antieroi.
Saranno loro, i personaggi delle fiabe, resi umani come non mai: più maturi rispetto alla spensieratezza della Disney, intessuti in relazioni complicate ed ambigue.
Saranno loro, tutti insieme, “buoni e cattivi”, a decidere le sorti gli uni degli altri…
Alla prossima!

 
Anticipazione del Primo Capitolo…
Grimilde lanciò un’occhiata torva al principe, la spada tratta e puntata verso di lei, mentre la principessa dalla pelle bianca come la neve e le labbra rosse come una rosa restava perplessa  a pochi passi dietro di lui.
«Cosa pretendi di capire, tu che hai sempre vissuto in una favola? Cosa pretendi di comprendere, quando la tua unica fatica è stata quella di dare un bacio?
Tu non sei come noi, bamboccio, non hai dovuto lottare tutta la vita per poi essere sconfitto e gettato all’altro mondo come fossi una pezza da piedi…»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Try ***


Try

Era una giornata pulita e luminosa, il sole alto nel cielo consentiva quel briciolo di tepore capace di rasserenare la natura e tutti i suoi abitanti.
Gli uccelli cinguettavano, molti erano appollaiati sui rami più vicini ad un pozzo in mattoni a vista, una lunga edera fiorata ne colorava la volta di rosa e bianco.
Poi una melodia, dolce ed armoniosa, intonata da una fanciulla dalla pelle bianca ed il volto tanto delicato da apparire etereo, quasi irreale.
Una melodia che avrebbe affascinato chiunque, che sapeva coinvolgere ogni singolo spirito della natura, renderlo partecipe di una felicità radicata nel cuore e capace di scaldarlo dal profondo.
Calò il secchio sino a toccare l’acqua sul fondo del pozzo, le labbra rosse che si muovevano appena, gli animali che incantati ascoltavano quella canzone.
Il cinguettio degli uccelli accompagnava tale melodia, mentre il frusciare dell’acqua si udiva di sottofondo.
I fiori erano sbocciati da tempo e da quel momento non erano mai appassiti, poiché a mantenerli vivi e rigogliosi bastava la sola presenza di quella principessa dai corti capelli neri e lucenti.
Prese il secchio ma lo lasciò appoggiato al bordo del pozzo, poiché una colomba giunse in quel momento con una rosa rossa tenuta nel becco.
Biancaneve sorrise dolcemente, accarezzando dolcemente quella creatura ed alzando lo sguardo alla finestra del terzo piano del palazzo: da lì, il principe le mandò un bacio con un gesto della mano, annunciando il suo imminente arrivo.
Lei lo salutò con un gesto, sin quando il cinguettio degli uccelli non cessò di colpo.
 
Le piante, rigogliose come non mai, lentamente cominciarono ad appassire, ad incupirsi, e gli animali fuggivano lontani e tremanti, ad eccezione di qualcuno particolarmente coraggioso che rimaneva dinnanzi alla veste gialla della ragazza.
«Ma cosa…» Bisbigliò appena, per poi alzare lo sguardo e vedere una figura a lei familiare farsi avanti da un cespuglio.
«Ciao, Biancaneve. Vedo che te la passi piuttosto bene.» La conosceva, quella voce. Conosceva quello sguardo tagliente, quella veste nera e viola, quel volto bello ma ormai avanti con l’età.
Era sempre regale, nelle sue sembianze migliori, non si smentiva.
Si portò una mano alle labbra, quasi a trattenere un grido di stupore, mentre le iridi scure e lucenti la fissavano perplesse.
«Tu… come… perché…» Grimilde sbuffò sonoramente, roteando le iridi al cielo.
«Cavolo, il tuo quoziente intellettivo non si è alzato di mezzo punto, visetto d’angelo!» La sbeffeggiò muovendo ironicamente una mano all’altezza della testa, lanciando sguardi schifati verso le piante verdeggianti che la circondavano.
«Tu non potresti essere qui…» Bisbigliò la principessa, ancora incredula: il dolore che le era stato inferto era ancora grande e presente dentro di lei, il petto le doleva come avesse appena mangiato quella maledetta mela avvelenata.
Scosse appena il capo, la schiena appoggiata al pozzo come fosse già con le spalle al muro, eppure voleva capire.
«Lo so. Ma ci sono casi in cui degli accordi bisogna infischiarsene.» Affermò la Regina senza tanti giri di parole.
Poi sospirò, volse di nuovo lo sguardo verso quel volto delicato, perfetto, bellissimo: la odiò, la odiò infinitamente per ciò che lei non avrebbe mai avuto.
La odiò perché le era bastato sangue reale ed un bel visetto per diventare felice, mentre a lei non era stato concesso nulla se non un dolore eterno.
«Se sei qui, significa che potresti volere solo due cose… uccidermi, oppure ti serve qualcosa.» Disse ancora la ragazza, intimorita, in preda ad un terrore che la riportava indietro nel tempo, ma convinta del proprio coraggio.
La donna davanti a lei fece appena una smorfia, inarcando pigramente un sopracciglio.
«Ucciderti? No, se volessi vendicarmi su di te, ammazzerei quel bellimbusto che ti porti dietro.» Rispose con tutto il disprezzo e la sporca sincerità che possedeva.
 
Questione di pochi attimi e dalla porta affianco al pozzo uscì il principe, le iridi chiare che immediatamente andarono a posarsi sul volto dell’amata.
«Biancaneve, devo dirti una cosa importan…» Ma si interruppe nel momento in cui vide la regina a pochi passi da loro.
Estrasse la spada d’istinto, puntandola contro quella che era stata una loro acerrima nemica.
Non l’aveva affrontata di persona, ma il pensiero di ciò che aveva fatto alla donna che amava bastava per adirarlo.
«Ecco, appena chiamato in causa, il bellimbusto.» Lo canzonò incrociando le braccia sotto il seno, ma lo sguardo del principe era senza dubbio particolarmente tagliente, deciso, del tutto ostile alla persona che aveva dinnanzi.
«Non trovo un motivo valido perché tu sia qui» Disse freddamente, parandosi davanti a Biancaneve.
Grimilde sbuffò di nuovo, pur mantenendo quel fare elegante che la caratterizzava.
«Credimi, pur di non rivedere le vostre facce felici e contente darei un braccio… ma non ci tengo ad incontrare la morte.» Le era uscita di getto, quella frase, l’orgoglio che le ribolliva dentro come volesse ucciderla dall’interno.
Floriant non abbassò la guardia, ma l’ira si placò, succube della curiosità e della necessità di capire.
«Spiegati meglio…» Le disse ancora diffidente. Grimilde incrociò per un attimo lo sguardo ancora dolce ed ingenuo di Biancaneve, prima di parlare: quella maledetta principessa non la odiava, non la detestava nonostante tutto.
Ne aveva paura, sì, e lei di questo godeva, ma non era sufficiente per essere soddisfatta.
Scosse il capo, inspirò profondamente un paio di volte, placò il proprio animo e si sforzò con quanta forza avesse: la sopravvivenza prima di tutto.
«Ho bisogno del vostro aiuto» Una frase secca, senza emozioni e colma di risentimento, verso se stessa.
Vergogna. Rabbia. Disonore.
Floriant si trattenne a forza dal ridere, Biancaneve invece pareva più sconvolta che mai.
«Il nostro… aiuto? Ci stai prendendo in giro per caso?» Proruppe il ragazzo dopo qualche attimo di silenzio.
Grimilde aggrottò la fronte, si fece più seriosa, profondamente irritata, ma non perse completamente la calma.
«Secondo te starei qui a parlarvi se non fosse così, idiota?!» Gli ringhiò contro, il tono di voce alzato, gli ultimi animali se la squagliarono alla svelta dopo quell’impeto di rabbia.
Perché era diventata più debole, la Regina, ma non per questo aveva perduto quell’aura oscura e crudele che la caratterizzava.
L’invidia che ancora le dava quei poteri metafisici.
«C’è qualcosa che ci sta dando la caccia ed ha intenzione di eliminarci, uno ad uno. E sembra che i nostri poteri non abbiano molto effetto su di lui.» Disse schiettamente tutto quello che poteva sapere, l’orgoglio chiuso a chiave in un cassetto, nonostante i suoi continui tentativi di fuga.
Chiedere aiuto ai buoni, non c’era umiliazione peggiore.
«Eliminare chi?» Domandò il principe, sicuro di aver compreso ogni cosa, ma la Regina rispose con un sonoro sbuffo, scocciata e frustrata come non mai, oltre che angosciata.
«Noi cattivi
Calò il silenzio per qualche attimo, la regina passò in rassegna quei due volti puri uno alla volta: il principe era stupito, disorientato, mentre l’espressione di Biancaneve diveniva sempre più preoccupata.
…Preoccupata?
«Non capisco… non siamo noi a darvi la caccia, questa volta.»
Grimilde lanciò un’occhiata torva al principe, la spada tratta e puntata verso di lei, mentre la principessa dalla pelle bianca come la neve e le labbra rosse come una rosa restava perplessa  a pochi passi dietro di lui.
«Cosa pretendi di capire, tu che hai sempre vissuto in una favola? Cosa pretendi di comprendere, quando la tua unica fatica è stata quella di dare un bacio?
Tu non sei come noi, bamboccio, non hai dovuto lottare tutta la vita per poi essere sconfitto e gettato all’altro mondo come fossi una pezza da piedi…»
Gli sputò addosso tutta la propria rabbia, frustrazione, angoscia, tormento…
Perché era così che si sentiva: umiliata e gettata come un sacco d’immondizia senza che il proprio destino se lo potesse scegliere.
Lei non aveva scelto, perché era nata per uno scopo: vivere nell’oscurità e nell’odio, ed in essi prima o poi sarebbe veramente affogata.
«Floriant, abbassa la tua spada. Per favore…» La voce cauta di Biancaneve fece rialzare il capo alla Regina, la quale le lanciò un’occhiata tanto tagliente quanto interrogativa: aveva seriamente intenzione di ascoltarla?
Naturalmente, il principe non era dello stesso parere, non azzardava ad abbassare la guardia.
«Ma Biancaneve, questa donna ti ha fatto del male, voleva ucciderti, distruggere tutto!» Cercò di farla ragionare il ragazzo, ma la principessa posò delicatamente le dita sulla lama della spada, costringendolo ad abbassarla.
Poi tornò verso la matrigna, colei che aveva tentato non solo di rinchiuderla, segregarla e rovinarle la vita, ma addirittura ucciderla.
Eppure in quelle iridi scure e profonde Grimilde vedeva soltanto una bontà infinita, proveniente da un cuore puro e maledettamente sincero.
Dio, se la odiava.
«Ti ascoltiamo.» Disse gentilmente, la regina si trattenne dall’approfittarne per lanciare un qualche sortilegio sul principe, per liberarsi di lui almeno in quella discussione: Biancaneve era eternamente buona, ma altrettanto ingenua.
Con lei, lo sapeva, sarebbe stato più semplice trattare.
Eppure senza di lei sarebbe già stata cacciata e, quindi, spacciata.
«Questa… cosa, di cui non conosciamo l’entità, è capace di risucchiarci e trasportarci chissà dove. Ha già eliminato qualcuno di noi ma la cosa più grave è che pensiamo abbia rapito Malefica…»
Floriant sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo.
«Quella Malefica?» Chiese sconcertato, quasi non gli sembrava possibile che la Regina del Male fosse davvero stata sconfitta.
Grimilde stava ormai perdendo la pazienza, roteò le iridi al cielo imprecando contro l’inettitudine di quel ragazzo: a lei, invece, non pareva vero che uno tanto idiota potesse essere davvero un principe.
«Sì, lei. Dubitiamo che sia stata uccisa, è pressochè impossibile. Ma sicuramente quell’essere se ne servirà per un qualche scopo ed i nostri poteri sembrano non contare su di esso.» Specificò dicendo quel poco che aveva saputo: Diablo era giunto da lei il prima possibile, stanco ed affannato per il viaggio, ma con quante informazioni necessarie per metterli all’erta.
Calò di nuovo il silenzio, una sentenza stava per essere emessa.
Floriant inspirò profondamente, spazientito e combattuto, ma ancora una volta fu la bontà della principessa ad intervenire.
Fece qualche passo in avanti, una mano allungata verso Grimilde: le tremava appena, la paura era palese tanto quanto la sua benevola determinazione.
E sì, Floriant in quell’istante si rese conto del perché l’amasse così tanto e Grimilde, all’opposto, la odiasse profondamente.
«Faremo il possibile» Aprì le labbra rosse in un sorriso: sincero, luminoso, benevolo.
La regina fu tentata di rifiutare, di non seppellire il proprio orgoglio sino a quel punto.
Ma Malefica le aveva dato un incarico, e lei comunque non aveva intenzione di crepare in quel modo e per mano di un essere che manco conosceva.
Non prese la mano di Biancaneve, ma si avvicinò a lei quanto bastava: mezzo metro, nulla di più, nulla di meno.
Il principe aveva ripreso saldamente la spada ma non l’aveva alzata, pur mantenendo un costante contatto visivo con la strega.
«Non guardarmi in quel modo, Biancaneve. Non voglio la tua pietà.» Le disse freddamente, ma la ragazza non ritirò la mano, per quanto il sorriso cominciasse a spegnersi.
Era ingenua, ma particolarmente testarda.
«Tutti ne abbiamo bisogno, matrigna. Tu non sei diversa.» Le disse dolcemente, quel volto perennemente angelico, etereo, splendidamente accogliente.
Le lanciò un’occhiata torva, per poi rivolgersi di nuovo al principe.
«Allora, avete qualche idea?» Chiese schiettamente: di tempo da perdere non ne avevano poi molto.
Floriant non si azzardò a rinfoderare la spada, ma la tenne comunque abbassata, nonostante la diffidenza.
«Convocheremo gli altri regnanti, non è una decisione che possiamo prendere da soli.»
 
****
 
«Chiedere aiuto ai buoni? Ma siete tutti diventati scemi?!» La voce prorompente della Strega dei Mari risuonò in quell’antro di terra abbandonata, la desolazione più totale caratterizzava un mondo che oggettivamente non poteva esistere.
«Abbiamo cercato di ucciderli o impossessarci di loro dalla notte dei tempi, perché mai dovremmo abbassarci sino a tanto?! Io non ho intenzione di mettermi in ginocchio davanti a quella ragazzina viziata!» I capelli bianchi ritti sulla nuca enfatizzavano ulteriormente le sue parole del tutto contrarie, rabbia e sconvolgimento si erano ormai impadroniti di lei.
Lei, la Strega dei Mari. Lei che non aveva rivali in quanto a pozioni ed incantesimi. Lei che mai avrebbe smesso di lottare per il dominio di Atlantica.
«Vuoi finire allo spiedo come l’ultima volta, Ursula? Non mi sembrava ti fosse piaciuto molto.» Le iridi nere della strega fulminarono senza mezzi termini la figura longilinea e secca di Jafar, ancora vestito con abiti eleganti nonostante fosse stato cacciato da Agrabah ormai da tempo.
«E poi quella ragazzina non è per niente male, anzi… Io fossi in te ci ripenserei sull’ucciderla, sarebbe uno spreco!» Affermò Gaston, seduto in modo tutt’altro che consono su una specie di trono di pietra fredda e dura, un bastoncino tenuto fra i denti mentre osservava il resto della combriccola con uno sguardo di superiorità.
«I tuoi gusti sessuali non ci interessano, playboy, grazie.» La voce profonda e moderata dell’arcidiacono di Notre Dame attirò una vaga attenzione dei presenti, ma naturalmente nessuno aveva intenzione di trattenersi da quell’acceso battibecco.
«Ha parlato il santerello di turno… non sei meno pervertito di lui, Frollo.» Clayton non usava mezzi termini, appoggiato ad una parete nell’intento di pulire il proprio fucile da caccia preferito.
«Almeno io non sbavo dietro alle scimmie.» Fu la risposta pungente quanto precisa di Frollo, perennemente cauto e calmo nel moderare il linguaggio, eppure tutt’altro che interessato a perdere una sfida verbale.
«Oh, suvvia, cos’avete contro una bella pelliccia? Non fate i plebei…» Espirò un paio di nuvolette di fumo dopo quelle parole, pavoneggiandosi in quell’immensa pelliccia beige.
«Ecco, ci mancava solo lei… » I commenti continuarono senza ritegno, ognuno aveva da ridire sui difetti degli altri, rinfacciandogli sconfitte e pesanti delusioni.
Non erano solidali tra di loro, i cattivi, non sembravano intenzionati a collaborare nemmeno dinnanzi al pericolo della morte.
Poi, d’improvviso, una fiammata azzurrognola prese vita sul trono di pietra, costringendo Gaston a spostarsi rapidamente, con una velocità tipica di chi sta per farsela sotto: dopotutto, chi avrebbe voluto morire bruciato?
«Signori, vi prego, calmatevi! Vi sembra questo il modo di affrontare una faccenda tanto delicata?» La voce era quella calma quanto ironica del Signore degli Inferi, il quale aveva preso posto quasi a comando di quel manipolo di nemici del lieto fine.
Gli animi si quietarono appena, ma non mancarono sbuffi, smorfie e semplici sospiri.
«Dunque, analizziamo i fatti. Questo simpatico amico vuole cuocerci tutti in fricassea, giusto? Noi, quindi, dobbiamo trovare il modo di sbarazzarcene, se vogliamo salvare le chiappe.» Gesticolava ad ogni parola, mentre gli sguardi si facevano più attenti: non che amassero l’idea di avere un capo, dopotutto ognuno era indipendente ed egoista anche se in misura diversa, ma forse le circostanze erano un po’ diverse dalla classica favola.
«E fin qui non ci hai detto nulla di nuovo, Ade. Illuminaci sul perché mai dovremmo allearci con i buoni, piuttosto.» Jafar era sempre maledettamente preciso nelle sue affermazioni, difficile che lasciasse qualcosa al caso e tale occasione lo dimostrava.
Ursula era piuttosto spazientita, più di molti altri: non avrebbe accettato di umiliarsi sino a quel punto.
Ade roteò le iridi al cielo, mettendosi ulteriormente più comodo sul trono gelido e giocherellando con le fiammelle bluastre.
«E’ molto semplice, miei irascibili amici. Questa sorta di “Bene” sembra non poter subire i nostri attacchi oscuri e, per ragionamento logico-deduttivo, si può facilmente intuire che al contrario le magie buone possano ferirlo o quantomeno indebolirlo» Gesticolò di nuovo nel parlare, il silenzio era ormai calato nella sala.
«Continua.» Lo esortò Frollo con tono serioso, quasi funerario, e così Ade continuò la sua spiegazione, sporgendosi ora in avanti, una maggior enfasi caratterizzava le sue parole.
«E quindi, se noi ci alleassimo con quegli stupidi bambocci, avremmo la possibilità di liberarci di questo simpatico amicone nebuloso e al contempo affiatarci tanto ai nostri paladini della giustizia da poterli sconfiggere facilmente, a sorpresa, considerando che ci consentiranno ingenuamente di avvicinarci a loro. Mi sembra chiaro e limpido, non trovate?»  domandò metaforicamente.
Un bisbigliare generale si fece largo tra i presenti, mentre il Signore degli Inferi manteneva un’espressione ironicamente allegra in volto.
Tale brusio durò un discreto numero di minuti, dopotutto il fatto che Malefica stessa fosse stata rapita non era una notizia che avesse confortato nessuno: conoscevano tutti la sua immensa potenza e, nonostante non la considerassero una leader, restava una sorta di punto di riferimento.
Jafar più di tutti sembrava essere rimasto scosso da tale avvenimento, nonostante dietro quel volto impassibile non lasciasse trasparire poi molto.
«E chi ci garantisce che non ci metteremo soltanto in ridicolo? Dopotutto siamo sempre stati i loro antagonisti.» Sollevò l’opposizione un’Ursula ancora particolarmente contraria alla questione, uno sguardo altezzoso e di sfida le si leggeva nel volto paffuto.
Ade sorrise ironicamente.
«A questo ha già pensato la nostra cara Regina Cattiva

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Choose ***


Choose
 
Correva, correva a più non posso per la strada ciottolata, i capelli ricci e scuri scompigliati, una mano a reggere il lungo abito rosso sangue per non inciampare e quindi cadere a terra.
Lanciava rapide occhiate dietro di sé, i polmoni che la pregavano di smetterla, di darle tregua, mentre l’adrenalina le scorreva in corpo come una furia.
E la paura, la paura le stringeva quel cuore di ghiaccio in una morsa, costringendola a continuare quella folle fuga.
«Aprite! Aprite, presto!» Urlava man mano che si avvicinava, il fiato le si strozzava in gola, le corde vocali stridevano per l’eccessivo sforzo richiesto.
Pochi metri la separavano dall’entrata del castello, lo raggiunge in poche falcate mentre il cielo, dietro di lei, si faceva sempre più scuro e tutt’altro che rassicurante.
Sbatté più volte i pugni contro il portone, lo sguardo terrorizzato, la paura dipinta sul volto che ormai lasciava emergere i segni dell’età.
«Aprite, maledizione! Aprite questo dannato portone!» Continuò a gridare dal basso, le due guardie di ronda si affacciarono dall’alto delle mura ed immediatamente la riconobbero, mostrando un’espressione avversa, quasi schifata nella loro impeccabile uniforme.
«Siete stata bandita da questo regno, strega. Vi è proibito tornarvi!» Le gridò uno dei due, lo sguardo tutt’altro che amichevole: ogni cittadino di quel regno del Sole ricordava perfettamente la reclusione a cui quella donna aveva costretto la principessa, e mai le avrebbero concesso anche la minima grazia.
«Idioti!» Ringhiò fra i denti, volgendo le spalle al portone e lasciando spazio di nuovo al terrore: quell’enorme nuvola bianca, quell’ammasso di incompiutezza che si faceva chiamare “il Bene”, si stava avvicinando cautamente, come volesse farla morire di una lenta agonia.
Mentre Madre Gothel tentava invano di convincere le guardie a farla entrare, in città tale voce si era diffusa immediatamente tanto che il vociare confuso e scandalizzato della gente aveva costretto uno dei paggi reali a bussare alla porta del Castello dei reali, chiedendo udienza.
All’interno del salone centrale, la Regina dai lunghi capelli nocciola parlava ormai da parecchi minuti della necessità di cambiare i tendaggi, ormai fuori moda, e gesticolava con un certo trasporto man mano che indicava ogni singola tenda in quello stanzone.
A pochi passi dietro di lei, Rapunzel non aveva occhi che per l’uomo che le aveva rubato il cuore, il quale a bassa voce sembrava raccontarle una delle sue mille avventure, che lei ascoltava molto più che piacevolmente.
«…e poi quello ha sfoderato la spada, con tutte le intenzioni di saltarmi addosso… anche se io ero disarmato!» Racconta con un certo trasporto, mentre le iridi verdi della principessa luccicano di entusiasmo.
«Davvero? E quindi come hai fatto?» Eugene sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi, con quell’espressione decisamente beffarda e sicura di sé. Mimò di estrarre una spada dal fodero. «Lesto come il vento, ho fregato la spada ad una delle guardie vicino a me e…» Si era fatto decisamente prendere, tanto da aver sfoderato la spada che teneva alla cinta.
L’aveva fatta roteare, immedesimandosi nell’avventura tanto da colpire, per sbaglio, proprio una delle tende: uno strappo enorme, tanto da averla quasi segata a metà.
Si bloccò di colpo, scambiando uno sguardo seriamente preoccupato con la principessa.
«…oh, finalmente qualcuno che mi ha ascoltata! Bravo Eugene!» La voce della Regina li costrinse a ricomporsi, assumendo un’espressione angelica e riponendo accuratamente la spada. «Vedo che hai già cominciato a liberarci di questi vecchi tendaggi, non perdi tempo!» Si congratulò la Regina con un caldo sorriso, dopo aver ovviamente frainteso ogni cosa dato che il principe non aveva ascoltato mezza parola.
«Ma certo, maestà: mai perdere tempo, specie se si tratta di tali bruttezze!» Affermò con tono solenne, impegnandosi nel ruolo che stava ricoprendo.
Rapunzel, dal canto suo, se la stava ridendo alle sue spalle, tenendo una mano davanti alle labbra nel tentativo di contenersi: amava Eugene, lo amava davvero.
Ma lo amava per il ragazzo di strada ed il fuorilegge che era sempre stato, capace di non lasciarsi ingannare, di saper risolvere ogni situazione e volgerla a proprio favore.
Per quanto adorasse l’idea di averlo sempre al proprio fianco, in veste di principe non ce lo vedeva per niente.
«Maestà!» La grande porta della sala venne aperta bruscamente dal paggio, il quale correva letteralmente sul marmo scuro, raggiungendo i tre con il fiatone.
«Cosa è successo?» Domandò subito al Regina ed immediatamente tutti e tre si fecero seri ed in ascolto.
Il paggio inspirò profondamente, riferendo quanto stesse accadendo nel modo più preciso possibile, dall’arrivo di Madre Gothel a quell’enorme nuvolone bianco che sembrava sovrastare ogni cosa, all’inseguimento della donna.
«Continua a chiedere di poter entrare, Vostra Maestà. Chiede asilo.» Concluse attendendo un verdetto. Rapunzel ebbe una fitta al cuore, mentre la madre le stringe istintivamente una mano: avevano sofferto tanto, troppo a causa di quella donna, eppure il loro cuore non riusciva ancora a serbare rancore.
«Asilo? ASILO?!» Eugene, contrariamente alle due donne, era su tutte le furie.
«Con quale coraggio quella strega si ripresenta qui? E senza nemmeno chiedere scusa, no, con delle pretese!» Aveva alzato al voce, decisamente infuriato: anche lui era stato ingannato, in un certo senso, ma soprattutto a causa di quella donna aveva rischiato di perdere la vita e la persona che più amava al mondo, l’unica che era stata capace di andare oltre le dicerie e la sua pessima fama.
«Portatemi da lei…» La voce flebile della principessa echeggiò nel salone, in perfetto contrasto col tono rabbioso del marito.
Il ragazzo le volse un’occhiata di rimprovero, mentre la Regina le stringeva ambedue le mani, dolcemente.
«Tesoro…» Bisbigliò semplicemente, consapevole che quella fosse una scelta soltanto della ragazza.
«No, Rapunzel, non ti avvicinerai a quella donna!» a rimproverò il principe, deciso a proteggerla a tutti i costi: non le avrebbe fatto rischiare la vita, non un’altra volta.
«Dobbiamo aiutarla, Eugene. E’ in pericolo.» Protestò benevolmente Rapunzel, abbandonando le mani della madre ed avvicinandosi al ragazzo.
Lui era scettico, particolarmente scettico, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle iridi limpide e pure nemmeno per arrabbiarsi.
«Quella in pericolo sarai tu, se lei mette piede qua dentro!» Ribatté con una certa fermezza, ma il tono cominciava lentamente ad abbassarsi, a calmarsi controvoglia.
Non riusciva ad essere davvero arrabbiato con lei, per quanto si sforzasse quantomeno di discutere, quella benevolenza senza pari riusciva sempre a spuntarla.
Forse perché, oltre alla dolcezza, Rapunzel vantava di una testardaggine parecchio elevata.
«Non possiamo abbandonare chi ha bisogno… Rifiutarci di aiutarla sarebbe come metterci sul suo stesso piano.» E si incamminò, con passo deciso ma non troppo affrettato, diretta ai cancelli del Regno.
Il cuore batteva, batteva forte: l’ansia, la paura e l’angoscia di troppi anni sembravano tornare ad investirla come un uragano.
Ma lei non si fermava, continuava la sua camminata: perché lo sapeva, in cuor suo, che quel poco di bene che Madre Gothel aveva fatto per lei era ancora presente nel suo cuore…
E mai, mai l’avrebbe dimenticato, mai avrebbe ceduto alla vendetta o alla meschinità, finché quella piccola fiammella di affetto sarebbe rimasta accesa.
La Regina non disse nulla, non la fermò, ma nemmeno la seguì.
Si limitò a sospirare appena, giungendo le mani in grembo, mentre Eugene dopo una sonora imprecazione si affrettava a raggiungere la ragazza.
Arrivati sulle mura il cuore perse un battito quando lo sguardo incontrò quell’immensa nube, densa, densissima, che rilasciava una luce tanto forte e particolare da non convincere nessuno dei presenti.
«Ma che roba è?» Sbottò il principe, raggiungendo Rapunzel ormai a pochi passi dal punto di controllo dove le guardie di poco prima ancora discutevano con la strega in questione.
«Accidenti a voi! A voi e a tutto il vostro Regno del cavolo! Aprite!» Le imprecazioni della donna si udivano senza troppa difficoltà ma i due non accennavano a muovere un muscolo per lei.
E la nube avanzava, sempre più velocemente, ormai era questione di pochi minuti e avrebbe raggiunto l’esterno del portone, senza pietà e senza risentimento.
«Aprite il cancello, subito!» La voce di Rapunzel spezzò l’isteria di Madre Gothel, la quale si concesse uno sguardo di stupore, alzando immediatamente gli occhi verso le mura.
E la vide, quella ragazzina che le aveva procurato tanti problemi. La vide radiosa e solare come sempre, i capelli dorati e quel fuorilegge fin troppo apprensivo che non l’abbandonava mai.
Vederli insieme fu una botta dura, che fece male più di qualsiasi altra ferita, ma si morse un labbro e non disse nulla.
«Ma Principessa, gli ordini del Re sono che…» Ma venne bruscamente interrotto.
«Non importa!» Asserì riprendendo fiato una volta giunta in prossimità delle guardie.
«Rapunzel!» Il grido proveniva dal basso: la nube aveva ormai raggiunto il cancello e a Madre Gothel non si presentava più alcuna via d’uscita.
«Fate presto!» Si unì al coro Eugene, aiutando le guardie ad abbassare le due leve del portone.
Rapunzel si affacciò alle mura, quel cancello non si sarebbe aperto in tempo, ne era certa.
L’ansia l’assalì, ansia come se stesse per perdere qualcuno a lei caro, ansia come se una parte di lei fosse in pericolo.
«Madre!» urlò in risposta, si affrettò a sciogliere la treccia dei capelli, le mani che le tremavano mentre slacciava i fili di raso, lo sguardo sconvolto e preoccupato.
Fece per gettare i propri capelli, ancora non completamente sciolti, oltre le mura, come aveva fatto molte, moltissime altre volte, ma un urlo soffocato la fermò.
La nube aveva raggiunto il cancello, e della strega non ve n’era più traccia.
«Nooo!» Eugene l’afferrò giusto in tempo per la vita, impedendole qualsiasi altra pazzia. Il voltò si tirò, quasi dovesse abbandonarsi alle lacrime, ma le braccia del ragazzo le conferivano la giusta calma per non compiere altre stupidaggini.
Sapeva che fosse una cattiva persona, sapeva che comuqnue non l'avrebbe più rivista: ma perderla così, in quel modo brutale, l'aveva totalmente sconvolta.
Non siate più in ansia, Principessa dal cuore puro. Nessuno vi farà più del male.
Quella voce roca e solenne echeggiò in tutto il Regno, zittendo anche la più chiassosa delle creature.
Rapunzel si strinse istintivamente a Eugene, spaventata quanto incuriosita, mentre lo sguardo di tutti era posato su quell’ammasso informe: non avanzava, non superava le mura di cinta della cittadina.
Il suo compito l’aveva assolto.
«Chi sei?» Domandò il ragazzo, scettico come non mai, lo sguardo diffidente e la mente già pronta a pensare ad un modo per difendersi da quella… cosa mai vista.
Sono il bene, nobile Principe. Sono venuto per completare il lavoro che voi non siete stati capaci di portare a termine: estirpare il male da questo mondo.
Inarcò un sopracciglio, senza capire completamente quel discorso: tutto ciò che per il momento era una certezza era che quelle norme nube, qualsiasi cosa fosse, doveva possedere un potere immenso per mettere in fuga una donna senza scrupoli come Madre Gothel.
«Che ne è stato di lei?» L’ingenua benevolenza di Rapunzel si manifestò anche in quel momento: stretta fra le braccia dell’amato, il cuore non aveva smesso di battere all’impazzata.
Non avrete più motivo di preoccuparvi di loro. Una volta che saranno miei prigionieri, uno ad uno, verranno eliminati. E con loro il Male intero.
Emise la sentenza, una sentenza di morte.
Ed il cuore di tutti perse un battito.
Riporterò la pace in queste terre, estirperò l’odio, la violenza e la crudeltà che tali esseri hanno causato. Il Bene regnerà sovrano e con esso la pace eterna.
Nessuno osò più fiatare, la nube si allontanò con una velocità impressionante: e di Madre Gothel rimase soltanto il mantello scuro accasciato a terra.
«Una pace… con la morte?» e quella semplice quanto pura domanda fece vacillare ogni animo.
 
 
****
 
Camminava avanti e indietro per quei tre metri di entrata ormai da diverso tempo, leggermente in rialzo rispetto al resto del giardino per via dei cinque gradini che invitavano al portone.
E no, non si accorgeva delle goccioline di sudore che le delineavano il volto, tanto era angosciata da quell’attesa.
Lì ad Agrabah il clima era decisamente più caldo rispetto al freddo che avvolgeva Arendelle, e Kristoff continuava a chiedersi –mezzo morto all’ombra di un albero- perché mai quella riunione avessero deciso di farla proprio in mezzo al deserto.
«Non siate così in pena, principessa Anna. E’ una decisione difficile, è normale che impieghino molto tempo…» Le parole dolci di Biancaneve giunsero come un balsamo alle orecchie di Anna, la quale si volse solo un attimo in direzione della ragazza dalla pelle bianca come la neve e le labbra rosse come una rosa.
Sì, era meravigliosamente bella, proprio come dicevano, mentre coccolava alcuni uccellini all’interno della voliera.
«E come darle torto, sono lì dentro da ore!» Si lamentò Merida, intenta ad arrampicarsi sull’albero di frutti più vicino, nella speranza di ammazzare il tempo.
«Principessa Merida, forse sarebbe meglio che scendesse da lì…» Azzardò Cenerentola, visibilmente preoccupata. Volse uno sguardo al principe, il quale accennò ad avvicinarsi all’albero sul quale la rossa cercava di arrampicarsi, senza troppo successo considerando che fosse di un legno molto diverso da quelli a cui era abituata.
«No no, non vi preoccupate, sono abitua-» Ma non fece in tempo a terminare la frase che scivolò, cadendo dritta dritta nelle braccia di Eric, il quale era tranquillamente appoggiato all’albero.
Si lanciarono uno sguardo perplesso, tutti e due, dopodiché Merida si affrettò a prendere le distanze: no, decisamente non era nel suo stile, cadere fra le braccia di qualcuno, specie di un principe.
«Resta il fatto che ci stiano impiegando un po’ troppo tempo, per i miei gusti. Devono solo dire sì o no alla richiesta dei cattivi!» Sentenziò Jasmine, decisamente spazientita.
«Ecco una che parla la mia lingua!» Commentò in risposta Anna, fermando momentaneamente il proprio andirivieni sui gradini.
«Bisogna avere pazienza, non temete.» Sentenziò cautamente una voce fin troppo dolce.
«E’ facile per voi, principessa Aurora. La pazienza ve la siete fatta venire per forza!» Commentò Naveen con superficialità, disteso all’ombra a suonare il proprio mandolino.
«Naveen!» Lo rimproverarono Filippo e Tiana, la quale stava aiutando Biancaneve a riordinare la voliera con i piccoli passerotti blu e bianchi.
«Avrebbero potuto almeno farci entrare, in fondo è una cosa che riguarda anche noi.»
«Giusto, la bambolina rossa ha ragione.» Intervenne Megara, portando un braccio attorno al collo della sirenetta con fare amichevole. « I cattivi hanno sempre aggredito noi, no? Direi che abbiamo voce in capitolo.» Terminò con espressione piuttosto sicura di sé, incontrando tuttavia qualche opposizione.
«Sbagliate a dubitare della vostra stessa gente. Hanno a cuore solo il bene dei Regni.» Pocahontas era pacata, nelle sue parole.
Un tono cauto e democratico, di chi è abituato ad arrivare al cuore delle persone, con quel pizzico di autorità.
Megara sbuffò sonoramente, Jasmine si limitò ad inarcare un sopracciglio.
«Io non dubito di mia sorella, metterei la mia stessa vita nelle sue mani! Solo… penso che non avrebbero dovuto decidere soltanto i Re e le Regine. Non hanno vissuto tutto quello che abbiamo passato noi, con loro.» Una ferita ancora aperta, una ferita che in fondo doleva a tutti loro.
Nessuno disse più nulla, qualcuno sbuffava, qualcun altro si limitava a fare altro, distraendosi.
Dovettero attendere pochi attimi, prima che il portone venisse aperto ed i regnanti di ogni fiaba avanzassero, mostrandosi più o meno tutti.
Assieme a loro, ovviamente, c’era anche Grimilde, la quale aveva dato tutte e informazioni in suo possesso affinché la decisione presa fosse la migliore.
«Ebbene, noi Re e Regine abbiamo preso la decisione finale e ci aspettiamo che voi tutti la rispettiate come tale.» Sentenziò il Sultano, che faceva le veci degli altri presenti proprio perché era il padrone di casa.
«E ci teniamo a specificare che la conclusione è stata discussa ampiamente e molto sofferta, quindi speriamo che ognuno di voi sappia cogliere il meglio da queste parole.» intervenne il re degli dei con foce forte ed imponente, tanto che il Sultano dovette scuotere appena il capo per riprendersi.
Tritone, seduto sul tappeto volante perché contrario all’idea di accettare un paio di gambe, si limitò a sbuffare.
«I cosiddetti “buoni” delle favole decidono…» Attese qualche attimo, tenendoli sulle spine.
Si volse poi a Grimilde accanto a lui, un’occhiata intensa, particolarmente profonda, ancora velata di diffidenza. «…di accettare la richiesta dei cattivi e di aiutarli nella battaglia contro questo “Bene”.».
Calò di nuovo il silenzio, seguito da qualche chiacchierio comune.
Alcuni tirarono un sospiro di sollievo, altri non reagirono, altri ancora accennarono ad una smorfia.
«Io non ci sto.» Prese posizione Megara, l’unica forse che aveva una mezza idea di cosa significasse davvero essere dalla parte del male.
«Meg…» tentò Hercules, visibilmente perplesso. La donna si limitò ad evitare il suo sguardo, facendo un paio di passi in avanti.
«La loro richiesta è dettata solo dall’egoismo, a noi non viene in tasca nulla. E di certo eliminare questo “Bene” conviene solo a loro, non a noi.» Sentenziò decisa, incrociando le braccia sotto il seno, lo sguardo puntato dritto dritto nelle iridi verdi di Grimilde.
«Sembra che tu sappia bene cosa significhi stare dalla parte oscura, ragazzina. Sicura di trovarti nel lato giusto, ora?» La provocò senza scrupoli, dopotutto la conosceva, quando era un’anima prigioniera di Ade avevano avuto modo di incontrarsi,  negli Inferi.
Megara palesò una smorfia, con tutte le intenzioni di ribattere.
«E tu sei sicura di avere il diritto di chiederci aiuto, strega?» La voce di Adam tuonò letteralmente nel cortile del palazzo reale e soltanto il contatto con Belle garantì una certa calma nel suo animo.
Grimilde si morse un labbro, decisamente frustrata da quella situazione: aveva calpestato il proprio orgoglio, per cercare di salvare la propria vita e quella degli altri cattivi, ma non avrebbe tollerato un insulto di più.
«Smettetela, tutti quanti.» Prese posizione Aurora, alzandosi dalla panchina sulla quale era seduta. Non era una figura imponente, non aveva nemmeno una voce forte o un carattere autoritario, non tanto da imporsi sugli altri almeno: ma sapeva cosa fosse giusto, cosa fosse buono, e avrebbe sempre lottato per proteggerlo.
«Vi siete ascoltati? Avete sentito le vostre parole?» domandò metaforicamente, beccandosi uno sguardo di Adam, Megara e Naveen in contemporanea.
«Sono cariche di rancore.» Sentenziò allargando appena le braccia, il volto era serio nonostante la benevolenza nel tono.
«Se ci lasciamo sopraffare dal rancore, non saremo capaci di essere davvero felici. Dobbiamo abbandonare questi pensieri.» continuò, ma tale discorso non poté che spazientire alcuni dei presenti.
«Stiamo facendo il loro gioco, così, sonnambula. Lo capisci?» L’aggredì Megara ancora una volta, ma anche altri presero posizione.
«Allora perché dichiararsi tra i buoni, Megara?» le domandò Belle, con un tono appena più deciso del solito. «Se non sappiamo guardare oltre queste cose, con quale coraggio ci definiremo mai dalla parte del giusto?»
«Belle ha ragione. Non abbiamo forse combattuto sempre il male proprio perché capace di portare solo odio e dolore? Abbiamo scelto un’altra via, e lo abbiamo fatto tutti.» Sottolineò Biancaneve, enfatizzando le proprie parole portandosi le mani al petto.
Sottolineò quel “tutti” con lo sguardo a Megara, così come ad Adam, Naveen e tutti coloro che avevano sollevato dubbi e perplessità.
Si volsero tutti a lei, alla prima fra le principesse, a colei che aveva iniziato quella lunga discendenza di cuori puri e sinceri, che mai avrebbero voluto il male per coloro che gli stava accanto.
Per chiunque.
Calò il silenzio, nessun altro osò intervenire.
Megara sospirò pesantemente, volse loro le spalle e con passo deciso mostrò l’intenzione di andarsene, ma Hercules la fermò dolcemente, stringendola fra le proprie braccia.
«Bene. Mi sembra che a questo punto siamo tutti d’accordo.» Concluse il Sultano leggendo lo sguardo più o meno convinto di tutti i presenti.
«A questo punto è necessario organizzarsi in vari gruppi, per vedere come affrontare questo “Bene” su più fronti. E lo faremo tutti quanti.» Il suo sguardo si fece ancora più serio, se possibile, decisamente autoritario, e non mancò di volgersi anche alla Strega Cattiva.
«Tutti coloro che sanno combattere con le armi seguiranno Re Fergus, con il quale si addestreranno. Chi ha abilità strategiche si unirà all’Imperatore della China e al capo tribù Powhatan. Coloro che hanno, invece, particolari abilità magiche faranno riferimento alla Regina Elsa.» Si volse nuovamente verso Grimilde, quasi a volersi assicurare la sua collaborazione. «Questa suddivisione vale anche per i vostri, Regina Grimilde. E ci aspettiamo che collaboriate apertamente.» Lo sguardo di tutti fu puntato su di lei, su quella donna che si era letteralmente umiliata ma che, nonostante tutto e tutti, possedeva ancora quell’insana eleganza.
«Certamente.» E quel malsano sorriso perennemente rivolto a Biancaneve.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fight ***


Note Autrice:
Per festeggiare l'aumento di recensioni (me felicissima :3) ho aggiornato prima del tempo e ho fatto un capitolo un pò più lungo del solito, quindi spero lo apprezziate :D


 
Fight
 
Re Fergus aveva allestito un campo davvero enorme, nella periferia di Dumbrok, affinché tutti i selezionati per il gruppo del combattimento con le armi potessero allenarsi senza il rischio di ferire qualcuno.
Considerando che dovesse avere a che fare anche con i cosiddetti “cattivi”, non sapeva esattamente cosa aspettarsi e per questo preferiva essere prudente, scoraggiare qualsiasi tentativo da parte loro di inoltrarsi fra la sua gente.
E sì, era abbastanza palese che fosse estremamente diffidente, anche se probabilmente chi lo aveva costretto a simili misure di sicurezza era stata la regina Elinor – che era contraria a tutto questo già dal principio, ma aveva dovuto adeguarsi.
Il luogo era circondato sostanzialmente dalla foresta e da un’alta montagna, suddiviso in svariate parti a seconda dell’arma che si era in grado di utilizzare al meglio.
In uno di questi, i principi si stavano già affrontando con le spade, sia Febo che Filippo non si concedevano tregua e lanciavano fendenti l’uno sull’altro, nella speranza di riuscire a migliorarsi cammin facendo: avevano vissuto nei loro mondi per troppo tempo, utilizzando sempre lo stesso stile e combattendo gli stessi avversari, dunque quella era sicuramente un’occasione per capire i punti deboli che mai avevano intuito prima.
All’estremità del campo, dinnanzi alle montagne, la principessa Kida e Milo cercavano di insegnare a quanti più combattenti possibili l’utilizzo dei veicoli volanti alimentati dalla luce di un cristallo azzurro, nella speranza che l’introduzione di macchinari differenti dalla magia –nel vero senso del termine- potesse essere un aiuto prezioso.
Certo, non conoscendo l’entità di questo “Bene” non potevano sapere quanto la scienza e le tradizioni popolari, unite assieme in quel popolo tanto antico quanto moderno, potessero essere efficaci, ma considerata la situazione ogni tentativo andava fatto.
Altri si stavano affrontando, tra i vari scontri i tre gemelli dalla testa riccioluta rossa si divertivano ad intromettersi a caso, uno sopra all’altro ed il terzo con una spadina di legno fra le mani, giusto per essere partecipi all’addestramento – nonostante la madre si fosse raccomandata di non uscire dal castello, ma erano dettagli.
Shang cercava –inutilmente e senza successo- di insegnare qualche colpo a Naveen, vestito in modo assolutamente inappropriato, con quella specie di coppola sulla nuca ed il mandolino appoggiato su di una pietra, al quale lanciava qualche sporadico sguardo.
«Oh insomma! Perché devo imparare ad usare una spada? E’ grezza e pure pesante, si fa una fatica boia a reggerla!» Si lamentava continuamente, scrollando le spalle.
Shang si limitò ad un sospiro dopo quelle ennesime lamentele. «E’ così che intendi difendere il tuo paese?» Era sinceramente perplesso, il generale: lui aveva dato la vita per il proprio paese, si era messo a servizio della sua gente e mai avrebbe creduto che ci fosse qualcuno di tanto… ingrato.
Sì, lo considerava un ingrato, quel principino viziato, e ancora si chiedeva come una persona tanto dedita al lavoro come la principessa Tiana avesse potuto sposarlo.
«E’ questo il punto. Io non devo difendere nessuno, tantomeno quello stregone imbroglione!» Si lamentò di nuovo, lasciando a terra la spada e andando a sedersi su di una roccia, mandolino alla mano e musica jazz.
«Non erano questi gli accordi.» Asserì Shang con maggior fermezza, incrociando le braccia sul petto, mentre riponeva la spada.
«Io non ho firmato nulla. Hanno deciso i miei genitori, non io.» Proferì il principe di Mandolia con strafottenza.
«Su questo non ho dubbi! Se dipendesse dal vostro buon cuore, a quest’ora anche la principessa Tiana starebbe ancora sudando sette camicie per quel ristorante!» Non erano parole cattive, né l’intenzione era quella di ferirlo.
Ma sapeva dove andare a parare, il generale Shang, l’astuzia non gli mancava: un tono cauto, quasi solenne e di rimprovero, che raggiunse il suo obiettivo.
«Cosa hai detto?» Aveva cambiato subito atteggiamento, dal menefreghismo di prima lo sguardo si era fatto quasi minaccioso. Fermò il movimento delle dita sulle corde, rialzando il volto verso il generale.
Oh sì, aveva saputo toccare l’unica cosa sulla quale il Principe non avrebbe mai scherzato.
«Credo che mi abbiate sentito molto bene. Ed aggiungo che, a mio parere, voi non meritate una persona tanto volenterosa e caparbia. » Stava rincarando la dose appositamente, con tutte le intenzioni di spronarlo.
E per quanto fosse superficiale, per quanto gli importasse ben poco di chiunque al di fuori di se stesso, Naveen non avrebbe mai accettato che qualcuno lo allontanasse dall’unica persona che era stata capace di cambiarlo, di renderlo un po’ migliore: Tiana.
E anche ora, ora che si trovava a dover decidere tra il comfort e la fatica, la sua scelta era stata determinata solo e soltanto da lei.
Lasciò a terra il mandolino e prese quella spada fra le mani, lanciando uno sguardo di sfida all’altro.
«Fatti sotto, cinesino!» E Shang, continuando a fingere serietà nel combattimento, si lasciò sfuggire un pizzico di soddisfazione.
 
«Allora, branco di stoccafissi! Chi si fa avanti contro il re dei pirati?» Uncino camminava con il suo solito passo da nobiluomo fra i piccoli scontri che avvenivano, guardandosi intorno quasi cercasse un degno avversario.
Perché sì, poteva anche tenerci un po’ troppo all’aspetto e all’abbigliamento, ma con la spada era davvero temibile. Si fermò con fare composto, lisciandosi un baffo con l’uncino mentre lanciava sguardi di superiorità un po’ ovunque – venendo il più delle volte ignorato, ma erano dettagli.
«Avete tutti paura, eh? Rammolliti!» Continuava a dire tra uno sbuffo e l’altro.
«Vi sfido io, Capitan Uncino.» Una voce decisa quanto aggraziata, un posso che era stato tanto delicato e silenzioso da non essere udito.
Uncino si volse in quella direzione, incontrando la figura snella ed agile dell’eroina della Cina, abbigliata con la divisa dei guerrieri, la spada del padre tenuta saldamente fra le mani.
La osservò, inarcando un sopracciglio, prima di scoppiare in una grassa risata.
«Voi, madamigella? Una donna?» Si sforzava di mantenersi cordiale, ma proprio non ci riusciva.
Continuò a ridere, veramente di gusto: per quel che ne sapeva lui le principesse se ne stavano a canticchiare nei loro castelli, non prendevano di certo un’arma fra le mani!
Fu questione di un attimo, un colpo lesto e sicuro, ed i ciuffetti scuri del baffo destro che cadevano a terra, inermi.
Sgranò gli occhi, volgendo uno sguardo furibondo a Mulan: già in posizione, pronta al combattimento.
«Ora ho la vostra attenzione, stoccafisso?» Lo sbeffeggiò con estrema eleganza ed il re dei pirati sentì il crimine salirgli: principessa o non principessa, nobile o non nobile, lui era pur sempre un cattivo… e come un cattivo avrebbe sguainato la spada contro quella eroina che aveva osato sfidarlo tanto apertamente.
E no, non avrebbe mai ammesso che quella ragazza era davvero in gamba.
 
Una freccia venne scoccata, poi un’altra, ed un’altra ancora.
Centrava ogni singolo bersaglio senza mancare nemmeno un colpo, tendendo l’arco con maestria ed un’evidente esperienza.
E tutti lo guardavano, estasiati, Merida addirittura teneva la bocca mezza aperta.
«Ora capisco perché Robin Hood è tanto famoso.» Allargò le labbra carnose in un sorriso, avvicinandosi  ad uno degli altri bersagli circolari in paglia: tese l’arco, mirò socchiudendo appena un occhio, i lunghi capelli neri e lucenti che si muovevano appena, accompagnati dal vento che mai l’abbandonava.
Scoccò la freccia e mancò il centro esatto solo per un paio di millimetri.
«Non male, principessa Pocahontas.» Si complimentò la volpe facendole l’occhiolino, prima di prendere un’altra freccia. E mentre i due continuavano l’allenamento, Merida rimaneva impalata ad osservarli: anche lei era brava e sapeva di esserlo, lo aveva provato a se stessa e all’intero suo regno…
Ma avrebbe saputo competere anche con gli arcieri degli altri mondi?
«Sì, è notevole, ma ora lasciate fare al campione!» Si fece avanti Gaston, i muscoli tonici e ben evidenti sulle braccia, mentre andava ad appoggiare un braccio attorno al collo dell’indiana con fare fin troppo confidenziale.
«Se centro esattamente il bersaglio che premio mi merito, bellezza?» Le domandò con un sorriso beffardo, tanto che la principessa si limitò ad uno sguardo scettico, liberandosi fin troppo garbatamente di quel braccio.
«Non credo sia il modo migliore per rivolgersi ad una donna, signore.» Disse garbatamente, allontanandosi di un passo.
Robin roteò le iridi al cielo, continuando il proprio allenamento, mentre il bel fusto tendeva l’arco, scoccando una freccia che si avvicinò particolarmente al centro, mancandolo di mezzo millimetro.
Fece una piccola smorfia, ma non perse occasione per tornare a rivolgere la propria attenzione a Pocahontas.
«Ecco fatto, semplice come bere un bicchier d’acqua.» Disse scrollando le spalle ed allungando una mano per sfiorare il viso della principessa. «Dove eravamo rimasti?» Domandò beffardo sotto lo sguardo perplesso della principessa, che decisamente non comprendeva quegli atteggiamenti sfrontati degli uomini stranieri: John, nei suoi confronti, si era comportato in tutt’altro modo.
Ma quella mano forte e prorompente non raggiunse il volto della donna, poiché fra di loro si frappose un ammasso di riccioli rossi e ribelli.
«Mi pare che Pocahontas sia stata chiara, no? Non desidera le sue attenzioni.» Specificò Merida già sul piede di guerra, incrociando le braccia sul petto.
Gaston inarcò palesemente un sopracciglio. «E con quale autorità mi diresti quello che posso o non posso fare, ragazzina?» La sbeffeggiò con fare superiore: decisamente la stazza era superiore, anche di parecchio, ma la rossa in questione non sembrava temere troppo tale disparità.
Presa di petto quella sfida, Merida estrasse una freccia, mirò allo stesso bersaglio a cui avevano tirato i due poco prima e scoccò: centro. Centro perfetto.
Pocahontas sorrise, mentre Gaston cominciò ad assumere un’espressione tutt’altro che rassicurante.
«Con quella di miglior arcere.» Concluse lei con espressione estremamente soddisfatta, ma si ritrovò ad indietreggiare nel momento in cui l’uomo cominciò ad avanzare pericolosamente verso di lei.
«Razza di…» Ma non terminò la frase, poiché un frastuono si udì da una infima distanza.
«Largooooooo!» La voce di un ragazzo echeggiò nell’aria ma prima ancora che i quattro si rendessero conto della situazione, un drago dal manto nero con qualche riflesso bluastro fece capolinea proprio lì, investendo con fare particolarmente scapestrato ogni cosa…
E ogni persona.
Difatti, Pocahontas e Robin sfruttarono la loro abitudine di allontanarsi con una certa agilità dal pericolo, evitando di essere colpiti, mentre Gaston si prese una “codata” in pieno petto che lo sbalzò a parecchi metri di distanza.
Merida, in tutta risposta, aveva già ripreso in mano l’arco e puntava una freccia in direzione di quegli occhioni verdi, la punta affilata che ne sfiorava il naso.
«Stai indietro!» Urlò con la voce tremante, il draghetto la guardava perplesso ma ancora agitato per la situazione in cui si trovava, sin quando un ragazzo non spuntò dal suo dorso: capelli in disordine, espressione estremamente imbarazzata e fare impacciato, impacciatissimo.
«No no, ferma! Non fargli del male, è innocuo!» Tentò di mediare ma il draghetto aprì la bocca, nel tentativo di sfilare la freccia alla ragazza, non riuscendoci poiché lei indietreggiò s’istinto di un paio di passi.
«Oh sì lo vedo! Vuole mangiarmi!» Gli urlò decisamente spaventata, ma quella freccia non era stata scoccata.
«No! Hai frainteso, lui vuole solo giocare!» Cercò di spiegare ancora il ragazzo, tendendo una mano per enfatizzare le proprie parole.
Ma Merida non era convinta, non aveva mai visto un drago e per quanto la riguardava gli orsi erano stati più che sufficienti, come minaccia.
«Dovrà passare sul mio cadavere allora!» Era determinata, eppure le mani le tremavano.
L’orgoglio le diceva di scoccare quella freccia, il cuore di abbassare l’arco.
«Aspetta! Lui è buo» Ma non terminò la frase, poiché in uno dei suoi tanti movimenti bruschi Sdentato inarcò il dorso, catapultando Hicchup oltre la sua schiena.
Su Merida, precisamente.
La investì in pieno e si ritrovarono entrambi a terra, lui con la schiena sull’erba, lei sul suo petto.
Si lanciarono uno sguardo attonito, arrossendo contemporaneamente.
«Ehm…scusa…io…» Balbettò il ragazzo, quando il volto della ragazza venne investito da una leccata spropositata del draghetto.
«Che schifo!» Si lamentò lei, mettendosi seduta sull’erba e togliendosi dal ragazzo.
Le iridi chiare incrociarono l’espressione giocosa del drago, seduto di fronte a lei, con Hicchup tra di loro che si rialzava.
«Hai visto, non ti ha fatto nulla di male.» Affermò lui accennando ad un sorriso timido, tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Lei lo ignorò palesemente, indicando il drago.
«Ma ha cercato di mangiarmi!» Continuò con le proprie ragioni, sin quando non vide i suoi tre fratellini che tiravano le orecchie al povero drago, saltavano sul suo dorso e giocavano con la sua lingua senza che lui fiatasse.
Rimase così, a bocca aperta, per poi prendere la mano del ragazzo e farsi aiutare a rialzarsi in un gesto quasi inconsapevole, ancora completamente rapita dalla bontà di quel draghetto.
Lo aveva giudicato male, fin troppo. Ancora una volta non aveva ascoltato.
«Io sono Hicchup Horrendous Haddock III, principessa Merida. Molto piacere.»
 
 
*****
 
La torre più alta del Castello Disney era illuminata soltanto dalla fioca luce di una torcia, quella sera.
Le iridi scure del legittimo Re di quei regni erano volte alla luna, alta in cielo, in compagnia di tanti puntini luminescenti che ne rischiaravano l’oscurità.
Si lasciò sfuggire un sorriso, nell’ammirare quella quiete paradisiaca, quando alcuni passi interruppero quella quiete.
«Ci avete fatto chiamare, Re Topolino?» Domandò una voce scura alle sue spalle.
Le orecchie tonde si mossero appena, mentre il Re teneva le mani giunte dietro la schiena, mantenendo lo sguardo oltre la finestra.
«I Regni sono nuovamente in pericolo, ragazzi miei. E questa volta la minaccia è… molto, molto differente da ciò che già avete affrontato.» I ragazzi alle sue spalle si lanciarono uno sguardo perplesso, sin quando Sora non si fece avanti a nome di tutti e cinque.
«Può essere preciso, Maestà?» Il silenzio calò per qualche alto attimo, sin quando il Re non si decise a voltarsi.
Li guardò tutti e cinque, quei valorosi combattenti, coloro che in modi differenti avevano sfidato le tenebre assieme a lui.
Sconfiggendola.
«E’ la luce, questa volta, ad essere la nostra nemica.» Esordì, venendo interrotto quasi subito dalle proteste pressochè incomprensibili di Paperino, al quale venne rivolto un gesto di cordiale quiete.
«Lasciate che vi spieghi.» Disse tendendo le mani in avanti, in modo tale da quietarli, mentre Pippo appoggiava una mano sulla spalla dell’amico pennuto.
«C’è un’entità a noi ignota, chiamata “Bene”, che si è prefissato lo scopo di eliminare tutti i cattivi di ogni singolo mondo. Tutti quanti.» Ma non finì di spiegare che Paperino esordì in una iperattività incredibile, abbracciò Sora accanto a lui e Pippo si unì a loro da tanta era la felicità, come ai vecchi tempi. Finalmente qualcuno avrebbe fatto quel lavoro al posto loro, occupandosi dell’oscurità di quei cuori corrotti.
«Ma questo è un problema. E molto grosso.» Quel balletto “della felicità” si interruppe improvvisamente. Tutti e tre guardarono il Re con aria perplessa, prima di distanziarsi e assumere nuovamente una posizione consona e composta.
«L’equilibrio tra bene e male è a rischio.» La risolutezza di Riku non colpì il Re, il quale si limitò ad un accenno di sorriso, soddisfatto che avesse intuito immediatamente.
«Esatto. I cattivi vanno combattuti e sconfitti, ma non eliminati. Per questo motivo i Re e le Regine di ogni regno delle favole hanno deciso di unire le proprie forze per proteggere quelli che un tempo sono stati i nostri rivali.» Paperino e Pippo si lanciarono un’occhiata perplessa, ma non ribatterono.
Nessuno di loro fece domande, nemmeno Sora, Riku tantomeno.
Avevano già provato cosa significasse alterare l’equilibrio dei mondi.
«Come lo si può combattere?» Domandò di nuovo il ragazzo, colui che aveva provato l’oscurità sulla propria pelle, saggiandola a protezione delle persone a cui più teneva.
«A tal proposito, mi sono confrontato con Mago Merlino e la Fata Turchina, che ho ritenuto i più saggi ed esperti a riguardo.» Riprese a parlare Topolino, camminando avanti e indietro dinnanzi alla finestra.
«In base alle informazioni che hanno ricavato quest’oggi dal sequestro di Scar e Maga Magò, sempre da parte di questa entità, siamo riusciti a capire che le magie e gli attacchi dei cattivi non sono efficaci contro il “Bene” poiché sono oscuri, carichi di odio e di rancori.» Spiegava pazientemente, mentre ognuno di loro cercava di coglierne il significato più profondo.
«Di conseguenza, supponiamo che gli incantesimi dei buoni siano efficaci.» Concluse, avvicinandosi ad un tavolino di legno e prendendo un pacco che sembrava contenere fogli di carta.
«Gli incantesimi buoni derivano da emozioni positive, da animi sinceri, da una volontà benevola. E’ necessario che anche i cattivi imparino tutto questo, se vogliono difendersi. O almeno tentare di modificare la natura delle loro magie, da oscure a luminose.» Sospirò, porgendo il pacchetto a Kairi, con la quale scambiò un cenno d’intesa.
«Tutto questo è spiegato in queste lettere. Dovrete consegnarle ad ogni regno del mondo Disney… ed anche i cattivi dovranno prenderne visione.» Si premurò di questo, tanto che la ragazza fece un cenno d’assenso col capo, accompagnandolo ad un dolce sorriso.
Sora inarcò un sopracciglio, perplesso, non del tutto convinto.
«Come avremo la certezza che i cattivi non ne approfitteranno?» Premuroso e diffidente come sempre verso coloro che avevano ferito, rapito e aggredito senza scrupoli.
Premuroso soprattutto verso di lei, quella principessa cresciuta assieme a lui, e che con lui sarebbe rimasta sempre.
«L’unica certezza è ciò in cui abbiamo sempre creduto e confidato sino ad adesso…» Si sfiorò il petto con la mano. «…il nostro cuore. Tu dovresti saperlo meglio di molti altri.» Gli rispose con una certa serietà, senza però mancare di risolutezza.
Sora esitò, prima di acconsentire con un cenno.
«Non vi preoccupate, Maestà. Andrà tutto per il meglio!» Esordì Pippo con la solita positività, contrariamente a Paperino che già stava brontolando fra sé e sé.
«Lo spero, amici miei. Lo spero.» Disse con un sorriso sconsolato, osservando le loro figure allontanarsi.
Per quanto riguardava lui, Re Topolino, sovrano di quell’interno mondo, avrebbe continuato la ricerca di informazioni su quella entità: la responsabilità di ogni cosa, in quei regni, era soltanto sua.
E poiché la Regina del Male, Malefica, era stata sconfitta tanto rapidamente, lui non poteva che tremare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sacrifice ***


Sacrifice
 
Osservava intimorita da dietro una colonna di ghiaccio, attenta a non farsi vedere da quel manipolo di persone – soprattutto di cattivi – radunati nel grande spiazzo davanti al palazzo ghiacciato.
Quasi saltellava sul posto dal freddo, ma sicuramente la fifa di ritrovarsi quegli antipatici a pochi metri di distanza non la metteva proprio a suo agio: che genialata, decidere di affiancare la sorella maggiore nella gestione del gruppo delle abilità magiche.
Davvero una splendida idea, che come minimo le sarebbe costata qualche anno di vita per tutti i colpi che le sarebbero venuti: lei, dopotutto, non aveva magia, né poteri, né chissà quali strane abilità al di là dell’essere logorroica, spensierata e molto, molto imbranata.
«Ma tu sei proprio sicura di voler andare là, in mezzo a tutti quei bruttoni? Voglio dire, poteva farlo qualcun altro, come la Fata Turchina, o il Genio, o…» Continuò ad elencare una serie di personaggi che aveva conosciuto al palazzo del Sultano, quasi sperasse di far cambiare idea a quella testarda della sorella.
Elsa le appoggiò dolcemente una mano sulla spalla, volgendole uno sguardo di benevola comprensione.
«Andrà tutto bene, Anna. Non temere.» Le disse con una sicurezza pacata, superandola e mostrandosi ai presenti dall’alto del balconcino, proprio davanti all’enorme spiazzo davanti al palazzo di ghiaccio.
Aveva scelto appositamente quella locazione, poiché lì non sarebbe stato fatto alcun danno a cose o persone.
Qualcuno bofonchiò qualcosa, altri si limitarono ad osservare la regina di indubbia bellezza che si presentava a loro.
«Bene, signori. Visto che siamo tanto numerosi, gentilmente la Fata Madrina si è offerta di suddividervi in due sottogruppi.» Un tono solenne, quello di Elsa, tanto autoritario quanto gentile, educato, di chi sa sempre come comportarsi.
Anna la osservava da dietro le colonne con un sorriso accennato nel vedere quanto fosse adatta ad un simile ruolo: e no, non si pentì nemmeno per un attimo di aver rischiato la vita per lei. Era indubbiamente ciò a cui teneva più di ogni altra cosa al mondo… Kristoff compreso, ovviamente.
«Chi utilizza la magia per mezzo di bacchette o oggetti seguirà le indicazione della Fata Madrina. Gli altri faranno riferimento a me.» Concluse mantenendo quella posa regale che la caratterizzava, impeccabile.
«Avrei un domanda, o glaciale regina.» Intervenne Ade, con quel solito tono che azzardava all’ironia, alzando appena un dito.
Gli sguardi vennero posati su di lui, mentre la Fata Madrina affiancava Elsa ed ascoltava.
«Cosa pensate di fare? Voglio dire, abbiamo già visto chiaramente che i nostri poteri non contano una ceppa. Perché dovremmo perder tempo in questo modo?» Le sue proteste trovarono particolare appoggio negli altri cattivi, tra cui Facilier ed Ursula, i quali si scambiarono uno sguardo d’intesa e al contempo di dissenso.
«Ade ha ragione. Dovremmo pensare ad un modo per proteggerci, piuttosto.» Commentò di rimando Jafar, tono impassibile come sempre.
«E’ un’idea dei buoni, che ti aspettavi?» Commentò sarcasticamente la strega dei mari con un’evidente sarcasmo, dettato dalla rabbia e dall’invidia più cieca.
«Come vi permettete di parlare in questo modo alla Regina!» Intervenne Serenella, già su tutte le furie.
«E tu che vuoi, farfallina in miniatura?» Gli rispose sgarbatamente Facilier, mostrando una smorfia di disappunto sul volto.
La fatina venne trattenuta dalle sorelle, per non rischiare un’ennesima lite con quei provocatori per eccellenza.
E trattenere la magia, si sa, è cosa alquanto ardua.
«Calmatevi, signori, vi prego!» Esclamò Elsa, riscuotendo non molto successo tra le file oscure.
«Una soluzione c’è, siamo qui per questo.» Continuò senza lasciarsi scoraggiare, mantenendo quella calma innata.
Scambiò uno sguardo d’intesa con la Fata Madrina, la punta della bacchetta già illuminata e pronta ad intervenire nel caso in cui la situazione le fosse sfuggita di mano.
«E c’era bisogno di farci venire l’ansia prima di dircelo?» Girò il dito nella piaga il signore degli inferi.
«Noi siamo di cuore fragile, sapete?» Continuava con la sua tagliente ironia: non aveva nominato il cuore a caso, e non a caso aveva rivolto tale commento proprio a lei.
Elsa inspirò profondamente, per una frazione di secondo Anna ebbe l’istinto di intervenire, prendere un secchio d’acqua e spegnere la fiammella che quel simpaticone aveva sulla testa.
E poco le importava che fosse niente di meno che il signore degli inferi!
Ma la Fata Madrina le fece cenno di quietarsi, segno che la Regina fosse stata capace di controllarsi, di mettere da parte i propri dolorosi ricordi.
«Come comunicatoci da Re Topolino…» Riprese, ignorando un commento volante del tipo “quel roditore” in tono del tutto sprezzante. «…questa entità non viene ferita dai poteri oscuri, ma può esserlo da quelli buoni, della luce.» Ade aggrottò la fronte, Jafar finse volutamente di non capire, ma la realtà era più che evidente.
«Se volete che i vostri poteri siano efficaci, dovrete lasciar emergere ciò che di buono c’è in voi. Emozioni comprese.» Concluse candidamente.
Ci fu un attimo di silenzio, prima che Ursula desse inizio ad una risata generale di tutti i presenti.
Persino Trilly non riuscì a trattenersi e dovette coprirsi le labbra con le mani, ricevendo uno scappellotto da una Flora piuttosto irritata.
«Ma dico, ci state prendendo in giro?» Esclamò Ade tra una risata e l’altra, mentre Facilier era letteralmente piegato in due.
«Noi, cattivi per eccellenza, provare emozioni positive? Ma per favore, non siamo mica in un letto di bambagia come voi sciocchi!» Rincarò la dose Ursula, già pienamente contraria dall’inizio riguardo a quel ridicolo piano di chiedere aiuto ai buoni.
Aveva accettato soltanto perché la scomparsa di Maga Magò era stata per tutti un secondo colpo fin troppo basso: una maga di un certo livello sconfitta con tanta facilità. Non era qualcosa da sottovalutare.
«E cosa dovremmo fare, pensare a tanti bei fiorellini colorati e dolcissimi unicorni» mimò Ade grazie ai propri poteri. « mentre quella…cosa, ci vuole ammazzare tutti?»
 Terminò piuttosto irritato.
La Fata Madrina stava già per intervenire, così come Jafar si era preparato allo scontro, ma ancora una volta la mediatrice in carica si fece sentire.
«E’ possibile, invece. E’ possibile convivere sia col bene che col male.» Esclamò, sicura di sé.
«E come, reginetta dei ghiacci? Hai delle prove per questa tua stupida idea?» Ursula non usava mezzi termini, polemica e contrariata come non mai.
Elsa non si scompose nemmeno questa volta, ispirò a fondo, sentì le mani cominciare già a gelarsi, ma le ignorò.
Niente emozioni. Non adesso. Calma.
«Io sono la prova.» Strinse istintivamente i pugni, reprimendo la rabbia verso se stessa, la paura che ancora provava, il rancore che dentro di sé portava per ciò che aveva fatto.
Ma non si sarebbe arresa, non avrebbe ceduto, mai più.
«Elsa…» Bisbigliò Anna con un fil di voce, le labbra dischiuse a metà tra il dispiacere e la soddisfazione nei confronti della sorella.
«Ho spaventato la mia gente, ho messo in pericolo i miei amici, ho quasi ucciso la persona che più amo al mondo…» Il cuore le si strinse, ma continuò. La Fata Madrina si portò d’istinto una mano al petto.
«…ma sono anche stata capace di salvarli.» Affermò tendendo le mani ai lati del grande spiazzo, dove non vi era nessuno. Socchiuse appena le iridi, concentrandosi.
-Entrambe le emozioni, negative e positive, possono coesistere. Perché fanno parte di noi.- Alzò con forza le braccia verso il cielo e due enormi colonne di ghiaccio si alzarono ai suoi lati.
Un ghiaccio limpido e cristallino da una parte, perfettamente levigato, un altro rosso e minaccioso dall’altra, spigoloso e dalle mille punte.
Il male così come il bene, ed erano stati generati dalla medesima persona.
Nessuno disse nulla, dinnanzi a quella prova. Nessuno.
Ursula si limitò ad una palese smorfia, incrociando le braccia sotto il seno prosperoso.
Il consenso, volente o nolente, lo ottenne con quella piccola prova e scese nello spiazzo assieme a tutti gli altri, Fata Madrina ed Anna comprese.
I cattivi, a dire il vero, non si impegnavano poi molto. L’idea di abbandonare anche solo per un attimo ciò per cui erano nati li faceva rabbrividire, tanto da mortificarli nel profondo dell’animo.
Ursula, poi, faceva di tutto per far impazzire le tre povere fatine del regno di Re Stefano, con tutte le intenzioni di comportarsi all’opposto.
Quali emozioni avrebbe mai dovuto ricercare?
Nella sua vita, di soddisfazioni, ne aveva avute ben poche: tradita dalla sorella Morgana, sconfitta più volte da Re Tritone, esiliata lontano dalle sue terre ed infine infilzata come un polipetto.
Cosa mai avrebbe dovuto vedere, di bello, nella vita?
 
«Per la barba di quel gradasso di mio fratello, lo volete capire che io non ci posso oggettivamente riuscire? Sono il dio degli Inferi, okay? Degli I-N-F-E-R-I! Morte, distruzione, disperazione, ricatti malefici…»
«Bibite sponsorizzate Hercules…» Aggiunse Pena.
«Sì, esatto, bibite sponsorizz…» si fermò «ma da che parte state, razza di inutili esseri?!» Sbraitò contro pena e Panico, i quali si nascosero rapidamente dietro al Genio.
«Oh suvvia, fiammetta, non ti scaldare tanto. Siamo qui per collaborare, no?» Cercò di mediare l’uomo in azzurro, con quel sorrisone a trentasei denti stampato in volto.
Ade sbuffò sonoramente, voltandogli le spalle.
«Io trasporto morti, non sorrisi spensierati!» Protestò di nuovo, piuttosto contrariato, mentre il Genio cercava in un qualche modo di fargli cambiare idea, mostrandogli alcune delle proprie infinite abilità mescolate ad un’alta dose di buffonaggine.
 
«Provate ad applicarvi di più, Jafar. Sono certa che ci riuscirete.» Lo esortava Rapunzel, sforzandosi di non essere intimorita da quell’uomo tanto alto ed autorevole.
Lui la osservò con la coda dell’occhio, senza darle apparente corda, mentre muoveva lentamente il proprio bastone creando cerchietti di un fumo color porpora, generalmente velenoso.
«Oh, e questa roba cosa sarebbe?» Gli domandò curiosa, appoggiando le mani sulle ginocchia appena piegate, sporgendosi in avanti per un attimo.
Il gran visir mostrò una smorfia sconsolata dinnanzi a quella curiosità del tutto infantile, almeno ai suoi occhi: era abituato con Jasmine, testarda e spesse volte altezzosa, trovarsi davanti ad una fanciulla tanto benevola lo lasciava sospettoso.
«E’ veleno.» Rispose seccamente, senza andare oltre nei particolari.
Non che si stesse veramente concentrando alla ricerca di un pensiero felice o piacevole, ma se non altro non continuava quelle assurde proteste che non sarebbero servite a nulla.
Avevano accettato, fine della storia.
«Davvero? Io lo pensavo liquido, ha una consistenza strana…» Continuò la biondina, accennando ad allungare la mano, intenta a sfiorare quella nube purpurea ma Jafar se ne accorse in tempo, fermandole il braccio con un gesto secco e quasi sgarbato.
«Ragazzina, lo vuoi capire o no che questa nube è…» Ma si interruppe nel vedere che quella nube, prima violacea e minacciosa, aveva lentamente cominciato a cambiare colore, divenendo più chiara, mutando il proprio veleno.
«Sta…cambiando?» Balbettò Rapunzel, stupita almeno quanto il Gran visir.
«Io non sto facendo nulla.» Ammise scettico, prima di accorgersi nel contatto che stava mantenendo con la principessa.
Le lasciò il braccio con un gesto di disprezzo, allontanandola appena, ma nel momento in cui il contatto svanì la nube tornò ad essere violacea.
Si scambiarono uno sguardo perplesso, Jafar ancora serio, diffidente, mentre Rapunzel cominciò a palesare un sorriso gioioso.
«Regina Elsa! Fata Madrina!» Le chiamò, attirando l’attenzione di tutti.
«Penso… sì, abbiamo scoperto una cosa molto importante!» Affermò all’apice della contentezza, mentre l’uomo alto e snello alle sue spalle non accennava a mostrare alcuna vera espressione.
Dunque il contatto con una principessa, con un cuore puro, avrebbe modificato i poteri di quegli animi accecati da odi e rancori?
 
Il richiamo di Rapunzel attirò pressochè tutti, la Regina Elsa in particolare accorse il prima possibile accompagnata dalla sorellina, le iridi chiare che brillavano di curiosità.
«Allora?» domandò Anna, fremente, ma quando Rapunzel prese a raccontare quanto era appena accaduto il terreno sotto i loro piedi cominciò debolmente a tremare.
Si guardarono gli uni negli occhi degli altri, nella speranza di attribuire a uno di loro quel fenomeno ma ogni dubbio venne risolto quando una nube giallastra fece la sua comparsa dai monti poco distanti dal palazzo.
Quella nube.
«Tutti dentro al castello, presto!» Ordinò Elsa leggermente allarmata, rimanendo immobile in quella posizione, quasi a sperare di poter interrompere l’avanzata della nube con la sua sola presenza.
Qualcuno tentennò, altri si diressero immediatamente in direzione del palazzo: il ghiaccio con cui era stato creato era limpido, puro, cristallino, quindi di un potere buono che quel cosiddetto “Bene” non avrebbe potuto distruggere.
«Inutile tentare di salvarsi, oscure creature… Il male verrà estirpato!»
Rapunzel rabbrividì nell’udire di nuovo quella voce tuonante, tanto che il Genio dovette caricarsela sulle spalle e portarla via a forza per evitare che rimanesse indietro.
Corsero tutti quanto più velocemente possibile, ma nuovamente il terreno sotto di loro tremò, uno scrollo tanto forte che la montagna cominciò lentamente a creparsi.
Pochi attimi, e l’ancora di salvezza dinnanzi a loro si sbriciolò come fosse di cristallo, distruggendosi in mille pezzetti a causa del crollo della montagna affianco.
«Oh oh…» Pena e Panico sgranarono gli occhi, un brivido gelido percorse la schiena di tutti i presenti, dei cattivi soprattutto.
E non era per il freddo.
«E adesso?» Sbraitò Facilier, sinceramente preoccupato.
Avrebbe evocato qualche suo amico dell’aldilà, ma era consapevole che non sarebbe servito a nulla.
«Lo sapevo! Non dovevamo fidarci di loro!» Ritornò alla carica Ursula, in preda alla disperazione e alla rabbia.
«Taci, strega. Così non aiuti!»
Le ringhiò contro Jafar, il quale si sforzava di farsi venire in mente qualcosa, e in fretta.
La nube avanzava; le fate, così come il Genio, Anna ed Elsa rimasero davanti ai cattivi, quasi nella speranza di poterli difendere, quando quella voce tuonò di nuovo.
«Un ghiaccio… oscuro.»
Quel commentò gelò il sangue anche a lei, alla regina dei ghiacci.
Tutti si fermarono per una frazione di secondo, mentre lo sguardo dei presenti passava incessantemente da Elsa a quella colonna di ghiaccio rossastro che lei stessa aveva creato: una dimostrazione della coesistenza del bene e del male, della loro possibilità di convivere in uno stesso corpo…
Ora trasformata in una accusa.
«Oh no…» Bisbigliò Anna, lo sguardo sconvolto in direzione della sorella, anch’ella visibilmente preoccupata.
«Vi sbagliate! La Regina Elsa è una persona buona! Il suo animo è benevolo e bianco!» Grido la Fata Madrina, portandosi davanti alla regina con fare protettivo.
La nube, tuttavia, non accennò a rallentare la sua avanzata e molti avevano cominciato istintivamente ad indietreggiare.
«Il ghiaccio che vedo è carico di rancore e disprezzo. E questo, ai miei occhi di giudice, è soltanto la manifestazione che in lei ci sia dell’oscurità.
E in quanto tale và eliminata come tutti gli altri.
»
Emise la propria sentenza.
Una sentenza di morte.
Elsa perse un battito, forse due, ma non si perse d’animo: aveva sbagliato già una volta, non lo avrebbe fatto di nuovo.
E avrebbe dimostrato una volta per tutte quanto valesse, chi fosse davvero: ghiaccio rosso o bianco che fosse. Non sarebbe scappata ancora.
«Radunatevi vicino alla montagna!» Ordinò a gran voce, senza distogliere lo sguardo dal nemico che si avvicinava.
«Ma Maestà…» Tentò di fermarla Fauna, ma ricevette soltanto un’occhiata decisa da parte della regina di Arendelle.
«Andate! Subito!» Ripeté l’ordine, indicando loro di allontanarsi.
I cattivi non se lo fecero ripetere due volte, si radunarono nel punto prestabilito assieme a molti altri: diffidavano di quella giovane regina, diffidavano soprattutto di ciò che sarebbe stata capace di fare o meno, ma non avevano altra scelta che fidarsi.
«Elsa, no!» Gridò la voce di Anna, dissonante fra le altre, ma la Fata Madrina si apprestò a fermarla prima che si allontanasse di nuovo.
«Andrà tutto bene Anna!» La voce Elsa si sforzava di essere sicura, decisa, ma non lo era realmente.
Perché sapeva esattamente, in cuor suo, cosa sarebbe già successo: ma questa volta non avrebbe permesso alla sorella di correre ancora un pericolo.
A sacrificarsi, questa volta, sarebbe stata lei.
Calde lacrime cominciarono a rigare il volto della principessa, mentre il Genio interveniva per aiutare la Fata a riportarla assieme al gruppo.
«Non voglio perderti di nuovo…» Biascicò fra le lacrime, incontrando solo per un altro attimo lo sguardo della sorella: anche lei, ne era certa, aveva lasciato che una lacrima le sfuggisse da quel freddo e rigido controllo emotivo.
Tese le mani verso il gruppo, uno spesso strato di ghiaccio li circondò come una cupola, un cristallo bianco e puro, benevolo, intrinseco di un animo che finalmente aveva trovato la forza dell’amore.
«Ti voglio bene.»
Furono le ultime parole che riuscì a dire, prima di essere travolta da quella densa nube biancastra.
Il grido di Anna rimbombò all’interno della cupola di ghiaccio, non si zittì nemmeno quando quell’entità li investì completamente.
Le Fate si avvicinarono l’una all’altra, i cattivi stringevano i denti, chiudevano gli occhi, altri si aspettavano il peggio.
Ma nulla accadde, nulla.
La nube fu costretta a diradarsi dopo essere entrata a contatto con il ghiaccio della regina, lasciando incolumi tutti coloro che si trovavano sotto di essa.
Rimasero tutti immobili, in silenzio, il sole luminoso di quella giornata invernale li illuminava come se nessuna nuvola lo avesse mai coperto.
Poi, di colpo, il ghiaccio si frantumò, dissolvendosi quasi nell’aria.
«Siamo salvi…» Bisbigliò stupito Facilier. «Siamo salvi!» Ripeté subito dopo con entusiasmo.
Jafar tirò un sospiro di sollievo, scrollandosi il mantello dalle polveri di ghiaccio, mentre Ursula palesava un accenno di smorfia, perennemente insoddisfatta.
«E, mi duole ammetterlo, lo dobbiamo a lei
Constatò Ade controvoglia, le braccia incrociate sul petto, lo sguardo fisso in un punto.
Il punto dove prima si trovava Elsa, ed ora non ve n’era più traccia.


Note Autrice:
Eccoci alla fine del quinto capitolo =D
Vi anticipo soltanto che nel prossimo vedremo protagonisti personaggi "non-Disney"...
tra i quali, i personaggi del film Anastasia!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Revenge ***


Revenge
 
Il salone era decisamente in subbuglio, i regnanti discutevano animatamente seduti ad un grande tavolo rotondo, nel Palazzo del Sultano che era ormai divenuto il quartier generale di quella stramba quanto assurda pianificazione.
Dietro di loro, in piedi affianco alle grandi sedie, principi e principesse cercavano di dare un contributo nonostante questo non facesse che aumentare la confusione generale.
L’unica sedia vuota era quella del Regno di Arendelle, ora al centro di quella assidua discussione, tanto che nemmeno la principessa si era presentata a quella seduta straordinaria.
«Signori, vi prego, calmatevi!» Cercava di farsi valere Elinor, alzatasi in piedi accanto al marito mentre questo discuteva animatamente con l’Imperatore della Cina, il quale veniva difeso dai due guerrieri più valorosi del proprio paese.
«E con quale pretesa, regina? Abbiamo appena scoperto che questo Bene non ha nel mirino soltanto i cattivi, ergo ognuno di noi potrebbe essere in pericolo!» Rispose a tono il re di Atlantica, nervoso come non mai.
La tensione era alle stelle, sperare anche solo di portare la calma era decisamente un eufemismo.
 
E mentre i cosiddetti buoni passavano il tempo ad insultarsi e ad inveire contro questa sorta di ente superiore, i cattivi se ne stavano tranquilli in un angolo del salone, tranquillamente seduti su delle comode poltroncine.
«Ma guardali,litigano come i bambini… ridicolo.» Commentò Frollo scuotendo sconsolatamente il capo, mentre sfogliava quasi con foga uno dei tanti manoscritti religiosi che riguardassero pratiche sataniche: qualcosa doveva pur trovare, no?
«E sarebbero loro a dover insegnare una morale?» Domandò ironicamente Ade, palesando una smorfia. «Ma fammi il piacere! Sono quasi più moraliste le Parche.» Terminò lasciandosi affondare in un morbidissimo divanetto.
Poco distanti da loro, Crudelia De Mon ed Ursula se la ridevano a squarciagola nel vedere i loro storici rivali arrabbiarsi e litigare peggio di loro o quasi.
Sì, decisamente era una libidine per i loro occhi: loro, che si ritenevano i buoni, i superiori, non si dimostravano tanto migliori dei cattivi nelle situazioni critiche, dopotutto.
 
Quel momentaneo chiasso venne interrotto quando Riku fece un balzo sul tavolo, proprio al centro di questo, catturando inevitabilmente l’attenzione di tutti i presenti.
«Ora basta.» Disse con voce ferma e sicura, i capelli argentati si mossero in contemporanea al volto quando questo passò in rassegna ogni singolo regnante.
Non avrebbero concluso nulla in quel modo, e lui una decisione l’aveva ormai presa.
«Ho una proposta.» Affermò sicuro, tenendo saldamente il Keyblade fra le mani, quasi a voler ricordare di quale forza fosse capace. Sora e Kairi, dal canto loro, si scambiarono uno sguardo perplesso, senza capire quali intenzioni avesse l’amico.
«Oh, sentiamo l’ennesima fesseria…» Commentò Facilier, quasi contento, mentre sbuffava e dava una piccola gomitata a Gaston accanto a lui. «Passami i pop corn.» Gli disse affondando la mano nel contenitore, ignorando le proteste del tutto-muscoli.
Pena e Panico sapevano rendersi utili, quando volevano, soprattutto se ad aspettarli erano le attenzioni di Medusa, particolarmente affine a quelle piccole creaturine demoniache che lei si ostinava a chiamare “cucciolotti”.
«Questo “Bene” cerca e cattura ogni fonde di oscurità, giusto? Quindi è abbastanza scontato che chiunque di noi ne possieda almeno in minima parte verrà aggredito, come è accaduto alla Regina Elsa.» Ragionò per semplice logica, lanciando uno sguardo generale nella speranza che tutti lo stessero seguendo.
«Mi offro quindi per farmi catturare da tale entità. Una volta che sarò portato dove tiene i suoi prigionieri, cercherò di liberarli.» Concluse con un tono sufficientemente sicuro, suscitando un certo numero di perplessità fra i presenti.
Era consapevole dei rischi che avrebbe corso, del pericolo da non sottovalutare: ma non aveva mai esitato a mettersi in gioco per i propri compagni, a costo di lasciare che le tenebre si impossessassero di lui.
«E come pensi di fare, super eroe?» Gli domandò immediatamente Jafar con espressione superiore, appoggiato allo stipite della porta.
«Se non è riuscita a liberarsi la Signora del Male, che detiene il potere più grande, non vedo come potresti riuscirci tu.» Concluse assottigliando appena lo sguardo.
Gli rodeva, gli rodeva in un modo malsano dipendere dalle idee di quegli stolti, senza che lui potesse, di fatto, fare nulla di utile per quella situazione.
«Questo è il punto. Maggiore è l’oscurità di chi viene catturato, maggiore sarà il controllo che tale entità eserciterà su di lui.» Cercò di mettere insieme le poche informazioni che avevano nel giro di qualche attimo. Sora accennò ad intervenire, decisamente contrario all’idea che l’amico rischiasse ancora gettandosi fra le braccia dei nemici.
Ma Riku lo fermò con un gesto, portando l’altra mano al petto e riprendendo il discorso. «Nel mio cuore è presente l’oscurità, quindi sono consapevole di essere una possibile preda. Ma al contempo in me alberga anche il bene, di conseguenza verrò considerato un pericolo limitato.» Concluse, inspirando profondamente.
I cattivi si zittirono, riflettendo su quelle parole: loro non avrebbero rischiato nulla e, data la situazione, un tentativo valeva quasi la pena farlo.
«E sulla base di quali informazioni trarresti una simile conclusione?» Sollevò l’opposizione Re Guglielmo, le dite incrociate davanti ad un’espressione corrucciata.
«E’ una supposizione.» Ammise cercando di rimanere di un tono sicuro, ma le obiezioni che si sollevarono furono molteplici.
«Non abbiamo prove che il tuo piano funzioni!» disse qualcuno. «E se dovessi fallire? Avremmo solo perso un valido alleato!» Esclamò qualcun altro.
Il ragazzo si ritrovò accerchiato dall’ennesima discussione, incapace di trovare un modo per divincolarsi quando anche Sora salì sul tavolo, spalla contro spalla con il compagno. «Io mi fido di lui.» Disse con tono sicuro, la solita grinta e determinazione che provenivano solo da un cuore forte e sincero.
«Io no. Come la mettiamo?» protestò Ursula, perennemente in contrasto con le idee vigenti.
Non c’erano prove che quella teoria fosse giusta, e di rischi inutili non era il caso di correrne.
«Anche io.» Sul tavolo si mostrò anche il principe Derek, spada alla mano e sguardo determinato. Odette perse un battito ma il padre le impedì di seguire il marito in quella imprudente impresa.
«Io ho messo in pericolo la vita della persona che più amavo, proprio come la Regina Elsa. Ho quindi l’alta probabilità di essere un bersaglio.» Si giustificò, camminando deciso in direzione dei due possessori del Keyblade.
«L’idea di questo ragazzo è l’unica possibilità che ci rimane. Ed io lo affiancherò nell’impresa.» Esclamò appoggiando una mano sulla spalla di Riku, scambiando con lui un cenno d’intesa.
Era pericoloso, forse folle, ma non avevano molte altre alternative, così come pochi erano coloro che possedevano nel cuore sia il bene che il male per poter fare tale tentativo.
«Ammettendo anche che la vostra idea sia giusta…» intervenne Ade, che stringeva le dita delle mani le une contro le altre, nervoso. «Una volta catturati, di certo questo cosiddetto “Bene” non vi lascerà scorrazzare liberi come l’aria… quindi, come pensate di cavarvela, una volta là? Anche perché non abbiamo la minima idea di cosa possa celarsi oltre quella nube.» La sua opposizione era del tutto lecita e sensata, tanto che trovò appoggio anche tra i cosiddetti buoni.
I tre sul tavolo si scambiarono uno sguardo indeciso, sperando che una qualche idea li aiutasse, fin quando il portone centrale non venne improvvisamente aperto.
«A questo pensiamo noi.»
La voce che rimbombò nel salone provocò un brivido lungo la schiena di tutti i presenti. Gretta, stridula, maligna. Con quel pizzico di insana cattiveria che chiunque avrebbe percepito alla sola vicinanza.
Lui, un’anima nera, oscura, corrotta da qualsiasi possibile cattiveria, faceva il suo ingresso con fare quasi trionfale.
«Rasputin…» Bisbigliò qualcuno, mentre tutti i regnanti si alzarono quasi istintivamente dal tavolo per indietreggiare: si sapeva poco, da quelle parti, del consigliere russo… ma quel poco bastava per terrorizzarli.
Accanto a lui,  Rothbart sfoggiava un sorriso soddisfatto  e particolarmente altezzoso, mentre lo sguardo vagav sui presenti: i regnanti impalliditi, principi e principesse sconcertati, il gruppo dei villains che se la rideva tranquillamente su dei divanetti in disparte.
«Oh sì, siamo messi peggio di quanto mi aspettassi.» Commentò  sarcastico, incrociando le braccia sul petto.
«Ma… quei due demoni…» Balbettò Uberta con la mano tremante, Derek, Filippo e gli altri principi avevano già estratto la spada, almeno sino a quando non si portarono davanti ai due nuovi arrivati due figure a loro conosciute.
«Aspettate!» Anastasia teneva un braccio ritto davanti a sé, come a voler dare un chiaro segnale di non pericolo. I suoi occhi chiari luccicavano di determinazione, il volto fermo almeno quanto quello del marito, anche lui portatosi dinnanzi ai due villains.
«Abbiamo fatto un lungo viaggio per arrivare qui, non vorrete renderlo inutile per mancanza di ospitalità spero!» Ironizzò appena Dimitri, ma la sua espressione era tutt’altro che intenta ad essere accondiscendente: non era stato dell’idea di partecipare all’impresa, ma a quanto pareva il mondo delle fiabe aveva deciso diversamente.
E Ania era piuttosto testarda, dissuaderla dalla sua decisione si sarebbe presentato come un compito piuttosto difficoltoso.
L’intervento dei due regnanti quietò un poco le acque, ma non bastò per disperdere la diffidenza da parte degli altri cattivi: per quanto fossero tutti nella medesima condizione, fidarsi l’uno dell’altro era qualcosa di praticamente impossibile.
«Diablo…?» Domandò Jafar corrugando la fronte ed il corvo nero, appollaiato sulla spalla destra del consigliere russo, gracchiò in tutta risposta.
Rasputin volse lo sguardo in direzione del gran visir, un’occhiata che non aveva nulla di benevolo, né tantomeno di amichevole: solo una già evidente rivalità.
«La Signora del Male ha provveduto ad avvisarmi il prima possibile della situazione.» Spiegò brevemente, senza dare ulteriori motivazioni.
Quel volatile, nonostante la piccola stazza, si era dimostrato all’altezza del compito affidatogli: aveva volato a lungo, superando qualsiasi intemperie, per poi arrivare a lui ancora indenne e fiero.
Ci fu un bisbigliare generale tra tutti i presenti, perplessi da quell’entrata del tutto improvvisa, fin quando Rothbart non si fece avanti, decisamente scocciato da quelle attese.
«Ad ogni modo il piano del ragazzo è l’unico intelligente, perciò siamo qui per fornire a lui e a…» Non nominò nemmeno Derek, ancora quel volto lo schifava, e per tal motivo scosse appena il capo e sembrò ignorarlo palesemente.
«…chiunque decida di seguirlo, un incantesimo in grado di liberarsi di un possibile stato di prigionia, una volta là dentro.»
Spiegò con un certo fermento, lo sguardo che nel mentre andava a cercare la figura di Odette, lievemente nascosta da quella apprensiva del padre: era bella, maledettamente bella, come sempre del resto.
«E come lo creereste, questo incantesimo? Su quale base, visto che l'oscurità è impotente e la luce viene messa a tacere?»  Domandò Ade lievemente scocciato: l’idea che qualcuno fosse riuscito a raggiungere dei risultati senza che lui, signore degli inferi, ci fosse arrivato per primo, non gli piaceva per niente.
«I morti sono neutrali, tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro.» Rispose freddamente Rasputin, scambiando con lui un’occhiata complice quanto diffidente.
«Trarremo da loro gli ingredienti necessari per tale incantesimo. Il Bene viene ferito dalla stessa luce ma non dalle tenebre, dunque una neutralità non verrà minimamente presa in considerazione da lui perché non ne trae né benefici né svantaggi. E noi sfrutteremo questa condizione per muoverci dentro di lui, qualsiasi sia il luogo di prigionia.» Spiegò nuovamente.
Anastasia si volse in sua direzione, ancora diffidente, ancora con un brivido che le percorreva la schiena nel vederlo: ma era già stata coraggiosa, già lo aveva affrontato in passato e non si sarebbe lasciata intimidire dai ricordi più tetri che quella specie di zombie le trasmetteva.
Il consigliere le fece un cenno di assenso col capo, cominciando ad avanzare verso il grande tavolo circolare.
«E’ necessaria la collaborazione di tutti.» Proferì la ormai regina di Russia, mantenendo un tono tanto autoritario quanto democratico: lei conosceva meglio di chiunque altro le ingiustizie dettate dall’alto.
«Come spiegato da Rasputin, è necessario chiedere la collaborazione ai nostri defunti più cari. Perciò, chiediamo che si facciano avanti…» Disse prendendo un foglio tra le mani, nel quale vi era una lista di nomi dei personaggi necessari alla creazione dell’incantesimo. «…un parente stretto della regina Atena di Atlantica.» Re Tritone perse un battito nel sentir pronunciare il nome della moglie defunta. L’istinto di inveire contro quell’assurda richiesta fu grande, ma la figlia gli posò delicatamente una mano sulla spalla, calmandone l’animo. Gli sorrise benevolmente, facendosi avanti lei ed avanzando in direzione di Rasputin, ovviamente accompagnata da Eric che non aveva alcuna intenzione di lasciarla sola con una delle peggiori anime nere.
«Un parente di Re Mufasa, delle Terre del Branco.» Simba si fece avanti quasi nell’immediato: in un certo senso se lo aspettava, la fama del padre aveva superato di gran lunga i confini della Savana. La regina Nala lo seguì a ruota, lanciando soltanto un’occhiata d’intesa con la figlia Chiara, che le sorrise.
«Un parente della Regina di Atlantide.» La lista continuava e mentre Kida si faceva avanti assieme a Milo, per esaudire quella richiesta, il Sultano prese in mano la situazione, tornando ad un argomento che stavano affrontando fino a poco prima.
«Direi che i restanti, non coinvolti nella creazione di tale incantesimo, possano procedere con quanto si stava dicendo.» Disse solennemente, il tappeto magico lo sollevò appena sopra agli altri per renderlo visibile.
Ursula stava già imprecando, comprendendo a suo discapito quanto stesse per dire.
«Ogni principessa dal cuore puro ed ogni cattivo seguiranno un allenamento specifico per migliorare la propria… ehm… affinità.» Alcuni scoppiarono a ridere dinnanzi a quella affermazione, altri si imbronciarono, Facilier e Crudelia de mon dovettero trattenere la strega dei mari apposta per evitare che lasciasse il palazzo.
«In questo modo, i poteri dei cattivi verranno resi utilizzabili contro questa entità antipatica: se il piano del signorino Riku non dovesse funzionare, sarebbe la nostra ultima speranza tentare di combattere.»
Calò inevitabilmente il silenzio dinnanzi alla consapevolezza di quell’immenso rischio.
I villains scambiarono qualche occhiata tutt’altro che amichevole verso le rispettive principesse alle quali avevano inferto ogni sorta di torto: collaborare proprio con loro, dipendere da loro, era qualcosa che mai si sarebbero aspettati di dover fare.
Ma era evidente, ormai, che nonostante le antipatie, gli odi e le rivalità, la loro collaborazione fosse diventata necessaria: persino le autorità maggiori di ambedue gli schieramenti, Re Topolino e la Signora del Male, avevano provveduto a fornire loro alcune informazioni preziose.
E se ciò era avvenuto non poteva che significare che il pericolo fosse veramente grave.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Unbearable ***


Unbearable
 
Se ne stava tutta tranquilla seduta sul muricciolo, le gambe a penzoloni ed i lunghissimi capelli biondi raccolti in una treccia sulla schiena.
Le iridi chiare osservavano con un pizzico di tenerezza il battibeccare dei due davanti a lei, i quali sembravano piuttosto provati dall’idea della collaborazione.
«Non mi sembra una cosa tanto complicata, Jafar. Devi solo prendermi la mano.» Lo sbeffeggiò con tono palesemente ironico, porgendogli la mano. Il gran visir ricambiò con una smorfia palese sul volto, un’occhiata tutt’altro che benevola nei confronti della principessa di Agrabah.
Più che spaventata o rancorosa, Jasmine pareva quasi divertita dalla situazione: vedere quello stregone in difficoltà per una cosa tanto semplice non accadeva tutti i giorni!
«Non sono intenzionato a mettere da parte i nostri trascorsi così facilmente, principessa.» Replicò accentuando il vezzeggiativo, le braccia incrociate sul petto e lo scettro dorato saldamente tenuto fra le mani.
La principessa inarcò appena un sopracciglio, portando le mani sui fianchi con espressione decisamente altezzosa, con tutte le intenzioni di provocarlo.
«Non mi sembrava che il contatto con me vi dispiacesse così tanto, gran visir…» Azzardò un sorrisetto beffardo, il riferimento al tempo in cui l’uomo aveva cercato di prenderla in sposa di certo non lo aveva dimenticato… così come era sempre stata certa che quel bacio, dato per tutt’altro motivo, fosse stato piuttosto apprezzato dal nemico.
Inutile dire che le arrivò l’ennesima occhiata omicida.
«L’imprudenza gioca brutti scherzi. E questo vale per entrambi.» Replicò con freddezza, ma con una punta di decisione in meno… e questo non sfuggì alla principessa di Agrabah, la quale ovviamente ne approfittò: l’argomento cominciava a farsi interessante, piuttosto interessante.
Si avvicinò di un passo a lui con aria di sfida e di divertimento, mentre Jafar non si muoveva di un passo, orgoglioso ed apatico come non mai.
«Oppure avete semplicemente cominciato ad interessarvi a qualcun'altra…» Azzardò di nuovo, con lo sguardo di chi la sa lunga, ma a questa ennesima provocazione il gran visir reagì con un poco più di risentimento.
«Dite delle assurdità, principessa.» Rispose con una certa determinazione ed ostilità.
«Siete umano quanto noi, signor Jafar… non vedo perché vergognarsene.» Intervenne la voce mite di Rapunzel, rimasta in disparte sino a quel momento. Scambiò un occhiolino con Jasmine, mentre Jafar pareva più contrariato che mai.
«L’amore è per i babbei come voi, mi sembra piuttosto palese.» Replicò con più razionalità, mettendo da parte la rabbia. «E poco mi importa se voi credete che soltanto quello sia lo scopo di una vita.» Continuò imperterrito, lo guardo deciso che andò ad incontrare quello ora piuttosto contrariato di Jasmine: no, non avrebbe permesso a quel villain di offenderli in tal modo, di dare loro degli ottusi tra le righe.
«E a me poco importa della vostra idea! Non ho intenzione di perdere chi amo per un vostro egoismo!» Alzò appena la voce, con quella grinta e ribellione che le aveva sempre visto lampante nello sguardo da quando ne aveva memoria.
«E non è forse egoismo anche il vostro, principessina? Utilizzare noi per proteggere chi voi amate e sapete che non avrebbe speranze di sfuggire al mostro?» Ed il riferimento ad Aladdin, un ladro e malfattore per eccellenza, non era stato per nulla casuale.
La rabbia in Jasmine cominciava a ribollire più del dovuto, mentre l’espressione di Jafar andava divenendo sempre più fredda.
Inutile dire che le iridi verdi di Rapunzel passassero dall’uno all’altro senza riuscire a capire come intervenire: quella era una lite radicata nel profondo dei loro animi da molto, molto tempo.
«Siete voi ad aver bisogno di noi. Vi stiamo facendo un favore e questo è il ringraziamento?!» Gli sbraitò contro accennando a gesticolare, Rapunzel scese con un saltino dal muricciolo del giardino, sperando di poter fare qualcosa.
«Calmatevi per fav-»
«Favore? Abbiamo scoperto a nostre spese che anche molti di voi non sono proprio dei santarellini, se non sarete colti impreparati sarà merito nostro!» Sbraitò Jafar.
«Così non risolveret-» tentò ancora Rapunzel, senza successo
«Merito vostro?! Quel mostro è nato per scacciare voi
Il battibecco continuò, fin quando una ciocca di lunghi capelli dorati si avvolse attorno alle labbra di entrambi e a parte del volto, impedendo quindi loro di continuare a parlare.
A poca distanza, Rapunzel aveva sciolto i propri capelli e li guardava piuttosto scocciata. «Allora.» Disse facendo un respiro profondo.
«Entrambi gli… schieramenti, per così dire, sono nei guai. Non vi sembra il caso di mettere da parte l’ironia e i risentimenti, almeno per questa volta?»
Disse con calma, cercando di pacificare le parti. Jasmine e Jafar si lanciarono uno sguardo contrariato, riprendendo a borbottare anche da sotto quella folta chioma di capelli e Rapunzel non poté che portarsi una mano al volto con fare sconsolato.
 
Mentre a quel battibecco arrivavano in soccorso Nala e Merida, passate casualmente da quelle parti e vista la difficoltà di Rapunzel nel gestire i due, dinnanzi all’imponente fontana posta al centro del giardino la Strega dei Mari giocherellava sadicamente con i pesciolini arancioni, ignorando palesemente Ariel ed Eric che cercavano collaborazione.
«Ursula, per favore, vi abbiamo già spiegato che è necessaria una collaborazione…» Tentò di nuovo la principessa dai lunghi capelli rossi, tendendo una mano alla donna davanti a lei. Questa le voltava bellamente le spalle, dandole attenzione solo di tanto in tanto.
«Ancora qui sei, mocciosa?» Le rispose con una certa acidità.
«Non fornirò il minimo aiuto per salvare il tuo paparino irascibile, e con questo ho finito.» Sentenziò alla fine, divertendosi a contaminare quell’acqua con chissà quale stregoneria, le iridi che con un certo sadismo assaporavano la morte di quegli inutili animaletti acquatici.
«Questo significa che non ti importa di morire per mano del Bene?» La provocò Eric che, seppur arrabbiato, manteneva un certo controllo, un’espressione corrucciata ma non per questo ostile.
Ursula si voltò quasi di scatto, costringendo Ariel a sussultare nel ritrovarsi quel volto famelico a ben poca distanza.
«Questo significa che all’Inferno non ho intenzione di andarci da sola.» Replicò, prima di allargare le labbra in un sorriso. «E piuttosto che aiutare voi preferisco crepare.» Concluse tornando a voltargli le spalle, mentre i due coniugi si scambiavano un sospiro ed un’occhiata decisamente sconsolata.
 
Seduti ad alcuni tavoli sotto una veranda, Pocahontas e John cercavano di mettere in piedi qualche strategia insieme a Clayton, Gaston, il Governatore Ratcliffe e chiunque fosse disponibile, mentre i dominatori dei morti quali Ade, Rasutin, Facilier ed altri elaboravano quel particolare incantesimo.
A non molta distanza da loro, Floriant rimaneva appoggiato con una spalla ad un albero, le braccia incrociate ma pronte a sfoderare la spada, le iridi chiare fisse sulle figure delle due donne  a pochi passi da lui.
Biancaneve era titubante, la mano tesa appena, mentre lo sguardo rimaneva delicatamente posato sull’espressione torva di Grimilde: ancora bella, la evil queen, eppure non poteva fare a meno di provarne paura.
 Inspirò profondamente e con quell’espressione perennemente orgogliosa accennò a sfiorare la pelle delicata della principessa ma, qualche attimo prima del contatto, immediatamente la ritirò.
«No.» Disse fredda e secca, voltando le spalle alla ragazza con gesto teatrale.
«Non posso.» Affermò di nuovo, stringendo i pugni e lasciando perplessa la principessa, la quale accennò ad avanzare verso la matrigna.
«Per quale motivo?» Le domandò con quella candida ingenuità appartenente  solo ad un cuore puro. Grimilde non si voltò, rimase fredda ed immobile di spalle.
«Ti ucciderei.» Disse a denti stretti. Per sopravvivere doveva collaborare con quella principessa, sopprimere odio e rancore: ma fino a che punto avrebbe dovuto calpestare il proprio orgoglio?
«Non dovete per forza cambiare ciò che siete o vorreste… Basterebbe mettere da parte per un attimo i vostri sentimenti.» Cercò di nuovo di mediare la principessa, ricevendo in risposta solo uno sbuffo.
«Ridicolo, che proprio una principessa tanto legata all’amore dica questo.» Disse sprezzante, ma Biancaneve non si arrese: non poteva comprendere il rancore e l’odio di una villani, non ce l’avrebbe mai fatta. Ma non per questo avrebbe rinunciato a fare qualche tentativo, a cercare di risanare quel rapporto distrutto in mille pezzi.
«Io l’ho fatto.» Rispose sempre con tono benevolo. «Io come chiunque qua dentro. Abbiamo accettato di aiutare coloro che volevano ucciderci da sempre… questo non è mettere da parte i sentimenti per qualcosa di più importante?»
Grimilde si voltò di scatto, incrociando lo sguardo dell’altra: avrebbe voluto gridarle contro la sua rabbia, la sua frustrazione, ma era consapevole quanto Biancaneve che avessero un punto di vista troppo differente per comprendersi a fondo.
Stava per rispondere quando un battito d’ali attirò la loro attenzione, sul ramo dietro alla Regina si erano appollaiati Jago e Diablo, mentre al seguito li raggiunsero anche altri piccoli aiutanti dei villains.
«Chiedo perdono, signora delle mele… ma il pennuto nero qui presente mi ha detto di riferirvi un messag – ahia!» Non finì la frase che il corvo gli diede una bella beccata in testa: orgoglioso e spavaldo, di certo non si sarebbe lasciato dare dei vezzeggiativi.
Inutile dire che Grimilde lo avesse fucilato con lo sguardo.
«Te lo impari tu il linguaggio umano, se non ti va bene!» Gli rispose di nuovo, ma lo sguardo di Diablo era inquietante e pericoloso almeno quanto quello della sua padrona, tanto che il pappagallo si allontanò di mezzo passo.
«Okay okay, mister pennuto del male…» Commentò con uno sbuffo, tornando a rivolgersi a Grimilde.
Possibile che venisse maltrattato sia dai cattivi che dai buoni?!
«Malefica ha lasciato un messaggio espressamente per voi.» Disse il pappagallo, lanciando uno sguardo al corvo solo per assicurarsi che non avesse intenzione di malmenarlo ancora.
«Riguarda lo Spirito della primavera…»
E Grimilde aggrottò un sopracciglio a quel nome, divenendo seria.
 
 
Note Autrice:
Piccola precisazione sull’ultimo personaggio citato, ovvero lo “Spirito della primavera”: compare nel film “Fantasia 2000” e trovo che sia molto bello e possa essere ulteriormente ampliato, anche se sono consapevole che sia poco conosciuto xD
Nel prossimo capitolo vedremo il “gruppo” che è partito per farsi catturare dal “Bene”!
(scusate il ritardo nella pubblicazione e la brevità ma è periodo esami universitari!)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The Darkness of Light ***


Note Autrice:
Solo una piccola premessina: il capitolo è incentrato su Riku in particolar modo ed è quindi abbastanza improtante aver giocato o -quantomeno conoscere- la storia presente nel videogioco "Kingdom Hearts" (il primo capitolo è sufficiente).
Non è ovviamente essenziale, ma se non altro chiarisce molto il rapporto (qui evidenziato solo in parte) tra il ragazzo e la Signora del Male.
In ogni caso buona lettura ;)


The darkness of light
 

Aprì lentamente gli occhi, sbattendo le palpebre più e più volte.
Sentiva un freddo quasi nauseante avvolgergli il corpo, impedendogli qualsiasi movimento: grosse catene bianchissime lo immobilizzavano ad un palo, in quella che sembrava una stanza tutt’altro che confortevole,
Anch’essa con le pareti bianche, tanto luminose da infastidire lo sguardo.
Cercò di orientarsi ma, oltre ad una porta davanti a sé, non vedeva nulla: di Derek e Sora non v’era alcuna traccia, era lì, solo.
Sospirò appena, dischiuse le labbra per consentire un movimento più fluido della lingua sino al terz’ultimo dente a destra, nel palato: bastò una piccola pressione perché la capsula contenuta all’interno si aprisse, lasciando che un’energia a lui ancora sconosciuta si diffondesse all’interno del suo corpo.
Questione di pochi attimi ed un’energia indecifrabile si scaturì involontariamente dal suo corpo, disintegrando senza troppa difficoltà quelle catene e liberandolo.
Aveva pensato a tutto, Rasputin, soprattutto alla possibilità che gli avrebbero impedito qualsiasi movimento – e quindi anche il richiamo del Keyblade.
E quell’incantesimo di distruzione del bene quanto del male, creato con l’aiuto dei defunti, era stato più che utile: i cattivi, alla fine, sapevano il fatto loro.
Si affrettò ad uscire da quella stanza tutt’altro che piacevole, l’enorme chiave scura alla mano e lo sguardo attivo, vigile: un’altra stanza, bianca anch’essa.
Due porte, ne aprì una a caso e si ritrovò nell’ennesima stanza bianca, così tornò indietro ed aprì la seconda porta ma anche questa sembrava condurlo nel medesimo luogo.
Si fermò, fece un respiro profondo: un labirinto bianco, completamente bianco e privo di qualsiasi punto di riferimento.
Cominciava a capire perché nessuno fosse riuscito a liberarsi e soprattutto perché non vi fossero guardie o altro a guardia dei prigionieri.
Prese il manico dell’arma, vi concentrò una consistente quantità di energia bluastra e fece un movimento rapido e deciso in cerchio, ruotando su se stesso: la potenza di tale colpo sembrò tagliare a metà molte pareti, distruggendo quelle innumerevoli stanze uguali ma altre se ne prospettavano ancora dinnanzi a lui.
Ansimò appena per lo sforzo, decisamente irritato da quella situazione.
«Sempre con metodi estremi, eh Riku?»
La voce di Sora alle sue spalle lo tranquillizzò, si volse verso di lui e lo vide in posizione di difesa: evidentemente aveva percepito l’arrivo di quel corpo e aveva provveduto a ripararsi.
«Pensiamo ad un modo per uscire da qui, piuttosto.» Disse mentre l’amico lo raggiungeva.
«Non possiamo di certo continuare con questo metodo, rischieremmo di ferire qualcuno.» Proferì Sora e l’altro non poté che assentire con un cenno del capo, convenendo con quel rischio.
Ma non avrebbero nemmeno potuto continuare ad aprire millemila porte!
Le iridi chiare del custode per eccellenza del Keyblade vagavno lungo le pareti bianche, anche se lontane da loro, sino a seguire la linea del soffitto ed un sorriso si stampò sul suo volto.
«Il tetto!» Esclamò prendendo più saldamente il Keyblade fra le mani.
«Se lo distruggiamo e saliamo, avremo una prospettiva dall’alto e sarà sicuramente migliore.» propose, cercando uno sguardo d’approvazione dell’amico.
«Allora qualche volta anche tu sei intelligente.» Scherzò dandogli una piccola gomitata, prima di mettersi nella medesima posizione.
Contarono fino a tre e spiccarono un salto non troppo ponderoso, quanto bastava perché le loro armi potessero distruggere parte del soffitto: bianco, ancora bianco oltre quel tetto.
Si arrampicarono sino a quello che pareva un piano “superiore” e non poterono che sbuffare nuovamente nel rendersi conto di trovarsi alla medesima situazione di prima: stanze, altre stanze bianche.
Sora roteò le iridi al cielo. «Non è troppo simpatico, questo Bene.»
Commentò incrociando le braccia sul petto. «E' intelligente, purtroppo.»
Riku cominciò ad osservare più attentamente le pareti, cercò di percepire anche una minima variazione, magari l’oscurità dei cuori dei cattivi ma nulla sembrava trasparire da esse.
Poi, d’improvviso, una piccola e quasi impercettibile energia gli attraversò il cuore, bloccandolo per un attimo, le iridi ghiaccio nel vuoto.
«Malefica.» Bisbigliò, attirando l’attenzione di Sora, appena preoccupato.
«Cosa?» Gli domandò. Aveva ben brutti ricordi di quella dark fairy, soprattutto in merito al suo migliore amico. «Io non sento nulla…» Azzardò, e per questo si sforzasse non percepiva veramente nulla se non la luce e la bontà di quel luogo.
Una bontà del tutto artificiale, naturalmente, tutt’altro che pura.
«Non puoi percepirla, infatti.» Disse contenendosi, lo sguardo ritto davanti a sé, nonostante vi fosse una parete lui sembrava vedervi qualcosa.
«Sono stato allievo della Signora del Male, ci sono segnali unici che soltanto alcuni possono percepire… allievi che è lei a scegliere.» Prese di nuovo il Keyblade fra le mani, distruggendo la parete davanti a sé con un sol colpo.
«E non mi stupisco che anche in queste condizioni sia capace di mandarli.» Aggiunse con un accenno di amaro sorriso: era stato un periodo orribile, quello trascorso nell’oscurità. Il periodo in cui il cuore era gelido, la mente offuscata e la volontà forte… ma per la parte sbagliata.
Eppure gran parte della propria forza e delle proprie conoscenze le doveva a lei, alla Signora del Male, a cole che chiunque avrebbe voluto eliminare o comunque lontano dal proprio cammino.
Per un attimo Sora temette che Riku sarebbe ricaduto in quel vortice, in quella tentazione, ma l’amico gli lanciò uno sguardo sicuro ed il ragazzo non tentennò: si fidava di lui, di lui come di nessun altro.
Con un cenno di assenso del capo lo affiancò ed insieme cominciarono a distruggere le stanze, parete dopo parete, bianco che andava a sommarsi ad altro bianco ma man mano che avanzavano quel segnale pareva più forte e Riku non l’abbandonava: per una volta l’avrebbe ascoltato volentieri, perché era la loro unica speranza.
Fendente dopo fendente, la parete che andarono a sfondare assieme fu più dura delle altre, più resistente, ma la combinazione dei due Keyblade fu sufficiente a disintegrarla.
Sora sgranò gli occhi, stupito, un poco sconvolto.
«E’ incredibile…» Nonostante avesse combattuto molti Heartless, vedere come la Signora del Male fosse stata capace di contrastare il “Bene” assoluto non poteva che stupirlo in tutta sincerità.
Malefica era come incastonata nella parete, probabilmente bianca anch’essa in origine ma ora apparentemente corrosa dalle tenebre che prendevano vita da lei, come un’irradiazione di oscurità nelle pareti laterali. Soltanto il volto e parte del collo e delle corna erano visibile, nonostante lei non sembrasse cosciente: gli occhi chiusi, il volto gelido impassibile.
«Liberiamola.» Disse semplicemente Riku, anche se il problema era alquanto complesso: non avrebbero potuto colpire la parete, il rischio di ferirla era alto e non servivano feriti inutili in più.
Il ragazzo sospirò per un attimo, il Keyblade scomparve dalla sua mano e lui tese quest’ultima verso la fata: pochi attimi e le tenebre cominciarono ad avvolgerlo.
«Riku no!» Intervenne immediatamente Sora, prendendogli un braccio.
«E’ l’unico modo. Fidati.» Gli disse con uno sguardo.
Sora tentennò: vedere il proprio amico di nuovo schiavo delle tenebre era l’ultima cosa che desiderava… eppure sembrava necessario.
Lanciò uno sguardo a quella Malefica inerme, un accenno di smorfia sul volto: ne valeva davvero la pena?
«Non tornerò da lei, ho fatto un'altra scelta.» Aveva intuito le sue perplessità, e anche ora completamente rivestito di tenebra non sembrava aver abbandonato la luce.
«Ho scelto te e Kairi.»
La mano tesa cominciò a richiamare il giusto potere, tanto che un filo di nebulosa andò a delineare completamente il profilo della donna e con un gesto deciso ritirò il braccio, portando il corpo della dark fairy oltre la parete.
Sora era pronto ad intervenire, per qualsiasi evenienza, ma non appena Malefica abbandonò la parete le sue inquietanti iridi giallastre si aprirono.
Toccò delicatamente terra, il bastone immediatamente prese forma tra le sue mani: e quel sorriso ironico e soddisfatto perennemente stampato sulle labbra rosse.
«Ottimo lavoro, mio caro.» Si limitò a dire. Riku abbandonò immediatamente le tenebre, come se per un attimo l’avere di nuovo Malefica davanti avesse potuto tentarlo.
Nessuno disse nulla, la donna stava per aprir bocca quando un rumore di passi non troppo lontano, alle loro spalle, attirò completamente la loro attenzione.
«Ehi ragazzi!» Derek faceva un segno con una mano, mentre sulle spalle teneva una Maga Magò avvinghiata a lui quasi avesse paura di toccare terra.
«E non ti agitare che poi cado!» Lo ammonì immediatamente, dandogli una pacca in testa.
Il principe si scusò, cominciando ad incamminarsi verso gli altri, seguito da Madre Gothel e da Scar che in tutta agilità superava i muri tranciati a metà, con la solita aria superiore.
«Magò, quante volte dobbiamo ripeterti che toccando terra non verrai di nuovo risucchiata da questo nauseante bianco?» Le disse scuotendo la criniera con fare sconsolato, mentre la strega si agitava ulteriormente sulle spalle di Derek, facendolo barcollare, mantenere a fatica l’equilibrio.
«Non voglio correre il rischio, sacco di pulci! Io ci tengo alla pellaccia!» inveì con la solita voce gracchiante, mentre Madre Gothel scuoteva sconsolatamente il capo.
Erano tutti e quattro in buona salute, non sembrava fosse stato fatto loro alcun male se non fosse per l’impossibilità di liberarsi.
Una volta radunatisi, Scar e la strega si inchinarono appena dinnanzi alla Signora del Male, mentre Maga Magò continuava a sgridare Derek per ogni non nulla – e lui ovviamente non replicava, più per rispetto che per timore.
«Ora possiamo andare?» Domandò Madre Gothel decisamente ansiosa di allontanarsi da quel luogo che le metteva i brividi: sì, lei che apparteneva all’oscurità non poteva che temere un biancore tanto vivo, lei come tutti gli altri.
«No, manca ancora la Regina di Arendelle!» Ricordò loro Sora, riportando l’attenzione altrove.
Cercarono per una decina di minuti, forse di più o forse di meno, il tempo era difficile da stabilire in un luogo del genere, fin quando non arrivarono dinnanzi ad un’enorme teca in vetro: al centro di essa, all’interno, era sospeso il corpo privo di sensi di Elsa.
Riku non esitò oltre, brandito il Keyblade ruppe tale sbarramento con un colpo secco ed immediatamente la teca andò in mille pezzi, disperdendosi quasi nell’aria.
La regina non tornò cosciente e per tale motivo, con uno scatto fin troppo rapido, il ragazzo dai capelli argentei la prese al volo, proprio prima che cadesse rovinosamente a terra.
Immediatamente sentì il gelo pervaderlo nelle braccia ma non l’abbandonò, la tenne a sé nonostante fosse perplesso da tale reazione.
«Riku ti stai congelando!» Si allarmò immediatamente Sora ma la Regina, contrariamente agli altri prigionieri, non sembrava riprendere conoscenza: respirava, era viva, ma non dava altri cenni di vita.
«E’ una reazione protettiva del suo potere, del tutto spontanea.» Spiegò freddamente Malefica, avvicinandosi a lui, il portamento tanto regale quanto inquietante.
«Il suo animo ed il suo cuore sono ancora troppo combattuti fra la luce e le tenebre per poter reggere un simile trattamento.» Continuò, fermandosi ad un passo da Riku: non distolse gli occhi dalla regina, lo sguardo profondo, indagatore, come se stesse studiando quella figura quasi afrodisiaca in ogni dettaglio.
«E dato che non credo ci sia qualcuno, qui, che abbia voglia di morire congelato…» Affermò ricevendo l’assenso di tutti, mentre il ragazzo alzava semplicemente un sopracciglio: la razionalità della Signora del Male non portava mai a nulla di positivo, non per i buoni almeno, anche se quello era un caso del tutto particolare.
«…di lei mi occupo io.» Affermò avvolgendola col proprio mantello, ed in quell’attimo il corpo della ragazza sparì di colpo.
Non diede il tempo agli altri di dirle nulla, un’occhiata fulminante a Maga Magò impedì qualsiasi reazione, se non lo sbiancamento di Derek.
«Se non sbaglio puoi trasformarti in qualsiasi animale, Magò…» Disse prima di allargare le labbra in un sorriso sadico: non aveva pietà nemmeno per chi si trovava nelle sue stesse condizioni, dalla sua stessa parte.
Non aveva pietà per nessuno.
Riku e Sora distrussero le ultime pareti mentre Maga Magò si trasformava in un enorme uccello, prendendo sul dorso tutti gli altri: e fuggirono da quella prigione, una morsa racchiusa nelle rocce bianchissime di un ghiacciaio lontano da qualsiasi forma di vita.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Dead or live ***


Angolino dell'autrice:
Torno con un capitolo un pò più lungo ed intenso... e spero che l'omaggio, vediamolo così, alla villain fresca fresca di film possa piacervi
ps. c'è anche un piccolo riferimento potteriano, sempre ad uno dei villain... spero che qualcuno lo colga ;)



Dead or live
 
Avanzava, quella grande e grossa nuvola bianca, oscurando quel poco di ciel sereno che fino a poco prima era rimasto.
Avanzava e non pareva intenzionata minimamente a fermarsi.
Non mancava molto al raggiungimento del Palazzo del Sultano, il quale  era appoggiato al davanzale della balconata della torre più alta, un’espressione piuttosto preoccupata palesata in volto.
Sospirò pesantemente, mentre Powhatan gli appoggiava una mano sulla spalla con espressione severa.
«Dobbiamo confidare in loro, amico mio. Non abbiamo scelta.» Esclamò solennemente, nonostante fosse evidente l’espressione piuttosto corrugata.
Il Sultano assottigliò appena lo sguardo, un moto di rabbia lo pervase dall’interno, ma non rispose.
«Come se fidarsi di quei mostri fosse semplice…» Biascicò Umberta poco dietro di loro, ben poco convinta della situazione almeno quanto tutti gli altri.
Era un accordo ambiguo, un’arma a doppio taglio tanto per i cattivi quanto per i buoni… sempre che una distinzione fra le due parti fosse possibile, in un momento del genere.
Il cosiddetto Bene continuò la sua avanzata, che andò rallentando soltanto quando dinnanzi al palazzo cominciarono a palesarsi altre figure, in difesa di quel luogo e di chi vi abitava, così come di se stessi.
Guidato da Aladdin, il tappeto volante si era innalzato all’altezza della balconata, portando con sé anche Jafar e Jasmine: erano entrambi in piedi, il Gran Visir poco più avanti reggeva con fermezza ed un certo nervosismo il proprio bastone dorato, mentre la principessa teneva una mano appoggiata sulla sua spalla.
A ben poca distanza, su una nuvoletta nera stava uno scocciato Signore dei Morti con appresso Megera, anch’ella tutt’altro che bendisposta ad una situazione simile: sarebbe stata risucchiata anche lei, se non avesse fatto almeno un tentativo, sapeva bene che il suo cuore non era puro quanto quello di altre principesse.
Dall’altra parte rispetto ai coniugi di Agrabah, Pegaso si manteneva ad una certa quota tenendo sul dorsoun  Facilier particolarmente agguerrito, mentre Tiana si vedeva costretta a reggersi appena a lui per non venire disarcionata.
Nessuno pareva particolarmente in vena di combattere, eppure sapevano di non aver scelta.
«Ehi, fiammetta, cos’è quella faccia da morto? Prendila con filosofia, ci divertiremo!» Asserì il Genio con un sorrisone a trentasei denti, ovviamente di buon umore come la sua indole presupponeva.
Trasformato in un enorme uccello, sorreggeva Rothbart e la principessa Odette alle sue spalle.
Ade si limitò a lanciargli un’occhiata gelida, ma la voce di Megera lo precedette nel rispondere ad una simile battutina.
«Vedi di non farti spennare, piuttosto. O ti vengo a dare personalmente una lezione!» Asserì in modo piuttosto acido, nonostante il tono di voce fosse perennemente provocante.
Per un istante il Signore degli Inferi le volse un’occhiata differente dal puro odio.
«Quasi quasi cominci a starmi simpatica.» Asserì, lei inarcò un sopracciglio.
«Tu nemmeno lontanamente.» Ribatté col medesimo tono.
«Abbiamo qualcuno con un gran senso dell’umorismo, vedo…» Commentò sarcasticamente Jafar a poca distanza, con il solito fare piuttosto altezzoso, di chi si eleva al di sopra degli altri a prescindere.
 
Mentre si disputava tale battibecco, sulle varie torrette del Palazzo del Sultano si erano disposti gli arcieri, ovvero Gaston con accanto Belle, Robin Hood assieme  a Lady Marian e allo Sceriffo.
Pocahontas manteneva una postura piuttosto fiera, affianco a lei Jhon caricava il fucile –per quello che sarebbe servito- così come il Governatore Radcliff.
Sulla quarta torretta, Mulan non rivolgeva nemmeno un minimo sguardo al più grande unno che la Cina avesse mai affrontato e con lei Shang, che continuava a scrutare entrambi con un certo nervosismo.
Era difficile, molto più del previsto, eppure soltanto il contatto di ogni principessa con il rispettivo antagonista pareva potenziare o quantomeno rendere utili gli attacchi di questi ultimi, decisamente più forti di quanto non sarebbero state le ragazze da sole.
Collaborazione, ecco cosa dovevano imporsi. Eppure ne avrebbero volentieri fatto a meno tutti, se solo le principesse fossero state in grado di combattere tutte autonomamente o i cattivi in grado di convertire almeno parte dei propri stati d’animo.
Ma niente, un potere tanto oscuro rimaneva tale, se non condizionato da un cuore puro.
«E-Ehi, piano piano! Così rischio di cadere!» La voce di Merida si udì in modo particolarmente chiaro, quando un traghetto nero si innalzò poco più in alto degli arcieri.
«Scusa scusa!» Biascicò subito il principe dei vichinghi. «Sdentato, un po’ più di delicatezza…» Si premurò di dire ed il draghetto sbuffò.
L’arciera dai lunghi capelli rossi pareva leggermente in difficoltà nel mantenersi in equilibrio sul dorso della creatura, poiché ambedue le braccia erano impegnate nel tenere teso l’arco.
Il ragazzo, allora, azzardò ad avvicinare appena le mani al bacino della principessa, quanto bastava per aiutarla a rimanere salda in sella.
«V-Và meglio?» Domandò quasi intimidito, cercando conferma nello sguardo della ragazza davanti a lui.
Lei trattenne un brivido, facendo un rapido cenno di assenso col capo: mai, nella sua vita, era stata sfiorata da un ragazzo. E decisamente quella situazione la metteva lievemente in imbarazzo.
 
Pochi istanti dopo, mentre il Bene rallentava la propria avanzata dinnanzi a quel piccolo esercito, una voragine andò ad aprirsi davanti al Palazzo, lasciando chiaramente spazio ad un’acqua profonda e sporca, che si faceva spazio nel deserto davanti a sé costituendo piccoli canali ed occupando una certa superficie.
Da essa emersero Ursula ed Ariel, la prima che ancora guardava in cagnesco la seconda, ma si era ormai convinta a dare un minimo di collaborazione.
«Appena tutto questo finisce giuro che ti vengo ad arpionare io, ragazzina viziata. Così vediamo come ti senti!» L’aggredì di nuovo, incapace di farne a meno. Alle loro spalle una grossa nave si fece avanti, capitanata da Eric e Capitan Uncino al timone.
Non disse nulla, la principessa dei mari: sospirò e mandò giù l’ennesimo magone.
Per quanto ancora avrebbero pagato, sia lei che la strega dei mari, il prezzo della sua egoistica ingenuità?
 
«Se anche la Evil Queen fallisce, qui la vedo molto dura…» Commentava Clyton caricando il fucile, appena visibile da un balconcino secondario del palazzo.
Qualche attimo dopo gli arrivò una amichevole pacca sulla spalla.
«Io non la vedo così grigia, caro ragazzo!» Esclamò Mago Merlino, sistemandosi gli occhialini sul naso.
«E’ forse la strega più brillante, non credi? In tutti i secoli che ho vissuto, decisamente lei è una delle menti migliori che io abbia visto.»
Commentò in tutta tranquillità, guadagnandosi un’espressione pensierosa di Rasputin, immobile a poca distanza da loro, all’interno del palazzo.
Aveva già contribuito abbastanza, per i suoi canoni, e lo aveva fatto solo perché era stata la Signora dei Mali a comandarglielo.
Qualsiasi altra persona sarebbe decisamente passata in secondo piano, dal suo punto di vista, ma la stima che un buono sembrava nutrire per una delle peggiori cattive della storia non poté che stupirlo.
Stupirlo in maniera positiva, si intende, e questo era ancora più strano.
«Sempre che quella bamboccia di Biancaneve non la intralci, naturalmente!» Intervenne acidamente Crudelia, comodamente sdraiata su un lussuoso divanetto, lasciando che qualche boccata di fumo bianco invadesse l’interno con noncuranza.
«Non parlate così della principessa, signora De Mon!» La voce rispettosa di Jane giunse dopo poco, mentre aiutava Tarzan a preparare un paio di armi da lancio se ce ne fosse stato bisogno.
«La signorina Jane ha ragione!» Commentò ancora Mago Merlino, alzando un dito ed attirando l’attenzione dei presenti: volente o nolente, buffo o non buffo, restava il personaggio più saggio e sapiente mai esistito.
«Non è stata forse Biancaneve la prima a voler prestare soccorso ai cattivi? Non è forse stata lei la prima a voler perdonare chi l’aveva ferita nel peggiore dei modi?» Domandò metaforicamente, volgendosi ad ogni cattivo presente, mentre questi distoglievano volutamente lo sguardo, dandogli quindi ragione indirettamente.
«Forse non è un caso, miei cari, che il più puro dei cuori sia legato a colei che diede inizio alla storia degli antagonisti.» Sentenziò con un sorriso soddisfatto sulle labbra, al quale nessuno osò controbattere.
 
«Dunque è questa la decisione ultima che avete preso?» La voce del Bene tuonò per tutto il territorio, Sdentato scrollò il capo infastidito, molti si limitarono a socchiudere appena le iridi, altri ancora invece si tapparono completamente le orecchie.
Da quel biancore d’una luce malsana presero lentamente vita alcuni esseri, di svariate dimensioni: bianchi, all’apparenza puri, ma che la settima principessa dal cuore puro, Kairi, non esitò a riconoscere con un evidente stupore.
«Heartless…» Biascicò perplessa: li ricordava neri, rachitici ed aggressivi, mentre ora si presentavano dinnanzi a loro degli esseri con la medesima forma ma diverso colore.
E stesso scopo di quei mostriciattoli così tanto a lungo combattuti, evidentemente, considerando che di lì a poco li avrebbero attaccati.
Si tennero pronti, mentre quell’esercito andava formandosi, sulla terra così come nell’acqua e in cielo.
«Non ci sarà una prossima volta per coloro che decideranno di schierarsi contro di me!» Gridò con maggior impeto. L’avanzata era divenuta minima, quasi volesse ancora temporeggiare, fingere di essere una entità superiore, un giudice imparziale quando era chiaramente evidente che non facesse poi molte distinzioni.
I cuori puri erano soltanto sette, dopotutto. E questo era chiaro a tutti.
Calò il silenzio, il momento di ritirarsi era quello, o mai più…
E nessuno fiatò.
La nuvola si fermò e l’esercito di mostriciattoli, più o meno grandi, avanzò rapida in direzione dei personaggi delle fiabe, coraggiosi o meno che fossero avrebbero combattuto come meglio gli riusciva.
«Non ci sarà una prossima volta per te, assurda e ridicola nuvoletta
La voce sprezzante di Maga Magò echeggiò nell’aria seguita da un ghigno piuttosto fastidioso.
L’avanzata non si fermò all’arrivo di quei fuggitivi, soltanto il Bene pareva aver rivolto a loro l’attenzione: e Malefica, naturalmente, gli aveva lanciato una delle occhiate più taglienti e superbe che potessero appartenerle.
Il grande uccello rosa planò ad un soffio da terra, per consentire ai suoi passeggeri di scendere senza alcun tipo di rischio ed unirsi così alla battaglia.
Riku e Sora andarono immediatamente all’attacco, seguiti a ruota dai principi che brandivano spade e lance ed assieme a loro anche tutti gli altri partirono all’attacco.
La Signora del Male, come era prevedibile, non si abbassò ad un volgare salto ma scomparve avvolta dalle verdi fiamme, per poi ricomparire su di un balconcino dove alcune principesse non in grado di combattere si limitavano ad osservare con preoccupazione.
«M-Malefica…» Biascicò Serenella, addetta alla protezione delle principesse – e di alcuni cattivi poco propensi al combattimento - assieme alle altre due fate.
Malefica non degnò nessuna di loro di una misera occhiata, elegante e terrificante si avvicinò soltanto ad Aurora, puntandole addosso le proprie iridi gialle ed allungando la mano verso di lei.
«Andiamo.» Disse semplicemente, glaciale quanto la propria pelle ed il proprio animo.
Aurora esitò per un istante, poi acconsentì a prendere la mano della Signora di Ogni Male: aveva paura, maledettamente paura, eppure doveva fidarsi… o meglio, entrambe avrebbe dovuto fidarsi: la dark fairy era un elemento troppo forte per non entrare in campo, ma al contempo necessitava esclusivamente della principessa che aveva maledetto molto tempo prima.
Le lanciò un’ultima e profonda occhiata, prima di volgerle le spalle ed avvicinarla a sé, volgendo la propria attenzione a quella nuvola imponente davanti a loro.
«Vedi di non cadere, bestiolina.» E detto questo il suo corpo cominciò vertiginosamente a mutare, fiamme viola e verdi l’avvolsero, lei come la principessa che tuttavia era stata resa indenne.
Tutti gli altri presenti dovettero tornare all’interno del Palazzo per evitare di precipitare, poiché il balcone si ruppe sotto il peso della creatura che era andata a sostituire quell’alta ed autoritaria figura: un drago, un possente drago dalle lunghe corna e le ampie ali nere, mentre sul dorso Aurora si costringeva ad avere la stessa forza d’animo della villain.
Forti, estremamente forti entrambe, anche se da un punto di vista completamente differente.
Mentre anche Malefica entrava in campo, Maga Magò atterrò maldestramente nella prima finestrina aperta, nella parte bassa del palazzo, finendo dritta dritta addosso a Merlino ed aggrovigliando i propri capelli ispidi nella barba del mago.
«Ehm anche io sono felice di vederti, Magò, ma queste dimostrazioni di affetto non sono necessarie!» Esclamò velatamente imbarazzato, mentre l’altra cercava di rialzarsi con così poco garbo che Merlino venne letteralmente trascinato sul pavimento.
«Affetto?! Aspetta che questa messinscena sia finita e poi vedi, dove te lo metto l’affetto!» Esclamò dando uno strattone con la testa, perdendo qualche ciocca ma riuscendo a liberarsi della barba dell’uomo che, come da copione comico,si ritrovava avvolto nel suo stesso biancore.
«Oh ecco, ora riconosco la mia rivale!» Ammise borbottando qualche riso trattenuto, mentre Rasputin sbuffava ampiamente per quell’assurda scenetta.
 
Fuori, la battaglia veniva combattuta con un certo ardore, i cattivi aggredivano come meglio potevano ed i principi proteggevano le principesse che, per amore o per forza, dovevano rimanere a contatto con i rispettivi rivali.
I loro attacchi, fisici o magici che fossero, parevano essere particolarmente efficaci su quegli esserini bianchi e deformi: man mano che tale esercito si ricreava, la nuvola andava rimpicciolendosi, segno che anche un potere del genere avesse una fine,un limite che prima o poi avrebbe raggiunto.
«Che cavolo pensi di fare, eh, nuvoletta deforme?! Io sono il dio degli Inferi, per la barba di Zeus, un D-I-O!» Sbraitò Ade nel lanciare l’ennesimo incanto, mentre Hercules provvedeva alla protezione di una Megera piuttosto irritata dalla situazione.
Dalle torri, gli arcieri miravano con quanta più precisione possibile gli Heartless bianchi, mentre nella superficie del mare Ursula ed Ariel sembravano aver trovato un loro equilibrio nei movimenti.
«Non starmi nei piedi, stupida ragazzina!» Le sbraitò contro, colpendo un Heartless con i tentacoli prima che la principessa venisse aggredita.
«Sto seguendo scrupolosamente i vostri movimenti, potreste quantomeno apprezzarlo!» Ribatté la principessa di Atlantica: aveva delle colpe, lo sapeva, ma non per questo avrebbe lasciato che la strega la insultasse tanto frequentemente.
«Apprezzare un bel nie-»
«Ursula attenta!» Gridò, ma prima che la strega venisse colpita un arpione trapassò il nemico, impedendo quindi ad Ursula di esser ferita.
Alzando lo sguardo, l’espressione dura di Eric non lasciava trasparire la minima contentezza nell’averla salvata, tanto che entrambi distolsero lo sguardo dopo una lunga occhiata.
«Cominci a batter la fiacca, eh?» Ironizzò il Genio, notando il notevole ridimensionamento della nuvola.
Per una frazione di secondo gli Heartless arrestarono la loro avanzata, cosa che lasciò perplessi tutti i presenti.
«Idiota, dovevi proprio provocarlo?!» Inveì Jafar, trovando in effetti l’approvazione di molti, quando quella voce tuonante tornò ad attirare la loro attenzione.
«Se pensate che sconfiggere una forza superiore come me, il Bene, sia così facile… allora vi darò una prova della mia forza!» Esclamò solenne.
Alcuni si fermarono, altri continuarono a combattere quando, d’improvviso, un grido stridulo e fastidioso si levò nell’aria.
Lì, su uno dei balconcini del palazzo, uno dei più bassi, Maga Magò ansimava pericolosamente poiché sulla pelle avevano cominciato a comparire delle macchie rosse di una certa dimensione, mentre la temperatura del corpo andava abbassandosi vertiginosamente e la testa girarle.
Merlino intervenne subito, avvicinandosi a lei assieme a Jane e a pochi altri.
«E’ a-ancora opera t-tua…v-vecchiaccio?!» Sbraitò contro il mago, il quale rimaneva con le labbra socchiuse.
«Non è possibile… è l’incantesimo che avevo utilizzato per sconfiggerti, Magò…»
Notò con una certa preoccupazione.
Un secondo grido, o meglio, un ruggito provenne da Scar, la cui pelle aveva cominciato ad essere scalfita da morsi, graffi e ferite della peggior specie, come se dall’esterno qualche belva lo stesse sbranando.
Compresero, in breve tempo, che chiunque fosse stato catturato dal Bene stava per essere ucciso nello stesso modo con cui era stato sconfitto dai buoni.
«Oh no…» Le labbra di Rapunzel tremavano, mentre si dirigeva verso una Madre Gothel sinceramente angosciata.
L’avvolse con i propri capelli, disperata cominciò a cantare nella speranza di salvarla ma la donna cominciò visibilmente ad invecchiare, istante dopo istante, mentre Eugene non poteva che osservare la moglie con un amaro dispiacere.
«Non potete fare nulla per coloro che da sempre vi hanno ferite! Gioite,principesse,  perché il vostro male sta per terminare!» Tuonò di nuovo il Bene, suscitando la rabbia di molti.
«Mostro…mentecatto…» Biascicava Merlino al capezzale della rivale, mentre il grande drago nero si sforzava di giungere il balcone più vicino del palazzo, accasciandosi malamente al suolo ed evitando quindi alla principessa di precipitare malamente.
«Malefica!» Si rialzò subito dopo l’atterraggio, la principessa dai lunghi capelli d’oro, avvicinandosi a quella tanto temuta fata delle tenebre che aveva ripreso le sue sembianze umane, il petto che grondava sangue come se l’avessero trapassata.
«Non…osare…disperare…» Biascicò con un certo sforzo, prima che un rivolo di sangue le uscisse dalle labbra rosse.
Aurora fece per chinarsi su di lei ma la fata si aggrappò al suo braccio, aiutandosi per riuscire a rialzarsi.
Lo fece con fatica, una mano stretta al petto sanguinante eppure quello sguardo forte ed autoritario che mai le sarebbe mancato.
«Io ti ho…odiata, Aurora… come nessun altro…» Biascicò, facendole segno di accompagnarla a quello che restava del parapetto di quel balcone volto al cosiddetto Bene.
«Ma se c’è…una cosa che…odio ancora di più…» Affermò volgendole uno sguardo che, per la prima volta, non pareva soltanto colmo d’odio.
C’era determinazione, in quello sguardo, una determinazione che per una volta bramava la vita e non la morte.
«E’ uccidere senza dignità.» Lasciò la ragazza e si appoggiò  alla balconata con estrema fatica, ma quando Aurora fece per aiutarla l’allontanò sgarbatamente: era debole, maledettamente debole e morente, Aurora non avrebbe mai immaginato di vederla in simili condizioni.
«Se devo morire… morirà anche lui!» E detto questo spalancò le braccia, fiamme di un verde cupo si dipartirono dalla fata andando ad avvolgere tutti gli altri villain presenti: si sentivano rinvigoriti, il male e le tenebre che li pervasero erano diverse, più tenaci, più bramose di vittoria di quanto non lo fossero mai state.
«Malefica… no…» Biascicò la principessa portandosi le mani sulle labbra tremanti.
Come lei, anche gli altri avevano ormai capito le intenzioni della Signora d’Ogni Male: sarebbe morta, sì, ma non per mano di una entità che nessuno avrebbe mai riconosciuto, ma sacrificandosi affinché potessero vincere.
Non le importava che ci fossero buoni e cattivi, non le importava nemmeno di abbandonare per davvero quell’orrido mondo che lei aveva tanto minacciato.
Trasmise quel che rimaneva del suo potere e delle sue forze a chiunque fosse nei paraggi, poi quando le fiamme verdi scomparvero il corpo della donna si accasciò al suolo.
Ed un gracchiare di corvo fu l’unica sentenza che venne emessa.
Una sentenza di morte.
 
Una sentenza di morte per chi era stato segnato, ma quel sacrificio aveva avuto un significato molto più importante di qualsiasi altro gesto: erano più forti, i cattivi, potenziati dall’oscurità.
Ma anche i buoni, forse per la prima volta dall’inizio di quello scontro, non ebbero più alcun dubbio: un villain era morto anche per loro, e loro avrebbero fatto di tutto per vincere.
«La senti questa sensazione, fantomatico Bene? Eh, la senti?!» Domandò metaforicamente Simba, mostrando le mascelle possenti e grattando appena la terra sotto i propri piedi, mentre gli altri leoni lo affiancavano con la medesima grinta.
«Oh sì, la sento forte e chiara anche io, sacco di pulci…» Commentò sarcasticamente Ade – giusto perché serio non riusciva a rimanerci.
Si schioccò le dita, lo sguardo e le fiamme che da blu divenivano d’un rosso intenso.
Rabbia. Rabbia cieca.
«E’ la tua sentenza di morte!»
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Broken Line ***


Angolino Autrice:
Bene bene pazienti lettori, questo è il penultimo capitolo della storia!
E per calarvi meglio nell'atmosfera generale, vi consiglio questo
VIDEO (che non ho fatto io ovviamente xD).
Che dire, buona lettura e spero che questo capitolo non vi deluda, ma vi coinvolga sino a leggere anche l'ultimo - appena lo scriverò.

 

Broken Line
 
Sembrava stessero camminando nel nulla, Biancaneve in sella ad un cavallo bianco assieme al principe mentre Grimilde montava uno stallone nero e lucente.
I passi degli zoccoli erano appena percepibili, quello che prima era stato un sentiero di semplici ciottoli era andato divenendo sempre più irreale, violastro quasi, sin quando un sottile strato di fumo grigio non era andato a ricoprirlo.
Gli animali iniziavano ad agitarsi, quello che prima era un bosco cominciava a divenire il nulla.
«Cosa… Cosa sta accadendo?» Domandò preoccupata la principessa dalla pelle bianca come la neve e le labbra rosse come una rosa.
Le sue iridi scure osservavano i dintorni, stringendosi talvolta a Floriant davanti a sé.
La regina, dal canto suo, si limitò ad un accenno di smorfia.
«Qualcuno ha deciso di farci un saluto…» Bisbigliò semplicemente, visibilmente scocciata.
Dal canto loro, i due coniugi sembravano non comprendere appieno la situazione: ciò che gli era stato comunicato era un viaggio in un mondo di vegetazione incontaminata, un bosco precisamente ai piedi di un vulcano ormai dormiente, dove avrebbero dovuto incontrare il benevolo Spirito della Primavera.
Ma il luogo in cui si stavano avventurando non assomigliava lontanamente alla descrizione e alle immagini riportate sui libri.
Era scuro, indefinito, privo di qualsiasi forma di vita concreta al di là di un paio di mostri che parevano volteggiare nel nulla ad una distanza da loro che non poteva esser misurata con precisione.
Il Tartaro.
«Bene bene, ma guarda chi abbiamo qui…» La voce suadente ed ironica di una giovane donna echeggiò tutt’attorno a loro, tanto che Floriant estrasse d’istinto la spada e Biancaneve si strinse ulteriormente a lui.
Grimilde, al contrario, aveva inarcato soltanto un sopracciglio, persino quando quei mostri indefiniti e contornati solo da qualche lucina biancastra avevano cominciato a gironzolargli attorno, neanche fossero dei predatori in procinto di aggredire la preda.
«La messinscena può bastare, Eris. Non abbiamo altro tempo da perdere coi tuoi animaletti
Sentenziò fredda e distaccata come ogni volta, nonostante lanciasse parecchi sguardi scettici nei dintorni: aveva a che fare con una dea, conosceva i rischi che correva, ma dopotutto Malefica non aveva mandato lei casualmente.
Una risata contenuta e divertita seguì quelle parole, mentre un’ombra si palesò alle spalle della dolce coppiettina: abito color prugna, capelli neri che si muovevano in modo indefinito ed occhi vispi dalla sleale furbizia.
«Mi porti il cuore più puro che esista con tanto di anima gemella e non mi lasci emozionare nemmeno un pochetto, Evil Queen?» Rispose con una ironica lagna la dea del caos, con quel solito fare tremendamente affascinante e la contempo immaturo.
Mentre Grimilde volgeva il cavallo verso di lei, Eris aveva già ripreso a volteggiare attorno alla coppietta, divertita nel vedere lo spirito protettivo del principe ed il volto angelicamente intimidito di Biancaneve.
«Sì, ora capisco perché li odi tanto. Sono diabeticamente noiosi.» Sentenziò portandosi teatralmente due dita sotto il mento, come se ci stesse riflettendo per davvero.
Ma Grimilde, naturalmente, aveva ben altro a cui pensare.
«Immagino tu sappia già perché siamo qui e soprattutto dove dobbiamo andare, perciò risparmiaci i convenevoli.» Tagliò corto con la solita superba severità, il volto dai lineamenti impeccabili che rimaneva impassibile.
Sempre maledettamente bella, nonostante tutto.
Eris, dal canto suo, sbuffò e le si avvicinò gradualmente, volteggiando elegantemente su se stessa.
«Certo che lo so… Mi sono divertita molto a vedere la vostra buffa coalizione… Non me la sarei mai aspettata, davvero. Complimenti per essere riusciti a stupirmi, non ci riescono spesso!» Si complimentò con l’aggiunta di un deridente applauso.
Biancaneve e Floriant non mossero un muscolo, mentre la Regina Cattiva inarcava un labbro con fare scocciato.
Le arrivò alle spalle e vi posò sopra le mani, lentamente, provocandole un brivido spiacevole lungo la schiena – ma nemmeno questo fu sufficiente per smuoverla.
«Nemmeno i tuoi poteri potrebbero qualcosa contro una dea… questo lo sai, vero?» La provocò sussurrandole appena all’orecchio.
Grimilde non rispose, socchiuse appena le palpebre in un silenzioso assenso: negare l’evidenza sarebbe stato da ipocriti.
Eris riprese la sua mistica risatina, accennando ad allontanarsi dalla regale donna quando questa proferì di nuovo parola, attirando l’attenzione dei presenti: aveva un obiettivo da portare a termine e lo avrebbe scrupolosamente fatto, come ogni volta.
«…ma so anche che dipendi dagli accordi presi, Eris.» Azzardò accennando ad un lieve sorriso, al quale la dea rispose con una smorfia.
«E avresti un accordo da propormi tanto vantaggioso da convincermi a lasciarvi andare?» Ribatté in un misto di infantile curiosità e palese fare scocciato.
Non le piaceva esser messa alle strette in quel modo, ne valeva del suo orgoglio, ma evidentemente l’astuzia di Grimilde pareva saperla contrastare perfettamente.
Fece un lungo respiro, lo sguardo andò lentamente a spostarsi sulla coppietta davanti a lei, su Biancaneve in particolare: non avrebbe mai smesso di odiarla.
Mai.
«La mia bellezza in cambio della nostra libertà.» Lo disse quasi in un sussurro, fiera ed orgogliosa era consapevole di essere sul punto di perdere davvero ciò che più le importava.
Ed Eris lo sapeva, lo sapeva benissimo: poteva sembrare un’offerta banale, magari anche insignificante, ma si trattava di Grimilde… la matrigna che aveva fatto di tutto, arrivando persino a rovinare se stessa e al tentato omicidio, pur di preservare il proprio corpo ed il proprio aspetto.
La bellezza, per lei, era tutto: il motivo della sua esistenza, del suo vanto, la sua ragione di vita.
Futile o meno che fosse non importava, perché ciò che contava era l’importanza che la Evil Queen le attribuiva.
Un sorriso sadico comparve sul volto della dea del caos, stuzzicata come non mai da quella proposta quando fu Biancaneve a precederla.
«No!» Esclamò di colpo, accennando a scendere dal cavallo con fare convinto. Grimilde palesò una smorfia, mentre Eris pareva particolarmente divertita da quella recitina.
«Non hai voce in capitolo, tu.» Sentenziò, irritata da quella intromissione.
Ma Biancaneve aveva ormai abbandonato il destriero, lasciando il principe con uno sguardo di supplica affinché non la fermasse.
«Non è giusto che soltanto voi paghiate un prezzo così alto.» Replicò senza timore.
Grimilde ne rimase sinceramente colpita, forse per la prima volta in vita sua: odiava quella principessa, più di chiunque altro, e proprio per questo non si sarebbe mai aspettata che proprio lei potesse capirla, comprendere quanto quel sacrifico sarebbe stato terribile per la Regina Cattiva.
Si lanciarono un lungo sguardo, le iridi scure di entrambe parevano scontrarsi senza il minimo rimorso e fu ancora Biancaneve a prendere iniziativa, volgendosi alla dea con quell’espressione innocente che da sempre l’aveva caratterizzata.
«Il patto che vi propongo. Anzi, che vi proponiamo…» Affermò volgendo sempre una rapida occhiata a Grimilde, quasi a controllare che non le venisse voglia di ucciderla in quel preciso istante.
Ma la Regina, stranamente, la lasciò parlare: in fondo se la sua pena veniva ridotta ci avrebbe solo guadagnato, era evidente, ma il motivo del suo silenzio era un altro.
«…è di prendere metà della bellezza di entrambe. In cambio, ci lascerete passare.» Propose.
Un inquietante silenzio invase quel luogo inanimato ed ambiguo, almeno sin quando Eris non scoppiò in una ironica e sadica risata, incidendo una “X” sul proprio petto, appena sotto al spalla.
«E’ un piacere fare affari con voi, umani…» E proseguì la sua risata, mentre la pelle di Grimilde andava raggrinzendosi ed il perfetto volto di Biancaneve deformandosi lievemente.
Il prezzo della salvezza era stato pagato.
 

Ai piedi del Palazzo del Sultano, a miglia e miglia di distanza dalla ricerca di Biancaneve, Grimilde e Floriant, la battaglia continuava in tutta la sua violenza.
Il Bene pareva continuare a perdere colpi, rimpicciolendosi, ma dopo il sacrifico della Signora di Ogni Male e la morte di coloro che avevano condiviso la sua prigionia aveva aumentato la rapidità di produzione degli Heartless bianchi.
Una furia, da ambedue le parti.
«Rapunzel, da questa parte presto!» Udendo il richiamo di Eric, la dolce principessa del Regno del Sole srotolò i propri biondi capelli dal braccio ormai curato di Robin Hood, aiutata da Eugene che glieli trasportava premurosamente.
«Serve un passaggio biondina?» Domandò ironicamente il Genio, recuperando quindi i due sposi dalla torre per condurli in riva al grande lago, dove Ursula giaceva gravemente ferita.
Oltre a Rapunzel, anche la Fata Turchina, la Fata Madrina e le tre fatine si davano da fare per curare quante più ferite possibili, in particolare quelle delle principesse poiché i cattivi, una volta ottenuto quella sorta di potenziamento dal male, avevano cominciato a faticare a controllare con precisione le proprie capacità.
Le torri erano state quasi tutte attaccate da quegli tesserini bianchi che, contrariamente all’apparenza, rappresentavano solo il male, costringendo quindi gli arcieri a combattere con altri tipi di armi.
I feriti continuavano ad aumentare, assieme naturalmente a gesta che mai avrebbero creduto di vedere in circostanze differenti: Shan Yu aveva protetto Mulan con il proprio corpo, venendo trapassato da una lama affilata mentre Nala, oltre ogni aspettativa, aveva protetto Zira ferita ad una gamba sino all’arrivo delle cure.
Persino l’ironico e cinico Ade, Signori degli inferi, si era “premurato” non solo di accertarsi che Megafusto proteggesse la sua donna nel modo dovuto, ma aveva anche difeso la principessa Odette nel momento in cui Derek era venuto a mancare per lo stesso motivo degli altri ex prigionieri.
Quasimodo e Adama, mutato di nuovo in Bestia, avevano collaborato per vegliare su Facilier e Frollo che invocavano ogni sorta di spirito contro il loro nemico mediante sortilegi e preghiere.
 
Non combattevano più se stessi, la sottile linea che aveva da sempre separato il Bene dal Male era stata completamente spezzata.
 
«Potrebbero continuare ancora per giorni senza riuscire ad avere un vero e proprio vantaggio…» Commentò Re Stefano stringendo appena i denti.
Ciò che la sua più acerrima nemica aveva fatto era stato essenziale, certo, ma non sufficiente a garantire loro la vittoria più schiacciante.
«Sono pari. Continuano a subire perdite da ambedue le parti.» Continuò Re Guglielmo, il quale lanciava solo di tanto in tanto qualche occhiata all’interno del palazzo, dove la Regina Uberta era ancora in preda alla disperazione per la morte dell’amato figlio.
La guerra era qualcosa che nessuno avrebbe mai dovuto vivere, mai.
«Queste chiacchiere non serviranno a niente.» Sentenziò lo Zar di Russia, appoggiato allo stipite della porta osservava la battaglia dal balcone con fare sconsolato: era umano, lui, semplicemente umano. Non avrebbe potuto fare nulla tanto quanto gli altri regnanti.
«Avete quindi qualche proposta intelligente da farci, suppongo, vostra altezza.» Asserì Tritone con una certa ironia nel tono. Quell’altezzoso umano non gli era mai piaciuto, figurarsi in una situazione tanto tesa!
Sospirarono sconsolatamente nel rendersi conto che le loro possibilità finissero lì, almeno sino a quando qualcosa, o meglio qualcuno, non attirò la loro attenzione: una piccola astronave, una Gummiship precisamente, si palesò nel bel mezzo del campo di battaglia, costringendo i combattenti aerei a fermarsi momentaneamente.
Dal tettuccio di questa, Re Topolino fece la sua comparsa, la classica quanto forte Keyblade fra le mani guantate ed un’espressione decisa in volto.
Lui, il Re dei Re. Lui che rappresentava quei mondi, uniti o disuniti che fossero, bene o male che li dominassero.
«Re Topolino!» Esclamarono Pippo e Paperino all’unisono, sinceramente felici di vederlo tornare in campo come molto tempo prima.
«Oh, finalmente il topastro ha mosso le sue chiappettine regali!» Commentò sarcasticamente Ade.
Non che fosse effettivamente intenzionato ad offenderlo, ma di certo non sprizzava gioia da tutti i pori nel vederlo.
«E così anche il Re di ogni creatura delle fiabe si palesa al mio cospetto…» Sentenziò la forte voce del Bene, echeggiando nei dintorni.
«Siete venuto ad assistere alla fine di tutti i mali che il vostro mondo ha conservato sino a questo momento?» Domandò palesemente metaforico.
Re Topolino non rispose subito, arricciò appena il naso ed accennò ad un sorriso del tutto tranquillo e sicuro di sé, come se quelle parole non lo avessero minimamente turbato.
Era il leader, in ogni caso non si sarebbe potuto permettere di abbassare la testa… non dopo che la regina dei cattivi aveva lasciato il campo, almeno.
«In realtà, mio buon amico, sono qui per darti una dimostrazione.»
Affermò in tutta serenità, volgendosi verso i combattenti alle sue spalle, nelle più svariate delle condizioni.
«O meglio, noi te la daremo. Tutti quanti.»
Precisò con un sorriso soddisfatto, per poi fare un piccolo passettino di lato sul tetto dell’astronave pilotata da Cip e Ciop, abbassandosi appena verso il tettuccio e tendendo la mano verso qualcuno.
«Il Bene ed il Male hanno convissuto da quando il mondo ha avuto la sua origine. Distruggere una delle due parti significa distruggere l’equilibrio e trascinare la parte restante nell’oblio peggiore.» Spiegò pazientemente, mentre aiutava una figura femminile a salire accanto a lui.
«Il Bene ed il Male possono e devono convivere. Lo abbiamo dimostrando prendendo una decisione, dando prova dei nostri ideali. Lo stiamo dimostrando ora, combattendo assieme e mostrando la nostra forza. E lo dimostreremo anche fisicamente: in un unico corpo possono esserci sia la luce che le tenebre, senza che tale soggetto muoia o venga sopraffatto dalla pazzia.»
Restarono a bocca aperta, tutti quanti.
Davanti a loro, accanto a Re Topolino, la figura di una giovane regina dai capelli con ciocche chiare tante quante quelle scure rimaneva impeccabile ed elegante.
L’abito celeste era adornato da piccoli cristalli ora neri, il gelo rilasciato dalla sua sola presenza manifestava il caldo così come il freddo.
«Elsa…»
Bisbigliò Anna a labbra strette, incredula quanto gli altri nel vedere la Regina delle Nevi in una perfetta metamorfosi tra il bene ed il male: il suo animo ed il suo cuore avevano preso la loro decisione, unendosi ad ambedue gli schieramenti.
Era possibile, ora più che mai tutti ne erano stati convinti: il Bene ed il Male potevano coesistere e nulla li avrebbe allontanati.
Nel momento esatto in cui la regina riaprì gli occhi, uno azzurro come il cielo e l’altro nero come la notte, la battaglia riprese.
E se prima l’indecisione balenava assieme alla voglia di rivincita, ora la determinazione e la convinzione avrebbe preso il sopravvento.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** After ever After ***


Angolo Autrice:
Buonasera/notte/giorno/pomeriggio!
Questo è, ahimè, l’ultimo capitolo della storia…
Mi sono divertita molto a scriverla (e ad improvvisare la metà delle situazioni soprattutto xD) e ho avuto molta soddisfazione sia dalle recensioni che visualizzando quanti l’abbiano messa tra le seguite/ricordate/preferite: perciò grazie, grazie mille a tutti :D
Che dire, spero vi siate divertiti con me e che quest’ultimo capitolo non vi deluda: chissà, magari ci rincontreremo ;)
Un abbracciane a tutti!

 

 
After ever After
 
La guerra, si sa, richiede un prezzo sempre troppo alto, troppo ingiusto.
Un prezzo che nessun popolo, nessuna creatura dovrebbe mai pagare né lontanamente avvicinarcisi.
La guerra è un lago di sangue e disperazione che ferisce sul momento e trascina nell’oblio per sempre chiunque ne abbia preso parte: non fa distinzioni, non risparmia alcuna anima, non ha pietà.
Per niente e nessuno.
 
«Ce l’abbiamo fatta…» Biascicò una voce stanca e ormai sommessa, il nero cilindro sulla nuca era mezzo schiacciato per via delle ferite subite mentre gli abiti solitamente eleganti apparivano quasi trasandati.
Poco dietro di lui, Frollo era letteralmente in ginocchio, esausto per le troppe invocazioni fatte sino a quel momento, incapace di vedere quella situazione come una luce speranzosa.
«Abbiamo… vinto?» Domandò incredula Jasmine, la quale sosteneva un Aladdin ferito ad ambedue le gambe, mentre lentamente gli ultimi Heartless rimasti scomparivano o venivano eliminati da blandi colpi d’armi.
Il Bene, quell’odiosa e superba nuvoletta bianca, era definitivamente scomparsa, dissoltasi nel nulla a forza di rimpicciolirsi per la continua ed eccessiva produzione di esserini bianchi senza cuore.
Eppure, in quella calma finalmente raggiunta, nemmeno un filo di vento pareva avere il coraggio di mostrarsi.
«Abbiamo vinto!» Ripeté la voce perennemente euforica dell’arciera dai capelli rossi, la quale per l’emozione abbracciò Hicchup d’istinto, facendolo arrossire tremendamente – con estrema soddisfazione del draghettino nero, il quale sghignazzò appena muovendo la coda.
A terra, Rapunzel aveva appena terminato l’ennesimo canto, i capelli tornavano del loro oro naturale ma quella cura fu decisamente troppo per il suo fragile corpicino, tant’è che cadde svenuta fra le braccia del marito, già pronto a sorreggerla.
«Non penso si possa parlare di vittoria…» Era cupo ma realista, il Re della Savana. Leccava con diligenza le ferite della moglie, mentre Kovu prestava aiuto alla madre ormai morente: avevano lottato valorosamente, le due leonesse, nonostante tutto si erano spalleggiate fino alla fine.
Odette ancora piangeva il principe tanto amato all’interno del castello, Erik bloccava quasi invano la profonda ferita al fianco della principessa di Atlantica – con sorprendente aiuto di Ursula che, nonostante fosse anch’ella ferita, non pareva rassegnata all’idea di non esser stata lei ad uccidere quella viziatella.
E poi ancora, Mulan e Shang facevano il possibile per il capo degli Unni, Aurora e Filippo aiutavano le tre fatine a curare i superstiti per quanto possibile.
Elsa, la Regina dei ghiacci bianchi quanto di quelli oscuri, era letteralmente sfinita, tanto che Gaston la sorreggeva fra le braccia ormai da parecchi minuti: no, nemmeno lui riusciva ad essere il solito pervertito, non dinnanzi a quello spettacolo tutt’altro che fiabesco.
 
Il lieto fine, se così si poteva chiamare, aveva il colore del sangue ed il bruciore delle lacrime.
 
Belle corse a riabbracciare Adam, miracolosamente ferito solo in parte mentre non si poteva dire lo stesso del compagno Quasimodo, ora sotto le cure prodigiose della Fata Madrina – per quello che ella poteva fare dopo ore di utilizzo ininterrotto della propria magia, naturalmente.
La mano guantata di Re Topolino andò ad appoggiarsi placidamente sulla spalla della principessa Kairi, in preda alle lacrime dinnanzi ai corpi senza vita dei due compagni, le loro Keyblade abbandonate a poca distanza senza accennare nemmeno al più blando dei movimenti.
I sovrani erano salvi, certo, ma morire sarebbe stato meno doloroso che avere dinnanzi agli occhi uno spettacolo tanto raccapricciante.
Merlino lanciava improperi e maledizioni a tutto andare, impotente dinnanzi alla malattia che di lì a poco avrebbe segnato la rivale ed amica per sempre: a nulla erano valse le consolazioni di Jane, mentre Rasputin si era chiuso in un silenzio tombale.
Persino Ade, nella sua perenne ironia, non era capace di biascicare parola: aveva sempre odiato quel cavallino bianco ed esagitato, ma mai avrebbe voluto vedere il suo manto candido sporco di rosso.
Mai avrebbe creduto che la morte gli avrebbe fatto ribrezzo, un giorno.
 
E poi c’era lui, il Gran Visir perennemente impassibile, ora letteralmente pietrificato dinnanzi al corpo senza vita della Signora di Ogni Male: la fissava, ma gli occhi erano vuoti, spenti, privi di qualsiasi bagliore – negativo o positivo che fosse.
Nemmeno nel suo momento di maggior egoismo avrebbe mai desiderato vedere quelle iridi diaboliche e meravigliose chiuse per sempre.
 
«Ditemi cosa ci resta!» Gridò d’improvviso Anastasia, la rabbia dipinta chiaramente in volto.
«Ditemi quale soddisfazione dovremmo avere da tutto questo!» Continuò, letteralmente sconvolta.
Dimitri invano cercò di tranquillizzarla, mentre quella disperazione veniva sentita in ogni singolo cuore – oscuro o benevolo che fosse, indistintamente.
«Non è il Male ad essere stato estirpato… ma nemmeno il Bene…» Bisbigliò Anna, che ora reggeva la mano della sorella esausta, ancora sorretta dalle forti braccia di Gaston.
Nessuno sapeva rispondere, nessuno sapeva trovare davvero la luce in quel deserto di lacrime.
«Nessuno ha vinto…» Re Topolino lo disse a bassa voce, sommessamente, quasi in un timido sospiro.
Kairi scoppiò in lacrime, stringendo la mano fredda di Riku ed appoggiando il capo sul petto silenzioso di Sora.
«In guerra non si vince. Mai
Sentenze che rendevano ancora più cruda la realtà, più doloroso accettarne le conseguenze.
 
Poi un venticello si alzò. Non freddo, non caldo, ma di quel tepore piacevole e delicato che accarezza la pelle senza accennare a ferirla, non considerevolmente almeno.
Un vento primaverile.
Nessuno sembrò badarci molto, non sin quando fu la Fata Turchina a volgere uno sguardo stupito a tre figure che andavano avanzando nella loro direzione, seguito quindi da quello degli altri.
Un cavallo bianco montato da Floriant, il volto abbattuto ma al contempo conscio della realtà, mentre a lui si stringeva una figura delicata e dalla pelle pallida che tuttavia nascondeva il volto.
A poca distanza un secondo destriero, nero come la notte, governato da una evidente figura femminile che tuttavia celava il proprio aspetto con un mantello, lasciando visibile soltanto una mano coperta di spiacevoli rughe.
«Biancaneve…» Bisbigliò Cenerentola, mentre la maggior parte dei presenti sgranavano gli occhi o si portavano le mani alle labbra nel momento in cui la principessa, prototipo di bellezza e raffinatezza, si mostrava alla luce: sempre giovane ma dal viso imperfetto, un naso più prorompente, gli occhi scuri privi della loro tenera lucentezza e le labbra troppo piccole in proporzione al viso.
«Il prezzo da pagare è sempre troppo alto.» Bisbigliò di nuovo Re Topolino.
E mentre Biancaneve tornava a coprirsi, con gli occhi lucidi per la vergogna, l’attenzione dei presenti andava posandosi sulla figura di Grimilde, la quale sotto inconscio esempio della principessa trovava il coraggio di mostrarsi: non era la vecchia rachitica in cui si era già precedentemente trasformata, ma poco ci mancava.
E tutti i presenti persero l’ennesimo battito.
«Ma se pagarlo è l’unico modo per avere il vostro… anzi, il nostro tanto agognato lieto fine, che così sia.»
Dignitosa, acuta, brillante anche dinnanzi alla sconfitta e all’umiliazione più grande.
Dopo quelle parole, sopra di loro si palesò una figura dai tratti delicatissimi e vagamente femminili, il corpo pareva un manto verde intrinseco di fiori e profumato d’erba fresca.
Lei, lo Spirito della Primavera, sorrise dolcemente a tutti i presenti, lasciandoli letteralmente senza fiato: in quel mare di sangue e disperazione, il volto candido e premuroso di una simile creatura fu l’unico spiraglio di luce in grado di dare loro speranza.
«Ma quella…» Biascicò Merlino, sistemandosi gli occhialetti tondi sul naso con estremo stupore.
«Credevo fosse solo una leggenda.» Ammise il Signore degli Inferi, la mascella che letteralmente toccava terra.
La delicata figura sorrise di nuovo, per poi librarsi in aria ed ampliare ulteriormente il proprio mantello, in modo tale da poter ricoprire l’intera zona: volò alta e lenta su ognuno di loro, investendoli d’aria pura e sincera benevolenza.
Anche lei aveva fatto del male, anche lei aveva sbagliato ed anche lei, come tutti loro, aveva pagato: ma era stata aiutata, era stata perdonata… e così come tale dono era stato fatto a lei, così lei lo avrebbe fatto a loro.
Loro che non potevano più dirsi Bene e Male, ma una unica grande entità insita in ogni fiaba.
I mali vennero curati, le ferite richiuse.
I cuori ripresero a battere e la pelle riprese il proprio colore ed il proprio calore.
Le labbra prima strette ed affogate nelle lacrime andarono ad aprirsi in un ampio sorriso di commozione.
«Derek!» La principessa Odette fu la prima a manifestarlo nel momento in cui il suo principe si riprese, così come ogni altro che vedesse i propri cari risvegliarsi.
Persino Merlino abbracciò con forza la propria rivale, lasciandosi sfuggire una lacrimuccia.
«Ehi, vecchio bacucco! Ti ho già detto dove te le metto le manifestazioni d’affetto, vero?!» Gli inveì contro, faticando tuttavia a mantenere il solito isterismo.
Non contava più da che parte stare, non importava nemmeno essere stati alleati o rivali: ciò che davvero premeva loro era di essere vivi. Tutti quanti.
Si riabbracciarono con estrema gioia, alcuni si scambiarono una semplice stretta di mano ma ognuno di loro, in cuor proprio, gioiva nel modo più sincero.
Terminate le guarigioni, lo Spirito della Primavera tornò al cospetto della villain e della principessa più belle mai esistite: prese loro le mani con estrema dolcezza e, dopo avergli regalato un sorriso premuroso, lasciò che la loro pelle tornasse vellutata, il loro volto splendesse di rara bellezza come non mai.
Grimilde ne rimase letteralmente scioccata, Biancaneve aprì le labbra rosse nel sorriso più ampio che avesse mai fatto ed abbracciò la Evil Queen d’impulso, tanto che ella non reagì da tanto era lo stupore.
 
Quando quelle iridi gialle e tremende si riaprirono dopo un battito di ciglia, Jafar si abbassò sulla figura della Signora del Male in pochi istanti, accennando a prenderle la mano spinto da un istintivo moto di gioia e speranza.
Ma si fermò di colpo quando incrociò il suo sguardo, glaciale come sempre, tenendo la mano a distanza di pochi centimetri da quella dell’altra, nel terrore di aver osato troppo.
E mentre Jasmine assumeva un’espressione divertita, di chi la sa lunga – molto lunga -, Malefica lasciò passare qualche istante di dubbie intenzioni, prima di posare la propria mano su quella dell’altro, lasciandosi aiutare a rialzarsi.
Fu Diablo ad interrompere quel particolare momento, tornando a posarsi sulla spalla della sua signora e riportandola all’effettiva realtà: li guardò, tutti quanti.
Vivi, gioiosi, di nuovo con la speranza negli occhi – la stessa che lei aveva cercato di eliminare da sempre ma che, in quel momento, non poteva che essere felice di vedere.
Re Topolino, lasciata Kairi a stringere fra le braccia i due compagni, si presentò al cospetto della Signora di Ogni Male, accennando ad un lieve ed educato inchino.
«Felice di rivederla di nuovo tra noi, Malefica.» Asserì con una certa professionalità, erano pur sempre gli esponenti delle due "fazioni".
Lei abbozzò ad un sorriso ironico e malsano come ogni volta.
«La felicità non appartiene alle tenebre, caro Re Topolino…» E quell’affermazione fece tremare tutti per un istante, almeno sino a quando anche lei non smussò appena il proprio terrificante orgoglio abbassando le ampie corna, lasciando dunque intendere che fosse pienamente favorevole alla cosa.
«…ma per questa volta farò un’eccezione.»
E tutti ripresero a respirare, sollevati e felici come non mai.
Buoni così come Cattivi. Eroi così come antieroi.
 «Allora, chi viene a farsi una bevutina negli Inferi? Offrono i morti!» Ed una risata generale si levò in aria, sferzata da quella immancabile ironia.

Forse sì, Bene e Male sarebbero sempre esistiti…
E non c’era certezza più bella!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2166206