Bolle

di Drosophila Melanogaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Miracoli ***
Capitolo 2: *** Meduse ***
Capitolo 3: *** Fantasmi ***
Capitolo 4: *** Parti (1) ***
Capitolo 5: *** Parti (2) ***
Capitolo 6: *** Catene ***



Capitolo 1
*** Miracoli ***


 
Bolle d'aria, finti respiri, salgono in superficie lentamente.
Apro gli occhi, l'azzurro è quasi trasparente, il sale brucia le iridi di cristalli verdognoli.
Torno al buio. Non avrei mai immaginato la discesa così dolce. Così maledettamente morbida.
Atterro su un cuscino di rose e cardi spinosi. Atterro, attorniata da rovi di more. Taccio, dormo.
Le spine conficcate nella pelle non fanno male, non le sento, quasi. Non sono nemmeno certa che siano spine. Forse solo aghi, sono atterrata su un materasso di puntine. Ci faccio l'amore sopra, sanguino e urlo, ma fuori non mi sentono.
"Pazza", non è la parola giusta.
"Speciale", sembra una presa per il culo. So cosa sono, so che non sarei dovuta arrivare così avanti. Sono il rigetto dell'utero di mia madre, deforme, ma con il cervello intero. Nata morta, resuscitata prima del tramonto. Sembrava impossibile che quei piccoli polmoni potessero trasformarsi in potenti mantici. Che il mio piccolo cuore potesse muovere litri di sangue senza scoppiare. E invece eccomi qua, divisa da loro da un vetro spesso, su quello che mi sembra un letto di puntine da disegno.
Vedo ciascuno di loro gridare al miracolo. "Oggi muove le gambe, domani le braccia, ieri ha detto una parola." Vi insultavo, non sapete che quel rantolo era un vaffanculo. È ora di risalire. Sento che l'ossigeno sta finendo. La mia bombola è vuota, respiro vapore di cianuro.
Allungo le braccia verso il sole. Quel grande sole bianco e limpido. Lo voglio prendere. È talmente bello, vorrei che fosse mio.
Vado su, spingo forte con le piante dei piedi contro il tappeto di rose. E l'aria mi acceca.
Immobile, una statua di sale. Il miracolo è finito.
Mi prendono, mi mettono su una carrozzella. Ho gli occhi aperti e assenti.
Fisso dritto avanti a me senza vedere nulla. Davanti al mio sguardo ci sono ancora le bolle, aria benigna.

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Capitolo 2
*** Meduse ***


Sesso, droga e rock n'roll. 
I signori che l'hanno detto campano che è una meraviglia. 
La chiamavano bocca di rosa, è morto, stecchito, i funghi ci hanno fatto casa sopra. 
Mangime per saprofiti e parassiti. 
Magnifico, no? 
Sarà che non serve un quando, un perchè, sarà che non abbiamo altro. 
Il mondo va crollando. Non ci sono più montagne e nemmeno laghi limpidi. 
La meta scorre nelle vene, intossica il sangue. Nessuno soffre, tutti muoiono. L'overdose letale. Senza paure o rimpianti. 
Siamo bestie, non umani. 
Ci infiliamo in tunnel di house e graffi sotto gli occhi. 
Balliamo una danza macabra flagellando le nostre schiene come monaci pentiti. 
Scortichiamo con le unghie le dolci costole che ci ha fatto Nostro signore. 
Ci baciamo nel sangue, affoghiamo lentamente.
Vediamo bolle iridescenti sopra le nostre teste. Sono rosse di fuoco e poi blu d'acqua purissima. 
Scarlatte di sangue e candide di neve.
Siamo solo uomini, le donne non le abbiamo ancora partorite. 
Un inferno di carni struscianti e gemiti sommessi. 
Ci sgozziamo e guardiamo le bolle. 
Salgono placide come meduse, dritte verso il non-finito.
 

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Capitolo 3
*** Fantasmi ***


 

Dal diario di un omicida. 
16 Agosto 1986

Sono preso da una strana foga. Amo vedere la gente esalare l'ultimo respiro. È fragile e potente al tempo stesso. 
Il passaggio dall'aiuto all'omicidio è breve quanto un consenso. Io non uccido, accompagno. 
Mi aggiro negli ospedali, i reparti di malati terminali che implorano la morte sono un balsamo per le mie carni stanche. 
Mi aggiro con una siringa d'aria in mano. Entro nelle stanze da cui salgono le urla più strazianti. 
-Aiuto.- chiamano, -Aiuto.- gridano. 
Ci sono io.  Bambino o anziano che sia, ci sono io. 
Sono un angelo, un triste mietitore sorridente. Agito la siringa piena d'aria, mi danno il consenso con gli occhi. 
Nel tubo della flebo si formano tante bolle. Aria d'ospedale che puzza di candeggina. 
Nel loro sangue, altre bolle. 
Arrivano al cervello. 
Ed è black out, un flash bianco. Spirano tra le mie braccia. Tremo, piango di gioia. 
Sento l'anima di quei vecchi accarezzarmi il volto e poi correre via nel vento d'estate. 
La morte non è altro che il tonfo, lo scontrarsi contro il fondo. 
Io metto cuscini di piume e sete preziose ad attutire la caduta. Li lascio disposti a forma di amore e prego che l'aria raggiunga in fretta la vena delle loro teste. 
Questo è quello che faccio. Amo, amo immensamente. Aiuto nel trapasso con una semplicità disarmante. Senza sofferenza, vedrete solo bianco. E prima se ne andrà la ragione, poi la seguirà il corpo.
Oggi ho visto un mucchietto d'ossa a forma di donna uscire dalla stanza. Sono certo mi cercasse con gli occhi. 
Si reggeva a malapena, piangeva ma non aveva lacrime sufficienti. Il suo corpo la risucchiava in un vortice di fitte ustionanti. Le bruciava il cervello. 
Era giovane, sarebbe stata bella. Sulla bocca aveva stampato il fantasma di un sorriso. 
-Sono l'angelo.- le ho detto. -Cosa desideri?- le ho chiesto. 
"Amami." Mi ha risposto. Solo amore per lei. 
Le ho preso la mano. -Seguimi.- le ho detto. 
L'ho stesa sul suo materasso all'acqua di rose. L'ho carezzata sulle gambe smunte, l'ho toccata e tremavo nel suo corpo immobile. L'ho guardata, rideva del mio tocco maldestro. Rideva, guardava la bolla scendere, col suo sorriso fantasma. 
"Baciami mentre muoio." L'ho affogata nel cuscino, l'ho spinto forte sulla sua bocca mentre succhiavo la pelle cadente del polso. 
E lei soffocava, batteva il pugno, chiamava aria. 
Se ne è andata strozzata dalla sua stessa trachea, collassata sotto il peso delle mie mani. Se ne è andata mentre le amavo la pelle, mentre mangiavo i suoi occhi con baci umidi da sopra le palpebre. 
Le ho coperto il volto, ho fatto cadere un paio di lacrime a comando. 
Ci hanno trovati così, morti e piangenti, tra calle candide che profumavano i capelli. 
Al suo funerale hanno suonato l'Ave Maria, cantavo a squarciagola. Sentivo su di me le sue mani in carne, mi massaggiava le spalle. Ho dormito notti intere sognando e bagnando la mia bocca del ricordo di lei. 

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Capitolo 4
*** Parti (1) ***


 

Non era lui. 
Erano le mani di lui. 
Morivo per quelle mani. Morivo perchè erano l'antitesi perfetta alle mie. 
Lui era tutto mani. Non vedevo il suo volto, se facevo l'amore erano sempre e solo le sue mani. 
Il profumo delle sue dita non era lo stesso che respiravo sul suo collo. 
I suoi polpastrelli erano ruvidi, ammaccati di lavoro. Raccontavano mille storie mentre carezzavano languidi la mia pelle. E io tremavo, ascoltavo la favola bella che mi usciva dalle labbra.
Le sue nocche parlavano mentre si stringevano a pugno e colpivano il mio mento rasato. 
"Come un vero uomo." 
A testa alta. Io aspettavo il pugno e baciavo le sue nocche, rosse del mio volto. La mia lingua imprimeva nella memoria ogni solco di quella pelle scura. 
Cadevo nella banalità, non amavo mai abbastanza. Insultavo la sua faccia e veneravo i suoi polsi. 
Erano mani che creavano, dolci e violente amanti. Creavano scie porpora sulla mia schiena, creavano vie di seta sulla mia pelle. E brividi violenti che mi tenevano sospeso come nella morte. E pianti sereni che mi cullavano nella notte in cui non si dorme. 
Quando ero solo il mio corpo vibrava, mentre con gli occhi bruciavo fotografie di quelle falangi affusolate, unghie corte e mangiate. Lui amava il mio essere assoggettato. Messo in ginocchio da un solo dito.

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Capitolo 5
*** Parti (2) ***



Non ero io. 
Erano le mie mani. 
Sarebbe morto per le mie mani. Sarebbe morto perchè sono l'antitesi perfetta delle sue. 
Io, per lui, ero tutto mani. Non ha mai guardato il mio volto, anche se facevamo l'amore, c'erano sempre e soltanto le mie mani. 
Respirava l'aria dalle mie dita, non baciava mai il mio collo e la mia gola. 
I miei polpastrelli sono ruvidi, ammaccati di lavoro. Lo accarezzavo, lo sentivo fremere sotto le mie dita. Lui parlava a sillabe disconnesse, godevo, scopavo la sua voce. Potevo sentire tremiti spietati spezzargli la schiena. 
Voleva che lo colpissi. Che il mio pugno si tingesse e vestisse di drappi porpora. Umidi e sanguinolenti, al sapore di ferro. Lui mi baciava le nocche, assaggiava la sua vita un pugno alla volta. 
"Come un vero uomo."
Non mi guarda negli occhi, solo nei palmi. 
Ci amavamo sempre nello stesso modo. Non cambiava. Il sesso con la sua voce era sublime, con la sua pelle sudata e con le sue gambe storte. 
Mi insultava e succhiava le vene dei polsi. 
Toccavo ogni centimetro di lui. Le mie dita lo tenevano avvolto in setose coltri bianche. Lo raccontava gemendo, l'ho imparato. So che lo porto in un punto di brivido uguale alla morte. Lo sentivo piangere la notte, succhiava come un neonato il mio pollice. 
Un giorno ha fotografato le mie dita, le falangi scure, le unghie masticate dall'ansia. 
Si masturba quando non ci sono, col pensiero delle mie mani. Mai vede il mio viso, mai la mia schiena. 
E io lo tenevo in ginocchio. Avevo un uomo prostrato davanti a me, grazie ad un solo dito. 

 
                                                                                                                       
N.d.A. 
Ho fatto lo scadente tentativo di rigirare la situazione dalla parte opposta. Cercando di immaginare cosa si pensa ad essere dalla parte di chi "è amato" nel modo sbagliato. 
Non ho ricorretto nessuna delle due parti, abbiate pazienza.

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Capitolo 6
*** Catene ***


Mi è concesso solo il sonno.

Passo giorni a vestire il tuo corpo di petali. Ogni notte marcisci ed io resto a guardare.
Non distolgo lo sguardo dalla tua carcassa. Non mangio, le ossa del mio cranio bucano la pelle del volto ma non posso allontanarmi.
Ti ho rubato una notte d'estate. I cipressi piangevano sulla fotografia in bianco e nero. Orchidee color del mare coprono la terra da cui ti ho salvato. Era come affogare, no? Ora puoi prendere il respiro.
Alza il petto.
Prendo a pugni queste costole spolpate, dalla tua bocca non escono grida di dolore. Solo soffi sforzati dell'aria che violenta la laringe.
Non ho mai pianto per quel buco in cui ti hanno messo.
Sepolto vivo, amore mio.
Io voglio, voglio, ti pretendo. Ancora qui, sulle gambe, ancora qui, la tua voce nelle orecchie.
Ti tengo su un letto di lavanda, maschera la puzza di marcio. Ti tengo sotto una cappa di vetro dentro cui soffio aria fredda. Non esci mai, dormi, qualche volta sogni.
Sfioro i bubli ingialliti dei tuoi occhi. Mi rimangono attaccati ai polpastrelli, mi stacco con suoni sgualciti di plasma e gelatina.
Sfioro i tuoi capelli che cadono a ciocche, li intreccio alle dita.
La sensazione di precipitare mi investe, guardo in basso e vedo le tue braccia. Mi lascio andare, spiccherò il volo.
Quando mi sveglio tu non sei sul tuo letto di fiori, tu non sei disseminato in mille pezzi per la mia casa.
Sognarti senza vita, sognarti per volerti, è tutto quello che mi permetti di fare, senza controllarmi.
Le catene che legano i miei polsi sono strette. Sanguino.
Ho il tetano, si insinua nelle vene.
Ti sogno morto perchè me ne sto andando.
E prego, ti prego, non voglio morire incatenato.
Mi guardi dall'altro, il letto cigola, le vene gonfie di fisiologica e sangue avvelenato. Mi stringi. Sento che vivo ancora, sotto queste ossa stanche. Il mio cuore batte il palpito che gli manca sempre. Batte piano, svogliato, in attesa. Sono tutto in attesa. In attesa che tu mi prenda. Che tu mi soffochi in questo letto di spugna.
Stringi di più. Ogni pezzo di metallo che lega i miei arti penetra nella carne sempre più sottile. Non ho altro che pelle lesa ed ossa a seprarmi da te. A separare il mio intestino stropicciato dalle tue mani. Fremi dalla voglia di frugarci dentro.
Sei l'aguzziono di ogni mia cellula. Ogni mio respiro è incatenato al tuo sorriso tagliente.

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