La Volpe e il Lupo: Il figlio dell'Inganno

di Harmony394
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alliance ***
Capitolo 2: *** Flawed Design ***
Capitolo 3: *** 'O Death ***
Capitolo 4: *** The Promise ***
Capitolo 5: *** The Trick ***
Capitolo 6: *** Bloody truths ***
Capitolo 7: *** Hannibal ante portas ***
Capitolo 8: *** Breakdown ***
Capitolo 9: *** Dangerous discoveries ***
Capitolo 10: *** When do we start? ***
Capitolo 11: *** Escape the fate ***
Capitolo 12: *** Darkness Incarnate ***
Capitolo 13: *** Moment of tension ***
Capitolo 14: *** The scorpion and the frog ***
Capitolo 15: *** What have you done? ***
Capitolo 16: *** The Orpheus's path ***
Capitolo 17: *** Into Darkness ***
Capitolo 18: *** Lokasenna ***
Capitolo 19: *** The last battle ***
Capitolo 20: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Alliance ***


~Alliance 
Holy water cannot help you now
See I’ve come to burn your kingdom down
And no rivers and no lakes can put the fire out
I’m gonna raise the stakes, I’m gonna smoke you out
 
 

Le dita possenti e ruvide di Thanos scorrevano lente sopra la superficie fredda del metallo, accarezzandone la consistenza. Accanto a lui, Eris era seduta su un bracciolo del trono; le labbra rosse imbronciate in una smorfia voluttuosa e il corpo niveo fasciato in vesti di seta purpurea.

Nessuno dei due parlava, ma Thanos avvertiva qualcosa nell’aria, quasi un clima di tensione, e istintivamente assunse un atteggiamento difensivo: digrignò i denti e artigliò più forte i braccioli dello scranno. Eris avvertì la sua agitazione e sorrise melliflua. Poi, fece scorrere lentamente le proprie dita sottili sopra la spalla possente del fratellastro.

«Qualcosa ti turba, fratello.» La sua voce era morbida come il velluto. Un balsamo, per i nervi tesi di Thanos che, impercettibilmente, si rilassò.

Eris era sempre stata bellissima e fatale come poche, e da quando lui aveva ucciso la propria madre, donando la sua anima alla Morte, lei aveva avuto con lui un rapporto più intenso, che spesso sfociava nella violenza alla più potente delle devozioni. E sebbene non avesse mai ambito a compagnie come la sua, preferendo di gran lunga esseri differenti, Thanos la lasciava fare. In fondo, Eris era sempre stata un’ottima pedina e un’illustre assassina, nonché una perfetta manipolatrice, e i morti non erano dei validi alleati.

«Qualcuno, sorella. Non qualcosa», la corresse, distendendo le spalle. La sentì sogghignare dietro di sé e i suoi lunghi capelli neri gli solleticarono la nuca.

Eris si chinò verso di lui e avvicinò le labbra al suo orecchio, sospirando. «Un certo Dio degli Inganni, forse?», chiese con voce cristallina, sorridendogli sorniona.

Nella mente di Thanos apparvero due occhi verdi dal taglio felino, la luce di uno sguardo furbo e canzonatorio che associò a quello di del Dio degli Inganni. Ricordò il patto che avevano stretto, la rabbia che lo aveva assalito quando era venuto a scoprire che tutte le sue legioni di Chitauri erano state abbattute da quell’ammasso di omuncoli, e una rabbia feroce si impossessò di lui facendolo fremere di rabbia.

Quel dannato traditore…

Il tocco leggero della mano di Eris lo distrasse dalle sue idee e, quando si voltò per osservarla, constatò che i suoi occhi erano divenuti dello stesso colore dei propri e la sue pelle avesse assunto un lieve colorito violaceo. Sul suo viso, era impresso un sorriso maligno che lui non poté fare a meno di trovare terribilmente affascinante.

«Forse », esordì lei, il tono della voce chiaro e suadente, «dovremmo riprenderci il Tesseract e fargliela pagare per il suo comportamento indisciplinato, non trovi?», chiese, arcuando le sopracciglia, leziosa.

Thanos sbuffò. «E come pensi di fare? Sai bene che non possiamo ancora permetterci una guerra, considerato il nostro ristretto numero di soldati», ribatté, infastidito dalla sua proposta. Lei accavallò le gambe e volse il suo sguardo verso i portoni dell’entrata della sala, gli scoccò un’ultima occhiata e con una leggera mossa delle dita spalancò le ante, rivelando la sagoma dell’Altro che affiancava un essere più alto di lui diversi centimetri: un Elfo Oscuro.

Quando entrambi arrivarono al loro cospetto si inginocchiarono, dopodiché l’Altro si alzò e andò a posizionarsi negli scalini più bassi che portavano al trono. L’Elfo, invece, rimase lì, in silenzio, lo sguardo fisso a terra e la spada posata contro il pavimento che gli faceva da sostegno per il braccio.

«Chi è lui?», chiese con voce gutturale Thanos ad Eris, la quale non sembrava affatto sorpresa. Aveva già visto prima di allora un Elfo Oscuro, quindi sapeva perfettamente che aspetto avessero, eppure non ricordava quell’essere. Il suo volto gli era quasi del tutto estraneo.

«Lui è Malekith, mio signore, il Sovrano di Svartálfaheimr, il Regno degli Elfi Oscuri. Suo padre, Aenarion il Maledetto, fu assassinato da Odino tempo fa, durante una guerra. Adesso è lui il Re», lo presentò Eris. Sul suo viso era impresso uno strano sorriso sinistro che a lui non piacque per niente, ma nonostante ciò non disse nulla e si limitò ad osservare l’Elfo con sguardo inquisitore e guardingo. Ricordava Aenarion il Maledetto, così come le leggende che riguardavano lui e la sua testa che venne mozzata da Odino durante la Guerra Dei Mondi, ma non rimembrava avesse un figlio, né che il vecchio Padre degli Dèi lo avesse risparmiato. Era proprio vero che gli Elfi erano duri a morire.

Quello alzò il capo verso di lui, permettendogli finalmente d’incrociare il suo sguardo: il suo volto era bianco come la neve e affilato come un rasoio, la parte sinistra del viso era nera e ruvida, sembrava quasi roccia, e Thanos non poté fare a meno di chiedersi come sarebbe stata al tatto; i suoi occhi erano di un azzurro pallido e brillante e i suoi capelli bianchi e legati in una lunga treccia. Tutto di lui era estremamente bizzarro, perlomeno secondo i canoni degli elfi Oscuri, ma Thanos non se ne preoccupò, troppo occupato ad osservare quello che Malekith stringeva fra le dita sottili.

«Malekith», lo chiamò Eris, il timbro della voce chiaro e improvvisamente alto, distraendolo dai suoi pensieri. «Mostra al mio signore i doni che hai portato».

Malekith si alzò, rivolse loro un breve inchino e avanzò di qualche passo; quando però l’Altro gli si parò davanti, intimandogli con un ringhio di dare a lui il manufatto, fece una smorfia infastidita e sussurrò qualcosa in elfico che Thanos non riuscì a comprendere. Infine, però, acconsentì. Una volta che l’oggetto fu nelle sue mani, Thanos non poté fare a meno di sbarrare gli occhi sorpreso.

«Questa spada…», sussurrò, la voce bassa e gli occhi sbarrati per lo stupore. «Dove l’hai presa, Elfo?!».

Accanto a lui, Eris ridacchiò soddisfatta. «Come immaginavo. Avete subito intuito di che si tratta...» Sospirò serafica e si portò indietro i capelli con una leggera mossa delle dita. «Non per niente, siete l’essere più scaltro e potente di tutto l’Universo. Piuttosto, Malekith, saresti così gentile da illustrare a mio fratello il motivo di tale dono?», chiese. L’Elfo sorrise mellifluo, quasi spavaldo, e avanzò un passo.

«Giungo fin qui dal Regno di Svartálfaheimr per sancire un’alleanza con voi, Re dei Titani, poiché sono dell’idea che insieme potremo entrambi ottenere ciò che desideriamo: io la mia vendetta e voi il Tesseract.» Fece una pausa, ormai certo di aver catturato l’attenzione del suo interlocutore, ma il sorrisetto di circostanza che aveva dipinto addosso si spense quando Thanos, dall’alto del suo trono, gli rise in faccia, forte e canzonatorio.

«E cosa ne ricaverei io, da ciò, Elfo?», domandò il Titano, sprezzante. Accanto a lui, l’Altro ringhiava di disappunto all’idea di un’alleanza con una razza inferiore. « Già in passato ho sancito accordi con esseri persino maggiori di te in quanto a intelletto, eppure mi sembra di averne ricavato solo rabbia e costernazione. Non ho intenzione di sprecare oltre il mio tempo con voi stupidi elfi, ho cose ben più urgenti da fare. Vattene, ora che te lo consento.»

Malekith, seppur evidentemente in evidente soggezione, non demorse. Era infatti risaputo quanto gli Elfi fossero caparbi, ma Thanos non era mai stato un tipo paziente e quella proposta l’aveva irritato non poco. Un solo passo falso, e la testa del re degli Elfi Oscuri sarebbe finita in pasto a ciò che rimaneva dei Chitauri.

«Mi trovo costretto dirvi che siete in torto, mio signore. Non sono giunto fin quaggiù a mani vuote, bensì, come ha già anticipato vostra sorella, con un dono. E il migliore di tutti, perlopiù. Lo state tenendo in questo preciso momento tra le mani», rispose Malekith, senza riuscire a nascondere una leggera nota di irritazione nel suo tono di voce.

Thanos digrignò i denti, furioso.

«So bene di che cosa si tratta, Oscuro», esordì. «Questa è Tyrfing, la spada forgiata dai nani per il Re di Gardariki, Svafrlami; la stessa che non può arrugginire né spezzarsi. È una delle migliori armi in tutto l’Universo, e sarebbe un’ottima offerta per la Morte. Ad ogni modo, non riesco a comprendere il criterio secondo cui quest’arma dovrebbe convincermi a stringere un alleanza con te, e non nascondo che sto cominciando a perdere la pazienza. Non saranno i doni a comprarmi, non se così miseri», aggiunse, e la sua voce rimbalzò fra le mura della sala. «E bada che se non te ne andrai immediatamente non esiterò ad ucciderti con questa stessa spada! Sono stufo del tuo scherno!», concluse, facendo tremare le pareti.

Ma, a dispetto delle sue aspettative, Malekith non accennò a voler muovere un passo e anzi, fece comparire sul suo volto affusolato un sorriso affilato, quasi famelico. Allargò le braccia e avanzò un passo, sorridendo. Quella fu per Thanos la goccia che fece traboccare il vaso: si lanciò su di lui prima ancora che l’Elfo potesse capacitarsene, artigliandolo per la gola e issandolo da terra; quello annaspò, i suoi occhi si dilatarono per la paura e la sorpresa, prese a boccheggiare nel vano tentativo di dire qualcosa e si dimenò con irruenza. Thanos strinse più forte la presa, tanto da far sbiancare completamente il volto dell’Oscuro, ma proprio quando era a un passo dalla morte Eris parlò.

«Non sarebbe meglio, mio signore, vedere cosa ha da dire, prima di mandarlo come dono alla Morte?», suggerì; dal suo tono di voce non traspariva alcuna nota di preoccupazione o paura, al contrario sembrava essere parecchio annoiata, ma per Thanos fu abbastanza per allentare – seppur di poco – la presa.

«Ha parlato abbastanza. Adesso è giunto per lui il momento di tacere!», ribatté, senza mollare la presa su Malekith, al quale lacrimavano gli occhi per la mancanza d’aria.
Eris alzò le spalle. «Come desiderate», disse. «Pensavo solo che, magari, dei guerrieri in più ci sarebbero tornati utili, considerato lo sterminio dei nostri ultimi Chitauri…».

Fu un attimo e Thanos mollò la presa, lasciando cadere con un tonfo Malekith a terra, che incominciò a fare grossi sospiri e a inalare quanta più aria possibile. Agli occhi di Thanos, parve la grossolana imitazione di una marionetta a cui avevano tagliato i fili. Si voltò con sdegno verso la sorellastra, che, ancora seduta sul bracciolo del trono, lo guardava con aria serafica, e le si avvicinò a passò lento.

«Vuoi sapere cosa ha da dire? E sia. Ma se ciò che proferirà non sarà di mio gradimento, sorella, sarai tu ad essere strangolata. Sono stato chiaro?», chiese, il suo tono era velenoso come il morso di un serpente. Eris si irrigidì e l’Altro ghignò – non aveva mai apprezzato la dèa. «Adesso parla, Elfo, se hai cara la vita», ordinò Thanos. Malekith si alzò in piedi, più morto che vivo, e tentò di dire qualcosa di senso compiuto. 

«Non intendevo offrirvi solo la spada, mio signore, quella serviva solo a dimostrarvi la mia lealtà nei vostri confronti. Ciò che intendevo fare, proprio come ha detto la vostra cara sorella, era rendervi anche le mie legioni e qualcosa che, ne sono certo, riuscirà a convincervi ad accettare la mia proposta.» Mentre parlava la sua voce si fece più chiara e i suoi occhi si assottigliarono, divenendo una lunga linea obliqua. Nella sala calò il silenzio, l’atmosfera era pesante come panno bagnato, e Thanos si sentì improvvisamente curioso.

«Ti ascolterò», rispose, senza distogliere lo sguardo, la voce roca e terribile.

Sul volto scarno di Malekith si allargò un sorriso conciliante e la sua mano si aprì verso la sua direzione: subito un ologramma dai toni sfocati e scuri venne proiettato davanti ai suoi occhi, emanando l’immagine di una sagoma indistinta che lui non riconobbe. Quando però iniziò a farsi più nitida, sentì Eris accanto a sé sussultare e, osservando meglio, ne comprese il motivo. Subito, le sue labbra si incurvarono in un ghigno di feroce gioia perversa.

I capelli neri gli incorniciavano il volto paffuto e chiaro come il latte, i suoi occhi erano azzurri e sembravano contenere un oceano intero al loro interno, tanto erano grandi; non poteva avere più di sei anni, ma era abbastanza grande per somigliare in maniera terribilmente pericolosa al padre. Rideva gioioso e giocava con una donna dai lunghi capelli rossi che riconobbe come quella sciocca asgardiana di cui quell’insetto era tanto invaghito.

Non ebbe bisogno di spiegazioni per capire chi fosse quel moccioso. Tutto di lui sembrava urlarlo: quello era il figlio di Loki Laufeyson.

Rivolse un’occhiata piena di sadico piacere a Malekith che, dall’altra parte della sala, lo osservava nervoso in attesa di una reazione. Nonostante ciò, la persona più ansiosa in quella sala era Eris.

Rimase in silenzio per alcuni secondi, conscio del fatto di essere al centro dei loro pensieri, e infine sorrise sardonico. «Io… accetto», dichiarò, e una risata grassa, forte e sguaiata uscì dalle sue labbra ruvide e nodose, risuonando violenta come un terremoto nei meandri della camera. Un’emozione bruciante come il fuoco gli sormontò nel petto e una vampata d’eccitazione lo investì in pieno, incrementando la sua ilarità e alterando la sua risata in modo spaventoso.  

Si sarebbe ripreso ciò che era suo con la morte e con la guerra; avrebbe distrutto interi pianeti pur di ottenere il Tesseract e la sua vendetta; avrebbe fatto provare a quel piccolo verme il dolore vero, spargendo il suo stesso sangue davanti ai suoi occhi, torturandolo nei modi più atroci e terribili che temeva: lentamente e interiormente.

Avrebbe capito, il Dio degli Inganni, che lui manteneva sempre la parola data.
 
 
 
 
 
- Note di Harmony394.

Eeeh... si ricomincia!! ^-^
Ebbene sì, eccomi qui. Sono ritornata a narrare di Emily e Loki! Spero che il mio ritorno sia gradito xD
Ho impiegato un bel po' di tempo per scrivere questo prologo. Non avevo proprio idee! Ogni cosa mi sembrava banale o noiosa. Spero che il risultato finale sia venuto fuori decente. :)
A differenza della scorsa volta, questa fanfiction non seguirà passo dopo passo gli avvenimenti del film - anche perché non è ancora uscito. lol - ma ne riporterà brevi frammenti, ovvero ciò che sono riuscita a ricavare in giro riguardo a Thor: The Dark World. (A proposito: io sono su di giri. Non vedo l'ora che esca! *^*) Spero di riuscire a scrivere qualcosa di buono!
Ringrazio di cuore Francine per aver betato il capitolo. Sei stata preziosissima e ti ringrazio moltissimo per i consigli! <3


Credo che pubblicherò il prossimo capitolo venerdì prossimo, quindi tenetevi pronti! ^-^

Un bacione.

P.S: ecco qui il mio link Facebook, caso mai qualcuno volesse mettersi in contatto con me: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
P.S.S: La canzone iniziale è Seven devils, dei Florence and the Machine.

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Capitolo 2
*** Flawed Design ***


~Flawed Design
Then when I got older
I began to lie to get exactly
What I wanted, when I wanted it
And I wanted it

Now, I'm having trouble
Differentiating between
What I want and what I need
To make me happy

 
 
C’era una cosa che non aveva mai sopportato degli asgardiani: il fatto che fossero sempre maledettamente invadenti. Non aveva detto una sola parola da quando aveva rimesso piede su Asgard, eppure sembrava che tutti stessero cercando di tirargliene fuori quante più possibili solo guardandolo negli occhi. Il loro era uno sguardo avido, curioso e quasi famelico, ma nonostante la mordacchia gli stesse lacerando la lingua, scavando a fondo senza alcuna pietà, Loki non poté fare a meno di sorridere sardonico, divertito dalla situazione.

Era tornato, alla fine. Ma non da vincitore, né da perdente. Semplicemente, era ancora lì; i capelli corvini che gli ricadevano pesanti sulle spalle e gli occhi assottigliati in due fessure maligne che saettavano da una persona all’altra.

Pochi metri distante da lui, a fissarlo con sguardo grave e austero, stava quello che una volta chiamava Padre; il volto solcato dalle rughe e le labbra sottili e fini. Dietro di lui, invece, si ergevano una schiera di guardie armate di lance e di spade, e la schiera di Sif e i Tre Guerrieri, che lo fissavano con lo stesso sguardo con cui si osserva un morto che cammina.

Thor gli si avvicinò, gli occhi pieni di rancore e frustrazione e il Tesseract stretto tra le dita possenti, e gli tolse il bavaglio, rivelando così il ghigno che aveva dipinto sulle sue labbra alla luce del sole. I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio, ma bruciavano più del fuoco.

«Loki, per i crimini che hai compiuto durante la tua dipartita nei confronti del Regno di Midgard e per esserti macchiato dell’omicidio dei suoi abitanti, nonché tradimento verso Asgard stessa, io chiedo a Odino, Padre degli dèi, di sottoporti ad un processo nella quale verrà decisa la tua punizione in merito, in modo tale da avere giustizia», dichiarò, il timbro della voce forte e chiaro, tirandolo verso di lui con uno strattone. Loki si lasciò sfuggire uno sbuffo di disapprovazione, probabilmente dovuto più al fastidio che alle parole del fratellastro in sé, ma non diede segno di volersi ribellare. Thor sospirò e il suo sguardo si fece cupo, quasi angosciato, ma quando si voltò verso di lui, Loki constatò che sul suo volto non c’era più spazio per “Thor il Fratello Maggiore”, poiché era rimasto solo lo sguardo del “Thor il Dio del Tuono” che lui tanto detestava.

«Adesso, qui dinanzi a tutti loro, io ti chiedo: cosa hai da dire in tua discolpa?».

Sembrò che tutta Asgard pendesse dalle sue labbra: la plebe venuta ad assistere al suo ritorno ammutolì di colpo, le guardie rafforzarono la presa sulle loro lance e Sif e i Tre Guerrieri, come se fossero stati sincronizzati, strinsero più forte i pugni e digrignarono i denti, curiosi di sapere cosa avrebbe risposto. Solo Odino sembrava estraneo a tutto ciò: il suo sguardo era quello di un uomo che aveva perso tutto, rammaricato oltre ogni limite e incredibilmente stanco. Eppure, osservandolo, Loki non provò né tristezza né rimorso, bensì rabbia. Perché se c’era  una cosa che non aveva mai sopportato era l’indifferenza. E Odino lo stava volutamente ignorando.

Sputò un grumo di sangue a terra, poi si rigirò la lingua dentro la bocca nel tentativo di togliere quel sapore ferroso e agre, e rimase in silenzio per alcuni minuti, conscio del fatto che tutti stessero pendendo dalle sue labbra, finché il suo sorriso irriverente si incurvò ancor di più, rendendo il suo volto affilato e aguzzo, e la plebe trattenne il fiato.  

«Vi sono mancato?».
 

 
«Madre, guardate! Sono riuscito a centrare il bersaglio! Lo avete visto? Sono stato bravo, non è vero?».

 La voce minuta ed eccitata di Vàlì le arrivò lontana come un’eco alle orecchie, impegnata com’era nel rifinire quello stramaledettissimo ricamo, ma Emily riuscì comunque ad udirla e un sorriso bonario le si dipinse sul volto pallido. Si voltò verso di lui, gli occhi azzurri sorridenti e tranquilli, e finse un sospiro per lo stupore.

«Ma come sei diventato bravo! Un vero arciere! Thor sarebbe fiero di te!», esclamò con gioia, arruffandogli i capelli neri.

La fronte chiara di Vàlì si aggrottò, infierendogli un aspetto sinceramente confuso. «Ma lui dice sempre che il tiro con l’arco è per i debol… »
Emily gli impedì di terminare la frase e gli poggiò un dito sulle labbra sottili, ammiccando complice. «Thor dice sempre un mucchio di sciocchezze che non pensa mai sul serio, però in realtà è orgoglioso di vederti imparare cose nuove», disse, sorridendogli affabile. Vàlì ricambiò il sorriso, un po’ incerto, e annuì mestamente. Poi ritornò a tirare con l’arco.

Erano passati sei anni dalla dipartita di Loki, e nel frattempo Vàlì era diventato un bambino sano e forte; la somiglianza con il padre era tanta che, alle volte, quando lo guardava Emily aveva l’impressione di scorgere il suo stesso sorrisetto beffardo. Solo una cosa li differenziava: gli occhi. Ricordava ancora con spietata nitidezza il pallido verde che tingeva gli occhi di Loki, lo stesso nella quale si era persa tante e tante di quelle volte, e nella sua mente era ancora vivo il ricordo di come riuscisse ad assottigliarli quando era infuriato o, semplicemente, infastidito.

Quelli di Vàlì invece erano differenti: non malinconici o costantemente lampeggianti di furbizia e astuzia, bensì grandi, intelligenti e di un chiarissimo azzurro. Aveva solo sei anni, eppure era incredibilmente curioso e iperattivo per la sua età, tanto che per tenerlo a bada Frigga aveva deciso di regalargli un arco e una faretra di frecce, cosicché utilizzasse quella sua vivacità per qualcosa di utile in caso di pericolo, piuttosto che per cacciarsi nei guai.
Inoltre, come suo padre, nelle vene di Vàlì, oltre al sangue asgardiano, scorreva quello di uno Jotun, e questo lei aveva cercato di farglielo capire nella maniera più delicata e gentile possibile, senza mai dirglielo direttamente, in modo tale da non sconvolgerlo come invece era successo con Loki. Se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a vedere la paura impressa nei suoi occhi quando lo aveva scoperto.

Non era mai stata certa del fatto che suo figlio ignorasse la verità, né del contrario, ma probabilmente non doveva importargliene molto poiché non le poneva mai domande al riguardo, troppo impegnato com’era a giocare con i suoi amici e ad esercitarsi col tiro con l’arco. Probabilmente, Vàlì era ancora troppo giovane per porsi certi problemi, e di questo lei non sapeva se esserne sollevata o frustrata, perché la sola idea di ferirlo la faceva stare male ma mentirgli o rimandare il problema non migliorava di certo la situazione.

Nonostante ciò, se l’argomento “origini” non lo tormentava affatto, quello di non avere un padre sembrava assillarlo più di ogni altra cosa: capitava spesso che le domandasse perché non lo avesse mai conosciuto, o perché non fosse lì con loro, e lei provava sempre un profondo senso di tristezza quando doveva rispondergli, quasi come se qualcuno le stesse artigliando il cuore in una stretta di ferro. Quindi gli accarezzava i capelli con dolcezza e gli sorrideva accondiscendente, per poi cambiare discorso e invogliarlo a fare qualche altra cosa. Si sentiva sempre un verme per questo, ma forse per Vàlì era meglio vivere in una bella bugia piuttosto che in un’amara verità.

Emily conosceva bene il dolore sordo che si provava nel non avere dei genitori, nel sentirsi soli, ed era proprio per questo che aveva sempre cercato di far capire a suo figlio quanto lo amasse, che non sarebbe mai stato da solo, finché col passare del tempo Vàlì aveva incominciato ad identificare in Thor una figura paterna, qualcuno con cui condividere il divertimento della lotta e ricevere protezione quando litigava con dei bambini prepotenti, e lui sembrava essere ben lieto di tutto ciò perché in quel modo cercava, nonostante tentasse di non darlo a vedere, di recuperare attraverso lui il tempo che aveva perduto con Loki.

Adesso però anche Thor era andato via – partito per una di quelle strane missioni di cui non le aveva voluto dire niente – e lei era rimasta nuovamente sola, ad attendere il suo ritorno. Proprio come era successo con Loki.

Sospirò, frustrata dai suoi stessi pensieri. Alle volte, non poteva fare a meno di chiedersi come sarebbe stata la sua vita se fosse semplicemente scappata via da tutto e tutti, se avesse potuto dimenticare, ricominciare daccapo. Ma quando poi Vàlì le sorrideva felice, la osservava colmo di speranza e aspettazione mentre le chiedeva di guardarlo tirare con l’arco, dimenticava tutto. E forse era meglio così.

«Mia signora, vi sentite bene? Posso fare qualcosa per voi?» La mano gentile e delicata di Hlìn si posò sulla sua spalla, facendola sussultare. Si voltò verso di lei e, cercando di scacciare via i brutti pensieri, le sorrise mestamente.
«Sì, non preoccuparti», rispose, indicando la coperta che reggeva fra le dita. «Aiutami a finire questo ricamo, io non sono mai stata portata per il cucito».

Hlìn era l’ancella che Frigga le aveva affidato dopo la nascita di Vàlì, rassicurandola che era una delle sue serve predilette e che poteva fidarsi ciecamente di lei. Aveva lunghi capelli biondi e il suo sguardo lasciava trasparire tranquillità ed armonia; inoltre era sempre molto cortese e di questo Emily le era grata.

La ragazza fece per mostrarle come finire un ricamo di una rosa e lei le sorrise dolcemente mentre la osservava di sottecchi, pensando che era proprio bello avere qualcuno di cui fidarsi dentro quell’ammasso di lupi sempre pronti a parlar male di lei e di suo figlio. Inoltre, da quando sua zia Kim era morta di vecchiaia, Hlìn era stata la sua unica confidente e amica.

Rimase assorta nei suoi stessi pensieri per alcuni minuti, proprio come quando era bambina, finché improvvisamente i portoni vennero spalancati e una Frigga che si guardava attorno con occhi sgranati e ansiosi, agitata e bianca come un lenzuolo si fece strada verso di loro. Subito, Emily si alzò per andare in suo soccorso e capire cosa fosse successo, ma Hlìn la precedette e, presa sottobraccio la padrona, l’aiutò a sedersi sulla panchina.

«Madre degli dèi», pigolò Emily sottovoce, sfiorandole la mano con delicatezza. «Cosa succede? Perché siete così agitata?», domandò, sinceramente confusa. Frigga sembrava una statua di sale tanto era pallida.
«Mia Signora!», esclamò Hlìn, cingendole, preoccupatissima. «La prego non ci faccia preoccupare, ci dica cos’è successo!».

Frigga tremava come una foglia: sembrava aver visto un fantasma, ma Emily era certa che sotto ci fosse qualcosa di ben più grave, qualcosa che faceva fatica persino a rivelare, e la cosa la inquietava non poco. Poi, la Regina si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo colmo di emozione ed ansia, e le strinse mani come a volerle farle capire quello che stava succedendo. Subito, il battito del cuore di Emily accelerò e si sentì mancare, era come se le avessero portato via tutta l’aria.  

Poi, sul viso di Frigga si allargò un enorme sorriso e lei comprese cosa stesse per rivelarle un attimo prima di udire la sua voce.

«È tornato».
 
 
«Non capisco davvero a cosa sia dovuta tutta questa agitazione» La voce di Loki era chiara e mitigata, ma nel silenzio innaturale della sala rimbombò forte come un grido. Odino non rispondeva, si limitava a fissarlo in silenzio, vigile, e questo lui non riusciva più sopportarlo.

Si erano momentaneamente trasferiti in una delle sale del palazzo, a discorrere in privato con solo qualche guardia a controllare le entrate. Thor aveva insistito per poter partecipare alla discussione, ma alla fine Odino gli aveva ordinato di restare fuori per tenere a bada la folla e, alla fine, lui era stato costretto ad obbedire.

Loki aveva ancora le catene ai polsi ma la mordacchia gli era stata tolta e il dolore, seppur di poco, si era alleviato. Nonostante ciò, il fastidio che provava nel discorrere con il Padre degli dèi era ancora lì, e non sembrava avere alcuna intenzione di sparire.

«Intendevo regnare su Midgard con la stessa mano ferma con cui tu governi sui Nove Regni! Per mostrare all'umanità la stessa clemenza che hai accordato ai tuoi oppositori!», esclamò, portandosi i pugni al petto, quasi come a voler rafforzare il valore della sua tesi, e le manette emisero un suono fastidioso e metallico. « E se ne avessi avuto la possibilità, avrei potuto perfino rubare un bambino mortale e crescerlo come se fosse mio!», aggiunse, la rabbia che gli montava forte nel petto come se fosse stata un fiume in piena. I ricordi di quando era ancora il principe cadetto di Asgard gli ritornarono prepotentemente alla mente, facendolo fremere d’irritazione, e un fastidioso senso di vuoto gli riempì le viscere quando rimembrò che, anche allora, nessuno aveva mai provato a capire le sue vere intenzioni.

«Le tue azioni sono state quelle di un infante, dettate da un criterio irresponsabile e irriconoscente. Dici di voler regnare su Midgard come un sovrano giusto ed impeccabile, eppure hai condotto alla morte milioni dei suoi abitanti, strappandoli alle loro famiglie solo per capriccio! Dichiari di aver pensato di prendere un fanciullo e allevarlo come tuo, ma ignori il fatto che, lì fuori, il tuo vero figlio ha già sei anni di vita e tu li hai persi tutti solo per una tua visionaria inferiorità! Per questa follia!», urlò Odino, improvvisamente furioso, e la sua voce riecheggiò tonante nei meandri della sala, azzittendo tutto il resto.

Inizialmente, Loki non riuscì a comprendere appieno il significato delle sue parole. Era come se la sua mente si fosse fermata alle parole “ Tuo figlio”, impedendogli di andare oltre, di ragionare. Tutto si era fatto confuso, quasi ovattato, e la testa continuava a girargli vorticosamente, facendogli salire la bile.

Di cosa stava parlando, Odino? Figlio? Quale figlio? Lui non aveva alcun figlio e la sola idea era così assurda da farlo ridere. Eppure, per quanto ci provasse, non riusciva proprio a sorridere e, al contrario, le parole di Odino continuavano a rimbombare forti nella sua mente, confondendolo.
Sentì il Padre degli Dèi sospirare frustrato, e la sua voce risuonò alle sue orecchie forte e tremenda; non per il tono, ma per il significato.

«Lady Emily ti ha aspettato molto a lungo, Loki, e durante tutto questo tempo non ti è mai stata infedele. Dovresti essere orgoglioso del fatto che sia la madre di tuo figlio», dichiarò, e Loki si sentì come morire. Non capiva più nulla, o forse, più semplicemente, non voleva capire; non era ancora pronto per farlo.

Emily…

Da quanto tempo non pronunciava quel nome? Da quanto si imponeva di non pensarci, di dimenticarlo? Eppure quel ricordo era ancora lì, ardente e vivo più che mai, e faceva un male cane. Era un dolore straziante, una memoria antica, e il rievocarlo fu come un colpo di coltello dritto nell’anima.

Ricordò i suoi capelli rossi, costantemente in disordine e pieni di nodi; la curva rotonda delle sue guancie; il timbro acuto della sua voce; il fatto che fosse sempre e costantemente goffa e impacciata. Ricordava tutto perfettamente, come se non fosse mai caduto dal Bifröst e fosse ancora lo stesso di sei anni prima, lo stesso Loki Laufeyson che credeva ancora di poter diventare l’erede al trono di Asgard, ma il dolore che quei ricordi gli inflissero fu troppo forte da sopportare, troppo potente, e lui non riuscì più a reggere tale pressione.

Poi, improvvisamente, le porte furono spalancate e una donna fece il suo ingresso: aveva lunghi capelli color del grano e il volto era segnato da alcune rughe che le davano un’aria adulta e lungimirante; nel suo sguardo, Loki rivede il proprio viso mentre da bambino lei gli accarezzava dolcemente i capelli, risentì le sue labbra sottili che gli baciavano le guance e la fronte, gli abbracci caldi e amorevoli con cui lo avvolgeva quando tornava a casa pieno di irritazione per colpa di Thor e dei suoi stolti amici, e subito lo pervase il desiderio scalpitante di correre ad abbracciarla, come un assetato che necessitava di acqua.

Ma quando incrociò lo sguardo ceruleo pieno di tristezza e commozione di Frigga, desiderò ardentemente sparire, subire tutte le torture più cruente di Thanos, cadere altre mille e mille volte dal Bifröst, piuttosto che dover sostenere quello sguardo. Quegli occhi. Sua madre non aveva detto una sola parola, eppure era bastato un solo sguardo per farlo sentire come il peggiore dei mostri.

Lei gli si avvicinò con passo da prima contenuto per poi diventare, via via che avanzava, sempre più veloce e trafelato; i suoi occhi erano sgranati, fissi su di lui e gravi come se temesse che potesse sparire da un momento all’altro. Ma fu solo quando gli arrivò dinanzi e gli sfiorò la guancia e il collo, trattenendo i singhiozzi quando notò le ferite ancora fresche presenti sui suoi zigomi, che Loki desiderò urlare e fuggire via, perché non riusciva a guardarla negli occhi, a reggere il tocco leggero delle sue dita o anche solo il suo sguardo.

Ad un tratto, Frigga si allontanò, gli occhi ancora lucidi e le mani tremolanti, e si avvicinò a Odino. Nello stesso frangente in cui si staccò da lui, Loki vide un’altra sagoma in lontananza e, quando comprese di chi si trattasse, sentì il fiato mozzarsi. In quel momento, nella sala, c’erano solo loro due.

I suoi occhi erano sgranati e la bocca sottile era dischiusa in piccolo ovale sorpreso che lasciava trasparire tutta la sua incredulità; il suo viso era paffuto e con alcune lentiggini sul naso proprio come lo ricordava; i capelli rossi erano legati in un’acconciatura strana, troppo raffinata, che a lui non piacque per niente. Indossava vesti eleganti dal colore azzurrino e da dietro di lei faceva capolino la testa scura di un bambino dall’espressione spaurita e preoccupata che gli somigliava fin troppo.

Infine, spietata e gelida come una secchiata d’acqua fredda, la realtà gli piombò addosso e Loki realizzò cosa stesse succedendo con la stessa irruenza con cui ci si accorge di non star sognando: Emily era lì, davanti a lui, e lo stava guardando.

Nella stanza calò un silenzio pesante, quasi opprimente: nessuno muoveva un muscolo e la tensione era palpabile, sembrava dovesse succedere qualcosa di tremendo da un momento all’altro. Poi, ad un tratto, Emily mosse un passo verso di lui, poi un altro, poi un altro ancora, finché la camminata divenne una corsa e lui si ritrovò con le sue braccia gettate al collo prima ancora che potesse rendersene conto. Sentì le sue dita stringergli con forza i vestiti, quasi come se temesse che potesse sgusciare via da un momento all’altro, e il suo respiro affannoso contro il proprio collo; Emily profumava di pulito e di fresco e la sua pelle nivea, sotto le sue dita fredde, sembrava scottare come il fuoco. Avrebbe preferito che lo prendesse a schiaffi, che gli urlasse contro che fosse stato un idiota, forse così sarebbe stato tutto più semplice e lui non si sarebbe sentito come se nella sua testa ci fosse stata una guerra e nelle viscere avesse avuto un mostro che si dimenava con la stessa forza di mille soli.

Poi però Emily si allontanò, lo osservò in silenzio e con insistenza, quasi come se volesse accertarsi che fosse davvero lui, e infine improvvisò un sorriso breve e emozionato.

«Ti sono cresciuti i capelli», sussurrò, gli occhi lucidi e colmi di una tenerezza che non le aveva mai visto prima di allora.
Lui non rispose, ma quando il suo sguardo si posò nuovamente sulla figura di quel bambino di circa sei anni che lo fissava con curiosità e sospetto da dietro i portoni in noce e acciaio della sala, la sua fronte si aggrottò e il suo battito mancò un battito, facendolo sudare freddo.

Quel bambino…

«Basta così. Dobbiamo andare, Loki» I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da Odino che, quasi con strazio, lo prese per una spalla e lo tirò verso di sé, cercando di farlo camminare. Subito, una vampata d’irritazione lo travolse, facendogli digrignare i denti per la rabbia. «La legge asgardiana non consente che un prigioniero abbia diritto ai suoi alloggi, né che si facciano favoritismi in suo onore. Nonostante in tutti questi anni tu non sia mai stato un prigioniero per me, Loki, bensì un figlio, ciò che hai fatto è troppo grave per poterlo giustificare ed io devo agire principalmente come sovrano di questo Regno, piuttosto che come padre», dichiarò, austero.

Con la coda dell’occhio, Loki vide Emily sbiancare e Frigga affiancare Odino in fretta e furia, sussurrandogli delle cose all’orecchio, agitata. Questi fece una pausa, lo sguardo chino e imperturbabile, e infine prese ad accarezzarsi la folta barba bianca. Dopodiché, gli rivolse uno sguardo grave e frustrato.

«Il figlio che conoscevo è morto. Adesso, al suo posto, rimane una creatura che non riconosco. La giustizia asgardiana sentenzierebbe la morte per quelli come te ed io non potrei oppormi al riguardo», esclamò, e a quelle parole Loki non poté fare a meno di serrare la mascella, mentre un fastidioso senso d’inquietudine lo prendeva per il collo e lo stringeva forte a sé come un pitone. Respirò forte, più per acquietare la rabbia che per altro, ma il mostro dentro di lui continuò a dimenarsi con irruenza nel suo stomaco, facendogli salire il sangue al cervello.

«Nonostante ciò», continuò Odino, la voce bassa e nervosa, «la legge di Asgard prevede che ci sia un processo, in cui si deciderà se revocare o no la tua condanna. Come Re e Sovrano di tutti i Nove Regni non farò nulla per oppormi.» Fece una pausa e il suo sguardo divenne più intenso, quasi come se stesse cercando di scavargli a fondo per fargli capire quello che stava provando. Odino possedeva un unico occhio, ma lo sguardo che gli riservò fu così tagliente e inquisitrice che per un momento Loki si sentì a disagio, quasi inadeguato. Durò solo per momento perché, immediatamente, l’impellente senso di rabbia tornò a fargli visita, e questa volta più forte e fastidioso di prima. In quel momento, l’unica cosa che desiderava, era togliersi dai piedi quel dannato vecchio una volta per tutte.

 «Ma in veste di padre», continuò il Padre degli dèi, «non posso permettere che mio figlio muoia per mano mia, dunque cercherò di aiutarti quanto più mi sarà possibile. Ad ogni modo, non posso cancellare ciò che è stato, Loki. Sai anche tu che non è in mio potere», dichiarò, solenne, e Loki non poté trattenere un verso stizzito con le labbra e roteare gli occhi. Ormai la sua pazienza era arrivata al limite.

«Non sei mio padre», ribatte, le mani che gli tremano per l’irrequietudine. «Ed io non ho mai chiesto che mi venisse riservato un trattamento speciale per scontare le mie pene», continuò, la voce gutturale e carica di astio. Un piccolo sorrisetto derisorio gli si disegnò sulle labbra sottili, affilando i suoi lineamenti. Rise e allargò le braccia, sardonico. «Non è incredibile come, improvvisamente, tutti voi sembriate tanto preoccupati per me quando, per tutti questi secoli, non avete fatto altro che tenermi all’ombra di tutto, mentirmi?» Il suo sguardo si oppose a quello di Odino, che, qualche metro più avanti, lo fissava con espressione seria e le labbra ridotte a un filo. Stava rigirando il dito nella piaga, questo Loki lo sapeva benissimo, ma non aveva alcuna intenzione di smettere. «Non è ironico che proprio tu mi rinfacci di non desiderare la mia morte, Padre degli dèi?» Sentì Emily dietro di sé mormorare un «Loki…» con voce tremante e le sue dita posarsi sull’avambraccio, quasi come a volerlo calmare, ma lui se la scrollò di dosso con un movimento secco e deciso senza distogliere lo sguardo dal suo interlocutore, che continuava a fissarlo in silenzio. Un ghigno gli incurvò nuovamente le labbra, questa volta più spietato e tremendo di prima, e Loki rise. «Tu!», esclamò, avvicinandosi, gli occhi assottigliati a due fessure verdi di crudeltà e perfidia. «Tu che mi hai scaraventato nell’abisso e non hai fatto nulla per aiutarmi!».

Sul volto di Odino calò un velo d’angoscia e, impercettibilmente, abbassò il capo, afflitto. Agli occhi di Loki, sembrò quasi l’imitazione di un grosso corvo appollaiato sul suo trespolo, il volto scuro e la malinconia negli occhi.

Patetico.

«No…», mormorò Odino, alzando lo sguardo su di lui. «Non capisci. Io non ho mai… ».
«Hai sbagliato, Padre degli dèi, hai fatto male i tuoi calcoli. Speravi forse in una mia redenzione, dopo tutti questi anni trascorsi in esilio? O che, magari, io avessi dimenticato tutto? Il fatto di essere stato tradito dai miei stessi sudditi e dalla mia famiglia come un cane: un bastardo utile solo per asservire dei piani politici? Credevi sul serio, in tutta la tua lungimiranza, che mi piegassi come un fuscello al tuo cospetto? Che il pensiero della morte mi intimorisse e ti pregassi di risparmiarmi? Ho visto mondi, Padre degli dèi, a cui persino tu sei cieco, e ti assicuro che esistono cose ben peggiori della morte.» Il suo volto si era trasformato in una smorfia ringhiante, tutto di lui sembrava emanare odio e rancore, ma Odino non raccolse e continuò a fissarlo con occhi vitrei, deluso. Ciò non fece altro che farlo infuriare ancora di più.

«Hai ragione», sussurrò a un tratto Odino. «Ho sbagliato… a pensare che in te ci fosse ancora un briciolo del ragazzo che conoscevo.» Alzò lo sguardo, puntandolo su quello di Loki, che a quella risposta era rimasto interdetto, e si voltò per afferrare Emily e Frigga per le braccia, esortandole ad andare avanti. Emily cercò di opporre resistenza, a divincolarsi dalla sua stretta di ferro, finché improvvisamente delle guardie entrano e portarono via sia lei che Frigga con la forza, facendo uscire anche la serva bionda; nonostante ciò, con la coda dell’occhio, Loki fu certo di aver visto il ragazzino di poco prima andare a nascondersi dietro un vaso nel tentativo di restare in sala. Il momento durò solo pochi secondi, perché di colpo la voce tonante e forte di Odino irruppe nella sala, rimbalzando forte fra le mura, e lo distolse nuovamente dai suoi pensieri.

«Frigga ed Emily sono gli unici motivi per cui sei ancora in vita, ma questa sarà l’ultima volta che le vedrai. Spenderai il resto dei tuoi maledetti giorni nelle prigioni fino a quando il Consiglio ed io non prenderemo una decisione in merito alla tua condanna… Loki Laufeyson», disse, e subito le guardie giunsero a prenderlo di peso e trascinarlo fuori dalla sala; Loki fece poca resistenza ma era evidente che stesse fremendo di rabbia e che, se avesse potuto, li avrebbe uccisi tutti lì e subito.

Prima di uscire, la sua voce tuonò forte nei meandri della sala e le sue parole furono tremende e iraconde, proprio come il suo stato d’animo.

«Non è con urla e catene che riuscirai a tenermi prigioniero, Padre! Non più!» Le guardie lo spronavano ad andare avanti, ma lui pestava i piedi e cercando di rimanere in sala. «Mi hai sentito, Padre degli dèi?! Non sono un tuo prigioniero, non faccio più parte del tuo disegno imperfetto! Non più… Non più!!» Urlò, finché le sue parole si persero nell’oscurità e le porte furono chiuse, lasciando un Odino stanco ed emaciato in preda ai suoi stessi demoni e lui, figlio illegittimo, a combattere una verità che aveva sempre cercato di evitare: quella della sconfitta.

 
Odino sospirò pesantemente e si passò una mano callosa sul viso, sperando che quel gesto potesse portar via tutte le inquietudini.  Le parole di Loki erano state come una stilettata al fianco. Da anni, ormai, si tormentava riguardo la sua dipartita e la sua immaginaria inferiorità. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire il tocco debole e delicato delle minuscole dita di suo figlio la volta in cui lo aveva raccolto dalla neve nelle lande desolate di Jötunheimr. A quei tempi Loki era ancora un infante, e lui ricordava perfettamente lo sguardo di Heimdall nel momento in cui, durante il ritorno al palazzo, lo aveva visto.

Spero tu sappia cosa stia facendo, Padre degli Dei.
Un giorno potremo unificare i due Regni, grazie a lui.

Heimdall l’aveva scrutato con occhi pieni di lungimiranza e preoccupazione, ma alla risposta di Odino aveva taciuto. Ed aveva annuito.
Solo in quel momento si rese conto del fatto che Loki per lui non era mai stato una semplice reliquia rubata, ma il bambino studioso e attento che aveva cresciuto come suo e a cui si era affezionato. Suo figlio.

Una mano piccola e fredda si posò sulla sua schiena e lui non ebbe bisogno di voltarsi per capire a chi appartenesse. Un sorriso amaro gli incurvò le labbra secche e sottili, mentre nella sua mente memorie passate fecero capolino, tracciando un sentiero doloroso e angosciante al loro arrivo.

Anche Loki da bambino si nascondeva sempre.

«Chi era quell’uomo, Padre di Tutti?».

Si voltò e la figura piccola e smilza di Vàlì gli si presentò davanti, la copia esatta di Loki da bambino. Per un attimo, una parte di sé, chissà quale, sperò ardentemente che quello fosse davvero il bambino che aveva raccolto dalla terra fredda e inospitale di Jötunheimr e che aveva cresciuto come suo, che nonostante tutto non poteva – e non riusciva – a smettere di considerare suo figlio, cosicché potesse recuperare tutto il tempo che aveva perduto, distoglierlo dai suoi piani fuorvianti e far sì che non si tramutasse nella creatura deviata che era diventata.

Ma poi incontrò gli occhi di un azzurro pallidissimo di Vàlì, così pieni di curiosità e simili a quelli di lady Emily da non lasciare dubbi, e allora capì che no, quello non era Loki. In realtà, il suo Loki era morto da un pezzo, e al suo posto si era fatto largo un essere che non conosceva ma del quale, lo sapeva, ne era l’artefice.

Si avvicinò lentamente a Vàlì, il volto stanco e spossato di chi sembrava aver combattuto contro un esercito intero, e gli appoggiò una mano sulla spalla; cercò di improvvisare un sorriso bonario mentre tutto, dentro di lui, era in subbuglio. Strinse forte i pugni e sospirò pesantemente.

Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte.
 
«Vàlì, ti ho mai raccontato della storia dei Giganti di Ghiaccio?».
 

 
 
 
 


- Note di Harmony394.
 

Ebbene, eccomi qui!
Scrivere questo primo capitolo è stato faticosissimo, perché non avevo proprio idea di come iniziare la fan fiction. Spero di non aver scritto delle idiozie!
Come ho già detto la scorsa volta, la fan fiction contiene degli Spoiler sul film di Thor 2, che uscirà a Novembre. Non per niente, il ritorno di Loki è descritto proprio così nel Comic!Verse trattato dalla Marvel da cui – credo – sia ispirato il film.
Ma comunque parliamo di Vàlì: adesso il signorino ha sei anni ed è la copia esatta di Loki da piccolo. Personalmente, mentre scrivevo di lui ero un “AWWW” continuo, ma questi ‘son dettagli XD. Tenetelo d’occhio perché sarà un tassello importantissimo per tutta la saga!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, cercherò di aggiornare quanto prima possibile!
Baci.

P.S: vi lascio il mio indirizzo Facebook, caso mai qualcuna\o di voi volesse contattarmi!
Link: https://www.facebook.com/harmony.efp.9?ref=ts&fref=ts

P.S.S: La canzone sopra è degli Stabilo: Flawed Design.

P.S.S.S: Domenica è il mio compleanno. E sì, lo so che non c’entra ‘na mazza, però mi andava davvero, davvero tanto di scriverlo da qualche parte. Fatemi gli auguri! :P (ma anche no. Nd. Lettori)

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Capitolo 3
*** 'O Death ***


~‘O Death
When the curtain’s call
Is the last of all
When the lights fade out
All the sinners crawl
So they dug your grave
And the masquerade
Will come calling out
At the mess you made
 


Le prigioni di Asgard erano luminose, pulite ma terribilmente strette, e Loki non sapeva dire se lo fossero perché a risiederci era l’ormai ex principe cadetto o perché gli asgardiani cercavano in tutti modi – anche i più assurdi – di tenerlo buono. Al loro interno albergavano solo pochi mobili e qualche caraffa di acqua potabile; il pavimento e i muri erano bianchi, freddi come il ghiaccio; la sua cella era collocata accanto a quelle dei demoni e di altre creature smarrite, il che non faceva altro che ricordargli quanto anche lui, alla fin fine, non fosse altro che un mostro.

Non sapeva esattamente da quanto tempo risiedesse laggiù, ormai, sporco come un cane e umiliato come il peggiore degli inetti. Aveva perso la percezione del tempo da un pezzo. Eppure, l’unica cosa certa era Emily, che andava a fargli visita tutti i giorni: un sorriso malinconico impresso sul suo volto un po’ più da donna e meno da bambina e i capelli rossi legati in un’acconciatura raffinata, non adatta alla ragazza dai pantaloni pieni di fango e la camicia di lino troppo grande che Loki conosceva.

Non parlavano molto, loro due. Restavano in silenzio ad osservare il vuoto della stanza, ognuno perso nei propri pensieri. Era una sensazione piacevole, dopotutto. In quel modo lui poteva pianificare un nuovo modo per ingannarli tutti quanti e fuggire. Aveva ideato tanti di quei piani che, alle volte, durante la notte, faticava a restare addormentarsi a causa dell’eccitazione che gli montava nel petto all’idea di metterli in atto. Di mentire di nuovo.
Ma quando poi Emily se ne andava, Loki sentiva lo stesso maledetto malessere di tanto tempo fa: quando dopo una giornata trascorsa a giocare in sua compagnia lei andava via, troppo stanca per continuare a giocare o, semplicemente, annoiata dai suoi tentativi di tirare qualche tiro mancino a Thor ed i suoi amici. La rabbia del rimanere di nuovo da solo era così devastante che lui, irritato oltre ogni limite, finiva col mandare tutto all’aria, dicendosi che non c’era gusto ad architettare piani perfetti se nessuno stava lì ad ascoltarlo.

Si malediva per questo. Malediva lei e tutta Asgard, accusandoli di essere stati loro gli artefici di tutto, di averlo portato alla distruzione, e la voglia scalpitante di urlare lo avvolgeva come una coperta troppo pesante, una rete dalla quale non poteva più liberarsi. E allora la domanda sorgeva spontanea, terribile e fastidiosa come la necessità di prendere una boccata d’aria dopo essere rimasti sott’acqua per troppo tempo. E lui avrebbe voluto urlarla, quella dannata domanda, farsi sentire: perché nessuno mi ascolta?

Sospirò pesantemente a quei pensieri e, con un gesto stizzito della mano, osservò la X recisa sul suo palmo: nera e in contrasto con il colorito esangue della sua pelle. Infine, chiuse gli occhi e poggiò la testa al muro alle sue spalle: dopo tutto quel tempo, era ancora lì. Esattamente come Emily.

Poterla vedere solo attraverso un vetro era una tortura per lui. Spesso Loki finiva col credere che la vera punizione per i suoi crimini fosse quella, piuttosto che l’essere stato privato dei poteri e rinchiuso in una cella come un cane abbandonato. Nonostante ciò, quando era in sua compagnia non le diceva mai nulla e si limitava a fissarla in silenzio mentre lei, seduta su una piccola seggiola malridotta accanto alla prigione, si pungeva le dita nel goffo tentativo di cucire qualcosa dai colori pastello.

«Qual è il suo nome?» Le aveva chiesto un giorno, il timbro della voce pacato e atono. Non sapeva esattamente il perché di quella domanda. Probabilmente, l’aveva posta più per il semplice gusto di infastidirla un po’, che per curiosità vera e propria, esattamente come sei anni prima.

Lei aveva sussultato e alzato la testa di scatto, incrociando i suoi occhi. Poi gli aveva sorriso mestamente. «Vàlì» Aveva risposto, mentre si portava dietro l’orecchio un ciuffo di capelli rossi.

«È grazioso» Aveva risposto lui, mentendo. Non gli piaceva davvero quel nome, lo trovava bizzarro. In realtà, la sola idea di avere avuto un figlio lo lasciava perplesso, ma non aveva detto nulla al riguardo. Semplicemente, aveva accettato la cosa. All’inizio era rimasto sbigottito: ricordava ancora il terrore che gli si era infiltrato dentro, facendogli vorticare la testa come una trottola e attorcigliare le budella. Quando si era calmato e aveva ripreso a ragionare a sangue freddo e a mente lucida, Loki aveva capito che agitarsi era inutile e che l’unica soluzione rimastagli era rassegnarsi all’evidenza e sperare che quel bambino non venisse mai in contatto con lui, vista la situazione attuale.

Sapeva che era solo questione di tempo prima che Thanos lo trovasse. La paura di ritrovarselo faccia a faccia e di non essere capace di difendersi e fuggire via lo teneva sveglio quasi ogni notte. L’ansia era diventata una costante in lui, che gli impediva di reagire. Era ossessionato da quella voce. Da quegli occhi. Tutte le notti pregava gli antichi dèi affinché non rivedesse più tale volto. Ma sapeva che, come era accaduto già in passato, la sua preghiera non sarebbe stata esaudita.

Se il bambino non lo conosceva, Loki non avrebbe dovuto prendersi alcuna responsabilità in seguito a un’eventuale tragedia. Aveva già troppi problemi di suo, un moccioso di mezzo sarebbe stato solo d’intralcio per i suoi piani. E lui non poteva permettersi alcuna distrazione.

Nonostante ciò, Loki si accorse ben presto di irrigidirsi di colpo ogni qual volta Emily si lasciava sfuggire il nome di Vàlì, curioso come non mai di sapere cosa gli stesse succedendo. Si ritrovò a sorridere amaramente rendendosi conto di essere una contraddizione vivente; di star ingannando persino se stesso solo per il gusto di continuare a mentire.

«Lo penso anch’io» Gli aveva poi risposto lei e la conversazione era finita lì.
 
Quando quella mattina si era svegliato, lo sguardo rassegnato e corrucciato di chi aveva fatto un brutto sogno, aveva sentito qualcosa di diverso nell’aria, quasi un clima di tensione. Si voltò quindi con pigrizia verso il vetro della cella, gli occhi ancora impastati dal sonno e uno strano presentimento ad appesantirgli il petto. certo di vedere Emily al di là del vetro, a ricamare quella dannata coperta che sembrava non voler finire mai, vi trovò invece due grandi occhioni azzurri, similissimi a quelli di Emily, che lo fissavano. Non sussultò, né aggrottò la fronte, semplicemente rimase lì, a fissarli di rimando. Sapeva già chi era quel bambino, il suo aspetto era così simile al suo da ragazzo da lasciarlo senza parole per alcuni istanti, eppure la sua espressione rimase quella imperturbabile e indispettita di sempre.

«Ciao» Lo salutò il bambino, un po’ titubante, senza smettere di scrutarlo.

Le labbra di Loki si incurvano in un ghigno derisorio. «Da quando la Guardia Reale è diventata così inefficiente da permettere a un ragazzino di entrare nelle celle di un prigioniero?» Chiese, laconico, guardando dritto dinanzi a sé. Vàlì aveva un fisico nodoso e asciutto, ma i suoi occhi erano vigili e attenti. Gli sembrò di rivedere se stesso da giovane.

Lo vide torturarsi il lembo della maglietta, scavando in essa con forza nel tentativo di bucare il tessuto. «Thor mi ha rivelato alcuni passaggi segreti, per questo sono riuscito ad entrare senza farmi vedere» Ribatté prontamente, ma nella sua voce aleggiava una nota d’insicurezza e Loki sbuffò forte, irritato. A quanto pareva, quell’idiota di Thor non aveva ancora imparato la lezione del non rivelare passaggi segreti a gente non autorizzata. Roteò gli occhi, infastidito, e si voltò verso il bambino, scrutandolo con occhi glaciali e improvvisa impazienza.

«Che cosa vuoi, ragazzino?» Domandò, più per il piacere di disobbedire alla parte di sé che ripeteva di non parlare con lui perché non sarebbe stata una buona cosa, che per altro.

Lui non sembrò affatto intimorito o spaventato e si avvicinò di più alla cella. «Mi chiamo Vàlì», precisò, piccato dal nomignolo che lui gli aveva dato. « E Thor mi ha detto che non dovrei mai scendere quaggiù, ma io l’ho fatto lo stesso perché il Padre degli Dèi mi ha detto una cosa importantissima su di te. Un segreto. E io voglio sapere se è vero» Disse, temerario, e nei suoi occhi Loki colse la stessa determinazione che risiedeva in quelli di Emily quando era bambina. Aggrottò le sopracciglia.

«Un segreto è un segreto solo se non viene rivelato», rispose, scoccandogli un’occhiata scocciata. «Non confideresti mai un segreto a qualcuno, se avessi abbastanza forza per mantenerlo», aggiunse. Il bambino strinse forte i pugni e le sue labbra si ridussero a un filo sottilissimo.

«Io non rivelo i segreti di nessuno!», esclamò. «Sto solo dicendo che voglio sapere la verità, per questo sono qui!».

Loki alzò un sopracciglio e gli scoccò un’occhiataccia, irritato dalla sua voce acuta. «Forse dovresti dar retta al prode Thor, prima di fare domande di cui poi potresti pentirti», esclamò, le braccia conserte al petto e un cipiglio severo impresso sul volto scarno.

Vàlì sospirò, irritato, e rimase in silenzio per alcuni secondi, a rimuginare. Poi sorrise, compiaciuto – lo stesso sorriso di Emily, pensò lui, ma quel pensiero non uscì mai dalle sue labbra. «Facciamo così: se tu mi dici la verità io prometto che ti rivelerò un segreto che potrebbe interessarti!» Disse, mentre il luccichio eccitato di chi aveva trovato la soluzione a un problema irrisolvibile gli faceva brillare gli occhi.

Loki sospirò. «Non mi interessano gli sciocchi segreti di un moccioso troppo curioso per la sua età», sbuffò. «E adesso vattene via, sono stufo di sentirti cianciare inutilmente».
«Non vuoi sapere nemmeno come uscire da qui?» Chiese Vàlì, un po’ deluso.

Loki si voltò repentinamente verso di lui: nello sguardo di Vàlì vi era tutta la speranza e la sincerità che che poteva risiedere in un bambino di sei anni. Loki incurvò le labbra in un ghigno interessato e divertito e le sue dita andarono a tracciare i contorni del suo mento.

Forse, quel ragazzino poteva tornargli utile, dopotutto.

«Ti ascolto» Esordì, accondiscendente. Vàlì sorrise soddisfatto e poggiò i pugni sui fianchi, fiero di essere riuscito nell’impresa di convincerlo.
«Te lo dirò, ma prima rispondi a questa domanda: è vero che sei un Gigante di Ghiaccio?» Chiese, sinceramente curioso.

Quella domanda spiazzò del tutto Loki. Dunque era così? Odino gli aveva davvero rivelato le sue discendenze? Ma a quale scopo? A cosa puntava? Digrignò i denti e strinse forte i pugni, irritato dal non avere le risposte che cercava. Dannato vecchio.

«Perché vuoi saperlo? E, soprattutto, chi mi assicura che dopo che ti avrò risposto tu mi dirai come uscire di qui?» Chiese, dissimulando alla perfezione l’agitazione che quella domanda gli aveva procurato.

Vàlì corrucciò la fronte, evidentemente offeso. «Io non dico mai le bugie. Mia madre dice che è una vigliaccheria, ed io non sono un vigliacco!» Berciò.
Le labbra di Loki si arricciarono in una smorfia di disappunto. «E tua madre ti ha anche detto con chi stai parlando in questo momento?» ribatté. Più che figlio suo, quel moccioso era il degno figlio di Emily, tanto le somigliava caratterialmente. Di lui possedeva solo l’aspetto fisico.

«Lo so che sei il Dio degli Inganni. E so anche che hai ucciso molte persone. Ma a me non importa, sai? Cioè, sì, in realtà sì, però voglio anche sapere se è vero quello che dice il Padre degli Dèi oppure no, e solo tu puoi darmi una rispost-- aah!».

Il pugno di Loki sbatté con prepotenza contro il vetro della cella, provocando un rumore assordante che fece urlare Vàlì per lo spavento. Sul viso di Loki si aprì un ghigno soddisfatto che rese i suoi lineamenti più aguzzi, facendolo assomigliare a una fiera in procinto di attaccare.

«Sono stato abbastanza efficiente nel rispondere alla tua domanda, piccolo lord?» Chiese, lo sguardo penetrante e la bocca distorta in una smorfia di rabbia. Vàlì deglutì spaventato.

Loki tornò con passo pesante e strascicato a sedersi sul pavimento. Gli occhi erano divenuti improvvisamente due spietati tizzoni ardenti, le mani erano scosse da un costante tremolio e il corpo pervaso da una serie continua di brividi di rabbia che gli facevano ribollire il sangue nelle vene. Poteva ancora sentire lo sguardo insistente di Vàlì puntato sulla schiena e la cosa gli recava un enorme fastidio, quasi come avere una scheggia sotto la pelle. Sarebbe fuggito in lacrime a rifugiarsi tra le sottane di sua madre, proprio come tutti i dannati mocciosi che aveva incontrato nella sua vita, a chiedere aiuto e a urlare al mostro, e la cosa lo faceva fremere di rabbia. Non aveva chiesto lui di essere un gigante di ghiaccio, né di essere il mostro della situazione. Era così e basta, e anche se l’idea che persino suo figlio lo detestasse gli bruciava dentro con la stessa forza di mille fuochi, corrodendo tutto, Loki rimase in silenzio. A mordersi la lingua e a conficcarsi le unghie nella carne, nel vano tentativo di sopprimere quelle emozioni. Come aveva sempre fatto.

Non cambierò quello che sono, si disse, non più.

Poi, senza alcun preavviso, una voce mandò in mille pezzi tutte le sue convinzioni: la voce di Vàlì.

«Ma allora ci riesci sul serio! Puoi davvero diventare un Gigante di Ghiaccio! Come fai? Voglio saperlo anch’io! Insegnamelo, ti prego! Tipregotipregotipregoooo!!».

In un primo momento, Loki non comprese appieno il significato di quelle parole. Gli risuonavano nelle orecchie come una lontanissima eco, ovattate e senza un valore preciso; ma quando riuscì a decifrarle, voltò il capo verso Vàlì così velocemente da farsi male al collo. Dovette massaggiarsi la nuca per alleviare il dolore. Tutto era diventato una cacofonia di colori confusi, suoni ovattati e ragionamenti troppo strani, e lui non riusciva più a capire la sequenza degli eventi.

Scrutò Vàlì con sospetto, la testa inclinata di lato avanzando a passo lento e strascicato verso di lui: cercava una nota di menzogna nel suo sguardo,ma quando non la trovò, la domanda gli uscì prepotente dalle labbra prima ancora che potesse rendersene conto.

«Che cos’hai detto?».

Il sorriso del bambino vacillò un po’ sotto quello sguardo così inquisitore e guardingo, e le sue dita tornano a torturare la maglietta. Sembrava un uccellino tutto tremante. «Io… io ho detto che voglio diventare un Gigante di Ghiaccio come te. Il Padre degli Dèi mi ha detto che lo sono per metà, quindi, siccome lo sei anche tu, mi chiedevo se potessi insegnarmi a diventarlo. Puoi… puoi farlo?».

Dalle labbra di Loki uscì un verso stizzito e pieno di rabbia. «Tu non hai idea della assurdità che stai dicendo!», disse, tagliente e iracondo. La sua mascella si contrasse così tanto da far male. Una vampata di calore lo investì in pieno, facendo sormontare in lui un sentimento di rabbia feroce. I suoi occhi si ridussero a due fessure verdi, nella sala si erse un’atmosfera cupa, piena di elettricità, che sembrava urlare al pericolo imminente, che però Vàlì non pareva notare.

Infatti, intestardito, cominciò a pestare i piedi a terra, capriccioso. «Ma io voglio saperlo! Ho letto su alcuni libri di mia madre che i Giganti di Ghiaccio sono grandi e forti, molto bravi a combattere, quindi visto che anch’io lo sono per metà, non capisco perché non dovrei approfittarne! Ti prego, sei l’unico che può aiutarmi!».

Loki si passò una mano sulla fronte nel tentativo di acquietare la rabbia che gli scalpitava forte nel petto. Aspettò con una pazienza che non gli apparteneva che il respiro tornasse regolare, così come il battito cardiaco, ma quando si rivolse al bambino la sua voce suonò più simile a un ringhio piuttosto che a una domanda. «Perché Odino ti ha rivelato una cosa del genere?!», chiese, cercando di dissimulare il disprezzo che gli provocava il solo pronunciare quel nome.

Vàlì ci pensò su. «Be’… non lo so. L’ha fatto e basta», ammise infine, facendo spallucce. «Però non dirgli che te l’ho detto, altrimenti poi si arrabbia con me...», aggiunse, impacciato, e a Loki ricordo la Emily bambina che veniva colta in flagrante dopo averne combinata una delle sue. Non seppe spiegare il motivo, ma quel pensiero lo fece acquietare un po’ e le sue spalle si rilassarono.

«Gli Jotun sono creature pericolose, nemiche di Asgard e inclini alla devastazione e alla crudeltà. Cosa ti spinge a voler diventare come loro?» La domanda uscì spontanea dalle sue labbra prima ancora che potesse accorgersene, ma ciò che lo sorprese maggiormente fu la risposta che ricevette, decisamente bizzarra e inaspettata.

«Potrei diventare forte e potente e finalmente riuscirei a mettere paura a tutti quei beoti che mi insultano e insinuano che sono un nullafacente che non sa né lottare né fare magie. Mi chiamano Argr*, gli idioti, dicono che sono così stupido che persino mio padre ha preferito abbandonarmi. Non capiscono nulla. Glieli farei mangiare tutti a suon di pugni, i loro dannati insulti», fece una pausa e il suo volto si oscurò. Sembrava sul punto di piangere, ma era chiaro che non voleva e non lo avrebbe fatto. Solo in quel momento Loki si accorse quanto davvero quel bambino gli somigliava; si rese conto che Vàlì era davvero suo figlio. E fu una realizzazione così disarmante e violenta che ebbe quasi l’impressione di aver ricevuto una secchiata d’acqua gelida addosso.

«Per questo voglio diventare grande e forte come loro. Come te!» Lo sguardo di Vàlì si posò su di lui e le sue labbra si tesero in una smorfia determinata e seria, inadatta al viso di un bambino di sei anni. Loki non riusciva a fare a meno di continuare a fissarlo. «Perché voglio dimostrare a tutti di essere forte. Che posso spaventarli tutti senza bisogno di avere Thor al mio fianco. Non sono un Argr, e non sono nemmeno un figlio di buona donna. Dunque per favore, Dio degli Inganni, potresti insegnarmi a diventare un Gigante di Ghiaccio? Ti prometto che sarò bravo e non ti darò alcun fastidio, vedrai, e poi io...».

Loki aveva smesso di ascoltarlo da un pezzo. Come poteva, in fondo, con tutto quel baccano che aveva nella testa? Si sentiva strano, stordito, come appena risvegliato da un lungo sonno. Le parole di Vàlì gli rimbombavano forte nella mente e avevano la stessa potenza di una doppia frustata. Era come se qualcuno lo stesse ripetutamente prendendo a pugni e lui non avesse più la forza per difendersi. Si sentiva come il mostro che aveva sempre creduto di essere.

Poi, prima che potesse realizzare cosa stava succedendo, un rumore – o meglio, una voce – rimbombò forte nella sua testa e lo fece sussultare forte.

«VÁLÍ!».

Si voltò, e si trovò davanti il volto dai lineamenti marcati e decisi di Thor. Gli occhi azzurri di suo fratello brillavano di preoccupazione e sorpresa: sembrava spaesato, neanche avesse visto un fantasma. Il bambino fece un balzo per lo spavento e improvvisò un sorriso bonario in direzione del Dio del Tuono, che lo osservava con sguardo di rimprovero. Loki non poté evitare di lasciarsi sfuggire un ghigno beffardo a quella scena.

«T-Thor!», esclamò Vàlì evasivo, mettendo una mano dietro la testa. «C-Che magnifica giornata, non trovi anche tu?».

Thor non accennò a rilassarsi. «Cosa ci fai qui? Ti avevo detto che era pericoloso. Perché mi hai disobbedito?!» Chiese, scoccando un’occhiata fugace a Loki, che lo fissava guardingo da dietro il vetro della cella.

Lui alzò le mani, quasi a voler fare la parodia di una resa. «Oh, sta tranquillo, Thor. Non l’ho toccato neanche con un dito, il tuo figlioletto, se è questo che temi. La situazione, come puoi bene vedere, non me lo consente» Sussurrò, mellifluo.

Thor fece una smorfia e prese con forza Vàlì per un braccio, intimandogli di uscire. Quello sbuffò forte, puntò i piedi per terra e urlò di non voler andare via, che doveva ancora fare delle cose importanti, ma all’ennesimo richiamo da parte di Thor fu costretto a fare come gli era stato ordinato. Loki colse perfettamente le sue lamentele mentre si accingeva a salire le scale.

Adesso, nella sala erano rimasti solo lui e Thor. La tensione era palpabile, quasi tagliente. I demoni accanto alla sua cella grugnivano infastiditi e grattavano le unghie sul pavimento, emettendo suoni simili a bassi rantolii, ma Loki non seppe dire se fossero reali o dentro la sua mente.

Sorrise, sardonico. «Cosa c’è, Thor? Padre Tutto ti ha mandato a porre fine alle mie sofferenze una volta per tutte?» Chiese irrisorio, indicando con lo sguardo il Mjolnir stretto fra le sue dite possenti. Thor scoccò una breve occhiata al martello, per poi tornare a puntare lo sguardo su di lui. C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi, quasi una nota d’angoscia che non era riuscito a celare – non c’era mai riuscito, e subito un campanello d’allarme scattò nella mente di Loki, che s’irrigidì d’istinto.

«Non sono in vena di stare a trastullarmi con i tuoi scherni inappropriati, fratello» Rispose Thor, funereo, e la piega delle sue labbra si assottigliò ancora di più, divenendo una sottilissima linea rosata.

La spina sotto la pelle di Loki riprese a pizzicare, quasi come a volerlo allertare d’un pericolo imminente, ma lui non ci badò e ridacchiò divertito, allargando le braccia come a voler mostrare qualcosa che non c’era. Come ogni volta, celava la paura dietro un sorriso.

«No? Ebbene, a cosa devo dunque questa tua spiacevole visita?» Domandò, assottigliando lo sguardo.

Era divertente come Thor, nonostante tutto, fosse rimasto l’impavido guerriero dal cuore d’oro che ricordava. Il suo volto era diventato più adulto e marcato, i suoi capelli erano più lunghi e più biondi, attribuendogli un’aria cavalleresca come quella dei principi di cui narravano le ballate; eppure tutto continuava ad essere esattamente come sei anni prima: il suo fratellastro recitava la parte del guerriero forte e valoroso mentre a lui, ovviamente, spettava quella del personaggio cattivo; l’antagonista bugiardo e sovversivo.

Era tremendamente ironico come il destino, in un modo o nell’altro, gli avesse sempre remato contro, stravolgendo tutti i suoi piani e facendolo costantemente fallire. Nulla andava mai come sperava, semplicemente perché il suo futuro era già stato scritto da qualcun altro che diceva che non doveva andare in quel modo, che non doveva vincere. Eppure lui ci aveva provato, sempre, in ogni occasione. Aveva provato, riprovato e ritentato ancora, ma niente. Tutto quello che costruiva crollava irrimediabilmente su se stesso, senza che potesse fare nulla per impedirlo.

Era scritto lì. Nero su bianco: lui era il cattivo. E, come tale doveva comportarsi.

Era il Dio degli Inganni, eppure tutta la sua vita girava attorno a una menzogna dalla quale non poteva districarsi. Era tutto attorcigliato, confusionario, esattamente come la sua mente, e lui cominciava a non capirci più nulla – o forse, in realtà, non voleva capire.

Si era dunque sempre limitato a seguire il copione. A recitare una parte che, in verità, non gli era mai piaciuta e che gli stava stretta. Ma se c’era una cosa in cui eccelleva quella era proprio il fingere: mostrare agli altri ciò che non era mai stato per diventare ciò che loro volevano che fosse. Alla fine, si era calato così bene nella parte che col tempo aveva imparato ad apprezzarne le sfaccettature, vedendone solo gli aspetti positivi e chiudendo gli occhi di fronte a quelli negativi. Perché solo così si sopravvive: adattandosi.

Per questo quando Thor gli disse quella frase, quelle parole, non ne rimase affatto sorpreso. Semplicemente, si limitò a fissare dritto dinanzi a sé, un sorriso amaro impresso sul viso e la voglia matta di urlare che gli ghermiva il petto.

«Sono venuto per scortarti da nostro padre, Loki. Il tuo processo sta per in iniziare: la Corte di Asgard ha sentenziato per la tua morte. Non ho potuto fare niente per dissuaderli, mi dispiace» Dichiarò scuro in volto, avvicinandosi a lui per rimettergli la mordacchia, e per un momento Loki ebbe quasi la malsana impressione che Thor fosse sul punto di piangere.

Ma quando gli avvicinò al viso quell’arnese infernale, che sembrava quasi deriderlo con quel rumore metallico, in un gesto istintivo Loki cercò di divincolarsi dalla sua presa, inorridito all’idea di morire. Non fece in tempo a capire cosa stesse accadendo che si ritrovò bloccato per le braccia da un pugno di guardie. Le loro voci erano un’accozzaglia confusa di grida e grugniti, e subito un urlo uscì con ferocia dalla sua gola, rancoroso e forte come l’ululato di un lupo, che sovrastò tutto il resto.

Urlò non per rabbia, ma per il dolore che quell’ennesimo taglio al suo orgoglio gli aveva provocato. Ringhiò forte, si dimenò con tutta la forza che aveva in corpo, ma la presa di ferro delle guardie non cedeva e lui si sentiva il fiato mancare, tanto era forte la morsa che gli opprimeva il cuore. Pochi metri più in là, Thor lo fissava con sguardo grave e angosciato – lo sguardo di uno sporco traditore, pensò Loki.

«Cane!» Urlò a Thor, incenerendolo con lo sguardo. «Dannato idiota! Me la pagherai! Me la pagherete tutti!».

Il volto di Thor era basso e lugubre, ridotto a una maschera di frustrazione. Non reagiva a quelle accuse, ma i suoi occhi sembravano dire: “Non posso fare nulla per impedirlo!” e Loki avrebbe voluto prenderlo a pugni tanta era la sua collera.

«Fratello!», supplicò allora, pietoso, cercando di far leva sulla bontà del fratello e vergognandosi terribilmente di se stesso. Ma la paura della morte era diventata troppo viva e tangibile nella sua mente, pesante come un macigno che non riusciva più a spostare, e istintivamente si dimenò più forte dalla presa delle guardie, quasi come se così facendo potesse scansarsi anche dalla presa della morte. «Fratello, non puoi farlo! Non a me! Non a me!», la sua voce era spezzata, alta diverse ottave e terribilmente alterata.

Avrei dovuto pensarci prima, si disse, farmi dire dal ragazzino come fuggire quando potevo farlo, convincere Emily a liberarmi. Adesso è tardi. Troppo tardi.

Thor lo osservava e lui ricambiava lo sguardo, ma nei suoi occhi non c'era alcun guizzo di furbizia o ferocia; solo una supplica silenziosa, un fiume di parole non dette.

Poi, taglienti e decise, le parole di Thor rimbombarono nella sala.

«No, Loki».

Non reagì subito a quelle parole. Loki se le sentì arrivare addosso con una forza tale da lasciarlo stordito per qualche minuto, incapace di ragionare. Sembrava il momento di torpore iniziale che si prova quando si riceve uno schiaffo, uno di quelli inaspettati e dolorosi, finché improvvisamente il dolore esplose in lui tutto in una volta; lancinante e tagliente come la lama di un pugnale. Eppure, rimase in silenzio: gli occhi verdi pieni di amarezza e la bocca distorta in una smorfia. Durante il suo esilio, Loki aveva imparato a non fidarsi più di nessuno, a comportarsi esattamente come ciò che era: un Gigante di Ghiaccio senza cuore. Eppure, le parole di Thor portarono alla luce un ricordo passato che aveva cercato disperatamente di dimenticare. Una memoria antica, dolorosa.

Ricordò Odino. Risentì la stessa rassegnazione e delusione nella voce di Thor; esattamente come prima di mollare la presa e lasciarsi cadere giù dal Bifröst. Proprio come quella volta, la rassegnazione prese il sopravvento e Loki decise di lasciarsi cadere nel vuoto.

Questa volta però il Vuoto aveva un aspetto diverso: sapeva di ruggine e di sangue, gli mordeva forte le labbra e gli si infilzava nella lingua, bucandola e impedendogli di urlare. Era un dolore straziante, addirittura atroce, e Loki avrebbe voluto spaccare tutto, liberarsi di quella sensazione di oppressione. Non provava odio, ma rabbia. Non per il sangue che colava lento dal suo mento, né per la ferocia con cui le tenaglie gli mordevano le labbra e la lingua, bensì per la violenza con cui la realtà gli sussurrava con voce simile allo stridio del ferro: “Adesso non puoi più scappare”.

Quando ricambiò lo sguardo di Thor, che sapeva di infanzia e di cielo, tutte cose che lui non avrebbe potuto mai più raggiungere, Loki comprese che il pensiero della morte non lo terrorizzava più così tanto, perché la delusione e la tristezza impressa negli occhi di suo fratello e suo padre lo avevano già ucciso da tempo.
 
 
 

 
 
- Note di Harmony394.


(1) Argr: un modo molto rozzo usato dai nordici per indicare un ragazzo omosessuale.
 
Ed eccomi qui!! :3

Sto mantenendo un ritmo settimanale! Mamma mia, è la prima volta che mi capita! Me felice! *commoss*
Comunque, sono davvero, davvero felice del seguito che sta ricevendo questa storia. Non mi aspettavo che a qualcuno sarebbe potuta interessare, quindi vedervi così numerosi e leggere i vostri commenti così pieni di eccitazione e aspettativa mi fa sorridere come un’idiota! Grazie, grazie e grazie mille ancora. Non finirò mai di ringraziarvi. Senza di voi questa storia non avrebbe mai nemmeno avuto un sequel. Siete gentilissimi.

Comunque, finalmente Loki e Vàlì hanno avuto un dialogo! Mi sono divertita molto a scrivere di loro due perché, come avete potuto notare, sono completamente diversi. Uno l’antitesi dell’altro. Vàlì è un bambino curioso, allegro e socievole mentre Loki è un tipo solitario, scontroso e prevenuto riguardo agli altri popoli. Non si somigliano affatto, scrivere di loro è come scrivere del Sole e della Luna! Eheheh. :)

La sentenza è stata decretata dal Consiglio e per Loki si mette male. Mentre scrivevo la scena mi sentivo molto George.R.R.Martin, che fa sempre del male ai suoi pg e, soprattutto, ai suoi lettori (Ergo: me. Porto ancora le ferite di guerra causate dalla morte di Viserys – che sì, era uno stronzo, ma io lo volevo bene comunque, di Ned e di TUTTA. LA DANNATA. SAGA). E ammetto di essermi sentita un po’ sadica. Spero solo che nessun dio psicopatico con tendenze borderline mi faccia visita in cerca di vendetta…

Come al solito, vi lascio il mio indirizzo Facebook nel caso qualcuno volesse mettersi in contatto con me.

Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
 
Tantissimi cuori per tutti voi! And… brace yourself: Thor2 The Dark World is coming!
Bacioni!

P.S: Tantissimi cuori per
vannagio che mi ha betato il capitolo! Grazie mille ancora, Vanna! <3
P.S.S: La canzone è Demons, degli Imagine Dragons. Il titolo invece è ispirato a una canzone di Jen Titus: ‘O Death.

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Capitolo 4
*** The Promise ***


~The promise

‘O Death, ‘O Death, ‘O Death,
Won't you spare me over til another year?
But what is this, that I can’t see?
With ice cold hands taking hold of me...
When God is gone and the Devil takes hold,
Who will have mercy on your soul?
 



«Thor, cosa significa tutto ciò?».

«Avevi ragione, Emily. Loki non era morto. È sopravvissuto, e ha fatto delle scelte sbagliate. Di nuovo».

«Scelte sbagliate? Che vuoi dire? Parlami, ti prego».

«Ciò che mio figlio sta cercando di dirti, lady Emily, è che Loki ha compiuto esattamente ciò che tutti temevamo. Ha stretto alleanze con creature smarrite, perdendo lui stesso il senno, e ha ceduto all’Oscurità, creando situazioni troppo intricate persino per lui».

«Ma, mio Signore, questo significa che lui…».

«Non ha più coscienza di sé. L’unica cosa che adesso conta per lui è la vendetta e la rivalsa nei confronti di Asgard, e farà di tutto per ottenerla. Per questo il Consiglio ha deciso di agire principalmente per il bene del Regno, piuttosto che per il singolo individuo».

«Come può un singolo uomo, in prigione perlopiù, recare offesa all’intero popolo asgardiano? Mio signore, siate clemente. Se non per me o per Loki, fatelo per Vàlì. È ancora così piccolo… ha bisogno di suo padre. Non è forse dovere di ogni asgardiano crescere il proprio primogenito, perlopiù se maschio?».

«Loki non è un asgardiano».

«Ma non è neanche un Gigante di Ghiaccio, in quanto diseredato da Laufey stesso. Forse tutto ciò di cui ha bisogno è una famiglia alla quale ritornare, Padre».

«Thor, mi sorprendi. Ritieni dunque sia saggio permettere che Vàlì, di appena sei anni, scopra la verità riguardo a suo padre?».

«Con tutto il rispetto, mio signore, sono dell’idea che ciò che si ignora non ferisce; dunque ciò che dobbiamo fare è semplicemente tacere una verità che non deve ancora essere rivelata».

«In verità, lo penso anch’io, lady Emily. Per nostra fortuna, Vàlì è ancora un fanciullo e i bambini hanno il prezioso dono di non badare a certe cose. Nonostante ciò, non posso annullare ciò che Loki ha compiuto su Midgard. I suoi reati, come ben sai, meritano la morte. Ed io devo agire principalmente come sovrano, piuttosto che come padre».

«Mio lord, voi non potete annullarla, questo è vero, però potete far sì che venga rinviata ad un secondo momento. Conosco bene la legge di Asgard, in quanto sua Regina, e so ciò che impone. E un padre di famiglia deve, fin tanto che è in vita, mantenere e crescere la propria prole fino al raggiungimento della maggiore età del suo primogenito maschio. Vàlì è ancora un bambino, non ha idea di cosa sia la crudeltà o la menzogna. Per lui sono solo semplici sinonimi. Forse, con la sua presenza, Loki potrebbe tornare ad essere quello di un tempo».

«Lady Frigga, sei certa di non star lottando per una causa già persa in partenza?».

«Sto lottando per ciò che è mio, mio signore. Ho cresciuto Loki come un figlio: è lui che ho allattato quando me lo consegnaste ed erano sue le ferite che ho medicato e le gote arrossate dal pianto che ho baciato, in tutti questi anni. Ho tutto il diritto di lottare per la sua vita, e lo farò fintanto gli antichi dèi me lo consentiranno».

«La semplice preghiera di una madre non basterà ad annullare il peso di un assassinio. Ciò di cui ha bisogno Loki è qualcosa cui neppure la legge asgardiana può opporsi; qualcosa cui nessuno può venir meno».

«Di cosa si tratta?».

«Una promessa».
 
 
«Cammina, traditore!» La voce profonda e rauca della guardia gli arrivò alle orecchie fastidiosa come il ronzio di un insetto, che Loki avrebbe voluto ardentemente schiacciare.

Si costrinse ad avanzare nel corridoio che portava dinanzi alla schiera della Corte di Odino, lo sguardo degno del più famelico dei lupi e le manette che gli legavano i polsi. La sala era divisa in due spalti, esattamente come ai tempi dell’incoronazione di Thor, lunga e austera come la ricordava, con pareti dorate venate d’argento di una freddezza glaciale. I volti che lo circondavano però erano ben più glaciali. Nessuno lì dentro gli era amico, costatò Loki con amarezza. Sottomissione e silenzio avrebbero dovuto essere le armi del buon senso.

Tutti restavano silenti, ad osservarlo come una fiera che ringhiava affamata in cerca di una preda da azzannare. Era sempre stato imprevedibile Loki e ciò li innervosiva, perché l’incertezza innervosisce sempre la gente.

Ad un tratto tutti tacquero e Loki si rese conto di essere arrivato al cospetto di Odino che, dall’alto del suo trono, lo osservava insistentemente. Al suo fianco c’era Frigga: le mani in costante tremolio e gli occhi che saettavano da una persona all’altra, nervosi. Probabilmente, non doveva aver chiuso occhio quella notte.

Thor gli scoccò un’ultima occhiata carica di frustrazione e, per un momento, l’idea che sarebbe andato contro le leggi di Asgard pur di difenderlo sfiorò la mente di Loki. Durò solo un momento, giusto il tempo di un battito di ciglia, perché ad un tratto Thor si allontanò: il Mjolnir stretto tra le dita possenti e l’andatura pesante e lenta. E con lui, anche l’ultima speranza di Loki sparì.

Non sospirò, né aggrottò la fronte o guardò il fratellastro di traverso. Semplicemente, si limitò a tenere alto lo sguardo e a cercare di impartirsi un tono. In fondo, lui non aveva bisogno del suo aiuto. Non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno. In un modo o nell’altro si sarebbe tirato fuori da quell’impiccio, come sempre. Era pur sempre il Dio degli Inganni, e come tale si sarebbe comportato.

Ma quando Odino parlò, Loki sentì il cuore salirgli in gola e la stessa paura che lo aveva attanagliato poco prima nei sotterranei farsi strada in lui come uno spettro. Serrò le labbra e cercò di trattenere un singulto. Non avrebbe dato ad Odino la soddisfazione di vederlo crollare. Non più.

«Loki Laufeyson» La voce di Odino era bassa e mitigata, quasi un rantolo, ma nella sala risuonò forte come un grido. Aveva calcato bene le parole che componevano il suo cognome, Laufeyson, come a volergli rimembrare una verità che lui aveva cercato in tutti i modi di distruggere. Subito nella sala si diffuse un leggero mormorio concitato e sorpreso. Se avesse potuto, Loki avrebbe urlato loro di chiudere quelle dannate fogne.

Prima che potesse comprendere cosa stesse succedendo, le lunghe dita possenti di una guardia lo afferrarono con forza per le spalle e lo spinsero a terra con malagrazia, facendo cozzare le sue ginocchia contro il pavimento di marmo. Nonostante il dolore, dalle sue labbra non uscì una sola parola: l’umiliazione che stava provando bruciava molto di più di qualsiasi ferita.

« Per i tradimenti che hai commesso nei confronti della tua stessa patria e famiglia; per aver esposto dei pacifici Regni ad una guerra in nome di un tuo infantile capriccio; per esserti alleato con creature mistiche e pericolose; per aver rubato lo Scrigno degli Antichi Inverni e attaccato la popolazione di Midgard, disseminando il Caos in tutti i Nove Regni, il Consiglio ha espresso il suo verdetto» Fece una pausa, e Loki fu certo di sentire tutti trattenere il fiato. Nella stanza calò il silenzio ma alle sue orecchie quello fu il più assordante dei gridi. Il pensiero della morte si fece nuovamente largo in lui, più forte e insistente di prima. La sala era impregnata di elettricità.

Non voglio morire, pensò ad un tratto, e cercò qualcosa, qualsiasi cosa, anche la più insignificante, che potesse salvarlo. Perché è questo che si fa quando la morte ci è troppo vicina: si cerca di fuggire. Di sopravvivere.

Ma ovunque guardasse, vi erano solo vicoli ciechi. E lui si sentiva braccato.

«La condanna per i tuoi crimini è la morte» Pronunciò Odino, solenne, ma nella sua voce Loki riuscì a udire una stonatura di nervosismo. Patetico, pensò subito. Adesso, la sua presunta grandezza era solo una mera leggenda.

Poi, la gravità della sentenza gli piombò addosso con una violenza tale da lasciarlo stordito e senza fiato per qualche secondo, impossibilitato a ragionare. Tutto cominciò a girare troppo velocemente, divenendo ovattato e confuso, e la testa prese a ronzargli forte, così forte da non permettergli di sentire nulla. Gli sembrava di star per impazzire e desiderò scappare via il più velocemente possibile. Non voleva morire. Non poteva morire!
Una voce esplose chiara e forte nel caos della sua mente e tutto tornò alla normalità, quasi come se il mondo intero si fosse zittito di colpo. Non ebbe bisogno di voltarsi per capire a chi apparteneva, lo sapeva già benissimo.

«Chiedo udienza al Padre degli dèi!».

Si voltò e la vide: lì, che lottava per dimenarsi dalla presa delle guardie che cercavano di trattenerla, i lunghi capelli rossi scarmigliati sul viso e gli occhi colmi di una luce battagliera che, in quegli ultimi giorni, non le aveva mai visto addosso. La sua voce era incredibilmente acuta e sgraziata, proprio come la ricordava, ma in quel momento a Loki parve meravigliosa.

Emily – la vera Emily, era lì. A pochi metri da lui.

E, non si seppe spiegare il perché, ma si sentì terribilmente infastidito. Proprio come quando, da bambini, Thor lo aveva difeso da un attacco da parte di uno di quegli idioti che sembravano vivere solo per rendergli la vita difficile. Ricordava di essersi sentito bene, inizialmente. Sollevato. Poi però la rabbia aveva preso il posto della felicità e Loki era scappato via senza neanche ringraziare il fratello per l’aiuto che gli aveva dato.

Sarei potuto riuscirci da solo, rimembrava di aver detto, adesso gli dovrò un favore, a quello stupido.  

Quando incrociò lo sguardo di Emily, Loki ricordò che aveva sempre odiato essere in debito con qualcuno.
 

 
Notando che tutti li stavano fissando, le guardie la lasciarono andare e lei poté correre subito nella direzione di Loki, ponendosi dinanzi a lui quasi a volerlo celare alla vista di tutti i presenti. Nella sala cominciò a respirarsi un’aria pesante, grave e tagliente. Vigeva il clima dell’affronto.

Emily si inginocchiò al cospetto di Odino e congiunse le mani al petto; il cuore le batteva così forte da poter sentire il suo rimbombo nella testa. Il suono del silenzio, in quella sala, era opprimente.

Aveva gli sguardi di tutti addosso, brucianti come tizzoni ardenti, e si sentì nuda di fronte a tutti quei visi accusatori e maligni. Desiderò scomparire più di ogni altra cosa al mondo e si chiese perché avesse accettato di fare una cosa simile. Ma quando incrociò lo sguardo di Frigga che, nonostante cercasse di restare calma e impassibile, era evidente stesse tremando d’agitazione, si costrinse a parlare.

«Supplico il Padre degli dèi di graziare Loki Laufeyson dai crimini da lui commessi su Midgard, in quanto egli deve ancora tener fede a una promessa postami prima della sua dipartita. E un voto, qui su Asgard, come voi tutti sapete, è considerato vincolante. Dunque chiedo che la legge venga rispettata» La sua voce risuonò nervosa e titubante, e dietro di sé Emily sentì lo sguardo di Loki farsi sempre più penetrante e sospettoso. Deglutì e si costrinse a continuare, ma venne interrotta da una voce femminile che riconobbe come quella di Sif.

«Come facciamo a sapere che non stia mentendo? Per quanto ne sappiamo, Loki potrebbe averla incantata mentre era con lei durante la sua prigionia, corrompendola come ha fatto con quell’umano!» Esclamò, balzando in piedi, evidentemente agitata al pensiero di un possibile posticipamento dell’esecuzione.

In un primo momento, Emily si sentì piccola piccola e desiderò scomparire di nuovo. Ma quando il suo sguardo si scontrò con quello di Odino, che la osservava silente e con insistenza dall’alto del suo trono, quasi a volerla spronare a continuare, si fece coraggio e, in uno scatto di rabbia, sfilò qualcosa dal suo dito e lo erse in alto in modo che tutti potessero vederlo.

«Cos’è quello?» Chiese Sif, scettica.

Emily non fu sorpresa dal fatto che la guerriera non conoscesse il significato di quel gioiello, ma questo pensò fosse meglio non dirlo. Ad ogni modo, doveva dire qualcosa: qualsiasi cosa. Non poteva fermarsi proprio adesso!

«Questo è–».

«L’annello di Claddagh», fu Frigga a parlare. La sua voce risuonò calda e morbida come il velluto alle orecchie di Emily. «L’ho donato a Loki molto tempo fa, raccomandandogli di donarlo a qualcuno di… speciale», continuò, rivolgendole un’occhiata carica di cortesia. Imbarazzata, Emily chinò il capo.

Nella sala si innalzarono altri mormori di sorpresa, tanto che Thor fu costretto ad urlare per riportare la quiete. Da quando aveva avuto inizio il processo era divenuto decisamente silenzioso, quasi come in uno stato di trance, ma dopo il suo intervento si era ringalluzzito un po’ e aveva riacquistato un po’ di colore, ritornando quello istintivo e impavido di sempre.

«Portatemi l’anello!» Ordinò a un tratto Odino, e subito delle guardie corsero a prendere l’anello dalle dita di Emily e lo porsero a lui, che lo squadrò con falsa minuziosità e precisione, poiché già a conoscenza del piano che avevano architettato. Emily si ritrovò a pensare che, forse, lì dentro non c’era alcun Dio degli Inganni ma solo persone molto inclini alla menzogna.

Voltò il proprio capo in direzione di Loki, giusto per avere conferma di star facendo la cosa giusta, ma sentì il fiato mancarle quando lo sguardo colmo di collera del dio la trafisse da parte a parte come uno stiletto. Non ebbe il tempo di domandarsi il perché di quello sguardo, di credere di esserselo solo immaginato, che Odino prese la parola, e lei rimase sola con i suoi dubbi.

«La giovane dice il vero. Evidentemente, Loki deve averglielo donato come pegno prima della sua dipartita» Odino fece una pausa, tirando un sospiro, ma Emily non riuscì a capire se fosse di sollievo o di stanchezza.

Il suo cuore batteva all’impazzata, come un martello che picchiava forte sul petto, e si chiese se fosse normale provare tutti quei sentimenti in un unico corpo.

Stava mentendo a tutta Asgard. O, perlomeno, la sua non era proprio una bugia, dato che Loki quella promessa gliela aveva fatta sul serio tempo fa, ma c’era qualcosa – la sua coscienza, probabilmente – che le urlava di star sbagliando tutto. Che quello che stava facendo era sbagliato e che si stava comportando esattamente come Loki. Si sentì pari a un verme e prese a rigirarsi le mani, nervosa.

Fallo per Vàlì… Fallo per Vàlì…

Per Vàlì o per Loki, che non appena ne avrà la possibilità andrà di nuovo via di qui?

Per Vàlì. Solo per lui. E Loki non se ne andrà; rimarrà con me. Con noi!

Stai mentendo a te stessa.

Non è vero!

Stai impazzendo. Stai diventando vittima della tua stessa mente.

No, non è vero. Taci. TACI!

«Le Antiche Scritture parlano chiaro: un dio non può venir meno a un giuramento, qualunque esso sia. L’esecuzione, dunque, verrà rinviata a dopo il compimento di essa. Nel frattempo, Loki vivrà al palazzo privato del Seiðr e in libertà vigilata – tenuto sotto stretta sorveglianza dai miei due corvi Huginn e Muninn, che mi riferiranno qualunque suo spostamento. Ragion per cui, con i poteri conferitomi da mio padre e da mio padre prima di lui, io, Odino, Padre degli Dèi, proclamo questo processo rinviato a un secondo momento» Sentenziò Odino, ma lei non poté fare a meno di notare che nel suo tono di voce ci fosse una leggera nota di sollievo, quasi di alleggerimento, che la fece sentire più tranquilla per riflesso.

Eppure, continuava a sentirsi strana. Stordita. Erano accadute troppe cose tutte insieme e troppo velocemente. La constatazione del fatto che Loki fosse ancora vivo era incredibile, fantastica. Non riusciva ancora a realizzarla. Si sentiva scoppiare dalla felicità, perché finalmente adesso sarebbe tornato tutto come prima.

Si voltò verso di Loki con un sorriso ma, di nuovo, lo sguardo che le venne rivolto fu austero e gelido come il ghiaccio e spense tutta la sua felicità come una candela dalla fiamma precaria. Loki non aveva detto niente, ma era bastato una semplice occhiata per far crollare tutti i castelli di Emily in pochi secondi.

Nella stanza cominciò a fare freddo, e lei ebbe voglia di piangere.

«Quello che noi tutti ci chiediamo adesso, lady Emily, è: qual è il giuramento in questione?» Domandò Odino, con voce falsamente curiosa. Emily quasi non lo sentì, persa com’era fra i suoi pensieri, e continuò a torturarsi le dita.

Se lo chiese anche lei. Qual era il giuramento? E, cosa più importante, voleva davvero mantenerlo? Quello non sembrava più il Loki che conosceva e del quale si era innamorata. Era diverso. E non solo fisicamente. Il suo sguardo era più cattivo, i suoi occhi brillavano di una luce strana, differente da quella che amava. Per la prima volta, Emily aveva davvero paura di lui. Tutto sembrava essere diventato grigio, e lei non riusciva più a distinguere i colori e a tracciare i contorni di quella felicità che aveva perduto molto tempo fa.

Si rivolse a Odino, il pugno stretto al petto e l’incertezza impressa negli occhi chiari. Avrebbe voluto urlare che quello dietro di lei non era il Loki che conosceva, né quello che aveva abbracciato una volta che era tornato ad Asgard; che non lo conosceva e che le incuteva paura. Ma quando incontrò lo sguardo di Frigga, che la supplicava con gli occhi di continuare a parlare, Emily mandò giù il groppo che aveva in gola e si decise a proseguire.

«Il Matrimonio».

Quando si voltò e cercò lo sguardo di Loki, Emily ricordò una vecchia frase che sua zia Kìm era solita dirle: la lingua può nascondere la verità, ma gli occhi mai, e capì di essersi sbagliata e che quello era davvero Loki. Solo, non più quello che amava.
 
 





- Note di Harmony394

Eccomi qui!

Premetto che scrivere questo capitolo è stato per me abbastanza “faticoso” perché esprimere i sentimenti di Loki riguardo alla sua condanna a morte non è cosa da niente (diciamo che scrivere di Loki non è DECISAMENTE cosa da niente, eh…). Spero comunque di essere riuscita a scrivere qualcosa di decente, soprattutto perché è da ancora prima di finire La Volpe e il Lupo (il prequel) che avevo questo capitolo per la mente, precisamente dal capitolo 22: Claddagh Ring.

Comunque, ammetto di essere stata un po’ sadica in questo capitolo. Povera Emily, non sa nemmeno lei cosa deve o non deve fare, senza contare che a Corte non fanno altro che crearsi intrighi su intrighi.

Piccolo giochino! Nel testo è presente una citazione a Il Trono di Spade… chi di voi l’ha trovata? Un budino gratis a chi me la scriverà nei commenti! :D

Come al solito, ringrazio di cuore la mia beta 
vannagio per aver betato il capitolo. Sei sempre gentilissima! <3
 
Al prossimo capitolo!

P.S: Ecco qui il mio link di Facebook, caso mai qualcuno volesse aggiungermi. :)
Link:
https://www.facebook.com/harmony.efp.9?ref=ts&fref=ts

P.S.S: La canzone è ‘O Death, di Jen Titus. Da cui ho tratto spunto per il titolo del capitolo precedente.

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Capitolo 5
*** The Trick ***


 
 
~The Trick

And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste
could it be worse?



Rumore.

In quella stanza c’era solo del dannato rumore.

«Ti sto dicendo che l’ho fatto per te, Loki. Per salvarti la vita. Dovresti ringraziarmi!».

No, non era rumore. Era la voce squillante di Emily, che da quando il processo era finito non aveva fatto altro che stargli alle calcagna per tutto il tempo, quasi avesse paura che potesse fuggire da un momento all’altro proprio da sotto il suo naso.

Erano stati portati nelle sue vecchie stanze, che se un tempo gli sapevano di calma e tranquillità, adesso tutto lo sfarzo presente al loro interno gli recava solo un enorme fastidio. Voleva scappare via da lì. Andarsene il più presto possibile. Quella non era casa sua, non lo era mai stata.

«Non rimembro di aver chiesto il tuo aiuto», sputò fuori Loki, gli occhi ridotti a due fessure oblique. «Sarei riuscito a cavarmela da solo. Il tuo intervento è stato pressoché inutile».

Dall’altro lato della sala, Emily roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto. «Inutile?», chiese, incredula. «E perché? Perché ho evitato che ti condannassero a morte, forse?», avanzò qualche passo verso di lui e gli rivolse un’occhiataccia carica di rabbia. «È solo grazie a me e alla tua famiglia se non ti hanno ucciso!».

Le dita di Loki presero a tremare per l’agitazione e le sue labbra si ridussero a una sottilissima linea obliqua iraconda. Era evidente che Emily aveva ragione, così evidente da far male. Gli sembrava di avere una scheggia sotto pelle che pizzicava senza sosta. Era l’ennesimo taglio al suo onore, quello. Il più doloroso. Perché Loki sapeva che da quel momento ogni suo respiro era dovuto a qualcun altro.

Scattò in piedi furioso, la mascella contratta per la rabbia e le dita tremanti, e si avvicinò velocemente ad Emily che non distolse lo sguardo. Nei suoi occhi, però, Loki fu certo di scorgere una nota di paura che non era riuscita a nascondere. Rise amaramente, pensando che, fino a qualche tempo fa, non gli avrebbe mai rivolto uno sguardo simile.

«No, Emily», disse, il timbro di voce rauco e basso. Lei impallidì, ma continuò a sostenere il suo sguardo. Loki rise, sprezzante, e allargò le braccia come a voler indicare qualcosa che non c’era. «Sono già morto da molto tempo, io. Precisamente da quando sono precipitato giù da quel dannato ponte, approdando dritto negli Inferi… o in luoghi ben peggiori. Ho visto mondi, donna, che faresti meglio ad ignorare. E se vuoi sapere tutta la verità, morire non sarebbe stato che un balsamo per me. Una catarsi. Finalmente, sarei potuto restare in pace senza ulteriori fastidi tra i piedi».

Nella sala calò un silenzio di piombo, disarmante. Emily non parlava e lui non distoglieva lo sguardo. Sentiva i nervi a fior di pelle, l’irritazione avvolgerlo come una coperta e l’amarezza artigliargli forte il petto. Era come se qualcuno gli stesse sussurrando malignità all’orecchio e, per ognuna di esse, un ricordo di lui ed Emily di qualche anno prima gli si parava davanti, prepotente e irraggiungibile. Una parte di sé desiderava prendere quei ricordi, tornare al passato e ricominciare daccapo; l’altra, invece, lo esortava ad andare avanti, a lasciarsi tutto alle spalle. Loki decise di ascoltare la seconda voce.

«E comunque», continuò, «Come ti ho già detto, avevo tutto sotto controllo. Sarei riuscito a cavarmela anche senza il tuo aiuto. Ci sono riuscito per anni, di certo questa circostanza non sarebbe stata diversa dalle altre», disse, convinto di aver concluso la conversazione una volta per tutte. Fece per allontanarsi ma la voce di Emily gli riecheggiò nella testa e lui si bloccò istintivamente.

«Bugiardo» La sentì mormorare con voce incrinata. Loki si voltò, la fronte aggrottata e le labbra distorte in una smorfia imbronciata, ma quando incrociò il suo sguardo, serio e terribilmente grave, non riuscì a spiccicare parola.

«Non c’è nulla che avresti potuto fare, Loki, e questo lo sai anche tu. Non mi aspetto un premio per quello che ho fatto, ma non merito di essere trattata così. Di ricevere lo sguardo che mi hai riservato nella Sala del Trono... non dopo tutto quello che ho fatto!» Esclamò, arrabbiata, e Loki non seppe cosa rispondere.

Gli occhi di Emily erano ghiaccio che bruciava, di un azzurro così chiaro e limpido da ricordare quello del cielo. Eppure, in quel momento Loki vedeva solo nuvole grigie: sentiva un freddo così rigido che pareva entrargli nelle ossa. Era un freddo che lui conosceva benissimo, ma che non aveva mai riscontrato negli occhi di Emily.

«Ho dovuto supplicare Odino che ti desse una seconda possibilità, pregarlo affinché tu restassi in vita – E credimi se ti dico che lo rifarei ancora, ancora e ancora una volta. Perché io ti ho aspettato, Loki. Sono rimasta qui per te. Ma adesso non posso fare a meno di chiedermi se quello che ho davanti sia il Gigante di Ghiaccio che ho temuto per tutti questi anni o colui del quale ho aspettato il ritorno» La voce di Emily era un sussurro flebile che Loki udì a fatica, ma l’impatto che quelle parole ebbero su di lui fu talmente brutale da ammutolirlo. Per la prima volta, non seppe cosa rispondere.

E mentre realizzava ciò, i sentimenti che si erano assopiti in quegli anni vennero a galla tutti insieme e si tramutarono in rabbia: una rabbia feroce e devastante che premeva forte sul petto e schiacciava Loki come se fosse stato un insetto. Desiderò urlare, prendere a calci tutto e tutti, liberarsi da quel peso che gli opprimeva il cuore. Si sentiva come se gli avessero portato via tutta l’aria e che qualcosa, un mostro feroce, si stesse contorcendo con rabbia dentro di lui, ribaltandogli le viscere e facendogli salire il sangue al cervello.

«Fermati!» La voce di Emily gli riecheggiò di nuovo forte nella mente e solo in quel momento Loki si accorse di aver appena scaraventato contro il muro una caraffa d’acqua poggiata sul comodino lì accanto. Adesso tutti i suoi cocci erano sparsi a terra, distrutti, esattamente come il suo rapporto con Emily.

Si zittì, ma il suo battito cardiaco era ancora forte come quello di un tamburo, veloce e aritmico. Le sue spalle continuavano ad alzarsi e abbassarsi con spasmi irregolari, le sue dita a tremare. Si rese conto di aver perso il controllo e si maledì per questo: solo i deboli non riescono a dominare le emozioni. Di nuovo, la voglia di urlare lo colpì come una vampata d’aria calda e Loki digrignò forte i denti nel tentativo di calmarsi.

 «Vattene» Sussurrò ad Emily, passandosi con rabbia una mano callosa sul viso. Non voleva vedere nessuno. Non voleva stare in compagnia di nessuno. Non gli importava più di Emily o di Vàlì o della stramaledetta condanna a morte. Che lo prendessero pure, forse così si sarebbe risparmiato un’esistenza straziante come quella.

«No», rispose lei repentinamente. «Non me ne vado».

Lui sospirò, irato come non mai, e digrignò i denti. L’umiliazione dell’essersi fatto vedere mentre perdeva il controllo aveva gettato vino sul fuoco della sua rabbia. «Ti ho detto di andare via, stupida donna…» I suoi occhi saettarono verso la figura di Emily che, costatò, tremava. Solo quando udì la sua voce, Loki si accorse che stava tremando di rabbia e non di paura.

«Perché?», berciò lei, e Loki sentì la scheggia sotto le unghie pulsare più forte. «Perché continui a fare così?! Non potresti spiegarmi? Ti prometto che non dirò nulla a Odino, se è questo che temi, però ti prego dimmi cosa c’è che non–».

 «VATTENE VIA!», la voce di Loki esplose in un grido alto e frustrato. Emily indietreggiò di alcuni passi, spaventata, ma continuò ad osservarlo. Loki le fu accanto in poche falcate e le afferrò con forza il polso, stringendolo in una morsa di ferro, poi si protese verso di lei. «Va’ via, Emily. Potrei compiere atti che nemmeno immagini. Non sono più quello di una volta», sibilò. La sua voce era ancora più terribile del solito, tetra e gutturale. Quando la lasciò andare, Emily represse a stento un singhiozzo.

«No. Non sei più quello di una volta», sussurrò Emily, malinconica. «Adesso sei diventato esattamente il mostro che temevi di essere».

Per un momento, Loki si sentì così adirato da non riuscire nemmeno a respirare. L’aria gli parve essersi fatta di colpo pesante, opprimente, e l’unico colore che riusciva a vedere in quel momento era il rosso: il rosso per la rabbia, il rosso del sangue che aveva versato in passato, il rosso dei capelli di Emily che le ricadevano scomposti sul viso. Tutto era rosso. Tutto. Eppure, l’unica cosa che avrebbe voluto vedere Loki era l’azzurro del cielo, l’azzurro degli occhi di suo figlio che lo perdonava per averlo lasciato solo, l’azzurro del Tesseract stretto fra le sue dita, l’azzurro brillante degli occhi di Thanos che gli diceva che aveva saldato i suoi debiti.

Loki ne aveva abbastanza di vedere tutto rosso.

«Madre?» Fu una voce piccola e minuta a parlare, ma Loki la sentì riecheggiare nella sala come se fosse stato un urlo.

Vàlì era qualche metro distante da lui, tra le manine teneva stretto un piccolo arco di legno e i suoi occhi erano vispi e azzurri proprio come li ricordava. Accanto a Loki, Emily alzò il capo di scatto e lanciò un’occhiata rapida nella direzione di suo figlio e gli andò incontro con labbra serrate.

«Come mai sei qui? Perché le guardie ti hanno fatto entrare?!» Gli chiese con fervore, scuotendolo un po’. Vàlì aggrottò la fronte, confuso dalla reazione della madre, ma dalla sua bocca non uscì un sibilo. «Non devi andare in giro per il palazzo da solo!» Lo rimproverò, agitata.

«Sono ore che Hlìn mi tiene rinchiuso nelle mie stanze per farmi studiare quelle dannate rune. Ero stufo e dunque sono scappato. Le guardie non mi hanno visto; conosco dei passaggi segreti, io. E poi perché non dovrei venire qui?» Chiese allora Vàlì, di getto, lanciando un’occhiata nella direzione di Loki. «È cattivo, lui?».

Nella sala calò un silenzio pesante, quasi come un panno bagnato. Loki desiderava sparire più di ogni altra cosa al mondo.

«No», rispose Emily, serafica, spostandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Va tutto bene, non preoccuparti», dichiarò. E un sorriso tirato, quasi malinconico, si delineò sul suo viso.

Ma Vàlì non parve convinto e continuò a fissare Loki con sguardo torvo e sospettoso, infine tornò ad osservare sua madre. Nei suoi occhi, Loki rivide se stesso da giovane e fu come se una lama invisibile gli fosse affondata nel cuore.

«Stai mentendo!» Ribatté Vàlì, piccato. «Sei triste. Lui ti ha fatto del male. Ma… come? Non può usare la magia! È stato il Padre degli Dèi a dirmelo. Mi ha detto una bugia, quindi?».

Loki vide Emily osservare Vàlì in silenzio, sorpresa dalle parole del figlio. Sulle sue labbra sembrarono danzare una decina di risposte, ma alla fine l’unica cosa che riuscì a fare fu prendere Vàlì per mano e dirigersi fuori dalla sala. «Andiamo via. Si è fatto tardi. Thor ci starà cercando…».
Vàlì continuava a voltarsi nella direzione di Loki con aria confusa, quasi sperasse di avere una risposta almeno da lui.

Quando i portoni vennero chiusi, Loki continuò a sentire il suo sguardo sulla schiena. I muri della sala sembravano divenuti improvvisamente più stretti e più bassi e si sentì soffocare. Le parole di Emily gli tornano alla mente, brucianti e taglienti come rasoi: era incredibile quanto male gli stessero facendo.

 Che fosse dannata anche lei.

Voleva andare via da lì. Evadere. Ingannare di nuovo.

Doveva cercare Thanos e dimostrargli la sua lealtà, fargli capire che non lo aveva tradito e che gli avrebbe riconsegnato il Tesseract, se solo gliene avesse dato la possibilità. Il solo pensiero di ciò che avrebbe potuto fargli quel mostro lo spaventava così tanto da lasciarlo senza fiato.

Sì, ma come?

Ci pensò su, le sopracciglia aggrottate e gli occhi verdi che guizzavano da una parte all’altra della sala, quasi come se così facendo potesse capire cosa fare. Mentre pensava, un brivido gli salì su per la schiena e Loki rabbrividì. Finalmente, dopo tutto quel tempo, poteva ingannare di nuovo.

Delineò i contorni della stanza passo dopo passo, respiro dopo respiro, mentre nella sua mente frullavano una miriade di idee che venivano scartate una dopo l’altra, che non andavano bene. Rimuginò ancora, senza mai fermarsi. Era una sfida per lui, lo era sempre stata. Creare nuovi inganni, riuscire sempre a soggiogare tutti quanti. Era un gioco al quale non aveva mai smesso di giocare e di vincere. Era il suo gioco.

Infine, capì. Chiara come il sole, la risposta gli si parò davanti con la stessa semplicità con cui lui elargiva tutti i suoi inganni. Sorrise, soddisfatto e perfido come un lupo che attentava alla sua prossima preda. Finalmente sapeva cosa fare.

Il matrimonio.

Nella sua mente si fecero più nitidi il disegno da seguire e la cornice da affibbiargli, e solo allora Loki comprese di aver vinto. Capì che sarebbe riuscito, ancora una volta, ad ingannarli tutti quanti.
 

Sua madre era strana, in quei giorni.

Da quando l’aveva sorpresa a parlare con il Gigante di Ghiaccio era cambiata, divenuta più agitata e nervosa, e lui cominciava ad essere stufo di quella situazione. Anche Thor era stranamente silenzioso da quando era tornato: aveva smesso di giocare alla lotta con lui, preferendo dedicarsi a questioni, a detta sua, più urgenti. A detta di Vàlì, invece, di urgente c’era ben poco. La colpa di quel trambusto generale era di quel Gigante di Ghiaccio che, per chissà quale ragione, scorrazzava liberamente per il palazzo nonostante –stando a sentire Hlìn – avesse commesso delitti di cui Vàlì aveva paura solo a parlarne. Aveva solo sei anni, ma era abbastanza sveglio per capire che era meglio stargli alla larga se non voleva avere guai.

Quel pomeriggio camminava nei giardini, sospirando di tanto in tanto, annoiato come non mai perché nessuno sembrava essere disposto a giocare con lui. Avrebbe potuto giocare con i garzoni del macellaio di corte, ma loro erano più grandi di lui di quattro anni e lo prendevano sempre in giro perché non riusciva mai a vincere durante i loro giochi. Forse avrebbe potuto giocare con Fenrir, il lupo di sua madre, ma Vàlì trovava che fosse troppo vecchio per corrergli dietro e in tutta onestà non voleva che morisse di arresto cardiaco per colpa sua – sua madre lo avrebbe messo in punizione a vita.

Poi, ad un tratto, qualcosa di grosso e parecchio molliccio gli venne addosso con irruenza e lui cadde a terra con un tonfo.

«Ahi!» Pigolò, massaggiandosi il didietro. Quando alzò lo sguardo in cerca del suo aggressore sul suo viso apparve un sorriso raggiante: davanti a lui troneggiava niente meno che Volstagg il Voluminoso: uno dei guerrieri più forti di tutto Regno!

«Ehi, pivello!», lo salutò lui, sorridendo sotto la folta barba rossa. Lo squadrò dall’alto della sua imponente statura e alzò un sopracciglio, dubbioso. «Ehi, dimmi un po’: ma che ci fai tutto sporco lì a terra? Tirati su, forza, che qui c’è già troppa gente giù di corda…», mormorò, tirandolo in piedi con una mano sola, come se fosse stato fatto soltanto di aria. Poi gli arruffò i capelli, sornione.

«Volstagg!», esclamò forte Vàlì una volta in piedi, eccitato all’idea di aver trovato un compagno di giochi. Capitava spesso che lui e il guerriero giocassero insieme e lui si divertiva sempre tantissimo a stare in sua compagnia. Volstagg era un ingordo in grado di mangiare dieci fagiani in pochi minuti e avere ancora fame, ma spesso sapeva essere davvero divertente. «Ti va di giocare? Solo un pochino? Thor non può e Fandral è occupato e sai bene che Sif si annoia a giocare con me, così come Hogun, e anche mia madre è occupata e… e…».

«Ehi, ehi! Frena i cavalli, ragazzo. Stai andando troppo veloce!» Lo rimbeccò Volstagg, mettendo i pugni sugli enormi fianchi. Vàlì si fermò a riprendere fiato, ma in cuor suo sperava che almeno lui passasse un po’ di tempo in sua compagnia. Era stufo di non fare niente e tornare da Hlìn a studiare era fuori discussione – non ne voleva sapere nulla di rune, lui. Quando se lo sarebbe messo in testa quella sciocca ancella testarda?

Il Voluminoso si grattò il mento ricoperto dalla folta barba rossa, arricciando le labbra di tanto in tanto. Infine chinò lo sguardo su di lui e scosse la testa, alzando le spalle. «Mi dispiace, pivello, ma per oggi non posso proprio restare a giocare con te» Disse, dispiaciuto. Vàlì s’incupì e imbronciò le labbra, quasi sul punto di piangere. A quanto pareva, nessuno voleva giocare con lui.

«E-Ehi pivello, non crucciarti! Se vuoi, puoi venire con me in giro. Ho giusto alcune commissioni da sbrigare al palazzo, due braccia in più mi sarebbero d’aiuto!» Aggiunse in fretta Volstagg, agitato. Subito, negli occhi di Vàlì tornò a brillare un’allegra luce spensierata.

«Davvero?! Davverodavverodavverodavveeerooo?!» Domandò, gli occhi incredibilmente sgranati e pieni di rinnovata speranza.

Volstagg si portò una mano dietro la nuca, grattandosi il collo. « Be’, sì… non dovrebbero esserci problem– uggh!» Non finì la frase che subito Vàlì gli gettò le braccia al collo, ringraziandolo una cinquantina di volte di seguito e facendo seguire ad ogni Grazie un bacio sulla guancia, finché Volstagg ne ebbe abbastanza e fu costretto a toglierselo dai piedi minacciandolo di lasciarlo lì dov’era se non avesse smesso. Alla fine, entrambi si diressero verso Vingólf, la sala dove si riunivano tutti li dèi. Lì trovarono Sif, i restanti Due Guerrieri, Odino, Frigga e sua madre, lady Emily, che appena lo vide aggrottò la fronte confusa e rivolse un’occhiataccia a Volstagg, che prese a fischiettare e distolse lo sguardo. Dal canto suo, Vàlì desiderò sparire al centro dell’Hel e non uscirne mai più.

«Cosa ci fai qui?», chiese sua madre. «Perché Hlìn non è con te?».

Tutti gli sguardi si puntarono su di lui che, rosso di vergogna, prese a torturarsi il lembo della maglietta. «Io… be’… Hlìn era molto noiosa e voleva farmi ripetere per l’ennesima volta l’alfabeto runico, quindi io, dato che so già tutto, ho pensato di potermi prendere una pausa e… e poi ho incontrato Volstagg e…».

«Quante volte ti abbiamo detto di non scappare? Torna subito da Hlìn, ti starà cercando ovunque» Esclamò Thor, esasperato, assottigliando le labbra in una linea dritta, piena di rimprovero. Accanto a lui, lady Sif ridacchiò beffarda. Vàlì la trovò odiosa.

«Fylla, ti prego, accompagna Vàlì dalla sua balia, e raccomandale di non perderlo mai più di vista» Disse la Madre degli dèi con voce serena a un’ancella dalla corporatura massiccia, il viso dolce e i lunghi capelli biondi legati in un nastro dorato. Quella fece un inchino e si avvicinò a lui che, dopo un primo momento di esitazione, la seguì fuori dalla sala. Dopo aver fatto pochi passi nel corridoio, la curiosità di sapere il motivo di quella riunione prese il sopravvento in Vàlì. Si liberò dalla presa della serva e si nascose dietro un vaso nelle prossimità di Vingólf, intenzionato a spiare ciò che stava accadendo. Fylla, corpulenta com’era, non riuscì a stargli dietro e prese a cercarlo in lungo e in largo, disperata, senza riuscire a trovarlo.

Soddisfatto, Vàlì sogghignò beffardo e porse l’orecchio in direzione della sala.

«Padre degli dèi, siete certo di ciò che state per compiere? Credete sia saggio fidarsi di Loki?».

«Certo che no, Sir. Hogun. Sarei uno sciocco se mi fidassi del Dio degli Inganni. Nonostante ciò, al momento Loki è privato del Seiðr e senza di esso non può nuocere a nessuno. Temerlo sarebbe da sciocchi tanto quanto fidarsi di lui» Dichiarò l’altro, la voce stanca e spossata. Accanto a lui, Vàlì non seppe dargli un volto, qualcuno sospirò. Nella sua mente, immaginò fosse stata la Regina Frigga.

Aggrottò la fronte e avvicinò di più l’orecchio alla porta, cercando di capire, spiando attraverso l’uscio, chi stava parlando con chi. L’ancella però stava ancora girando per il corridoio alla sua ricerca e provocare rumore avrebbe implicato il farsi scoprire e mandare tutto a rotoli. Quindi, cercò di essere il più cauto possibile.

«Mio signore, con tutto il rispetto che vi devo, Loki è un maestro d’inganni, per lui non sarà un problema cercare una via alternativa per combinarne un’altra delle sue. La sua mente è ormai deviata, è un pericolo per se stesso e per gli altri. L’unica via possibile per mettere fine al problema sappiamo tutti qual è. Bisogna solo avere il coraggio di metterla in atto» Esclamò Sif, contenuta, ma la sua voce tradiva una nota di malcelata speranza.

«Basta così», questa volta fu sua madre a parlare e Vàlì sentì la sua voce entrargli prepotentemente nelle orecchie. Si chiese cosa avrebbe fatto se avesse saputo che stava origliando la sua conversazione e giunse alla conclusione che forse era meglio non saperlo.

«Loki è il Dio degli Inganni, è vero, e qualcosa durante questa sua dipartita lo ha mutato profondamente, rendendolo peggiore di ciò che è realmente. Non sto dicendo che non sia colpevole, sarebbe negare l’ovvio, sto solo dicendo che forse non è lui ad avere tutta la colpa. Voi stessi avete detto che è entrato in contatto con creature smarrite, chi ci assicura che queste creature non abbiano plagiato la sua mente?» Chiese, e subito nella mente di Vàlì tornò a far capolino il ricordo del Gigante di Ghiaccio tenuto prigioniero nelle celle sotterrane. Rabbrividì e la domanda che lo tormentava da due giorni a quella parte si ripresentò nella sua mente.

Perché lui e sua madre si conoscevano?

«Lady Emily, la lealtà nei confronti di Loki ti fa onore e, stanne certa, la promessa che ti ha fatto verrà mantenuta. Ciò che noi tutti ci stiamo chiedendo adesso, è cosa scaturirà da tutto ciò».

«Padre degli dèi, ciò che proporrei io è di…».

«Silenzio, lady Sif. Non è a te che ho chiesto consiglio».

«Mi perdoni, mio signore» Rispose quella, a voce così bassa che Vàlì dovette sporgersi ancor di più per udirla.

Un’altra voce s’intromise nel discorso, subito Vàlì la riconobbe come quella di Thor. «Padre, ho promesso di tener d’occhio Loki e manterrò la mia parola. Non lascerò che l’Oscurità si impossessi nuovamente di lui. Ho già perso troppe cose durante la guerra contro i Chitauri; non perderò anche mio fratello. Non di nuovo», fece una pausa e Vàlì si premette le mani sulle labbra per reprimere un urlo.

Quel Gigante di Ghiaccio era il fratello di Thor? Ma com’era possibile? E perché sua madre stava parlando con lui, qualche sera prima? Forse si conoscevano? E se era così, perché nessuno glielo aveva detto? E poi… promessa? Che promessa? Perché lo tenevano sempre all’oscuro di tutto?!

«Questo ti fa onore, Thor, ma al momento non è una guardia che urge. Siamo tutti a conoscenza del patto che Loki ha stretto con Thanos, e siamo a conoscenza anche del fatto che è solo questione di tempo prima che torni a rivendicare ciò che vuole: la sua vendetta nei confronti di Asgard e di Midgard» Continuò il Padre degli dèi, il timbro della voce pacato e austero.

Vàlì aggrottò la fronte, costernato. Pericolo? Che pericolo? Chi era Thanos? E che patto aveva stretto con Loki? E cosa voleva da loro? Era tutto così confuso. Se solo avesse potuto chiedere spiegazioni!

«Per questo dobbiamo agire in fretta. Il matrimonio fra lady Emily e Loki sarà solo una scusa per radunare gli eserciti senza destare sospetti; arriveranno esseri da tutti i Nove Regni e, una volta conclusasi la cerimonia, spiegherò a tutti loro la gravità della situazione e, ne sono certo, stringeremo alleanze in grado di sconfiggere quelle creature deviate. Ho già mandato i miei paggi più fidati per consegnare gli inviti, sono certo che nessuno di loro oserà declinarli» Disse.

«Ma padre degli Dèi! Questo è un…».

«Un inganno, sir. Fandral, e in piena regola. Lo so benissimo. Ma alle volte è meglio mentire per un bene superiore, piuttosto che vivere in una verità sconveniente a tutti» Rispose Odino, zittendolo.

La testa gli girava, per un attimo Vàlì credette di svenire. Matrimonio? Aveva sentito bene? No, doveva certamente essersi sbagliato. Sua madre non poteva sposare il Dio degli Inganni. Non lo conosceva neanche e poi lui era un ex prigioniero ed era anche antipatico ed egoista. Cosa avrebbero detto i suoi compagni? Lo avrebbero deriso per sempre, ecco cosa! No, no, no... non poteva fargli una cosa simile. Sua madre non poteva davvero sposarsi con un altro uomo! Suo padre doveva ancora tornare a casa e, Vàlì lo sapeva, sarebbe stato proprio come lo aveva sempre immaginato: bello, forte e pieno di onore proprio come Thor, diverso da quell’assassino malvagio e bugiardo. Perché nessuno diceva nulla? Perché Thor permetteva che accadesse una cosa del genere? Lui aveva sempre difeso sua madre… perché adesso restava in silenzio? E perché nessuno gli aveva detto nulla riguardo al matrimonio?

«Quindi la condanna verrà rimandata a dopo il matrimonio?», continuò Fandral, sbuffando. «Che destino crudele. Oltre il matrimonio, che di per sé è già una condanna, la morte!», esclamò, ridendo. Alla sua risata, si aggiunsero anche quelle di Volstagg e Sif. Vàlì non poteva vederlo, ma era certo che sul suo viso si era delineato un sorriso canzonatorio. «Perlomeno, questo strazio durerà poco. Quando il matrimonio verrà concluso, al caro Dio degli Inganni verrà tagliata via la testa».

«Quieta i bollenti spiriti, Fandral. Non ho ancora finito di parlare» Disse il Padre degli Dèi, zittendolo. Vàlì fece una smorfia, deluso. Non gli sarebbe affatto dispiaciuto se quel tizio fosse sparito. Il solo pensiero di vederlo vicino a sua madre era insopportabile; assolutamente impensabile.
Improvvisamente, tutti tacquero e lui avvicinò ancor di più l’orecchio alla porta: il cuore che stava per uscirgli dalla gola, tanto gli batteva forte, e un sudore freddo che gli scendeva lungo le tempie. Voleva sapere di più. Doveva sapere di più!

«Secondo le Sacre Scritture, un uomo può essere giustiziato solo dopo che il suo primogenito maschio ha compiuto la maggiore età, in quanto la sua famiglia necessita di un capofamiglia. Solo in quel momento potrà essere sottomesso alla giustizia divina» Disse Odino con una solennità quasi paurosa, che lo fece rabbrividire.

Udì Volstagg mormorare qualcosa in direzione di sua madre e Sif sbuffare forte, impaziente.

«Padre degli dèi, vi prego di perdonare la mia insolenza, ma Loki non ha alcun figlio maschio, dunque non vedo perché posticipare inutilmente l’esecuzione» Berciò infastidita, e Vàlì poté quasi sentire il clima di tensione calato di colpo sulla stanza. Non seppe spiegarsi il perché, ma anche lui trattenne il respiro, agitato come non mai.

Quel Gigante di Ghiaccio non poteva sposare sua madre. Non poteva ... Non poteva!

Poi una voce parlò. E con sbigottimento, Vàlì la riconobbe come quella di sua madre.

«Ti sbagli, lady Sif. Vàlì è il figlio di Loki».






- Note di Harmony394.
 
 
 Dan dan daaaaaan!

Ed eccomi qui! Con un giorno di ritardo, ma sì. Ce l'abbiamo fatta! :,D
Da questo capitolo in poi si entrerà nella storia vera e propria. Spero di non deludere nessuno!
Giusto per informativa: adoro scrivere di Vàlì. Spero che tutto il mio entusiasmo sia espresso bene nella storia xD

Loki è quello di sempre. Non intendevo cambiarlo nel prequel e non lo cambierò adesso. In fondo lui è pur sempre il Dio degli Inganni, un bugiardo di prima categoria e, sotto certi versi, un egoista avido di potere (e un egocentrico che vuole sempre sentire ripetere il proprio nome. Ndr). Per quanto chiunque al suo posto si comporterebbe diversemante (magari mostrando un po' di riconoscenza...) lui dubito lo farebbe, se non per il proprio tornaconto, o almeno questo è il mio punto di vista. Detto ciò: tenetelo d'occhio! :P
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ci rivediamo la settimana prossima - se tutto va bene. :)

 
Ringrazio vannagio per aver betato il capitolo! Sei sempre gentilissima. Grazie di cuore <3 <3
Grazie mille anche a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo. Leggere i vostri pareri mi rende sempre felice. Vi ringrazio di cuore per l'affetto che dimostrate ogni volta. Siete gentilissimi e non finirò mai di ringraziarvi. :)

Vi lascio il mio link di Facebook, caso mai qualcuno volesse mettersi in contatto con me:
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Grazie per aver letto fin qui. :)

Un bacione!


P.S: La canzone è Fix You dei Coldplay.

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Capitolo 6
*** Bloody truths ***


~Bloody truths


Guileless son,
Your spirit will hate her
The flower who married my brother the traitor
And you will expose his puppet behaviour
For you are the proof of how he betrayed her

 
 

«Cosa?», il primo a parlare fu Volstagg e nel suo tono di voce Emily lesse tutta la sorpresa che quella rivelazione gli aveva procurato. «Com’è possibile?! Non ce lo avete mai detto. Tutti noi… tutti noi pensavamo che il ragazzo fosse…», i suoi occhi viaggiavano da una persona all’altra, come se così facendo potesse trovare la risposta giusta da dare. Guardandosi attorno, Emily si accorse che tutti i presenti, esclusa la famiglia reale, avevano assunto la stessa espressione. Stranamente, non ne fu sorpresa.

«Il figlio di qualcun altro?», chiese con tranquillità, ma il suo sguardo era colmo di amarezza. Non aveva mai rivelato a nessuno le discendenze di Vàlì. Nonostante la somiglianza di quest’ultimo col padre fosse ormai fin troppo evidente e delle voci avessero cominciato a girare per il palazzo, Emily aveva preferito mantenere il segreto, temendo le ripercussioni cui sarebbe potuto andare incontro suo figlio, per mano di individui decisi a vendicarsi di Loki. Spesso il silenzio è la migliore arma di difesa e questo Emily lo aveva imparato a sue spese.

A pochi metri da lei, Fandral aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione dubbiosa e frastornata. Sulle sue labbra sembravano danzare una decina di risposte plausibili ma alla fine rimase in silenzio, troppo sconvolto per spiccicare parola. Al suo posto parlò Sif che, tra i quattro, sembrava la più confusa di tutti.

«Lady Emily, noi credevamo che Vàlì fosse…», fece una pausa, indecisa se continuare o no, e rivolse un’occhiata a Thor che la guardava con espressione grave a sua volta. «… che fosse il figlio di Thor», dichiarò. Emily e Thor si guardarono perplessi, senza parole, entrambi sconcertati; infine scoppiarono a ridere, ma la loro fu una risata nervosa e alterata, decisamente imbarazzata. Persino Frigga e Odino si scambiarono uno sguardo confuso, come se avessero appena udito una filastrocca di pessimo gusto che non faceva affatto ridere, ma non proferirono parola. Dal canto loro, i Tre Guerrieri continuarono ad osservare i diretti interessati con incertezza e occhi pieni di dubbio.

« Ci vuole molta fantasia per credere una cosa del genere, ve lo concedo, ma mancate di spirito di osservazione. Persino uno sciocco guardando Vàlì capirebbe che si tratta del figlio di Loki, non di certo del mio.» Rispose Thor, aggrottando la fronte. La sua espressione era beffarda, quasi derisoria, ma quella venatura di serietà, che era comparsa dal suo ritorno ad Asgard, persisteva ancora sul suo sguardo.

Emily notò Sif tirare un sospiro di sollievo e tutti gli altri passarsi una mano sul viso, scossi. Lei alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, piccata.

«Inoltre», prese la parola. «Non mi capacito di come possano frullarvi per la mente certe idee malsane. Thor è sempre stato come un fratello per me. Credevo che questo fosse chiaro a tutti», sospirò e prese a tamburellare un piede sul pavimento, irritata e anche un po’ indispettita dalle idee dei compagni. Non riusciva a credere che avessero sul serio pensato una cosa del genere per tutto quel tempo!

Accanto a lei, Thor fece una smorfia tirata, decisamente nervosa. Quel discorso non aveva fatto altro che appesantire la tensione, piuttosto che alleggerirla.

«Be’, lo credevano tutti. Voglio dire… era tutto un po’ strano, no? Thor torna ad Asgard dopo il suo esilio su Midgard, tu vieni trasferita al palazzo e dopo pochi mesi tutta la corte scopre che sei incinta. Di chi, ovviamente, non si sa. Tu non hai voluto dire nulla a riguardo e tutti noi abbiamo quindi dedotto che Vàlì fosse il figlio di Thor. Insomma, c’erano troppi interrogativi che facevano presupporre una cosa del genere! E poi… Oh, andiamo, guardatevi! Da quando Loki è caduto da quel dannato ponte non fate altro che stare appiccicati e Thor passa più tempo col ragazzino che con noi. Sì, lo so che Vàlì assomiglia abbastanza a quell’inetto di Loki, ma a noi chi assicurava che non fosse solo una coincidenza? Avevamo tutto il diritto di crederlo!» Ribatté a quel punto Volstagg, rosso in volto per la vergogna e le mani sudaticce che armeggiavano nervosamente fra di loro. A quelle parole, Thor sospirò forte e si passò una mano sul volto, stufo di quella discussione.

« Emily ed io passavamo molto tempo insieme non perché avevamo una relazione, bensì perché entrambi condividevamo il dolore di un lutto. Il fatto che preferisca passare più tempo con Vàlì piuttosto che con voi credo sia una menzogna. E non è affatto vero che trascorro più tempo con Vàlì piuttosto che con voi, poiché non passa giorno in cui non mi alleni in vostra compagnia o condivida con voi qualche aneddoto del passato. Le vostre accuse sono insensate e imbarazzanti. Inoltre, dovete ritenermi davvero meschino se credete che vi avrei tenuti all’oscuro di una cosa tanto importante per tutto questo tempo» Disse Thor, gli occhi ridotti a due fessure azzurre e le labbra inclinate in una smorfia colma di rimprovero. Sif e i Tre Guerrieri chinarono lo sguardo, colpevoli, ma prima che potessero dire qualcosa Odino prese la parola.

«Basta così», disse, avanzando di un passo. «Non vi ho riuniti qui per intavolare un discorso su chi pensavate fosse il padre del giovane Vàlì. Queste discussioni vi pregherei di lasciarle a dopo».

«Certo. Chiediamo perdono, Padre degli Dèi» Mormorò Fandral, chinando il capo in segno di rispetto. Gli altri fecero lo stesso.

Odino annuì mestamente. «Bene. Dunque, secondo le Sacre Scritture, Loki dovrà rimanere in vita fino al compimento dei ventuno anni di età di Vàlì Laufeyson, in quanto egli dovrà obbligatoriamente crescere la propria prole finché essa non sarà in grado di badare a se stessa. Questo è un comando che proviene direttamente dagli Antichi Dèi, al quale neppure io posso oppormi. Lo stesso vale per la promessa fatta a lady Emily prima della sua dipartita: in un modo o nell’altro Loki dovrà mantenerla. Dal loro matrimonio trarremo grandi benefici e numerosi alleati.  In questo modo Loki avrà la possibilità di saldare una minima parte del suo debito nei confronti di Asgard».

Frigga, rimasta silente per tutto quel tempo, si decise a prendere la parola: Emily notò che aveva smesso di tremare e sembrava essersi gradualmente tranquillizzata. Era sollevata, costatò, e probabilmente lo sarebbe stata anche lei, se solo lo sguardo di ghiaccio che Loki le aveva indirizzato nella Sala del Trono non le fosse tornato costantemente in mente, mettendole a soqquadro lo stomaco. Lei voleva davvero salvare Loki, far tornare tutto come era prima e diventare sua moglie, solo che adesso non era più sicura che fosse la cosa giusta da fare.

Non servirà a nulla. Non vedi come ti osservano? Sono già a conoscenza di tutto. Sanno che, prima o poi, Loki andrà di nuovo via da te, che fuggirà. È solo questione di tempo. Stai solo inseguendo un’utopia irrealizzabile. Qualcosa che hai già perso.

No. Loki è di nuovo qui con me. Non andrà via! Lui… lui tornerà quello di sempre!

E se così non fosse?

Allora lo accetterò per quello che è diventato.

Un assassino?

Una persona diversa!

Stai giocando col fuoco.

Le fiamme non mi bruceranno.

Morirai.

Sarà una morte indolore!

Perderai ogni cosa.

Non posso. Ho già perso tutto.

«Quando si terrà la cerimonia?» La voce di Frigga la riportò violentemente alla realtà, distogliendola dai propri pensieri. Da quando Loki era caduto dal Bifröst, Emily non aveva fatto altro che mentire a se stessa, cercando di rivoltare le questioni a suo vantaggio e dicendo bugie sopra bugie. Era buffo, in fondo. Proprio lei, che aveva sempre accusato Loki di essere un inguaribile bugiardo, adesso diceva un oceano di menzogne pur di non affogare in una realtà troppo dolorosa da sopportare.

Per questo quando realizzò cosa la Regina aveva appena chiesto a Odino un brivido le salì lungo la schiena e si sentì raggelare. Adesso non aveva più alcuna bugia da dire.

«Gli inviti dovrebbero giungere a destinazione entro domani, dunque suppongo che una settimana d’attesa sia più che sufficiente. Nel frattempo, terremo il banchetto di fidanzamento, cosicché da non insospettire troppo il resto della nobiltà e tenerla quieta. Vi pregherei di non fare parola di quanto detto oggi con nessuno. Lady Emily, mi auguro che tu sia d’accordo con me» Parlò Odino, scrutandola: le sue sopracciglia bianche e folte aggrottate gli conferivano un’espressione austera e grave. Emily assentì velocemente e chinò il capo, in soggezione.

«Certo, mio signore» Biascicò, maledicendosi per non aver chiesto qualcosa di più riguardo alla cerimonia.

Odino strinse le labbra ed Emily, con la coda dell’occhio, intravide una luce di rimprovero nei suoi occhi.

«Allora ti pregherei di far promettere a tuo figlio di tacere, poiché tutto quello che sappiamo noi, adesso, lo sa anche lui» Disse. E prima che potesse capire cosa stesse accadendo, Odino spalancò i portoni e rivelò la figura ossuta e mingherlina di un bambino di circa sei anni che, con orrore, riconobbe come Vàlì.

Osservando il suo sguardo colmo di smarrimento e confusione, Emily capì che aveva sentito tutto.

 

È solo un brutto sogno.

Vàlì continuava a ripetersi queste parole con una costanza e una convinzione tali che per un momento ci credette sul serio. Ma quando si accorse di star credendo solo a un’amara bugia, si sentì perduto.

 Le parole di sua madre rimbombavano ancora forti e decise nella sua mente. La sorpresa per il matrimonio tra lei e il Dio degli Inganni gli attanagliava lo stomaco, ma era niente in confronto al terrore cieco che si era infiltrato nelle sue ossa quando aveva udito la frase: Vàlì è il figlio di Loki.

Lo stordimento era tale da non riuscire a respirare e aveva l’impressione che il cuore avesse smesso di battere.

Era successo tutto troppo in fretta, tanto che faticava ancora a dare un preciso ordine cronologico agli eventi, eppure era tutto lì, nella sua mente, e lui ricordava benissimo: l’atmosfera pesante come una coperta bagnata che vigeva nella Camera delle Riunioni; gli occhi di tutti che si puntavano con sgomento su di lui, facendolo sentire ancor più piccolo e spaurito di quanto non fosse già; il caleidoscopio di ricordi e suoni confusi che gli esplodevano nella mente; lo sguardo cattivo del Dio degli Inganni, i suoi occhi che divenivano del colore del sangue, il suo pugno che picchiava forte contro il vetro della cella, le parole cattive e egoiste che gli aveva rivolto.

In quel momento, Vàlì aveva capito perché i suoi capelli erano neri anziché rossi, perché tutti lo deridevano e perché era per metà uno Jotun. Non era un semplice caso, un dono che gli Antichi dèi avevano voluto dargli per spingerlo a divenire più forte. C’era un motivo dietro. Ed era terribile.

Loki Laufeyson era suo padre. E lui era il figlio di un assassino.

Quella verità gli era arrivata addosso in modo così violento e brutale da terrorizzarlo. La vista gli si era offuscata di colpo e le dita avevano preso a tremare senza sosta, freneticamente. Non era più riuscito a spiccicare parola, a ragionare con lucidità: era stato come vedere tutti i castelli che avev costruito in quegli anni crollare al suolo con un rumore assordante, che gli straziava il cuore. La speranza di avere un padre forte e onorevole come Thor scomparve, lasciando solo spazio ad un’amara e indesiderata realtà. In passato, Vàlì aveva chiesto agli Antichi Dèi di rivedere suo padre, di poterlo riabbracciare e dirgli che gli voleva bene. In quel momento, invece, aveva sperato con tutto se stesso che se ne andasse di nuovo, questa volta per sempre.

Non voleva un assassino come padre. Voleva che fosse una persona stimabile, forte e valorosa come Thor, di certo non cattivo e sovversivo come il Dio degli Inganni. Questo non lo aveva mai desiderato. Loki Laufeyson gli incuteva paura. O perlomeno, gliene incuteva da quando aveva fatto del male a sua madre, facendola piangere, e da quando lo avevano fatto uscire dalla sua cella. Anche prima aveva paura, ma Vàlì faceva finta di non averne perché avere paura significa essere deboli e lui non era un debole.

Adesso, sua madre si trovava a pochi metri da lui: le labbra sottili ridotte a una linea rigida e obliqua e gli occhi azzurri, uguali ai suoi, sgranati più del dovuto. Continuava a stringere forte la stoffa del proprio abito in un chiaro segno d’ansia, ad aprire e chiudere le labbra a intermittenza come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole. Ciò non fece altro che irritarlo ulteriormente e Vàlì dovette mordersi forte la lingua per impedirsi di urlarle contro. Perché gli aveva tenuto segreta una cosa del genere? Perché non poteva semplicemente far tornare tutto com’era prima?

«Vàlì…» Lo sguardo di sua madre era lo stesso che aveva lui quando osservava un uccellino caduto dal nido troppo presto. Ma lui non era un uccellino: era un lupo forte e astuto, e i lupi non cadevano; i lupi si rialzavano e combattevano fino allo stremo delle forze. Eppure, Vàlì si ritrovò a tremare.

Si guardò attorno, disorientato, scoprendo che gli sguardi di tutti i presenti erano fissi su di lui in attesa di una sua reazione; solo il Padre degli dèi sembrava estraneo a quella scena: i suoi occhi erano rivolti verso il basso e le sue labbra erano serrate. Sembrava voler dire qualcosa: una cosa dolorosa, che faceva male persino pensarla, eppure continuava a restare in silenzio, vigile, in attesa di qualcosa. Che cosa, Vàlì non lo seppe mai.  

«Vieni qui» Sua madre lo chiamò di nuovo, questa volta con più decisione di prima, ma la sua voce gli arrivò alle orecchie lontana come un’eco e, prima che potesse rendersene conto, Vàlì era già fuggito via nei meandri del palazzo in cerca di un posto dove andare. Mentre correva, si accorse che le finestre, il pavimento e persino i muri erano sbiaditi, opachi. Solo quando sbatté le palpebre e qualcosa di umido e appiccicoso scese lungo la sua guancia, si rese conto che non erano le pareti ad essere offuscate, ma il suo sguardo. A causa delle lacrime.

No, no, no! Non devo piangere! Non devo! Non devo!

Si sfregò forte gli occhi con la manica della maglia, maledicendosi. Non era onorevole per un giovane lord farsi vedere in quello stato, questo i Sejdmen* glielo avevano detto più volte. Ma per quanto ci stesse provando, Vàlì non riuscì proprio a trattenersi. Il pieno significato di tutto ciò che aveva sentito quel giorno gli precipitò addosso come una secchiata d’acqua gelida. L’ordine di Odino, il viso sgomento e pallido di sua madre, la verità riguardo a suo padre. Tutto vorticava nella sua testa con ferocia. Vàlì chiuse forte gli occhi per opporsi alle lacrime che cercavano di uscire dai suoi occhi, strinse forte i pugni nel tentativo di calmarsi, ma alla fine si lasciò andare a un pianto liberatorio pieno di incomprensione, paura e rabbia. Tutto il suo mondo era stato sconvolto in meno di un giorno e lui non riusciva a fare altro che piangere e sperare che si trattasse solo di un orribile incubo.

Tornò in fretta e furia nelle proprie stanze, sperando che nessuno lo vedesse, ma quando entrò scorse una sagoma longilinea e dalle spalle larghe voltata verso il comodino che frugava fra la sua roba. Spaventato e ancora sconvolto, un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra e lo sconosciuto si voltò di scatto. Quando incontrò i suoi occhi gelidi, Vàlì sentì le gambe divenirgli molli e il cuore salirgli in gola.

Loki Laufeyson era davanti a lui. E non sembrava affatto felice di vederlo.



«Cosa ci fai qui, ragazzino? Queste sono le mie stanze. Chi ti ha dato il permesso di entrarci?» La sua voce risuonò bassa come un ringhio nel silenzio innaturale della sala e Vàlì si irrigidì ancor di più. Loki notò che i suoi occhi erano tremendamente sgranati, forse troppo, e lo fissava come se fosse un mostro.

Lo sei, gli ricordò una fastidiosa vocina interiore, ma lui la ignorò.

Si avvicinò al ragazzino con passo contenuto, giusto per soddisfare quella vocina interiore che implorava di sapere cosa stava succedendo. Non poté fare a meno di aggrottare la fronte quando Vàlì si allontanò di scatto da lui, andando a inciampare sui suoi stessi passi e finendo disteso a terra.

Guardandolo, Loki ebbe un brevissimo ricordo del se stesso bambino che veniva preso di mira dai soliti idioti prepotenti senza cervello. Storse il naso.

«Ho sbagliato stanza! S-Scusami, per favore, non intendevo offenderti!» Pigolò Vàlì, la voce strozzata e acuta più del normale. Loki continuava a non capire. Fino a qualche giorno prima lo aveva sfidato con una caparbietà degna di un leone, adesso invece lo supplicava di non fargli del male. Gli era successo qualcosa, pensò, ma non riusciva a capire cosa.

«Datti un contegno, ragazzo. Un lord di Asgard non striscia. Adesso rimettiti in piedi e dimmi cosa sta succedendo» Rispose, la voce ferma e autoritaria. Ma Vàlì non sembrava avere alcuna intenzione di muoversi. Era paralizzato dalla paura e i suoi occhi brillavano di una luce diversa da quella che aveva visto durante il loro primo incontro. Passò del tempo prima che Loki capisse: quello di Vàlì era lo stesso sguardo che aveva assunto lui quando aveva scoperto la verità riguardo alle sue discendenze.

Come se avesse intuito i suoi pensieri, Vàlì si alzò in fretta e furia da terra e fece per scappare dalla sala, ma Loki fu più veloce e in gesto istintivo gli afferrò il polso e lo costrinse e fermarsi. In un primo momento non capì perché lo avesse fatto, ma quando Vàlì voltò il capo verso di lui, incrociando il suo sguardo, gli fu tutto chiaro.

Nessuno aveva fermato Loki quando era fuggito via.

Negli occhi di Vàlì, Loki lesse tutto il suo smarrimento, la paura, una situazione che un bambino di soli sei anni non avrebbe mai dovuto vivere. Capì ciò che gli era successo senza bisogno di parole, i suoi occhi parlavano per lui. In quegli stessi occhi, Loki rivide se stesso.

«Mi dispiace» Sussurrò a un tratto, forse più a se stesso che a Vàlì. Lui non rispose, si limitò a tirare su col naso e spostarsi i capelli corvini dalla fronte.
«Perché hai ucciso quelle persone?» Domandò Vàlì, alzando lo sguardo su di lui. Loki si sentì trapassare da parte a parte. Si chiese quanti bambini dell’età di Vàlì avesse ucciso e provò terrore nel costatare che, in verità, preferiva non saperlo.

 «Sarebbero morte comunque» Rispose. E quella era una mezza verità.
«Allora farai del male anche a me e mia madre?».

Loki non seppe cosa rispondere: quella domanda lo aveva colto impreparato. Inizialmentesoppesò l’idea di rispondergli di sì, giusto per poterlo ricattare e tenerlo buono, ma quando incrociò nuovamente il suo sguardo pieno di speranza e paura, terribilmente simile a quello del se stesso bambino, le parole uscirono dalle sue labbra prima ancora che potesse rendersene conto.

«No» Mormorò, e per un istante, un breve, brevissimo istante, vide Vàlì rilassarsi e tirare un sospiro di sollievo. Loki si sentì quasi in colpa, perché sapeva di aver appena detto l’ennesima bugia.

Passò del tempo prima che riprendessero a parlare, durante il quale Vàlì sembrò, seppur di poco, essersi calmato. Di questo Loki non seppe se esserne sollevato o no, perché si sa che una quiete forzata è persino peggiore di una tempesta.

«Prima ho sentito una cosa. Voglio sapere se è vera… E voglio saperlo da te» Disse. Loki aveva già capito qual era la domanda. Solo, non era ancora pronto a rispondere.

«Sei tu mio padre?».

Loki rimase in silenzio. Per la prima volta, si accorse, non era in grado di formulare nessuna bugia.

Avrebbe potuto rispondere di no, andarsene e lasciare tutto com’era; ma c’era qualcosa dentro lui, non sapeva spiegarsi esattamente cosa, che non aveva mai sentito prima e che sembrava volergli spaccare il petto tanto spingeva forte per uscire fuori. Era come se tutto il suo corpo fosse schiacciato da un enorme macigno impossibile da scalfire e lui ne stava avvertendo tutto il peso addosso, terribile e gravoso come non mai. Non riusciva a parlare, a mentire. E come poteva, in fondo? Lo sguardo di Vàlì era così carico di aspettativa e innocenza che al solo pensare di fargli del male Loki si sentiva il peggiore dei vermi. Eppure doveva farlo, doveva mentire. Vàlì voleva soltanto sentirsi dire che suo padre non era un assassino, il mostro dalla quale i genitori mettevano in guardia i propri figli la notte.

Una voce irruppe nel silenzio innaturale della stanza e Loki ritornò con prepotenza alla realtà.

«Vàlì!» Il volto lentigginoso e carico di ansia di Emily gli si parò davanti di colpo e Loki ringraziò tutti gli dèi Antichi e Nuovi per averlo tolto da quella situazione divenuta troppo intricata persino per lui. Vàlì si girò nella direzione della madre, riservandole uno sguardo allarmato, ma non oppose resistenza quando lei lo scosse per un braccio con forza, piena di preoccupazione.

«Perché sei scappato? Mi hai fatto preoccupare!» Lo rimproverò. Vàlì tentò di liberarsi dalla sua presa con rabbia ed Emily lo mollò.
«Stavo parlando con lui!», berciò, irritato. Loki poté sentire tutto il suo nervosismo mentre pronunciava quelle parole. «Ci hai interrotti! Vattene via!».

Fu sorpreso nel sentire quelle parole ma non disse nulla e rimase in silenzio ad ascoltare. Probabilmente era la prima volta che Vàlì rispondeva in quel modo a sua madre. Lo dedusse dal cipiglio sorpreso e accigliato di chi non ha ben inteso cosa sia successo sul volto di Emily.

Solo in quel momento la suddetta parve capire che nella stanza era presente anche Loki. Rimase in silenzio, a squadrarlo come se lo vedesse per la prima volta, infine distolse lo sguardo e si rivolse a Vàlì. Loki sentì la scheggia sotto le unghie tornare a pizzicare e arricciò le labbra infastidito. Odiava essere ignorato.

«Sì», rispose, così piano che Loki dovette sporgersi in avanti per capire cosa avesse detto. «Vi ho interrotti, mi dispiace. Ma mi avevi fatto preoccupare e sono subito venuta a cercarti», disse gentilmente. Loki ghignò: dopo tutto quel tempo, Emily aveva finalmente capito che solo con la calma e la pacatezza si otteneva qualcosa. Infatti, come previsto, le spalle di Vàlì si rilassarono e il suo viso divenne meno aguzzo. Dal modo in cui si mordeva le labbra, Loki capì che stava cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime.

«Che ne dici se ce ne torniamo nella nostre stanze, ci mettiamo sotto le coperte e ti racconto una fiaba? Devi essere molto stanco.» Sussurrò Emily con una tenerezza tale da far sentire Loki spaesato. Allargò le braccia in direzione di Vàlì come a volerlo spingere ad andare da lei. Vàlì tentennò un po’, si morse forte il labbro e rivolse un’occhiata indecisa nella direzione di Loki, come se stesse soppesando l’idea di restare lì con lui e avere le risposte che cercava invece di correre da sua madre. Non se lo seppe spiegare bene, ma dentro di sé Loki sentì un groviglio di sentimenti contrastanti e per un istante, giusto il tempo di un battito di ciglia, sperò che Vàlì restasse lì con lui.

Sentimento che venne subito cancellato quando, senza alcun preavviso, il bambino si fiondò svelto tra le braccia della madre stringendola talmente forte da sprofondare nel suo abbraccio. Lei ricambiò la stretta con la medesima forza, lasciò un tenero bacio sulla nuca del figlio e infine lo prese in braccio e fece per andare via.

Prima di girare il pomello della porta e uscire, però, si voltò verso Loki e lo guardò fisso, quasi come se dal suo viso potesse ricavare le parole che cercava. Sospirò.

«Grazie» Sussurrò infine, e Loki non seppe cosa risponderle. Quando però le porte vennero chiuse e udì i suoi passi allontanarsi, capì che non c’era nulla da dire.


 

«Che favola vuoi che ti racconti?» La sua voce era calma e tranquilla, eppure l’unica cosa che Emily avrebbe voluto fare in quel momento era piangere e non fermarsi più. Non poteva farlo, lo sapeva, non adesso che Vàlì era in quello stato. Doveva mantenere il controllo e mostrarsi tranquilla come se nulla fosse successo, comportarsi da madre. Non poteva sapere cosa passasse per la testa di suo figlio in quel momento, ma era certa del fatto che un bambino di soli sei anni non sarebbe mai dovuto venire a conoscenza di una verità tanto importante in modo così indelicato. Se gli fosse accaduto qualcosa, Emily non se lo sarebbe mai perdonata.

Vàlì non aveva pianto, né aveva detto qualcosa riguardo all’accaduto. Era rimasto in silenzio. Uno di quei silenzi strazianti che uccidono chi è costretto ad ascoltarli, ed Emily si era sentita così inutile e in colpa da non riuscire a spiccicare parola. Erano rimasti entrambi in silenzio: Vàlì con la testa poggiata sul suo grembo e lei che continuava ad accarezzargli i capelli. Poi il silenzio fra di loro era divenuto troppo opprimente ed Emily si era costretta a prendere la parola, a distrarlo in qualche modo.

«Non voglio storie», aveva risposto Vàlì con una serietà tale da sorprenderla per un istante. «Sono stufo delle tue stupide storie. Voglio la verità, adesso».

Le dita di Emily smisero subito di scorrere fra i capelli arruffati di Vàlì e il suo cuore mancò un battito, raggelandola. Rimase in silenzio, ma Vàlì non demorse.

«Quello che hai detto al Padre degli Dèi… è vero? Quell’uomo è davvero mio padre e tu stai davvero per sposarlo?».
«Vàlì, è tardi dovresti dormir–».
«No! Voglio sapere la verità! La voglio sapere subito!» Urlò Vàlì issandosi subito a sedere. Emily strinse forte la stoffa della gonna fra le dita ma non distolse lo sguardo da suo figlio – non ne aveva il coraggio.

Doveva dire la verità? O forse sarebbe stato meglio mentirgli, inventare una scusa e fare finta che non fosse successo niente? E se così avesse fatto, questa sarebbe stata la cosa giusta da fare? Altre bugie avrebbero davvero riparato ciò che altre bugie avevano rotto?

«Allora?», la voce minuta e tentennate di Vàlì la riscosse dai suoi pensieri bruscamente, mozzandole il fiato. «Allora?!», ripeté Vàlì, più forte e insistente di prima. Nel suo sguardo, Emily lesse molte più parole di quante ne stesse realmente dicendo e tutte, nessuna esclusa, dicevano una sola cosa: voglio la verità.

Emily sospirò forte e strinse Vàlì in un abbraccio, tenendolo stretto nonostante lui si stesse dimenando con forza. Sperò che così facendo un po’ del suo dolore, della sua paura e incomprensione passassero da lui a lei. Si ritrovò a pensare che certi ritorni erano più dolorosi di certi addii e che quello di Loki ne era la prova. Forse, si disse, se non fosse tornato sarebbe stato meglio.

«Sì», sussurrò, stringendo di più il corpicino di Vàlì. È così piccino, pensò, così piccino… «Sì, è lui il tuo papà, Vàlì. È sempre stato lui. Perdonami per non avertelo detto prima, perdonami…», continuò, sempre abbracciandolo forte, e improvvisamente l’irrequieto dibattersi di Vàlì si arrestò di colpo e tutto il suo corpo si irrigidì come una statua di sale. Emily continuo a baciargli forte il capo, le guance e la fronte, come a volergli ricordare che lei era lì, che ci sarebbe sempre stata e che avrebbe fatto di tutto per proteggerlo. Poi, ad un tratto, Vàlì si lasciò sfuggire un singhiozzo, poi un altro e poi un altro ancora, finché tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento non sgorgarono dai suoi occhi tutte insieme e il pianto gli scosse forte le spalle. Si accoccolò di più sul petto di Emily e strinse forte il tessuto della stoffa del suo vestito, singhiozzando sempre più forte. Emily lo aveva sentito piangere poche volte, ma ogni volta si era sentita male tanto quanto il figlio. Quella volta era una di quelle volte.

Perdonami, Vàlì. Niente più bugie, te lo prometto. Mai, mai più…

Prese a cullarlo avanti e indietro nel tentativo di calmarlo, proprio come quando era più piccolo, ma lui continuava a singhiozzare e lei a sentirsi sempre più inutile. Incominciò a intonare una melodia di una vecchia nenia che ricordava aver cantato a Vàlì da bambino e lui, seppur di poco, parve calmarsi. Confortata, Emily aggiunse alla melodia delle parole e mentre cantava accarezzava con delicatezza i capelli del figlio, quasi temesse di poterlo spezzare.

*A naoidhean bhig, cluinn mo ghuth
Mise ri d’thaobh, o mhaigdean bhàn
Ar ribhin òg, fas a’s faic
Do thir, dileas féin

E mentre intonava la canzone, i singhiozzi di Vàlì si attenuavano sempre più, lasciando solo i solchi delle lacrime che il pianto aveva tracciato sul suo volto. Emily continuava cantare, come se in quel modo, oltre che Vàlì, potesse acquietare se stessa.

A ghrìan a’s ghealach, stiùir sinn
Gu uair ar cliu’s ar glòir
Naoidhean bhig, ar ribhinn òg
Maigdean uasal bhàn

Non seppe quanto tempo passò, ma a un certo punto Emily non sentì più Vàlì piangere. Chinò il capo e vide che si era addormentato, troppo provato dagli eventi e dal pianto per restare sveglio. Cercò di sorridere, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu sospirare forte, pesantemente. La sua mente tornò a Loki, ripensò ai suoi occhi pieni di sgomento e angoscia quando aveva scoperto di essere il figlio di Laufey, alla paura che lo aveva pervaso, e la sua presa su Vàlì si rafforzò.

Loki…

Fece sdraiare Vàlì sul letto e gli rimboccò le coperte, guardandolo con dolcezza mentre respirava forte nel sonno. Infine, decise che anche per lei era giunto il momento di dormire. Forse, così, la tristezza sarebbe svanita almeno per un po’.

Un attimo prima di addormentarsi, Emily ripensò a ciò che Odino le aveva detto riguardo al matrimonio, rivide lo sguardo affilato di Loki che la trapassava da parte a parte e gli occhi accusatori della folla che aveva assistito al processo puntati su di lei. Un brivido le salì lungo la schiena. Chiuse gli occhi e cercò di non pensarci, ma si sa che i mostri escono sempre di notte, pronti a ghermirci nei nostri stessi letti, e adesso fuori era buio ed Emily era sola.

Quella notte, sognò un arco nuziale imbrattato di sangue e una voce, bassa e gutturale, che le sussurrava all’orecchio come un terribile presagio di morte. Non sapeva cosa dicesse, sapeva solo che era orribile e che lei voleva scappare. Sentì anche una risata sguaiata e delle mani fredde, viscide e terrorizzanti strisciarle su per la schiena. Quando si risvegliò era madida di sudore e il sole non era ancora spuntato. L’incubo appena fatto rese l’oscurità della stanza talmente spaventosa, che Emily scoppiò a piangere fino a mancarle il respiro. Cercò le mani di Loki, come ogni notte da quando lui era caduto dal Bifröst, ma non le trovò e il buio divenne ancor più fitto e minaccioso.
 

 
Lontano, in qualche punto remoto, un uccelletto pigolò per l’ultima volta.
Era caduto dal nido e la madre non aveva fatto in tempo a trarlo in salvo dal lupo.

 
 
 
 
 
 
 
 
- Note di Harmony394.
 
(1) Sejdmen: maschile della Vòlva. Sono degli antichi sacerdoti delle civiltà nordiche.
(2) La melodia che canta Emily è presa da The Brave, precisamente la canzone che Elinor canta a Merida per cullarla.
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ANGST. ANGST. ANGST E ANCORA ANGST.

Aaah, non avete idea di quanto sia bello scrivere roba angst. <3 <3 *Harmony394 gongola soddisfatta*

Ebbene, Eccomi di nuovo qui! :3 Ne approfitto per ringraziarvi nuovamente per isl sostegno che mi date attraverso le recensioni o i MessaggiPrivati. Siete sempre di più ed io... io... boh. Sul serio, non so che dire. Siete dolcissimi. S
ono felicissima che la ff vi piaccia! ç\\ç *commoss*

Questo capitolo è stato abbastanza duro da scrivere perché mettersi nei panni di Vàlì non è mica facile, soprattutto durante momenti simili. Spero di aver reso al meglio le sue emozioni! Se avete dubbi al riguardo non esitate a riferirmeli!

Ringrazio sentitamente vannagio per il betaggio! Sei sempre gentilissima, Vanna. Grazie mille ancora <3


Ci vediamo al prossimo capitolo! (E ricordate che ogni volta che non fate sapere a un autore cosa ne pensate della sua storia, un piccolo coniglietto, in qualche parte del mondo, piange! :P)

Bacioni, e grazie mille ancora! <3

P.S: Ecco qui il  mio link di Facebook:
https://www.facebook.com/harmony.efp.9
P.S.S: La canzone è: Mordred's Lullaby di Heather Dale.

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Capitolo 7
*** Hannibal ante portas ***


~Hannibal ante portas
 
Wake me up inside
call my name and save me from the dark
bid my blood to run
before I come undone
save me from the nothing I've become



 
Sognò un sogno antico.

Era solo. Attorno a lui c’era solo la roccia fredda.  

Sentiva suoni metallici e grotteschi provenire da chissà dove. L’aria era stantia e l’odore del sangue gli invadeva le narici. Il suo cuore non smetteva di battere: forte, forte, sempre più forte. Deglutendo si decise ad avanzare verso l’oscurità. Nel buio, udì delle voci farsi sempre più vicine, rauche e terribili, e un brivido freddo gli salì lungo la schiena. Calma, si disse Loki, la paura uccide più della spada*.

Eppure, in quella caverna c’era qualcosa di malevolo; le voci si facevano sempre più vicine e Loki si chiese se non stesse sbagliando a seguirle. Chiuse gli occhi e cercò di calmare il proprio battito cardiaco. Alzò le mani e prese a tastare il muro accanto a sé, cercando di vedere attraverso il tatto: incontrò il freddo della roccia, ruvida e aguzza. Poi sentì di nuovo l’odore del sangue, questa volta più forte e disgustoso di prima. Rabbrividì e si costrinse ad avanzare. Prima o poi, si disse, arriverò alla fine. C’è sempre una fine, per ogni cosa.

«La tua ambizione è gretta, nasce da un bisogno infantile. Noi guardiamo oltre la Terra: a mondi più grandi che il Tesseract rivelerà» Loki sentì quella voce entrargli nella mente come uno spettro, raggelandolo. Aveva già sentito quella frase, sapeva chi parlava dall’altro lato della grotta, e si sentì come se gli avessero artigliato il cuore in una morsa di ferro.

«Non avete ancora il Tesseract», sentì la voce del se stesso del passato parlare, poi un ringhio e infine un cigolio metallico. Il suono dei ricordi era il più atroce che avesse mai udito. «Non è una minaccia. Ma fino a quando non aprirò il portale, fino a quando la tua forza sarà al mio comando... sei solo parole», non riusciva a vedere ciò che stava accadendo, ma Loki aveva ancora ben impresso nella sua mente il sorriso sinistro che l’Altro gli aveva rivolto.

«Avrai la tua guerra, asgardiano. Ma se fallirai, se il Tesseract non ci verrà consegnato, non esisteranno Regni, o lune deserte, né crepacci dove lui non verrà a trovarti. Pensi di conoscere il dolore? Lui ti farà capire quanto quel dolore sia... niente!» Una mano fredda e viscida gli afferrò la gola, ma questa volta non era un ricordo. L’Altro era lì, proprio dietro di lui, il suo alito era fetido e stantio come lo ricordava, ma la sua presa era più forte, più dolorosa. Loki provò a urlare ma dalla sua bocca non usciva alcun suono. Si divincolò, ma la presa dell’Altro continuava a farsi più stretta, più mortale. Ad un tratto lo lasciò andare e Loki cadde a terra, più morto che vivo. Gli mancava l’aria e la gola gli doleva. Quando alzò lo sguardo incontrò quello di Thanos che sorrideva sardonico dall’alto della sua statura.

Fra le sue mani, si accorse Loki, reggeva qualcosa. Guardando meglio, capì che era un pettirosso: continuava a pigolare forte e in modo straziante a causa della stretta di ferro che Thanos esercitava su di lui, il suo becco era spalancato e i suoi piccoli occhietti erano spauriti e sgranati.

«Lascialo», disse istintivamente. Si sentiva terribilmente inquieto, come se qualcosa gli stesse artigliando forte il cuore. Non voleva che all’uccelletto venisse fatto alcun male; era troppo piccolo, troppo indifeso. «Lo stai uccidendo!».

Il sorriso obliquo di Thanos si fece ancor più pericoloso e Loki ebbe paura. Non per se stesso, ma per l’uccelletto. Era certo che fosse colpa sua se adesso si trovava in quella situazione, sua la colpa se stava per morire. La sua inquietudine doveva essere evidente, perché improvvisamente Thanos rise sinistramente e strinse più forte l’uccelletto che subito pigolò ancora di più. Nella mente di Loki, quell’urlo disperato risuonò come il pianto di un bambino.

«Non ha mantenuto la tua promessa, Loki Laufeyson», la voce di Thanos era tetra e profonda come quella di uno spettro. Loki ebbe un brivido e gli parve quasi che lunghe cose viscide e morte gli scivolassero giù per la schiena. «Io, invece, sì», sussurrò, e subito il pettirosso cominciò a pigolare ancora più forte, così forte che Loki stentava a credere che un esserino tanto piccolo potesse possedere tutto quel fiato. Prima che potesse realizzare cosa stesse accadendo, la stretta di Thanos aumentò ancora e Loki udì un rumore sinistro, quasi uno scricchiolio, provenire dall’uccellino. Poi, il silenzio.

Quando abbassò lo sguardo, Loki intravide il rosso del sangue che scivolava lento dalle dita del Titano e la testolina del pettirosso riversa sulla sinistra, esamine.

Desiderò urlare a squarcia gola, chiedere perché fosse accaduta una cosa simile. Si sentì così profondamente mortificato da non riuscire a respirare. Quel sangue, quel dannato sangue, continuava ad essere lì davanti ai suoi occhi, terrificante più di qualsiasi altra cosa, quegli occhi continuavano a fissarlo in cerca di aiuto e quello stramaledettissimo grido d’aiuto riecheggiava nella sua mente come un macabro requiem.

Aveva lasciato che lo uccidesse, che facesse del male a quel piccolo uccelletto innocente. Era colpa sua, se era morto.  Tutta colpa sua...

«Loki!».

Il petto gli faceva così male! Gli sembrava quasi di essere stato trapassato da parte a parte da una lama avvelenata, il cui veleno lo stava uccidendo lentamente e interiormente. La risata sguaiata di Thanos gli rimbombava forte nelle orecchie e il pianto disperato del pettirosso continuava a perseguitarlo. Era tutta colpa sua, se solo si fosse preso cura di lui. Se solo lo avesse protetto…

«Loki, svegliati».

Sentì un urlo di donna. Piangeva e chiamava un nome che Loki sapeva di conoscere ma che non riusciva a rimembrare. Tutto aveva preso a girare vorticosamente, divenendo un caleidoscopio di rumori, voci e immagini confuse. L’odore acre e metallico del sangue riprese a invadergli le narici, disgustandolo.

Che cosa ho fatto?

«LOKI!».

Si svegliò di soprassalto, il cuore gli batteva così forte da poter sentire il suo battito nella testa. I suoi occhi erano sgranati e apprensivi. Si passò una mano sul volto nel tentativo di calmarsi e inspirò profondamente: se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire il pianto disperato dell’uccelletto.

«Hai avuto un incubo», la voce pacata e profonda di Thor lo fece sobbalzare e solo in quel momento Loki si accorse di non essere solo nella stanza. «Stavi urlando», continuò.

Ancora con gli occhi impastati dal sonno, Loki osservò il volto di Thor come se lo vedesse per la prima volta. Infine, distolse lo sguardo, infastidito.

«Chi ti ha dato il permesso di irrompere nelle mie stanze?» Chiese, senza sforzarsi di dissimulare la propria irritazione.

Thor non raccolse la provocazione. «Sono venuto fin qui per parlarti, fratello. Riguarda il tuo matrimonio con Emily» Mormorò. Loki gli riservò un’occhiata carica di astio.

«Cosa vuoi che me ne importi? Ormai le mie parole valgono meno di niente. Avete preso decisioni senza il mio consenso, dichiarando al mio posto cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato. Continuate a comportarvi come se ve ne importasse qualcosa, quando sapete bene di star solo cercando di riparare l’irreparabile. Cosa sei venuto a fare, Thor? A schernirmi? Oppure a prenderti la tua rivincita personale?», la sua voce era carica di derisione e amarezza. Thor continuava a osservarlo di rimando senza dire una parola e ciò non faceva altro che accrescere la rabbia di Loki, che ancora scosso per l’incubo avuto non aveva proprio voglia o tempo di stare a sentire i piagnistei sentimentali del fratello. Forse una volta lo avrebbe fatto. Probabilmente, in un altro tempo, avrebbe persino finto un sorriso cordiale e avrebbe ascoltato ciò che Thor aveva da dirgli, giusto per potersi sentire un po’ partecipe nella sua vita, importante. Ma adesso quei tempi erano finiti e al posto del desiderio straziante di essere accettato si era fatto largo un sentimento diverso, malsano, che lui covava da sempre, che cresceva ogni giorno di più, dilaniando ogni minuscola parte di ciò che rimaneva della sua anima corrotta: la rabbia.

«Perché devi sempre comportarti così? Per una volta, una sola, dannatissima volta, non potresti mostrare un po’ di riconoscenza?!» La voce di Thor era carica di frustrazione e i suoi occhi azzurri erano ridotti a due fessure piene di rimprovero. Nel suo sguardo, Loki non vide più “Thor il Dio del Tuono” che tanto odiava, bensì “Thor il Fratello Maggiore” per cui in passato aveva provato invidia e ammirazione. Eppure, tra tutte le cose sbagliate che poteva dire, quella era la peggiore e Loki desiderò colpire Thor più di qualsiasi altra cosa al mondo. Balzò subito in piedi furioso e con labbra serrate per il disappunto: tutto di lui era un costante tremolio.

Si avvicinò a Thor con passo pesante e occhi pieni di furore, e gli puntò un dito minaccioso contro: i loro volti erano così vicini che Loki poteva contare ogni piccola ruga presente nello sguardo del fratello. «Io faccio quello che voglio, Thor», sibilò, improvvisando un sorriso obliquo, colmo di disprezzo e derisione. «E tu faresti meglio a tornare in quella gabbia dorata colma di menzogne che tanto ti piace, se non vuoi che ti ci chiuda io a calci. Mi hanno tolto i poteri, fratello. Non la rabbia. Quella resterà sempre».

«Anche nei confronti di tuo figlio?», le parole di Thor lo colpirono come un pugno in pieno volto e la rabbia dentro al suo petto si acquietò improvvisamente, facendolo sentire spaesato. Indietreggiò, come se le parole di Thor lo avessero scottato, e digrignò i denti.

«Adesso basta. Questa sceneggiata è durata fin troppo. Dimmi subito che cosa vuoi oppure vattene» Disse, colmo di collera.

Thor fece un respiro profondo e nei suoi occhi Loki colse una tristezza così disarmante che per un momento fu terrorizzato all’idea di essere stato lui a provocarla.

«Padre vuole vederti. Ritiene debba chiarire con te riguardo le tue nozze», Thor fece una pausa, in attesa di  una risposta pronta e tagliente da parte di Loki, ma quando costatò che non sarebbe arrivata, riprese a parlare. Loki dovette fare uso di tutto il suo buonsenso per non scaraventarlo fuori dalla dannata finestra. «Vuole solo che tutto torni come prima, Loki. Sono certo che anche tu lo desideri, nonostante tutto».

Loki ridacchiò piano, indolente e beffardo, ma nel suo sguardo non c’era nulla di felice: i suoi occhi erano freddi come il marmo e pieni di rabbia e disprezzo.

«Il mio unico desiderio, Thor» Parlò, avanzando nella direzione del fratellastro. «È quello di vedere te, Odino e tutta quella carcassa di idioti in ginocchio, in catene e preferibilmente prossimi alla morte. Non bramo ciò che non ho mai avuto, fratello. Il tempo mi ha forgiato e cambiato in meglio. Adesso non sono più lo stolto di una volta, sempre pronto a cercare insistentemente un appiglio a cui aggrapparsi, qualcosa in cui credere. Ho capito che è inutile perché io non ho mai avuto nessun appiglio, nessuna mano tesa nella mia direzione, non ho mai avuto niente. Solo ingiurie e derisioni per una colpa che non era la mia, per i peccati di qualcuno che non si è nemmeno preso la briga di uccidermi quando ne aveva avuto l’occasione. Se c’è una cosa che non desidero, Thor, è proprio tornare ad essere quello specchietto rotto che brillava di luce riflessa, mai realmente propria. Preferisco morire brillando di luce mia, piuttosto che vivere all’ombra di qualcuno come te».

Nella sala calò un silenzio pesante, e Loki sentì il peso di quel silenzio piombargli sulle spalle senza preavviso. Aveva immaginato che Thor avrebbe detto qualcosa, qualsiasi cosa, ma invece rimase zitto: lo sguardo grave e amareggiato di chi non riesce più a combattere. Loki avrebbe voluto prenderlo a pugni, tanta era la sua rabbia, perché quel silenzio non faceva altro che farlo sentire come il mostro che aveva sempre creduto di essere.

«Padre ti aspetta nelle sue stanze. Sarà meglio non farlo attendere…» Biascicò Thor, senza riuscire a celare la tristezza che ombreggiava tra quelle parole. Infine uscì dalla stanza: il passo lento e il respiro stanco che lo faceva apparire più vecchio di quanto non fosse realmente. Una volta che le porte vennero chiuse e i passi di Thor si fecero lontani, Loki venne pervaso da una rabbia feroce e il suo pugno andò a sbattere contro il muro, provocando una piccola crepa.

Maledetti tutti loro.

La sua mente era un vortice di pensieri e ricordi, tutti riguardanti il suo passato. Rimembrò l’invidia profonda nei confronti del fratellastro, lo sguardo colmo di orgoglio che Odino rivolgeva sempre a Thor e mai a lui, l’angoscia che lo aveva avvolto quando aveva scoperto la verità riguardo le sue origini. Loki ricordava tutto, ma il ricordo era troppo doloroso da sopportare e quindi chiuse gli occhi.

L’unica cosa da fare al momento era attendere: attendere che tutto si acquietasse, che la guardia di Odino si indebolisse e programmare il momento giusto per attaccare. Avrebbe ingannato di nuovo, si disse, avrebbe finto di nuovo e sarebbe fuggito di nuovo. Era solo questione di tempo. Bisognava solo aspettare.

Il problema era che a lui, di tempo, ne era rimasto ben poco.

Non esisteranno Regni, o lune deserte, né crepacci dove lui non verrà a trovarti.

Gli parve di risentire sulla propria pelle le dita viscide e fredde dell’Altro, la risata sardonica di Thanos, simile allo stridio del ferro, il passerotto tornare a pigolare. Le pareti divennero improvvisamente più strette e un terribile senso d’angoscia gli artigliò il cuore, mozzandogli il respiro.

Sentì la propria mano pulsare di dolore e qualcosa di umido e maleodorante scorrergli giù per le dita sottili. Quando guardò, Loki vide il rosso del sangue che la botta contro il muro gli aveva procurato.

Rosso. Ancora rosso.

Mentre cercava di medicare la ferita alla meglio, macchiando il tessuto candido delle pezze di rosso scarlatto, Loki non emise un solo lamento di dolore. Il suo orgoglio aveva già subito ferite ben peggiori, ma quelle non erano risanabili.


Erano le dieci del mattino quando sua madre bussò alla porta.

«Vàlì, sei già sveglio? Apri la porta!» Lo chiamò, stranamente agitata. Vàlì non rispose.

Dischiuse gli occhi con fastidio, sbuffando irritato quando i primi raggi di sole del mattino gli accecarono la vista. Aveva fatto un incubo orribile: nel sogno, scopriva per sbaglio che suo padre era Loki Laufeyson, il Dio degli Inganni che aveva ucciso molteplici abitanti di Midgard per puro capriccio.

Subito un brivido gli percorse la schiena.

Solo quando sua madre bussò nuovamente alla porta, riportandolo alla realtà, Vàlì capì che quello che aveva avuto  non era stato affatto un incubo. Gli si mozzò il respiro.

No… no, no, no…

Dall’altra parte della sala, qualcuno bussò più forte. Questa volta, però, non fu sua madre, bensì Thor, il quale aveva evidentemente capito che qualcosa non andava e aveva deciso di dare manforte a sua madre per farlo uscire di lì.

«Vàlì, apri immediatamente questa porta. Ho una cosa importante da dirti!» Disse Thor, e l’angosciante paura di Vàlì si tramutò in curiosità.
«Cosa vuoi? Ho già detto che non voglio vedere nessuno!» Gli rispose. Thor non demorse.
«È una cosa importante! Riguarda…», Thor fece una pausa. Vàlì si alzò e si diresse verso la porta nel tentativo di sentire meglio ciò che aveva da dire. «… riguarda il tiro con l’arco! Il tuo istruttore dice che potrai usare un arco migliore, visto che sei migliorato; magari quello con il disegno del drago che ti piace tanto!», dichiarò, e Vàlì non riuscì più a nascondersi.

Aprì la porta con velocità, eccitato all’idea di usare quell’arco di legno che tanto gli piaceva, ma la sua gioia svanì quando incontrò lo sguardo di Thor che, dalla sua imponente statura, lo fissava con braccia incrociate al petto e labbra serrate. Dietro di lui, Vàlì vide sua madre e i ricordi della notte precedente gli ritornarono in mente con la stessa brutalità di mille schiaffi.

«Non devi chiuderti lì dentro. Lo sai bene» Iniziò Thor, ma Vàlì lo ascoltava a malapena, perso com’era fra i suoi stessi pensieri.

Che cosa vuoi, ragazzino?

«È pericoloso. Potresti sentirti male e nessuno potrebbe venire ad aiutarti» Si accorò sua madre, inquieta. Vàlì la odiò, perché vederla così calma dopo quello che era successo era quasi una pugnalata per lui.

Il Padre degli Dèi mi ha detto una cosa importantissima su di te. Un segreto. E io voglio sapere se è vero.

Nella sala piombò un silenzio di marmo, terribile più di qualsiasi grido, e Vàlì sentì la mano ruvida di Thor posarsi sulla sua spalla, pesante.
«Anche una persona che conoscevo si rinchiudeva sempre in camera, quando era ragazzo. Tu gli somigli davvero molto, lo sai?».

Farai del male anche a me e mia madre?

«Mi dispiace» Sussurrò allora Vàlì, in un sussurro appena udibile. Thor inclinò le labbra in una smorfia confusa e lo guardò negli occhi. Vàlì lottò fino allo stremo delle forze contro se stesso per non distogliere lo sguardo dal suo.

No.

«Per cosa?» Stavolta a prendere la parola fu sua madre. Vàlì la osservò con sincera tristezza, ma sapeva che lei aveva già capito tutto, perché le madri capiscono sempre tutto dei loro figli, anche quando loro tacciono.

«Per essere come lui», rispose, e lo sguardo che Thor e sua madre gli rivolsero gli fece capire che non era mai stato un lupo. Solo un uccellino che si era spezzato un’ala nel tentativo di volare troppo presto. 
 

«Devi essere davvero disperato per ingannare tutta Asgard pur di tenermi in vita, Padre degli dèi. Forse gli anni ti hanno reso più stolto di ciò che mi aspettavo».

«O forse, mi hanno reso più clemente» La voce di Odino rimbalzò fra le pareti austera e chiara, e Loki sentì la scheggia sotto le unghie tornare a pizzicare. Strinse le labbra, il cuore colmo di veleno e rancore, e rivolse al Padre degli Dèi un’occhiata carica di gelo. Il sorriso che gli incurvò le labbra stonava terribilmente con i suoi occhi pieni di astio.

«E tu chiami clemenza tutto questo, dunque?», lo schernì. «Mi hai letteralmente rinchiuso in una gabbia d’orata. Meravigliosa, senza dubbio, ma pur sempre una gabbia. Ed io non sono un uccelletto ammaestrato, Padre degli Dèi, e presto fuggirò via», sibilò fra i denti, godendosi ogni respiro pieno di frustrazione da parte di Odino, che lo osservava silente.

«Spesso gli uccelli devono tornare al nido, per ritrovare la retta via» Ribatté allora Odino, e il cuore di Loki accelerò i suoi battiti.

«Non se quel nido non è mai stato loro», la sua voce era carica di astio e le sue dita tremavano. Nella sua mente, riaffiorarono con prepotenza i ricordi delle sue mani che divenivano bluastre e fredde come il ghiaccio. Loki si sorprese a scoprire quanto dolorose potessero essere quelle memorie, persino dopo così tanto tempo. Si costrinse a sorridere. «In fondo, non sono mai stato altro che un parassita, io. Un cuculo. E adesso che ne sono consapevole non ho più intenzione di tornare a infestare questo nido, Padre degli Dèi», concluse, senza riuscire a nascondere l’amarezza che velava le sue parole.

Odino sospirò gravemente e agli occhi di Loki parve divenire più vecchio di quanto fosse realmente. Tutto di lui esprimeva stanchezza: le labbra tirate in una smorfia sconsolata, le dita ossute strette attorno a Gungnir con rassegnazione e gli occhi socchiusi, come a volersi estraniare da ciò che stava vivendo. Loki non si sentì in colpa a vederlo in quello stato, né desiderò chiedere scusa. Semplicemente, rimase in silenzio. A fissarlo. 

«Non ti ho convocato fin qui per mettere in discussione il mio operato, Loki» Esclamò Odino, improvvisamente scuro in volto. «Ma per un motivo preciso che non riguarda solo te, ma tutti noi».

Loki arcuò un sopracciglio e lo fissò intensamente. Odino non distolse lo sguardo e avanzò di un passo: nonostante fosse diversi centimetri più basso di lui, Loki si sentì quasi sovrastare dalla sua imponenza.

«Ti ascolto» Sussurrò, ma la sua voce tradiva una nota di inadeguatezza. Odino possedeva un unico occhio, ma era bastato solo quello per metterlo a disagio come mai prima d’ora.

«Sai bene che una promessa non può essere infranta, Loki, e per tua fortuna è stata proprio una promessa a salvarti la vita. Il tuo matrimonio con lady Emily ti trarrà in salvo dalla forca e tuo figlio sarà la ragione per cui verrai risparmiato fino al compimento dei suoi ventuno anni di età. Fino a quel momento, è a loro che devi la tua vita, Loki. Ad Asgard e alle sue leggi».

Loki non poté evitare di ridacchiare sommessamente, sbuffando di fronte alla stoltezza di Odino. Aprì le braccia come a voler indicare qualcosa che non c’era e sul suo viso si aprì un sorriso sardonico, terribile quanto la rabbia che si portava nel cuore.

«Oh, vi ringrazio per la vostra pietà, Padre di Tutti», biascicò, avanzando a passi volutamente lenti verso di lui. «Ma permettetemi di dirvi che possedete un modo davvero insolito per risolvere i problemi: mi tenete in vita finché vi sarò utile, usandomi come una bestia da macello per poi uccidermi al momento opportuno. Mi domandavo fino a dove potesse arrivare il vostro rancore nei confronti dei Giganti di Ghiaccio, ma mi sorprende scoprire che è persino più forte del mio».

Odino parve tentennare a quelle parole e sulle sue labbra sembrarono danzare una decina di possibili risposte. Infine, Loki vide i suoi lineamenti divenire più duri e astiosi e le sue labbra diventare sottili come i suoi capelli bianchi.

«Ora basta!», gridò. «Tutto ciò che ho compiuto fino adesso, Loki, è stato per te: per dimostrarti che non sei mai stato la reliquia rubata che hai sempre creduto di essere. Non mi aspetto che tu lo capisca, ma pretendo della riconoscenza da parte tua. Ti ho permesso di continuare a vivere e tu mi dimostrerai che ho fatto la scelta giusta. Ragion per cui sposerai lady Emily entro la prossima luna piena, cosicché tutti noi potremmo trarre dei benefici durevoli attraverso la vostra unione. Spero di essere stato abbastanza esauriente!», concluse, calcando bene le parole.

Loki, a quelle parole, sentì la rabbia avvolgerlo come una coperta di lana. Digrignò forte i denti e la voglia di colpire Odino parve divenire più insistente e persuasiva.

Ricordati del piano, cantilenò una voce nella sua mente, Ricordati del dannato piano.

Infine, cercando di celare tutto il suo disappunto, Loki scoprì i denti attraverso un sorriso conciliante, sghembo e nervoso.

«Come tu desideri, Padre di Tutti», dichiarò, con voce tremante di ira. Odino parve momentaneamente confuso e Loki vide tutto lo sbigottimento che quelle parole gli avevano procurato. Infine, rilassò le spalle e i suoi respiri parvero tornare più regolari rispetto a prima.

«Sapevo che avresti capito», gongolò Odino. «Forse, sotto quella corazza, c’è ancora un briciolo del figlio che conoscevo», mormorò, più a se stesso che a Loki.

No, non più. Quel figlio è morto. Ed ad ucciderlo sei stato tu, pensò subito Loki in un guizzo di collera, e il suo sguardo si fece freddo come il marmo. Quando ripensò al Loki del passato, così pieno di speranze e incertezze, si sentì come trapassare da una lama invisibile e gli parve di sprofondare in un limbo senza fine.

Povero stolto, giudicò. Ma non seppe dire se quel pensiero fosse rivolto ad Odino o a se stesso.

«Questa sera si terrà la cerimonia ufficiale del tuo fidanzamento con lady Emily. Ci sarà un banchetto in vostro onore. Come tuo Re, ti ordino di essere presente e di non combinarne una delle tue una volta che sarai lì», disse Odino, e Loki sentì le viscere contorcersi. Nessuno poteva dirgli cosa fare.

Pensa al piano, si disse nuovamente, come se continuare a ripeterlo avrebbe lenito la rabbia che serbava in petto. Pensa che presto sarai libero. Devi solo aspettare. Mentire.

Loki fece un cenno di assenso col capo. «Posso andare, adesso?», chiese, il timbro di voce rauco e basso come un ringhio. Odino assentì col capo.
Prima che uscisse dalla sala, però, il Padre degli dèi riprese la parola. Ciò che disse confuse Loki più di ogni altra cosa.

«Spesso non è un nome a determinare ciò che siamo, Loki. Sono le scelte che compiamo a farlo. Forse, dovresti cominciare a chiederti cosa vuoi essere tu veramente».

Emily non aveva voluto dirgli nulla.

Durante la notte, dopo essersi svegliata di soprassalto a causa di un terribile incubo che la disturbava tutt’ora, aveva sognato di nuovo. Possedeva ricordi sfocati del sogno, ma abbastanza vividi da farle salire i brividi lungo la schiena. Aveva sognato Loki, alto e imponente come lo ricordava, che le rivolgeva parole confuse, parole che Emily non ricordava bene, ma che era certa avessero un significato terribile, come un presagio di morte. Le intimava di andare via, ricordò, di scappare e portare con sé Vàlì. Lei non gli aveva voluto dare ascolto: era come paralizzata, i suoi piedi erano diventati di cemento. Ricordava di aver sentito di nuovo quella risata sguaiata, atroce, e la testa aveva cominciato a girare veloce facendole salire la bile.

Loki era terrorizzato: i suoi occhi verdi erano sgranati e la sua bocca distorta in una smorfia d’orrore. Il cuore di batteva forte per la paura e l’ansia e le lacrime le pizzicavano gli occhi. Dov’è Vàlì? Si era chiesta, col cuore in gola, Dov’è mio figlio?! Gridava, ma nessuno le dava ascolto e lei sentiva sempre più male al cuore e le gambe tremare. Poi, la risata si era fatta più chiara, stridente come il ferro battuto, e ad Emily si era mozzato il fiato.

Emily aveva pianto disperatamente, il dolore divenne così devastante da farla svegliare col cuore in gola e il fiato corto. La prima cosa che aveva fatto, dopo aver realizzato di aver sognato, era stato dirigersi nelle stanze di Vàlì in fretta e furia, preoccupata oltre ogni misura per chissà quale ragione.

Era solo un sogno, continuava a ripetersi, solo un orribile, disgustoso sogno.

Quando Vàlì non le aveva risposto, Emily aveva sentito qualcosa dentro di sé andare in frantumi e il bisogno disperato di aprire quella dannata porta ghermirla come una belva feroce.

Sentendo il baccano, Thor era venuto ad aiutarla e alla fine la porta si era aperta e lei aveva tirato un sospiro di sollievo. Solo dopo qualche minuto, si era accorta con sorpresa di stare ancora tremando per colpa di quell’incubo. Era solo un incubo, Emily, si ripeteva, Finiscila di essere così apprensiva, e alla fine, in un modo o nell’altro, si era calmata e data  un contegno. Adesso che viveva al palazzo, non poteva più comportarsi come una disdicevole popolana: andava oltre ogni etichetta di corte.

Adesso lei, Vàlì ed Hlìn si trovavano nei giardini reali. Vàlì tirava con l’arco che Thor gli aveva promesso e Hlìn le dava delle dritte riguardo al punto croce per cucire quella dannata coperta. Emily aveva sempre odiato quei passatempi mondani, rigidi e decisamente non adatti a una come lei. I primi tempi della sua vita a palazzo, si era sentita soffocare da tutto quel galateo, quei banchetti e quelle buone maniere, al punto da stare male. Non era fatta per quel tipo di vita, lei, che era cresciuta fra i boschi e la terra nelle unghie.

«Il signorino Vàlì è proprio cresciuto», esordì a un tratto Hlìn, distogliendola dai suoi pensieri. Emily alzò il capo verso suo figlio: quando lo vide, sudato e concentrato nel prendere la mira per scoccare una freccia, le sue labbra si inclinarono in un mesto sorriso. Lui e Loki avevano proprio lo stesso sguardo.

«Sì», rispose, rivolgendosi ad Hlìn. «È diventato un piccolo lord, adesso».

Sentì la mano di Hlìn poggiarsi sulla sua, delicata e morbida come un fiore. «Sono certa che nulla cambierà ciò che è, mia lady», disse. «Neanche il sangue», aggiunse. Emily capì subito che si stava riferendo a Loki e si sentì quasi infastidita da quell’affermazione. Arricciò il naso e distolse lo sguardo dal suo, puntandolo nuovamente su Vàlì. Di nuovo, gli occhi di ghiaccio di Loki le tornarono in mente, terribili e paurosi come la prima volta.

Forse Loki era davvero un Gigante di Ghiaccio, dopotutto.

La freccia di Vàlì scoccò nella direzione del bersaglio ma il vento la deviò e quella finì nella parte bianca del cerchio. Le spalle di Vàlì si irrigidirono ancor di più e solo in quel momento Emily si accorse di quanto fosse teso. Subito i ricordi della scorsa notte le tornarono alla mente e, con essi, la domanda che la tormentava da tutta la giornata: quanto forte doveva essere Vàlì, per non essere ancora crollato?

Forse era colpa dell’insegnamento rigido e autoritario che Thor gli aveva impartito sin da piccolo, esortandolo a comportarsi sempre da uomo e mai da debole; forse, invece, Vàlì aveva già versato tutte le sue lacrime la scorsa notte e adesso non riusciva più a piangere; forse, proprio come Loki, stava indossando una maschera troppo grande per un bambino troppo piccolo. Emily non riuscì a darsi una risposta, ma sapeva che, qualunque essa fosse, non doveva significare nulla di buono.

Vàlì lanciò la freccia a terra, irritato per il tiro sbagliato. Si liberò dell’arco e andò a sedersi nell’erba accanto a un albero, infuriato e con gli occhi lucidi di rabbia. Istintivamente, Emily si alzò dalla panca su cui era seduta e si diresse nella sua direzione. Quando ci arrivò trattenne il fiato, sorpresa.
Loki era proprio dietro Vàlì, e lo fissava con un sorrisetto sghembo che andava da un orecchio all’altro.

Prima che lei potesse fare qualcosa, Loki prese la parola.

«Sbagli a tendere l’arco. Le dita vanno sotto lo zigomo e non sotto la guancia; inoltre devi sempre tenere entrambi gli occhi aperti mentre scocchi la freccia, altrimenti non riuscirai mai a centrare il bersaglio», disse, saccente. Vàlì lo guardò colmo di rabbia ma non disse nulla. Prese un filo d’erba e se lo attorcigliò fra le dita, indispettito. Emily si aspettava una reazione diversa da lui: pensava sarebbe scappato, che avrebbe urlato e sarebbe scoppiato a piangere. Invece Vàlì non aveva fatto nulla del genere e anzi aveva lanciato a Loki un’occhiataccia colma di risentimento.

«Che cosa vuoi?», chiese Vàlì, continuando a giocherellare con il filo d’erba. «Non voglio consigli da parte tua. Va’ via!», disse. Emily poté giurare di vedere il viso di Loki divenire rigido e aguzzo.

«Non dovresti rispondere così a un tuo superiore, ragazzino», lo rimproverò Loki, indispettito. La sua voce era un sibilo fra i denti e le sua sopracciglia aggrottate gli infierivano un’aria di superiorità e arroganza.

Vàlì non si fece intimidire. «Non sei un mio superiore», lo rimbeccò. «Sei solo un bugiardo. Ed io con te non ci parlo», concluse. Poi si alzò, si tolse di dosso i fili d’erba e fece per andarsene. Loki non lo fermò ed Emily non seppe cosa pensare.

Vide Vàlì tornare a prendere l’arco e recuperare la freccia di prima: le sue mani erano un tremolio costante, si stava mordicchiando il labbro inferiore, gesto che faceva ogni qualvolta era a disagio. Non era poi così diverso da suo padre.

Vàlì tese l’arco, scoccò una freccia e, di nuovo, sbagliò la mira. Ne tirò un’altra, poi un’altra ancora, ma tutte finivano sempre nel medesimo punto: nel cerchio bianco. Vàlì sospirò forte ed emise un verso stizzito con le labbra ed Emily era certa che avrebbe di nuovo mollato tutto e si sarebbe dedicato ad altro. Non lo fece. Con grande sorpresa da parte di Emily, tornò con la coda fra le gambe da Loki, che all’ombra di un salice non aveva smesso di fissarlo nemmeno per un attimo. Emily non riuscì a capire cosa Vàlì gli stesse dicendo, ma era evidente che doveva essere qualcosa di parecchio imbarazzante, perché non smetteva di torturarsi le mani. Ad un tratto, sul viso spigoloso di Loki spuntò un sorriso obliquo, quasi beffardo. Loki si diresse verso la postazione di tiro. Il bambino lo seguì e quando Emily lo vide impugnare l’arco sotto lo sguardo attento di Loki, capì cosa stava succedendo.

Loki gli stava insegnando a tirare con l’arco.

Nel vederli così… uniti, Emily ebbe un tuffo al cuore e non riuscì a trattenere un sorriso emozionato. Davanti a lei, come nei suoi sogni più belli, Loki insegnava a Vàlì qualcosa, si comportava come un padre e non come un assassino a sangue freddo. Il suo sguardo era più mansueto, meno freddo e più caldo, proprio come lo ricordava lei. Non c’era più traccia della cattiveria che deformava i suoi lineamenti, rendendoli pari a quelli di un mostro. Adesso c’era solo lui, il Loki di cui si era innamorata, ed Emily si sentì talmente bene e felice nel costatare ciò da dimenticare il matrimonio imminente, il terribile incubo che aveva avuto la scorsa notte e lo sfogo di Vàlì riguardo le sue origini. Adesso esistevano solo lei, Loki e Vàlì. Nessun altro.

«Devi lasciar andare la freccia lentamente e senza fretta. La fretta ti confonde e ti fa sbagliare la mira, deviando la traiettoria che ti eri prefissato», spiegava Loki, lo sguardo serio e composto e le braccia incrociate sul petto mentre osservava il figlio tendere l’arco. Emily sorrise.

Forse, si disse, emozionata come una bambina, può ancora tornare tutto com’era prima.


«Gli ospiti arriveranno fra poco, Loki. Dovresti prepararti» La voce di Thor era possente e tonante, decisamente diversa dalla sua, così bassa e sibilante come il vento nella Stagione dei Venti. Loki storse il naso e gli riservò un’occhiataccia.

«Faccio quello che voglio, Thor», mormorò, senza celare il fastidio che gli colorava la voce. «Esci dalle mie stanze, adesso. Ti chiamerò quando avrò bisogno di una scorta irritante e odiosa come te», sputò fuori. Thor digrignò i denti e parve essere sul punto di caricargli un pugno dritto sul naso; infine, però, si limitò a storcere la bocca in una smorfia di disappunto.

«Dannato te», sussurrò fra i denti, mentre se ne andava. «Non resterò qui a sorbirmi le tue ingiurie. Me ne vado, se è ciò che vuoi. Quando avrai finito qui dentro, delle guardie di scorteranno alla Sala dei Banchetti. Vedi di non ammazzarle, se puoi», concluse. Dopodiché abbassò la maniglia della porta e si diresse fuori.

Loki sbuffò incollerito mentre osservava la sua figura allo specchio: il suo era un volto sciupato e affilato, il volto di chi aveva perso troppe guerre; il suo fisico era più asciutto e più muscoloso, ma pur sempre troppo magro rispetto a quello di Thor e tantissimi altri asgardiani; i capelli neri come la pece gli ricadevano pesanti sulle spalle, annodati e stopposi. Solo gli occhi erano rimasti gli stessi: pieni di rabbia e freddi come il marmo.

Si odiò per quello che stava facendo. Lui era un dio, dannazione, non un idiota costretto a mentire per fuggire da un pugno di altri idioti dai capelli biondi. Gli sembrava che tutto fosse tornato a sei anni prima, quando ancora partecipava a quegli inutili banchetti pieni di nobili e gente sempre pronta a scrutarlo dal basso all’alto come se fosse il peggiore dei reietti.

Lo eri, tornò a dirgli quella vocina dentro la sua testa, Solo che ancora non ne eri a conoscenza. Loki strinse forte i pugni, conficcandosi le unghie nella carne fredda, e inspirò forte.

Sarebbe andato tutto secondo i piani, si disse. Niente, questa volta, sarebbe potuto andare storto. Il piano era perfetto e conciso, infallibile, ed entro la fine della serata sarebbe fuggito.

Ed Emily e Vàlì? La vocina dentro la sua mente tornò a fargli visita, tagliente come uno stiletto conficcato nel fianco, Cosa ne sarà di loro?
Loki ebbe un velocissimo ricordo di Emily che gli gettava le braccia al collo, felice che fosse tornato ad Asgard; di lei che mentiva a tutta Asgard pur di salvargli la vita e di Vàlì che gli chiedeva, con la coda fra le gambe, di aiutarlo a tirare meglio con l’arco. All’improvviso si ritrovò annientato dal dolore e dalla sua stessa mente.

Cosa devo fare, allora?

Un luccichio dorato lo fece voltare e Loki vide il proprio elmo da guerra risplendere di un bagliore sinistro ed elegante, lo stesso che gli aveva regalato Emily anni prima. Si avvicinò ad esso come una zanzara ammaliata dai colori di una pianta carnivora e ne sfiorò il metallo, tracciandone i contorni con lentezza e minuzia. Infine lo prese e lo posizionò sopra il suo capo, notando solo di sfuggita che i suoi capelli erano più lunghi dell’ultima volta in cui lo aveva indossato; infine si voltò verso lo specchio. L’immagine riflessa non era più quella di un dio confuso dai suoi stessi pensieri, bensì quella del Dio degli Inganni: rigido ed elegante com’era sempre stato.

Loki inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, sapeva cosa doveva fare.

Io sono il Dio degli Inganni. E resterò tale.

La sala era gremita di gente quando Lui fece il suo ingresso. Era vestito di tutto punto, elegante come un principe e austero come un tiranno. Vàlì pensò che il suo elmo fosse davvero molto buffo. Due corna, si disse, Com’è ridicolo!

Quando però Loki Laufeyson – non riusciva proprio a chiamarlo padre. Il solo pensiero gli faceva storcere il naso – si avvicinò a lui con l’andatura composta e autoritaria di una pantera, Vàlì si fece piccolo piccolo ma continuò a guardarlo con astio. Dentro di sé, nutriva ancora la speranza che sua madre lo avesse preso in giro e che quel Gigante di Ghiaccio non fosse davvero suo padre. Quando si accorsero della sua presenza, tutti i nobili si ammutolirono e i loro sguardi divennero seri e gravi come tombe. Vàlì si chiese se di lì a poco sarebbe scoppiata una tempesta, tanto era tetra l’atmosfera attorno a lui.

Loki Laufeyson gli scoccò un’occhiata veloce e Vàlì si sentì nudo di fronte ai suoi occhi. Lo sguardo del Dio degli Inganni era freddo come il ghiaccio, ma bruciava più del fuoco.

«Ebbene», Loki Laufeyson prese la parola. «Dove si trova la mia futura sposa? Se non erro, questo è un banchetto in nostro onore», disse. Vàlì non riuscì a reprimere una smorfia di disappunto. Per quanto stesse cercando di abituarsi alla cosa, non riusciva ancora a pensare a lui come compagno di sua madre.

In quel momento Odino fece il suo ingresso e tutti si inchinarono con reverenza. Accanto al Padre degli dèi, Vàlì notò, c’era sua madre: le avevano fatto indossare un vestito dal colore azzurro come il cielo, pieno di fronzoli e pizzi; i suoi capelli erano legati in un’acconciatura sobria ed elegante e a Vàlì ricordò tanto una di quelle bellissime principesse delle ballate che sentiva spesso durante i banchetti. Si riscoprì orgoglioso di essere figlio di una donna tanto elegante ma terribilmente geloso del fatto che gliela avrebbero portata via. Era sua madre, quella; la sua principessa e lui era il suo cavaliere – lei glielo ripeteva sempre! Il solo pensiero che avrebbe dovuto cederla a qualcuno come Loki Laufeyson gli faceva salire la bile e una rabbia profonda: Vàlì si ritrovò a tremare di gelosia.

Odino e sua madre si diressero verso Loki Laufeyson e sua madre si inchinò velocemente dinnanzi al Dio degli Inganni, che sorrise di rimando. Il suo però non era un sorriso sincero, pensò Vàlì, bensì uno pieno di soddisfazione e bugie. Vàlì lo odiava, non voleva che sua madre piangesse di nuovo per colpa sua.

Quello non può essere mio padre, si disse, Mio padre è molto meglio di così.

Odino fece cenno a Loki e a sua madre di posizionarsi di fronte a lui, sotto una sottospecie di arco dorato, in ginocchio e col capo chino. I suddetti fecero come era stato loro impartito e si presero per mano, esattamente come voleva la tradizione. Perfino da dove si trovava, Vàlì poteva sentire l’agitazione che tormentava il cuore di sua madre e si chiese se non dovesse comportarsi davvero come un baldo cavaliere e correre a salvarla dalle grinfie di quel Gigante di Ghiaccio.

«Quest’oggi, qui, dinanzi agli Antichi dèi e a tutti voi, miei sudditi, io, Odino, Padre degli Dèi, Sovrano indiscusso di tutti i Nove Regni, benedico il fidanzamento di questi giovani» Annunciò, e Vàlì vide sua madre lanciare uno sguardo furtivo verso Loki Laufeyson, che stringeva ancora le sue mani e restava in silenzio tombale, con occhi colmi di serietà. Odino si schiarì la voce e riprese a parlare. «In ogni tempo e condizione di vita è indispensabile la grazia degli Antichi dèi; ne avvertono più che mai il bisogno i fedeli che si preparano a formare una nuova famiglia. Imploriamo la benedizione degli Antichi dèi per Loki Laufeyson ed Emily Hœnirsdóttir, perché facciano del loro fidanzamento un tempo privilegiato per crescere nella reciproca conoscenza, nella stima profonda, nell'amore casto e sincero. Così, dèi Misericordiosi, sorgenti di carità, che nella vostra provvidenza avete fatto incontrare questi giovani, concedete loro le grazie che ti chiedono in preparazione al sacramento del matrimonio: fate che sorretti dalla vostra benedizione, progrediscano nella stima e nell'amore reciproco», concluse.

Nella sala calò un silenzio tombale, religioso, e Vàlì si sentì si sentì morire: l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era urlare a squarcia gola.

Infine, il rito finì e con esso anche il silenzio pesante come uno straccio bagnato che impregnava la sala. Odino esortò Loki Laufeyson e sua madre a recarsi dinanzi al tavolo principale e prendere qualcosa, così da dare il via al banchetto. Entrambi – forse per il nervosismo, pensò Vàlì –  presero solo pochissime vivande e un po’ di idromele, che come tradizione voleva versarono l’uno nel bicchiere dell’altro. Una volta fatto ciò, tutti i nobili presenti in sala ripreso a ridere e far baldoria come se nulla fosse accaduto.

Ma come fanno?!, pensava Vàlì, colmo di rabbia. Dovrebbero fermare tutto ciò, non fomentarlo!

«Qualcosa non va, piccolo lord? Sei rosso come un papavero» La voce di lady Sif gli arrivò alle orecchie improvvisa e forte come il frastuono di un gong, e Vàlì sobbalzò per lo spavento. Quando si voltò, vide che accanto a lei erano presenti anche il resto dei Tre Guerrieri e due cortigiane facevano le moine a Fandral lo Spadaccino, che non sembrava affatto scontento della cosa.

«Perché permettete che mia madre sposi quel Gigante di Ghiaccio?», chiese allora Vàlì, non riuscendo più a trattenersi. «Voi siete i guerrieri più nobili e forti di Asgard! Come potete permettere una cosa del genere?», continuò, frustrato.

Sif e i Tre Guerrieri si guardarono l’un l’altro, senza parole. Vàlì sapeva che non si aspettavano una tale domanda e sapeva anche che non era educazione porre domande scomode, ma lui voleva sapere – doveva sapere! E solo loro potevano dargli una risposta.

Eppure, sui volti dei guerrieri più forti di Asgard, Vàlì non lesse altro che il nulla.

Volstagg si grattò la nuca, tentennante. «Pivello, noi…».
«Mi auguro che mio figlio non vi stia dando fastidio, miei amici» La voce di sua madre era chiara e serafica e Vàlì si voltò di scatto spaurito come se fosse stato colto in flagrante. Accanto a lei, notò, stava Loki Laufeyson: il volto grave e spigoloso esattamente come lo ricordava. Il momento in cui gli aveva dato alcune dritte riguardanti il tiro con l’arco adesso sembrava lontano anni luce e Vàlì si riscoprì ad odiarlo più di prima.

Non è mio padre, continuava a ripetersi, E non lo sarà mai.

Constatò che Sif e i Tre Guerrieri erano diventati rigidi come delle statue di sale: nei loro sguardi era chiaro il rancore che provavano per il Dio degli Inganni e Vàlì credette che di lì a poco sarebbe scoppiata una rissa. Prima che ciò potesse accadere, Hogun il Fosco si fece avanti e la sua voce suonò bassa e cupa.

«No, lady Emily», disse, scoccando un’occhiata piena di diffidenza a Loki Laufeyson. «Il giovane lord stava solo esponendo i suoi dubbi».
«Spero che siano stati dissipati, dunque», esordì Loki, guardando Vàlì con austerità dall’alto della sua altissima stazza. Vàlì si fece piccolo piccolo e si chiese dove fosse andato a finire tutto il coraggio di poco prima. «Ora, se permettete, i festeggiamenti ci attendono. Spero possiate godervi tutta la…», Loki fece una pausa e si guardò attorno, quasi stesse soppesando l’aggettivo giusto da dire. Il suo sguardo era annoiato, quasi disgustato. «magnificenza di questa serata», concluse, rivolgendo un sorriso di scherno ai guerrieri. Dopodiché si voltò e si diresse lontano da loro. Prima che potesse opporsi, la mano di Vàlì venne agguantata da quella di sua madre che, senza dire una parola, lo costrinse a camminare dietro Loki. Vàlì non oppose resistenza – sarebbe stato inutile – ma non poté comunque evitare di voltare il capo verso i guerrieri più valorosi di Asgard e chiedersi se valorosi, quei quattro, lo fossero davvero.

Odino e Frigga esortarono sua madre e Loki Laufeyson a sedersi a capotavola. Vàlì dovette accontentarsi di sedersi ai lati del tavolo, accanto a sua madre e Thor, che nonostante stesse bevendo più birra del dovuto non aveva ancora perso la lucidità per dialogare con lui.

«Ti stai divertendo, Vàlì?» Chiese a un tratto Thor, abbozzando un breve sorriso.
«No», rispose subito lui, piccato. Ed era vero. Non si stava divertendo proprio per niente. Voleva tornare nelle sue camere, mettersi sotto le coperte e lasciarsi cullare dalle carezze che sua madre gli dedicava sempre prima di addormentarsi. A Vàlì piacevano le feste, il cibo e le risate, ma non digeriva l’idea che qualcuno di prepotente come Loki Laufeyson stesse per portagli via sua madre. «Voglio andare a casa».

Thor aggrottò la fronte e ridacchiò un po’, evidentemente brillo a causa delle bevande che aveva bevuto.

«Ma Vàlì», disse, bonario. «Questa è casa tua!».

Vàlì non rispose, ma il suo sguardo si soffermò sulla figura di Loki Laufeyson che, accanto a sua madre – tesa come un corda d’arpa –, osservava tutti dall’alto in basso con sguardo freddo, derisorio e assottigliato. Guardando dentro quelle due fessure verdi, Vàlì sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Distolse lo sguardo, come scottato.

No, si disse, questa non è più casa mia.


 
Il rito di fidanzamento si era svolto così velocemente, che Emily non era ancora riuscita a razionalizzare che, da adesso in poi, sarebbe stata vista da tutti come la futura moglie di Loki. Nemmeno lui sembrava averlo realizzato, in effetti. O forse invece lo aveva compreso fin troppo bene ed era per questo che dalla fine della cerimonia aveva detto sì e no due parole stentate: il suo sguardo era quello di sempre, forse un po’ più serio e meno cattivo, i suoi lineamenti erano duri come l’acciaio ed Emily ebbe timore di sfiorarli anche solo con lo sguardo. Sorrise amara a quella costatazione: e pensare che fino a qualche mese prima avrebbe dato un braccio per poter risentire il freddo della pelle di Loki!

Ricordava ancora con spietata nitidezza il momento in cui le ancelle di Frigga erano giunte nelle sue stanze per vestirla e profumarla come mai prima d’ora. Nei loro sguardi Emily non aveva letto spensieratezza o eccitazione, bensì pietà. Improvvisamente aveva capito che tutti la compativano per il suo matrimonio con Loki. Quella consapevolezza aveva travolto Emily come una vampata di calore e le aveva fatto dubitare della sua decisione.
Forse posso ancora scappare, ricordava di essersi detta, Forse sarebbe meglio così.

Poi però aveva pensato a Loki: al momento in cui si erano scambiati il loro primo bacio, alle sue mani lunghe e ai suoi sorrisi beffardi e malinconici, e si era sentita un mostro. Come poteva anche solo pensare una cosa simile dopo tutto quello che aveva fatto? Rimuginare su cose tanto assurde quanto disonorevoli? Forse l’ansia l’aveva fatta diventare pazza, o forse lo era sempre stata e solo adesso se ne rendeva conto. Emily si era persa talmente nei suoi pensieri, da accorgersi solo per puro caso di essere pronta per il banchetto e che Frigga, entrata in sala con passo veloce e deciso, le stava accarezzando il braccio con delicatezza sorridendole amorevole come una madre.

«Lady Emily, non ti sarò mai grata abbastanza per tutto ciò che stai facendo per me e per mio figlio» Le aveva detto Frigga, ed Emily era diventata rossa come il colore dei suoi capelli.

«È un onore per me, mia signora» Aveva risposto lei, improvvisando un sorriso gentile.

Poi entrambe si erano dirette verso la Sala dei Banchetti, Odino l’aveva accompagnata da Loki e lì lei aveva pronunciato il giuramento. Dopo quel momento, Emily ricordava solo immagini confuse e veloci, tipiche di chi non aveva ancora ben capito cosa era successo.

«Indossi ancora quello sciocco gingillo?» La voce di Loki la riportò violentemente alla realtà e, istintivamente, Emily corse a osservare il “gingillo” di cui parlava Loki. Subito, vide l’Anello di Claddagh e alzò la mano come a volerlo osservare meglio. Infine, sorrise.

«Non l’ho mai tolto» Dichiarò. Loki non disse nulla, ma Emily fu certa di aver visto una nota di compiacimento nel suo sguardo.

Gli occhi di Loki si poggiarono sulla figura esile e infantile di Vàlì che continuava a parlare e porre domande a Thor e agli altri nobili, i quali, stanchi del continuo cianciare del ragazzino, gli intimarono di far silenzio. Emily provò rabbia nel vedere quella scena – in fondo Vàlì era ancora un bambino. Era normale che facesse domande! – ma la sua agitazione venne stroncata dalle parole di Loki, che con scherno si prendeva gioco dei nobili presenti in sala.

«Come siete permalosi, miei lord», li canzonò, scrutandoli con sguardo colmo di astuzia e derisione – lo sguardo che Emily ricordava e amava. «Vorreste forse farmi credere che la parola d’un bambino vi mette in difficoltà?».

Emily vide lo sguardo di Vàlì illuminarsi come se avesse visto per la prima volta Loki con occhi diversi – gli occhi di un bambino in cerca di protezione. Thor rise forte e scaraventò a terra l’ennesimo boccale di birra, urlando “UN ALTRO!” a un’ancella che passava da quelle parti. Anche Emily sorrise e si sentì un po’ più serena e meno tesa, come se insieme a Vàlì, Loki avesse difeso anche lei.

«Grazie, Loki», sussurrò piano, e Loki voltò il capo verso di lei, incontrando il suo sguardo. Forse fu a causa dell’idromele, pensò Emily, o magari per via del troppo stress accumulato nell’ultima settimana, ma per un momento fu certa di rivedere nel suo sguardo un che di famigliare, di antico. Una cosa che forse persino Loki aveva dimenticato. Solo quando si avvicinò a lui così tanto da poter sentire il suo respiro e contare ogni sua ciglia, Emily ricordò di cosa si trattava.

La fiducia.

Sentì Loki irrigidirsi contro di lei ma non si allontanò, e allora Emily si avvicinò ancor di più al suo viso, alle sue labbra. Da quanto tempo desiderava baciarle? Da quanto attendeva di risentire il suo odore, le sue mani fredde sulle sue mentre lo stringeva a sé? Forse da troppo o forse non aveva mai realmente smesso di volerle. Emily si sentì così piena e in pace col mondo che dimenticò tutto: il matrimonio, i nobili, lo sguardo che Loki le aveva riservato nella Sala del Trono e il pianto di Vàlì. Non esisteva più nulla.

Poteva sentire il suo profumo; sfiorare il tessuto dei suoi abiti e stringerlo forte a sé. Le labbra di Loki erano così vicine, così vicine...

CRASH!

Tutto finì così come era iniziato, all’improvviso, e Loki si allontanò da lei con uno scatto felino, sguainando il proprio pugnale e balzando in piedi. Parecchi lord e lady urlarono di spavento e nella sala regnò il caos. Emily alzò lo sguardo, confusa, e vide che le porte della sala erano state spalancate e che dalle finestre erano irrotti degli strani esseri: alti, orecchie lunghe e appuntite, armature e maschere bianche e nere, terrificanti come i peggiori dei mostri. Subito, il suo primo pensiero andò a Vàlì e il terrore l’avvolse quando si accorse che non era più accanto a lei. Chiamò forte il suo nome, il cuore che sprofondava sempre di più, finché un urlo più forte degli altri non rimbombò nella stanza.

Si voltò, e ciò che vide le mozzò il respiro.

Vàlì, il suo piccolo Vàlì, era sospeso a mezz’aria, stretto da dita che di umano non avevano nulla, appartenenti a un essere che Emily non conosceva, ma che la terrorizzava: era alto diversi metri, massiccio come pietra, di un inquietante colorito violaceo e con tremendi occhi scintillanti. Quando lo sentì ridere, il cuore di Emily smise di battere, facendole mancare il respiro.

Era la stessa voce del suo incubo…

«Madre!», gridò Vàlì, terrorizzato e con voce spezzata. «Madre, ti prego aiutami!», supplicò, mentre la presa di quell’essere si faceva più salda attorno alla sua gola.

Emily agì d’istinto, senza pensare alle conseguenze: corse con una velocità che non credeva possibile verso Vàlì, intenzionata a fare qualcosa, qualunque cosa, pur di salvarlo, finché delle lunghe braccia forti e salde le avvolsero la vita, impedendole di proseguire.

«Non puoi andare!», era la voce di Loki a parlare, ed Emily notò che era impregnata di terrore. «Non puoi fare niente! Ti ucciderebbe!», gridava.

Ma Emily non lo voleva ascoltare. Non poteva ascoltare. Vàlì era lì, invocava il suo aiuto e chiamava il suo nome… Doveva andare da lui! Doveva andare prima che fosse troppo tardi!

«Lasciami!», sbraitava, cercando di liberarsi dalla presa di Loki. «Lasciami andare! Lasciami!», la sua voce era spezzata, rotta dal pianto, ed ogni urlo di Vàlì era per lei una sferzata di frustra in pieno viso. Doveva andare… doveva andare!

Delle guardie avanzarono verso l’essere nel tentativo di ucciderlo e anche Thor e i Quattro Guerrieri provarono a imporsi, ma era inutile. Quell’essere non subiva alcun danno e la sua presa su Vàlì sembrava farsi sempre più forte, più mortale.

«È solo un bambino! Lascialo andare, ti prego, lascialo andare!» Emily supplicava come mai aveva fatto in vita sua. Si sentiva spaccare in due dal dolore, era come se la stessero riempiendo di coltellate. Loki continuava a tenerla stretta ma lei non smetteva di dibattersi.

Poi, terribile come lo stridio del ferro, Thanos parlò. La sua voce fu la cosa più paurosa che Emily avesse mai sentito in vita sua e il terrore le ghermì il cuore, straziandola come mai prima di allora.

«Ti avevo fatto una promessa, Dio degli Inganni», sibilò, serafico. Emily sentì Loki contro la sua schiena irrigidirsi come una statua di sale e il suo respiro divenire affannoso e carico d’ansia.

«No!», urlò forte Loki, gli occhi sgranati e la voce rotta. «No, no! Fermati! Posso ancora ridarti il Tesseract! Posso ancora…»

Emily non capì cosa stesse accadendo finché l’urlo di Loki non le entrò nella mente tagliente e violento come uno schiaffo; quando alzò gli occhi, si sentì lacerare in due dal dolore.

«Ed io mantengo sempre la parola data», quando vide la mano di quell’essere aprire il petto di Vàlì e il sangue sgorgare fuori dal suo piccolo corpo, scuro e denso come catrame, Emily si sentì così annientata e colma di dolore da non riuscire più a reggersi in piedi. Le ginocchia cedettero sotto il suo peso e lei cadde a terra senza neanche rendersene conto, picchiando forte la testa.

Prima di chiudere gli occhi, Emily vide qualcosa di pesante cadere pochi metri davanti a lei, scosso da lunghi brividi. Non capì cosa fosse, sapeva solo che il pavimento era pieno di sangue e che il mondo intorno a lei era diventato ovattato, scuro, doloroso. Sentì un grido, ma non seppe dire a chi appartenesse la voce. Poi una risata, un’altra ancora, e tanto, tanto altro sangue. Le entrava nelle narici e le annebbiava i pensieri.

Nella sua mente, tagliente come una lama, vigeva il ricordo lontanissimo delle sue labbra che baciavano le guance di Vàlì.

Poi, il buio.
 
 
 
 
 - Le note di Harmony394

(1) Citazione di Arya, di The Game of Thrones.
(2)La canzone è: Bring to life deglli Evanescence.
(3) Il titolo è una locuzione latina tratta da Cicerone: Si usa ripetere in occasione d'un grande pericolo imminente, o all'arrivo di qualche grande personaggio che ha intenzioni poco favorevoli.

 
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...
...
... Bene. Eccoci qui.
Sì, sono una bruttissima persona, sì, la mia decisione è definitiva e sì, merito la lapidazione.
In mia difesa, dico che la storia in era praticamente NATA con questo capitolo: senza non poteva andare avanti e quindi sì, la morte di Vàlì era necessaria.
So cosa state pensando: "Harmony394 è una brutta persona che ammazza i suoi personaggi perché è sadica e Kattiva!!". Sì, avete ragione, ma credetemi se vi dico che io stessa sono davvero distrutta da questo capitolo. Non credevo di potermi affezionare tanto a un personaggio, e adesso che non c'è più... boh. Mi sento una merdaccia. Scusa, Vàlì.

Vi ringrazio profondamente per le recensioni dello scorso capitolo! Siete dolcissimi, mi dispiace di aver dovuto scrivere un capitolo tanto angst. Sono davvero una pessima autrice! xD

Ad ogni modo: se avete dubbi, incertezze o quant'altro non esitate a chiedere. Cercherò di rispondere il prima possibile! (purtroppo la scuola mi porta via tutto il tempo...)

Ricordatevi sempre che quando non recensite un capitolo, un coniglietto, da qualche parte del mondo, muore. Abbiamo già avuto abbastanza perdite per oggi, non trovate?  :P

Vi lascio il mio link Facebook, caso mai voleste mettervi in contatto con me:
https://www.facebook.com/harmony.efp.9/posts/238337689658763?notif_t=like

Un bacione. :)

P.S: Ringrazio di cuore vannagio per il betaggio! Tanti cuori per lei e grazie mille ancora <3

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Capitolo 8
*** Breakdown ***


~Breakdown
We've been through this such a long long time
Just tryin' to kill the pain
But lovers always come and lovers always go
And no one's really sure who's lettin' go today
Walking away
 

Jane non era mai stata una tipa da appuntamenti. In verità, Jane non era nemmeno mai stata una tipa che indossava vestiti attillati e metteva l’ombretto. Eppure, in quel momento, dentro quel ristorante nel centro di Londra, Jane era esattamente l’opposto di quello che era realmente. Ed era tutta colpa di Darcy.

«Cosa ordini?» Chiese Richard, il suo accompagnatore, garbato. Jane gli sorrise gentile e osservò il menù, facendo scorrere lo sguardo sulle pietanze nominate.

«Ehm… che ne dici se per il momento prendiamo solo un po’ di vino?» Disse, un po’ nervosa. Davanti a lei, Richard le sorrise dolce e assentì col capo.
Era iniziato tutto quando Darcy l’aveva iscritta – segretamente – ad un sito di incontri. Jane stava giusto lavorando al suo ultimo progetto, quello che avrebbe dovuto spiegare com’era possibile che un camion di più di cento chili si fosse alzato a cinque metri da terra e avesse cominciato a ruotare su se stesso senza un apparente motivo, quando Darcy era entrata in fretta e furia dentro il suo laboratorio con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro.

«L’ho trovato! L’ho trovato!», urlava Darcy, sventolando un pezzo di carta, «Jane, l’ho trovato!».
«Che cosa hai trovato?» Chiese lei, esasperata, chiedendosi perché diavolo le fosse capitata lei come assistente e non Penelope Cox, una ragazza tanto carina quanto in gamba – e discreta.
«Ma è ovvio, no?», la voce di Darcy divenne melliflua e beffarda. Jane alzò un sopracciglio. «Il tuo accompagnatore!».
«Il mio cosa?!».

Alla fine entrambe avevano finito col litigare: Darcy le aveva rinfacciato di essere un’ingrata frigida senza palle e Jane, al colmo della sopportazione, aveva finito col tirarle addosso una provetta di acido muriatico, senza – per fortuna? – riuscire a beccarla.

Dopo qualche giorno, Darcy si era ripresentata da lei con una tazza di cioccolata fumante e dei ravioli al vapore, quelli che le piacevano tanto, chiedendole scusa. Jane aveva accettato le sue scuse e aveva mangiato i ravioli, e alla fine entrambe avevano finito col guardarsi l’ultimo episodio della seconda stagione di Doctor Who e piangere come due perfette deficienti.

Il giorno dopo, però, lei e Darcy avevano di nuovo discusso riguardo a quel presunto sito di incontri.

«Jane, non puoi continuare a guardare le stelle per sempre», le aveva detto Darcy, mentre sgranocchiava una patatina. «Prima o poi dovrai pur trovarti qualcun altro che non sia Thor…».

Jane aveva sospirato. «Ma io non voglio qualcuno che non sia Thor» Disse, guardando il radar che avrebbe dovuto dirle dove si trovava Thor. Anche quella volta, il pallino rosso – che indicava proprio lui – era fermo al punto in cui Jane lo aveva visto l’ultima volta: in New Mexico.

«Suvvia! Siamo a Londra, adesso. La capitale di Harry Potter e Doctor Who! Se non lo trovi qui qualche bel maschione, non lo troverai più!» Forse in un altro momento il commento di Darcy l’avrebbe fatta ridere, eppure Jane non riusciva neppure a sorridere. Forse Darcy ha ragione, si era detta, Forse dovrei davvero smetterla di guardare le stelle…

Così, dopo non poche perplessità, Darcy le aveva mostrato il ristorante in cui avrebbe dovuto incontrare il presunto “Macho Inglese” – così lo chiamava lei – e Jane aveva accettato. Tanto peggio di così non può andare, ricordava di essersi detta. E alla fine Darcy le aveva procurato un suo vecchio vestito – A me va stretto sulle tette! – e un paio di scarpe – dolorosissime – alte diversi centimetri.

Era sicura di star facendo un enorme sbaglio: un grosso, orrendo e imbarazzantissimo sbaglio. Eppure c’era una vocina dentro la sua testa, squillante e simile a quella di Darcy, che continuava a ripeterle di andare avanti, di non voltarsi indietro.

Sta tranquilla, le aveva detto Darcy, pochi minuti prima che lei si avviasse per il centro di Londra alla ricerca di quel dannato ristorante, Ci sarò io dietro di te. Se quel tipo prova a molestarti gli ficco il Teaser su per il culo!, e per dare prova che diceva sul serio, aveva schiacciato il pulsante di accensione del Teaser, che subito aveva lanciato una scarica elettrica.

Adesso che però si trovava lì, in compagnia di Richard, il suddetto “accompagnatore”, Jane doveva ammettere che l’idea di Darcy non era stata poi tanto male e che Richard era davvero carino: era alto, mascella quadrata, occhi azzurri e capelli bruni un po’ arruffati; aveva un sorriso davvero gentile e a Jane aveva subito fatto simpatia.

Forse, dopotutto, poteva davvero smetterla di continuare a guardare le stelle…

Per questo, quando Darcy sbucò dal nulla e si sedette con assoluta nonchalance al loro tavolo, Jane si maledisse in tutte le lingue per non averle tirato davvero quella boccetta di acido muriatico addosso.

«Dunque,», incominciò a parlare Darcy, prendendo un fetta di pane e spalmandoci sopra del burro, «Forse ho dimenticato quella provetta a cui stavi lavorando con Erik che mi avevi affidato, e sì, forse questo non è il momento migliore per dirtelo – a proposito, adoro come ti sta quel vestito. Dovresti indossare roba vivace più spesso, sai? Il floreale ti dona… e poi va molto di moda quest’anno! –, ma forse, e ripeto forse, dovresti guardare questo».

«Darcy, tu, brutta stro– » Jane era in procinto di dirle tutte le parolacce che non aveva mai detto in vent’anni di vita – era pur sempre una ragazza ben educata, lei. Non diceva le parolacce – ma un rumore, un certo bip bip bip la fece desistere, e la rabbia di Jane si tramutò in curiosità prima che potesse scaraventare il menù in testa a Darcy.

Quando vide che il rumore proveniva dal localizzatore che indicava le ultime venti manifestazioni, tre delle quali causate da Thor e la sua combriccola di amici asgardiani, il cuore le salì in gola e una rinnovata speranza si fece largo in lei. Deglutì, e cercò di mantenere la calma.

Sarà solo un errore, si disse, prendendo a sbattere nervosamente il localizzatore sul tavolo, Questo dannato coso si sarà rotto…

«È esattamente quello che ho fatto anch’io!» La voce di Darcy le arrivò lontana come un’eco, tanto era impegnata a capire dov’era la causa di quel malfunzionamento e perché quel coso continuasse a emettere quel dannato bip bip bip bip. «L’ho portato da te nella speranza che risolvessi la cosa in termini più, che ne so? Scientifici…».

Solo quando anche Richard si inserì nella discussione – Ehm, hai provato a spegnerlo e riaccenderlo? – Jane riemerse da quello stato catatonico in cui era caduta e subito riconsegnò il localizzatore a Darcy, che, nel frattempo, continuava a smozzicare del pane con tranquillità, declinando la questione con un semplice: «È guasto. Ci penseremo più tardi».

Alla fine, Darcy andò via e Jane dovette trattenersi dal scaraventarle una sedia addosso quando le fece segno di OK con i pollici, riferendosi a Richard. Gesto che, nel linguaggio Darcyniano, significava: certo che te ne sei accalappiata uno proprio figo, eh?

«È una tua amica? È piccolina, ma carina!», la voce di Richard la riportò bruscamente alla realtà. Jane, ancora rossa di vergogna per la figuraccia appena fatta, cercò di sorridere accondiscendente.

«Ha semplicemente bisogno d’aiuto», concluse tesa, nascondendo il volto dietro il menù.

Per tutto il pranzo, Jane non smise di pensare nemmeno per un secondo al localizzatore e alla lucina rossa che aveva ricominciato a lampeggiare.


 
Emily si risvegliò di colpo dall’abbraccio delle tenebre. Quando aprì gli occhi, incrociò quelli della Regina Frigga, azzurri come il cielo d’estate.

«Maestà…», mormorò, così piano che persino lei udì a fatica la sua voce. Frigga non rispose, i suoi occhi erano lucidi e colmi di lacrime. Le poggiò una mano sulla spalla, debole, e sibilò un brevissimo Ssssh, che per un momento fece ammutolire Emily, che ancora intorpidita dal sonno non riusciva a capire perché la Regina fosse così afflitta.

«No…», disse Emily, faticando a far uscire ogni sillaba. Le sembrava di essere stata presa a pugni su tutto il corpo: ogni movimento bruciava come il fuoco e la testa le pulsava terribilmente. «Devo… Io devo…», neppure lei sapeva cosa doveva fare. Tutto girava e la testa le pulsava terribilmente.

«Tu devi riposare, mia piccola Emily», non era stata Frigga a parlare, questa volta. Apparteneva ad un uomo, quella voce: era chiara, gutturale e rotta, come se chi parlava stesse piangendo. Quando alzò il capo e incontrò gli occhi di Thor, anch’essi lucidi e rossi di pianto, Emily sentì qualcosa dentro di lei andare in frantumi e ricordò tutto.

Il dolore esplose in lei come una frustata in pieno volto ed Emily si sentì trapassare da parte a parte. Non pianse, il dolore fu così devstante da non farla nemmeno respirare, ma si portò entrambe le mani al ventre in un gesto istintivo, irrazionale. Solo quando la voce di Vàlì le tornò alla mente, disperata proprio come l’ultima volta in cui l’aveva udita, Emily si raggomitolò su se stessa e pianse come mai prima d’allora. Non tanto per l’angoscia, quanto per la rabbia di non aver potuto far nulla, di non essere riuscita a proteggere Vàlì dall’abbraccio della morte. Di non essere stata una brava madre.

Nel momento stesso in cui aveva capito di essere incinta, Emily aveva giurato a se stessa che avrebbe protetto il bambino anche a costo della sua stessa vita. Nessuno glielo aveva imposto. Semplicemente, aveva sentito un senso così forte di appartenenza, di calore, che proteggere quel piccolo esserino che cresceva dentro di lei le era sembrata una cosa di primaria importanza, anche più della sua stessa vita.

È mio figlio, aveva pensato, E lo proteggerò.

Non aveva mantenuto la promessa. Aveva permesso che facessero del male a un essere tanto piccolo, tanto delicato, tanto innocente.
Le aveva ancora in mente, quelle parole: taglienti e dolorose come il più acuminato dei coltelli, ed erano terribili. Devastanti.

È colpa mia, pensò, singhiozzando. È tutta colpa mia!

Le braccia possenti di Thor l’avvolsero in un abbraccio carico di empatia, dolore e tristezza, ma Emily non riuscì a smettere di piangere neanche in quel momento e anzi quel gesto non fece che incrementare il male che sentiva nel petto.

«Pagheranno, Emily», lo sentì sussurrare contro i suoi capelli, «Lo giuro. Pagheranno per quello che hanno compiuto oggi».

Emily ricordò gli occhi scintillanti di sadico furore di quell’essere, il suo sorriso sardonico e le sue dita violastre, dure come pietra, scavare a fondo nel petto di Vàlì, sporcarsi di sangue scuro, denso, infetto. Le parve che stessero uccidendo lei, quelle dannate mani, che le stessero artigliando il cuore con crescente prepotenza.

«Dov’è?», la sua voce era il pigolio di un uccellino, tremula e strozzata. Si divincolò dall’abbraccio di Thor e posò lo sguardo sulla Regina, che la osservava di rimando. «Dov’è Vàlì?», Domandò, scacciando via le lacrime con il dorso delle mani.

«Vieni con me, lady Emily».

Emily si voltò in direzione della voce. Alle sue spalle l’occhio di Odino era chiaro come le acque di un fiume e profondo come mille oceani. Lo raggiunse con passo svelto e nervoso, dimenticandosi completamente del galateo e dell’etichetta reale che imponeva di essere sempre presentabili, in ordine e composti. In quel momento, Emily non era nulla delle tre cose ma non gliene importava. Doveva sapere dov’era Vàlì: vederlo, toccarlo, accertarsi che fosse tutto un orribile incubo.

Odino le fece segno di seguirla e, scortati da alcune guardie reali, si avviarono nella Camera delle Guarigioni. 

Mentre Emily avanzava, il suo corpo tremava come una foglia e le lacrime scendevano lente lungo le sue guance. Non era ancora riuscita a razionalizzare la morte di Vàlì, il solo pensiero la inorridiva come poche cose al mondo. Dentro di lei, tutto sembrava bruciare e il dolore era insopportabile. Ogni ricordo era vino versato sulle sue ferite ancora aperte, scavava affondo e martoriava quei pochi brandelli di speranza che le rimanevano. Era una tortura atroce, devastante, alla quale Emily era certa di non sopravvivere.

Odino entrò in una stanza da cui proveniva un terribile lezzo di morte, diverso dall’odore di farmaci e incenso che ricordava lei. Emily intravide una sagoma piccola, fragile, coperta da un lenzuolo, posta su una brandina. Subito il cuore le salì alla gola e le impedì di andare avanti. Sapeva chi c’era sul quel letto. La sua mente continuava a urlarglielo a squarciagola ma lei non voleva sentire, non voleva vedere. Desiderava soltanto chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo dalla quale non svegliarsi mai più.

Odino si voltò a guardarla, lo sguardo grave e serio di chi aveva visto la morte più volte.

«Lady Emily, nessuno ti forzerà ad entrare, se non è un tuo desiderio» Le disse, pacato.  

Emily inghiottì il nodo che aveva alla gola e inspirò profondamente. «No,», disse, con voce tremante. «È mio figlio. Voglio vederlo», dichiarò.

Odino asserì con il capo e le fece cenno di entrare. Senza nemmeno accorgersene, Emily varcò la soglia della porta e si avvicinò tremante alla brandina. C’era un corpo lì, esamine, di un bambino, ma il lenzuolo gli copriva il volto e dunque le era impossibile vedere se apparteneva davvero a Vàlì. Forse era meglio così. Forse, semplicemente, non avrebbe dovuto togliere il telo, in modo tale da conservare la minuscola speranza che sotto quel telo non ci fosse Vàlì, ma qualcun altro.

Eppure, senza neanche rendersene conto, Emily lo scoprì.

Vàlì era disteso sul letto. I suoi occhi erano chiusi e le sue guance segnate dalle lacrime, il colorito della sua pelle era pallido e grigiastro, le labbra bianche come il latte. I curatori avevano tentato di fasciare al meglio la ferita che andava dal petto alla schiena, ma il sangue era ancora vivido, raggrumato e scuro, e spiccava con inquietante nitidezza dalle fasciature bianche. Emily non riuscì a distogliere lo sguardo da lui nemmeno per un momento, a respirare: quella scena aveva annientato tutti i suoi dubbi, il suo dolore e le sue speranze, soffiandoli via come sabbia. Adesso, al loro posto, restava solo un grande senso di vuoto, dal quale Emily si sentì schiacciare.

«Perché?», neanche si accorse di aver parlato, ma sentì gli sguardi di tutti i presenti puntarsi su di lei come tizzoni ardenti, curiosi. Si voltò, incrociando i loro occhi perplessi. «Perché lui? Era solo un bambino…».

«Gli Antichi dèi sono spesso ingiusti, lady Emily. Ma sta a loro intrecciare i fili del Destino; a noi non resta che affidarci alla loro lungimiranza» Era stato Odino a parlare. In un altro momento, Emily avrebbe assentito col capo e si sarebbe congedata da lui con riverenza. Adesso, invece, non riusciva nemmeno a guardarlo in volto.

«No», parole secche, decise, uscirono dalle sue labbra. «È stato per un motivo. Io voglio sapere qual era».

Niente veniva deciso dal Fato, o dagli Antichi dèi. Erano i vivi a decidere chi far vivere e chi far morire, non loro. Gli dèi non facevano nulla, forse non esistevano nemmeno. Le persone invece sì: gli assassini, i ladri e i malvagi esistevano sul serio. E uccidevano, al contrario degli dèi: forse per vendetta, per onore o per imposizione, che importava? Era il sangue di qualcuno che versavano, una vita che recidevano. E spesso erano gli innocenti a pagarne le conseguenze.

Odino aggrottò le sopracciglia. Emily poté vedere quanto  il peso di quella domanda gli gravava sulle spalle.

«Cerchi risposte dove non ce ne sono. Se vuoi sapere perché Thanos il Titano ha ucciso tuo figlio, lady Emily, non è a me che devi rivolgerti».

«E a chi, allora?», berciò lei, stringendo i pugni.

Odino la guardò dritta negli occhi. Prima ancora che parlasse, Emily capì cosa stesse per dire.

«Loki».
 
«Erik, devi ascoltarmi! Non può essere stato solo un caso!».

Erik sospirò e si passò la mano sul volto, spazientito. «No, Jane. Questo non c’entra nulla con quel dannato furgone. È solo un ciondolo».

«E questo è solo un reperto archeologico proveniente da chissà quale civiltà, perfettamente conservato e, guarda caso, con un foro al centro perfettamente combaciante con questo dannato ciondolo!» Sbottò Jane, stufa dell’atteggiamento scostante e impaurito di Erik nei confronti di tutto quello che proveniva da un’altra civiltà. Da quando quel pazzo furioso – quel Loki – aveva preso il controllo della sua mente, Erik diventava paranoico, stressato e timoroso ogni volta che c’era di mezzo un reperto di origine non umana. Jane cominciava a non sopportarlo più.

Quel pomeriggio, poi, sembrava essere più nervoso del solito. Quando lei gli aveva mostrato quello strano ciondolo che aveva rinvenuto inspiegabilmente quella stessa mattina, Erik aveva perso il controllo e aveva preso a blaterare roba confusa sul fatto che si era inventata tutto solo per spaventarlo. Jane non aveva avuto nemmeno il tempo di ribattere, perché improvvisamente dei membri dello S.H.I.E.L.D erano irrotti nel loro appartamento e li avevano letteralmente presi con la forza e gettati dentro una delle loro basi-super-segretissime, dove il dottor Banner si dilettava a studiare un sasso.

«Bastava fare una telefonata e saremo venuti tranquillamente!», aveva urlato Darcy, che era stata anche lei presa e trascinata via (Ehi, no, fermi! Stavo leggendo una fanfiction, io! Fatemi almeno finire! EHI!!) con la forza.

«Buona sera, dottoressa Foster e buona sera anche a voi, signori. A quanto pare, quando ho detto ai nostri gentili colleghi di portare la signorina Foster qui alla base devono avermi preso alla lettera. Le mie scuse, non intendevo disturbarvi» La voce del dottor Banner era quieta e limpida, serafica. Jane si chiese com’era possibile che un uomo così bonaccione potesse diventare un mostro verde spacca tutto in meno di pochi secondi.

«Buona sera, Dottor Banner. Perché ci ha fatti portare qui?», chiese Jane piccata. Non le piaceva il metodo che lo S.H.I.E.L.D adottava per entrare in contatto con la gente. Lo trovava rozzo. E lei odiava le persone rozze.

Banner le fece segno di avvicinarsi e Jane avanzò verso di lui.

«In realtà avevo detto loro di portare solo te, ma credo abbiano frainteso. Poco male: mi piace la compagnia, purché non sia rumorosa» E scoccò un’occhiata a Darcy, che prese a guardarsi attorno, confusa. (Ehi, perché guardate tutti me? Che ho fatto?!)

Jane si avvicinò al manufatto. «Di cosa si tratta?», chiese, cominciando a controllare i fogli che Banner aveva sparso sul tavolo da laboratorio, tutti riportanti figure di rocce e proprietà chimiche di vari minerali.

«Non lo sappiamo, è questo il punto. Lo abbiamo rinvenuto nello Wiltshire, accanto a Stonehenge. Credevamo fosse un semplice Menhir, magari rotto, ma quando lo abbiamo analizzato abbiamo capito che non si trattava affatto di un megalite, dunque lo abbiamo portato qui. A dirla tutta, non sappiamo proprio cosa sia: nessun minerale terrestre ha le sue stesse caratteristiche. Sembrerebbe di natura aliena, se non azzardo troppo».

«Be’, forse quando quei cosi hanno attaccato la Terra una delle loro navicelle ha perso qualche pezzo. Capita a tutti, in fondo. Non avete idea di quanta roba ho perso io, fin’ora. Ad esempio, la scorsa settimana ho perso di nuovo il mio StarkPod. Non immaginate che rabbia, avevo appena scaricato tutta la discografia di David Bowie...», era stata Darcy a parlare, il suo tono di voce sembrava quello di una bambina che cercava di attirare l’attenzione dei genitori. Jane le lanciò un’occhiataccia e lei roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto. «Oh, scusatemi! Facevo solo delle ipotesi! Voi scienziati ne fate tante, perché non posso farne una anch’io?!», aveva domandato, mettendosi sulla difensiva.

«Forse ha ragione», asserì Banner, massaggiandosi il setto del naso. Tutti (anche Darcy) lo guardarono confusi. «Voglio dire: questo spiegherebbe tutto, no?», aggiunse infine.

«Anche perché sia stato rinvenuto proprio il giorno in cui quel furgone si è messo a volare? Una coincidenza fin troppo strana, non credi?».

Tutti si voltarono verso la porta, confusi. Quando incontrò gli occhi neri di Tony Stark, Jane sospirò pesantemente.

Oh, mio Dio, no. Lui no…

Non sopportava Tony Stark. Nonostante lo considerasse senza alcun dubbio uno dei migliori scienziati dell’ultimo secolo, Jane lo trovava un idiota viziato, presuntuoso ed arrogante. Non riusciva proprio a capire come Darcy potesse trovarlo affascinante – voltandosi, Jane vide che la suddetta stava per soffocarsi con la sua stessa saliva, tanto era andata nel panico alla vista di Iron Man.

Quello avanzò nella sua direzione: capelli arruffati, sguardo beffardo e sorriso sornione impresso sul volto coperto da un sottile strato di barba. Piazzò il pacchetto di M&M's sotto il suo naso e allargò il suo sorriso.

«Ne vuoi una, tesoro?», le chiese. «Guarda: ci sono persino quelle rosa! A voi ragazze piace il rosa, giusto? A Pepper piace: ha due o tre magliette, rosa. Io invece lo trovo troppo… rosa, ecco. Capisci che intendo, no? È meglio il rosso, a parer mio. Già, il rosso è meglio. Proprio come la mia armatura, per questo è rossa. Se non mi fosse piaciuto il rosso, ne avrei costruita una rosa, mi sembra ovvio. Ne vuoi una rossa? Sono buone, sai? E sono meglio di quelle rosa».

Jane non rispose, ma lo fulminò con lo sguardo. Tony Stark, capendo l’antifona, ritirò la mano e le caramelle.

«No? Poco male, le mangerò io. Bruce, dolcezza, a te non le offro: hai messo su un po’ di pancia ultimamente… Non vogliamo mica che Hulk perda la sua linea invidiabile, giusto?» Il suo sorriso era mellifluo e derisorio e Jane incrociò le braccia al petto, stufa del comportamento da sbruffone di quel tizio. Non ha nemmeno salutato Erik e Darcy, pensò, facendo una smorfia di disappunto.

«Buon giorno a te, Tony», lo salutò Bruce, sorridendogli affabile. «Stavo giusto dicendo a Jane che abbiamo rinvenuto questa roccia proprio quando–».

«Aaaah, ma tu sei Jane Foster! Ma certo, come ho fatto a dimenticarmi di un visino colorito come il tuo? Come se la passa Big Jim, lassù? Ha fatto pace col fratellino o stanno ancora litigando per decidere chi ha il martello più lungo?».

Jane era assolutamente certa che al mondo non potesse esistere nessuno più irritante di Tony Stark. Nemmeno Darcy era così irritante - e Darcy, quando si ci metteva, era davvero, davvero irritante. Andarono avanti a discutere per alcuni minuti, durante i quali Jane fu più volte sul punto di tirargli un ceffone, finché Banner ed Erik non presero la parola cercando – inutilmente – di rasserenarla (Suvvia, Jane, sai com’è fatto Tony. Non dargli retta!). Dal canto suo, Tony Stark continuava a sorridere beffardo sotto il pizzetto ispido.

Infine, entrambi erano giunti ad un tacito accordo: Tony non dava fastidio a Jane e lei non lo prendeva a sberle. Tony però non pareva aver afferrato bene il concetto, perché continuava imperturbato a lanciarle frecciatine e fare battute decisamente poco simpatiche su Thor e il suo Mjolnir. Jane avrebbe voluto darglielo in testa, il dannato Mjolnir, ma questo preferì non dirlo.

«Guardate queste incisioni: sono celtiche, provengono da una cultura vichinga, antica più di mille anni. Eppure, la pietra è perfettamente intatta, quasi nuova. Il che mi porta a pensare che qualcuno ce lo abbia messo, quel masso, e non che fosse lì da secoli» Proferì Tony. «J.A.R.V.I.S, scannerizza il masso quaggiù. Dicci da che pianeta proviene».

Una voce metallica rispose un garbato Sì, signore e in pochi minuti sullo schermo dei computer venne proiettata una scritta grande, azzurrina e in grassetto: Materiale sconosciuto.

Jane aggrottò le sopracciglia e prese una lente d’ingrandimento, osservando meglio la roccia. Era quadrata, piuttosto alta e grossa e con neanche un graffio; parecchi nodi celtici erano stati incisi sulla pietra e al centro c’era un foro, piccolo e stretto. Osservandolo, sentì come un sussurro gelido soffiarle sulla schiena e un brivido la percorse da capo a piedi. Non c’erano dubbi: quel coso non era assolutamente di natura terrestre.

«Non mi piace» Disse Banner, rigido.
«Neanche a me».

Jane si voltò a guardare Erik: la sua voce era stata un sibilo appena percepibile nella sala, ma lei lo aveva udito benissimo. Quando incrociò il suo sguardo, costatò con sgomento che era terrorizzato. Fece per andargli incontro, ma Tony Stark la trattenne per un polso e la fece voltare verso di sé.

«Ehi, fermo, ma che diavolo fai?!» Gli urlò Jane piena di rabbia. Lui non le diede retta e prese fra le dita il ciondolo che portava al collo. Il suo sguardo era minuzioso, attento, inquietante. Jane deglutì a vuoto prima di liberarsi dalla sua presa con uno spintone.

«Dove lo hai preso, quello?» Domandò Tony Stark, ancora assorto nei suoi stessi pensieri.
«L’ho trovato», mormorò Jane. Guardandosi attorno, vide che tutti la fissavano con occhi pieni di dubbio. «Perché? Che ha che non va?».

In realtà, Jane non lo aveva trovato. Glielo avevano consegnato... In un sogno.

Lo ricordava ancora abbastanza bene, nonostante alcune immagini fossero sfumate insieme alla notte. Nel sogno, una voce le aveva parlato, la voce di un uomo, roca e raschiante, una voce che lei non temeva. Aveva detto di fare in fretta, che non poteva più aspettare. Jane conosceva quella voce, eppure era certa di non averla mai udita prima di allora. La voce si era fatta sempre più insistente, più prepotente, tanto che Jane le aveva chiesto cosa dovesse fare per farla tacere. Allora la voce le aveva dato quel ciondolo, che aveva iniziato a risplendere di una luce azzurra, ammaliante. Liberaci, aveva detto la voce, Liberaci.

Al suo risveglio, Jane si era ritrovata col ciondolo intorno al collo.

«Nulla», rispose Tony Stark, tornado improvvisamente tranquillo e facendo spallucce. «Mi sembra di averlo già visto, però».
«Forse da Tiffany!» Cercò di sdrammatizzare Darcy, fallendo miseramente.
«Forse, invece, in un libro» Disse Banner, cominciando ad osservar meglio il ciondolo. «Effettivamente, ha qualcosa di famigliare. Non riesco a ricordare cosa, però…».

Jane guardò Erik di riflesso, in attesa di una sua risposta. Erik non disse nulla, ma nei suoi occhi la risposta c’era eccome. Era evidente che sapesse qualcosa, era scritto lì, nel suo sguardo colmo di apprensione e nelle sue mani tremanti. E Jane doveva sapere. Voleva sapere!

«Sono solo coincidenze. Questo dannato gingillo non ha nulla a che vedere con quello stramaledetto furgone, te l’ho già detto!», urlava Erik, terrorizzato.

«Le labbra mentono, amico mio. Gli occhi, invece, no», la voce di Tony Stark era chiara e beffarda; osservava Erik come un leone davanti a un agnellino. Dai suoi occhi trapelava tanta di quella certezza da riempire un oceano intero: e se gli occhi non mentivano, allora Tony doveva essere molto sicuro di sé. Jane si chiese come facesse ad essere sempre così spavaldo. «E tu non ci stai dicendo la verità», concluse.

Il volto di Erik divenne paonazzo. Sul suo volto parvero danzare una decina di risposte, tutte diverse fra loro. «Vi dico che non ne so niente! Lasciatemi in pace: non voglio avere niente a che fare con questa storia!», sbottò. Era così terrorizzato da infondere paura persino in Jane, il cui cuore aveva preso ad accelerare inspiegabilmente i battiti. Toccando il ciondolo, però, si tranquillizzò.

«Erik, vecchio mio, ecco: prendi un bicchiere d’acqua. Sei pallido come un cadavere», propose Banner, versando un po’ di acqua frizzante in un bicchiere di plastica. Nel frattempo, Darcy aveva fatto sedere Erik su una sedia, ansiosa per il nervosismo dell’amico. «Ti va di raccontarci quello che sai? Sei un uomo di scienza. Dovresti sapere meglio di chiunque altro quanto potrebbero essere importanti per tutti noi le tue parole…».

Forse per il tono pacato e gentile di Banner, forse per la disperazione, ma alla fine Erik prese un respiro profondo e si nascose il viso tra le mani, scosso. Quando riaprì gli occhi, lanciò un’occhiata torva al ciondolo che Jane portava al collo, come se fosse la causa di tutti i suoi mali.

«Quello che Jane porta al collo non è un semplice ciondolo», disse. Tutti si voltarono a osservare Jane e lei si tolse in fretta e furia la collana dal collo, guardandola inquieta. Erik sospirò di nuovo. «C’è dell’energia, lì dentro. E non è un’energia come le altre» Fece una pausa, come se continuare a parlare gli costasse un enorme sacrificio. Quando alzò gli occhi su di lei, Jane capì che non stava mentendo. «È quella del Tesseract».


La cella nella quale lo avevano rinchiuso era diversa da quella precedente: era situata più in fondo, nelle segrete del palazzo, tra quelle riservate ai prigionieri di primo ordine. Non esistevano finestre, non esisteva un letto, non esisteva cibo. Non esisteva nulla all’infuori della sua stessa solitudine. La celle si trovava nelle viscere del palazzo, persino più in basso delle segrete. Loki non aveva mai visitato quella parte del castello, da giovane, ma ora che era laggiù avrebbe preferito continuare a non conoscerla.

Loki ricordava l’urlo disperato di Emily che si confondeva col suo, il sangue di Vàlì che sgorgava a fiotti dal suo petto, viscido e scarlatto come le rose, Thanos che si avventava su di lui come una belva feroce e Odino che frapponeva una barriera d’Energia fra loro, costringendo il Titano a ritirarsi con annessi tutti i suoi seguaci – che nel frattempo avevano massacrato metà degli invitati; rimembrava l’odore acre e ferroso del sangue che gli entrava nelle narici e la presa prepotente delle guardie mentre lo avevano trascinato via, incuranti delle sue urla furiose e della sua rabbia impotente, mentre diceva loro di lasciarlo stare, che non c’entrava nulla e che voleva rimanere lì, con Vàlì ed Emily. Nient’altro che memorie sfuggevoli e dolorose come una pugnalata, lo trafiggevano e lo portavano alla follia.

Alla fine, Thanos aveva davvero mantenuto la sua parola, a differenza sua, ma il prezzo da pagare era stato troppo alto, troppo ingiusto. Aveva visto suo figlio morire e non aveva potuto fare niente per fermarlo. Di fronte a lui, la faccia dura e violacea di Thanos continuava a tormentarlo: il suo sorriso sardonico mentre uccideva Vàlì, la mellifluità con cui articolava ogni parola… era tutto troppo, troppo per Loki.

Ti avevo fatto una promessa, Dio degli Inganni. Ed io mantengo sempre la parola data.

Avrebbe dovuto piangere. Forse, pensò, sarebbe stata la cosa più giusta e naturale da fare, anche solo per spostare di poco quell’enorme masso che gli schiacciava il petto. Si sentiva così sporco, infetto, da non riuscire neanche a muoversi. Nonostante ciò, le lacrime non uscivano dai suoi occhi; era come se tutto, dentro di lui, si fosse ghiacciato. Anche la voglia di piangere.

Ripensò a Vàlì, a quel figlio che non aveva visto crescere, che aveva perso per un capriccio infantile, una vendetta incompiuta; rivide i suoi capelli neri, i suoi occhi azzurri, le efelidi appena accennate sul naso, e si sentì struggere nel ricordare quanto gli assomigliasse. Si aspettava di vederlo comparire di nuovo fuori dalla sua cella, i suoi occhi vispi e furbi che lo scrutavano con curiosità mentre gli chiedeva cosa ci faceva rinchiuso di nuovo in una cella. E anche se lo desiderava con tutto se stesso, Loki sapeva che credere in quella speranza era come cercare di afferrare l’acqua: i ricordi continuavano a farsi sempre più vividi, più dolorosi, ma, per quanto tentasse di prenderli, quelli sfuggivano e lui rimaneva di nuovo da solo.

Venne pervaso da una rabbia feroce, disperata: colpì il muro della cella e urlò sguaiatamente; così forte da ferirsi la gola. Era stata colpa sua. Era a causa sua se Vàlì era morto. Sua, unicamente sua!

Loki si fece cadere con pesantezza a terra, mentre un urlo selvaggio e devastante cresceva dentro di sé. Pensò ad Emily, sentì subito il suo grido mentre pregava di non fare del male a Vàlì, vedeva le lacrime che scendevano lente dal suo viso, la paura che tempestava i suoi occhi. Loki urlò tanto da farsi mancare il fiato, finché le unghie non si conficcarono nel palmo della sua mano e il suo corpo non si irrigidì come pietra.

«Basta».

Loki si voltò, i capelli neri e cespugliosi che gli cadevano disordinati sul viso ossuto e contratto dalla rabbia. Gli occhi di Emily lo trafissero come frecce. Tutto in lei era diverso, le sue movenze, il suo sguardo e, soprattutto, i suoi occhi: erano vuoti, perduti, diversi da quelli che amava. Persino il loro colore sembrava più smorto, più stanco. Loki si sentì così mortificato da non sapere più cosa dire.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, silenziosi come tombe. L’aria era pregna di tristezza, di parole non dette, di dolore e tanta rabbia. Emily non parlava, rimaneva lì, immobile, a fissarlo con sguardo assente, spento, peggiore più di qualsiasi urlo. E Loki rimaneva lì, ad ascoltare i suoi silenzi.

«Voglio sapere il perché» La voce di Emily era chiara, roca, di chi aveva passato tutta la notte a piangere e adesso non aveva più voce. Loki non rispose: nessuna parola sembrava essere abbastanza adatta, nessun inganno riusciva ad essere convincente. «E voglio saperlo da te».

Loki alzò lo sguardo su di lei. «Potrei mentirti», disse. Non stava mentendo.

«Se lo farai, lo saprò», rispose allora Emily, rigida. La mente di Loki viaggiò fino a tornare a quel giorno in cui, da bambini, le aveva promesso che sarebbe diventata la sua Regina, una volta diventati grandi. Solo in quel momento, Loki si accorse di non essere riuscito a mantenere la promessa per cui tutto era avvenuto e si sentì terribilmente patetico.

«Quell’essere ha ucciso Vàlì per un motivo, Loki, e solo tu sai qual è. Dimmelo.».

Gli occhi di Emily erano freddi più del marmo ma scottanti come il Sole, e trapassavano Loki da parte a parte come una spada affusolata. Il dolore insostenibile per la perdita di Vàlì sembrava corroderla dall’interno, più devastante di qualsiasi guerra. Gli ultimi eventi crollarono sulle spalle di Loki pesanti come un macigno, devastandolo. Per colpa mia. Lo ha ucciso per colpa mia, pensò, ma le parole gli morirono in gola e rimasero nella sua mente, all’ombra di una verità troppo grande.

La perderai, se glielo dirai.

Ed era vero. L’avrebbe persa, lo sapeva. E la cosa lo terrorizzava più di ogni altra cosa al mondo.

La guardò: i suoi occhi erano uguali a quelli di Vàlì. Sapevano di infanzia e di felicità, cose che lui aveva dimenticato da un pezzo e che non poteva più recuperare.

«No», disse, «Non lo so».

Nel silenzio che seguì quella bugia, le pareti della cella parvero improvvisamente restringersi.






- Note di Harmony394.

E dopo una lotta a l'ultimo sangue con internet, sono riuscita ad aggiornare!
Come tutti avrete capito, questo è un capitolo di "passaggio", ossia una specie di intermezzo a ciò che dovrà venire dopo, che sarà abbastanza movimentato. :P
Mi sembrava doveroso concedervi una pausa.
Avete subito troppo Angst, ultimamente. xD

Il capitolo è pregno di citazioni a The Game of Thrones - che, come avrete capito, adoro tantissimo. Chi le ha trovate? :)

Volevo chiarire una cosa riguardo ad Emily: ho cercato di renderla il più
realistica possibile. Questo è un momento delicatissimo per lei, dove tutte le sue certezze e le sue speranze crollano, dunque la maggior parte delle sue azioni sono dettate dal dolore della perdita e dalla rabbia. Non sconvolgetevi se nei prossimi capitoli farà qualche cazzata! :,D

Per quanto riguarda Loki: ho cercato di rendere anche a lui il più "realistico" possibile. Trovo che Loki sia un personaggio molto complicato da maneggiare, sempre diviso fra due poli e abbastanza lunatico; imprevedibile, senza dubbio. Non so come il vero Loki potrebbe reagire alla morte di suo figlio, ma dubito possa fare i salti di gioia. Inoltre, credo che non si sia tortura più dolorosa del senso di colpa, e Loki sa bene che in parte la morte di Vàlì è dovuta a lui.

Per quanto riguarda i POV di Jane... be', mi sono divertita tantissimo a scriverli! xD

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno aggiunto la storia fra le preferite\seguite\ricordate e che hanno recensito lo scorso capitolo. Avete salvato molti coniglietti, bravi. <3
Tantissimi cuori per
vannagio che ha betato anche questo capitolo! Grazie mille, Vanna! <3

Al prossimo capitolo.
 Bacioni!

P.S:
https://www.facebook.com/harmony.efp.9?ref=tn_tnmn il mio indirizzo Facebook. Aggiungetemi se vi va di fare quattro chiacchiere!
P.P.S: La canzone è November Rain, dei Guns'n Roses.
 

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Capitolo 9
*** Dangerous discoveries ***


~Dangerous discoveries

Who do you think you are?
runnin’ ’round leaving scars
collecting a jar of hearts
tearing love apart
you’re gonna catch a cold
from the ice inside your soul
don’t come back for me
who do you think you are?

 
 
Una volta entrato nella Sala del Trono, Malekith si inchinò dinanzi a Thanos: dopo la fuga da Asgard, il Titano era diventato più rude e irascibile del solito, e questo non significava nulla di buono.

Dinanzi a lui, stravaccato sullo scranno rivestito d’acciaio e di ferro, stava proprio Thanos: i suoi occhi brillavano di un bagliore sinistro, pericoloso, e le sue ruvide labbra erano dischiuse in un ringhio. Al suo fianco, in un fruscio di seta e di oro, sedeva Eris: le sue lunghe gambe erano accavallate sopra il bracciolo del trono e un sorriso mellifluo le incurvava le labbra. Lo guardava con sufficienza e a Malekith tornò in mente la prima volta in cui l’aveva vista a Svartálfaheimr, elegante e sinuosa come una pantera, mentre gli proponeva il patto per cui tutto era iniziato.

Aveva ancora impresse nella mente le parole che gli erano state rivolte da Eris, gelide e taglienti come la lama di una spada: Una sola mossa falsa, Elfo, e la tua testa verrà servita per cena ai Chitauri.

«Mio Signore, sono al vostro comando...» Mormorò Malekith, portando una mano al petto. Non sapeva perché Thanos lo avesse convocato, in fondo erano giorni che lo ignorava, eppure sentiva qualcosa dentro di sé, come un campanello d’allarme. Lo sguardo furente del Titano lo trapassava da parte a parte e Malekith iniziò a sudare freddo.

Con eleganza, Eris scostò i lunghi capelli corvini dalla sua spalla e si avvicinò a Thanos, senza distogliere lo sguardo da Malekith.

 «Mio signore, permettete che sia io a riferirgli la ragione per cui lo avete convocato...» Le sue dite scorrevano lente sulla pelle ruvida del Titano, delicate e morbide come velluto, ma Thanos le cacciò via con un ringhio spazientito e rivolse un’occhiataccia alla Signora del Caos.

«Taci, donna», la sua voce era dura e sprezzante, molto più di un semplice ammonimento. «Riguardo a te, Elfo: il tuo piano è fallito, siamo di nuovo al punto di partenza. Tutto ciò che ho guadagnato è stato il sangue di un infante. Mi avevi promesso il Tesseract, eppure non ho nient’altro che un pugno di mosche», disse, con terribile tranquillità. Dopo qualche istante, Thanos rivolse un cenno del capo all’Altro che ghignò e, in un turbinio di movimenti, Malekith si ritrovò a terra con un pugnale puntato alle spalle.

«M-Mio signore…» La presa sui suoi capelli si fece più intensa e la lama più vicina alla schiena. «Vi supplico…».
«Supplica gli dèi, Elfo. Forse ti procureranno un posto nell’Hel, se sono magnanimi».

Ad un tratto, Malekith vide tutto rosso e non riuscì a distinguere i suoni che gli ronzavano intorno come insetti fastidiosi. Poi il dolore esplose nella sua testa senza preavviso e tutto iniziò a vorticare sempre più velocemente. Solo quando qualcosa di denso e umido cominciò a scorrergli giù per la schiena, capì che l’Altro lo aveva pugnalato. La ferita non era profonda, lo sentiva, eppure bruciava terribilmente e Malekith non seppe spiegarsi il perché.

«La lama di Tyrfing è una delle più potenti dell’Universo, nevvero? Un solo graffio potrebbe uccidere un uomo adulto in pochi minuti. È divertente il fatto che sia stato proprio tu, Malekith, a donarla al mio signore, con la promessa di gloria e vendetta, quando poi l’unica cosa che ci hai dato sono state illusioni e vane parole. Credevo che la lezione sul non dire le bugie ti fosse bastata, quella volta. A quanto pare, mi sbagliavo…».

La testa sembrava scoppiargli e Malekith udì le parole di Eris come un’eco lontanissima, irraggiungibile. Credette di stare per morire, di non poter più respirare. Le gambe gli si intorpidirono e presero a tremare convulsamente. Era come se una frusta incandescente gli avesse colpito il volto e la schiena.  Macchie del colore del fuoco gli esplosero davanti agli occhi.

No, no… non posso morire. Non adesso, non senza di lei. No, no, no!

Poi, così come era arrivato, il dolore sparì. E Malekith aprì gli occhi.

Confuso e dolorante, si alzò a sedere, le testa sembrava scoppiargli. Thanos ed Eris lo osservavano con aria beffarda da sopra la loro postazione. Non riuscì a capire. Sarebbe dovuto morire, perché riusciva ancora a respirare?

«Patetico», soffiò Thanatos, canzonatorio. Eris ridacchiò.
«Quella che ti ha colpito, Malekith, non era Tyrfing; bensì una copia dalla lama cosparsa di distillato corrosivo, nulla di mortale. Ciò che hai provato quest’oggi, però, è niente in confronto a ciò che proverai se fallirai ancora. Il mio signore è stato clemente, Malekith. Non farlo pentire…» La voce di Eris era intrisa di derisione. Sembrava stesse giocando, tanto era tranquilla. Di riflesso, Malekith pensò a un ragno che aveva catturato un insetto.

«Io… io…» Le parole vennero meno e Malekith si vergognò come un ladro. Proprio lui, il Sovrano di Svartálfaheimr, umiliato da una donna. Che mortificazione. Sospirò e tentò comunque di darsi un contegno, nonostante stesse tremando di rabbia. «Io giuro che sistemerò tutto, mio signore. Non vi farò pentire della vostra scelta. Al contrario: ho già un piano ben preciso, sono certo che funzioner–».

«No» Disse Thanos, gelido. «Ho già il mio piano, e tu lo eseguirai senza esitazione, Elfo».

Malekith chinò il capo. «Sono ai vostri ordini, sire».

Il sorriso di Thanos si allargò. Nel suo sguardo, Malekith rivide lo stesso furore della prima volta in cui gli aveva parlato.

«Allora raduna gli eserciti, governa le navi e prepara le armi. È giunto il momento di fare una visitina a Jane Foster».

 

 
«In guardia!».

Parata, fendente, schivata.

«Attenta a te, piuttosto!».

Fandral sorrise beffardo. Sif digrignò i denti. Di nuovo, le loro lame s’incrociarono. Dall’alto della sua postazione, Thor pensò che Sif era migliorata molto nel combattimento corpo a corpo.

Fandral parò nuovamente l’affondo della compagna. Sif urlò per la frustrazione, diede una ginocchiata alle parti basse di Fandral e cavò* la sua spada, facendola cadere a terra con un tonfo. Fandral provò a riprenderla ma Sif lo precedette e, mentre lui era a terra, lo spinse giù con un calcio e gli puntò la spada sotto il mento.

«Ti ho battuto», il sorrisetto beffardo di Sif fece sorridere Thor di compiacimento.

Il sorriso di Fandral, invece, sparì del tutto. Al suo posto, comparve una smorfia piena disappunto e dolore; le sue mani erano premute contro l’inguine.

«Mi hai dato una ginocchiata! Non è leale, questo!», berciò, continuando a contorcersi per il dolore. Sif fece spallucce.
«Quante storie. E saremmo noi donne il sesso debole? Tale spettacolo mi fa sorgere dei dubbi».

Attorno a lei, tutti i guerrieri giunti ad assistere allo scontro risero di gusto. Anche Thor rise. Per quanto maschiaccio potesse essere, Sif rimaneva comunque una delle donne più affascinanti e caparbie che avesse mai conosciuto.

«Ti diverti, figlio?».

Thor si voltò. Suo padre era accanto a lui, lo sguardo fiero e austero che lo aveva sempre intimorito da ragazzo. Nei suoi occhi, scorse una venatura malinconica e stanca ma non ne fu sorpreso.

«Cerco solo di distrarmi dai cattivi pensieri, padre» Rispose.

Gli tornò alla mente il viso striato dalle lacrime e dalla paura di Vàlì, mentre Thanos gli stringeva il collo; lo sguardo di dolore e sgomento, quando gli era stato strappato via il cuore con una violenza spietata, vendicativa; i suoi occhi che si rivoltavano mentre cadeva a terra, esamine, in una pozza di sangue. Con i ricordi, tornò anche il dolore e Thor serrò i pugni, conficcando le unghie nella carne del palmo e stringendo senza pietà. Il dolore fisico era tanto, insopportabile, ma alleviava di poco quello al cuore e tanto gli bastava.

Se solo fossi stato più svelto, se solo lo avessi protetto…

La mano callosa e ruvida di suo padre si poggiò sulla sua spalla, pesante. Osservandolo, Thor rivide lo stesso sguardo che gli riservava ogni volta che, da ragazzi, Loki veniva bersagliato da alcuni ragazzi e lui non faceva in tempo a difenderlo. Non era mai riuscito a decifrare quello sguardo, da giovane. Ma adesso che la storia si ripeteva, con Vàlì come vittima, Thor non aveva più dubbi riguardo al suo significato.

«Sai bene che ciò che è accaduto non è stato colpa tua» Dichiarò Odino, pacato. Thor distolse lo sguardo, colpevole, e si liberò dalla sua stretta. Sapeva che suo padre stava solo cercando di farlo sentire meglio, eppure alle sue orecchie quelle parole rimbombarono come le peggiori delle accuse.

«Non mi importa di chi è la colpa. Quei mostri pagheranno per ciò che hanno fatto» La sua voce era fredda e aspra, colma di rabbia. Nonostante fosse passato un mese da quel giorno, Thor non riusciva ancora a dimenticare. Erano così vivide, così maledettamente terribili, così… reali. Se chiudeva gli occhi, l’urlo disperato di Vàlì mentre invocava aiuto riecheggiava ancora nella sua testa, terribile come il peggiore degli incubi.

«Non sei tu che dovrai vendicare il giovane Vàlì, Thor. Non è a te che spetta tale compito».

Thor impiegò alcuni minuti per recepire appieno il significato di quelle parole, ma quando lo comprese si voltò, gli occhi ridotti a due fessure azzurre e lo sgomento impresso sul volto ruvido. Guardò Odino come se lo vedesse per la prima volta.

«E a chi toccherebbe, allora?» Chiese, senza riuscire a nascondere il nervosismo che gli faceva prudere le mani.

La risposta non tardò ad arrivare. «Loki», disse suo padre, solenne. Nel sentir nominare quel nome, Thor strinse i pugni con veemenza.  

Loki…

In seguito al funerale di Vàlì, tenutosi tre giorni dopo la sua morte, al palazzo non si era parlato altro che di lui. Dicevano che era Loki l’artefice della morte di Vàlì, che le parole di Thanos, pronunciate poco prima che suo padre lo obbligasse a scappare, ne erano la conferma e che la presunta “promessa” non era altro che un accordo suggellato da entrambi. Quando Thor era venuto a conoscenza di quegli assurdi pettegolezzi, la sua rabbia era stata tale da trasformare il nome di Loki Laufeyson in un tabù: nessuno osava più nominarlo in sua presenza.

Nonostante ciò, non c’era giorno in cui Thor non pensasse a lui. Si ripeteva che era impossibile che avesse fatto una cosa simile, che si fosse spinto a tanto solamente per un capriccio infantile. A lungo andare, però, non poté fare a meno di chiedersi se non stesse solo mentendo a se stesso per paura di una verità troppo amara da digerire.

Quando Padre aveva deciso che Loki doveva restare in vita, rinchiuso nelle segrete in attesa di chiarimenti riguardo ciò che era accaduto quel giorno, Thor aveva pensato che forse la cosa migliore da fare era ucciderlo una volta per tutte. Subito, però, un profondo senso di disgusto lo aveva avvolto come una coperta, facendolo vergognare come un ladro.

I primi tempi aveva provato a scendere nelle segrete, a parlargli, ma l’unica cosa che aveva ottenuto erano stati  il silenzio assoluto e delle occhiate così penetranti da trafiggerlo ogni volta. Così, col passare dei giorni, Thor non era più andato a fargli visita e aveva preferito chiudere gli occhi, provando vergogna ogni volta che incrociava lo sguardo di Emily.

Nel ricordarla, Thor fece scorrere la mano lungo i tratti del suo viso, come se così facendo tutte le preoccupazioni potessero sparire. Da giovani loro due e Loki avevano passato molto tempo insieme; Emily aveva sempre preferito giocare con Loki, piuttosto che con lui, provocandogli spesso irritazione; dopo la dipartita di Loki, Emily aveva trascorso ogni giorno in compagnia di qualcuno per timore di restare di nuovo da sola; Thor aveva visto la sua pancia crescere sempre di più e persino lui, che i bambini non li aveva mai sopportati, aveva cominciato a porsi domande sul colore degli occhi di Vàlì, sul suo carattere, sulla sua voce.  

Quando poi Vàlì era nato, Thor aveva visto la gioia riaffiorare sul viso dell’amica. Tutto sembrava essere tornato come prima. Poi però aveva fatto ritorno. E con lui anche l’oscurità che si era lasciato dietro.

«Loki non può fare niente. È stato rinchiuso a vita nelle segrete. Il massimo che potrebbe fare è evitare di impazzire del tutto» Parlò a un tratto, grave. Nonostante ciò, Odino non demorse.  

«Le catene non possono lenire la rabbia di un padre. Solo fomentarla».

«Dunque intendi dire che Loki è innocente?» Berciò Thor, alzando il tono della voce. «Sappiamo bene entrambi ciò che è accaduto quel giorno e ne sono certo, Loki c’entra qualcosa», continuò, respirando profondamente nel tentativo di calmarsi. Dentro di sé sembrava imperversare una battaglia fra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, ma Thor non sapeva quale strada intraprendere per mettersi in salvo. Il vento lo spingeva, con violenza crescente, spingendolo sul ciglio del baratro e schiacciandolo con il peso dei suoi stessi pensieri. «Non possiamo sistemare ciò che è già stato rotto, Padre. Ci ho già provato una volta ed ho fallito miseramente. Credimi, so di cosa parlo», concluse, sospirando.

«L'unico vero fallimento sta, in realtà, nel permettere alla sconfitta di avere la meglio su di noi, Thor. Loki non c’entra in questa storia, o perlomeno non nel modo in cui credi tu. Il fatto che abbia ceduto alle lusinghe dell’Oscurità  che dietro quella foschia imperscrutabile non si nasconda una luce. Forse dovresti semplicemente guardare oltre ciò che vedi».

«E tu?», domandò allora Thor, d’istinto. «Tu l’hai fatto? Hai guardato oltre?».

Odino ricambiò il suo sguardo. Il suo unico occhio, azzurro come i cieli più limpidi di Asgard, era colmo di tragicità.

«Sì» Rispose, sospirando. 

«E cosa hai visto?» Chiese allora Thor, sinceramente interessato.

«Padre degli dèi, Heimdall ha qualcosa di urgente da dirvi! Richiede la vostra presenza e quella del principe Thor immediatamente!».

Un ragazzo sulla trentina d’anni, uno di quelli che avevano lottato contro Thanos, si inserì nella conversazione. Aveva il fiatone, gli occhi sgranati e del sudore gli imperlava la fronte. Thor scambiò un’occhiata con suo padre, lui assentì col capo e si diressero da Heimdall. Nel tragitto, Thor non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe risposto suo padre se non fossero stati interrotti.

Quando arrivarono, Heimdall non disse molto; solo poche parole di cui Thor non capì il significato. Ma quando vide l’espressione che si era delineata sul volto di suo Padre, comprese che non doveva trattarsi di nulla di buono.

«Il Velo è stato distrutto».
 

«Jane, andiamo. Sono già tre ore che siamo chiusi qui dentro. Fra poco inizierà Once Upon a Time ed io devo sapere se Belle e Tremotino si metteranno insieme! Eddai, forza andiamo! Torneremo domani!!».

Devo cercare di capire il significato di queste rune. Non deve essere poi tanto difficile. Sono riuscita a tradurre un papiro scritto in egiziano arcaico, deve essere più o meno la stessa cosa…

«Jane, senti: so che tutto questo può avere un senso per te, ma per me non lo ha affatto. Tutta questa gente mi mette ansia e questa biblioteca puzza di muffa, non troverai nulla qui dentro!».

Aaaah! Cosa diavolo significano queste rune?! Aspetta un attimo: cosa sono ‘sti cosi? Non sembrano umani. Più che altro sembrano… alieni.

«Ohmmioddio, Jade ha appena pubblicato il quinto capitolo delle sua fanfiction su Bruce Banner e la sua self Insertion! Cazzo, cazzo, cazzo, Jane, muoviti, devo andare subito a casa! Ho una vita da vivere!».

Un momento, il dottor. Banner aveva detto che questa è una lingua sconosciuta, per cui non sarebbe strano se fosse sul serio un linguaggio alieno. Forse se guardo meglio le figure riesco a capirci qualcosa…

«Jane, giuro che questo dannato masso te lo do in testa se non usciamo subito di qui!».

E se questo ciondolo… oddio, ho capito cosa devo fare!

«Jane, sbrighiamoci!!».

«SILENZIO!» Non si era nemmeno accorta di aver urlato. Quando però udì un coro di SSSSSH!! riecheggiare nella sala, Jane ricordò di essere ancora dentro una biblioteca e che urlare non era considerato proprio “educato”, in quel contesto. Subito arrossì fino alla punta dei capelli e nascose il viso dietro un libro che aveva poggiato sulla scrivania.

«Visto che hai combinato? Ci hai fatto fare una figuraccia!», sussurrò Darcy pianissimo, ma non abbastanza da non udirla. Erik si accorò al rimprovero e le lanciò un’occhiataccia.

«È colpa vostra!», disse Jane, sempre a bassa voce. «Se non mi aveste tormentata con la vostra inutile premura a quest’ora noi–».
«Oh, piantala! Possiamo andare adesso? Sono stufa di stare qui» Darcy mise il broncio e sbuffò irritata. Le sue dita non la smettevano di tamburellare sul tavolo.

Jane le scoccò un’occhiataccia. «Sei la mia assistente, Darcy. Ti pago per stare qui!», disse. Darcy roteò gli occhi. «E tu, Erik: devi smetterla di comportarti da idiota. Stai diventando insopportabile!».

Erik fece per ribattere ma Jane lo precedette. «E adesso state zitti. Se ciò che penso è vero, allora ci troviamo davanti a una delle maggiori scoperte archeologiche e scientifiche della storia!».

«Addirittura!» Rise Darcy. Anche Erik rise, ma tentò di non darlo a vedere.

«Adesso basta. Anzi, venite qui e ascoltatemi!» Erik e Darcy fecero come era stato loro impartito e Jane prese il ciondolo intriso dall’energia del Tesseract e lo sventolò davanti a loro.

«Ebbene?» Domandò Erik, scettico. «È ancora quel dannato ciondolo. Liberatene e non pensarci più, porta solo guai».

«No, Erik!  Disse Jane, seria. «Ma non capisci? C’è un motivo se ho trovato questo ciondolo! E c’è un motivo se è successo proprio quando la luce rossa del rilevatore ha ripreso a lampeggiare! È tutto collegato!».

Darcy aggrottò la fronte. «Jane, per me stai esagerando. Sono solo delle coincidenze…».

«Lo credo anch’io, Jane. Ti stai stressando un po’ troppo, ultimamente» Si accorò Erik.

Non le credevano. Pensavano che fosse pazza. Da quanto tempo non le capitava una cosa simile? Dalle superiori, forse. Jane ricordava ancora con spietata nitidezza gli sguardi beffardi dei suoi ex compagni di scuola mentre la chiamavano pazza e la gettavano nei cassonetti dell’immondizia o la chiudevano in bagno – per scherzo! Dicevano loro. Erano dei ricordi che credeva di aver rimosso, eppure erano ancora lì, sospesi sulle parole di Erik e Darcy. Ed erano terribili.

«No!», disse Jane, furiosa. Non voleva più rivivere le esperienze passate. Era cambiata, adesso. Ed era più forte. Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. «C’è un motivo se è accaduto tutto ciò. E ve lo dimostrerò!».

Agì d’istinto, senza sapere esattamente cosa fare: prese il ciondolo e lo infilò nella fessura collocata al centro della pietra, aspettandosi di vedere chissà cosa, la conferma che aveva ragione, che non era pazza. Subito, le crepe della pietra si illuminarono di azzurro e diedero vita a un disegno che Jane non era riuscita a notare prima: sembrava un architrave, un grosso, gigantesco architrave, cosparso di ghirigori vichinghi e di rune. Attese per qualche minuto, il cuore che le batteva a mille per l’eccitazione, finché ad un tratto la luce azzurrina si spense e tutto tornò alla normalità. Confusa, Jane aggrottò la fronte e aspettò che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa.  Ma a dispetto delle sue aspettative, non accadde nulla. E Jane capì di essersi sbagliata.

Darcy inarcò un sopracciglio. «Tutto qui?».

CRAAASSSSSH!!

Una delle vetrate della biblioteca finì in frantumi e lo stesso accade a tutte le altre. Attorno a loro regnava il caos, una cacofonia di urla e schiamazzi, e Jane fece appena in tempo a sentire Darcy urlare MA CHE DIAVOLO HAI FATTO?! che un ragazzo coprì la sua voce.

«Ehi, guardate! Un tizio col martello le sta suonando a un Teletubbies!».

Jane impiegò un po’ a comprendere il significato di quelle parole. Quando infine realizzò, il cuore le salì in gola e le sue gambe si mossero da sole, sfrecciando verso una delle finestre. Quando lo vide, dimenticò improvvisamente come si faceva a respirare.

Thor…

Era proprio come lo ricordava: alto, bellissimo e… e… Lui. I suoi capelli erano più lunghi, la sua armatura diversa, ma i suoi occhi – quei dannatissimi occhi – erano ancora come sette anni fa. Non erano cambiati nemmeno di una virgola.

Solo in un secondo momento si accorse che Thor stava davvero lottando con qualcuno. D’istinto, Jane pensò ai Chitauri. Eppure quell’essere era differente, più alto, più… familiare. Lo aveva già visto da qualche parte, ma al momento la sua mente era così annebbiata da non farle ricordare nemmeno il suo nome.

Thor e l’Alieno lottarono per un tempo che le parve infinto. Di tanto in tanto, entrambi scomparivano nel nulla per poi ricomparire il secondo dopo, sempre continuando a combattere. Jane vide Thor finire scagliato su un tetto, spiaccicare la testa dell’Alieno contro una vetrata, perdere il Mjolnir e recuperarlo un attimo prima dell’impatto a terra, cadere a terra mezzo morto a causa di un pugno da parte del Tizio in Nero e fracassare una macchina come se fosse una cosa di tutti i giorni. Lo rivide di nuovo a terra, poi in piedi, poi di nuovo a terra: pugno, sinistro, Mjolnir che cercava di spaccare la testa al Tizio-in-Nero, Tizio-in-Nero in questione che urlava di rabbia e dava un calcio alle parti basse di Thor, poi di nuovo un pugno da parte del Tizio-in-Nero e infine una navicella spaziale di dimensioni epocali che si abbatteva su Londra. Così, giusto perché ciò che stava accadendo non era ancora abbastanza assurdo.

Jane uscì dalla biblioteca di corsa e Darcy ed Erik le furono subito accanto.

«Certo che l’hai fatta proprio grossa stavolta, eh».
«Sta zitta, Darcy».

Mentre Thor e il Tizio-in-Nero continuavano a lottare, Jane decise che era il momento di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Soprattutto perché Thor era evidentemente in svantaggio numerico rispetto alla miriade di Tizi-In-Nero che erano improvvisamente comparsi dal nulla. Pensò bene di prendere un masso e tirarlo in testa a uno di loro, che cadde a terra come una pera cotta. Erik e Darcy la osservarono sconvolti.

«Che c’è? Dovevo pur fare qualcosa, no?!».

Darcy ed Erik non ebbero il tempo di rispondere perché altri Tizi-in-Nero, appurato che Jane aveva appena ammazzato uno dei loro, si voltarono verso di loro. E non sembravano avere proprio l’aria amichevole.

Darcy sospirò. «Bella mossa, tigre».

I Tizi-in­-Nero grugnirono di rabbia e uno di loro urlò qualcosa nella loro direzione. Jane capì che era arrivato il momento di darsela a gambe. 

«VIA!!».

Si separarono in tre direzioni diverse, e solo dopo una corsa estenuante Jane riuscì a seminarli. Arrivata in un luogo desolato, dove l’unica anima viva sembrava essere lei, capì che forse non si sarebbe dovuta trovare lì. Fece per tornare indietro ma qualcuno la afferrò per un braccio e, voltandosi, riuscì a intravedere solo due profonde iridi nere come l’ossidiana e un sorriso sghembo simile a un ghigno. Poi il dolore avvolse il suo braccio e Jane chiuse gli occhi d’istinto, divincolandosi dalla presa di quella cosa e portandosi il braccio al petto. Qualcosa di strano salì su per la sua schiena e dei forti brividi la scossero. Immagini confuse annebbiavano la sua mente: Jane rivide quegli occhi neri come il buio e udì una risata sguaiata, inumana, che assomigliava a quella del suo sogno.

Quando riaprì gli occhi, non c’era più nessuno. La testa le girava e le veniva da vomitare. Si appoggiò a una lastra lì accanto e si passò una mano sul volto, sconvolta. Poi, così come era arrivato, il dolore cessò e Jane cominciò a mettere a fuoco il paesaggio. Ciò che vide, però, la lasciò senza fiato.
Thor era lì. Pochi metri più avanti. E le sorrideva.

Jane si avvicinò a lui senza neanche respirare, temendo che un qualsiasi rumore, suono o chissà cos’altro potesse farlo scomparire. Poi, quando fu abbastanza vicina e sicura che non si trattasse di un’illusione, lo schiaffeggiò.

«Dove diavolo eri finito?!».

 

 
«Mia signora, la prego, esca da questa stanza. Sono giorni che non mangia, che non parla. Tutte noi siamo preoccupate per la sua salute» La voce di Hlìn arrivò alle sue orecchie fastidiosa come il ronzio di un insetto. Emily le lanciò un’occhiataccia. Non voleva uscire dalla sua stanza. Non voleva spalancare le tende, far entrare la luce. Voleva solo rimanere lì, nel suo letto, a giacere sotto le coperte. A pensare.

 A volte, quando dormiva, Emily sognava suo figlio, lo rivedeva mentre gli baciava le guance, tirava con l’arco, gli accarezzava i capelli, e al risveglio si sentiva più stremata di prima. Il funerale era ancora vivido nella sua mente: non aveva pianto, quel giorno. Il dolore era stato tale da non riuscire neppure a muoversi. Era rimasta in silenzio mentre Vàlì veniva seppellito in quella nave di pietre e ricoperto di doni e di offerte. Molti dei partecipanti avevano donato a Vàlì dei bellissimi fiori, altri dell’oro e altri ancora delle pietre preziose. Lei, invece, aveva posto sulla tomba un arco, quello con i draghi che gli era sempre piaciuto tanto, poi lo aveva baciato sulla fronte per l’ultima volta. Da allora non aveva più detto una sola parola e tutt’ora continuava a mantenere il silenzio.

Nel portarle i pasti e aiutarla a lavarsi, le ancelle avevano cercato di consolarla. Emily apprezzava la loro premura, ma sarebbe stata loro ancor più grata se l’avessero lasciata in pace. Anche Frigga veniva a farle visita ogni giorno e durante quelle visite parlava, parlava e parlava ancora. Era il suo modo per calmare il dolore, aveva fatto così anche quando Loki era caduto dal Bifröst, eppure Emily non riusciva proprio a sopportarla. Non voleva condividere il suo dolore con nessuno, nemmeno con la Regina. Voleva restare sola. Non voleva vedere nessuno.

Hlìn scoccò un’occhiataccia alle compagne e quelle subito uscirono dalla sala. Rimaste sole, Hlìn le si avvicinò cautamente e le sistemò delicatamente una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio.

«Mia signora, dovreste davvero uscire di qua. La solitudine non fa che aumentare la vostra angoscia, e quelle di tutti i vostri cari. Quest’oggi a coorte è giunta una ragazza da Midgard, dicono sia l’amante del principe Thor. Avreste dovuto vedere la faccia di lady Sif quando l’ha vista, era verde di gelosia!», ridacchiò. Emily la trovò molto sciocca, ma apprezzò il suo tentativo di tirarle su il morale e abbozzò un sorriso tirato. «Visto?», esclamò Hlìn, guardandola con dolcezza. «Avete sorriso! Oh, mia signora, siete così bella quando lo fate! Perché non vi fate un bel bagno caldo e uscite fuori da questa stanza? Vi attendono tutti: il principe Thor, la Regina, il Padre degli dèi e…».

Emily avrebbe voluto dirle che non gliene importava niente della Regina e dell’amante di Thor. Che il solo pensiero di uscire fuori dalle sue stanze le faceva contorcere la viscere, figurarsi quello di incontrare della gente. Prima che potesse opporsi, però, Hlìn la portò nel bagno e la svestì con velocità, per poi gettarla nella vasca. Emily si sentiva una bambola senza possibilità di scelta, che doveva sottostare ai capricci di una bambina. Cercò di protestare ma Hlìn le gettò addosso un secchio d’acqua proprio nell’istante in cui aveva aperto la bocca, facendole inghiottire un bel po’ di acqua. Alla fine, troppo esausta persino per ribellarsi, Emily si lasciò andare alle cure della sua serva. Quando ebbe finito di sistemarla e acconciarla come una bambola, Hlìn squittì di compiacimento e le accarezzò il braccio con felicità.

«Siete bellissima, mia signora!» Disse. Emily si guardò allo specchio, che le rimandò il riflesso di una giovane donna, pallida, magra più del dovuto, dal viso scavato e gli occhi stanchi, vuoti, che avevano perso ogni luce. Se quello era il concetto di bellezza di Hlìn, non osava immaginare quale fosse quello di bruttezza. Subito distolse lo sguardo.

Riservò un’occhiata di cortesia ad Hlìn e si diresse verso il proprio letto. Subito, l’ancella le fu accanto ed Emily cominciò a sentirsi infastidita. Strinse le labbra.

«Ma no, ma no!», cantilenò la serva. «Basta rimanere chiuse qui dentro! Bisogna uscire, respirare aria pulita!» Emily non rispose e sul volto di Hlìn si delineò una ruga di malinconia. «Il passato deve essere dimenticato, mia signora. Non serve a niente rievocarlo. Io lo so bene, anch’io ho perso tante persone care a causa della guerra», disse, con la partecipazione di chi condivideva un dolore.

Non serve a niente rievocarlo.

«Coraggio», la spronò Hlìn, prendendola sotto braccio. Emily provò a fare resistenza ma, come nella sala da bagno, non aveva abbastanza forza e si lasciò trascinare. «Usciamo fuori. Mia madre era solita dirmi che nulla dà più benefici dell’aria di Asgard!».

Senza nemmeno rendersene conto, Emily era fuori dalla sua stanza, diretta al balcone principale, quello che dava sulla parte est della città. Subito Asgard le si parò davanti, mozzandole il respiro.

Asgard…

Quei colori, quei paesaggi… le ricordavano tante di quelle cose! Poteva sentire il sole che le baciava i capelli mentre, da bambina, si sdraiava sul prato; l’erba che le solleticava la pianta dei piedi, lo scrosciare del fiume e l’odore del pane. Il cielo era di un caldo color arancio e la brezza era fresca e profumava di fiori. Da lassù, Emily poteva sentire le voci della gente. Per un istante, dimenticò tutto: Loki, Vàlì, il funerale, se stessa...
Quando fu sazia di quella visione, Emily voltò il capo verso Hlìn, che la osservava di sottecchi qualche metro più in là. Le sorrise e fu certa che avesse capito cosa stava pensando.

Grazie.



 

«Sei completamente uscito fuori di testa?! Prima mi lasci sola per anni e poi mi porti qui?! Così, senza neanche un preavviso?!».

Thor aggrottò le folte sopracciglia, assumendo un’espressione spaesata. «Ti ho forse offesa?», chiese. «Credevo volessi visitare Asgard, e la Terra al momento è sotto assedio. Dubito ci sarà mai un’occasione migliore di questa».

«La Terra è sotto COSA?!» Urlò Jane, gli occhi terribilmente sgranati. «Che diavolo erano quei cosi?! E perché ce l’avevano con te?!».

Era sconvolta. E la testa le faceva ancora male. E non riusciva ancora a metabolizzare gli ultimi eventi. Era accaduto tutto così in fretta! Aveva schiaffeggiato per ben due volte Thor, lo aveva accusato di essere uguale al suo ex, di averla lasciata sola per anni, senza neanche mandarle un messaggio con scritto Come stai? e averle dato false speranze; gli aveva anche detto che non sarebbero stati dei muscoli – E che muscoli… - a farle cambiare idea e che anche se la guardava in quel modo – Oh, quei dannatissimi occhi!! – la situazione non cambiava e lei era ancora furente con lui. Poi però Thor l’aveva baciata e lei si era sciolta sotto la dolcezza di quel bacio come neve al sole. Ricordava parole confuse – Ti avevo fatto una promessa… -, la voce squillante di Darcy mentre chiamava il suo nome e un improvviso blocco allo stomaco, come se qualcuno le avesse dato un pugno ben assestato. Quando aveva riaperto gli occhi, Jane si era ritrovata ad Asgard. Con tanto di tizi in cosplay di Xena e Robin Hood, e la donna dai capelli neri e in armatura conosciuta in New Mexico che la fissava di sbieco. – Oh, ma che vuole questa?, ricordava di essersi chiesta, ma aveva pensato fosse meglio non dirlo a voce alta.

«Sono Elfi Oscuri, lady Jane», Disse un uomo sulla sessantina d’anni, con una folta barba, una benda e tanta stanchezza sul volto. Quando comprese di essere al cospetto di Odino in persona, la testa cominciò a girare e Jane credette di essere sul punto di svenire. «Esseri provenienti da Svartálfaheimr inclini al caos e alla devastazione. Noi riteniamo che siano in cerca del Tesseract».

«Il Tesseract? Perché? A che serve?».

«La domanda non è a cosa, lady Jane, ma a chi. Thor mi ha raccontato della tua intelligenza e del tuo ingegno. Sono certo che saprai trarre le giuste conclusioni».

Jane ci pensò su. Non poteva fare una brutta figura di fronte a Odino, doveva assolutamente dire qualcosa! Qualsiasi cosa!

Prima che potesse tirare le somme, però, lo stesso malore che l’aveva pervasa poco prima riaffiorò in lei. Questa volta però era diverso, più doloroso. Per un istante Jane vide solamente bianco e la testa continuava a ronzare terribilmente, senza sosta. Era come avere un maglio a vapore al posto del cervello.

Cominciò a tossire e qualcosa di denso e appiccicoso le colò sulle mani. Non fece in tempo a capire di che si trattasse, perché le ginocchia cedettero sotto il suo peso e Jane sentì il freddo del pavimento sotto di sé. Il suo corpo era percorso da brividi e la sua schiena bruciava terribilmente.

Le parve di udire la voce di Thor urlare qualcosa e quella di una donna accorarsi. Era tutto così confuso, così strano. Cosa stava succedendo? Perché era a terra e non riusciva più a vedere niente?

Nella sua mente, apparve un volto. Era spigoloso, ruvido e scuro; i suoi occhi erano piccoli, virgola le sue iridi bianche e il suo sorriso diabolico. Rise in modo sguaiato e Jane riconobbe la voce del suo sogno. Poi, il buio.
 
 
 
 
- Note dell’Autrice.

1) Da quel che ho capito, nella scherma si usa questo termine per indicare: “azione comune a tutte e tre le armi, che permette allo schermidore di eludere la parata dell'avversario, facendo girare la propria punta attorno alla lama avversa con un moto a spirale”.

2) La canzone iniziale è Jar of Heart, di Christina Perri.

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Ebbene, eccomi di nuovo qui!

Scusate il ritardo, ma ho avuto alcune complicazioni. Spero comunque che il capitolo vi piaccia :)
Finalmente si entra nel centro della storia! Yeeaah! Da qui in poi preparatevi al peggio! :,D

Ho cercato di approfondire di più il rapporto che Emily ha con Hlìn e di come lei cerchi di starle accanto in questo periodo un po’ (?) nero per lei. In fondo, a conti fatti, Hlìn è una delle pochissime amiche femmine di Emily, quindi mi piaceva l’idea di dedicarle una piccola particina. :)

Jane e Thor si rivedono, finalmente! E… Jane lo schiaffeggia. Già. Questa ragazza un po’ violenta, non trovate? Nei trailer non fa altro che dare sberle alla gente…
Ad ogni modo, la vita non sarà più facile per la povera Jane. Non voglio anticiparvi nulla, ma vi assicuro che ci sarà un bel po’ di Angst per lei. (Harmony394 non ha mai sopportato questo pg. N.d.a). Ragion per cui: brace yourself. <3

Per quanto riguarda Malekith: ho saputo da poco che nel film è cazzutissimo. Son felicissima per lui, sul serio, ma nella mia storia non sarà così, purtroppo. Principalmente, perché ho strutturato questa storia prima ancora che uscisse il film e dunque Malekith ha “ricevuto” una caratterizzazione originale, non attinente a quella del film, appunto perché non avevo idea di come lo avrebbero reso, e secondariamente perché lo reputo più un personaggio furbo, calcolatore e bravo nel “maneggiare” le parole, piuttosto che cazzuto e iracondo come Thanos – seppur nel mio HeadCanon anche Malekith sia abbastanza bravo nell’arte della lotta. Spero possa piacervi comunque! ^^

 Vi lascio. Corro a rispondere a tutte le recensioni in sospeso! E, anzi, ne approfitto per dirvi per l’ennesima volta GRAZIE per tutto quello che fate. Siete gentilissimi, sono davvero felice che la storia continui a piacervi. Leggere i vostri pareri mi fa davvero venir voglia di continuare questa storia al meglio!! Grazie, grazie e ancora grazie! (anche da parte dei coniglietti! :P)

Grazie mille anche a 
vannagio per il betaggio. <3 <3
 
Come al solito, vi lascio il link del mio Facebook.
Link: https://www.facebook.com/harmony.efp.9

Un bacione! A presto!

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Capitolo 10
*** When do we start? ***


 ~When do we start?

Not one man, no, no ten men.
Not a hundred can assuage me - 

I will have you! 
And I will get him back even as he gloats 
In the meantime I'll practice on dishonorable throats. 
And my Lucy lies in ashes 
And I'll never see my girl again.

 
 
«Allora? Come sta? Guarirà, non è vero?».

La Guaritrice davanti a lui smise per un attimo di visitare Jane e gli rivolse uno sguardo carico di incertezza, lo stesso di chi aveva visto qualcosa che non riusciva a comprendere. I suoi occhi erano verdi, possedeva lunghi capelli bianchi e parecchie macchioline marroni sulle mani, segni inequivocabili della veneranda età. Thor si chiese se Jane avrebbe vissuto tanto quanto lei. Quando si rese conto di non avere una risposta certa fra le mani, il suo cuore mancò un battito.

«Mio principe, non riusciamo a trovare la causa del malore della fanciulla. Presumiamo che lo  svenimento sia dovuto al passaggio repentino da un Regno all’altro, ma non ne abbiamo la certezza. È la prima volta che accade…» La voce della Guaritrice tremò, come se avesse paura di riferire quelle parole. Thor si passò una mano sul viso e si appoggiò a una colonna lì accanto, incapace di proferire parola. Sperò con tutto se stesso che la Guaritrice avesse ragione e che si fosse trattato solo di un semplice svenimento.
Incapace di darsi una risposta, sospirò amaramente.

Pensò alla Terra, al fatto che, per chissà quale ragione, gli Elfi Oscuri l’avessero presa di mira. Non c’era niente, laggiù. Il Tesseract era stato portato ad Asgard sulla Terra non c’era niente per cui valesse la pena combattere, e se c’era lui non lo sapeva. Non che Thor avesse mai saputo molte cose, dopotutto; lasciava fossero gli altri a sapere, lui preferiva agire, gettarsi nella mischia. E seppur in quel momento aveva davvero tanta voglia di spaccare in due la testa di Malekith, Thor continuava a rimanere in silenzio, perso nei pensieri alla ricerca di qualcosa, qualcuno che potesse rendergli delle risposte.

«Thor…» La voce di Jane era fiacca come il pigolio di un uccello, ma alle sue orecchie arrivò forte come il gong di una campana.

Subito le fu accanto.

«Sono qui!» Rispose. Ed era vero. Lui era lì. Ci sarebbe sempre stato per lei, la sua piccola Jane.

Jane abbozzò un sorriso tirato e si issò a sedere, massaggiandosi la testa. Emise un lamento di dolore, stiracchiò le braccia al cielo e lo guardò fisso negli occhi. Thor credette di non aver mai visto occhi più belli dei suoi.

«Cos’è successo? Ho un mal di testa terribile. Mi sembra di avere un maglio a vapore, qui dentro!» Borbottò Jane, indolenzita.
Thor non aveva idea di cosa fosse un maglio a vapore, né a cosa servisse, ma fece in modo di non darlo a vedere. Non voleva fare la figura dell’idiota.

Le sorrise incerto. «Dicono sia stata colpa del teletrasporto, Jane. Il Bifröst è stato riparato da poco tempo, non mi sorprende che ti abbia fatto star male. Deve essere migliorato!» Sussurrò, fingendo una tranquillità che non gli apparteneva. Era la prima bugia che diceva a Jane, quella: il Bifröst era stato riparato dopo pochi mesi la dipartita di Loki, dunque non aveva nulla che non andava.

Questo, però, Thor pensò fosse meglio non dirlo. 

Jane ricambiò il sorriso e si alzò dal letto. Alle richieste incessanti di Thor di tornare a riposare, sbuffò infastidita.

«Non è stando a letto che starò meglio, Thor. Mi sembra pressoché inutile restare coricata quando qui fuori c’è Asgard, un mondo tutto nuovo! E poi, sto già meglio. Si trattava solo di uno stordimento dovuto all’improvviso cambio di… ehm… mondo, ecco. L’hai detto anche tu!» Disse, facendo spallucce. «Perché non mi porti a visitarla? Asgard deve essere bellissima, molto più di quanto scrivano sui libri!» Gli occhi di Jane erano colmi di speranza. Sembrava una bambina che aspettava di ricevere un regalo per il compleanno. Col cuore gonfio di tenerezza, a Thor non restò altro che accontentare le sue richieste.

Nel tragitto che portava ai giardini, Thor non distolse nemmeno per un attimo lo sguardo da Jane. Erano anni che non la vedeva e ogni momento trascorso in sua compagnia adesso gli sembrava di vitale importanza. Jane osservava tutto con meraviglia e stupore: nei suoi occhi splendeva una luce nuova, gioiosa e che Thor non aveva mai visto. Si rese conto di amarla più di quanto avesse creduto.

Forse dovrei solo rilassarmi, si disse, Jane sta bene. Non ha nulla che non va. Il Bifröst doveva certamente avere qualche difetto, nulla di eclatante. Lo farò riparare in settimana. Sarebbe da stupidi preoccuparsene adesso.

Così, Thor archiviò quei pensieri in un angolino remoto della sua mente e fece in modo di non rievocarli più per tutto il resto del pomeriggio. In quel momento era con Jane, la sua piccola Jane. Non importava nient’altro.

«Thor, è tutto il giorno che sei teso. Sembri una statua! Va tutto bene?» La voce di Jane arrivò alle sue orecchie lontana come un’eco. Quando si voltò verso di lei, un sorriso gentile gli incurvò le labbra e, in una mossa istintiva, prese il braccio di Jane e la tirò verso di sé, facendo incontrare le loro labbra in un bacio che sapeva di dolcezza e amore. Le sue mani andarono a stringere con più impellenza il tessuto dei vestiti di Jane, le sue labbra premettero più forte sulle sue. Nel calore di quel bacio, Thor dimenticò tutte le preoccupazioni.

Quando si separarono, Thor aveva ancora impresso sulle labbra il sapore di Jane e il suo profumo di lavanda.

Le sorrise. «Sì. Adesso va tutto bene, mia piccola Jane».
 


 

Le uscite dal palazzo si erano fatte sempre più frequenti per Emily, che seppur con lentezza cominciava a riabituarsi al calore del sole, ai sorrisi di circostanza che la Coorte le riservava quando incrociava il suo sguardo, al fatto che il mondo, nonostante tutto, aveva continuato a girare. Di notte, però, le era sempre più difficile prendere sonno e la mattina faticava a svegliarsi. Nei suoi sogni, Vàlì era ancora lì con lei: sorridente e curioso come lo ricordava. Quando si risvegliava, Emily cercava sempre di riaddormentarsi nel disperato tentativo di recuperare quel sogno, di riabbracciare suo figlio, baciargli la fronte e accarezzargli i capelli. Alla fine però la realtà le piombava addosso e Vàlì moriva di nuovo.

È colpa sua, si diceva, furente di rabbia. Di Loki. Di tutti i suoi inganni, ma non era certa se lo dicesse per acquietare la rabbia o per espiare le proprie colpe.

I ricordi del suo ultimo incontro con Loki bruciavano nella sua mente come fuoco. I suoi occhi mentre le diceva che No, lui non c’entrava nulla con la morte di Vàlì, che era innocente, erano vividi nei suoi ricordi e una rabbia feroce l’avvolgeva quando li rimembrava. La facevano sentire smarrita, in preda alla marea; sballottata da una parte all’altra senza nulla a cui reggersi. Debole.

Loki era un abile ingannatore, ma con lei non lo era mai davvero stato. Lo conosceva troppo bene: erano cresciuti insieme ed Emily sapeva come riconoscere una verità da una menzogna. E quella era stata la sua ultima bugia, la più dolorosa. Quella che gli non avrebbe mai perdonato.

Un improvviso dolore alla testa deviò i suoi pensieri ed Emily cadde a terra con un tonfo. Quando alzò lo sguardo, notò che era finita addosso a un’altra donna: era bella, aveva grandi occhi castani e il naso dritto. Indossava vesti eleganti e i capelli le cadevano morbidi sulle spalle. Emily si rese conto di non averla mai vista prima.

«Che disastro! Scusami, ti prego, non ti avevo proprio vista!» Esclamò la fanciulla, sinceramente dispiaciuta. Emily inarcò un sopracciglio, curiosa. Probabilmente, doveva essere una nuova ancella di Frigga.

Si fece aiutare ad alzarsi e le rivolse un sorriso gentile. «Non preoccuparti. Non mi hai ferita», la rasserenò. La ragazza tirò un sospiro di sollievo e ricambiò il suo sorriso. «Come ti chiami? Non ti ho mai vista al palazzo».

La udì borbottare qualcosa riguardo il suo nome, ma era così nervosa da non lasciar capire nulla ed Emily faticò non poco a comprendere le sue parole. Improvvisamente, una grossa mano callosa si poggiò sulla sua spalla e, sussultando, Emily si voltò di scatto. Subito, incontrò gli occhi cerulei di Thor.

«Vedo che avete già fatto conoscenza» Le disse, avvicinandosi alla fanciulla. «Mia piccola Jane, questa è Emily: una mia cara amica». Dal sorriso che Thor le rivolse, Emily capì cosa stava succedendo.

Quella era la midgardiana di cui Thor si era innamorato durante il suo esilio! Come aveva fatto a non capirlo prima? Thor gliene aveva parlato tanto!

Nei suoi ricordi infantili, Emily aveva immaginato i midgardiani come piccoli esseri gracili e poveri, bisognosi di aiuto poiché incapaci di proteggersi da soli. Adesso che ne aveva una davanti, non era poi tanto certa di aver avuto del tutto torto. In fondo, Jane era così minuta!

«È un onore per me, lady Jane. Benvenuta ad Asgard», le disse, con voce un po’ incrinata dall’eccitazione. Jane le riservò un sorriso conciliante e affabile. Emily decise che le stava simpatica.

Parlarono per un po’ del più e del meno: Emily raccontò alla midgardiana le leggende che sua zia Kìm le narrava da bambina e lei le spiegò da dove provenivano e qual era il loro significato. Jane era una fanciulla molto dolce, era chiaro perché Thor se ne fosse innamorato. Eppure c’era qualcosa, nel suo sguardo: qualcosa che Emily percepì come sinistro, stonante con la delicatezza che colorava i suoi occhi castani. Fece comunque finta di nulla. Sarà solo una mia impressione, si disse.

Continuò a scacciar via quell’idea finché Jane non avvertì un improvviso dolore alla testa e fu costretta a reggersi a lei per non cadere. Allarmata, Emily le sfiorò la fronte e constatò che stava scottando. Osservò Thor: il suo sguardo, da prima sereno, adesso era pieno di incomprensione e paura: sembrava stesse rivivendo un incubo.

«Thor, che le succede? Perché sta così male?» Domandò apprensiva, ma Thor continuava a rimanere silente ed Emily iniziò ad agitarsi. «Lady Jane, svegliatevi! Svegliatevi!», la chiamò, dandole leggeri schiaffi nel tentativo di farla rinsavire. Non aveva idea di cosa le stesse succedendo, ma di certo non era nulla di buono. Doveva fare qualcosa, chiamare aiuto!

Sul braccio di Jane iniziarono a formarsi delle venature nere, grottesche, e i suoi occhi divennero scuri come il petrolio, tanto da non far più distinguere l’iride dalla sclera. Ad un tratto, terribile come un presagio di morte, una voce malvagia, bassa e roca parlò attraverso lei. Emily la lasciò andare d’istinto, terrorizzata, ma Jane non cadde: rimase sospesa in aria, come un burattino sorretto dai fili. Thor provò ad avvicinarla ma una potentissima ondata di energia spazzò entrambi lontano da lei, così devastante da far fischiare le terribilmente orecchie di Emily.

«L’Oscuro Signore risorgerà dalle ceneri e con lui Yggdrasil ritornerà allo splendore di un tempo. Non ci saranno crepacci dove potersi nascondere, oceani dove scappare. La luce scomparirà. I pensieri si anneriranno, così come il vostro destino. L’Oscurità avvolgerà tutto, distruggerà e contaminerà. È solo questione di… tempo!» Jane inspirò profondamente e le sue pupille tornarono ad essere castane come prima, poi cadde addosso a Thor, che l’afferrò di getto. Lui ed Emily si scambiarono un’occhiata nervosa e confusa.

«Per i Nove Regni… ma cos’è accaduto?», domandò Emily a nessuno in particolare. Le orecchie continuavano a fischiarle, le gambe erano graffiate in più punti e l’abito rovinato.

 Thor non le rispose. Aveva ancora Jane fra le braccia e il suo sguardo era impaurito e confuso. Emily si chiese se fra i due quello che stava più male non fosse lui, piuttosto che Jane.

Prima che potesse darsi una risposta, Thor volò verso la Camera delle Guarigioni ed Emily dovette faticare non poco per stargli dietro, impacciata dal vestito. Quando arrivò alla Camera, intravide Thor discutere con dei Guaritori che lo fissavano nervosi e con la fronte aggrottata. Sentì qualcuno mandare a chiamare Odino e la Regina, e quelli giunsero in pochi istanti. Thor raccontò loro l’accaduto ed Emily scorse nello sguardo di Odino una tragicità tale da stringerle lo stomaco in una morsa. Il Padre degli dèi possedeva un unico occhio, ma era bastato solo quello per farle capire che quello che era accaduto a Jane rappresentava molto più di una semplice anomalia.  

Dopo alcune ore, i Guaritori riuscirono a far riprendere Jane, che si trovava ancora distesa su un lettino madida di sudore. Nel frattempo, Thor, nel sapere Jane in quelle condizioni, era uscito di matto e aveva preso a carbonizzare quanti più oggetti possibili con il Mjolnir. Emily tentò di calmarlo, ma non servì a nulla. Era fuori di sé dalla rabbia, urlava che era colpa sua e che avrebbe dovuto fare più attenzione, aiutarla il prima possibile. Solo quando lady Sif, udito il fracasso, gli si avvicinò e gli sfiorò la spalla, Thor lasciò andare il Mjolnir e si lasciò cadere contro un muro, troppo esausto persino per parlare.

«Non è distruggendo tutto che farai riprendere la mortale, Thor. Così non fai altro che peggiorare le cose» Sussurrava Sif, seria.
Thor le scoccò un’occhiataccia. «E cosa dovrei fare? Tenermi tutto dentro?», ribatté. Sif scosse il capo.

«No, testone. Ma non puoi nemmeno andartene in giro per il palazzo a rompere tutto quello ti pare!» Lo rimproverò. Emily scorse una luce triste negli occhi di Sif, dolorosa. Era evidente che era innamorata di Thor, eppure lui continuava ad essere cieco e vedere solo Jane dinanzi a sé. Emily non aveva mai provato molta simpatia per Sif, ma la compativa. Doveva essere terribile sapere che il proprio amore non era ricambiato. Di tutte le beffe che la sorte poteva riservarle, proprio la peggiore.

«Thor» La voce di Odino riportò tutti alla realtà e Thor balzò subito in piedi. Accanto al Padre degli dèi, stava Frigga: dai suoi occhi pieni d’ansia, Emily comprese che stava succedendo qualcosa di terribile e non era sicura di voler sapere di cosa si trattava.

«Dunque? Cosa succede? Come sta?», domandò Thor, nervoso come mai l’aveva visto prima d’allora.

Odino sospirò gravemente ed Emily riuscì ad udire distintamente le sue parole.

«Uno dei nostri migliori Guaritori ha accertato che non si tratta di una malattia, ma di una maledizione. Non dovrebbe restarle più di un mese, Thor».

Il volto di Thor si contorse in una maschera di dolore e di rabbia. Ad Emily sembrò di sentire il rumore del suo cuore mentre andava in frantumi. Nel suo piccolo, anche lei ne fu dispiaciuta. Era stata così gentile con lei… perché succedeva tutto ciò? Perché tutti continuavano ad andare via?

«No…», la voce di Thor era appena un sussurro. «Ci deve essere un modo per spezzare la maledizione! Una pozione, un incantesimo... qualsiasi qualcosa! C’è sempre un modo, Padre! Tu sei il Sovrano dei Nove Regni, devi saperlo!», la sua voce era rotta, disperata. Tutto di lui emanava angoscia e paura. Emily avrebbe davvero voluto aiutarlo, ma non sapeva come fare. Era inutile.

Odino sospirò gravemente. Sembrava davvero dispiaciuto per la midgardiana, eppure Emily leggeva anche sollievo nel suo sguardo. Non ne capì il motivo, ma la cosa le fece digrignare i denti per la rabbia.

«Le maledizioni elfiche non possono essere infrante facilmente, Thor. Bisogna rompere il sigillo, e a farlo dovrà essere l’Elfo stesso che l’ha evocata», fece una pausa. Il suo sguardo si fece serio, a tratti ansioso, e le sue sopracciglia si aggrottarono. Guardandolo, un brivido percorse la schiena di Emily. Nella sala calò un silenzio assordante.

Thor serrò i pugni. «Allora non c’è tempo da perdere. Partirò all’alba con i miei compagni e Jane verrà con me. Possiamo ancora salvarla!».

La risposta di Odino fu secca e concisa.

«Come al solito permetti che l’irruenza e la stupidità abbiano la meglio su di te. Pensa, Thor: quegli esseri sono giunti fin qui per una cosa, qualcosa che solo noi possediamo».

Emily capì immediatamente di cosa stesse parlando Odino e la voce uscì dalle sue labbra prima ancora che se ne rendesse conto. «Il Tesseract…».

Tutti si voltarono verso di lei. Emily deglutì, in soggezione.

«Voglio dire: la scorsa volta erano venuti per questo, no? Non sono riusciti a rubarlo, ma non hanno rinunciato. Stanno solo…».

«Intraprendendo la via più corta. Quella dei codardi!» La precedette Thor, furente di rabbia. «Vogliono il Tesseract in cambio dell’antidoto per Jane. È per questo che hanno attaccato la Terra! Per tenermi sotto scacco. Sanno che non permetterei mai che Jane muoia... È un ricatto!».

«Al quale noi non sottostaremo» La risposta di Odino fu glaciale e tutti tacquero. Nella sala calò un’atmosfera cupa, a tratti pesante, e ad Emily sembrò che le avessero portato via tutta l’aria. «Non sacrificherò i miei uomini e il Tesseract per una singola vita. È fuori discussione».

«Se non interverremo ci distruggeranno! È solo questione di tempo prima che espandano la maledizione anche qui ad Asgard. Dobbiamo fare qualcosa, Padre!».

«Non c’è niente che tu possa fare, Thor! Niente! Conosci a stento il tuo Regno natio, recarsi a Svartálfaheimr senza una guida sarebbe una follia! Ti faresti solo uccidere!».

«Mentre tu parli e vaneggi, Thanos e Malekith ci deridono! Credi sul serio che se non portassimo loro il Tesseract, smetterebbero di provare a rubarlo?! Così facendo perderemo solo dei soldati disposti a proteggerci!».

«Dunque cosa proponi, Thor? Di consegnare loro il Tesseract cosicché tutto ciò per cui abbiamo lottato – per cui TU hai lottato! – venga distrutto? Stai solo facendo il loro gioco. Per una volta, prova a pensare come un Sovrano piuttosto che come un guerriero!».
«Non permetterò che Jane muoia!».

«Ed io non permetterò che il mio Regno venga distrutto per amore di una donna! Ho già subito troppe perdite, Thor. Non ho intenzione di continuare!» La voce di Odino si tramutò in un urlo che mise a tacere Thor. Entrambi si guardavano con rabbia e le spalle di Odino continuavano ad alzarsi e abbassarsi a intermittenza, in simbiosi con il palpito del cuore. Thor sentiva i muscoli contrarsi per l’ira e il respiro farsi sempre più pesante. Le sue labbra erano ridotte a un sottilissimo filo colmo d’ira e la sua presa sul Mjolnir si era fatta più salda, prepotente. Se prima si era instaurato un clima di tensione, adesso sembrava di essere in mezzo a una tempesta.

«Thor…», fu la voce di Jane a riscuotere tutti da quello stato di dissidio. Tutti si voltarono verso di lei e Thor le andò incontro, preoccupato.

«Come stai?», chiese. Jane scosse la testa.

«Uno schifo. Ma che diavolo è successo? Non ricordo nulla…».

«Lady Jane, sei stata infettata da un virus di origine elfica, che causa i tuoi svenimenti. Qui ad Asgard non conosciamo alcuna cura, purtroppo. Non ci resta che sperare che gli dèi ti grazino».

 Emily odiava il modo in cui Odino le si era rivolto. Parlava di Jane come se fosse un oggetto, qualcosa di facilmente rimpiazzabile. La rabbia le montò dentro con irruenza e digrignò forte i denti. Avrebbe voluto parlare, dirgliene quattro e metterlo a tacere una volta per tutte, ma non poteva farlo. Nessuno poteva. E la cosa non faceva altro che incrementare la sua rabbia. Come poteva essere così meschino?!

Jane spalancò gli occhi e assunse un’espressione tra il terrorizzato e lo sgomento. Non parlava ma sul suo volto sembravano danzare una decina di parole, una confusione indecifrabile. Infine, i suoi occhi divennero lucidi e il respiro le si mozzò in gola. Sembrava non avere più le forze per parlare ed Emily rivide lo stesso sguardo che aveva scorto allo specchio, quando aveva realizzato la morte di Vàlì. Subito, il cuore le si strinse in una morsa di ferro.

Se solo potessi fare qualcosa…

«No… non può essere. Voglio dire: è... è impossibile! Voi siete Odino, il Padre degli dèi, potete certamente fare qualcosa! Giusto?» Il volto di Jane era una maschera di terrore. «Giusto, Thor?», domandò, al colmo della lacrime. Il suo sguardo saettò su quello del compagno, ma lui non disse nulla. Anche l’ultima speranza di Jane andò in frantumi: la ragazza scoppiò in un pianto liberatorio.
 
Nessuno parlò. Emily attese che il tempo passasse, che i sospiri struggenti di Jane si acquietassero, che la tempesta si sedasse. Era proprio come quando Vàlì le era stato strappato via davanti agli occhi e lei non aveva potuto far nulla per salvarlo. Di nuovo, comprese di essere inutile.
 
Le dita lunghe e gentili di Frigga le sfiorarono il braccio e allora Emily capì che la stavano portando via. Tentò di opporre resistenza dicendo di voler rimanere lì con Jane, farle compagnia in quel momento difficile, ma improvvisamente si trovò fuori dalla stanza senza nemmeno sapere come ci fosse arrivata.
 
Prima che la porta venisse chiusa del tutto e i singhiozzi strazianti di Jane cessassero, Emily udì Thor parlare.
 
«Guarirai, Jane. Te lo prometto. Costi quel che costi».
 

 
Il riflesso di sua madre si materializzò accanto a lui nel momento esatto in cui delle guardie stavano incarcerando dei nuovi prigionieri. Loki sorrise e si voltò.

«Siete qui», disse. Non era una domanda.
 
Le labbra di Frigga si distesero in un sorriso dolce che sapeva di infanzia e calore. Tutte cose che lui non aveva mai realmente avuto.

«Non potrei essere da nessun’altra parte».

Loki tacque. Non lo ammetteva nemmeno a se stesso, ma qualcosa si era sciolto come neve al sole dentro di lui. Forse si trattava del suo cuore. Per un attimo, il rancore sordo al petto rallentò la sua corsa e si tramutò in smarrimento. Incrociare gli occhi di Frigga lo faceva sempre sentire a casa, e la cosa lo uccideva ogni volta.
 
Sua madre tese una mano verso di lui. Tentennate, Loki fece lo stesso: le sue dita attraversarono l’ologramma e lui le ritrasse di scatto, come scottato. Fu in quell’istante che si rese conto quanto gli mancava il calore di un suo abbraccio. Il nodo al petto si fece più stretto.  

«No», sussurrò allora, più a se stesso che a lei. «Non ve ne siete mai andata».

Frigga gli rivolse un sorriso affettuoso. «Loki…», lo chiamò ad un tratto. Lui la guardò. «Sono qui perché volevo parlare con te».

«È quello che stiamo facendo, mi pare» Osservò Loki con scherno. Odiava mostrarsi debole, così come odiava sentire quella sensazione strana, calda, che lo avvolgeva quando parlava con lei. Madre aveva il potere di renderlo quello che non era, di farlo tornare lo stolto di una volta con un solo sorriso. Questo lo innervosiva perché spesso, ricevere un sorriso non meritato può fare più male di un colpo di spada. «O forse il tempo comincia a portarvi via la ragione?».

Frigga non raccolse la provocazione.

«Non provarci, Loki. So che sei lieto della mia compagnia, così come io lo sono della tua» Il suo tono non era piccato, bensì divertito, affettuoso. Loki non rispose. Era confuso, non se l’aspettava: Frigga aveva voltato tutte le sue carte prima che lui potesse fare la sua mossa, scombinando tutti i suoi piani. Loki avrebbe voluto odiarla, ma non ci riusciva. Non ci era mai riuscito.

«Definisci compagnia», esclamò infine, ghignando. «Non posso toccarvi, non posso sentire il vostro odore e non posso fare nient’altro se non parlarvi. Se questo è il vostro concetto di compagnia, Madre…».

Le sopracciglia di Frigga si aggrottarono in un’espressione severa. «Sai bene che tutto ciò è accaduto solo a causa tua».

«A causa mia?» Le fece eco Loki, ridacchiando. Allargò le braccia come a voler indicare qualcosa che non c’era e sul suo viso si dipinse una smorfia. «A causa delle menzogne che mi hanno accompagnato fino ad oggi, vorrete dire. C’è ancora qualcosa, Madre, che mi avete nascosto? Magari, se me lo dite adesso, eviterò di sterminare metà della popolazione di Midgard come la scorsa volta».

Le labbra di Frigga si ridussero a una linea sottile. «Ti abbiamo nascosto la verità per non farti sentire diverso, Loki. Tuo padre…».

«LUI NON È MIO PADRE!*» Le parole sferzarono l’aria come una frusta, taglienti e brucianti. La scheggia sotto le unghie riprese a pizzicare e una vampata di calore avvolse Loki da capo a piedi. Col cuore in gola, si rese conto che la rabbia che provava non era la cosa che faceva più male, ma lo sguardo di sua madre. Frigga non aveva detto una sola parola, ma il suo sguardo ne valeva mille: era triste, affranta, delusa. La furia che lo aveva pervaso poco prima si attenuò all’improvviso e Loki scoprì con orrore di essere dispiaciuto.

«Allora io non sono tua madre?».

Il panico lo travolse, mandandolo in confusione. Loki si ritrovò a corto di parole. Non distolse lo sguardo da Frigga. C’era qualcosa, nei suoi occhi di cielo, che glielo impediva: si sentiva nudo di fronte a lei, indifeso proprio come quando era bambino. Loki odiò quella sensazione e rispose d’istinto, senza pensare.
 
«Non lo sei» Rispose. Si accorse troppo tardi di aver detto l’ennesima bugia.
 
Frigga sorrise come solo una madre poteva fare e Loki aggrottò la fronte, perplesso. Di nuovo, Frigga lo confondeva. Si era aspettato parole arrabbiate, uno sguardo grave e carico di rancore, ma lei non aveva fatto nulla del genere e Loki si trovò impreparato. Quando sua madre provò ad accarezzargli il viso, un brivido freddo percorse la colonna vertebrale di Loki.

Quanto avrebbe voluto sentire il calore di un suo abbraccio…
 
«Sei sempre stato un abile bugiardo», le parole di Frigga erano dolci, gentili. Loki non disse nulla per timore di cancellarle dalla sua mente. «Ma a me non sei mai riuscito a mentire… e neanche a lady Emily» Loki sgranò gli occhi al sentir pronunciare quel nome e il respiro gli si mozzò in gola. Da quanto tempo non la vedeva? Settimane, forse mesi. Era difficile stabilirlo: dentro quella cella il tempo non c’era. Esistevano solo lui e il suo rancore. Eppure Emily era ancora lì, sospesa fra i suoi pensieri. Loki aveva fatto finta di non ricordarla perché il dolore del rimorso era troppo potente, ma adesso che Frigga la nominava, si ritrovava faccia a faccia con i demoni del passato, gli stessi che la notte gli afferravano i piedi e gli tormentavano il cuore.

Accanto a lui, Frigga sospirò. «Lo so che non è stata colpa tua, Loki».

Tutti i ricordi che aveva nascosto, sigillato in un angolino remoto della sua mente, tornarono a galla. Loki rivide se stesso mentre stringeva un’alleanza con Thanos, i Vendicatori che uccidevano i Chitauri, Thor che lo incatenava e lo riportava ad Asgard, Emily che lo abbracciava, Vàlì che picchiettava nel vetro della sua cella e ancora Vàlì che moriva davanti a lui, per colpa sua. Solo sua.
Con i ricordi, tornò anche il dolore. Loki si rese conto con terrore che il tempo non era l’unico ostacolo per una buona memoria*, perché nonostante tutto quelle immagini erano ancora lì: mai archiviate e mai realmente dimenticate.

«Sono coinvolto in tutto questo più di quanto immagini, Madre» Le sue parole erano un sussurro appena percepibile, pieno di rancore e di rabbia. Rabbia per non aver potuto difendere Vàlì, rabbia per essere stato rinchiuso lì dentro, rabbia per aver fallito: come figlio, come fratello, come amante e persino come padre. Era un fallimento continuo, la sua vita. Lui era un fallimento!

«Non è quello che hai riferito a lady Emily, a quanto mi risulta» Continuò Frigga.

Il mostro dentro di lui si agitò e un brivido freddo risalì la schiena di Loki. «Le ho mentito!».
«E perché con me non l’hai fatto?».

Loki si prese la testa fra le mani e rivolse a Frigga uno sguardo frustrato, ferito. «Con voi è diverso! A voi non devo dimostrare nulla!».

Le sue dita continuavano a tremare. Il suo corpo era un sussulto continuo. Possibile che così tante emozioni potessero coesistere in un unico corpo?

«E a lei, invece? Cosa dovevi dimostrarle? Perché le hai mentito, Loki?».

E infine scoppiarono. Tutte insieme, con violenza e dolore. Gli arrivarono addosso di getto, senza possibilità d’appello. Rivide Emily mentre gli porgeva la mano, da bambini, e gli chiedeva di giocare con lei; la rivide mentre lo baciava di getto e gli asciugava le lacrime con i baci; la rivide di nuovo mentre lo abbracciava con esigenza; la rivide mentre lottava per liberarsi dalla sua presa e correre a salvare Vàlì.

Resteremo sempre insieme, non è vero?

No, che non era vero. L'aveva lasciata. Non aveva mantenuto la promessa. Era fuggito, come un codardo.

Tu mi ami. Vero o falso?*

La testa gli scoppiava. Loki sentiva male dappertutto. C’era qualcosa, al centro del suo petto, che si era inceppato, che non funzionava. Forse si trattava del suo cuore. Il suo pensiero andò ad Emily e allora capì: era lei a incepparlo. Era lei che non permetteva al suo cuore di funzionare regolarmente. Lui lo sapeva, lo aveva sempre saputo. E questa volta non era una bugia. Era la realtà. Terribile, devastante, vera. L’unica che non aveva mai cambiato. E in quell’antica domanda, a cui lui non aveva mai realmente risposto, Loki riconobbe la verità. Una verità che aveva da tempo taciuto ma che era la causa di tutto: l’inganno più subdolo.
 
Vero.
 
«Perché non volevo che se ne andasse!».
 
«Loki» Fu una voce chiara e tonante a intervenire, e Loki ritornò alla realtà con violenza. I suoi occhi si spalancarono, sgomenti e carichi di confusione. Alla fine, preso dalla furia dei suoi stessi pensieri, aveva dato vita a quelle parole. Non le aveva solo sussurrate, le aveva urlate. E a squarcia gola. Per un attimo si sentì spaesato, nudo. Aveva appena esposto la parte più vulnerabile di se stesso e ciò lo faceva sentire debole, danneggiato. Poi la vergogna venne sostituita da un enorme senso di liberazione e il nodo che aveva al cuore parve allentare la presa, lasciandolo respirare un po’. La sensazione durò giusto il tempo di un battito di ciglia, e finì nel momento esatto in cui gli occhi di Thor incrociarono i suoi.

Da quanto tempo è qui?, si domandò d’istinto. Ma non era certo di volerlo sapere davvero.

Il suo sguardo cercò quello di Frigga per riflesso, ma lei non c’era più. Al suo posto era rimasto solo un libro con la foderina in pelle. Gliene portava uno ogni settimana, certa che gli donassero sollievo. Questa volta il libro parlava dei Nove Regni. Con rimpianto, Loki lo riconobbe: era il libro che sua madre era solita leggere a lui e Thor per farli addormentare.

«Thor…» Sussurrò, con sgarbo. Non vedeva suo fratello da tempo, ormai, e la sua visita non era affatto gradita, specialmente in un momento come quello. La cosa sembrava reciproca, dato che nemmeno Thor faceva i salti di gioia. «Dopo tutto questo tempo vieni a farmi visita. Perché?!», la sua voce si tramutò in un ringhio. «Per schernirmi?!».

«Non sono venuto per una visita di cortesia, Loki. Ho intenzione di offrirti qualcosa di solennemente più sacro». 

Loki strinse le labbra. Non si fidava di Thor, così come Thor non si fidava di lui. Eppure, se era lì, doveva essere per un motivo importante. Assottigliò gli occhi, sospettoso.

«Continua» Sussurrò fra i denti, emettendo un suono simile al sibilo di una vipera.

«So che brami vendetta tanto quanto me. Se tu mi aiuterai a scappare da Asgard e ad approdare a Svartálfaheimr, da Malekith, io te la concederò. Vendetta. Dopodiché tornerai in cella».
 
Malekith…
 
Loki lo conosceva. La sua storia era leggenda, così come il Reame di cui faceva parte. Anni prima Odino aveva narrato a lui e Thor che suo padre, Bor, aveva combattuto contro gli Elfi Oscuri per impedire che i Nove Regni cadessero in preda all’Oscurità. Il loro Sovrano era il padre di Malekith, Aenarion il Maledetto*, il quale aveva preferito sacrificare gran parte del suo popolo pur di non arrendersi e consegnare la vittoria al popolo asgardiano. Naturalmente, il Regno era caduto in rovina e con esso ciò che rimaneva degli Elfi Oscuri. O almeno, così credevano tutti. Infatti, Malekith era sopravvissuto grazie all’Aether, un materiale fluido che solo gli Oscuri erano in grado di maneggiare poiché troppo potente. Nonostante ciò, Odino aveva tentato comunque di stanarlo e ucciderlo, fallendo. Malekith e ciò che rimaneva di Svartálfaheimr erano come svaniti nel nulla. Ma adesso, Loki sapeva dov’era. E sapeva anche con chi era alleato.
 
Thanos.
 
Il viso di Vàlì, mentre Thanos gli strappava il cuore dal petto, era ancora limpido nella sua mente. I suoi occhi, il terrore sul suo viso... erano ricordi così nitidi da far paura. Di nuovo una vampata di calore avvolse il corpo di Loki come una coperta bagnata e gli fece stringere i pugni fino a conficcarsi le unghie a fondo nella carne.
 
Vendetta. Era tutto ciò che desiderava.
 
Un sorriso cattivo, di chi aveva vissuto nell’Oscurità troppo a lungo, gli incurvò le labbra. Loki pensò a tutti i modi in cui avrebbe potuto uccidere Malekith: al suo cuore nero e grondante di sangue che gli veniva strappato via dalla cassa toracica, esattamente come aveva fatto Thanos con suo figlio. Sapeva che era un suicidio, che stava solo percorrendo la via più breve per l’Hel, ma non gliene importava. C’era ancora una cosa in cui non aveva fallito: vendicare Vàlì.

«Cosa ti fa credere che tu possa fidarti di me?» La domanda sorse spontanea e Thor lo guardò con circospezione e ira, come un cane che ringhiava contro un gatto. Loki ridacchiò.

Thor non fu della stessa idea. Il suo volto rimase imperscrutabile e rigido. «Io non mi fido!» Dichiarò, solenne. Loki non ne fu sorpreso. Neanche lui si fidava di se stesso, in fondo.

«Devi essere davvero molto disperato per chiedermi aiuto. Dimmi, si tratta di lei, non è vero? L’umana. Oh, sì… lo leggo nei tuoi occhi. Sono li stessi che avevo io quando…» Loki si bloccò. Il ricordo di Emily che veniva scaraventata con forza contro una lastra ghiacciata di Jötunheimr gli ritornò prepotente in mente, terribile come la prima volta. Chiuse gli occhi e quando li riaprì abbozzò un sorriso tirato, falso. «Quando Frigga era in pena per Odino. Oh, sì… ricordo ancora la sua paura mentre gli sfiorava le mani» il suo sguardo si fece vago, vitreo. I ricordi continuavano ad aleggiargli davanti al viso. Emily era ancora lì, sospesa fra la vita e la morte, con il sangue che correva sul viso lentigginoso. «… e il collo e i capelli» Fece una pausa. Thor continuava a guardarlo silente da fuori la cella. «Le sue mani erano così fredde, posso ancora sentirle…».

«Loki».

L’immagine di Emily svanì del tutto e Loki tornò alla realtà con irruenza. Quando incrociò gli occhi di Thor, capì di aver parlato troppo. Si morse a sangue la lingua e si maledì con tutto se stesso.

«Nostra madre nutre ancora della fiducia in te. Io non più. Non ci saranno più mezze misure questa volta. Non mi farò scrupoli a spaccarti il Mjolnir in testa, se ce ne sarà bisogno. Dunque ti avverto: quando* mi tradirai, io ti ucciderò».
 
Quando…
 
Loki non disse nulla. Rimase in silenzio, a fissarlo. Sembrava ieri quando entrambi combattevano l’uno al fianco dell’altro. Loki ricordava ancora tutto, ma il prezzo dei ricordi era alto e lui non aveva né il tempo né la voglia di scontarlo. Rise, più di se stesso che per la situazione in sé.
 
Alla fine hai capito, fratello.
 
Le parole giunsero da sole e Loki le pronunciò ancor prima di soppesarle. Nella sua mente ritornò feroce il desiderio di rivalsa, di vendetta. C’era ancora una cosa in cui non aveva fallito. Qualcosa per cui valeva la pena lottare.
 
«Quando cominciamo?».
 
 
 
 
 
 
-Note di Harmony394.

1) Vi avevo detto che non avrei seguito lo schema del film. Ebbene, così sarà! Ma inserirò comunque alcune scene riguardanti il Movie!Verse, in modo da non distaccarmi troppo dal Canon. Le scene avranno solo alcuni richiami, per cui non aspettatevi una trama uguale a quella di Thor:TDW. Inserirò soprattutto le scene più ANGST e importanti, giusto perché sono s*****a masochista.
2) Citazione Alice Madness Returns. (ne approfitto per dirvi: GIOCATECI. È uno dei migliori videogiochi a cui abbia mai giocato!
3) La frase si rifà a uno dei capitoli del prequel, che a sua volta si rifà a una citazione di Hunger Games. 
4) Mio OC. Non so quale sia il vero nome del padre di Malekith. Se qualcuno lo sa non esiti a dirmelo!
4) Nella versione inglese, Thor, se non sbaglio, dice “Quando” e non “Se”.
5) La canzone è Epiphany, dal musical di Sweeney Todd.
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Eccomi qui!
Innanzi tutto, perdonatemi per l’IMMENSO ritardo con cui aggiorno. Purtroppo ho avuto non pochi problemi con il computer e per un tot di tempo non ho potuto fare assolutamente nulla, nemmeno scrivere. Sono mortificata per avervi fatto attendere così a lungo! Spero che non capiti più…
 
Ad ogni modo, eccoci arrivati ALLA scena! Ovvero quella che darà il via a tuuutttaaa la parte “d’azione”. YEAH.
Come vi ho già detto sopra, la trama non seguirà quella del film di Thor:TDW ma avrà solo alcuni accenni, proprio come è successo in questo capitolo. Spero che la cosa non vi dispiaccia. ^^
Alcuni lettori mi hanno fatto notare che da un po’ di tempo Emily e Loki non entrano in “contatto”. Avete ragione, mi dispiace, ma a mia discolpa dico che è un po’ difficile per loro incontrarsi in quelle condizioni! Inoltre volevo approfittare del loro “distacco” per approfondire il resto dei personaggi, visto che la fanfiction non è composta solo da Loki ed Emily. XD Ad ogni modo, dato che devo farmi perdonare per il ritardo, vi farò un piccolo Spoiler: dal prossimo capitolo li rivedremo insieme! Tenetevi pronti! ;)
 
Ringrazio tutti voi per l’affetto e la gentilezza che dimostrate nei confronti miei e della fanfiction. Siete davvero adorabili, non so più come ringraziarvi! Leggere i vostri commenti riguardo la storia mi fa sempre un sacco piacere. Grazie mille!
 
By the way, scrivere del rapporto fra Loki e Frigga mi è sempre difficile, quasi quanto scrivere quello fra Loki ed Emily. Mettiamoci anche che in questo capitolo ho dovuto mescolare le due cose e… BOM! Ecco che Harmony394 svalvola del tutto! XD Spero di aver comunque fatto un buon lavoro e non aver reso Loki OOC. Mi dispiacerebbe tantissimo!
 
Ringrazio tantissimo anche la mia Beta,
vannagio, che ha corretto il capitolo da tutti i miei e(o)rroracci. Grazie mille, Vanna! <3
 
Per ogni cosa, ecco qui il mio Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
Ed ecco qui anche il mio Ask.fm:  http://ask.fm/HarmonyEfp
 
Vi lascio. Un bacione e martedì prossimo!
 
P.S: se non mi vedete tornare entro due settimane sappiate che è a causa di mia madre. Questa settimana a scuola ci saranno le riunioni con i genitori, se non sopravvivrò (ergo: il computer mi verrà sequestrato) dite a Loki che mi dispiace di averlo trattato così male nelle mie fanfiction (Non è vero, ma voi diteglielo lo stesso!). 

 

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Capitolo 11
*** Escape the fate ***


 
 
~ Escape the fate
 
You have lost
Too much love
To fear, doubt and distrust
(It's not enough)
You just threw away the key
To your heart




 
Heimdall, mi occorre il tuo aiuto.

Occorre a te…  o alla tua donna?

Occorre a tutta Asgard. Devi teletrasportarmi a Svartálfaheimr.

Sai bene che Odino ha dato ordine di non far entrare o uscire nessuno dal Bifröst. Tentare la fuga sarebbe un suicidio.

Non farlo lo sarebbe. Devi dirmi cosa devo fare, ti prego.

E cosa ti fa presupporre che io lo sappia?

I tuoi occhi vedono qualsiasi cosa solchi Nove Regni. Mio padre ha chiuso il Bifröst, ma non ha abbattuto i cancelli segreti di Asgard. Rivelami dove sono nascosti e avrai la mia riconoscenza e quella di Asgard. 

Combatti un nemico conosciuto a pochi, figlio di Odino. Una volta che sarai approdato a Svartálfaheimr, cosa credi che succederà? Che gli Oscuri spezzeranno il Maleficio fatto alla mortale in modo pacifico e senza spargimenti di sangue? Se ti andrà bene, ti mozzeranno la testa non appena avrai messo piede laggiù.

Non mi importa cosa accadrà a me, Heimdall. Mi importa ciò che succederà a Jane e ai Nove Regni se non interveniamo. È solo questione di tempo prima che l’Oscurità dilaghi: Asgard non è ancora pronta a una guerra del genere.

Mi chiedi di tradire il mio Re.

Ti chiedo di salvare Asgard. Puoi farlo?

È troppo pericoloso.

Ogni cosa lo sarà, da oggi in poi. Devi solo scegliere la causa giusta per cui rischiare.

Ho giurato fedeltà al mio Re ed è ciò che farò. Se cerchi aiuto, Thor Odinson, non è a da me che lo avrai.

E da chi, allora? Solo tu conosci Asgard meglio di chiunque altro!

Io… e qualcun altro.

Di chi si tratta, Heimdall?

Loki.
 
 
«Dunque, Thor. Hai appena distrutto una cella di Asgard pregna di magia Oscura a suon di Mjolnir, fatto scattare l’allarme, massacrato sì e no venti soldati e rubato una spada e tre pugnali. Ah, e abbiamo anche preso la mortale senza il consenso di Odino».
Thor, nella frenesia della battaglia, gli scoccò un’occhiataccia fulminante. «Il suo nome è Jane».

Loki fece spallucce. Qualcosa sibilò accanto al suo orecchio: in un turbinio di movimenti, la lama del suo pugnale si conficcò dentro la clavicola della guardia che aveva tentato di ucciderlo e l’uomo cadde a terra in una pozza di sangue. Loki arricciò il naso a causa dell’odore pungente, poi riprese la corsa.

«Come ti pare. Resta comunque inutile!», si limitò a dire.

«Ehi!» La voce della terrestre era fastidiosa come il ronzio di un insetto. Loki accelerò il passo e le rivolse un’occhiataccia.

«La verità fa male, vero? Io ne so qualcosa, te lo assicuro. Ad ogni modo, Thor, se questo è il tuo concetto di “discrezione”, non oso immaginare quale sia quello del “facciamoci scoprire senza neanche provare a nasconderci”».

Thor caricò un colpo di Mjolnir in testa a una guardia, poi ne diede un altro a una seconda che, cadendo, portò con sé il resto dei soldati dietro di lui. Thor rise sguaiatamente.

«Forse, con un po’ di impegno», urlò alle guardie. «Riuscirete a scalfirmi l’armatura!».

Loki fece una smorfia.

Esibizionista.

«Sai cosa farò la prossima volta?!», chiese Thor con la voce rotta dall’eccitazione per la battaglia. «Ti libererò di nuovo da quella dannata cella, cosicché tu sia costretto a ringraziarmi!».

Loki scansò l’affondo di una guardia e ricambiò l’attacco con un calcio sui denti che la fece rovinare a terra. «Mi sembra che qui sei tu quello bisognoso del mio aiuto, fratello», ghignò.

«Guarda che non ti colpirò più dolcemente solo perché sei tu! Al contrario…» Un altro colpo di Mjolnir, questa volta diretto a terra, fulminò le gambe delle guardie che avevano accerchiato Thor. La voce del Dio del Tuono rimbombò come un temporale nella cacofonia della battaglia. «… mi assicurerò di colpirti così violentemente da farti tornare quello di un tempo, se non chiuderai quella boccaccia!».

Per un momento, giusto un battito del cuore, Loki rivisse i momenti in cui, in passato, lottava al fianco di Thor. Un brivido gli percorse la schiena e il mostro dentro al suo stomaco prese ad agitarsi, irritandolo.

«Ehm… scusate? Vi sembra il momento?!» La voce della midgardiana – Loki trovava che il suo nome era troppo stupido persino per pronunciarlo – era alterata più del dovuto, eppure tutto il suo corpo emanava una luce debole, fiacca. Loki non impiegò molto a capire quale fosse la causa del suo malessere e una parte di lui non poté fare a meno di provare piacere.

«Taci, umana. È a causa tua se sta succedendo tutto questo!», scandì, mentre riprendeva la corsa. «Piuttosto, Thor, dobbiamo arrivare all’uscita. E in fretta!».

«Tagliamo di qua, arriveremo prima!» Urlò Thor di rimando, indicando una stradicciola più stretta rispetto al resto del corridoio.

Fecero per imboccarla ma un rumore sinistro, simile a uno scricchiolio, li fece arrestare. Poi fu tutto un susseguirsi di eventi: uno dei fulmini emanati dal Mjolnir aveva colpito una colonna, che cominciò a sgretolarsi sempre di più, lasciando cadere pezzi di intonaco ovunque. Con la coda dell’occhio, Loki vide la mortale posizionata esattamente sotto di essa. Anche Thor se ne accorse, perché ad un tratto il suo volto divenne una maschera di terrore e il tempo parve fermarsi.

CRAASSSHH!!

L’aria esplose. Il mondo divenne una coltre di fumo e dolore: la mortale era distesa accanto ad alcune macerie e continuava a tossire. Loki invece era finito addosso a un muro: la colonna era crollata e qualcosa di appiccicoso stava colando lungo la sua tempia; tastandolo, si accorse che era sangue. Si guardò attorno e constatò che il passaggio era bloccato e che una decina di guardie erano ai piedi delle colonne, esamini. Un grido lancinante gli entrò  nelle orecchie, proveniva dalla mortale. Si sarà ferita, pensò d’istinto, Thor dovrebbe insegnarle a mantenere l’autocontrollo. Ma ad un tratto si accorse che Thor non era più accanto a loro. Si alzò, barcollante, con le dita che continuavano a tremare e le orecchie che fischiavano senza sosta, e infine capì: Thor si era gettato addosso alla mortale e l’aveva spinta lontano dal pericolo, finendo lui stesso sotto la colonna.

Loki udì qualcuno urlare. Non riusciva a capire se la voce provenisse dalla mortale o da se stesso. Si sentiva attraversato da uno spettro. Non riusciva a capire, a realizzare. Solo quando le sue dita divennero secche a causa delle cenere sotto le unghie, Loki si rese conto di star scavando fra le rovine della colonna.

No, brutto idiota, non te ne andrai così. Devo essere io a ucciderti, capito?! Nessun altro! Mi senti, Thor?! Sei un energumeno senza cervello, un completo ritardato! Io… io giuro che ti ammaz–

«Loki» Loki sussultò e voltò il capo con così tanta velocità da farsi male. «Che stai facendo?».

Thor era lì, davanti a lui: vivo, con l’armatura scheggiata e piena di polvere e la solita espressione beota dipinta sul volto. Loki non disse nulla. Rimase in silenzio, a fissarlo come se lo vedesse per la prima volta. Poi si alzò, si avvicinò a lui e gli piantò un pugno dritto sul naso.

«Brutto idiota!» Ringhiò, stringendo i pugni.

Non sapeva perché si sentisse così… sollevato. Aveva attentato alla vita di Thor tante di quelle volte che persino mentre sognava, spesso, architettava piani contro di lui. Eppure, goccia dopo goccia, minuto dopo minuto, Loki sentì scorrere nelle vene un sentimento caldo, nuovo: il masso che gli gravava sulle spalle poco prima sembrava svanito nel nulla. Non riusciva a capire perché.  

Non era più certo nemmeno del suo odio. Non era più certo di nulla.

Lo sguardo che Thor gli riservò era carico di astio. Si asciugò con fastidio il rivolo di sangue che colava dal suo labbro spaccato e massaggiò l’attaccatura del naso. Loki digrignò i denti, mettendosi sulla difensiva. Dovrebbero chiamarlo Dio degli Idioti anziché Dio del Tuono, pensò.

«Forza, muoviamoci prima che quegli energumeni ci raggiungano» Disse. E tutti e tre ripresero a camminare.

Per tutto il tempo del tragitto, l’umana rantolava per l’affanno alle spalle di Loki. Voltandosi, Loki costatò che era ancor più bianca di prima. Thor la prese in braccio e se la caricò sulle spalle. Loki gli rivolse un’occhiata perplessa.

«Non andavamo di fretta?» Chiese Thor quando gli arrivò vicino. Loki strinse le labbra.

«Forse potresti indicarmi la strada, dato che conosci tanto bene il palazzo», ribatté piccato. «Ho terminato le vie di cui ero a conoscenza nel momento stesso in cui la colonna è ceduta – a causa tua, sottolineerei – quindi, fratello, aspetto un tuo consigl–».

Le dita ruvide e possenti di Thor si strinsero attorno alla gola di Loki e lo spinsero contro il muro. Sulle labbra del Dio degli Inganni si dipinse un sorriso inappropriato e divertito, e il suo sguardo si assottigliò. «Oooh, siamo già alle maniere forti?» Chiese, umettandosi le labbra con la lingua.

«Ti ho liberato a una condizione, Loki: quella di condurci a Svartálfaheimr. Adesso non provare a rifilarmi la scusa che non sai neanche come uscire dal palazzo!» La voce di Thor si incrinò e la presa si fece più energica sulla sua gola. Il sorriso di Loki non vacillò.

«Appunto. Ti avevo promesso che ti avrei condotto a Svartálfaheimr, non fuori dal palazzo!», sussurrò, mellifluo. «Forse dovresti imparare a stringere patti migliori, Tho--uggh» Thor lo sbatté prepotentemente contro il muro. Loki non ebbe il tempo di ribattere che la sua testa prese a girare come una trottola: sentiva male dappertutto, la vista era annebbiata e la ferita alle tempie continuava a sanguinare copiosamente.

«O forse tu dovresti piantarla di dire menzogne, Loki».

La presa di Thor si allentò e Loki cadde a terra con un tonfo. Si portò una mano alla fronte, stordito, e un campanello d’allarme suonò nella sua mente. Conosceva quella voce.

Alzò lo sguardo e la vide: Emily indossava un paio di pantaloni maschili, una vecchia casacca blu molto larga, stretta in vita da una cintura di cuoio, un paio di stivali smussati sul davanti e un mantello nero. L’avrebbe scambiata per la ragazza di qualche anno prima,  se non fosse stato per lo sguardo serio e grave che delineava il suo viso.

«Emily…» A prendere la parola fu Thor. Dal suo sguardo perplesso, Loki capì che era stranito quanto lui. «Dove… Cosa ci fai qui?».

«Per lo stesso motivo che ci fai tu, Thor», rispose Emily. «Recarmi a Svartálfaheimr. Ritengo di avere ancora un conto in sospeso con quei mostri», il suo sguardo cadde sulla figura minuta di Jane e la sua fronte si aggrottò. «Ehm… perché lady Jane si trova sulla tua spalla, Thor?», fece una pausa e squadrò per bene la fanciulla, perplessa. «… svenuta, perlopiù?».

«Vedi, lei…».

«Non puoi venire con noi» La voce di Loki rimbalzò fra le pareti. «Sei già stata d’impiccio una volta, non permetterò che succeda una seconda», concluse, grave.  Ci fu un momento di assoluto silenzio nella quale nessuno sembrò avere il coraggio di parlare. Poi Emily aprì la bocca per ribattere, ma Loki la precedette. «E inoltre, come hai fatto a trovarci?».

«Non è difficile trovare qualcuno che ad ogni passo attira su di sé cento catastrofi, non credi?» Le parole di Emily erano taglienti come rasoi, ma Loki non si fece intimidire. Dannata vulvetta lamentosa, pensò con stizza.

«Allora faresti meglio a starmi lontana», le sue labbra si tesero in un sorriso beffardo e cattivo. «Corri dei rischi molto alti a stare in mia compagnia», le sue dita sfiorarono la sua guancia con placidità, ma Emily le allontanò con un gesto scocciato della mano. Sul viso di Loki si delineò una ruga indispettita.

«Potrei dire lo stesso di te», sibilò Emily al suo orecchio. «Sono un po’ arrugginita, te lo concedo, ma ciò non significa che abbia dimenticato come si usano questi».

Qualcosa di appuntito premette contro la pancia di Loki. Quando chinò lo sguardo, uno scintillio argenteo catturò la sua attenzione. Capì subito: quelli erano i pugnali che le aveva dato prima di partire per Jötunheimr.

Le parole di Emily gli piombarono addosso, fredde come mai lo erano state, e gli strinsero il petto in una morsa di ferro. Loki odiava quella sensazione, odiava sentirsi così… debole, ma ciò che odiava più di ogni altra cosa erano gli occhi di Emily, così freddi e gravi da strappargli le viscere. Loki sapeva di essere stato lui a renderli così e la cosa lo innervosiva.

Agì d’istinto: agguantò la mandibola di Emily e l’avvicinò a sé, in modo da poterla ben guardare negli occhi. Nel suo esilio, Loki aveva visto Mondi, Regni e Lune Deserte, ma mai – mai – aveva trovato un luogo più gelido di quello presente negli occhi di Emily. E mai, in tutti quegli anni, si era sentito così arrabbiato.
 
«Stai giocando col fuoco, Emily» Grugnì.
Emily fece una smorfia. «Dovrei avere paura?».
 
Loki la guardò con insistenza, come se volesse ben imprimere quello sguardo nella sua mente. La sua prese si fece più decisa e prepotente. «Oh, sì», sussurrò, infido. «Dovresti».

Emily non rispose. C’era qualcosa nel suo sguardo di molto più profondo della semplice collera. Si trattava di delusione e una parte di lui sprofondò in un rancore ancora più prepotente. La lasciò andare di scatto e distolse lo sguardo dal suo. Le farò pagare quello sguardo, pensò con furia, capirà cosa si prova ad essere guardati così.
 
«Avete finito?» La voce di Thor riportò tutti alla realtà. Loki dovette lottare con la furiosa voglia di prenderlo a pugni. «Perché, non so se lo avete notato, ma siamo ancora bloccati qui. Ed io vorrei uscire in fretta».

Con la coda dell’occhio, Loki scorse Emily mentre si tirava su il cappuccio e avanzava nella direzione opposta.

«Seguitemi», disse, semplicemente. «C’è un passaggio segreto dietro il dipinto di Re Bor, più avanti. Mi ci nascondevo sempre da bambina quando giocavamo a quegli sciocchi giochi. Fate attenzione a non fare rumore».
 
Loki tentò di dirle che No, non l’avrebbe seguita e che non poteva venire con loro, che bastava quella dannata mortale a farlo innervosire, ma Thor gli scoccò un’occhiataccia prima che potesse farlo e alla fine Loki dovette cedere. Sospirò e si avvicinò quatto al luogo in questione. Emily spostò il quadro che raffigurava il padre di Odino, gli rivolse un’ultima occhiata e si inoltrò nel tunnel segreto. Mentre si apprestava a seguirla, si ricordò che, quando da bambini giocavano a nascondino, non era mai riuscito a trovare Emily.
 
 
Il cunicolo che portava all’uscita era stretto e lugubre, e più volte Emily si ritrovò costretta ad appiattirsi più del dovuto per poterlo attraversare. Lady Jane era scesa dalle spalle di Thor e aveva ripreso a camminare, ma sarebbe stato meglio se avesse continuato a dormire perché non faceva altro che lamentarsi e ripetere quanto gli spazi stretti la terrorizzassero. In tutto ciò, Loki non aveva smesso di fare dell’ironia neanche per un momento.

«Grande idea, Emily!», diceva. «Passare attraverso dei cunicoli così stretti da non riuscire neanche a respirare è un’idea a dir poco sensazionale! Perché non lo hai detto subito? Mi sarei consegnato direttamente alle guardie, mi sarei risparmiato questa sofferenza». Emily dovette più volte contare fino a cento per impedirsi di prenderlo a pugni.

Ricordava ancora il viso terrorizzato di Hlìn mentre le diceva che Loki era fuggito insieme a Thor. Così aveva agito d’istinto, senza pensare, aveva indossato le prime cose che aveva trovato ed era scesa in fretta e furia alla loro ricerca. Quando aveva sentito un boato provenire dal corridoio principale, Emily aveva capito dove si trovavano e anche come raggiungerli. Non aveva messo in conto, però, il fatto che avrebbe dovuto rivedere Loki. Un fastidioso senso di oppressione, simile a quello dei morsi della fame, si era fatto largo in lei quando aveva incrociato il suo sguardo, e anche in quel momento persisteva dentro di lei.

Inizialmente, Emily aveva represso l’istinto di prenderlo a pugni solo grazie a un’enorme dose di autocontrollo. Loki era esasperante, le sue parole taglienti come rasoi, ma Emily era già caduta troppe volte nei suoi trucchetti per lasciarsi abbindolare di nuovo: sapeva che vederla perdere il controllo era ciò che desiderava, e lei non sarebbe stata al suo gioco. Lo avrebbe ignorato. Prima o poi smetterà, si era detta, Non potrà continuare per sempre.

Ma Loki non aveva affatto smesso e, al contrario, le sue battute si erano fatte più fastidiose e taglienti. Una dopo l’altra la colpivano dritte al suo orgoglio, ed Emily cominciava a perdere la pazienza. Il fatto che il cunicolo divenisse sempre più stretto e l’aria più pesante e soffocante, inoltre, non aiutava di certo.
 
«Non hai mai concluso nulla in tutti i tuoi ventisei anni di vita, finendo sempre col cacciare nei guai te stessa e tutti gli altri. Forse per una volta saresti potuta renderti utile distraendo le guardie, anziché aiutarle a raggiungerci, facendoci morire prima del tempo in questo dannato post--».

Un colpo secco e deciso prese Loki in pieno volto. Rendendosi conto di ciò che era appena accaduto, Emily sgranò gli occhi e trattenne il fiato: Jane aveva appena colpito Loki. In faccia.

«Questo era per New York!», disse Jane, con sguardo di sfida. Loki la guardò con odio ma, prima che potesse fare qualcosa, Jane lo colpì di nuovo. A quel punto Emily non seppe dire se Jane fosse molto coraggiosa o semplicemente molto stupida. «E questo era per la tua lingua lunga!».

Scese il silenzio. Sia Jane che Loki continuavano a guardarsi in cagnesco ed Emily fu certa di scorgere una nota cattiva nello sguardo di Loki. Un brivido le corse lungo la schiena e agì d’istinto: agguantò il polso di Jane e la costrinse a camminare, ignorando bellamente le sue proteste riguardanti il fatto che Loki era un villano e che non poteva permettersi di trattarla così. Emily le strinse la mano e la guardò negli occhi.

«Ti ringrazio», sussurrò. Jane restò in silenzio per alcuni secondi, come se stesse soppesando la sincerità delle sue parole. «Ma ti prego di non metterti più nei guai per causa mia. Non potrei perdonarmelo», concluse. Sulle labbra di Jane si formò un sorriso conciliante, che ad Emily ricordò molto quello gentile di Hlìn. Nessuna delle due parlò più per il resto del tragitto, ma Emily fu certa che dietro di loro Thor e Loki stessero discutendo di qualcosa di molto importante. Decise di non voler conoscere l’argomento della discussione.

«Una volta usciti di qui dove arriveremo?» La voce di Thor era bassa e roca, ma Emily la udì comunque.
«Nei pressi delle catacombe. Laggiù prenderemo una strada per raggiungere la Camera delle Armi e il Tesseract, dopodiché fuggiremo» Rispose.
«Lì è gremito di soldati. Non sarà facile prendere il Tesseract!».
«Lo so, Thor. Ma se vogliamo spezzare la maledizione dobbiamo agire in fretta!».

Nell’oscurità del corridoio, qualcuno sbuffò. «E come pensi di fare? Credi che una volta arrivati laggiù ti faranno un bell’inchino e ti consegneranno il Tesseract con tanto di ringraziamenti?».

Emily si fermò.

Ora basta.

«Senti», iniziò, puntandogli un dito contro. Loki inarcò un sopracciglio. «Non sono venuta fin qui per farmi schernire da te, ma per un motivo ben preciso. Adesso non indosso più le vesti da dama di compagnia, Loki. Per cui non mi farò scrupoli a prenderti a pugni, se mi farai perdere la pazienza più del dovuto!».

Loki rise, beffardo. «Oh… il gattino ha sguainato le unghie? Allora sarà meglio non farlo arrabbiare, sia mai che inizi a soffiare e rizzare il pelo!».

Questo è troppo!

La mano di Emily si alzò in aria, determinata a colpire, ma una voce arrestò la sua corsa. Con terrore, si accorse che non apparteneva a nessuno del gruppo.

«Ehi, ho sentito una voce. Devono essere nei paraggi!», diceva.

Emily udì Thor imprecare e Jane trattenere il fiato. Loki, invece, sospirò. «Bella mossa, genio», sussurrò.

«Non osare dare la colpa a me!» Ribatté Emily, ma la sua voce fu sovrastata da quella di Thor.

«Adesso basta!», decise. «Non abbiamo tempo per le vostri liti. Dobbiamo muoverci e in fretta, se non vogliamo finire nei guai».

Alla fine, cercando di fare meno rumore possibile, riuscirono ad arrivare alla catacombe: davanti a loro si estendeva una serie infinita di tombe e di teschi addossati alle pareti, l’oscurità faceva da padrone nella stanza e solo una fiaccola donava un po’ di luce. Thor la prese e cominciò a camminare in direzione dell’uscita, seguito dagli altri. Mentre avanzava, Emily sentiva gli sguardi vuoti e inquietanti dei teschi seguirla e un brivido le corse lungo la schiena, incrementando il battito del suo cuore. Accanto a lei, Loki manteneva un’andatura rigida e composta, affatto intimorita. Per un attimo, Emily venne attraversata dal desiderio di sfiorare la sua mano, ma nell’esatto istante in cui il viso di Vàlì tornò a far capolino nei suoi pensieri, l’idea si si disperse come sabbia al vento.

Distolse lo sguardo e accelerò il passo, le mani le tremavano non più per la paura, ma per la rabbia.

«Fate silenzio, adesso. Siamo vicinissimi alla Camera delle Armi; Padre avrà incrementato la guardia in vista del nostro arrivo…».
«E una volta che saremo arrivati lì?», la voce di Jane era fiacca e piena di dubbi. «Come faremo a passare?».

Thor si voltò. Il suo sguardo andò ad Emily, che subito capì le sue intenzioni. «Oh, no. Non oseresti chiedermi una cosa del genere!».

«Sai bene di essere l’unica, qui dentro, in grado di farlo!» Insistette lui. Emily divenne rossa quanto i suoi capelli.
«Non se ne parla nemmeno! È troppo imbarazzante! Chiedi a Jane!».
«Jane… Jane non può farlo!».
«Perché? Perché è la tua donna?!».

Il clangore delle spade e delle voci delle guardie che si sovrapponevano li fece tutti sobbalzare. Loki si guardò attorno guardingo e nervoso.

«Qualsiasi sia la cosa di cui state parlando, fatela in fretta» Mormorò.

Emily guardò Thor, frustrata. Non poteva davvero chiederle una cosa del genere… Non ricordava nemmeno più come si faceva! Non poteva semplicemente spianarsi la strada a colpi di Mjolnir come al solito?!

Un brusio concitato di voci la riscosse dai suoi pensieri. Spronata dalla paura stessa, Emily si decise ad agire.

«Giuro che questa me la paghi!» Sibilò prima di uscire allo scoperto. Mentre, quatta quatta, si avvicinava a una delle guardie, si morse forte la lingua.

Che gli dèi mi assistano…

Cercò di assumere l’aria più innocente e dolce che il suo volto le consentiva di ottenere. Durante i loro giochi da bambini, lei e Thor avevano sempre messo in pratica quel piano per entrare in luoghi sorvegliati senza farsi vedere da nessuno. Solo adesso che era cresciuta Emily si rendeva conto di quanto fosse imbarazzante. Prese un sospiro d’incoraggiamento e si rivolse alle guardie, che subito scattarono sull’attenti e la squadrarono da capo a piedi.

«Per fortuna vi ho trovati!», pigolò, sbattendo le ciglia. Le due guardie si guardarono perplesse. «Non immaginate per quanto tempo vi ho cercato!».

Le guardie continuavano a rimanere silenti. Emily fece saettare per un attimo il suo sguardo in direzione di Thor, che le fece subito segno di continuare; Loki, invece, la fissava con occhi assottigliati in due fessure verdi, labbra serrate e braccia incrociate al petto, evidentemente contrariato. L’unica che sembrava non capire era Jane.

«Questo non è un luogo adatto a lei, lady…».
«Sigyn!», mentì Emily, pronunciando il primo nome che le era venuto in mente. Se avessero saputo che era lei, l’amante di Loki Laufeyson, di certo l’avrebbero presa in custodia e portata da Odino.
«Lady Sigyn», disse una delle guardie, marcando per bene il suo nome. Nel frattempo, Thor e Loki erano sgattaiolati fuori dal nascondiglio e si stavano avviando dentro la Camera delle Armi, ora incustodita. Emily li guardò con un sopracciglio inarcato e il cuore che batteva così velocemente da far male. All’improvviso, vide Loki farle cenno di tacere mentre si avvicinava cauto all’altra guardia, che era ancora intento a guardare lei e non poteva accorgersi di lui. Bastò un colpo secco alla nuca e quella crollò a terra priva di sensi senza fare il minimo rumore. Emily trattenne un singulto e si morse la lingua.

Oh cielo… è morto?!

«Non può stare qui. Solo la guardia e i membri della famiglia reale possono. Rivolga la sua richiesta a qualcun altro» Il volto di Emily era bianco come un cencio. L’uomo inarcò un sopracciglio. «Lady Sigyn, è bianca come un cadavere. È sicura di star bene? ».

«E-Ehm… s-sì! Certo, sono proprio bianchissima! Credo… credo proprio di star per morire! Guardi!» Emily finse uno svenimento e la guardia la sorresse di riflesso. Il colorito di Emily passò dal bianco cadaverico al rosso sangue in pochissimi secondi. «M-Magari un uomo valoroso come voi potrebbe scortarmi da Odino!», improvvisò, vergognandosi come una ladra per ciò che stava facendo.

La guardia strabuzzò gli occhi e si ritrovò a corto di parole, anche lui rosso di vergogna per la situazione venutasi a creare.

Che tu sia dannato, Thor!

«Mia lady, non credo che lei dovrebbe starmi così vicin-» Un boato irruppe nella sala e, con la coda dell’occhio, Emily scorse Thor mentre imprecava a bassa voce per aver appena fatto cadere un vaso di rame. Loki gli diede uno spintone e un calcio, mentre sottovoce gli ricordava quanto fosse stupido. Fra le sue mani, si accorse Emily, reggeva il Tesseract.

La guardia fece per voltarsi allarmata. Se li avesse visti sarebbe stata la fine. Thor e Loki si pietrificarono come statue, proprio come succede spesso a chi si trova di fronte a una situazione di tensione. Emily doveva fare qualcosa. Prese il volto della guardia e gli diede una testata così forte da farsi male lei stessa. Ne seguirono alcuni secondi di silenzio, durante i quali la guardia parve non capire cosa fosse appena successo, poi rivoltò gli occhi e cadde a terra con un tonfo.

Nessuno parlò. Emily era accorto di parole, assolutamente sconvolta. Loki, Jane e Thor sembravano anche più sconvolti di lei.
Solo quando il tocco gentile di Jane le sfiorò il braccio, Emily comprese di aver davvero dato una testata ad un uomo. Della guardia reale, perlopiù.

«Ricordami di non farti mai incazzare», le disse Jane. Emily non riuscì proprio a sorridere.

Mentre si dirigevano fuori dalla fortezza di Asgard, passando da un ennesimo passaggio segreto, Emily si sentì inspiegabilmente fiera di se stessa.
 
 
«Levatevi dai piedi!» L’urlo di Thor riecheggiò nella cacofonia della battaglia come un tuono durante un tempesta, ma Loki lo udì a malapena impegnato com’era nel lottare contro una guardia. La lama del suo pugnale era lucida come vetro lattiginoso e acuminata come uno spillo; quando affondò nel collo dell’uomo, fiori cremisi la macchiarono. Loki la estrasse con uno sbuffo spazientito e l’uomo cadde a terra con un singulto.

Erano usciti allo scoperto, alla fine. Non c’era stata alternativa: le strade erano bloccate e persino i passaggi segreti non facevano altro che condurli ad altri luoghi infestati dagli uomini di Odino. Loki aveva tentato di pensare a un piano, ideare qualcosa come al solito, ma Thor lo aveva battuto sul tempo e con un grido di furore era uscito fuori a prendere a martellate quanti più soldati possibile. Loki ricordava ancora la furia sorda che gli era montata nel petto. Non era cambiato in nulla, Thor: idiota era prima e idiota era rimasto.

Impetuoso, testardo e prono all’ira. Mai e poi mai avrebbe sprecato tempo a sciogliere un nodo quando poteva tagliarlo con la spada*. Accanto a lui, Loki rimembrava l’incertezza che aveva solcato gli occhi di Emily mentre fuori imperversava la battaglia.

Quando infine la mortale aveva preso l’iniziativa ed era anche lei uscita allo scoperto, ignorando bellamente le sue proteste mentre le diceva che, dannazione, doveva rimanere nascosta, Emily l’aveva seguita. Loki aveva appena fatto in tempo a realizzare la cosa che lei era già diversi metri lontano da lui.

Loki aveva bestemmiato, tirato calci alle pareti e urlato finché le vene delle tempie non gli si erano gonfiate, perché nessuno lo ascoltava mai, neanche dopo tutto quello che aveva fatto per farsi ascoltare. Frustrato, aveva sguainato il proprio pugnale e si era diretto all’inseguimento degli altri, che nel frattempo cercavano di avanzare facendosi strada con pugni, calci e fulmini. La donna di Thor era corsa barcollando verso l’uscita della battaglia e ogni volta che qualcuno aveva provato ad avvicinarla lei lo aveva spazzato via; inizialmente a Loki era parsa non poco sorpresa di questa sua potenzialità, ma poi l’istinto di sopravvivenza aveva preso il sopravvento e la mortale era corsa via il più velocemente possibile. Loki si era lasciato sfuggire un sorriso subdolo, perché quella non era altro che la conferma dei suoi sospetti: la mortale era stata maledetta e il sigillo della maledizione non poteva essere spezzato da nessuno, neanche dall’Elfo che l’aveva creato. Avrebbe potuto dirlo. Avrebbe, forse per la prima volta, fatto la cosa giusta. Ma a Loki non importava ciò che avrebbe potuto fare, ma ciò che doveva fare. E al momento, ciò che doveva fare era fuggire da Asgard in un modo o nell’altro.

Mentre tirava una gomitata all’ennesima guardia, mandandola KO, il suo sguardo cadde su una massa di riccioli rossi che riconobbe come quella di Emily. La ragazza schivò per un soffio il fendente di una guardia, mentre le diede un calcio e la pugnalò in una gamba, impedendole di rialzarsi. Loki ghignò: non sapeva da chi avesse imparato a difendersi, forse Frigga le aveva insegnato qualcosa, o magari era stato Thor, ma Emily continuava comunque ad aver paura di andare fino in fondo, di uccidere. Loki non riusciva a capirla e la cosa lo mandava fuori di testa. Rendeva storpio qualcuno ma aveva paura di ucciderlo… che ragionamento ottuso!

«Stai facendo un riposino, Loki?!»

Loki si voltò e la vide: Sif galoppava a dorso di un bellissimo purosangue nero, la daga stretta in una mano e le redini nell’altra, mentre gli rivolgeva un sorriso pieno di scherno. Una guardia provò ad attaccarla, ma lei fu più veloce e in un turbinio di movimenti la mise fuori gioco. Trottò verso di lui con la grazia e l’eleganza degne di una lady ma la maestria degna del migliore dei guerrieri.

Quando i lunghi capelli castani le ricaddero scomposti sul viso, Loki sorrise nel rimembrare quanto era stato divertente tagliarglieli.

«Anch’io sono felice di rivederti, Sif» La sua voce era un sottile sussurro appena percepibile nella cacofonia della battaglia, ma Sif gli rivolse un’occhiataccia carica di odio. Ancora sopra il suo destriero, gli puntò la daga alla gola.
«Il piacere non è reciproco», rispose. «E tu sai perché sono qui».
«Se vuoi uccidermi, mi sa che ti toccherà metterti in fila. Non so se hai notato, ma attorno a me girano una cinquantina di guardie. Tutte impegnate con Thor e la sua donna, certo, ma se consenti preferirei mantenere l’idea che siano qui tutte per me. Mi fa sentire importante, in un certo senso».                                                                            
«Non ti ucciderò, Loki. Non ancora, perlomeno. Ma se tradirai Thor, se a causa tua lui non dovesse più fare ritorno, giuro sugli Antichi dèi che lo farò».
Loki improvvisò un sorriso tentennate. «Be’, mia cara Sif, come vedi la lista di persone che vogliono uccidermi è appena aumentata di un numero! Quindi, mi perdonerai se… come dire? Tolgo il disturbo!».

Sif non ebbe il tempo di ribattere che Loki agguantò il suo polso e la tirò giù da cavallo con uno strattone deciso, si aggrappò alla sella dell’animale e ci montò sopra velocemente. Dovette lottare un po’ col cavallo prima di dominarlo del tutto, ma infine diede di speroni e corse veloce fra i soldati; il suono del vento gli inondava le orecchie ma Loki udì perfettamente il grido frustrato di Sif mentre si allontanava da lei.

«Thor!», urlò quando gli fu abbastanza vicino. «Prendi la mortale e vola fino alle Colonne D’Ercole*!»

Thor fulminò una guardia, diede un pugno ben assestato a una seconda e un calcio a una terza. Loki non ne fu sorpreso: da sempre, Thor era stato imbattibile nell’arte della guerra. «Sei impazzito, fratello?!», gli urlò contro quello. «Come farai a raggiungerci?!».

«MUOVITI!!».

Thor lo osservò con occhi colmi di dubbio, finché infine fece come gli aveva detto. Loki ne fu per un momento sorpreso, perché Thor non gli aveva mai dato ascolto. La sorpresa passò del tutto quando il sibilo di una freccia passò accanto al suo orecchio e Loki capì che era giunto il momento di levare le tende.

Riprese in mano le redini e corse veloce verso l’uscita. Gli zoccoli del cavallo che tambureggiavano sul terreno sembrano in simbiosi col suo cuore.
 
Tum, tum, tum, tum, tum.
 
La voce di Emily gli entrò nelle orecchie nel momento esatto in cui era già lontano dal palazzo: acuta, sovrastata da quella di parecchi uomini, arrabbiata. Lo stomaco di Loki si contorse proprio come succede a chi si trova davanti ad un bivio.

Emily era ancora laggiù. Sarebbe sopravvissuta? Sarebbe riuscita a scappare? E se l’avessero presa, cosa le avrebbero fatto? L’uscita era proprio dinanzi a lui. Doveva solo andare avanti e non voltarsi indietro, proprio come aveva sempre fatto.

Un urlo. Più terribile del precedente. Questa volta Loki lo udì chiaramente. Subito ricordò di avere ancora un debito da saldare.

«Al diavolo!».

Strinse le redini e diede di speroni al cavallo, che nitrì e riprese la corsa. Cavalcò fino ad arrivare al centro della battaglia, la cacofonia delle voci e dello stridio delle spade era assordante e il cavallo iniziò a nitrire a causa dell’odore del sangue, arretrando di alcuni passi. Loki digrignò i denti e diede l’ennesimo calcio ai fianchi dell’animale, che grugnendo per l’esasperazione si alzò su due zampe e riprese a correre. Emily era pochi metri più in là: lottava contro due soldati che tentavano di tenerla ferma per le braccia, dava colpi alla cieca, urlava sguaiatamente e si dimenava; tutto il suo corpo era cosparso di fuliggine e di graffi ed era evidente che la sua caviglia fosse slogata, considerato come la muoveva.

Corse verso di lei e le tese la mano. «Aggrappati!», le urlò. Emily gli rivolse uno sguardo colmo di sorpresa, e Loki capì che non credeva che sarebbe tornato. «ADESSO!».

Emily strinse la sua mano con così tanto vigore che a Loki parve impossibile credere che una simile donnetta potesse possedere tutta quella forza. Nemmeno si accorse del brivido che gli percorse la schiena, del breve sorriso che distese le sue labbra per un attimo, perché la tirò su d’istinto e riprese a cavalcare con irruenza un attimo dopo. Emily si aggrappò alla sua schiena con prepotenza e Loki sentì di nuovo il suo calore addosso.

Corsero fuori dal palazzo, ma durante la corsa una freccia passò accanto al braccio di Loki lasciandosi dietro una scia scarlatta che macchiò la sua pelle pallida. Loki gemette per il dolore ma si costrinse a stringere i denti ed andare avanti.

«Forza, forza!!» Urlò al cavallo, dando l’ennesima tallonata ai suoi fianchi.
«Chiudete i cancelli!!» Loki udì qualcuno urlare, ma la voce arrivò alle sue orecchie ovattata e lontana. Quando il cancello posteriore iniziò ad abbassarsi, capì di dover fare qualcosa.
«Prendi il mio pugnale!» Urlò ad Emily.
«Ma-».
«ORA!!».
Emily fece come le era stato detto. Il riflesso della lama brillò alla luce dei raggi del tramonto.
«E adesso?!».
«Colpisci la guardia che sta abbassando la leva!».
«Ma è impossibile!».
«Nulla è impossibile! Fallo e basta!».

La corsa perse di velocità. Il cancello continuava ad abbassarsi e Loki pensò di essere spacciato. La presa sulle redini si fece più forte, più disperata. Era così vicino! Così vicino!

Con un gesto deciso, secco e incisivo, Emily lanciò il pugnale, che saettò nella direzione della guardia.

Forza… FORZA!

E la lama colpì il bracciò della guardia, che subito lasciò la presa dalla manopola e urlò di dolore. Il cancello rimase sospeso a mezz’aria per pochi secondi, ma furono abbastanza per permettere a loro di passarci sotto. Quando ebbero superato la soglia, il cancello cadde e bloccò il passaggio alle guardie.

«Ce l’abbiamo fatta?» Domandò Emily, ad un tratto, ancora scossa, quando furono abbastanza lontani.

Loki si guardò attorno guardingo, come se si aspettasse che una freccia lo colpisse al petto all’improvviso. Quando comprese di essere al sicuro, tirò un sospiro di sollievo e rallentò l’andatura del cavallo. «Sì», sussurrò, più a se stesso che ad Emily. «Ce l’abbiamo fatta».

Passarono i seguenti minuti in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Loki avrebbe voluto fermarsi per abbeverare il cavallo, ma oltre a non esserci alcuna radura dove rinfrescarsi, il sole stava per svanire e la notte nella foresta era molto dura da sopportare.

Decise di proseguire.

Era la prima volta, dopo anni, che lui ed Emily erano così affiatati. Non seppe spiegarsi come lo faceva sentire la cosa, era un sentimento strano, antico: era come quando si svegliava nel bel mezzo della notte e si rendeva conto che non era ancora mattina, che poteva continuare a dormire; come quando ritrovava un libro che non leggeva da tempo ma che non aveva mai smesso di appassionarlo. Era come tornare a casa.

«Perché sei tornato? Potevi andartene» La voce di Emily lo colse di sorpresa e Loki incrociò il suo sguardo per un attimo: era provata, sanguinante e piena di fuliggine, ma lui continuava a preferirla così piuttosto che adornata di pizzi e di trucco.

«Hai ragione, potevo» Rispose.

Lo sguardo di Emily era dubbioso. «Ma non l’hai fatto… perché?».

Loki ripensò a quei due antichi bambini che giocavano a nascondino; alla paura sorda che gli aveva lambito le viscere quando quella stessa bambina lo aveva baciato con energia, qualche anno dopo; al sorriso che gli aveva rivolto quando era tornato ad Asgard; a Vàlì che picchiettava nel vetro della cella; a Vàlì che tirava con l’arco; a Vàlì che moriva davanti ai suoi occhi per colpa sua; e capì. Chiara come il sole, la risposta gli si presentò davanti. Loki la tenne stretta a sé, nascosta nell’oscurità dei suoi pensieri, perché persino per lui, che era il Dio degli Inganni, quella rivelazione era troppo assurda.
 
«Avevo un debito da saldare» Replicò.
 
E quella bugia morì insieme al crepuscolo.
 
 
 
 
 

- Note di Harmony394. 

1) Cit. Il Trono di Spade.
2) Nell’antichità le Colonne D’Ercole segnavano il passaggio tra il mondo conosciuto e quello sconosciuto. Ho pensato potesse essere un buon modo per chiamare quelle montagne.
3) La canzone è: Hearts A Mess.
--------------------------------------------
 
Sì, eccomi qui. Sono ancora viva e vegeta!
I colloqui con i professori sono andati bene, tutto sommato, e quindi internet è ancora il mio baldo compagno di avventure EFPniane (?).
 
Finalmente, per la gioia di molti (ma non dei personaggi), Emily e Loki si sono rincontrati! Yeeii! Certo, stavano quasi per scannarsi a vicenda, ma… come diceva il proverbio? L’amore non è bello se non è litigarello! (certo che da qui a minacciarsi di morte l’un l’altro però…) Ad ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Descrivere le scene d’azione non è proprio il mio forte, ma spero comunque di esserci riuscita! Fatemi sapere! :)
 
Ringrazio tutti i lettori della fanfiction. Siete l’amore e vi meritate tanti gattini\cagnolini\coniglietti. Grazie mille per il sostegno che date alla storia. È soprattutto grazie a voi se non ho ancora mandato al diavolo la fanfiction! :,D Ne approfitto anche per ringraziare anche 
vannagio, la mia Beta, che svolge sempre un ottimo lavoro e corregge tutti i miei e(o)rroracci. Grazie mille, Vanna! <3 <3
 
 Come sempre, se volete contattarmi o sapere notizie a proposito della FanFiction e dei miei deliri da fangirl, ecco qui il link del mio Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9 e del mio Ask. Fm: http://ask.fm/HarmonyEfp .
 
Un bacione, al prossimo capitolo! (che spero di postare entro il 2014…)

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Capitolo 12
*** Darkness Incarnate ***


 
~Darkness Incarnate
 
Is this the real life?
Is this just fantasy?
Caught in a landslide,
No escape from reality.



Era sera inoltrata quando il vento iniziò a soffiare più forte, entrandogli nelle ossa e nella carne. Dietro di lui, Emily si stringeva le spalle per il freddo e batteva i denti. Loki non lo aveva mai sofferto, il freddo, eppure quella volta gli sembrava di sentirselo dentro, sotto la pelle. Non sapeva spiegarsi il perché, ma una parte di lui, quella che aveva sempre associato al cuore, gli suggeriva che la colpa non era della temperatura. Si voltò e incrociò lo sguardo di Emily che, con le labbra viola per il freddo, si sfregava le mani nel tentativo di scaldarle.

«Non ricordavo che la Stagione delle Nevi fosse così fredda. Stare al palazzo mi ha fatto dimenticare ciò che non volevo ricordare, a quanto pare» Pigolò, continuando a sfregarsi le mani.
«Certamente indossare solo una casacca, un paio di pantaloni di cotone e un mantello non è il massimo per tenersi al caldo» La sbeffeggiò Loki. Emily gli riservò un’occhiataccia.
«Taci, Loki» La sua voce era tremolante e piena di astio. Loki inarcò un sopracciglio, piccato, e si voltò dall’altra parte.
«Come vuoi. Ma ti ricordo che sono io quello col mantello pesante, qui».
«E con questo?».
«Dunque», continuò Loki, cantilenando ogni lettera. «Potrei dartelo, se lo tu lo volessi».
«E che stai aspettando, allora?», arrivò la pronta risposta di Emily. «Coraggio, dammelo!», le sue dita percossero esigenti la curva della schiena di Loki, che si voltò di scatto verso di lei e le agguantò il polso con forza.
«Ferma lì», la stretta si fece più salda, mentre con l’altra mano teneva strette le redini del cavallo. «Se lo vuoi, devi darmi una cosa!».
Emily assottigliò le labbra. «I tuoi giochetti cominciano a stufarmi! Cosa vuoi?».
«Tutto ha un prezzo, Emily. Il mio consiste nel pronunciare una parolina magica! Una parolina che, se detta col cuore, potrebbe mettere fine alle guerre di tutti i Nove Regni!».

Emily roteò gli occhi al cielo e Loki allargò il suo sorriso. Adorava vederla sulle spine: in quei momenti, i suoi occhi si riducevano a due fessure azzurrine e il suo naso diventava rosso d’irritazione, dandole un aspetto decisamente buffo.  

 «Che parola?», sibilò Emily con stizza. «E lasciami!», aggiunse poi, districandosi dalla sua presa.

Loki tirò le redini e il cavallo si arrestò nitrendo e sbuffando. Si voltò verso di lei con sguardo tronfio e canzonatorio, poi le prese il mento fra le dita, ignorando del tutto le sue proteste.

«Per – fa – vo – re».

Sperò, giusto per un momento, che Emily gli sorridesse come faceva un tempo, che gli sfiorasse il braccio con delicatezza e sussurrasse il suo nome all’orecchio, allungando le sillabe proprio come era solita fare. Invece lo guardò con odio, come se fosse un insetto fastidioso, e Loki aggrottò le sopracciglia d’istinto.

«Piuttosto che chiedere per favore a te, preferisco morire di freddo» Rispose. E la scheggia sotto le unghie di Loki pizzicò dolorosamente.
«Bene» Sussurrò lui, riprendendo a cavalcare. «Fa come vuoi».

Seguirono un sentiero che sembrava senza fine. Per tutto il tempo, Loki avrebbe voluto urlare forte, fortissimo, fino a graffiarsi la gola e restare senza voce. Le mani gli tremavano nervose e i ricordi continuavano a tornargli alla mente e, per ognuno di essi, un colpo di frusta sembrava colpirlo in pieno viso.

Piuttosto che chiedere per favore a te, preferisco morire di freddo!

Stupida, pensò Loki, i battiti del suo cuore che aumentavano sempre più di velocità. Stupida donna!

Perché sei tornato? Potevi andartene…

Stupida!

Resteremo sempre amici, Loki, vero? Per sempre!

Stupida! Stupida! Stupida!

«Loki! Emily!», la voce di Thor arrivò alle sue orecchie roboante come un tuono, e Loki ritornò alla realtà con un sussulto. «Siete vivi!».

Chinò lo sguardo sulla sagoma di Thor, perplesso, come se lo vedesse per la prima volta. Il cuore continuava a battergli all’impazzata, forte come il rullo di un tamburo. Se avesse potuto, lo avrebbe strappato via dalla sua cassa toracica con rabbia, così da non sentire più niente! Odiava quella sensazione; odiava sentirsi così… così vulnerabile, e odiava Emily e i suoi dannatissimi occhi pieni di odio. 

Emily scese dal cavallo e corse ad abbracciare Thor, felice di rivederlo, per poi rivolgersi alla mortale, il cui colorito di pelle era pallido e i suoi occhi erano segnati da due profondi cerchioni scuri e violetti. Loki emise un eugh di disgusto e distolse lo sguardo da lei. Infine, si decise a scendere anche lui dal cavallo.

«Però, che occhio, Thor», esclamò. «Ti ricordavo più stupido. Hai fatto progressi!».
Thor serrò le labbra in una smorfia indispettita. «Credevamo vi avessero catturati… o uccisi».
«Ci hanno provato», rispose Emily in un soffio, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ma hanno fallito. Gli Antichi Dèi devono avermi graziata».
«Io ti ho graziata», borbottò fra sé e sé Loki, piccato. «Se non fosse stato per me, a quest’ora saresti cibo per vermi», ma nessuno parve sentirlo.
«Loki… sei ferito!».

Loki chinò lo sguardo sul suo braccio e vide che nel punto indicatogli da Thor c’era del sangue secco e raggrumato che gli macchiava la pelle; sfiorò anche la fronte e le tempie, grattando via il sangue che  era rimasto attaccato, e sbuffò spazientito: a lui l’odore del proprio sangue non era mai piaciuto, e pulì le dita sulla sella del cavallo. Poi rivolse lo sguardo beffardo al fratellastro.

«Per le Norne, Thor! Come sei diventato sveglio e attento! Scommetto che se ti chiedo il risultato di due più due stavolta riesci a dirmi la somma corretta!».

Thor non raccolse la provocazione e si rivolse ad Emily, ignorandolo. «Dove avete preso il cavallo? Mi sembra di averlo già visto…», chiese. Loki si lasciò sfuggire un sorrisetto irrisorio e prese la parola.

«Oh be’, diciamo che la nostra cara lady Sif ha deciso di darci una mano a scappare», rispose, serafico. Thor sbuffò pesantemente e scosse la testa, Emily arcuò un sopracciglio e la mortale non disse nulla.

«Bene... Hai almeno la vaga idea di come portalo a Svartálfaheimr?».

Loki lo guardò come si guarda un cerebroleso, e sospirò. «Mi sbagliavo, Thor. Sei sempre l’idiota di sei anni fa. Come puoi anche solo pensare di portare uno stallone a Svartálfaheimr? In una terra deserta come quella degli Elfi Oscuri non avremo né dove abbeverarlo né dove nutrirlo. E a meno che tu non intenda mangiarlo, dubito che un cavallo che si trascina in territori desolati sia utile» Il cavallo nitrì di disappunto, come se avesse intuito l’argomento della discussione, e Loki pensò che gli animali erano senza dubbio più intelligenti di certa gente – e certamente più utili della combriccola che aveva come compagnia.

«Adesso basta, Loki. La mia pazienza ha raggiunto il limite: di’ un’altra parola e ti romperò tutti i denti che ti ritrovi, fosse l’ultima cosa che faccio!».

Loki si portò una mano al petto, melodrammatico. «Oh no! Ti prego, risparmiami!», ridacchiò, ma nessuno rise. Si avvicinò a Thor con passò volutamente lento. «Oh, possente Thor! Perdonami! Sono solo un povero stolto! Non era mia intenzione offenderti! Orsù, risaniamo tutto con un bel bacio!», finse il rumore di un bacio, certo che questo avrebbe fatto infuriare Thor più di ogni altra cosa.

Sul suo volto si dipinse un sorriso pieno di scherno quando quest’ultimo gli rifilò un pugno ben assestato, facendolo rovinare a terra con un tonfo.
 
Prevedibile...
 
«Datti una ripulita», lo udì mormorare, disgustato. «Hai davvero toccato il fondo».

Il sorriso di Loki non vacillò. «Oh no, fratello», sussurrò mellifluo, asciugandosi il sangue che colava dal suo labbro spaccato. «Quello l’ho già raggiunto da un pezzo!».  
 
Thor gli rivolse un’occhiataccia alla quale lui rispose con un ghigno, poi si avvicinò al cavallo e gli diede una pacca sul fianco, esortandolo ad andare avanti. «Ritorna dalla tua padrona», disse. Poi si rivolse a lui. «Adesso, Loki, dicci come arrivare a Svartálfaheimr.».
 
Con pesantezza, Loki si tirò in piedi. Si scrollò la polvere dai vestiti e rivolse una breve occhiata ad Emily, che lo fissava di rimando con labbra serrate per il disappunto e braccia incrociate al petto. Subito il sorriso gli si gelò sul volto e l’euforia di poco prima svanì del tutto. Innervosito, distolse lo sguardo.
 
«Come vi ho già detto, dobbiamo arrivare alle Colonne D’Ercole. Non mi sembra difficile come concetto» Esordì, fissando Thor con disprezzo.

«Non ci hai ancora spiegato cos’è davvero questo posto. Cosa sono queste Colonne D’Ercole?» Questa volta era stata la mortale a parlare. Loki fu tentato di non risponderle – non parlava con esseri inferiori, lui – ma alla fine il desiderio di fare sfoggio delle proprie conoscenze ebbe la meglio e la risposta uscì dalle sue labbra prima ancora che potesse trattenerla.

 «Le Colonne D’Ercole sono due enormi montagne poste vicinissime tra loro, verso la fine della Foresta di Dain, a pochi chilometri lontano da qui; accanto all’entrata ci sono tre porte nascoste che portano rispettivamente a Jötunheimr, Svartálfaheimr e Niflheimr. È stato solo grazie a questi accessi che sono riuscito a recarmi a Jötunheimr, tempo fa, senza essere visto. Quei tunnel sono dei punti ciechi. Nemmeno Heimdall può vederli, per quanto continui ad affermare il contrario».

«E tu?», replicò la mortale, visibilmente perplessa. «Perché tu ci sei riuscito?».

Li sguardi di tutti si posarono sulla figura di Loki, che incurvò le labbra in un ghigno beffardo.

«Ma è ovvio», disse saccente. «Perché io sono Loki».
 

 
Le fiamme scoppiettavano e illuminavano l’oscurità della notte. Sulla roccia fredda danzavano diverse forme curvilinee, astratte, dettate dalla danza del fuoco. Emily le osservava rapita, le gambe strette contro il petto e il mento sulle ginocchia. Avevano deciso di passare la notte in una grotta, alla fine: Svartálfaheimr non è un luogo particolarmente illuminato dal sole. Non riuscireste nemmeno a vedere dove mettete i piedi, soprattutto di notte, aveva detto Loki brevemente, e nessuno si era opposto.

Thor diceva che sarebbe rimasto sveglio tutta la notte a fare da guardia e vegliare su Jane, ma Emily non riusciva comunque a sentirsi tranquilla e a prendere sonno. Anche Loki era rimasto sveglio – Non ho sonno, aveva detto, ma Emily era certa che non dormiva da tempo, perché i solchi sotto i suoi occhi erano terribilmente profondi e il suo viso era più scarno rispetto a prima. Era seduto anche lui accanto al fuoco, proprio davanti a lei; il suo sguardo era fisso sulle fiamme ma i suoi occhi erano vitrei, lontani da lì. Emily avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere a cosa stava pensando, giusto per scoprire cosa si nascondeva nella mente del Dio degli Inganni.

«Comprendo di essere terribilmente affascinante, Emily, ma il tuo continuo fissarmi comincia ad innervosirmi. Se vuoi qualcosa, chiedila. Non aspettare che siano gli altri a farlo» La voce di Loki la colse di sorpresa ed Emily divenne rossa quanto i suoi capelli; persa com’era fra i pensieri, non si era accorta di averlo fissato troppo a lungo.

«Sei arrogante, Loki», disse allora, piccata, ostentando una sicurezza che non le apparteneva. «Non era te che fissavo!».

«Oh, è evidente» Replicò lui, poggiando il viso sul palmo della mano, evidentemente divertito. «Immagino che la nuda roccia sia molto più interessante da osservare del sottoscritto. Perdona la mia insolenza, alle volte sono davvero… com’è che mi hai apostrofato, prima? Ah, già: arrogante!».

Emily incrociò le braccia al petto, stizzita; gli rivolse un’occhiataccia e assottigliò le labbra. Detestava quando Loki le parlava in quel modo: era tutto il giorno che non faceva altro che infastidirla e lei cominciava ad averne abbastanza. Dopo quello che era successo al palazzo, poi, lo trovava perfino più irritante. Cosa voleva dimostrare, tornando da lei? Gli era grata per averle salvato la vita, questo era certo, ma non riusciva a capire perché lo avesse fatto. Avevo un debito da saldare, le aveva detto lui, ma Emily sapeva che c’era molto di più: Loki non faceva mai niente per niente, per lui tutto aveva un prezzo, ed Emily non era certa di voler sapere quale fosse il suo.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti, ognuno perso nei propri pensieri, poi Loki prese la parola.

«Com’era?».

Emily alzò lo sguardo su di lui, dubbiosa. «Chi?».

«Vàlì», rispose lui, schiettamente, il sorriso dipinto sul suo volto era svanito del tutto, lasciando spazio ad una linea rigida e grave. «Com’era?».

Emily non disse nulla. Nella sua mente, ricordo dopo ricordo, si formavano le immagini che aveva tanto cercato di dimenticare in quegli ultimi mesi: il viso paffuto di Vàlì mentre le accarezzava il volto con le manine piccole piccole; mentre tornava al palazzo con un ginocchio sbucciato e gli occhi pieni di lacrime; mentre le baciava le guance e le portava un trifoglio raccolto dall’erba, esaltandolo come il migliore dei fiori perché il colore verde era il suo preferito; mentre tirava per la prima volta con l’arco sotto gli occhi attenti di Thor e mentre le diceva che odiava studiare antiche rune perché non servivano a nulla. Emily si sorprese a scoprire quanto fossero dolorose quelle memorie, nonostante fosse passato tanto tempo.

«Era bellissimo», rispose infine, in un sussurro. «Era bello quando dormiva, quando piangeva e quando rideva, quando mi chiedeva di guardarlo tirare con l’arco e quando mi diceva di allontanarmi perché lo mettevo in imbarazzo con gli amici – poi però ritornava da me e mi chiedeva scusa e che non voleva davvero che me ne andassi. Era il mio bambino, il mio cuore, il mio sangue, la mia stessa vita. Era tutto, e me lo hanno portato via per sempre», alzò lo sguardo su quello di Loki: i suoi occhi verdi erano fissi su di lei, la sua mascella contratta, in attesa, e il suo volto era coperto di piccoli graffi e il suo labbro inferiore spaccato. Emily trovò straziante constatare quanto lui e Vàlì si somigliassero.

«Mi dispiace», disse a un tratto Loki. E dal modo in cui distolse lo sguardo, Emily capì che non stava mentendo.

Fu in quel momento che, oltre ai ricordi caldi e pieni di dolcezza, tornarono anche quelli freddi, che facevano male e che le indurivano il cuore: il volto di Thanos il Titano fece capolino nella sua mente come un incubo dalla quale non riusciva a svegliarsi da molto tempo, lo scintillio sinistro dei suoi occhi la trafisse come uno stiletto, il suo ghigno grottesco mentre massacrava il corpo di Vàlì le si parò davanti come un muro di mattoni impossibile da evitare. Emily si sentì struggere da quelle memorie, perché ancora una volta non poteva cambiarle. Erano lì, vivide e inafferrabili come l’acqua. Con l’angoscia tornò anche la rabbia, quella feroce e scalpitante di chi aveva subito un’ingiustizia. Emily sentì la necessità impellente di sapere la verità riguardo alla morte di Vàlì, proprio come un assetato che reclamava dell’acqua o un affamato che supplicava del pane.
 
«Loki», lo chiamò allora, la voce dura e seria come una lapide. Loki ricambiò il suo sguardo. «So che tu sai qualcosa, riguardo alla morte di Vàlì. Ed io voglio che tu mi dica la verità, stavolta. Sei l’unico in grado di farlo, ma ti prego, ti prego, non dirmi un’altra bugia, perché non riuscirei a sopportarla. Non più!».
 
Loki rimase in silenzio, la fronte aggrottata e le mani ridotte a un fremito continuo. L’aria nella grotta era pesante, carica di tensione, e nonostante il fuoco continuasse a scoppiettare ed ardere, un brivido di freddo percorse la schiena di Emily. Negli occhi di Loki, scorse una paura antica, di chi aveva affrontato la morte più volte ma non intendeva ricordarla, ed era terribile. Per un momento, pensò che le avrebbe detto di nuovo una bugia, una di quelle che facevano male e che lei non riusciva ad accettare, poi però Loki si passò una mano sul volto, esausto come mai lo aveva visto, sospirò forte e chinò lo sguardo. E allora Emily comprese che non lo avrebbe fatto.
 
«Quando caddi dal Bifröst» iniziò, «Ancora prima di realizzare di essere vivo, la prima cosa a cui pensai era che avevo fallito. Non solo come figlio, ma anche come Re. Realizzai di aver perso tutto con la stessa irruenza con cui ci si risveglia da un sogno, e fu in quel momento che decisi di prendermi la rivincita nei confronti di Asgard, di Odino e del vecchio me stesso. Poi incontrai Thanos. Avevo già sentito parlare di lui nelle leggende che le vecchie nutrici narravano a me e Thor da bambini, ma avevo sempre creduto che fossero false. Avevo ragione: Thanos è molto più potente, più terribile e più malvagio di ciò che raccontano i libri. Mi propose un patto: io gli avrei reso il Tesseract e lui mi avrebbe dato un’armata, un trono e un Regno da governare. Ma se avessi fallito, se il Tesseract non fosse stato consegnato, non ci sarebbero state terre, o lune deserte, dove lui non mi avrebbe trovato e fatto patire il più acuto dei dolori. Accecato dal desiderio di rivalsa nei confronti di chi mi aveva scaraventato nell’abisso, accettai».
 
Loki fece una pausa, come se andare avanti gli costasse un’immensa fatica. Emily continuava a fissarlo; nella penombra della grotta, le parve di scorgere una nota di rimorso nei suoi lineamenti affusolati.
 
«Andò tutto per il meglio, all’inizio. Thanos sembrava l’unico in grado di capire la mia situazione poiché anche lui, sin da giovane, era sempre stato emarginato da tutti, visto come un mostro. Mi fidai di lui, ma sbagliai, come chi sbaglia sempre a fidarsi di qualcuno, e solo quando ormai era tutto perduto, quando era troppo tardi, capii di essere caduto nella sua trappola: Thanos non mi avrebbe mai ceduto Midgard, nemmeno se fossi riuscito a prendere il Tesseract e portargli la testa di tutti i Vendicatori su un piatto d’argento. Ero solo una pedina nelle sue mani; quello che faceva il lavoro sporco. Fu allora che compresi cosa fare: mi lasciai catturare dai Vendicatori, quegli stolti fenomeni da baraccone, e non opposi resistenza quando Thor mi riportò ad Asgard. Non potevo sapere che Thanos mi avrebbe seguito fin laggiù. O perlomeno una parte di me lo sapeva, continuava a urlarmelo, ma io preferivo credere che si trattasse solo di una mia sciocca paura e allora facevo finta di niente. Solo quando il corpo di Vàlì ridotto in quel… in quel modo da Thanos mi si è parato davanti, sono stato costretto ad aprire gli occhi e scontrarmi con la realtà: Thanos, alla fine, la sua promessa l’ha onorata… io la mia no», alzò gli occhi su di lei, ed Emily poté leggere tutta la rabbia che lo tormentava, furiosa e incontenibile. Il suo cuore accelerò i battiti e le viscere le si contorsero, facendola arretrare d’un passo. Poi però capì che quella di Loki non era una rabbia violenta, ma addolorata e dettata dal rimpianto, così la paura rallentò la sua corsa, fino ad acquietarsi del tutto. «Eppure io non ho mai desiderato tutto questo. Non potevo immaginare che sarebbe accaduta una cosa del genere! Io non potevo saperlo!».
 
Nella grotta calò un silenzio di marmo. Emily assimilò quelle parole con fatica e confusione, finché un singhiozzo le spezzò il respiro e un dolore forte al petto la investì in pieno, come se qualcosa le avesse schiacciato il cuore. Ricordò gli occhi verdi di Loki mentre da dietro il vetro della cella le diceva che No, lui non ne sapeva niente riguardo alla morte di Vàlì, e la collera di quel momento tornò a farle visita accompagnata dall’incertezza. Perché le aveva mentito, allora? Perché adesso, invece, le diceva la verità – o quella che aveva l’aria di esserla? Non riusciva a capire, e forse era meglio così, perché gli inganni di Loki celavano sempre qualcosa di doloroso ed Emily non era certa di voler scoprire la verità. Eppure doveva sapere. Voleva sapere!
 
«Perché quella bugia?», la domanda risuonò ferma, nonostante Emily stesse cercando con tutte le sue forze di trattenere le lacrime di rabbia, di frustrazione e di stanchezza che le bloccavano il respiro.   
«Perché non volevo che te ne andassi», rispose Loki, con voce incrinata.
 
Rimasero in silenzio per un tempo lunghissimo. Emily non disse nulla: le sembrava di aver dimenticato come si faceva, a parlare, e che qualsiasi suono, persino quello di un respiro, potesse mandare in frantumi ogni cosa, anche lei stessa. La voglia di piangere venne spazzata via come sabbia al vento dalle mille domande che affollarono la sua mente. Loki la fissava con insistenza, in attesa di una risposta che non sarebbe mai arrivata. Alla luce del fuoco i suoi occhi brillavano di una luce più fredda e malinconica.
 
Ad un tratto, forse per rabbia o per frustrazione, le diede le spalle, si sedette accanto al fuoco e non parlò più per tutta la notte. Emily non provò nemmeno ad andargli vicino: Loki era un rompicapo continuo, un inganno nascosto dietro un altro inganno e una maschera che peccava di perfezione; solo che spesso faticava a distinguere dove cominciava l’uomo e dove finiva la maschera, e la cosa la innervosiva. Anche in quel momento, Emily non riusciva a capire quale fosse il confine fra verità e inganno e se lo avesse già superato da un pezzo.
 
Si sdraiò pochi metri lontano dal fuoco, rannicchiandosi su se stessa per non sentire freddo, e rivolse un’ultima occhiata alla schiena di Loki. La ricordava ampia e fredda, le mancava accarezzarla come faceva un tempo. Cullata dai suoi stessi pensieri, Emily cadde in un sonno senza sogni; la mente piena di nodi e le labbra piene di graffi.
 
Quando si risvegliò non sentì freddo, ma un caldo piacevole e avvolgente. Tirandosi su a sedere, si accorse del mantello dai colori smeraldini che l’aveva coperta per tutta la notte.
 
Sorrise.
 
 
«Muoviamoci», le parole di Thor erano secche e decise, adatte ad un dio grosso e grande come lui. «Il sole sta per sorgere. Per quel momento, dovremo già essere a Svartálfaheimr».
 
Dietro di lui, Emily e la mortale camminavano fianco a fianco: il colorito della midgardiana era più pallido rispetto alla notte precedente e il suo corpo più debole; i suoi occhi erano divenuti più scuri rispetto al primo giorno, più tendenti al nero piuttosto che al marrone chiaro; aveva cominciato a tossire più frequentemente e ad avere spesso violenti capogiri.

Loki la trovava inutile, stupida e una palla al piede. Non capiva come a Thor potesse interessare una come lei, piuttosto che un’asgardiana elegante e di nobile stirpe. La cosa era inconcepibile e non faceva altro che renderlo ancora più un idiota ai suoi occhi.
 
La strada verso il limitare della foresta era stata priva d’incidenti. Dopo la notte precedente le conversazioni fra lui ed Emily erano state archiviate, come se nulla fosse successo. Nemmeno Thor gli aveva più rivolto la parola se non per dei suggerimenti riguardo alla via da percorrere. Loki non sapeva se esserne lieto o infastidito, ma di certo venire ignorato non lo rendeva pimpante di gioia.  
 
Raggiunsero in fretta la Foresta di Dain, per poi insinuarsi all’interno del bosco e arrivare, proprio allo spuntare dell’alba, dinanzi alle Colonne d’Ercole. Erano esattamente come le ricordava: imponenti, massicce e pregne di magia. Si voltò verso i compagni con sguardo tronfio di orgoglio e incrociò le braccia al petto, ghignando sardonico.
 
«Ebbene», esclamò mefistofelico. «Eccoci qui».
 
La Mortale tossì ancora una volta, ma il suo sguardo si illuminò di una luce curiosa e avida di sapere. Arrivò dinanzi alle enormi rocce barcollando e prese a studiarle più da vicino, sorridendo come un’idiota e annotando tutto su un taccuino rosso pieno di scarabocchi e pagine mancanti.
 
«Tutto ciò è meraviglioso!», borbottava. «Meraviglioso!».
Thor alzò un sopracciglio. «Jane… è un sasso».
In un gesto istintivo, Loki fece una smorfia. «Non è un semplice sasso, Thor. È un portale. E sarà solo grazie a questo sasso se arriveremo a Svartálfaheimr senza farci scorgere», concluse con stizza. Notando che Thor continuava a non comprendere la maestosità della cosa, roteò gli occhi al cielo e sbuffò irritato.
 
Ah, è tutto inutile. Questo caprone non può capire!
 
«Quindi sono queste le Colonne d’Ercole. Sono davvero imponenti!» La voce di Emily era più un sussurro che un’affermazione vera e propria. Guardandola di sottecchi, Loki notò che anche lei era piuttosto euforica. Ne fu segretamente compiaciuto, ma non disse nulla e distolse lo sguardo da lei.
 
«Sì... lo sono» Sussurrò la mortale, alle prese con delle rune incise sulla roccia fredda. Aggrottò la fronte e si arruffò i capelli con una mano. «Mio Dio… a quanto risalgono queste incisioni? E queste? Thor! Thor, guarda! Qui c’è un… qualcosa nascosto fra le rocce!», la sua voce tremò e il suo sguardo si fece sgomento. Sbatté più volte le palpebre, e Loki la guardò dubbioso.  «Santo cielo… io riesco a leggere queste rune! C’è scritto qualcosa, un messaggio: Ci sta ancora parlando. Oscurità incarnata… ora sappiamo che non possiamo sfuggirle*... Pfff, certo che voi nordici ne avete di fantasia, eh? Oh… ehi, ma che diavol ».
 
Loki non ebbe il tempo di comprendere cosa stava accadendo che tutto divenne nero, buio come la notte; il vento s’innalzò all’improvviso, sferzandogli il viso e i capelli. Dovette pararsi il viso con le braccia e piantare fermamente i piedi a terra per non volare via. Con difficoltà, intravide la sagoma della midgardiana che veniva sollevata in aria, una polvere rossiccia che le mulinava attorno e si andava a catalizzare nelle incisioni runiche scavate sulla pietra; subito il passaggio iniziò a brillare di una luce azzurrina sinistra; una porta, Loki non riuscì a capire quale delle tre, si aprì con un cigolio. Poi una voce rimbombò fra gli alberi, grottesca e devastante come il buio.
 
«SI ANNERISCE LA VOSTRA CARNE, SI ANNERISCONO I VOSTRI PENSIERI, SI ANNERISCE ANCHE IL VOSTRO DESTINO. LA LUCE NON BRILLERA’ MAI PIU’ SU DI VOI, POVERI PUPAZZI ROTTI E CONTAMINATI. AHAHAHAHAHAHA!».
 
Un boato lo assordò per alcuni minuti, facendogli fischiare forte le orecchie, e una luce accecante, bianca come il nulla, lo avvolse come un panno bagnato. All’improvviso, Loki si sentì tirare da più punti, lo stomaco si strinse terribilmente, la sua voce si confuse con quelle degli altri e il suo corpo si contorse fino a far male. Non sapeva cosa stesse accadendo, né se ne sarebbe uscito vivo. Suoni, colori e immagini confuse gli attraversavano la mentre in un caleidoscopio di ricordi passati e incubi antichi.
 
All’improvviso la necessità di respirare e di tornare a terra gli lambì le viscere. Loki urlò finché tutto attorno a lui non divenne nero e il suo corpo rovinò contro qualcosa di duro e polveroso. Quando riaprì gli occhi, agonizzante e dolorante, il suo sguardo incrociò un cielo coperto da nuvoloni scuri che conosceva fin troppo bene.  
 
Un drappo nero sembrò calare sulle sue palpebre, ma Loki lottò furiosamente per non chiudere gli occhi, per non svenire. Resta sveglio, si ripeteva, preso dal panico,  resta sveglio! Non svenire! Non adesso! Non adesso!
 
Tutto cominciò a diventare sfocato, i colori a mischiarsi fra di loro in un crescendo di grigi e di neri. Con un ultimo barlume di lucidità, scorse due iridi dorate sopra di lui e sentì qualcosa sfiorargli la guancia. Poi udì una voce lontana, femminile.
 
«Non preoccuparti, amore mio. Ci rivedremo presto, te lo prometto. Tu cerca di non morire, nel frattempo… se puoi».
 
Poi, il buio.
 
 
 
 - Note di Harmony394.

1) Citazione presa da Fable 3
2) Anche questa è una citazione di Fable 3. Mi sembrava doveroso rendere omaggio a questo gioco, dato che il tema dell’Oscurità è trattato anche lì. Ne approfitto per dirvi: GIOCATECI! 
3) La canzone è Bohemian Rhapsody, dei Queen
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Ed dopo sanguinose lotte contro la connessione Wifi, il computer e chi più ne ha più ne metta, ce l'abbiamo fatta! :,D
Il capitolo in sé, come avete potuto vedere, è di "transazione", ma è essenziale per lo sviluppo dei personaggi. Sono molto meticolosa, io. Non mi piace lasciare buchi vuoti o affrettare le cose, se non è necessario. 
Loki ha finalmente detto - per la prima volta in vita sua, credo - la verità riguardo a qualcosa, ed Emily comincia a rivalutarlo e vederlo in modo diverso. Direi che era anche l'ora, no? XD
E indovinate un po' chi è la donna(ccia) che Loki vede alla fine? Ehehe. Un biscottino al primo che lo indovinerà! (anche se non è affatto difficile da capire!)

Nel testo è nascosta una citazione da The Game of Thrones, precisamente di Sansa. Chi l'ha trovata? :)

Ringrazio di cuore
vannagio per aver betato il capitolo! Grazie mille, Vanna! <3

Come al solito, vi lascio il mio link di Facebook, caso mai qualcuno volesse mettersi in contatto con la sottoscritta, e quello di Ask.fm. Le domande sono sempre ben accette! Inoltre, vi lascio anche il link di un bellissimo video fatto da
TheRedPhoenix
 su Emily e Loki! Ancora grazie mille! <3
 
Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
Ask.fm: 
http://ask.fm/HarmonyEfp
Video: http://www.youtube.com/watch?v=KVw8Ny2MIFE&feature=youtu.be 

Un bacione, al prossimo capitolo e buon Capodanno! :)


 

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Capitolo 13
*** Moment of tension ***


~Moment of tension
 
I get lost all the time
In my thoughts, in my mind
You come through like a light
In the dark, give me sight
 
 
 
 
«Si riprenderà?».
 
Voci confuse, sconosciute. Jane non riusciva a riconoscerle.
 
«Non lo so. L’oscurità è radicata in lei. Pochi sopravvivono».
 
Non riusciva a parlare: era come se la sua lingua si fosse attaccata al palato. Liberaci, liberaci, sussurravano le voci nella sua mente, simili al sibilo di un serpente. Arrenditi, lasciati andare… lasciaci andare…

No, no, rispondeva lei, spaventata. Andatevene! Sparite dalla mia testa!

La forza ti abbandona, lo sentiamo…

No… no… non è vero! Lasciatemi stare! Andate via!

Non puoi fare niente…
 
Una risata gutturale, terribile come un urlo; poi ombre, ombre e ancora ombre tutte attorno a lei. Le sembrava di impazzire. Voleva fuggire, gridare, ma qualcosa le bloccava la gola e lei diventava sempre più debole, più esausta. Thor… dov’era Thor? Perché non accorreva in suo aiuto? Perché l’aveva trascinata in quel posto? La testa le scoppiava, la vista le si oscurò completamente e divenne cieca. Poi un respiro freddo le fece accapponare la pelle, un dito affilato e con lunghi artigli risalì la curva della sua schiena fino al collo, e infine la sentì, stridente come il ferro, la voce dei suoi incubi parlò.
 
… Jane Foster.
 
Jane aprì gli occhi di scatto e trasse un grande sospiro, come se fosse rimasta troppo a lungo sott’acqua senza risalire in superficie. La gola le bruciava terribilmente e tutto il corpo le doleva come se qualcuno l’avesse ripetutamente presa a pugni. Gemendo di dolore, si alzò a sedere e tentò di mettere a fuoco l’ambiente circostante e di ricordare gli ultimi eventi. Immagini confuse e distorte le saettarono davanti tutte insieme, mandandola in confusione, finché nella penombra della grotta riconobbe gli occhi cerulei e preoccupati di Thor che la fissavano preoccupati.
 
«Jane!» La chiamò, stringendola in un abbraccio. Jane gemette per il dolore e si allontanò di scatto da lui, come scottata. «Oh… perdonami», si scusò Thor rivolgendole un sorriso stentato. Jane si massaggiò il collo e si passò una mano sul viso, esausta come se avesse fatto una lunga corsa. Guardandosi attorno, il suo sguardo si scontrò con quello di lady Emily e del fratello di Thor, Loki, che, appoggiato a braccia conserte al muro della grotta, la fissava con disappunto e noia.
 
Chinò il viso, e i suoi occhi incontrarono quelli scuri e affilati di un omuncolo alto circa un metro, con un lungo naso aquilino e labbra sottili. Sembrava uno di quegli strani elfi domestici del film di Harry Potter, Jane ricordava ancora i pianti isterici di Darcy quando uno di loro era morto, e si chiese se anche lui fosse generoso come loro. Dal suo sguardo infido e sfuggente, però, capì che non lo era affatto.
 
«La mortale si è svegliata. Adesso vattene via, figlio di Odino» La voce dell’omuncolo era bassa e gracchiante come quella di un corvo ed i suoi denti gialli e disgustosi. Jane aggrottò la fronte e fece una smorfia, ma non disse nulla riguardo al suo aspetto per paura di risultare sgarbata.
«No. Non ci hai ancora detto come fare per trovare una cura!» Ribatté Thor adirato.
 
Il piccolo uomo ghignò. «Mi avevate chiesto di salvarla, non di illustravi il modo in cui curarla!», sibilò. Jane intravide Thor stringere la presa sul Mjolnir e una luce piena di rabbia illuminare i suoi occhi. Prima che potesse fare qualcosa, però, lady Emily prese la parola e si avvicinò all’omuncolo chinandosi alla sua altezza.
 
«Dvalin, devi dircelo. Per favore, abbiamo bisogno del tuo aiuto!» Supplicò. Jane alzò un sopracciglio: mentre rimembrava che quella stessa tecnica persuasiva l’aveva usata anche con una guardia al palazzo. Quella volta le cose non erano andate nel migliore dei modi, e adesso dubitava che il finale sarebbe stato diverso.
 
Dvalin – doveva essere il suo nome, da quello che aveva capito –  sbuffò come se volesse scacciare via una mosca fastidiosa.
 
«Non saranno due occhi languidi a farmi cambiare idea, donna. Sprechi solo il tuo tempo. Inoltre, anche volendo, non potrei aiutarvi poiché non vi è cura per il male che infetta il cuore della mortale. L’Oscurità è radicata in lei, la corrode dall’interno e infesta il suo animo; solo la morte potrebbe donarle sollievo. Fossi in voi, la ucciderei adesso che non può sentire dolore».
 
Jane si accorse di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo solo quando il terrore le mozzò il fiato. Guardò le proprie mani in un gesto istintivo, come a voler accertarsi di essere ancora viva, e un conato di vomito le salì su per la gola quando realizzò la gravità della situazione. Quelle voci che sentiva nella sua mente adesso avevano un senso: era l’oscurità che doveva lasciar uscire, e poteva farlo solo morendo.
 
Alzò lo sguardo su quello di Thor e ci vide dentro tutto il suo terrore; guardò Emily, Loki e l’omuncolo, ma nessuno di loro sembrava essere in grado di donarle parole di conforto. Si sentiva come un uccellino a cui avevano spezzato le ali. Non poteva più volare, correre via, vivere. Era solo questione di tempo prima che l’Oscurità la consumasse, che la morte la raggiungesse.
 
Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi all’improvviso, tutte insieme; calde, salate e dolorose. Jane si coprì il viso con le dita e si lasciò andare a un pianto liberatorio, perché adesso non aveva davvero più alcuna speranza di salvezza.
 
Le braccia sottili e pallide di Emily l’avvolsero in un abbraccio carico di empatia, ma Jane voleva solo che se ne andasse, che la lasciasse sola con il suo dolore. La odiava. Odiava lei, il fratello di Thor, Thor stesso e tutta Asgard. Perché era colpa loro se adesso stava per morire, colpa di una stupida guerra a cui lei non aveva mai voluto partecipare. Se solo avesse ascoltato Erik quando le aveva detto di stare lontano da Thor, che era pericoloso, se solo fosse stata meno curiosa e più attenta, adesso non si sarebbe ritrovata in quella situazione. Sarebbe stata in New Mexico, assieme alla sua famiglia e a suo fratello minore Alex, che aveva tanto detestato negli ultimi mesi e che adesso aveva tanta voglia di riabbracciare.
 
«Deve esserci un modo! Non puoi chiedermi di lasciarla morire a causa mia!» La voce di Thor rimbalzò fra le pareti forte come un tuono. Accanto a lui, Loki roteò gli occhi al cielo ed Emily si strinse nelle spalle.
 
«Ciò che riguarda il destino della tua donna non è affar mio, asgardiano. Ma ad ogni modo, forse c’è un modo per liberarla dalla maledizione, ma è così sacrilego che dirlo sembra quasi una bestemmia» Rispose Dvalin, lanciandole occhiate sfuggevoli. Jane si mise subito in piedi e in uno scatto di follia lo prese per la collottola della maglia e lo alzò da terra per poterlo guardare meglio; i suoi occhi erano pieni di un furore che non le apparteneva e più scuri del normale.
 
«Dillo!», urlò, scuotendolo. «Dillo o giuro che ti ammazzo con le mie stesse mani!».
 
La paura della morte aveva preso il sopravvento, donandole una forza che non credeva di possedere. Non le importava quanto pericolosa fosse quella missione, né quanto sacrilega potesse essere. Lei aveva bisogno di sopravvivere, di riabbracciare i suoi genitori e suo fratello Alex, e ce l’avrebbe fatta. Non sarebbe morta per mano di un pugno di matti che non distinguevano il valore della vita da quello della morte! 
 
Dvalin le rivolse una smorfia astiosa e maligna, e un sorriso obliquo si dipinse sui suoi lineamenti arcigni. «Te lo dirò, mortale», sussurrò con voce ridotta a un bisbiglio. «Ma c’è un prezzo da pagare».
 
Da qualche parte nella stanza, qualcuno sbuffò e sussurrò un “Lo sapevo” appena percepibile. Jane riconobbe la voce di Loki.
 
«Che prezzo?» Chiese, rafforzando la presa su Dvalin. Il tempo passava di secondo in secondo e lei non aveva ancora una via di salvezza, qualcosa a cui aggrapparsi per non lasciarsi andare alla rassegnazione. «Parla!».
 
«Solo se mi metti giù» Biascicò quello. Seppur con riluttanza, Jane obbedì.
 
Dvalin si diede una scrollata ai vestiti e la fulminò con lo sguardo. Infine, si decise a parlare.
 
«Tempo fa mi venne sottratto qualcosa attraverso la violenza e l’inganno. Tentai di riappropriarmene, ma il ladro si fece beffe di me e non mi permise di ritornare alla mia terra natia, Nidavellir, maledicendomi con la magia oscura. Venni costretto a restare quaggiù per l’eternità…», fece un verso stizzito con le labbra e digrignò i denti, dicendo qualcosa in una lingua che lei non conosceva. «Ma per fortuna gli Antichi Dèi sono misericordiosi, poiché questo Regno è privo di luce solare. Se non lo fosse stato, i corvi avrebbero banchettato col mio cadavere».
 
«Lo faremo noi, al posto del corvi, se non ti decidi a parlare!» Berciò Thor con voce colma di ira, stringendo il Mjolnir. Dvalin squadrò l’arma con minuzia, come se volesse imprimere la sua immagine nella sua mente, finché distolse lo sguardo e continuò il discorso.
 
«Il punto è questo: rivoglio indietro ciò che mi appartiene».
 
«E come facciamo noi a riprenderlo? Non sappiamo nemmeno di che si tratta!» La voce di lady Emily era carica di sospetto. Accanto a lei, Loki non distoglieva lo sguardo dal nano, come se fosse in grado di scorgere la menzogna mascherata da verità.
 
«Tyrfing. La mia spada» Rispose Dvalin. Jane aggrottò la fronte perplessa e Thor ed Emily fecero lo stesso. Loki, invece, sgranò gli occhi.
 
«Tyrfing è un arma leggendaria. Non può essere tua!» Soffiò con aria di sfida. Dvalin strinse le labbra e, per la prima volta, a Jane parve davvero irritato.
 
«Bada a come parli, Dio degli Inganni! Sono stato io stesso a forgiare quella spada, poiché Svafrlami, il Sovrano di un antico Regno ormai caduto in rovina, nonché nipote di Odino, intrappolò me e mio fratello Durin in queste terre desolate quando lasciammo la roccia dove abitavano a Nidavellir. Ci obbligò a forgiare una spada che non avrebbe mai sbagliato un colpo, non si sarebbe mai arrugginita ed avrebbe tagliato pietra e ferro come burro. Nonostante ciò, per vendicarci, mio fratello ed io maledimmo la spada rendendola la causa di grandi mali, nonché la causa della fine di Svafrlami stesso. Quando Svafrlami seppe della maledizione uccise mio fratello Durin e tentò di uccidere anche me, ma io mi nascosi in questa grotta e non venni più ritrovato. Inferocito, Svafrlami lanciò su di me una maledizione che mi impedisce tutt’ora di andarmene da questo luogo infernale*. Da quel momento, il destino della spada mi è stato sconosciuto. Sapevo solo che Svafrlami era morto a causa di un ladro che durante la notte gli tagliò la gola e gli rubò la spada, ma non avevo idea di chi fosse costui. Ora invece lo so, lo sento, e se non avessi più quel briciolo di amor proprio che mi è rimasto andrei io stesso a recuperarla».  
 
Lo sguardo di Loki si fece, se possibile, ancor più dubbioso e incredulo di prima. Incrociò le braccia e digrignò la mascella, diventando improvvisamente serio.
 
«Avete sentito quello che ha detto l’omuncolo, no? Quella spada è maledetta. Lasciamola ai suoi proprietari, io ho già troppa sfortuna per i miei gusti» Disse. Ma qualcosa suggeriva a Jane che stava fremendo dalla voglia di recuperare un potere tanto grande.
 
«Dove possiamo trovarla?» Domandò invece Thor, ignorandolo. Loki gli rifilò un’occhiataccia colma di ira e lo affiancò con poche falcate.
 
«Thor, per una dannatissima volta, ascoltami! Quella spada è–».
 
«Sta al tuo posto, fratello!», lo zittì Thor. Loki si irrigidì e le sue labbra divennero così sottili da sembrare quasi un filo. Parve essere sul punto di prendere a pugni Thor, ma alla fine voltò il capo e non disse nulla. «Adesso, nano, parla se tieni cara la vita!», aggiunse Thor.
 
Dvalin incurvò le labbra in un ghigno sardonico che scoprì denti più aguzzi del normale. Jane ebbe l’impressione di trovarsi dinanzi al Demonio in persona e un brivido le attraversò la schiena.
 
«Al palazzo di Malekith, il Sovrano degli Elfi Oscuri».
 
 
Le strade di Svartálfaheimr erano deserte, aride e sinistre. Non vi erano abitazioni, né persone o animali: sembrava che la terra, indignata per l’oscurazione del sole, avesse deciso di morire piuttosto che soccombere all’oscenità che infestava quel luogo. Grossi nuvoloni ammantavano il cielo e la fievole luce diurna offriva un’illuminazione precaria, quasi nulla; eppure Loki sapeva che il sole era lì, oscurato dalla malvagità e dalla cupidigia degli Oscuri, ma pur sempre presente.

Lo aveva studiato in gioventù: prima di fuggire nelle profondità di Svartálfaheimr, gli Elfi Oscuri erano stati abitanti di Alfheimr così come gli Elfi Chiari: un popolo orgoglioso, conoscitore della magia e dotato di una longevità al di sopra di ogni razza. La loro vita procedeva regolarmente: i campi erano rigogliosi, le famiglie agiate, le vacche grasse e le leggi giuste, nulla andava storto. Nonostante ciò, Aenarion, figlio di Hotek il Fosco, avendo lungamente agognato il trono di Alfheimr, a lui rifiutato dal Consiglio degli Elfi Alti poiché ritenuto indegno della corona, guidò un esercito di sostenitori alla sua conquista, ma la missione fu un fallimento: Aenarion e i suoi sostenitori vennero banditi da Alfheimr e furono costretti a fuggire nel sottosuolo, denominato da quel momento Svartálfaheimr, ossia Regno degli Oscuri. Inoltre, gli Elfi Chiari maledirono Aenarion ed i suoi seguaci, condannandoli a una vita senza luce, poiché esseri ignobili come loro non meritavano un onore grande come quello di essere baciati dal sole, e oscurarono il cielo con nubi scure come il cuore di Aenarion, da quel giorno soprannominato “Il Maledetto”. Solo durante l’Eclissi di Luce, che si sarebbe manifestata una volta ogni decennio, Svartálfaheimr avrebbe rivisto il Sole, cosicché da rimembrare la gravosità della sua perdita.
 
Da fanciullo, Loki aveva trovato affascinante quella storia. Non capiva come un uomo potesse far del male a un suo simile per puro desiderio egoistico, e la cosa lo riempiva di domande e di curiosità. Non era mai stato un bambino come gli altri, lui: mentre gli altri si dilettavano nella lotta, lui preferiva acculturarsi, imparare a conoscere mondi mai visti e leggende mai raccontate, e continuava a porsi domande alla quali rispondere era sempre una sfida. Eppure, Loki non era mai riuscito a trovare una risposta a quella domanda. Ora che era cresciuto, però, aveva capito. Il potere era solo un pretesto per uno scopo più grande, un compromesso: non erano i gioielli, il trono o l’oro ad interessare, ma il rispetto. La consapevolezza di aver finalmente dimostrato a se stessi di non essere dei perdenti, ma dei vincitori. Il rispetto, però, non si otteneva con la rabbia o con l’inganno e lui l’aveva capito troppo tardi.
 
«Piano!», Thor si voltò verso di loro e fece segno di tacere. «Un solo soffio di vento potrebbe segnare la nostra fine!».
 
«Non sarebbe una grave perdita… La tua, intendo» Ribatté Loki, ghignando beffardo. Thor gli scoccò un’occhiataccia e digrignò i denti, ma non disse nulla. Al suo posto parlò la mortale che gli intimò di tacere. Solo grazie a una massiccia dose di autocontrollo, Loki riuscì a non spingerla giù dalla rupe sulla quale erano accostati.
 
«Per le Norne, ma quella fortezza è alta circa trenta metri! Come faremo a sormontarla?» La voce di Emily era un flebile sussurro ma Loki la udì benissimo. Guardò la fortezza che si prospettava dinanzi a loro e arricciò il naso: file e file di Elfi Oscuri delineavano il confine del cancello, e sulle torri vigevano una cinquantina di arcieri. Non vi era modo di passare dal cancello principale, questo era evidente.
 
«Se lo sapessi lo avrei già detto, non ti pare?» Le fece il verso lui, stuzzicandola. Da quando erano atterrati su quella terra desolata non avevano più parlato, e Loki non sapeva se la cosa lo infastidisse o tranquillizzasse.
 
«Be’, di certo stare qui a non far nulla non agevolerà la situazione!», ribatté Emily piccata. «Ci serve un piano. Qualcosa che ci faccia passare inosservati cosicché da poterci infiltrare senza essere visti… qualcosa come… come…».
 
«Un travestimento!» La voce pimpante della mortale colse tutti di sorpresa. Sei occhi curiosi si puntarono istantaneamente su di lei, che arrossì vistosamente.
 
«Già! Un travestimento!», le fece eco Emily, allegra. All’improvviso, però, la sua fronte si corrucciò e le sue labbra si stesero in una smorfia confusa. «Aspetta… che?».
 
La mortale scosse la testa e sospirò stancamente, poggiando gli occhi su ognuno di loro. «Tra – ve – sti – men – to», scandì, come se stesse parlando con degli studenti negligenti. «L’ho visto fare nei film di spionaggio che Darcy si ostina a guardare nel weekend. Praticamente si indossano i vestiti di qualcuno che fa parte della “banda” nemica e ci si infiltra senza dare nell’occhio. Poi una volta scovato il nemico… BAM! si prende la pistola e si ammazza il cattivone di turno. Tutto chiaro?».
 
«No.», risposero tutti loro all’unisono.
 
La mortale si sbatté una mano sul volto. «Quello che sto cercando di dirvi è che ci servono dei vestiti come quelli delle guardie!».
 
Loki alzò un sopracciglio.  «Che idea balorda. E dove pensi di trovare dei camuffamenti simili?».
«Be’… tu sei un mago, Loki!», esclamò ad un tratto Thor. «Potresti farci assumere le sembianze che hanno quelle guardie!».
 
«Un incantatore», lo corresse lui, fulminandolo con lo sguardo. «E non posso farlo. Odino mi ha privato del Seiðr e senza di esso non posso fare nulla...».
 
«Ci servirebbe un’idea» Biascicò Thor.
 
«Un miracolo, piuttosto» Ribatté Emily.
 
«Al momento ho solo bisogno che tacciate!» Berciò Loki velenoso, mentre pensava a come oltrepassare quella maledetta fortezza senza essere linciato sul colpo.
 
L’idea della mortale sarà pure balorda ma è l’unica che abbiamo. Tutte le entrate principali sono bloccate, non c’è modo di proseguire. Ci servirebbe una guardia… ma dove la troviamo una guardia?!
 
«Fermi dove siete!» Una voce raschiante e alterata li colse tutti di sorpresa. Loki si voltò, incrociando lo sguardo nero e vuoto della maschera di un Elfo Oscuro. Al suo fianco un altro Elfo puntava contro di loro un sottospecie di fucile dall’aria minacciosa. Guardò Thor, che gli rivolse un’occhiata complice e strinse più saldamente il manico del Mjolnir, e rivolse nuovamente lo sguardo alla guardia. Un ghigno serafico gli incurvò le labbra.
 
« Deus ex machina…*».
 

 
 
«Non sono sicura che sia una buona idea, Loki. E se ci scoprissero?» Emily raccolse i capelli e indossò il casco che le copriva la nuca e il collo, poi sistemò meglio la maschera. Loki alzò un sopracciglio e le scoccò un’occhiata stizzita.
 
«In quel caso, Emily», disse, con voce stranamente metallizzata e raschiante. «Ti darò il consenso di lamentarti. Ora pensa a calarti nella parte e sistemare quel… quel coso che hai sulla gamba, sta per staccarsi».
 
Emily fece una smorfia ma non si oppose – sarebbe stato inutile – e tentò di stringere quella sottospecie di armatura che le copriva metà gamba. Le vesti di quella guardia le stavano incredibilmente larghe, soprattutto sulle spalle e sulle gambe, ma perlomeno la rendevano irriconoscibile. Pochi metri lontani da loro, legati ad una roccia e nudi, stavano i due Elfi Oscuri che avevano tentato di attaccarli prima. Emily ricordava ancora perfettamente Thor che balzava addosso a uno di loro, lo teneva fermo per le braccia e mandava la sua testa a sbattere contro quella del compagno prima che se ne rendesse conto, facendoli entrambi cadere a terra con un tonfo sordo.
 
Loki si era limitato a togliere loro gli indumenti – imprecando a voce decisamente alta su quanto fossero disgustosi – e a legarli con le corde che tenevano per chissà quale ragione sotto l’armatura. Dopodiché le aveva passato una di quelle armature, un fucile che non aveva idea di come usare e una maschera, liquidandola con una semplice parola: vestiti. Al perché proprio lei dovesse farlo, invece che Thor, Loki aveva risposto molto brevemente: Thor e la mortale faranno da esche, dato che lui ha il Mjolnir, i fulmini e tutto il resto, e la sua donna ha la fortuna di non poter essere toccata da chiunque sia una possibile minaccia – l’Aether che le scorre nelle vene non lo permetterebbe, dato che implicherebbe la sua stessa fine – e tu non saresti in grado di fare nulla senza il sottoscritto, per cui saresti solo d’intralcio in un campo di battaglia. Se vuoi renderti utile, indossa l’armatura e smettila di fare domande.
 
Jane non era stata molto d’accordo riguardo al piano di Loki (Io non faccio proprio un bel niente!, aveva detto) e Thor all’inizio si era mostrato un po’ perplesso e dubbioso. Solo quando Loki aveva minacciato di consegnarli a Malekith se avessero detto un’altra parola, erano rimasti in silenzio – anche se quello di Thor era stato più un silenzio forzato per non fare troppo rumore e lasciarsi scoprire, che altro – e nessuno aveva più ribattuto. Emily avrebbe voluto dire a Loki che lei se la cavava piuttosto decentemente nelle battaglie e che non era affatto dipendente da lui, ma alla fine aveva lasciato correre perché non aveva alcuna intenzione di inimicarselo proprio in quel momento in cui l’aiuto reciproco era fondamentale per non essere uccisi. Emily era impulsiva, ma non stupida.
 
Per questo ora si ritrovava in quella situazione: con un fucile troppo grande e troppo pesante sulle spalle e una tuta decisamente troppo larga che odorava di sudore e idromele. Se l’avesse vista Hlìn probabilmente avrebbe urlato d’orrore, fissata com’era con l’eleganza e la femminilità. Il sorriso che le aveva incurvato le labbra nel ricordarla si spense di colpo al pensiero che, probabilmente, non l’avrebbe mai più rivista. Solo in quel momento Emily si accorse di quanto fosse pericolosa quella missione e il sangue le si gelò nelle vene. Stava percorrendo a tutta velocità una strada che l’avrebbe condotta inevitabilmente alla morte. Terrorizzata, si tolse di scatto la maschera, gli occhi sgranati e il cuore che le batteva così forte da farle male, e si guardò attorno con apprensione. Non voleva morire... non voleva trovarsi lì! Forse faceva ancora in tempo ad andarsene, a fuggire e chiedere perdono ad Odino per avergli disobbedito. Ma quando Loki abbassò la maschera e la guardò perplesso, Emily rivide nei suoi occhi Valì e capì che quello era esattamente il posto dove doveva essere.

Incoraggiata dalla paura stessa, rimise la maschera e si inoltrò verso la fine del pendio. Loki, Thor e Jane Foster la seguirono silenti senza fare il minimo rumore. Quando arrivarono davanti al palazzo, si scambiarono un’occhiata d’intesa mentre sbirciavano attraverso le fronde dei cespugli i movimenti delle guardie: ve ne erano dieci davanti al portone d’ingresso, una ventina in cima alle torri e moltissime altre all’interno dei cancelli. Bisbigliando, Loki indicò loro come muoversi.
 
«Thor, tu e la mortale distrarrete le guardie mentre Emily ed io ci infiltreremo nel palazzo approfittando della cacofonia che si verrà a creare. Indossiamo le armature degli Elfi Oscuri, dunque non dovrebbero esserci problemi, ma non si sa mai... quelle creature hanno una vista così acuta da far impallidire i falchi.».
 
Thor annuì e Jane fece lo stesso con esitazione. Era pallida come un cencio, i suoi occhi erano cerchiati di viola e il suo viso era spigoloso ed emaciato. Emily si chiese se fosse una cosa giusta permetterle di scendere in battaglia in quello stato; poi però ricordò le parole di Loki, ha la fortuna di non poter essere toccata da chiunque sia una possibile minaccia – l’Aether che le scorre nelle vene non lo permetterebbe, dato che implicherebbe la sua stessa fine, e si tranquillizzò. Thor l’avrebbe protetta, si disse, quindi Jane era assolutamente fuori pericolo.
 
All’improvviso Thor si alzò, gettò un urlo di battaglia e immediatamente le guardie suonarono il corno, aprirono i cancelli e fecero irrompere un centinaio di soldati che venero tutti spazzati via dal potere difensivo di Jane e del Mjolnir. Il viso di Thor era una maschera di furore, sembrava quasi il ragazzo imprudente e arrogante di qualche anno prima, e Jane, compreso che nessuno l’avrebbe potuta toccare, cominciava a prenderci la mano e far fuori quanti più Elfi Oscuri possibili; per un istante, giusto un battito del cuore, Emily fu certa di vedere una luce sinistra, grottesca, colorare i suoi occhi nocciola, finché Loki non le afferrò il braccio con energia e la costrinse a correre dietro di lui, distogliendola da quei pensieri. L’aria era pregna di fumo e di urla, i soldati correvano alle armi e urlavano parole in elfico, ma lei non se ne curava e proseguiva imperterrita verso il portone principale; non aveva tempo per distrarsi, non poteva permetterselo.
 
I piedi le facevano male, quando arrivarono all’interno del palazzo: attorno a lei era tutto buio, le uniche fonti di luce erano delle fiaccole che emettevano strane ombre sui muri, inquietanti e curvilinee. Loki continuava a tenerla per mano, la sua stretta era salda e decisa. Solo quando dietro di loro un rumore di passi riecheggiò nel corridoio, la lasciò andare e si voltò a fronteggiare lo sconosciuto. Voltandosi, Emily intravide nella penombra della sala la sagoma alta e possente di una guardia: indossava una divisa uguale a quella di altri soldati, ma era più robusta e di colore diverso, sulle sfumature del nero. Ad un tratto, i suoi occhi vuoti si puntarono su di lei.
 
«Tu!», la chiamò. Emily si irrigidì come una statua di sale. Li avevano già scoperti?! «Vieni con me. Il caporale ti cerca».
 
Loki fece un passo in avanti. «Non può», disse. «Dobbiamo andare ad avvisare Malekith di quello che sta accadendo lì fuori. È nostro dovere», la sua voce, a causa della maschera, era stridente e roca. La guardia però non accennò ad andar via e, anzi, le agguantò il polso con forza e le intimò di camminare; con la coda dell’occhio Emily scorse Loki avanzare nervoso verso di lei ma la guardia lo ammonì con un’occhiataccia.
 
«Ordini dal caporale» Ripeté, calcando per bene ogni sillaba. «E ringrazia gli Antichi Dèi che sono di fretta, soldato, o la tua testa sarebbe già a marcire su un cestino insieme a quelle di tutti gli altri sovvertitori come te».
 
Loki non ribatté, ma lanciò ad Emily un’occhiata eloquente: Verrò a prenderti, diceva. E lei provò a fidarsi di lui.
 
Poi Loki si voltò e continuò il suo percorso verso la Sala del Trono, lasciandola da sola con quella guardia. Emily deglutì apprensiva. Cosa le sarebbe accaduto? Avrebbe rivisto la luce del sole? E Asgard? Forse quel palazzo sarebbe stata la sua tomba, forse li avevano già scoperti e adesso tentavano di separarli per ucciderli senza interruzioni. Doveva fare qualcosa, doveva agire in fretta. Eppure le sue gambe non si muovevano e i piedi rimanevano attaccati al suolo. Lunghi brividi d’ansia le scorsero su tutto il corpo e la fecero rabbrividire. Deglutì e, cercando di farsi coraggio, avanzò nell’oscurità.
 
«Muoviti, soldato. Non abbiamo tutto il giorno» La voce metallizzata e gutturale della guardia la colse di sorpresa, facendola sussultare. Emily si voltò, annuì velocemente e la seguì nei meandri del palazzo. I suoi passi rimbalzavano fra le pareti, l’aria si faceva sempre più fredda e il passaggio più scuro e poco illuminato. Ebbe un terribile presentimento, come se una parte di lei sapesse che stava per accadere qualcosa di terribile, ma tentò di non badarci. La guardia continuava a osservarla con quei suoi enormi occhi vuoti ed Emily non aveva il coraggio di distogliere lo sguardo.
 
Arrivarono infine davanti a una grossa porta di legno dall’aspetto minaccioso. La guardia l’aprì ed entrò; Emily fu costretta a seguirla. Solo quando constatò che la stanza era vuota e il clangore della chiave che girava nella toppa della porta riecheggiò tra le pareti, capì di essere caduta in trappola.
Tolse di scatto la maschera, si voltò con il cuore in gola e gli occhi sgranati verso l’elfo, e la vide, il corpo della guardia stava mutando: il colorito della sua pelle tornava ad essere perlaceo e bianco come la neve; i capelli corvini le si poggiarono sulla schiena, eleganti e lucenti come le ali di corvo; gli occhi tornavano tornarono dorati; l’armatura scura e pesante lasciava posto a un lungo vestito dai toni purpurei. Emily si premette le mani alle labbra per lo sgomento, e la donna le rivolse un sorriso mefistofelico, pericoloso e beffardo.
 
«Sono Eris, la Dèa della discordia», la sua voce era morbida come velluto, ma raggelante. «Ma noi due ci conosciamo già, nevvero?».
 
 
Loki spalancò le porte con un colpo secco, entrando all’interno della sala con passo sicuro. Il suo sguardo sfrecciò verso quello di alcune guardie poste dinanzi al Trono, che imbracciarono le armi e fecero per caricare contro di lui; subito le sue dita sfiorarono l’elsa del pugnale, ma una voce bassa e melliflua irruppe all’improvviso, fermando tutto.
 
«Via, via», sussurrò. Loki non fece alcuno sforzo ad intuire a chi appartenesse. «È forse questo il modo di trattare degli ospiti? Loki Laufeyson, sono mortificato per il loro comportamento. Mi premurerò di punirli io stesso più tardi, se ciò è di tuo gradimento».
 
«Tergiversare non cambierà nulla, Malekith. Tu sai perché sono qui» La voce di Loki era seria e austera, il suo sguardo assottigliato in due fessure verdi. Mentre guardava il volto grottesco dell’Elfo, le viscere gli si contorsero per la rabbia. Non aveva dimenticato che dietro all’assassino di Vàlì c’era anche lui.
 
Malekith fece un cenno stizzito con le dita e poggiò il volto sul palmo di una mano. «Ma certo, certo che lo so. Dimmi, Laufeyson, credi forse che uccidendo me il tuo “caro figlioletto” potrà tornare in vita?», fece una pausa, scese dal trono e si avvicinò di più a lui. «I miei soldati mi hanno raccontato del tuo sguardo mentre il Signore Oscuro gli strappava il cuore dal petto… com’è che l’hanno definito? Ah, già: straziato!», la sua voce esplose in una risata sguaiata e divertita, degna del più terribile dei mostri. Loki sentì il sangue andargli al cervello e solo quando Malekith smise di ridere e fermò, con un gesto annoiato della mano, il pugnale che lui gli aveva lanciato, Loki comprese di aver perso il controllo.
 
Le guardie corsero nella sua direzione e Malekith li incenerì all’improvviso, riducendoli in polvere. Poi sospirò.
 
«È proprio difficile trovare del personale efficiente, di questi tempi. E pensare che li avevo persino avvertiti!» Biascicò laconico. Loki non distolse lo sguardo da lui neanche per un momento. Sarebbe toccato a lui, adesso? Malekith lo avrebbe ridotto in cenere? Non poteva difendersi: era senza poteri, senza pugnale, senza nulla! Perché aveva perso il controllo? Non gli era mai successo prima, non con qualcuno come Malekith, perlomeno. Eppure le parole dell’Elfo gli rimbombavano ancora in mente e ad ogni sillaba Loki sentiva una stilettata colpire il suo orgoglio e il suo cuore.
 
«Ci tenevi a lui, nevvero?», Malekith parlava lentamente e con voce strascicata, come se ogni sillaba gli costasse un’immensa fatica. Loki non lo sopportava: ogni cosa, di lui, lo mandava fuori dai gangheri. Il suo sorriso canzonatorio, i suoi occhi infidi ed i suoi gesti controllati e spietati. «O forse il tuo è solo senso di colpa?».
 
«Taci!», rispose seccamente Loki, avanzando un passo verso di lui. «Tu non hai idea di cosa si prova!».
 
 Il viso di Malekith si fece improvvisamente serio e i suoi occhi divennero rossi come il sangue. Si lanciò su di lui con uno scatto felino e gli afferrò il bavero con rabbia, issandolo da terra.
 
«Non provarci, Laufeyson!», ringhiò. «Io so cosa si prova. Ed è per questo che cerco di dimenticare, di fingere… esattamente come cerchi di fare tu!».
 
Dimenticare.
 
 Loki ci aveva provato così tante volte, eppure non c’era mai riuscito realmente. Aveva tentato di dimenticare le parole di Odino quando aveva scoperto di essere uno Jotun; la caduta che lo aveva condotto fino alla fine dell’Universo, da Thanos; l’urlo di Emily e gli occhi pieni di terrore di Vàlì mentre gli veniva strappato il cuore dal petto. Oh, se aveva tentato; aveva tentato così tante volte che per un momento aveva perfino creduto di esserci riuscito, finendo col credere alla propria bugia. Ma i ricordi hanno una vita propria: nascono e vivono nella nostra mente, crescono in noi. Spesso fanno male, altre volte fanno sorridere, ma non vanno mai davvero via e spesso tornano indietro più dolorosi e taglienti di prima. Ricordare è semplice, dimenticare è estremamente difficile. E Loki aveva imparato a convivere con i propri demoni da un pezzo.
 
«Parla», sibilò allora. «Dammi modo di credere alla tua rabbia».

«Aveva meno di vent’anni» Sputò fuori Malekith, come se il rimembrare quelle memorie fosse troppo doloroso per lui. La sua presa rallentò di colpo e Loki rovinò a terra. «Ed è morta per mano di voi sporchi asgardiani. Era poco più che una fanciulla, un fiore appassito troppo presto. Provai a proteggerla, ad agire, ma l’unica cosa che riuscii a concludere fu procurami questa cicatrice e guardarla morire…».
«La tua donna?» Chiese Loki, alzandosi in piedi. Malekith incrociò il suo sguardo e fece una smorfia.
«Mia figlia» Rispose lui.
 
Loki strinse le labbra in una linea sottilissima e colma di ira. Ebbe l’impulso di prenderlo a pugni, di martoriarlo ripetutamente e senza pietà. Proprio lui… proprio lui aveva permesso che accadesse una cosa simile ad un altro figlio innocente?
 
«Non credere che non sappia a cosa stai pensando, Laufeyson» Soffiò Malekith. Loki aggrottò le sopracciglia, e la rabbia che gli scorreva nelle vene perse vigore. «Percepisco la tua rabbia. È la stessa che provo io quando ricordo gli occhi di mia figlia. Ma non mi importa; non più. Ho stretto un patto con Thanos, e lo rispetterò. Non mi importa cosa pensi di me, figlio di Laufey. Ormai ho perso tutto».
 
«Hai ucciso mio figlio», disse allora Loki, con voce rotta per la rabbia. «Hai condotto Thanos da me, condannandomi a morte come una bestia da macello. Ora dammi una sola motivazione per cui non dovrei ucciderti in questo preciso istante!».
 
«Per questa» Malekith sfoderò una spada argentea e dalla rifinitura elegante, affilata come un rasoio e che splendeva di una luce argentata; sull’elsa era presente un rubino rosso come il sangue e Loki pensò di non aver mai visto un’arma tanto elegante in vita sua. Ne fu per un momento ammaliato, sicché le parole di Malekith gli tornarono di nuovo in mente e la rabbia con esse. Digrignò i denti e strinse i pugni fino a graffiarsi la pelle.
 
«Non prendermi in giro, elfo», grugnì. «Non permetterò che una creatura inferiore si prenda gioco di me!».
 
«Parole forti, per un Gigante di Ghiaccio» Rispose Malekith assottigliando gli occhi in due fessure oblique. «Ma io sono un sovrano magnanimo, e farò finta di non averle udite. Questa qui, Dio degli Inganni, è ciò per cui sei giunto sino alla mia dimora: Tyrfing. So a cosa vi serve e so anche chi ve l’ha domandata, poiché io stesso la rubai al suo vecchio proprietario. Non farò molti giri di parole, ma è bene che tu sappia che Thanos ha deciso di donarti una seconda possibilità. Questo è il suo segno di…» Fece una pausa, come se stesse cercando di trovare le parole adatte, e un sorriso malevolo gli si designò sul volto scarno. «Pace».
 
Loki si arrestò, mentre la rabbia che gli attanagliava le viscere si tramutava in confusione e in sorpresa. Thanos? Thanos aveva davvero detto ciò? No, era senza dubbio una trappola. Perché mai avrebbe dovuto? Lo credevano davvero così idiota da cadere in un simile tranello? Lui, che era il Dio degli Inganni?
 
«Non so che idea vi siate fatti di me, ma io non sono uno stupido. Se cercate di soggiogarmi usando questi trucchetti da due soldi siete sulla via sbagliata. Il mio nome è Loki, non Thor».
 
«Il tuo nome è anche assassino e traditore, Loki Laufeyson. Il mio signore ha visto che c’è della redenzione in te. Lui conosce la tua mente, vede i tuoi pensieri e sa qual è il tuo piano, così come sapeva che saresti giunto fin qui e che porti il Tesseract con te. I poteri di Thanos superano ogni confine: per lui non vi è differenza fra la vita e la morte, poiché un suo solo schiocco di dita può far respirare chi non lo fa più da tempo e vivere chi sopravvivere. Vuoi sapere qual è il patto che ho stretto con lui? Oltre che un posto in prima fila mentre Asgard va in fiamme, ho chiesto la vita di mia figlia. Lui può realizzarlo. Lui dona la vita e porta la morte. In cambio chiede solo ciò che desidera, in questo caso il Cubo… Ma forse preferisci che ti spieghi tutto ciò in un altro modo».
 
Malekith aprì la mano e subito un ologramma dai toni sfocati e tenui venne proiettato davanti ai suoi occhi, emanando l’immagine di una sagoma sfocata; fece lo stesso con l’altra mano e un secondo ologramma si proiettò dinanzi a lui. Nel primo, vi era l’immagine di un bambino dai capelli scuri, gli occhi chiari e piccole efelidi sul naso, sorridente e felice. Subito, il cuore di Loki mancò un battito.
 
Vàlì…
 
Accanto a lui c’era Emily che gli baciava le guance, sorrideva lieta e Vàlì le correva incontro abbracciandola forte. Nei suoi occhi, rivide una gioia che non scorgeva da tempo: era sincera, bella, proprio come la ricordava. Solo quando la figura alta e slanciata di un uomo dai capelli corvini e il volto affilato apparve accanto a Emily, il respiro gli si mozzò in gola. Era lui. E sembrava… sereno. I suoi lineamenti erano sempre duri e spigolosi, i suoi occhi sottili e austeri, ma c’era qualcosa in lui, Loki non seppe spiegare cosa, ad essere diverso, quasi… felice.
 
Nell’altro ologramma, invece, Vàlì non c’era, e neanche lui. C’era solo Emily: il suo volto era coperto da lunghi rivoli di sangue, lividi e polvere; faceva fatica a respirare ed i suoi occhi erano dilatati e sgranati più del dovuto. Qualcosa le stava stringendo la gola e con orrore Loki constatò che si trattava di Thanos; sul suo viso era impressa la stessa espressione che aveva avuto Vàlì prima di morire. All’improvviso, Thanos le strappò via il cuore dal petto in un colpo solo, per poi lasciarla cadere a terra in una pozza di sangue. Giocherellò con il suo cuore, bagnando le dita di sangue viscido e denso, e un ghigno mostruoso delineò i suoi lineamenti rudi. Era una scena grottesca, eppure Loki non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo sorriso deviato, dai suoi occhi paurosi, dal sangue che lo accerchiava. Gli occhi di Emily erano sgranati, vuoti e calde lacrime scorrevano sulle sue guance, mischiandosi al sangue e alla polvere. Loki non sopportò oltre e distolse lo sguardo, tutto di lui era un tremolio convulso, l’aria gli mancava e la testa era una cacofonia di pensieri e paure. Non riusciva a calmarsi, a dimenticare quelle immagini.
 
Emily…
 
«Questo, figlio di Laufey, è il tuo futuro. Hai due scelte, ognuna di esse porta a un destino differente. Tu… scegli il tuo».
 
Loki rimase in silenzio, la lingua appiccicata al palato e la fronte aggrottata in un’espressione stravolta. Il sudore gli imperlava le tempie e scendeva lento lungo il suo collo. Le immagini di poco prima gli tornarono alla mente taglienti come rasoi; gli scavavano dentro e lo tormentavano. Loki si sentiva sballottato come una nave in tempesta; non aveva appigli, scogli a cui aggrapparsi, nessun inganno da ideare. Era in un vicolo cieco.
 
«Dovrai soltanto renderci il Cubo e collaborare con noi, e tutto tornerà come prima…» Malekith avanzò un passo verso di lui e Loki sentì il suo sguardo cattivo trafiggerlo come una freccia.
 
«Riavrai l’uso del Seiðr, tuo figlio tornerà in vita e alla tua donna verrà garantita l’incolumità. Ma se non lo farai, se mancherai ancora una volta alla tua parola, questo è ciò che ti aspetta…».
 
 Loki alzò lo sguardo: gli ologrammi erano ancora lì. Questa volta, nel secondo, c’era anche la sua immagine: era legato ad una roccia, il suo viso era deturpato e scorticato, i capelli bruciati, e un serpente, grande come non ne aveva mai visti, faceva colare del veleno sulla sua faccia, corrodendone la pelle. Nessuno era accanto a lui ad alleviare il suo dolore, ad aiutarlo. Era solo, come lo era sempre stato. E questo lo terrorizzò più di ogni altra cosa.
 
In quel momento, capì cosa doveva fare.
 
«Accetto».
 
 
Gli occhi di Eris erano diversi da come li ricordava: erano più affilati, più cattivi – molto più dell’ultima volta, e le incutevano uno strano timore. Si sentiva come una volpe davanti ad una lince, in trappola. Non seppe spiegarsi perché, ma una parte di sé – quella che aveva sempre associato alla ragione – le urlava di scappare via il più lontano possibile.

«Lady Eris», esclamò ad un tratto, cercando di sembrare calma. Non vi era nulla di cui preoccuparsi, in fondo. Eris era dalla loro parte, Odino e suo padre erano stati validi alleati un tempo; forse era giunta fin lì per aiutare lei e Loki. Ma se era così, allora perché l’aveva condotta fin laggiù? Il suo sguardo dorato la trapassava da parte a parte e la voce le venne meno. Ricordava ancora le parole piene di derisione che Eris le aveva rivolto tempo prima, durante il ventunesimo compleanno di Loki, e il suo stomaco si aggrovigliò. Cercò comunque di far finta di niente, liquidando quella sensazione come una sciocca idea dettata dal nervosismo. «Sono lieta di vedervi, ma non capisco cosa ci facciate qui. Vi manda Odino?».
 
Eris sorrise sardonica e avanzò un passo nella sua direzione. «Qualcuno molto più potente di lui, piccola volpe», sussurrò. Emily aggrottò la fronte e sgranò gli occhi. Ricordava quel soprannome, glielo aveva affibbiato Loki da bambini, ma come faceva lei a conoscerlo?
 
«Non capisco», disse allora piena di sospetto. «Come avete fatto a trovarci? E perché mi avete condotta in questo luogo nascondendo le vostre sembianze? Non mi piace questo gioco. Voglio che mi lasciate andare immediatamente».
 
Nella stanza risuonò cristallina la risata di Eris, ma alle orecchie di Emily sembrò così dura da farle dubitare che un suono tanto musicale potesse uscire da labbra come quelle. Provò un sentimento contrastante, un misto di angoscia e attrazione, e non distolse lo sguardo da lei nemmeno per un istante.
«Come sospettavo, sei noiosa come la scorsa volta. Non vi è divertimento a discutere con te, sciocco pulcino spaurito, che non riesci nemmeno a proteggere tuo figlio dalle grinfie del mio fratellastro. Non riesco a capire cosa ci trovi Loki in una come te, così scialba e timorosa come sei, mi vien rabbia persino a guardarti. Eppure ho ancora un conto da saldare e stavolta non sarò clemente come un tempo. Non prendertela, d’accordo? Voglio dire…», dalle sue dita si formò una lama aguzza e argentea come la luna. Emily trattenne il fiato, arretrò istintivamente verso il muro, gli occhi sgranati e le dita tremanti, e cercò il fucile della guardia. Con orrore, si accorse che non era più con lei. «…farà solo terribilmente male».
 
Emily sfrecciò appena in tempo verso sinistra mentre la lama della daga fendeva l’aria e le colpiva il braccio; la manica della sua armatura si sbrindellò e una sottile striscia di sangue colò sulla sua pelle pallida. Gli occhi di Eris erano dilatati come quelli di un serpente, terribili e brillanti di una luce sadica e maligna; i suoi lineamenti si erano induriti fino a deformare il suo viso di porcellana; i lunghi capelli neri si erano appiccicati al suo collo. Il cuore di Emily accelerò freneticamente per la paura e tutti i suoi muscoli si irrigidirono. Cercò il pugnale che aveva nascosto nell’armatura e lo strinse saldamente. Quella era la sua unica ancora di salvezza.
 
Eris gli rivolse un ghigno cattivo e in un balzo le fu addosso, sovrastandola con il suo peso. Il pugnale di Emily scivolò via dalla sua presa e la lama della daga si fece più vicina al suo collo nudo; le diede una ginocchiata nello stomaco ed Eris boccheggiò per alcuni istanti, mentre si teneva il punto leso grugnendo di dolore e di rabbia. Emily ne approfittò per sfuggire dalla sua presa e recuperare il pugnale, ma la dèa fu più veloce: artigliò la sua caviglia e tentò di trascinarla verso di sé. Emily venne presa dal panico e d’istinto affondò un calcio sulla mano di Eris, riuscendo ad allontanarla e romperle qualche dito. Si alzò in piedi, recuperò il pugnale con dita tremanti, corse verso Eris e la colpì trasversalmente sul fianco, lasciandovi uno sfregio insanguinato e doloroso ma non letale. Eris si sfiorò il punto offeso con le dita e la guardò con occhi iniettati di una furia mostruosa, poi si materializzò dietro di lei, la spinse a terra con un calcio e le fu nuovamente addosso. 

«Che peccato…», ansimò al suo orecchio, la voce ridotta ad un rantolo. «Sembra quasi che il nostro caro principino non si sia preoccupato ancora una volta della tua incolumità; il che è quasi ironico perché… come dire? L’ultima volta che ti ho rinchiusa in una stanza e ti ho data per morta si è letteralmente gettato giù dal Bifröst... quindi mi chiedo: cosa sarà capace di fare questa volta, che morirai per davvero?».
 
Le tirò indietro la testa con uno strattone, esponendo la gola, ed Emily gemette di dolore. La lama si avvicinava pericolosamente al suo collo e lei l’afferrò con entrambe le mani per spingerla lontano; subito una lunga e viscida scia scarlatta si raggrumò sulle sue dita, ma Emily non lasciò la presa nemmeno per un secondo. La testa bruciava terribilmente, il dolore era ovunque, le lacrime le pizzicavano gli occhi. Non aveva più sensibilità nelle dita e la lama continuava a tagliare sempre più a fondo, più internamente. Il dolore era così intenso che Emily non riusciva nemmeno ad urlare.
 
Eris respirava forte, il suo alito aveva lo stesso odore metallico del sangue, e la sua presa sulla daga si faceva sempre più salda e pericolosa. Disperata, Emily scalciò e tentò di morderle il collo, ma quella tirò indietro la testa e strinse ancor più forte i suoi capelli, esponendo il suo collo ancora di più.
 
«Tu... sarai morta… quando il tuo caro principino perirà per mano mia…» Strascicò al suo orecchio, la voce distorta a un ringhio distorto. La lama [le sfiorava già la pelle, ed Emily gridò così forte da sentire le vene delle tempie gonfiarsi e la gola dolere.
 
Un sibilo attraversò il suo orecchio, all’improvviso la presa di Eris rallentò drasticamente e la daga cadde a terra con un clangore metallico. Emily fece appena in tempo ad allontanarsi da lei che un altro sibilo le passò accanto. Erano pugnali. Si voltò, e vide Loki. E allora capì di essere salva.

Eris digrignò i denti mentre scansava l’ennesimo attacco da parte di Loki che, inspiegabilmente, era riuscito a forzare la serratura e aveva riacquistato l’uso del Seiðr con il quale faceva materializzare un pugnale dopo l’altro. Il suo sguardo era duro, sicuro, degno di un dio, e i suoi occhi erano due lampi verdi colmi di collera. Eris parve per un attimo spiazzata, poi sorrise maligna e si leccò le labbra con voluttà. Con un violento moto del braccio creò un improvviso vortice di polvere rossa e nera, che l’avvolse come un telo di seta, emanando un fortissimo vento, e quando si dissipò di lei non era rimasto più nulla.
 
Piombò un silenzio di marmo, rotto soltanto dai respiri pesanti di Emily. Era salva… Loki l’aveva aiutata. Loki… il suo Loki…
 

Si girò verso di lui con occhi colmi di gratitudine e sgomento. Loki le si avvicinò con andatura veloce, quasi nervosa, e senza dire una sola parola le prese le mani e se le portò alle labbra, lasciandoci sopra un bacio. Prima che Emily potesse realizzare, il sangue delle sue ferite cominciò a raggrumarsi, divenendo vischioso e secco, e le sue ferite si rimarginarono. Attonita, incrociò il suo sguardo con quello di Loki e, senza riflettere, lo baciò di slancio. Il sapore agrodolce delle sue labbra le inebriò la mente, non facendole capire più nulla. Si sentì sciogliere come neve al sole sotto il calore di quel bacio e sembrò che ogni incubo, ogni paura, ogni ricordo assopito nella sua anima avesse acquistato un senso. Il suo profumo, la freschezza della sua pelle, erano come un balsamo per lei, e lo erano in modo dolce ed enigmatico*. Il respiro di Loki era freddo, le sue spalle larghe e le sue labbra screpolate, ma nulla al mondo era meraviglioso quanto quel bacio tanto agognato, niente più caldo del battito del suo cuore contro il suo petto. Loki era lì, le sue labbra erano le sue, fredde come la neve e brucianti come il fuoco, e nulla importava più.

 Solo quando le sue dita andarono a sfiorare il freddo metallo dell’elsa di una spada, Emily si separò da lui, che emise un flebile lamento di protesta. La estrasse dal fodero e la guardò per bene, intuendo subito di cosa si trattava, e sul suo viso si formò un sorriso raggiante.
 
«L’hai trovata!», esclamò, incredula. «L’hai davvero trovata!».
«Ne dubitavi?».
«No», rispose. Ed era la verità. «Non l’ho mai fatto. Sapevo che l’avresti trovata, e sapevo che saresti tornato», gli rivolse un sorriso limpido e Loki le accarezzò una gote con delicatezza, senza distogliere lo sguardo da lei neanche per un secondo. Nei suoi occhi, Emily lesse così tante emozioni che faticò a distinguerle tra loro. «Grazie, per avermi salvata. Ma, Loki, è vero quello che ha detto lady Eris? È stata lei a rinchiudermi in quello sgabuzzino, quel giorno?».
 
Il sorriso di Loki si incrinò all’improvviso. Ritrasse la mano dalla sua guancia, come scottato, e distolse lo sguardo.
 
«Sì», rispose grave. «L’ha fatto per vendicarsi. Lei mi desiderava ma io non volevo avere niente a che fare con lei, e questo ha scatenato la sua furia. Non potevo sapere che sarebbe giunta a tanto. Ad ogni modo, sarebbe meglio che tu le stessi molto lontano».
«Non intendo fare il contrario. E… chi ti ha restituito il Seiðr? Odino te ne aveva privato. Non capisco…».
 
Loki si irrigidì impercettibilmente ma dal suo sguardo non trapelò nulla.
 
«È una lunga storia. Ti basta sapere che è stato solo grazie ad esso che sono riuscito a mettere Eris in fuga, quindi non fare domande».
 
Emily fece una smorfia. Nonostante il bacio che si erano scambiati poco prima, Loki continuava a comportarsi da egoista indisponente. Ma forse era proprio questo che le piaceva di lui, Loki non cambiava per niente e nessuno. Era sempre lui, e e anche se si nascondeva dietro a tante maschere tutte diverse rimaneva sempre il bambino scontroso e malinconico che aveva conosciuto tanti anni prima. Ed Emily aveva imparato ad amare anche quel suo lato, perché quando si è innamorati non si vedono i difetti di una persona ma solo i pregi. Loki di pregi ne aveva davvero pochi, ma lei se li faceva bastare.
 
Lo guardò, e una domanda sorse prima ancora che potesse soppesarla.
 
«Cosa succederà adesso, Loki? Andrà tutto bene?».
 
Lo sguardo di Loki si fece, se possibile, ancor più enigmatico di prima. Era come se dentro di lui balenassero un centinaio di pensieri, di ricordi e, forse, paure. Emily non sapeva cosa si celasse dietro quello sguardo, ma all’improvviso ebbe un terribile presentimento e le viscere le si annodarono con forza. Loki sembrava profondamente turbato ed Emily assorbì il suo silenzio come una un pugno in pieno petto. Dopo un tempo che le parve infinito, parlò.
 
«Sì», rispose, ma sembrava voler rassicurare più se stesso che lei. «Questa volta andrà tutto bene».


Era successa una cosa curiosa nel campo di battaglia, pochi minuti prima del ritorno di Loki ed Emily. Thor ne era rimasto profondamente turbato e anche in quel momento non riusciva a darsi una spiegazione logica.

Lui e Jane stavano combattendo contro gli Elfi Oscuri ed a un tratto erano stati accerchiati. Il piano originario era aspettare il ritorno di Loki ed Emily e poi volare con il Mjolnir verso la grotta di Dvalin. In quel frangente, però, si era visto costretto a scatenare la forza del Mjolnir per sbaragliare gli avversari, esaurendo tutta l’energia necessaria per tornare dal nano in pochi minuti. Perlomeno la maggior parte dei nemici era stata eliminata e Jane era salva, seppure esausta, e questo per Thor era l’unica cosa che contava. Proprio quando era certo di averli in pugno, un altro centinaio di Oscuri si erano diretti verso di loro e Thor aveva capito di essere in trappola.
 
Aveva preso Jane e l’aveva protetta con il suo corpo, sperando con tutto se stesso che almeno lei venisse risparmiata, finché un suono simile a quello di un corno era risuonato per tutto il Regno e gli Elfi Oscuri, seppur con sdegno, si erano ritirati. Jane era ancora rannicchiata contro il suo petto quando Emily e Loki erano usciti dal palazzo, i capelli di entrambi spettinati e i volti stravolti. Nelle mani, notò Thor, Loki reggeva una spada lunga e affilata e subito un urlo colmo di gioia era esploso nel suo petto e nell’aria, mischiandosi con la polvere e i detriti della battaglia. Jane si era rimessa in piedi con fatica ma era evidente che anche lei fosse felice.
 
«Avrei giurato che foste morti», la voce di Loki non era mai parsa tanto confortante a Thor, che preso com’era dall’euforia nemmeno si curò delle sue frecciatine. «Peccato».
 
«Come sta la mortale? Dov’è adesso?» Aveva invece chiesto Emily, sinceramente preoccupata. Jane le fece un cenno con la mano ed Emily accorse in suo soccorso, sorreggendola con le braccia. Thor non l’aveva mai vista così stremata. All’improvviso, l’euforia per essere inspiegabilmente sopravvissuto, aver ottenuto la spada e aver protetto Jane vennero soffiati via come sabbia al vento. Avrebbe lasciato a dopo le domande, al momento c’era solo Jane.
 
Si misero immediatamente in cammino verso la grotta di Dvalin. Thor si maledì più volte per aver sprecato l’energia che occorreva per volare rapidamente da un posto all’altro. Il battito del suo cuore si era fatto più forte e insistente, tamburellava da ore, aveva il suono del rimorso. Era colpa sua se Jane si trovava in quella situazione, adesso, solo sua. Se solo avesse troncato ogni rapporto, se solo non si fosse innamorato di lei forse tutto quello non sarebbe mai accaduto…
 
L’aria di Svartálfaheimr era pesante come un macigno ed ogni passo era sempre più difficile e faticoso; il freddo gelido che li avvolgeva non era d’aiuto e quel poco – pochissimo! – di luce che riusciva a filtrare dalle nuvole sembrava sbeffeggiarli dall’alto dei cieli. Thor continuava a sentire una voce fastidiosa nella sua mente, era come avere una spina sotto le unghie o una mosca fastidiosa che disturbava il sonno con il suo ronzio, e non riusciva a liberarsene.
 
È colpa tua, Thor Odinson, sussurrava, se Jane Foster morirà sarà tutta colpa tua, e tu questo lo sai bene.
 
Il freddo era pungente, il suo cuore ricoperto da aghi e la sua mente da nodi; Thor non necessitava di altre preoccupazioni. Al momento doveva solo portare Jane al sicuro e aiutarla a sopravvivere.
 
«Thor…» La voce di Jane era minuta come quella di un uccellino. Thor le fu subito accanto.
«Sì, Jane. Sono qui, non temere».
«Thor non riesco a respirare… mi manca il fiato… è come se qualcosa mi opprimesse i polmoni…».
 
La voce di Jane era fiacca, stanca, i suoi occhi cerchiati da un viola profondo e la sua pelle grigiastra. Thor non riusciva a guardarla così sapendo di essere lui la causa di tutto, era un pensiero insopportabile che lo divorava dall’interno. Lo faceva stare male.
 
«No, no, Jane… è tutto a posto. Non crucciarti, non ti succederà niente. Andrà tutto bene, vedrai, io sono qui. Non permetterò che ti venga fatto alcun male…» Thor parlava piano, quasi bisbigliava, e la sua voce era rotta e nervosa. Aveva paura. Per la prima volta in tutta la sua vita aveva tanta, tantissima paura. Poteva affrontare mostri, elfi oscuri, penta palmi e torture di ogni genere, ma non la paura di perdere Jane, quella mai.

«Thor… Thor mi dispiace… Thor, io…» Le ginocchia di Jane cedettero e rovinò al suolo con un tonfo: respirava a fatica, cercava di inalare quanta più aria possibile attraverso la bocca ma ciò non faceva che peggiorare le cose. Thor sentì qualcosa dentro di lui andare in mille pezzi, ma non seppe dire cosa di preciso, il cuore no di certo perché lo aveva già donato a Jane tempo prima, quindi non poteva spezzarsi, non poteva contorcersi su se stesso come se qualcosa lo stesse spremendo fino all’ultima goccia di sangue. Eppure era questo che sentiva: dolore. Tanto, tantissimo e insopportabile dolore.
 
«No, no, no,no Jane! Jane… Jane guardami…» Il silenzio piombò addosso a loro, rotto solo dai singhiozzi di Thor ed i lamenti di Jane, che continuava a contorcersi come in preda alle convulsioni. Thor non lasciava la presa sulla sua mano, continuava a fissarla con la stessa speranza di chi spera di risvegliarsi da un incubo, e il freddo si faceva più intenso, più raggelante.
 
«Mi dispiace… mi dispiace… arrgh» Jane si rivoltò su se stessa con un singulto. Tutto il suo corpo era scosso da brividi continui, era come se qualcun altro la stesse sballottando da una parte all’altra. Thor vide con orrore i suoi occhi mentre diventavano neri come catrame, la sua pelle che si riduceva a uno smorto grigio pallido e le sue unghia che ingiallivano e invecchiavano. Era come se qualcosa la stesse consumando dall’interno, ed era terribile.
 
«No… no… no! Loki, fratello, ti prego, ti supplico, fa qualcosa… qualsiasi cosa! Aiutala, salvala… ti prego».
 
Loki non si mosse. Continuava a squadrarlo con compatimento dall’alto, ignorando le suppliche di Emily che gli chiedeva di fare qualcosa, di aiutare Jane. Ma lui rimaneva in silenzio, lo sguardo serio come una tomba e le dita strette dietro la schiena.
 
«Non posso» Biascicò. E fu come se il mondo fosse crollato addosso a Thor tutto in una volta.

Jane iniziò a tossire forte mentre si dibatteva fra le sue braccia. Dai suoi occhi sgorgavano lente lacrime color catrame e nei suoi occhi non si riusciva più a distinguere quale fosse l’iride e quale la sclera. Era tutto nero, oscuro come la morte. Dalle sue labbra colò un materiale simile a catrame, le venature si fecero più evidenti sotto lo strato grigiastro della sua pelle e i capelli divennero di un opaco bruno. Thor strinse forte la sua mano come se in quel modo potesse aiutarla a guarire e gemette forte il suo nome mentre i suoi occhi divenivano lucidi come l’acqua.
 
«Jane… Jane, ti prego… ti prego non lasciarmi…».
 
Jane emise un lungo sospiro, strinse forte la sua mano e il suo corpo si irrigidì come una statua di cera. Poi le sue dita lasciarono la presa e non si mosse più.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Note di Harmony394.
 
1) La canzone è Nitesky, di Robert Koch.

2) La leggenda è vera! Io l’ho solo “ingrandita” un po’. :P Potete benissimo trovarla su Wikipedia a questo link: http://it.wikipedia.org/wiki/Tyrfing

3) La frase trae origine dal teatro greco: in tale ambito, quando era necessario far intervenire un dio (o più dei) sulla scena, l'attore che interpretava il dio si posizionava su una rudimentale gru in legno, mossa da un sistema di funi e argani, chiamata appunto mechanè. In questo modo, l'attore veniva fatto scendere dall'alto, simulando dunque l'intervento di un dio che scende dal cielo; difatti, l'espressione deus ex machina significa proprio "dio (che viene) da una macchina". L'intervento ex machina degli dei veniva spesso usato, soprattutto dal tragediografo Euripide, per risolvere una situazione intricata e apparentemente senza possibile via di uscita.
 
4) Questa frase non è (sfortunatamente) mia, bensì di Alessandro Baricco, precisamente del suo libro “Mr Gwyn”. Dovevo assolutamente citarla, in qualche capitolo.
 
5) Nel mio head-canon il Mjolnir ha bisogno di una determinata dose di “energia” per fare lunghi viaggi. L’idea mi è venuta dal fatto che in ogni videogioco di Thor il Mjolnir, per fare il “colpo speciale”, deve sempre avere un tot di energia. E sì, so che è un’idea ridicola ma voi fate finta di niente.

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Ebbene sì, dopo una  luuuunghissssima attesa, il capitolo tredici è finalmente on-line! :D

Questo è stato il capitolo in assoluto più difficile da scrivere, e credo che i motivi siano abbastanza ovvi! Sono – per la prima volta, credo – abbastanza soddisfatta del risultato, ma il parere finale spetta sempre a voi lettori per cui… fatemi sapere che ne pensate (per favore)! :)

Finalmente Loki ed Emily hanno combinato! Giuro che inizialmente non doveva esserci il “bacio”, ma poi è venuto da solo… hanno fatto tutto i personaggi! Si vede che morivano (e moriVO) dalla voglia di tornare insieme. XD Come avete notato, Eris è sempre la solita stron** e stavolta Emily ci è andata davvero vicina dall’essere fatta fuori. Povera...

Al posto suo, però, per la gioia di molte/i, Jane ha tirato le cuoia! Yeeeeeiii! … E-Ehi… cosa sono quei forconi? E quelle asce? R-Ragazzi, non vorrete mica… Voglio dire… stava a tutti sulle palle… r-ragazz-- ARGGH! *fugge*

Vi lascio, corro a ripassare filosofia. :)

Grazie mille ancora per il sostegno che mi date! Siete dolcissimi e non so più come dirvi grazie. ç\\ç
Un bacione, al prossimo capitolo!

Come sempre, se volete mettervi in contatto con me, ecco qui i miei profili Facebook ed Ask.fm. :)
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Ringrazio di cuore la mia beta 
vannagio, che ha betato questo capitolo in tempo record e che si merita tantissimi cuoricini. Grazie, Vanna! <3 <3 <3

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Capitolo 14
*** The scorpion and the frog ***


~The scorpion and the frog

 

Now hush love, here's your gown.
There's the bed, lantern's down.
But I don't want to go to sleep; in all my dreams, I drown.

 
 
Darcy era seduta placidamente sul divanetto foderato in pelle nera in quella sottospecie di base segreta in cui lei e il resto dello S.H.I.E.L.D dimoravano da circa un mese, quando Nick Fury fece il suo ingresso. Alzò lo sguardo per assicurarsi che andasse tutto benee poi tornò a sfogliare quel magazine datato duemila-e-qualcosa che aveva trovato lì nei paraggi per puro caso.
 
Trovava che Nick Fury fosse un uomo tremendamente misterioso, proprio come l’Agente Cobra di Lilo&Stich. Dopo l’attacco da parte degli Elfi Oscuri e il ritorno di Thor, i suoi scagnozzi avevano amichevolmente preso lei, Erik e gli appunti di Jane sotto custodia e li avevano caricati senza troppi complimenti dentro un furgone che puzzava di naftalina e deodorante al muschio, per poi portarli nella loro base segreta. Lì Darcy incontrò Fury, che le spiegò molto brevemente la gravità della situazione e le pose una trentina di domande tutte riguardanti lo stesso, dannato argomento: Jane e Thor.
 
Darcy aveva risposto che non ne sapeva niente, che Thor neanche l’aveva visto arrivare impegnata com’era a fuggire dagli Elfi Oscuri che le davano la caccia. Fury aveva storto la bocca in una smorfia accigliata e rivolto un cenno del capo ad una ragazza dai capelli castani, una certa Maria Hill, che l’aveva scortata in un sottospecie di sgabuzzino provvisto di un letto, un comodino e un computer, dicendole che sarebbe dovuta restare lì per degli accertamenti. Darcy aveva protestato, urlato che quello era un sequestro di persona bello e buono, ma alla fine si era arresa e si era messa a giocare con Paint perché lì sotto internet non prendeva. 
 
Da quando quei cosi con le orecchie a punta erano atterrati a Londra, l’umanità era stata messa sotto attacco e a nulla era servito l’intervento dei Vendicatori per liberarla. Persino Darcy aveva capito che per ammazzare quei mostri prima bisognava chiudere il portale situato al centro del cielo londinese e dopo procedere con un attacco di massa. Niente di eclatante, considerando che la scorsa volta era accaduta una cosa pressoché uguale a New York, se solo non fosse stato indispensabile il Tesseract per chiudere il portale… Tesseract che loro non avevano.
 
«Agente Romanoff, faccia rapporto, passo» Nick Fury premette l’auricolare dentro il suo orecchio, come uno di quegli agenti nei film di 007 che le piacevano tanto. La sua espressione corrucciata le ricordava tanto quella di un bulldog incazzato, ma questo pensò fosse meglio non dirlo. 
 
«Ci sono tre squadriglie di Oscuri a ore dodici. Non credo sarà una passeggiata recuperare uno di loro per degli accertamenti, capo» La voce dell’agente Romanoff era sensuale quanto poteva esserlo la sua persona. La prima volta che l’aveva vista, Darcy era rimasta senza parole per più di dieci minuti ed era stata certa di essere diventata lesbica. Poi però era arrivato anche l’agente Barton, e allora aveva cambiato idea.
 
«Non mi importa come farete: dovete prendere uno di quei cosi e portarlo qui. Consideratevi degradati a livello tre in caso di insuccesso… E no, Barton, non mi importa che ci sia anche Bobbi Morse e che non riusciresti più a scollartela di dosso. Smettetela di perdere tempo e portate i culi di quei dannati alieni quaggiù!» Disse, spegnendo l’auricolare. Si passò una mano sul volto e sospirò, poi rivolse lo sguardo a Darcy.
 
«Dov’è Selvig?» Chiese. Darcy fece spallucce e passò alla pagina seguente della rivista. Angelina Jolie potrebbe essere incinta di Brad Pitt, secondo voci raccolte nel fine settimana dal tabloid New York Post, era la notizia principale. Darcy sbuffò. Oh, wow, un poppante fra i piedi… sai che culo, pensò.
 
«Boh», mugugnò, girando di nuovo pagina. «Cosa vuoi che ne sappia? Dubito sia lontano, comunque. Voglio dire: ‘sto posto non avrà più di due piani, dato che è sottoterra, se lo cerchi bene lo trovi… magari è in bagno a spararsi un tranquillante, ne avrebbe bisogno».
 
«Molto divertente, Darcy».
 
Darcy alzò repentinamente gli occhi dal magazine, li puntò su quelli azzurri di Erik Selvig, che la fissava con severità dallo stipite della porta, e divenne rossa di vergogna.
 
«Oh… ehm… lo sai che scherzo, Erik, no?!» Biascicò nervosa. Erik le riservò un’occhiataccia e Darcy desiderò scomparire. Ma perché sempre a me?
 
«Selvig, come procedono le indagini?» La domanda di Fury risuonò piatta e decisa. Darcy guardò Erik e lui sospirò amaramente, poggiando le braccia sul tavolo in cui erano posizionate un centinaio di provette, fogli e altre diavolerie scientifiche. Non disse nulla, ma al suo posto parlò Tony Stark, che entrò all’improvviso nella sala accompagnato da Bruce Banner e Steve Rogers. Quest’ultimo era ricoperto di graffi, la sua uniforme era sbrindellata in più punti e un copioso rivolo di sangue strisciava giù per il torace. Darcy si morse il labbro e il suo cuore fece una capriola. Subito dopo Clint Barton, Steve Rogers rappresentava alla perfezione il suo ideale di uomo.
 
«Malissimo, se proprio vuoi saperlo», disse Tony Stark avvicinandosi al macchinario.
 
Banner fece lo stesso, mentre Steve Rogers si sedette accanto a Darcy e sbirciò il giornalino che stava leggendo, per poi passarsi una mano sulla fronte mormorando qualcosa di simile a “Dopo tutti questi anni c’è ancora gente a cui importa della vita altrui…”. Subito il magazine volò via.
 
«Non riusciamo ancora a capire come diavolo procurarci il Cubo, o qualcosa che gli somigli. E in ogni caso, se anche ci riuscissimo, ci occorrerebbe qualcosa di simile a un… un… com’è che si chiama quell’affare, Banner?».
 
«C.D.E. Sta per: Conservatore Di Energia. Ne creai un prototipo tempo fa, nel tentativo di assorbire un minimo della forza dell’Altro e trasferirla in altri oggetti, ma vi riuscì solo in parte e tutt’ora è un lavoro inconcluso. Dovrei riuscire a ricrearne uno, forse, ma mi servirebbero i miei appunti… o quelli della dottoressa Foster, era con lei che lavoravo a questo prototipo. Ma come tutti sappiamo adesso lei… adesso è… ecco… via».
 
«A fare la sua luna di miele con Big Jim», aggiunse Stark, ridacchiando.
 
«Si dia il caso, dottor Banner, che noi abbiamo gli appunti della dottoressa Foster. Al momento sono in laboratorio. Se me ne aveste parlato prima, magari, avremo potuto risparmiarci una settimana di trambusti» Disse Fury, con voce tremante di rabbia. Darcy deglutì: Fury incazzato non era proprio un bel vedere.
 
«Io non lo punzecchierei, se fossi in te», esclamò Tony Stark portandosi il tappo di una penna alla bocca e iniziando a scarabocchiare qualcosa su un block-notes. «Per quanto adori vedere il dottor Banner trasformarsi in un mostro verde incazzato alto circa dieci metri, Fury, non credo che questo sia il momento più adatto. Voglio dire: stavolta non c’è alcuna uscita d’emergenza… senza offesa, amico», aggiunse in fretta scoccando un’occhiata sfuggevole a Banner, che fece un cenno conciliante col capo.
 
«Non preoccuparti per l’Altro, Tony: ormai ho imparato a tenerlo a bada… più o meno. Ciò di cui dobbiamo preoccuparci, invece, è come procurarci un campione di sangue di un Elfo Oscuro: una volta costruito il C.D.E mi servirà qualcosa che riporti il D.N.A di uno di loro, in modo tale che il C.D.E. possa avere un obiettivo ben preciso a cui puntare… è un discorso un po’ difficile da comprendere, lo ammetto, ma vi basterà sapere che se avremo quello saremo già un passo avanti. Ora: dove troviamo il campione di sangue di un Oscuro?».
 
«Questo è sufficiente, dottor Banner?».
 
Un tonfo sordo accompagnò la voce dell’agente Barton che, entrato di soppiatto nella stanza, sbatté a peso morto un sacco nero, lungo e grosso da cui fuoriusciva la testa infilzata da una freccia di un Elfo Oscuro. Darcy gettò un urlo terrorizzato e si aggrappò d’istinto al braccio del Capitano Rogers, che la guardò un po’ imbarazzato ma non disse nulla. Quando si accorse di essere attaccata al suo braccio, Darcy sgranò gli occhi e un sorrisetto beffardo le incurvò le labbra.
 
Caspita, Capitano, siamo messi bene!
 
 A pochi metri da lei, Bruce Banner rivolse un sorriso radioso all’agente Barton e tagliò un pezzo della carne dell’Elfo Oscuro con un colpo netto, per poi studiarlo al microscopio. Nella stanza iniziò ad aleggiare l’odore stantio e ferroso di putrefazione, e Darcy storse la bocca disgustata.
 
«Lo avete preso, alla fine», dichiarò ad un tratto Fury, senza distogliere lo sguardo dal corpo dell’Elfo. «Come?».
 
L’agente Romanoff fece spallucce e guardò Clint Barton, che prese la parola.
 
«Presi singolarmente non sono poi così pericolosi, signore. Questo qui stava pisciando da solo vicino ad un vicolo. Diciamo che non è stato tanto difficile metterlo fuori gioco, ecco», si avvicinò a ciò che rimaneva del corpo dell’Elfo e inclinò la testa di lato, ghignando. «Senza rancore, vero, vecchio mio?».
 
«Signore», la voce dell’agente Romanoff era dura come pietra. Fury si voltò verso di lei. «Quali sono gli ordini?».
 
«E, cosa più importante, non ci manderà al livello Tre, non è vero?» Aggiunse Clint Barton.
 
Darcy trattenne una risatina. Oltre ad avere un bel culo, l’agente Barton aveva anche un ottimo senso dell’umorismo. Cosa si poteva chiedere di più?
 
«No», rispose Fury. «Non ancora, agente Barton. Ad ogni modo, dottor Banner, cosa ci dice adesso? Abbiamo ciò che le serve?».
 
Bruce Banner si tolse gli occhiali e si massaggiò l’attaccatura nel naso. Darcy non ne era del tutto sicura, ma qualcosa le diceva che fosse ben più rilassato di prima e la cosa la fece sentire meglio.
 
«Diciamo di sì. Ci manca solo una cosa, adesso: il Tesseract. Se prendiamo quello, potremo chiudere il portale».
 
«Già, peccato che Asgard non si trovi esattamente a due passi da qui e che solo gli asgardiani abbiano il cubo magico del destino. E per quanto il mio genio sia senza limiti, dubito di poter ricreare qualcosa di una potenza tale».
 
Nella stanza calò un silenzio di marmo. Adesso, oltre al terribile lezzo di morte, Darcy sentiva anche il peso della situazione. Aveva fatto finta di non curarsene, prima – come se chiudendo gli occhi potesse far finta di non vedere – finché la verità non le era piombata addosso come una secchiata d’acqua gelida e lei l’aveva assorbita tutta. Il mondo era sotto assedio, lei non aveva la minima idea di dove fossero i suoi genitori e non vedeva la luce del sole da settimane, se non addirittura mesi – laggiù il tempo non esisteva, si era ben presto accorta. Proprio adesso che tutto sembrava andare per il verso giusto, che una piccola lucina cominciava a brillare in quell’inverno perenne, tutto tornava al punto di partenza.
 
Darcy iniziava a perdere le speranze.
 
Poi, senza alcun preavviso, qualcuno parlò. Era la voce rauca e spenta di Selvig, e subito Darcy alzò gli occhi su di lui, scontrandosi col suo sguardo serio e nervoso. Sembrava quello di un animale braccato.
 
«In realtà, ci sarebbe un posto dove trovarlo…», disse. Il cuore di Darcy fece una capriola.
 
Lo sguardo di Erik era lugubre e grave come una lapide, sembrava che pronunciare quelle parole gli costasse un’immensa fatica. Sospirò. «Si trova alla biblioteca di Londra. È lì che Jane lo ha lasciato, l’ultima volta. È un pezzo piccolo, un ciondolo, ma forse potrebbe esserci utile…».
 
La biblioteca di Londra si trovava a miglia e miglia di distanza da lì e, oltre ad essere stata ridotta a una mera baracca piena di fogli e macerie, pullulava di Oscuri. Andare laggiù sarebbe stato come correre il più velocemente possibile verso la morte, era un suicidio in piena regola.
 
Stremata, Darcy sospirò e si passò una mano sul volto. Le sembrava di aver combattuto mille guerre e di averle perse tutte. Non avevano altra scelta che recarsi laggiù, quindi. Se volevano uscire da quella situazione del cazzo, l’unica cosa da fare era andare dritti dritti nella tana del lupo. Lei non avrebbe potuto fare nulla come al solito; i Vendicatori sì, ma considerate le ferite ancora sanguinanti di Steve, dubitava che tutto sarebbe filato per il verso giusto. Questa volta la Terra era davvero in pericolo, e nessun supereroe sembrava in grado di salvarla.
 
Improvvisamente Steve si alzò in piedi e assunse la sua solita espressione da io-sono-CapitanAmerica-e-vi-romperò-il-culo – Darcy lo trovò terribilmente sexy – e tutti lo osservarono straniti.
 
«Allora?», chiese lui, guardandosi attorno. «Siamo i Vendicatori, no? Ebbene, credo sia giunto il momento di vendicare la Terra, signori. Chi viene con me?».
 
Darcy alzò la mano d’istinto, saltellando sul posto. «Oh! Io! Io! Io!», urlò. Solo quando otto paia di occhi si puntarono su di lei, guardandola come se fosse stata un insetto, capì di aver appena fatto la più grande figuraccia di tutta la sua vita e abbassò il braccio immediatamente. «V-Voglio dire… cioè… io… ok, d’accordo, sto zitta».
 
Da qualche parte della sala, Tony Stark sospirò e sussurrò un “Jarvis, sai cosa fare. Subito l’armatura di Iron Man sfrecciò nella stanza e si posizionò sul suo corpo – con non poca sorpresa da parte di Darcy, che squittì allarmata. Bruce Banner tolse gli occhiali e li poggiò sul comodino. Clint Barton e la Vedova Nera si scambiarono un’occhiata eloquente mentre ricaricavano la faretra e le pistole. Darcy non disse nulla, ma poté giurare di scorgere una smorfia compiaciuta sul volto di Fury.
 
Steve Rogers sorrise e afferrò il suo scudo. Darcy fu lì per lì per sciogliersi come burro.
 
«Vendicatori uniti!».

 

 
«Thor…».
 
«No!».
 
Bastò un gesto secco e stizzito delle dita e la mano di Emily venne scacciata via dalla spalla del Dio del Tuono. Emily strinse le labbra, gli occhi lucidi e la morte nel cuore.
 
«Thor, dobbiamo andare…».
«No!», la voce di Thor risuonò stranamente decisa nel silenzio innaturale della steppa.  Svartálfaheimr era un luogo tetro e senza vita, ma mai ad Emily era sembrato tanto oscuro.
 
Jane era ancora esamine a terra, fra le braccia di Thor che la stringeva al petto come un enorme orso con un uccellino, ed Emily non riuscì a sostenere quella vista. Le sembrava di rivivere il momento in cui aveva creduto che Loki fosse morto, risentì il dolore sordo che le aveva lambito il petto quel giorno, e ricordò che, secondo le tradizioni di Asgard, morire in guerra, per una donna, era considerato onorevole tanto quanto per un uomo. Eppure, per quanto si sforzasse, in quella morte Emily non vedeva nulla di onorevole, solo il viso pallido di una giovane ragazza e ingiustizia. Avrebbe voluto gridare, graffiarsi la gola con le sue stesse urla, piangere e maledire il giorno in cui aveva messo piede fuori da Asgard, ma non era possibile fare nulla di questo. Si limitò dunque a mordersi a sangue le labbra, a stringere i pugni fino a che le nocche non divennero bianche e a pregare gli dèi, sperando che almeno loro potessero spiegarle il senso di quello che stava accadendo.
 
Non è giusto. Tutto questo non è giusto! Non è giusto!    
 
Il silenzio che li avvolgeva era assordante, ed Emily lo assorbì tutto. Poi Loki avanzò, s’inginocchiò al fianco di Thor e gli diede un pugno così forte da farlo cadere all’indietro. Thor boccheggiò e guardò Loki con sgomento, come se si fosse appena risvegliato da un incubo, e sulle sue labbra parvero danzare una decina di domande.
 
Loki incrociò le braccia al petto con stizza. «Datti un contegno, fratello», disse con disgusto. «Sei un dio o un argr*? Rendi orgogliosi gli avi che tanto hai cari e rimettiti in piedi, sei pietoso in questo momento», disse Loki duramente. Emily non riuscì a spiccicare una parola, come se, insieme a Thor, Loki avesse colpito anche lei, e le dita le tremarono per la rabbia. «E adesso muoviamoci a tornare dal nano».
 
«Come puoi…?!» Emily assottigliò gli occhi in due fessure piene di collera. Ebbe l’irrazionale istinto di aggredire Loki, ma lui la fulminò con lo sguardo e lei si arrestò.
 
«Fa’ silenzio e pensa. Abbiamo Tyrfing in pugno e abbiamo un patto: il nano ci dirà come fare per riportare in vita la mortale e tutto tornerà come prima, e se riusciremo a giocarcela bene forse sapremo anche come sconfiggere Thanos. Le conoscenze dei nani sono antiche di millenni, non sottovalutateli».
 
«Non può più salvarla, Loki», disse Thor con voce rauca, passandosi una mano sul volto. «È troppo tardi…».
 
«È tardi solo per chi non riesce ad aspettare. Prendi la tua dannata mortale e andiamo dal nano. Converrai con me che questa è un’idea ben più congeniale del piangersi addosso, spero».
 
Thor gli rivolse uno sguardo pieno di astio ma non obiettò. Si alzò in piedi, strinse le labbra in una smorfia incollerita e si avvicinò a Loki, che non indietreggiò; il suo volto era una maschera di frustrazione e dolore.
 
«Come fai…», sibilò con lentezza, come se ogni parola gli costasse un’immensa fatica. «Come fai ad essere così… così freddo?».
 
Emily intravide gli occhi di Loki velarsi di gelo, come se un pezzo di vetro lo avesse colpito al centro del cuore. Contrasse la mascella e strinse i pugni lungo i fianchi, irrigidendosi come una statua; sul suo volto ossuto si delineò l’ennesimo sorriso sprezzante e cattivo, simile a quello di un lupo.
 
«Perché è nella mia natura», sussurrò, gli occhi che luccicavano di una luce sinistra e feroce. «Sono un Gigante di Ghiaccio, Thor. Chiedermi di essere diverso sarebbe come chiedere al sole di smettere di splendere. Ed ora smettila di perdere tempo e mettiti in marcia».
 
Thor non disse nulla ed Emily ammutolì di colpo. Con la coda dell’occhio, vide Thor prendere il corpo di Jane con una gentilezza. Stentava a credere che un uomo grande e grosso come lui fosse capace di una simile delicatezza. Si misero in cammino verso la grotta di Dvalin. Il silenzio che li avvolgeva era assordante e solo in quel momento Emily si accorse di quanto quel luogo fosse triste e desolato. Se prima riusciva a intravedere dei brevissimi raggi di luce filtrare da quegli enormi nuvoloni, adesso le sembrava di essere precipitata nel più oscuro degli inferi.
 
Lungo il tragitto, Emily non poté fare a meno di pensare alle parole di Loki. Nella sua mente ritornò tagliente lo sguardo spaurito e devastato che aveva segnato il suo viso mentre scopriva la verità riguardo alla sua vera natura, il terrore profondo che aveva incrinato quella maschera di perfezione con cui aveva convissuto per tutta la vita, ed Emily comprese con angoscia che non era lui ad essere freddo, ma gli eventi ad averlo reso tale.
 
Assieme ai ricordi tornarono i dubbi, ed Emily aggrottò la fronte. Come aveva fatto Loki a riottenere l’uso del Seiðr? E perché Tyrfing gli era stata consegnata così facilmente? Loki le aveva detto di non fare domande, ma lei non riusciva a farne a meno.
 
Non credere di conoscere le risposte. Loki è il Dio degli Inganni, tentare di districare le sue menzogne sarebbe come tentare di afferrare l’acqua, le suggerì una vocina nella sua mente. A volte è meglio vivere in una bella bugia, piuttosto che in una triste realtà. Sei sicura di voler conoscere le risposte che cerchi?
 

No che non era sicura. Non lo era mai stata, nemmeno quando le avevano riportato un pezzo di stoffa verde appartenente al mantello di Loki, subito dopo la sua caduta dal Bifröst, come simbolo della sua morte. Non aveva mai creduto alle sue bugie e non intendeva farlo adesso, perché se era un inganno quello che Loki stava architettando, allora toccava a lei snodare i fili e risalire al bandolo della matassa. E nei suoi occhi di ghiaccio il Dio degli Inganni celava una bugia dolorosa, di quelle che feriscono come una pugnalata, ma Emily fece finta di non vederla perché sbagliare è sempre più semplice che fare la cosa giusta.  
 
«Per i Nove Regni! Che io sia dannato se quelli non sono quei quattro idioti… e hanno la spada, con loro!».
 
Emily sussultò e sgranò gli occhi. Persa com’era fra i suoi stessi pensieri, non si era accorta di aver raggiunto la grotta di Dvalin. Si guardò attorno disorientata: accanto a lei, Loki scrutava con diffidenza Dvalin, il quale, sul volto arcigno e rugoso, aveva dipinta un’espressione sinceramente stupita.
 
«Non abbiamo tempo per le chiacchiere, nano!», sbottò ad un tratto Thor, entrando con passo spedito dentro la grotta e poggiando il corpo di Jane su un giaciglio di paglia. Il suo volto era pieno di paura, Emily non lo aveva mai visto in quello stato. Era certa che, se avesse potuto, avrebbe distrutto tutti i Nove Regni pur di sfogarsi. «Abbiamo la spada, adesso dicci come salvare Jane!».
 
Dvalin arcuò un sopracciglio e assottigliò le labbra con stizza.
 
«Sei cieco, figlio di Odino? È morta. Non vi è più nulla da fare, ormai. Perdi le speranze e trovatene una nuova, di donna; magari che campi più di vent’anni, stavolt–».
 
In un turbinio di movimenti, Thor afferrò il nano dalla collottola e lo alzò da terra con furia cieca: i suoi occhi erano ridotti a due fessure azzurre piene di astio e le sue labbra erano deformate in un ringhio.
 
«Non mi ripeterò due volte, nano: o mi dici come far tornare in vita Jane, o ti ci impalo con quella dannata spada!» Berciò. Non stava affatto scherzando.
 
Dvalin cominciò a tossire e il suo voltò divenne di un’inquietante sfumatura violacea.
 
Emily pensò che stesse per tirare le cuoia e trattenne il respiro. Accanto a lei, Loki non faceva una piega.
 
«V-Va bene… va bene, dannazione, va bene! Me-Mettimi giù, per i Nove Regni!».
 
Thor lasciò la presa all’improvviso e Dvalin cadde a terra con un tonfo. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, Loki gli puntò la spada contro, proprio all’altezza del pomo d’Adamo. Il suo sguardo era freddo, sardonico, ed Emily lo trovò terrificante.
 
«Parla», sillabò. «E non provare a scappare».
 
Dvalin fece saettare il suo sguardo acquoso da Thor a Loki con rabbia, come un animale braccato che tentava di trovare una via di fuga. I suoi occhi neri sembravano due enormi scarafaggi e le sue labbra viscidi e pallidi vermi. Era un essere disgustoso, pensò Emily, ma ciò che la inorridiva più di ogni altra cosa era il suo sorriso mefistofelico, da cui sporgevano i lunghi canini aguzzi che gli conferivano un aspetto grottesco, simile a quello di un serpente.
 
«Conosci la storia della rana e lo scorpione*, Dio degli Inganni?», sibilò Dvalin serafico, seppur evidentemente in soggezione. «Ebbene, che io sia dannato se dovessi fidarmi di uno scorpione come te. Prima di parlare, devi promettermi che una volta che ti dirò ciò di cui necessiti di sapere, tu mi renderai Tyrfing. E sai bene che un dio non può venir meno al suo giuramento!».
 
Thor digrignò i denti per la rabbia e Loki, invece, incurvò le labbra in un ghigno sardonico.  
 
«Non essere sciocco, nano», esordì Loki con mellifluità. «Quello era un fiume e quegli animali stavano nuotando», sussurrò con voce rauca. Dvalin non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un istante. «Ma, ad ogni modo, hai perfettamente ragione: un dio mantiene sempre la parola data. Per cui, la spada è tutta tua…», fece per porgerla a Dvalin, il quale allungò la mano per afferrarla, ma Loki la ritrasse all’ultimo momento e sul suo viso si designò un ghigno beffardo. «Se…», fece una pausa, come a voler dare un tono solenne alle sue parole. «Prometti che anche tu non mentirai. Se lo farai, in ogni caso, io lo saprò, e allora la spada la terrò io. Abbiamo un accordo?».
 
Dvalin fece una smorfia rabbiosa e dalla sua gola uscì un verso gutturale e feroce. Riservò a Thor e Loki un’occhiataccia e sussurrò qualcosa fra i denti che Emily non riuscì ad udire. Quando parlò, la sua voce sembrò il sibilo di un serpente.
 
«C’è una leggenda, su Midgard, figlio di Odino: narra di Euridice, amante del giovane Orfeo, la quale per sfuggire alla corte di Aristeo, uno dei suoi tanti pretendenti, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi con la sua inseparabile lira per riportarla in vita. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade e Persefone: il primo dormiva profondamente, la seconda lo guardava con occhi fissi. La regina degli inferi, commossa dal suo profondo amore nei confronti di Euridice, approfittò del fatto che Ade stesse dormendo per lasciare che Euridice tornasse sulla terra. Fu posta però una condizione: Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino alla porta dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, credendo di esser già uscito dal Regno dei Morti, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e ruppe la promessa. Euridice scomparve all'istante e tornò tra le Tenebre per l'eternità*».
 
Emily conosceva quella storia, sua zia gliela aveva narrata da bambina ma lei, nella sua ingenuità, non l’aveva mai compresa del tutto. Adesso che era cresciuta, però, l’aveva capita a pieno perché anche lei, se avesse potuto, sarebbe scesa nell’Hel pur di riavere indietro suo figlio. Cosa avesse a che fare con Jane, però, non riuscì proprio a capirlo.
 
«Non so cosa farmene delle tue sciocche leggende, nano», berciò ad un tratto Thor, distogliendo Emily dai suoi pensieri. «Voglio sapere come far tornare in vita Jane, non sentire degli sciocchi racconti!».
 
 «Le leggende sono insegnamenti, in esse c’è la verità. Se vuoi riavere con te la tua donna, figlio di Odino, dovrai spingerti più in là di quanto qualsiasi altro uomo, dio o semi-dio abbia mai fatto. La morte non si inganna, ma ci si può scendere a patti. Il prezzo da pagare è alto, altissimo, dunque mi ritrovo costretto a chiederti: sei sicuro di ciò che vuoi sapere?» Gli occhi neri di Dvalin luccicavano di una luce strana e paurosa. Vi erano ombre oscure al loro interno, la saggezza antica di chi conosceva il mondo. Thor strinse forte i pugni e contrasse la mascella. Emily seppe ciò che avrebbe risposto prima ancora di udire la sua voce.
 
«Sì, lo sono», rispose grave. «Ma adesso parla, per le Norne, non ho tempo per trastullarmi con i tuoi giochetti!».
 
Dvalin emise un verso di disappunto e andò a cercare qualcosa in mezzo alle mille cianfrusaglie, pelli e pozioni che aveva messo alla rinfusa in una cassetta sfasciata. Quando tornò aveva una pergamena fra le mani dal colore giallognolo e stropicciata in più punti; la lanciò a Thor, che subito la srotolò e la squadrò con minuzia.
 
«Che cos’è?» Domandò rude Thor, squadrando il nano con supponenza. Dvalin non rispose, al suo posto lo fece Loki.
 
«Una mappa», soffiò piano. «Per… Helheimr?».
 
Emily aggrottò la fronte e si avvicinò a grandi falcate ad entrambi, per poi strappare la cartina dalle mani di Thor e leggerla con avidità: al suo interno vi erano disegnati tutti i Nove Regni e delle strade lunghe e tortuose che serpeggiavano come lunghi fiumi attraverso ognuno di essi. Il frassino, Yggdrasill, li univa tutti fra loro come se fossero stati tasselli di un mosaico, e in alcuni punti vi erano illustrati mostri orribili e grandi scritte gotiche. In rosso, verso Nord, vi era cerchiato un Regno in particolare che Emily riconobbe come Niflheimr, la Terra delle Nebbie e del Gelo, che confinava con Helheimr, il Regno dei Morti. In passato, Emily aveva letto parecchie cose riguardanti quel Regno e aveva approfondito di molto le ricerche. Nonostante ciò, aveva sempre creduto che si trattasse di un Regno mistico e leggendario, poiché nessuno era mai riuscito a trovarlo. Adesso che aveva quella mappa, però, tutte le sue convinzioni erano state completamente sradicate.

 
Accanto al Regno di Helheimr vi erano incise delle frasi. Emily le lesse con curiosità mentre il cuore le batteva sempre più veloce nel petto, come a volerlo spaccare.
 

Disse Vafþrúðnir:
Delle rune dei giganti
e di tutti gli dèi,
posso dire il vero,
poiché in ogni mondo son giunto:
giunsi nei Nove Mondi
fino al Niflhel in basso,
presso Hel, dove vanno i morti.*

 
 
Dove vanno i morti…
 
All’improvviso, Emily realizzò cosa Dvalin stesse tentando di dirle e il respiro le si mozzò in gola. No, doveva essere in errore, non poteva davvero intendere una cosa tanto assurda. Il solo pensiero era paragonabile a una bestemmia. Cercò lo sguardo di Loki d’istinto, e nei suoi occhi Emily lesse la sua stessa inquietudine. Capì di non essersi sbagliata e il suo cuore mancò un battito.
 
«… no», sussurrò, più a se stessa che a gli altri. «No! È una follia! Va contro ogni principio, ogni etica, ogni… ogni cosa! Non possiamo fare una cosa simile, gli Antichi dèi ci maledirebbero tutti!».
 
Loki le rivolse uno sguardo infastidito, ma era evidente che anche lui fosse perplesso.
 
«Sarei curioso di vedere in che modo potrebbero rendermi l’esistenza ben più insopportabile di adesso, invero», soffiò con stizza, in uno scintillio di denti e arroganza.
 
Thor aggrottò la fronte e un’espressione dubbiosa gli si dipinse sul volto.
 
«Di cosa state parlando? Spiegatevi!» Ordinò. Loki ed Emily si scambiarono un’occhiata incerta. Quelle parole erano così assurde che persino pronunciarle rasentava la follia, e non dissero nulla. Al loro posto, parlò Dvalin.
 
«Cerchi risposte, figlio di Odino? Sei casualmente letale e potente come pochi, eppure, come molti altri prima di te, agogni l’amore più di ogni altra cosa e sei disposto a tutto pur di placare il senso di colpa che ti attanaglia le viscere. La domanda non è di cosa stiamo parlando, ma di chi. Se vuoi salvare la tua donna dalla dannazione non è a me che devi rivolgerti, bensì a chi le anime le raccoglie, le spezza in vita come fuscelli secchi e raggrinziti, e le conduce a sé per l’eternità».
 
«No…», la voce di Thor era un flebile sussurro nella notte. «Non ti riferirai mica a…».
 
Dvalin sorrise placidamente, scoprendo i denti aguzzi e sporchi.
 
«Hel, Signora dell’Oltretomba».
 
Nella grotta piombò un silenzio soffocante, ed Emily rimase immobile nell’aria fredda. Non si era sbagliata, per salvare Jane Foster bisognava recarsi nell’Hel, il Regno dei Morti, e portare la sua anima in superficie, proprio come nella leggenda di Orfeo ed Euridice. Quella realizzazione fu così sconvolgente che per un momento non riuscì più a respirare.
 
Non voglio andare, penso terrorizzata, Nessuno è mai tornato dall’Hel, perché noi dovremmo fare la differenza?
 
Desiderò urlare, fuggire da quella situazione e tornare ad Asgard, al sicuro. Non si era aspettata che sarebbe stata così dura, non aveva capito che i rischi sarebbero stati così elevati. Lo stomaco le si strinse in una morsa e la paura della morte l’avvolse a sé come un lenzuolo bagnato. Tentò di ricordare perché si trovasse lì, cosa l’avesse spinta a partire, ma la sua mente era annebbiata dall’agitazione e il suo corpo un tremolio convulso.
 
Devo andare a casa. Non posso proseguire oltre. Non voglio morire… non voglio morire!
 
Poi però incrociò lo sguardo di Loki, osservò le sue labbra sottili così simili a quelle di Vàlì, i suoi capelli arruffati e il suo naso dritto, e la paura svanì così come era arrivata. Al suo posto, si fece largo un sentimento strano, misto all’angoscia e all’euforia, ed i suoi denti smisero di battere. Ricordò perché lì, cosa l’aveva condotta in un’impresa tanto assurda quanto stremante, e digrignò i denti.
 
Vàlì, si disse, mentre la rabbia le lambiva la viscere, Lo sto facendo per lui. Per mio figlio.
 
«Adesso mantieni la tua parola, Dio dell’Inganno. Rendimi la spada e vattene via» La voce di Dvalin la colse di sorpresa ed Emily volse il suo sguardo verso di lui, serrando le labbra per il disgusto. Guardò Loki, ma quando incrociò il suo sguardo si sentì raggelare: i suoi occhi erano affilati e gelidi come la neve; un ghigno cattivo induriva i lineamenti del suo viso, rendendolo grottesco e inquietante. Subito, un brivido le scorse lungo la schiena.
 
«Oh, ma certo. Un dio mantiene sempre la parola data», soffiò Loki beffardo, accarezzando il dorso della spada. «Come puoi ben vedere, non sono uno scorpione…», sorrise in direzione del nano e allungò la spada verso di lui. Dvalin fece per prenderla ma all’improvviso, in un turbinio di movimenti, Loki la impugnò con entrambe le mani e conficcò la lama nel cuore del nano, che emise un verso gutturale, simile a un rantolo, e lo guardò sgomento mentre si premeva la mano sulla ferita. Subito il sangue zampillò fuori dal suo petto a fiotti viscidi e purpurei, formando una pozza scarlatta sotto i suoi piedi.
 
Emily udì qualcuno urlare, ma non seppe dire se la voce appartenesse a lei o a Thor: dinanzi a lei vi era solo sangue, sangue, tantissimo sangue, e la bile le risalì su per la gola bruciandole la bocca. Non seppe per quanto tempo rimase lì, pietrificata, finché ad un tratto Dvalin smise di contorcersi, i suoi occhi divennero vitrei e vuoti e non si mosse più.
 
Dall’alto della sua stazza, Loki sorrise. «… perché sono Loki, di Jötunheimr. Ed ho mantenuto la mia promessa. La spada è tutta tua, adesso».
 

 
«Perché lo hai fatto?!» La voce di Thor riecheggiò fra le mura della grotta forte come un tuono. Il suo volto era una maschera di sgomento e stupore, i suoi occhi erano sgranati più del normale. «Non ve ne era alcun bisogno!».
 
 Loki alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, indispettito. «Ho solo salvato le nostre vite, Thor. Se lo avessimo lasciato andare, di certo sarebbe corso da Malekith a spifferare la nostra direzione nel tentativo di ingraziarsi gli Oscuri e tornare a Nidavellir. I nani sono esseri infidi e astuti, non bisogna mai fidarsi di loro» Berciò. Si era aspettato una reazione simile da parte di Thor, ma non riusciva comunque a sopportarla. Gli occhi cerulei del suo fratellastro lo scrutavano con incredulità e sdegno, e Loki iniziava ad essere stufo di essere guardato così. Aveva agito per il bene comune ed ecco come veniva ringraziato: con scetticismo e sguardi di fuoco.
 
«Avevi fatto una promessa, Loki!» Disse Thor con furore. Loki gli rivolse un’occhiata canzonatoria.
 
«Appunto. Ho mantenuto la mia promessa, figlio di Odino. Il patto prevedeva che avrei dovuto rendergli la spada una volta che ci avrebbe detto dove recarci, ma non in che modo avrei dovuto farlo. Ebbene, come puoi ben vedere, Tyrfing è conficcata nel suo petto, per cui non vedo dove stia il problema».
 
Thor era talmente indignato da sembrare pronto ad aggredirlo, nei suoi occhi vi era una rabbia gelida e bruciante che Loki non gli aveva mai visto prima. Era chiaro che quel gesto aveva intaccato il suo senso dell’onore, ma a Loki in quel momento non poteva importare di meno del dannato orgoglio di Thor. Aveva salvato la sua vita, e questo gli bastava.
 
«Tu…», ringhiò Thor, con occhi assottigliati di rabbia. «Cane! Sei un essere bugiardo e meschino, senza alcun onore!».
 
«Quello, in verità, dubito di averlo mai avuto. E, se permetti, preferisco tenermi cara la pelle piuttosto che ricoprirmi di gloria e di onore» Ribatté lui con stizza. Thor fece per colpirlo e Loki sguainò i suoi pugnali con velocità, finché la voce di Emily li fece arrestare di colpo.
 
«Ora basta!», gridò, tremando di rabbia. «Ma non vi vergognate?! Sembrate due bambini che litigano per decidere chi ha ragione e chi torto! Ciò che è fatto è fatto, è inutile litigare. Se non ve ne foste ancora resi conto, è morta una donna oggi…», fece una pausa e il suo sguardo corse sulla figura di Dvalin, che era ancora immerso in una pozza di sangue, con la spada che gli trapassava il petto da parte a parte, e fece una smorfia. «… e un nano», soffiò piano, mal celando il suo disgusto – Loki non ne fu del tutto certo, ma gli sembrò di udire un eeugh provenire dalla sua voce. Infine tornò a guardare loro, il voltò contratto per l’indignazione, e a Loki parve tanto una lavandaia che rimproverava i suoi figli. «Finitela adesso… tutti e due!».
 
Ci fu un momento di assoluto silenzio: l’aria era pregna di nervosismo ed elettricità e lui e Thor non avevano ancora smesso di guardarsi in cagnesco. Ad un tratto, più per evitare di sentire Emily richiamarli come due mocciosi, Loki alzò gli occhi al cielo e rivolse un’occhiataccia ad Emily come a volerle dire “Se sei ancora viva è solo perché sono un dio misericordioso”. Poi si distese su un giaciglio lì accanto, che puzzava di fiele, sperando che nessuno lo importunasse fino al giorno seguente. Ovviamente, si sbagliava.
 
«Che stai facendo?» La voce di Thor era terribilmente fastidiosa. Con lo stomaco annodato per la rabbia, Loki lo guardò truce.
 
«Tento di dormire, Thor. Almeno nei miei sogni, la tua brutta faccia non mi tormenta» Disse. Thor strinse i pugni e lo guardò con astio.
 
«Non fare lo stupido e mettiti in piedi: dobbiamo recarci ad Helheimr».
 
Loki roteò gli occhi al cielo e sbuffò infastidito. Possibile che fosse davvero tanto stupido?
 
«Accomodati», rispose beffardo. «Sono certo che di notte Helheimr pullula di animaletti gentili e dal cuore d’oro. Che ne dici, Emily? Credi che Thor potrebbe trovare un unicorno, se lo cerca bene?».
 
«Non prenderti gioco di me, fratello! La mia pazienza ha raggiunto il limite!».
 
«Anche la mia», arrivò la pronta risposta di Loki. «Se vuoi raggiungere Helheimr di notte, con tutte le bestie e gli Oscuri che si annidano in luoghi desolati come questi, fa pure. Io non ti seguirò, però. E nonostante tu abbia la mappa, sono io quello che conosce le strade, qui. Quindi adesso sdraiati accanto alla tua Bella Addormentata e taci», poi rivolse lo sguardo verso Emily, che lo fissava di rimando con fronte aggrottata e labbra imbronciate.  «Lo stesso vale per te. Se vuoi sopravvivere per un altro giorno ti sdrai e chiudi la bocca, altrimenti va’ pure dove ti porta il cuore e tanti cari saluti», concluse, girandosi su un fianco e tentando di prendere sonno.
 
Udì Thor soffocare un grido di rabbia ed Emily mormorare qualcosa come “No, no, no, Thor, posa il martello! Posa il martello!”, prima di chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo.
 
Sognò Malekith, le sue parole fredde e taglienti, il patto che avevano stretto. Dovrai soltanto renderci il Cubo e collaborare con noi, e tutto tornerà come prima: riavrai l’uso del Seiðr, tuo figlio tornerà in vita e alla tua donna verrà garantita l’incolumità, sussurrava la sua voce raschiante e metallica. Il viso lentigginoso di Emily mentre abbracciava Vàlì, vivo e felice, si proiettò dinanzi ai suoi occhi. Ma se non lo farai, se mancherai ancora una volta alla tua parola, questo è ciò che ti aspetta. Subito l’immagine di Thanos che afferrava Emily per la gola e sorrideva sardonico prese il posto della precedente, terrorizzandolo, e la voce di Malekith riecheggiò nella sua mente: Questo, figlio di Laufey, è il tuo futuro. Hai due scelte, ognuna di esse porta a un destino differente. Tu… scegli il tuo. Thanos guardò in direzione di Loki e un brivido lo attraversò da parte a parte. Gli occhi del Titano scintillavano di una luce maligna, mostruosa, e gli mozzarono il fiato. Rise, una risata sadica che gli fece venire i brividi, e i suoi enormi artigli colpirono Emily, scavandole il petto con violenza fino a cavarle il cuore dalla cassa toracica.
 
Loki gridò con tutto il fiato che aveva in gola e i polmoni gli bruciarono come mai prima d’allora; la testa continuava a girargli, a pulsare come un tamburo; credette di morire. Alzò lo sguardo, vide un serpente con le fauci spalancate e d’istinto cercò di fuggire, ma il suo corpo rimaneva bloccato a terra, non si muoveva. Una goccia di veleno bagnò il suo viso e lo corrose, e Loki si sentì spezzare in due dal dolore. Vi fu un’altra goccia, poi un’altra ancora, fin quando il suo viso non divenne una grottesca maschera di muscoli pulsanti e pus. Pregò che quel supplizio cessasse, che qualcuno alleviasse il suo dolore, ma nessuno accorse in suo aiuto e Loki udì la risata sguaiata di Thanos farsi sempre più forte e maligna.
 
All’improvviso, tutto divenne buio e il tatto delle dita scomparve. Non provava più nulla, solo dolore, non vi era spazio per altre emozioni. Ogni goccia era sempre più letale, più infuocata. Non riusciva più a sopportarlo. Uccidetemi, urlò al vento, uccidetemi, uccidetemi!
 
Si risvegliò con un sussulto violento e tutto il suo busto si slanciò verso l’alto. Con ancora gli occhi appesantiti dal sonno e il cuore in gola, Loki si passò una mano sul volto, sul collo, sugli occhi, sulla bocca e infine sul petto, ma non trovò alcun segno di ferite o di sangue. La sua pelle era ancora ruvida al tatto e fredda come la neve, senza alcuna cicatrice. Sospirò forte, cercando di dimenticare quelle immagini, ma il suo cuore continuava a tambureggiare e la testa non smetteva di ronzare.
 
È stato un incubo, si disse nel tentativo di rasserenarsi, passandosi una mano sul volto, Solo un incubo. Non era reale, era solo un incubo… solo un incubo…
 
«Vàlì…» Un singhiozzo provenne alla sua destra, nel punto in cui Emily si era addormentata. Si voltò e la vide mentre, rannicchiata su se stessa nel tentativo di non sentire freddo, piangeva nel sonno. Loki non sapeva cosa stesse sognando, ma prima che potesse rendersene conto le fu accanto con sguardo apprensivo. Aveva sussurrato il nome di Vàlì, dunque era lui che sognava. Probabilmente, stava rimembrando il momento in cui Thanos lo aveva ucciso. Un altro singhiozzo sfuggì dalle sue labbra viola per il freddo. Loki non distolse lo sguardo da lei neppure per un secondo. Senza pensare a ciò che stava facendo, le sfiorò la guancia con un dito e raccolse l’ennesima lacrima che le bagnava le ciglia, poi si tolse il mantello e la coprì. La guardò mentre smetteva di tremare finché, tagliente come una stilettata in pieno petto e raggelante come uno spettro, l’incubo di poco prima tornò a galla. Ritrasse la mano e assottigliò le labbra mentre capiva cosa doveva fare.
 
Devo andare via.
 
Si alzò, prese una sacca e vi mise dentro pochi viveri e qualche pozione. Tracciò un percorso sulla mappa che portava ad Helheimr e poi lo incantò in modo tale che solo Thor, Emily e lui potessero leggerla. Prima che mettesse piede fuori dalla grotta, però, udì un altro singhiozzo.
 
«Loki…».
 
Loki non disse nulla. Ogni cosa gli sembrava superflua, inadatta, dolorosa. Non la guardò nemmeno, Emily, perché farlo avrebbe solo fatto più male. Intraprese la strada verso il palazzo di Malekith in silenzio, il vento che gli sferzava il viso non gli era mai sembrato tanto freddo. Nemmeno quando raggiunse il palazzo di Malekith e il suo ghigno mefistofelico gli si parò davanti come il peggiore degli incubi, Loki parlò. Un pensiero solcò la sua mente, un pensiero breve, bruciante come il fuoco: Loki lo accolse col sorriso amaro di chi aveva imparato a convivere con i propri demoni ma non ad accettarli.
 
In realtà, era sempre stato uno scorpione.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

- Note dell’Autrice.

 

  1. La canzone iniziale è “In all my dreams i drown”, tratta dal musical “The Devil’s Carnival”. Se potete, vedetelo. A me è piaciuto molto. :)

  2. Argr: È un termine utilizzato nell’antica civiltà nordica in modo dispregiativo. Il suo significato variava dal “frocio” al “uomo senza attributi”. So che è un termine davvero  terribile, ma nella mitologia viene usato spesso, e mi sembrava appropriato inserirlo nella storia. Spero di non aver urtato nessuno, sono la prima ad essere contro l’omofobia e il razzismo.

  3. Per chi non conoscesse questa favola, ecco qui il link: http://it.wikipedia.org/wiki/Favola_della_rana_e_dello_scorpione

  4. Il mito è vero, lo potete benissimo trovare su Wikipedia, da cui ho preso il pezzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Orfeo#Il_mito

  5. Una citazione dell’Edda poetica.

 
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TA-DAAAAAN! (cit. Loki)
 
Eccomi – di nuovo – qui! Vi sono mancata? Dopo questo capitolo ne dubito… *va a nascondersi*
Non ho molto da dire al riguardo. Solo che prima di pubblicarlo mi sono fatta un sacco di pippe mentali e che spero di aver mantenuto Loki IC. La scena in cui dice “Non sono uno scorpione… perché sono Loki” esiste anche nei comics, seppur in circostanze del tutto differenti. Come potete vedere, Loki è davvero così stronzo. XD
By the way, penso che avrete tutti capito che adoro la mitologia greca. Anche nel prequel i riferimenti ad essa sono molti. Quella di Orfeo e Euridice, inoltre, è una delle mie preferite, sono felice di averla potuta adattare alla storia.
 
Spero di poter postare il capitolo quindici il più presto possibile. Se dovessi mancare per troppo tempo (tipo un mese...), sappiate che la colpa è di mia madre che mi ha sequestrato tutto. ç – ç
 
Come al solito, ringrazio la carissima
  vannagio , che ha corretto tutti i miei e(o)rrori. Grazie mille, Vanna. <3
 
Se vorrete mettervi in contatto con me, ecco qui il mio Facebook e il mio Ask.
 
FB: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
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See ya! :)
 

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Capitolo 15
*** What have you done? ***


~What have you done?

I know I should stop believing
I know there's no retrieving
It's over now, what have you done?

 
 

«Mio signore» La voce di Malekith era un sussurro appena percepibile nell’oscurità della stanza. Thanos alzò lo sguardo su di lui e assottigliò gli occhi in due fessure scintillanti. Accanto a lui, Eris ghignò.

«Ah, sei qui Malekith», lo apostrofò con mellifluità. «Cominciavo a dubitare della riuscita del tuo piano».

«Donna di malafede», rispose Malekith, scoccandole un’occhiata in tralice. «Dato che fremi dalla voglia di vederlo, Eris, sarà tua premura presentare il nostro ospite…».

Accanto a Thanos, Eris si irrigidì come una statua e ringhiò scocciata. Parve in procinto di attaccare Malekith, ma lui glielo impedì. Non vi era tempo per degli inutili conflitti.

«Parla, Elfo. Chi hai portato?» Domandò perentorio. Prima che Malekith potesse parlare, Loki Laufeyson fece il suo ingresso. Il suo volto era scavato come lo ricordava, i suoi capelli più lunghi e il suo sguardo più affilato. Ostentava sicurezza mentre si avvicinava con passo deciso verso di lui, ma Thanos sapeva che quella era solo l’ennesima maschera. Loki Laufeyson aveva paura, era terrorizzato, e questo non faceva altro che renderlo una sciocca pedina nelle sue mani.

«Sei giunto, dunque, figlio di Laufey... Per morire?» Thanos fece una pausa, come se in quel modo le sue parole potessero assumere una nota più solenne. «… o per strisciare?».

Loki non rispose, ma sul suo volto pallido si designò un ghigno obliquo. Senza proferire parola, afferrò qualcosa dentro la sacca legata alla cintola dei suoi pantaloni. Thanos capì di cosa si trattava solo quando un barlume azzurrino gli offese la vista.

Il Tesseract.

«Sono qui per mantenere la mia parola», dichiarò Loki, avanzando verso di lui. La sua voce era ferma e decisa, ma il suo sguardo tradiva una nota d’insicurezza. «E per stringere un patto».

«Un patto, Laufeyson?», lo sbeffeggiò Thanos. «E cosa potresti offrirmi tu, che non hai nulla? Non sei né un asgardiano né uno Jotun, né sole e né ombra… sei solo un bugiardo».

«Ti sto offrendo il Tesseract, il potere, proprio come ti avevo promesso. In cambio voglio che tu mi conceda il Trono di Asgard e che mio figlio torni in vita» Replicò lui, malcelando una smorfia di fastidio per le parole rivoltegli.

Thanos digrignò i denti e strinse più forte i braccioli dello scranno, nervoso. All’improvviso, l’Altro balzò in piedi di scatto e scrutò Loki con sdegno.

«Un accordo stretto col Signore delle Menzogne non vale nulla! Hai già avuto la tua opportunità in passato, figlio di Laufey, non turbare ancora il mio signore con le tue sporche menzog–» Bastò un colpo secco e deciso del pugno di Thanos e subito l’Altro venne scaraventato contro il muro anteriore della sala, distruggendolo in gran parte. Quando il suo lamento agonizzante lo raggiunse, Thanos schioccò la lingua in una smorfia infastidita. Inutile insetto, pensò. Da qualche parte nella sala, fu certo di udire Eris sussurrare un laconico “Era ora”.

Rivolse lo sguardo verso il Dio degli Inganni. La sua maschera di spavalderia peccava di perfezione, e lui riusciva già a intravederne le crepe. Povero insulso, pensò in un moto di ilarità. Quante altre perdite dovrai subire, prima di accettare la resa?

«Non sei in grado di porre condizioni, Loki Laufeyson», lo apostrofò. «Ed io non sono in vena di insulsi giochetti. Nonostante ciò, tutti i Nove Regni sono a conoscenza della mia… clemenza, per cui accetterò il patto e ti darò una seconda occasione. Se è il Trono di Asgard ciò a cui miri, te lo concederò, così come ti renderò la vita di tuo figlio, una volta che sarà tutto concluso. Ma prima…», le ombre nella sala si fecero più fitte, più intricate; riempivano le fenditure e danzavano al ritmo delle fiaccole. Thanos gli si avvicinò con lentezza, la mano tesa nella sua direzione e un sorriso sinistro a incupirgli il volto. «Voglio che tu mi renda il Tesseract, e che giuri fedeltà alla mia adorata Morte… sai a cosa mi riferisco».

Gli occhi di Loki si ridussero in due piccole fessure verdi, le sue mani si serrarono per la rabbia e tutto di lui divenne un constante tremolio. Afferrò il suo pugnale e, continuando a fronteggiare il suo sguardo, fece scorrere la lama trasversalmente sul palmo della mano. Thanos ghignò soddisfatto. La Morte richiedeva sangue e sangue avrebbe ricevuto: il sangue di Loki Laufeyson era sporco, macchiato dei crimini più atroci e indicibili, era il sangue di chi viveva di rimorsi e bruciava d’invidia. Sarebbe stato un’ottima offerta, per la Morte.

Loki gli porse la mano ancora sporca di sangue, e Thanos la strinse con vigore senza smettere di sogghignare. Il sangue del Dio degli Inganni era viscido, proprio come lui.

«Un patto di sangue» Disse.
«Un patto di sangue» Ripeté Loki, solenne.

Dopo aver pronunciato quelle parole, un lungo filo rosso si materializzò attorno alle loro mani, scottante come il fuoco; nessuno dei due lasciò andare la presa finché non scomparve. Rimase soltanto un disegno curvilineo che risaliva le dita d’entrambi, per poi terminare all’inizio degli avambracci come un sinuoso serpente rosso.

«Adesso rendimi il Cubo, Laufeyson…».

Con riluttanza, Loki gli porse il Tesseract e Thanos lo afferrò con rapidità. Lo aprì, sfiorò il suo cuore – una piccola sfera dai toni bluastri – e subito il suo braccio destro venne pervaso da uno strano formicolio che diveniva sempre più fastidioso via via che il tempo passava, fin quando non si trasformò in un vero e proprio male al braccio. Thanos Grugnì di dolore, stringendo i pugni così forte da graffiarsi i palmi. La sua pelle violacea si tinse di venature argentate e luminose, i suoi occhi brillarono di azzurro. Tutto girava senza sosta, il suo cuore pompava sempre più velocemente. Era come se qualcosa dentro di lui stesse lottando per uscire, e faceva male, molto più male di quanto avesse immaginato; eppure, in mezzo al dolore, sentiva una sensazione di assoluta potenza scorrergli nelle vene, d’invincibilità, e si sentì come rinascere. Il Tesseract lo stava cambiando esteriormente e interiormente. Stavano diventando un tutt’uno.

Poi, così com’era arrivata, quella luce accecante svanì e Thanos aprì gli occhi, scontrandosi con il volto deturpato e turbato di Malekith che lo fissava alcuni metri più in là.

«Mio signore…», borbottò con voce metallica. Nessun altro osava proferire parola. «Mio signore… vi sentite bene?».

Thanos si alzò con pesantezza e si mise di fronte alla colonna più vicina. La superficie dorata gli restituiva un nuovo riflesso: la sua pelle era percorsa da molteplici venature argentee e i suoi occhi luccicavano di una luce strana e sinistra; tutto di lui sembrava essere più robusto e massiccio, ma più leggero. Era come se la Sindrome Deviante* fosse svanita dal suo corpo.

Il suo sguardo si posò su ciò che era rimasto del Tesseract: una mera scatolina che brillava di una luce azzurra ben più flebile rispetto a prima. Lo prese, rigirandoselo fra le dita con noia, e decise di lasciare ciò era rimasto del suo potere per dopo.  

«Thanos…», la voce di Eris era ridotta a poco più di un pigolio. Lui la guardò: il suo volto candido era ridotto a una maschera di sgomento, gli occhi dorati riflettevano una luce spaventata che non le aveva mai visto addosso. «Fratello… tu sei…».

«Potente, Eris. Molto più di quanto lo sia mai stato in vita mia. Sono divenuto un tutt’uno con il Tesseract, e ora…», fece una pausa. Non si era mai sentito così… invincibile. L’energia del Tesseract scorreva nelle sue vene e con essa il desiderio scalpitante di riprendersi ciò che in passato gli era stato negato: il potere, il rispetto e tutti i Nove Regni. «… ora nessuno riuscirà più a fermarmi!», berciò, mentre tutto il suo corpo veniva scosso da risate sempre più grasse e sguaiate, che rimbalzavano contro pareti forti come un tamburo.

Nessuno si sarebbe più messo sulla sua strada, neanche Odino, con tutti i suoi poteri, sarebbe riuscito a fermarlo.
 

«C’È UN OSCURO DIETRO DI TE, ATTENT–– AAAH!».

Steve si voltò di scatto e sferrò un pugno all’Oscuro che aveva tentato di colpirlo alle spalle, mandandolo KO. Poi accese l’auricolare.
«Grazie, Darcy», borbottò. «Ma preferirei che la prossima volta non urlassi… rischio di diventare sordo», dall’altra parte dell’auricolare, Darcy ridacchiò nervosamente e biascicò un “Ehm… scusa” tentennante.

La stagista della dottoressa Foster, il dottor Selvig, l’agente Maria Hill e il direttore Nick Fury si trovavano ancora alla base, a monitorare tutto tramite dei computer che mostravano loro la situazione. Steve era affascinato da tutte quelle nuove tecnologie militari, eppure non riusciva ancora a capacitarsene. Com’era possibile che in così poco tempo fosse cambiato tutto quanto? Non andava contro qualche legge fisica o qualcosa di simile? Ad ogni modo, quello non era affatto il momento giusto per pensarci.

«Agente Romanoff, agente Barton, mi ricevete?» Domandò all’auricolare attaccato alla tuta, dirigendosi a Est della biblioteca. Subito tre oscuri gli si pararono davanti. Steve storse la bocca: non avevano l’aria amichevole.

L’auricolare trasmise il rumore di uno sparo, poi di un altro sparo e infine un’esplosione. Steve capì da dove proveniva solo quando una macchina atterrò improvvisamente addosso ai tre oscuri dinanzi a lui, schiacciandoli.

… oh.

«Chiaro e tondo, Cap», la voce dell’agente Barton non sembrava affaticata, solo un po’ irascibile. «… Ah, merda! Questi dannati cosi puzzano di sushi avariato, una volta morti!» Steve non aveva mai provato il sushi – l’agente Romanoff ne ordinava in continuazione, però –, e adesso era sicuro che non l’avrebbe mai fatto.
 
«Ascoltatemi: dovete cercare di distrarre quegli Elfi a Nord-Est, fuori dalla mia portata, intesi?» Ordinò, zigzagando fra le macerie.
«Affermativo, Capitano» Rispose Natasha, seguita dal rombo di una scarica di proiettili.

Steve spense momentaneamente l’auricolare e si nascose dietro il rottame di una macchina. Pochi metri più in là, vi erano una decina di oscuri, e lui non aveva la minima idea di come passare inosservato.

«Stai facendo un sonnellino, Capitano?» Stark atterrò dietro di lui con grazia: la sua armatura era scheggiata in più punti, ma il suo sorriso beffardo era ancora lì. Subito Steve lo tirò verso di sé, allarmato.
«Che diavolo fai?!», sussurrò con stizza, a pochi centimetri dal suo volto. Stark sollevò la visiera dell’armatura e inarcò un sopracciglio. «Se ci vedono ci ammazzano!».

Tony rimase a fissarlo per un tempo che a Steve parve infinito, poi si alzò e si affacciò dalla macchina per vedere la situazione, fece una smorfia e gli rivolse uno sguardo piccato. Infine si diresse volando verso quegli Oscuri. Steve non ebbe neanche il tempo di capire la situazione che l’ennesima esplosione avvolse tutto ciò che gli era attorno. Solo grazie al “riparo” che la macchina gli dava non rimase carbonizzato. Quando la situazione si tranquillizzò si alzò con furia cieca e si diresse verso Stark.

«Sei impazzito?!», gridò. «Stavi per ammazzarmi! Che diavolo avevi in ment– oh», si bloccò, a corto di parole. Stark aveva appena fatto fuori non dieci, ma ben venti di quegli oscuri. Il tutto senza procurarsi neanche un graffio – ovviamente. Steve ebbe l’insano impulso di mangiarsi le mani.
«Non c’è bisogno che mi ringrazi», il sorriso sghembo di Tony Stark lo mandò fuori di testa. Era come se qualcuno gli stesse annodando le budella. «So già che mi adori!», sussurrò allontanandosi. Steve dovette ricorrere a tutto il suo buonsenso per non prenderlo a pugni.

Un pallone gonfiato proprio come suo padre, ecco cos’è!

I suoi pensieri vennero deviati da un’improvvisa scarica di proiettili alla sua destra, Steve si voltò e vide l’agente Barton e l’agente Romanoff lottare allo stremo delle forze con un gruppo di Oscuri che li aveva accerchiati. D’istinto, fece per raggiungerli e dar loro aiuto, ma Stark lo anticipò.

«Lascia stare, zio Sam», lo canzonò, librandosi in aria. «Hai ben altro a cui pensare, al momento… COME AD ESEMPIO AD HULK CHE SI DIRIGE DRITTO VERSO DI NOI!».

L’enorme gigante verde e rabbioso, infatti, stava sfrecciando a tutta velocità verso la biblioteca, urlando a pieni polmoni “HULK SPAKKAAAA!!”: travolse un centinaio di Oscuri, veicoli e, infine, la biblioteca stessa. Quando Tony gli fece un cenno nervoso con le dita e sussurrò uno stentato “È tutto tuo!”, Steve capì cos’era appena successo.

«Capitano Rogers, è vicinissimo al ciondolo, non perda tempo!» Gli urlò la voce rauca di Nick Fury al suo orecchio. Steve si riprese dall’intorpidimento iniziale e, in un ultimo tentativo, prese a correre verso la biblioteca finché, come in un vecchio film muto, lo vide. E sbiancò.

L’Hulk. Era appeso. Su un balcone della biblioteca. Biblioteca in cui era nascosto il ciondolo che loro dovevano recuperare. L’Hulk.

«No… nononononono NO!! FERMO! DOTTOR BANNER, SI TOLGA DA LÍ!! SI TOLGA DA LÍ ADESSO!! DOTTOR BANNEEEEEEE–».

CRAAAAAAAAAAASSSSH!!!

Tutto divenne grigio, Steve non riusciva a vedere più niente. Attorno a lui regnava solo il caos e la polvere. Capì dall’odore del cemento e dal vento freddo che la biblioteca era crollata, mentre un terribile mal di testa gli disse di aver preso una bella botta. Tossì forte, i polmoni sembravano andargli in fumo e le orecchie gli fischiavano anche più di prima.

L’auricolare prese a ronzare e Steve udì distintamente la voce del Direttore Fury mentre urlava di dirgli cos’era successo e perché il puntatore che rilevava il Tesseract fosse sparito.

La coltre di fuliggine si dissipò, ma Steve non accennava a smettere di tossire. Si rimise in piedi, e solo quando la sagoma gigante dell’Hulk che cercava di trattenere ciò che era rimasto della biblioteca e quelle più minute degli altri Vendicatori gli si pararono davanti, ci mancò poco che non scoppiasse a piangere di disperazione. Il resto dei Vendicatori lo guardavano impietriti, evidentemente confusi e stravolti, e Steve fu abbastanza certo di udire Tony Stark biascicare qualcosa di simile a un “Pepper me lo aveva detto che non era una buona idea…”.

Si avvicinò ad Hulk con andatura pesante, colma di rabbia e frustrazione. Il resto del gruppo dovette percepire il suo stato d’animo, perché improvvisamente divennero bianchi come dei cenci. Dal canto suo, l’Hulk sembrava aver capito la gravità della situazione,  poiché continuava invano a rimettere a posto i mattoni che erano crollati, come se così facendo avesse potuto sistemare tutto.

Steve avrebbe voluto gridare, tirarsi i capelli e colpire alla cieca qualsiasi cosa. Le sue spalle continuavano ad irrigidirsi e il suo respiro a farsi più pesante e grave.

Perduto. Il Tesseract, la nostra unica fonte di salvezza, è andato PERDUTO!

«C-Capitano Rogers…», biascicò la voce di Darcy Lewis da una gran distanza. Steve sbatté le palpebre e si ridestò da quella profonda trance. La testa continuava a ronzargli e la frustrazione gli annodava le viscere, eppure qualcosa – Steve non riusciva a spiegarsi cosa – non gli permetteva di scoppiare del tutto. «Si… si sente bene? Cos’era quel rumore?».

Con dita tremanti, Steve premette il tasto d’accensione dell’auricolare.

«La missione è fallita. La biblioteca è appena stata abbattuta – l’Hulk ci è accidentalmente finito addosso. Abbiamo perso il ciondolo, con molte probabilità è andato distrutto. Perlomeno tutti gli Oscuri presenti in zona sono stati fatti fuori, a quanto pare…» Rispose con voce rotta. Non riusciva a crederci. La loro unica fonte di salvezza era andata distrutta... distrutta!

Dall’altra parte dell’auricolare calò il silenzio, come succedeva al fronte molti anni prima, quando un soldato moriva o una missione falliva. Fu come gettare sale su vecchie ferite ancora aperte.

Poco più in là, l’Hulk lasciò cadere a terra gli ultimi mattoni che aveva cercato di trattenere, provocando un rumore infernale. Perso com’era nei suoi stessi pensieri, Steve sussultò. Per la prima volta, l’Hulk si strinse nelle spalle e assunse un’espressione sinceramente mortificata.

«Hulk dispiaciuto…».

Steve non ebbe la forza necessaria per ribattere.
  

Un tuono, assordante come non ne aveva mai uditi prima, squarciò il cielo. Emily sussultò di spavento e si alzò subito a sedere, terrorizzata e con il cuore che le batteva a mille.

Si passò una mano sul volto e cercò di ricordare gli ultimi eventi accaduti, e subito le immagini della sera precedente le tornarono alla mente tutte insieme. Con la testa che le girava, si diresse velocemente fuori dalla grotta, là dove Thor continuava a scagliare fulmini e saette. Emily gli corse incontro e lo trattenne per un braccio.

«Thor!», gridò, ma lui non finiva di dimenarsi. «Thor, smettila! Smettila! Ci scopriranno! Vedranno i fulmini… verranno qui… Thor, Loki ha detto che dobbiamo–».

Thor si voltò di scatto e la sovrastò con la sua enorme stazza; il suo volto era una maschera di rancore, i suoi occhi erano ridotti a due fessure sottili e cerulee piene di rabbia. Emily si sentì terribilmente piccola in confronto a lui e ammutolì di colpo.

«Loki?», la sua voce era dura, sprezzante. Diversa da quella che aveva di solito quando le parlava. Emily non riusciva a capire, la testa continuava a martellarle. «Loki è andato via, Emily! Ci ha lasciati qui, è scappato e adesso sarà chissà dove a tramare uno dei suoi dannati inganni!».

La presa sul braccio di Thor cedette di colpo ed Emily non riuscì più a dire nulla. Era come se qualcosa, dentro di lei, si fosse spezzato. Thor continuava a parlare, ad insultare Loki e maledire gli Antichi dèi, ma lei non lo sentiva. Era lontana anni luce da lui, da Svartálfaheimr e probabilmente dall’intero universo. Rimaneva solo quel vuoto che, goccia a goccia, le riempieva il petto.

È andato via, vedi? Sei rimasta di nuovo da sola, alla fine. Sei stata una sciocca a fidarti di lui.

«No!» I suoi pensieri presero voce prima ancora che potesse rendersene conto, e all’improvviso Emily si ritrovò a correre verso la grotta alla ricerca di Loki. C’era una lacrima appesa sulle sue ciglia, ma non cadeva. Rimaneva lì, in attesa. Come quell’ultimo briciolo di speranza che le era rimasto, un ultimo disperato grido d’aiuto. Quando varcò la soglia della grotta e chiamò il nome di Loki, nessuno rispose. Solo allora la lacrima cadde, unica e dolorosa, ed Emily non fece nulla per ricacciarla indietro.

Il ricordo delle loro labbra che si sfioravano le tornò alla mente tagliente come una stilettata, ed Emily lo assorbì con dolore e con rabbia. Era andato via, alla fine. L’aveva di nuovo lasciata da sola. Emily provò ad odiarlo ma non ci riuscì, quindi decise di odiare se stessa per essere stata così stupida da non riuscire a capire le sue vere intenzioni. Non pianse, quell’ultima lacrima le aveva portato via ogni tristezza, ogni dolore, ogni cosa, ma digrignò forte i denti e strinse i pugni finché le unghie non le ebbero scavato la carne. Il dolore fisico era terribile, ma i ricordi facevano ancora più male ed Emily fu costretta a mordersi l’interno guancia per non gridare.

Non avrebbe più pianto, né urlato, né fatto qualsiasi altra cosa che avrebbe fatto tempo addietro, quando era solo una sciocca dama di compagnia incapace di fare qualsiasi cosa fuorché piangere e chinare il capo. Aveva smesso nel momento stesso in cui Vàlì era morto davanti i suoi occhi e lei non aveva potuto fare niente per aiutarlo, in cui aveva capito che posto buio e tenebroso fosse il mondo e che bisognava lottare con le unghie e con i denti per non soccombere. Per tutta la sua vita era stata in disparte, a cercare di comprendere i comportamenti di Loki, a giustificarlo, ma questa volta era diverso, lei era diversa. Non c’erano più giustificazioni, nessuna tolleranza. Era andato via? Bene. Sarebbe arrivata all’Hel da sola, allora, e quando lo avrebbe ritrovato – oh, se lo avrebbe ritrovato! – gli avrebbe spaccato la faccia e lo avrebbe preso a pugni, proprio come faceva da bambina. Avrebbe fatto di tutto pur di avere giustizia per Vàlì, con o senza di lui.

«Ha lasciato questa» Emily si voltò di scatto. Non si era accorta della presenza di Thor.

Prese la pergamena che aveva tra le mani e la srotolò: era un sentiero. Loki aveva lasciato loro un percorso ben dettagliato su come arrivare all’Hel. Le sue dita tremarono impercettibilmente e il cuore prese a battere più velocemente, fino a far male. Emily si passò una mano sul volto con pesantezza e corse a prendere il suo pugnale e una sacca: vi mise dentro delle provviste, qualche pozione e la mappa, poi uscì dalla grotta. Thor le fu accanto in pochi istanti.

«Dove stai andando? Senza Loki siamo spacciati. Non conosciamo le avversità di Svartálfaheimr!».

Emily si voltò con stizza e fece cadere la sacca a terra. Puntò un dito contro il petto di Thor.

«Non tornerò ad Asgard dopo tutto quello che ho fatto per arrivare fin qui, Thor. Ho letto dei libri sull’Hel e la mappa riporta ogni via che dobbiamo percorrere. Porterò avanti questa cosa con o senza di lui!».

Fece per andarsene, ma Thor le afferrò il polso con forza e la fece voltare verso di lui. «Non ti permetterò di andare da sola, Emily. Ho già subito troppe perdite, se si aggiungesse anche la tua per me sarebbe insopportabile!», disse. Emily rimase per alcuni secondi a fissarlo, in silenzio, come se stesse soppesando le parole giuste da dire. Infine si strattonò da lui, prese la sacca da terra e la strinse alla cintola dei pantaloni.

«Vieni con me, allora», biascicò fra i denti. Thor aggrottò la fronte e sospirò con amarezza.
«Anche se arrivassimo fin lì cosa credi succederebbe? Hel è la Signora dell’Oltretomba, persino mio padre ne ha timore. Ci servirebbe un’armata, dei soldati, un piano!».
«Tu ami Jane Foster, non è vero, Thor?».

A quella domanda, Thor tacque e il suo volto si oscurò di un’improvvisa angoscia.

«Più di qualsiasi altra cosa» Boccheggiò in un sussurro. Emily non lo aveva mai visto tanto provato. Sembrava che tutta la baldanzosa spacconeria che lo aveva sempre contraddistinto, tutto il suo coraggio e la sua prodezza si fossero spenti insieme al cuore di Jane. Non ebbe la forza di giudicarlo, perché anche lei sapeva quanto poteva far male quel vuoto dentro il petto. Di colpo, la furia che le lambiva le viscere rallentò, fino a scomparire del tutto. Adesso non c’era più Loki nei suoi pensieri, ma Thor e la mortale. Thor le era sempre stato accanto in quei mesi, ora toccava a lei ricambiare il favore.

Strinse la sua mano in un gesto affettuoso, fraterno. Thor alzò lo sguardo su di lei ed Emily gli rivolse un sorriso sicuro, nonostante nulla di lei, in quel momento, lo fosse.

«Allora aiutami a salvarla, Thor. Salva Jane, e salva Asgard».
 
 
Svartálfaheimr. Tre giorni dopo.
 
«E così sei giunto alla fine. Non ci speravo quasi più, amore».

La voce di Eris era tagliente e beffarda. Nell’oscurità della stanza, risuonò maligna come il sibilo di un serpente. Loki le rivolse un’occhiata di fuoco e strinse i pugni con stizza. Non aveva dimenticato ciò che aveva fatto ad Emily. Nonostante fossero passati tre giorni dall’ultima volta in cui l’aveva vista, era ancora viva nei suoi pensieri e la cosa lo innervosiva.

«Taci, inutile donna», disse. «Se sono qui non è per diletto, ma per il mio tornaconto».

«Oh, non ne dubito», sussurrò lei, tagliente. Le sue dita scorsero lente sulle spalle di Loki, che a quel tocco s’irrigidì come una statua. Gli scostò un ciuffo di capelli dal viso, mettendoglielo dietro l’orecchio. Loki poteva sentire il suo respiro caldo sul collo. «… Tutto questo solo perché Loki ha bramosia di un trono».

«Un mio diritto di nascita!».

Eris gli si parò davanti all’improvviso, in un fruscio di seta e sensualità. Gli prese il mento fra le dita con decisione e lo guardò dritto negli occhi.
«Il tuo diritto di nascita era morire, amor mio, abbandonato su rocce di ghiaccio quando eri solo un moccioso. Se Odino non ti avesse salvato, ora non potresti essere qui ad odiarmi*», sussurrò laconica, senza smettere di sorridere. Loki sentì la rabbia lambirlo all’improvviso, violenta come un pugno sul volto. In un scatto felino agguantò il collo di Eris, che ghignò sardonica, e la sbatté contro il muro alle sue spalle.

«Non mettere a dura prova la mia pazienza, Eris», disse, stringendo la presa. Il sorriso della dèa non vacillò. «Stai giocando col fuoco», soffiò fra i denti. Eris rise e scomparve come sabbia al vento, riapparendo alle sue spalle.

«Non immagini neanche lontanamente quanto mi ecciti questo gioco, amor mio. Osservarti mentre ti atteggi da assassino, mentre credi di avere tutto sotto controllo, che le cose cambieranno, è terribilmente illecito quanto immorale, ed io ho sempre avuto una passione spietata per i giochi pericolosi. Sappiamo entrambi che ti sei solo consegnato nelle mani del lupo, e che presto il lupo avrà fame, per cui…», fece scorrere l’indice sulla sua guancia, leccandosi le labbra. «… cosa ne sarà della tua piccola volpe, quando sarai morto?».

Il ricordo di Eris mentre tentava di accoltellare Emily lo trafisse da parte a parte, tagliente come una spada. Loki aggrottò la fronte d’istinto e trattenne il fiato. Aveva ancora ben impressi nella mente lo sguardo di Emily e le sue mani grondanti di sangue mentre Eris la teneva per i capelli, premendo la daga sul suo collo. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena, e Loki serrò le labbra.

«Prova anche solo a toccarla…».

Eris rise sardonica. Solo in quel momento Loki si accorse di averla afferrata per un braccio.

«E cosa, amore mio, mi ucciderai?», chiese lei con voce sottile e infantile, sbattendo le ciglia. «Magari prima dovresti imparare a proteggere te stesso, prima che gli altri… non credi?».

Loki non rispose. Tutto il suo corpo era scosso da brividi e la testa non smetteva di ronzargli. Uccidila, uccidila, urlava una voce nella sua mente, sovrapponendosi all’altra che diceva di non stare al suo gioco. Loki aveva voglia di gridare fino a graffiarsi la gola.

«Ma non preoccuparti, amore mio. Non verrà torto un capello alla tua piccola volpe. E sai perché?», il suo viso si fece più vicino, il suo sorriso più obliquo. Loki non ne fu certo, ma ebbe l’impressione che persino i suoi occhi fossero diventati più cattivi. «Perché sarà lei stessa a farlo... io non farò nient’altro che stare a godermi lo spettacolo».

«Di che parli?», soffiò fra i denti, scontroso. «Parla!».

Eris sorrise melliflua e dalle sue dita sottili apparve la forma rotonda di una sfera violacea.
 
Loki la riconobbe come la stessa che aveva visto tempo addietro nei ricordi della dèa e il suo cuore fece una capriola. Assottigliò le labbra, cercando di mantenere un’espressione dura e seria. Dentro di lui, tutto faceva a botte.

«Guarda tu stesso…» La voce di Eris arrivò a Loki lontana come un’eco, troppo concentrato ad osservare le immagini che scorrevano dentro la sfera com’era: c’erano Emily e Thor, avvolti da uno spesso drappo di nebbia e oscurità, stremati mentre lottavano contro una Gigantessa. Il fiato gli venne meno e d’istinto Loki si allontanò dalla sfera. Conosceva quell’essere, ne aveva letto su molteplici libri, ma non avrebbe mai creduto che fosse reale, il solo pensarlo era impossibile...

«Lei è…».

«Móðguðr, la Guardiana posta a guardia del ponte d’oro Gjallarbrú, che conduce nel Regno di Hel», lo anticipò Eris, incurvando le labbra. Sul suo viso candido si delineò una smorfia di scherno. «Avrei scommesso che quei due idioti sarebbero morti in poco più di un’ora. Sono sorpresa che siano giunti fin lì… non trovi, Loki?».

Loki non rispose. Non aveva messo in conto che Emily avrebbe intrapreso la strada per l’Hel insieme a Thor. Aveva pensato che solo lui sarebbe andato, che avrebbe avuto quel briciolo di buonsenso da mettere in salvo almeno lei! Loki strinse i pugni lungo i fianchi e contrasse la mascella mentre la voglia scalpitante di urlare gli attorcigliava le viscere. La bile gli salì su per la gola e il petto bruciò di collera e rimorso.

Nella sfera, Emily sguainò uno dei suoi pugnali e lo lanciò verso la gigantessa, che ruggì di rabbia e tentò di colpirla, ma Thor fu più svelto e la trascinò via da lì. Loki non riusciva a distogliere lo sguardo. Móðguðr ruggì nuovamente, gli occhi iniettati di sangue che reclamavano morte e distruzione. Thor le scagliò contro una scarica di fulmini e saette: il suo sguardo era pieno di furore, di paura e di ira e sul volto sgocciolava una viscida scia di sangue scarlatto. A pochi metri da lui, Emily continuava a lottare. Loki non l’aveva mai vista tanto determinata. Sembrava lontana anni luce dalla donna ornata di pizzi e piena di timore che aveva visto al palazzo.

Ad un tratto, la gigantessa le sferrò un gancio ed Emily volò via diversi metri, finendo distesa sulla steppa arida. Thor urlò, ma Loki fece fatica ad udirlo. La paura aveva preso il sopravvento, le sue dita tremarono e gli occhi si sgranarono più del dovuto. Improvvisamente, la sfera iniziò ad annebbiarsi, le due figure a sfocare, e Loki si sentì perduto.

No… no…NO!

La scosse, cercò di incantarla, provò qualsiasi cosa pur di scoprire cosa stesse accadendo, finché tutto divenne scuro e Thor ed Emily svanirono completamente.  

«Che cosa hai fatto?!», urlò ad Eris, gli occhi ridotti a due fessure iraconde. Tutto di lui era un tremito continuo, la sua voce spezzata. Era colpa sua se Emily si trovava in quel luogo di morte, se Vàlì era morto, se era accaduto tutto ciò. Non riusciva più a ragionare, a pensare con lucidità. Il suo unico pensiero era per Emily, per Thor e per quelle dannate immagini!

Doveva fare qualcosa, doveva agire, e doveva farlo in fretta.

Eris sorrise di gusto, una risata così chiara e musicale che Loki stentava a credere che provenisse da lei, e gli accarezzò la guancia.

«No, Loki. La vera domanda è… cosa hai fatto tu?».

La sua risata riecheggiava ancora fra le pareti, terribile come un incubo antico, quando Eris svanì. Loki guardò la sfera, il cuore in gola e la mente piena di nodi, e la scagli lontano, gridando così forte che le vene delle tempie gli si gonfiarono e i polmoni presero a bruciare come mai prima d’allora. Stremato, si lasciò cadere a terra con pesantezza, sconfitto dai suoi stessi pensieri, e una lacrima solitaria gli bagnò le ciglia, minacciando di cadere.
Ancora una volta aveva fallito. Ancora una volta non sarebbe riuscito a mantenere la promessa.

Nel silenzio assordante della stanza, gli sembrò che l’oscurità si fosse infittita sino a soffocarlo. In quel momento risentì la risata giocosa di Emily mentre da bambini giocavano insieme. Solo allora la lacrima cadde, e Loki non fece nulla per trattenerla*.   
 
 
 
 
 
 
- Note dell’Autrice.
 
  1. La canzone iniziale è “ What have you done”, dei Whitin Temptation.
  2. La malattia che affligge Thanos sin da ragazzo. Se volete saperne di più, eccovi il link di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Thanos
  3. Sì, ho davvero riportato questa frase bastardisssssima rubacchiata dal film.
  4. Questa similitudine con il POV di Emily è del tutto voluta. Non sono scema! XD Verrà spiegata più avanti, don’t worry.
 
Ebbene, eccomi qui! :D

Sì, sono viva. La pagella è andata piuttosto bene ed io posso continuare ad usare internet,  per vostra (s)fortuna. Ad ogni modo non ho molto da dire su questo capitolo, se non che finalmente Emily incomincia ad incazzarsi sul serio (direi che era anche ora, no?) e che Eris è la solita stronza. Ah, che bel gruppetto…

Btw, dal prossimo in poi si entra verso il percorso finale di questa storia. Mio Dio… non ci credo nemmeno io. *piange in un angolino*

Comunque, news in arrivo: io e 
TheRedPhoenix, durante le nostre solite chiacchierate (alias: scleri) in chat, abbiamo avuto un’idea sempre riguardante la storia. Chi mi ha su Facebook la saprà già, ma ci tengo a scriverla anche qui: Come tutti sapete, il quattro Marzo si celebrerà Carnevale ( o perlomeno così mi è stato detto. Correggetemi se sbaglio), ovvero la festa in cui tutti possono essere qualcun altro per un giorno, e ciò ci ha portato a pensare: "E se Loki ed Emily fossero stati degli studenti di Hogwarts?". Non voglio dirvi di più, ma tenetevi pronti al peggio! :)

Spero di postare al più presto il capitolo sedici. In caso non doveste più vedermi né su Facebook né su EFP, saprete che – come al solito – la causa è mia madre. ç-ç
 
Come al solito, vi lascio il mio link di Facebook ed Ask, caso mai qualcuno volesse pormi delle domande:

Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
Ask: http://ask.fm/HarmonyEfp

Ne approfitto anche per ringrazire 
vannagio per aver betato il capitolo. Grazie, grazie e grazie mille ancora!
 
Bacioni, e alla prossima! ^^
 
 

 

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Capitolo 16
*** The Orpheus's path ***


~The Orpheus's path

When she embraces
Your heart turns to stone
She comes at night when you're all alone
And when she whispers
Your blood shall run cold
You'd better hide before she finds you


 
 
Emily aprì gli occhi con un sussulto. Immagini sfocate e confuse le si proiettarono davanti, terribili come il dolore che le martellava la testa. Gemendo, si passò una mano sulla fronte, scoprendo così di star sanguinando copiosamente, e tentò di alzarsi. Crollò a terra, e subito una scarica di dolore le percosse la schiena, facendola guaire come un cane ferito. Era come se mille lame la stessero trapassando da parte a parte, martoriandola con lentezza; non sentiva più nulla dall’orecchio sinistro, solo un ronzio insopportabile, e il suo braccio destro era ridotto a un ammasso di carne colmo di lividi e graffi.

Solo quando due luminosi occhi azzurri le si pararono davanti, Emily ricordò cos’era accaduto. Prima di raggiungere l’Hel, lei e Thor avevano dovuto attraversare la Foresta Incantata* , lo stretto del Mare di Marmora e il Regno di Valhalla, chiamato così perché le sue lande avevano visto cadere molteplici nobili guerrieri, ora abitanti del Regno Sacro. Era una terra sacra, quella: il silenzio che vi regnava era pesante come una coperta bagnata. Sembrava quasi pervasa da un’aura mistica, la quiete prima di una tempesta, ed Emily aveva sentito il cuore stringersi in una morsa d’ansia.


Giunsero nel Valhalla a notte inoltrata, e se non volevano essere vittime di un attacco da parte di Oscuri o altre bestie feroci, dovevano trovare in fretta un posto dove passare la notte.

Solo dopo un’ora di cammino incontrarono un uomo: la sua lunga barba bianca nascondeva le labbra screpolate, le mani nodose stringevano una pipa di legno da cui fuoriuscivano vistosi cerchi di fumo, indossava eccentrici abiti in pelle di gnu e i suoi lunghi capelli bianchi erano ricoperti da gingilli dorati e perline scarlatte. Viveva in una tenda che profumava d’incenso e di carne; al suo interno, vi era un focolare sul quale arrostiva un cervo. Sembrava più antico dell’Universo, quello strano uomo simile a un corvo appollaiato su un trespolo, ma Emily non disse nulla per educazione. Al suo posto, però, parlò Thor.

«Io sono Thor, figlio di Odino, e vi chiedo–».

«Sappiamo chi sei, Dio del Tuono, e sappiamo anche perché sei qui» La voce dell’uomo era rauca e bassa, più simile al gracchiare di un corvo che ad un suono umano. Il fatto che avesse parlato al plurale rese Emily inquieta. Osservando dentro quegli occhi che sapevano di sapienza e lungimiranza, un brivido le percorse la schiena. Lei e Thor si scambiarono un’occhiata sfuggevole e si irrigidirono come statue, sulla difensiva. Chi era quell’uomo?

«Bene», proferì Thor ad un tratto, saldando l’impugnatura sul Mjolnir e stringendo le labbra. «Allora sarà tua premura offrirci un posto dove poterci accampare per la notte».

Il vecchio non rispose. Diede un tiro alla pipa e subito grandi cerchi grigi si librarono nell’aria fredda di Valhalla. Emily aggrottò la fronte e non distolse lo sguardo da lui nemmeno per un momento: quell’uomo era avvolto da una perenne aura di mistero, e lei aveva sempre peccato di curiosità.

«Per favore, abbiamo percorso un lungo viaggio. Vi pagheremo, se vorrete, ma non lasciateci fuori al freddo!» Lo pregò. L’uomo la guardò senza proferire una parola. Emily si sentì trapassare da parte a parte da quello sguardo antico come il mondo, che sembrava leggerle l’anima. Si sentì a disagio, ma non distolse lo sguardo. Cosa che lui parve notare e apprezzare.

«Vi concederò ciò che volete, figli di Asgard», dichiarò l’uomo, solenne. «Ma voglio qualcosa in cambio», il suo sguardo si posò sulla figura di Emily, che subito cercò lo sguardo di Thor, che digrignò i denti e le si pose davanti in un gesto difensivo.

«Dipende da cosa domandi, vecchio. Osa mancarle di rispetto e non mi porrò scrupoli a fracassarti il cranio!».

L’uomo diede un altro tiro alla pipa, senza dare segno di essersi offeso. Al contrario, il suo sguardo si fece, se possibile, ancor più insistente. Questa volta, Emily non provò disagio. Solo curiosità.

«Narfi» Disse all’improvviso il vecchio.

«Narfi?» Chiese Emily.

«Narfi» Ripeté il vecchio. Lei si domandò se quell’uomo si stesse facendo beffe della loro intelligenza. Storse le labbra, piccata. Di cosa stava parlando, per le Norne?

Come se avesse udito i suoi pensieri, il vecchio prese la parola. «È il mio nome. Quando giungerà il momento, fanciulla, saprai cosa farne» E prese un’altra boccata di fumo.

Emily e Thor si guardarono perplessi, entrambi a corto di parole. Quell’uomo era così bizzarro… Era assurdo come la gente riuscisse a imbrogliare nodi su nodi, senza mai ingarbugliarsi le dita con i fili delle loro stesse frasi. Emily si era stufata di tutti quei giri di parole. Non potevano semplicemente dire le cose come stavano?

«Va bene», rispose infine, mal celando il suo disappunto. «Lo farò, lo prometto, qualsiasi cosa sia ciò di cui parli. Ora però mostraci dove possiamo trascorrere la notte!».

Narfi indicò loro l’interno della sua tenda con un cenno del capo, ed Emily e Thor si scambiarono un segno d’assenso. Si erano già aspettati di dover dormire uno ridosso all’altro, tanto era minuscola la tenda vista da fuori, ma una volta entrati dovettero ricredersi: dentro la tenda era enorme, grande quando un’intera sala da letto, decorata in più punti con diversi colori accesi e rune arcaiche. Dei pagliericci erano sparsi qua e là e della carne era appesa alle estremità della tenda; il cervo continuava ancora a girare sul focolare e l’odore di carne che ne emanava fece gorgogliare lo stomaco di entrambi. Affamata come mai in vita sua, Emily ne staccò una coscia, azzannandola poi con avidità. Lo stesso fece Thor, seppur con molta più ingordigia rispetto a lei. La carne dell’animale era calda tanto da bruciarle la lingua, il grasso caldo le sgocciolava giù per il mento, ungendole il collo e le mani.

Solo dopo quello che le parve un tempo infinito, Emily si pulì la bocca col dorso della mano e sedette accanto al fuoco in compagnia di Thor. Per alcuni secondi regnò solo il silenzio, ma non era un silenzio pesante, il loro, né imbarazzante; era un silenzio stanco, empatico, di chi aveva perso troppe cose in troppo poco tempo. Emily odiava quei silenzi, perché da quelli non riusciva a fuggire neppure parlandoci sopra. Accanto a lei, Thor non diceva una sola parola, eppure i suoi occhi non smettevano di gridare il loro dolore per la perdita di Jane Foster.

Emily appoggiò il capo sulla sua spalla e Thor sussultò. Lei gli rivolse un sorriso gentile e strinse la sua mano in un gesto affettuoso, cercando di consolarlo. «Andrà tutto bene», gli disse. Thor le rivolse un’occhiata penetrante, nel tentativo di capire se stesse mentendo. «Riusciremo a salvare Jane, te lo prometto», ma Emily non era certa di star rassicurando Thor o se stessa.

Fissò lo scoppiettare del fuoco con occhi vitrei e inespressivi. Ripensò a tutto quello che era accaduto in quegli ultimi mesi: a Vàlì, al ritorno di Loki, alla maledizione elfica, e lo stomaco le si chiuse in una morsa. I ricordi assomigliavano ai crampi della fame, pensò Emily, facevano male e rimembravano una necessità. E la sua, di necessità, era far tornare tutto come prima al più presto.


La mattina seguente il vecchio Narfi era svanito nel nulla, ma Emily non aveva nemmeno tentato di cercarlo.

Al contrario, lei e Thor si erano rimessi in marcia alle prime luci dell’alba. Le lande del Regno Valhalla erano frastagliate di rocce e frane. Durante il loro cammino dovettero scontrarsi con Pentapalmi e Valravne, creature orribili e assetate di sangue, uscendone più volte pieni di lividi e tagli di vario genere. Quando infine erano giunti alle porte dell’Hel, erano stati accolti da una gigantessa alta più di otto metri, grossa quanto una montagna e dal colorito grigiastro, simile a quello dei cadaveri. Li aveva attaccati con una grossa mazza chiodata, alta il quintuplo di loro. Emily era volata via per diversi metri e finita distesa su un punto imprecisato della steppa, certa di essere morta. E forse era morta per davvero, alla fine, perché le orecchie continuavano a ronzare e la testa pulsava così forte da farle credere di essere finita negli Inferi. Thor non era messo meglio di lei, non aveva una bella cera. Forse era morto anche lui, metà del suo viso era ricoperto di sangue e vari lividi.

«Thor…», mormorò, cercando di mettersi a sedere. «Siamo morti?».

Thor la prese sottobraccio e la fece alzare da terra, grugnendo per lo sforzo. Subito una fortissima scarica elettrica attraversò la schiena di Emily che d’istinto si inarcò contro Thor, gemendo di dolore. Intorno a lei era un caleidoscopio di colori, suoni ovattati e fuliggine. Dov’era la gigantessa? Cos’era accaduto? La testa… oh, la sua povera, povera testa….

«No, Emily», la voce di Thor era lontana come un’eco. «Ma lo saremo presto, se non andiamo subito via da qui!».

Un rumore assordante fece tremare la terra, Emily provò d’istinto ad allontanarsi da Thor, ma lui rafforzò la presa sul suo braccio. Poi fu tutto un susseguirsi d’eventi. La gigantessa corse verso di loro ruggendo e, ad ogni passo, la terra sembrava cedere sotto il suo peso. All’improvviso, Thor rivolse un’occhiata ad Emily  nervosa e le sussurrò di reggersi forte. Capendo le sue intenzioni, lei sgranò gli occhi e fece come le era stato detto.
Un fulmine cadde dal cielo, seguito da un fortissimo tuono. Thor sollevò di scatto il capo e urlò mentre mulinava con forza il Mjolnir sopra le loro teste. La polvere si innalzò nel vento, dando vita a un vortice, e tutto venne coperto da una spessa coltre di fuliggine. Vi fu un altro fulmine, poi un altro ancora, finché il Mjolnir ebbe accumulato l’energia necessaria. Spiccarono il volo giusto in tempo, prima che la gigantessa li schiacciasse con la sua mazza. Una volta librati in aria, Thor si diresse verso l’entrata degli Inferi, una grotta troppo piccola che avrebbe impedito alla gigantessa di seguirli fin laggiù, e vi si fiondò dentro con un tonfo sordo che rimbombò fra le mura rocciose; dopo aver rotolato per alcuni metri, procurandosi diversi ematomi su tutto il corpo e tagli nelle braccia, entrambi finirono distesi a terra ansimanti e col fiatone.

«Siamo morti, stavolta?», domandò Emily, dopo qualche tempo. 
«No».
«Ne sei sicuro?».
«Sì».

Emily provò a mettersi seduta e il mondo le roteò attorno con tanta violenza che non ebbe altra scelta che ributtarsi al suolo con un tonfo.

«Perché», chiese con un flebile gemito, «non siamo morti?»

«Perché siamo fuggiti dalla gigantessa, Emily…».

«No, intendo perché non ci ha voluto fare questo favore? Ci avrebbe risparmiato questa sofferenza…», fece una lunga pausa. Si tastò l’orecchio sinistro e alzò lo sguardo su di lui.  «Thor, non sento più nulla dall’orecchio sinistro…  credo di essere diventata sorda».

Thor si mise a sedere, strizzando gli occhi per cercare di intravedere qualcosa dentro quella buia caverna, e richiamò a sé il Mjolnir che subito saettò fra le sue dita possenti. «Be’, perlomeno senti ancora dall’altro orecchio».

«Ed è una cosa buona?».

«Presumo di sì…».

«Ah… bene…», borbottò Emily. La testa continuava a martellarle furiosamente, il ruggito furioso della gigantessa squillava ancora dentro la sua testa. Per un attimo l’idea di tagliarsi via l’altro orecchio le sfiorò la mente – almeno così non sentirò più nulla! – ma alla fine realizzò che non sarebbe stata una buona idea, e quindi lasciò perdere. «Che si fa adesso?».

«Si va avanti» La voce di Thor era raschiante e bassa, evidentemente esausta. Emily tentò di tirarsi su a fatica: le maniche della sua tunica erano sbrindellate; i suoi pantaloni strappati sul ginocchio e pieni di polvere; i capelli colmi di fuliggine e sporchi come mai prima d’allora. Oltre ai vestiti, ad essere conciato male era il suo corpo: non vi era una parte che non fosse coperta di sangue, fango ed ematomi. Emily rimpianse come mai prima d’allora un bagno caldo e le cure premurose di Hlìn, ma fece finta di nulla.

Era certa che fra qualche ora sarebbe crollata su se stessa e non si sarebbe rialzata per tutto il resto della sua vita, ma in quel momento l’adrenalina della caduta le scorreva nelle vene come un eccitante e le consentiva di andare avanti. Emily non sapeva se esserne lieta o preoccupata.

«Andiamo. Prima usciamo di qui e meglio sarà…» Sibilò Thor, avanzando verso un cunicolo stretto e buio. Emily non ribatté ma fece ben attenzione a non rimanere indietro.

«Questo posto è così tetro…» Osservò a un tratto, dopo che ebbero percorso un lungo pezzo di galleria sotterranea. Attorno a loro si estendeva un paesaggio cupo e tenebroso, la fiocca luce delle fiaccole era l’unica fonte di luce; sui muri danzavano ombre dalle forme curvilinee e inquietanti, che sembravano sul punto di prendere vita ed attaccarli. Come si affronta un ombra? Si domandò Emily, ma non era certa di voler conoscere la risposta.

«Siamo nei meandri dell’Hel, mi stupirei se fosse il contrario» Disse Thor, contrito. Nei suoi lineamenti duri, c’era una sfumatura di paura che faceva a botte con tutti quei muscoli e quello sguardo fiero. Emily non disse nulla, ma ne fu segretamente sorpresa: erano rare le volte in cui Thor aveva timore di qualcosa.

Proseguirono per un tempo che parve loro infinito, finché giunsero dinanzi a un vicolo cieco. Emily avanzò di qualche passo, quando Thor la tenne ferma per un braccio e la spinse dietro di sé con forza, impugnando il Mjolnir con l’altra mano. Prima che potesse chiedere spiegazioni, un latrato inferocito rimbalzò fra le pareti della grotta, potente come mille tuoni. Emily squittì di paura, il cuore in gola e gli occhi sgranati: davanti a lei, più grosso di un lupo, stava un enorme Cane Infernale: i lunghi denti aguzzi sporgevano fuori dal muso, il pelo folto e scuro era lordo di sangue e se non fosse stato per la lunga catena che lo legava, li avrebbe assaliti senza ombra di dubbio.

«Ma da dove è saltato fuori?!», domandò Thor con riluttanza. Il cane continuava a ringhiare e abbaiare verso di loro, temibile quanto un leone inferocito. Emily lo guardò bene e tentò di ricordare qualche accenno a quell’animale nei libri che aveva letto. Niente. Non ricordava assolutamente niente al riguardo.

«Non lo so, ma non sembra molto amichevole» Disse, sulla difensiva.

«Dobbiamo fare qualcosa…», Thor le si avvicinò con fare nervoso, guardando il cane come se fosse stato un insetto fastidioso. «Forse se lo ammazziamo riusciremo a sbloccare un passaggio segreto o qualcosa di simile…».

«Thor, è stato posto qui per proteggere qualcosa, ma dubito che ammazzandolo scopriremo che cosa… dobbiamo cercare il modo di raggirarlo, piuttosto» Emily si passò una mano sul volto, cercando di pensare a qualcosa che potesse aiutarli. Passarono i minuti, le ore e forse persino i giorni, ma niente. Tutto ciò che le veniva in mente le sembrava stupido o troppo pericoloso.

Loki avrebbe saputo cosa fare…
Loki non è più qui, adesso.
Loki…

«Ehi, ho trovato qualcosa!» Emily alzò lo sguardo su Thor, che era accovacciato accanto a una sottospecie di lapide, e corse nella sua direzione. Una volta vicina, poté scorgere le parole impresse sulla pietra.

 
“Feroce latra Garmr dinanzi a Gnipahellir:
i lacci si spezzeranno
e il lupo correrà.
Molte scienze ella conosce:
da lontano scorgo
il destino degli dèi,
possenti divinità di vittoria
.”
 
Garmr…

Emily ripeté quel nome per interi minuti, tentando di rimembrare dove lo avesse già sentito e cosa significasse. Thor rimaneva fermo a fissarla, forse in attesa di una qualche deduzione brillante, di un consiglio o di qualsiasi altra cosa, ma lei non era Loki e non aveva proprio idea di cosa fare.

Eppure ricordava di aver già sentito quel nome, prima di allora, di averne letto da qualche parte! Ah, se solo fosse stata più attenta alle parole dei libri, se solo avesse approfondito le ricerche, forse adesso non si sarebbe trovata in quella situazione! Riprese a leggere le incisioni sulla pietra ma, proprio come prima, non vedeva altro che nebbia.

Feroce latra Garmr…
Dinanzi a Gnipahellir…
I lacci si spezzeranno e il lupo correrà…
I lacci… I lacci! Il collare! Ma certo!


«Adesso ricordo! Thor, questo è Garmr, il cane da guardia della Regina dell’Hel. Solo chi è in grado di superarlo può accedere al colloquio con la Regina degli Inferi! Bisogna dargli del pane macchiato di sangue per poter superare la prova… e… e… forse così riusciremo a passare!» Esclamò, euforica per essere riuscita a ricordare qualcosa che aveva letto mesi prima. Thor aggrottò le sopracciglia, scettico. Non sembrava molto convinto della sua teoria.

«E dove ci procuriamo del pane? Quel poco che avevamo è rimasto alla grotta di Dvalin, ci toccherà tornare a prenderlo!».

«Non ce ne sarà bisogno!», rispose allora Emily, abbozzando un sorriso. Prese la sacca che aveva legato alla cintola dei pantaloni e ne estrasse un tozzo di pane duro. «L’ho rubato dalla tenda di Narfi prima di andarmene. Avevo fame e pensavo che un po’ di pane in meno non avrebbe di certo fatto morire di fame quello strano vecchio, in fondo la sua tenda era colma di cibo di ogni genere…».

Thor si passò una mano sulla fronte, preoccupato. Emily, nonostante fosse un po’ piccata dalla sua apprensione, non riuscì a dargli torto: una sola mossa falsa e sarebbero rimasti confinati laggiù per sempre. 

«Bene, dammi uno dei tuoi pugnali… ci servirà per il sangue» Le disse Thor, frettoloso. Con ancora Garmr che abbaiava pochi metri più in là, Emily estrasse i pugnali dal fodero e gliene porse uno, poi tenne l’altro per sé.

«Al mio tre. Uno… due…», sussurrò Thor, puntando il pugnale sul palmo della mano. Emily annuì e fece lo stesso, preparandosi al dolore che sarebbe giunto dopo. «… tre!», bastò un movimento deciso delle dita e le lame scorsero trasversalmente sulla carne, tracciandone una lunga scia di sangue vischioso e scarlatto. Emily chiuse gli occhi e gemette forte per il dolore, stringendosi la mano, mentre Thor invece si lasciò sfuggire un lamento simile a un ringhio. Doloranti, posero le mani sul pezzo di pane e il sangue colò sulla mollica finché non ne fu del tutto imbevuta, divenendo di un macabro rosso.

Emily sentì le forze venirle meno e la testa girarle vertiginosamente. Se solo avesse potuto chiudere gli occhi per un istante… giusto per un solo istante…

«Emily...» Thor le scosse le spalle ed Emily rinvenne con un sussulto. Non poteva chiudere gli occhi, doveva prima medicarsi le ferite e fermare l’emorragia. Se avesse perso troppo sangue sarebbe svenuta e quello non era proprio il momento adatto per farlo. Con uno sforzo immane, strappò via un lembo della casacca e lo avvolse sulla ferita della mano, aiutandosi con i denti e le labbra per fare il nodo. Lo stesso fece Thor, seppur con molta più facilità di lei. Quando si rimise in piedi, Emily ebbe l’impressione che tutto stesse girando troppo in fretta e dovette appoggiarsi ad una parete per non cadere.

«Coraggio…», sussurrò a Thor, che si era voltato verso di lei con aria preoccupata. «Non fermarti. Dai quel dannato pane al cane, così forse usciremo di qui…».

Thor le rivolse un’occhiata penetrante, come per tentare di comprendere se fosse il caso di soccorrerla o meno, ma alla fine fece come gli era stato detto. Subito Garmr smise di abbaiare e annusò il pane con sospetto, leccandone i contorni per capire se fidarsi o meno. Infine si accasciò, prese il pane fra i denti aguzzi e lo morse con avidità mentre dietro di lui si apriva un passaggio segreto che portava chissà dove. Temendo che potesse chiudersi da un momento all’altro, Emily vi entrò velocemente in compagnia di Thor che, dietro di lei, brandiva il Mjolnir in vigile attesa. Quando il passaggio dietro di loro si richiuse, il cuore di Emily fece un balzo.

«Dovete essere davvero molto disperati per giungere fin qui, figli di Asgard…», un soffio di vento gelido le accarezzò il collo. Era come se viscide cose morte le stessero strisciando giù per la schiena. Fece un gran salto e si morse la lingua per impedirsi di urlare. «Forse vi siete spinti troppo lontano da casa», era una voce di donna, ad aver parlato. Una voce che gelava il sangue nelle vene, così velenosa da togliere il respiro e fredda come il ghiaccio.

«Io sono Thor, figlio di Odino! Sono giunto fin qui per parlarti, Hela, Regina degli Inferi!» La voce di Thor, così forte e possente, fu come una manna dal cielo per Emily, che dalla paura aveva dimenticato di essere in sua compagnia. D’istinto cercò la sua mano, il suo braccio o qualsiasi cosa che lo riconducesse a lui, e trasse un sospiro di sollievo quando afferrò un lembo del suo mantello.

«So chi sei, figlio di Odino, e so anche perché sei giunto fin quaggiù», rispose la voce, fredda come la morte. «Ma tu non sai chi sono io… Sei curioso di vedere me, la Regina dell’Oltretomba, Dio del Tuono?», chiese. Emily non poté esserne certa, ma le parve che il corpo di Thor si fosse improvvisamente irrigidito.

«E sia», disse infine Thor, grave. «Mostrati, Hela, Regina degli Inferi!».

L’oscurità della grotta si dissipò di colpo e la luce delle fiaccole rivelò un’enorme sala del trono ricoperta di teschi umani e rocce grezze. Al centro della sala, vi era uno scranno rivestito di ossa e spade sul quale sedeva una creatura mostruosa, con fattezze umane e scheletriche: metà del suo volto era roseo, candido come la neve e ricoperto di lunghi capelli corvini, l’altra metà apparteneva a quella di uno scheletro con spesse cavità nere al posto degli occhi e un ghigno distorto per bocca. Ai suoi piedi, vi era un enorme lupo dal pelo fulvo e scuro, avente un occhio dorato e uno azzurro come il cielo. Durò solo un istante, giusto un battito di ciglia, e il cuore di Emily ebbe un sussulto nell’incontrare quegli occhi di ghiaccio. Ebbe l’irrazionale istinto di corrergli incontro ed accarezzarlo, ma si trattenne all’idea di ciò che sarebbe potuto accaderle. Eppure una parte di lei, quella che aveva sempre associato al cuore, era certa che quell’enorme lupo non le avrebbe mai fatto del male. Lo sentiva dentro, sotto la pelle, e non sapeva spiegarsi il perché.

«È avventato sfidare la morte facendole visita da vivi, figlio di Odino. Si rischia di non tornare più al mondo esterno» Disse Hela. Emily non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua grottesca figura, era affascinata e terrorizzata allo stesso tempo.

«Voglio che mi venga resa l’anima della midgardiana Jane Foster, Hela. Rendimela, e avrai tutto l’oro che vuoi» Rispose Thor, sudando freddo. I suoi occhi erano sgranati più del dovuto ma nulla del suo aspetto lasciava presagire a una perdita del controllo. Nonostante ciò, Emily era certa che stesse morendo di paura proprio come lei.

Nella grotta risuonò una risata gelida, simile allo stridio del ferro.

«Oro, figlio di Odino? Cosa vuoi che me ne faccia, io, dell’oro? Ciò che bramo sono le anime, la morte e il sangue. Se è lo spirito della midgardiana, ciò che vuoi, dovrai rendermi un’anima ben più degna della sua».

«Non ci sarebbe un altro modo? Dvalin ha detto che con la morte si può scendere a patti, che…».

«Patti?», di nuovo, la risata di Hela riecheggiò fra le pareti. «Quindi è questo ciò che ti ha detto il nano? Patti? Non ne sono sorpresa, vista l’oscurità radicata nella sua anima… i nani sono sempre così abili nell’inganno!».

«Quindi…», boccheggiò Thor confuso. «Quindi la sua era…».

«Una menzogna, Dio del Tuono. Non puoi scendere a compromessi con la morte, o a patti. L’anima di un essere umano, in special modo se pura come quella della mortale, non ha prezzo».

Nella sala calò un silenzio di marmo. Emily non riusciva a credere alle parole della dèa: non vi era più nulla da fare, dunque? L’anima di Jane Foster sarebbe giaciuta per sempre nell’Hel?

Se è lo spirito della midgardiana, ciò che vuoi, dovrai rendermi un’anima ben più degna della sua…

«Allora prendi la mia, di anima!» Disse Emily, ma solo quando lo sguardo di fuoco di Hela si puntò sul suo, seguito da quello di Thor, comprese la gravità delle sue parole. Prese un profondo respiro e continuò a parlare. «Se è un’anima, quella che vuoi, allora prendi la mia e restituisci quella della mortale. Io sono una semi-dèa, la mia vita è più longeva e pura della sua, è un ottimo scambio, il nostro».

«Emily, sei impazzita? Non hai idea di cosa stai dicendo!» Thor la prese per le spalle, stringendola con energia. Il suo viso era una maschera di paura e di sgomento.

«È l’unico modo!».

«Ma così morirai anche tu!».

Emily rimase in silenzio per alcuni secondi, senza parole. Era vero. Thor aveva ragione. Sarebbe morta anche lei, se avesse ceduto la sua anima. Sentì il cuore battere forte nel petto. Strano che, nel terrore della morte, pompasse più forte, tenendola energicamente in vita*. Eppure quella era l’unica cosa da fare per salvare sia l’anima di Jane Foster che Asgard da una possibile epidemia. Doveva andare così. Era finita, non c’era più niente da fare. Dopotutto, aveva perso tutto. Suo figlio, i suoi genitori, la sua cara zia… forse in quel modo avrebbe potuto rivederli. Jane Foster aveva ancora una vita dinanzi a sé e qualcuno da amare, lei invece, oltre a Thor, non aveva più nessuno. Era rimasta da sola.

Cosa si prova a morire?, si chiese subito, Fa male? Soffrirò? Il suo respiro divenne più lento e profondo quando realizzò che non avrebbe mai più rivisto la luce del sole, e il sangue le si gelò nelle vene. Ebbe l’impulso di lasciar perdere tutto, di tornare in superficie e vivere la sua vita, poi però il viso di Vàlì le tornò alla mente, dolce proprio come lo ricordava, e una fitta dolorosa le schiacciò il cuore e i polmoni.

No, quella era l’unica via.

«Lo so», disse in un sussurro, cercando di non dare a vedere di star tremando. «Ma va bene così, Thor. Narreranno di questo giorno. Continuerò a vivere nelle leggende, nei racconti, nelle ballate. È la cosa più giusta da fare…», abbozzò un sorriso e accarezzò la sua mano ruvida in un ultimo, disperato gesto d’affetto. È la cosa giusta da fare, si ripeté, tentando di convincersi, per una volta, posso fare la cosa giusta. Posso salvare qualcuno. Attraverso Jane, vendicherò Vàlì. Se salverò Asgard attraverso lei, sarà come aver salvato Vàlì…

Lasciò la mano di Thor e, nella penombra della sala, le parve di vedere i suoi occhi divenire lucidi di tristezza. Distolse lo sguardo. Con uno sforzo enorme, si costrinse a proseguire. Quando gli occhi di ghiaccio di Hela la trafissero come frecce, Emily trasse un respiro profondo. È la cosa più giusta da fare, è la cosa più giusta…

«Che esseri miseri che siete, voi asgardiani.», la voce di Hela risuonò colma di disgusto nella penombra della sala. Emily aggrottò la fronte, confusa. «Nonostante frema dalla voglia di prendere la tua anima, figlia di Hœnir, vi sono delle procedure che vanno eseguite affinché il rito venga svolto in modo corretto. Prima di essere mieta, la tua anima dovrà sporcarsi e scurirsi; solo dopo potrà essere considerata un omaggio alla Morte. Inoltre, il Rito di Successione contiene un cavillo al quale non posso oppormi: se riuscirai a superare il Sentiero di Orfeo, allora avrai salva la vita e la Mortale tornerà a vivere; ma se non lo farai, semmai dovessi fallire, la tua anima verrà ritenuta troppo pura per essere data alla morte e troppo sporca per tornare al mondo dei vivi e rimarrai nel Limbo…», sul suo volto mostruoso si aprì un sogghigno. «…  per sempre».

«No, Emily!», Hela fece un rapido gesto stizzito in direzione di Thor, che ammutolì e venne immobilizzato da mille corde. « Em-mmh-mmillyfffeer-mmmh—rrmmma!».

«Affare fatto, allora?».

Emily rimase in silenzio, sconcertata. Conosceva la leggenda di Orfeo e se era come immaginava che fosse, il sentiero di cui parlava Hela non doveva essere una prova tanto semplice. Strinse i pugni, il cuore che batteva veloce come un tamburo. Le immagini del cadavere di Jane Foster e Vàlì le tornarono prepotenti davanti agli occhi. Rivoli di sudore freddo le gelarono la pelle. Si trovava di fronte a un bivio, doveva fare una scelta e doveva farla giusta. Un solo errore e tutto sarebbe finito. Capì cosa fare senza dover pensare.

«Accetto».
 
 
«Padre degli Dèi, dobbiamo parlare con lei urgentemente!» La chioma corvina di Sif brillava alla luce del sole come le ali di corvo. Odino, seduto sul trono dorato, alzò appena lo sguardo.

«Lady Sif», parlò, la voce stanca di chi aveva combattuto troppe guerre. «Ti ascolto».

Sif fece un passo verso di lui e chinò il capo in segno di rispetto.

«Mio fratello, Heimdall*,», iniziò, «ha avvistato una truppa di Oscuri che si dirige verso Vanaheimr Nord, un’altra che si dirige a Muspelheim Ovest, verso il Capoluogo, e un’altra ancora nella direzione di Alfheimr. Midgard è già sotto attacco, mio signore. Heimdall presume che stiano tentando di tenerci lontano dalla Terra per non avere nessuno attorno quando la distruggeranno».

Odino rimase in silenzio mentre il peso della corona gli gravava per l’ennesima volta sulle spalle. Da quando Thor, Loki, lady Emily e la Mortale erano fuggiti da Asgard, tutto era cambiato. E in peggio. Il popolo aveva iniziato a reclamare un’entità politica più autorevole, terrorizzati dall’idea che, così come Loki era fuggito, gli Oscuri potessero entrare attraverso qualche passaggio segreto; un quarto della popolazione era stata contagiata dalla stessa maledizione che risiedeva nel corpo della mortale, che aveva trovato libero accesso a causa degli scambi commerciali fra Asgard e Muspelheim; con la scomparsa del Tesseract, i Consigli avevano cominciato a dubitare del suo potere, definendolo ormai troppo vecchio per tenere le redini di Asgard; infine erano insorti dei conflitti cittadini, dovuti alla paura generale causata dalla maledizione elfica.

Aveva discusso con Frigga riguardo a quella situazione, ma le sue parole, per quanto fossero state di conforto, non avevano portato a nulla e Odino iniziava a temere il peggio per il proprio Regno. E se il Bifröst fosse stato abbattuto? E se gli Oscuri avessero trovato un passaggio segreto per invadere Asgard? E se avessero ottenuto il Tesseract? Un brivido gli corse lungo la schiena. Il solo pensare cosa avrebbe potuto fare Malekith o, peggio ancora, Thanos il Titano con un’arma simile lo inquietava più di qualsiasi altra cosa. 

«Chi guida gli eserciti?» Chiese in un soffio.

Lady Sif e i Tre Guerrieri si scambiarono un’occhiata nervosa. Prima ancora che aprissero bocca, Odino aveva già compreso la risposta.

«Alcuni sottoposti di Malekith e Thanos, mio signore. Con loro vi è anche Loki».

«Loki…», biascicò Odino, insaldando con più forza Gungnir. Si era aspettato di udire quel nome, eppure il colpo arrivò violento come quello di una frustata in pieno volto. Loki aveva di nuovo tradito Thor, alla fine, proprio come tutti erano certi che avrebbe fatto. «Ne siete certi?».

«Sì, mio signore».

Odino rimase in silenzio per alcuni istanti, fermo, in attesa. Non c’era tempo per pensare a Loki, si sarebbe occupato di lui in un secondo momento, adesso bisognava pensare a un piano per raggirare gli eserciti degli Oscuri e dei Chitauri. Si ritrovò di fronte a un bivio: quella di Malekith e Thanos era certamente una trappola nella quale lui non aveva alcuna intenzione di cadere, ma era pur vero che i Regni che erano stati attaccati avevano sempre aiutato Asgard durante tutti quei secoli, affiancandola in varie guerre; sarebbe stata una grave mancanza d’onore non correre in loro soccorso.

All’improvviso, il trono parve divenire scomodo come non mai e lo scettro pesante come un macigno. Odino si passò una mano callosa sul volto, pensando a cosa fosse meglio fare per il bene di Asgard. Per un momento desiderò trovarsi ovunque fuorché lì. Dopo qualche tempo, prese una decisione.

«La Terra è sotto la nostra protezione. Non possiamo permettere che venga distrutta» Disse.

«Ma… mio signore!», la voce di Fandral irruppe nella sala. «Cosa ne sarà dei Regni nostri alleati? Accorreremo in loro soccorso?», il suo sguardo sfrecciò su quello di Hogun, il quale sembrava più taciturno e serio del solito. Odino non ebbe bisogno di pensare per capirne la causa: la sua famiglia era lì, a Vanaheimr, era comprensibile che fosse preoccupato. Nonostante ciò, al momento, quello non era un problema di cui preoccuparsi.

«Come nostro protetto, il Regno a cui dobbiamo dare la precedenza è Midgard. Una volta sconfitti Thanos e Malekith, i restanti Oscuri cadranno come foglie e Vanaheimr e Muspelheim saranno liberati di conseguenza», dichiarò, solenne. Si alzò dal trono e si erse in tutta la sua altezza, mentre le guardie ai suoi piedi si voltavano ad osservarlo in attesa di ordini da riferire ai comandanti delle Guardie Reali. «Da questo momento in poi, io, Odino, Padre degli Dèi e Sovrano indiscusso di tutti i Nove Regni, dichiaro guerra al popolo Oscuro per aver occupato un Regno sotto la custodia di Asgard, aver commesso pluriomicidi nei confronti di gente innocente e attaccato dei pacifici Regni, mettendo in subbuglio l’ordine politico e universale dei Nove Mondi. Per questo, in nome di mio padre, e di mio padre prima di lui, ordino ai miei eserciti di prepararsi per la battaglia», fece una pausa, il suo sguardo si rivolse alle guardie pochi metri sotto di lui. Trasse un grande sospiro, mentre tentava di non pensare alle conseguenze che quelle azioni avrebbero causato, e strinse le labbra. «Si va in guerra».

 
 


- Note dell'Autrice.
  1. La canzone è Ice Queen, dei Within Temptation
  2. Vi giuro che esiste. E sì, anch’io ho riso troppissimo quando l’ho letta per la prima volta.  (http://img3.wikia.nocookie.net/__cb20070602232122/marveldatabase/images/2/22/Map_of_Asgard.jpg
  3. Valravn: Nel folklore danese, un valravn ( in danese "corvo dei morti" ) è un uccello mitologico. I valravne appaiono in tradizionali canti popolari danesi, in cui sono descritti come corvi che consumano i corpi dei morti sul campo di battaglia, oppure in grado di trasformarsi in cavaliere dopo aver consumato il cuore di un bambino, in altri casi ancora viene descritta una creatura per metà lupo e metà corvo.
  4. Citazione dell’Edda Poetica. ( http://it.wikipedia.org/wiki/Garmr )
  5. Citazione rubacchiata da Harry Potter e I doni della Morte. :)
  6. Sì. Non ci crederete mai, ma, fidatevi, ‘sti due son fratelli nei Comics. E no, non ho idea di come spiegare le loro EVIDENTI differenze fisiche nel movieverse, ma ok. Siamo su Asgard. Accettiamolo e basta.
   ----------------------------------------
 
Ebbene sì, eccomi di nuovo qui!


Non mi divulgherò molto perché non voglio annoiarvi, ma voglio che tutti sappiate che vi sono davvero, davvero, DAVVERO grata per tutto l’appoggio che mi state dando. Siete dei lettori fantastici, è un piacere scrivere per qualcuno di tanto caloroso e gentile. Grazie, grazie e ancora grazie mille. Scusate per l’immenso ritardo con cui rispondo ogni volta alle recensioni, ma fra scuola, dietologa, palestra e CuloPesante tardo sempre troppo… sappiate comunque che leggere i vostri pareri mi rende sempre felicissima. Siete preziosi, davvero.
 
Come al solito, ringrazio la mia bravissima Beta,
vannagio , che è davvero pazientissima e dolcissima. Grazie, grazie e grazie mille ancora, Vanna!
 
Come al solito, chi vuole seguirmi anche fuori da EFP può farlo su Facebook e Ask.

Link FB: https://www.facebook.com/harmony.efp.9
Link Ask: http://ask.fm/HarmonyEfp
 
P.S: Nel capitolo è nascosta una citazione piuttosto palese rubacchiata dal libro “ L’ordine dei Balverini”, che personalmente adoro. Non so quanti di voi l’hanno letto, ma personalmente io l’ho apprezzato tantissimo e ve lo consiglio tanto.
 
Vi lascio. Al prossimo capitolo!
Un bacione.
 

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Capitolo 17
*** Into Darkness ***


~Into Darkness

 

So as your blood's running thin
Your time's running out.
No one will be listening,
Not even when you shout! (Shout!)
Your angels turn to devils,
You'll finally figure out
That no one will be with you in the end.
 
 

Alfheimr era diversa da come la descrivevano i libri.
 
Era una grande distesa di cascate e alture. Nel sentiero che li aveva condotti alle sue porte, gli alberi avevano intrecciato i rami in nodi fitti ed eleganti, creando un’enorme cupola attraverso la quale filtrava dolcemente il sole. Loki aveva immaginato un luogo arido e ghiaioso, ma si scoprì divertito nel constatare che persino il Regno della Luce era disseminato di ombre e vento gelido.
 
Avevano attaccato dopo il tramonto, quando la luce del sole svaniva e l’Oscurità dilagava. Se durante il giorno gli Elfi Chiari erano grandiose potenze guerriere, durante la notte erano costretti a creare barriere magiche per impedire che la loro città venisse attaccata. Era la luce ciò che donava loro la forza, senza di essa erano nulla. E questo Loki lo sapeva bene.
 
Non era stato un problema infiltrarsi nella loro difese: una volta riacquistati i poteri, Loki aveva assunto la forma di un Elfo Chiaro ed era irrotto nelle Camere della Luce, ucciso le guardie e distrutto la leva che azionava la Barriera d’Energia per proteggere la città. Una volta giunta la notte, le flotte dei Chitauri e degli Oscuri avevano forzato i cancelli di Alfheimr e gli Elfi Chiari, trovatisi impreparati, erano stati costretti ad arrendersi.
 
Subito, Loki aveva costretto i caporali delle legioni Chiare a condurlo dal loro sovrano e loro, ormai sottoscacco, erano stati costretti ad obbedire. Il palazzo reale era grande, sfarzoso e baciato dalla luce della luna. Il pavimento era di marmo bianco, le pareti disseminate da fitti rampicanti fioriti ed enormi vetrate che donavano solennità al tutto. La sala del trono era meno sfarzosa, quasi lugubre, come se le sentenze proclamate anni prima in quel luogo avessero in qualche modo gravato sul suo aspetto.
 
Lì aveva incontrato Arvedui, il Sovrano degli Elfi Chiari. Aveva grandi occhi chiari e folte sopracciglia scure, il mento appuntito e lunghi capelli biondi. La sua era una bellezza eterea, addirittura celestiale, Loki provò un piacere perverso nel piegare un essere di tale magnificenza al suo cospetto. Sotto richiesta di Arvedui, le guardie se ne andarono e rimasero solo loro due nella sala.
 
«Non abbiamo alcuna faida con il tuo popolo, asgardiano», la sua voce, nel silenzio teso e innaturale che si era venuto a creare, era rimbombata dura come roccia. «È già stato versato troppo sangue oggi, ad Alfheimr. Sangue elfico, puro. Gli dèi non perdoneranno questo affronto».
 
Loki aveva sorriso. «Io sono un dio, elfo, e c’è nulla di cui debba perdonarmi. Al contrario, mi ritengo piuttosto soddisfatto del mio ingegno», rispose, avanzando di un passo. Allargò le braccia, come a voler indicare qualcosa che non c’era, e rivolse ad Arvedui un inchino canzonatorio. «Giungo per conto di Malekith, figlio di Aenarion il Maledetto, colui che voi bandiste per aver disonorato le vostre leggi. Egli vi comanda di restituirgli il Regno che gli spetta di diritto, o di sangue, ad Alfheimr, ne verrà versato molto altro».
 
«Non provare a ingannarmi, Loki Laufeyson. Io so che la rabbia di Malekith c’entra ben poco con questo massacro. Noi Elfi della Luce portiamo il fardello della Conoscenza, conosciamo il passato, il presente e il futuro di ogni essere che solchi i Nove Regni… anche il tuo».
 
Loki aggrottò la fronte, impreparato a quelle parole. Sulle sue labbra danzarono una decina di possibili risposte. Rise, nascondendo il disagio che gli aveva attanagliato le viscere per un lunghissimo istante, e scrollò le spalle mentre si guardava attorno con fare beffardo. «I vostri eserciti sono caduti, la metà dei vostri uomini è stata depredata di ogni avere e il tuo popolo rischia l’estinzione per mano mia. Se davvero sapevi che ciò sarebbe accaduto, Arvedui, devo ricredermi. In confronto a te, Odino non è poi così pessimo come regnante».
 
«Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria e noi Elfi della Luce, seppur a conoscenza degli eventi, non abbiamo il potere di cambiare i disegni del Destino. Se tentassimo di sbrogliare la matassa di nodi che riguarda ogni essere, ciò che ne ricaveremo sarebbe un nodo ancora più grande e aggrovigliato e il Ragnarök si abbatterebbe su tutti i Nove Regni. È questa la maledizione di noi Elfi della Luce: viviamo la vita degli altri, siamo spettatori passivi e silenziosi, conosciamo tutto e non possiamo far altro che restare ad osservare. Ma adesso ascoltami, figlio di Laufey: non è recidendo delle vite che ne avrai indietro un’altra», Arvedui si alzò dal suo scranno e si erse in tutta la sua altissima statura. I suoi occhi di ghiaccio bruciavano più del fuoco e Loki si sentì trapassare da parte a parte. «C’è sangue nel tuo destino, e non si tratta di quello dei tuoi nemici. Verrai odiato da chi già ti biasima e ingannato da chi ti ha già mentito una volta. Non forzare il Destino, Dio degli Inganni. Non hai idea delle conseguenze a cui ti porteranno la tua arroganza e ambizione», fece una pausa. Il suo sguardo divenne vitreo, perso nel vuoto. «… a cui porteranno tutti noi».
 
All’improvviso, nella mente di Loki, l’immagine di se stesso bambino che ascoltava le parole delle Völve riguardo al Destino prese forma. Subito digrignò i denti, infuriato. Il Destino non esisteva, erano solo fandonie create dai deboli per giustificare gli eventi tragici che accadevano ogni giorno. Lui sapeva che era così, lo sapeva, ne era certo, e non sarebbe stato uno sciocco elfo effeminato a fargli credere il contrario.  
 
«Il Destino non esiste, Elfo», disse, gli occhi assottigliati in due fessure verdognole e le labbra serrate. «E se tieni a questa carcassa che chiami Regno, sarà meglio per te sottostare alle mie indicazioni. Basta un mio solo schiocco di dita…», fece una pausa, e dal palmo della sua mano apparve un ologramma raffigurante migliaia di guerrieri elfici caduti in guerra. Il viso di Arvedui divenne grave come una lapide, le sue mani si strinsero a pugno. Loki non distolse lo sguardo da lui nemmeno per un istante. «… e, credimi sulla parola, tutto questo diverrà più che realtà. Questa volta, come puoi ben vedere, sarai tu a decidere il destino del tuo popolo... Quanti bambini moriranno per mano tua, Arvedui?».
 
Il viso di Arvedui era un dipinto fatto di ombra e tanto muto dolore. Loki comprese che si trovava in difficoltà quando il suo sguardo si fece vacuo, insicuro, stonante con quel viso bellissimo. Per la prima volta, gli veniva data la possibilità di scelta. Non era più il Destino a decidere per lui, ma lui stesso e questo lo confondeva proprio come aveva confuso Loki molto tempo prima, quando aveva lottato con se stesso per scegliere tra giusto e sbagliato.
 
Quando Arvedui chiuse gli occhi e sospirò riluttante, Loki capì cosa gli avrebbe detto prima ancora di udire la sua voce. E sorrise.
 
«Che cosa vuoi da noi, Loki Laufeyson?» La voce di Arvedui era piena di disprezzo e rancore. Loki avanzò di un passo nella sua direzione.
 
«Voglio che Alfheimr venga resa a Malekith e…», ghignò e allungò una mano verso di lui. «… l’Aphyllum».
 
 
Si risvegliò con un grido strozzato.
 
I capelli le ricadevano scomposti sul viso, appiccicati dal sudore; la testa le ronzava come mai prima d’allora e tutto il corpo le doleva come se qualcuno l’avesse riempita di botte.
 
Emily non aveva la minima idea di dove si trovava. Sentiva qualcosa di appiccicoso bagnarle la testa e sgocciolarle lungo le tempie, ma non era certa di voler sapere di cosa si trattava. Ricordi confusi le confondevano la mente, in un caleidoscopio di immagini e suoni cacofonici: ricordava Hela, di aver acconsentito a percorrere il Sentiero di Orfeo per salvare l’anima di Jane Foster, il suo ghigno sinistro e un acutissimo dolore alla testa. Poi, più niente. Era come se un drappo nero fosse calato nella sua memoria, oscurando tutto.
 
Provò a muoversi, e fu allora che comprese di essere appesa ad una sottospecie di trave. Subito si guardò attorno, il cuore in gola che martellava come un tamburo nel suo petto, e terribili occhi vuoti ricambiarono il suo sguardo. Teschi. Era finita in una catacomba, quelli erano scheletri umani… e la stavano fissando.
 
«No… no, no, no… devo andare via da qui…», oscillò avanti e indietro, penzolando pericolosamente dalla trave. La paura le schiacciava il cuore e i polmoni, respirare le era difficilissimo. Attorno a lei vi erano una decina di candele che illuminavano di poco la grotta nella quale era finita, creando una fitta rete di ombre che danzavano sui muri. Emily ebbe l’impressione di vedere una sagoma umana strisciare verso di lei e il respiro le si strozzò in gola mentre in preda al panico tentava di liberarsi delle corde. Alzò lo sguardo verso la trave di legno che la teneva inchiodata e poi guardò giù. Erano circa due metri d’altezza.
 
«Devo scendere… devo scendere!» La sua voce era fiacca, spezzata dalla paura. Non avrebbe dovuto accettare il patto con Hela, sarebbe dovuta fuggire quando ne aveva avuto l’occasione. Ora si trovava chiusa chissà dove, da sola e in preda a chissà quali sventure.
 
Oscillò avanti e indietro approfittando del sostegno della trave, tentando di aggrapparsi con le gambe al legno sopra di lei. Era marcio, riusciva a sentirlo dall’odore che emanava, e quindi si sarebbe spezzato con facilità. Fece perno con tutta la sua forza su se stessa, cercando il momento più adatto per aggrapparsi, e solo dopo molteplici, infiniti tentativi riuscì a farcela. Emily poté sentire il vuoto sotto di sé, il terrore che le percorreva la schiena e le lacrime pizzicarle gli occhi. Voleva andare via… doveva andare via!
 
Ansimante, si tirò indietro e fece forza sulla trave. Presto si sarebbe spezzata, lo sapeva, ma una parte di lei continuava a urlarle di smetterla, che si sarebbe fatta davvero male una volta precipitata. Di nuovo, una sagoma scura attraversò i muri sottoforma di ombra e questa volta Emily la vide perfettamente. La paura fu tale che non riuscì ad urlare, ma d’istinto si tirò indietro di scatto con tutta la forza che aveva e fece appena in tempo ad udire un crack!, che la trave si ruppe e con essa il nodo che la teneva prigioniera.
 
Per un attimo, giusto il tempo di un battito del cuore, Emily non capì più nulla. Era come se non fosse lì, come se stesse solo guardando la scena e non la stesse vivendo. Comprese di essere precipitata quando sentì tutte le ossa scricchiolare e la schiena dolerle come mai prima d’allora. Tutto divenne sfocato, doloroso. Era caduta di lato, sbattendo la spalla destra e la schiena, ma il dolore alle ossa fu nulla in confronto a quello che provò quando qualcosa di lungo e appuntito le perforò il fianco. Ancora sdraiata su un cumulo d’ossa, polvere e terra, Emily si tastò il punto offeso. Non riuscì a trattenere le lacrime: nella caduta era precipitata addosso a uno scheletro, che finendo in pezzi sotto di lei le aveva perforato da parte a parte il fianco destro. Poteva vedere la punta bianca dell’osso uscire dalla carne, grottesca come un racconto dell’orrore, e un singhiozzo risuonò nella grotta forte come un urlo.
 
No… no… dèi del cielo, no… no… vi prego, no…
 
Con una forza che non immaginava di possedere, si tirò su a sedere. Lo stomaco le bruciava come l’inferno, la testa era in preda a una fortissima emicrania. Dal suo fianco destro sgocciolava del sangue viscido e scuro. Emily, un misto di sudore e lacrime, digrignò i denti e strinse l’osso che le perforava il fianco. Doveva tirarlo fuori, fermare l’emorragia… fare qualcosa!
 
Coraggio, Emily… Un colpo solo, deciso, secco… coraggio, devi farcela… Uno… due… oh dèi del cielo, aiutatemi… tre!
 
Lanciò un grido quando strattonò via l’osso dal bacino. Per un momento non riuscì più a respirare, tanto fu accecante il dolore. Le lacrime scesero da sole dal suo volto, mescolandosi alla polvere e al sangue, ed Emily fu certa di stare per morire. Si accasciò su se stessa, tenendo premuta la mano sulla ferita, e singhiozzò forte per il dolore. Solo dopo quella che parve un’eternità, le sue dita corsero nella borsa dove teneva un panno pulito. Lo prese e, stringendo i denti, lo premette sul fianco nel tentativo di alleviare il dolore. Poi, ad un tratto, un sospiro freddo le solleticò il collo ed Emily sbarrò gli occhi dalla paura.
 
Via… devo andare via…
 
Si alzò con fatica da terra, le ginocchia le tremavano e sentiva freddo dappertutto, e si incamminò il più velocemente possibile verso un cunicolo della grotta. Le rocce che la accerchiavano erano spigolose, ruvide ed umide. Emily si sentiva opprimere dall’interno, come se qualcuno le stesse stringendo il cuore in una morsa di ferro. Con ancora le dita premute sulla ferita, avanzò nell’oscurità. Ogni rumore sembrava un ruggito, ogni sibilo un urlo d’avvertimento. Che cos’era quella cosa? Perché la inseguiva? Cosa voleva da lei? Lo aveva solo immaginato? Nonostante continuasse a contrarre grossi sospiri per mantenere la calma, tutto di lei era in agitazione.
 
Un’uscita… devo trovare un’uscita… c’è sempre un’uscita… dove diavolo è l’uscita?!
 
Un soffio di vento le gelò il sangue. Di nuovo, una figura nera attraversò la sua visuale. Emily indietreggiò d’istinto e chiuse gli occhi, preparandosi al peggio. Quando li riaprì, notò che davanti a lei vi era una fiaccola che prima non c’era.
 
«Una fiaccola…?», la sua voce era un sibilo appena udibile nella penombra della grotta. Con passo incerto, fece per prenderla. «Da dove è saltata fuori?».
 
Non ebbe il tempo di darsi una risposta. Tutto iniziò a tremare e l’unica cosa rimasta da fare era correre il più veloce possibile verso la fine del cunicolo o sarebbe rimasta intrappolata lì dentro. Col cuore in gola, Emily agì d’istinto: prese la fiaccola e percorse il lungo corridoio, tentando di non inciampare. La gola le bruciava, i suoi polmoni erano in fiamme e la ferita continuava a pizzicare. Non doveva pensarci. Doveva andare avanti, proseguire. Se ti fermi sei morta, continuava a ripetersi, stringendo i denti per il dolore. Se ti fermi sei morta!
 
Il pavimento tremò ed Emily ebbe appena il tempo di non sentire più la terra sotto i piedi che precipitò lungo un tunnel sotterraneo. Frappose d’istinto le braccia davanti agli occhi e ritirò le gambe per attutire le caduta. Rovi, ossa e ragnatele le finirono addosso tutti insieme, le graffiavano la pelle e la colpivano in più punti. Quando rotolò in quella che doveva essere la fine del tunnel, non ebbe il tempo di respirare che dovette subito rimettersi in piedi. Si infiltrò in quello che doveva essere una piccola galleria, quando due mani fredde le afferrarono le caviglie.
 
«No!», l’urlo di Emily riecheggiò fra le mura della grotta. I suoi occhi erano spalancati dal terrore quando si voltò a fronteggiare il suo aguzzino: aveva lunghi capelli neri, il volto magro e scavato e due occhi verdi che conosceva benissimo, ma diversi da quelli che amava. Quel mostro aveva le sembianze di Loki, ma non era lui. Il suo sorriso era malato, perverso, i suoi occhi luccicavano di una luce cattiva, le sue unghia le graffiavano la carne con prepotenza.
 
«Vieni qui, piccola volpe…», la voce del falso Loki era grottesca, simile a un sibilo di un serpente. «Giochiamo un po’… giochiamo, dai… è da tanto che non giochiamo, io e te».
 
«No! No! Lasciami! Lasciami, lasciami ho detto!» Approfittando della posizione fetale in cui era posta, Emily assestò un calcio al volto del finto Loki, che subito lasciò la presa su di lei e ringhiò di rabbia. I suoi denti non avevano nulla di umano: erano aguzzi, sporchi di sangue, affilati come rasoi. Lentamente il suo volto iniziò a cambiare e i suoi tratti divennero quelli del cane infernale che lei e Thor avevano visto dinanzi all’accesso dell’Hel.
Garmr rizzò il pelo e fece per attaccarla, ma Emily fu più svelta e, assestato un calcio alla roccia sopra il tunnel, fece sì che il masso precipitasse addosso alla testa dell’animale che subito guaì di dolore e morì sul colpo, la testa pelosa ricoperta di sangue e di polvere. Di lui rimase solo qualche pelo e un dente aguzzo grande circa quanto una mano. Emily lo prese con riluttanza e lo nascose nella borsa di cuoio attaccata alla cintola; forse le sarebbe tornato utile in futuro.
 
 La grotta aveva smesso di franare, adesso era rimasto solo il silenzio. Emily non era certa che fosse meglio di quella cacofonia di suoni e rumori, ma decise di farselo bastare. Inspirò nel tentativo di tranquillizzarsi. Le mani non smettevano di tremarle, il battito del suo cuore era così potente da rimbombarle nella mente. La ferita al fianco continuava a dolerle, ma il fazzoletto aveva un po’ tamponato il tutto e l’adrenalina della caduta le permetteva di continuare ad andare avanti per un altro po’. Nonostante ciò, Emily era certa che sarebbe morta di lì a poco.
 
Mentre riprendeva fiato, le tornò in mente il volto del finto Loki mentre le afferrava le caviglie. Non aveva idea del perché quel cane infernale avesse preso proprio le sue sembianze, ma una parte di lei, quella che aveva sempre paragonato al cuore, le suggeriva che – anche se faticava ad ammetterlo –il lato oscuro di Loki le aveva sempre fatto paura. Emily ricordava ancora con spietata nitidezza il momento in cui aveva scoperto della sua ascesa al trono di Asgard, quandol’aveva spinta a terra urlandole contro.
 
Si passò una mano fra i capelli ora sporchi e pieni di polvere e detriti, e contò fin quando il suo battito cardiaco tornò regolare.
 
Uno… due… tre…
 
Dopo quella che parve un’eternità, si decise a proseguire. La torcia era andata perduta e adesso l’unica luce rimasta era quella delle piccole lanterne appese alle estremità dei muri.
Avanzò finché un brivido non le percorse la schiena, lo stesso che aveva sentito prima dell’attacco del finto Loki. Questa volta però, oltre alla paura, un sentimento strano, contrastante, le percosse il petto. Un soffio di vento le mulinò i capelli ed Emily fu costretta a ripararsi con le braccia. Pensò d’istinto che si trattasse di qualche altro mostro venuto ad ucciderla e subito il cuore le salì in gola, pompando furioso nel petto. Poi, all’improvviso, tutto finì così come era iniziato.
 
«Emily».
 
Emily si voltò, e il fiato le si spezzò in gola. Si premette una mano sulle labbra, tutto di lei era un tremolio convulso.
 
Non erano fantasmi, né persone in carne ed ossa. Erano due anime: di un uomo e una donna. L’uomo era alto e bello, aveva ricci capelli rossi, profondi occhi scuri e labbra sottili, similissime alle sue. Avanzava verso di lei con disinvoltura, le mani in tasca e un sorriso affettuoso sul volto, come se la conoscesse da sempre. La donna invece aveva lunghi capelli corvini legati in una treccia, occhi azzurri come il cielo e un largo sorriso sul volto pallido. La guardava come se non potesse mai saziarsi del suo viso, gli occhi chiari racchiudevano una dolcezza così disarmante che Emily si trovò impreparata, quasi commossa.
 
Non vi fu bisogno di alcuna parola, nessuna spiegazione. Sapeva già chi erano quelle due persone. Una parte di lei, chissà quale, glielo urlava a pieni polmoni, come a voler riportare alla luce un ricordo antico, qualcosa che aveva archiviato con gli anni ma che non aveva mai davvero dimenticato. Mentre si avvicinava a loro con passo barcollante, gli occhi stanchi e lucidi di lacrime, sorrise.
 
«Madre…», mormorò con voce spezzata. «… Padre».
 
 
Steve non aveva mai amato le arrese.
 
Quando si trovava al campo militare, era piccolo e debole. Tutti continuavano a dirgli di lasciar perdere, che fare il soldato non era per lui. Ci aveva pensato. Per un momento aveva davvero preso in considerazione l’idea di abbandonare tutto, ma non lo aveva mai fatto sul serio. C’era sempre stato qualcosa dentro di lui, non sapeva spiegarsi bene cosa di preciso, che gli intimava di proseguire e non guardarsi indietro. A metà percorso si è già più vicini al traguardo di qualcuno che è ancora alla linea d’inizio, diceva. E Steve le aveva dato ascolto. Alla fine era riuscito a diventare un super soldato, aveva salvato la Terra da un’invasione aliena ed era sopravvissuto a un ibernamento durato più di settant’anni, a riprova del fatto che l’unico limite che l’uomo può darsi è il cielo – E lui quello lo aveva già superato da tempo.
 
Ora che però il Tesseract era andato perduto e la Terra era minacciata da qualcosa di molto più grande persino della battaglia di New York, Steve non era più tanto sicuro che sarebbe riuscito a dare retta a quella vocina, questa volta.
 
«Tieni, Cap. Ti tirerà su».
 
Steve alzò il capo e il suo sguardo si scontrò con quello ceruleo di Darcy Lewis, la stagista della dottoressa Foster, che era tutta un sorriso furbetto e luminosi occhi azzurri. Aveva tolto il solito cappellino di lana che le copriva i capelli e indossato una giacchetta rossa che le arrivava fino al ginocchio. Steve la trovò piuttosto graziosa, ma non disse nulla per non sembrare sgarbato.
 
«Ti ringrazio», sussurrò, prendendo il bicchiere che Darcy gli aveva porto. «Cos’è?», chiese poi, squadrando il contenuto del bicchiere con un sopracciglio inarcato.
 
Darcy gli rivolse un sorrisetto complice. «Vodka», disse. «Ne ho rubato un bicchierino dalla riserva dell’agente Romanoff… lei non ne sa nulla, quindi sssh!».
 
Steve abbozzò un sorriso. «Be’, allora forse non dovrei bere… ti assicuro che Natasha non è particolarmente gentile quando toccano le sue cose», disse, facendola ridere. Darcy gli diede una leggera pacca sulle spalle.
 
«Non avrai mica paura, eh, Cap?».
 
«Preferisco chiamarlo istinto di sopravvivenza… .
 
«Io invece la chiamo noiaaaaaa» Rispose Darcy, allungando le vocali, somigliando a una bambina capricciosa. Bevve il contenuto del bicchiere tutto d’un fiato, prima ancora che lui potesse obiettare che l’alcol andava bevuto a piccoli sorsi, e quando ebbe finito si portò una mano alle labbra e ridacchiò un po’. «Edddaaaii, Cap! Non fare lo scorfano brontolone!».
 
«… scorfano brontolone? Cos’è, uno strano gergo di voi ragazzi d’oggi?».
 
Darcy rise di gusto, aveva davvero una bella risata. «Naah, è solo una citazione di Dory di Alla Ricerca di Nemo. Dovresti guardarlo, sai? C’è quella tartaruga di mare che, ti giuro, è una forza… e poi Dory è carinissima e la battuta sul Motoschifo è divertentissima! Magari quando tutto questo sarà finito ti presto il DVD, che ne pensi?!».
 
Steve annuì mestamente e appuntò sulla sua agendina il nome di quel film tra le Cose Da Recuperare, poi rivolse la sua attenzione su Darcy. Aveva grandi occhi blu, labbra carnose, mani lunghe e affusolate. Era così diversa da Peggy, così… giovane, spensierata. Era da tanto che non vedeva qualcuno così, precisamente dai tempi della guerra, e adesso che si trovava in quella situazione tanto ostica le cose non erano migliorate. Tutto sembrava essere caduto in una sorta di oscurità perenne: tutti erano scuri in volto, perennemente giù di corda, e Steve non se la sentiva di dare la colpa a nessuno fuorché a se stesso. Se solo fosse stato più scattante, più lungimirante, quel giorno… forse avrebbero ancora il Tesseract e per la Terra ci sarebbe stata ancora speranza.
 
«Come fai?» Parlò prima di rendersene conto, senza pensare. Darcy aggrottò la fronte, dubbiosa.
 
«A fare cosa?» Rispose, la montatura degli occhiali che le ricadeva pesante sul naso dritto.
 
«Ad essere così… così tranquilla. Tutto il tuo mondo è in preda alla guerra, forse non riusciremo a sopravvivere fino a domani eppure tu non sembri affatto preoccupata, o se lo sei non lo dai a vedere. Come ci riesci?».
 
Per la prima volta dacché si trovava in quella stanza, Steve vide una nota d’angoscia solcare gli occhi azzurri di Darcy. Sembrava che un pezzo di vetro l’avesse colpita dritta al petto, trafiggendola come un incubo che ritornava alla memoria all’improvviso, doloroso. Gli rivolse un sorriso così malinconico che guardarla fu, per un attimo, straziante. Steve si sentì a disagio, perché aveva involontariamente scoperto una parte nascosta di Darcy, una delle più fragili.
 
«Non ci riesco, Cap», disse in un soffio, senza distogliere lo sguardo. «In realtà, nessuno ci riesce qui dentro. Solo che c’è chi riesce a distrarsi per conservare quel briciolo di speranza che tutto possa tornare come prima e chi no, capisci? Però mi chiedo: a che serve piangere e stare giù, in queste situazioni? È tutto già abbastanza complicato così, non c’è bisogno di aggiungere altri problemi. Preferisco morire con il sorriso, piuttosto che vivere piangendo… non trovi anche tu che sia meglio?».
 
E senza riflettere, senza averlo premeditato, senza preoccuparsi del fatto che era sbagliato, inadeguato e folle, Steve la baciò. Un sentimento potente, che gli nasceva dal cuore e si riversava in tutto il corpo, lo travolse di colpo. Le labbra di Darcy erano dolci e amare, soffici e ruvide, un ossimoro fra il giusto e sbagliato. Steve si sentì così bene, così dannatamente bene che dimenticò tutto: Peggy, New York, il Tesseract, l’America e forse persino il suo nome. Le uniche cose che esistevano adesso erano Darcy e le sue labbra dolci come il miele, nient’altro.
 
Non seppe per quanto durò quel bacio. Forse pochi secondi, qualche minuto, interi secoli e millenni, ma quando lei fece scivolare le sue dita fredde sotto la sua camicia di flanella, Steve si tirò indietro di colpo, come scottato.
 
Buon Dio, ma cosa sto facendo?
 
«No…», sussurrò fra i denti, sorprendendosi di quanto quelle parole gli dessero fastidio. «… ascolta Darcy, mi sono comportato da cafone. Ho agito d’istinto… non avrei dovuto, lo so e mi dispiace. Ci conosciamo appena, tu sei una bella ragazza ed io uno stupido vecchio che non sa controllarsi e non vorrei mai che tu mi vedessi come un pervertito perché, te lo giuro, non lo sono, e quindi scusami per tutto, non ho idea di che cosa mi sia preso ma tu hai detto quella cosa sulla vita, e i tuoi occhi erano così… così dolci... ed io–».
Darcy pose un dito sulle sue labbra, delicata. I suoi occhi erano velati di una luce che Steve trovò meravigliosa e il suo corpo ebbe un brivido, come se qualcuno avesse fatto scorrere del ghiaccio freddo sulla sua schiena.
«Ssssh…», mormorò Darcy, la sua voce parve a Steve il suono più dolce di sempre. «Lasciati andare, capitano».
 
E nel calore di quel bacio, Steve si lasciò andare.  
 
 
 
 


- Note dell’Autrice.


1) La canzone iniziale è: Welcome to Hell, dei Sum41
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Ebbene sì, eccomi – di nuovo – qui!
Sì, lo so cosa state pensando: “Harmony394 è una stronza egoista che fa del male ai propri pg e mette insieme altri pg che non c’entrano una fava”. Avete ragione, sul serio, ma cosa volete che vi dica? È il mondo delle fanfiction. Io vi avevo avvertito che era un luogo oscuro e di perdizione. Prendetevela col fandom inglese, che mi propina sempre ship di tutti i generi. (no, sul serio, TUTTI I GENERI. T U T T I). La coppia Steve\Darcy non l’avevo programmata proprio per niente… Giuro che è uscita fuori tutta da sola! Mi consolo sapendo di non essere l’unica folle e che nel fandom inglese altra gente li shippa. Sigh.
 
Per quanto riguarda le disavventure di Emily nelle catacombe: sì, sì lo so, sono una stronza per tutto quello che le ho fatto capitare e una grande parte di me si sente in colpa, però non rimpiango niente. E questo credo che sia il male peggiore… abbiate pietà, pls.
 
Immagino che tutti vi siate chiesti cosa diavolo sia l’Aphyllum. Ehehehehehe. Lo scoprirete presto. Sappiate solo che Loki, a dispetto di tutto quello che fa, non è stupido come sembra.
 
Eeee… nulla. Credo sia tutto. Come al solito ringrazio di cuore la mia Beta
vannagio, che mi ha aiutato a correggere gli e(o)rrori del capitolo, corro a rispondere alle recensioni che mi avete lasciato (a proposito: Grazie, grazie, grazie mille a tutti coloro che lasciano un parere. Siete l’amore. Vi meritate tanti biscotti. Grazie <3) e vi linko il mio profilo Facebook ed Ask.fm.
 
FB:
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Auguro a tutti una buona Pasqua e tante dolci dormite, che tanto lo sappiamo tutti che le vacanze di Pasqua servono solo a questo. Ehehe.
 
Un bacione. <3
 

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Capitolo 18
*** Lokasenna ***


~Lokasenna
Life’s too short
To be such an oblivious fool
So reckless that I couldn't see
Life’s too short to be so desperate to be loved
That I only ever thought of me
 
 
Emily protese una mano verso i fantasmi dei suoi genitori. Voleva toccarli, abbracciarli, baciarli sulle guance e sussurrare loro quanto le fossero mancati, quante volte aveva sognato di rivederli. Aveva paura che potessero scomparire da un momento all’altro, che fossero solo l’ennesima allucinazione, e d’istinto mosse un passo verso di loro, incurante del suo fianco sanguinante che supplicava cure e riposo. Voleva toccarli. Solo per un secondo, solo per una volta. Non aveva mai desiderato tanto in vita sua, ma adesso ogni piccola parte di lei, anche la più recondita e nascosta, supplicava di potersi beare di quella vista ancora un po’.
 
Oh, Antichi Dèi, se questo è un sogno vi prego – vi prego! – fatemi dormire ancora un po’, solo un altro po’…
 
Sua madre protese le mani verso di lei, un sorriso affabile e gentile le incurvava le labbra. Emily sfiorò le sue dita, ma quelle le passarono attraverso. Le lacrime le pizzicarono gli occhi. Che destino crudele, pensò con amarezza, vederli e non poterli toccare.
 
«Emily» Il cuore di Emily fece un balzo. Quante volte aveva desiderato udire la voce di sua madre? Quante volte l’aveva immaginata mentre le sussurrava all’orecchio e le accarezzava i capelli? Si sentì struggere: lo stomaco le si strinse in una morsa di ferro e una lacrima rigò il suo volto sporco e graffiato. Quanto desiderava abbracciarla, sentire il suo calore, baciarle le guance…
 
«Madre…», era appena un sussurro quello che le uscì dalla bocca, poco più di una supplica. Resta con me, avrebbe voluto dirle, Non andartene mai, mai più, ma la voce le rimaneva bloccata in gola, incastrata fra il cuore e le labbra.
 
«Sei stata molto coraggiosa» Le disse sua madre, posando una mano sulla sua guancia. Emily non sentì il suo tocco leggero, il profumo della sua pelle, il calore delle sue dita. Non sentì nulla, solo un leggero brivido freddo accarezzarle il viso. Eppure per lei era quanto di più bello potesse accaderle.
 
«Ora però sei con noi, bambina mia. Non ti lasceremo mai più» Era stato suo padre a parlare. La sua voce era profonda e un po’ rauca, ma Emily la trovò bellissima. «Lascia stare tutto il resto, non c’è più nulla per cui valga la pena lottare».
 
Non seppe spiegarsi il perché, eppure Emily provò uno strano senso di malessere, come se avesse inghiottito uno sciroppo troppo amaro. Non voleva abbandonare Jane Foster e deludere Thor, ma in cuor suo desiderava rimanere laggiù, con i suoi genitori. Si sentiva un mostro per ciò che stava pensando, per la codardia che le faceva tremare le dita e le labbra, ma non le importava. Era stanca, troppo stanca. Suo padre aveva ragione: doveva lasciar andare la presa, rimanere laggiù per sempre. Cosa aveva da perdere, in fondo? Vàlì era morto, Loki era andato via, Asgard era sotto assedio e Thanos il Titano era invincibile. A che pro continuare a lottare? Forse un giorno Thor l’avrebbe perdonata. Forse anche lei, un giorno, si sarebbe perdonata per quello che stava per fare.
 
«Tieni, piccola mia» Emily alzò lo sguardo. Dinanzi a lei, sua madre le tendeva un pugnale che risplendeva di una luce sinistra e argentea. A differenza delle figure dei suoi genitori, esso era solido e tangibile. «Non c’è nulla per cui valga la pena lottare, ormai. Lo sai bene, bambina».
 
Emily osservò il pugnale con occhi vitrei e labbra serrate. Non avrebbe riaperto gli occhi mai più. Non avrebbe più respirato, odiato, amato e sofferto. Non avrebbe provato più niente. Sarebbe stata libera da quel nodo che le stringeva il petto da quando Vàlì era morto, non avrebbe più rivisto Loki, pianto la sua assenza e maledetto gli Dèi per il destino ingiusto che le avevano riservato. Per un momento, giusto un battito del cuore, Emily desiderò davvero morire; lo desiderò con tutta se stessa. Solo quando la lama del pugnale riflesse il suo sguardo – sporco, esausto, sanguinante e vivo –, il pensiero della morte la spaventò più di ogni altra cosa.
 
«No… io… io non–».
«Saremo con te per tutto il tempo, Emily. Fino alla fine. Non sentirai più alcun dolore, alcuna tristezza. Sarai libera da ogni emozione negativa…».
 
E anche positiva, pensò Emily. Ma, anche se faticava ad ammetterlo, stentava a credere di poter mai più tornare a sorridere, o anche solo sognare. Non ricordava più l’ultima volta in cui aveva riso di gusto, l’ultima volta in cui era stata davvero felice. Forse non lo era mai stata davvero, o forse il dolore era così devastante da nascondere tutti quei bei ricordi a cui si era aggrappata con le unghie e con i denti durante quegli anni. Non lo sapeva. Al momento, la sua unica certezza era che non voleva più soffrire.
 
Strinse il pugnale. Era freddo come la morte.
 
«Resterete con me?» Chiese in un sussurro. Nella sua testa, bruciante più del fuoco, tornò l’immagine del sorriso malinconico di Loki. Sarebbe stato male, quando avrebbe saputo della sua morte?
 
I suoi genitori sorrisero melliflui. «Per sempre», risposero. Ed Emily alzò il pugnale.
 
Accadde tutto con rapidità: la lama luccicò come vetro lattiginoso riflettendo ciò che accadeva attorno a lei, ed Emily li vide: due feroci occhi rossi, paurosi e demoniaci che la fissavano. Appartenevano ai fantasmi dei suoi genitori.
 
Soffocò un grido per lo spavento e si tirò indietro di slancio, il cuore in gola e gli occhi sbarrati. I fantasmi dei suoi genitori mutarono forma, divenendo simili a mostri. Emily non riusciva a parlare. La paura le impediva di muoversi, di urlare e di respirare. La sagoma deformata e mostruosa di suo padre aprì le enormi fauci ricolme di denti aguzzi e si slanciò verso di lei. Spronata dalla paura stessa, Emily si scansò appena in tempo per evitarlo, ma nella fretta cadde a terra e rotolò giù dal cunicolo, finendo distesa su un cumolo di polvere e macerie. Terrorizzata e dolorante, corse il più velocemente possibile lontano da quel luogo. Non aveva idea di dove andare, tutto attorno a lei era buio e polveroso e ombre grottesche la seguivano passo dopo passo. Sentiva il fiato venirle meno, il fianco dolerle più del dovuto. Morirò, pensò mentre incespicava nei suoi stessi passi, Morirò e non vedrò mai più la luce del sole…
 
L’elsa fredda del pugnale premeva forte sul palmo della sua mano. Emily lo teneva stretto a sé come se fosse la sua unica ancora di salvezza, ciò che le garantiva una possibile via d’uscita. Ad un tratto, la grotta cominciò a franare ed enormi coltri di polvere si sollevarono in aria, soffocandola.
 
Uscire… devo uscire…
 
Gli occhi vuoti e iniettati di sangue del fantasma che aveva preso le sembianze di sua madre le si parò dinanzi all’improvviso. Emily impugnò forte il coltello e senza pensare a ciò che stava facendo affondò la lama nel petto della donna. Si aspettava che sarebbe passata attraverso, che il suo gesto sarebbe stato inutile, ma quando le sue dita si macchiarono di scuro e denso rosso sangue, capì che quelli non erano semplici fantasmi. La donna cacciò un urlo disumano, alto parecchie ottave, che sembrò perforarle i timpani, ed Emily tirò fuori il coltello giusto in tempo per tagliarle la gola e impedirle di toccarla. Non ebbe il tempo di vederla dissiparsi nel vento come cenere che riprese la corsa. Si aspettava di veder comparire il fantasma di suo padre da un momento all’altro. Poteva sentirlo. Era lì, dietro di lei, e la voleva morta. Se prima la morte le era parsa il più delicato dei balsami, adesso l’unica cosa che voleva era uscire da lì il prima possibile.
 
La grotta continuava a franare. Una parte di Emily era certa che sarebbe rimasta schiacciata sotto le macerie, l’altra continuava a gridare di andare avanti, di non fermarsi per alcuna ragione. Arrivò dinanzi a un’altra grotta; questa volta, però, poteva vedere uno spiraglio di luce filtrare da sopra la cima di un cumolo di rocce. La fine del percorso.
 
Una mano fredda, appiccicosa e reale le afferrò la caviglia nel momento stesso in cui stava per arrivare in cima. Reggendosi con forza alla sporgenza di una roccia, Emily si voltò: il fantasma di suo padre era lì, gli occhi scarlatti e le unghie delle mani affilate e marce. Dell’uomo dai bellissimi riccioli rossi che aveva visto poc’anzi non era rimasto più nulla, solo una mera, grottesca somiglianza.
 
«Vieni… bambina…» Anche la sua voce era diversa: stridula come lo starnazzare dei corvi. «Lasciati abbracciare… tuo padre ha desiderato a lungo poterti riabbracciare… tuo padre ti ama, piccina… ti ama così tanto…».
 
«Tu non sei mio padre!», gridò Emily, il viso paonazzo di rabbia. «Sei solo un mostro! Muori… muori!», e con un calcio sul volto lo fece precipitare giù dal lungo cumulo di rocce. Con lui, anche l’ultimo briciolo di speranza di aver visto i suoi veri genitori scivolò nell’abisso.
 
La terra cominciò a cedere. Questa volta, grossi massi rotolavano giù per il pendio di rocce dove era aggrappata. Emily digrignò forte i denti e, con unghie sanguinanti e braccia nere di polvere ed ematomi, tentò di arrivare in cima. Tutto tremava: la terra sotto i suoi piedi, la grotta, la sua vita che penzolava sopra il filo di un rasoio. Non pensava, Emily, non ne aveva il tempo. Doveva solo salire, tenere duro, andare avanti. Un altro masso rotolò giù dalla discesa, dritto verso di lei. Emily se ne accorse appena in tempo per spostarsi dalla sua traiettoria.
 
Avanti… devo andare avanti… avanti!
 
Una luce. Flebile, bianca, bellissima, le ferì gli occhi. Mancava poco… era vicina all’uscita! Poteva quasi sentire il vento fresco del palazzo di Hela, l’abbraccio stretto di Thor, le lacrime pizzicarle gli occhi. Era così vicina… così vicina!
 
La grotta tremò più forte, le dita sanguinavano copiosamente, la testa sembrava esploderle. Vi fu un rumore sordo, come di qualcosa che sbatte a terra, le orecchie le fischiarono come mai prima d’allora, l’uscita era lì… proprio lì…
 
«Emily!».
 
Vi fu un fascio di luce accecante. Il fiato le si spezzò in gola, i polmoni inalarono quanta più aria possibile, gli occhi bruciavano come tizzoni ardenti. Fece appena in tempo a capire di essere fuori, di essere viva, di sentire il tocco caldo delle dita di Thor addosso, la sua voce possente che la chiamava, che le ginocchia le vennero meno e crollò a terra. In un ultimo guizzo di lucidità, Emily colse lo scintillio di due lampeggianti occhi di ghiaccio, quelli del lupo di Hela, che la fissavano da lontano. Durò un solo istante, appena prima di sbattere la testa, qualcosa di caldo si fece largo dentro il suo petto, come se quel lupo la stesse avvolgendo in un abbraccio dolce, affettuoso, familiare.
 
Un drappo nero calò sui suoi occhi, lo sguardo dorato del lupo svanì e con esso anche il resto del mondo. Alla fine, rimase solo il silenzio.
 

 
C’erano tre certezze nella vita di Clint Barton: essere un arciere perfetto, un ottimo agente dello S.H.I.E.L.D e all’occasione anche un cuoco straordinario. Quello che però non sapeva, ma che avrebbe scoperto presto, era di essere anche un ottimo RovinatoreDiMomentiRomantici, perché era già la terza volta che beccava gente mentre pomiciava. La prima era stata durante una missione segreta: doveva recuperare un oggetto per lo S.H.I.E.L.D, uno di quei soliti manufatti che servivano per proteggere il mondo e blablabla, si era infiltrato nei condotti di aerazione della reggia dove viveva il mafioso che possedeva l’oggetto in questione e, proprio quando era stato certo di essere riuscito ad arrivare alla stanza esatta, si era lasciato cadere fuori dall’impianto metallico.
 
Ovviamente, si era ritrovato nella stanza da letto del TizioCattivo in questione, che si stava dando da fare con almeno tre puttane – anche piuttosto gnocche, doveva ammettere. Il tutto si era concluso con  una sparatoria che gli aveva fatto saltare la copertura e recato almeno dieci punti di sutura su per il fianco destro, e il recupero del dannatissimo manufatto, anche grazie a Natasha. La seconda volta era stata quando aveva sorpreso Tony Stark con il professor Banner che, oddio, non stavano facendo nulla di male, sul serio, anzi parlavano di un argomento piuttosto noioso – scienza e numeri e pianeti non erano proprio l’apice dell’erotismo, a parer suo – ma erano così affiatati che per un momento Clint si era sentito, oltre che un perfetto idiota, un terzo incomodo di dimensioni epocali e quindi aveva girato i tacchi e aveva lasciato Stark e Banner ai loro isterismi scientifici, tornandosene in camera a chiedersi perché diavolo dovessero capitare a lui, certi momenti. Infine, la terza e ultima volta la stava vivendo proprio in quel momento.
 
Quando Fury aveva lanciato l’appello di massima urgenza, urlando a un codice rosso di Livello Sette perché gli Oscuri avevano fatto breccia nelle loro fortezze, il suo primo pensiero era stato trovare Steve. Insomma… era lui quello che di solito aveva in mano la situazione, che diceva loro come muoversi e… e per Dio! Era Capitan America! A chi diavolo avrebbe dovuto rivolgersi se non a lui? Per questo quando aveva fatto irruzione nella sua stanza e lo aveva visto avvinghiato a Darcy Lewis – Proprio quella Darcy Lewis con gli occhiali quadrati e la maglietta di Batman! – mentre si scambiavano saliva, lingua e altra roba disgustosa, si era ammutolito di colpo. Clint era sempre stata un ottimo arciere, agente e cuoco, ma in quel momento era ridotto a poco più che un vegetale che non riusciva a capacitarsi di quello che vedeva.
 
Cristo, è proprio quella Darcy Lewis, l’aiutante della Foster. Quella che indossa sempre un capellino di colore diverso e che… oh… OH! E CHE HA UN GRAN BEL PAIO DI TETT—
 
«Clint! Ma che diavolo stai facend— oh» La voce di Natasha si arrestò di colpo. Clint si voltò a guardarla – non l’aveva vista arrivare – e notò che anche lei aveva dipinta sul volto un’espressione basita. D’altro canto, Steve e Darcy erano rimasti immobili, avvinghiati l’un l’altra, a guardarli con lo sguardo di chi voleva essere inghiottito dal pavimento per sempre.  
 
«Già, oh. Le fortune migliori capitano sempre agli altri…», sospirò Clint, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal petto di Darcy. Natasha se ne accorse e gli rifilò uno spintone e una gomitata alle costole, dopodiché si avvicinò a Darcy in fretta e in furia, il volto rosso d’imbarazzo, e le diede la prima cosa che trovò: un camicione a quadretti tipico degli uomini di mezza età, appartenente a Cap, il quale si riscosse all’improvviso da quello stato catatonico, divenne rosso fino alla punta dei capelli e si alzò dal letto incespicando fra le lenzuola alla ricerca di vestiti puliti. Il tutto mentre mormorava frasi sconnesse del tipo “Non posso credere di averlo fatto” e “Sono un idiota, uno stupido, stupidissimo idiota!”.
 
Darcy provò a boccheggiare qualcosa. «Io… lui… cioè noi…».
 
«MA SI PUÓ SAPERE COSA DIAVOLO STATE FACENDO IN UN MOMENTO DEL GENERE?!» La voce di Darcy venne sovrapposta da quella di Nick Fury, e Clint capì che quel cognome gli calzava a pennello. Solo in quel momento si ricordò che, in effetti, lì fuori c’era una guerra in corso. La guerra può anche aspettare quando ci sono due tette del genere nei paraggi, pensò. Ma qualcosa gli suggerì che era meglio non dirlo. «TU!» Nick Fury puntò un dito verso Darcy, che sussultò. «COSA DIAVOLO STAI FACENDO AL MIO SOLDATO MIGLIORE?!».
 
«Io veramente—».
 
«FUORI DA QUI! SUBITO!» Darcy non se lo fece ripetere due volte. Lanciò un ultimo sguardo a Steve, il quale la osservò quasi con rammarico, sgusciò fuori dalla stanza e mormorò una roba simile a “Ma qui dentro non si usa bussare?!”. «E TU!» Tutti trasalirono. Il dito di Fury si puntò minaccioso verso Cap, che s’irrigidì di colpo come un soldatino di piombo. «FARAI MEGLIO A INDOSSARE QUELLA DANNATA DIVISA E CORRERE FUORI DA QUI A FARE NERI I CULI DI QUEI FIGLI DI PUTTANA, SE NON VUOI ESSERE PRESO A CALCI IN CULO! E ADESSO FUORI DI QUI!».
 
«Ehi, ho visto la Lewis in mutandine coi gattini e i capelli spettinati qui fuori; ora, non vorrei dire nulla, ma… mi sono perso qualcosa? Ehi, Fury, perché così Furyoso?» Tony Stark, armatura rossa e dorata e visiera alzata per mostrare al mondo il suo ghigno beota, era entrato in scena in compagnia di Bruce Banner, il quale continuava a dirgli di tacere, che Fury lo avrebbe ammazzato e che fuori era in corso una guerra e quello non era proprio il momento esatto per fare dell’ironia.
 
Le sopracciglia di Fury si aggrottarono così tanto che per un momento Clint faticò a capire dove iniziasse il volto e dove finissero le sopracciglia. Se lì fuori c’erano un centinaio di Oscuri pronti a farli fuori, questo sarebbe stato il momento migliore per loro di irrompere nelle mura dello S.H.I.E.L.D.
 
«Fuori. Di. Qui.» Fury fece una pausa. Clint era certo che fosse lì per lì per esplodere e d’istinto agguantò una freccia dalla propria faretra. «SUBITO!».
 
E tutti, compreso Cap che stava ancora incespicando per alzare la cintola dei pantaloni, si diressero verso il clou della battaglia. Prima di varcare la porta che li avrebbe condotti fuori dalla base, Clint udì Stark mormorare a Steve: “E così alla fine il ghiacciolo si è sciolto, eh?”, che gli procurò un pugno dritto sul naso da parte sua. Clint non poté scoppiare in una grassa risata perché, d’un tratto, il cielo divenne nero come petrolio e gli uccelli iniziarono a pigolare spaventati e volare via dagli alberi. Nel cielo si era aperto un grosso varco, simile a quello di New York, dal quale fuoriuscirono un centinaio di Oscuri e Chitauri in sella alle loro navicelle spaziali. Erano in centinaia, Clint non riusciva a contarli. Cercò gli occhi di Natasha e costatò che quella lo stava già guardando. Riconobbe quello sguardo. Resta vivo, diceva mentre ricaricava una Magnum calibro cinquanta, la sua preferita. Clint non disse nulla, i suoi occhi parlavano per lui: Puoi contarci.
 
Ma quando dal varco uscì una navicella più grossa delle altre – più spaventosa delle altre –dalla quale sbucava la testa di quel figlio di puttana di Loki, una tizia dai capelli neri come ali di corvo, un alieno con una maschera di ferro, Malekith e un enorme, terribile e grottesco gigante alto circa il triplo di ognuno di loro, muscoloso quanto l’Hulk e con un terribile ghigno sul volto rude, Clint temette di doversi ricredere.
 
«Che diavolo è quello?  La voce di Tony Stark risuonò metallica all’auricolare. Vi fu un momento di silenzio, come la calma che precede la tempesta, e infine la voce di Fury riecheggiò nelle orecchie di ognuno di loro, simile ad una sentenza di morte.
 
«È Thanos».
 

 
La battaglia imperversava.
 
Le legioni di Oscuri si battevano contro i Vendicatori, i Chitauri razziavano le abitazioni e i sobborghi degli umani in cerca di qualcosa da uccidere, le forze armate dei terrestri insorgevano contro gli attacchi nemici. Loki, dall’alto della sua postazione, restava in silenzio. Aveva imparato da tempo a chiudere gli occhi di fronte a ciò che non desiderava vedere, e da quando Eris gli aveva mostrato quelle immagini di Emily sola e in preda ad un mostro con la quale non aveva speranze di vincere, aveva abbandonato ogni rimorso. Erano passate intere settimane da quel giorno, eppure non era ancora trascorsa una notte senza che la sognasse.
 
Nei suoi incubi, terribile, rimbombava ancora quella domanda: Che cosa hai fatto?
 
Era colpa sua se Emily era morta, se Vàlì era morto. Era sempre stata colpa sua: per essere un Gigante di Ghiaccio, un mostro, un assassino. Loki lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma in tutto quel tempo la presenza di Emily aveva alleviato quel peso, rendendolo un po’ più leggero da trasportare. Ma quando sei tu a spegnere l’ultima luce che ti rimane, cosa ti resta se non una profonda e soffocante oscurità?
 
«Non ti unisci alla festa, Loki?» La voce di Malekith era strascicata come un lungo sospiro. Il suo volto non era più coperto da una maschera e Loki poteva vederlo in tutta la sua malvagità. «Sembrerebbe quasi che la conquista di Midgard non ti entusiasmi più di tanto. Al contrario, pare affliggerti».
 
Loki gli rivolse un’occhiata in tralice. «Provare piacere per un libro di cui conosci già il finale è impossibile, Malekith. Che divertimento ne trai, se sai già come andrà a finire?».
 
«Be’, amor mio», Eris si avvicinò a loro e prese la parola. «Credo dovrai ricrederti. C’è ancora una sorpresa per te. Credimi, ne sarai lieto… oh, guarda! Sta per arrivare».
 
Nel cielo si aprì un’immensa voragine da cui entrarono un centinaio di guerrieri asgardiani capitanati da Odino, l’armatura dorata che rifletteva il cielo plumbeo e Slepinir come destriero. Loki rimembrò quel giorno di tanti anni prima, quando era giunto a Jötunheimr per salvare lui e Thor. Ironico come le cose fossero mutate in quegli anni: ora era lui il nemico da combattere, non più il figlio da trarre in salvo.
 
Che ne pensi, Padre? Sono abbastanza degno per te, adesso?
 
«Vai a dargli il benvenuto, Loki. Sono certa che Odino frema dalla voglia di vedere quanto sei cambiato in questi anni…» Sussurrò Eris al suo orecchio. Loki ghignò mentre un’irrazionale frenesia gli schiacciava il petto e i polmoni, pompando forte nelle vene. Afferrò il manico del suo pugnale, freddo come la morte, e si leccò le labbra. Non aveva più niente da perdere, in fondo. Quello era il suo momento. Forse, alla fine, poteva ancora vincere.
 
«No».
 Loki si voltò, Eris e Malekith fecero lo stesso. Alle sue spalle, l’Altro gli rivolgeva uno sguardo privo di espressione. «Loki deve venire con me. Thanos chiede di lui», fece una pausa, come a voler dare un tono alle sue parole. «Si tratta del patto che avete stipulato».
 
«E col vecchio orbo come la mettiamo? Qualcuno deve pur pensarci» Rispose Eris scocciata. Era evidente che fosse delusa dal non poterlo vedere in azione contro Odino. Da parte sua, anche Loki si sentì piuttosto scocciato, ma la rabbia passò in secondo piano non appena pensò al motivo per cui Thanos voleva parlargli. Il patto… aveva dunque deciso di rendergli la vita di Vàlì, alla fine?
 
«A lui penserà Malekith. Tu, donna, vedi di fare qualcosa per quei quattro imbecilli in calzamaglia. Uccidili, torturali, fai quello che più ti aggrada purché li levi di torno. Cominciano ad essere fastidiosi.».
 
Con evidente risentimento, Eris fece come le era stato detto e lo stesso valse per Malekith. Solo quando rimase solo con l’Altro, il cuore di Loki perse un battito. Stava per rivedere Vàlì? Thanos avrebbe mantenuto fede alla sua parola, dunque?
 
Camminarono per quella che parve un’eternità verso il punto più alto di un lungo corridoio. Più il tempo passava, più lo stomaco si restringeva. Cosa avrebbe detto a Vàlì, dopo averlo rivisto? Come gli avrebbe spiegato ciò che era accaduto ad Emily? Come avrebbe fatto a dirgli che tutto quello che stava accadendo era dovuto a lui? Che se ogni notte sognava gli occhi di Emily, il suo abbraccio, i suoi capelli ricci e rossi che non avrebbe mai più potuto sfiorare era solo colpa sua e della sua dannata ambizione?
 
Solo quando un rumore metallico di un portone che si spalancava lo raggiunse lontano come un’eco, Loki rinsavì da quei pensieri. La stanza era poco illuminata, ma scorse perfettamente il profilo aguzzo di Thanos pochi metri distante da lui. Loki avanzò e subito il cancello si richiuse con un tonfo secco dietro di lui. All’improvviso, tutto divenne gelido.
 
«Loki…» Thanos si voltò. Loki incrociò il suo sguardo cattivo, gli occhi luccicanti, il volto marmoreo che riluceva appena di una luce argentea e violacea nell’oscurità. Fra le dita stringeva con forza il Tesseract… o ciò che ne era rimasto. «Ho un problema, Loki…» Thanos cominciò a muoversi per la stanza, parlando con voce misurata, lo sguardo fisso su di lui. D’istinto, Loki portò la mano al suo pugnale. Sangue freddo, niente emozioni. Non farti vedere debole. «Ho riflettuto a lungo e a fondo, in queste ore… sai perché ti ho richiamato dalla battaglia?».
 
«Per il patto che avevamo stipulato» Rispose Loki mitigato. Lo sguardo di Thanos lo trapassava da parte a parte, lo stesso che gli aveva lanciato prima di uccidere Vàlì.
 
«Esatto» Thanos si arrestò. Gli occhi verdi incontrarono quelli azzurri, freddi come non mai. Un brivido attraversò la schiena di Loki. «Sei stato un servitore fedele, Loki, mi hai portato il Tesseract e ti sei unito a me, rifiutando persino l’affetto della tua donna. Cosa si prova a tradire la fiducia dell’ultima persona rimastati fedele, Laufeyson?».
La fitta d’angoscia che lo attraversò da parte a parte fu come un pugno in pieno volto per Loki. Digrignò i denti con violenza per impedirsi di urlare, di fare mosse avventate. Il ricordo di Emily era ancora vivo nella sua mente e le parole di Thanos bruciavano come vino su ferite ancora aperte.
 
«Sono il Dio dell’Inganno. Ho smesso da tempo di preoccuparmi di ciò che gli altri pensano di me, Thanos» Sibilò fra i denti. Thanos gli si avvicinò circospetto.
 
«Bene, bene… ho sempre saputo che eri come me, Loki. Noi siamo diversi dagli altri. Migliori. Non abbiamo bisogno di nessuno all’infuori di noi stessi, per questo riusciamo ad andare avanti. A sopravvivere. Eppure…», fece una pausa e il suo sguardo si posò sullo scintillio del Tesseract stretto fra le sue dita possenti. «Eppure come tutti gli altri anche tu ti sei fatto corrompere dalla passione, dall’amore. Potevi essere il migliore, Loki, il più grande di tutti. Insieme avremo potuto fare grandi, grandissime cose... Mi duole ciò che sto per fare, ma non credo di avere altra scelta. Ogni promessa è debito, ed io mantengo sempre la parola data».
 
Loki non fece in tempo a scansarsi che Thanos lo prese per il collo e lo sollevò da terra, mozzandogli il respiro. Il pugnale stretto fra le sue dita crollò a terra con un tonfo e il respiro gli si mozzò in gola. Loki tentò di liberarsi, di fare qualcosa, ma era tutto inutile. La testa gli martellava con violenza e il cuore batteva forte contro la cassa toracica, come se sapesse che quelli erano gli ultimi secondi rimastigli.
 
«Non posso riportare in vita tuo figlio, Dio degli Inganni, ma ad ogni modo... posso tener fede ad un’altra promessa».
 
L’impatto con il suolo fu brusco e doloroso. Quando aprì gli occhi, Loki non vide nient’altro che un caleidoscopio di figure sfocate e confuse. Thanos lo aveva lanciato contro qualcosa di freddo, ferroso. Con orrore, si rese conto che si trattava di un trono.
 
«Volevi un trono, volevi essere Re. Ebbene, adesso lo sei. Midgard è tua, Laufeyson, e lo sarà fino alla fine».
 
Il freddo dell’acciaio avvolse Loki come una corda, stringendolo al trono di ferro fino a fargli male. Non riusciva a muovere le braccia, le gambe… era paralizzato. Gridò e tentò di ribellarsi, ma più si contorceva e più le catene si stringevano al suo corpo. La risata metallica di Thanos riecheggiò nella sala come un macabro requiem mentre si allontanava senza voltarsi e Loki sentì una rabbia violenta percorrerlo in tutto il corpo mentre le parole di Arvedui gli tornavano prepotenti in testa: C’è sangue nel tuo destino, e non si tratta di quello dei tuoi nemici. Verrai odiato da chi già ti biasima e ingannato da chi ti ha già mentito una volta. Aveva avuto ragione. Thanos gli aveva mentito. Lo aveva soggiogato come il più stupido dei mocciosi e lui glielo aveva lasciato fare nella speranza che Vàlì tornasse in vita, che tutto tornasse com’era prima.
 
Ripensò ad Emily, a Thor, ad Odino e al tempo che aveva perso in tutti quei secoli per inseguire un capriccio infantile, un sogno egoistico; ripensò a Vàlì, alle sue piccole efelidi sul naso, agli occhi così simili a quelli di Emily, ai momenti che non avrebbe vissuto mai più, e una tristezza feroce gli lambì le viscere. Chiuse gli occhi. Nella sua mente, bellissimo come lo ricordava, vi era ancora il volto di Emily, i suoi occhi cerulei tanto simili a quelli di Vàlì, le sue labbra screpolate e sottili, le sue mani rese ruvide dal freddo...
 
Emily...
 
Non seppe mai quanto tempo trascorse seduto in quel trono, a sopportare quelle catene d’acciaio che lo stringevano fino a strozzargli il respiro, a contare i suoi ultimi respiri, ma ad un tratto Loki lo udì, chiaro e terribile: un sibilo.
 
Alzò lo sguardo e lo vide: lì, sopra di sé, troneggiava un serpente lungo circa due metri, di colore nero e con lunghe spire argentee. Loki lo riconobbe come quello che Malekith gli aveva mostrato tempo addietro, quando avevano stretto il patto. Il serpente aprì le fauci e il veleno prese a sgocciolare copioso dai suoi lunghi canini, finendogli sul volto. Fu come ricevere una sferzata di frusta. Tutto di lui iniziò a bruciare, a bruciare e a bruciare ancora; urlare era inutile quanto necessario, Loki non poteva farne a meno. Sì sentì stringere la gola, gli occhi lacrimare per il troppo dolore, le gambe irrigidirsi e il corpo inarcarsi fino allo spasmo. Il dolore era ovunque. Pregò gli dèi di ucciderlo, di risparmiargli quella sofferenza, ma come per la gran parte delle preghiere nella vita, la sua non venne esaudita.  
 
 
 


-Note dell’Autrice.
 

1) La canzone si intitola: “Life’s too short (reprise)”, e fa parte delle canzoni eliminate del cartone animato Frozen. Se non lo avete ancora visto: shame on you and your cow!

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Eeeeed eccoci qui! All’attesissimo (?) penultimo capitolo! Manca solo un capitolo più l’epilogo e questa storia sarà ufficialmente CONCLUSA. Sono due anni che ci lavoro, mamma mia… non ci credo ancora. E—Ehi, che avete da guardare? Queste non sono mica lacrime! Mi è solo andato qualcosa nell’occhio! I—in tutti e due, ecco! Dannata primavera, porta sempre troppo polline! ç\\\\ç
Come potete vedere le cose si sono messe DECISAMENTE male. E Thanos è uno stronzo, ecco. Riusciranno i nostri prodi eroi, sfigatissimi come sono, a ritrovarsi? Boh. Preghiamo.
 
Prima che me lo diciate: sì, sì e ancora SI. Ci sono mooolte citazioni ad Harry Potter, anche abbastanza evidenti. Un biscotto a chi le troverà tutte. :P
Il titolo, Lokasenna, prende spunto proprio dalla mitologia dove è raccontato questo famosissimo mito in cui Loki viene legato a una pietra e un serpente gli vomita veleno addosso (che espressione poco felice…). Povero Loki, povero. *passa Nutella a Lolò*
 
Ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato un parere allo scorso capitolo. Risponderò a tutti il prima possibile, purtroppo la scuola mi uccide. Finalmente siamo agli sgoccioli…
 
Un ringraziamento speciale va a
vannagio, che come al solito mi aiuta nel betare i miei e(o)rrori. Tanti cuori per lei. <3
 
Al prossimo capitolo! Che, se tutto va secondo i piani (mai dire mai…), sarà l’ultimo. Yei.
 
Tatty-bye! <3

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Capitolo 19
*** The last battle ***


~The last battle
 
No matter how many times you feel that way,
there will always be warmth here. 
Even if it was a mistake, I don't care, I'll always be by your side.
With the sound of tears and the looks of a sigh,
 
I'm sure this is where we are now. 
 
 
 
 
Il primo pensiero che attraversò la mente di Emily quando riaprì gli occhi fu di essere morta. Non sentiva più dolore, le ferite erano svanite dal suo corpo e con esse anche quel terribile senso di nausea ed oppressione. Forse gli dèi erano stati misericordiosi e avevano deciso di mandarla nel Valhalla, si disse. Emily sperò davvero che fosse così, lo desiderò con tutta se stessa. Guardandosi attorno, però, realizzò che quel posto non era affatto il Valhalla.
 
Si trovava in una grande distesa pianeggiante, ricoperta di nebbia ed alberi spogli. Il sole sembrava svanito, attorno a lei un caleidoscopio di colori artificiosi e sbiaditi le annebbiava la vista. Era come essere dentro il sogno d’un altro sogno. Emily non riusciva a capire, ma una cosa la sapeva: non era morta. Il cuore dei morti era fermo, freddo, mentre il suo continuava a pompare così forte da sentirlo rintonare nella testa. Per un istante, non seppe se esserne lieta o dispiaciuta.
 
Una luce accecante le schernì gli occhi all’improvviso; quando li riaprì, vide un enorme frassino, con lunghi rami nodosi pieni di foglie verdi e gialle, ai cui piedi vi erano tre bellissime donne intende a cucire un arazzo: lunghi capelli biondi e visi di porcellana. La luce del sole filtrava dalle fronde dell’albero e donava loro un’aura di saggezza e antichità. 
 
Ad un tratto una delle tre, la più anziana, le sorrise e le fece cenno d’avvicinarsi. Emily obbedì senza fiatare. Una volta vicina, poté scorgere il disegno impresso sulla tela: un otto rovesciato, simile ad un serpente che si morde la coda. Il simbolo dell’infinito.  
 
«Ecco», disse la donna, porgendole l’ago che aveva fra le dita. «Tessilo tu, il tuo Destino».
 
Emily aggrottò la fronte. «Io… io non capisco…», provò a ribattere, confusa. Poi tutto divenne sfocato, l’immagine delle tre donne svanì e con essa anche il paesaggio circostante. Emily fece appena in tempo a prendere l’ago che tutto divenne grigio e nebuloso.
 
«…nti?».
 
Qualcosa di pesante si annidò nel suo petto. Emily tossì così forte da ferirsi la gola. Si accasciò su se stessa, non riuscendo più a reggersi in piedi. Cosa stava accadendo? Cosa significava quel dono? E perché si sentiva così… così stanca?
 
«… za!... forza!».
 
Una voce. Lontana, familiare. Emily la udì lontana come un’eco. A chi apparteneva? D’istinto, pensò a Loki.
 
«EMILY!».
 
Ed Emily aprì gli occhi. Un sospiro uscì dalle sue labbra con prepotenza, come se fosse rimasta sott’acqua troppo lungo, e il cuore prese a battere come un forsennato contro il suo petto. Il viso gentile di Thor le apparve dinanzi come il più piacevole dei sogni, tanto da farle chiedere se stesse ancora dormendo.
 
«Thor…» La sua voce era così bassa che persino lei faticò ad udirla. Si mise a sedere mentre il mondo riprendeva colore e si delineava nei particolari. «…Sono morta?».
 
Thor le rivolse un sorriso dolce mentre la baciava sulla fronte e la stringeva in un abbraccio. «No, Emily», sussurrò al suo orecchio. «Sei viva, sana e salva».
 
Emily prese a guardarsi attorno, stordita dal sonno. Pochi metri più in là, vi era Hela: la guardava con sorpresa attraverso il suo unico occhio buono. Emily fece per alzarsi, ma subito tutto il suo corpo si irrigidì come se mille spade l’avessero trapassata da parte a parte. Solo allora ricordò le ferite che si era provocata lungo il tragitto del labirinto: non erano svanite, come aveva creduto nel sogno, erano ancora lì e adesso che l’adrenalina aveva lasciato il suo corpo, il dolore si era acuito a dismisura.
 
«Non fare movimenti bruschi, figlia di Asgard» Parlò Hela. Emily associò la sua voce allo stridio del ferro, tanto era fredda. «Necessiti di cure. Non sono in molti coloro che sopravvivono al mio Labirinto».
 
«Ma lei vi è riuscita!», esclamò allora Thor, balzando in piedi. «Dunque ora rendici ciò che avevi promesso!».
 
«Lo farò, Thor Odinson. Ma prima…».
 
 Hela fece un movimento in direzione del lupo che riposava ai suoi piedi e subito quello si alzò, ergendosi in tutta la sua statura: era enorme, dal pelo fulvo e con profondi occhi di ghiaccio. Le si avvicinò con passo felpato e per un momento Emily credette che volesse sbranarla. Solo quando iniziò a leccarle via le ferite, che al tocco della sua lingua si rimarginarono come per magia, comprese che non voleva farle del male. Confusa, guardò Hela.
 
«Non sono una stupida, figlia di Asgard. So quando un’anima merita di essere recisa e so quando non è ancora giunto il suo momento. Ho visto il sogno che hai fatto…», disse. Un brivido freddo risalì la schiena di Emily. Qualcosa le punse la coscia: infilò la mano nella tasca dei pantaloni e si accorse dell’ago stretto fra le sue dita sottili. Non era un semplice sogno, realizzò. «…e il tuo Destino è troppo grande per essere spezzato oggi. In quanto a te, Odinson…» Hela congiunse le mani al petto in segno di preghiera per poi allontanarle a poco a poco. Con sgomento, Emily vide una sagoma azzurrina prendere forma, dando vita a quello che pareva essere il fantasma di Jane Foster; infine Hela l’appoggiò a terra, le sfiorò la fronte con un dito scheletrico e subito questa prese colore. Quando Jane aprì gli occhi e trasse un profondo respiro, Emily si sentì il fiato mancare: era viva.
 
Subito Thor le si fiondò addosso e la strinse tra le braccia. Emily, ancora intontita, rivolse il suo sguardo a Hela.
«Cosa significava quel sogno?», chiese. Hela non rispose, perché tutto attorno a lei iniziò a diradarsi e annebbiarsi, proprio come era accaduto nel suo sogno. Emily scattò in piedi, affiancata da Thor che sosteneva una Jane pallida come un cadavere. «Cosa succede? Cosa stai facendo?!», gridò. Il macabro volto deturpato di Hela si affievoliva ogni momento di più ma il suo sorriso maligno continuava a rimanere lì, terribile come un incubo.
 
«La tua visione nasconde una tragedia. Il sangue sta sgorgando, figlia di Asgard, e macchia di rosso un trono fasullo fatto di neve e d’inganni. Bisogna mettere un punto alla fine della storia, ma se il finale sarà lieto o tragico sarai tu a deciderlo. Ricorda: non tutto è sempre ciò che sembra».
 
E prima che potesse ribattere qualcosa, tutto divenne nero. Emily sentì qualcosa afferrarle le gambe e le braccia in una morsa che le tolse il respiro: il suo corpo si irrigidì come ferro, il fiato le si mozzò in gola. Non riuscì ad urlare, ma udì perfettamente le voci di Thor e della mortale. Forse anche lei urlava, ma il dolore era così devastante da non capirlo del tutto. D’un tratto il suo corpo cozzò contro qualcosa di duro e polveroso e il suo naso prese una botta tremenda. Aprì gli occhi e comprese: quella era Midgard.
 
«Jane!» Emily si issò a sedere dolorante e lo osservò correre dalla mortale per chiederle se stesse bene. Emily si massaggiò il setto nasale, mentre Thor correva dalla mortale per chiederle se stesse bene.
 
«Fi fembfa il momenfo?» Domandò, alzandosi da terra con ancora le dita premute sul naso. Un improvviso senso di nausea le lambì le viscere: di certo quel viaggetto non doveva aver giovato alla sua salute. «Pofreste fentilmenfe degnarmi fi attenfione per finque minufi?!», chiese scocciata, il sangue che continuava a sgocciolare dal suo naso.
 
«Lady Emily», prese a quel punto la parola Jane, avvicinandosi a lei. «Io… non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto per me. Thor me lo ha detto ed io… io non so davvero come ringraziarti. Ti devo la vita».
 
«Pofresti aiufarmi con il mio nafo, per esemfio», replicò Emily. «Credo di aferlo sbaffufo troppo forf
 
«Oh… sì, certo, ehm…», Jane cercò nella borsa attaccata alla cintura dei suoi pantaloni e, alla fine, estrasse un batuffolo di cotone. Gli spruzzò sopra qualcosa che faceva odore di fiori (È profumo, disse. Ci servirà dell’alcool per disinfettare la ferita. Al momento è tutto ciò che ho… scusa), glielo premette sul naso e infine vi mise sopra un pezzo di carta appiccicoso per tenerlo fermo.
 
«Avevo solo dello scotch dietro… Purtroppo Darcy mi ha fregato tutti i cerotti, diceva che le servivano come segnalibri provvisori» Si giustificò Jane, ma Emily non comprese nemmeno una parola di quello che disse. Cos’erano dei segnalibri? E che cos’era uno scotch?! Dubbiosa e col naso dolorante, decise di non fare domande.
 
«Jane…» Fu Thor a parlare. Emily e Jane si voltarono verso di lui: il paesaggio che vide le gelò il sangue. Midgard era in fiamme: le case erano crollate, i palazzi distrutti, i Chitauri continuavano a fare razzie, mentre gli Oscuri depredavano ed uccidevano ogni essere umano che incontravano. Emily non riuscì a parlare. L’orrore era troppo persino per respirare. «Credo che ci serviranno altri di quei così».
 

 
La conquista di Midgard procedeva secondo i piani. Quel folle di Odino era finalmente sceso dal suo trono dorato per difendere quell’ammasso di terre e lamiere, ignaro di essersi scavato la fossa da solo. Thanos era accanto a lei, statuario e terribile come sempre, eppure Eris era agitata. Aveva la sensazione che stesse per succedere qualcosa, e non qualcosa di bello. Scosse il capo, sbuffando. Doveva smetterla con quegli assurdi pensieri.
 
«Dov’è Loki?» Domandò d’un tratto. Thanos le riservò un ghigno sardonico e accarezzò il Cubo del Tesseract.
 
«Gli ho dato ciò che desiderava: un trono e un Regno da governare» Rispose. Eris non capì; aggrottò la fronte. Poi, tagliente come un rasoio, comprese cosa fosse successo e gli occhi le si riempirono di lacrime.
 
No… non Loki… lui… non poteva averlo fatto!
 
Si voltò con ferocia contro Thanos, gli occhi ridotti a due fessure dorate colme di collera. «Avevi promesso! Avevi promesso che non gli avresti fatto del male! Mi avevi detto che avremo potuto governare insieme Midgard mentre tu Regnavi nei restanti Nove Regni… avevi promesso! Tu… tu mi hai menti—uggh!» Il respiro le si spezzò in gola, quando Thanos l’afferrò per il collo. La sua presa era di ferro, impossibile da spezzare, ed Eris non poté fare a meno di dimenarsi a mezz’aria come un serpente in balia del suo aggressore.
 
«Cara sorella…», mormorò Thanos con voce melliflua, rafforzando la presa sul suo collo. «Dolce, sciocca sorella. Dovresti averlo capito: io mantengo sempre le mie promesse», la presa di Thanos si fece prepotente, cattiva, le sue unghie premettero sul collo candido di Eris, tagliandone la pelle e infiltrandosi nella carne. Eris si lasciò sfuggire un grido di dolore e rabbia. Il sapore stantio del sangue le inondò la bocca e si riversò giù dalle sue labbra. La sua mente viaggiava in cerca di un modo per sopravvivere e rimembrava ricordi lontani, dolorosi quanto quella presa: Loki che le diceva che non l’amava, Loki che baciava quella sgualdrina dai capelli rossi, Loki che la guardava con disprezzo, Loki che moriva a causa sua. Loki, il suo amato, dolce Loki…
 
Il freddo del pavimento di marmo premette sulla sua guancia all’improvviso, doloroso come un ceffone. Era finita, realizzò. In tutto quel tempo, aveva sempre creduto che un giorno sarebbe morta per mano di Loki; ma a lui poteva perdonarlo, a lui tutto era concesso, perché era Loki la persona che amava, l’unico ad averne il diritto. Ora invece si trovava in una pozza di  sangue, morente, tradita da colui che aveva chiamato fratello. Era dunque questa la sensazione che si provava ad essere traditi? Era davvero così doloroso?
 
La ferita sul suo collo era troppo profonda per essere rimarginata. Brividi di freddo le percossero il corpo mentre respirare diveniva sempre più difficile. Tentò di curarsi con l’ausilio della magia, ma era troppo debole persino per tenere gli occhi aperti. La sua mente andò a Loki… il suo bellissimo, meraviglioso Loki. Dov’era adesso? Anche a lui era toccata quella sorte? Il cuore le si strinse in una morsa a quel pensiero. Tutto ciò che gli era accaduto era stato solo a causa sua: la caduta dal Bifröst, la morte di suo figlio e adesso la sua morte. Eris si rese conto di quanto fosse stata egoista e perfida, di come un suo desiderio infantile avesse portato alla sua morte e a quella dell’unica persona che aveva mai amato, e si odiò come mai prima d’allora.
 
«Lunga vita alla Regina di Midgard…» La voce di Thanos era distante come un’eco. Eris fece un’immensa fatica per udirla. Qualcosa di freddo e metallico le colpì il viso; in un ultimo barlume di lucidità, Eris si rese conto che si trattava di una corona d’argento e gemme bianche, ora macchiate di rosso. «Tutti ricorderanno il suo immenso coraggio nel decidere di morire insieme al suo amato Regno…» disse ridendo sguaiatamente.
 
«Perché… tutto que… sto?».
 
Thanos ghignò, mellifluo. «Avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse aggiornato sugli spostamenti di quel traditore, qualcuno che si fidasse di me ciecamente, che mi fosse vicino... E tu, con tutta la tua sete d’amore per quello stupido, non hai fatto altro che portarmi la sua testa senza che te ne accorgessi! Pensavo, in tutta onestà, di lasciarti in vita una volta aver conquistato Asgard e ucciso Odino, ma, come ben sai, io mantengo sempre le mie promesse. Ora, assieme al tuo amato Dio degli Inganni, governerai questo Regno fino alla sua totale distruzione… non era quello che volevi, Eris?».
 
«Non… non riuscirai… a farla franca…» Sussurrò lei con le ultime forze rimastegli. Thanos rise di gusto, una risata così fredda e glaciale da far freddare il sangue nelle vene, si chinò su di lei e le alzò il mento in modo tale che potesse incontrare il suo sguardo.
 
«Oh, sciocca sorella…», mormorò in tono amorevole. «Ci sono già riuscito».
 
Una fitta di dolore, simile a una scossa elettrica, la trapassò come uno spettro. La risata sguaiata di Thanos si affievolì fino a scomparire, le parole le morirono in gola. Poi un drappo nero scese sui suoi occhi e tutto divenne buio.
 

 
Midgard era in fiamme. Insieme a Thor e la mortale, Emily correva alla ricerca dei cosiddetti “Vendicatori”, umani dai poteri straordinari che avevano salvato Midgard. Secondo Thor, si trattava di eroi senza eguali, nulla poteva fermarli, ma vista la situazione Emily era molto scettica.
 
«Dobbiamo trovare Selvig!», urlò Jane, schivando una maceria. «È l’unico che può aiutarci!».
 
«Chi è Selvig? E dove si trova?!» Chiese Emily, aumentando il passo. Un Oscuro provò ad attaccarla, ma Thor fu più svelto e lo abbatté con un colpo di Mjolnir dritto in testa. «Bel colpo».
«Grazie» Rispose lui, sorridendo sotto i baffi. «Jane, dicci dove dobbiamo dirigerci!».
«Ehm, ecco, io non lo s—».
 
Vi fu un’esplosione proprio a pochi metri dinanzi a loro: Emily ebbe appena il tempo di scorgerne la causa, ovvero un essere fatto di metallo rosso e oro, prima che Thor facesse scudo con il suo corpo a lei e Jane. Non ne aveva mai visti prima d’allora e si domandò se tutti gli umani fossero in quel modo. Quando la maschera dell’EssereDiMetallo si aprì e un sorriso sornione e due profondi occhi scuri fecero la loro comparsa, Emily rimase allibita.
 
«Stark!», lo chiamò Thor. Emily si domandò che razza di nome fosse Stark e se avesse qualche significato particolare. «Si può sapere che ti è saltato in mente? Stavi per ucciderci!».
 
«Oppure ho salvato la vita a tutti e tre. Forse non lo avevate notato, ma proprio dietro quella colonna dove vi stavate dirigendo tanto in fretta c’erano almeno dieci Oscuri e una dozzina di Chitauri… non c’è di che, comunque», replicò. Il suo tono di voce era beffardo, a tratti canzonatorio; per un istante, ad Emily parve di udire Loki. «Oh… e tu chi saresti? La Ygritte* di Asgard? , domandò nella sua direzione. Emily non seppe cosa rispondere… cos’era una Ygritte? «Oh, lascia perdere, non mi importa… Ah, comunque, benThornato, Big Jim. Sentivamo la tua mancanza. Ah, e ciao anche a te, dottoressa Foster, mi avevano riferito che eri in luna di miele con il tuo innamorato. Considerata la situazione, forse era meglio se restavi dov’eri, sai? Ah e… oh!», dal palmo delle sue mani uscì un raggio di luce azzurrina che colpì in pieno due Chitauri alle loro spalle. Emily rimase a fissarli con occhi colmi di confusione, per poi spostare il suo sguardo sull’uomo in armatura. Per le Norne! «Bene, e altri due sono andati… e, oh, stavo dicendo: dottoressa Foster, credo che il dottor Selvig necessiti del tuo aiuto. Presumo si sia riparato insieme al resto dello S.H.I.E.L.D presso quelle mura laggiù; vai a fargli un po’ di compagnia, se ti va. In quanto a te, bell’imbusto... funziona ancora quel martello?».
 
«Certo».
 
«Bene, perché ci servirà. E adesso muoviamoci… ho scommesso con Barton che riuscivo a fare fuori più di cento Oscuri. Al momento sono arrivato a settanta, credi che prima di morire ci arrivo a novanta?».
 
«Vieni con me» Emily non riuscì ad udire la fine del discorso di Stark perché Jane Foster l’aveva afferrata per una manica e trascinata con sé. Insieme si diressero nel punto indicato dall’uomo di metallo. Prima di raggiungerlo, però, accadde una cosa che lasciò entrambe senza fiato: il cielo si squarciò in un enorme cerchio dalla quale entrarono diverse navicelle asgardiane. A capitanarle, in sella al suo cavallo Sleipnir, vi era Odino. Il cuore di Emily ebbe un balzo e un fortissimo senso d’euforia le scorse nelle vene: Odino era arrivato… Erano salvi!
 
Lo vide dirigersi verso un palazzo. Guardando meglio, comprese perché stesse andando proprio laggiù: c’era un… un essere, lì sopra, alto diversi metri, massiccio come non ne aveva ma visti e indossava un’armatura pesante e scura; al suo fianco, vi era un’altra figura, molto più longilinea e femminile: con sgomento, Emily comprese che si trattava di Thanos ed Eris. Ebbe l’impressione che i due stessero discutendo ed Eris pareva profondamente irata. Ad un tratto, Thanos la prese con forza e la sbatté sul pavimento come un panno usato. Emily sentì il fiato mancarle e d’istinto si premette le mani sulle labbra, sconvolta. Thanos si chinò su di lei e le sussurrò qualcosa; quando si rialzò, Eris non si mosse più.
 
«Forza! Dobbiamo andare!» La spronò Jane, ma Emily non la ascoltava. Eris… era davvero morta? Ed era stato Thanos ad ucciderla? Se era così, Loki… il suo Loki…
 
«No!» Disse, gli occhi sgranati dalla paura. Jane lasciò la presa d’istinto e la osservò con fronte corrugata. «Io… Jane… io devo trovare Loki… è qui da qualche parte!».
«Emily, no! È una follia! Ti farai ammazzare!».
«No, Jane, devi lasciarmi andare!» replicò Emily. Non scherzava. «Tu… tu corri dai Selfic o come si chiama, a Loki penserò io. Tornerò…» Fece per andarsene, ma Jane la trattenne per un braccio. Il suo sguardo era supplichevole e pieno di paura. Non andare, diceva, e lo stomaco di Emily si chiuse in una morsa piena di rammarico. «… lo prometto», aggiunse allora. Jane fece per abbracciarla ma all’improvviso vi fu un’ennesima esplosione e la terra sotto i loro piedi iniziò a tremare. Emily non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma di certo non era nulla di buono. «Ora vattene! Non è sicuro qui fuori!», mormorò, tirandosi su il cappuccio del mantello per non respirare il fumo che le riempiva le narici. Jane la guardò un’ultima volta con rammarico, come se lasciarla andare le costasse una grande fatica, e infine andò via. Adesso Emily capiva perché Thor si fosse innamorato di lei: oltre ad essere una splendida fanciulla, Jane Foster era anche un’amica sincera e leale.
 
La terra tremò di nuovo, e allora Emily comprese che era il momento di muoversi. Mentre correva, un unico pensiero infestava la sua mente. 
 
Loki, che cos’hai fatto?
 

 
Quando Jane fece il suo ingresso nel laboratorio dello S.H.I.E.L.D, mezzo distrutto a causa dei bombardamenti da parte dei Chitauri ed Oscuri, Darcy fece cadere a terra una provetta dal liquido verdognolo che stava tenendo in mano e gettò un grido così acuto che Jane fu costretta a tapparsi le orecchie.
 
«Brutta stronza!» Gridò Darcy, correndo ad abbracciarla. Il volto di Jane venne sommerso dai scurissimi capelli bruni della sua stagista. «Sei proprio una cazzo di stronza, lo sai, vero? Dio, Jane! Ero così preoccupata… ti credevamo morta!».
 
«Lo sono stata in effetti… ma questo non è il momento giusto per narrarvi delle mie mirabolanti avventure nello spazio», aggiunse in fretta Jane, vedendo la faccia sconvolta di Darcy. Si rivolse a Selvig che, ancora scosso dal vederla, si era poggiato sul tavolo da laboratorio per non cadere. Dio… ma era mancata davvero per così tanto tempo? «Selvig, mettiti in piedi. Dobbiamo creare un modo per fermare quel pazzo».
 
Selvig, dal canto suo, sembrava proprio aver visto un fantasma. Jane poteva leggere nei suoi occhi chiari la paura e la certezza di non rivederla più, e la gioia immensa nel scoprire di essersi sbagliato. Se non si fosse trovata in una situazione di tale urgenza, probabilmente lo avrebbe stretto in un abbraccio.
 
«Io… ecco… cosa stavo facendo io, Darcy?» Rispose lui, guardandosi attorno con stupore.
 
«Credo che stessi dando un’ultima occhiata a quel coso… » Rispose Darcy, continuando a lanciare occhiate a Jane per assicurarsi che fosse davvero lei. Jane fu certa di sentirle dire a bassa voce qualcosa di simile a “Mi sembra di essere in un episodio di Doctor Who…”.
 
Si avvicinò al “coso” in questione, una sottospecie di enorme cannocchiale, con al centro un’apertura quadrata piena di pulsanti e fili di molteplici colori. Alzò un sopracciglio e guardò dubbiosa Erik.
 
«Cos’è questo?» Domandò.
 
«È un conservatore di energia, l’ha assemblato il dottor Banner nella speranza di ricaricarlo con qualcosa che somigliasse al Tesseract. Dovrebbe aiutarci a chiudere il portale, solo con quello possiamo muoverci contro Thanatos o… o come diavolo si chiama quel tizio viola. Dagli ultimi dati ricavati, però, abbiamo appreso che ha assorbito tutto il Tesseract o ciò che ne rimane e quindi, parlando con schiettezza, questo strumento è inutile…».
 
«No» Disse Jane, sicura. «Non è possibile. Ho studiato l’Energia del Tesseract e Thanos non può averlo assorbito tutto, sarebbe morto. Lui… deve aver tenuto ciò che ne è rimasto per distruggere il pianeta! Solo in questo modo potrebbe porre fine a tutto, ecco perché la terra trema e il cielo sembra andare in pezzi! È il potere del Tesseract, Thanos sta utilizzando ciò che ne rimane! Se solo…» Jane prese a camminare lungo il perimetro della sala, seria come non mai. Doveva cercare un modo per fermare Thanos. Il Tesseract, secondo gli studi fatti, si appropriava di tutto ciò con cui veniva a contatto, come le menti umane e i pensieri. Ma questo succedeva con un solo filo di energia. Per Thanos, che lo aveva assorbito quasi del tutto, la cosa doveva essersi spinta ben oltre.
 
«Quando il Tesseract aveva plagiato la mia mente», iniziò allora Selvig, con voce tentennante. «Ricordo… ricordo di essermi sentito vuoto e, allo stesso tempo, fortissimo. Era come se subissi dei forti sbalzi d’umore: alle volte capivo ciò che stavo facendo e me ne vergognavo, altre ero lieto di avere tutta quella conoscenza solo per me ed era come se non fossi più io, come se il Tesseract mi avesse assorbito completamente e agissi secondo la sua volontà…».
 
Come se il Tesseract mi avesse assorbito completamente…
Era come se non fossi più io…
Agivo secondo la sua volontà …
 
«Ho capito!» Chiara come il sole, la soluzione al problema si presentò a Jane come il più dolce dei balsami. Adesso capiva cosa doveva fare, come muoversi. «Thanos ha assorbito l’energia del Tesseract ma, essendo troppa da sopportare per un solo essere, questa si è fusa con il suo corpo e la sua mente, divenendo una vera e propria linfa vitale per lui. In poche parole, se riuscivamo a distruggere il Tesseract, distruggiamo anche lui!» Esclamò al colmo della gioia. Finalmente poteva rendersi utile, fare qualcosa per il proprio pianeta! Sul viso di Selvig si aprì un grande sorriso e la strinse in un abbraccio carico di energia. Poi, mentre lei ed Erik le diceva che era un genio e che era felice di riaverla con sé, Darcy prese la parola.
 
«Grande. Cioè, ehm, fantastico, sì, ma… come facciamo a rubarglielo? Voglio dire… è alto circa il triplo di ognuno di noi e grosso il doppio di Thor. Non sarà proprio una passeggiata, credo…».
 
«Ed è qui che entriamo in scena noi, signorina Lewis».
 
Lei, Darcy e Selvig si voltarono e subito il profondo occhio scuro di Nick Fury la squadrò da capo a piedi. «Lieto di averla di nuovo con noi, dottoressa Foster», disse.
 
«Quando è arrivato?!» Udì Darcy sussurrare. «Tu l’hai visto arrivare?!».
 
«Che ha intenzione di fare, direttore?» Jane avanzò un passo verso di lui. Nick Fury incrociò le braccia dietro la schiena, serio come non mai.
 
«Quello per cui ho ingaggiato i Vendicatori, dottoressa Foster», rispose, accendendo la cimice dentro il suo orecchio. «Vendicare la Terra».
 
 
Emily corse lungo i detriti della città con premura, il cuore che le batteva frenetico contro il petto e le dita strette attorno ai pugnali imbrattati di sangue scuro e vischioso. Era stata attaccata da due Oscuri e ci aveva quasi rimesso la pelle: l’avevano colta di sorpresa e colpita al braccio destro e alla spalla, facendola urlare di dolore. Era riuscita a scappare solo per un caso fortuito: un uomo, Emily non ne conosceva il nome, aveva scoccato una freccia centrando il cranio di uno di loro, che subito aveva preso fuoco ed era scoppiata come una bomba, uccidendo anche l’altro. Emily aveva appena fatto in tempo a ripararsi dietro ciò che rimaneva di uno strano oggetto con le ruote, che lui era già andato via. Se fosse sopravvissuta, Emily lo avrebbe ringraziato.
 
Il palazzo in cui si era diretto Odino non era molto lontano da lì, eppure il percorso per raggiungerlo pareva non finire mai. La strada era disseminata di rottami e buche, e quando arrivò proprio davanti all’entrata del palazzo, la trovò serrata da un enorme cumulo di macerie. Solo dopo una decina di calci alla porta, riuscì a farsi strada.
 
Notò subito che quello che le era parso un palazzo era in realtà un tempio molto diverso da quelli a cui era abituata: vi erano immagini ovunque, spesso violente o raffiguranti personaggi con ali e corone rotonde e dorate, pilastri possenti e bellissimi affreschi. Trovò un sentiero che dava su delle scale a chiocciola, ripide e piene di polvere. Le salì mentre il cuore batteva con violenza contro il suo petto. Si riscoprì agitata come non mai, era come se qualcuno le stesse stringendo il cuore con forza.
 
Stava per salire altri gradini, quando lo udì, alto e devastante: un grido.
 
Si voltò di scatto verso la voce e tentò di capire da dove provenisse. «C’è qualcuno qui dentro?!», chiese, sperando che non si trattasse di qualche cittadino di Midgard. Come risposta ricevette un altro urlo, più disperato dei precedenti. Presa dal panico, corse verso la voce che via via che si avvicinava diveniva sempre più angosciante e… familiare.
 
Giunse dinanzi a un’enorme porta di legno. Per un istante, ebbe timore di aprirla. Le parve di rivivere il momento in cui aveva tolto il lenzuolo dal volto di Vàlì per guardarlo un’ultima volta; non era pronta, non voleva farlo. Mille scuse le balenarono in mente per desistere dall’aprire quella porta ma Emily non aveva la minima idea del perché le stesse creando. Solo quando l’ennesimo grido la raggiunse, si decise ad aprirla.
 
Per un istante, sperimentò la più totale assenza di emozioni. Era come se non riuscisse a sentire più niente, a vedere nulla oltre quello che le si parava davanti. Forse il suo cuore aveva smesso di battere nel momento in cui aveva aperto la porta, o forse già da molto prima. C’era un trono, dinanzi a lei; sopra di esso un serpente, avvinghiato a una croce di legno, faceva colare il suo veleno dalle fauci spalancate sul volto di un uomo: aveva lunghi capelli neri e il viso pallido, ora ridotto a una grottesca maschera di sangue e muscoli pulsanti. Poi, tagliente come la lama di un rasoio, Emily riconobbe il viso di Loki – il suo Loki – e il dolore esplose in lei. Neanche si accorse di star urlando; le sue grida si confondevano a quelle di Loki, il suo dolore era in simbiosi col suo. Corse da lui: da vicino, la situazione era anche peggiore.
 
«Loki…» La sua voce era spezzata, i suoi occhi lucidi di lacrime. Loki alzò lo sguardo su di lei, i muscoli delle guance rossi e sanguinanti, ma non riuscì a dire una sola parola. Tuttavia i suoi occhi parlavano per lui e ciò che dissero distrusse Emily più di ogni altra cosa: Aiutami. «Oh, Loki…», singhiozzò allora, in preda al panico. «Va… va tutto bene. Va tutto bene. Sono qui con te, non ti lascerò più. Sono qui, riesci a vedermi? Sono Emily…», un gemito uscì dalle sua labbra. Tutto di lei era un tremito continuo, non riusciva a respirare, a parlare. «… La tua piccola volpe».
 
Ma Loki non rispondeva. Si limitava a guardarla con occhi vitrei e colmi di dolore e urlare. Emily osservò il serpente sopra di lui e provò a colpirlo con uno dei suoi pugnali. Tutto inutile, era come se non lo scalfissero neppure. Eppure doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa! Si guardò attorno e la prima cosa che vide fu un grande vaso d’avorio. Con premura e senza un vero e proprio piano lo prese e lo svuotò dalla terra, poi lo mise sotto il muso del serpente. Grazie agli dèi, il veleno non scioglieva il materiale di cui era fatto il vaso. «Sono qui con te, Loki», ripeteva, come se dovesse rassicurare se stessa piuttosto che lui. «Non me ne andrò. Rimarrò qui tutta l’eternità, se dovrò. Sono qui con te…».
 
Non seppe mai quanto tempo passò. L’unica cosa di cui si preoccupava era di svuotare velocemente il vaso quando era pieno e rimetterlo sotto le fauci del serpente prima che il suo veleno colpisse di nuovo il volto di Loki. Sono qui con te, continuava a ripetere, Non me ne vado. Ironico come, fino a qualche giorno prima, avesse desiderato riempirlo di botte, quando adesso, invece, il suo unico pensiero era alleviare il suo dolore.
 
D’un tratto, Loki grugnì qualcosa di simile ad una parola. Emily si voltò subito verso di lui e lo vide sveglio e attento a ciò che stava accadendo. Provò a muoversi ma era evidente che il farlo gli provocasse un dolore senza eguali; d’istinto, Emily posò la mano libera sul suo petto, tentando di tranquillizzarlo.
 
«Non fare sforzi», sussurrò. «Sei ancora debole».
«Mi… mi dispiace…» La voce di Loki era più simile a un singulto che altro. Il cuore di Emily andò in pezzi e dovette mordersi a sangue l’interno guancia per impedirsi di piangere. Non doveva farsi vedere debole da Loki, non in quel momento. «Thanos… lui… lui mi ha…».
 
«Non parlare» Lo zittì lei, tentando di improvvisare un sorriso stentato. «Ormai è passato».
«Emily… io.. Vàlì—».
 
Vi fu un enorme boato: tutta la sala tremò e alcuni quadri cedettero dalle pareti. Gli occhi di Loki si sgranarono terrorizzati e il cuore di Emily mancò un battito. Stava crollando tutto, doveva scappare... ma non poteva. Non senza di lui. Ricordò la promessa fatta a Jane, e con amarezza realizzò che non avrebbe potuto mantenerla.
 
«Devi… devi scappare… qui… qui sta crollando tutto…» Era la voce di Loki. Emily lo guardò come se lo vedesse per la prima volta: metà del suo volto, lì dove il veleno del serpente aveva colpito, era scorticato e ustionato, i suoi capelli erano stati ridotti in meri brandelli corvini e tutto il suo collo era avvolto da uno spesso strato di sudore e cicatrici. Con la mano libera, gli accarezzò una guancia e gli sorrise con dolcezza. No, non lo avrebbe lasciato.
 
«No, Loki. Resterò qui, insieme a te», sussurrò. Diversi pezzi di intonaco si staccarono dalle pareti e i vetri delle finestre andarono in frantumi. Senza che potesse fare niente per fermarle, le lacrime rigarono il volto di Emily. Con immenso sforzo, Loki alzò una mano verso la sua guancia. Emily l’afferrò e vi poggiò il viso con tenerezza. «Ricordi? Te lo avevo promesso. Tanto tempo fa, quando eravamo felici…».
 
Il viso deturpato di Loki si contrasse in un sorriso obliquo.
 
«Io lo sono ancora… felice» Disse. Ed Emily si sentì struggere dal dolore, come se avesse appena ricevuto una pugnalata dritta al cuore. «Non era così che doveva andare, Emily… avevo pianificato tutto… il destino di Vàlì… doveva… doveva essere cambiato .
 
Ricorda: non tutto è sempre ciò che sembra…
Tessilo tu, il tuo Destino…
 
L’ago… L’AGO!
 
Emily si precipitò a cercare l’ago nelle tasche dei suoi pantaloni e quando lo prese l’osservò come se lo vedesse per la prima volta.
 
«Voglio essere io a cucire il mio Destino» Disse. Quello che avvenne dopo la lasciò senza fiato: l’ago venne pervaso da una luce dorata e, man mano che diventava più luminosa, esso cresceva sempre di più, fino a diventare una…
«… Spada!» Esultò Emily, le mani che le tremavano dall’emozione. Era una spada lunga, affilata, ma comunque leggera proprio come un ago. L’elsa era dorata e con un grosso smeraldo incastonato al centro. Si voltò verso Loki e subito comprese ciò che doveva fare: insaldò bene l’arma, sotto lo sguardo sconcertato di Loki la sguainò verso l’animale e lo colpì. A differenza della volta precedente, il colpo andò a segno e la testa del serpente cadde proprio ai suoi piedi: le fauci ancora spalancate e gli occhi infidi che la fissavano. Emily guardò Loki, che la fissava a sua volta con occhi sgranati, e subito lo liberò dalle catene forzando il lucchetto con la spada. Quando fu libero, Loki si rimise in piedi e sussurrò delle parole in una lingua che Emily non conosceva. Nel giro di pochi istanti le sue ferite scomparvero e poté riprendere a respirare normalmente; tuttavia rimase una profonda cicatrice sul lato sinistro della sua guancia e una vistosa ustione che gli copriva gran parte della guancia destra. Emily lo osservò mentre tornava quello di sempre, lo sguardo beffardo e vendicativo che conosceva, e gli si avvicinò. Loki incurvò le labbra in un sorriso e… uno schiaffo deciso lo colpì dritto in faccia.
 
«Questo», disse Emily, avvicinandosi. «Era perché te ne sei andato».
«Emily, ascolta, io–».
«E questo» Prese il suo viso fra le mani e lo avvicinò al suo, premendo con forza le labbra sulle sue. La bocca di Loki sapeva di sangue e ferro, ma ad Emily non importava. Erano salvi. Loki era salvo. Lei lo era. Nulla importava. «È perché ti ho ritrovato».
 
Loki stava per rispondere qualcosa, ma d’un tratto tutto il tempio prese a tremare, una parte del pavimento si staccò e cadde al piano inferiore. Lei e Loki si guardarono per un momento, senza sapere cosa fare, poi iniziarono a correre verso l’uscita più vicina.
 
«Presto, di qua!» Gridò Loki, scendendo le scale che conducevano al piano di sotto. «Dobbiamo andare!».
 
Emily lo seguì. Le loro mani erano ancora intrecciate.
 

 
Mentre percorreva la scalinata che portava all’uscita, Loki non riusciva a pensare ad altro che agli ultimi eventi: Thanos lo aveva tradito, gli aveva fatto credere che avrebbe riportato in vita Vàlì solo per attirarlo in trappola, e lui si era fatto ingannare come uno stupido moccioso. Il dolore atroce che aveva sentito quando la prima goccia di veleno si era posata sulla sua guancia non l’avrebbe mai dimenticata, così come non avrebbe mai dimenticato la frustrazione che gli aveva schiacciato il cuore e i polmoni in una stretta di ferro. Ora il dolore era terminato, grazie ad Emily, ma la rabbia… quella era più forte di prima.
 
Quando varcarono l’uscita, ciò che si prospettò loro davanti fu la più completa e totale devastazione: il fuoco era ovunque, così come la morte; urla di terrore riecheggiavano nel cielo cupo e pieno di navicelle. Fra di esse, notò Loki, vi erano anche le navi delle legioni asgardiane e questo significava che Odino era con loro. Un brivido percosse il suo corpo dalla testa ai piedi, ma non era di paura. Forse, si disse, abbiamo ancora una speranza.
I Vendicatori lottavano contro le forze nemiche proprio come durante la battaglia di New York, solo che questa volta le possibilità di vittoria erano poco meno del dieci percento.
 
«Loki…» La voce di Emily era lontana come un’eco. Loki si voltò a guardarla. L’aveva creduta morta nello scontro contro la gigantessa, persa per sempre, eppure lei era tornata, viva, bellissima come la ricordava, le sue mani calde che gli sfioravano il volto, e Loki si era sentito schiacciare dalla felicità e il sollievo. «Dobbiamo trovare Jane… lei ci dirà cosa fare».
 
«Non ce ne sarà bisogno», rispose Loki, materializzando un pugnale. «So già cosa fare», il suo sguardo corse alla ricerca di Malekith. Prima di Thanos, doveva uccidere i suoi alleati. «Tu va’ dalla mortale. Mettiti in salvo».
 
«Non me ne starò chiusa in un buco mentre tu vai fuori a farti ammazzare!» Ribatté lei, rossa di rabbia. Loki le cinse le spalle con forza.
 
«Fa come ti ho detto», disse, lapidario. «L’unica cosa di cui non ho bisogno è saperti in pericolo nel campo di battaglia. Vai dai mortali e cerca di studiare qualcosa su come raggirare Thanos… al resto penserò io».
 
«Ma—» Le labbra di Loki premettero su quelle di Emily prima che lei potesse rispondergli. Fu un bacio differente dagli altri, più intimo, significativo. Era il loro ultimo bacio. Percepì Emily tremare. Le baciò la fronte.
 
«Andrà bene» Sussurrò, facendo per andare, ma lei lo trattenne per un braccio. Loki la guardò: sulle sue labbra sembravano danzare una decina di frasi, i suoi occhi brillavano di una luce frustrata e impaurita.
 
«Quando tornerai», disse, la voce incrinata. «Sarò qui ad aspettarti».
 
Loki sorrise. «Lo so», rispose. Ed Emily lo strinse in un abbraccio, uno dei più dolorosi che Loki avesse mai ricevuto. Chiuse gli occhi per un momento e capì che tutto ciò che desiderava era stringerla fra le sue braccia per sempre. «Non lasciarmi sola, Loki. Promettimi che tornerai», sussurrò Emily al suo orecchio. Loki sciolse l’abbraccio.
 
«Lo farò», rispose. «È una promessa», e, per la prima volta, non stava mentendo.
 
Il sapore delle labbra di Emily era ancora sulla sua lingua quando raggiunse il centro della battaglia. C’era Thor, pochi metri più in là: lui e Odino stavano lottando contro Malekith e una decina di Oscuri. Vide il Padre degli Dèi parare un affondo di Malekith e replicare con un colpo ben assestato della sua lancia dritto al petto; Malekith grugnì come un cane rabbioso e provò ad attaccarlo di nuovo ma, nuovamente, il colpo venne parato e il clangore del cozzare del metallo riecheggiò nel cielo. Poco più in là, Thor era accerchiato da una massa di Oscuri che stava, seppur con lentezza, uccidendo uno ad uno.
 
Malekith gettò un grido di frustrazione e alzò i propri pugnali, Odino tentò a sua volta di colpirlo con Gungnir ma fu lento e la lama del pugnale affondò nella sua armatura, trapassandola come se fosse stata burro. Sul suo fianco destro si aprì una ferita che lo fece accasciare su se stesso.  Da qualche parte in mezzo alla calca, Loki udì Thor gridare.
 
Lascialo morire, Loki. E’ il tuo momento. Non dovrai nemmeno sporcarti le mani. Lascia che lo uccida, vendicati, sussurrava una voce nella sua mente. Loki si trovò di fronte a un bivio e, a differenza di ciò che aveva sempre creduto, era indeciso sulla strada da intraprendere.  Poi Malekith si avventò su Odino, e il tempo si fermò. Senza averlo premeditato, senza pensarci, Loki urlò.
 
«NO!».
 
 Malekith si fermò. Per un istante, Loki non riuscì a realizzare cosa fosse davvero successo. Aveva fermato Malekith. Gli aveva impedito di uccidere Odino, di adempiere alla vendetta per cui era arrivato a quel punto. Gli occhi infidi di Malekith si posarono su di lui, cattivi e sospettosi, così come quelli di Odino, che ora lo fissavano con sorpresa e sgomento; lo stesso sguardo di chi ritrova una speranza perduta da tempo. Non guardarmi così, vecchio. Non farlo, dannazione. Non tu.
 
«Credo di dover essere io ad avere l'onore, dopo tutto questo tempo» Disse, evitando di guardarlo negli occhi.
 
«Dannato...!» Gridò Thor, avventandosi contro di lui, ma una decina di Oscuri lo tennero fermo. Quando uno di loro tentò di ucciderlo, Malekith lo schiantò contro un veicolo. Un sorriso sardonico era dipinto sulle sue labbra bianche.
 
«No. Voglio che lui veda» Dichiarò. Poi fece un cenno d’assenso nella sua direzione, e allora Loki comprese che era giunto il momento adatto. Si avvicinò a Odino che, con ancora la ferita aperta e sanguinante, lo guardava con occhi colmi d’angoscia. In quelli stessi occhi, Loki rivide se stesso bambino mentre correva ad abbracciare l’uomo che aveva chiamato padre per tanto tempo, le sue carezze che gli spettinavano i capelli. Chiuse gli occhi e agì. La lama del suo pugnale si ritrovò puntata al collo di Malekith in pochi secondi.
 
«Cosa… cosa stai facendo, razza di idiota?!» Fu la sua protesta. Loki strinse la presa sul suo collo e si avvicinò al suo orecchio.
 
«Ti avevo detto di non fidarti di me», ghignò. «In quanto a voi, sporchi inetti: un solo passo falso e il vostro Re si ritroverà un coltello piantato dritto in mezzo alla gola, è chiaro?», gridò in direzione degli Oscuri che lo accerchiavano. «Liberatelo… adesso!» disse poi, indicando Thor con lo sguardo. Vedendo che non ascoltavano, Loki avvicinò di più la lama alla gola di Malekith, che prese a sanguinare. «ADESSO!», ripeté, la voce alta diverse ottave, e Thor venne rilasciato. A Loki bastò una sua sola occhiata per capire cosa fare; un ghigno si dipinse sulle sue labbra. Prima che gli Oscuri potessero fermarlo, diede un calcio alla schiena di Malekith, che cadde in avanti. Si rese invisibile agli occhi degli Oscuri nel momento stesso in cui udì Thor fracassare la testa di Malekith col Mjolnir e prese Odino di peso trascinandolo fuori da quella carneficina. Solo dopo averlo spinto dietro un veicolo, Loki tornò a essere visibile ai suoi occhi.
 
«So che hai ancora abbastanza energia per curare quella ferita, vecchio» gli disse con freddezza. «Quindi vedi di darti una mossa, o si infetterà ed io non ho la minima intenzione di salvarti una seconda volta», concluse. Fece per andare ma Odino lo tenne fermo per un braccio. Loki lo guardò e lo stomaco gli si strinse in una morsa. Per la prima volta – per la prima, dannatissima volta, Odino non lo guardava con pietà o con amarezza… ma con fierezza.
 
«Sei tornato quello che conoscevo» Disse. Loki strinse le labbra e si liberò dalla sua presa.
 
«No», rispose. Non aveva dimenticato che era stato lui, nonostante tutto, a raccoglierlo da quelle montagne gelate, tanto tempo prima. «Ho soltanto saldato un debito», e, senza aspettare una risposta, corse verso la battaglia. Scorse i Vendicatori lottare contro Thanos e l’Altro, ma era evidente che fossero in netto svantaggio. Svincolando fra un ammasso di cadaveri e detriti, Loki li raggiunse ma si tenne ben alla larga dal centro della battaglia. Thanos non era Malekith e combattere contro di lui era come condannarsi da soli a una morte lenta e dolorosa.
 
Stanno cercando di prendere il Tesseract, comprese Loki, guardando quei pagliacci in calzamaglia. Stupidi. Non è rubandoglielo che cambierete qualcosa. Bisogna distruggerlo. E Thanos vi ucciderà tutti prima che possiate riuscirci.
 
Due mani viscide e fredde lo afferrarono per la collottola. Loki ebbe appena il tempo di capire cosa stesse accadendo che il suo aggressore gettò un grido fortissimo, disturbante. Con orrore, Loki si rese conto che quello non era un grido. Era un richiamo.
 
Vide un centinaio di Oscuri dirigersi verso di lui e afferrarlo da tutte le parti e trascinarlo al centro della battaglia, i loro volti mostruosi e senza espressione lo fissavano senza pietà. Loki si dimenò dalla loro presa con tutta la forza che aveva in corpo, gridando e scalciando, ma fu tutto inutile. Erano in troppi. Uno di loro si avvicinò a lui armato di un enorme fucile e glielo puntò dritto addosso. Sudore freddo imperlò la sua fronte, scendendogli giù per il collo e la schiena.
 
No. No, no, no! Non posso morire. Non così!
 
Il fucile venne attivato ma, prima che potesse sparare, un urlo mostruoso riecheggiò attorno a lui.
 
«LUI È MIO! FUORI DAI PIEDI!» Thanos si avventò sull’Oscuro che brandiva il fucile e lo lanciò lontano con una spinta, mandandolo a schiantarsi contro un palazzo. Loki si guardò attorno alla ricerca dei Vendicatori, di qualcuno che potesse fare qualcosa, ma l’unica cosa che vide furono gli occhi scintillanti di Thanos che si dirigevano minacciosi verso di lui. «Voi Giganti di Ghiaccio siete duri a morire, non è così?» lo prese per il colletto e lo alzò a mezz’aria, ghignando contro il suo volto. Guardandosi attorno, Loki comprese perché i Vendicatori non fossero giunti in suo soccorso: vi erano un centinaio di Oscuri e di Chitauri che li tenevano impegnati. Non sarebbero giunti in suo soccorso neanche potendo, dopotutto. Era solo, adesso. Doveva inventarsi qualcosa… qualsiasi cosa! Alla fine, chiara come il sole, l’idea giunse. Loki sorrise. 
 
«Sei uno sciocco, Loki Laufeyson, combatti ancora per una causa già persa da tempo... Sai bene che perderai ogni cosa».
 
«No» mugolò Loki, stringendo i denti. «Sei tu lo sciocco…».
 
«E perché mai dovrei esserlo? Sei tu quello che sta per morire. Questa volta non ci sarà nessuno a salvarti».
 
«Non ce ne sarà bisogno…» Ribatté Loki. Thanos aggrottò la fronte, lo sguardo di chi non riusciva a capire, e Loki ghignò. «Perché sarò io ad ucciderti».
 
La copia di se stesso svanì dalle dita di Thanos come sabbia al vento. Thanos non ebbe il tempo di comprendere cosa stesse accadendo che Loki agì: inforcò l’elsa del pugnale e colpì la mano sinistra di Thanos, quella che reggeva il Tesseract, tagliandola di netto. Il rumore delle ossa che si spaccavano fu terribile quanto il sangue che fuoriusciva dal suo polso, nero e vischioso e che si espandeva a chiazze d’olio. L’urlo di Thanos fu quanto di più terrificante avesse mai udito. Loki raccolse il Tesseract e fece appena in tempo a scansarsi, prima che Thanos si scagliasse con ferocia verso di lui. Si gettò di lato e corse il più veloce possibile. Lo aveva preso… aveva il Tesseract!
 
«THOR!», chiamò, scorgendolo pochi metri più avanti alle prese con dei Chitauri. Doveva distruggere il Tesseract, solo lui poteva farlo, solo il Mjolnir era abbastanza potente! Era la loro unica speranza! «THOR, PRESTO!», quello si voltò verso di lui e subito fece per andargli incontro, capendo il suo piano; mulinò il Mjolnir verso la sua direzione ma, di colpo, l’Altro gli fu addosso facendo volare via il martello che finì proprio ai piedi di Loki. Le rune impresse sul suo dorso erano ancora ben visibili: Chiunque impugnerà questo martello, se ne sarà degno, riceverà il potere di Thor.
 
E Loki agì. Senza pensare, senza ponderare l’idea che fosse una follia, che avrebbe fallito, che Thanos lo avrebbe ucciso in pochi istanti, si avventò sul Mjolnir e agguantò il suo manico. Solo quando Thanos venne spazzato diversi metri indietro a causa del colpo appena ricevuto, Loki realizzò di averlo sollevato.
 
«LOKI!» Era la voce di Thor. Loki la udì lontana come un’eco. Lo aveva sollevato… il Mjolnir… il martello di Thor… lui… lui ci era riuscito. «LOKI, SBRIGATI!!».
 
Fu come se l’intero universo si fosse fermato. All’improvviso, Thanos si gettò addosso a Loki con la furia di un leone dalle fauci spalancate e dagli occhi iniettati d’odio e rabbia. Con mani tremanti d’eccitazione, Loki capì cosa doveva fare: gettò il Tesseract ai suoi piedi e, nel momento stesso in cui Thanos gli fu addosso, lo colpì col Mjolnir. L’energia rimasta venne spazzata fuori all’improvviso e Thanos venne scaraventato metri più in là.
 
«NO! NO, NON LO FARE! TU, INSULSO ESSERE INFERIOR-» Un altro colpo. Il Tesseract prese ad incrinarsi sotto il colpo violento del Mjolnir, e lo stesso accadde a Thanos. Tutto il suo corpo si stava frammentando in tanti, minuscoli pezzi, come l’intonaco di un muro che cede, formando tante piccole crepe. Thanos portò una mano al petto, mentre tentava di raggiungere Loki, ma ad ogni passo si sgretolava sempre più velocemente.
 
«Questo è per Vàlì!» Un enorme vento si innalzò su di loro, forte come lo era la potenza del Tesseract, ma Loki continuò a tenere ben salda la presa sul martello. La sua voce era pregna d’odio, una furia feroce che aveva contenuto per tutto quel tempo. Caricò un altro colpo sul Tesseract, che prese a spezzettarsi in più punti. Il grido di Thanos rimbombò come ferro sbattuto. «Questo è per avermi ingannato!», continuò lui, sovrastando le sue grida.
 
«NON LO FARE! TU… SPORCO TRADITORE… TI ROMPERÓ LE OSSA UNA PER UNA!».
 
Il corpo di Thanos era ridotto a poco più di un enorme, disgustoso ammasso di crepe e venature azzurre. Il suo volto era deformato, i suoi occhi fuori dalle orbite. Si trascinava verso di lui con pesantezza, come se il suo corpo fosse troppo da sopportare. Loki strinse le labbra mentre rimembrava il corpo di Vàlì scosso dai brividi e il cuore che gli veniva strappato dal petto.  
 
«E questo invece è per te, Thanos!», berciò Loki, il vento che gli scompigliava i capelli e il fuoco dei veicoli in fiamme che infuriava dietro di lui. Alzò il Mjolnir e guardò Thanos dritto nei suoi occhi colmi, per la prima volta, di paura. «Come vedi, anch’io so mantenere le promesse!», e il Mjolnir colpì il Tesseract un’ultima volta, mandandolo in mille pezzi. Un enorme boato irruppe attorno a lui e Loki venne spazzato via da una folata di vento potente come non ne aveva mai sentite. Thor lo afferrò prima che potesse schiantarsi contro un muro di mattoni ed entrambi si ripararono dietro una colonna. Un’ esplosione proruppe all’improvviso, devastante: le orecchie presero a fischiargli, fuliggine e fiamme regnarono sovrane e le voci dei restanti Chitauri ed Elfi Oscuri si diffusero nell’aria sotto forma di strilli acuti e agonizzanti. Poi, il nulla.
 
Forse passarono giorni, o mesi interi, da quel momento. Loki non lo seppe mai. Dopo quella che parve un’eternità, Thor prese la parola.
 
«Lo hai sollevato» Disse. In un primo momento, Loki non capì di cosa stesse parlando; la testa continuava a ronzargli e tutto il suo corpo doleva come se qualcuno lo avesse preso a pugni senza pietà. Poi ricordò e il suo cuore fece un balzo: il Mjolnir. Era ancora fra le sue mani. D’istinto, provò ad alzarlo e le viscere gli si contorsero in una morsa di ferro quando rimase fisso a terra.
 
«Non capisco…» Sussurrò, più a se stesso che a Thor. «Non… non si alza più».
 
«Chiunque impugnerà questo martello, se ne sarà degno, riceverà il potere di Thor. Questo dicevano le scritture, Loki» Thor e Loki si voltarono di scatto. Odino, Gungnir in mano e sentinella asgardiana a sorreggerlo, si dirigeva verso di loro. La ferita al costato era guarita, eppure il vecchio orbo sembrava più vecchio ed esausto che mai. «Tu, Loki, seppur per un solo momento, ne sei stato degno. Volevi salvare non solo te stesso, ma anche gli altri e questo il Mjolnir l’ha percepito, per questo motivo si è lasciato sollevare», spiegò. Loki non seppe se sentirsi fiero o amareggiato. Decise di essere troppo esausto per pensarci.
 
Alcuni lamenti provennero da dietro di loro. Loki si voltò e vide Barton sopra l’agente Romanoff, ma non seppe dire chi stesse proteggendo chi, la bestia dissennata ridotta a poco più che un omuncolo nudo come un verme e il tizio biondo con la testa poggiata su una roccia, esausto. Pochi metri più in là c’era Stark, l’unico che si teneva in piedi. Tutti avevano una cosa in comune: lo fissavano come se fosse un fantasma.
 
«Thor, di’ ai tuoi stupidi amici di smetterla di fissarmi così» Mormorò a denti stretti. Aveva già male ovunque, non necessitava anche di loro.
 
«Lo hai ammazzato», disse a un tratto la Romanoff, confusa. «Eri suo alleato… perché l’hai fatto?».
 
Loki rise. «Dopo tutto questo tempo, agente Romanoff, non hai ancora capito che fidarsi di me è come sperare che il mondo giri al contrario? Sono il Dio degli Inganni. Faccio quello che mi pare, non devo tener conto di voi idioti».
 
La Romanoff non disse nulla, ma era evidente che non gli credeva. Loki conosceva i suoi segreti e sapeva che era l’ultima persona che avrebbe creduto a quella stupida menzogna campata in aria, creata giusto per non dar false speranze a nessuno. Gliene fu grato, ma rimase comunque in silenzio.
 
«Quindi è finita», disse dopo un po’ il tizio biondo, e la realizzazione d’aver davvero ucciso Thanos travolse Loki come un’onda, sommergendolo d’un sentimento euforico come non ne aveva mai provati prima. Si alzò di scatto, le gambe doloranti e un mezzo sorriso obliquo sul volto, e vide ciò che rimaneva del Titano e dei suoi sottoposti: cenere. Stupida, semplice cenere. Era morto… e insieme a lui tutto il suo esercito. Era stato ucciso dalla sua stessa arma, il Tesseract.
 
«Loki!» Una voce lontana riecheggiò nell’aria. Loki si voltò: Emily correva verso di lui, i capelli sporchi di cenere e un enorme sorriso sul volto. Dietro di lei vi erano una decina di agenti dello S.H.I.E.L.D, una ragazza dai capelli scuri e una maglietta con una cabina blu disegnata sopra e la donna di Thor. Tutti si dirigevano verso di loro. Loki non ebbe il tempo di inquadrare i loro volti, perché una chioma di riccioli rossi gli offuscò la vista e le labbra di Emily premettero forti sulle sue.
Rimase immobile per qualche istante ma alla fine l’euforia ebbe la meglio e rispose al bacio con così tanta passione da sollevare Emily per aria.
 
«Ce l’hai fatta! Io… io ti ho visto! Ho visto tutto! Tu… tu l’hai ucciso! L’hai ucciso! E… e hai sollevato il Mjolnir e... e poi...» lo sproloquio di Emily venne messo a tacere da un ennesimo bacio. Quando si allontanarono, Loki la guardò dritto negli occhi.
 
«Emily, quando sono scappato, l’ho fatto per un motivo: Thanos mi aveva proposto un patto, aveva detto che avrebbe riportato in vita Vàlì e che ci avrebbe risparmiati. Mi sono lasciato ingannare come uno stupido, ma se solo sapessi quanto ho desiderato che Vàlì tornasse in vita, che tutto tornasse come prima…».
 
Lo sguardo di Emily, da prima gioioso e caloroso, si ombreggiò di una tristezza antica, dolorosa. Chinò il capo, poggiandolo sul suo petto. «Basta così. Non hai nulla di cui scusarti, Loki. Sai, Vàlì ha sempre desiderato un padre che fosse valoroso e coraggioso… Tu oggi hai salvato tante persone, e hai ucciso Thanos, vendicandolo. Lui sarebbe fiero di te».
 
«Io—» Tutto si fermò. Il tempo, lo spazio, tutto. Era come se qualcuno avesse messo in pausa il tempo. Loki non riusciva a capire… cosa stava accadendo? Si allontanò da Emily, che rimase immobile, e si guardò attorno con ansia crescente. All’improvviso, vi fu una luce accecante, luminosa come non ne aveva mai viste prima, e una donna apparve: il suo volto era diviso in due parti, una scheletrica e l’altra umana con luminosi occhi penetranti. Accanto a lei, vi era un lupo dal pelo fulvo e corvino e con occhi di due colori diversi: uno e dorato e l’altro azzurro cielo. Loki non ebbe bisogno di parole per comprendere chi era quella donna, lo sapeva già benissimo.
 
«Tu sei Hela, la Signora degli Inferi. Perché se giunta qui? Vuoi la mia morte per aver ucciso Thanos?».
 
Il viso mostruoso di Hela si contrasse in una smorfia simile a un sorriso beffardo. Loki portò istintivamente una mano all’elsa del proprio pugnale, il cuore che scalpitava nel petto.
 
«Hai liberato i Nove Regni da una minaccia grande più del Cosmo stesso, Loki Laufeyson, vincendo il tuo passato di delitti e inganni. Le Norne e gli Antichi Dèi hanno discusso, e hanno preso una decisione», disse. Loki aggrottò la fronte perplesso, le ginocchia erano un tremolio convulso. Che decisione? Di cosa stava parlando?!
 
Hela si avvicinò di più a lui e lasciò una carezza sul dorso del lupo ai suoi piedi. Questo le leccò le dita per poi avanzare verso Loki con passo felpato, si sdraiò ai suoi piedi e cadde in un sonno profondo. «Questo è il tuo nuovo inizio», dichiarò Hela con solennità. Prima che Loki potesse capire cosa stesse accadendo, svanì così come era arrivata e tutto tornò alla normalità.
 
Guardò ai suoi piedi: il lupo era ancora lì, grande come non ne aveva mai visti prima. Udì la voce di Emily chiamarlo lontana come un’eco; insieme a lei vi erano altre centinaia di voci, tutte che chiedevano la medesima cosa: “Da dove è sbucato fuori quel lupo?”. Con mani tremanti e il cuore in gola, Loki allungò la mano verso il suo manto e lo accarezzò. A quel tocco, accadde qualcosa che nessuno, nemmeno Odino, riuscì mai a spiegarsi: il lupo prese a perdere pelo, divenendo sempre più piccolo e magro; il suo muso si accorciò fino a divenire un naso umano, le sue zampe divennero mani e piedi, il suo pelo si trasformò in arruffati capelli corvini. Quando alzò il capo, rivelando un viso che conosceva benissimo, Loki udì qualcuno urlare, ma non seppe dire se fosse stato lui o qualcun altro. Ciò che scoprì una volta riacquistata coscienza, fu di essere caduto a terra come un fantoccio di legno e che Emily stava piangendo copiosamente, ma non di dolore, e abbracciava  quello che aveva tutta l’aria di essere un bambino.
 
Poi, quando quest’ultimo posò lo sguardo su di lui, Loki credette di morire.
 
Si tirò in piedi di colpo, inciampando sui suoi stessi piedi, e quando gli arrivò vicino quasi non scoppiò a piangere. Era il suo Vàlì, suo figlio, il suo piccolo Vàlì. Le sue mani erano quelle che ricordava, le sue gambe le stesse, la sua bocca piena come quella di Emily e i suoi occhi di due colori differenti: uno azzurro e l’altro dorato con la pupilla verticale, come quello del lupo. Accanto a Loki, Emily piangeva commossa e baciava Vàlì, sussurrando il suo nome, ringraziando gli dèi e sorridendo fra la lacrime. Lo stringeva come se da lui dipendesse la sua stessa vita, come se temesse di vederlo svanire di nuovo da un momento all’altro. Dal canto suo, Vàlì sembrava profondamente confuso e tentava di dire qualcosa, ma Emily non lo lasciava parlare tanti erano i baci che gli dava.
 
«Madre!», sbottò ad un tratto, rosso di vergogna per tutte quelle effusioni. «Madre, cosa sta accadendo? Perché piangi? Cos’è accaduto? Mi gira la testa… non ricordo più nulla», si lamentò. Poi il suo sguardo si posò su quello di Loki e la sua piccola fronte si aggrottò in un cipiglio stranito. «Madre, cosa ci fa lui qui? E perché tutte queste persone ci fissano?» Chiese, riferendosi agli sguardi sbigottiti ed emozionati dei presenti. A quel punto Loki si tolse la cappa di dosso e l’avvolse attorno al piccolo corpo nudo di Vàlì, senza smettere di guardarlo nemmeno per un momento. Quando sfiorò i suoi capelli corvini tanto simili ai suoi, Loki sentì i suoi occhi bagnarsi di lacrime. Non pianse, però. La gioia era troppa anche solo per respirare.  
 
«È una lunga storia, ragazzo», disse, prendendo una delle sue piccole mani fra le sue, il cuore che sembrava scoppiargli nel petto. «Ti va se te la racconto?».
 
 
 
 
 
- Note dell’Autrice.
  1. Per chi non sapesse chi sia Ygritte: http://img3.wikia.nocookie.net/__cb20130211182438/iceandfire/images/1/16/Ygritte.jpeg , è un personaggio cazzutissimo di Game of Thrones. Se non sapete di che sto parlando, shame on you and on your cow.
  2. La canzone è “And I am Home”, tratta dall’anime di Puella Madoka Magica. No, non rimpiango niente. 
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LOKIIII’D!!! :D

Ed eccoci finalmente all’ultimo capitolo! Scusate l’immenso ritardo, ma vi assicuro che è già tanto che sia riuscita a postarlo oggi, considerata la situazione che c’è in casa mia. XD

Siamo davvero giunti alla fine! Non ci credo… non ci credo, caspita! Ho davvero concluso questa storia una volta per tutte. Adesso manca solo l’epilogo e… basta. Non riesco ancora a realizzarlo, sono senza fiato.

Spero che il “colpo di scena” vi sia piaciuto. Avevo in mente questa fine fin dall’inizio, ma l’idea di farvi penare per tutto ‘sto tempo mi allettava troppo. Mi perdonate, vero? Ehehe :)

Spero di aver mantenuto i personaggi IC fino alla fine, o perlomeno di non essere andata troppo in OOC. Ad ogni modo, se avete qualcosa da dire, non esitate a lasciare il vostro parere!

Lascio i commenti malinconici alla fine dell’epilogo, perché al momento questa storia, nonostante sia arrivata all’ultimo capitolo, non ha ancora una fine. Se tutto va bene, l’epilogo arriverà fra pochi giorni.

Non so davvero come ringraziarvi per il sostegno dimostratomi fino a questo punto. Siete preziosi, tutti voi. Sappiate solo che se non fosse stato per ognuno di voi, questa storia forse non sarebbe giunta fino a questo punto. Quindi grazie, grazie e grazie mille ancora.

Un ringraziamento speciale va alla mia Beta,
 vannagio, che mi ha seguita e supportata per tutto questo tempo. Se sono cresciuta da un punto di vista “narrativo” lo devo soprattutto a lei.

Vi mando un bacione.
 
P.S: Se vorrete contattarmi, qui ci sono i miei indirizzi Facebook e Ask:
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Capitolo 20
*** Epilogue ***


~Epilogue
 

“Non è un viaggio. Tutti i viaggi finiscono ma noi andiamo avanti, il mondo gira e noi giriamo assieme a lui, i progetti svaniscono, i sogni prendono il sopravvento, ma ovunque vada ci sei tu, la mia sorte, il mio destino, la mia fortuna.”
-Anonimo.




 
Quando era bambino, Loki aveva sempre cercato di sfuggire dal Destino, perché l’idea di essere lui a decidere per se stesso lo allettava più di qualsiasi dolce o scherzo. Era un’idea utopica, aveva capito col tempo, perché per quanto ci provasse alla fine era sempre il fato ad avere la meglio e tutti i suoi piani fallivano miseramente sotto il peso di una vita già scritta.

Tuttavia Loki non aveva mai smesso di cercare il lato positivo della sua situazione. A che cosa serviva buttarsi giù, dopotutto? Avrebbe solo dato soddisfazione a chi lo odiava e intristito chi invece lo appoggiava, quindi aveva iniziato a cercare e cercare e cercare qualcosa che lo portasse avanti, un obbiettivo per cui non mollare. All’inizio lo aveva trovato nella disfatta di Thor, poi nella conquista di Midgard e infine nel volersi impadronire del trono di Asgard. Aveva fallito in tutte e tre le occasioni e così alla fine Loki aveva smesso di cercare di scalare cime troppo elevate persino per lui, che era il Dio dell’Ambizione e dell’Inganno.

Dopo la sconfitta di Thanos, Odino aveva annullato la condanna a morte per i servigi che aveva reso alla Corona. Ma se la vita gli era stata restituita, lo stesso non poteva dirsi della libertà. Adesso non era più chiuso in una cella stretta e angusta, ma in una grande gabbia dorata. Sognava spesso la fuga, Loki, e un giorno ci sarebbe riuscito. Ci riusciva sempre, lui. Scappava, portava il caos nella vita altrui, per poi tornare di nuovo come se nulla fosse accaduto. Odino aveva rinchiuso il suo corpo, dopotutto, non la sua rabbia. Quella sarebbe rimasta per sempre.

«Loki» Era la voce di Emily. I suoi occhi vispi e cerulei lo guardavano con dolcezza. Loki abbozzò un sorriso. «A cosa pensi?».

Penso a come evadere da qui, a quanto queste mura mi stiano strette, che vorrei lasciare tutto e andare via. «Al bambino», rispose invece, guardando il ventre di Emily che, giorno dopo giorno, diventava sempre più grande. Erano passati solo due anni dalla battaglia e, dopo che si erano uniti in matrimonio, Emily era rimasta incinta del loro secondo figlio. La nutrice aveva detto che si trattava di un maschio e, prima che lui potesse replicare, Emily aveva preso la parola. “Narfi”, aveva detto. “Si chiamerà Narfi. L’ho promesso a una persona”, una persona che a suo dire le aveva salvato la vita durante il viaggio per l’Hel. Ma non aveva aggiunto altro, nemmeno sotto minaccia. Alla fine, Loki aveva lasciato perdere.

Vàlì aveva reagito bene quando aveva ricevuto la notizia. Da quando gli era stato raccontato l’accaduto, era diventato un bambino molto più saggio e vigile e aveva smesso di guardare Loki con astio. Non si parlavano molto, loro due. Non ne avevano bisogno. Bastava una sola occhiata per capirsi. Durante quegli anni, Loki aveva imparato a conoscere meglio suo figlio e aveva capito si somigliavano più di quanto credesse, non solo nell’aspetto, e ciò lo riempiva di soddisfazione.

Emily sorrise e posò una mano sulla sua gamba. «Questa volta», disse, sorridendo sotto i baffi. «Somiglierà a me!».

«Oh, no» Rispose Loki, beffardo. «Non è ancora nato e gli auguri già certe cattiverie?».

Emily gli rifilò un pugno leggero sulla spalla, proprio come quando erano bambini e giocavano insieme. Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, ma era lieto che il loro rapporto non fosse cambiato nonostante tutte le intemperie che avevano affrontato durante quegli anni. Loki sapeva che, semmai un giorno fosse davvero evaso da Asgard, sarebbe tornato indietro solo per lei. Per il suo sorriso. Per le sue mani calde e le labbra dolci.  

Thor gli aveva raccontato che, dopo la battaglia contro Thanos, una nuova leggenda era sorta fra gli abitanti di Midgard: narrava di lui, del serpente e di Emily. Lì sulla terra la chiamavano Sigyn, che significa fedele, e per quanto non avesse mai apprezzato la razza umana, Loki non poté fare a meno di trovare quel nome terribilmente appropriato. I midgardiani erano soliti narrare leggende sul loro conto, ma Loki non si entusiasmava all’idea di essere oggetto delle storie di esseri inferiori. Tuttavia, sapere che il suo nome sarebbe vissuto per sempre lo eccitava; poteva considerarla una piccola vittoria contro tutti coloro che lo avevano sempre disprezzato e, in un certo senso, anche nei confronti del destino stesso che aveva sempre fatto di tutto per rendergli la vita difficile.

Col tempo, Loki aveva imparato che cercare di cambiare il fato era inutile quanto riuscirci davvero, poiché, in un modo o nell’altro, si sarebbe comunque sentito insoddisfatto. La soddisfazione non era nella sua natura, si diceva, ed era per questo che si aggrappava con tutte le sue forze a qualcosa che lo portasse avanti. Si adattava, Loki. Ingannava se stesso oltre che gli altri e fingeva un sorriso quando avrebbe solo desiderato urlare. Cercava il lato positivo della situazione.

Un sorriso gli incurvò le labbra, mentre Emily posava il capo sulla sua spalla: lui il suo lato positivo lo aveva trovato già da tanto tempo; aveva dei folti capelli rossi, gli occhi così vispi da sembrare quelli d’una volpe, un sorriso furbo e una voce squillante e spesso fastidiosa; trovava il suo lato positivo quando le accarezzava i capelli, quando lei sorrideva a Vàlì e il suo naso si arricciava, quando litigavano per poi fare la pace sotto le lenzuola. Lo trovava sempre, Loki, il suo lato positivo, come una costante, e il nome che gli diede fu quello di sua moglie Emily, che, proprio come dicevano le leggende, gli sarebbe stata accanto per tutta l’Eternità, pronta a raccogliere il veleno che i serpenti maligni godevano a gettargli addosso. E lui, per ringraziarla, avrebbe mentito per lei, inventato per lei, fatto qualsiasi cosa fosse in suo potere pur di vederla sorridere.

Il destino non esiste, si disse Loki mentre giocava con un ricciolo dei capelli rossi di Emily, ma semmai dovessi sbagliarmi, se davvero è già tutto scritto, allora sarò ben lieto di viverlo insieme a lei.

 

 
 


- Note dell’Autrice.

 E alla fine, anche questa storia è giunta al termine.
Quando ho messo il punto finale al capitolo, mi sono sentita, per un momento, spiazzata ed euforica allo stesso tempo. Non ho mai portato a termine un progetto così grande, quindi per me è ancora una sorpresa. La Volpe e il Lupo mi ha portato via ben due anni del mio tempo, ma se potessi lo rifarei ancora, ancora e ancora una volta. Non è stata solo una fanfiction, per me. È stata molto di più. È stata uno dei motivi principali per cui andavo avanti nei momenti di depressione, ciò che mi ha fatto maturare a livello “scrittorio” ed è soprattutto grazie a lei se ho conosciuto tante persone speciali che adesso sono fra le mie amiche più care (Erza e Red, sto guardando voi) e mogli sfaticate (Darma <3).
 
Credo non ci sia bisogno di ripetere che senza il sostegno di voi lettori questa storia non avrebbe mai visto un epilogo, che Vàlì non sarebbe mai esistito e che io starei ancora scrivendo qual è con l’apostrofo e mettendo la virgola dopo il verbo. Quindi anche se sembrerà scontato, se è una cosa già letta e riletta, io vi ringrazio di cuore. Grazie per essermi stati accanto quando avrei voluto mollare tutto, grazie per aver letto questa storia e grazie per averla amata. Siete preziosi e non smetterò mai di dirvi quanto io vi sia grata per tutto questo. Grazie, grazie e ancora grazie.
 
Non scriverò un threequel, su questo sono categorica. Ma non perché non voglia più scrivere di Loki ed Emily, anzi scriverei di loro per sempre, ma perché sarebbe una forzatura e se c’è una cosa che non ho intenzione di fare è rovinare questa storia per un capriccio personale. Tuttavia, ho in serbo molte altre fanfiction. Al momento sto scrivendo una long sul Trono di Spade che pubblicherò a breve… ci rincontriamo lì? :)
 
Emily, Loki e Vàlì vi dicono grazie per essere rimasti con loro fin proprio alla fine. Non vi dicono addio, perché addio significa andarsene e andarsene significa dimenticare, mentre loro non vi dimenticheranno facilmente. Sperano che sia lo stesso per voi.
 
Vi mando un bacione e vi dico ancora grazie. Vorrei potervi abbracciare tutti ma non posso, quindi l’unica cosa che posso fare e dedicare a tutti voi questo epilogo. Vi voglio bene.
 
Alla prossima storia. :)
 
P.S: un ringraziamento speciale va alla mia carissima Beta, 
vannagio. Se sono arrivata fin qui, è anche e soprattutto grazie a lei. Grazie mille, Vanna. <3
 
P.S.S: Qui ci sono i miei link di Facebook e Ask. fm, caso mai voleste mettervi in contatto con me. :)

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