Never is too late.

di Maybeisyou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** White coffee. ***
Capitolo 2: *** YOU COMPLETE MEss. ***
Capitolo 3: *** Azzurro. ***
Capitolo 4: *** Someone. ***
Capitolo 5: *** #inmyarms ***
Capitolo 6: *** Una promessa. ***
Capitolo 7: *** You were right. ***
Capitolo 8: *** Past without Future. ***
Capitolo 9: *** Unpredictable. ***



Capitolo 1
*** White coffee. ***


   

"She took a chance and packed her bags
She left town and didn't look back
So tired if wishing on the stars"


White coffee.

Con la musica che mi rimbomba nelle orecchie prendo la mia borsa di pelle marrone e me la risistemo sulla spalla mentre cammino verso l’entrata dell’edificio con i fascicoli in mano. È il primo giorno di Università e sono dannatamente spaventata. Non so cosa mi aspetterà dentro queste mura, e non so se tutti gli ottimi voti che ho accumulato negli anni delle scuole superiori mi possono essere davvero d’aiuto. E se non ho talento? E se finirò a scrivere articoli per il giornale locale per la ricerca di animali domestici scomparsi? “Ok, calma! Non andare in panico ora, respira Vanessa, respira..”

Faccio un respiro profondo mentre attraverso il grande portone ripetendomi meccanicamente questa frase in testa. Stringo forte al petto i fascicoli che contengono tutti i documenti da presentare al primo corso. Spaesata seguo la massa e salgo le scale, fino a quando non mi ritrovo nella classe giusta, senza nemmeno rendermene conto. Prendo posto a metà, per non condannarmi ad indossare un’etichetta fin dal primo giorno: non voglio esser considerata né secchiona, né casinista, tantomeno una menefreghista. Sono la Svizzera in questo momento. E lo sarò per il resto dell’anno. Voglio semplicemente passare inosservata, ecco il motivo del mio banalissimo abbigliamento: jeans né troppo chiari né troppo scuri, maglietta bianca e giubbotto di pelle marrone. Le mie All Star bianche continuano a muoversi sotto il banco, dando segno di tutto il nervosismo che mi scorre nelle vene in questo momento. Entra il Professor Rossi, che insegna Lettere Moderne. Ci chiede di presentarci e, quando arriva il mio turno, semplicemente dico:
“Ciao a tutti, io sono Vanessa, vengo da Bergamo e non ho idea di che altro aggiungere.”

“Signorina, mi sembra una presentazione piuttosto breve, quindi la voglio aiutare: come mai ha scelto questo corso?” dice il Professore con un sorriso incoraggiante.
“Beh ho scelto questo corso perché da tutta la vita ho provato a usare le parole come scudo, come salvagente, come cibo. Ho vissuto di parole e credo che alla fine noi esseri umani siamo così: viviamo di parole, siamo parole. Non c’è altra spiegazione..” rispondo imbarazzata ma sicura di ciò che ho appena affermato.
La classe mi guarda: chi è seduto nelle prime file si volta e sento gli sguardi di chi sta dietro di me bruciarmi le spalle. Il professore sorride, batte le mani per due secondi e riprende il giro delle presentazioni con un: “Molto bene come prima interrogazione signorina White.. Il prossimo!”

Sorrido e torno a scarabocchiare il mio quaderno.

La mattinata passa in fretta e in poco tempo entro in casa. Infilo l’IPod nell’amplificatore e mi butto sotto la doccia. È metà ottobre, l’aria fuori comincia a cambiare e le foglie iniziano a cambiar colore. Le note di “Wherever you are” dei 5SOS mi fanno spuntare un sorriso in mezzo a tutto quel vapore. Esco dalla doccia e mi infilo la mia maglietta preferita per andare a letto. Mi sdraio con i capelli ancora bagnati, anche se domani mi pentirò di averlo fatto perché sarò più simile ad un leone che ad una matricola. Prendo in mano il mio diario e sfoglio le pagine, rivivendo le mie emozioni, quelle che hanno caratterizzato i mesi precedenti. Sono sola, in una grande città, e la musica è la mia unica compagnia. Trovo una pagina in cui ho descritto me stessa, la rileggo e mi rendo conto che, nonostante siano passati mesi, sono ancora la stessa.


Vanessa è come l'estate:  calda, solare, felice. Ma l'estate è caratterizzata da tanti temporali, vere e proprie tempeste. Vanessa è un uragano e nessuno è mai riuscito a domarla. E' incontrollabile, vivace eppure calma e rilassata. Vanessa è una libreria piena di libri con le parole evidenziate e le pagine piegate per ricordare qualcosa. Vanessa è il tempo che corre veloce eppure sembra non passare mai. Vanessa è confusa, e per questo confonde. Vanessa è un mix esplosivo tra bianco e nero, chiaro e scuro, spaventoso e meraviglioso. Vanessa è come il caffèlatte. Indefinibile.


                                                                                 

Ciao bellezze!
Questo è quello che comunemente viene chiamato lo "spazio autore". Ci tengo a ringraziare chiunque abbia letto fino in fondo il capitolo, e chi continuerà a leggere gli altri. Spero di farvi sognare con le mie parole, anche se non sono molto sicura dell'effetto che dà alle persone ciò che scrivo. Quindiiiii.. Lasciate una recensione! Accetto qualsiasi cosa, basta che sia sincera. Vi ringrazio di cuore, V. 

 

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Capitolo 2
*** YOU COMPLETE MEss. ***


"I can't remember the last time I saw your face
I feel so lonely when I'm in a crowded space
You left me without direction."


YOU COMPLETE MEss.

È Novembre e gli alberi sono quasi tutti spogli. Le giornate in Università si fanno sempre più impegnative e io sono entusiasta. Entusiasta dell’ambiente, del fatto che in Lettere Moderne ho il massimo dei voti, della gente. Sì, perché per una volta nella mia vita riesco a passare inosservata perché sono io a volerlo, e non perché vengo esclusa. Mi salutano tutti, qualcuno mi ha pure invitata fuori, e Gio, il ragazzo che si siede sempre di fianco a me durante l’ora di Storia, prende il mio stesso tram. A volte occupa due posti e ne conserva uno per me, così da scambiare due chiacchiere durante il tragitto.

Si fanno le due di pomeriggio in fretta, siamo a metà settimana e io già sono distrutta. Forse dipende dall’influenza che mi sono beccata la settimana scorsa. Alzo fino in cima la zip del giubbotto di pelle e corro sui quattro gradini che precedono l’entrata del McDonald che si trova ad un isolato dalla mia università. Ho una sete impressionante, così scelgo di prendere una Sprite prima di tornare a casa a studiare. La fila alla cassa non è molto lunga e io mi posiziono in quella tutta a destra, verso i tavoli pieni di ragazzi e ragazze con computer portatili e libri. Si stanno preparando tutti per gli esami, cosa che dovrei fare pure io. Mi stupisco di vedere che all’interno del locale il riscaldamento è già stato acceso, così tolgo il giubbotto di pelle e lo incastro nella tracolla della borsa. Ho i capelli raccolti in uno chignon disordinato, che lascia liberi alcuni riccioli nocciola. Sono struccata e, come sempre, il mio abbigliamento è sciatto in confronto a quello delle mie coetanee: indosso la mia maglia preferita, che porta la scritta 
“YOU COMPLETE MEss”. La guardo e sorrido: è stata il mio portafortuna per anni, la mia compagna di viaggio, le braccia in cui rifugiarmi quando non potevo ricevere abbracci reali. La persona che stava in fila di fronte a me se n’è andata con il suo vassoio e io faccio la mia ordinazione, appoggio i soldi sul bancone e prendo il cellulare. Si sono fatte già le 14:22. Sospiro e mi chiedo perché la cameriera ci sta mettendo molto quando sento una voce che conosco fin troppo bene alzare la voce.

“Ehy ragazzina, bella maglietta!”. Parla con calma e riesco a comprendere il suo accento inglese. Mi volto, con il cuore che batte a mille, perché sicuramente sto sognando ad occhi aperti. E invece no: alla mia sinistra, con un sorriso sbilenco e il cappuccio in testa c’è proprio lui.
 Luke Hemmings. Mi squadra per un secondo e io resto totalmente immobile, anche se le mani mi tremano. I suoi occhi azzurri sono così dannatamente belli visti da vicino e, nonostante la felpa nera, il braccio che tiene in mano  una bibita ha i muscoli tesi. Studio ogni dettaglio della sua figura per quella che mi pare un’eternità, e poi mi rendo conto: ha indosso la sua canottiera preferita, quella che reca la scritta identica a quella che porto addosso io. Scoppio in una breve risata, probabilmente per combattere il nervosismo. Respiro e rispondo tranquillamente, perché in fin dei conti è un ragazzo come un altro. In fin dei conti per me è ancora l’Hemmo1996 che pubblicava cover su Youtube sperando di sfondare.

“Potrei dirti la stessa cosa”.
La cassiera è arrivata a mi consegna il bicchiere di Sprite, lo prendo con dita tremanti e mi volto ancora verso Luke. LUKE HEMMINGS, ma ci rendiamo conto? Il mio idolo è a due metri da me e mi ha parlato per primo. Le mie ginocchia tremano quando incontro i suoi occhi. È leggermente confuso, infatti sfila la mano che aveva in tasca e si tocca i capelli senza togliermi gli occhi di dosso.
“Aspetta.. Perché non stai urlando? Insomma, hai addosso la mia maglietta e questo indica che evidentemente sei una nostra fan, eppure.. perché non stai facendo una scenata isterica?” mi chiede con evidente sorpresa.
La mia espressione è più confusa della sua: si impegnano sempre a dire che sono ragazzi normali, che gli farebbe piacere esser trattati come tali, che non c’è bisogno di strapparsi i capelli quando li si incontra e poi? Appena una ragazza lo fa, pare che ci restano male perché non vengono trattati da Superstar? Mi innervosisco e, stringendo forte il bicchiere che tengo in mano, inizio ad urlare come una pazza. Batto i piedi per terra e, con un ultimo acuto, dico: “Oh mio Dio, è Luke Hemmings!!"

Ho scatenato un putiferio: un rumore di sedie che si spostano e ragazze che urlano si fa sempre più vicino. Sorrido, fiera della sfida che gli ho lanciato e che ho vinto nello stesso istante in cui ho iniziato a gridare. Gli lancio un’occhiata da stronza, mentre invece lui mi guarda con gli stessi occhi che un cerbiatto ha di fronte ai fari di un’auto: l’ho colpito. Mi guardo alle spalle per un istante, rendendomi conto che nel giro di due secondi lui sarà circondato da ragazzine urlanti che pretendono un selfie con lui.

“Spero che ora tu sia soddisfatto, buona giornata Hemmings.” dico uscendo dal Fast Food ancora scombussolata e carica di adrenalina. Le gambe mi tremano, ho il cuore che batte all’impazzata e la testa che mi gira. Mi siedo sul primo gradino che prima avevo salito di corsa. Sento ancora delle urla provenire dall’interno e mi volto per guardare attraverso le due porte scorrevoli. Lo vedo lì, sorridente mentre si mette in posa con tante ragazze che, come me, lo ammirano. Eppure sono arrabbiata, perché l’ho trattato come un ragazzo normale e lui si è palesemente offeso. Mi volto e prendo a girare e rigirare la cannuccia nel bicchiere. Mi maledico, perché il mio idolo è lì dentro e io gli sto dando le spalle. A lui, quello per cui ho fatto file immense, quello per cui ho pianto in mezzo a stadi e palazzetti durante le loro esibizioni. Quello per cui ho buttato via giornate sotto alberghi, fuori da radio, solo sperando di incontrare il suo sguardo.

Persa tra i miei pensieri non noto il rumore delle due porte scorrevoli che si aprono. Sento qualcuno che corre giù dalle scale e poi si ferma di fronte a me. Alzo lo sguardo e mi trovo di fronte i suoi due perfetti occhi azzurri. Sto per aprir bocca, per chiedere scusa anche se sono arrabbiata nera, ma qualcuno alle mie spalle urla di nuovo. Probabilmente una foto non gli basta, probabilmente si tratta di qualche ragazza che era in bagno e non è riuscita ad incontrarlo. Resta il fatto che Luke guarda allarmato dietro di me e, senza dire una parola, afferra il mio polso trascinandomi in piedi, facendo cadere quello che rimaneva della mia bibita. Inizia a correre senza staccare la presa dal mio braccio e io, corro dietro di lui. Corro insieme a lui. Insieme.

“Luke smetti di correre! Luke lasciami andare! Lasciami!” urlo cercando di fermarmi. Ma la sua presa è troppo forte, come è forte l’energia che mette nella sua apparentemente inarrestabile corsa. Sembra quasi non abbia sentito neppure una parola di quelle che gli ho rivolto, infatti svolta a destra in un vicolo che non conosco. Si ferma pochi passi dopo.
“Ti rendi conto della situazione in cui mi hai cacciato? Ero circondato da pazze isteriche che mi hanno accecato per una buona mezz’ora! Non ti ho detto “Ehi ragazzina, urla!”. Non ti ho detto di farmi finire bloccato in un McDonald poco prima di un’intervista!” mi urla contro. Luke Hemmings che urla contro a me? Ma ci rendiamo conto? La vista mi si annebbia, così mi aggrappo al muro con la mano destra, chiudendo gli occhi per un secondo. È colpa della corsa, probabilmente; e del fatto che non ho ancora mangiato nulla da quando ho aperto gli occhi.
Meccanicamente inizio a ripetermi “Non chiudere gli occhi, non chiudere gli occhi andiamo!”. Così ci provo: tengo lo sguardo fisso su Luke, ma ormai non sento più una parola di quello che dice. Lo vedo iniziare a nascondersi dietro tanti pallini neri che mi oscurano la vista. Vedo il suo piercing, sempre se non si tratta di un altro dei mille puntini neri; tratti del suo ciuffo biondo. E nient’altro. Il resto sta inesorabilmente diventando nero. Tutto nero.


Vorrei urlare ma l’oscurità mi inghiotte prima. 



                                                                                 

Ciao bellezze!
Ecco a voi il secondo capitolo, ed ecco a voi il nostro buon vecchio Luke. Spero vi stiate appassionando alla storia. Ringrazio comunque chi si è preso la cura di leggere ogni parola, leggendo così ogni mio pensiero. Grazie anche alla mia amica G., che sta scrivendo con me un'altra FF (la trovate sulla nostra pagina EFP).
Io sono V, e ora (come accennato) vi lascio con questo piccolo regalo. Buonanotte a tutti! V.



 

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Capitolo 3
*** Azzurro. ***


"Tell me that I'll see you again
'Caus I don't know, 
If I can let you go."



Azzurro.

Sto galleggiando nell’oblio. Sento una voce lontana che parla, preoccupata. Ma non riesco ad aprire gli occhi, non riesco a trovare la forza per riemergere da quella soffocante nuvola nera che mi ha inghiottita. La voce si fa sempre più vicina, e sento una guancia che mi brucia. Apro gli occhi. Luce. È tutto sfocato e i miei occhi si richiudono almeno cinque volte prima di mettere a fuoco una figura piegata sopra di me. Mi sento come se fossi appena nata, appena scaraventata nel mondo senza sapere da dove arrivo. Il ragazzo che sta chino su di me ha la fronte aggrottata e muove le labbra, ma non riesco a sentirlo. Accenno a rimettermi a sedere e un salvagente mi aiuta ad appoggiare la schiena al muro. Un salvagente forte, che mi tiene a galla, che non mi fa sprofondare di nuovo. Un salvagente di cotone nero, con qualche piega. Guardo smarrita il ragazzo e mi rendo conto che mi sta tenendo tra le braccia per non farmi cadere. È distante da me e riesco a mettere a fuoco i dettagli del suo viso: ha un ciuffo biondo alzato sopra la fronte, appare disordinato eppure sembra che ci siano volute ore per dargli quell’effetto “naturale”. Faccio scorrere lo sguardo e incrocio il suo: ora sembra un po’  più rilassato e automaticamente, mi rilasso pure io. Mi perdo. Annego ancora, ma stavolta annego nel blu. O meglio, nell’azzurro. I suoi occhi sono due pozzi d’oceano, hanno tutte le sfumature possibili, e quando la luce ci batte sopra diventano verde acqua. Sono assolutamente perfetti, e mi chiedo per un secondo se non siano opera di qualche lente a contatto. Chiudo i miei per un secondo, perché sono stanca, enormemente stanca. E mentre li riapro inizio a ricordare tutto: la Sprite, Luke, la corsa e il nero.

“Ehi.. Stai bene?” mi chiede con un sorriso. È ancora inginocchiato di fronte a me.
“Si.. Sono svenuta vero?” gli chiedo confusa. Mi porto una mano alla testa perché sta iniziando a pulsarmi come la base di Don’t Stop, tanto per rimanere in tema.
“Si, insomma, ti stavo urlando contro e di colpo hai chiuso gli occhi e sei caduta a terra. Sono riuscito a prenderti prima che sbattessi la testa. Ho chiamato un TAXI, per farti accompagnare in ospedale e..”.
Lo interrompo subito: “No, non serve! Sono soggetta a questo genere di cose, e ci sono abituata. Tra poco starò meglio e riuscirò ad andare a casa da sola, non devi preoccuparti..”. Lo guardo e mi accorgo che è davvero colui che riempiva le mie giornate con la sua voce, e che sentita così da vicino è ancora più profonda. Sorrido automaticamente e lui mi guarda confuso.
“Ne sei sicura? Perché non è che con un sorriso mi convinci..” dice mentre sorride pure lui.
“Si Luke, sul serio..”
“D’accordo, allora ti riaccompagnerà a casa. Lo avrei fatto io ma sono in ritardo, anzi proprio ormai ho quasi perso l’appuntamento e i ragazzi saranno preoccupati, perché sono uscito di corsa e non ho lasciato detto dove sarei andato..” dice.
“Oh, se sei di fretta vai pure, aspetto io..” dico cercando di essere convincente. Non voglio che si rovini la carriera o qualcosa di simile perché il mio cervello ha deciso di prendersi un attimo di standby.
“Assolutamente no, faccio una telefonata e avviso che li raggiungo nella seconda radio in cui abbiamo appuntamento oggi.” dice mentre compone velocemente un numero e si allontana di qualche passo. Approfitto di questa sua lontananza per aggrapparmi al muro e trascinarmi in piedi, in qualche modo. La strada in cui ci troviamo gira, il cielo gira, insieme alle nuvole e a Luke. Mi aggrappo forte al muro e, con il respiro irregolare, riesco a tenermi in piedi. Muovo qualche passo insicura, come un piccolo cavallino che muovo i suoi primi passi. Luke riattacca e si volta verso di me, e sorride vedendomi in piedi. Si avvicina e si ferma di fronte a me. Mi supera di ben 15 centimetri e io mi sento ancora più fragile accanto a lui.
“È tutto sistemato, a breve il TAXI dovrebbe essere qui e i ragazzi avviseranno del mio ritardo..”
“Grazie Luke, davvero. Mi spiace averti fatto finire in questa brutta situazione, e mi spiace anche per come mi sono comportata prima. Ho agito d’istinto, non volevo scombussolarti la giornata..” dico abbassando lo sguardo. Lo sento ridere, una risata bellissima, una di quelle chiare e limpide che ti fanno venire voglia di ridere tanto, perché sono contagiose.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, ero uscito per staccare la spina da questa vita frenetica e ora non ho più pensieri. E poi, ho una storia divertente da raccontare.. Beh, a parte il tuo svenimento. Sicura di sentirti bene?” la risata si dissolve lasciando spazio ad un tono più preoccupato.
“Assolutamente, mi sento come nuova” mento con un sorriso.

Il TAXI arriva in quel momento e saliamo uno dopo l’altro. Il viaggio si svolge in silenzio, e riesco a lanciare qualche sguardo veloce al profilo di Luke, che guarda fuori dal finestrino. La radio in cui i ragazzi devono essere intervistati è poco distante da dove eravamo, così lui scende per primo. Il taxista prende due banconote che Luke gli allunga dal sedile posteriore prima di aprire la portiera e andarsene. Scende, richiude la portiera e si volta verso la macchina. Abbasso il finestrino.

“Grazie, per tutto. E ti chiedo ancora scusa..” dico mentre lui si avvicina.
“Non c’è di che, mi spiace solo che non hai voluto farti accompagnare in ospedale.” Risponde lui con un sorriso.
“Oh, davvero non ce n’è bisogno.. Ora è meglio che ti lasci libero, grazie anco…” mi blocco quando un bodyguard si materializza a fianco di Luke e inizia a sbraitare in inglese. Probabilmente erano davvero tutti preoccupati per lui. Luke fa un passo verso l’edificio di fronte al quale siamo fermi e il taxista lo prende come segno di congedo, così riparte. Lo fulmino con lo sguardo e mi rivolto, ancora verso Luke che sta fermo sul marciapiede e mi guarda andare via. Alza un braccio e io lo saluto dal finestrino. Così, nello stesso giorno, è entrato ed uscito dalla mia vita. Come un temporale. 


Un mese dopo.

Dicembre e la città è mosaico di luci e addobbi. Nel mio appartamento la musica rimbomba mentre sto sdraiata sul letto di fronte al computer. Nell’ultimo mese ho controllato perennemente tutti gli account ufficiali dei ragazzi, sperando di scoprire se erano a Milano ancora per qualche giorno: non ho avuto nessun tipo di notizia. Il vuoto. La mia unica occasione bellamente sprecata. Sono le 23:08 e, stanca, chiudo il PC per infilarmi sotto le coperte. Si prospetta una giornata impegnativa.

Mi alzo e senza rendermene conto sono in ritardo, così cerco di fare del mio meglio per mostrarmi presentabile nonostante il poco tempo avuto a disposizione: mi infilo un paio di stivali marroni che arrivano fino al ginocchio, e metto il giubbotto pesante, andando a coprire il pesante miniabito verdone che ho indossato per l’occasione. Infilo il computer nella tracolla e corro sulle scale mentre cerco di mettermi gli orecchini di perle ai lobi. Mi do una rapida occhiata allo specchio che sta di fronte all’ascensore quando arrivo in fondo alle scale: sono dannatamente professionale e per una volta, sono soddisfatta del risultato.
Arrivo in Università in perfetto orario, ringraziando il cielo che i tram non hanno ritardato nemmeno di un minuto. Entro in classe e questa volta mi trovo di fronte solo il professor Rossi, Gio e un altro ragazzo.
“Buongiorno signorina White, credo che ora siamo al completo! Possiamo partire anche ora, se siete d’accordo..” dice il professore.
“Buongiorno a Lei..” rispondo rimanendo sulla porta, visto che si stanno alzando tutti e tre diretti verso l’uscita dell’Università.

Oggi è un giorno importante, quasi non ci credevo quando sono stata l’unica ragazza selezionata di tutto il corso, nonché l’unica matricola: abbiamo un’intervista da realizzare. Il Professor Rossi non ci ha rivelato nulla, se non che avremmo dovuto essere professionali e pronti a scrivere di qualsiasi argomento, nonché pronti ad affrontare qualsiasi situazione ci si fosse presentata di fronte. Saliamo in fretta sul tram numero 8 e scendiamo cinque fermate dopo. Siamo di fronte al Principe di Savoia, e le mie gambe iniziano a tremare. Perché mai dovremmo entrare in quell’hotel dove ho cercato di intrufolarmi almeno tre volte negli ultimi anni? Ci passiamo di fronte e mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo.
“Sei tesa?” mi chiede Gio, che cammina al mio fianco. Lo guardo e mi accorgo che è davvero bello: ha i capelli marroni che si ribellano a qualsiasi tentativo di tenerli al loro posto, due occhi nocciola che, al contrario dei miei, non sono insignificanti. E poi sorride e ti fa sentire a casa.
“Un po’, insomma.. Non ho idea di dove siamo diretti e non so nemmeno cosa dovremo dire o fare..” rispondo stringendo la mia tracolla. Ci troviamo di fronte ad un altro Hotel e, distratta dalle parole di Gio, non mi rendo conto che ormai siamo di fronte alla reception. Il professor Rossi parla con un uomo in smoking che sta di fronte alle scale, poi si volta e ci fa segno di seguirlo. Iniziamo a percorrere i gradini e le mie ginocchia iniziano a tremare per la tensione.

Ci fermiamo al secondo piano, di fronte ad una porta grande e ben lavorata. Il professore si volta verso di noi:
“Bene ragazzi, in bocca al lupo. L’unico consiglio che posso darvi in questa sfida è: cercate di parlare col cuore e di soddisfare le vostre curiosità..” conclude con un sorriso. Si volta verso la porta e bussa.
Ci apre una donna con degli occhiali sul naso, ci sorride e ci fa segno di accomodarci. Così muovo un passo dietro al professore ed entro per prima, facendo un respiro profondo e curiosa di sapere in cosa consiste questa nostra strana e singolare sfida. Al centro di questa grande sala in stile Liberty ci sono due grandi divani in pelle marrone. Infondo alla stanza, appoggiato al muro, c’è un tavolo che presenta un buffet, probabilmente allestito per la fine dell’intervista.
Quattro ragazzi ci stanno accanto, e ridono mentre assaggiano qualcosa. Quasi il mio cuore si ferma quando mi rendo conto di chi ho di fronte. Strabuzzo gli occhi e mi trattengo dall’urlare, perché davvero non ero preparata a questa meravigliosa sorpresa. Faccio per voltarmi e scappare via, perché di colpo mi rendo conto che dovrò intervistarli, dovrò fare domande intelligenti e in quel momento non ho nulla di intelligente da dire. Ma finisco solamente con lo sbattere addosso a Gio che, curioso, mi guarda per capire cosa ho in testa in quel momento. I ragazzi non si rendono nemmeno conto che siamo entrati nella stanza, così ci sediamo in silenzio su un divano e la donna che ci ha aperto la porta va ad avvisarli. Guardo il nostro professore e, vedendo la mia espressione, mi dice:
“White, è tutto apposto. Ecco di cosa si tratta: quei quattro ragazzi sono una band emergente da come ho capito, e mi è stato chiesto di intervistarli, ma visto che voi siete i miei tre migliori studenti, ho deciso di lanciarvi una sfida e di permettervi di muovere qualche passo nel mondo del giornalismo. La vostra intervista finirà sul giornale e, grazie a qualche contatto, magari vi verrà chiesto di farne altre..”
“Prof.. Avrebbe dovuto dirci in cosa consisteva la sorpresa! Lei non ha capito bene la situazione probabilmente: quei quattro ragazzi non sono emergenti per niente e si da anche il caso che si tratta del mio gruppo preferito. Rischio davvero un crollo nervoso in questo momento!” dico a bassa voce, sentendo l’ansia che cresce dentro di me ogni secondo che passa. Il professore ride e mi dice: "Beh allora mi ringrazierà: le ho permesso di incontrali!". 
“Sta zitto Calum!” urla Ashton, seguito da quattro diverse risate. Le loro voci si fanno sempre più vicine e io non riesco più a tenere lo sguardo lontano da loro, così lo alzo. Li guardo che si avvicinano e sembra che neppure abbiano fatto caso a noi quando, tra l’eco delle loro risate, una testa bionda si volta e io mi imbatto nell’azzurro di Luke.
E, inevitabilmente, ci annego dentro. 


                                                                                  

Ciao bellezze!
Ecco il terzo capitolo! Ho ricevuto delle bellissime recensioni, affiancate da una non molto carina. Quindi, per questo motivo, vorrei davvero conoscere il parere di chi passa di qua e legge la mia storia. Spero in tante altre belle recensioni! 
Comunque, chiedo scusa per il papiro chilometrico e ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggerlo. Se avete curiosità o idee o qualsiasi altra cosa da chiedere, non esitate! Io sono qui :)
Con questo vi lascio, sto preparando la valigia visto che tra pochi giorni me ne vado al mareeee! 
Un grosso bacio, vostra V. 


 

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Capitolo 4
*** Someone. ***


"When I close my eyes and try to sleep
I fall apart, I find it hard to breath
You're the reason, the only reason."


Someone.

Ci fissiamo per quella che pare un’eternità, confusi. Poi distolgo lo sguardo e mi concentro sulla professionalità: è la mia unica occasione per dimostrare che la fiducia riposta in me è stata una buona scelta. Mi riprometto mentalmente di non andarmene da lì senza aver parlato con Luke e magari esser riuscita a scattare una foto con tutti i ragazzi. Mi viene quasi da ridere perché ho automaticamente pensato che lui, in qualche modo, si sarebbe ricordato di me..

I ragazzi prendono posto nel divano di fronte a noi e io faccio di tutto per evitare di incrociare lo sguardo di Luke. Gio è seduto al mio fianco e io cerco di affidarmi a lui come un naufrago si affida ad un pezzo di legno che galleggia tra le onde.
La donna con gli occhiali si presenta e ci chiede se, gentilmente, possiamo cominciare con le domande, visto che i ragazzi hanno una giornata molto piena.
Domande! Ma come farò a pensare a qualcosa di sensato da chiedere quando conosco praticamente meglio loro di quanto conosca me stessa?

“Buongiorno ragazzi, io sono James Rossi, professore all’Università di Lettere di questa città. Sono anche un giornalista e avrei dovuto condurre io l’intervista, ma ho scelto di dare una possibilità ai miei studenti più meritevoli. Quindi, lasciate che mi permetta di dire che le domande saranno poste dalla nostra brillantissima signorina White, dal signor Morris e dal signor Finazzi.”
Accenno ad un sorriso e decido di rompere subito il ghiaccio, così da spezzare l’ansia che mi sta pian piano soffocando. Sto per fare una domanda a caso quando Gio parla prima di me:
“Bene, io sono Gio Morris, piacere di conoscervi. Ho sentito cose straordinarie su di voi: siete i 5 Seconds of Summer, avete mezzo mondo ai vostri piedi, quindi entriamo nel vivo della questione.. vorrei sapere cosa vi piace di più della vostra vita..”
Lo guardo sorpresa, perché non avevo idea che lui sapesse chi sono. Ashton, come previsto, risponde prima di tutti gli altri:
"Innanzitutto non siamo così famosi, insomma siamo solo quattro idioti che suonano e abbiamo avuto la fortuna di trovare persone che ci sostengono in tutto il mondo ormai. Comunque la cosa migliore della nostra vita è la possibilità di conoscere posti meravigliosi, nei quali non ci saremmo mai sognati di finire..”
Gli altri ragazzi lo guardano, ascoltando attentamente le sue parole, e io resto rapita.
Non rifletto neppure un secondo e apro la bocca per rispondere:

“E a fine giornata, quando andate a letto, cos’è la cosa che più vi manca?”

Abbasso lo sguardo prima di rischiare di tuffarmi nell’
azzurro di nuovo, e di perdere la concentrazione. Eppure è l’azzurro che risponde, perché Luke è tutto azzurro. Luke è il cielo d’estate e il mare profondo. Luke è il ghiacciolo all’anice e il sapore fresco che ti lascia addosso.
“La cosa che più mi manca è la certezza di avere qualcuno affianco. Insomma, ci sono loro tre, che sono i miei migliori amici e non mi abbandonano mai; ma non è abbastanza a volte. A volte mi addormento sperando di riuscire a trovare qualcuno a cui dedicare le canzoni che scrivo quando passo le notti in bianco, qualcuno che mi aspetti anche dall’altra parte del mondo, qualcuno con cui tornare a casa durante le feste per farle conoscere la mia famiglia. Qualcuno di cui essere fiero ogni giorno, qualcuno che abbia voglia di rischiare e di dare il 100% per farmi spuntare un sorriso. Qualcuno con cui condividere i miei demoni, qualcuno che non si lasci impressionare dalla mia popolarità, qualcuno che sappia rimettermi in carreggiata quando ho preso una sbandata. Qualcuno, mi manca il riuscire a trovare qualcuno..” risponde. Silenzio.
I miei occhi non ci sono riusciti. Sono sfuggiti al comando del mio sistema nervoso e si sono inchiodati ai suoi, mentre parlava. Azzurro nel nocciola, nocciola nell’azzurro. Un nuovo colore, il nostro colore.
Non ho neppure segnato la sua risposta, perché è stata talmente spontanea che non credo di riuscire a dimenticarmela mai. Gio riprende la parola e fa qualche domanda a cui i ragazzi rispondono senza problemi. Luke resta in silenzio, io pure.

 “Bene, io non ho parlato molto, quindi mi presento: sono Michael Finazzi. Avrei una curiosità: vorrei sapere la cosa più bella che una fan ha fatto per voi. Non parlo di bella nel senso “mi hanno lanciato un reggiseno sul palco” – ridono tutti – vorrei sapere una cosa che vi ha profondamente colpito..” chiede l’altro ragazzo del mio corso.
Non lo avevo quasi mai notato durante le ore di Lettere Moderne, eppure mi sembra molto brillante. Anche se ha fatto una domanda che hanno ricevuto almeno una decina di volte.

“Beh, a me è stato chiesto un giudizio su come cantava una mia fan. È stata una cosa davvero carina, perché mi sono sentito importante, e sicuramente non era perché ho i capelli colorati” rido discretamente quando Michael risponde alla domanda.
“Oh, beh, io ho ricevuto un mazzo di rose. Sono rimasto colpito, mi sono sentito una ragazza per un momento!” conclude Ashton tra le risate generali.
Accanto a lui Luke cerca ancora il mio sguardo, e io non glielo concedo. Infatti comincio a scarabocchiare a lato del foglio che Gio mi ha prestato appena ci siamo seduti su questo divano.

“Io un mese fa ho incontrato una ragazza. Era così diversa da tutte quelle che ci seguono di solito..” inizia Luke, quando Calum lo interrompe dicendo: “Oh si, la ragazza del McDonald!”.
Smetto di scarabocchiare e alzo lo sguardo.
Luke mi guarda, io lo guardo. Riprende a parlare: “Si, lei Calum. Dicevo, ho incontrato questa ragazza per caso e, probabilmente per il fatto che è una persona orgogliosa, non mi ha neppure chiesto di fare una foto con lei. Anzi, mi ha gettato in pasto alle altre ragazze che erano presenti nel Fast Food, e se n’è andata. Quando sono uscito era lì fuori seduta, l’ho trascinata via con me e mi è svenuta tra le braccia perché l’avevo fatta correre. Mi ricordo ancora il suo sguardo smarrito quando ha aperto gli occhi.. Ho chiamato un TAXI, e quando sono sceso, non ho neppure avuto modo di salutarla decentemente..”

I suoi occhi non si staccano un minuto da me, e il mio stomaco inizia a fare le capriole.

“Avrei voluto chiederle il suo numero di telefono, o la sua mail, o almeno il suo nome. Mentre non ne ho avuto la possibilità. E ancora oggi non ho idea di quale sia, il suo nome; o di che suono abbia, o se renda giustizia al suo sorriso timido..” dice mentre appoggia i gomiti alle ginocchia ed accenna ad un sorriso sbilenco, proprio come quando mi ha rivolto la parola per la prima volta.

“Quindi, signorina White, come si chiama?”


                                                 


Ciao bellezze!
Ecco il quarto capitolo. Nonostante ho aggiornato solamente ieri, mi sono resa conto che non potevo partire senza dare qualche dettaglio in più. Spero che nel tempo in cui sarò assente le visualizzazioni aumenteranno, insieme alle recensioni. Perchè davvero, sono molto molto curiosa di sapere cosa pensate di questi quattro capitoli. Quindi, se passate di qua, lasciatemi un commento, una frase, una domanda, un sorriso. Lasciatemi qualcosa, perchè adoro leggere i vostri pensieri e inoltre, tutti voi mi siete di grande aiuto. 
Spero inoltre che le mie parole siano una buona compagnia per voi, nonchè le mie idee. 
Ringrazio ancora tutti e vi mando un abbraccio.
La prossima volta che aggiornerò probabilmente sarò di fronte al mare, quindi restate collegati!
Un bacio enorme, V. 



 
Ora potete capire perchè nell'azzurro lei ci annega ogni volta.. 


 

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Capitolo 5
*** #inmyarms ***




"We put the world away
Yeah, we're so disconnected."



#inmyarms

“Si mamma, non ti devi preoccupare. Ho mangiato ed è tutto apposto, ora sto correndo in Università perché sono in ritardassimo. Ho pure dimenticato la sciarpa sul tavolo.. Sì.. Sì, anche io ti voglio bene.. Ciao mamma, ci sentiamo presto.”
Chiudo la telefonata e mi infilo nel tram che si ferma di fronte alla mia accademia. Tengo il telefono in mano e continuo a sorridere. Fisso lo schermo e sento i brividi anche sotto la felpa pesante e il giaccone. Azzurro. È sempre colpa dell’azzurro.

Sono passate due settimane da quando ho intervistato i ragazzi, e da quando Ash ha scattato una foto a me e Luke. Veramente ce ne ha scattate un po’, e io ci ho riempito un quaderno con quegli attimi rubati. Conclusa l’intervista abbiamo preso un aperitivo al tavolo che stava appoggiato sul fondo della stanza e il mio telefono era rimasto sul divano dove eravamo seduti qualche minuto prima. Ashton lo aveva preso e aveva iniziato a fare il paparazzo, cosa tipica da lui insomma. Ripensandoci ancora mi viene da ridere: si nascondeva dietro i vasi presenti nella sala, dietro le poltrone, dietro le tende.. Poi si è piazzato di fronte a me e Luke e, con nonchalance, mi ha ridato il cellulare.
Allora ho preso coraggio e, invece che rimetterlo in tasca, l’ho teso verso Ashton.
“Non è che ci faresti una foto Ash?” ho chiesto timida.
“Certo!” ha risposto.
Luke mi ha preso il bicchiere di mano e lo ha appoggiato sul tavolo dietro di noi. Avevo il cuore che batteva all’impazzata, lo sento ancora adesso. Ho alzato lo sguardo e mi sono persa nell’azzurro. Ora ditemi, avete mai visto un azzurro che sorride? Un azzurro così limpido da sembrare uno specchio? Ecco, in quell’azzurro ho visto me stessa e le mie guance rosse. Ho sorriso e mi sono voltata verso Ashton, che continuava a scattare a ripetizione, come se avesse scoperto per la prima volta la fotografia digitale. Il braccio di Luke mi stringeva in vita e la sua spalla destra era all’altezza della mia testa, così mi ci sono appoggiata. Aveva un profumo così buono.. Mi sono morsa un labbro perché ero troppo tentata dal girarmi e stampargli un bacio sulla guancia, o su quel dannatissimo anello che ha attorno al labbro. E invece no, continuavo a mordere il mio di labbro, e mentre accennavo ad un sorriso ho sentito la bocca di Luke sulla mia guancia. Un flash. Il cuore che salta qualche battito. Riguardo quella foto che ho come sfondo, Luke che mi bacia su una guancia, io che guardo verso l’obiettivo persa, alla deriva. Con un’ancora affianco, ma il mare in tempesta dentro. Blocco lo schermo e mi fiondo giù dal tram, diretta in classe.
La mattinata vola in fretta e, quando sto raccogliendo le mie cose per tornare a casa, il professor Rossi mi si affianca.
“Signorina White, avrebbe un minuto?” mi chiede serio. Spaventata, acconsento.
“Di seguito alla sua esperienza come giornalista improvvisata, il giornale per cui lavoro ha dato un ottimo riscontro. Io, in prima persona, sono molto orgoglioso di come ha affrontato la situazione, valutando anche l’emozione che può averle giocato il contesto in cui si è trovata.”
“La ringrazio molto, non ha idea di quanto mi rendono felice queste sue parole..” rispondo con un sorriso sincero.
“Il punto è questo: il giornale vuole realizzare una specie di diario di bordo, e documentare tutto ciò che succede in una tipica giornata del gruppo da noi intervistato..”
Il respiro mi si a irregolare, le mani cominciano a sudare, le ginocchia a tremare..
“Bene, i ragazzi sono già stati informati di questa iniziativa e ne sono entusiasti. E, come già ho detto, dopo il suo ottimo lavoro, il giornale sarebbe propenso a scegliere lei come inviata. Anche perché, da alcune indiscrezioni, è stata fatta un’esplicita richiesta che riguardava proprio lei, signorina White.. quindi, dovrei sapere se è interessata a questa proposta.. Ovviamente le assenze dalle lezioni sarebbero giustif...”
Non lascio concludere la frase al Professor Rossi, perché gli salto al collo ripetendo a macchinetta: “Graziegraziegraziegraziemillegraziedavverograzie”.
Lui scoppia a ridere e mi informa che la giornata da passare con i ragazzi è programmata per il venerdì. Oggi è martedì, e il sole non mi è mai sembrato così caldo.

Mercoledì: Panico. Cosa metterò? Cosa mi porterò dietro? Cosa farò? Cosa cavolo dirò?

Giovedì: PANICO. P-A-N-I-C-O. Allo stato puro.

Giovedì notte: TERROREPAURAANSIACRISIESISTENZIALE.

Venerdì mattina.
Mi alzo con due occhiaie mastodontiche. Dio benedica Kiko che ha inventato un correttore super-coprente. Dopo essermi accuratamente truccata, mi infilo i miei jeans neri tutti strappati, una camicetta bianca e un maglione verde scuro. Preparo la mia tracolla: cellulare, iPod, caricatori, PC, agenda, astuccio, cuffie. Mi infilo al collo la mia Canon e esco di casa. Scendo le scale saltellando, cercando di non volare in terra proprio ora che sto per passare la giornata migliore della mia vita. Mi chiudo il portone alle spalle e mi blocco. Di fronte a me, fermo a lato della strada, c’è un Range Rover nero. Ha i vetri oscurati. Accanto ad esso c’è un uomo, in smoking, che porta in mano un foglio scritto a mano, con un pennarello nero. Scoppio a ridere in una maniera talmente fragorosa che l’uomo capisce si rende conto che ha di fronte proprio la signorina White. Mi avvicino e l’uomo mi passa il foglio presentandosi:
“Hi, I’m Josh.”
Mi presento e salgo in macchina. Sui sedili posteriori. Mi calmo non appena mi rendo conto che non c’è nessun altro in quel SUV, così riapro il foglio che ho piegato e ancora mi scappa una risata.

“We want YOUwho COMPLETE MEss”.

Continuo a guardare quella scritta, sapendo che era Luke quello che ha chiesto di me. Azzurro. Anche oggi il cielo è azzurro, come lo smalto che ho sulle mani. Il traffico di Milano ci passa accanto come se niente fosse, forse perché sono troppo tesa per accorgermi del tempo che Josh impiega per arrivare di fronte all’albergo dove avevo incontrato i ragazzi due settimane prima. Accosta di fronte all’entrata, dove un’orda di ragazzine è appostata con cartelloni e voci sovrumanamente acute. Mi scappa un sorriso mentre mi fiondo nella hall. Io ero una di loro, una fan sfegatata che ha ricevuto un Jolly dalla vita. Erano la mia famiglia, e io le stavo rappresentando. Josh mi raggiunge quando sono ancora  ferma nel bel mezzo della hall. Mi avvisa che i ragazzi mi stanno aspettando nella sala conferenze, dove stanno studiando il programma della giornata. Questa sera hanno un concerto programmato al Mediolanum Forum, quel concerto per cui non ero riuscita a trovare i biglietti. Faccio le scale di corsa e, prima che Josh apra la porta, mi sembra di esser tornata indietro nel tempo.
Mi sistemo i capelli e faccio un profondo respiro. La porta si apre e appena muovo cinque passi e tre quarti, la voce di Micheal urla “GIÙ!”, e prima che me ne renda conto sono a terra con un male terribile alla parte sinistra della testa.
Allungo una mano per toccarmi i capelli quando scoppio a ridere. Josh accorre e si scusa, mi aiuta a rialzarmi mentre io continuo a ridere. Sento una presa più forte mentre un capogiro scombussola il mio piccolo universo. Alzo lo sguardo e mi trovo di fronte Luke che mi tiene gli avambracci con le sue grandi mani. Lo guardo e scoppio a ridere più forte di prima.

“White.. Mi dispiace ma Calum ha una pessima mira.. Non pensavo ti prendesse in pieno! Veramente ora ci beccheremo una bella strigliata per il semplice fatto che stavamo giocando a baseball improvvisato con un melone.”
“Non c’è problema Hemmings, non è la prima volta che mi ritrovo a terra in tua presenza..” dico sorridendo.
Mi sorride di rimando e poi mi abbraccia. E allora lo stringo forte e inspiro a fondo, sperando che il suo odore mi resti impresso addosso per tutta la vita. E mentre lo stringo mi rendo conto di quanto sono fortunata, e di quanto sia bello avere una possibilità come quella che ho io ora. Mi abbraccia e io ho la mia vita tra le mie stesse mani. Arrivano anche gli altri ragazzi e a turno mi salutano, e io li abbraccio. E poi di colpo, vengo risucchiata con loro nella loro stessa vita.
Arrivano delle persone, Luke mi mette al collo un pass e mi da un buffetto sulla guancia, e io prendo dalla mia borsa l’agenda e una penna, perché devo cominciare a lavorare. E così per metà giornata quasi non li vedo. Sto dietro le quinte, nascosta, attenta. Scrivo e non mi perdo nessun loro movimento, ascolto la loro musica dalle cuffie, faccio foto di nascosto e, quando le riguardo mentre stanno facendo delle interviste, mi accorgo che in qualche scatto rubato l’azzurro è concentrato su di me.
Arriva la pausa pranzo in un lampo, e vengo invitata dalla loro prima assistente a seguire tutto lo STAFF in sala da pranzo. C’è un tavolo dove stanno seduti i ragazzi, e poi ce n’è uno dove sono seduti tutti i loro assistenti, manager, bodyguard eccetera.. Mi dirigo verso il secondo tavolo, quando una mano mi prende per un braccio e mi ferma. Mi volto e Luke è di fronte a me. Alzo lo sguardo:
“Tu mangi con noi, visto che devi documentare..” dice con un sorriso malizioso.
Si morde il piercing e il mio stomaco fa il triplo salto mortale all’indietro. Mi accompagna al loro tavolo e mi siedo tra Ashton e Michael, di fronte a Luke. Scatto loro qualche foto, e tra le risate generali il pranzo se ne va in fretta. Il tempo sta passando troppo velocemente e un’ondata di tristezza mi assale, così non mi accorgo quando un piede cerca il mio sotto il tavolo. O meglio, me ne accorgo ma non ci do molto peso. La pressione sul mio piede si fa più insistente così alzo la testa e, automaticamente, guardo dritto di fronte a me. Luke sta tenendo un bicchiere di vino rosso in mano. Sorride a Calum e stanno parlando amabilmente, come due fratelli che si incontrano a Natale a casa di mamma per aggiornarsi sulle loro vite frenetiche. Sposto leggermente il piede e vedo un guizzo nell’azzurro. Luke si volta e mi guarda, sempre sorridendo.
Non smette di parlare, ma il suo piede continua a picchiare sul mio.
LUKE HEMMINGS MI STA FACENDO IL PIEDINO MONDO, ballate Dei dell’Olimpo, ballate!
Abbasso lo sguardo timida e concludo il mio pasto. I ragazzi vengono raggiunti dal loro manager, così decido di alzarmi e di concedermi una piccola pausa. Esco in corridoio e mi dirigo alla terrazza che sta di fronte alla sala da pranzo. Apro la portafinestra e scivolo fuori, nell’aria invernale. Milano è bellissima vista dall’alto.
Mi siedo su una poltrona in vimini e poso il mio sguardo sulle guglie del Duomo che si riescono a scorgere poco lontano. Non ci sono nuvole, il sole caldo fa quasi venir voglia di liberarsi del giaccone e di godersi il suo dolce tepore sulla pelle. Così mi slaccio la giacca e faccio scivolar fuori le braccia.
Infilo le cuffie e lascio che le note di “Disconnected” mi facciano compagnia. La Madonnina splende nel sole invernale e di colpo non vedo più nulla.
Due mani grandi mi hanno coperto gli occhi.
Vedo nero, ascolto nero, eppure riesco solo a riconoscere quell’odore.
Vedo nero, ascolto nero, ma annuso solo un colore.
Annuso azzurro.


 
                                                                             

Ciao bellezze!
Vi prego di scusarmi. Ho avuto davvero mille cose da fare, sono stata in vacanza tre settimane e mi sono divertita da morire. Tornata a casa mi sono concentrata sulle amicizie e purtroppo non ho avuto molto tempo per scrivere ma ehy, sono tornata. 
I'M STILL HERE BITCHES! 
Comunque, so che non è un granchè questo capitolo, me ne rendo conto. E' un ponte, collega. Spero che dall'altra parte, sull'altra sponda, ci sia una parte più interessate della storia. Lo scopriremo solo viveeeendo.. 
Lasciatemi un ricordino se leggete questo disastro, grazie sorelle! 
#peaceandlove , V. 


 

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Capitolo 6
*** Una promessa. ***


"What I like about you
You really know how to dance
When you go up, down, jump around 
I think about true romance."


Una promessa.

“Luke..” dico senza ricevere risposta. Le mani esitano ancora qualche istante sui miei occhi e poi si spostano. Riabituo la mia vista alla luce brillante del sole e metto in pausa la musica.
“White, come hai fatto a sapere che quelle erano le mie mani?” chiede lui mentre si siede sulla poltrona che sta di fronte a me. Ha i capelli più lunghi da quando abbiamo scattato quella foto insieme, e mi sembra ancora più alto mentre appoggia i suoi gomiti sulle ginocchia. Porta una felpa nera con il cappuccio, una maglia bianca sotto. Come da manuale, i suoi jeans sono più stretti dei miei.
“Non sono state le tue mani, è stato il profumo a farmi capire chi era il simpaticone che si divertiva a tendermi un’imboscata.. Non dovresti essere con gli altri?”
“Diciamo che sono evaso per un attimo, avevo voglia di parlare un po’ con te.. da soli.”
“Che succede? Ho forse sbagliato qualcosa? Sono stata invadente? Vogliono rimandarmi a casa e hanno chiesto a te di avvisarmi sperando che così non avrei fatte scenate? Oddio.. il mio futuro da giornalista avrebbe visto un’ottima opportunità nella giornata di oggi invece probabilmente ho sbagliato qualc…” La mano che prima mi ostruiva la vista ora mi sta tappando la bocca. Con un sospiro smetto di parlare e resto inerte di fronte alla sensazione delle mie labbra sulla pelle di Luke. Perché sono le sue mani, le sue dita. Sono pur sempre pelle. Il cuore inizia a battermi più forte, sempre più forte.. come se stessi correndo. E invece sono immobile, sperando che niente interrompa questo momento. Luke mi guarda, e si avvicina. Tiene ancora la sua mano sulla mia bocca, ma allenta leggermente la presa.
“Nessuno mi ha mandato qui. Ti sei alzata da tavola e ti ho seguita. Scelta mia. Volevo stare con te. Da soli. Te lo ripeto.” Azzurro nel nocciola, il nostro colore. Azzurro nel nocciola e il tempo si ferma.
“Perché?”. È un suono ovattato, ostacolato dalle dita di Luke che ancora restano sulla mia bocca.
“Perché non mi hai cercato?” chiede con lo sguardo di chi è in cerca di una risposta. Fa scivolare via la mano dalla mia faccia e traccia il profilo del mio labbro inferiore con l’indice. Sospiro troppo rumorosamente e lui si avvicina ancora. Ora ci sono solo 10 centimetri tra il suo naso e il mio. Mette la mano sul bracciolo della mia poltrona.
“Perché non hai twittato qualcosa su di me? Perché non hai intasato i messaggi privati del mio profilo Twitter? Perché non sei scesa da quel TAXI e non sei venuta sotto la radio dove c’erano almeno cento ragazze? Ho passato tutto il tempo dell’intervista attaccato al cellulare, chiudendo e riaprendo Twitter almeno quindici volte. E quando sono uscito da quella porta scortato da due bodyguard non ho fatto altro che guardarmi in giro per cercare i tuoi occhi tra la folla. Niente. Non avevo un nome, un indirizzo, una mail, un numero di cellulare.. niente. Avevo solo un graffio, sul polso. Probabilmente me lo hai fatto quando sei svenuta e ti sei aggrappata al mio braccio.. L’ho guardato fino a quando è sparito del tutto, sperando che mi desse un qualsiasi segno, una qualsiasi idea. Qualcosa cazzo, qualcosa..” ha un tono di voce fermo, quasi arrabbiato. E io non riesco a capire.
“Come avrei potuto cercarti? E poi per dirti cosa? “Ho sprecato l’occasione della mia vita perché ho un carattere di merda e non sono una psicopatica?” No, grazie Luke. Non sono il genere di persona che fa la vittima, e cercandoti avrei fatto la vittima. Ci siamo ritrovati comunque. Era destino, e ora io mi ritengo la persona più fortunata del mondo perché sono qui, con te. Con voi. Sono con i miei quattro idoli e non hai idea di quanto paura mi faccia l’orologio che ho al polso. Perché ogni volta che lo guardo mi ricorda che il tempo con voi sta scadendo.”
Butto fuori questo monologo tutto d’un fiato, terrorizzata dalla vicinanza di Luke e da come mi fa sentire. Perché ora non stiamo parlando del mio idolo, quello che ascolto prima di dormire e che ho appeso dentro l’armadio. Ora stiamo parlando di un ragazzo in carne ed ossa che si trova a 10 centimetri da me, e che ha lo sguardo più penetrante che io mi sia mai trovata davanti. Stiamo parlando di un ragazzo in carne ed ossa che si sta avvicinando sempre di più al mio viso. Io lo guardo e gli occhi mi si riempiono di lacrime, perché mi fa paura come mi fa sentire quando mi respira affianco.

“Signor Hemmings, mi spiace disturbarla ma la prossima intervista comincia tra meno di cinque minuti. La attendiamo nella sala conferenze dell’Ala Ovest.. Non arrivi in ritardo.”
Una voce interrompe il lento e progressivo avvicinarsi di Luke. Una donna con delle cartelline in mano sta sulla soglia della portafinestra e ci guarda come se volesse non aver visto niente. Anche se non c’è nulla da vedere, se non due ragazzi con lo sguardo spaventato che si trovano drasticamente calamitati uno verso l’altro. Luke annuisce alla donna, porta lo sguardo verso di me e, mentre si alza per seguire la segretaria oltre il vetro, dice:
“Il tempo con me non sta scadendo, questa è una promessa.”
Se ne va così, lasciandomi a respirare a scatti sotto il sole invernale.
 
Il pomeriggio continua tra interviste e prove costumi per il concerto della sera e io quasi non riesco a vedere i ragazzi, così ne approfitto per trascrivere in bella copia il reportage della giornata. Verso le 16:00 i ragazzi si devono spostare al Mediolanum Forum per il Soundcheck e con loro si muove tutto lo STAFF. Vengo invitata da una delle loro assistenti a prendere posto in uno dei SUV che li accompagnerà fino al luogo dello show. Nervosa ed emozionata, per tutto il viaggio continuo a pensare alle parole di Luke e al fatto che ora li sentirò suonare ancora. Non ne avrei mai abbastanza dello loro voci, dei loro sorrisi e dei loro strumenti. Entriamo nel Forum e io vengo invitata a scendere in platea. È deserta, ci sono solo io e mi sento minuscola. Io di fronte ad un palco che aspetta solo di esser calpestato da loro. Quasi mi si spezza il cuore quando li vedo salire, con le chitarre in mano. Michael mi saluta e fa un inchino, Ashton fa due capriole e poi sale alla batteria e Calum al microfono mi ringrazia per aver presenziato allo show. Io continuo a ridere perché stanno facendo gli idioti, e lo stanno facendo per me oltre che per loro stessi. Attaccano con “Eighteen” e io canticchio timida, restando ferma con i gomiti appoggiati ad una transenna. Luke mi guarda spesso, e non me ne stupisco perché sono l’unico pubblico che hanno. Qualche volta passa qualcuno della sicurezza, qualche volta arrivano gli addetti alle luci o gli addetti al suono e io mi sento sempre più fuori luogo, come se stessi intralciando il loro lavoro. Così mi siedo a terra mentre i ragazzi cantano, prendo il mio blocco appunti e comincio a scrivere. Mi trattengo dal saltare in piedi, dal cantare, dall’urlare. Questa giornata dovrebbe essere una giornata lavorativa anche per me e mi sto lasciando distrarre, quindi cerco di concentrarmi.
Le canzoni continuano e ad un certo punto la musica si ferma di colpo.
Luke batte sul microfono e poi dice:
“White, metti in borsa quel quaderno e alza il culo. Non è possibile che tu non abbia voglia di cantare o di ballare, al diavolo il lavoro. Hai scritto per tutto il giorno, adesso vedi di toglierti il maglione e cominciare a divertirti!”
Lo guardo sconvolta e scoppio a ridere, insieme agli altri ragazzi. Seguo le istruzioni alla lettera e mi avvicino alla transenna. Ci appoggio il maglione, arrotolo le maniche della camicetta e la sbottono un po’. Sciolgo i capelli e Luke mi fa un occhiolino, scatenando un’altra delle mie risate fragorose. Partono le note di “What I like about you” e io salto come una pallina da ping pong. Canto a squarciagola, sorrido e verso metà canzone arriva Michael che mi porge un braccio.
“C’mon Darling!” dice ridendo. Così mi aggrappo al suo avambraccio e mi lascio trascinare sul palco. Mi blocco vedendo quanti posti ci sono di fronte a loro. Un’ondata di orgoglio mi blocca il respiro, perché mi rendo conto solo ora di tutta la strada che hanno fatto.
Me ne accorgo perché ho cambiato prospettiva, perché vedo le cose da un’altra angolazione.

 
LUKE.

Mentre concludo la mia strofa vedo Micheal che porge un braccio a Vanessa e la trascina sul palco con noi. Ha i capelli spettinati che le ricadono sulle spalle in ricci castani, gli occhi sgranati di fronte ai posti vuoti e il petto che si alza e si abbassa velocemente. Probabilmente è spaventata, così mi avvicino a lei e mi spunta un sorriso: è così fuori luogo con quella camicetta bianca. Mi verrebbe voglia di dirle di togliersela, ma da quel poco che la conosco mi farebbe un occhio nero, e diciamo che non è la cosa migliore a cui aspirare prima di un concerto. Scuote la testa e si volta, facendo un gran sorriso a Michael che deve averle detto qualcosa. Continuiamo a suonare mentre lei balla, fa la stupida e io la guardo divertirsi e mi rendo conto che aver accettato quel contratto potrebbe essere la cosa migliore che ho fatto nella mia vita. Concludiamo la canzone e ci lasciamo andare a qualche risata. Lei fa per scendere dal palco ma le blocco un braccio.
“Tu adesso sei la nostra mascotte, non puoi abbandonare il palco. Mai.” Dico ridendo.
E lei mi segue a ruota, e mi verrebbe voglia di farle una foto. Qui, ora, senza darle il tempo di mettersi in posa. Lei, una nostra fan, sul palco con noi senza che le guardie ce la portino via perché sta tentando di rapirci per tenerci a casa sua. Mentre la guardo ridere le faccio una carezza sul braccio e lei torna seria. Guarda la mia mano sulla sua pelle e poi cerca i miei occhi; e io mi lascio trovare. Li incastro ai suoi e mi accorgo che lì dentro, in quel nocciola caldo, ci sto bene. Che ci potrei stare bene per tanto. Inizio a giocare con l’anello che ho al labbro perché la mia mente sta vagando a ruota libera, sta correndo senza briglie.
I ragazzi attaccano con SLSP e allora lascio il braccio di Vanessa e torno al centro del palco. Canto e lei ride e balla, e corre da Ash e gli ruba la bandana che tiene tra i capelli. Ci stiamo divertendo un sacco, tutti noi, e finiamo con il lasciar perdere il Soundcheck per rincorrere lei. L’obiettivo comune è quello di recuperare la bandana portafortuna di Ashton, mentre il mio obiettivo è prendere lei e caricarmela in spalla. Non so bene ancora il perché, ma vorrei solo farla ridere per tutto il tempo che abbiamo a disposizione. Prima di riuscire a raggiungerla però arriva Josh con Alexia, la nostra assistente principale, e ci obbligano ad andare a prepararci.
Vanessa riconsegna la bandana ad Ash, che le mette un braccio in torno alle spalle e la spettina con la mano, facendola sbuffare. Quando arriviamo sotto il palco, lei raccoglie le sue cose e ci saluta con la mano, mentre chiede indicazioni ad un uomo dello STAFF per trovare l’uscita. Così mi fermo e guardo i ragazzi. Anche loro si sono accorti che Vanessa se ne sta andando.
“Perché se ne sta andando?” mi chiede Cal.
“Non ne ho idea.. Alexia? Perché la signorina White se ne sta andando? Non dovrebbe rimanere ancora con noi?” domando alla nostra assistente.
“Veramente sarebbe dovuta andar via prima delle prove ma l’abbiamo tenuta con noi perché sapevamo che era una vostra fan, così le abbiamo fatto questo regalo. Ora però non ha un biglietto per rimanere qui, e neppure un pass, e sai benissimo come funzionano queste cose Luke.”
Non voglio neanche stare ad ascoltarla, così mi volto e corro verso Vanessa, che ormai ha quasi raggiunto il fondo della platea. La raggiungo e mi piazzo di fronte a lei, che sgrana gli occhi quando si accorge di chi si trova di fronte.
“Luke.. Che ci fai qui? Siete abbastanza in ritardo, e io avrei dovuto lasciare questo almeno un’ora fa.. Il TAXI mi aspetta qua fuori.”
“Tu non te ne vai da qui. So che non potresti rimanere ma non mi importa, se vogliono che noi suoniamo devono permetterti di restare.” Non le do il tempo di rispondere. Comincio a trascinarla verso il backstage, nonostante le sue lamentele. Ma è possibile avere una fan che si lamenta se il suo cantante preferito la vuole a tutti costi ad un suo concerto? Mi stupisco sempre di più di questa ragazza.
“Luke ne abbiamo già parlato: non può rimanere. A meno che la teniate chiusa in un camerino dove ness..” interrompo Alexia dicendole che no, lei resta. Cal abbraccia Vanessa e la spinge lungo il corridoio che porta ai nostri camerini.

“Non puoi restare vestita così. Sei carina, d’accordo. Ma quella camicetta è troppo professionale per un nostro concerto. Ti troveremo una maglia da mettere.” le dice Ashton.
Lei annuisce timida, e mentre cammina davanti a me mi ripeto che devo parlarle del contratto non appena il concerto sarà finito. Jennifer, un’altra delle nostre assistenti, si offre di prendere una delle nostre maglie e portarla a Vanessa nella sala comune, così che si possa cambiare tranquillamente. Così ci dividiamo e io do a J. la mia maglia dei Nirvana tutta stracciata.
Usciamo dai camerini poco prima che lo show cominci, perché abbiamo ritardato tutto a causa del Soundcheck prolungato. Non abbiamo neppure il tempo di sederci un minuto che già dobbiamo dirigerci dietro il palco, pronti ad entrare in scena dopo qualche minuto. Lì c’è Vanessa con J.
Stanno parlando amabilmente e ridono. Ha addosso la mia maglia e riesco a scorgere la sua pelle chiara dai buchi che ci sono praticamente su tutta la t-shirt. Deglutisco, e scuoto la testa dicendomi di lasciar perdere i pensieri assurdi che mi affollano la mente in questo momento. Lei si volta e ci sorride, poi mi si avvicina.
“Grazie per la maglia, è leggermente abbondante ma è sicuramente meglio della mia camicia.” Mi dice facendomi un occhiolino. Effettivamente la mia maglietta le potrebbe benissimo fare da miniabito, e forse per questo con quella addosso mi sembra ancora più bella di prima.
Ci chiamano dal palco, e le voci dei nostri fan continuano a crescere. È il momento di uscire, così mi volto verso Vanessa che mi guarda con un sorriso. Ha i capelli raccolti, così senza neppure pensarci, allungo una mano e le prendo il laccio. Lo infilo al polso destro, quello che solitamente lascio vuoto. Mi allontano camminando all’indietro e la guardo ridere.
“Vedi di non perderlo che è uno dei miei preferiti!” urla.
Allargo le braccia e mi fisso il polso. La striscia di cotone azzurro copre proprio il punto dove c’era il graffio di Vanessa, quello che mi ha fatto la prima volta che l’ho incontrata. Sorrido e riporto lo sguardo su di lei.
“Perché è il tuo preferito?” urlo cercando di sovrastare il rumore.
Perché è del colore dei tuoi occhi.” dice lei mentre si nasconde la faccia con le mani, perché si vergogna. I ragazzi sono già sul palco, e ora aspettano solo me per cominciare. Così guardo un’ultima volta quella ragazza dai capelli ricci che sta a qualche passo da me. La guardo e do un bacio al suo laccio, e lei sorride scuotendo la testa. Così mi volto e raggiungo i miei uomini sul palco. E mentre mi incammino al microfono tra le urla dei fan, mi chiedo come sarebbe baciare lei. Come sarebbe baciare quelle labbra morbide che ho sfiorato solo con un dito. Come sarebbe baciare lei al posto di quello che ora è diventato il mio braccialetto preferito?




                                                                                 


Ciao bellezze!
Ecco a voi un mega capitolo per farmi perdonare. Spero vi piaccia! Ho inserito anche il punto di vista di Luke, cosa che ho scelto di fare all'ultimo minuto. Che ne dite? Ho avuto una buona idea o no? Per favore, se leggete quello che ho scritto lasciatemi una recensione: mi fa davvero piacere leggere quello che avete da dire. Mi aiuta moltissimo. 
Vi mando un abbraccio enorme, spero di avervi reso felici. 
Vostra V. 



La maglia di Luke.. 


 

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Capitolo 7
*** You were right. ***



 

"So why can I stop feeling this way?"


You were right.


20 giorni.
 
Mi sveglio con un forte mal di testa e la maglia di Luke addosso. Mentre faccio colazione ripenso alla serata precedente: i ragazzi sul palco che incantano la folla, io nel backstage che salto accanto a J., la loro assistente. E poi la fine dello show, l’abbraccio di Luke e la sua guancia sudata appoggiata sulla mia fronte. Ripenso a loro che mi salutano di fronte ad un TAXI che hanno chiamato per farmi riaccompagnare a casa, ripenso alle loro voci, alle loro risate, ai loro abbracci. Ripenso al fatto che ancora una volta me ne sono andata senza ottenere un indirizzo mail, un numero di telefono.. niente.

19 giorni.

L’Università mi uccide. Esami da preparare in continuazione, lezioni da seguire ed approfondire attentamente, le ore di sonno che non bastano mai. Sono distrutta.
Fortunatamente Gio si è offerto di studiare con me e di aiutarmi a preparare gli ultimi esami in programma per quel mese.
Ho ricevuto notizie sul mio lavoro riguardante la giornata passata con i 5SOS e ne sono tutti entusiasti. Verrà pubblicato. Ancora non mi rendo conto del fatto che ho potuto passare ore accanto ai miei quattro idioti preferiti. E ancora non mi rendo conto del fatto che ho una maglia di Luke Hemmings nel mio armadio. Tutte le volte che la vedo mi maledico da sola, perché quei centimetri di stoffa tutta stracciata potrebbero essere l’unico ricordo di quella meravigliosa giornata.

18 giorni.

“Miss my favorite T-shirt Darling”.
Mi sveglio così quel lunedì mattina. Un numero sconosciuto, con un prefisso strano. Il mio cuore inizia a battere all’impazzata.  
“Hemmings?”
“U’re right White”
Ohmerdaaaa.

15 giorni.

Luke Hemmings ha ottenuto il mio numero di telefono dal giornale per cui ho realizzato le due interviste che li riguardavano. Da quel momento, ogni giorno, un suo messaggio rallegra le mie ore da studentessa.
Sentire Luke mi ha aggiornata sulla situazione dei ragazzi: sono in tour per il nord Europa e tra 15 giorni torneranno a Milano. E ci resteranno. Hanno accettato un contratto discografico per la registrazione e la pubblicazione del nuovo album, e questo sta ad indicare che si trasferiranno qui per almeno un mese e mezzo. Forse due.
Ovviamente saranno sommersi di impegni e non mi illudo neppure che proveranno a incontrarmi per un caffè. Non hanno tempo da perdere.

13 giorni.

Parlando di trasferimenti, ho due nuove coinquiline: Alaska e Aurora. Sono simpatiche, solari e non sono psicopatiche. Credo di aver vinto alla lotteria! Sanno di Luke. Veramente lo hanno scoperto perché giro per casa in mutande, con addosso semplicemente la sua maglia dei Nirvana.

“Puoi tenerla, almeno non ti dimenticherai di me White.” Aveva detto così, con una risata.
Mentre chiudeva la portiera del TAXI che mi ha catapultata fuori dalle loro vite.

“DOVE L’HAI PRESA?” mi urla Alaska dal tavolo della cucina. Sta mangiando una fetta biscottata di fronte ad un libro. Ha gli occhi sbarrati. Aurora dal divano lancia un grido. “È seriamente la maglia di Luke Hemmings? Oh mio dio. Dove l’hai comprata?!”
Così ho raccontato tutta la storia. Mi sono stupita del fatto che non abbiano cercato di togliermela di dosso con la forza. Probabilmente punteranno sulla notte, vedrò di chiudere a chiave l’anta dell’armadio.

10 giorni.

“Goodmorning baby, -10 days! We miss Italy so much, and I still have ur string, it smells like u. Have a good day, xoxo”
Il buongiorno si vede dal mattino.

8 giorni.

Su pressioni di Aurora ed Alaska ho accettato un invito a cena di Gio. Me lo ha chiesto durante la lezione del professor Rossi.

“Stasera vuoi uscire a cena con me?”

Così. Chiaro. Dritto al punto. Sono rimasta sbalordita, perché il tono con cui ha pronunciato quelle parole stava ad indicare tutto, tranne amicizia. Così gli ho detto che ci avrei pensato, ma non appena ho parlato dell’accaduto alle ragazze mi hanno obbligata ad uscire con lui. Così ho accettato. E proprio quando siamo usciti dal ristorate ho ricevuto una chiamata. In realtà si trattava di una videochiamata, da parte di Luke. Ho accettato subito e mi sono ritrovata di fronte i due sorrisi migliori del mondo: era con Ash. Non ci è voluto molto per capire che erano ubriachi. Avevano appena terminato un concerto e stavano per andare a festeggiare in discoteca.

“Where are u honey? I miss u so much!” Così per rispondere alla voce impastata di Luke ho preso Gio per un braccio e l’ho tirato verso di me, così da vedere il suo volto accanto al mio sullo schermo del cellulare.
“Non so se vi ricordate di lui.. vi ha intervistati con me la prima volta. Siamo appena stati a cena, e ora credo che ce ne andremo a casa. Magari noleggiamo un film e compriamo un pacco di popcorn..”
“Fuck”
La comunicazione è stata chiusa. Bruscamente. Guardo Gio con la fronte corrugata, confusa da quello che è appena successo. Ma non voglio darci molto peso, nonostante Gio cominci ad indagare..

“Ma, come mai ha il tuo numero di cellulare?” chiede mentre ci avviamo alla sua macchina, parcheggiata ad un isolato di distanza.
“L’ha ottenuto dal giornale credo, mi ha scritto quando ormai erano partiti per il nord Europa.. perché?”
“Curiosità..” e sprofondiamo nel silenzio. Camminiamo uno accanto all’altro, nei nostri cappotti, inchiodati nei nostri pensieri. I nostri respiri si affiancano in nuvole di vapore.
“Sai vero che stasera si rimorchierà mezza discoteca solamente perché ha un piercing al labbro e una chitarra nella sua camera?” il tono di Gio è basso, rabbioso.
“Naaah, Luke non è il tipo che fa certe cose. Probabilmente starà seduto con una bottiglia di vodka tra le mani..” rispondo convinta delle mie parole. Luke non è il tipo che sfrutta la popolarità e il bel faccino che Madre Natura gli ha donato per portarsi a casa qualche ragazzina.
Vedo la macchina e accelero leggermente, perché i miei piedi stanno congelando e non vedo l’ora di stare in un piccolo ambiente con il riscaldamento al massimo. I miei tacchi sono l’unico rumore che si sente nel silenzio della notte, e quasi mi infastidiscono. Mi fermo di fronte alla portiera del passeggero, aspettando che Gio faccia il giro della macchina e la apra. Ma non lo fa. Si ferma accanto a me e mi prende per  un braccio. Così mi volto a guardarlo e i suoi occhi si insinuano nei miei. I lampioni ci battono sopra, regalando un gioco di luci e ombre drasticamente piacevole. Sospiro e vedo la bocca di Gio che comincia a muoversi.
“È assurdo..” sussurra.
“Cosa?”
“Tu. Tu sei assurda.”
La mia espressione si fa sempre più confusa. Incrocio le braccia sul petto e mi appoggio alla macchina, aspettando una spiegazione.
“Sei piena di talento, intelligente, simpatica. Hai un sorriso che fa restare senza parole, e fai sempre battute brillanti. E sei bellissima. Come fai a non accorgerti che hai accanto persone che farebbero qualsiasi cosa per farsi notare da te? Come fai a restare concentrata su una persona che ti sbatte il telefono in faccia?”
“Io non sono concentrata su Luke. Mi pare che questa sera ero a cena con qualcun altro. O sbaglio?”
“Sono io che sbaglio Vanessa! Sono io. Perché speravo di avere una possibilità con te. E magari ce l’avrei pure fatta, ma poi è spuntato lui e tu sei entrata in dipendenza. Hai passato tutto il tempo a lanciare occhiate al cellulare, sperando in cosa? In un sms da parte di uno che se le scopa tutte perché è famoso? Meriti di meglio.”

Non voglio stare a sentire altro, così mi avvio a piedi nella notte fredda. Non mi volto quando sento la sua voce che mi chiama. Non mi volto. Continuo a camminare e comincio a piangere. Perché ha ragione. E niente fa più male della verità: Luke è e sarà sempre il mio idolo, nonostante le nostre strade continuano ad incrociarsi. La verità fa male. Non sono abbastanza per lui, non lo sarò mai. E poi piango perché sono arrabbiata, perché Gio non lo conosce, non sa quanto lui sia dolce. Non sa di chi sta parlando. Luke non sfrutterebbe mai la sua popolarità per non andare in bianco. No.

7 giorni.

Alaska e Aurora ascoltano tutto quello che racconto loro, annuiscono nei momenti giusti e aggrottano la fronte quando la loro mente suggerisce loro solo insulti.
“Seriamente, vi pare che Luke farebbe mai una cosa del genere? Luke Hemmings! Ci metterei l mano sul fuoco, non si comporterebbe mai come ha detto Gio.”
Le ragazze si lanciano uno sguardo complice, e io non capisco.
“Che c’è?” chiedo allarmata.
“Niente tesoro, davvero. Siamo solo un po’ stanche e io mi sono appena ricordata che ho finito il succo d’arancia, quindi è il caso che vada a fare la spesa..” risponde Aurora.
“Oh al diavolo. Tanto lo scoprirà comunque prima di sera.” Dice Alaska mentre mi porge una copia di un magazine di gossip. Siamo tutte e tre sedute sul divano, ho le gambe incrociate e la maglia di Luke addosso. Mi pesa il cuore.
In copertina c’è una foto di quello che si direbbe Luke, che bacia un ragazza in discoteca. Comincio a respirare a scatti e guardo smarrita Alaska, che come risposta allunga una mano e mi fa una carezza sul ginocchio. Sfoglio il giornale e trovo le due pagine che mi interessano. Luke, con il cappuccio sulla testa e il ciuffo biondo sparato fuori, chinato su una rossa più bassa di lui, che gli tiene le braccia attorno al collo. Accanto c’è un’altra foto: sempre Luke, stavolta senza felpa, seduto su un divano con una ragazza che gli sta a cavalcioni sopra. Le sue mani sembra stiano correndo sulla schiena di lei, e io sento bruciare la mia. Guardo le foto con gli occhi spalancati. Sposto la mia attenzione sulla pagina successiva: Luke con un’altra ragazza ancora, fuori dalla discoteca, contro un muro. Non passerebbe un dito tra i loro corpi. Quando mi concentro sull’ultima fotografia, vedo dei piccoli cerchi di mare sulla carta lucida del giornale. Sto piangendo. E neanche so il motivo, o forse sì: speravo, in una piccola e minuscola parte della mia fottutissima mente, che Luke non fosse quel genere di ragazzo. E ancor di più speravo che tutti quegli sguardi, tutti quei messaggi, quelle risate, la sua maglietta.. speravo che significassero qualcosa. La sua maglietta! Ancora con gli occhi incollati sull’ultima foto me la sfilo di dosso e resto in reggiseno, a guardare lui che abbraccia tre ragazze di fronte ad un TAXI. Nuda, resto praticamente nuda di fronte al dolore che mi provocano quegli scatti rubati. Aurora mi mette una coperta sulle spalle e mi da un bacio sulla testa, e Alaska mi stringe forte la mano. Mi sorride e io mi accorgo di quanto sono stata cieca in questi giorni. Accecata dalla speranza. Faccio un respiro profondo e prendo il telefono dal tavolo. Ho 4 messaggi: due di Gio, che si scusa ancora. Due di Luke. Neppure li leggo. Fisso per un po’ lo schermo, l’azzurro di cui ero follemente ed innocentemente innamorata, le sua labbra sulla mia guancia. Guardo quello che ho sempre sognato e capisco cosa devo fare: blocco il suo numero.

“Hai fatto bene tesoro, così ora non ti potrà più abbindolare con messaggi falsi.”
“Hai assolutamente ragione Aurora! Forza dolcezza, cosa vuoi fare oggi?” mi chiede Alaska. So già cosa devo fare. Mi alzo e vado in camera, mi infilo un paio di leggins, una felpa e il giubbotto blu.
“Devo fare una cosa..” dico.
È la disperazione, l’orgoglio, la mia folle ostinazione. È la rabbia che parla per me.

Mi fiondo fuori senza ricevere una loro risposta. Esco dal portone del nostro palazzo e comincio a correre. Dopo quindici minuti e qualche grammo, mi trovo di fronte ad un palazzo simile al mio. Il portinaio ha lasciato il portone aperto così mi infilo dentro senza neppure citofonare. Arrivo al secondo piano e comincio a bussare alla terza porta. Non ricevo risposta per quelli che mi sembrano almeno cinque minuti, così mi volto e comincio a scendere le scale. Arrivo al secondo gradino quando sento la porta che si apre e una voce che chiama il mio nome.

“Vanessa?”

Mi volto e mi trovo di fronte Gio, con una mano sulla porta e il telecomando nell’altra. Ha addosso un paio di pantaloncini neri, probabilmente sono della divisa del Barcellona. Non mi ero mai accorta di quanto fosse muscoloso sotto quei maglioni: i suoi bicipiti sono rilassati eppure la luce che ci batte sopra crea delle zone d’ombra che mi impediscono di spostare lo sguardo. Ha le spalle larghe, che si alzano e si abbassano ad ogni respiro. Un tatuaggio sul fianco rende giustizia ai suoi addominali, che di per sé sono già dannatamente perfetti. Lo guardo negli occhi e vedo che è confuso, e qualcosa dentro di me si spezza. Guardo i suoi occhi e spero che siano di un altro colore. Guardo i suoi occhi e mi accorgo di quanto siano banalmente belli, un po’ come i miei. Marroni. Eppure immensi. Guardo i suoi occhi e ripercorro i due grandini che mi separano la pianerottolo. Convinta, sicura, forte. Cammino verso di lui e mi fermo solo quando le mie labbra trovano le sue. Chiudo gli occhi e mi lascio andare, e sento che lui fa lo stesso. Sento che le sue sicurezze vacillano, mentre appoggia una mano sulla mia nuca e infila le dita tra i miei capelli. Le nostre labbra si allontanano di qualche millimetro.

“Avevi ragione” sospiro.

“Non sapevo che aver ragione fosse così bello.” 


                                                                                   

Ciao bellezze!
Holaaaa. Sono di nuovo qui. Per farmi perdonare ecco a voi un nuovo capitolo. Mi aspetto molte critiche perchè so che sto andando contro la vostra immaginazione. Ma vi voglio bene, I swear! Ci saranno tante sorprese, quiiiiindi: restate connessi, lasciatemi qualche recensione e magari passate parola! 
A presto, vostra innocente V. 

 

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Capitolo 8
*** Past without Future. ***



 

"When you change your mind I'll be waiting
'Cause I'm better than him
Just saying"


Past without Future.

3 giorni.

“Stasera ti va di andare al cinema?” mi chiede Gio mentre saliamo sul tram che ci riporta a casa. Mi tiene per mano e ha un bellissimo sorriso. E io sono felice. E sono concentrata. Su di lui, non su qualcun altro. Abbiamo preso la strada giusta, e non stiamo sbandando sulle rotaie. Andiamo dritti all’obiettivo.

1 giorno.

“E se mi cercasse?” urlo dalla doccia.
Alaska si sta lavando i denti, mentre Aurora è seduta nella nostra vasca da bagno con un libro tra le mani.
“Hai bloccato il suo numero, come altro può rintracciarti? È impossibile..” mugugna Alaska con la bocca piena di dentifricio.
“Non parlare con la bocca piena Al, non è da signorine per bene..” dice Aurora ridendo.
“Vi sembro una signorina per bene?” continua imperterrita l’altra.
“NO!” urliamo all’unisono e scoppiamo a ridere come tre deficienti.


Giorno X.

“Bene, per chi ancora non se ne fosse accorto, oggi abbiamo imparato una lezione importante da un grande autore: mai mettere a rischio il presente per un passato che non ha futuro. Vi auguro una buona giornata.”
Il professor Rossi ci lascia così, con una frase che mi rispecchia drammaticamente. Con il sorriso e il cuore leggero esco dall’aula e mi avvio all’entrata dell’Università. Percorro i sentieri di ghiaia in mezzo alle aiuole come se fossi una piuma. Mi sento leggera, perché ho capito che Gio può essere un buon futuro. Intravedo il cancello dell’Università e mi dirigo da quella parte, come praticamente tutte le persone che ho intorno. Ma c’è qualcosa di strano, perché la gente è rumorosa: gridolini striduli, risate isteriche, borbottii e frasi dette sommessamente. Mi infilo le cuffie e faccio partire “Chocolate” dei 1975. Canticchio mentre sorpasso due ragazze che si tengono per mano e saltellano come due liceali il primo giorno di scuola. Arrivo al cancello della mia facoltà e il mio respiro si ferma. Bloccato. Sono in apnea. Tra tutte quelle teste riesco a scorgere il passato che non può avere futuro.
Luke è appoggiato ad una macchina. Ha le mani in tasca e ignora palesemente tutte le ragazze che gli si avvicinano. Ha i capelli spettinati, gli occhiali da sole messi come scudo e le gambe incrociate. Non sorride. Emana angelica strafottenza.
Mi blocco in mezzo alla gente e tutta la rabbia e la frustrazione che ho provato di fronte a quel giornale spariscono. È come se non avessi mai visto quelle foto, come se il mio cuore volesse convincermi che no, erano semplici fotomontaggi.
“Col cazzo!” urla la mia mente. Ed ha ragione. Per una volta voglio ascoltare il cervello, così faccio di tutto per passare inosservata, sperando di raggiungere la fermata del tram senza che lui si accorga della mia presenza.
Muovo qualche passo verso sinistra, ma..
La mia mano viene trattenuta da qualcosa: dita fredde che emanano un calore ustionante. Non mi serve voltarmi per capire, così non lo faccio. Resto ferma e guardo di fronte a me. E mi mordo un labbro perché mi sento divisa in due, spezzata. E completamente vulnerabile.

“Guardami.”
Siamo al centro dell’attenzione e non voglio fare una scenata, così mi volto. Cerco di assumere l’atteggiamento più distaccato possibile di fronte a quello che è il ragazzo più bello e bastardo di questo mondo. Alzo il mento in segno di sfida e guardo i suoi occhiali, ringraziando il cielo che sotto tutto quel nero non riesco a scorgere un guizzo azzurro.

“Perché White?”

“Non so di cosa stai parlando. Ora sono in ritardo quindi dovrei andare, se gentilmente mi lasci la mano..” rispondo fredda.
“Sei in ritardo? Perfetto. Ti accompagno, mi manca fare una camminata con te.” Risponde lui, continuando a stringere la mano. Si fa largo tra i miei compagni di Università e sono io quella che comincia a chiedersi perché?

Perché l’ha fatto? Perché mi ha inconsciamente illusa per andare a farsi qualche groupie tedesca? Perché mi ha chiuso il telefono in faccia? Perché?!

Camminiamo uno di fianco all’altra, e io sto ribollendo. Una bomba ad orologeria: sono in procinto di esplodere.
“Te lo chiedo un’altra volta: perché?”
“Sii più chiaro Hemmings.” rispondo io.

“Perché cazzo mi hai bloccato? Perché sei sparita?” mi urla in faccia piazzandosi di fronte a me. Mi sovrasta di un po’ di centimetri e io devo automaticamente alzare la testa verso di lui. Siamo a meno di un metro di distanza e io mi sento spaventosamente attratta dalla sua bocca. È un secondo, un istante di debolezza. Mi riprendo subito e la bomba esplode.

“Perché? TU osi chiedere a me una spiegazione? Tu che eri non so dove a scoparti ragazzine a caso, che neanche sanno di quante sfumature hai gli occhi? Tu che sei stato così stupido da fare tutto con leggerezza, permettendo a non so quanti paparazzi di sbattermi in faccia tutti i vari tipi di mezze troiette che ti sei fatto passare? Tu ti permetti di chiedermi perché ho bloccato il tuo numero? Perché non meriti niente! Mi hai sbattuto il telefono in faccia e poi sei finito in non so quale posto dimenticato da Dio a rimorchiare puttanelle che di te conoscono solo il nome! E sai la cosa più triste di tutto questo? Mi avevano aperto gli occhi e io come una stupida ti ho difeso, SEMPRE. A spada tratta, Luke. Ti ho difeso perché credevo che
la tua personalità avesse un minimo di spessore. Mi sbagliavo.”

“Perché credi che mi sia comportato così? Ero ubriaco! Ti ho chiamato e tu eri con un altro.
Perché Vanessa, spiegami cosa ha lui che io non posso darti?”

Si avvicina sempre di più mentre mi urla addosso e io mi rendo conto di quanto è fottutamente stronzo. Crede di essere il centro del mondo. Lui! Il ragazzino che si accontentava di una chitarra e di qualche visualizzazione su Youtube, ora crede di essere meglio di tutti perché ha ottenuto il successo che credevo meritasse.
“Ma ti ascolti quando parli Luke? Ascolti quanto suona ridicolo ciò che dici? Io davvero non..”
“Ma tappati la bocca un minuto White!” mi urla contro.
“Spero tu ti sia tappato qualcos’altro in tutte le tue notti folli, perché al mondo basta e avanza uno stronzo come te. Quindi vedi di non produrre tue copie.”

Lo lascio senza parole, in mezzo ad un marciapiede. E gli passo attorno, incamminandomi verso casa mia. Le lacrime non tardano ad arrivare, e allora comincio a correre sperando di riuscire a scappare dai problemi. Sto scappando, si. Dal solo e unico passato, presente e futuro che vorrei. E che però mi spingerebbe inesorabilmente a fondo. 

 

“Quindi è tornato..”

Sono sdraiata sul letto a pancia in giù, con la mia copia di “Oceano Mare” tra le mani, quando sento Gio parlare dalla porta della mia camera. Mi volto e lo vedo appoggiato allo stipite, con uno sguardo triste e smarrito. E allora mi rendo conto che ha paura, perché sa che non potrebbe vincere contro quello che si è rivelato essere il ragazzo più insensibile del globo.

“Ciao.. Sì, è tornato.” Rispondo mentre chiudo il libro e mi metto a sedere.
Gio si avvicina e si siede sul bordo del letto.
“Cosa hai intenzione di fare?” una domanda semplice eppure inspiegabilmente complessa.
Cosa ho intenzione di fare? Della mia vita? Della sua? Del computer che devo portare a far sistemare? O cosa intendo fare con quello che sarà sempre il mio sogno proibito?
“Credo di voler lasciare le cose come stanno.” Dico mentre appoggio la fronte sulla sua spalla.
Profuma di buono, di vaniglia. Profuma di sicurezza. Si volta e mi da un bacio sulla fronte. Non siamo amici, non stiamo insieme. Siamo qualcosa che sta nel mezzo, qualcosa come la mousse di cioccolato: non è una stecca di cioccolato, non è nutella e non è neppure cioccolata calda. È una cosa morbida e confortante, buona. Noi siamo buoni.
Il mio telefono squilla dopo qualche istante, e rispondo senza pensarci un secondo.
“Pronto?”
“Vanessa! Sono Calum. Non riattaccare ti prego.” La mia faccia diventa di pietra.
Calum Hood che mi prega di non riattaccargli il telefono in faccia? Il mondo sta decisamente andando al contrario.
“Cal! Che bello sentirti!” dico mentre esco dalla mia camera. Posso immaginare il motivo della sua telefonata ed infatti le mie idee vengono subito confermate.
“Anche a me fa davvero molto piacere.. ti chiamo perché avrei bisogno di parlarti. Sono sotto quello che Josh afferma essere il tuo palazzo, potrei salire? Sono solo.” Ha una voce preoccupata così non esito nemmeno un minuto.
Dopo cinque minuti Cal è alla porta del nostra appartamento, e Aurora e Alaska sono su di giri. Gio è l’unico che sembra diretto ad un funerale. Quando Calum entra in casa mi fa un gran sorriso e mi abbraccia, dicendomi che gli sono mancata. Ma quanto può essere dolce? Quasi quasi mi verrebbe da chiedergli perché non insegna le buone maniere al suo amichetto dal sorriso sbilenco.

“Possiamo parlare?” mi chiede serio. Così ci dirigiamo in camera mia e ci accomodiamo: lui sulla sedia della mia scrivania e io per terra, con le gambe incrociate.
“Avanti Hood, sono tutt’orecchi..” dico con un sorriso, nonostante io sia spaventata a morte. Sono quasi sicura che sia qui per informarmi del fatto che Luke mi ha denunciata per diffamazione in luogo pubblico.

“Sono qui per parlarti di Luke. Mi ha raccontato quello che è successo quando si è presentato fuori dalla tua scuola. Lo avevo avvisato che non era una buona idea, alla luce degli ultimi avvenimenti, ma sai come è fatto.. ha agito di testa sua e ora ha rovinato tutto.” Annuisco e faccio delle facce strane in base all’argomento che Calum sta affrontando, ma mi obbligo a non aprir bocca fino a quando lui avrà qualcosa da dirmi. Così con uno sguardo lo invito a continuare.

“Quello che ha fatto è sbagliato, sono il primo ad ammetterlo. Ma è un ragazzo, è giovano e famoso; ed era tristemente ubriaco. Tristemente perché ha fatto tutto quello che i giornali hanno riportato perché era mosso dalla rabbia. Tu gli piaci. Lui non lo ha mai ammesso, e mai lo ammetterà; però tu gli piaci sul serio. Non so quale sia il confine dei suoi sentimenti, perché è un vero stronzo. Lo hai imparato a tue spese. Però ti assicuro che ha fatto di tutto per trovare il tuo numero di telefono, e quando riceveva una tua risposta sorrideva come un quattordicenne. Ha passato gli ultimi giorni del tour costantemente attaccato al suo cellulare e, quando ha capito che lo avevi tagliato fuori, lui ha tagliato fuori noi. Si è chiuso in se stesso. Eravamo convinti fosse una cosa passeggera ma ora, dopo quello che è successo tre giorni fa, è ripiombato in quel silenzio assordante. Ci sta facendo preoccupare. Io non so cosa ci sia tra voi, cosa c’è stato o cosa potrà esserci, ma ti prego: siigli amica.”

4 giorni dopo.

Le parole di Calum continuano a rimbombarmi in testa. Gli ho detto che ci avrei pensato, e che avrei sbloccato il numero di Luke. Probabilmente sto facendo di un aspetto della sua vita privata un affare di Stato, ed è sbagliato. Ne ho parlato con Gio e, nonostante non sia entusiasta, ha detto che forse essere sua amica potrebbe essere una cosa buona per entrambi. Ed ha ragione: io sarei ancora circondata dall’azzurro, avrei ancora la possibilità di star vicino a quello che, nel profondo, credo sia un bravo ragazzo. E lui sarebbe più tranquillo.
Così quel pomeriggio ho preso tutto il coraggio che ho mai avuto in corpo e ho schiacciato la cornetta verde che si trova accanto al suo nome. Il telefono ha fatto due squilli e poi mi ha risposto quella che mi sembrerà sempre la voce più angelica del mondo.

“White?” Una fredda sorpresa. Ecco cosa stava ad indicare la sua voce: una fredda, inaspettata sorpresa.
“Sì. Come stai Luke?” chiedo io.
“Bene. E tu?”
“Molto bene, ti ringrazio. Ascolta, mi chiedevo se potevamo chiarire la questione..”
“Certo, dimmi pure.”

Speravo nelle sue scuse, mentre ora sembra che il ruolo della peccatrice tocchi a me. E mi sta bene. Nonostante lo abbia criticato, per lui farei di tutto. Solo che non lo posso ammettere, metterebbe a rischio tutto quello per cui ho lavorato negli ultimi mesi: essere forte. Perché lui mi butterebbe a terra, mi passerebbe sopra con un camion e farebbe pure inversione di marcia per spiaccicarmi bene al suolo. Mi distruggerebbe. E io glielo permetterei.

“Ehmmm, volevo scusarmi Luke. Ho esagerato un po’ forse. Non erano affari miei, e avrei dovuto stare dalla tua parte visto che i giornali hanno reso pubblica la tua vita privata. Non mi sono comportata da amica, né tantomeno da fan. Ti ho voltato le spalle.”
“Per fortuna White, sapevo che da te potevo aspettarmi qualcosa di più di un semplice scusa. Comunque non ti preoccupare, accetto le tue scuse e ti chiedo la stessa cosa: perdonami. Mi sono comportato da perfetto idiota, ero ubriaco e geloso. E ho commesso degli errori.”
“E’ tutto apposto Luke..”
Non lo è per niente.. Ora devo scappare White, a presto.”

Mi ritrovo a fissare il mio telefono con ventimila punti di domanda che mi affollano la mente, ma cerco di farli tacere in fretta. Abbiamo parlato, abbiamo chiarito, dovrebbe essere tutto apposto. Anche se una voce continua a dirmi, piangendo, che Luke Hemmings è uscito definitivamente dalla mia vita. 


                                                                     

Ciao bellezze!
Bonjour!
Mi scuso per la mia ingiusta e prolungata assenza. Ho avuto dei problemi in famiglia e, come se non bastasse, la scuola mi sta uccidendo. So che non è un granchè questo capitolo, ma spero che la vostra costanza sia sempre presente e che mi continuerete a tener compagnia con visualizzazioni e, soprattutto, recensioni. Leggere i vostri pensieri mi fa sempre spuntare un sorriso, perchè io sto condividendo i miei con voi e sarebbe davvero bellissimo se anche voi vi fidaste a tal punto da lasciarmi leggere ciò che vi affolla la mente quando vi trovate di fronte questo groviglio di parole che costituisce la mia storia. 
Sempre vostra, V. 

 

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Capitolo 9
*** Unpredictable. ***



 

"I'll take you where you wanna go
Pick you up if you fall to pieces
Let me be the one to save you
Break the plans we had before
Let's be unpredictable"

Unpredictable.
 
3 giorni.

LUKE

“Andiamo Luke, ora puoi anche smetterla di fare l’asociale!” mi urla Ash.

Sono seduto sul divano del nostro appartamento milanese. Ho la chitarra tra le mani e una canzone che continua ad insinuarsi tra i miei pensieri. Pizzico le corde e riproduco ciò che affolla la mia mente. Dovrei scrivere una canzone, è proprio il momento giusto. Eppure le uniche parole che il mio cervello mi suggerisce sono quelle di Wherever you are. L’avevo scritta per una persona che credevo non sarei mai riuscito a dimenticare, eppure ora mi rendo conto che niente è paragonabile alla disperazione che mi assilla ora.
“Hemmings!” alzo subito lo sguardo vitreo e annebbiato dai ricordi, perché solo una persona mi chiama così. Eppure resto comunque deluso quando scopro che era solo Calum. È appoggiato alla cucina con una mela tra le mani, e mi guarda come se fossi un bambino depresso a cui hanno appena ammazzato il cane. Così mi nascondo dietro la mia maschera.
“Hood, che ne dici di fare un giro per locali questa sera?” dico con nonchalance.
Dal corridoio spuntano le facce di Ashton e Michael, con gli occhi spalancati. Calum appoggia la mela sul bancone della cucina e batte le mani, urlando come un pazzo “Luke è tornato tra noiiiii!” e correndomi successivamente incontro. Ovviamente gli altri due idioti lo imitano. Ne deriva un montone in cui cadiamo tutti sopra il povero Ketchup che ci guarda impassibile. Chissà come mai..

Rido e cerco davvero di non riflettere su nulla, ma un pensiero mi continua a pulsare in testa, così mi dirigo in camera mia, prendo un maglione pesante e un paio di cuffie, mi infilo una berretta e vado verso la porta.

“Dove pensi di andare? Ci inviti ad uscire e poi ti dilegui come se il Mondo ti si fosse ancora rovesciato addosso? Luke, lei sta andando avanti. Nonostante tu faccia il perfetto menefreghista con noi, ti conosco da quando andavamo alle elementari. Sei innamorato.  Hai una faccia traumatizzata da quando hai scoperto che esce con il ragazzo che ci ha intervistato la prima volta che noi tre l’abbiamo conosciuta. Hai pure messo in gioco la tua reputazione per colpa di quel bel faccino, e posso capirti. Davvero, Luke; posso capire che hai perso la testa ma devi rimettere a fuoco l’obiettivo. Ti ricordi cosa ci siamo promessi terminato il nostro primo concerto a Londra?” Calum mi sta parlando come si parla al proprio fratello minore.
Mi tiene un braccio attorno alle spalle e sta provando a non farsi sentire dal resto della band. È un momento intimo, come non ne avevamo da molto. Siamo tornati ad essere i migliori amici che eravamo in Australia, a casa. Sorrido quando mi ricorda della promessa che ci eravamo fatti al termine del nostro primo vero concerto all’estero. Avevamo una stanza piena di ragazzine urlanti e non ne eravamo per nulla abituati, e ancora sconvolti dopo lo show ci siamo persi in discorsi stranamente seri per due ragazzi della nostra età. Con ancora i capelli incollati alla fronte per il sudore e l’adrenalina in circolo, ci eravamo giurati che non ci saremmo mai innamorati di una nostra fan. L’avevamo proprio giurato, con tanto di sputo sul palmo della mano e successiva stretta di mano.

“So che te ne ricordi. Io non so quanto siano profondi i tuoi sentimenti, ma non avevi questa faccia neppure con Aleisha.. Luke, quanto tempo ci hai passato insieme? Non sai praticamente nulla di lei! Non puoi ridurti così. Ora, vai dove devi andare, ma stasera ti voglio carico perché ci sono un po’ di pollastrelle italiane da far divertire..”

Non gli rispondo neppure, perché se sapesse cosa ho intenzione di fare in questo momento mi avrebbe tirato un cazzotto per provare a farmi tornare a ragionare. Come può dire che non conosco nulla di lei? Come può dirmi che stasera dovrò divertirmi con qualcun’altra quando ha capito che in testa ho solo lei? Perché è così. Nonostante la promessa, nonostante il fatto che abbiamo passato insieme si e no 30 ore complessivamente, nonostante il fatto che i nostri rapporti si siano rovinati drasticamente, nonostante lei abbia un ragazzo.. Cazzo, ha un ragazzo. Come posso esser stato così stupido? Mi infilo le cuffie e riascolto a ripetizione Wherever you are.
Mentre riascolto la mia voce che estranea tutto ciò che ho in testa, mi convinco sempre più del fatto che sto facendo la scelta giusta, così programmo sul GPS la mia destinazione e mi accorgo che non sono molto distante. Dopo dieci minuti mi trovo di fronte a quello che sembra un negozio affidabile, così entro senza rifletterci troppo.
Aspetto il mio turno e nel frattempo mi guardo allo specchio che sta a fianco della reception: mentre studio il mio riflesso mi accorgo di quanto possa risultare stronzo e superficiale ad un primo sguardo. Ho sempre un’espressione dura sul volto, e quando sorrido sembro uno stronzo che prova a fare bella figura. Appaio sempre più arrogante e privo di principi, quando invece se qualcuno mi conoscesse bene si accorgerebbe che in realtà sono solo un ragazzo adolescente con milioni di responsabilità sulle spalle, che cerca sempre di essere il riflesso in cui la gente riesca a vedere ciò di cui necessita per sentirsi meglio, per resistere. A volte avrei bisogno anche io di guardare qualcuno e vederci un motivo per continuare a sopportare tutta ‘sta merda..

Mentre tutti i miei pensieri si concentrano nell’ultima frase, davanti ai miei occhi si materializza un’immagine chiara e nitida. E allora sono sempre più impaziente di uscire da quel negozio con un piccolo souvenir per me stesso.

Qualche ora dopo..

“Amnesia stiamo arrivando!” urla Michael dal sedile anteriore.

“I wish that I could wake up with Amnesiaaaa, and forget about the stupid little things..!” canta Ashton alla mia sinistra, probabilmente già provato dai due Sex on the Beach casalinghi che si è scolato mentre sceglieva il suo outfit.
Scoppiamo tutti in una risata fragorosa, e nel frattempo io sto attento a coprirmi bene i polsi. Scendiamo dall’auto dopo una buona mezz’ora di strada e ci intrufoliamo nel locale dall’entrata sul retro, per evitare inutili inconvenienti con possibili fan. La mia camicia bianca non può nulla contro il vento invernale, che mi fa comunque un po’ rabbrividire. Per fortuna in poco tempo raggiungiamo la zona riservata che abbiamo diligentemente prenotato per la serata. Mi accascio subito su un divanetto e agguanto una bottiglia di vodka. Faccio qualche sorso e subito la testa mi sembra più leggera e i pensieri più sfocati.
Il nostro privè è rialzato, così decido di alzarmi e appoggiarmi alla balaustra per osservare la calca di gente che si muove a ritmo di musica sotto di noi. È tutto diverso dai nostri show, qui non c’è emozione, non c’è interazione, né collegamento. Non ci sono i brividi per una nota presa in contropiede, per un assolo di chitarra inaspettato, per una battuta fatta nel momento opportuno. Un disco e dei buoni amplificatori, e c’è chi si accontenta solo di questo.
Fisso le teste della gente e osservo tutte le ragazze dai cappelli bruni. Mi rendo conto che non vedo ancora troppo sfocato, così butto giù ancora qualche sorso, perché riesco ancora a distinguere i lineamenti di molte ragazze su cui i miei occhi si posano. Rinuncio alla mia ricerca disperata, perché mi faccio pena da solo: come posso pensare di trovare Vanessa tra tutta questa gente, di giovedì sera, quando probabilmente starà guardando un film accoccolata sul divano con il suo fidanzato? Oppure starà già dormendo, magari tra le sue braccia. Oppure.. solo pensarci mi fa venire voglia di ammazzare qualcuno con le mie mani, e me la prendo con la bottiglia che ancora tengo stretta. Al secondo sorso Calum me la strappa di mano e se la scola fino all’ultima goccia.

“Volevi per te tutto il divertimento?” mi urla strascicando un po’ le vocali della frase. Sono ancora troppo sobrio, così gli do una pacca sulla spalla e decido di dirigermi verso il bar. Michael è sparito e Ashton sta esplorando la cavità orale di una brunetta. Faccio qualche passo e mi accorgo che Cal è dietro di me, così scelgo di offrirgli un giro per sdebitarmi della chiacchierata del pomeriggio. Ci sediamo al bar e fortunatamente non veniamo riconosciuti: la fascia d’età è abbastanza alta questa sera e attorno al bancone ci sono quasi solo uomini con le loro fidanzate. Ordiniamo due Long Island e ci voltiamo verso la pista tenendoli in mano e sorseggiandoli con calma. Faccio correre lo sguardo in ogni direzione, nonostante ora sia molto più rilassato e distaccato dalla realtà. Spero davvero che tutto questo alcool mi aiuti a distrarmi dai miei assurdi pensieri. Perché non riesco a togliermi dalla testa White avvinghiata a quello stronzo del suo ragazzo, sotto le lenzuola.. Dio solo sa quanto vorrei essere al suo posto! Cal ha già prosciugato il suo bicchiere e sostiene di voler ballare in mezzo alla gente, così rido e lo assecondo, lasciando il mio bicchiere sul bancone.
Lo seguo in pista e mi accorgo di come i pensieri si fanno piccoli quando sei schiacciato tra la folla. Ci facciamo qualche risata, resistiamo per un po’ di canzoni e poi Calum si fionda su una bionda niente male, che vuole farmi rimorchiare la sua amica. Non sono interessato, non più. Scegliamo di tornare verso il nostro privè, quando a bordo pista colgo un profumo familiare. È un secondo, un vero minuscolo istante, ma sono sicuro. Mi blocco e Calum mi viene addosso, perché non si è reso conto del mio improvviso arresto.

“Luke? Che succede?” mi dice. Mi volto e la vista di colpo torna a farsi nitida.
“Vi raggiungo subito..” rispondo mentre con lo sguardo analizzo ogni ragazza. Era lei, io sono sicuro cazzo. Scendo i pochi gradini che avevo percorso prima e poi la vedo.

A bordo pista, che tiene per mano due ragazze, c’è quella che mi sembra la ragazza più perfetta di questo pianeta. Ho girato mezzo mondo, e non mi riesco a capacitare del perché lei mi sembra sempre nel posto giusto in ogni contesto in cui si trova. Sta ridendo, e muove lentamente la testa, ignorando il ritmo pressante della musica. Si muove piano, e poi alza le braccia al cielo e urla. I suoi capelli le ricadono dietro le spalle e le punte le accarezzano il punto vita. Sono lisci, e mi stupisco di quanto non vedere più le sue onde ribelli mi mandi fuori di testa. Mi scappa un sorriso per colpa di tutti i pensieri a dir poco osceni che mi affollano la mente, e subito torno a coccolarla con lo sguardo. Tiene le mani al cielo, e il suo vestito dovrebbe essere illegale almeno in 47 Stati. Ha una scollatura a cuore e le aderisce alla figura in maniera perfetta.
Le luci rosse della discoteca non fanno altro che farmi concentrare sulle sue gambe che sembrano chilometriche. Un’autostrada. E cazzo, se vorrei essere una macchina! I suoi  polpacci sono tesi e i piedi sono racchiusi in un paio di scarpe con il tacco. I miei occhi continuano a correre sul suo corpo e mi maledico per aver rovinato tutto e averla scaraventata tra le braccia di un altro.

La guardo e mando tutto a farsi fottere: la promessa con Calum, il mio orgoglio, il fatto che lei probabilmente ora mi detesta e il fatto che ha un fidanzato. Muovo qualche passo verso di lei, ma ancora non mi sembra il momento giusto per avvicinarmi. Guardarla così, che ride e abbraccia le sue amiche, e muove i fianchi a tempo e lascia che i suoi capelli le cadano di fronte al viso. Ecco, la guardo e mi accorgo che nessuno può provare a privarmi della sua presenza. Appoggio i gomiti al bancone del bar e la tengo d’occhio. Non so per quanto resto così, con l’attenzione focalizzata solo su di lei. Sembra un’eternità eppure sembrano solo pochi minuti.

Una delle due ragazze che sono con lei la prende per mano e le fa fare una giravolta, e i miei occhi si incollano ai suoi. Si blocca e subito si volta verso la mia direzione. La bocca leggermente socchiusa, gli occhi sgranati e il petto che si alza e si abbassa velocemente. La guardo fisso negli occhi e capisco che quello è il mio posto. Nessuna chitarra tra le mani, lei. Lei tra le mie mani.

Occhi negli occhi, mi stacco dal bancone e la raggiungo, e senza fermarmi le arrivo vicino e aggancio la mia mano sinistra alla sua mano sinistra. Spalla contro spalla, cuore contro cuore. I battiti che vanno allo stesso ritmo. Inspiro profondamente e mi perdo nel suo odore dolce, e perdo il contatto con la realtà. Il suo respiro accelera e allora so che è arrivato il momento di fare il passo più lungo della gamba.

La trascino delicatamente verso di me e muovo qualche passo all’indietro, verso l’uscita, verso la notte. Verso noi due. Lei mi segue in silenzio, non oppone resistenza. La prima uscita di sicurezza che mi trovo di fronte decido di uscire, il più in fretta possibile. Lo scenario che mi trovo di fronte è surreale: un vicolo buio, nonostante ci troviamo nel cuore della città. La porta dietro di noi si chiude, e non mi importa del fatto che non riusciremo a riaprirla dall’esterno: siamo rimasti isolati, e ora non possiamo più scappare.

La sento respirare dietro di me, così mi volto e i suoi occhi si tuffano nei miei, come se fossero il mare durante un caldo giorno estivo. Ha la bocca ancora socchiusa, e in silenzio la maledico perché sembra che stia chiamando la mia. Ha fame. Come io ho fame di lei. C’è un silenzio quasi palpabile, disturbato solo dal suono ovattato della musica che arriva dall’interno della discoteca. Ci guardiamo senza proferir parola, perché ora rovineremmo tutto.
Nonostante il buio, siamo uno incastrato nel colore dell’altro. Le sue dita sono fredde e io aumento di poco la pressione sulla sua mano. Con l’altra percorro il suo braccio destro delicatamente, e la sua pelle mi risponde.
Lei chiude gli occhi per un istante, e io sotto il mio dito sento che è scossa da un brivido. Le sfugge un sospiro mentre io continuo la mia inarrestabile e lenta corsa verso il suo volto. Le accarezzo il tatuaggio che ha sulla clavicola e lei riapre gli occhi. Ha lo sguardo vitreo, e so di per certo che non è merito dell’alcol. È merito mio questa volta, e allora rallento ancora perché non voglio spezzare questo assurdo filo che ci tiene legati ora.

Le infilo la mano nell’incavo del collo e la arresto lì, per qualche secondo che sembra non terminare mai. Ormai i nostri nasi sono sempre più vicini, e mi accorgo che niente può spezzarci ora. Complementari. Ha completato il mio caos interiore, il mio casino. Ha raddrizzato tutto ciò che andava storto. E allora so che quel pomeriggio ho fatto la cosa più stupida e giusta della mia vita, e i miei polsi bruciano mentre, impercettibilmente, mi avvicino a lei e dopo un’ultima esitazione, assaggio il sapore delle sue labbra. 



                                                                 

Ciao bellezze!
Buonasera amori miei, come staaaate? 
Ok, allora, amatemi comunque anche se ho concluso così improvvisamente eheh.
Al nuovo capitoloooo! Besos

Ah, lasciatemi qualche recensione, grazie ciao, pace e amore e Luke Hemmings//

 

 

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