Right here in my arms, away from all harm.

di Sapientona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** incontri ***
Capitolo 2: *** so complicated. ***
Capitolo 3: *** I'll love you no matter what. ***
Capitolo 4: *** Incubi e segreti rivelati. ***
Capitolo 5: *** Sfuriate, confessioni e battute pungenti. ***
Capitolo 6: *** Sgattaiolate, registratori e vittorie. ***
Capitolo 7: *** nuove, problematiche idee. ***
Capitolo 8: *** pentimenti ***
Capitolo 9: *** Litigi e riappacificazioni ***
Capitolo 10: *** sentimentalismi fraterni ***
Capitolo 11: *** rapimento ***
Capitolo 12: *** caos ***
Capitolo 13: *** the end. ***



Capitolo 1
*** incontri ***


Salve a tutti:)
Ho deciso di pubblicare questo primo capitolo della mia nuova ff Percy/Nico. E’ un’idea che mi è balzata in mente questa sera e devo dire che ne sono piuttosto soddisfatta; sarebbe dovuta essere una OS, poi però mi sono venuti in mente certi risvolti interessanti che potrebbe avere la storyline di Nico che coinvolgerà così anche quella di Percy…perciò nulla, spero che vi piaccia! Le recensioni sono sempre ben accette:3

 
 
 
“Che ci fai per terra?”
“Mi ci hanno spinto.”
“Su, ti aiuto a rialzarti.”
“Ce la faccio.”
“Non fare il prezioso, rischi di morire dissanguato. Ti porto in infermeria.”
Quello fu il primo straccio di conversazione tra Percy Jackson e Nico di Angelo, in un corridoio affollato della Goode. Il primo l’aveva visto piegato in ginocchio, ansimante, ad un angolino tra la parete e gli armadietti. Gli era sembrato terribilmente solo ma anche troppo orgoglioso per chiedere a qualcuno di aiutarlo, anche se per qualche strano motivo sapeva che se lo avesse fatto nessuno degli studenti gli avrebbe dato una mano.
Alla fine  Nico accettò l’aiuto e Percy scoprì che frequentava il primo anno – perciò era di due anni più piccolo. Dall’alto dei suoi tre anni nella Goode gli raccomandò di non spingersi troppo oltre con le risposte taglienti con quelli più grandi dato che non gli avrebbero portato altro che botte e lezioni perse. A quello il più piccolo aveva risposto con una scrollata di spalle ed uno sguardo quasi rassegnato.
 
La voce che c’era una rissa in corso si era sparsa più velocemente del previsto e tutti si erano radunati attorno ai due giocatori di football che tenevano l’esile ragazzo dagli occhi scuri all’angolo tra gli armadietti e la parete.
Nessuno aveva comunque provato ad aiutarlo.
“Allora, piccoletto? Non hai intenzione di difenderti?” domandò per la terza volta il più grande e grosso dei due, guardando Nico con un sorriso di scherno.
“Andiamo, facciamola finita subito” sputò duramente Nico “pestatemi cosicché potrò andare in infermeria dicendo di essere sbattuto contro un armadietto e mi faranno una medicazione da due soldi mentre dovrò sorbirmi i rimproveri da Chirone.”
“E se io decidessi di divertirmi anche con la tua sorellina, oggi?” chiese poi con uno scintillio malizioso e divertito il secondo aggressore, osservando attentamente la reazione del ragazzino. Quest’ultimo rimase impassibile davanti a tali minacce pensando che non sarebbero scesi così in basso da picchiare una ragazza, limitandosi poi ad alzare un sopracciglio in segno di sfida. Vide poi il pugno caricare in aria, serrò gli occhi e strinse i denti attendendo che il dolore lancinante si spandesse per tutto il corpo; dove l’avrebbero colpito, quella volta? Al petto, al mento, in pieno volto? Non lo sapeva. Voleva solo che finisse subito.
Eppure quel pugno non arrivò mai.
Nico aprì lentamente gli occhi, la faccia ancora contorta in una smorfia, e la prima cosa che registrò fu una mano che teneva il pugno sospeso per aria. Seguì il braccio per vedere a chi appartenesse e, con sua sorpresa, Percy Jackson lo fissava preoccupato “Tutto ok?”
Il più piccolo annuì e vide l’altro stringere la presa attorno al polso del giocatore con un’espressione rabbiosa in volto. Quest’ultimo emise un urlo soffocato quando con una mossa agile gli contorse il polso e gli sferrò un calcio al polpaccio, facendolo cadere per terra. Rivolse poi un’occhiata al secondo grassoccio giocatore sfidandolo a farsi avanti, ma quello gli rivolse solo uno sguardo risentito e si caricò il peso dell’amico sulla spalla, aiutandolo a dirigersi verso l’infermeria con passo malfermo.
Lo studente del terzo anno si rivolse poi alla folla di alunni che guardavano sbigottiti “Allora? Non c’è niente da vedere, spettacolo finito!”
Tutti si affrettarono verso le rispettive classi e rimasero in corridoio solo i due adolescenti.
“Sicuro di star bene?” chiese Percy preoccupato, avvicinandosi a Nico e mettendogli una mano sulla spalla. Quello arrossì inspiegabilmente, poi annuì di nuovo e gli rivolse un sorriso incerto. Il più grande lo osservò per alcuni istanti in cerca di un qualche segno che gli avrebbe confermato anche solo un piccolo dolore, ma Nico era perfettamente impassibile come sempre, una maschera difficile da leggere. Quindi sospirò, gli scompigliò i capelli già disordinati e gli disse mentre si allontanava “Ci vediamo, Neeks.”
Quello fu il loro secondo incontro.
 
La terza volta che si videro fu per purissimo caso e sotto circostanze decisamente meno gravi.
Percy si dirigeva verso la sua lezione con passo spedito, zigzagando tra gli studenti e cercando di non fare ritardo almeno il giorno della verifica.
Nico, invece, si affrettava a raggiungere l’aula per evitare sgradevoli incontri. Qualcuno doveva seriamente avercela con lui per qualche motivo perché inciampò su un ostacolo apparentemente invisibile e si sbilanciò in avanti. Trattenne il fiato, aspettando l’impatto col pavimento freddo e duro del grande liceo, ma incontrò solamente un petto caldo e percepì delle mani calde che lo tenevano per le esili braccia.
“Sembra che debba sempre salvarti, non è vero?” una risata profonda lo fece sussultare, e riconobbe immediatamente quello che doveva esser diventato il suo angelo custode.
“Percy!” esclamò sorpreso mettendosi in piedi correttamente, riprendendo fiato ed aspettando che il battito cardiaco si normalizzasse. Eppure non accennava a voler rallentare, probabilmente per via della quasi-caduta. Ovviamente per quello.
“In carne ed ossa” sorrise l’altro “sei sempre nei guai tu, eh?”
“Già…” sorrise nervosamente Nico, grattandosi la nuca. Percy gli passò una mano fra i capelli, come la volta precedente, poi lasciò che questa si fermasse per qualche secondo sulla guancia morbida.
Fu la campanella a ridestare entrambi da quella trance, ma mentre Nico ne uscì stordito e con un balbettio imbarazzato, Percy lanciò imprecazioni dicendo qualcosa a proposito di una verifica e corse via, lasciandolo lì con un peso sul petto.
 
Per la quarta volta in un mese, Nico si ritrovò bloccato ad un muro da un gruppo di ragazzi di gran lunga più grandi e grossi di lui.
Osservò i loro sorrisi beffardi e gli bastò catturare  un attimo il loro sguardo per capire che ne sarebbe uscito più morto che vivo.
Senza alcun preavviso, proprio quando cominciò a pensare di svignarsela e dopo lunghi minuti di silenzio, un pugno lo colpì in pieno stomaco facendogli perdere il fiato. Ne seguì un’altra scarica, un’alternanza di colpi forti e decisi o piccoli e frequenti, che gli lasciavano appena il tempo di prendere fiato. Gli occhi spalancati per lo sforzo, Nico cadde a terra in ginocchio, pregando mentalmente che qualcuno sarebbe arrivato per salvarlo – forse proprio quel qualcuno. Era certo un po’ egoistico ed infantile da parte sua desiderare che Percy, la cosa più vicina ad una amico che avesse mai avuto in vita sua, si immischiasse in una rissa solamente per aiutare lui che era fin troppo debole per difendersi rischiando non solo di farsi male ma anche di essere sospeso. I pugni cessarono ed il ragazzino ne approfittò per riprendere fiato faticosamente, cercando di capire perché fra tutti i ragazzi non si fermasse nessuno per aiutarlo – probabilmente non ne valeva la pena? Sì, probabilmente quello.
Poi qualcosa di metallico andò a contatto col suo viso e per un attimo gli sembrò di essere morto. Non riuscì a percepire nulla, sentiva solo la pesantezza del suo corpo, mentre per un lampo di secondo tutti i suoi sensi avevano come smesso di funzionare. Si accasciò contro l’armadietto alla sua destra, chiuso nell’angolino diventato così familiare in poco tempo, e decise che non avrebbe neanche provato a pregarli di smettere: avrebbe aumentato loro il divertimento di picchiarlo. Alla fine era solamente quello, puro e semplice divertimento nel vederlo soffrire ed agonizzare; constatò poi che a colpirlo in volto era stata una spranga di ferro, quando riuscì ad aprire appena un occhio per vedere l’oggetto cadere a terra e scorgere le gambe degli arretrare di qualche passo da lui.
“Nico!” Percy urlò il suo nome. Eccolo lì, il suo angelo custode era tornato per salvarlo, come sempre. Sorrise istintivamente, sapendo di aver un aspetto orribile, e si abbandonò all’abbraccio confortante del suo amico. Sentì le mani che gli accarezzavano i capelli, gli sussurrava parole rassicuranti e gli diceva che sarebbe andato tutto bene e Nico pensò che fosse okay lasciarsi andare con lui, perché era un tipo apposto e poteva fidarsi. Allora si lasciò sfuggire un singhiozzo dettato non tanto dal dolore, al quale era abituato, quanto alla disperazione del momento. Si aggrappò alla maglietta di Perce come se ne dipendesse la vita e affondò il viso nel petto, lasciando che questi lo cullasse come se fosse un neonato bisognoso di coccole.
Fu quando Percy si soffermò ad osservare il suo viso che tutto degenerò. Notò subito il livido che gli copriva metà viso e vide gli occhi riempirsi di rabbia.
Le mani ebbero un tremolio spaventoso e lasciò Nico poggiato dolcemente contro gli armadietti, poi si voltò verso i responsabili del pestaggio. Rivolse loro un’occhiata piena di odio, poi urlò irato “Chi è stato a colpirlo con la spranga?!”
Nessuno rispose. Nessuno si fece avanti.
“Chi è stato!” urlò ancora più forte. Gli studenti ormai osservavano la scena paralizzati chiedendosi dove fossero i professori. Eppure l’insofferenza da parte del corpo studentesco e dei professori stessi riguardo il bullismo e le problematiche adolescenziali era ben noto, perciò, pensò Nico, che motivo c’era di meravigliarsi? Gli erano bastati due mesi – uno dei quali caratterizzato da botte e percosse – per capire che il liceo era uno schifo e basta.
Fu proprio Nico a parlare “Percy…”
Quello si girò di scatto solo per osservare la direzione in cui il più piccolo stava puntando. Il gruppetto di ragazzi azzardò un’espressione strafottente davanti ad un irato Percy Jackson, avanzando quasi con aria di sfida verso il ragazzo che di lì a poco avrebbe sbroccato.
Fu quando uno di loro osò soltanto alzare una mano che Percy, con un movimento fulmineo, gli afferrò la mano e gliela piegò dietro la schiena. Quello emise un urlo strozzato, poi fu costretto a stendersi per terra violentemente e Percy continuò a fare pressione sul braccio, chiedendogli “Come ci si sente, verme? Dimmi, ti senti bene?!”
Nel frattempo Nico era riuscito a rialzarsi, si teneva agli armadietti ed osservava la scena con un misto di ammirazione e rammarico. Non sapeva se dovesse effettivamente sentirsi in pena per il ragazzo agonizzante oppure essere contento d’aver avuto quella vendetta ma quando si accorse che Percy non accennava a volersi fermare, gli posò una mano sulla spalla. Lui lo guardò, ancora con lo sguardo rabbioso “Ti hanno fatto del male.”
“Lo so, ma basta così, Percy. Davvero.” Strinse un po’ di più la presa sulla spalla, poi mormorò “Io ho bisogno di te.”
A quelle parole lanciò un ultima occhiata sprezzante al corpo quasi privo di sensi del ragazzo sotto di lui, per poi alzarsi in piedi e spintonarne un altro contro un armadietto.
“Qualcuno ha qualcosa da dire?” domandò minaccioso. Nessuno di loro si azzardò a pronunciare una sillaba d’innanzi ad un Percy Jackson così fuori di sé che aveva sostituito quello che di solito era un ragazzo mite e sorridente “Meglio così. Ora ascoltate bene: nessuno dovrà più avvicinarsi a Nico di Angelo per fargli del male, capito? Nessuno.
Con una sorta di finalità mise una mano attorno al fianco di Nico e lo attirò a sé, aiutandolo a zoppicare verso l’infermeria.


 

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Capitolo 2
*** so complicated. ***


Salve miei cari!
Sono davvero contenta che la storia sia piaciuta, davvero non lo immaginavo! Mi scuso per il ritardo (per i nuovi lettori: sono solita aggiornare piuttosto velocemente anche se non in modo regolare, già…), ma non riuscivo proprio a trovare l’ispirazione per questo capitolo. Anzi, mentre scrivo ho ancora la pagina Word immacolata…ma non temete! Con Frame of Mind – Tristam & Barken e Demons – Imagine Dragons di sottofondo, mi metto sotto e cerco di buttare giù qualcosa di leggibile;
Avrei intanto una domanda per voi: avevo pensato di aprire un blog su Tumblr, o un qualsiasi altro spazio se conoscete altri siti, dove vi aggiorno sulle FF, chiedo consigli, cosa ne pensate, e dove potrete scrivermi…:). Fatemi sapere cosa ne pensate, così provvederò poi a passarvi il link!  

P.S.: per questa ff sto usando uno stile un po’ diverso da quello che adotto solitamente…eppure non lo faccio di proposito, mi viene quasi spontaneo! Voglio dire, i capitoli sono organizzati a ‘spezzoni’, cioè piccole scene che raccontano un po’ di Nico e Percy e pensò che più o meno dal prossimo capitolo  la cosa cambierà, probabilmente mi sto facendo problemi solamente io, ma è una cosa nuova per me, perciò potreste dirmi se va bene così oppure fa schifo e dovrei cambiare? Grazie in anticipo a chi risponderà. <3


 
“Mi scusi per l’interruzione, prof. Dodds” la voce di Percy giunse chiara e forte nell’aula “Nico di Angelo deve venire fuori con me, è richiesto in presidenza.”
La professoressa alzò un sopracciglio, scettica “E perché avrebbero mandato te a prenderlo, Jackson? Non hai una lezione a cui andare?”
“Ora buca” sorrise strafottente l’altro imitandola ed inarcando il sopracciglio, “se non la conoscessi bene direi che me la vuole far pagare per gli anni d’inferno che lo ho fatto passare.”
“Va bene, va bene!” la professoressa congedò entrambi gli alunni con un gesto stizzito della mano, ed i due uscirono fuori dall’aula con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso. Nico continuò a fissare la schiena di Percy mentre uscivano, preparandosi alla sfuriata che gli avrebbe fatto – insomma, non farsi sentire per tutte le vacanze natalizie e tornare con un livido violaceo proprio sotto l’occhio non era decisamente un buon bentornato, no? –, ma quello proseguì diritto per gli intricati corridoi della Goode con passo talmente deciso che Nico cominciò a pensare d’essere veramente finito nei guai. Ma per cosa? Era come un’ombra, ormai, in quel liceo: nessuno lo vedeva, nessuno lo sentiva e lui non accennava a voler cambiare quella situazione, gli stava bene a quel modo. Fu solo in un secondo momento, quando si ritrovò schiacciato contro un muro in uno sgabuzzino buio e puzzolente, che si accorse di essersi perso nei suoi pensieri e di non aver minimamente prestato attenzione a dove i piedi lo conducevano. O meglio, a dove Percy stesse andando.
Quest’ultimo aveva il viso pericolosamente vicino al suo, e sibilò “Nico, che accidenti ti prende?!”
Sulle prime il ragazzino non seppe che rispondere; “tranquillo Percy, tuo padre si è appostato vicino casa mia ed ha aspettato che uscissi per darmele di santa ragione!”. Non se ne parlava nemmeno, sapeva che l’avrebbe presa malissimo, e non voleva che facesse cose stupide per colpa sua.
“Non volevo che mi vedessi in queste condizioni…sono caduto dalle scale, a casa” mentì spudoratamente e si sentì un po’ in colpa per averlo fatto, ma decise di ignorare quella sensazione che gli attanagliava lo stomaco in una morsa strettissima. Allora il più grande lo guardò come se lo stesse prendendo in giro e sembrò sul punto di controbattere, ma probabilmente ci ripensò annegando in quello sguardo scuro che era diventato così familiare per lui, eppure così indecifrabile alle volte. Come in quel momento. Sembrava aver azzerato il cervello, le emozioni, ed in momenti come quello Percy desiderava poter in qualche modo salvare Nico di Angelo;
“Va bene…” sospirò infine, cedendo “però avresti potuto farti sentire, sai. Sono stato in pensiero, Neeks” lo attirò a sé e lo strinse forte, affondando il viso nella masso abnorme di capelli neri che si ritrovava in testa. Anche Nico si sciolse in quell’abbraccio, lasciò tutto il resto delle preoccupazioni fuori da quello sgabuzzino, lì erano solo lui, Percy, e gli attrezzi dei bidelli…beh, non era proprio il massimo, ma non gli importava.
E non immaginava che si sarebbe ritrovato lì più volte del previsto.
 
La situazione, da quel giorno, non migliorò.
I lividi aumentarono – Poseidone aveva imparato in fretta come agire, ora le macchie violacee si limitavano alle zone coperte dai vestiti – e le cose fra i due peggiorarono. Proprio quando sembravano avvicinarsi sempre di più, quando erano ad un passo da superare la sottile linea che separa amici da ‘qualcosa di più’ un nuovo livido faceva cambiare repentinamente idea al più piccolo.
Successe un pomeriggio di metà gennaio.
Percy invitò Nico a casa sua – “sono solo, vieni a farmi compagnia, Neeks?” –, e dopo averlo pregato in tre lingue diverse il ragazzino aveva accettato. Come poteva giustificarsi, se avesse rifiutato? “Ho paura che torni tuo padre, scusa.” Assolutamente no. Le cose sembravano andare piuttosto bene fin quando non si ritrovarono entrambi in ginocchio e con il fiatone sul letto del più grande. Si scambiavano baci appassionati, i movimenti dettati dall’euforia del momento e dal desiderio covato per fin troppo tempo, e fu proprio un movimento azzardato che rovinò tutto. Percy acchiappò i lembi del maglione nero di Nico e li tirò su.
Si bloccò, ancora col fiatone e gli occhi scuriti per via dell’eccitazione, e rimase sbigottito a fissare il torso del ragazzo davanti a lui ricoperto di lividi violacei, alcuni più scuri ed altri più vecchi che andavano sbiadendo. Nico si tirò giù il maglione con una mossa repentina e corse via. Percy era fin troppo scioccato per seguirlo, e quando si decise ad alzarsi si ritrovò sul porticato ad osservare la figura ormai troppo lontana del ragazzo che amava correre via. Via da lui.
 
“Non possiamo stare insieme.”
Quelle parole risuonarono nelle orecchie di Percy e fecero più male di quanto avrebbe potuto immaginare. Ripeté quella frase nella sua mente più volte, poi trattenne Nico per un polso “Perché?”
La voce ferita e lo sguardo deluso colpirono il più piccolo come un pugnale al cuore, ma non rispose. Non sapeva cosa rispondere, semplicemente.
“Io posso aiutarti, Neeks. Lo sai.” Percy allungò una mano per carezzargli una guancia, ma l’altro si ritrasse e cercò di non far crollare la maschera di impassibilità che aveva imparato ad indossare quando non voleva parlare con suo padre dei suoi ‘problemi’, quando non voleva far scoprire a sua nonna Demetra di non aver mangiato i cereali – ma quello era diverso. In quel momento, davanti a quegli occhi verdi e quelle labbra che chiamavano le sue sentiva che quella maschera si sarebbe rotta di lì a poco, ed avrebbe ceduto al sapore invitante della bocca morbida di quel ragazzo, entrato nella sua vita per caso.
“E’ troppo complicato, Percy” si limitò a dire, scuotendo appena il capo “è meglio per entrambi.”
Con uno strattone abbastanza forte da liberarsi della presa si voltò ed uscì da quello stesso sgabuzzino in cui si era ritrovato appena due settimane prima. Quando pensava ancora che le cose con Percy sarebbero potute migliorare. Lì nacquero le sue speranze e lì morirono.
 
Nico fu bravissimo ad evitare Percy nei sette giorni seguenti.
Non si fece vedere da nessuna parte, sembrava essersi volatilizzato, eppure alla fine delle lezioni era sempre nel cortile e gli rivolgeva un piccolo sorriso.
E Percy moriva ogni volta.
Un giorno, alla fine delle lezioni, quest’ultimo mandò un messaggio a Nico: ti aspetto a casa mia, voglio parlarti.
Ovviamente il più piccolo, indispettito da quell’ordine – io non prendo ordini da nessuno, si era detto con convinzione durante il tragitto per tornare a casa – non si presentò a casa dell’amico, così fu proprio Percy ad andare a casa di Nico. Si precipitò in camera sua dopo essere stato trattenuto per venti minuti buoni da suo padre, Ade, urlando “Nico!”
Il più piccolo si mise subito a sedere sul letto, guardandolo sbigottito “Che ci fai a casa mia?!”
Percy sorrise e chiuse la porta, poi si mise a sedere vicino a lui e prese le mani più piccole e chiare nelle sue “Ci ho pensato…preferisco averti come amico, che non averti per niente.”
Nico sentì gli occhi pungere e notò l’espressione di Percy cambiare da speranzosa a mortificata “No…non volevo farti piangere, ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, no” scosse la testa l’altro, cacciando indietro le lacrime “allora, hai conosciuto i miei, suppongo.”
“Solo tuo padre” Percy rabbrividì appena, facendo sorridere il quattordicenne “mi ha tenuto ben venti minuti lì sotto. Mi ha fatto domande sulla mia famiglia, cosa vorrò fare da grande. Solo alla fine il mio nome. Quando gliel’ho detto ha alzato un sopracciglio ed ha detto ‘oh, allora sei tu il famoso Percy. Sali pure.’” Nico ignorò la pessima imitazione della voce di suo padre ed arrossì fino alla punta dei capelli, chiedendosi come diamine avesse fatto a sapere dei suoi sentimenti per – Bianca. Brutta impicciona. Gliene avrebbe dette quattro, o forse anche cinque, poteva metterci la mano sul fuoco;
“Io non ho dimenticato.”
La voce improvvisamente seria del più grande lo riscosse dai suoi pensieri e lo guardò interrogativo.
“Non ho dimenticato i tuoi lividi…ti va di parlarne?”
“Non ora, ti prego” la voce supplicante di Nico fu abbastanza da far arrendere il più grande. Almeno per il momento.
 
“Percy, ne abbiamo già parlato ieri–” le proteste di Nico vennero soffocate dalle labbra del più grande premute con insistenza sulle sue. Si trovavano di nuovo in quello sgabuzzino buio, nel bel mezzo delle lezioni, col rischio di essere beccati e di essere sospesi. Percy si limitò a grugnire e posare le mani sui fianchi di Nico, premendo il suo corpo contro quello più piccolo e godendosi ogni secondi di quel contatto che, lo sapeva, sarebbe stato interrotto di lì a poco. Nico si morse il labbro e poi lo spinse via bruscamente “No, no, no,” scosse la testa con veemenza “non va bene, non succederà più.”
“Giusto,” ripeté poi Percy “non succederà più.”
Eppure sapevano entrambi che l’avrebbero fatto di nuovo.


 
 

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Capitolo 3
*** I'll love you no matter what. ***


EEEEHI!
Rieccomi qui, già. Non ho molto da dire stavolta, solo un grandissimo GRAZIE a tutti i recensori dello scorso capitolo. Siete cresciuti, ragazzi, e vi adoro ogni giorno di più! Vorrei scusarmi per l’enorme ritardo, ma sono stata in  vacanza e non avevo internet ^^ Buona lettura, signori e signore<3


Percy non era stupido. Sapeva che praticamente tutti lo consideravano tale, e se un tempo la cosa lo irritava, adesso se la lasciava scivolare addosso. Quindi si accorse subito che c’era qualcosa che non andava in casa Jackson. Decise di aspettare che l’insolita tensione fra i suoi genitori – e soprattutto l’assurdo comportamento di suo padre, – venisse motivata da un qualche litigio di poco conto. Si accorse anche della brutta cera che Nico prendeva quando gli chiedeva di andare a casa sua, e la domanda che il suo ragazzo gli poneva sempre prima di accettare il suo invito – ‘tuo padre è in casa?’ – non aiutava di certo a far diminuire i suoi dubbi. Poteva capire l’ansia di Nico per il primo incontro coi suoi genitori come coppia (esatto, ancora non avevano reso pubblica la loro relazione), ma finché fossero stati amici che preoccupazioni avrebbe dovuto avere?
Nonostante ciò il sedicenne si impose di stare tranquillo riguardo la sua famiglia e mettersi l’anima in pace per Nico: conoscendolo, sarebbe stato difficile farlo parlare. Per questo quel giorno non esitò a cambiare il suo percorso iniziale quando si ritrovò a fare jogging vicino casa di Angelo, decidendo che una visita non avrebbe potuto nuocere. Arrivato sul porticato di legno, esitò qualche secondo prima di bussare.
Ad aprire la porta fu Ade, un’espressione dura in volto “Non è momento per le visitine, Jackson.”
Percy aggrottò la fronte ed aprì la bocca, sul punto di protestare, quando Bianca spinse il padre di lato “Devi entrare.”
Non aggiunse altro, si limitò a voltarsi e sparire di nuovo in casa. Allora il sedicenne si voltò verso il punto in cui qualche secondo prima si ergeva il signor di Angelo, ma non trovandolo lì lo prese come un invito ad entrare e si accomodò. Nel salone trovò Bianca in ginocchio vicino al divano assieme a Maria. Una strana sensazione si fece largo dentro Percy in quel millesimo di secondo nel quale posò lo sguardo sul suo ragazzo, e quando lo vide il respiro gli si mozzò in gola. Era ricoperto di lividi violacei e giallognoli, sotto al naso aveva del sangue incrostato e l’occhio destro gonfio. Allora si avvicinò frettolosamente al capezzale, inginocchiandosi e passando una mano tra i capelli sudati di Nico, scostandoglieli dalla fronte e notando che era sveglio ed aveva uno sguardo a dir poco terrorizzato.
“Che è successo, Nicky?” gli sussurrò preoccupato.
“È quello che gli stiamo chiedendo da circa mezz’ora, ma non vuole proprio rispondere” sospirò affranta Maria, scuotendo la testa. Percy si armò di cotone ed alcol e pulì i residui di sangue dal viso del suo fidanzato, poi passò una mano lievemente sui lividi, stringendo i denti per la rabbia. Questa non fece che aumentare con i sibili di dolore da parte del quattordicenne di fianco a lui.
“Devo sapere chi è stato” esordì senza troppi preamboli “dimmelo.”
Solo quando il fratello non rispose per l’ennesima volta, si fece avanti Bianca, che era stata in silenzio per tutto il tempo. Nessuno avrebbe immaginato che lei sapeva.
“Nico, devi dirglielo. Diglielo o lo farò io, erano questi gli accordi” disse con tono duro: se si fosse lasciata impietosire o se si fosse lasciata andare a tenerezze, sapeva che non avrebbe mai risposto. Nico non era una cattiva persona, lo sapeva bene, ma era anche consapevole del fatto che sapeva il fatto suo e riusciva a manipolare le situazioni a suo piacimento. Nel frattempo Ade aveva assunto un’espressione pericolosamente calma, come se stesse aspettando con penna e taccuino per segnare il nome del malfattore e trovarlo per ucciderlo.
“Non oseresti” sibilò con voce roca Nico, guardandola di sbieco. La stanza cadde nel silenzio più assoluto e dopo pochi minuti, la voce di Bianca riempì la stanza “È stato tuo padre.”
Percy sbarrò gli occhi, scioccato. Tutto attorno a lui sembrò perdere importanza, sebbene riuscisse a percepire gli sguardi allibiti dei presenti nella stanza su di lui. Cominciò a mettere insieme tutti i pezzi, il fastidio di suo padre quando parlava di Nico, la paura di quest’ultimo nei confronti del primo…era tutto così maledettamente chiaro. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Strinse pugni e denti e sentì la rabbia accecarlo “Lo ammazzo.”
Si alzò con tutta l’intenzione di correre verso casa sua, sfondare la porta ed riempire di botte quel bastardo che chiamava padre, ma fu la mano di Ade sulla sua spalla a trattenerlo “Per quanto mi piacerebbe aggregarmi, ragazzo, temo che non sia la scelta migliore da fare” gli fece segno di tornare dov’era e Percy ubbidì “ora, voglio sapere come sono andati i fatti.”
Allora Nico sospirò e si rassegnò, raccontando tutto per filo e per segno, senza omettere nulla. Il signor di Angelo prese un respiro profondo e si massaggiò le tempie, per poi rivolgersi ancora al sedicenne “Lo vedi? Se adesso tu andassi lì e lui sapesse che Nico ha confessato, sarebbe capace di farti davvero male. Non possiamo permetterlo, capisci? Quindi rimarrai qui da noi, almeno per stanotte.”
“Se il Poseidone sapesse che Percy passa la notte qui, farebbe di nuovo del male a Nico” disse sovrappensiero Bianca.
“Non preoccuparti, tesoro” rispose Ade con un sorriso inquietante “questo non accadrà più.”
 
***
In altre circostanze Nico avrebbe potuto provare un po’ di imbarazzo nel ritrovarsi sullo stesso letto con il suo ragazzo, ma il dolore persistente in praticamente tutte le parti del corpo glielo impedì. Le labbra di Percy continuavano a posarsi dolcemente sulle sue mentre gli raccontava le violenze subite, visto che si era calmato visibilmente. Interruppe il suo racconto quando qualcuno bussò lievemente alla porta e la testa di Bianca fece capolino nella stanza “È permesso?”
Percy si affrettò a rotolare giù dal letto e congedarsi con un ‘a dopo’ consapevole che i due avevano molto di cui parlare.
“Ti ho portato un antidolorifico, scusa se ci è voluto un po’ ma mamma ha voluto chiedere al dottore…” Bianca sorrise appena posandogli le pillole ed un bicchiere d’acqua sul comodino vicino al letto. Nico ingurgitò i medicinali, sperando davvero che facessero presto ad agire.
“So cosa stai pensando e no, non sono arrabbiato con te” esordì poi, alzando un sopracciglio nel vedere l’espressione sorpresa della sorella “insomma, era per il mio bene, no? Quindi è tutto okay, Bianca, davvero. Sei mia sorella e sei la cosa più importante che ho, non potrei avercel con te per una cosa del genere.”
Allora la ragazza lo abbracciò con cura, evitando di stringere troppo per non fargli male “E non faccio sempre questi discorsi, quindi fattelo bastare per i prossimi quattordici anni” borbottò tra i suoi capelli il fratello con un sorriso.
La risata cristallina della ragazza riempì la stanza, poi sciolse l’abbraccio e l’espressione si fece un po’ più seria. Inclinò la testa di lato, come faceva anche sua madre quando doveva dire qualcosa di delicato “Papà vuole parlarti, quindi aspettati una sua visita.”
“Le chiacchierate padre-figlio non sono mai state il suo forte…a dir la verità neanche il mio” mugugnò il quattordicenne.
“Sì, vi somigliate in un bel po’ di cose” ridacchiò l’altra.
Ade entrò nella stanza senza troppi complimenti, fermandosi un attimo ad osservare i suoi due figli ridere allegramente tra di loro. Era bello vederli così felici, una volta tanto. Tossicchiò e Bianca si alzò di scatto, uscendo dalla stanza che ancora ridacchiava fra sé e sé. Quando la porta si richiuse dietro di lei si ritrovò difronte Maria. Si guardarono per un millesimo di secondo negli occhi e poi scattarono entrambe verso la porta, poggiandoci l’orecchio per origliare.
“Non so se sentirmi più seccato o deluso da tutta questa storia” esordì Ade, sedendosi ai piedi del letto, osservando lo sguardo di suo figlio riempirsi di vergogna “insomma, figliolo, dovresti sapere che io ti vorrò bene in qualsiasi caso. Voglio che tu sia felice e che viva la tua vita serenamente, non che diffidi di me e pensi che ti disprezzi per quello che sei. Perciò finirò qui il mio discorso paternale e tornerò a fingere che non mi importi della tua esistenza, ma da questo momento in poi devi sapere che per qualsiasi cosa io ci sarò sempre per te, intesi?”
Nico si limitò ad annuire non sapendo se considerare quel groppo in gola che si era formato parola dopo parola una benedizione o una disgrazia. Pensò di abbracciare il padre e nel momento  in cui si decise a farlo si bloccò nuovamente, allora fu proprio Ade a sorridere appena e circondare il figlio con le sue enormi braccia. Lo strinse a sé e gli arruffò i capelli prima di andarsene, facendogli l’occhiolino prima di uscire dalla stanza. Inutile dire che si sarebbe aspettato di trovare la moglie e la figlia fuori, perciò anziché sbraitare contro di loro si limitò a scuotere la testa e ridacchiare mentre scendeva le scale. Le due si scambiarono un’occhiata, poi fecero spallucce all’unisono e si allontanarono dalla camera di Nico.

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Capitolo 4
*** Incubi e segreti rivelati. ***


 
 
Ade pensava di aver troncato qualsiasi contatto con Poseidone anni addietro, ma evidentemente si sbagliava. La prima volta che sentì nominare Percy Jackson sperò ardentemente che suo figlio non sviluppasse alcun sentimento diverso dall’amicizia, ma ovviamente in quel momento non aveva tenuto conto di essere il padre di Nico di Angelo. Quel ragazzo sembrava essere una calamita per i guai e Poseidone lo è sicuramente, potete scommetterci tutto ciò che volete. Si rigirò per la sesta volta nel giro di pochi minuti nel letto, perso nel mare di pensieri in cui rischiava di affogare. Desiderò non aver mai conosciuto Percy Jackson, questo gli avrebbe risparmiato un bel po’ di guai ed avrebbe potuto vietare a Nico di vederlo senza farsi scrupoli, ma dopo aver conosciuto quel ragazzo dall’aria sempre pronta ad aiutare il prossimo, non aveva potuto fare a meno di sentire un moto di rabbia mista ad un senso di protezione. Erano due emozioni completamente diverse, e se la prima verso Poseidone era stata assecondata con la promessa di spaccargli la faccia, la seconda fu più restio ad accettarla completamente. Era quindi consapevole che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che provasse qualcosa di vicino all’affetto per il ragazzo di suo figlio, ma almeno pronunciare il suo nome non produceva conati di vomito ed Ade lo considerava un grande passo avanti per la sua persona. Non era una persona rancorosa, si disse – bugia, canticchiò una vocina nella sua testa –, ma non poteva fare a meno di notare quanto quel sedicenne somigliasse al farabutto del padre. Si alzò dal letto con un sbuffo, attento a non svegliare Maria che dormiva al suo fianco. La guardò e non poté che considerarsi fortunato nell’aver trovato una donna forte come lei, che gli stava accanto nonostante i suoi tremila difetti – bloccò il flusso dei suoi pensieri e si chiese quando fosse diventato così fastidiosamente romantico.
Si chiuse dentro il bagno ed osservò l’uomo riflesso sulla superficie dello specchio. Un uomo forte e deciso, che aveva combattuto centinaia di guerre e ne aveva vinte altrettante. Non si era lasciato abbattere mai da niente e nessuno, tranne che proprio dall’uomo che inquietava il suo sonno, quel maledetto Jackson. Erano stati amici da sempre, dal primo giorno della scuola media, ma la pugnalata alle spalle che gli arrecò al liceo fu abbastanza da dividerli per sempre; era risaputo che Poseidone fosse un don Giovanni, ma Ade non lo aveva mai giudicato per quello che faceva. A volte esponeva il suo disappunto, ma l’amico non sembrava badarci molto, perciò lasciava semplicemente perdere. Per il resto, andavano d’accordo e scherzavano tra loro su qualsiasi argomento, sebbene le battute ciniche di Ade non fossero sempre ben accolte così come le freddure di Poseidone, ma tutti e due si lasciavano scivolare quelle piccolezze per il bene della loro amicizia. E tutto filò liscio, finché una ragazza non sbaragliò il loro programma di andare al college insieme e rimanere migliori amici per il resto della vita, bevendo birra davanti ad una partita di football il sabato sera. Ade ricordava ancora il suo nome – Persefone. Come avrebbe potuto dimenticare il suo primo amore? E senza che se ne potesse rendere conto, i ricordi lo inghiottirono.

“Amico, è bellissima” sospirò sognante Ade, guardando una ragazza dall’altra parte del cortile. Poseidone alzò un sopracciglio, seguendo il suo sguardo mantenendone uno inespressivo. Scrollò le spalle, fingendosi quindi indifferente alla bellezza di quella ragazza. Domandò quasi con noncuranza “Come si chiama?”
“Persefone. Non credi che il suo nome sia melodioso?”
“Eccome” asserì l’amico.
Se Ade fosse stato un po’ più adulto e soprattutto meno innamorato, si sarebbe accorto  che l’amico stesse tramando qualcosa. Al tempo, comunque, di Angelo era un uomo romantico e perdutamente innamorato di Persefone, perciò si lanciò nel corteggiamento, conquistando il cuore della ragazza dalla bellezza eterea – e la notizia si sparse presto tra tutti gli studenti. Ade allora fu al centro di tutte le conversazioni per alcuni giorni, che si tramutarono in settimane e poi mesi. Poseidone era sempre stato al centro dell’attenzione, il protagonista, l’eroe di ogni situazione. Perciò non poté che sentirsi minacciato da Ade, del quale fino a quel momento nessuno parlava a scuola. Fu soltanto dopo sei mesi di relazione che questa si interruppe nel modo più brusco che possa esistere – la morte. Persefone morì per overdose ad un party, nel bagno di quella maledettissima discoteca. Le ultime parole che Ade sentì da lei furono le più strazianti della sua vita, in una chiamata dal cellulare “Tesoro?”
“Che succede?” domandò senza perder tempo il ragazzo, notando il tono strozzato della sua fidanzata.
“Non preoccuparti, tesoro. Credo di aver capito – Poseidone. Nel drink…” poi non riuscì più a parlare. Il resto è un susseguirsi di ricordi imprecisi, immagini sfocate e tanto dolore. Quando fu diagnosticata la causa della morte, Ade rimise i pezzi del puzzle a posto. Lui non poteva uscire, Poseidone invitava i fidanzati ad una festa. “Vieni almeno tu, Persefone, ti divertirai. Terrò io un occhio su di lei.”  Era tutto così maledettamente ovvio…ed i suoi dubbi furono confermati quando decise di affrontare quell’assassino.
“Non volevo ucciderla” utilizzò quella scusante “volevo solo che si sballasse abbastanza da poterla scopare.”
“Sei un mentecatto!” urlò Ade prendendosi la testa fra le mani “che cazzo pensavi di fare? Capisci che è morta, che non tornerà più?!”
“Io non volevo arrivare a questo punto!” esclamò sull’orlo di una crisi l’altro ragazzo, sentendo il peso della morte sulle sue spalle “non volevo, porca miseria!”
“Quindi per ‘scoparti’ la mia ragazza, l’ hai uccisa! Non la passerai liscia!”
“Che cosa vuoi andare a raccontare? Hai le prove della chiamata, e allora? In mia discolpa potrò dire che era in stato confusionale, e che vaneggiava. Non hai nessuna prova concreta, Ade.”
Fu forse la freddezza nella sua voce, o forse l’impellente voglia di ammazzare quello che aveva considerato il suo migliore amico e la paura di finire dentro, che Ade gli voltò le spalle senza proferire parola e se ne andò. Il processo sarebbe stato vinto poi da Poseidone – “Non abbiamo prove concrete, mi dispiace” lo congedò il giudice – e da quel momento Ade di Angelo non sarebbe mai più stato la stessa persona.


Con lacrime di rabbia e colpevolezza emise un ringhio frustrato, aggrappandosi al lavandino con tutta la sua forza. Non doveva crollare, non poteva. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e si ritrovò il volto di Maria a pochi centimetri dal suo.
“Se solo non l’avessi lasciata andare a quella festa, quella maledetta sera…” sussurrò, la voce rotta. La moglie capì subito di cosa si trattasse. Contrariamente a quanto possiate pensare, Maria non era gelosa di Persefone: capiva che Ade si sentiva colpevole, e sapeva che suo marito la amava molto più della sua prima ragazza. Avevano avuto una discussione, la prima volta che i ricordi avevano colto di sorpresa l’uomo, e lui aveva volatilizzato ogni dubbio con delle parole troppo dolci per essere pronunciate proprio da lui, pensò Maria, ma poi dovette ricredersi quando si diede un pizzicotto e si disse che si, era tutto vero.
“Non è colpa tua” affermò con decisione, prendendogli le mani tra le sue “quello lì avrebbe trovato un modo per farla franca comunque, lo sai anche tu. Non pensare a Persefone come un’anima in pena, pensala felice per te che hai una famiglia che ti ama, capito? Piuttosto che arrabbiarti con te stesso, utilizzeremo quest’energia per escogitare un piano domattina. Su, a dormire” sorrise asciugando la lacrima solitaria che era sfuggita al marito, scoccandogli un bacio casto ed invitandolo a riposare.
“Sai” esordì il marito, mentre si coricava “non so se sentirmi una brutta persona per quello che sto per dire, ma se per incontrarti dovessi rivivere per forza tutto questo…lo rifarei anche cento volte.”
Poté quasi sentire Maria sorridere, poi questa lo abbracciò “Non ti abbandonerò mai, amore mio” suggellò quella promessa con un bacio sulla guancia, puntellandosi su un gomito.
***
 
“Buongiorno.”
Nico fu svegliato da una voce profonda e roca, un brivido gli percorse la schiena nel percepire il respiro caldo del suo ragazzo sulla pelle. Il braccio sinistro di Percy lo stringeva delicatamente e questi ne approfittò per attirare a sé Nico, facendo scontrare schiena e petto. Un bacio dolce gli venne posato sulla guancia ed il quattordicenne trattenne a stento un sospiro sognante da ragazzina undicenne.
“Buongiorno” si voltò verso Percy con un sorriso quasi timido ed un rossore appena accennato alle guance, segno che non era abituato a svegliarsi in compagnia di qualcuno. Notò che il sedicenne non indossava alcuna maglietta e ne percorse con un tantino di avidità – solo un tantino – ogni centimetro con lo sguardo, quasi volesse mangiarselo con gli occhi.
“Se non la finisci di morderti il labbro in quel modo non risponderò delle mie azioni” ridacchiò Percy, facendosi ancora più vicino “e la carta del povero infortunato con me non varrà.”
Nico arrossì ancora di più e gli lanciò un’occhiataccia, spingendolo via ed alzandosi impettito, per poi ricrollare sul letto per il movimento improvviso; oh, quasi dimenticava di essere stato pestato a sangue da quello che sarebbe dovuto essere suo suocero. Sentì la mano di Percy posarsi sulla sua spalla, ma prima che questo potesse offrirgli il suo aiuto lo informò che poteva benissimo farcela da solo. Sebbene con passo malfermo, si diresse verso l’armadio e si aggrappò all’anta dissimulando (male) nonchalance, scegliendo quello che avrebbe dovuto indossare.
“Sai che rimarrai a casa, vero? Ti proibisco categoricamente di andare a scuola” la voce severa di Percy lo stizzì ancora di più, non era mica un bambino che andava controllato a vista e lui non era suo padre. Aprì la bocca per protestare, ma fu interrotto dalla voce di suo padre (che non aveva minimamente sentito entrare).
“Il ragazzo ha ragione, Nico, non andrai da nessuna parte” cancellò anche il sorrisetto vittorioso di Percy in pochi secondi “e neanche tu, Jackson. Non pensare che ti lasci gironzolare per NY da solo quando quel mentecatto di tuo padre va in giro picchiando a sangue ragazzini perché sono omosessuali. Spero di non averti offeso, se l’ho fatto fa lo stesso” scrollò le spalle e riprese fiato dopo il lungo discorsetto. Percy era fin troppo scioccato al pensiero che non si sarebbe mosso di casa per chissà quanto tempo, mentre Nico esclamò indignato “Papà! È pur sempre suo padre!”
Ade roteò gli occhi e fu preceduto dal sedicenne “Nah, ha ragione. Mio padre è un coglione e vorrei poterlo uccidere, ma ho ancora molto da fare e vedere con te.”
Nico arrossì ed Ade mise su una maschera di impenetrabile indifferenza, scrutando invece l’espressione disgustosamente ingenua del fidanzato di suo figlio, cercando di decidere se il doppio senso fosse voluto o meno; giunse poi alla conclusione che no, in quel momento Perseus era troppo preso dal pensiero di uccidere suo padre per pensare a certe cose. E non era di certo il periodo migliore per parlare di sesso e protezioni, perciò si schiarì la gola ed annunciò che la colazione era pronta, per poi uscire silenzioso com’era entrato.
Nico si voltò di nuovo verso l’armadio e Percy gli ricordò che stavano scendendo a fare colazione con la sua famiglia, non doveva vestirsi per una cena di gala. Il più piccolo roteò gli occhi “Sono in boxer e senza maglietta, pensi che vada in giro per casa così di solito?”
Percy lo sorprese abbracciandolo da dietro, sussurrandogli “A me andrebbe bene.”
L’aria si fece improvvisamente più calda e Nico non lo allontanò quando gli posò un bacio sul collo, facendolo rabbrividire. Unì le loro bocche in un bacio dolce, poi lo spinse via in modo stranamente delicato, per i suoi standard  “La colazione è pronta e sono infortunato davvero, purtroppo” storse la bocca lanciando un’occhiata fugace ai lividi che gli ricoprivano il corpo “perciò muoviamoci.”

 
A tavola tutti erano silenziosi. Bianca mangiava lanciando di tanto in tanto delle occhiate al fratello minore, così come faceva la madre alternandole a lui e a Percy, mentre Ade teneva la testa china sul piatto.
“Vorrei chiedere scusa a tutti” esordì il sedicenne, facendo puntare lo sguardo quattro persone su di sé “mi sento un po’ responsabile per quello che ha fatto mio padre e–”
“Non dire sciocchezze” fecero Bianca e Maria allo stesso tempo, scoccandosi poi un’occhiata stranita che in un’altra situazione avrebbe fatto ridacchiare Nico. Quelle due erano fin troppo simili. 
“Percy, non è colpa tua” fece Nico prendendogli timidamente la mano sotto al tavolo e sorridendogli.
“Hanno ragione” fece Ade, e Maria gli rivolse un’occhiata compiaciuta: era un bene che non confondesse Percy con Poseidone, erano talmente diversi…
“Tuo padre è un folle, su questo ci siamo tutti, no?” continuò poi e la moglie rivolse uno sguardo allarmato al sedicenne temendo che si sentisse ferito, mentre con uno sguardo deciso puntò gli occhi in quelli di Ade ed annuì, incitandolo a continuare “ed io non starò qui ad elencarti i motivi che avrei per spaccargli la testa in questo preciso istante, perché non è questo ciò che voglio. Insomma, sì, mi piacerebbe ma…ci sono altre questioni in sospeso che vanno affrontate.”
“Ovvero?” domandò il ragazzo con ovvia curiosità, seguito poi dalle mute domande che gli ponevano i due figli con gli occhi puntati su di lui.
Sospirando guardò Maria che pareva un po’ contrariata, ma allo stesso tempo rassegnata, poi si rivolse ai tre ragazzini “Siete sicuri di volerlo sapere?”

Finalmente sono tornata col nuovo capitolo:)
In molti vi siete domandati su dei possibili precedenti tra Ade e Poseidone ed ecco a voi la triste storia di Persefone. Mi è dispiaciuto un pochettino farla morire così, devo ammetterlo (e mi è dispiaciuto anche mettere Poseidone in cattiva luce, ma ehi! È la storia e le cose stanno così), ma era necessario per il corso degli eventi. Si entra perciò nel vivo della storia e le cose incominciano a farsi interessanti – almeno credo! xD – quindi non vedo l’ora di cominciare a movimentare di più la situazione. Presto vedremo anche Sally in azione, si renderà conto della persona che ha accanto…in un modo o nell’altro. *risata malefica*
In questo capitolo abbiamo avuto un po’ di Ade/Persefone (angst, sorry not sorry), un bel po’ di Ade/Maria (li amo così tanto *°*) e poi un pizzico di Percy/Nico non guasta mai! Per concludere in bellezza una delle frasi ad effetto di Ade. Amo quell’uomo. O quel dio. Fa lo stesso!


 

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Capitolo 5
*** Sfuriate, confessioni e battute pungenti. ***


Sally Jackson si era sempre considerata una donna fortunata: aveva un marito amorevole, un figlio ubbidiente sempre pronto a regalare sorrisi e viveva una vita serena. Purtroppo l’improvvisa perdita del lavoro di Poseidone non era che un sonoro e fastidioso crack nel loro rapporto, che di conseguenza disturbava la pace da sempre regnante in casa Jackson. 
Quindi non poté che sentirsi ancora più stressata quando Percy, una sera che si sarebbe rivelata decisiva per la vita della donna, non tornò a casa. Fu inevitabile per lei pensare che fosse stato rapito da assassini/alieni/sette sataniche, da mamma iperprotettiva quale era sempre stata. Sebbene consapevole che riempire la sua segreteria telefonica non sarebbe servito a nulla, lo fece lo stesso, nella vana speranza che il figlio riuscisse a darle qualche segno di vita.
La mattina seguente si svegliò al rumore metallico delle chiavi che venivano inserite nella toppa, seduta su una poltrona all’ingresso col telefono ancora in mano. Per la fretta d’alzarsi urtò la tazzina di caffè sul bracciolo destro. che aveva portato con sé la sera precedente sperando che quella potesse aiutarla a rimanere sveglia, ma invece di preoccuparsi dei cocci di ceramica che si era sparpagliati per terra nel momento in cui l’oggetto aveva toccato il pavimento scansò Poseidone e guardò dietro di lui.
Percy non era tornato.
“Che ti prende?” fece allora il marito, con uno sguardo ansioso, come se temesse che la risposta di Sally potesse dare la conferma a tutti i dubbi che aveva su una possibile relazione tra di Angelo e suo figlio; nell’ultimo periodo non faceva che pensare a quello, e a come dividere i due ragazzi.
“Percy non è tornato a casa, ieri sera” fece lei con voce rotta “è andato a correre come sempre, però non è tornato. E non risponde al telefono” se fosse stata meno preoccupata, Sally avrebbe sicuramente notato l’espressione livida di rabbia di suo marito e si sarebbe fatta due domandine al riguardo, ma al momento non trovò la cosa di particolare rilevanza, già impegnata nel pensare ad un modo per ritrovare suo figlio.
“E finiscila di piangere, non concludi niente così!” Poseidone la strattonò per un braccio, esortandola a smettere di versare lacrime.
 Lei lo guardò, scioccata ed arrabbiata allo stesso tempo “Non osare alzare le mani con me!”
L’altro la guardò come se gli avesse appena detto di essere un unicorno sputa arcobaleni, ovvero come se fosse tutt’altro che una minaccia. Sally lo afferrò per il braccio, costringendolo a voltarsi dato che si era congedato con un “Ho da fare”.
“Non so che cosa tu abbia da fare visto che l’ultima volta che ti sei degnato di avere una conversazione civile con me, è stato quando ti hanno licenziato” sibilò lei, con uno sguardo deciso “ma io mi impegnerò per ritrovare nostro figlio, come sempre io mi farò carico delle cose più pesanti e se proprio non t’importa di me, almeno fallo per Percy, dannazione!”*
Con quello lo sorpassò e salì le scale, sbattendosi la porta della camera dietro le spalle e chiudendola a chiave.


Percy era seduto nel giardino antistante casa di Angelo, osservava una farfalla passare da un fiore all’altro, perso fra i suoi pensieri. Il suo cervello stava ancora elaborando quello che gli era stato rivelato, non poteva proprio crederci: suo padre, che gli aveva sempre voluto bene (beh, prima che si mettesse con un ragazzo), lo stesso uomo che lo portava al campo a vedere il football, lo stesso che era andato a vedere ogni sua gara di nuoto, era un assassino.
Quando Ade aveva terminato il racconto si era alzato e si era scusato – ‘ho bisogno d’aria’ –, troppo scioccato per poter rimanere lì a lungo.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, poi qualcuno prese posto vicino a lui e si sdraiò sull’erba.
Percy si voltò verso Bianca e fece lo stesso, incrociando le braccia dietro la testa.
“Fa schifo” esordì lui “tutta questa situazione, intendo. Beh non proprio tutta, Nico è fantastico ed i tuoi genitori sono in gamba-”
“Ho capito cosa vuoi dire, Percy” sospirò Bianca, tenendo lo sguardo puntato sul cielo “l’amore fa schifo.”
“Tu ne sai qualcosa?”
“Io parlo con cognizione di causa” fece lei, prendendo a giocherellare con un filo d’erba “sapevo già questa storia dell’omicidio, ma nessuno lo sa…un giorno ero semplicemente lì che giocavo a nascondino con mio fratello, nascosta nell’armadio, e li ho sentiti parlare. Ho deciso di rimanere ferma ed aspettare che uscissero per lasciare il mio nascondiglio.”
“E non lo hai detto a Nico?” domandò l’altro, perplesso.
“Come avrei potuto?” sospirò lei, scuotendo appena il capo “è vero, io al tempo avevo solo quindici anni, ma Nico dodici. Ne è rimasto scosso ora che ne ha quattordici, figurati se glielo avessi detto prima.”
Percy annuì, pensando che in effetti non sarebbe stata una scelta saggia. Rimasero in silenzio per un po’, finché poi non sbottò “Perché ti sei confidata proprio con me?”
L’altra si strinse appena nelle spalle “Non lo so. Avevo bisogno di sfogarmi, e sto aspettando che lo faccia anche tu. Tutti ne abbiamo bisogno, ogni tanto: nessuno si salva da solo.”
“E tu salveresti me?”
“Ehi, rendi mio fratello felice, questo basta e avanza!” esclamò la ragazza con un sorriso.
Percy soppesò un poco le parole e ci pensò su qualche attimo, prima di esordire “È che non me lo aspettavo, sai? Insomma, per me è stato sempre un eroe – per quale bambino il suo papà non lo è? Ed invece ora, in poco tempo, mi ritrovo a volergli pestare la faccia. Continuo a chiedermi come ho fatto a non accorgermi prima del suo comportamento strambo nell’ultimo periodo, e di come lo infastidisse che io parlassi di Nico, a tavola. Ora, ripensandoci, è tutto più chiaro. E non posso evitare di domandarmi cosa faremo ora…”
“Per questo purtroppo, non ho una risposta immediata da darti. Ma penseremo a qualcosa, stanne certo.”
“Grazie, Bianca” le sorrise lui, alzandosi e porgendole una mano. Lei accettò l’aiuto e si mise in piedi.
“Quando vuoi.”
 
In altre circostanze avrebbe preferito ingoiare un rospo piuttosto che farlo, ma quando vide Percy entrare nella sua camera, Nico non poté fare a meno che alzarsi di scatto dal letto e abbracciarlo “Amore.”
“Non dovresti fare questi movimenti bruschi” lo riprese il ragazzo, ricambiando comunque la stretta “sei ancora invalido.”
“Non esagerare” borbottò il più piccolo, “volevo solo essere carino, comunque.”
“Non esagero, avrebbe potuto ucciderti ed io non lo avrei mai saputo, capisci?” esclamò con un po’ troppa foga, stringendolo ancora a sé e poi conducendolo verso il letto, facendolo sedere.
“Non è successo, però” tentò di rassicurarlo Nico, intrecciando le loro dita “siamo insieme, è questo quello che conta.”  Avrebbe voluto aggiungerci un ‘ti amo’, ma quando fu sul punto di dirlo si bloccò, temendo di affrettare troppo le cose.
Percy sospirò, affondando il viso nei capelli neri del suo ragazzo “Dovrei essere io a consolare te, e invece guardami. Sembro un bambino di quattordici anni.”
Quindi sorrise all’aspettato borbottio che seguì la sua battuta, per poi sentire un paio di labbra premere sulle sue in un gesto affettuoso. Decise di non rovinare quel momento facendo notare a Nico che finalmente era stato lui a prendere l’iniziativa, per una volta. Ed avrebbero potuto continuare a quel modo per un bel po’, finché Bianca non fece irruzione nella camera.
La ragazza arrossì di colpo per averli beccati proprio in quel momento, e si limitò a dire “C’è qualcuno per te di sotto, Percy” e scappare via.
 
“Rachel?” l’esclamazione sorpresa di Percy attirò l’attenzione della ragazza coi capelli rossi in piedi nel salotto di casa di Angelo.
“Percy!” esclamò con un sorriso quella avvicinandosi a lui “tua madre era in pensiero per te, non sapeva dove fossi, perciò sono passata dalla Goode. Alcuni mi hanno detto che sicuramente eri dai ‘di Angelo’, ed ho chiesto in segreteria l’indirizzo. Beh, non è che sia stato corretto da parte della scuola, viola le norme della privacy-”
“Okay, okay ho capito” rise l’altro per poi essere stretto in un abbraccio che sarebbe anche potuto passare per un gesto amichevole, se non fosse stato per la mano di quella ragazza che indugiò sulla schiena del sedicenne accarezzandogliela in modo fin troppo spinto. Nico trattenne l’impulso di ringhiare (letteralmente) e si mantenne in disparte, appuntandosi mentalmente di uccidere Rachel, una volta o l’altra.
“Nico, lei è Rachel Elizabeth Dare” il più piccolo dovette ancora una volta trattenersi dal risultare scortese simulando un conato di vomito, oppure più semplicemente roteando gli occhi nel sentir pronunciare il nome per intero, come se si trattasse di chissà chi. Decise perciò di stringere la mano che Rachel gli aveva teso, limitando il contatto al minimo possibile.
“Oh, ma che carino!” esclamò poi pizzicandogli la guancia “è il tuo cuginetto? Ci giochi assieme?”
Ora, solo un ragazzo ingenuo e praticamente privo di malizia come Percy non avrebbe colto la nota derisoria della rossa, che aveva pronunciato quella frase ovviamente pensata per infastidirlo.
“Oh no”, sorrise maligno Nico “Sono il suo ragazzo, e semmai ci vado a letto, non ci gioco.”
Ignorando il rossore sul volto della ragazza e l’occhiata imbarazzata del fidanzato, Nico prese posto sul divano “Allora, come vi siete conosciuti?”
Rachel sedette sul divano opposto, dovendo concedere silenziosamente un punto al piccoletto: sapeva il fatto suo. Al ché il quattordicenne fece segno a Percy di sedersi di fianco a lui.
Quest’ultimo cercò di ignorare le strane occhiate indagatrici che gli altri due continuavano a mandarsi, e all’invito del suo ragazzo preferì qualcosa di più diplomatico: scelse infatti la poltrona, posta tra i due divani. L’unica cosa ad impedire un possibile scontro tra Rachel e Nico era solo un tavolino di vetro, pensiero che non lo aiutò a calmarsi.
Ignorando lo sguardo assassino che gli era arrivato da Nico, ovviamente sentendosi rifiutato dalla sua presa di posizione neutrale, Percy spiegò scrollando le spalle “Rachel è una mia vecchia amica d’infanzia.”
“Io e Percy siamo stati insieme, due anni fa” ci tenne a puntualizzare la rossa, rivolgendo un sorriso eccessivamente zuccheroso a Nico “bei tempi, bei tempi.”
Ade, poggiato allo stipite della cucina, si schiarì la gola “Per quanto mi piacerebbe stare qui ad ascoltare gli sproloqui su vecchie relazioni che sono, appunto, morte e sepolte per motivi ben precisi” osservò il volto dell’adolescente farsi sempre più rosso di vergogna “e sul tempo delle mele di una ragazzina in preda agli ormoni adolescenziali, mi ritrovo a doverti domandare se rimarrai ancora qui per molto: il pranzo è in tavola, non vorrei che si freddasse.”
Così Rachel si ritrovò a dover concedere un altro punto ad un altro membro della famiglia di Angelo, capendo bene a che cosa volesse arrivare quell’uomo: voleva farla sentire in imbarazzo, metterla in soggezione e farle presente in modo velato che i suoi inutili tentativi di creare un punto di rottura nella coppia gay erano inutili quanto patetici; e dannazione, ci riuscì alla perfezione.
“Lei non sa con chi sta parlando!” esclamò allora “io sono Rachel Elizabeth Dare.”
“Si, si, ed io sono Ade di Angelo, ma ti ho chiesto se hai intenzione di fermarti ancora: il pranzo è in tavola” fece spazientito l’altro.
Lei si alzò, impettita “No, stavo giusto per andarmene: era solo una visita di cortesia per vedere come stava Percy.”
Allora si diresse verso il sopracitato e gli stampò un bacio sulla guancia, felice di esser riuscita a cancellare il sorrisetto vittorioso che si era fatto largo sul volto di Nico quando suo padre aveva cominciato a parlare. Quest’ultimo l’accompagnò alla porta e gliela aprì, salutandola “Arrivederci, signorina Dare.”
Quando la porta si richiuse con un tonfo, Ade si voltò verso Nico con un sopracciglio alzato “Con chi è che vai a letto, tu?”

“Sei un idiota!” urlò Nico, dando l’ennesima cuscinata a Percy.

“Nico!” lo richiamò l’altro, tentando di farlo ragionare – o almeno spiegarli perché ce l’avesse così tanto con lui – e parandosi la faccia con le braccia.
“Che cosa credi di fare, la fottuta Svizzera di questa storia?!” esclamò, caricando un altro colpo. Questa volta, però, Percy lo bloccò prontamente e scagliò via l’oggetto.
Il quattordicenne abbassò lo sguardo, incrociando le braccia al petto deciso a tenergli il broncio per il resto della sua vita –  o perlomeno per il resto della serata.
Tuttavia tentennò quando il più grande gli mise due dita sotto al mento, costringendolo a guardarlo negli occhi “Si può sapere che ti prende?”
“Mi prende che quella lì ci provava con te” la risposta piccata non tardò ad arrivare.
“Ma io non ci provavo con lei” puntualizzò con le sopracciglia alzate l’altro.
“Si, però…tu sei mio” mormorò allora Nico, affondando il volto nella petto del suo ragazzo e stringendolo a sé.
Percy ridacchiò “Mi farai diventare matto, Nico.”
Il più piccolo sorrise: aveva proprio in pugno Percy Jackson.
E Percy Jackson aveva in pugno Nico di Angelo.


Rachel svoltò l’angolo, per poi tirare il cellulare fuori dalla borsa e digitare un numero.
Attese tre, quattro, cinque squilli e poi ricevette risposta “Pronto?”
“Sono appena uscita da casa di Angelo” fece.
“Sicura che non ti sente nessuno? E che non ti abbiano seguita?”
“Sicurissima; Percy è lì. Diamo il via al piano?”
“Diamo il via al piano.”

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Capitolo 6
*** Sgattaiolate, registratori e vittorie. ***


“Abbiamo un problema” annunciò Bianca facendo irruzione nella cucina e cogliendo tutti di sorpresa. Quattro paia d’occhi si puntarono su di lei interrogativi, e la ragazza si passò una mano fra i capelli con un’espressione a metà tra il preoccupato ed il determinato “Rachel Elizabeth Dare.”
Nico sbuffò, alzando gli occhi al cielo: se ne era liberato appena una mezz’ora fa, era possibile non sentirla nominare per il resto della sua vita? Gli altri erano rimasti silenziosi, in attesa.
“L’ho sentita parlare al telefono, qui fuori, mentre ero sul retro. Quella lì non porterà niente di buono, informava qualcuno della posizione di Percy e parlava di dare via ad un qualche piano.”
L’espressione di Ade si fece grave, mentre gli occhi di Maria mandavano scintille di preoccupazione. Dovevano escogitare un piano, immediatamente.
“Ragazzi, andate di sopra” sbottò improvvisamente l’uomo di casa. Tutte le teste scattarono verso di lui “adesso” aggiunse col tono di chi non ammette repliche. Seppur con riluttanza, i tre ragazzi salirono al piano di sopra, dirigendosi tutti in camera di Bianca; non era troppo piccola né troppo grande, ordinata e profumava di pulito. Sulla scrivania c’erano una pila di libri ed un computer ancora acceso, ma lei sembrò non farci caso e si sedette sul pavimento, seguita dagli altri due. Sorrise impercettibilmente quando le mani dei due ragazzi si incontrarono ed intrecciarono le dita, poi Percy parlò “Dobbiamo scoprire di che cosa vuole parlare vostro padre.”
“A che pro?” domandò con un sopracciglio alzato Nico “Siamo due ragazzi e mezzo, che cosa potremmo contro Poseidone ed i suoi sotterfugi?”
Bianca sbuffò, segno della sua disapprovazione sul piano di Percy “Ti posso elencare tre motivi per cui non dovremmo fare quello che dici: primo, se mio padre ci scoprisse ci chiuderebbe in una stanza e butterebbe via la chiave. Secondo, ribadisco ciò che ha detto mio fratello. Terzo, rallenteremmo tutto il piano d’azione.” Il sedicenne odiò ammettere che aveva ragione, ma si trovarono tutti e tre d’accordo sul fatto che rimanere lì seduti li facesse sentire inutili. A smorzare quello straziante silenzio fu il cellulare di Nico, che suonò avvisando l’arrivo di un messaggio. Il ragazzino lo aprì e lesse velocemente, sgranando gli occhi gradualmente fino all’ultima parola. Percy, notando la sua espressione, gli prese subito l’oggetto dalle mani e lesse velocemente ciò che un numero sconosciuto aveva scritto: ‘Non credere di averla vinta così facilmente, finocchio, il fatto che tu non sia a scuola non significa che non possiamo pestarti. Sappiamo dove abiti. –Ethan.’
Se Bianca rimase scioccata da quel messaggio, Percy prese a calci una sedia per evitare di urlare di rabbia: non potevano proprio lasciare il suo ragazzo in pace?.
Ai due adulti al piano inferiore non sfuggì il rumore, infatti si precipitarono su per le scale pensando al peggio. Constatarono poi che i ragazzi erano tutti interi, magari solo un po’ scossi, ed Ade non tardò a chiedere spiegazioni. Per tutta risposta gli venne mostrato il messaggio, chiaramente inviato da uno dei tanti bulli che lo tormentavano a scuola, e quando ebbe finito di leggere ne arrivò un altro ancora, che lesse senza neanche chiedere il permesso a suo figlio. Sempre da un numero sconosciuto, il messaggio diceva ‘Tieniti pronto, di Angelo. Questa volta farò in modo che ti dimentichi mio figlio a botte in testa.’
Maria osservò attentamente il marito, la cui espressione cambiò radicalmente da neutrale al furioso “Al diavolo l’autocontrollo, questo bastardo minaccia mio figlio! Lo ammazzo, altro che sangue freddo, lo ammazzo!”  Lanciò l’apparecchio elettronico sul letto e si precipitò giù per le scale, seguito a ruota dalla moglie; avendo le gambe più lunghe, il primo raggiunse subito la porta prima di poter essere fermato, per poi sbattersela alle spalle e montare in sella alla sua moto.
 
Percy passò attraverso la finestra di Bianca di soppiatto, cercando di fare meno rumore possibile. Mise una gamba sul ramo dell’albero di fronte a lui, poi sentì qualcuno stringergli con forza il braccio destro “Non fare idiozie!” sibilò il suo ragazzo, con gli occhi spalancati. L’altro gli rivolse un sorriso nel tentativo di rassicurarlo, mentre fece l’effetto contrario “Fidati di me.”
Si liberò delicatamente dalla presa e mise un’altra gamba fuori, per poi sedersi sul ramo con fare disinvolto. Rivolse un altro sorriso al quattordicenne, ora affiancato dalla sorella maggiore, che scuoteva la testa nell’immaginare cosa sarebbe accaduto di lì a poco, quando anche il fratello sarebbe dovuto scendere.
“Vedete? È completamente sicur-” si interruppe trattenendo a stento un urlo quando si sbilanciò un po’ più indietro, aggrappandosi alla pianta come se ne dipendesse la sua vita – beh, in un certo senso…
Nico scattò in avanti come per aiutarlo, anche se non sarebbe servito a molto dato che in teoria doveva gettarsi fuori dalla finestra e sul ramo con una velocità sovraumana, che non avrebbe avuto neanche col pieno delle sue energie e senza le ingiurie.
“Sto bene, sto bene” ridacchiò nervosamente Percy, facendo poi segno al suo fidanzato di raggiungerlo. Nico mormorò qualcosa tipo ‘dèi di tutte le mitologie proteggetemi’, per poi imitare gli stessi movimenti che aveva visto fare poco prima, arrivando alla meta senza nessun osso rotto, se non qualche piccolo dolorino dovuto ai lividi che decise di non menzionare. Bianca, sorprendentemente per tutti e due i ragazzi, si sedette sul ramo con un’agilità incredibile, come se fosse una cosa che faceva ogni giorno. Notando gli sguardi dei due puntati su di lei alzò le sopracciglia e disse “Beh? Pensavate che vi avrei lasciati andare soli o cosa?”
I tre scesero aggrappandosi al tronco, graffiandosi le mani e sentendo la corteccia dura e rude premere sui palmi ed ignorandola, pur di arrivare destinazione sani e salvi. Una volta coi piedi per terra, Nico sbatté Percy contro il tronco con un improvvisa forza “Adesso, geniaccio, ti degnerai di spiegarmi cosa cavolo hai in mente?!”
“Andare a scuola da Ethan, ovvio” fece l’altro, assottigliando lo sguardo “e non sarai di certo tu ad impedirmelo, mi dispiace. Quelli ti rendono la vita un inferno da troppo tempo, ed io pensavo che fosse tutto finito…e tu non mi hai detto niente, ma di questo discuteremo dopo. Non ho intenzione di rimanere fermo con le mani in mano quando tuo padre rischia probabilmente la vita per un casino che mio padre ha combinato!”
L’improvviso crollo emotivo di Percy sorprese gli altri due, che si scambiarono un’occhiata dubbiosa, poi Bianca fece un passo avanti con un sorriso rassicurante “Non c’è bisogno che tu rischi nulla, davvero, Percy.”
“Io devo proteggere Nico, me lo sono promesso, ed io mantengo sempre le promesse” asserì, e loro capirono che niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
“Se la metti così, allora, verremo con te.”
Nico guardò male prima Percy e poi Bianca, constatando “Questa è un’idea folle! Ethan avrà sicuramente degli amici che lo spalleggeranno, io non sono d’aiuto e figuriamoci Bianca, ci ridurranno a polpette!” finì per esclamare, ignorando il colpo di tosse che aveva dato la sorella quando l’aveva nominata.
Il primo gli rivolse un’occhiata di fuoco, la seconda una rassegnata. Era talmente testardo che avrebbe anche potuto legare Percy all’albero ed impedirgli di muoversi oppure addirittura scegliere di rimanere da solo in casa con sua madre, ma l’idea di stare con le mani in mano per chissà quanto tempo non doveva andargli a genio, tantomeno da solo. In più, se Maria lo avesse saputo gli avrebbe fatto confessare dov’erano andati gli altri due. Ricordandosi improvvisamente della madre, li spinse ad oltrepassare la staccionata e svoltare almeno l’angolo, per non essere beccati.
La scuola non distava molto da casa sua, cosa che lo innervosì ancora di più, e per tutto il tragitto strinse la mano di Percy e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Probabilmente vuole fargli cambiare idea, pensò Bianca roteando gli occhi alla testardaggine di suo fratello.
 
Ade parcheggiò la moto davanti a Zeus&Co., agenzia di viaggi nella quale gli era stato precedentemente offerto un posto di lavoro, ma che aveva rifiutato per evitare contatti con quel verme viscido che si ritrovava comunque ad inseguire. Sarebbe stato stupido da parte sua non recarsi prima lì.
“Ade!” l’esclamazione gioiosa di Zeus gli fece roteare gli occhi “sei venuto qui per unirti a noi, finalmente?”
“In realtà, no” fece seccamente, arrivando dritto al punto “sto cercando Poseidone.”
“Mi dispiace, ma è stato licenziato un po’ di tempo fa; era strano, nell’ultimo periodo…non so cosa avesse e neanche mi importa, non rendeva più ed avevo bisogno di qualcuno che facesse andare avanti la linea marina!” lo informò l’altro, per poi rivolgergli uno sguardo confuso quando lo vide soffocare imprecazioni poco carine da urlare in luoghi pubblici. Gli mise una mano sulla spalla con un’occhiata dubbiosa “Sei in qualche guaio, amico?”
L’altro si limitò a scuotere il capo, ringraziando il vecchio amico d’infanzia della sua disponibilità.
“Semmai ti servisse qualcosa, non esitare a chiamarmi” gli fece infine Zeus, porgendogli un biglietto da visita “per qualsiasi cosa.”
Dopo averlo ringraziato, Ade corse fuori dall’edificio e risalì in sella. Diede a tutto gas, sfrecciando fra le macchine con fare sicuro, deciso a non perdere neanche un secondo: se il suo ex migliore amico aveva un piano per far del male alle persone che amava, stava a lui ostacolarlo.
 
Il cortile della Goode era deserto.
Percy avanzò con passo sicuro verso l’entrata, e quando aprì le porte, si ritrovò davanti chi meno si aspettava: Ethan, Octavian e il loro gruppetto, erano scontati…ma ciò che realmente scioccò il ragazzo, fu vederli capitanati da Luke Castellan in persona. Quest’ultimo gli rivolse un ghigno “Ehilà, amico!”
“Luke…?Che significa tutto questo?” fece incredulo, guardandolo con gli occhi sgranati. Credeva che il biondo fosse suo amico, lo erano sempre stati, e vederlo con quello sguardo carico d’odio e disprezzo lo spiazzò ancor di più.
“Vorrei aver il tempo di offrirti il thé e spiegarti tutto, dato che a voi checche piace fare questo genere di cose,” esordì “ma temo che il mio capo non sarebbe contento se giocassi con le mie prede. Voi non credete, ragazzi?”
Gli altri cinque dietro di lui risposero con ‘sì’ misti a risate, mentre Percy spingeva dietro di sé Nico e Bianca.
“Davvero molto eroico da parte tua, Jackson” fece il biondo, avvicinandosi di un passo “ma temo che i tuoi  nobili tentativi di difesa saranno vani.”
Nico e Bianca vennero afferrati da altri due ragazzi, sbucati da chissà dove alle loro spalle, che gli tenevano le braccia bloccate dietro la schiena. Nonostante si dimenassero e scalciassero, non riuscirono a liberarsi dalla stretta ferrea nella quale erano stati bloccati.
“Mi sembra che tu sia in svantaggio numerico. Che peccato” sospirò con finta aria affranta.
“A che razza di gioco stai giocando?!” esclamò improvvisamente Percy, fino a quel momento troppo  sbalordito per riuscire a pronunciare qualsiasi cosa “noi due siamo amici, accidenti!”
“Può darsi che un tempo lo eravamo,” fece Luke “ma le cose cambiano. Le persone cambiano.
Percy guardò nervosamente ai suoi lati, cercando con lo sguardo una possibile via di fuga…se solo avesse avuto il modo di liberare gli altri due, bloccati dietro di sé!
 Vide sei ragazzi avvicinarsi a lui e chiuderlo in un cerchio, lasciandolo senza via di fuga. Si sentì spacciato, ma fu quando pensò a Nico, intrappolato tra le braccia di un’altra persona, che con uno scatto di rabbia caricò contro il ragazzo di fronte a sé, dandogli una spallata talmente forte da farlo cadere a terra. Gli arrivò un pugno dritto alla mascella, poi un altro, ed un altro ancora. Con la coda dell’occhio notò che Ethan caricava un calcio, perciò si abbassò prontamente e gliela afferrò, facendolo cadere con la schiena a terra; urlò per l’impatto col pavimento duro.
Octavian gli afferrò il polso, nel tentativo di contorcerglielo, ma fallì miseramente in quanto al suo avversario bastò opporre poca resistenza per troncare il suo attacco. Si avventò su di lui, ribaltando completamente la situazione con un calcio dritto nello stomaco che stordì il biondo. Sentì distintamente la voce di uno dei ragazzi che tenevano fermi Bianca e Nico dire “Adesso ci divertiamo un po’ anche noi,”
E poi la voce della prima che urlava “Non toccarmi!”
Gli bastò quella distrazione per beccarsi un pugno in pieno volto ed un calcio nella pancia che gli fece mancare il fiato. Cadde in ginocchio, mentre gli altri continuavano a sopraffarlo, e sentì anche la voce di Nico che lo chiamava, per poi urlare subito dopo “Non osare toccarmi, idiota!”
Sentì la rabbia ribollire al pensiero che stessero molestando il suo ragazzo, ma gli fu impedita qualsiasi mossa quando anche il primo ragazzo che aveva buttato a terra si riprese dalla botta e si unì agli altri, colpendolo ripetutamente ed in diverse zone. Sentì un calcio colpirlo dritto alla bocca – come minimo si sarebbe trovato con il spaccato –, poi quando pensò che se avessero continuato ancora per molto sarebbe svenuto, un urlo di dolore squarciò l’aria.
Tutti meno il sedicenne ancora inginocchiato a terra, con la vista troppo appannata dal dolore per poter vedere chiaramente, si voltarono verso Bianca di Angelo, che aveva prontamente tirato una ginocchiata nel ventre del suo aggressore, per poi colpirlo con una botta decisa in testa che non l’avrebbe ucciso, ma almeno messo fuori uso per un po’. La ragazza, sotto gli sguardi ancora sbalorditi del gruppetto, si avventò contro quello che bloccava suo fratello, intercettando lo schiaffo che aveva caricato e torcendogli il braccio. Anche Nico, approfittando della libertà di movimento del braccio destro, si affretto a caricare un pugno al naso. Quello urlò dal dolore e nel tenersi il punto ferito con entrambe le mani lasciò andare il quattordicenne, che si abbassò la maglietta – Percy registrò appena quel dettaglio, che lo fece andare ancora più in bestia. Se avevano osato toccare il suo piccolo, la avrebbero pagata cara. Approfittò quindi del momento di distrazione e prese Ethan ed Octavian, che erano di fianco a lui, per le caviglie tirandoli giù assieme a sé. Ignorando il dolore si alzò in piedi e si scansò appena in tempo per evitare un pugno da parte di Luke, sempre più irritato dalla sua opposizione di resistenza. Quest’ultimo tirò fuori un oggetto metallico dalla tasca – un coltellino svizzero, fu in grado di constatare il ragazzo dagli occhi verdi – ringhiando “Adesso basta, Jackson” lo spintonò contro gli armadietti e lo bloccò, puntandogli la lama addosso, ma l’altro era pronto e l’afferrò anche lui, spingendola quindi contro il corpo di Luke. Continuarono a fare pressione, appena consapevoli di quanto fosse strano che gli altri non si sentissero più, ma decisero entrambi di lasciar perdere e concentrarsi per non rimetterci la pelle.
Dall’altra parte del corridoio, Bianca aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans una fionda e dei sassi – ecco perché li aveva raccolti durante il tragitto, pensò il fratello – e mirava alla testa ed ai punti deboli (ma non mortali) dei suoi avversari, dando a tutti la stessa botta in testa che li avrebbe messi K.O. Fu quando notò Luke con un’arma in mano puntata su Percy che andò, per un attimo, nel panico. Nico scattò istintivamente in avanti, ma lei lo trattenne per un braccio, brandendo poi la fiondina e mirando esattamente alla mano del biondo.
“ACCIDENTI!” il suo urlo di dolore spiazzò tutti quanti, in primis la ragazza che non era del tutto sicura di poterlo centrare. Il coltellino era slittato in avanti, visto che Luke aveva mollato la presa per l’improvviso ed inaspettato dolore alla mano, così gli aveva tracciato una ferita non abbastanza profonda da essere considerata grave, ma abbastanza da lasciare una cicatrice. Percy venne poi trascinato via per mano da Bianca e Nico, che approfittarono dello shock di Luke per scappare via. Prima che lasciassero il cortile, sentì urlare al biondo “Ci rivedremo, Jackson, stanne certo!”
 
Ade scese dalla moto con uno sguardo che avrebbe intimorito persino il Dio stesso, sebbene fosse riuscito ad acquistare un po’ di autocontrollo. Si appoggiò alla moto con fare disinvolto, aveva già avvistato Poseidone sul porticato, ma decise di aspettare che fosse lui a fare il primo passo. Dopo qualche minuto di silenzio ed occhiate indagatrici, Ade prese parola “Che c’è, trovi più facile fare il duro coi ragazzini?”
L’altro si limitò a rivolgergli un sorriso a trentadue denti scendendo i gradini di legno ed avvicinandoglisi, tenendo però una certa distanza di sicurezza “Mi domandavo quando saresti arrivato!” esclamò, incrociando le braccia al petto “tu non fai mai ritardo.”
“Non sapevo fossi stato licenziato,” alzò entrambe le sopracciglia il più scuro dei due “probabilmente Zeus si è reso conto della feccia nella sua azienda.”
Poseidone ostentò noncuranza, ma si incupì visibilmente “Non tutti hanno una vita perfetta.”
“Sicuramente mio figlio non la ha” fece l’altro sentendo ritornare la rabbia di poco prima “visto che è costretto a non uscire di casa perché un uomo con evidente instabilità mentale gli sta facendo passare le pene dell’inferno, non credi?”
“Devo concedere al piccoletto che ha fegato: ha tentato di ribellarsi, qualche volta” un sorriso sardonico comparve sul volto dell’omicida “ed a quanto pare ha anche confessato.”
“Le tue minacce da quattro soldi non impediranno né a me né a mio figlio o al tuo di farti finire dentro, questa volta.”
“È buffo come tu, anche dopo aver perso la causa della bella Persefone, ti ostini a metterti contro di me” sospirò scuotendo la testa Poseidone.
“Non nominarla” ringhiò Ade, avvicinandosi improvvisamente al suo ex migliore amico e prendendolo per il colletto della maglietta “non osare. Come fai? Come fai a non odiarti, anche dopo-”
“Dopo averla uccisa?” completò per lui l’uomo con gli occhi verdi, scrollandoselo di dosso “Tutti moriamo, prima o poi. Le ho solo risparmiato le sofferenze della vita.”
“Sei pazzo” fece Ade scuotendo la testa con sguardo duro “consegnati, Poseidone, è meglio per te e per Percy.”
“Tu non sai cosa è meglio per mio figlio!” esclamò avvicinandosi nuovamente con uno sguardo folle, quasi maniacale “Percy sarà come me, da grande, non lascerò che tu o tuo figlio lo trasformiate in uno sporco schifoso frocetto, te lo puoi scordare!”
“Ti avverto: sto perdendo la mia pazienza”
“E allora cosa farai, quando la esaurirai, mi denuncerai? Con che prove? Quei lividi non valgono nulla, potrebbe averglieli procurati uno dei tanti bulli della scuola. Sei in trappola, Ade, ancora una volta ho vinto io.”
Quello mise in moto e salì sul veicolo con un sorriso di sfida “Bu-uh per te, amico” fece, guadagnandosi un’occhiata dubbiosa da Poseidone quando infilò la mano nella tasca del giubbotto. Ne tirò fuori un registratore, poi premette il pulsante ‘stop’ “questa volta ho vinto io. E tu pagherai doppio pegno.”
L’uomo dagli occhi verdi scattò in avanti, ma Ade sfrecciò prontamente sulla strada, perdendosi nel traffico.

 
Altro aggiornamento veloce, perché non smetterò mai di sorprendervi!:D
No, scherzo, è perché fra meno di mezzo mese inizierà la scuola e non avrò più tutto questo tempo per pubblicare, quindi approfitto del tempo libero e l'ispirazione che ho in questi giorni:3 
Sempre più colpi di scena, credetemi se vi dico che ho l'ansia anche io mentre scrivo xD P.S.: non so se avete notato, ma c'è stato un piccolo problema: il capitolo precedente è praticamente la copia di quello prima ancora. Provvederò a riscriverlo cercando di inserire tutto quello che avevo messo ^^'


 

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Capitolo 7
*** nuove, problematiche idee. ***


Okay, ho delle scuse da fare...^^'
Innanzitutto vogliate perdonarmi per il ritardo, ma la scuola è iniziata da poco e già mi massacrano...e poi, scusate per il conseguente capitolo corto. Purtroppo non sarò più in grado di aggiornare con la stessa frequenza di prima:/ Spero comunque che la storia vi interessi e continuiate a seguirla...see you soon!♥



Ade tirò fuori il cellulare che continuava a vibrare dalla tasca dei jeans neri, scendendo dalla moto e dirigendosi alla centrale di polizia; aveva tutto in pugno, quella volta.
“Ade?” la voce preoccupata di sua moglie lo fece bloccare all’istante “i ragazzi – non sono più in casa. Non ci sono.”
Soffocando un’imprecazione ritornò sui suoi passi, per poi rimettere in moto “Vado a cercarli io. Tu chiuditi in casa a chiave, non aprire a nessuno.”
“Che succede?”
“Ti spiego dopo, va bene? Ti amo” e riagganciò, accelerando il più possibile e sperando che nessuno di quei tre smidollati fosse in pericolo. Continuava a pensare al volto di Nico ricoperto di lividi, come l’avevano riportato a casa pochi giorni prima…immaginava anche Bianca, la sua piccola principessina, stesa a terra dolorante. E persino l’immagine di Percy lo preoccupò, immaginandoselo in condizioni pessime.
 Scosse violentemente la testa per scacciare quei pensieri pessimistici.
E fu a due isolati da casa che li vide: i suoi figli arrancavano per rientrare, sorreggendo un ragazzo decisamente più grande di loro ed in condizioni decisamente peggiori. Non esitò a sterzare, tagliando la strada ad un taxi nella corsia opposta (e beccandosi insulti di tutti i colori), per poi fermarsi vicino ai tre.
Lo guardarono terrorizzati, annaspando in cerca di qualcosa da dire, finché fu proprio il figlio di Poseidone a parlare “È tutto okay?”
Ade avrebbe potuto trovare anche toccante il fatto che il figlio del suo nemico si preoccupasse della sua incolumità, e che tenesse a suo figlio abbastanza da andare contro l’uomo che lo aveva creato, ma vederlo col viso incrostato di sangue gli fece venir voglia di completare l’opera e fargli anche l’occhio sinistro nero.
“Jackson” disse con voce mortalmente calma “sali sulla moto.”
Quest’ultimo lo guardò aggrottando la fronte, confuso, ma prima che potesse ribattere il signor di Angelo ripeté con decisione “Sali su questa dannatissima moto. E voi” continuò rivolgendosi ai figli “ci vediamo a casa.”
I primi due minuti di viaggio furono silenziosi, poi l’adulto parlò “Dovrei odiarti e invece mi riesce impossibile, tu non sei come tuo padre.”
“Grazie.”
“Non devi ringraziarmi, ragazzo, ma comincia a pensare a cosa dovrai dire in tua discolpa una volta tornati: voglio assolutamente sapere cosa diavolo vi abbia spinto ad ignorare i miei ordini e chi t’ha ridotto così.”
 
“Ragazzi!” esclamò sollevata Maria nel vederli varcare la soglia di casa. Abbracciò stretti Nico e Bianca, poi si portò una mano alla bocca nel notare le condizioni di Percy; lo prese per il braccio con delicatezza e lo fece sdraiare sul divano, correndo a prendere l’occorrente per disinfettare le ferite.
Nel frattempo Bianca e Nico raccontavano l’accaduto al padre, che li guardava con un’espressione neutrale invariata per tutto il tempo. Quando terminarono calò un silenzio fastidioso, rotto solamente dai sibili di Percy dovuti al bruciore del disinfettante.
“Non so se trovare più eroico o stupido quello che hai fatto, Jackson” fece ad un tratto Ade, scuotendo la testa.
“Io devo proteggere Nico, l’ho promesso” asserì l’altro per la seconda volta in un solo giorno. Si accigliò quando ricevette un’occhiata esasperata sia dal suo ragazzo che dal padre, cominciando a chiedersi se fosse davvero tanto assurdo volersi prendere cura di qualcuno che si ama. Fu sul punto di dar voce ai suoi pensieri, quando Maria lo precedette “Sappiamo che tu e Nico vi amate, Percy, ma devi anche capire che non possiamo permettere che tu rischi la vita.”
“Subisce violenze a scuola da un’eternità, schiaffi, pugni, sprangate, scritte sugli armadietti, foglietti attaccati alla schiena…” elencò allora il sedicenne, stringendo sempre più i pugni “non si può ignorare.”
“E non verrà ignorato” gli assicurò Ade, che aveva seguito il discorso con una mortificazione interna crescente: probabilmente, se suo figlio non avesse conosciuto con quel ragazzo, loro non avrebbero saputo delle violenze e in più nessuno l’avrebbe protetto. Da un’altra parte, adesso non avrebbe uno psicopatico che vuole ucciderlo alle calcagna. Si ritrovò a pensare ancora una volta che quel ragazzo era stato più una salvezza che altro, per la sua famiglia.
“Parlerò personalmente con il preside…quando tutto questo sarà finito, certo” poi gli si dipinse sul volto un sorriso sadico “volete vedere cosa ho qui con me?”
 
Percy soffocò un singulto, la faccia seppellita fra le braccia e le ginocchia strette al petto. Si ritrovò nella stanza di Nico, da solo, il corpo dolorante per via della rissa ed una marea di emozioni a sovrastarlo.
 Era arrabbiato, dispiaciuto, distrutto, provava un misto di sollievo e preoccupazione: per lui non poteva che essere una vittoria il fatto che Ade avesse le prove per incastrare l’uomo che torturava il suo ragazzo – se cercava di ignorare il fatto che quell’uomo fosse proprio suo padre. Aveva superato la fase della negazione piuttosto velocemente, è vero, ma accettarlo era ancora più straziante. Sapere che una persona alla quale hai sempre voluto bene andrebbe sbattuta in galera.  Quello che aveva sentito nel registratore era stato troppo, troppo da poter reggere.
“Percy?” Nico gli posò una mano sulla spalla, sentendolo tremare sotto il suo tocco.
“Sto bene” asserì velocemente il sedicenne, tirando su col naso ed asciugandosi le lacrime “tranquillo, sto bene.”
“Non è vero.”
“HO DETTO CHE STO BENE!” urlò con rabbia, voltandosi di scatto. Nico ritirò la mano, poi sussurrò esitante “Ehi, ehi…sono sempre io, il tuo Nico.”
Allora Percy si lasciò stringere da quelle braccia esili, sprofondando in quell’abbraccio e desiderando di poterci sparire.
Piano piano il respiro si fece più regolare, le lacrime smisero di scendere e cessò anche di tremare.
Le labbra del più piccolo incontrarono le sue in un bacio dolce, pieno d’amore. Preso alla sprovvista, Percy spalancò gli occhi per poi chiuderli lentamente e prendendo un respiro profondo. Da dolce, quel loro contatto diventò disperato, le lingue si scontrarono e le mani dei due cominciarono a vagare in posti prima mai esplorati.
“Ho bisogno di sentirti vicino” sussurrò Nico sorprendendo ancora una volta il suo ragazzo, che nel sentire quelle parole emise un ringhio insolito e lo spinse con la schiena contro il muro, facendolo sedere completamente per terra.
Non ci furono parole più vere: avevano entrambi la necessità di essere vicini in quel periodo difficile.
Si scambiarono baci e morsi disperati, passionali.
Baci d’amore.
La maglietta del quattordicenne volò a terra, seguita da quella del suo fidanzato. Nella stanza erano udibili solo i loro sospiri, poi il primo gemito di Nico che non tardò ad arrivare quando la lingua dell’altro passò sul suo addome.
“Basta” si scostò poi Percy “non è così che voglio che accada…la nostra prima volta. Non per disperazione.”
“Non posso fermarmi ora” sibilò il più piccolo, invertendo le posizioni e spingendolo contro il muro “voglio farti stare bene.”
Con ciò infilò una mano nei suoi boxer, abbassando velocemente i jeans e prendendolo in mano. Il sedicenne si morse il labbro per trattenere un urlo di sorpresa e piacere, poi istintivamente spinse i fianchi verso il suo ragazzo. Nico continuò il suo lavoro, senza fermarsi, godendosi quel contatto e lasciando dei baci caldi sul collo di Percy.
“Oh…dio” sussurrò quest’ultimo, per poi arrivare al culmine del piacere “oh.”
Spostò la mano verso il bottone dei jeans di Nico, ma quello lo fermò con un sorriso “Tu hai bisogno di me, ora, okay?” lo prese fra le braccia e gli posò un bacio sul capo “lascia che sia io a prendermi cura di te, per una volta”.
 
“Sei fregato questa volta, vecchio mio” scosse la testa Ermes, incrociando le braccia al petto e posando i piedi incrociati sulla scrivania. Poseidone lo guardò in cagnesco sia perché quella scrivania era un pezzo d’epoca e sia perché non lo stava aiutando a risolvere il suo problema. E non era una cosa da niente, era un problema di dimensioni abnormi.
“Ti ricordo che ci sei dentro anche tu, imbecille!” ringhiò allora, scacciando con uno spintone brusco i mocassini dal tavolo “hai messo in gioco tuo figlio, lo hai usato. Capisci che se io cado, ti tiro giù con me?”
Ermes fu tentato di tirargli uno schiaffo solo per il tono strafottente che aveva adoperato, ma invece sospirò e si passò una mano sul volto, pensando che accettando il denaro di quell’uomo aveva effettivamente concordato con lui che avrebbe messo a disposizione suo figlio e sarebbe automaticamente diventato suo complice. A volte si chiedeva se non fosse stato un po’ brusco da parte sua cercare di convincere Luke in modo così subdolo – convincendolo che una vita nel lusso con lui valesse l’abbandono di sua madre ed il pestaggio del suo migliore amico. Dentro si sentiva un verme, lo nascondeva a tutti tranne che se stesso, ma era il prezzo da pagare se voleva mantenere la sua elevata posizione nell’azienda di Zeus. C’erano delle quote da pagare, ed il figlio gli era sembrato una preda facile e sicura.
Proprio in quel momento Luke fece irruzione nella stanza, sbattendo la porta al muro “Vaffanculo!”
“Salve anche a te, figliolo” fece Ermes osservandolo mentre si gettava con rudezza sulla sedia di fianco a lui, poggiando i piedi sulla scrivania. Poseidone roteò gli occhi ma lasciò correre, concentrandosi poi sul taglio che il ragazzo aveva vicino al labbro.
“È stato il tuo bastardino a procurarmelo” fece vedendosi osservato “è un osso duro.”
“Come suo padre” sorrise sardonico quello, alzando un sopracciglio “ben ti sta, ti avevo detto di non esagerare con lui.”
Luke strinse i pugni costringendosi a non riempirlo di botte, piuttosto si voltò verso suo padre “Ora come si procede?”
Ermes si strinse nelle spalle, mentre Poseidone prese improvvisamente la giacca dallo schienale della poltrona “Io un’idea la avrei.”

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Capitolo 8
*** pentimenti ***


La prima cosa che i suoi occhi incontrarono quando si spalancarono fu il buio. Si mosse un po’ ed un dolore fastidioso si fece sentire sul fondoschiena; constatò di trovarsi con la schiena poggiata contro lo schienale di una sedia, poi provò a muovere le braccia ed un rumore tintinnante accompagnò il tentativo: era incatenata.
Prima che il panico potesse avere la meglio su di lei, la porta si aprì e subito dopo una luce bianca la costrinse a chiudere gli occhi.
“Ben svegliata, mia cara” la voce familiare di suo marito fece voltare la donna.
Lo fulminò con lo sguardo, ignorando la violenza contrastante della luce bianca col nero di poco prima, consapevole che lui fosse in grado di leggerla più in profondità e captasse l’aura di paura attorno a lei. Nonostante ciò non si scompose, mantenne la testa alta e spostò poi lo sguardo carico d’indignazione sull’altro uomo di fianco a lui.
“Che diavolo significa tutto questo?”
“Oh, per fortuna hai parlato, pensavo avessi perso l’uso della parola” sorrise genuino il marito, prendendo ancora una volta parola.
“Esigo che tu mi liberi, ora.
“Sarà fatto, sarà fatto” scacciò la questione con un gesto noncurante della mano “ma, prima, devo sistemare alcune cosette e tu sarai un’esca perfetta, mia amata Sally. Non è ancora il momento, comunque, manca poco…” sembrò soppesare le parole, mentre si avvicinava. Poi un altro sorriso inquietantemente sincero “Per ora riposa.”
Poi di nuovo tutto buio.
 
Percy si sentiva uno schifo.
In primis perché si era accorto con vergogna di non aver parlato con sua madre per giorni, lasciandola a casa sola (nelle grinfie di un assassino, tra l’altro) e preoccupata.
In secondo piano perché si sentiva un peso per Nico, che gli stava vicino in un modo che avrebbe potuto definire asfissiante se la compagnia di quest’ultimo non fosse stata così piacevole e ben accetta. Non lo avrebbe negato né a sé stesso né a nessun altro: nonostante le pessime circostanze, la nuova vicinanza e le attenzioni che si scambiavano non gli dispiacevano affatto.
Così quel pomeriggio, notando il ragazzo prossimo ad un esaurimento nervoso, Ade aveva sbuffato ed aveva messo il libro che stava leggendo da parte, invitando Percy a rendersi presentabile per fare una visita alla madre.
Roteò gli occhi quando sentì vagamente Bianca bisbigliare a Nico che se aveva interrotto la lettura per lui, allora Percy doveva proprio cominciare a piacergli. Il fratello si limitò ad un sorrisetto appena accennato, con gli occhi vacui ed il pensiero chissà dove; ma la fortuna non doveva essere dalla parte del sedicenne, che proprio in quel momento ricevette una chiamata.
“Pronto?” fece con espressione accigliata.
“Tesoro?” la voce rotta di sua madre gli provocò uno scossone improvviso, come se avesse preso la corrente. Spalancò gli occhi ed annaspò, non riuscendo a tirare fuori la voce, ma lei continuò “tesoro, come stai?”
“M-mamma? Dove sei?” domandò allora il figlio.
Ade, che stava ascoltando attentamente ciò che diceva, assunse un’espressione preoccupata. Nico aveva poggiato di scatto la mano sul braccio di Bianca nel sentire il suo ragazzo nominare la madre, e glielo stringeva convulsamente in preda al panico.
“Ascoltami bene figlio mio, okay? Qualsiasi cosa accada, ricorda che ti amo più della mia vita. Qualsiasi cosa accada – non lasciare quel ragazzo, lui ti ama!” pronunciò di fretta e furia quelle ultime parole, prima che si sentisse un trambusto e delle urla. Percy la chiamò a gran voce, ma fu inutile. Poi qualcun altro prese il telefono al posto suo.
“Figliolo” la voce di suo padre gli fece gelare il sangue nelle vene.
“Che cosa le hai fatto, bastardo?!” urlò, con uno sguardo allarmato e pieno di rabbia.
“Che cosa le ho fatto? Vorrai dire cosa tu le hai fatto…se tu non stessi con quel ragazzino, adesso niente di tutto ciò sarebbe accaduto.”
“Io lo amo” disse in un mormorio appena udibile, con gli occhi che si inumidivano. La rabbia andò via via scemando, dando spazio alla stanchezza ed alla spossatezza che tutti quegli eventi gli avevano arrecato.
Nico arrossì violentemente a quelle parole, ed ignorò lo sguardo di suo padre che per una frazione di secondo si posò su di lui.
“Cosa vuoi saperne tu, dell’amore?” gli domandò divertito Poseidone, come se fosse tutto un gioco.
“Ne so sicuramente più di te. Amore è svegliarmi la mattina con lui accanto e rimanere a guardarlo finché apre gli occhi, sentire lo stomaco in subbuglio quando mi sorride, tenerlo per mano davanti agli altri perché non mi vergogno di quello che siamo. Amore non è sesso, né tanto meno uccidere, papà.
Pronunciò quell’ultima parola con disprezzo, caricandola di tutto l’odio che provava per quell’uomo. A quel punto Ade gli prese il telefono di mano ed ringhiò “Cosa pensi di fare?”
“Caro vecchio amico!” fece allegramente Poseidone “pensavi che ti avrei lasciato andare via con le prove? Davvero pensavi che fosse così facile?”
“Lascia in pace quella donna. Non ti ha fatto niente.”
“Che c’è, ti penti di quello che hai fatto? Sbaglio o ti sei pentito anche di aver lasciato andare Persefone a quella festa?”
Prima che potesse ribattere, gli venne chiusa la chiamata in faccia.
Una cosa era sicura: una volta preso Poseidone, lo avrebbe ammazzato con le sue stesse mani.
 
Percy voleva stare da solo.
È comprensibile, continuava a ripetersi Nico. Nonostante ciò, il pensiero del suo ragazzo da solo, in angolo della sua stanza, continuava a tormentarlo. Non riusciva proprio a smettere di pensare alla situazione nella quale si erano cacciati. Il peso di quella storia gli gravava sulle spalle, e non riusciva a fare a meno di sentirsi la causa di tutto.
Calciò una pietra e guardò la strada davanti a sé: c’era un gran silenzio, interrotto solo da qualche macchina sporadica che passava di tanto in tanto. Aveva deciso di uscire per camminare, incapace di rimanere fermo con le mani in mano tra quelle mura che lo stavano opprimendo, e schiarirsi un po’ le idee.
Doveva mettere in ordine i pensieri.
La sua mente corse alle parole che il suo ragazzo aveva detto al telefono, rimastegli incastrate nella testa come uno di quei motivetti che continui a cantare tutto il giorno.
Io lo amo.
Sapeva che sentirsi colpevole per non esser stato il primo a dirlo era stupido, ma un pochino di pentimento lo aveva. Sulle prime si era dato del cretino: tutti i dubbi e le incertezze erano stati inutili. Poi ci aveva ben riflettuto ed era arrivato alla conclusione che il rapporto tra lui e Percy era molto più profondo, e che quel minimo dettaglio non avrebbe cambiato di una virgola la loro relazione. Quindi adesso pensava a quelle parole con un gran sorriso sulle labbra, uno di quelli che quando li vedi ti chiedi ‘che avrà mai da sorridere come un ebete quello?’. Ma era bello avere qualcosa di bello a cui appigliarsi in un periodo così buio, un pensiero che, almeno per un po’, avrebbe tenuto lontani tutti i problemi.
Perso fra i suoi pensieri, andò a sbattere contro qualcosa.
O meglio, qualcuno.
E fra tutti i qualcuno del mondo, indovinate in chi incappò?
“Luke?” voleva essere un’esclamazione, ma la sorpresa la fece uscire più come una domanda.
Il più grande abbassò lo sguardo su di lui e storse le labbra quando lo vide arretrare, spaventato.
Non era questo che voleva.
“Ehi, Nico” sorrise poi incerto, alzando la mano a mo’ di saluto “stavo giusto cercando te.”
“Me?”
“Sì. Io…senti, non sono bravo con queste cose, okay? Però volevo solo che tu sapessi che mi dispiace.”
“Pensi che un ‘mi dispiace’ basti a sistemare quello che hai fatto? Avevi un coltello, porca miseria!” esclamò improvvisamente  Nico, aggrottando sempre di più la fronte con ogni parola pronunciata.
Luke sospirò, e per un attimo il pensiero di suo padre lo sfiorò e sentì la rabbia montargli in corpo “Non è questo che voglio! Non voglio essere un criminale, voglio essere un ragazzo con una famiglia come tutti gli altri!” urlò allora, gettando le braccia al cielo con gli occhi lucidi “volevo essere qualcosa, volevo essere accettato. E non ci sono riuscito.”
Si lasciò cadere a terra in ginocchio, scuotendo appena la testa e seppellendo il viso fra le mani. Nico abbandonò la sua postura difensiva e gli si avvicinò con cautela “Tu capisci che io non posso fidarmi così su due piedi dopo che hai fatto quello che hai fatto, vero?”
Il biondo annuì, poi continuò a parlare “Mi ha detto che avevo fallito, che non valevo niente…poi però l’ho capito. Lui ha fallito, non io.”
Nico non sapeva di chi stesse parlando, ma riuscì a percepire il dolore e la delusione nella sua voce. Per un attimo fu sul punto di lasciarlo lì, inerme in mezzo alla strada.
Che motivo aveva per consolarlo, dargli una spalla su cui piangere?
Quindi si alzò e gli diede le spalle, dirigendosi verso casa sua. Riuscì comunque a fare qualche passo prima di voltarsi, tornare indietro e posargli una mano sulla schiena “Alzati, dai. Ti porto a casa mia.”
 
“Sicuro di potermi aiutare?” fece Ade, aggrottando le sopracciglia e lanciando uno sguardo fugace a Percy, seduto vicino a lui. Era uscito da quella camera devastato, e nonostante il consiglio di Ade di andare a risposarsi – sembri un mostro con quelle occhiaie, ragazzo – lui aveva insistito per rimanere ad ascoltare cosa aveva da dire Zeus in merito alla situazione.
“Certo che posso!” esclamò quest’ultimo, con la solita superbia che lo aveva sempre contraddistinto. Nonostante ciò, però, Ade sapeva di essere in buone mani: se c’era un uomo davvero potente, quello era proprio Zeus Grace. Uno coi controcazzi, insomma.
La porta principale si aprì, ed Ade lanciò uno sguardo sopra la sua spalla per veder entrare suo figlio con un altro ragazzo.
“Luke?!” esclamò allora Percy, alzandosi di scatto. Nico si bloccò all’istante, indeciso sul da farsi, poi spalancò gli occhi guardando oltre la figura del suo fidanzato. Il suo sguardo si posò sul figlio di Zeus, arrivato poco prima col padre.
“Jason?!”



Salvee!:D
Eh già, sono ancora viva.
Vi ho lasciati con un bel colpo di scena, perché mi piace farvi stare sulle spine. Jason e Nico già si conoscevano? WHAAT? :P Chissà cosa partorià la mia mente malata per il prossimo capitolo, ormai divisa a metà tra Percico e Jasico. ewe 
Beh, che dire? Grazie a tutti quelli che continuano a seguirmi, vi adoro!♥

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Capitolo 9
*** Litigi e riappacificazioni ***


Capitolo di transizione, non è fondamentale per la storia ma ho voluto aggiungerlo. Spero vi piaccia. Ho davvero pochissimo tempo, quindi scappo!^^


Appena Percy registrò la presenza di Luke, si scatenò il putiferio. Il fatto che Nico conoscesse Jason passò in secondo piano, ma fu abbastanza infastidito dall’espressione piacevolmente sorpresa del suo ragazzo che si scagliò contro il biondo appena entrato in casa col doppio della forza necessaria. Nonostante ciò Ade e Zeus lo fermarono appena un secondo prima che si gettasse addosso a Nico, paratosi davanti a quello che era stato il suo aggressore per difenderlo.
“Lasciatemi, lo ammazzo!” ringhiò con rabbia, “che cos’è, una specie di trappola? Adesso abbiamo il nemico in casa?”
Bianca osservava la scena preoccupata, con una mano sulla bocca e l’espressione sconvolta. Anche Nico era rimasto scioccato dalla reazione furiosa e quasi al limite della pazzia del suo ragazzo, ma si riscosse presto da quello stato di trance per andargli incontro con calma.
Se avesse provato a trattenerlo con le sue sole forze sarebbe subito stato scartato, per questo ringraziò chiunque ci fosse sopra di loro per la presenza di suo padre e di Zeus. Tentò un approccio il più delicato possibile, con movimenti e parole pacate “Percy, tesoro? Ascoltami…”
Ma il suo ragazzo continuava a divincolarsi come un dannato.
“Percy!” gridò allora stringendogli il viso fra le sue mani con forza e costringendolo ad incatenare i loro sguardi; si lasciò cadere quindi al suolo improvvisamente, tutta l’adrenalina e la furia cieca di qualche momento prima magicamente scomparse. Nico si prese qualche momento di  riflessione, tenendo i suoi occhi scuri puntati in quelli verdi e chiedendosi da dove fosse spuntato fuori lo sguardo irato che il sedicenne mai aveva avuto prima di quel momento. Quindi la spiegazione più plausibile gli soggiunse pensando che fosse stato vittima di un crollo nervoso: tutti quegli eventi sconvolgenti lo avevano scosso a tal punto da fargli perdere la ragione.
Perciò fece un respiro profondo e porse la mano a Percy, che l’afferrò e si fece trascinare in camera sua senza alcuna protesta, se non un’occhiata diffidente alle sue spalle prima che porta gli si richiudesse dietro. Nico lo fece sedere sul letto accanto a lui, e dopo essersi assicurato che non avesse alcuna intenzione di scappare, gli lasciò la mano.
“Mi dispiace averti spaventato” sussurrò allora Percy guardando il pavimento, sconsolato.
“Non fa niente,” gli sorrise il più piccolo con dolcezza; non gli mentì dicendogli che non lo aveva terrificato, da una parte perché sperava che essendone consapevole l’altro avrebbe cercato di mantenere il controllo, da un’altra perché non rientrava nella sua indole dire bugie. Lo infastidiva, anzi.
“Perché lo hai portato qui?” domandò qualche secondo dopo, accigliandosi e guardandolo ancora con diffidenza.
“Non guardarmi in questo modo, Perce” fece allora Nico, accigliandosi anche lui “non sono qualche tuo nemico. Nessuno in questa casa lo è, chiaro? Luke mi ha detto che si è pentito di quello che ha fatto, è scoppiato in lacrime in mezzo alla strada – che dovevo fare, lasciarlo lì?”
“Magari, quello sporco bas–”
“Lasciagli almeno spiegare!”
“Spiegare cosa? Aveva un cazzo di coltello, Nico! Mi dispiace, ma io non gli credo.”
“Non puoi provare ad ascoltarlo?”
“Oh andiamo! Solo perché un biondino ti fa gli occhietti dolci non significa che sia sincero! Hai una certa preferenza per i biondi dopotutto, no?”
“Questo cosa centra adesso?!” replicò con la stessa foga il quattordicenne, iniziando a stizzirsi per il comportamento irragionevole dell’altro.
“Come se non abbia notato lo sguardo che hai fatto al figlio di Grace! Mi credi stupido, forse?”
“Io e Jason siamo solo amici d’infanzia!”
“Hai già deciso quale dei due masturberai alla prima occasione?”
Sputò l’ultima frase di getto, quasi senza pensarci, ed un secondo dopo si rese conto di ciò che aveva realmente detto “Nico…”
Il cuore gli si spezzò in due quando vide i suoi occhi neri pieni di lacrime ed odio. Prima che potesse aggiungere altro, il più piccolo dei due uscì correndo dalla stanza.


Era passata circa un’ora da quando Ade aveva tassativamente vietato a Nico di uscire di casa.
Un’ora che Percy non usciva da quella dannata camera, che Nico stava seduto sul divano con gli occhi rossi e fissava lo schermo nero della televisione.
“Ragazzo, sappi che qualsiasi informazione tu abbia da darci può esserci utile” Zeus si rivolse a Luke, che nel frattempo aveva avuto la possibilità di spiegare davvero molte cose.
“E sappi che se scopro che ci prendi in giro ti sevizierò personalmente” annuì Ade, incrociando le braccia sul tavolo e preparandosi ad ascoltare il ragazzo. Quello deglutì, poi incominciò a spiegare quello che sapeva dei piani di Poseidone e la parte che lui avrebbe dovuto svolgere in tutto ciò.
“Tu saresti dovuto essere un diversivo, in poche parole” si intromise Jason (che nel frattempo si era spostato vicino a Nico), quando l’altro terminò il discorso “voglio dire, mentre Poseidone cercava di mettersi in contatto con Ade tu dovevi provocare Percy, cosicché Nico lo avrebbe seguito e voi lo avreste preso.”
“In parole povere, sì” annuì Zeus, nascondendo sotto il gelo di quegli occhi blu l’orgoglio che provava per suo figlio “ma il vecchio Poseidone ha calcolato proprio tutto nei minimi dettagli. Se la combriccola di Luke non sa niente di tutto questo intrallazzo che c’è sotto, si limiteranno ad aspettare suoi ordini – primo problema risolto. Rimane però l’interrogativo più grande…”
“Dove si trova Sally?” concluse per lui Ade.
Cadde un silenzio assordante quando Percy scese le scale. Tutti gli sguardi (meno quello di Nico) si puntarono su di lui, che era invece concentrato sulla vicinanza di Jason e del suo ragazzo. Strinse i pugni e si andò a sedere come se non fosse successo niente poco prima, poi domandò “Avete scoperto qualcosa?”
“No” sospirò Jason dal divano, ma si zittì quando gli venne lanciata un’occhiata truce.
“Non possiamo stare con le mani in mano” dichiarò, risoluto “ho bisogno di trovare mia madre.”
“Luke ci ha detto-”
“Non gli credo. Qualsiasi cosa dica, io non gli crederò” Zeus lo guardò di sbieco, infastidito da quell’interruzione.
Maria gli mise una mano sul braccio, tentando di placarlo con uno dei suoi sorrisi materni “Percy, ascolta…”
“No” fece brusca Bianca, battendo una mano sul tavolo “basta dire cazzate, qui bisogna mettere le carte in tavola: vuoi ritrovare tua madre? Noi possiamo aiutarti, ma solo se tu accetti il nostro aiuto. Non possiamo stare qui a correrti dietro e metterti tutto su un piattino d’argento, sarai anche la vittima di questa situazione, ma io non ho intenzione di stare qui ai tuoi servigi solamente perché non sai gestire le tue emozioni! Questo ragazzo è venuto ed ha chiesto umilmente scusa, e ci sta anche offrendo una mano mettendosi nei guai con suo padre. Che altro vuoi?”
Quando finì di parlare aveva il fiatone e lo sguardo adirato, in più gli occhi di tutti puntati addosso. Aveva ragione, ma nessuno puntualizzò che aveva rincarato la dose perché già piccata di suo. Sapeva che era colpa di Percy se Nico era sceso in lacrime dal piano di sopra. Era semplice istinto di protezione da sorella maggiore, qualcosa che non si poteva controllare.
“Ora, il massimo che possiamo fare per ora è aspettare” fece Zeus con tono pratico e sbrigativo “qui sul computer sto cercando di rintracciare il telefono di Poseidone, ma non posso garantirti nulla di certo oppure immediato.”

“Posso parlarti?” la voce di Luke fece irrigidire il sedicenne, ma gli bastò dare uno sguardo a Jason e Nico che parlottavano a bassa voce per decidere che non averli davanti agli occhi per un po’ gli avrebbe fatto bene. Quindi annuì e seguì il biondo in giardino.
“Percy, sono davvero pentito di ciò che ho fatto” esordì quello che era il suo migliore amico “ma…okay, sarò onesto con te: è stato per mio padre.”
“Tuo padre? Ma…ma avevi detto che era morto! Non mentire!” esclamò Percy stringendo i pugni “Cerchi anche di prendermi in giro?”
“No!” parò le mani davanti in segno di difesa Luke “anche io credevo che lo fosse, ma si è rifatto vivo all’improvviso…e mi aveva promesso tante cose, troppe. Mi aveva detto che potevamo essere una famiglia di nuovo, che sarebbe stato tutto perfetto…io volevo solo renderlo orgoglioso, capisci? Ma ho capito troppo tardi che erano tutte bugie. Menzogne.”
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, Luke con il capo chino e Percy con lo sguardo assorto nei suoi pensieri. Poteva biasimarlo per quello che aveva fatto? Conosceva già la risposta: no. Semplicemente perché, per quanto all’apparenza fossero diversi, dentro erano troppo simili. Entrambi disposti a qualsiasi cosa pur di impressionare e rendere orgogliosi i propri genitori, ponendo il mondo prima di loro e cercando di dare il mondo a chi amavano. Gli passò Nico per la testa e perse un battito, poi lo stomaco gli si strinse in una morsa fastidiosa.
“Non è mai troppo tardi” quando Luke sentì la voce di Percy vicino alla sua alzò lo sguardo con un sorriso incerto sulle labbra. Gli tese la mano “Amici?”
“Amici” acconsentì l’altro stringendola e facendogli cenno di seguirlo dentro.
Il caso volle che, una volta rientrati, Percy si scontrasse con Jason. Il primo fece cenno a Luke di andare avanti e quello, dopo aver lanciato un’occhiata preoccupata ai due, se ne andò. Il biondo rivolse un sorriso incerto al ragazzo difronte a lui, che lo guardava con occhi distaccati e freddi “Ehi, amico, tutto apposto con Luke?”
“Non so quale sia il tuo gioco” sibilò minaccioso, riducendo gli occhi a due fessure “ma sappi che Nico è mio. Non ho intenzione di guardarti mentre tu me lo porti via, perciò ti dirò solo una cosa: attento a quello che fai.”
Con una sorta di finalità lo sorpasso dandogli una spallata ben assestata e lasciandolo con un’espressione a metà tra il confuso e l’arrabbiato davanti la porta d’ingresso.

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Capitolo 10
*** sentimentalismi fraterni ***


Ade era sempre stato un uomo misurato, capace di prendere ogni situazione con ragionevolezza e trovare un modo per risolvere i problemi con calma. Eppure si ritrovò ad ammettere a sé stesso che quella situazione lo stava mandando completamente fuori di testa; non solo quella mattina aveva notato con costernazione di avere un aspetto terribile (colpa dell’agitazione e le poche ore di sonno), ma aveva appena preso atto del comportamento strano che aveva con i suoi figli. Se prima il rapporto con loro non fosse mai stato proprio confidenziale, adesso si preoccupava per la loro incolumità in modo che, in altra situazione, si sarebbe potuto definire esagerato; se Maria aveva avuto una reazione piuttosto preoccupata al suo comportamento, si stupì che Bianca non osò lamentarsi del suo controllare ogni poco che stesse bene (anche facendo irruzione in camera senza bussare), per poi convenire con sé stesso che era da sempre stata una ragazza intelligente e percettiva. Di quel periodo era forse quello ciò che più lo snervava: il pensare continuatamente a qualcosa, il correre continuatamente del suo cervello che non gli lasciava neanche un attimo di riposo; e non contribuiva a calmargli i nervi il fatto che da due giorni fosse tutto apparentemente fermo (nonostante l’insistenza di Zeus, che gli assicurava del proseguimento delle indagini), e tutto così dannatamente calmo. Semplicemente non poteva starsene tranquillo, dal momento che un pazzo a piede libero avrebbe potuto combinare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Inoltre ci si mettevano anche suo figlio ed il suo ragazzo con i loro problemi sentimentali…faceva tanto bene, il povero don Abbondio, a pensare Ragazzacci, che, per non saper che fare, s’innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro; non si fanno carico de’ travagli in che mettono un povero galantuomo.’ Quindi, arrivato a citare i Promessi Sposi, Ade pensò di essere completamente partito.
“Ade?” Maria lo ridestò dai suoi pensieri con un cipiglio preoccupato, mettendogli una mano sul braccio “tutto bene?”
“Tutto bene” sospirò lui, massaggiandosi le tempie.
“Non si direbbe: stai osservando quel caffè da venti minuti buoni…”
“Questa situazione mi sta snervando e non poco” confessò brevemente il marito, per evitare di farla preoccupare più di quanto non lo fosse già; effettivamente Maria in quelle notti stava dormendo pochissimo, svegliata spesso e volentieri da incubi oppure incapace di prendere sonno per l’ansia. Era sempre stata una donna delicata, Ade lo sapeva, nonostante lei indossasse quella perfetta corazza da guerriera. Perciò per un attimo si diede anche dell’egoista, nel pensare a quanto quella storia stesse disturbando lei;  nel silenzio della casa in quelle prime ore del mattino, quando fuori tutto era buio e taceva, l’attirò a sé e le posò un bacio tra i capelli scuri, assicurandole che si sarebbe aggiustato tutto quanto.


Da ché Nico potesse ricordare, lui e Jason erano sempre stati ottimi amici. Avevano condiviso non solo la stessa camera e gli stessi giocattoli con l’innocenza e la pura gioia di condivisione dei bambini, ma anche le loro esperienze più divertenti e più tristi della loro adolescenza. C’era stato un particolare momento, poi, in cui il più grande era dovuto andar via per un Campo estivo dall’altra parte del Paese ed avevano perso ogni contatto. Probabilmente vederlo aveva riportato alla mente del quattordicenne tantissimi bei ricordi, e perciò era rimasto piuttosto scosso dal suo arrivo; comunque non poteva che fargli piacere ricevere visita proprio da lui, ma dovette ammettere a sé stesso che negli ultimi due giorni il ragazzo si comportava in modo stranissimo. Già aveva il comportamento strampalato di suo padre di cui preoccuparsi (nda: ed un ragazzo psicolabile), l’ultima cosa che gli serviva era un dramma di altro tipo; ma Nico era sempre stato un ragazzo molto sveglio, ed i dubbi che già aveva in precedenza gli sembravano ogni giorno più sensati e veri.
“Nico?” la voce di Percy lo fece sussultare; tra di loro le cose non erano affatto migliorate, dopo quel litigio, ma d’altra parte non avevano avuto ancora occasione di parlarne in privato. Effettivamente si ritrovò ad ammettere che Jason era sempre in mezzo, ma decise di accantonare quel pensiero quando pensò alla reazione che avrebbe avuto il suo ragazzo nel sentirlo dire una cosa del genere. Gli dispiaceva per Percy, davvero, però non poteva togliersi dalla testa le parole cattive che gli aveva rivolto. In più, anche lui come il suo amico biondo aveva assunto un’aria troppo strana…i due si lanciavano in modo continuo occhiate di circostanza e sembravano sempre sul piede di guerra. E, cosa più snervante, gli riservavano anche troppe attenzioni.
“Dimmi, Percy” sospirò allora il più piccolo, tenendo gli occhi puntati sullo schermo nero del televisore. Una piccola parte di sé (nonostante il suo orgoglio urlasse di non aver bisogno del suo ragazzo) sperò che l’altro approfittasse di quel momento intimo per poter discutere della loro lite.
“Io volevo parlar-” il sedicenne venne interrotto dall’irruzione in camera di Jason, che, con una torta incartata in mano, urlò “Nico, ti ho comprato una torta!”
Sarebbe potuto essere anche un pensiero carino, se quella non fosse stata la seconda in due giorni. Allora il quattordicenne sgranò gli occhi quando, irato, Percy si rivolse a Jason intimandogli di uscire, perché erano impegnati. Si misero quindi a discutere su come Nico non fosse proprietà di Percy, e su come Percy avesse il diritto di parlare in pace con Nico, finché improvvisamente il diretto interessato della questione si alzò urlando “Basta!”
Nel sentire il suo schiamazzo Bianca si affacciò alla porta, ma il fratello era troppo preso dalla sua crisi di nervi per poterla notare.
“Non sono un fottutissimo trofeo al quale dovete ambire! Cos’è diventata, una specie di gara? Tu” fece rivolgendosi verso Jason “ti facevo più maturo. E tu…” si voltò verso Percy con le lacrime agli occhi e l’espressione ferita “tu mi hai deluso, davvero. Pensavo fossi più di questo per te, più di un bel giocattolo da esibire. E invece mi sbagliavo…uscite e non fatevi più vedere!” vennero scacciati malamente, e la porta fu chiusa in faccia anche a Bianca.
Quando si ritrovarono tutti e tre nel corridoio, lei li guardò con disapprovazione per poi sparire in camera sua.
Stupidi ragazzi, c’era anche da badare a loro.
 

Quando la porta della sua camera cigolò, Bianca pensò che ad uno dei due matti fosse venuto in mente di chiederle consiglio su Nico. Invece si sorprese quando, con espressione turbata, vide quest’ultimo sulla soglia della porta.
Le si spezzò il cuore: sembrava davvero smarrito.
“Posso entrare?” fece, insicuro. A Bianca sembrò per un attimo lo stesso bambino di cinque anni che piangeva la notte per i suoi incubi, e poi andava da lei per farsi coccolare. Quindi gli fece segno di andarsi a sedere vicino a lei, e l’altro si chiuse la porta alle spalle per poi raggiungerla.
“Che cosa ti turba, caro fratellino?” gli chiese cercando di scherzarci su, e lui rispose con un sorriso forzato; si lasciò andare contro il suo corpo, e lei lo abbracciò, tenendolo in grembo come quando era solo un bimbo impaurito.
“Pensi che tutta questa storia di Percy sia sbagliata?”
Se quel contatto fisico l’aveva sorpresa, la domanda la colse completamente impreparata: suo fratello non era mai stato un tipo che si lasciava andare a discorsi sentimentali, neanche con lei. Perciò rimase piuttosto basita, e sulle prime aprì la bocca senza sapere cosa rispondere. Il suo silenziò iniziò a spaventare il fratello, finché poi si decise a parlare.
“Assolutamente no” decise alla fine “Percy è un cretino, è vero, però una cosa è certa: quel ragazzo è pazzamente innamorato di te. Il problema è che con tutta questa storia ci si è aggiunto Jason, che ha le sue manie di protagonismo anche lui, e quindi non si è controllato. Però ti ama, eccome se ti ama, caro fratellino…vallo a trovare un altro che mette in gioco tutta la sua vita per te.”
Nico rimase in silenzio per un po’, e Bianca pensò che stesse solamente riflettendo sulle sue parole. Poco dopo abbassò lo sguardo sul suo viso, illuminato dalla fioca luce dell’abat-jour, e si accorse che si era addormentato. Attenta a non svegliarlo, lo coprì e si sdraiò accanto a lui con un sorriso impercettibile sulle labbra. Subito lui la avvolse in un abbraccio affettuoso, quindi nascondendo il viso fra i capelli lunghi di lei Nico mormorò “Ti voglio bene, sorellona.”
“Anche io” sussurrò Bianca prima di addormentarsi.

 

 


  Okay, piccolo capitolo leggero per smorzare un po’ la tensione che si è creata nei capitoli precedenti. Dopo un Ade ai limiti dell’esasperazione che cita i Promessi Sposi, un Percy che cerca disperatamente di parlare col proprio ragazzo, un Jason folle con la mania per le torte, ed i due litiganti, per il prossimo capitolo aspettatevi un disastro. L’unica nota un po’ triste, che a me ha fatto tanta pena, in questo capitolo è Nico. Poveraccio D: Spero di poter aggiornare più velocemente, dato che sto già iniziando il prossimo capitolo ^^

P.s.: mi scuso se per molti sarà un po' cortino, però mi serviva solo come capitolo introspettivo per Nico. Avevo pensato di utilizzarlo come shot in una raccolta di missing moments che ho intenzione di aprire dopo, però poi ho deciso di inserirlo ugualmente.

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Capitolo 11
*** rapimento ***


Ade si era ripromesso di comportarsi in modo più ‘normale’, per alleggerire il peso di quella situazione che gravava sulla casa. Eppure quel suo buon proposito venne meno quando, il giorno dopo alle sei del mattino, si svegliò di soprassalto all’urlo terrorizzato proveniente dalla camera di sua figlia. Prontamente saltò dal letto e corse verso la camera di Bianca, pensando già al peggio, e quando aprì la porta e la vide tutta intera (seppur visibilmente provata) tirò un sospiro di sollievo. Solo in un secondo momento si accorse della carcassa sventrata di quello che era un gatto al centro della stanza; certo, dato l’odore era impossibile non notarla. Maria stringeva Bianca a sé e teneva una mano alla bocca, Ade seguì il suo sguardo e notò la scritta sanguigna sulla finestra: chi sarà il prossimo?
“Non è possibile…” scosse la testa Maria, perplessa “io chiudo ogni notte le finestre, nessuno ha il vizio di tenerla aperta tranne…”
Bianca spalancò gli occhi, scostandosi dalla madre come se si fosse appena scottata. Nel frattempo Percy giunse nella stanza, ed anche Ade sembrò notare con ansia che c’era qualcosa che non tornava. Venne superato dalla figlia, che corse come una forsennata verso la camera del fratello. Spalancò la porta, e quando i suoi dubbi vennero confermati riuscì solo a sussurrare qualcosa di incomprensibile.
Nessuno la sentì, ma non ci fu bisogno di spiegazioni: Nico di Angelo era scomparso.
Percy era rimasto in piedi davanti la porta spalancata della camera di Nico, gli occhi vacui e fissi su  un punto indefinito. Il primo istinto fu quello di addossarsi tutta la colpa di quella situazione, però poi nel vedere Bianca in quello stato lo fece riscuotere. Si inginocchiò accanto a lei, mentre le parole di Ade e Maria passarono in sottofondo. Aveva il viso nascosto fra le mani, sussultava per via dei singhiozzi…quella non era la Bianca che aveva sempre conosciuto. Gli era sempre sembrata una tipa tosta, difficile da buttare giù, e sebbene Nico non gliene avesse parlato gli era bastato pochissimo tempo per notare il forte legame che avevano; quindi non si sorprese più di tanto nel saperla devastata per la scomparsa del fratello, quanto del fatto che si fosse mostrata debole anche davanti a lui e soprattutto ad Ade.
 Sapeva che i due fratelli di Angelo avevano sempre fatto di tutto per compiacere loro padre, fintanto che non erano entrati nella fascia d’età della ribellione, della ricerca dell’io: dai quattordici ai diciotto anni circa. Allora Nico, come pure Bianca, aveva sempre affermato con caparbietà d’essere del tutto disinteressato a ciò che pensava il padre di lui, finché Percy non era entrato nella sua vita come un uragano e le sue paure di deluderlo erano tornate di nuovo. Quindi Bianca aveva maturato presto, arrivata ai diciassette anni, accorgendosi che suo padre era più un suo amico che il suo datore di lavoro di cui dover soddisfare le aspettative, mentre il coming-out del suo ragazzo era riuscito, inaspettatamente, ad avvicinarli.
Ricordandosi della presenza dell’uomo Percy si voltò, ma quello gli lanciò un’occhiata eloquente come a dire ‘occupati di lei’, e se ne andò. Per un attimo andò nel panico, chiedendosi come avrebbe potuto aiutare la diciassettenne a gestire le sue emozioni quando lui non sapeva cosa fare con le sue. Aveva reagito nel peggiore dei modi: l’impassibilità. Non era stato capace di esternare alcun sentimento, eppure dentro di sé l’angoscia lo stava divorando. Poteva percepirla mentre piano piano si faceva strada nel suo petto, dolorosamente lenta.
“Come ho potuto non accorgermi che lo stavano portando via?” domandò tra i singhiozzi Bianca, spezzando il silenzio imbarazzato e colpevole di Percy.
“Che vuoi dire?”
“I-ieri sera è venuto da me…”
Il racconto della ragazza della sera scorsa non fece che aumentare il peso che il sedicenne sentiva sul petto. Si sentì non solo colpevole per esser stato l’artefice dello spettacolo di pessimo gusto messo su con Jason, ma anche estremamente angosciato nel pensare che l’ultima parola rivolta a Nico fosse stata nel bel mezzo di un litigio da bambini. Quindi si rimproverò per aver pensato che non avrebbe davvero rivisto l’amore della sua vita per sempre,  e rassicurò con improvvisa risolutezza Bianca “Lo troveremo.”
Lei si asciugò le lacrime ed alzò il volto per la prima volta, sforzandosi di non piangere e riprendere a respirare regolarmente. Tirò su col naso ed annuì, cercando di non scoppiare di nuovo il lacrime nel notare che Percy aveva aperto le braccia invitandola a stringersi a lui. Con la voce ovattata dalla felpa del ragazzo di suo fratello sussurrò ancora una volta “Lo troveremo.”
 
Nel momento in cui tutti avevano realizzato la scomparsa di Nico, la prima cosa che Ade pensò di fare fu urlare a squarciagola a quel dio lì sopra, che esistesse o meno (ed era propenso a credere più alla seconda opzione), che si stava comportando in modo davvero sleale; ma essendo sempre stato lui la ‘colla’ che teneva insieme tutta la famiglia, s’era sentito in dovere di preoccuparsi della moglie, vedendo Percy occupato a consolare la figlia. Eppure aveva subito constatato che, contrariamente alle sue aspettative, Maria non aveva reagito piangendo, o disperandosi, oppure avendo una crisi di nervi; la moglie aveva preso un respiro profondo ed aveva puntato lo sguardo deciso nel suo, intimandogli di sbrigarsi a chiamare Zeus ed informarlo mentre lei andava a vestirsi.
“Questa donna finirà mai di sorprendermi…” mormorò Ade componendo il numero di Zeus. Quello rispose quasi subito, malgrado fossero appena le sette del mattino.
“Ade? Qualche problema?”
“A dire la verità, sì. Ti aspetto qui fra un quarto d’ora” non attese risposta e terminò la chiamata. Nel frattempo si assicurò che la stanza di Bianca fosse chiusa, controllando che lei non fosse entrata e che non fosse neanche ancora per terra in ginocchio. Quindi si fermò un attimo, nel bel mezzo del corridoio, a pensare a sé stesso e come si sentisse per tutta quella situazione. Sicuramente ne era devastato anche lui: aveva sempre avuto in riguardo particolare per Nico, forse perché unico figlio maschio, forse perché sempre così simile a lui anche se più fragile. Semplicemente non riusciva a capacitarsi di come, quello che sarebbe dovuto essere l’amore di due ragazzi, si stesse trasformando in un dramma. Sospirò, passandosi una mano stancamente sul viso, quindi il suo pensiero corse a Maria. I ruoli sembravano essersi ribaltati: lui quello troppo scioccato per reagire subito, lei quella forte e decisa che aveva preso in mano la situazione. Eppure Ade sapeva quanto in realtà la moglie fosse rimasta turbata dall’accaduto, forse talmente tanto da avere una reazione inaspettata e diversa dal solito. Comunque, non era compito suo fare da psicologo, al momento. Ciò che gli importava era ritrovare suo figlio.
“Ade” la voce di Zeus lo fece sussultare. Non si era accorto del suo arrivo, né tantomeno aveva sentito il campanello suonare.
“Zeus…” lo salutò con un cenno sbrigativo del capo, senza perdersi in inutili convenevoli. Aprì la porta di Bianca, mentre gli raccontava l’accaduto. L’uomo assunse un’espressione preoccupata e stupita allo stesso tempo, per poi recuperare velocemente la sua impassibilità. Quando si trovava in certe situazioni, preferiva mantenere il controllo. Esaminò la stanza, decretando “Avrò bisogno di fare esami più approfonditi, ma il sangue è dell’animale, non ci piove.”
“Zeus, tu capisci che io ho davvero bisogno che tu rintracci Poseidone ora, vero?” fece Ade, massaggiandosi le tempie.
“Capisco, ma…”
“Non ci sono ma. Nico è scomparso, e non attenderò un minuto di più.”
 
Apprendere che Nico era scomparso fu come ricevere una secchiata d’acqua gelida in faccia. Già che suo padre l’aveva buttato giù dal letto di primo mattino, intimandogli di muoversi perché Ade lo aveva chiamato. Si era subito preoccupato, però non era arrivato a pensare che proprio il suo amico fosse stato rapito. Quindi, mentre suo padre si avviava al piano di sopra per cercare Ade, lui era andato alla ricerca di Percy. Non si erano lasciati in buoni termini, la sera prima, e considerò per un attimo l’idea di tornare sui suoi passi. Poi, fuori dalla camera di Nico (perché sapeva di trovarlo lì) si decise ed entrò senza neanche bussare. Percy era seduto a gambe incrociate sul letto, con una maglietta di Nico stretta al petto. Piangeva.
“Percy?”
“Cosa vuoi?” fece brusco, voltandogli le spalle “non è il momento di discutere.”
“So cosa è successo…” esordì Jason, tormentandosi le mani “mi dispiace, okay? Sono stato un cretino, però adesso non importa, dobbiamo rimboccarci le maniche ed aiutare Nico, vero?”
La voce si ruppe nel pronunciare l’ultima frase. Anche lui, come tutti gli altri, cercava supporto. Cercava supporto, qualcuno che gli dicesse ‘andrà tutto bene, lo troveremo sano e salvo’, ma sapeva che nessuno si sarebbe preso una responsabilità tanto grande. Nessuno avrebbe mai potuto giurare di ritrovare Nico di Angelo anche a costo della propria vita, se non due persone: sé stesso e Percy Jackson. Si avvicinò al letto, posando poi una mano sulla spalla tremante del sedicenne.
“Ha ancora il suo profumo” singhiozzò disperato quello “ecco cosa mi è rimasto di lui, dei vestiti!”
“Non urlare, altrimenti gli altri si allarmeranno” tentò di calmarlo il biondo, facendo dei cerchi sulla schiena “andrà tutto bene, okay? Non dire così. Riporteremo Nico a casa, e potremo continuare a farci insultare gratuitamente da lui, potremo guardarlo mentre finge di non arrossire ad un tuo complimento e potrai ancora essere geloso della nostra amicizia, ma ti prego, non dare nulla per perduto. Troveremo Nico di Angelo, lo giuro.”
“Lo giuro” si unì l’altro. Poi alzò gli occhi verdi e tirò su col naso, pensando di aver davanti un potenziale buon amico. Non espresse il pensiero ad alta voce, comunque, limitandosi ad abbassare nuovamente lo sguardo verso la maglietta nera fra le sue braccia.

Quando aprì gli occhi e si accorse di non essere in casa sua, Nico cominciò a dimenarsi e a scalciare come un matto, per poi accorgersi di non averne motivo: non era legato. Si mise a sedere sul tavolo in legno dove era sdraiato e si guardò attorno, sospettoso ed all’erta, cercando una possibile via d’uscita: la porta. Si alzò a fatica, con la schiena indolenzita, e si avviò verso la porta in legno. Proprio mentre metteva la mano sul pomello, questa si spalancò di botto colpendolo in faccia e facendolo cadere a terra. Si tenne il volto dove, ne era sicuro, sarebbe comparso presto un livido. Davanti a lui, Poseidone sogghignò divertito “Oh, scusami, non volevo.”
“Va’ al diavolo” fece a denti stretti il quattordicenne, beccandosi un calcio nello stomaco.
“Oh beh, ho tentato di essere gentile” scrollò le spalle Poseidone, per poi piegarsi alla sua altezza “non mi sembra che il tuo fidanzatino abbia fatto molto per proteggerti, vero?”
Questa volta Nico non ripose, troppo impegnato a boccheggiare per prendere aria.
“Non c’è da stupirsi: non poteva che essere una cosa passeggera” continuò il suo soliloquio quello psicopatico, alzandosi e passeggiando per la stanza “come vedi, sei liberissimo di muoverti in questa stanza, ma non di uscirne. Mi dispiace, pasticcino, ma non ti farò muovere da qui dentro finché non sarà necessario.”
“Sei uno schifoso” sputò fuori Nico.
“No, lo schifoso qui sei tu” sentenziò invece l’adulto, ovviamente riferendosi al suo orientamento sessuale “i giovani d’oggi…credono di poter far passare anche le cose più assurde per socialmente accettabili.”
“Che sorpresa!” esclamò il più piccolo, fingendosi estremamente sorpreso “conosci grandi paroloni come ‘socialmente’ e ‘assurdo’?”
Venne bruscamente tirato dai capelli, e si ritrovò costretto a fissare gli occhi identici a quelli di Percy.
Ma lui non è il mio amore, si ripeté fermamente nella mente.
“Ti avverto, ragazzino: attento a quello che dici o fai. Se fai il bravo, potrei prendere in considerazione l’idea di non ucciderti.”
Detto ciò lo lasciò andare bruscamente, facendogli battere la testa contro il pavimento, e tutto divenne nero.

 
“Trovato!” esclamò Zeus trionfante, una volta riuscito a rintracciare la posizione di Poseidone. Si trovava in una zona balneare, a Montauk, Long Island.
“Andavamo in vacanza con mamma lì, ogni estate” commentò Percy cupo, poi suggerì “Non dovremmo chiamare la polizia o qualcosa del genere?”
“So quello che faccio, ragazzo” lo occhieggiò Zeus, un poco infastidito dal suo commento. Quindi il sedicenne scrollò le spalle e tornò a guardare lo schermo, senza realmente capirci nulla.
“Qual è il piano?” domandò Maria, ansiosa di sapere tutto. Invece di indossare uno dei soliti abiti ‘da mamma’ (così li chiamava Bianca), si era vestita in modo molto più pratico: jeans aderenti, maglietta nera e felpa con la cerniera del medesimo colore. Ade la trovò mozzafiato anche in quel modo. Zeus attirò l’attenzione di tutti schiarendosi la gola.
“Allora, ascoltatemi bene…”
Mezz’ora dopo, erano tutti fuori l’ingresso di casa di Angelo.
“Pronti?” sospirò Percy.
Tutti annuirono, ma nessuno pensò ad un particolare: Luke Castellan non era con loro.

 
Woah, che lunga attesa. Mi scuso, ma il motivo è sempre quello:( Non vedo l'ora che arrivino le vacanze di Natale, giuro. In compenso il mio duro lavoro è stato ricompensato: al colloquio famiglie-insegnanti erano tutti molto entusiasti del mio rendimento scolastico, quindi mi dico pienamente soddisfatta. Detto ciò, vista l'ora tarda, mi dileguo: buonanotte (o buongiorno, o buon pomeriggio...insomma, avete capito!) a tutti! <3
 

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Capitolo 12
*** caos ***


La Ermes Express era sempre stata uno dei più grandi affiliati della Zeus & Co., quindi nel ritrovarsi a dover sbattere in galera uno dei suoi migliori soci Zeus ebbe appena il tempo di lamentarsene a bassa voce che l’occhiata di suo figlio lo fece zittire.
Ancora non capiva bene perché ci tenesse così tanto a quel piccoletto, ma stava aiutando Ade perché erano amici da tantissimo tempo – ed in parte perché sperava di poterlo convincere a divenire parte della sua azienda. In più, nel profondo del suo cuore, sperava che quell’atto eroico gli facesse guadagnare qualche punto con Hera, una bellissima donna che lavorava nella sua azienda.
“Eccoci” fece Ade scendendo dall’auto rosso sbiadito. Avevano scelto di prendere il vecchio pick-up appartenuto un tempo al padre di Maria, piuttosto che la rombante moto del marito oppure la lussuosa macchina di Zeus, per rimanere abbastanza anonimi da avvicinarsi all’edificio senza destare troppi sospetti.
“Questo posto è enorme” Percy trattenne a stento un’imprecazione “come faremo a trovare Nico e mia madre?”
“Abbiamo localizzato tuo padre tramite il sistema GPS. È stato più difficile del previsto, visto che il maledetto aveva utilizzato inizialmente un telefono senza GPS” gli spiegò brevemente Jason, con gli occhi orgogliosi di suo padre addosso “poi però…”
“Okay, non c’è tempo ora” si intromise Maria, “avrete tempo di parlarne quando sarà tutto finito. Adesso, dobbiamo solamente muoverci.”
Ade voltò lo sguardo duro ed allo stesso tempo addolorato verso sua moglie “Mi dispiace, Maria, ma noi andremo. Tu e Bianca rimarrete qui fuori.”
“Che cosa?!” scattò la figlia, voltandosi con gli occhi in fiamme verso di lui “Io ho diritto quanto te di entrare lì dentro…è mio fratello, non solo tuo figlio!”
“Ma sei anche tu mia figlia, e tu mia moglie” aggiunse dando una rapida occhiata all’espressione basita di Maria “e c’è già tanto in gioco, che non riuscirei a stare in pace sapendovi in pericolo.”
Maria sembrò sul punto di ribattere, ma si trattenne, mentre Bianca si gettò contro il padre tempestandogli il petto di pugni. Continuava a ripetere il nome del fratello sentendo gli occhi che le pungevano, ma Ade né si mosse né disse niente; la madre la tirò verso di sé, annuendo brevemente al marito e permettendogli di allontanarsi mentre lei si occupava della figlia.
Tenne lo sguardo fisso verso la Ermes Express finché il loro sagoma non fu più visibile.
Ade imprecò a mezza voce quando, una volta entrati nel cortile, due uomini in divisa li fermarono. Non si aspettava certo di riuscire a passare inosservato, entrando in un’azienda e facendo come se fosse a casa sua, ma che le suddette guardie avessero le mani già sulla fondina contenente la pistola gli sembrava un’esagerazione. Vagliò le diverse possibilità: ridergli in faccia, chiedergli se sbucassero da un videogame di spionaggi oppure  impegnarsi il più velocemente possibile per escogitare qualcosa di abbastanza convincente da assicurar loro l’entrata nell’edificio.
“Identificatevi” ordinò il più basso dei due con tono neutrale.
Ade vagliò la seconda possibilità.
Lanciò una breve occhiata al resto della combriccola: tutti perfettamente immobili, tranne Zeus, che si era fatto avanti con aria affabile per i suoi standard “Zeus Grace, imprenditore…”
“Non siete autorizzati ad entrare” alzò il sopracciglio sempre lo stesso sorvegliante “avete dei pass che vi autorizzano?”
Zeus ed Ade si scambiarono delle occhiate perplesse, indecisi sul da farsi, mentre i ragazzi cominciarono a temere di aver già fallito.
“Signori, se non vi autorizzate saremo costretti a…” incominciò l’altro guardiano, che fino a quel momento non aveva aperto bocca.
Venne interrotto da una voce familiare “Ci penso io a loro, ragazzi.”
Luke Castellan in persona comparve alle spalle dei due uomini, che parvero all’inizio poco propensi a fidarsi del ragazzo, rammentandogli più volte che non erano autorizzati ed andavano scortati dal ‘capo’.
“Sicuro?” domandò per un’ultima volta la guardia più alta “Se vuoi posso chiamare personalmente tuo padre…”
“No!” esclamò il biondo forse un po’ troppo velocemente “no, no…ci penso io.”
Con ciò, i due si allontanarono, e Luke li condusse nell’edificio tramite una porta secondaria. Finirono in degli spogliatoi con degli armadietti grigi ammassati ad un lato della stanza e delle panchine dall’altro.
“So che cosa state pensando, ma vi sbagliate” fece Luke rivolto a Percy,ed Ade mentre Zeus rimaneva un po’ in disparte “fa tutto parte del piano.”
“Il piano per mandarci nelle mani di Poseidone?!” esclamò stizzito Percy (sforzandosi di chiamare suo padre per nome), ma Ade gli fece cenno di calmarsi ed esortò il biondo a continuare a parlare. Il figlio di Ermes si voltò verso degli armadietti e ne tirò fuori delle divise, lanciandole a ciascuno dei presenti della stanza.
“Come pensate che abbia ricevuto la posizione di Ermes?” si intromise Zeus, “Il ragazzo mi ha dato la completa disponibilità del suo cellulare, sono riuscito a rintracciarlo…e lui è venuto qui di sua spontanea volontà ad assicurarsi che la posizione fosse quella.”
Non avrei potuto dirvi nulla” continuò Jason, finendo di mettersi l’odiosa divisa gialla “secondo papà avreste ostacolato il piano con le vostre preoccupazioni da eroi – cito testualmente; e devo dire che neanch’io ero troppo convinto nel mandare Luke qui: fin troppo pericoloso.”
“Avrebbe potuto rimanerci secco, lo sai” constatò semplicemente Ade con tono accusatorio, rivolgendosi a Zeus “però lo hai fatto ugualmente.”
“Era necessario” s’interpose il giovane preso in questione “volevo aiutarvi, e poi dopo quello che ho fatto a Percy e Nico…era il minimo.”
Non era necessario,” Percy aprì bocca per la prima volta “ti avevo perdonato, e lo sai bene; ma apprezzo ugualmente quello che hai fatto.”
“Di niente, amico” gli fece Luke con un mezzo sorriso, per poi tornare serio subito dopo “allora, adesso dobbiamo agire. Prima cosa: scoprire la loro posizione.”
Zeus tirò fuori il suo cellulare “Ho qui il segnale.”


Non fu difficile per il gruppetto muoversi inosservati tra tutti gli inservienti, anonimi con i vestiti tutti uguali e le espressioni indaffarate. Il lieve brusio generale tenne loro compagnia finché non cominciarono a svoltare corridoio apparentemente tutti uguali, dove c’erano magazzini, archivi ed infine l’ufficio. Davanti alla porta di legno scuro, Luke corrugò la fronte “Non credo che siano tanto stupidi da nascondersi proprio qui…”
Ciononostante fecero irruzione nella stanza preparandosi al peggio, ma non trovando nessuno. Zeus corrugò la fronte, controllando ancora una volta il segnale, poi ordinò a tutti di controllare che non ci fosse il cellulare di Ermes da qualche parte nell’ufficio.
Percy si era innervosito visibilmente, e Jason, che dal canto suo era anche abbastanza irrequieto, non aveva neanche provato a farlo calmare. Percy davvero non voleva crederci che non era lì…per un attimo aveva sperato, seppur stupidamente, che sarebbe stato tutto tanto semplice: ritrovare Nico e portarselo via. Aveva ancora dei conti in sospeso, però, e doveva affrontare tutto…
“Non capisco” sbottò dopo vane ricerche Zeus, crucciandosi “il segnale dice che sono qui!”
“È proprio come se fossero…” pensò ad alta voce Jason.
“Sotto di noi” concluse Ade al posto suo, voltandosi con espressione risoluta verso Luke “Portaci nei sotterranei.”


Percy avrebbe immaginato davvero di tutto, ma non che, appena entrati nei sotterranei, ci fosse un blackout generale. Le luci si spensero all’improvviso, e una volta tanto Ade ringraziò la tecnologia ed in particolare le torce installate nei cellulari dei ragazzi.
“Ci mancava solo questa…” continuava a borbottare sommessamente Jason, sempre più nevrastenico ogni secondo che passava “dove diamine si sono cacciati…”
Qualcuno gli piantò la mano sulla bocca, zittendolo. Luke gli stava facendo segno di ascoltare. Si sentivano delle voci, provenivano dalla fine del corridoio alla loro destra.
Irriflessivamente, riconoscendo la voce del suo ragazzo, Percy scattò in avanti prima che qualcuno potesse fermarlo. Ade ne fu sicuro in quel momento più che mai: Percy Jackson era il tipo che voleva accanto a suo figlio.

Quando spalancò la porta, il sedicenne vide ciò che meno avrebbe voluto: Nico e Bianca, legati ad una sedia. La prima cosa che gli balzò alla mente fu di correre verso il suo ragazzo e baciarlo come se ne andasse della sua vita, ma la risata di suo padre lo colpì d’improvviso come il fastidioso ronzare di una mosca troppo vicina alle orecchie.
Quindi studiò più attentamente per qualche secondo l’espressione dolorante di Nico, per poi registrare con shock il labbro spaccato di Bianca.
Ade ringhiò, urlando “Che cosa hai fatto a mia figlia!” ed attirando l’attenzione di Poseidone ed Ermes.
“Cosa…?” fece Ermes, incredulo “Voi non dovreste essere qui!”
Poseidone, dal canto suo, si rivolse unicamente al figlio “Perseus, figlio mio.”
Percy, nel sentirsi chiamare per nome da quell’assassino, sentì come se stesse per vomitare. Tutto vorticava attorno a lui.
“Non sono tuo figlio” bisbigliò, appena udibile nonostante il silenzio tombale, sentendosi stordito e debole.
“Percy…” il richiamo strozzato di Nico gli mandò una scarica elettrica lungo la schiena.
“Non sono tuo figlio!” urlò allora, rizzandosi in piedi d’improvviso.
“Che ti piaccia o no, lo sei” sorrise Poseidone, prendendo a camminare per la stanza senza staccare lo sguardo da lui “il sangue non mente.”
Percy rise amaramente “Hai ragione, il sangue è lì, rimane, e poi?”
“Che cosa vuoi dire? Basta che hai il mio sangue, e non quello sporco dei di Angelo, per sapere con certezza che non sei malato come quell’altro” si accigliò il padre, non capendo dove volesse andare a parare.
“E poi, oltre il sangue, cosa c’è? Sai dirmelo? Puoi veramente dire tu a me cosa è giusto o cosa è sbagliato? Cosa è malato e cosa è sano?”
“Sono tuo padre, è mio compito educarti!” esclamò Poseidone, avanzando di un passo. Ade si protese un po’ in avanti, pronto a scattare in difesa del ragazzo se necessario.
“Insegnarti che amare non è…questo!” continuò quello, gridando ed indicando il ragazzino dolorante dietro di lui che l’unica colpa che aveva era essersi innamorato.
“Perché non vuoi capire?!” urlò a sua volta Percy, esasperato e con le lacrime agli occhi “Non vuoi proprio capire che io semplicemente lo amo? È tutto ciò di cui ho bisogno, ti prego, non portarmelo via, ti prego…”
Jason continuava a fissare l’amico, sempre più preoccupato per i suoi sbalzi d’umore dal furioso al disperato, così come Luke ed i due adulti restanti. Ermes era rimasto in disparte, a guardare con insistenza il figlio che, però, non gli rivolse neanche uno sguardo.
“Ho solo bisogno di sentirlo di nuovo tra le mie braccia, lontano da tutto il male di questo mondo…” continuò il sedicenne, le lacrime rabbiose e soffocanti ormai libere di scivolargli lungo le guance e le ginocchia che minacciavano di cedergli; ma gli bastò un ultimo sguardo alle sue spalle, agli amici e alla famiglia pronti a difenderlo, e poi un altro ancora alla sorella del suo ragazzo sempre pronta a difenderlo, ed uno a Nico stesso, e stranamente si sentì bruciare di vita.
“…e mi dispiace davvero per te” continuò, la voce carica di rabbia ed odio “se non sai cosa vuol dire amare qualcuno così tanto da ucciderti e non ucciderlo, papà, ma non posso proprio permetterti di rovinare la mia esistenza né di causare ulteriori problemi a quest’uomo qui, degno di essere chiamato padre da suo figlio!”
Il chiaro riferimento ad Ade fece imbestialire ancor di più Poseidone, che scosse la testa freneticamente sogghignando “Non è così che deve finire e non è così che finirà…avremmo potuto avere una vita perfetta, cercavo di dartene una, ma…credo che non sarà così.” Si voltò e si avvicinò a grandi passi minacciosi verso Nico.
Percy gli corse incontro urlando, e si scatenò il caos.
Ade scattò in avanti assieme a lui, approfittando della distrazione per poter liberare i suoi due figli. Nico cadde a terra dopo aver provato a reggersi in piedi, allora la sorella lo portò fuori dalla stanza con l’aiuto di Jason, cercando in ogni modo possibile di ignorare il putiferio attorno a lei.
Luke affrontava invece suo padre, spalleggiato da Zeus.
Poseidone ricevette un pugno in piena faccia dal figlio senza troppi complimenti.
“Devo ammettere che assesti dei bei colpi” lo provocò Poseidone, nonostante la situazione critica “hai preso dal tuo vecchio, eh?”
“Mi fai schifo!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo Percy, ignorando il dolore alla gamba causato da un colpo del padre e spintonandolo. Quello barcollò all’indietro, ed il figlio ne approfittò per farlo cadere e tempestarlo di calci.
“Percy, basta così, basta…” aveva consigliato dopo un poco Ade, posandogli una mano sulla spalla e tirandolo verso di lui “così lo ammazzi.”
“È quello che merita” aveva commentato aspramente il ragazzo.
“Lo so” aveva risposto semplicemente Ade “lo vorrei anch’io, fidati, ma non siamo come lui. Ricordatelo: tu non sei lui.


“Sally?” la voce di Maria riecheggiò nel vuoto di quei vasti sotterranei “Sally!”
La donna, disperata, si portò una mano alla fronte. Sperava davvero che la madre del povero ragazzo fosse viva e vegeta, altrimenti davvero non sapeva come avrebbe fatto a dargli la notizia.
Improvvisamente sentì un ticchettio metallico, ma pensò di esserselo immaginata.
Un minuto dopo circa, di nuovo lo stesso ticchettio.
Picchiettò una sequenza precisa anche lei sul metallo, abbastanza forte da farsi sentire.
Sally?
Poco dopo, ancora ticchettii: infondo al corridoio, ultima stanza. Ti vedo.
Maria accorse, entrando nella stanza già aperta e portandosi una mano alla bocca nel vedere una donna legata ad una sedia, con la bocca coperta dal nastro adesivo. Si affrettò a liberarle la bocca, poi notò la superficie ferrea sulla quale aveva picchiettato per comunicare con lei.
“Codice Morse? Sei un genio, donna!” esclamò allora Maria una volta liberatala.
“Percy? Nico? Stanno tutti bene?”
Maria si incupì visibilmente “Questo lo sapremo presto, Sally.”
 


Lalalalala *fischietta innocentemente*
Sorpresi? I don’t think so.
Questa parte sarebbe dovuta arrivare, prima o poi, ma per fortuna non abbiamo subito grandi perdite. Annuncio con un pochetto di tristezza che, ahimé, il prossimo sarà l’ultimo capitolo. Ci sarà la riunione della famigliola felice e una bella scena Percy/Nico, ed a tal proposito ho una domanda da porvi: volete o non volete la benedetta scena rossa tra loro due?
Mh, mi è piaciuto molto il confronto tra Percy e Poseidone, ed approfondirò in una delle famose shot il confronto di Luke ed  Ermes. Poi, ovviamente, dovevo far diventare Sally più epica di quanto non lo sia già – codice Morse! Davvero, immagino quella donna piena di risorse…per non parlare di Maria!
Comunque, il finale con una delle mie frasi ad effetto ci voleva. Bene, vi lascio…adieu♥

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Capitolo 13
*** the end. ***


Tanananaaaan. Avviso importantissimo a tutti i miei amatissimi lettori: non aggiornerò le FF fino a gennaio (non so se fino alla fine delle vacanze o all’inizio del mese), perché mi dedicherò completamente alla revisione della traduzione che ho fatto precedentemente ed a qualche shot…in più spero di potermi portare avanti con qualche capitolo, così poi posso fare degli aggiornamenti regolari come ogni persona normale. ^^’
E quindi siamo giunti alla fine di questa FF…beh, che dire? Sembra che ogni volta ripeta sempre le stesse cose…siete il meglio del meglio, questo ve lo dico sempre, e forse neanche immaginate quanto il vostro amore ed il vostro supporto contino per me. Con molti di voi ho instaurato un rapporto bellissimo di amicizia e soprattutto di aiuto sincero e reciproco nella cosa che, alla fine, ci accomuna: l’amore per la scrittura. VI VOGLIO BENE, davvero tantissimo♥
In più, in questo capitolo, vi allego una riproduzione di un disegno di Viria fatto da una mia cara amica (Ross♥♥), e già vi anticipo che troverete altri suoi disegni simili nelle mie ff. :D

http://oi57.tinypic.com/2uignf4.jpg
















Ade chiuse la porta alle spalle di Jason e Zeus, dopo aver rifiutato per l’ennesima volta la loro compagnia nell’attendere il ritorno di Maria e Sally.
Era passata circa mezz’ora dal loro rientro in casa, e già cominciava a dare di matto per la preoccupazione.
Nel momento in cui Bianca gli aveva detto, nel tragitto verso casa, che Maria era rimasta nell’edificio alla ricerca di Sally, aveva fatto una brusca inversione prendendosi gli insulti della lunga fila di macchine con noncuranza. Quindi era stato costretto a tornare indietro da Zeus, che aveva considerato i suoi tentativi vani: gli agenti che aveva chiamato non li avrebbero fatti avvicinare; doveva riconoscere alle due donne che erano state ingegnose nel loro piano, seppure Bianca fosse stata catturata mentre cercava di spiare, per passare le informazioni dopo a loro. Intanto staccare la corrente era stata una geniale idea di Maria, un buon diversivo, certo, se non ci fossero state le luci di emergenza nei sotterranei…ma, in qualsiasi caso, il piano poteva dirsi compiuto, o quasi.
Nico si trovava al piano di sopra. Dopo aver preso degli antidolorifici (per fortuna le sue ferite non andavano oltre qualche livido, procuratogli dalla sua sfacciataggine, Ade ne era quasi completamente sicuro), era crollato sul letto in un sonno profondo, con Bianca vegliante al suo fianco. Nell’agitazione generale Percy aveva temuto che fosse andato in coma, ma l’occhiata truce di Ade era bastata a farlo tornare in sé.
Quindi quest’ultimo ed il sedicenne si ritrovarono in salone, nervosi oltre l’immaginabile ed emotivamente instabili.
“E se non dovessero tornare?” chiese all’improvviso Percy, facendo sussultare Ade che si teneva il volto fra le mani, seduto sul divano. L’adulto dovette davvero ricorrere a tutto l’autocontrollo nel suo corpo per non alzarsi ed andarsene di casa senza dire neanche una parola al povero sedicenne, e si sforzò pure di non urlargli contro che non voleva sentirlo blaterare pessimismi in quella situazione, ricordandosi che era pur sempre un ragazzino coi nervi a fior di pelle per la salute della madre.
A salvare il sedicenne da una morte istantanea ci pensò la porta, che si aprì col rumore metallico delle chiavi. Ade alzò il viso con uno scatto, mentre Percy si protese leggermente in avanti.
Maria e Sally fecero capolino nella casa, ed il ragazzo guizzò in piedi, attraversando il salone a grandi falcate.
“Mamma!” esclamò, stringendola forte a sé ed affondando il viso nella sua spalla “Sono stato così in pensiero…”
Sally, anche se con gli occhi lucidi, finse di rimproverarlo “Questo dovrei dirlo io, signorino! Tu…tu neanche immagini cosa ho passato, quando non sei più tornato…” ed il sorriso iniziale diede spazio alla voce rotta dal pianto. Nel frattempo Ade stringeva al suo petto Maria, ripetendole continuatamente che l’aveva fatto preoccupare e che era stata una sconsiderata.
Bianca arrivò correndo giù per le scale, unendosi a quell’abbraccio.
“Nico?” domandò preoccupata Maria.
“È di sopra, i farmaci l’hanno fatto crollare quasi subito” la informò Bianca, per poi sorridere con l’aria di chi l’ha spuntata a suo padre “Te l’ho detto che sarebbe andata bene…siamo state fantastiche!”
Ade sembrò sul punto di strozzarla, ma poi cambiò idea ed abbracciò le due donne di casa,  lanciando un’occhiata a Percy per assicurarsi che non si fosse disintegrato sul posto per l’emozione. Forse, ma non ne era del tutto sicuro, ad Ade sarebbe piaciuto averlo con loro ancora per un po’.
 

Sally aveva passato mezz’ora buona a piangere sulla spalla di suo figlio, mentre lui gli raccontava tutto, per poi crollare sul divano in un sonno profondo. Maria le aveva messo una coperta sulle spalle e l’aveva portata con l’aiuto di Ade nella stanza degli ospiti, quindi Bianca e Percy rimasero soli.
“Non ti odia” affermò lei come i suoi genitori sparirono dal loro campo visivo.
“Che?” fece spaesato l’altro, voltandosi con un sopracciglio alzato.
“Mio fratello, non ti odia” ripeté.
“Ho paura che non voglia più vedermi.”
La confessione sorprese Bianca, che gli rivolse un’occhiata incredula come se non potesse credere che l’amico avesse quegli inutili dubbi. Insomma, sapeva benissimo che Nico amava Percy più di ogni altra cosa – per diamine, se n’era accorta anche la carta da parati di casa sua, che quei due erano pronti a tutto. E l’avevano dimostrato. A volte si ritrovava a pensare che fossero alquanto pericolosi, come coppia: entrambi, per mantenere il bene dell’altro, avevano rischiato la vita. Nico per primo tacendo sulla violenza di Poseidone, poi Percy rischiando di cadere da un albero…beh, di certo non si annoiavano mai. Però, lo ribadiva sempre, erano decisamente pericolosi. Stava per dar voce ai suoi pensieri quando Percy si alzò, con improvvisa audacia, e le comunicò che l’avrebbe affrontato.
Un istante dopo, l’urlo di Maria riempì la casa “Bambino mio!”
I due ragazzi, che ne avevano passate davvero troppe in quei giorni, pensarono subito al peggio. Corsero su per le scale verso la camera di Nico, solo per fermarsi sulla soglia nel vedere Maria abbracciare il figlio con foga e l’altro ricambiare la stretta senza imbarazzo. Anche Sally era accorsa, svegliatasi con l’esclamazione dell’altra donna,  e sorrise intenerita mentre guardava la scena accarezzando dolcemente i capelli a Percy.
“Sei stato in gamba” gli fece Ade, che si era limitato a posargli una mano sulla spalla “come un vero uomo.”
Gli occhi di Nico si riempirono di lacrime d’orgoglio: quelle parole avevano un significato più profondo di quanto gli altri potessero sembrare, e loro due lo sapevano. Nico ricordava che, sin da quando era piccolo era sempre stato desideroso di conquistarsi l’approvazione e soprattutto lo sguardo fiero di suo padre; ricordava le storie che gli raccontava di eroi greci coraggiosi, che combattevano cento e più guerre, preparati da anni di allenamento; e ricordava sempre che gli diceva “Da grande dovrai imparare ad essere un uomo”, con quel suo sguardo severo e la voce autoritaria che sempre gli avevano trasmesso timore quanto sicurezza.
Quindi sorrise ad Ade, che ricambiò, poi il suo sguardo si scontrò con quello di Percy ed un brivido gli corse lungo la schiena.
Maria si scambiò un’occhiata di intesa col marito, e tutti uscirono dalla stanza lasciando la coppia da sola.

Percy si richiuse la porta alle spalle e si fermò a qualche passo dal letto, mentre scrutava il suo ragazzo, che lo guardava pure lui.
Nico aveva temuto quel momento, aspettandosi di tutto: forse quell’esperienza li aveva cambiati talmente tanto da allontanarli drasticamente, forse lo avrebbe lasciato perché resosi conto di non amarlo realmente, o perché lo considerava una complicazione troppo grande…
“Nico” lo richiamò Percy, “smettila di arrovellarti il cervello, è tutto finito.”
“Anche tra noi è finita?” mormorò il quattordicenne, con chissà qualche coraggio.
Osservò l’espressione di Percy contrarsi da una premurosa ad una sorpresa e preoccupata, quindi lo vide avvicinarsi a lui con ritrovata decisione. Anche lui gli andò incontro, come d’istinto, e si abbracciarono. Allora a Percy sembrò di ritornare a respirare regolarmente, come se non si fosse neanche reso conto di esser rimasto senza respiro dal momento in cui aveva saputo il suo ragazzo nelle mani di suo padre.
“Non pensare neanche ad una cosa del genere” mormorò quindi il più grande, prendendogli il viso tra le mani e fissandolo dritto negli occhi “non pensarci nemmeno; ti amo.”
Nico lo baciò, lasciandolo per la prima volta senza parole con tutta la sofferenza ed il bisogno che gli trasmise con quel contatto. Lo baciò per colmare la distanza che c’era stata nell’ultimo periodo, per raccontargli tutto quello che aveva dovuto passare senza parole.
“Ce l’abbiamo fatta” fece quindi, spingendo il sedicenne sul letto e portandosi su di lui con un sorriso “ce l’abbiamo fatta, e tu sei di nuovo mio.”
“Non ho mai smesso di esserlo.”

IS SAPI GOING TO MAKE A SEQUEL? WTFFFFF.Okay, notizia da prendere con le pinze: non so se farò un sequel (in teoria un'idea la avrei già), e comunque anche se dovessi fare, sarà solo MOLTO più in là, quindi...niente, aspettate con ansia, come siete soliti fare. owo


 

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