La leggenda dell'Eroe maledetto

di Tikal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Gàalad ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Missioni suicide ***



Capitolo 1
*** Prologo - Gàalad ***


Egli è un Eroe, solo che ancora non lo sa.
Ha sangue impuro, ma quel sangue lo salverà.
Il Discendente che Eroe non è,
ben presto lo diventerà.
 Luna e Sole,
Buio e Luce,
Menzogna e Verità,
per lungo tempo insieme,
presto divise.
L’Eroe per mano del Discendente cadrà,
mentre la Lama dei Tempi che il giuramento aveva creato spezzerà.
 

– Estratto dai Libri dei Dieci di Anthèa, la Immortale –

 
 
 
 
Prologo
 
 
 
Il sole stava tramontando, tingendo il cielo di rosso ed arancione.
I campi coltivati erano sommersi di luce soffusa mentre i servi finivano il lavoro, tenuti costantemente d’occhio da delle guardie armate.
Leggeri pennacchi di fumo si alzavano da una baracca posta all’inizio della collina mentre i canti degli animali notturni andavano via via sostituendo il vociare degli schiavi nei campi.
A prima vista sarebbe potuto apparire un paesaggio come tanti altri, certo pittoresco, ma con nulla di diverso rispetto agli altri panorami di campagna.
Ma, un occhio più attento, avrebbe potuto scorgere altri particolari che a prima vista sfuggivano all’occhio: un palo, issato ai margini delle coltivazioni, dal quale dei soldati stavano slegando un uomo.
Non doveva avere avuto più di diciassette anni, ma i suoi carnefici non si erano fatti alcuno scrupolo. La sua schiena era solcata da i profondi solchi che la frusta aveva lasciato nella carne, strappandone la camicia. Era stato condannato per aver insultato il re in pubblico durante una cerimonia, e bollato di conseguenza come sovversivo.
I soldati erano circondati da un capannello di persone, Eroi o Discendenti, che osservavano la scena con disprezzo, gettando occhiate di biasimo al ragazzo steso a terra esamine.
Mentre i due soldati si accingevano a portare via il giovane una ragazza si staccò dal drappello di persone e gettò sul suo corpo martoriato, piangendo disperata. Uno dei soldati cercò di scacciarla, ma lei fece resistenza. Nell’aria riecheggiò il suono di uno sparo.
 
*
 
L’uomo si lasciò cadere sulla poltrona di velluto nero vicino alla finestra. Gli Eroi o i loro discendenti raramente si opponevano a lui, ma, quando accadeva, le pene erano sempre molto severe.
Si passò una mano sulla fronte sudata, mentre i ricordi che di solito cercava di tenere lontano si ripresentavano insistenti nella sua mente.
 
“Aveva vissuto una lunga vita, piena di ogni cosa un uomo avesse potuto immaginare. Aveva vissuto avventure ai limiti del reale, combattuto centinaia di battaglie e visto morire migliaia di uomini. Ora era pronto. 
Sdraiato nel letto nuziale, quello stesso letto che aveva visto notti di accesa passione quando ancora era giovane, attorniato da parenti e servitù, si apprestava a dare l’ultimo addio a quella vita. 
Accanto a lui una donna vestita di un suntuoso abito verde smeraldo piangeva disperata, singhiozzando ai suoi piedi. Galàad sentì il cuore stringersi in una morsa mentre osservava, impotente, sua moglie, la regina Isabelle, mentre le calde lacrime le rigavano il viso.
Avrebbe voluto avvicinarsi a lei e confortarla come aveva fatto in passato, poco dopo il loro primo incontro, quando lui era solamente un ragazzo in cerca di avventure e lei una schiava scappata dai suoi padroni che aveva appena visto morire suo fratello. 
Allungò una mano verso di lei, toccandole le spalle dolcemente. La donna sobbalzò al contatto, ma non si ritirò. Voltò invece il viso verso il suo sposo e si portò la sua mano al viso, sorridendogli triste. I suoi occhi scuri splendevano per le lacrime – simili a cristalli –  che scendevano ancora sulle sue gote pallide. 
Galàad le accarezzò i capelli scuri, soffermandosi sulle ciocche bianche, il segno che il tempo passa per tutti.
Nonostante non fosse più giovane, Isabelle era ancora bellissima. Come un fiore non del tutto appassito che mostra tutta la sua bellezza prima di morire, la regina restava una dama di inconfondibile beltà. Ai suoi occhi, Galàd vedeva ancora la giovane che lo aveva salvato dal Mostro della Neve, conficcandogli il suo pugnale in gola. Ne avevano affrontate tante, troppe, di avventure, ma erano pronti ad affrontare la loro ultima. «Va’ in pace, Galàad, Eroe di Anthèa, l’Immortale.» mormorò Isabelle tra le lacrime. Galàad le sorrise per l’ultima volta, imprimendo a fuoco la sua immagine nei suoi occhi stanchi, prima che la sua mano cadesse e il suo sguardo si facesse vitreo.
 
*
 
Era morto. 
Eppure sentiva il freddo corrergli su per la schiena e la luce accecante sulle sue palpebre chiuse, serrate. 
Rimase lì, steso ed immobile, per chissà quanto tempo, senza accennare ad alcun minimo movimento o aprire gli occhi. 
Poi, improvvisamente, una voce interruppe quel silenzio che lo aveva avvolto fino a quel momento come una coperta. «Galàad, Eroe di Anthèa, svegliati. Il tuo compito non è ancora finito.» 
Come sotto incantesimo, Galàad aprì gli occhi, rivelando le iridi chiare, azzurre come il cielo libero da nubi dopo un temporale. Ovunque il suo sguardo si posasse vedeva solo bianco. Abbagliante, luminoso bianco che urlava il suo silenzio, opprimendogli il cuore. 
Improvvisamente l’avvertì di nuovo, quella voce che aveva parlato poco prima, destandolo dal sonno. 
«Galàad, l’Eroe che sconfisse il sovrano dei Giganti, vieni avanti.» l’uomo osservò, stupito, l’aria dinnanzi a sé mentre si plasmava nel corpo sinuoso di una donna dai lunghi capelli scuri che lo osservava con un’espressione severa negli occhi. 
Indossava una veste chiara, che spaziava dal verde acceso delle chiome degli alberi, al rosso tenue del tramonto, passando dal blu trapunto di stelle della notte e dal giallo brillante del Sole di mezzogiorno, che le drappeggiava dolcemente il corpo sinuoso, da ballerina. I suoi occhi scuri lo fissavano severi e impassibili. Il silenzio improvvisamente divenne un masso che gli schiacciava il cuore, dividendolo dalla dama. 
«Io… non riesco a capire. Dove sono? Chi siete voi?» disse l’uomo, dando voce ai suoi dubbi. 
Gli occhi della donna si strinsero in due fessure mentre lui parlava. 
«Siete nel Limbo, una sorta di dimensione parallela dove finiscono alcune anime dopo la loro morte.» 
«Ancora non riesco a capire. Io cosa c’entro con tutto ciò?»
«Io sono la Custode del Tempo, Aràs. E tu, Eroe, sei stato scelto» la testa gli doleva. Scelto per cosa? Aveva sentito alcune storie sulle Custodi del Tempo, maghe e donne bellissime dal grande potere: controllare lo scorrere del tempo.
«Impugnerai le armi della Luna, le armi che molti dei tuoi predecessori hanno impugnato secoli prima di te. Sarai il mio paladino, Galàad.» l’’uomo chiuse gli occhi, mentre una luce accecante lo colpiva. Prima che le palpebre si serrassero intravide il lampo di una spada che fendeva l’aria. E capì, poco prima che la lama impugnata da Aràs gli trapassasse il cuore, che quel colpo era destinato a lui.” 

 
Galàad riaprì gli occhi, scacciando dalla mente le immagini di quella donna così bella e allo stesso tempo così distante. Dopo che la lama gli aveva trapassato il petto si era svegliato in un campo coltivato, con le spighe di grano che gli carezzavano il volto. In mano stringeva una spada di un nero metallo, più scuro di quella notte senza Luna, e sulla cui lama vi era inciso il nome del primo Eroe, Regolas. Sulla spalla destra aveva scoperto un marchio, scuro come la pece, il simbolo della sua maledizione.
Il suo cuore, da quando era stato maledetto, chiedeva sangue. Voleva vedere il sangue scorrere davanti a sé, voleva vederlo sporcare la scura lama della sua spada. Eppure, riusciva a riconoscere, nei pochi momenti in cui la maledizione non prendeva il sopravvento, quanto fosse diverso. Un tempo avrebbe esitato ad uccidere innocenti. Adesso, invece, il suo cuore non desiderava altro.
Si alzò, stringendo le tempie tra il pollice e l’indice, come a comprimere quei pensieri nel più remoto angolo della sua mente. Era il sovrano di Anthèa, la città Immortale, la città degli Eroi e dei loro Discendenti, non poteva permettersi che qualcuno sapesse della maledizione. Doveva controllare il suo istinto.
Si diresse verso la porta, traendo un grosso respiro, e si avviò nel corridoio, scortato da un servo, diretto verso la sala del trono.
La spada della Luna era appesa al suo fianco.
 
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ANGOLO DEI DUE MALATI MENTALI
 

Buon giorno!
O buon pomeriggio. Hope, non so se hai notato, ma è tardi.
Dettagli. Piccoli ed insignificanti dettagli.
-.-”
Comunque sia, io sono Hope, colei che ha scritto la storia.
Non avresti mai fatto nulla senza di me.
E quel brontolone in verde è il mio amico dal nome impronunciabile (scusa ma è vero! :p) tra l’altro devi ringraziare la sottoscritta se ora qualcuno (si spera) stia leggendo questo racconto.  
Me lo hai inviato con una settimana di ritardo.
Dettagli. E comunque ci dovevano essere più ribelli e più romanticismo.
Smettila di shippare ogni singola coppia che trovi, sia dei libri (voi non avete idea di quanto non mi abbia tartassato con le sue ship) sia che le inventi tu.
SONO UNA DIVERGENTE E NON POSSO ESSERE CONTROLLATA.
E io sono un cavaliere dei draghi del nuovo ordine. Quindi siamo pari.
Non finisce qui.
Se lo credi tu…
Comunque sia, cari lettori, questa è il mio primo tentativo di scrivere un racconto a quattro mani (anche se scrivo solamente io e il brontolone commenta e basta)
*Sbuffa e inizia a gridare ad Hope di muoversi* Hei! Non è colpa mia se sono disgrafico! E poi mi pare che abbiamo fatto un buon lavoro!
*Ignora il brontolone*
Questo è solamente un piccolo prologo, nel quale ho presentato Galàad. Tenete d’occhio quel personaggio, perché non tutto è come sembra u.u

N O N  S P O I L E R A R E  L A  S T O R I A  A I  L E T T O R I ! !
Il brontolone rompe le scatole, quindi non vi dico più nulla, se avete qualche dubbio (molto probabile) chiedete pure (risponderò io alle recensioni)
 
Al prossimo capitolo:

Hope & Gearfried
 
Ps: Per chi stesse seguendo l’altra mia storia, Hope will never die, no, non me ne sono dimenticata (non potrei mai farlo, anche perché adoro scrivere di Elisa SPOILER GRANDE QUANTO UNA CASA e di Seth :3) e spero (devo e voglio) di aggiornare venerdì. Prometto che non farò più passare così tanto tra un aggiornamento e l’altro!
 
*Gearfried prende a braccetto Hope e assieme se ne vanno a mangiare un gelato, perché due pazzi non fanno uno sano, ma sorridendo si tengono per mano*

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Missioni suicide ***


Capitolo 1

Missioni suicide

«La situazione é più grave di quanto pensassimo, mio sire» disse un uomo inginocchiandosi davanti al trono del re. 
Galàad puntò i suoi occhi incavati verso il generale, inchiodandolo con lo sguardo. A palazzo si mormorava che un tempo le iridi del re fossero azzurre, più chiare del cielo di primavera, quando lo spirito del drago blu sorvola la terra, scacciando l'inverno; ora però i suoi occhi erano solamente due orbite vuote, due pozzi senza fine ricolmi d' odio e di dolore. 
«Cosa devo fare, mio signore?» Domandò l'uomo, piegando il capo in segno di rispetto. Galàad fece passare lo sguardo sull'immensa sala, tornando poi a posarlo sul suo generale. 
«Andate a chiamare Jona, sir Rookwood» Le sue parole suonarono gravi e distinte nella sala. «Ho una missione da affidargli.» Rookwood si inginocchiò ancora di più davanti al trono, quasi a toccare terra col naso aquilino, per poi rialzarsi di scatto. Puntò lo sguardo verso Galàad, il cui viso era una maschera impassibile. «Come desidera, mio sovrano» mormorò. Si voltò e il rumore dei suoi stivali sulla pietra accompagnò la sua uscita dalla sala.

*

Un tonfo sordo ruppe il silenzio che regnava nella stanza, seguito da una buona dose di imprecazioni. Il ragazzo si rialzò da terra, incespicando tra i cuscini a terra e grattandosi assonnato la testa di capelli neri, e si stiracchiò, sbadigliando sonoramente. 
Il suo sguardo cadde pigro sul paesaggio fuori dalla finestra, dove un tiepido sole cercava di bucare la spessa coltre di nubi che ricopriva il territorio limitrofo al castello. 
Se Amartìl, la vecchia indovina di corte, quell’inverno non fosse morta di vecchiaia, avrebbe di sicuro visto qualche presagio funesto in quel cielo plumbeo. 
Ma il ragazzo non era un indovino, quindi non avrebbe mai potuto leggere nel cielo il pericolo che si stava addensando sopra il suo capo come nubi temporalesche. 

*

Il silenzio che permeava i grandi corridoi venne improvvisamente interrotto dal rumore di passi affrettati sulla pietra; il ragazzo svoltò l’angolo, entrando nel più immenso corridoio di tutto il castello. Enormi quadri ed arazzi raffiguranti la gloria di Anthèa erano appesi alle pareti. 
Il ragazzo rabbrivì quando i suoi occhi si posarono su un dipinto del re dove egli era raffigurato mentre teneva in mano la sua spada. Lo sguardo duro e severo dell’uomo lo seguì finché non svoltò l’angolo, diretto alla sala del trono, ed anche allora, quando si fu lasciato alle spalle il dipinto, la sensazione che quegli inflessibili occhi lo seguissero non se ne andò. 

*

«Padre,» il ragazzo si inginocchiò davanti al trono. Aveva il capo chino a terra, ma il suo sguardo saettò velocemente verso l'uomo seduto sul trono di fronte a lui. 
Re Galàad gli aveva sempre incusso timore; quegli occhi infossati nel cranio, più scuri della notte senza Luna, che sembravano capaci di uccidere un uomo col solo sguardo, l’atteggiamento freddo e duro come il marmo, ogni cosa, in quell’uomo, lo spaventava. 
Eppure, era allo stesso tempo attratto da quell’aria di regalità e di magnificenza che lo attorniava in ogni occasione, affascinato dalla potenza che quell’uomo aveva. 
Ne aveva fatto il suo idolo, allo stesso tempo temuto e osannato, da lui così come dalla maggior parte dei suoi soldati. 
Ecco perché, in quel momento, mentre il re gli dava il permesso di alzarsi con un cenno del capo, il suo cuore batteva più velocemente del solito, ansioso di dar prova del suo coraggio davanti al suo Eroe. «mi avete mandato a chiamare per caso?» domandò, desideroso di conoscere la risposta. 
Chissà, magari gli avrebbe affidato una missione da compiere per il bene del regno, oppure avrebbe dovuto partire per recuperare un tesoro custodito da qualche essere malvagio, oppure…     
«Sì, ti ho mandato a chiamare.» La voce dura del re interruppe le sue fantasie. Il ragazzo assunse una postura del busto più eretta e puntò lo sguardo dritto davanti a sé, verso Galàad. «Jonathan, figlio mio, hai ormai raggiunto i sedici anni di età. È ora che tu inizi a prendere in mano le redini del tuo destino da Eroe, per cui, ho deciso di affidarti un’importante missione.» L’uomo tacque per un momento, lasciando la sala nel silenzio assoluto. Per un attimo l’unico rumore che Jona udì fu quello del battito del suo cuore, che aveva ormai deciso di abbandonare il suo posto nel petto per trovare una sistemazione migliore in gola. 
Galàad fece cenno ad una delle guardie ai lati del portone della sala, il quale lo spalancò con forza. 
Jona osservò una divertente e macabra scena passargli dinnanzi, composta dal forzuto carceriere che porteva in spalla quello che a prima vista sembrava un inutile contadino. 
Il carceriere, arrivato dinnanzi al re, gettò a terra, senza troppe cerimonie, l'uomo, o meglio, il ragazzo, che portava in spalla; le labbra di Jona si spiegarono in un minuscolo sorriso. 
Il ragazzo si spostò leggermente ai lati della stanza – senza però uscire dalla visuale del re –, lasciando il prigioniero solo al centro della sala, sotto l’occhio esaminatore di Galàad. 
Con i polsi legati e un cappuccio in testa, sembrava solamente un insulso prigioniero come molti altri, niente di più che un mucchio di ossa e pelle all'interno di sudici cenci. 
«Jonathan, riesci a capire chi e costui?» Domandò Galàad. Il ragazzo si riscosse di colpo e volse di nuovo lo sguardo verso il prigoniero, costretto dal caeceriere in ginocchio davanti al re. 
Indossava dei logori pantaloni neri, un paio di grossi stivali da caccia e una camicia bianca quasi del tutto stracciata e sporca di sangue. Da ciò che il ragazzo poté vedere, era stato torturato a lungo nelle segrete del palazzo, e le ferite erano ancora aperte sulla sua pelle olivastra. 
Ma non fu ciò a catturare la sua attenzione, di prigionieri torturati ne aveva visti non pochi – anzi, a dirla tutta quel giovane sembrava più in forma di tutti gli altri –, bensì un piccolo particolare, alla base del collo. 
Si avvicinò titubante, quasi si aspettasse di venire incenerito dal padre, e si fermò a pochi metri di distanza dal prigioniero. Volse il capo verso Galàad, quasi a chiederne il permesso, ma egli non disse nulla, quindi continuò ad avanzare.  
Quando la distanza tra lui e l'altro fu minima, Jona allungò una mano, esitante, e spostò un lembo della camicia del giovane, rivelando un tatuaggio alla base del collo. Sentì il ragazzo cercare di divincolarsi mentre le sue dita le accarezzavano la pelle tatuata, sfiorando la parola che vi era scritta, contornata da diversi arabeschi e fiamme nere. 
Ελευθερία. 
Elef̱thería, libertà. 
Quel ragazzo era un ribelle.

*

Jona alzò confuso il capo verso Galàad, in cerca di risposte. 
Chi era quel ragazzo? Cosa c'era in lui di diverso dagli altri ribelli catturati fin ora? 
«Togli la benda» ordinò secco il re. Jona fece come detto e, inginocchiandosi davanti al prigioniero, gli tolse il cappuccio. Quello gli rivolse un occhiata assassina, per poi sputare a terra, centrando in pieno gli stivali di Jona; in tutta risposta, il figlio del re gli diede un calcio, centrandolo in pieno petto, che lo fece stramazzare a terra dal dolore. 
Nonostante le catene che gli legavano i polsi, il ribelle si rialzó, seppur a fatica, tossendo; i suoi occhi cercarono quelli verdi di Jona, incatenandoli in una battaglia di sguardi che il figlio del re sapeva di aver già perso in partenza. 
«Chi sei?» Domandò Galàad, interompendo il loro duello di sguardi. 
Il ribelle puntò i suoi occhi verso il re, lanciandogli un’occhiataccia che avrebbe spaventato chiunque. 
Tranne Galàad. 
«Sono la tua rovina» fu la risposta. Jona udì alcuni risolini sommessi provenire dalle sue spalle, ai quali Galàad non sembrò farci caso; si alzò dal trono, avvicinandosi al prigioniero. 
«Guarda e impara, figliolo» mormorò, portando le dita pallide intorno al collo di quel ragazzo. 
«Ripeto la domanda, feccia. Chi sei?» Sibilò, avvicinando le labbra all’orecchio del ragazzo. Aveva le dita strette attorno al suo mento in una presa ferrea; avrebbe potuto uccidere in qualsiasi istante. 
«Non saprai nulla» sputò il ragazzo, orgoglioso. Per un attimo Jona credette che il re l’avrebbe ucciso, spezzandole il collo come un legnetto, ma invece l’uomo si limitò a lasciarlo andare e a ritornare sul trono. 
«Lui sarà la tua missione, Jonathan» il ragazzo guardò il re, confuso. «Partirai domattina, diretto al fronte. Con te verranno anche alcuni dei miei uomini migliori, in modo che, una volta giunti, possiate consegnare questo traditore al boia.» il tono di voce di Galàad era fermo e freddo, quasi meccanico. 
All'udire quelle parole, Jona sussultò. Eccola, l’occasione che aspettava da tutta la vita, l’opportunità di dimostrare al suo Eroe le sue capacità. 
Jona annuì cupo, mentre dentro di sé sentiva lo stomaco chiudersi dalla felicità. 
Si inginocchiò ancora una volta di fronte all'uomo che per tutti quegli anni aveva chiamato padre, prima di uscire, seguito dalle guardie che scortavano il prigioniero. 
Jona si fermò poco prima di svoltare nel corridoio dei ritratti e degli arazzi, prendendo un bel respiro e lasciando che le guardie lo sorpassassero. 
Avrebbe reso Galàad fiero di lui, avrebbe portato a termine la missione e sarebbe tornato a casa come un Eroe.  
Rimase immobile nel corridoio, euforico, finché i passi dei soldati non si persero nel dedalo del castello.

Lo sai che siamo in RITARDO DI 4 - QUATTRO!  - MESI, verooooooo???
Sì sì, va bene *ignora completamente Gear*
Mi stai ascoltando o no?
Uh? Cosa stavi dicendo? 
Io ci rinuncio *facepalm*
È per il ritardo, vero?
E per cos'altro sennò?
Perche ho finito la cioccoltata calda e non l'ho ricomprata 
COSA. HAI. FATTO?!?!
Io? Niente... *Nasconde le scatole di Ciobar vuote* 
Vabbé, lasciamo stare. Almeno siamo riusciti a finire il capitolo. 
Speriamo di riuscire a finire il prossimo in un mese come da programma.
 
Se lo finiamo in un mese io divento Santa e tu ti innamori de 'L'attacco dei titani'. 
Come no! Ma se sono io quello costretto a sclerare ogni volta per convincerti a scrivere questa cavolo di storia! 
E mi è pure toccato correggere un pezzo visto che tu non riuscirvi a trovare il tempo per farlo! 

Scusami! E poi sono dettagli, piccoli ed insignificanti dettagli u.u 
Comunque ho faticato di più a coreggere i tuoi errori che scrivere la mia parte (ricordati che ti voglio bene ♥).

*Parte tagliata per via del linguaggio considerato vietato ai minori*
E la prossima volta che mi chiedi aiuto per scrivere la storia non te lo do, anche perché mentre scrivevo ti stavi mangiando la MIA ciocolata!
Sta calmo te la ricompro la cioccolata
*prende e se ne va piangendo la sua cioccolata ormai finita *
Bene gente, vado a ricomprare la cioccolata a Gear prima che commetta gesti estremi.

Alla prossima! 

Gearfried & Tikal

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