tears of a robot

di Tenue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo: il carillon ***
Capitolo 2: *** metamorfosi e case infestate ***
Capitolo 3: *** Rumore di ricordi ***



Capitolo 1
*** prologo: il carillon ***


Salve a tutti, questa è una storia ambientata in Francia, che ha come protagonisti Marluxia e Demyx. Tante vicende capiteranno a questi due ragazzi che si imbatteranno nel monto virtuale dei computer e dei robot. 
Questo è il prologo e spero che vi piaccia!
 
IL CARILLON COLOR ROSE DI MAGGIO

In quella piccola cittadina di Francia, petali di rosa, come ali d'uccello, volavano nel cielo, mani di bambini invano cercavano di afferrare quelle ultime goccie di pioggia, artisti rintanati nei giardini tentavano di portare la bellezza delle calle su quei fogli sporchi di grafite. Maggio prometteva il sole dopo le nuvole grigie. Un càrrion color delle rose di maggio roteava tra le mani del ragazzino dagli occhi trasparenti come l'acqua, che di primavere ne aveva viste quattordici ormai. Il carillon mostava un angioletto ornato di conghiglie posto su un piedistallo che girava sulle dolci note di un motivetto lento; quel suono però si confondeva con una canzone dei Queen suonata e cantata stonatamente dall'amico. Demyx suonava il suo sitar ormai rovinato dagli anni la canzone "Machine, back to human" e ne cantava il testo:
"It's a machine's world,
 Don't tell me ain't got no soul,
 When the machine take over,
 It ain't no place for you and me..."
 Il ragazzino dagli occhi trasparenti, Marluxia, stava seduto sulla scale di pietra, dall'altra parte della stanza rispetto al musicista e ascoltava quei due suoni confusi assorto nei suoi pensieri, rigirandosi il carillon tra le mani. Il suo sogno era quello di diventare un poeta e quello di Demix era di diventare un famoso musicista. Quella era la loro casa, un vecchio seminterrato con pareti sporche e scrostate piuttosto piccolo ma sufficiente per la vita di due persone. L'aria di maggio che entrava dalla piccola finestrella in alto li rendeva felici nonostante la povertà. Erano entrambi scappati dall'orfanotrofio ed erano stati casualmente trovati da un medico durante la fuga. Egli decise di tenerli nel seminterrato del suo studio medico, dove sarebbero sicuramente stati meglio che all'orfanotrofio. La loro  vita e quella del medico divenne una catena di inganni per non venire scoperti. Il medico Vincent Vexen aveva ormai passato i cinquant'anni, aveva rughe che gli increspavano la fronte a gli angoli della bocca; aveva labbra sottili e chiare, labbra di una persona con un lessico ricco ma solitamente taciturna. Aveva dei lunghi capelli biondi ormai sbiaditi, un lungo naso che divideva due occhi sottilissimi e lucenti, intransigenti, ma sotto sotto amorevoli come quelli di un nonno.  
I due amici si coricarono verso le undici, Marluxia girò la testa e guardò le conghiglie de carillon, pensò che ormai stava arrivando l'estate e qualcosa gli mancava, qualcosa che desse vita alle sue poesie, un'ispirazione...e si promise che entro la fioritura dei primi fiori estivi avrebbe trovato ciò che cercava. Ciocche di capelli rosa gli ricadevano sulla fronte e sui suoi occhi assonnati. I suoi pensieri si erano già fatti sogni, se non incubi.  Demix non si addormentò subito, fissava i colori del crepuscolo che filtravano dalla finestrella pensando alla sua canzone preferita e chiedendosi "e se le macchine prendessero davvero il controllo sugli umani?" ma non fece in tempo a darsi una risposta che il sonno lo trascinò via.                                                                                                                                                    


Grazie per aver letto il capitolo, spero tanto che vi sia piaciuto.             

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Capitolo 2
*** metamorfosi e case infestate ***


METAMORFOSI E CASE INFESTATE

Tutto ciò che vedeva era solo oscurità, una massa scura e densa lo avvolgeva, come un tentacolo viscido, fastidiosi infrasuoni entravano nelle sue orecchie, aveva la gola secca e il corpo dolorante. Sentiva le tempie pulsare, come se la testa stesse per aprirsi e far fuoriuscire tutti i ricordi. Poi un'immagine fulminea "Mamma...?". Un'altra immagine e un'altra ancora "Mamma...mamma!". Il dolore si stava alleviando, apparve un sorriso sulle labbra del giovane dai capelli rosati. Poi, di colpo, l'immagine trasmutò. Una metamorfosi. Un teschio, un orribile teschio coperto di sangue "Ma..." le parole si soffocarono nella gola secca, che non riusciva più ad emettere suoni.

E un colpo alla testa.

-Ma che ci fai lì per terra?- Domandò Demyx, che vedendo suo fratello con le gambe per aria e la testa spiaccicata contro il pavimento, a stento tratteneva una risata.
-Perchè ti dimenavi così nel letto? Per poco non tiravi un calcio al carillon- Fece un sguardo esasperato -Lo sai che la mamma si arrabbierebbe se lo rompessi-.
-Ho solo avuto un incubo- .
-Ooh poverino- Demyx tirò una cuscinata in faccia al fratello -E cosa avresti sognato di così spaventoso,  ehh?- e cominciò a prenderlo in giro. Almeno finchè non conparve sulla soglia il medico con due tazza di tè in mano e un'espressione di assoluto disappunto -Muovetevi a prepararvi e andate a scuola che siete in ritardo- disse freddo, e se ne andò.
Demyx sbuffò -Uff, ma quant'è palloso!- detto questo s'infilò le cuffiette e andò in bagno canticchiando.

Poco dopo i due ragazzi si ritrovarono a girare per le viuzze assolate francesi.
-A la mamma sarebbe piaciuto tanto vivere qui, lei diceva che le cittadine antiche le mettevano allegria.- disse Demyx sorridendo al fratello, il quale non potè fare altro che ricambiare e annuire.
-Hey, come mai sei così silenzioso?.
-Non è niente, non è niente.- lo sguardo di Marluxia s'incupì. Demyx si rassegnò e si mise a correre cantando a squarciagola "They tell me I don't care, but deep inside i'm just a man".
L'edificio scolastico era ormai vecchio, le vetrate erano rotte e i muri pieni di scarabocchi. Il che non faceva altro che alimentare la tristezza del giovane Marluxia, caduto nell'oblio dei suoi pensieri. Era appena suonata la campanella dell' ultima ora di scuola e Demyx raggiunse il fratello. Lui aveva un modo tutto suo per tirare su il morale delle persone, propose infatti una prova di coraggio.
-Una prova di coraggio?-.
-Si, andremo nella casa abbandonata sul retro della scuola in esplorazione e chi scappa per primo perde.
Marluxia annuì poco convinto -Va bene, se ci tieni...andiamo.- Demyx sorrise, lo prese per un braccio e lo trascinò dietro alla scuola.

Nebbia. Dietro la scuola c'era una distesa di campi abbandonati, erba alta non curata in ogni dove, e molta nebbia, e polvere. In mezzo a tutta quella foschia s'intravvedeva una casa. I vetri delle finestre erano perlopiù sparsi per terra. Il piccolo portico fuoristante da essa era in legno, scricchiolava e poteva cadere a pezzi da un momento all'altro. Marluxia deglutì
-Dai, andiamo.-. Aprì la porta senza particolari sforzi e si addentrò per il corridoio ornato di ritratti alquanto inquietanti, seguito da Demyx. Salirono le scale lentamente, appoggiando i piedi delicatamente. Al piano superiore c'era un'unica finestra, dalla quale filtrava una luce fioca e si intorcinava l'edera cresciuta sul muro, che si era addentrata anche nella stanzetta.
-Ma...Marluxia...quella cosa si è mossa...- mormorò Demyx indicando la pianta rampicante.
-Ma...ma no Demyx...l'edera non si muove. Forza, andiamo avanti...-.
Il fratello rigirò la testa più volte per controllare di non essere seguito dall'edera. Marluxia aprì un'altra porta, fece un passo... e poi la vide: una creatura in fondo alla stanza, nella penombra alzò la testa. Una metamorfosi. Aveva metà corpo umano e metà era costituito da acciaio. Un occhio umano accostato ad un occhio meccanico. La creatura si alzò, Marluxia la osservava incapace di muoversi. Aveva la forma di una donna, malgrado buona parte del suo corpo era fredda e metallica. Era magrolina e alta. Il viso, o meglio, il mezzo viso aveva un occhio grande e limpido incastonato in un perfetto volto roseo. Aveva capelli lisci e biondi, pettinati all'indietro e due ciuffi si alzavano e si incurvavano come antenne. Il resto del viso era coperto da fili e microcip.
-Marluxia! Corri!- Urlò Demyx nel panico. Marluxia lanciò un ultimo sguardo al robot prima di dileguarsi nella nebbia.

Il robot, creato col nome di Larxene, rise malignamente -Gli umani e le loro emozioni...che disgusto.- ma prima di scomparire nel buio mormorò- Marluxia eh? Ci rivedremo presto, più presto di quanto immagini.- e scomparve.

Intanto i due ragazzi si chiusero in camera, Demyx si coricò subito nonostante non fosse ancora sceso il crepuscolo. Marluxia invece notò che anche il suo carillon aveva subito una metamorfosi. Infatti si era trasformato in un ammasso di cocci taglienti e conchiglie rotte sul pavimento.


grazie per aver letto ^^  comunque credo di esser stata perlopiù influenzata da fullmeta alchemist per questo capitolo!
Perfavore recensite e ditemi tutti gli errori commessi, ve ne sarei grata!
Ci si vede!

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Capitolo 3
*** Rumore di ricordi ***



RUMORE DI RICORDI
La creatura nominata Larxene era seminascosta nell'oscurità; i pezzi meccanici che la componevano brillavano della luce che non c'era. La creatura, seduta sul pavimento scricchiolante di quella vecchia casa polverosa, lasciava che il silenzio penetrasse nella sua mente, quasi le dava fastidio la totale assenza di suono; perchè sapeva, che quando nessun suono o pensiero le ingombrava la testa, appariva quel ricordo.

All'inizio sfocata, ricordava una stazione, di un quartiere malfamato, e le persone all'interno di essa che volevano dileguarsi in fretta da quel posto lugubre. Era attornata da maniaci, drogati e a volte gente morente.
La creatura ricordava di esser stata bambina un tempo; una bimba buona e allegra, dai lucenti occhi verdi. Un angelo dagli splendidi capelli biondi in mezzo a disastro e disperazione. Il ricordo diveniva sempre meno sfocato. Ricordava come il suo sguardo si posava delicato come un'ala di farfalla, sulle rotaie arruginite, che partivano dai binari della stazione per raggiungere l'indefinito orizzonte nebbioso. Ricorda molto bene il grande orologio della stazione, così imponente, le guali lancette stavano per congiungersi alla mezzanotte.
Poi il rumore del treno entrava nella sua mente con violenza.
Il rumore del vento che s'innalzava.
Lo stridere delle ruote sulle rotaie.
L'uomo drogato dietro di loro, forse burattino dell'invidia, spinse quell'innocente bambina contro il treno, sciogliendo la stretta di mano della madre.

L'avevano data per morta.

La creatura mezzo umana sapeva, che quando dominava il silenzio dentro di lei, il ricordo di quella stazione baleava nella sua mente, seguito dal rumore del treno. Quel rumore insopportabile, prodotto dalla sua maledetta memoria umana, la faceva urlare, a volte prendeva a colpire la testa corto il muro per far cessare il rumore.
E gridava
"Guardate. Guardate voi, gente cattiva. Guardate come i miei ricordi bruciano nella mia testa!"
Poi, dopo quella che sembrava un'infinita di tempo, il rumore cessava.
E lei provava un'emozione; l'unica emozione che lei provasse, da quando era diventata così: la paura.
Poi però le tornava in mente il seguito.

Si, l'avevano data per irrecuperabile all'ospedale. Sua madre era morta poco dopo esser stata trasferita in manicomio. La bambina era rimasta sola, abbandonata. Immobile nel suo lettino d'ospedale: non poteva o non voleva svegliarsi.
Poi arrivò Lui, e le cose cambiarono.
Lui non l'aveva mai abbandonata da quando l'aveva portata via dall'ospedale. Era figlio adottivo di uno scienziato, per cui aveva appreso molte cose dal finto padre. Anche se poi era scappato di casa. Inutile dire, che il fatto che Larxene fosse per metà robot, era dovuto ad una lunga serie di esperimenti condotti da Lui. Si deddicava sempre a quella bambina, diventata ormai donna, alla quale aveva salvato la vita.
Quando la creatuta finì di dimenarsi e urlare per la sua mente confusa, Lui le si avvicinò e le mise una mano sul cuore meccanico per rassicurarla, e la guardava negli occhi. Gli occhi azzurro scuro di Lui brillavano della luce di quella bambina rimasta nel cuore di Larxene.
Lui, Zexion, sapeva quello che aveva passato; odiava la gente "cattiva": drogati e malviventi vari, aveva giurato vendetta contro di loro.
Così le sussurrava -Presto otterremmo la nostra vendetta, preparati a scatenare la guerra, ma per ora...attendi in silenzio- e spariva.

Intanto, dall'altra parte della città, si stavano svegliando due ragazzini, uno dalla folta capigliatura rosea e sottili occhi azzurrini e il suo fratello più piccolo, il quale invece esibiva due grandi e raggianti occhi acquamarina e spettinatissimi capelli marrone dorato, lunghi fino alle spalle. Il medico intanto li fissava mentre si preparavano, pensando allo strano comportamento dei ragazzi, quando erano rincasati la sera prima. 
Marluxia era sempre stato taciturno, non aveva bisogno della voce per esprimere emozioni; Demyx invece era sempre stato un casinista, quel giorno però era insolitamente calmo.
Nonostante i ragazzi si fossero coricati piuttosto presto, Marluxia si era addormentato solo verso la mezzanotte. Il suo letto era infatti cosparso di fogli stropicciati e scarabocchiati, sulla quale aveva provato a scrivere la notte prima. Il ragazzo continuava a fissarne uno in particolare, il quale recitava:

Luce di umanità che brilla dentro quel corpo impossibile
Un occhio grande di bambina 
L'altro occhio, artificiale, insensibile

Il suo sguardo delicato 
Ne rimani prima incantato
Poi sorride maliziosa
E il tuo cuore viene divorato.

Prese il foglio, lo accartoccio tra le sue mani, e se ne andò.


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