Rise like a phoenix out of the ashes

di PriorIncantatio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Polvere e sangue ***
Capitolo 2: *** Buona fortuna ***
Capitolo 3: *** Manovre ***
Capitolo 4: *** Il tempo se ne frega - I parte ***
Capitolo 5: *** Il tempo se ne frega - II parte ***
Capitolo 6: *** Legge di Gamp - I parte ***
Capitolo 7: *** Legge di Gamp - II parte ***
Capitolo 8: *** Malfoy o Black? ***
Capitolo 9: *** Naufragi ed ancore ***
Capitolo 10: *** Le persone non cambiano mai del tutto ***
Capitolo 11: *** In gioco l'onore ***
Capitolo 12: *** Un libro che insegna: la vita ***
Capitolo 13: *** Law and order ***
Capitolo 14: *** Di bugie e altre promesse ***
Capitolo 15: *** Il tempo non ci salva ***
Capitolo 16: *** Inerti al destino - I parte ***
Capitolo 17: *** Inerti al destino - II parte ***
Capitolo 18: *** Salvo complicazioni ***
Capitolo 19: *** Vuoto a perdere ***
Capitolo 20: *** Sangue fedele ***
Capitolo 21: *** The first surrender ***
Capitolo 22: *** Nei grandi giorni. Nei giorni di tormenta. ***
Capitolo 23: *** Nemici Alleati ***
Capitolo 24: *** Casa ***
Capitolo 25: *** How long, not long - I parte ***
Capitolo 26: *** How long, not long - II parte ***



Capitolo 1
*** Polvere e sangue ***


RISE LIKE A PHOENIX OUT OF THE ASHES 

A chi non crede nelle parole.
Forse hanno ragione.
Ma sono loro a non credere in noi. 
- PriorIncantatio
"Mi ha accusato di essere 'l'uomo di Silente, sempre e comunque"
"Molto maleducato da parte sua"
"Gli ho risposto che è vero."
Silente aprì la bocca per parlare e poi la richiuse.
Con enorme imbarazzo, Harry all'improvviso si accorse che i vividi occhi azzurri di Silente erano umidi, e si affrettò ad abbassare lo sguardo sulle proprie ginocchia.
Quando Silente parlò, tuttavia, la sua voce era ferma.
"Sono molto commosso, Harry."


- Harry Potter e il Principe Mezzosangue

Polvere e sangue

 


 

 

"Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche e vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto."


Un mese dopo.    
    
Dopo la disfatta del male, la caduta di quel Ministero così marcio che ormai non identificava più il popolo magico inglese e l’arresto di innumerevoli Mangiamorte, 
c’era molto da fare.
C’era da ricostruire le città distrutte con ignobile furia dal Signore Oscuro e dai suoi seguaci affamati di potere.
C’era da piangere i propri morti, martiri della libertà, paladini di una giustizia che da troppo tempo era diventata un’utopia dato che il governo di Pius Thicknesse era improntato sull’illegalità e sull’ingiustizia, ovviamente tutto manovrato da Lord Voldemort.
C’era da rifondare Hogwarts, che non aveva ancora trovato la propria guida.
Dopo un mese quel castello, che era stato il simbolo di una sanguinosa guerra e della fine di un ventennio di paura e di conflitti, era ancora così: vuoto, spento, distrutto, abbandonato a se stesso, ricoperto da uno strato di polvere e sangue, di ricordi e di morte.
Ma da qualche parte bisognava pur ripartire.    
Kingsley Shacklebolt.
Fu il nome votato all’unanimità dal consiglio straordinario del Wizengamot.
Bisognava partire da questo auror dalle grandi capacità diplomatiche e carismatiche, dal pugno di ferro oltre che di  ragionevolezza e competenze magiche.
Doveva occuparsi della scelta del nuovo preside di Hogwarts, di formare un adeguato governo e di istituire i primi disegni di legge, ma soprattutto doveva avviare le udienze contro i Mangiamorte e chiunque si fosse macchiato di crimini atroci contro l’umanità.
Shacklebolt avrebbe dovuto chiedere aiuto all’Ordine della Fenice e anche al “Golden Trio”?
Stava di fatto che tutti gli occhi erano puntati sull’ormai nuovo Ministro, bisognava solo ufficializzarlo e nominare i vari collaboratori.

Bisognava risorgere dalle ceneri come le fenici. Era doveroso e necessario per non dare nuova linfa al male e lasciargli la possibilità di riprendersi quello per il quale in tanti avevano dato la propria vita: la libertà.




 
NOTE DELL'AUTORE

Ho intenzione con questa storia, di ricostruire tutto il panorama magico, per l’appunto dalla fine della guerra 2 Maggio 1998 e proseguire con eventi 
pressocché ideati da me.
Molte cose varieranno.
Non dico quali relazioni non ci saranno, o che cambieranno durante la narrazione.
Alcuni personaggi che nella saga hanno perso la vita, qui saranno reintrodotti, ma saranno davvero pochissimi, si conteranno suelle dita di una mano.
Ci tengo a dire che credo di poter aggiornare la storia con molta continuità.
Non so se alcuni dei personaggi della terza generazione compariranno, quello che con più sicurezza posso dirvi comparirà è Ted Lupin.
Okay adesso basta spoiler.
Questo è solo un piccolo prologo, l'antipasto per così dire.
Kingsley, è lui l'uomo della rinascita?
Hogwarts come si riprenderà? Chi sarà a guidarla?

Ci vediamo al prossimo capitolo e aspetto vostre recensioni!

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Capitolo 2
*** Buona fortuna ***


Buona fortuna

 

“La saggezza consiste nell'anticipazione delle conseguenze.” - Norman Cousins

 
Mercoledì 3 Giugno 1998 – Aula Dieci

Il consiglio straordinario per l’elezione del nuovo Ministro si era ormai riunito.
Per l’eccezionalità dell’evento i vari membri del Wizengamot avevano preso posto nell’aula addetta a presiedere i processi magici, ma poco contava, la formalità era l’ultimo dei problemi.


«Oh Kingsley sei arrivato finalmente, vieni accomodati accanto a me» canzonò vivamente Griselda Marchbanks, pezzo grosso del Ministero e membro anziano del Wizengamot.
«Buonasera Griselda, purtroppo sono stato occupato con l’Ordine» mentì Kingsley «infatti noto di essere l’ultimo arrivato e lo constato dalla faccia disgustata di Ogden.»
«Sai che Bob non tollera questi comportamenti ma, tranquillo, potrai ancora mettere piede nel Ministero», disse Griselda accennando un sorriso tranquillizzante.
A questo punto prese la parola il Presidente del Consiglio ad interim, Bob Ogden.
«Rivolgo il mio più sincero saluto ad ogni presente in aula, credo però sia doveroso evitare in questo momento così delicato l’utilizzo di convenevoli e proporrei di passare subito al dunque.
Stasera, forse la più importante degli ultimi vent’anni, verrà presa una decisione che sarà cruciale per le sorti del nostro mondo.
Verrà delegata la guida che dovrà spianare la strada per una nuova era di pace e che sia capace di illuminare il nostro futuro che tutt’oggi è un’incognita buia e tetra.
Credo che in questo mese abbiate avuto il tempo necessario per pensare alla decisione migliore e credo 
che a questo punto sia per forza chiara e limpida, quindi non spreco ulteriore tempo e dichiaro aperta la votazione per eleggere il nuovo Ministro della Magia.»
«Buona fortuna» sussurrò Griselda con un filo di voce in modo che solo Kingsley potesse sentire.

Giovedì 4 Giugno 1998 – Atrio del Ministero della Magia 

«Buon pomeriggio a tutta la cittadinanza, come sottosegretario anziano del Consiglio Straordinario ho l’incarico di annunciare il nome del nuovo Ministro della Magia», così Griselda Marchbanks aprì la conferenza che doveva annunciare l’elezione del nuovo Ministro.
«Ci tengo a ribadire che questa è stata una scelta presa con grande prudenza e riguardo. È stato designato un uomo dalle grandi capacità, un leader che ha la fiducia incondizionata di tutto il Ministero e sono sicura che verrà appoggiato ampiamente dall’intera comunità.
Il decimo Ministro della Magia e Garante della riservatezza del nostro mondo è ... KINGSLEY SHACKLEBOLT!»
Un boato esplose appena il neo Ministro mise piede sul palco allestito per l’avvenimento, ma appena egli prese parola tutti tacquero.
«Salve a tutti. Non nego la mia fibrillante emozione, ma ho accettato il ruolo affidatomi dal Consiglio perché so di esserne capace di caricarmi le spalle di grandi responsabilità ed aspettative.
Devo ammettere che la mia agenda è piuttosto piena e devo lavorare duramente perché io compia una serie di dure sfide che mi sono posto.
Adesso vi annuncio l’elenco dei miei stretti collaboratori, fondamentali per il successo del mio mandato.»
Dopo aver elencato i vari assistenti, Shacklebolt mise fine in maniera sbrigativa alla conferenza.
«Ottimo discorso Ministro. Complimenti per la squadra di lavoro, senza dubbio un connubio di esperienza e nuove vedute» disse Griselda correndogli letteralmente dietro.
«Lo dici solo perché ti ho scelta come vice-Ministro», le disse Kingsley con tono puramente ironico.
Griselda non ebbe tempo per ribattere poiché il Ministro aveva usato la metropolvere ed era sparito in un brillante fuco verde.
Kingsley aveva come primo obiettivo quello di rifondare Hogwarts ma prima doveva scegliere la persona giusta che doveva guidarla, perché in mancanza del consiglio scolastico, la scelta di eleggere il nuovo preside ricadeva su di lui.



NOTE DELL'AUTORE

I vari collaboratori di Kingsley sono quasi tutti reali personaggi della Saga.
Ci tengo comunque  ad elencarvi i vari assistenti per dovere di completezza della storia perchè sto cercando di ricostruire un po’ tutto, questi nomi rimarranno solo qui, in queste note, non verrà affidato loro nessun ruolo degno di nota, salvo nuove idee.

Griselda Marchbanks: Vice-Ministro
Bob Ogden: Capo dell’Ufficio Applicazione della legge sulla Magia
Arnold Peasegood: Capo del Dipartimento delle Catastrofi e degli incidenti Magici
Cuthbert Mockrdige: Capo dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche 
Gustav Langerback (INVENTATO): Capo per la Cooperazione e il trasporto magico 
Ludo Bagman (REINSERITO): Capo dell’Ufficio degli Sport Magici
Se ricordate Griselda Marchbanks e Bob Ogden nella Saga hanno avuto anche un paio di righe di notorietà, infatti questi due membri del Wizengamot si dimisero quando Dolores Umbridge ricevette la carica di Inquisitore Supremo della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e inoltre la Marchbanks era una esaminatrice ai G.U.F.O sia di Harry che in passato di Silente.
Anche Bob è in certo qual senso famoso, se ricordate comparve nei ricordi di Silente, fu lui che salvò Merope Gaunt dalla furia del padre, Bob era lì per portare ad Azkaban suo fratello di Merope, Orfin Gaunt.

Si, secondo dati accertati, Kingsley risulta essere il decimo Ministro dell Magia, questo è l’elenco che lo afferma :
Artemisia Lufkin (1798 - 1811)
Grogan Stump (1811 - 1819)
Evangeline Orpington (1849-1855)
Faris Spavin (1865 - 1903)
Nobby Leach (1962 - 1968)
Millicent Bagnold (1980 - 1990)
Cornelius Caramell (1990 - 1996) 
Rufus Scrimgeour (1996 - 1997) 
Pius O'Tusoe (1997 - 1998) 
Kingsley Shacklebolt (1998 - in carica)

Dopo questa raffica di notizie, vi lascio dicendo soltanto una cosa, il prossimo capitolo è fondamentale, il crocevia per la rinascita, forse...
Vi aspetto con il prossimo capitolo, e mi raccomando, recensioni positive, neutre e ovviamente anche negative, purché costruttive.

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Capitolo 3
*** Manovre ***


MANOVRE
 


Chi manca di coraggio è esuberante d'astuzia. - William Blake

Il clima che accolse la figura di Kingsley era particolarmente ostile.
Il gelo, la neve e il vento facevano da cornice ad uno stupefacente villaggio innevato.
Le Highlands scozzesi erano da mozzafiato, ovunque si voltasse vedeva piccole casupole ricoperte da un soffice strato di neve, qua e là dai comignoli fuoriusciva un denso fumo nero ma che per nulla deturpava quel paesaggio anzi vi donava un’aria più fredda e più cupa.
Kingsley si scrollò di dosso tutti i pensieri del momento, ora aveva un compito da portare al termine.
L’uomo entrò in un pub dall’arredamento e dalle decorazioni molto grezze che vi conferivano un’aria molto vissuta.
Il neo Ministro per non farsi riconoscere alzò il bavero del suo mantello turchese e si avvicinò circospetto al bancone dove il barista, un ometto di mezz’età piuttosto basso di statura, era occupato a pulire dei bicchieri da whisky incendiario.
Shacklebolt ordinò dell’acqua viola e prontamente il barista glielo servì.
 Lo bevve in un solo sorso e nello stomaco butto giù insieme all’intero liquido anche gli ultimi giorni di stress e di paura, liberò così  la mente.

Ministro della Magia. 
Si, quel pensiero ancora non lo aveva sfiorato, forse minimamente, ma solo adesso, con la mente più lucida, stava elaborando la cosa.
Aveva ottenuto la carica più ambita da qualunque impiegato al Ministero, ma non lo faceva per ambizione e fama, 
ma per rinnovare la speranza di un futuro almeno un po’ più roseo e per infondere nuova fiducia ad un popolo stremato, a terra, sconfitto.
Pagò con trenta falci e prese dalla tasca una vecchia fotografia ingiallita e la mostrò al barista con riserbo.
«Sa dove posso trovare questa persona?» chiese Kingsley.
Il barista avvicinò di più la foto sul bancone di porfido rosso per essere sicuro di quel che aveva visto e inarcò il sopracciglio appena capì chi fosse.
«Chi é lei?» chiese un po’ accigliato l’uomo.
«Non è essenziale che lei lo sappia, ma è fondamentale che mi dica dove devo dirigermi per trovare questa persona, mi creda è di vitale importanza».
Quelle parole sembrarono convincere l’uomo, che annuì debolmente.
«Continui a percorrere la strada dove si trova anche il locale, ad un certo punto si troverà in una strettoia e dovrà passare sotto un ponticello, subito a destra troverà una casa circondata da un’inferriata rossa.»
«La ringrazio vivamente ...»
«John, mi chiamo John» disse il barista completando la frase.
Il Ministro uscì dal locale disinvolto, con il passo e la soddisfazione di un uomo che è a metà dell’obiettivo prefissato.
Quella piccola stradina gli ricordava davvero molto Diagon Alley: sicuramente meno caotica e confusionaria ma di certo la bellezza non era da meno.
Non era completamente magico, anzi tutt’altro, Kingsley lo notava dal grande numero di persone che passavano indossando insoliti vestiti babbani.
Dopo circa dieci minuti arrivò davanti al luogo indicato da John.
L’uomo dovette ammettere che la casa gli sembrava abbandonata da chissà quanto tempo.
Le inferriate rosse che circondavano la casa erano ricoperte da uno scabroso strato di ruggine.
Aprì il c
ancello cigolante. Osservò la casa che era posta su due piani, ricoperta da un rivestimento di intonaco giallo ocra, diventato ancora più scuro e sporco con il trascorrere degli anni.
Si avvicinò alla porta di mogano, pressoché nera e bussò usando il batacchio che aveva come giunture delle due estremità semicircolari un leone bronzeo.
Kinglsey sentì alcuni passi cadenzati avvicinarsi all’uscio e si preparò psicologicamente all’effigie che stava  per presentarsi.
«Cosa diavolo ci fai tu qui?» esordì Minerva McGranitt alla vista del Ministro ma continuò dicendo «dammi un solo motivo per non chiuderti la porta in faccia, Kingsley.» 
Shacklebolt sapeva che in qualche modo la donna lo avrebbe accolto in quel modo così singolare dopo che in un intero mese aveva messo da parte l’Ordine della Fenice per il Ministero, quando l’Ordine aveva avuto un ruolo cruciale nella battaglia.
«Hogwarts» borbottò un po’ imbronciato il Kingsley.
«Ti darò pochi minuti ministro, nonostante tu sia venuto da molto lontano» e con fare ironico fece segno all’uomo di entrare.
L’anziana donna lo superò nel luminoso corridoio e a Kingsley saltò subito all’occhio la differenza estetica  ed ornamentale tra l’interno e  l’esterno, era al dir poco disarmante.
I due entrarono in un salone avente delle pareti completamente nascoste da arazzi e ritratti di maghi e streghe che appartenevano a chissà quale epoca.
Il pavimento era in marmo verde con dei riflessi in giallo, ma la sua peculiarità era la lucidità: Kinglsey poteva anche permettersi di specchiarsi guardandolo.
Quell’ambiente dai colori così caldi creavano un'atmosfera  familiare ed accogliente come se non esistesse il male al di fuori di quella stanza.
Il camino nel salone era acceso, i crepitii del legno per effetto del fuoco riecheggiavano e sia Kinglsey che Minerva sarebbero potuti rimanere lì ad ascoltare quel sottofondo per chissà quanto tempo.
La strega indicò un poltrona a Kingsley dove si accomodò e anche lei fece lo stesso.
«Minerva devi sapere che sono stato davvero molto occupato per via del Ministero, non mi hanno lasciato un momento libero, sono stato letteralmente ricoperto di incarichi.
Credimi la prima cosa che volevo fare era organizzare una riunione dell’Ordine, per fare il punto della situazione e bhe... dare un degno saluto a chi non è più tra noi...»
«Ma non l’hai fatta, niente riunione, niente commiato, nulla.»
«Non essere troppa spudorata con me Minerva, non credo di meritarlo» quelle parole scottavano l’animo del Ministro, ma non era andato lì per farsi mettere i piedi in testa e sentirsi dire che era stato un buono a nulla, così continuò dicendo «ma sono d’accordo con te, non l’ho fatta, ma non è tardi, anzi, abbiamo tanto da fare, riordinare, ricostruire e so bene che devo ripartire da un punto cardine: Hogwarts.»
«Non mi hai ancora spiegato perché sei qui, da me» nello stesso tempo Minerva McGranitt era occupata a versare del tè e ne offrì una tazza al Ministro.
«Ti ringrazio, sono qui perché voglio ricordarti che da più di quarant’anni tu sei parte integrante della scuola e non posso pensare a quel castello senza la tua presenza.
«Grazie per le tue parole Kingsley,ma sono stanca e non sono più quella di una volta, le forze iniziano a diminuire e la guerra mi ha portato via tante cose: amici, conoscenti e non trovare tra quei banchi tanti studenti che vedevo ogni giorno e pensare che hanno combattuto qualcosa più grande di loro...» gli occhi della strega si inumidirono, ma ebbe la fermezza di proseguire, era dopotutto una guerriera, una Grifondoro e niente e nessuno poteva scalfirla.
«...credo sia arrivato il momento di farsi da parte e lasciare spazio ai più giovani, a chi ha più grinta e vitalità di me.»
«Ammetto Minerva che chiederti di continuare ad insegnare ad Hogwarts comporterebbe un gran dispendio di energia per te, ma io non sono qui per chiederti questo, io sono qui  per chiederti di dirigerla, Hogwarts.»



NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti, ho postato subito il nuovo capitolo perché la settimana prossima ne sarà pubblicato soltanto uno.
Cosa dire quindi.
Kingsley inizia a darsi da fare e vuole riparte da due certezze, Hogwarts e Minerva McGranitt (non evito di dire che è il mio personaggio preferito, insolito lo so).
Cosa farà la professoressa McGranitt? Accetterà o si farà da parte anche per questo incarico?
Aspettate i prossimi capitoli per scoprirlo.
Mini spoiler, dai prossimi capitoli entrerà in scena finalmente anche al trio!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Il tempo se ne frega - I parte ***


Il tempo se ne frega - I parte


"Fugge frattanto, fugge il tempo irrecuperabile." -Virgilio
                                                                  

 
Il tempo alla Tana probabilmente sembrava non passare mai.

Tutto appariva fermo da quel maledetto 2 Maggio.
La battaglia era finita e con sè aveva portato tante anime innocenti.
Si era portata via Fred Weasley.
In quella casa dalla struttura irregolare e indefinibile, da più di tre settimane alloggiavano anche Harry, che voleva restare accanto a Ginny per rincuorarla ed aiutarla, ed Hermione che sarebbe rimasta fino a alla partenza per l’Australia, in cerca dei suoi genitori e restituire loro la memoria, per restituire loro una figlia che mai hanno saputo di avere.
Tutto ciò che la separava da loro era l’insicurezza che aleggiava.
Non tutti i Mangiamorte erano stati trovati e quindi Hermione decise che solo quando l’ultimo seguace del Signore Oscuro sarebbe stato sbattuto ad Azkaban, allora lei avrebbe fatto le valigie.
In casa regnava il silenzio come se non si volesse svegliare un ospite che riposava da chissà quanto tempo e non voleva essere svegliato, mai più, purtroppo.
George si rintanava nella sua camera, nella loro camera, troppo silenziosa e grande per lui che l’aveva condivisa da sempre ma, non per sempre pensava.
In fondo non esiste nulla di incondizionatamente presente, che non ti lascia mai, che ti resta fedele, che ti salva ininterrottamente quando cadi, che ti fa rialzare, che ti cura le ferite che la vita ti procura, no, questo non sarebbe accaduto a lui, perché Fred non stava più al suo fianco e, adesso, era più solo che mai.
George non riusciva neanche a guardarsi allo specchio, odiava il suo viso e si domandava in ogni istante cosa lui ci facesse lì, perché non fosse con il fratello, perché dopotutto erano sempre stati uniti, e il destino si era comportato come una spietata matrigna dato che non aveva tolto la vita ad entrambi, ma aveva fatto di peggio, li aveva divisi, per sempre.
«Georgy» disse la piccola di casa Weasley, che ormai bambina più non era.
Aveva visto tutto della vita ormai, forse troppo, «posso entrare per favore?»
Nessuna risposta, non che se l’aspettasse.
Quando la ragazza aprì la porta, trovò suo fratello disteso sul letto di Fred.
Stava respirando l’odore del gemello ormai scomparso.
Respirava ed ansimava, aveva paura.
Paura di dimenticare il suo profumo, i suoi occhi marroni, che gli ricordavano le immense distese di granturco che ogni mattina aveva la fortuna di osservare dall’oblò della sua camera, occhi caldi, vivi.
Aveva paura di dimenticare la sua voce anche se simile alla sua: allegra, ironica, accesa.
Aveva paura di dimenticare le sue barzellette su Percy, insomma aveva paura di dimenticare anche i ricordi che erano legati al suo gemello.
Ginevra si adagiò accanto a lui e lo cinse in un abbraccio.
George sussultò, i brividi gli salirono su per la schiena.
«Mi manca, Ginny» sussurrò il ragazzo.
Quelle parole distrussero l’equilibrio di Ginny, si sentì debole, impotente di fronte al fratello, che nel mentre era scoppiato in un silenzioso pianto, uno di quelli che ti porti dentro, che ti ustionano la pelle, ma che non ti lasciano cicatrici, uno di quelli che ti spezzano il cuore in mille pezzi e che dai quali cocci non puoi più ricavare nulla.
«Manca a tutti George e a te più di tutti lo so, ma ti prego non lasciarmi sola, ho bisogno di un fratello che mi coccoli ancora, che mi dica che sono la sua “piccola sorellina”, che mi dica costantemente che mi proteggerà sempre, che resterà forte per me.
Sì, ho bisogno di te, abbiamo bisogno di te: io, Ron, la mamma.
Non puoi dimenticarti di noi George. 
Ti prego torna con noi, ti scongiuro. Resta con noi.»
George si voltò verso sua sorella e le fece un incoraggiante sorriso.
Chissà se da quella sera qualcosa sarebbe cambiato, chissà.
I due fratelli si scrollarono di dosso la rabbia e il dolore accumulati in quelle settimane, si abbracciarono di nuovo, come se non volessero più staccarsi, ascoltarono il battito dei loro cuori che tamburavano allo stesso ritmo.
Poi finalmente si staccarono e mano nella mano si avviarono verso il giardino dove Molly aveva preparato inconsuetamente preparato la cena.  
Usciti all’aperto George si staccò da Ginny gentilmente e andò in direzione della madre che era indaffarata nel preparare prelibatezze di ogni genere.
Harry invece appena vide Ginny le si avvicinò e le diede un appassionato bacio.
«E questo a cosa è dovuto signor Potter?» disse ironicamente la ragazza.
«Ti amo» le sussurrò in un orecchio.
«Anche io Harry, ho aspettato fin troppo tempo e nulla e nessuno sarà capace di portarti via da me.»
«Avanti voi due, la tavola non si prepara da sola», canzonò la signora Weasley con il suo solito tono da comandante che incita i suoi soldati a prepararsi ad attaccare  il nemico.
«Ragazzi abbiamo due ospiti stasera, arriveranno a breve con Arthur.
Oh Hermione...» che era appena comparsa con alcune lampade ad olio da mettere in tavola, «dov’é Ron?»
«Ovviamente si sta ingozzando in cucina, è troppo occupato per aiutarci», disse la ragazza con tono divertito.
D’un tratto si sentì come uno scoppio, segno della materializzazione di Arthur.
L’uomo era affiancato da i due ospiti annunciati da Molly: Andromeda Black  indossava un sobrio vestito da sera verde, molto semplice, lungo sino al ginocchio.
I suoi capelli era fluenti, castano chiari, con riflessi ramati.
La sua somiglianza con la sorella Bellatrix era a dir poco imbarazzante, ma il viso e i suoi lineamenti lasciavano intravedere una personalità buona ed onesta.
Tra le sue braccia dormiva un dolcissimo Ted Lupin.
I suoi capelli, color acquamarina erano lunghi e cadevano sulla fronte spaziosa.
La carnagione era molto chiara di un pallidissimo rosa.
Era in posizione podalica, come se fosse al riparo in un utero immaginario.
Il piccolo Ted indossava una tutina rossa e l’immagine di quel bambino si fece ancora più tenera quando con delicatezza si mise il suo piccolo pollice sinistro in bocca e definitivamente venne abbracciato da Morfeo.
«Andromeda, cara, che piacere» le due donne si salutarono sfiorandosi le guance, in modo da non svegliare il piccolo.
«Vieni dentro, ti offro del té» ma subito Andromada declinò.
«Molly non disturbarti, vorrei solo mettere Teddy a letto» Harry intanto si era fatto avanti; quel piccolo era dopo tutto sotto la sua protezione, era il suo padrino.
Sarebbe restato accanto a lui per sempre, sapeva che Teddy avrebbe avuto momenti molto difficili, sapeva che essere orfano era un dolore che ti portavi nel cuore per il resto della vita, ma Harry avrebbe fatto tutto il possibile per limitare quella sofferenza.
«Harry figliolo, come stai?»
«Tutto bene signora Black» Harry successivamente indicando il piccolo disse «è bellissimo», i suoi occhi brillavano davanti a quel batuffolo dai capelli così particolari.
«Uguale alla madre ed ha la carnagione e gli occhi di Remus.
Harry, però ti chiedo di chiamarmi Andromeda mi raccomando» disse sorridendo la donna.
«Andromeda  se vuoi lo portiamo io ed Harry di sopra» disse Ginny accarezzando timidamente i capelli di Ted.
«Grazie tesoro, e poi non fatevi problemi a scendere, Teddy è un gran dormiglione.»
Ginny prese delicatamente il piccolo dalle braccia della nonna, lo portò al petto e lo cinse in un modo così materno che Harry rimase a contemplare quell’immagine fino a quando Ginny non gli disse di sbrigarsi a seguirlo.
Intanto in cucina Ron ed Hermione aiutavano la signora Weasley a portare le stoviglie fuori, o almeno si rendevano d’aiuto a modo loro.
«RONALD VUOI SMETTERLA DI MANGIARE QUEI MUFFIN, DOPO VORREI ASSAGGIARNE ANCHE UNO IO SAI!» urlò dall’altra parte della cucina Hermione.
«Ron quante volte ti ho detto di non toccare nulla prima di cena?» tuonò invece la signora Weasley che successivamente uscì fuori per depositare sulla tavola dei cestini con il pane.
«Cos’è stasera, vi siete coalizzate tutte e due contro di me?»
«No, è solo che abbiamo una soglia del dovere da rispettare molto più alta della tua immaginazione, vieni qui e aiutami con il dolce.»
Ron si avvicinò silenziosamente ad Hermione, con il viso falsamente ferito, che però aveva il potere di addolcire, se pur di un minimo, la giovane.
«Quando ti dico di mettere la panna sul dolce, versane due cucchiai in modo da darmi il tempo di spalmarla okay?»
«Okay» borbottò il rosso.
«E’ inutile che fai  l’offeso, ormai hai lo stomaco pieno per essere triste» canzonò Hermione divertita, «dai versane un po’.»
Ron la guardava perso, vedere Hermione in ogni sua azione era uno spettacolo, solo lei riusciva a muoversi con così tanta grazia, anche per le cose più futili, come spalmare della panna.
«Sei stupenda» le disse, baciandola tra la cavità del collo e della clavicola.
«Ci vuole ben altro perché io accetti le tue scuse Ronald, versane ancora un po’.»
Ron versò altra panna ma con un po’ più di veemenza, tanto da farne schizzare un po’ sui blue-jeans della ragazza.
«Ron!»
«Scusa, aspetta» allora il ragazzo pulì i suoi pantaloni con il dito e poi se lo gustò.
«Dimmi perché pensi solo a mangiare, sembra che sia la tua unica ragione di vita», disse quasi sconfortata Hermione.
«Dovrebbe essere anche la tua Herm» e così Ron buttò in faccia alla ragazza un po’ di panna e la reazione non tarò ad arrivare.
«RONALD WEASLY, COME HAI OSATO».
I due ragazzi rimasero in silenzio per pochi istanti, poi scoppiarono in fragorose risate.
Alla fine Ron si avvicinò alla ragazza e la baciò, le due labbra si incastonarono in un connubio perfetto d’amore e leggerezza.
Dopotutto il tempo anche alla Tana doveva passare.

«Adesso accetti le mie scuse?»

 
NOTE DELL'AUTORE

Come promesso nel precedente capitolo, fianlmente entra in scena il trio, più George Weasley che in questa storia avrà il suo momento per esporsi.
Ho voluto descrivere un'innata amicizia tra i Weasley e Andromeda, anche se nella Saga non c'è conferma di questo, anzi.
Ho dovuto dividere questo capitolo in due parti perché in entrambi accadono cose degne di nota, qui c'è comunque una descrizione del momento di casa Weasley, 
soprattutto descrivendo Ginny e George, nonostante la forza di Molly, ma nel prossimo capitolo succederà qualcosa di davvero importante.
Cambiamenti? Chissà...sta di fatto che sarà un capitolo importantissimo!
Al prossimo capitolo, aspetto vostre opinioni e recensioni.

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Capitolo 5
*** Il tempo se ne frega - II parte ***


IL TEMPO SE NE FREGA – II PARTE 
 
 

"Perduto è tutto il tempo che in amor non si spende." -Torquato Tasso
 
 
La cena era iniziata già da un bel po’ e tutti riuscivano a respirare un’aria diversa rispetto alle ultime settimane, c’era serenità e i cuori e le menti di tutti i commensali erano più leggeri, ovviamente tutto favorito dalle gustose pietanze preparate dalla signora Weasley.
Tutti parlavano con fare disteso e cominciarono a discutere del futuro che li attendeva, ognuno esprimeva il proprio parere circa il Ministero e le capacità di Kingsley Shacklebolt.
«Credo che per una volta il Ministero abbia fatto la scelta giusta, Kingsley è  l’uomo che può rimettere gli equilibri al loro posto» esordì Arthur Weasley.
«Però non mi sembra comunque opportuno che abbia lasciato per un mese l’Ordine della Fenice.
Capisco i suoi innumerevoli impegni in questo momento ma era doveroso fare una riunione no? Dopo la battaglia era necessario riunirci tutti e almeno fare il punto della situazione» obbiettò invece Hermione.
Anche Molly prese la parola «Ha ragione Hermione. Dopotutto Kingsley era 
il tramite fra il Ministero e l’Ordine, un ruolo importantissimo che e Silente stesso glielo aveva affidato, spero che a breve si rifaccia vivo, chissà di che cosa si sta occupando.»
«Credo si rifarà vivo mamma, penso che l’Ordine abbia il dovere di riunirsi anche per un saluto finale a Fred, mi sembra che tutti dimenticano un po’ troppo in fretta, a costo di andare io da Kingsley, ma dovrà riunire di nuovo l’Ordine, assolutamente», disse George e, a quel punto cadde il silenzio.
Accadeva sempre quando si pronunciava il nome di Fred, in quelle occasioni che gli occhi di Molly si rimepivano di lacrime per quel figlio che tanto amava e che non poteva più riabbracciare. 
Andromeda fortunatamente riuscì a stemperare un po’ la situazione che si era venuta  a creare.
«Arthur e Percy dov’è? Dopo le dimissioni lavora ancora al Ministero?»
«É riuscito a stare lontano da quella scrivania solo per una settimana, quell’ufficio è tutto per lui, ma voleva un po’ più di azione allora ha chiesto a Bob Ogden se poteva rendersi d’aiuto in qualche modo, allora Bob gli ha domandato se si sentiva in grado di ricercare un noto Mangiamorte, dato che si vocifera si fosse rifugiato a Tirana, in Albania.
Allora Percy gli ha detto che era pronto per quella missione, a costo di lavorare da solo.»
Si intromise Ron, «come al solito si comporta da perfetto idiota egoista.»
«Non si tratta di egoismo, ma è una scelta di lavoro, comunque Ogden ha acconsentito alla richiesta e adesso Percy è in viaggio, dovrebbe arrivare in un paio di giorni.»
«E Percy non ti ha detto chi era questo “noto Mangiamorte”?» chiese Harry.
«No, ovviamente no, ti ricordi per il Torneo Tremaghi no? Sulla riservatezza Percy fa molto affidamento. 
Comunque credo che in pochi al Ministero sappiano chi sia.»
«C’è da preoccuparsi Arthur?» chiese intimorita Andromeda.
«Non credo, però abbiamo la fortuna di essere amici con Kingsley, quindi se la situazione dovesse evolversi in qualche modo, saremo i primi a saperlo ma fino a quel momento puoi restare tranquilla.»
«Signor Weasley e le udienze contro i Mangiamorte quando inizieranno?» chiese Hermione.
«Ci vorrà ancora un po’ di tempo, non so quanto, per adesso ci sono cose più importanti all’ordine del giorno del Ministero e, potrei essere d’accordo con loro.
Credo che vorranno lasciare le udienze come ultima cosa da fare, per segnare la fine di quel periodo.
Quando avranno spedito ad Azkaban tutti i Mangiamorte con il timbro dell’udienza del Wizengamot, allora tutto sarà finito, una volta per tutte.»
Hermione pensava che dovesse fare quell’annuncio, che da un po’ di tempo a quella parte teneva nascosto per sé, o almeno, lo sapevano lei e Ginny, alla quale confidava ogni cosa.
Si voltò distrattamente e incrociò proprio gli occhi di Ginny, che al volo capì a cosa stesse pensando.
L'amica le fece un  sorriso incoraggiante, come se le stesse dicendo: “vai, ti copro le spalle”.
Hermione rincuorata dall’amica in maniera silenziosa, sentì una forza crescere dentro di lei, una forza capace di superare la paura delle conseguenze che sarebbero scaturite dopo il suo discorso.
«Scusate... ci terrei ad informarvi di un fatto che mi è accaduto...»
Tutti tacquero ed Hermione si sentì di nuovo spiazzata ed intimorita, riguardò Ginny e le fece segno con la mano in maniera molto emblematica di proseguire.
«...bhe una settimana fa è arrivata una lettera del Ministero, il quale mi chiedeva se fossi disponibile a frequentare un corso per diventare nel giro di un anno un membro del Wizengamot ed avere la possibilità anche di diventare avvocato...e sì, mi sono presentata tre giorni fa al Ministero e ho accettato l’offerta che mi avevano presentato e domani inizierò il corso e mi hanno precisato che non ci sarebbe stato nessun problema se io non avessi frequentato l’ultimo anno ad Hogwarts, hanno deciso che per meriti “al valor civile” avevo la possibilità di accedere a quei corsi anche senza i M.A.G.O.»
Il silenzio che si venne a creare dopo l’accurata esposizione di Hermione dei fatti avvenuti le fece ancora più paura ma, fortunatamente la tensione si sbiadì come fumo all’aria aperta.
«Tesoro, ma è una notizia meravigliosa, sono contentissima per te, allora è logico che dobbiamo festeggiare, vado a prendere il dolce!» esordì con un vero e proprio urlo la signora Weasley.
«Complimenti Hermione, nessuno merita più di te quel posto, sono orgoglioso di te» le disse Arthur Weasley.
Il complimento del signor Weasley emozionò a tal punto Hermione che non riuscì che ad esternare un timido «g-grazie».
«Informarmi dopotutto ti doleva vero?»
Ron sbottò, si alzò con più forza del necessario, uscì e sparì dietro l’angolo.
Ecco quelle erano le conseguenze che la ragazza temeva.
Adesso Hermione non riusciva più a pensare a niente, la sua mente che era stata artefice di cose straordinarie adesso non le forniva una risposta per porvi un rimedio.
Succede che a volte la mente è troppo fredda e razionale e resta al cuore comandare cosa fare.
Hermione con educazione si alzò e andò alla ricerca di Ron.
Girò l’angolo dove poco prima Ron si era allontanato e lo vide poco distante  appoggiato alla recinzione che guardava l’orizzonte.
Hermione pensò che quel panorama fosse incantevole, rimase per qualche istante ad osservarlo ma soltanto per poco.
Si avvicinò silenziosamente non sapeva esattamente cosa dire, si sentiva inopportuna ad essere andata lì, come se quella parte di giardino fosse terra incalpestabile per lei, il fortino di Ron, dove lui in quel momento stava depositando rabbia e risentimento.
Ma soprattutto delusione.
«Avevo paura, se te lo avessi detto qualche giorno fa avresti reagito nello stesso modo.»
«E credo sia comprensibile non credi? Mi hai sempre detto che volevi partire per cercare i tuoi genitori, che lo avremmo fatto insieme, mi dicevi che già immaginavi come avrebbe reagito tua madre quando avrebbe saputo che eravamo fidanzati.
E adesso invece? Adesso non puoi pensare solo a te stessa Hermione, siamo una coppia, siamo in simbiosi, dobbiamo pensare, ragionare anche per l’altro, confrontarci sul nostro futuro, i nostri sogni e ovviamente anche sul nostro lavoro.»
Hermione si irritò non poco «Mi stai dando dell’egoista, come puoi dire una cosa del genere?
Hai sentito cosa ha detto tuo padre? Ci vorrà molto tempo prima che inizino le udienze e non me ne starò con le mani in mano a non fare nulla, a far passare la mia vita così, come una folata di vento che porta con se speranze e obiettivi personali, se tu Ronald Weasley mi conoscessi un po’ sapresti che l’ultima cosa che io voglio è starmene seduta in un angolo di questa casa e sentirmi inutile ed inappropriata.»
«Sei tu che ti comporti come se avessi due facce, una con cui mi ami, mi coccoli, scherziamo e perché no litighiamo ma, subito dopo facciamo pace e l’altra faccia con la quale dimostri di essere di essere ambiziosa e lasciamelo dire, anche un po’ egocentrica.
Io ti amo Hermione, non voglio lasciarti per nessuno al mondo e niente mi impedirà di farlo, voglio restare con te per il resto della mia vita, però vorrei che tu iniziassi un po’ a fidarti di me, ad appoggiare anche il mio punto di vista e questo non comprende lasciarti in disparte in un angolo di questa casa.
Non si tratta di renderti una nullafacente, è solo che non voglio che tu ti rinchiuda in un ufficio e dimentichi che qui c’è una persona che ti aspetta ed è pronta a baciarti, a coccolarti sul divano davanti ad una cioccolata calda, con cui ogni notte fai la lotta con i cuscini, vorrei che dopo una maledettissima guerra avessimo più tempo per noi, per costruire passo dopo passo il nostro futuro, io ti amo e non voglio obbligarti a fare delle scelte però...»
Hermione lo fermò, «però cosa? Non vuoi costringermi a prendere una decisione però se scelgo quella che per te è ritenuta sbagliata ti deluderò profondamente, mi ami però non vuoi vedermi felice e realizzata nell’apprezzare un lavoro che voglio fare, mi ami e non vuoi vedermi con le mani in mano però, non vuoi vedermi dietro ad una scrivania o in un tribunale per oppormi al nemico, come fai a chiedermi di fidarmi ciecamente di te, quando tu non supporti neanche i mie di progetti?
Adesso dimmi che futuro vogliamo costruire senza un lavoro, perché Ronald tu non hai un lavoro e devi iniziare a rendertene conto. Tua madre non sarà sempre qui a porgerti la mano e dirti che va tutto bene.
Percy, Bill e Charlie alla nostra età stavano già facendo gavetta per aspirare al lavoro dei loro sogni.
Ron tu non puoi progettare il futuro se non inizi a prenderti le tue responsabilità, perché perdonami io lo sto facendo e ti darò il tempo perché anche tu faccia lo stesso, perché ti amo e non immagini quanto, perché ti voglio al mio fianco per il resto della vita.
Io ti amo Ronald Bilius Weasley, ma la vita è un’altra cosa rispetto ad Hogwarts. La vita non perdona, la Mcgranitt può metterti un “Troll” e puoi migliorare al prossimo compito ma non la vita.
Abbiamo visto cosa c’è fuori da quel castello, l’abbiamo combattuto insieme e, quando diventa così imponente anche Hogwarts è dovuta correre al riparo.
Ora dammi la mano e torniamo a tavola, dimostriamo che siamo uniti, che l’amore va oltre un lavoro al Ministero, oltre l’ambizione personale.
Dimostriamo che l’amore unisce e non divide.»  

«Ginny non dirmi che quei due hanno litigato?» il prescelto sembrava realmente preoccupato.
«Credo che la scelta di Hermione di iniziare a frequentare quel corso e quindi di lavorare fra un anno al Ministero ha scombussolato Ron, non se lo aspettava.»
«Tu lo sapevi?»
«Certo che sì amore!» e la ragazza sorrise ad Harry per fargli capire che quelle erano  cose che gli uomini non potevano comprendere e poi continuò dicendo, «Hermione aveva paura di qualche giudizio affrettato, credeva che noi la considerassimo come una che vuole mettersi alle spalle tutto senza avere rispetto per chi non è più tra noi: Fred, Tonks, Remus...»
«Come può averlo pensato, anzi è da ammirare, si è alzata le maniche e Ginny... credo che debba iniziare anche io a farlo, deve essere così.»
«Lo so Harry, fai ciò che è più giusto, credo che Kingsley non si tirerà indietro per offrirti un incarico importante.»
«Ma io non voglio un incarico importante, voglio partire dalle basi come tutti e guadagnarmi il posto non con il mio nome, ma con le mie capacità. Chiederò se posso entrare nel Dipartimento degli Auror.»
«Per questo ti amo, sai tenere la testa sulle spalle Harry Potter, amo quando ti dimostri la persona seria che sei, quando parli con il cuore, quando hai sempre la parola giusta per chiunque.
Ti amo perché so che non cambierai mai...ah eccoli sono tornati, e sono mano nella mano» infatti Ron ed Hermione comparirono di nuovo e si accomodarono.
«Ed ora che i piccioncini ci hanno onorato della loro presenza, mamma, ti ordino per le pluridecorate mutande di Merlino di servire il dolce» esternò un colorito George Weasley.
Tutti scoppiarono a ridere, anche George che si rese conto che non rideva così da tanto tempo, troppo per lui, che non era abituato al silenzio e al dolore, era il momento di scrivere un’altra pagina della sua vita, lo avrebbe fatto per se stesso, ma anche per Fred, perché lui avrebbe voluto questo. 
Verso le undici e mezza di sera Andromeda Black e suo nipote lasciarono la Tana, la donna fece si che Arthur non si disturbasse ad accompagnarla fino a casa e gli disse che era più ragionevole aiutare Molly nel riordinare.
La signora Black salutò tutti con grande affetto, sentiva di aver vicino una famiglia molto più affettuosa della sua, l’unico pezzo della propria famiglia verso il quale provava ancora un po’ d’affetto era sua sorella Narcissa, per quanto riguardava invece Bellatrix, per lei era morta il giorno in cui assassinò sua figlia.
Guardò suo nipote e si chiese come avesse osato quella squilibrata di sua sorella uccidere sua figlia, come si era permessa di privare Ted di conoscere sua madre.
C’erano cose che non si potevano ripristinare, la guerra ha cambiato le persone, ma alcune sono rimaste crudeli, malvagie e marce dentro.

NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti, questo nuovo capitolo va preso molto con le pinze e bisogna avere molta attenzione per alcuni particolari.
Adesso vi dico quali, ma non vi spiegherò il motivo se no salta tutta la storia!
Percy. Chi è questo Mangiamorte? Fra qualche capitolo sarà svelato il tutto!
Hermione. Perché questo lavoro? Che incarico le verrà affidato? Perché Kingsley ha inviato quella lettera proprio a lei?
Ron. Perché non riesce a tenere un equilibrio stabile con Hermione? Riuscirà a trovarlo? Si prenderà le sue responsabilità?
George. Si riprenderà definitivamente?
Harry. Avrà anche lui il suo lavoro al Ministero?
Ginny. Quale sarà il suo futuro?

Bene, se volete sapere tutto questo non vi resta che attendere i prossimi capitoli!
P.S piccolo spoiler: i prossimi due capitoli sono incentrati sulla professoressa Mcgranitt e su un nuovo personaggio...
A presto lettori!

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Capitolo 6
*** Legge di Gamp - I parte ***


LEGGE DI GAMP – I PARTE
 
 
"La guerra è un castigo tanto per chi la infligge quanto per colui che la patisce." - Thomas Jefferson


Il giorno dopo quella discussione, che le sembrò più un’offerta di lavoro, Minerva McGranitt si diresse al Ministero della Magia.
Non andava in quel luogo da più di quarant’anni, quando aveva rassegnato le sue dimissioni.
«Salve signora McGranitt, ha un appuntamento con il Ministro?» chiese la tranquilla segretaria di Kingsley Shacklebolt.
«No al dir la verità...»
La segretaria non le diede neanche il tempo di concludere la frase e di cercare un pretesto per entrare lo stesso che disse: 
«Allora deve aspettare il suo turno, signora McGranitt.»
La strega si voltò indietro perplessa, una decina di persone erano accomodate in quel piccolo atrio d’attesa.
Le ricordava la sala d’aspetto del San Mungo, passò lì molto tempo quando tre anni prima un paio di scagnozzi della Umbridge la schiantarono. Vigliaccamente in un tre contro uno fu colpita ripetutamente al petto e svenne.
La McGranitt lasciò cadere quei pensieri e si accomodò su un’anonima sedia di plastica color blu petrolio. Sedeva accanto ad un uomo baffuto, leggeva accuratamente un giornale, sembrava assorto in un silenzio e in un’attenzione quasi religiosa.
Minerva McGranitt sicuramente non avrebbe passato quel tempo a starsene zitta, lì in disparte.
«È molto tempo che aspetta?»
L’uomo si voltò lentamente verso la donna, si arricciò i baffi,  quel comportamento stava per far sbellicare dalle risate la professoressa McGranitt, «Non so cosa lei intenda per molto tempo, signora, diciamo che sono qui che aspetto più del dovuto ed ho avuto la pazienza di leggere due volte il giornale, al contrario.»
«Mh, capisco, cosa non si fa per passare il tempo, signor …»
«Lovegood, Thobias Lovegood», concluse l’uomo.
«Lei è un Lovegood? È il padre di Xenophilius?»
«Sì, in persona, immagino che lei sia Minerva McGranitt o almeno secondo quella simpaticissima segretaria, a cui farei leggere per tutta la giornata questo giornale, al contrario.»
La McGranitt rise di gusto, e gli chiese «come mai qui signor Lovegood?»
«Potremmo darci del tu? Abbiamo entrambi una certa età, è inutile parlare con tutti questi fronzoli. Comunque sono qui perché sono legato a Kingsley da un duraturo rapporto d'amicizia e dato che in un certo qual senso lui è in debito con me, e non sono qui ad annoiarla con la storia, è giunto il momento che saldi quel debito.»
«In che modo dovrebbe aiutarti?»
«Deve semplicemente darmi un lavoro.»
«Thobias, di questi tempi, trovare un lavoro è la cosa più complicata da fare.»
«No, se sei amico del Ministro della Magia» disse facendole l’occhiolino.
«Cosa facevi prima, se non sono invadente?»
«Oh no, niente affatto. Insegnavo Trasfigurazione a Beauxbatons, quindi siamo colleghi.»
«Davvero?» la donna stentava a credere che quell’uomo dallo spiccato senso dell’umorismo con degli stranissimi baffi potesse essere un insegnante.
«Secondo la Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi, qualsiasi oggetto o creatura può essere trasfigurata in qualcos'altro o modificato di forma o di sostanza...»
«Okay, d’accordo le credo» disse divertita la donna fermando l’uomo che era partito in quarta per dimostrare la sua competenza in materia.
Poi si intromise la segretaria, che sembrava avesse il dono di fermare qualunque bel momento: «Signor Lovegood può entrare.»
«Verrà con me anche la signora McGranitt.»
La donna rimase spiazzata e stava per declinare quella gentile cortesia, l’uomo le sussurrò di far fare a lui.
«Signor Lovegood, dal Ministro si può entrare solo uno alla volta.»
«Senta signorina... io non so chi abbia scritto queste regole idiote, io sono amico con il Ministro in persona e lui ha un debito in sospeso con me. Potrei chiederli di licenziarla se volessi.
Quindi adesso glielo richiedo, posso gentilmente entrare con la signora McGranitt?»
Intanto l’anziana donna non sapeva come comportarsi essendo in quel momento la causa si quella discussione che in poche parole il signor Lovegood aveva preso in pugno.
«P-prego, entrate pure» disse visibilmente tramortita la segretaria.
«Non ti è sembrato di essere stato troppo duro con quella ragazza? Dopotutto stava facendo il suo lavoro, Thobias»
«Ti do ragione Minerva, ma quando una regola va contro la ragionevolezza...»
Intanto erano arrivati all’uscio.
«Minerva, Thobias non vi aspettavo insieme, prego accomodatevi» esordì un luminoso Kingsley Shacklebolt.
«Tè?» chiese successivamente il Ministro.
Entrambi risposero negativamente nello stesso momento.
«Molto bene, da chi partire...Thobias?»
«D’accordo Kingsley, non faccio troppi giri di parole, non voglio annoiare né te né la professoressa McGranitt, mi serve un buon posto di lavoro. Sai mi vergogno immensamente, un uomo della mia età che viene ad elemosinare nel vero senso della parola...»
«Okay Thobias ho capito, fidati questo non è elemosinare, mh... Minerva tu devi dirmi qualcosa?», Kingsley sperava con tutto il cuore che quella risposta fosse...
«Accetto.»
«Benissimo, è stato un piacere Minerva, ci vediamo domani alle cinque in punto nel mio ufficio per attuare il piano di messa a punto della struttura e del corpo di lavoro che desideri, ah Thobias è stato un piacere rivederti!»
«Ma non hai fatto nulla, non ho niente, né un lavoro né una busta paga, nulla!» esclamò un irritato Thobias.
«Oh, io non devo fare nulla … devi vedertela con la professoressa McGranitt», Kingsely fece un raggiante sorriso che fece imbestialire ancora di più il signor Lovegood.
«Venga con me, le devo far vedere una cosa» in quel modo Minerva McGranitt riuscì a strappare Thobias da quello che presto sarebbe diventato un vero e proprio duello.
«Dove mi stai portando Minerva, non ho mica finito con quell’essere immondo.» 
«Ci penserei due volte prima di chiamarlo così.»
«Allora? Dove stiamo andando?» domandò l’uomo un po’ spaesato.
«Lo scoprirai presto, ma fino a quel momento mi faccia la decenza di chiudere quella bocca», disse la donna che sbottò dopo l’ennesima domanda.
NOTE DELL'AUTORE
Il personaggio di Thobias Lovegood è puramente inventato.
Non esistono notizie riguardanti il nonno di Luna Lovegood, ovviamente sarà esistito ma non compare in nessun libro quantomeno nei film.
Comunque l’utilizzo di questo artificio, ovvero inventare personaggi per dare una svolta alla storia potrebbe essere riutilizzato, quindi non escludo nulla, anche se vedo molto difficile l’introduzione di personaggi totalmente estranei al mondo di Harry Potter, ad esempio in questo capitolo ho inventato un personaggio che aveva un legame specifico, ovvero era il nonno di Luna Lovegood, quindi cercherò di evitare l’introduzione di personaggi senza nessun collegamento specifico.
La legge di Gamp esiste realmente nella saga ed è Hermione che approfondisce quest’argomento (tanto per cambiare direte).
A breve arriverà la seconda parte di questo capitolo; i primi tasselli iniziano a sistemarsi...


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Capitolo 7
*** Legge di Gamp - II parte ***


LA LEGGE DI GAMP – II PARTE
 


“Gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma nei nostri vizi.” - William Shakespeare 
 
Minerva McGranitt aveva letteralmente rapito Thobias Lovegood dall’ufficio del Ministro, dopo che quest’ultimo declinò la proposta d’aiuto dell’uomo.
I due si diressero ai camini della metropolvere nell’atrio del Ministero e si smaterializzarono, o meglio la professoressa McGranitt costrinse l’uomo a seguirla: si ritrovarono nel mezzo di un temporale; fulmini e tuoni decoravano in un modo spaventoso quel paesaggio surreale.
La professoressa McGranitt per l’occorrenza fece comparire due ombrelli grigio ardesia dal manico in ciliegio.
Percorrevano una stradina acciottolata costeggiata da entrambi i lati da altissimi abeti, Minerva notò di non riuscire a vedere nemmeno una cima di quegli alberi per via della densa nebbia.
Le sembrava che da un momento all’altro sarebbe uscito da qualche arbusto un dissennatore.
«Dove siamo, Minerva?»
«Lo capirai presto, però ti prego di non farmi altre domande, tutto ti sarà chiaro a tempo debito, adesso lascia che io contempli questi luoghi.»
Così entrambi iniziarono a seguire la stradina con gli ombrelli stretti nei propri pugni.                                                                                                                                                                                                                                                         Quindici minuti dopo 
aveva smesso di piovere, seppur facesse freddo, ed i due  erano arrivati davanti ad un cancello che sbarrava loro il proseguito del percorso.
Minerva avanzò lentamente verso l’inferriata, appoggiò entrambe le mani sul freddo ferro ed inchinò leggermente la testa.
Iniziò a borbottare alcune parole indefinibili per Thobias, e
 il cancello, ad un certo punto, cigolò rumorosamente.
Thobias con uno scatto di riflessi si girò indietro per paura di essere stati scoperti a scassinare chissà quale cassaforte, ma erano da soli.
«Prego, dopo di te» disse la Minerva McGranitt che con la mano fece segno di proseguire il tragitto.
«Sei già stata qui?» chiese con un tono intimorito.
«Oh, certo che sì», ridacchiò la professoressa, poi continuò compiciuta: 
«Adesso, hai capito dove ci troviamo?»
«Cosa vuoi dir... per la bacchetta di Morgana!», esclamò stupefatto l'altro.
Hogwarts si stagliava con prepotenza su una rocciosa collina.

Spiccava in maniera incombente, indubbiamente mal ridotto per colpa della guerra che sapeva essere stata combattuta lì.
Guardava quel castello come rapito, forse anche dal suo cattivo stato, lo paragonava ad un gigante tramortito, in fin di vita, ma se Minerva lo aveva portato lì, una speranza poteva ancora esserci. Hogwarts non aveva ancora spirato.
«Non dirmi che entreremo dentro!» disse ad alta voce lui, mentre era ancora preso nell’osservare il castello.
«Hai paura Thobias? Se non è crollato dopo più di mille anni, non sarà una guerra a farle chiudere i battenti.» esclamò la donna, come se fosse stata offesa lei stessa.
Arrivarono davanti al maestoso portale bronzeo che ormai era diventato pressoché nero.
In alcuni tratti la porta presentava estesi fori che stavano a significare che un incantesimo lo aveva colpito, la spinsero insieme e l’aprirono. 
Entrarono.
Alla donna venne quasi un capogiro, quello che si presentava davanti ai suoi occhi era catastrofico.
«Misericordia!», esclamò il signor Lovegood.
«Sì.» 
Queste furono le uniche parole che una tremante Minerva McGranitt riuscì a pronunciare.
«Minerva, ti senti bene? Possiamo anche andar via.»
«No, ti ho portato qui per una ragione precisa» e la donna fece segno di procedere in direzione della Sala Grande.
«Alohomora.»
Dopo l’incantesimo pronunciato dalla professoressa, la porta iniziò ad aprirsi non senza rumoreggiare...
«Entriamo», disse la donna, «è giunto il momento che tu sappia.»
I due percorsero tutta la sala.
Non c’era più segno dei lunghi banchi e delle panche, dove ogni giorno centinaia di ragazzi pranzavano e cenavano.
No, non c’era più quel clima di felicità e di allegria, tutto era soffocato, tutto era morto.
Le mura che delimitavano la sala erano quasi tutte piene di crepe.
Mura grigie, anonime, spente, fragili.
Quelle mura, come tutte quelle del castello, erano in precario equilibrio, anche se per secoli avevano protetto gli studenti dalle proprie paure, avevano allontanato il loro dolore, avevano programmato il loro futuro, avevano ottenuto grandi vittorie.
Hogwarts era stata la casa di tutti, anche sua, di Minerva McGranitt. La severa professoressa di Trasfigurazione, strega più potente dell’era moderna che adesso piangeva proprio per quelle instabili mura una volta forti, come le braccia di una madre che sostiene il proprio figlio. 
Si sedettero su una piccola panca appostata dove prima vi era il lungo tavolo dei professori.
«Minerva stai... stai piangendo...»
«Non è nulla, assolutamente.»
«Ma...»
«Niente ma, sto bene, non preoccuparti per me», mentì la donna.
«D’accordo se è questo che desideri... quindi come mai mi hai portato ad Hogwarts?»
L’anziana donna si asciugò alcune lacrime che le rigavano il viso con la manica del suo mantello nero grafite, un po’ come fanno i bambini quando smettono di piangere.
Poi iniziò a parlare.
«Esattamente quarantadue anni fa iniziai a ricoprire il ruolo di insegnante di Trasfigurazione e la mansione di direttrice della Casa di Grifondoro, in poche parole ero onorata dei privilegi che Albus Silente mi donò.»
Poi continuò dicendo, «quando accettai l’offerta che mi propose giurai a lui e a me stessa eterna fedeltà a questa scuola, che l’avrei protetta insiem a tutti gli studenti da qualunque pericolo, a costo della mia stessa vita.
Sono passati quarantadue anni e non smetto di voler un bene incondizionato ad Hogwarts, ovviamente ci sono stati momenti bui, come la morte di Albus e la battaglia, ma non riuscirei mai ad abbandonare questo castello.
Thobias, ho visto morire davanti ai miei occhi decine di miei studenti ed ero impotente perché consapevole che non potevo salvarli tutti.
Dopo la fine della guerra ho girato ogni angolo di questa scuola: la Sala Grande distrutta, l’inaccessibilità agli altri piani data la distruzione delle scale, i cortili che ormai non esistevano più... e infine mi sono recata nell’ufficio del preside.
Thobias credimi, quella stanza era perfetta, non una crepa, nulla.
Mi sedetti su una poltrona, mai avrei osato sedermi su quella principale, quella dove solo il preside può sedersi, quella dove solo un anno prima sedeva ancora Albus.
Dopo essermi accomodata, chiusi gli occhi e piansi silenziosamente.
Le lacrime bagnavano il mio viso inesorabilmente: avevo perso amici, giovani studenti, la fiducia nel futuro, la speranza di un mondo migliore e Thobias, avevo perso la dignità perché sentivo di non aver prestato fede a quel giuramento che quarant’anni prima feci.
Non avevo protetto la scuola,  e chiunque vi fosse al suo interno.
Avevo fallito Thobias, miseramente.»
A questo punto intervenne il signor Lovegood, «Ma Minerva tu non hai fallito, hai fatto il massimo, hai protetto questa scuola con tutte le tue forze. Silente e perfino i quattro Fondatori sarebbero fieri di te. Non potevi nulla di più contro Voldemort, lo hai sfidato e gli hai tenuto anche testa.
Sei una strega potentissima, Minerva, e sei una donna molto forte, ritieniti orgogliosa di quello che hai fatto, queste mura si tengono in piedi anche grazie a te e al tuo contributo.»
La professoressa sorrise all’uomo, si sentì meglio, poi iniziò a parlare, era giunto il momento.
«Adesso però Thobias posso accomodarmi dietro quella scrivania in mogano, adesso posso avere il diritto di sedermi su quella poltrona che era anche di Albus e, devo dirlo, anche di Severus.
Ho accettato, Thobias. Sono la nuova preside di Hogwarts e voglio affidarti la cattedra di Trasfigurazione perché so che ne sei capace e so che posso fidarmi dell’uomo che sei.
Ti chiedo solo di rispettare questo compito, di metterci tutta la professionalità possibile e di restare accanto agli studenti nel prossimo futuro, perché la guerra lascia cicatrici che non puoi neanche accettare. Quindi», stava per concludere la donna, «Thobias Lovegood, accetti l’incarico affidatoti?».
L’uomo rimase stupefatto da quell’offerta, si sentiva onorato di quella carica se pensava che in precedenza era stata ricoperta da Minerva e da Silente, l’uomo più saggio e potente dell’era moderna.
Aveva la mente molto fredda e lucida ma non riusciva ad aprir bocca, si sentiva offuscato da chissà quale nebbia di pensieri.
Poi ci riuscì e, proprio come alcune ore prima si era comportata Minerva, disse soltanto una parola «Accetto.»
«Ti ringrazio Thobias, questo significa molto per me. Di certo avrei voluto assumerti in  un tranquillo ufficio qualche piano più sopra e non qui, tra polvere ed odore di morte e di lacrime.
Però forse avrai capito che questa scuola soffre proprio come chi risiede al suo interno, infondo. Silente diceva che “ogni giorno, ogni ora, in questo momento magari, forze oscure tentano di penetrare nel castello, ma alla fine la difesa più grande è chi vi risiede al suo interno.”


NOTE DELL'AUTORE

Vorrei sottolineare il fatto che Thobias non è particolarmente informato circa la storia di Hogwarts per il semplce fatto che in giovane età non ha frequentato questa scuola e non ha, ovviamente, ricoperto nessun ruolo, ha sempre insegnato a Beauxbatons.
Informazione temporale, secondo una cronologia ufficiale Minerva McGranitt inzia a ricoprire il ruolo di insegnante di Trasfigurazione nel 1956 quindi quarantadue anni prima.

Mini spoiler, il prossimo capitolo cambierà tutto, stravolgimenti in vista miei cari lettori, state in guardia, "draco" dormiens nunquam titillandus!
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Malfoy o Black? ***


​MALFOY O BLACK?



“La gloria la si deve acquistare, l'onore invece basta non perderlo.” - Arthur Shopenhauer

Dopo la fatale guerra magica combattuta ad Hogwarts, i Malfoy scapparono da quel castello con la convinzione che se fossero rimasti ancora lì, avrebbero avuto in poco tempo un via libera per Azkaban.
Lucius Malfoy progettò la fuga per un luogo più tranquillo e lontano da auror e membri dell’Ordine.
Sapeva con non lo avrebbero cercato per il momento, c’erano cose più importanti da fare che cercare un Mangiamorte, che tra l’altro aveva fallito ogni compito che gli era stato affidato.
Era adirato con se stesso, con sua moglie perché aveva mentito al Signore Oscuro e con suo figlio perché non aveva avuto il coraggio di uccidere Silente e di non aver riconosciuto Potter, in casa sua. 
In quel momento odiava la sua famiglia come si può odiare il peggior nemico, l’ira lo invadeva.

Domenica 7 Giugno 1998 – Tirana –
Kruja Hotel

Narcissa Malfoy quella notte non riusciva a riposare, i fantasmi delle ultime notti ancora aleggiavano nella sua mente.
I ricordi di quella battaglia erano ancora freschi, si riproponevano con ignobile crudeltà, stava per perdere suo figlio, il suo unico figlio.
Aveva perso sua nipote Ninfadora, uccisa da sua sorella Bellatrix  Lestrange. Con sua nipote non aveva stretto un saldo rapporto, non perché non volesse, piuttosto perché le era stato proibito.  
Aveva perso anche lei ormai: era stata spedita ad Azkaban e non l’avrebbe sicuramente mai più rivista, sempre se in quella prigione non ci sarebbe finita anche lei.
La donna temeva di perdere la sua famiglia, aveva paura che si sgretolasse da un momento all’altro, suo marito Lucius era così cupo dal giorno della fuga, raramente le rivolgeva la parola, stessa cosa per il figlio, notava sul suo viso una certa delusione.
Draco, quel figlio che tanto amava, che assomigliava a lei più che a suo padre tranne che fisicamente invece, si rintanava nel dolore, nell’angoscia che lui e i suoi genitori venissero trovati improvvisamente dagli auror.
Narcissa pensava che la guerra avesse fatto del male a lui più che a qualunque altro.
Lo sentiva quando la notte singhiozzava silenziosamente, per paura che suo padre lo sentisse e lo schernisse davanti a sua madre, che invece cerca sempre di porgergli la mano, perché sapeva che quel ragazzo era solo, contro il resto del mondo, era una maschera.
Sì, Draco Malfoy era una maschera, impersonava un ruolo ben definito, che suo padre voleva che interpretasse. Si dimostrava un ragazzo spavaldo, sicuro di sé, forte, purosangue, indomito, fiero, freddo come il marmo.
Narcissa sapeva che Draco non ce l’avrebbe mai fatta da solo e sapeva che lei non era in grado di poterlo aiutare.
Cercò di scrollarsi di dosso quei pensieri che pesavano come macigni, aprì gli occhi e finalmente si svegliò da quello stato di riflessione che aveva gravato sul suo cuore.
Si girò verso il fianco dove riposava Lucius.
Non era lì e non sentiva nessun rumore provenire dalle altre stanze.
Si alzò e andò nella camera di Draco che riposava beatamente, chissà a cosa pensava, si chiese la donna,  “nei sogni entriamo in un mondo che è interamente nostro”.
Narcissa si diresse successivamente in una specie di piccolo salotto, si aspettava che Lucius fosse lì, seduto sul divano che sorseggiava del vino rosso.
Gli mancavano tutti quei gesti, quelle quotidianità che la facevano sentire un po’ meno sola, un po’ più a casa, dopotutto.
Ma lui non era neanche lì, Narcissa stava per andare a controllare nel bagno prima di accorgersi di un foglio ripiegato con cura e disposto su un tavolino, posto sotto una finestra dalla quale fuoriusciva una luce artificiale di qualche lampione in strada.
Si avvicinò, la raccolse e scrupolosamente l’aprì.
Era la grafia di Lucius, elegante e precisa.
Iniziò a leggere, e le si gelò il cuore.

Cara Narcissa,
non avrei mai creduto sarebbe arrivato questo momento, neanche il pensiero era mai giunto nella mia mente.
Eppure è successo qualcosa che mi ha fatto 
inesorabilmente, cambiare idea.
Venti anni fa circa, abbiamo giurato fedeltà eterna, i nostri cuori da quel momento e fino alla fine dovevano battere all’unisono, ma evidentemente così non è stato.
Ti avevo chiesto di avere fede in me, in quello che stavo facendo, che la fiducia che avevo riposto nell’Oscuro Signore sarebbe stata ripagata.
Saremmo diventati grandi, ancora più potenti, saremmo stati riconosciuti finalmente come la famiglia purosangue per eccellenza, perché è questo che fa la differenza tra noi maghi: il sangue.
Ma no, tu non ci hai creduto, non lo hai mai fatto.
Sin dal momento nel quale hai rifiutato il marchio nero, fino a quando mi hai supplicato di non far diventare nostro figlio uno di noi, un Magiamorte.
Però fortunatamente non ti ho dato ascolto ed ha ricevuto il marchio, è diventato un uomo e il Signore Oscuro sembrava aver cambiato idea su di noi, nonostante quella sera all’Ufficio Misteri.
Aveva affidato a nostro figlio un compito di rilevante importanza, uccidere il più potente mago dell’era moderna dopo il Signore Oscuro: Albus Silente.
E tu cosa hai fatto invece? Sei andata a piagnucolare da Severus, quell’ignobile e spregevole doppiogiochista, un traditore come te.
Nostro figlio, per colpa tua non ha avuto il coraggio di uccidere Silente già in fin di vita, nostro figlio è diventato l’emblema della codardia, un vigliacco.
Ma questo non bastava per mettermi in ridicolo davanti a tutti, in casa mia tra l’altro, no non bastava.
TU! Mia moglie, mi hai tradito, mi hai pugnalato dietro alle spalle come il peggiore dei villani.
Hai mentito a me e al Signore Oscuro, hai dato il via alla sua disfatta e ai nostri sogni di gloria.
E per quale motivo? Tuo figlio! Sì, tuo, non mio.
Quello non è mio figlio, io non ho allevato un essere ripugnante nella mia casa, in quella dei miei avi, protettori del sangue puro.
Voi due avete infangato il nome dei Malfoy, voi per me, siete morti.
Narcissa leggi bene queste parole, arriverà il giorno della mia vendetta, quel giorno avrò ripulito la mia nobile casata.

 Lucius Malfoy



Narcissa Black rilesse velocemente la lettera forse illudendosi di aver letto male, di non aver colto cose davvero intendesse Lucius.
Invece aveva capito bene, suo marito se ne era andato, era partito perché deluso dall’atteggiamento di sua moglie e di suo figlio.
La donna si sentiva terribilmente in colpa, trafitta nel petto, una catena stringeva il suo cuore e adesso le lacrime bagnavano quella lettera.
La rilesse ancora.
“Nostro figlio è diventato l’emblema della codardia, un vigliacco”, poi ancora “Tuo figlio! Si, tuo, non mio” ed infine le parole che l’hanno letteralmente distrutta, “Quello non è mio figlio, io non ho allevato un essere ripugnante nella mia casa”.
Aveva smesso di piangere Narcissa, adesso provava rabbia e risentimento.
Odio. Questo provava adesso per Lucius Malfoy.
Tutte quelle accuse che aveva mosso contro di lei erano ingiuste, quei comportamenti, pensava Narcissa erano doverosi, e se fosse ritornata indietro nel tempo li avrebbe rifatti.
Forse tranne uno, aver conosciuto l’uomo che sarebbe diventato suo marito.
«Madre, cosa succede?», domandò Draco Malfoy visibilmente assonnato.
«Draco tesoro, è ancora l’alba va a riposarti», disse rassicurante sua madre.
«Non ho sonno e non riesco ad addormentarmi, cosa avete in mano?», Draco riuscì ad intravedere un pezzo di carta in mano a sua madre, da lontano riconobbe la scrittura di suo padre, era individuabile tra tante altre.
«Niente tesoro, torna in camera.»
«Devo insistere, cosa ha scritto...», poi il ragazzo venne interrotto bruscamente dalla madre.
«Draco siediti.»
Il ragazzo percorse velocemente la distanza fra l’uscio e la poltrona posizionata di fronte alla donna.
«C’è una cosa che devi sapere Draco, ora lasciami parlare e poi potrai decidere il da farsi...», la donna si sistemò il colletto della sua vestaglia e si accomodò su un divanetto bordeaux.
Aveva la bocca secca, tremava, temeva, aveva paura davanti ad un diciassettenne, davanti a suo figlio, poi si decise a parlare.
«Ci sono cose Draco, che non avrei mai voluto che accadessero, specialmente a te credimi.
Ti voglio un bene immenso ragazzo mio e so, che l’affetto che ti ho dimostrato non è stato mai abbastanza, anzi quasi nullo. 
Ci sono cose che mi porterò sempre nel cuore, soprattutto sofferenza e avrò per il resto della vita una coscienza sporca.
È ironico che per tanto tempo tuo padre, e anche io purtroppo, abbiamo combattuto per il sangue puro e, ci ritroviamo, mi ritrovo, con la coscienza di tutt’altra fattura.
Draco, tuo padre se n’è andato, ci ha abbandonato perché per lui noi siamo abbastanza anzi, per dirla tutta siamo morti.
Ora ti chiedo una cosa: vuoi tornare con me in Inghilterra e sperare nella clemenza della giustizia visto che adesso il Ministro è Kingsley Shacklebolt? Potrebbe essere più ragionevole, forse, comunque non eviteremo i rinfacciamenti pubblici, in molti vorranno darci una condanna esemplare, mandarci ad Azkaban per il resto dei nostri giorni, ma combatteremo, insieme.
Oppure puoi partire alla ricerca di tuo padre, implorare un perdono e magari un giorno potrai sognare di andarci d’accordo, ma quando accadrà io non sarò al tuo fianco bambino mio.»
Dopo averlo chiamato “bambino mio”, Narcissa scoppiò in lacrime senza riuscire a contenersi.
Suo figlio si alzò le andò incontro e l’abbracciò.
Dopo tanto tempo Draco riuscì ad assaporare di nuovo il profumo di sua madre, muschio e vaniglia.
«Io resto con te madre, io e te insieme, combatteremo»    
«Ad una condizione.»
Draco sembrò perplesso, «quale?».
«Tuo padre ormai non fa più parte delle nostre vite, pertanto chiamami mamma.»
Il ragazzo sorrise come non faceva da ormai troppo tempo, riabbracciò sua madre e le sussurrò: «ti voglio bene, mamma.»

Percy Weasley era seduto nel bar di fronte all’Hotel Dinasty, dove gli era sembrato che si fosse rifugiato Lucius Malfoy e la famiglia.
Erano le tre di notte, il bar era in procinto di chiudere e Percy Weasley si stava rassegnato a sorvegliare l’albergo da un’altra postazione, quando ad un certo punto un uomo dalla riconoscibile chioma bionda uscì a passo veloce dal Dinasty.
Era lui, Lucius Malfoy.
Ora un dilemma si presentava al giovane Weasley: seguire e catturare Malfoy correndo il rischio di farsi sfuggire di mano sua moglie e suo figlio, che tra l’altro era anch'egli una Mangiamorte, o entrare, 
catturare e interrogaere i due sulla meta dell’uomo?
Doveva decidere subito.
Optò per Lucius Malfoy, era da un mese che seguiva quella traccia ed ora quelle ricerche stavano portando i propri frutti.
Prese il suo cappello dal tavolo, un qeleshe, ovvero un tipico cappello albanese in lana, e si diresse fuori dal locale.
Seguì l’uomo per circa cinque minuti, poi Malfoy entrò in un vicolo non illuminato, Percy lo seguì e capì che era il momento giusto per attaccare.
«Fermati Malfoy!
Girati, lascia cadere a terra la bacchetta e alza lentamente, e dico lentamente, le mani.»
Malfoy si bloccò immediatamente al suono di quelle parole. Non si sarebbe fato arrestare 
da chissà chi e non sarebbe finito ad Azkaban, dopo aver fatto tanta strada insieme alla sua famiglia traditrice.
Era di spalle, doveva combattere.
Alzò le mani, si girò in modo da guardare Percy in faccia, ma non fece cadere la bacchetta.
«Oh-oh-oh, chi abbiamo qui: capelli rossi, espressione vuota, devi essere un Weasley! Hai fatto così tanta strada per dare la caccia ad un povero uomo, lontano dalla sua patria? Fai un piacere a te stesso, torna a casa.»
«Sta zitto, butta la bacchetta a terra Malfoy non voglio ripeterlo di nuovo, altrimenti ad Azkaban ci torni incosciente.»
«STUPEFICIUM!» l’incantesimo di Malfoy fu velocissimo ma Percy ebbe ottimi riflessi e lo evitò.
Il duello era iniziato.
I due iniziarono a sfidarsi senza timore, avevano tutto da perdere, Lucius la libertà e Percy un mese di duro lavoro, con poche ore di riposo.
«EXPELLIARMUS», urlò Percy, «PROTEGO, CONFRINGO» disse seguito da un veloce movimento di bacchetta Lucius Malfoy che prima si difese e successivamente contrattaccò.
La bacchetta del ragazzo volò e andò finire dietro un secchio dell’immondizia.
Percy aveva perso, stava a Lucius determinare la sua sorte.
«Weasley devi ringraziare che quella stracciona di tua madre abbia perso già un figlio e per questo motivo salvo la tua inutile pelle e il tuo sangue sporco, ma questo non mi disturba da metterti fuorigioco...STUPEFICIUM!»
Percy picchiò ferocemente il capo contro il muro e cadde a terra privo di sensi.
Lucius si avvicinò e gli strappò un ciocca di capelli.
«Questi potrebbero tornarmi utili» disse trionfante Malfoy.
Poi si smaterializzò.



NOTE DELL'AUTORE

Come annunciai all’inizio di questa storia, alcuni personaggi che secondo la Saga risulterebbe morti, qui sarebbero stati reintrodotti, Narcissa ci fa capire che sua sorella Bellatrix Lestrange, si trova ad Azkaban.
Ho scelto come luogo di fuga l’Albania perché in passato anche Vodemort qui si rifugiò.
Ora vi dico una mia piccola considerazione personale.
Ho letto davvero molte fan fiction, e quasi in tutte il rapporto tra Lucius e Narcissa superava la perfezione, amore a non finire.
Invece io ho cambiato questo rapporto, poiché considero Narcissa una donna con valori più che sani che non meritano una persona accanto come Lucius Malfoy, anche se nella storia i due si lasciano per motivi opposti.
Al prossimo capitolo!


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Capitolo 9
*** Naufragi ed ancore ***


NAUFRAGI  ED ANCORE
 


“Amore è un palo sempre fisso che sovrasta la tempesta e non oscilla mai.”  - William Shakespeare
 
Quel giorno George Weasley si svegliò molto presto poiché non riusciva a dormire e, non ricordava l’ultima nottata passata serenamente.
Si alzò, e l’orologio babbano sul comodino, regalo per il suo compleanno da parte di suo padre, segnava le ore 6.53.
Si avvicinò all’oblò della sua camera.
Ogni giorno, da quel giorno, da quel disgraziato 2 Maggio, George si svegliava e contemplava quel paesaggio.
Una stupefacente distesa di grano, un tappeto naturale dalle sfumature gialle e rosse.
Si perdeva per alcuni minuti nell’osservare, cercava di vedere sempre oltre, il più lontano possibile, in cerca di qualcosa di nuovo e di diverso, in quel panorama statico.
Scrutava qualcosa che potesse dargli nuove ragioni di vivere, davvero.
Le parole di Ginny lo avevano scosso 
però fino ad un certo punto .
Non poteva bastare soltanto l’affetto e la vicinanza della sua famiglia.
George aspettava qualcos’altro, un lampo, una tormenta che potesse scuoterlo e mandarlo in un’altra direzione, aspettava qualcosa, qualcuno.
Diede poi un’ultima occhiata al celo, limpido e sereno, sarebbe stata un bella giornata e decise che quella mattina sarebbe andato a trovarlo, Fred.
Gli avrebbe raccontato che...
Ecco. Cosa gli avrebbe raccontato?
George non sapeva da dove cominciare con lui. Lui che non aveva paura di niente, perché...
Perché quello che finiva le sue frasi era Fred, quello che le ripeteva era Fred, quello che gli dava sicurezza era Fred, quello che lo completava, era Fred.
George sarebbe andato comunque; si sarebbe inginocchiato su quella lapide, così fredda, così inespressiva, sarebbe stato in silenzio, anche se non era la sua, la loro specialità.

George Weasley stava ormai per giungere al cimitero dove riposava suo fratello.
Non aveva mai amato quel genere di luoghi, compreso cappelle e chiese.
Non era immaginabile George Weasley, il confusionario, perpetuo, inarrestabile George Weasley in un luogo di culto, dove regnava la quiete.
Il ragazzo stava percorrendo la strada tranquillamente.
Non aveva fretta , anzi, sperava di trattenersi il più possibile con il fratello.
In qualche modo doveva sopperire all’assenza fisica del gemello con quella spirituale, considerando che il rapporto che li legava era a dir poco speciale, non solo perché nelle loro vene scorreva lo stesso sangue ma, era qualcosa di più, che andava oltre l’essere fratelli.
Le loro menti erano unite, percorrevano la stessa linea di pensiero, i loro cuori battevano all’unisono, le loro azioni coordinate perfettamente, come ingranaggi ben oleati, come un’orchestra che suona per anni la stessa sinfonia, come due comici che girano da sempre lo stesso sketch.
Ecco, George si sentiva così, un comico che aveva perso il suo compagno di sempre.
Compagno di lavoro e di vita, di battute e di esperienze, aveva perso la sua metà.
I ciliegi che costeggiavano il vialetto in pavé che portava al cimitero, gli donavano un fresca ombra e un’aria ventilata.
 George arrivò ad una maestosa arcata in marmo che sanciva l’inizio del cimitero.
Il ragazzo svoltò a destra e si avviò in direzione dei tumuli.
Forse quella era l’unica parte che preferiva di quel posto. Sapere che il tuo corpo veniva restituito alla terra, alle sue radici, alla sua forza, gli trasferiva una certa tranquillità.
"Cenere alla cenere" dicevano.
Poi arrivò da lui.
L’erba era fresca, la rugiada che si era depositata faceva risultare il terreno lucente, come piccoli cristalli legati ad ogni filo verde.
George si avvicinò e si inginocchiò incurante.
Il silenzio.
Adagiò la sua mano sulla foto di Fred e un brivido lo percorse lungo la schiena.
Chiuse gli occhi e provò ad immaginare cosa gli avrebbe detto suo fratello se lo avesse visto comportarsi così.
“Cosa aspetti che ti risponda?”
Sì, gli avrebbe detto qualcosa del genere. Sorrise.
Tolse la mano e se la infilò nella tasca del suo cappotto leggero ed estrasse una piccola ampolla contenente un liquido azzurino.
«Hei Freddy ho inventato una nuova pozione dagli effetti un po’... come dire... ambigui.
Si lo so fratello, non si smette mai di lavorare, non lo farò mai per il nostro negozio.
Le conseguenze sono state ben studiate, mi sono rifatto molto agli effetti del morso di un ragno.
Ti ricordi quando nascondemmo una vedova nera nella tasca del maglione di Ron?
Bhe, non sapevamo fosse pericolosa, era un ragnetto piccolo ed insignificante no?
Invece no, Ron stava per rimanerci secco, questo però non ci ha fatto evitare di ridere fino alla settimana successiva.
Ecco io non voglio mandare nessuno al San Mungo ma, gli effetti di quell’aracnide erano spettacolari.
Una volta morso il nemico, a quest’ultimo gli si ingrossa la vescica e, niente, è costretto a rimanere in bagno per molto tempo.
Mi ricordo quando Ron viveva nel bagno per intere giornate, lì  mangiava, dormiva, giocava e ovviamente veniva costantemente preso in giro da noi.
Si noi Fred, sempre noi
Poi una voce lo salvò da quello che sarebbe stato un pianto inarrestabile.
«George?»
«Luna, cosa ci fai qui?», disse il ragazzo voltandosi immediatamente e passandosi la mano sugli occhi per spazzare qualche lacrima che era già caduta.
«Oh... mia madre... le ho portato dei fiori freschi, ha sempre amato le orchidee», disse la ragazza che non sembrava per nulla intristita.
«Scusa Luna per la mia mancanza di tatto», ammise scusandosi il ragazzo.
«Ma niente a fatto George, l’ho superato ormai.
Mia madre non mi ha mai lasciata sai? Non perché la vengo a trovare spesso ma, perché la sento viva, dentro di me.
Papà mi dice che lui sente di non averla mai persa grazie a me, dice che le assomiglio tanto.
Poi parliamo molto, io e mia madre.
Vengo qui e le racconto delle mie giornate a dipingere, di papà e di tante altre cose.
Ad esempio oggi le ho raccontato che il nonno è tornato, mi ha detto che ha una sorpresa per me e che presto svelerà l’arcano.»
«Ti ammiro» disse tutto ad un tratto George.
«Scusa?»
«Ti ammiro molto Luna, hai una forza immensa, accanto a te si respira aria nuova, fresca, tranquilla, non ti lasci buttare a terra facilmente, non ti spezzi come un ramoscello al vento.
Non ti ho masi visto demoralizzata o con aria sconfitta, ti ho sempre visto combattere.»
«George la vita è così meravigliosamente bella! Che senso ha rinchiudersi nel ricordo di una morte e quindi di dolore e sofferenza? Devi capire che bisogna andare avanti per guardare il passato come un crocevia per un nuovo futuro.
Credo che Fred ti direbbe le stesse cose e, visto che voi avete sempre fatto tutto insieme, adesso tu andrai avanti, ma non da solo, non dimenticandoti di lui, anzi, devi proseguire con lui, ma devi cambiare il pensiero legato a Fred.
Il suo nome non deve metterti tristezza e malinconia ma deve farti sorridere, devi sentire la sua mano sulla tua spalla.
Non ti lascerà mai George, chi ti ama davvero, chi ti vuole bene non se ne va mai del tutto.
Noi siamo delle imbarcazioni e, Fred, mia madre, sono le ancore che ci tengono saldi durante una tempesta.
E noi non potremmo mai permetterci di far salire quelle ancore, andrebbe tutto distrutto, naufragheremo.
Luna a quel punto si avvicinò ancora di più a George, gli prese le mani e disse con la schiettezza che la distingueva da molte ragazze, «Posso essere io la tua ancora, se vuoi
Il ragazzo raggelò.
Non si sarebbe mai aspettato una proposta del genere, non in quel momento.
Non sapeva cosa dire, anxhe se in verità aveva già deciso.
Ripensò a quella mattina che si era svegliato presto, a quella distesa di grano delle tonalità del rosso e del giallo, il cielo sereno, e ripensò a quella sensazione: quel giorno qualcosa sarebbe accaduto se solo fosse andato da Fred.
Sì, era stato lui a progettare quell’incontro.
Il solito furbo e astuto Weasley.
Fred, la sua ancora.
«Io sono un oceano in tormenta Luna, un uragano di tristezza, una tempesta di dolore.»
«Io invece sono la quiete, l’arcobaleno, il caldo dopo un diluvio, io sono il sole dopo la burrasca», rispose prontamente la ragazza che accennò un caldo e rassicurante sorriso.
«Luna posso essere la tua mareggiata, se vuoi
I ragazzi si abbracciarono, si guardarono negli occhi e sorrisero.
Ognuno comprendeva lo sguardo dell’altro.
Sembrava come se si fossero conosciuti da sempre.
Due vecchi amici che non si vedevano da tempi remoti, che eppure non avevano scalfito la loro unione.
Poi George sussurrò: «Grazie Fred.»




NOTE DELL'AUTORE

Questo capitolo taglia un po' la storia, mi son voluto soffermare su questa coppia perché per me è insolita a dir la verità.
E' stata più una sfida, spero di aver suscitato qualche emozione sinceramente.
Curiosità: gli effetti della vedova nera non sono quelli narrati.
A breve, anzi a brevissimo arriverà il prossimo e IMPORTANTISSIMO capitolo.

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Capitolo 10
*** Le persone non cambiano mai del tutto ***


LE PERSONE NON CAMBIANO MAI DEL TUTTO
 
 
"​Le persone cambiano e si dimenticano di avvisare gli altri." - Lillian  Hellman
 
 
Harry si svegliò prima del solito quella mattina alla Tana; fino a quel momento cercava sempre di prendersela comoda, di vivere tranquillamente quella pace che aveva duramente conquistato.
Dormiva in stanza con Ron e proprio quest’ultimo fu la causa del suo brusco risveglio: il rosso semplicemente continuava a russare come un trombone mal funzionante.
Harry si avviò al piano di sotto e trovò Hermione che preparava la colazione.
«Buongiorno Herm!», disse ancora un po’ assonnato il ragazzo, accomodandosi a tavola.
«Giorno Harry, come mai così mattiniero?», domandò sorpresa la ragazza.
«Ron russa in maniera spaventosa, sembra che da un momento all’altro possa scoppiare.»
«Russa? Non mi meraviglio considerando in che modo si sta ingozzando a non finire: un pozzo senza fondo.»
 «Hai totalmente ragione, a proposito di Ron... non vorrei farmi gli affari tuoi, ma mi domandavo se avete chiarito riguardo a quella questione?» domandò Harry alludendo alla domanda di lavoro del Ministero ricevuta qualche giorno addietro.
«Oh credo di sì... cioè, abbiamo discusso su quello che era meglio per tutti e due diciamo che Ron mi ha essenzialmente assecondata, poiché non accetta in pieno la situazione. Ma basta parlare di me. Quella sera mi è parso di sentire che anche tu avessi intenzione di darti da fare, giusto?»
Hermione non aveva intenzione di parlare ancora di Ron, non in quel momento, quindi le sembrò più opportuno sviare su altri argomenti, su altre persone.
Così Harry le rispose: «in un certo qual senso sì Herm, solo che ho paura di non essere all’altezza.
Odio quando la fama precede qualcuno senza che questo non si sia messo alla prova», concluse il ragazzo un po’ deluso dalla sua stessa affermazione.
«Ma Harry tu sei capace di compiere qualunque sfida posta, potresti diventare anche un ottimo  pozionista, se lo desiderassi...»
Rimasero in silenzio a guardarsi per una manciata di secondi, poi scoppiarono a ridere fragorosamente.
«Comunque ho deciso, più tardi andrò da Kingsley in persona e vedrò se ho qualche possibilità, perché Herm, non me la sento di tornare ad Hogwarts e non per lo studio, ma quel luogo è stato un campo di guerra, di morte.»
«Ti capisco Harry», gli rispose afflitta la ragazza, poi proseguì «al Ministero andremo insieme visto che oggi c’è il mio primo corso.»
«Ron non ti accompagna nemmeno?», chiese accigliato Harry.
Hemione sbuffò.
«È già tanto se non sbotta ogni volta che accenno a quest’opportunità.»
Harry ormai conosceva bene Ron, era il fratello che non aveva mai avuto, il suo migliore amico e il suo confidente con lui aveva gioito, aveva pianto, lottato.
Sapeva di lui ogni cosa, pregi e difetti e, quando il rosso aveva una sua idea, niente e nessuno gliel’avrebbe fatta cambiare. Testardo fino all’osso.
Alla fine Harry decise di non approfondire più di tanto l’argomento, sarebbe stato controproducente ed aveva capito che l’amica non aveva nessuna voglia di ritornare sulla questione, perciò pensò che fosse meglio agire, sarebbe stato un giorno molto importante; sfilarsi definitivamente da dosso la divisa di Grifondoro. Hogwarts era ormai un lontano dolce ricordo.
«Allora cara signorina Granger dovrà accontentarsi della mia soave presenza», disse il ragazzo con un pungente tono beffardo.

  Mezz’ora dopo entrambi i ragazzi si ritrovarono dinanzi al camino pronti per partire.
«Si apre una nuova parentesi della nostra vita Harry, dobbiamo solo essere pronti e non farci sopraffare dal primo ostacolo che incontreremo.»
Hermione era determinata, prendeva sul serio quell’impegno, e sapeva che era lo stesso anche per Harry.
Questo era uno dei motivi per il quale gli voleva un bene immane, quel ragazzo sapeva prendersi le sue responsabilità, a volte anche troppe, si caricava persino dei problemi degli altri, era così Harry Potter: cordiale con tutti, sempre pronto a dare una seconda possibilità, anche a chi non se le meriterebbe.
I due amici entrarono nell’ampio camino magico e sparirono all’istante tra calde e lucenti fiamme verdi.



«Minerva comprendo il tuo allarmato stato d’animo circa la scuola, ma dobbiamo fare le cose passo dopo passo, un po’ alla volta. È inutile andare di fretta,  avremmo molte più percentuali di sbagliare.
Ormai sei di diritto la nuova preside di Hogwarts, quindi dimmi quali sono le tue necessità, nessuno meglio di te conosce la scuola, quali sono le zone che prima di tutte devono essere ripristinate?»
«Kingsley prima di tutto avrei una richiesta da farti», la professoressa McGranitt non mai stata tanto era sicura di sé, quel colloquio era di vitale importanza.
«Bene sentiamo», le rispose l’uomo un po’ riluttante.
«Vorrei che nel cortile principale di Hogwarts vi sia collocato un monumento in onore ai caduti della battaglia. Credo che sia necessario lasciare un’impronta, una traccia; il passato per quanto doloroso, non va dimenticato, Kingsley.»
«Certamente Minerva, hai assolutamente ragione, credo che la tua sia un’opinione che in molti considerano valida per far sì che in futuro non riaccada mai più nulla del genere, c’è altro?»
«Bhe... una cosa ci sarebbe, anche se va al di fuori delle mura di Hogwarts, tra due giorni convocherò una riunione per l’Ordine della Fenice e pretendo la tua presenza.»
«Minerva, ne abbiamo già parlato, ho un enorme carico di lavoro, non posso andarmene da questo ufficio così, da un momento all’altro», le rispose contrariato l’uomo.
«Ti ho dato due giorni di preavviso Kingsley. Devo per caso ancora rimarcare la parola pretendere?», gli rispose prontamente la donna.
Kingsley sapeva che con Minerva in qualunque discussione partiva sconfitto, inutile perder voce dietro ad una sua convinzione che andava a scontrarsi con quella dell’anziana donna.
Allora il Ministro si espresse con fare sconfitto: «D’accordo Minerva, anche se spetta  a me decidere ciò che posso e non posso rivelare.»
«Naturalmente. Ecco ho finito le richieste, possiamo iniziare con il piano logistico?»
«Ovviamente», tagliò secco Kingsley, non senza riserve.
«Bene, in due mesi di certo non riusciremo mai a rimettere in sesto il castello, forse più per l’inizio del prossimo inverno, quindi direi di mettere in sicurezza le zone più usate e di ricostruirle.
Posso sicuramente dirti che hanno la priorità i quattro dormitori, la biblioteca, la Sala Grande, almeno una delle tre serre e due terzi delle aule per le lezioni», concluse la donna.
«Santo cielo! Minerva, ci sarà da sudare, e non poco!», esclamò l’uomo.
«Ti aspettavi il contrario per caso?», chiese contrariata Minerva.
«No di certo... d’accordo per fine settimana farò arrivare un ingegnere che farà il punto della situazione. La settimana prossima presumo potrebbero iniziare anche i primi lavori.»
Prima che la donna potesse confermare il proprio entusiasmo per la velocità con cui il Ministro aveva organizzato il piano di lavoro, la segretaria entrò nell’ufficio con voce affannata. 
«Mi-Mi-Ministo c’è un ragazzo che vorrebbe parlarle, diciamo che potrebbe  avere la priorità al momento, tutti nell’atrio stanno facendo  baldoria dal suo arrivo...»
«D’accordo Sarah fallo entrare, non sopporto il baccano qui.»

Harry Potter fece il suo ingresso nella stanza con passo titubante.
«Oh Harry, vieni accomodati!» esordì risoluto il Ministro.
«Salve Ministro. Professoressa è un piacere rivederla!»
«Potter sono davvero felice di incontrarti in questa circostanza dato che Kingsley mi ha appena confermato che i lavori per la scuola inizieranno a breve.»
«Ma è fantastico, ma se vi ho disturbato tornerò più tardi, considerando che state affrontando un tema delicato come questo», disse il ragazzo quasi scusandosi.
«No Harry, niente affatto, tu non disturbi mai, poi la professoressa McGranitt ed io avevamo concluso.»
«Infatti Potter», concluse la donna, che successivamente strinse la mano ai due uomini ed uscì con passo veloce.
Kingsley aspettò che la donna chiudesse la porta per proferire parola.
«Quella donna un giorno mi ucciderà, lo sento», scherzò l’uomo.
«Ma dopotutto cosa avremmo fatto senza di lei in quella battaglia? Una grande professoressa e una delle streghe più potenti che io abbia mai visto», rispose il ragazzo.
«Infatti Harry proprio così, ma, adesso dimmi un po’ come va? Com’é l’aria della pace?»
«Dolce e serena, Kingsley, anche se bisogna combattere i ricordi...» rispose malinconico il ragazzo.
«Un po’ alla volta tutto tornerà alla normalità, è sempre così,  dopotutto. Dobbiamo abituarci ad alcune assenze. Harry io ho perso il mio migliore amico.
Io e Remus abbiamo condiviso tanti di quei momenti che rimarranno per sempre nella mia mente.
Dobbiamo solo, si fa per dire, avere la forza di andare avanti.
Però tu non sei qui per parlare su quanto sia ingiusta la vita, giusto?»
«Sì è così. Diciamo che ho saputo che hai inviato ad Hermione una lettera, una specie di domanda di lavoro», cominciò il ragazzo, poi fermatosi per dare la possibilità a Kingsley la possibilità di rispondere ed approfondire la questione.
«Chiamiamola così. Sapevo che Hermione aveva doti straordinarie e una mente brillante e 
doveva essere ricompensata adeguatamente per i suoi meriti con la vittoria su Voldemort. Ovviamente quella lettera non è stata inviata solamente a lei.»
«Ovvero?», chiese Harry, che continuava a non vederci chiaro.
«Ne ho scritte due per essere esatti.» 

A quel punto il Ministro aprì il cassetto della sua scrivania ed estrasse una lettera, la fece scorrere sul freddo marmo e l’avvicinò ad Harry, poi proseguì dicendo «una alla signorina Grenger ed una per te.»
«Mia?», chiese incredulo il moro.
«Certo che sì, chi più di te meritava questa lettera, sciocco di un ragazzo!», esclamò l’uomo con tono divertivo.
Harry prese la lettera tra le mani e la rigirò con cura tra le dita, gli ricordava molto quella di Hogwarts, tranne che per l’elegante timbro.
«Coraggio, aprirla», suggerì l’uomo.
Harry delicatamente aprì la busta, e sfilò la lettera da dentro.
La lesse nella sua testa, poi cadde un sepolcrale silenzio. 

Harry James Potter,
il Consiglio Magico tenutosi in data 15  Giugno 1998 nell’Aula Dieci, ha deliberato un’istanza che le permette di accedere senza aver concluso gli studi ed aver ottenuto i M.A.G.O. alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ai corsi di formazione per diventare Auror.
La nostra scelta è stata presa con grande tranquillità date le sue grandi capacità e i suoi grandi meriti al “valor civile”.
Dopotutto, la pace che finalmente possiamo accogliere è stata istaurata soprattutto, anzi, “unicamente” grazie a lei.
Speriamo che lei possa accettare questa nostra offerta.
Kingsley Shacklebolt, Ministro della Magia 
Griselda Marchbanks, Sottosegretario anziano del Wizengamot 
John Dawlish Shaketboard, Capo Dipartimento Auror


Lo sgomento invase totalmente Harry, quella era l’ultima cosa che il ragazzo si aspettava.
Rilesse velocemente la lettera, come per accertarsi della sua veridicità.
«I-io... è tutto vero Kingsley?»
«Nulla di più vero, tutto limpido come il sole Harry. Congratulazioni ragazzo, ti meriti tutta la fortuna del mondo.
Ah, ci tengo ad informarti che la lettera non ti è stata consegnata perché volevo farlo di persona, poi sono stato preso da mille impegni ed è stato difficile per me contattarti di persona, ma l’hai letta, ed è questo quello che più conta.
Adesso ti chiedo solo una cosa Harry: mettici il massimo impegno perché sarà dura, oggi come oggi ci sono davvero pochi Auror, e pochi aspiranti, e nel caso dovesse presentarsi qualche emergenza saremo davvero in difficoltà.
Harry quello che voglio dire è... che se accetti l’offerta saresti per un certo qual senso... già arruolabile.»
Harry deglutì.
Aveva appena sconfitto il più temibile mago di tutti i tempi, che già gli veniva chiesto di poter far parte dell’esercito ministeriale.
Una scarica di adrenalina. Una scrollata di spalle. Un battito di palpebre. Si sentiva pronto.
«Accetto, Ministro, ed è un onore per me poter mettere la mia bacchetta a disposizione del Dipartimento Auror.»

Dopo il “colloquio” con il Ministro, Herry ed Hermione si diedero appuntamento in un parco poco distante dalla sede del Ministero.
«Quindi Kingsley aveva già organizzato tutto per noi due, il nostro lavoro, il nostro futuro...», disse Hemione.
«Non saprei se metterla in questi termini, però di certo ci ha aiutato, e tanto.»
«Harry...»
«Che succede?»
«Io, tu... ma Ron? Come reagirà adesso? Si sentirà escluso, il Ministro in persona ci ha offerto un lavoro e invece lui...» chiese preoccupata la ragazza.
«Herm, tranquilla, Kingsley non è così sprovveduto, dai retta a me, anche per Ron ha qualcosa in mente, fidati.»
«Speriamo Harry, perché in caso contrario davvero non so come possa continuare tra noi...»
«Hermione», iniziò il ragazzo, prendendole la mano «tu e Ron siete destinati a stare insieme, lo so, ne avete viste di tutti i colori, avete affrontato cose inimmaginabili che hanno finito solo per unirvi maggiormente» poi l’abbracciò.
Avolte solo quel ragazzo, il migliore amico di sempre, riusciva ad infonderle la fiducia e la calma necessaria per poterla risollevare.
Poi decise di cambiare discorso, quella era stata una giornata fin troppo importante per loro, non potevano sgualcirla come un vecchio canovaccio. 
«Sai ho incontrato la McGranitt quando sono entrato in ufficio, mi ha detto che la prossima settimana inizieranno i lavori ad Hogwarts.»
«Finalmente, pian piano le cose iniziano a girare per il verso giusto, una volta per tutte», rispose la ragazza riprendendosi da quel torpore emotivo.

«E mentre io ero da Kingsley, tu come te la sei cavata al corso?»
Hermione divenne rossa in viso.
«Dai non dirmi che sei la migliore della “classe” anche lì!»
Hermione scoppiò a ridere, seguita poi da Harry.
«Diciamo che tendo ad alzare la mano per rispondere più volte degli altri...» iniziò lei.
«Sei sempre la solita. Sai guardandoti mi ricordi ancora quella ragazzina sicura di sé, che in ogni lezione sapeva rispondere a tutto, che alzava la mano per essere interrogata anche al posto degli altri e per chiedere maggiori informazioni», disse emozionato Harry.
«Le persone non cambiano mai del tutto, Harry» Hermione in quell’esclamazione ci aveva messo tutto.
Ci aveva messo la rabbia che provava per Ron, ma anche il suo amore.
Ci aveva messo la sua fiducia incondizionata per il suo migliore amico.
Ci aveva messo i ricordi che riaffioravano: della guerra, del viaggio in cerca degli horcruxes.
Ci aveva messo la paura, il coraggio, in quella frase aveva messo tutta se stessa.

«Fortunatamente», concluse il ragazzo sorridendole.



NOTE DELL'AUORE

Come promesso sono tornato a distanza di poco tempo.
Ed eccomi qui conquesto capitolo incentrato sulle figure di Harry ed Hermione, entrambi hanno avuto un lavoro per conto del Ministero.
Ma sorgono alcune domande.
Kingsley participerà alla riunione dell'Ordine della fenice?
Harry ora è arruolabile, potrebbe esserci qualche emergenza all'orizzonte?
Ron verrà contattato dal Ministro?
E con Hermione come andrà a finire?
Avrete le risposte nei prossimi capitoli!


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Capitolo 11
*** In gioco l'onore ***


 
IN GIOCO L’ONORE


"E' sincero il dolore di chi piange in segreto." - Marziale 


I due giorni erano passati velocemente e Kingsley Shacklebolt non se ne era neanche accorto.
Aveva appena concluso di parlare con l’ingegnere che doveva occuparsi della ricostruzione di Hogwarts, quando dalla finestra del suo studio entrò “volando” un bellissimo esemplare di gatto persiano.
Il patronus di Minerva McGranitt.
«L’Ordine si è riunito al completo, o meglio, manchi soltanto tu. Non ci troverai a Grimmauld Place ovviamente, vieni alla Tana. Ah Kingsley, voglio ricordarti per l’ennesima volta la parola pretendere, sai inizia a piacermi» canzonò la voce della donna.


Il salone della Tana era gremito di persone, tutti membri dell’Ordine della Fenice.
Per l’occorrenza Arthur Weasley aveva fatto sistemare un ampio tavolo circolare e, mentre lo addobbavano con  bicchieri e bottiglie di buon vino, Hermione si intrattenne a raccontare della storia di Re Artù e per l’appunto, della tavola rotonda.
«Minerva, sei sicura che verrà?», chiese  poi  titubante Molly.
«Assolutamente, intanto iniziamo a prendere posto.»

Così iniziò l’esodo di massa intorno a tavolo e, nell’istante in cui tutti si sedettero, si sentì uno scoppio.
Kingsley si era appena smaterializzato davanti a loro.
Minerva McGranitt partì subito in quarta con la prima frecciatina di serata. «Oh-oh guardate chi è venuto a  trovarci!»
«Buonasera anche a te, Minerva», rispose invece il Ministro accennando un sorriso ironico.
«Vieni Kingsley accomodati», gli fece segno Arthur, come per mettere fine a quel battibecco.


«E’ inutile che continui a tormentarmi Molly, non posso dirti chi è questo Mangiamorte e, questo per due motivi: uno perché è una questione di massima sicurezza, due perché so solo il nome. Percy ha tutte le informazioni, lui è l’unico che conosce posizione e movimenti e non ci ha ancora fatto sapere nulla.
Molly stai tranquilla, tornerà presto e con il bottino.»
«Per cambiare discorso, Kingsley»,comincio Minerva McGranitt, « poco fa l’ingegnere mi ha inviato un gufo e mi ha rassicurata che tutti i lavori saranno completati prima del primo Settembre.»
«Perfetto Minerva, sono molto più sollevato, era inimmaginabile pensare ad un anno senza Hogwarts.»
«Hermione, come è stato il primo corso?», chiese il signor Weasley.
«Oh, è stata una lezione molto affascinante signor Weasley, abbiamo discusso sulla psicologia del dell’imputato, su come far sì che il nostro assistito possa fidarsi completamente del proprio avvocato; Bob Ogden è stato illuminante.»
Hermione notò un sorriso di soddisfazione sul viso di Kingsley, ora aveva capito, quell’uomo aveva qualcosa in mente.
«Harry, Dawlish mi ha pregato di dirti che i corsi inizieranno dopodomani.»
«Grazie Kingsley, non vedo l’ora», rispose il ragazzo con un sorriso raggiante.
«Ah, Ron», proseguì energicamente il Ministro, «ho un messaggio per te da parte di Gustav Baston, l’allenatore dei Tornados. Ecco, mi ha chiesto di dirti se ti andava di fare un provino per la loro squadra, suo figlio Oliver gli ha parlato molto bene di te e in questo momento sono a corto di portieri.»
Harry ed Hermione si guardarono e sorrisero, il ragazzo aveva ragione, Kingsley non era affatto sprovveduto, aveva pensato al Golden Trio, in completo.

Il volto di Ron si illuminò, come irradiato da chissà quale fonte di luce angelica.
Stava per svenire letteralmente sul tavolo ma, prima che il ragazzo potesse perdere i sensi, gli arrivò un’energica pacca sulla spalla da parte di suo fratello George, che si complimentò con lui.
«Ben fatto piccolo Ronnie», invece lo derise sua sorella Ginny.
«Non è uno scherzo, vero Kingsley?», domandò Ron, paonazzo in viso.
«Assolutamente no ragazzo, l’unica nota negativa è che la squadra fa gli allenamenti e le partite dall’altra parte del Paese, vicino Edimburgo.»

Molly sbiancò e subito si impose a modo suo, urlando; «neanche per sogno.»
«Perché mamma!» obiettò Ron.
«Come farai là fuori da solo, non conosci nessuno!»
«Mamma ho viaggiato in cerca di Horcruxes, ho combattuto una guerra e adesso non posso andare a vivere lontano di qui quando regna la pace?»
«In effetti ha ragione Ron, Molly dagli una possibilità», sottolineò Kingsley.
«Tu non dirmi chi ha ragione o no!» 
«Signora Weasley, si calmi per favore, Ron è grande e vaccinato, sa cosa è meglio per lui e di certo non sarete voi, con le vostre paure ad  impedirgli di coronare un suo sogno. Si sta prendendo la responsabilità di fare un grande passo e sono sicura che voi non potrete pretendere nulla per fargli cambiare idea, quindi mettevi l’anima in pace. Ron partirà!».
Mai Hermione aveva alzato la voce con qualcuno più grande di lei, figuriamoci con la signora Weasley, però le sue parole ebbero effetto.
Molly rimase impietrita, poi, mossa dal buon senso fece ammenda, «i-io-io scusa Ron. Hermione hai ragione e hai fatto bene a dirmi quelle parole, e per quanto siano dure,  sono comunque vere; è soltanto che tengo ad essere molto protettiva, troppo, soprattutto dopo che...»
Molly scoppiò in un disperato pianto e subito Arthur si alzò e  la cinse in un abbraccio affettuoso.
Intanto tutti tacquero.
Hermione afferrò la mano di Ron, Harry e Ginny si guardarono interrottamente, gli occhi della McGranitt si riempirono di amare lacrime, Kingsley abbassò il volto, George sussultò.
Poi proprio George Weasley prese la parola, «mamma, se stasera siamo qui è anche per salutare Fred tutti insieme, per l’ultima volta», poi guardò il Ministro, che capì e prese la parola.
«Vent’anni fa Albus Silente creò quest’organizzazione segreta per combattere Voldemort. Chiunque si fosse unito all’Ordine della Fenice sapeva a cosa poteva andare incontro. Anche Fred lo sapeva, ma lui aveva coraggio da vendere e non si sarebbe mai tirato indietro, per nessuna ragione al mondo. Lui ha combattuto con tutte le sua forze, con indomito eroismo. Fred, ha dato come tante altre anime innocenti, la sua stessa vita, per un mondo migliore. Fred, però Molly...» disse ad un certo punto l’uomo, spostando il suo sguardo sulla donna che aveva ancora il viso rigato dalle lacrime, «non ci lascerà mai del tutto, perché se si è spento, lo ha fatto per noi, per tutti noi.»

Kingsley successivamente prese il proprio bicchiere pieno di un rubicondo vino e lo sollevò a mezz’aria.
Tutti imitarono il suo gesto e poi l’uomo parlò. «A Fred.»
Ripeterono il suo nome all’unisono, quell’eco investì il salone di casa Weasley. 

La riunione era terminata da alcuni minuti e tutti gli ospiti della Tana si apprestavano a cenare.
«Davvero non rimani Kingsley?», chiese quasi con tono supplichevole Arthur Weasley.
«No mi dispiace, Arthur. Sono molto stanco e non faccio una bella dormita da un po’ di tempo a questa parte, ti ringrazio comunque dell’invito.»
«D’accordo e la mia gratitudine per le parole spese per Fred è incommensurabile, significa molto per noi, davvero.»
«Era il minimo che potessi fare», poi i due uomini si abbracciarono fraternamente.
Si staccarono velocemente, «è stato un piacere rivedervi!» tuonò a tutti gli invitati.


Dopo la smaterializzazione Kingsley Shacklebolt ricomparve nei pressi di St John’s Wood, con l’intenzione di fare prima due passi all’aria aperta, per poi rintanarsi nella sua solitaria dimora.
L’aria era fresca, quella brezza primaverile scuoteva leggiadramente gli arbusti che decoravano i marciapiedi. I lampioni illuminavano con fioca luce quella strada deserta, desolata.
L’ultimo rivenditore stava chiudendo i battenti, ora era davvero solo.
Più che mai, ci aveva fatto l’abitudine, con la solitudine. Il motivo della sua grande parsimonia, della sua generosità, era quello. Cercare di aiutare il prossimo, soddisfare il suo desiderio, riempire il suo vuoto, lo faceva, nel disperato motivo per colmare il suo, di vuoto.
Poi giunse a destinazione e prima ancora di far scattare la serratura della porta di casa, Kingsley si allarmò ed estrasse la bacchetta.

Qualcuno era entrato in casa sua.
Aprì la porta silenziosamente, cercando di farla cigolare il meno possibile. Avanzò quietamente nel corridoio, poi si fermò bruscamente alla vista di una luce accesa nel soggiorno.
«Cave inimicum» sussurrò l’uomo, poi ebbe la conferma, non era solo.
Il Ministro si scrollò di dosso la paura del momento e si preparò allo sgradito incontro.
Si precipitò a passo spedito verso il salone e  ricevette  una straordinaria ed inaspettata sorpresa.

«Buonasera Kingsley, o meglio Ministro», aprì la conversazione la donna dal tono reverenziale.
«Buonasera a te, Narcissa, qual buon vento ti porta qui, in casa della massima autorità politica, tu che sei ricercata da tutto il Ministero.»

La donna era seduta comodamente su una poltrona sistemata appositamente da lei al centro della stanza. Indossava  un elegante tubino nero con decorazioni in argento sulle spalline.
«Prima di farmi pesare il fatto che uscirò da questa casa con l’umile e soave compagnia di due Auror, lascia che ti parli, da donna, da madre...»
Kingsley si avvicinò ad un tavolino e si versò un bicchiere di whiskey.
«D’accordo, ma non aspettarti tanta clemenza Narcissa.»
«Non ho detto di volerne, almeno io», iniziò la donna.
Narcissa Black si sistemò meglio sulla poltrona, si schiarì la voce ed iniziò il suo discorso.
Kingsley dal canto suo prese una sedia e si sedette di fronte alla donna. Faccia a faccia.

«Cercherò di non fare troppi giri di parole. La formalità l’abbiamo da un pezzo già superata. Comincio però dall’inizio, dal mio inizio. 
Ho sposato Lucius più di venti anni fa e sapevo a cosa andavo incontro; un uomo orgoglioso e prepotente con la smania del sangue puro. Ma quando convolammo a nozze avevo accantonato questa parte di lui. Sono una Malfoy, o meglio una Black, insolita per così dire.»
Kingsley la interruppe, «perché Black e non Malfoy?»
«Arriveremo a quel punto, ma fino ad allora lasciami proseguire», comandò la donna.
«Non ho mai dato tanto peso sulle questioni del sangue sporco e dei tradimenti della propria casata, infatti avevo anche un buon rapporto con Andromeda, che aveva sposato Ted Tonks, un mezzosangue. Passò il tempo e, Lucius si alleò con il Signore Oscuro e la cosa cominciò a degenerare; ricevette il marchio nero e si macchiò dei primi crimini. Era diventato un Mangiamorte.
Poi nacque Draco, ma dell’Oscuro Signore non c’era più traccia. Lucius d’altro canto continuò a vivere nella paura del suo ritorno, perché lo aveva abbandonato e non lo aveva più cercato.
Una notte però, in quella notte a Little Hangleton, tutto cambiò. Il Suo ritorno aveva fatto sì che Lucius dovesse vivere solo per servirlo e riverirlo.
La vita di Draco e la mia furono stravolte. Accogliemmo, o meglio Lucius accolse, il Signore Oscuro in casa nostra. Aveva profanato la nostra casa. Per questo non l'ho mai perdonato.
 Il tempo passava lentamente e inesorabile; Draco era rintanato continuamente  in camera sua, sempre più solo e vulnerabile, ma una sera scoppiò.
Vi fu una riunione dei Mangiamorte e tutti si domandavano perché io non portassi ancora il marchio nero. Fidati Kingsley mi si seccò la gola, mai come quella sera ebbi un terrore immenso.
Allora timidamente iniziai a rispondere che non me la sentivo; tutti iniziarono a schermirmi, diventai la vergogna di mia sorella Bellatrix e di Lucius. Mi sentii piccola e impotente, fissavo con sguardo vuoto ed implorante non so cosa, fino a quando...»
Narcissa si fermò di colpo come se avesse perso le parole; rimase con le labbra schiuse in cerca di qualche ispirazione.
«Fino a quando?», la forzò l’uomo.
Narcissa respirò profondamente e continuò lo straziante racconto. 
«Fino a quando Draco urlò di smetterla. Stava piangendo. Implorò di lasciarmi in pace e disse che avrebbe ricevuto lui il marchio al posto mio. 
Ero sconcertata, distrutta, non ebbi neanche la forza di oppormi. Quel giorno, fu l’ultimo giorno di Naricissa Malfoy. Io sono morta quel giorno Kingsley, sono morta quando non sono riuscita a proteggere mio figlio.»
«Mi dispiace Narcissa», disse in tono confortante l’uomo, che realmente provava pietà per le parole di quella donna.
«Anche a me», disse sorridendo amaramente la donna dalla chioma bionda, ma dai riflessi spenti.
Poi continuò, «dopo la battaglia siamo scappati, come sempre penserai, forse è l’unica cosa che ci riesce meglio, scappare. Siamo andati in Albania, ma forse questo già lo sai, immagino che tu abbia messo degli Auror alle nostre calcagna.»
Kingsley sorrise.
«Immaginavo», rispose la donna divertita. «Sta di fatto che un giorno mi sono svegliata e Lucius era sparito; o meglio mi ha lasciato una lettera, nella quale sottolineava il fatto che io e Draco eravamo stati la sua rovina, il disonore della casata Malfoy, in poche parole noi per lui eravamo morti.»
«Non posso crederci, non può essere vero...», rispose basito Kingsley. «E come mai adesso ti trovi qui, Narcissa?» 
La donna si trovò impreparata di fronte a quella domanda, nonostante fosse andata lì per quel motivo...
«Ecco quando Lucius se ne è andato, ha lasciato scritto un’ultima cosa. Ci ha minacciati. Sia me che  Draco. Ha promesso che ce l’avrebbe fatta pagare, un giorno. Dio solo sa cos’ha in mente.
Adesso ti chiedo, Kingsley, ti proteggere Draco, Di aiutarlo e di non lasciarlo da solo, inerme.»

«Quello che mi chiedi è proibitivo, Narcissa.»

La donna si alzò dalla poltrona e si avvicinò all’uomo, o meglio si inginocchiò di fronte a lui.
«Ti supplico, ti scongiuro Kingsley, difendilo da chiunque gli possa far del male, ti prego...»
«Nessuno deve sapere», rispose freddamente l’uomo che poi continuò. «E in quanto a te, cosa intendi fare?»

«Questo devi dirmelo tu Kingsley, sono nelle tue mani, mi sono affidata a te, conscia del fatto che farai la cosa giusta.»
L’uomo ci pensò su, dopotutto la donna si era in poche parole costituita, ma per quale crimine?
Quello di essere la moglie di un pazzo che ha la prepotenza di sentirsi migliore degli altri?
«Ti lascerò libera, ma non potrai più lasciare il Paese, poi quando arriverà il momento di essere giudicata davanti al Wizengamot si deciderà il da farsi.»
«D’accordo Kingsley... ma, Draco è solo un ragazzo, non merita di essere sbattuto in una gelida e sporca cella ad Azkaban, non è giusto», disse sconsolata la donna con le lacrime agli occhi.
«Ti comprendo... e, forse c’è una possibilità per poter evitare tutto questo...»
«Ti prego qualunque sia questa opportunità, dimmela!»
«Narcissa, se tu, davanti a tutto il Wizengamot ti prendi tutte le responsabilità, dicendo che Draco è stato costretto a fare tutto ciò perché minacciato da Voldemort, da Lucius e da te, molto probabilmente il ragazzo avrà molte possibilità di essere scagionato.»
Gli occhi della donna brillarono di luce nuova, si riempirono di speranza e non più di illusioni.
«Kingsley io-io non so davvero come ringraziarti, io... moglie di un Mangiamorte...», alcune lacrime caddero dalle iridi della donna, si depositarono sul suo petto e si sciolsero come petali di neve al sole.
«Draco avrà comunque bisogno di un ottimo avvocato Kingsley», mugugnò la donna.
«Di questo non devi preoccuparti, penserò a tutto io. Poi avremo un bel po’ di tempo per escogitare tutto, la vostra sarà l’ultima udienza. Ma adesso Narcissa devo chiederti una cosa, sei sicura di non sapere dove sia Lucius ?»
«Kingsley ogni mia parola è vera, non so dove possa essere, lo giuro sul mio unico figlio!»
«D’accordo Narcissa, ti credo. Adesso è meglio che tu vada, anche a Villa Malfoy, ormai è un luogo deserto.»
La donna si rialzò, anche se con fatica. Gli mancavano le forze, sia fisiche che mentali.
Strinse la mano dell’uomo con debole convinzione ed accennò un sorriso di ringraziamento.
Poi si smaterializzò in silenzio, senza neanche salutare verbalmente il Ministro.
Kingsley si accomodò sulla poltrona dove poco prima aveva accolto la donna.
Sapeva che sarebbe arrivato quel momento.
Il puzzle cominciava a prendere la sua forma.

Il suo piano era cominciato.

NOTE DELL'AUTORE

Allora siamo arrivati a un vero e proprio punto di svolta, e per un semplice motivo: perché ve l'ho detto io!
Il suo piano era cominciato. E di cosa si tratta? Bhe, sullo sfondo abbiamo Narcissa che chiede aiuto a Kingsley, e lui illuminato dalla misericordia, accetta.
Ma come li aiuterà? Chi si opporra? Sono molte le domande da porsi, e le risposte le troverete solo nei prossimi capitoli!
Con affetto, vostro PriorIncantatio

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Capitolo 12
*** Un libro che insegna: la vita ***


UN LIBRO CHE INSEGNA: LA VITA
 

"Vita. Corruzione che s'adorna di illusioni." - Giuseppe Ungaretti 


Era passato velocemente il tempo.
Tre mesi, volati via come fogli al vento. Quei fogli, però, erano ancora da scrivere; sarebbero potuti diventare  pagine di un libro che insegna l’arte di resistere, combattere, cadere e rinascere.
Inesorabile e folgorante è il tempo quando urge, straziante e indolente quando deve cedere alla monotonia.

Minerva McGranitt aspettava quel momento da settimane ormai, Hogwarts stava per rinascere.
C'erano voluti mesi per rimetterla in sesto; ovviamente molte zone del castello erano ancora inagibili, ma poco importava adesso.
L’anziana donna voleva ospitare al più presto il cuore pulsante, quelle centinaia di ragazzi che aspettavano impazienti.
Aveva formato il corpo docenti, con ovviamente alcune novità: le lezioni di Erbologia erano sempre affidate alla cura della professoressa Pomona Sprite, ma quest’ultima aveva chiesto un assistente che in futuro l’avrebbe sostituita: Neville Paciock, ed aveva ufficializzato infine l’assunzione di Thobias Lovegood. Però il cambiamento più sostanziale era avvenuto per la cattedra di Difesa contro le arti Oscure.

***

Minerva McGranitt si fermò sull’uscio di una chiassosa locanda.
Nevicava e il suo mantello la riparava solo parzialmente, la neve a Hogsmeade non era una rarità ma, non per questo meno affascinante.
Aprì la porta e la chiuse velocemente dietro di sé. Poi cadde il silenzio, uomini e donne la fissarono con sguardi commossi, poi applaudirono.
Minerva era considerata un’eroina, la strega più potente dell’era moderna.
I racconti riguardanti lei che combatteva contro il Signore Oscuro si moltiplicavano di bocca in bocca, con il risultato che fosse considerata il simbolo della difesa di Hogwarts.
La donna sorrise e si portò una mano sulle labbra, ancora incredula per quello che era accaduto.

«Allora cos’è questo silenzio?» bofonchiò il barista, che stava servendo al bancone due uomini.
«Oh, mi scusi, colpa mia», rispose timidamente la donna, e con passo veloce si avvicinò all’uomo.
Si sedette ed ordinò: «Un bicchiere di rum di ribes rosso gentilmente.»
L’uomo celermente glielo servì e, soltanto in un secondo momento riconobbe la donna.
«M-Minerva, cosa ci fai qui? In questo posto sporco e dall’odore nauseante?»
«Meno male che è la tua taverna...»
«Ci sono aspetti di questa locanda che non potrò mai migliorare, come il fetore», rispose l’uomo.
«D’accordo, non sono venuta fin qui per fare un’indagine sull’igiene della tua canova.»
«Ah no?» chiese ironicamente l’uomo.
«No. Decisamente no. Sono qui per offrirti un lavoro. Uno dignitoso.»
«Mi dispiace Minerva, ma io sono legato a questo posto.»
«Sciocco non dire idiozie, una cattedra ad Hogwarts è molto più retributiva che lavorare in questo locale, lo sappiamo entrambi.»
L’uomo rimase di stucco, mai gli era passata in mente l’idea di insegnare.
«Sì, ti sto chiedendo di lavorare con me. Sei disposto ad accettare il ruolo di insegnante di Difesa contro le Arti Oscure?»
«I-i-io...»
«Non sei più tracotante?» chiese divertita la donna.
«Non sei 
affattodivertente.»
«Sai che lui lo vorrebbe, sai che te lo avrebbe chiesto, che avrebbe sperato in una tua risposta positiva, infondo sai che non vedi l’ora di iniziare, sai che hai lottato anche tu quella sera, hai vinto con noi, hai salvato tanti ragazzi e ad altrettanti hai dato la possibilità di tornare in quel castello...»
«Ti prego non dirmi quello che lui vorrebbe che io facessi.»
L’uomo aspettò qualche istante, guardò alla sua destra, il ritratto di una fanciulla gli sorrideva ed allargava le braccia, e così l’uomo capì.
«Accetto Minerva, ma ad una condizione.»
«Quale?» domandò prontamente la donna.
«Lei viene con me», rispose l’uomo, facendo segno sul ritratto.
La professoressa guardò la scena quasi commossa, rispose positivamente all’uomo e poi concluse il “colloquio”.
«D’accordo. Benvenuto a casa,  Aberforth.»
«Grazie Minerva», si limitò a dire l’uomo, mentre la donna posò i falci sul bancone e si apprestava ad uscire.
«Minerva...» mugugnò l’uomo.
«Sì?» chiese la donna girandosi di scatto.
«Albus... insomma Albus ti voleva un gran bene...»
La donna  non si aspettava assolutamente un’uscita del genere da parte dell’uomo. Rimase senza parole. Albus... da quanto tempo non sentiva nominare quel nome, così dolce, un suono idilliaco per le sue orecchie. Quel nome le ricordava la pace, la tranquillità, la luce, il sole, l’aria.
Sì, aria, Albus era il respiro leggero, la casa nella quale rintanarsi, l’abbraccio affettuoso e lo sguardo penetrante che poteva scorgere ogni piccolo segreto.
Poi si riprese da quella tempesta di ricordi e sensazioni.
«Ne sono certa» disse la donna, accennando un caldo e tenero sorriso.

***

«Minerva, è tutto pronto ormai, i ragazzi sono stati radunati, aspettano solo lo smistamento.»
«Grazie Filius, questo sarà il primo anno che io non metterò il cappello sulle teste di quei giovani aspiranti maghi, quest’anno toccherà a te, buona fortuna» canzonò la donna.
«Ti ringrazio, ci vediamo in Sala Grande.»

«Bene aspettate qui per favore. Dunque prima di cominciare la professoressa McGranitt vorrebbe dirvi alcune parole» disse il professor Vitious, dando la parola alla preside.
«Buonasera a tutti, ai ragazzi che ritornano in questo castello e a coloro che stasera verranno smistati nelle loro case.
Questo è un anno particolare per tutti noi, studenti e docenti. Non possiamo evitare il nostro passato, sarebbe ingiusto ed immorale, perché, ragazzi miei, queste mura, questa scuola, si tiene in piedi per il sacrificio di tanti uomini, donne, ragazzi...
Questa scuola ha riaperto a tutti voi per amore della pace e della libertà.
Abbiamo sconfitto il male e siamo di nuovo tutti qui, non solo imparare gli argomenti delle materie di studio, ma soprattutto perché voi possiate capire quali sono i veri principi della vita.
Ragazzi» la donna si alzò dallo scranno posizionato di fronte ai tavoli degli alunni, e andò davanti al tavolo dei professori, poi continuò:«Un uomo una volta mi disse questa frase: “Momenti bui e difficili ci attendono. Presto dovremo affrontare la scelta fra ciò che è giusto e ciò che è facile”. Tenete in mente questa frase e agite di conseguenza.
Ricordate che siete padroni del vostro destino, siete le guide della vostra mente e del vostro cuore, rendete straordinaria le vostra vita, coronate il vostro sogno. Gioite, esultate, perché la pace è un dono meraviglioso, godiamocelo con ogni nostra fibra, viviamo le nostre esistenze amando il prossimo, aiutando il compagno in difficoltà e, soprattutto, evitiamo i pregiudizi e le cattiverie, non servono a nulla, siamo tutti uguali, tutti dello stesso sangue, tutti noi viviamo sotto lo stesso tetto, vogliamoci bene, oggi, più che mai.»

Appena la donna concluse il suo discorso la sala fu riempita da applausi a non finire, urla di gioia, cori di apprezzamento, sorrisi ed abbracci.
Minerva McGranitt, donna severa e dai sani principi chiuse un occhio davanti a quel momentaneo caos, poi però riportò l’ordine per dare inizio allo smistamento.
Finalmente la vita degli studenti di Hogwarts stava tornando alla normalità, i fantasmi del passato sarebbero tornati sì, ma non facevano più paura.
Minerva McGranitt aveva fatto ben intendere che per poter sconfiggere qualunque male. Per oltrepassare un ostacolo, bisognava farsi forza, rimboccarsi le maniche, lottare duramente, e soprattutto, mai combattere una guerra da soli.


***


Kingslety Shacklebolt dopo l’intenso incontro con Narcissa Malfoy in casa sua, tenne fede al suo giuramento. Fece sì che potesse rifugiarsi in casa sua, grazie all’incanto Fidelius.
L’uomo 
divenne  volontariamente custode del suo segreto e Narcissa ne fu lieta.
Informò il Ministero che la donna e suo figlio si erano recati da lui in cerca d’aiuto e che avrebbe fatto qualunque cosa per aiutarli.
Sta di fatto che il Wizengamot non era completamente d’accordo con il Ministro e, considerava la sua scelta molto azzardata.
Intanto il Ministero si stava occupando segretamente di Lucius Malfoy, tentando ancora di rintracciarlo e di arrestarlo una volta per tutte.
Percy dopo lo scontro con il Mangiamorte, fu ricoverato al “Mbrojtës Shenjt”, l’ospedale magico albanese e dimesso qualche settimana dopo, poi fece rientro a Londra, ma aveva un conto aperto, e sarebbe stato lui a mettere fine a quella storia.
Chiese al capo del Dipartimento Auror di essere affiancato da un altro uomo e Dawlish, su consiglio del Ministro in persona, fece sì che Weasley fosse stato in squadra con un giovane ed emergente Auror: Harry Potter.
Ovviamente Harry non doveva rivelare a nessuno le generalità dell’uomo da dover catturare; ora si faceva sul serio, iniziava il lavoro sul campo.

Hermione intanto aveva il suo bel da fare con Ogden, l’uomo provava ammirazione per quella ragazza che riusciva ad apprendere ogni sua parola ed ogni suo trucco in brevissimo tempo. Le aveva promesso che entro tre mesi avrebbe ricevuto il certificato di idoneità per poter diventare avvocato, e se avesse svolto bene il suo lavoro, un giorno avrebbe avuto un posto nel Wizengamot.
I sogni di Hermione iniziavano pian piano a diventare limpide realtà.

Ron invece aveva raggiunto il ritiro con i Tornados a Edimburgo, vedeva la sua famiglia pochissime volte, massimo due volte al mese. Hermione riusciva ad andarlo a trovarlo con più continuità, ma il rapporto tra i due continuava a non decollare.

George e Luna avevano riaperto i “Tiri Vispi Weasley” e la storia tra i due sembrava una favola.
George era rinato dall’ombra di qualche mese prima, Luna lo aveva risollevato dalle macerie della sua vita, lo aveva risvegliato da un incubo infinito.
Luna lo aveva fatto rinascere, come una fenice.

Anche Ginny aveva scelto la sua strada; non appena ebbe festeggiato il suo diciassettesimo compleanno fece domanda alla Gazzatta del Profeta.
Una settimana dopo ebbe il colloquio con il direttore, che terminò in maniera brillante; Ginny Weasley adesso ricopriva il ruolo di commentatrice del campionato inglese di Quidditch e reporter del Campionato del Mondo.

Molti iniziavano a rivivere l’aria della tranquillità, ma non tutti; i processi contro i Mangiamorte stavano per cominciare, tante cose potevano accadere e l’ira poteva riaccendersi da un  momento all’altro...


 NOTE DELL'AUTORE

Questo, cari lettori, è un capitolo di ricapitolazione, una giuntura di tutto ciò che ho scritto. L'ho pubblicato per fare il punto della situazione e per schiarire le idee a voi (ma soprattutto a me ahaha).
Alcune note: la frase in grassetto, per chi non lo sapesse (maledetti voi), appartiene ad Albus Silente ed è stata "pronunciata" nel Calice di Fuoco.
Allora nel libro di J.K si narra che Neville 19 anni dopo diventerà il nuovo docente di Erbologia, allora io ho deciso di fare una cosa con più calma, come se lui dovesse prima fare la gavetta ecco.
Avrete capito che ormai la McGranitt è considerata come un'eroina nazionale (proprio come volevo io ahahha).
Infine si inizia ad accennare circa un rapporto "«Albus... insomma Albus ti voleva un gran bene...»"...chissà...
Al prossimo capitolo!



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Capitolo 13
*** Law and order ***


LAW AND ORDER



È il potere, non la verità che crea le leggi. - Thomas Hobbes



«In piedi. L’udienza preliminare valida per il giudizio dell’imputato Amycus Carrow e dell’imputato Alecto Carrow ha inizio. 
Presidia l’udienza, il Primo Ministro Kingsely Shacklebolt.»

Quando Griselda Marchbancks finì di parlare, lentamente cadde il silenzio nella profonda aula bunker del Ministero.
L’udienza contro i Carrow era la prima di una lunga ed estenuante serie, pensò Shacklebolt.
Oltre il Wizengamot e gli imputati erano presenti Minerva McGranitt, Neville Paciock, convocato dal Ministero poiché era stato ritenuto un valido testimone per l’accusa, Hermione Granger, convocata per volere di Bob Ogden, che l’aveva obbligata a partecipare per capire appieno come si svolgesse un’udienza (per farsi le ossa le aveva detto), e inoltre Arthur Weasley.

Ad un certo punto l’aula fu riempita dalla calda e rauca voce del Primo Ministro.
«Immagino sappiate perché vi trovate in questa stanza, vero? 
Questa è soltanto un’udienza preliminare, ma se non avete nessun alibi, scusate o pretesto per poter negare ciò per cui siete imputati, troverò sicuramente inutile convocare una nuova udienza ma, troverò certamente più appagante il poter aprire a voi le porte di Azkaban.
Avete inoltre deciso di non assumere nessun avvocato, non che costui avrebbe potuto far chissà cosa, pertanto possiamo iniziare, finalmente.
Griselda, puoi gentilmente rimembrare agli accusati i loro capi d’imputazione?»

La donna velocemente prese un foglio da un’anonima cartella, e lesse con voce forte ed autorevole.
«Amycus Carrow ed Alecto Carrow, siete accusati di aver ricoperto illegittimamente le rispettive cariche di insegnante Difesa contro le Arti Oscure e di Babbanologia alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, violando le leggi didattiche avendo, entrambi usato, incantesimi senza perdono.
Siete accusati di aver utilizzato la maledizione Cruciatus su molti studenti e che abbiate tentato di assassinare nel giorno 1° maggio 1998, Neville Paciock, studente dell’ultimo anno.
Siete, inoltre, accusati di aver preso parte alla battaglia magica sostenendo Tom Riddle per la sua ascesa al potere, collaborando all’irruzione di quest’ultimo nella scuola.
Amycus ed Alecto Carrow, siete accusati di omicidio e strage.»

«Un gran bel curriculum, non c’è che dire. Ma vediamo un po’, perché fare tutto ciò? Di certo provare un po’ di rimorso non farebbe che aiutarvi no? Che ne dici Amycus?», domandò il Primo Ministro.
Gli imputati erano seduti al centro dell’aula su due impietose sedie e rimasero fino a quel momento in un imperturbabile silenzio.
«Trovo la sua domanda piuttosto sciocca, con tutto il dovuto rispetto, Ministro. Lei mi sta chiedendo di rinnegare qualcosa che non ho fatto. Io e mia sorella Alecto abbiamo agito, se abbiamo agito, sotto gli effetti della maledizione Imperius. Non avremmo mai fatto nulla di male. Ci fa male, non sapete quanto, vedere che i nostri nomi sono crudelmente collegati a tutte quelle infamanti accuse!»
Poi prese la parola anche sua sorella Alecto.
La donna a detta di molti era ancora più inquietante del fratello, la sua carnagione diafana sembrava farla assomigliare ad un cadavere, se non fosse per quella fioca luce nei suoi occhi.
Le evidenti occhiaie deturpavano il suo viso, i capelli castani erano spenti e crespi, sinonimi della stanchezza e dello stress subito in quel periodo.
«Signor Ministro, membri del Consiglio, io e mio fratello siamo testimoni di un’ingiustizia. Un’ovvia e clamorosa ingiustizia!»

«È un vero peccato non poter più utilizzare il Veritaserum!», gridò un uomo dalla gradinata del Wizengamot.
«Signori, abbiamo combattuto per anni contro Mangiamorte, assassini, contro la feccia del nostro mondo, e non possiamo proprio ora permetterci di agire come avrebbero fatto, non abbassiamoci ai loro livelli, vi prego un minimo di buon senso.»
«La ringrazio per l’intervento onorevole Shuttle, e condivido in pieno il suo pensiero», affermo Kingsley.
«Quindi», iniziò Bob Ogden, che aveva ben preparato, a detta di molti, quell’udienza, e che aveva cercato in lungo e in largo qualche dettaglio per inchiodare i Carrow, «siete decisamente estranei a tutto ciò? Non avete mai riposto la vostra fiducia in Lord Voldemort?»
«Assolutamente no, onorevole. Mai, mai avremmo fatto qualcosa del genere», rispose energicamente Amycus, sbilanciandosi con un sorriso, sicuramente beffardo.
«Ed è ovvio che state mentendo», affermò Shacklebolt.
«MAI!», disse letteralmente urlando la donna.
«Si calmi, signora Carrow, non voglio che alla fine lei mi debba persuadere a non mandarla ad Azkaban, prematuramente.»
La donna strinse rabbiosamente i pugni e digrignò i denti, di lì a poco avrebbe perso la calma.

Poi riprese la parola Ogden, «quindi immagino, che anche il marchio nero sia stato fatto contro la vostra volontà poiché eravate sotto gli effetti della maledizione Cruciatus...»
«Esattamente signor Ogden, è questo che vogliamo cercarvi di farvi capire! È stata una situazione insostenibile, un peso assurdo da sopportare. Era come morire ogni giorno. Un’esperienza che non vogliamo assolutamente ripetere.
Dopo la morte dell’Oscuro Sign... ehm, di V-V-Voldemort è.. stato come rinascere.»
«Terribile Amycus, non vorrei essere stato nei tuoi panni», disse Ogden.

«Ma cosa diavolo sta facendo!», bisbigliò irritata Minerva McGranitt.
«Si rilassi, professoressa, Ogden sa cosa sta facendo. È tutta ironia quella, è un’ottima tattica. Soprattutto quando deve prendersi gioco di qualcuno che si trova sull’ultima spiaggia. Lo chiama metodo socratico, infatti, mi ricorda sempre che Socrate per far capire ai suoi allievi l’errore utilizzava l’ironia. Beh lo fa anche Bob, ma lui preferisce indurli all’errore non per far capire loro dove hanno sbagliato... ma per sbatterli ad Azkaban, ovviamente.»
«Devo ammettere signorina Granger che tutto ciò è alquanto subdolo, ma geniale», rispose divertita l’anziana donna.

«Allora toglietemi un’altra curiosità, così dopo potrete essere liberi di godervi finalmente la pace.»
«Certamente onorevole, qualunque cosa per lei», rispose energeticamente coinvolta Alecto.
«Non fare danni, Alecto», sussurrò stizzito il fratello.
«Taci, tu», rispose lei, regalandogli la stessa gentilezza.

«Bene. Signori Carrow, avete confermato che il marchio nero è stato impresso sulle vostre braccia contro la vostra volontà, dico il vero?»
«Sì...», rispose titubante.
«E affermate anche che avete il marchio perché influenzati dalla maledizione Imperius?»
«Sì, come prima abbiamo detto io Amyc...», poi venne bruscamente interrotta da Ogden.
«Molto bene. Allora lasci che io possa illuminare le vostre menti, i vostri... ricordi», disse puntando l’indice verso la sua testa.
Bob, prese alcuni foglio particolarmente ingialliti dal tempo, avevano l’impressione di essere vecchie testimonianze.
«Quasi ventuno anni fa, in questa stessa aula voi eravate presenti, voi eravate imputati. 
Era affollata, ricordate? I più grandi maghi e le più grandi streghe desideravano partecipare ardentemente a quel genere di udienze, godevano vedendovi uno dopo l’altro sbattuti ad Azkaban, chiedevano ardentemente di gettare la chiave. Dovreste, inoltre, ricordare che a presiedere la vostra udienza, come molte altre, fu il Capo del Dipartimento dell’Applicazione Magica, un certo Bartemius Crouch Senior. Ricordate quale fu la vostra testimonianza?»

«I-i-io... n-n-noi... dicemmo...», la Carrow era al limite della sopportazione, una coltre nebbiosa offuscava i suoi ricordi.
Poi però proseguì Ogden senza darle una momentanea tregua, infatti,  si alzò e fece anche un gesto di stizza verso Hermione, come per farle capire in che modo si lavorasse, «voi diceste in quella gelida notte del 23 novembre 1977, che avevate voluto voi stessi il marchio nero, che nessuno ve lo aveva imposto. Eravate dei Mangiamorte convinti, eravate dei seguaci che avrebbero fatto qualunque cosa pur di compiacere il loro Signore Oscuro. 
Detto questo signori Carrow, credo sia meglio porre fine una volta per tutte a questa storia.
Chiedo di far testimoniare Neville Paciock, signor Primo Ministro.»

«Concesso», replicò soddisfatto Kinglsey.
Dopo qualche minuto Neville era seduto tranquillamente su una sedia non molto distante da quella degli imputati.
Il suo viso non tradiva emozioni, era determinato ad aiutare il Ministero nel miglior modo possibile, e nessuno gli avrebbe impedito di farlo. 
Però un ricordò balenò nella sua mente.
Stava pensando al giorno nel quale comunicò a sua nonna Augusta che avrebbe testimoniato contro i Carrow, e sua nonna lo abbracciò come mai prima.
Lo aveva tirato a sé, gli aveva sussurrato una frase che gli aveva scaldato il cuore e gli aveva dato la forza per continuare a combattere: «Neville, non voglio congratularmi con te, sarebbe riduttivo ragazzo mio, voglio però che tu sappia che i tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te, e non c’è gioia più grande di questa, credimi.»

«È pronto signor Paciock?», chiese soavemente Griselda con un tranquillo sorriso stampato sul volto.
«Oh, sì, certo.»
«Signor Paciock, conferma che i metodi didattici dei signori Carrow erano alquanto fuori luogo?», chiese Kingsley.
«Credo, signor Ministro, che “fuori luogo” sia abbastanza riduttivo, in quanto sia Alecto Carrow che suo fratello Amycus Carrow hanno tentato più volte di utilizzare la maledizione Cruciatus su di me, ma anche su tanti altri ragazzi.»
«E lei, si è ribellato a tutto ciò?», chiese gentilmente Ogden.
«Certo che sì, ho dovuto. Tantissimi ragazzi del primo anno non sapevano neanche come difendersi!»
«È una bugia!», sbraitò Amycus Carrow.
«Silenzio! Non vi è permesso parlare durante una testimonianza, se si ripeterà ve ne pentirete», ribatté Shacklebolt zittendoli immediatamente, poi si rivolse di nuovo verso Neville esortandolo a  continuare il discorso precedentemente interrotto.
«Grazie. Allora... dopo che mi sono frapposto tra un ragazzo del secondo anno e il signor Carrow, perché lui stava utilizzando la maledizione Cruciatus su questo ragazzo, poiché quest’ultimo aveva offeso, a sua detta, un purosangue, iniziò un duello tra me e appunto Amycus Carrow.
A un certo punto si unì anche sua sorella ma, in mio soccorso venne la professoressa McGranitt, e fortunatamente insieme riuscimmo a metterli al tappeto.

«Non ne sapevo niente, professoressa», disse Hermione rivolgendosi all’anziana donna.
«Oh, sciocchezze, è stato un giochetto da ragazzi.»
«Non siate modesta, insomma sono due validi Mangiamorte.»
«E si dà il caso che io sono, beh insomma sono io.»

«Grazie signor Paciock, la sua testimonianza è stata di vitale importanza per il proseguito dell’udienza», concluse Ogde.
Signor Primo Ministro, è ovvio che la scusa dell’influenza della maledizione Imperius sia, appunto, solo un vano pretesto, priva di alcun fondamento. Il perché di questo è molto semplice.
Un uomo sotto l’effetto della maledizione Imperius dopo essere svenuto perde l’influenza del suddetto incantesimo, pertanto perché l’imputato Amycus Carrow e l’imputato Alecto Carrow, dopo lo scontro con il signor Neville Paciock e con la signora Minerva McGranitt hanno continuato imperterriti ad agire a favore di Tom Riddle? Perché lo hanno fatto, se secondo loro, erano costretti, da Lord Voldemort e dalla maledizione stessa?
Perché dopo la fine dell’effetto di tale maledizione hanno partecipato alla battaglia, macchiandosi così di omicidio? Dovremmo forse pensare che la loro sia soltanto una ben architettata bugia?
Detto questo, ho concluso, signor Ministro», ed Ogden soddisfatto si accomodò facendo un divertente occhiolino ad Hermione, che solo lei vide.

Dopo l’arringa di Bob Ogden tutti tacquero. Stava per giungere il fatidico momento.
La prima storica udienza stava per terminare.

«Se vedo un solo membro del Wizengamot contrario alla reclusione dei Carrow, vado lì e li schianto», suggerì Minerva McGranitt ad Hermione, che per poco non scoppiò in una fragorosa risata.
«Bob ha fatto un lavoro magistrale, ritrovare le carte di una testimonianza avvenuta più di venti anni fa non sarà stato facile, e la testimonianza di Neville è stato il suo colpo di grazia.»
«Indubbiamente, signorina Granger, e mi chiedo quando la vedrò seduta accanto a lui, a far valere anche le tue idee ed opinioni...»
«Non lo so sinceramente professoressa, forse vorrei essere più un avvocato, lì al fianco del proprio assistito, pronto a lottare insieme a lui.»
«È ammirevole da parte tua pensare a tutto questo, se credi sia la cosa più giusta per te, dovresti farci più di un pensiero, e sono sicuro che Bob sarà fiero di te...»
«Quanti a favore di una condanna?», iniziò dicendo Griselda Marchbancks.
Quasi tutti i presenti nell’aula alzarono le mani; in due, forse tre, non batterono ciglio.
Poi egli continuò, «quanti a favore dell’assoluzione da tutte le accuse?»
Nessuna mano si alzò; per la serenità di Kingsley quelle mani che non si erano alzate a favore dell’accusa avevano deciso di astenersi da qualunque decisone, un po’ vigliaccamente pensò.
Poi proprio luì parlò.
«Alecto ed Amycus Carrow siete condannati a quarantacinque anni di reclusione nella prigione di massima sicurezza ad Azkaban. Le vostre bacchette che vi sono state confiscate al momento dell’arresto saranno entro la fine della settimana, distrutte.
Che possa qualcuno avere pietà della vostra anima.
 Il caso è chiuso.»

«Complimenti Kingsley, finalmente le cose vengono fatte con serietà.»
«Oh, Arthur, che piacere rivederti. Ti ringrazio, e questo è sempre stato il mio intento. Ma oggi abbiamo il nostro eroe di giornata», rispose il Primo Ministro, girando il proprio volto in direzione di Bob Ogden.
«Assolutamente sì, li ha inchiodati in maniera brillante. Ah, Kingsley volevo ringraziarti per aver aiutato Ron a trovare quel lavoro ad Edimburgo, e anche Ginny si è già ben ambientata alla Gazzetta... senza di te probabilmente non avrebbero avuto queste possibilità.»
«Arthur i tuoi figli sicuramente non si faranno sfuggire queste opportunità, sono intelligenti e con la testa sulle spalle, meritano tutto questo.»

«Signor Ogden! Signor Ogden!»
«Oh, Hermione, ti stavo proprio cercando.»
«Bhe ecco anche io, sei stato superbo oltre ogni misura!»
«Ti ringrazio, Hermione.
E credo anche che tu da quest’esperienza hai sicuramente tratto qualcosa di importante, vero?»
«In un certo qual senso sì. Signor Ogden... se io volessi un giorno varcare l’entrata di quest’aula, non come membro del Wizengamot, ma come semplice ed umile avvocato... saresti in disaccordo?»
«Perché mai il nostro Ogden dovrebbe mai essere contraria al tuo parere, Hermione?» disse intromettendosi Kingsley, che poi continuò, «scusate non potevo fare a meno di ascoltare la vostra discussione.»
«Ed ha ragione il nostro amico Shacklebolt, Hermione. Anzi è ancora più difficile, perché devi vedertela da sola, sei tu contro, si fa per dire, tutto il Wizengamot, sta a te farci cambiare idea. Però sono sicuro che non incontrerai grosse difficoltà.»
«Oh, grazie signor Ogden, grazie Kingsley... scusate ma adesso devo scappare, Harry mi sta aspettando per un caffè, e complimenti ancora, a tutti e due», detto questo, la ragazza si camuffò tra la folla che intanto si era allargata nel mezzo dell’aula.

«Quando sarà pronta, Ogden?»
«Perché me lo chiedi? Perché tanta fretta, Kingsley?»
«Mi serve saperlo, Ogden. È di vitale importanza.»
«Un paio di mesi, Kinglsey, non di più.»
«Te ne concedo uno, a partire dalla settimana prossima.»
«Per le mutande di Merlino come posso prepararla in così poco tempo!»
«Bartemius preparò in due soli mesi un brillante membro del Ministero. E adesso quel brillante uomo, che si trova di fronte a me, non può fare altrettanto?»
«Erano altri tempi Kingsley, il Ministero aveva bisogno di forze fresche...»
«Altri tempi? Trova le differenze Bob, trovale!»
«Non c’è un pazzo assassino che gira per le case uccidendo maghi o babbani che siano!»
«Se non vuoi che ritornino quei tempi, Bob, ti conviene non perdere altro tempo, e cercare di fare quello che ti ho detto.»
Le parole dei due uomini volavano dirette, senza fronzoli e formalità.

Entrambi sapevano il fatto loro.





«Cosa vuol dire che non sai se puoi farcela, Draco?»
Narcissa Black era esasperata dall’aria di sconfitta che continuamente suo figlio era solito dipingersi sul volto.
«Ne abbiamo parlato più di una volta, Kingsely ci ha dato il suo pieno appoggio, la sua fiducia incondizionata affinché tutto possa risolversi al meglio, fidiamoci di lui.»
«Fidarsi di lui? A quale scopo!», ribatté Draco che continuava ad avere i suoi dubbi sul nuovo Ministro. 
«Draco lo vuoi capire! Lui è la nostra ultima possibilità per salvarci, la nostra ultima carta per non essere sbattuti in una squallida cella ad Azkaban, insieme a quella squilibrata, pazza ed isterica di mia sorella! Vuoi questo, Draco? Vogliamo davvero gettare alle ortiche quest’opportunità?»
«No, ma...»
«Nessun “ma”, Draco», rispose imperterrita la donna.
«E nel caso tornasse mio padre?»
«In che senso? Tuo padre se n’è andato, ed è improbabile il suo ritorno, dato che siamo morti per lui. E se dovesse mai presentarsi, avremo un problema fra le mani, ma fino a quel momento non dobbiamo preoccuparci, d’accordo?»
«È solo che...», iniziò il ragazzo, che però si bloccò, sentendo le sue parole gelarsi sul nascere.
«È solo cosa? Dimmi, tesoro, qualunque problema tu abbia, ti prego parlane con me»lo supplicò la madre.
«Ho paura, mamma. Ho paura che se lui dovesse ritornare, potrebbe farti del male... potrebbe portarmi via l’ultima persona a cui tengo, mi porterebbe via tutto ciò che mi è rimasto.»
«Draco, vieni qui, avvicinati», e il ragazzo fece ciò che gli venne chiesto, e il suo viso fu preso dalle delicate mani della madre, che adesso teneramente accarezzava la sua pelle, così bianca, senza imperfezioni.
«Tesoro mio, io non permetterò più a tuo padre di farci del male, di farti del male. E tu, devi essere forte, perché arriveranno giorni duri, e rimpiangeremo molte cose, e cosa più importante, non assolutamente preoccuparti per me; Draco non permetterò a nessuno di portarmi via da te, mai.
Draco guardami. Hai capito? Mai.»
Dopo di che, i due si avvicinarono ancora di più e il ragazzo venne stretto dall’abbraccio rassicurante della madre: lo aveva salvato ancora una volta.

Non permetterò a nessuno di portarmi via da te.


NOTE DELL'AUTORE

Beh proprio così. PriorIncantatio is back.
Sono passati quasi due mesi (forse sicuramente) dall'ultimo aggiornamento, ma tra scuola e altre cose è stato davvero difficile potermi dedicare alla storia.
Detto questo... credo che si inizi a fare sul serio, no?
Le udienze sono iniziate, quando arriverà quella dei Malfoy?
E prima che arrivino in aula Narcissa e Draco, chi dovrà affontrare il Wizengamot?
Perché Kingsely va così di fretta?
Un mese per preparare Hermione, ma a cosa?
Devo ammetere anche io che gli interrogativi sono molti, quindi non mi resta che dirvi di continuare a seguire la storia e... magari di recensirla ;)

Vostro, PriorIncantatio

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Capitolo 14
*** Di bugie e altre promesse ***


DI BUGIE E ALTRE PROMESSE 

 
Il ricordo è l'unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati - Jean Paul

Hermione stava letteralmente correndo per l’ampio atrio del Ministero, però, ogni volta che lo percorreva, non riusciva a non meravigliarsi di fronte a quelle centinaia di persone che si muovevano da ogni parte per giungere al proprio ufficio.
Quella sezione del Ministero, la più mozzafiato forse, era illuminata in qualche tratto da alcune intermittenti fiamme verdi, data la presenza delle metropolveri. 
Il lucentissimo marmo nero regalava all’androne un’eleganza sopraffina ma l’aria di maestosità si evinceva soprattutto dall’imponente monumento che era collocato al centro dell’atrio.
Metri e metri di pietra scalpellata e levigata mostravano ad ogni visitatore un’immagine bellissima.
Quella scultura era stata fortemente voluta dal Primo Ministro e la sua presentazione tolse il fiato ad ogni presente: un uomo dal volto fiero e sicuro che indossava una toga del Wizengamot, tendeva la mano ad un uomo inginocchiato e con il capo abbassato in direzione della sua bacchetta distrutta in tanti pezzi.
Ciò che però dava ancora più senso era la vistosa scritta posta al di sotto dell’effige: Iniquum est collapsis manum non porrigere.

È cosa non giusta non porgere la mano a chi è caduto.

Kingsley aveva affermato che quella frase, quella scultura, dovesse essere l’emblema del suo operato; lui e tutto il Ministero avrebbero aiutato ogni singolo cittadino a riprendersi dopo la devastante guerra che aveva portato via case, lavoro, ma, soprattutto padri, madri, figli.

Correva Hermione, i lunghi capelli castani indomabili, rimbalzavano e le ricadevano sulle esili spalle; Harry aveva le aveva chiesto con una certa urgenza di incontrarla e le aveva pregato di non tardare o avrebbero avuto pochissime possibilità di parlare di una certa questione sconosciuta alla ragazza.
Arrivò sfiancata e con il fiato corto alla prima metropolvere disponibile, fece mente locale, si concentrò, ed infine si materializzò.

Aveva chiesto ad Hermione, quella stessa mattina, di potersi incontrare; non aveva accennato al perché di tutta quella fretta, del motivo del loro incontro ma Harry sapeva che la prima a dover sapere, dopo Ginny, dovesse essere lei.
Si trovava in un anonimo bar nella periferia di Londra.
Il Wembley Bar non era per niente affollato e poteva dare ai due ragazzi una certa intimità, dato l’argomento da affrontare.
Harry si sentiva comunque molto a disagio, le mani cominciavano a sudare, non era da lui comportarsi in quella maniera, e proprio questo lo irritava maggiormente.
Si stava chiedendo quanto ci avrebbe messo Hermione ad arrivare, osservava con maniacalità un orologio in legno appeso ad una parete poco lontana da lui, il battere delle lancette sembrava rimbombare nel locale, e proprio su quell’osservazione Harry, si rese conto che stava cominciando seriamente ad esagerare.
La fortuna volle che Hermione entrò proprio in quell’istante.

«Harry!», esordì la ragazza andando incontro al migliore amico.
«Hei Herm, tutto bene? Ti vedo in forma smagliante!», rispose il ragazzo, cercando di essere il più naturale possibile.
Intanto le lancette dell’orologio stavano tornando a compiere il loro naturale giro, senza più disturbare la quiete di Harry.
«Oh sì, tutto bene Harry, ci sono delle belle novità, e sono convinta che ce ne siano anche per te! Altrimenti non mi avresti invitata frettolosamente qui, vero?»
«A te non si può nascondere nulla, vero?», le rispose prontamente il ragazzo, con tono ironico.
Poi scoppiarono a ridere, come non facevano da tempo.

Sembravano essere lontani i tempi delle chiacchiere negli infiniti giardini di Hogwarts, nella calda ed accogliente Sala di ritrovo, nell’affollata, ma sempre calorosa Sala Grande, e sicuramente entrambi rimpiangevano in quel momento le lunghe camminate a Hogsmeade, dopo aver sostato da Mielandia o, per ripararsi dal freddo, il rintanarsi nei Tre Manici di Scopa.
 Sembravano tutte avventure lontane ma, il solo fatto di ricordarle, garantivano ai due ragazzi, due larghi e amichevoli sorrisi.

«Vieni Hermione, ho preso un tavolo qui vicino», cominciò il ragazzo, che l’accompagnò e la fece gentilmente accomodare.
«Ti vedo molto elegante Hermione, da dove stai venendo?»
«Non te l’ho detto? Oggi c’era la prima udienza. Più precisamente contro i Carrow, e Neville ha anche testimoniato».
«Davvero?», domandò il ragazzo stupefatto, «non ne sapevo nulla! Com’è andata?»
«Il mio capo, Bob Ogden, li ha messi letteralmente spalle al muro, poi grazie alla testimonianza di Neville, voluta proprio da Bob, è stato un giochetto per lui farli giudicare colpevoli».
«Ti vedo molto trasportata da queste cose, Herm, sono sicuro che sarai bravissima come lui».
«Ed è proprio di questo che ti voglio parlare, Harry...»
«Dai su, non tenermi sulle spine, parla!», la incitò il ragazzo.
«Insomma, credo che ci metterò meno del previsto per poter essere abilitata a fare l’avvocato».
«Non capisco, non volevi far parte del Wizengamot, Hermione?»
«Sì, ma questo lo pensavo prima, ma oggi credo di aver intravisto il mio futuro, ne sono sicura».
«E il tuo capo cosa pensa al rigurado?», domandò curioso Harry.
«Oh, è d’accordo, e pensa che io possa essere altrettanto brava in quest’incarico, e lo spero anche io. Kingsley ha detto che è una bella idea la mia...»
«Kingsley?», chiese il ragazzo che non trovava il nesso con quanto detto fino ad ora.
«Sì. Era vicino a noi ed ha ascoltato tutto, poi si è avvicinato e mi ha dato, per così dire, la sua “benedizione”», rispose accentuando una certa ironia sull’ultima parola.
«Non so... ma quell’uomo sta tramando qualcosa...»
«Oh Harry, abbiamo passato anni a pensare ad ogni genere di sabotaggio e di piani malvagi, e ti informo che quei tempi sono finiti. E poi parliamo di Kingsley, del Primo Ministro!»
«Sì, sono sicuro che ha buonissime intenzioni, questo è ovvio, ma c’è qualcosa che non ci ha detto».
«Harry...», disse sospirando la ragazza.
«Okay, okay, la smetto», le rispose velocemente Harry.

La ragazza sorrise ma, subito dopo gli chiese il vero motivo di quell’incontro.
«D’accordo Hermione, non ti ho fatto venire qui solo per parlare di come vanno le cose, devo essere sincero su questo. È solo che per ora lo sa solo Ginny, e tu sarai una delle poche che verrà a conoscenza di quello che ti dirò».
«Okay Harry, ora inizi a preoccuparmi», rispose perplessa la ragazza.
«Hermione, Kingsley mi ha messo a conoscenza di alcune questioni interne al Ministero perché ritiene necessario il mio aiuto...», ma fu subito interrotto.
«Aiuto? Tu? In che modo puoi aiutare il Ministero?», domandò frettolosamente.
«Dimentichi che faccio parte degli Auror, e sono arruolabile per alcune missioni», tagliò corto Harry.
«E scommetto che a questo punto entri in scena tu, giusto?»
«Esattamente. Kingsley mi ha informato su tutte le posizioni di quest’uomo, dove e come ha viaggiato per tutto questo tempo...»
«Fermo! Fermo! Fermo! Devi trovare un uomo?», domandò energica Hermione.
«Sì, ma non sarò solo...», e ancora interrotto dall’amica dovette zittirsi, quasi esasperato.
«Oh Harry, perché proprio tu?», domandò preoccupata.
«Perché... perché Kingsley ha detto che conosco quest’uomo molto bene... e beh come non dargli torto».
«Non capisco Harry, ci sono tanti altri Auror più pronti di te, e anche se hai sconfitto Voldemort, questo non potrebbe bastare, dare la caccia ad un uomo è una cosa differente...», ma a questo punto fu il suo discorso ad essere troncato.
«Pensi che non possa farcela, Hermione?», domandò quasi scioccato il ragazzo.
«Non voglio dire questo, Harry ma...»

Adesso era una gara a chi veniva interrotto di più, era una sfida, ed entrambi non volevano sentir ragione.
Hermione, era ancorata alla sua idea di protezione verso Harry, tentava  di tenerlo al sicuro, e lui, il ragazzo che è sopravvissuto due volte alla morte, che non aveva paura di mettersi in gioco, che non aveva più voglia di far sacrificare altre vite umane a lui care, adesso Harry Potter voleva combattere senza restrizioni, senza paure.   

«”Ma”, cosa? Se c’è un solo modo per poter aiutare il Ministero, lo farò. L’ultima volta che un Primo Ministro mi chiese di aiutarlo, io rifiutai dicendogli che ero un uomo di Silente. Ora, so per certo che devo affidare la mia lealtà anche a quanlun altro che possa risollevare e tenere accesa la luce di una nuova  speranza. Hermione, Silente non c'è più ormai, ed è da molto tempo che me ne sono fatto una ragione; so che è stato un padre premuroso, una guida, ma è tempo di andare avanti, e bisogna farlo tutti insieme. Kingsley si è prefissato questo obiettivo, e farò di tutto per aiutarlo».

Hermione era letteralmente rimasta senza parole, come si poteva obiettare ciò che aveva detto Harry? Come poter dimostrare il contrario?
Detestava non aver ragione, ma in quel caso poteva esserci un’eccezione.

«Quindi è deciso?»
«Sì», affermò senza rimorsi il ragazzo, e con tono sentenzioso.
«E immagino non mi dirai chi è quest’uomo, vero?»
«Mi dispiace Hermione, ma ho garantito la riservatezza.»
«Hai detto che non sarai da solo, chi è il tuo partner?»
Harry tirò un bel sospiro.
«Percy Weasley.»



15 giorni dopo – Hogwarts, Ufficio della Preside 

Minerva McGranitt era comodamente seduta sulla poltrona del suo ufficio, dietro una scrivania in mogano, ricoperta da innumerevoli fogli pieni d’appunti vari.
Stava leggendo alcuni verbali dei processi contro i Mangiamorte, ma adesso si stava degnamente rilassando.
Non era così facile per lei leggere quei documenti, sfogliandoli notava quanti di quegli uomini e di quelle donne conoscesse, erano stati suoi studenti, ed ora stavano marcendo in fredde ed umide celle ad Azkaban.
Poi alzò lo sguardo dalla pila di fogli e guardò come attonita l’ufficio.

L’ufficio del preside.
L’ufficio di Silente, pensava.


Non aveva mai considerato quel luogo se non di proprietà dell’ormai defunto Silente, ed ora lo osservava con silenziosa reverenza.
Non era mutato l’aspetto di quel luogo, e questo anche per sua scelta, però, alcune cose cambiano inesorabilmente, senza volerlo.
Era così, e l’anziana donna se n’era fatta una ragione, ma non per questo motivo le cose erano migliorate.
Era cambiato il silenzio in quell’ufficio; Fanny aveva smesso di intonare il suo incantevole canto da tanto tempo ormai, aveva smesso di rinascere dalle sue ceneri, era volata via nello stesso istante in cui Silente era spirato, era volata in celo con le sue larghe ali, come la più maestosa delle creature.
Anche Silente era volato in cielo, come il più luminoso degli angeli.
Si ripeteva questo Minerva McGranitt, lo ribadiva a se stessa come si spiega il significato della morte ad un bambino, ma lei non si sentiva più così, era passato molto tempo dall’ultima volte che si era sentita leggera, spensierata, proprio come una bambina.
Aveva passato gran parte della sua vita a combattere una guerra che non avrebbe mai voluto affrontare, invece si è ritrovata ad abbracciare corpi senza vita, a fare elogi funebri ad amici e a studenti troppo giovani per conoscere il senso della morte, e perfino troppo giovani per scoprire il vero senso della vita.
Non si sentiva più bambina ma, neanche lei riusciva più a scorgere il reale senso dell’esistenza.
Però, c’era un uomo che era solito ribadirne  il significato, e lei proprio come un’innocente fanciulla, rimaneva incantata dalla sua voce, dalla sua intelligenza, dalle sue parole sussurrate come per mettere in comune un segreto.
Stava toccando la sua pelle, Minerva, e ne captava la debolezza e la stanchezza, riusciva quasi a percepirne anche la disperazione e la rassegnazione, ma difficilmente queste si possono notare da una ruga, o da occhi troppo stanchi per guardare il presente con serenità. No, l’amarezza e lo sconforto lo si distingue tra i ricordi troppo demoralizzanti che risiedono inamovibili nella propria mente ma, soprattutto, si percepisce il dolore tra le ferite non cicatrizzate di un’esistenza che fin da sempre ha fatto a botte con le dure realtà e con gli irrealizzabili sogni.
Troppe volte si era concessa di essere debole, troppe volte si era lasciata andare in balia di una tempesta, che l’avevano sbattuta da una sofferenza all’altra, troppe volte aveva distrutto e raccattato la sua vita, troppe volte aveva ricomposto i propri cocci e troppe volte lo aveva fatto in malo modo.
Lei, che non era mai stato un “troppo”, lei che si era sempre sentiva un “poco”.

«Spero di non aver turbato i tuoi profondi pensieri, Minerva».
Thobias Lovegood era entrato silenziosamente e si era arrestato all’entrata dell’ufficio.

«Oh Thobias, non ti avevo neanche visto entrare, entra pure», rispose la donna con un gentile sorriso.
«Sei sicura? Non voglio disturbarti, ti vedo, come dire... molto presa...»
«Niente affatto, vieni accomodati», e l’uomo si sedette senza farselo ripetere di nuovo.
«È davvero molto accogliente questo posto, devo ammetterlo, e poi tutti questi marchingegni», disse l’uomo indicando verso alcuni oggetti metallici di dubbio utilizzo.
«Non chiedermi cosa siano,Thobias, non appartengono a me, ma a Silente, però quello immagino serva per qualche studio astronomico...».
Restarono in silenzio per pochi istanti, guardandosi negli occhi, e senza riuscire a trattenersi, scoppiarono in una rumorosa risata.
«Ah, lo sapevo!», esclamò di soppiatto Thobias.
«Scusa, Thobias?»
«Sapevo che un giorno sarei riuscito a vederti sorridere», rispose noncurante l’uomo.
«Ti consiglio di non farci l’abitudine, Thobias, questo è il nostro segreto», rispose la donna, cercando di essere il più naturale possibile.
«E quindi se ti chiedo a cosa stavi pensando, mi dirai...».
Poi però fu interrotto dalla donna che rispose garbatamente, «ti direi semplicemente che erano pensieri estremamente personali».
«Non ti nuocerebbe condividerli, o mi sbaglio?»
«Annoierei».
«Non ne sono sicuro».
«Non mettermi alla prova, Thobias. E adesso cambiamo discorso che ne dici?»
«Però...», tentando di opporsi il signor Lovegood.
«Non era una domanda», tagliò corto la donna, che allargò un ironico sorriso sul volto.
«Mi chiederò perché te la diano sempre vita; però ogni volta che me lo chiedo giungo sempre alla stessa conclusione... Oh, non guardarmi così Minerva, sto scherzando... ovviamente».
«Immagino. Allora, come ti stai trovando a Hogwarts, come ti sembrano i ragazzi?»
«Li trovo sicuramente più, ehm come dire... eccitati rispetto ai ragazzi a cui insegnavo a Beauxbaton; però sono molto più calorosi, devo ammetterlo. Ci sono già un paio di elementi che mi hanno molto colpito per la loro brillantezza».
«Mi fai tornare la voglia di insegnare, se solo avessi la forza», affermò la donna con un filo di amarezza.
«Non dire sciocchezze, Minerva, sappiamo entrambi che hai forze a sufficienza per insegnare ad una classe di cento troll di montagna, è solo che non hai le forze mentali... ed è questo che voglio riuscire a capire, perché?»
«Sono molte le cose che non puoi capire, Thobias, e non voglio parlarne».
«Se solo mi accennassi...»
«Thobias», iniziò la donna con tono minaccioso.
«D’accordo, d’accordo, come vuoi. Allora se non vuoi parlarmi di te... parlami di lui», chiese il professor Lovegood indicando un quadro alle spalle della donna che raffigurava un anziano uomo, dalla lunga barba e dai folti capelli bianchi. Aveva un’aria particolarmente assonnata, gli occhiali a mezzaluna stavano in equilibrio sulla punta del suo naso adunco, gli occhi erano socchiusi, ma non per questo non si notavano i suoi profondi occhi cerulei; indossava una lunga veste color grafite e sedeva su una morbida poltrona, con le braccia distese lungo i braccioli.
«Lui?», domandò a sua volta la donna.
«Esattamente. È ovvio che conosco la sua storia, lo scontro con Grindelwald, la formazione dell’Ordine della Fenice, la guerra con Voldemort, però, tu sei una delle poche persone che l’ha conosciuto per quello che era, sapevi cosa celava quell’uomo dietro quegli occhi azzurri... sono sicuro che sapresti confutare molte delle cose narrate da quella giornalista, come si chiamava... una donna che si chiamava Rita, se non erro».
«Rita Skeeter», affermò freddamente la donna.
«Sì, proprio lei», concordò.
«Stupida megera, sempre in cerca di qualche traccia che possa incriminare chiunque, maledetta spia».
«Oh cara, non devi dimostrare il tuo affetto in maniera così evidente, sai?»
La donna rise di gusto.
«Ah! Allora vedi che ci prendi gusto a sorridere!»
«Volevi che ti parlassi di lui, sì o no?»
«Sì, va bene, voglio sapere», canzonò il signor Lovegood.

***

«Alastor, finalmente sei arrivato, accomodati».

L’ordine della fenice era riunito quasi al completo nell’accogliente casa dei Potter poiché Albus Silente lo aveva convocato con emergenza.

«Mi dispiace, ma ho fatto il prima possibile».
«Non preoccuparti, Alastor. Silente ci ha confermato che hai delle informazioni importanti da darci, è vero?», domandò preoccupata Minerva McGranitt, scura in volto.
«Più che importanti, si tratta di vita o di morte. Stasera stavo facendo la mia solita ronda a Notturn Alley, e proprio mentre avevo già passato Magie Sinister, scopro dietro di me tre uomini che vi entravano dentro. Allora riesco a scavalcare sul retro del locale e finalmente assisto alla discussione con il proprietario».
«Dai Alastor, non tenerci sulle spine», disse con frenesia la giovane Lily.
«D’accordo, ora vi spiego».


Poche ore prima

«Buonasera, signor Sinister», disse con tono gelido un uomo dal lungo mantello nero e incappucciato.
«Buonasera, Avery. Cosa, o chi la porta in questo luogo, in una gelida serata di dicembre?»
«Si risparmi le sue formalità, non voglio pagare anche quelle», disse freddo lui.
«Così mi offende», sorrise ironico l’anziano, un uomo ricurvo, con una ciocca di capelli unta che gli copriva parzialmente la fronte.
«Non siamo venuti qui per fare conversazione Avery, diamoci una mossa», disse impaziente un altro incappucciato alle sue spalle.
Era più basso, e leggermente in carne, ma la sua voce era molto più malefica, stridula ed inquietante rispetto a quella del primo.
«Calma, Rosier. Stavo appunto chiedendo al nostro amico Sinister, se ha fatto ciò che il Signore Oscuro ha comandato».
«Sì, signori. tutto è andato secondo il piano concordato,infatti, i Prewett hanno acquistato l’armadio svanitore, ovviamente pensano ancora sia solo un antico mobile di età rinascimentale».
«E chi ha detto che possiamo fidarci di lui, Avery?».
Adesso aveva parlato il terzo uomo incappucciato, che si trovava al lato di Rosier.
Aveva corti capelli neri tirati all’indietro, che mostravano in questo modo una fronte piuttosto ampia, la barba rada non faceva che evidenziare la malvagità del suo viso, soprattutto quando era solito arricciare il labbro superiore.
«Lo ha detto il Signore Oscuro, Dolohov», rispose calmo Avery con un sorriso malato.
«Bene signori, non per mettere fine alla vostra innocente discussione, ma è meglio che vi sbrighiate a portare il doppione dell’armadio dove volete che sia collocato, e ricordate che la formula è sempre la stessa: Harmonia Nectere Passus».



«Misericordia! Dobbiamo fare subito qualcosa, Albus!», esclamò Alice Paciock.
«Albus assolutamente dobbiamo sbrigarci, non c’è un attimo da perdere, formiamo la squadra per andare a casa di Fabian e Gideon».
«Non penserai che io ti faccia andare lì quando Lily ha appena scoperto di essere incinta, James», disse sentenzioso Silente.
«Albus non preoccuparti, James fa parte dell’Ordine come tutti, e il mio stato non deve permettergli di non collaborare», rispose Lily.
«Siocchezze Lily, Albus ha pienamente ragione, è una missione molto rischiosa, e James si trova in una situazione molto delicata perché non può abbandonare Lily in questo stato, indubbiamente. Pertanto Albus, devi scegliere chi vuoi che vada dai Prewett...»
«Hai ragione, Remus, e non è mai facile... è difficile anche per me, è come se decidessi io le vostre sorti, è come imporre delle scelte che non vorrei prendere neanche in considerazione, tuttavia ognuno di noi quando ha deciso di far parte di quest’organizzazione sapeva a cosa poteva andare incontro. I Mangiamorte saranno in tre, forse quattro...», poi prese un pesante respiro e pronunciò i loro nomi, «Alastor, Remus, Franck e...»
«Io», disse con estrema convinzione Minerva McGranitt.

La riunione era finita da un po’ e gli ospiti di casa Potter stavano dando le ultime indicazioni agli uomini scelti da Silente.
Alastor, Remus, Franck e James discutevano su una piantina della casa dei Prewett e si chiedevano in quale zona dell’abitazione fosse riposto l’armadio.
Albus Silente e Minerva McGranitt invece erano nel giardino, lontani da tutti.
Erano seduti su una panchina illuminata solamente dalla fioca luce della luna, che però splendeva interamente nel cupo cielo nuvoloso.

«Perché hai chiesto di partecipare? Perché fai una cosa del genere?»
«Albus, io faccio parte dell’Ordine esattamente come tutti gli altri, e detto sinceramente non ho niente da perdere».
«Non dire così, Minerva. Perché ogni volta che ricordi a te stessa, e a me, che non hai niente, o nessuno da perdere, è una pugnalata in pieno cuore».
«Chi posso perdere, Albus?», domandò afflitta la donna.
«Me, e io non perdonerei mai a me stesso, se tu, ecco...»
«Non succederà», disse convinta e per non far preoccupare l’uomo.
«Sai che rischierai molto? Sicuramente ci sarà Bellatrix, e Fenrir...»
«Albus, mi hai mai mentito?», chiese tutto ad un tratto la donna.
«Minerva?», domandò a sua volta l’uomo particolarmente turbato.
«Mi hai sempre detto che sono la strega più brillante e potente che tua abbia mai conosciuto. Lo pensi ancora?»
«Lo penserò sempre, e non ti mentirei mai».
La professoressa McGranitt sorrise, e spontaneamente accarezzò le morbide guance dell’uomo, poi aggiunse «allora non c’è d’aver paura».
«Ne sono sicuro», rispose l’uomo che a quel punto strinse tra le sue mani quella della donna.
«Perché a quel punto perderesti molto...», alluse la donna.
«Ovvero?»
«Me».




NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti, fortunatamente (per voi) non è passato molto tempo dall'ultimo aggiornamento.
C'è molto (o poco) da dire su questo capitolo, ovvero la prima parte del capitolo in generale.
Si apre con l'incontro di Harry ed Hermione, e potreste ottenere dell informazioni su Kingsley, e dull'ormai ovvio operato di Harry.
Hermione ha inoltre le idee ben saldate in testa.
Poi passiamo ai profondi pensieri di Minerva McGranitt (è il mio personaggio preferito, e si può dire che questo capitolo l'ho dedicato a me stesso hahaah).
Lei e Thobias, che ormai sono diventati molto amici, ripercorrono i ricordi che hanno caratterizzato una fase della guerra... i Prewett.
Chissà magari nel prossimo capitolo avremo un po' d'azione...
Vostro, PriorIncantatio

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Capitolo 15
*** Il tempo non ci salva ***


IL TEMPO NON CI SALVA


Quando ogni uomo avrà raggiunto la felicità, il tempo non ci sarà più. - Fedor Michajlovič Dostoevskij 
 
 
Harry aveva fatto una breve sosta a Grimmauld Place per equipaggiarsi con un impermeabile, poiché una delle caratteristiche inconfondibili di Londra, è il tempo mutevole nel giro di poche ore.
Doveva sbrigarsi e aveva poco meno di tre ore per arrivare a Brighton: ultima meta, ed ultimo saluto.
Decise che era meglio muoversi con mezzi babbani e non rischiare di essere visto durante la materializzazione.
Quando uscì di casa, Harry Potter dovette alzarsi il bavero del suo cappotto e ripararsi da una terribile folata di vento, poi non perse tempo e iniziò a procedere in direzione della metropolitana più vicina.
Il vento gli soffiava violentemente contro, abbassò il volto per evitarlo e mise le mani infreddolite nel cappotto, i capelli bruni erano in balia della tormenta autunnale.
Si domandava Harry, se la sua decisione fosse realmente quella giusta, se Hermione per l’ennesima volta avesse avuto ragione, se dopo tutti quegli anni passati a combattere Voldemort non dovesse essere ripagato con una tanta agognata pace.
E poi quanto tempo ci avrebbe messo per completare quella missione assegnatagli?
Un mese? Un anno?
Lui e Ginny avevano aspettato così tanto tempo per poter condividere la propria vita insieme, ed ora ecco un nuovo ostacolo.
Harry pensandoci, dovette ammettere a se stesso che quell’intralcio se lo era cercato semplicemente lui.
Poteva gentilmente declinare la proposta fattagli dal Primo Ministro, però adesso era Kingsley Shackelbolt a guidare il Ministero e lui aveva aiutato innumerevoli volte Silente e l’Ordine della Fenice, ed è stato fondamentale durante la battaglia, pertanto, sarebbe stato profondamente irrispettoso nei suoi confronti tirarsi indietro e rifiutare l’incarico avrebbe significato non rendergli la giusta riconoscenza.

Dopo una decina di minuti arrivò alla metropolitana, ivi aspettò qualche altro minuto e poi salì sul treno ad alta velocità.
Riuscì a trovare fortunatamente un posto libero, considerando la lunghezza del viaggio che sarebbe durato all’incirca un’ora.
Erano quasi le cinque del pomeriggio, una delle ore di punta per l’assalto alle metropolitane, infatti ad ogni fermata, il mezzo si riempiva quasi all’inverosimile.
Harry non era abituato a quel caos in uno spazio relativamente ristretto, e iniziava a soffrire la presenza di tutte quelle persone e di conseguenza del poco ossigeno presente.
Cercò di non farsi prendere dal panico, di lì ad un paio di ore sarebbe partito per una missione indossando una divisa da Auror, e svenire come una ragazzino in una metropolitana nel centro di Londra non sarebbe stato un bel passepartout per il futuro.
Spostò i suoi pensieri proprio su quella missione.
Si immaginava già sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta con Percy, ed entrambi stringevano  le braccia del loro ricercato numero uno, si immaginava in un’aula del Ministero a testimoniare contro l’imputato: dopotutto lui aveva prove e ricordi che avrebbero messo spalle al muro quell’uomo.
Il convoglio sfrecciava ed Harry si accorse che era passata quasi un’ora, la prossima fermata indicava la metropolitana di Patcham, distante solo pochi isolati da Brighton.
Quando scese Harry fu sollevato dal fatto che non ci fosse nessuna traccia della tempesta londinese. 
Brighton:  la città inglese meno inglese del Regno Unito.
Il ragazzo iniziò a muoversi con titubanza, dopotutto era stato lì soltanto una volta, il giorno dopo la battaglia.
Era una città meravigliosa, si ritrovò a pensare Harry, la paragonava ad un enorme cuore che si contraeva e si dilatava.
Il “magico” odore di salsedine inondava ogni via del centro, ogni pub, ogni casa, invadeva anche Harry che si era già ripreso dallo shock della metropolitana.
Si stava incamminando in direzione del mare; la meta era un umile cottage che aveva la fortuna di affacciarsi direttamente sull’oceano, immenso, grigio, e a sua detta, rassicurante.

***

Aveva ancora gli indumenti sporchi di sangue, gli occhiali scheggiati, si sentiva stanco, sfinito.
Da un momento all’altro sentiva di poter svenire; quella era stata la sua notte più lunga.
Era morto: un raggio verde e abbagliante, e poi un nero cupo, tenebroso.
Ecco come deve essere la morte: un manto buio e tetro, nulla più.
Poi di nuovo la vita, il respiro affannato, era vivo.
Poi la bacchetta stretta tra le mani con fermezza.
Nessuno dei due può vivere, se l’altro sopravvive”.


“Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche e vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto.”

Poche ore dopo Harry Potter si materializzò davanti ad un’anonima porta.
Era notte fonda, le fioche luci dei lampioni illuminavano parzialmente la via desolata e senza vita.
L’unico rumore a perforare quel silenzio quasi surreale era il nostalgico infrangersi delle onde contro gli scogli.
La spuma del mare abbracciava il suo corpo e la sua mente, poi si decise e con delicatezza bussò alla porta.


***    

Aveva svoltato a sinistra e percorreva la Black Lion Street, quando fu colpito da un venditore ambulante tutto preso dalla lettura di un giornale.
«Buon pomeriggio, signore», disse l’uomo, abbassando il quotidiano quando Harry gli si avvicinò.
«Salve, mi chied...», poi fu interrotto.
«Sun, Daily Mirror, Times, Guardian, o il Telegraph. Mi dica quale desidera, signore», disse tutto d’un fiato il venditore regalandogli un largo sorriso.
«No, ascolti... ho notato che stava leggendo la gaz...»
«Oh, questo qui?», rispose l’uomo interrompendolo di nuovo. «Mi dispiace non è in vendita... è... è un giornale speciale a cui mi sono abbonato, sono costernato ma-ma non posso venderglielo, signore».
«Senta, non si preoccupi, vorrei solamente acquistare la gazzetta del profeta, tenga», cercò nelle tasche del pantalone, «ecco i suoi 7 falci».
«Oh... poteva dirmelo subito, signore», sospirando profondamente. «Aspetti però, credo sia meglio che invece di acquistare il quotidiano, lei prenda lo speciale di stasera, hanno anticipato la stampa, e proprio per questo ero molto assorto nella lettura poco fa».
Fece  una breve pausa, «quindi quale decide di acquistare, signore?», domandò infine l’uomo.
«Mh... sono curioso... vada per il Profeta della Sera», disse Harry, raccogliendo il giornale dalle mani dell’uomo.

I titoli a caratteri cubitali non lasciavano dubbi sull’argomento clou del giorno: "AZKABAN PER AMYCUS E ALECTO CARROW"; poi ancora: "BOB OGDEN SENZA PAURA: DUE MANGIAMORTE PROCESSATI"; ed infine: "INIZIANO I PROCESSI: PUGNO DURO DEL GOVERNO SHACKELBOLT".

Harry si incamminò di nuovo, leggendo nel frattempo le notizie più importanti.
Le immagini animate erano molto crude: alla terza pagina Amycus Carrow stava sputando in direzione di un membro del Wizengamot, nella pagina seguente quell’indemoniata di sua sorella, Alecto Carrow, si sbracciava e tentava di spingere le guardie nonostante le robuste manette, gli ricordava vagamente quella pazza assassina di Bellatrix Lestrange, ancora viva, ancora a piede libero.

***

“Sembrò che la caduta di Sirius durasse un’eternità: il suo corpo si piegò con grazia e cadde all’indietro oltre il velo logoro appeso all’arco”
“«SIRIUS!» urlò Harry. «SIRIUS!»” 
“Non puoi fare niente, Harry...»” 
“«Fermalo... salvalo... è appena passato...!»”
“«...è troppo tardi, Harry».”
“«Possiamo ancora raggiungerlo...» Harry si divincolò con violenza, ma Lupin non lo lasciò andare...”
“«Non puoi fare più niente, Harry... niente... se n’è andato».”


***

Ogni volta, ogni ricordo era un brivido, freddo e gelante fino alle ossa, fino al cuore.
No, non si era ancora abituato alla sua assenza, non si era ancora abituato alla mancanza di una famiglia.
Sì, perché Sirius non era solo un uomo, o solo un padrino, Sirius era famiglia, era l’abbraccio sulla torre di Hogwarts, era il suo saluto in sella ad un ippogrifo, erano le sera a rincontrarsi segretamente davanti al camino della sala comune di Grifondoro, Sirius era la lettera rincuorante nelle caldi giornate d’estate passate dai Dursley, o nelle fredde e tristi giornate d’inverno a Hogwarts.
Sirius era casa.
E non poteva farci più nulla Harry, niente, “se n’è andato”.

Si riprese Harry Potter, si riprese perché non poteva rimanere ancorato su accaduti successi due anni prima, e ritornare a soffrire come se fossero successi due giorni prima.
La vita doveva essere vissuta, affrontata, e ora gli stava riservando un’altra complicata e difficile “avventura”.
Svoltò dopo un paio di minuti sulla King’s Road, e finalmente giunse a destinazione.
Salì velocemente i pochi scalini che lo separavano dalla porta d’ingresso e bussò con delicatezza.

***

Lentamente la porta si aprì, e una figura femminile gli si mostrò davanti. Aveva una vestaglia nera ricamata con un elegante pizzo color argento.
I lineamenti del viso erano solcati, le occhiaie erano testimoni delle nottate insonni, i capelli erano diventati secchi e crespi, raccolti in una treccia fatta velocemente, il volto terribilmente pallido.
Si notava dal suo sguardo che era a dir poco terrorizzata,infatti, impugnava la bacchetta come se si trovasse sulla difensiva.
«Cosa... s-s-sei vivo figliolo! Vieni entra! Ti trovo subito dei vestiti da indossare, i tuoi sono tutti sporchi, e devo prepararti una tazza di tè immediatamente», ribadì la donna con tono allarmato.
Poco dopo entrambi erano seduti in soggiorno.
«Il piccolo sta dormendo?» domandò preoccupato Harry.
«Sì, questa notte mi ha lasciato prendere occhio, per fortuna stanno per tornare sua madre e suo padre!», gli rispose la donna, che sembrava aver ripreso colore.
Harry immediatamente chiuse gli occhi e abbassò il capo, qualche lacrima iniziava a rigargli il viso.
«No. No. È impossibile», esclamò con tono allarmato prontamente la donna, rimanendo però ancora seduta.
Harry alzò il volto e la guardò supplichevole.
Lei scoppiò in lacrime e si mise una mano sulle labbra come a soffocare quel lamento, poi si alzò e si avvicinò al ragazzo, e lui distrutto, sprofondò sul suo grembo.


***    

«Buonasera, Andromeda», pronunciò allegro Harry appena la porta si aprì.
«Harry! Che piacere rivederti, ragazzo mio! Vieni, entra, accomodati», rispose cordialmente la donna.
Entrambi si diressero nella cucina di casa Tonks.
«È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che sono venuto qui».
«Direi troppo tempo», rispose lei mentre si sedettero l’uno di fronte all’altro, poi continuò «e sono cambiate molte cose, Harry».
«Tante sì, Andromeda, e sono cambiate nel bene, no?», rispose a cuor leggero il ragazzo.
«Certo che sì, Harry. Io finalmente mi sento meglio, e ogni volta che penso a Ted, Ninfadora e Remus... lo so che mi sento un po’ giù, ma non sprofondo più nello sconforto...  no, non più. Ora ho Teddy, e lui è la mia luce, tutto ciò che mi è rimasto di loro. Ogni volta che lo guardo mi sembra di rivederli: gli occhi di suo nonno, i capelli di sua madre, il viso di suo padre. Mi mancano, lo sai, Harry? Mi mancano ogni giorno, mi mancheranno sempre, ma io sono viva e devo far parte dei vivi perché Teddy ne ha bisogno, perché lui ha bisogno di me. È una dura lezione questa, quella di sopravvivere, perché ragazzo mio, io ho smesso di vivere come una persona “viva” quella maledetta sera, io sopravvivo da quando quella notte di ormai quattro mesi fa un ragazzo bussò alla mia porta.
Sopravvivo da quando sprofondò tra le mie braccia e mi disse che mia figlia era morta, e con lei suo marito. Avevo perso in poco tempo la mia unica figlia, mio genero e mio marito. Sai cosa vuol dire questo, Harry. Tu meglio di me lo sai. Tu ci convivi da diciassette anni, ma io non sono te, io non sono forte, perché tu vivi, mentre io... beh... io sopravvivo.»
Harry le afferrò la mano dolcemente e la strinse nella sua.
«Tu, non sei debole. Tu sei forte! Più di quanto si possa immaginare, e questa non è una frase di circostanza, Andromeda. Devi sapere che fare da madre, da padre, da nonna e da nonno ad un bambino non è per nulla facile, soprattutto se lui ti ricorda ogni giorno chi hai perso».
Andromeda si voltò verso la finestra della stanza: aveva ricominciato a piovere.

***

«Mi dispiace! Mi dispiace! Mi dispiace!».
 Urlava e piangeva Harry tra le braccia della donna.
«Harry... ti prego...», singhiozzava Adromeda Black.
«Non ho fatto nulla! Nulla per salvarli!».
Si struggeva Harry Potter, si sentiva, per l’ennesima volta la causa, la colpa di tutto ciò. Era lui che aveva ucciso Remus Lupin e Ninfadora Tonks, lui aveva reso orfano il piccolo Teddy.
«Ha-Har-ry, ragazzo mio, non incolparti di ciò che non hai commesso, tu non puoi salvare tutti, neanche loro...», Andromeda chiuse gli occhi e respirò profondamente per bloccare il flusso irrefrenabile di lacrime, «nessuno può salvare tutti, Harry... possiamo soltanto salvare l’anima di chi vogliamo davvero bene. Harry, Remus e Ninfadora si sono amati, si sono salvati...»
Harry appoggiò il capo sulla spalla della donna e, silenziosamente pianse.
Quelle lacrime avevano il sapore del mare, che fuori da quella casa spumeggiava su tutta la costa.
Quella lacrime avevano il sapore del dolore, del rimpianto.
Quelle lacrime avevano il sapore di chi non poteva più tornare indietro, ma che dopotutto, si era salvato.


***

«A cosa pensi, Harry?» domandò Andromeda, facendo rinsavire Harry.
«Penso che dopotutto, le cose non sono cambiate», rispose nostalgico lui.
«Sei ancora troppo giovane, col tempo capirai, col tempo affronterai i cambiamenti che la sorte ha destinato a noi, devi, Harry, affrontare tu stesso il tempo. Questa è la sfida più grande. E sai una cosa, Harry?»
«No, cosa?», domandò a sua volta il ragazzo.
«Che quando ti ritrovi ad affrontare il tempo, parti già sconfitto. Il tempo non invecchia, non cambia, Harry. Noi sì, invece, e con esso perdiamo le parti più importanti della nostra vita, quei pezzi fondamentali che ci servono a lottare contro il tempo. Allora lui ha vita facile, Harry. Il tempo ci prende, ci manipola, lo fa con tutti. Allora noi cosa possiamo fare? Ci affidiamo, o meglio, riponiamo la nostra vita a chi ci rimane, a chi riesce a tenere accesa la luce, la nostra luce, a chi non ci fa camminare nel buio, a chi ci fa rivivere ricordi che temevamo di aver dimenticato.»
«Sai una cosa, Andromeda?»
«No, figliolo, cosa?»
«Io posso tenere accesa la luce, io posso tenere il tuo braccio, tu poi affidarti, o meglio, puoi riporre la tua vita, la tua fiducia in me. Io ti voglio bene, Andromeda», così le loro mani si staccarono delicatamente. Ora però devo rivelarti una cosa...», Harry alluse a qualcosa di molto importante, e la donna lo capì immediatamente.
«Harry...», si limitò a pronunciare.
«Sono stato assoldato dal Ministero per dare la caccia ad un Mangiamorte piuttosto... noto. Mi hanno affiancato con Percy Weasley, è lui che lo pedina da mesi ormai.»
«Ma-ma, Harry sei solo un ragazzo, il Ministero saprà trovare qualche Auror con una bella reputazione sulle spalle, no?»
«Kingsley lo ha ritenuto opportuno, come ha ritenuto opportuno introdurmi subito nella squadra Auror. Sono uno di loro ormai. Lo so, ho bruciato le tappe, Andromeda, ma sono pronto. Kingsley sta facendo tanto per ricostruire il nostro mondo...», e appoggiò sul tavolo il Profeta della Sera.
Andromeda diede una fugace occhiata ai titoli in prima pagina.
«Noto che la causa di Kingsley ti sta molto a cuore, ed è giusto così. So di non avere il potere di limitare le tue scelte e di oppormi al tuo intento, pertanto ti chiedo solo la massima prudenza.
Sta attento, Harry. “Vigilanza Costante!”.»
«Vuol dire molto per me il tuo appoggio, Andromeda. Adesso non mi rimane che...»
«Che salutare Ted», concluse lei sorridendogli.

Si alzarono e si diressero al piano di sopra.

Andromeda era un membro di una delle più nobili e antiche famiglie di maghi inglesi, ed Harry si ritrovava a camminare in un’umile casa di  una città completamente babbana, tranne che per qualche piccola eccezione.
La differenza con l’enorme maniero di sua sorella Narcissa era esorbitante
Salirono al piano superiore servendosi di una scala a chiocciola; lungo la parete non mancavano le foto di Tonks, di Ted e di Remus.
«Ted, era un babbano come sai, Harry... ma amava la magia, soprattutto le foto magiche. A volte lo ritrovavo sulla scalinata ad osservare le foto. Rimaneva lì a contemplare le animazioni: Teddy che cambiava colore ai capelli mentre riposava. Io e lui che abbiamo in braccio Ninfadora appena nacque, lei abbracciata da Remus, e tante altre. Lui era uno di quegli uomini che non si faceva spaventare dal tempo. Lo affrontava a viso aperto. E lo combatteva così, osservando queste foto; diceva che dovevamo vivere il presente, ma non dimenticare mai per nessuna ragione al mondo il nostro passato, perché è quello che ci fortifica, è quello che ci ha formati».

Poi arrivarono alla camera di Teddy.

«Era la camera di Ninfadora. Non ho voluta cambiarla, lui è così simile a sua madre...»
Harry sembrò non averla ascoltata, e si avvicinò subito alla culla.
Dormiva beatamente, Teddy Lupin.
Con il piccolo pollice in bocca, con i suoi capelli ora di un profondo blu, come il mare in tempesta, come quel mare di lacrime, come il mare di chi non torna indietro, come il mare di chi si è salvato.
Era vero, era così simile a sua madre e suo padre.
E lui, era il suo padrino.
Lui, gli avrebbe promesso la felicità che gli spettava, gli avrebbe promesso quella famiglia che ogni bambino merita.
Lui sarebbe stato il padre con il quale non ha mai giocato a Quidditch, sarebbe stato la madre affettuosa che non gli hai mai rimboccato le coperte.
Lui ci sarebbe sempre stato, gli avrebbe raccontato le Fiabe di Beda il Bardo, lo avrebbe portato in giro per Diagon Alley, gli avrebbe parlato di tutte le sue avventure a Hogwarts, gli avrebbe dato tutto ciò che ad Harry è mancato.
Gli diede un tenero bacio sulla fronte e gli sussurrò all’orecchio «saremo una famiglia. Una famiglia unita, come abbiamo sempre desiderato», e Teddy sembrò sorridere.
I capelli diventarono azzurri, come il cielo sereno, come chi è finalmente libero, spensierato, amato.
Come chi non è solo, ed è amato.

Come chi è salvo.




NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti!
Ho aggiornato la long dopo un po' di tempo, ma tra impegni vari, scuola e le vacanze natalizie ho avuto davvero poco tempo, per pensare, per concentrarmi e per scrivere.
Questo è il primo capitolo dove compaiono soltanto due personaggi: Harry ed Andromeda.
Nessun legame di parentela unisce questi due personaggi, che però sono molto legati, soprattutto dopo la dipartita di Ninfadora e di Remus.
Soprattutto colui che lega maggiormente i due è Teddy Lupin.
Come tutte le sorelle Black, anche Andromeda mi ha sempre affascinato (grazie anche al suo nome), pertanto, potrebbe avere (come Narcissa, e chissà magari anche Bellatrix...) un ruolo importante, ma questo è da decidere.
Il capitolo e costellato da vari flashback, che io amo, quindi ne troverete molti altri che intervalleranno la narrazione.
Li uso per farvi capire meglio la storia ovviamente, ma anche per introdurre accaduti che potrebbero essere determinanti, e anche, se non soprattutto, per rendere ancora più profonda l'introspezione dei personaggi.
Brighton.
La scelta di questo luogo non è casuale: il primo motivo è la vicinanza al mare, e molte volte le onde sono state presenti in numerosi paragoni e similitudini; (secondo motivo... è una città che voglio assolutamente visitare haha)
Notate che ad un certo punto c'è una narrazione e una parte dialogica (riportata in un flashback), chiusa tra le virgolette... sto parlando della morte di Sirius Black; questa parte è riportata in linea generale come zia J.K.R. ha fatto nell'Ordine della fenice.
Alcuni particolari davvero di poco conto: il costo del giornale è davvero quello adoperato nei libri (7 falci, precedentemente 5 zellini); Patcham è davvero a pochi isolati da Brighton, pertanto, è una città reale, ma non so se vi è una fermata della metropolitana; ovviamente Andromeda Black  Tonks, non abita a Brighton, il perché dell'utilizzo di questa città è stato già spiegato, il flachback nel quale Harry dopo la battaglia va subito da Andromeda è ovviamente inventato, questo artificio è stato utilizzato per rendere ancora meglio il loro importante rapporto.
Detto questi, grazie per avermi prestato attenzione; si accettano ovviamente recensioni (anche negative, ovviamente)!
Al prossimo capitolo, e già che ci siamo Buon 2015!

-PriorIncantatio



 

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Capitolo 16
*** Inerti al destino - I parte ***


INERTI AL DESTINO – I PARTE
 
 

"Non è nelle stelle che è conservato il notro destino, ma in noi stessi" - William Shakespeare 
 
Non si era ancora abituato a vivere lì, nonostante fosse stata per diciassette anni la sua casa.
Non era cambiata, questa era una prova incontrovertibile, e l’assenza di suo padre non la rendeva di certo più vuota.
Fredda ed inquietante, come se Lord Voldemort girovagasse ancora tra le camere e i corridoi di quella dimora.
Si sentiva come perseguitato da un dissennatore, con il suo fiato sul collo, con il respiro che lentamente si arrestava, aspettando inesorabilmente il suo bacio.

Quella mattina Draco Malfoy si era svegliato piuttosto tardi, e sicuramente sua madre glielo avrebbe fatto notare a colazione.
Si alzò intorpidito dal letto e si diresse alla toilette, si sciacquò il viso tentando di rivitalizzarlo, ma anche prendendosi a schiaffi, non sarebbe riuscito a riprendersi completamente. I suoi biondi capelli erano scompigliati e occupavano la fronte spaziosa cadendogli davanti agli occhi, e nascondendo in parte le vistose occhiaie.
Si sentiva fiacco e debole, come se avesse d’un tratto consumato tutte le energie fisiche e mentali.
Poi il ragazzo si mise l’anima in pace e scese al piano sottostante, dove stava ad aspettarlo sua madre, Narcissa Malfoy.
Quel cognome iniziava a dargli il voltastomaco; e pensare che fino a pochi mesi prima non c’era uomo o donna in tutto il Regno Unito che non temesse quella nobile famiglia, così potente e così vicina all’Oscuro Signore.
Ora , invece, avrebbe preferito mettere la testa sotto la sabbia e non cacciarla più, evitando insulti, minacce, scherni e colpe giustamente attribuitegli.
La sua famiglia era diventata in così breve tempo lo zimbello di molti, e sicuramente questo avrebbe inciso sul suo destino.

Destino.

«Buongiorno, Draco», disse Narcissa con dolcezza a suo figlio, e lui intanto le si accomodò vicino.
«Scusa per il ritardo, mamma. Non succ...»
«Smettila di scusarti ogni volta, Draco. Tuo padre non è più qui e non ha il fiato sui nostri colli, quindi cerca di rilassarti, e inizia a capire che svegliarsi una mattina con un briciolo di ritardo non ti costringe a supplicare qualcuno», lo interruppe serafica sua madre.
Draco si limitò ad annuire.
In quelli’istante apparve dal nulla un piccolo elfo che indossava una scialba veste di tela, sudicia e in alcune parti strappata.
Due grandi orecchie si ergevano sul capo, ed enormi occhi verdi oliva fissavano il ragazzo e sua madre con interesse.
«Signora Malfoy, posso portare la colazione per il signore?», chiese con voce stridula.
«Non ho fame, Eltas, ti ringrazio», rispose Draco, lasciando che il suo sguardo e suoi pensieri si perdessero sul tavolo marmoreo.
«N-n-non deve ringraziare Eltas. Eltas è on-on-onorato di servirla, padron Draco», rispose quasi impaurito l’elfo.
«Eltas, per ora puoi andare», disse Narcissa congedando l’elfo che sparì in un piccolo scoppio.
Poi lei continuò «cosa ti turba, Draco?»
«Sto bene, davvero», rispose lui tentando di tagliar corto.
«Non mentire a tua madre, dimmi cosa ti preoccupa, Draco. Dimmelo, soprattutto ora che dobbiamo farci forza l’un l’altro.
»
«Sono stanco», rispose lui senza mostrare emozione.
«Non devi esserlo, non abbiamo ancora iniziato la nostra battaglia, figlio mio... C’è ancora tanto da fare, da dire e da progettare. Piccolo mio, ti prometto che non sarai mai da solo in questa lotta», rispose lei rincuorandolo e scompigliandogli i capelli ancora dissestati sulla fronte.
Lui finalmente alzò il capo e le sorrise «con te non sarò mai solo».

***

Due figure incappottate procedevano velocemente l’una a fianco all’altra.
L’uomo impugnava con determinazione un ombrello, la donna stingeva il braccio sinistro alla sua vita.
«Mamma sei davvero sicura che sia una buona idea ritornare a casa? Alla villa di papà?», domandò Draco stingendo le spalle per il vento gelido.
«Hai paura che Kingsley ci abbia rifilato un’imboscata degli Auror? Tranquillo, Draco, e ricorda che questa è casa nostra e non più di tuo padre», rispose quasi sputando l’ultima parola.
Era notte fonda, e Narcissa Malfoy dopo essere stata rassicurata sul futuro di Draco dal Primo Ministro, che era andato coraggiosamente a trovare di persona, si era immediatamente fiondata nel desolante hotel di periferia dove aveva pernottato per quella notte, dove prese con sé suo figliò e si materializzò all’istante in direzione di Villa Malfoy.
Le alte siepi che una volta erano ben curate, ora erano vistosamente rovinate ed erano cresciute a dismisura.
Il grande cancello nero separava madre e figlio dalla sontuosa dimora.
«Credi ci sia qualche possibilità che ci faccia ancora entrare, Draco?», chiese titubante e visibilmente preoccupata Narcissa.
«Non lo so mamma... lascia comunque fare a me», rispose deciso lui.
«No! La tua pelle è molto più utile della mia. Sappiamo entrambi cosa può succedere se il cancello decide di non lasciarci passare, quindi fatti da parte, Draco», disse opponendosi.
«Insisto. Hai già fatto abbastanza mamma, lascia anche a me la possibilità di poter fare qualcosa...», e appena finì la frase e prima ancora che Narcissa potesse di nuovo ribattere, Draco si slanciò verso il cancello e mise la mano sull’inferriata nera.
Ci fu un lungo e interminabile cigolio, dopodiché fuoriuscirono piccole scintille verdi e il cancello si aprì sontuosamente e rumorosamente davanti a loro.

Villa Malfoy riprese vita.


***

«Però c’è qualcosa che devo dirti, Draco», sussurrò sua madre come se non volesse farsi sentire da qualche ospite indesiderato.
«Devo preoccuparmi?», domandò il ragazzo allarmato.
«No, o almeno non credo. Kingsley Shacklebolt mi ha inviato un gufo e ci chiede espressamente di recarci al Ministero. Oggi.»
«Cosa? E come possiamo arrivare al Ministero, senza che nessuno ci veda?», richiese Draco, particolarmente stizzito.
A quel punto la donna prese dalla sua giacca un vecchio pettine consunto.
Lo appoggiò sul tavolo, e lo spinse lentamente verso suo figlio, che la guardava perplesso?
«Un pettine? Mamma dovremmo fare qualcosa di meglio per non farci riconoscere, non credi?»
Narcissa sbuffò come una bambina che non viene capita dai proprio genitori.
«Era all’interno della lettera. Lo useremo oggi, precisamente alle sedici e trenta».
«Mamma, per Salazar, cosa stai blaterando! Cosa dobbiamo fare noi due con un pettine nel bel mezzo del Ministero?»
«Manchi d’arguzia, Draco. Questo banale e logoro pettine, non è nient’altro che una passaporta», disse solenne lei.
«Che...», cominciò Draco.
«Che ci trasporterà direttamente nell’ufficio del Primo Ministro».
Entrambi sorrisero soddisfatti.



Era in anticipo per il lavoro; quella mattina il suo capo aveva disposto un incontro dopo la fine delle lezioni, una delle ultime.
Le aveva comunicato quella decisione di persona, insolito per lui che delegava sempre la sua segretaria per quel genere di compito, e per questo motivo non smetteva di porsi delle domande.
Aveva sbagliato qualcosa? Non si stava applicando abbastanza?
Di lì a poche ore avrebbe avuto una risposta ai suoi quesiti che con il passare del tempo si accavallavano l’uno sull’altro.
A smuoverla da quello stato di profondo rapporto con se stessa fu il rumore di un ticchettio che echeggiava nell’appartamento numero 6 al 221B di Baker Street.
Percorse velocemente lo stretto corridoio che separava la camera da letto dal resto della casa, e si diresse nel salone.
Guardò immediatamente in direzione della finestra centrale della stanza, che forniva al salotto un’adeguata illuminazione e un confortevole calore.
Fuori dalla finestra un gufo dal piumaggio grigiastro e dai grandi occhi castani beccava imperterrito e instancabilmente contro il vetro.
«Leotordo!», esclamò Hermione, forse con troppa enfasi.
Fece scattare il chiavistello e alzò la finestra, dando all’uccello la possibilità di entrare.
Questo fece un piccolo saltello all’indentro e immediatamente alzò il capo verso Hermione, e lei gli si avvicinò e stacco delicatamente dal piccolo collo una lettera accuratamente arrotolata.

Cara Hermione,
sono tantissime le cose da raccontarti, e anche cerando di ricordarle tutte sicuramente ne dimenticherei qualcuna, ma di certo non ti invio questa lettera perché con l’intenzione di fare un banale elenco.
Edimburgo è una città bellissima ma sembra così distante da Londra.
Da te.
Non posso dire di non divertirmi o di non avere una bella compagnia, anzi tutt’altro, ma mi manca qualcosa, Hermione. E sono partito per questa estenuante ricerca, e dopo aver frugato un po’ ovunque ho trovato finalmente cosa non avevo con me. Ciò che mi manca è il destinatario di questa lettera.
Comprendo che non ci sentiamo o vediamo con frequenza, e che entrambi abbiamo importanti e numerosi impegni, ma cercherò di fare qualcosa per rimediare.
Ti penso e ti amo sempre.
Tuo, Ron.


“Ti penso sempre e ti amo sempre”.

Hermione inspirò profondamente e chiuse meccanicamente gli occhi.  
Congedò il gufo con il disappunto di quest’ultimo, ripromettendosi di rispondergli a breve.
Ron.
Dopo più di una settimana era ritornato a farsi sentire e aveva utilizzato un gufo perché dopo tantissimi tentavi non era ancora riuscito a saper utilizzare un banale cellulare.
Banale ma babbano.
Sentiva di non riuscire a tollerare quel periodare di scarse attenzioni da parte sua, di brevi lettere, e rarissime comparse.
Però, non poteva mentire a se stessa, al suo cuore, perché ogni volta che leggeva la sua grafia, pensava ai suoi abbracci, al profumo di erba tagliata, di pergamena nuova e dei suoi capelli, le si scioglieva il cuore, e nulla era più importante di quel testardo ragazzo dai capelli rossi.
Hermione rinsavì, piegò accuratamente la lettera e la custodì nella borsetta, dopodiché guardò il suo orologio che segnava le ore otto e dieci minuti e decise di muoversi finalmente alla volta del Ministero.

Finalmente Londra era diventata, seppur per quel giorno, il palcoscenico di una luminosa giornata primaverile, nonostante  il calendario indicasse il mese di ottobre.
Era insolito per Hermione passeggiare e notare i pedoni senza impermeabili e ombrelli sempre alla mano, o imbottiti all’inverosimile, e quella calda atmosfera la tranquillizzò e le fece dimenticare, anche se momentaneamente, la lettera letta poco prima.

Camminò per una manciata di minuti per raggiungere l’insegna Underground di Baker Street.
Entrò nell’edificio, acquistò il biglietto e poi scese le scale per trovarsi ai binari ad aspettare l’arrivo della metropolitana.
Aspettò pochissimi istanti e prese la metro.
Il tragitto era davvero molto breve e rimproverò se stessa per quel peccato di pigrizia, magari fare due passi a piedi l’avrebbe distratta con pensieri più leggeri.
Oltrepassò con non poca fatica la massa che si accalcava per prendere il treno, e si diresse verso le scale per risalire.
Uscita dalla stazione, e assaporando per poco tempo il calore e la gradevole brezza, si sbrigò e si diresse verso la prima metro polvere più vicina, o meglio, il primo bagno pubblico più vicino.
Come al solito vi era una lunga fila, ma piuttosto veloce ad accorciarsi, il che dopo una manciata di minuti diedero l’opportunità ad Hermione di usufruire del servizio “igienico”.
Chiuse la porta dietro di sé e sospirò profondamente per quell'azione sempre imbarazzate che di lì a poco avrebbe dovuto fare. 
Si avvicinò alla toilette, sollevò la tavoletta, e lentamente mise i piedi all’interno, facendo attenzione a non bagnarseli.
«Insomma! Quanto ci mette?», qualcuno sbraitò battendo il pugno contro la porta.
Hermione represse una sfuriata che a breve sarebbe inesorabilmente scoppiata, e premette il pulsante dello scarico.

In una frazione di secondo, da un lento scorrere dell’acqua, si passò ad un velocissimo risucchio che inghiottì anche la ragazza.
Ricomparve poco dopo, con una luminescente fiamma verde, nell’Atrium all’ottavo livello del Ministero.
Arrivò alla guardiola dove registrò nome e bacchetta, sempre la stessa da sette anni, la sua fedele compagna: vite con nucleo di corda di cuore di drago, dieci pollici e tre quarti, molto flessibile.

«Prego, signorina Granger, può passare», disse sicuro l’uomo.
Superata la guardiola si inoltrò nell’ampissimo atrio del Ministero che pullulava di prossimi colleghi, elfi, streghe e maghi che imprecavano con i più ambigui oggetti tra le mani.
Diede, come sempre, una fugace occhiata al sontuoso monumento, fece un sorriso nascosto e arrivò all’ascensore dove pigiò il pulsante per prenotarlo.
Appena si aprirono le porte da dietro le sue spalle sfrecciarono una decina di piccoli foglietti ripiegati, ovvero, promemoria interufficio che gli impiegati facevano svolazzare tra i vari dipartimenti del Ministero, e questi erano simili agli aeroplanini di carta che i bambini si divertono a fabbricare.
Fortunatamente l’ascensore non era particolarmente pieno; vi e entrò e in una manciata di secondi era giunta all’Ufficio Applicazione della Legge Magica.



«Weasley! Weasley! Weasley! Svegliati dannato ragazzo!».
«No, no... mh no, mamma non ho fame, dai mamma», continuava delirando per poi girarsi sull’altro lato del letto, «dai mamma se proprio insisti...».
«WEASLEY!».
Il ragazzo saltò letteralmente dal letto, e inciampando cadde rovinosamente a terra, con il conseguente elenco dei maghi più famosi.
«Ti rendi conto che ore sono, razza di sciocco?».
«No, mister. Non ne ho la più pallida idea», rispose sconfitto Ron.
«Si dà il caso che siano le otto e mezza e non tollero i ritardi, nemmeno uno. Ti concederò però una grazia, dato che se mi è ancora concessa la possibilità di offenderti è anche grazie a te», disse non troppo ironicamente Gustav Baston, il tecnico dei Tornados, la squadra di Quidditch più famosa di Edimburgo. 
«Bel modo di  ringraziarmi per aver salvato mezzo mondo magico, mister», controbatté Ron.
«Ti consiglierei di non vantarti troppo, Weasley. Qui non si fa a gara a chi ha ucciso più Mangiamorte, ma a chi gioca meglio, e il fatto che un giocatore ritardi agli allenamenti non è un bel punto a suo favore. Pertanto... SBRIGATI. ORA», sbraitò l’uomo, sbattendo la porta alle sue spalle.

Dieci minuti dopo Ron era comparso sul campo d’allenamento, il sole era accecante e sembrava bruciargli le iridi.
Fra tre giorni ci sarebbe stata una partita particolarmente importante, ovvero, lo scontro diretto tra le prime della classifica: avrebbero dovuto affrontare la Appleby Arrows.
«Allora ragazzi, sbrigatevi a formare le due squadre perché oggi la giornata ci è favorevole. Oh Weasley!», esclamò il mister vedendolo finalmente arrivare, «ci hai degnato della tua prestigiosa presenza, oh nostro grande salvatore! Ora sbrigati a salire su quella dannata scopa e para tutto ciò che è parabile!»
Le urla di Gustav Baston avevano a questo punto svegliato totalmente Ron, che con decisone volò fino alle tre porte circolari da difendere.
«Voglio vedervi sputare sangue e sudore su questo campo! Abbiamo perso fin troppi punti contro squadre preparate peggio di noi, quindi ragazzi, mercoledì non voglio solo vincere, voglio dominare!», urlò il mister e, alla fine del suo discorso d’incitamento fischiò, la partita d’allenamento ebbe inizio. 

L’allenamento fu estenuante e Gustav fece durare la partita più del solito, costringendo i cercatori a catturare il boccino d’oro per tre volte.
La partita stava volgendo pressoché al termine, poiché la squadra capitanata da Oliver Baston, figlio del mister Gustav, stava per vincere.
«Dai ragazzi, un ultimo sforzo! Dai, Kit!  Afferra questo boccino e facciamola finita!», incitò Oliver.
Ma proprio in quel momento...
«OLIVER!»
L’urlo del mister non fu abbastanza perentorio; un bolide aveva colpito violentemente la scopa di suo figlio all’altezza dell’impugnatura.
Il volo verso il terreno sembrò infinito, e il rumore dell’impatto sembrò irreale, spaventoso.
Tutti, dai giocatori, al mister, allo staff,  piombarono sul campo con volti visibilmente terrorizzati.
Guardare il corpo di Baston Jr che non si muoveva, neanche per scampare al dolore, era inquietante.
«O-Oliver», bisbigliò il mister, «ragazzo mio...»
Il suono delle flebili parole del padre diedero una piccola scossa al ragazzo che si mosse leggermente, procurandogli però una fitta dolorosissima, e riecheggiò un urlo straziante.
«Presto! Subito al San Mungo! Ora!», disse velocemente il fisioterapista di squadra.
«Dottore, dottore! In che condizioni si trova mio figl... il ragazzo?», domandò quasi con le lacrime agli occhi Gustav.
«Adesso posso dirle davvero ben poco, però non credo ci siano danni alla colonna vertebrale. Fortunatamente queste scope hanno un sistema di rallentamento della caduta, anche se limitato.
Per le ossa non si deve preoccupare, nulla che non si possa curare con dell’Ossofast. Mentre per il quasi certo trauma cranico... beh... per quello bisogna fare accertamenti in ospedale.»
«D’accordo, verrò con lei», rispose l’uomo velocemente, poi continuò rivolgendosi alla squadra, «potete immaginare che l’allenamento
sia stato è sospeso. Potete tornare ai vostri spogliatoi, e chi se la sente può venire a trovare Oliver più tardi. Lui... insomma...»
«Lui starà bene», rispose Ron concludendo la frase.
Gustav annuì più volte, per ringraziarlo, ma, soprattutto per convincersi veramente “che lui starà bene”.


« Draco, dai,! Sbrigati! È ora ormai!», esclamò Narcissa Black.
«Eccomi mamma, ci sono. Sei pronta?», domandò a sua volta.
«Questo genere di domande non sono ben accette, Draco. Noi siamo sempre pronti, preparati ad ogni problema, pronti a non piegarci. Ora andiamo lì, e iniziamo a lottare. Sei d’accordo, Draco?».
Il ragazzo sospirò, chiuse gli occhi e in segno di assenso chinò la testa.
Narcissa impugnò con decisione il consunto pettine e allungo il braccio, Draco, invece, allungò la mano verso quella di sua madre, e la strinse nella sua, in mondo da poter toccare il pettine, ma in modo particolare per sentire lei più vicina, per essere rassicurato, per iniziare quella lotta insieme.
«Tre», iniziò Narcissa, «due», continuò Draco, «uno...»

Madre e figlio vennero sollevati a mezz’aria e lentamente giravano, poi la velocità aumentò notevolmente come a creare un vortice.
Si sollevavano sempre di più, ma non c’era più nessun soffitto a porre fine a quel volo, solo un’immensa distesa di azzurro e grigio infinito.
«Stiamo perdendo quota mamma!» urlò Draco, nonostante Narcissa le stesse davanti.
«Vuol dire che stiamo per arrivare Draco, quindi quando ti dirò di lasciare la mia mano, tu dovrai farlo, intesi?»
Il ragazzo annuì fibrillante.
Passarono pochi secondi, «è il momento Draco! Lasciati andare!»
Il vortice però sembrò prendere ancora più velocità, e il ragazzo ristrinse la mano della madre.
«Draco, guardami! Fidati di me! Lascia! Lasciati andare! Ora!».
Strinse gli occhi come a non voler guardare dove si stesse per schiantare, però, poi una cappa di calore gli si richiuse intorno, tentò con le mani a cercare uno spazio materiale e gli sembrò che caldi colori gli si stessero presentando avanti, e perciò con un movimento meccanico riaprì le palpebre.

«Buon pomeriggio, Draco. Benvenuto nell’ufficio del Primo Ministro», disse canzonatorio Kingsley Shacklebolt aiutandolo ad alzarsi da terra.
Poi l’uomo proseguì, «direi di allontanarci, non vorrei che tua madre ci si catapulti addosso», e in quell'esatto momento Narcissa Black comparve dal nulla.
«Spero di non essere arrivata in ritardo, Ministro», disse ironicamente e sicura di sé.

«Quindi, signori, la base per poter creare un rapporto tra avvocato e il suo proprio assistito è questa. Sono d’accordo che l’oggettività in questo campo riesce a risolvere da sola le contese davanti al Wizengamot, ma se amate questo mestiere non riducetevi ad essere semplici salvatori, o incorruttibili carnefici. Andate al di là di queste cose relativamente banali. Fidatevi del vostro imputato, o imparate a farlo, trovate un modo per conoscerlo, capite perfino come ci si convive.
Più sapete di lui, e più siete vicino alla vittoria. Alla vostra vittoria.
Quanto può essere ancora più appagante? Quanto vi sentirete ancora più vivi, nell’aver messo in salvo un innocente... perché alla fine di tutto, avrete imparato a conoscerlo, e avrete saputo che lui è davvero innocente. Mostratevi abili, amabili e stimabili. Ormai conoscete la legge, le procedure, la gerarchia giuridica. Da adesso, però, imparate a conoscere l’uomo», poi Bob fissò negli occhi una delle sue migliori allieve «sei d’accordo?».
Hermione Granger non si aspettava per nulla quell’insolita domanda.
«Ehm... non saprei signore... se dovessimo conoscere bene il nostro assistito... e scoprissimo che lui è realmente colpevole?»
«E cosa vorresti fare? Abbandonarlo?», rispose insistendo l’uomo.
«Oh no, non intendevo questo... però come possiamo avere la forza di continuare a lavorare con qualcuno che si è macchiato di chissà quale crimine?».
«Se non hai sangue freddo, forza, calma, lucidità, e abilità nel conoscere la legge e l’uomo, non puoi svolgere questo incarico, Granger», affermò piccato l’uomo.
«Forse chi non ha dignità può fare questo lavoro», rispose sprezzante Hermione.
«Chi ha dignità, ha anche il senso della giustizia e del perdono.»
«Lo considero un vero e proprio ossimoro», ribatté la ragazza.
A quel punto Bob Ogden si avvicinò alla postazione di Hermione, si avvicinò fino a sfiorarle il naso, «allora ti invito a considerare l’idea di abbandonare questo genere di carriera», rispose freddo lui.
Hermione non se lo fece ripetere un’altra volta «oh, certo che lo farò» disse sistemando i suoi libri con più forza di quella necessaria, e se n’è andò.
«Granger, ti voglio comunque nel mio maledetto ufficio tra dieci minuti!», sbaritò Ogden, non capendo se lei avesse sentito, o se non lo avesse voluto sentire.

«La lezione è finita. Se qualcun altro ha in mente di fare una scenata melodrammatica del genere... ecco rivolgo quell’invito anche a voi. Ora fuori di qui», disse rivolgendosi al resto dei presenti.



Il clima nell’ufficio del Ministro era teso; dopo l’arrivo dei Malfoy si erano tutti sistemati alla scrivania, pronti per un’intensa discussione.
Nessuno però sembrava volesse prendere la parola per primo.
«Credo tocchi a me iniziare a parlare, dopotutto io sono venuta da te cercando aiuto. Quindi ora eccoci qui, Kingsley, siamo nelle tue mani», iniziò dicendo Narcissa carismatica.
«È giusto ciò che dici, Narcissa. Mi sono preso grosse responsabilità, perché se qualcosa andrà storto, io e solo io, ne pagherò le conseguenze. 
Il Wizengamot è stato informato, ovviamente capirete che molti di loro si sono opposti, e non si può neanche dargli torto, no?», rispose retoricamente.
Draco e sua madre si guardarono, scuri in volto, chiedendosi forse per la prima volta, se ne valesse davvero la pena.
«Ovviamente», si limitò a dire la donna, «cos’hai in mente?», domandò poi con la fronte corrucciata.
«È estremamente facile da spiegare, ma è al contempo difficile da realizzare alla perfezione. Non  potrete sperare in una mancata convocazione davanti al Wizengamot, questo è assodato. L’unica cosa che possiamo fare è arrivare a quel momento preparati nel modo migliore.
Nessuno sa che vi sto aiutando; io vi sto fornendo solo protezione da possibili attacchi esterni, come Mangiamorte ancora inutilmente fedeli a Voldemort, e tra questi non posso non includere Lucius Malfoy.
Devo, inoltre, difendervi anche da uomini e donne che vogliono giustamente assicurarsi di vedervi rinchiusi ad Azkabn e che la chiave venga buttata.»
«Quindi tutti e tre stiamo rischiando grosso», esordì Draco, «e ormai non possiamo più tirarci indietro, né piangerci addosso... quindi, se siamo venuti qui ci deve essere ancora qualcos’altro che vorrà dirci, Ministro.»





NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti! Dopo un po' di tempo sono tornato ad aggiornare e questa volta sarà per un doppio, perché pubblicherò in brevissimo tempo anche la seconda parte, poiché sono strettamente collegati e poi... dai sono anche troppo eccitato perché ci ho lavorato per tanto tempo ed è la svolta di tutta la storia.
Qualche piccola curiosità: la squadra dei Tornados non è di Edimburgo, ma irlandese.
Gustav Boston non è un personaggio "reale" e suo figlio Oliver non ha mai giocato in quella squadra.
Le informazioni cira i Tornados e gli Arrows sono però confermate, come le ultime competizioni da loro vinte.
Detto questo, ci vediamo a breve con la seconda parte!
Vostro,  PriorIncantatio 

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Capitolo 17
*** Inerti al destino - II parte ***


INERTI AL DESTINO – II PARTE
 
 
 

"Quello che chiamiamo il nostro destino è in realtà il nostro carattere, e il carattere si può cambiare." -Anaïs Nin
 
 
Dopo la sua sfuriata durante la lezione, Hermione stava riflettendo se presentarsi o meno nell'ufficio di Ogden.
Non presentarsi avrebbe significato dargli ragione, ammettere che quel lavoro non facesse per lei. Sentirsi confutare da qualcuno é una di quelle sensazioni che Hermione Granger non tollerava.
Al contrario, presentarsi avrebbe significato, abbassare la testa e sentirsi un inutile soldatino del Ministero, uno dei tanti.
Ma lei era una dei tanti? E per questo motivo non avrebbe amato quel lavoro?
Si trovava in quel momento nell’anticamera dell’ufficio di Ogden, dove venivano accomodate le persone intente a parlare con lui.
Era seduta su un’anonima poltroncina verde petrolio, davanti a lei era posizionato un tavolino di legno sormontato da innumerevoli pile di libri e giornali.
Fu fortunata a pescare tra quelle pagine ingiallite la Gazzetta del Profeta del Giorno, e iniziò a sfogliarla distratta.
Senza motivo cominciò a leggere dalle ultime pagine, dove erano accuratamente narrate le ultime novità in ambito sportivo.
Senza inutili sillogismi si comprendeva che si trattava di una pagina inerete al Quidditch.
La reporter era qualcuno di sua conoscenza.

Domenica 20 Settembre – Impianto sportivo di Quidditch di Edimburgo - Tutshill Tornados VS Appleby Arrows.
Questa data, questo luogo, e queste due protagoniste molto probabilmente scriveranno un’importantissima pagina del Quidditch inglese.
Ampiamente considerate come le squadre più in forma del momento, entrambe si daranno battaglia per quella che sarà una delle partite più calde e delicate degli ultimi vent’anni.
Entrambe non vincono un campionato da diversi anni: gli Arrows (denominati così per l’antica usanza dei loro supporters di scagliare frecce agli avversari. Quest’ usanza è ormai decaduta. n.d.r.) hanno vinto il loro ultimo titolo nel lontano 1932; invece i Tornados ebbero il loro ultimo attimo di gloria circa dieci anni prima, nel 1921 (anno famoso per il record di cattura del boccino dopo soltanto tre secondi e mezzo. n.d.r.).
Le formazioni sono saranno annunciate a breve e non si prevedono eclatanti cambiamenti, infatti va riportata la dichiarazione del tecnico degli Arrows, Lee Lennon: “La formazione che ci ha portato fino in testa alla classifica è quella degna di scendere in campo. Zero sorprese”.
Gustav ci ha tenuto a rincarare le dose: “Nessuna sorpresa? Peccato! Lennon è ormai monotono. Pensa di dover giocare a scacchi contro di me, utilizzando sempre gli stessi pezzi. Peccato che uno come me contro di lui vincerebbe in entrambe le sfide”.

I due tecnici hanno di certo infiammato ancora di più il match  e non se le sono mandate a dire e chissà che a fine partita voleranno proprio delle scope...

Un articolo di Ginevra Weasley
 
Un sorriso non poté non trasparire sul volto di Hermione, che si domandò se Ron avesse giocato o meno.
Magari sarebbe comparsa sugli spalti e gli avrebbe fatto una sorpresa, magari a termine dell’incontro si sarebbe catapultata in campo e lo avrebbe abbracciato, e chissà, magari lo avrebbe anche baciato.
Si stava chiedendo quando le loro labbra si fossero sfiorate l’ultima volta, quando  avevano assaporato i loro reciproci profumi, si chiedeva infine, quanto tempo era passato dall’ultima volta che i loro sguardi si fossero incontrati e mai perduti.
Volle passare alle notizie di politica e cronaca, ma così facendo le sembrò di arrecare ai quei suoi pensieri una certa vergogna, tuttavia non se ne curò, ricordando a se stessa di essere abbastanza forte, di andare a rimuginare e a dannarsi a casa.
Anche il dolore aveva un luogo ben prestabilito dove poter eruttare in tutta la sua maestosa potenza.

In prima pagina erano presenti ancora nuovi aggiornamenti sulle udienze contro i Mangiamorte e chi aveva in qualche modo collaborato con loro.
Però alla terza pagina qualcosa colpì l’occhio di Hermione.

[...] è stupefacente con quanta velocità il Wizengamot, guidato dal neo eletto Primo Ministro, stia procedendo con le ricerche dei numerosi Magiamorte in fuga, ma è ancora più sorprendente il dato straziante dei processi fin ora completati.
Uno soltanto.
Tre mesi per il primo processo non sembra abbastanza, ed il malcontento sembra nascere tra molti membri del Ministero e grazie a numerose dichiarazioni e interviste, anche molti cittadini inglesi sono in stretto disaccordo con il lento procedere delle manovre ministeriali.
Ma è davvero Kingsley Shacklebolt l’uomo giusto?
È davvero un buon governo quello da lui progettato?
Si è parlato tanto di rinnovamento del personale, peccato però che questa sia stata la prima contraddizione, poiché
i perni fermi del governo Shacklebolt sono il vice-Ministro Griselda Marchbanckls e il sempreverde Bob Ogden.
Le loro età sono alquanto avanzante, ovviamente non hanno visto con i loro occhi la fondazione del Ministero, né hanno mai conosciuto i quattro fondatori di Hogwarts, ma la grinzosa pelle di Griselda lascia pensare ad una donna prossima a miglior vita.
Per non parlare di Bob Ogden ,che secondo alcune fonti, sembrerebbe utilizzare pozioni a base di sangue d’unicorno per allungare la sua intramontabile vita.
Sappiate però, cari lettori della Gazzetta del Profeta, e amanti della verità, che Rita Skeeter, sempre vostra fedele informatrice, scaverà ovunque ci sia materiale occultato.
Il Ministero è avvertito, la verità salirà a galla, qualunque essa sia.


Un articolo di Rita Skeeter

«Maledetta, laida, stupida megera. Come osa pronunciare solo una parola contro Kingsley, il Ministero e contro tutto quello che di buono si sta facendo!»
A quel punto Hermione scaraventò il giornale sul tavolino con veemenza e maledì quel giorno che decise di non rivelare in che modo illecito l’invadente giornalista riuscisse a scoprire scoop e notizie prima del tempo.
«Bentornata, Granger. Scommetto che hai appena letto la Gazzetta considerando il tuo viso rabbuiato, sbaglio?», domandò spuntando dal corridoio Bob Ogden.
Ad Hermione  sembrò che l’uomo non avesse memoria circa i precedenti poco tempo prima avvenuti, e non sapeva se essere solleva o ancora di più nauseata.
«Salve anche a lei», rispose con freddezza Hermione.
«Non ti si addice», alluse Ogden.
«Mi scusi, signor Ogden?», domandò Hermione stizzita, ancora una volta.
«Non ti si addice comportarti diversamente da come vorresti, non ti riesce bene, stessa cosa nel mentire. Pertanto, se vuole davvero sapere, cara signorina Granger, cosa l’aspetterà una volta varcata la soglia del mio ufficio», disse allungando la mano in direzione di quello, «non deve fare altro che seguirmi. Nel caso contrario, può benissimo ritornare al suo appartamento del 221B di Baker Street.
Ogden allora iniziò a dirigersi verso il proprio ufficio, ed Hermione non poté che assentire silenziosamente «al diavolo!», e seguirlo.
 


Ron aveva deciso di seguire l’invito del mister e andare a trovare il suo compagno di squadra.
Avrebbe dovuto fare un lungo viaggio da Edimburgo fino al San Mungo, situato al centro di Londra, e per questo motivo decise di rischiare con la materializzazione.
Ron arrivò all’ospedale circa alle sei del pomeriggio.
Una volta entrato nella hall il ragazzo fu colpito dall’esponenziale cambio di temperatura, che nell’ospedale era molto più alta.
Il tipico odore di disinfettante si infilava lentamente nelle sue narici, ma dopo un paio di minuti non ci fece più caso.
 Le pareti completamente bianche avevano irradiato una luce così forte che i suoi occhi avevano cominciato a pulsare; non le ricordava così luminose l’ultima che vi si recò, ovvero dopo che Nagini aveva attaccato suo padre al Ministero.
Giunto all’accettazione, si trovò davanti ad una minuta signora dalla pelle diafana con corti capelli castani.
Era assorta a sistemare alcune cartelle di ricovero e non aveva fatto caso all’arrivo del ragazzo.
Ron si palesò accennando ad un colpo di tosse, e questo non gli poté non ricordare quel vecchio rospo della Umbridge.
«Buon pomeriggio, mi scusi per la distrazione. Mi dica, è un visitatore?», chiese gentilmente la strega dietro alla scrivania.
«Sì, sono un visitatore. Vorrei sapere in quale pieno è stato ricoverato Oliver Baston», chiese lui.
«Un momento che controllo», poi prese un foglio da un’anonima cartella rossa.
«Allora... mh... sì... Baston Oliver, ricoverato nel Reparto Incidenti da Manufatti. Pianterreno. Deve imboccare il corridoio a destra, poi l’ultima porta a sinistra», rispose in maniera alquanto esaustiva.
«La ringrazio, sapete se è arrivato già qualche visitatore?», domandò un po’ inopportunamente Ron.
«Mi dispiace, qui passando decine di visitatori ogni giorno... però credo di ricordare un certo Gustav Boston.»
«Oh, sì. Immagino di sì.»
Accurato ciò, Ron si mosse in direzione della camera di Oliver.
La porta era socchiusa e si sentiva una fioca voce.
Una volta entrato, Ron capì che vi erano solo Oliver e suo padre.
«Salve, Weasley. Mi fa piacere vederti qui. Vieni prendi una sedia», gli ordinò Gustav, che era seduto accanto al figlio, che in quel momento stava riposando.
Appena gli si sedette accanto Ron volle accettarsi delle sue condizioni: Oliver aveva un viso pallidissimo, la fronte lucida dal sudore, e l’espressione del viso esprimeva una grande sofferenza.
«Vuoi davvero saperlo, Weasley?», domandò retoricamente, «il dottore mi ha detto che mi ritenere fortunato ad avere ancora un figlio. Poi ha sottolineato che per poco non si stava per romper il collo e la spina dorsale. In quel caso l’Ossofast non avrebbe potuto fare niente. Fortunatamente la scopa ha rallentato la caduta quindi...»
«Starà bene», concluse con fermezza Ron.
«Esattamente Weasley. È un Baston, e non mollerà facilmente, anzi non mollerà affatto!», esclamò l’uomo dando una vigorosa pacca sulla spalla di Ron.

Restarono per qualche minuto in silenzio, e sia Gustav che Ron si sentivano lievemente in imbarazzo, però l’uomo tentò di stemperare il clima.
«Dimmi, Weasley... quando eri là fuori a combattere contro il Signore Oscuro, ad un passo dalla morte... ad un passo da perdere tutto... tutti... come ti sentivi?»
Ron fu colpito dall’inaspettata domanda, e in un primo momento rimase con le labbra serrate, non sapendo in che modo rispondergli.
Era giusto, pensava, rispondere a quell’uomo in quel momento, poiché poteva essere uno dei pochi modi per poterlo rincuorare.
«Ehm... sai, non posso dirti che pensavamo costantemente a ciò che ci lasciavamo dietro le spalle... le nostre famiglie, i nostri amici, le nostre case... poiché passavamo la maggior parte del tempo a scappare, a decifrare tutti gli indizi lasciatici da Silente, per non parlare dell’escogitare assurdi piani d’attacco.
Sai però quando realmente pensavamo di essere ad un passo dal perdere ogni cosa?
Quando eravamo così vicini alla morte da non pensare più al dolore fisico, ma a quello interiore. Pensavo come sarebbe stata la mia vita senza i miei genitori, i miei fratelli... pensavo a come mi sarebbe mancato il sorriso di Hermione, a come mi sarebbero mancati gli abbracci del mio migliore amico, pensavo anche come sarebbe stato non risvegliarmi più con il sole che mi trafigge dall’oblò di casa mia. Mi sarebbero mancate anche le cose più banali, come le colazioni in famiglia tutti insieme e uniti, gli scherzi dei miei fratelli, le perenni litigate con mia sorella...
Perché sai, Ogden... sono tutte queste cose che rendono una vita un po’ più interessante, e che fanno sì che essa sia vissuta, nonostante Voldemort, i Mangiamorte e nonostante un bolide che butta giù da una scopa tuo figlio a venti metri d’altezza.
Se ami davvero tuo figlio, devi fargli capire che sei qui ad aspettarlo, che la vita è qui che lo aspetta, che è meravigliosa e non deve fare altro che... viverla.»

Alla fine del monologo di Ron, Gustav non poté non emozionarsi, ovviamente non era di certo il tipo di uomo che mostra clamorosamente i suoi sentimenti, però era visibilmente scosso.
Strinse i pugni e chiuse gli occhi come per non far cadere delle lacrime che ormai volevano solo essere libere di percorrere la sua dura e olivastra pelle.
Poi però si distese in un moto liberatorio e sorrise come non aveva mai fatto a Ron, «grazie, Weasley. So che non sono mai di troppe parole quando mi ritrovo a parlare di avvenimenti extrasportivi... però, ecco... l’unica parola che può racchiudere tutti i miei accavallati ragionamenti che ormai nella mia mente non seguono più nessun filo logico... è grazie!»
«Mister, non deve ringraziarmi, perché so benissimo che lei è una persona forte oltre ogni misura, e lo sarà anche per Oliver, questo lo garantisco io per lei», rispose Ron, rassicurando l’uomo.
Un’altra breve pausa, ma questa volta priva di qualunque forma di imbarazzo.
 Ad un tratto l’uomo si voltò verso Ron, «immagino non ci sarà Oliver a difendere la porta fra tre giorni...», alluse Gustav.
«No. Immagino di no, mister...», rispose Ron, in modo da lasciare ancora il discorso aperto.
«Quindi immagino di dover provvedere ad una degna sostituzione.»
«Credo sia opportuno, sì», incalzò Ron.
Poi smisero entrambi di parlare, così che il silenzio potesse cadere in quell’anonima camera d’ospedale, dalle anonime pareti bianche e dall’anonimo arredamento.
Si stavano aspettando a vicenda, con le stesse domande e risposte, con la sola paura di pronunciarle.
Poi ci pensò un secondo in più.

«Sei pronto?»
 


Era la prima volta che entrava nell’ufficio di Bob Ogden: una delle scrivanie più ambite del Ministero.
Le pareti in legno di noce rendevano elegante quel luogo apparentemente istituzionale, dipinti di vecchi magri erano appesi in diverse zone, un lampadario con braccia metalliche sorreggevano otto candele, ed esse illuminavano con una luce tetra l’ambiente.
Ad ogni angolo dell’ufficio erano posizionati scaffali stracolmi di cartelle, dossier, e libri di giurisprudenza.
L’elemento che però più di ogni altra cosa caratterizzava quella stanza era situato sulla parete alle spalle della scrivania di Bob Ogden.
Un enorme scudo bronzeo con al centro il sigillo ministeriale; lo scudo era sormontato da due spade incrociate.
Le impugnature erano anch’esse in bronzo, ma le lame, affilatissime e lucenti, come se fossero stata appena lucidate, mostravano una dicitura con caratteri rosso sangue.

“Imperare sibi maximum imperium est”.

«Comandare a se stessi è il massimo imperio», esordì Ogden, capendo che la ragazza era stata catturata da quella particolare citazione.
«Seneca. Lettere a Lucilio», rispose Hermione, poi continuò «perché proprio questa frase, e perché proprio marchiata su quelle due spade?», domandò curiosa.
«Vedi, signorina Granger, quando qualcuno entra in questo ufficio credo sappia con chi sta per rapportarsi, non credi? Bene. Nel caso non lo sappia, o non conosce la mia affascinante personalità... ecco basterà vedere alle mie spalle l’emblema dalla mia esistenza, del mio essere.
Questa non è una mania di protagonismo, sia ben chiaro, anzi, io sono una persona anche piuttosto modesta, in alcuni casi.»
«E cosa avrebbe dovuto capire questa persona a questo punto?», chiese ad Ogden con piglio divertito.
«Credo che tu sappia la risposta», le rispose sorridendo, «ma ti darò la soddisfazione di sentire le parole dritte dalla mia bocca.»
Si alzò dalla comoda poltrona in pelle nera e si mise al lato sinistro dello scudo sormontato dalle spade.
«Questo è uno scudo, come avrai capito, e sia chiaro non voglio offendere il tuo intelletto», disse sogghignando, «sopra vi è raffigurato il simbolo del Ministero. Questo scudo serve per difendere il Ministero, e tutta la cittadinanza. Per quanto riguarda le spade sono l’esatto opposto. Queste le intendo come armi prettamente offensive, e io le utilizzo per affrontare i nemici, perché ricorda Granger, non c’è difesa migliore nell’attaccare.
Infine arriviamo a questa interessante citazione latina, che tu hai ben riconosciuto.
Granger, mi sono sempre ritenuto una persona forte, tenace, coraggiosa, imperterrita, e queste secondo il mio parere, sono le giuste qualità di un uomo che deve avere in pugno un certo tipo di potere. Il mio potere. Per esercitare qualunque tipo di comando su una squadra, su dei dipendenti, o sul popolo, deve esserci determinazione, ma prima di questo bisogna saper comandare se stessi.
Ricoprire questo compito vuol dire anche procedere con giudizio, realisticamente e con freddezza, limitando sentimenti ed emozioni.»
«Ma prima... hai parlato di tutt’altro...di conoscere chi ci troviamo a difendere... hai detto che è giusto e doveroso conoscere la legge, ma è molto più complicato conoscere l’uomo che si ha di fronte!», esclamò Hermione.
«Come si fa ad esercitare un potere se non si conoscono vizi e virtù? Granger, lo scopo, il fine, questo è ciò che deve importarci, non sei più una ragazzina, ma questo lo sai bene anche tu. Hai visto la morte con i tuoi occhi, hai visto che razza di mondo è il nostro. Non siamo tutti protetti sotto una campana di vetro. Sono passati per tutti gli anni di Hogwarts, e purtroppo, anche lì è successo ciò che nessuno aveva mai neanche lontanamente immaginato.
Noi dobbiamo essere anche cattivi e subdoli se occorre, per far sì che avvenimenti del genere restino soltanto un tetro, oscuro e maledetto incubo.
Te la senti Granger? Sei sicura di riuscirci?», chiese infine Ogden.
«Io... certo signor Ogden... sono qui per imparare, per dimostrarle di che pasta sono fatta. Ho volato su un ippogrifo, affrontato Mangiamorte all’età di quindici anni, ho lottato faccia a faccia contro Bellatrix Lestrange, non sarà di certo l’ombra incombente del Wizengamot ad intimorirmi», concluse con decisione, come a spazzare dalla testa di Ogden qualunque dubbio, come per chiarire a se stessa, che ora da quel momento in poi sarebbe stata da sola.
«Erano le esatte parole che mi aspettavo di sentire. Però, mia cara, ti ho convocato qui per un altro motivo, ben più importante. Prima di tutto devo dire che sono estremamente contrario a questa decisione, che credo sia per certi tratti alquanto folle. Mi è stato pregato, anzi, mi è stato intimato di darti il via libera. Ti concludere con te.»
«Mi scusi?», disse interrompendolo, «cosa devo concludere? Cosa l’è stato intimato?»
«Mi hai detto che sei pronta. Questo lo crede anche qualcun altro che risiede ancora più sopra di me. Mi ha detto che tu hai finito qui, che hai tutte le carte in regola. Che è giunto il momento.»
Hermione interruppe di nuovo Ogden, ma questa volta non per la curiosità piuttosto perché si sentiva vagamente stupida. Non capiva cosa Ogden stesse intendendo e questo la stizziva, e non poco.
«Bob!», esclamò la ragazza.
L’uomo rimase in silenzio, come colpito da un’ingiuria.
«Devo sapere cosa sta succedendo! Chi è che dall’alto vuole che io sia pronta? E devi rispondere in modo pratico, smettiamola con questo linguaggio criptato!»
L’uomo non poté che sospirare ed annuire dinanzi a tanta decisione.
«Kingsley Shacklebolt. Il Ministro in persona mi ha chiesto di terminare il tuo apprendistato. Ha sottolineato fermamente che le tue lezioni devo considerarsi concluse perché non hai più nulla da imparare.»
«Ma non è vero! C’è ancora tanto da dover capire e conoscere!», rispose energeticamente Hermione, tanto da alzarsi dalla poltrona.
«Su questo non ne sarei così sicuro», controbatté lui, alzando il volto cercando quello di lei.
Poi però egli proseguì il suo discorso che doveva una volta per tutte dissipare ogni dubbio.
«Hermione, Kingsley ti vuole sul campo. Come ha fatto con Potter. Ormai devi cavartela da sola. Tutto ciò che hai appreso devi sfruttarlo, e so che sarai il miglior avvocato che il Ministero abbia mai avuto», concluse solenne Ogden.
Hermione deglutì rumorosamente, il respiro più affannato le offuscò fu la causa di un breve offuscamento. La stanza le sembrò girarle intorno e quelle spade per un attimo presero vita. I volti nei quadri sembrarono fissarla arcignamente cercando di sottolineare una sua peccaminosa azione.
Le labbra rimasero socchiuse, e piccoli getti d’aria fuoriuscivano tra queste.
«Granger, quindi non mi rimane che chiedertelo di nuovo», iniziò Ogden, pesando con accurata misura ogni sua parola, cercando di non infierire nella mente della ragazza.

«Granger, sei pronta?»
 


«Chi ti ha detto che non vi ho convocato qui solo per ribadirvi ancora una volta che da ora in poi dovrete essere pronti a qualunque cosa. Scontri mediatici, attacchi provenienti da importanti membri del ministero... le udienze preliminari davanti al Ministero.»
«Sono d’accordo con mio figlio, Kingsley. Voglio la verità completa. Non osare omettere nulla, mi sono fidata di te perché hai capito subito in che stato ci trovavamo, ora non farmene pentire», appoggiò irritata Narcissa Malfoy.
Il Ministro comprese che sillogismi e giri di parole non sarebbero serviti in quel delicato caso, e parzialmente se ne dispiacque.
Era arrivato il tempo delle decisioni, delle sorde e rumorose affermazioni, di passi sicuri non più ripetibili; Ogden gli rinfacciava sempre un proverbio latino: “alea iacta est”, il dato è tratto.
Ecco, lui aveva lanciato, ora toccava a Draco rilanciare, o arrendersi al destino.
«Draco, è inutile illuderci. Non puoi farcela da solo, neanche con la costante presenza di tua madre. Hai bisogno di qualcuno che non solo ti difenda in aula, ma di qualcuno che ti stia vicino la maggior parte del tempo. Ti dico questo perché là fuori saranno spietati e non avranno rispetto e pietà per te e la tua famiglia...», iniziò Kingsley, ma subito interrottò dal ragazzo.
«Cosa vuol dire che deve essermi vicino la maggior parte del tempo? Cos’è uno psicologo? Un tutor? Che diavolo sta dicendo!», sbottò irato Draco.
«Vuol dire che questo percorso dovrai farlo con qualcuno che sappia cosa sia il bene e cosa sia il male. Cosa è giusto combattere e cosa difendere, ma soprattutto devi essere affiancato da qualcuno che sappia cosa vale la pena salvare. Chi vale la pena di salvare», rispose Kingsley cercando di avere la massima calma; detestava chi inveiva contro di lui, senza riconoscergli il giusto rispetto.
«C’è una persona in questo Ministero che ha tutte le carte in regola. Dopo aver pensato a questa mia fidata conoscenza , non ho avuto più alcun dubbio. Ha affrontato il Signore Oscuro faccia a faccia, e non ne ha avuto paura. Ha lottato strenuamente senza mai abbassare la testa. Coraggio, fedeltà, ingegno, audacia: sono queste le sue qualità più rinomate. Se oggi abbiamo ancora la possibilità di esalare un respiro su questa terra, gran parte è merito suo.»
«Continuo a non capire, Kingsley! Chi è? Mi avevi assicurato un avvocato responsabile e di esperienza per lui!», proruppe Narcissa.
«Un semplice e banale avvocato non gli basterà. Serve una figura che raccolga consensi ovunque, qualcuno che è considerato un eroe di questa battaglia. Una persona forte, che abbia pugno duro verso chi difende ma soprattutto contro chi attacca lei e chi protegge.»
«Ora basta, Shacklebolt! Dimmi chi è! Ora!», urlò Draco.
Le sue vene pulsavano fortemente lungo tutta la cavità del collo, la pelle prima diafana si colorò di un vivace rosso sulle guance e sugli zigomi, gli occhi che trasparivano irrequietezza erano sbarrati e le pupille risultavano dilatate.
«Hermione Granger», rispose infine solennemente Kingsley.
«No», rispose immediatamente con un filo di voce Narcissa, «è impossibile, uno scherzo», continuava dicendo, affermando ciò più a se stessa che all’uomo.
Draco era un fantasma, l’ombra dell’agitato e inquieto ragazzo di pochi secondi prima; i suoi occhi persi nel vuoto sembravano spenti, come se stesse per esalare l’ultimo istante di vita, per poi spirare.
Guardava alle spalle del Primo Ministro; si scorgevano vecchie case in lontananza dai comignoli spifferanti, estese aree verdeggianti, ma più di tutti  sullo sfondo si ergeva impetuoso, in tutta la sua massima bellezza, Buckingham Palace.

“Hermione Granger”.
Anni passati a farsi la guerra, a maledirsi e ad offendersi. Anni passati a credere in una razza inferiore.

“La squadra dei Serpeverde scoppiò in una risata fragorosa.
«Per lo meno, nessuno nella squadra del Grifondoro si è dovuto comprare l’ammissione» commentò Hermione aspra. «Loro sono stati scelti per il talento».
L’aria soddisfatta di Malfoy vacillò.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca mezzosangue» buttò lì.

 
Strinse violentemente i pugni, in un modo di rabbia e mortificazione.
Si immaginò in un’aula affollata del Ministero, difeso da lei, da quella sporca mezzosangue.
Aveva risposto da Malfoy, da figlio di un potente ed influente mago, da vile e codardo, da futuro Mangiamorte.
Lei avrebbe preso le sue difese, contro tutti, perché lui sarebbe stato da solo, aiutato da nessuno. Nessuno in quel Ministero lo avrebbe voluto se non in un’umida cella ad Azkaban.
«Mai», scandì lentamente Draco, cercando di far penetrare l’inesistente eco nella testa di Kingsley.
«Lei non dovrà fare nulla per me, io non farò nulla per lei. Preferisco difendermi da solo. Preferisco Azkaban. Ho una dignità, un passato.»
Shacklebolt sorrise amareggiato, «guardami, Draco. Guardati. Non hai più nulla, e se preferisci Azkaban se libero di costituirti, perché non farò opponimento. Ma rammenta questo che sto per dirti, ragazzo. Tu non hai una dignità. L’hai macchiata inesorabilmente con il sangue innocente di chi ha lottato per la pace. Se vuoi continuare a preservarla, fa come credi. Butterai così ciò che resta di integro e puro nella tua anima. Ma, se credi invece di poter avere ancora qualche possibilità di salvarti, non fisicamente, ma moralmente... dignitosamente, devi fare ciò che è giusto. Ed ora, Draco, l’unica cosa giusta da fare è seguire le mie direttive. Se la guerra ha minimamente cambiato anche te, smettila di assillare e smuovere il passato, e non lasciare che ti crolli addosso, sii forte e caricatelo sulle spalle. Lasciati una possibilità. Datti una speranza. Sii un uomo diverso da tuo padre. Affronta la vita a viso aperto, e non agire essendo succube della paura, perché tuo padre si è comportato esattamente così, e prima di lui ogni uomo malvagio, codardo e spregevole.
Dai una possibilità ad Hermione, Draco... datevi una possibilità per cominciare, e non da dove avete lasciato. Seppellisci quei ricordi, e semina delle speranze.
Draco, devi andare avanti per la tua strada, ed io sto cercando di solcarla come meglio posso...»

Il suo sguardo era afflitto da rimorsi ed incubi mai totalmente rimossi, che al primo momento opportuno ricompaiono, si mostrarono davanti ai suoi occhi. Il volto solcato da pieghe era visibilmente stanco e tormentato.
Come osava quell’uomo, nonostante il suo alto lignaggio istituzionale, comandarlo secondo il suo volere? Dirgli cosa rimaneva delle sua vita.
«Sono stata in silenzio fino ad ora, vi ho lasciato la possibilità di avanzare le vostre idee. Ora devo fare una domanda ad entrambi. Kingsley», cominciò Narcissa, spostando impercettibilmente il volto verso di lui, «tu hai sempre saputo di voler affidare questo compito alla signorina Granger, e io non sono qui per criticare questa decisione...»
«Mamma! Cosa stai dicendo! Lei...», ma fu subito interrotto anche lo sfogo di Draco.
«Ora basta», rispose fredda  e serafica lei.
«Tu non hai né il diritto né il potere di cambiare le carte in tavola. Ora, Kinglsey», continuò la donna, non facendo caso allo sguardo accigliato del figlio, «perché non mi hai voluto rivelare quella sera l’identità della nostra collaboratrice?», domandò infine la donna, più tranquilla che mai.
«Fino a quel momento niente era sicuro, ovvero, la signorina Granger non era sicura di intraprendere questo genere di carriera, e non aveva ancora iniziato questa sorta di apprendistato. Inoltre, dirtelo immediatamente sarebbe stato uno shock come lo è stato ora per Draco. Sono sicuro che non avresti accettato e l’accordo sarebbe fallito, ed infine, ci tenevo io a dare ad entrambi questa informazione», Kingsley aveva l’abitudine di prendersi molto tempo per rispondere ad una domanda, e far susseguire le frasi di volta in volta come per  ragionare intensamente sul perfetto utilizzo delle parole, quindi infine concluse «non puoi tirarti più tirarti indietro, Draco.»

Narcissa raccolse la mano del figlio nella sua e la strinse cercando di infondergli quella fiducia  e quella serenità che gli mancava, da ormai troppo tempo.
Il sorriso che elargì a Draco non era insignificante e banale, o inopportuno per quel momento particolarmente inteso, ma era un semplice sorriso di una madre per il proprio figlio, e lei sperava di avergli fatto capire che quale fosse la scelta giusta, sperava che il precedente discorso di Kingsley circa l’etica e la dignità fosse servito. Per l’ennesima volta la vita gli poneva una scelta difficile, incontrastabile ed inconfutabile.
Quella vita che con lui non era mai stata tenera, ma dura e aggressiva.
Ricordava ancora quel bambino dalla lucente capigliatura bionda che piangeva nella sua camera da letto troppo grande, troppo fredda e troppo buia, e lei nella sua camera a piangere in silenzio perché non poteva far nulla, perché suo marito glielo proibiva.

«Non osarti alzarti. Deve imparare a combattere le paure. Da solo.»
«Ma ha solo tre anni!», rispondeva con le lacrime che le rigavano il viso.
«Ne ha a sufficienza, ora dormi, non costringermi ad andare da lui.»


Un bambino troppo piccolo, troppo solo, troppo spaventato dalla sua stessa casa e dalla sua stessa famiglia.
Un bambino che ha imparato a sue spese cosa fosse la vita, e da solo ne ha imparato le regole, però quelle imposte dal suo tirannico padre.
Ricordava, quel bambino che di nascosto cercava il suo abbraccio, il suo inconfondibile profumo, e lei che dolcemente gli scompigliava i capelli e gli regalava un dolce bacio sulla guancia.
Ricordava, infine, le sue lacrime fredde come rugiada mattutina, quando lui da dal quel treno al binario 9 e ¾ la salutava con quello sguardo carico di aspettative, nella speranza di trovare una casa più serena, dove avrebbe cercato di vivere finalmente come un bambino della sua età.
Dove avrebbe finalmente cercato di vivere.
«Draco», sussurrò sua madre, calibrando le sue parole con un’infinta aura di bontà, «Draco», ripeté ancora, come per convincersi con chi stesse parlando, «mio meraviglioso ragazzo», continuò  porgendo la mano sul suo volto pallido, freddo e teso, sul viso del suo unico figlio, tutto ciò che le rimaneva...

 «Sei pronto?»



NOTE DELL'AUTORE

Rieccomi a brevissima distanza di tempo dal precedente capitolo. 
Ripeto che il voler aggiornare velocemente questo capitolo è stata una scelta con continuità perché è strettamente legato con quello precedente  e non ci tenevo a farvi perdere il clima che si era venuto a creare.
È evidente che finalmente dopo diciassette capitoli c'è stato uno scossone narrativo, possiamo dire che le acque si sono mosse, che ora le vite dei nostri protagonisti subiranno di tutto e di più. 
Come ho fatto anche per i capitoli precedenti, anche qui sottolineo qualche dato.
La citazione "
Imperare sibi maximum imperium est" è realmente tratta dalle "Lettere a Lucilio" di Seneca, e la citazione "alea iacta est" è inutile anche spegarla appartiene ovviamente a Giulio Cesare.
Avrete notato un passo tratto da "Harry Potter e la Camera dei Segreti", dove Draco insulta Hermione con conseguente eruzione di lumache di Ron.
Invece il ricordo di Lucius e Narcissa è ovviamente inventato.
Infine ci tengo a sottolineare ancora il ringraziamento per Daydreaming99 che imperterrita aspetta i miei aggiornamenti e fa sì che io dia il meglio per farlo!
Non posso non salutarvi nella speranza di rivederci molto presto!
Vostro, PriorIncantatio

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Capitolo 18
*** Salvo complicazioni ***


 
SALVO COMPLICAZIONI



Cyberuomo: Tu sei la prova.
Dottore: Di cosa?
Cyberuomo: Che le emozioni distruggono.
Dottore: Si, è vero.
 
Doctor Who – Seconda Stagione – L’esercito dei fantasmi (II)
 

Cos’è il destino?
Perché in ogni singolo momento, io ogni luogo di questa terra, in tutte le lingue del mondo, qualcuno sta parlando del destino?
Ne staranno parlando ora, magari.
Si staranno domandando perché e in che modo lo si conosce, si staranno inoltre chiedendo, se fa male, se esiste, e se tutto accade per caso.
Ci si ritrova a parlare di eventi sincronistici, ovvero avvenimenti che accadono e che cambiano irrimediabilmente noi stessi e il nostro modo di vedere e capire il mondo.
Ma è possibile che anche nei momenti più bui e desolati della nostra vita possa accadere un evento sincronistico?
Può questo evento risollevarci, e trasformare quest’oscurità in rinascita, e ricordare a noi stessi chi siamo realmente?
Ora prestate bene attenzione, perché questo mio lungo sproloquio non è un tentativo per negarmi alla domanda circa il destino, ma è un mondo per rendervi la vita più facile.
Forse.
Credi nel destino?
Sì, parlo direttamente a te.
Bene, perché se ci credi, puoi credere in te stesso.
Noi siamo un caso, un futile avvenimento all’interno dell’ingombrante macchina della vita: il mondo.
Se noi siamo un caso, lo è anche il destino, e questa personale affermazione non è un postulato filosofico; tutto ciò che accade, tutte le persone che incontriamo sono frutti di un caso a noi ignoto.
La prova, la sfida, è affrontarlo: il destino.
Giorno per giorno, attimo per attimo, senza concedere nulla, senza abbassare la guardia.
 
 
 
«Draco?», sussurrò tiepidamente Narcissa a suo figlio, allungando la mano verso la sua.
«Scusa, mamma. Riflettevo», rispose lui.
«Lo so, posso solo immaginare il turbamento che stai subendo, Draco...», si intromise Kingsley.
«No. Lei non lo sa. E la smetta. La smetta di far sembrare tutto così semplice e banale.»
«Senti, Draco, se credi che io sia qui per prenderti in giro, ti sbagli di grosso. Non ritengo tutta questa situazione un patetico gioco di ruoli, dove io sono lo stratega, e tu devi divertirti a superare gli ostacoli da me architettati...»
«Hermione Granger non le sembra un ostacolo?», domandò con cattiveria.
«Rimangia subito ciò che hai detto.»
Non aveva parlato il Primo Ministro, bensì sua madre.
«Tu ti sei fatta già influenzare, vero?»
«Cosa vuol dire farsi influenzare? Smettila di comportarti come un bambino. I tuoi capricci non ci tireranno fuori da questa posizione, Draco!», gli rispose sua madre infervorata.
«Certo che no! Perché credi che questo fantoccio possa aiutarci?», domandò ironicamente.
«Bada a come parli, ragazzo», comandò Kingsley, mantenendo a stento la calma.
«Altrimenti? Mi sbatti ad Azkaban? Non ce n’è bisogno. Lì c’è già una cella con il mio nome.»
«Ora basta! E ti prego, Kingsley, non dargli corda per l’amor del cielo!», sbottò infuriata la donna.

Entrambi tacquero, e capirono che il clima si era oltre ogni misura surriscaldato.

«Draco... so che è difficile concepirlo, e nonostante io ci abbia già messo la faccia in questa situazione, sono disposto a fare ancora qualcos’altro per avere la tua fiducia...»
«Kingsley, lo hai detto tu stesso che hai già fatto fin troppo, pertan-», ma Narcissa fu prontamente interrotta da suo figlio.
«In che modo?», domandò interessato.
«Draco, suvvia, non essere opportunista», esclamò sconsolata Narcissa.
«Offrimi una condizione», suggerì velocemente il Ministro.
«Mio padre.»
«Draco», disse immediatamente in un filo di voce sua madre, spingendosi verso di lui, «cosa vuoi fare? Draco, non intrometterti; quell’uomo ormai non fa più parte delle nostre vite.»
«Invece sì, mamma. Finché sarà vivo», tagliò corto freddamente lui.
«In che senso, Draco? Cosa c’entra tuo padre?», domandò Kingsley, stanco per quella estenuante conversazione.
«Non merita la libertà, ma nemmeno Azkaban. Non merita nulla. Non merita la vita.»
«Come puoi dire una cosa del genere?», chiese disgustata Narcissa.
«Tu non sei un dio, Draco. Non puoi decidere per qualcun altro; la vita e la morte non sarebbero mai in tuo potere. Una volta catturato tuo padre, avrà il giusto processo, e la giusta condanna. Nient’altro.»

Narcissa mise una mano sulla sua bocca per reprimere un moto di paura.
«Non mi sta venendo incontro, Ministro.»
«Neanche tu, Draco. Quello che mi hai chiesto è disumano, e va contro le regole del Ministero, contro le regole della natura. Tu non hai alcun poter, tu non dovesti neanche qui a patteggiare, quindi smettila di trovare dei protesti per liberarti una volta per tutte di tuo padre; comportati da uomo e non più da codardo.»
«Codardo?», chiese retoricamente il ragazzo, «ci ho fatto l’abitudine ad essere considerato un vigliacco, e detto da lei non fa alcuna differenza.»

«Cosa ti sta succedendo, Draco! Avevamo scelto insieme questa strada, eravamo d’accordo! Sapevamo che era in salita e che ci sarebbero stati degli “ostacoli”, ma questo è troppo!
Non agire secondo la paura che provi, Draco», allorché sua madre lo costrinse a girarsi, «guardami.»
Le iridi grigie e fredde del ragazzo si persero in quelle altrettanto scure e gelide di sua madre.
Entrambi sembravano non mostrare emozioni, come se fossero consapevoli di essere attori pronti a comunicare solo indirettamente: con il pensiero, con lo sguardo vuoto, quasi bieco.
«Non te lo permetterò. Non ti permetterò di buttare al vento l’unica vera possibilità per riavere la tua vita. E se questa possibilità si chiama Hermione Granger: ben venga.
Dimostrami di essere l’uomo che speravo tu fossi, dimostrami di essere migliore di tuo padre.
Dimostrami, dopo tutto ciò che hai subito, che nel tuo corpo, nella tua mente, nel tuo cuore, sia rimasta la forza necessaria per affrontare tutto questo; perché so che non ammetterai mai la sconfitta, che non accetterai mai di essere considerato più vile di tuo padre.
Quindi alza la testa. Mostrati per quello che sei realmente.
È ora, Draco. È ora di combattere.»
 
 
 
«Pronta? Bob, di chi stiamo parlando?», domandò Hermione stufata per il discorso criptato di Ogden.
L’uomo cadde in un tombale silenzio, cingendosi le mani e pesando le parole che di lì a poco avrebbe dovuto dire.
«Inizia a stancarmi, e faccio sul serio, Bob.»
«Hai mai pensato che sia difficile per me dirti questa cosa?», domandò più a se stesso che a Hermione.
«Bene, allora fai in fretta, okay? »
Fece un profondo respiro e si buttò in quello che sarebbe stato un completo flusso travolgente piena di parole.
«Hermione, dicono che se un uomo nel corso della sua vita non affrontato mai una grande sfida, non è realizzato, che ha fatto poco, che non ha lasciato un segno», cominciò lui.
«Ciò che starai per fronteggiare... Dio, Granger... l’uomo che devi difendere lo conosci molto bene, forse fin troppo...»
«Chi diavolo è, Bob?!»
«Draco Malfoy.»

Il volto di Hermione divenne tutto ad un tratto inespressivo; rilassò i muscoli e sollevo lentamente le labbra.
Nessuna parola echeggiò nell’ufficio, soltanto un banale ronzio di una mosca.
Nessuno dei due sembrava voler fare la prima mossa, e rimasero a guardarsi per un paio di minuti, lasciando che i loro pensieri e i loro stati d’animo facessero il loro corso, senza inutili forzature.
«Se è uno scherzo, Bob, meglio smetterla. Subito», rispose finalmente Hermione, però con aria assolutamente turbata.
«Vorrei pensare anch’io che questo sia uno scherzo, lo vorrei per te. Ma non lo è, ragazza mia: è la realtà dei fatti. Kingsley ti ha designata per difendere il ragazzo.»
«D’accordo, ma perché proprio io? Perché proprio lui?», domandò infuriata Hermione, «ci sono tantissimi avvocati migliori di me, che hanno un briciolo d’esperienza in questo campo, e per una situazione complicata come quella di Malfoy, sarebbe la scelta più ovvia.»
«Conosci la situazione del signor Malfoy?», domandò curioso Ogden.
Hermione lo fissò cercando di capire dove volesse giungere l’uomo con quella supposizione, «avendo affrontato Voldemort ho conosciuto anche i suoi seguaci, pertanto sì, conosco anche se limitatamente la situazione di Malfoy, e non credo ci sia altro da aggiungere, Bob», concluse volgendo il viso dall’altra parte, per non entrare in contatto con lo sguardo penetrante di Ogden.
L’uomo posizionò le sue mani davanti alla bocca, formando un triangolo, guardando oltre la ragazza posta di fronte, e corrucciando la fronte interrogò di nuovo Hermione.
«Cos’ hai intenzione di fare? Ti tirerai indietro?»
Lei scoraggiata abbassò la testa e la cinse tra le mani.
Le morbide dita erano diventate un tutt’uno con i crespi capelli castani della ragazza, e per la prima volta Ogden vide il suo corpo fronteggiare una seria difficoltà.
Gli sembrava più umana.
«Hermione...», iniziò lui.
«S-sto bene», dopodiché alzò il capo e fisso l’uomo negli occhi con nuova forza e rinnovato coraggio.
«Non credo possa tirarmi indietro, perché facendolo rinnegherei i tuoi insegnamento, no?»
L’uomo accennò un timido sorriso, a testimonianza che quella ragazza sarebbe stata perfetta per quel ruolo, e per quanto odiasse ammetterlo, Kingsley ci aveva visto bene.
«No, non puoi. Però devo informarti di un’altra cosa, Granger.»
«Cielo... quando finirà questa giornata?»
«Non a breve, credo. Quello che voglio dirti Granger, è che non devi limitarti a difenderlo. Il tuo lavoro va ben oltre.»
«Non capisco, Bob. I-i-io non capisco fin dove devo spingermi; cosa vuol dire “ben oltre”?»
«Devi conoscerlo, molto più approfonditamente. Devi conoscere le sue paure, le sue debolezze, il suo passato, i suoi segreti. Hermione, devi entrare nella sua vita», concluse una volta per tutte Ogden.
«Non pensarci nemmeno, Bob! Io non mi intrometterò nella vita di Malfoy, non ho la minima intenzione di farlo, e mai lo farò! Ho preso coscienza del fatto che devo essere il suo avvocato, ma entrare nella sua vita... non se ne parla affatto. Non sarò né sua confidente né sua amica. Abbiamo passato l’intera vita a farci la guerra a vicenda, e dubito del fatto che lui si fidi di me, e credo che non voglia neanche accettare la mia protezione...»
«Gli è stato imposto. Accetterà. Come ti è stato imposto di dover fare questo lavoro in tutte le sue frange. Hermione, devi entrare nella sua vita.»
«Mai.»
«La situazione si complica. Più del dovuto.»
«Più del dovuto? Smettila, Bob, qui l’unica che ci sta rimettendo sono io.»
«Granger, vuoi capire che hai le mani legate! Kingsley sta facendo pressione da un mese a questa parte, e ha fin dall’inizio disegnato questo progetto, e non permetterò che questo vada a farsi benedire!», sbottò Ogden, infuriato per l’ostentazione di Hermione.
«Ho le mani legate? Ti faccio vedere subito chi avrà la meglio!», urlò letteralmente la ragazza.

Hermione uscì a passo svelto dall’ufficio con un’unica destinazione in mente.
Entrata nell’ascensore, pigiò il pulsante che l’avrebbe trasportata sino al Livello Uno.
La metallica voce femminile annunciò l’arrivo al piano stabilito ed Hermione si lanciò verso l’ufficio più importante del Ministero.
Superò un affollato ed ampio salone circondato da innumerevoli uffici; uomini e donne scorrazzavano da un lato all’altro avendo tra le braccia cospicue pile di fogli e cartelle.
Per un attimo dimenticò il fine della sua presenza lì, e fu sopraffatta da quella massa ma, dopo un involontario urto con una donna minuta dalla bionda chioma, rinsavì e continuò la sua strada verso l’ufficiò di Kingsley.
Non appena arrivata nelle vicinanze dell’ufficio della più alta carica notò il cambio di atmosfera: non c’era più il trambusto di poco prima, ma solo il suo debole eco.
Gli uffici dei dipendenti erano spariti per dare spazio ad un salone rivestito interamente da legno, che conferivano all’ambiente un calore non indifferente.
Le finestre elargivano la sufficiente quantità di luce e nelle penombre, lunghe lampade irradiavano una luce candida e soffusa.
Sembrava uno di quegli eleganti bistrò francesi nei quali Hermione molto volentieri mangiava con i suoi genitori durante le sue vacanze estive.

Una targa metallica color bronzo indicava la via per l’ufficio del Primo Ministro, ed Hermione svoltò in un corridoio alla sua sinistra.
Terminato l’andito, giunse in un’ampia sala d’aspetto, simile a quella di un normale ospedale babbano.
Non c’era nessun presente, e questo la rincuorò, ma dall’altra parte della sala vi era una donna, probabilmente la segretaria di Kingsley.
Hermione le si avvicinò con passo sicuro, senza mostrare né rabbia né insicurezza.
La segretaria vestiva con un tailleur grigio fumé; sotto la giacca la donna indossa una graziosa camicia bianca e un diamante impreziosiva il suo petto, i capelli neri come il carbone erano chiusi in un elegante chignon ed Hermione ricordò a se stessa come lei fosse dannatamente trasandata.
«Ehm ehm», ghignò lei, somigliando vagamente a quella megera di Dolores Umbridge.
«Salve, cosa posso fare per lei?», domandò cordialmente la donna.
«Devo parlare con il Ministro, è urgente.»
«Mi dispiace, signorina, ma in questo momento è fortemente occupato e mi ha proibito categoricamente di far accedere qualcuno, chiunque esso sia. Devo aspettare finché non si libera.»
«Bene. Non posso, mi faccia entrare e la questione si risolve subito», rispose Hermione che sembrava non aver sentito una parola della donna.
«Signorina Granger, apprezziamo tutto ciò che ha fatto di bene per il nostro mondo, ma questo non le dà la il diritto di violare un codice ministeriale, quindi le chiedo gentilmente di accomodarsi», rispose stizzita la donna.
«Senta», cominciò Hermione, che si inchinò leggermente per notare la targhetta informatrice che mostrava il nome della segretaria,«Samantha Bassett, non sono venuta qui per aprire una discussione con lei, ma per affrontare uno spinoso caso con il Ministro, non sarei qui se non fosse di vitale importanza.»
«Allora mi dispiace, ma questo non cambia le cose. Mi è stato comandato di non far entrare nessuno, e lei non è un’eccezione.»
«Mi rincresce, ma deve sapere che una mia famosa qualità è la determinazione, quindi entrerò in quel dannato ufficio.»
«Non mi costringa a chiamare la sicurezza», intimò meccanicamente la donna.
Hermione appoggiò lentamente le mani sulla chiara scrivania in ciliegio e avvicinò il suo volto a quello di lei.

«Esattamente un paio di mesi fa sono entrata furtivamente in questo Ministero con due ricercati, Potter e Weasley. Le guardie non ci fecero neanche un graffio, e ne uscimmo con ciò che desideravamo. Faccia anche venire le sue guardie, se preferisce, ma io entrerò in quell’ufficio, perché l’uomo che siede comodamente dietro quella scrivania deve pagare caramente per avermi messo in una situazione delicata, che non sono qui neanche a spigarle.»
La segretaria sembrò sorriderle beffardamente  e parlò, ma non ad Hermione.
«Sicurezza, abbiamo un problema.»

«Lo ha voluto lei», rispose con forza, sputando le parole con tutta la rabbia che aveva represso fino a quel momento.
Hermione tirò fuori la bacchetta dalla sua borsa e notò lo sguardo apprensivo di Samantha, che si ritirò all’indietro con la sedia tirando un cassetto della scrivania, e agguantando la sua bacchetta.
«Non ti conviene, sul serio; ora entrerò in quell’ufficio e tu non ti intrometterai. Se tu fossi stata nei miei panni, agiresti allo stesso modo...»
«Non so cosa stia accadendo tra te e il Ministro, e non so perché si sia rintanato nell’ufficio da ore senza ma uscire, ma io ho il dovere e il compito di oppormi. Non passerai.»

Suonarono troppo tardi le parole della segretaria di Shacklbolt.
La sua bacchetta volò dietro di lei, sbattendo contro la parete esterna dell’ufficio del Ministro.
Il suo volto era scarlatto per la rabbia.
«Questo non doveva farlo!»
«Mi dispiace, davvero», le rispose Hermione, che con la sua forse apparente calma, riusciva a far aumentare ancora di più l’ira della donna.
Dopodiché Hermione evitò il suo sguardo torvo e punto gli occhi in direzione dell’ufficio.
Sollevò la bacchetta e con un gesto veloce ed elegante essa si spalancò.
La ragazza intravide una flebile luce che irradiava la stanza, che proveniva dalla finestra collocata di fronte a lei.

«Che diavolo è successo?», domandò infuriato Kingsley.
Hermione sentì la sua voce cupe, e si pentì di ciò che aveva appena fatto. Non lo aveva mai sentito gridare, e appuntò nella sua testa che non gli avrebbe concesso un’altra occasione per farlo.
Avanzò con passo deciso, orami non aveva nulla da perdere.
Sentì dell’agitazione nella stanza e capì che il Primo Ministro non era solo.
Arrivata all’uscio si dovette prontamente bloccare: l’impetuosa corporatura di Kingsley per poco non si scontrò con il corpo di lei.
Appena vide il suo viso, Hermione notò un grande allarmismo.
«Hermione, cosa avevi in mente di fare? E desidererei avere una risposta immediatamente dato che ho un sacco di lavoro da sbrigare e non ho nessuna intenzione di discutere, quindi ti prego, illuminami», tagliò corto infine l’uomo.
«Stavo cercando soltanto di entrare, dato che ho trovato l’opposizione di Samantha, pertanto ho dovuto usare la forza. Ora se non le dispiace, Ministro, ma vorrei gentilmente entrare.»
«Questo non è possibile», rispose lui senza dilungarsi.
«Scusi?», domandò la ragazza.
«In questo momento non posso ricevere nessuno, come ti ho ben detto prima, adesso sono stracolmo di lavoro, e a breve ho un impegno improrogabile.»
«Ministro, devo farla accompagnare fuori?», domandò Samantha, che comparve alle spalle di Hermione.
«Non ce ne sarà bisogno, io e la signorina abbiamo concluso, vero?», chiese lui.
«No.»
«Ho chiamato le guardie, Ministro», si limitò ad aggiungere la segretaria.
«Per l’amor del cielo, Samantha! Richiamale subito, non ce n’è bisogno», poi continuò rivolgendosi ad Hermione, «dannazione, Granger! Cosa devo fare per te?», domandò esausto lui.

«Draco Malfoy.»

Kingsley deglutì rumorosamente, mentre Samantha spalancò gli occhi non capendo il perché di quel nome.
«Molto bene, Granger...», disse con un filo di voce in modo da far sentire le sue parole solo ad Hermione, poi alzò il volto e si rivolse alla segretaria, «grazie, Samantha. Per oggi puoi andare. Quello che è successo oggi deve rimanere fra noi tre, intesi?»
«Certo, Ministro... tolgo il disturbo», rispose la donna, accennando ad un saluto rivolto principalmente all’uomo.
«Non credo correrà buon sangue tra voi due», scherzò l’uomo.
«Mi hai messo tu in questa situazione, e davvero sto reprimendo un bel po’ di rabbia; non solo devo risolvere delle questioni personali... e ora anche questo.»
L’uomo allungò le sue mani sulle spalle di lei e cercò di penetrare i suoi imperscrutabili occhi.
«Devo chiederti di tranquillizzarti, devo chiederti di promettermi che tutto ciò che succederà e che verrà detto in quell’ufficiò rimarrà tra noi, devo chiederti la massima segretezza; ne sei capace?»
Hermione a quel punto si avvicinò all’uomo, sentiva il suo fiato arrivarle fino al volto, lo guardò con piglio deciso, di chi non ha paura, di chi ha affrontato di peggio: «se ne sono capace? Mi hai chiesto di difendere Malfoy!», esclamò lei.
«Se varcherai questa soglia... cambierà tutto», disse l’uomo indietreggiando, poi continuò «nulla resterà come prima per te, stravolgeremo tutto.»
Era abituata orami da anni a prendere decisioni difficili, Hermione Granger.
Aveva sempre pensato di essere cresciuta troppo in fretta, e ringraziò se stessa per averlo fatto.
Aveva la testa sulle spalle, le dicevano.
Era intelligente, le dicevano.
Coraggiosa, le dicevano.
Ed ora era lì, alla soglia della porta del Primo Ministro, che ha volutamente scelto lei per un compito delicato.
Lei. Nessun’altro.
Ricordò in quel precise istante una frase detta da Harry durante il viaggio per la distruzione degli Horcruxes, e ricordò che prima di lui la disse Albus Silente.

“Momenti bui e difficili ci attendono. Presto dovremo affrontare la scelta fra ciò che è giusto e ciò che è facile.”

Hermione però era convinta di essere uscita una volta per tutte da momenti bui e difficili, e non aveva preso neanche lontanamente in considerazione il dover scegliere di nuovo.
Affrontare una nuova ed estenuante sfida, come se la vita non le avesse già riservato ostacoli e dolori.
E allora eccola, cos’è giusto? Cos’è facile?
La sua scelta era vicina, le labbra non più serrate stavano per lasciar andar via un fiume in piena, ma tutto ciò fu represso da una figura.

Draco Malfoy era comparso alle spalle di Kingsley, con sguardo torvo, fisso su di lei.
Le iridi ghiacciate si soffermavano soltanto sul suo volto, pronte a cogliere il primo segno di cedimento, che Hermione però non mostrò.
«Granger», esclamò Draco, con un tono rauco non propriamente suo.
«Malfoy», rispose lei senza emozione, però ricordando a se stessa quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva pronunciato quel cognome davanti a lui.
«Entra», sussurrò Kingsely, che si lasciò superare da Hermione.

Ella si trovava a pochi metri dal ragazzo; lo vide cambiato, la pelle ancora più chiara, forse troppo pallida, il tipico colorito malsano di chi non stava facendo una bella vita.
Le sue iridi ancora indagavano il corpo della ragazza, come a scovare mutamenti avvenuti nel giro di qualche mese.
Nessuno dei due osò esprimersi per primo, e tra di loro si frappose solo il lento e monotono ticchettio del grande ed elegante orologio di mogano affisso alla parete.
Quell’innocuo rumore fu interrotto dalla voce di Narcissa Malfoy, che intanto Hermione non aveva ancora notato, poiché era ancora seduta davanti alla scrivania del Ministro.
«Salve, signorina Granger, mi dispiace per questa situazione che si è venuta a creare, e come ho ben capito, lei ha tutte le giustificate intenzioni di chiarire.»

«Allora siamo davvero tutti», rispose ironica Hermione.
«Avrei preferito parlare singolarmente con tutti voi con più calma, però sì, siamo tutti», rispose Kingsley, che sembrava non aver percepito la vena sarcastica.
«Hermione, vuoi accomodarti?», domandò cortese l’uomo che con la mano indicò verso la sedia posta di fronte alla sua postazione.
«Credo», cominciò a rispondere lei, «che la sedia sia occupata da qualcun altro, o mi sbaglio?», concluse spostando lo sguardo davanti a lei, in direzione di Draco.
«No, non sbagli», limitò a risponderle, e dopo di ciò si sedette accanto alla madre.
Mentre Malfoy si stava accomodando, Hermione non poté evitare di notare lo sguardo arcigno di Kingsley che sospirando profondamente, fece comparire un’altra sedia, al lato di Narcissa.
Hermione non poté discutere quella scelta.

«Draco, di certo questi comportamenti muteranno con il passare del tempo, vero?», domandò retoricamente il Ministro ancora alzato e che sormontava le figure postegli davanti.
«Di certo c’è meglio da fare che parlare di inutili galanterie», tagliò corto lui.
Kingsley continuò a reprimere moti irrefrenabili stringendo i pugni, chissà se di lì a poco sarebbe scoppiato.
Però almeno per quel momento si trattenne e si rivolse ad Hermione.
«Allora, Ogden è stato esaustivo?
«Riguardo a cosa?», domandò immediatamente lei.
«Riguardo tutto, Granger», rispose lui deciso.
«Sa com’è Ministro, dire “tutto” è limitatamente eccessivo, e mi scusi l’ossimoro. Però se sta parlando del fatto che io sto per iniziare una carriera con almeno un anno e mezzo di anticipo, o del fatto che non saprei neanche da dove cominciare, o del fatto che il Primo Ministro in persona si sia occupato della mia situazione... beh, come dimenticare del fatto che dovrei difendere Draco Malfoy davanti a tutta la corte del Wiznegamot come se avesse soltanto rubato una caramella da Mielandia, ah, no... giusto non è finita, perché non devo soltanto fare i suoi interessi perché suo avvocato, ma devo per sino condividere con lui gran parte delle mie giornate, della mia vita! Che ne dice, ho racchiuso il concetto di “tutto”?»
A questo punto sbottò anche Malfoy per completare l’idilliaco quadro.
«Senti, Granger, non mi stai facendo un favore, anzi! Quindi se non ti sta bene alza il culo e va via, mi faresti davvero un piacere, dato che quello che ha un piede ad Azkaban non sei tu!»
«Non sono stata io a volere il marchio nero, Malfoy, e ascolta, non ti sto dicendo che te la sei cercata, ma sto semplicemente cercando di dirti, che se sei nella merda è anche un po’ colpa tua, e fare la parte dell’egoista e del gradasso non ti fa acquistare punti», ripose piccata Hermione.
«Cosa vuoi, Granger, che ti restituisca la sedia? Che ti lustri le scarpe? O devo inneggiare qualcosa per la salvatrice del mondo magico?»
«Se lo ritieni opportuno...»
«Ora basta! Vuoi due volete smetterla di comportarvi come bambini? Dove avete lasciato il senno? Draco, tua madre mi ha detto un po’ di tempo addietro che stavi cambiando, che tutto il male che ti ha circondato per tutto questo tempo ti ha lentamente cambiando, ma in meglio. Non credo che lei abbia voluto mentirmi deliberatamente. E tu, Hermione! Santo cielo, non ti sto riconoscendo. Ho scelto te perché hai la testa sulle spalle, perché so che sei in grado di perdonare, e non tollero questi attacchi gratuiti. Credo che tutte le belle parole che Ogden mi ha dato sul tuo conto devono essere rimangiate», disse concludendo Kingsley, che sapeva di aver toccato Hermione in un luogo molto prezioso alla ragazza, ovvero l’orgoglio.
«Kingsley, non posso permetterti di  parlare in questo modo di me, perché se Bob ha detto qualcosa è perché lo pensava, e io sono comunque conscia del fatto che ho dato il massimo e se ho... accettato questo lavoro, è perché conosco le mie qualità e so fin dove posso spingermi.»
«Kinglsey...», iniziò Narcissa, che fino a quel momento era stata in silenzio a lasciare che i due ragazzi si attaccassero a vicenda, «con tutto il dovuto rispetto nei tuoi confronti, ma alla signorina Granger non l’è imputabile nulla... credo che la sua ultima esternazione sia soltanto frutto della maleducazione e dell’egocentrismo di Draco.
Quindi a meno che lui si scusi, il che è improbabile...»
«Scusarmi? Mamma, davvero credi in ciò che hai appena detto? Per quale motivo dovrei scusarmi? Non solo la qui presente Granger entra ed inizia a sputare sentenze contro di me, ma crede che in pochi secondi si possa fare una predica come una cappellano da quattro zellini. Non merita alcuna scusa.»
Kingsley si massaggiò forsennatamente la fronte, e disse come se non avesse più forza a sufficienza «così non andiamo da nessuna parte».
«Draco», cominciò sua madre, ancora cordiale e generosa con lui, sollevandogli il viso con la sua morbida mano, «tra le tante cose che la signorina Granger ha detto, ve n’è una fondamentale: ha detto che accettava l’incarico affidatole. Mi sbaglio, signorina Granger?», domandò infine senza voltarsi verso la ragazza.
Hermione, anch’essa col volto abbassato pronunciò un flebile “sì”; «quindi Draco, ora sta a te dimostrare di essere all’altezza della situazione.»
«Una situazione che io non ho di certo voluto», rispose lui con tono basso e monocorde.
«Ma noi scegliamo di vivere la vita che ci siamo costruiti, che lo vogliamo o no. Draco, sappiamo entrambi che non volevi essere marchiato dal Signore Oscuro, sappiamo che quella notte non sei stato tu ad uccidere Albus Silente... Draco io conosco mio figlio, e so che è una persona buona, e che sa andare al di là di alcune situazioni delicate. La signorina Granger è disposta, e col tempo anche lei sarà meno restia con te, se tu glielo permetterai.
Ricorda, Draco, lei è la tua ultima possibilità», concluse serafica la madre.

Hermione vide quel discorso da spettatrice molto interessata, e notò con quanta dedizione Narcissa stava spiegando a suo figlio quale fosse la situazione, e non si meravigliò al ripensare a quella sera che la signora Malfoy salvò la vita ad Harry.
Le sue parole non serbavano odio, né rancore.
Era una madre, e suo figlio era in bilico tra la libertà ed Azkaban, ed aveva ragione: lei era l’unica persona che poteva fare qualcosa, che poteva salvarlo.
Numerosi pensieri si affacciarono nella sua mente, partendo dal fatto che avrebbe dovuto comunicarlo a Ron, Harry e Ginny.
Come l’avrebbero presa?
E soprattutto Ron come si sarebbe comportato di conseguenza?
Hermione stessa tentava di rinsavire, ma il suo flusso di coscienza, di emozioni e di pensieri era un fiume in piena, e lei ne era stata soprafatta.
Sapere di un suo stretto contatto con il suo peggior nemico lo avrebbe fatto infuriare, nonostante la guerra avesse tolto tanto a tutti.
Forse soprattutto questo la spaventava; sarebbe stato capace di incolpare Draco della morte di suo fratello  Fred.
E lei? Sarebbe stata inerme in mezzo a loro due?
Come avrebbe fatto? E di chi avrebbe preso le parti?
Accettare quell’incarico significava accollarsi dei pesi che avrebbe dovuto portare per molto tempo, significava essere centro di calunnie, di pregiudizi, di offese gratuite.
Sarebbe stata dipinta come la traditrice del “Golden Trio” che aveva affidato la sua fedeltà e il suo tempo ad un (forse) ex Mangiamorte, di cui il padre era il più famoso sostenitore di Vodemort ed era uno dei pochi fuggiaschi ancora a piede libero.

«Granger? Granger! Che cazzo, Granger rispondi!», esclamò Malfoy che la squadrava con sguardo torvo.
Hermione rinsavì, con quelle che erano le sue ponderate paure ed insicurezze.
«Malfoy, vorresti rivolgerti in questo modo con me per il resto dei tuoi giorni?»
«Prima di tutto io non avrò a che fare con te per il resto dei miei giorni, perché se dovesse accadere puoi fidarti che mi toglierò la vita il prima possibile, e sia chiaro che se ti sto concedendo la mia attenzione voglio che tu faccia altrettanto. Pertanto, non so se hai ascoltato ciò che ho detto precedentemente...», ma non ebbe modo di concludere.
«No, illuminami, Malfoy», rispose seccata la ragazza per i modi bruschi del ragazzo.
Draco storse il naso in segno di insofferenza, ma dopo continuò «ho semplicemente espresso la mia volontà», si limitò a rispondere.
«Hermione», si intromise a quel punto Kingsley, «Draco ti sta cercando di dire...», ma anch’egli venne zittito, questa volta dal ragazzo.
«Ministro, tra le poche cose che mi sono rimaste, la facoltà di essere in grado di formulare una frase, è una di quelle. Granger ti sto dicendo che almeno per adesso questa situazione, seppur al limite consentito, è tollerabile.
Questo non significa che mi abbandono nelle tue mani. Tutt’altro.
Mi fido più di un Troll di montagna.»
«Oh sì Malfoy, ricordo la tua faccia spaventata quando girò voce che n’era entrato uno nei sotterranei», rispose ironica Hermione, che sapeva di aver colpito il ragazzo.
Dopodiché la ragazzo salutò il Ministro e accennò ad un segno di saluto verso Narcissa, che era stata a suo modo di vedere una buona sorpresa, soprattutto per i suoi maturi atteggiamenti.
 

«Non è andata così male, vero?»


NOTE DELL'AUTORE
Eccomi qui dopo un bel po' di tempo, però come si suol dire "meglio tardi che mai".
Diciamo che sono stato molto indaffarato per questioni scolastiche soprattutto, ma anche per le ormai passate feste pasquali.
Ma parliamo un momento della storia.
Questo capitolo è particolarmente dialogico, e come poteva non esserlo, dato che è il primo vero incontro tra Draco ed Hermione.
Data quindi la narrazione molto dialogica, il capitolo non risulta molto pesante anche se un po' lunghetto.
Ovviamente tra i due non vi è mai stato buon sangue, e di certo le cose non sono cambiate, anzi, vedo entrambi molto più agguerriti.
Come una nuova guerra tra di loro.
Vedo un Kingsley però un po' sottotono, no? E il giornale che Hermione aveva letto nel capitolo precedente evidenziava anche il malcontento della popolazione per l'operato del Primo Ministro.
Quindi credo che anche lui debba fare qualche mossa... come dire... più estrema.
Narcissa sembra un personaggio votato unicamente alla benevolenza e alla ragione... però sembra troppo perfetta, vero? Sembra non serbare davvero rancore, dopotutto con Hermione ha avuto un duello a villa Malfoy.
Quindi chisssà quale sarà l'evoluzione del personaggio.
Ho inoltre citato una frase tratta da "Harry Potter e il calice di Fuoco", e la citazione ad inizio capitolo come avete anche voi ben letto è tratta dalla bellissima e nota serie TV "Doctor Who".
Non credo ci sia molto altro da dire, vi chiedo ora di avere solo un po' di pazienza per il prossimo aggiornamento!

Vostro, PriorIncantatio

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Capitolo 19
*** Vuoto a perdere ***


VUOTO A PERDERE
 

 

"Quando si rimanda il raccolto, i frutti marciscono; ma quando si rimandano i problemi, essi non cessano di crescere." -Paulo Coelho

 

Aveva imparato con il tempo che la guerra era logorante e riusciva a tirare fuori il peggio delle persone, anche di quelle più buone.
Ormai lo aveva capito Harry Potter, ma sperava di essere quantomeno più esperto a controllare le proprie emozioni e a gestire quelle degli altri.
La lontananza, almeno, poteva tenere al sicuro Ginny, Ron ed Hermione; in un passato non molto remoto loro hanno subito ogni genere di triste destino per colpa sua, per essere stato semplicemente il prescelto, per essere stato colui che doveva uccidere una volta e per tutte Lord Voldemort.
Ginny però lo aveva sollecitato più di una volta, rammentando che fare terra bruciata intorno a lui non avrebbe fatto altro che indebolirlo maggiormente e rafforzare il Signore Oscuro.
La solitudine sarebbe stata la sua migliore arma.
Così non fu mai in grado di staccarsi da loro, e per questo motivo erano costantemente in pericolo.
Adesso pregava soltanto che quella spinosa e delicata faccenda non toccasse più le persone che amava, voleva smetterla di giocare con il dolore dei più cari, voleva chiudere quel dannato capitolo della sua vita e voleva assolutamente cessare di prendere decisioni per altri.
                                                                                                                                                


Giovedì 15 Ottobre 1998 – Tirana

Harry e Percy Weasley erano partiti da una settimana e appena giunti a destinazione avevano iniziato a scandagliare ogni angolo della città.
Lucius Malfoy sembrava essere scomparso nel nulla.
Tuttavia Percy era strenuamente convinto che non avesse lasciato la città, o almeno il Paese.
Non restava che indagare ancora più approfonditamente in ogni angolo di Tirana e se non fosse bastato, di tutta l’Albania.
«Fino ad ora abbiamo perlustrato soltanto pensioni ed hotel, senza minimamente considerare l’idea che Malfoy potrebbe essersi benissimo registrato con mentite generalità», cominciò Harry.
«Nell’ultimo albergo lui e la sua famiglia erano regolarmente registrati», rispose annoiato Percy, poiché ripetevano quella discussione da un po’ di tempo.
«Sì, ma non sapevano che tu gli stavi alle calcagna, e credo che questo cambi qualcosa.»
Percy sbuffò, «ebbene? Cosa suggerisci di fare?»
«Allarghiamo il campo, e direi di iniziare dall’ultimo pernottamento. Potresti non aver colto indizi più nascosti», sollecitò Harry.
«Sono passate settimane ormai, che cosa potremmo trovare?», rispose elargendo uno sguardo inquieto al moro.
«Pensaci? Potremmo parlare con la reception e chiedere se hanno visto e quando Narciss, Draco e Lucius Malfoy.»
Percy sembrò pensarci un istante ma non poté trovare, per sua sfortuna, elementi che potessero indurre Harry a ritrattare.


«Sicuro sia questo l’hotel?»
«Al cento percento. Entriamo.»
I due scesero dalla vettura e si diressero all’entrata dell’albergo.
L’aspetto esterno era banale, nonostante la struttura fosse piuttosto ampia: circa venticinque piani si elevavano, creando così un megalite che primeggiava sul paesaggio circostante.
L’anonima struttura era intonacata interamante di bianco, ma molte zone erano annerite per l’usura data dal tempo e per le continue acquazzoni.
Il perimetro dell’hotel era circondato da grandi e neri abeti, piuttosto spogli.

Entrato nell’albergo, Harry fu immediatamente colpito dalla differenza con l’esterno.
Un caldo ambiente li accolse; luci soffuse si irradiavano sui numerosi tavolini posti nell’ampio salone, l’elegante parquet faceva risuonare i passi dei due, le pareti affrescate con un caldo intonaco giallo trasferiva all’ambiente un’apparente tranquillità.
Un luogo certamente idilliaco per una famiglia come quella dei Malfoy, che mai intendeva insultare il proprio rango.
Alla reception sembrava attendere un uomo che lentamente allargava un rassicurante sorriso agli Auror.
«Buongiorno, signori. Benvenuti al Kruja Hotel, in cosa posso esservi utile?», domandò l’uomo con il solito fare gentile del mestiere.
Harry appoggiandosi con entrambi i gomiti sul bancone, sembrò prima fissare le innumerevoli chiavi delle camere dell’albergo alle spalle dell’uomo, poi però si ricompose e gli diede la giusta attenzione.
Il receptionist doveva avere almeno cinquant’anni a giudicare dagli argentei capelli, ma i suoi occhi e la sua pelle gli conferivano tuttavia un aspetto giovanile.
«Vedo che non aspettava nessuna visita dell’’Ufficio dell’Applicazione della legge sulla Magia», iniziò Harry, mostrando il suo distintivo.
«Auror? Qui?», domandò allarmato l’uomo.
«Sì, signor...», disse Harry cercando di ottenere il nome dell’impiegato.
«Alkan, signore», rispose intimorito.
«Bene, Alkan. Il mio collega, il signor Weasley, è già entrato in questo albergo, però probabilmente non ha trovato lei alla reception, pertanto, le rifarò io alcune domande. D’accordo?»
«Certamente. Qualunque cosa pur di esservi d’aiuto»,  gli rispose con sincerità.
«Risulta nei vostri elenchi che settimane addietro abbia fatto pernottamento la famiglia Malfoy?»
«Certo. Come non ricordarsi di loro, delle loro bionde chiome, e dei loro sguardi cupi e perennemente allarmati. Però, per sicurezza, vi mostrerò il nostro registro.»
Così detto, l’uomo prese da sotto il bancone un grande libro dalla logora copertina in pelle grigia, sul quale però sfoggiava il nome dell’hotel a caratteri cubitali dorati.
L’uomo sfogliò velocemente le pagine ingiallite e consunte, fino ad arrivare al mese di giugno.
«Ecco, vedete anche con i vostri occhi...», disse l’uomo avvicinando il registro ad Harry e Percy.
Effettivamente il registro non mentiva ed erano elencate le generalità di Lucius, Draco e Narcissa.

«Camera P04», sussurrò Weasley.
Harry fece cenno col capo di muoversi in direzione della camera, «non ci sarebbe nessun problema se noi dessimo un’occhiata alla camera, giusto per dovere e per scrupolo, signor Alkan?».
«Nessun problema. Vi guido io», concluse l’uomo, agguantando velocemente la chiave della camera.
I tre si avviarono lentamente lungo il corridoio per poi proseguire lungo la rampa di scale.
Arrivati al terzo piano girarono immediatamente a destra, e in un istante si trovarono dinanzi alla P04.

«Desidereremo visionare la stanza da soli, Alkan. È un problema per lei?», chiese Percy cercando di non attirare le lamentele dell’uomo.
«Signori... certo che non c’è problema, ma se mi è possibile... capire... comprendere», rispose scombussolato.
«Sono fuggiaschi Alkan. Pericolosi e fuggiaschi Mangiamorte. Li conosce Alkan, i Mangiamorte?», domandò con un pizzico di sadismo Percy.
«V-V-Voldemor-t...», rispose con un filo di voce e totalmente sbigottito l’uomo.
«Esattamente, ma non è di lui che deve aver paura, non più. Ora però ci lasci fare il nostro lavoro, buon Alkan», rispose con un tono adatto a tranquillizzarlo.
 
La camera era arredata con gusto anche se i mobili erano austeri.
Le pareti erano tappezzate con una carta da parati verde smeraldo, il pavimento in legno era scuro e dava un’aria di freddezza alla stanza.
La mobilia in finto mogano non contribuiva a dare luce, come il tendaggio pesantemente ricercato che faceva filtrare poca luce.
Harry aprì quest’ultime in modo da poter analizzare meglio l’ambiente.
Il piccolo ma accogliente salottino dava spazio ad un angusto bagno, ma anche a due invitanti camere da letto.
Percy passò a cercare indizi nelle ultime due, mentre Harry si concentrò nel salone.

«Spiegami come è possibile trovare qualche indizio dopo quattro mesi, quattro!», urlò Percy dalla camera adiacente.
Harry stufo di ascoltare per l’ennesima volta quella domanda, decise di ignorarlo.
Controllò gli economici dipinti, tappeti, le mobilie, nei cuscini tra i divani, ma nulla sembrava aprire una possibile pista.

«Harry!», tuonò Percy dopo circa quindici minuti, «vieni immediatamente qui!»
Harry si catapultò prontamente da Percy, rischiando anche di far cadere un piccolo vaso contenete dei vecchi fiori secchi da un piccolo mobiletto ad angolo.
«Cos’hai trovato?», domandò immediatamente Harry appena giunse alla soglia della camera.
«Perdonami se ho controllato superficialmente la prima volta... ho fatto perdere così tempo a questa missione... se solo avessi avuto più occhio, più attenzione, riguardo...», cominciò a dire il rosso.
«Insomma Percy, parla!», sbottò Harry, che non stava più nella pelle.
Il rosso sollevò lentamente il braccio sinistro e mostrò ad Harry quello che sembrava essere un foglio bruciato in più punti.
Harry gli si avvicinò e la prese lentamente tra le mani: la lettera era indirizzata a Narcissa, e le parole dure, maligne e sanguinarie di Lucius Malfoy erano rivolte anche a suo figlio.
«Perché non bruciarla completamente?», domandò schiettamente Harry.
«Forse Narcissa o Draco non  avrà fatto in tempo, e... qualcuno l’avrà conservata.»
La supposizione di Percy non lo convinceva molto, troppo difficile pensare che dopo quattro mesi quella lettera si trovasse ancora lì.
«Dove l’hai trovata?»
«Nell’ultimo cassetto di quell’armadio: dentro vi sono un sacco di altre carte, ma si tratta di semplici mappe stradali... a parte questa lettera, che ormai crediamo che qualcuno ce l’abbia servita su un piatto d’argento», rispose Percy, concludendo la sua disamina.
«Ma chi? Chi diavolo ha messo questa maledetta lettera qui dentro? Chi ci ha anticipati? E forse potrebbe esser lecito chiedersi, chi ci sta aiutando?», si domandò Harry massaggiandosi nervosamente le tempie.
 
«Io, ovviamente. E dopo quattro dannatissimi mesi siete riusciti ad avere un briciolo di coscienza a tornare qui», rispose all’improvviso una donna che primeggiava sulla soglia della camera da letto.
I due Auror si girarono prontamente impugnando le bacchette, ma non servì poiché la donna era disarmata ed innocua.
«E lei chi diavolo è?», esclamarono all’unisono Harry e Percy.
La donna non ebbe il tempo di rispondere, che alle sue spalle comparve Alkan visibilmente sfiancato, che appoggiatosi alla porta, respirava profondamente come dopo una lunga ed estenuante corsa, «s-s-scusate non son-o riuscita a bloc-carla».
«Per sua fortuna direi, Alkan», rispose ella seraficamente, per poi rivolgersi ai due uomini «Alma Kisjard, Capo del Dipartimento Auror dell’Albania.»
Percy lascio uscire quello che sembrava essere uno schiamazzo d’irrisione, ma purtroppo la donna  fu attenta e catturò il gesto.
«È così divertente? Certo, non solo voi inglesi avete un reparto Auror. Scenda dal piedistallo, Pel di carota», rispose stizzita Alma.
Intanto Harry cercava di capire qualcosa di quell’assurda situazione «Alma, ci hai quindi preceduto, a quale scopo?»
«Per rimediare ai vari errori commessi da Pel di carota, perché credo ancora nella cooperazione magica e perché voglio quei che bastardi vengano rinchiusi dietro a delle sbarre, senza che abbiano più la possibilità di vedere la luce del sole».
I suoi sembravano essere motivi assolutamente validi, e la sua determinazione sembrava un’arma determinante, secondo Harry.
Percy invece rimase in un silenzio tombale per via delle numerose offese ricevute nel giro di qualche minuto; avrebbe voluto ribattere, ma Alma aveva ragione.
Quando rinsavì vide Harry e Alma confabulare animatamente: «quindi solo tu stai cercando di collaborare con il Ministero inglese?», chiese Harry.
«È utile avere la mia carica, perché nessuno ti fa troppe domande. Pertanto di confido che il Ministero albanese non è a conoscenza delle mie ricerche.
Tuttavia sono stata informata dell’arrivo alla frontiera di una Auror inglese», iniziò Alma, chinando leggermente il volto verso Percy, «e da lì ho seguito i suoi spostamenti. Ah ragazzo, sono stata io a farti soccorrere dopo che Malfoy ti ha messo al tappeto», ci tené poi a chiarire la donna con un mezzo sorrisetto.
Percy, ovviamente, si maledì per l’ennesima volta.
«Grazie, Alma. Tuttavia adesso noi tre abbiamo soltanto questa lettera, da cui possiamo capire che il trio si è sciolto: Malfoy starà dando la caccia a Narcissa e a suo figlio?», chiese Harry più a se stesso che agli altri due interlocutori.
«Improbabile», rispose ad un tratto Percy, «Lucius vorrebbe organizzare un piano nei minimi dettagli dato che è ricercato da mezzo mondo magico.»

«Pel di carota ha ragione. Però se seguiamo Lucius, troveremo gli altri due, no?»
«Non-chiamarmi-Pel-di-carota», sbottò Percy, dopo l’ennesimo scherno.
«Però abbiamo una pista, ragazzi», disse Alma con fare trionfante ed ignorando le lamentele di Percy
«Ebbene?»
La donna allungò un sorriso smagliante e poi parlò «sono riuscita a rintracciare i movimenti di Malfoy dopo il duello con Pel-Pel-Percy, e grazie anche a qualche passante ho scoperto che ha fatto tappa da un bottegaio, nel quartiere magico di Tirana.»
Dopodiché Alma tirò fuori della tasca della sua giacca elegante color ardesia un foglio e lo consegnò ad Harry.
Il ragazzo notò un’elegante scrittura, e avrebbe scommesso che si trattasse di quella della donna davanti a lui.
 
Ingredienti acquistati da Lucius Malfoy il 9 Giugno:


-Mosche Crisopa
-Sanguisughe
-Lunaria
-Centinodia
-Polvere di un Corno di Bicorno
-Pelle di Girilacco
-Formicaleoni
-Erba fondente

 

Harry alzò lo sguardo e trovò immediatamente quelli di Alma che sembravano scrutarlo con estrema attenzione, poi quest’ultima parlò «allora? Sei la prima persona a cui lo faccio vedere. Che ne pensi?», domandò frenetica e curiosa.
«Penso che le pozioni non siano mai stati il mio forte. Però è interessante, e di certo non abbandoneremo questa pista. Percy che ne pensi?»
«È come se avessi la risposta sulla punta della lingua, ma davvero non riesco a ricordare!», rispose il rosso aggrottando la fronte.
I tre rimasero in silenzio per qualche istante come se avessero esaurito tutte le domande.
Tutte le vie sembravano a senso unico e senza uno sbocco.
Le tracce erano poche, le idee ancora meno.
Poi però Harry interruppe quella quiete che si era venuta a creare «pensi sia ancora in Albania, Alma?»
La donna sollevò il capo e gli rispose con espressione dubbiosa «l’istinto mi dice di sì. Harry, purtroppo questo paese non garantisce una vigilanza costante, almeno a livello magico, sarebbe il luogo ideale per un fuggitivo. Però se vogliamo trovarlo dobbiamo trovare sue tracce il prima possibile perché se ha in mente un piano, come noi pensiamo, credo che ben presto lascerà il paese».
«Alma ha ragione», concordò per la prima volta Percy, che sembrò quasi pentirsi dell’assenso.
«A questo punto ci verrebbe da chiedere, se vuoi unirti a noi. Chi meglio di te conosce questo paese, no?», continuò poi il rosso.

La richiesta di Weasley colpì il suo collega, ma più di tutti ovviamente, Alma.
La donna sembrava guardare alle spalle del ragazzo, come se l’orizzonte potesse suggerirgli una risposta adeguata.
Piegò l’indice e cominciò lentamente a morsicarlo, «l’offerta è allettante, e lavorare con voi sul campo sarebbe affascinante, ma... devo declinare l’offerta.»
I due ragazzi non si aspettavano quella risposta, soprattutto per tutta la dedizione che aveva avuto Alma per quella spinosa vicenda, tuttavia non potevano che acconsentire.
«Alma, dobbiamo comunque ringraziarti per il fondamentale lavoro svolto fin ora. Capiamo le ragioni della tua scelta, che sicuramente sono strettamente legate all’incarico che attualmente occupi; sappi che quando questa vicenda finirà, noi due faremo il tuo nome affinché tu abbia un giusto riconoscimento», concluse Harry.
Successivamente i tre si salutarono con la promessa di rincontrarsi in futuro, e dopo essersi congedati da Alkan, uscirono dal Kruja ed intrapresero strade differenti.
 
 

Villa Malfoy – Mezzanotte

Una fredda brezza percuoteva sporadicamente le fronde degli alberi che costellavano l’immenso giardino della tenuta Malfoy.
Ettari di verde ed incontaminato terreno si estendevano intorno alla maestosa villa, ed un ragazzo dalla pelle diafana e dalla chioma di un biondo, quasi bianco, si trovava sul terrazzo di quest’ultima.
Lasciava che il vento scompigliasse i suoi capelli, con la speranza che portasse via anche gli avvenimenti degli ultimi giorni.
 Tentar di scrollarsi la paura, il timore reverenziale verso chiunque è sempre stato inutile per Draco Malfoy.
La paura è stata un’arma utilizzata troppe volte, e troppe volte gli si è rivolta contro.
Pertanto ha sempre perennemente affermato che abbandonarsi per un momento alla vita, e di correre, anche solo per un attimo, chissà dove, e scappare via, lasciando i problemi, le disavventure, e abbandonando il suo modo di essere, fossero atteggiamenti da codardo.
Codardo.
E pensare che questo appellativo fu dato anche al professor Piton.
Forse rispetto al principe mezzosangue lui era di certo un vigliacco, ma a modo suo si sentiva vittima di qualcosa più grande di lui.
Draco amava combattere, ma non ha mai saputo per quale fronte.
Draco voleva essere coraggioso, ma con la vita degli altri, come gli altri si sono sentiti vincitori con la sua, di vita.

Pensava, il giovane Malfoy, e quel vento rasserenava, quasi lo ammaliava.
Il suo primo pensiero, l’unico che lo turbasse realmente, aveva un nome ed un cognome.
Hermione Granger: eroina consacrata della Guerra Magica.

Aveva deciso di voler affrontare i lunghi processi, l’essere schernito dal popolo magico, l’essere definito Mangiamorte, quando lui non ha mai avuto neanche il coraggio di uccidere qualcuno.
Coraggio.
Sì, forse era realmente un vile.
Tuttavia Kingsley aveva rifilato a lui e a sua madre una sorpresa di non poco conto.
Come avrebbe fatto quella mezzosangue a tirarlo fuori dai guai?
Con quale spirito lui dovrebbe riporre la fiducia nella Granger?
E se lei e Kingsley si fossero messi d’accordo per rinchiuderlo ad Azkaban?

Draco aveva sempre avuto il vizio, quasi isterico, di sovraccaricarsi di pensieri con il netto risultato di aver confuso maggiormente le sue già offuscate idee.
Stava per esalare l’ultimo e profondo respiro di quella quiete nostalgica, quando una mano gli si appoggiò delicatamente sulla spalla.
Sua madre aveva sempre avuto una certa predilezione nello scegliere i momenti più opportuni per soccorrere suo figlio, e quello, probabilmente, era uno di questi.

«Draco...», disse lei con un filo di voce.
«Non è una notte adatta per dormire tranquillamente, non questa», ribatté lui senza girarsi.
«Tu credi che tartassarti con questa storia possa aiutarti? Ti rendi conto che non abbiamo, non hai, ancora iniziato? Cosa credi che in un paio di giorni possa finire tutto?»
Se sua madre credeva di aiutarlo sbagliava di grosso, infatti il giovane quasi nauseato, si girò e le rispose duro.
«Io credo di non meritare tutto questo! Capisci che per me è una mortificazione!
Shacklbolt e la Grenger sono in combutta per sbattermi ad Azkaban, lo vuoi capire?
Qui per tutti, per loro, sono un assassino, un complice. Non c’è speranza per uno come me.»
La madre stentava a credere a quelle dure parole che suo figlio stava rivolgendo a se stesso, ma non era la prima volta.
«Figlio mio, non sentirti per l’ennesima volta i capro espiatorio di questa storia, per il semplice fatto che sei innocente e basta.
Tu  non sei una persona cattiva DracoSei una persona buonissima, a cui sono capitate cose cattive

«Di chi è la colpa?», chiese lui con sguardo penetrante.
 «È mia, Draco. Mia e di tuo padre», si limitò a rispondere lei, quasi con affanno, con il capo piegato per l’esternazione di quella scottante verità.
Draco sorrise amaramente «avrei voluto che voi vi foste presi la responsabilità, e non che mi portaste nell’oblio con voi. Avrei voluto dei genitori impavidi, e invece loro hanno passato la loro vita a nascondersi e a scappare. Avrei voluto voi in quella cella, invece ci avete spinto me, ve ne siete lavate le mani. Come sempre.»
Detto ciò superò la madre non degnandola nemmeno di uno sguardo, ed entrò in casa in direzione della sua camera.

Narcissa rimase immobile, pietrificata. Quelle parole ancora risuonavano nella sua mente.
Dure, fredde. Quello non sembrava il suo bambino.
Stava parlando con la bocca di Lucius, forse stava diventando come lui.
La rabbia, la paura, il rancore lo stavano consumando e logorando lentamente.

Sentiva di non avere più le forze per combattere per suo figlio, nonostante pochi attimi prima lo avesse incoraggiato a proseguire quel duro cammino.
Credeva di non essere più importante per lui, tutto sembrava cambiato nel giro di una giornata.
Era bastata quella donna, Hermione Granger, a far crollare le poche speranze che Draci riponeva.
Si sentiva debole, sconfitta, impotente, come se fosse ancora succube di Lucius.
Ripeteva a suo figlio che per lei era morto.
Lo ripeteva, ma sentiva di mentire a lui e a se stessa.
La donna sentiva di non avere più delle certezze, dei punti fermi nella sua vita.

«No, no, Narcissa. Non devi arrenderti adesso. Non scoraggiarti per lui, non demordere, non abbandonarti. Non abbandonarlo, combatti, per te, per lui», sussurrò a se stessa, con gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dal vento e dalle sue parole.
Lasciano che una lacrima percorresse lentamente il suo viso, sino ad arrestarsi tra le sottili labbra.

Abbozzò un sorriso e strinse la mani al petto.
Aveva deciso.
L’indomani l’avrebbe incontrata.
Si sentiva già più serena.
Lei l’avrebbe forse abbracciata, forse consolata.
Narcissa sperava che lei accettasse lei sue scusa, seppur tardive.
Ora si sentiva meno sola, meno persa, meno inutile.
Forse, oltre suo figlio, ancora qualcuno le voleva bene.
 



NOTE DELL'AUTORE

Salve a tutti!
Ci tengo prima di tutto a scusarmi per il ritardo dell'aggiornamento, ma meglio tardi che mai.
Questo capitolo presenta due sezioni narrative molto diverse: la prima molto più veloce e di impatto, stil C.S.I (okay la smetto), ed una seconda più lenta e più interiore.
Abbiamo un nuovo particolare personaggio: Alma.
Diciamo che vedendo Doctor Who mi è venuto in mente questo personaggio, che rassomiglia, almeno per me, un po' alla ricercatrice River Song.
Alma sembra però farsi da parte... ma sarà così?
E Draco? Questo suo duro scontro con la madre avrà ripercussioni?
E chi è questa donna che Narcissa deve incontrare?
Lo scoprirete solo nei prossimi capitoli!

PriorIncantatio



 

 

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Capitolo 20
*** Sangue fedele ***


SANGUE FEDELE
 


"Fa' che i tuoi familiari ti rispettino piuttosto che temerti, perché l'amore segue il rispetto, più che il timore l'odio." - Demostene
 

 
Aveva sbattuto nervosamente dietro di sé la porta di casa e lanciato chiavi e borsa sul divanetto nel piccolo salone del monolocale al 221B di Baker Street.
Le forze le mancavano: sentiva i muscoli intorpidirsi, le palpebre lentamente chiedevano il loro meritato riposo.
Lo scontro con Malfoy non era stato duro, ma a volte non si da peso a ciò che accade al momento e ci si ritrova a fare i conti con la realtà dei fatti troppo tardi.
Eppure Hermione Granger amava vantarsi del suo raziocinio: quante volte in passato aveva assunto il ruolo della madre attenta e meticolosa con quei scapestrati di Harry e Ron?
Ed ora lei, la lucida Hermione, si accorgeva di ciò che stava accadendo nella sua già complicata esistenza.
Draco Malfoy stava inesorabilmente entrando nella sua vita e sembrava averla già devastata dopo averlo incontrato per pochi minuti.
Le era stato chiesto di condividere con lui la sua vita fino all’ultima e fondamentale udienza, che chissà quando si sarebbe svolta.
Si versò un bicchiere d’acqua sperando di inghiottire anche quei pensieri, ma si sentì soltanto più stupida ed incosciente, fino a quando guardò alla sua sinistra e vide la lettera di Ron depositata su un bancone da cucina.
Mai fino a quel momento gli era mancato così tanto: i suoi indistinguibili capelli rossi, gli occhi nocciola, il suo sorriso, a volte ebete ma che la faceva ridere ogni volta, il suo profumo, i loro baci, il loro essere insieme.
Quella casa era troppo vuota, troppo silenziosa persino per lei, che amava trascorrere le sue giornate nella quiete più totale leggendo un libro.

Non ci pensò due volte: afferrò la lettera e si diresse in camera sua con l’intenzione di rispondergli, di scrivergli fiumi di parole, “urlargli” tutte quelle frasi che per troppo tempo erano rimaste soffocate.
Si lanciò a peso morto sul morbido letto matrimoniale, si piegò verso il comodino per prendere una penna, dopodiché incrociò le gambe in cerca di una comoda posizione e cominciò a scrivere.



Caro Ron,                                                      
mi ritrovo a risponderti nel periodo più difficile e complicato della mia vita dopo la guerra magica.
La tua assenza sembra amplificata da un grave problema al Ministero: questo sembra essere il più grande ostacolo che io abbia mai incontrato.
Ho da qualche ora a questa parte scoperto di essere a tutti gli effetti un avvocato, finalmente.
Lo so, mi hai ripetuto più e più volte che preferivi che io diventassi un semplice membro del Wizengamot, ma l’appellativo “semplice” non è mai stato dei miei preferiti.
Volevo spingermi oltre, avviare una carriera che potesse motivarmi, stare a stretto contatto con i sentimenti e le paure di uomini e donne.
Sembrerebbe una buona notizia, no?
Tuttavia Kingsley mi ha perentoriamente affidato un incarico: non uno normale.
Io non mi sento pronta e non sono neanche lontanamente sicura di ciò che starò per fare.
Questo loro: Bob e Kingsley, non lo sanno. Leggono sul mio volto determinazione e sicurezza, ma entrambi conosciamo la mia bravura nel nascondere le emozioni.
Ti dico la verità, Ronald.
Ho paura.
C’è una persona che mi ritrovo a dover difendere, una persona che mai avrei pensato di dover proteggere, figuriamoci davanti al Wizengamot.
La sua vita, la sua libertà dipendono esclusivamente da me.
Mi sono comportata da sfacciata con lui, l’ho deriso anteponendo il suo travagliato passato.
Non che lui abbia fatto diversamente, ma mi sono sempre ritenuta superiore a questo genere di comportamento, assolutamente inadeguato ed infantile.
Sta di fatto che ho accettato, e anche lui, malgrado le mie parole e il mio essere Hermione Granger.
Non so cosa possa succedere d’ora in avanti, è un’incognita, tutto qui.
Non è per niente una situazione facile e ripeto che potrebbe accadere qualunque cosa.
È inutile fare allarmismi, saprò tenere tutto (e spero anche “tutti”) sotto controllo.
Odio dirti queste cose semplicemente in queste maledette lettere, sempre troppo brevi; odio il fatto di rammentare costantemente a me stessa questa mancanza, la tua mancanza, e di non poter far nulla per cambiare le cose.
Mi sento impotente.
Non ho alcuna soluzione in merito, per riavvicinarci, e sento che ti sto perdendo.
Riafferra la mia mano.
Voglio tornare ad assaporare le tue labbra, stingere tra le mie mani il tuo viso.
Ma ora sono stanca di mollare tutto, stanca di farmi cadere tutto addosso e di raccogliere soltanto i cocci dopo che ogni cosa è andata persa, distrutta.
Verrò da te, Ron.
Anche solo per incontrare di sfuggita i tuoi occhi, solo per sussurrarti parole senza senso.
Verrò da te, ti inonderò di domande e parleremo, parleremo, parleremo come non abbiamo mai fatto.
Recupereremo tutto il tempo perduto soltanto per dirti ancora una volta, ti amo Ronald Weasley.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
                                                                                                                                                                                                                                                                        
Tua, Hermione
 


Narcissa uscì di casa molto presto quella mattina: lasciò Draco che ancora riposava.
Gli rimboccò scrupolosamente le coperte volendo dimenticare che quel ragazzo raggomitolato nel letto era ormai divenuto un uomo e che se l'avesse notata nel compiere quel gesto gliene avrebbe dette di tutti i colori.
Gli depositò sulla fronte un bacio affettuoso non remora del suo sfogo durante la notte appena trascorsa, poi scese al piano inferiore e si soffermò davanti ad uno degli specchi nell’ampio salone.
Si sistemò un’ultima volta e constatò che le occhiaie persistevano ed alcuni segni del tempo iniziavano a farsi strada tra le piccole pieghe della pelle.
Sorrise beffardamente, sentendosi vecchia, usurata dal tempo e dalle persone.
Non si era mai sentita giovane, dopotutto: la sua famiglia, rigida come poche, la costrinse ad adottare uno stile di vita all’insegna dell’impeccabilità.
Il rapporto con i Malfoy non fece che peggiorare la situazione, ed ora pensando a Lucius assodò le sue iniziali paure e perplessità.
Distolse lo sguardo dallo specchio perdendo di vista i suoi occhi marroni, scuri come la pece, stanchi già di prima mattina, poi finalmente si avviò verso l’uscita.
Percorse il lungo giardino in silenzio, il vento della sera precedente stava lasciando i suoi strascichi, e per questo motivo estrasse dalla sua ampia borsa nera un foulard color avorio e dalle decorazioni bordeaux.
Arrivata al cancello notò che oltre questo la stava già aspettando un taxi.
Appoggiato alla vettura vi era l’autista che stava tranquillamente fumando una sigaretta.
Narcissa attaccò alla vita la cintura del suo elegante impermeabile grigio ed oltrepassò l’inferriata.
Il tassista accortosi dell’arrivo della donna gettò velocemente la sigaretta ai suoi piedi, per poi calpestarla nell’intento di spegnerla.
«Buongiorno, signora» esordì l’uomo.
«Buongiorno a lei», rispose cordiale Narcissa.
La donna si aspettava che l’uomo le aprisse galantemente la portiera dell’automobile, ma quando vide che egli si era già introdotto nell’abitacolo, storse il naso indispettita, ed entrò anch’ella.
Chiusa la portiera, venne inondata da un pesante odore di tabacco, che la costrinse ad abbassare il finestrino laterale.
«Mi dica, signora, dove devo portarla? La centrale mi ha solo assegnato la sua prenotazione, ma non mi ha rivelato la meta» concluse il tassista.
«In realtà non ho fornito la destinazione neanche alla vostra centrale. Comunque ci stiamo dirigendo a Canterbury, alla cattedrale.»
«Un bel viaggio allora. Meglio che si metta comoda, ci vorranno almeno un paio d’ore.»
Narcissa sembrò acconsentire a quel comando, forse più dettata dalla stanchezza accumulata per il poco riposo dovuto alla lite con suo figlio.
Si appoggiò delicatamente allo schienale del taxi e fu sorpresa dalla sua comodità.
Piegò di circa quarantacinque gradi il capo in modo da poter guardare il panorama dal finestrino.
Probabilmente anche lei stava partendo in quel momento.
Era passato tanto, troppo tempo dall’ultima volta che si erano viste.
Mentre sembrava una vita l’ultima volta che si erano soltanto rivolte la parola.
La mattina precedente prima di andare con Draco al Ministero aveva pensato a lungo a quella decisione, che se fatta qualche mese prima probabilmente ci avrebbe rimesso la pelle.
Ma quelli erano altri tempi: bui e che non le appartenevano più.
Decise che le avrebbe scritto, nonostante i suoi timori e la coscienza che le intimava di non farlo.
Non aveva risposto alla sua lettera, non che se lo aspettasse, ma un po’ c’era rimasta male.
Tuttavia sapeva com’era fatta, ed era sicura di poterla trovare nel luogo che aveva specificato.
Intanto si apprestava ad imboccare l’autostrada e si lasciò alle spalle il centro di Londra.
Il Big Ben e il London Bridge sembravano macchie incolori nello specchietto retrovisore della vettura; Naricssa stava per essere abbracciata da Morfeo, ma persisteva a rimanere sveglia come se volesse ricordare ogni istante, attimo o particolare di quel viaggio.
Dopo circa un’ora e mezza la donna arrivò a destinazione.
Canterbury era stata da poco protagonista di un funesto nubifragio: le strade della cittadina erano sgombre rispetto al caos della City, poche le automobili che sfrecciavano ed infangavano i marciapiedi adiacenti sui quali i pochi passanti passeggiavano.
Pagato il tassista ed uscita fuori dall’abitacolo, assaporò il prepotente odore della terra bagnata: si trovava esattamente di fronte alla Cattedrale di Canterbury.
La monumentale chiesa gotica colpì profondamente la donna per la sua bellezza: i marmi bianchi, i pinnacoli altissimi che facevano svettare ancora di più la struttura già ampia ed alta di suo, come se volesse “toccare” e sfidare il cielo, la complessità di alcuni particolari come gli archi rampanti o acuti e le volte ogive.
A pochi metri da lei.
La separavano asfalto e paure, mura e ricordi.
Sentiva le gambe stranamente deboli e fragili e temeva avrebbero ceduto alla tensione.
Qualunque cosa le impedisse di percorrere quel breve tratto di strada al momento stava decisamente spaventando Narcissa.
Valeva la pena entrare?
E tornare a casa, magari con le mani vuote?
Sicuramente le avrebbe assicurato meno dolori e non avrebbe riesumato vecchi rancori ed odi.
Sollevò leggermente il capo: dense nuvole grigie cupamente primeggiavano alte nel cielo e, dopo poche frazioni di secondi, piccole gocce di pioggia iniziarono a bagnare il viso diafano di Narcissa.
Presagio o meno, la donna si sentì spinta a proseguire.
Dopo aver attraversato la strada, si trovò dinanzi alla chiesa, imponente ed austera.
Giunta all’entrata fu colpita dalla grandissima vetrata posta al di sopra del portale affiancata lateralmente da due alte torri pinnacolate.
Spinse l’ampio portone in mogano ed un sordo cigolio risuonò all’interno.
Un silenzio sepolcrale si presentò ed immediatamente si sentì minuscola all’interno di quell’edificio.
Non era mai entrata in quella cattedrale, e ancora stentava a chiedersi il perché di quella scelta per incontrarsi.
Forse dopo tutto il silenzio che aveva separato le due donne, quello poteva essere il luogo ideale per fare di quel silenzio l’unica via per riconciliarle.
Le luci calde e soffuse non conferivano all’ambiente un aspetto rassicurante, almeno per Narcissa, che al contrario si sentiva alquanto intimorita.
Le lampade artificiali illuminavano i pilastri, le pareti in pietra e in marmo: quest’ultime completamente spoglie di quadri o affreschi.
Ciò che impreziosiva la struttura interna erano le artificiose vetrate dipinte con tante sfumature di colore, e che i raggi del sole irradiavano all’interno.
Le tre navate davano poi spazio ad un esiguo transetto oltre il quale si erigeva l’altare sacro e alla sua sinistra un sontuoso organo in ferro scuro si innalzava per parecchi metri.
Narcissa cominciò a percorrere la navata principale lasciando che il rumore dei suoi tacchi traforasse quel silenzio assoluto.
Poche persone sedevano sulle sedie o panche disposte ambedue i lati.
Ma una la colpì.
Dalle sue spalle capì che non stava pregando, era eretta sulla panca in ciliegio e sembrava soltanto ascoltare la quiete, beandosi di quello spettacolo artistico.
Narcissa si sedette dietro, non capendo se la donna davanti a lei l’avesse notata o meno.
Rimase in silenzio per qualche minuto non sapendo esattamente cosa dire o fare.
Ma poi si spinse un po’ avanti con il busto, abbassò leggermente il capo e cominciò a parlare di sottecchi.
«Non pensavo saresti venuta» esordì Narcissa.
La donna non rispose, ma la Black non si diede per vinta e continuò: «Mi chiedevo se ci saremmo mai più riviste...»
Davanti a lei a la donna sembrò alzare la testa come a guardare un punto fisso, come se non volesse ascoltarla, poi però le rispose.
«Neanche io avrei immaginato di essere qui, ed ora che me ne rendo conto, so di aver profondamente sbagliato.»
Narcissa tirò un sospiro di sollievo riconoscendo la voce della donna, poi questa continuò.
«Come fai ad essere qui?» chiese ella.
«Sarebbe una lunga storia da raccontare, Andromeda.»
«Ho attraversato mezza Inghilterra solo per sentirmi dire “una lunga storia”?» sbottò la sorella, cercando di frenarsi e non alzare troppo il tono di voce.
«No, certo che no, Meda» acconsentì l’altra.
«Non chiamarmi così, l’ho sempre detestato quel soprannome. E comunque ora sei qui, quindi parla.»
«Credo che per prima cosa io debba darti delle spiegazioni che devono appartenerti di diritto...»
«Davvero? Oh cielo, Narcissa! Sei davvero così coscienziosa, mi sorprendi» la schernì Andromeda.
«Prima di tutto sai che io, Draco e Lucius siamo ricercati per... ovvi motivi», poi però fu interrotta dalla sorella: «Rinfrescami la memoria.»
«Non ne vedo il motivo...» controbatté subito Narcissa.
«Inorridisci anche tu a ciò che hai visto, a ciò che hai fatto e a ciò che hai accettato facessero i tuoi alleati, vero?»
«Non farmi questo, Andormeda...» pregò la sorella minore che, però costatando il viso accigliato dell’altra, cercò di farsi forza e tentò di ricordare.
«Vuoi che parta dall’inzio? Ah, Andromaca? Da quella notte a casa dei Potter? Dei Paciock? E del resto dell’Ordine della Fenice? Di quel Diggory al Torneo Tre Maghi? Di Silente, magari. Sì, Andromeda siamo legati a tutte queste morti. Ma io, non ho mai alzato una bacchetta. Non per codardia, ma per senso di giustizia» rispose con tono duro Narcissa, avvicinandosi all’orecchio di sua sorella davanti.
«Giustizia» disse lei stringendo i denti: «Cosa ne sai tu della giustizia?»
«Più di quanto tu creda...»
«Io ho perso Ted e Ninfadora. Teddy non avrà neanche un padre. Ora, spiegami: dov’è la giustizia?»
«Devi avere tempo. Chi si è macchiato di crimini atroci la pagherà. La pagherò anch’io, Andromeda.»
«Vuoi impietosirmi? Non ci riuscirai. Ho covato rabbia e odio dentro di me per così tanto tempo che non ho paura di perdere mia sorella. Ho già perso tutto.»
Narcissa sentiva di poter esplodere. Poteva percepire il viso rigarsi di lacrime, che lentamente scorrevano fino a bagnarle le labbra.
Gustò solo per un istante il suo sapore salato, poi ritornò alle dure parole di Andromeda.
Quest’ultima si era voltata e la stava attentamente esaminando.
«È rimorso questo?»
«Non puoi capire, ho passato tutta la mia vita a tormentarmi sugli errori di Lucius e sembra che quest’opera di pentimento non giunga mai al termine. Guardami, Andromeda. Guarda questi occhi che hanno assistito a morte e rabbia. Vedi cosa ho dovuto affrontare? Da sola, contro tutti. Guardami attentamente, Meda: fino a quando dovrò soffrire e pagare?»
«Non sono io a doverti dare questa risposta, lo capirai da sola quando sarà il momento: quando sarai in pace con te stessa e la tua coscienza sarà pura. Adesso cerca di non pensarci e dimmi cos’hai fatto dalla fine della battaglia.»
Narcissa Malfoy respirò profondamente per ripercorrere quel cammino lungo e tortuoso.
«Siamo scappati ovviamente. Lucius ci era abituato e dovevamo seguirlo: dopotutto anche noi eravamo colpevoli. Inizialmente abbiamo sostato per poco tempo in Austria e in Croazia e poi ci siamo rifugiati in Albania. Lì non c’è grande controllo, motivo che spinse anche il Signore Oscuro a trovare riparo anni addietro. Poi un giorno accadde l’impensabile, almeno fino a quel momento. Lucius decise di lasciarci e di farci guerra fino alla fine, ritenendo me, ma soprattutto Draco responsabili della caduta dell’Oscuro Signore e della nostra rovina.»
«Feccia. L’ho sempre detto e  ripetuto, tuttavia preferivi sempre i consigli di Bellatrix. Lei era la più grande, la più saggia» disse lei beffardamente, poi però invitò la sorella a proseguire.
«Allora io e Draco abbiamo deciso di tornare a Londra e di affrontare ciò che ci spetta. Volevamo smettere di scappare, dimenticarci di Lucius e del suo modo di agire. Volevamo cambiare vita!» esclamò alla fine Narcissa.
«Stai parlando al passato, o mi sbaglio?» chiese Andromeda.
«Perché non ne sono più sicura. Ogni giorno che passa sembra essere sempre più complicato: soprattutto per lui. Sento di essere vicina a perderlo...» concluse con un filo di voce.
«Non essere così remissiva, affrontare queste cose e non trovare difficoltà è impossibile, soprattutto quando hai un figlio come Draco che è stato educato da una bestia come Lucius» rispose sprezzante l’altra, sputando letteralmente l’ultima parola.
«Sei sempre stata una madre migliore di me, Andromeda. Più coraggiosa. Anche una moglie migliore, fedele in ogni frangente. Sei sempre stata migliore di me in tutto, specialmente a scegliere da che parte stare.»
«Smettila. Non è da te mostrati così debole» le rispose la sorella mettendole le mani sulle spalle e scuotendola lentamente.»
Quasi rinsavendo Narcissa riprese a parlare: «È per questo che sono qui. Anche se non dovrei. Anche se Kingsley Shacklbolt mi ha proibito di avere rapporti con il mondo esterno. Sono qui perché devi prenderti cura di Draco. Io non posso, non ci riesco più. Non ho più la forza. Con lui ho imparato ad essere abbastanza testarda e solida, ma è solo una maschera pronta a cadere giù nel momento di massimo sconforto.»
«Narcissa... io non credo di essere la persona più adatta... e poi ho Teddy. Le tue parole sono solo dovute a qualche screzio. Ti vuole bene Narcissa, sei sua madre, l’unica persona che gli è sempre rimasta accanto.»
«Meda, le mie parole non sono vuote. So bene cosa sto dicendo. Ti imploro, non potrò sempre esserci per lui... comprendimi!»
«Avete ancora così tanto tempo da vivere insieme, e non preoccuparti che il Ministero sarà clemente con te e...» ma poi fu interrotta bruscamente.
«No, smettila Andromeda! Devi giurarmi che quando non ci sarò più, quando non sarò più presente per  proteggere e difendere Draco, tu dovrai essergli sempre vicino. Giuramelo, Andromeda.»

Un silenzio surreale divise le due sorelle che mai quanto in quel momento sentiva di appartenersi.
Andromeda osservava assorta sua sorella con sguardo misto a paura e malinconia, sul volto di 
Narcissa, invece, si poteva ben percepire il dramma di una madre: implorava e pregava sua sorella, l’unica vera Black che ammirasse.
L’aveva appena rincontrata dopo anni e già le stava chiedendo tanto, forse troppo.

«Mi stai chiedendo tanto, Narcissa. Ma i tuoi occhi non mentono, né il tuo cuore. Mi occuperò di Draco quando tu non ne avrai più la possibilità. Il che spero avvenga il più tardi possibile.»
Narcissa si avvicinò ancora di più a sua Andromeda e abbassò il capo sull’incavo tra testa e spalla di sua sorella e lì, in quel luogo sicuro, liberò quelle lacrime che da tanto tempo aveva trattenuto

«Nessuno più dovrà separarci.»

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Capitolo 21
*** The first surrender ***


THE FIRST SURRENDER
 


"Per non assuefarsi, non rassegnarsi, non arrendersi, ci vuole passione. Per vivere ci vuole passione." - Oriana Fallaci  

 
Draco Malfoy riposava beatamente nelle sue coperte. Aveva sentito per pochi istanti il profumo di sua madre e le sue labbra che si depositavano amorevolmente sulla sua fronte ed aveva capito che almeno per quella giornata avrebbe fatto a meno di lei.
La finestra di camera sua, la stessa da diciotto anni, era aperta. Il ragazzo aveva sempre amato la gelida corrente anche nei mesi più autunnali. Il soffio del Maestrale stava sfiorando i biondi capelli di Draco i quali sembravano far breccia nell’oscurità della camera. Le pareti totalmente in pietra somigliavano a quelle delle camere comuni o dei dormitori di Hogwarts. Non sembrava la una camera di un ragazzo, piuttosto quella di un adulto. Pochi quadri erano sparsi sulle pareti e tutti erano lugubri e misteriosi. Antenati del ragazzo sembravano osservare con sguardi torvi la stanza come sentinelle inquiete.
Le tende grigie e verdi erano chiari riferimenti alla casa di appartenenza dei Malfoy: Serpeverde.
Uno scuro e piccolo camino marmoreo era posizionato vicino alla finestra da cui filtravano pochi raggi di luce. Il sole esternamente stava irradiando con grande forza.
All’interno del camino non vi era cenere, segno che non veniva usato da mesi ed in effetti solo in quegli giorni aveva iniziato ad avvertire il freddo pungente del mattino e a breve le fiamme avrebbero illuminato la sua camera.
Draco avrebbe potuto riposare ancora per ore ed ore ma un rumore assordante lo fece svegliare di colpo.
Un pugno picchiava sulla porta di casa e, poiché essa era spalancata, il baccano si era propagato sino al piano superiore.
Draco si mosse meccanicamente e gli occorse un’eternità per aprire gli occhi.
Se li sfregò nervosamente, la stanza sembrava muoversi intorno a lui, si alzò barcollando e si diresse nel salone sottostante.
Appena cominciò a scendere i primi gradini si fermò immediatamente.
Il bussare con forza e insistenza non si era arrestato. Chi poteva essere? Auror? Erano lì per arrestarlo una volta per tutte?
Forse Kingsley si era già stancato di lui e della sua riluttanza. Cercò di allontanare quel pensiero pensando più alle parole di sua madre e... alla promessa di Hermione Granger.
Draco con poco decoro urlò: «Dannazione, sto arrivando!»
Giunto alla porta si rese conto di essere vestito solamente con un banale ed impersonale pigiama grigio ed era persino scalzo. Soltanto in quel momento sentì sotto di sé la sensazione del marmo freddo.
Imprecò pensando alla figura che avrebbe fatto con l’ormai prossimo ospite.
Alla fine fece scattare le mandate della porta ed aprì.
 
«Ti rendi conto di che ore sono, Malfoy?»
Hermione rossa in viso era letteralmente su di giri: i capelli sembravano arruffarsi ogni giorno sempre di più e Malfoy iniziava a domandarsi quando quella ragazza si sarebbe ritrovata un nido di rondini tra i suoi boccoli castani.
Stringeva tra le sue braccia un paio di cartelle blu e svariati fogli erano in bilico e pronti a prendere il volo.
Indossava un cardigan borgogna e sotto di essa una semplice camicia bianca, invece un paio di jeans sembravano allungare la sua statura.
«Cosa diavolo ci fai a casa mia!?» sbraitò Draco, nonostante la sua voce biascicata fosse piuttosto pronunciata.
«Sono quasi le undici del mattino. Fino a quando volevi che ti facessi riposare, vediamo?» gli rispose stizzita.
«Non intendo neanche discutere dei miei orari con te. Non sei mia madre. E questa è casa mia e vigono le regole dei Malfoy.»
«Ossia?» chiese lei con tono di sfida.
«Ossia, le mie regole.»
Hermione scoppiò a ridere fragorosamente e tale comportamento fece diventare livido in volto il ragazzo di fronte a lei.
«Non c’è nulla da ridere, quindi smettila» ma la ragazza continuò imperterrita sino a diventare rossa, e lui con tono più forte la costrinse a fermarsi: «Immediatamente, razza di stupida!»
Hermione si bloccò con ancora i fantasmi di un sorriso sulle labbra che velocemente si tramutò in un digrignare di denti.
«Come sei riuscita ad eludere il cancello? Solo i Malfoy possono accedervi.»
«Malfoy, adesso c’è un lato positivo... ad essere me! Ricorda che adesso sono a servizio del Ministero, e quest’ultimo, se volesse, potrebbe anche entrare alla Gringott. Allora? Mi fai entrare?» domandò infine gelidamente.

Hermione venne fatta attendere da Draco in un salone adiacente all’atrio di ingresso.
La casa a pian terreno sembrava un labirinto di stanze e corridoi, e proprio per questo motivo la ragazza ci pensò due volte prima di alzarsi e fare un innocuo giro della casa.
A  Draco Malfoy occorse un bel po’ di tempo per rendersi presentabile ad Hermione. Indossava una camicia grigio perla ed un elegante pantalone fumé che fasciava le sue gambe.
Hermione non poté che guardare se stessa e ammettere di sentirsi a disagio: sembrava lui l’avvocato e lei la sfortunata da difendere.
Draco si accomodò su un pregiato sofà di pelle posto di fronte a lei, accavallò una gamba sul ginocchio e iniziò ad osservarla.
“A che gioco sta giocando?”, si domandava Hermione, ma quando stava per fargli proprio quella domanda una piccola figura comparve tra loro.
Eltas, il nuovo elfo domestico di Villa Malfoy, elargiva un sorriso smagliante alla ragazza che, compiaciuta, glielo restituì.
Dopodiché l’elfo si voltò in direzione del suo padrone e parlò: «Padrone, cosa devo servirvi? Non avete ancora fatto colazione.»
Il ragazzo rimase immobile nella posizione  precedente, sul viso i suoi muscoli si rilassarono e poi rispose con freddezza: «Non ho più fame, Eltas. E davanti a me ne ho la causa. Ti chiederei anche di avvelenare ciò che ordina ma, ripensandoci, troverei più diletto nel farlo io stesso.»
Hermione guardò di traverso il ragazzo piegando il capo osservando oltre il piccolo elfo di fronte a lei: non riusciva a identificare il tono con cui aveva parlato Malfoy.
Sembrava essere tornata agli anni ad Hogwarts, quando ogni giorno entrambi erano protagonisti di famosi battibecchi.
“Chissà, potrei saltargli addosso adesso e sferrargli un pugno. Magari sull’altro zigomo.”
Hermione però riuscì a sopraffare i suoi istinti omicida e chiese ad Eltas un semplice bicchiere d’acqua e lui scomparve di nuovo rumorosamente.
Sapeva che doveva essere lei a fare la prima mossa, poiché Draco Malfoy sembrava una scultura marmorea e persisteva nel suo silenzio, soprattutto perché doveva essere lei a fare le domande.
La sua nuova posizione glielo imponeva.
Anche se Hermione aveva passato la sua vita ad interrogare chiunque anche a costo di far iniziare delle crisi di nervi agli interrogati che, il più delle volte, erano Harry e Ron.
Respiro profondo, pelle dura e cominciò l’arduo cammino.

«Bene, Malfoy. Ora ti dirò brevemente cosa ti attende quest’oggi. Cerca di ascoltare, capire e di non interrompermi con domande sicuramente stupide ed impertinenti e, soprattutto con offese di vario genere » cominciò lei, per poi fermarsi cercando l’assenso di lui.
Ma questo non arrivò e lei non volle farci caso.
«Non ho ancora avuto il tempo materiale per analizzare il caso, perché ho tanti dati a disposizione che per elencarteli tutti passerebbero delle ore. E questa è una buona notizia...»
Eccola, sospirò Hermione, la prima interruzione.
«Anche l’accusa ha dati a disposizione» constatò lui.
«Malfoy, prima regola: dell’accusa noi dobbiamo fregarcene. Io sono qui per fare il mio lavoro e non per farmi impaurire dal Wizengamot. Andiamo avanti.»
Hermione prese le cartelle che aveva adagiato sul divano accanto a lei e le appoggiò su un tavolino tra i due.
«Un altro lato positivo è che abbiamo molto tempo per prepararci all’udienza. Kinglsey è riuscito a convincere il Wizengamot che il tuo caso è quello più spinoso e delicato e va affrontato per ultimo.
Prima del tuo vanno considerati altri casi: Pius Thicknesse, ad esempio. La Umbridge, Fenrir... tua madre, Lucius, tua zia Bellatrix e altri ancora.»
«Ne mancano alcuni all’appello, o mi sbaglio?» chiese Draco, sapendo già la risposta.
«Certo, ma questo non dimezza il tempo che abbiamo. Non credere che gli Auror stiano nei propri uffici a lucidare le bacchette. Li troveremo, e meglio sarà per te.»
Il ragazzo per la prima volta annuì.
«Non mi addentrerò in ulteriori particolari, per ora» sembrò concludere Hermione finendo di sistemare accuratamente i fogli sul tavolino basso, simili a quelli giapponesi dove sono soliti consumare i pranzi e le cene.
«Sei in grado?» chiese lui, liberandosi da quella posa plastica e rilassando i muscoli.
Hermione fu sorpresa dalla domanda e incerta su come e cosa rispondergli. Aveva il volto abbassato sulle mani incrociate a pugno, ma il suo sguardo era fisso sulla ragazza. Il suo piede picchiettava nervosamente sul pavimento marmoreo.
«Perché mi fai questa domanda?» chiese lei evitando di rispondere in maniera diretta.
«Perché stai difendendo un Malfoy. Sei in grado?» chiese di nuovo.
Fu seccata dalla sua risposta e dal riproponimento della domanda. Non rispondergli avrebbe significato seccarlo ancora di più.
E da un lato credeva che non era quella la sua vera motivazione: “Perché stai difendendo un Malfoy”.
Hermione vide qualcosa di più profondo; di certo non si stava preoccupando per lei.
Sicuramente per la sua pelle. Sì, doveva essere quella la riposta.
«Vuoi che la risposta te la dia la l’avvocatessa Hermione Granger, o Hermione Granger la mezzosangue?»
«L’avvocatessa» tagliò corto lui.
La ragazza si morse il labbro inferiore, dopotutto se lo aspettava. O forse si aspettava troppo.
“Cosa diavolo stai facendo?”
«Sono in grado. Ora, se permetti, devo continuare il mio lavoro e non posso badare alle tue futili motivazioni. Tra l’altro, in grado o meno, io sarò il tuo avvocato e il Ministero non ha intenzione di affidartene un altro, quindi mettiti l’anima in pace.»
Questa volta fu lui ad incassare il colpo.
“Si combatte alla pari”, pensò Draco, questo doveva appuntarselo.
«Quindi come procediamo?» insistette Malfoy
«Oh, ora tocca a te. Io non posso ancora rivelarti come intendo agire, perché mi servirà qualche giorno per pianificare la strategia.»
«In che modo ora tocca a me?» domandò più curioso che preoccupato il ragazzo.
«Ti farò delle domande e tu risponderai. Ti chiederò di cominciare a raccontare la tua vita dal momento in cui i tuoi genitori hanno iniziato ad avere rapporti con Voldemort.»
«I miei genitori? E cosa c’entra con me questo?» chiese irritato.
«Lascia valutare me. Non possiamo permetterci di lasciare tutto al caso. Quindi, Malfoy... ti prego di non esitare.»

Draco si bloccò prim’anzi di iniziare a parlare. Avrebbe dovuto raccontare ciò che non aveva raccontato mai a nessuno? Svelarsi senza freni?
«Nessuno mi ha mai tolto una parola da bocca riguardo il mio passato. E-e-e non vedo perché debba essere tu la prima...» aveva parlato Draco.
Hermione si aspettava un retro front e da un lato non lo biasimava, per un certo verso era simile a lui: i suoi segreti, le sue vicende più buie erano incamerati negli angoli più nascosti del suo cuore.
E nessuno poteva accedervi, a meno che non si forzasse lo scrigno dei suoi ricordi.
«Malfoy, se vuoi avere il mio aiuto, devi collaborare!» gli aveva risposto lei.
«Non capisci» sospirò lui dando scarsa considerazione alle sue parole.
«E allora aiutami a farlo» lo pregò lei.
«Meglio che non forzi la mano. Rischieresti di farti male, Granger» rispose lui regalandole uno sguardo poco rassicurante.
Entrambi distolsero il viso per evitarsi e assunsero atteggiamenti diversi: Hermione fissava gli appunti sul tavolino ma con sguardo vuoto, mentre Draco massaggiava forzatamente il suo mento sentendo il leggero sfregolio della bionda barba rada.
Poi ricomparve Eltas e il suo fragoroso rumore fece sussultare i due: «Chiedo perdono, padrone, non volevo causarle disturbo. Ho portato l’acqua per la signorina...»
«Non preoccuparti per me, Eltas, credo che il tuo padrone ne abbia più bisogno di me» disse lei, scoccando un sorriso ironico a Draco.
«Padrone...» chiese l’innocuo elfo.
«Appoggiala sul tavolo, la berrò dopo. Ho una questione in sospeso con la signorina qui presente. Vai, Eltas, qui hai concluso» e l’elfo scomparve.
Draco non parlò immediatamente, anzi preferì bere avidamente prima l’acqua e, dopo essersi dissetato, lanciò uno sguardo fulmineo ad Hermione.
«Non accetto di essere schernito davanti ai miei inservienti, ci siamo intesi?»
«Certo, qui hai una reputazione da difendere, non è vero?» continuò cruda la ragazza.
«A differenza tua.»
«Draco» cominciò lei, era la prima volta che lo chiamava per nome e anche lui se ne accorse: «Forse tu non hai capito la gravità della situazione vivendo in questa casa, nel tuo bell’universo di lusso, di inservienti e mondanità. Lì fuori tu non hai più una reputazione, e seppure essa dovesse esistere, bhe credimi che l’hai già gettata sotto ai piedi un po’ di tempo fa. Quindi risparmiami la tua lezione di bon ton. Pensa a come salvare la tua pelle e non a come tenere in salvo la reputazione della tua famiglia, che per quella ci pensa tuo padre.»
Hermione si rammaricò per il modo in cui aveva terminato quel discorso, ma non ebbe il tempo di rimangiarsi le parole.
«Non osare nominare mio padre. Mai più.»
Irato, Draco si era alzato e stringeva nella mano destra ancora il bicchiere privo di liquidi.
Hermione poté giurare che lo avrebbe fatto esplodere in mille pezzi, ma evitò di avvisarlo.
Lei intanto con viso fiero e sicuro continuava  a fissarlo con nessuna remora, tuttavia non voleva che Draco esplodesse così lo avvisò e dentro di sé dovette pensò: “almeno lo ritengo più importante di un bicchere.”
«Non volevo insultare tuo padre, rimangio ciò che ho detto. Quindi ti chiedo di riaccomodarti, Malfoy.»
«Non prendo ordini da te in casa mia, Granger. Anzi, alzati tu ed esci immediatamente da questa casa, e guai a te se farai ritorno!» sbraitò Draco.
«No» rispose lei con tono deciso.
Draco rise, ma con un’intonazione malata. Non c’era gioia sul suo volto.
Hermione lo percepì: stava perdendo di mano la situazione.

“Più sapete di lui, e più siete vicino alla vittoria. Alla vostra vittoria.
Quanto può essere ancora più appagante? Quanto vi sentirete ancora più vivi, nell’aver messo in salvo un innocente... perché alla fine di tutto, avrete imparato a conoscerlo, e avrete saputo che lui è davvero innocente. Mostratevi abili, amabili e stimabili. Ormai conoscete la legge, le procedure, la gerarchia giuridica. Da adesso, però, imparate a conoscere l’uomo.”

Le parole di Ogden balenarono nella mente di Hermione senza che lei se ne accorgesse.
Bob probabilmente aveva ragione, e lei aveva dissentito con quelle parole credendo che arrivare a conoscere una persona apporti dei vantaggi così come degli svantaggi.
Qual era lo svantaggio di conoscere Draco Malfoy? Davvero dietro i suoi ricordi si celava un’anima vile e tetra?
Poi parlò e non seppe da dove spuntò quel coraggio: «Draco, se mi mandi via ora, sappi che non ritornerò. Andrò da Kingsley e gli dirò che sei troppo codardo e stupido per prenderti le tue responsabilità. Troppo debole. Gli dirò che ho provato di tutto per convincerti, ma sarebbe più facile insegnare a un troll a parlare. Mi dispiace, credevo in te.»

Hermione raccolse velocemente i fogli e li spinse con foga nei raccoglitori evitando qualunque forma di ordine.
Apparve di nuovo l’elfo e si rivolse ad entrambi: «Eltas ha portato ai signori dell’ottimo idromele scozzese!» esclamò entusiasta.
«Grazie mille, Eltas, ma ancora una volta devo declinare. Tuttavia la tua è stata un’ottima iniziativa, al signor Malfoy serve proprio qualcosa di forte per rinsavire e per cercare di capire qualcosa della sua complicata vita.»

Con passo elegante Hermione si allontanò da loro sorridendo amichevolmente all’elfo, mentre riservò uno sguardo carico di compassione e amarezza a Draco.
Draco non ebbe neanche il tempo di girare il suo volto, che la ragazza si era dileguata fuori dalla porta che rimase leggermente schiusa.

Dopodiché il bicchiere esplose tra le sue mani e il denso sangue cominciò a scivolargli tra le dita, anch’esse in alcuni tratti ferite.
«P-p-padrone, la sua mano!»  intervenne Eltas.
«Fuori» intimò invece Draco che, evitando l’elfo, si mosse successivamente in direzione della sua camera.
Fece spalancare la porta con un calcio per non appoggiare la mano ferita alla maniglia e con passo veloce andò nel baglio contiguo. Aprì la fontana e cercò di riprendersi esponendo la ferita al freddo getto d’acqua corrente. A quel punto però il dolore divenne lancinante e minuscoli pezzi di vetro fuoriuscirono dalle lacerazioni frastagliate lungo il polso.
Poi prese un asciugamano, lo strinse con forza intorno alla mano e si sedette sul bordo della vasca marmorea.
Respirava affannosamente e dovette notare che la fronte era diventata lucida per il sudore.
«Stupida, sfacciata, Granger» sibilò il ragazzo.
«Se crede che io faccia tutto quello che mi comanda, si sbaglia di grosso. Ho passato una vita a non farmi mettere i piedi in testa da quella mezzosangue» disse sputando l’ultima parola: «E non inizierò di certo ora. Lei e Kingsley non hanno di fronte un idiota. E-e-e come osa chiamarmi codardo! Come osa! I-i-io non sono mio padre!»

Nessuno era lì ad ascoltarlo e questo lo rincuorò: le sue, dopotutto, sembravano le scuse di un bambino troppo grande e troppo immaturo, ma anche questo glielo aveva ricordato Hermione.
Ma una cosa più di tutte lo aveva turbato e stentava a credere che fosse stata detta.

“Mi dispiace, credevo in te”



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NOTE DELL'AUTORE
Ringrazio ancora una volta Faenna per aver betato questo capitolo (e non è stato facile fidatevi) e per avermi dato consigli per i capitoli successivi.
La frase di Oriana Fallaci (che ho iniziato ad amare dopo aver letto "La rabbia e l'orgoglio") è un chiaro riferimento a Draco e alla sua resa.
Rimanda a questo tema anche il titolo, che per la seconda volta è in inglese. Questa scelta è stata dettata dalla musicalità, niente di più.
Non mi resta che dirvi: "Al prossimo capitolo!"
 

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Capitolo 22
*** Nei grandi giorni. Nei giorni di tormenta. ***


NEI GRANDI GIORNI. NEI GIORNI DI TORMENTA.
 
 
"Il nostro dovere è quello di essere utili, non secondo i nostri desideri, ma secondo le nostre forze." - Henri-Frédéric Amiel
 
Hermione stava risalendo in maniera rapida l’ampia scalinata che l’avrebbe fatta accedere all’ufficio del Primo Ministro. Quella mattina non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi al Ministero, anzi voleva svegliarsi con la piena volontà di iniziare a documentarsi su quello che ormai per lei era diventato il “Caso Malfoy”. Nonostante l’atteggiamento ostile di Draco, Hermione non poteva che andare avanti imperterrita e sicura di sé, doveva dimostrare a lui di che pasta fosse e che, dopo gli anni ad Hogwarts, era ancora lei quella ad avere la situazione in pugno.
Tuttavia il karma serbò alla giovane il destino opposto: alle ore otto e trenta minuti una lettera sbucò da sotto la porta di ingresso di casa Granger: il Ministro in persona chiedeva con urgenza la sua presenza in Ministero, di lì a venti minuti.

Hermione sperava in cuor suo che il motivo fosse realmente valido. Odiava posticipare i suoi impegni o declinare gli imperativi, ovviamente categorici, che si imponeva ogni giorno.
Quella mattina il tragitto le sembrò più lungo e tortuoso del solito, le scale sembravano essersi triplicate, le porte, a giudizio di Hermione, sembravano aver preso vita come le scale di Hogwarts e parevano essersi mosse a loro piacimento.
Ma fortunatamente prima che potesse imprecare qualche sortilegio in nome di Morgana, Hermione giunse davanti all’ufficio del Ministro.
La segretaria, Samantha, le degnò un misero sguardo arcigno, le due guardie dietro di lei avevano occhi fissi nel vuoto, come a perlustrare uno sconfinato campo posto di fronte ai loro occhi.
Hermione consegnò alla donna la lettera scritta di pugno da Kingsley: la procedura venne conclusa nel silenzio più totale.
Appena Hermione superò le guardie ministeriali le arrivarono alle orecchie due sorde ma differenti voci. Il Ministro non era da solo. Aveva già in mente il piano d’azione qualora l’altro presente fosse Draco Malfoy.
Avrebbe schiantato il ministro contro la parete più robusta dell’ufficio ed avrebbe polverizzato il secondo. Come sarebbe uscita indenne ancora non lo aveva pianificato.

Per sua sfortuna, o fortuna, l’altra voce apparteneva a Tiberius Ogden, e un po’ si vergognò di non averla riconosciuta.
«Eccoti signorina Granger, iniziavo a temere che ti fossi persa» aveva iniziato Ogden. Mentre Kingsley fu più accondiscendente: «Vieni, accomodati» disse alzandosi dalla sua comoda poltrona di pelle nera.
«Scusate il ritardo, ma di certo non mi aspettavo “un’udienza” così a sorpresa. A cosa devo l’onore?»
Ogden era seduto alla sua destra, il Ministro ancora in piedi non sapeva esattamente se concentrarsi su Ogden o su Hermione. Poi optò per il primo, suggellando quello che doveva essere uno sguardo intimidatorio.
Prendendo al volo il silenzioso suggerimento, Ogden accavallò la gamba sinistra con una grazia che non gli apparteneva e girò il volto incrociando gli occhi curiosi e nervosi di Hermione.
«Ebbene, com’è andato il primo giorno di scuola?» chiese, con un tono che la giovane non seppe identificare se ironico o assolutamente beffardo come a schernirla.
Hermione represse un soffocato istinto omicida, abbassò il capo e le labbra subirono un involontario movimento incurvandosi all’infuori facendo assumere al volto della ragazza uno sguardo serioso o, forse, piuttosto pericoloso.
Sospirò pesantemente rialzando la testa e sorridendo sia in direzione del Ministro che del suo ormai ex istruttore: «Sapete, sono del modesto parere che la presunta amicizia che dovrebbe legarci possa assolutamente andarsi a farsi fottere. Sono stanca di essere considerata come una stupida bambina alle prime armi che tenta inutilmente di fare qualche inutile incantesimo. Non sono un membro del Wizengamot, non sono pagata da voi, non sono una vostra collega, non sono una vostra spia o informatrice. Ho una dignità, ho una professionalità da rispettare e soprattutto il dovere di comportarmi nella maniera più giusta e consona nel rispetto e nella privacy del mio cliente e-» ma a quel punto fu bruscamente interrotta da uno spaventato Ogden.
«C-certo Hermione, non avevamo assolutamente nessuna intenz-.»
«Taccia e mi lasci concludere. Mai e dico mai avrò un’altra discussione del genere. Mai avrete informazioni dei miei presunti progressi o delle mie infamanti sconfitte col caso Malfoy. Voi mi avete affidato il caso e sono onorata di questo, ma non posso assolutamente coinvolgere nessun’altro se non Draco stesso. Non considerate le mie parole e le mie azioni come indegne, ritenetele soltanto giuste e precauzionali. Lo faccio nel rispetto del mio lavoro, della mia posizione, del mio assistito e del Ministero stesso.»

Dopo queste parole di fuoco rimasero tutti in silenzio come se aspettassero, da un momento all’altro, che qualcuno arrivasse in quell’ufficio gridando che nulla era mai realmente accaduto e che potevano stringersi la mano e ricominciare da capo.
Kingsley ovviamente aveva capito, nonostante tutto, che aveva sbagliato ad agire in quel modo. Aveva parlato Ogden certo, ma l’idea era stata sua. Cosa credeva di ottenere? Soprattutto dopo un giorno? Ora si era immaginato in un angolo di casa sua, illuminato soltanto dalla calda luce del suo camino, con un bicchiere di vino appena bevuto e con il suo sapore ancora palese sulle sue labbra, strofinandosi le mani come il più osceno e turpe degli strateghi. Era realmente lui?
Dunque, per scacciare via quella angosciante visione, il Ministro decise di rompere il silenzio: «Tiberius, posso chiederti gentilmente di lasciarci da soli? Parleremo più tardi.»
Ogden ancora visibilmente tramortito si alzò velocemente, fece un intimorito doppio cenno di “sì” col capo, dopodiché guardò Hermione con sguardo sconfortato, umano, non da lui: «Io… mi dispiace Granger, non dovevo parlare in quel modo.» Poi uscì, e prima di scomparire dietro l’infisso di mogano scambiò un’ultima battuta dicendo: «Sono fiero di te.»
Il rumore della porta fu sordo, ma non indelicato. Lasciò i due con i loro personali pensieri, subito però da accantonare.
Kingsley si alzò e si girò di spalle, di fronte a lui un meraviglioso panorama si estendeva dominante: aveva ai suoi piedi la Londra babbana, il London Eye, il Big Ben e il Palace.
Hermione vide che si stava massaggiando nervosamente la porzione di pelle tra la guancia e il mento, poteva riuscire a percepire lo sfrigolio della mano con la barba rada dell’uomo.
«Posso farti una domanda, Hermione?»
Il tono era pacato, la ragazza non poté esimersi dall’avvertire una nota di pura rassegnazione.
«Certo, Ministro» rispose sicura, non voleva perdere il vantaggio accumulato precedentemente.
Ora, ciononostante, si sentì un po’ calcolatrice, un po’ meno se stessa. Probabilmente Ogden le avrebbe fatto i complimenti anche per questo suo nuovo modo di rapportarsi e di ragionare.

«Hai mai dubitato delle mie possibilità, come Ministro intendo?»
«Non credo di essere la persona giusta alla quale fare questa domanda. Con tutto il rispetto che ho anche verso me stessa, ma non credo di ricoprire un ruolo politico così influente da poter consigliare o dare una risposta del genere. Eppure so che non immaginerei qualcun altro al suo posto.»
Hermione stava considerando la sua risposta un po’ troppo convenzionale e diplomatica, ma davvero non credeva di essergli d’aiuto in quel caso.
«Una cosa è certa. Credo di aver superato il limite in questo caso, mi sono lasciato troppo prendere da qualcosa che oggettivamente non dovrebbe competermi. Sì, lo hai detto tu stessa che io ti ho procurato l’assistito, ma il mio lavoro sarebbe dovuto concludere lì. Invece sono andato avanti come se non mi fidassi di te, quindi perdonami se in qualche modo, in questo modo, ti ho ferita. Temo che tutta questa pressione non riuscirò a sopportarla fino alla fine dei giochi.»

Hermione non aveva mai visto Kingsley così aperto, così preoccupato. La sua voce atona rendeva ancora più incomprensibile quel momento. Non era sicura che quell’uomo non fosse in grado di tenere in pungo la situazione e peggio ancora i suoi sentimenti, però credeva al fatto che un po’ l’aveva deluso. Lo aveva sempre considerato un uomo fermo, incorruttibile. Forse aveva ragione, aveva perso il timone della situazione e stava giungendo inesorabilmente tra gli scogli.

«Fa' ciò che più reputi opportuno, Hermione. Se hai bisogno di consigli io e Tiberius siamo a tua completa disposizione, se ti occorrono fondi oppure fascicoli di ogni genere non preoccuparti a bussare alle nostre porte. Faremo in modo che tu possa realmente perdonarci e fidarti di noi.»
«Ministro, Kingsley, non devi assolutamente preoccuparti, non ho mai smesso di fidarmi di voi, tanto meno non occorre adoperarsi in questo modo per il mio perdono perché entrambi lo avete già ottenuto. Sono delusa, questo è vero, ma fino a prova contraria ciò avviene per le persone verso le quali si nutre affetto e fiducia. Il lavoro che mi aspetta è lungo, tortuoso, difficile se non impossibile, quindi è inutile che tu voglia caricarti di altri pesi inutili. Hai tantissimo lavoro di cui occuparti, e non c’è soltanto Draco Malfoy a dover preoccuparsi del processo.»

«Molto bene, Hermione. Però prima di congedarti dobbiamo parlare di un’ultima cosa. Dobbiamo rendere nota questa cosa, più tempo lo teniamo all’oscuro al Ministero e agli inglesi, più potrebbe diventare una bomba ad orologeria e con tutto il rispetto, ma non voglio schiantarmi per paura che qualcuno lo possa scoprire prima che venga rivelato ufficialmente.»
«Dammi una data» rispose sicura Hermione, che ormai aveva si era vestita totalmente in panni istituzionali.
«Domani.»
Hermione si rilassò lungo lo schienale morbido della sua poltrona, piegò il capo leggermente alla sua destra e si portò le mani alle labbra. «Continui a darmi sempre molto preavviso come noto» rispose ironica, ma con tono leggero, dimenticandosi almeno per il momento del diverbio precedente.
Così detto Hermione si alzò elegantemente,  strinse la mano a Kingsley e si scambiarono entrambi uno sguardo d’intesa significativo, dopodiché lei uscì e lasciò l’uomo a riflettere ancora una volta. Poi picchiò il pugno sul tavolo energeticamente con le nocche due volte, facendo risuonare l’anello all’impatto con il duro legno, in puro segno di approvazione. Non poté fare che un’ultima chiamata: «Samantha, rintraccia Narcissa Malfoy, in serata voglio incontrarla. Decide lei dove, come e quando.»
 


Kamëz – Albania

Quella casa diroccata fu sino a quel momento l’unica ambigua forma di fortuna. L’aspetto esterno sconsigliava i possibili visitatori a tenersi alla larga da essa: sembrava reggersi in piedi per chissà quale strana legge fisica. Ricordava vagamente La Tana dei Weasley, sicuramente meno accogliente, meno familiare, meno calda ed umana. La giusta dimora provvisoria di Lucius Malfoy.
Aveva appena finito di cenare con un insulso pasto fattosi recapitare da una locanda poco lontano dalla casupola. L’uomo decise di dedicare la sua libera serata intrattenendosi con la lettura di vari giornali della settimana, con la fortuna di conoscere l’incantesimo per tradurre testi non propriamente inglesi.
Si spostò, dunque, in quello che una volta doveva essere un semplice ma delicato salotto babbano. La temperatura era piuttosto bassa così accese il camino, non preoccupandosi di suscitare curiosità nel far vedere che da quella casa, da chissà quanto tempo abbandonata, fuoriuscisse fumo dal comignolo.
Si sedette su un vecchio e logoro divano dove da più punti si intravedevano pezzi di stoffa strappati, strati di spugna che sbucavano, innumerevoli livelli di polvere annidati in ogni minuscolo spazio.
Così prese il primo giornale.

Venerdì 23 Ottobre 1998.
INTERVISTA AL POTERE, un articolo di Rita Skeeter.

Come poter meglio dissipare ogni dubbio, ogni preoccupazione, ogni possibile traccia di insicurezza del singolo cittadino babbano o non, circa i fatti che intercorrono tra le aule del tribunale del Wizengamot e quelle ancora più segrete dei piani alti del Ministero?
L’unica soluzione possibile che sono riuscita a trovare per far sì che voi, miei carissimi e amati lettori ed illustri portavoce della verità, fosse quello di interrogare, o meglio (fatemi addolcire il termine) quello di intervistare proprio il nostro Primo Ministro che dovrà, purtroppo, rispondere a molte accuse mossegli da più parti e su più fronti.
Si tratta pertanto di una grandissima esclusiva che solo la Gazzetta del Profeta poteva riuscire ad ottenere.
Ho incontrato il Ministro nel suo ufficio e nel via vai generale, anzi, lo definirei universale, sono riuscita qui a riportare le dichiarazioni più importati. Non sono frutto di insulse e inappropriate estrapolazioni, ciò che vi è destinato è il frutto del mio duro lavoro di giornalista-reporter.

Il disgusto che Lucius provava per quella donna non era minore di quello che serbava il resto del popolo magico, tuttavia era realmente curioso di vedere in che modo la donna avesse manipolato l’intervista, quindi decise di continuare, anche un po’ divertito.

Buongiorno, Primo Ministro.
-Buongiorno a lei, signorina Skeeter.

Direi che potremmo saltare i preliminari di convenevoli, siamo entrambi molto indaffarati e sicuramente  non interesserebbe ai nostri lettori. Quindi direi di iniziare subito con alcune domande che si sono posti i lettori e me tra loro. Perché sin dall’inizio ha sostenuto una campagna di ringiovanimento e rinvigorimento del Ministero, per poi cadere su scelte come Tiberius Ogden?
-Secondo la mia modesta opinione, signorina Skeeter, per fare bene il proprio lavoro e per ottenere determinati risultati è obbligatorio affidarsi ad uomini con valide esperienze sul campo e fuori da esso. Ciò non vuol dire che la mia “campagna”, come lei l’ha definita sia andata a farsi benedire, soltanto che in questo momento ho bisogno di affidabilità, di competenze.

Ciò vuol dire che non c’è nessun giovane capace, Signor Primo Ministro?
-Non è ciò che ho detto.

Ha chiaramente più volte sottolineato in quest’ultimo periodo l’importanza di ottenere successi. Ora, mi perdonerà, ma la “mia modesta opinione” mi spinge a chiederle se davvero ne avete avuti?
-Non penso ci sia una labile differenza tra ciò che per ora abbiamo ottenuto e il fallimento. Sono sicuro che si può fare ancora di meglio, questo è ovvio.

Quindi non sempre l’esperienza paga?
-L’esperienza e risultati che ne conseguono si vedono a lungo raggio, non nell’arco di pochi mesi. Devo affermare che ogni singolo uomo o donna che lavora in questo palazzo abbia scelto come filosofia lavorativa e spero anche di vita, quello di adoperarsi nella trasparenza, che sicuramente è mancata dal governo Caramell  in poi.

Allora è difficile lavorare con una voragine così ampia? O sta cercando soltanto di screditare un uomo che ha servito fedelmente il suo Paese per non far ricadere la colpa sulle sue spalle?
-Credo che lei abbia frainteso e non credo sia la prima volta. Ma le risponderò anche in questo caso. E la risposta è un categorico no. Non è difficile lavorare con questo genere di passato e no, non scredito nessuno per il puro piacere di farlo. Caramell ha avuto i suoi meriti, così come le sue colpe.

E la sua colpa?
-Probabilmente aver accettato di presenziare a questa intervista. Tuttavia sono franco e ammetto che probabilmente sto mettendo soltanto il 30% di me stesso. Ma rimedierò e questa è una promessa che intendo fare qui davanti a lei.

Ebbene, cari lettori. Avete letto proprio bene e sono sicura che anche voi vi starete massaggiando gli occhi. Abbiamo approfondito ancora di più l’ambigua personalità di Kingsley Shacklebolt e di certo non credo di essere contenta di averlo fatto, ma considerate questo gesto come puro atto di magnanimità nei vostri confronti.
È stato schietto? Avrà detto la verità? È difficile sapere considerando che metà del tempo passato con lui l’ho sfruttato nel mero tentativo di percepire qualche passo falso. E ne ho notati, e non pochi.
Può cavarsela così apertamente proclamandosi come nuovo legislatore aperto all’innovazione per poi muoversi nella direzione opposta? E perché così tanti ritardi per le udienze? Che fine hanno fatto i grandi nomi da sbattere fino alla fine dei loro giorni ad Azkaban? Cosa ci sta nascondendo di così misterioso? E soprattutto, dove sono gli ultimi fuggiaschi della Guerra?

Oh, siate consapevoli di una cosa.
Lo scoprirò, e voi, soltanto voi giudicherete quella verità
Al prossimo appuntamento,
con affetto,
Rita Skeeter.

 
 
Erano le dieci di sera. Narcissa aveva promesso a Kingsley che si sarebbero incontrati di nuovo nel suo ufficio poiché finalmente era possibile giungervi tramite la metropolvere. Tuttavia non era ancora arrivata e non sapeva se era in ritardo o lei pensava di arrivare con troppo anticipo. Era lì dalle otto di mattina e non sopportava l’idea di tornare a casa troppo tardi anche se, era palese, non c’era nessuno ad aspettarlo.
Decise che fino a quel momento dovesse rilassare i muscoli e le membra, quindi si diresse alla sua scrivania aprì l’ultimo cassetto e tirò via da questo una scatola in legno caratterizzata da eleganti e finissime intarsiature. I bordi erano evidenziati preziosi filamenti in oro. Era antica ma lo stato in cui era mantenuta non lo faceva presupporre. L’aprì per la prima volta e notò che sopra ad una pellicola opaca, che copriva e proteggeva il contenuto, vi era un biglietto. Appoggiò momentaneamente la scatola sulla scrivania ed aprì il foglietto ripiegato con cura e lo lesse con tono normale, non che si preoccupasse che qualcuno potesse sentirlo, dopotutto il Ministero era deserto.

 
Nei grandi giorni.
Perché alla gloria segue la dedizione.
Perché alla dedizione segue il sacrificio.
Perché al sacrificio segue il sudore.
Perché al sudore segue la ricompensa.
Perché alla ricompensa segue la consapevolezza di essere chi hai deciso di essere.
Nei giorni di tormenta.
Perché prima di vincere devi combattere.
 
P.S. Sono sicuro che aprirai questa scatola quando io non ci sarò più, quindi ricordami di essere stato anche qualche volta gentile e magnanimo con te, anche se preferivo le api frizzole.
 Albus Silente
 

«Vecchio pazzo» disse sorridendo.
Perché pensava che quell’uomo avesse scritto quelle parole pensando proprio alla sua attuale situazione.
Ci aveva sempre visto lungo, aveva sempre calcolato ogni minima mossa, previsto scontri, difficoltà, dissensi e ancora una volta si sentiva messo a nudo da un uomo che era morto quasi due anni prima.
Stava per sollevare la carta e scoprire il misterioso contenuto, ma quando fu sul punto di farlo, ecco che comparve Narcissa Black in un lampo verde smeraldo.
Indossava un elegante tubino bordeaux, un colore che generalmente non si adattava ai Malfoy, ma dovette ricredersi, ricordando che erano cambiate un paio di cose. Lo indossava con grazia come se fosse stato cucito sul suo corpo, il colore scuro e ambrato cadeva in perfezione con la sua pelle diafana. Le copriva le spalle una pelliccia nera che lambiva i gomiti.  Sguardo sicuro ma indagatorio e sembrava neanche fare caso alla bottiglia di Porto che stingeva tra le sue mani. Il colore scuro ma al tempo stesso dorato era inconfondibile e per quanto Kingsley non capisse il perché di quell'apparente regalo, non poté fare a meno di sentirsi sollevato.

Narcissa comprese che l’uomo di fronte a lei stava osservando proprio ciò che impugnava e sorrise compiaciuta: «Allora è vero che l’uomo apprezza sempre un buon vino ad una donna.»
«Dipende dal vino in questione» rispose Kingsley andandole incontro e stringendole la mano con delicatezza.
«Ho pensato che avresti apprezzato considerando la mole di lavoro e impegni che hai. Considerata anche quell’arpia» concluse chinando il capo in direzione della Gazzetta aperta proprio sulla pagina dell’intervista della Skeeter.
«Direi che le testate giornalistiche sono l’ultimo dei miei problemi, sfortunatamente.»
«Allora direi che possiamo stappare, non credi?» chiese con tono alquanto retorico la donna.
Il Ministro fece gesto con le mani in modo da esplicitare la sua benedizione, ma quando vide che Narcissa aveva impugnato la sua bacchetta la bloccò: «Ehi, ehi, ehi. Che intenzioni hai? Intendi aprire una bottiglia di Porto con la tua bacchetta? Spiegami, dov’è la poesia?»
Narcissa aggrottò le sopracciglia ed aprì la bocca con un movimento non propriamente suo, sembrava sconvolta e al tempo stesso incuriosita.
Kingsley sollevò la mano ed alzò l’indice facendo una smorfia, chiuse gli occhi come per voler ricordare qualcosa e poi bisbigliò qualcosa. «Kingsley, ti senti bene?»
A quel punto l’uomo tirò fuori dal secondo cassetto un cavatappi in argento. Come fosse possibile non lo sapeva neanche Narcissa, che disse: «Immagino di dover venire più spesso nel tuo ufficio» dopo di ciò gli consegnò la bottiglia e lasciò che il sordo e breve rumore dello stappo echeggiasse nella stanza.
Narcissa fece comparire con l’ausilio della bacchetta due calici. Poi bevvero.

«Immagino ci sia una ragione chiara per cui tu mi abbia fatto chiamare. E non sempre mi dai belle notizie Kingsley, dimmi semplicemente che adesso è giunto il momento che me ne riserverai una di quelle» iniziò la donna dopo un paio di brevi sorsi.
Egli appoggiò delicatamente il calice sulla scrivania e lo allontanò un po’ da sé, così che potette appoggiare i gomiti. «Ho paura di no. Tuttavia ti ho detto di peggio. Domani verrà annunciata la notizia di Draco.»
Narcissa bevve profusamente l’intero liquido ambrato, sentiva il dolce sapore dell’uva esploderle in bocca, si congratulò con se stessa per averlo scelto e dovette ricordarsi che non avrebbe mai fatto toccare la cantina a Lucius. «Immaginavo giungesse questo momento, infatti mi domandavo quando sarebbe successo. Sinceramente mi aspettavo un po’ più di preavviso.»
«L’ho deciso stamane e ho voluto comunicartelo soltanto ora perché non voglio che tu appaia da nessuna parte. Non voglio che tu parli con qualcuno o comunichi all’esterno in nessun modo. Hermione ed io faremo questo comunicato domani e se conosco Hermione abbastanza da poterlo affermare, sono sicuro che vorrà far comparire Draco al suo fianco.»
«Ma lui non lo sa!»
«Mentre noi siamo qui probabilmente Hermione sarà arrivata a Villa Malfoy.»
Narcissa abbassò il capo e si portò una mano alla bocca, stava riflettendo o forse, più probabilmente, stava ricreando il possibile scenario che si sarebbe palesato il giorno seguente.
Lei doveva esserci. Per lui. Non poteva abbandonarlo lì, su chissà quale piedistallo che si sarebbe in un istante trasformato in un immondo patibolo.
Non poteva, non doveva permetterlo.
«Non posso accettare.»
«Devi. Non voglio sentir ragione, Narcissa. Ti sei affidata a me ed io ho accettato di aiutarti nell’unico caso in cui tu mi avessi dato carta bianca. Non hai sollevato remore di alcun tipo neanche quando ho scelto la signorina Granger. Non vedo perché tu debba farlo ora.»
«Non sono la tua marionetta, signor Primo Ministro» rispose accigliata lei, avvicinandosi col busto in avanti.
«Non l’ho detto e non l’ho mai pensato. Sto facendo tutto il possibile per far sì che ogni azione venga calcolata senza margini di errore.»

«Pensi che non farai errori Kingsley? Oh, ne hai già commesso uno. Credere che io accetti questa condizione. Trova un’altra soluzione e questa volta non ti sto pregando.»
«Non ne vedo altre. E non intendo cercarle perché devo dare modo a una madre di stare col fiato sul collo di suo figlio. Pensi di poterlo aiutare in questo modo? Avrà alla sua destra il suo avvocato che, ti ricordo, è stata fondamentale per la caduta di Voldemort e alla sua sinistra il Primo Ministro.
Credi che a qualcuno importi che tu sia lì?»
«Importa a me! Importa a mio figlio! E non osare dire cosa è meglio per lui, non lo conosci e non sai come ci si sente ad essere soli contro tutti!»
«Vuoi capire una volta per tutte che non lo è? Vuoi capire che c’è chi riesce a guardare oltre al fatto che il suo cognome è Malfoy?»
«Sei un dannato illuso se credi a questa falsa utopia sociale.»
Narcissa si portò i palmi delle mani alle tempie come se volesse comprimere tutta la rabbia che aveva accumulato. Ne aveva avuta abbastanza.
Così facendo, si alzò e indirizzò minacciosamente l’indice contro di lui: «Farai bene a pensare a ciò che ti ho appena detto. Hai la mia opinione e non intendo sostituirla, quindi fai un passo indietro, ragiona lucidamente e comportati di conseguenza, Shacklebolt.»
Poi sparì di nuovo tra le brillanti fiamme verdi.

«Non mi lasci altra scelta, Black» sospirò con un filo di voce Kingsley.
 
 
Hermione scivolò via dal taxi  velocemente per incamminarsi verso la tenuta Malfoy. Constatò nervosamente che aveva iniziato a piovere e che non aveva nella sua borsa incantata nemmeno un misero ombrello, ciò significava che avrebbe dovuto accontentarsi del suo impermeabile grigio antracite.
Cominciò a percorrere il lungo sentiero ciottolato difeso ambo due lati da alte siepi scure che rendevano impossibile anche solo immaginare cosa ci fosse oltre.
Ormai era sera inoltrata, non vi era alcuna fonte di luce se non quella flebile della luna offuscata da inquietanti e grigie nuvole. Tuttavia il palazzo si avvicinava sempre di più, incombente come sempre.
Mai aveva immaginato che avrebbe percorso quella strada con tanta sicurezza. Ed ora eccola, pronta ad affrontare per l’ennesima volta Malfoy, sperando vivamente in un esiguo miglioramento.
Mancavano una decina di passi all’arrivo del portone principale quando si scatenò un tempestoso e frenetico nubifragio. Hermione strinse a sé la cartella ed incominciò a correre il più velocemente possibile pregando con tutto il corpo e l’anima che non cadesse sulla pietra lucida.
Poi fortunatamente giunse a destinazione, riparata dal marmoreo porticato che emanava una luce propria.
Inutile darsi un’aggiustata o quanto meno salvare il salvabile, quella era una visita di lavoro e non si sarebbe giustificata per il suo aplomb non consono a quella casa.
Picchiò con determinazione il batacchio due volte, dopo di che attese.
Si aspettava di doversi presentare a qualche maggiordomo o elfo, ma fu proprio Draco Malfoy che comparve dietro l’infisso color noce di Villa Malfoy.
Si presero entrambi alla sprovvista ed erano sicuri di due azioni rapide e brusche: ad Hermione salì l’insana tentazione di tornare sui suoi passi e scappare il prima possibile con la scusa che sarebbe tornata domani, mentre Malfoy le avrebbe gentilmente sbattuto la porta in faccia.

Ad ogni modo ciò non accadde.
«Come mai qui?» esclamò Malfoy turbato e chiaramente infastidito.
«Perdonami se mi sono precipitata qui in questo insolito orario, purtroppo devo parlarti ed è davvero importante, altrimenti avrei posticipato a domani…» rispose lei tenendo ancora aperta la discussione.
«Sei bagnata fradicia, Granger. Credi che possa farti entrare in casa mia conciata così?» la derise lui.
Hermione sbuffò con rabbia e non come una volta a scuola, quando aveva imparato ad evitare le sue frecciatine ed offese. Questa volta non sarebbe andata via, non avrebbe girato le spalle né avrebbe evitato di ascoltare. «Malfoy, non siamo ad Hogwarts. Posso farti confiscare questa casa stanotte stessa, quindi sì, mi farai entrare in qualunque condizione io mi trovi. E tra l’altro, complimenti per la tua signorilità, tuo padre di sicuro ti ha insegnato le buone maniere.»
Pensava di averlo colpito basso, ma si rese conto che non gli aveva fatto del male. Sembrava preparato, come se attendesse quel duello da una vita, probabilmente dopo il primo diverbio il giovane aveva affrontato delle lezioni private sul come affrontare Hermione Granger in uno scontro verbale. Hermione però non si sentì svantaggiata, quella lezione l’avrebbe imparata ancora una volta.
Lui continuava a fissarla, aspettando che la ragazza esplodesse, ma sembrava mantenere piuttosto bene il controllo.
«Ho capito, Malfoy. Non possiamo affrontare un argomento importante come questo quando mamma Narcissa non è con te. E va bene, cercherò di essere più materna possibile, okay?». Aveva fatto breccia.
«Divertente, Granger. Ho più possibilità io di uscire vivo da questa pagliacciata processuale che tu di diventare materna o, peggio ancora, madre.»
«Se sei stato creato con l’inutile dono della parola, non vedo perché io non possa procreare. Malfoy non intendo ripeterlo, prima che io possa usare la forza. Tanto lo sappiamo entrambi che anche senza bacchetta ti ritrovi un naso rotto, no?»
Sapeva che stava alzando i toni della contesa e di certo successivamente avrebbe trovato ancora più ostacoli, ma in quel momento era fondamentale riuscire a rientrare in quella casa, considerando il modo col quale ne era uscita.
Draco grugnì in un modo piuttosto insolito e sparì dietro la porta, lasciandola aperta ad Hermione che tirò un sospiro di sollievo.
Lo seguì silenziosamente, aspettandosi di muoversi in direzione dell’ampio e bellissimo salone dove si erano affrontati l’ultima volta, tuttavia capì che l’itinerario di viaggio le era nuovo ed infatti si trovò in quella che doveva essere la sala bar.
Hermione capì che Draco si trovava in quella stanza quando aveva fatto irruzione in casa sua: il camino era acceso e la stanza si era riscaldata per bene, tanto da farle nascere il desiderio di disfarsi del pesante impermeabile. Quella camera aveva una forma piuttosto irregolare: lunga e stretta, ma particolarmente elegante ed accogliente, del resto come tutta la dimora.
Le pareti erano in pietra e tanto le ricordò la Sala Comune di Grifondoro, se non fosse stato per la presenza di numerosi oggetti appartenenti al campo semantico dei  Serpeverde e della famiglia Malfoy.
Al centro della sala, a pochi passi dalla postazione bar, vi era una scrivania elegantissima caratterizzata da un particolare legno rosso.

Draco la distolse dalla contemplazione di tutti quei particolari invitandola a sedere sui divani posti dinanzi al camino che era piuttosto monumentale: alto quasi quanto tutta la parete.
Hermione si accomodò aspettando che lo facesse anche Draco, ma questi tornò indietro.
Pochi istanti dopo però ricomparve con un bicchiere di latte in una mano, che offrì silenziosamente ad Hermione, mentre nell’altra stringeva un piccolo bicchierino in cristallo finemente lavorato che conteneva assenzio.
Malfoy si tenne a debita distanza sedendosi sull’altro divano e dopo aver bevuto il liquido tutto d’un sorso, si concentrò a fissare mestamente la ragazza.
«Ti ringrazio» iniziò Hermione sollevando leggermente il bicchiere di latte. «Mi aspettavo che alla porta comparisse Eltas, o qualcun altro…» poi continuò.
«La sera sono liberi, fino a un certo punto» intervenne lui «Da quando mamma crede di avere un’anima abbastanza sensibile.»
«Magari è vero» lo corresse Hermione.
«Magari ha soltanto la coscienza sporca» concluse lui.
«Non pensi di essere troppo esigente con lei? Troppo cattivo?»
«Non pensi che dovresti farti gli affari tuoi? Non sei venuta qui per conversare, nessuno dei due ne ha intenzione.» Era freddo, di una freddezza che colpì Hermiome, aveva quel modo di parlare che le era nuovo, che non sapeva come considerarlo. Si sentì colpita, quasi stupida, come se lui sapesse cosa dovessero fare e quali fossero i ruoli da rispettare. Si sentì ingenua. Cosa credeva di ottenere?

«Certo. Non volevo intervenire nella tua vita privata anche se, in un giorno molto vicino, dovremmo analizzare. Tuttavia sono venuta qui per informarti che domani dovremmo rendere pubblica questa situazione. Il tuo arrivo qui, la tua fuga affinché ti consegnassi alla giustizia. Chi si è incaricato di difenderti. Ho scritto la dichiarazione che rilascerai, ci saranno tantissimi giornalisti e detto con sincerità, almeno per ora, più sono meglio è per noi. Io e Kingsley saremo al tuo fianco nel momento in cui parlerai.»
Hermione era stata decisa e ferma nel suo tono di voce. Era stata chiara e concisa e sembrava che Draco avesse capito.
«Non è troppo presto? Dico, non è neanche iniziato un secondo processo…»
«Ed è proprio questo ciò che dobbiamo sfruttare. Faremo rumore ora, dopodiché tutti si concentreranno sulle udienze volta per volta, e tranquillo che ci sono nomi illustri da dover mettere alla prova.»
Draco annuì ed Hermione fu sorpresa, sollevata e decisamente fiera di ciò che aveva detto.
«Mia madre che ruolo ha?» chiese poi il ragazzo.
«Per ora nessuno. Già è così complicata la gestione tua soltanto. Lei non sarà presente domani, Draco» concluse Hermione. Sapeva che ci teneva alla sua partecipazione, sperò di averlo addolcito chiamandolo per nome.
Sperava.
«Non se ne parla nemmeno.»
«È così importante per te?» chiese lei. Decise di voler provare con la ragione e non con la forza, altrimenti avrebbe sconvolto psicologicamente Draco prima di un giorno così importante.
«È fondamentale.»
«Ciò che è realmente vitale è che tu sia sereno. Non importa chi ci sarà o meno, devo contare sui tuoi nervi d’acciaio.»
«Credi non ne sia capace, Granger? Cosa credi, che mentre tu eri a gironzolare in cerca di quei fottuti horcruxes i me ne fossi andato in vacanza? No, mentre tu scappavi da Voldemort, io lo tenevo in casa. So cosa vuol dire avere i nervi d’acciaio. Quindi risparmiami il tuo buonismo, la tua carità. Smettila, non intendo essere parte integrante di questa farsa inutile. Se credi che io sia un altro burattino di Shacklebolt, scordatelo.»

«Pensi che io ti stia manovrando, o che abbia quell’intenzione? Pensi che voglia soggiogarti e metterti in ridicolo? Quello è sempre stato il tuo ruolo, Draco. Mi meraviglio che dopo tutti questi anni non te ne sia fatto ancora una ragione.»
Ancora una volta Hermione sentì di aver utilizzato le parole giuste al momento giusto. Capì che se voleva farlo ragionare e se voleva iniziare a tentare di solcare una strada, doveva essere schietta, ma non troppo.
«Sono stato manovrato così tante volte che inizio a provarci gusto. Draco offendi la mezzosangue. Draco tenta in qualche modo di mutilare qualche arto di Potter e se ci riesci uccidilo. Draco ricorda perennemente a Weasley che è un povero morto di fame. Draco vieni a fare il Mangiamorte con papà. Suvvia Draco, muoviti a uccidere Silente. Sono stanco Granger, prima ancora di iniziare.»
Hermione era amareggiata perché realmente credeva in ciò che le aveva appena detto, ma dentro di sé sorrise: si stava confidando.
Non voleva rovinare quella confidenza con altre sue illazioni o considerazioni personali, quindi provò ad essere più lucida e fredda, e tirò fuori dalla sua cartella dei fogli.
«Questo» avvicinando una pagina scritta a computer «È ciò che leggerai per filo e per segno domani.»
«Non ho intenzione di recitartelo.»
«Non avrei mai offeso in questo modo la tua intelligenza. Ti chiedo soltanto di leggerlo un paio di volte prima di doverlo pronunciare ufficialmente.»
Annuì distratto, lo stava già leggendo.

«Bene» disse lei alzandosi «Credo sia il momento di togliere il disturbo.»
Draco stava ancora fissando animatamente i fogli stretti con vigore tra le mani, quando si accorse dell’ombra di Hermione.
«Cosa stai facendo?»
«Me ne sto andando.»
«Questo credo di averlo notato.»
«Pertanto?»
«Perché?»
«Cosa “perché”?»
«Cosa diamine stai dicendo?»
«Per una volta che stavi zitta e non stavi disturbando.»
«Devo ritenermi fiera di tale comportamento?»
«Non dovresti vantartene.»
«Buonanotte, Malfoy» concluse finalmente lei, prendendo le sue cose e non degnandolo di uno sguardo.
Si appoggiò per un istante alla porta e fece un profondo respiro, il primo tassello era stato messo al suo posto. Ora cominciava il difficile.
 
Appena constatò che la Granger aveva chiuso la porta, un piccolo scoppio rimbombò nella sala: era Eltas.
«Padrone, sono arrivati ospiti?»
«Sgraditi, ma meno del solito. Puoi ritornare ai tuoi impegni.»
E quando l’elfo si inginocchiò prima di congedarsi, di nuovo Malfoy lo interruppe: «Eltas, se dovessero arrestarmi, cosa penseresti?»
«Che la sua amica ha sbagliato, signore.»
«Di chi diavolo stai parlando?» chiese nervoso.
«Della giovane dell’altra mattina, signore» rispose l’elfo con aria sognante e tranquilla.
«Prima che io possa attentare alla tua vita, ti conviene andare via. E se osi origliare ancora le mie conversazioni lo farò davvero.»
Così l’eflo sparì in un momento.

«E invece sbaglierà sicuramente se crede che io abbia solo una possibilità di farcela» disse più a se stesso che ad un ascoltatore fittizio.


NOTE DELL'AUTORE
Salve a tutti, prima di parlarvi brevemente del seguete capitolo, ho il dovere morale con scusarmi con tutti voi che seguite la storia, con chi l'ha messa tra i prefeirti o chi, silenziosamente la legge. Scusate se è passato così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento. Qui dovrei elencare tutto ciò che mi ha allontanato (ma non per sempre, tranquilli ahah) dalla storia. Ho dovuto studiare per la patente di guida e trovare tempo tra palestra e tennis sembrava impossibile. Inoltre da agosto sono un recensore di serie Tv per un blog e io mi occupo di Downton Abbey, Doctor Who, Sherlock e da febbraio anche House of Cards. Poi, miei cari lettori (o cielo, sembro la Skeeter) l'ultimo anno di liceo è durissimo!
Bene, vi do alcune note sul capitolo.
1- La città di Kamëz 
esiste davvero, ed è a pochi chilometri dalla capitale albanese.
2- Il gesto di Kingsley di battere il pugno due volte sul tavolo è un (ignorantissimo) omaggio a Frank Underwood, protagonista della serie House of Cards. Kingsley si trasformerà nel corso della storia, e per chi segue la serie, noterò quanto potrebbe assomigliargli. Non so se è un fattore positivo o meramente negativo.
3- La frase del filosofo svizzero riguarda questo capitolo, ma deve farvi presagire qualcosa per quello successivo che sarà difficile per me da scrivre, e chissà, per voi da digerire.

Credo di aver detto tutto.
Appiate pazienza, vi voglio bene ahah!
Con affetto,
Vostro, PriorIncantatio 

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Capitolo 23
*** Nemici Alleati ***


NEMICI ALLEATI
 


"Giudica un uomo in base ai suoi nemici oltre che dai suoi amici."  - Joseph Conrad


Ci sono giorni, attimi precisi che aspettiamo con ansia, con il brivido che percorre tutta la curva della nostra schiena, che ci fanno fremere, che ci tolgono il sonno.
Ci prepariamo da una vita per quel delicato momento, affiliamo le nostre spade, liberiamo la mente da ogni turbamento, cerchiamo di affrontare la sfida con il cuore leggero, ma di pietra.
Eppure, quando giungono, quando dobbiamo affrontare il nostro inesorabile destino restiamo inermi. Fermi ed impotenti, lasciando che il fato si abbatta su di noi senza tentare, seppur inutilmente, di affrontarlo temerariamente.
Questo Narcissa lo sapeva. Aveva capito che da quel giorno tutto sarebbe cambiato. La sua vita, così come l’aveva vissuta fino a quell’istante, sarebbe stata stravolta. I suoi legami, soppiantati. I suoi affetti, probabilmente, rinnegati. Draco e Andromeda erano le uniche persone che ancora, forse, nutrivano per lei un esiguo spirito affettivo, ma sarebbe stato sempre così?
E lo sapeva anche Draco, che ormai aveva compreso di essere entrato in quell’uragano e che a quel punto era consapevole di ciò che lo attendeva. Era inutile fare progetti. Avrebbe vissuto alla giornata, proprio come aveva fatto insieme alla sua “famiglia” quando si erano rifugiati in Albania. Doveva convivere con la paura, l’intimo terrore di essere, un giorno o l’altro, arrestato. La Granger non avrebbe potuto far nulla. Lei era dopotutto, l’ultima ruota del carro di quel sistema e se le si comandava di tacere, lei sicuramente avrebbe eseguito l’ordine come un bravo soldato.
 

Il suono della sveglia quella mattina sembrava più nauseante e rumoroso del solito. Draco si alzò velocemente dal letto e si buttò subito sotto il getto gelido della doccia.
Intanto Narcissa sempre più mattiniera, stava facendo colazione nell’ampio ed elegante soggiorno dando, allo stesso tempo, fugaci occhiate alla Gazzetta del Profeta fresca di stampa.
“OGGI IL GRANDE ANNUNCIO”, “IL SEGRETO DEL MINISTERO PRESTO SVELATO”.
Gli emblematici titoli a caratteri cubitali erano un forte colpo all’occhio e la donna non riusciva ad evitarli, così decise di leggere l’articolo principale. Ovviamente frutto della penna di Rita Skeeter.

“Pochissime parole concederò a questo spazio, il fiume che esonderà dalla mia penna è posticipato in seguito alla conferenza stampa voluta dal Primo Ministro Kingsley Shacklekbolt che l’ha definita “passo fondamentale verso la giustizia”.
Ebbene siamo pronti ad assistere, ad ascoltare probabilmente altre vane parole, promesse già infrante prima di averle fatte. Il Ministro ha inoltre affermato che ci saranno accanto a lui due persone di cui non ha voluto rivelare le identità. In molti hanno avanzato le più disparate ipotesi: Potter (a proposito, che fine ha fatto?), la McGranitt, il Primo Ministro babbano, un Mangiamorte (secondo molti Bellatrix Lestrange in catene). Non resta che aspettare impazienti ed io sarà in prima fila per cogliere ogni indelebile attimo di quella che sarà un’importante ed ambigua pagina della storia del Ministero.
Al prossimo appuntamento,
con affetto,
Rita Skeeter.”


Chiuso il giornale e lottando contro le viscere che si stavano rivoltando dentro di lei, decise di salire al piano superiore per controllare a che punto fosse suo figlio con i preparativi.
Schiuse leggermente la porta della camera di Draco e vide che era ormai quasi pronto.
Entrò e si avvicinò elegantemente verso di lui con un sorriso sereno stampato sul volto, dopodiché realizzando che non riusciva ad indossare la cravatta grigio antracite, lo aiutò.
«Teso?» esordì sua madre.
«Come mi aspettavo, nulla di più, nulla di meno» rispose Draco cercando di rimarcare una certa sicurezza.
«Non verrò subito con te, ti seguirò più tardi» disse e dopo aver notato il suo cenno col capo proseguì: «A che ora hai l’appuntamento con la signorina Granger?»
«Dovrebbe arrivare qui a momenti, quindi fa presto, di certo non voglio darle l’impressione che mammina mi sta vestendo per il Ballo del Ceppo.»
Narcissa sorrise, anche se, immediatamente dopo, capì di essere fuori luogo. Poi parlò di nuovo il ragazzo: «Ieri sei tornata particolarmente tardi, dove sei stata?»
«Al Ministero» gli rispose Narcissa secca, usando un tono conclusivo.
«Fino a quell’ora? Che cosa è successo?» chiese Draco, invece, incuriosito.
«Sì, ma nulla di cui preoccuparsi. E tu, con la signorina Granger hai fatto dei passi in avanti?» Cercò di sviare il discorso, ben conscia che il figlio non si sarebbe arreso.
«Non iniziare ad avere segreti mamma, non cambiare discorso» la fermò Draco.
«Vale la stessa cosa per te. Ho parlato con Kingsley, il discorso è chiuso» replicò freddamente Narcissa fissandolo negli occhi con espressione contrita.

Draco si voltò e guardò sua madre profondamente nelle iridi scure nel vano tentativo di trarre qualche segno di debolezza, che però non percepì. Dopotutto era sua madre.
Poi la superò al lato, lasciando che gli occhi di lei lo potessero seguire, prese la giacca appoggiata sullo schienale di una poltrona e la indossò velocemente. «Non so cosa stia accadendo tra te e Kingsley, ma a questo punto cerchiamo di non complicare la situazione e soprattutto tu non comprometterti in qualche modo.»
«Cosa c’è, adesso i ruoli si sono invertiti?» rispose Narcissa stizzita e stuzzicata.
«No, ma a volte devo ricordarti che gli errori puoi farli anche tu e non solo io» replicò Draco che fino a quel momento, al contrario di Narcissa, non aveva mai detto nulla a cuor leggero.
«La Granger ieri mi ha dato la bozza di cosa dovrò leggere domani, nulla di più. Ha detto che non ci sarai.»
«Lo dicono un po’ tutti a dir la verità. Neanche Kingsley ieri sera era entusiasta» rispose lei atona.
«Sei riuscita a fargli cambiare idea?» chiese a quel punto Draco, piuttosto curioso.
Narcissa stava pensando seriamente di tergiversare sperando che Hermione potesse arrivare il prima possibile. Dirgli di no lo avrebbe fatto infuriare, dirgli di sì era troppo rischioso. Una cosa era certa, lei sarebbe andata lì con o senza il consenso del Primo Ministro.
«Ti ho detto che verrò, ma ti seguirò più tardi. Ed ora è meglio che ti avvii giù, sono sicura che sarà qui a breve » rispose lei sicura.
Draco annuì, con la certezza che gli avesse nascosto qualcosa, e scomparve dietro la raffinata porta color mogano, lasciando Narcissa da sola nella sua camera. La donna si sedette sul grande letto, ancora sfatto, e poggiò le sue delicate mani sulle ginocchia.
 
 

Hermione non aveva dormito quella notte e non accadeva da quelle fredde passate in compagnia di Ron ed Harry durante la ricerca degli horcruxes. Questa volta avrebbe dovuto distruggere nessun oggetto infernale, al massimo la sua paura e le insicurezze di Draco. Non era sicura che essere accanto a Kingsley l’avrebbe fatta sentire meno a disagio, ma lui l’aveva rassicurata su quel fronte.
La mattina si era svegliata sudata nonostante fosse metà novembre. Dopo una velocissima doccia energizzante ed una colazione al volo si era precipitata al Ministero dove l’aspettava l’autista.

Seduta nell’elegante auto ministeriale cercò nella sua borsa uno specchio per darsi un’ultima controllata: i capelli sempre troppo crespi, quel filo di trucco che sembrava invecchiarla, e gli occhi che davano l’impressione che le notti passate insonne dovevano essersi raddoppiate nell’ultimo periodo. Hermione non aveva mai prestato particolare interesse per quegli aspetti che lei stessa definiva “frivoli” e di poco conto, ma non avrebbe potuto immaginare lo sguardo di Draco e di Kingsley quando l’avrebbero vista. Tuttavia era soddisfatta della scelta del suo vestito. Un elegante completo giacca e pantalone nero allungavano la sua figura, considerando i tacchi che sentiva di odiare più di una lezione di Divinazione. Sotto la giacca sfoggiava una camicia bordeaux. Controllò i documenti nella sua borsa con maniacale devozione e ripeté nella sua mente il discorso che aveva scritto il giorno precedente sperando che Draco stesse facendo la stessa cosa.
«Possiamo andare. Villa Malfoy e la prego di tenere bene il piede sull’acceleratore dato che sono per l’ennesima volta in ritardo» comandò all’autista.

Erano circa le sette e trenta minuti e la City stava già iniziando la sua caotica vita, i negozianti alzavano le serrande, gli edicolanti esponevano le prime stampe di giornata, alcuni taxi già sfrecciavano e numerosi babbani armati di valigette e zaini da lavoro percorrevano i marciapiede con indomita sicurezza.
Era la solita routine dopotutto, ma per lei era un po’ diverso, almeno considerando quel giorno.
Dopo qualche minuto si accorse che aveva abbandonato il centro di Londra e si stava avvicinando sempre più alla residenza dei Malfoy.
«Senta, è possibile entrare con la vettura oltre i cancelli del maniero?»
«Certo signorina Granger, mi hanno dato precise disposizioni.»
«Molto meglio, con questi tacchi meno cammino meglio è» rispose Hermione nervosa notando il sorriso dell’autista.
Arrivata davanti all’ampia cancellata grigia aspettò si aprisse, per poi giungere davanti alla casa. Villa Malfoy di giorno presentava un fascino totalmente diverso rispetto ad un panorama notturno. Le siepi e le alte fronde non inquietavano più, anzi erano aggraziate. Nello spazio circolare antecedente alla casa vi erano alcuni pavoni che passeggiavano tranquillamente. Hermione ricordò che anche quando giunse spiacevolmente la prima volta lì un anno addietro, quegli animali erano presenti per puro volere di Lucius Malfoy, un uomo che amava mostrare la propria opulenza e adorava mostrare il proprio sfarzoso piumaggio.
«Quanto devo attendere signorina Granger? Devo aggiornare il Ministero sui tempi» chiese l’uomo alla guida.
«Pochi minuti, giusto il tempo dei convenevoli» rispose tranquillamente Hermione.

La ragazza uscì dall’abitacolo con grazia, stringendo sotto la spalla la sua borsa mentre con la mano sinistra teneva chiusa la giacca.
Quando giunse alla porta utilizzò il batacchio soltanto una volta. Poi attese.

«Eltas vai immediatamente ad aprire alla porta!» urlò Narcissa Malfoy dalla sala bar dove stava cercando di darsi una scrollata gustando un bicchiere di Acqua Viola.
«Buongiorno, signorina Granger. Benvenuta a Villa Malfoy» esordì dicendo il piccolo elfo domestico.
«Anche a te, Eltas.»
Hermione notò immediatamente che Draco era nell’ampio salone e stava guardando nella sua direzione. Si mosse allora sicura verso di lui cercando di non mostrare traccia di insicurezza nei suoi passi e nel suo sguardo.
«Pronto?» domandò lei.
«Dovrei risponderti: più o meno di te?» rispose lui ironico.
«Lo considero un sì di circostanza. Meglio muoversi, sono leggermente in ritardo.»
«È la tua prima mossa per farmi perdere in partenza?»
«Se avessimo voluto farti “perdere” non ti avrebbero affidato a me. E sì, in questo momento non mi sento modesta.»
Prima che i due potessero fare un solo passo verso l’uscio, Narcissa Malfoy fece la sua entrata.
«Buongiorno a lei, signorina Granger. È elegantissima» disse la donna osservandola dai ricci ribelli sino al tacco dieci.
«La ringrazio signora Malfoy. Mi scuso se sono un po’ brusca ma andiamo un po’ di fretta. Il Ministero è inflessibile sugli orari, purtroppo.»
«Certo, sia tranquilla» rispose la donna con un serafico sorriso e poi proseguì camminando verso Draco: «Ci vediamo lì, Draco. Sono sicura che andrà tutto per il verso giusto e non potrebbe essere altrimenti con la signorina Granger, vero?» domandò infine retoricamente.
«Verrà anche lei alla conferenza?» domandò preoccupata Hermione.
«L’ho promesso a mio figlio» replicò la donna con enfasi.
«Credo che troverà una forte opposizione del Ministro, signora Malfoy» controbatté lei.
«Ne sono consapevole e proprio per questo motivo non mi interessa. Non ha detto che andava di fretta?»

Hermione annuì nervosamente con la testa, Draco silenzioso la superò ed uscì fuori aspettandola davanti l’automobile.
«Non scherzi col fuoco, signora Malfoy» le si rivolse dura Hermione.
«Lei non scherzi con mio figlio» replicò gelidamente Narcissa aggrottando la fronte.
«Non è nella posizione di dirmi ciò che devo o non devo fare e, soprattutto, cerchi di rispettare i ruoli o ne pagherà le conseguenze. Ricordi che il Ministro è un uomo di parola e quando gli viene fatto un torto oppure lo si offende facendo ciò che lui ha espressamente vietato di fare… beh, sa come agisce. Spero di non rivederla di nuovo in questa giornata. Arrivederci» concluse Hermione con sguardo perentorio, raggiungendo il taxi.

«È inutile mettere i puntini sulle “i”, Granger» disse Draco Malfoy, stringendo i denti. Attaccare palesemente Narcissa davanti ai suioi occhi era un affronto, ma considerare di riattaccare come nei giorni di gloria la Granger, poco prima della conferenza, non era saggio. Il giovane si morse il labbro. Era forse un lucido pensiero quello? Stava rinnegando di difendere sua madre pur di salvare la sua pelle?
«Nessuno mette in discussione ciò che abbiamo deciso. Ora partiamo.»
Detto questo, Hermione entrò nella vettura seguita da Draco che si sedette accanto a lei.
Sapeva che lo scambio di battute con sua madre lo aveva scosso e sicuramente aveva capito di essere stata oltre ogni misura indelicata. Tuttavia bisognava costantemente, secondo Hermione, dimostrare a entrambi con chi avevano a che fare. Probabilmente Narcissa lo aveva compreso.
Durante il tragitto nessuna parola echeggiò all’interno dell’auto:  Draco si limitava ad osservare nervosamente lo specchietto retrovisore dell’autista ed oltre il suo finestrino laterale come se cercasse una via di fuga. Hermione sembrava più a suo agio e dopo circa dieci minuti di viaggio prese i suoi appunti e li modificò a penna. Poi prese un foglio che gli aveva fatto recapitare Kingsley poco dopo la mezzanotte.

Inutile scriverti qualche augurio di buona fortuna per domani, so che non ne avrai bisogno.
Ricorda di rispondere ad ogni domanda con la massima sicurezza. Non evitare scontri verbali, dobbiamo, devi, dimostrare di essere forte in tutti i campi. Non togliere mai la parola a Draco se è in difficoltà, fallo se dovesse essere assolutamente necessario. Mostrati tranquilla, gentile con i giornalisti ma soprattutto con lui. Chiamalo sempre per cognome (anche me, anche se mi lusinga il mio nome). E ti prego, non mandare a quel paese Rita Skeeter (sebbene ne sarei felice).
Le uniche domande a cui non dovrai dare risposta sono quelle su Narcissa e Lucius. Ma a quel punto ti darò io la mia spalla.


A domani, Kingsley.

«Ci saranno anche lo Sfregiato e quel morto di fame?» chiese sprezzante Draco.
Hermione lo osservò con sguardo torvo. Con quella domanda aveva resettato ogni miglioramento, seppur minuscolo, di quegli ultimi giorni.
«Vedo che sotto pressione vai in escandescenza, Malfoy. Non agitarti» rispose algida la ragazza.
«Sapere che da un momento all’altro sarò messo sul patibolo suscita diverse reazioni chimiche, Granger. Come l’odio, solo per farti un esempio.» Draco sapeva che non era il modo giusto di porsi, ma ormai la strada era stata solcata. Tornare sui suoi passi lo avrebbe definito agli occhi di Hermione soltanto confuso e perso. Doveva dimostrare che era ancora forte, testardo anche se questo poteva diventare seriamente un’arma a doppio taglio. Draco, tuttavia, era abituato al dolore. Tutti i suoi tagli si erano cicatrizzati nel momento in cui aveva capito che probabilmente, quel suo passato, non sarebbe mai stato cancellato.
Hermione sorrise amaramente: «Saranno entrambi assenti.»
Si chiese curiosa il perché di quella domanda. Avevano toccato quell’argomento solo una volta e pensò fosse bastato ad entrambi. Forse la situazione era così critica per Draco, che appellarsi ai suoi due compagni, gli avrebbero infuso un po’ più di coraggio. Quella giusta dose per andare avanti, per vivere alla giornata. Cosa mancava a Draco? Perché tutti i suoi sforzi sembravano vani? Perché ogni progresso era perennemente cancellato nel giro di pochi scambi verbali? Quella totale mancanza di speranza, di fiducia, poteva essere in qualche modo sopperita?   
«Peccato, si sarebbero molto divertiti. Immagino già Potter che si sfrega le mani e Weasley che inventa stupidi sortilegi che si scaglierebbero invece contro di lui.»
«Draco, devi impietosire i giornalisti non me con questa scenata melodrammatica. Solo per dirti, giusto per coscienza… vorrei puntualizzare che non si comporterebbero mai così, anzi, farebbero il tifo per te. Ma non comprenderesti una cosa del genere.»
Stavano discutendo senza neanche scambiarsi un gelido sguardo. Fissavano entrambi nel vuoto, mentre il Ministero si avvicinava sempre di più. Hermione aveva un brutto presentimento. Sentiva di non essere più tanto pronta. La condizione di Draco la sfiduciava ancora di più. Una Skeeter di turno probabilmente li avrebbe distrutti entrambi.

Forse poteva solo limitare i danni.
 
Il giorno seguente.

Finalmente era arrivato il giorno. Si era svegliato persino prima della sveglia, tanta era l’eccitazione.
Era da tempo che non trovava motivo migliore per alzarsi la mattina. Respirare, vivere, sembravano in quell’ultimo periodo dei meccanismi difficili da assimilare, seppure innati.
Non assaporava l’aria, l’odore londinese, da troppo tempo ormai. Gli mancavano gli aspetti più banali, forse anche quelli che probabilmente in passato aveva odiato. Ma ritornare lì avrebbe significato rivedere la persona che, più di tutte, riusciva a stringergli il cuore.
Avrebbe preso il treno, sarebbe sicuramente arrivato con anticipo, ma tutto era stato calcolato. Gli mancava percorrere Baker Street, o l’illuminata Piccadilly, fino ad arrivare a Covent Garden. Le luci, i suoni, i profumi, il traffico incessante.
Ma anche casa sua. La sua tana. La sua famiglia. Erano loro a mancargli più di ogni altra cosa. I loro visi così simili al suo. Quanto gli mancava quella vita? Quanto desiderava ritornare quello di una volta? Erano pensieri che si susseguivano violentemente, uno sull’altro e non gli davano un solo istante per provare a darsi una risposta valida.
E intanto viaggiava, ponendo dietro di sé distese, cieli, la natura incontaminata e le città colme di passioni, straordinarie energie umane.
Presto sarebbe arrivato, presto l’avrebbe abbracciata. Stretta. Baciata.
 

«Tiberius! Tiberius!» esclamò a voce alta il Primo Ministro nell’atrio principale del Ministero.
Una massa informe si muoveva in ogni direzione consentita: i lucenti fuochi color smeraldo si accendevano e si estinguevano ad un ritmo vertiginoso. Maghi e streghe camminavano quasi senza meta e a testa bassa stringendo tra le mani ora un ambiguo calderone, ora una antico manufatto. Poi vi erano uomini e donne eleganti che stringevano nei loro pugni valigette da lavoro che si muovevano in direzione degli accessi più istituzionali e più restrittivi per i civili. Tra questi vi erano Tiberius Ogden e, protetto da una numerosa scorta, il Primo Ministro Kingsley Shacklebolt.
«King, tutto secondo i piani. Ha lasciato la casa soltanto con la Granger. Non c’è bisog-» ma Ogden fu bruscamente interrotto.
«Neanche per sogno. Non voglio rischiare. Sai cosa deve essere fatto. Ci vediamo alla conferenza e, Tiberius…» si fermò Kingsley trattenendo per il gomito l’uomo «non una sola parola.»
Tiberius si limitò a un doppio cenno di assenso con il capo, poi scomparve tra la folla.
Il Primo Ministro si appoggiò ad un’imponente colonna che aveva le sembianze di un austero mago che in una mano, rivolta verso il basso, impugnava una bacchetta, e l’altra rivolta verso l’alto, sosteneva il piano superiore. Lasciò che tutte quelle persone gli passassero davanti e non pochi di loro lo guardarono con sguardo apprensivo, indagatorio.
Presto tutti avrebbero saputo.
 

Suo figlio ed Hermione Granger erano andati via da poco e Narcissa Black era comodamente seduta sul divano nel salone principale.
Dalle ampie vetrate si irradiava la prepotente luce del mattino che riscaldava la casa. Stava aspettando qualcuno. Decise pertanto di controllare l’ora e iniziò a camminare nervosamente in quell’ambiente. Avvicinarsi alla finestra e constatare che al di là delle alte siepi vi era solo il vento che le scuoteva teneramente. Nessuna ombra.
Eppure le aveva promesso che non avrebbe tardato. Tuttavia l’istinto le diceva che da un momento all’altro avrebbe sentito il bussare sordo del batacchio di casa sua.
L’aveva chiamata d’urgenza quella mattina e quasi si maledì quando aveva capito che l’aveva appena svegliata. Ciò nonostante quando la donna dall’altra parte della cornetta aveva notato il suo tono preoccupato, non si era attardato a comunicarle che presto sarebbe giunta da lei.

La voce di Eltas la distolse da quel pensiero: «Padrona, l’ospite che aspettava è arrivata. La faccio entrare?»
«Certo, Eltas. E sbrigati, ho pochissimo tempo.»
Poi, dopo più di vent’anni rimise piede in quella casa.
«Andromeda.»

Sua sorella avanzò a lenti passi all’interno della lussuosa dimora. Guardava stupefatta intorno a sé, sembrava sottolineare con gli occhi ogni particolare: i quadri, gli arazzi, il pavimento marmoreo e i mobili antichi.
«Non è cambiata affatto» sembrò constatare Andromeda con una certa sorpresa.
«È cambiato tutto» replicò Narcissa.
Le fece cenno di accomodarsi e Andromeda con accondiscendenza la seguì. «Non ci vediamo da una vita e prima ci vediamo nell’Abbazia di Canterbury e poi qui. L’ultimo ricordo che ho di questa casa e riposto lì» disse indicando la cima della scala che portava al piano superiore. Poi riprese fissando profondamente sua sorella: «Eri elegantissima. I tuoi boccoli biondi illuminavano tutta la dimora. Indossavi un abito lungo grigio perla con elegantissimi smeraldi ricamati. Scendesti quella scala con una grazia tale che nessuna Black avrebbe mai avuto. Quel matrimonio è l’ultimo ricordo. Poi non sono più tornata in questa casa.»
Il volto di Andromeda si scavò e lo abbassò, facendo trasparire agli occhi di Narcissa malinconia mista a rabbia.
«Ho sperato di fuggire da questa casa ogni notte» iniziò Narcissa, che proseguì quando vide Andromeda rialzare il volto e vederla turbata, ma al tempo stesso incuriosita.
«Era un altro dei tanti matrimoni combinati dai nostri genitori. E se devo dirti la prima cosa che mi viene in mente di quando nostro padre ci informò…»
«La rabbia di Bellatrix» concluse al suo posto Andromeda.
Dopo un cenno col capo proseguì: «Non sopportava l’idea di dividerci. Se ha voluto bene a qualcuno nella sua vita, probabilmente siamo state le uniche fortunate.»
«Mi ha sempre odiata. Ha sempre desiderato la mia morte, quella di Ted e quella di Ninfadora» ripose algida, Andromeda
«Non è sempre stata così. Tu sai cosa l’ha cambiata. Ci ha cambiati tutti, ha trasformato anche Draco» ribatté Narcissa con espressione dura.
«Ed è per questo che siamo qui?» domandò improvvisamente sua sorella.
Lei asserì preoccupata: «Mi hai fatto una promessa quel giorno a Canterbury. Ho bisogno di sapere se hai intenzione di mantenerla.»
Lo sguardo di Narcissa era sicuro, indagatorio, ma ciò nonostante Andromeda rimase serena e le diede la sua risposta positiva. «Non so perché lo faccio. Non so se lo faccio per te, ma Draco è l’ultima cosa che mi resta della nostra famiglia. Il nostro sangue scorre nelle sue vene e questo non lo dimentico. Bellatrix sapeva che in Ninfadora vi era anche il suo sangue…», poi si fermò stringendo nervosamente i pugni e fece un respiro profondo: «Lo farò, non voglio che l’ultimo ricordo che io avrò di questa casa sia un falso matrimonio. Voglio vedere Draco in questo salone giocare con Teddy. Voglio vederci di nuovo insieme come una famiglia. Non è troppo tardi per cambiare le cose tra di noi…»

Dopo che Andromeda concluse il suo profondo monologo, scese il silenzio tra le due, che fu bruscamente interrotto dal perentorio arrivo dell’elfo domestico.
«Signora, ci sono degli uomini che attendono fuori. Non hanno l’aria di chi vuole attendere…»
«Chi sono?» chiese perplessa Narcissa.
«Sono degli Auror, questo è sicuro» rispose prontamente Eltas.
«Li aspettavi?» intervenne Andromeda.

Lo sguardo di Narcissa mutò in pochi istanti. Afferrò la sorella e le disse: «Devi andare subito via da qui. Non chiedermi il perché e non preoccuparti per me. Al piano superiore, la porta che trovi immediatamente di fronte una volta salite le scale, dà accesso alla camera di Draco. C’è un camino, sopra di esso c’è un piccolo vaso di pietra con la metropolvere. Hai una sola destinazione: il Ministero. Ho bisogno che tu vada lì e che assista alla conferenza. Non farti riconoscere, soprattutto se c’è Harry oppure la famiglia Weasley. Ho soltanto il disperato bisogno che la sua famiglia sia lì e che lo protegga.»

Narcissa aveva parlato velocemente e con tono angosciato. Alcune lacrime iniziarono a rigarle il viso.
«Cissy, cosa sta succedendo? Non capisco!» le chiese allarmata sua sorella.
«Non c’è tempo! Va’!»
Andromeda e Narcissa si scambiarono un ultimo e significativo sguardo, poi si abbracciarono e le loro strade si divisero.
Dopo qualche istante Narcissa ascoltò il rumore sordo della smaterializzazione e così facendo diede ad Eltas l’onere di far entrare gli Auror.

Entrarono velocemente nell’ampio solone cinque Auror armati di bacchette. Davanti a loro li precedeva presumibilmente il loro capo. Quest’ultimo indossava un lungo capotto marrone stretto in vita da una cintura. Lo sguardo era arcigno e una profonda cicatrice solcava il volto dalle sopracciglia a destra fino alle labbra. I suoi occhi azzurri erano vispi e indagatori, Narcissa sapeva chi era.
«Ho la fortuna di avere qui in casa mia uno dei migliori Auror che il Ministero abbia mai avuto. Direttamente dalla gavetta di Alastor Moody, che piacere Dawlish.»
Il tono della donna era affabile e cercò di mascherare la concitata discussione avuta pochi istanti prima con sua sorella. Non voleva far presuppore la presenza di qualcun altro.
«Era da sola, signora Malfoy?» chiese brusco l’uomo che non aveva alcuna intenzione di perdersi in convenevoli.
«No, mi dispiace. Anzi, se mi è concesso, devo chiedervi di andare via perché ho un impegno improrogabile» aggiunse la donna, che agguantò il cappotto sul divano con un movimento felino mentre segretamente impugnò la bacchetta.
John Dawlish le sbarrò la strada con il proprio imponente corpo, il viso di Narcissa arrivava a malapena al suo petto.
«Credo ci sia qualche incomprensione tra di noi, John»  continuò la donna, però dando più spazio ad un tono sprezzante.
«Le non va da nessuna parte, signora Malfoy. O decide di restare qui sotto la nostra custodia, oppure, se ci costringerà, saremo costretti a portarla via in un luogo più consono. Siamo intesi?»

Narcissa non se lo fece ripetere un’ulteriore volta: lasciò cadere velocemente il cappotto a terra e puntò la bacchetta contro Dawlish, che mostrò a sua volta la sua maestria poiché aveva anch’egli la sua puntata contro di lei.
«È stato Kingsley, vero?» chiese Narcissa iraconda, nonostante sapesse la risposta.
«Non le deve interessare chi o cosa ci ha comandato di intervenire qui, signora Malfoy» rispose John.
«Se ripeti ancora una volta “signora Malfoy” giuro sul mio nome che questa bacchetta sarà l’ultima cosa che vedrai! Come avete osato entrare in casa mia senza un permesso? Come avete osato presentarvi con le bacchette già strette tra le vostre mani? Uscite immediatamente fuori di qui!»

Nessuno degli uomini batté ciglio né ripose la bacchetta, non che Narcissa se lo aspettasse.
«Devo immaginare, signora, che non abbia intenzione di collaborare?»
Narcissa d’altro canto non li degnò una risposta anzi, gli elargì uno sguardo freddo e assassino.
«Mi dispiace. Scortatela fuori» comandò perentoriamente il capo degli Auror.
«Non ho alcuna intenzione di seguirvi!» continuò lei e, detto ciò, tentò di schiantare Dawlish con un incantesimo all’improvviso. Tuttavia, l’uomo seppe difendersi e deviò l’incanto verso una parete che si distrusse all’istante.
«Questo non doveva assolutamente farlo. Le costerà caro» la voce dell’uomo aveva perso la tranquillità e il tono diplomatico iniziale dando ampio spazio ad un’ira repressa.
Fu un istante, un attimo incalcolabile: “Expelliarmus”. La voce salda dell’Auror bruciò l’aria e la bacchetta di Narcissa volò, ticchettando lungo il lucido parquet nero alle spalle della donna. Dawlish, con un velocissimo giro di bacchetta, l’aveva disarmata abilmente, lasciandola stupefatta e conscia del destino che l’attendeva.
 


«Buongiorno a tutti i presenti, stampa, colleghi e cittadini che tengono a cuore le vicende che riguardano il nostro futuro. Come ben saprete, non ho voluto motivare il perché di questa conferenza stampa e la causa del mio rifiuto è stato più volte identificata da allusioni misteriose, come se fossi a capo di un gruppo di spionaggio. Non sarebbe stato giusto parlarne in un primo momento perché non sono io a doverlo fare. Avrei mancato di rispetto a chi ha rispettato me e avrei infranto delle promesse che avevo fatto persino a me stesso. Non voglio essere prolisso, ormai non avete più grande considerazione della mia presenza dal momento in cui vi ho detto che non sono io il centro di discussione» poi il Primo Ministro si interruppe per qualche secondo. Un collaboratore si avvicinò velocemente e gli bisbigliò all’orecchio un’informazione dell’ultimo minuto: «Bene, mi informano che le persone che devono intervenire sono arrivate… vi chiedo, soprattutto alla stampa, di comportarvi con il massimo rispetto nei miei confronti e per chi siederà accanto a me.»  
Dopo le parole concitate di Kingsley, nell’ampio atrio del Ministero scese un silenzio surreale smorzato soltanto da sussurri e bisbigli sporadici.

Poi Draco Malfoy e Hermione Granger arrivarono tra incessanti flash di macchine fotografiche, esclamazioni, imprecazioni e un infinito susseguirsi di ingiurie nei confronti del ragazzo. Lo sguardo di Hermione era sicuro e mostrava fierezza, mentre Draco non sembrava essere realmente presente. Il capo non particolarmente retto sembrava già scalfito dalla sconfitta.
Tutti i giornalisti che erano accorsi si alzavano e si sbracciavano per iniziare con le domande. I reporter ritardatari spingevano dal fondo creando ancora più caos. Le guardie non potettero fare nulla finché intervenne Shacklebolt: «SILENZIO!» L’esclamazione del Ministro fu particolarmente prolungata con tono duro ed esplicito, ed ottenne ciò che desiderava. Dopodiché si accomodò silenziosamente aspettando che Hermione o Draco iniziassero la conferenza.

Fu lei ovviamente ad esordire.

«Dopo quella notte nel castello di Hogwarts avevo ripromesso a me stessa che avrei condotto una vita serena, lontano da quei riflettori che sicuramente io e i miei compagni Ron Weasley e Harry Potter avremmo attratto. Cercai di iniziare un viaggio alla ricerca dei miei genitori affinché potessi trovare un modo per ridonargli tutti i ricordi che codardamente gli avevo sottratto. Le valigie erano pronte così come ero pronta a voltare pagina. Una pagina sulla quale ho scritto tanto e dove ho cancellato in ugual misura. Da questo libro ho voluto stappare tanti fogli dei quali ho perso ormai il conto. Pagine sporche di sangue, di lacrime, di rancori, di incubi di occasioni perse o sprecate. Però un giorno un uomo ebbe l’ispirazione o non so, forse la speranza di cambiare tutto. Mi suggerì di chiudere quel mio libro ma facendomi capire che non avrei dovuto dimenticare una singola parola, ogni maledetta frase. Ogni capitolo. Mi scrisse che avrei potuto aiutarlo a cambiare tanto, che insieme avremo fatto grandi cose. Avremmo dato speranza, giustizia. Ecco, questa è la parola che oggi, più che mai, deve riecheggiare in questa sala. Tutti voi dovete essere protagonisti di un cambiamento. Dobbiamo essere coesi per fare in modo che non esista mai più un nuovo Tom Riddle e che un altro Lord Voldemort prenda il potere. Non dovrà esserci più nessuno che sarà in grado di poter controllare le nostre vite o di usare le nostre paure per colpirci. Nessuno dovrà piegarci e mai più chineremo il capo accettando la sconfitta. Ecco perché oggi qui, accanto a me, c’è Draco Malfoy. Perché dobbiamo far capire cosa vuol dire giustizia. Perché voglio concedere anche ad un “nemico pubblico” come molti di voi stupidamente lo identificano, un giusto processo. E sì, lui sarà il mio assistito e mai, per un solo momento ho pensato che questa cosa avrebbe cancellato tutto ciò che ho fatto in passato. Mai. Draco Malfoy è qui perché credo nella sua innocenza. Perché credo nel cambiamento di una persona. Nel dolore che ci dilania e che ci fortifica. Sono qui, perché credo in lui.»

Il lungo discorso di apertura di Hermione fu recepito dalla moltitudine di uomini e donne con rispetto misto ad ammirazione e, ovviamente, risentimento. Alcuni mugugni si levarono dal fondo fino a influenzare i primi. I giornalisti che avevano ascoltato con pazienza il discorso avevano appuntato le prime domande da porre. Ma ora toccava a Draco, che per tutto il discorso non ebbe modo di lanciare nessuno sguardo alla ragazza accanto a sé. Aveva soltanto elargito alcune occhiate al Ministro che intanto fissava Hermione con apprensione come se temesse che da un momento all’altro potesse dire qualcosa di terribile. Forse dopotutto nemmeno lui si fidava di lei pensò Draco. Il ragazzo si limitò a fissare dritto avanti a sé, nel vuoto, a volte accecato dal flash costante e nauseante. Tentò di concentrarsi su un punto e non distolse la vista da quello, ma quando si accorse che Hermione aveva terminato, capì che in quel momento aveva inizio una parte della sua vita.

«Rinnovo il ringraziamento del Ministro per la vostra ampia affluenza quest’oggi. Di certo se aveste saputo anticipatamente che io sarei stato presente, probabilmente molti di voi ora non sarebbero qui. Ed è forse stata questa la nostra idea-» ma ad un tratto Draco fu bruscamente interrotto da urla e offese: «Mangiamorte!» «Traditore!» «Insulsa bestia!» «Hai la coscienza sporca di sangue!» «Assassino!»

Draco si era aspettato questa reazione, ma replicare con le parole e i fatti era un discorso totalmente diverso. Non fu in grado di formulare nessuna frase di senso compiuto e, intanto, le grida aumentavano sempre di più. Malfoy si voltò velocemente prima verso Kingsley e poi verso Hermione. Quest’ultima tentò di afferrargli la mano, ma Draco la ritirò regalandole uno sguardo freddo, duro, brutale.
Kingsley riportò una pace apparente con l’ennesimo acuto, dando la possibilità al ragazzo di ricomporsi e di riprendere il discorso lì dove l’aveva lasciato. Hermione ringraziò silenziosamente il Ministro con un cenno del capo. Voltandosi lentamente in direzione della massa di fronte a lei vide un uomo che la osservava con sguardo severo, completamente accigliato. Era Ron.
Perché era lì? Perché non le aveva scritto che quel maledetto giorno sarebbe comparso così all’improvviso? Perché aveva scelto proprio quel giorno? Innumerevoli domande si stavano accavallando l’una sull’altra nella testa di Hermione. Poi si prese un solo istante per riflettere lucidamente: lei non gli aveva detto nulla, neanche un misero accenno. Ed ora eccoli, con molti volti che lo fissavano, con sguardi privi di emozione misti a quelli colmi di disapprovazione. Poteva sentire nel suo corpo rabbia e dolore, per Ron. Si sentiva colpevole di quella situazione, colpevole per ogni momento in cui poteva rivelargli la verità preferendo però tacerla.
 
I loro sguardi si incrociarono e sebbene lui fosse riuscito a non cambiare espressione, lei, invece, socchiuse leggermente le labbra facendo in modo che un lieve getto d’aria liberatorio potesse passarci attraverso. Il respiro diventò pesante. Poteva contare i lenti battiti al minuto. Ciò di cui aveva paura accadesse a Draco, in quel preciso istante, stava accadendo a lei.
«Devo complimentarmi per le intelligenti esternazioni» declamò il Primo Ministro «ammetto, con grande rammarico, di non essere sorpreso, forse perché sono stato abituato al peggio. Sono stato votato, credo che questo voi lo sappiate, perché riesco a distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, considerando la mia esperienza nell’Ordine della Fenice mentre lavoravo anche nel corrottissimo governo di Caramell. Quindi lasciate che vi dica un’ultima cosa: io non sono qui per ascoltare ogni osceno e turpe insulto a Draco, Hermione o me. Non perché non ce lo meritiamo o perché non possiamo far finta di essere accondiscendenti con il vostro tipo di “giustizia”. No. Sono qui perché finalmente ho trovato un valido esempio per tutti. Sì, Draco Malfoy e Hermione Granger sono il simbolo di questa ripartenza. Non ho paura di dirlo e scrivetelo, scrivetelo ovunque. Sui giornali, sui muri. Ovunque. Perché dopo tutto il male, tutto il fango gettato su questo mondo che credevamo davvero migliore di quello babbano, ma che si è rivelato soltanto peggiore, dopo il sangue che è stato versato… beh, voglio solo credere in qualcosa che può essere profondo, significativo. Voglio che Hermione Granger possa essere ancora una volta portatrice di una speranza che non appare però così scontata. E questo, per gente come voi. Ora, se gentilmente potete essere rispettosi nei confronti del signor Malfoy, tanto meglio.»

Di nuovo la sala cadde in un surreale silenzio a volte perforato dal movimento incessante delle numerose penne che si agitavano sui taccuini dei giornalisti che, intanto, rimanevano immobili con espressione apatica. Tranne una. Rita Skeeter, ovviamente.

Draco deglutì rumorosamente e forzatamente, poi parlò: «Non io» iniziò dicendo. Tutti a quel momento sembrarono perder fiato. Kingsley si voltò immediatamente in direzione di Draco. Lo guardo incredulo o forse di chi non stava capendo cosa potesse succedere. Hermione sembrò invece l’unica serena. Anzi, riprese colore, ed evidenziò alcune frasi sui tanti fogli sparsi sul tavolo. Era il momento di Draco.

«Io a differenza del Primo Ministro non ho alcuna speranza. Ho smesso di averla molto tempo fa quando ho capito di essere precipitato in un pozzo senza fondo e soprattutto quando nessuno ha osato tendere la mano in mio soccorso. Non sto recriminando alcuno per gli errori che ho fatto e che io ho scelto di fare. Sono qui perché ho deciso che non avrei potuto cambiare nulla del mio passato e che l’unico modo di andare avanti è quello di conviverci. Il mio avvocato, Hermione Granger ha dato la sua disponibilità solo nel momento in cui il Ministero gli ha affidato l’incarico quindi non penso sia giusto giudicarla.»

A quel punto la ragazza non poté evitare di voltarsi colpita e meravigliata. Quella doveva essere la bozza di una, forse, sincera difesa nei confronti. Non sapeva se quel suo comportamento fosse dettato da un secondo fine,
voleva credergli ma, al tempo stesso, non poteva contare ancora sulla sua fiducia.
Forse un giorno anche quella sarebbe arrivata. Hermione tornò a fissare davanti a sé e Ron era scomparso.
Questo provocò in lei un nuovo moto di profondo disagio interiore. Sentì qualche malsano sentimento non etichettabile sbattere nella gabbia toracica. Dov’era andato? Partito ancora? E perché? Non lo aveva minimamente informato della vicenda di Draco, ma sapeva che c’era un limite alla privacy lavorativa e non voleva disobbedire a quest’obbligo al primo incarico. Ron non avrebbe mai accettato una giustificazione del genere e questo lo sapeva.

«Se qualcuno deve essere giudicato quello devo essere io soltanto. Non ricordo un solo giorno in cui non abbia commesso un errore, ho sbagliato così tanto nella mia vita e sono arrivato finalmente alla conclusione che se devo pagare, lo farò. Pagherò per i miei crimini e per le empietà della mia famiglia. Non avrò paura di affrontare un processo che so sarà lungo, logorante, asfissiante. Ma non per questo non mi difenderò dalle calunnie, dalle brutali offese che verranno mosse nei miei confronti e che non sono provate. Non permetterò che venga diffamato ancora di più ciò che resta della mia famiglia. È vero. Mio padre è stato, o forse è ancora un Mangiamorte e ho capito cosa potesse essere in grado di fare per servire il Signore Oscuro quando ormai era troppo tardi. Quando anch’io ero stato soggiogato da lui. Quando ero costretto a vederlo ogni giorno nei corridoi di casa mia. Ma mio padre era un vile, un codardo, un debole, pronto a sacrificare ogni cosa sulla via che lo avrebbe portato al potere. Compreso sua moglie. Compreso suo figlio. Perciò oggi davanti a tutti voi…»

Draco fino a quel momento aveva parlato con sovrumana intensità emotiva. Aveva saggiato ogni frase, ogni punto, ogni pausa. Aveva avuto un ottimo controllo della voce alternando sapientemente il tono sicuro a quello colmo di commiserazione. Doveva soltanto concludere e avrebbe fatto un primo passo verso la fine di quell’angosciante conferenza. Voleva dimenticare tutti quei volti senza nome. Quei bloc-notes. Ogni cosa.

 «Io vi chiedo scusa.»

Kingsley per l’ennesima volta si voltò, questa volta in direzione di Hermione: entrambi fecero un brevissimo cenno col capo come per dire “stiamo ancora a galla”. Ora però, arrivava il difficile. I giornalisti già pregustavano la luce della ribalta, pronti a scavare la tomba agli intervistati, a fare terra bruciata, a raccogliere soltanto cenere e polvere. Quelle penne erano coltelli affilati. Draco, Kingsley e Hermione bestie al mattatoio. Il Primo Ministro fece cenno con la mano di procedere con le domande.

«Salve, Jessica Hardy della Gazzetta di Dublino. Vorrei chiedere al signor Malfoy come e dove ha trascorso il periodo successivo alla sanguinosa battaglia di Hogwarts?»
«Non posso fornire troppe informazioni perché il Ministero sta compiendo delle indagini. Tuttavia, dopo quella notte, mio padre decise che l’unica cosa da poter fare era scappare. Ci siamo esiliati volontariamente. Purtroppo non posso dirvi dove, ma è sufficiente che sappiate che avevamo lasciato il paese.»

«Alec Miller del Profeta di Edimburgo. Signor Malfoy, non abbiamo ben capito il ruolo di sua madre e suo padre. Cosa c'è di così delicato che Ministero non vuole comunicare?»
«Mi dispiace rispondere al posto di Draco, ma non voglio assolutamente compromettere il già complicato lavoro degli Auror. Posso darvi pochissime notizie. Lucius Malfoy come sapete deve rispondere di più crimini a partire dall’evasione dalla prigione di massima sicurezza di Azkaban. Scappare da un luogo del genere è sicuramente qualcosa di estremamente difficile, quasi impossibile, pertanto parliamo di un uomo che sa come muoversi e beffarsi dei nostri validi sistemi. Ma non questa volta. Lucius Malfoy non sarà latitante per sempre. Questa è una mia promessa. Per quanto concerne Narcissa Malfoy posso dirvi che è segretamente sorvegliata in un edificio del Ministero e come persona informata dei fatti ci sarà d’aiuto nelle indagini. Draco e sua madre collaboreranno strenuamente per aiutarci ed è per questo motivo che si sono recati spontaneamente da me, pronti anche a costituirsi.»

«Ehm, ehm. Rita Skeeter della Gazzetta del Profeta.» Tutti tacquero. «Avrei una domanda da porre a tutti e tre, spero me lo permettiate. Partirei dalla signorina Granger. La mia domanda è la seguente: «Quando ha deciso di accettare di assistere Draco Malfoy ha tenuto in considerazione che la sua famiglia e quella Black sono coinvolte con la morte di Albus Silente e in quella di Cedric Diggory? Andando nel passato, le torture della famiglia Paciock, della collega del Ministro Amelia Bones, di Ted Tonks, di sua figlia e del suo genero? Ha pensato che proprio Remus John Lupin è stato l’ultimo pezzo della famiglia che ha abbandonato il suo migliore amico? Ha pensato che la zia di Draco Malfoy, sorella di sua madre, ha ucciso il padrino del suo migliore amico? Come la fa sentire? Immagino che non abbia confidato nulla al signor Potter?»

Hermione rimase impressionata, assolutamente scioccata da tutta quella serie di domande così dirette e crude nei suoi confronti. Come avrebbe dovuto rispondere? Avrebbe dovuto farlo? Cercò il volto del Ministro e questi le consigliò di tagliare corto facendo di “no” con la testa. E probabilmente l’avrebbe anche fatto se Draco Malfoy con un filo di voce non le avesse parlato: «Fallo. Non piegarti.»
Hermione lo guardò sospesa in un limbo, rimase con le labbra socchiuse senza proferire parola, solo un sottile getto d’aria fuoriusciva da esse. Gli occhi perlustravano quelli di Draco per carpirne i significati più celati. Ne era intimorita, non comprendeva cosa nascondesse.  Poteva essere una trappola, un modo meschino del ragazzo per vendicarsi. Ma qual vantaggio avrebbe avuto? Seppellire la sua unica salvezza?
Cercò di allontanare quell’alone di complotto alle sue spalle e decise di agire seguendo il consiglio di Malfoy.

«Ci sono cose che lei non sa o non vuole comprendere, signora Skeeter. Una di queste è l’osservanza a separare la vita privata da quella lavorativa. Posso affermare che fino a questo momento non ho mai mancato di rispetto a questa regola che reputo più morale che finalizzata a ragioni lavorative. Quindi no. Non ho mai parlato di questo incarico specifico né a Harry Potter né a nessun altro. Per quanto riguarda invece i numerosi “coinvolgimenti”, così come lei li ha definiti, della famiglia Malfoy e della famiglia Black… ecco, vede, io sono qui per questo. Per accertarmi che se il signor Malfoy ha partecipato in fatti che lo incriminano come un Mangiamorte o un favoreggiatore del Signore Oscuro, paghi davanti al cospetto del Wizengamot. Ma se Draco è innocente e non si è sporcato le mani per eventi, come quelli che lei ha elencato precedentemente… beh, è mio obbligo difenderlo. E non solo davanti al tribunale, ma difronte a chiunque lo additi come un assassino.
Per concludere vorrei ricordarle qualcos’altro. Lei crede che le morti di Albus Silente, Cedric Diggory o Remus Lupin… Tonks, non contino nulla per me? Bene, perché qui sbaglia ancora, signora Skeeter.»

La giornalista visibilmente stizzita da quella serie di risposte dirette e lucide alzò timidamente la mano per interrompere Hermione, ma quest’ultima non le diede la possibilità di replicare: «No, non le permetterò di parlare ed infangare. Devo concludere qui, dopotutto è lei che mi ha fatto un elenco di domande stupide, impertinenti, private ed empie. Quindi glielo dirò per l’ultima volta: le morti di queste persone sono il motivo principale che mi hanno spinto ad accettare, perché chiunque di loro lo avrebbe fatto. Avrebbero accettato perché credevano nel bene, nella giustizia, nel riscatto, nella speranza, nel cambiamento delle persone. Loro credevano nelle persone. E io credo in Draco Malfoy.»

Hermione stava iniziando a comprendere che il senso delle sue risposte stava abbandonando lentamente il puro significato “convenzionale” e ogni sua parola, ogni suo gesto indistinto diventava profondo, un segreto simbolismo che collegava lei a Draco. Sembrava una corrispondenza silenziosa che scrivevano senza guardarsi negli occhi, parlavano di loro stessi senza avere in pugno una penna. E quell’uditorio non era cosciente di tutto ciò. Per loro erano parole calde, ma di tutt’altro significato.

«Penso… signorina Granger, che abbia preso la mia domanda un po’ troppo sul personale e, di certo, non era mia intenzione. La prossima domanda è invece per il Ministro. Possiamo avere informazioni più dettagliate su Narcissa Malfoy? Perché non è qui quest’oggi?»

Kingsley strinse con più forza del dovuto le proprie mani e con un moto represso di rabbia parlò: «Perché non è una questione così facile da affrontare e proprio per questo motivo la signorina Granger non può assistere due persone, tra l’altro così strettamente imparentate. Narcissa Malfoy non ha ancora avuto il suo avvocato, ma non passerà molto tempo per questo. Sicuramente la sua situazione è più grave e delicata sotto alcuni aspetti rispetto a quella di Draco Malfoy, ma non posso negare che lei stia collaborando. Non c’è nessun trattamento di favore in quanto anche la signora Malfoy testimonierà davanti al Wizengamot come tutti gli imputati. Non posso rivelare dove si trova e con chi. Posso soltanto dirvi che è stata lei a “costituirsi” e non ha avuto paura delle conseguenze. Credo debba essere sottolineato quest’ultimo aspetto.»

La Skeeter cercò allora di alzare ancora di più il tono: «Dalle sue parole si evince una sorta di ottimismo, quasi una profonda stima nei confronti della signora Malfoy. Per caso ha anteposto questo suo “sentimento” ai doveri nei confronti del Ministero? I suoi colleghi erano a conoscenza di questa vicenda?»

Kingsley non poteva rispondere a una domanda del genere. Divagare sarebbe stato troppo esplicito e si sarebbe capito che la sua risposta era un vano tentativo di celare la verità. Avrebbe dovuto portare a suo favore quella domanda: «Provare stima? Dovrei provare stima per qualcuno che è coinvolto in sconvolgenti crimini? Lei, signora Skeeter, vuole farmi passare per un uomo privo di scrupoli? Questa è una domanda che io faccio a lei! Risponda!»
Kingsley sputò letteralmente le ultime parole, il suo tono di voce si era alzato notevolmente. Stava urlando e il modo in cui lo faceva spaventò molte persone.

Rita Skeeter non degnò di risposta il Primo Ministro evitando il suo gioco psicologico; girò la pagina del suo taccuino e prese di nuovo a scrive qualche parola per poi riprendere ancora una volta la parola: «Signor Malfoy, ha scelto lei la signorina Granger come suo avvocato?»
«Non ha risposto alla mia domanda!» esclamò Kingsley rincarando la dose, prima che Draco potesse rispondere.
«No, e non l’ha fatto neanche lei. Il mio lavoro è quello di fare delle domande, capire e, nelle mie possibilità, far capire a chi ci legge. Colui che in questa sala non sta adempiendo al suo incarico si trova esattamente davanti a me. Adesso, se gentilmente gli si può dare la possibilità, il signor Malfoy dovrebbe rispondere» concluse la Skeeter dipingendosi in quell’istante sul volto un’espressione divertita.
«No…» iniziò Draco, subito interrotto da una nuova perentoria domanda della giornalista: «E non ne ha richiesto uno che fosse a lei gradito?»
«No, non ne ho avuto la possibilità» rispose accondiscendente Draco.
«Quindi potremmo presumere che lei preferisca un altro avvocato che possa sostituire la signorina Granger?»

Kingsley cercò con la forza della disperazione il volto di Hermione per scongiurare qualunque dichiarazione di Draco che li avrebbe compromessi, però lei era concentrata a fissare il pubblico di fronte, totalmente assorta nelle parole di Draco. Non sembrava preoccupata. O forse, fingeva di non esserlo.
«Non capisco se le vostre sono domande, signora Skeeter, oppure sei io sia già al banco degli imputati. Ma non le darò la soddisfazione di pensare il contrario di quello che realmente è: se il Primo Ministro ha scelto la signorina Granger vuol dire che è capace di svolgere il suo lavoro e non mi sento un privilegiato. Mi sono state vietate molte cose, ma di certo non sono nella posizione di pretendere qualcosa. Da quando… Hermione ha iniziato ad assistermi tutto posso dire, ma non che non sia capace. Non cambierò avvocato, non perché non posso, ma perché non voglio. Io credo in Hermione Granger.»

Di nuovo il silenzio invase l’atrio. Draco bevve profusamente un bicchiere d’acqua, Hermione aveva il capo abbassato e si stava massaggiando le tempie. Poi il Primo Ministro parlò: «Credo sia abbastanza per oggi. Vi ringrazio per la vostra presenza e i vostri interventi. Se vorrete, nei prossimi giorni io e la signorina Granger potremo rispondere ad ulteriori vostre domande. Per ovvi motivi il signor Malfoy sarà esentato e vi invito a rispettare la sua privacy e quella di Narcissa Malfoy. La mia esortazione vuole essere finalizzata al rispetto, affinché lasciate che il Ministero faccia il suo lavoro nel miglior modo possibile. Grazie a tutti.»
Kingsley si alzò velocemente e sparì alle spalle di Draco ed Hermione che rimasero lì, sotto i flash che man mano diminuivano. La folla si stava disperdendo e si notavano sporadiche fiammate verdi dei camini. Draco ed Hermione a quel punto si alzarono.

Hermione stava raccogliendo i fogli sul tavolo, Draco accanto a lei la osservava attento.
«C’è qualcosa che non va, Malfoy?» chiese la ragazza appena notò il suo sguardo presente.
«Com’è andata secondo te?» chiese Draco, con l’intento di essere rasserenato.
Hermione sorrise. Vedere Draco fare un passo verso di lei non era cosa di tutti i giorni. Il ragazzo avrebbe potuto semplicemente desumere, ma capiva che in un momento come quello, lei era l’unica in grado di capire come si fosse evoluta la situazione. In fondo conosceva più di lui chi era presente e anche se non poteva vedere cosa stavano scrivendo i giornalisti sui propri taccuini, era riuscita a carpire i loro sguardi, i loro pensieri. Era molto più della legilmanzia. «Ce la siamo cavata piuttosto bene, tu più di tutti» gli rispose, elargendo alla fine un accenno di sorriso che si spense subito.

«Granger?» la chiamò Draco rivolgendosi ancora alla ragazza.
«Sto bene. Sono stata io a non essere stata all’altezza. Purtroppo la Skeeter ha fatto il suo bel lavoro andando sul personale. Stupidamente non mi aspettavo arrivasse a tanto, o almeno, non pensavo che potesse tirare in ballo Harry… e Ron.»
«Le hai tenuto testa» disse Draco, cercando di rassicurarla.
«C’era Ron. Era presente» controbatté all’improvviso Hermione.
«Sul serio?» interrogò retoricamente lui.
«Mi sarei aspettata chiunque, ma non Ron. Non oggi, capisci?»
«Granger te la stai prendendo troppo» fu freddo Draco.
«Cosa puoi capirne tu?»
Draco non rispose, valutando di aver preteso troppo fino a quel momento, che Hermione si era esposta troppo ed era ritornata velocemente nel guscio.
«Non volevo» provò a scusarsi lei.
«Dovresti andare da lui.»

Così dicendo Draco scese la breve rampa di scale e, insieme a due Auror, si diresse in direzione dei focolari.

«Malfoy!» esclamò lei.
Lui si girò.
«Erano vere? Quelle parole erano vere?» chiese lei che, non ricevendo nessuna risposta, continuò dicendo: «Tu credi in Hermione Granger?»
Draco non rispose.

Si voltò e scomparve tra brillanti fiamme verdi smeraldo.



NOTE DELL'AUTORE
PRIMA DI TUTTO, UN PROFONDO ABBRACCIO ALLA MIA CARISSIMA CECILIA -> FiammaBlu CHE STA AVENDO UNA PAZIENZA INAUDITA NEL CORREGGERE LE BOZZE DEI CAPITOLI. SCUSAMI PER GLI ORRORI COMMESSI. UN GIORNO SARO' UNA PERSONA MIGLIORE AHAHAH.
Allora.
Dopo innumerevoli giorni, settimane, mesi, eccomi. Mi dispiace (come sempre) avervi fatto aspettare, ma con gioia ho notato che che coloro che seguono la storia e chi l'ha messa tra le preferite, non hanno disertato.
C'è poco da dire.
Draco ed Hermione non possono più nascondere la situazione. Molto grave per lui, delicata per lei da un punto di vista più personale. 
Narcissa invece non sembra essersela passata piuttosto bene, anche se l'aver avuto il tempo di parlare sua sorella forse può averla aiutata. Chissà cosa succederà ad entrambe...
E Kingsley? Ha avuto attimi a suo favore e alcuni totalmente contro di lui. La Skeeter lo ha più di una volta messo spalle a muro. Non è che la sua posizione può essere minata?
E Ron? Chissà, forse potremmo vederlo già al prossimo capitolo...
Piccoli particolare che volevo annotare: due giornalisti, Alec Miller e Jessica Hardy. I cognomi non sono frutti della mia fantasia, bensì sono un omaggio ad una serie televisiva inglese meravigliosa: Broadchurch. Ho unito i nomi e cognomi dei due protagonisti: Alec Hardy e Ellie Miller. Jessica is nothing. La citazione di Joseph Conrad è tratta dal suo capolavoro Heart od Darkness.

A presto, 
PriorIncantatio
 

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Capitolo 24
*** Casa ***


CASA

"Ho il culto delle gioie semplici. Esse sono l'ultimo rifugio di uno spirito complesso." - Oscar Wilde
 
«Dovresti andare da lui»
 
Così le aveva suggerito Draco Malfoy dopo che lei gli aveva parlato di Ron, subito dopo la conferenza al Ministero.
Hermione sapeva di doverlo fare, ma aveva paura come non mai. Cercò di percorrere ad ampie falcate le strade londinesi dirigendosi verso la metro. Baker Street distava solo pochi minuti. Tuttavia le strade erano piuttosto trafficate e tantissime persone che tornavano dal lavoro affollavano i marciapiedi.
Quando Hermione arrivò sotto casa, il sole aveva smesso di brillare con tutta la sua forza e numerose nuvole lo offuscavano. Presto sarebbe arrivato un temporale ed Hermione, mai come in quel momento, si immedesimò nella natura circostante.
Quel temporale però arrivò con un inaspettato anticipo e con tutta la sua devastante forza. Ron era in casa, seduto nel piccolo ma ospitale soggiorno, la testa tra la mani, i gomiti tra le ginocchia. Era in una posizione che a Hermione ricordò 
immediatamente quella di un bambino dopo aver subito una cocente delusione. Sembrava sul punto di crollare.
Quando lei chiuse la porta dietro di sé, Ron uscì dal suo guscio invisibile. Si fissarono per un’incalcolabile istante fino a quando lei parlò per prima: «Non ti aspettavo qui…»
Rifletté su ciò che aveva appena detto e si rese conto di essere stata stupida e ingenua. Non Hermione Granger. Cosa significava “non ti aspettavo qui?” Non ti aspettavo a casa mia? In casa della tua ragazza? Non ti aspettavi che il tuo ragazzo potesse presentarsi dopo che tu, da emerita idiota, gli avevi nascosto ciò a cui stavi lavorando da un sacco di tempo?

“Non ti aspettavo qui.”

«Davvero? E dove mi aspettavi?» chiese lui alzandosi e avvicinandosi a lei.
«N-non volevo dire questo, Ron» balbettò insicura, subendo il suo sguardo indagatore.
«Vedo che sono molte le cose che non mi hai detto fino ad ora, Hermione.»
«È complicato. Non potevo parlartene, cerca di comprendere! Avevo… ho le mani legate. Kingsley, il mio diretto superiore Ogden, entrambi mi hanno proibito di parlarne con chiunque. Si tratta di lavoro, nulla di più.»
«Quindi adesso io sono chiunque! Io non posso avere la maledettissima possibilità di sapere cosa tu faccia al Ministero o, a questo punto, a Villa Malfoy?»
«Che cosa vuoi dire, Ronald?» chiese infuriata Hermione innalzando le sue difese.
«Voglio dire che dopo tutto quello che ti ha fatto… ci ha fatto, tu sei lì a difenderlo! Verrai schernita, umiliata e tutto questo per Malfoy!»
«Ron, davvero tu non capisci? La guerra è finita, dobbiamo andare avanti! Draco non può pagare per errori che non ha commesso!» replicò rendendosi conto di aver difeso Draco. No. Non aveva difeso lui, ma il suo lavoro!
«È un Mangiamorte!» sibilò Ron con occhi infuocati dall'odio, stentando a mantere la calma.
«Sai benissimo che non lo è! Anche Harry alla fine ha capito che lui non voleva tutto ciò che è successo!» negò Hermione avvicinando il volto teso con i capelli che ondeggiarono intorno  a lei.
«Ma è successo dannazione! Non ha mai rifiutato, non ha mai alzato la testa, non ha mai ribattuto!»
Ron non si dava per vinto. Non riusciva a capire perché Hermione avesse così a cuore il destino di Draco.
«E tu cosa diavolo avresti fatto Ronald Weasley! L’avresti fatto? Avresti preferito affrontare Voldemort? Sapendo che lui avrebbe potuto uccidere te o i tuoi genitori! Tu l’avresti fatto, Ron?»  ormai presa dalla foga della discussione, Hermione portò questa su un piano di confronto, probabilmente inutile in quel momento. Si stava difendendo da Ron?
Dopo il concitato affronto, Ron si sedette di nuovo. Ora aveva lo sguardo fisso sulla finestra che mostrava la strada affollata. La sua espressione era persa, gli occhi vagavano da un corpo all’altro senza uno scopo preciso.
«Sei tu che non puoi capire, Hermione» sussurrò affranto il giovane, confuso e deluso.
La ragazza aveva notato il cambiamento del suo tono di voce. Si era affievolito, sentiva la sua stanchezza, la sua rabbia. «Aiutami a capire» disse sedendogli accanto e ponendo la sua mano sopra quella di lui.
«Io ho perso un fratello. Tu nessuno» spiegò come se quello fosse il fulcro di ogni cosa.
Ron si alzò istintivamente scansando la mano di Hermione piuttosto irritato, la guardò di nuovo e sembrò che un nuovo fiume di ribollenti parole stesse per uscire dalla sua bocca. Ma così non fu. Si limitò a ripetere con un filo di voce: «Tu non puoi capire.»
 
“Tu non puoi capire.”
 
 

Kingsley Shackebolt si era rinchiuso per tutto il giorno nel suo ufficio e aveva ordinato alla sua segretaria di cancellare tutte le visite e gli incontri di quel giorno. Voleva restare da solo. Lui e i suoi pensieri. C’era una gran confusione, una folla inaudita. Quella mattinata sembrava essere diventata un macigno nella sua testa. Griselda Marchbanks gli aveva consegnato il verbale delle domande e delle risposte poco dopo la conferenza e, paragonando le sue con quelle di Draco ed Hermione, capì di aver fatto una magra e pessima figura. Lui doveva essere quello che avrebbe dovuto placare gli animi, essere di supporto ad Hermione, togliere dagli impicci Draco, stendere con un sol colpo Rita Skeeter e tutti coloro che volessero attaccare il suo già criticatissimo operato.
Stava fallendo in tutte le direzioni.
Draco ed Hermione a parer suo non stavano facendo entusiasmanti miglioramenti, lui era troppo egoista, lei troppo accademica con il tipo di approccio intrapreso. Hermione era la sua più grande speranza, in lei aveva riposto fiducia, gran parte del suo successo o, nel peggiore dei casi, del suo fallimento. Era ovvio, da lei sarebbero dipese in futuro tante importanti vite.
I processi erano davvero tanti, ma gli avvocati migliori si tiravano indietro per la paura di non riuscire a sancire un giusto verdetto. Affibbiare avvocati di ufficio era rischioso e il Ministero avrebbe fatto una pessima figura. Kingsley doveva trovare un modo efficace per scovare gli indizi che potevano essere determinanti per accusare concretamente tutti i Mangiamorte e spedirli una volta per tutte ad Azkaban. Avere quell’empio simbolo sul braccio non poteva bastare per una sanzione giusta. Inoltre le indagini sul ricercato numero uno, Lucius Malfoy, non stavano dando i risultati sperati. Harry e Percy brancolavano ancora nel buio. Quando Kingsley rinsavì da quel flusso di coscienza si ritrovò davanti agli occhi l’anziana figura di Tiberius Ogden.
«Dimmi pure, vecchio mio» iniziò Kingsley senza dar peso alle parole particolarmente gioiose e inadatte al momento.
«Come sta, Ministro?» chiese Ogden in vesti formali ma realmente preoccupato per quello che stava iniziando a diventare un fidato amico.
«Questa dannata poltrona inizia a diventare scomoda, Tiberius. So che fa parte del gioco, ma non me lo aspettavo così difficile» rispose sincero.
Il Ministro cercò di stendersi più comodamente sulla sua elegante poltrona in pelle marrone e iniziò a guardare il soffitto completamente bianco.  
«Ho bisogno di cambiare le carte in tavola, Tiberius. Mi segui?» iniziò lui sempre guardando all’insù.
«Prosegui» accennò l’altro.
«Ci serve qualcosa che possa migliorare la nostra credibilità, la nostra popolarità. È fondamentale se vogliamo che questi processi procedano come si deve.»
«Cos’hai in mente, Kingsley?» chiese Ogden a quel punto curioso di sapere.
«Abbiamo bisogno di un volto pulito del Ministero. Qualcuno di cui tutti si fidino ciecamente. che tutti conoscono, di cui le persone fuori da questo Ministero possano dire solo cose buone.»
«A che fine?» domandò ancora Tiberius.
«Sarà una sorta di filtro. Lui gestirà le informazione, capirà ciò che manca per un’accusa piena. Lui capirà, in base a quanto abbiamo tra le mani, cosa riusciremo ad ottenere. Capisci dove voglio arrivare? Un figura pubblica di primo piano. Che sappia cosa vuol dire aver combattuto, qualcuno che abbia provato il male sulla pelle, Tiberius.»
«E avresti pensato già a qualcuno?»
«No, purtroppo no. È questo che mi turba, dannazione!» esclamò alla fine sbattendo i pugni sul pregiato legno della sua scrivania.
«Peccato… perché io avrei un nome…» iniziò alludendo Ogden.
«Chi?» chiese subito Kingsley fissando il collega con sguardo penetrante.
«Arthur Weasley.»
Il volto del Ministro rimase impassibile, poi comparve un sorriso rassicurante: «Portalo da me.»
 
 
 
Dopo aver discusso animatamente con Ron, Hermione aveva lasciato che il tempo passasse, che il rintocco dell’orologio, come Morfeo, la cullasse. Aveva appena terminato di cenare quando qualcuno bussò con veemenza alla porta. “Di nuovo Ron”, pensò immediatamente. Quel pensiero tuttavia la sfiorò solo per un istante quando una voce a lei molto familiare sbraitò: «Granger! Granger aprì questa dannata porta! Subito!»
Hermione si precipitò ad aprire e Draco Malfoy entrò come un fulmine nella sua abitazione. Era particolarmente agitato. Il suo volto era sconvolto, scuro in viso. I suoi occhi sprigionavano rabbia  e odio. Era da tempo che non lo vedeva conciato in quel modo. Tuttavia il ragazzo non era solo. Davanti all’uscio rimase inerme Andromeda Black. Uno sguardo inespressivo la rendevano agli occhi di Hermione come una paziente malata. Il volto pallido spiccava sul 
blu scuro del suo elegante tubino. I suoi capelli ricordavano alla ragazza quelli della sorella Bellatrix e il volto diafano quello di Narcissa. Stringeva tra i pugni la sua bacchetta come se stesse sulla difensiva o nell’atteggiamento di qualcuno che da poco aveva terminato un duello. Hermione la invitò gentilmente ad entrare.
«Malfoy, cosa è successo?» chiese immediatamente.
«Tu! Mi hai mentito!» le urlò a pochi centimetri da lei.
«I-io? Draco di cosa stai parlando?» rispose Hermione visibilmente spaventata per la sua reazione.
«Non far finta di non sapere nulla! Sei stata in combutta con quella nullità di Shackebolt dal primo momento. Non sei altro che il suo stupido burattino!»
«Sta zitto. Siediti.»
Non era stata Hermione a parlare. La voce di Andromeda era fredda, priva di alcuna emozione. Sia Draco che Hermione la fissarono per una frazione di secondo come per accettarsi se quelle parole fossero state realmente sue. Lei guardò con espressione di sfida suo nipote che, con accondiscendenza, si accomodò sul divano.
«Hermione cara, gradirei una tazza di tè» chiese poi Andromeda cambiando totalmente tono di voce.
La ragazza rimase per qualche istante interdetta, poi sparì silenziosamente in cucina.
«Spiegami, Draco. Perché ogni volta che subisci un’ingiustizia ti inalberi, vuoi distruggere ogni cosa, anche le persone che stanno cercando di aiutarti?» chiese retoricamente sua zia, accomodandosi accanto a lui e addolcendo il registro di voce iniziale.
Draco rimase in silenzio cercando di rielaborare una risposta e, dopo averla trovata, si voltò verso di lei con occhi determinati e la mandibola serrata.
«Credi di ricomparire nella mia vita dopo anni e impartirmi lezioni di vita come se fossi mia madre?»
«Fa’ come vuoi» rispose laconicamente la zia, lisciandosi l'abito.
Draco per l’ennesima volta rimase interdetto per come la donna tendesse a rispondere. Lui era sempre stato bravo a identificare una persona dai suoi comportamenti, dal suo carattere, dalle sue parole, persino dai suoi movimenti, ma lei era stata fino a quel momento indecifrabile. La lontananza dalla sua famiglia per così tanti anni l’aveva cambiata. Forse la sua freddezza era dovuta all’astio serbato dentro di sé. Dopotutto lui, sul quel braccio, aveva ancora quel dannato simbolo nero che aveva tolto a quella donna un marito, una figlia, un genero, un’intera famiglia.
Hermione ritornò con tre tazze di tè fumanti e le pose sul tavolino di fronte al divano, dopodiché si accomodò anche lei di fronte agli ospiti inattesi.
Hermione volle lasciare che uno dei due iniziasse a parlare perché non aveva la ben che minima idea di cosa fosse successo.
«Permettimi di porgerti le mie scuse per le veementi parole di Draco, non era sua intenzione essere così duro. È stata una giornata particolarmente impegnativa per lui e sapere che al ritorno sua madre…» iniziò dicendo Andromeda, per poi essere bruscamente interrotta.
«E sapere che mia madre è stata portata via con la forza da un branco di stupidi imbecilli del Ministero, del tuo Ministero, mi fa andare in bestia!» concluse Draco ancora con l’anima in fibrillazione.
«La verità è questa» sentenziò Andromeda con voce fioca e sconfitta.
Hermione rimase di stucco, senza parole. Si alzò e iniziò a girare senza meta nel piccolo soggiorno, poi si diresse sul balcone per cercare di riflettere più lucidamente senza gli sguardi dei due addosso. Si strofinò nervosamente la mano sulla bocca e il mento. “Cosa diavolo è successo?”, pensò. Era possibile che Kingsley avesse preso una decisione del genere senza averla messa accorrente?
“No, impossibile. Non l’avrebbe mai fatto. Qualcun altro avrà dato l’ordine, forse Ogden. Da lui me lo sarei aspettato.”
Hermione guardò l’orologio e il quadrante segnava le nove passate, era impossibile rintracciare Kinsgley al Ministero, avrebbe dovuto rimandare al giorno dopo.
«Neanche tu ne eri a conoscenza.»
Era la voce di Draco che comparve alle spalle di lei. Sembrava aver ripreso un briciolo di lucidità.
«No, no, no, Draco. Ti prego di credermi, non ne sapevo assolutamente niente» rispose Hermione che iniziava a sentire i propri nervi crollare sotto il peso della conferenza, di quello sguardo di Ron al Ministero, delle parole dette a casa sua, della fiducia tradita da Kingsley e ora si aggiungeva Draco che provava gusto ad incolparla per ogni cosa, a schernirla sempre come “burattino del Ministero”.
Adesso si sentiva esattamente così. Sentiva le sue braccia e le sue gambe muoversi comandate da qualcuno che ne tirava i fili invisibili. Si sentiva come sotto la maledizione Imperius. Si sentiva tradita, umiliata, sola.
«Ti credo, Granger.»
Hermione si voltò istintivamente a quella risposta.
Draco osservò il suo sguardo procedendo oltre le semplici apparenze, la stava studiando: «Granger, stai bene?»

“Ti credo, Granger.” “Granger, stai bene?”

Chi le stava parlando in quel momento? Hermione per un istante non credeva di avere davanti agli occhi Draco Malfoy. Non comprendeva se quelle fossero gentilezze o frasi di circostanza. Sicuramente tra i due a saper mentire era di certo più esperto Malfoy. Questo dato non la rincuorò.
«S-sì sto bene, Malfoy» tentò di tagliar corto lei.
«Imparerai mai a mentire? Almeno davanti al Wizengamot, intendo?» la corresse lui.
«Era una battuta?» chiese lei, ammiccando un piccolo sorriso.
«Assolutamente no» rispose divertito il ragazzo.
«Sto bene, Malfoy. Adesso è meglio se rientriamo, altrimenti tua zia inizierà a preoccuparsi.»
«Potrebbe pensare che ti ho buttata giù dal balcone» scherzò ancora Draco.
 
Rientrati nel salone entrambi si risedettero silenziosamente, fu poi Hermione a parlare prima di tutti.
«Andromeda… ho avuto modo di spiegare anche a Draco che non ero affatto a conoscenza di quanto accaduto stamane a Narcissa. Non avrei mai dato il mio consenso a un’azione simile, soprattutto tenendo conto della collaborazione data proprio da tua sorella che, fino ad ora, si è dimostrata fedele ai patti. Domani mattina andrò dal Ministro in persona per discutere di cosa è successo e hai la mia parola che farò tutto ciò che è in mio potere affinché ritorni a casa.»
Il fiume di parole era stato molto esaustivo dato che Andromeda, con un cenno del capo, fece segno di asserire. Poi la stessa prese la parola: «Ora sei più tranquillo, Draco?» chiese con grazia.
Draco, come un bambino a cui è stato promesso un gioco, annuì con il capo.
Hermione vedeva davanti ai suoi occhi i cambiamenti del ragazzo quando era in contatto con sua zia.
Nonostante gli screzi tra la famiglia Black e Malfoy, Draco aveva grande rispetto verso sua zia e forse la loro lontananza stava diminuendo.
«Bene, allora è meglio che togliamo il disturbo. Abbiamo già dato troppo fastidio, Hermione. Ci dispiace tanto» disse la Black alzandosi.
«Ma figuratevi, avevate tutto il diritto di sapere se io ero o no a conoscenza dei fatti di oggi.»
Draco ed Hermione si scambiarono uno sfuggevole sguardo, poi lui scomparve dietro la porta, Andromeda invece si trattenne all’uscio.
«Hermione. Non lasciarlo, non tradirlo» le supplicò lei.
«Andromeda, ho preso un impegno e lo porterò a termine» rispose decisa lei.
«Lo so che è difficile, che è complicato convivere con lui solo un paio di ore al giorno, ma aiutalo, non ha nessuno,  ha solo te…» concluse lei con le lacrime agli occhi.
«So cosa ha dovuto affrontare Draco e tutti i suoi problemi sono stati determinanti affinché io accettassi di aiutarlo. Si fidi di me e speriamo che lui faccia altrettanto.»
«Hermione» iniziò lei, accarezzandole la guancia teneramente «Harry è stato fortunato ad averti al suo fianco per tutti questi anni. Sei una ragazza forte e sono sicura che riuscirai a fare un lavoro straordinario.»
La donna stava per andarsene quando si voltò velocemente: «A proposito di Harry… lo hai sentito recentemente? Sono piuttosto preoccupata…»
«No, Andromeda. È piuttosto strano, ma so che sta svolgendo un incarico delicato per il Ministero, quindi credo sia normale che lui sia irrintracciabile al momento, sono sicura che al più presto si farà vivo… abbiamo tante cosi di cui parlare» concluse allusiva lei.
«Immagino di sì» sorrise la donna salutando cordialmente Hermione.
 
 
 
Nonostante il Primo Ministro fosse un suo caro amico non si sarebbe mai aspettato un invito speciale nel suo ufficio. Arthur Weasley lavorava al Ministero da oltre trent’anni e lo aveva fatto sempre con grande dedizione, ottenendo importanti risultati all’Ufficio per Usi Impropri dei Manufatti Babbani. Tuttavia nella sua carriera aveva avuto modo anche di indagare direttamente su numerosi Mangiamorte tra cui, ovviamente, Lucius Malfoy, suo eterno rivale al Ministero.
Ad Arthur erano stati offerti numerosi posti all’interno del Ministero migliori del suo attuale, persino una carica nel Wizengamot, ma li aveva sempre rifiutati affermando di “divertirsi” tra le cianfrusaglie babbane.
Arthur prese l’ascensore principale nell’atrio del Ministero, l’unico che portava direttamente all’ufficio di Kingsley. Era riconoscibile da due aspetti: era l’unico che non veniva atteso da una fila chilometrica e per la sua disarmante bellezza. Le porte dell’ascensore erano in legno di noce con finissime intarsiature che ritraevano l’effige ministeriale. Al centro delle porte vi era raffigurata una bilancia in oro e una scritta, anch’essa dorata: “Ignorantia iuris neminem excusat” – “L’ignoranza della legge non scusa nessuno.”
Arthur cercò di fissare nella sua mente quella frase che ormai aveva imparato a memoria dal primo giorno in cui aveva messo piede nel Ministero. Poi entrò nell’ascensore.
«Arthur, finalmente! Temevo ti fossi perso!» esclamò Tiberius Ogden schioccando una pacca sulla sua spalla.
«Lavoro, Tiberius! Sempre indaffarato nel lavoro!» rispose con il solito tono allegro, ma un po’ imbarazzato dal brio inaspettato del collega.
«A chi lo dici Arthur. Sono giorni convulsi qui ultimamente e oggi più che mai…»
«Parli del giovane Malfoy?» chiese innocentemente Weasley.
«Potrei parlare di tante cose. Kingsley deve darsi una sbrigata altrimenti verrà sopraffatto dal lavoro, dai giornalisti, dai processi e, soprattutto, dai malcontenti.»
«Sapeva a cosa andava incontro quando ha accettato l’incarico. Fidati di me, non deluderà» concluse Arthur che non sapeva se credere o meno a quanto detto.
 
“Ufficio del Primo Ministro della Magia” – annunciò la voce femminile dai microfoni dell’ascensore.
Tiberius e Arthur si diressero insieme verso l’ufficio percorrendo il lungo ed ampio corridoio che precedeva il luogo dove Kingsley passava la maggior parte delle sue ore. Superarono decine di quadri e arazzi dai vividi colori che raffiguravano storie e famose personalità politiche.
«Trent’anni che lavoro al Ministero e non ho mai messo un solo piede qui» disse Arthur guardandosi intorno meravigliato.
«Sei tu che non hai mai voluto un ufficio nei piani alti, amico mio!»
«E continuerò a non volerlo» rispose ridendo rumorosamente Weasley.
Giunti alla segreteria, il signor Weasley mostrò a una donna la lettera fattagli recapitare dal Ministro in persona, cosicché lei lo fece entrare seguito da Ogden.
«Arthur, benvenuto!» disse Kingsley che si trovava già al centro dell’ufficio e avvicinandoglisi calorosamente, «stavo giusto versandomi un bicchiere di Acqua Viola, ne gradisci un bicchiere?»
«Già che ci sei lo accetto generosamente» rispose il signor Weasley in maniera affabile.
«Tiberius a te non lo chiedo neanche» scherzò il Primo Ministro sapendo che odiava gli alcolici.
Kinsgley attese che i due ospiti si accomodassero di fronte a lui per poi sedersi e rilassarsi sulla sua poltrona.
«Allora Arthur come ti sembra il “piano alto”?» chiese il Primo Ministro dopo il primo sorso.
«Più pulito di quelli “bassi”» replicò laconicamente l'interrogato con un lieve sorriso.
Vi fu un momento di puro silenzio, poi tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata.
«Mi ci voleva una bella risata oggi, grazie Arthur» sogghignò Kingsley tornando alla fine serioso.
«Non mi hai invitato di certo per avere un mio parere sul mobilio e sugli arazzi dell’atrio dell’ufficio del Primo Ministro, vero?»
«Ovviamente no. Ho la fortuna di avere un valido amico e collega che mi ha suggerito il tuo nome per svolgere un lavoro molto delicato e indubbiamente difficile.»
Arthur non rispose, si limitò a corrugare la fronte per concentrarsi sulle future parole del Primo Ministro, ma fu Ogden a continuare il discorso: «Come ti accennavo pochi istanti fa, il Ministero stamane è stato messo ancora di più sotto la lente di ingrandimento. Sono sorti numerosi problemi che dobbiamo affrontare e il più velocemente possibile. Kingsley ha capito che per fronteggiare questa emergenza sia imprescindibile la decisione di suddividere i compiti e di affidarli a persone che sappiano cosa sia il duro lavoro, la giustizia e la fedeltà al Ministero. Inoltre, abbiamo necessità di un uomo che sappia cosa vuol dire aver combattuto contro il Signore Oscuro, che abbia avuto… una perdita tremenda… insomma un uomo in cui ogni cittadino possa immedesimarsi, possa nutrire rispetto e fiducia.»
«Tu, Arthur Weasley sei la persona giusta» sentenziò infine Kingsley.
 Arthur bevve avidamente l’intero liquido violaceo nel proprio bicchiere di cristallo e lo posò delicatamente sulla scrivania. Chiuse meccanicamente gli occhi e fece un profondo respiro: «Sono davvero lusingato dalle vostre parole. Grazie Tiberius per aver fatto il mio nome e grazie Kingsley per aver avallato l'idea ma…» poi Arthur si bloccò.
«C’è sempre un “ma”, Weasley. Sempre. Non aver paura di esternare i tuoi dubbi perché io e Kingsley siamo qui per eliminarteli tutti» spiegò Ogden.
«Ma c’è una cosa che mi frena al momento. Dimmi Kingsley», cominciò dicendo e avvicinandosi con i gomiti verso l’uomo seduto di fronte a sé «avresti mai accettato la mia candidatura se Fred non fosse morto?»
Quella domanda, che aveva il tono di un'affermazione, colpì il Primo Ministro che restò con il calice alle labbra ma, quando realizzò quanto detto da Arthur consumò anch’egli l’Acqua Viola e parlò: «Arthur, durante la battaglia di Hogwarts tutti noi abbiamo perso qualcuno a noi caro. Io ho perso il mio migliore amico e la mia migliore amica e so benissimo che il dolore per la morte di un figlio non è neanche lontanamente paragonabile. Ma qui non stiamo facendo una gara a chi ha sofferto di più. Io ti sto chiedendo di aiutarmi perché so che posso fidarmi di te nello stesso modo in cui l’ho fatto quando abbiamo lavorato spalla a spalla nell’Ordine della Fenice. È vero. È assolutamente vero che ti sto chiedendo tanto, forse troppo, ma è di te che ho bisogno, Arthur.»
«Se è così, perdonami per averlo pensato, Kinsgsley» rispose l’uomo seriamente dispiaciuto.
«Potrai essere perdonato quando finalmente accetterai la proposta» rispose il Ministro accennando un timido sorriso d'incoraggiamento.
Il signor Weasley sospirò rumorosamente e intensamente «Sarà pericoloso?»
Fu di nuovo il turno di Ogden che si voltò verso di lui: «Abbiamo un ultimo Mangiamorte in fuga di cui abbiamo davvero poche notizie. Finché lui sarà a piede libero, chiunque lavori attivamente e da vicino per spedire ad Azkaban i suoi complici, sarà in pericolo. Sono franco, Arthur… non posso mentirti…» ma prima di concludere fu spiazzato da Shackebolt.
«È di Lucius Malfoy che stiamo parlando e tuo figlio Percy con Potter si stanno occupando di rintracciarlo» rivelò con espressione seria il Ministro.
Arthur rimase privo di parole e seriamente scioccato. «Si tratta di informazioni segrete, di cui soltanto io, Ogden e Griselda siamo a conoscenza all’interno del Ministero… ed ora tu.»
«E-e-e e perché hai voluto condividerlo con me?»
«Perché accetterai quella dannatissima offerta e perché da questo momento in poi tu sarai i miei occhi, le mie orecchie e le mie braccia.»
 
 
 
Era quasi mezzanotte quando Kingsley Shackebolt lasciò il proprio ufficio. Il tempo era stranamente tranquillo e decise pertanto di arrivare a casa a piedi, cosa che faceva volentieri quando aveva bisogno di scaricare l’adrenalina e di rielaborare i pensieri.
La temperatura era bassa, cosicché l’uomo indossò il lungo impermeabile petrolio e alzò il bavero per ripararsi da alcune deboli raffiche di vento gelido. Il suo passo era costante, trafiggeva il silenzio soltanto il ticchettare del bastone da passeggio con il marciapiede e la voce di alcuni ragazzi in lontananza. Il resto era quiete. Kingsley stava passando in rassegna nella propria mente tutti gli eventi della giornata, iniziata male ma conclusasi leggermente meglio. Infatti, dopo la magra figura offerta durante la conferenza e il pasticcio fatto con la Black di cui doveva ancora pagarne il prezzo, Arthur Weasley aveva deciso di accettare l’offerta. Dal giorno seguente si sarebbe messo a lavoro e gli avrebbe fornito una quotidiana analisi delle situazioni più critiche. Forse, soltanto da quel momento, Kingsley avrebbe potuto affermare “adesso arriva il bello”.
Quanti erano ancora i processi da fare? – pensava Kingsley. Dolores Umbridge, Pius Thicknesse, la stessa Bellatrix Lestrange aveva bisogno di una nuova udienza per infliggerle nuove sanzioni in corrispondenza dei relativi capi d’accusa; poi Blaise Zabini e Gregory Goyle che potevano essere determinanti per l’udienza di Draco nel bene e nel male, Fenrir Greyback; Narcissa, Draco e, ovviamente, Lucius Malfoy.
Quest’ultimo andava trovato e in fretta. Kingsley avrebbe voluto mettersi in contatto con Percy e Harry, ma farlo avrebbe significato far saltare la loro copertura allarmando il paese. Mentre rifletteva su tutto ciò arrivò a casa. Salutò velocemente i due Auror di scorta all’entrata, chiuse la porta dietro di sé e lasciò che un accogliente calore lo avvolgesse.
Sapeva di doversi dirigere direttamente nell’ampio salone e così fece.
Trovò Narcissa Black davanti al camino che mostrava un fuoco particolarmente vivo. Stringeva tre le dita un calice di vino. Il volto era torvo, gli occhi sbarrati dalla rabbia. Tuttavia non pronunciò una sola parola quando lui entrò. La donna si limitò a seguire i passi dell’uomo spostando da una parte all’altra il volto, non perdendosi nemmeno una mossa. Kingsley cercò di sfruttare il momento di quiete prima della tempesta per versarsi da bere. Whiskey incendiario. Riempì il bicchiere intero.
Shackebolt in segno di sfida si posizionò proprio di fronte a lei, sistemò la sua bacchetta su un tavolino lì accanto e sorbì il primo lungo sorso dal suo bicchiere.
Sembravano i protagonisti della scena finale di un film western anche se mancava l’ambientazione texana, le revolver e la polvere. Era fino a quel momento un gioco di sguardi, uno più incolpante dell’altro. A voler sparare la prima pallottola fu Narcissa.
«Hai vinto.»
«Mi hai costretto.»
«Ti ho costretto?»
«Sì.»
«Sono stata io quella ad essere portata qui con la forza. Lo chiamerei abuso di potere, Shackebolt.»
«Non potevo lasciarti andare lì» ripose a tono il Primo Ministro.
«Per quale maledettissimo motivo, Kingsley?»
«Non potevi andare lì a destabilizzare Draco! Lui non ha tutte le tue colpe e non potevo permettermi di mettere fine alla sua speranza di essere scagionato prima ancora che tutto fosse iniziato. Tu hai delle pesanti colpe con cui dovrai fare ammenda davanti al Wizengamot, ma lascia fuori Draco.»
«Oh, allora l’hai fatto per me?» domandò retoricamente Narcissa per schernirlo e sorridendo ironicamente.
«No. L’ho fatto per tuo figlio.»
Il sorriso beffardo di Narcissa le si congelò in volto. La donna gli si avvicinò a lenti passi e puntò l’indice verso di lui: «Non avevi il diritto di trattarmi come una prigioniera, un’evasa!»
«Vorrei capire quando la smetterai di piangerti addosso, Narcissa! Non è possibile che ad ogni ostacolo tu debba criticarmi!» l'aggredì il Ministro stringendo il bicchiere.
«Sono venuti in casa mia! Hanno usato la magia! Mi hanno colpita e hanno colpito tutto ciò che era a loro tiro. Sei stato tu a dare quegli ordini!» urlò Narcissa rossa in volto dalla rabbia.
«Non era mia, loro… intenzione ferirti Narcissa. Mi dispiace per questo.»
«No! Non me ne faccio nulla delle tue scuse. L’hai persa, Kingsley, hai perso la mia fiducia!» urlò la donna. Si girò in un’istante e lanciò il proprio calice verso la parete che si frantumò in mille pezzi.
Come sfinita da quella mossa estrema, la donna tentò di oltrepassare Kingsley, quando questi la bloccò mettendole una mano sulla spalla e stringendola quanto bastava per fermarla.
«Lasciami» imperò istintivamente la donna.
«Narcissa devi capirmi, devi comprendere che la mia situazione è tra le più delicate e che non posso patteggiare pubblicamente per voi. Se solo lo facessi manderei all’aria la protezione di Draco, il lavoro della signorina Granger, il tuo status e i processi per i Mangiamorte, seppure questi procedano lenti. Ho bisogno di preservare quanto c’è di più prezioso. Ho dovuto scegliere, Narcissa. O te o Draco.»
Narcissa non rispose, non lo aveva degnato di uno sguardo da quando l’aveva bloccata e, silenziosamente, se ne andò divincolandosi con stizza.
 
Kingsley bevve l’intero bicchiere di whiskey e si sedette a terra facendo attenzione alle piccole schegge di vetro di fianco al camino marmoreo. Iniziò a ricordare di quando era bambino e si stendeva con i gomiti per terra davanti a quella  luminosa alcova camino della casa dei suoi genitori. Amava ascoltare lo scoppiettio della legna sul fuoco, fissare intensamente le fiamme dorate. Cercò di ricordare tutti quegli istanti di vita semplici, a volte banali, ma felici. Adesso aveva il potere, la fama, anche degli amici, ma era tremendamente solo. Sembrava il capitano di un vascello in balia della tempesta, sembrava che tutti intorno a lui si stessero mettendo in salvo, chi gettandosi nel mare in tumulto, chi su delle scialuppe. Solo lui, il povero capitano, restava al timone. Non l’avrebbe abbandonata.
 
Avrebbe superato anche quella bufera.

 
 
 NOTE DELL'AUTORE
Dopo secoli sono tornato e ho aggiornato con il 25esimo capitolo. Pochissime cose da dirvi in particolare. Il titolo allude ad una casa, un rifugio che può essere inteso sia in maniera allegorica o meno. Narcissa auspica un suo ritorno a casa, Hermione si sente distrutta e alle spalle proprio nella sua dimora, Arthur Weasley ottiene un'impiego al Ministero dove lavora da oltre trent'anni, appunto, una sua seconda casa e infine quella di Kingsley dove quest'ultimo ricorda i momenti salienti della sua infanzia quando era realmente felice. Su questa via va inoltre intesa la citazione di Oscar Wilde. In questo capitolo avete avuto modo di conoscere molto più da vicino Arthur Weasley. La sua è stata quasi una scelta obbligata perché è un personaggio che ha tantissimo da dire secondo il mio personale punto di vista e spero vivamente di poterlo caratterizzare nel miglior modo possibile. Ho deciso di lasciarlo, prima della "promozione", all'Ufficio per gli oggetti babbani, nonostante sappiamo che nel 1996 egli ricevette una promozione a Direttore dell'Ufficio Intercettazioni e Confisca di Incantesimi Difensivi e Oggetti Protettivi Contraffatti.
Avrete modo di conoscerlo ancora meglio e, forse, un po' tutta la famiglia Weasley. Hermione e Ron sembrano avere sempre più problemi e nessuno dei due sembra fare un passo in avanti verso l'altro. Tuttavia ci saranno, fidatevi. Andromeda la vediamo un po' più sotto la lente di ingrandimento e risulta essere un personaggio ambiguo, un po' come le due sorelle. Null'altro da segnalare. Ah si! Recensite!!!

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Capitolo 25
*** How long, not long - I parte ***


HOW LONG, NOT LONG - I PARTE

 
 

 
"L’esperienza non è ciò che accade a un uomo. E’ ciò che un uomo fa di ciò che accade a lui." - Aldous Leonard Huxley
 

La notte appena trascorsa era stata irrequieta per Hermione Granger. La giornata passata in compagnia, di Ron prima e di Draco dopo, l’avevano frastornata. Non amava sentirsi indisposta a causa di sentimenti contrastanti, essere così fragile davanti alla vita. Hermione sapeva essere risoluta e combattiva, ma era a conoscenza anche di non essere esperta nelle relazioni, di aver sempre una parola fuori posto, di sentirsi a disagio davanti a qualcuno. Lei, la famosa Hermione Granger, vittima della vita e delle persone. La mattina seguente alla conferenza si svegliò presto proprio per i tormenti notturni che l’attanagliavano. Aveva intenzione di andare all’ufficio del Primo Ministro per avere una risposta su quanto accaduto a Narcissa Malfoy. Kingsley era un’altra delle cause delle sue angosce e in qualunque modo avrebbe tenuto fede alla promessa fatta ad Andromeda: Narcissa sarebbe dovuta tornare a casa.

Il caffè quella mattina sembrò più amaro del solito, l’acqua della doccia più fredda e il fastidioso vento londinese ancora più asfissiante. I nervi della ragazza stavano subendo una profonda provocazione. La metro portò velocemente a destinazione Hermione. Ebbe la sgradevole sensazione che qualcuno nel treno la stesse osservando. Non era evento insolito incontrare maghi nel bel mezzo di luoghi pubblici babbani. Alla stazione metropolitana successiva salirono due signore di mezz’età: «Che poi non capisco perché quella Granger debba rovinarsi così la reputazione!» spettegolò una, mentre presero posto proprio di fronte ad Hermione. «Con un Malfoy, tra l’altro! Non immagino cosa possa pensare Harry Potter di tutta questa storia. Insomma, la zia di Malfoy ha ucciso il suo Padrino, è risaputo» continuò poi l’amica. Le due donne erano vestite elegantemente. La prima ad aver parlato indossava un tailleur grigio antracite con una camicia di seta bianca, un ciondolo impreziosiva il suo petto. Aveva una voce rauca e delle vistose rughe, ad Hermione dette l’impressione di una donna con il vizio del fumo. La seconda donna era più avvenente, forse perché il suo viso era più giovanile e il tubino avorio esaltava la sua fisicità. Proprio quest’ultima si rese conto che Hermione aveva appena ascoltato tutta la loro conversazione. La donna diede un colpo con il gomito all’amica prima che potesse riaprire bocca e, quando questa si accorse delle presenza della ragazza, abbassò il capo e tacque.

Quando Hermione arrivò a destinazione vide in lontananza la Clock Tower che segnava le otto. Percorse ad ampie falcate la strada ed utilizzò l’accesso dei visitatori, una vecchia cabina telefonica. Compose il numero 62442 e lentamente scese sotto il livello della strada. Le porte della cabina si aprirono così che la ragazza potesse mettere piede nell’atrio del Ministero. Si mosse velocemente cercando di evitare facce conosciute e domande scomode. Presentarsi lì il giorno dopo non era stata una scelta saggia, pensò lei. Ad un passo dall’ascensore che l’avrebbe portata all’ufficio del Primo Ministro, qualcuno dietro di lei la bloccò poggiandole la sua mano sulla spalla. Lei si voltò celermente spaventata «Oh, Signor Weasley… mi ha fatto prendere un colpo!» esclamò Hermione che sembrò respirare con difficoltà.

«Non era mia intenzione, Hermione. – si scusò l’uomo -  Posso rubarti qualche minuto? È importante» chiese Arthur Weasley con tono innocente, ma al tempo stesso grave.  «Mi dispiace, Signor Weasley, ho un appuntamento con il Ministro in persona ed è improrogabile» rispose Hermione in maniera diplomatica e comunque dispiaciuta per dover declinare l’invito. Arthur non mostrò il suo disappunto, sicuro che le avrebbe parlato il prima possibile. Così discorrendo nella sua mente, lasciò andare via Hermione e sussurrò: «Buona fortuna, Granger». Era un monito più per se stesso che per la ragazza, dopodiché lei scomparve dietro le porte regali dell’ascensore.

«Signorina Granger, buongiorno» esordì l’anziana Marchbanks appena Hermione entrò. «Salve, Griselda» rispose con freddezza lei.  «Cosa ti porta così presto all’ufficio del Ministro?» chiese con un sorriso che la ragazza reputò nauseante.  «Lavoro. Niente di eclatante, niente che la riguardi» rispose Hermione che fu felice di vedere come quel sorriso scomparve dalla faccia della donna. Arrivate finalmente all’ultimo piano, fu la Marchbanks ad uscire per prima e ad entrare nell’ufficio di Kingsley. Hermione dovette aspettare parecchi minuti prima che arrivasse finalmente il suo momento. Quando si alzò, di nuovo l’anziana donna si palesò davanti a lei: «Buona fortuna con il signor Malfoy» poi si dileguò affrettatamente. Hermione abbassò il volto, strinse i pugni ed entrò nell’ufficio. Kingsley Shacklebolt si trovava davanti all’ampia finestra, ritto e con le mani incrociate dietro di sé.  «Buongiorno, Hermione. Sapevo che saresti venuta di prima mattina. Accomodati», disse l’uomo accompagnando l’ultima parola con un gesto accondiscendente delle braccia.

Shacklebolt avrebbe desistito dall’incontrala, ma opporsi persino ad un confronto sarebbe risultato vile da parte sua e avrebbe incoraggiato ulteriormente Hermione a porsi contro di lui. Perché di questo era certo: quella non era affatto una visita di cortesia. «Ne ho tutti i motivi, non credi?» rispose immediatamente Hermione facendo ben intendere con quali intenzioni avesse varcato quella porta.

Il Primo Ministro aspettò che la ragazza si fosse accomodata. Kingsley aveva deciso che la sua arringa doveva premere sui lati umani. Doveva fare in modo che Hermione si immedesimasse in lui, nella sua complicata e delicata posizione. «Sei giovane, Hermione. Ma questo non toglie il fatto che tu, soprattutto durante gli ultimi due anni, abbia affrontato sfide molto difficili, anche dal punto di vista emotivo. Allora ti chiedo – poi si prese un istante di meditazione - Hai mai preso una decisione difficile che sapevi avrebbe avuto delle ripercussioni? Su di te e su chi volevi bene?» “Psicologia inversa”, pensò Hermione Granger. Kingsley Shacklebolt continuava ad utilizzare quella tattica per influenzare i pensieri della ragazza, ancor di più per far passare i suoi comportamenti giusti agli occhi della Granger. «Kingsley… non devi giustificarti – iniziò lei - Ma non devi neanche mentire a te stesso. Hai idea di quello che hai fatto?» chiese Hermione stizzita e concisa. Doveva metterlo alle corde, persuaderlo dal peggiorare la situazione, fargli capire una volta per tutte che tutte le sua azioni avevano ripercussioni, che ogni suo gesto avrebbe influenzato anche il suo lavoro, il suo rapporto con Draco, il fallimento o la riuscita di quella difesa. Hermione Granger contro il Primo Ministro. Non era sfrontatezza o eccesso di fiducia nei propri mezzi, ma Hermione non avrebbe dovuto sottostare al potere. Non l’aveva mai fatto. Sapeva chi era il suo avversario in quel momento: esperienza, carisma, intelligenza, leadership. Però lei gli riconosceva una mancanza: il buon senso.

«Penso tu stia fomentando quanto accaduto. Ti sta sfuggendo di mano il controllo di Malfoy e vuoi dare la colpa a me? Non è molto maturo da parte tua, Hermione» la sfidò apertamente lui. I loro sguardi erano esplicativi di un momento di tensione.

Kingsley si rese conto di essere stato piuttosto duro con quelle parole, ma aveva fin troppi problemi tra le mani e, discutere anche di quello, era troppo. Hermione era all’ultimo posto nella lista di casini a cui rimediare, anche se su di lei aveva riposto tante aspettative. Forse troppe. Come risponderle, dopotutto? Avrebbe dovuto darle ragione inginocchiandosi e chiederle perdono? No, era il Primo Ministro e non si sarebbe piegato. Aveva il dubbio che l’orgoglio fosse stato messo alla prova e non era disposto a metterlo alla prova. Riconosceva ad Hermione il suo talento nel soppesare le parole e utilizzarle nel momento opportuno, ma quello era il suo momento.

«Kingsley, ciò che hai appena detto spero sia un infelice frutto dei tuoi pensieri. Voglio auspicare che si tratti di un equivoco… - mentì lei - Ecco perché sono venuta qui, per risolv-» Hermione venne interrotta bruscamente.  «No, non c’è nessun equivoco e no – ripeté sprezzante - non c’è nulla da risolvere. Narcissa Malfoy resterà in custodia in un appartamento posto sotto sorveglianza e le verrà fornito tutto ciò di cui ha bisogno» sentenziò senza sentire ragioni. «Ha bisogno di suo figlio!» esclamò adirata Hermione, che ormai aveva perso l’aplomb diplomatico.  «Tu hai bisogno di un momento di pausa, Granger. Penso che questo incarico ti stia logorando. Per adesso ti lascerò proseguire, ma mi prenderò un periodo per riflettere se è giusto o meno continuare con te.»

Hermione schiuse leggermente la bocca, ma nessuna parola uscì. Si sentì colpita sul piano lavorativo e questo, forse, le faceva ancora più male.  «Penso si sia detto tutto» disse Hermione che alzandosi, dispensò all’uomo uno sguardo impietoso. Kingsley strinse le mani in un pugno e le portò al mento, tentò di riflettere sulle ultime mosse. Poi guardò il biglietto sulla sua scrivania che ogni giorno, quando più ne aveva la necessità, leggeva.

Nei giorni di tormenta.

Perché prima di vincere devi combattere.”

Albus Silente

 

Sapeva che le parole dette ad Hermione erano giuste, non le pensava, ma andavano dette. Conosceva il suo modo di comportarsi e davanti al muro di ferro alzato proprio dal Primo Ministro lei, come sempre, avrebbe trovato un modo per scavalcarlo. Era necessario che Hermione riuscisse a interagire con Draco senza l’ombra troppo asfissiante di sua madre. Narcissa Black era destinata ad Azkaban e di questo Kingsley ne era a conoscenza.


 

Brighton – Casa di Andromeda Black

Andromeda Tonks aveva insistito che Draco quella notte andasse a dormire a casa sua affermando che Villa Malfoy poteva essere ancora oggetto di incursioni degli Auror. Il giovane Malfoy, nonostante le sue rassicurazioni, dovette accettare. Non era mai stato a casa di sua zia e, anche se non ne aveva mai sentito il bisogno, stava iniziando a capire quale fosse il reale motivo per cui Andromeda l’avesse convinto ad andare lì. Draco si svegliò di buon’ora quella mattina per colpa del vento marittimo che soffiava incessantemente e che, a causa della portafinestra aperta, era penetrato nella camera raggelandolo. Il ragazzo si alzò dal letto con la pelle d’oca che lo ricopriva e capì che era comunque inutile chiudere l’infisso e rimettersi a dormire. Andò in cucina per fare colazione quando vide sua zia già sorridente nel salone che attizzava la legna nel camino appena acceso. La fiamma debole ma lucente fece diede subito un’idea di avvolgente tepore al ragazzo.

«Sei mattiniero, Draco?» chiese raggiante Andromeda quando si accorse della presenza del ragazzo. «L’esatto opposto, zia» rispose svogliato lui, rendendosi conto che l’aura di Morfeo gli stava ancora offuscando i sensi. La donna gli si avvicinò e lo condusse, porgendo il suo braccio dietro la sua schiena, verso la cucina: «Vieni, ti avevo già preparato la colazione.»

Dopo una manciata di minuti, quando Draco aveva ormai consumato il pasto, venne accompagnato dalla zia al piano superiore senza conoscerne il motivo. Lungo il tragitto aveva avuto modo di osservare tantissime fotografie, tutte babbane. Nessun soggetto raffigurato si muoveva, nemmeno un singolo movimento. Draco si soffermò su una foto in particolare. Era l’unica in cui tutti, all’interno della pellicola, erano animati.

«Non hai avuto modo di conoscerli tutti, Draco. Questo è l’Ordine della Fenice originario» gli spiegò lei indicandoli uno ad uno. «Silente, la McGranitt, Black…» identificò il ragazzo. «I Potter, Frank e Alicia Paciock, Shacklebolt, Remus…» poi la donna si arrestò sopraffatta dai ricordi e dalle emozioni. «Sono quasi…» Draco si fermò prima di concludere il suo pensiero, sapeva che tanti di loro erano suoi cari amici, sapeva che se alcuni erano morti anche per causa sua. «Sì, Draco. Sono quasi tutti morti. Ma hanno combattuto e hanno fatto sì che Voldemort cadesse. Adesso l’Ordine è ancora vivo a differenza della maggior parte dei Mangiamorte» rispose convinta ed orgogliosa Andromeda. Draco poggiò delicatamente la sua mano sulla foto, cercò di toccare tutte quelle donne e quegli uomini che avevano avuto il coraggio di affrontare Voldemort, suo padre e i suoi seguaci. Cercò di carpire le loro anime, di ascoltarle.

«Non ho mai voluto tutto questo. Mai. – ripeté prostrato - Non volevo che qualcuno morisse per questa guerra. Mi dispiace, zia» concluse voltandosi verso di lei, visibilmente commosso.

Le iridi di Andromeda Tonks erano lucide, qualche piccola lacrima percorse il suo diafano viso, poi parlò: «Questa foto me la portò Harry poco dopo la battaglia di Hogwarts. – gli spiegò - Pianse, pianse tanto quando mi disse di Ninfadora e Remus; ricordo come nascose la sua testa sulle mie gambe. I singhiozzi risuonavano per tutta la casa. Era distrutto e lo ero anch’io. Prima di andare via mi lasciò questa foto. – disse indicandola – Mi confidò che gliel’aveva data Sirius poco tempo prima di morire. Questa foto, Draco, è stata uno dei tanti motivi che lo hanno spinto a continuare a lottare a denti stretti per non soccombere. Gli ricordava ogni giorno che quelle persone non potevano essere morte invano. Che Lily e James avevano offerto la loro vita pur di proteggerlo, così come Silente, Severus…»

Draco era frastornato da tutte quelle parole, da tutto il dolore che aveva subito la donna. Riusciva a sentire e provare compassione per Potter. «P-perché mi stai dicendo tutto questo?» chiese il ragazzo con evidente smarrimento. «Perché so che tu non volevi tutto questo, so che non sei come tuo padre, so che non sei e non sarai mai un Mangiamorte, so che tutto questo ti ha devastato, che non hai avuto una vita facile e che non puoi riavere indietro un’infanzia diversa. Ma so, soprattutto, che adesso sei un uomo e che saprai affrontare il destino con il volto sicuro, fiero.  Ho fiducia in te e non lo penso solo io, Draco» concluse Andromeda con tono allusivo e rincuorante. Poi riprese dicendo: «Ne sono certa, ma sto parlando della signorina Granger.» Draco sorrise imbarazzato, pronto a voler sviare immediatamente quella discussione, tuttavia, sua zia non la pensava allo stesso modo. «Cosa pensi di lei, Draco?» chiese senza remore la zia che lo osservava come un raro oggetto di studio. «N-non capisco?» balbettò confusamente Draco, dando modo alla zia di continuare l’interrogatorio. «State passando molto tempo insieme, inizierai a conoscerla bene, no?» rincarò la dose la donna. «Zia, è il mio avvocato, nulla di più» cercò di chiarire il ragazzo come se le domande di Andromeda fossero mirate a scoprire qualcosa di più privato tra i due. «Certo che lo è, cosa pensavi che ti chiedessi? Merlino, cosa credevi Draco?» si stupì la Black a quel punto. Il ragazzo fece un sospiro di sollievo e sorrise rasserenato: «Nulla zia, assolutamente nulla. Meglio se proseguiamo» rispose con molta più leggerezza.  Chiarito l’equivoco i due si incamminarono quando Andromeda, davanti a lui, parlando più a se stessa esclamò: «Poi si sa, la signorina Granger è fidanzata con il figlio di Arthur!» Draco si massaggiò la fronte senza speranze e non seppe se sbuffare o sorridere ironicamente, tuttavia preferì far finta di non aver ascoltato. I due arrivarono davanti ad una porta socchiusa, Andromeda fece segno a Draco di fare silenzio da quel momento e lo invitò ad entrare.

L’ambiente non era molto illuminato, ma le mura completamente bianche conferivano alla stanza un’idea di pace trascendente. Al centro della camera vi era una bellissima culla in legno con eleganti fregi e intarsi che raffiguravano pianeti e stelle.

«Non la riconosci?» chiese Andromeda, fissando intensamente a Draco ancora sull’uscio. «No, no… non credo di ricordarla. Dovrei?» chiese il ragazzo turbato da quella curiosa domanda. «Probabilmente non l’ha detto mai a nessuno…» disse con un filo di voce la donna a se stessa. «Zia… io continuo a non capire» ripeté lui iniziando ad avvicinarsi verso la culla e intravedendo la piccola creatura che riposava dentro di essa.

«È un regalo di tua madre. Quando Ted nacque è stato il primo dono che arrivò qui a casa. Nonostante non ci vedessimo da tanto, quando le nostre famiglie condividevano solo odio, sangue e rancore, lei ha donato a mia figlia la culla di suo figlio. Era la tua, Draco. Solo chi è madre può capire cosa vuol dire condividere la culla del proprio bambino» rispose la donna che mise la mano davanti alle sue labbra per reprimere un singhiozzo. Chiuse gli occhi e lentamente si sciolse in un silenzioso pianto che fece crollare il castello di sicurezze e ricordi del ragazzo. Draco vide davanti a sé il ritratto di sua madre in lacrime. Stava per andarle incontro quando sentì il piccolo Teddy dietro le sue spalle lamentarsi come se avesse avvertito il clima di tensione nella stanza. Draco si sporse verso il neonato e si sorprese quando vide i suoi capelli di un cangiante verde smeraldo:«Z-z-zia! I suoi capelli… sono verdi!» esclamò allarmato il ragazzo. Andromeda sorrise colpita, ma spiego al ragazzo che era tutto nella regola… o non proprio: «È tutta questione di sangue, Ninfadora è… era – si corresse mordendosi le labbra -  una metamorfomagus e quindi poteva cambiare a suo piacimento una parte del suo corpo… ad esempio i capelli. Però Ted non aveva mai assunto un verde, figuriamoci questo bellissimo color smeraldo» rispose alla fine passando dolcemente la sua mano tra i capelli del bambino. «Sa che sono qui…» sospirò Draco guardando quel piccolo con tutta la dolcezza che non aveva mai creduto di possedere. Sua zia a quelle parole si voltò non comprendendole appieno: «Sa che sei qui?» si limitò a ripetere. «Verde smeraldo. Serpeverde, mi sembra ovvio» rispose il ragazzo sorridendo compiaciuto. «Gli dona, non credi?» controbatté ridendo di gusto la donna.

«Zia?» sollecitò Draco, cambiando decisamente tono di voce, diventando subito serioso. «Che succede, Draco?» chiese visibilmente preoccupata lei appoggiandogli la mano sulla spalla. «Voglio chiederti se posso far parte della sua vita, zia. Voglio essere la sua famiglia, quella che io e Potter non abbiamo mai avuto. Vogliamo essere una di quelle persone di cui possa fidarsi, persone che lo amano. È mio cugino, ti prego» la supplicò lui. Draco non sapeva dove avesse preso tutto quel coraggio. Un mese prima la sua proposta sarebbe stata fuori luogo, un sacrilegio, un comportamento da deridere, ma ora sentiva davvero dentro il suo cuore e la sua anima quelle parole.

«Oh, Draco!»  Andromeda lo abbracciò con più forza del dovuto. Pianse. Piansero insieme. Cuori che battevano all’unisono.

 

Hogsmeade - Pomeriggio                                                          

Hogsmeade a novembre simboleggiava qualcosa di sicuro, una costante matematica: neve, tantissima neve. Arthur Weasley dopo il fugace incontro con Hermione aveva iniziato a compiere il lavoro che il giorno precedente il Primo Ministro gli aveva affidato. Doveva ottenere quanto più materiale possibile per assicurarsi un buon numero di sentenze. Il primo nome nella lista era tra quelli più attesi, un personaggio odiato ovunque che, tuttavia al suo tempo, aveva avuto potere e popolarità. Poteva utilizzare una metropolvere e trovarsi direttamente nell’ufficio della McGranitt, ma il fascino del piccolo borgo magico lo aveva sempre attratto. Percorse tranquillamente le stradine fiocamente illuminate, la neve traboccante dai tetti delle case circostanti, i comignoli fumanti, gli odori di zuppe di zucca e riusciva a sentire persino l’odore invitante delle caramelle e delle cioccolate di Mieleandia. Vi era un pacifico silenzio. Una piccola Diagon Alley, molto più tranquilla e più cupa. Passò davanti La Testa di Porco, appartenuto fino a poco tempo fa ad Aberforth Silente, ora professore ad Hogwarts. Dalla finestra Arthur notò che nulla era cambiato, nemmeno gli ospiti abituali della locanda. Su ogni tavolo una calda burrobirra veniva servita ad uomini che chiacchieravano sommessamente. Arthur continuò a passeggiare e a mettersi dietro le spalle gran parte del sobborgo innevato, in lontananza offuscata dalla nebbia e dal vento, si intravedeva la Stamberga Strillante, il luogo più infestato di Inghilterra.

«Arthur Weasley!»

Una voce femminile tuonò in maniera allegra e squarciò il surreale silenzio creatosi. Il Signor Weasley si voltò in direzione del richiamo e vide Madama Rosmerta davanti la Sala da tè mentre stringeva elegantemente nella sua mano un calice di idromele. La donna indossava un abito blu con motivo a pois, sopra di esso aveva legato ai fianchi un grembiule da cameriera bianco. Il viso felice e rubicondo evocava una personalità allegra; i capelli legati in un chignon la rendevano più giovanile e aggraziata. Era tra le persone più popolari del paesino, il suo locale quello più in voga tra i giovani studenti di Hogwarts nel quale amavano trascorrere le giornate festive in dolce compagnia.

«Madama Rosmerta, che piacere rivederla!» esclamò a sua volta Arthur Weasley che si incamminò verso di lei. «Cosa ti porta qui, Arthur?» domandò curiosa la donna bevendo copiosamente il liquido giallastro. «Una chiacchierata con la Preside di Hogwarts, signora» le rispose senza sbilanciarsi in ulteriori informazioni. «Sei proprio un uomo del Ministro, Arthur. Kingsley non lo vedo da tanto, tantissimo tempo, sai…» disse lei dispiaciuta. «Devi pur capirlo, Rosmerta, adesso è il Ministro e non puoi avere idea con quante cose deve avere a che fare ogni giorno» cercò di spiegarle.

«Come il figlio di Malfoy?» chiese senza fronzoli e ammiccando ad un sorriso innocente, ma non così tanto.

Arthur imbarazzato per la domanda e non avendo il tempo per elaborare una risposta per sviare l’argomento cercò di concludere la conversazione: «Sai, Rosmerta, resterei qui a parlare con te per ore e mi farebbe tanto piacere, ma devo sbrigarmi prima che inizi a far buio» mentì con mestiere il Signor Weasley. Rosmerta lo trattenne per un braccio: «Promettimi che verrai con Molly un giorno. Ricordo ancora come voi due piccioncini pomiciavate in fondo alla sala! E mio padre che non smetteva di richiamarmi perché osservavo sempre!» raccontò ridendo quasi a farsi mancare il fiato.

Dopo essersi finalmente congedato, Arthur Weasley non ci mise molto per arrivare alla monumentale cancellata di ferro scuro di Hogwarts. Oltre di essa lo aspettava Neville Paciock. «Professor Paciock, grazie per avermi accolto nonostante queste temperature di certo non miti» confessò amichevolmente Arthur. «Per lei sono Neville, Signor Weasley. E non faccia complimenti. Venga – proseguì accogliendolo con un gesto esplicito -  sono sicuro che la Professoressa McGranitt sia ancora nel suo ufficio» rispose stringendogli con sicurezza la mano per salutarlo. «Devo confessare, mio caro Neville, che la professoressa neanche sa del mio inaspettato arrivo. Non che volessi farle una sorpresa, ma mi avrebbe imperato di passare direttamente dal suo ufficio… in questo modo mi sarei perso un gratuito giro turistico di Hogsmeade» si giustificò in maniera allegra Weasley.

Lo stagliarsi dell’immenso castello sulla collina rocciosa aveva sempre fatto suscitare sentimenti di incredulità e ammirazione. Era uno stato d’animo condivisibile per chiunque riuscisse a mettere piedi lì. Hogwarts era stata anche casa sua, come lo era stata per un incalcolabile numero di studenti prima e dopo di lui. «Dimmi, Neville, i lavori di ricostruzione come stanno procedendo?» chiese curioso, ma con tono solenne. «La McGranitt ha avuto un grande ruolo nella ricostruzione, c’è da ammetterlo. È riuscita ad avere la meglio sul Primo Ministro, che era restio a finanziare in maniera generosa. Durante gli incontri tra noi professori ci siamo molto soffermati su questo tema – gli confidò il docente di Erbologia - So che Kingsley Shacklebolt aveva stanziato pochissimi fondi per la ricostruzione, ma la McGranitt ha insistito. Il giorno dopo la professoressa portò al Wizengamot la mozione per i lavori di Hogwarts, minacciando tutti i presenti che avrebbe denunciato il fatto a tutti i giornali. Sta di fatto che la Gringott ha fatto un prestito di ventimila galeoni il giorno successivo – concluse soddisfatto e con un sorriso smagliante - Sta tornando tutto alla normalità, Signor Weasley.»

I due procedettero in un giro più largo passando, tra l’altro, nel luogo dove una volta era costruita la piccola casa del custode di Hogwarts, Rubeus Hagrid. Anche Arthur Weasley notò quell’evidente particolare: «Dove diavolo è finita la casa di Rubeus?» chiese allarmato. Neville con un’esplicabile smorfia del volto fece capire al più anziano che era stata distrutta durante la battaglia. «Hagrid voleva ricostruirla da capo, ma la professoressa McGranitt ha insistito che ricevesse una camera come tutti gli altri professori. Hagrid stava per piangere quando gliel’ha comunicato. Per non dirti che faccia ha fatto quando l’ha vista per la prima volta!» gli spiegò Neville, egli stesso emozionato. In lontananza iniziava a prendere forma più distintamente il portale che dava accesso alla scuola. Una volta varcato, in prossimità del tiburio, Arthur e Neville si fermarono di fronte al monumentale portone in bronzo che dava accesso alla Sala Grande. Quest’ultimo era stato ricostruito e il suo colore brillava come un tempo. Di fianco vi era collocata la statua monumentale in oro dell’architetto del castello, il cui nome era stato ormai dimenticato nel tempo. Alla destra di Arthur si intravedeva l’ampio spazio dove decine di scale in movimento davano l’accesso ai vari piani del castello. I quadri, che impreziosivano le pareti, raffiguravano personaggi in movimento che discutevano animatamente tra di loro o con qualche studente lì di passaggio. La magia di quel luogo non sarebbe mai stata spazzata via, rifletté il Signor Weasley. Ogni oggetto animato dalla magia, ogni fantasma e segreto celato tra quelle mura era stato fonte di ammirazione da sempre. La luce delle candele che illuminava ogni tratto del castello rendevano sempre vivo quel luogo. Erano scomparsi, almeno per quell’istante dalla mente dell’uomo, le immagini sconvolgenti di quella notte. Il sangue che imbrattava i marmi millenari, i corpi ammassati lungo tutte le pareti. La polvere, la cenere e il sudore che diventava tutt’uno tra le mani e i respiri affaticati di uomini e donne. Sembrava tutto così distante, solo un ricordo.

«Signor Weasley, tutto bene?» chiese il ragazzo, facendolo rinsavire da ricordi ancora troppo dolorosi. «Certo… andiamo, accompagnami all’ufficio» rispose l’uomo cercando di sembrare il più naturale possibile. Entrambi si diressero lungo un corridoio che li condusse sino a un piccolo giardino circondato da un porticato in pietra. Nel cuore del giardino si ergeva un monumento marmoreo che commemorava le vittime della battaglia. Sotto di esso una targa bronzea elencava le tantissime vittime che avevano combattuto eroicamente. «C’è il nome di Fred?» chiese all’improvviso l’uomo. «Scusi? Ah, il memoriale… - sospirò teso ed insicuro Neville -  Sì, Signor Weasley, ovviamente. Sono presenti tutti i caduti» rispose non sapendo se continuare o meno il discorso. «Proseguiamo, Neville, ti sto facendo perdere già troppo tempo» disse Arthur cercando di sviare un altro momento di debolezza. Percorsero tutto il porticato fino a quando si trovarono di fronte ad un solenne gargoyle. La statua ambigua sembrava raffigurare una creatura mitica: metà del suo corpo ricordò ad Arthur Weasley un'effigie diabolica, mentre l’altra metà, in maniera ancora più ambigua, rappresentava il simulacro di un angelo. Perso in quei lineamenti, l’uomo venne scosso dalle parole di Neville: «Piuma di Jobberknoll» disse con enfasi accompagnando le parole con un gesto delle mani. «Piuma di che?» lo interrogò retoricamente il Signor Weasley con espressione esterrefatta. «Piuma di Jobberknoll. – ripeté l’altro - Viene usata per preparare il Veritaserum, ma non chiedetemi perché la McGranitt ha scelto questa parola d’ordine» replicò Neville mostrando indifferenza. Ad un tratto il gargoyle si mosse di novanta gradi e rivelò dei gradini che facevano presupporre l’esistenza di un passaggio angusto. «Dovrò dimagrire un bel po’ se sarò costretto a passare di lì» scherzò Weasley. L’uomo si diresse verso la scultura e fece i primi due scalini, poi si voltò verso Neville: «Non mi segui, Paciock?» gli chiese amichevolmente come se fosse il gesto più normale al mondo. «Credo sia meglio lasciarvi discutere da soli» lo incalzò lui. «Allora è stato un piacere, Neville.» 
Arrivato a destinazione, Arthur constatò che la porta dell’ufficio era socchiusa. Riuscì a intravedere, attraverso un esiguo spiraglio, la donna che leggeva alcuni documenti e vi apponeva la sua firma elegante. Il Signor Weasley bussò con poca forza, quanto bastò per far sentire il colpo delle proprie nocche sul legno. Sentì il timido “avanti” della professoressa ed entrò chiudendo dietro di sé la porta. «Arthur!» esclamò la McGranitt, spiazzata dalla presenza di Weasley. «Professoressa non c’è bisogno che vi scomodiate» rispose l’uomo affabilmente mentre si avvicinava velocemente alla scrivania. 
Si strinsero calorosamente la mano e si scambiarono un repentino sguardo di stima reciproca. «Accomodati, Arthur. Posso servirti del tè? O forse, dell’acqua viola?» lo interrogò lei con tono serafico. «Non vi voglio importunare, Minerva. Sono a posto così, vengo direttamente dal Ministero e lì posso rimpinzarmi come neanche Molly riuscirebbe a fare» ribatté divertito Weasley, stampando un sorriso soddisfatto sul volto. «Come vanno gli affari al Ministero, Arthur?» chiese, a quel punto, interessata la donna. «È tutto sempre complicato. Il Primo Ministro mi ha incaricato di svolgere un ruolo da schermo tra il Wizengamot e lui… sai che non può eccedere con il peso politico che si ritrova» le spiegò in maniera riassuntiva. «Varrà anche per quello che è successo ieri, no?»

Era palese che Minerva McGranitt volesse sapere di più su quanto accaduto durante la conferenza, o meglio, dopo di essa. Draco ed Hermione erano stati entrambi suoi alunni. Non era suo stile preferire studenti ad altri, ma per Hermione provava un sentimento diverso che non era riscontrabile in una semplice stima accademica. Le ricordava tanto la giovane se stessa ai primi anni ad Hogawarts, piena di paure, insicurezze e consapevole di essere una mezzosangue. Dall’altra parte invece vi era Draco Malfoy. Intelligente, astuto, abile nell’aula di pozioni. Sapeva che non tutto era perfetto intorno a lui. Sapeva molto e lui, di questo, non era conoscenza.

 

***

Ufficio del Preside -  un anno prima

«Albus, non è normale il comportamento assunto da Potter» le disse corrucciata Minerva McGranitt dopo una lunga conversazione che la vide visibilmente preoccupata per il ragazzo. «No, Minerva, non è normale. Però conosci questa fase della loro… sono adolescenti, in preda ai fervori della giovinezza e il tarlo della gelosia che li consuma» replicò in maniera saggia. «Professor Silente, l’ha attaccato! Malfoy aveva ferite profonde, c’era sangue ovunque!» esclamò addolorata.

Albus Silente si lisciò la sua lunga barba bianca e cercò di riflettere profondamente. Non poteva dirle tutta la verità e la cosa peggiore era che conosceva la donna che gli stava davanti. Si sarebbe spinta fino al punto in cui avrebbe trovato una soluzione, gli avrebbe posto ogni genere di domanda per saperne di più, ma non poteva dirle nulla di Piton e del Voto Infrangibile.

«Il ragazzo è in pericolo» sentenziò Silente lasciando che per una volta fosse l’istinto a fare la prima mossa. «Draco Malfoy?» chiese allarmata la donna, ponendo la sua mano sulle labbra. «Minerva - l’uomo la guardò in maniera profonda, come solo lui riusciva a fare. La osservò, scrutò i suoi occhi e, soltanto alla fine, concentrandosi ulteriormente continuò: «Quella notte di due anni fa, in quel cimitero, la notte in cui il povero Cedric Diggory perse la vita, quando Harry affrontò coraggiosamente Lord Voldemort… vi erano alcuni Mangiamorte, come tu ben saprai. Tra questi, Lucius Malfoy» ma prima che l’anziano mago potesse continuare, Minerva McGranitt lo interruppe bruscamente sopraffatta dal dubbio: «So come è andata, Albus. Lo sappiamo entrambi, ma dov’è che vuoi arrivare?» controbatté incerta lei. «C’è da credere che il giovane Malfoy possa avere… in futuro… un ruolo tra i Mangiamorte» concluse l’uomo cercando di ingannare agli occhi della donna il suo tono preoccupato. «Silente! Dobbiamo fare qualcosa!» esclamò stupefatta la professoressa. «Cosa suggerisci, Minerva?» chiese l’uomo retoricamente, sapendo che nessuna risposta della collega sarebbe stata idonea alla situazione. «Parlagli, Albus. Sai meglio di me che il tuo ascendente, le tue sagge parole riescono ad influenzare il pensiero di un ragazzo che, sicuramente, non vuole avere nulla a che fare con tutto ciò!» rispose lei sempre tenendo un registro verbale autorevole. «Sono lusingato, Minerva, ed hai ragione: Draco Malfoy non deve ottenere alcun ruolo all’interno della cerchia di Riddle. Ma non posso parlargli. Lo metterei in grave pericolo. Tom lo verrebbe a sapere: Severus mi ha detto che l’Oscuro Signore sa adoperare, con una certa maestria, l’arte dell’occlumanzia. Lo tiene in pugno, Minerva» concluse poi l’uomo visibilmente abbattuto. «Sono delusa, Albus» aggiunse stizzita la McGranitt.

Gli occhi dell’uomo brillarono. Fissò il volto della donna con decisione, sapeva che non avrebbe desistito, non si sarebbe piegata. Pochissimi uomini avevano avuto il coraggio di dire ad Albus Silente di essere delusi dal suo comportamento. Minerva McGranitt era una di queste. L’unica donna che ha avuto l’ambizione e la risolutezza di confessarlo. «Minerva…» rispose con un filo di voce come a pregarla. «In tutti questi anni mi hai sempre confessato che ogni tuo tentativo di proteggere Harry Potter ha avuto risultato opposto. Ora dimmi, Albus, se fosse Potter nella situazione di Draco… lo aiuteresti?»

Albus si alzò con leggiadria, un semplice movimento delicato ed elegante. Continuò a fissare le iridi della collega senza pronunciare una sola parola. La fenice, accanto a lui, emise un gemito di dolore. Il suo colore non era più vivido, ben presto sarebbe diventata cenere. Albus le accarezzò il capo con una sensibilità non umana.
«È davvero questo che pensi?» chiese lui deciso.
«Quando ti comporti così, Albus» rispose lei non volendo farsi da parte.
«Minerva devi smetterla di pensare che io possa risolvere ogni cosa. Sono un uomo anch’io e, soprattutto, abituato alla sconfitta. La delusione cocente di una disfatta è quantificabile solo per tutte le anime che hanno lasciato questo mondo, Minerva. Non sempre le mie parole, sagge o giuste che siano, possono essere la chiave di tutto. Vorrei che tu pensassi solo che io stia facendo il massimo, tutto qui» controbatté risoluto.

Silente, passata la scrivania, si trovò davanti alla donna e le prese delicatamente la mano. «Minerva – iniziò con una voce profonda che la donna non aveva mai udito prima di quel momento. Il volto dell’uomo era contratto dalla stanchezza e da una vecchiaia ormai avanzata che però non spegneva e offuscava la spigliatezza nei suoi cangianti occhi azzurri - Hai combattuto al mio fianco per tutti questi anni con la tenacia e la fierezza che ti hanno sempre differenziata dalle altre anime che mi sono state vicine. Hai visto morire tante persone: amici, colleghi, ex studenti, tutte brave persone cha amavi profondamente. Arriverà una guerra, Minerva. – esclamò in tono solenne - Più atroce dell’ultima e dovrai essere forte. Sono l’ultimo ostacolo per Voldemort, l’ultimo tassello prima di completare il suo puzzle.» La professoressa, disorientata da quella confessione, cercò di carpire il vero messaggio di Silente che, sapeva bene, era sempre ben celato dietro gli artifici retorici congeniati: «Cosa sta cercando di dirmi?» chiese titubante lei. «Che devi fidarti solo dell’Ordine, di Harry, Ron, Hermione e dei nostri colleghi. Il Ministero non è più un luogo sicuro e sarà la prima istituzione a cadere nelle mani di Voldemort. Le cose peggioreranno e ci sarà un momento, prima o poi, che non saprai più a chi credere. Non fare l’errore di porre la tua fiducia nelle persone sbagliate, Minerva» l’avvertì lui appoggiando le sue mani stanche sulle spalle della donna.

Silente sapeva che quella discussione prima o poi sarebbe arrivata. L’avrebbe dovuta difendere, metterla al corrente di quanto sarebbe accaduto. Ma… non poteva essere completamente sincero.
«Albus, ora mi stai spaventando e dico sul serio…» stringendo una mano dell’uomo. «Minerva, devi essere pronta a qualunque prova. Sii forte e continua a lottare qualunque cosa accada.
La professoressa ripensando alle parole precedenti di Silente riaprì brevemente il discorso: «E di Severus devo fidarmi?» Silente fu sorpreso dalla repentinità di quella domanda. Cercò di sembrare il più convincente possibile. Poi ricordò a se stesso che doveva semplicemente dire la verità, quello che avrebbe sempre voluto dire a tutti sin dall’inizio: «Sì, Minerva, devi fidarti. Soprattutto di Severus… qualunque cosa accada.»

 

***

«Sì, vale anche per la conferenza di ieri…» rispose il Signor Weasley in modo da tenere il discorso ancora aperto. «Arthur, spero tu non sia venuto qui per trovare delle prove che possano incolpare il giovane Draco Malfoy» asserì eloquentemente l’anziana professoressa. 
«Invece dovresti, Signora Preside!» esclamò una voce fuori dal coro atona. Era stato uno dei quadri esposti dietro la scrivania a proferir parola.«Phineas, quante volte ti ho chiesto di tacere mentre converso con uno dei miei ospiti!» sbraitò la donna con veemenza, senza neanche degnarlo di uno sguardo.

«Sto solo incentivando una strada percorribile, signora» rispose l’uomo nel dipinto, raffigurato su un trono con indosso una lunga tunica verde smeraldo. «Non me ne faccio nulla delle tue strade perverse, Phineas. Come se non bastasse, ti ricordo che nelle vene di Draco Malfoy scorre anche il tuo sangue, il sangue dei Black. Questo non devi dimenticarlo Phineas Nigellus Black» sentenziò Minerva McGranitt scandendo le ultime parole e zittendo all’istante il dipinto animato. «Nulla di tutto questo, Minerva» riprese il Signor Weasley come se nulla fosse accaduto. Fece una breve pausa: «Voglio sapere tutto su una persona» sollecitò l’uomo in maniera laconica. «Se posso esserti d’aiuto, con piacere» rispose lei, avvicinandosi con il busto verso di lui. Si dipinse sul suo volto un’espressione di radicata curiosità.

«Dolores Jane Umbridge.»


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NOTE DELL'AUOTRE
Salve a tutti. Ritorono sempre dopo un bel po' di tempo. Purtroppo sono entrato ufficialmente nella fase universitaria e gli impegni con il giornale limitano ancora di più il mio tempo. Tuttavia sono qui e quindi siamo tutti più felici. Ritorno con la prima parte, e anche questo a grandissima distanza dall'ultimo capitolo diviso. Per farvi un paragone: il capitolo per intero conta un 17 pagine word quando la media era 8/9. Diciamo che la storia è ormai, da un paio di capitoli a questa parte, entrata nel vivo e la penna e la tastiera vanno più sciolti. Il titolo riprende le parole di un grande della storia politica e sociale degli USA: Martin Luther King. Il titolo allude ai diversi personaggi, ovviamente. Per Draco, Hermione, Ron, Andromeda, Minerva, il tempo è il filo conduttore che li collega. How long, not long. Non ha bisogno di traduzioni. Non voglio lasciare ulteriori info. La nota sarà approfondita nella parte seconda che pubblicherò tra un paio di giorni. Tranquilli, il capitolo è già bello e pronto. Ovviamente, come sempre, ringrazio Cecilia per la correzione del testo. Senza di lei questo capitolo varrebbe meno della metà. Grazie ancora per il tempo che spendi per me.

 

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Capitolo 26
*** How long, not long - II parte ***


HOW LONG, NOT LONG - II PARTE


 

"La vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti." - Soren Kierkegaard


Hermione quel pomeriggio era passata inutilmente a Villa Malfoy. Eltas, l’elfo domestico, le aveva detto che il padrone non era rientrato e che molto probabilmente sua zia Andromeda l’aveva ospitato a Brighton, a casa sua. Tornata a casa con la consapevolezza di non aver concluso nulla in quel pomeriggio, si rilassò sul sofà dove aveva sistemato, intanto, la documentazione sul caso di Draco.

Aveva capito che ormai l’unico modo per scagionarlo dalle accuse, tra l’altro non ancora formalizzate dal Wizengamot dato che il ragazzo non aveva ancora ricevuto la comunicazione dell'udienza preliminare, era quello di renderlo umano agli occhi della stampa, dell’opinione pubblica e, molto più importante, del tribunale dei maghi. Due erano i pericoli principali: le possibili testimonianze dei Mangiamorte sopravvissuti e di eventuali vittime. Ma a spaventarla maggiormente era il comportamento di Draco.

Aveva notato miglioramenti nell’ultimo periodo ma, conoscendolo, un solo episodio, un solo errore, avrebbe vanificato ogni passo in avanti. Se quel ragazzo fosse una bomba ad orologeria era difficile capirlo, ma comprendeva i rischi e doveva limitarli. Il Primo Ministro aveva azzardato allontanandolo, con quella che ormai sembrava una scusa, dalla madre. Era l’unica a creare un equilibrio intorno a lui, ma Hermione sapeva che anche lei era ammissibile di colpa. Questa scelta discutibile aveva spinto il ragazzo, forse indirettamente, verso la sorella della madre, figura ignota ad Hermione, ma che la tranquillizzava poiché affidataria del piccolo Ted Lupin. Chi poteva distruggere il caso di Draco? Un brancolo di Mangiamorte di poco conto ad Azkaban? No. Vi erano importanti personalità nel più importante carcere magico inglese. La Umbridge poteva testimoniare che Draco volontariamente aveva scelto di aiutarla durante il periodo di dispotismo a Hogwarts. Poi sua zia Bellatrix e, ovviamente, suo padre. Tante incognite e poche sicurezze. Kingsley, nel frattempo, era nel suo ufficio a crogiolarsi sulla sua poltrona, minacciandola di revocarle l’incarico.

In un eccesso di rabbia Hermione spezzò in due parti la matita che tratteneva tra le mani. Doveva restare lucida e mantenere la concentrazione. Troppe situazioni e persone dipendevano da lei. Il futuro di Draco, quello insieme a Ron, l’opinione sul Ministero e quindi il successo o declino di Kingsley. Stava scoppiando. A dissuaderla dal continuare quell’estenuante viaggio nella sua coscienza fu un gufo planato direttamente sul davanzale del soggiorno. Hermione andò alla finestra e alzò la serranda facendo entrare il piccolo gufo. Il suo piumaggio grigio antracite risaltava con i suoi vispi occhi gialli. Aveva legato al collo una lettera.

 

“Buonasera, Hermione. Ho avuto modo di leggere dai giornali quanto successo al Ministero. Sono sicura che farai un lavoro eccellente e che dimostrerai il tuo valore.
Tuttavia, conoscendoti, vorrai staccare un po’ la spina e sentirti un po’ più serena, un po’ più a casa.
Per questo motivo sono sicura che accetterai l’invito di cenare da noi questa sera. Tutti insieme, come una volta.

Con affetto Molly Weasley”

 

Hermione senza evidenziare un’indole infelice o meno, congedò il gufo e ritornò a sedersi sul comodo divano di pelle. Non sapeva se quella lettera fosse in realtà un’idea di Ron, un modo carino o, forse, banale di scusarsi. Se era il risultato di un atto indulgente del ragazzo non avrebbe sicuramente partecipato a quella cena. Era ancora troppo arrabbiata e delusa per scendere a patti con lui come se nulla fosse accaduto. Non gliene faceva una colpa, ma iniziava a pensare di essere lei nella posizione sbagliata, lei ad aver tradito la fiducia di Ron. Intanto Hermione continuava a girarsi la lettera tra le mani come se potesse darle un supporto o un suggerimento finalizzato a quel momento. La grafia della Signora Weasley era cadenzata, mostrava grande tranquillità; riusciva persino a sentire la sua voce, i suoi abbracci materni, quelle strette che soffocavano ogni volta lei e Harry quando arrivavano alla Tana o al Quartier Generale dell’Ordine. Le mancavano i Weasley ed era un dato di fatto. Ma ciò che la spaventava enormemente era che non le mancava Ron. Decise di strappare la lettera.

 

La Tana era sprofondata in una fredda e madida serata autunnale. Le foglie rosso pompeiano circondavano la struttura singolare che ospitava i Weasley. Gli alberi erano spogli, i rami disegnavano sul terreno cupe immagini con la collaborazione della fioca luce della luna. Vi era silenzio in quel luogo. Le tracce dell’uomo erano lontane e la natura ne faceva da padrona. Aveva da poco smesso di piovere e l’aria era satura dell’odore della terra, l’humus diventava più scuro e una soffocante umidità cominciava a posarsi su ogni cosa. All’interno della casa, invece, si respirava un clima di quotidianità e di pane caldo. Molly Weasley era indaffarata nel preparare un pasticcio alle verdure mentre ardeva, a fuoco lento, una pentola con una zuppa di sgombro. Ginny l’aiutava apparecchiando la tavola e girando di volta in volta la zuppa con un lungo cucchiaio in legno. Ad un tratto quella pratica culinaria, che si stava protraendo con un maniacale silenzio di concentrazione, venne perforata dalla rumorosa entrata di George Weasley e Luna Lovegood. «Buonasera, Weasley!» salutò George con tono di voce più alto del dovuto. Il ragazzo si avvicinò alle due donne di casa e le baciò amorevolmente sulla guancia. «Salve, Signora Weasley. Ciao, Ginny!» fece da coro Luna. La ragazza stringeva tra le mani una cesta in vimini, di quelle che si usano durante i picnic, dalla quale  sporgevano alcune bevande. «Credo che il Signor Weasley sarà entusiasta di gustare dell’ottimo vino italiano, mio padre l’ha spedito tramite gufo» spiegò la ragazza. La signora Weasley la ringraziò vivamente: «Cara, sei gentilissima, non dovevi disturbarti. Tuo padre è in viaggio?» le chiese la donna mentre iniziava a preparare i piatti per la cena. «Sì, Signora Weasley – affermò lei -  Papà ha sempre avuto una predilezione per l’arte e l’Italia è straordinaria da questo punto di vista. Ieri mi ha inviato un gufo dicendomi di trovarsi nella capitale. Lo invidio molto!» esclamò lei alla fine e un po’ triste di non essere in viaggio con lui. «Vuoi già abbandonarmi, Lovegood?» le chiese divertito George che, intanto, aveva già preso posto a tavola. «Ti avrei portato con me, è chiaro» le risposte teneramente Luna. I convenevoli tra i presenti però vennero immediatamente troncati da un boato al piano superiore. «Chi diavolo ha usato la metropolvere a quest’ora!» sbraitò la Signora Weasley, che per lo spavento si era macchiata anche la veste. «Papà?» domandò George in modo tale da interrogare tutti. «Non essere sciocco, Georgie. Tuo padre non la usa mai per ritornare dal Ministero» gli spiegò la madre. Dopo qualche secondo comparve finalmente l’inatteso ospite: «Salve, famiglia!» esclamò Ron Weasley con uno smagliante sorriso sul volto. «Rooon!» esclamò, ad alta voce, precipitandosi in lacrime da lui. «Cosa ci fai qui?» gli chiese lei mentre lo stritolava in un abbraccio dei suoi. «Se vuoi ritorno a Edimburgo» scherzò lui che ricambiò l’affettuoso abbraccio.

Ron in un secondo momento salutò il resto dei presenti e, come al solito, provò anticipatamente la specialità della sera. «Bentornato a casa» confessò con enfasi a se stesso. «Come mai da queste parti, fratellino? Affari di cuore?» gli chiese scherzando lui. «Sì» rispose freddo e tagliando corto, aiutando nel frattempo la madre a versare le pietanze. Luna, Ginny e George si scambiarono sguardi interrogatori. «Non aspettiamo papà?» chiese Ginny a sua madre. «No, Ginny cara. Mi ha detto di non aspettarlo per cena e che avrebbe tardato per una visita alla professoressa McGranitt.»

Tutti parvero interessati alla questione: «Papà? Dalla McGranitt? Da quando il suo ufficio si interessa degli affari di Hogwarts?» chiese perentoriamente George. «Sempre se questi affari non riguardino il suo ufficio…» alluse invece Luna. «Troppe domande qui! A mangiare!» esclamò la Signora Weasley invitando tutti a sedersi. Appena tutti si accomodarono, Ginny prese la parola: «Come sta andando il negozio, George?» aprendo ad una lunga conversazione tipica delle cene Weasley. «Bene, anzi, direi benissimo. Luna ha avuto la brillante idea di fare qualche accordo con Mielandia. Adesso anche loro venderanno i nostri prodotti. – poi diventò d’un tratto più serio - Ricorda, Ginny, tuo fratello creerà un impero e ti fermeranno per strada e ti chiederanno: Per le mutande di Merlino! Ma tu sei Ginny Weasley, la sorella del geniale magnate, George Weasley!»

Tutti risero di gusto. George sembrava essere tornato quello di una volta. Nonostante l’assenza di Fred, il ragazzo stava cercando ad ogni costo di ricostruirsi una nuova vita. Luna era la sua nuova vita. Molly lo osservava come una madre che è all’attenta ricerca di un piccolo dettaglio, in modo da capire come stesse in realtà il proprio figlio, quel particolare che solo una madre era in grado di trovare. La carpì dai suoi occhi, quella sfumatura. Era vita. Vide una fiamma nelle sue iridi, vide il suo cuore battere, il sangue pulsare forte. Vide il modo in cui parlava e osservava quella singolare ragazza dalla chioma bionda vaniglia.
Fu il bussare alla porta che fece rinsavire la donna da quei profondi pensieri.
«Vado io» si propose immediatamente Ron.
Quando il ragazzo aprì la porta rimase immobile, come se fosse stato colpito.

Hermione Granger si trovò senza parole esattamente come il ragazzo. Indossava un informale trench beige. I suoi capelli erano sciolti e particolarmente crespi. A Ron balenò in mente la piccola Hermione del primo anno, libri protetti tra le proprie braccia, mano alzata ad ogni lezione, la risposta pronta a tutto. Era così Ron, riusciva a tornare indietro nel tempo grazie ad un semplice, e a volte banale, dettaglio.

«Ron! si può sapere chi è?» esclamò la madre dalla cucina. Il ragazzo fece finta di non averla ascoltata, accostando leggermente la porta e parlò alla ragazza: «Ciao, Hermione. Non ti aspettavo» la salutò, cercando di sembrare il più normale possibile. «Dovevo immaginarlo - sospirò lei - Ho ricevuto un gufo da tua madre. Mi aveva invitato per cenare insieme questa sera…» concluse giustificandosi. «Non ne sapevo nulla» rispose Ron, mostrando ancora indifferenza. Hermione fece un segno accondiscendente con il capo: «Scusami, vorrà dire che ripasserò un altro giorno» gli rispose sconfortata. Ron la guardò con sguardo comprensivo e, almeno per quell’istante, sentì un vuoto dentro di sé. Tutta quella sua freddezza era ingiustificata, quell’astio che voleva esplicitare era ipocrita. Mentiva alla donna che amava e a se stesso. «Non essere sciocca, Hermione», Ron aprì completamente la porta e invitò la ragazza ad entrare con un gesto inequivocabile.

«Hermione!» Fu Luna Lovegood la prima a rendersi conto dell’arrivo della giovane. «Cara, iniziavo a pensare che non saresti venuta» replicò a sua volta la Signora Weasley che le si avvicinò per abbracciarla come al suo solito. «In quel caso le avrei scritto» controbatté sicura la ragazza.
Ginny si alzò e preparò un’altra porzione per Hermione e spostò il suo piatto così che permettesse alla ragazza di sedersi al fianco di Ron. Hermione cercò di fulminare l’amica con lo sguardo, ma Ginny non capì cosa stesse succedendo tra i due. Dopo l’arrivo della ragazza, tutti i commensali furono più silenziosi. A tratti si poteva ascoltare il banale e freddo rumore delle posate contro la ceramica dei piatti. Luna tolse d’impaccio gli altri ospiti: «Ginny, hai notizie di Harry?» chiese curiosa mentre addentava un pezzo di verdura. Tutti i presenti la ringraziarono segretamente per aver rotto di nuovo il ghiaccio, poi la più giovane di casa Weasley parlò: «Nessuna. Da quando è partito nemmeno un gufo. Papà ha parlato con il Dipartimento degli Auror e gli hanno assicurato che è tutto sotto controllo e che Percy e Harry non possono mettersi in contatto perché corrono il rischio che le loro lettere vengano intercettate» spiegò con calma la ragazza, visibilmente dispiaciuta per la situazione.

«Posso provare a parlare con il Primo Ministro, Ginny. Non so se riuscirà a darmi una risposta diversa» disse poi Hermione cercando di essere di supporto. «Hermione cara, tranquilla. Arthur mi ha detto che non c’è nulla di cui preoccuparsi, tuttavia, è solo rattristato dal fatto che nessuno sappia il più banale dettaglio di questa missione. In realtà pare che nessuno sappia nulla ed è davvero molto strano» rispose Molly Weasley dubbiosa.

«Hermione, so che non dovrei interferire e se non vuoi parlarne ti capisco… ma abbiamo letto di Draco…» Era stata Ginny ad aprire quel discorso. Hermione non se lo sarebbe aspettato da lei. Si erano sempre protette a vicenda e riuscivano a capirsi all’istante quando doveva esserci un argomento tabù.  Inaspettatamente Hermione non parlò, lo fece Ron al posto suo: «Non penso che Hermione sia venuta qui stasera per parlare di lavoro» tagliò corto Ron elargendo a sua sorella uno sguardo adirato. La ragazza però sapeva di non poter interpretare il ruolo del personaggio passivo e adeguarsi a quanto detto da Ron continuando a creare un falso mistero intorno a lei, avrebbe dato ancora spazio alle accuse di Ron di non condividere nulla della sua vita e di mentirgli su quanto facesse. «Cosa vuoi sapere, Ginny?» chiese Hermione, cercando di restare il più indifferente possibile. Scese il silenzio nella cucina, Ron posò le posate e si voltò verso Hermione che, in maniera disillusa, continuava a fissare attenta le iridi di Ginny. Anche George sembrava aver perso il solito brio che lo distingueva da tutti gli altri. «Perché sei stata scelta proprio tu per assistere Draco? E… perché hai accettato dopo tutto qu-?» Hermione interruppe: «Dopo tutto quello che mi ha fatto?» concluse sorridendo amaramente. Ron disgustato da quella sua espressione sbottò: «È così divertente, vero?». «Ronald Weasley!» lo richiamò sua madre che non comprendeva affatto cosa stesse succedendo alla sua tavola. «Ha ragione ad essere infuriato, Signora Weasley. – voltandosi verso di lei - È stato Kingsley a scegliermi. Ha ritenuto fossi pronta per questo incarico e la mia reputazione poteva essere una carta a suo vantaggio. Conosco Draco e questo poteva essere un altro punto a mio favore e, infine, non penso che qualcun altro sarebbe stato disposto a difenderlo» disse in conclusione Hermione. «E perché secondo te?» chiese Ron come se la discussione del giorno precedente fosse solo l’antipasto. «Non voglio tornare a litigare, Ron. – piegando le dita istericamente e chiudendo gli occhi - Ti ho spiegato benissimo come la penso e non credo riuscirai a farmi cambiare idea. Draco non è colpevole dei crimini di suo padre e di Voldemort. Prima te ne renderai conto, meglio sarà per tutti, e potrai andare avanti anche tu e non ricordare Draco ancora come quel ragazzino che amava fare il bullo a Hogwarts» sentenziò Hermione senza degnarlo di uno sguardo mentre parlava. «Andare avanti, dici? Andare avanti? Come soltanto pensi che io possa andare avanti dopo qualche mese? Chiedilo a George se è andato avanti! Chiedilo a mia madre e a mio padre! Chiedilo a Ginny se è andata avanti dopo aver perso Fred!» urlò Ron che si alzò da tavola e scomparve nella stanza attigua. Di nuovo il silenzio scese in cucina. Hermione piegò il capo sulle mani, Molly, Fred e Ginny contemplavano con i loro sguardi il vuoto mentre Luna, con sorpresa di tutti, andò da Ron.

La ragazza trovò Ron sul balcone. Il vento scuoteva leggermente i suoi capelli rossi. Rosso Weasley.
«Posso restare?» chiese con un filo di voce Luna. «Sono io che dovrei andare via, Luna» rispose sconsolato Ron evitando di voltarsi. «Sei solo troppo adirato per affrontare una discussione con lei, è comprensibile» cercò di giustificarlo lei.
Ma Ron tornò all’attacco e si girò con occhi infuocati. Sembrava che la sola immagine di Hermione potesse di nuovo farlo infervorare: «Abbiamo già discusso, Luna! Ma è complicato vederla difendere Malfoy! Malfoy – ripeté come se Luna non avesse ancora compreso chi fosse il co-protagonista di quella storia – Hanno passato sette anni della loro vita a farsi la guerra, a odiarsi in ogni modo. L’ha chiamata “mezzosangue” davanti a tutti, l’ha schernita ed umiliata. Draco non è una brava persona, Luna. È l’uomo, anzi, il burattino che stava per uccidere Silente. Ci ha tradito tutti quell’anno e non posso dimenticarlo. Aveva quasi ucciso Katy Bell e me, ha lasciato che Bellatrix e Greyback entrassero ad Hogwarts. Ha accettato il marchio nero, di servire Voldemort, ha ammesso ogni genere di empietà. Io sarei morto, non avrei mai potuto sopportare tutto questo. Mai.» Il monologo di Ron uscì come un fiume in piena e Luna venne completamente travolta da tutte quelle dure parole. Non poteva non biasimarlo e compatirlo e sapeva bene che anche lui, come Hermione, aveva un grosso peso sulle spalle. Non poteva dare apertamente ragione al ragazzo, ma Ron aveva ampiamente dimostrato nel tempo che era in grado di superare delusioni e dolori. La morte di Fred sicuramente aveva avuto un ruolo fondamentale nell’accettazione di quella situazione. Né George né Ginny stavano vivendo in prima persona quel momento e Ron se la stava cavando da solo, senza piangere sulla spalla di qualcun altro. Era semplicemente da solo.

«Quando è morta mia madre – Ron a quel punto cambiò atteggiamento e sembrò placare il suo animo tormentato – mio padre cercò di essermi accanto sempre, ad ogni ora del giorno. Eppure la sua presenza era diventata di troppo, nonostante sentissi un vuoto acuto e dilaniante dentro di me. Ero vuota e volevo esserlo ancora di più. Pensavo che l’unico modo per superare la perdita fosse quello di restare da soli, nel più meditato silenzio. Avevo bisogno di ritrovare me stessa e, soprattutto, una speranza.» Luna prese un istante di pausa, dando così tempo a Ron di interrogarla nuovamente: «E ci sei riuscita in quel modo?» Luna appoggiò, con la grazia che le apparteneva, la mano sul petto e gli sussurrò debolmente: «No, Ron. Non ci sono riuscita. Nessuno ci riesce da solo e non ci riuscirai nemmeno tu» concluse lei togliendo lentamente la mano dal suo cuore.

Ron aprì la bocca, ma la richiuse poco dopo. Il discorso di Luna si era addentrato tra le pieghe della sua anima, l’aveva avvolta, stretta, abbracciata. Non si era sentito cambiato, ma Ron, poteva giurarlo, si sentiva capito. «Cosa dovrei fare?» chiese a quel punto Ron, fidandosi ciecamente delle parole della Lovegood. «Conosci Hermione meglio di chiunque altro, ogni mio suggerimento in merito sarebbe frivolo. Lei non cambierà idea tantomeno gliela farai cambiare tu o qualcun altro. Devi accettare la cosa, Ron. Per farlo dovrete superarla insieme… provateci di comune accordo. Tu l’aiuterai ad affrontare questa situazione. Devi comprendere che anche per lei è difficilissimo, so che si sta facendo schiacciare dai problemi e dalle responsabilità. Ma lei ti aiuterà a sentirti meno solo, più ascoltato e amato. Ti aiuterà quando è l’unica in grado di farlo, ti tenderà la mano e ti chiederà di fidarti di lei. Solo lei può far sì che il ricordo di Fred non ti laceri l’anima e ti distrugga lentamente. Dalle questa possibilità, Ron» gli supplicò Luna che aveva preso tra le mani il viso del ragazzo. «Che dici di tornare di là?» rispose sorridendo Ron.

 

Quando ritornarono in cucina, Ron e Luna pensarono che il tempo si fosse fermato a qualche istante precedente. Tutti erano ancora seduti ai rispettivi posti, in silenzio e con volti apprensivi.
Fu ancora Ron a parlare di nuovo: «Almeno non avete mangiato la mia zuppa» esclamò.
Luna fece segno da dietro che era tutto rientrato, ma Hermione, che si trovava davanti a lui, era pietrificata. Prima che Ron potesse di nuovo prendere posto a tavola, il Signor Weasley apparve con gran baccano in casa, facendo cadere dalle braccia una quantità industriale di documenti ministeriali.

«Buonasera tesoro» esordì l’uomo, baciando sulla guancia sua moglie e sua figlia - «penserò dopo a queste carte. Ho bisogno di una doccia immediatamente. Devo scappare da Hermione per una comunicazione urgente!» esclamò Arthur Weasley che stava già mettendo un piede in salone. «Arthur!» lo ammonì sua moglie. «Più tardi, Molly. Sono proprio di fretta» rispose senza neanche dare il tempo alla donna di concludere la frase. «Hermione è proprio accanto a te» gli fece notare.
«Oh…» sospirò imbarazzato per la gaffe. Poi spostò lo sguardo prima sulla ragazza e poi su suo figlio Ron: «Non pensavo di trovarti qui, Ron! Che sorpresa che mi hai fatto» lo abbracciò contento di rivederlo. Poi il Signor Weasley sembrò aver finito le parole a disposizione quel giorno e lasciò ad Hermione la prima mossa. «Volevate parlarmi, Signor Weasley?» chiese curiosa la ragazza. «Sì, Hermione» rispose serio Arthur e attirando su di sé l’attenzione di tutti i presenti. «Andiamo nell’altra camera» la invitò l’uomo. «Si può sapere cosa avete di così privato ed importante di cui parlare voi due? E poi, Arthur, da quando salti una mia cena per discutere di lavoro?» gli rammentò acidamente Molly.

Il Signor Weasley fece finta di non sentire e accompagnò Hermione nella camera attigua.

 

«Capisci perché devi farlo tu, Hermione?»
«È l’unico modo?»
«Non c’è altro mezzo.»
«Te l’ha suggerito Kingsley?»
«No. Ho pensato tutto io. Possiamo farcela.»
«E Draco?»
«Potrebbe non esserne immune…»



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NOTE DELL'AUTORE
Ho deciso di aggiornare direttamente il giorno dopo senza voler far passare altri giorni. Ci ho riflettuto perché la separazione è stata dovuta solo per un peso di parole. Non ci sono cambi temporali, se non spaziali. Quindi far passare dei giorni l'ho ritenuto inutile anche per non farvi perdere "il passo" con la storia. Ebbene, l'ultima parte chiude un po' di cerchi e ne apre alcuni ancora più grandi. Due sono state le scene più importanti. Quella nel capitolo precedente che ha visto protagonisti Minerva McGranitt e Arthur Weasley e quella di questo capitolo, sempre presente Arthur ma con Hermione. Come avete avuto modo di leggere, non ho detto nulla. Ho lasciato tutto aperto. Capirete nei prossimi capitoli, o forse, già nel prossimo. Ricordate. Arthur Weasley sarà fondamentale in questa storia. Dopo un po' di tempo siamo ritornati alla Tana. L'aria era ovviamente tesa, e proprio questo clima verrà ripreso nel prossimo capitolo. Non pensiate sia finita qui! Hermione e Ron sembrano essere a un bivio, Luna ha assunto il ruolo di salvatrice provvidenziale. Mh, forse su di lei potrei dirvi dell'altro... ma vedremo. Ginny sarà un nome che farà probabilmente breccia nel prossimo capitolo. Dal punto di vista invece dei Black e dei Malfoy, tenendo conto anche del capitolo precedente, avete notato come il rapporto tra Andromeda e Draco stia migliorando. C'è una sua lenta maturazione. Credo proprio che qualcuno se ne accorgerà di questo. Nei prossimi capitoli ampio spazio ai cattivi.
Questi erano gli appunti. La citazione filosofica è ovviamente un indizio per la discussione tra Ron ed Hermione e il successivo confronto con Luna. 
Al prossimo capitolo, 
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