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Quando le mani del
ragazzo le si serrarono con un fremito attorno al viso, poté scorgere quello stesso tremolio di
rabbia e tormento rispecchiarsi in quegli occhi grigi, gli stessi occhi con cui
la teneva incollata al suo sguardo. Una luce pallida balenò nelle sue iridi la
seconda volta che quelle mani rudi e forti si serrarono maggiormente sulle sue
guance, senza tuttavia ferirla.
Lui prese fiato e, con
quello che le parve uno sforzo immane, lo vide risponderle. -Perché erano
questi gli accordi. Avresti superato l’ultimo test e, invece di raggiungere gli
altri iniziati per la cerimonia di ingresso alla fazione, saresti corsa nel mio
alloggio e saresti rimasta chiusa lì fino al mio arrivo.-
La ragazza scosse la
testa e la malinconia negli occhi del suo interlocutore raggiunse i suoi. Non
riusciva a capire, non riusciva a comprendere ciò che stava succedendo senza
sospettare qualcosa di molto grave nascosto dietro l’insolito comportamento del
ragazzo.
-Gli accordi, Eric? Perché
dovrei separarmi dal gruppo per nascondermi nella tua camera? Non ha senso!-
Eric lasciò la presa
attorno al suo viso diafano come se si fosse improvvisamente scottato, restò
per qualche secondo attonito, apparentemente privo della forza che solitamente
lo contraddistingueva.
-Non nascondermi la
verità, so benissimo che c’è qualcosa che non va!- insistette lei.
A quel punto, come se
il mondo avesse smesso di girare, Eric guidò la sua mano lungo la guancia della
ragazza che gli stava ad un palmo dal viso, aggrappandosi a quel contatto come
se da quello dipendesse tutta la sua esistenza. Immergendosi poi in quegli
occhi cobalto, che erano sempre stati capaci di trasmettergli sicurezza e
conforto, si ritrovò a chiedersi da quando quella presenza fosse per lui una
vera e propria dipendenza.
Quando aveva iniziato
a mettere al secondo posto la sua fazione, i suoi obiettivi e suoi doveri, solo
per una ragazza il cui sguardo esprimeva un coraggio ed una determinazioni
quasi pari alla sua?
Fu in quel preciso
istante che capì che c’erano due cose che gli stavano realmente a cuore, una
era la sua fazione e la guerra che stava per iniziare per togliere il potere
agli Abneganti, e l’altra gli stava difronte. In un secondo momento, perdendosi
a studiare quel viso di cui ormai conosceva ogni centimetro, sentì dentro di sé
una cocente rabbia crescere, al pensiero che rischiava di perdere entrambe le
cose che per lui erano essenziali se solo il suo piano non fosse andato a buon
fine in ogni minima parte.
Prese un profondo
respiro per trattenersi e per impedire che la sua rabbia si focalizzasse su
l’unica persona che non meritava di soffrire per mano sua, ma l’afferrò dalle
spalle avvicinando i loro volti nel tentativo di apparire più deciso che
poteva. Era cosciente che in quel modo l’avrebbe spaventata, ma non gli
restavano altre carte da giocarsi, e ciò che c’era in ballo era troppo
importante per permettersi il rischio di fallire.
Ad ogni modo la
colpevole era proprio lei, ed era solo sua la colpa se adesso stava rischiando
la propria posizione, e forse anche la propria vita, solo per proteggere una
ragazzina testarda. Era colpa sua se, ad ogni secondo che passavano lì a
discutere, i rischi per entrambi aumentavano.
Fu sull’onda di quel
risentimento che parlò in maniera letale, mirando il suo sguardo adirato dritto
in quello della ragazza, incatenandola.
-Adesso farai come ti
ho detto. Sei ufficialmente un’Intrepida adesso, ed io sono un tuo capofazione
che ti da un ordine, e non hai altra scelta che eseguirlo. Perciò corri.-
Stretta fra quelle
mani che in altre circostanze erano state capaci di accarezzarla e di
proteggerla, la giovane si lasciò andare alla superiorità di Eric e, mordendosi
il labbro inferiore, sentì i proprio occhi inumidirsi. Nessuno avrebbe creduto
quel capofazione capace di mettere da parte la propria durezza per difendere
qualcun altro, ma con lei lo aveva fatto. Era riuscita a far breccia nel suo
muro impenetrabile e a raggiungerlo nelle profondità del suo essere, a tal
punto da avere imparato a riconoscere ogni segnale di allarme nel suo
comportamento.
E, da quello che
vedeva, i segnali presagivano una catastrofe.
-Perché?- Sussurrò ancora,
ad un palmo delle labbra di Eric.
Suo malgrado, e
nonostante gli sforzi per controllare la voce, calde lacrime erano sfuggite al
suo controllo.
Eric prese un respiro
profondo, non voleva arrivare a tanto, era disposto a spaventarla ma avrebbe
preferito non doversi imporre con la forza.
Avrebbe preferito
farla ragionare ma, dacché quella soluzione era ormai esclusa, la strada della
cattiveria era l’unica da percorrere.
-Non ti riguarda. Ora
fai come ti ho ordinato e sappi solo che, se potessi, ti ci trascinerei io con
la forza. Vedi di fare un favore ad entrambi e obbediscimi.-
-Non ha senso…- Sussurrò
la ragazza e, nell’abbassare lentamente la testa, diede quasi ad Eric
l’illusione di essere stata sconfitta. -Perché mi stai chiedendo di
allontanarmi adesso per andare nella tua camera?-
-Perché?- chiese Eric,
deciso a non lasciar trapelare alcuna emozione anche mentre un guizzo intrigante
gli attraversava lo sguardo. -Non te l’ho mai chiesto?-
La ragazza scosse
bruscamente il capo e, con un unico gesto stizzito, si liberò della presa del
ragazzo attorno alla sue spalle. -Non così! Perché cerchi di nascondermi? Da
cosa vuoi che io…-
Nell’istante che passò,
Eric trattenne il fiato. Era a conoscenza che la realtà dei fatti rappresentava
un ulteriore rischio, ma sperò con tutto sé stesso che la mente brillante della
giovane non la conducesse alla verità.
-Gli Eruditi!- Esclamò
lei in un soffio, spazzando via ogni speranza di Eric. -La guerra… il potere
che vogliono togliere agli Abneganti… Santo cielo! Non fidarti di loro!-
Proprio mentre la
ragazza stava per indietreggiare, terrorizzata dalle sue stesse affermazioni,
Eric la riafferrò dalle spalle e con uno scossone la riportò in sé.
-Adesso piantala e vai
via di qui prima che possano scoprirci!-
La ragazza scosse la
testa. -Stavano studiando un sistema di controllo, ho contribuito alla sua creazione.
Tu non puoi neanche immaginare quanto io sia dentro a questa storia, io so
tutto! Eric, non fidarti di loro!-
-È l’unico modo che ho
per proteggerti, Aria!-
Quando con un gesto
improvviso le mani di Eric tornarono a cingerle il viso, Aria capì che ogni suo
incubo si era avverato, e che ciò che ancora non sapeva era peggiore di quanto
potesse immaginare. Sentì altre lacrime caderle dagli occhi, poi la presa di
Eric si rafforzò e sentì le sue labbra scivolarle sulla fronte, posandole un
bacio rude e carico di significati.
Era stata una sciocca
a sperare e, l’improvvisa consapevolezza che il suo errore avesse rischiato di
mettere in pericolo Eric, le piombò addosso come un pugno allo stomaco.
Perché sapeva che era
quella la verità, sapeva benissimo che lui stava rischiando tutto e
allontanarla era l’unico modo per salvarla, dato che non avrebbe certo potuto
agire liberamente senza rischiare di compromettere la sua posizione.
-Non noteranno la mia
assenza?- Provò a dire, sperando che lui la tenesse con sé e che le permettesse
di affrontare qualsiasi cosa a cui andavano incontro senza farla fuggire via
come una codarda.
-Tengo io i registri
degli iniziati…-
Ogni speranza persa.
-Corri e non voltarti
indietro- Le ordinò, mentre con un braccio solo la stringeva bruscamente a sé.
Persa nei suoi
tormenti, Aria rimase a fissare il pavimento mentre Eric scioglieva il fugace
abbraccio e si voltava, pronto ad andarsene.
Ma non si lasciò
sfuggire un ultima promessa.
Con una mano si
allungò per bloccarlo dal polso e, quando lui si voltò a guardarla, lei si concesse
poche parole.
-Promettimi che dopo
mi dirai tutta la verità.-
Senza risponderle, ma
con uno sguardo che valeva più di mille spiegazioni, Eric si sottrasse alla
presa e si allontanò deciso, perdendosi fra le ombre del cunicolo.
Mentre avanzava per lo
stretto corridoio, Aria decise che era più opportuno trasformare l’angoscia che
provava in energia per andare avanti. Avrebbe anche potuto farsi sopraffare
dalla rabbia, o dalla paura, ma non poteva permettersi nessuna incertezza.
Lo stretto passaggio
che si snodava verso il Pozzo, il punto di raccolta per gli Intrepidi, era più
buio e silenzioso del solito e, ad ogni passo, poteva sentire il battito del
suo cuore rimbombarle nelle orecchie, nelle tempie, nei polsi e lungo le pareti
di roccia.
Non poteva fare a meno
di essere spaventata all’idea che qualcuno avrebbe potuto scoprire la sua
assenza, o intercettarla lungo il suo percorso, perciò non le rimaneva che
affrettarsi e sperare che niente andasse storto.
Se l’avessero vista
dirigersi dalla parte opposta al luogo della cerimonia avrebbero potuto
insospettirsi, tuttavia, se avesse seguito la scorciatoia che Eric le aveva suggerito,
le possibilità di raggiungere la sua camera di nascosto e in poco tempo,
sarebbero decisamente aumentate.
Immaginò di potersi
già considerare al sicuro e, nel ripercorre quei passi che già tante altre
volte l’avevano condotta da Eric senza che nessuno fosse a conoscenza del loro
rapporto segreto, dovette veder crollare davanti ai propri occhi il castello di
sabbia che aveva costruito mentalmente quando, di fronte a lei, si
materializzarono due uomini che azzerarono completamente le sue probabilità di
salvezza.
Decisa com’era, non si
era accorta dei due che avanzavano verso di lei, fino a quando non se li era
ritrovati a pochi passi di distanza.
Ma il problema non era
stata la sua distrazione, d'altronde, che differenza avrebbe fatto tornare sui
suoi passi?
Il vero problema,
tuttavia, stava nel fatto che, tra tutte le persone al mondo che avrebbero
potuto intercettarla, non poteva capitarle niente di peggio.
Finn era un uomo alto
e dal fisico asciutto, con folti capelli grigi e mento spigoloso. Aveva sicuramente
più di quarant’anni ed era uno dei capifazione più temuto e rispettato fra
tutti quelli al comando. Già una volta in passato, Aria, aveva avuto a che fare
con la furia di quell’uomo quando, ad un suo comportamento sbagliato, era stato
egli stesso ad impartirle la punizione che meritava. Il tutto era avvenuto
sotto gli occhi di Eric che non aveva potuto fare altro che acconsentire in
silenzio e assire a quella tortura.
Inseguito, Aria era
venuta a sapere che il comandante Finn aveva scoperto l’unione clandestina tra
lei ed Eric, e che aveva appesantito la sua punizione proprio per punire Eric
per la sua trasgressione alle regole e per sfidarlo ad opporsi al volere di un
suo superiore, disubbidendo ancora alle leggi della fazione.
-Dove va così di
fretta, signorina? La cerimonia di ammissione si svolge dall’altra parte…- La
canzonò il capofazione, con quella sua aria falsamente affabile.
La ragazza
indietreggiò, sapeva che oramai ogni speranza era persa, il suo piano di fuga
era stato intercettato e nessuna scusa avrebbe funzionato perché, semplicemente,
quell’uomo era troppo furbo per essere ingannato.
-Io…- Provò facendo
appello a tutto il suo coraggio. -Ho dimenticato di prendere una cosa…-
Mentre parlava tutto
il suo corpo si era immobilizzato, vittima di un fastidioso torpore che le
impediva di apparire rilassata. Ogni suo muscolo era teso, le braccia
ricadevano saldamente lungo i fianchi, ma i suoi occhi erano spalancati a
tradire il terrore che provava.
La sua paura triplicò
quando l’altro uomo, un ragazzino smilzo e con i capelli rasati, si avvicinò
all’orecchio del comandante Finn per sussurrargli qualcosa. Qual ragazzo era il
suo tirapiedi più fidato e, forse, la sua intenzione non era propriamente
quella di nascondere alla ragazza ciò che aveva da dire, considerato il fatto
che quest’ultima colse ogni parola.
Non solo Aria poté ascoltare
ciò che il ragazzino aveva da dire, ma riuscì anche a cogliere la nota di
scherno e la cattiveria con cui sussurrò il suo messaggio al capofazione.
-…Forse ha perso
qualcosa nella stanza di Eric…-
Aria impallidì.
Si accorse troppo
tardi, e con un suo rammarico, di aver fatto un passo indietro. La più banale
delle scuse aveva ovviamente fallito. Se avesse realmente dimenticato un
qualsiasi oggetto, non era certo quella la direzione verso cui avrebbe dovuto
correre. I dormitori degli iniziati non erano lì, da quella parte, c’erano solo
quelli degli istruttori e dei capifazione.
Venne richiamata all’attenzione
da una sottile risata da parte di Finn. -Sì, e scommetto che lui sarà felicissimo di vederla…-
Non c’era più
speranza, avevanofallito.
Prese un respiro
profondo e sperò con tutta sé stessa che Eric non finisse in guai seri a causa
sua. Quei due uomini sapevano tutto, sapevano che Eric teneva a lei più di
quanto avrebbe dovuto, e avrebbero usato quella debolezza contro di lui.
-Vieni, non perdiamo
tempo!-
Detto ciò Finn si
avvicinò a lei, seguito dal suo fedele braccio destro e, insieme a lui,
l’afferrarono bruscamente e la fecero voltare, trascinandola poi verso la
direzione da cui era appena arrivata.
Mentre veniva portata
via, senza alcuna speranza di opporsi, Aria si lasciò sfuggire un’occhiata alla
sue spalle verso la meta che avrebbe dovuto raggiungere ma alla quale non
sarebbe mai arrivata.
Tutta la fatica che
aveva fatto per arrivare fino a lì era stata inutile, adesso stava tornado
esattamente nel posto dalla quale Eric aveva tentato, con tanto impegno, di
allontanarla.
Chiuse gli occhi, alla
fine sarebbe riuscita davvero a deluderlo.
Ma come erano arrivati
a quel punto? Cosa li aveva legati fino a condurli a quella miserevole fine?
Da quando il loro
rapporto era diventato così profondo da essere pericoloso?
Fra i suoi primi
ricordi che potevano spiegare l’inizio del suo rapporto con Eric, Aria non
poteva fare a meno di pensare al loro primo incontro.
Era il giorno della Scelta,
il giorno in cui avrebbe finalmente potuto liberarsi della sua vecchia fazione
e passare a quella a cui si era sempre sentita di appartenere veramente.
Un’arrampicata per
prendere un treno in corsa e un salto sul tetto, senza che quello stesso treno
si fermasse, non era certo ciò che immaginava, ma niente le avrebbe fatto
cambiare idea.
Ogni fibra del suo
essere le urlava che era fatta per appartenere Intrepidi.
Radunati tutti davanti
ad un muretto basso che segnava la fine del tetto, i nuovi arrivati cercavano
di non guardare troppo a lungo i volti dei dirigenti che li avevano accolti e, in
particolare, fuggivano con lo sguardo da colui che aveva parlato.
Aveva detto di
chiamarsi Eric e si era presentato come uno dei capifazione. Era alto e
l’insieme di muscoli, tatuaggi e piercing che esibiva, sembrava studiato a
tavolino per incrementare la sua aura minacciosa.
Sembrava uno di quegli
uomini a cui puoi dare fastidio anche solo respirando, e che è meglio non fare
arrabbiare troppo, se non si vuole finire all’altro mondo. Nessuno sarebbe
stato così pazzo da avvicinarglisi, e nemmeno Aria voleva farlo, eppure non
poteva fare a meno di guardarlo.
Era come il fuoco per
lei, intrigante e affasciante proprio per la sua pericolosità. Non lo si può
toccare senza bruciarsi, ma lei avrebbe volentieri corso il rischio.
Lui rappresentava perfettamente
tutto il mondo degli Intrepidi che per anni aveva sognato, senza tuttavia poter
mai raggiungere.
Esprimeva forza,
coraggio, determinazione e potenza. E lei desiderava con tutta sé stessa quella
forza.
Voleva quella potenza,
e avrebbe fatto di tutta per ottenerla e per diventare una vera Intrepida.
-Vado io, adesso!- Esclamò
senza paura.
Prima di lei avevano
saltato una ragazza Abnegante e un altro ragazzo che non conosceva.
Era stato detto che il
modo che avevano per accedere alla nuova fazione era quello di saltare nel
vuoto, e lei avrebbe fatto quello e non solo pur di dimostrarsi degna di
entrare.
Quando avanzò tra gli
altri ragazzi, qualcuno il cui intelletto era contenibile all’interno di una
noce, decise bene di lasciarsi scappare un apprezzamento poco educato ad alta
voce.
-Però, niente male!-
fece seguire ad un fischio volgare.
Aria fece un altro passo
in avanti come se nulla fosse, poi si fermò per un istante, si riabbottonò la
sua giacca blu notte e prese un respiro profondo.
In quello che potrebbe
essere definito come una frazione di secondo, la ragazza si voltò e con un
gesto fulmineo fece scattare il pugno verso il volto del ragazzo che aveva
parlato. Il mal capitato non immaginava che Aria non avesse alcuna intenzione
di colpirlo e che si sarebbe fermata con il pugno ad un soffio dal suo naso. Perciò
si lasciò scappare un gridolino spaventato e, nel tentativo di sottrarsi al
colpo, fece un passo indietro che gli fece perdere l’equilibrio e che per poco
non lo spedì gambe all’aria.
Quando il giovane con
la divisa degli Intrepidi addosso si accorse della figuraccia che aveva fatto,
fece una smorfia mentre cercava di ricomporsi. Qualcuno si fece scappare
qualche risolino, erano rimasti tutti senza fiato pensando ad una rissa, e una
donna adulta lì presente si era già preparata ad intervenire, ma tutto si era
risolto tranquillizzando i presenti.
Una ragazza bionda
vestita di giallo e arancio mostrò entrambi i pollici ad Aria che, come se
nulla fosse successo, ritrasse il pugno fermo a mezz’aria e si ricompose con
tranquillità.
Con passo fermo e
deciso si avvicinò al cornicione, vi si aggrappò sopra e attesa qualche secondo
in piedi mentre fissava il vuoto. Stava calcolando l’altezza e chiedendosi cosa
le avrebbe impedito di farsi del male, quando si accorse di colui che la stava
osservando.
Girò piano la testa,
attenta a non perdere l’equilibrio, e si ritrovò con il capofazione Eric a
fissarla.
Le stava donando uno
sguardo freddo e tagliente come una lama ma, nell’arricciatura delle sue labbra
e nello scintillio dei suoi occhi ghiacciati, Aria colse una punta di
divertimento.
Anche se non aveva
abbandonato il suo muro di glaciale autorevolezza, aveva in qualche modo
gradito lo spettacolo che gli aveva fornito e glielo stava comunicando.
Non era certo cosa di
tutti i giorni vedere una ragazzina Erudita riuscire a fingere di colpire un
giovane Intrepido per terrorizzarlo.
Non la stava ammonendo,
ritenendo quel comportamento fuori regola, ma si stava addirittura dimostrando
complice di quel gesto tanto sfrontato eppure così follemente intrepido come
solo lui poteva apprezzare.
Mai uno sguardo aveva
comunicato tanto, mai due iridi grigie erano entrate tanto in simbiosi con lei
dopo un solo istante.
Eric piegò ancora le
labbra in un sempre più evidente sorriso, per quanto minaccioso apparisse in
realtà, poi inarcò le sopracciglia con decisione.
Forse, altri al suo
posto avrebbero fatto diversamente, ma lei fece ciò che le venne più naturale:
ricambiò il suo sguardo e sollevò la bocca in un breve sorriso.
Si sentiva felice come
mai prima d’ora, aveva quasi aggredito un suo coetaneo e nessuno era corso a
rimproverarla. Per una volta, nonostante ciò che avesse fatto fosse sbagliato,
aveva ricevuto un piccolo gesto d’ approvazione, e non era arrivato da un
Erudito.
Ma da un Intrepido.
Un mezzo sorriso
nascosto dietro uno sguardo arrogante era riuscito a liberarla e a farla
finalmente sentire a casa dopo sedici anni.
Prima di voltarsi
rivolse ad Eric un’ ultima occhiata maliziosa, poi si voltò verso il vuoto
davanti a sé, chiuse gli occhi e provò ad immaginare la sua tunica e la sua
giacca blu, sapendo che quella era l’ultima volta che la indossava. Non serviva
a nulla calcolare la distanza o la velocità d’impatto che l’attendeva, adesso
non era più parte degli Eruditi.
Adesso era un’
Intrepida.
Un Intrepida che,
mentre saltava nel vuoto per la sua prima volta, era già schiva di uno sguardo
che le aveva fatto battere il cuore.
Inutile chiedersi,
arrivati a quel punto, se fosse stato quello l’inizio di un’attrazione
pericolosa.
A nulla serviva sapere
cosa avesse innescato la valanga di emozioni e sensazioni che avevano portato
lei, una trasfazione, a perdersi tra le fiamme del fuoco.
Mentre ad ogni passo
si avvicinava alla sua fine, trascinata a forza dai due uomini, non poteva fare
altro che immaginarsi, con un nodo alla gola, la reazione di Eric quando
avrebbe scoperto che il loro piano era fallito.
E in più si domandò,
da quando Eric era pronto a rischiare per proteggere qualcun altro?
Forse era amore? E, se
lo era, da quando era iniziato?
Continua…
*****
Brevi note:
buon inizio di storia a tutti, spero che abbiate trovato
piacevole la lettura e che vi abbia incuriosito per leggere i capitoli
successivi.
Volevo, oltre a ringraziarvi per aver letto, precisare alcuni
adattamenti per poter seguire al meglio la Fic.
Tanto per iniziare, io seguirò principalmente la trama del
film, e poco il libro. Perciò, se trovate alcuni particolari fuori testo
rispetto alla storia narrata nel romanzo, non preoccupatevi ma fate riferimento
al riadattamento cinematografico.
In oltre ci saranno nuovi personaggi e alcuni particolari di
quelli già conosciuti, come l’età e altri piccoli dettagli, che verranno
modificati per garantire un adattamento migliore per questa piccola storiella.
Il mio intento è quello di rimanere il più fedele possibile
al film, perciò non vorrei modificare i caratteri dei protagonisti o
stravolgere il tutto con eventi troppo fantasiosi. Qualche ritocco sì, ma
niente di stravolgente!
Detto questo, grazie ancora, spero di poter sapere le vostre
opinioni attraverso qualche commento =)
Anche lei stava trattenendo il fiato, poteva tuttavia
sentire quello del suo avversario, poteva percepire lo scricchiolio delle ossa
delle proprie dita mentre si serravano sulle sue spalle.
Non le era parso tanto forte quel ragazzo insolente quando,
qualche istante prima, le era bastato un calcio ben assestato per farlo finire
a terra. Eppure adesso, in un tempo decisamente troppo breve, la situazione
sembrava essersi ribaltata.
Non era iniziato nel migliore dei modi quello scontro,
detestava il suo avversario e, ancora di più, detestava il fato che fosse stato
proprio lui a richiederla come sfidante.
Giunto il momento degli incontri tra gli iniziati, ad aprire
le danze erano state due ragazze, identificate come la prima e l’ultima a saltare.
Subito dopo un ragazzino era stato picchiato selvaggiamente
da un giovane trasfazione dei Candidi e, quando quest’ultimo era rimasto privo
di avversario, per vivacizzare la situazione, gli era stato concesso l’onore di
scegliersi da solo il suo prossimo rivale.
E lui aveva scelto proprio lei.
Un colpo di pistola
che manca il bersaglio…
Forse il capofazione, arrivato apposta per vedere qualche
goccia di sangue zampillare fuori da qualche naso rotto, aveva trovato
intrigante il modo di combattere del ragazzo, e lo aveva voluto sul ring per
più di uno scontro a differenza di quanto aveva fatto con i precedenti mal
capitati.
Forse voleva vedere un’altra vittima.
Un ricordo le si era ripresentato per sbaglio alla mante,
ricordando un pugno sul viso di un ragazzo, appena un mese prima.
Sangue su una giacca bianca, non più immacolata.
Una offesa, una risposta violenta. Un rimprovero e una fitta
al cuore le conseguenze.
Mentre saliva sul ring, tra gli sguardi incuriositi e un po’
spaventati dei suoi compagni, Aria aveva scosso la testa per allontanare quel
pensiero, ma non era riuscita a respingere la rabbia che ne era conseguita.
Come il cacciatore fa con la sua preda, il suo momentaneo
sfidante aveva iniziato a girarle intorno con fare minaccioso. Aria era rimasta
al suo posto e, a sua volta, si era concesse un’attenta analisi del nemico.
-Prima le signore.- L’ aveva provocata sfacciatamente il
ragazzo. -Ti concerò la prima mossa, ma ti ricordo che sta volta non riuscirai
a colpirmi!-
Un’alzata di spalle era stata la risposta. -Come preferisci,
ma tu ricordati che questa volta non verrà nessuno a difenderti, Peter!-
Con una sicurezza ammirabile, Aria era avanzata verso il
ragazzo che l’attendeva in posizione di difesa, gli fu di fronte e, senza
troppi ripensamenti, fece scattare il braccio destro in avanti per colpirlo con
un pugno al viso.
Ma quella era stata solo una finta e, quando come era
prevedibile, Peter aveva usato entrambe le braccia per farsi scudo, la ragazza
gli aveva rifilato un potente calcio al fianco rimasto scoperto. Di
conseguenza, Peter si era ritrovato a barcollare all’indietro ma, grazie alla
prontezza dei suoi riflessi, aveva recuperato la posizione eretta spingendo con
le mani sul pavimento.
E poi tutto era successo troppo in fretta.
Peter, furioso, si era scagliato verso l’avversaria con una
seria di pugni violenti, di cui uno era riuscito a superare la barriera che
aveva creato con le braccia e a colpirla dritto al mento.
Il pugno era stato tanto forte da farla girare su sé stessa
e cadere rovinosamente a terra. Si era ritrovata con le mani arpionate al bordo
del ring mentre la testa le vorticava e la sua vista le forniva versioni
distorte e offuscate della stanza.
Era rimasta a terra, con la testa affacciata oltre il limite
del ring, quando aveva sentito Peter caricare ancora verso di lei.
Aveva deciso di voltarsi, aveva steso la gamba all’ultimo
momento e il suo piede era andato a segno nell’addome di Peter, costringendolo
a tornare, dolorante, sui suoi passi.
Aria si era rimessa in piedi, giusto in tempo per far in
modo che il successivo pugno del ragazzo la colpisse con forza alla spalla,
invece che alla guancia.
E poi la situazione era cambiata e, quando Peter era tornato
verso di lei, le aveva afferrato entrambe le spalle con le mani.
Ma lei non era disposta a concedergli altro. lo aveva
bloccato a sua volta, aggrappandosi anche lei alle sue spalle con le unghie in
una stretta ferrea.
Un colpo di
pistola che certa il bersaglio…
E adesso erano lì, due nemici faccia a faccia, bloccati in
una morsa che li rendeva prigionieri l’uno dell’altra.
-Incontro terminato!- tuonò la voce di Eric.
Né Aria né Peter mollarono la presa, né smisero di guardarsi
negli occhi.
-Noto una certa ostilità, mi piace!- Se la rise il capofazione,
godendosi un’insana idea formatasi nella sua testa. -Rimanderemo il vostro
scontro al momento in cui sarete realmente pronti.-
Con sguardo tagliente e carico di tensione, Aria e Peter si
lasciarono andare, senza tuttavia perdersi di vista fino a quando non furono
giù dal ring.
-Per tutti gli altri…- continuò Eric. -Questo è ciò che
voglio vedere, la determinazione ed il coraggio! Voglio scontri tra veri Intrepidi,
non tra femminucce!-
Mentre Aria si avvicinava a raccogliere la sua giacca
lasciata a terra, Sasha, una trasfazione dei Pacifici che le era diventata
amica, le passò davanti bisbigliandole qualcosa.
Dal labiale capì che diceva: -Che furia!- Con un’alzata di
sopracciglia.
Fece un mezzo sorriso e scosse il capo, l’unica folle
Pacifica che diventava Intrepida aveva scelto proprio lei come compagna di
scorribande.
Mentre si abbassava sulle ginocchia per raccogliere la
giacca della sua divisa da terra, con la coda dell’occhio, vide Eric che
parlava animatamente con Peter. Sembrava lo stesse rimproverando di qualcosa.
Aria allungò la mano ma, ad una seconda occhiata, vide Eric
fare gesti decisi e Peter che lo ascoltava con concentrazione, chinando più volte
la testa.
Con un gesto stizzito diede una scrollata alla sua giacca
per liberarla dalla polvere, quello che aveva intravisto non era un rimprovero,
ma una serie di consigli.
Lo stava istruendo.
Rindossò il giubbetto di pelle, gli diede una spolverata con
le mani lungo i fianchi e successivamente passò a riordinarsi il colletto. Si
sentiva leggermente infastidita mentre cercava di disfare la coda di cavallo in
cui aveva avvolto i suoi capelli corvini, al pensiero che, a quanto pareva,
l’imparzialità non era tra le doti del capofazione tatuato.
Proprio mentre stava per fare un passo avanti, vide sul
pavimento davanti a lei l’ombra di qualcuno alla sue spalle.
-Ero già pronto a scommettere sulla tua dipartita, ed io
raramente mi sbaglio. Ma, considerando che sei riuscita a rimanere tutta intera
contro ogni mia più rosea previsione, avrai qualche punto in più in
classifica.-
Quando Aria si voltò, stupita di ritrovarsi davanti
l’espressione autorevole di Eric, non riuscì a capire se le parole appena udite
fossero da ritenersi come un complimento o come una minaccia. La sua voce era
quella dura e spietata che aveva sempre usato in tutte le occasioni in cui lo
aveva sentito parlare, lo sguardo era letale come al solito, eppure le sue
parole non sembravano del tutto negative.
Senza prendersi il disturbo di chiarire i dubbi apparsi sul
volto della ragazza, Eric si voltò e fece per andarsene, senza tuttavia
lasciarsi scappare l’occasione di mandarla ancora di più in confusione.
-Peccato che se sarà ancora questo il tuo modo di
combattere, uno dei posti in rosso della classifica sarà tutto tuo!-
-Dove ho sbagliato?-
Non sapeva se il fatto che quella ragazzina avesse parlato,
senza cogliere al volo che quell’informazione che le aveva concesso non era il
via ad un dibattito, ma una frase conclusiva, lo infastidiva oppure lo
incuriosiva.
Quando Eric si paralizzò nel punto in cui era, lasciando
passare interminabili secondi prima di voltarsi nuovamente, nella sua mente
balenò per un attimo l’idea di metterla a tacere per sempre per l’insolenza
dimostrata. E, questo suo pensiero spietato, fu chiaramente percepito da Aria.
Alla ragazza, infatti, bastò un’ occhiata ai suoi muscoli
pressanti sotto il gilet nero che avvolgeva il suo corpo, per avvertire un
brivido di terrore sulla propria schiena.
Aria vide finalmente il suo capofazione voltarsi e, in
quello che come mai prima d’ora appariva uno sguardo realmente in grado di
uccidere, le si posizionò ad un palmo dal viso. E se, nei pochi passi che li
separavano, si era rifiutato di guardarla anche solo per sbaglio, mentre
parlava aveva fissato i suoi occhi in quelli di lei.
Con stupore, Aria notò che erano verdi ma che la luce
offuscata li rendeva scuri.
-Pensi che non abbia notato il tuo modo di combattere?- Le
sibilò ad un soffio dal viso, senza batter ciglio. -Sei una calcolatrice, e
questo ti rende lenta. Le volte in cui è riuscito a colpirti è stato perché eri
troppo impegnata a studiare le sue mosse per difenderti.-
Aria restò senza parole ed abbassòlo sguardo, davvero era come un libro aperto
agli occhi esperti di Eric?
-La prossima volta vedi di usare meno la testa e di essere
più impulsiva, qui non siamo fra gli Eruditi e non abbiamo tempo da perdere. Agisci
e basta!-
Quando Eric si voltò, per la seconda volta, sentì qualcosa
che gli impedì di procedere. Per la seconda volta rimase paralizzato a causa di
quella ragazza ma, sta volta, sentì distintamente la rabbia accecarlo.
Perché ciò che aveva sentito era una piccola risata.
Quando si voltò, lo fece con un tale impeto che non dovette
fare altro per mettere fine a quel ridacchiare e per attirare l’attenzione
della ragazza che si era paralizzata dal terrore.
Al sentire quella frase, un brivido le aveva attraversato
tutto il corpo in una scossa frizzante che le aveva dato gioia, portandola
istintivamente a ridere. Ma, una volta accortasi della sciocchezza commessa,
tremava di paura.
Eric era eretto davanti a lei in tutta la sua potenza, ed
era pronta a scommettere che non le avrebbe lasciato passare quell’insolenza.
Scosse la testa ed abbassò gli occhi, parlando in maniera
confusa -Mi dispiace. Io non volevo. È solo che…-
-È solo che?- La incalzò con un ringhio.
Aria prese un profondo respiro, mortificata. -È solo che
quando ero dagli Eruditi, mi sentivo dire continuamente di non essere troppo
impulsiva e che dovevo riflettere prima di agire. Mi dicevano di ragionare
sempre su ogni cosa che facevo, e di non seguire mai il mio istinto…-
Eric rimase privo di espressione per qualche secondo,
concedendosi il tempo per studiare l’espressione sottomessa della ragazzina
che, adesso, non aveva più nemmeno il coraggio di tenere alto il mento. Si
fissava la scarpe, inseguendo forse qualche ricordo lontano e non del tutto
piacevole.
-In tal caso permettimi di darti due consigli che ti
permetteranno di rimanere in vita tra gli Intrepidi.- Disse Eric. -Il primo è
che adesso non fai più parte degli Eruditi, e qualsiasi cosa tu abbia imparato è
il caso di dimenticarla e di ripartire da zero con gli insegnamenti della tua
nuova fazione.-
Aria sollevò lentamente la testa e rimase in silenzio. Erano
anni che desiderava lasciarsi alla spalle la sua vecchia vita.
-Sì, signore.- disse umilmente.
-Mi chiamo Eric, rivolgiti a me con il mio nome e risparmia
le formalità per gli Eruditi.-
Aria fece un cenno e trattenne un sorriso di intendimento. Era
ancora pronta a ricevere la furia di Eric da un momento all’altro, eppure non
poteva essere più felice di sentirsi dire tutte quelle cose.
-E secondo.- Riprese lui. -La prossima volta che mi ridi
alle spalle, ti staccherò la testa e la metterò a penzolare sullo strapiombo!-
Un colpo di
pistola che sfiora il bersaglio…
Con sua grande disapprovazione, Aria si accorse che il
caricatore della pistola era scarico. Abbassò l’arma puntata contro il
bersaglio e si concesse un sospiro di sollievo nel costatare che, alla fine, la
maggioranza di colpi era andata a segno.
Con minore gioia, dovette accettare il fatto che, con la
mente, avesse scelto di ripercorrere i momenti del suo primo incontro con Peter
e della successiva chiacchierata con Eric.
Quanto c’era di più sbagliato era difficile da calcolare ma,
di certo, il ricordo dei fatti avvenuti tre giorni prima le aveva dato la
carica giusta per svuotare il caricatore della sua arma contro il fantoccio di
carta. Peccato che, forse, se avesse pensato ad altro, avrebbe avuto una mira certamente
più decente.
Niente da fare, la sua infallibile memoria tornava a
riproporle continuamente avvenimenti del passato da quando aveva cambiato
fazione. Il contrasto tra i momenti che ricordava di aver vissuto tra gli
Eruditi, e quelli tra gli Intrepidi, era così devastante che la sua mente si
prendeva gioca di lei, portandole continui paragoni.
Paragoni a favore degli Intrepidi e che non le toglievano
dalla testa avvenimenti come l’ultimo a cui continuava a pensare.
Decise di fare una pausa, perciò tornò alla postazione di
tiro alle sue spalle e vi appoggiò sopra la pistola. Dopo averla privata del
caricatore, si concesse un attimo per disfare la coda di cavallo che le teneva lontano
dagli occhi i capelli scuri mentre sparava.
Proprio in quel momento, Aria vide l’uomo appoggiato
all’ingresso della grotta. Ci furono dei dettagli che le risaltarono
all’occhio, come le fasce muscolari delle sue braccia e il petto possente
imprigionato nel giubbotto nero, che delinearono subito una figura a lei
conosciuta.
Eric.
Senza nessuna spiegazione logica, Aria sentì un nodo in gola
e un brivido freddo lungo la schiena.
Incatenati in uno sguardo scrutatore, il capofazione e
l’iniziata, rimasero in silenzio.
Forse non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto di quella visita
inaspettata, ma la ragazza rimase comunque sconvolta al pensiero che Eric
potesse essere stato lì ad osservarla per chissà quanto tempo, senza che lei se
ne fosse accorta.
Ancora sotto lo sguardo del ragazzo, Aria tentò di ignorare
il misto di imbarazzo e orgoglio che provava, e si accinse a caricare
nuovamente la sua pistola. Ma, mentre si sforzava di ignorare la sua presenza,
il fastidioso brivido lungo la sua schiena si trasformò in una scarica
elettrica che aumentava ad ogni secondo che Eric continuava a rimanere in
silenzio ad osservarla.
I suoi occhi seguivano ogni movimento del suo corpo come un
cacciatore famelico seguirebbe i movimenti della sua preda nella foresta,
deciso a non perderla di vista, perché da quella cattura deriva la sua vita.
-Da quanto sei qui?- Gli chiese, stanca di quel prolungato
silenzio, senza tuttavia degnarsi di guardarlo.
-Abbastanza per vedere quanto sia peggiorata la tua mira.-
Le rispose con strafottenza.
Con uno scatto, Aria tolse la sicura alla pistola e la prese
con entrambe le mani, puntandola contro i bersagli alle sue spalle.
-Piano con i complimenti…- affermò, - Sono armata!-
-Anch’io…- Le rispose lui con un’ alzata di sopracciglia.
Mentre parlava, scostò un lato del suo gilet imbottito per
mostrarle la pistola e il coltello nascosti nelle tasche interne.
Tuttavia, Aria non seppe mai se a lasciarla davvero
impressionata furono le armi che portava con lui, o la linea di addominali
scolpiti che aveva reso visibili mostrando la canottiera nera che indossava
sotto la giacca.
D'altronde, non avrebbe avuto bisogno di armi per batterla,
dato che avrebbe potuto sottometterla con il solo utilizzo della sua forza
fisica. Quando aveva scostato metà del gilet per mostrarle coltello e pistola,
forse non pensava alla terza arma costituita dai suoi muscoli che, forse in
un’altra situazione, una ragazza avrebbe potuto ritenere attraenti.
Qualcosa l’ aveva indubbiamente infastidita, forse la propria
ed evidente inferiorità, forse la sua presenza.
Fatto stava che Eric poteva benissimo leggere il suo cambio
emotivo. La vide ricambiare ostinatamente il suo sguardo per poi abbassare la
testa, concentrandosi sulla pistola che aveva in mano.
La luce al neon della grotta rendeva diafana la pelle della
ragazza, il cui profilo delicato stonava con il luogo. Eric, infatti, si chiese
cosa ci facesse una persona così apparentemente fragile nella sala del
poligono.
Aveva grandi occhi del colore del cielo notturno, naso
all’insù e rosse labbra carnose che la rendevano più simile ad una fatina dei
ghiacci che ad una letale tiratrice scelta. L’unica cosa che tradiva la sua
reale forza era il suo corpo, le cui curve erano trattenute a stento dalla
divisa nera degli Intrepidi. Come negare che quelle erano sinuosità tipiche più
di una giovane donne che di una ragazzina e, nel vederle contrarre la sottile
muscolatura delle braccia, Eric si ritrovò a pensare che sarebbe stato un vero
peccato se fosse finita tra i feriti.
Una come lei avrebbe dovuto stare in una tega ed essere
esibita come un trofeo al momento più opportuno, non di certo con un’arma in
mano, pronta a colpire senza pietà.
Ma era più appropriato pensare al suo di posto, perché
davvero non si spiegava cosa ci facesse lui lì, ad assistere allenamento di
una, non poi tanto comune, trasfazione.
Il motivo del suo interesse per quella particolare iniziata
alle prese con un bersaglio e un’ arma carica, derivava del fatto che aveva
innescato lui stesso la valanga degli eventi che avevano portato la ragazza in
questione sotto esame.
Non senza ripensamenti, Eric si ritrovò a ripercorrere le
circostanze che lo avevano condotto a quel momento…
Era la prima prova che metteva nelle mani degli iniziati
delle armi da fuoco e, per tenere la situazione sotto controllo, era stato
chiesto al capofazione Eric di essere presente nel ruolo di supervisore.
Cooperava spesso con Quattro nell’addestramento dei
sedicenni, ma gli venivano risparmiate parecchie parti noiose per permettergli
di dedicarsi agli altri impegni consoni al suo ruolo. Essere un capofazione
degli Intrepidi richiedeva molto impegno, ma mai come quell’anno, in cui si
pianificava una guerra e ogni tassello doveva muoversi secondo uno schema
preciso.
In pochi conoscevano le direttive che giravano fra gli alti
ranghi della fazione, e predisporre tutto senza farsi scoprire richiedeva
impegno e costanza.
Quell’anno non si stavano solo preoccupando di addestrare
soldati ordinari che, al momento del bisogno, forse, sarebbero dovuti scendere
in campo a difendere i cittadini. Le mura ormai erano sicure da anni e i
problemi causati dagli Esclusi si risolvevano spesso in mezza giornata.
Quell’anno stavano preparando schiere di soldati per un
esercito. E lui lo sapeva benissimo.
Gli Eruditi erano pronti a muovere guerra contro gli
Abneganti per togliere loro il potere, e gli Intrepidi avrebbero fatto la loro
parte mettendo a disposizione una vera e propria armata.
Una volta arrivato al poligono, sapeva di dover tenere d’
occhio i ragazzini, affinché qualche stolto non si facesse male sul serio.
Ma doveva anche prendere nota dei risultati ottenuti da ogni
singolo iniziato per assegnargli il giusto punteggio in classica a fine
giornata.
Eppure era lì anche per un altro motivo. Doveva infatti
capire se, tra tutti, c’era qualcuno che valesse la pena di prendere in
considerazione.
Per un esercito servivano soldati forti e pieni di talento
ma, se qualcuno si fosse realmente distinto, magari proprio con le armi,
sarebbe stato più comodo tenerlo alla base. Magari avrebbero potuto metterlo in
difesa o, più semplicemente, tenerlo come informatore, invece che mandarlo allo
sbaraglio sul campo di battaglia e rischiare di perdere un valoroso compagno.
E, proprio mentre cercava la persona giusta ai loro scopi,
scorse fra tutti i bersagli appesi alla roccia uno in particolare. I fantocci
di carta avevano una sagoma umana e un bollino rosso disegnato al centro del
petto.
Si dia il caso, che nel bersaglio da lui individuato, il
bollino rosso in questione fosse completamente sparito a causa dei colpi che lo
avevano centrato.
Fermatosi con stupore ad osservare meglio il povero
bersaglio, Eric incrociò le braccia al petto ed attese che il meccanismo
automatico tirasse su il vecchio fantoccio e ne facesse scendere al suo posto
uno nuovo. Quando questo accadde, si ritrovò ad osservare con sorpresa che il
centro del bersaglio veniva nuovamente trivellato di colpi, solo due mancarono
il centro, andando però a segno in quelli che sarebbero dovuti essere gli occhi
del personaggio di carta.
-Come diamine ci riesci?!-
L’attenzione del capofazione si spostò sulla ragazza che
aveva parlato, una trasfazione con una lunga treccia di capelli biondi, che
continuò a rivolgersi alla sua vicina di postazione.
-Non può essere solo fortuna!-
-Ti svelo un segreto…- iniziò l’altra ragazza. -Non è la
prima volta che sparo.-
A conferma delle sue parole, Eric la vide sostituire il
caricatore dell’arma con mano ferma ed esperta, cosa che per gli altri iniziati
era pura utopia.
-Due anni fa una squadra di Intrepidi era passata dagli
Eruditi e, mentre correvano via per prendere il treno, una pistola deve essere
scivolata a qualcuno per sbaglio. L’ho vista cadere dalle rotaie, l’ho raccolta
e riparata come potevo e…-
-Non mi dirai che ti sei messa ad usarla?- La bionda era
indignata.
La ragazza dalla mira infallibile fece un sorriso furbo e
quasi minaccioso, poi scrollò le spalle. -Al confine deserto delle campagne dei
Pacifici, vicino alla recinsione. Lì potevo sparare quanto volevo, non mi
vedeva nessuno.-
-Per oggi avete finito, fuori dai piedi!- Disse Eric, risoluto.
Tra gli iniziati si levò un coro di stupore, ma ovviamente
nessuno si lamentò e, pigramente, iniziarono ad abbandonare la sala.
Lui però non aveva mandato via tutti per caso, si avvicinò
alla ragazza che aveva individuato, per parlarle.
-Tu aspetta qui.- Le disse senza tanti giri di parole.
La vide impallidire, forse perché le si era avvicinato
troppo, o forse per pura che avesse sentito quello che aveva detto. A conferma
di ciò, la vide scambiarsi un’occhiata poco convinta con l’amica bionda.
A quel punto Eric uscì dal poligono insieme agli altri,
lasciando lì da sola la ragazza, senza ulteriori spiegazioni.
Di sicuro usare un’ arma senza autorizzazione era totalmente
fuori dalle regole, e se il capofazione aveva ascoltato la sua conversazione,
cosa altamente probabile dato che se lo era ritrovato proprio alle spalle, sarebbe
finita nei guai.
Poco dopo la ragazza vide Eric ritornare nella sala del
poligono, seguito da un altro uomo.
-Saresti tu quella con la mira fenomenale con la quale Eric
pensa che dovrei sprecare il mio tempo?-
Alle parole dello sconosciuto la ragazza restò in silenzio,
facendo scorrere il suo sguardo su entrambi i suoi superiori senza capire la
situazione.
Quello che aveva parlato era un uomo molto alto e magro, con
un orecchio totalmente ricoperto di piercing e i capelli biondi. Sembrava in là
con gli anni, e sembrava anche che se li portasse tutti sulle spalle dato che
se ne stava tutto ricurvo. Eppure emanava una forza ed una determinazione che
solo un Intrepido poteva avere.
-Se sono stato sottratto al mio sonno pomeridiano e
trascinato qui per niente, ti conviene scappare, ragazzina…-
La ragazza in causa dovette imporsi la calma per non
apparire seriamente preoccupata.
-Forza, vediamo che sa fare!-
Alle parole dell’uomo, canzonate in modo ironico, Eric fece
scattare un interruttore e tutti i bersagli colpiti vennero sostituiti.
La giovane non perse tempo, avanzò verso la postazione e
ricaricò la propria pistola. Dovette fare un profondo respiro ma, quando iniziò
a sparare, il centro rosso del bersaglio fu inondato di colpi. L’ultimo lo
centrò nella fronte del manichino.
Quando si voltò per osservare le reazione dei suoi spettatori,
vide Eric che esaminava l’altro uomo con un sorrisino nascosto e, l’altro, che
scrutava il bersaglio con la fronte contratta.
Senza perdere altro tempo, l’uomo fece scattare un altro
interruttore vicino al muro e tutti i bersagli iniziarono a muoversi da destra
a sinistra con velocità diverse e imprevedibili, alcuni scomparivano dalla
parete per poi rispuntare dall’altra parte.
Eric vide la ragazza ricaricare la pistola e sparare ancora.
Il primo colpo riuscì per miracolo a colpire la sagoma del bersaglio, tutti gli
altri finirono contro la roccia.
Quando la giovane si voltò, Eric vide nei suoi occhi un
misto di rabbia e risentimento.
-Sarò breve…- Disse l’uomo, rivolgendosi al capofazione. -Da
fermo potrebbe essere una tiratrice niente male, ma se complichiamo un po’ le
cose è un disastro. La sua postura è completamente da rivedere e la sua
tecnica… bè, diciamo chiaramente che non ha una tecnica!-
Nei secondi che trascorsero, Eric rimase ad osservare la
ragazzina e si accorse dei pugni che teneva serrati lungo i fianchi. Sembrava
quasi che non provasse emozioni ma, nei suoi occhi di un blu molto scuro,
scintillava la determinazione che ogni iniziato avrebbe dovuto mostrare.
-Non hai mai sparato prima d’ora?-
Al sentirsi porre quella domanda, la ragazza guardò Eric in
silenzio. Lui, dal suo canto, la ricambiò con un sorriso ambiguo e un po’
crudele.
-Certo che no.- disse proprio Eric. -È solo un’iniziata!-
L’uomo parve riflettere. -Qual è il tuo nome?-
-Aria.-
-Stammi a sentire, Aria, Eric ritiene che dovresti seguire
un corso di addestramento specifico per le armi da fuoco. Io sono Frederic, e
sono il capo istruttore qui al poligono. Se accetterai, devi sapere che si
tratta di un corso di livello avanzato, qui si fa sul serio. Non perdiamo
tempo, o migliori in fretta e ti adegui alle mie regole oppure sei fuori. Hai
capito?-
-Sì!- Rispose Aria, con convinzione.
-Naturalmente devi seguire anche il resto dell’addestramento
con gli altri iniziati,- intervenne Eric, serio e letale nella sua postura
rigida, con tanto di braccia incrociate al petto. -Ti ricordo che non hai molto
tempo libero al momento, e non avrai dei favoritismi per esercitarti al
poligono. Perciò dovrai sfruttare i tuoi momenti di riposo e, magari, anche
qualche ora di sonno. Non sarà facile, e nessuno ti obbliga a farlo, perciò
puoi sempre rinunciare.-
Aria inchiodò Eric con uno sguardo, senza paura.
Sapeva benissimo che quella era una provocazione. Non faceva
altro che ripetere che non era da veri Intrepidi arrendersi, e lei non era
tanto stupida da lasciarsi scappare un’ occasione d’oro come quella. Lui
continuava a sostenere il suo sguardo, con un’ espressione quasi famelica,
forse si pregustava il momento in cui avrebbe detto che non era in grado di
sostenere quell’addestramento speciale.
-Voglio farlo!- Rispose invece a testa alta, rivolta a
Frederic.
L’uomo fece più cenni con il capo. -Non amo mischiarmi con
gli altri duranti i pasti. Domani a pranzo sarò qui a sparare per conto mio. Se
non hai troppo bisogno di mettere qualcosa nello stomaco per reggerti in piedi,
potresti raggiungermi per la tua prima lezione ufficiale…-
Eric ascoltò le parole di Frederic e poi tornò ad osservare
la ragazza. Alcuni ciuffi di capelli corvini erano sfuggiti alla sua coda di
cavallo, ricadendole disordinati attorno al viso. Si accorse di quanto fosse
pallida la sua pelle, di come la sua muscolatura fosse appena accennata, e si
chiese se non si fosse sbagliato su di lei.
Forse non era niente di eccezionale ma, ad una seconda
occhiata, non si lasciò sfuggire la scintilla che ancora una volta scorgeva nei
suoi occhi e ne rimase incuriosito. Il giorno prima l’aveva vista combattere
contro Peter e le era parso di scorgere qualcosa in lei, anche quando le aveva
parlato.
Ricordò poi che, in tutte le prove a cui gli iniziati erano
stati sottoposti fino a quel momento, lei si era sempre distinta. Quella
ragazza, Aria, era sempre riuscita ad andare dritto al segno e a farsi sempre
notare.
Eric sapeva ancora poco su quella ragazzina e, molto
probabilmente, la prima impressione che aveva avuto poteva essere errata e
magari sarebbe rimasto deluso da lei. Tuttavia, si segnò mentalmente di
continuare a tenerla d’occhio.
Quando la sentì parlare, però, seppe di non essersi
sbagliato.
Il movimento dei
fantocci di carta appesi sembrava irregolare ed imprevedibile, le due fasce su
cui erano distribuiti, una sopra e una sotto, schizzavano da destra a sinistra
senza alcun preavviso. A volte completavano il giro del binario a cui erano
appesi e sparivano oltre la roccia per poi tornare visibili, scappando però via
al successivo movimento che il macchinario gli imponeva.
Stava cercando di
memorizzare il ritmo con cui i bersagli si muovevano, e quasi ci era riuscita,
ma gli scarsi miglioramenti che stava ottenendo non erano neanche lontanamente
sufficienti.
Se poi si ci metteva
anche lui, ad assistere al suo fallimento, la situazione peggiorava.
Eric non se ne era
ancora andato, rimaneva sull’ingresso della grotta ad osservarla e a tenerla
d’occhio. Probabilmente si aspettava qualcosa di più da lei, e non si sarebbe
accontentato di vederla sparare in quel modo pietoso.
Perché, come le
aveva detto l’ultima volta, se lei falliva anche lui ci avrebbe rimesso. Con un
brivido lungo la schiena Aria si lasciò trasportare dai ricordi, arrivando al
momento successivo al suo primo incontro con Frederic…
L’istruttore aveva
lasciato il poligono per primo, così Eric si era imposto di scortare la
ragazzina fino al Pozzo dove si sarebbe ricongiunta con gli altri iniziati.
Aria non aveva
ancora preso pienamente coscienza di quanto le era accaduto, si sentiva molto
confusa e non sapeva come fare fronte alla scarica di adrenalina che ancora le
scorreva nelle vene. Si sentiva talmente euforica che quasi faticava a dare al
suo respiro un ritmo regolare, era consapevole di essersi lanciata in una sfida
probabilmente troppo ardua ma non se ne era certo pentita. Per troppo tempo aveva
infranto le regole sparando di nascosto con la pistola che era riuscita a
recuperare, godendosi la sensazione di libertà che solo quei momenti di sfogo
sapevano darle.
Desiderava da sempre
entrare a far parte degli Intrepidi, ma mai avrebbe immaginato che le venisse
concessa l’opportunità di seguire un corso avanzato al poligono. Frenare la sua
gioia sembrava impossibile, peccato che il movimento repertino di Eric le fece
salire il cuore in gola, rimettendo subito al loro posto tutte le sue emozioni.
Stavano
attraversando un cunicolo scarsamente illuminato fra le rocce, camminando uno
davanti all’altra, quando il capofazione si era voltato di scatto e mettendole
una mano al collo l’aveva fermata con la schiena contro la parete rocciosa.
Aria aveva battuto
più volte le palpebre, non aveva urtato la parete solo con la schiena, ma anche
con la testa, perciò le servirono alcuni secondi per riprendersi prima di
accorgersi della situazione in cui era finita.
La mano di Eric le
stringeva la gola rendendole faticoso respirare, ma ovviamente la ragazza
sapeva benissimo che, se lui avesse voluto farle ancora più male, avrebbe
potuto benissimo aumentare ancora di più la presa.
Alzò gli occhi e li
fissò in quelli del ragazzo, cercandovi una risposta che invece non arrivò. I
suoi lineamenti erano contratti e letali, e il suo viso era pericolosamente
vicino al suo, poteva sentire il suo respiro sulle guance.
-Ti rendi conto di
essere nei guai, ragazzina?- le intimò, bloccandole la vita con l’altra mano,
facendola aderire ancora di più alla parete.
Aria cercò di
liberarsi dalla presa, avvolgendo le proprie mani attorno a quella di Eric che
le premeva sul collo. Ma, quando lo fece, lui intensificò la stretta e le
lanciò un’occhiata di intendimento che poi spostò sulle mani con cui aveva
cercato di liberarsi.
La ragazza capì e,
andando contro il suo istinto di sopravvivenza, lasciò il braccio di Eric, che
poco dopo la liberò dalla sua morsa.
A quel punto Aria
tornò a respirare normalmente, e si accorse di essere stata in punta di piedi
solo quando sentì i propri talloni toccare nuovamente terra. Anche la mano con
cui le teneva la vita era stata tolta, permettendole di ripiegarsi su sé stessa
per riprendere fiato.
-Vediamo se riesco a
spiegarmi…- le sussurrò tra i capelli. -Ti ho raccomandata io a Frederic e, se
lui riterrà che non sei degna di seguire il corso avanzato, sarò io a
rimetterci. Capito!- finito di parlare colpì con forza la parte vicino alla
testa di Aria, facendola sussultare.
Quando la ragazza
tornò in posizione eretta, con gli occhi spalancati che lo fissavano, Eric proseguì:
-Ti conviene impegnarti perché sei una mia responsabilità e, se mi farai fare
la figura dello stupido, sei morta!-
-Puoi stare
tranquillo, non ho alcuna intenzione di farmi buttare fuori! Suppongo invece
che, se riesco a dimostrare che sono brava, riceverai dei meriti anche tu per
avermi notata!-
Aria era indignata,
tossicchiò, ancora in debito d’ossigeno. Se tutti gli Intrepidi erano fuori di
testa come Eric, i membri delle altre fazioni non avevano poi tutti i torti a
definirli dei folli.
-Vedo che hai colto
il messaggio!- esclamò il capofazione poi, senza preavviso, assottigliò le
distanze fra i loro volti ancora una volta, inchiodandola con il più penetrante
degli sguardi. -Cerca di non deludermi.-
Senza aspettare una
risposta, Eric si raddrizzò. Rimase per qualche istante a godersi l’espressione
offesa e sconvolta della ragazzina e, quando anche lei si ricompose, riprese a
camminare sapendo che sarebbe stato seguito.
-Avrò dei punti in
più in classifica?- chiese Aria, camminando dietro di lui.
-No, è un
allenamento a parte.-
-Non voglio essere
mediocre, voglio essere tra i primi!-
Eric si fermò e, con
lentezza, si voltò. La scrutò con un’ occhiata dall’alto al basso, con
sufficienza.
Era molto
determinata per essere solo una ragazzina trasfazione, e questo lo trovava
molto interessante. Lei se ne stava lì a guardarlo senza alcun timore, con un’
espressione decisa che di solito non aveva durante gli allenamenti.
Quando era tra gli
altri iniziati sembrava impassibile ma, quando si concentrava, cambiava
totalmente atteggiamento e diventava molto più risoluta.
-Non vai male negli
scontri, ma contro gli avversari più forti non vinceresti mai.-
Aria arricciò le
labbra. -Quali sarebbero questi avversari più forti?-
Eric la guardò
dall’alto e la sua bocca si piegò in un sorriso maligno. -Peter, per esempio!-
La ragazza scosse la
testa, lasciando cadere la provocazione. -Mi pare che l’ultima volta sia finita
in parità tra me e lui.- Disse con calma.
-Lo scontro è finito
in parità, perché io ho voluto che
finisse così…-
Nella penombra del
corridoio, Aria non avrebbe mai voluto farsi vedere turbata, ma non poté farne
a meno.
Il sopracciglio di
Eric, quello con due piercing, si sollevò mostrando il suo compiacimento, dato
che era riuscito a lasciarla senza parole.
Mille dubbi le si
insinuarono nella mente facendole serrare le labbra in una linea retta, sentiva
quasi un sapore amaro difficile da mandare via.
Eric si voltò e fece
qualche passo, soddisfatto della reazione ottenuta. -Se ti mettessi oggi stesso
di nuovo contro di lui, perderesti sicuramente!-
-E allora dammi una
possibilità!-
A quelle parole,
Eric si fermò e tornò a guardarla, sta volta fu lui a rimanere interdetto.
-Dammi il tempo di
migliorare,- Continuò lei, con quel suo sguardo deciso. -Dammi il tempo di
diventare più forte, più brava, e vedrai che sarò io a vincere!-
Il capofazione non
disse nulla, piegò la testa di lato e si prese qualche secondo per riflettere.
Senza nessuna spiegazione, un sorriso sinistro, più minaccioso che altro, gli
increspò le labbra.
Con quella che
sembrava ormai essere diventata un’abitudine per lui, si chinò in avanti per
posizionare il proprio viso alla stessa altezza di quello della ragazza.
Prima di sentirlo
parlare, Aria lo vide inumidirsi la bocca mentre si passava lentamente la
lingua sulle labbra sottili.
-In tal caso, vedi
di non deludermi due volte.-
Un sospiro.
Aria sollevò l’arma
e la puntò contro i bersagli. Chiudendo un occhio ne prese di mira uno e provò
a seguirne l’andamento lungo il binario a cui era appeso, calcolò il tempo
giusto e fece partire un colpo.
Il proiettile mancò
di un soffio il bersaglio che scappò a destra, conficcandosi nella parete.
Scocciata, abbassò
l’arma e girò la testa dalla parte opposta all’ingresso alla grotta,
rifiutandosi di guardare Eric.
Magari sul suo viso
avrebbe trovato un sorrisino derisorio che l’avrebbe fatta arrabbiare
maggiormente, o magari le avrebbe infuriato contro manifestandole tutto il suo
risentimento.
L’ultima volta, come
aveva appena ricordato, era stato molto chiaro e l’aveva minacciata di morte,
qualora non fosse riuscita ad ottenere buoni risultati nell’addestramento al
poligono.
Ma d'altronde, in
entrambe le volte in cui le aveva parlato le aveva lanciato sottili minacce, la
prima quando si era lasciata scappare una risata alle sue spalle.
Sfuggendo al proprio
proposito di non guardare il ragazzo, Aria si voltò verso di lui e si concesse
di studiarlo senza farsi troppi scrupoli.
Ora che ci
ripensava, subito dopo il suo primo incontro con Frederic, quando si era
ritrovata nel corridoio buio con Eric, era successo qualcosa. Vero era che
l’aveva fatta sbattere violentemente contro la roccia e minacciata, ma aveva
anche rivelato curiose verità.
Aveva ammesso di
aver fatto terminare l’incontro con Peter in parità per un qualche motivo
preciso e, quando gli aveva chiesto di darle la possibilità di diventare forte
abbastanza da battere il ragazzo al prossimo incontro, Eric aveva acconsentito.
Le stava forse
concedendo un vantaggio? Le stava realmente dando la possibilità di migliorarsi
per ottenere la vittoria in un incontro importante?
Perché?
Cosa aveva visto in
lei e quali progetti aveva in serbo? Forse era una nuova sfida per lui, o un
gioco divertente su cui scommettere.
Aria lasciò
scivolare il suo sguardo sulla figura del suo capofazione, che era rimasto
indolentemente appoggiato all’ingresso.
Indossava una
t-shirt nera e sopra un gilet imbottito sempre nero, pantaloni in tinta e
anfibi scuri. Due piercing neri spuntavano sopra il suo sopracciglio, e anche
le orecchie erano entrambe forate da due piercing anch’essi neri. Un altro
dettaglio che catturò l’attenzione della ragazza furono le strisce verticali
che aveva tatuate sul collo e, dopo che ebbe analizzato anche il complicato
intreccio di linee con lo stemma degli Intrepidi che gli decorava tutto
l’avambraccio, sollevò lo sguardo sul suo viso.
I capelli erano
tagliati molto corti e, data la scarsa luminosità, apparivano scuri come gli
occhi che, tuttavia, ricordava fossero di un verde intenso.
Proprio mentre
guardava i suoi occhi, si accorse che anche lui la stava guardando, così
distolse immediatamente lo sguardo.
Si era accorto di
come lo squadrava? Perché era rimasto in silenzio, ad analizzarla a sua volta?
Un fastidioso
brivido le attraversò la nuca per poi solleticarle lo stomaco.
-Com’è possibile che
dopo l’addestramento con Frederic tu non sia migliorata?- chiese Eric,
trattenendo la rabbia.
Aria si voltò di
scatto e, se lui si era trattenuto, lei non fu altrettanto brava a nascondere
la sua ira. -Questa è bella, l’addestramento con Frederic? È stato qui ad
assistere una sola volta e ha detto che non valeva la pena sprecare fiato, e
che perciò non mi avrebbe insegnato nulla fino a quando non sarei riuscita a fare
andare a segno tutti i colpi del caricatore.-
Eric rimase in
silenzio.
Aria scosse la testa
e decise di ignorarlo, si avvicinò nuovamente al tavolo dietro di lei per
ricaricare l’arma. Forse era riuscita a metterlo a tacere, facendogli capire
come erano andate le cose.
-Mi dispiace, ma non
so cos’altro fare!- disse lei, a conferma dei propri pensieri.
Si stava impegnando,
a bersaglio fermo era sempre molto brava, ma se quei maledetti cosi iniziavano
a muoversi faticava persino a far finire il colpo dentro la sagoma nera del
fantoccio. Figurarsi poi riuscire a centrare il bollino rosso.
Tolse il caricatore
scarico e lo sostituì con un altro, poi si avvicinò ancora davanti ai bersagli
posizionandosi sulla linea bianca disegnata sul pavimento.
Tuttavia, una volta
in posizione, vide Eric spostarsi dalla sua postazione per la prima volta da
quando era arrivato, ed avanzare verso di lei.
-Impugni male la
pistola, per questo la tua mira ne risente quando i bersagli sono in movimento.
Fammi vedere!-
Alle parole di Eric,
e dopo un suo chiaro gesto, Aria capì che voleva vederla in posizione per
sparare, e così fece, cercando di rimanere più stabile possibile. Mise entrambe
le mani stese davanti al viso a sostenere l’arma, e la gambe leggermente
divaricate.
Il ragazzo la guardò
per un istante, assottigliando lo sguardo, pensieroso. Poi allungò la mano per
afferrarle il polso con la quale lei teneva l’arma, tirandoglielo in avanti.
-Il braccio che tiene
la pistola deve essere completamente steso, l’altro, quello che sostiene, può
anche essere piegato.-
Terminato il
suggerimento, Eric fece passare il proprio piede tra quelli della ragazza,
dando un leggero calcio a una delle sue caviglie.
-I piedi alla
larghezza delle spalle, e stai più bassa piegando un po’ di più le gambe!- Disse
bruscamente.
Aria obbedì, prese
un respiro e subito dopo aver espirato fece partire il colpo che sfiorò appena
il bordo del bersaglio. A quel punto la ragazza non sapeva se avrebbe dovuto
lanciare un’ occhiataccia al ragazzo o se aspettarsi un suo rimprovero.
-Ma quanto sei
debole? Devi sostenerla la pistola, altrimenti il contraccolpo ti fa deviare la
traiettoria!-
Sentendo che stava perdendo
del tutto la pazienza, la ragazza fece per voltarsi, ma ciò che vide la fece
paralizzare.
Eric si avvicinò
alle sue spalle e l’avvolse con le sue braccia, andando a sostenere insieme a
lei la pistola. A quel punto, trovandosi in quel modo, Aria trattenne il fiato.
Poteva sentire i
muscoli degli addominali di Eric premerle sulla schiena, e le sue mani
sembravano piccolissime avvolte da quelle del ragazzo. Sentire la pelle ruvida
di quelle mani sui dorsi delle proprie, le diede una strana sensazione, su cui
cercò di concentrarsi per non sentire l’imbarazzo che l’aveva assalita.
In realtà era
piacevole trovarsi tra quelle braccia possenti, le dava un senso di calore e di
protezione che non aveva mai provato prima, e a quel punto dovette imporsi di
pensare ad altro.
Non le rimaneva che
sperare che Eric non sentisse il fremito che le attraversava il corpo come una
scarica elettrica. Ma, quando le avvicinò il mento alla tempia, respirandole
tra i capelli, per poco non tradì un sussulto, che avrebbe mandando all’aria il
suo intento di apparire impassibile.
-Prendi la mira.- Le
ordinò, alitandole sopra l’orecchio. -Tieni con forza la pistola in modo da non
farti spostare il polso dopo il rinculo. In questo modo, anche se il bersaglio
si muove, la traiettoria del colpo sarà più precisa e lo raggiungerà lo
stesso.-
Ascoltate le sue
parole, Aria si concentrò su uno dei bersagli e ne seguì il movimento guardando
con un occhio nel mirino dell’arma, faticando tuttavia a mantenere la
concentrazione con il respiro di Eric sulla propria tempia.
Sentire la guancia
del ragazzo accanto alla sua fronte non l’aiutava e, stretta da lui, il timore
di sbagliare era più forte, e al tempo stesso, inesistente.
Quando il colpo
partì, andò a lasciare un foro appena sotto al centro rosso del bersaglio.
Aria non credeva ai
proprio occhi. Si era accorta di come la potenza del contraccolpo le facesse tremare
la mano solo dopo aver sentito la presa salda delle mani di Eric sulle sue, che
le avevano impedito di spostare la pistola dopo lo sparo.
Sollevando appena lo sguardo, la ragazza incrociò i proprio occhi con
quelli di Eric mentre i loro respiri si sincronizzavano e, per un solo istante,
ebbe quasi l’impressione che anche lui stesse trattenendo il fiato.
Quando si scostò da
lei, posizionandosi al suo fianco, Aria lo vide scoccare la lingua e guardare
dall’altra parte. Era impossibile che fosse imbarazzato come lo era lei, era
sicuramente più probabile che fosse rimasto infastidito dal fatto di aver
dovuto entrare in contatto con lei e di averle dovuto dare delle dritte.
-Quando i bersagli
sono fermi non hai problemi, ma se si muovono, tutto si complica e ti è
indispensabile aveva una buona postura e una presa solida.-
Finito di parlare,
Eric si voltò leggermente verso la ragazza, sorprendendola a guardare il
bersaglio che avevano colpito vicino al centro.
Aveva il respiro
leggermente affannato e il suo petto si solleva e si riabbassava velocemente.
Un ciuffo di capelli scuri era sfuggito alla sua acconciatura, proprio dove
fino ad un attimo prima c’era stato il suo viso, appena sopra l’orecchio.
Poteva sentire ancora il respiro della ragazza che la portava a sollevare le
spalle contro il suo petto, e la pelle fresca delle sue braccia esili contro le
sue.
E poi, quella ciocca
fuori posto, attirava la luce in maniera strana, richiamando la sua attenzione.
Poco dopo Aria colse
il movimento al suo fianco e, voltando la testa, vide la mano di Eric
avvicinarsi al proprio viso e istintivamente chiuse gli occhi.
Successe qualcosa
che non si aspettava, la mano del ragazzo andò ad accarezzarle il retro
dell’orecchio, rimettendole a posto una ciocca di capelli. Il gesto fu
sbrigativo e quasi prepotente, e la sua mano, apparentemente troppo grande
vicino al suo viso, si fermò troppo a lungo sotto l’attaccatura dell’orecchio,
proprio alla fine della guancia. Per un attimo ebbe paura che solidificasse la
presa e le facesse del male, poiché quel tocco aveva poco di dolce, sembrava
più una presa leggera per costringerla a guardarlo.
-Quando Frederic
verrà a vedere i tuoi progressi.- Le disse incatenandola con lo sguardo. -Tu
mostraglieli!-
Le lanciò un’ ultima
occhiata eloquente e poi, senza aggiungere altro, si voltò e se ne andò.
Mentre osservava la
sua schiena allontanarsi, Aria ebbe l’impressione di sentire un tonfo e pensò
che si trattasse dell’eco dei passi di Eric, ma dopo, capì che era il suo cuore
che mancava di alcuni battiti.
Peccato fosse molto
più facile a dirsi che a farsi. La barra di metallo sembrava lottare contro di
lei e, ad ogni secondo, sembrava diventare sempre più scivolosa. Le dita poi,
iniziavano a minacciare seriamente di abbandonarla, il dolore infatti era
talmente insopportabile che iniziò a temere che potessero staccarsi dal resto
della mano.
E così, se già di
per se la sfida che stava affrontando era dura, le distrazioni e l’insorgere di
nuovi problemi, rendevano impossibile raggiungere la vittoria. Il cervello non
riusciva a concentrarsi sull’obbiettivo, distratto dai segnali di dolore che il
suo corpo continuava a lanciarle. Tutto le diceva di mollare, la ragione le
urlava di lasciar perdere e le suggeriva che il risultato che aveva ottenuto
fino a quel momento era già ottimo, ma a lei non bastava.
Il dolore lancinante
alle dita, i muscoli doloranti che chiedevano sollievo e la barra sempre più
scivolosa non dovevano distrarla, non dovevano esistere.
Doveva solo tenere
duro e rimanere appesa.
L’allenamento del
giorno prevedeva una prova di resistenza per testare l’effettiva forza degli
iniziati. Perciò Quattro, il loro allenatore, li aveva divisi in maschi e
femmine e aveva chiesto loro di restare appesi ad una trave di ferro il più
allungo possibile. La sfida fra i ragazzi si era conclusa con la vittoria di
Edward e, subito dopo, era iniziata quella tra le ragazze.
Erano tutte molto
agguerrite poiché, a differenza degli scontri con gli altri compagni, quell’allenamento
sembrava più facile e meno doloroso, ma niente poteva essere più sbagliato.
Le prime ragazze
erano cadute dopo poco, Tris e Christina, invece, avevano resistito molto più a
lungo ma, per fortuna, alla fine avevano ceduto.
L’ultimo ostacolo
alla vittoria rimaneva lei, Molly, la più alta e larga di spalle di tutte. Era
davvero terrificante quando combatteva, aveva mandato al tappeto tutte le altre
contro cui aveva lottato senza dimostrarsi poi tanto compassionevole.
Per i primi minuti
era riuscita abilmente a chiudere la mente, tenendo fuori dolore e stanchezza
per riuscire a rimanere sospesa senza problemi. Aveva allungato i muscoli e
controllato il respiro e, mente le altre cadevano o si lamentavano per il male
alle mani, lei rimaneva statica e silenziosa.
Peccato che, adesso
che rimanevano solo in due e quella serenità mentale le sarebbe potuta tornare
molto utile, lo sforzo fisico aveva superato di troppo il limite richiamandola
alla realtà dei fatti.
E la realtà non era
delle migliori.
Era esausta, non
riusciva a smettere di pensare al dolore e Molly non si decideva a cadere.
Cercò di chiudere gli occhi per scacciare via tutta la sofferenza ma, quando li
riaprì, se ne pentì all’istante.
Il capofazione Eric,
che affiancava spesso Quattro nell’addestramento, le si era posizionato di
fronte e la guardava con insistenza. Era stato anche davanti a Molly a fissarla
e a provocarla, certo, ma di sicuro a lei non aveva fatto lo stesso effetto.
Al solo pensiero che
lui la vedesse in quello stato pietoso e che potesse deriderla o insultarla, o
peggio, considerarla debole, la rabbia l’accecava e il cuore accelerava i suoi
battiti.
Forse avrebbe dovuto
chiedersi perché reagiva in quel modo, ma non ne aveva la possibilità.
Doveva subito
trovare una soluzione per stabilizzarsi su quella trave altrimenti sarebbe
caduta e, a quel punto, non avrebbe sopportato che Eric dichiarasse Molly
vincitrice e togliesse a lei dei punti in classifica.
In quel memento
trovò la risposta ai suoi problemi, il capofazione fermo davanti a lei a
tenerla d’occhio era un problema dal momento in cui aveva deciso di dimostrarsi
all’altezza di ogni addestramento.
E lui pretendeva
sempre il massimo da loro.
Non era come Quattro,
Eric chiedeva sempre agli iniziati di raggiungere il limite, e lei quel limite
voleva superarlo. Voleva spingersi oltre e dimostrare il proprio potenziale,
magari togliendo quel sorrisino derisorio dalla faccia di Eric, facendogli
vedere quanto valeva.
Decise di dover
modificare a suo favore la situazione, perciò, con uno sforzo immane, fece
ruotare una delle sue mani e cambiò il modo in cui si teneva alla trave. Se
prima entrambe le mani erano orientate in avanti, adesso una era girata
all’indietro, così seguì la spinata delle braccia messe in opposizione e si
girò mettendo la line delle spalle in verticale rispetto alla quella della
trave.
Una volta raggiunta
quella posizione, le fu più facile dondolarsi in avanti con il bacino per dare
uno slancio con la gamba e aggrapparsi anche con il tallone. Ovviamente la
spinta le era constato uno sforzo immane, dato che il suo corpo era stremato, e
aveva rischiato davvero di cadere. Ma, adesso che tutto il suo peso non
scaricava più solo sulle braccia, ma si appoggiava anche sulla caviglia che
aveva agganciato alla trave, le sembrava di essere leggera come una piuma.
Forse il sollievo
non sarebbe durato tanto a lungo, ma abbandonò ugualmente la testa all’indietro
e prese un profondo respiro, sollevata.
-Così non vale!-
protestò con voce stridula Molly, appesa poco più avanti.
-Perché?- Esclamò
Eric, incrociando le braccia al petto. -Dovete rimanere appese più che potete,
nessuno ha specificato come!-
Il capofazione era
ancora davanti a lei, così ad Aria bastò voltare appena la testa a sinistra per
incrociare il suo sguardo e, con un tuffo al cuore, poté chiaramente scorgere
il sorriso con cui le ricambiò lo sguardo.
Per la ragazza quel
sorriso fu la più grande delle soddisfazione.
Avrebbe voluto
dirgli che tutti gli anni passati fra gli Eruditi non erano stati del tutto
inutile, e che ovviamente ingegnarsi per trovare sempre la soluzione migliore
faceva parte di lei, ma per svariati motivi non poteva. Dovette quindi
accontentarsi di quella piccola vittoria che il sorriso di Eric rappresentava.
Era riuscita a dare
dimostrazione delle sue abilità e lui aveva apprezzato, rendendola complice di
quel ghigno sinistro con cui era solito manifestare la propria soddisfazione.
Il secondo dopo,
Molly si staccò dalla trave e atterrò con un tonfo.
Aria abbandonò
ancora la testa all’indietro e sorrise. Lentamente fece passare il piede oltre
la trave e, dopo che le gambe furono tornate in verticale, lasciò andare anche
le mani e atterrò sulle ginocchia.
-Abbiamo una
vincitrice!- dichiarò Eric, e Quattro prese nota scrivendo su una lavagnetta.
Quando, con estrema
cautela si raddrizzò, tutti i muscoli del suo corpo protestarono e le
lanciarono scariche di dolore che le trapassarono la mente.
Fece un passo e si
trovò a zoppicare ma, sollevando gli occhi, Eric le era sempre di fronte e con
le braccia ancora incrociate al petto. Prima di raggiungere Quattro, lui le
fece un cenno con il capo e i lineamenti del suo viso si allargarono in un
sorriso maligno mentre, con fare ammiccante, si inumidiva le labbra passandovi
sopra la lingua.
Nel momento in cui
la sua amica Sasha le si avvicinò dandole un colpetto sulla spalla, Aria dovette
nascondere la soddisfazione che provava, mentre si massaggiava le mani
doloranti l’una con l’altra.
-Insomma, vuoi
diventare come il Carrarmato!-
esclamò la bionda.
Carrarmato era il
nomignolo che Sasha aveva affidato a Molly dopo che, nell’incontro che aveva
dovuto sostenere contro di lei, si era ritrovata con un occhio nero e un fianco
dolorante.
Aria la spintonò via
scherzosamente.
-Bene, adesso si
combatte!- Disse improvvisamente Quattro, avvicinatosi al ring insieme ad Eric.
Aria alzò la testa
e, trattenendo il dolore che aveva alle articolazioni, si trascinò insieme
all’amica vicino al resto del gruppo.
-Dato che sono state
le ultime due a cadere…- Continuò Eric, -Molly ed Aria sul ring!-
-Wow!- sussurrò con
finto entusiasmo Sasha, al suo fianco.
Aria intensificò lo
sguardo verso Molly che saliva sul ring. Erano entrambe stremate e la cosa
poteva essere sconveniente quanto vantaggiosa.
Sotto lo sguardo
preoccupato dell’amica, la ragazza passò accanto agli altri iniziati davanti a
lei e salì sul ring. Una volta che furono l’una di fronte all’altra, le ragazze
si misero in posizione di difesa e si prepararono a combattere.
Ragionando il più in
fretta che poteva, Aria analizzò le proprie possibilità ed individuò il metodo
migliore per agire. La stanchezza era il fattore dominante, dato che sia lei
che Molly avevano consumato quasi tutte le energie alla trave.
Perciò, l’unica alternativa
che aveva era quella di mettere l’avversaria al tappeto il prima possibile,
usando tutte le forze che aveva ancora in corpo. Se lo scontro fosse andato
avanti per troppo tempo, non avrebbe avuto la forza di sostenerlo, e la superiorità
fisica di Molly avrebbe avuto la meglio.
La sua avversaria,
oltre ad essere più grossa, era anche sempre la prima ad attaccare, ma non
poteva darle questo vantaggio. Era distrutta e le mani le facevano malissimo,
anche un solo pugno incassato avrebbe potuto farle perdere energie e farla
cadere a terra senza più la forza per rialzarsi.
Doveva annientarla
subito.
Quando, come era
prevedibile, il pugno di Molly partì verso di lei, il precedente sforzo di
rimanere appesa ad una trave di ferro l’aveva rallentata, così Aria riuscì non
solo ad intercettare il pugno, ma anche ad afferrarle il polso.
Senza lasciare la
presa, l’aggirò e le bloccò il polso contro la schiena piegandolo in maniera
innaturale, tanto che Molly urlò dal dolore e cadde in ginocchio. Dato che era
alle sue spalle, approfittando della morsa in cui teneva ancora la sua
avversaria, le diede un potente calcio ai lombari che la fece finire faccia a
terra.
Molly provò a
rialzarsi appoggiandosi sulle braccia, ma Aria non le lasciò scampo e la mandò
nuovamente al tappeto con un calcio in pieno viso. Per evitare che provasse
nuovamente a rialzarsi, le assestò un ulteriore calcio al fianco, strappandole
ancora un urlo.
Dopo alcuni secondi,
Molly si abbandonò totalmente a terra.
-Incontro
terminato!- Dichiarò Quattro.
Mentre scendeva dal
ring, Aria vide Eric vicinissimo al bordo dove era ancora accasciata Molly, intento
a fissarla con un misto di disgusto e delusione.
Forse credeva che
sarebbe stata lei a vincere, considerato che era visibilmente più forte, ma
Aria aveva vinto grazie all’astuzia nonostante l’ inferiorità fisica. Il fatto
che fossero entrambe reduci da un esercizio sfibrante era stato d’aiuto dato
che, probabilmente, con Molly al pieno delle forza la velocità e la brutalità
non avrebbero funzionato.
-Hai appena vinto il
titolo di Carrarmato in seconda!- Sasha l’aspettava dietro ad altri due ragazzi
e, quando la vide, scosse il capo e sospirò.
Aria la raggiunse e
si massaggiò le mani doloranti ma, quando notò l’espressione imbronciata
dell’amica, sorrise.
Come sempre i
corridoi sotterranei erano scarsamente illuminati, ma lui li conosceva a
memoria e non erano certo un po’ di ombre a spaventarlo.
Percosse il tunnel
con passo sicuro, senza prendersi il disturbo di guardarsi in torno troppo a lungo
e, quando infine scorse la scia di luce che veniva fuori dalla grotta che
voleva raggiungere, decise di rallentare il passo per non fare troppo rumore.
Il suo piano funzionò e i suoi passi vennero coperti dal rumore di spari che
proveniva dal poligono così, quando raggiunse l’entrata, pensò di non
disturbare la persona all’interno e rimase ad attendere che fosse lei ad
accorgersi del suo arrivo.
Aria era diversa
dalle altre, e su questo punto ormai la discussione con sé stesso era chiusa. Doveva
riconoscere che non erano in tante ad essere così brillanti negli addestramenti,
così determinate, e a poter vantare un discreto fascino.
La vide schiudere le
labbra per lasciare passare un sospiro, mentre con la mano libera dalla pistola
si passava il dorso contro la fronte per liberarla da alcuni ciuffi di capelli.
Per quel pomeriggio aveva scelto di raccogliere la chioma corvina in una
traccia che le scendeva su una spalla e, mentre stendeva i muscoli del suo
corpo per rilassarsi, lasciando cadere la mano armata lungo il fianco, Eric
pensò che quella ragazzina rasentasse un tipo di perfezione a cui lui non era
disposto a rinunciare.
La sentiva come
qualcosa di suo a cui doveva dedicare attenzioni e cure, era come un diamante
grezzo da modellare perché arrivasse al massimo splendore, per poi custodirlo
con attenzione.
Era sempre stato
ambizioso da che ne aveva memoria, e uno in costante cerca della perfezione
come lui, non poteva certo non spingersi oltre il limite per raggiungere la
perfezione di quella ragazzina e prendersela senza lasciare agli altri quella
stessa possibilità.
Era la sua rosa nel
deserto, che cresce contro ogni previsione, da preservare con cura e da tenere
al riparo della intemperie. Perché rinunciarvi e lasciare che qualcun altro la
cogliesse al posto suo?
L’attenzione
dell’iniziata venne attirata dal suono lento e scandito di un applauso e,
quando si voltò verso la fonte del rumore, vide finalmente il capofazione
davanti all’ingresso che batteva lentamente le mani verso di lei in modo
ironico.
-I miei più sentiti
complimenti!-
Non capendo se le
parole appena udite fossero una presa un giro oppure un rimprovero, Aria scosse
la testa nascondendo un piccolo sorriso.
-Pensavo che un
capofazione avesse un sacco di faccende da sbrigare, invece tu devi annoiarti
molto se sei sempre qui!-
Eric si concesse un’
alzata di spalle. -Infatti è così, sono pieno di impegni, ma non potevo certo
perdermi l’occasione di congratularmi con te.-
Aria lo guardò senza
capire.
-Frederic è venuto a
cercarmi poco fa,- spiegò avvicinandosi di qualche passo. -Mi ha detto che sei
in gamba e che secondo lui potresti diventare una tiratrice niente male.
Inoltre si è complimentato con me, per averti portata da lui.-
La ragazza mascherò
il suo sorriso di gioia dietro una smorfia strafottente, poi scrollò le spalle.
-Bene!-
Mentre la vedeva
raggiungere il tavolo con le armi, Eric pensò che non gli avrebbe mai dato la
soddisfazione di ringraziarlo o di apparire felice per il complimento.
Forse faceva parte
della sua maschera di orgoglio dare per scontato gli apprezzamenti da parte di
Frederic, oppure lo puniva per non aver creduto veramente in lei sin
dall’inizio.
Invece di apparire
compiaciuta restava impassibile, come a volergli ricordare che era stato lui a
minacciarla affinché raggiungesse ottimi risultati, perciò i traguardi
raggiunti avrebbero dovuto stupire lui, perché mai lei?
Lei sapeva già come
sarebbero andate le cose, ma se si aspettava delle scuse aveva sbagliato del
tutto persona.
-Forse ogni tanto
dimentichi con chi hai a che fare!- le disse con voce bassa, mentre la
raggiungeva al tavolo.
Aria lo guardò e
capì perfettamente cosa volesse dire, così fece un piccolo sorriso e scosse la
testa, mentre Eric ricaricava una pistola.
-Forse è colpa tua,
sei tu che mi dai troppa confidenza!-
-Può darsi…- le
concesse il ragazzo, facendo scattare il caricatore quando lo inserì nell’arma.
La ragazza lo seguì
quando lo vide voltarsi e avvicinarsi ai bersagli. Vederlo in posizione le
diede una scarica elettrica, poiché le trasmise un misto di terrore e
ammirazione che non sapeva gestire.
Era come vedere un
intero fascio di muscoli scattanti tendersi per colpire, solido come una statua
di marmo. Lo osservò in silenzio, mentre lui affilava lo sguardo per prendere
la mira e, quando iniziò a sparare, le venne spontaneo paragonarlo alla cosa più
letale che avesse mai visto.
Eppure, si riscoprì
incapace di togliergli gli occhi di dosso.
Nonostante il
meccanismo che muoveva i bersagli fosse in funzione, Eric era riuscito a
seguirne uno solo e a trivellarlo di colpi che erano andati a segno tutti
vicino al centro rosso. A lei erano voluti giorni e i consigli del ragazzo per
raggiungere quel risultato, a lui era bastato caricare un’ arma. Senza contare
che vedere sparare lui era terrificante, mentre lei non avrebbe intimorito
nessuno.
Eric la vide
avvicinarsi alla sua spalla senza alcun timore e piegare la testa di lato per
osservare il bersaglio che aveva colpito, mentre arricciava le labbra in una
smorfia. Tutti gli anni di addestramento a cui si era sottoposto, da quando era
entrato a far parte degli Intrepidi, lo avevano forgiato rendendolo un’ arma
letale a tutti gli effetti.
Certo, ognuno aveva
il suo talento e la sua materia in cui eccelleva, e sparare era diventato il
campo della ragazzina, ma lui non sarebbe mai stato da meno.
-Vuoi che ti mostri
quante altre cose so fare?- la provocò, sussurrandole all’orecchio.
Lei si scostò ed
incrociò le braccia al petto, con la stessa smorfia di disappunto con cui aveva
osservato il bersaglio colpito. -Bè, comunque mi aspettavo di più!-
-Sta zitta!- le
disse dandole uno spintone non troppo delicato alla spalla. -Sono solo fuori
allenamento!-
Aria si lasciò
spostare dalla spinta, e scosse la testa.
Fuori allenamento? E
se si impegnava cosa riusciva a fare? Adesso capiva come mai nessuno si
stupisse più di tanto dalla sua bravura, lì erano tutti bravi a sparare.
Quando Eric la sentì
ridere, in maniera spensierata, si voltò di scatto a guardarla. Era evidentemente
bastata una spinta per farla sciogliere, costringendola a liberarsi di quella
maschera di gelo che si portava dietro.
Si concesse a sua
volta un ghigno di approvazione, mentre abbassava lo sguardo per togliere il
caricatore dall’arma. Quella ragazzina non sapeva di stare giocando con il
fuoco e che, probabilmente, aveva abbassato le sue difese con la persona
sbagliata. Ma, adesso che era caduta nella tela del ragno, non era detto che
sarebbe riuscita a liberarsi.
-Si può sapere a
cosa pensi quando spari?-
Alla parole del
ragazzo, Aria si voltò senza capire.
-Cosa?- Chiese
gentilmente.
Eric non la degnò di
uno sguardo mentre raggiungeva il tavolo delle armi per depositarvi la sua
pistola. -Sembra sempre che tu voglia uccidere qualcuno!-
Aria alzò gli occhi
e poi li fece roteare. -Santo cielo, devi avermi guardata proprio per bene allora!-
Il ragazzo la
fulminò con un’ occhiataccia. Stava ancora rimettendo in ordine le armi, quando
la vide appoggiarsi al tavolo, rivolta però verso i bersagli.
La ragazza sospirò
accanto a lui, ed incrociò le braccia al petto mentre il suo sguardo si perdeva
sui contorni dei bersagli. Secondo il parere di Eric, la sua espressione non
era delle più docili mentre si allenava sparando, e forse la chiave stava
davvero nei suoi pensieri.
O nei suoi ricordi…
Una bambina di circa
sei anni, o poco più, stava correndo.
Davanti a lei c’era
una vecchia giostra arrugginita, una di quelle con tante piccole scale per
arrampicarsi in cima. Non aveva per niente un aspetto rassicurante.
Quattro travi di
ferro erano conficcate nel terreno e si ergevano in verticale, le loro
estremità in cima erano collegate tra loro da altre quattro travi portanti. Su
uno dei lati della struttura, arpionate alle travi verticali, erano state
intrecciate delle corde ormai vecchie e logore che formavano una rete sul quale
arrampicarsi. Sulle altre tre facciate erano invece state inserite semplici
barre di metallo più sottile a formare delle scale.
Ma alla bambina non
importava tanto della giostra, lei aveva occhi solo per i bambini che ci si
arrampicavano sopra. Avevano pratici pantaloni scuri, anche le ragazze, e
comode t-shirt nere. Li vedeva salire sulla giostra senza paura, e appendersi
in cima come se la gravità non esistesse.
Erano liberi. Erano
figli di Intrepidi.
Corse a perdi fiato
verso di loro, sentendo il vento sulla pelle e la gioia scorrerle nelle vene
così, quando li raggiunse, si fermò a guardali a testa in su.
Erano due femmine e
due maschi, seduti ognuno su una delle travi messe in orizzontale per tenere
insieme quelle verticali. Una bambina si lasciò cadere all’indietro, rimanendo
aggrappata alla trave con le ginocchia e, una volta a testa in giù, si accorse
della nuova arrivata.
-Chi è?- Chiese.
-È solo un’ Erudita,
non ce la farà mai a salire qua su!- le rispose un ragazzino più grande,
dondolando le gambe oltra la trave.
La piccola non si
perse d’animo, anzi, sentì una forza esploderle dentro e darle una scarica di
energia. Moriva dalla voglia di sapere cosa si provava ad essere appesi lassù,
voleva sentirsi libera come i bambini di quella fazione e non le importava di
sporcarsi o di farsi male.
La struttura era
alta due volte e mezza lei quando iniziò ad arrampicarsi per la scaletta
laterale, aggrappandosi con le mani e con i piedi, salendo gradino dopo
gradino. Indossava uno scomodo vestitino blu con tanto di maniche a palloncino
che le stringevano le braccia, ma non si lasciò infastidire troppo nemmeno
dalla stoffa che le scopriva le gambe mentre saliva, e raggiunse la cima.
Una volta lì rimase
in piedi sulla scaletta, appoggiando le mani alla trave sui cui era seduto il
ragazzino che aveva parlato per ultimo.
-Brava, c’è l’hai
fatta!- canticchiò la bambina seduta sulla trave di fronte, lanciando un pugno
per aria in segno di approvazione, con tanto impeto che per poco non cadde.
Il ragazzino accanto
a lei ridacchiò. -Forte, sei stata brava! Vuoi venire a giocare con noi anche
domani?-
La piccola Erudita
lo guardò con occhi luccicanti. -Davvero? Siete qui anche domani?-
-Sì, i nostri
genitori sono venuti nel quartiere degli Eruditi per ritarare dei nuovi
computer! Come ti chiami?-
La piccola bambina guardò
gli altri seduti sulla sommità della giostra, la stavano guardando e l’altro
bambino si stava perfino spostando per farle posto. -Mi chiamo…-
-Ariana!-
La piccola si voltò,
ancora aggrappata alla scaletta, e vide una donna vestita di blu avanzare a
grandi passi verso di lei. L’aveva chiamata con voce adirata e, anche dal modo
in cui camminava, non sembrava per nulla calma.
-Devo andare…- disse
agli altri bambini, e scese la scaletta tornado con i piedi per terra.
-Ciao!- le disse la
bambina che aveva esultato quando l’aveva vista arrampicarsi.
Altri tre ciao
l’accompagnarono mentre correva verso la donna.
Nel tragitto i suoi
capelli neri le solleticarono il viso e le finirono davanti agli occhi, ma non
li scostò, le piaceva sentirsi libera e ribelle.
Quando arrivò vicino
alla donna, questa sospirò e alzò gli occhi al cielo, avvilita, portandosi poi
una mano al cuore per il sollievo. -Ma cosa ti è saltato in mente? Arrampicarti
in quel modo, potevi cadere!-
Senza perdere altro
tempo, la donna afferrò bruscamente la bambina da una mano e se la trascinò
dietro mentre si incamminava.
Prima di
allontanarsi del tutto, però, la piccola si voltò un’ ultima volta a guardare i
bambini vestiti di nero che ancora si dondolavano appesi alla giostra.
-Come sapevi che ero
lì?- chiese alla donna.
-Me lo ha detto tua
sorella, era preoccupata per te!-
La bambina guardò in
lontananza e vide una testa bionda fare capolino da dietro una casa non troppo distante,
era un’altra bambina della sua stessa età. Assottigliò lo sguardo mettendo il
broncio.
-Spia!- bisbigliò.
-Smettila di parlare
in quel modo!- la sgridò la donna, continuando a trascinarla malamente dalla
mano. -Con tutte le volte che ti ho detto di non giocare con i figli degli
Intrepidi, nemmeno a scuola! Sono pericolosi, si comportano come selvaggi e non
è un bene che ti faccia vedere con loro!-
La bambina non disse
nulla per un po’, poi si voltò verso la sua mano intrecciata a quella della
donna e salì con lo sguardo lungo il suo braccio fino a raggiungerle il viso.
Aveva anche lei folti capelli neri raccolti in una coda di cavallo e occhi
azzurri e sottili, i lineamenti erano delicati e le labbra serrate in una linea
retta.
-Ma mamma,- disse la
piccola con innocenza, seguendo il passo della donna. -Forse un giorno sarò
anch’io un’ Intrepida!-
La donna si voltò di
scatto e, con la mano libera, la colpì con uno schiaffo sulla guancia.
Da lontano, la
figura della bambina bionda nascosta dietro la casa, sussultò.
La piccola dai
capelli neri, invece, si portò timidamente la mano libera alla guancia offesa e
trattene le lacrime mordendosi il labbro.
La madre, senza
scomporsi, si rimise a posto la giacca di velluto blu e afferrò la bambina
dalle spalle, strattonandola.
Poi si chinò per
raggiungere l’altezza del suo viso e le parlò, guardandola negli occhi. -Stammi
bene a sentire Ariana, tu vieni da una famiglia di Eruditi e non infangherai il
nome di tuo padre passando alla fazione dei selvaggi, mi hai capita?-
La piccola Ariana,
con ancora una piccola mano paffuta sulla guancia lesa, guardò il volto
elegante della madre deturpato dalla rabbia, e tremò leggermente, ancora
trattenuta dalle spalle.
Si mordicchiò il
labbro, i suoi grandi occhi da bambina erano di un blu leggermente più scuro
rispetto a quello degli occhi della madre e, quando li fissò in quelli della
donna, luccicarono pieni di lacrime che però non caddero.
-Sì, mamma…-
-Allora?-
Quando la voce calda
e autorevole di Eric la riscosse, riportandola alla realtà, Aria sussultò.
Stava ancora fissando i bersagli e, nella sua mente, uno di essi divenne una
sagoma femminile vestita di azzurro. Improvvisamente, sentì una presa
immaginaria serrarsi attorno alla sue spalle e, quando la paura le creò un
vuoto allo stomaco, sentì un’ irrefrenabile bisogno di sparare e di colpire il
bersaglio.
Scosse la testa, si
portò una mano alla spalla e la strinse.
-A niente!- disse
chinando il capo. -Non penso assolutamente a niente!-
-Dai avanti, non
fare storie, voglio solo farmi un tatuaggio…-
Aria scosse la
testa, Sasha aveva tra le braccia un mucchio di vestiti neri che depositò sul
letto.
-Christina ci sta
andando con Tris e gli altri, è stata lei a dirmi che vicino al Pozzo potevamo
prendere dei vestiti nuovi!- Le disse Sasha, iniziando a rovistare fra i capi
d’abbigliamento sulla trapunta.
-Non sono contraria
ai tatuaggi, ma perché dobbiamo cambiarci?- Aria si sedette sul letto accanto,
accavallando le gambe e incrociando le braccia al petto.
-Hai visto che
vestito aveva Tris e quanto trucco si è messa Christina? Gli Intrepidi vanno lì
per divertirsi, per rilassarsi… non puoi andarci con la divisa
d’addestramento!-
Aria non rispose e,
dopo poco, si ritrovò dentro una gonna nera di pelle che le arriva al ginocchio
e un maglione mono spalla intrecciato a rete. Considerata la trasparenza fu
costretta ad indossarlo con una canottiera nera sotto.
-Maledizione! Ci
vogliono più tette per tenere su questo vestito, è troppo grande e mi scivola…-
brontolò Sasha.
Aria la guardò, nel
dormitorio c’erano solo loro due e continuava a sforzarsi di assecondare
l’amica anche se avrebbe preferito andarsene piuttosto che fare quelle prove
d’abito. Sasha indossava un vestitino nero un po’ più corto della sua gonna, ma
era senza spalline e dava proprio l’impressione di scivolarle via da un momento
all’altro.
-Dobbiamo fare a
cambio…-annunciò la bionda, sfilandosi
l’abito. –A te starà meglio, hai più curve!-
-Guarda che non ho
chissà cosa…- disse scherzando, indicandosi il seno.
-Bè quello che c’è è
comunque più del mio, dovrai accontentarti! Tieni!- le disse passandole il
vestito.
Aria lo prese al
volo e lo guardò perplessa. –Non mi pare di averlo scelto io, non mi sentirei a
mio aggio…-
-Non fare storie,
non puoi stare tutto il giorno con la pistola in mano, e io non posso andare in
giro nuda perché mi scivola giù il vestito. Togliti quella gonna e dammela!-
Pochi minuti dopo
Aria è nel bagno femminile davanti allo specchio, con sotto al naso una
pochette nera con dentro dei cosmetici. Sasha l’ha presa in prestito da
qualcuno, e lei non sa bene cosa dovrebbe farsene, perciò decide di imitare
l’amica. Prende una matita nera e la usa per delinearsi il contorno degli occhi
e poi massa un po’ di mascara sulle ciglia.
L’immagine che le
restituisce lo sguardo da dentro lo specchio non è propriamente la sua, però le
piace. Non è passata agli Intrepidi per il trucco e altre cose simili, ma per
sentirsi libera e forte. Sa che se suo padre la vedesse in quel modo la
riprenderebbe dicendole che le persone per bene non vestono in quel modo e non
usavo un trucco pensate e volgare.
La ragazza nello
specchio assottiglia lo sguardo e inarca le sopracciglia, arrabbiata. Infila la
mano nella pochette ed estrae un rossetto rosso che si passa sulle labbra.
Adesso la sua immagina non assomiglia neanche lontanamente a quella delle
signorine per bene che girano in tailleur per il quartiere degli Eruditi.
Forse gli Intrepidi
sono davvero dei selvaggi, ma adesso lei fa parte di loro, ed è libera.
Esce dal bagno e
trova Sasha intenta a pettinarsi i capelli, che da sciolti sono davvero lunghi
e belli. Indossa la gonna e il maglioncino che prima indossava lei, ma sotto
non ha nulla a parte il reggiseno nero in bella mostra sotto il maglione
forato.
-Vedo che tu le cose
o le fai per bene o non le fai!- afferma la bionda, facendo un sorrisino furbo
alla vista del suo make-up.
Aria decide di
ignorare lei e i pensieri sulle opinioni della sua vecchia famiglia, e scrolla
le spalle. –Capelli su o giù?-
Sasha le si avvicina
e le scompiglia i capelli neri con la mano, che ricadono morbidi sulle spalle,
poi estrae dalla tasca una forcina che utilizza per toglierle le ciocche scure
dalla fronte e appuntarle all’indietro.
-Scuoti un po’ la
testa e starai benissimo!-
Lo studio dei
tatuatori precede un piccolo punto di raccolta per gli Intrepidi che vogliono
rilassarsi e passare del tempo lontani dalle regole. Ci sono in tutto cinque
tavoloni e un bancone bar non troppo fornito.
Nel suo tavolo sono
in tre, lui e altri due compagni. Non hanno la sua stessa età, hanno entrambi
un anno in più. Stanno parlando fittamente, discutono di qualcosa che a lui non
interessa, per il semplice fatto che lui è troppo stanco.
È davvero stanco.
Al quartier generale
degli Intrepidi la situazione è sempre più complicata, volano ordini e direttive
da tutte le parti. Nessuno parla con nessuno, si agisce nel più totale
anonimato senza potersi fidare di collaboratori che per anni sono stati fedeli
compagni, ed ottimi aiuti. Solo loro capifazione sanno la verità, e non possono
smettere neppure per un attimo di raccogliere informazioni e custodirle con
cura per scopi futuri.
È così stanco che
vorrebbe solo mandare tutto al diavolo e dormire, ma sa che se anche solo ci
provasse non ci riuscirebbe. La musica alta del locale allontana i suoi
pensieri, e la bottiglia di birra che ha in mano lo aiuta a dimenticarli. I
suoi compagni continuano a parlare, e parlano senza sosta, tra risa e insulti.
-Secondo me sei tu
che hai gusti difficili, Nick! Insomma, non è che le ragazze non te la danno,
sei tu che fai il difficile…-
-Bè, quella me la farei volentieri!-
Eric coglie
l’euforia nella voce di Nick e, quando anche l’altro amico si gira per capire
di chi stia parlando, lui alza gli occhi e la vede.
La prima cosa che nota
sono i suoi occhi, la riconoscerebbe ovunque con quelle iridi color del cielo
notturno, che sembrano sempre spenti ed estranei ad ogni emozione. Si posano su
ciò che le sta intorno quasi con superiorità, dandole un aspetto altero ed
arrogante, ma lui ha visto la scintilla che li attraversa quando è determinata,
e sa cosa nasconde.
La seconda cosa che nota,
inevitabilmente, sono le sue gambe scoperte. Sono pallide come il resto delle
sua pelle, con la leggera muscolatura che inizia a farsi notare dopo tutti gli
allenamenti. A lasciarle così scoperte è il vestito nero che indossa, che le
arriva a metà coscia, fasciandole poi il corpo e terminando retto sul seno,
senza scollature profonde e senza spalline.
-Pensi che abbia un
bel culo? Non riesco a vedere bene …- Chiede Nick, muovendosi di qua e di là
per inquadrare meglio la sua preda.
-È un’iniziata, ha
sedici anni. Non fare il pervertito!-
-Pensi che non
sappia scopare?-
Eric sente qualcosa
che conosce molto bene crescergli nello stomaco e, poiché conosce molto bene
quella sensazione, sa come controllarla. Sa che è rabbia, rabbia cieca, e sa
che quando lo assale gli toglie la capacità di ragionare in maniera lucida e lo
porta ad azioni non sempre adeguate. Sa benissimo cosa scatena in lui quella
furia e, se sa come affrontarla, non sa invece per quale ragione lo abbia colto
in quel momento.
È così stanco che
non ha voglia di pensare, non ha voglia di agire, vorrebbe solo chiudere gli
occhi e ucciderli tutti. Vorrebbe che il progetto che sta cercando di
realizzare con gli altri capofazione si realizzasse subito e gli togliesse di
mezzo il ragazzo che gli sta seduto vicino.
Solleva gli occhi e
la osserva ancora, lei è sempre lì, vicino alla biondina sua amica, e aspettano
vicino alla porta del tatuatore.
Vede le sue ciglia
nere più lunghe del solito, la linea dei suoi occhi affilati più decisa e poi,
per ultimo, le sue labbra. Le ha già notate altre volte, sa che sono gonfie e
rosse, ma adesso lo sono molto di più. È colpa di un rossetto, si vede. E non è
solo colpa del rossetto.
Non è solo colpa di
Nick.
È colpa sua.
È lei che gli toglie
la capacità di ragionare in maniera logica e che lo fa infuriare, indossa un
abito troppo corto e un trucco troppo provocante. È bellissima, ma non vorrebbe
vederla così e non dovrebbe vederla nessun altro. La rabbia lo soffoca, cresce
e non accenna a scemare.
Serra le mani
attorno alla bottiglia, beve un sorso e desidera che qualcuno picchi a sangue
Nick e che prende a schiaffi lei, togliendole quella macchina rossa dalle
labbra.
Poi capisce che
desidera essere lui a fare entrambe le cose.
La voglia quasi lo
spinge ad alzarsi, quando, nella luce soffusa tendente al rosa che avvolge la
sala, lei si volta e lo guarda.
I suoi occhi lo
incatenano, le sue labbra si schiudono in un accenno di sorriso, così poco
evidente, che gli pare quasi di esserselo immaginato. Che ci sia stato o meno,
però, le si illumina ugualmente lo sguardo e lui vorrebbe quasi calmarsi, ma
non ci riesce e continua a serrare le dita contro la bottiglia. Ha la mascella
così tanto contratta che inizia a dolergli e inizia vedere nero.
Poi la vede
abbassare timidamente lo sguardo, e le sue ciglia le sfiorano gli zigomi, prima
che volti la testa dall’altra parta senza più girarla verso di lui.
Improvvisamente
nella sua mente si fa tutto buglio e si sente trasportare in un altro luogo.
Lei è lì, davanti a lui e nell’oscurità la spinge contro un muro mentre si
china su di lei per assaporare le sue labbra. Vuole sapere che sapore ha quel rossetto,
vuole sapere se è amaro o dolce, e lei non oppone resistenza. Risponde al bacio
piegando la testa all’indietro e lui ne approfitta per metterle una mano dietro
la schiena e spingerla contro il suo petto. Sente le sue piccole mani
aggrapparsi al suo petto e una scossa elettrica gli attraversa lo stomaco e
scende più in basso, non ha più freni e decide di afferrarle la gamba nuda con
la mano libera e di stringerla fino a farle arrossare la pelle.
Poi sbatte le
palpebre e torna alla realtà.
E allora capisce che
non è lei ad avere colpa, e che nessuno dovrebbe mai schiaffeggiarla, men che
meno lui. Capisce che è ancora il suo diamante da custodire.
Nick ha scelto il
momento meno opportuno per lasciarsi andare a commenti sgradevoli, ma non
merita di morire. Il secondo dopo cambia idea.
-Chissà quante cose
sa fare con quella bocca… Ahi!-
L’amico è costretto
a finire la frase con un mezzo grido di dolore, poiché un pugno lo ha colpito
con forza sulla mano che aveva sul tavolo.
Eric ritira il pugno
con cui ha colpito senza scomporsi, continuando a tenere lo sguardo fisso
davanti a sé e beve un altro sorso dalla bottiglia.
Nick si guarda la
mano colpita, poi si scambia un’ occhiata con il loro compagno che gli sta
seduto di fronte e infine guarda Eric. –Scusa amico, non sapevo fosse roba
tua.-
Eric vorrebbe tanto
dirgli di chiudere il becco, dirgli di tenere i suoi pensieri per sé e che non
ha capito nulla. Vorrebbe dire che la ragazzina non è sua, non ancora almeno.
Che è troppo piccola per lui, e che non la vede in quel modo. Vorrebbe
picchiarlo, ma sa che non può e che dovrebbe limitarsi a dirgli che ha capito
male e che le cose non stanno nel modo che pensa.
Dovrebbe.
Solleva ancora la
bottiglia e beve un lungo sorso di birra, poi posa la bottiglia sul tavolo.
-Adesso lo sai.-
Aria abbassò lo
sguardo e non lo risollevò fino a quando Sasha non le si parò di fronte per
urlarle all’orecchio, dato il volume alto della musica.
-Ho parlato con la
tatuatrice, si chiama Tori. Ha detto che non appena finisce il tatuaggio che
sta facendo ad un ragazzo, possiamo andare noi!-
La ragazza bionda
notò, nonostante le luci soffuse, la strana espressione dell’amica. –Cosa c’è
che non va? Ho scelto la donna per il tatuaggio, come volevi tu!-
Aria la guarda e
sorrise. –Sì, perfetto!-
-Sembra che ti sia
passata la morte davanti…-
Non rispose. Forse
Sasha non era andata poi tanto lontana dalla verità, nonostante non avesse
visto lo scambio di occhiate tra lei e il più giovane dei capifazione. Aveva
ancora i brividi addosso e, per quanto ne sapesse, un semplice sguardo non
avrebbe dovuto avere il potere di scuoterle l’animo a tal punto.
Ma quello non era un
semplice sguardo.
Eric se ne stava
seduto a bere ad un tavolino con quelli che dovevano essere i suoi amici,
vedendola, l’aveva trafitta con un’ occhiata penetrante che sembrava capace di
scannerizzare ogni suo pensiero. I suoi occhi sembravano persi in un mondo a
lei sconosciuto, come quelli di un esploratore che trova il suo tesoro, ed una strana
emozione li aveva attraversati, simile al desiderio.
Puro e semplice
desiderio.
Poi qualcosa era
cambiato, l’espressione si era indurita e Aria aveva temuto per la sua
incolumità. Non credeva possibile individuare tanta rabbia in una sola persona,
era una furia ceca pronta ad esplodere e, se prima le era apparso come una
bestia affamata, con la collera che traboccava dai suoi occhi sembrava una
bestia sul punto di attaccare.
-Voglio farmi
tatuare il simbolo degli Intrepidi sul dorso della mano…- spiegò Sasha,
cercando di sovrastare la musica. –Così, se mi ritroverò fra gli Esclusi, mi
ricorderò della scelta che ho fatto!-
Aria si riscosse dai
propri pensieri e guardò l’amica. –Tu non sarai un’ Esclusa!-
-È una possibilità
da tenere in considerazione, e voglio essere preparata!-
Poco dopo, nelle
studio del tatuatore, Aria si ritrovò a ringraziare mentalmente Sasha ed il suo
decolté per averle fatto indossare quel vestito che si era rivelato più che
adatto alla situazione. Poiché aveva scelto di farsi tatuare parte della
schiena, le era bastato abbassare la cerniera dell’abito per poter permettere
alla tatuatrice di lavorare senza doversi spogliare e mettere troppo in mostra,
cosa che con la maglia forata e la canotta non sarebbe stato possibile fare.
E così se ne stava
seduta a cavalcioni sulla poltrona, girata dal verso opposto con i gomiti sul
poggia testa, mentre con le braccia sorreggeva la parte davanti del vestito
slacciato per non farlo cadere.
Sasha aspettava
seduta su una sedia addossata alla parete dello studio, continuando a soffiare
sulla propria mano per alleggerire il bruciore del tatuaggio appena fatto. Come
aveva detto si era fatta stampare il simbolo degli Intrepidi, che adesso le
ricopriva il dorso della mano destra.
Aria chiuse gli
occhi e cercò di non pensare al bruciore martellante che le percorreva la
schiena. Sentiva la mano di Tori seguire verso l’interno la linea dalla sua
scapola sinistra, per poi scendere in diagonale verso le costole, e seguirne la
linea sopra il fianco.
Il progetto del
tatuaggio che aveva lei stessa scelto ed ideato, con i consigli della
tatuatrice, prevedeva un piccolo ghirigoro alla base del collo, proprio sotto
l’orecchio sinistro, staccato dal resto del disegno sulla schiena. Vi passò la
mano sopra, sentendo la pelle ancora infiammata, e accarezzò con le dite le
linee di quella parte di tatuaggio già finito, che si intrecciavano su una
piccola parte della sua nuca.
Quando, oltre le
tende velate dello studio, vide passare la figura imponete di un capofazione a
lei noto, il cuore le mancò di un battito e la sua mano si paralizzò sul collo.
Eric sfilò davanti a
lei, seguito dai ragazzi che erano seduti con lui al tavolino e, per tutto il
tempo, non le tolse gli occhi di dosso.
Accarezzò con lo
sguardo il suo braccio scoperto seguendolo fino alla mano ancora appoggiata al
collo, poi si spostò sui contorni della sua figura accavallata alla poltrona e,
infine, raggiunse la mano di Tori che continuava a lavorare sulla sua schiena
nuda.
Aria si pentì
dell’espressione di stupore che aveva delineata fra i proprio lineamenti,
poiché in quel momento Eric le ricambiò lo sguardo, e mai avrebbe voluto che la
vedesse in quel modo. Forse riusciva a sentire il vuoto che avvertiva lei allo
stomaco, forse riusciva a vedere il rossore delle sue guancia attraverso il suo
imbarazzo.
Il ragazzo dovette
girare la testa per continuare a guardarla mentre avanzava ma, dopo il loro
ultimo scambio di sguardi, lo vide sogghignare divertito, ed abbassare
finalmente la testa e proseguire per la sua strada sparendo dal suo campo
visivo.
Quando l’incanto fu
spezzato, Aria ricominciò a respirare. Tolse la mano dal collo e se la portò
sul petto, dove il cuore batteva all’impazzata.
Aveva abbandonato
Quattro sul ring a raccogliere un ragazzino trasfazione, lasciando che fosse
lui a prendersi il disturbo di portarlo in infermeria dopo che il suo
avversario lo aveva steso.
Lui aveva altro da
fare, appartata in un angolo della palestra c’era una ragazza seduta su di una
trave di legno che usavano come ostacolo durante gli allenamenti. Dondolava le
gambe e si teneva con entrambe le mani ai lati dei fianchi per non cadere e,
quando vide che la stava raggiungendo, abbassò tranquillamente la testa come se
niente fosse.
Eric l’affiancò
appoggiando i reni alla trave, poi incrociò le braccia al petto. –Credo di aver
trovato il modo per farti vincere contro Peter!- le annunciò sovrappensiero,
senza guardarla.
-A sì?- rispose lei,
voltandosi verso di lui. Sul viso aveva un’ espressione serena e vide
distintamente la scintilla di entusiasmo e di speranza che le attraversò gli
occhi.
Povera illusa.
–Sì, potresti presentarti sul ring con il vestito di ieri sera!-
Aria alzò gli occhi
al cielo e tornò a prestare attenzione a quello che succedeva davanti a loro,
senza cogliere minimamente la provocazione. Al contrario, nascose un risolino e
scosse la testa, come se stessero realmente dialogando alla pari. –Dici che gli
farei venire un infarto?-
Piegò la testa di
lato e scrollò le spalle. –Oppure un’ erezione!-
L’occhiata che gli
lanciò, e la velocità con cui si era voltata, per poco non fecero crollare la
sua serietà. Era indignata, quasi sconvolta o forse profondamente offesa.
Nonostante cercasse di non guardarla, colse con la coda dell’occhio il rossore
che le imporporò le guance. –Cosa c’è?- le chiese malizioso, grattandosi
distrattamente il collo. –Pensavi di potere andare in giro in quel modo, senza
suscitare delle reazioni in un uomo che ti guarda?-
-E in te quali reazioni
ho suscitato?-
A quelle parole, si
voltò subito verso di lei.
Aria era stanca, se
era arrossita una volta non lo avrebbe fatto ancora. Lo vide nel sorrisetto
malizioso e arrogante con cui gli sosteneva lo sguardo, e lesse nel suo viso,
teso verso il suo, tutta la sua determinazione. Evidentemente non voleva più
recitare la parte della brava ragazza, voleva giocare ancora con il fuoco e
tenergli testa, per dimostrare che anche lei sapeva provocarlo.
Era un gioco
pericoloso il loro, ma a farsi male non sarebbe stato certo lui.
Serrò la mascella,
alzò il mento e guardò davanti a sé. Se quella ragazzina intendeva scomporlo o
coglierlo in contro piede aveva sbagliato di grosso, tuttavia, era deliziato
dalla sua ritrovata arroganza. Non molte avrebbero osato tanto, essendo capaci
di ribaltare la situazione.
-Perché, da come mi
hai guardata, potrei dire che tu sia quasi riuscito a vedere il colore della
biancheria che indossavo sotto…- Gli sussurrò all’orecchio.
Stava decisamente
giocando con il fuoco. Un brivido gli attraversò lo stomaco e scese più in
basso mentre, qualcosa di simile alla rabbia eppure totalmente diverso, gli
solleticava la mente.
Si voltò a guardarla
e la trovò ancora con il viso allungato verso di lui per arrivare alla sua
altezza, gli occhi scuri brillanti di coraggio.
Avrebbe anche potuto
complimentarsi con lei, ma non ne vedeva il motivo dato che sapeva
perfettamente come rimetterla al suo posto.
-Magari…-le disse abbassandosi contro il suo viso,
soffiandole sulle labbra. –La prossima volta puoi venire a mostrarmi
direttamente tu cosa indossi sotto la gonna…-
Quando il rossore
esplose lentamente sotto la pelle delle sue guance, Eric si leccò avidamente le
labbra, godendosi la sua vittoria. Vide tornare sul suo viso la vergogna, e i
suoi occhi spalancarsi per lo stupore.
Sta volta si fece
scappare una risata di pura soddisfazione, mentre lei si raddrizzava sulla
trave, imbronciata e ancora tutta rossa in viso. Aria teneva le testa bassa e
la mani serrate attorno alla trave, la coda di cavallo in cui aveva raccolto i
capelli lasciava scoperto il collo elegante, dove intravide un piccolo
tatuaggio. Sotto l’orecchio sinistro si intrecciavano linee stilizzate che
riconobbe come onde marine che, sinuose, sembravano accarezzarla la nuca. Era
solo un piccolo disegno, raffinato e astratto, ma si chiese perché avesse
scelto proprio le linee di un’ onda d’acqua.
Poteva già
dichiararsi soddisfatto, aveva ottenuto quello che voleva, ovvero provocarla e
imbarazzarla, ma non poteva certo lasciarsi sfuggire l’occasione di mandarle
nuovamente in fuoco le guance.
-Magari, la prossima
volta, sarò io a toglierti i vestiti per vedere il tatuaggio che ti sei fatta
sulla schiena!-
Avanzò a grandi a
passi, deciso, spietato.
Dentro il poligono
la vide, stava rimettendo in ordine le pistole sul tavolo, le vide piegare le
labbra in un sorrisino e abbassare gli occhi per non trovarsi faccia a faccia
con lui.
-Sei in ritardo,
stavo quasi per credere che oggi non saresti venuto!-
Si accorse di ciò
che aveva detto, ma non vi prestò attenzione. Ricordava come si erano lasciati,
con lui che aveva fatto allusioni sulla sua schiena nuda, per poi lasciarla
seduta dov’era per andarsene. Forse era quel loro piccolo scontro che le dava
il coraggio per rivolgerglisi in quel modo, forse voleva solo dimostrare che
anche lei sapeva giocare ed essere alla sua altezza.
Non gli importava.
Non gli importava nulla.
Non si fermò, non
passò troppo tempo ad osservarla, si limitò a raggiungerla con passo spedito.
La vide allontanarsi
dal tavolo, guardarlo senza capire e posare su di lui il suo sguardo
stupefatto, quasi spaventato.
Non gli importava.
Non poteva importargli.
Le arrivò davanti e
l’afferrò mettendole le mani ai lati del viso per attirarla a sé e baciare
ferocemente le sue labbra.
Passarono i secondi,
ed Eric si preparava per ricevere le sue proteste, per una sberla sul suo viso,
o per uno dei suoi sguardi indignati mentre le guance le si imporporavano.
E invece non
successe.
Lei ricambiò il
bacio.
La sentì sollevarsi
in punta di piedi e allungare le sue braccia delicate verso il suo collo.
Lasciò che si aggrappasse a lui, che gli passasse una mano dietro la nuca e che
con l’altra, come aveva immaginato, si aggrappasse invece al suo petto.
Quando la sentì
inarcare la schiena contro di lui spostò le proprie mani dal suo viso ai suoi
fianchi, stringendola a sé con fin troppa forza. Le passò ferocemente la mani
sulla vita, sui fianchi, e la imprigionò in una morsa prepotente.
Intanto il bacio
cresceva, assaporava quelle labbra e lasciava che si schiudessero per lui,
cercando quasi a forza il contatto con la sua lingua ma lei continuava a non
opporre resistenza. Così continuo a divorarla tramite quel bacio, a godersi il
suo corpo fra la proprie mani, baciandola con crescente bramosia.
Poi le afferrò
nuovamente il viso fra le mani, le morse con forza il labbro inferiore e,
quando lei si lasciò sfuggire un gemito di dolore, la costrinse a staccarsi e a
guardarlo negli occhi.
Lo guardò con
rancore.
-Ricordarti bene
questo momento,- le disse col fiato corto, abbassando poi gli occhi sulle sue
labbra gonfie ed arrossate nel punto da lui morso. –Perché sarà il primo e
l’ultimo.-
Detto ciò la lasciò,
non prima di essersi assaporato la sua espressione turbata. I suoi occhi
cobalto erano colmi di desiderio e di un calore di cui voleva ancora nutrirsi
ma, nel profondo di quegli occhi, si nascondeva una scintilla di rabbia. Forse
per il morso, forse per la brusca interruzione.
O forse per il
momento stesso di passione.
Non disse nulla, se
ne andò, lasciandola per la seconda volta nell’arco di poche ore sola e senza
fiato.
Continua…
Scusate per il
ritardo, questo capitolo è un po’… diverso dagli altri! Che ne pensate? Fatami sapere,
baci e grazie…
In particolar modo
odiava i cerchi che avevano stampati sul petto e, anche se quello che si
trovava davanti era decisamente più grande, era comunque impossibile da
colpire.
Ognuno aveva i suoi
punti deboli e i suoi punti di forza, e lei aveva appena trovato il suo tallone
d’Achille.
Aveva provato più
volte a correggere il proprio tiro, aveva provato a lanciare con più forza, con
meno forza. Aveva provato a studiarne la traiettoria, e mantenere rigido il
braccio per evitare di colpire la parte passa del bersaglio, ma niente.
Con qui maledetti
coltelli non c’era verso di ottenere un risultato.
Stava iniziando ad
odiarli, anzi no, li odiava già.
Quattro aveva
spiegato agli iniziati diverse tecniche di lancio, e lei aveva ascoltato con
attenzione, ma senza guadagnarci nulla. Allora aveva chiesto aiuto alla sua
mente da Erudita, ma l’intelligenza non era riuscita a farle centrare il
bersaglio.
Sospirando e
imprecando mentalmente, seguì il resto dei suoi compagni vicino ai pennelli con
i bersagli per raccogliere i coltelli ma, mentre gli altri li staccavano via
dal centro, lei dovette raccoglierne la maggior parte da terra.
Quando si rimisero
in linea per lanciare, Aria fu interrotta.
-Ti ho già detto che
non puoi essere brava in tutto, vero?-
Sasha, alla sua
destra, lanciò un coltello e lo conficcò vicino al centro del bersaglio. Il
nome della sua amica soggiornava pericolosamente nella parte bassa della
classifica, e i suoi combattimenti erano uno peggio dell’altro, ma
evidentemente c’era qualcosa in cui era brava che le avrebbe permesso di
risollevare il suo punteggio.
Al contrario di Aria
che, se fino a quel momento si era sempre distinta, con i coltelli stava
facendo una pessima figura.
Scossa la testa e
lanciò un altro coltello, colpendo il bersaglio ma senza avvicinarsi al centro.
-Sai cervellona,-
disse il ragazzo alla sua sinistra. -Forse dovevi restare tra i tuoi amici
geni, è evidente che sei brava solo a picchiare la gente.-
Aria si lasciò
scappare una mezza risata, scosse la testa. Si era chiesta come mai proprio
Peter si fosse messo al suo fianco, e adesso ne capiva il motivo.
-Credo che tu debba
stare attento, è veramente una che picchia la gente, proprio una cattiva
persona!-
Al sentire quella
voce, Aria nascoste un’altra risata, sta volta allegra, poi indietreggiò per
vedere oltre la schiena di Peter e scorgere il ragazzo accanto a lui. Era un
altro iniziato trasfazione, veniva dagli Eruditi come lei e si conoscevano
bene. Aveva folti capelli scuri e un naso decisamente importante.
-Grazie della
fiducia, Will!- Rispose.
Will rise.
-Certo, sono a
conoscenza della sua fama da ragazzaccia, se la prendeva con tutti!- Disse
Peter, spuntando fuori le parole. -Non hai mandato in infermeria un altro
Erudito, a scuola, solo per averti guardato storto? Oltre ad aver aggredito me,
naturalmente!-
Aria preferì non
ricordare il burrascoso incontro tra lei e Peter, avvenuto prima del loro
cambio di fazione.
Lanciò un altro
coltello. -Dimmi Peter, mammina e papino Candidi non ti hanno insegnato a
tenere la bocca chiusa? Ah già, non l’hanno fatto!-
Will colse
l’allusione ai Candidi e nascose una risata, mentre Sasha continuava a lanciare
coltelli.
-Sai com’è…- Iniziò
Peter, soppesando un coltello sulla propria mano. -Almeno i miei genitori mi
volevano bene!- Poi lanciò il coltello e centrò il centro del bersaglio.
Aria assottigliò lo
sguardo e strinse in mano la lama. Oltre la spalla di Peter, Will la guardò
allarmato.
La ragazza decise di
non muoversi, la voce nella sua testa le diceva di ignorarlo, di andare avanti.
Prese un profondo
respiro e si preparò per colpire il bersaglio. -Sai com’è Peter, non tutti i
genitori sono felici di avere un figlio stronzo come te!-
Mentre lanciava, la
ragazza lo vide sogghignare.
-Il tuo paparino
cervellone non doveva essere tanto contento di avere una figlia come te, una
che non si comportava per benino come gli altri cervelloni. È per questo che
sei andata via? Perché non ti volevano più?-
Ceca d’ira, scagliò
il coltello contro il bersaglio, facendolo finire a terra con un tonfo. In fine
si voltò con impeto verso Peter, con il bugno serrato.
Will, che sapeva
come sarebbe andata a finire, trattenne Peter per una spalla e si sporse verso
di lei. -No, lascia perdere, è solo Peter!-
Peter non sembrava
per niente spaventato, guardò con sufficienza la mano di Will sulla propria
spalla per poi tornare a sostenere lo sguardo della ragazza davanti a lui.
Aria non si mosse,
era ancora faccia a faccia con una delle persone che detestava di più.Era rigida come una statua, ad un palmo da lui,
incenerendosi a vicenda con lo sguardo.
Oltre Peter e Will
riuscì a vedere Quattro ed Eric, capendo dal modo in cui li osservavano che avevano
notato quello che stava succedendo. Quattro stava anche per avvicinarsi, forse
per dividerli oppure per rimproverarli, ma Eric lo aveva afferrato per un
braccio e trattenuto.
Forse voleva che
risolvessero il loro diverbio alla maniera degli Intrepidi, ovvero da soli e
con la forza, oppure voleva semplicemente godersi la scena.
Will la guardò
preoccupato, tratteneva ancora Peter ma era pronto e, se fosse stato
necessario, li avrebbe divisi.
-Non dargli ascolto!-
Le consigliò l’amico, mettendo la mano liberà anche sulla sua spalla.
Lui la conosceva
bene, e Aria sapeva che avrebbe dovuto ringraziarlo.
Eppure non vedeva
altro che il volto arrogante di Peter e non riusciva a mandare via la furia che
la stava soffocando. Strinse i pugni e prese un respiro profondo.
-Vedi Peter,- disse
con voce piatta, guardandolo negli occhi. -Se anche un idiota come te se n’è
accorto, vorrà dire che era piuttosto evidente!-
Rimase ancora
davanti a lui, furibonda, eppure svuotata.
Peter sollevò un
sopracciglio mentre Will toglieva le mani dalle loro spalle. Sasha mise via il
coltello che aveva in mano, e le si avvicinò di un passo dopo aver sentito ciò
che aveva detto.
-Per oggi
l’allenamento è finito!- annunciò Quattro.
Solo allora Aria si
allontanò da Peter, rifiutandosi di vedere che espressione aveva. Si avviò a
grandi passi verso l’uscita, superando i suoi compagni. Passò anche davanti a
Eric, ma non si guardarono neppure.
Dietro di lei, Sasha
correva per tenerle il passo.
-Ne vuoi palare?-
Aria era seduta
sulla sua branda, nel dormitorio. Avendo finito tutti gli allenamenti della
giornata, tutti i giovani iniziati si stavano godendo il loro momento di riposo
prima della cena. Molti si davano i turni per fare la doccia, quasi tutti erano
già andati a farsi un giro, e in pochi rimettevano a posto le loro cose sotto
ai proprio letti, rimanendo comunque distanti.
Aveva addossato il
cuscino alla parete e vi si era appoggiata con la schiena, mentre con i piedi
puntellava il materasso, tenendo le ginocchia piegate vicino al petto.
Sasha era seduta nel
letto vicino, rivolta verso di lei.
Aria non la guardò,
diede un piccolo colpo con la nuca al muro dietro di sé. -Non siamo tra i Pacifici,
non si deve per forza fare una discussione per risolvere ogni cosa, e qui le
persone non sono sempre felici!- disse sgarbatamente.
Poi si voltò a
guardare l’amica, vedendola abbassare la testa.
Scosse il capo. -Scusa.-
-Tranquilla!- Le rispose
Sasha.
Aria abbassò lo
sguardo sulle proprie mani, intrecciate sulle gambe. Avrebbe dovuto odiare
Peter, avrebbe dovuto picchiarlo per le sue insinuazioni, ma come prendersela
con qualcuno che dice la verità?
Non era da lei farla
passare liscia a chi la provocava e, dare soddisfazione a Peter, era l’ultima
cosa che voleva. Forse era vero che crescendo si migliorava, o forse, non aveva
trovato le forze per reagire.
Forse avrebbe dovuto
essere triste, ma non ci riusciva, erano anni che si rifiutava di esserlo.
In sostanza non
riusciva a pensare a niente di ciò che un’altra persona al suo posto avrebbe
pensato, l’unica cosa a cui pensava era lui.
Non pensava a Peter,
pensava a Eric e al modo in cui l’aveva ignorata quando aveva lasciato la
palestra. Gli era passata davanti, ma lui aveva fatto finta che non esistesse.
In realtà erano
giorni che la ignorava totalmente, da quando l’aveva baciata al poligono senza
nessuna spiegazione, non le si era più avvicinato nemmeno per sbaglio.
Si passò la lingua
sul labbro inferiore, dove il rigonfiamento causato dal morso del ragazzo stava
via via attenuandosi.
Scosse la testa, non
doveva pensare a lui, non solo non era il momento, ma non era neanche la cosa
giusta da fare. Era stato lui a baciarla e poi ad allontanarla, non doveva
preoccuparsene. Che facesse i conti lui con il suo comportamento, lei si
sarebbe limitata a rispettare la sua decisione e ad ignorarlo a sua volta.
Per quanto
riguardava i suoi sentimenti, era brava a reprimerli. Era abituata a spegnere
tutto.
Avrebbe voluto rifletterci
di più, capire perché il suo cuore batteva forte quando lo vedeva, o perché era
sempre al centro dei suoi pensieri. Avrebbe voluto capire perché lo aveva
baciato senza respingerlo, e perché aveva provato quel turbinio di emozioni e
passioni, ma non era il momento per farlo.
Quando, nei giorni
precedenti, aveva provato a ragionarci, aveva subito scacciato via il pensiero.
Non era una ragazzina alle prese con una cotta, era lì per superare l’iniziazione
ed entrare a far parte degli Intrepidi, non poteva perdere tempo dietro gli
sbalzi d’umore di uno dei capifazione.
Sapeva che non era
solo quello il motivo, ma non voleva convincersi, perché si sarebbe fatta solo
del male. Era inutile ammettere di provare qualcosa per una persona con il
rischio di non essere ricambiata, era molto più facile chiuderla fuori dalla
sua testa, dal suo cuore e dalla sua vita.
Era abituata a non
essere amata.
Con il tempo, per
difendersi, aveva smesso di affezionarsi e di aspettarsi qualcosa dagli altri.
-Quando ero piccola
non ero esattamente una bambina per bene, diciamo che avevo un comportamento un
po’ troppo da Intrepida!-
Sasha sorrise. -In
che senso?-
-Facevo a botte
troppo spesso, mi arrampicavo ovunque e correvo sempre. Crescendo non sono
migliorata. I miei genitori non erano per niente contenti del mio
comportamento, avrebbero voluto che mi comportassi diversamente, che fossi più
a modo. Che fossi come loro.-
Sasha abbassò la
testa e rimase in silenzio. Aria, invece, osservò distrattamente due ragazze
che le passarono davanti per uscire dal dormitorio.
-Anch’io non ero esattamente
come gli altri bambini. Sapevo che non sarei stata per sempre una Pacifica e,
quando il risultato del test ha detto che ero un’ Intrepida, ho capito che
avevo ragione!- Spiegò la bionda, cercando di ravvivare la situazione.
Ci riuscì, perché
Aria si voltò verso di lei con un sorriso malinconico. -Come hanno reagito i
tuoi genitori? Voglio dire, sono Pacifici!-
Sasha rise. -Gli è
venuto un colpo! Se mi vedessero sparare, o se vedessero come ci fanno
combattere, avrebbero di sicuro un infarto! Credo che non accetteranno mai del
tutto la mia scelta, ma sanno che ho fatto ciò che era giusto per me.- La
guardò e tornò seria per un attimo. -E poi so che mi vogliono bene.-
Aria tornò a
guardare le proprie mani, la mente sgombra da ogni pensiero, mentre lottava
contro la morsa che le attanagliava lo stomaco.
-Hai fratelli o
sorelle?- le chiese Sasha.
Aria spalancò gli
occhi e sussultò. Se fino a quel momento era riuscita a non pensare a niente e
a non provare quasi nulla, con quella domanda il cuore le andò in gola e serrò
i pugni.
-Una sorella.-
ammise fra i denti, cercando di regolare il respiro.
-Ho fatto una brutta
domanda?- Indagò Sasha, vedendo la sua reazione.
La osservò dubbiosa.
Aria scosse il capo,
serrò maggiormente i pugni e si concesse una piccola risata assolutamente priva
di gioia. -No, è fantastico avere una sorella, soprattutto se è la tua gemella.
O meglio, la tua copia migliore!-
-Ariana Grey!-
La folla si spegne
come se qualcuno abbia fatto scattare un interruttore immaginario.
Le due persone
sedute accanto a lei, un uomo e una donna, sembrano imprigionarla, ma non
riusciranno a impedirle di scappare.
Si alza in uno
scatto deciso, forse troppo, come a volersi liberare dalle catene invisibili
con cui i suoi genitori la tengono legata. Supera la donna al suo fianco e poi
l’altra ragazza seduta vicino, si avvia verso il centro della sala senza alcuna
paura.
Chiunque la guarda
potrà solo vedere una ragazza a modo che avanza con eleganza, come una vera
Erudita, come le è stato insegnato. Potranno vedere i suoi capelli neri
accuratamente raccolti davanti e sciolti dietro, come vuole la cultura della
sua fazione, poiché lo sguardo deve essere libero e gli occhi bene in mostra.
Ma dentro, sente
tutta la furia e il desiderio di raggiungere le coppe il prima possibile.
Arrivata a
destinazione le viene offerto un coltello e lei lo prende subito e, con un
gesto deciso e violento, si incide il palmo della mano. Ma nessuno dietro di
lei avrà notato la sua foga.
Senza alcun
ripensamento stende la mano sui carboni ardenti, e gioisce al rumore del suo
sangue che vi sfrigola sopra.
La folla si
riaccende all’ennesimo scatto dell’interruttore.
Sussulti, lamenti ed
esclamazioni stupide e quasi indignate l’accompagnano mentre raggiunge la
macchia di colore nero che rappresentano gli Intrepidi. Ignora tutto e tutti,
presto non la guarderanno più, e si siede nel posto libero vicino ad un altro
ragazzo trasfazione.
Dai posti vicino a
quello dove era precedentemente seduta, tre persone, un uomo, una donna e una
ragazza, non si scompongono minimamente. Non la guardano, non prestano
attenzione ai cori di indignazione attorno a loro, si limitano a guardare avanti
come statue di sale.
Ariana non li sta
guardando, ma sa che è così.
Sa che non la cercheranno
più.
Allora fa come loro,
mantiene il corpo rigido e lo sguardo dritto davanti a sé.
-Amber Grey!-
Quando la folla tace
nuovamente, una ragazza si stacca dal resto della sua famiglia e raggiunge il
centro della sala.
Ariana non segue i
suoi movimenti, continua a guardare il punto davanti a lei che si è prefissata
e lascia che siano gli altri ad osservare la ragazza che si avvicina alle
coppe.
Tuttavia, la conosce
così bene che non ha bisogno di vederla per sapere cosa farà. Sa che ha i
capelli di un biondo lucente raccolti totalmente in una coda di cavallo,
lasciando in mostra la nuca elegante.
Sa che prenderà il
coltello con grazia, che si muoverà in maniera sinuosa e che, anche quando si
inciderà la mano, lo farà nella maniera più opportuna.
Sa che il suo sangue
cadrà nella coppa con l’acqua.
Un coro di applausi
si leva dalle file in azzurro.
Decide di continuare
a non guardare altro che il punto che ha davanti, scegliendo di non voltarsi
verso la ragazza bionda nemmeno quando questa risale verso il posto in cui
sedeva precedentemente.
E, poco dopo, è
tutto finito.
I nomi degli altri
ragazzi sono stati chiamati senza che lei se ne accorgesse, e la cerimonia della
Scelta è finita senza che guardasse altro che il punto davanti al proprio viso.
Gli Intrepidi escono
per primi e le prime file davanti a lei si alzano rumorosamente, ma decide di
aspettare seduta e alzarsi solo quando sarà il suo momento.
Poi si volta, non riuscendo
a resistere a quell’impulso.
Si dice che i
gemelli si sentano sempre, ovunque si
trovano. Sanno cosa prova l’altro, sono empatici, ma la sua famiglia le aveva
sempre insegnato che quelle voci erano totalmente illogiche.
Eppure, voltandosi, sapeva
per certo che avrebbe incrociato lo sguardo di sua sorella. Anche lei la stava
già guardando, così, quando Ariana si voltò, le parve di vedere la sua immagine
riflessa nello specchio.
Vide il suo stesso
naso, ma più raffinato. Vide le sue stesse labbra, ma non erano rosse e gonfie,
ma rosee e sottili. Inoltre non erano corrucciate in una smorfia, ma
deliziosamente arricciate in un sorrisino.
Peccato che il
sorriso non raggiungesse neanche lontanamente i suoi occhi, dal taglio più
allungato rispetto ai propri, e di un celeste ghiacciato invece che blu
profondo.
Soltanto sua sorella
era capace di fare quell’espressione, di mostrare quel sorriso insolente e di
assottigliare lo sguardo in quel modo, come se stesse leggendo ogni suo più profondo
segreto e lo trovasse del tutto inappropriato.
Con il mento
sollevato esprimeva superiorità, e con le labbra arricciate in quel modo
manifestava tutto il suo disprezzo.
Le ricordava la sua
inferiorità.
Sentendo qualcosa
esploderle dentro e andare in mille pezzi, Ariana si alzò, le mani tremanti, e
seguì il resto del gruppo di Intrepidi che si alzavano. Si sentiva vuota,
debole, impaurita.
Poi, quando la folla
iniziò a correre e a scavalcare malamente le sedie, si sentì libera.
Libera e felice.
Scese verso l’uscita
della sala ma, prima di andare del tutto, si voltò un’ ultima volta verso sua
sorella. Sua madre, accanto a lei, le stringeva la mano e le diceva qualcosa
con dolcezza. Suo padre, oltre la donna, si sporgeva per darle colpetti
incoraggianti sulla spalla, dicendo anche lui qualcosa di sicuramente positivo.
Ma Amber non
guardava loro.
La ragazza bionda
continuava a guardarla con lo stesso sguardo, seguendola in mezzo alla folla
degli Intrepidi.
Sta volta Ariana non
si lasciò scoraggiare, se avesse letto i suoi pensieri vi avrebbe trovato solo determinazione. Sorresse lo sguardo con
espressione dura, decisa, senza timore, mentre la folla in nero avanzava.
Vide sue sorella
arricciare ancora di più le labbra e corrugare la fronte, delusa, disgustata.
Poi la vide scuotere la testa e abbassare il capo.
Ariana non la guardò
più, uscì insieme alla sua nuova fazione e corse come non aveva mai corso in
vita sua.
L’indomani, a
pranzo, Aria sedeva ad un tavolo di fronte a Sasha. Nello stesso tavolo, in
mensa, sedevano anche Will, Christina, Tris e Al, ma se ne stavano in disparte.
Sasha stava
mangiando il suo pezzo di pane, discutendo dell’allenamento di quella mattina,
e Aria l’ascoltava tranquillamente. Era piacevole avere una persona allegra e
tranquilla come lei, e la sua voce era rilassante. La stava guardando
attentamente, ridendo ad ogni sua smorfia e battuta, quando, oltre la sua testa
bionda, lo vide.
Era seduto ad un
tavolo non troppo lontano con altri ragazzi Intrepidi tutti tatuati e ricoperti
di piercing, alcuni sicuramente più grandi di lui.
Vedere Eric le fece
rivoltare lo stomaco, quella mattina non aveva preso parte ai loro allenamenti,
aumentando i giorni in cui non si parlavano. Non la raggiungeva più al poligono
a fine giornata, e non le sorrideva più di nascosto quando faceva qualche
progresso.
Sembrava non la
conoscesse nemmeno.
Però Aria lo aveva
sorpreso in più occasioni a guardarla durante gli allenamenti solo che, quando se
ne accorgeva e ricambiava il suo sguardo, lui voltava immediatamente la testa e
non la degnava più di alcuna considerazione.
Era assurdo che
l’avesse baciata in quel medo per poi allontanarla, e più passava il tempo più
si convinceva che la cosa giusta da fare fosse ignorarlo a sua volta.
Probabilmente Eric
aveva ottenuto ciò che voleva e non era intenzionato a sprecare altro tempo con
lei. Forse sapeva che non poteva esserci altro fra di loro ma, qualsiasi fosse
la sua motivazione, Aria si convinse che avrebbe fatto bene a non rimuginarci
troppo.
Quando guardò ancora
oltre la testa bionda di Sasha, il cuore le mancò di un battito.
Una ragazza magra ed
alta, con ricci capelli rossi che le solleticavano il mento, si era avvicinata
ad Eric e gli aveva sorriso. Gli aveva messo una mano sulla spalla in maniera
confidenziale ed era rimasta in piedi vicinissima, poi gli aveva sussurrato
qualcosa all’orecchio e lui aveva riso.
La testa bionda di
Sasha si mosse, oscurandole il campo visivo, e Aria ne approfittò per abbassare
gli occhi.
Si sentiva il cuore
in gola e lo sentiva battere all’impazzata senza capirne il motivo.
Eric, ancora al suo
posto, continuava a ridere insieme alla ragazza, ma senza tuttavia guardarla. Quando
la rossa provò a fargli passare il braccio dietro la testa, tuttavia, lui si
scostò rifiutando il contatto
Questi erano
dettagli che Aria avrebbe potuto notare, se nonsi fosse lasciata stravolgere dalle proprie emozioni.
Mentre continuava ad
osservarli di nascosto, vide la sconosciuta parlare all’orecchio di Eric, era
seducente e civettuola allo stesso tempo. Il capofazione fece un cenno con la
testa ad una sua domanda, poi lei si scostò da lui, non prima di avergli scoccato
un bacio sulla guancia.
Aria strinse la
forchetta che aveva in mano ma, prima di riuscire a guardare altrove, Eric
sollevò la testa verso di lei e i loro sguardi si intrecciarono.
Si voltò subito
dall’altra parte, non voleva che lui capisse che lo stava guardando, ma di
sicuro era troppo tardi.
Aveva visto
nell’espressione di Eric qualcosa, forse rabbia, forse paura, delusione?
Non doveva
importarle, mise giù la forchetta e fece un respiro profondo.
Non le interessava
nulla di Eric, non era niente per lei come lei non era niente per lui.
Cosa poteva
significare un bacio per chi ha un cuore libero e ribelle, infondo?
Strinse la mano
attorno alla borsa del ghiaccio e la posizionò meglio sulla testa dolorante. -Ricordami
cosa mi sono persa!-
-Il tuo
combattimento con Edward!- Rispose Sasha, in piedi accanto a lei.
Aria provò a
sollevare lo sguardo verso l’amica, ma avvertì un forte dolore alla tempia e
dovette cambiare idea. -Fantastico! Ho vinto, vero?-
Sasha si lasciò
scivolare per terra, vicino a lei, e raccolse le ginocchia al petto. -Di cosa
ti lamenti? Tutti gli altri sono stati massacrati, tu sei svenuta subito e hai
evitato di farti male!-
-La mia testa non è
d’accordo, si è fatta male eccome!-
-Per forza, con
quella botta che ti sei presa! Peter ha detto che magari eri morta…-
-Gli piacerebbe!-
Scosse la testa. -Sapevo che contro Edward non potevo vincere, ma avrei voluto
lottare un po’ almeno, invece di svenire!-
Sasha le diede un
colpetto sulla spalla. -Sarò anche ripetitiva, ma credo sia meglio finire
subito al tappeto, piuttosto che perdere lo stesso dopo essersele prese!-
La sacca del ghiaccio
che teneva sulla testa le faceva più male che bene, così decise di toglierla.
Aria guardò l’istruttore Quattro che parlava con alcuni trasfazione vicino alla
lavagna della classifica, poco lontano, c’era Eric.
Il capofazione era
più arrabbiato del solito quel giorno, rimaneva in piedi vicino al ring, rigido
come una statua e con uno sguardo terrificante. Persino Quattro, che di solito
era l’unico capace di tenergli testa, se ne stava a debita distanza.
La ragazza si rimise
la sacca del ghiaccio in testa e, con un sospiro, ripensò al suo scontro con
Edward o, almeno, a ciò che ricordava.
Quando Quattro aveva
annunciato lo scontro tra lei e il primo in classifica, aveva trattenuto il
fiato. In tutti gli altri incontri che aveva affrontato c’era sempre stata la
possibilità di perdere, ma non aveva mai avuto paura e la speranza e la
determinazione l’avevano fatta salire a testa alta. Aveva sempre lottato al
massimo delle sue capacità e, fino a quel momento, aveva sempre vinto.
Ma, salire sul ring,
sapendo di avere già perso, era tutta un’altra storia.
Da qualsiasi parte
analizzasse la faccenda non c’era speranza per lei.
Edward era più
forte, più veloce, tecnicamente più preparato e intelligente. Proveniva anche
lui dagli Eruditi, Aria aveva avuto modo di parlargli solo raramente, durante
qualche lavoro di gruppo a scuola, ma non lo conosceva quasi per niente. Tutto
ciò che sapeva di lui era che studiava tecniche di combattimento da anni e che,
con molta probabilità, anche lui era sempre stato orientato verso gli
Intrepidi.
Salita sul ring
aveva sentito le gambe deboli e la testa vuota, privata di ogni pensiero logico
e di ogni emozione motivante. Sentiva persino un fastidioso ronzio alle
orecchie, quando strinse i pugni lungo i fianchi.
Si chiese se fosse
la paura a farle quell’effetto, ma sapeva che non era quello il problema. Non
aveva paura di perdere, ma trovarsi lì, senza nessuna strategia e con la
schiacciante consapevolezza di essere senza speranze, le toglieva ogni energia.
Era sempre stata abituata a calcolare le proprie mosse in base alle qualità
dell’avversario, ma non c’era niente che potesse fare in quel momento.
Il suo cervello le
mostrava la sconfitta da più punti di vista, qualsiasi mossa lei decidesse di
compiere.
Davanti al ring
c’erano Quattro e, ovviamente, Eric.
Il vederlo lì le
fece venire i brividi lungo la schiena, e la cosa la fece innervosire. Non
guardava nessuno dei due sfidanti, ma lei sapeva che non si sarebbe perso un
solo istante di quello scontro.
Si sentì molto
nervosa, dovette deglutire e imporsi la calma. Non doveva pensare e lui, doveva
ignorarlo.
Forse, se fossero
stati in altri tempi, fallire davanti a lui le avrebbe spezzato il cuore, ma
non era più così. Lui non le parlava più, non condividevano più nulla, non sarebbe
andato da lei al poligono a deriderla per essersi fatta battere da Edward.
Tuttavia, nonostante
quella consapevolezza, avrebbe voluto che lui non ci fosse, ad assistere e a
vederla incassare un pugno dopo l’altro.
Voleva solo non
doverlo guardare quando tutto sarebbe finito, e lei si sarebbe ritrovata
agonizzante e magari sanguinante.
Abbassò la testa e
trattenne a stento la rabbia. Si accorse di odiarlo, di detestare il modo in
cui fingeva che non esistesse dopo averla baciata senza preavviso.
Decise di usare
quell’emozione per lanciarsi contro il suo avversario, avrebbe perso era vero,
ma non aveva paura del dolore e, magari, Eric l’avrebbe insultata a dovere per
aver perso.
E un insulto era
meglio di niente.
Quando colpì Edward
al viso immaginò di colpire Eric dopo il loro bacio, perché era quello che
avrebbe dovuto fare, invece che lasciarsi trasportare dalle emozioni.
La risposta le
arrivò subito e in maniera decisamente dolorosa, come la verità. Edward la colpì
al viso a suo volta, ferendola, come a volerle ricordare il suo errore. Quando
un pugno le arrivò dritto alla stomaco, annebbiandole la vista e togliendole
l’aria dai polmoni, la ragazza venne assalita dall’umiliazione. Ma non derivava
dallo scontro, ma dalla consapevolezza di essersi fatta manipolare da Eric e
dalle proprie emozioni.
Sentiva la
sconcertante vergogna di essere passata da esca a vittima.
Edward si lanciò
verso di lei, se la caricò in spalla prendendola dalle gambe e, dopo aver preso
il giusto slancio, la scaraventò a terra con forza. La ragazza cadde sulla schiena a peso morto e,
quando la sua testa colpì con un rumore sordo il ring, tutto si spense.
Aria si ritrovò con
la sua borsa del ghiaccio premuta sulla parte dolorante della testa, a guardare
in lontananza Eric che era ancora posizionato davanti al ring. L’idea di
essersi afflosciata al suolo come una bambola di pezza proprio davanti a lui,
le fece perdere un battito cardiaco.
-Cos’ è successo
dopo che sono svenuta?- chiese a Sasha, per distrarsi.
-Edward è stato
gentile,- rispose sbrigativa la bionda, inseguendo i ricordi. -Si è subito
avvicinato a te per accertarsi delle tue condizioni. Poi Quattro è salito sul
ring, e insieme anno cercato di rianimarti. Hanno dovuto prenderti a schiaffi,
sai?-
-Meraviglioso!-
-Alla fine ti sei
svegliata, così siamo arrivati io e Will e ti abbiamo aiutata e rialzarti in
piedi e a scendere dal ring. Will era della tua stessa fazione?-
Aria fece un cenno
sbrigativo con la testa.
L’idea di essere
scesa dal ring sulle proprie gambe le dava conforto, peccato che non se lo
ricordasse minimamente.
Ricordava di aver
sbattuto la testa, e poi di essersi ritrovata seduta per terra vicino a Sasha
con una sacca del ghiaccio in testa, senza sapere cosa c’era stato in mezzo.
-E quella chi è?-
chiese Sasha, facendo voltare Aria verso l’ingresso della palestra.
La ragazza appena
arrivata era alta e magra, con ricci capelli rossi che le solleticavano il
mento. Era la stessa che si era avvicinata ad Eric in mensa.
Non ebbe nemmeno il
tempo di pensare a lui che lo vide muoversi e spostarsi verso la porta.
-A quanto pare
qualcuno è riuscito a schiodare Eric, è tutto il tempo che se ne sta lì fermo.
Credo fosse piuttosto arrabbiato per qualcosa, ha avuto anche una piccola
discussione con Quattro, ma non ho idea di cosa si siano detti.- affermò Sasha,
seguendo insieme a lei il capofazione che si avvicinava alla ragazza appena
arrivata.
Insieme lo videro
dirle qualcosa in maniera brusca, poi videro la ragazza dai capelli rossi
scuotere la testa e cercare di fargli una carezza sul viso. Eric si era
scostato bruscamente e le aveva fatto chiaramente segno di andarsene. Ma lei
rimaneva e continuava a guardarlo con dolcezza.
-Che sia una sua
fiamma? Eric fa paura, ce lo vedi con una ragazza?- Iniziò Sasha, senza
smettere di guardare i due davanti l’ingresso. -O forse è una sua vecchia
fiamma, perché non sembrano più tanto intimi…-
Aria non disse
nulla, ma quando vide la rossa poggiare delicatamente una mano sul braccio di
Eric, riuscendo a calmarlo e a fargli fare più cenni a testa bassa mentre lei
gli parlava piano, pensò che tra di loro ci fosse eccome una certa intimità.
Che fosse una fiamma
attuale o passata, poco importava, perché iniziava a dare un volto al motivo
per la quale Eric le si era allontanato.
Non c’era un vero
motivo per allontanarla.
O meglio, il motivo
c’era, ma non era abbastanza forte da tenerlo lontano a lungo.
Stava iniziando a
cedere, e se ne rendeva sempre più conto, ma non poteva permetterselo. Non
riusciva a smettere di guardarla, la voleva, voleva sentirla sulla propria
pelle, voleva parlarle.
Ma non poteva.
Non erano servite le
distrazioni, non era servito a niente tornare fra le braccia di una sua ex
piuttosto attraente per qualche notte, se poi la mattina tornava in palestra e
vederla gli mandava in tilt il cervello. Non riusciva a togliersela dalla
tasta, non riusciva a smettere di desiderarla nemmeno mentre era nel letto di
un’altra a sfogare i suoi istinti più profondi.
Immaginava le sue
labbra, voleva assaporarle ancora, era come una droga ma lui era forte e non
avrebbe ceduto.
Perché non poteva
cedere.
Quella piccola
iniziata non era come le altre, non poteva prendersela, toglierle i vestiti di
dosso e farla sua. Con una come lei bisognava avvicinarsi in punta di piedi,
attirarla e poi intrappolarla ma senza tirare troppo la corda, o sarebbe
scappata.
Con lei non poteva
abbandonarsi su un letto caldo per una notte, e tornare ad essere lo stesso di
sempre il giorno dopo. Non era adatto ai legami, non poteva costringersi a
rispettare una sola persona. Aveva troppi impegni e doveri, e troppe notti
davanti per divertirsi a cui non era pronto a rinunciare.
E poi c’era il
motivo principale.
Un capofazione non
può legarsi sentimentalmente ad un’iniziata, andava contro ogni regola. C’erano
i favoreggiamenti, la perdita dell’imparzialità, e la possibilità che la
persona in questione non superasse l’iniziazione e finisse fra gli Esclusi.
Aria non sarebbe mai
finita tra gli Esclusi, era troppo forte, ma se così fosse stato avrebbe
sprecato solo tempo. Se gli altri capifazione avessero notato il suo interesse
lo avrebbero subito ripreso, e magari sarebbero anche intervenuti. Forse
avrebbe agito su di lei, forse su di lui. Forse gli avrebbero solo fatto un
richiamo verbale, un avvertimento.
Oppure gli avrebbero
riservato di peggio.
Certo, poteva fare
tutto di nascosto e non perdere mai di vista le regole rimanendo imparziale.
Non avrebbe mai falsato i risultati in classifica, non le avrebbe mai concesso
aiuti aumentandole il punteggio o abbassandolo ad altri, anche perché non ci
sarebbe riuscito con Quattro sempre a controllarlo.
Sapeva che, per
nessuno al mondo, avrebbe compromesso la propria posizione all’interno della fazione
e che, se anche fosse stato possibile, non l’avrebbe aiutata.
Lei poi non lo
avrebbe mai voluto, era troppo determinata ed orgogliosa per accettare, e lui
era fiero di lei proprio per la sua forza. Se avesse avuto bisogno di
favoritismi per farcela, tanto valeva mandarla via subito.
Quindi, forse, un
modo per sfuggire alle regole c’era. Bastava agire di nascosto e non
favoreggiare nessuno.
Ma c’era altro.
Alla fine
dell’iniziazione tutti gli Intrepidi sarebbero scesi in guerra, e quello non
era certo il momento adatto per concedersi una distrazione o per preoccuparsi
per qualcuno.
Non c’era spazio per
i legami, doveva solo eseguire gli ordini, sapendo che sarebbero sopravvissuti
solo i più forti.
Si chiese perché mai
non facesse l’unica cosa giusta da fare, facendo ciò che avrebbe fatto in
qualsiasi altra circostanza, invece di arrovellarsi il cervello in quella
maniera. Bastava solo assecondare i suoi istinti, se non riusciva a togliersela
dalla testa e la desiderava così tanto, perché non sfogare ogni suo desiderio
con lei, e poi liberarsene al momento più opportuno? Si era già preso le sue
labbra per placare il desiderio, perché non prendersi tutto il resto?
Aveva bisogno solo
di uno sfogo, nessuno lo avrebbe scoperto e la faccenda si sarebbe chiusa
ancora prima di iniziare.
Niente sarebbe
andato storto.
Non era come le
altre, non sarebbe più tornata nel suo letto se avesse sbagliato con lei. Il
che poteva anche essere un vantaggio che gli avrebbe permesso di disfarsene non
appena avesse finito.
Scosse il capo e
serrò un pugno, non ne era in grado.
Gli piaceva vederla
sorridere, condividere del tempo con lei al poligono, adorava il modo in cui lo
guardava, sempre a testa alta. Voleva
sempre dimostrarsi all’altezza, migliorarsi, e lui ne era fiero. Come poteva
mettere fine a quel legame, tradendola senza alcun rispetto?
Semplice, non
poteva.
Per questo doveva
troncare sul nascere ogni desiderio, ogni legame, allontanandola prima che
fosse tardi.
Era riuscito a non
provare nulla quando l’aveva vista salire sul ring contro Edward, faceva parte
dell’essere Intrepidi prendere qualche pugno, lo scontro l’avrebbe solo resa
più forte.
Quando l’aveva vista
svenire subito, però, anziché provare disgusto per la sua debolezza, si era
riscoperto sollevato per non aver dovuto assistere al suo massacro.
Ma non era da lui,
non poteva permettersi di ragionare in quel modo.
Non avrebbe mai
capito cosa avesse fatto quella ragazzina per ridurlo in quel modo, per
renderlo schiavo come nessun’altra donna aveva mai saputo fare. Aveva
erroneamente creduto che fosse stata lei a cadere nella sua trappola, e invece
era l’esatto contrario.
Lui, Eric, era
caduto vittima di un’iniziata di nome Aria.
Era molto bella, con
le sue labbra gonfie e i suoi occhi blu, era forte e riusciva a tenergli testa
senza perdere la sua dolcezza, ma come aveva fatto a fargli quell’effetto?
Il giorno dopo
averla baciata era rimasto soddisfatto nel vedere il rigonfiamento violaceo sul
suo labbro inferiore, causato dal suo morso, e si era chiesto se sarebbe
realmente stato capace di starle lontano.
Alla fine c’era
riuscito, ma con grande fatica e dovendo ripetersi ogni giorni i motivi per cui
aveva preso quella decisione.
Non c’era una vera
spiegazione per quell’attrazione, lo aveva colpito e basta, come un fulmine a
ciel sereno.
Prima o poi, tutti
crollano e cadono vittima di un sentimento sconosciuto che li attira e li
inganna, intrappolandoli in una prigione da cui non riescono a fuggire perché
non vogliono fuggire.
Eppure lui era
riuscito a compiere lo sforzo e a scappare, e non doveva voltarsi indietro.
Quando, invece, si
voltò indietro tornando alla realtà dei fatti, vide le file di ragazzini
seguirlo su per lo strapiombo, per gli stretti canali che salivano a spirale
dando sul Pozzo senza tuttavia nessuna rete di protezione. Erano talmente in tanti che dovevano camminare
in file di massimo tre persone per tenersi lontani dal bordo, riuscendo così a
non cadere.
Quattro era l’ultimo
della fila, insieme stavano conducendo gli iniziati al palazzo di vetro sopra
il Pozzo, per mostrare loro il centro di controllo. Era infastidito da quella
faccenda e da quella noiosa attività che lo costringeva ad entrare in contatto
con la sua tentazione. Poteva pensarci Quattro da solo, d'altronde lui lavorava
proprio lì quando non faceva l’istruttore.
Si voltò nuovamente
guardando avanti a sé, era lui il capo fila e, prima arrivavano a destinazione,
prima sarebbero tornati indietro.
Dall’alto vide
scendere un gruppetto di tre bambini di circa otto anni, figli di Intrepidi
incoscienti che non tenevano al guinzaglio i loro marmocchi. I ragazzini
correvano senza riguardo, scatenati come una mandria inferocita. Era abitudine
dei figli degli Intrepidi inseguirsi e giocare al Pozzo, salendo a volte per i
sentieri rigidi che portavano ai vari settori della residenza della fazione,
senza tenere conto del pericolo che correvano. Fin troppo spesso in molti
cadevano giù nel Pozzo finendo, nel migliore dei casi, con un braccio rotto.
-Ehi!- Li ammonì
deciso, quando dovette scostarsi per lasciarli passare.
Ma i tre bambini non
si lasciarono per nulla intimorire dal suo tono, e continuarono a correre
zigzagando tra le file di iniziati che dovettero aprirsi per lasciarli passare.
-Arrivo prima io!-
gridò uno dei bambini, inseguendo gli altri.
Alcuni dei sedicenni
ridacchiarono, altri imprecarono mentre si spostavano, rischiando di cadere
nello strapiombo. Altri ancora si schiacciarono contro la parete lasciando che
i più piccoli si rincorressero al bordo del precipizio, ma ovunque decidessero
di andare le tre pesti avevano seminato scompiglio.
E poi Eric vide le
due ragazze in fondo alla fila, una bionda e l’altra mora, spostarsi verso la
parete per fare passare il primo del trio delle pesti. Risero con lui quando le
superò di corsa, raggiungendo e oltrepassando anche Quattro. Poi vide quello
che, a suo avviso, era il gesto più fottutamente abnegante che avesse mai visto
nel momento meno opportuno. Vide la ragazza dai capelli neri divedersi dalla
bionda e aprirsi per fare passare gli altri due bambini, mettendosi lei vicina
al bordo non protetto.
Uno dei due bambini
passò in mezzo alle due ragazze senza problemi, inseguendo il compagno più
avanti, ma il terzo passò sgomitando con troppo impeto e allargandosi verso il
bordo.
Inevitabilmente
colpì la ragazza mora con una spallata allo stomaco, facendole perdere
l’equilibrio e barcollare all’indietro. Colta alla sprovvista, la ragazza mise
il piede in fallo oltre il bordo del sentiero, scivolò e cadde di schiena verso
il Pozzo con un urlo.
Eric spalancò gli
occhi e il cuore gli salì in gola, seguì la caduta della giovane dai capelli
corvini sapendo benissimo di chi si trattasse. Era Aria, la sua piccola
Intrepida testarda era caduta dal sentiero e sarebbe atterrata dopo un volo di
almeno sette metri. Colse il movimento della bionda sua amica e degli altri
iniziati che si sporsero per guardare la caduta, e poi non registrò altro.
Scollegò il cervello
e seguì l’istinto, lasciandosi scivolare oltre il limite del sentiero. Atterrò
in una sporgenza della roccia pochi metri più sotto, dopo di che scese
aggrappandosi con mani e piedi agli appigli rocciosi e raggiunse il suolo in
pochi minuti.
Una volta a terra si
voltò verso la ragazza e, quando la vide faticosamente far forza sulle proprie
braccia per sollevarsi, tornò dolorosamente cosciente.
Si accorse della
presenza degli altri Intrepidi, tutti lontani dal punto in cui era caduta Aria
ma pur sempre in grado di vedere la scena. Si era precipitato giù dal
precipizio senza pensarci, e tutti lo avevano visto. Non era un atteggiamento
tipico del più giovane dei capifazione, noto per la sua freddezza e per la sua
totale assenza di sensibilità, soprattutto verso gli iniziati.
Persino Quattro, che
lo rimproverava sempre quando non si degnava di dare una mano con i ragazzini
che finivano al tappeto dopo uno scontro particolarmente cruento, non era
ancora arrivato. Aveva anche lui scelto di scendere lungo la parete rocciosa,
poiché seguire il sentiero avrebbe rappresentato un giro troppo lungo, ma non
aveva ancora messo i piedi per terra.
Non poteva dare
quella dimostrazione di sé, se a cadere fosse stata un’ altra persona non si
sarebbe neppure preoccupato di sporgersi per vedere chi era. E invece, per lei,
si era praticamente lanciato giù sfruttando tutta la sua forza e la sua abilità
per un atterraggio rapido e perfetto.
Ma la forza non era una
giustificazione sufficiente per il suo gesto tanto repentino, doveva rimediare.
Mantenendo gli occhi
fissi sul corpo fragile, ancora a terra che si muoveva al ritmo di un respiro
decisamente alterato, ritrovò la propria calma e assunse un’ espressione gelida
quando Quattro atterrò accanto a lui con un tonfo.
-No!- ordinò
all’istruttore, stendendo un braccio davanti al suo petto per impedirgli di
avanzare, dopo averlo visto lanciarsi verso la ragazza.
Quattro si fermò ma
lo guardò, indignato. –Eric, che stai facendo? Avrà di sicuro qualche osso
rotto e potrebbe avere un trauma cranico, va subito portata in infermeria!-
Eric seguì i
movimenti della figura ancora a terra, vedendola fare ancora forza sulle
braccia e muovere le gambe.
-Non mi pare abbia
niente di rotto!-
-Sei impazzito?- gli
ringhiò contro Quattro.
Abbassò il braccio,
sapendo che non avrebbe fatto un solo passo senza il suo permesso, e spostò il
suo sguardo su Aria, scrutandola con apparente indifferenza.
-Ehi!- le urlò
contro.
Aria, che era miracolosamente
riuscita a sollevarsi sulle braccia, voltò il capo verso di lui.
Trattenendo il fiato
e, sforzandosi di non mostrare alcuna espressione, Eric vide la macchia rossa
sul suo zigomo destro, gli occhi lucidi e le labbra serrate per il dolore. Sulle
braccia era piena di tagli e i capelli erano sporchi di polvere e inumiditi da
un sostanza viscida.
Si accorse che era
sangue senza capire da dove venisse fuori.
-Alzati e arriva
fino a qui sulle tue gambe e, se riesci e raggiungere Quattro da sola, gli
permetterò di portarti in infermeria.-
Aria batté le
palpebre per metterlo a fuoco, non si scompose, non sembrava neppure che avesse
colto le sue parole.
-Eric, se ha battuto
la testa ogni movimento che fa potrebbe peggiorare le cose, non può farcela!
Lascia che la porti subito dall’infermiera, è già tanto che sia ancora tutta
intera!- Gli urlò contro Quattro, afferrandolo da un braccio.
Il capofazione si
divincolò dalla presa di Quattro e tornò a guardare con sufficienza la ragazza
a terra, sembrava sempre più debole con le braccia che minacciavano di cedere e
lo sguardo vacuo.
-Se è una vera
Intrepida ce la farà!- urlò, per farsi sentire dagli altri iniziati, dagli
Intrepidi poco lontani e soprattutto da lei.
Qualcosa parve
scintillare negli occhi bagnati di Aria.
-Mi hai sentito?-
urlò ancora verso di lei, senza pietà. -Alzati e raggiungi Quattro da sola, ed
io dimenticherò la tua caduta pietosa!-
Non dubitò di lei
neppure per un secondo, sapeva che c’è l’avrebbe fatta, e quello era l’unico
modo per rendere lei più forte e non mettere sé stesso in cattiva luce. Avrebbe
fatto così con un altro iniziato, perciò doveva farlo anche con lei.
Se si fosse fatta
realmente male e la convalescenza si fosse rivelata troppo lunga, sarebbe stata
eliminata dell’iniziazione. Ma, se riusciva a fare vedere agli Intrepidi che si
erano radunati per vedere la scena, che era capace di camminare sulle sue gambe
da sola, nessuno avrebbe ritenuto opportuno mandarla fra gli Esclusi, e le
avrebbero concesso un’altra possibilità.
Doveva dimostrare la
forza di Aria e la propria, per prevenire ogni dubbio.
La ragazza fece
ancora forza sulle braccia e si sollevò sulle gambe, barcollando
pericolosamente quando si rimise in piedi.
Eric si accorse del
sangue che le gocciolava sul collo, e finalmente vide la ferita rossa sulla sua
testa, nascosta dai capelli. Vide le sue braccia ferite e sanguinanti, il
rossore sul suo zigomo che sembrava ingigantirsi secondo dopo secondo, e il
modo in cui sussultava dopo ogni passo.
Faticosamente la
vide avanzare, lenta ma decisa, le labbra serrate per lo sforzo e gli occhi
pieni di lacrime. La vide trascinarsi faticosamente avanti, prima un piede e
poi l’altro, poi un sussulto di dolore. Sapeva che stava soffrendo, ma non la vide
né piangere, né gemere, né lamentarsi.
Serrò le labbra
insieme a lei e mantenne il suo sguardo atterrito sulla sua figura, mostrando
solo la sua rabbia crescente. Non era difficile fingersi furioso, era davvero
sconvolto, d'altronde.
Seguì quel corpo
tremante e tornò a respirare quando vide Aria arrivare finalmente davanti a
Quattro.
Raggiunto il suo
obbiettivo, Aria si afflosciò come un guscio vuoto, le pupille sparirono oltre
le palpebre superiori e svenne lasciandosi cadere. Quattro le mise prontamente
un braccio sotto le ginocchia e uno dietro la schiena, raccogliendola in
braccio e portandola di corsa in infermeria.
-Credo che tu abbia
preso qualche botta in testa di troppo, negli ultimi giorni!- La provocò Will,
ridendo.
Aria alzò gli occhi
al cielo e si mise in posizione di difesa. Gli scontri erano quasi terminati,
così gli iniziati avevano diverso tempo libero da dedicare agli incontri
amichevoli.
Sul ring, Edward e
un’altra ragazza stavano combattendo da diverso tempo, altri ragazzi si
allenavano correndo, qualcuno facendo flessioni, la maggior parte era impegnata
in piccoli duelli proprio come lei e Will.
Lo scontro vero fra
loro due c’era stato giusto la settimana prima e, con immensa fatica, la
ragazza era riuscita a vincere portandosi come ricordo un occhio nero e una
mano dolorante. Ma Will si era accasciato a terra dopo tutti i calci presi allo
stomaco e non si era più alzato.
Fortunatamente Aria non
aveva dovuto combattere contro Sasha.
-Non ricordarglielo
poverina, credo abbia battuto un record. Insomma, nello stesso giorno ha
battuto la testa due volte ed è pure svenuta due volte…- Intervenne proprio la
bionda, poco distante.
Will rise.
-Fatemi sapere
quando avete finito di prendermi in giro!- intervenne Aria, avanzando verso
Will e colpendolo ad una spalla con un pugno.
Christina e Tris,
molto amiche di Will, assistevano da lontano provando fra di loro qualche
tecnica di combattimento appresa.
-Andiamo, non essere
permalosa, è solo che adesso posso vincere! Voglio dire, ti ci vorrà del tempo
per riprenderti dalla caduta…- disse Will, avanzando con i pugni alzati verso
di lei.
Aria si spostò e lo
spintonò via con forza. –Sono perfettamente in grado di batterti una seconda
volta!-
Dopo la sua caduta al
Pozzo, Aria si era ritrovata in infermeria e ci era rimasta per un giorno
intero, dovendovi passare anche una notte. A quanto le era stato detto, durante
l’atterraggio dopo il suo volo di diversi metri dal sentiero che saliva verso
il centro di controllo, aveva compiuto alcune rotazioni involontarie che le
avevano permesso di scaricare il peso della caduta su più parti del corpo
invece che su una sola. Per cui niente ossa rotte, solo diversi tagli e ferite
che erano state abilmente medicate. La ferita sulla testa, la più preoccupante,
fortunatamente si era aperta e aveva sanguinato invece di formare un coagulo
all’interno. Le erano stati applicati dei punti, spalmata una crema di fattura
Erudita per accelerare il processo di guarigione e, dopo qualche ora in osservazione,
era stata dimessa.
L’unico segno
dell’incidente rimaneva la macchia violacea sullo zigomo destro, che le creme
degli Eruditi non erano riusciti a risanare del tutto. I tagli sulle braccia
erano scomparsi, ma il livido sul volto ci avrebbe messo un po’ di più a
guarire.
-Credo di doverti
dare una dimostrazione!- disse Aria, afferrando Will da un braccio e
piegandoglielo dietro la schiena.
Il ragazzo protestò
dal dolore. –Va bene, va bene, mi stai facendo male adesso!-
-Cosa devi dire?- lo
punzecchiò Aria, stringendo la presa al braccio.
-Che hai ragione,
sei più forte di me. Ahi, mi stai facendo male!-
Aria lo lasciò
andare e scoppiò a ridere.
-Non hai pietà
neppure per gli amici, che cattiveria!- sentenziò scherzosa Sasha, scuotendo
addirittura la testa per fingersi indignata.
Aria rise ancora.
-Già, ha ragione!-
disse Will, massaggiandosi il gomito dolente. –Un po’ di rispetto almeno per
me, dopo tutto quello che ho fatto per te!-
Aria sapeva che
stava solo scherzando, ma avvertì un nodo in gola.
Will aveva fatto
molto per lei in passato, era vero, e vederlo lì a scherzare tranquillamente
con lei, come se nulla fosse cambiato rispetto ai giorni in cui erano fra gli
Eruditi, le riempì il cuore di gioia.
-La prossima volta
lasciami vincere però, okay?- le disse Will, avvicinandosi per scompigliarle i
capelli.
Quando le fu vicino,
Aria non riuscì a trattenere il fremito del suo cuore, così gettò un braccio
attorno al collo di Will e lo stritolò in un abbraccio, premendo la tempia
contro quella del ragazzo.
-Grazie Will!- gli
disse sottovoce, seria.
Will capì, si
divisero e la guardò con un sorriso sincero, facendo un cenno con la testa.
–Vedi di fare la brava d’ora in poi, non ci sarò sempre io a guardarti le
spalle!-
Aria scosse la
testa. –Devo ricordarti che sono più forte di te?-
-Come vuoi!- le
rispose il ragazzo, avviandosi verso la sue amiche Christina e Tris.
-Cos’era quello? A
me non mi abbracci mai!- protestò Sasha, incrociando le braccia al petto.
-Finiscila!-
Era vero però, Aria
non era tipo da abbracci, al massimo da spinte affettuose, ma mai da abbracci.
Era difficile per lei aprirsi a qualcuno, permettere ad un'altra persona di
entrare in contatto con lei e di scavare dentro il suo animo. Era molto più
facile difendersi, difendersi sempre, e valutare ogni contatto prima di
accettarlo.
-Eravate amici anche
prima vero, quando eravate ancora Eruditi?-
Alla domanda di
Sasha, Aria sollevò lo sguardo.
Con Will era diverso
però, lui era sempre stato suo amico, si fidava di lui, e non era riuscita a
trattenersi, concedendosi così un puro gesto d’affetto come un piccolo
abbraccio.
-Io non avevo tanti
amici,- Continuò Sasha. –Gli altri erano tutti così… gentili e pacifici, era difficile per me trovare
qualcuno con cui giocare da piccola. Adesso che sono fra gli Intrepidi è tutto
diverso.-
Aria si guardò le
scarpe e sospirò. –Credo sia il destino dei trasfazione. Will, infatti, era il
mio unico amico…-
Pioveva a dirotto.
Sembrava quasi una
pioggia irreale da quanto era forte. Cadeva insistentemente, goccia dopo
goccia, creando un frastuono insopportabile e ingrigendo totalmente
l’atmosfera.
Quando il ragazzino
undicenne che correva per la via principale del proprio quartiere, si fermò di
colpo vedendo la figura seduta sui gradini davanti alla porta di una casa, la
piccola non lo guardò neppure.
Il bambino si
avvicinò e vide che si trattava di una bambina della sua stessa età, che se ne
stava lì seduta sotto la piaggia, con i capelli e i vestiti fradici.
-Ariana, che stai
facendo?- urlò per sovrastare il rumore costante del temporale.
Si fermò proprio
davanti a lei, mettendosi una mano davanti agli occhi per proteggersi
dall’acqua.
La bambina non
rispose subito, era immobile con le ginocchia al petto e la mani sulle gambe,
lo sguardo puntato per terra. –Mia madre dice che dato che mi comporto come un
animale, devo stare fuori, proprio come un cane…- Disse poco dopo, parlando con
un tono neutro e basso, tanto che il ragazzino dovette sporgersi per sentirla.
Will scosse il capo,
guardò la sua camicia azzurra bagnata e poi la sua amica, sempre più inzuppata.
–E ti ha detto anche di restare proprio sotto la pioggia a prenderti un
malanno?-le disse ad alta voce, indicando
con la testa la tettoia del capanno lì di fianco.
Vedendo che non
rispondeva, Will l’afferrò da un braccio e la trascinò al riparo sotto la
tettoia, dove il rumore della pioggia era anche meno insistente. La bambina lo
seguì obbediente, in silenzio.
-Cosa hai combinato
sta volta?- le chiese il ragazzino, alzando gli occhi al cielo.
Ariana si strinse
nelle spalle. –La palla di mia sorella era finita sulla grondaia in cortile…-
-E tu che hai
fatto?- chiese lui. –Ti sei arrampicata per riprenderla?-
Per il tono che usò,
la bambina non riuscì a trattenersi e si liberò in una risata. –Sì!- ammise.
Anche Will rise,
mentre scuoteva la testa.
Ariana si strinse
ancora nelle spalle, decisamente più serena rispetto a qualche minuto prima, ma
non disse nulla. La presenza dell’amico però, le era molto d’aiuto. Era
riuscita a non piangere isolandosi sui gradini davanti la porta di casa,
affogando i suoi pensieri e dispiaceri sotto la pioggia prepotente, sperando
che l’acqua le lavasse via di dosso le spiacevoli sensazioni.
Ma Will era stato
più efficace.
-Senti,- iniziò
quest’ultimo. –Stavo tornando a casa per la merenda, e mia madre mi rimprovera
sempre perché dice che non porto mai nessuno a giocare con me. Potresti venire
anche tu, così lei sarebbe contenta di farti assaggiare i suoi biscotti e di
vedere una mia amica, e poi non dovresti restare qui al freddo!-
Ariana si voltò
timidamente verso la casa, ed abbassò la testa.
-Ascolta, mi
dispiace dirlo, ma tua madre non si accorgerà nemmeno che ti sei allontanata.
E, se dovesse accorgersene, magari si prenderà un bello spavento e così impara
a lasciarti fuori!- disse Will.
La bambina rise
insieme a lui.
-Quei biscotti sono
davvero ottimi, ed io non posso certo mangiarli da solo. Allora, voi venire con
me?- Le chiese.
Guardò un’ ultima
volta la propria casa e, dopo di che, Ariana si voltò verso il suo amico e
sorrise. –Grazie Will!-
Non era mai stato
bravo con le gentilezze, perciò, quando la vide camminare da sola nel corridoio
in penombra, la prese da un braccio e la trascinò in una zona cieca per le
innumerevoli telecamere che sorvegliano la residenza.
Nonostante l’avesse
colta alla sprovvista arrivandole alle spalle, lei non oppose resistenza, quasi
sapesse anche senza vederlo che era lui. Così la trascinò in un angolo
appartato e la fece voltare verso di sé, spingendola delicatamente con le
spalle contro la parete.
-Ehy!- La salutò
brevemente, senza tuttavia incrociare il suo sguardo.
I suoi occhi si
persero sui contorni del suo viso, seguendo la forma della testa avvolta da un
manto morbido di capelli neri e, per ultimo, sulla macchia violacea che
ricopriva il suo zigomo.
-Ehy!- disse lei,
con tranquillità assoluta.
Non si mosse, non
disse nulla. Restava semplicemente lì ad osservarlo con quel suo sguardo freddo
e le labbra sensualmente corrucciate. Sollevò il mento e attese, con così tante
cose che avrebbe potuto dire, evidentemente, aspettava che fosse lui a parlare.
Come al solito, lei non aveva niente di cui scusarsi, quella mossa spettava a
lui.
E, come sempre, lui
non avrebbe mosso un solo muscolo verso quella direzione.
-Avanti!- Le disse
allargando le braccia. –Dimmi tutto ciò che hai da dirmi!-
Aria sollevò un
sopracciglio e la sua espressione si fece ancora più distante e altezzosa.
-Non pensi che sia
stato un mostro a farti camminare dopo quella caduta?-
A quel punto, Eric
la vide fare qualcosa di assolutamente spiazzate: la vide sorridere.
-E perché mai dovrei
essere arrabbiata? Non sono debole, e non puoi certo fare favoritismi…-
La sua risposta lo
spiazzò, si allontanò leggermente e rimase ad osservarla. Sapeva che era
sveglia, ma sentirsi dire quelle esatte parole gli fece provare una sensazione
elettrizzante.
-Anche se, forse,
era quello che volevi…- il suo sorriso cambiò e passò da dolce a intrigante. Da
solare e provocatorio.
Serrò la mascella e
fece un cenno con il capo, mai abbassare la guardia con quella ragazzina, non
perdeva occasione di provocarlo. La vide mordersi le labbra e guardarlo con
attenzione, pronta a cogliere ogni suo segno di debolezza.
Ma era davvero la
debolezza che voleva vedere? Se l’avesse vista davvero, però, probabilmente
avrebbe provato un altro tipo di emozione. Sarebbe rimasta soddisfatta, certo,
ma non solo.
Se la ragazza voleva
vedere quel lato di lui allora l’avrebbe accontenta, poiché gli avversari
cambiano sempre tattica quando colgono le debolezze del nemico.
Alcuni abbassano la
guardia.
Tuttavia non voleva
solo valutare la sua reazione, ma anche la propria, poiché non era mai arrivato
al punto di mostrare le sue vulnerabilità a nessuno. Quella sarebbe stata un’
esperienza nuova anche per lui, e a lui, le sfide erano sempre piaciute.
Aria era una sfida.
Le accarezzò con la
mano la testa, con delicatezza, e poi sfiorò con attenzione il livido sotto il
suo occhio destro. –Come stai?- le sussurrò, senza togliere gli occhi dalle sue
labbra.
Aria ebbe un
fremito, si scostò dal suo tocco e abbassò la testa. –Sono tutta intera!-
ammise con un piccolo sorriso.
Colpita.
Come era prevedibile,
la piccola lottatrice non aveva più il coraggio di provocarlo, quando era lui
ad avvicinarsi a lei in maniera così evidente e intima. Sfuggiva abilmente al
contatto, abbassavo lo sguardo e nascondeva il rossore delle guance. Senza
contare la dolcezza da cui si lasciava avvolgere come un velo di protezione.
Come il gatto fa con
il topo, Eric adorava stuzzicare la sua giovane preda, poiché non solo amava la
lotta, ma anche esserne il vincitore.
-Ho visto che tu e
il tuo amichetto Will oggi eravate in vena di effusioni, è il tuo nuovo
fidanzatino?- le chiese maligno, accarezzandole con la punta delle dita le
braccia scoperte.
-Cosa c’è, sei
geloso?-
Il più terrificante
dei sorrisi gli illuminò il volto. Si passò la lingua fra le labbra e lasciò
che il suo ghigno si trasformasse in una piccola risata. Eccola di nuovo lì la
lottatrice, con il suo sguardo deciso e il broncio fra le labbra seducenti. Fece
scorrere le proprie dita sulla pelle fresca delle braccia di Aria, salendo
verso le spalle per poi scendere verso i polsi, in una lenta carezza che in
realtà era più simile ad un graffio.
-Forse è ora che tu
capisca una cosa, piccola…-
La vide inarcare le
sopracciglia a sentire l’ appellativo con cui le si era rivolto, ma non vi
prestò attenzione. Al contrario, piegò la testa di lato riservandole un’
occhiata irrisoria ed allargò le labbra in un sorriso beffardo.
Le prese il viso con
una mano, facendo scorrere il proprio pollice su quelle labbra che aveva già
assaporato. –Tu sei mia!-
-Tu sei pazzo!- gli
rispose senza scomporsi, si limitò a spalancare gli occhi e a guardarlo come se
fosse un insetto sul punto di saltarle sul viso.
Piegò la testa dal
lato opposto e rimase a godersi la sua reazione, sorridendole senza alcun
riguardo.
-E immagino che tu,
invece, non sia di nessuno!- gli disse Aria, sul punto di perdere la pazienza, e
lo spintonò mettendogli entrambe le mani sul petto.
Si lasciò spostare e
fece qualche passo indietro, incrociando le braccia al petto. –Esattamente!-
ammise.
-Ed io invece sarei
tua?-
-Come ho appena
detto!-
Gli rivolse il più
disprezzevole degli sguardi, scosse la testa, ed esibì una smorfia. –Forse stai
male!-
Detto ciò fece per
andarsene, ma lui la bloccò da un braccio.
-Dove credi di
andare?-
-Magari trovo
qualcuno che ha ancora un po’ di cervello!- rispose lanciandogli un’
occhiataccia.
Il modo in cui
passava dalla lottatrice provocante, alla bambina indignata, era disarmante. Ma
gli piaceva, sorrise e l’avvicinò a sé tirandola dal braccio da cui ancora la
teneva.
-Cosa non ti è
chiaro? Sei mia, mi appartieni e nessun altro può toccarti!- le alitò sulle
labbra.
Aria si scostò
bruscamente dalla presa e lo spintonò ancora, sta volta decisamente più
arrabbiata. –E per cosa dovrei essere tua? Perché tu possa farmi quello che ti
pare, e poi mandarmi al diavolo quando ti va?- gli ringhiò contro. –Trovati un
altro giocattolo!-
Si voltò ancora una
volta e fece un passo, ma lui la riafferrò prontamente dalle spalle e appoggiò
le proprie labbra al suo orecchio. –Chi ti dice che io voglia giocare con te?-
Eric sentì la
ragazza paralizzarsi fra le sue mani, tenendola ancora da entrambe la spalle la
guidò davanti a lui, per poterla guardare negli occhi. Vide che era disarmata,
senza fiato, con quei suoi occhi blu che lo fissavano intensamente.
-E allora cosa
vuoi?- Gli chiese con un filo di voce.
La liberò dalla sua
presa e fece spallucce. –Sei troppo piccola per me, perché io possa fare sul
serio!-
Aria arricciò le
labbra e fece un passo indietro. –Perché, quanti anni hai?-
-Ventidue.-
-Che grande uomo!-
lo canzonò, alzando gli occhi al cielo.
-Tu ne hai
sedici!-Le ricordò.
-Fra tre giorni
diciassette!- affermò incrociando le braccia al petto. –Per tre mesi di
differenza non ho fatto la Scelta l’anno scorso…-
Eric scoppiò a
ridere. –Che meraviglia, un anno in più cambia tutto! Allora siamo a posto!-
Aria era infuriata,
mantenne le braccia al petto e lo guardò con rammarico. –Da diciassette a ventidue
sono solo cinque anni di differenza, cosa ti dà il diritto di trattarmi come
una bambina?-
Eric prese un
respiro profondo e le accarezzò le spalle con le mani, prendendola poi dal
viso. –Perché sei una bambina!- le
disse tranquillamente. –Voglio solo che tu faccia la brava e non ti conceda a
nessun altro, per il momento.-
Aria batté le
palpebre, incredula. –Mi stai dicendo che…-
-Ti sto dicendo che
voglio che tu rimanga vergine fino a quando non sarai grande abbastanza!- Le
disse, stringendo la presa delle sue mani attorno al suo viso.
-Chi ti dice che io
lo sia ancora?- chiese per coprire il suo imbarazzo, ma fingersi decisa non
servì a nascondere il rossore delle sue guance.
-So che è così…- le
sussurrò ad un soffio dal viso.
Non negò.
-Quando sarà il
momento…- disse piano, facendo scorrere le proprie mani lungo le sue braccia,
per poi prenderla da fianchi. –Sarò io a farti diventare una donna…-
Con la scarica di
elettricità che gli attraversò la nuca, per poi scendergli lungo la schiena e
attraversagli lo stomaco, decise che non era ancora il momento di rinunciare a
quel contatto che per giorni si era negato. Si avvicinò con il viso al collo
della ragazza, le respirò sotto l’ orecchio sinistro, posando poi un piccolo
bacio sulla parte di pelle tatuata.
Non c’era niente di
dolce in quel bacio, né nel modo in cui la teneva stretta da fianchi, ma
sentirla totalmente in sua balia gli diede una forte emozione che gli solleticò
le gambe e gli infiammò il petto.
La strinse più forte
sui fianchi e risalì il lato sinistro del suo collo per assaporarle l’orecchio
in un lieve morso, senza ferirla. La sentiva immobile, rigida come una stata e
silenziosa, ma era impossibile che non stesse provando le sue stesse emozioni.
Il fuoco che gli era esploso nel petto e gli incendiava la gola, il cuore, lo
stomaco e scendeva verso il basso, era così potente che di sicuro era arrivato
anche a lei. Lo sentiva dai leggeri brividi che la scuotevano appena, dal modo
in cui si sforzava di rimanere ferma nonostante il respiro affannoso che non
era riuscita a nascondere.
-Quindi è solo
l’esclusiva che vuoi? Dopo potrò anche andare con chiunque altro?- disse Aria,
gelida.
Si fermò, sentendola
parlare nonostante non si fosse mossa. Sollevò la testa e la guardò negli
occhi, senza dire nulla. La trapassò con il suo sguardo, cercando ogni sua
debolezza, ogni più piccola incertezza dietro quell’espressione gelata.
Aria colse la
risposta e serrò le labbra, una strana scintilla le attraversò lo sguardo e gli
rivolse l’ennesima smorfia indignata.
Profondamente
indignata.
-Non toccarmi più!-
Sibilò, poi si voltò e si allontanò da lui.
Eric non la fermò,
rimase a pensare ed incrociò le braccia la petto. Evidentemente aveva tirato
troppo la corda, sapeva che con lei doveva essere estremamente cauto.
Ma non tutto era
ancora tutto perduto.
-Ti va di uscire da
qui per un po’?-
Come al richiamo di
uno strumento magico, Aria si fermò di colpo e si voltò ad occhi spalancati,
cercando di nascondere il suo desiderio.
Il ragazzo nascose
un sorriso abbassando la testa e le si avvicinò. Sapeva che tutti gli iniziati
soffrivano la reclusione forzata all’interno della residenza, era successo
anche a lui d’altronde, ed era deciso ad usare quel bisogno per rimediare al
suo sbaglio.
-Magari dopo gli
allenamenti, prima di cena, potremmo incontrarci ai binari del treno. Che ne
dici?- propose, rimettendole a posto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e
lanciando qualche occhiata alle spalle della ragazza per vedere se arrivava
qualcuno.
Aria lo guardò e analizzò
con assoluta attenzione la sua espressione. Sapeva che non si sarebbe mai
scusato apertamente, e che non avrebbe certo ammesso di aver esagerato, ma era
arrivata al punto di conoscerlo abbastanza a fondo da cogliere ugualmente le
sue intenzioni di riappacificazione. Soppesò fino all’ultimo la propria
risposta prima di concedergliela, arricciò le labbra un’ ultima volta, mostrò
il suo solito sguardo altezzoso e fece un cenno con la testa.
Eric si concesse un
ghigno nella penombra. –Allora a più tardi, piccola!-
Continua….
Eccoci
qui, altro capitolo diciamo particolare!!
Come
vi avevo già accennato ad inizio storia, avrei cambiato qualche età. In
particolare ho alzato quella di Eric e, per quanto possibile, anche quella di
Aria, per renderli più adatti alle tematiche della FanFic. Per la storia
d’amore che sto creando mi servivano personaggio un po’ più maturi, in
particolare il personaggio maschile, e mi piaceva l’idea che fosse più grande
di lei e non più un ragazzino…
Come
avrete visto, ho anche messo un immagine, vi avevo lasciato il tempo per farvi
la vostra idea del personaggio femminile, coincide con come l’avevate
immaginata?
Che
ne dite? Fatemi pure sapere le vostre opinioni.
Le rotaie erano deserte, in lontananza si vedeva la città
abbandonata e cadente e, alle sue spalle, il sole si preparava a tramontare.
Dal buio della residenza, Aria vide uscire Eric, che seguiva
le rotaie con passo lento e sicuro.
-Tutta questa fretta?- Le chiese, notando che lo avevo
preceduto.
Decise di non rispondere.
Eric le arrivò vicino e chinò la testa per un breve sorriso.
Con lui non si capiva mai se sorrideva davvero, per deriderla o con cattiveria.
Era un sorriso sempre sinistro che arrivava agli occhi come una scintilla
pericolosa, ma aveva imparato ad apprezzare quel suo ghigno strafottente.
-Riuscirai a prendere il treno, o devo prenderti in braccio
e farti salire io?- la stuzzicò, senza perdersi un suo solo respiro.
Aria incrociò le braccia al petto e lo trapassò con
un’occhiata impassibile. –Non saprei, magari mi divertirò a fare la povera ragazza
in difficoltà…-
-Non hai che da chiedere!- le sussurrò avvicinandosi.
Quando la luce del treno fece capolino dal fondo della
residenza, Aria si spostò dal ragazzo ed iniziò a calcolare il tempo migliore
per saltare a bordo. Eric, dal suo canto, non si era mosso di un millimetro e
rimaneva lì a guardarla.
Capì cosa voleva fare, voleva godersi ogni secondo della sua
corsa per salire sul treno, magari limitandosi a raggiungerla l’istante dopo,
dimostrando la sua superiorità. Per uno come lui doveva essere una passeggiata prendere
il treno, probabilmente avrebbe potuto farlo ad occhi chiusi. Correre non gli
serviva, e con un minimo sforzo sarebbe stato a bordo, ne era certa.
Rimase a ricambiare il suo sguardo per un po’, non voleva
dargli la soddisfazione di mettersi a correre disperatamente per raggiungere i
vagoni, ma le serviva un minimo di rincorsa e non poteva negarlo. Perciò,
quando il treno le arrivò vicino, fece una breve corsa e si aggroppò con un
salto ad uno dei maniglioni, rimanendo in piedi sulla pedana per accedere alla
carrozza. Dovette tuttavia lanciarsi all’interno quando vide Eric correre e
saltare sulla sua stessa pedana, senza preoccuparsi di lei.
Un volta all’interno del vagone del treno Eric la seguì a
distanza di un secondo, e lei dovette fare qualche passo in avanti per non
ritrovarselo addosso.
-Se hai paura di me, non dovresti essere qui, siamo soli se
non te ne fossi accorta.-
Aria si appoggiò con la schiena alla struttura del vagone,
dalla parte opposta dell’apertura, rispondendogli a tono senza pensarci. –Sei tu
che dovresti smettere di starmi così attaccato!-
-Ma davvero?- chiese, avanzando famelico. –Pensavo ti
piacesse!-
Eric le si posizionò davanti appoggiandosi con una mano sola
vicino al suo orecchio, facendola sentire in trappola. Era evidente il
divertimento che provava in quelle situazioni, sottomettendola con gesti
imbarazzanti e possessivi, ma lei non aveva intenzione di lasciarsi andare.
La sua vicinanza stava iniziando a farle strani effetti,
solleticandole lo stomaco e facendole tremare le mani, mentre uno strano calore
le avvolgeva il cuore, ma non poteva dimostrare nulla. Doveva nascondere
abilmente le sue sensazioni e tenergli testa, oppure sarebbe stata divorata
senza via di scampo.
-Mi domando come mai tu mi stia sempre vicino,- disse,
lanciando un’occhiata al braccio che le teneva vicino al viso e al suo corpo
muscolo piazzato ad un palmo dal suo. –Se non sono un giocattolo e se sono
troppo piccola per te, perché non mi lasci in pace e basta?-
Eric piegò la testa all’indietro e rise fragorosamente, come
se avesse appena udito la più grande delle battute o, peggio, come se avesse
sentito una sciocchezza tanto assurda da non riuscire a trattenere le sue risa.
Aria inarcò le sopracciglia, cosa c’era di tanto divertente
non lo capiva, ma la risata di Eric era tutto tranne che allegra, era puramente
derisoria.
Come sempre.
-Perché dovrei perdermi tutto il divertimento?- Rispose
guardandola negli occhi, piegando poi la testa da un lato come se stesse
realmente aspettando una sua risposta, e fosse pronto ad analizzarla.
La ragazza si rifiutò di guardarlo, si sistemò meglio contro
la parete e sospirò. -Lasciami un attimo fare il punto della situazione… -
iniziò. -Tu non provi niente per me?-
-Mi hai preso per un sentimentalista?-
-Certo che no, uno come te!- lo canzonò. -Però sono tua?-
Eric incrociò le braccia al petto, rimanendo abilmente in
piedi nonostante il movimento del treno. -Sì, e cerca di non dimenticarlo.-
Aria dovette trattenere l’impulso di prenderlo a schiaffi,
odiava lo sguardo sicuro con cui la fissava, manifestando a forza la sua
superiorità. Scosse il capo e si guardò la punta delle scarpe. - Però non sei
geloso di me?-
-Perché dovrei?- chiese serrando la mascella.
A quel punto Aria fece una piccola risata nervosa, tornando
poi a fissarlo negli occhi. -E tutto questo per te ha un senso?-
Eric parve fermassi un attimo a riflettere, abbassando lo
sguardo sulle sue labbra come faceva spesso. -Per me c’è l’ha.- Rispose alla
fine.
Non ne dubitava.
-È per quella faccenda dell’esclusiva?- Decise di
chiedergli, faticando a ricordare la discussione in cui Eric le chiedeva di
concedersi solo a lui, naturalmente
quando sarebbe arrivato il momento giusto. La faccenda era così assurda che le
veniva voglia di prendere a schiaffi qualcuno, di urlare, di svegliarsi e
scoprire che era un sogno.
-In parte.- Rispose Eric profondamente, con una certa
serietà impressa nei lineamenti.
Si morse il labbro inferiore. -E se non fossi d’accordo?-
A quel punto il predatore fece la sua mossa, e avvicinò il
viso verso quello di lei respirandole sensualmente sulle labbra. -Non saresti
qui!-
-Ma io non ho accettato niente.- Riuscì a mala pena a dire,
vergognandosi mentalmente di avere il fiato corto.
-Ed io non ti ho chiesto né proposto niente.- Puntualizzò
con assoluta calma, lanciandole uno sguardo d’intendimento.
Aria rimase in silenzio per diversi secondi, lui non si
spostò e rimase in equilibrio davanti a lei senza sorreggersi da nessuna parte.
-Quindi per te sono solo un’iniziata qualunque con cui ti
diverti a passare del tempo?- Gli chiese poco dopo.
-Sì, e sei mia!-
-Ma certo!- esclamò con una smorfia, alzando gli occhi al
cielo.
Il cielo fuori iniziava a ingrigirsi, e il sole richiamava a
sé i suoi raggi di luce e calore, lasciando spazio alla sera. L’aria iniziava a
rinfrescarsi, ma fortunatamente rimaneva ancora un po’ di luce, tanto da
riuscire a rendere visibile il profilo della città a cui si stavano
avvicinando.
-Dove stiamo andando?- Chiese la ragazza, inseguendo le
linee degli edifici che superarono del tutto.
-A fare un sopralluogo.- Esclamò il ragazzo, avanzando.
Aria lo vide aggrapparsi al maniglione e sporgersi oltre l’
apertura del vagone, cercando probabilmente il punto giusto per scendere.
-Tieniti pronta per saltare, siamo quasi arrivati.- Le disse
poco dopo.
Aria si rimise a posto la giacca nera e gli si avvicinò e,
solo quando Eric le fece un segnale, saltò fuori dal treno subito dopo di lui.
Atterrò con una mezza capriola sull’erba secca e si rialzò velocemente,
scrollandosi di dosso la polvere.
Ancora prima di capire dove fossero, la ragazza si portò una
mano alla guancia ancora livida, poiché l’atterraggio brusco aveva risvegliato
il dolere della ferita. Eric la vide e fece un’ espressione strana, quasi
preoccupata, sembrava anche intenzionato ad avvicinarsi ma qualcosa gli fece
cambiare idea.
-Dove siamo?- decise di chiedere la ragazza, lasciando
vagare il proprio sguardo sul luogo in cui si trovavano.
Vide il letto del fiume poco distante, e gli scheletri di
giostre e vecchi capannoni attorno a loro.
Eric fece un piccolo sorriso e si grattò distrattamente il
collo. –Abbiamo un piccolo lavoro da svolgere…-
Aria gli si avvicinò e lo seguì in silenzio, cercando di
rimanergli il più vicina possibile. Quel luogo era abbandonato da tanto tempo
ed aveva un aspetto decisamente spettrale, e fortuna che il sole non era ancora
calato del tutto. Con l’arrivo della notte si sarebbe sentita decisamente meno
a suo aggio.
-Cosa dobbiamo fare esattamente?-
Il ragazzo continuò ad avanzare, guardandosi bene intorno
come in cerca di qualcosa che neppure lui sapeva dove trovare. –Fra due giorni
esatti ci sarà un’ esercitazione per voi iniziati, ma questo tu non avresti
dovuto saperlo.-
Aria registrò l’informazione e, l’idea di un’ attività di
addestramento fuori dalla residenza degli Intrepidi, le diede una scarica di
entusiasmo. –Che tipo di esercitazione?-
Eric la guardò per un attimo con una smorfia, come se stesse
pensando di non rivelarle altro, ma alla fine scrollò le spalle e decise
evidentemente che, a quel punto, poco importava mantenere il segreto. –Faremo
due squadre, una io e una Quattro, e l’anno scorso ha vinto lui. Non posso
certo permettere che la cosa si ripeta, devo rimetterlo al suo posto!-
La ragazza rimase in silenzio, ancora eccitata per la futura
esercitazione, ed ogni informazione che riceveva le piaceva sempre di più.
-Giocheremo a ruba bandiera, mi serve una buona posizione
d’attacco e, ovviamente, un posto in cui nascondere la bandiera!- Disse Eric,
continuando a camminare e a guardarsi intorno. –Se volessi renderti utile, non
mi dispiacerebbe!-
-Non sono mai stata qui, ma vedrò cosa posso fare.- Aria
nascose un sorriso. –Quindi sarò nella tua squadra? Perché, se finisco in
quella di Quattro, potrei rivelargli tutti i tuoi piani…-
Eric finse di non ascoltarla, o forse non la sentì per
davvero, impegnato com’era ad analizzare il territorio. Aria scosse la testa e
decise di non allontanarsi troppo da lui, quando lo spettro di una gigantesca
ruota panoramica spuntò all’orizzonte, sovrastandoli minacciosa.
La ragazza prese un respiro profondo e diede voce ai suoi
pensieri, per scacciare la fastidiosa inquietudine che provava, e perché non
poteva accettare che Eric la ignorasse in quel modo.
-Perché mi hai portata con te?-
Eric la guardò di sfuggita. –Che vuoi dire?-
-Davvero non capisco perché sprechi il tuo tempo come me,
non hai altri modi per divertirti?-
Eric decise di ignorarla ancora una volta, accelerando il
passo.
-Non significo niente per te, non siamo niente, e con me non
vuoi né giocare né divertirti.-
-Cosa c’è che non va?- chiese infastidito.
-Quello che dici non ha alcun senso logico! Io dico che a me
ci tieni eccome, è solo che non vuoi ammetterlo.- Affermò decisa, rimanendogli
vicina mentre lo seguiva. –Perché non dici che ho ragione e basta? Guarda che
non puoi fregarmi, certe cose le capisco benissimo…-
-Stai diventando insistente!- le urlò contro, fermandosi un
attimo per incenerirla con uno sguardo.
Aria allargò le braccia in segno di resa. –Perfetto allora,
la smetto, magari mi sto sbagliando…-
Eric la guardò ancora di traverso e riprese a camminare,
seguito dalla ragazza.
-Perdonami ma è nella mia natura da ex Erudita,
probabilmente mi ci vorrà un po’ per liberarmi del loro modo di pensare e della
loro abitudine di cercare sempre la verità e di analizzarla nella maniera più
logica.-
-Vedi di farlo in fretta o ti faccio a pezzi!- sentenziò
Eric, decisamente adirato. Si muoveva fra i capannoni abbandonati come una
tigre in gabbia, cercando di camminare in fretta per allontanarla.
Ma Aria non aveva alcuna intenzione di rimanere indietro, né
di lasciarlo in pace. –E come faresti senza di me, dopo? Non ti dispiacerebbe
farmi fuori?-
-Ne me ne frega un cazzo di che fine fai!- le urlò contro,
fermandosi di scatto per voltarsi a fronteggiarla.
La ragazza si arrestò di colpo e ricambiò il suo sguardo
arrabbiata, senza timore ma con un certo fastidio. Quando lo vide voltarsi fece
una smorfia e tornò a seguirlo in silenzio, rimanendo al suo fianco e lui non
l’allontanò, ma rimanevano entrambi tesi ed arrabbiati.
-Sono calde quelle giacche?-
Aria non si era accorta che la sera era finalmente arrivata,
né del punto che avevano raggiunto. Avevano infatti superato il vecchio parco
giochi, e si erano addentrati i una zona fra i vecchi capanni bianchi, che
dovevano essere serviti ad ospitare le varie bancarelle del parco, e grandi
container rossi abbandonati l’uno sull’altro.
Da uno di quei vecchi capannoni ceratati aveva fatto
capolino un uomo di mezz’età, sbucando fuori dalla tenda bianca che circondava
la vecchia bancarella. La ragazza sussultò inspiegabilmente alla vista
dell’Escluso che indossava abiti logori ingrigiti, non c’era niente di cui aver
paura, eppure si sentiva turbata.
-Fate i bravi, a voi ne daranno altre, vi alleggerisco il
viaggio di ritorno!- canticchiò l’uomo, mostrando il suo sorriso sdentato.
Quando l’Escluso afferrò una vecchia trave di legno lì
vicina, gli innumerevoli chiodi arrugginiti che vi erano conficcati,
luccicarono alla luce della luna.
Stranamente, quando l’uomo impugnò la sua arma improvvisata,
Aria non ebbe più paura. Sapeva che lei ed Eric erano più forti di lui, e
decise che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Ma, quando il ragazzo al suo
fianco allungò un braccio davanti a lei, Aria trattenne bruscamente il fiato.
Mai si sarebbe aspettata quel gesto da Eric, perciò rimase
ad occhi sbarrati mentre con il braccio che le aveva steso davanti la spinse,
con un gesto delicato e insieme deciso, dietro la sua schiena. Il modo in cui
si era offerto di farle da scudo, togliendole la possibilità di difendersi da
sola e assumendosi la totale responsabilità dello scontro, era insieme
sconvolgente eppure dannatamente rincuorante.
Si ritrovò dietro di lui, così vicina alla sua schiena che
poteva sentirlo respirare e, in un attimo, un calore potente l’assalì e le
infiammò il cuore. Non si era mai sentita in quel modo, mai nessuno si era
preso cura di lei fino al punto da ergersi in sua difesa. Eppure
l’atteggiamento di Eric non era solo protettivo, era insieme prepotente e
forte, come ogni gesto che si concedeva verso di lei.
-Hai un secondo per sparire!- intimò Eric all’Escluso,
estraendo la sua pistola dalla tasca interna della giacca.
Alle sue parole, altri due Esclusi uscirono dal capanno e
affiancarono il loro compagno armato di trave.
-Non c’è bisogno di arrabbiarsi…- Disse uno degli Esclusi
arrivati. –Vogliamo solo le vostre giacche, e magari qualcos’altro…-
Aria provò a sbirciare da dietro la schiena di Eric, ma lo
sentì stranamente indietreggiare verso di lei, mentre l’Escluso armato avanzava
con la trave chiodata sollevata sopra la testa, pronto a colpire. In quel
momento la ragazza capì che Eric non era indietreggiato per paura, uno come lui
non si sarebbe certo lasciato intimorire da un gruppo di infermi pressoché
disarmati, ma per lei. Aveva fatto un mezzo passo indietro per toccarla con la
schiena, per rassicurarla ulteriormente e per nasconderla completamente con il
suo corpo.
Aria tremò appena per un brivido che l’aveva attraversata,
avrebbe dovuto essere preoccupata per la situazione in cui erano finiti, ma non
riusciva a pensare ad altro che alla schiena di Eric. Sentiva la sua forza, la
sua sicurezza e, quel contatto con i suoi muscoli, la riscaldava e placava ogni
tipo di paura.
Chiuse gli occhi per un attimo, inebriata dalle sue emozioni
e dal profumo di Eric che le arrivò dritto al cuore, in un misto di essenza
maschile e l’odore della pelle del suo giubbotto imbottito.
-Non guardare.- gli sentì sussurrare, rivolto a lei.
Aria capì perfettamente e, serrando ancora di più le
palpebre, posò la propria fronte sulla schiena di Eric e lo trattenne,
afferrando e stringendo con le mani i lati della sua giacca, sperando che lui
capisse.
E lui capì.
Eric sparò mirando alla mano con cui l’Escluso aveva
sollevato la trave per colpirlo, capendo che non era il momento opportuno per
fare saltare in aria qualche testa. Dietro di lui sentiva la ragazza aggrappata
alla sua schiena, con la fronte premuta contro di lui, e sapeva che non era
pronta a vedere un corpo accasciarsi a terra e, di certo, non avrebbe dato una
buona impressione di sé uccidendo qualcuno proprio mentre erano da soli.
Al rumore secco dello sparo, Aria sussultò, e sentì l’uomo
colpito gridare di dolore. Il sangue zampillò fuori dalla sua mano e la trave
cadde a terra, ma lei si rifiutò di assistere alla scena e rimase al sicuro
dietro la schiena di Eric.
Gli altri due Esclusi guardarono terrorizzati il loro
compagno e si precipitarono a recuperarlo.
-Se non volete fare una brutta fine, toglietevi di mezzo e
non fatevi più vedere.- Gli ordinò Eric, con tono deciso e minaccioso, mentre
si rimetteva in tasca la pistola.
Gli Esclusi, raccolto l’uomo che urlava ferito e pieno di
sangue che gli colava lungo il braccio, capirono l’avvertimento e si
affrettarono a scappare via.
Eric, senza preavviso, allungò un braccio dietro di sé e
afferrò Aria da un polso per trascinarla. Qualche passo dopo, sicuro di essersi
allontanato dalla zona degli Esclusi, la lasciò andare e le fece strada, sicuro
di essere seguito.
-Sei un bugiardo!-
Quando la situazione si era ristabilizzata e si era
ritrovata nuovamente sola con Eric, seguendolo nel buio, Aria non aveva potuto
fare a meno di lasciarsi sfuggire quelle parole.
Eric, dal suo canto, si voltò verso di lei e rimase a
guardarla senza capire. –Che ti prende?-
-Sei un bugiardo, ho detto!- disse decisa, sollevando lo
sguardo e fissandolo con rabbia. –Tutto quello che hai detto, non solo non
aveva alcun senso, ma era anche una grandissima stronzata!-
Il capofazione degli Intrepidi ebbe un sussulto di puro
stupore, era preparato a combattimenti estenuanti e a prove pericolose, ma non
di certo a quella reazione da parte di una ragazzina che di solito era fredda e
controllata. Stava per chiederle spiegazioni ma lei lo precedette, avanzando
addirittura verso di lui.
-Hai detto che non ti importa niente di me, che non provi
nulla ma non è vero, e me lo hai appena dimostrato!-
Eric capì che si riferiva al modo in cui le aveva fatto da
scudo proteggendola, e si concesse una risata. –Sei sotto la mia
responsabilità, che figura pensi che ci farei se tornassi alla residenza dopo
un attaccato da parte di tre idioti Esclusi? E cosa avrei raccontato se ti
fosse successo qualcosa?-
-Chiudi quella bocca!- Gli ringhiò contro, accecata dalla
furia, mentre si fermava ad un palmo da lui. –Dici sempre che un vero Intrepido
non si arrende mai, che non ha paura e fai di tutto per rendere la vita degli
iniziati un inferno con prove assurde e pericolose.E, quando la faccenda si complica, mi tratti
coma una ragazzina indifesa e ti metti davanti a me per proteggermi? Pensavi
che avessi paura o che mi servisse il tuo aiuto?-
Eric rimase in silenzio, con gli occhi spalancati puntatati
sulla ragazza che ancora gli urlava contro.
-Se ti fossi trovato con un altro iniziato, non solo lo
avresti lasciato al suo destino, fregandotene delle fine che avrebbe fatto, ma
ti saresti anche infuriato se non fosse stato in grado di difendersi da solo e
lo avresti scaricato fra gli Esclusi!-
Aria non gli diede il tempo di pensare, lo fissava con occhi
ardenti e lo spintonò via con entrambe le mani puntate sul suo petto.
-Stronzate!- riuscì a risponderle, indietreggiando per la
spinta.
-Stronzate un corno! Ho sentito il modo in cui mi hai
difesa, non lo hai fatto solo per dovere, ma perché volevi farlo!- gli si
avvicinò ancora e si fermò quando i loro corpi furono tanto vicini da toccarsi.
–Non ti sono indifferente Eric, hai pensato solo a me e ti sei preoccupato
persino di non farmi guardare mentre sparavi. Ti sei messo davanti, e lo hai
fatto solo e soltanto per proteggermi. Sono troppo intelligente perché tu posso
fregarmi in questo modo!-
Eric guardò da un’altra parte, per poi tornare a prestarle
attenzione, analizzando il modo in cui i loro copri si toccavano, l’uno di
fronte all’altra.
-Dici che sono solo una ragazzina,- continuò imperterrita,
senza frenare il flusso di parole. –Ma qui l’unico che si sta comportando come
un bambino sei tu! Non hai il coraggio di ammettere ciò che provi, e questo non
solo è un comportamento infantile, ma anche da codardo.-
Aria si accorse dello sguardo freddo e autoritario con cui
la fissava, così scosse il capo avvilita e lo spintonò via ancora una volta,
con rabbia.
-Quando vorrai comportanti come un uomo, fammelo sapere!-
gli disse allontanandosi a grandi passi.
E poi successe.
Eric sentì una scarica di rabbia ceca assalirlo e, con il
sangue al cervello e lo sguardo annerito, si voltò come una furia e afferrò la
ragazza da una spalla facendola voltare. La prese dalle spalline della giacca e
a la sollevo con forza, facendola sbattere contro uno dei container rossi che
li accerchiavano. Quando toccò nuovamente terra con i piedi, Aria era stordita,
si era fatta male sul serio ed Eric la stringeva tanto forte de farle ancora
più male. Era davanti a lei e la immobilizzava in parte con le mani, e in parte
con il suo corpo muscoloso.
Le afferrò il viso con le mani e appoggiò violentemente la
propria fronte sulle sua, schiacciandole la testa contro il ferro rosso senza
preoccuparsi di ferirla.
-Sì ti voglio, ti desidero e non me ne frega un cazzo di
tutto il resto.- sibilò a denti stretti contro le sue labbra. -Ti ho sempre in
testa e non riesco a smettere di pensarti, ti voglio come non ho mai voluto
nessun’altra e voglio che tu sia mia, voglio toglierti quei vestiti di dosso e
farti male fino a farti gridare. Ti voglio maledizione, ti voglio e basta!-
E, prima che lei potesse rispondere, le chiuse la bocca con
un bacio che le tolse definitivamente il respiro. Intrecciò con ferocia la
lingua con la sua e mordicchiò con rabbia quelle labbra che tanto desiderava,
prima di lasciarla bruscamente andare.
La liberò dalla sua presa quasi con una spinta, lasciandola
lì a scivolare contro il container, per poi allontanarsi. Aveva bisogno di
spazio per ritrovare il controllo e, con la rabbia che aveva in corpo, non
poteva permettersi di guardarla ancora e di sentirsi sconfitto in quel modo.
Aria riprese a rispirare a fatica, guardando la schiena di
Eric che si allontanava con un misto di emozioni, con rabbia e passione. Si
rimise a posto la giacca e si passò con forza il polso sulle labbra umide e
ferite dai morsi del ragazzo.
-E perché diamine non lo hai detto subito?- disse alla sua
schiena, risentita.
Poi, senza pensarci troppo a lungo, gli corse dietro e lo
afferrò da una spalla, senza dover fare troppa fatica per convincerlo a
voltarsi. Eric infatti si lasciò afferrare dal collo e si abbassò per
permetterle di baciarlo senza opporre resistenza. Aria ebbe quasi l’impressione
che, una volta svuotatosi della rabbia e da ciò che provava, fosse talmente
privo di energie da lasciarsi fare tutto ciò che lei voleva.
Tuttavia, mentre gli intrecciava le braccia dietro la nuca e
si sollevava in punta di piedi per continuare a baciarlo, Eric ritrovò tutte le
sue energie. Le passo le mani attorno alla schiena e la strinse con forza,
baciandola per la prima volta con dolcezza e non solo con ferocia.
-Raccogliete tutte
le vostre armi e mettete a posto il resto dell’attrezzatura.- Disse, cercando
di mantenere la calma. –Fate in fretta, voglio andarmene da questo posto!-
-Sì Eric!- gli
risposero, quasi in coro, Edward e Lynn.
Quando i due ragazzi
che aveva scelto per la sua squadra se ne andarono, ad Eric non restò altro che
lasciare ricadere la testa all’indietro, contro il container a cui era
appoggiato. Non si era neanche preso il disturbo di mettersi in piedi, e
rimaneva lì seduto a terra come uno dei tanti sconfitti.
Poi un bruciore
acuto alla gamba gli fece sfuggire un ringhio di dolore, e si voltò verso la
figura inginocchiata al suo fianco.
-Questo volevi
tenerlo per ricordo?- Gli chiese Aria, mostrando il proiettile che aveva in
mano.
Glielo aveva appena
estratto dalla gamba, senza alcuna delicatezza, e lui non si riservò di
lanciarle un’ occhiataccia.
Quando Quattro gli
aveva sparato, per ben due volte, si era tolto subito il proiettile che aveva
al petto ma, quando aveva capito che presto sarebbero stati sconfitti, si era
seduto e non si era più mosso. Si era limitato ad impartire ordini, e a riservare
qualche offesa al suo rivale Quattro, senza nemmeno preoccuparsi di estrarsi
dalla gamba il secondo proiettile.
Guardò la ragazza
che gli stava vicino e le tolse bruscamente di mano quel dannato proiettile che
gli aveva estratto, ma lei nascose una piccola risata vedendo la sua rabbia.
Aveva raccolto i
capelli in una coda di cavallo e li teneva al loro posto con una fascia nera
che le avvolgeva la testa. Quella notte le sue labbra erano così gonfie che
resistere all’impulso di baciarle era quasi una tortura, peccato che la sua
allegria aumentasse solo il suo malumore.
-Dove diavolo eri
tu?- Le abbaiò contro, nonostante fossero vicinissimi. –Ti avevo messo là in
alto come mia tiratrice migliore e ti avevo detto…-
-Di tenere d’occhio
Quattro e di sparargli non appena lo vedevo!- Aria finì la sua frase, indicando
il punto d’osservazione in cui aveva piazzato i ragazzi con una mira più
decente.
Aria ovviamente era
la più brava a sparare, e Quattro il nemico più pericoloso. Aveva organizzato
tutto a dovere, avevano nascosto la bandiera e messo qualcuno di guardia,
diviso il campo d’ azione in modo da poter attaccare da più direzioni e
posizionato una squadra di tiratori su un container per il fuoco di copertura.
Ma avevano fallito
ugualmente.
-Senti, non è colpa
mia se tu e Quattro avete deciso di giocare a nascondino dietro questi cosi!-
si lamentò la ragazza, falsamente indignata mentre indicava i container che
avevano attorno. –Non vedevo niente da lassù, e poi hai visto in quanti sono
arrivati? Ho sparato a parecchi di loro!-
Eric notò il
sorrisino compiaciuto con cui terminò la frase, e scosse la testa. Non c’era
verso di prendersela con lei e farla sentire in colpa, ne sarebbe sempre uscita
da vincitrice.
-Dai spostati!- Le
ordinò, decisamente più sereno anche se faticava ad ammetterlo.
Si alzò in piedi e
dovette fare i conti con i suoi pensieri più nascosti, e con il fatto che era
bastata qualche parola da parte di quella ragazzina trasfazione per allontanare
il suo malessere. La rabbia per aver perso per l’ennesima volta contro Quattro
non lo avrebbe abbandonato di certo, ma almeno aveva un buon motivo per
scherzarci sopra e qualche aspetto positivo da tenere in conto. Avrebbe
risparmiato i ragazzini della sua squadra, ma a molti avrebbe tolto diversi
punti in classifica per la loro inefficienza. Magari si sarebbe anche divertito
a farlo, e con alcuni si sarebbe addirittura vendicato, ad esempio non capiva
come avesse fatto Molly a farsi soffiare via la bandiera da Tris e
Christina.
Serrò i pugni e
sentì di dover dare un freno alla sua ira e al risentimento, così guardò Aria
vicino a lui e decise che per quella sera il tempo di comportarsi per bene era
finito. Sollevò il braccio facendoglielo passare attorno alle spalle e
l’avvicinò bruscamente a sé, stringendola contro il suo fianco.
Abbassò lo sguardo
verso di lei e le concesse un breve sorriso d’intesa, giusto un arricciamento
di labbra.
Anche lei sorrise e
lo guardò intensamente, chiaramente rallegrata dal quel gesto, tanto che si
strinse di più vicino a lui. –Ma Eric,- disse piano, cercando di moderare il
suo sorriso. –Potrebbero vederci…-
Eric scosse la testa
e riprese a camminare senza togliere il braccio.
Quando, due giorni
prima, erano rientrati insieme dopo il loro giro di perlustrazione, aveva
dovuto mettere subito in chiaro la situazione. Erano scesi dal treno poco fuori
la residenza e, mentre tornavano all’interno, Eric l’aveva fatta fermare per
poterle parlare seriamente. –Non puoi dire a nessuno dove sei stata, né con
chi…- Le aveva detto, e lei aveva capito. Le aveva accarezzato il viso per poi
dirle di rientrare per prima e di raggiungere la mensa da sola, per dividersi e
non destare sospetti.
Nei giorni
successivi si erano concessi solo brevi incontri di sfuggita, in cui aveva
potuto spiegarle meglio l’intera faccenda, parlandole della regola che vieta
agli Intrepidi e, soprattutto, agli istruttori, di avere relazioni con gli
iniziati. Aria non aveva detto nulla, aveva compreso e accettato il fatto che
avrebbero dovuto agire di nascosto e con prudenza.
Ma, nonostante
tutto, Eric pensò che avrebbero potuto rilassarsi almeno per il momento. Non
solo non li avrebbe notati nessuno, considerato il trambusto e i container che
gli facevano da scudo, ma che in fine non c’era niente di male se il capo
squadra, alla fine di un’ esercitazione faticosa, si concedeva un brave gesto
d’incoraggiamento verso una delle poche persone che aveva fatto il suo dovere.
Certo, non era
assolutamente da lui comportarsi in maniera così confidenziale, ma per una
volta nessuno ci avrebbe fatto caso.
Tuttavia, giusto per
esserne sicuri, quando il corridoio di container che stavano attraversando
stava per finire, mostrando lo spiazzo davanti a loro in cui erano radunati gli
altri componenti della squadra che raccoglievano l’attrezzatura e si
preparavano al rientro, Eric ne approfittò per rapire per qualche secondo Aria.
Le fece fare un
passo indietro e si nascose contro la parete del container, stampandole a forza
un bacio sulle labbra, prima di lasciarla andare.
-Che ero sono?
Presto, ditemi che ora è!-
Nel viaggio di
ritorno in treno, Eric si era scelto un angolo per conto suo, decidendo di
tenersi alla larga da quegli incapaci della sua squadra e, soprattutto, da
Quattro.
In fondo al vagone,
invece, Aria si teneva ad uno dei maniglioni e se ne stava comodamente
appoggiata nell’angolo. Intorno a lei, la sua amichetta bionda saltellava e si
muoveva istericamente in cerca di un orologio, e le sue parole avevano
richiamato la sua attenzione.
Quando finalmente
trovò qualcuno che portava l’orologio gli afferrò malamente il polso e,
guardato l’orario, si mise a strillare tutta contenta.
-È passata la
mezzanotte!-
-Sasha, per favore!-
disse Aria, avvilita ma, quando si coprì il volto con una mano, nascondeva un
sorriso.
-Tanti auguri! Tanti
auguri!- canticchiò la bionda, battendo le mani.
Eric inarcò un
sopracciglio.
Aria rise. –Grazie
Sasha, ora puoi anche calmarti…-
Ma la biondina
continuava a saltellarle intorno.
-Cos’è questa
storia? Nessuno mi ha detto niente!- Disse il trasfazione di nome Will,
avvicinandosi ad Aria.
Lo guardò storto.
-Auguri allora!-
disse il ragazzo, passando energicamente una mano in testa ad Aria, come a
volerle scompigliare i capelli in maniera confidenziale. Peccato che i capelli
neri di Aria fossero accuratamente raccolti.
-Buon compleanno!-
disse Christina, raggiunto l’amico Will.
In breve tutti
quelli in fondo al vagone si radunarono in cerchio attorno ad Aria,
festeggiandola con pacche sulle spalle, con sorrisi e risate. La biondina
continuava a saltarle intorno e diceva a tutti quelli che si avvicinavano che
era il compleanno della sua amica, costringendoli quasi a festeggiarla con lei.
Aria era
imbarazzata, aveva le guance in fiamme e teneva bassa la testa. Will era ancora
vicino a lei, troppo vicino. Christina disse loro qualcosa, e risero tutti e
tre insieme.
Eric vide che,
nonostante l’imbarazzo e la mano con cui si teneva la guancia arrossata quasi
cercasse di nascondersi, Aria era felice.
Lasciò che un
piccolo sorriso increspasse anche le sue labbra, perché, per quanto singolare
fosse, Aria sorrideva solo raramente. Non ne capiva il motivo conoscendola,
eppure, quando era con gli altri iniziati, erano più le volte che teneva la
testa basta che quelle in cui rideva spensieratamente.
Ma lui l’aveva vista
spesso sorridere quando erano da soli e, i piccoli sguardi felici che gli
riservava, erano capaci di scaldare persino la notte più fredda.
Riscaldavano perfino
lui.
Nascose il sorriso e
pensò che fosse un bene che Aria avesse degli amici che la facessero ridere,
almeno la sua iniziazione sarebbe stata serena e avrebbe avuto qualcuno su cui
contare, così la guardò ancora per un po’ e poi si preparò per saltare giù dal
treno. Per un attimo pensò alla sua di iniziazione, ma scacciò via
immediatamente il pensiero, e prese ad insultare qualche ragazzino distratto.
Una volta giù dal
treno, all’interno della residenza, tutti gli iniziati si divisero. Alcuni
iniziarono a correre ai dormitori in una specie di gara a chi arrivava prima
per fare la doccia, altri si attardarono per chiacchierare in compagnia, e
qualcuno degli iniziati interni scappò in cucina a vedere se riuscivano a
rubare qualcosa da mangiare.
Ma lui puntò dritto
alla sua preda e la raggiunse.
Quando l’affiancò,
Aria sollevò lo sguardo verso di lui, con ancora il ricordo di un sorriso fra
le labbra.
Eric scosse il capo.
–Bè, è il tuo compleanno allora!-
Lei lo guardò
timidamente e gli regalò un sorriso, diverso da quelli che aveva riversato agli
altri. Quello era un sorriso tutto per lui. –Sì!- disse leggermente in
imbarazzo. –Ma te lo aveva già detto, ricordi?-
Fece un cenno con la
testa, pensandoci meglio in una delle loro discussioni gli aveva accennato che
mancavano tre giorni al suo compleanno.
-Sai che ti dico?-
le disse, mentre si massaggiava i muscoli delle braccia. –Non vedo l’ora di
andare nella mia camera a farmi un bagno caldo. Credo che mi ci addormenterò
dentro, dopo una sera passata con una mandria di idioti iniziati, penso proprio
che sia il minimo…-
Aria sollevò le
spalle e fece una strana smorfia. –Sai, credo che sia crudele, da parte tua,
dirlo proprio a me.-
-Perché?-
-Il massimo a cui
posso aspirare è una doccia fredda, in comune!-
Eric rimase per un
attimo spiazzato, e batté più volte le palpebre.–In comune? Mi stai dicendo che ti spogli
davanti agli altri?- Aveva dimenticato gli alloggi poco confortevoli riservati
agli iniziati.
Aria nascose una
risata di pura soddisfazione, decidendo di non dirgli che alle ragazze era
stato assegnato un piccolo bagno privato in corridoio, che usavano a turno. –Sì
centro. Bè, ci dividiamo in maschi e femmine, ma avrai visto come è diviso il
dormitorio, a volte capita di vedere qualcosa in più…-
-Qualcosa in più?-
Ripeté Eric, -Quindi tu hai visto i ragazzi nudi e loro hanno visto te?-
-I ragazzi sono
sfrontati e senza il minimo segno di imbarazzo, camminano senza niente addosso
senza alcun problema.- E questo era vero. –E se, mentre noi ragazze ci laviamo,
qualcuno viene a sbirciare, non possiamo farci nulla!- bugia.
Non solo avevano il
bagno in privato, ma lei e Sasha andavano in coppia e, mentre una era dentro,
l’altra stava fuori di guardia.
La ragazza ebbe
l’impressione di vedere chiaramente le scintele fuoriuscire dalle orecchie di
Eric e sentì quasi il rumore degli ingranaggi che si muovevano nel suo
cervello.
Un sorriso crudele
le fece arricciare le labbra. –Sei geloso?-
-Certo che lo sono!-
Ringhiò, quasi si fosse bruscamente risvegliato dai suoi pensieri, e non si
fosse accorto di ciò che aveva detto.
Aria spalancò gli
occhi e rimase senza fiato, smise addirittura di camminare. Superato lo shock
iniziale non riuscì a fare a mano di sorridere e, così, riprese a camminare
dietro Eric che, nel frattempo, aveva continuato ad avanzare.
Sembrava imbronciato
e immerso nei suoi dubbi, non si era neppure preoccupato di ciò che aveva
detto. Camminava a testa bassa, in lotta con qualche pensiero molesto che gli
girava per la mente.
Aria rimase
indietro, dato che il ragazzo aveva smesso di considerarla, e decise di
tornarsene al dormitorio. Eric, sempre arrabbiato e concentrato sui suoi
pensieri, continuò per la sua strada e sparì dalla sua vista. Tuttavia ebbe
l’illuminazione che avrebbe risolto tutti i suoi problemi e gli avrebbe perfino
dato qualche piacere in più.
Tornò indietro quasi
di corsa, prese la strada che portava ai dormitori dei trasfazione e,
fortunatamente, lei era l’ultima della fila.
La prese da un
braccio e si nascose nella penombra per non farsi vedere. –Prendi quello che ti
serve e poi torna qui.- Le disse, nascondendosi poi in un punto del corridoio
al buio.
Aria capì quello che
voleva dire e sapeva perfettamente cosa sarebbe successo.
Sapeva che non
portava a nulla di buono quello che stava per fare, ma non cambiò idea,
mettendo a tacere la parte delle sua coscienza.
Dopo essersi
intrufolata di nascosto nel dormitorio, senza farsi vedere da Sasha per evitare
domande, prese un paio di mutandine nere e una canottiera pulita, li arrotolò e
mise tutto nella tasca interna della sua giacca chiudendola per non far vedere
nulla. Si avviò verso il corridoio accertandosi che nessuno che la seguisse e,
quando raggiunse il punto in cui Eric l’attendeva, lui le sorrise.
Lo vide scostarsi
dalla parete a cui si era appoggiato a farle segno di seguirlo.
Superarono corridoi
scarsamente illuminati, deserti data l’ora tarda, e si spostarono in una zona
della residenza che Aria non aveva mai visto fino a quel momento. Da quello che
le parve di capire, era la zona in cui alloggiavano i capi e i membri più importanti
della fazione, lo capì dal cambio di illuminazione e di ambiante. La roccia
sembrava scavata con più attenzione e barre di metallo nero sostenevano il
soffitto.
Quando sentirono dei
rumori, Eric le mise un braccio davanti e la fece segno di fermarsi, poi guardò
oltre un angolo e, quando un uomo passò in silenzio senza vederli, ripresero a
camminare.
Si ritrovarono così
in un lungo corridoio con una serie di porte su di un lato solo, ne superarono
circa otto, poi svoltarono l’angolo ed arrivarono alla fine, dove c’era
un'unica porta in quella parte finale del percorso.
Eric estrasse da una
tasca una chiava appesa ad un cordoncino e fece scattare la serratura, aprendo
la porta e facendole segno di entrare. Aria lo precedette all’interno e avanzò
di un passo, aspettando che anche lui entrasse e, quando lo fece, accese la
luce e si chiuse la porta alle spalle.
Ciò che si trovò
davanti la lasciò senza fiato, proprio davanti a lei, contro la parete alla sua
destra, c’era un imponete letto matrimoniale. Era più altro e largo di quelli a
cui era abituata, con la testata nera in legno e la trapunta color panna.
Nella parete difronte
alla porta, invece, c’erano una serie di vetrate dal soffitto al pavimento e
due portefinestre alle estremità, una a destra ed una a sinistra.
Il letto era
praticamente al centro della stanza, ma avanzando di un passo e spostandosi un
po’ a sinistra, vide il resto della stanza dato che aveva una forma a elle.
Sull’ estremità a sinistra della camera c’era un lungo bancone nero con
cassetti e sportellini, su un angolo un lavello e un piccolo fornello. Sopra
era appeso un grande specchio.
Tra la fine del
bancone e la finestra c’era una piccola porta, e pensò si trattasse del
guardaroba.
Eric sparì oltre il
muro alla sua sinistra, la superò e aprì una porta posizionata dietro l’angolo
a elle, sulla parete disposta a novanta gradi rispetto a quella dove era
addossato il lungo bancone.
Capì che quello
doveva essere il bagno, e decise di attenderlo davanti al letto.
Avrebbe dovuto
essere in imbarazzo, e in parte era così, ma quella situazione era talmente
nuova per lei che la mente era concentrata sull’acquisizione di informazioni e
non si preoccupava del resto.
Senti girare un
rubinetto e riconobbe l’inconfondibile rumore di acqua che scorreva e, solo in
quel momento, arrossì.
-Ma ciao!- disse poi
la ragazza, quando vide una macchia nera avanzare.
Eric uscì dal bagno,
indaffarato, e si accorse del gatto entrato dalla finestra aperta e alzò gli
occhi al cielo.
Aria non guardò più
lui, ma il nuovo arrivato. –E lui chi è?- chiese incrociando le braccia al
petto, mentre seguiva l’animale camminare per la stanza.
Eric sbuffò, o forse
fece un ringhio, difficile dirlo. –È un randagio, credo fosse del vecchio
proprietario di questa stanza o di quelle che affacciano sul cortile
interno.Da quando vivo qui, non fa che
entrare dalla finestra e non riesco a liberarmene!-
Aria tuttavia non
parlò, poiché il gatto si avvicinò con una certa confidenza ad Eric e si
strofinò abilmente sulle sue gambe, senza tenere conto del suo malumore. O era
un gatto folle e incurante del pericolo, oppure, sapeva per certo che non si
sarebbe ritrovato scacciato via da un calcio.
-Sembra
affezionato…-
Eric la guardò
storto. -È una femmina!-
Sorrise e tornò a
guardare la gatta, ancora intenta a strofinarsi contro le gambe di Eric,
probabilmente in cerca di attenzioni che non arrivavano.
Al contrario, Eric
si scostò bruscamente facendo quasi ribaltare l’animale che gli si strusciava
contro. –Che vuoi farci, nessuna donna sa resistermi!-
Aria scosse il capo,
ma poi Eric le fece segno di seguirlo e lei lo raggiunse. La face entrare in
bagno e lei avanzò incantata.
Nascosto nell’angolo
difronte a lei c’era un wc, alla sua destra un lavello bianco grande e pieno di
luci. Oltre al lavello, ad angolo, c’era una doccia enorme. Era tutta di vetro
bordata di nero, con diversi pomelli.
Ma, la cosa che la
colpì di più, fu la grande vasca sulla parete sinistra. Era bianca come il
lavello, anche lei con diversi pomelli e un rubinetto aperto che lasciava
fuoriuscire l’acqua che già iniziava a riempire la vasca.
Se pensava che a
loro iniziati spettava un minuscolo bagno in comune, e Eric aveva un bagno
gigante con una doccia ed una vasca da sogno, iniziava a capire i vantaggi di
avere una posizione favorevole all’interno della fazione.
-Fai pure con
comodo- le disse Eric, dietro di lei. –Io vado a farmi un giro da qualche
parte…-
Aria realizzò solo a
quel punto dove si trovava realmente, era con Eric, nella sua camera, nel suo
bagno insieme a lui. Doveva fare un bagno lì, spogliarsi, e lui le avrebbe
lasciato il suo spazio.
Arrossì.
-Ti ho messo un’
asciugamano pulito.- Le disse, indicando il telo panna piagato sul lavello.
La ragazza non ebbe
il coraggio di dire nulla, rimase lì paralizzata.
Eric stava quasi per
uscire dalla stanza ma, prima di farlo, tornò sui suoi passi e le si posizionò
davanti. Aria sentì una scarica elettrica percorrerla, rabbrividì quando
sollevò gli occhi su di lui. Era forte, alto, e le trasmetteva qualcosa che non
riusciva a spiegarsi.
-Vorrei che restassi
qui, sta notte.- le sussurrò, guardandola dritto negli occhi.
Aria arrossì ancora,
si strinse nelle spalle e, guardandolo, cercò di esprimere ciò che provava. –Ma
Eric, io…-
-Non sono un animale
come sembra, Aria!- L’ammonì, avvicinandosi alla porta. –Sono grande abbastanza
da saper controllare i miei istinti, non ti salterò addosso!-
Alla ragazza non
restò altro che abbassare la testa e sorridere.
-E, perché tu lo
sappia,- Continuò Eric, appoggiandosi con una spalla alla porta. –Quando sarà
il momento, sarai tu a saltarmi addosso!-
Rise. –Lo vedremo!-
decise di concedergli.
Anche Eric sorrise,
ma il suo sembrò quasi un ghigno minaccioso. Il predatore dentro di lui
faticava a rimanere nascosto.
-Consideralo il mio regalo
di compleanno.- Le disse, lanciando uno sguardo alla vasca che continuava a
riempirsi.
Prese la maniglia
della porta e fece per chiuderla ma, prima, si scambiarono uno sguardo intenso
e pieno di significati. Cominciava a perdere il fiato tutte le volte che Eric
faceva quel sorriso enigmatico, bello ed insieme terribilmente pericoloso.
-Non ho mai concesso
tanto a nessuno, l’ho fatto solo per te…- ammise lui, poi la porta si chiuse e
Aria si impose di tornare a rispirare.
Ma, con il cuore in
gola e le mani tremanti, riuscì solo a sorridere.
C’era ben poco da fare, negli anni aveva tentato diversi
sistemi per porre rimedio al problema, ma con scarsi risultati. E così,
armandosi unicamente di buona pazienza, aveva accettato la situazione.
Il che non era del tutto vero, poiché la pazienza non era
mai stata fra le sue virtù, la sua era stata più che altro rassegnazione e
così, quando il sonno veniva meno, non gli restava altro che alzarsi dal letto
e trovare il modo di ingannare il tempo.
Ma almeno quella sera non era da solo.
Nella sua camera c’era una poltroncina mono posto a pianta
girevole, che aveva scelto di posizionare davanti alla finestra, non troppo
distante dal letto. Le sere in cui si ritrovava a vagare per la stanza senza
riuscire a dormire guardava fuori ma, per quella sera, aveva scelto di girare
la poltrona verso il letto.
Aria dormiva ancora e, per non disturbarla, aveva acceso
solo la luce dell’abatjour che di solito teneva sul comodino, ma che in quel
momento aveva sistemato sul pavimento perché la luce non le andasse sugli
occhi, svegliandola. Era avvolta nella trapunta bianca, quasi fino alla testa.
Aveva sciolto i capelli che le circondavano il capo in ciuffi neri disordinati,
mentre la sua pelle aveva preso un po’ di colore per il calore del letto. Un
braccio nudo era piegato sul cuscino, ma non riusciva a vedere poi tanto altro,
dato il modo in cui si era avvolta fra le coperte, spostandosi verso la parte
centrale del letto, quasi si fosse accorta della sua assenza e lo stesse
cercando.
Eric la guardò ancora per attimo e poi osservò il cielo
fuori, piegando le labbra in un sorriso malinconico, mentre ricordava quello
che era successo solo un paio d’ore prima…
Era andato a fare un breve giro al Pozzo per lasciare alla
ragazza il tempo di godersi un bagno caldo e, quando era tornato, l’aveva
trovata affacciata al bancone della camera. Dopo essersi chiuso la porta alla
spalle si era avvicinato a lei che, accortasi della sua presenza, gli aveva
sorriso. Indossava una canottiera nera e un paio di pantaloni stretti, si era
tolta la fascia di tessuto nero dalla testa e aveva sciolto i capelli, che
avevano le punte ancora umide per il bagno.
Aria rientrò nella camera e socchiuse la porta di vetro, poi
si avvicinò al gatto disteso sul pavimento e si inginocchiò per accarezzarlo.
-Credo che tu mi abbia preso in giro,- disse
tranquillamente, mentre il gatto iniziava a fare le fusa. –Con quelle non ti
libererai certo di lui…-
Eric seguì il suo sguardo e vide le due ciotole di metallo
che aveva sistemato in un angolo per la gatta, per l’acqua e per qualcosa da
mangiare. Incrociò le braccia al petto e la sfidò con lo sguardo.
-Ha un nome?- gli chiese lei, continuando ad accarezzare
l’animale.
-Stai scherzando?- Esclamò, ad un passo dal perdere la
pazienza.
-E come fai a chiamarla?-
-Non ne ho certo bisogno, è sempre fra i piedi!-
La gatta si rotolò sulla schiena e leccò le dita della
ragazza, sicuramente contenta che almeno qualcuno le dedicasse un po’ di
attenzioni.
-Ma un nome le serve!-
Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, con quella ragazza era
inutile discutere. –Dagliene uno tu, se ci tieni tanto!-
Aria osservò la gatta, aveva quasi tutto il pelo nero,
eccezione fatta per la punta della coda e delle zampe anteriori. Inoltre, sul
petto, aveva una macchia rotonda tutta bianca che ricordava una luna piena.
-Che ne dici di Luna?-
-Se ti piace…- Le rispose, senza che la faccenda del nome lo
coinvolgesse più di tanto.
La ragazza fece un cennò e si sedette sul pavimento per
continuare ad accarezzare la gatta.
-Se permetti, adesso è il mio turno!- affermò Eric,
sfilandosi la giacca che indossava e appendendola ad un gancio dietro la porta.
Vide Aria abbassare lo sguardo e fece un sorrisetto
divertito, senza tuttavia cambiare le sue intenzione per risparmiarla
all’imbarazzo.
La ragazza rimase ad osservarlo mentre si toglieva la maglia
come solo un uomo poteva fare, senza prenderla dalla parte sui fianchi, ma
togliendosela via dalla schiena, facendo passare le braccia dietro la testa. Si
ritrovò davanti il ragazzo a torso scoperto e non fu facile, per lei,
dissociarsi dalle emozioni che l’assalirono.
Gli avambracci di Eric erano entrambi tatuati, ma il resto
del suo petto era libero da ogni disegno e, anche le linee che aveva stampate
lungo il collo, si fermavano lì senza scendere oltre. La linea prepotente dei
suoi addominali scendeva sui suoi fianchi scolpiti e forti e, quando lo vide
voltarsi di schiena, sentì distintamente l’impulso di voler toccare quella
pelle solita, sicura che sarebbe stata calda.
-Vuoi venire anche tu con me?- le chiese malizioso, alzando
un sopracciglio. –Oppure non hai voglia di un altro bagno, e preferisci che mi
spogli qui per non farti perdere lo spettacolo?-
Aria lo guardò di traverso, ma non riuscì a nascondere del
tutto un piccolo sorriso divertito. –Va via!-
Eric sghignazzò e si chiuse in bagno. –Come vuoi!-
Ne uscì poco dopo con addosso solo i boxer neri che lasciavano
ben poco all’immaginazione, trovando Aria seduta sulla poltrona girevole. Non
incrociò il suo sguardo, ma sapeva perfettamente che aveva visto il modo in cui
era uscito dal bagno, altrimenti non avrebbe fatto ruotare la sedia verso il
letto con tanta velocità.
Con una certa nota di divertimento in corpo, si avviò verso
la porta del guardaroba e l’aprì. Prese una semplice t-shirt nera che si infilò
addosso mentre si dirigeva verso il letto, scostando le coperte e sedendosi dal
lato più vicino alla porta. –Dai vieni qui!- Le disse piano, battendo con una
mano sull’altra metà del letto.
Ebbe tuttavia il tempo di mettersi a posto le coperte, dato
che Aria non si era mossa. Lo stava guardando dritto negli occhi con una strana
espressione, tanto profonda da potercisi perdere dentro. Colse ogni suo
pensiero, tanto che gli parve di sentire la vocina nella sua testa e i mille
calcoli che stava facendo. Non si arrabbiò con lei perché capiva il suo
imbarazzo, immaginava che il pensiero di ritrovarsi sotto le coperte con lui,
in un’ intimità che fino a quel momento non avevano mai condiviso, le toglieva
il fiato.
Sogghignò e decise di toglierla, a modo suo, dall’imbarazzo.
–Non avrai mica pura di farmi vedere le gambe…-
Aria non pensava alle proprie gambe, ma a quelle di Eric
quando gli era sfilato davanti. Vedendolo uscire con solo le mutande addosso,
era arrossita e aveva fatto girare la sedia per voltarsi verso il letto ma,
mentre si metteva la maglia, Eric le era passato accanto per raggiungere il
letto. Aveva visto le sue gambe e studiato ogni suo muscolo, cercando poi di
non soffermarsi con lo sguardo sui glutei solidi e su tutto il resto per paura
che il suo cuore si fermasse del tutto.
In quel preciso momento, l’idea di raggiungerlo sotto le
lenzuola, rappresentava per lei la più grande delle paure e, al tempo stesso,
un’ enorme tentazione. Dovette imporsi mentalmente la calma, regolare il
respiro e farsi forza.
E poi ovvio, Eric aveva ragione, non poteva certo andare a
letto con addosso quei pantaloni da allenamento.
Ripensando all’imbarazzo alla quale l’aveva sottoposta, si
alzò in piedi e si sfilò di dosso i pantaloni scuri rimanendo con solo la
canottiera nera, corta ed aderente, e le mutandine. Se ci riusciva, sta volta
toccava ad Eric smettere di respirare.
Avanzò verso il letto, sperando di non fare un infarto, scostò
le coperte e si sedette nella metà libera, quella vicina alle finestre.
Eric la guardò in silenzio e respirò a fondo, ovviamente
quella ragazzina incosciente non sapeva quanto gli costasse trattenersi. Non
sapeva, o faceva finta di non sapere, che vederla in quel modo gli mandava il
sangue al cervello e lo faceva letteralmente impazzire. Non poteva neanche
immaginare che effetto gli facesse la sua pelle nuda, le forme del suo corpo, e
lo sforzo che doveva fare per controllarsi e rispettare la promessa che le
aveva fatto di non saltarle addosso.Il
suo sangue in realtà, al pensiero di avere l’oggetto del suo desiderio lì, con
lui nel suo letto, abbandonava totalmente la testa e scendeva da un’altra
parte.
Per distrarsi le risistemò il cuscino dietro la schiena e le
rimboccò le coperte, invitandola a stendersi con un gesto della mano.
-Eric?..-
-Lasciami fare, okay?-
Si concentrò sulle lenzuola per non guardare quel copro che
tanto desiderava. Guardò invece gli occhi pieni di domande con i quali lei lo
stava fissando, senza saperle dare alcuna risposta. Era consapevole che i gesti
su cui si stava concentrando non erano adatti alla sua persona, ma non aveva
altro modo per distrarsi e per ritrovare la calma. Inoltre, non era mai
successo che si dedicasse a qualcun altro in quel modo, e trovò quella nuova
esperienza piuttosto interessante.
Aria si stese al suo fianco e rimase a guardarlo in
silenzio, e per lui fu difficile capire se era imbarazzata o se, come lui,
lottava contro i suoi istinti.
-Cerca di dormire,- Le disse. –Il primo modulo dell’addestramento
è finito, domani mattina io e Quattro sommeremo i punteggi dell’ultima
esercitazione. Prima di sera, potrete vedere la classifica.-
-E quelli negli ultimi posti finiranno fra gli Esclusi?-
chiese lei, appoggiando meglio la testa sul cuscino.
-Sì, ma tu non hai di che preoccuparti!-
Aria pensò a quanto fosse orribile che alcuni dei suoi
compagni, giovani iniziati come lei, soltanto la sera dopo avrebbero potuto
ritrovarsi a dormire fuori dalla fazione.
-Domani voi iniziati avete la mattina libera, e invece a me
tocca lavorare, con Quattro per giunta.- Si diede un colpetto sulla fronte.
–Dovremo alzarci presto, devo farti uscire quando gli altri sono in mensa per
la colazione. È meglio che nessuno sappia che sei stata qui.-
-Va bene.- Concordò, stringendosi nelle coperte.
Eric la guardò, e per un istante quella situazione gli
sembrò irreale. Sapeva che avevano a diposizione poche ore di sonno e che, ogni
secondo passato con lei su quel letto, era una vera e propria tentazione. Decise
di spegnere la luce da un interruttore sul muro, vicino al suo comodino.
-Aria?-
-Mmh?-
Era stesa su un fianco, gli occhi già chiusi, girata verso
di lui e con le mani nascoste sotto al cuscino.
Fece un sospiro e sorrise, sicuro di non essere visto. -Buon
compleanno!-
Nel buio della camera, stretta fra le lenzuola, Aria
sorrise…
E così, quando mancava poco più di un’ ora al suono della
sveglia, Eric si ritrovava seduto sulla poltrona a contemplare il proprio letto
occupato. Era rincuorante averla lì, ed avere un respiro da ascoltare nel
silenzio della notte, mentre a lui non restava altro da fare che attendere che
la stanchezza lo facesse crollare nell’abbraccio del sonno.
Purtroppo era riuscito a dormire solo due o tre ora al
massimo, e già prevedeva il mal di tasta che lo avrebbe assillato per tutta la
mattina, perciò si decise ad alzarsi e a raggiungere il letto.
Forse sarebbe riuscito a riaddormentarsi, spense la luce
ancora a terra e si infilò piano fra le coperte, attento a non svegliare la
ragazza. Quando mise la testa sul cuscino si sentì subito meglio, poi si voltò
verso Aria e rimase ad osservarla dormire per qualche istante, illuminata dal
chiarore della luna che attraversava le finestre. Le prese la mano che teneva
sul cuscino e l’accarezzò di sfuggita, prima di concentrarsi sul ritmo
confortante del suo respiro, e abbandonarsi, finalmente, al sonno.
Si risvegliò a causa dalla luce del sole che entrava
prepotentemente dalle vetrate, e per il rumore di acqua che sorre.
Aprì timidamente gli occhi e, ancora assonnata, memorizzò i
dettagli della stanza e ricordò dove si trovava. Il letto le offriva ancora un
riparo caldo e confortante, perciò si strinse alla trapunta e chiuse ancora gli
occhi, abbandonandosi sul cuscino. Allungò poi il braccio verso l’altra metà
del letto, sentendo le lenzuola tiepide e, per istinto, si spostò verso quella
parte e mise la testa sull’altro cuscino, respirandone a pieno il profumo.
Era l’odore di Eric.
Eric.
Aprì gli occhi di scatto e, dal rumore di acqua che
continuava a sentire, capì che lui era in bagno sotto la doccia. Decise perciò
di restare lì ancora per qualche secondo, avvolgendosi sempre più sotto la
trapunta. Prese un profondo respiro e assaporò gli odori del cuscino di Eric,
percependo un misto di odori puramente maschili, da uomo, odore di sudore e il
profumo degli alberi. La palle di Eric, forse per i prodotti da bagno che
usava, aveva l’aroma di corteccia d’albero e foglie bagnate. Lo sentiva ogni
volta che la baciava o, semplicemente, quando gli stava vicino.
Si mise a sedere sul letto e si guardò intorno, passandosi
una mano sulla fronte.
Eric.
Aveva smesso di negare e di lottare, lui la prendeva con la
sua forza e lei lasciava che accadesse. Ma non era debolezza la sua, al
contrario, per la prima volta si sentiva in grado di lottare ad armi pari. Non
doveva nascondersi, non doveva sopprimere ciò che provava per paura di affidare
il suo cuore nelle mani di qualcuno che glielo avrebbe restituito distrutto.
Era lei la padrona del suo cuore e, se per tutto quel tempo gli aveva impedito
di battere, con Eric lasciava che i suoi battiti esplodessero. Non le importava
come sarebbe finita, era brava a rialzarsi dopo una caduta, l’unica cosa che le
importava era quella sensazione di estremo benessere che le davano le sua
braccia forti. Mai nessuno l’aveva fatta sentire in quel modo, si era sempre
sentita debole e priva di protezione, e così era sempre pronta a combattere. Ma
con Eric, non solo si sentiva lei stessa più forte e sicura di sé, ma si
sentiva anche al sicuro e sotto la sua protezione, con lui sapeva solo deporre
le armi perché non c’erano ragioni per combattere.
E lei era stanca di combattere.
Non era più fra gli Eruditi, perennemente fuori posto,
quello era il passato. Nel presente lei era perfettamente a suo agio. Nessuno
l’avrebbe più criticata e, soprattutto, non era più sola.
Poiché aveva sempre criticato il modo di agire della sua
vecchia fazione, capì che quello non era il momento per fare la scelta più
logica, ma per seguire l’istinto.
Se avesse sbagliato sarebbe stata pronta a pagarne le
conseguenze, ma almeno avrebbe seguito il suo cuore e si sarebbe goduta a pieno
quelle emozioni, senza perdersi più niente.
E avrebbe creduto, per la prima volta, in qualcun altro.
Sentì il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e,
consapevole, si lasciò scivolare giù dal letto. Percorse la strada che la
divideva dalla porta del bagno a piedi nudi, sentendo il freddo del pavimento
che le saliva lungo la schiena. Quando arrivò, mise la mano sulla maniglia e,
nonostante tremasse da capo a piedi per la paura di fare la mossa che il
cervello etichettava come quella sbagliata, aprì la porta.
Il getto dell’acqua era potente e serviva a lavare via tutti
i cattivi pensieri e alleggerirlo, se possibile, dalle ore di sonno passate in
bianco. Era riuscito a rimettersi a letto e a riaddormentarsi, per poco tempo,
ma sentiva il bisogno di una doccia rigenerante, prima di iniziare una lunga
giornata, e prepararsi all’incontro con Quattro dopo la sua vittoria a ruba bandiera.
Il rumore dell’acqua era forte e gli copriva le orecchie, ma
mentre si lavava il viso, sentì qualcosa e decise di voltarsi verso la porta.
Ciò che vide, non solo lo stupì, ma impedì al suo cuore di continuare a battere
regolarmente.
Fu assalito da un calore soffocante quando, dalla piccola
fessura della porta semiaperta, vide fare capolino la figura esile di Aria.
Vide due grandi occhi blu fissarlo, spalancati e pieni di paura.
Ma non era solo paura la sua.
Vide la mano che teneva saldamente la maniglia della porta,
e quegli occhi con cui continuava a guardarlo, senza osare abbassarli su
qualcos’altro, apparivano come quelli di una bambina.
Eppure dentro vi erano intrappolate mille emozioni, troppo
forti per essere quelle di una piccola innocente.
Lei non era innocente.
Eric era consapevole di avere un’ espressione ancora
assonnata e anche un po’ brusca, ma le fece segno con la testa di raggiungerlo,
per spezzare l’incanto che la immobilizzava. La vide sussultare, eppure entrò
nella stanza e chiuse la porta.
Avanzò verso la doccia, sfilandogli davanti, e si fermò
proprio davanti a lui mettendo i piedi sul tappeto. Non osò guardarlo, mentre
si liberava della canottiera che indossava, rimanendo in biancheria. Il cuore
gli andò in gola e il sangue abbandonò il suo cervello quando la vide sfilarsi
il reggiseno nero, e lanciarlo poco distante.
Avrebbe tanto voluto essere più discreto e non metterla in
imbarazzo guardandola in quel modo, ma non poteva farne a meno, ogni suo
pensiero si concentrò su di lei mentre si faceva scivolare le mutandine lungo le
gambe pallide. Voleva tanto farla sentire a suo agio, essere dolce con lei, ma
la bestia imprigionata nel suo petto non era più in grado di controllarsi. Per
troppo tempo aveva soffocato ogni suo istinto, ma vederla nuda annebbiò ogni
sua capacità di ragionamento logico.
La vide tremare leggermente mentre guardava l’apertura della
doccia, così fu lui a fare scorrere la porta di vetro leggermente appannato, e
ad allungare una mano verso di lei per aiutarla ad entrare.
Quando lei prese la sua mano, fu sua.
La trascinò dentro con fin troppo impeto, richiuse il vetro
e la imprigionò fra le braccia, stringendola e baciandola con tanta forza che
temette di farle male sul serio. Ma non era sua la colpa, la colpa era di Aria
che lo provocava e lo sfidava in quel modo senza la benché minima paura. Era
stata lei a presentarsi a lui, a spogliarsi e a farsi intrappolare.
La mise contro una parete piastrellata, e seguì l’acqua che
scorreva sui loro corpi, toccandola e accarezzandola senza alcun riguardo.
Era davvero intenzionato a fare piano con lei, ma resistere
era impossibile. La baciò sul collo, strinse i suoi seni e poi scese con le
mani sulle curve dei suoi fianchi e sulle cosce. Baciò le sue labbra e assaporò
la sua lingua mentre lei, con le sue mani non più tremanti, gli faceva scorrere
le dita sul petto e sugli addominali. Sentì quelle mani scendere sotto la sua
pancia, e lasciò che lo toccasse a suo modo e con i suoi tempi, senza dirle
nulla e senza fretta.
La fratte gli era passata, voleva fare tutto con calma.
Stavano prendendo confidenza con i loro corpi, assaggiandosi
e scoprendosi, Eric non si preoccupava nemmeno di soddisfare il suo piacere,
troppo impegnato com’era sulla pelle di Aria. La guardò negli occhi e la perse
dalle spalle, non aveva più paura, adesso anche lei era pervasa dal desiderio.
La morse sul collo e si accorse del piccolo ghirigoro che aveva disegnato,
ricordandosi di una parte di tatuaggio sulla schiena che non aveva ancora
visto.
La fece voltare, e lei appoggiò le mani sulle piastrelle,
mentre sentiva la mano di Eric accarezzarle la schiena e inseguire le onde del
suo tatuaggio.
Perché era quello che si era tatuata, una serie di onde
marine.
Oltre al piccolo disegno sulla base del collo, Aria aveva
una linea stilizzata e sottile di ghirigori e onde che si intrecciavano e si
sovrapponevano. Il tragitto delle onde stilizzate seguiva la spalla e la
scapola, si avvicinava alla nuca e poi scendeva in diagonale verso le costole,
per riaprirsi ancora in una curva che ritornava sul fianco sinistro. In
complesso formava un numero tre, che le decorava la parte sinistra della
schiena, creando un forte contrasto tra la sua pelle candida e il nero
dell’inchiostro.
-Perché?- chiese Eric con voce rauca, inseguendo ancora con
lo sguardo gli arabeschi d’acqua.
-Perché mi rappresenta,- Gli rispose voltandosi, per
accarezzargli poi il viso. –Vogli essere libera senza che nessuno possa mai
incatenarmi, come acqua che scorre.-
Eric le prese la mano tra le sue e se la portò alla labbra,
per posarvi un piccolo bacio. Sollevo il suo sguardo spietato su di lei e la
fissò intensamente.
-Poi essere libera quanto vuoi, ma ricordati che mi
appartieni.- Disse.
E, sotto il getto insistente e caldo della doccia, Eric la
baciò, sentendo i loro cuori che battevano all’ unisono.
Da oltre la tavola,
Sasha la guardava con le sopracciglia contratte ed una mano sotto il mento.
Abbassava lo sguardo solo per dare qualche morso alla brioches che aveva scelto
per colazione, e poi tornava a fissarla. I secondi passavano a la sua amica non
le toglieva gli occhi di dosso, iniziando quasi ad incupirsi, tanto era lo
sforzo che stava compiendo per cogliere qualsiasi sua incertezza.
-Tu non me la
racconti giusta…- le disse.
Aria sorrise e
scosse la testa. –Te l’ho già detto, avevo bisogno di stare da sola e sono
andata a fare un giro, e alla fine mi sono addormenta in palestra.-
-Quindi mi stai
dicendo che, dopo una passeggiatina notturna, ti sei messa a dormire a terra
invece di ritornare nel dormitorio?-
Alzò gli occhi verso
Sasha è capì che non credeva ad una sola parola.
-E dimmi,- continuò
la bionda, abbandonando la sua colazione nel piatto. –È stato dormire per terra
che ti ha messo così di buon umore?-
Il pezzo di crostata
che stava mangiando le andò di traverso. Aria riprese fiato e la guardò con un
sorriso tranquillo. –Come dici?-
A quel punto Sasha ebbe
la conferma che mentiva. –Vai a raccontare le tue storielle a qualcun altro, a
me non mi freghi!-
-Insomma cosa c’è
che non va? Ti ho detto la verità!- provò, nascondendo una risata.
-Sei entrata in
mensa con un sorriso da orecchio e orecchio e, per quanto tu ci possa provare,
non credo che troveresti qui dentro una sola persona che potrebbe dire di
averti visto quello stesso sorriso altre volte. Io non me lo ricordo di certo!-
-Adesso è vietato
sorridere?- Chiese, cercando di cambiare argomento. Da quando Sasha era tanto
perspicacie? Era forse cresciuta fra i Candidi, e aveva imparato a scovare le
bugie nel viso degli altri?
-Fammi il piacere!-
disse, facendo roteare gli occhi. –A volte sei talmente tanto pensierosa che
metti paura, per non parlare della luna storta con cui ti svegli certe mattine.
Non sai che fatica faccio quei giorni, devo provarle tutte per farti fare
almeno un sorrisetto. Anche uno piccolo!-
-Meno male che ci
sei tu Sasha…- le rispose, con il più abbagliante, e pure più finto, dei
sorrisi che riuscì a fare.
-Piantala!-
Aria tornò al suo
pezzo di crostata, sbuffando. Sasha poteva indagare quanto voleva, ma non
poteva dirle la verità.
-Perché sei andata a
dormire da sola?- provò, con un tono di voce più deciso.
-Il mio compleanno
mi mette tristezza, avevo bisogno di pensare…- Finite quelle parole, Aria ebbe
un tuffo al cuore.
Non riusciva a
credere alla semplicità con cui si era lasciata scappare quella confessione,
usandola come scusa, per giunta. Sapeva che se si fosse mostrata debole, Sasha
l’avrebbe smessa con le domande ma, oltre a ritenere assurdo usare quella
verità come scusa, non riuscì a capire come avesse fatto a pensarci nonostante
la felicità che aveva ancora addosso.
La mattinata con
Eric l’aveva caricata positivamente, aveva ancora i brividi e, al pensiero dei
momenti che avevano condiviso, quasi arrossiva, oppure le veniva un sorriso
ebete. Eppure, nonostante il suo riparo fra le braccia di Eric, i suoi incubi
erano arrivati a tormentarla quando meno se l’aspettava.
Come una spada
infuocata il suo malessere le aveva attraversato il costato e, senza che se ne
accorgesse, aveva ammesso a voce alta la verità che aveva quasi dimenticato.
Per tutta la sua vita,
aveva odiato l’arrivo del giorno del suo compleanno e, ogni anno, si ritrovava
sempre ad affrontare i suoi tormenti da sola. Ricardava torte e candeline,
regali incartati e sorrisi festosi.
E il senso di
solitudine che l’invadeva.
Ogni anno, per un
motivo o per un altro, si ritrovava sempre in lacrime proprio nel giorno in cui
avrebbe dovuto essere felice di festeggiare.
-Sono successe
sempre cose brutte per il mio compleanno…- decise di confessare, come se quel
macigno che aveva in gola fosse troppo pesante da mandare giù, e avesse avuto
bisogno di mandarlo fuori con le parole.
Piano piano la sua
corazza si stava indebolendo, prima aveva fatto avvicinare Eric, e adesso
sentiva il bisogno di confidarsi con Sasha. I tempi in cui si rifugiava in sé
stessa, sfuggendo al contatto con gli altri, stavano finendo. Evidentemente, la
forza degli Intrepidi le stava entrando in circolo.
-Potevi dirmelo
subito.- le disse Sasha, con uno sguardo gentile e un sorriso rincuorante.
Come immaginava, la
curiosità dell’amica era sparita, sopraffatta dal suo animo pacifico, sempre
pronto e far sorridere gli altri.
Le mise una mano
sulla sua, sopra il tavolo. –Se ne vuoi parlare, con me puoi farlo…-
In passato, come era
già successo, Aria si sarebbe arrabbiata per quella proposta di aiuto. Avrebbe
reagito male, abituata com’era a difendersi da sola con le unghie e con i
denti, senza chiedere mai aiuto a nessuno per non dimostrare nessun punto
debole. Ma le cose stavano cambiando e, per quanto fosse spiacevole ammetterlo,
aveva bisogno di mantenere Sasha distratta.
-Per il momento
voglio solo smettere di pensarci ed essere felice, ma grazie.- Provò a
sorridere.
Sasha batté le mani
sotto al mento e tornò all’attacco. –Di questo non devi assolutamente
preoccuparti. Abbiamo la mattina libera dagli allenamenti, e anche il
pomeriggio, preparati a passare una giornata con i fiocchi.-
Aria sorrise, fino a
quando la sua attenzione non fu richiamata dalla persona che aveva fatto il suo
ingresso nella sala. Era un ragazzo alto, muscoloso e con i capelli molto
corti.
Registrò i suoi
occhi color fumo e i suoi tatuaggi sulle braccia, seguendo poi le linee che
aveva disegnate sul collo, mentre il suo cuore mancava di un battito. Sentì
mille brividi sulla pelle, e non riuscì a fare a meno di sorridere.
Eric era entrato
insieme ad altri ragazzi e, quando incrociò il suo sguardo, fece un piccolo
sorriso che solo lei riuscì a vedere, prima di distogliere lo sguardo e andarsi
a sedere ad un tavolo con i suoi compagni. Anche Aria abbassò subito lo
sguardo, per evitare che qualcuno si accorgesse di qualcosa, ma il sorriso che
aveva sulle labbra non scomparve.
Sasha vide il suo
sorriso e, per pura curiosità, si voltò a guardare nella direzione verso cui
guardava lei poco prima, seguendo Eric che rideva con i suoi amici mentre
raggiungevano il tavolo che avevano scelto.
-Guarda un po’!-
disse la bionda. –Eric è di buon umore proprio oggi che non ci sono
allenamenti. Non poteva esserlo quando ha appeso Christina sullo strapiombo, o
quando ci faceva combattere fino allo svenimento?-
Aria sussultò.
Come se un fulmine
le avesse attraversato la mente, Sasha sollevò lo sguardo su di lei per poi
girarsi a guardare un’altra volta Eric. Chiaramente stava facendo due più due,
ma poi la vide scuotere violentemente la testa, come se l’idea che le si era formata
davanti fosse decisamente troppo assurda.
Mai dubitare del
proprio istinto.
Aria fece un respiro
di sollievo e, mentre la bionda riprendeva a mangiare, la sua attenzione venne
catturata da Peter seduto nel tavolo vicino.
Il ragazzo dai
capelli neri era rigido come una statua, troppo concentrato a studiare Eric
seduto poco distante, per ricordarsi di respirare. Aveva gli occhi puntati sul
capofazione, quasi non batteva ciglio. Poco dopo Aria si ritrovò quegli stessi
occhi di falco puntati contro, ma qualcosa le disse che il ragazzo non si fosse
voltato verso di lei perché si era sentito osservato, ma per un altro motivo.
Mentre la guardava,
Peter assottigliò lo sguardo.
Il punteggio di ogni
iniziato, interno ed esterno, veniva calcolato tenendo conto delle
esercitazioni affrontate e, soprattutto, in base agli scontri che erano stati
sostenuti. Al termine del primo modulo d’addestramento, la classifica generale
mostrava i nomi di tutti gli iniziati, e decretava coloro che avrebbero dovuto
abbandonare l’iniziazione. I migliori potevano vedere i loro nomi scritti in bianco,
e magari nei primi posti ma, per quelli il cui nome era scritto in rosso, si
presentava un futuro fra gli Esclusi.
Aria aveva dato il
meglio di sé in ogni esercitazione, distinguendosi sempre. Per quanto
riguardava i combattimenti, aveva affrontato solo i trasfazione. I figli degli
Intrepidi si allenavano separatamente, affrontandosi fra di loro, ma contro gli
interni aveva sempre vinto lei tranne che contro Edward.
Non aveva combattuto
contro tutti naturalmente ma, in base ai duelli sostenuti, era stato comunque
possibile calcolare le loro effettive capacità.
Il primo della
classifica era proprio Edward, seguito da Peter e da un iniziato interno di
nome Uriah, loro tre avevano conquistato il podio. Aria vide il suo nome al
quinto posto e, pur sentendosi estremamente soddisfatta del risultato ottenuto,
provò un profondo dispiacere per non essere riuscita a fare di meglio.
Era ambiziosa ed
aspettava quel momento da tutta la vita, non era pronta ad accontentarsi di
essere passata al secondo modulo, voleva essere la migliore.Vedere però che era la prima fra le ragazze,
proprio davanti a Molly, la fece comunque sorridere.
Sasha era passata,
ma era fra gli ultimi posti. La sua amica non era ambiziosa come lei, infatti
la vita esultare di felicità, e anche lei sorrise.
-Non pensi che
manchi qualcosa?-
Aria rabbrividì.
Abituata com’era a
sfuggire al contatto umano, già di per sé sentire qualcuno che le alitava sul
collo era qualcosa che non sopportava. Ma, riconoscere in quella voce il suo
rivale Peter, le fece rivoltare lo stomaco.
Tutti gli iniziati
erano ammassati davanti alla classifica, Aria era accanto a Sasha, ma aveva
altre persona attaccate al braccio e davanti. Nonostante tutto quel contatto
fisico, sentire la propria schiena contro il petto di Peter le fece salire il
sangue al cervello, accecandola dalla rabbia.
Lo ignorò, non
capendo cosa volesse da lei, e sollevò lo sguardo sulla balconata che
affacciava sulla palestra. Lì sopra erano radunati i cinque capifazione e gli
istruttori degli iniziati esterni e interni, Quattro e Lauren. Si trovavano
sulla passerella che spesso i capi usavano per supervisionare gli
addestramenti.
Saldamente
aggrappato alla ringhiera, quasi stesse per cadere di sotto, c’era Eric. Un
uomo dai capelli ingrigiti gli era al fianco, ma Aria non riuscì a vederlo in
viso dato che era di spalle. Capì ugualmente che gli stava dicendo qualcosa e, più
parlava, più Eric impallidiva.
Aria storse il naso,
chiedendosi cosa mai poteva avergli detto quell’uomo per sconvolgere tanto uno
come Eric. Il più giovane dei capi non era facilmente impressionabile, ma il
modo in cui spalancò gli occhi quando l’altro capo si allontanò, dopo avergli
detto un’ ultima frase, le lasciò una sgradevole sensazione.
Senza alcun
preavviso, Eric fece scattare il suo sguardo tra la folla, e lei capì che la
stava cercando ma, quando i loro occhi si incrociarono, l’attenzione del
ragazzo si spostò immediatamente sulla figura dietro di lei. Peter le era
ancora vicinissimo, ed Eric studiò proprio il modo in cui le era attaccato alla
schiena. Lo trapassò con un’ occhiata talmente cupa e terrificante che, non
solo Aria si stupì di non vedere Peter dissolversi in cenere, ma dovette
guardare altrove, tanta era la paura che provò. Non aveva mai visto Eric in
quel modo, lo aveva visto prendersela con gli iniziati, minacciarli.
Ma non aveva mai
visto quello sguardo così arrabbiato.
Per un attimo ebbe
seriamente paura per la vita di Peter, e si chiese se fosse davvero necessario
guardarlo in quel modo solo perché le si era avvicinato troppo ma, la sua mente
brillante, le disse che la reazione di Eric non era solo gelosia.
Si chiese cosa
avesse fatto Peter di tanto sbagliato per guadagnarsi quell’ira, e cosa aveva
detto l’altro capo ad Eric per sconvolgerlo tanto.
Poi Eric scappò via,
e lei smise di pensare.
-Che cosa vuoi,
Peter?-
Gli iniziati erano
ancora davanti alla classifica a festeggiare, mentre quelli che non avevano
superato il modulo venivano allontanati da alcuni Intrepidi adulti.
Peter, dietro di lei,
sghignazzò.
-Eric era troppo
impegnato a scoparti, per ricordarsi
del nostro incontro sospeso?-
Un dolore mai
provato prima le esplose nel petto.
Spalancò gli occhi e
trattenne un fremito, resistendo anche all’impulso di portarsi una mano al
petto, dove il suo cuore aveva avuto un sussulto tanto forte da farle male.
In un solo istante,
come una lama infuocata, la consapevolezza di quello che era successo
l’attraversò. Ogni cosa andò al suo posto e, la sua mente da Erudita, le
presentò in maniera dettagliata tutto ciò che era accaduto realmente.
Rivide Eric
aggrappato alla ringhiera e l’altro capo che gli diceva qualcosa, pensò alla
sua espressione storpiata dal terrore, e poi ricordò l’allusione fin troppo
precisa di Peter.
Proprio Peter, che
era tanto abile a fare il lecchino per eccellenza dei capifazione, e che non
voleva altro che mettersi in mostra per diventare un giorno un comandante.
Si voltò,
consapevole dell’espressione stravolta che le alterava i lineamenti, ma non le
importava. I suoi occhi non vedevano altro che quel volto strafottente.
-Che cosa hai
detto?- sibilò, non tanto per intimorirlo, ma perché non riusciva a parlare in
altro modo.
Nessuno dei ragazzi
che gli erano attorno fece caso a loro, nemmeno Sasha, troppo impegnata a
festeggiare.
Peter rise nel modo
più odioso che poteva immaginare. –Non ti ricordi del nostro combattimento
fermato a metà? Eric non ci aveva interrotti, per farci combattere ancora
quando saremo stati abbastanza bravi da fare sul serio?-
Aria lo guardò, ma
non lo vedeva realmente, vedeva solo rosso. –Non mi riferivo a quello, come osi
fare insinuazioni di quel tipo, se non sai niente?-
Il ragazzo sorrise
malefico e, capendo le sue parole, osò metterle un braccio attorno al collo.
Sconvolta com’era, Aria non si oppose, si limitò a guardarlo di traverso e ad
incanalare la rabbia.
-Ti svelo un
segreto,- Le alitò in un orecchio. –Per sopravvivere qui dentro devi essere
furbo, e qui le informazioni vengono pagate molto bene…-
-Informazioni?- Aria
si sentiva soffocare.
-Dove hai passato la
notte, cervellona?-
La sua rabbia
esplose come un vulcano, e la lava le incendiva le vene. Non vide più nulla, si
liberò del suo abbraccio e gli mise entrambe le mani attorno al collo.
-Cosa vuoi da me?-
gli ringhiò ad un palmo da viso, furiosa come poche volte in vita sua.
Alcuni degli altri
iniziati si voltarono di scatto verso di loro ma, un po’ perché fra gli Intrepidi
i litigi erano all’ordine del giorno, un po’ perché nonostante la rabbia tutto
appariva sotto controllo, nessuno fece niente.
Sasha però si
allontanò dal resto del gruppo e raggiunse lei e Peter, che si erano spostati
nel fondo della fila.
-Voglio che combatti
con me, perché voglio fartela pagare per quella volta che mi hai preso a pugni
davanti scuola.-Disse Peter, sostenendo
il suo sguardo.
Non aveva neppure
bisogno di scrollarsela di dosso, non gli faceva per niente paura.
Aria serrò i pugni ai
lati del suo collo, tanta era la rabia. –Vuoi combattere?-
-Volevo farlo sul
ring in maniera ufficiale, per umiliarti, come tu hai fatto con me quella
volta. Mi hai fatto fare la figura dello stupido per essermi fatto picchiare da
una donna, ma non sei più forte di me, mi hai solo colto alla sprovvista.-
Peter si decise a spintonarla via, togliendosi le sue mani dal collo. –Ma il
tuo amico Eric ha barato, forse non voleva che ti spaccassi la testa. Aveva
paura di vederti piangere?-
Il primo schiaffo
partì, muovendo la mano di Aria con forza verso la guancia del ragazzo.
Peter piego la testa
da un lato per lo schiaffo, ma rise di gusto. –Pensi che i punteggi in
classifica sarebbero stati gli stessi se, quella volta, non avesse interrotto
lo scontro? Io avrei una vittoria in più, e tu una in meno.-
-Sei secondo in
classifica, sei davanti a me, che altro vuoi? Nessuno ha barato e, se vuoi
batterti con me, fallo!-
Peter le prese un
polso senza che lei potesse impedirglielo, e lo strinse con forza. –Aspettavo
da tanto questo momento, per pareggiare i conti.-
Aria serrò le labbra
e trattenne il dolore al polso, rifiutandosi di toglierlo alla presa del
ragazzo e dargli la soddisfazione di averle fatto male. –Cos’ hai detto ai
capi?- sibilò a denti stretti.
Dal sorriso che
Peter le mostrò, capì che non aspettava altro che quella domanda. –Ho solo
detto ad uno di loro lo strano
atteggiamento che avevate tu ed Eric, e che questa notte non eri nel dormitorio.-
Aria spalancò gli
occhi dalla rabbia.
-Dovevi essere più
furba, magari potevi nascondere i tuoi occhietti dolci ogni volta che Eric
arrivava…-
Quando Peter parlò,
Aria liberò il polso dalla sua presa e lo colpì con un pugno al viso.
Gli altri ragazzi lasciarono
la palestra, senza fare caso a loro rimasti indietro. Vicino a lei, Sasha
assunse una strana espressione.
-Questo è l’ultimo
pugno che mi dai, cervellona!- disse Peter, realmente minaccioso per la prima
volta.
Aria si spostò da
lui e si preparò per combattere.
-Non dovete farlo…-
Disse piano la bionda, facendosi notare.
Si voltò verso
l’amica e, ancora infuriata, la guardò. –Vai via Sasha…-
-Ma Aria...-
-Vai!- le disse
sgarbatamente. –So quello che faccio!-
Sasha strinse le
labbra, abbassò lo sguardo e se ne andò. Aria, tuttavia, capì che non sarebbe
stata perdonata tanto facilmente.
Mentre guardava gli
altri uscire e la palestra svuotata, Aria si sentì afferrare dai capelli e un
braccio le passò intorno al collo.
-Adesso siamo soli…-
Disse Peter, stringendo la presa.
La ragazza si sentì
soffocare.
Carica di rabbia e
coraggio, diede una gomitata allo stomaco del ragazzo e si liberò della sua
presa. Decise di dargli anche un calcio, sfruttando l’occasione e ci riuscì.
Peter non demorse
però e, con decisione, l’afferrò da un braccio e la prese a pugni tenendola
ferma. Un colpo la prese al viso, l’altro al fianco e il terzo sulla spalla.
Riuscì a schivare l’ultimo pugno, liberandosi con uno strattone.
Il polso che poco
prima Peter aveva stretto le doleva, e i pugni presi le avrebbero lasciato dei
lividi e facevano male sul serio. Di sicuro l’avrebbero rallentata e, in preda
al dolore, capì che avrebbe perso e che lo aveva sempre saputo. Non poteva
battere Peter, e se anche Eric lo avesse capito e si fosse rifiutato di farli
combattere ancora proprio per proteggerla?
Gli occhi le
pizzicarono e calde lacrime minacciarono di caderle sulle guance, ma si
trattenne. Non poteva essere vero, Eric non avrebbe mai annullato uno scontro
solo per lei.
Arrabbiata,
rifiutandosi di accettare che fosse quella la verità, mise tutta la forza che
le restava in una gamba e cercò di dare un calcio all’addome del ragazzo.
Ma Peter fu più
veloce, e le sue mani si serrano sulla sua caviglia, bloccando il calcio.
Quando il ragazzo
rise, Aria cercò di liberare il piede, ma fallì. Il secondo dopo Peter stritolò
la sua caviglia e la costrinse in una posizione innaturale con uno scatto,
divertendosi poi a torcerla e a tirarla con forza.
Aria urlò di dolore,
provò a farlo smettere ma non ci riusciva e, mentre si lamentava per il male,
cadde a terra.
A quel punto Peter
la lasciò andare e le diede un calcio fra le costole, facendola tossire. Il
dolore che provava in tutto il corpo era molto forte, ma la caviglia faceva un
male davvero insopportabile. Sentì gli occhi inumidirsi, e poi una voce.
-Che state facendo?
Fermatevi subito!-
Due uomini
avanzarono verso di loro, uno era un ragazzino smilzo con la testa rasata, e
l’altro un uomo con i capelli brizzolati. Era ancora a terra, tutta dolorante,
ma capì che quello che aveva appena parlato era il capofazione che aveva visto
con Eric poco prima.
Peter si paralizzò
di colpo e indietreggiò, con una strana espressione in viso.
-Stavate forse
combattendo senza permesso?- chiese l’uomo.
Aria, lentamente,
cercò di rialzarsi. Aveva la vista offuscata dalle lacrime che non voleva
versare, e la caviglia faceva così male che avrebbe solo voluto urlare.
-Non disturbarti
cara ragazza, rimani a terra!- disse l’uomo, avvicinandosi.
Sentì, dal tono di
voce usato, che il nuovo arrivato era serio e carico di rabbia. Lo vide
avanzare verso di lei e, quando lo sentì fermarsi proprio vicino al suo fianco,
rabbrividì.
Aria non si era
mossa, era ancora stesa a pancia in giù, la caviglia dolorante abbandonata
malamente e le mani aperte sul pavimento freddo. Sollevò la testa e notò tre
cose, principalmente. La prima era lo sguardo carico di disprezzo con cui il
capofazione la squadrava, la seconda era l’espressione spaventata di Peter, che
faceva scorrere lo sguardo da lei all’uomo con ansia.
La terza, fu la
bacchetta nera che l’uomo estrasse dalla tasca dei pantaloni.
Tirandola da parte a
parte con entrambe le mani la fece allungare, rendendola una verga di metallo
che luccicava sotto le luci al neon.
-Chi disubbidisce
alle regole va punito, mia cara…- sussurrò minaccioso.
Senza sapere perché,
Aria capì che non si riferiva al loro combattimento non autorizzato, e che era
lui il capofazione a cui Peter aveva detto di lei ed Eric.
L’avrebbe punita per
qualcos’altro.
Quando il colpo
partì, la ragazza sentì distintamente la linea infuocata delinearsi sulla sua
schiena. Serrò i pugni e si lasciò sfuggire un gridolino di dolore, quando
venne colpita da quella verga.
-Direi che dieci
frustate potrebbero andare bene, non trovi?-
Peter sussultò alle
parole dell’uomo. –Non erano questi gli accordi…- disse coraggiosamente.
Il capo si voltò
verso di lui e fece una smorfia di disappunto. –Perché? Hai qualche problema se
le do quello che si merita?-
Peter prese un
profondo respiro. –Pensavo avreste punito lui…-
Il sorriso crudele
che piegò le labbra del capo fu tanto oscuro quanto ambio. –Oh, non temere
ragazzo, anche lui subirà la sua punizione…-
Quando la seconda
frustata le colpì violentemente la schiena, Aria si lasciò sfuggire il secondo
urlo soffocato, mentre si mordeva le labbra per il dolore.
Poi sentì lui.
-Cosa sta succedendo
qui?-
Quando sentì la voce
di Eric attraversarle il cuore e rimbombare nella palestra, Aria si abbandonò
con la fronte sul pavimento e, non per il dolore, le lacrime che fino a quel
momento aveva trattenuto scesero lungo le sue guance.
Cercando di
concentrarsi solo sul rumore dei passi di Eric che avanzava, senza considerare
il sorriso maligno con cui l’uomo dai capelli grigi aveva accolto l’arrivo
dell’altro capofazione, Aria capì che c’erano dolori peggiori di quelli fisici.
Una ferita
sulla pelle guarisce, una all’anima, dove fa più male, non passa mai. Se la sua
punizione sarebbe stata fisica, ad Eric sarebbe andata molto peggio.
Nel momento esatto
in cui la vide per terra, in quel modo, capì che non avrebbe potuto fare nulla
per salvarla, e che la situazione poteva solo peggiorare.
Si avvicinò, sentiva
sulla pelle qualcosa che non aveva mai provato. Se fosse stata semplicemente
paura, l’avrebbe riconosciuta. Se fosse stata solo rabbia, avrebbe saputo come
combatterla. Se fosse stato dolore, lo avrebbe superato.
Era l’unione di
quelle tre emozioni che non sarebbe mai riuscito ad affrontare. All’altezza
dello stomaco sentiva una morsa tanto ferrea da rendergli faticoso persino
respirare, e la mente non faceva che lanciargli segnali di pericolo.
Vide Aria stesa per
terra e notò subito una delle sue caviglie capendo, dalla posizione in cui la
teneva, che si era fatta male. Poi abbassò gli occhi sulla sua schiena, e
dovette deglutire per respingere l’impulso di uccidere qualcuno.
Indossava una
canottiera nera e, dalle parti di spalle che lasciava scoperte, Eric vide
distintamente la linea rossa che le attraversava le scapole. Su di una spalla,
il segno della frustata che aveva ricevuto, si stava aprendo là dove aveva
trovato la carne più tenera, mostrando tracie di sangue.
Serrò la mascella
con tanta forza che sentì i propri denti stridere e, poiché con la sofferenza
non era mai stato in buoni rapporti, lasciò che fosse la rabbia ad invaderlo. Non
era abituato a provare dispiacere, perciò non ne provo, sentì solo la furia di
un’ ira ceca scorrergli nelle vene.
Senza la benché
minima traccia di paura o dispiacere sollevò il mento, fissando il suo sguardo
adirato in quello dell’uomo che gli stava davanti.
-Che cosa stai
combinando, Finn?-
Solitamente Eric
metteva paura a chiunque osasse sfidarlo, ma evidentemente quella era una
caratteristica da affidare al più giovane dei capifazione tanto quanto a quello
più anziano. Finn non perdonava, non trattava, agiva e basta e, nella maggior
parte dei casi, le sue azioni spietate facevano parlare di lui a lungo.
Finn spalancò le
narici dalla rabbia e fece un ghignò quasi divertito, che tuttavia voleva
apparire minaccioso. E lo era, ma se si aspettava che Eric ne rimanesse
impressionato si sbagliava di grosso. Avrebbe potuto farlo a pezzi con una mano
sola, se solo quella fosse stata la cosa giusta da fare.
-Ho trovato questi
due iniziati a combattere fra di loro senza alcuna autorizzazione.- Spiegò
l’uomo, serio e impassibile. –E ho deciso di dargli la punizione che si
meritano…-
Eric lo guardò in silenzio,
iniziarono a fargli male le mandibole a furia di stringere, così si concentrò
sui propri pugni e strinse anche quelli, controllando l’impulso di colpire
l’altro capo.
-Hai qualcosa in
contrario?-
Quando si sentì
porgere quella domanda, Eric avrebbe voluto esplodere. Avrebbe voluto urlargli
contro, afferrarlo e colpirlo senza alcuna pietà. Avrebbe voluto strappargli
gli occhi dalle orbite e farglieli ingoiare, ma non lo fece.
Ciò a cui aveva
pensato non appena era arrivato in palestra era vero, non poteva fare nulla per
lei. Con un peso al petto, Eric dovette far defluire tutte le sue emozioni da
dentro a fuori, svuotandosi completamente per non affondare. Sapeva sin
dall’inizio come sarebbe andata, e la parte razionale di lui gli aveva impedito
di compiere una sciocchezza.
Finn aveva saputo
del suo interesse verso quell’iniziata da capelli neri e, poco prima, sulla
passerella, gli aveva detto chiaramente che avrebbe fatto quanto in suo potere
per fargliela pagare.
Il problema era che
non poteva fare nulla, non c’erano prove, forse c’erano i filmati delle
telecamere che sorvegliano la residenza, ma quelle non dimostravano il suo
reale interesse. Mostravano loro due insieme, magari li avevano anche visti
entrare nella sua camera, ma non c’era nulla che provasse il suo coinvolgimento
emotivo. Da quando si buttava fuori un capofazione per una scopata, che poi non
c’era nemmeno stata, conuna ragazza?
Per una voce che
girava, e per qualche filmato nascosto, gli altri capi compreso Max lo
avrebbero ammonito e strigliato a dovere. Magari ci avrebbero anche riso sopra,
suggerendoli di essere più discreto. Se avessero avuto dei dubbi in più,
avrebbero potuto chiedere a Quattro, scoprendo che nessun risultato in
classifica era stato alterato.
Non aveva commesso un
errore così grave e, se Finn voleva dirlo agli altri e voleva farlo punire per
la sua distrazione, che facesse pure. Avrebbe accettato quello che gli spettava
con coraggio, certo che avrebbe comunque mantenuto la sua posizione al comando.
Ma Finn, questo, lo
sapeva benissimo.
Ecco perché, quel
vecchio bastardo, si era trovato un altro modo per fargli del male, un modo
molto più subdolo.
Se si fosse opposto,
se fosse intervenuto in difesa di Aria, non solo avrebbe dimostrato il suo
coinvolgimento emotivo, ma sarebbe andato anche contro al volere di un altro
capofazione. Le decisioni prese da un altro capo, soprattutto se era in carica
da più tempo, non andavano discusse o intralciate per nessuna ragione. E, se
per una scappatella si poteva anche chiudere un occhio, non avrebbero mai
tollerato il suo legame con un’iniziata.
Non poteva dare quel
vantaggio e quella soddisfazione a Finn che voleva solo sfidarlo, che voleva
che si scontrasse con lui per Aria, in modo da poterlo incastrare. Non aveva
accettato l’idea di non poterlo mettere nei guai e, il sapersi inferiore
fisicamente, doveva infastidirlo molto. Così ecco che cercava un modo per
metterlo realmente in difficoltà, cercando di spingerlo a fare un passo falso.
Ma non ci sarebbe
riuscito.
Te la fai con le bambine, gli aveva detto sulla balconata, per provocarlo.
Ma niente avrebbe
intaccato il suo autocontrollo, non esisteva ancora qualcosa in grado di
metterlo in difficoltà.
-Fai come vuoi!-
rispose con strafottenza, mostrando solo la sua espressione più gelida.
Quando il colpo di
frusta partì, schioccando ferocemente sulla pelle della schiena di Aria, Eric
capì quali erano le vere intenzioni di Finn. L’uomo non voleva solo provocarlo,
per ottenere un motivo per punirlo del suo errore.
Lo stava già
punendo.
Sapendo che non
c’era modo di fargli avere una pena per aver avuto una relazione con un’
iniziata, e che picchiare lui sarebbe stato a dir poco ridicolo e
inconcludente, aveva trovato il modo per colpirlo nel profondo, dove faceva più
male.
Quando l’ennesima
frustata ferì la ragazza, facendola sussultare visibilmente, Eric strinse i
pugni con tanta forza da farsi male, e si convinse che l’unica cosa che poteva
fare era rimanere al suo posto. Se fosse caduto nella provocazione di Finn, e
avesse perso il rispetto degli altri capi e magari anche il suo ruolo, si
sarebbe ritrovato in una posizione sfavorevole.
Essere un
capofazione non era solo un modo per ottenere dei vantaggi, ma era anche
l’unico modo che aveva per sopravvivere alla guerra che ci sarebbe stata. Aveva
da sempre desiderato di fare parte del comando della propria fazione e non
voleva certo rinunciarvi ma, a dargli una motivazione in più, c’era la
consapevolezza che aveva del futuro. Se la guerra che stavano programmando
fosse scoppiata, l’unico modo che aveva per salvare sé stesso e la ragazza, era
proprio quello di rimanere un capo.
Prese un respiro
profondo, facendo una smorfia mentre guardava Finn e il suo ghigno arrogante, e
si convinse che il dolore a cui lasciava Aria in quel momento, era un dolore
che le risparmiava nel domani.
Al successivo
schiocco causato da quella verga maledetta, Aria fece un piccolo balzo ed emise
un gemito soffocato. Ed Eric credette di sentirsi male. Non era possibile
spiegare altrimenti il modo in cui la
sua testa vorticò, né il dolore che avvertì al petto, doveva trattarsi per
forza di un malessere.
Un ulteriore colpo
su quella schiena delicata ed ebbe la certezza di stare male, male davvero. Fu
come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco e la sua mascella ebbe
un fremito.
Sollevò la testa e
si sforzò di respirare, bastava inspirare ed espirare, e nient’altro. Non c’era
bisogno di pensare a nulla, e non doveva pensarci, lasciare tutto fuori era più
semplice ed era di vitale importanza. Finn non doveva vedere che, ad ogni
colpo, anche lui sussultava con lei.
Non doveva vedere
che era riuscito a turbarlo.
-Siamo a sette…-
Disse senza preavviso l’uomo, fissando con disgusto la ragazza stesa a terra.
Quando Eric sentì
Aria urlare, ebbe un fremito più violento degli altri, ed abbassò di scatto gli
occhi su ciò che stava succedendo realmente.
Aveva tenuto lo
sguardo fiero, alto, fissando un punto lontano, ed era stato un bene. Se avesse
visto prima le condizioni in cui era Aria, probabilmente si sarebbe scagliato
contro Finn e lo avrebbe ucciso con le sue mani.
La canottiera nera
che indossava era inumidita da una sostanza viscida che riconobbe come sangue,
linee rosse si vedevano sulla pelle scoperta. I piccoli tagli sanguinavano. Non
riusciva a vederla bene in viso, dato che teneva la fronte vicino al pavimento
e usava le mani per nascondersi.
Ma vide chiaramente
le sue lacrime.
Finn era riuscito a
farla urlare perché, evidentemente stanco del silenzio con cui Aria si
rifiutava di manifestare il suo dolore, aveva trovato un modo per farle ancora
più male. La sua canottiera lasciava scoperti i fianchi e la parte bassa della
schiena, dove la pelle era più delicata e, con un colpo di frusta lì, le aveva
strappato un grido disperato.
Finn la colpì
ancora, sullo stesso punto, ma Aria fu più furba di lui. Si mise una mano in
bocca e se la morse, piuttosto che gridare ancora.
E a quel punto Eric
capì che non poteva farcela, Aria era sua, e sua non voleva solo dire che non
poteva essere toccata da altri uomini, voleva anche dire che nessuno poteva
farle del male senza scatenare la sua furia.
Mostrando, per la
prima volta, tutta la sua rabbia, Eric ricambiò lo sguardo di Finn e lo sfidò a
continuare. Non aveva paura di lui, né di quello che poteva dire agli altri
capi.
L’ultimo colpo di
frusta si abbatté sulla parte di schiena scoperta di Aria, lasciando una linea
di sangue. Eric si rifiutò di guardare i segni delle frustate, e non volle
pensare al fatto che, quella che indossava, era la stessa canottiera con cui
aveva dormito con lui, nel suo letto, solo la sera prima.
-Vedi Eric,- disse Finn,
passando una mano sulla verga metallica per ripulirla da qualche goccia di
sangue. –Chi sbaglia deve pagare…-
Quando ripiegò la
verga e sa la mise in tasca, il suo tirapiedi smilzo si staccò da Peter e si
avviò per seguirlo. Finn, prima di andare, guardò un’ ultima volta Eric,
potendo vedere la solita espressione impassibile che caratterizzava il più
giovane dei capifazione.
Una volta che i due
se ne andarono, Eric si accorse delle presenza di Peter, poiché quest’ultimo
mosse un passo verso Aria.
-Ti ammazzo.- Gli
ringhiò contro, muovendo un passo anche lui, ma verso il ragazzino.
Doveva fare
qualcosa, o sarebbe esploso. Non aveva la forza per avvicinarsi ad Aria, non
ancora, ma almeno avrebbe potuto fare del male e quel ragazzino che aveva osato
fare la spia.
Come osava credere
di potersi avvicinare a lei?
Peter si fermò e
rimase a guardarlo con occhi terrorizzati, dandogli un certo piacere. Stava per
prenderlo con le sue mani per fargliela pagare, ma una voce lo fermò.
-No, lascialo
stare…-
Aria aveva parlato
con voce talmente flebile, che credette che non sarebbe nemmeno riuscita a
finire la frase. Sentire la sua voce lo riscosse.
Guardò Peter,
vedendo il suo stupore per quelle parole, e serrò i pugni prendendo un profondo
respiro.
-Sparisci- gli
ordinò.
Quando i passi di
Peter si allontanarono, Eric rimase immobile come una statua, continuando a
rifiutarsi di guardare la ragazza.
-Alzati.- Le disse,
semplicemente perché non era capace di fare altro.
-Eric…- Sussurrò
lei, sollevandosi a fatica sulle braccia tremanti. –Non ce la faccio.-
Sentirle invocare il
suo nome in quel modo, lo scosse e lo attraversò come un brivido lungo la
schiena. Quella non era la voce della sua lottatrice testarda, se le frustate
non erano riuscite a farla gridare dal dolore, erano riuscite a spazzare via la
sua parte combattiva, lasciando solo una ragazzina indifesa.
Quando Eric si voltò
verso di lei, ad Aria parve che la vedesse realmente per la prima volta.
Lo vide sussultare
appena prima di avvicinarsi a lei e, a quel punto, le si inginocchiò davanti.
-Riesci ad
alzarti?-le chiese con voce strana.
Scosse la testa. –La
caviglia…-
Eric guardò la sua
gamba e fece più cenni. –Vieni, ti prendo io.-
Ma, quando allungò
un braccio verso le sue spalle, si scostò immediatamente. –No!- gemette. Se
aveva intenzione di prenderla mettendole un braccio sotto le gambe e uno dietro
la schiena, si era sbagliato di grosso.
Non poteva
sopportare altro dolore sulle ferite.
Eric parve capire,
così le si mise davanti offrendogli la sua schiena. –Cerca di salire sulle mie
spalle, allora.-
Aria gli mise
entrambe le braccia attorno al collo e, con il piede sano, si alzò insieme a
lui. Poi gli avvolse le gambe alla vita ed Eric le mise le sue braccia sotto le
ginocchia, per sostenerla.
Quando iniziarono a
camminare, Aria si abbandonò completamente su di lui, appoggiando la fronte
sulla sua spalla. Ma, un po’ per il dolore che aveva dentro e un po’ per il
dolore che aveva fuori, scoppiò a piangere. –Mi dispiace Eric!-
Sentì il ragazzo
irrigidirsi, ma non ottenne nessuna riposta.
-Sono stata una
stupida, è tutta colpa mia…-
-Aria!- l’ammonì
adirato. –Fammi il favore di stare zitta!-
Nascose il viso
contro il suo collo e trattenne un gemito. –Mi dispiace, io…-
Ma Eric non parlò
più. Continuò a camminare, ed Aria sentì solo il suo respiro accelerato.
-È colpa mia…-
-Non è colpa tua,
stai zitta!-
Sentendolo urlarle
contro in quel modo, Aria si zittì all’istante, tornando ad appoggiare la fronte
sulla sua spalla.
Si avvicinarono alla
fine delle palestra ma, prima di uscire, Eric si fermò e fece un profondo
respiro. –Non è colpa tua,- disse con voce strana, la stessa con cui le aveva
chiesto se riusciva ad alzarsi. –Ma la prossima volta che ti viene in mente di
picchiare Peter, almeno spaccagli la faccia!-
Aria aprì piano gli
occhi e guardò l’orecchio del ragazzo, dato che non riusciva a vedere altro.
Gli strinse le braccia al collo e appoggiò la guancia nell’incavo della sua
spalla, sentendo che la maglia che il ragazzo indossava si era bagnata a causa
delle sue lacrime.
Continuarono a
camminare, ed Aria si lasciò cullare dal ritmo del passo di Eric, fino a quando
il dispiacere non si attenuò lasciando spazio al dolore. Strinse i denti
quando, dopo un passo, sentì la pelle della schiena bruciare.
Eric respirò a
fondo, ma non disse nulla.
-Fa male…- gemette
lei, sforzandosi di non piangere, ma la voce le tremava.
-Lo so.- Fu la
risposta.
Avrebbe voluto
prenderlo a calci, magari con il piede sano dato che l’altro era già dolorante,
per quella risposta così priva di sentimento. Dove aveva imparato a parlare in
quel modo così asettico e freddo?
Strofinò la guancia
contro la spalla di Eric, dato che lui l’aveva chiusa fuori e non voleva
parlare, almeno avrebbe rubato quel poco contatto che poteva. Decise, in oltre,
che non serviva a niente trattenere le lacrime, tanto lui non se ne sarebbe
nemmeno accorto. Se l’avesse sentita sussultare, magari avrebbe creduto che era
per il dolore. Il che era vero. Si sentiva così piccola ed indifesa che quasi
avrebbe voluto urlare, Eric appariva sempre estremamente forte e sicuro,
mentre, appesa alla sua schiena, lei sembrava solo una bambina. Piagnucolante
per giunta.
-Dove andiamo?-
chiese nel tentativo di distrarsi, ma il dolore le fece tremare ancora la voce.
-In infermeria.-
Lasciò cadere la
fronte sulla spalla, rassegnata e ancora in cerca di contatto. Ad ogni passo
del ragazzo la pelle sulla sua schiena si tendeva oppure strofinava contro la
canottiera, e il dolore aumentava. Come se non bastasse, le faceva male il
fianco, dove Peter l’aveva colpita.
La palestra era
vicina all’infermeria, bastava attraversare un corridoio, che come al solito
era deserto.
-Eric,- gemette
piano. –Non hai paura che ci vedano?-
E, proprio quando si
aspettava che Eric la mandasse al diavolo o che non le rispondesse affatto, il
ragazzo digrignò i denti e scattò come se qualcuno lo avesse colpito. -Non me
ne frega un cazzo, vadano tutti a farsi fottere, faccio quello che voglio!-
Sorrise di nascosto,
sentendosi realmente protetta e difesa da quel ragazzo tutto muscoli che tutti
temevano e, attraverso la sua rabia, capì che stava rischiando solo per
portarla in infermeria. Non avrebbe dovuto farlo, eppure si era rifiutato di
lasciarla a terra in palestra e, se pur contro le regole, si stava occupando di
lei come non avrebbe fatto con nessun altro.
Non poteva chiedere
niente di più, era la più grande dimostrazione d’affetto che Eric poteva darle,
al diavolo le carinerie. Peccato che il dolore che avvertiva non si placava
nonostante il suo benessere emotivo.
Il ragazzo le fece
fare un piccolo salto, per rimettersela meglio in spalla dato che stava scivolando,
ma quel balzo la fece tendere la pelle ferita. Strinse i pugni e si lasciò
sfuggire un lamento soffocato.
Eric si irrigidì
ancora. Aria non poteva sapere cosa stava realmente nascondendo dentro di sé
con quel suo prolungato silenzio, né poteva capire quanto gli costasse sentirla
gemere. Ad ogni lamento di dolore che si lasciava scapare anche lui barcollava,
schiacciato da quello che riconobbe come un senso di colpa.
La ragazza strinse
con una mano la maglia di Eric, all’altezza del petto, mentre si metteva
l’altra in bocca per non piangere. Il dolore stava diventando insopportabile,
quel tragitto verso le cure sembrava allungarsi ad ogni passo, e lei non ce le
faceva più.
Stava cedendo, ed
Eric se ne accorse.
-Mordi la mia
spalla, la mano te la sei già morsa abbastanza…- le disse, nel modo più brusco
con cui Aria avesse mai sentito dire qualcosa che, per lei, era estremamente
dolce.
Non riuscì a fare a
meno di piangere ancora, tanto era il bruciore, ma smise di martoriarsi la mano
e si abbandonò sulla spalla forte di Eric, sapendo che ormai erano arrivati in
infermeria.
Con le sue ultime
parole, Eric le aveva fatto capire che, anche se apparentemente non l’aveva
guardata, si era accorto di come si mordeva la mano per non gridare, mentre
Finn la frustava.
Invasa dal dolore
sempre più insistente, Aria pensò che forse sarebbe stato meglio che Eric la
portasse di corsa, invece di camminare piano per limitare i sussulti. Quando,
finalmente, arrivarono in infermeria, era stremata.
Stava perdendo
lucidità.
Subito dopo i colpi
di frusta ricevuti, la pelle era quasi anestetizzata dal dolore stesso ma,
passando il tempo, il bruciore si era triplicato. Scosse la testa per non
gridare, ma i suoi lamenti aumentarono.
Eric la guardò da
oltre la propria spalla, preoccupato.
-Cos’ è successo?-
Chiese una donna, avanzando.
Era giovane e, sotto
il camice bianco, indossava abiti neri.
-Santo cielo, è
stato Finn, vero?- Esclamò, aggirando Eric per vedere le condizioni dalle
ragazza che portava in spalla. –Gli ho detto mille volte di piantarla con
quella specie di frustino, ma d'altronde non è mica lui che poi deve medicare i
mal capitati!-
Aria si accorse a
mala pena di Eric che la faceva scivolare su un lettino, mettendola seduta. Si
sedette a sua volta vicino a lei e la sorresse dalle spalle, attento a non
toccarle la schiena. La ragazza si chiese in che modo doveva apparire, se Eric
decideva di sorreggerla, ma poi si accorse che barcollava anche se era seduta
sul letto.
I pugni che Peter le
aveva dato allo stomaco e al viso si facevano sentire, stava malissimo, la
caviglia aveva iniziato a pulsare dal dolore.
-Devo tagliare la
maglietta, distendila a pancia in giù sul lettino, così posso medicarla.- disse
l’infermiera.
-No.- Fece Eric,
deciso. –Dammi quello che mi serve, la porto con me e ci penso io!-
Aria credette di
aver perso del tutto la lucidità.
L’infermiera lo
studiò per alcuni secondi. –Sei sicuro? Devi pulire bene la ferita e…-
-So quello che devo
fare!- rispose sgarbato. –Ha anche qualcosa che non va ad una caviglia!-
L’infermiera si
inginocchiò davanti ad Aria e, quando individuò la caviglia in questione, la
tastò con mano esperta.
Aria urlò dal dolore
e si irrigidì. Riprese a scuotere la testa e a lamentarsi, non ce la faceva
più, non riusciva più a fare ragionamenti logici, sentiva solo il dolore.
-Non è rotta.- disse
la donna. –Ma ha bisogno di una fasciatura…-
-Ci penso io, dammi
quello che serve!-
All’ennesimo ordine
di Eric, l’infermiera non disse nulla, si alzò ed andò in cerca di qualcosa
dentro un armadietto. Tornò poco dopo con un fagottino bianco, che andava
riempendo mentre tornava al lettino.
-So che ci sai fare
con queste cose, ma assicurati che la fasciatura sia ben stretta e fissala a
novanta gradi. Per la schiena ti ho messo il disinfettante e la crema a
cicatrizzazione rapida.-
Quando la donna finì
di parlare, Aria gemette ancora, chiuse gli occhi e pianse senza lacrime.
-Non c’è qualcosa
per il dolore?- chiese Eric, adirato per chissà quale ragione.
-Posso darle un
anestetico, sta delirando e non sopporterebbe la medicazione alla schiena da
sveglia.- Dopo aver analizzato la ragazza, incrociò le braccia al petto e
sollevò un sopracciglio. –Le scorte di anestetico sono limitate, e mi serve
l’autorizzazione di un capofazione per somministrarlo…-
Aria, fra un lamento
e l’altro, sempre più in preda al delirio del dolore, notò la nota di ironia
con cui l’infermiera aveva parlato.
-Concessa! Ora
muoviti!- Eric, invece, era tutt’altro che divertito.
La donna andò all’armadietto e, quando tornò
verso di loro, aveva in mano una siringa luccicante.
Quando la vide,
anche se scossa dal malessere, Aria spalancò gli occhi ed iniziò a urlare. Con
la mente annebbiata da mille immagini di aghi, e con il dolore che le aveva
tolto ogni capacità di ragionamento, cominciò a dire di no e a dimenarsi.
-Che le prende?-
chiese la donna, con la siringa in mano.
-Non ne ho idea!-
-Bè, tienila ferma!-
Il tono di voce
deciso dell’infermiera scosse Eric che, di getto, avvolse Aria con le braccia e
la strinse a sé. Ma, nel farlo, dovette mettergli un braccio contro la ferita
alla schiena e lei urlò ancora di più.
-Stai ferma, faccio
in un attimo…- disse piano la donna, conficcandole l’ago nella vena del collo.
Aria sia dimenò
ancora ma, stretta dalle braccia di Eric, si ritrovò in trappola contro il suo
copro saldo e irremovibile. L’effetto dell’anestetico arrivò presto e, prima di
sentirsi privare di ogni pensiero, la ragazza sentì ogni dolore e bruciore lasciare
il suo corpo.
Esausta, si
abbandonò con la testa contro il petto del ragazzo, sentendolo caldo e forte.
Quando la sentì
smettere di lottare, e capì che il sonno l’aveva sopraffatta, Eric tornò a
respirare.
Aprì gli occhi e
rimase incantata dallo spettacolo del sole che tramontava fuori dalle vetrate,
la luce arancione inondava i palazzi abbandonati ed entrava fin dentro la
stanza. Sulle pareti c’erano giochi di chiaro scuro e, sui vetri, splendevano i
bagliori aranciati.
Tuttavia, oltre al
gioco di ombre che accarezzavano gli edifici fuori, Aria vide qualcosa di
ancora più bello.
Eric era in piedi
davanti alle vetrate, dandole le spalle, e guardava fuori assorto. Indossava
pantaloni pieni di tasche, ovviamente neri, e una t-shirt dello stesso colore.
In pubblico non era mai solo con la maglietta smanicata, poiché indossava
sempre sopra un giubbino di pelle o un gilet imbottito, perciò le piaceva
ancora di più vederlo in quel modo. Poteva vedere la sua muscolatura, le spalle
forti e i fianchi solidi. La nuca era scoperta, i capelli erano tagliati molto
corti, tranne la parte sopra la testa che, colpita dal sole, mostrava riflessi
dorati. Eric in realtà era biondo ma, con le luci soffuse della residenza, i
suoi capelli sembravano sempre neri, o al massimo castani. Pensò che fosse un
vero peccato che non si vedessero tanto spesso le sfumature dei suoi capelli di
un castano chiaro, dorato. I suoi occhi poi, che riuscì a vedere di sfuggita
tramite il suo profilo, non erano grigio fumo, né cerulei o neri, erano verde
chiaro.
Aria sorrise e pensò
che Eric sarebbe dovuto uscire alla luce del sole più spesso, tanto erano belli
i suoi veri colori.
Il ragazzo se ne
stava con un mano in tasca, mentre con l’altra sorreggeva un bicchiere di vetro
con dentro un liquido trasparente. Poteva trattarsi d’ acqua ma, dal modo in
cui la luce rossastra lo attraversava, pensò che si trattasse di alcol di
qualche tipo.
L’espressione era
come al solito tesa e letale, quasi anche il sole che tramontava avesse
commesso un peccato troppo grave per essere perdonato. Bevve un sorso dal suo
bicchiere e, quando si voltò, lo fece per un solo istante, quasi per sbaglio, e
la ragazza capì che era un modo per controllarla. Tornò al paesaggio fuori,
sovrappensiero, ma poi si ricordò del dettaglio dei due occhi blu che lo
fissavano e si girò ancora una volta verso il letto.
Aria si accorse di
essere distasa sulla metà in cui aveva dormito la notte prima, quella vicina
alle finestre, stesa a pancia in giù. Non indossava più la sua canottiera,
aveva solo i pantaloni stretti da allenamento. Si accorse di avere ancora
addosso per lo meno il suo reggiseno, che però era slacciato e le rimaneva
addosso solo perché c’era distasa sopra. Aveva la guancia sul cuscino e un
braccio che penzolava giù dal letto, così guardò Eric, immaginando il momento
in cui il ragazzo l’aveva sistemata in quel modo.
-Stai bene?- chiese
lui,con una mano ancora in tasca mentre
con l’altra soppesava il bicchiere.
Aria lo guardò senza
capire cosa provava, e si limitò a fare un cenno contro il cuscino.
Eric parve fermarsi
un attimo a riflettere, poi si allontanò per posare il bicchiere sul bancone lì
vicino e, una volta tornato indietro, si sedette vicino alle sue gambe sul
letto.
-Hai intenzione di
metterti a frignare come prima? Perché se devi comportarti come una poppante
dimmelo subito, così me ne vado!-
Aria alzò gli occhi
al cielo e sorrise, per i soliti modi di Eric che non erano mai dolci. Peccato
che sapeva benissimo che, nella sua affermazione, c’era anche una punta di
verità. –Penso che tu sia uno stronzo…- gli disse, valutando l’idea di
sollevarsi.
Eric inarcò un
sopracciglio. –Prova a dirlo ancora.- La minacciò.
-Dacci un taglio!-
borbottò Aria, facendo leva sulle braccia per mettersi a sedere. –Dovresti
avere almeno un minimo di considerazione per me!-
Quando riuscì a
sedersi vicino ad Eric, dovette tenersi un braccio davanti al petto per
sostenere il reggiseno. Valutò l’idea di riagganciarlo, ma si ricordò delle ferite
sulla schiena e cambiò idea. Ripensandoci, il ricordo di quello che era
successo e delle frustate le fece torcere lo stomaco, ed ebbe un sussulto.
-Ti fa ancora male?-
chiese Eric, male interpretando il suo fremito.
Lo guardò, aveva
usato ancora quella voce strana, quasi preoccupata e tremendamente grave, molto
bassa.
Cercò di guardarsi
la schiena, ma sulla spalla non c’erano più i segni delle frustate, così cercò
di toccarsi con le mani. Non aveva più le strisce rosse, ne sanguinava, c’era
solo qualche piccolo taglietto non ancora rimarginato.
-Cos’ è successo?-
chiese, ancora in cerca dei segni infuocati.
Eric scrollò le
spalle e guardò fuori dalla finestra. –Quella pomata cicatrizzante fa
miracoli.- rispose semplicemente.
Aria non chiese come
mai la sua schiena fosse pulita, senza nessuna traccia di sangue, né perché
avesse scelto di portarla nella sua camera e medicarla lui, invece di lasciare
quel compito all’infermiera.
Si guardò la spalla
sinistra. –Il mio tatuaggio è a posto vero, non c’è rimasto qualche segno?-
-No, è tutto al suo
posto!- disse scocciato.
-E non mi rimarrà
qualche cicatrice?-
Eric fece un’
espressione strana, i suoi occhi si assottigliarono alla ricerca di qualche
ricordo lontano, e la guardò. Ma non in viso. –Credo di sì, ti rimarrà qualche
traccia sulla parte bassa…-
Aria ricordò le
frustate che aveva ricevuto sui fianchi scoperti, e deglutì al ricordo del
dolore. Muovendosi appena, in realtà, i piccoli tagli non ancora rimarginati
bruciavano e, proprio sulla parte bassa della schiena, sentì i segni delle
frustate dolerle ancora.
Si mosse in cerca
della sua canottiera, stanca di doversi sostenere il reggiseno e di essere
praticamente nuda.
-Non cercare quello
straccio che avevi addosso, l’ho buttato!-
Aria si voltò verso
di lui, e notò la sua espressione cupa. C’era qualcosa nel modo in cui parlava
che la incuriosiva, era come se faticasse a dire certe parole. A volte,
sembrava pronto ad esplodere dalla rabbia.
Eric si alzò dal
letto e si avviò verso il bancone, quello vicino alla piccola porta del
guardaroba. Aprì un’ anta e prese qualcosa, poi tornò sui suoi passi.
-Mettiti questa,- le
disse sventolandole davanti una t-shirt come quella che indossava. –È anche
larga, così non ti si attacca sulle ferite.-
La ragazza prese la
maglia che le veniva data con una mano, mentre con l’altra lasciava cadere il
reggiseno. Vide, con la coda dell’occhio, Eric irrigidirsi. Era ancora in piedi
e fece scattare la testa verso il tramonto.
Aria sorrise, mentre
infilava la testa dentro la maglietta. –Guarda che puoi anche guardare…-
Eric la incenerì con
uno sguardo ma, fortunatamente, il secondo dopo sospirò e le si sedette
nuovamente accanto.
Con la sua t-shirt
addosso, si sentiva al sicuro. Era davvero troppo grande per lei, non solo era
una taglia da uomo, ma Eric e i suoi muscoli avevano anche bisogno di più
tessuto. Così Aria si ritrovava con le maniche che le arrivavano ai gomiti
anziché a metà braccio, e con le gambe coperte fino alle cosce.
Si guardò le gambe
fasciate dai pantaloni e si morse un labbro. -Eric…?-
Il ragazzo parve
intuire ciò che stava per dire, e si rifiutò di guardarla.
-…Per quello che è
successo, io volevo dirti che mi dispiace.-
Eric scattò come se
fosse stato aggredito, e si voltò verso di lei carico di collera. –Perché parli
se non sai quello che dici?-
Aria abbassò la
testa e assorbì la rabbia del ragazzo riparandosi nelle spalle. –So che non mi
ha frustata per lo scontro con Peter!- disse d’un fiato.
Il ragazzo la guardò
per un attimo, incerto, studiandola con un sopracciglio alzato.
-Peter ha detto a
quel capofazione, Finn, di noi due- disse timidamente, sollevando appena gli
occhi sul ragazzo. –È anche colpa mia, avevo paura che ti facessero qualcosa di
brutto.-
-Ma quanto sei
stupida?- sbottò, alzandosi e allontanandosi dal letto. –Eri a terra che
schizzavi sangue da tutte le parti, e tu pensavi a quello che potevano fare a
me?-
Aria lo guardò
stizzita. –E cos’altro avrei dovuto pensare?-
Eric serrò la
mascella e scosse la testa. –Avresti potuto pensare che ero un vero bastardo a
lasciarti lì senza fare niente. Potevi pensare che dovevo esserci io al tuo
posto, che sono un mostro e che è tutta colpa mia se quello schifoso di Finn ti
ha fatto del male!-
-Eric!- provò a
dire, percependo il suo turbamento.
Ma sentire il suo
nome lo fece solo infuriare di più. –Perché non sei come le persone normali?
Arrabbiati e basta invece di dire stronzate!-
-Perché uso la
testa, Eric!- urlò a sua volta, stanca di sentirlo parlare in quel modo. –Cosa
avresti ottenuto mettendoti in mezzo? Mi sarei arrabbiata molto di più se, per
qualche graffio, avresti fermato quel pazzo facendolo infuriare ancora di più!-
Eric rimase di
sasso, smettendo quasi di respirare. Tuttavia, metteva paura anche solo
guardarlo, tanto erano tesi i suoi muscoli.
-Chissà cosa avrebbe
fatto se lo fermavi, sarebbe solo finita peggio. Poteva prendersela con te,
oppure poteva arrabbiarsi ancora di più e fare di peggio a me! Era solo una
scusa quella della punizione per lo scontro non autorizzato, lo sai.- Disse
guardandolo negli occhi.
Eric guardò verso la
finestra.
-Perché dovrei
essere arrabbiata con te, quando hai fatto solo la cosa giusta?-
-La cosa giusta?- Le
chiese con un ringhio, incenerendola con un’ occhiataccia.
-Non potevi metterti
contro di lui, avresti fatto solo il suo gioco e saresti finito nei guai per
niente. Non trattarmi come una bambina Eric, non è niente qualche colpo di
frusta, so riprendermi. Non avrei mai voluto che rischiassi per me.-
Il ragazzo scosse la
testa. –Stai zitta!-
-Eric!- lo chiamò,
mettendosi in ginocchio sul letto. –A me il dolore è già passato, ora fatti
passare il tuo…-
Come se fosse appena
arrivata, Eric si accorse finalmente di Aria e della scintilla di coraggio nei
suoi occhi blu. Vide la sua espressione risoluta, che contrastava con la
dolcezza nascosta nel suo sguardo. Smise di pensare, dato che farlo gli dava
solo dei problemi, e si avvicinò al letto.
Mise un ginocchio
sul materasso e, avvolgendo il viso della ragazza con entrambe le mani,
intrappolò le sue labbra in un bacio.
Dapprima fu lento e dolce,
poi la strinse maggiormente e diventò quasi violento mentre cercava il contatto
con la sua lingua.
Quando smise di
baciarla, tenendo conto solo delle sue intenzioni e non del volere della
ragazza, Eric si spostò leggermente con il viso per poterla guardare, senza
toglierle le mani dal viso.
-Hai fame?- Le
chiese.
Aria scosse la testa
con una strana espressione.
-Bè- disse
rimettendosi in piedi. –Io credo che mangiare qualcosa ti farebbe bene. Vado a
prendere quello che trovo e te lo porto qui.-
Si avvicinò alla
porta e prese la sua giacca nera, sotto lo sguardo attento di Aria. Si voltò
vero di lei e la vide ancora in ginocchio sul letto, ma colse il sorriso
intrappolato nei suoi occhi. Non poteva dirle come le sue parole fossero
riuscite a placare la sua rabbia, né di come la sua presenza fosse diventata per
lui una vera e propria dipendenza. Ma lei era più furba, e aveva già capito
tutto. Sapeva che per orgoglio non si sarebbe mai fermato a discutere
ulteriormente, che il loro breve dibattito si era concluso e che tutto era
tornato al suo posto.
E sorrideva.
Avrebbe voluto
sorridere anche lui, ma non ne era capace.
-Ed io…- chiese lei,
osservandolo. –Resto qui?-
Capì ciò che voleva
dire e riuscì a concederle un breve sorriso d’intesa. –Sì Aria, dormi qui anche
sta notte!-
La vide sorridere
ancora, sta volta senza riserve.
Poi qualcosa nel suo
sguardo cambiò, e vide il lieve sussulto che la scosse. –Adesso sanno di noi?-
chiese senza guardarlo.
Serro la mascella.
–Sono andato a parlare con gli altri capi, mentre dormivi…-
Aria lo guardò in
silenzio.
-Mi sono assunto le
mie responsabilità e gli ho detto tutto prima che fosse Finn a farlo.- Fece una
pausa, in cerca di una qualche espressione sul viso della ragazza. –Si fidano
di me, e per questa volta chiuderanno un occhio, ma dobbiamo essere discreti.-
Incrociò le braccia
al petto ed attese che lei dicesse la sua.
-Quindi rimane
sempre un segreto, anche se non è poi più così segreto?-
-Esatto!- disse. –Il
primo modulo d’addestramento, dove eravamo io e Quattro e stabilire i punteggi
degli iniziati, è finito. Adesso sarà un computer a stabilire la vostra
classifica, anche se volessi, non avrei più modo di aiutarti.-
Le fece capire che,
dato che non c’era più il rischio di un favoreggiamento, i capi avevano
lasciato correre la sua scappatella. Non solo non lo avevano punito, ma gli
avevano anche concesso di continuare a vedere la ragazza, purché agisse
concircospezione.
Ma la realtà era
tutt’altra, perché ai capi non importava nulla dei punteggi alterati degli
iniziati, tutto ciò che gli avevano chiesto era se fosse o meno consapevole del
fatto che, scoppiata la guerra, non avrebbero accettato favoritismi o richieste
particolari per quella ragazza.
Anche lei sarebbe
scesa in guerra.
Se era disposto a
non interferire per lei, poteva farci quello che voleva. Ai capi bastava solo
che la lasciasse al suo destino, insieme a tutti gli altri membri della
fazione, quando sarebbe arrivato il momento. E quando glielo avevano chiesto,
lui aveva acconsentito.
Peccato che sapesse
benissimo che si trattava di una bugia, dopo averla vista piangere, e dopo non
aver potuto fare nulla per risparmiarla alla furia di Finn, non avrebbe più
permesso a niente e a nessuno di farle del male.
-Torno presto.- Le
promise, poi uscì dalla stanza.
Aprì la porta della
camera e la richiuse subito dopo essere entrato, in equilibrio su un braccio
aveva due piatti sovrapposti e avvolti in un panno. Portò tutto sul bancone
dietro l’angolo e poi tornò indietro, per appendere la sua giacca all’appendi
abiti dietro la porta.
Aria era sul
balcone, le braccia sul davanzale e lo sguardo perso nell’orizzonte quasi buio.
Oltre gli edifici che circondavano la residenza si vedeva il bagliore lontano
del sole morente, che illuminava il blu del cielo serale.
Eric piegò la testa
da un lato notando il suo strano abbigliamento. Non indossava più i pantaloni
neri, che se ne stavano abbandonati sulla poltroncina, era coperta unicamente
dalla t-shirt che lui stesso le aveva dato. La maglia in questione la copriva
per bene fino alle cosce, e nei dintorni non c’era nessuno che poteva vederla,
perciò quello spettacolo era tutto per lui. A quanto pareva la ragazza aveva
abbandonato del tutto il suo pudore, esibendo senza imbarazzo le sue gambe
nude. Era a piedi scalzi e aveva raccolti i capelli in uno chignon scomposto dietro
la nuca.
Uscì anche lui sul
balcone, e si appoggiò alla ringhiera con le braccia, vicino a lei.
-Sei già arrivato?-
gli chiese, con un mezzo sorriso.
-Vuoi che vada via?-
-No!- Aria rise.
–Sei stato tu a fasciarmi la caviglia?-
Eric abbassò lo
sguardo sulla caviglia, abilmente fasciata con la garza bianca.
-Non dovresti stare
in piedi…- La rimproverò.
-Ma non mi fa male,
e poi cerco di spostare il peso sull’altro piede.-
-Fai come ti pare!-
rispose schietto, guardando il cielo inscurirsi.
Aria non rispose,
abbassò la testa e assottigliò lo sguardo, inseguendo pensieri lontani. Ma il
modo in cui si era rabbuiata all’improvviso fu notato da Eric, che allungò una
mano verso di lei per rimetterle dietro l’orecchio un ciuffo di capelli.
-Cosa c’è che non
va? Stai pensando a quello che è successo?-
Aria chiuse gli
occhi e sperò che quel contatto con la mano calda di Eric non finisse mai ma,
ovviamente, quando ebbe finito di parlare ritrasse il braccio.
-Sto solo aspettando
che sia notte fonda, così che oggi finisca. Dato che è ancora il mio
compleanno…-
Eric la guardò di
sottecchi e, per una ragione ignota, la sua espressione si indurì. –Immagino
che avresti voluto ricordarlo per qualcosa di diverso, invece sarà il giorno in
cui sei sta frustata da un idiota!- Lo vide serrare i pugni attorno alla
ringhiera. –La pagherà per quello che ti ha fatto, credimi!-
-Non m’ importa
niente di quello che è successo, Eric!- disse con decisone, voltandosi a
guardarlo. –Che tu ci creda o no, questo non è il peggior compleanno della mia
vita…-
Si sforzò di
sorridergli, ma Eric scosse la testa.
-Come fai a dire una
stronzata simile, ti picchiavano da piccola?-
Aria alzò gli occhi
al cielo. –No, cosa dici?-
-Però il giorno in
cui devo portati in infermeria ricoperta di sangue, non è il tuo peggiore
compleanno?- Disse quasi arrabbiato.
Perché era sempre
arrabbiato?
-No, non lo è!-
-E allora cosa può
esserti successo di peggio?- chiese, con una punta di ironia, mentre la rabbia
iniziava ad abbandonarlo con la stessa velocità con cui lo aveva assalito.
-La curiosità è per
gli Eruditi Eric, e tu non sei uno di loro!-
Per una delle tante
ignote ragioni che spingevano Eric a reagire in modo strano, il ragazzo nascose
una risata.
Aria inarcò un
sopracciglio, non capendo.
Scosse il capo e
guardò il cielo, non aveva voglia di raccontargli dei suoi ultimi compleanni, e
di quanto li avesse odiati. Eric non era certo il tipo con cui scambiarsi
confidenze, e lei non aveva né voglia di annoiarlo, né voglia di deprimersi con
quei racconti. Ricordò il suo nono compleanno, quando si era rotta un braccio
correndo sotto la pioggia, ma non c’era motivo per parlarne. C’era il suo
tredicesimo compleanno, quello in cui sua madre le aveva finalmente comprato il
libro che tanto desiderava. Peccato che, invece di darlo a lei, lo unì ai
regali di sua sorella, per punirla per una colpa che in realtà non aveva. Era
stata proprio sua sorella a fare cadere la torta che c’era in frigorifero ma,
per difenderla, si era assunta lei la colpa. Quella stessa sera, sua sorella aveva
presto il libro e lo aveva strappato solo per dispetto.
Si morse il labbro
inferiore, pensando che quello era il primo compleanno che passava lontano
dalla sua gemella. Guardò oltre i palazzi bui e immaginò suasorella ad affrontare al meglio la sua
iniziazione fra gli Eruditi, magari felice di essersi liberata di lei.
Abbassò la testa e
si morse ancora di più il labbro.
-Quindi preferisci
tenerti il segreto, piuttosto che dirmi qual è stato il tuo compleanno
peggiore?- La provocò.
Non guardò Eric
sentendolo parlare, al contrario rimase con la testa bassa. –Non è un segreto!-
Sbottò. –Solo che non vedevo l’ora di andarmene dagli Eruditi. I miei genitori
non facevano che dirmene di tuti i colori perché volevo cambiare fazione, non
avevo niente da festeggiare con loro. Volevo solo andarmene…-
-Odiavi così tanto
la tua vecchia fazione?- Le chiese il ragazzo, con uno strano sorriso nascosto.
-Per favore!
Qualsiasi cosa che facevo per loro era illogica. Credo che non sappiano dire
altro, solo illogico!- lo guardò per
un istante. –Non credo che tu possa capire cosa voglia dire vivere sedici anni
fra gli Eruditi…-
E, per l’ennesima
volta, Eric rise. Solo che, sta volta, Aria percepì un sapore amaro nella sua
risata.
-Lo trovi tanto
divertente?- Gli chiese, studiandolo.
Il ragazzo non le
rispose, si limitò a studiarla in silenzio, osservando la sua fronte corrugata.
A volte, nella mente
di Aria, passava l’idea di poter condividere qualcosa in più con Eric. Non se
la sentiva di fargli delle domande sul suo passato, perché temeva che non le
rispondesse e, d’altro canto, nemmeno lei era ben disposta a parlargli della
sua vita prima dell’arrivo fra gli Intepidi.
Era buona abitudine,
non appena si cambiava fazione, dimenticarsi dei sedici anni passati, e lei
voleva riuscirci. Forse anche Eric la pensava in quel modo.
-Vuoi rimanere qui
fuori tutta la sera?-
Aria si riscosse
alla parole di Eric, e si accorse del modo in cui la guardava.
Ricambiò il sorriso
malizioso e si scostò dalla ringhiera, posandosi una mano sul fianco. –Hai di
meglio da fare?-
Il ragazzo si lasciò
attraversare lo sguardo da una scintilla sinistra, prima che le sue labbra si
piegassero nell’ennesimo ghigno. Fece un cenno con la testa e le si avvicinò.
Aria non si oppose quando Eric la prese in braccio, mettendole un braccio sotto
le ginocchia e uno dietro la schiena ormai guarita.
Mentre tornava
dentro la stanza e si avvicinavano al letto, Aria gli fece passare un braccio
dietro il collo e, quando lui la baciò, lei ricambiò e gli accarezzò il viso
con la mano libera.
La giacca che
indossava era di pelle, stretta e aderente che le fasciava i fianchi e metteva
in evidenza il seno. Quando l’aveva vista con quella addosso, Eric l’aveva
afferrata dai capelli dietro la nuca e l’aveva costretta a baciarlo. Non le era
dispiaciuto quel bacio, solo iniziava a sperare che i modi del ragazzo si
addolcissero giusto un po’, quel tanto che bastava per non ritrovarsi con
qualche livido.
Era stato lui a
sgattaiolare di prima mattina nei pressi del Pozzo, dove distribuivano i
vestiti, per prenderle qualcosa con cui poteva lasciare la sua camera. Non
poteva certo andarsene con la t-shirt che lui le aveva dato che, chiaramente,
non apparteneva a lei essendo maschile. I capi erano stati informati, ma non
era il caso di sbandierare a tutta la fazione che era stata a dormire con un
uomo e che lasciava la sua stanza con la sua maglietta addosso.
Non potendo
raggiungere il dormitori degli iniziati, Eric aveva pensato che l’unico modo
che aveva per procurarle qualcosa che sembrasse appartenere realmente a lei,
dato che non aveva altro con sé se non i pantaloni e le scarpe, era prendere
qualcosa di nuovo vicino al Pozzo, e così aveva fatto.
Grazie alla giacca
di pelle, con un taglio tipicamente da donna, sagomato e stretto, Aria aveva
potuto lasciare la stanza di Eric senza destare sospetti. Aveva nascosto i
bordi troppo lunghi della t-shirt nera infilandoli nel bordo del giubbino
nuovo, che aveva poi chiuso fino al collo per non fare vedere cosa indossava
sotto. La cerniera era in diagonale, partendo dal fianco destro per salire alla
spalla sinistra.
Le piaceva molto la
sua nuova giacca, decise infatti che l’avrebbe tenuta, così come avrebbe tenuto
la maglietta di Eric, anche se quella avrebbe dovuto nasconderla.
Quella mattina aveva
deciso di uscire per prima per raggiungere i dormitori, lasciando Eric da solo
e libero di sbrigare le sue faccende.
Avevano passato la
notte insieme, dormendo nello stesso letto, e i momenti imbarazzanti fra di
loro erano stati molti e difficili da dimenticare. Quando Eric l’aveva portata
in braccio sul suo letto, avevano iniziato a baciarsi e le mani di entrambi
erano corse ad esplorare il corpo dell’altro.
Lui le aveva
accarezzato il viso, i fianchi, le cosce, aveva indugiato sul suo seno per poi
toccarglielo senza timore. Le aveva baciato il collo e lei non si era opposta,
stringendogli con le mani la schiena muscolosa e accarezzandogliela con le
unghia, lasciando sulla sua pelle una scia di piccoli brividi.
Quando aveva
iniziato a sentirsi accaldata, e aveva capito che anche Eric si stava
trattenendo, aveva provato a parlargli.
Gli aveva detto nel
modo più deciso che conosceva che, per quanto lui pensasse il contrario, non
era una bambina. Aveva detto di essere pronta e per nulla spaventata ad
aumentare il tipo di contatto che fino a quel momento avevano condiviso.
–Ricordi quanto hai detto che, quando sarebbe stato il momento, sarei stata io
saltarti addosso?- Aveva chiesto, lasciandolo interdetto. –E se volessi farlo
adesso?-
Eric l’aveva
guardata intensamente per diversi secondi, e le era parso di vedere le
scintille di desiderio accendersi nei suoi occhi cerulei, ma poi le aveva tolto
le mani dai fianchi e si era messo a sedere vicino a lei. Stranamente serio, ma
come se facesse fatica ad esserlo. –Per oggi ne hai passate abbastanza, direi
che è il caso di fermarsi qui con il carico di adrenalina, per adesso…-
Aveva provato a
fargli cambiare idea, ma lui era stato categorico. Aveva messo fine al loro
momento di carezze e baci rubati e, secondo Aria, lo aveva fatto per non
rischiare di cedere alla tentazione. Sentiva il suo respiro affannato, e sapeva
che anche lui sentiva una lava incandescente scorrergli nelle vene, e la voglia
di non fermarsi e di continuare ad esplorarsi a vicenda fino alla fine.
Poi Eric aveva
tirato fuori un argomento capace non solo di farla arrossire in maniera
vergognosa, ma persino di farle passare la voglia di convincerlo. Le aveva sbattuto
davanti la storia che, per molte donne, la loro priva volta era piuttosto dolorosa
e, dato quello che aveva subito solo poche ore prima, non se la sentiva di
procurarle altro dolore.
-Sai, per quanto
bravo io sia,- Le aveva detto malizioso, tenendo d’occhio il rossore delle sue
guance. –Credo che sentirai comunque un po’ di male, dipende da te, e per oggi
non voglio più vederti piangere o sentirti frignare!-
Aria era avvampata e
si era rifiutata di approfondire l’argomento, se Eric voleva farle cambiare
idea mettendola terribilmente in imbarazzo, c’era riuscito. Sanza considerare
che era riuscito ad offenderla e a farla arrabbiare. Si divertiva davvero a
provocarla e, in qual caso, voleva anche metterla in difficoltà. Per
consolarsi, si ritrovò a pensare che, forse, Eric era più spaventato di lei per
quell’argomento.
Ma era impossibile.
Gli aveva dato un
pugno sul petto e poi si erano ritrovati a mangiare torta al cioccolato,
l’unica cosa che Eric era riuscito a recuperare delle cucine, sul letto.
E poi avevano
dormito. Vicini.
Scosse la testa per
cancellare i ricordi della notte precedente e proseguì per la sua strada,
diretta ai dormitori. La prima cosa che doveva fare era trovare Sasha e parlare
con lei.
La sua amica bionda
aveva messo anima e corpo per farle passare un felice compleanno, le era
rimasta accanto per tutto il giorno precedente, aveva perfino convinto un’
iniziata interna a fargli fare il giro della residenza. Era stato piacevole
conoscere quella ragazza, si chiamava Marlene, e anche il suo amico Uriah. A
quanto pareva i due conoscevano Tris, così anche lei si era aggiunta al giro
turistico insieme a Christina, Will e il loro amico Al.
Aria aveva sorriso
per tutta la mattina, non era mai stata così tanto bene con un gruppo di
persone così numeroso. Era stato estremamente piacevole conoscere stanze della
residenza che non conoscevano, e trovarsi a ridere e scherzare in maniera
spensierata. Gli Intrepidi erano pazzi, e Uriah ne era l’esempio, aveva
raccontato a Tris una serie di sciocchezze che aveva combinato, facendo ridere
tutti.
Non si era mai sentita
tanto bene, si convinse che quella era casa sua e che quello sarebbe stato solo
primo di una seria di giorni folli e felice.
E tutto questo
grazie a Sasha.
Sospirò, per
ringraziarla l’aveva cacciata via quando aveva cercato di farle capire che
combattere con Peter non era la cosa migliore da fare. Non avrebbe dovuto
mandarla via in quel modo, non dopo tutto quello che aveva fatto per lei. Doveva
sicuramente scusarsi.
Accelerò il passo e
si infilò nel dormitorio, il suo letto era il primo vicino all’entrata e quello
di Sasha quello subito dopo. Non si preoccupò degli altri iniziati, la maggior
parte dei quali era già andata via, e si avvicinò a Sasha trovandola lì vicino
che riordinava le sue cose sotto al suo letto.
-Ciao, possiamo
parlare?- le chiese dolcemente, a bassa voce.
Sasha serrò le
labbra, alzò gli occhi e la fissò in silenzio con un’espressione dura e
distaccata.
Aria non se ne
accorse, le fece segno con la testa di seguirla fuori.
Si incamminarono
lungo il corridoio in penombra e Aria svoltò verso l’angolo in cui si era
nascosto Eric quando, poche sere prima, l’aveva aspettata dopo l’esercitazione
per condurla nella sua camera. Le aveva spiegato che, in quell’angolo, non
c’erano telecamere.
Si voltò verso Sasha
e mise le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, prendendo un respiro
profondo. –Volevo scusarmi con te, ieri non avrei dovuto trattarti in quel modo
in palestra,- disse d’un fiato. –Mi perdoni?-
Le mostrò un
sorrisino tutto denti, cercando di scherzarci sopra.
Sasha incrociò le
braccia al petto e serrò la mascella, il suo sguardo era sempre più distante.
–C’è altro?-
Aria spalancò gli
occhi ed una strana sensazione le si agitò nel petto. Non capiva come mai
Sasha, che era sempre ironica, non coglieva la sue intenzioni allegre, né
capiva come mai, proprio la sua amica che si lamentava delle scarse
dimostrazioni d’affetto che le riservava, non era felice di quel gesto di scuse
così tanto sentite.
-Altro?- chiese
alzando le spalle.
Sasha assottigliò le
sguardo. –Eric…-
In quel momento Aria
capì che Sasha non l’avrebbe mai perdonata.
Il modo sgarbato con
cui le aveva detto di andare via per scontrarsi con Peter non era niente, era
un altro il problema. Il giorno prima, in palestra, mentre Peter la provocava
per ottenere l’incontro che tanto voleva, le aveva detto di aver scoperto di
lei ed Eric. Aveva detto ciò che aveva riferito a Finn, e di aver capito doveva
aveva passato quella notte.
E Sasha era lì, e
aveva sentito tutto.
Spalancò la bocca e
non ebbe il coraggio di dire niente, non solo aveva scoperto nel modo peggiore
il suo piccolo segreto sentimentale ma, conoscendola, si accorse di averla
ferita.
-Avevi detto che
avevi dormito per terra in palestra, quando ti ho chiesto dov’eri stata l’altra
notte. Hai inventato la storia che il tuo compleanno ti mette tristezza, e
invece eri con lui?-
Aria sentì le mani
tremarle, le aveva mentito, e lei adesso lo sapeva. Sasha era cresciuta tra i
Pacifici e, per quanto si ritenesse diversa dai suoi vecchi compagni di
fazione, era una delle persone più buone e gentili che avesse mai conosciuto.
Teneva davvero all’amicizia e, se poteva perdonare il suo strano carattere, non
avrebbe mai perdonato quel tradimento.
-Era vero, odio il
giorno del mio compleanno perché…-
-Hai dormito con lui
o no?- Le chiese, togliendole la parola.
Aria abbassò lo
sguardo è serro i pugni, sentiva un vuoto al petto così grande che pensò che
non sarebbe rimasta in piedi. –Sì, ma…-
-Ma non mi hai detto
niente!-
La guardò, vedendo
tutto il risentimento che provava. Scosse la testa. –Non potevo dirti niente,
doveva rimanere un segreto, è proibito avere relazioni con gli Iniziati!-
Sasha scosse la
testa a sua volta, rifiutandosi di guardarla. –E pensavi che proprio io andassi
in giro a rivelarlo a tutti?-
Rimase in silenzio.
Avrebbe voluto dirle che aveva paura delle telecamere nella residenza, e che
non poteva dirle nulla senza essere scoperti, ma non era vero. Non le aveva
detto niente per tenere per sé quel piccolo segreto. –Avevo paura che pensassi
male di me…- sussurrò ad occhi bassi. –Sai, voglio dire, è Eric!-
-Credevi che ti
giudicassi? Se ti piaceva io lo avrei capito, anche se parliamo di lui.- Sasha
la guardò e sembrò disturbata da ciò che vedeva. –È questa la considerazione
che hai di me? Non mi hai detto niente per paura che lo dicessi in giro o
perché pensavi che avrei avuto una considerazione sbagliata su di te?-
Non sapeva cosa
rispondere, sentì sola una lama invisibile attraversarle lo stomaco. Strinse i
pugni e rimase a fissarsi le scarpe.
-Ho cercato di
esserti amica,- iniziò Sasha, disincrociando finalmente le braccia da davanti
al petto per gesticolare. –Ti sono stata vicina, ho cercato sempre di farti
aprire di più e di farti sentire felice. Io ti voglio bene Aria, ma se non ti
fidi di me, se non mi vuoi come amica, io non so per cosa fatico a fare…-
A quel punto sapeva
cosa doveva dire, alzò gli occhi e guardò l’amica. –Io ti voglio come amica, ti
voglio bene Sasha e mi dispiace, davvero!-
Le erano uscite
spontanea quelle parole, anche se credeva che non sarebbe mai stata capace di
dire ciò che provava così apertamente.
Forse Sasha colse il
suo tono di voce basso e pensò che fosse poco convinta di ciò che aveva detto,
oppure colse la sua rigidità e l’incapacità che aveva di dire veramente tutto
quello che pensava. –Se ti infastidisco tanto, ti lascio in pace…-
Aria scosse la testa
e fece un passo avanti, sentiva il vuoto nel suo petto crescere. –No, voglio
che continui ad essere mia amica. Mi dispiace davvero, scusami!-
Sasha la studiò in
silenzio, poi scosse il capo. –Ci penserò…-
Quando la sua amica
si voltò per andarsene, Aria appoggiò una mano alla parete e si lasciò
scivolare per terra. Si sedette con le ginocchia al petto e pensò che scusarsi
non era bastato. L’unica amica che aveva era arrabbiata con lei e, forse,
l’aveva persa per sempre.
Essendo la seconda
giornata che gli iniziati avevano libera dopo il duro allenamento per superare
il primo modulo, erano tutti in giro per la residenza. Aria decise di passare
la mattina da sola, nel dormitorio. Fece una lunga doccia e si lavò i capelli
poi, tornata al suo letto, ripose con cura la maglietta di Eric sotto il
cassettone e cercò di nasconderla sotto altri indumenti.
Fece passare il
tempo spazzolandosi i capelli e scegliendo con cura gli abiti per la giornata,
optando per un paio di pantaloni neri aderenti, canottiera e, dato il freddo,
un maglioncino di cotone ovviamente nero con scollo a V. Riuscì anche ad
addormentarsi per un po’, facendo passare il tempo senza dover pensare a nulla.
A pranzo Sasha aveva
scelto di sedersi ad un tavolo con alcuni iniziati interni, vicino a Marlene.
Aria invece si era seduta al solito posto, con Tris e Christina e, quando anche
Will ed Al erano arrivati, avevano pranzato tutti insieme tranquillamente.
Nel pomeriggio gli
iniziati interni ed esterni avrebbero dovuto prestare servizio subito fuori
dalla residenza, aiutando a scaricare le risorse alimentari portate dai
Pacifici con i loro furgoni. Aria avrebbe voluto chiedere a Sasha cosa provava
entrando in contatto con alcuni della sua precedente fazione, ma l’amica
continuò a starle lontano.
Messe al loro posto
le riserve alimentari, i Pacifici erano andati via e gli iniziati si spostarono
a cena.
Stanca di dover
stare lì a guardare la sua migliore amica sedersi lontano da lei, cenò
velocemente vicino a Will e ai suoi amici e poi se ne andò, lasciando la mensa
per prima.
Quella giornata
sarebbe dovuta essere da cancellare, ma lei conosceva un modo per sfogarsi e
per sentirsi subito meglio. Raggiunse infatti il poligono a grandi passi e,
presa una pistola, la caricò e si concentrò sui bersagli.
Pensò al giorno
precedente, quello del suo compleanno, e pensò a come Sasha ed Eric lo avevano
reso speciale. Il tutto era iniziato con Eric che la portava nella sua camera,
le preparava un bagno caldo e la invitava a passare la notte con lui, nel suo
letto. La parte migliore era stato il risveglio quando, oltre ogni ragionamento
logico, si era intrufolata con lui nella doccia e, spogliandosi non solo dei
suoi vestiti, si era lasciata andare veramente per la prima volta. Si erano
baciati e scoperti, con carezze leggere e feroci, e lei si era sentita come in
paradiso. A rendere speciale il resto della mattinata ci aveva pensato Sasha e,
poi, era successo qualcosa di spiacevole.
Adesso che non c’era
Eric ad osservare ogni sua reazione, Aria lasciò che un brivido la scuotesse da
capo a piede, soffrendo al ricordo delle scontro con Peter e con il capo
fazione Finn che aveva ben pensato di punirla per farla pagare ad Eric.
Scosse la testa, per
quanto spiacevole fosse il ricordo, alla fine Eric l’aveva ricondotta nella sua
camera, regalandole un’ altra notte insieme tra baci e istinti soffocati.
-Ti ho mai detto
quanto reputo attraenti le donne con una pistola?-
Aria smise di
sparare e abbassò l’arma, voltandosi verso l’ entrata della grotta.
Non riuscì a
trattenere un sorriso quando si accorse di Eric, appoggiato con una spalla
contro l’ingresso, con le braccia incrociate al petto e il sorriso furbo. Era
davvero tanto tempo che non la raggiungeva al poligono, spiandola di nascosto. Fu
felice di vederlo di nuovo lì, come ai vecchi tempi e come se nulla fosse
cambiato da quando iniziavano ad avvicinarsi l’un l’altro, proprio attraverso
quegli incontri al poligono.
-Adesso sarei un
donna? Quindi smetterai di trattarmi con una bambina, immagino!- lo provocò,
avvicinandosi al tavolo di fronte ai bersagli per posarvi la pistola.
-Te l’ho già detto, Piccola.- ripose Eric, pazientemente.
–Sarò io a farti diventare una donna…-
Aria si voltò e il
suo sorriso si accese. Piegò la testa da un lato e si mise una mano sul fianco.
–Ma non spetta a te decidere quando…-
Eric si strinse
nelle spalle e le mostrò il suo ghigno più crudele. –So aspettare!-
-Io no!-
La ragazza vide
distintamente la scintilla attraversare lo sguardo di Eric e, per un attimo, le
parve anche di vederlo stupito e quasi spaventato. Assottigliò lo sguardo e si
dondolò sul posto con fare ammiccante, sorridendogli, mentre lo guardava dritto
negli occhi.
Il fatto che
l’atteggiamento di Aria passasse da provocatrice a bambina era una delle cose
che Eric apprezzava di più. Alzò gli occhi ad indicare una telecamera nascosta
e poi guardò il punto davanti ai suoi piedi.
Aria capì che le
stava indicando una telecamera e che, evidentemente, il punto in cui lui si
trovava era cieco. Forse era per quello che, quando andava ad osservare i suoi
allenamenti, rimaneva sull’ingresso.
Decise di
raggiungerlo e si fermò proprio davanti a lui, sfidandolo con uno sguardo
intenso e provocante. –Non puoi decidere sempre tutto tu, a volte devi lasciare
anche a me la possibilità di decidere e di fare le mi scelte…-
Eric non disse
nulla, la guardò come se attraverso quello sguardo potesse assorbirla
completamente. Lasciò scivolare una mano sul suo viso e si chinò per baciarla
sulle labbra.
-Se ti può
interessare,- Le disse terminato il bacio, ancora vicinino al suo viso. –Ero
venuto a prenderti…-
-A prendermi?-
Chiese Aria, tornando ad appoggiare i talloni per terra, dato che per baciare
Eric doveva mettersi sulle punte dei piedi.
Eric le risistemò un
ciuffo di capelli dietro l’orecchio e si concesse, per l’ennesima volta, il suo
ghigno sinistro. –Credo di essermi abituato a dormire con te. Sai, lenzuola
calde, vederti spogliare al mattino per entrare con me nella doccia… poterti
toccare.-
Aria avvampò e, per
non farsi scoprire senza fiato, parlò. –Mi piace questa tua abitudine!-
Arrivati nella
stanza, Aria ed Eric uscirono nell’ampio balcone, e rimasero per un po’ ad
osservare il cielo. Chiacchierano tranquillamente, si provocarono e si
scambiarono qualche bacio. Il tempo passò senza che se ne accorgessero e,
quando fu buio, tornarono dentro ed Eric tirò le tende.
Aria rimase in
silenzio mentre il ragazzo si avvicinava all’appendiabiti per lasciarvi la
propria giacca.
Era sempre bello,
con i muscoli pressanti e gli occhi chiari e profondi, perfino il suo
atteggiamento cupo era attraente per lei. Gli si avvicinò in silenzio e,
cogliendolo di sorpresa, gli mise le mani sul petto e lo baciò. Eric aveva gli
occhi bassi e non si aspettava quel bacio, ma fu comunque felice di ricambiarlo
mettendole le mani sui fianchi.
E poi, nel silenzio
della stanza, Aria lo guardò negli occhi. Aveva le mani sul suo petto, teneva
le labbra serrata e, con quello sguardo, stava cercando di trasmettergli ciò
che provava.
Non gli importava
nulla dell’età, né del poco tempo che avevano passato insieme, le importava
solo di quello che stava vivendo. Forse avrebbe potuto aspettare, conoscere
meglio l’uomo che le stava davanti, ma aveva già visto dentro di lui e non
desiderava altro che perdersi totalmente fra le sue braccia. Non si erano
promessi né chiesti nulla, e a lei andava bene. Ci sarebbero stati giorni
difficili, giorni in cui forse quello che provavano in quel momento sarebbe
svanito, ma non le importava.
Il quel preciso
istante, dentro quella stanza, c’era solo il presente.
Sentiva solo il suo
cuore battere all’impazzata e la testa leggera, come non le era mai successo.
Forse era quello che si provava quando ci si invaghisce di qualcuno, quando si
a che fare con la prima cotta, ma per lei era diverso. Il legame che sentiva
con quel capofazione spietato e beffardo, era troppo forte, troppo intenso e
troppo grande per essere solo un’ infatuazione da poco conto.
E lei, oltretutto,
non era il tipo di ragazza che lasciava entrare qualcuno nella sua vita con
tanta facilità. Al contrario, era sempre stata contraria ai legami e spaventata
dalle persone ma, se Eric era riuscito ad abbattere il suo muro, doveva per
forza essere speciale.
Meritava tutta sé
stessa.
Qualcosa, nel
profondo del suo cuore, le disse che, forse, anche per Eric quel legame era
speciale.
-Io lo voglio
davvero, Eric…- sussurrò in punta di piedi, immergendosi nei suoi occhi verde
chiaro.
Eric mosse le labbra
ma non disse nulla, le strinse il viso con le mani e la guardò intensamente,
forse stava cercando qualcosa in lei, come un segno di debolezza, d’ incertezza
e forse di follia, ma non trovò nulla. La baciò con ferocia, stringendole i
capelli fra le mani, per poi avvolgerle le braccia attorno alla schiena per
stringerla con forza contro il suo petto. Scese con le labbra a baciarle il
collo, le afferrò con una mano la coscia e sollevò la sua gamba portandosela
attorno a un fianco.
La guardò ancora e,
quel velo di serietà dietro cui si era nascosto, scomparve. I suoi occhi erano
affogati nel desiderio e le sue labbra schiuse, pronte a baciarla ancora.
-Non sai quanto ti
voglio…-le sussurrò con voce rauca,
posandole una mano sulla guancia per baciarla ancora, mentre con l’altra mano
le teneva il ginocchio sollevato contro il suo fianco.
-Allora non
trattenerti…- Gli rispose, con tanta sicurezza che Eric rimase per un attimo a
guardarla, quasi sconvolto.
Attraverso quelle
parole Eric percepì la sua determinazione, ma anche la sua dolcezza. Ciò che
però gli aveva tolto il fiato era il calore che gli aveva trasmesso.
Si baciarono ancora,
sempre di più e con sempre più bramosia. Aria gli mise le mani dietro la nuca e
poi le fece scendere ancora sul suo petto, per arrivare agli addominali
scolpiti e al bordo della sua maglietta.
-Aspetta!- Le disse
lui, la voce affannata, bloccandole i polsi. –Perché non facciamo una doccia
insieme prima, ti va?-
Aria abbassò gli
occhi sulle sue mani, imprigionate da quelle di Eric, e sorrise.
Mentre il ragazzo la
trascinava con lentezza verso il bagno, senza che riuscissero a separarsi,
ancora carichi di desiderio, Aria si sentì pervadere dalla paura e
dall’imbarazzo. Quando le mani iniziarono a tremarle e il cuore le salì in
gola, minacciando di soffocarla, capì che Eric le aveva fatto quella proposta
per smorzare la tensione. Sapeva che, prima o dopo, si sarebbe sentita in
imbarazzo, che magari avrebbe avuto anche timore di quello che stavano per
fare, così cercava un modo per metterla a suo agio prima di abbandonarsi fra
lenzuola.
Era assurdo
arrossire, si era già spogliata davanti a lui, e poi Eric era l’unico che le dava
una sicurezza immensa e piena di calore.
Quando Eric chiuse
la porta del bagno e, quando la baciò abbracciandola, Aria sentì il suo cuore
alleggerirsi e mille brividi lungo la sua schiena. Quando il ragazzo le sfilò,
con estrema dolcezza, il maglioncino che indossava, si sentì al sicuro e si
abbandonò alle sue mani che le accarezzavano la pelle lasciando scie infuocate.
Si era preso cura di
lei in tutti i modi possibili a lui noti, trattandola con riguardo e
delicatezza.
L’aveva accudita con
attenzione, come avrebbe fatto con una scultura di vetro, tanto fragile da
dovere essere maneggiata con calma.
Perché era quello
che era realmente, qualcosa di estremamente fragile e bisognosa di cure, troppo
preziosa per essere distrutta a causa di una mossa sbagliata. E, quando l’aveva
fatta stendere sul letto, nuda e con la schiena sulle lenzuola bianche, aveva
capito che era davvero estremamente delicata.
Ma non debole.
L’aveva accarezzata
lentamente e le aveva dato tutte le attenzione che non aveva mai concesso a
nessun’ altra.
Perché lei non era
come le altre.
Lei era la sua
piccola lottatrice orgogliosa, bella e dolce, ma con un talento innato per le
battaglie. E, quelle contro di lui, le vinceva sempre.
Come aveva vinto
quella sera quando, con un’ oculata strategia di tentazioni e piccole
suppliche, era riuscita a convincerlo e ad attirarlo fra le sue braccia. Non
che fosse contrario a quel rapporto fisico, dato che era ciò che desiderava con
tutto sé stesso, solo avrebbe voluto farlo con il giusto tempo. A lui non
importava di aspettare, sapeva quanto la desiderava e che prima o poi sarebbe
stata sua, e per lui prima era meglio di poi. Ma, per lei, era pronto a fare
tutto per bene per lasciarle il tempo di cui aveva bisogno per concedersi.
Perché anche quella
forma di rispetto faceva parte dei sentimenti che provava per lei. La
desiderava nella maniera più infima e carnale che avesse mai sperimentato, era
attratto dalla sua dolcezza quanto dalla sua forza, ma c’era altro. La considerava
ancora come una rosa nel deserto da proteggere e da salvaguardare, per lui era
davvero la sua piccola ragazza di cui doveva prendersi cura. Lui era più
grande, ma non vedeva quella differenza d’età come una limitazione. Si sarebbe
occupato di lei, l’avrebbe fatta crescere insieme a lui e non avrebbe permesso
a niente e nessuno di farle del male o di portargliela via.
Perché, anche se in
modi singolari e non tanto evidenti, era stata lei per prima a prendersi cura
di lui.
Lo aveva attratto
come la luce fa con le falene, lo aveva intrappolato in un limbo di sguardi e
desideri repressi e poi lo aveva addomesticato con maestria. Lo aveva preso,
lasciato, attirato, scacciato, aveva dettato le regole pur vestendo i panni del
mite agnellino. Era lui il più forte, era vero, e lei era veramente in sua
balia diverse volte, pronta a lasciarsi guidare e ad obbedire.
Ma lo teneva legato
a sé come se fosse suo.
E lui, per la prima
volta, era pronto ad accettare di appartenere a qualcun altro.
Completamente nudo,
ritrovandosi privo non solo dei suoi vestiti, si era sentito tuttavia forte
quando si era sistemato su di lei. L’aveva guardata negli occhi, si era chinato
a baciarla e aveva intrecciato una mano in quella della ragazza.
Lei era arrossita e
si era irrigidita più volte, alternando momenti di imbarazzo a momenti di
piacere. L’aveva rassicurata, aveva cercato di farla rilassare e l’aveva
guidata verso quell’ esperienza che non aveva mai vissuto. Aveva fatto scorrere
la propria mano sul quel corpo pallido, scivolando sul suo ventre fino alla
parte più intima del suo copro, l’aveva sentita soffocare piccoli gemiti di
dolore ma non si era frenato. Poi era entrato in lei, lentamente. Le aveva
posato un bacio sul collo quando lei aveva gettato la testa all’indietro,
serrando gli occhi, e le aveva posato un dito sulle labbra per indicarle di
mantenere il silenzio quando aveva visto che iniziava a lasciarsi scappare
qualche lacrima. Si era preoccupato lui stesso di asciugare quelle poche
lacrime tamponandole con le sue labbra e aveva baciato, a ogni piccola spinta, quelle
sue labbra serrate, costringendola a schiuderle e ad abbandonarsi totalmente a
lui. E, quando il dolore era passato, si erano persi nella passione e avevano
raggiunto il piacere insieme.
E adesso lei
dormiva.
Mentre Eric, invece,
era perfettamente sveglio.
Era seduto nella sua
metà di letto, schiena al muro. Guardava la spalla scoperta di Aria alzarsi ed
abbassarsi al ritmo del suo respiro, vedeva la sua testa corvina, ma non
riusciva a scorgere altro dato che era rivolta dal lato opposto a lui. Senza
conoscerne realmente il motivo, sentiva un’ondata di calore serrargli la gola,
ma non era passione.
Era rabbia.
Il rancore che si
riscoprì a provare verso quella ragazzina gli fece capire che non poteva più
sopportare di sentirsi debole. La breccia nel suo cuore che Aria aveva creato
lo rendeva fragile e la sua forza, la sua freddezza, ne risentivano. Non era
più disposto a tollerare quella distrazione compromettente che gli sottraeva
tempo prezioso, il tempo per abbondarsi al piacere doveva giungere al termine.
Non c’era nessun legame che lo tenesse realmente incatenato a lei.
Luna, la gatta con
il suo nuovo nome, assegnatole proprio da Aria, si era intrufolata nella stanza
e si era raggomitolata sul letto vicino ai piedi del ragazzo, ronfando tranquillamente.
Ma dovette disturbare il suo sonno quando, dopo aver scostato le coperte, si
alzò in piedi e il gatto rotolò giù miagolando. Eric aggirò il letto mettendosi
con le spalle rivolte alle finestre e abbassò gli occhi su di lei. Aria dormiva
su di un fianco, i pugni raccolti vicino al petto, sotto al mento, e i capelli
tutti in disordine sul cuscino. La guardò, spense ogni voce nella sua testa
sporgendosi verso di lei e, con il dorso di una mano, seguì il profilo del suo
viso. Avrebbe potuto intensificare il tocco e farle dal mano, avrebbe potuto
serrare la mano attorno al suo esile collo e mettere fine alla sua vita.
Avrebbe potuto
liberarsi di lei e porre fine al suo tormento.
Ritrasse la mano ed
intensificò lo sguardo, cercando di analizzarle il viso nella scarsa luce della
stanza.
Era il ghiaccio che
poteva spegnere le fiamme del suo cuore.
Lei era cura, la sua
cura.
-Ti proteggerò io…-
sussurrò.
La luce delle stelle
attraversava le tende e, in quel gioco di luci ed ombre, tornò dalla sua parte
del letto e andò a stendersi al suo posto. Si coprì con la trapunta e si
avvicinò al corpo della ragazza, si mise su di un fianco rivolto verso la
finestra e, con la schiena di Aria ancora addormentata contro il suo petto, gli
mise un braccio attorno ai fianchi e la strinse a sé.
Con i loro respiri
che si fondevano, Eric chiuse gli occhi e si abbandonò ai sogni che, forse per
una notte, non sarebbero stati incubi.
Quando il corpo vicino
a lei scivolò fuori dal letto, Aria si rigirò verso il posto vuoto lasciato dal
ragazzo e si raggomitolò su sé stessa. Poi sentì dei passi e, subito dopo, il
rumore della cordicella che faceva scorrere le pesanti tende ai lati delle
finestre, lasciando il sole del mattino libero di entrare. Quando la luce
illuminò prepotentemente la stanza, infastidendola, si portò la coperta sopra
la testa e mugugnò piano. Sentì qualcuno ridacchiare e poi la porta del bagno
che si apriva per poi richiudersi.
Respirò il profumo
del cuscino di Eric e rimase per qualche altro secondo a godersi il calore
residuo del letto poi, aprì gli occhi. Essendo ancora sotto le lenzuola, si
accorse della macchia rossa che spiccava sul bianco candido, stampata al centro
sul lenzuolo che copriva il materasso.
Scattò seduta e si
tolse le coperte dalla testa, le guance dello stesso colore della macchia sul
letto e il cuore a mille per l’imbarazzo. Si guardò intorno, rossa di vergogna,
e coprì con la trapunta il punto incriminato per non doverlo guardare più.
A distrarla ci pensò
Luna, la gatta nera, che balzò sul fondo del letto in silenzio. Evidentemente
era accucciata per terra, oltre i loro piedi e, percependo il suo risveglio, si
era fatta avanti in cerca di attenzioni. Di fatti la gatta strisciò abilmente
vicino alle sue gambe, dove si rotolò più volte sulla schiena facendo le fusa.
Aria sorrise, si sistemò il lenzuolo sotto le ascelle a coprire il seno
scoperto, e accarezzò il pelo soffice del gatto.
Eric aprì la porta
del bagno in quel momento e, incrociando il suo sguardo, fece un ampio sorriso.
–Buongiorno!- Esclamò malizioso, con un sopracciglio alzato.
Aria deglutì. Aveva
il cuore a mille già per il sorriso di Eric, che mai aveva visto, poi per il suo
saluto arrogante. Eric aveva già fissato all’indietro i ciuffi più lunghi dei
suoi capelli biondo scuro, checreavano
quell’immagine di disordine perfetto. Si accorse che, in realtà, quella di
pettinare all’indietro i capelli, fissandoli con il gel, era un abitudine degli
uomini Eruditi. Ma lui si era rasato i lati della testa e dalla nuca, da
perfetto Intrepido, cosa che un Erudito non avrebbe mai fatto. Come, del resto,
non avrebbe mai avuto la sua fila di addominali.
Era uscito dal bagno
con indosso i suoi pantaloni neri, ma il petto era completamente scoperto, con
i muscoli in bella mostra alla luce del sole. Aria arrossì al pensiero che, la
sera prima, aveva fatto scorrere le sue dita tremanti su di lui e sul suo petto
forte, quando l’aveva sovrastata.
-‘giorno…- biascicò,
guardando da un’ altra parte mentre si portava indietro i capelli con una mano.
Il ragazzo accennò un
sorriso e si avvicinò a lei, camminando verso il suo posto e passando davanti
la porta. Luna saltò giù dal letto e sgattaiolò fuori dalla finestra, ed Aria
non riuscì a fare a meno di pensare che l’istinto del gatto le avesse suggerito
di allontanarsi, non appena aveva sentito l’energia del predatore invadere il
suo spazio.
Peccato che Aria
sapesse benissimo di non avere quella stessa possibilità di fuga.
Eric infatti fece
per sedersi sulla metà di letto in cui aveva dormito, ma Aria, al pensiero
della macchia al centro delle lenzuola, sussultò e cercò di tirare su le
coperte.
-Cosa nascondi?- Le
chiese lui.
Le tolse la mano e
scostò le coperte, piegando poi la testa da un lato quando incrociò la macchia
incriminante.
Mentre Aria si
metteva una mano sulla guancia per coprire l’imbarazzo, Eric rideva.
-Però…- commentò.
–Quasi quasi potrei tenermela lì, per ricordo!-
Il ragazzo si
sedette vicino a lei ad Aria si sentì avvolgere da un suo braccio forte,
percependo tutta la sua energia con cui la incatenava a sé.
-Mi dispiace…-
bisbigliò, coprendosi il volto con entrambe le mani.
Eric le afferrò un
polso e le fece abbassare il braccio. –Sai, ogni mattina viene un’ addetta alle
pulizie, ci penserà lei…-
Ma Aria arrossì
ancora di più.
Il secondo dopo non
ebbe tempo per pensare alla macchia del suo sangue sul letto, poiché Eric, che
ancora le teneva un braccio attorno alle spalle, prese a baciarle sensualmente
il collo e a mordicchiarle l’orecchio.
-Eric?...-
Ma Eric non le
prestò ascoltò, al contrario, si mise sopra di lei facendola stendere, poi le
tolse bruscamente il lenzuolo con cui si copriva e fece scendere la scia dei
suoi baci infuocati lungo la sua clavicola.
-Eric!- Riprovò,
sussultando quando le baciò un seno.
-Cosa c’è?- le chiese
rauco, sollevandosi per lanciarle un’ occhiata provocante. –Ti metto in
imbarazzo?-
Aria avvampò. –Sì!-
-Bè, è un problema
tuo!-
E, senza nessun
contegno, tornò a spostare i suoi baci sempre più in basso, fino ad arrivare
alla pancia. Fortunatamente però, quando la sentì irrigidirsi del tutto, rise e
si fermò.
-Meglio che mi fermi
qui…- Le disse, rimettendosi a sedere con i piedi giù dal letto. –Altrimenti mi
verrà voglia di saltarti addosso ma, dato che non abbiamo tempo, se vorrai
rifarlo dovrai aspettare!-
Aria alzò gli occhi
al cielo, si mise a sedere coprendosi con il lenzuolo e si portò le ginocchi al
petto, appoggiandovi sopra i gomiti.
Tuttavia, mentre
guardava Eric allungare le braccia sopra la testa per tendere i muscoli, non
riuscì a fare a meno di elaborare una serie di pensieri su di lui. Non capiva
come, quella stessa persona, fosse capace di spaventare mezza fazione di giorno
e, di notte, fosse in grado di concedersi attimi di estrema passione e
dolcezza. Quelle mani, in grado di ferire senza pietà, erano le stesse che
l’accarezzavano e che le tenevano il viso mentre la bacia. Forse aveva un’
abilità e il suo atteggiamento da duro era solo una messa in scena, ma sapeva
che non era quella la verità. Lui era davvero spietato a dal cuore di pietra
eppure, in sua compagnia, quegli stessi muscoli che di solito esprimevano
determinazione e ferocia, diventano braccia sicure in cui rifugiarsi.
Non avrebbe dovuto
stupirsi in realtà, d’altro canto anche lei, che solitamente era fredda come il
ghiaccio e cercava costantemente di tenersi alla larga dai contatti troppo
intimi con altre persone, con lui era totalmente diversa. Si apriva come i
petali di un fiore al mattino, perché solo lui sapeva come prenderla. Ogni suo
istinto di difesa crollava, ed Eric arrivava al suo cuore senza che lei avesse
la forza, né la voglia, di opporsi.
Nonostante tutto si
lasciò sfuggire una domanda. -Come ci riesci?-
Eric la guardò e
sollevò le sopracciglia, incuriosito. –A fare cosa?-
Aria abbassò gli
occhi. –Ad essere totalmente un’ altra persona quando sei con me…-
In un primo momento
Aria vide il volto di Eric rabbuiarsi, e il suo sguardo attraversarla con
diffidenza ma poi, cogliendo il vero significato di quella frase, accennò un
sorriso.
Era più un insieme
di malinconia e serenità, più che un sorriso, ma gli angoli delle sue labbra
sottili si curvarono appena all’insù, qual tanto che bastava a farlo passare
davvero per un sorriso.
-Lo faccio per me
stesso…- le spiegò con voce bassa e profonda, mettendole una mano sul viso.
-Per te?- chiese
lei, stringendosi nelle spalle al contatto con la mano calda di Eric sulla sua
guancia.
Eric piegò la testa
da un lato e il suo sguardo si accese. –So che se ti mostrassi il mio lato più
oscuro, ti perderei. Perciò ti mostro solo quello che vale la pena di vedere…-
Aria sentì il cuore
infuocarsi e le sua labbra si schiusero. Guardò Eric negli occhi e prese tra la
sue la mano del ragazzo, ancora sulla sua guancia, per portarsela sulle gambe,
poi abbassò gli occhi.
-Ho fatto una
scelta, e ho scelto quello che per me era più importante…- Le disse, liberando
la sua mano da quelle di Aria, per sollevarle il mento affinché lo guardasse
negli occhi.
Nel ricambiare il
suo sguardo, un mite sorriso le comparve fra le labbra. –So chi sei Eric, non
dare per scontato che se vedessi tutto di te me ne andrei, perché non sarà così!-
Eric fece una risata
strana, totalmente priva di gioia. Poi scosse la testa e si passò la lingua
sulle labbra. –Lo vedremo…-
Si voltò verso di
lei e le mise una mano dietro le nuca in modo che le loro fronti fossero una
contro l’altra, quando le si avvicinò ad un palmo dal viso. –Ricordati quello
che hai detto…- le sussurrò soffiandole sulle labbra. –Perché ne avrò bisogno
in futuro.-
Raggiunse di corsa
la mensa e superò il tavolo alla quale sedeva di solito, raggiungendo la
ragazza bionda in fila per il dolce. La presa da un polso e la trascinò fuori
dalla sala, verso un corridoio più tranquillo.
-Posso sapere che
stai facendo?- Protestò Sasha, con voce fredda.
Aria la ignorò,
continuò a trascinarla fino a quando non raggiunsero un punto che ritenne
adatto. La lasciò andare e si voltò verso di lei, guardandola negli occhi.
Era stato Eric a
darle l’intuizione che le permettesse di capire come riappacificarsi con la sua
amica, se lui riusciva a mettere da parte sé stesso per comportarsi meglio solo
per non perderla, perché ci teneva davvero, allora sarebbe riuscita a fare lo
stesso per Sasha.
Avrebbe messo da
parte l’orgoglio e, come Eric, avrebbe scelto ciò che per lei era veramente
importante. Le sue abitudini e il suo carattere non lo erano, l’amicizia con
Sasha sì.
Prese un profondo
respiro. –Sono un’ idiota, okay? Ho passato la mia vita a non fidarmi delle
persone, perché ero diversa e non sapevo cosa avrebbero pensato di me. Così ho
sempre pensato che era meglio stare da sola, anche adesso non riesco a
confidarmi con nessuno e non so come ci si comporti con un’amica, perché non ne
ho mai avuto una!- fece una pausa e prese un altro respiro. –Ma tu sei la migliore
amica che potesse capitarmi, e ti ringrazio per quello che fai per me. La tua
amicizia per me è veramente importante, non voglio perderti, perciò ti prego di
perdonarmi. Ho sbagliato a non fidarmi di te e a trattarti male, non lo farò
mai più…-
Sasha mosse appena
la testa ma non disse nulla, però continuò a guardarla con attenzione.
Aria abbassò la
testa, strinse i pugni e, quando sollevò lo sguardo, tornò a guardare la sua
amica. –Io ti voglio davvero bene e ti prego di perdonarmi perché sei la migliore
amica che ho, e voglio che sia ancora così!-
Le labbra di Sasha
si arricciarono in un sorriso, che via via si ampliò, poi fece un cenno con la
testa e fece per andarsene.
Era felice del fatto
che avesse accettato le sue scuse, ma Aria pensò ancora ad Eric. Inoltre, era
tempo di chiudere con la sua vecchia vita e con le sue vecchie paure.
Inseguì Sasha e gli
si lanciò al collo poco prima che le desse completamente le spalle,
ritrovandosi stretta alla sua spalla.
La bionda, guardando
la testa scura di Aria nascondersi sul suo braccio, rise. –Addirittura?-
chiese, stretta ancora dall’amica. –Se arrivi addirittura ad abbracciarmi,
allora devo proprio perdonarti!-
Eric camminava per
il corridoio perennemente al buio che portava alla camere dei capi e dei membri
più importanti della fazione, era assorto nei suoi pensieri e particolarmente
di cattivo umore. Erano arrivati altri ordini dal quartier generale degli
Eruditi, ovviamente segretissimi, e solo il pensiero gli faceva venire il mal
di testa.
Aveva cercato Aria
per tutta la residenza, era andato persino al poligono, ma non l’aveva vista
per l’intera giornata. Non aveva bisogno di lei per calmarsi, ma almeno avrebbe
voluto vederla dopo la notte precedente e, il pensiero che lei fosse chissà
dove senza essersi preoccupata di farsi trovare, gli dava un certo fastidio.
Svoltò l’angolo che
portava alla sua camera con la mascella serrata e, quando la vide, quasi
sussultò. Tanto per cominciare non si aspettava di trovare qualcuno in
quell’angolo buio in cui nessuno andava mai, dato che portava unicamente alla
sua porta, perciò vedere quella figura seduta per terra al buio, lo colse
sicuramente di sorpresa. E poi, si trattava di Aria.
La studiò lasciando
che gli angoli della sua bocci si sollevassero in una smorfia, era tutto il
giorno che la cercava e se la ritrovava seduta davanti alla sua porta. La cosa
avrebbe dovuto fargli piacere, ma la giornata era stata troppo pessima perché
ragionasse in maniera lucida.
-Cosa diamine ci fai
qui?- Bisbigliò per non farsi sentire, ma era chiaramente adirato.
Aria si strinse
nelle spalle e abbassò la testa.
Eric alzò gli occhi
al cielo, ci mancava solo la versione debole di Aria. –Cosa ti passa per la
testa, venire qui da sola? E poi cosa fai ferma lì seduta, potrebbero vederti!-
Non aveva tempo per
capire per quale ragione la ragazza fosse stata irrintracciabile per tutto il
giorno per poi attenderlo davanti alla sua camera, con il rischio che qualcuno
li scoprisse, ma la faccenda non gli piaceva per niente.
Poi la parte del suo
cervello tornò vigile e lo portò ad osservare meglio la ragazza, cogliendo il
tremore lieve delle sue braccia. Era seduta con la schiena contro la parete, le
ginocchia al petto e le braccia strette attorno alle gambe, teneva la testa
bassa e il suo sguardo era assente.
Mettendo insieme i
pezzi del puzzle che aveva davanti, Eric si ricordò che quello era il primo
giorno del secondo modulo d’addestramento, ovvero il giorno a cui agli iniziati
veniva iniettato per la prima volta il siero di simulazione per vedere come
reagivano alle loro peggiori paure.
E, in molti, non
reagivano. Per giunta, la prima volta era sempre la peggiore.
Sospirò e si passò
una mano fra i capelli, mentre si guardava intorno e controllava che non ci
fosse nessuno nel corridoio precedente. Guardò Aria, ancora seduta per terra,
stretta nelle spalle e con le labbra serrate.
-È stato così
terribile?- Indagò, guardandola dall’alto.
E Aria si mosse,
ebbe un sussulto con il quale gli segnalò che aveva colto perfettamente il
significato della sua domanda, poi lo trapassò con un’ occhiata profonda ma
spenta. I suoi occhi scuri erano lucidi e tremanti, ma estremamente seri.
Eric serrò la
mascella e alzò un’ ultima volta gli occhi al cielo, prima di sospirare.
Estrasse dalla tasca una chiava e, oltrepassando la ragazza, aprì la porta
della stanza. -Dai entra, prima che ti veda qualcuno…-
Entrarono nella
stanza ed Eric non accese nemmeno la luce, si tolse la giacca e la appese,
guardando Aria che avanzava nella penombra. Le tende della stanza erano aperte
e, delle vetrate, entravano le prime luci della sera.
Aria si muoveva come
se avesse mille scosse elettriche che le attraversavano il corpo, la vide
contrarre le dita delle mani e portarsene una ai capelli, che iniziò a
scompigliare. Si sedette ai piedi del letto e incassò la testa fra le spalle.
-Le tue paure erano così
sconvolgenti?- chiese, in un misto di impazienza e risentimento.
Con una parte di sé
stesso era preoccupato per Aria ed era ansioso di scoprire cosa aveva visto
nella sua allucinazione, ma con l’altra parte avrebbe sperato di vederle
affrontare il secondo modulo con la stessa determinazione con cui aveva
superato il primo.
Inoltre, lui non era
certo bravo a dare conforto.
-Stai scherzando?-
sbottò Aria, guardandolo indignata. –Non me ne frega niente delle mie paure, so
quali sono e so come affrontarle…-
Guardò le sue mani,
le teneva fra le ginocchia, e alzò le sopracciglia. –Allora qual è il
problema?-
Aria arricciò le
labbra per la rabbia e si alzò in piedi. –Il problema, Eric, è che ho fatto un
tempo pietoso!-
A quel punto Eric
strabuzzò gli occhi, non sapendo se ridere o arrabbiarsi.
-Ho fatto schifo,
almeno qui volevo essere la prima, e invece sono tra gli ultimi!- Disse Aria,
iniziando a fare avanti e indietro davanti a lui. –Non so nemmeno se farò dei
tempi abbastanza decenti per passare il modulo, ma dannazione volevo essere fra
primi, non voglio dovermi accontentare del lavoro che mi lasciano. Voglio
scegliere!-
Eric incrociò le
braccia al petto e la guardò l’alto. –Che tempo hai fatto?-
Si fermò di colpo a
quella domanda, e lo guardò abbassando lo sguardo. –Sedici minuti…-
Riflettendoci, Eric
dovette ammettere che era un tempo piuttosto alto, i migliori riuscivano a
restare sui dieci muniti e, quelli che volevano realmente distinguersi, non
dovevano neanche arrivarci a dieci. Sedici era un bel po’ di tempo, ma non
erano tante le ragazze che, risvegliatesi dall’allucinazione, si ponevano il
problema del tempo. La maggior parte andava in crisi.
Scosse la testa.
–Dovresti comunque farcela, considerando che eri fra i primi alla fine del
primo modulo. Ma, effettivamente, è un tempo a dir poco pietoso!-
Aria allargò le
braccia e alzò gli occhi al cielo. –Lo so! per questo è un problema…-
Seguì con gli occhi
la ragazza che si fermava davanti alle finestre, a guardare fuori, e si ritrovò
a pensare a quanto adorasse quella parte fiera e coraggiosa di lei. Sorrise
appena ma, dentro di lui, c’era qualcosa che era cambiato e che si era
totalmente smarrito fra le curve di Aria. Così, nel profondo di sé stesso,
sentì quel bisogno che avvertiva spesso di proteggerla, e non poté fare a meno
di chiedersi cosa avesse visto nei suoi peggiori incubi. Inoltre, per quanto
determinata fosse, Eric aveva visto il modo in cui tremava quando l’aveva
trovata davanti la sua porta.
E aveva anche visto
il vuoto nei suoi occhi.
Conosceva quel
vuoto, era lo stesso sguardo che avevano tutti quelli che erano appena usciti
dalla lotta contro i loro peggiori tormenti. Per alcuni le proprie paure erano
generiche, per altri invece, erano piuttosto personali. Pensò ai colpi di
frusta che aveva ricevuto solo pochi giorni prima, ai suoi deliri per il dolore
quando l’aveva portata in infermeria, ricordò il suo sguardo triste quando
pensava alla sua vecchia fazione, e si chiese se quei dettagli avessero
influito con le sue paure.
Improvvisamente,
ripensò al modo in cui si era comportata quando l’infermiera le aveva mostrato
la siringa con l’anestetico, e al fatto che il siero di simulazione, a
differenza di quello per il test attitudinale, veniva iniettato.
-C’erano per caso
degli aghi nella tua allucinazione?-
Aveva posto quella
domanda per caso ma, dal modo in cui Aria si voltò verso di lui, con gli occhi
sbarrati e le guance in fiamme, capì che la risposta era affermativa.
Eric sogghignò fra
sé e sé, ma fece spallucce. –Così, chiedevo…-
Vide gli occhi di
Aria scaldarsi mentre avanzava verso di lei, lento e minaccioso, con i tratti
del viso in ombra che lo rendevano ancora più temibile.
-Ti sei fatta
trovare davanti alla mia porta, con il rischio che qualcuno ti vedesse…-
iniziò, lento e letale. – E, come se non bastasse, mi hai assillato con le tue
lagne!-
Aria arrossì e si
appiattì con la schiena contro i vetri, gli occhi aperti da preda impaurita.
E faceva bene ad
avere paura.
-Io non ti ho
assillato, tu mi hai fatto delle domande ed io ho risposto… non sono una
lagna!-
Alle parole della
ragazza, Eric le mise le mani ai lati della testa e ne fece scorrere una sul
suo viso. –Hai ragione piccola Aria, vorrà dire che ti serve una distrazione…-
Aria inarcò un
sopracciglio quando percepì l’ironia con cui Eric la derideva, tuttavia non
ebbe tempo di lamentarsi, perché il ragazzo l’afferrò dai fianchi e la gettò
malamente sul letto.
-Eric, io non sono spaventata
o altro…- provò a dire.
Ma Eric si mise
davanti al letto e si tolse la maglietta che indossava. –Quindi, se non sei
sconvolta, non hai bisogno che io ti distragga?-
Aria guardò i suoi
addominali nella scarsa luce della stanza e deglutì. –Sono sconvolta, Eric!-
Il ghignò di Eric la
fece rabbrividire. Il ragazzo saltò sul letto, la baciò e le fece scivolare via
dalle gambe i pantaloni che indossava.
Fuori era già notte
inoltrata, ovunque regnava solo il buio ma, nel reparto di vetro sovrastante il
Pozzo, era come se fosse pieno giorno. Il centro di controllo nella residenza
degli Intrepidi era ancora in piena attività, i monitor e gli altri dispositivi
di segnalazione erano collegati e le luci accese.
Quando Eric arrivò,
il passo lento e silenzioso come quello di un animale a caccia, vide un addetto
ai computer spegnere i macchinari e riordinare le scrivanie. Quando l’umo
vestito di nero si accorse del capofazione, gli rivolse un breve cenno di
saluto e spense tutte le luci degli ambienti adiacenti, lasciando accesa solo
quella vicino al computer principale.
Ma la scrivania del
dispositivo centrale, oltre ad essere rimasta l’unica illuminata, era già
occupata. Eric storse il naso quando riconobbe il ragazzo, studiando i suoi
capelli corti e le line del tatuaggio che gli salivano sulla nuca. Era Quattro,
colui che odiava di più.
-Che cosa stai
facendo?- Gli abbaiò contro.
Quattro si voltò e
lo guardò ostentando una certa sicurezza e, con assoluta tranquillità, come se
non avesse percepito la sua ira, gli rispose. –Ho inserito nel sistema i video
delle simulazioni degli iniziati. Stavo giusto finendo di catalogarli…-
Eric sollevò il
mento e continuò a fissarlo. Quattro si divertiva ad ignorarlo, non rispondeva
alle provocazioni e non si sbilanciava mai. Avrebbe voluto mandarlo via, ma era
fra i suoi compiti quello di passare nel computer centrale i risultati delle
allucinazioni a cui erano stati sottoposti gli iniziati.
-Tempo migliore e
peggiore degli esterni?- chiese, autoritario.
-Tre minuti Tris,
ventuno Molly.- Gli rispose senza voltarsi.
Eric inarcò un
sopracciglio non appena sentì il tempo più basso, forse il più breve mai
registrato, e non si lasciò ingannare dalla superficialità di Quattro. Nemmeno
lui, l’Intrepido con il più basso numero di paure mai incontrato, aveva
impiegato così poco tempo ad uscire dall’allucinazione.
Vide il ragazzo
terminare il suo lavoro e alzarsi, e rimase in silenzio.
-Come mai sei qui?-
indagò Quattro.
Eric fece un ghigno,
avendo finalmente un riscontro da parte del suo rivale, e cogliendo l’occasione
per rimetterlo subito al suo posto. –Spetta a me analizzare i filmati, in
quanto capofazione che supervisiona gli addestramenti…-
Quattro gli lanciò
un’ occhiata penetrante, ma il secondo dopo si dimenticò completamente della
sua presenza e uscì dal centro di controllo.
Rimasto finalmente
solo, Eric si sedette davanti al computer centrale, lo stesso che era stato
occupato da Quattro, e aprì il file con le ultime simulazioni.
Prese un respiro
profondo pensando al vero compito che aveva da svolgere, ovvero analizzare i
video in cerca di qualche dettaglio anomalo, per poi inviarli al quartiere
generale degli Eruditi. A quel punto i filmati sarebbero stati esaminati con
attenzioni da mani esperti e, in caso di sospetti, gli sarebbero arrivati
ordini aggiuntivi. Quegli ordini altro non erano che condanne a morte dato che,
nel caso in cui fossero stati trovati dei Divergenti, era compito dei
capifazione eliminarli il prima possibile.
Sentì un sapore
amaro invadergli la bocca al pensiero di quella parola, Divergenti, e di quante
persone erano state fatte accidentalmente
scivolare nello strapiombo. Ma faceva parte dei suoi doveri e dei suoi
accordi, se voleva mantenere il suo ruolo di capo doveva consegnare i
Divergenti agli Eruditi. Oltretutto, gli era sempre stato insegnato che i
Divergenti provocavano disordini e problemi, e andavano individuati e fermati.
Il problema va
estirpato alla radice, e quello era l’unico modo che avevano per salvaguardare
l’ordine della loro città. In altre parole, poche morti erano un sacrificio necessario
per un bene maggiore.
Ciò che odiava, e
che temeva, era il fatto di dover prendere ordini da una donna che giocava a
nascondere la realtà dei fatti e costringeva, lui e gli altri capi, ad
obbedirle sulla base di false promesse e minacce velate. Parlava di un crollo
del sistema delle fazioni che dovevano assolutamente evitare, ma non spiegava
nient’altro.
Iniziò, con addosso
un misto di rabbia e stanchezza, a visualizzare i video delle simulazioni di
paura, in cerca di eventuali dati da comunicare. Poiché le allucinazioni erano
già state catalogate in base al tempo, dal più breve al più lungo, si ritrovò
ad analizzare l’allucinazione di Tris. Dato che tre minuti erano molto più che
un record, Eric decise di studiare con attenzione il video.
Non notò nulla di
strano, a parte un offuscamento dell’immagine nel passaggio tra la sua prima
paura e il modo in cui si era gettata in acqua. A dire il vero era un dettaglio
piuttosto strano, ma non spettava a lui stabilire se quella ragazza era o no un
problema, così si limitò a copiare quel file nella cartella da inviare agli
Eruditi, lasciando a loro il dilemma.
Seguì tutte le altre
allucinazione registrate degli iniziati esterni senza riscontrare nulla di
strano, fino a quando non arrivò agli ultimi filmati e si accorse che, il
quartultimo, era intitolato Aria.
Dopo di lei c’erano solo Drew, Al e Molly. Serrò la mandibola al pensiero che,
proprio Aria, non fosse riuscita a fare di meglio.
Sospirò, decidendo
di tenersi per ultimo il video di Aria. Così, quando finalmente ebbe finito di
visionare le simulazioni degli altri, aprì il file della ragazza e seguì le
immagini che scorrevano con attenzione, e anche con una certa curiosità del
tutto personale…
Pareti di roccia
delineavano una prigione circolare, da cui cascate d’acqua scorrevano verso un
fondo sabbioso. Al centro esatto del letto di sabbia, era distesa una ragazza.
Il livello
dell’acqua era arrivato a ricoprirle il corpo ma, poiché la parte sabbiosa su
cui era adagiata aveva la stessa sagoma della poltrona reclinabile della stanza
in cui veniva iniettato il siero per le allucinazioni, riusciva a mantenere la
parte superiore del copro fuori dall’acqua.
La ragazza, ovviamente,
era Aria. Era come addormentata, con la pelle del volto diafano su cui
spiccavano le labbra rosse e le ciglia nere. Aveva i suoi vestiti da Intrepida,
e le braccia erano nude, ma interamente ricoperte di siringhe che si
insinuavano sotto la sua pelle con i loro aghi.
Quando aprì gli
occhi, furono la prima cosa che vide.
Aria iniziò ad
agitarsi, a respirare affannosamente mentre lottava contro gli aghi attaccati
alla sua pelle, nel tentativo di liberarsene. Il suo battito cardiaco,
segnalato da una serie di numeri ai lati dello schermo, saliva pericolosamente.
Ma ad un’occhiata
più attenta, si accorse che tutte le siringhe erano collegate a dei tubicini
trasparenti che venivano fuori direttamente dalla sabbia. Sollevò la testa e si
accorse di un’ ulteriore siringa che penzolava sopra la sua testa con l’ago che
luccicava pericolosamente, appesa anch’ essa ad un tubicino. Forse le sarebbe
bastato tirare quella siringa, ma lei la guardò e scosse violentemente la
testa.
Il secondo dopo, gli
aghi si staccarono magicamente dalla sua pelle, la siringa appesa sopra di lei
scomparve e la sua paura mutò, ma lo scenario rimase lo stesso.
Il livello
dell’acqua crebbe e il fondo sabbioso iniziò ad assorbire il suo corpo
lasciandolo sprofondare. Aria riprese ad agitarsi, a muovere freneticamente le
braccia e a guardarsi intorno disperata.
Continuò a
sprofondare nell’acqua e nella sabbia, fino a quando non rimase fuori solo la
testa.
Poi accadde qualcosa
di strano.
Prese un respiro
profondo e chiuse gli occhi, immergendosi totalmente in acqua e trattenendo il
fiato.
Inspiegabilmente, il
battito cardiaco scese a livelli nella norma, e il computer registrò il dato
passando alla paura successiva. Ma Aria non aveva fatto nulla per superare
quell’ostacolo, si era solo lasciata annegare.
Lo scenario cambiò
nuovamente, Aria era ancora distesa ma sta volta su un letto. Si trovava in una
camera da letto dalle pareti lilla, e sul pavimento c’era un ambio tappeto
colorato. Quando la ragazza aprì gli occhi, vide la porta della cameretta
chiudersi di scatto e sentì distintamente il rumore della serratura che
scattava.
Troppo tardi, Aria
saltò giù dal letto e si scagliò contro la porta, cercando di aprirla ma senza
riuscirci. Iniziò a battere con i pugni contro il legno, agitandosi ancora.
Sconfitta, diede le
spalle alla porta e vi si lasciò scivolare contro, ritrovandosi seduta per
terra.
Osservò la stanza in
preda al panico, studiando le mensole stracolme di libri e notando la finestra
spalancata di fronte a lei.
Era la sua via di fuga,
ogni scenario della paura ne aveva una, ma lei non lo sapeva.
Guardò allora la
punta delle sue scarpe nere, e qualcosa sembrò scattare nella sua mente. Si
abbracciò le ginocchia con le braccia e vi appoggiò sopra la fronte, iniziando
a dondolarsi piano avanti a indietro.
-Intrepida,
Intrepida, Intrepida…- iniziò a sussurrare, in una cantilena lenta e continua.
Il battito cardiaco
segnalato dal monitor scese, sempre di più. I minuti erano arrivati a sedici,
ma la sua simulazione della paura si concluse senza alcuna spiegazione.
Quanto Eric si
ritrovò davanti al monitor dopo che il file con il video si era chiuso, il suo
respiro era accelerato e la fronte imperlata di sudore. Si affrettò ad inviare
le registrazioni dei quattro iniziati con i tempi più bassi, e archiviò tutti
gli altri.
Il suo compito era
quello di visionare le allucinazioni e di inviare quelle che, secondo lui,
avevano qualcosa di sospetto. Aveva deciso di inviare quelle con i tempi
migliori, dato che i Divergenti, di solito, erano bravissimi ad uscire dalle
simulazioni. In quel modo, i video con le allucinazioni che erano durate troppo
a lungo, erano al sicuro. A nessuno sarebbe venuto in mente di andare a
guardarle, dando per scontato che nessun Divergente poteva nascondersi fra chi
aveva impiegato più di dieci muniti per uscire dalle proprie paure.
E, invece, fra di
loro un Divergente c’era.
Appoggiò i gomiti
sulla scrivania e seppellì il volto fra le mani.
Una Divergente.
Aria era Divergente.
Come spiegare in
altro modo le siringhe che sparivano da sole, senza che avesse fatto nulla per
superare quella paura? Come giustificare il cambio di scena dopo che si era
lasciata affogare nell’acqua? Come era possibile che, attraverso le sue scarpe,
avesse capito che, in quanto Intrepida, non poteva trovarsi in quella che
doveva essere stata la sua camera quando era fra gli Eruditi?
Solo i Divergenti
erano coscienti duranti le allucinazioni.
Si passò le mani
sopra la testa e si afferrò i capelli corti, tirandoli con forza.
Spense il computer e
si alzò con uno scatto, dando un calcio alla sedia, poi uscì dalla stanza senza
disturbarsi di spegnere la luce.
Camminò per i
corridoi bui con il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, i pugni serrati
per la rabbia e la mascella che, a furia di contrarla, iniziava a fargli male
come tutte le volte che si lasciava accecare dall’ira.
Perché, fra tutti
quanti, proprio lei doveva essere una maledetta Divergente? Lo era davvero, o
si era sbagliato? Magari era stato un giudizio troppo affrettato, forse c’era
un'altra spiegazione.
Ma, se aveva visto
giusto, era spacciato.
L’avrebbero scoperta
e lui non avrebbe potuto nasconderla e, se mai fosse riuscito a proteggerla,
quanto gli sarebbe costato quel gesto?
Cosa stavano
rischiando realmente, a cosa stavano andando incontro?
Quello, nella sua
vita, era uno dei momenti in cui doveva chiedersi cosa era realmente importante
per lui. Poteva salvare la sua posizione, svolgere il compito che gli era stato
assegnato e consegnare Aria. Oppure poteva sfruttare quella sua stessa
posizione per nascondere i video incriminanti e proteggerla.
Credeva ancora nella
guerra e nel loro obbiettivo, e non aveva alcun motivo per proteggere i Divergenti,
che li sterminassero pure, avrebbero avuto tutti meno problemi. Non era
cambiato niente nel suo modi di pensare, di essere e di comportarsi.
Ma, nelle sue
priorità, qualcosa era salito al primo posto.
Aria era al primo
posto.
Gli bastava pensare
ai suoi occhi, alle sue labbra e al suo corpo caldo abbandonato fra le sue
braccia per capire che per niente al mondo avrebbe lasciato che qualcuno la
gettasse nello strapiombo.
L’ aveva vista cadere
dal sentiero che risaliva il Pozzo, e aveva dovuto mantenere il controllo.
Aveva visto il suo corpo ricoperto di sangue e ferite per le frustate di Finn,
e non aveva potuto fare altro che rimanere al suo posto. Ma, dopo averla vista
piangere in infermeria, e dopo averla vista disperarsi nelle sue allucinazioni
della paura, sapeva che non si sarebbe mai più sentito impotente e che non
avrebbe mai più permesso a niente di farle del male.
Aveva già deciso di
tenerla al sicuro dalla guerra, e di certo non avrebbe rischiato che gliela
portassero via e la uccidessero perché era una Divergente.
Lei era sua, sua e
basta, l’avrebbe protetta a qualsiasi costo.
Avrebbe trovato la
sua via di fuga.
Era pur sempre il
capofazione degli Intrepidi, aveva rispetto e potere, doveva esserci per forza
il modo di tenere al sicuro l’unica persona a cui teneva.
Arrivato alla sua
stanza aprì la porta ed entrò dentro al buio, chiudendola di scatto il secondo
dopo.
Le tende lasciavano
filtrare la luce lunare, che illuminava il letto dove, seduta al centro, c’era
Aria. Pensò che fosse un bene averla trovata già sveglia, così non avrebbe
dovuto svegliarla.
Luna era distesa
vicino ai suoi piedi, mentre la ragazza sedeva con la trapunta tutta
raggruppata attorno alle gambe. Aveva i capelli arruffati, e si strofinò gli
occhi con i pugni come una bambina.
-Dove sei stato?-
biascicò, con la voce impastata dal sonno.
-Aria…-
Quando posò gli
occhi su di lui, per il tono allarmato con cui gli aveva sentito pronunciare il
suo nome, Aria dovette sicuramente notare la sua espressione sconvolta e il
modo in cui il suo petto si sollevava e si riabbassava, al ritmo del suo
respiro decisamente accelerato, perché lo guardò corrugando le sopracciglia.
Eric prese un
profondo respiro e serrò un pugno. –Che risultato ha dato il tuo test
attitudinale?-
Aria lo guardò e
rimase a studiarlo per diversi secondi, continuando a corrugare la fronte e a
piegare la testa per guardarlo da diverse angolazioni.
Scosse la testa.
–Intrepida. Ma perché me lo chiedi?-
Eric parve tornare a
respirare in quel momento, fece una brave corsa fino ad arrivare al letto e vi
puntò le ginocchia mettendosi accanto a lei.
La ragazza però ebbe
quasi un fremito di paura, per la velocità e l’intensità del gesto.
-Ne sei sicura?- Le
chiese Eric, guardandola dritto negli occhi. –Se c’è qualcos’altro a me puoi
dirlo...-
Aria guardò da un’
altra parte, ma Eric, sempre più agitato, le prese il viso fra le mani.
-Devi dirmelo, è
importante!- le disse.
Ma lei non capiva,
lo guardò storto e scosse la testa, divincolandosi dalle sue mani che le
tenevano il viso. –Eric è notte, che ti prende? Io non…-
-Aria!- L’ammonì,
tornando serio e con la solita autorità.
-Intrepida!- sbottò
alzando le braccia. –Ne sono sicura!-
Il ragazzo si
ricompose, si passò una mano fra i capelli e respirò profondamente, ma poi,
qualcosa dovette saltargli alla mente perché la guardò spaventato. –Chi ha
eseguito il tuo test?-
-Un uomo Abnegante.-
Rispose, alzando le spalle.
Eric scattò. –Lo hai
visto scrivere qualcosa al computer, ha inserito lui manualmente il risultato?-
-No, è apparso sul
monitor!- disse con voce squillante, guardandolo storto. –Lo ha perfino girato
per farmi vedere!-
Le sue parole non
bastarono a convincere Eric, che ancora la guardava come se stesse aspettando
che cadesse a pezzi da un momento all’altro.
Sembrava
ossessionato da qualcosa. –Ha detto altro? Era in dubbio per qualche motivo?-
Quando vide il volto di Aria rabbuiarsi, e i suoi occhi perdersi in qualche
vecchio ricordo, Eric impallidì. –Parla!-
-Ha detto che era
strano, perché per un attimo aveva creduto che il risultato sarebbe stato
Erudita…-
Il ragazzo scosse la
testa e la guardò dubbioso. –E perché mai credeva che il test avrebbe dato come
risultato gli Eruditi?- chiese, scandendo e sputando fuori con disprezzo ogni
singola parola.
Aria si scostò
leggermente da lui, intimorita. –Non lo so…-
Eric a quel punto,
si mise le mani davanti agli occhi, avvilito. –Aria…- iniziò, ma poi capì che
doveva controllarsi, perciò prese un pesante respiro e ricominciò. –Va bene,
procediamo con calma.- Propose.
La ragazza parve
tranquillizzarsi, e gli prestò attenzione.
-Nel tuo test,
dovevi fare subito una scelta. La carne o il coltello, giusto?-
-Sì- Rispose Aria,
attenta e decisa ora che la conversazione stava svoltando verso qualcosa che comprendeva.
–Io ho preso il coltello.-
-Perfetto!- Eric
assottigliò lo sguardo, soddisfatto. –Poi è sbucato fuori il cane inferocito, e
tu lo hai attaccato con il coltello?-
Considerato
l’entusiasmo con cui le pose la domanda, Aria capì che si aspettava una
risposta positiva, si strinse nelle spalle e abbassò la testa, sapendo di non
poterlo accontentare.
Eric, sedutole
accanto, colse il significato dietro il suo atteggiamento e attesa la sua
risposta con il cuore che aveva smesso di battere.
-Io ho pensato che,
con un misero coltello, non avevo speranza contro i suoi denti e contro le sue
zampe, se mi fosse saltato addosso. Così mi sono lasciata cadere a terra,
fingendomi svenuta. Sapevo che avrebbe abbassato la guardia e che non mi
avrebbe attaccata.-
Eric abbassò la
testa, lo sguardo spalancato e perso nel vuoto di chi ha appena visto ogni sua
certezza dissolversi nel vento. Aveva considerato quell’opzione, ma trovarsela
davanti era devastante. Chiuse gli occhi per qualche secondo e cercò di
ricordare a sé stesso quali erano le priorità e come risolvere il problema.
–Cosa è successo
dopo?- chiese senza guardarla, con un filo di voce.
Sapeva già che
qualsiasi cosa la ragazza avesse aggiunto non avrebbe migliorato la realtà.
-È apparsa una
bambina, che ha attirato l’attenzione del cane e lo ha fatto tornare a
ringhiare.-
Fece una pausa per
studiare l’espressione di Eric, trovandolo con la testa bassa e lo sguardo
spento. Si rifiutava di guardarla, e pensò che fosse tanto immerso nei suoi
tormenti che non l’ascoltasse neppure. –Avevo ancora il coltello in mano, così
sono corsa dietro al cane e gli sono saltata addosso, pugnalandolo sulla
schiena.-
Il ragazzo sollevò
la testa e nei suoi occhi balenò una piccola scintilla, piegò la testa da un
lato e si prese alcuni secondi per riflettere.
–Aria, nessun
Intrepido risparmia il cane e arriva alla bambina.- Spiegò con rammarico. –Ma è
anche vero che nessuno, tra quelli che ci arrivano, ha ancora il coltello in
mano e lo usa contro il cane.-
Aria, sentendolo
parlare, si accorse della punta di orgoglio e speranza che gli era apparsa
nello sguardo, ma non disse nulla.
-La visione si è
conclusa a quel punto, vero?- Le chiese, spiandola con la coda dell’occhio.
Si strinse ancora
nelle spalle e abbassò la testa. –No…-
Eric serrò la
mascella e i suoi occhi si spalancarono per la rabbia, aveva un’ espressione
feroce, quasi spaventata.
Aria continuò. –Mi
sono trovata su un autobus, un uomo aveva in mano un giornale e continuava a
chiedermi se conoscevo il tizio ritratto in prima pagina. A me sembrava di
conoscerlo, ma quello lì era così insistente e maleducato…-
-E quindi?- La
incalzò Eric, vedendo che impiegava troppo tempo per dargli la risposta che
aspettava.
-Gli ho dato un
pugno sulla faccia.- Ammise in imbarazzo, abbassando la testa e sollevando solo
gli occhi per vedere se lui si infuriava o altro. –Sul naso!-
Forse per tutta la
tensione accumulata, forse per il modo in cui aveva parlato, come una bambina
che confessa una marachella, Eric si concesse una breve risata.
Aria si rilassò e,
se in parte era offesa per il fatto che si fosse messo a ridere, dall’altra
parte era sollevata per averlo visto tornare calmo.
Eric, infatti, alzò
per un attimo gli occhi al cielo, per concentrarsi, e poi li posò su di lei. Le
si avvicinò e le accarezzò una spalla con la mano, cercando poi di guardare in
basso per nascondere l’agitazione che ancora gli si muoveva nello stomaco.
–Aria, quando il
test mostra diverse scene, è perché il risultato è incerto.- Le spiegò. –Tutti
quelli che hanno avuto come esito gli Intrepidi, hanno preso il coltello e lo
hanno usato contro il cane alla prima occasione, e il loro test si è concluso
lì. Il tuo, invece, aveva bisogno di escludere gli Eruditi…-
Quando Eric lasciò
cadere la testa in avanti, come se il peso che aveva sulle spalle fosse troppo
grande, Aria sollevò le sopracciglia. –Di escluderli?- chiese.
-Il test
attitudinale è tutta una questione di scelte,- Le disse, con calma e pazienza,
tornando finalmente a guardarla. –A seconda di come decidi di agire, vengono
escluse determinate fazioni.-
-Spiegami.- Disse
Aria, osservandolo con attenzione.
Per un attimo, la
ragazza ebbe quasi l’impressione che Eric si divertisse a darle tutte quelle
delucidazioni, come amavano fare gli Eruditi. Ma le sembrò assurdo, così scosse
la testa senza essere vista.
-Prendendo il
coltello, all’inizio, hai escluso i Pacifici e gli Abneganti. Loro non
avrebbero mai preso un’ arma.- Le disse, avvicinandosi ancora. –Il problema
nasce all’arrivo del cane, quando hai iniziato a riflettere sulla mossa
migliore da fare, decidendo poi di buttarti a terra. Quella è una cosa che
farebbero gli Eruditi…-
La paralizzò con uno
sguardo affilato e tagliente come una spada.
Aria capì che Eric
era contrariato dal suo modo di agire da Erudita e, oltre a rimanere intimorita
da quello sguardo, si arrabbiò con sé stessa.
-Ma un Erudito non
si metterebbe mai ad inseguire il cane, scapperebbe via, e non lo colpirebbe.
Quella è una scelta da Intrepida.- Le disse Eric, con una punta di dolcezza,
per quanto il suo carattere gli permettesse di essere gentile. –Scelta che hai
confermato sull’autobus. Non hai confessato il nome del ricercato sul giornale,
come farebbe un Candido, e non ti sei messa a discutere con quell’uomo, come
farebbe un Erudito.-
La ragazza si portò
le ginocchia al petto e rimase in silenzio, decisamente più sollevata ma carica
di dubbi.
-Hai fatto qualcosa
che solo un Intrepido poteva fare.- Le disse malizioso, con tanto di
sopracciglio alzato.
-Quindi adesso ti
sei convinto del mio risultato?-
Eric si incupì,
serrò le labbra e parlò seriamente. –Sei sicura che il risultato del test sia
comparso e non sia stato inserito?-
-Sì, ma Eric…-
-Credo che tu abbia
una lieve divergenza…- Buttò lì, togliendole la parola.
Aveva lanciato
quella bomba tutta d’un fiato, perché sapeva che se si fosse fermato a
riflettere, non sarebbe mai riuscito a dire quello che provava. Peccato che, il
solo dire quella parola ad alta voce, lo fece sentire come se avesse appena
incassato un pugno in pieno stomaco.
Aria, dal suo canto,
ebbe una reazione tipica da Erudita. La sua vecchia fazione, infatti, odiava i
Divergenti e insegnava ai bambini a stare alla larga da quelle persone con
strani poteri mentali.
–Cosa? Stai
scherzando, divergenza?- farfugliò con voce squillante. –Dove hai sbattuto la
testa?-
-Eri cosciente
durante la tua allucinazione della paura, oggi?- Le chiese deciso, quasi fosse
un severo rimprovero.
Lei scosse la testa
e lo guardò come se avesse detto la più grande delle assurdità. –No! Ero
confusa, non capivo cosa mi stava succedendo e…-
-E allora come hai
fatto a fare sparire gli aghi e a non affogare?- Le urlò contro, avvicinandosi
al suo viso come una sfida a mentire ancora.
-Bè perché…- Ma poi
Aria lo guardò e sul suo volto apparve una profonda indignazione. –Aspetta un
momento, come lo sai?-
Eric deglutì e
sollevò il mento con fare distaccato, rifiutandosi di farsi condizionare dalla
sua espressione offesa, pur sapendo di essere stato colto in flagrante.
–Rientra nei mie compiti visionare le simulazioni per il secondo modulo…-
Gli occhi di Aria si
spalancarono insieme alla sua bocca, e il suo sguardo si accese di rabbia, così
come le sue guance si accesero di rosso. –Cosa? Non è giusto, perché hai visto
le mie paure, è tipo una cosa personale!-
-Aria rispondi!-
ringhiò Eric.
-Non sapevo dove mi
trovavo né perché ero lì- Sbottò, guardandolo di traverso. –So solo che, ad un
certo punto, mi sono chiesta: come fanno delle siringhe ad essere collegate
alla sabbia? E, quando il livello dell’acqua è salito, ho pensato che non
serviva e nulla avere paura, così mi sono lasciata andare..-
Il ragazzo scosse la
testa, ancora arrabbiato. –E come hai fatto ad uscire da quella stanza?-
Aria storse il naso
e lo guardò con profondo rammarico, facendogli capire che quella paura era
davvero personale e che avrebbe preferito non parlarne. –Ho visto le mie scarpe
e i miei vesti neri e ho pensato che, anche se non capivo come ero finita
ancora lì dentro, voleva dire che non facevo più parte degli Eruditi, ma che
avevo già scelto gli Intrepidi. Perciò, prima o dopo, mi avrebbero fatta
uscire!-
-Era la tua stanza
quando vivevi ancora con la tua famiglia?-
Aria lo guardò con
rabbia. –Sì!- sibilò a denti stretti.
Eric analizzò la sua
reazione, e capì che non era il caso di aggiungere altro, anche perché il modo
in cui gli aveva risposto era sufficiente. Iniziò a riflettere, e poi cercò il
suo sguardo per parlarle.
–Avresti potuto
avere due risultati al test, Eruditi ed Intrepidi, risultando così una
Divergente!-
La ragazza lo guardò
con le sopracciglia contratte, dubbiosa e ancora arrabbiata.
Eric continuò. –In
pochi sanno però che, molti Divergenti, stranamente, ottengono un solo
risultato e nessuno si accorge della loro divergenza. È anche vero che, in
alcuni casi, nonostante nel test si evidenzi chiaramente la predisposizione per
una determinata fazione, alcune scelte vengano influenzate dal modo di pensare
della vecchia fazione d’appartenenza. Quindi, se si ha una lieve divergenza
verso la fazione in cui si è nati, e se il test attitudinale non la conferma, è
tutto nella norma.-
-Eric, non sono una
Divergente!-
-No, non lo sei!-
ammise, tornando finalmente in sé. –Tutte le scelte che hai fatto hanno
determinato che sei un’ Intrepida. E, per quando riguarda la scelta di buttarsi
a terra, non solo gli Eruditi calcolano la mossa migliore per attaccare…-
Quando Eric rise,
per la prima volta in maniera sincera e spensierata, senza arroganza, Aria
rimase ad osservarlo e nascose un sorriso.
–Perché ridi?- gli
chiese.
Il ragazzo la guardò
e, nei suoi occhi verde chiaro, la nebbia che di solito li avvolgeva si
dissolse. –Perché era lo stesso metodo che usavo io per superare le mie paure:
usavo la logica!-
Aria abbassò la
testa e si strinse nelle spalle, con un piccolo sorriso a fior di labbra. Per
una sconosciuta ragione, scoprire i punti in comune che aveva con Eric le
scaldava il cuore. Tuttavia non capiva come fosse possibile che il capofazione
degli Intrepidi usasse proprio la logica per uscire dalle simulazioni, era una
cosa da Eruditi, ed Eric era la persona più Intrepida che avesse mai conosciuto.
Scrollò le spalle e decise che era meglio non chiedere nulla.
-Devi stare
attenta,- Le sussurrò il ragazzo, mettendole una mano dietro la schiena. –La
tua lieve divergenza potrebbe essere notata, devi cambiare il modo in cui
affronti le tue paure nelle simulazioni, e non raccontare a nessuno il tuo test
attitudinale.-
Ascoltò in silenzio
ma, ad un centro punto, ad Aria venne un dubbio. –Come fai a sapere tutte
queste cose sul test attitudinale e sui Divergenti?-
Eric si irrigidì e
guardò da un'altra parte senza nascondere la sua rabbia, tornata a deturpargli
i lineamenti. –Fa parte del mio lavoro…-
-Fa parte del tuo
lavoro?- Aria lo guardò con sospetto.
-Non fare domande di
cui potresti pentirti!- le sibilò contro il viso, assumendo un comportamento
spietato.
Non poteva certo raccontarle
delle sue discussioni con la rappresentate degli Eruditi, né del suo ruolo
nella caccia ai Divergenti.
-Perché eri tanto
spaventato all’idea che potessi essere una Divergente?-
Sentendosi porgere
quella domanda, Eric si incupì e smise di ricambiare il suo sguardo. Non poteva
dirle la verità, certo, ma una parte di realtà poteva anche concedergliela.
Sarebbe servito a metterla in guardia e, dire ciò che pensava ad alta voce,
avrebbe aiutato lui a prendere coscienza di ciò che realmente provava nei confronti
di quella ragazza. –I Divergenti non hanno vita lunga fra gli Intrepidi, e non
mi piacerebbe vederti fare una brutta fine…-
Perché era quella la
sua preoccupazione, e l’unica risposta che poteva concederle. Era quello che
aveva fatto cambiare le sue priorità, e che aveva sconvolto il suo modo di
essere e di pensare. Se in gioco c’era la vita di Aria, Eric era disposto a
cambiare le carte in tavola e a fare i conti con sé stesso e con chiunque
altro, solo per lei.
Sul volto di Aria si
inseguirono la paura per la brutalità della sua frase, ma poi capì che Eric
stava cercando di proteggerla e abbassò lo sguardo.
Preferì cambiare i
toni della conversazione, spostandosi su qualcosa di più leggero.
-Non vale, tu
conosci le mie paure!- gli disse con tono falsamente offeso.
Eric fece un ghigno
divertito. –Sì, è ho qualche domanda per te. Ad esempio, da dove viene la paura
per gli aghi?-
La ragazza lo guardò
storto. –Non intendo rispondere, sono fatti miei!-
-Perché dovresti
avere paura di qualche piccolo ago, non sai resistere al dolore di una puntura?-
La provocò, leccandosi abilmente le labbra con la punta della lingua
-Non ho paura di uno
stupido ago!- sbottò, incenerendolo con lo sguardo. –Ho paura delle iniezioni!-
Eric la osservò per
un attimo, studiando il modo in cui si stringeva nelle spalle, come a volersi
fare sempre più piccola quasi fino a sparire.
-Ho paura di quello
che può esserci dentro le siringhe…- sussurrò, con gli occhi fisse sulle
proprie gambe.
Le passò una mano
sul viso, con la sua solita dolcezza rude e prepotente. –Dimmi perché.-
-No!-
-Andiamo…- le disse
con voce rauca, mettendole anche l’altra mano sull’altra guancia. –Perché non
vuoi mai dirmi niente? Pensi di essere più seducente con tutti i tuoi segreti?-
Alzò i suoi occhi
scuri su di lui e fece un’ espressione furba. –Parla prima tu allora, tu mi
dici una delle tue paure, e io ti spiego una delle mie.-
Eric sollevò un
sopracciglio e serrò la mascella, era piuttosto infastidito dalla piega che la
situazione aveva preso, non essere più quello in vantaggio non gli piaceva
affatto. Tuttavia era curioso, e voleva a tutti i costi scoprire da cosa
derivava quella paura e, dato che lei ci teneva tanto a tenerla nascosta, per
Eric scoprirla diventava una questione d’orgoglio. In una battaglia
immaginaria, ottenere quell’informazione rappresentava la vittoria e, di
sicuro, lui voleva vincere.
-Avevo paura
dell’obbedienza. Il pensiero di dover sottostare a qualcuno, o il dover
obbedire agli ordini, mi faceva salire i nervi.- Acconsentì di dire,
distaccato.
Gli occhi blu di
Aria lo incatenarono, carichi di attenzione e calore. –E perché avevi quella
paura?-
Piegò la testa da un
lato, la sua curiosità lo esaltava. Ghignò. –Proprio tu, una ragazzina ribelle
che veniva dagli Eruditi e che non vedeva l’ora di liberarsi, mi chiedi da dove
venga la mia paura per l’obbedienza? Aria, non ti dice niente?-
La ragazza fece un
cenno con la testa, continuando a prestargli attenzione. Per lei era normale
cercare la libertà, era stata per anni imprigionata in una fazione che odiava,
ma da dove nasceva la ribellione di Eric? Dava per scontato che fosse nato fra
gli Intrepidi e che fosse stato sempre il più forte, che si fosse sbagliata?
Eric la guardò in
silenzio per diversi secondi, con i suoi occhi chiari ridotti a due fessure da
cui la fissava minaccioso, illuminati da una strana emozione che non riusciva a
riconoscere. Era come se si aspettasse qualcosa da lei, forse c’erano delle
cose che le sfuggivano, ma le parole del ragazzo misero fine ai suoi pensieri.
-Ho affrontato la
mia iniziazione carico di rabbia e con la voglia di arrivare in alto, ero
determinato, e qualsiasi ostacolo sulla mia strada era d’intralcio. Non
sopportavo dover obbedire agli istruttori e agli altri capi.-
-E poi sei diventato
un Capofazione, così non c’è nessuno che può dirti cosa fare!-
Eric guardò Aria e
le accarezzò i capelli che le ricadevano sul braccio. –Direi di essere stato
piuttosto esaustivo, ora tocca a te…-
Quando si passò una
mano sulla testa per ravviarsi i capelli, Aria sospirò ed abbassò lo sguardo.
–mia madre era un medico così, quando iniziai a comportarmi come un animale selvaggio, come diceva lei, si
portò a casa una scorta di sedativi e siringhe chechiuse in un armadietto.- sollevò gli occhi
su di lui e lo guardò intensamente. –Tutte le volte che correvo per strada, o
quando mi arrampicavo da qualche parte, o se scopriva che a scuola ero andata a
giocare con i figli degli Intrepidi, mi inseguiva con una di quelle dannate
siringhe e mi iniettava il sedativo.-
Eric osservò il modo
in cui iniziò a stringere la trapunta fra le mani e, dentro di lui, sentì la
rabbia crescere e soffocarlo. Avrebbe dovuto essere dispiaciuto per lei,
provare dolore, e invece era solo arrabbiato. Forse era vero che l’unica cosa
che era in grado di provare era la rabbia.
-Avrei preferito
qualsiasi cosa, ma non quella sensazione d’ impotenza che provavo tutte le
volte che mi iniettava quel maledetto sedativo. Dormivo per qualche ora e,
tutte le volte, mi svegliavo sentendomi inutile ed arrabbiata. Ho scelto gli
Intrepidi per non sentirmi più debole e indifesa.-
-È per questo che
quella volta in infermeria, quando ti ho fatto dare quell’anestetico, ti sei
agitata in quel modo?- le chiese piegando la testa da un lato, cauto.
Aria sollevò lo
sguardo verso di lui e spalancò gli occhi, lo guardò con rammarico per qualche
munito, ma poi parve rassegnarsi e abbassò la testa scrollando le spalle.
-Basta parlare!-
affermò Eric. –È tardi e sono stanco!-
Si alzò in piedi e
si liberò dei pantaloni che indossava, infilandosi sotto le coperte.
Aria si spostò per
fargli posto, e gli allungò le coperte. La gatta, che ancora dormiva nella
parte bassa del letto, saltò giù e si riappisolò sul pavimento. Le luci della
stanza erano spente, ma attraverso le tende iniziava ad entrare un po’ di luce,
segno che il mattino non era lontano.
-Se non hai
abbastanza sonno per dormire, posso stancarti io…- Disse Eric con voce calda e
sensuale, prendendole il viso fra le mani ed iniziando a baciarla con crescente
bramosia.
Aria sorrise contro
le labbra di Eric e gli mise le mani sulle spalle, si sdraiarono insieme e si
persero in un gioco di baci e carezze che orami erano abili a fare, fino a
quando non si separarono per addormentarsi.
-Non posso crederci
che tu non mi abbia mai parlato di questo!-
Aria caricò la
pistola con uno scatto e sollevò lo sguardo su Sasha, appoggiata al muro poco
distante dal tavolo con le armi. -Ti avevo detto che stavo seguendo un corso al
poligono, dove pensavi che andassi quando sparivo prima di cena?-
Sasha alzò gli occhi
al cielo e scosse la testa. –Certo, ma non mi hai portata qui, e non mi hai
detto quando sei brava!-
La bionda si
riferiva alla fila di bersagli appesi al meccanismo mobile che aveva centrato
nonostante il movimento. Il macchinario aveva già sostituito i bersagli colpiti
con altri nuovi.
-Ti ho promesso che
mi sarei comportata da vera amica e ti ho portata con me, semplice!- le spiegò
Aria.
Dopo il loro litigio
si stava impegnando per condividere di più con la sua amica, ma sorrise, quella
situazione sembrava strana per entrambe. Si risistemò i capelli dietro
l’orecchio e si avvicinò alla posizione per sparare con la pistola in una mano.
I primi tre colpi
partirono e lasciarono un foro al centro del bersaglio, Sasha indietreggiò ma
fece un piccolo sorriso. Aria si voltò verso di lei e le fece segno perché
vedesse i suoi risultati. Stava per riprendere a sparare, quando sentì delle
voci rimbombare nel corridoio prima del poligono e, di fatti, poco dopo, due
ragazze entrarono nella grotta.
La prima che aveva
fatto il suo ingresso era una giovane Intrepida con i capelli neri striati di
blu, era molto alta e magra, con un naso a punta ad occhi piccoli eppure, nel
complesso, aveva un aspetto molto gradevole. Ma, alla vista della seconda
ragazza, Aria trattenne un fremito e per poco non lasciò trasparire quello che
provava. Non era la prima la volta che la vedeva, aveva i capelli rossi
raccolti in uno chignon scomposto che non riusciva a contenere i suoi ricci
ribelli, era alta e magra e piuttosto attraente con il suo sorriso furbo.
Non aveva avuto modo
di analizzarla le altre volte che l’aveva notata, ma l’aveva riconosciuta
ugualmente. Si scambiò un’occhiata con Sasha e vide che anche lei aveva capito
di chi si trattava, d'altronde, erano insieme quando l’avevano vista
avvicinarsi ad Eric in palestra. In realtà Aria l’aveva anche vista parlare con
lui a mensa.
Ebbe un tuffò al
cuore quando i suoi occhi si incrociarono con quelli della rossa.
-Oh!- esclamò
proprio lei, con un sorriso imbarazzato eppure perfetto. –Non sapevamo che ci
fosse già qualcun altro!-
Aria avrebbe voluto
dirle qualcosa, dato che si era rivolta a lei con un atteggiamento piuttosto
gentile, ma era rimasta paralizzata.
-Bè, c’è posto per
tutti!- tagliò corto l’altra ragazza, avanzando verso i bersagli.
La ragazza con i
capelli rossi alzò gli occhi al cielo e poi lanciò un’ occhiata divertita ad
Aria, come a volersi scusare per i modi sbrigativi della sua amica.
Mentre le due si
avvicinavano al tavolo con le armi per scambiarsi qualche parola, Aria si voltò
verso Sasha e le mostrò ogni dettaglio della sua espressione allarmata,
facendole segno di andare.
Ma Sasha la guardò
storto e scosse le testa, mosse le labbra per dirle di no e la incitò con le
mani a tornare a sparare.
Aria non era
d’accordo, sfruttò il fatto che le due le dessero le spalle, e che quindi non
potessero vederla, per parlare usando solo il labiale -Ma hai capito chi è?-
La bionda fece un
cenno, si accertò che le altre ragazze non la vedessero e mosse le labbra
scandendo poche parole. –Vecchia fiamma Eric!- poi aggrottò le sopracciglia
aggiungendo, sempre senza voce: -Che t’importa?-
L’occhiataccia che
le rivolse fu sia per l’assurdità che aveva detto, come se fosse facile per lei
condividere la stanza con una che chissà in che rapporti era stata con Eric e,
soprattutto, per l’aggettivo vecchia
fiamma.
Stava davvero per
andarsene, quando sentì una voce cristallina rivolgersi a lei.
-Sei stata tu a
farlo?- chiese la rossa, indicandole il bersaglio con i tre fori al centro.
Aria deglutì e fece
un cenno poco convinto.
-Però,
complimenti!-E sorrise.
Mentre sorrideva le
si delineavano deliziose fossette ai lati della bocca. La sua voce era molto
sottile e melodica.
Aria si impose di rimanere
ferma nella sua postazione quando le due presero posto vicino a lei, mentre lanciava
un’ altra occhiata a Sasha. L’amica continuava a farle segni senza farsi vedere
per incitarla a comportarsi come se nulla fosse.
Ma come faceva a
comportarsi con naturalezza? Sentiva le gambe deboli e il cuore le batteva a
mille, era troppo imbarazzante trovarsi quella ragazza vicino. La guardò e si
accorse che, l’unico difetto che poteva trovarle per farsi coraggio, erano le
sua ossa lunghe e spigolose. Forse era un po’ troppo magra, ma per il resto era
perfetta. Aveva gli occhi di un verde caldo e un viso semplice ed elegante.
Trascinandosi dietro
il peso delle gambe che sembravano di gomma, e cercando di ripetere a sé stessa
che non c’era niente di cui preoccuparsi, tornò in posizione per sparare dando
le spalle a Sasha.
Prese un profondo
respiro, cogliendo l’ironia di quella situazione e prese la mira.
-Allora, Leah, di
cosa doveva parlarmi?- Chiese la ragazza dai capelli neri e blu, puntando un
bersaglio.
Leah? Pensò
Aria, era quello il nome di quella ragazza?
-Niente
d’importante.- Anche Leah prese la mira. –Come ti va con il tuo lavoro alla
recinsione?-
Tra un sospiro e
l’altro, Aria sparò un colpo mancando il bersaglio, e cercò di ritrovare la
calma. Sasha osservava da poco lontano, con le braccia incrociate al petto. Le
due ragazze, invece, posizionate sulla linea di tiro vicino a lei, continuarono
la loro discussione. La mora raccontò della noia del suo impiego come guardia.
-Anche io mi sto
annoiando, ultimamente. Come ti va con quel Roger?- Chiese Leah alla sua amica.
Aria guardò un’altra
volta Sasha, sperando che cambiasse idea e che si decidesse ad andare via, ma
la trovò concentrata sulla conversazione che stavano avendo le due Intrepide
che, dandole le spalle, non potevano accorgersi di essere osservate.
Alzò gli occhi al
cielo e sparò un colpo, raggiungendo la testa del fantoccio.
La ragazza con i
ciuffi blu si perse in una lunga conversazione sulla sua relazione con un tizio
che lavorava con lei alla recinzione e, insieme alla rossa, si alternavano per
sparare.
-Come è finita con quel
ragazzo con cui ti vedevi?-
-Katy, te l’ho già
detto, mi annoiava e l’ho scaricato!- Disse Leah, facendo partire un colpo di
pistola.
-E con Eric?-
Aria sparò un colpo
che colpì pietosamente la parte bassa del bersaglio. Si voltò verso Sasha e la
trovò con gli occhi incollati sulla rossa, mentre si mordicchiava l’unghia del
pollice. Non si accorse nemmeno dello sguardo disperato che le lanciò.
-Non me ne parlare!-
Fece Leah, alzando una mano. –Non so che gli prende, mi ignora totalmente da
diversi giorni!-
Avendo realmente
finito i colpi del caricatore, Aria si avvicinò al tavolo dietro di lei e
caricò l’arma. Sasha colse l’occasione per avvicinarla e per sussurrarle in un
orecchio. -Sai come si dice, conosci bene il tuo amico, e meglio il tuo
nemico!-
Sentiva un calore
scorrere sulla pelle, era agitata e nervosa, ma serrò le labbra e tornò in
posizione.
-Non vorrei
ricordartelo,- Disse Katy, poco distante. –Ma è da quando vi siete lasciati che
Eric ti ignora, e non è che prima ti degnasse poi di chissà quali attenzioni!-
Aria mandò giù il
nodo che aveva in gola e sparò.
-Certo, ma almeno
prima veniva a cercarmi!- brontolò Leah.
-A sì? E per cosa ti
cercava, per scopare?-
Aria si paralizzò
sul posto e sentì il cuore balzarle contro il petto.
-Certo! Perché, cosa
pensi che volessi farci io, giocare a carte?-
Katy
rise. –Dico solo che, se vuoi una relazione di quel tipo, conosco molti ragazzi
molto più disponibili di Eric!-
-Ma
vuoi paragonarli con lui? È così eccitante, e poi scopa benissimo!-
Aria
sussultò e sentì le mani tremarle.
-Dai
Leah!-
-E
poi è un Capofazione, pensa che bello sarebbe essere la sua compagna! Sarei
rispettata, sarebbe forte!-
-Su
questo ti do ragione…-
-Secondo
me si fa un’altra, è l’unica spiegazione!-
Sta
volta non si voltò verso Sasha, si voltò e basta. Raggiunse il tavolo con le
armi e vi lasciò sopra la sua pistola, senza nemmeno privarla del caricatore
come le avevano detto di fare quando le avevano spiegato le regole del
poligono.
Aveva
il battito cardiaco a mille, la mente e le mani in fiamme e le orecchie che
fischiavano.
Scopare,
Sarei rispettata,
Si fa un’altra, è l’unica spiegazione,
L’unica spiegazione.
Aria
aggirò il tavolo e si riallacciò il suo nuovo giubbotto di pelle, quello che
Eric aveva preso per lei. Quella ragazza, Leah, forse era carina e gentile ma
era un’idiota.
Forse a lui piacciono così, le disse maligna la voce nella sua testa.
No,
non era vero. Forse Eric non aveva mai avuto una relazione seria in vita sua,
ma non l’aveva portata nella sua camera e nel suo letto solo per scopare. E, se si era stufato di quella
sgualdrinella da quattro soldi, non era solo perché aveva trovato un’altra da
portarsi a letto.
Quella
non era l’unica spiegazione.
L’aveva
allontanata perché aveva trovato di meglio, e quella Leah avrebbe dovuto
farsene una ragione.
Si
accorse che stava ragionando in modo diverso dal solito, e non capì se fosse la
rabbia a farla delirare, o se gli Intrepidi erano entrati in lei fino al punto
di condizionare il suo modo di pensare.
-Aspetta
un attimo!- Disse Leah.
Aria
sia voltò e la guardò senza fiato, cosa voleva? Per un attimo nella sua mente
si delineò l’idea che avesse scoperto tutto.
-Vuoi
siete iniziate?-
Strabuzzò
gli occhi a quella domanda.
-Sì,
perché?- intervenne Sasha.
Leah
spostò il suo sguardo da Aria a Sasha e sorrise. –Quindi vedete spesso Eric, il
capofazione, perché vi addestra anche lui, vero?-
Sasha
fece un cenno.
-E
non è che, per caso, sapete se si vede con qualcuna?-
Sasha
guardò per un attimo Aria, ma poi scosse la testa. –Non che io sappia.-
Leah
fece un’ espressione demoralizzata e tornò vicino all’altra ragazza.
Aria
raggiunse Sasha a grandi passi e la seguì verso il corridoio ma, un attimo
primo, ebbe un ripensamento. Sentì tutta la sua forza tornarle in circolo e si
lasciò piegare le labbra da uno strano sorriso.
-Aspetta!-
disse richiamando l’attenzione di Leah. –Se vuoi, se dovessimo notare qualcosa,
te lo diciamo!-
Leah
la guardò per attimo stranita, poi si scambiò uno sguardo con Katy e sorrise
raggiante. –Sarebbe forte e, se vuoi, io potrei insegnarti a sparare…- disse,
indicando il suo bersaglio.
Guardandolo,
Aria si accorse che solo i primi tre colpi, quella che aveva sparato quando era
da sola con Sasha, erano andati a segno al centro. Gli altri erano tutti sparsi
sulla figura, lontani dal bollino rosso.
Fece
un sorrisetto o, forse, stava iniziando ad adottare il ghigno strafottente di
Eric.
–Ma
certo!- rispose.
Quando
uscirono nel corridoio, Sasha le diede una gomitata. –Sei perfida!-
-Hai
detto tu che devo conoscere bene il mio nemico, stavo solo cercando di
tenermela buona…-
La
bionda la guardò per un attimo, poi le si avvicinò. –Va tutto bene? Non sei
arrabbiata per quello che ha detto?-
Aria
continuò a camminare, senza disdegnare la vicinanza dell’amica, e per un attimo
pensò alle parole di Leah.
Pensò
ad Eric, ma poi scosse la testa. –E perché? Lui ha smesso di vedersi con lei
per me, dovrebbe essere lei ad avere qualche problema!-
Nella
sezione pomeridiana per il secondo modulo, Aria si era trovata nuovamente
difronte alle sue paure. A differenza della prima volta, il suo copro aveva
reagito molto meglio permettendole di concentrarsi sul coraggio e non sul timore.
Si
era ritrovata in un luogo buio con degli scheletri luminescenti che avanzavano
verso di lei ma, superato lo shock iniziale, li aveva affrontati prendendoli a
calci. Spariti gli scheletri, aveva dovuto affrontare una paura peggiore,
ritrovandosi in una stanza ampia e sempre buia, ma davanti a lei era
posizionata un’ urna cineraria.
Vedendola,
era andata per un attimo nel panico ma poi, pensando che non poteva sapere a
chi appartenevano quelle ceneri, aveva preso fiducia in sé stessa e aveva dato
un calcio all’urna mettendo fine all’allucinazione.
In
quel momento, ripensando alla sua simulazione della paura e al perché dei suoi
timori più profondi, Aria stava raggiungendo il ponte vicino allo Strapiombo,
noto punto cieco per le telecamere, diventato punto di incontri segreti. Svoltò
l’angolo e, accorgendosi della figura appoggiata alla parete rocciosa, sentì il
cuore saltarle in gola.
Eric
aveva le braccia comodamente incrociate al petto, con il complicato intreccio
di tatuaggi in mostra, e i due piercing sul sopracciglio che luccicavano sotto
la flebile luce. Colse il sorriso arrogante con il quale l’accolse e si gettò
fra le sue braccia forti, lasciandosi accarezzare i capelli da una delle sue
mani ruvide. Respirò a pieno il suo profumo maschile, godendosi i brividi che
le percorsero la schiena.
-Ehy!- La salutò Eric, abbassando il suo sguardo su di lei.
-Ehy!- gli rispose, con un sorriso nascosto.
La
mano di Eric si spostò sotto il suo mento, costringendola a sollevare la testa
per baciarlo. E, mentre le loro labbra si univano in un crescere di passione e
calore, la mente di Aria fu attraversata dall’immagine della mano di Eric che
si posava sulla fossetta ai lati della bocca di Leah, mentre le teneva il viso
per baciarla.
Dovette
scostarsi bruscamente, cercando di scacciare il brivido che l’aveva colpita
come un pugno al petto.
-Che
ti prende?- Sbottò Eric, scocciato, mentre le scoccava un’occhiata di traverso.
Si
sforzò di sorridergli. –Niente, scusami…-
Eric
sospirò e la osservò abbassando la testa verso di lei. –Come è andata la tua
allucinazione di oggi?-
Il
sorriso che gli mostrò non fu per nulla sforzato, al contrario, faticò a
trattenerlo. –Decisamente meglio, erano paure secondarie!-
-Tempo?-
-Sei
minuti!-
Il
ragazzo mostrò un ghigno divertito. –Molto bene!-
Aria
si strinse nelle spalle quando Eric le accarezzò il braccio. –E tu, che hai
fatto oggi? Adesso non devi più prendere parte agli allenamenti!- gli disse.
-Ho
comunque il mio carico di impegni!- le rispose, tornando serio. –Come ti dicevo
stamattina, è meglio che sta notte rimani al dormitorio. Eviteremo di dare
nell’occhio, e poi domani devo alzarmi presto per delle faccende da sbrigare.-
-Va
bene!- affermò Aria, con un piccolo sorriso.
La
ragazza si accorse della scintilla di delusione che comparve negli occhi di
Eric, forse si aspettava che fosse dispiaciuta all’idea di non poter dormire
con lui, ma ne avevano già parlato e trovava appropriata quella decisione. Una
parte di lei sentiva già la mancanza e il bisogno disparato di perdersi nel
calore di Eric, ma non poteva dipendere in quel modo da lui.
Non
quando la sua mente era bombardata da immagini di corpi nudi che si
intrecciavano, o dal pensiero delle mani di Eric sul copro esile di Leah,
magari avvolti fra le stesse lenzuola in cui aveva dormito lei.
Il
ragazzo la strinse contro il suo petto e le baciò sensualmente il collo,
inondandola con il suo desiderio, mentre le faceva scorrere le mani lungo la
schiena. Le piacevano quelle attenzione, le carezze di Eric erano selvagge e
prepotenti, la facevano sentire desiderata e completamente sua.
E
lei voleva essere sua.
Come
quando aveva trovato il coraggio di raggiungerlo sotto la doccia, abbattendo
ogni suo muro ed Eric l’aveva stretta a sé come a non volerla più lasciare
andare via.
Magari
anche Leah aveva fatto la doccia con lui al mattino.
Si
irrigidì.
-Ma
che hai?- scattò Eric, liberandola bruscamente dal suo abbraccio.
Aria
abbassò gli occhi e scosse la testa, non voleva che capisse a cosa pensava, né
voleva dimostrarsi tanto incline ai suoi sentimenti. –Niente, sono solo
piuttosto stanca…-
Eric
piegò la testa da un lato e la guardò con una smorfia, non credendo
assolutamente alle sue parole. Lo vide di sfuggita mentre le si avvicinava e
analizzava l’espressione del suo volto con crescente disgusto.
Abbassò
ancora lo sguardo per impedirgli di scorgere qualcosa che avrebbe potuto
tradirla, anche se era impossibile che le leggesse nella mente e che scoprisse
i suoi pensieri.
Dovette,
però, sollevare la testa quando ebbe un fremito, causato dalla mano di Eric che
colpiva con forza la parete vicino al suo viso.
-Mi
stai nascondendo qualcosa, Aria?- Le disse tra i denti, quando finalmente ebbe
la sua attenzione.
Il
braccio muscoloso di Eric era steso contro la parete alla quale era appoggiata,
creando una piccola gabbia in cui il ragazzo la imprigionava. Vedeva il suo petto
alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro carico di collera e si strinse
ancora nelle spalle con il cuore a mille, notando il modo in cui la rabbia
tendeva i lineamenti del viso di Eric.
-No!-
disse decisa, guardandolo negli occhi.
Eric
serrò la mascella e prese alcuni respiri profondi, iniziando a guardarsi
intorno come se stesse cercando di ritrovare la calma. Si ridrizzò, togliendo
anche il braccio dal muro e serrò con forza la mascella.
-Fa’
come ti pare!- Le disse con voce rauca, la stessa che usava quando era
arrabbiato.
Si
rifiutò di guardarla, tenne lo sguardo alto e rivolto da un’altra parta, mente
spostava in avanti la mandibola e serrava le labbra.
Aria
si scostò dalla parete e sentì le mani tremarle, mentre seguiva con lo sguardo
la schiena di Eric allontanarsi. Diede un leggero pugno alla roccia e trattenne
le lacrime dalla rabbia, dandosi mentalmente della stupida.
Era
vero, le parole di quella ragazza le risuonavano ancora nelle orecchie e le
immagini di lei con Eric le danzavano davanti agli occhi, ma non avrebbe dovuto
lasciarsi influenzare da quella sciocchezza. Chissà con quante ragazze Eric era
già stato, e chissà con quante ancora sarebbe stato, pensarci era assurdo.
Si
avviò verso il dormitorio ignorando il dolore che sentiva al petto, si era
lasciata trasportare dalla sua mente avvelenata, ed era finita col trasmettere
quel veleno al suo cuore e perfino ad Eric.
Quella mattina si
era svegliata con una strana sensazione, ma aveva deciso di non tenere troppo
conto della cosa.
Nel pomeriggio si
era seduta, per l’ennesima volta, sulla poltrona per le allucinazioni del
secondo modulo, e aveva serrato gli occhi quando Quattro le aveva iniettato il
siero. Si era trovata ad affrontare una paura piuttosto assurda, ovvero quella
per uno specchio che le restituiva la sua immagine. Aveva ragionato per pochi
secondi e poi aveva caricato il pugno contro la superfice riflettente,
rompendola.
Terminati gli
impegni giornalieri, Aria si era ritrovata diretta verso il poligono, senza
sapere con precisione quando avesse realmente preso la decisione di andarci.
Nei pressi della grotta, però, aveva avvertito chiaramente il rumore di spari.
Considerato l’incontro non proprio piacevole che aveva fatto l’ultima volta che
era stata al poligono, decise di procedere con cautela, e di sbirciare
all’interno prima di entrare. Facendo capolino solo con la testa, Aria si
accorse del ragazzo che sparava. Aveva i muscoli del copro tesi e scattanti e,
dato che teneva le braccia distese per reggere la pistola, i tatuaggi che gli
decoravano entrambi gli avambracci erano in bella mostra.
Si fece coraggio ed
entrò, richiamando subito l’attenzione del ragazzo, pur non avendo fatto nulla.
-La tua crisi da
adolescente mestruata ti è passata?- Esordì Eric, sgarbato, o forse era più
opportuno definirlo letale.
Lo vide ricaricare
la sua pistola con movimenti secchi e colmi di rabbia, mentre i lineamenti del
suo viso erano contratti, come se fosse sull’orlo di esploderle.
Non la degnò di uno
sguardo.
Aria strabuzzo gli
occhi e incrociò le braccia al petto, senza sapere se ridere oppure offendersi
per le sue parole. –Non ho avuto nessuna crisi, Eric!-
-Certo, come no!- la
canzonò, mentre si posizionava per sparare. –Quindi sono io che mi sono
immaginato tutto, o sei solo lunatica?-
La ragazza pensò di
avvicinarsi ma, quando lui iniziò a sparare, cambiò idea. In posizione, con
l’arma in mano, Eric era quanto di più temibile avesse mai visto, il bersaglio
che aveva scelto era trivellato di colpi tutti intorno al centro rosso.
-E poi,- riprese
Eric, sostituendo ancora un volta il caricatore della pistola. –Anche se la tua
fosse stata una crisi, non me ne diresti il motivo.-
Aria non rispose, lo
guardò intensamente, decisa.
-Ti diverte non
dirmi mai niente, sei proprio una bambina quando fai così!- Sentenziò lui,
gettando malamente sul tavolo l’arma che aveva in mano.
-Eric, se fosse
stato qualcosa d’importante te lo avrei detto. Perché non puoi credermi e
basta?-
Il ragazzo la guardò
e rimase per diversi secondi in silenzio, in un gioco di sguardi letali e
arrabbiati, in una sfida silenziosa.
Incrociò le braccia
al petto. –Ti credo.-
-Le donne che ti
facevi prima ti dicevano sempre tutto?- lo provocò, senza tuttavia abbassare la
guardia.
I ruoli sembravano
invertiti, Eric era vicino alle pistole, dove era lei di solito. E lei,
prendendo il posto che di solito occupava lui, era sull’ingresso con le braccia
al petto.
-Sì e, di fatto, non
sono qui. Mi hanno stancato e le ho scaricate.- Le rispose. –Qui ci sei tu.-
Aria scosse la
testa. –Allora, se ti piace se ogni tanto tengo la bocca chiusa, perché mi
offendi definendomi continuamente una bambina?-
Eric mise in mostra
il suo ghigno più brillante, e le si avvicinò minaccioso. –Chi ti dice che sia
un’offesa?-
Nel momento stesso
un cui le si parò davanti, in tutta la sua forza, Aria capì di essere in
trappola. Guardò i suoi occhi scintillanti e la sua espressione beffarda,
incapace di formulare un ragionamento logico.
-Dormi con me
stanotte?- Le chiese con la sua voce suadente, abbassando la testa in avanti
per esserle più vicino.
In un istante, Eric
vide gli occhi blu di Aria accendersi come fari nella notte, e il suo sorriso
incurvarsi. Solo lei sapeva compiere quegli sbalzi d’atteggiamento così rapidi,
passando da arrabbiata a provocante.
-Se vuoi…- gli
rispose, arricciando le labbra.
Il ragazzo inarcò un
sopracciglio. –Se voglio?- scandì.
Aria fece un sorriso
irritante, eppure, seducente. –Ti sono mancata?-
Cogliendo la sfida,
pronto a ribaltare la situazione a suo favore, Eric le mise un braccio intorno
ad un fianco. –Si, mi sei mancata.-
La vide arrossire.
-Per te, forse, non
deve essere stato un problema dormire senza di me. Oppure ti sono mancato?-
indagò, perfido.
Lei alzò gli occhi
al cielo e sorrise ancora, sta volta guardandolo. –Mi sei mancato, Eric!-
A quel punto anche l’altro
braccio di Eric andò a cingerle la vita. –Apprezzo ogni lato di te Aria, sia
quello ribelle, che trovo estremamente sensuale, sia quello più semplice.-
spostò una mano sulla sua guancia imporporata. –Mi eccita la tua innocenza…-
La ragazza lo vide inumidirsi
le labbra con la punta della lingua, come faceva spesso, e sentì il cuore
mancarle di un battito. Aria, infatti, era una falena vittima dell’incanto
della luce. Ma, nel suo caso, Eric era molto più pericoloso, e insieme molto
più attraente, di un innocuo bagliore.
-Anche se, a conti
fatti, non sei più tanto innocente!- costatò lui, osservandola dall’alto.
Sentendo la sua
lieve risata di scherno, Aria gli diede un pugno scherzoso sul petto. –Bè, è
colpa tua!-
-Lo so!- rispose
tranquillamente, con tanto di alzata di spalle.
Aria lo guardò
imbronciata.
Lui non le tolse gli
occhi di dosso neppure per un istante. –Ma devi fare la brava, perché non puoi
più comportarti come ieri sera.-
La ragazza colse il
guizzo maligno nel suo sguardo. –Perché, se no che fai?- sussurrò con gli occhi
nei suoi.
Il modo in cui piegò
le labbra lo rese dannatamente eccitante. –Dovrò arrabbiarmi!-
-Non mi fai paura!-
-Risposta
sbagliata!-
Quando la strinse
forte, avvolgendole i fianchi con i suoi muscoli per morderle il collo, Aria si
lasciò sfuggire un gridolino di dolore.
Eric allentò la
presa e la guardò preoccupato.
Aria riprese fiato e
strinse le mani attorno alle braccia di Eric, mordendosi il labbro inferiore.
–Il dolore al fianco, va e viene…- spiegò.
Piegano la testa da
un lato, il ragazzo le tastò, con mano esperta, il punto fra le costole dove
aveva un livido violaceo. –Non è ancora passato?- le chiese.
Sussultò quando le
dita di Eric iniziarono a premere sul punto esatto da cui si irradiava il
dolore. –No!- gemette.
Nessuno dei due
accennò al fatto che, quel livido, era stato causato dal calcio di Peter quando
avevano combattuto il giorno della classifica. Nonché il giorno del suo
compleanno, noto anche come il giorno in cui Finn l’aveva aggredita dopo aver
scoperto che si vedeva con Eric.
-Vieni con me,- Le
sussurrò Eric in un orecchio. –Dopo ci pensò io a farti passare il dolore…-
Con assoluta
tranquillità, le fece passare un braccio intorno alle spalle e la guidò lungo
il corridoio fuori dal poligono. Guardandolo di sottecchi, Aria arricciò le
labbra. –Davvero? E come fai, facendomi male da altre parti?-
Eric incurvò le
sopracciglia e fece un sorriso sinistro. –Potrebbe essere un’idea!-
Aria gli diede una
piccola gomitata sulle costole. –Non mi dai un bacio?-
-Non te lo meriti!-
-Cosa?- chiese,
falsamente offesa.
-Il fatto che ti
conceda di non spiegarmi il motivo del tuo comportamento di ieri sera, non vuol
dire che ti abbia perdonata…-
La ragazza sbuffò e
scosse la testa.
Attraversarono tutto
il corridoio sotterraneo e, solo quando arrivarono ad un altro passaggio
solitamente più trafficato, Eric le tolse il braccio da attorno al collo, ma
rimasero comunque molto vicini. In quell’ala, le parati erano in cemento a
vista e il pavimento lucido e scivoloso, ogni loro passo rimpiombava in un eco.
Grazie all’amplificazione dei suoni, i due colsero prima il chiacchiericcio e
il rumore di passi e, dopo, videro il gruppo di persone che svoltò l’angolo e
che stava avanzando verso di loro.
Si scambiarono un’
occhiata.
Eric si raddrizzò ed
iniziò a camminare dritto con le spalle, allacciando le mani dietro la schiena.
Aria, da parte sua, cambiò mentalmente la situazione in cui era, comportarsi
come se fosse stata una qualsiasi iniziata in compagnia del suo istruttore,
nonché capofazione, limitando a zero i contatti e dimenticandosi del rapporto
che condividevano.
Non era un bene che
qualcuno li incontrasse da soli in un corridoio, gli altri capi ormai sapevano
di loro, ma gli avevano imposto di non dare nell’occhio. E, farsi scoprire da
soli, quando in altre circostante Eric non avrebbe mai condiviso il suo tempo
con un’ iniziata, poteva destare sospetti.
Ma poi Aria si
accorse che, nel gruppo di persone che si avvicinavano, il colore predominante
era l’azzurro. Erano tutti Eruditi, ad eccezione dell’Intrepido che gli faceva
strada e, se da una parte si tranquillizzò perché agli Eruditi non importava
nulla della regola della sua nuova fazione che vietava le relazioni con gli
iniziati, dall’altra parte si sentì mancare.
Perché gli Eruditi
erano nella residenza degli Intrepidi, possibile che la seguissero persino lì?
In particolare, una
volta che procedendo con il loro cammino lei ed Eric si trovarono in prossimità
del gruppo, notò due persone che le fecero fermare il cuore.
Erano entrambe
bionde ma, quella in prima fila era una donna con un caschetto ordinato di
ciuffi chiari, occhi freddi e un sorriso severo. Era Jeanine Matthews, la
rappresentante degli Eruditi e, dati i suoi trascorsi personali con lei, Aria
avrebbe preferito non incontrarla.
Eric, al suo fianco,
si irrigidì e serro la mascella con un’ espressione terrificante, a stento
trattenuta. Lo vide fermarsi un passo indietro a lei per avvicinarsi alla
parete e permettere al gruppo di passare, e anche lei lo imitò.
Non le piaceva il
fatto di trovarsi in linea retta con Eric, come se gli Eruditi, passando,
avessero dovuto scandagliarli. E, tanto meno, le piaceva essere la prima della
fila. Quando Jeanine le passò davanti, infatti, posò prima i suoi occhi su di lei
per studiarla in silenzio, poi li posò su Eric.
Ma Eric, invece di
guardare la donna, spostò il suo sguardo sulla seconda testa bionda individuata
precedentemente da Aria. Inarcò le sopracciglia e schiuse le labbra,
probabilmente colpito dalla somiglianza disarmante che quella ragazzina Erudita
aveva proprio con Aria.
-Eric, ti cercavo.
Posso parlarti un attimo?-
Nonostante il suo
tono di voce fosse come al solito educato e composto, Aria notò che quella di
Jeanine non era una domanda, ma un ordine velato da un sorriso. Notò, inoltre,
il modo brusco con cui aveva parlato, come se non avesse altro tempo da perdere
e fosse già sull’orlo di arrabbiarsi.
Storse il naso al
pensiero che qualcuno potesse rivolgersi in quel modo ad Eric, tanto più
considerato che era una donna, di un’altra fazione per giunta. Nemmeno ad Eric
doveva essere piaciuto quell’atteggiamento, di fatti lo vide serrare la
mascella e guardare Jeanine dall’alto con le spalle ancora dritte. Tuttavia non
disse nulla e, la cosa, insospettì Aria. Lo vide seguire quella donna pochi
passi più in là, senza perdere la sicurezza che ogni suo muscolo trasmetteva,
ma con una nota di accondiscendenza che su di lui stonava terribilmente.
-Ciao!-
Aria non si
preoccupò di voltarsi, poiché sapeva già a chi apparteneva quella voce, rimase
per un attimo con lo sguardo su Eric e sul modo in cui i suoi muscoli si
tendevano ad ogni parola di Jeanine. Quando invece si voltò verso chi le aveva
parlato, poté vedere sua sorella gemella che la osservava con un sorrisino.
Serrò la labbra per la somiglianza che, per fortuna, con la crescita era
diminuita, ma rimanevano comunque quasi identiche.
Avevano la stessa
forma del viso, lo stesso colore diafano della pelle, gli stessi occhi, anche
se cambiava il colore e un po’ il taglio. I suoi erano leggermente più tondi,
dandole un aspetto più innocente, quelli della sorella erano allungati e le
conferivano un’ aria austera.
-Ciao Amber!-
rispose con finta calma, per togliersi di dosso il disaggio che le procurava quello
sguardo inquisitorio.
-Come va la tua
iniziazione?-
A quell’ennesimo
sorrisino, che conosceva bene, Aria pensò che sua sorella fosse rimasta
bloccata in quell’espressione antipatica e falsa, forse incapace di manifestare
realmente i propri sentimenti come la maggior parte degli Eruditi.
-Molto bene, grazie.
Ti chiederei della tua, ma immaginò già che tu abbia superato i primi test al
massimo dei voti.- Le rispose.
Gli altri Eruditi
che avevano seguito Jeanine si erano radunati in un religioso silenzio vicino
alla parete opposta, come a voler lasciare il giusto spazio a Jeanine che
discuteva con Eric.
Amber però si era
staccata dal gruppo per piazzarsi davanti a lei. –Grazie della fiducia!- disse
con quello che, per la prima volta, sembrò un vero sorriso di gratitudine.
Con la coda
dell’occhio, Aria tornò a seguire la discussione fra Eric e la rappresentante
della sua vecchia fazione. Non riusciva a sentire cosa si dicevano, ma vedeva
l’agitazione della donna e l’immobilità del suo capofazione.
-E ti trovi bene qui?-
Le chiese Amber, per richiamarla.
Tornando a
guardarla, si accorse che aveva ancora il suo sorrisino arrogante. –Benissimo!-
Incrociò le braccia
al petto e guardò verso Eric sperando che avesse finito con Jeanine, perché non
riusciva più a sopportare la presenza della sorella, né tutti i ricordi che si
portava dietro.
-Ma certo,
d'altronde la grande Ariana non sbaglia mai!-
Tuttavia, quando
sentì il tono di voce usato stavolta contro di lei, Aria si voltò di scatto.
Gli occhi di Amber si erano fatti più sottili e, nella scarsa luce del corridoi
sotterraneo, i suoi lineamenti affilati si erano fatti minacciosi.
-Oh, scusa- Fece
portandosi una mano davanti alle labbra. -Immagino che qui tu ti faccia
chiamare Aria!-
Eccola lì la sua
vera sorella, ora sì che la riconosceva. Solo lei era capace di fingersi gentile
il secondo prima, e di lanciare frecciate avvelenate quello dopo. E, solo lei,
poteva squadrarla in quel modo penetrante.
-Che cosa vuoi,
Amber?- Sbottò. -Tu hai fatto la tua scelta ed io la mia, sto bene qui,
lasciami in pace!-
Lo sguardo di Amber
si affilò ancora di più e le sue sopracciglia si abbassarono verso il naso.
-Qui non si tratta semplicemente di me o di te!- le sibilò contro, lanciando
occhiate frenetiche verso i suoi compagni di fazione, per assicurarsi che non la
sentissero.
Aria era stanca
delle occhiate crudeli che le lanciava e, se Amber aveva intensione di
infuriarsi e di farsi venire un attacco proprio lì, lei non voleva esserne
partecipe. Aveva ancora le braccia incrociate davanti al petto quando lanciò
l’ennesima occhiata verso Eric, accorgendosi che anche lui la stava guardando.
Per un attimo i lori sguardi si incrociarono e Aria pensò che fossero nella
stessa situazione, entrambi infatti stavano cercando di sfuggire mentalmente
alle due donne bionde che gli inveivano contro. Peccato che lei fosse abituata
all’atteggiamento di sua sorella, e la lasciava fare, ma come era possibile che
Eric permettesse a quella donna di mancargli di rispetto in quel modo?
Jeanine manteneva la
solita compostezza che si chiedeva ad ogni Erudito, esibendo una postura rigida
del copro ma, il suo volto solitamente inespressivo, era stravolto dalla
cattiveria. Aveva persino sollevato un dito per puntarlo contro Eric che, fermo
al suo posto, non si era lasciato intimidire.
Che la stesse
assecondando anche lui?
-Non ti accorgi di
quello che sta per succedere?-
L’ennesima domanda
di sua sorella la riscosse, costringendola a voltarsi. Dovette però riconoscere
che, sta volta, le sue parole avevano colto nel segno.
-Di che stai
parlando?-
-Prova a sentire Aria, le cose stanno per
cambiare.-
Aria inarcò le
sopracciglia e serrò le labbra, osservando con attenzione il viso della
sorella. Sentire era il termine che
usavano da bambine per scambiarsi informazioni segrete, senza che i loro
genitori sospettassero nulla. Derivava dalla credenza che i gemelli sentissero
i pensieri e le emozioni l’uno dell’altro. Dirle di sentire, in altre parole,
significava cogli i segnali.
-Ma che stai
dicendo?- Chiese ad occhi sbarrati, riflettendo per la prima volta sulla
serietà delle parole della sorella.
Ma Amber non
l’ascoltava nemmeno più, sembrava che recitasse la parte di un copione che si
era già stampata nella mente.
-Quando tutto
accadrà, io sarò dalla parte giusta, mentre tu…- i suoi occhi azzurri si
posarono su di lei e la trapassarono con un’ ondata di rabbia e paura. –Farai
solo la parte del burattino!-
Aria rimase senza
fiato e, pur non riuscendo a dare un nome a ciò che provava, venne invasa da
una serie di ricordi e considerazioni, che le fecero capire che il
comportamento di Amber non era del tutto immotivato.
Avrebbero voluto
chiedere spiegazioni in più, ma la voce di Jeanine si fece udire senza
preavviso.
-Possiamo andare!-
Disse, rivolgendosi al gruppo di Eruditi.
La testa di Aria si
abbassò, avrebbe voluto sapere da Amber perché parlava di burattini e parti
sbagliate, ma non c’era più tempo. Guardò un’ ultima volta sua sorella e scosse
la testa per levarsi di dosso la sensazione sgradevole che le aveva lasciato.
Si disse che non c’era motivo per darle ascolto, dato che l’odio di Amber verso
gli Intrepidi e verso di lei poteva bastare per spiegare tutto quello che aveva
detto.
-Quasi dimenticavo…-
Disse Jeanine con voce elegante.-È
stato un piacere rivederti, Ariana!-
Aria si voltò verso
di lei e sentì il suo copro paralizzarsi, la gola le si era seccata e non
riuscì a rispondere nulla, limitandosi a ricambiare con un cenno del capo il
sorriso della donna.
Rimase a guardare anche
quando Jeanine e il suo gruppo di Eruditi proseguirono lungo il corridoio,
stringendo i pugni per la rabbia che aveva provato sentendosi chiamare per nome
da quella rappresentante che tanto disprezzava.
Amber seguì il
gruppo e passò davanti ad Eric, sollevando i suoi occhi inquisitori per
analizzarlo. Ma la sua sicurezza si disperse del tutto quando anche il ragazzo
abbassò gli occhi su di lei, costringendola a stringersi nelle spalle.
Aria scosse la testa
per quello scambio di sguardi tra sua sorella e il suo capofazione, sapendo che
la forza fisica di Eric era pari a quella mentale di Amber, e sorrise al
pensiero di un possibile dibattito fra i due. E, quando il ragazzo si riscosse
dalla sua immobilità, Aria si accorse della sua espressione e sentì una fitta
al petto, ebbe addirittura timore di lui quando si avviò a passo di carica
verso di lei, afferrandola brutalmente da un braccio perché lo guardasse negli
occhi.
-Che cosa ti ha
detto?- le ringhiò contro.
-Chi, mia sorella?
Mi stai facendo male!-
Eric la lasciò
andare quando cercò di togliere il braccio dalla sua presa con uno strattone, e
rimase a guardarla mentre si massaggiava la parte del braccio che le aveva
stretto.
-Rispondi!- la
incalzò.
-Niente! Ha solo
colto l’occasione per ricordarmi quanto sono stata stupida a cambiare fazione,
e quanto brava sia stata lei a rimanere fra gli Eruditi.- Disse con rabbia,
alzando gli occhi al cielo.
Eric parve calmarsi,
guardò il braccio che le aveva afferrato senza alcun riguardo e serrò la
mascella. –Ti somiglia molto.- constatò.
Aria si strinse nelle
spalle con un’ espressione imbronciata, o forse disgustata. –Per forza, è mia
sorella gemella!- Ammise con rammarico. -In realtà siamo gemelle eterozigote,
ci assomigliamo molto ma non siamo identiche!-
-Io non ho detto
questo!- puntualizzò con un sopracciglio alzato.
Guardandolo, Aria trattenne
un sorriso. Era ancora rigido e in collera per qualcosa, ma non vi prestò
attenzione. -Mi stai dicendo che hai notato le differenze, o parli solo del
colore dei capelli?- Indagò con un sorriso nascosto.
Quando il migliore
dei suoi ghigni strafottenti comparve sul suo volto beffardo, Aria seppe che Eric
era tornato in sé.
-Sei più bella!- Le
disse piegando la testa da un lato. –Lei ha il naso troppo dritto e,
soprattutto, non ha le tue labbra…-
-Le mie labbra?-
Eric sogghignò e le
sollevò il mento con due dita. –Sì, mi piacciono molto, ancora di più quando
posso morderle, Aria.- La guardò arrossire e aggiunse. -Oppure dovrei dire Ariana?-
Il volto della
ragazza passò dal rossore per l’imbarazzo a quello per la rabbia. –Tanto per
cominciare non puoi mordermi!- gli disse assottigliando lo sguardo. –Secondo,
non chiamarmi in quel modo o mi arrabbio sul serio!-
Eric parve soppesare
le sue parole e fece un cenno con la testa, prima di guardarla con occhi
crudeli. –Ultimamente stai alzando un po’ troppo la testa per i miei gusti, è
meglio che ti rimetta al tuo posto e che ti ricordi con chi hai a che fare…-
Ignorando le sue
proteste, se la caricò in spalla tenendole ferme le ginocchia contro il suo
petto, portandosela via contro la sua volontà e godendosi i suoi lamenti e i
pugni che gli batteva sulla schiena, pensando con soddisfazione a quando
insignificante fosse il suo tentativo di ribellione.
Un ciuffo di capelli
corvini le scivolò davanti al viso e lo riportò al suo posto passandosi una
mano sulla fronte, intanto cercava di scaldarsi il più possibile. Il freddo
stava definitivamente arrivando e, anche se sotto le coperte, aveva i piedi
gelati. Sospirò, cercando di scorgere qualcosa oltre le pesanti tende davanti
alla vetrate, ma non era tanto facile.
Il copro accanto a
lei si rigirò con poco grazia, mugugnando in cerca delle coperte.
Aria, infatti, era
seduta al centro del letto, tendendo le lenzuola e lasciando scoperto il petto
del ragazzo.
-Dormi!- farfugliò
Eric contro il cuscino, tirandola per la canottiera che indossava.
Sorridendo, la
ragazza si voltò verso di lui.
Eric che dormiva era
un ossimoro. Era privo della solita aura minacciosa che solitamente lo
avvolgeva, rimanendo comunque una massa di muscoli letali e pronti a scattare.
Anche mentre riposava, era impossibile dissociarlo dal suo carattere tenebroso,
i tatuaggi lo marchiavano con un’ aria selvaggia accentuata dalla muscolatura
solida. I lineamenti del viso, sicuramente meno crudeli senza il suo classico
sguardo, erano comunque contratti.
Allungò una mano verso
il volto del ragazzo e accarezzò, con la punta delle dita, la linea sulla sua
fronte, sperando che sparisse insieme a qualche brutto pensiero. Seguì la linea
del sopracciglio con i due piercing e scese sul suo zigomo, osservando le sue
labbra sottili serrate in una linea rigorosa. A quel punto due occhi grigi si
aprirono contro di lei e la studiarono con attenzione e con una certa serietà,
riuscendo quasi a spaventarla.
La forza ferina di Eric
era solo assopita mentre dormiva, ma era pronta a farlo scattare al minimo
segnale, togliendogli la pace che solitamente il sonno dovrebbe concedere.
-Non riesco a
dormire…- disse ritirando la mano, ancora scossa dai brividi che le procurava
quello sguardo penetrante.
Eric rimase in
silenzio per alcuni secondi, incurvando le sopracciglia. Fece un cenno e si
sistemò meglio contro il cuscino. –Come mai?- chiese con voce rauca.
Aria vide che era
infastidito e ancora assonnato, ma non poteva nascondergli ancora i suoi
pensieri. Abbassò gli occhi sulle proprie gambe e strinse le labbra con
amarezza. –Perché ti ho mentito!-
Le sopracciglia di
Eric si curvarono ancora di più verso il centro.
-Riguardo quello che
mi ha detto mia sorella, non mi ha solo accusato per aver scelto gli Intrepidi.
È convinta che stia per succedere qualcosa, e ha parlato di scelte sbagliate e
del fatto che farò solo la parte del burattino!-
Eric si irrigidì.
-Non riesco a
smettere di pensarci…- concluse la ragazza.
Con la coda
dell’occhio, seguì la reazione di Eric, senza capirla. Il ragazzo aveva
contratto tutti i muscoli del viso e si era portato una mano davanti alle
labbra, come a volersi impedire di dire qualcosa di avventato.
-Dimentica tutto
quello che ti ha detto!- scandì in
seguito a bassa voce, nell’evidente sforzo di controllarsi ad ogni singola
parola per non perdere la calma. –A te ci penso io, non hai di che
preoccuparti.-
La ragazza lo guardò
e piegò di lato la testa, rincuorata dalla sicurezza con cui aveva affermato di
occuparsi personalmente di lei. Tuttavia vide il suo turbamento, il suo petto
che si sollevava freneticamente e la nota folle nel suo sguardo cupo.
-Cosa sapete tu e
mia sorella che io non so?- Chiese.
Eric serrò le
mascella e scosse la testa. –Nulla di cui tu debba interessarti. Me ne occupo
io, e ho tutto sotto controllo.-
-Eric...-
-Non farmi domande
se sai già che non potrò risponderti!- scattò. –Dovrai fidarti di me!-
Aria vide il
malessere che quella discussione aveva provocato in Eric, e rimase in silenzio.
Lo vedeva irrigidirsi sempre di più e coglieva ogni tormento dentro i suoi
occhi, sentendosi quasi in colpa per averlo fatto agitare tanto.
-D’accordo, mi
fiderò ti de!- affermò. –Ma, qualunque questione ci sia dietro, tu non può
fidarti di Jeanine!-
Il ragazzo ebbe un
sussulto decisamente evidente e si voltò di scatto verso di lei, guardandola
come se avesse appena ucciso qualcuno. –Che cosa ne vuoi sapere tu?-
Ignorò il modo
sgarbato e arrogante con cui terminò la domanda, apostrofandola con cattiveria.
–La conosco molto meglio di quanto credi, mio padre è uno dei suoi
collaboratori più fidati. O forse, dovrei dire che fa parte del gruppo dei suoi
fedelissimi, come li chiamo io.-
-Cosa ne sai?-
-So cosa può
arrivare a fare.- gli disse. –Mi ha più o meno minacciata, quando mio padre le
ha detto che volevo cambiare fazione. Ha detto che gli Eruditi avrebbero preso
il governo della città e che gli Intrepidi sarebbero stati usati solo come
mezzo per raggiungere lo scopo. Mi ha chiesto cosa volevo essere, se il braccio
oppure la mente.-
Eric trattenne un
ringhio e si portò entrambe le mani sopra la fronte, stringendosi le ciocche di
capelli. Respirò con ferocia e sibilò fra i denti: -Ora piantala Aria, tieni
chiusa quella bocca!-
Aria arricciò le
labbra e assottigliò lo sguardo, forse Eric era infastidito dal fatto che
Jeanine considerasse gli Intrepidi come un mezzo per raggiungere i suoi scopi,
ma la sua reazione era troppo sentita. Doveva esserci altro.
-Non puoi fidarti di
lei!- continuò Aria, senza darsi pace. –Perché quella donna, nell’inganno, può
farti fare tutto quello che vuole. Ti induce a pensare come lei, a comportarti
come lei. Ti convince che ciò in cui crede lei, non solo è giusto, ma è di
vitale importanza. Poi ti demoralizza, ti fa sentire inutile e debole e riesce
sempre a far crollare ogni tua certezza, spingendoti ad aggrapparti
disperatamente a lei.-
Eric serrò un pugno.
-Ti dà qualcosa in
cui credere, un motivo per cui lottare, o addirittura un motivo per vivere.-
Spiegò Aria. –Fa così con tutti, ecco come riesce sempre a manipolare le
persone. Altro che carisma!-
-Ora basta!- sbottò
Eric, mettendosi seduto ad un palmo dal suo viso. –Chiudi quella bocca, o te la
chiudo io!-
Aria si paralizzò,
ritrovandosi il volto furioso di Eric a pochi centimetri dal suo. Era davvero
spaventoso quando si irrigidiva in quel modo, e il suo sguardo non ammetteva
repliche.
Con gli occhi fissi
sulla vena pulsante del suo collo, Aria prese coraggio e gli rispose. –Sai che
ho ragione!-
-Voglio che questa
discussione si chiuda qua!- sibilò Eric, furioso. –Ho la situazione sotto
controllo e sto facendo di tutto per proteggerti. So quello che faccio, dannazione!-
Aria abbassò la
testa in silenzio, ma mantenne la sua espressione offesa. Odiava quando Eric le
si rivolgeva in quel modo, non aveva paura di lui, sapeva che non le avrebbe
mai fatto del male, ma i suoi picchi d’ira erano comunque poco graditi e la
facevano sentire piccola ed indifesa.
E odiava sentirti in
quel modo.
-Forza vieni qui!-
Le ordinò Eric, stendendosi al suo posto.
La ragazza guardò
con la coda dell’occhio le braccia aperte del ragazzo che le offrivano il suo
petto come appoggio e l’idea era piuttosto invitante, peccato fosse ancora
arrabbiata con lui.
-Avanti vieni qui!-
le disse ancora, con voce rauca ma non più adirata. –Dobbiamo dormire.-
Sospirò pesantemente
e gli lanciò un’occhiata imbronciata ma, alla fine, sbuffò e si lasciò cadere
vicino a lui. Si accoccolò sul suo petto caldo e solido, strofinando la guancia
sulla sua pelle e stringendosi contro il suo fianco.
-Non mi permetti mai
di abbracciati mentre dormiamo, ogni volta che mi avvicino ti giri dall’altra
parte oppure mi cacci via!- brontolò, stendendo una mano sui suoi addominali,
mentre si portava l’altra sotto il mento.
Eric soffocò in gola
una risata e giocò con i capelli della ragazza. –Allora cogli l’occasione!-
Un piccolo sorriso comparve
sulle labbra di Aria e, stringendosi nelle spalle, avvolse una gamba di Eric
con i suoi piedi. -Fa freddo…-
-Aria!- l’ammonì,
scalciando via i suoi piedi gelati. –Poi ti lamanti se ti rimando al tuo
posto?-
Tuttavia, fra un
lamento e l’altro, dopo essersi liberato del contatto con i piedi freddi di
Aria, la mantenne vicino a sé sul suo petto. Avvolse perfino la coperta su
entrambi, assicurandosi che la ragazza fosse ben protetta dalla trapunta,
rimboccandogliela bene attorno alle spalle.
Aria sorrise di
nascosto, sapeva che Eric era impaciato e infastidito da quei gesti così
affettuosi, faticando a dissociarli dalla prepotenza con cui a volte la
prendeva, ma doveva farsi perdonare per essersi arrabbiato.
-Devo farti una
domanda.- Esordì Eric, dopo qualche minuto di tranquillità. –Come mai tua
sorella era con Jeanine. Non è solo un’iniziata?-
-Ma Eric, mia
sorella è speciale!- disse con ironia, senza nascondere la sua amarezza.
-Come mai?-
Aria sospirò. –Ha
preso parte ad un progetto importante e ha fatto una scoperta significativa.
Anche se, a dire la verità, non è stato tutto merito suo…-
Avvolta dal calore
del corpo di Eric, la ragazza sospirò e riuscì a non lasciarsi troppo turbare
dai ricordi, quando chiuse gli occhi e ne fu assalita…
I problemi andavano
risolti.
In quei giorni, in
particolar modo, un fastidioso rompicapo disturbava gli studi e i progetti
degli Eruditi. E, poiché, non era nella natura degli Eruditi arrendersi
difronte alle difficoltà, avevano escogitato un sistema per venire a capo del
problema.
Era stato deciso che
il compito di trovare il tassello mancante, sarebbe stato affidato al gruppo di
sedicenni che quell’anno avrebbero fatto la loro scelta, scegliendo a quale società
appartenere. In quel modo avrebbero avuto occasione di testare le effettive
capacità dai futuri iniziati, vedendo di cosa erano capaci, e sperare di trovare la chiave di volta che gli
sfuggiva.
Ariana era seduta su
uno sgabello ad uno dei tavoli del laboratorio, come tutti gli altri futuri
iniziati, guardandosi intorno annoiata. In realtà non ne poteva più, i suoi
compagni erano entusiasti di quell’occasione che gli era stata concessa,
dandosi da fare per riuscire nel loro compito e mettersi in mostra per le loro
abilità. Sua sorella Amber, seduta al suo fianco, era china sul microscopio che
aveva davanti e non batteva ciglio tanta era la concentrazione.
Ma lei sbuffò
sonoramente, non le importava nulla di mettersi in mostra avendo successo per
prima su quella ricerca, lei non sarebbe rimasta in quella fazione. Era
infastidita dai collant che indossava, infatti si grattò disperatamente una
gamba, con poca grazia e cercando di tirare la propria gonna azzurra di più
sulle gambe.
-Hai finito?- Le
chiese Amber, piccata. –Mi stai distraendo…-
Ariana la guardò di
traverso. –Scusami tanto, non tutti qui si stanno divertendo!-
-Se ti annoi tanto
puoi anche andartene, sto cercando di concentrarmi e non ci riesco con te che
ti muovi in continuazione.-
Alzò gli occhi al
cielo e scosse la testa.
Non poteva andarsene
purtroppo, era un compito obbligatorio e tutti gli altri la pensavo come Amber,
concentrati in una gara per la vittoria.
I membri principali
della fazione stavano lavorando ad un particolare siero di sicurezza che
controllava le azioni a distanza tramite un computer centrale, capace di
inviare segnali tramite dei trasmettitori che venivano iniettati nel sangue.
Ariana non aveva idea di cosa se ne facessero di un siero di quel tipo, le era
stato detto che sarebbe stato usato in caso di guerre e scontri pericolosi, ma
lei cercava di interessarsi il meno possibile delle faccende degli Eruditi.
Il problema
principale era che, dopo studi continui, gli scienziati e gli addetti ai sieri
non erano riusciti a scoprire il sistema che avrebbe legato i trasmettitori al
cervello.
Si erano affidati ai
ragazzini che stavano per entrare in società, forse per disperazione, o forse
perché volevano realmente analizzare il livello dei loro futuri iniziati. O,
molto più semplicemente, speravano che fra di loro si nascondesse qualche mente
brillante che avrebbe risolto l’enigma e scoperto come legare i trasmettitori
alle cellule celebrali.
Gli Eruditi
credevano molto nei talenti giovanili, convinti che una mente giovane fosse più
elastica e più sveglia, affidando senza problemi un lavoro importante a giovani
ragazzi non ancora membri effettivi della società. In particolare, la loro rappresentate,
era convinta che i giovani avrebbero avuto successo dove i migliori avevano fallito,
grazie alla loro innocenza e al loro modo di approcciarsi alla realtà, diverso
e più istintivo rispetto a quello degli esperti di laboratorio.
Ariana incrociò le
braccia sul tavolo e ci nascose il viso sopra, stanca. Poi sollevò lo sguardo e
vide il riflesso di sua sorella in un’ ampolla contenente un liquido
trasparente per gli esperimenti e, se non fosse stato per il colore dei
capelli, avrebbe scambiato il volto di sua sorella per il suo.
Erano davvero simili
e, ad un’ occhiata meno attenta, a causa delle scarse capacità di refrazione
del vetro trasparente, qualcun altro avrebbe potuto confonderla con suo
sorella.
Quando il liquido
dentro l’ampolla vibrò, Ariana spalancò gli occhi e sentì un brivido
attraversarle la mente, in un’ intuizione improvvisa.
-Amber, noi siamo
gemelle, se non fosse per il colore dei capelli non riuscirebbero a
riconoscerci con tanta facilità…-
-Ariana!- sbottò la
sorella. –Adesso basta, stai cercando di distrarmi con le tue assurdità? Certo
che siamo gemelle!-
-Sto dicendo sul
serio!- Le disse seria, mettendole una mano sul braccio. -Se i trasmettitori
avessero la stessa composizione chimica o lo stesso aspetto delle cellule
celebrali, il cervello li confonderebbe e li assorbirebbe senza problemi.-
Amber assottigliò i
suoi occhi color del ghiaccio e la guardò con diffidenza, irrigidendosi.
-Pensaci.- La
incalzò con voce assente, persa nei suoi stessi pensieri. -Ci serve un
travestimento per gemellare i trasmettitori con le cellule celebrali, affinché
vengano confusi e vengano riconosciuti dal cervello.-
L’espressione
scettica di sua sorella cambiò, i suoi occhi si spalancarono e le sue labbra si
schiusero. Si voltò ed iniziò a scrivere freneticamente su un pezzo di carta,
facendo calcoli e analisi.
-Si può fare!-
affermò Amber, a bassa voce. –Potrebbe essere l’idea che serviva e, anche se
con qualche complicazione, possiamo modificare i trasmettitori affinché vengano
riconosciuti come cellule del cervello.-
Ariana non disse
altro, attese in silenzio. Non era abituata ad avere dei successi, era sempre
Amber a fare scoperte brillanti e a rimproverarla quando, continuamente,
falliva.
-Hai trovato il
tassello mancante, il tuo potrebbe essere definito un sistema a spettro
gemello.- dichiarò Amber, con calma. –Hai fatto un ottimo lavoro, Aria.-
Spalancò gli occhi
per lo stupore e avvertì una fitta al cuore. –Mi hai chiamata Aria?-
Sua sorella si voltò
verso di lei e le regalò un vero sorriso, uno di quelli che non le mostrava
mai. –Te lo sei meritato!-
Desiderava sentirsi
chiamare solo Aria, ma nessuno nella sua famiglia voleva accontentarla. Al
contrario, le imponevano il suo nome completo e non accettavano minimamente la
sua richiesta, ritenendola insensata e poco a modo.
Ariana sorrise.
-Domani mattina
andremo da papà e da Jeanine, e gli diremo della scoperta che hai fatto. Ne
saranno entusiasti!- Le disse Amber.
Scosse la testa.
–Gli diremo che abbiamo fatto questa scoperta insieme. Senza i tuoi
calcolile mie sarebbero state solo
parole al vento.-
-Ma è stata una tua
idea, sei tu che hai trovato la soluzione! Io non ci sarei mai arrivata.-
-Non dire
sciocchezze!- esclamò. –La mia è stata solo fortuna, è stato un pensiero
assurdo che mi è passato per la mente. Tu invece hai capito che era possibile.-
Amber le sorrise
ancora. –Sei sicura?-
-Sì, è davvero una
scoperta che abbiamo fatto insieme. Sei stata tu a farmi avere l’intuizione,
perché sei la mia gemella!-
Ariana vide sua
sorella nascondere un altro sorriso e si sentì felice, non erano molte le
occasioni in cui andavano d’accordo.
-Allora è deciso!-
dichiarò Amber. –Domani comunicheremo la tua scoperta.-
-La nostra
scoperta!- la corresse.
Ma l’indomani
mattina, Ariana ebbe una spiacevole sorpresa.
Arrivate al
laboratorio, Amber si era allontanata senza dire nulla, ma lei non se ne era
preoccupata. Quando, tuttavia, era passato diverso tempo senza che la sorella
tornasse da lei, aveva deciso di andare a cercarla.
Una parte della sua
mente l’aveva guidata verso l’ufficio di suo padre, per chissà quale ragione e,
attraverso le parati di vetro, aveva visto la peggiore delle scene, capendo
immediatamente cosa stava succedendo.
Dentro lo studio
c’erano quattro persone tutte in piedi. Amber era tra i loro genitori, sua
madre la teneva da entrambe le spalle con un sorriso raggiante, mentre il padre
le stava orgogliosamente accanto. Di fronte a loro, in tutta la sua eleganza,
c’era la rappresentante della loro fazione.
Jeanine parlava
cordialmente con Amber, e anche lei sorrideva.
Nessuno sembrava
felice quanto sua sorella.
Era composta, con le
spalle dritte ed un sorriso educato mentre dialogava con Jeanine, ma Ariana la
conosceva bene e vedeva il suo autocompiacimento e tutta la sua arroganza.
E vedeva il modo in
cui i suoi genitori le stavano vicini, con sorrisi entusiasti e pieni di
orgoglio.
Prima che potesse
arrivare alla porta, Amber si voltò verso di lei e fece un’ espressione
terrorizzata, che tuttavia durò un solo istante. Il secondo dopo le regalò il
più gelido dei suoi sorrisini.
Ariana non si mosse,
era paralizzata dalla verità che le era piombata addosso, però vide suo padre
scusarsi con Jeanine e uscire dall’ufficio. Si avvicinò a lei e le mise una
mano sulla spalla accompagnandola verso un corridoio poco distante.
A quel punto la
strattonò da un braccio e la costrinse a guardarlo. –Ascoltami bene, signorina,
tua sorella ha appena fatto una scoperta importantissima che potrebbe cambiare
la sua e le nostre vite. Vedi di non rovinare tutto!-
Ariana sentiva le
orecchie fischiarle e si sentiva vuota dentro, ma pesante come un macigno.
Guardò suo padre e scosse la testa. –Rovinare tutto?-
Suo padre alzò gli
occhi al cielo. –Amber ha capito come far funzionare i trasmettitori del nostro
nuovo siero di simulazione a distanza. Jeanine vuole vederti, cerca di non
combinarne una delle tue e mettere in imbarazzo tua sorella!-
-Perché Jeanine
vuole vedermi?- chiese con un filo di voce.
-Perché Amber ha
detto che le hai dato una mano nella sua ricerca.- serrò la presa attorno al
suo braccio. –Ma io so perfettamente che non è così, è tutto merito di tua
sorella, ed è già tanto se non le hai dato fastidio!-
Ariana sentì le
lacrime pungerle gli occhi ma le ricacciò indietro, decise però di liberare il
proprio braccio dalla presa di suo padre con uno strattone. –Cosa ha detto
Amber di preciso?-
-Che ha capito come
fare perché i trasmettitori vengano assorbiti dal cervello. Poi ha spiegato che
è stata un’intuizione che le è venuta grazie a te, perché siete gemelle…-
Avvertendo un dolore
simile a quello di una lama infuocata che le attraversava il costato, la ragazza
serrò le labbra e rimase in silenzio.
-Sappiamo entrambi
che è una sua scoperta ma, nonostante il modo in cui la tratti, tua sorella ti
ha sempre a cuore e ha cercato di condividere con te il suo successo.- L’umo la
guardò dall’alto con una smorfia. –Ma a te non interessa niente delle nostre
ricerche, Amber merita che questa scoperta le sia riconosciuta interamente!-
Il ronzio nelle sue
orecchie stava iniziando ad allontanarsi, così da permetterle di sentire il
battito del suo cuore. Strinse i pugni con forza e serrò ancora le labbra,
guardando con espressione vuota un punto imprecisato nella parete che aveva
difronte. Erano anni che non piangeva a causa della sua famiglia, e aveva
giurato che non avrebbe ripetuto quell’errore come quando era piccola, così non
pianse.
Alzò il mento e
parlò con voce gelida, senza guardare il padre. –Hai ragione, non mi importa
nulla di voi, della vostra fazione e delle vostre scoperte.-
Si voltò e si
allontanò a grandi passi, sentì suo padre chiamarla ma non vi prestò ascoltò.
Raggiunse l’ufficio dove erano ancora radunati sua madre, sua sorella e
Jeanine, ed entrò. Mascherò i proprio sentimenti con un sorriso composto e
avanzò verso la rappresentante di quella fazione.
-Ariana, è un
piacere vederti!- esordì Jeanine. –Tua sorella mi ha detto che le sei stata
d’aiuto…-
Non le rispose, si
voltò verso Amber, vedendo il suo sorriso tirato, e le sorrise a sua volta.
–Sono venuta apposta per congratularmicon mia sorella per la sua scoperta.-
Amber ricambiò il
suo sguardo e fece un cenno composto con la testa.
Ariana si voltò
verso Jeanine. –Mia sorella è stata molto gentile, dicendo che le sono stata
d’aiuto, ma è stato tutto merito del suo intelletto.-
-Davvero?- Chiese
Jeanine, assottigliando lo sguardo come se stesse cercando di leggerle nella
mente. –Ha fatto tutto Amber?-
Sorrise
elegantemente. –Assolutamente sì, è stata bravissima!-
Sua madre la guardò
in modo strano, poi abbassò gli occhi verso di Amber e fece un sorriso
accarezzandole una spalla.
Decise di non
guardare sua sorella, rivolse un saluto coriale alla rappresentate degli
Eruditi ed uscì dalla stanza. Si avviò verso l’ esterno con i pugni serrati,
rifiutandosi di piangere mentre si mordeva con forza il labbro inferiore.
Gli altri futuri
trasfazione soffrivano all’idea di dover abbandonare la propria famiglia,
combattuti tra la sceltaper una fazione
che ritenevano più adatta al loro futuro, e i loro familiari.
Ma quello non era il
suo caso, per lei il giorno della Scelta sarebbe stato il giorno in cui si
sarebbe liberata della sua famiglia e sarebbe finalmente entrata a far parte
degli Intrepidi.
Quando la vide
arrivare, ancheggiando sinuosamente, provò una sensazione di vuoto assoluto,
chiedendosi come avesse fatto in passato a trovare quella persona interessante.
Ma la risposta era
piuttosto semplice, e preferì non ricordare il periodo in cui si vedeva con
quella ragazza, tanto meno voleva ricordare il tempo che aveva inutilmente
sprecato con lei. Si era divertito, si era sfogato al momento del bisogno, ma
doversi rifugiare in un letto insieme a lei era più una sconfitta che una
vittoria.
Vide la sicurezza
con cui avanzava, e lo sguardo provocante che gli offriva, come se si credesse
in grado di poter esercitare un certo tipo di influenza su di lui, ma si
sbagliava. L’unica cosa che stava ottenendo, con il suo atteggiamento
conturbante, era risvegliare la sua rabbia.
Strano, se credeva
di essere tanto significativa, avrebbe dovuto sapere che la sua rabbia
dormiente era un pericolo da tenere sempre in considerazione, e che mandarlo in
bestia era la mossa peggiore che potesse fare.
-Trovarti un attimo
da solo sembra più difficile del solito, ultimamente…- esordì melodica,
appoggiandosi distrattamente alla ringhiera davanti a lui.
Non rispose, ma il
suo sguardo assottigliato e letale come una lama, poteva bastare.
Era vicino allo
strapiombo, nel posto cieco per le telecamere, la schiena contro la roccia e le
mani indolentemente abbandonate nelle tasche dei pantaloni. La guardò con un
sopracciglio alzato, studiando il suo fisico asciutto e lineare, decisamente
troppo spigoloso, per quanto le sue forme potessero essere definite attraenti
da qualcun altro.Per lui era stata
attraente, ma non lo era più, non in quel momento che la sua mente era invasa
dall’ultimo corpo nudo che era stato fra le sue braccia. Pensava a quella pelle
pallida che aveva accarezzato, alle sue curve morbide che gli davano calore, e
immaginava di intrecciarsi i suoi capelli neri fra le dita.
E invece, davanti,
aveva un’altra donna. I capelli non erano corvini ma rosso fuoco, i lineamenti
del suo viso erano affilati ma tuttavia armoniosi, e le sue labbra sottili
erano piegate in un sorriso intrigante.
-Allora Eric, che
fine hai fatto?- Gli chiese incrociando le braccia al petto, rimanendo con i
reni appoggiati alla ringhiera.
Alzò il mento e
respirò a fondo. –Non sono affari tuoi, Leah.-
Rise coprendosi le
labbra con una mano. –Ti diverte essere così scontroso, vero? Ma non riuscirai
a mandarmi via così, trovo estremamente eccitante il tuo comportamento da
cattivo…-
Serrò i pugno e fece
una smorfia. –Rendimi le cose più semplici, sparisci senza costringermi ad
arrabbiarmi sul serio!-
La ragazza finse una
smorfia di tristezza e poi sorrise ancora, piegando la testa con fare sensuale.
–Fai sempre così, all’inizio non mi vuoi mai fra i piedi ma poi, quando stiamo
insieme, riesco sempre a farti rilassare.-
-In questo momento,
perché tu lo sappia,- disse con voce sottile e crudele. –Mi stai solo facendo
perdere la pazienza.-
-Allora perché non
saltiamo questi inutili convenevoli e non andiamo subito in camera mia a
scopare?-
Eric digrignò la
mascella e fece scricchiolare le ossa delle proprie dita. –Perché, piuttosto
che scopare con te, mi butterei giù dallo strapiombo.-
Qualcosa attraversò
lo sguardo di Leah, costringendola al silenzio per alcuni secondi, forze
iniziava a capire che aveva scelto il momento sbagliato per richiedere la sua
compagnia. –Questo non lo avevi mai detto- Affermò con un’ alzata di spalle.
–ma mi pare che tutte le volte che siamo stati a letto insieme, tu ti sia
divertito…-
-Erano altri tempi,
e sai perfettamente che ti usavo per scoparti quanto ne avevo voglia. Se non
sono venuto io a cercarti, vuol dire che non ti voglio, perciò sparisci!-
-Dato che non venivi
a cercarmi,- disse. –Sono venuta io da te!-
-Mossa sbagliata!-
ringhiò Eric, con un tono basso e letale.
Si scostò dalla
roccia e con due passi le fu di fronte, afferrandola dalle spalle e
strattonandola.
-Chi è?- Gli urlò lei
contro, resistendo alla sua presa.
Eric rimase
interdetto per alcuni secondi, allentando la stretta.
Cogliendo la sua
confusione, Leah lo anticipò. –Chi è quella che ti fai adesso?-
Quando aveva visto
la chioma di capelli rossi in lontananza, Aria si era appiattita contro la
parete e aveva iniziato ad avanzare con passi lenti e silenziosi, cercando di
mantenere le distanze per non farsi vedere. Era stato un colpo scoprire che
quella ragazza, Leah, stava andando proprio dove doveva andare lei.
Era sicuramente un’
ex di Eric e, all’orario e nel punto prestabilito per il proprio incontro segreto,
si stava presentando quella ragazza al posto suo. Si chiese cosa avrebbe fatto
lui, ma prima ancora si chiese cosa avrebbe fatto lei stessa. Sarebbe rimasta
indietro? Sarebbe tornata sui suoi passi? Oppure, sarebbe andata lì ugualmente?
Non sapeva che
intenzioni avesse Leah, ma voleva scoprirle, perché era chiaro che il suo
obbiettivo fosse Eric. E, se c’era lui di mezzo, a lei spettava sapere.
Con quella
convinzione, aveva seguito la rossa per fermarsi dietro una parete rocciosa
subito prima del punto cieco per le telecamere che Eric aveva stabilito come
loro punto d’incontro.
Aveva sentito la
loro conversazione e aveva colto l’arroganza e la sicurezza di Leah, restando
infastidita dal metodo che usava con Eric, come se credesse che bastasse
ancheggiare un po’ per conquistarlo.
Forse in passato
aveva funzionato, si disse, ma scosse la testa.
La cosa che
realmente la stupì fu l’atteggiamento di Eric, spietato e sicuro. Era abituata
a sentirlo parlare in quel modo con gli iniziati, ma non pensava che avrebbe
trattato così una donna, una con cui era stato, tra l’altro.
Quando Eric si era
spostato in avanti, emanando un’ondata di energia crudele, Aria aveva temuto
per Leah e aveva trattenuto il fiato quando l’aveva vista urtare contro la
ringhiera alle sue spalle. Se Eric avesse voluto, avrebbe benissimo potuto
buttarla giù dallo strapiombo.
-Chi è quella che ti
fai adesso?-
Con la sua domanda,
forse Leah si era salvata la vita, riuscendo a coglierlo in contropiede.
-Che vuoi sapere?-
ringhiò Eric.
-Voglio sapere chi è
quella con cui stai adesso, perché è evidente che c’è un’altra!-
Eric la lasciò
andare e fece un sorrisino sinistro, rimanendo davanti a lei, dritto e solido
come una statua. –Quindi, solo perché non vengo più a cercarti, tu dai per
scontato che ci sia un’altra che mi porto a letto?-
Leah scosse la
testa. –A parte quello, gira voce che il nostro giovane capofazione si sia
invaghito di una ragazzina, c’è chi dice che si tratti di un’iniziata,
addirittura. È vero?-
Aria sussultò,
sforzandosi di rimanere nascosta e in silenzio.
Eric incrociò le
braccia al petto e fece una risatina arrogante. –Chi è che non ha niente di
meglio da fare che mettere in giro strane voci su di me?-
-La domanda che mi
pongo io è un’altra.- Gli disse Leah a bassa voce, mettendogli una mano sul
petto. –Mi piacerebbe sapere se, questa fantomatica ragazza, sa già di quanto
sangue sono ricoperte le tue mani…-
Aria non ebbe il
tempo di scandalizzarsi per le parole di Leah, poiché il suo cuore mancò di un
battito e le salì in gola a causa della reazione violenta e improvvisa di Eric.
Il ragazzo infatti
le mise di scatto le mani intorno al collo, sollevandola fino a costringerla in
punta di piedi. I muscoli delle sue braccia tatuate erano tesi, lasciando
trasparire la forza con cui la stringeva.
-Non osare dire
altro!- la minacciò con voce rauca.
Quando decise che
era tempo di lasciare che tornasse a respirare, non si militò ad allentare la
presa attorno al suo collo, ma la scaraventò a terra con una spinta decisa,
facendole urtare la testa contro la ringhiera.
Nascosta dietro la
roccia, Aria spalancò gli occhi e cercò di fermare il fremito delle proprie
mani.
Leah, accasciata a
terra, si sollevò sulle braccia e tossì in debito d’ossigeno. –All’interno
della fazione, in pochi sanno che fine avete fatto fare, tu egli altri capi, ai
Divergenti. Cosa farebbe se sapesse quante persone sono accidentalmente cadute
nello strapiombo, sapendo che sei responsabile di quelle morti?-
Eric si avventò su
di lei e l’afferrò per i capelli, facendole sfuggire un lamento di dolore.
–Magari potrei far fare anche a te un volo oltre la ringhiera, che ne dici?-
La sua voce era
tanto minacciosa che Aria smise di tremare, si paralizzò di colpo e trattenne
il fiato. Osservava i muscoli tesi di Eric e il modo in cui il suo copro
vibrava, scosso dalla furia. Ma non era l’Eric crudele che se la prendeva con
gli iniziati, era un ragazzo diverso, più controllato ma decisamente più
letale.
Lasciò andare i
capelli di Leah con una spinta, e lei chinò per un attimo la testa, forse per
paura che le facesse del male. L’instante dopo, però, sollevò lo sguardo su di
lui e lo mantenne con ostinazione. –Perché non vai dai lei e le dici la verità?-
-Ora basta!- sibilò
Eric.
Si era allontanato
per un attimo da lei, forse per riprendere il controllo, ma Leah aveva fatto
l’errore di provocarlo ulteriormente. Persino Aria aveva capito che avrebbe
dovuto lasciarlo stare.
Eric si abbatté
sulla ragazza dai capelli rossi come una furia, con movimenti secchi e precisi,
in un ammasso di muscoli e crudeltà. La prese nuovamente dalle spalle e la
sollevò di peso, facendole urtare malamente la schiena contro la ringhiera,
sbilanciando però quel copro esile verso l’abisso. Era lui che la teneva dalle
spalle ma, se l’avesse lasciata, a causa della posizione in bilico in cui la
costringeva, Leah sarebbe caduta nello strapiombo.
-Dille la verità
Eric!- Gli urlò lei contro, per nulla spaventata dalla sua furia né dalla
sottile minaccia di morte. –Dille chi sei veramente, e vediamo se rimarrà con
te!-
Qualcosa dovette
scattare nella mente di Eric, poiché i muscoli minacciosi delle sue braccia si
rilassarono, e sul suo voltò balenò per un istante un’espressione vuota e
assente. Trascinò Leah verso di sé, permettendole di ritornare al sicuro
davanti alla ringhiera e la lasciò andare.
Fece un passo
indietro e rimase in silenzio, con la mascella contratta.
-Sabbiamo benissimo
entrambi che non accetterebbe mai quello che hai fatto, e che scapperebbe se
sapesse cosa nascondi…- Continuò Leah, con lentezza. –E chi raccoglierà i tuoi
pezzi, dopo?-
-Cosa?- Eric parve
tornare minaccioso.
-Ogni volta che
venivi da me eri a pezzi, Eric, e io ti rimettevo in sesto! Lei fa lo stesso?-
Passarono
interminabili secondi, tesi e silenziosi. Eric aveva assunto le sembianze di
una statua, il suo corpo era rigido e quasi totalmente immobile, eccezione
fatta per la sua fronte, che si contraeva e si rilassava a seconda dei suoi
pensieri.
Aria si nascose
ancora di più contro la parete e smise di guardare, decisamente troppo
sconvolta per continuare a raccogliere informazioni. Pensava alle mani di Eric
sporche di sangue, ma anche ai momenti di sconforto in cui andava a cercare
calore fra le braccia di Leah, in passato. E, con quei pensieri, non poteva
accettare il fatto che Eric si prendesse del tempo per riflettere sulla parole
di quella ragazza, perché lui non aveva bisogno di Leah.
Ma sarebbe mai
riuscita ad accettare i crimini che aveva commesso?
Sentì passi pesanti
strisciare verso la ringhiera, e tornò a sbirciare, attenta a non farsi vedere.
Eric stava avanzando
verso Leah, era calmo, quasi rilassato, e il suo viso mostrava un’ espressione
profonda e intrisa di amarezza. Puntò i suoi occhi grigi sulla ragazza e parlò
con voce bassa e vibrante.
-Nessuno ha bisogno
di raccogliere i mie pezzi, Leah.- Le mise una mano sulla guancia e accarezzò
con il pollice la fossetta che le si delineava ai lati dalla bocca. –Perché, adesso,
sono perfettamente integro.-
Leah serrò le labbra
e lo guardò attentamente, osservando la sua figura, ad un soffio da lei. Eric
le teneva ancora la mano sul viso, quando sospirò pesantemente.
-Tu eri solo una
distrazione…- Le disse con uno sguardo intenso.
-Lei è la cura?-
Chiese Leah, con un’alzata di sopracciglia. Ma non ottenne risposta.
Eric fece scivolare
la mano che aveva sul suo viso lungo il suo braccio, ma mantenne il suo sguardo
puntato su di lei.
-Ora vattene e non farti
più vedere.- Le disse con calma. –O ti ammazzo veramente!-
Aria sussultò
ancora, quella era una versione di Eric decisamente più minacciosa. La calma
con cui aveva parlato rendeva reale la sua minaccia, terrorizzandola molto più
dei suoi muscoli e della sua ferocia.
Leah non disse
nulla, lo guardò per un istante, cogliendo solo la sua serietà, e poi fece per
andarsene. Aria si preoccupò che tornasse per la strada per cui entrambe erano
arrivate, rischiando di scoprirla, invece se ne andò dalla parte opposta e sparì
nel buio.
Quando l’aria tornò
nei suoi polmoni, ridandole per un attimo coscienza, Aria si abbandonò contro
la roccia e lasciò che i secondi passassero. Non sapeva cosa fare, era
terrorizzata dal comportamento che Eric aveva avuto con Leah, le aveva messo le
mani al collo, l’aveva spinta per terra e aveva minacciato di ucciderla. E se,
una volta stufo di lei, le avesse riservato lo stesso trattamento?
Ma poi pensò a due
cose. La prima era che non sarebbe più andata e cercarlo, qualora fra loro
fosse finita. Inoltre, le parole di Eric le risuonarono nella mente.
Tu eri solo una distrazione.
Un moto di rabbia le
infiammò il cuore al pensiero di come Leah avesse tentato di farlo sentire
debole, insinuando che la sua nuova ragazza lo avrebbe lasciato se avesse
saputo di cosa era capace.
Ma forse era vero,
forse sarebbe rimasta per sempre turbata da ciò che aveva visto e sentito.
Ma da quando faceva
ciò che si aspettavano gli altri? Sapeva già di cosa era capace Eric ma sapeva,
con altrettanta certezza, che non si sarebbe mai comportato in quel modo con
lei.
Soprattutto, non
poteva sopportare che Leah insinuasse che Eric avesse bisogno di andare a
cercarla quando era distrutto o sconfortato. Eric non era debole e, se lo fosse
stato, gli sarebbe rimasta accanto, senza che Leah insinuasse il contrario.
Adesso,
aveva detto il ragazzo, sono
perfettamente integro.
Eric le aveva
parlato del suo lato oscuro, spiegandole che lo teneva nascosto per paura di
perderla. Ma Aria non temeva l’ oscurità, lei stessa vi era rimasta per anni,
prima di arrivare fra gli Intrepidi. Aveva molta più affinità con Eric che con
tutte le altre persone, lui era riuscito a farla sentire veramente a casa,
cattiverie a parte.
Anche lei si sentiva
integra con lui, forse erano entrambi fatti di ombre più che di luce.
Non poteva lasciarlo
andare via.
Leah diceva che era
colpevole della morte di alcuni Divergenti, ma non poteva fidarsi di lei, se
avesse avuto dei dubbi avrebbe chiesto direttamente al ragazzo.
Prese un profondo
respiro, si allontanò di qualche passo e uscì allo scoperto camminando verso di
lui, come se fosse appena arrivata.
Eric si stava
stringendo le ossa delle dita, per farle scricchiolare, con uno sguardo
minaccioso e le spalle rigide. Quando la vide, però, le sorrise e allungò una
mano verso di lei.
Nel momento in cui
prese la sua mano, il ragazzo la tirò verso di sé, stringendola contro il suo
petto solido.
-Piccola…- le
sussurrò fra i capelli.
Lei alzò gli occhi
al cielo. –Eric!- lo ammonì, non apprezzando quell’appellativo con cui le si
riferiva.
Per un attimo pensò
ancora a Leah accasciata a terra, e alle sue parole, ma scacciò via il pensiero
e abbracciò forte il ragazzo.
Eric rimase
piuttosto sorpreso per quello slanciò d’affetto e, poiché non era abituato ad
attimi di pura dolcezza, laspinse
contro la parete ed iniziò a baciarle il collo.
-Non puoi immaginare
quanta voglia avevo di vederti.- Le sussurrò tra un bacio e l’altro, salendo
verso le sue labbra. –Andiamo subito nel mio letto e facciamolo, sto impazzendo
dalla voglia!-
Aria rabbrividì, un
po’ per l’ardore dei suoi baci, un po’ per il pensiero della malvagità che
aveva manifestato poco prima.
Scacciò il pensiero,
cosa avrebbe pensato lui di lei se l’avesse vista negli anni passati, quando i
suoi compagni di scuola si spostavano vedendola passare? Cosa avrebbe pensato
vedendola picchiare senza pietà i suoi coetanei che le facevano un torno? Forse
anche Eric non sopportava sentirsi inferiore e debole, e si difendeva con la
forza, senza pietà.
-Eric, temo che per
sta sera dovremo limitarci a dormire…- Disse, stretta nelle spalle, con il
corpo di lui che la schiacciava contro il muro.
Il ragazzo trattenne
un grugnito e la guardò scettico. –Non dirmi che sanguini!-
Aria storse il naso
per la definizione usata da Eric, quando ne esistevano mille altre per spiegare
la situazione piuttosto femminile in cui si trovava. –Che vuoi farci? Una volta
al mese alle donne capita!-
La smorfia di Eric
fu tanto evidente che temette che si staccasse da lei schifato. –Proprio sta
sera?-
La ragazza alzò le
spalle.
Eric assottigliò lo
sguardo e sbuffò.
-Infatti, stavo
pensando che forse è meglio se resto nel dormitorio…-
-E perché?- le
chiese, quasi offeso.
-Perché ho bisogno
del bagno, delle mie cose…-
-Io ho un bagno
piuttosto confortevole, se non te ne fossi accorta!- Le ricordò. –E puoi andare
a prenderti quello che ti serve.-
-Ma non sto tanto
bene, e che farai se durante la notte mi sveglio e iniziò a lamentarmi perché
mi fa male la pancia?-
Il ragazzo fece
ruotare gli occhi e piegò le labbra nell’ennesima smorfia. –Vorrà dire che
andrò a riempirti la vasca d’acqua calda e che ti ci metterò dentro, così ti
rilassi, non ti fa più male e non rompi più. Va bene?-
Aria sorrise, ma non
capiva come facesse Eric a cambiare identità con tanta velocità. –E come la
mattiamo con i miei sbalzi d’umore?-
-Di cosa potresti
essere capace?- indagò, con entrambe le sopracciglia sollevate.
-Attacchi d’ira!-
-So difendermi!-
-E momenti in cui ho
bisogno d’affetto…- Abbassò la testa, sapeva che a quello non poteva resistere.
O si sarebbe arrabbiato, oppure l’avrebbe mandata via.
Eric fece un ghigno.
–Se sta notte ti avvicinerai a me, vedrò ti non scacciarti via!-
Aria rise e iniziò
ad intrecciarsi una ciocca di capelli attorno a un dito.
-Adesso basta con le
richieste!- esclamò Eric, rubandole un bacio a fior di labbra. –Oppure dovrò
arrabbiarmi!-
Le mani di Aria si
intrecciarono dietro la sua nuca, facendolo rabbrividire di piacere, e riprese
a baciarla. –Sei mia Aria, e ti voglio con me anche mentre ti contorci dal
dolore. E poi posso resistere una notte senza sesso.-
-Tanto per
cominciare io non mi contorcerò dal dolore, lamenti a parte!- Gli disse
imbronciata, mettendogli una mano sul viso per allontanarlo e impedirgli di
baciarla. –E poi non si tratta solo di una sera…-
-Ma stai zitta!-
sbottò, mordendole la mano che gli aveva messo davanti.
Aria rise, in quel
modo dolce e spensierato che si concedeva solo con lui, e gli prese il viso fra
le mani per tornare a baciare quelle labbra calde. Fece scivolare le sue
braccia oltre le sua nuca, avvicinandosi al suo petto solido, mentre le mani
ardenti di Eric le stringevano i fianchi e salivano lungo la sua schiena. Si
strinsero, si assaporarono desiderosi di assorbirsi a vicenda e di fondersi in
quel calore travolgente. Non si era mai spinta tanto, non fuori dalla camera di
Eric almeno, si era sempre contenuta e controllata. Peccato che non fosse in
grado di trovare pace con le braccia del ragazzo che l’avvolgevano, qualcosa le
si agitava dentro in un misto di paura e desiderio.
Quelle braccia,
quelle mani, avevano fatto del male ad altre persone, era inutile negarlo, lo
sapeva e non era sciocca. C’era qualcosa di estremamente eccitante in quella
consapevolezza, e si vergognò dei suoi sentimenti, chiedendosi perché non
riuscisse ad esserne terrorizzata.
Era stata per così
tanto tempo la persona sbagliata, la ragazza cattiva e fuori posto che, in quel
momento, sapere di essere con qualcuno che era più sbagliato e più malvagio di
lei, le dava sicurezza.
La sua famiglia e i
suoi compagni di scuola si erano sbagliati, lei non era mai stata una cattiva
ragazza, solo una persona estremamente debole che aveva bisogno di difendersi e
di dimostrare la sua forza.
E se anche Eric avesse
avuto quel bisogno?
Se Leah avesse detto
la verità, e magari anche Eric, a volte, cadeva a pezzi?
I Divergenti erano
persone pericolose, persone che andavano fermate. Non le importava chi fosse
stato a farli cadere nello strapiombo, magari c’erano altri dettagli da tenere
in considerazione, Eric non poteva essere un assassino spietato.
Non poteva.
Le labbra del
ragazzo si chiusero attorno al suo labbro inferiore e lei inarcò la schiena
contro di lui, mentre erano ancora intrecciati in un abbraccio sempre più
spinto e travolgente.
Talmente travolgente
che, i due, troppo impegnati a baciarsi, non si accorsero dell’umo che era
arrivato. Non sentirono i suoi passi, sentirono solo la sua voce quando ormai
era troppo tardi.
-Eric!-
Sentendo quel tono
di voce serio e asciutto, non troppo arrabbiato ma severo, Eric sussultò e si
scostò da Aria, voltandosi verso il nuovo arrivato.
Lo aveva
riconosciuto subito, era Max, il più importante fra i capifazione e quello con
cui collaborava per la missione segreta con gli Eruditi. Serrò la mascella e si
allontanò da Aria, rimanendole comunque davanti con fare possessivo. Non poteva
permettere che la guardasse troppo a lungo, ed era suo dovere darle sicurezza,
dato che la sentiva tremare impercettibilmente. Forse aveva paura perché erano
stati colti in flagrante, quando l’ordine era di agire con riservatezza. O
forse aveva colto, con la sua mente da Erudita, la reale gravità della
situazione, capendo che Max voleva qualcos’altro e che non gli interessava
nulla della ragazza con cui lo aveva trovato in intimità.
-Dobbiamo parlarti…-
Disse l’uomo dalla pelle scura, quasi con rassegnazione.
Nell’instante che
trascorse senza essere in grado di dire una sola parola, Eric serrò i pugni e
contrasse la mascella.
Quando Eric le mise
una chiave in mano, chiudendole subito il pugno attorno al metallo sottile per
impedire che Max vedesse il loro scambio, Aria capì le intenzioni del ragazzo.
Scivolò via tra il
muro ed Eric, che non si era spostato e le rimaneva davanti, teso e silenzioso.
Aveva le vene del collo tirate e la mascella contratta, senza perdere di vista
Max. Anche lei si concesse un’ occhiata al capofazione da poco arrivato,
sorprendendolo con lo sguardo fisso su Eric in un’ espressione a metà fra
l’accondiscendente e il serio.
Se ne andò, diretta
verso i corridoi appartati che portavano agli alloggi preferenziali, senza dire
una parola.
Si divincolò nella
penombra della residenza, raggiungendo la camera di Eric che aprì con la chiave
appesa ad un cordoncino che il ragazzo le aveva dato.
Provò ad aprire la
porta, ma la trovò chiusa, così bussò. –Aria? Sono io!- sussurrò.
Sentì il rumore
della ragazza che saltava giù dal letto, per poi cogliere il ticchettio dei
suoi piedi nudi sul pavimento. Attese il rumore della serratura che scattava e
si intrufolò in camera quando gli venne aperta la porta.
Aria aveva un’
espressione spaventata, e capì che era tesa anche lei e che, probabilmente,
aveva paura che fosse stato qualcun altro a presentarsi al posto suo.
-Scusa se ho chiuso
la porta a chiave…- Gli disse a conferma, con tono incerto.
-Nessun problema.-
La tranquillizzò sbrigativo. –Hai fatto bene.-
Avrebbe voluto
accarezzarle il viso, baciarla, dato che sul suo volto leggeva la paura che
aveva provato e il bisogno che aveva di essere rassicurata.
Ma non se la
sentiva.
Si trascinò, insieme
al suo lato più oscuro, verso la poltrona girevole vicino alla finestra. Si
lasciò cadere seduto, sentendosi estremamente pesante e stanco. Aria lo osservò
in silenzio e studiò il modo in cui teneva contratte le spalle, il suo sguardo
profondo e la sua espressione dura.
Lei non poteva
sapere cosa era successo, e cosa avessero avuto da dirgli gli altri capifazione,
ma doveva essere qualcosa di importante, e sperare che fosse una bella notizia
era assurdo.
Eric era troppo
provato, sicuramente si trattava di qualcosa di grave.
Non voleva chiedere,
voleva lasciarlo sereno. Nella sua mente ritornarono le parole di Leah, che si
riferiva ai momenti in cui Eric cadeva a pezzi e aveva bisogno di conforto.
Ed era quella la
situazione che aveva davanti, ovvero un Eric che lottava contro sé stesso per
tenere i propri pezzi insieme, seduto sulla poltrona da solo.
Scivolò verso di lui
e si sedette sulle sue gambe, passandogli le braccia intorno al collo. Lui non
si mosse quasi per nulla, si limitò a sollevare un braccio per sorreggerle la
schiena, mentre teneva l’altro sul bracciolo, stringendolo con il pugno. La sua
espressione rimaneva vuota e i suoi occhi puntati su di un punto imprecisato,
senza seguire i movimenti dalla ragazza.
Eric serrò la
mascella.
Ci aveva provato,
aveva tentato la strada alla luce del sole ma non aveva funzionato.
Era stato fissato un
incontro per discutere gli ultimi dettagli del loro piano per togliere il
potere governativo agli Abneganti, valutando il momento migliore per agire e
per iniettare il siero che Jeanine aveva inviato per tutti i membri della
fazione. Tuttavia, non tutti avrebbero aderito alla simulazione, per cui i
cinque capifazione degli Intrepidi si erano radunati e si erano trovati
d’accordo sui nomi delle persone che sarebbero rimaste coscienti.
A tutti i bambini
della fazione sarebbe comunque stato iniettato il siero, ma gli sarebbe stato
ordinato di rimanere in gruppo in un luogo specifico.
Max aveva una moglie
e un figlio piccolo, decisamente poco adatti per la guerra e quindi
risparmiabili. Loro sarebbero rimasti nei loro alloggi senza sapere cosa
succedeva fuori, e sarebbe spettato proprio a Max imporgli di non uscire senza
dirgli la verità. In questo modo il capofazione sarebbe stato anche più libero
di agire e di dedicarsi al loro impegno.
Sarah, l’unica donna
al comando, aveva un compagno forte e robusto che sarebbe stato sicuramente
utile nell’esercito e, poiché non erano nemmeno sposati, le era stato ordinato
di lasciarlo alla simulazione e lei si era trovata d’accordo.
Marcus, il più
tranquillo e taciturno, con una folta barba e i capelli radi, non era sposato e
non aveva figli ed, essendo stato un trasfazione, non aveva altra famiglia e
altri legami affettivi.
In pochi sapevano
che il ragazzino smilzo con i capelli rasati che seguiva il capofazione Finn
come un’ombra, non era solo il suo braccio destro, ma anche il suo unico
figlio. La moglie era morta in un incidente anni a dietro, e quel ragazzo era
tutto ciò che gli restava. Dopo il consenso da parte di Max, Finn aveva potuto
rivelare al figlio i loro accordi con gli Eruditi e quindi, dato che sapeva,
non sarebbe stato sottoposto all’iniezione e avrebbe collaborato dando il suo
contributo alla causa.
E cosìera stato confermato che i ragazzini sotto i
sedici anni, la famiglia di Max, il figlio di Finn e qualche guardia scelta di
particolare valore, sarebbero rimasti fuori dalla simulazione.
L’ultimo capo
fazione era Eric che, quando tutto era iniziato e aveva accettato di immolarsi
nella missione, non aveva nessuno per cui chiedere un permesso speciale. Ma le
cose erano cambiate.
Aveva comunque
avanzato la sua richiesta, chiedendo di tenere fuori dalla simulazione la sua
ragazza, ma sapeva sin dall’ inizio che se non avevano risparmiato il compagno
si Sarah, non avrebbero certo concesso a lui quel vantaggio.
Finn, conoscendo la
ragazza in questione, gli aveva riso in faccia senza alcun riguardo. Anche gli
altri sapevano che si riferiva all’iniziata con cui, oltre ogni regola, aveva
una relazione quasi clandestina. Non avevano riso, ma avevano detto di no.
Aria era giovane e
forte, sarebbe scesa in campo come tutti gli altri iniziati che avrebbero
superato il test finale. E, proprio dopo il test e dopo la cerimonia d’
ingresso alla fazione, gli sarebbe stata fatta l’iniezione e il siero di
simulazione le sarebbe entrato in circolo, guidando lei e gli altri ad agire
contro la loro volontà, il giorno seguente.
Erano condannati,
entrambi.
Lei perché sarebbe
stata mandata in guerra, e lui perché avrebbe rischiato ogni cosa opponendosi.
Ma, mandando
mentalmente al diavolo Finn che aveva osato deriderlo, con ancora la rabbia che
gli ribolliva nelle vene per quell’affronto a cui non aveva potuto replicare,
Eric aveva preso la sua decisione.
Se non avevano
voluto dargli il permesso di tenere Aria al sicuro, avrebbe fatto di sua
volontà concedendosi da solo quell’autorizzazione. Per niente al mondo la
ragazza sarebbe stata manovrata dagli Eruditi contro gli Abneganti.
Gli era stata data
la garanzia che alla loro fazione non sarebbe successo niente di male,
altrimenti lui e gli altri capi Intrepidi non avrebbero accettato l’accordo con
Jeanine. Si trattava di un gioco da ragazzi, gli Abneganti erano innocui e si
parlava solo di un’azione intimidatoria verso tutta la città e non solo verso
la fazione al governo, ma c’era sempre il rischio che si aprisse il fuoco e che
qualcuno, privo di conoscenza perché sotto simulazione, ci rimettesse la vita.
Ed Aria doveva
essere protetta e risparmiata a quella tortura umiliante.
Forte e determinata
com’era, non avrebbe mai accettato di avere la mente soggiogata da un computer.
Inoltre, dagli studi raccolti, si diceva che chi era sotto simulazione
mantenesse le facoltà visive e uditive, pur non riuscendo più ad agire di volontà
propria.
Scosse la testa e
serrò i pugni fino a conficcarsi le unghia nei palmi delle mani.
Aria, ancora seduta
in braccio a lui, gli posò un bacio sulla guancia, cogliendo il suo turbamento.
Decise di non dire
nulla, era talmente tanto in collera che doveva utilizzare tutte le sue energie
per mantenere la calma, perciò non poteva sprecarne per inutili parole. Mise un
braccio sotto le ginocchia della ragazza, mentre l’altro era già dietro la sua
schiena, e si alzò in piedi con lei ancora in braccio.
Per la paura del
gesto improvviso, Aria sussultò appena, ma si strinse di più al suo collo,
sicura che fra le sue braccia non corresse alcun pericolo.
Eric avanzò e la
depositò con cura al centro del letto, poi si spogliò e andò a stendersi nella
sua parte, spegnendo la luce. Era steso supino, con un braccio sotto la testa e
l’altro abbandonato lungo il fianco, aveva il petto scoperto che si alzava e si
abbassava ad un ritmo sempre più controllato, mentre guardava il soffitto in
silenzio.
Al buio, Aria si
strinse al braccio di Eric che, esausto e ancora chiuso in sé stesso, serrò gli
occhi.
Si alzò dal letto su
cui era seduta per allacciarsi le scarpe e si avvicinò alla porta, prese la
propria giacca dall’appendi abiti e la indossò, tirando su la cerniera.
Quando una mano si
posò sulla sua spalla, voltò solo la testa in silenzio, incrociando il proprio
sguardo con quello del ragazzo. Era decisamente più alto di lei, forte, e la
guardava con un’ espressione e metà fra il malinconico e il determinato.
-Oggi è il giorno
del test finale.- Le disse, con una serietà che sembrava emanare vita propria.
Aveva ancora le mani
sui bordi della giacca. Annuì.
-Voglio che tu mi
faccia una promessa…-
Curvò le
sopracciglia e arricciò le labbra, guardandolo interrogativamente, senza
nascondere una certa diffidenza. Altro che incoraggiarla o augurarle buona
fortuna, si era illusa per niente.
-Alla fine di tutte
le simulazioni, voglio che tu ti separi dagli altri iniziati e che vieni qui,
invece di andare alla cerimonia d’ingresso alla fazione.-
Le sue sopracciglia
si curvarono ancora di più e il suo atteggiamento diffidente scivolò verso lo
scettiscismo, fino all’offeso. –Che storia sarebbe questa?-
Eric sospirò e
guardò la porta, perché non era più in grado di guardarla negli occhi, non
mentre la metteva al corrente, mentendole, dei fatti funesti che stavano per
accadere.
-Non puoi farmi
domande. Sai che sta per succedere qualcosa, e che sto facendo di tutto per
tenerti al sicuro!-
Aria si voltò
completamente verso di lui, la sua espressione si addolcì, e posò le proprie
mani sui suoi avambracci tatuati. –Ma Eric, perché non vuoi spiegarmi nulla?
Cosa c’entra saltare la cerimonia per venire in camera tua?-
Il ragazzo scosse la
testa, si limerò delle mani della ragazza e le mise le proprie sulle sue spalle
esili. –Capisci cosa sto rischiando per te?-
le disse, con la furia che iniziava a scaldargli le vene. –C’è in ballo
qualcosa che non puoi immaginare, è una situazione pericolosa, e tu dovrai
fidarti di me!-
La ragazza rimase ad
osservarlo per qualche istante, cogliendo il tormento e la rabbia che gli
facevano tremare le mani e pulsare le vene del collo. –Perché la cerimonia
degli iniziati? Succederà qualcosa a loro?-
-No, non
propriamente, hai la mia parola che rimarranno integri e che li rivedrai per
cena.-
-Allora cosa…?-
-Aria!- la sua voce
salì e le fiamme nei suoi occhi si risvegliarono. –Vuoi che finisca in guai
seri? Vuoi vedermi rovinato, sapendo tutto quello che sto facendo solo per
proteggerti? Forse tu sei pronta a rischiare, ma io non posso permettertelo.-
-Non farò niente che
possa crearti problemi.- gli disse, a testa bassa. –Vorrei solo sapere la
verità.-
-La verità?- Eric
abbassò il capo e il suo solito ghigno gli piegò le labbra. –La verità non ti
serve, ma saprai tutto al momento opportuno.-
Poi Eric le tolse le
mani dalle spalle, e lei si sentì improvvisamente debole e vuota. Iniziò a
rigirarsi le dita delle mani, senza osare guardarlo. I suoi muscoli erano tesi,
il suo sguardo affilato come una lama e non voleva rischiare di vedergli
perdere la pazienza. –Vuoi che mi fidi di te, ma tu non ti fidi abbastanza di
me da dirmi chiaramente come stanno le cose…-
Il suo braccio venne
improvvisamente stretto in una morsa dalla mano di Eric. –Forse non hai capito,
ho provato a chiedertelo gentilmente, ma forse vuoi le miniere forti. Finito il
test, tu devi lasciare tutti e venire
nella mia stanza, ti è chiaro?-
Aria liberò il
braccio con uno strattone e lo guardò di traverso. –Smettila di trattarmi come
tratti tutti gli altri, io non ho paura di te e tu non devi comportarti così!-
Rimasto in silenzio,
Eric e la guardò intensamente, il suo sguardo era quasi folle, poi si riempì di
desiderio e, nonostante la ragazza non riuscisse a crederci, si riempì anche di
paura.
-Allora fallo per
me.- Le disse con voce suadente, letale in tutta la sua calma. Avanzò verso di
lei e si fermò ad un palmo dal suo viso. –Non posso permetterti di rovinare
tutto. Non possiamo commettere errori, oppure saremo morti.-
Abbassando gli
occhi, Aria sentì il suo cuore stringersi.
-Verrai nel mia
stanza, come ti ho detto?-
A quella domanda
tornò a guardarlo, provando per la prima volta paura, ma non per lui, ma per la
gravità di ciò che nascondeva. –Va bene, lo farò.-
Ancora sconvolta e
con il cuore a mille, si recò in mensa per la colazione e si trovò davanti una
scena alquanto insolita. Uno dei tavoli era stracolmo, con seduti attorno ben sette
persone. C’era Sasha, con Will seduto tra Tris e Christina, ma c’erano anche
tre iniziati interni. Il primo era Uriah, poi c’era Marlene e l’altra loro
amica che doveva chiamarsi Lynn. Aria la riconobbe perché era nella squadra di
Eric a ruba bandiera e perché aveva seguito Marlene durante il giro per la
residenza che Sasha aveva organizzato per il suo compleanno.
Si avvicinò e si
intrufolò nell’unico posto libero, tra Tris e Will.
-Era ora!- la salutò
Sasha, alzando una mano dall’altra parte del tavolo.
Vicino alla bionda,
Marlene aveva un muffin in ogni mano, uno al cioccolato e uno alla vaniglia, e
dava un morso prima ad uno e poi all’altro.
-Allora, pronti per
vedermi fare il tempo minore in assoluto?- Scherzò Uriah.
Lynn gli rispose
qualcosa, scatenando una discussione a cui si aggiunse anche Tris.
-Ci avresti mai
pensato che saremo arrivati a questo punto?-
Aria, sentendo la
voce di Will, si girò verso di lui. Cogliendo il suo messaggio, sorrise.
-Adesso non dovrai
più sentirti dire che ti comporti come un’animale, qui in mezzo siamo i più
raffinati!- le disse.
Scoppiò a ridere.
–Decisamente, noi non siamo così pazzi!-
Will fece un cenno.
–Sempre se riusciamo a superare l’ultimo test!-
-Sappiamo già chi
farà i tempi peggiori, e sia tu che io siamo salvi!-
-Non sei contenta?-
le chiese. –È da quando ti conosco che dici che vuoi diventare un’ Intrepida,
non dovresti saltare di gioia?-
Alzò gli occhi al
cielo. –Nemmeno tu eri convinto quanto lo ero io, e adesso eccoci qui.
Ovviamente sono felicissima!-
-Bene!- le mise una
mano sulla spalla. –Adesso non dovrò più preoccuparmi che tu faccia a botte con
qualcuno, ero stanco di farti da guardia del corpo!-
-Sarebbe più
corretto dire che facevi la guardia del corpo a quelli che mi rompevano le
scatole!-
-Per forza! Se rompi
il naso a qualcuno fra gli Eruditi finisci nei guai, qui è tutto normale,
perciò da oggi il mio lavoro finisce!-
A quel punto
Christina si voltò verso di lui. –A proposito, che lavoro vuoi fare?-
-Guardia della
recisione! Sono abituato a controllare e mi piace l’idea di tenere d’occhio i
confini. Inoltre, in caso succedesse qualcosa di anomalo là fuori, sarei il
primo a saperlo!-
-Ed ecco che viene
fuori il tuo lato curioso da Erudito!- lo beffeggiò affettuosamente Christina.
-E tu, vuoi ancora
fare l’istruttrice?-
-Penso di sì!-
-E tu?- chiese Will,
sta volta rivolto ad Aria.
La ragazza si
strinse nelle spalle. –Non ne ho idea…-
Improvvisamente Tris
si alzò e lasciò il tavolo, salutò e se ne andò chissà dove e chissà con chi.
Aria tornò a parlare
con Will. –Che lavoro potrei fare?-
Will rise. –Uno da
dura!-
-Non so solo
picchiare la gente, so fare altro, sai?-
-Allora potresti
fare un lavoro di comando, potresti farti valere senza picchiare nessuno!-
Intervenne Christina, sporgendosi verso di lei.
In silenzio, Aria
valutò la proposta per alcuni secondi.
-Il posto di apprendista
capofazione è già preso!- Puntualizzò Will, lanciando un’occhiata a Peter
seduto al tavolo vicino. -A meno che non arrivi prima di lui in classifica…-
Scosse la testa. -Non
voglio diventare capofazione, per niente, però forse c’è qualcos’altro di
simile che potrei fare!-
Christina mandò giù
un pezzo di Muffin. –Magari ci sono altri ruoli di comando!-
-Giusto!- Rispose
Will.
Aria appoggiò il
mento su una mano e pensò alla mattina del giorno dopo, quando tutti gli
iniziati sarebbero stati considerati a tutti gli effetti membri degli Intrepidi
e avrebbero dovuto individuare il tipo di lavoro da svolgere per la fazione. Aveva
sentito dire che i capifazione, che avevano tenuto d’occhi gli iniziati,
avrebbero dato qualche suggerimento ad ognuno di loro per aiutarli nella
scelta. Immaginò il momento imbarazzante in cui Eric sarebbe stato insieme ai
capi, forse sarebbe stato proprio lui a consigliarla. Di certo non sarebbe
diventata un’ aspirante capofazione, sarebbe stato troppo imbarazzante trovarsi
tutti i giorni a lavorare con Eric. Assolutamente non era un’ idea che le
piaceva.
-Io e gli altri
andiamo a fare un giro prima che ci chiamino per il test finale, vieni con
noi?- le chiese Will, sottraendola ai suoi pensieri.
Sasha, che si stava
alzando insieme a Marlene, le fece segno di seguirli.
-Come vi siete
conosciuti?-
Alle domanda che Christina
rivolse a Will, Aria sollevò gli occhi e vide il ragazzo ridere mentre si
alzava in piedi.
-Perché le ho
salvato la pelle, ovviamente!-
-Non darti troppi
meriti!- intervenne, seguendo lui e Christina.
Will rise ancora.
Mentre camminavano,
Aria sorrise a sua volta e ripensò a quel giorno a scuola di diversi anni
prima, quando aveva conosciuto Will. Erano della stessa fazione e le loro
famiglie si conoscevano, ma i due bambini non avevano mai parlato fra di loro…
Avano sette anni, e
quel giorno a scuola faceva piuttosto caldo. Aria era seduta vicino agli altri
bambini Eruditi ad un tavolo per la pausa pranzo, ma era piuttosto infastidita.
Il bambino che era
seduto davanti a lei continuava a guardarla in modo strano, facendo smorfie di
continuo.
-Perché tu non
studi?- le aveva chiesto, puntandole un dito contro.
Aria lo aveva
guardato di traverso, sapeva benissimo che era abitudine dei bambini Eruditi
sfruttare ogni pausa per apprendere qualcosa di nuovo, ma faceva davvero troppo
caldo e lei non ne aveva voglia.
-Lo dico alla
maestra, che lo dirà ai tuoi genitori! Devi apprendere cose nuove invece di
sprecare tempo!- aveva strillato il ragazzino, alzandosi in piedi e battendo le
mani sul tavolo.
Sentendosi parlare
con quel tono, Aria si era alzata in piedi con uno scatto e si era sporta oltre
il tavolo per dare uno spintone a quel bambino antipatico.
-Come hai potuto?
Non ci si comporta così, lo dirò al mio papà. Sei scorretta!-
La bambina aveva
incassato quelle parole imbronciata, senza dire nulla, fino a quando non era
arrivato un altro bambino della loro età.
-Non dirai niente a
nessuno!- aveva detto al ragazzino che l’aveva accusata, posandogli una mano
sulla spalla. –Non stava studiando perché è già avanti con tutti i compiti e sa
già tutto quello che sai tu. E non c’è bisogno di dire niente ai suoi genitori,
ti ha spinto perché sei stato sgarbato!-
Lei aveva osservato
a lungo il bambino appena arrivato, aveva folti capelli neri e un naso un po’
troppo grande per il resto del viso.
-Perché la difendi,
Will?-
Will, il bambino con
i capelli scuri, aveva preso un respiro profondo e sostenuto lo sguardo
accusatorio dell’altro bambino. –Perché conosco i suoi genitori, lei è una mia
amica!-
L’altro non aveva
saputo ribattere, così se ne era andato via.
-Ciao, ignora Igor,
è un idiota presuntuoso!- le aveva detto Will, sorridendole.
-Ciao, grazie!-
aveva risposto Aria, timidamente.
-Come ti chiami?-
-Ariana!- Si strinse
ancora di più nelle spalle. –Da grande sarò un’ Intrepida!-
Will aveva riso, e i
suoi occhi si erano socchiusi. –Anche a me piacciono gli Intrepidi, ma pensò
che rimarrò fra gli Eruditi.-
-Peccato, potevamo
essere amici!- Aveva dichiarato, scollando le spalle. –Perché hai detto a
quello lì che sono tua amica?-
-Perché, non vuoi
esserlo?-
Ariana aveva
sollevato le sopracciglia. A scuola tutti la evitavano di continuo, non aveva
nessuno con cui parlare liberamente perché erano tutti perennemente chini sui
libri e, se nominava gli Intrepidi, si scatenava una tragedia. Quel bambino
invece sembrava sereno, non pensava solo allo studio, aveva accettato la sua
idea sugli Intrepidi ed era stato molto gentile con lei.
-Okay, allora è
deciso Will: saremo amici!-
-Okay!- Le aveva
risposto. –E, se sceglierò gli Intrepidi, saremo amici per sempre!-
Aria continuò a
seguire i suoi amici, Sasha scherzava con Uriah e Marlene, mente Will era
vicino a Christina.
Sorrise, pensando
alla promessa di due giovani bambini Eruditi, spensierati e forse ingenui, che
tuttavia si stava trasformando in realtà.
Will era il suo primo
vero amico, avrebbero superato l’iniziazione e sarebbero rimasti insieme.Sarebbe rimasta sua amica per sempre.
Gli iniziati erano
stati radunati e chiusi in una stanza scarsamente illuminata e non troppo
grande, in cui tutti erano vicini fra loro e il chiacchiericcio copriva ogni
altro suono. Aria si portò indietro i ciuffi ribelli di capelli corvini, si passò
una mano sulla fronte e sospirò, fino a quando una porta venne aperta e fece il
suo ingresso il capofazione.
Ovviamente, il capo
in questione era Eric.
Gli altri ragazzi,
soprattutto gli iniziati interni, si zittirono all’istante e si voltarono verso
di lui per prestargli attenzione, ed Aria si chiese se fosse per paura o per
rispetto.
-Verrete chiamati in
ordine, dal primo all’ultimo, in base alla classifica finale del primo modulo!-
Esordì Eric, schietto e letale come suo solito.
-Perché in base alla
classifica del primo modulo e non del secondo?- chiese qualcuno.
-Dato che il primo
in classifica ci ha lasciati…- continuò Eric, riferendosi all’incidente
capitato ad Edward. –Il primo è Peter. Uriah? Preparati per dopo.-
Aria si voltò,
individuando subito la massa di capelli neri lucidi che identificava Peter, e
lo guardò con disprezzo. Dopo il loro ultimo scontro, e dopo aver saputo che
aveva fatto la spia su di lei ed Eric, non si erano più rivolti la parola.
Non si erano nemmeno
guardati per sbaglio, era come se si fossero trasferiti su fronti opposti della
città.
Uriah, poco
distante, fece un sorriso e piegò la testa da una parte all’altra per stendere
i muscoli del collo. Il ragazzo che si era classificato terzo, tremava da capo
a piede.
E, dopo loro tre,
Aria sapeva che sarebbe stato il suo turno.
Tutti gli altri
iniziati si spostarono da un lato mettendosi in fila, mentre lei, avvolta nei
suoi pensieri, si era distratta ed era rimasta ferma davanti alla porta.
Per un attimo guardò
Eric che stava uscendo, era pronta ad abbassare lo sguardo per non farsi vedere
da nessuno, ma lui si girò verso di lei e la guardò a sua volta.
Le lanciò uno sguardo
penetrante, era già nel corridoio, solo lei che gli era davanti poteva vederlo.
Così, prima di chiudersi dietro la porta, Eric fissò i suoi occhi grigi in
quelli di Aria e avvicinò una mano alla testa indicandosi la tempia, picchiettando
tre volte il dito indice.
Per un attimo la
ragazza piegò la testa senza comprendere, ma poi capì che non era solo un gesto
con cui le diceva di usare la testa e, soprattutto, che le stava comunicando
qualcosa.
Qualcosa di
importante.
Le altre persone,
normalmente, si sarebbero indicate la testa per invitare qualcun altro a
ragionare, ma gli Eruditi avevano un segreto. Ogni fazione aveva un suo codice
nascosto che permetteva ai suoi componenti di indentificarsi fra di loro.
Eric non si era solo
indicato la fronte, l’aveva toccata con il dito per tre volte ad un ritmo
particolare, prima due colpi veloci e poi, dopo un attimo, il terzo tocco.
Quello era il gesto
identificativo fra gli Eruditi, veniva anche usato come suggerimento ad usare
la testa e la logica fino a risolvere ogni problema.
Non gli davano solo
il significato comune, era inteso come un ragionamento più profondo.
Indicando la logica
e la sua forza.
Era una cosa da
Eruditi.
In un attimo le
ritornarono alla mente frammenti di ricordi, come il giorno del suo compleanno
in cui Eric le aveva medicato con cura la schiena e fasciato la caviglia con
maestria. Quando erano andati in infermeria, la donna che si sarebbe dovuta
occupare di lei aveva lasciato tranquillamente il compito al ragazzo, dicendo
che sapeva benissimo che era in grado di farcela da solo.
Ma perché mai un
Intrepido avrebbe dovuto intendersene di medicina, quando solo gli Eruditi
ricevevano un istruzione generale che li rendeva in grado di affrontare
qualsiasi circostanza, eche comprendeva
principalmente le nozioni scientifiche e le tecniche di primo soccorso medico?
E come dimenticare
il modo in cui Eric si era messo a ridere? Quello stesso giorno, Aria gli aveva
espresso il suo personale risentimento per gli Eruditi, accusandolo di non
essere in grado di capire cosa volesse dire crescere per sedici anni in quella
fazione.
Poi, come un fulmine
a ciel sereno, si ricordò del metodo con cui il ragazzo le aveva confidato di
aver affrontato le sue paure durante la sua iniziazione, anni a dietro. Le
aveva detto che anche lui usava la logica per ristabilizzare il battito
cardiaco e per superare la simulazione, ma come era possibile che un Intrepido
convinto e spietato come lui, si fermasse a ragionare?
Persino il modo in
cui portava i capelli era sospetto, si era in parte rasato la testa certo, ma
teneva in ordine i ciuffi più lunghi pettinandoli all’indietro come gli
Eruditi.
Incredibilmente, in
quel momento, tutto aveva trovato una spiegazione.
Eric era stato un
Erudito.
Proprio come lei,
era nato nella fazione degli astuti per poi trasferirsi fra gli Intrepidi.
Quando spalancò gli
occhi per lo stupore, Eric sogghignò divertito e si chiuse finalmente la porta
alle spalle.
Quando chiamarono il
suo nome, Aria avanzò in silenzio a testa bassa, fino a quando il corridoio non
si aprì su un salone enorme. Era una stanza circolare con ampie vetrate in alto
e guardie che supervisionavano ovunque. Grandi monitor quadrati erano sistemati
a semicerchio di fronte a lei, con gruppi di persone dietro ogni schermo,
pronti ad analizzare la sua allucinazione della paura.
Al centro della
sala, su un piano rialzato, l’attendeva una poltrona come quella su cui si era
già seduta durante le sue precedenti simulazioni. Ma questa non era imbottita,
era rigida ed emanava una luce propria tra il giallo e l’arancione.
Ed era decisamente
più spaventosa.
La metteva in
agitazione e le faceva tremare le mani.
Avanzò decisa,
rifiutandosi di guardare il gruppo di capifazione radunati dietro ad un
monitor, per paura di incrociare lo sguardo di Eric, fino a quando non
raggiunse la pedana e si avvicinò alla poltrona.
-Siediti pure!- la
invitò Tory.
Sapere che quella
donna era la stessa che le aveva tatuato il collo e parte della schiena, le
diede una certa tranquillità, d'altronde una persona capace di decorarle con
maestria la pelle, non poteva certo farle del male.
Ma sapeva che non
era di lei che doveva preoccuparsi, ma del siero che le sarebbe stato iniettato.
Si sedette sulla
poltrona e si distese in pozione, rimanendo il più immobile possibile, ma le
scappò un sussultò quando venne punta dall’ago e chiuse gli occhi mentre le
veniva fatta l’iniezione.
Si concentrò sul
proprio respiro, aspettando che accadesse, mentre cercava con tutta sé stessa
di non perdere la calma.
Ma perse coscienza e
si ritrovò fra i suoi peggiori incubi…
La sedia su cui era
adagiata era rimasta, ma era diventata di sabbia, sotto ad una distesa d’acqua
che le copriva gli arti e parte del busto fino ai fianchi.
Strinse i pugni e si
sforzò di respirare con calma, quando si accorse di tutte le siringhe che aveva
conficcate sulla pelle delle braccia e delle gambe.
Voleva liberarsi, quando
si accorse della siringa che era appesa sopra la sua testa. Penzolava
lentamente, luccicando minacciosa.
Forse, se avesse trovato
il coraggio di usare contro di lei quella siringa pericola, Avrebbe ottenuto
qualcosa.
Ma non riusciva a
toccarla.
Scosse la testa, aveva
paura delle iniezioni di sonnifero che le faceva sua madre, non degli aghi di
per sé.
Prese di scatto la
siringa e se la conficcò in gola, il secondo dopo tutte le altre erano
scomparse.
Ma accadde qualcosa di
altrettanto spiacevole, la poltrona di sabbia su cui sedeva iniziò ad
assorbirla e il livello dell’ acqua salì lentamente.
Stava affondando, ma
le importava veramente?
A quel punto capì
che non aveva paura di sprofondare nella sabbia, ma nei suoi tormenti interiori.
E l’acqua che
rischiava di soffocarla non era niente, non era quello il problema, ma i suoi
stessi sentimenti.
Chiuse gli occhi,
riportò il battito cardiaco ad un livello nella norma e capì che quella paura
era del tutto immotivata. In un attimo, quando fu capace di accettare il suo
destino con coraggio, la sabbia e l’acqua sparirono.
Riaprì gli occhi
ritrovandosi su un letto comodo, con la trapunta color lavanda. Sentì il rumore
di una porta che si chiudeva e di una serratura che scattava.
Saltò giù dal letto
e corse verso la porta, ma non ci fu verso di aprirla. Si guardò intorno, era
nella sua cameretta quando viveva ancora con la sua famiglia, riconobbe le
pareti azzurre, il tappeto e lo scaffale stracolmo di libri.
Poi vide la finestra
aperta e si avvicinò.
Oltre non si vedeva
nulla, non si scorgeva il terreno, né i dintorni e tanto meno il cielo. Si
vedeva solo una massa di bianco sconfinato.
L’ignoto.
Aria guardò un’
altra volta la porta chiusa, non voleva rimanere lì dentro, schiava delle
follie dei suoi genitori che potevano decidere di tenerla chiusa nella sua
camera per ore. Non c’era niente di peggio, il nulla fuori dalla finestra non
le faceva per niente paura.
Si arrampicò sul
davanzale e saltò fuori, perdendosi nella nube bianca.
Atterrò su un
pavimento liscio senza farsi alcun male, ritrovandosi in una stanza buia. Agli
angoli erano accese fiaccole che emanavano la luce rossastra del fuoco, che
illuminarono i tre scheletri che avanzarono dinoccolati verso di lei.
Storse il naso,
ricordava gli scheletri raffigurati sul suo libro di biologia. La faceva
sentire estremamente vulnerabile il pensiero che dentro, sotto gli strati di
pelle, tutti quanti fossero uguali e così disgustosamente fragili.
Prese a calci il
primo che le si avvicinò, poi avanzo verso il secondo e gli diede un pugno
all’altezza delle costole mandandolo in frantumi. Al terzo decise di staccargli
la testa.
Le ossa distrutte
sparirono ma la stanza rimase buia.
Davanti a lei, adesso,c’era un’ urna funeraria.
Il pensiero che le
poche persone a cui voleva bene potessero venirle sottratte dalla morte le
toglieva il respiro. A chi potevano appartenere le ceneri racchiuse in
quell’urna argentata sistema sul pavimento?
A sua sorella, a
Sasha? a Will? Pensò alle braccia forti di Eric che l’abbracciavano e si sentì
mancare.
Strinse i pugni, non
poteva permettere che la sua vita venisse interrotta da una perdita.
La solitudine non
doveva farle paura, dato che l’aveva già combattuta e superata.
Si chinò a
raccogliere l’urna cineraria e la scagliò lontano, vedendola andare in mille
pezzi mentre le ceneri si spargevano nell’aria.
Al posto dell’urna,
ormai distrutta, comparve uno specchio.
Aria si ritrovò
davanti il suo stesso riflesso, ma la sua immagine nello specchio sembrava
avere vita propria e non rispondeva ai suoi movimenti.
Piegò la testa da un
lato, ma la ragazza riflessa non fece altrettanto.
Il sorriso della
ragazza che aveva davanti era arrogante e i suoi abiti erano blu ed eleganti.
Era intimorita da
quella versione anomala di sé stessa, sarebbe diventata fredda e crudele come
tutti gli Eruditi se non avesse cambiato fazione.
Ma l’Erudita sicura
di sé che aveva il suo stesso viso, non aveva certo una pistola appesa alla
cintura.
Lei sì.
La estrasse, la caricò
puntandola verso la versione distorta di sé stessa, e fece fuoco infrangendo lo
specchio.
Quando riaprì gli
occhi dopo lo sparo, si ritrovò in una stanza dalle pareti totalmente bianche
che emettevano luce propria.
Non aveva più la
pistola, ma i palmi delle mani sudate.
Le cedettero le gambe
e si ritrovò in ginocchio.
Iniziò a sentire la
gola restringersi, le mancava l’aria. I polmoni bruciavano poiché non riusciva
a respirare.
Sentì il battito del
suo cuore aumentare, lo sentì rimbombarle nel petto, nelle orecchie, nei polsi,
in gola.
Iniziò a tremare da
capo a piede, a sudare per le forti vampate di calore che la soffocavano, e
sentiva la testa che girava vorticosamente.
Era tremendo.
Insopportabile.
Si portò le mani ai
lati della fronte, era come morire.
No, stava bene. Era
solo un attacco di panico.
Le capitava da
piccola, quando si sentiva sola e prigioniera, priva dell’affetto dei genitori
e di veri amici.
Aveva sempre avuto
paura di perdere il controllo.
Nella sua mente rivide
una bambina bionda che correva in suo aiuto. Le copriva le orecchie con i
propri polsi e, sentire il battito cardiaco rilassato dai polsi di sua sorella, era la chiava per vincere.
Poiché era da sola,
si tappò le orecchie con i polsi e ascoltò il proprio battito fino a quando non
lo sentì nuovamente stabile e tranquillo.
Con uno schiocco
sordo si ritrovò cosciente ed aprì gli occhi. Il suo scenario della paura si
era concluso, aveva superato il test finale.
Batté più volte le
palpebre e si mise a sedere di scatto, era nuovamente al centro dell’ampia sala
tonda, accanto a lei Tory le sorrise e la invitò a tornare dagli altri iniziati
con un gesto della mano.
Saltò giù dalla
sedia e si sforzò di non correre, dirigendosi a passo spedito verso la stanza
in cui erano radunati i suoi compagni, senza voltarsi neppure per un istante
verso gli altri supervisori e verso i capifazione.
Tanto sapeva
benissimo che Eric la stava guardando e che aveva seguito, con particolare
attenzione, tutte le sue paure sullo schermo del monitor.
Continua…
Ciao
a tutti! Volevo consigliarvi, se lo desiderate, di andare a dare un’occhiata al
primo capitolo della storia (che definirei un prologo) perché vi sarà utile
ricordarlo per comprendere meglio i prossimi aggiornamenti...
Inoltre
approfitto dell’occasione per ringraziare di cuore tutti quelli che leggono
questa storia, spero che i capitoli vi piacciono. Mi piacerebbe sapere cosa ne
pensate, e scusarmi per gli aggiornamenti così poco frequenti e per questo
capitolo un po’ breve.
Non riusciva a
credere di aver pianto davanti ad Eric, di essersi dimostrata tanto debole
mentre lui continuava per la sua strada con la sua determinazione. Ma non era
riuscita a non crollare, non con il siero delle allucinazioni ancora nel sangue
e il ricordo troppo vivido delle sue paure.
Era troppo sconvolta
e, con quel turbamento emotivo, aveva capito ogni cosa.
Si era ricordata
degli Eruditi e dei loro piani per togliere il potere governativo agli Abneganti,
di Jeanine che riteneva che gli Eruditi avrebbero presto governato e che gli
Intrepidi sarebbero stati usati come mezzo per raggiungere il loro scopo.
Ed era crollata.
E, quando tutti gli
iniziati erano stati sottoposti al test finale, Eric era sbucato fuori dal
nulla e l’aveva trascinata in un corridoio appartato, impedendole di seguire i
suoi compagni per i festeggiamenti.
Le aveva ordinato di
andare nella sua stanza e di rimanerci, rammentandole la sua promessa senza
lasciarle alcuna scelta. Aria avrebbe voluto convincerlo a dirle la verità, ma
aveva capito ugualmente la gravità di ciò che stava per accadere, e così aveva
accettato.
Era riuscita ad
ottenere la promessa di avere delle risposte, quando sarebbe arrivato il
momento opportuno, e poi aveva tentato di raggiungere la camera del capofazione.
Ma aveva fallito.
Finn, che si era
trasformato nel loro nemico principale, aveva intercettato la sua fuga. L’aveva
derisa, aveva fatto allusioni sul suo rapporto con Eric e poi, insieme al suo
fedele braccio destro, l’aveva presa e trascinata indietro.
L’avrebbe riportata
da Eric e messa insieme agli altri iniziati, vanificando tutti i loro sforzi
per evitarlo.
Ripensò a quanto
debole si era sentita contro Eric, e contro la sua richiesta incontrastabile, e
si chiese cosa avrebbe fatto e come si sarebbe sentita quando sarebbe arrivata
da lui.
Forse il senso di
sconfitta sarebbe stato troppo insopportabile e si sarebbe nuovamente ritrovata
a piangere.
Ma no, non poteva,
doveva essere forte e trovare una soluzione.
La mano di Finn si
serrò attorno al suo braccio rubandole un lamento, quando la trascinò a forza
lungo l’ultimo corridoio e, in fine, nella sala di passaggio in cui sembrava
essersi radunata tutta la fazione.
Residui di quattro
file erano ancora davanti a loro e quattro uomini, uno ad ogni capo fila,
iniettavano qualcosa agli altri che gli scorrevano davanti uno per volta.
Erano rimasti in
pochi, e tutti in fondo alla sala, Aria era impegnata a guardare gli Intrepidi
a cui veniva fatta l’iniezione andare via senza scomporsi.
Ma rabbrividiva al pensiero
di cosa potesse esserci all’interno di quelle siringhe.
Quando incrociò due
occhi chiari e sconvolti fissarla, il suo cuore le andò in pezzi e sentì la
terra cederle sotto i piedi.
Il viso di Eric era
avvolto dalla paura e dalla delusione.
Si scambiarono uno
sguardo intenso, per interminabili secondi. La ragazza gli concesse un’
espressione desolata e scosse piano la testa, come a volergli dire che avevano
fallito.
A quel segnale, gli
occhi di Eric si serrarono per un istante e, quando si riaprivano, mostravano
la sua sofferenza.
Ma lo sconforto si
trasformò in rabbia.
Avanzò a grandi
passi, spinse via un suo collaboratore e raggiunse lei e Finn in un attimo,
impedendogli di avanzare. Si piazzò proprio davanti al capofazione con i
capelli bianchi e lo fermò con il suo corpo.
Sentendolo
trattenere un ringhio cupo nel petto, Aria ebbe quasi paura.
Più di quanta ne
aveva già.
-Toglile le mani di
dosso!- sbraitò Eric contro Finn, pur cercando di mantenere un tono di voce
basso per non farsi sentire dagli uomini radunati poco dietro di lui.
Finn rise.
–Assolutamente no, le regole stabilivano che anche a questa ragazzina sarebbe
stato iniettato il localizzatore. Come
mai l’ho trovata diretta verso gli alloggi preferenziali? Non sarà mica stata
opera tua, Eric?...-
Eric impallidì, ma
serrò la mascella tanto forte che Aria temette che se la rompesse.
–Ti ho detto di
lasciarla!- scandì il ragazzo.
-Se no?- A quella
domanda, con il suo tono più arrogante, Finn serrò la presa attorno al braccio
della sua vittima.
Aria gemette.
Gli occhi di Eric
scattarono su di lei, inferociti.
E fu allora che la
ragazza capì, quando le parole di Finn le risuonarono alla mente come un
campanello d’allarme.
Il pericolo a cui
Eric voleva sottrarla era proprio quell’iniezione misteriosa a cui venivano
sottoposti tutti gli altri. Finn lo aveva definito un localizzatore, ma quelle
parole per lei non avevano alcun significato, la portavano invece a pensare ad
un altro tipo di localizzatori, quelli usati per i trasmettitori.
E lei conosceva i
trasmettitori di comando a distanza, inseriti nel siero di simulazione a lunga
azione che gli Eruditi cercavano di mettere a punto.
Lo stesso siero a
cui lei e sua sorella avevano lavorato, prima che cambiasse fazione.
Eric era in contatto
con gli Eruditi, con Jeanine in particolare, e quella donna aveva portato con
séal quartier generale degli Intrepidi
sua sorella Amber.
Amber, che risultava
essere colei che aveva messo a punto il siero.
Un siero. Come
quello che iniettavano a tutti gli Intrepidi.
C’era una sola cosa
che poteva accomunare gli Eruditi agli Intrepidi, e quel qualcosa poteva essere
il potere governativo in mano alla fazione degli Abneganti.
Le parole di
Jeanine, udite in passato, sembravano un sussurro nella sua memoria.
Presto gli Eruditi prenderanno il governo, e gli
Intrepidi saranno solo il mezzo che ci permetterà di raggiungere il nostro
scopo.
Gli Intrepidi
avevano armi e forza, ma non sarebbero scesi in campo consapevolmente, poiché avrebbero
agito contro la loro volontà.
Sarebbe stato un
computer a decidere le loro azioni.
Ogni segreto era
stato scoperto, ogni pezzo del puzzle messo al suo posto.
L’unico dubbio che
aveva era il quando, poiché sapere il momento esatto in cui tutto sarebbe
avvenuto sembrava impossibile.
Ma ormai aveva
chiara la situazione, e il sangue le ribolliva nelle vene in un misto di
terrore e rabbia. Era tanto sconvolta da non essere più in grado di provare
nulla.
-Perché mai a questa
ragazza non dovrebbe essere iniettato il localizzatore, Eric?- Chiese Finn,
maligno. –Perché lo hai deciso tu?-
-Perché Jeanine non ne
sarebbe contenta!-
Quando quelle parole
uscirono dalla bocca di Aria, fu lei per prima a stupirsi del coraggio con cui
aveva parlato e di ciò che aveva detto.
Gli occhi di Finn
scesero su di lei carici d’ira, per poi spostarsi su Eric e incenerirlo.
Eric, invece, la
guardò allibito.
-Come fa a sapere di
Jeanine? Hai disobbedito ancora alle regole, rivelando il nostro piano a questa
ragazzina?- sbraitò Finn contro Eric, senza preoccuparsi di essere sentito, e
continuando a strattonare Aria dal braccio per cui la teneva.
-Non aveva bisogno
di dirmi niente, sapevo già tutto prima di voi!- precisò Aria, guadagnandosi
gli sguardi dei due capifazione. –È stata proprio Jeanine, insieme a mio padre
e a mia sorella, a dirmi del piano contro gli Abneganti!-
Sentendo quella
frase, Finn spalancò gli occhi e la strattonò più forte per avvicinarla a sé.
–Di che cosa stai parlando?- la sua voce non era più minacciosa, stava
diventando spaventata.
Aria lo guardò negli
occhi senza timore. –Sono la figlia di Richard Grey!-
Il fedele braccio
destro di Finn, il ragazzino dalla testa rasata che si portava sempre dietro,
riemerse dal buio e dal silenzio in cui si era nascosto, avvicinandosi
all’orecchio del suo capo.
-Richard Grey è
l’inventore di tutti i sieri della città, anche di quello che usiamo per
l’addestramento degli iniziati…-
Ma Finn non si
scompose per quelle parole, aveva gli occhi puntati su Aria e la fissava dall’ alto
con sospetto. Sicuramente aveva capito subito chi era suo padre anche senza la
precisazione del ragazzo, altrimenti non si sarebbe messo in allerta.
-Qual è il tuo nome
completo?- Le chiese, con un tono di voce più composto e meno alterato.
Aria abbassò gli
occhi sulla mano che ancora l’uomo teneva attorno al suo braccio.
–Ariana Grey.-
Passarono diversi
secondi, Finn continuava a studiarla in silenzio e poi, senza preavviso, le
liberò il braccio.
Indietreggiando, la
ragazza si ritrovò con la schiena contro il petto di Eric. Non si mosse.
-Quindi abbiamo
un’altra Erudita infiltrata fra gli Intrepidi per i progetti di Jeanine?-
Chiese Finn tranquillamente, con il mento sollevato.
Eric non rispose, ma
Aria lo sentì irrigidirsi.
-Potevi dircelo
subito, Eric.- Continuò Finn, posando una mano sulla spalla del ragazzino che
era sempre con lui. –Ci avresti evitato spiacevoli inconvenienti…-
Vedendo il sorrisino
tirato con cui il capofazione anziano guardò Eric, ad Aria parve di capire che
tirare fuori il nome di suo padre aveva scatenato in quell’uomo una certa
ansia.
Forse lo aveva
terrorizzato, oppure infastidito.
Era come se sapesse
che mettersi contro Jeanine e suoi fedeli collaboratori fosse una mossa
sbagliata e, forse, a lui la cosa non andava a genio.
Il giovane rasato
guardò Aria in modo strano.
-Ora capisco perché
eravate così amici…- sogghignò Finn, guardo prima lei e poi Eric.
Aria non gradì l’allusione
e storse il naso, il loro legame non era certo nato grazie agli Eruditi, tanto
meno grazie ai piani di Jeanine.
-Sappiamo tutti che
compito aveva Eric, mi domando quale sia il tuo…- volle sapere l’uomo.
A causa della
tensione, Aria sentì le proprie mani intorpidirsi.
Dalle parole di Finn,
aveva capito che Eric agiva per Jeanine anche fra gli Intrepidi con un ruolo
ben preciso. Ma quale poteva essere il suo?
-Mia sorella, Amber,
si occupa del controllo dei trasmettitori…-
Dal modo in cui disse l’ultima parola, face capire che sapeva benissimo che si
trattava di altro, in realtà. –Il mio compito è quello di assicurarmi che non
le accada nulla.-
Finn analizzò la sua
risposta, e parve convincersi. –Ma certo, una guardia del corpo! Non potevano
certo affidare la protezione di una persona così importate ad un idiota
qualunque…-
Aria colse
perfettamente il significato delle sue parole, ovvero che non gradiva che gli
Eruditi inviassero scorte personali per i loro uomini, invece che fidarsi degli
Intrepidi.
Ma lei era veramente
un’ Intrepida, non aveva niente a che fare con Jeanine e i suoi interessi.
Ma doveva fingere.
-Bene allora, ci
rivedremo quando sarà il momento!- E, con quelle parole, Finn si congedò.
Il ragazzino che era
con lui lo seguì, dopo aver lanciato ancora una strana occhiata ad Aria.
Quando furono soli,
la ragazza sentì la mano di Eric afferrarla da un polso e si lasciò trascinare
via, mentre le emozioni e la paura che aveva cercato di nascondere fino a quel
momento, esplodevano dentro di lei.
Non seppe come
c’erano arrivati, dato che aveva smesso di ragionare, ma Aria si ritrovò nella
camera di Eric mentre il ragazzo chiudeva a chiave la porta dietro di loro.
-Che cosa ti è
saltato in mente?-
La voce profonda di
Eric la risvegliò, erano ancora in piedi, l’uno di fronte all’altra.
Alzò gli occhi e
vide la sua l’espressione furiosa e le sue labbra serrate, sentendo così la
lava incandescente che le bruciava le vene serrarle la gola.
E quindi dovette
urlare.
-Cosa mi è salto in
mente? Di salvarmi la testa, ecco cosa mi è saltato in mente!-
Eric storse il naso
e la guardò con decisione, ancora arrabbiato. -E se non funzionava?-
-Se non funzionava
mi iniettavano il siero di simulazione a distanza, ecco cosa succedeva!-
Lo aveva detto di
getto ma, finito di parlare, sentì una fitta al petto.
La reazione di Eric
si manifestò con una smorfia che lo costrinse a piegare malamente la bocca,
come se avesse appena ingerito qualcosa di disgustoso.
Aria si mise le mani
ai lati della fronte e scosse la testa. -È questo che stavi nascondendo?
Manderai la tua fazione contro gli Abneganti, lasciando che siano gli Eruditi a
guidarli? È per questo che sei diventato un capofazione?-
Con uno scatto, Eric
la prese da una spalla. -E cosa avrei dovuto fare, allora? Rinunciare alla
possibilità di diventare il capo e finire anch’io come una pedina?-
Cogliendo lo sguardo
disperato di Aria, decise di lasciarla andare e di ricomporsi, cercando di
riprendere la calma.
-Non so in quale
mondo delle favole tu viva, ma nel mio avevo solo due scelte. O ero la vittima
oppure il carnefice. Ho scelto la seconda e non me ne pento!-
-Sapevi tutto fin
dall’inizio?- Chiese a voce alta.
-Sì, Jeanine mi ha
trovato quando ero ancora fra gli Eruditi e mi ha affidato un compito. In
cambio sarei diventato un capofazione e avrei preso parte a questa rivolta, da
comandante e non da pedina!-
-Che compito?-
-Non ha importanza.-
Sentenziò Eric, brusco.
-Si, invece!-
Replicò, sconvolta ed arrabbiata. -Ho ascoltato di nascosto, quella volta allo
strapiombo quanto hai incontrato Leah!-
Eric parve perde il
controllo come se qualcuno lo avesse aggredito senza preavviso, trasformandosi in
un animale minaccioso. - Come sai di Leah? E cosa hai sentito?-
La ragazza
indietreggiò di un passo, deglutì ma non perse la determinazione del suo
sguardo.
-Sapevo che stavi
con lei già da prima, è una lunga storia. Ho sentito che ha detto che avete
ucciso i Divergenti, è vero?-
La mascella del
ragazzo scatto ferocemente, i suoi occhi scintillarono crudeli, ma poco dopo
prese un profondo respiro e si passò una mano fra i capelli.
-Il mio compito era
quello di scovarli, dovevo analizzare le simulazioni del secondo modulo
d’addestramento, dove emergono solitamente le anomalie.- Decise di spiegarle
con calma. - Una volta consegnati i nomi dei sospettati, Max e gli altri capi
si occupavano di loro.-
Aria si morse il
labbro e guardò da un’altra parte. -Quindi tu non hai mai spinto nessuno oltre
la ringhiera?-
Le parole fin tropo
allusive al discorso di Leah fecero sollevare pericolosamente le spalle di
Eric, che le lanciò un’occhiataccia per poi guardare anche lui da un’altra
parte.
Si spostò verso la
finestra, rifiutandosi di incrociare lo sguardo con lei. –A volte ho
assistito!-
Scuotendo con forza
la testa, Aria gli urlò contro. - Ti ho fatto un’altra domanda!-
Sta volta gli occhi
della ragazza erano ostinatamente puntati in quelli di Eric, e lui vi lesse il
suo coraggio ma anche il suo dolore.
Decise di avvicinarla
con passo sicuro, a testa alta, stanco di sentirsi vinto e messo all’angolo.
Avanzò in tutta la
sua forza, i passi che si susseguivano l’uno dopo l’altro per assottigliare la
distanza fra di loro.
Si fermò ad un
soffio da lei e chinò gli occhi sul suo viso ancora arrabbiato.
-E dimmi,- Le disse
con voce crudele. -Arrivati a questo punto, ha veramente tanta importanza?-
Nel silenzio della
stanza che sembrava improvvisamente essersi gelata, Aria si ritrovò gli occhi
grigi di Eric puntati contro, e dovette fare i conti con la sua espressione più
impassibile.
Una statua di
ghiaccio sarebbe stata più calorosa, mentre lui rappresentava il gelo senza
fine. Non esprimeva nulla, non parlava, la guardava in attesa della sua
risposta e lei si mordeva il labbro inferiore in attesa di avere le parole
adatte da offrirgli.
Voleva sapere se,
oltre ad aver preso parte alle esecuzioni dei Divergenti, avesse anche agito di
mano propria. Ma lui le aveva rivolto un’altra domanda, chiedendole se quel
dettaglio fosse realmente rilevante.
Si morse il labro
con più forza, Eric aveva ammesso di aver fatto i nomi dei Divergenti che
successivamente venivano assassinati, di essere stato partecipe.
Dopo aver confessato
di aver guardato negli occhi tutti quei ragazzini che venivano lasciati cadere oltre
la recinsione dello strapiombo, la mano che aveva di fatto spinto quei
malcapitati, come poteva fare la differenza?
Certo, le mani di
Eric erano sporche di sangue innocente, si era fatto comandare da Jeanine come
uno schiavo e aveva agito in modi spregevoli e spaventosi. Era responsabile di ogni
singola morte e non aveva fatto nulla per cambiare la situazione, di
conseguenza, anche lui aveva ucciso tutti i Divergenti che avevano tentato di
superare l’iniziazione degli Intrepidi.
Però, con le sue
parole, forse Eric intendeva ben altro.
Le aveva chiesto se,
arrivati a quel punto, avesse realmente importanza quantificare le sue
effettive colpe.
Era ovvio che fosse
colpevole, che fosse un assassino, perché concentrarsi su inutili dettagli?
Ma, soprattutto,
dopo tutto quello che avevano condiviso e dopo essere caduti vittima di quel
sentimento che li dilaniava dall’interno e gli impediva di separarsi, aveva
davvero importanza di quante gocce di sangue si fosse realmente macchiato?
Poteva un particolare distruggere quello che c’era fra di loro?
E, con quel
pensiero, rispose. –No…-
Eric piegò appena la
testa e la guardò in silenzio per alcuni secondi, come se si aspettasse che
potesse cambiare idea.
-Ma ho bisogno di
sapere un’ altra cosa.- Continuò, sostenendo il suo sguardo arrabbiato. – Finn
credeva che fossi un’altra Erudita
infiltrata tra gli Intrepidi, sei tu l’altro?-
-Lascia perdere
Finn, lui si diverte a vederla così, piuttosto che ammettere che mi sono
meritato il mio posto.- Scattò Eric, scuotendo la testa. -È vero, Jeanine ha
parlato con Max durante la mia iniziazione e gli ha detto di tenermi in
considerazione, ma il resto l’ho fatto io. Sono un capofazione Intrepido, non
un Erudito sotto copertura!-
Il ragazzo la guardò
attentamente, ma a lei non importava. Si morse il labbro e gli rispose con
decisione.
-Perché hai cambiato
fazione allora, se eri tanto fedele a Jeanine? Non è che le servivi dove sei
adesso?-
Lui capì quello che
intendeva e trattenne una smorfia di puro odio, strinse un pugno e tentò di
parlare con un tono di voce controllato.
-Si, le servivo dove
sono adesso, ma non ha preso un Erudito e lo ha travestito da Intrepido! Ha
capito che volevo cambiare fazione, che ero ambizioso e determinato, così mi ha
proposto il suo piano.-
Aria si concesse
alcuni secondi per riflettere, abbassò lo sguardo e prese un respiro profondo, per
poi tornare a fissarlo con insistenza, per nulla soddisfatta.
-Diciamo che ci
siamo aiutati a vicenda, lei voleva un capo Intrepido che l’aiutasse ad
organizzare il nostro piano e che le consegnasse i Divergenti, ed io volevo
diventare capofazione!- Precisò il ragazzo.
-Il prezzo non aveva
alcuna importanza, vero?-
La mascella di Eric
scattò quando la strinse con ferocia, prima di urlare. -Ho fatto la mia scelta,
Aria, sono anni che so che gli Eruditi progettano qualcosa, e non volevo essere
usato per i loro piani. Volevo avere un posto in prima linea.-
-Ti sei fatto usare,
Eric!- urlò a sua volta. -E hai ucciso delle persone!-
-Persone? Erano
Divergenti! Sai quanto possono essere pericolosi, sei cresciuta anche tu fra
gli Eruditi! Vanno fermati, sono come un virus pericoloso che non deve
diffondersi!-
Le mani tremanti di
Aria si strinsero e i suoi occhi si chiusero per assorbire l’ennesima sfuriata
di Eric.
- D’accordo vanno
evitati e sono pericolosi, ma non potevi considerarli persone?-
-Le ho considerate
persone e le ho mandate a morire lo stesso, va bene?- Sbraitò.
Aria si zittì
all’instante.
La rabbia aveva reso
Eric ancora più pericoloso, si era accorto che Aria aveva smesso di respirare,
ma non si calmò.
-Se non lo avessi
fatto non saremmo qui, saremmo entrambi stati iniettati con il siero di
simulazione! Non so cosa volessi tu, ma io di certo non faccio il burattino! Ho
passato degli anni al comando, sono stato rispettato, sono stato bene, me lo
meritavo! Se in cambio c’era da smascherare qualche fottuto Divergente, l’ho
fatto e lo rifarei di nuovo!-
Eric prese a
girovagare per la stanza, ceco d’ira e con i muscoli contratti carichi di
forza.
Qualcosa però scattò
nella mente di Aria e così, ancora indebolita dalla paura, si lasciò sfuggire
una domanda con un filo di voce.
-Cosa sarebbe
successo se ti fossi opposto?-
Il ragazzo smise di
camminare avanti e indietro e si voltò di scatto verso di lei, ancora ferma
vicino alla porta.
-Vedo che finalmente
usi il cervello per uscire dal tuo mondo incantato!- La beffeggiò, crudele.
Girando la testa da
una parte, Aria non seguì Eric mentre avanzava tronandole davanti, ma si
accorse benissimo della mano che le mise sulla spalla.
-Mi avrebbero
ucciso, Aria. Sapevo troppo, non potevano rischiare. Inoltre un patto è un
patto, se non mi occupavo più dei Divergenti avrei perso prima il rispetto di
Max e poi tutto il resto.-
Scossa da un leggero
brivido, Aria sentì la confessione di Eric e la sua voce vibrante attraversarla
come una lama infuocata.
-Lo sai quello che
ho fatto per proteggerti?- La incalzò lui, chinandosi in avanti a mettendo il
viso all’altezza del suo in cerca del suo sguardo.
Gli occhi di Aria
incontrarono finalmente quelli del ragazzo, ma rimase in silenzio.
-Non era solo la
relazione con un’iniziata il problema. Avevo dato la mia parola che ti avrei
lasciato alla simulazione, e invece non avevo alcuna intenzione di farlo! Ma
non potevo fare di testa mia, mi sono dovuto attenere agli ordini solo per
poter avere la certezza di garantire sicurezza a me stesso e a te.-
-Tu odi obbedire
agli ordini degli altri!- disse piano, guardandolo.
-Bene, allora saprai
quanto mi è costato!- Scandì a denti stretti, afferrandola da entrambe le braccia.
Con una scrollata di
spalle, Aria si liberò delle mani di Eric, abbassando lo sguardo perché non
voleva più guardarlo, dato il peso elevato che sentiva dentro.
-Perché tu e gli
altri capifazione vi siete alleati con gli Eruditi?-
Eric fece un cenno.
-Perché, se riusciranno a togliere il governo agli Abneganti, Gli Eruditi ci
hanno promesso un posto nel consiglio.-
Le sopracciglia di
Aria scattarono verso l’alto, guardando il ragazzo con scetticismo.
-Quindi governeranno
loro con il vostro appoggio? È questo che volete, che vi tengano in considerazione
per ogni decisione importante?-
-Potremo finalmente
dire la nostra, nessuno ci ascolta mai!- precisò Eric, mostrandole una smorfia
per la sua mancanza di intuito.
-Si, è vero!-
dovette concordare dopo una breve riflessione. -Perché i capifazione Intrepidi
sono solitamente troppo giovani e troppo impetuosi. Sono considerati animali
selvaggi senza buon senso…-
-E dovrebbe andarci
bene? È da troppo tempo che veniamo ignorati, adesso vogliamo rispetto!-
Ma Aria non disse
nulla, al contrario, si rifugiò in un lungo silenzio e si abbracciò da sola
portandosi le mani sulle braccia, come in cerca di conforto.
Capì in quel momento
che avrebbe dovuto scegliere.
Scegliere se essere
complice o meno dei crimini e dei piani contro l’intera fazione in cui era
appena entrata, ma quella decisione non spettava più a lei.
Avrebbe potuto
opporsi, decidere liberamente di scappare, qualora non fosse successo nulla fra
di loro.
Ma oramai, dopo
tutto quello che c’era stato, arrivati a quel punto, non aveva più nulla da
decidere.
Nulla poteva avere
importanza.
Non si poteva più
tornare indietro.
Eric era parte di
lei e aveva lottato per proteggerla.
Avrebbe dovuto
convivere con la consapevolezza che lui, negli anni, avesse dovuto sottostare a
ordini folli ed obbedire eseguendo gesti sconsiderati.
Forse a causa della
paura che aveva provato, forse per colpa della sensazione di vuoto che sentiva
dentro di sé o per la voragine che minacciava di aprirsi sotto i suoi piedi e
di inghiottirla, Aria non poteva fare a meno che aggrapparsi con tutte le sue
forze ad Eric e di sentirsi sua alleata.
Sentiva il peso di
quella guerra, di quelle morti, di quei sacrifici e di quelle azioni fuori dai
limiti su di loro, schiacciarli e soffocarli, e non poteva fare altro che
lottare con lui.
-Aria...-
Quando sentì la
sofferenza nella voce del ragazzo, e si accorse della scintilla di speranza che
illuminava i suoi occhi, Aria sperò che non tutto in lui fosse perduto.
Il mostro che teneva
imprigionato dentro di sé non si cibava solo di cattiveria. Eric era
sconsiderato, malvagio, ma era anche coraggioso e in grado di rischiare ogni
cosa per proteggere qualcuno.
Per proteggere lei.
E, qualcuno in grado
di amare, non poteva essere del tutto cattivo.
Doveva esserci del
buono in lui, doveva esserci una luce dietro l’oscurità.
Quel ragazzo era
entrato dentro il suo animo senza permesso. Aveva fatto irruzione nella
prigione in cui si era rifugiata, sfondando le porte e portandola in salvo dal
buio in cui si era lasciata sprofondare.
Aveva riacceso la
sua luce, quella luce che si era spenta per colpa del suo senso di solitudine.
Era sempre stata
sola e diversa.
Solo lui le aveva
ridato speranza.
E se la speranza era
la chiave, trovare la luce di Eric diventava la sua missione primaria. La sua unica
soluzione di vita.
Poiché vivere senza
di lui sembrava follia, non le restava che dimostrare che c’era ancora speranza
per il suo cuore ribelle.
Nella sua mente
dovette giustificare tutti i suoi crimini, cancellare le sue cattiverie e
trasformare la rabbia che solitamente lo indentificava in disperazione.
Doveva usare quella
chiave di lettura, o sarebbe caduta in un limbo senza ritorno.
Arrivati a quel
punto, non aveva davvero importanza quante morti Eric avesse realmente sulla
coscienza.
Non poteva
considerarlo un assassino.
O sarebbe stata lei
a morire.
Aveva bisogno di lui
come ne aveva del sole, perciò doveva trascinarlo fuori dal buio.
Salvare lui avrebbe
salvato lei.
Il ragazzo provò a
metterle una mano sul viso, ma lei si scostò bruscamente, lo aggirò e si
allontanò.
-Aria!- riprovò
Eric, avvilito.
-Lasciami un
attimo!- gli disse alterata.
Si voltò verso di
lui e si fissarono in silenzio, lui che abbandonava la sua collera e cercava di
rasserenarsi, lei che tentava di dimostrarsi calma facendo dei lunghi respiri.
-Mi serve un momento
da sola…-
Le sue parole
sembravano quasi una supplica così, per evitare di scoppiare a piangere, decise
di rifugiarsi nel bagno.
Tuttavia, prima che
di richiudere la porta, la voce di Eric la richiamò.
-Non c’è altra
scelta!- le disse lui, con la voce tremante per lo sforzo di mantenere un tono
pacato. La guardava con attenzione, scandendo ogni sillaba.
Aria abbassò la
testa.
-Adeguati come ho
fatto io!-
Sollevando gli occhi
verso di lui, Aria vide il suo sguardo feroce e, allo stesso tempo, lo vide
arrendersi.
Ma lei non voleva
arrendersi.
Si chiuse in bagno
rifiutandosi di rispondere.
Quando Eric rientrò
nella sua camera, dopo aver fatto un giro di supervisione all’esterno per
accertarsi che tutto procedesse per il meglio, trovò Aria seduta sul letto.
Era dovuto andare ad
assistere alla cerimonia per l’ingresso nella fazione dei nuovi iniziati, e
fortunatamente nessuno aveva fatto domande per l’assenza di Aria.
Lei era decisamente
più al sicuro dove era in quel momento, con la possibilità di calmarsi e di
riprendersi dopo tutto quello che aveva scoperto. Inevitabilmente adesso
condivideva anche lei quel peso opprimente sulle spalle, che sembrava capace di
togliere ogni respiro. Era la costante paura che qualcosa andasse storto, e
l’orrore della consapevolezza di essere dalla parte sbagliata e di aver fatto,
o di stare per fare, cose terribili.
Si sedette vicino a
lei sul letto, rimanendo in silenzio a fissare la luna fuori dalle vetrate, con
Luna la gatta raggomitolata vicino alle loro gambe.
-Almeno mi risparmio
la scelta della carriera, tanto non avevo idea di cosa prendere.- Lo voce di
Aria si fece udire senza preavviso, accompagnata da una sua alzata di spalle.
Eric la guardò e
sorrise nella penombra, un po’ per quello che aveva detto e un po’ per la sua
volontà di intrattenere una conversazione meno grave di quella che avevano
avuto poco prima.
-È per questo che
esistono i capifazione: osservano gli iniziati durante l’addestramento per
consigliarli nella scelta.- Le disse ironico. -E tu ne hai uno tutto per te che
ti ha osservata e che ti conosce abbasta bene da sapere cosa potrebbe fare al
caso tuo.-
Aria guardò il suo
sorriso beffardo e sollevò le sopracciglia. -A sì, e che lavoro dovrei scegliere?-
-Secondo te qual è
il tuo punto di forza?-
-L’unica cosa di cui
mi sono convinta, è che vorrei un lavoro che mi permettesse di sfruttare la mia
intelligenza. Anche se ho scelto gli Intrepidi, so che uso sempre la testa!-
ammise, stretta nelle spalle.
-Tu fai una
riflessione per ogni passo che fai, sei una calcolatrice nata, ed è su quello
che devi puntare.-
Senza rispondere
nulla, la ragazza lo osservò con attenzione.
-Senza dimenticarti
però che hai un carattere molto forte, che sicuramente può tornarti utile.-
sottolineò Eric, con uno sguardo deciso ed intrigante.
-Quindi?-
-Quindi sei perfetta
per un ruolo di comando!-
La ragazza fece per
aprire bocca per parlare, per rispondergli che era folle a pensarla in quel
modo. Poi si ricordò che, nell’ultima discussione sulle carriere che aveva
avuto con Will e Christina, anche l’amica le aveva consigliato un lavoro che
avesse a che fare con il comando.
Se anche Eric era di
quel pensiero, voleva dire che aveva davvero trovato il tipo di carriera che
doveva seguire. Per un attimo si sentì felice, quella piccola vittoria era una
distrazione piuttosto piacevole e confortante.
-Guarda che non voglio
fare il capofazione!-Precisò, trattenendo una risata.
-Infatti ci sono
altri ruoli, anche più adatti per te.-
Eric sembrava
piuttosto protettivo nei suoi riguardi, come un vero maestro con la sua allieva,
e realmente coinvolto nella discussione.
Aria sospirò.
–Tipo?-
-Supervisore area
logistica!-
-O mio dio, sembra
una cosa da Eruditi!-
Eric ignorò il suo
tono di protesta. -È vero!- ammise, concedendosi una breve risata. -L’area
logistica è il centro operativo che controlla tutta la residenza, coordina i
vari reparti e divide gli ordini per garantire il funzionamento della fazione.
All’inizio ti occuperesti del passaggio delle consegne ai settori, e per il
primo anno saresti solo un’ apprendista. Ma, se raggiungerai il massimo della
carriera, potresti essere importante come un capofazione.-
Assorbendo quell’
informazione, Aria rimase in silenzio con lo sguardo basso e concentrato.
-Avresti una grande
responsabilità, all’interno della fazione nessuno si muoverebbe senza un tuo
ordine, avresti il controllo generale su tutto.- Affermò Eric, studiandola con
attenzione, pronto a cogliere ogni sua reazione.
Ed Aria sorrise,
sollevando gli occhi pieni di gioia su di lui. - Mi piace!-
Le sorrise a sua
volta, orgogliosamente. -Oppure potresti scegliere di partire come addetto al
poligono.-
Lei lo guardò
interrogativa.
-Sei brava a
sparare, partiresti come addetto alle armi, ma potresti diventare istruttore e
anche dirigente del poligono e del reparto armamenti. E, sai com’è, in una
fazione come la nostra, il reparto delle armi è molto importante!-
Aria si mordicchiò
un labro. -Potrebbe essere un’idea, ma preferisco la prima opzione. Tutto
dipende da cosa scelgono quelli prima di me in classifica…- A quella parola sussultò.
-Aspetta… la classifica!-
-Già, la
classifica!- Il naso di Eric si arricciò per il disgusto e una smorfia lo rese
terrificante.
Spalancando gli
occhi, Aria si strinse nelle spalle, mortificata. -Cosa c’è? Che posto ho?-
-Sei quinta!- Le
rispose, sputando fuori quelle parole con rabbia.
Inizialmente Aria
non condivise il suo dissenso, aver superato entrambi i moduli della terribile
iniziazione degli Intrepidi e classificarsi al quinto posto era qualcosa di cui
andare fieri. Ma poi si trovò a riflettere sulla delusione di Eric, e capì che
essere quarta su più di venti persone era un buon risultato, soprattutto se lo si
era ottenuto battendosi contro ragazzi più forti. Ma essere quinta su dieci
persone che erano riuscite a passare, dopo aver superato le proprie paure, era
un traguardo appena sufficiente.
-Quinta? Sono scesa
di un posto ma la classifica si è dimezzata quindi, se ero tra i primi, adesso
sono a metà…- Constatò a bassa voce.
-Mi aspettavo molto
di più di te, hai spaccato la faccia a gente contro cui ti davamo per
spacciata, e poi è tutto qui quello che sai fare?-
Come immaginava,
dopo il risultato che aveva avuto nei combattimenti, il suo quinto posto a fine
iniziazione non era all’altezza delle aspettative. Anche lei c’era rimasta
male, d'altronde aspettava quel momento da anni, ma a quanto pareva anche Eric
si aspettava molto di più da lei.
E, la delusione di
Eric, era molto peggiore da mandare giù, faceva più male e sarebbe stata molto
più difficile da superare.
Probabilmente glielo
avrebbe rinfacciato a vita.
-Grazie per
l’incoraggiamento! È stata colpa del tempo pietoso che ho fatto alla prima
simulazione, e poi avevo troppe paure.- Provò a giustificarsi, nascondendo
dietro una smorfia il suo malessere.
-Per tua fortuna,
invece, c’era chi ne aveva molte di più di te.- Le rispose Eric, guardandola
dall’alto, ancora infastidito.
Aria sospirò
imbronciata e scosse la testa, non le piaceva quella situazione. -Bè, allora,
com’era la classifica? Sai com’è, io non l’ho vista!-
-Primo Uriah,
secondo Peter e terza Tris.- Disse Eric in tono piatto.
-Che? Tris, ma stai
scherzando?-esclamò indignata,
guardandolo con incredulità.
-Ha fatto dei tempi
da record durante le simulazioni. Avrebbe superato perfino Uriah se non fosse
stato per il distacco di punti che avevano nel primo modulo, dato che lei è
passata per un pelo.- Ammise schifato.
-E dopo chi c’è?-
-Lynn, e poi tu!- Si
rifiutò di guardarla, di nuovo infastidito per il risultato mediocre a cui era
arrivata.
Aria lo guardò
storto e sospirò con rabbia, stanca di vederlo offeso e di sentirsi rinfacciare
che lo aveva deluso per non essere riuscita a fare meglio. - Mi ha superato
anche lei?-
-Ha fatto dei tempi
perfino migliori di quelli di Uriah nelle simulazioni, ma in combattimento ha
dovuto affrontare tutti ragazzi interni decisamente forti. Solo per questo, nel
primo modulo, eri davanti a lei.- Precisò aspro.
Lei alzò gli occhi
al cielo. – Continua!-
-Marlene, poi Will e
Christina e poi la tua amica Sasha. Infine altri due interni.-
-Non è male quinta…-
provò a dire timidamente, con voce dolce, ma l’occhiataccia di Eric le fece
capire che era inutile continuare su quella strada. -Però sì, mi aspettavo di
più. Scusa se non siamo tutti forti e coraggiosi come te!-
-Io sono arrivato
primo nel mio anno!- le disse arrogante.
-Complimenti!-
canticchiò sarcastica. -Facendo risultati da record, immagino!-
-No, i risultati da
record li ha fatti Quattro quando, qualche anno dopo, è arrivato fra gli
Intrepidi.-
Vedendo come aveva
reagito, Aria capì di aver toccato un tasto delicato. -È per questo che lo ami tanto?- provò ad ironizzare.
-Max lo voleva al
comando, ma i capifazione possono essere solo di numero dispari, e cinque è già
un numero elevato. Indovina chi avrebbe dovuto cedergli il posto se lui avesse
accettato?-
Eric aveva la voce
avvelenata, forse non solo dalla rabbia, ma anche per qualche sconfitta
nascosta.
Si alzò dal letto ed
iniziò a spogliarsi frettolosamente, lanciando i propri vestiti sul pavimento,
poi si infilò sotto le coperte e si stese su di un fianco dandole le spalle.
Aria sospirò, si
tolse i pantaloni e si stese anche lei sotto le coperte, guardando con rabbia
la schiena del ragazzo.
Come poteva
arrabbiarsi lui con lei, dopo tutto quello che aveva combinato e dopo tutto
quello che stava per accadere?
Ma, al pensiero
degli Eruditi e di tutti i possibili morti per mano loro, Aria sentì lo stomaco
attorcigliarsi e un dolore colpirle il petto. Era decisamente meglio che la
loro attenzione si fosse spostata su quei discorsi che, se pur carichi di
risentimento, erano una distrazione dalla realtà sconvolgente da cui volevano
fuggire.
Non era in grado di
pensare ad Eric come fedelissimo di Jeanine, non voleva, così scacciò via
quella verità e tornò solo al presente che stava vivendo. Peccato che fosse
comunque sconvolta e non sarebbe stato facile illudersi che niente sarebbe
accaduto, così si avvicinò alla schiena del ragazzo e lo avvolse con un
braccio.
Quando il ragazzo le
prese in silenzio la mano che gli aveva posato sull’addome, stringendola con
forza, Aria pensò che Eric avesse bisogno di quell’abbraccio più di quanto ne
aveva lei.
Continua…
Grazie
a tutti i lettori,
Sto
cercando di aggiornare più in fretta, dato che siamo agli ultimi capitoli e non
voglio farvi perdere il filo.
Spero
di farvi contenti, e mi farebbe enormemente piacere sapere cosa ne pensate : )
Soltanto dopo
qualche ora che si erano stesi nel tentativo di trovare qualche momento di
riposo, Eric si era alzato dicendo che era ora di andare.
Ora di andare.
Nella mente di Aria
un nero sconfinato avvolgeva immagini spaventose ed angoscianti.
Entrambi si
rivestirono, si diedero il cambio per rinfrescarsi in bagno e, mentre Eric
impiegava più tempo del normale per allacciarsi la giacca nera degli Intrepidi,
Aria avvolgeva i suoi capelli in una treccia laterale.
Ciocca dopo ciocca,
la ragazza era sempre più silenziosa, così Eric la guardò mentre si intrecciava
i capelli e le si avvicinò.
-Vedrai,- Le disse
mettendole una mano sul viso. -quando tutto questo sarà finito, torneremo tutti
qui e potrai scegliere la tua carriera!-
Aria avvolse
l’elastico nero alle fine della treccia, l’abbandonò sulla sua spalla destra e
sollevò i suoi occhi cupi e malinconici sul ragazzo. –Cosa ti da la sicurezza
che andrà tutto bene?-
-Gli Eruditi ci
hanno garantito che i nostri uomini non correranno alcun rischio, gli Abneganti
sono innocui!- rispose, spavaldo.
-E quando tutti si
saranno svegliati? Saranno piuttosto arrabbiati, o direi infuriati!-
-Forse, ma a quel
punto ci sarà un nuovo governo e loro dovranno farsene una ragione e obbedire
alle nuove regole. Dovranno accettare di aver contribuito, anche se contro la
loro volontà, ad un sistema governativo diverso.- Fece un sorriso arrogante e
sicuro. –E credimi, a molti di loro il nuovo sistema piacerà.-
Aria pensò che forse
Eric poteva avere ragione, magari sapere che finalmente la loro fazione sarebbe
stata determinante per il funzionamento dell’intera città, avrebbe convinto
diversi Intrepidi che il piano a cui avevano aderito era qualcosa di giusto.
-Se lo dici tu!-
-E poi potrai
scegliere la tua carriera, così vedrai veramente cosa vuol dire vivere fra gli
Intrepidi!- le fece un sorriso malizioso, ma la guardò serio, vestendo ancora
una volta i panni del maestro.
-Sempre che mi lascino
il lavoro che mi piace!- abbassò gli occhi.
-Uriah vuole
lavorare al centro di controllo come suo fratello, ne sono sicuro. E Peter-
fece una pausa per riprendersi dal fastidioso sapore amaro che gli aveva
lasciato in bocca quel nome. - sappiamo benissimo cosa sceglierà!-
-Mi stai dicendo che
potrei riuscire a prendere uno dei due lavori di cui abbiamo parlato? Magari
proprio quello all’area logistica?- Sorrise speranzosa.
Eric sogghignò.
-Perché no? Lynn punterà di sicuro su qualcosa di più fisico, agli allenamenti
l’ho sentita parlare del servizio di sorveglianza. Ma non ho idea di cosa
sceglierà quella Tris.-
Tris era un mistero,
era capace di far parlare di sé pur rimanendo riservata e sempre apparentemente
fragile. Forse il lavoro di supervisore all’area logistica poteva fare per lei,
anche se Aria sperava con tutta sé stesse che fosse meno ambiziosa e che
scegliesse altro.
Increspò le lebbra
in un sorriso tirato per Eric, poter sperare in un futuro tranquillo anche dopo
la battaglia che stava per avvenire, le dava serenità.
Ma il dolore e la
paura non passavano, accompagnati da un insopportabile senso di colpa.
Chiuse gli occhi e
vide gente ferita, Divergenti trascinati via dall’acqua dello strapiombo e
Abneganti che lottavano finendo in un mare di sangue.
Vide la folla di
Intrepidi risvegliarsi senza preavviso e scagliarsi contro i capifazione che
avevano permesso quell’attacco.
Vide Eric a terra, e
sussultò.
Quando aprendo gli
occhi se lo trovò davanti, riprese a respirare.
Eric le accarezzò
ancora una guancia, la guardò attentamente e parve cogliere ogni suo tormento.
Altrimenti non l’avrebbe stratta a sé in uno dei suoi abbracci rudi eppure
caldi.
-Tornerò presto
vedrai, non ti accorgerai di nulla!- la rassicurò.
Si scostò da lei, si
risistemò il colletto della giacca e fece per uscire, mentre Aria si spostava
verso il letto.
Ma poi bussarono
alla porta.
-Eric?- Era la voce
di Max. –Sbrigati! È lì con te la ragazza?-
I due si scambiarono
uno sguardo allarmato.
Aria era interdetta,
perché la cercavano?
Eric, come era
prevedibile, era già sul punto di perdere la pazienza. Se di mezzo c’era lei,
non permetteva a niente e nessuno di toccarla. Aveva stabilito che avrebbe
aspettato in camera sua, non aveva senso che Max chiedesse di lei.
Con i muscoli del
corpo tesi e lo sguardo ferino, Eric fece segno ad Aria di nascondersi dietro
l’angolo dove c’era il bagno, e aprì la porta della camera trovandosi davanti
l’altro capofazione.
-Siamo in ritardo.-
Iniziò l’uomo. –Immagino che sia qui quella ragazza, la nata Erudita. Avresti
potuto dirci che non era un’ iniziata qualunque, anziché tenere l’informazione
per te. Ti ricordo che sei uno di noi, è tuo dovere dirci tutto quello che ti
viene comunicato dagli Eruditi.- Il suo tono era severo.
Eric rimase in
silenzio, assottigliò lo sguardo cercando di capire cosa stava realmente
accadendo.
-La tua ragazza è
richiesta.- Proseguì Max, in un misto di ironia e fastidio. -Fortuna che Finn
mi ha detto che era con te e che gli Eruditi avrebbero chiesto di lei.-
Aria, con la schiena
contro il muro, scosse la testa senza essere vista poiché non capiva. Aveva
inventato con Finn quella scusa, dicendo che sarebbe stata la scorta personale
di sua sorella Amber, ma non era vero. Lo aveva detto solo per convincerlo e
salvarsi, ma rimaneva comunque un’ enorme bugia.
Probabilmente aveva
combinato un guaio, perché lui ci aveva creduto, e avrebbero rischiato di
essere scoperti.
Poi intervenne Eric.
–Chi la cerca?-
-Jeanine e i suoi
uomini sono arrivati, e la prima cosa che ha fatto quella ragazzina bionda, è
stato pretendere che le portassero sua sorella!-
Fu allora che Aria
capì.
Aveva presupposto
che, se realmente sua sorella avesse preso parte a quella follia, avrebbe avuto
bisogno di protezione. Così aveva inventato la scusa della guardia personale,
pur sapendo che nessun accordo era stato preso a riguardo.
Ma, fortuna voleva,
che avesse visto giusto.
Amber era nel gruppo
di Eruditi che avrebbero controllato la simulazione a distanza e, da come aveva
scoperto, conosceva i dettagli del piano da molto prima di lei.
L’ultima volta che
l’aveva incontrata, nei sotterranei della residenza, sua sorella aveva cercato
di metterla in guardia e di dirle cosa stava accadendo.
Amber sapeva che gli
Intrepidi sarebbero stati controllati con una simulazione, per questo aveva
detto ad Aria che sarebbe stata usata come un burattino.
Forse, se aveva
cercato di avvertila, voleva dire che stava cercando di proteggerla.
Se avesse chiesto di
lei come sua scorta personale, l’avrebbe risparmiata a tutto quell’orrore.
Non c’erano dubbi,
la richiesta di Max si basava su fatti reali, e non solo sull’informazione che
aveva ricevuto da Finn.
Sua sorella aveva
realmente chiesto di lei.
Avevano avuto la stessa
idea, solo che Aria aveva dovuto usarla prima per difendersi da Finn, ma alla
fine anche Amber aveva fatto la sua parte.
Anche senza mettersi
d’accordo, erano riuscite ad escogitare lo stesso sistema.
Sorrise e scosse la
testa, era pur sempre la sua gemella.
Uscì dall’angolo in
cui era nascosta e avanzò verso Eric, coperta tuttavia dalla porta semi aperta,
e gli fece un cenno.
Lui la guardò
dubbioso per un attimo, con un misto di rabbia e timore negli occhi, ma alla
fine aprì del tutto la porta rendendo la ragazza visibile anche a Max.
Mentre Aria
incrociava lo sguardo dell’uomo, intimorita, lui non si stupì minimante di
scoprire che era lì.
-Bene!- esclamò il
capofazione più anziano, squadrandola da capo a piede con un’espressione poco
convinta. –Adesso che ci siamo tutti, possiamo andare!-
Max si avviò spedito
verso il corridoio, lasciando i due indietro, cosicché Eric ebbe il tempo di
chiudere a chiave la porta della sua camera mentre lanciava un’occhiata
minacciosa ed interrogativa ad Aria.
La ragazza colse il
messaggio, probabilmente Eric credeva che fosse impazzita o che la sua mossa
fosse troppo rischiosa.
-Mia sorella ha
davvero chiesto di me! Avevo detto che lo avrebbe fatto solo per convincere
Finn, ma alla fine lei lo ha fatto veramente.-
Vide lo sguardo
profondo con cui Eric la studiò in silenzio, e gli mise una mano sul braccio.
–Fidati di me!-
Con un respirò
profondo, il ragazzo sollevò il mento e serrò la mascella, iniziando a
camminare e superando la ragazza, che lo seguì.
Camminarono fianco a
fianco lungo i corridoi bui e innaturalmente deserti, salirono il complicato
intreccio di sentieri che portava al punto più alto della residenza e si
lasciarono guidare da Max. Arrivarono ad un passaggio appartato, spento e minaccioso,
che dava su una porta blindata a scorrimento. Giusto per aumentare
quell’atmosfera sinistra, la porta era sorvegliata da due guardie e aveva un
pesante maniglione al centro, all’apparenza difficilissimo da far scorrere.
Ma le due guardie
non erano sole, con loro c’era un altro uomo e due ragazzi.
-Siete arrivati!-
Disse l’uomo dai capelli grigi, voltandosi. -Robert accompagnerà i due novellini
al reparto armamenti.-
Aria ebbe un
sussulto che riuscì a controllare solo grazie alla presenza di Eric al suo
fianco, quando, nella penombra, si accorse che l’uomo che aveva parlato era Finn.
Robert era il
ragazzo più alto vicino alle guardie, nonché il ragazzino dai capelli rasati
che il capofazione si portava sempre dietro.
Ma, l’altro ragazzo,
era Peter.
Lo vide avanzare
sotto la luce al neon, con i capelli neri lucidi e lo sguardo fiero ed
arrogante che tanto si divertiva ad esibire e, se alla vista di Finn Aria aveva
trattenuto un gemito, alla vista di Peter assottigliò lo sguardo e strinse i
pugni.
-Faremo in fretta.- Disse
seriamente Robert. –Vuoi due, seguitemi.-
Lo aveva sentito
parlare pochissime volte ma, accorgendosi che si riferiva a lei e a Peter, Aria
pensò che non avrebbe potuto presentarsi con una frase peggiore.
Le stava chiedendo
di divedersi da Eric per seguirlo insieme a Peter. Non c’era niente di peggio.
Alzò gli occhi verso
Eric, aspettando il suo permesso, peccato che, come era prevedibile, lui fosse stato
assalito dalla rabbia.
Non abbassò lo
sguardo verso di lei, aveva gli occhi carichi d’odio puntati su Peter, la
mascella serrata e le vene del collo pulsanti.
Fece una smorfia e,
sempre serrando i denti, anche un lieve e rigido cenno con la testa.
Aria si accorse che
non la stava guardando, forse per non far trapelare il loro legame e per non
far capire che eseguiva solo i suoi ordini e non quelli di Finn, ma capì che le
stava dicendo di fare come le era stato detto.
Ovviamente lui non
era d’accordo.
Si allontanò facendo
un respiro profondo, aspettò che Robert e Peter la precedessero e poi tentò di
guardare un’ ultima volta Eric prima di incamminarsi. Ma lui restò con lo
sguardo fisso davanti a sé. Aveva assunto l’atteggiamento composto e fiero che
lo etichettava come il capofazione più spietato.
La ragazza seguì
Peter lungo un sentiero latere, scesero anche delle scale, ma lei non guardava
realmente dove andava, stava solo cercando di non pensare e di non crollare a
pezzi. Doveva andare tutto per il meglio, doveva farlo per Eric e non poteva
permettersi errori.
Quando Robert fece
scorrere una pesante porta e fece scattare un interruttore, la stanza davanti a
loro si illuminò a giorno facendo risplendere le molteplici armi raggruppate
all’interno.
Aria fece un passo
avanti, completamente a bocca aperta, era ovvio che il reparto armamenti degli
Intrepidi fosse ben fornito, ma non poteva credere ai suoi occhi.
La luce era
accecante, le pareti erano ricoperte di pistole e fucili, sulle mensole c’erano
coltelli di tutti i tipi, tavoli ricoperti di caricatori e proiettili per le
pistole meno avanzate. C’erano bersagli di ricambio, bastoni di metallo, e
altre armi da lancio che aveva visto solo nei libri.
Quello era il
deposito di tutte le armi della città, non c’era un posto più fornito.
Per un attimo la
sensazione di essere a casa, di essere libera, tornò a vibrarle sulla pelle
mentre avanzava. Ricordò la loro missione, intuendo che spettava anche lei
tentare di fare avere alla sua nuova fazione un posto nel consiglio.
Poi immaginò corpi
Abneganti che cadevano al suolo, e gli sguardi vuoti dei suoi compagni sotto
simulazione. Pensò a Jeanine a capo della città, a Eric che obbediva agli
ordini e uccideva i Divergenti, e le si serrò lo stomaco.
Dovette imporsi di
respirare con calma, ma avvertì ugualmente una fitta al petto.
-Prendete tutto
quello che potete, vi aspetto fuori!- Disse Robert, spostandosi oltre la porta.
Ancora incantata per
la vista di tutte quelle pistole, e al tempo stesso disgustata, Aria rimase
immobile a guardare Peter che si riforniva di armi con gesti veloci e precisi.
Era carico di adrenalina,
un vero guerriero pronto ad andare in guerra. Forse per lui quello che stava
accadendo era un divertimento, o forse era troppo impegnato a vantarsi per
essere stato scelto e risparmiato alla simulazione.
-Come mai non sei
nel mondo dei sogni insieme agli altri, cervellona?-
Sentendolo parlare,
Aria sentì la rabbia scuoterla.
-Che stupido, è
ovvio il perché…- Peter sogghignò caricando una pisola.
Capì che alludeva
alla sua relazione con Eric, in fondo era evidente che pensasse che fosse stato
lui a tenerla fuori dalla simulazione. In fin dei conti era la verità, ma
l’allusione maligna la fece infuriare maggiormente.
-Mia sorella guida
la simulazione e ha chiesto di me, devo proteggerla!- specificò, sputando fuori
le parole con risentimento.
-Capisco…-
-E tu che ci fai
qui?-
Peter si finse
offeso, poi fece un sorriso tutto denti. –Perché si sono accorti di me e hanno
capito che sono più utile da cosciente, naturalmente!-
Aria scosse la
testa, mentre un pensiero le si insinuava nella mente. –Mi stai dicendo che fra
tutti quelli che c’erano, hanno individuato proprio te? Devi esserti fatto
notare, magari da Finn!-
Colto il messaggio,
il sorriso di Peter si spense, trasformandosi in una risata amara. –Non
sminuirmi così!-
-Quindi non sei qui
per aver fatto la spia?-
Due occhi neri si
puntarono su di lei. -In parte è così, Finn mi tiene molto in considerazione
dopo quella storia…-
Per un attimo la
ragazza desiderò prendere una qualsiasi di quelle armi e usarla contro di lui,
ma poi un ricordo fugace e avvolto dal dolore le fece cambiare idea. –Perché
hai cercato di aiutarmi?-
Gli angoli della
bocca di Peter guizzarono verso il basso e il suo sguardo si incupì, Aria lo
vide perfino deglutire.
Stavano entrambi
pensando a quando Finn era arrivato ad interrompere il loro scontro in palestra
e aveva annunciato di voler punire lei.
Peter avrebbe potuto
gioire, e invece aveva sfidato Finn chiedendogli perché aveva deciso di
prendersela solo con Aria.
-Volevo che si
arrabbiasse con il tuo amico Eric per aver infranto le regole, magari avrebbero
creduto che eri arrivata quarta in classifica grazie a lui.-
Aria incurvò le
sopracciglia. –D’accordo, ma perché?-
-Perché voglio
diventare un capofazione, cervellona!- Le disse avanzando verso di lei con una
pisola in mano. –Ma per esserlo qualcuno deve cedermi il suo posto, e lo sanno
tutti che l’ultimo arrivato è quello più a rischio!-
-Volevi soffiargli
il posto, che vigliacco!-
Peter parve non
ascoltarla e le arrivò davanti con un sorriso strano. –E poi perché dovevo
essere io a farti a pezzi, non Finn!-
Le pose la pistola
dal lato dell’impugnatura ed Aria guardò l’arma senza capire.
-Sei la mia rivale
numero uno, volevo essere io a metterti in ginocchio. Tu sei mia!-
Non si scompose alle
parole dal ragazzo, ma solo perché ne era rimasta sconvolta.
Capiva perfettamente
cosa voleva dire, era l’esclusiva dal nemico che voleva, nessuno doveva
mettersi in mezzo e ostacolare la loro personale guerra. Voleva essere lui a
batterla ma, fino a quel momento, chiunque avesse cercato di farle del male
rappresentava il nemico comune.
O avversari diretti,
oppure alleati.
Pensando però che
Peter l’aveva definita sua e che voleva l’esclusiva su di lei, non poté fare a
meno di pensare ad Eric. Anche lui aveva detto chiaramente che era sua e che
avrebbe avuto l’esclusiva di lei, anche se si riferiva ad altro.
Prese la pistola che
Peter le porgeva, senza riuscire a fare a meno di ridere.
-Che c’è? Sei
impazzita?- Le chiese lui, con una smorfia.
Aria scosse la
testa. –Lascia perdere.- Nascose la pistola nella tasca dei pantaloni. –Comunque
ti ricordo che hai vinto tu!-
-Come?-
-Noi abbiamo
combattuto e tu hai vinto regolarmente!-
Peter scosse la
testa a si avvicinò al reparto coltelli. -Ma non siamo pari!-
-Che vuoi dire?-
chiese, seguendolo.
-Tu mi hai colpito
quella volta davanti scuola, ed io ti ho battuto in palestra. Così saremo stati
pari!- prese un coltello piuttosto affilato e se lo nascose nello stivale. –Ma
è stato per colpa mia se Finn ti ha aggredita, quindi sono in debito con te se
voglio pareggiare i conti!-
-Ci tieni così tanto
ai tuoi conti da pareggiare?- incrociò le braccia al petto.
-È un cosa
personale!- Scandì, porgendole un coltello.
Rimase a guardare la
lama per un attimo, poi prese il coltello e si piegò in avanti per nasconderlo
a sua volta dentro uno stivale. -Se vuoi ti prendo a pugni!-
Peter fece un
sorrisetto cattivo. -Non ci sperare troppo. Per sentirmi meno in debito con te
cercherò di evitare che qualcuno ti spacchi quella testolina da Erudita che ti
ritrovi!-
Aria lo ignorò e si
riempì le tasche di caricatori per la sua pistola.
-Se non te ne fossi
accorta, è una cosa seria questa!- precisò Peter, osservandola di nascosto.
-Bada alla tua di
testa, Peter!- Gli rispose, incamminandosi verso la porta. –Non si sa mai che
mi venga voglia di spaccartela. La mia, invece, è più che al sicuro!-
…
Mancavano meno di
due mesi alla cerimonia della scelta, e la felicità di Aria era incrinata.
Se lei era serena e
decisa, la sua famiglia, al contrario, faceva di tutto per ostacolarla e per farle
cambiare idea.
Avevano provato con
le minacce, ricordandole che se cambiava fazione poteva scordarsi di aver avuto
una famiglia. Avevano provato con i sensi di colpa, non rivolgendole la parola
per giorni interni e, da bravi Eruditi, non si erano certo fermati alle
soluzioni più banali.
Le avevano provate
tutte, sua madre le aveva perfino fatto fare una risonanza al cervello.
Ma suo padre aveva
scelto di giocarsi anche l’ultima carta.
Quel giorno erano in
macchina, il ricercatore fidato di Jeanine era uno dei pochi a possedere un’
auto propria, e aveva deciso di portare a scuola la figlia per guadagnarsi un
attimo da solo con lei. Amber era andata a piedi.
Ma Aria avrebbe
preferito andare lei al suo posto, e lasciare la sorella con il padre in auto
perché era impossibile sopportare le prediche del genitore. Le aveva detto di
riflettere, di usare la logica, di non lasciarsi prendere da alcuni istinti
inferiori che non potevano guidare la sua vita.
-Aria, non puoi
almeno pensarci? Sei così intelligenti, potresti diventare una ricercatrice
come me…-
Quando la macchina
si era fermata davanti scuola e l’uomo aveva parlato, Aria si era girata verso
di lui ad occhi spalancati e con il cuore palpitante.
Per la prima volta
le aveva parlato con dolcezza, compressivo. Ma la cosa sconvolgente che aveva
lasciato la ragazza senza fiato, era stato il nome con cui l’aveva chiamata.
Non Ariana, come la
sua famiglia si ostinava a scandire, ma Aria, come piaceva a lei.
Se il padre, per una
volta, aveva esaudito il suo desiderio e la chiamava come desiderava lei, forse
c’era speranza. Forse l’avrebbe ascoltata a capita.
-Ma Papà, io voglio
essere davvero un’ Intrepida, non puoi provare a capirmi?- Gli chiese
guardandolo negli occhi, con dolcezza.
Ma la mascella di suo
padre era scattata con severità e il suo sguardo si era indurito.
Si era irrigidito e
aveva guardato con cattiveria la figlia. –Vattene a scuola Ariana, con te
parlare è inutile.-
Il suo cuore si era
spezzato, aveva scosso la testa e serrato i pugni, tremante. –Me ne andrò,
tenetevi Amber, tanto lei fa sempre come volete voi!-
Era scesa dall’auto
di corsa, aveva sbattuto la portella ed era corsa su per le scale fino alla
grande porta di vetri della scuola.
Mentre saliva i
gradini, ancora sconvolta e a testa bassa, si era a mala pena accorta dei vari
ragazzi radunati dentro l’atrio oltre i vetri.
Vide solo il
ragazzino Candido con i capelli neri lucidi, che avanzava con un sorriso
spavaldo verso di lei.
-Cosa c’è,
cervellona? Hai litigato con il paparino?-
Alla sue parole aveva
alzato la testa per guardarlo, era Peter, il ragazzo che si divertiva ad essere
cattivo e spietato con tutti. Sicuramente aveva visto il modo in cui era scesa
dalla macchina e magari l’aveva vista anche parlare con suo padre.
Colta la sua risata
arrogante, era salita di un gradino e lo aveva colpito con forza con un pugno
al centro del viso.
Una folla di scolari
si era radunata oltre i vetri in cima alle scale, e il naso di Peter aveva
sanguinato dopo i suoi lamenti.
Quando erano
ritornati davanti alla pesante porta scorrevole, questa era stata aperta dalle
due guardie per permettere ad Aria di entrare come le era stato ordinato.
Peter invece sarebbe
rimasto fuori, di guardia.
Avevano appreso da
Robert i loro rispettivi ruoli, e ricevuto l’informazione che i capifazione si
erano radunati nei sotterranei per gestire gli Intrepidi che si stavano
risvegliando.
Ovviamente Aria non
volle soffermarsi su quel particolare, altrimenti avrebbe dovuto chiedersi come
sarebbe stato essere mossi e comandati da un computer a distanza senza aver più
nessun controllo del proprio corpo. Non sapeva, e non voleva sapere, cosa ne
era della propria coscienza, forse veniva spazzata via anche quella insieme
alla intenzioni motorie.
Non riusciva a
pensare a Sasha o a Will spenti e privi di ogni emozioni e senza pensieri,
guidati unicamente dalla simulazione.
Non le restava che
sperare che andasse tutto per il meglio e che non accadesse niente di brutto a
nessuno.
Dentro la sala,
dovette attraversare un ampio corridoio e, svoltato l’angolo, vide i macchinari
sistemati nella parte più luminosa dell’ampia camerata intervallata e sorretta
da diverse colonne portanti. Gli Eruditi erano indaffarati e si muovevano come degli
automi unicamente concentrati sui loro compiti ma, fra tutti, Aria individuò
una persona che lei conosceva molto bene.
Vide la sua chioma
di capelli dorati raccolti accuratamente in una coda di cavallo e distinse il
modo elegante con cui muoveva il collo, le sue spalle elegantemente diritte, ed
avvertì un moto di nausea.
Sua sorella Amber
era la figlia perfetta che ogni Erudito avrebbe voluto, era la preferita dei
loro genitori e la rappresentazione vivente del tipo di persona che Aria
sarebbe dovuta diventare, se avesse seguito alla lettera gli insegnamenti della
sua famiglia e dalla sua vecchia fazione. Ma lei non aveva mai prestato
attenzione a quelle regole, manifestando fin da subito il suo desiderio di
libertà e di appartenere ad un’ altra fazione e, quella sua scelta, era stata
la sua rovina.
Amber era stata più
fortunata, per lei era stato semplice identificarsi con la sua famiglia e
diventare non solo un’Erudita rispettabile, ma anche un fedele aiuto per la
loro rappresentante Jeanine.
Affiancò la
postazione a cui sedeva e rimase in silenzio, un passo dietro di lei, senza
emettere nemmeno un suono. Notò che sua sorella sedeva in un angolo appartato
rispetto agli altri operatori che si occupavano di faccende e di comandi
secondari, questo le fece capire che Amber, lì dentro, doveva avere un ruolo
particolare.
Per la comunità era
stata proprio quest’ultima a scoprire il meccanismo che permetteva di unire i
trasmettitori del siero alle cellule celebrali. Nessuno sapeva che derivava
dalla mente di Aria l’idea che l’ aveva portata ad elaborare un progetto
soddisfacente.
Sua sorella aveva
mentito e si era presa tutto il merito della loro scoperta solo per farsi
notare da Jeanine, ma chissà se sapeva quanti vantaggi le avrebbe concesso
realmente la sua scoperta.
-Un “grazie”,
potrebbe anche andare bene!-
Sentendola, Aria
sussultò, non l’aveva neanche vista parlare. Continuando a tamburellare con le
dita sullo schermo che stava gestendo, aveva colto l’occasioneper aggredirla. Con lei usava sempre un tono
di voce freddo e superficiale, si divertiva a correggerla di continuo e a
sminuire ogni cosa che faceva.
-Come, scusa?- le
rispose, battendo la palpebra per comprendere meglio la situazione, pur
mantenendo la calma.
A quel punto Amber
si girò verso la sorella e, i suoi occhi cristallini perennemente freddi e
privi di emozioni, si posarono su Aria come si sarebbero posati su qualcosa di
estremamente sgradevole.
-Sei qui grazie a
me!- sottolineò, spiegandosi con precisione come se stesse dialogando con un
bambino. –Se non avessi chiesto di te, saresti insieme agli altri… sai cosa
intendo!-
Una volta soppresso
l’impulso di urlare, Aria serrò ancora di più i pugni.
Sua sorella faceva
parte di quei mostri privi d’anima che avevano pianificato un attacco ai danni
degli Abneganti usando i soldati Intrepidi, a cui però non avrebbero chiesto il
permesso, poiché avevano trovato un sistema per farli combattere anche conto la
loro volontà. Era spregevole manipolare un’intera fazione e, per quanto gli
Abneganti non fossero adatti al governo, non credeva ci fosse bisogno di far
scoppiare una guerra.
Forse, invece, Amber
credeva che tutto quello che stava accadendo fosse lecito e si preoccupava solo
di averla risparmiata alla simulazione. Sapeva che era qualcosa di sbagliato,
ma a lei bastava aver salvato sua sorella e pretendeva di essere ringraziata. Oppure,
dettaglio da non sottovalutare, voleva unicamente evidenziare la sua
superiorità, come sempre.
Era lei quella con
un ruolo importante, in fondo.
Ma non l’avrebbe mai
ringraziata, non mentre guidava i suoi di compagni come se fossero semplice e vuoti
burattini contro un’altra fazione innocente.
Si prese del tempo
per fingere di ragionare sulle sue parole, poi mosse un dito in aria come se
avesse afferrato la risposta, piegò le labbra in un sorriso spento e avanzò
verso di lei.
Si chinò per
sussurrarle direttamente all’orecchio.
-Lascia che ti dica
una cosa: se fosse stato per te, sarei già sotto simulazione!- si scostò e le
lanciò un’occhiata carica di risentimento. –A tutti è stata fatta un’iniezione
ieri sera, ma la tua personale richiesta è arrivata solo sta mattina.-
Amber non si
scompose. –Tutto calcolato! Se non te ne fossi accorta, guido io la simulazione,
e ti avrei tenuto fuori.-
-Sono qui grazie a
me stessa, Amber!- dichiarò, puntandosi un dito contro al petto. –E anche
grazie a… qualcun altro!-
Concluse
distogliendo lo sguardo e rifiutandosi di pensare ad Eric, altrimenti
l’angoscia l’avrebbe assalita di sicuro.
Chissà dov’era e
cosa avrebbe realmente fatto.
Si rifiutò di
ricordare, inoltre, che se lei ed Eric erano riusciti a convincere Finn a
lasciarli andare, era stato proprio perché aveva inventato la storia che sua
sorella avrebbe avuto bisogno di lei.
Che poi,
fortunatamente, si era rivelata la verità.
-Si può sapere cos’è
tutto questo astio nei miei confronti?- volle sapere Amber, allargando le
braccia. –Insomma mi sono preoccupata per te!-
Una risata amara le
sfuggì dalle labbra. -È esattamente questo il problema! Tu che ti preoccupi per
me? Sei forse fuori di testa?-
Amber inarcò le
sopracciglia e la guardò per interminabili secondi, come se si aspettasse che
aggiungesse altro.
Un Erudito vicino a
loro guardò Amber e si tranquillizzò solo quando lei gli fece segno che era
tutto a posto.
-Che stai dicendo?-
Aria scosse la
testa. -Fai finta di non capire? Non mi pare di ricordare di aver avuto una
sorella gentile e premurosa, ma solo una presuntuosa so tutto io che non
perdeva occasione per farmi sentire inutile!- Serrò un pugno. -Vogliamo parlare
di tutte le volte che sei corsa dalla mamma a fare la spia contro di me, ogni
volta che facevo qualcosa?-
Il silenzio si
prolungò per diversi secondi, poi Amber assottigliò il suo sguardo solitamente
altezzoso e parlò con calma.
-Lo facevo per te…-
-Che cosa?- Aria si
riscoprì indignata e profondamente offesa da quella semplice risposta.
-Volevo che capissi
che non dovevi cambiare fazione!-
-E perché? Cosa
c’era di sbagliato?-
L’Erudita abbassò
per un attimo la testa e, quando tornò a guardarla, era estremamente seria.
-Avevo dodici anni
quando ho scoperto, da nostro padre, che gli Eruditi pianificavano qualcosa
contro gli Abneganti. Quando ho capito che gli Intrepidi non sarebbero stati
trattati esattamente nel migliore di modi, ho tentato di proteggerti!-
-Menti!-
-Non volevo perdere
mia sorella, okay?-
-Che grande gesto di
egoismo, sempre ammesso che sia vero quello che dici!-
Amber sollevò un
mano per indicarle di lasciarla finire di parlare. –Volevo che restassi con
noi, che diventassimo entrambe ricercatrici, come papà! E lo volevano anche i
nostri genitori, per questo ti riprendevano sempre!-
Fu quello il preciso
momento in cui Aria sentì qualcosa rompersi dentro di lei e la sua tolleranza
azzerarsi.
Non poteva più tollerare
quel discorso privo di senso. Sollevò il mento e fece un respiro profondo, imponendosi
di mantenere i nervi saldi, anche se dovette intrecciare le braccia al petto per
impedirsi di compiere qualche sciocchezza.
-E dimmi, era con le
minacce che cercavano di tenermi con loro?-
Guardò Amber negli
occhi, sforzandosi di non mostrarle il suo turbamento, ma la voce le tremava
per la rabbia.
-Era terrorizzandomi
a morte, e facendomi sempre sentire inutile e debole, che volevano dimostrarmi
il loro affetto? L’unica cosa che hanno ottenuto è stato farmi scappare!-
-Nessuno è
perfetto!-
-Perdonami, ma detto
da te suona ridicolo. Un’Erudita che non crede nella perfezione? Attenta a non
farti sentire in giro, o crederanno che sei pazza!- La beffeggiò.
-Abbiamo commesso un
errore con te. Nemmeno io ho fatto la scelta migliore, avrei dovuto fare la
sorella, non la maestrina!- Proclamò Amber, senza lasciarsi intimorire.
-Come puoi dirlo? I
nostri genitori ti adoravano e tu non facevi che ricordarmelo. Mi toglievi
tutto e ti credevi sempre migliore di me!- Le ricordò.
Controllare le
proprie emozioni, per Aria, diventava sempre più difficile. Avrebbe quasi
preferito finire sotto simulazione.
-Ti ho sempre
protetto!-
-E come? Facendo la
spia?-
-Te l’ho già detto,
volevo che smettessi di comportarti come un’ Intrepida, sperando che restassi
un’ Erudita!-
-Il tuo è stato un
grave errore!- scosse il capo e smise di guardarla, abbracciandosi tenendo le
braccia incrociate al petto.
-Lo so!- Ammise Amber,
scivolò giù dalla sedia ed avanzò di un passo.
E, per la prima
volta da anni, le mostrò un’espressione realmente pentita e veritiera.
Non il solito gelo
che emanava con abitudine.
-Ma, tutte le volte
che stavi male, io c’ero!-
Nella mente di Aria
tornò il ricordo del suo test finale e delle sue paure. Le era bastato il
ricordo di sua sorella che correva in suo soccorso quando veniva stravolta da
terribili attacchi di panico, intrufolandosi nella sua camera, per superare la
paura. Era Amber che le copriva le orecchie con i suoi polsi e la tranquillizzava
facendole sentire il battito del suo cuore.
Ma era stato molto
tempo prima, quando erano solo due bambine gemelle che si aiutavano a vicenda.
Da bambine era bello
giocare a recitare la parte della dura, della sorella maggiore che proteggeva
sempre Amber. Si era assunta le colpe al posto suo per anni, l’aveva difesa quando
la prendevano in giro, ma crescendo tutto si era ribaltato contro di lei.
Se da piccole essere
la sorella forte e intraprendente era stato apprezzato, da grande il suo
comportamento veniva identificato come sbagliato.
Assumersi le
responsabilità per entrambe non era più un dovere gratificante, ma una condanna
del tutto inutile e inapprezzata.
Crescendo le risate
erano scemate in un sussurro lontano, e il loro legame si era affievolito
sempre di più.
Scosse la testa.
-Io mi prendevo cura di te!- scandì
indicandosi. –E come sono stata ripagata? Finendo in punizione quando mi
arrampicavo per recuperare la tua stupida palla?-
Amber non rispose.
-Ricordi il giorno
del nostro compleanno, quando mi sono presa la colpa per la torta che tu avevi
fatto cadere? La mamma ha preso il mio regalo, il libro che voleva tanto e lo
ha dato a te. E tu, invece di darmelo, lo hai strappato durante la notte!-
Amber Trasalì. -Non
potevo dartelo, la mamma ci avrebbe scoperte e te lo avrebbe portato via. Se
non potevi averlo tu, io di certo non lo volevo, e non volevo farti stare male
sapendo che era in casa e che non potevi leggerlo. Così l’ho strappato!-
Aria batté le palpebre
più volte, non sapendo se credere a ciò che aveva sentito. Poi le ritornarono
ancora alla mente le risate di due bambine gemelle che spezzavano il silenzio
del quartiere degli Eruditi, e per un attimo fu difficile allontanarle.
Ma sua sorella era
cresciuta e non aveva più riso né giocato con lei.
-Ho avuto io l’idea
del sistema a spettro gemello, ti ho convinto a dire a tutti che era un’
intuizione che avevamo avuto insieme. E tu invece sei corsa di nascosto da
nostro padre per prenderti tutto il merito, inventandoti che avevi scoperto
tutto da sola!-
Aria non si sforzò
di nascondere il risentimento che la stravolgeva.
-L’ho fatto per te!-
fu la risposta di Amber, che la guardò negli occhi senza timore. –Ormai avevo
capito che non stavi più bene con noi e che volevi davvero diventare un’
Intrepida. Pensi davvero che ti avrebbero lasciato andare via, se fossi stata
l’artefice di una scoperta tanto importante?-
-E come avrebbero
mai potuto impedirmelo?-
Però, quando smise
di parlare, capì subito che Amber aveva ragione.
La verità le
attraverso la mente come una scarica elettrica. Nessuno poteva impedirle di
fare la scelta della fazione che preferiva, ma potevano costringerla e
minacciarla.
Esistevano mille
modi che gli Eruditi, suo padre, e soprattutto Jeanine, avrebbero potuto usare
contro di lei per convincerla con le cattive a restare fra gli Eruditi e a
lavorare per loro. Magari le avrebbero rivelato il loro piano, le avrebbero
detto che quel siero di simulazione era destinato agli Intrepidi e, a quel
punto, non avrebbe avuto altra scelta che restare.
-Sai che c‘è?- disse
Aria, rifiutandosi di sostenere lo sguardo della sorella. –Credo che posso
proteggerti anche da fuori!-
Si voltò e si avviò
a grandi passi verso l’uscita.
Non era quella la
verità, sua sorella e suoi genitori non le avrebbero mai perdonato la scelta
che aveva fatto, senza dimenticare che le avevano fatto passare un infanzia da
inferno. Le avevano sempre detto che, se avesse cambiato fazione, avrebbe
dovuto dimenticarsi di avere avuto una famiglia e lei lo aveva fatto.
Non poteva arrivare
sua sorella e dirle che, in tutti quegli anni, le aveva davvero voluto bene.
Si rifiutava di
crederci.
Purtroppo non poteva
lasciare il centro di controllo, non senza rischiare di venire ripresa da
Robert, che le avrebbe chiesto perché era uscita quando il suo compito era
quello di sorvegliare gli Eruditi addetti alla simulazione.
Forse persino Peter
le avrebbe posto fastidiose domande, quindi non aveva intenzione di disobbedire
agli ordini in un momento tanto delicato come quello.
Svoltò l’angolo e si
fermò nell’androne subito dopo la pesante porta scorrevole. Probabilmente non
sarebbe successo niente per diverso tempo e, se mai qualcosa fosse andato
storto, di certo gli aggressori sarebbero passati dalla porta a meno che non
fossero dotati di corpi evanescenti, perciò non poteva scegliersi un posto
migliore per rispettare i suoi doveri.
Si lasciò scivolare
contro una parete e si sedette per terra, lontana da occhi indiscreti, anche se
di tanto in tanto qualche Erudito si sporgeva per tenerla d’occhio. Notò che quelle
persone, invece di lavorare ai macchinari come Amber, erano solo di controllo e
si accorse della pistola che avevano legata alle loro cinture, chiedendosi se
sapessero davvero usarla.
Inoltre, con la
fazione addetta alla armi dalla loro parte, di cosa avevano realmente paura?
Aria serrò gli occhi
e desiderò con tutta sé stessa che, in caso che il piano non fossero andato come
previsto, i suoi compagni non si infuriassero per essere stati messi sotto
simulazione e non si rivoltassero contro tutti loro, contro gli Eruditi e
contro i capifazione Intrepidi.
I minuti passarono,
il tempo iniziò a scorrere quieto, scandito dal rumore di dita che battevano
sui monitor dei computer.
Continuava a sentire
il ticchettio delle scarpe degli Eruditi che si muovevano continuamente per
l’ambia sala e, da fuori, le guardie rimanevano assolutamente silenziose.
Chiuse gli occhi e
si concentrò sul proprio respiro, illudendosi che tutto sarebbe andando per il
meglio.
Un allarme scattò
all’improvviso, cogliendo tutti di sorpresa.
Sentì una sirena che
continuava a strillare e a martellarle le orecchie con il suo suono acuto ed
insistente, così scattò in piedi aiutandosi ad alzarsi con le mani, aggirò
l’angolo di corsa e si fermò proprio di fronte ai monitor.
Tutti gli Eruditi
erano corsi alle loro postazioni, trafficando animatamente con i loro macchinari,
sopra ogni dispositivo lampeggiava una luce rossa che segnalava l’allarme.
Doveva sicuramente
essere successo qualcosa di grave, altrimenti non sarebbero scattato lo stato
di allerta.
-Grey!- urlò
qualcuno.
Per un attimo Aria,
ancora paralizzata alle spalle degli operatori, pensò che si riferissero a lei,
ma poi capì che avevano richiamato sua sorella.
Infatti, dalla sua
postazione appartata, Amber scattò all’opera ed iniziò anche lei a ticchettare
freneticamente con le dita sul suo schermo e, in un attimo, su tutti i monitor
della stanza comparve un’immagine.
Aria capì
all’istante che si trattava della ripresa di una delle tante telecamere che
sorvegliavano la citta, mostrando in diretta quello che stava accadendo.
L’inquadratura era
su una via principale del quartiere degli Abneganti e seguiva la corsa
disperata di due donne. Una era un’ Abnegante, vestita interamente di grigio e
con una lunga coda di capelli castani, l’altra era una giovane Intrepida.
Aria la riconobbe
subito, con i suoi capelli di un biondo ramato e il visto tondo, paonazzo per
lo sforzo.
Il motivo per cui
l’allarme era scattato era chiaro, ed Aria inarcò le sopracciglia seguendo la
fuga di Tris attraverso lo schermo. Il problema era che sarebbe dovuta essere sotto
simulazione, e invece fuggiva via insieme all’atra donna, ma solo i Divergenti
erano immuni ai sieri e alle simulazioni. Questo voleva dire solo una cosa,
ovvero che Tris, la sua amica e compagna di iniziazione, era una Divergente.
Ma non se ne stupì,
finalmente aveva capito come era riuscita a fare quei tempi strabilianti
durante il secondo modulo.
Per un attimo ebbe
timore per lei, sentì il cuore salirle in gola al pensiero di cosa le avrebbero
fatto se fossero riusciti a catturarla.
In seguito, le due
donne si nascosero in un vicolo e la telecamera inquadrò il gruppo di soldati
che erano stati mandati a fermare le fuggiasche.
Le fu subito
evidente che fossero sotto simulazione, poiché vide i loro sguardi vuoti.
Tuttavia, ciò che
creò un vuoto nel suo cuore, fu la vista del suo migliore amico Will che
correva armato verso Tris, totalmente privo di coscienza.
Non ebbe il tempo di
chiedersi quale sfortunata coincidenza avesse portato il computer centrale a
scegliere proprio Will per quella missione di recupero ma, mentre lui avanzava
verso la sue stessa amica con il fucile carico in mano, Aria intuì che tutto si
sarebbe risolto per il verso giusto.
Tris e Will erano
amici, non potevano farsi male a vicenda, ne sarebbero usciti entrambi
incolumi.
Ma poi tutto accadde
troppo in fretta e con troppa ferocia.
Tris fece capolino
dal vicolo con l’arma alzata contro Will, mentre lui avanzava con la chiara intenzione
di aprire il fuoco.
Quando un colpo di
pistola partì dall’arma della ragazza e la telecamera si spostò sul buco in
fronte di Will, seguendo la caduta del suo copro ormai privo di vita che si
accasciava tristemente al suolo, Aria sentì il dolore di quel colpo esploderle
in petto, e l’ossigeno che le entro nei polmoni lasciò una scia di fuoco e
terrore.
Brividi di freddo,
che tuttavia bruciavano, le attraversarono la pelle e, mentre il dolore
cresceva prendendo pienamente possesso del suo copro e della sua mente, sua
sorella Amber si voltò verso di lei.
Gli Eruditi attorno
a lei continuavano a muoversi frenetici, ma Amber guardava solo sua sorella.
Sapeva che Will era
suo amico, ma tutto era già perso per sempre.
Forse Amber vide gli
occhi spalancati di Aria, il vuoto che le vibrava dentro e il gelo che bloccava
totalmente il suo corpo.
Aria mosse le
labbra, ma le serrò prima che qualche suono vi uscisse. Strinse i pugni, senza
avere la forza per farlo e, quando le lacrime sfuggirono al suo controllo nella
manifestazione della sua sofferenza, si voltò e scappò via.
Corse disperatamente
verso la pesante porta scorrevole, che aprì senza sapere da dove avesse tirato
fuori la forza per farlo da sola.
Non ascoltò i
richiami delle due guardie fuori, superò lo sguardo stupito di Peter e si avviò
disperatamente verso le scale, scese, scappò via, si perse in cunicoli che non
sapeva nemmeno di conoscere ma alla fine si fermò.
Era arrivata ad un
angolo buio e vuoto, si accasciò per terra, colpì con tutta la forza che aveva
un muro ma, se la roccia era rimasta intatta, il suo cuore e la sua anima erano
esplosi in mille pezzi di vetro tagliente che la laceravano dall’interno.
Nel silenzio di quel
cunicolo, accentuato dall’eco delle rocce, esplose un urlo tremendo, ed Aria
scoppiò a piangere quando capì che era stata lei stessa ad emetterlo.
Will era perso per
sempre, e lei con lui.
Continua…
Eccoci
ad un momento particolare della storia, spero che vi sia piaciuto e mi farebbe
piacere sapere cosa ne pensate.
Siamo
ormai alla fine, avrei davvero bisogno di qualche commento in più giusto per
sapere se sto procedendo bene o casa vi farebbe piacere vedere.
Sono
già ad un ottimo punto con la seconda parte, e sto facendo di tutto per
aggiornare in fretta.
Piccola
precisazione, questa storia… arriva a 30 capitoli…
Contenti
per la fine vicinissima? Volete il continuo?
Si alzò in piedi e,
la prima cosa su cui posò il suo sguardo, furono le sue mani.
Le sottili linee di
sangue dei tagli seguivano il profilo delle nocche, le dita stavano già
iniziando ad annerirsi e i punti in cui la pelle era lacerata bruciavano.
Serrò i pugni,
incrementando il dolore. Aveva perso il conto dei colpi che aveva sferrato alla
parete rocciosa, delle volte in cui aveva graffiato fino a rompersi le unghie,
colpendolo fino a quando non aveva avuto più la forza per continuare a
muoversi.
Subito dopo si era
accasciata a terra e aveva solo continuato a piangere, fino a smettere di
sentire l’angoscia e la sofferenza così, quando era arrivata al punto di non
provare più nulla, aveva trovato la forza per ritornare sui suoi passi.
In quel momento,
tutto ciò che le faceva ricordare di essere viva era il dolore che avvertiva
alle mani martoriate.
Si passò e palmi
sulle guance per liberarle dalle lacrime residue, respirò a fondo l’aria della
grotta ed iniziò a camminare. Ad ogni passo i ricordi svanivano, i pensieri si
allontanavano fino a perdere consistenza, tutto veniva sepolto da uno spesso
manto di ghiaccio e indifferenza.
Negli anni aveva
imperato che, se non era in grado di affrontare qualcosa, l’unica cosa che le
restava da fare era chiudere fuori ogni sentimento, ogni emozione, e proseguire
come se nulla fosse accaduto.
Nel corso degli
anni, merito anche delle avversità che aveva incontrato fin da bambina, era
diventata piuttosto brava ad azzerare se stessa.
Salì due rampe di
scale e seguì lo stretto corridoio che portava fino al centro di controllo,
chiedendosi come era possibile che si fosse allontanata così tanto. Non sapeva
quanto fosse rimasta via, preda del suo tormento, ma non le importava cosa
avrebbero detto gli altri o cosa le avrebbero ordinato.
Giunta in prossimità
della porta blindata, intravide un ragazzo correrle in contro, ma non sollevò
lo sguardo, né si prese il disturbo di prestargli attenzione nonostante avesse
colto la sua agitazione.
Si fermò e voltò
appena il capo verso di lui solo quando questo l’afferrò da un braccio.
-Cosa è successo?
Devo preoccuparmi?- Le chiese Peter, piuttosto adirato.
Aria fece scorrere
il suo sguardo su di lui con sufficienza, senza vederlo realmente, incurvò
appena le sopracciglia per il fastidio e sottrasse il proprio braccio al tocco
di Peter.
-Aria!- le gridò
dietro, quando lo superò.
Qualcosa scattò per
un solo istante dentro di lei, quel tanto che la spinse a voltarsi ancora verso
il ragazzo, così rimase per un attimo a guardarlo in silenzio.
Osservò la sua
espressione sconvolta che a stento nascondeva la sua rabbia, il disgusto che
provava verso di lei, ma non le importò. Penso che per Peter era di vitale
importanza sapere come procedevano le cose al quartiere degli Abneganti, ma
solo perché aveva a cuore sé stesso.
Gli lanciò un’
occhiata profonda ma priva di alcun sentimento, respirò a fondo e poi si voltò
lasciandolo lì ancora interdetto.
-Dimmi se è successo
qualcosa!- gridò ancora Peter.
Aria lo ignorò.
Arrivata alla porta
blindata, trovò le due guardie che parlavano con Robert, che appariva piuttosto
agitato. Quando la videro si zittirono all’istante e la studiarono per un
attimo, ma non ebbero il tempo di dirle nulla, poiché la porta si aprì e Amber
uscì seguita da un uomo Erudito.
-Jeanine ci ha
mandato una comunicazione.- Esordì schietta la bionda. -Sta arrivando qui e si
occuperà lei della simulazione. Dopo quello che è successo, vuole assicurarsi
che tutto proceda per il verso giusto.-
Quando finì di
parlare, l’altro Erudito si avvicinò alle guardie ed iniziò a parlare con
Robert, comunicandogli chissà quale informazione riservata.
Aria vide Robert
spalancare gli occhi e scuotere la testa.
-Jeanine ha detto
che dovresti scortarmi a casa, la situazione ha preso una piega inaspettata. Il
mio aiuto qui non è più indispensabile e, dato il rischio di complicazioni, è meglio
che torni al quartier generale degli Eruditi dove sarò al sicuro.-
Sentendo che sua
sorella si stava rivolgendo direttamente a lei, Aria dissolse lo sguardo da
Robert e lo spostò su di lei, senza emettere alcun suono e senza cambiare
espressione.
-Inoltre da lì potrò
continuare a seguire le direttiva di Jeanine.- Proseguì Amber, decisa.
In silenzio, mentre
si metteva le mani nelle tasche della giacca che indossava, Aria si voltò e
fece strada ad Amber, che la seguì all’istante.
-Dobbiamo prendere
il treno, ce n’è già uno che ci aspetta fermo al vostro punto di partenza.-
Mentre camminavano,
probabilmente qualcosa nel suo procedere con freddezza, nella sua espressione
vuota, dovette fare scattare in Amber un campanello d’allarme. E, consapevole
del suo malessere, la sorella accelerò il passo per esserle più vicina.
-Mi dispiace davvero
per Will, ma è stato il computer a selezionarlo e a mandarlo lì. Se avessi
potuto impedirlo, io…-
-Non osare parlare
di Will!- sibilò minacciosa Aria, dopo essersi fermata di colpo per voltarsi ad
incenerire con un’occhiata furibonda sua sorella. –Non venire da me cercando di
liberarti dei tuoi sensi di colpa!-
Amber serrò le
labbra.
Scuotendo la testa e
studiandola con amarezza, Aria si voltò lentamente, si risistemò il colletto
della sua giacca di pelle e tornò a camminare.
Proseguirono in
silenzio e, passo dopo passo, qualcosa si risvegliava in lei, ma non era la
migliore delle emozioni a tornarle in circolo e a ridarle consapevolezza del
suo corpo.
La rabbia si impossessò
di lei, portandola a stringere i pugni. Fece scattare i muscoli mentre, con fin
troppa foga, si mordeva il labbro inferiore.
Sentiva un peso
sulle spalle e avrebbe tanto voluto liberarsene ma non sapeva come, dato che
l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la fronte del suo migliore amico di
infanzia perforata da un proiettile. Tuttavia, l’immagine del suo sguardo che
si spegnava mentre la vita lo abbandonava, veniva fortunatamente sostituita dal
volto di Tris.
Vedeva quella che
aveva creduto un’amica puntare l’arma contro un compagno innocente, contro un
amico privato della sua volontà di agire, e poi vedeva le sue mani serrarsi
attorno all’arma e aprire il fuoco. Rivedeva il suo sguardo terrorizzato, ma
anche la determinazione dei suoi muscoli mentre tenevano salda l’arma anche
dopo il colpo sparato.
Codarda,
pensò.
Una vera intrepida
non si sarebbe lasciata guidare dalla paura di morire, avrebbe trovato la
maniera migliore di agire senza causare la morte di persone innocenti. Gli
Intrepidi avrebbero dovuto proteggerle le persona, non ucciderle per salvarsi
la vita.
Assassina,
pensò ancora, mordendosi con più forza il labro.
Non era stata solo
la paura a spingere Tris a sparare contro Will. Una parte di lei doveva averle
suggerito che quella era l’unica soluzione che aveva per salvarsi la vita, e
aveva scelto quella strada consapevolmente.
Ma, con un crescendo
d’ira dentro, Aria pensò che avrebbe sacrificato sé stessa piuttosto che
uccidere un suo amico, vittima di una simulazione.
Arrivati alla stazione
di partenza dei treni, all’interno della residenza degli Intrepidi, pensò che
fosse un bene che Tris non fosse lì con lei.
Sperò di non
incontrarla mai, altrimenti non avrebbe potuto garantire che l’avrebbe lasciata
tutta intera. In un attimo, aveva azzerato ogni forma di amicizia che credeva
di provare per quella dannata Tris.
Amber si aggrappò al
corrimano fuori da una carrozza per issarsi sul treno, e andò subito a sedersi.
Aria si prese qualche secondo per analizzare l’immobilità dei vagoni, e si
chiese come sarebbe stato vedere gli Intrepidi salirci tranquillamente sopra
senza dovergli correre dietro tutte le volte. Scosse la testa e seguì la
sorella, andando a sedersi vicino a lei. E, proprio nel momento in cui si
furono accomodate, il treno iniziò a muoversi e partì lentamente per poi
iniziare la sua corsa fra i quartieri della città.
Viaggiarono in
silenzio ma, ogni secondo di quel tragitto, riportava nella mente di Aria mille
ricordi e paure.
Si rivedeva bambina,
ad adorare quei treni che sembravano volare sopra la citta, sperando di poterci
salire sopra anche lei, un giorno. Non poteva fare a meno di pensare, quando
passarono sopra all’edificio più importante della citta dove si era tenuta la
cerimonia della Scelta, al primo giorno in cui aveva davvero potuto correre
dietro quei vagoni e sentirsi una vera Intrepida.
Anche se si sforzava
di non pensarci, ricordò il viaggio con Eric quando lui le aveva mostrato il
luogo dell’esercitazione a ruba bandiera. Quel giorno il loro rapporto era iniziato
e non si era più fermato, libero e ribelle, proprio come i treni della città
che correvano senza che si sapesse chi li guidasse o dove avesse intenzione di
portarli.
Poi ritornò alla
sera dell’esercitazione, a quando era scattata la mezza notte sul giorno del
suo compleanno e Will le si era avvicinato e le aveva augurato un felice giorno
fra sorrisi e battute, e non riuscì a trattenere un fremito.
Dovette serrare gli
occhi per non rimettersi a piangere.
Si abbracciò le ginocchia
contro il petto, e Amber se ne accorse, ma in realtà sua sorella non si era
persa un suo solo respiro.
La stava osservando
da quando erano partite dalla stazione degli Intrepidi. Senza alcun preavviso,
le braccia di Amber, quelle stesse braccia che da bambina erano l’unica cosa
che le dava conforto nei suoi momenti bui, l’avvolsero in silenzio.
Avrebbe voluto
opporsi, ma non ne era capace, non in quel momento, così sospirò e si lasciò
scivolare fra le braccia di sua sorella, appoggiandole la fronte sulla
clavicola.
-Riuscirai mai a
perdonarmi?- Chiese Amber.
Aria inarcò le
sopracciglia. Amber era stata la sorella peggiore del mondo, le faceva i
dispetti, era la preferita dei loro genitori e non faceva che vantarsi, divertendosi
sempre a deriderla a rimproverarla.
Eppure, l’immagine
di una bambina bionda che apriva la porta della sua camera, intrufolandosi
dentro a piedi nudi per andare a dormire con lei nel suo letto, le era tornata
alla mente. Quando i loro genitori avevano deciso di sistemarle in due camerette
separate, portando Amber nella stanza accanto, le due gemelle avevano solo sei
anni ed erano molto legate. Non avevano affattopreso come un regalo quella divisione. In particolare, Aria odiava la
solitudine, così Amber sgattaiolava tutte le sere da lei per dormire insieme,
tenendole compagnia.
-Per cosa?-
Amber sollevò le
spalle. -Per qualunque sia il motivo che ti spinge ad odiarmi tanto…-
Sua sorella, dopo un
tempo sostanzialmente lungo, le stava chiedendo di cancellare tutto e di ripartire
da zero.
-Io ti ho sempre
voluto bene, devi credermi.- Disse Amber, come se le avesse letto nel pensiero.
Aria sospirò,
crescendo si erano sempre più divise.
E così, poco tempo
dopo, Aria aveva iniziato a chiudere a chiave la porta della sua camera per
impedire che sua sorella la raggiungesse durante la notte. Si sentiva tradita, Amber
non giocava più con lei, aveva iniziato a studiare ad ogni momento libero a
fare tutto quello che le dicevano i loro genitori.
Fino a quando non
erano iniziati gli attacchi di panico e, a quel punto, Aria aveva rivisto Amber
correre nella sua camera le nottie
starle vicino.
Sorrise senza essere
vista, quella paura si era inaspettatamente presentata anche nel suo scenario
della paura. Così come la sua paura per la solitudine, che si era manifestata
con le sembianze di un’urna funeraria che non rivelava di chi erano i resti al
suo interno.
E, purtroppo, quella
paura si era avverata con la morte di una delle persone che non avrebbe mai
voluto perdere. Ma ormai Will se ne era andato per sempre.
Per porre fine alle
sue paure, la soluzione non era di certo rimanere sola e chiudersi in sé stessa
come faceva spesso. Le persone che amava erano la cura, e non poteva più
permettersi di perdere nessuno. Non dopo la scomparsa del suo migliore amico.
-Può darsi…-
Concesse alla sorella, sciogliendo il loro abbraccio per rimettersi in piedi.
Erano ormai arrivate
in prossimità del quartiere degli Eruditi, e dovevano prepararsi per scendere
alla fermata giusta.
-Vieni, credo che il
treno non si fermerà e dovremo saltare!- Disse per avvisare Amber, mentre si
appoggiava ad un’apertura per guardare fuori in cerca del punto giusto in cui
scendere.
-Che cosa?-
Sentendola parlare,
Aria si voltò verso di lei e sentì un fitta di dolere fermarle il cuore.
Non poteva odiarla,
non ci sarebbe mai riuscita.
Nella suo test
finale di ammissione fra gli Intrepidi, quando aveva dovuto affrontare la paura
che le incuteva quell’urna misteriosa, aveva temuto per la morte di Eric, di
Will e di Sasha.
Ma anche per quella
di Amber.
Se durante la sua
allucinazione della paura si era spaventata per la morte di sua sorella,
probabilmente il suo subconscio le suggeriva che il legame con lei non era del
tutto perduto.
Sorrise appena e
tese una mano verso di lei. -Ci sono, non ti farò cadere!-
Amber avanzò con
passi incerti, aggrappandosi ad un maniglione per non cadere a causa del
movimento del treno, ma accennò a sua volta un sorriso.
-Cosa c’è, adesso
vuoi occuparti di me?-
-L’ho sempre fatto!-
sottolineò Aria, inarcando le sopracciglia.
-Bè!- fece Amber,
accettando la sua mano. –Anche io mi sono presa cura di te, a mio modo!-
Alzando gli occhi al
cielo, Aria scosse la testa, non aveva voglia di iniziare quel tipo di conversazione.
Poco distante,
intravide una piccola collina, fortunatamente il treno passava da delle
posizioni strategiche che permettevano agli Intrepidi di saltare giù dal treno
in corsa senza correre grossi pericoli.
-Vedi quella
collina? Salteremo sull’erba, cerca di rotolare quando atterri, così non ti
farai male!- Urlò Aria, per farsi sentire da Amber nonostante il trambusto del
vento che si sentiva prepotentemente a causa della loro posizione sul bordo di
un’apertura.
-Tieniti pronta!-
Quando furono vicini
al punto giusto, Aria fece un segnale ad Amber e saltò decisa, trascinandosela
dietro. Dovette tuttavia lasciarla la mano mentre rotolavano in discesa lungo
la piccola collina verde, per evitare di farsi del male.
Quando si fermarono,
Aria si mise subito a sedere per accettarsi che anche Amber fosse tutta intera,
e la vide poco distante che si scrollava i vestiti, ancora sconvolta.
Senza sapere perché,
forse a causa di tutta la tensione e di tutta l’ansia accumulata, Aria si
concesse una risata liberatoria.
Amber se ne accorse
e prima si imbronciò, ma dopo rise anche lei, in maniera decisamente più
elegante.
Era proprio vero, la
morte del suo migliore amico doveva aver sconvolto Aria profondamente, perché
altrimenti, in nessun altra circostanza, si sarebbe mai ritrovata a ridere con
sua sorella.
-Amber!-
Sentendo una voce
femminile chiamare il nome di sua sorella, Aria si voltò e vide un uomo e una
donna avvicinarsi e, riconoscendo i propri genitori, avverti una fitta
lancinante al petto che le fece capire che non le sarebbe stato così facile perdonare
tutto.
Le era bastato
sentire la voce di sua madre per sentire la gola secca e le mani tremanti, e si
trovò a pensare che non avrebbe mai voluto essere lì, ma non poteva certo
scappare.
Aria si alzò
sbrigativamente in piedi e si avvicinò a sua sorella, aiutandola a rialzarsi.
Si scambiarono un breve sguardo d’intesa, poiché Amber aveva colto
immediatamente il suo irrigidimento, e poi si avviarono verso i loro genitori.
Raggiuntasi a metà
strada, sua madre, una donna con folti capelli neri, gettò subito le braccia
verso Amber.
-Per fortuna che stai
bene!- Sopirò contro la guancia della figlia.
Aria guardò sua
madre e dovette trattenere una smorfia, studiò il suo volto annebbiato da
qualche segno dell’età ma pur sempre fiero ed elegante.
Non era mai stata
una madre affettuosa, forse anche per quel motivo lei stessa era molto
introversa. Ma, ad ogni modo, le assomigliava molto. Avevano lo stesso modo di
incurvare le sopracciglia quando erano arrabbiate, anche se i lineamenti della
donna erano leggermente più raffinati come quelli di Amber, e aveva anche i
suoi stessi occhi azzurri.
-Grazie per avercela
riportata sana a salva!- Disse ancora sua madre, ma sta volta si rivolse
direttamente a lei, mettendole addirittura una mano sulla spalla.
Aria si sentì
raggelare da quel contatto e abbassò gli occhi sulla propria spalla, guardando
la mano della madre appoggiata vicino alla treccia in cui aveva raccolto i suoi
capelli, senza sapere cosa fare.
-Tu stai bene?-
Quando sentì per la
prima volta la voce di suo padre, Aria alzò gli occhi e li incrociò con quelli
dell’uomo attraverso gli occhiali da vista che indossava.
Anche lui aveva una
folta chioma di capelli neri ordinatamente pettinati all’indietro, ed i suoi
occhi azzurri avevano una tonalità più scura, come quelli di Aria.
In silenziò, la
ragazza si prese qualche secondo per osservare la camicia blu dell’uomo e il
suo sguardo serio e leggermente in allarme, per poi offrirgli un cenno con la
testa.
-Sarebbe meglio che
tu non tornassi nella residenza degli Intrepidi.- Le disse.
Aria rimase in
silenzio, ad ascoltare.
-I tuoi capifazione
sono tutti qui, radunati all’ospedale perché hanno sparato ad uno di loro. Dovresti
raggiungerli, così potranno spiegarti cosa è successo e dirti cosa fare.-
Non ebbe il tempo di
analizzare quelle parole, il pensiero di poter correre dai suoi capifazione la
tranquillizzava, poiché rimanere ferma in quell’insolita riunione di famiglia
la stava tormentando e non vedeva l’ora di allontanarsi da lì.
Ma Amber fu più
furba e, guardando suo padre, chiese: -A chi hanno sparato?-
Per un attimo lui
rimase a guardare la figlia bionda senza comprendere la sua curiosità, ma poi
le rispose senza problemi. -A quello giovane, Eric.-
Mentre il suo cuore
mancava di un battito, Aria si trovò a ringraziare mentalmente sua sorella. Lei
non aveva pensato a quella possibilità ma, scoprendola, si sentì mancare.
-Ma sta bene?-
chiese sempre Amber.
-Sì, lo hanno colpito
ad una gamba, o ad un piede, non ricordo!-
Tirando un sospirò
di sollievo, Aria guardò Amber e capì che, senza sapere perché, la stava
aiutando. Forse sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di fare quelle domande
a loro padre, oppure la stava aiutando a non esporsi troppo.
-Credo sia maglio
che accompagni Ariana all’ospedale, magari vedendo me la faranno entrare senza
troppi problemi!-
Suo padre parve
riflettere, guardò la moglie e poi parlò. -Sì hai ragione, credo sia meglio. Ma
state attente!-
Amber face un cenno,
baciò sbrigativamente una guancia della madre e fece segno ad Aria di seguirla,
e lei lo fece rifiutandosi di incrociare lo sguardo con i suoi genitori.
Quando si furono
allontanate a sufficienza, imboccando la via principale del quartiere, Aria si
avvicinò alla sorella e la guardò intensamente.
-Perché hai parlato
al posto mio, mio stavi aiutando?-
Amber la guardò e
sorrise. -Sembrava che ti avesse morso una tarantola, temevo che non fossi in
grado di aprire bocca!-
La ignorò. -Perché
mi stai accompagnando?-
-Che rapporto c’è
tra te e quel capofazione pieno di tatuaggi, che sembra sempre sul punto di
voler uccidere qualcuno da un momento all’altro?-
Strabuzzando gli
occhi, Aria si voltò verso sua sorella e la fece fermare. -Che hai detto?-
-Jeanine pensa che
state insieme, e vero? Secondo me sì, ho visto come ti guardava quella volta
nei sotterranei della vostra residenza!- Amber fece un sorriso strano.
Non sapendo cosa
risponderle, riprese a camminare. -Tu e Jeanine sapete sempre tutto, vero?-
Amber rise.
Arrivati davanti
l’imponente struttura di vetro che ospitava il più grande ospedale della città,
Aria si fermò e la sorella le mise una mano sulla spalla.
-Stai tranquilla.-
Le disse piano. -Sta bene, gli hanno solo sparato ad una gamba e i nostri
dottori lo avranno già rimesso in sesto!-
-Non sono
preoccupata!- Rispose, ed era vero.
Come subito dopo la
morte di Will, Aria si ritrovava paralizzata in una sorta di apatia che la
teneva lontana da ogni angoscia ogni timore.
Forse era la sua mente
che reagiva per proteggerla dal dolore ma, inspiegabilmente, si sentì
travolgere dalla rabbia. Ultimamente il suo corpo reagiva in modi curiosi e,
quando pensò ad Eric ferito, capì che doveva essersi trovato in una situazione
pericolosa. Sentì una fitta al petto e lacrime che minacciavano di rigarle le
guance, ma riuscì a spegnere tutto e a concentrarsi unicamente sui suoi passi.
Eric era forte, fin
troppo forte.
Salirono la
scalinata che precedeva l’ingresso e, una volta entrate, Amber si fermò per scambiare
qualche parola con una donna seduta dietro ad una scrivania. Subito dopo guidò
Aria lungo il corridoio principale, fino ad arrivare ad una grande porta
sorvegliata da due guardie Intrepide.
Alla destra della
porta, c’era una dottoressa che sollevò la testa dai moduli che stava
compilando quando le vide arrivare.
-Lei ha
l’autorizzazione per vedere il capo Intrepido che è in questa stanza!- Esordì
freddamente Amber, con l’autorevolezza che ogni Erudito avrebbe dovuto avere.
La dottoressa fece
un cenno alle due guardie Intrepide che, riconoscendo in Aria una loro compagna
di fazione, le fecero un cenno di saluto ed uno di loro fece scattare
l’interruttore che face aprire la porta automatica.
Ma, quando avanzò
pronta a rivedere finalmente Eric, sentì il suo cuore battere all’impazzata. Tutta
la paura e tutto il dolore che era riuscita a tenere a freno fino a quel
momento, presero il sopravvento, fino a distruggerla.
Con le emozioni
azzerate, entrò in silenzio.
Continua…
Scusate
il ritardo, forse è meglio che non dica più che aggiornerò presto perché, ogni
volta che lo dico, ritardo!!
Secondo
capitolo senza Eric, ma si prepara per riapparire per il gran finale!!!
Se
sarà grande lo deciderete voi!
Il
prossimo aggiornamento, come ho già detto, sarà l’ultimo di questa storia… E
poi il seguito!!!!
Fatemi
sapere cosa ne pensate, per favore : ) !!!!
Vedendo la porta
aprirsi, Eric si mise faticosamente a sedere sul quel fastidioso lettino
d’ospedale, stringendo i denti e trattenendo un lamento di dolore quando sentì
i punti della ferita tirare.
Non poteva credere a
ciò che era successo e a come era finito lì, depositato da solo al centro in
quella stanza asettica, come uno qualunque dei tanti feriti.
Ma non appena
riconobbe nella ragazza appena entrata Aria, sentì la gola improvvisamente
secca e una mano si tese automaticamente verso di lei.
-Piccola?- Esclamò
in confusione, guardandola ad occhi sbarrati.
Era così bella che
non riusciva a pensare ad altro, aveva le labbra rosse, la pelle chiara, e i
capelli neri che le incorniciavano il viso scendendo su di una spalla avvolti
in una traccia. Tuttavia c’era qualcosa che stonava terribilmente in quel
quadro paradisiaco, perché la sua espressione e il suo sguardo sembravano
quelli di un’ estranea, non la rispecchiavano assolutamente.
Sembrava sconvolta e
fragile come mai prima di quel momento.
L’aveva creduta al
sicuro al centro di controllo, con sua sorella e gli altri Eruditi, c’erano
anche delle loro guardie Intrepide, e niente avrebbe dovuto compromettere la
sua incolumità.
E invece le cose
erano andate diversamente.
Quando Jeanine gli
aveva comunicato di aver dato ordine a quella ragazzina di nome Amber di
rientrare al quartier generale degli Eruditi, facendosi scortare da sua sorella
Aria, aveva tirato un sospiro di sollievo.
Le strade non erano
più sicure al momento ma, quando le due erano partite, il viaggio in treno
verso gli Eruditi rappresentava l’unico mezzo per arrivare al sicuro.
Sapere che Aria
stava arrivando da lui lo aveva sicuramente tranquillizzato, ma mai si sarebbe
illuso di poterla rivedere tanto presto.
Eppure, nonostante
la sua totale assenza di espressività, Eric capì che c’era qualcosa che stava
turbando la sua piccola lottatrice. Ma, per quanto vederla sconvolta gli desse
un dispiacere, sapere che stava bene e averla lì, gli bastava.
-Stai bene?- Le
chiese, cauto.
Qualcosa gli dava l’impressione
che anche una parola fuori posto avrebbe potuto distruggerla.
Quando alzò gli
occhi su di lui, Eric intuì che si era sbagliato di grosso, perché non c’era
più traccia di debolezza in quella ragazza.
Aria avanzò verso di
lui senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi e, quando si fermò accanto al
suo letto, fece una strana espressione spostando la sua attenzione sulla sua
gamba ferita.
-Mi chiedi se sto
bene?-
Eric fece il grave
errore di non cogliere la nota gelida nella sua voce, e non si accorse neppure
del modo in cui serrò entrambi i pugni.
Il suo piede ferito
da un colpo di arma da fuoco era in bella mostra sul letto, senza nessuna
coperta sopra, come se fosse un trofeo da esibire. Ma, guardandolo con rabbia,
il capofazione pensò che non ci fosse assolutamente nulla di cui andare fieri.
La sua non era una ferita di guerra, ma il risultato di una distrazione che
poteva costargli molto cara.
E che gli sarebbe
costata cara.
Si era fatto
sfuggire quella Rigida insignificante, l’aveva sottovalutata durante
l’iniziazione e le aveva permesso, non solo di sparargli a sangue freddo, ma
anche di scappare. Gli era stato comunicato che lei e quel dannato Quattro
erano riusciti a raggiungere la residenza degli Intrepidi, ma non sapeva ancora
quanti danni erano riusciti a fare.
Serrò la mascella
con forza e si ritrovò a desiderare una fine lenta e dolorosa per quei due
trasgressori.
-Non è niente!-
disse infastidito, cogliendo lo sguardo attento con cui Aria analizzava la sua
fasciatura ancora sporca di sangue.
Poi, con la stessa
determinazione con cui un falco si lancia in picchiata sulla sua preda, la mano
di Aria si avventò sul piede leso di Eric e strinse, senza alcuna pietà, il
punto dove era stato attraversato dal proiettile.
Mentre qualche punto
di sutura si riapriva facendolo sanguinare, un grido disumano e grottesco
scappò al controllo di Eric, costringendolo a serrare gli occhi e a contrarre
tutti i muscoli del viso in una smorfia terrificante.
Le afferrò la mano
per risparmiare al suo piede altre torture e con poco grazia, forse a causa del
dolore che provava alla ferita, la strinse nella sua come se volesse
stritolarle le dita. Si accorse che le stava facendo del male, d'altronde era
più forte di lei e lo sapeva benissimo, ma Aria non emise alcun suono e lo
guardò impassibile.
-Che diamine ti
prende?- Le ringhiò contro, con voce rauca.
-Doveva andare tutto
per il meglio, vero?- Gli parlò senza che nessun’emozione animasse i lineamenti
del suo viso, erano solo le labbra a muoversi. -Il mio migliore amico è morto
perché i nostri capifazione hanno mandato tutti gli Intrepidi a farsi
massacrare come carne da macello! Doveva essere un tuo dovere quello di
garantire l’incolumità di tutti e invece hai fallito!-
In un solo frammento
di secondo, Eric allentò la presa che aveva attorno alla sua mano come se fosse
stato folgorato da una scarica elettrica. Si sporse verso di lei con i muscoli
che fremevano di rabbia, l’afferrò dalla nuca serrando le dita attorno ai suoi
capelli, e la costrinse ad avvicinarsi a lui.
-Chiudi la bocca e
non parlarmi in questo modo!- sibilò a denti stretti.
Senza sapere come,
Eric capì di essere sul punto di perdere il controllo.
Il modo orribile in
cui la stava guardando, e le forza con cui le teneva i capelli da dietro la
nuca, non appartenevano certo all’Eric che Aria conosceva. Erano più che altro
i tratti distintivi del capofazione spietato che tutti conoscevano e, per
quanto avesse cercato di nasconderla, quella era una parte di lui reale e
consistente con cui Aria avrebbe dovuto imparare a fare i conti.
-Tu non toccarmi e
non parlarmi in questo modo!- Strillò la ragazza, alzando le braccia per
liberarsi di lui.
La vide fare un
passo indietro, ed ebbe l’accortezza di non toccarla ancora, cogliendo i
segnali capì che lei non lo avrebbe tollerato. Accolse a testa alta l’occhiata
gelida e ferita con cui Aria lo trafisse, con la stessa forza di una lama
affilata, e scosse il capo.
-Cosa pensi che ti
faranno là fuori se userai questo tipo di linguaggio?- La sfidò, indicando con
una mano la porta che si era fortunatamente richiusa. -Nessuno voleva che le
cose andassero storte, credimi! Adeguati come ho fatto io!-
Aria scosse la testa,
portandosi entrambe le mani ai lati delle tempie. Il riverbero di luce gli fece
credere per un attimo che avesse gli occhi lucidi ma, che fosse sul punto di
piangere o meno, Eric capì lo stesso che stava per cedere.
-Non voglio
adeguarmi, quanti altri dovranno morire prima che tu abbia il coraggio di agire?
Magari la prossima volta toccherà a me, e tu forse sarai troppo codardo per
ribellarti e fare qualcosa.-
Sentendola strillare
in quel modo, e cogliendo il disgusto che aveva imprigionato negli occhi mentre
lo guardava, Eric venne attraversato dal pensiero che tutto ciò in cui credeva
poteva venirgli portato via.
Scosse il capo,
digrignò i denti e perse del tutto il controllo.
-Adesso basta!-
Inveì, afferrandola dalle braccia e stringendo la presa attorno alle sue spalle,
senza preoccuparsi di controllare la propria forza. -Stai esagerando ragazzina,
non sono un codardo, vuoi che te lo dimostri?-
Aria si rifiutò di
trovarsi faccia a faccia con quella versione tremenda di Eric, serrò gli occhi
e cercò di liberarsi. -Lasciami subito!- strillò.
Ma Eric non allentò
la presa, al contrario, la strinse con più forza lottando contro di lei per
tenerla ferma.
-Non lo capisci che
ti amo?- Sbraitò.
Le parole di Eric
ebbero il potere di fendere l’aria come una corrente elettrica, che portò
entrambi a staccarsi bruscamente l’uno dall’altra come se un fuoco fosse
improvvisamente scoppiato fra di loro.
Sulla sua pelle,
Aria sentì le mani di Eric bruciare.
Il ragazzo la guardò
e non si perse un solo dettagliò delle mille emozioni che modificarono la sua
espressione.
-Che..?- la sentì
sussurrare, con un’ insolita paura.
Prese un respiro e
si sforzò di apparire calmo, passandosi una mano fra i capelli. Peccato che per
lui, in quel momento, fosse difficile cercare di imporsi il controllo.
Di fatti fallì
miseramente, e le urlò contro. -Pensi che avrei rischiato la mia vita, il piano
che preparo da una vita, per niente? Sei tutto ciò che ho, non ti permetterò di
farti ammazzare perché non sai tenere la bocca chiusa, piuttosto te la chiudo
io!-
Quando il ragazzo
allungò ancora la mano verso di lei, nel tentativo di prenderle una spalla,
Aria abbassò la testa e sfuggì ancora al suo tocco.
Sta volta Eric non
aveva più a che fare con una ribelle ferita, ma solo con una persona
profondamente abbattuta e privata di tutta la sua combattività.
-Non voglio
ascoltarti, è tutto sbagliato!- La sentì piagnucolare, ancora intenta a
nascondere il viso, tenendolo basso.
-E noi lo
rimetteremo a posto!- Le garantì, sollevandole il mento con due dita, mentre
almeno la propria voce appariva più pacata.
-Non c’è niente da
mettere a posto.- Gli rispose Aria, offrendogli il suo sguardo colmo di lacrime
trattenute. -È tutto finito.-
Non era nell’animo
degli Intrepidi demoralizzarsi ed escludere ogni possibilità di riuscita, Eric
aveva forgiato sé stesso fra forza e coraggio, perciò non poteva accettare di
vedere quel senso di vuoto emergere dagli occhi di Aria.
Qualcosa scattò
dentro di lui, forse era il bisogno che aveva di proteggerla, forse era il
fastidio che provava nel vederla abbattersi in quel modo. O, semplicemente, il
combattente che era in lui stava riemergendo.
-No, smettila di
dire stronzate e guardami!- Le prese il viso fra le mani e l’avvicinò a sé. -Hai
la mia parola, farò di tutto, farò qualsiasi cosa per rimettere tutto a posto.
Non permetterò mai che la nostra fazione venga distrutta da qualche idiota che
non ha accettato la simulazione, e non lasceremo il governo agli Abneganti.
Faremo tornare tutto com’ era, ci prenderemo il potere con la forza. Credi in
me!-
-Io non voglio
credere più in niente- Ribadì, abbassando ancora il viso, adesso pieno di
lacrime che le correvano lungo le guance.
-Ma io ci credo, e
non smetterò di combattere!-
Il ragazzo aveva
ancora le mani attorno al suo viso, così le strofinò gli zigomi con i pollici
per liberarla da quelle lacrime che non voleva affatto vedere.
Dopo aver battuto
più volte le palpebre, per prendersi il tempo per riflettere, Aria sollevò il
mento verso di lui.
-Ed io per cosa
dovrei combattere?- Gli chiese a bassa voce.
Eric sorrise con
arroganza e raddrizzò la schiena. -Tutti hanno una ragione per cui lottare.-
-Io no!-
Seduto rigido sul
letto, la guardò dall’alto con freddezza.
-La tua qual è?- gli
chiese Aria a quel punto.
Forse erano davvero arrivati
ad un punto delicato perché, quando Eric tornò a posare il suo sguardo su di
lei, capì che non era più il tempo delle provocazioni, ma quello di raccogliere
i frutti della loro unione.
-Sei tu la mia
ragione per cui lottare!- Le sussurrò, cauto.
Sotto il suo sguardo
forte e sicuro, Aria sentì il coraggio tornare a scorrerle nelle vene. -Chi ti
dice che mi fiderò ancora di te?-
-Devi!- Le rispose,
sempre più distaccato e con un’espressione autoritaria, quasi austera. -Perché
dobbiamo riaggiustare le cose!-
-Io non voglio
riaggiustare niente!-
Eric accolse il suo
tentativo di protesta limitandosi ad ignorare la sua occhiataccia, si allungò
per prendere la sua giacca appesa al fianco del letto e se la rimise
lentamente. Ma, dal modo in cui i suoi muscoli si tendevano, non era difficile
capire quanta rabbia gli ribolliva ancora in corpo.
-Devi!- le ripeté
serrando la mascella. -Ci riprenderemo quello che è nostro e staremo bene, bene
davvero.-
Aria non disse
nulla, ma sussultò quando il ragazzo le lanciò un’occhiata tremenda.
-Te lo garantisco!-
le disse, in quella che sembrava più una minaccia che una promessa.
-Lo vuoi capire che
io non credo più in niente?!- Gli urlò contro, con i pugni stretti e le lacrime
a stento trattenute.
-Io credo in te!- In
quel momento Eric allungò una mano verso di lei per prenderla da una spalla.
Sarebbe potuto
apparire come un gesto gentile e confortante, invece era solo uno dei suoi
soliti modi possessivi con cui la prendeva con la forza e la costringeva ad
ascoltarlo.
-So che hai la forza
per affrontare tutto questo, e credo in me stesso. Lo faremo insieme!-
Lei non si liberò,
al contrario, si gettò contro il suo petto e nascose il viso sulla sua spalla. -Lasciami
in pace Eric, non voglio più combattere…-
Facendole scivolare
una mano dietro la nuca per accarezzarle i capelli e accoglierla, Eric ruotò
leggermente il busto verso di lei, appoggiò il mento sulla sua testa e respirò
il profumo dei suoi capelli.
-Allora lo farò io
per entrambi. Lo farò per te!- Le promise fissando un punto imprecisato.
Aveva ripreso il
controllo di sé stesso, d'altronde non sarebbe stato capace di alcun atto di
crudeltà verso la ragazza che aveva ammesso di amare, non certo dopo averla
vista crollare. E, averla lì stretta al suo petto, lo rendeva in grado di
placare ogni suo tormento.
Con la mano che
teneva ancora dietro la sua nuca, le tirò leggermente i capelli per
costringerla a sollevare lo sguardo su di lui.
-Sei con me, Aria?-
La ragazza chiuse
gli occhi e non parlò, poi sollevò le palpebre e mostrò solo la sua debolezza. -Ma
non so più per cosa lottare…-
Il ghigno sinistro
di Eric comparve sul suo volto, le prese ancora una volta il viso fra le mani,
come al solito prepotentemente, e posò la propria fronte sulla sua.
-Non importa!- Le
disse.
Nella sua mente,
Eric credeva davvero in una città come quella che aveva cercato di realizzare.
Voleva un posto dove
le morti avvenute fossero state sacrifici necessari e non un peso insostenibile
da portarsi addosso come un macigno dentro l’anima. Sperava davvero, con ogni
fibra del suo essere, nella risoluzione di tutti i problemi e in un futuro dove
avrebbe potuto continuare a mantenere il suo ruolo e la sua rispettabilità. Un
lungo dove tutta la sua forza gli avrebbe permesso di rimanere al comando e di
arrivare sempre più in alto.
-Staremo bene!- Le
promise in un sussurro carezzevole. -Mi occuperò io di te…-
Poteva apparire
tutto perfetto. Peccato che, per quanto abilmente nascosta, Aria colse la nota
avvelenata nella sua voce e colse addirittura una vena di follia che la spinse
a serrare violentemente le palpebre e a mordersi il labro inferiore.
Tuttavia sentì Eric
respirare insieme a lei e comprese che non poteva andare avanti senza di lui,
perché era la sua luce nel buio. Strinse le mani attorno alla sua giacca e
promise a sé stessa che non lo avrebbe abbandonato, poiché era chiaro che il
bisogno che aveva di lui era equivalente alla necessità che aveva Eric di
averla ancora al suo fianco.
Sentì il suo cuore
ritornare a battere nonostante la tempesta in cui era rimasta imprigionata,
eppure sapeva che non c’erano fiamme abbastanza forti da sciogliere il gelo che
aveva dentro e che non esisteva ghiaccio abbastanza potente da placare il fuoco
di Eric.
Forse sarebbero
sprofondati, oppure sarebbero risorti dalle loro stesse ceneri e si sarebbero
placati e rianimati a vicenda. Ma qualsiasi cosa avrebbero fatto e qualsiasi
sarebbe stata la loro fine, sarebbero rimasti insieme.
Poi Eric la sentì
parlare e una fiamma di speranza si accese nel suo petto.
-Sì, sono con te,
Eric.-
Fine.
Oh santo cielo, la
parola “fine”, quasi non ci credo!
Ho mille cose da
dire, ma volevo iniziare con il ringraziare tutti i lettori, tutti coloro che
hanno inserito la storia tra preferite, da ricordare e seguite!
Grazie davvero,
spero di non avervi deluso.
Per me è stato un
immenso piacere condividere con voi questa storia, con tutte le emozioni che ne
sono seguite. Spero davvero di essere riuscita a trasmettervi qualcosa e a lasciarvi
qualcosa. (magari di positivo!!)
Grazie di cuore a
chi ha recensito, vi adoro, siete stati importantissimi e mi avete reso
immensamente felice!
Un piccolo
ringraziamento particolare alla mia scrittrice di
recensioni/poemi/dibattiti/poesie che si è presa il disturbo di seguirmi quasi
dall’inizio e di recensire, a suo modo, praticamente tutti i capitoli. Grazie Kaithlyn!
Scusate ma dovevo,
senza nulla togliere agli altri che ringrazierò sempre all’infinito.
Parliamo di cose
serie, ovvero del seguito!
Come vi dicevo ci
sto già lavorando, peccato ci siano parecchie cose da rivedere ed errori da
correggere.Nel tentativo di fare più in
fretta che posso, e nella speranza di non avere imprevisti, avrete presto il
continuo.
Il titolo sarà: The
reason to survive.
Cosa pensate che
succederà adesso? Quali sono le vostre ipotesi? E, soprattutto, avete gradito
il finale o immaginavate qualcosa di diverso?
Ci sarà un cambio di
stile nella narrazione (sempre nella speranza che possa piacervi) e diverse
sorprese.
Per quanto riguarda
la trama e le vicissitudini dei due protagonisti sono piuttosto soddisfatta e
credo davvero che rimarrete piacevolmente sorpresi! (ovviamente è quello che
spero, ma prima devo riuscire a rendere il tutto presentabile e leggibile XD)
Per non soffrire
troppo nell’attesa, ho pensato di farvi un piccolo regalino con cui ingannare
il tempo e anche per tenerci in contatto.
Ho creato una pagina
facebook dove troverete il famoso regalo, vari post
su Eric e Aria e piccole anticipazioni dei prossimo capitoli. Ovviamente
saranno segnalate, così se preferite che non vi venga svelato nulla in
anticipo, potrete evitare di rovinarvi la sorpresa!