Will I see you again?

di ineedamikashug
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Avevo nove anni quando iniziò tutto.
Ero seduta in classe, masticando una gomma (ero già ribelle allora).
La maestra mi sgridò, era la prima volta che alzava la voce con me, perchè mi aveva beccata.
Mi alzai per andare a buttare la mia opera d'arte, era da tre giorni che masticavo la stessa gomma e incrociai lo sguardo di Michael Holbrook Penniman Jr.
Socchiusi gli occhi in segno di sfida e lui mi fece una boccaccia, abbastanza sonora.
La maestra si alzò per sgridarlo e lui le fece una boccaccia, bagnandole la faccia.
Finimmo tutti e due in castigo, fuori dalla porta.
"Allora, Michael".
"Dimmi Mary".
"Mi stai antipatico". Ero molto schietta in quel periodo.
"Nemmeno tu mi stai simpatica".
"Andiamo d'accordo in qualcosa". Silenzio.
"Sei stato grande prima".
"Davvero?". Sembrava sorpreso. "Beh, grazie..anche tu lo sei stata".
"Non ho fatto niente di che".
"E' da giorni che ti osservo, mastichi quella gomma da giorni, precisamente tre."
"Giusto". Rimasi così sorpresa che spalancai gli occhi. Mi osservava davvero.
"Ti devono piacere molto le gomme alla fragola"
"Da morire. Ne vuoi una?"
"Perchè no?!"
Tirai fuori dalla tasca della mia gonna un pacchetto di gomme alla fragola.
"Sono uguali a quelle della maestra!". Disse, incredulo.
"Sono, quelle della maestra". Ero anche strafottente all'epoca.
Mi guardò. I suoi occhi facevano intravedere l'oceano, pur essendo scuri.
"Quando gliele hai prese?" Disse masticando la sua gomma.
"Prima. Fortunatamente è un pacchetto nuovo. Mi ha fatto buttare la sua gomma, quella scema.
"Hahaha".
Quando ride arriccia il naso. E' così buffo.
"Potete rientrare, ma fate silenzio".
"Attento a non farti beccare ok?. Sussurro a Michael.
"Nemmeno tu". Mi sussurra.
Entriamo e ci sediamo ai nostri posti. Ci guardiamo e sorridiamo.
"Bambini, voglio premiare tre di voi che si sono comportati molto bene questa settimana".
I miei compagni si guardano increduli.
Guardavo la maestra frugare nelle tasche, poi nella borsa e poi di nuovo nelle tasche.
Ah giusto, cercava le sue gomme. Ma ormai erano mie. Erano anche abbastanza costose.
"Scusate non riesco a trovare le mie gomme..devo averle perse per strada"
Io e Michael ci guardammo e contemporaneamente creammo una bolla rosa, profumata e sottile, tanto da scoppiare. Sembrava un pallone da calcio.
Ricordo la faccia della maestra ancora oggi, era così rossa.
Suonò la campanella e la maestra mi sgridò. Presi anche uno schiaffo. Poi lui arrivò.
"Maestra cosa fa?"
"Vattene Michael". Era davvero arrabbiata.
"Ma, maestra.."
"Dimmi!". Si girò verso di me. "Con te finirò più tardi".
"Maestra, mi scusi, sono stato io a prenderle le gomme, non è stata Mary."
Lo guardai incredula, con gli occhi gonfi dalle lacrime. Quei ceffoni facevano davvero male.
"Michael non sei stato tu, è stata lei"
"Guardi, ho io il suo pacchetto". Disse tirando fuori dalla tasca il pacchetto. Lo aveva lui. Evidentemente mi era caduto dalla tasca.
"Michael queste cose non si fanno ok?"
"Si lo so, mi scusi"
La maestra sfoggiò un sorriso da un orecchio all'altro e gli accarezzò la testa.
"Ora va, buona giornata Michael"
"Anche a lei". Disse andandosene.
"Quanto a te signorina, per questa volta vattene".
"Subito, arrivederci."
Non ricordo di aver corso così tanto per uscire dalla classe. Lo vidi, stava scendendo le scale.
"Michael! Michael aspettami". Gli corsi dietro con il respiro affannato.
"Perchè lo hai fatto?"
"Fatto cosa?". Sembrava sorpreso.
"Prima, perchè avevi il mio pacchetto?"
"Per gli amici si fa tutto, non credi?". Sorrise. Ricordo ancora quel sorriso.
"Grazie".
"Non devi ringraziarmi. Ti fa male la guancia?"
"Molto".
"Se vieni a casa mia, mia mamma può aiutarti".
"Oh, non posso. Anzi, devo correre a casa..e poi non mi fa così tanto male..ciao!"
Quanto volevo confidarmi con lui, ma ero piccola, non potevo ancora capire l'importanza di avere un amico.

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Capitolo 2
*** Capitolo 3 ***


Mi prese la mano e mi disse di seguirlo.
Come potevo non seguirlo? Mi aveva salvata.
"Dove andiamo?".
"Dove vivono le fate"
"Fate? Le fate non esistono scemo!". Dissi ridendo.
"Anche tu sei buffa quando sorridi, ti vengono le fossette".
"Anche tu hai le fossette"
"Ma le tue sono più belle!". Affondò il suo dito nella mia guancia sinistra. "Ne hai una più grande dell'altra, per questo è buffo."
"Comunque le fate non esistono!".
"Esistono, fidati".
"Dimostramelo".
"Ne ho una davanti a me". Disse sorridendo.
Ero io. Ero io la sua fata. Lui era il mio principe e io la sua fata.
"Eccoci".
Un posto così bello non lo avevo mai visto. Sembrava davvero un villaggio delle fate.
Rimanemmo fino a sera. Lui vide una lucciola e se la mise sulla mano.
"Guarda che carina, proprio come te!"
"Non sono carina".
"Sei perfetta, scusa".
Era così dolce.
Ad un certo punto mi abbracciò. Mi diede uno di quelli abbracci che ti stritolano. E io piangevo e ridevo nello stesso tempo. Ero felice.
"Michael io dovrei tornare a casa..è tardi"
"Tu sei a casa, è il tuo villaggio".
"Non scherzare..mi picchieranno se non torno in orario".
"Hey". Mi prese le mani. "Io ho fatto una promessa e la manterrò". Mollò la presa. "Io mantengo le promesse".
"Dove dormiamo?".
"Sapevo che un giorno mi sarebbe tornata utile".
Mi portò verso un albero molto vecchio.
"Un albero?".
"Si regga forte signorina"
Mi afferrò per i fianchi e mi mise su un ramo.
"E adesso?"
Poi scorgo una casetta.
"Saliamo la?"
"Si..è tutta tua"
Mi arrampico fino ad arrivare alla porticina.
Quella casetta era davvero perfetta: un tavolo con delle sedie, un divanetto e un fornetto elettrico.
"E' stupenda"
"Davvero? L'abbiamo fatta io e mia sorella un anno fa". Sembrava soddisfatto. "Però dobbiamo stare tutti e due nel divano"
"Non c'è problema". Ero davvero felice. "Ma domani abbiamo scuola!".
"Torneremo presto domani mattina ok?".
"Grazie".
Ci sedemmo per terra a parlare.
"Non ti conosco molto, parlami di te".
"Il mio vero nome non è Mary"
"Ah no? E qual è?"
"Katy".
"E perchè ti fai chiamare Mary?"
"Perchè è il secondo nome di mia sorella Jade". L'avevo detto.
"Jade? Non mi hai parlato di nessuna Jade".
"E' morta il giorno del tuo compleanno".
"Oh, mi dispiace".
"Parlami di te!"
"Amo cantare".
"Cantare?"
"Si, ma non lo sa nessuno".
"Ora lo so io..anche a me piace cantare, ma le mie sorelle non vogliono".
"Oh.."
"Non preoccuparti! Io da grande voglio diventare una soldatessa"
"Soldatessa? Wow! Io spero proprio di diventare un cantante!".
"Quando diventerò generale verrò a cantare con te!"
"E io verrò a vederti mentre fai soffrire il tuo esercito!".
Scoppiammo in una risata fragorosa.
"Ti va di incidere i nostri nomi in un'asse?"
"Ma questa casetta è tua e di tua sorella".
"Mi ha detto di portarci persone speciali"
Ero quasi commossa.
"E va bene..ma dove lo scriviamo?"
"Qui va bene..ho un coltellino". Estrasse il coltellino e scrisse.
"Perchè hai scritto MI? Bastava una M!"
"Dai fallo anche tu! E' più divertente."
Stavo per scrivere una M ma lui mi bloccò.
"Tu sei Katy, non Mary!"
Sorrisi e scrissi KA.
MI + KA = MIKA.
"Di solito dopo l'uguale ci va un cuore".
"Bleah, cose sdolcinate!"
"Hahah nemmeno a me piacciono Michael".
"Ora andiamo a dormire".
Fu una notte magica. Il silenzio, niente grida di sorella inferocite..il paradiso.
Poi all'alba finì tutto.
"Hey Katy..svegliati!"
"Arrivo"
"Ho preparato la colazione".
"Ma io non ho fame!"
"Zitta e mangia hahah".
Mi aveva portato la colazione a letto come facevo io a ia sorella.
"Promettimi che non te ne andrai mai".
"Mai Katy e io mantengo le promesse, lo sai".
"Mi fido di te".
"Anche io, ma ora è meglio se torni a casa".
"Facciamo la strada assieme?"
"Ti do una mano a scendere".
Mentre tornavamo a casa tremavo.
Non dovevo svegliare le mie sorelle per nessun motivo al mondo o ero fritta.
Ero abbastanza agile ma Alex aveva un buon udito e poteva benissimo svegliare Helene.
Ci salutammo sussurrando.
"Ci vediamo a scuola"
"Ti sei divertita?"
"Non sono mai stata così felice, grazie".
"Grazie a te per avermi fatto entrare nel regno delle fate". Disse allontanandosi.
"Michael!"
"Si?"
"Hai ragione, le fate esistono".

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Ero molto scossa.
Lui, che mi aveva ignorato fino a quel giorno, voleva parlare con me.
IO, che lo avevo ignorato fino a quel giorno, volevo parlare con LUI.
Lui, quello nuovo, quello che si era appena trasferito qui, quello che chiamavano sfigato, parlava con me.
Avevo il terrore di tornare a casa.
Mi aspettavano le mie sorelle.
La più grande, Helene, all'epoca aveva 18 anni. Avevo paura di lei. Così alta, bella, bionda con degli occhi azzurri, di ghiaccio.
Poi c'era Alex, che di anni ne aveva 16. Ricordo che era alta come Helene, pur essendo più giovane.
Infine c'era Jade, 14 anni. La adoravo.
Quando Helene e Alex mi rubavano il cibo, Jade mi dava il suo. Diceva che dovevo crescere.
Jade era davvero bella. Secondo me era ancora più bella di Helene.
Helene e Alex avevano delle stanze singole, invece io e Jade dormivamo nella stessa stanza e questo mi piaceva.
Lei giocava con me e mi divertivo parecchio e io, per ricambiare, ogni mattina le portavo la colazione a letto.
Passavamo sei bei momenti assieme.
Poi arrivò quel giorno. Quel maledetto 18 Agosto.
Scesi piano piano le scale per non farmi sentire e presi la colazione per Jade poi tornai in camera.
Tirai le tende e svegliai Jade, o almeno provai.
Me l'avevano portata via.
Lei era la mia migliore amica.
Ecco perchè avevo paura di tornare a casa. Ero sola.
Cercai di raccimolare più cibo possibile e filai a letto, a mangiare, sola.
Finito di mangiare mi misi a fare i compiti. La guancia mi faceva davvero male.
Ogni volta che ci penso mi torna quel male alla guancia.
Non riuscivo a fare i compiti. Volevo scappare da quell'inferno.
Una notte scappai davvero, ma poi tornai a casa.
Provai a leggere un libro, ma niente riusciva a togliermi dalla testa Michael.
Suonò il campanello e corsi giù per aprire ma mia sorella mi bloccò.
"Torna in camera tua"
"Ma Helene.."
"Vattene!".
"Subito".
Mi nascosi dietro il muro per vedere chi voleva entrare in questo inferno.
"Buongiorno signorina. Sono Michael Holbrook, un compagno di classe di Mary".
"Lei non c'è".
Perchè lo aveva detto? Io ero li.
"Oh, mi dispiace"
"Ciao". Disse chiudendo la porta e io decisi di uscire dal mio nascondiglio.
"Michael! Sono qui! Aspettami".
Scesi di corsa le scale.
"Tu resti qui". Mi disse Helene afferrandomi il braccio con forza.
"NO! Tu resti qui!". Dissi quasi piangendo. "Michael corri!"
Corremmo molto velocemente.
"Michael aspettami! Corri troppo veloce". Si fermò.
"Perchè mi ha detto una bugia tua sorella?"
"Perchè è cattiva Michael. Tu non devi venire mai più a casa mia, capito?"
"Ma no..non è cattiva"
"Michael..le mie sorelle non sono degli angeli." Gli toccai una spalla e iniziai a piangere. "Vivo in un inferno ogni giorno e tu non puoi capire".
"Io posso capire". Mi asciugò una lacrima.
"Vuoi essere mio amico?"
"Certo. Io l'ho capito da subito che dovevamo essere amici".
"Portami via da li".
"Lo farò. E' una promessa". Sorrise. "Quante sorelle hai?"
"Ne avevo tre".
"Avevi?"
"Non ne voglio parlare".
"Quando compi gli anni?"
"13 Agosto".
"Compiamo gli anni molto vicini!"
"Davvero? Quando gli compi"
"Il 18 Agosto".
Rimasi spiazzata.
Quel giorno mentre lui arricciava il naso dalla felicità, io piangevo. E non perchè era morto il gatto, ma perchè era morta la mia migliore amica.
"Ehi, perchè piangi?"
"Oh nulla, non preoccuparti".
"Cosa posso fare per farti sorridere?"
"Sorridi tu. Sei così buffo quando sorridi".
Lui lo fece.
Scosse anche i suoi riccioli e io scossi i miei.
Lui, la seconda persona dopo mia sorella, che mi faceva ridere.
Lui non me l'avrebbero portato via.
Era una promessa.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Le mie sorelle non mi sentirono arrivare.
Quando arrivai a casa mio padre stava fumando la pipa.
Mamma odiava il fumo e soprattutto odiava l'odore di fumo dentro casa.
Mio papà mi voleva bene e io volevo bene a lui.
Ero la sua fotocopia: capelli ricci, occhi verdi.
Ero ribelle quanto lui.
Lo vedevo poco, era un generale.
Volevo diventare come lui, era il mio esempio.
Quando mi vide rimase sorpreso, pensava di trovarmi a letto.
"Che facevi fuori?". Cominciammo a sussurrare.
"Papà scusami tanto". Corsi ad abbracciarlo.
"Riuscirò a portarti via da qui,  piccola mia..ma dove sei stata?".
"Sono stata con il mio amico Michael".
"Michael? E dove?".
"Nella sua casa sull'albero. E' molto bella sai?"
"Sei stata bene con lui?"
"Molto".
"Mi basta questo". Mi baciò la fronte.
"Richard, sei tornato!". Era la mamma. "E tu, dov'eri?"
"E' rimasta ad aspettarmi qui tutta la notte".
"Hai fatto colazione amore?". Com'era falsa, mia mamma. Davanti al papà era tutta gentile, appena lui voltava l'angolo mi picchiava.
"Si mamma".
"Bene, ora è tardi, devi andare a scuola".
"La accompagno io Sarah". Disse papà. Lo volevo ringraziare con tutta me stessa. "Ora andiamo".
Durante il tragitto non smettevo di guardarlo. Ero così fiera di mio papà.
Quando arrivammo mi baciò di nuovo la fronte. Adoravo quel suo gesto.
"Buona giornata Katy".
Papà era l'unico della famiglia che mi chiamava Katy ed era l'unico della famiglia, oltre a me, che sentiva la mancanza di Jade.
"Anche a te papà".
Entrai in classe, salutai la maestra e i compagni e andai al mio banco.
La mia compagna di banco mi disse che dovevamo fare un tema.
"Ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare il tema. Dovete descrivere i vostri eroi, poi ognuno di voi leggerà il suo elaborato".
Ci diede poco tempo per scrivere quel tema.
Ogni tanto alzavo gli occhi per vedere Michael: stava scrivendo il suo tema e sembrava molto ispirato.
Finita l'ora si offrì volontario per leggere per primo il suo tema.
Posò la penna, si sistemò i ricci e iniziò a leggere, mettendosi davanti alla cattedra.
"Contanti e attori, questi sono i vostri eroi. Io invece ho un'eroina". Rimasero tutti stupiti e sinceramente anchio, non leggeva molto bene.
"La mia eroina si chiama Katy Collins ed è una mia compagna di classe. Molti non sanno che il suo vero nome è Katy, perchè la conoscete come Mary. Katy è la bimba più forte che io abbia mai conosciuto. Ha sopravvissuto alla morte di sua sorella, che era anche la sua migliore amica.
Mi fido di lei. Lei è la mia fata e le voglio un mondo di bene. Katy è la Luna che illumina i miei momenti di buio ed è l'unica con cui mi confido. Grazie di esistere".
Ricordo la mia commozione. La lettere più bella che mi avevano mai fatto.
Andai io dopo Michael a leggere il mio tema.
"Io ho due eroi: un maschio e una femmina. Il mio eroe maschio si chiama Michael Holbrook Penniman Jr ed è la persona più dolce che abbia mai conosciuto in vita mia. Mi ha letteralmente salvata dall'inferno che vivo ogni giorno in casa mia. Mi ha portata nel regno delle fate e mi ha detto che faccio parte di loro. Io e lui sembriamo quasi fratelli. Amo il modo in cui ride, perchè arriccia il naso e soprattutto, quando lui ride, rido anchio.
La mia eroina è mia sorella Jade. Capivo che c'era qualcosa che non andava in lei. Un giorno, mentre le rifacevo il letto, trovai una ciocca di capelli.
Li stava perdendo. Li aveva persi tutti."
Iniziai a singhiozzare, ma continuai a leggere.
"Mentre voi mi prendavate in giro, io stavo male. Non capivo che era malata. Non capivo che l'avrei persa. Era costretta a stare in letto e io le portavo la colazione. La svegliavo con un bacio sulla guancia, le accarezzavo la testa e le porgevo i biscotti. Ma un giorno non potè fare colazione. Non c'era più. Era andata in paradiso, dove vivono gli angeli. Con Michael non deve succedere lo stesso, non me lo devono portare via".
"E non succederà, Katy".
"Lo so, me lo hai promesso". Sorrisi.
Ricordo che quando finì la lezione mi abbracciò, stritolandomi, come al solito.
"Io sarò sempre qui per te, Katy".
"Anchio, Michael".
"Ormai noi siamo legati, ricordi l'incisione?".
"MI + KA = MIKA, certo che me la ricordo".
"Ricordatela per sempre".
"Promesso".
"Tra poco finisce la scuola, non vedo l'ora"
"Anche io! Voglio giocare tutto il giorno"
"Andremo nella casa sull'albero"
"Devo arredarla meglio"
"L'ho arredata io! Va bene così"
"Michael, non hai buon gusto". Feci una smorfia e lui ricambiò con il sollettico. Cademmo a terra.
"Scemo, mi hai fatta cadere".
"Mi scusi Milady"
"Ah, ah, ah".
"Dai, ridi!"
"Come sapevi il mio cognome?"
"Il registro della maestra è molto utile"
"Ah, giusto..anchio ho guardato da li"
"Molto bello il tuo tema"
"Mai come il tuo.."
"Quindi tua sorella aveva il cancro.."
"Al fegato".
"Ho pianto quando hai letto il tuo tema".
"Anche io, era bellissimo".
"Ne ho fatta una copia, se vuoi"
"Lo appenderò in camera mia"
"Sono contento".
"Non so come ringraziarti".
"Credimi, lo hai già fatto".
"Ma se non ti ho fatto nulla?".
"Conoscerti è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata"

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La scuola finì in fretta.
Io e Michael diventammo migliori amici.
Trascorremmo tutta l'estate nella, ormai nostra, casetta sull'albero.
Mio papà ci costruì delle seggioline e un tavolino.
Ricordo che io e Michael litigammo perchè io volevo le sedie rosa e lui azzurre.
Anche se per i miei atteggiamenti mi paragonavano ad un maschio, il rosa era il mio colore preferito.
Non vinse nessuno dei due, mio papà dipinse le sedie di verde.
Michael portò delle tende ricamate dalla madre con la nostra scritta "MIKA".
Non so perchè, quel nome mi piaceva.
Il 13 Agosto festeggiammo il mio compleanno, ma il 18 Agosto penso che Michael abbia festeggiato il più bel compleanno della sua vita.
Lo svegliai con un bacio sulla fronte, come mio padre.
Lui aprì i suoi occhi scuri e arricciò il naso.
Era così dolce quando si svegliava.
"Buon compleanno".
Di mattina i suoi capelli erano scompigliati.
"Mi spieghi cosa stavi facendo ieri sera?".
Era furbo. Mi aveva vista.
"Oh Michael, doveva essere una sorpresa!"
"Dai, sono curioso".
"Spero che ti vada bene e che ti piaccia".
"Dov'è?"
"Sul tavolo".
Ci avevo messo una settimana per fargli quel regalo.
Mamma mi aveva dato una mano e, dato che non eramo riuscite a finirlo, lo avevo portato alla casetta.
Pensavo stesse dormendo, invece mi aveva vista.
Ricordo la sua espressione appena lo aprì: fecero capolino le sue fossette e il suo nasino cominciava ad arriciarsi dalla gioia.
Mi corse incontro e mi abbracciò.
Gli avevo fatto uno smoking azzurro, o almeno quello era l'obiettivo.
Gli mancava solo la tasca nella giacca e sembrava uno dei capolavori di sartoria che solo i ricchi potevano permettersi.
Persino la cravatta e la camicia gli avevo fatto. Tutto tranne le scarpe, quelle gliele avevo dovute comprare.
Si cambiò e..wow.
"Stai benissimo!"
"Davvero?!"
"Si! Sembri un giovanotto".
Presi i lembi del mio vestitino e feci una riverenza. Lui ricambiò con un inchino.
Mi prese le mani e incominciammo a ballare, anzi, a salterellare.
"E' davvero bellissimo..ora ti porto in un posto".
"Posto? Dove? Dai, stiamo qui!"
"Dobbiamo andarci!"
"Eh va bene, ma poi torniamo".
Lo seguivo, ma non sapevo dove voleva portarmi. Non avevo un buon senso dell'orientamento.
"Dimmi dove andiamo!".
"Aspetta e vedrai".
Riconobbi subito quella strada.
Entrammo dal cancello e arrivammo da lei.
"E' lei, vero?"
"Si, è lei"
'Jade Collins. Il tuo ricordo è sempre con noi.'
Estrasse una rosa bianca dalla tasca e la depositò sulla tomba di mia sorella.
L'anniversario della sua morte.
E' già passato un anno.
"Le mie sorelle non sono nemmeno venute".
"Non penso".
"Ci scommetto la vita". Trattenni una lacrima. "Solo io e papà le volevamo veramente bene..lui è già venuto, vedi quella rosa gialla? L'ha messa lui..era il suo fiore preferito". Feci un respiro profondo. "Ora andiamo, ti prego".
"Certo".
Ha sacrificato un'ora del suo compleanno per portarmi da mia sorella, per starmi vicina.
Pensavo se lo fosse dimenticato, ma Michael Holbrook Penniman Jr non dimentica nulla, lo imparai in seguito.
Passai l'estate più bella della mia vita, piena di risate, di allegria e di Michael.
Poi la sorpresa.
Arrivai in classe e non lo trovai.
Non era da nessuna parte.
Nei corridoi non c'era e nemmeno in sala mensa.
Ero preoccupata.
Poi la maestra non lo nominò facendo l'appello.
Lui non c'era più nella mia scuola.
Ero triste ma nello stesso tempo arrabbiata.
Non mi potevano togliere anche lui.
Era un trauma per me, sembravo impazzita.
Mi tremavano le mani, sudavo.
Lui non c'era. Non poteva più farmi ridere. Poi trovai il coraggio.
"Maestra, non manca qualcuno?"
"Nessuno"
Abbassai la testa, con una faccia triste.
"Ah, capisco. No, da oggi diventerai una brava signorina, quel ragazzino non ti disturberà più. E' stato cacciato".
"Cosa?"
"Cara Mary" Si avvicinò a me. "Ognuno, ad un certo punto della sua vita, incomincia ad inseguire i suoi sogni". Mi accarezzò la guancia. "Non puoi cambiare la sua vita".
"Ma ero io il suo.."
"Il suo cosa? Il suo sogno? Oh, tu non hai capito niente piccolina".
"Tolga subito la sua mano dalla mia faccia". Abbassai gli occhi. Ero davvero arrabbiata.
"Scusa?"
"TOLGA SUBITO LA SUA MANO DALLA MIA FACCIA!". Iniziai a gridare. Presi le mie cose e corsi via.
Vivevo in due inferni.
Corsi a casa sua e mi aprì sua mamma.
"Dov'è?"
"E tu chi sei?"
"La prego, mi dica dov'è?"
"Chi?"
Iniziai a gridare.
"MIKA! MIKA! ODDIO DOVE SEI?"
Mi inginocchiai e avvolsi il mio viso con le mani, a piangere.
"Mika, io sono qui".
Scostai sua madre dalla porta e corsi ad abbracciarlo.
Un abbraccio lungo, toccante.
"Perchè piangi?"
"Perchè non sei più a scuola?"
"Perchè.."
"Michael vieni subito". Era una signora dall'aria severa.
"E lei chi è?"
"E' la mia maestra di canto".
'Ognuno, ad un certo punto della sua vita, incomincia ad inseguire i suoi sogni'
Ricordai la frase della maestra.
Scappai da quella casa.
Non sapevo dove andare per essere felice.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Arrivai alla casetta.
Michael aveva lasciato li il suo coltellino.
Lo afferrai.
Volevo distruggere tutta quella felicità.
Volevo strappare le tende e renderle a brandelli, rompere il divano, spaccare le sedie.
Non sapevo che mi stava succedendo.
Forse aveva ragione la maestra, pensavo di essere il suo sogno.
Me lo aveva detto che voleva diventare cantante ma non pensavo subito.
Ero sola, di nuovo.
Posai il coltello e mi sedetti su una sedia.
Pensavo a lui, pensavo che non ero a scuola, pensavo alle grida della mamma.
Cosa avevo dovuto fare per fargli quel regalo, sforzi buttati al vento.
Dovetti uscire al freddo e arrivare alla città vicina per consegnare una lettera.
Circa 20 km. A piedi. Con il freddo.
Una lettera che poteva essere benissimo spedita.
Quando arrivai a casa, stravolta, dovetti pulire, cucinare e stirare per le mie sorelle.
E mio papà non diceva niente, non poteva.
Mamma lo aveva cacciato fuori di casa molte volte.
Guardai le mie mani: erano piene di tagli e ferite provocate dal freddo.
Tornai a casa mia.
Mio papà mi vide.
"Che ti succede? Non dovresti essere a scuola?"
"Michael non viene più a scuola".
"Non ci credo". Si alzò e vidi la sua faccia: era rossa, quasi quanto quella della maestra quel giorno della gomma.
"Papà che fai?". Si mise la giacca.
"Quel disgraziato".
"No, papà aspetta!".
"Nessuno deve ferirti, nessuno".
"Ma papà, lui è felice così!"
Si avvicinò a me e si inginocchiò.
"Sei troppo buona signorina".
"Papà, lui sta inseguendo il suo sogno".
"Ognuno ha il proprio sogno: lui ha il suo, tu il tuo. Hai il diritto di realizzare il tuo sogno quanto lui. Il suo sogno è cantare, il tuo sogno è lui. Aiuterò la mia bambina a realizzare il suo sogno, costi quel che costi".
"Non puoi impedire agli altri di realizzare i propri sogni".
"Io non voglio impedire niente a nessuno. Non pensi sia meglio realizzare i sogni assieme?".
Sorrisi. Papà aveva ragione. Ma non capivo dove voleva arrivare.
"Vieni con me Katy".
Mi prese per mano e mi chiese di portarlo a casa di Michael.
Arrivammo. Mi disse di stare dietro al cespuglio e bussò alla porta.
"Buongiorno signora".
"Generale Collins, che sorpresa!".
"Vorrei parlare con suo figlio Michael".
"Tutti che lo vogliono oggi! Comunque ora non può, sta studiando".
"Si studia a scuola, non con un'insegnante a casa. E potrebbe studiare latino, invece di canto".
"Il latino già lo studia e comunque lei come fa a saperlo che studia canto?".
"Posso parlargli?"
"Lo chiamo subito".
Vidi Michael arrivare, era abbastanza intimorito.
"Buongiorno signore".
"Buongiorno Michael".
Gli baciò la fronte. Di sicuro Michael riconobbe quel gesto. Infatti gli sfuggì un "Katy".
"Ho sentito bene? Hai detto Katy?"
"No signore".
Che scemo, aveva paura di mio padre.
"Lo so che lo hai detto. Tu e Katy vi conoscete molto bene".
"Si signore".
"Hey calmati, non sei un soldato".
"Lei dov'è? Sta male?"
"Un po' ".
"Davvero? Cos'ha?".
"Una malattia molto brutta, la solitudine".
"Solitudine?"
Lo stava mandando in confusione. Sapevo che era dislessico. Papà non lo fare.
"Ripeto la stessa cosa che ho detto a lei. Non pensi sia meglio realizzare i sogni assieme?"
Michael fece un cenno di approvazione con la testa e sorrise.
"Ma io non so quale sia il sogno di Katy".
"Sei tu".
"Io?"
"Dentro casa mia non si respira una buona aria"
"Lo so".
"Quindi falla sorridere e basta".
"Lei dice che quando sorrido io sorride anche lei".
"Questo non lo so. So solo che da quando tu hai cominciato a far parte della sua vita, sorride". Papà sorrise. "Mi mancavano le sue fossette".
"Dov'è ora? E' venuta qui un'ora fa".
Decisi di uscire dal mio nascondiglio. Volevo solo abbracciarlo. E questa volta lo avrei preceduto. Infatti corsi verso di lui e lo abbracciai nel suo stile.
Ricordo il suo sorriso.
Per la prima volta accarezzai i suoi riccioli bruni e lui accarezzò i miei.
Il mio sogno si era realizzato. Mancava il suo turno e sapevo che ce l'avrebbe fatta.
Poi quell'insegnante rovinò tutto.
"Michael andiamo. Saluta tutti e vieni".
"Certo". Si girò verso di me. "A presto Katy". E arricciò il naso. Lo arricciai anchio e lui rise. La porta si chiuse e capii che stava andando a realizzare il suo sogno. Lo stavo solo fermando.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Un pomeriggio tornai alla casetta.
La scuola era il mio ultimo pensiero, volevo solamente essere felice.
Mi sedetti in una seggiolina e iniziai a leggere, potevo fare qualsiasi cosa, invece iniziai a leggere.
Forse aspettavo qualcosa o qualcuno.
Ero concentrata.
Ricordo che amavo leggere.
Prima dell'arrivo di Michael era l'unica cosa che riusciva a strapparmi dall'orrore che si viveva in casa mia.
Avevo un sacco di libri.
Non leggevo libri adatti alla mia età, tutti per i ragazzi di 13 anni.
Quelli per la mia età erano così banali, tutti che parlavano di principesse che volevano baciare il principe, roba da signorine perfettine.
Quindi leggevo dei libri classici.
Una volta rubai un libro dalla scrivania di mio padre e iniziai a leggerlo.
Non glielo restituii più, ancora oggi lo sta cercando.
Poi sentii la porta scricchiolare e mi allarmai.
Posai il libro e presi una padella: volevo colpire chiunque fosse.
"Vuoi darmi il benvenuto con una padella?".
Mi si illuminarono gli occhi, posai la padella e corsi ad abbracciarlo.
"Che ci fai qui?"
"Bel modo di salutarmi".
"Ciao, che ci fai qui?".
"Di pomeriggio sono tutto per te".
"Davvero?".
"Tutto per la mia fata no?".
Era cambiato nell'ultimo anno. Sembrava un ragazzino dai suoi comportamenti, ma quei ricci spettinati mi facevano capire che era ancora piccolo.
"Come va con il canto?".
"Bene. Ogni tanto mi fa male la gola, ma è normale".
"Un giorno voglio sentirti cantare".
"No".
"Perchè no?".
"Mi vergogno hahaha".
"Scemo".
"Stupida".
Arricciammo entrambi il naso e iniziammo a ridere.
"Sei molto elegante oggi".
"Grazie".
"E soprattutto, molto colorato".
Aveva uno smoking un po' eccentrico e delle scarpe verdi.
"Si..ho imparato ad apprezzare i colori".
"Sembri un pappagallo con quel vestito". Iniziai a ridere.
"Offendi il tuo capolavoro?"
"Non ho detto che è brut..il mio cosa?"
Iniziai a guardare bene quel vestito. Assomigliava davvero allo smoking che avevo fatto per il suo compleanno.
"Sono cresciuto, quindi mia sorella ha deciso di aggiungere qualche toppa al tuo smoking, dato che ci tengo tanto".
"Wow..tua sorella è proprio brava".
"Vieni con me?"
"Certo, ma dove?"
"Dai, vieni".
Mi portò giù, ai piedi della casetta.
"Non noti niente?"
"No, nulla.."
"Prova ad andare dietro".
Lo guardai in modo strano, poi decisi di ascoltarlo.
Rimasi sbalordita. Era tutto dipinto. Era davvero bello e riconobbi tutto: c'ero io con la mia gomma rosa, lui mentre faceva una pernacchia alla maestra, io mentre leggevo il mio tema, lui con il suo smoking e..noi due che arricciavamo il naso. Si ricordava tutto.
La sua mente riusciva a fermare le immagini e dipingerle. Ed erano così reali.
"Allora ti piace?"
Non riuscivo a parlare, ero..mi sentivo..onorata.
"Hey!" Mi scosse le spalle. "Sono solo disegni".
"Sei sicuro che vuoi diventare cantante?"
"Certo".
"Disegni benissimo"
"Grazie, mia sorella mi ha aiutato. Mi aiuta sempre nei disegni".
"Ma quando sei venuto?"
"Venivo ogni pomeriggio prima di venire a casa tua".
"Non sei mai venuto a casa mia".
"Non sono mai venuto? Vediamo, ieri stavi leggendo "Le avventure di Tom Sawyer", giusto?"
"Si".
"Non sono venuto vero?".
"Come fai a saperlo?".
"Te l'ho detto, sono venuto a casa tua".
"E perchè non mi hai salutata?"
"Ogni giorno mi arrampicavo sull'albero che vedi dalla tua finestra e mi sedevo nel terrazzino. Ogni volta che venivo tu leggevi e sei così bella mentre leggi".
"Sono solo attenta".
"Non vai più a scuola?"
"Si, ci vado".
"Tutti i giorni?".
"No, non tutti".
"Verrai bocciata, se non ci vai".
"Non mi interessa".
"Fallo per me allora". Mi afferrò delicatamente la mano.
"E' per te che non vengo a scuola. Non ci metterai più piede in quella scuola".
"Chi te lo dice?"
"La maestra".
"Com'è stupida quella tizia..". Sospirò. "E fà anche la maestra!"
"TORNERAI? DAVVERO?". Iniziai a gridare. "Sono così felice! E aspetti ora a dirmelo?". Lo abbracciai. "E il tuo sogno?"
"Tuo padre ha ragione, io sono il tuo sogno, ma tu sei il mio".
"No, tu vuoi cantare".
"Voglio anche te".
Tutto quello che riuscii a dire fu "Grazie".
"Non pensi sia meglio realizzare i sogni assieme?".
Sorrisi. Aveva ragione, ma forse anchio dovevo iniziare a realizzare i miei sogni.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Sogni.
Che bella parola.
Bella quanto difficile, da realizzare intendo.
Il sogno di Michael era appena iniziato.
Mi chidevo? Come faceva?
Era piccolo, sembrava un giocherellone, ma pensava come un adulto e, a differenza di tanti adulti secondo me, il suo sogno l'avrebbe realizzato.
Il mio? Il mio era davvero un sogno.
Soldatessa, o magari generale.
Ogni tanto pensavo: 'Ma è il mio sogno o quello di papà?'. Papà ci era riuscito e forse volevo anchio avere una soddisfazione.
Volevo essere qualcuno.
Volevo essere ricordata come 'colei che è riuscita a realizzare il sogno' non 'la sfigata con una famiglia orribile'.
Non volevo iniziare a realizzare il mio sogno ora, a dieci anni, come Michael.
Non volevo e non potevo..ci vogliono anni per diventare soldato, figuriamoci generale.
Michael mi vide pensierosa e mi prese la mano.
Sentii un brivido. No, non pensate a quelle cose sdolcidante, aveva le mani congelate, così congelate che mi distolsero dai miei pensieri.
Non sapevo cosa dirgli, così cercai un argomento decente da esporre.
"Lo sai perchè ti odiavo?".
"Mi odiavi? A si, ricordo. Ti odiavo anchio". Arricciò il naso.
"Ti odiavo perchè, pur essendoti appena trasferito, nessuno ti chiamava sfigato. Io quando mi sono trasferita ero lo zimbello della scuola.
Iniziò a ridere.
"Perchè ridi? Io non mi sto divertendo".
"Katy..mi prendevano in giro eccome, solo che tu non te ne sei mai accorta".
"Davvero?".
"Si. Io e te siamo molto simili". Mi guardò negli occhi. "Ora mi chiamano 'il ragazzino canterino', Dio, non lo sopporto".
"Hahaha oddio".
"Hey, non è divertente".
"Mi scusi, ragazzino canterino".
Mi guardò malissimo, poi rise.
"Poi ti odiavo anche per un'altra cosa".
"Ancora? Non ne bastava una?".
"Mi chiamavi Emily".
"Emily?".
"Si, non ricordi?".
"Adesso ricordo hahaha".
"Perchè mi chiamavi Emily?"
"Perchè avevi una faccia da Emily".
"Ma non mi chiamo Emily e non ho la faccia da Emily".
"Se è per questo non ti chiami nemmeno Mary".
Aveva ragione.
Io non mi chiamo Mary.
Forse lui lo sapeva, per questo mi chiamava con un nome diverso dal mio.
Quel ragazzo era misterioso a volte.
"Non mi piace il mio nome..è così stupido".
"Non dire così..".
"E non parliamo del mio cognome".
"No, ok, qui devi stare zitta..c'è chi sta peggio di te".
Iniziammo a ridere. Chiamarsi Holbrook Penniman Jr forse non era il massimo.
"Ma dai, sembra un cognome regale".
"Regale 'sta cippa".
"Oddio che ore sono?".
"Non..non lo so".
"Oh, non preoccuparti, non è importante l'ora esatta..so solo che è sera e devo tornare a casa".
"Ti accompagno se vuoi".
"Preferirei di no".
"Perchè?".
"Perchè ci sono le mie sorelle a casa".
"E quindi?".
"Quindi non voglio che ti succeda qualcosa
"Non preoccuparti di me".
Sorrise.
Quel sorriso mi faceva sempre sciogliere.
Era un sorriso sincero, non come quello che gli adulti fanno.
Quello, è il sorriso più falso del mondo.
Pensano di mascherare il dolore, la stanchezza e lo stress con un sorriso.
Quello di Michael è il sorriso più vero che io abbia mai visto in vita mia.
Arrivammo a casa.
Gli dissi più volte di andare, ma lui voleva vedermi entrare.
Voleva accertarsi che io stessi bene.
Alex aprì la porta e la chiuse sbattendola. Non ebbi nemmeno il tempo di salutare Michael così guardai dallo spioncino: era li, fermo.
Che aspettava? Non potevo nemmeno andare a salutarlo.
O forse no?
Alex tornò in camera sua e io aprii delicatamente la porta.
Mi bastava una fessura. Sussurrai un grazie e lui alzò le spalle, sorridendo.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Era la persona più sincera che conoscevo dopo Jade.
Oh Jade, quanto mi mancava. La sognavo ogni notte.
Papà non era così sincero come credevo.
Lui non era il mio eroe, non lo è mai stato.
Michael, un mio compagno di classe invece, lo era.
Papà era un generale, non molto famoso, ma pur sempre un generale. Aveva realizzato il suo sogno. Basta.
Il che può sembrare una cosa stupida ma se ci pensate non lo è.
Chi ha la possibilità realizza i propri sogni.
Papà me lo prometteva sempre. Diceva che un giorno ci sarebbe riuscito a strapparmi da quell'orrore.
Lui sapeva tutto ma non diceva niente.
Michael, invece, ci era riuscito.
Aveva detto che manteneva le promesse ed era vero.
Anche se momentaneamente, lui mi distoglieva dalla vita reale.
Tutto sembrava magico, un sogno.
E sapevo che, nonostante i suoi impegni, un piccolo spazio del suo tempo riusciva a dedicarmelo.
Perchè, ripeto, lui me lo aveva promesso e io mi fidavo.

Un giorno decisi di farmi una passeggiata.
Era una bella giornata, faceva caldo, nonostante fosse un pomeriggio di settembre.
Passai davanti a casa sua e mi fermai a guardarla.
Decisi di entrare nel vialetto senza farmi vedere e arrivai dietro casa sua.
Vidi una massa di capelli ricci: era lui.
Appoggiai le mani al balconcino e mi alzai sulle punte per sbirciare: stava suonando il piano.
La finestra si aprì un pochino e per un attimo pensai di averla aperta io, invece era il vento.
Riuscii a sentire quella musica. Era davvero bella.
Lui faceva scorrere le dita nei tasti, quasi sfiorandoli.
Rimasi ammaliata da quella musica.
Dopo un po' iniziò a cantare.
La sua voce, wow!
Di cosa si vergognava?
Forse quell'insegnante che mi aveva privato del mio migliore amico era servita a qualcosa.
Volevo correre ad abbracciarlo ma ero immobilizzata da quel dolce suono.
La musica finì e lui guardò i tasti, poi tolse le mani.
Mi accorsi che non aveva lo spartito.
Poi alzò la testa, mi vide e rise.
Venne verso la finestra e la aprì.
"Ciao Katy, che ci fai qui?". Sembrava felice.
"Wow".
"Wow?".
"Sei..sei così..bravo".
"Grazie". Sorrise. "Perchè non hai bussato alla porta? Potevi entrare".
"Non era previsto fermarmi qui".
"Mi hai sentito cantare. Non volevi tanto sentirmi cantare?"
"Si, mi chiedo perchè hai insistito tanto a non farti sentire".
"Non ero pronto".
"Pronto? Ma scherzi? E pensare che ti sprechi il pomeriggio con me..".
"Ah, non è tempo sprecato".
"Lo è".
"Io devo stare con te".
"Perchè devi".
"Perchè te l'ho promesso".
"Ma smettila..io per te ci sarò sempre".
"Io..beh..lo spero".
"Speri?".
"Spero di non dovermi trasferire".
"Oh..".
No, questa non ci voleva.
"Non voglio andarmene".
Mi afferrò la mano.
"Se tu te ne vai, io verrò con te".
"Ma non puoi".
"Posso".
"Eh perchè?".
"Perchè l'ho promesso a me stessa".

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Mi era scappato dalla bocca.
Io non mi ero promessa niente.
Chi me lo aveva fatto dire?
Perchè?
O forse me lo ero promesso. Promesso che sarei sempre stata con lui.
Una cosa assurda.
Una lacrima scese, bagnando il mio viso.
Lui la vide, mi prese per i fianchi per appoggiarmi sul balcone e, con un fazzolettino, tamponò il mio viso.
"Non devi piangere".
Sorrise.
"Le soldatesse non piangono".
"Non lo diventerò mai".
Mi prese il mento e lo sollevò un pochino, cosicchè potessi guardarlo bene.
"Tutti possono realizzare i propri sogni". Tolse la mano dal mio mento e iniziò a camminare verso il pianoforte, sedendosi nello sgabellino.
"Guarda me: pensavo davvero di non poter mai diventare cantante. Dicevo solo che mi sarebbe piaciuto. Ora è il mio unico scopo nella vita".
"Ma tu sei diverso".
"Te lo ripeto, siamo molto simili".
"No Michael".
"Lo so, ognuno ha i suoi problemi, ma devi accettarli e andare avanti".
"Che problemi hai tu?".
"Molti".
"Non è vero!".
"INVECE SI, TI HO DETTO". Iniziò a gridare. "Oddio, scusami".
"M-mi d-dispiace, ora vado".
"No aspetta Katy! Non l'ho fatto apposta!".
Scesi dal balcone e caddi a terra.
Dopo poco venne una ragazza.
Mi sorrise e mi prese la caviglia.
Mi faceva male, probabilmente era slogata.
"Ahi".
"Scusami".
"Niente, anzi, grazie".
"Non preoccuparti".
"Chi sei?"
Iniziai a guardarla: era una ragazza molto bella, con degli occhi bellissimi.
"Mi chiamo Yasmine".
"Yasmine?"
Avevo già sentito quel nome.
"Vieni con me, riesci a camminare?"
Mi portò in garage.
"Ma aspetta, questo è il garage di Michael".
"E' anche mio, non credi?".
Tolse un telo e vidi dei disegni stupendi.
"Aspetta, tu sei sua sorella!". Iniziai a collegare tutto. "I disegni nella casetta, la toppa..".
"No, la toppa no; è stata mia sorella".
"Ma quanti siete?"
"Un bel po' ". Sorrise. Lei non arricciava il naso, ma era comunque bella. "Senti, devo dirti una cosa".
"Dimmi pure".
"Vi ho sentiti prima: Michael..non è così di solito".
"Lo so bene".
"Non so se lo sai ma è dislessico".
"L'ho intuito".
"Non sa leggere l'orologio, per esempio..e poi non riesce a leggere molto bene".
"L'ho capito quel giorno del tema, ma lui è la persona più intelligente che io abbia mai conosciuto".
"Ha bisogno di te".
"Non immagini quanto io ho bisogno di lui Yasmine".
"Lo vedo felice. Ci parla spesso di te".
"Io sono felice con lui, lui c'è sempre per me".
"E ci sarà sempre, non preoccuparti".
"Vi trasferirete?".
"Mamma ha detto di no. Qui a Londra stiamo bene".
"Intendo per il canto".
"Per ora va bene così".
"Grazie Yasmine".
Sorrise.
"Se entri ti metto un po' di ghiaccio..non scenda più dal balcone così, signorina".
Sorrisi anchio.
Lei e Michael si assomigliavano così tanto.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Michael viveva in una bella casa.
Yasmine era in cucina che mi preparava un thè caldo.
Decisi di andare nella stanza di Michael per vedere che faceva: la sua reazione, boh, mi aspettavo qualcosa.
Vidi una porta socchiusa e decisi di sbirciare.
Lo vidi: era disteso nel letto a testa in giù, aggrappato al cuscino.
Poi sentii Yasmine arrivare e decisi di tornare a sedermi in poltrona.
La mia tazza era molto bella, a fiori, sembrava dipinta a mano.
Yasmine sapeva fare un buon thè.
Mi disse di aspettarla, di gustarmi il mio thè e si avviò nella stanza di Michael.
Dopo poco si ricordò di chiudere la porta.
Bevvi velocemente il mio thè e andai sbirciare tramite la fessura.
Sapevo che non dovevo farlo, ma ero così curiosa.
Yasmine era seduta vicino a lui.
Gli scossè le spalle, lo chiamò ma nulla, non si girava.
Si girò solo quando lei gli tolse il cuscino dalle mani.
Sembrava un bimbo.
Michael aveva gli occhi rossi, aveva appena finito di piangere.
Si gettò tra le sue braccia e sentivo che sussurrava il mio nome, si scusava e piangeva; Dio come piangeva! Non lo avevo mai visto così prima.
Lei cercava di zittirlo, sorrideva e lo stringeva forte.
Più restavo a guardare, più pensavo a Jade.
Pensavo ai suoi abbracci.
Pensavo ai suoi sorrisi.
Pensavo ai suoi occhi azzurri.
Lei era l'unica che aveva preso il colore degli occhi dalla mamma.
Mi mancava.
Sentii dei passi e decisi di tornare a sedermi.
"Scusami".
"Non preoccuparti, anzi, grazie del thè".
"Buono?".
"Ottimo, davvero".
"Il mio si è raffreddato..vado a scaldarlo".
"Le tazzine le hai disegnate tu?"
"Che occhio che hai". Riuscii ad intravedere le fossette. "Si, le ho fatte io".
"Stupende".
"Grazie".
"Sei proprio brava a disegnare, vuoi diventare pittrice?"
"E' solo un hobby".
Sentii un rumore.
Michael.
Mi alzai e corsi ad abbracciarlo.
Non me ne importava nulla della caviglia.
Lui rimase sorpreso.
"Ti voglio bene". Dissi.
Fu un attimo.
La prima volta.
Il primo momento.
Il primo momento in cui gli dimostrai davvero che gli volevo bene.
Che per me era qualcosa, anzi, per me era tutto.
Il mio mondo, la mia favola, la mia felicità.
"Io di più". Fu la sua risposta.
Mi strinse forte e sentii una sua lacrima accarezzare il mio viso.
"Hey i cantanti non piangono".
"Ah no?". Sorrise. Era dolcissimo, anche se aveva gli occhi gonfi di lacrime.
"Eh no. Sono i cantanti che devono far emozionare i fan, non credi?"
"Giusto, ma anche i cantanti possono no?"
"Allora sei un cantante strano". Sorrisi.
"Devo trovare un modo perchè la mia stranezza lavori per me, invece di distruggermi. Mamma tempo fa ha detto 'Tu, o finisci in galera o diventi qualcuno molto speciale' ". Sorrise.
"Tu sei già speciale".

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Passai un pomeriggio meraviglioso.
Conobbi Yasmine e dimostrai a Michael il mio affetto.
Yasmine mi ricordava troppo mia sorella Jade.
Decisi di andare al cimitero a trovarla.
Improvvisamente sentii freddo.
Vidi una persona vicino alla tomba di Jade.
Alta, cappotto rosso: era Helene.
Che ci faceva li? Che voleva da Jade?
Aveva in mano una rosa bianca, come quelle che portava papà.
Baciò la foto e giurai di vedere una lacrima scendere dal suo viso.
Perchè? Perchè tutto questo?
Come mai tutta questa dolcezza?
Helene si inginocchiò e si buttò sulla tomba a piangere.
Non volevo starmene li, volevo andare a vedere che succedeva.
Mi incamminai verso di lei.
Si girò e vidi i suoi occhi: erano più azzurri del solito e il viso era rigato di lacrime.
Ero bloccata, non sapevo che fare.
La abbracciai e lei non si tirò indietro.
Non capivo niente.
"Scusa Katy". Si asciugò le lacrime.
"Di cosa?".
"Di tutto".
Ero davvero in panico. Perchè lo faceva?
"Non preoccuparti".
"Ti ho reso la vita un inferno".
Non sapevo che rispondere, era vero, avevo solo 10 anni e la mia vita era orribile.
"Sono qui, davanti a te, tirami uno schiaffo, fa qualcosa!".
Si alzò, arrabbiata.
"Perchè fai così? Perchè sei qui?".
"Potevo salvarla. Potevo fare qualcosa e non l'ho fatto".
"In che senso?".
"Dio, studio medicina! L'odio mi ha acceccata..non me lo perdonerò mai".
"Tu lo sapevi?".
"Avevo capito tutto..". Si mise le mani tra i capelli. "Dio mio, sapevo tutto". Sospirò. "Mi dispiace".
Non sapevo che dire.
Corsi via, senza salutare.
Avevo mille pensieri per la testa.
Davvero lei sapeva tutto?
Mia sorella poteva sopravvivere?
Piangevo.
Non volevo tornare a casa, così andai alla casetta.
Volevo scendere e andare ad avvisare mio padre ma non riuscivo.
Non volevo vedere Helene.
Non volevo le sue inutili scuse.
Non la volevo.

Avevo freddo.
Mi tremavano le labbra.
Saranno state le 19:00 circa.
Poi un tuono.
Giurai di vedere anche un fulmine.
Un temporale.
Io ero sopra un albero e fuori pioveva.
Cercai di coprirmi il più possibile.
Poi la porta si aprì all'improvviso.
"Michael!"
Corsi verso di lui e lo abbracciai forte: era bagnato fradicio.
"Che ci fai qui?".
"Non voglio parlarne".
"Lo sai che fuori diluvia e tu sei in una casa sull'albero? Puoi morire!"
Mi scese una lacrima.
"Come facevi a sapere che ero qui?"
"Ha cvhiamato tua madre, non ti vedeva arrivare".
"M-mi dispiace".
Mi abbracciò forte.
"Non ho intenzione di perderti, chiaro?".
"Cosa facciamo?".
"Piove troppo, non possiamo uscire".
"Tieni questa coperta, scaldati".
"Grazie, ma tu come farai?".
"Non preoccuparti..piuttosto..ho fame".
"Guarda nello zaino".
Frugai nel suo zaino e vidi della marmellata e un po' di pane.  Odiavo la marmellata, ma avevo tamente tanta fame che decisi di mangiare lo stesso.
"Grazie Michael".
"Non farlo più".
"Mi dispiace così tanto".
"Tua madre è preoccupata".
Wow. 'Preoccupazione' e 'mia mamma' non andavano d'accordo.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Non riuscivo a dormire.
Avevo freddo e paura.
Paura del buio, del vuoto, del temporale, di tornare a casa l'indomani.
Cercavo di scaldarmi le mani con il fiato ma niente, rimanevano congelate.
Michael se ne accorse.
"Hey, tutto bene".
"No".
Mi girai dall'altra parte, cercando di trattenere le lacrime invano.
"Non devi preoccuparti".
"Siamo su un albero Michael, fa freddo e ho paura".
"Perchè sei venuta qui?".
"Non voglio rivedere Helene".
"Perchè?".
Mi girai verso di lui.
"Sapeva tutto di Jade e non ha detto niente".
Sospirai.
"L'ho trovata al cimitero che piangeva e mi spiegò tutto".
"Che vuoi fare ora?".
"Non lo so, ma non voglio incontrarla".
"Ma è inevitabile".
"Come posso vederla? L'ha uccisa!".
"Moriva comunque Katy, cerca di capirlo".
"Non è vero, se l'avessimo affidata al medico giusto".
Non riusciuvo a reggermi inpiedi, mi sedetti. Michael si avvicinò e si sedette sul tavolo.
"Perchè non vi ha detto niente?".
"Non lo so. Prima sembrava impazzita".
Lui abbassò lo sguardo.
"Non ce la faccio più Michael".
"Ce la devi fare".
"MA COME?". Iniziai a gridare.
"Hey, hey, calmati".
"Mi dispiace".
"Ti posso capire".
Si ricordava dello scorso pomeriggio.
Come faceva a controllarsi?
Lui, che aveva problemi più gravi dei miei.
Volevo essere forte quanto lui.
"Canta per me".
"Cosa?". Sembrava sorpreso dalla mia richiesta.
"Ti prego, fallo".
Iniziò con dei vocalizzi, per poi iniziare a cantare.
Non ricordo la canzone, ricordo sola la sua voce.
Wow, faceva degli acuti meglio di un soprano.
Cantò per 2 minuti.
"Grazie".
"Di nulla. Lo sai che canterò in un'opera?".
"Opera?".
"Si, domani sera è il primo spettacolo".
"Sono fiera di te".
"Se diventerò qualcuno, sarà tutto merito tuo, Katy".
"E' tutto merito tuo e della tua insegnante".
"Ma un cantante non esisterebbe senza la sua musa, non credi?".
Io ero la su musa.
La sua fonte di ispirazione.
Pensava a me mentre suonava.
Quindi quando lo spiai dalla finestra non era perso dei suoi pensieri, mi stava pensando.
Non sapevo che dirgli.
"Andiamo a dormire ora".
"Si".
Dormimmo insieme nel divano.

"Michael svegliati! E' tardi!"
"Che ore sono?". Era assonnato, sbadigliava.
"Sono le 10".
"Cosa? Oddio ho lezione!".
"I miei genitori!".
"Non vai a scuola?"
"Entrerò più tardi".
Non avevo intenzione di andarci, era un bugia a fin di bene.
"Vestiti veloce!".
"Aspetta, mi sto legando i capelli!".
"Sei perfetta così, andiamo!".
L'elastico mi sfuggì di mano. Iniziammo a correre. Mi diede un bacio sulla guancia, sorrise e se ne andò.
Non volevo entrare.
Mi aspettavano schiaffi e molti rimproveri.
Entrai, cercando di non farmi sentire.
Alex mi vide e avvisò mia mamma.
Potete immaginare cosa successe dopo.
Corsi in bagno per prendere dei cerotti poi mi chiusi in camera.
Camminai lentamente verso la finestra.
Mamma mi aveva proibito di uscire per una settimana, potevo solo andare a scuola.
Tirai la tenda e vidi degli occhi verdi che mi fissavano.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Sembravano degli occhi di gatto.
Mi guardava e non sapevo cha fare.
Iniziai a gesticolare per far capire che non potevo uscire.
Annuì.
Perchè non era scuola?
Beh, nemmeno io ero a scuola.
Ma io avevo un motivo valido, lei no.
O forse si.
Dovevo scoprirlo.
Aprii la finestra e mi sedetti.
Lo facevo spesso.
Iniziai a sussurrare.
"Hey".
"Ciao!".
"Che ci fai qui?".
"Che ci fai tu, qui".
"E' casa mia".
"Non dovresti essere a scuola?".
"Forse".
"Io, beh, Michael mi ha raccontato tutto".
"Oh".
"Non puoi uscire?".
"Per una settimana".
"Tua mamma era seriamente preoccupata".
"Lo so, mi dispiace, Michael me lo ha detto ieri sera".
"Non andare più li quando c'è un temporale, vieni da noi".
"Grazie Yasmine".
"Ho altre due sorelle, puoi venire qualche pomeriggio".
Sentii un rumore.
"C'è qualcuno, devo andare".
"Va bene, ci vediamo".
"Oddio Yasmine!".
"Che c'è?".
"Stasera. Stasera c'è l'opera!".
"Ah giusto".
"A che ora è?"
"Alle 21".
"Passami a prendere alle 20:30".
"Cosa?". Inclinò la testa, era sorpresa.
"Ti aspetto".
Sorrise. Sembrava veramente un gatto, e si muoveva come tale. Veloce, agile.
Entrai e chiusi bene la finestra.
Nessun segno della visita di Yasmine.
Entrò papà.
Deglutii.
Lui chiuse la porta, si sedette nel mio letto e mi invitò a sedersi sulle sue ginocchia.
"Eravamo molto preoccupati, signorina".
"Lo so, mi dispiace, ma non potevo tornare a casa".
"Non potevi?".
"No".
"E perchè, se posso sapere?".
"Ti addolorerebbe troppo, torna di là con mamma".
"Katy..".
"Ti prego".
"Eh va bene, ci vediamo più tardi per il pranzo".
"Non pranzerò con voi".
"Dai, siamo solo io e mamma".
"E Alex e Helene?".
"Mangiano fuori".
"Allora verrò".
Quando papà aprì la porta si trovò Helene davanti.
Spalancai la bocca, ma non uscì nessuna parola.
Lei entrò e chiuse la porta.
"Non devi andare fuori a mangiare?".
"Più tardi".
Mi girai di scatto e lei mi afferrò il braccio.
"Aspetta Katy..".
"Lasciami".
"Katy, ascolta".
"Non voglio ascoltarti".
"Ti prego".
Sbuffai.
"Jade aveva una cosa preziosa, che io non potevo avere".
"Ovvero?".
"Tu".
"Io?".
"Eravate così legate. Io, ti volevo un po' per me".
"Mi hai sempre odiata".
"Non ho mai sopportato lei".
"Non ho parole".
"La gelosia. La gelosia può distruggerti". Vidi i suoi occhi azzurri brillare. "Non attaccarti troppo agli oggetti o..alle persone".
"Intendi Michael?".
"Si".
"Non puoi portarmi via anche lui! Esci dalla mia camera!".
Lei obbedì.
Volevo assolutamente restare sola.

20:30 spaccate.
Sentii un fischio.
Aprii la finestra.
Presi il mio cappottino e mi aggrappai all'albero per scendere.
"Sei puntuale".
"Si, è un mio pregio. E tu hai imparato a scendere da una finestra, dall'ultima volta".
Sorridemmo.
Questa volta anche lei arricciò il naso.
Questo mi ricordava il mio obiettivo: andare da Michael.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Non mi avevano sentita, fortunatamente.
L'opera finiva alle 23:00.
L'unico rischio che correvo era il bacio della buonanotte di papà.
Se veniva ero in guai seri.
Lui sapeva che se alle 22:00 non ero a letto, ero nell'armadio a leggere.
Aveva l'abitudine di bussare prima di entrare.
Questa volta io non gli avrei risposto 'Avanti', si sarebbe insospettito.
Ok, forse ero nei guai, ma non mi importava.
La musa non poteva mancare.
Yasmine camminava molto velocemente e non riuscivo a stare al passo.
Mi chiedevo perchè i suoi genitori non le avevano detto nulla.
"In che posti siamo?".
"Sono riuscita a raccattare un posto di un ricco. Ha perso il biglietto e l'ho preso io".
"Perso?".
Risi. Sapevamo entrambe che quel signore non lo aveva perso.
"Sinceramente ne ho due, uno anche per me".
"Perchè? Non sei con i tuoi?".
"No. Nemmeno io dovevo venire. Ho mentito, dicendo che andavo alla casetta con una mia amica".
Ci assomigliavamo, io e Yasmine.
"Sei elegante".
Aveva raccolto i capelli in una coda e aveva un vestito verde, come i suoi occhi.
"No, per niente. Mi sono dovuta cambiare per strada, venendo da te".
"Troppo elegante per andare in una casetta?".
"Eh si".
"Siamo arrivate?".
"Si".
Era un bel teatro. Pieno di luci e cartelloni.
Entrammo. Iniziammo a camminare con un passo particolarmente veloce, dovevo restarle dietro.
"Allora: i miei sono seduti in prima fila. Arrivano sempre in anticipo. Sono le 20:55, saranno arrivati da circa 10 minuti".
Ascoltavo quello che diceva e, da quanto camminavamo veloce, quasi persi una scarpa.
"Siamo qui".
Non eravamo in un brutto posto, vedevamo molto bene il palco.
Il sipario si muoveva, ma non faceva scoprire il palco.
Volevo vederlo.
Volevo vedere cosa era riuscita a fare quella musa.
Dopo poco si aprì.
Michael non entrò subito, entrò dopo circa 10 minuti.
Quando entrò mi scese una lacrima.
Ero così fiera di lui.
Yasmine sono sicura che lo vide perchè sorrise guardandomi.
Quando iniziò a cantare il mio cuore batteva forte, tremava.
Poi mi lasciai cullare dalla sua voce.

Il sipario si chiuse e iniziarono gli applausi.
Poi il sipario si riaprì e io fui la prima ad alzarmi per applaudire.
Michael era emozionato, si vedeva.
Vidi il signore e la signora Holbrook: erano commossi.
Vicino alla signora Holbrook c'era l'insegnate di canto di Michael, quella russa; applaudiva e basta.
Neanche un po' di orgoglio, o forse sapeva che era solo merito di Michael.
Quando fu i turno di Michael di fare l'inchino, tutti iniziarono ad applaudire fragorosamente.
E io iniziai a piangere.
Il sipario si chiuse, definitivamente.
Mi sedetti e abbracciai Yasmine.
Eravamo entrambe fiere.
A me non continuava ad importare della mia punizione.
Sgattaiolammo dietro al sipario, nei camerini.
C'era il suo nome sulla porta, era il suo camerino.
Bussai.
Si aspettava i suoi genitori immagino.
Mi vide e ricordo che i suoi occhi brillavano.
Corse ad abbracciarmi e una sua lacrima rigò il mio viso.
"Hey, perchè piangi?".
"Tu mi hai vista?".
"Certo, ho visto tutto".
"Ma non sei in punizione?".
"Chissene. Io volevo vederti cantare".
"Sono stato bravo?".
"Bravo è a dir poco, sono così fiera di te".
"I tuoi si arrabbieranno se lo scoprono".
"Se lo scoprono".
Rise. Come potevo perdermi una sua risata?
Corse ad abbracciare sua sorella.
Lei gli accarezzava i ricci.
Un'immagine più dolce non c'era.
A rovinare il tutto fu un orologio.
Mi accorsi che erano le 23:00 passate, dovevo tornare a casa.
Lo abbracciai e uscimmo dal teatro.
Arrivai all'albero vicino alla mia finestra.
"Grazie Yasmine".
"Grazie a te di essere venuta".
"Come potevo mancare?".
"Passo domani a salutarti".
"Ciao occhi di gatto".
"Occhi di gatto?".
"Lunga storia, ci vediamo".
"A presto".
Cercai di salire il più silenziosamente possibile.
Aprii la finestra, mi misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Mi svegliai alle 7:30 per andare a scuola.
Non ne avevo voglia.
Ieri avevamo fatto tardi e volevo solo dormire.
Scesi in cucina.
Mi sedetti per fare colazione con i miei e con Helene.
Alex probabilmente stava ancora dormendo.
I miei genitori non avevano una bella faccia, sembravano arrabbiati e Helene era seria.
Iniziai a mangiare una mela.
"Katy".
"Si mamma?".
"Hai dormito bene ieri sera?".
Che domande faceva?
"Si".
"No sai, pensavo avessi freddo dato che la finestra era aperta, oh aspetta, tu non eri nel tuo letto".
Tacqui.
Sapevano tutto.
"Katy dov'eri?". Intervenne papà.
Tacqui ancora e abbassai lo sguardo.
"Katy, sono passata ieri alle 22:00 e tu non c'eri. Non eri nemmeno nell'armadio".
"Era con me, mamma".
La guardai.
"Con te? E che faceva con te?".
"Volevo farla uscire, è stata chiusa li dentro un pomeriggio".
"E perchè così tardi?".
"Prima non potevo, stavo studiando".
Mamma mi guardò.
"E' tutto vero?".
Cosa dovevo fare? Mentire a mia madre?
Se dicevo la verità probabilmente non sarei mai più uscita di casa.
Bugie a fin di bene, dicono.
"Si, è vero, scusa mamma".
"Va a scuola Katy".
Presi la cartella e il cappotto e uscii di casa.
Non salutai nemmeno.
Poi la porta si riaprì, era Helene.
Corsi ad abbracciarla e per la prima volta sentii il suo profumo.
Penso di non averla mai abbracciata così calorosamente in tutta la mia vita.
Non fiatammo.
Lei decise di accompagnarmi a scuola.
Quando arrivammo lei mi salutò con un bacio sulla guancia.
Io le dissi solamente "Grazie".
Quella semplice parola poteva interpretarla come voleva.
Se ne andò.

Entrai in classe e mi sedetti nel banco vuoto di Michael.
Sono sicura che la maestra mi disse qualcosa, dato che non potevamo scambiarci i posti, ma non mi importava assolutamente nulla.
Sentivo di aver fatto pace con mia sorella.
Qualcosa scivolò dalla borsa della maestra e io lo raccolsi.
Era il tema di Michael, riconobbi la sua scrittura.
Non scriveva molto bene e certe parole erano invertite.
Io mi chiedevo come faceva.
Come faceva a essere così forte.
Come faceva a dire che ero la sua eroina.
Durante tutta le lezione cercavo di rispondere a queste domande.
Avevo preso una nota per la mia poca partecipazione in classe.
Non mi era andata male dato che non avevo nemmeno partecipato.
Uscii da scuola a mezzogiorno in punto e la vidi.
"Yasmine, che fai qui?".
Lei, con il suo zainetto verde.
"Ho appena finito scuola, ti va se facciamo la strada assieme?".
Mia sorella non c'era.
"Si, volentieri".
Iniziammo a camminare verso casa.
"Michael è stato un grande ieri sera, pensa che oggi non ha nemmeno fatto la lezione con l'insegnate di canto da quanto era stanco".
"Beh è stato bravissimo, se lo merita".
"Ti hanno scoperta i tuoi genitori?".
"Si".
"Mi dispiace".
"Vabbè io non mi sono pentita".
"Hanno scoperto anche me".
"E come? Hai organizzato un piano perfetto".
"Tua mamma ha chiamato. Deve aver sentito il mio fischio ieri sera".
Ci pensai un attimo.
"No, non è stato il fischio. Abbiamo una finestra che da sul giardino, ti avrà vista da li".
"Nemmeno io me ne sono pentita. Sono in punizione, ma verrò a trovarti".
"Sono arrivata a casa".
"Giusto. Buon pranzo".
"A presto occhi di gatto".
Entrai in casa.
Non un saluto, nemmeno un 'ciao'.
"C'era quella Yasmine con te".
"No. Lei è solo venuta a casa mia per cercarmi, ma io ero con Helene".
"Smettila di dire bugie Katy. Tu non uscirai più con quel ragazzino".
"Ma lui che c'entra?"
"Sta causando troppi problemi".
"Me li sto causando da sola, lascialo perdere".
"Zitta".
"Posso chiamarlo? Almeno lo saluto".
"Non riuscirà nemmeno a parlare, avrà perso la voce ieri, non credi?".
Corsi in camera mia, sbattendo la porta.
Era un piano così geniale.
Non sopportavo l'idea che non lo avrei più rivisto.
Dovevo fare qualcosa al più presto.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Ma cosa?
Cosa potevo fare?
Sentii un rumore: mamma era appena uscita.
Ricordo che alle 12:30 ri riuniva con le amiche per cucire.
Roba da signore, insomma.
Mamma un giorno provò a convincermi.
Mi diede un pezzo di stoffa, un ago e un filo rosa.
Feci un nodo così grande che mia mamma, avendo perso la pazienza, buttò tutto nel cestino.
Non volevo perdere tempo a decorare stoffe.
Tempo prezioso.
Tempo per escogitare piani.
Presi la cornetta e digitai il numero di Michael.
"Pronto casa Holbrook, sono Yasmine".
"Yasmine! Sono Katy".
"Ehm, mamma non può adesso".
Era brava a fingere. Più di me e mia sorella messe assieme.
"Mi passi Michael?".
"Si, subito". Disse, sussurrando.
"Grazie".
"Hey Katy".
"Michael! Come stai?".
"Mi manchi Katy".
"Mi manchi anche tu".
"Aspetta che esco così mamma non mi sente".
"Ti aspetto".
Sentii una porta che si chiudeva.
"Eccomi".
"Dicevi?".
"Dicevo che mi manchi".
"Non posso vederti".
"Si, questo lo so, sei in punizione".
"Non hai capito: mamma non vuole che ti frequenti..che vi frequenti".
Non rispose, pensavo fosse caduta la linea.
"Michael? Sei in linea?".
"Si".
"Mi dispiace..".
"Ma non è colpa tua".
"Si che lo è".
"E' colpa mia".
"Tua? Ma scherzi?".
"Lo hai fatto per me".
"Ma tu fai troppe cose per me, questo è niente in confronto".
"Lo faccio con piacere".
"Anche io! Senti: da quando non vieni più a scuola è cambiato tutto..non ascolto più la maestra, mi distraggo e sei tu la mia distrazione..ho bisogno di vederti".
"Mi manchi davvero tanto".
"Vieni, venite a casa mia, mamma non c'è".
"Anche mia sorella è in punizione".
"Scappate, venite".
"Io ho lezione".
"Oh".
"Non..non posso saltarla".
Non risposi.
"Scusami Katy".
"Nemmeno una volta?".
"Ehm..no".
Chiusi la chiamata.
Non lo salutai.
Posai il telefono e corsi in camera mia, sbattendo la porta.

Ero sola in casa.
Mia mamma restava fuori fino alle 15:30
Non avevo voglia di leggere stranamente.
Mi sentivo come prima di conoscere Michael, triste e completamente sola.
Poi sentii un sassolino colpire la mia finestra.
Andai a sbirciare: erano Michael e Yasmine.
Mi asciugai quella piccola lacrima che mi rigava il viso e corsi giù per le scale.
Aprii la porta e mi buttai addosso a Michael.
Quelli abbracci da amici che non si vedevano da tanto tempo.
"Grazie".
"Scusami se non sono potuto venire prima".
"Non volevo chiudere la telefonata, è stato istintivo".
"Non preoccuparti, ora sono, anzi siamo, qui".
"Siamo qui per un piano no?". Disse Yasmine.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Li feci entrare.
Non avevamo molto tempo.
Io non potevo arrendermi, non potevo.
"Cosa facciamo?". Dissi ai ragazzi.
"Io non ho idee".
Yasmine non rispose, sembrava taciturna.
"Non ci sono soluzioni".
"Katy, se non ci sono, dobbiamo trovarle".
"E se prendessi lezioni di canto con te?".
"No, la mia insegnate non vorrebbe".
"Scappiamo".
Era Yasmine.
"Ma sei pazza?".
"Yasmine, siamo piccoli".
"Ragazzi questa situazione mi sta uccidendo". Disse lei. "Anche se non mi colpisce direttamente".
"Potrei fingere di star male". Azzardai a dire.
"Ma no, non scherziamo con la salute". L'intelligenza di Michael.
"Ma così potreste venire a trovarmi".
"Facciamo così: adesso ci divertiamo, se ci viene in mente qualcosa la diciamo". Disse lei.
Eravamo tutti d'accordo.

Stavo male.
Non so cosa avevo.
Non avevo le forze per alzarmi.
Non andai a scuola.
Misurai la febbre, 36°, temperatura perfetta.
Mamma voleva portarmi dal medico ma non volli.
Ero bianca.
Mi alzai dal letto a fatica e caddi.
Mio padre, sentendo il tonfo, corse ad aiutarmi.
Tremavo.
"Hey piccola, tutto bene?".
Abbozzai un sorriso.
Non stavo bene.
Mi prese e mi portò a letto.
Poi arrivò mia sorella Helene.
"Katy, cos'hai?".
Detto da un medico può non sembrare rassicurante.
"Pranzi e ti porto da un medico".
"No".
"Ti sei vista? Sei pallida!".
"C'è l'influenza in giro".
"Non discutere".
Dopo pranzo fui costretta ad andarci.
Ero nel sedile posteriore.
Non so dove avevo trovato la forza di vestirmi.
Helene guidava preoccupata e mamma le parlava.
Papà era dietro con me e mi stringeva la mano.
"Andrà tutto bene, è solo influenza".
"Si papà".
Non so perchè ma ne io, ne papà, eravamo convinti di ciò che avevamo appena detto.
Arrivati in ospedale, ci sedemmo.
C'era una fila interminabile, ma mamma aveva detto al medico che ero urgente.
Quando entrammo, l'infermiera mi fece sedere in un lettino.
Io ero fredda, il lettino era più caldo di me.
Il medico mi visitò e non mi trovò nulla.
Mi portarono in un altro reparto e iniziai a preoccuparmi.
Pensai a Yasmine che sarebbe venuta a trovarmi e io non la avevo avvisata.
Pensai a Michael he stava suonando il piano.
Pensai a quanto sarei stata dentro quell'ospedale, quando avrei rivisto i miei libri e la casetta.
Mi fecero un prelievo del sangue per analizzarlo.
Fecero anche altro che ora non ricordo.
Mi addormentai e mi svegliai la mattina dopo.

Non vidi i miei, forse erano a casa.
Non vidi i medici e nemmeno l'infermiera.
Notai un ago nel mio braccio destro e la cartella clinica nel comodino.
Guardai a destra e, dalla finestra, vidi mia mamma.
Sorrisi e lei ricambiò, poi si girò.
Piangeva.
Volevo sapere perchè.
Cosa mi avevano fatto ieri sera di così tando brutto?
Vidi mio padre che abbracciò mamma.
Entrò il medico.
Mi disse che non potevo vedere i miei genitori per ora.
Doveva farmi ancora visite.
Io non capivo.
Me lo disse.
Rimasi spiezzata.
Volevo solo Michael.
Quella "balla" per vederlo, si sarebbe avverata.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Non ricordo cosa provavo.
Forse dolore, forse tristezza.
Un misto di emozioni.
Non positive.
Non riuscivo a pensare positivo in quel momento.
Potevo intuirlo dagli occhi lucidi di mia madre.
Ah, quegli occhi, come me li ricordo.
Sembravano più grandi del solito.
Mamma non piangeva mai.
Pianse per mia sorella e per me.
Ora che ci penso aveva pianto due volte per me.
Occhi azzurri, di ghiaccio, come quelli di Helene.
Avevano un carattere molto simile.
Alex la vedevo poco ultimamente.
Non volevo nemmeno sapere dov'era.
In quel momento volevo molte cose.
Volevo alzarmi, riposare, andare ad abbracciare i miei genitori, ma non potevo.
Non avevo forze.
Pensando a tutte quelle cose, mi stavo appisolando.
Qualcosa però bloccò il mio tentantivo di dormire.
Delle urla, delle grida.
Forse stavo sognando.
No, quelle urla le sentivo davvero.
Provenivano da fuori.
Girai la testa verso destra e vidi mia mamma che cercava di trattenere mia sorella.
Helene sembrava impazzita.
Si dimenava, cercava di aprire la porta.
Non volevo nessuno.
Anzi, volevo qualcuno.
Volevo il mio migliore amico.
Lo volevo seduto vicino a me, mentre mi stringeva la mano.
Mentre mi confortava.
Oh, aspetta, lui non sapeva niente.
Chissà se si era insospettito.
Non avevo aperto la finestra dopo aver sentito il suo sassolino.
Niente casetta.
Niente casetta per un pezzo, immagino.
Non sapevo se sarebbe venuto.
Mamma lo avrebbe cacciato via.
Non potevo vederlo, e ciò mi spezzava il cuore.
Poi entrò mia sorella.
Entrò lentamente, si sedette vicino a me e iniziò e si scostò i capelli.
"Hey piccolina".
"Ciao".
"Come stai?".
"Risponditi da sola. Secondo te una in ospedale sta bene?".
Le scese una lacrima.
Ero stata dura con lei.
"Mi dispiace Helene".
"Tu non dovresti essere qui".
"E' destino".
"Hai solo 10 anni".
Sospirò.
Poi arrivò il medico che le chiese di uscire.
Mi guardò e chiuse la porta.
Chiusi gli occhi e iniziai a respirare lentamente.

Mi svegliai che saranno state le 15:00.
Non avevo nemmeno mangiato ma ero sazia, forse era la flebo.
Aprii gli occhi.
Vicino a me c'era una signora, stava dormendo.
Aveva 70 anni circa.
Entrò il medico sorridente.
"Ti sei svegliata finalmente! E' da un po' che dormi".
"Mi dispiace, ero molto stanca..lo sono ancora".
"Se sei stanca mando via il ragazzino che è qui fuori, voleva farti visita".
Spalancai gli occhi.
"Oh no, la prego, lo faccia entrare..starò bene".
"Sicura?".
"Sicurissima".
"Lo faccio entrare".
Dovevo prepararmi un discorso da fare.
Non ero pronta a dirglierlo.
Forse era meglio la spontaneità.
Sarebbe andata meglio.
Mi vide e io sorrisi.
Si sedette vicino a me e mi strinse la mano.
Lo stavo solo pensando e lui lo aveva fatto veramente.
Poi mi baciò la fronte.
"Ciao Katy".
"Ciao".
"C-come stai?".
"Bene, non preoccuparti..tu come stai?".
"Non ti ho vista stamattina".
"Non ti ho avvisato, scusami".
"Non devi scusarti".
"Yasmine come sta?".
"Sta bene, mi ha detto di salutarti..non è potuta venire".
"Bene, non preoccuparti".
"Comunque, per quella storia del piano, ti avevo detto di non toccare la salute".
"Ora il piano è l'ultimo dei miei pensieri, questo è un imprevisto".
"In che senso?".
"Sai perchè sono qui Michael?".
Scosse la testa.
"Ho, ho la leucemia".
Silenzio.
"C-cos'hai?".
"Mi hanno diagnosticato la leucemia".
Iniziò a scuotere la testa, si portò le mani ai capelli.
Gli afferrai la mano e la strinsi.
I suoi occhi diventarono lucidi.
Qualche lacrima scendeva.
"N-non può essere vero".
"Calmati Michael".
"Mi spieghi come faccio?".
"Ti prego. Non so come andrà a finire".
Anche io iniziai a piangere.
Mi asciugò le lacrime con la sua mano.
"Mi dispiace Michael. Non sono stata sempre disponibile per te".
"Tu? Tu sei sempre stata disponibile. Io..beh io..".
"Sta zitto, ti prego".
"Ti voglio bene".
"Anche io".
Mi strinse la mano.
Chissà cosa provava Jade. Capiva che la malattia la stava portando via. Lei capiva tutto.
Ora lo stavo capendo anchio.
Non capivo cosa voleva dire avere una malattia fino ad ora.
Non riuscivo a capire mia sorella.
Mi veniva da piangere.
Pensare che avrei fatto la sua stessa fine.
Pensare che non avrei mai più visto i ricci di Michael, gli occhi di Yasmine, la casetta sull'albero.
Non avevo nemmeno forza di trattenere la rabbia.
Volevo distruggere tutto, distruggermi.
Non potevo fare niente.
Il dottore entrò e disse che doveva uscire.
Lo salutai e mi asciugai le lacrime che non aveva asciugato lui.
"Signorina?".
Era la signora vicino a me.
"Mi dica".
"Posso intromettermi? Le ruberò due secondi".
"Ma certo, non si preoccupi".
"Come si chiama quel ragazzo che è appena uscito?".
"Vi abbiamo disturbata?".
"No..dimmi come si chiama".
"Michael".
"E' un ragazzo d'oro".
"Si, lo è".
"Tientelo stretto".
"Certo, lo farò".
"Diventerà qualcuno".
"Per me è già qualcuno".
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Il giorno dopo mi svegliai alle 10, piuttosto felice.
La finestra della stanza era aperta e si sentiva un buonissimo odore di fiori.
Aprii i gli occhi e sorrisi.
Mi sentivo forte e felice.
Forse ero contenta di aver visto Michael il giorno prima.
La signora di ieri non era nel suo letto, probabilmente aveva una visita da fare.
Stranamente non dovevo fare visite.
Poi iniziai a pensare se ce l'avrei fatta.
Se avrei rivisto gli occhi dei fratelli Holbrook, l'improvvisa dolcezza di mia sorella e mio padre.
Papà non era mai entrato in camera per salutarmi.
Probabilmente non trovava la forza.
Assistiva alla scomparsa di sua figlia per la seconda volta.
Lo capivo.
Capivo la sua debolezza.
Lui, un soldato, era debole.
Chiusi gli occhi.
Sentii una porta aprirsi.
"Buongiorno principessa mia".
Era papà.
Ora si che poteva iniziare la giornata.
Aprii gli occhi e lo vidi sorridere.
"Ciao papà".
"Ho una sorpresa per te".
Vidi la chitarra.
Da quanto non la suonava.
"Ti ricordi come si suona?". Abbozzai un sorriso.
"E' da quando avevi cinque anni che non la suono, spero di si".
All'inizio sbagliò qualcosa.
Decisi di aiutarlo.
Con fatica gli posizionai le dita e lui iniziò a suonare.
Non riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Quel suono, quella musica.
Mi ricordava la mia infanzia.
Mi ricordava quei pomeriggi con Jade a giocare con le bambole.
Ci suonava sempre quella canzone.
Ad un certo punto smise di suonare e lo guardai.
Aveva gli occhi lucidi.
Gli sfiorai la mano.
"Papà, tutto ok?".
"Certo, ora scusa, esco".
"Va pure".
Mi sentivo in colpa.
Stavo facendo soffrire tutti.
Ma, per una volta, non era colpa mia.
Tornai a navigare nei miei pensieri cupi e dolorosi.
Non potevo uscire.
Volevo correre, giocare.
Mi alzai e andai alla finestra.
Scostai la tenda e guardai fuori.
Il sole, i colori i fiori.
Non avevo mai apprezzato tutto questo.
Solo una malattia mi aveva fatto capire quanto era bella la vita, che dono meraviglioso.
Vidi dei bambini che giocavano a pallone.
Volevo essere li con loro.
Volevo ridere, divertirmi.
Mi mancavano i miei libri.
Mi sembrava di stare in quell'ospedale da mesi, invece ero li solo da pochi giorni e chissà quando sarei uscita.
Se sarei uscita.
Avevo un nodo alla gola.
Entrò il dottore.
"Katy che fai li? Torna a letto".
"Non posso uscire?".
"No, non ancora".
Tornai a letto.
"Ho buone notizie: abbiamo dei donatori per il midollo osseo".
"Fantastico".
Non riuscivo ad apprezzare quel gesto, pur essendo stupendo.
"Tutto bene?".
"Uscirò mai da qui, dottore?".
Non rispose.
"La prego risponda".
"Tu devi uscire da qui, farò di tutto per farti uscire da queste mura".
"Grazie".
Il dottore uscì.
Io non ero per niente tranquilla.

Non aspettai così tanto il pomeriggio come quel giorno.
Sapevo che sarebbe venuto Michael.
Fissavo l'orologio. 14:30, 14:40, il tempo passava.
La porta si aprì alle 15:00 e vidi il suo sorriso.
Era diverso dal giorno prima.
Sembrava sereno, come me.
"Ciao. come stai?".
"Bene".
"Anchio sto bene. Sono felice di vederti".
"Ieri sembravi scosso".
"Mi dispiace".
Sorrise.
"Vieni, siediti".
Respirai lentamente.
"Tutto bene?".
"Posso chiederti un parere?".
"Si, certo".
"Secondo te uscirò?".
"Uscirai?".
"Da qui intendo..sopravviverò?".
"M-ma certo".
"Ne sei sicuro?".
"Si".
"Io no".
Non fece in tempo a rispondere.
"Non riuscirò a realizzare i miei sogni".
"Non da sola".
Sorrisi.
"Dimmi i tuoi sogni".
"Certi sono stupidi, ti avviso".
"Voglio vedere se le persone sono davvero felici quando vengono baciate".
"E' strano". Arricciò il naso. Mi mancherà anche quello.
"Te l'ho detto!".
"Voglio imparare a suonare il piano, vorrei crearti un vestito e..".
"E..?".
"Vorrei vedere la casetta tutta colorata, basta per ora".
Mi prese la mano.
"Non ti preoccupare, io ti aiuterò".
"Come farai ad insegnarmi a suonare il piano?".
"Non lo so, ma ci preverò".
"Stai qui con me?".
"Per sempre".
"Non esiste il per sempre".
"Te lo dico io che esiste, mi credi?".
Sorrisi.

L'orario delle visite era ormai finito, ma Michael restò comunque.
L'infermiera se ne accorse e lo cacciò fouri, non ebbi il tempo di salutarlo.
Dopo circa due minuti rientrò di corsa, mi baciò e uscì.
Mi baciò in bocca.
Aveva esaudito uno dei miei desideri.
Ero felice.
Quello non era un bacio da innamorati.
Era un bacio da migliori amici.
Lo so, è una cosa strana, ma fu così.
Non non eravamo innamorati.
La nostra amicizia era troppo grande per diventare amore.
Non lo sarebbe mai diventato.
Troppo amici, per essere amanti.
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Quel bacio.
Non sapevo se essere felice o triste.
Volevo realizzare i miei sogni prima di andarmene.
Andarmene.
Dicevo sempre che volevo andarmene e pregavo Michael per aiutarmi.
Alla fine non me ne sono mai andata.
Bastava solo aspettare.
Aspettare.
Ora, con la malattia, volevo solo rimanere.
Che strano.
Iniziai ad apprezzare veramente il donatore per il midollo osseo.
Volevo conoscerlo e ringraziarlo con tutta me stessa.
Chissà quando mi avrebbero operata.
Mi veniva da piangere ma volevo dimostrarmi forte.
Pensai a quanto erano forti le persone nel mio stesso reparto.
Pensai ai miei capelli.
Non ne avevo ancora perso nessuno.
E ciò mi rassicurava.
Nemmeno la signora con la quale condividevo la stanza aveva perso capelli.
Chissà se lei aveva dei sogni.
Glielo avrei chiesto.
Fatalità entrò.
"Ciao".
"Salve signora".
"O, ti prego, dammi del tu".
"Come ti chiami?".
"Susanne".
"Io Katy".
"Ho visto il tuo amichetto prima".
"Michael?".
"Si, sinceramente ho visto tutto".
"Il bacio?".
"Anche quello..ero fuori dalla porta, non volevo disturbarvi".
"Entra pure la prossima volta, non disturbi".
"E così..hai dei sogni?".
"Si, ma la vera domanda è: lei ha dei sogni?".
"Aspetta che mi metto nel letto e ti racconto, ma devi avere pazienza".
Sorrisi.
Lei, con calma, arrivò al suo letto.
"Forse ho un sogno".
"Uno solo?".
"Purtroppo si..tu perchè vuoi realizzare subito i tuoi sogni? Ne hai ancora da vivere".
"Vivere, vita, lei ci crede davvero? Crede davvero che io sopravviverò? Io no, quindi voglio essere felice ora".
"Tu vivrai signorina. Ma la negatività non ti aiuterà".
"Dici?".
"Si".
"Perchè la negatività non mi aiuterà?".
"Esperienza personale".
"Il tuo sogno..eravamo rimasti li".
"Ah, giusto".
Sospirò.
"Avevo 20 anni quando ebbi mia figlia. Non ero sposata all'epoca, il che era uno scandalo. Mia madre portò Camille, così la chiamai, all'orfanotrofio. Non la vidi più".
"Oh".
"Un giorno mi arrivò una lettera dal padre di mia figlia. Ci eravamo lasciati perchè mia madre non voleva che ci frequentassimo. In quella lettera mi disse che aveva lui in custodia nostra figlia e che se ne era andato via. Ero felice, ma anche straziata".
"E poi?".
"Nascosi quella lettera per non farla trovare a mia madre. Me la sono sempre portata dietro".
"Questo vuol dire che..".
Susanne aprì il cassetto ed eccola lì.
Ingiallita ma facile da leggere.
Quella lettera.
"Puoi prenderla se vuoi".
Presi la lettera e iniziai a guardarla.
La scrittura dell'uomo era ancora leggibile.
"Si chiama Luke".
"Luke si. Era così bello ed era un vero gentiluomo".
"Vorresti rideverlo?".
"Vorrei soprattutto vedere mia figlia, probabilmente Luke sarà sposato ora".
"Mi dispiace così tanto".
"Fai bene a realizzare i tuoi sogni Katy".
"Sa cosa mi dice spesso mio padre?".
"No, cosa?".
"Non sia meglio realizzare i sogni assieme?".
Lei mi sorrise, poi si addormentò.

Quella sera Michael tornò.
Non sapevo se ringraziarlo del bacio, starmene zitta o baciarlo.
Entrò e sorrise.
"Hey".
"Tutto bene?".
"Tutto bene...".
"Ho un favore da chiederti, molto importante".
Si sedette.
"Dimmi".
"Sai la signora che divide la stanza con me..".
"Si".
"Voglio realizzare il suo sogno. Da quello che sono riuscita a leggere dalle sue cartelle cliniche, non va bene".
"Che sogno ha?".
"Incontrare sua figlia e, secondo me, anche il suo fidanzato di un tempo".
"Come facciamo?".
"Non lo so. Io non posso muovermi".
"Ho una sorpresa per te".
"Non è il momento Mich..".
La vidi.
Mi vide e mi sorrise.
"Non è il momento?". Disse sorridendo.
Iniziai a lacrimare.
"Yasmine".
Venne da me e mi abbracciò.
"Come stai splendore?".
Era lei lo splendore.
Quegli occhi verdi.
"Bene".
"Dai, smettila di piangere".
"Grazie di essere venuta".
"Ho riflettuto ultimamente. Sei la persona più gentile e disponibile che io conosca. Ti voglio un bene dell'anima".
"Non attaccarti troppo a me".
"Cosa?".
"Ti prego".

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Lei era intelligente, lo avrebbe capito.
Non subito, ma lo avrebbe capito.
Susanne diceva di non pensare negativo, ma proprio non ci riuscivo.
Volevo andarmene dal quel posto.
Vidi il suo sguardo: era spento.
"Hey..".
"Mi dispiace Katy".
Sospirai.
"N-non preoccuparti".
"Come faccio? Sei..sei la mia migliore amica".
Migliore amica.
Non mi aspettavo di essere la sua migliore amica.
Non ero mai stata la migliore di nessuno.
Quando ero più piccola avevo un criceto.
Quando voleva da mangiare io lo snobbavo, stavo sulle scatole anche a lui.
Poi, all'improvviso, qualcuno mi voleva.
Voleva trascorrere i pomeriggi con me, voleva che fossi una spalla su cui piangere, un supporto.
Sono sempre stata ribelle, ma quando conobbi Michael diventai il nome della ribellione.
Avevo un motivo per essere me stessa, per non stare alle regole.
Lui non era ribelle, Yasmine lo era.
Lei mi assomigliava molto.
L'unica differenza era che lei era più 'signorina' di me.
Le piaceva dipengere, vestirsi bene il sabato e acconciarsi i capelli.
La guardai bene: aveva gli occhi lucidi.
Veniva da piangere anche a me, ma resistetti.
"Ti prego, non piangere".
Si asciugò quella piccola lacrima che stava per scendere.
Le feci un gesto di avvicinarsi e la abbracciai.
Mi strinse forte.
Non potevo lasciarla.
Dovevo combattere.
Combattere per lei e per Micheal.
Non tanto per me, di me non me ne importava.
Lo avrei fatto per loro.
"Yasmine?".
"Dimmi".
"Combatterò".
"E vincerai".
"Questo non lo so, ma ci proverò".
"Tu sei una vincitrice, sei nata per vincere".
"Michael?".
"Dimmi tutto principessa".
"Oh, ti prego, non chiamarmi principessa".
"E come ti devo chiamare?"
"Katy".
"Quel nome non ti si addice".
"Ho la faccia più da Emily vero?". Sorrisi.
"Ahaha, ancora te lo ricordi?".
"Non ti perdonerò mai".
"Mi dispiace". Arricciò il naso.
"Emily non mi dispiace come nome adesso".
"Ah davvero?".
"Si, ma non provarci a chiamarmi con quel nome".
"Eh va bene". Sorrise. "Senti, per il sogno della signora, come facciamo?".
"Giusto..non ne ho la minima idea".
"Potreste risalire all'indirizzo della lettera". Intervenne lei. "Scusate, ma ho sentito di cosa stavate parlando prima".
"Hai ragione..ora lei non c'è, Michael, per favore, prendi la lettera".
"Qui c'è scritto che viene da Liverpool".
"Sarà un po' complicato farlo venire qui".
"Se vive ancora a Liverpool".
"Eh già".
"Katy è una cosa troppo grande questa". Disse Yasmine.
"Lo so, ma ci voglio provare".
"Noi ti aiuteremo".
Sorrisi.
Loro sarebbero stati con me.

Mi svegliai nel cuore della notte grondante di sudore.
Ero agitata.
Mi venne istintivo accendere la luce.
"Katy, tutto bene?".
"Oddio, mi dispiace, non volevo".
"Non devi preoccuparti..stai male? Vuoi che chiami i medici?".
"N-non lo so".
"Hai fatto un brutto sogno?".
"No".
"Allora è meglio chiamarli".
Premette il pulsante per chiamare un'infermiera.
"Katy che ti succede?". Non sembrava allarmata.
"N-non so. Mi sono svegliata e ho acceso la luce, ma non stavo facendo un brutto sogno".
"Prova a riaddormentardi, vedrai che andrà meglio".
"Se mi sveglio cosa faccio?".
"Sto qui dieci minuti, dovrebbe passarti".
Chiusi gli occhi, ma mi risvegliai poco dopo.
"Mi dispiace, non ci riesco".
"Vado a chiamare i tuoi genitori".
"Sono qui?".
"No, sono a casa".
"La prego, non li disturbi".
"Devo chiamarli tesoro". Mi accarezzò la testa. Idiota. Non doveva chiamarli. Cosa che ovviamente fece.
I miei genitori arrivarono dopo poco.
Mamma era assonnata, papà preoccupato.
Chissà cosa avevo.

Mi veniva da piangere.
Nel frattempo mi avevano portata in un'altra sala, per non disturbare il sonno di Susanne.
Lei mi dava forza, la volevo vicino a me.
Sarebbe stato da egoisti farla stare sveglia.
Mentre l'infermiera parlava con i miei, iniziai a pensare.
Ora non ricordo cosa.
Vidi mio padre con il telefono.
Probabilmente stava avvisando Helene.
I minuti passavano.
Ed era straziante aspettare l'infermiera, o qualcuno, che entrasse a stare con me.
Ero sveglia, non volevo dormire..non potevo.
Passò mezz'ora e nessuno entrava da quella porta.
Non entrava nemmeno uno spiffero.
Guardai la finestra.
Ormai era Ottobre.
Le foglie erano secche, come la mia anima.
Entrò qualcuno e sbattè la porta.
Presi uno spavento.
Aveva il fiatone.
"Tutto bene?".
"Ti prego calmati, mi fai agitare".
Venne da me e mi abbracciò.
Finalmente qualcuno si era deciso ad entrare.
"Che fai qui a quest'ora?"
"Tuo padre mia ha chiamato".
Non aveva chiamato Helene, aveva chiamato casa Holbrook.
Probabilmente lo avranno maledetto con tutte le parolacce in libanese e francese che conoscevano, per poi passargli Michael.
"Dovevi rimanere a casa".
"Ma stai scherzando?".
"Domani hai lezione".
"Chissene".
Sorrisi.
"Senti, devo dirti una cosa".
"Dimmi pure, tanto chissà quanto devo aspettare".
"E' tutta la notte che cerco quell'uomo".
"Chi?".
"Il fidanzato di Susanne".
"E quindi?".
"L'ho trovato".
"Davvero?".
"Abita qui a Londra!".
"E' meraviglioso".
"Gli ho spiegato la storia, viene domani".
"Oddio, domani?".
"Si, con sua figlia".
Rimasi senza parole.
"Che c'è? Non parli?".
"Sono sbalordita, non so che dire. Anzi, ho solo una cosa da dire: grazie".
"Ormai noi due, di sogni, ce ne intendiamo no?".
Mi fece l'occhiolino. Che buffo.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Finalmente.
Il suo sogno, il suo unico sogno, si sarebbe realizzato.
Susanne era perfetta, non sembrava avesse nessun male.
Sembrava serena.
Lei, che lo è stato solo per un piccolo periodo della sua vita.
Chissà cosa sarebbe successo se non le avessero portato via la bimba.
La bimba che, ormai donna, era cresciuta senza una madre.
Susanne sicuramente era una bella donna.
Mi immagino lei mentre aspettava il fidanzato a casa.
Mi aveva fatto vedere una sua foto, era un militare, un bell'uomo.
Mi immagino lei, sorpresa di vederlo, che lo bacia.
Lo bacia e lo porta in cameretta a vedere sua figlia.
Lui la guarda, le sorride e le da un bacio sulla fronte.
Poi afferra la sua donna e la porta in giardino.
Si danno un bacio e, illuminati dal tramonto, lui si inginocchia e le chiede di sposarlo.
Lei accetta e abbraccia.
Come sarebbe stato bello.
Immagino anche il giorno del suo matrimonio, con la piccola Camille in braccio per la foto.
Lei raggiante in viso, lui emozionato.
Riesco anche ad immaginare il periodo di malattia di Susanne se si fosse sposata.
Lui, giorno e notte che le stringeva la mano.
Camille, in ospedale appena poteva.
Scommetto che sarebbe stata felice.

Mi riportarono nella mia stanza alle 10:00, non avevo nulla.
Il mio letto era freddo.
Susanne non c'era.
Probabilmente stava facendo una visita.
Ammirai con piacere che papà mi aveva portato un libro da leggere.
Lo presi e quasi mi veniva da piangere da quanto ero felice.
Poi entrò una donna.
Pensavo fosse un'infermiera, ma non era vestita di bianco.
Mi fece un cenno con la testa per salutarmi.
Era bellissima: abbastanza alta, bionda, occhi verdi.
Un verde un po' più scuro di quello di Yasmine.
Sembrava persa.
"Scusi, cerca qualcuno?".
"Sinceramente si, ma non voglio disturbarti".
"Dica pure".
"E' in stanza con te una cerca Susanne?".
"Si".
"Dov'è ora?".
"Pensa abbia una visita".
"Ok grazie".
"Può aspettarla qui se vuole".
"Davvero? Grazie".
"Certo, faccia pure".
Ritornai a leggere il mio libro, ma mi bloccai.
"Sei Camille?".
"Si, come fai a saperlo?".
"Sei qui grazie a me".
"Un certo Michael ha parlato con me".
"Si, è il mio migliore amico".
"Sono felice di essere qui sai?".
"Mi racconti la tua storia?".
"Da quando?".
"Da quando ricordi".
Si sedette meglio e iniziò a parlare.
"Quando ero piccola papà mi raccontò poco della mamma. Diceva che l'amava come noi mai. Quando nacqui, lui mi prese e mi portò via con se. Non la vide più. Ogni tanto lo vedevo stringere una foto e a volte piangeva. Quando gli chiedevo cos'aveva, mi cacciava via. Soffriva tanto. A scuola tutte le bambine salutavano la propria mamma prima di entrare, tranne io, che salutavo mio padre. Mi sentivo sola in quel periodo. Un giorno chiesi a mio padre di portarmi dalla mamma, ma non volle. Diceva che non poteva, ma capii più tardi che non sapeva dove potesse essere. Non si è mai sposato".
"Mai?".
"No. Voleva troppo bene a Susanne".
Voltai lo sguardo verso la porta e la vidi: Susanne, con la mano al volto, che piangeva.
"Tutto bene signora?". Non la riconobbe subito, ci mise un minuto. Erano identiche. "Mamma?".
Susanne annuì e Camille le corse incontro e la abbracciò.
Erano tenere, piangevano entrambe.
Dopo poco entrò un signore con un mazzo di tulipani rossi in mano.
"Papà..".
"Zitta Camille".
L'uomo guardò Susanne esterrefatto.
Le diede i fiori.
Io uscii, volevo lasciarli soli e, sinceramente, non c'entravo nulla.
Fuori vidi Michael che sorrideva.
"E' lui".
"Sono dolci".
"Mi ha detto che i tulipani sono i suoi fiori preferiti, ancora se lo ricorda".
"Wow".
"Peccato non si siano sposati".
"Già, mi dispiace così tanto! Ora che lei è malata poi".
"Sopravviverà, sopravviverete".
"Dobbiamo farcela".
"Certo, credo in voi".
"Yasmine?".
"Mi dispiace, non è potuta venire, ma in compenso ti presento gli altri componenti della mia famiglia"-
"Sono tutti qui?".
"Lei è mia mamma, già la conosci, mio papà Michael, Paloma, Zuleika e quella peste di mio fratello, Fortunè".
"Ti assomiglia". Sorrisi.
"Ci assomigliamo un po' tutti, mamma, ragazzi, andatevene di la".
Lo vidi pensieroso.
"Che c'è?".
"Ora ha realizzato il suo unico sogno".
"Lasciamoglielo vivere e cerchiamogliene un altro".
"Non ne avrà altri".
"Impossibile, io ne ho così tanti".
"Hai ragione, ora devo pensare a te".
"A me? Ma dai, abbiamo..tempo".
"Vieni con me".
Mi prese la mano e mi portò in una sala, dove solitamente si guarda la tv.
E li lo vidi per la prima volta da vicino.

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SPAZIO AUTRICE:
Mi scuso subito, non è molto lungo, ma devo ripassare per la verifica di domani.
Ringrazio di tutte le fantastiche recensioni ricevute fino ad oggi, davvero, certe sono commoventi.
Ho creato un profilo Ask.fm dove potrete farmi domande, dirmi che ne pensate della storia, criticare, la mia ff.
Lo faccio principalmente per chi non è iscritto al sito e per chi ha dei dubbi sulla storia.
Mi chiamo @ineedamikashug non fatevi problemi. Scrivetemi pure in anonimo, siete liberi.
A presto.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Grande, maestoso, quasi regale.
Mi sembrava di vivere in un sogno.
Era li, davanti a me, tutto per me.
Non so nemmeno come abbia fatto a portarlo qui.
Non avevo parole.
Un pianoforte, simile a quello di casa Penniman.
"Ma come hai fatto?".
"E' stata dura, il pianoforte quasi non passava per la porta di casa mia".
"E' il tuo?".
"Già".
"Non so che dire, davvero".
"Non mi devi dire nulla". Sorrise.
"E' davvero qui per me?".
"Certo, solo per te".
Ero incantata da quel pianoforte.
"Hey, tutto ok?".
"Grazie Michael". Lo abbracciai forte. "Ti voglio bene".
"Io di più, ora andiamo! Ti sta aspettando".
Mi prese la mano e mi aiutò a sedermi sullo sgabello.
Era così grande che ci si poteva sedere in tre.
Eravamo io, Michael e il pianoforte.
Sapevo che non avrei azzeccato una nota, ma ero felice di vedere quello che distraeva il mio migliore amico dalla vita normale.
"Iniziamo?". Era più emozionato di me.
"Spero di essere in grado".
"Posiziona le dita sulla tastiera". Dato che non le posizionai correttamente, mi aiutò lui.
"Ah, mi dispiace, sto già sbagliando".
"Non preoccuparti".
"Non mi fai leggere da qualche libro?".
"Non ti servirà".
"Io non sono così brava da permettermi di non avere uno spartito davanti".
"Io non ho mai avuto uno spartito davanti".
"Smettila di vantarti". Sorrisi. Lui non lo fece. "Dai ridi, era una battuta".
Si avvicinò ad una sedia e prese dalla borsa dei fogli: degli spartiti.
"Eccoti gli spartiti".
"Grazie, ora mi insegni? Ricordo solo le note".
"Non posso".
"Perchè?".
"Ti prego, insegnami tu le note".
"Ma sei impazzito?".
"Io..io non posso leggerle".
Si portò le mani ai capelli.
"Michael, tutto bene?".
"Sono stupido".
"Non lo sei, scherzi?".
Poi ricordai.
Quel giorno che lo spiai dalla finestra.
Non avevo uno spartito.
Era dislessico, non poteva.
Ma quanto ero stupida?
Come ho fatto a dimenticarmelo?
Yasmine forse me lo aveva detto.
"Strappa quei fogli".
"Cosa?".
"Non ci servono. Mi insegnerai meglio di loro".
Sorrise.
Ma come faceva? Come faceva? Sorrideva sempre.
Li strappò davvero.
"Impariamo a fare le scale?".
"Va bene".

Dopo un'ora piena di note, scale e diesis, dovetti tornare nella mia camera.
Susanne dormiva, era così dolce, e Camille si era addormentata su una sedia vicino.
Luke chissà dov'era.
Michael si distese nel letto con me e iniziammo a parlare.
"Grazie di oggi, non pensavo portassi un pianoforte in ospedale".
"Non devi ringraziarmi, l'ho fatto con piacere".
"Non sono brava vero?".
"No invece, oggi sei stata brava".
Mi vide triste improvvisamente.
"Hey, tutto bene?".
"Non viene nessun dottore, non vedo l'ora di fare il trapianto".
"Verrà".
"Ma c'è qualcuno che è disposto a curarmi in questo mondo?".
"Un dottore c'è".
"Chi? Come si chiama?".
"John".
"Dottor John? E di dov'è?".
"Bella domanda, non lo so nemmeno io".
"Dai, non prendermi in giro!".
"No, davvero, non lo so".
"Può aiutarmi?".
"Mi ha sempre aiutato, perchè non dovrebbe aiutare la mia migliore amica?".
"Me lo presenti?".
"E' invisibile".
"Mi stai confondendo".
"Quando sono a casa solo, tu non puoi esserci perchè sei qui. Lui c'è da quando sono piccolo".
"Capisco, è come un amico immaginario?".
"Oh, molto di più".
"Salutamelo appena puoi".
"Verrà a visitarti". Sorrise. "Ora devo andare Katy".
"Certo, va' pure".
"Ciao Emily".
"A presto John".

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Venne da me ogni volta che poteva.
Ritagliava il suo spazio per me.
Mi faceva piacere.
Rallegrava le mie giornate con i suoi sorrisi.
Un giorno venne a trovarmi la maestra.
Quando entrò era tutta rigida, sembrava quasi arrabbiata.
Mi parlò mi disse cose a vanvera, nemmeno le ricordo, non la ascoltai.
Parlava di cose che non volevo sentire.
Ecco, ricordo solo che mi disse che le mancavo a scuola, le manca il mio chiasso.
Il mio chiasso.
Se avessi avuto le forze, le avrei tirato un ceffone.
Quello che mi colpì è che appena uscì, pianse.
Non l'avevo mai vista piangere.
Piangere per me poi.
A volte davvero non la capivo.
Era una bella signora, la maestra.
Bionda, occhi scuri.
In certi aspetti assomigliava a mia madre.
Forse erano amiche.
Uscì chiudendo delicatamente la porta.
Successero altre cose belle in quel pediodo.
Circa a metà Novembre, mi operarono.
Qualcuno mi aveva donato il midollo!
Lo sapevo già, ma ero felice.
Chissà chi me lo aveva donato.
Pochi giorni dopo l'operazione mi sentivo in forze.
Decisi di andare a salutare il mio donatore, era ancora in ospedale.
Mi veniva da piangere, era da un po' che non camminavo con le mie gambe.
Era nella stanza vicino alla mia.
Mi dissero che era una donna, una ragazza.
Entrai nella stanza, ma non c'era nessuno.
Un'infermiera mi disse che si stava cambiando, per poi tornare a casa.
La aspettai seduta in un letto.
Quando uscì rimasi spiazzata.
Era Helene.
Mia sorella Helene.
Era un po' pallida in viso, ma sorrideva felice.
Si sistemò i capelli e mi guardò.
Mi limitai a sorridere.
Poi mi alzai e corsi ad abbracciarla.
Lei mi bagnò il viso con le sue lacrime e io continuavo a ringraziarla e dissi una frase che non pensavo di dire 'Jade sarebbe fiera di te'.
Non so nemmeno quale parte del mio cervello elaborò quella frase.
Ma era bella. La volevo rendere orgogliosa.
Mi disse che doveva andarsene e lo fece, baciandomi la fronte.

Arrivò Dicembre, un Dicembre triste.
Non nevicava e io dovevo stare dentro.
Scommetto che non faceva nemmeno tanto freddo fuori.
Volevo uscire.
Non ero mai uscita da quell'ospedale.
Quella mattina arrivò Yasmine.
Aveva un cappottino rosso e un fiocco alla testa abbinato.
Era molto carina.
"Yasmine!".
"Hey! Tutto bene?".
"Certo tu?".
"Abbastanza..fa freddino fuori".
"Oh, vorrei tanto uscire".
"Non puoi?".
"Non penso".
"Che peccato".
"Non c'è neanche la neve!".
"Ho notato! Che brutta cosa".
"E' l'unica cosa che mi piace dell'inverno".
"A chi lo dici".
"Niente scuola oggi?".
"No, mamma mi ha fatta stare a casa perchè dovevo tenere d'occhio Fortunè".
"E ora con chi è?".
"Con Michael, volevo venire a trovarti".
"Bene".
Al pomeriggio venne anche lui a trovarmi.
Ero così felice di vederlo.
Aveva il naso rosso, segno che fuori faceva un po' freddo.
"Hey!".
"Ciao Katy".
"Tutto ok?".
"Fa un po' freddino".
"Siamo a Dicembre!".
"Che fai ancora in pigiama?".
"Cosa?".
"Vestiti su!".
"Ma perchè?".
"Perchè usciamo".
"Usciamo? Non posso!".
"Si che puoi".
"Oddio davvero?".
"Veloce dai". Sorrise.

Quando finii di prepararmi ero emozionata.
Era da mesi che non vedevo la luce naturale.
Londra d'inverno era magica, mancava solo la neve.
"Allora, com'è rivedere Londra dal vivo?".
"E' bellissimo".
"Attenta a non prendere freddo e a non cadere eh!".
"Ora dove andiamo?".
"Andiamo in macchina, vieni, ti accompagno".
Salimmo in macchina, ma non vidi dove stavamo andando.
Quando l'auto si fermò, non riconobbi il posto.
Mi aiutò a scendere e salutammo.
Entrammo in questo edificio addobbato di luci colorate.
Ci accolse una signora.
"Michael?".
"Si, sono io".
"Vieni, ti accompagno".
"Grazie". Si girò verso di me. "Pronta?".
"Ehm, si".
Uscimmo di nuovo e vidi qualcosa di meraviglioso.
Ghiaccio.
Una pista di pattinaggio.
"M-Michael?".
"E' tutta per te, quanto tempo vuoi".
"Wow..".
"Sai pattinare?"
"Lo facevo da piccola con papà".
Mi infilò i pattini e andammo in pista.
Mi prese le mani e iniziammo a muoverci.
Ero felice come non mai.
Iniziammo a volteggiare, a ridere, a giocherellare.
Mi divertii tantissimo.
Appena ci fermammo successe l'imprevisto.
Vidi un fiocco di neve sulla punta del mio naso.
"Michael!".
Iniziò a nevicare.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


"Michael sta nevicando!". Urlai.
"Vieni qui che prendi freddo". Mi strinse con le sue braccia calde.
"Non sei felice?".
"Tu sei felice?".
"Sono super felice!".
"Allora si, sono felice anchio". Lui guardò il cielo e io sorrisi goffamente.
Poi cambiò discorso.
"Com'è andata l'operazione?". Non era venuto spesso dopo l'operazione e cercavamo di non parlarne.
"Penso sia andato tutto bene, non mi hanno detto nulla".
"Davvero? Mi sai dire solo questo?".
"Michael dai, sta nevicando, non rovinare il momento!".
"Sono serio". Si voltò verso di me. "E' andata bene?"
"Non mi hanno detto nulla veramente, quindi deduco di si". Sospirai. "Perchè me lo chiedi?".
"Perchè ci tengo a te e non sopporterei di..".
"Di?".
"No, niente".
"Ora me lo dici, mi stai facendo venire dubbi sulla mia salute".
"No no, tu stai bene, è che ho paura di...perderti".
Guardai i suoi occhi scuri e per un momento vidi nel riflesso tutta la mia vita.
Quando lo vidi per la prima volta a scuola, quando faticai per fargli il vestito, quando conobbi sua sorella.
"Ti prego, non mollare mai".
"Tu resta sempre con me".
"Mika?".
"Mika".
Lo abbracciai.
"Sento un po' freddo".
"Certo, entriamo".
La signora ci accolse.
"Ragazzi eravate ancora fuori con quella neve?".
"Mi sono goduta il panorama, chissà per quando non potrò vederlo".
"Sei in castigo?".
"Una specie". Mi voltai verso Michael e sorrisi.
"Volete una cioccolata?".
"Volentieri". Risposi.
"Io un thè, magari". Disse Michael. "Ma puoi bere la cioccolata?".
"Si, perchè no?". Lo guardai perplesso.
"Perchè, bimba, ti vietano anche quello?".
Sorrisi, anche se volevo romperle quell'odioso mollettone gigante a forma di farfalla che portava in testa.
"Katy, seguimi".
"E la cioccolata?".
"E' una scema quella, non si accorgerà, vieni".
Non mi vide, lo seguii.
"Che hai visto?".
"Una cosa che ti piacerà"
Entrammo in una stanza buia.
"Ma si può?".
"Chissenefrega, entra".
Accese la luce e lo vidi per..bah, ormai era come un amico.
"Come hai fatto a trovarlo?".
"E' lui che ha trovato me".
"Ci sediamo?".
"Certo".
Suonammo un po', finchè la signora non ci scoprì.
"Andatevene subito di là".
"Ok, ok andiamo".
"Non dovete prendere iniziative così!".
"Si calmi però". Rispose Michael a tono.
"Ma dove avete il cervello?".
"Noi dentro la testa, lei dentro quel suo mollettone immagino". Mi sentivo sollevata dopo averlo detto.
"Andatevene".
"Se non le dispiace, io prendo il mio thè".
"E io, la mia cioccolata".
"Via".
Corremmo via ridendo, con i nostri bicchieri fumanti.
"Grazie della giornata Michael".
"Grazie a te".
"Non voglio tornare".
"Neanche io voglio che tu torna".
"Sai cosa?".
"Dimmi".
"Domani mattina non venire".
"Scherzi? Perchè?".
"Devo..devo fare una visita".
"Vabbè, verrò più tardi".
"E' una cosa lunga".
"Verrò al pomeriggio".
"Devo fare la Chemio".
"La Chemio? Dopo l'intervento?".
"Si".
"Verrò con te".
"Non so se puoi e poi ti annoieresti".
"Non mi annoierò".
Una macchina venne a prenderci e ci portò all'ospedale.
"Grazie della giornata".
"Voi che ti aiuto a salire?".
"Non serve".
"Ok, ci vediamo domani".
"A domani".
Mentre salivo le scale per andare in camera, pensavo al giorno sucessivo.
Non volevo entrasse con me, non volevo mi vedesse soffrire.
Era una cosa lunga, si sarebbe annoiato sicuramente, mi annoierei anchio al posto suo.
"Katy tutto bene?". Disse la mia compagna di stanza.
"Ho passato un'ottima giornata".
"Ha nevicato, sei felice?".
"Si, molto".
"Ti vedo triste".
"Domani ho la Chemio".
"E' la prima?".
"Si".
"Oh, mi dispiace".
"Sono molto stanca, credo che riposerò, scusa".
"Certo certo, riposa piccola".

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


La mattina dopo mi svegliai sudata.
Probabilmente avevo paura.
"Buongiorno principessa".
"Ciao Michael".
"Come va stamattina?".
"Non bene".
Si sedette vicino al mio letto.
"Come mai?".
"Mi sono svegliata sudata".
"Non preoccuparti, andrà bene".
"Lo spero".
"Hai mangiato?".
"No..".
"Ma scherzi? Devi assolutamente mangiare".
"Non si può prima della Chemio".
"Ah, giusto".
Entrò un'infermiera per avvisarmi che era tutto pronto.
Mi misi una vestaglia e la seguii.
Dietro di me, Michael stava attento.
"Allora Katy, adesso siediti qui".
"Su questa poltrona?".
"Si, il tuo amico  può sedersi li".
Indicò uno sgabello vicino alla poltrona.
"E' una cosa lunga?".
"Sono le 9:00, finirai verso le 12:00 circa".
"Tre ore?". Chiese Michael.
"Eh si, ma non preoccupatevi, passerà veloce".
"Fa male?".
"No, non fa male".
"Lei ha mai fatto una Chemio?". Chiesi.
"No".
"E allora come può dire tutte queste cose? Queste persone non mi sembrano felici". Risposi a tono.
"Katy calmati, può andare grazie".
Iniziai a piangere e guardai quel liquido nel sacchetto che scendeva di poco.
"Hey, non piangere".
"Non ci riesco".
"Fa male?".
"Un po'".
"Passerà dai".
Notai un signore che mi fissava, stava facendo la Chemio come me.
"Ragazzina".
"Dica".
"Non fa male".
"Si che fa male!".
"Lo stai pensando da stamattina, prima di arrivare, giusto?".
"Si ma..".
"Fai come me, questa è la terza seduta e, anche se mi fa male, mi autoconvinco che mi faccia solletico".
Risi.
"Vedi? Funziona no?".
"Si, funziona, grazie".
"Ora ti insegno io una tecnica Katy".
"Ti ascolto".
"Prova a pensare a qualcosa che ti rende felice e raccontamela".
"Stare con te mi rende felice. Ricordare i nostri momenti, mi rende felice. Ricordo tutto: i nostri temi, la casetta sull'albero, i disegni, le gomme da masticare. Ricordo quando non potevamo vederci ogni giorno per i tuoi impegni, quando sono fuggita da casa mia per venire a vederti all'opera. Che serata quella! Mi sono commossa e anche se sono stata messa in castigo, ne è valsa la pena".
Vi voltai verso di lui e vidi che i suoi occhi luccicavano.
"Però non so se potrò ancora vivere momenti come quelli".
"Certo che li vivrai".
"Non lo so Michael. Vedo persone che entrano ed escono da questo ospedale, tutti tranne me. Sembra che mi abbiano dimenticata, non credi?".
"Io non ti ho dimenticata e mai ti dimenticherò".
"Promettimelo, so che è difficile ma fallo, ne ho bisogno".
"Non è difficile, lo prometto. Prometto che tu farai sempre parte di me. Ci sarai sempre nel mio cuore. Dopotutto io non riuscirei a sopravvivere senza di te".
"Questo non è vero, ce la faresti eccome".
"Non penso che 'MI' vivrebbe senza  'KA'".
Iniziai a non sentirmi bene.
"Katy tutto bene?".
"Mi viene da vomitare".
"E' normale?".
"Non so".
"Qualcuno in questo ospedale mi vuole rispondere?". Sembrava innervosito.
"Calmati ragazzo, è normale". Rispose il signore che mi aveva aiutata prima.
"Grazie".
Passate le tre ore era senza forze.
Mi portarono in camera con una sedia a rotelle e mi fecero distendere sul letto.
Poco dopo arrivarono mio padre e mia sorella.
"Allora signorina, come stai?". Chiese Helene.
"Si potrebbe stare meglio".
"Ti rimetterai presto piccola mia". Disse papà, sempre ottimista.
"E la mamma?".
"Mamma è fuori che parla con l'infermiera".
"Fatela entrare dopo".
"Meglio di no piccola". Rispose papà preoccupato.
"Perchè".
"Mamma non se la sente".
"La capisco, nemmeno io vorrei vedermi in questo stato, ma non mi sembra di essere un mostro".
"Riposa stellina mia, ti sentirai meglio".
Ascoltai il suo consiglio, anche se controvoglia.
Ero così stanca che mi svegliai la mattina dopo, piena di forze però.
Decisi di alzarmi e guardare fuori dalla finestra.
Era una bella giornata, tutto era luminoso e splendente.
Poi vidi il mio riflesso sulla finestra.
Tirai le tende per non vederlo più e corsi in bagno.
Quello che mostrava il riflesso era vero: i miei capelli, erano solo un ricordo.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Iniziai ad urlare aggrappando le mani ai bordi del lavandino.
A tentoni arrivai alla vasca da bagno e caddi dentro.
Mi guardai le mani ed i vestiti: ero fradicia.
Probabilmente Susanne stava scaldando l'acqua per farsi un bagno.
Schizzavo acqua in ogni punto, senza pensarci, poi vidi Susanne alla porta con una faccia terrorizzata.
"Katy che succede?".
Mi indicai la testa e dalla mia gola non usciva più un filo di voce.
"Calmati, adesso chiamo un'infermiera, resta qua".
E chi riusciva a muoversi ma, soprattutto, a calmarsi?
Respiravo affannosamente e tenevo gli occhi chiusi, come se tutto potesse passare.
Quando arrivò l'infermiera mi ero già tranquillizzata abbastanza da poter tornare al mio letto da sola.
"Allora Katy, ora resta qui che andrà tutto bene".
"Perchè non me lo avete detto?".
"Cosa?".
"Che avrei perso i capelli per sempre".
"Ma no, non per sempre".
"Perchè non me lo avete detto?".
"Per non farti preoccupare, sei solo una bambina".
"Una bambina che sta crescendo troppo in fretta, non crede infermiera?".
"Anche la lingua ti sta crescendo troppo in fretta".
"Susanne ora sto bene, l'infermiera può andarsene".
"Si grazie, arrivederci".
L'infermiera mi guardò male mentre chiudeva la porta.
"Katy non puoi trattarla così".
"Tratto come lei tratta me".
"Resisti".
"Voglio andarmene da qui Susanne".
Lei mi guardò e con la mano mi afferrò il mento.
"Te ne andrai molto presto piccola".
"Ce ne andremo".
"Non lo so se me ne andrò da qui".
"Come mai?".
"Ho..ho molti esami da fare".
"Magari un giorno ci troviamo". Sorrisi.
"Un giorno si".
Dopo un po' arrivò un'altra infermiera, quella che mi stava simpatica.
"Hai visite Katy".
"Chi?".
"Il tuo amichetto".
"Fallo entrare".
Poi ci ripensai.
"Anzi, no, aspetta".
"Va bene. quando vuoi apri la porta".
"Katy perchè non vuoi che entri Michael?". Disse Susanne.
"Andiamo, non può vedermi così".
"Per quanto vorrai evitarlo allora?".
Ci pensai. Dopotutto aveva ragione. E poi avevo bisogno di lui.
"Ricresceranno?".
"Non ti seguo cara".
"I capelli.."
"Ricrescono sempre, a me è successo". Disse sorridendo.
"Sempre?".
"Katy non devi preoccuparti di questo ora".
Annuii.
"Allora che faccio? Lo faccio entrare?".
"Si, certo". Dissi con poco entusiasmo.
Mentre apriva la porta mi fece l'occhiolino. Provai a pensare a che dire a Michael quando sarebbe entrato nella stanza o semplicemente salutarlo come se fosse tutto okay.
Optai per la seconda.
Quando sentii qualcuno aprire la porta il cuore iniziò a battermi a mille. Mi sedetti sul letto a gambe incrociate e, con la faccia sorridente, aspettavo di salutarlo.
"Ciao Katy, tutto be..." Si bloccò.
Aprii un pochino la bocca e sentii il mento iniziare a vibrare. Poi iniziai a piangere.
Lui corse da me e mi abbracciò, poi si sedette vicino a me e, con dei movimenti lievi, iniziò ad accarezzarmi le spalle.
"Katy, non piangere".
"Mi spieghi come faccio?".
"Ehi ehi ok, smettiamola. Iniziamo da capo. Io ti saluto, tu mi saluti e iniziamo a parlare, okay?".
"Okay".
Lui indietreggiò fino alla porta e iniziò la sua recita.
"Ciao Katy, tutto bene?".
"Ciao Michael, si, tutto bene".
"Vedi? E' facile recitare".
"Questa è finzione".
"Infatti sai fingere molto male, tu non stai veramente bene".
Li raccontai tutto quello che avevo passato ultimamente, delle mie grida, dell'infermiera antipatica, tutto.
Poi lui cambiò discorso facendomi tornare vivi i ricordi che ci legavano.
Avrei dato volentieri la vita per Michael Holbrook Penniman Jr. perchè lui stava dando la sua a me in quel momento.
Sprecava il suo tempo, che secondo lui non era mai sprecato, per stare con me e per farmi divertire.
E se quello non è un amico, allora non so cos'è l'amicizia.
E quei momenti che passavamo insieme mi ricordavano le giornate trascorse con mia sorella, e mi ricordava che nessuno oltre a loro due, voleva starmi accanto.
Penso che quel giorno passamo tre ore assieme.

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