StrangeRed

di MirianaMS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nightmare ***
Capitolo 2: *** Sven ***
Capitolo 3: *** Impiego ***
Capitolo 4: *** Inconvenienti ***
Capitolo 5: *** Life moves on ***
Capitolo 6: *** Incontri ed incidenti ***
Capitolo 7: *** Paint ***
Capitolo 8: *** Sorprese ***
Capitolo 9: *** Kiss ***



Capitolo 1
*** Nightmare ***


Chapter 1: Nightmare

Vedo bianco. Ogni cosa intorno a me si è dissolta in un bianco pallido, e nel complesso è una luce così forte che quasi non riesco a tenere gli occhi aperti. Sposto lo sguardo in basso, lungo il mio vestito rosso bordeaux, oltre i miei piedi scalzi, oltre il cornicione di legno che mi separa dal baratro colmo di nebbia; ho le vertigini. E' come se il vento mi spingesse a fare quel passo. Mi sento leggera, ho una collana di perle bianche, una linea sottile di eyeliner, e rossetto scuro. Mi sciolgo i capelli e lasciandoli ricadere sulla mia schiena riesco a percepire il momento in cui battono contro il vestito; questo forse è l'unica cosa che sento intorno a me. Tra i miei capelli passano leggeri spifferi d'aria, sento che mi gira la testa, e non riesco a pensare a nulla. Il mio cervello è spento. 

"Alis, sei sveglia? Vorrai fare tardi il tuo primo giorno di lavoro?"
La voce di Jay mi svegliò, seguita da un cuscino in faccia. Quel ragazzo era una sveglia vivente, ma non sapevo perchè fosse capitato proprio a me. 
"Dai, che ti ho preparato una colazione buonissima!"
"Si, si, sono sveglia. Comunque buongiorno!"

Avevo all'incira mezzora di tempo per prepararmi, ma considerando che 2 minuti erano per lavarmi il viso, 3 per lavarmi i denti, 5 per pettinarmi e passarmi la piastra, 10 per truccarmi, e considerando che non sapevo proprio cosa mettermi, ero sicura che non mi sarebbe bastata. Occasione: prima giornata di lavoro. Dovevo essere elegante, ma non troppo. Misi a soqquadro tutto l'armadio, e poi feci la scelta giusta: vestito bianco appena sopra il ginocchio, giacca beije, e ballerine beije. Semplice, pratico ed elegante. 
Era già passata più di mezzora, così afferrai la mia pouchette e corsi di là, dove Jay aveva fatto diventare il tavolo da colazione uno da pranzo Reale, ma presi una brioches al volo, un po' di spremuta d'arancia e sgattaiolai fuori dalla porta. "Grazie Jay, era tutto buonissimo! Scappo che mi si è fatto tardi."

La mia auto era nera con interno in pelle del colore della mia giacca. Me la comprai con i soldi che avevo ricevuto per i diciotto anni, più qualche mio risparmio. Mi infilai i RayBan marroni, sistemai il rossetto e partì. 

Eccomi. Ero davanti al Blue. Era un locale molto frequentato a pochi isolati dal centro. Da fuori le pareti erano blu notte, e le finestre erano di legno, dello stesso colore del portone. Probabilmente erano in ciliegio, il mio preferito. 

La vibrazione del mio cellulare mi distrasse per un momento. 
"Sono sicuro che a pranzo ti farai perdonare. Sei scappata senza nemmeno salutare stamattina. Comunque quel vestito ti donava molto, eri stupenda. Non è che farai colpo su qualcuno e abbandonerai il tuo migliore amico? Forza Alis, credo in te, fagli vedere con chi hanno a che fare!"

Sorrisi. Jay era sempre in grado di strapparmi un sorriso. Ci conoscemmo tempo fa al Sun, una discoteca abbastanza frequentata, dove lui è il cameriere. Quella sera lui portava un paio di  blue-jeans stretti, una camicia bianca e aveva i capelli rasati lateralmente. Mi offrì qualche drink, e scherzò tutta la sera con me. Mi colpì soprattutto il suo modo di essere: vivace, simpatico, e diretto. Mi raccontò che venne nel nostro paese quando ancora era piccolo, e crescendo fu l'unico tra i suoi fratelli a volersi adattare alla nuova cultura. Questo non piacque ai suoi, così lo cacciarono di casa a soli quindici anni. Fu costretto a lasciare la scuola, e per mezzo di un ragazzo, suo vicino di casa, trovò lavoro come cameriere in più discoteche, e da quel giorno ha sempre abitato con i suoi colleghi, pagando la sua parte di affitto. Capì che Jay era destinato ad essere il mio migliore amico. 

Bloccai il cellulare, mi feci coraggio e suonai il campanello.

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Capitolo 2
*** Sven ***


Dentro il locale era come me lo ricordavo. Che sensazione strana mi dava: ai tempi del liceo ci entravo per divertirmi con gli amici, ed ora a distanza di tempo ci metto piede per cercare lavoro.

 

"A..A..Alis? C-Cosa ci fai qui?"

Sobbalzai. In un secondo mi passarono in mente tutti i momementi vissuti con lui in due anni. Non riuscivo a dire nulla.

"Sven!"

 

 

 

Messaggio da Jay: " Cucciola, sei stata assunta?"

"Si, e non indovinerai mai di chi è ora il locale. Comunque sto morendo di fame, sono in auto, spero per te che hai preparato qualcosa di buono!"

 

Mentre io viaggiavo in auto, i pensieri mi affollavano la testa. Avevo una sensazione di smarrimento, avevo paura ma allo stesso tempo grinta. Pensieri positivi che si intrecciavano a quelli negativi come gli infiniti boccoli di una bambina bionda.

Una domanda mi tormentava: perchè proprio lui? E perchè nonostante il tempo sia passato ancora il cuore accellera il battito quando incrocio il suo sguardo?

 

Un assordante rumore di claxon mi assordì.

Non avevo più il controllo della strada, e tutto ciò che avevo intorno sembrava girasse: le persone, le auto, i negozi. Chiusi gli occhi d'istinto.

"Ma che stai facendo? Come guidi?" Mi urlò dal finestrino un signore con i baffi.
Riaprì gli occhi e mi accorsi di essere andata a sbattere contro un palo della luce. Scesi per vedere i danni e avevo gli occhi di tutti i passanti puntati su di me. Per fortuna l'auto si era solo appena graffiata sullo sportello laterale. Ero molto spaventata, era successo tutto nel giro di pochi secondi. Finsi che nulla fosse accaduto, infilai le chiavi e ripartì.
 

Ora prestavo molta più attenzione alla strada, avevo la sensazione che ogni cartello fosse importante. Sembravano essere stati affissi ai bordi della strada proprio in quel momento; erano lì da sempre, ma oltre ai giorni seguenti a quando presi la patente non li guardai mai.

Spesso accade di dare importanza a ciò che si ha intorno solo dopo un evento in particolare, nel novanta per cento dei casi brutto.

 

"Sono a casa" urlai prima di spaparanzarmi sul divano.

"Allora. Dimmi chi è questo nuovo proprietario!" esclamò Jay, ma il suo sguardo si spense evidentemente perchè assunsi un'espressione cupa, negativa. Spostai lo sguardo a terra, sul parquet di legno ciliegio.

"No.. Non dirmelo." Insistette.

"Coincidenze o destino?" domandai. "Perchè proprio lui? Perchè non riesco a fare l'indifferente? Perché la nostra mente tende a scegliere strade difficili in salita, ripide, fangose e brecciate anche quando potrebbe percorrerne altre, rettilinee e semplici? Perche cuore e mente non vanno mai d'accordo?"

 

Jay fece un sospiro, spostò la sedia e si sedette.

Poi mi guardò: "Perché ci piacciono le sfide. Ci piace rischiare. Ci piace sentire i brividi scorrere lungo le nostre ossa, nella nostra carne, in ogni vena del nostro corpo. Siamo maledettamente attratti dal senso di non farcela per poi riuscire. Perché nonostante il sudore che ci scorre nelle vene, e ci butta a terra, la vista dalla cima della montagna è decisamente più bella. È sensazionale. Perché se tutto fosse semplice il sapore di essere riusciti in qualcosa non sarebbe così buono. La mente rappresenta la nostra razionalità, piccola, e nonostante ci dica di proseguire per la strada giusta per noi, c'è il cuore. Bhe, il cuore è tutta un'altra storia.. "

 

Sorrisi. Anche se le sue parole non avevano chiarito la mia domanda mi sollevai.

"Vieni qui, nemmeno un abbraccio mi hai dato oggi!" Dissi facendo una smorfia.

Jay corse da me e si buttò a peso morto sul divano facendomi il solletico. "Fai silenzio che stamattina nemmeno mi hai salutato prima di uscire! Ti coccolo solo perchè sei la mia cucciola, sennò nemmeno te lo meriteresti!"

 

 

 

Appena pranzo accompagnai Jay a prendere alcuni suoi vestiti che aveva lasciato a casa dei suoi genitori. La sua auto era dal meccanico da qualche giorno ormai, doveva cambiare le gomme.

I suoi erano due persone molto religiose, due mussulmani. Aveva due fratelli più grandi, ma attualmente in casa c'era solo sua sorella. Loro erano molto freddi con Jay. Lo trattavano male. Lui mi raccontò che appena arrivati nel nostro paese cercò di comprarsi vestiti per adattarsi alla nuova cultura. Mi disse che un giorno suo padre e suo fratello maggiore lo picchiarono solo per aver comprato un paio di jeans. Erano persone molto rigide e attaccate alla loro cultura d'origine. Così, non appena Jay iniziò a procurarsi dei soldi, lasciando anche indietro gli studi, se ne andò di casa. Tornava molto raramente a casa, e quando lo faceva aiutava anche la madre nelle faccende, o il padre se aveva bisogno di una mano in qualche suo strano lavoro.

 

"Salve Signora Smith!"

"Buonasera cari. Desideravate?"

"Ciao" Rispose Jay in maniera molto distaccata. "Dovevo prendere un paio di scarpe in cantina. Dove sono gli altri?"

"Tuo padre le ha bruciate. Ora lui è in camera a riposare. I tuoi fratelli anche."

Ero dietro a Jay, osservai che strinse i pugni. Gli accarezzai dolcemente una mano e lo presi per un braccio cercando di calmarlo.

"Benissimo." Disse con un sorriso. "Ti serve aiuto?"
"No, grazie. Ho già steso la biancheria. Tu tutto bene?" Disse sua madre.

"Benissimo, arrivederci!" Esclamò Jay, e uscimmo.

 

In auto Jay mi raccontò del suo lavoro, delle gaf del suo sbadato capo con i clienti, delle ragazze che ci provavano con lui. Era così felice, ma come faceva?

"Jay, ma come fai a stare così tranquillo?"
"Secondo te per quale motivo dovrei rovinare la mia vita? Per delle persone a cui non importa nulla di me, e di quello che faccio?"

Aveva proprio ragione, come sempre. Stando a questo ragionamento dovevo smetterla di pensare a Sven.

 

 


 

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Capitolo 3
*** Impiego ***


Di solito Jay ed io passavamo insieme il sabato sera. Lui faceva barman e cameriere in un locale, ed io gli facevo compagnia. Molto spesso, a dir la verità, mi annoiavo, così ci trascinavo le mie amiche. Da questo sabato, però, lavoravo anche io, al Blue.

Non mi venne subito l'idea di chiamare le mie amiche, prima volevo ambientarmi un po'.

 

Appena finito di mangiare andai in camera e misi un po' di musica triste, perchè mi sentivo un po' malinconica. Ripensai a quanndo Sven mi chiese di uscire per la prima volta; indossavo un semplice vestito bianco con dei ricami che risaltava i miei capelli rossi. Sven mi ripeteva in continuazione che non sapeva se fossi strana perchè avevo i capelli rossi, o se avessi i capelli rossi perchè ero strana, ma nella maggior parte dei casi affermava la seconda ipotesi. Ogni ricordo era vivo dentro me; ricordo che mi offendevo, gli tenevo il broncio, poi lui mi baciava e mi diceva che ero ancora più bella quando mi arrabbiavo.

Mi vennero in mente molti momenti insieme: il primo bacio, la prima uscita, la prima volta a cena con i suoi. Sentivo tanti brividi corrermi lungo il corpo, e mi era venuta la pelle d'oca. Sospirai e chiusi gli occhi.

 

D'improvviso la porta si spalancò. Era Jay.

"Ti piace di più la camicia blu o quella bianca con questi pantaloni?"

"Jay!" Sobbalzai. "Mi hai fatto spaventare. Comunque penso che insieme faremmo impazzire chiunque con la nostra fissa per i vestiti"

Scoppiammo a ridere.

"Quella bianca è più bella. Aiutami a scegliere qualcosa per il mio primo giorno!"

"Secondo me con quel vestitino bianco ricamato saresti molto sexy."

Lo guardai male e lui scoppiò a ridere.

"Dai, seriamente. Penso che se ti mettessi quello rosso potrebbe quasi passarmi per la testa di chiederti di uscire."

Di solito facevo tutto l'opposto di quello che mi si diceva. Non per cattiveria, ma per carattere.

 

Decisi di indossare un tubino nero con un paio di tacchi beije. Li comprai in una boutique francese l'anno precedente.

"Bene, ci sono! Ci sentiamo più tardi Jay!"

"In bocca al lupo per la prima serata! E ricorda di non dare troppa importanza al biondino!" sorrise Jay prima di scomparire.

"Già, Sven. Me ne ero quasi dimenticata.." Pensai tra me e me.

 

Il Blue era già strapieno quando arrivai, eppure credevo di aver tenuto sotto controllo l'orario.

"Scusa il ritardo, ma non mi ero proprio resa conto del tempo." Dissi con sincerità. La sincerità era un valore molto importante per me, contava molto se una persona fosse sincera o meno.

"Non sei in ritardo dolcezza!" Esclamò Sven, che si ostinava ancora a fingere che non sia successo nulla. "Comunque c'è un cambio di programma. Siamo al completo di personale, però ci servirebbe.. ecco.. " Si interruppe Sven. Aveva l'espressione di un bambino che chiede a sua madre se può fare un gioco pericoloso. La sua voce si affievoliva, si grattò la testa.

"Se.. magari.. tu .."

"Se io?" Chiesi incuriosita.

"Si tratta solo di ballare. Tu, sul cubo. Ballare e nient'altro. Ti va?"
Rimasi allibita a fissarlo. Non sapevo se mollargli uno schiaffo ed andarmene oppure accettare la proposta come vendetta contro di lui, perchè ero sicura che aveva fatto questo affinchè io non avessi accettato il lavoro.

"Ci sto. Quanto vengo pagata?"
"Vedrai. Sarà un bello stipendio. Ti accompagno a scegliere i vestiti allora!" disse. "Seguimi di sotto." Esclamò con aria maliziosa.

 

Mi provai un paio di abitini corti, quasi tutti neri, o blu con gli strass. Mi sentivo così nuda con quei vestiti.. Qualcosa però mi diceva che era una sfida contro Sven, e mi costringeva ad andare avanti; in fondo dovevo soltanto ballare.

 

Sven mi accompagnò al bancone tenendomi la mano sulla schiena. Sentì un lungo brivido percorrermi il dorso, dal collo al fondoschiena, quando percepii il calore delle sue dita appoggiarsi sulla mia pelle, oltre la scollatura del tubino nero.

"Per me una Vodka alla menta" Ordinò da bere, poi si rivolse a me "Anche per te, giusto?"

Ancora ricordava i miei gusti. Era incredibile. Si ricordava ogni dettaglio nonostante fosse passato qualche anno.

"No, io prendo unaVodka Lemon." Risposi con molta discrezione prima di dirigermi verso l'uscita d'emergenza.

 

Fuori era già buio. Tirai fuori dalla borsa una sigaretta e la accesi. Feci un tiro e percepì il freddo venticello sul mio corpo. Rabbrividì.

Scrissi un messaggio a Jay: "Vorrei tanto che fosse un sabato qualunque. Non ce la faccio più. Un semplice contatto con Sven se da un lato mi manda fuori di testa dall'altro mi sfinisce. Perchè gli esseri umani devono essere così complicati"

Feci un altro tiro. Eravamo io e la notte, mi separava dal caos del locale una semplice porta d'emergenza nera.

 

"Stai tranquilla, è chiaro che Sven non ti merita più. Dai che più tardi mi racconti che ti sei divertita!"

"No, mi fa male..."

"Piccola, è normale che ti fa male. Ma passerà come passa ogni cosa. Fidati che posso capirti meglio di chiunque altro quando ti dico che so che ti fa soffrire questa situazione. Non puoi affrontare le emozioni con distacco, proprio perchè sono "emozioni". Le devi lasciar correre, le devi provare. E' giusto così. Ma adesso è arrivato il momento di fasciarsi le ferite e camminare a testa alta, piangendo se necessario quando si è soli e ridendo quando si è in compagnia. Va bene? Dai, torno al banco ora. Tranquilla ci sono io!"

 

Rientrai a testa alta. Ora mi sentivo più forte. Dovevo comportarmi in modo più distaccato da una persona del genere. Con questa consapevolezza la serata scorse più facilmente. Il mio impiego non mi piaceva molto: c'erano ragazzi ubriachi che sembravano sbranarti se poco poco sarebbero potuti salire sul cubo. Con me c'erano altre e due ragazze, entrambe all'incirca della mia età. Una di loro mi raccontò che per soldi, dopo la messa in scena del ballo andava con i clienti. Non rimasi tanto sconvolta dalle sue parole, perchè per pregiudizio ci sarebbe da aspettarselo da una ragazza immagine.

In ogni caso non avrei mai, e dico mai, venduto il mio corpo. 

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Capitolo 4
*** Inconvenienti ***


Le serate al Blue scorrevano velocemente l'una dopo l'altra. Ma io non ero molto sicura di ciò che stavo facendo. Venivo pagata bene, ma evidentemente era troppo poco per la mia dignità di donna.

 

Una sera entrai al Blue e mi cambiai. Era il Summer Day, l'evento più caratteristico del locale, quello in cui si riempiva di ragazzi ubriachi, gruppi di ragazze che si prendevano a botte, e coppie che si mollavano.

Mi guardai allo specchio sistemandomi i capelli. Mi ripassai più volte il rossetto, feci un sospiro e mi feci largo in mezzo alla folla per andare a cercre le altre ragazze. Erano sul cubo che mi aspettavano, così andai da loro ed iniziai a ballare.

Il volume della musica era altissimo, c'erano più luci del solito, più fotografi. I ragazzi erano molto più eccitati rispetto alle altre volte.

Pensai più volte a Jay; avrei preferito indubbiamente stare con lui, magari a chiacchierare, a insultarci, a guardarci un film sul divano. Invece dovevo stare lì, quasi nuda, su quel cubo a muovermi. E non dovevo fermarmi mai. Non potevo.

 

Mi sentivo occhi puntati addosso da qualsiasi lato mi giravo, soprattutto due occhi verdi che stavano vicino alla Consolle. Sven, infatti, non mi aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per mezzo secondo. Mi sentivo in imbarazzo, ma cercavo di non farci troppo caso. D'improvviso una grande, squallida mano mi afferrò la coscia mentre ballavo. Mi immobilizzai e iniziai ad urlare. Kasy e Janette continuarono a ballare senza accorgersi di nulla. Kasy stava ballando con un uomo che la toccava ovunque. Evidentemente se lo sarebbe portato a letto più tardi.

Scesi in fretta dal cubo. Non riuscivo più ad urlare nè a respirare.

 

Dovevo andarmene. Quello non era il mio posto. Nessuno poteva toccarmi. Mi voltai verso Sven, dopodichè scesi in fretta dal cubo. Entrai nello spogliatoio, raccimolai i miei panni, che erano sparsi su una panchina di ferro vecchio e mi affrettai a prenderli alla rinfusa e infilarli nella borsa senza un ordine.

 

Entrai in bagno per riprendere fiato. Per la fretta feci cadere alcune cose, così mi sbrigai a raccoglierle. Appoggiai la borsa sul lavandino ed alzai lo sguardo sullo specchio. Avevo le guance nere, rigate da lacrime nere di trucco, e gli occhi spenti. Non avrei mai potuto dimenticare quell'uomo: calvo, occhi azzurri, barba e pizzetto. Teneva nell'altra mano una birra, e puzzva di fumo. Era squallido.

 

Ripresi la mia borsa, mi appoggiai la giacca sulle spalle e mi diressi verso la porta d'emergenza. Mentre stavo per aprirla sentì una mano afferrarmi il braccio.

"Piccola non andartene, parliamo" disse Sven fissandomi negli occhi.

"Sven, basta, me ne vado. Non accetto certe cose, ho chiuso con il Blue. Non ci rimetterò mai più piede, è una promessa."

"Ma tu ci servi...." Non fece in tempo a finire la frase che gli mollai uno schiaffo liberandomi dalla sua presa, che stavolta non mi fece alcun effetto. Mi voltai e corsi verso l'auto.

 

 

Era ancora inizio serata, così per un attimo mi balenò per la testa l'idea di andare da Jay, ma rimossi subito quel pensiero; non ero dell'umore adatto. Purtroppo, a volte, il limite è proprio essere 'esseri umani'.

 

 

Tornai a casa con la sola voglia di stare tranquilla, così rimasi in intimo. Riempì la vasca con acqua e sali minerali, accesi la radio e misi della musica rilassante. Socchiusi le finestre per avere appena poca luce e mi immersi in quel vapore profumato. Le pareti del nostro bagno erano arancioni. Spensi il cervello e cercai di concentrarmi solamente sull'effetto rilassante di quel colore caldo.

 

Uscì dalla vasca, mi l'accappatoio e mi asciugai un po' i capelli con un'asciugamano dello stesso colore, rosso prugna. Andai in pantofole in cucina e iniziai a scaldare l'acqua in un pentolino, la versai nella mia tazza e lasciai che il filtro di tisana alla melissa e alla valeriana la colorassero di rosso. Mi infilai il pigiama, mi asciugai i capelli, e mi stesi sul divano con la mia tisana a guardare un programma televisivo a caso.

 

 

Il cellulare squillò a lungo, tolsi la suoneria e mi rilassai.

 

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Capitolo 5
*** Life moves on ***


Ero felice. Stavo con lei su quella panchina, la solita. Quella di quel parco verde con le palme, dove potevamo stare tranquille. Era un lato della città separato dal resto delle persone, dove eravamo libere di abbracciarci.

 

Aprì appena gli occhi, ero sopravvissuta alla notte. Ero forte. Me ne accorsi dalla voglia che avevo di alzarmi, truccrmi e mettermi il più bello dei miei vestiti. Oggi sarei andata a licenziarmi, non potevo più lavorare al Blue.

 

Mi vestì e sbirciai in camera di Jay per accertarmi che stesse dormendo ma non c'era. Andai a controllare in salotto, dove lui spesso si addormentava ma non era neanche lì. Mi arresi al fatto che avesse dormito fuori casa quella notte e andai a prepararmi il caffè. Aprì lo scaffale per prendere una brioches e l'occhio mi cadde sul mio cellulare, così lo accesi.

 

C'erano molte chiamate di Sven, e un messaggio delle 4 di notte. Mi diceva che vedermi in quello stato lo riportò a pensare a quegli anni passati insieme, mi diceva che voleva proteggermi, che vedermi indifesa è stato terribile e che voleva tornare ad essere lui l'uomo che mi doveva proteggere.

 

Scorsi ancora tra i messggi e ne trovai uno di Jay "Stanotte dormo da Anna, poi ti spiegherò tutto. Scusa se non ti preparerò la colazione domani mattina. Ti voglio bene, Jay"

 

I miei pensieri, però, si soffermarono su Sven. Io lo odiavo, lo odiavo con tutta me stessa. Spariva per mesi, non avevo più sue notizie e poi riaffiorava. Riaffiorava come le margherite all'inizio della primavera, e come il freddo dell'inverno. Riaffiorava dal nulla senza che nessuno lo avesse chiamato. Senza permesso. Riportava quel dannato sorriso nelle strade di persone che sono riuscite a fare a meno di lui. Riaffiorava quando la speranza ormai mi aveva abbandonato, tornava per infastidirmi, per succhiarmi via dalle vene tutta l'allegria che avevo ritrovato con tanti sforzi. Sven era così malvagio. Penetrava all'interno dei miei sentimenti come se nulla fosse e tutto gli era dovuto. Si sentiva onnipotente. Ma lui non era Dio, e nessuno gli aveva dato il permesso di divertirsi ancora a mie spese. Lui giocava, io lo amavo. Nessuno gli aveva ridato la fiducia che aveva perso. Nessuno lo desiderava, era solo un portatore di problemi. Problemi grossi. Problemi di cui nessuno voleva occuparsi.

 

Presi l'auto e arrivai al Blue. Al bancone c'era lui.

"Sven possiamo andare in ufficio perfavore?"

Mi seguì, io camminavo davanti, a passo svelto. Entrammo nell'ufficio. Lui mi prese la mano "Grazie a Dio, mi ero preoccupato Alis."

Rimasi ferma e ritirai la mano "No Sven, tu ed io dobbiamo parlare. Innanzitutto preparami le carte, perchè mi licenzio."

 

Notai che le sue microespressioni facciali esprimevano tristezza, ma per fortuna anche rassegnazione, e continuai.

"Per quanto riguarda, invece, la nostra situazione credo che tu sei un problema. Però sai un'altra cosa? Purtroppo non sei il mio unico grosso problema. Le persone non possono arrivare a tutto, quindi fanno delle scelte e cambiano priorità, stile di vita in base allo scorrere degli eventi. Succede che d'un tratto gli impegni aumentano e le compagnie cambiano. Succede che quello che prima era in prima fila ora si trova negli ultimi posti. Succede che non sei più la priorità. Hai portato infelicità dove prima regnava la gioia, e per questo non meriti più il mio affetto. Non puoi ricomparire, non quando vuoi, e soprattutto, non senza preavviso. L'amore che c'era prima ormai è diventato indifferenza. Non ci sono più sguardi complici. Non siamo più quelli di due anni fa. Tutto scorre, tutto. Le cose belle, le cose brutte, e le cose che prima erano belle. E' andata così purtroppo. Ora dobbiamo voltare pagina."

 

Una lacrima comparse sul suo viso. "Ti prego Alis, sono me stesso solo quando sono con te. Sono un coglione, l'ho capito solo ora. Dalle tue parole. Tu.. mi manchi"

 

Era triste vedere quella scena, così mi sbrigai a concludere cercando di non pensarci. Non potevo dimenticare ciò che era successo.

 

"Sven, io ti auguro tutto il bene di questo mondo. Ti auguro di soffrire come io ho sofferto per te. Ti aiuterà a capire quali sono davvero le cose importanti. Quelle per cui vale la pena perdere tempo e gettare una lacrima. Ti auguro di innamorarti come se fosse un'altra volta il primo amore. Ti auguro di passare un periodo solitario in cui piangerai, e starai male. Dicono che il primo amore non si scordi mai, ed ora, caro, posso affermaare che è così.

Ti auguro tutto il bene come il male. Non ti dimenticherò. Sei la cosa più bella che mi sia capitata" Mi fermai, lasciai cadere una lacrima. "Però, Sven, sei anche la più brutta. Ora devo andare".

 

Presi la borsa, mi misi gli occhiali da sole neri per coprire la tristezza che avevo in volto. Entrai in auto, sistemai il trucco, misi il rossetto e feci un sorriso forzato per cercare di sentirmi "forte".

 

 

Non sapevo cosa fare, Jay non c'era, così ripensai al sogno di quella notte. Quella ragazza, dovevo rivederla. Era una fonte di felicità. 

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Capitolo 6
*** Incontri ed incidenti ***


"Christine, sono Alis. Sei in città?" inviai un sms e non smisi mai di guardare lo schermo del cellulare, che rimase scuro tutto il pomeriggio. Così mi dedicai alle faccende di casa, pulì la cucina, il bagno, camera di Jay e camera mia. Le nostre stanze erano grandi uguali, ma in quella di Jay non c'era nemmeno un oggetto al suo posto, ma come faceva a vivere lì dentro?

 

Nel mio armadio ritrovai un sacco di vestiti che non ricordavo nemmeno più di avere. Era una cosa abbastanza frequente per me riscoprire oggetti che non toccavo da tempo, soprattutto abiti. Tra questi ritrovai un vecchio vestito beije con la fantasia floreale nera, che mi riportò indietro nel tempo, precisamente alla serata del mio diciottesimo compleanno. Quanti ricordi, in pochi minuti, mi riaffiorarono in mente; la mattina in cui mi svegliai, il momento in cui realizzai di aver raggiunto il traguardo. Mi sentivo diversa, speciale, come il corridore che taglia per primo il traguardo. Mi sembrava ancora di sentire tutte le emozioni provate durante quella serata speciale. C'erano tutti i miei amici, ma tra balli, musica, scherzi, risate e, perchè no, qualche alcolico di troppo, passò troppo velocemente. Il momento in cui realizza di essere arrivata alla maggiore età arrivò quando, una volta a casa, mi tolsi i tacchi. Mi stesi sul letto, sola, e capì solo a quel punto di aver passato l'adolescenza.

 

 

"Ciccia stasera non prepararmi cena che mi fermo qui da Luciana a dormire.. Scusa, scusa, scusa."

Il messaggio di Jay mi fece sobbalzare, ero così immersa nei miei pensieri.

"Ok" risposi in maniera frettolosa, realizzando solo dopo che avrei passato un'altra serata davanti al televisore.


Erano ancora le 18:30, non sapevo più cosa fare così accesi la tv per farmi compagnia e iniziai a prepararmi cena, ma la suoneria del cellulare mi distolse da ciò che stavo facendo.

 

Presi un panno, mi asciugai le mani e risposi. "Oi, Alis, sono Chry!"

Mi mancava la sua voce, sapeva trasmettermi tranquillità, gioia.
"Chry! Ciao, come va? Sei in città?" risposi con entusiasmo.

"Sono appena tornata da Londra, sei libera per un aperitivo?"

"Certo, dammi il tempo di prepararmi!"

"Perfetto, allora sono in tempo per farmi una doccetta?"

"Si, facciamo alle 19:00 al W.A.?"
"Va bene, a dopo. Puntuale eh!"
"Come un orologio svizzero." Risposi sorridendo.

 

Alle 19 in punto aprì lo sportello della mia auto, e vidi Christine davanti alla porta. Indossava una camicetta bianca a maniche corte, un paio di pantaloncini beije, ed aveva i capelli legati, come suo solito. Le corsi in contro e ci abbracciammo. La vicinanza con il suo corpo mi mandava fuori di testa. Allentammo la presa e mi diede un bacio sulla guancia, poi prendendomi la mano mi trascinò nel locale. Mi lasciò non appena ci vide il barista, poi ordinammo da bere.

 

"Allora, raccontami quante ragazze hai conquistato a Vienna!" dissi con tono ironico.

"Qualcuna. Ho conosciuto una ragazza che aveva le mani bellissime. Pitturava, era creativa, sensibile. Mentre ero con lei ho imparato a vedere il più bel dettaglio in un qualsiasi luogo."

 

Aveva una voce bellissima, mentre raccontava ero un po' malinconica; forse mi dispiaceva un po' non essere quella ragazza di cui mi stava parlando.

 

"Per esempio" continuò "una notte eravamo in giro per locali, avevamo bevuto un po' entrambe e non sentendoci tanto bene siamo entrate in uno squallido bagno. Le pareti erano tutte scritte, sporche, il WC era indecente, in pessime condizioni e Sarah mi disse che quel luogo le piaceva. La guardai come si guarda qualcuno che va ad una serata elegante in pigiama; lei mi prese per mano, sorrise e mi indicò una scritta fatta con le bombolette. C'erano due nomi e due date, il dodici gennaio, e un'altro giorno uguale, solamente di vent'anni dopo. Era fantastica."

 

Tra noi scese il silenzio. Non era un silenzio muto, ma parlava più di qualsiasi altra parola. Ormai non pensavamo più al racconto di prima, ma a noi. Insomma, lei si sarebbe dovuta aspettare una risposta, un feedback da me, ed io avrei dovuto darglielo. Ma nessuna di noi due ci pensava più. Eravamo entrate in un'altra situazione, in cui gli sguardi valevano più di tutto.
 

Chris mi accarezzò la mano e proprio in quel momento mi venne voglia di abbracciarla.

 

Arrivò il barista e lei tolse la mano dal tavolo. Feci anch'io altrettanto. Proprio in quel momento mi squillò il cellulare.

 

"Pronto con chi parlo?" disse una voce femminile.

"Sono Alis.." risposi perplessa. Non riuscì nemmeno a chiedere lei chi fosse che la voce continuò.

"Scusa se la disturbo, solo che il proprietario del cellulare ha avuto un incidente in moto, ancora non ha ripreso conoscenza, non ha dietro nessun documento e non siamo riusciti ad identificarlo. Lei era il primo nome che ci è apparso tra le sue chiamate effettuate."

"Oh, mio Dio. Arrivo subito." Mi sentì morire, come se d'improvviso la mia vita fosse finita.


"Qualche problema Alis?" mi disse Chris.

"Si, Jay, ha avuto un incidente. Scusami ma devo proprio andare. Dì al barista che ripasso a pagare." risposi frettolosamente.

"Vuoi che vengo con te?" domandò.

"No, no tranquilla. Ci sentiamo, ti chiamo"

 

Mi precipitai in ospedale e chiesi di Jay. L'infermiera, probabilmente quella con cui avevo parlato al telefono, mi disse che si era appena svegliato. La seguì nella stanza dov'era ricoverato.

 

"Jay!" esclamai con le lacrime agli occhi. "Ma che combini?"

"Che sarà mai, Alis? Un imbecille non ha messo la freccia ed io non ho fatto in tempo a frenare" rispose come se non fosse successo nulla.

"La distanza di sicurezza non è un hobby! Ma tu stai bene?"

"Domani mattina mi diranno i risultati. In ogni caso il pomeriggio hai da fare oppure accompagnerai il tuo migliore amico a portare la moto dal meccanico? L'ho distrutta, povera!"

"Jay spero che stai scherzando." Mi misi a ridere e lo abbracciai.

 

Tornai a casa per prendergli un cambio e decisi di restare con lui in ospedale.

"Luciana comunque è una donna di potere" ruppe il silenzio Jay.

"Eh, si. Per sopportarti credo che ne abbia fin troppo!" Scherzai.

"No, scema! Intendevo che è il mio datore di lavoro. Ed io..... bhè..." alzò un sopracciglio. Quando faceva quella faccia da superiore avrei sempre preferito mollargli una sberla anzichè restare ad ascotarlo.

"E tu cosa?" Ci fu un momento di silenzio tra noi. "No, non mi dire che..." continuai.

"E' già! Le ho proposto di partire e restare fuori una notte, le ho pagato tutto io, lei non ha potuto dire di no. Però poi mi ha restitutito il favore. E ci sa anche fare, se proprio vuoi saperlo." Affermò con soddisfazione.

Jay era il tipo da pazzie del genere, ma dopotutto era proprio per questo che era il mio migliore amico!

 

L'indomani mattina mi ritrovai seduta sulla sedia con la testa e le mani appoggiate sul lettino di Jay. Venni svegliata da un'infermiera. Non era la stessa di ieri: aveva i capelli più lunghi e scuri, ed era alta e slanciata. Svegliai anche Jay.

 

"Buongiorno ragazzi. I risultati sono qui, è tutto scritto nella busta. Potrete prendere le vostre cose, passare nel reparto fisioterapie per ritirare la carrozzina, e lasciare l'ospedale in mattinata. Salve."

 

Le nostre facce erano diventate di ghiaccio. "Aspetti. Cosa? Carrozzina per cosa?" Chiese Jay.

"Non credo che lei potrà più camminare signor Mail. Mi dispiace."

Jay non rispose e abbassò lo sguardo.

"Ma non si può far nulla? Terapie, medicinali..?"

"Mi dispiace, noi non possiamo far nulla. Signor Mail, coraggio, le poteva andar peggio"

sdrammatizzò la Dottoressa provocando odio nei miei confronti.

"Ti prendo la carrozzina e ti porto in un altro posto, andiamocene da qui ora."

 

Jay non disse nulla, lo aiutai a sistemare le sue cose, cercai con molti sforzi di farlo sedere sulla carrozzina e lo portai a casa.

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Capitolo 7
*** Paint ***


"Tesoro, ho rivisto Christine."

Jay era sdraiato sul divano in pigiama. Aveva il televisore acceso, ma non lo stava guardando. Solo, di tanto in tanto, rispondeva frettolosamente a qualche messaggio. Si girò e mi guardò male.

"Dai, non fare così. Ci sto bene insieme."

"Ma sei bellissima, potresti avere il ragazzo che ti pare, invece esci con quella?"
"Ma io sto bene con lei" Insistetti.

"Dai Alis, riprenditi. Secondo te quella è una ragazza? Non l'ho mai vista mettersi lo smalto, un paio di tacchi o un'ombretto." Disse con disprezzo Jay.

 

Continuai a preparare il pranzo, quella mattina lui si alzò tardi, così io feci colazione con Christine per scusarmi del giorno precedente, poi passai al Centro di Recupero per malattie mentali e grazie alla mia sudata laurea in psicologia riuscì a trovare un impiego. Mi avevano affidato dei bambini con alcuni disturbi, ma avrei iniziato a lavorare dalla settimana seguente. Non era molto semplice trovare impieghi comuni a Countville, ma in questi centri, a causa della necessità di una buona laurea, erano a corto di personale. Chiunque imparava il mestiere lì, poi se ne andava altrove a lavorare. A me, invece, piaceva quel posto.

 

"Jay io non mangio, devo farmi la doccia, poi esco con Chri." Sorrisi e gli porsi il piatto di riso con le zucchine. "Qualsiasi cosa chiamami."

 

Riempì la vasca da bagno, chiusi la porta e mi abbandonai a me stessa. Mi sentivo rilassata quando lasciavo il resto del mondo dietro alla porta del bagno. Mi sedetti dentro alla vasca, e man mano, con lentezza mi allungai. Solitamente mi stendevo quando l'acqua mi copriva metà corpo, lasciando intravedere le mie gambe, la mia pancia, ed il mio seno. Amavo giocare con l'acqua; immergevo le mani e poi mi divertivo a lasciar scivolare le gocce lungo le dita, le unghie e far rimanere le gocce sul mio corpo. L'acqua era bollente, questo mi faceva rilassare ancora di più. Accesi una sigaretta e mi abbandonai ai miei pensieri.

 

Non riuscivo a smettere di pensare a Chri. Stavo bene con lei, anche quando rimanevamo in silenzio. Adoravo la sua voce, i suoi racconti, il suo modo di legare i capelli, adoravo il contatto con lei ed a volte era veramente dura resistere per non abbracciarla. A volte era difficile anche non baciarla.

Quando ero con lei mi sentivo in un altro mondo, nel nostro. Dove non esisteva rabbia o tristezza, eterosessualità o omosessualità. Queste erano solo parole, non avevano un significato. Quando noi ci prendevamo per mano, tutto il resto scompariva.

 

Mi misi un asciugamano addosso e sbloccai il cellulare.

"Oi, rossa! Ti va di andare al parco oggi pomeriggio?"

La chiamai. "Ei bionda. Dai per scontato che oggi sia libera?"

"So che sei libera, e sono sicura che anche se non fossi libera per me lo saresti." Disse con tono ironico.

"Sei fortunata, ragazza, perchè oggi non ho proprio nulla da fare, quindi a costo di andare al parco con una stronza, esco."

 

Battibeccare era il nostro passatempo preferito. Dietro ad ogni battuta c'era un significato.


"Allora la stronza ti aspetta al parco tra un'oretta."

 

"A dopo, baby"

 

Aprì l'armadio; come ogni giorno non sapevo cosa indossare. Stavolta, però, era diverso. Sentivo di dover cambiare, tornare me stessa. Indossai un vestito bianco abbinato alle superga, rosso sangue. Presi le chiavi dell'auto, salutai Jay con un bacio sulla guancia e stavo andando verso il parco.

 

Passai lungo la Nazionale per far prima e passai davanti ad un grande cartello che catturò la mia attenzione.

"Taglio dieci euro, nuova apertura"

Dato che mancavano ancora tre quarti d'ora cercai un parcheggio e scesi.

 

Entrai dentro una grande sala, doveva essere un locale nuovo. Era un arredamento moderno, muro bianco, grossi specchi, e poltrone viola. Il personale era giovane, ed erano vestiti anche loro di bianco e viola. C'erano già due persone a farsi i capelli, così mi sedetti e iniziai a sfogliare qualche giornale.

 

"Salve, sei una tipa che osa vedo!"

 

Mi disse sorridendo un ragazzo muscoloso con un braccio tatuato.

"Li vuoi tagliare così corti? Sarebbe un peccato, lunghi ti stanno molto bene!"

 

Sorrisi anche io. Non sapevo ancora se volevo tagliarli. Ero in vena di cambiare, ma non sapevo fino a che punto. Da qualche parte avevo sentito dire che quando una donna vuole cambiare inizia dai capelli, così annuì.

 

"Ciao! Che ne dici di questo?"

 

"Penso che ti starebbe bene, hai un viso delicato quindi ti starebbero bene quasi tutti i tagli di questa rivista!"

 

Il ragazzo mi lavò i capelli, poi mi fece accomodare su una di quelle poltrone moderne viola. In pochi minuti, l'agilità di quel ragazzo mi fece diventare un'altra persona.

 

Mi guardai allo specchio, mi piacevano. Li lasciai comunque rossi, ma li avevo rasati nella parte bassa e lasciati appena più lunghi sopra, che scivolavano a sinistra. Pagai ed uscì.

 

Arrivai appena in tempo al parco. Christine era già lì. Mi guardò stupita e perplessa.

Mi avvicinai e la abbracciai forte. Lei si girò verso il mio collo e lo baciò facendomi sentire brividi per tutto il corpo. Sentivo il suo naso vicino al mio orecchio, la strinsi più forte.

 

"Sei bellissima" mi sussurrò.

 

"Tu" le risposi.

 

Un tuono interruppe quel momento, così la guardai arrabbiata.

 

"Se volevi venire proprio in questo posto almeno avresti potuto controllare le previsioni!"

 

"Dai, sediamoci, tanto non pioverà, ne sono certa." Mi prese la mano e iniziò a camminare.

 

Quel parco era il più famoso della zona, apparteneva da sempre a una famiglia di giapponesi. Lo curavano sempre nel migliore dei modi, per loro ogni singola foglia era viva e meritava una vita degna tanto quanto quella di un essere umano. Non appena si oltrepassava la staccionata che racchiudeva quei due kilometri si poteva respirare aria pulita, si sentiva odore di erba tagliata e di fiori. Si incontravano talmente tanti alberi di pesco fioriti di rosa che sembrava di stare in Giappone. C'erano anche qualche stagno con i pesci rossi e qualche casa sugli alberi, dove spesso vi erano coppie di ragazzi o bambini.

 

Christine mi trascinò attraverso qualche sentiero più nascosto e giungemmo in un posto tranquillo. Rispetto alla grandezza del parco era come se si potesse parlare di periferia. Era un piccolo spazio, di due metri quadrati massimo, delimitato da una siepe e qualche albero.

 

Ci sedemmo su una panchina di legno, ed io tirai fuori dalla borsa un carboncino rosso ed un foglio.

 

"Cosa fai?" Disse Chri divertita.

 

"Resta così" le spostai un ciuffo di capelli e iniziai a ritrarla. "Non muoverti molto, se puoi."

 

Era così bella. Aveva dei lineamenti perfetti, sguardo perfetto, e labbra da baciare.

 

"Sei divertente." Mi appoggiò un fiore sull'orecchio. "Così sembri più un'artista! Come nei film"

 

Sorrisi, ma cercai di non distrarmi altrimenti era finita. Mi misi in bocca una sigaretta per non distrarmi e girai il pacchetto verso di lei, sempre senza parlare.

Chris ne sfilò una, se la mise in bocca, poi facendo meno movimenti possibili prese un accendino dalla sua tasca e accese sia la mia, sia la sua.

 

Mi guardava immobile. I suoi occhi erano sinceri, mi stavo innamorando di lei.

 

"Sei bellissima" mi disse. La guardai e la rassicurai che anche lei lo era; lo feci con lo sguardo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Sorprese ***


Quella mattina "Surfing USA" dei Beach Boys mi svegliò alle otto in punto. Sbloccai lo schermo del cellulare per spegnere la sveglia e c'era un messaggio di Chri.

 

"Buongiorno bellissima, è possibile che già mi manchi?"

 

Sorrisi; la giornata iniziò per il verso giusto.

 

Andai in cucina e Jay era seduto affacciato all finestra sulla sua sedia a rotelle. Nonostante la sua condizione era riuscito a prepararmi una delle sue eccessive colazioni: sul tavolo, infatti, c'erano dolci di ogni tipo, caffè e succo d'arancia rossa.

 

Non si accorse che ero lì, così gli andai in contro e lo abbracciai.
"Buongiorno amore" mi disse dandomi un bacio sulla guancia.

 

"Jay oggi andremo dal mio medico di famiglia, tu non puoi restare così per sempre." Affermai con sicurezza.
Lui rise. "Non si può far niente, non hai sentit la dottoressa?"

"Non lascerò che una persona piena di energia come te non cammini più, quindi oggi vieni con me."

 

Indossai una maglia lunga nera, con le parigine e un paio di stivaletti neri stretti alla camba, poi aiutai Jay a vestirsi. Gli consigliai una semplice tuta per stare più comodo, ma lui mi rise in faccia.

"Non è perchè sono in una sedia a rotelle che posso perdere la mia dignità." Mi disse con un misto di arroganza e ironia prima di mostrarmi uno smoking blu.

 

Fuori stamattina pioveva, era già iniziato l'inverno. Mi piace questa lunga stagione, ma la gente che si incontra si lamenta nel novanta per cento dei casi. Quando è estate dicono che non vedono l'ora che rinfresca perchè il caldo non si sopporta più; poi fanno lo stesso per il freddo. Non so se esista qualcuno in grado di comprendere la natura umana, ma se la risposta fosse positiva vorrei tanto conoscerlo.

 

Entrammo dentro un alto palazzo con vetri a specchio. Era la clinica dove avrei lavorato anche io. Un corridoio ampio con pareti bianco candido separava più stanze, ognuna con un nome specifico. Cercammo quella del Dottor Skils e bussammo.

 

"Il Dottor Skils riceve solo per appuntamento" ci disse la segretaria "mi dispiace".

 

"Guardi, è una cosa urgente, non si potrebbe fare un'eccezione per questa volta?"

 

Era una ragazza dell'età nostra suppongo. Ci sorrise "E va bene, tanto al momento non ha molti appuntamenti. Aspettatemi qui un attimo"

 

Jay mi guardò con sguardo complice, cosa che non avevo più visto che faceva da quando ebbe quella notizia.

"Credi che ptotrò ancora andare in moto?"

"No Jay, non ci andrai più in moto. Però so per certo che potrai camminare di nuovo."

 

Aspettammo in silenzio novità, così ne approfittai per rispondere a Christine.

"Buongiorno piccola, manchi tanto anche a me. Stasera c'è una serata al Mine, ti va di andarci?"

Bloccai lo schermo del cellulare e lo buttai di nuovo tra trucchi, portafoglio, occhiali, cuffie nella borsa.

 

Il suono della porta squarciò il sordo silenzio. "Salve" sorrise un uomo panciuto con la barba e i baffi. "Sono il Dottor Skils, prego, entrate pure."

 

Gli raccontammo ciò che era accaduto, lui visitò Jay e gli disse di alzarsi in piedi. Jay non si alzò. Disse che non poteva più camminare, così il dottore si mise a ridere.

"Non è rotta, puoi camminare. In quell'ospedale sono incompetenti, non so come facciano ancora a lavorare. Si meriterebbero una denuncia per questo!"

Allungò una mano verso Jay e lo aiutò ad alzarsi. Lui era scettico, mi guardò e io gli feci cenno di provarci.

 

La sua fronte sudava. Si lasciò aiutare dal Dottore, appoggiò una mano sulla carrozzina per spingersi e guardò le sue gambe che tremavano.

"Coraggio ragazzo!" Lo incitò l'uomo. Jay si alzò e fece un urlo di gioia. Mi corse in contro e mi strinse forte.

"Grazie Alis. Mi hai salvato.

 

Una lacrima mi scivolò lungo il viso. Strinsi la mano al Dottore e Jay fece altrettanto. Lo ringraziammo, ma non volle essere pagato, così Jay lo invitò a prendere un caffè e abbiamo discusso sull'inaffidabilità dell'ospedale pubblico, dei suoi funzionari e gli accennai che avrei lavorato lì.

 

Sbloccai lo schermo del cellulare, e c'era una chiamata senza risposta da Christine, la richiamai.

"Oi, Chri, mi avevi telefonato? Scusami ma non potevo rispondere."

"Si, mi mancava la tua voce" disse provocando in me una sensazione di piacere che mi lasciò sfuggire un sorriso. Ci fu una pausa. "Mi manchi da morire, quando non sono con te odio tutto ciò che mi circonda; quando invece siamo insieme passa in secondo piano. Ora non ci sei, quindi sento di voler distruggere tutto"

 

Chris non era una tipa dolce, ma era sensibile. Sapeva stupirmi, questo contava più di tutto il resto.


"Dove sei?" Le chiesi.

 

"Sono a casa, tra tre quarti d'ora esco con delle mie amiche. Allora ci vediamo stasera va bene?" Disse sconsolata.

 

"Va bene cucciola, a stasera"

 

Improvvisamente qualcosa nella mia testa mi diceva che non potevo aspettare questa sera per vederla. Accompagnai Jay a casa, in auto non smise nemmeno un istante di ringraziarmi, mi diedi una sistemata ai capelli, misi un po' di rossetto e presi la Dawson Street a novanta all'ora.

 

"Ti manco ancora?" mandai un sms a Chri, che mi rispose dopo nemmeno un minuto.

"Tantissimo" rispose.

"E se ti dicessi che sono davanti casa tua cosa faresti?"

 

 

 

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Capitolo 9
*** Kiss ***


"Ti abbraccerei forte, comunque vado a prepararmi bella, a stasera." Rispose Chri.

 

Suonai il campanello del suo appartamento, e la sua voce giunse chiara "Sto arrivando!" urlò da chissà quale stanza.

Mi aprì la porta e senza darle il tempo di realizzare che fossi lì la strinsi forte.

 

"Mi viene da piangere Alis..." sussurrò con gli occhi lucidi.

 

Mi prese la mano e mi condusse attraverso un corridoio abbastanza stretto nella sua camera. Era azzurra, ampia, c'era un armadio, molte foto appese ai muri, e un letto matrimoniale.


"Scusa il disordine ma.." Disse prima che io intervenni mettendole la mano davanti alla bocca.

"Non dire nulla" sussurrai mentre la feci sedere sul letto "Non servono le parole"


Era bellissima. Capelli biondi, legati, fisico perfetto. Indossava un pantalone nero e una maglietta bianca con qualche strano disegno.

Mi teneva le mani tra le sue e quel delicato contatto non era nemmeno lontanamente paragonabile a vedere il Paradiso.

Mi chinai appena baciandole la fronte, lei mi tirò verso di se e mi sedetti sulle sue gambe. Ci abbracciammo a lungo.

Mi voltai appena in modo da accarezzare la sua pelle con le mie labbra. Profumava, il suo odore era diventata la mia ossessione. Lei mi accarezzava le gambe, ed io continuavo ad esplorarla. Le sposai la manica della maglia in modo da vedere la sua spalla nuda. Iniziai a baciarla, lungo il collo, le morsi il lobo. Le sue mani continuavano ad accarezzarmi le gambe, le infilò sotto la mia maglia. Erano calde, e percorrevano lentamente la mia schiena.

"Sei bellissima" sussurrai al suo orecchio.

"Tu lo sei" rispose ansimando.

Le mie labbra erano sempre più affamate del suo odore, del contatto con lei. Non sapevo se ciò che stavo facendo era naturale, ma avevo la consapevolezza che era l'unica cosa che desideravo.

Mi baciò la guancia, ci sfiorammo i nasi, intrecciammo le nostre dita come se ci erano state donate per cercare ognuna quelle dell'altra. Le sue guance presero il colore dei miei capelli, eravamo calde, ansimanti.

 

Le mie labbra cercavano le sue, e vi si poggiarono delicatamente.

 

Lei mise una mano dietro alla mia testa, io le toccai i capelli; erano così morbidi e setosi.. Stavolta la passione ebbe la meglio; i nostri corpi si cercavano, le nostre labbra li accontentavano.

 

Squillò il suo cellulare. Lei appoggiò la testa sul mio petto, ed io la strinsi a me accarezzandola dolcemente. Era fragile sul mio petto. Appoggiai il mento su di lei e la coccolai un po'.

 

Appena uscimmo da quello stato di coscienza caotico lei si alzò, io risi con ironia.

"Che ridi?" Mi chiese

"Dovresti guardarti allo specchio Chri.."

 

"Che stronza, la prossima volta che ti metti il rossetto non ti bacio." Disse, rossa in viso, cercando di toglierselo con un pezzo di carta.

 

"Ti voglio bene" le dissi con tono della voce un po' più basso mentre la stringevo da dietro mentre si toglieva il rossetto.


Lei si girò, mi afferrò il viso e mi baciò. "Anche io amore."

 

 

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