Vittima Innocente

di sophie97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una tranquilla dimora... ***
Capitolo 3: *** "Parlerò solo in presenza del mio avvocato" ***
Capitolo 4: *** Solo i morti non parlano ***
Capitolo 5: *** Esplosione ***
Capitolo 6: *** Sensazioni ***
Capitolo 7: *** Notizie inaspettate ***
Capitolo 8: *** Erik Gehlen ***
Capitolo 9: *** Vediamoci ancora ***
Capitolo 10: *** Incomprensioni ***
Capitolo 11: *** Appuntamenti ***
Capitolo 12: *** Il Giaguaro ***
Capitolo 13: *** Uccidilo ***
Capitolo 14: *** L'inizio della recita ***
Capitolo 15: *** Rabbia ***
Capitolo 16: *** Notti in bianco ***
Capitolo 17: *** Lo specchio della Verità ***
Capitolo 18: *** Io sono innocente. ***
Capitolo 19: *** Basta! ***
Capitolo 20: *** Desiderio di vendetta ***
Capitolo 21: *** Visite ***
Capitolo 22: *** Lettera ***
Capitolo 23: *** Lungo il Reno ***
Capitolo 24: *** La morsa del buio ***
Capitolo 25: *** Amnesia ***
Capitolo 26: *** Inganno ***
Capitolo 27: *** Il felino e la gazzella ***
Capitolo 28: *** Novità ***
Capitolo 29: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 30: *** Confidenze al vuoto ***
Capitolo 31: *** Trasferimento ***
Capitolo 32: *** Nessuno vince sempre ***
Capitolo 33: *** The end ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Prologo

Faceva un caldo terrificante.
Semir non ricordava un’estate così calda a Colonia da anni e anni addietro.
Eppure l’ispettore aveva smesso di far caso al clima e a tutto il resto che lo circondava ormai da giorni. Da quando era accaduto ciò che mai avrebbe immaginato sarebbe successo.
Indugiò ancora qualche minuto davanti al Penitenziario prima di entrare esibendo il proprio tesserino.
Si guardò intorno, si sentiva osservato e sapeva di esserlo effettivamente.
Con un sospiro chiese alla guardia di accompagnarlo dall’ispettore Ben Jager e lasciò che il ragazzo grande e grosso a cui aveva appena domandato gli facesse strada lungo gli intricati corridoi della struttura.
Raggiunse la sala dei colloqui e ringraziò il giovane, che si allontanò con un sorriso veloce.
Adesso doveva semplicemente aprire quella porta.
Tirare giù quella maniglia e parlare con lui.
Doveva riuscirci.

 

Ben si alzò di scatto quando la guardia lo venne a chiamare.
Questa aprì la porta della cella in cui il poliziotto era rinchiuso e lo spinse in malo modo fuori dalla piccola stanza.
«C’è una persona che ti vuole parlare.» borbottò, con voce sprezzante.
Ben annuì e lasciò che l’uomo lo spingesse violentemente lungo il corridoio per arrivare quindi all’aula del colloquio.
Era naturale che fosse trattato così, i poliziotti in carcere erano trattati peggio di qualsiasi altro tipo di detenuto, anche dalle stesse guardie.
Entrò nella stanza e un sorriso gli si dipinse sul volto vedendo chi lo aspettava dall’altra parte del vetro divisorio.
Ma il sorriso si spense presto, non appena al giovane ispettore tornarono in mente le immagini dei giorni passati, di quei terribili momenti, di quella situazione totalmente sbagliata.
Fu allora che si chiese cosa ci facesse lì il suo ex collega.
Era venuto ad accusarlo come aveva fatto l’ultima volta in tribunale?
Lo sguardo a terra, si diresse verso il vetro e si sedette di fronte ad esso, mentre un’altra guardia, diversa da quella che lo aveva portato fin lì, assisteva al colloquio alle sue spalle, a pochi metri di distanza.

 

A Semir si strinse il cuore vedendo l’amico ridotto in quello stato: aveva un occhio nero, era pallidissimo ed era dimagrito visibilmente.
All’improvviso si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire.
Perché voleva dirgli la verità ma non ne aveva il coraggio.
«Ehi.» esordì Ben dall’altra parte del vetro.
Semir si limitò a guardarlo, senza fiatare, mentre il senso di colpa lo rodeva dall’interno.
«Semir, pensi ancora che sia stato io?».
«Ben...».
«Dimmi solo perché. Perché? C’eri anche tu, hai visto cosa è successo.» replicò il più giovane con sguardo quasi supplichevole.
Semir sospirò. Aprì la bocca per parlare ma fu allora che vide. Vide la guardia alle spalle di Ben tirarsi di poco su la manica della camicia che indossava con un gesto impercettibile. Vide il tatuaggio, quel tatuaggio, che l’uomo gli indicò con un cenno del capo, per assicurarsi che lui lo notasse.
Lo controllavano anche lì, non poteva cedere, non ancora.
«Appunto Ben, ho visto cosa è successo, ti ho visto mentre sparavi.» disse quindi.
«Ma cosa stai dicendo?» domandò Ben sull’orlo delle lacrime. Si era riproposto di non piangere ma mantenere questa promessa fatta a se stesso risultava adesso particolarmente difficile.
«Ti ho visto. Hai premuto il grilletto Ben, l’hai ucciso. Io sono un poliziotto e ho detto quello che ho visto.» rispose Semir, atono.
«Ma non è vero! Non è vero, maledizione, non è vero!».
Il turco annuì.
«Sì che è vero Ben, l’ho visto, ti ho visto!».
Ben abbassò lo sguardo, gli occhi gli bruciavano terribilmente.
Perché il suo migliore amico si comportava così? Non riusciva a capire, non capiva! Arrivò persino a pensare di avere torto. Che lui, Ben Jager, avesse ucciso un uomo per poi dimenticarsene? Ma come sarebbe stato possibile?
Improvvisamente, senza nemmeno sapere come, provò una rabbia incontrollabile nei confronti del collega. Era troppo, aveva sopportato troppo.
«Se sei venuto qui sono per ribadirmi questo puoi anche andartene Semir, io non ho niente da dirti.».
Semir non replicò.
Si alzò senza più guardare l’amico negli occhi, e comunicò alla guardia che il colloquio era terminato.

 

È un bel po’ di tempo che ho scritto questa storia, ma non mi sono mai decisa a pubblicarla. Oggi l’ho notata per caso e ho pensato fosse giunto il momento.
Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qua e un grazie particolare a chi vorrà lasciare una recensione, mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, anche in negativo.
Che dire? Al prossimo capitolo, spero di non annoiarvi continuando a scrivere storie ma è più forte di me, non posso non scrivere su di loro!
Grazie ancora.
Sophie :D

 

PS: un ringraziamento a maty che mi ha fatto tornare l’ispirazione per i banner iniziali ;)

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Capitolo 2
*** Una tranquilla dimora... ***


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Due mesi prima...

Ben Jager inciampò distrattamente su un tronco d’albero posizionato per lungo sul terreno.
Stava per ritrovarsi disteso con la faccia a terra quando sentì una mano afferrarlo per la manica della maglietta e tenerlo in piedi.
«Veda di non ammazzarsi ispettore, mi serve vivo.» scherzò Semir mollando la maglietta.
«Sa essere decisamente opportunista a volte, ispettore Gerkhan.».
Entrambi risero, continuando a camminare nell’intricato sentiero in mezzo al bosco.
«Ben, quando potrò sapere dove stiamo andando?» domandò Semir dopo qualche minuto di cammino in perfetto silenzio.
«Te l’ho già detto, devo mostrarti una cosa.» rispose il più giovane con un sorriso.
«Questo l’avevo capito... ma per quanto dobbiamo camminare ancora in questa boscaglia?».
«Non sarai mica stanco, Semir?».
«Chi, io? Ma figurati! Infondo sono solo due ore che camminiamo.» ironizzò il turco «E pensare che Aida voleva andare all’acquario e io le ho detto di no perché “lo zio Ben” doveva farmi vedere una cosa importante.».
Ben scoppiò a ridere «Povera la mia principessina!».
«La tua principessina, nota bene.» sottolineò Semir.
«Eh certo, di chi se no? Lei è la principessa e io sono il re.» affermò Ben cercando di mantenere un tono serio e ufficiale, almeno fino a quando non ricevette uno spintone da parte del collega ed entrambi scoppiarono di nuovo a ridere.
«Forse dovresti cercartene una un po’ più grande, di principessa.».
«In effetti ho conosciuto una ragazza...».
«Davvero?» quasi gridò Semir, entusiasta «Quando me la fai conoscere?».
«Calma socio, non conosco nemmeno il suo nome!» spiegò Ben con un sorriso «L’ho vista l’altra sera ad un mio, chiamiamolo così, “concerto” in un locale, quando ho finito abbiamo cominciato a parlare e... non lo so, è allegra, simpatica, sa sempre quando e cosa dire.».
«E non le hai chiesto il nome.» costatò il turco con una smorfia di disapprovazione.
«No, ma la rivedrò, ne sono sicuro.».
«Sarà!».
«Comunque socio, siamo arrivati.» annunciò il più giovane fermandosi in mezzo ad una piccola radura davanti ad una casetta di legno antico.
Semir lo guardò con fare interrogativo.
«Ta taaan!» fece invece l’altro indicandogli l’abitazione con un sorriso a trentadue denti «Mi sono fatto un piccolo regalo, ti piace? Almeno avrò un posto tranquillo e isolato dove passare i pomeriggi in cui sono fuori servizio ed allenarmi a suonare indisturbato.».
«E magari dove portare la tua amica senza nome in caso voleste...».
«Semir!» lo interruppe il collega lanciandogli un’occhiata fulminante.
«Era solo un’ipotesi.» rise il turco avvicinandosi piano alla casa.
«È interamente costruita con legno di faggio, è stata terminata giusto ieri. Guarda, non ha nemmeno un graffio e poi guarda le pareti esterne come sono lucide! E poi i vetri delle finestre, guarda, sono di ultima generazione, da fuori non si può guardare all’interno, mi sono costati un capitale. E poi il contesto è meraviglioso, qui non mi disturberà mai nessuno, non prendono nemmeno i cellulari! E, un’altra cosa, le assi di...».
Ben non riuscì a terminare la frase, il suono di uno sparo lo interruppe.
Si voltò verso Semir senza capire ma il collega si era già accucciato dietro ad un cespuglio.
«Ben, che fai? Sta giù!».
Il ragazzo fece come gli aveva detto l’altro ispettore e i due aspettarono per qualche istante.
«Da dove veniva?» chiese il più giovane in un sussurro, dimenticandosi totalmente dell’accurata descrizione che stava imbastendo riguardo la sua nuova dimora.
«Non lo so... da sinistra credo.» rispose l’altro dando un’occhiata in giro «E questa non è certo stagione di caccia.».
«Assolutamente no. Andiamo a vedere...» ma di nuovo Ben non ebbe modo di finire la frase che due ragazzi passarono di corsa davanti a loro, attraversando la radura senza nemmeno vederli. Correvano a più non posso e poco dopo i due poliziotti ne compresero il motivo: tre uomini armati fino ai denti li seguivano correndo altrettanto velocemente e sparando non appena pensavano di avere uno dei due sottotiro.
«Mapporca! Fermi, polizia!» urlò Semir uscendo improvvisamente allo scoperto con la pistola puntata davanti a sé.
I tre uomini si fermarono mentre i due inseguiti si nascondevano sul retro della casa. Uno dei tre bisbigliò qualcosa e gli altri cominciarono a sparare in direzione del poliziotto, che si vide un proiettile passare a qualche millimetro dalla spalla e venne scaraventato a terra dal collega.
«Ma dico, ti vuoi far ammazzare?» gridò Ben, terrorizzato.
Semir non rispose ed entrambi si rialzarono velocemente.
Iniziò un vero e proprio conflitto a fuoco, i criminali sparavano con il solo scopo di far fuori gli ispettori per avere campo libero con i ragazzi inseguiti, che stavano fermi immobili a guardare, senza più avere la forza di scappare.
«Cosa dicevi riguardo al posto tranquillo dove suonare indisturbati, Ben?» gridò Semir tentando con la voce di sovrastare il rumore degli spari.
Ben gli lanciò un’occhiata fulminante continuando a difendersi dai colpi degli sconosciuti.
«E non prende nemmeno il telefono!».
Un proiettile frantumò il vetro di una delle piccole finestre della baita.
«No, non ci credo, il vetro no!» esclamò Ben ricevendo questa volta lui stesso l’occhiataccia da parte del socio.
I tre criminali stavano velocemente guadagnando terreno, avvicinandosi al retro della casa dove si nascondevano le loro due vittime.
«Semir, aiuta a far scappare i ragazzi mentre io trattengo qua questi tre.» propose Ben avvicinandosi pericolosamente ai tre uomini.
Semir gli fece un rapido cenno d’assenso prima di correre verso i ragazzi e farli alzare bruscamente. Avranno avuto una ventina d’anni e sembravano totalmente terrorizzati.
«Forza, correte, dai!».
Cominciarono a correre a perdifiato in mezzo al bosco, scavalcando massi e grosse radici sporgenti, sfruttando gli alberi per proteggersi dai proiettili.
Ben non riuscì a trattenere i criminali per molto e dovette anche lui cominciare a fuggire.
Corsero, corsero per un tempo che a loro parve infinito, fino a che uno sparo più vicino alle loro orecchie non li fece sobbalzare.
I quattro inseguiti si guardarono a vicenda fermandosi per un istante, ed uno di loro cadde a terra.

 

Chi è caduto a terra? Si accettano scommesse!
Grazie a chi mi segue e in particolare a Furia, Chiara, Maty e Marti per le recensioni.
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 3
*** "Parlerò solo in presenza del mio avvocato" ***


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Uno dei due ragazzi si accasciò tra la polvere in mezzo agli alberi, senza un grido, senza un lamento.
Il suo compagno si avvicinò all’amico urlando disperatamente il suo nome, mentre Ben e Semir tentavano di trattenerlo: non c’era tempo, dovevano scappare se volevano salvarsi almeno loro. Ma il giovane non sembrava volerne sapere e continuava a piangere, scuotendo il corpo immobile dell’altro fuggitivo nel tentativo di rianimarlo.
Furono attimi di esitazione troppo lunghi.
I criminali ormai li avevano raggiunti e il conflitto a fuoco ricominciò, più lungo e più disperato di quello precedente.
Fino a che, finalmente, Ben riuscì a ferire lievemente uno dei due uomini, che cadde a terra sanguinante e gli altri due, spiazzati, decisero di darsela a gambe.
Consapevoli che non li avrebbero mai raggiunti, Ben e Semir rimisero a posto le pistole con un sospiro di sollievo.
Ben raggiunse il criminale steso a terra, lo girò sulla schiena e, puntando un ginocchio su di essa, lo immobilizzò mettendogli un paio di manette ai polsi.
Semir si occupò invece dei due ragazzi.
Il proiettile aveva colpito uno dei due al torace e la ferita sanguinava copiosamente.
Il turco fece spostare l’altro ragazzo per avere campo libero e cominciò a tentare di fermare l’emorragia, premendo forte sulla ferita con un grande fazzoletto di stoffa.
«Ben! Bisogna portarlo subito in ospedale, non durerà a lungo, sta perdendo troppo sangue.».
Il poliziotto tirò fuori dalla tasca il cellulare: «Ora c’è una tacca che va e viene, provo a chiamare i soccorsi, ci vuole troppo tempo per raggiungere a piedi la zona dove il bosco è meno fitto. Aspetta.».
L’ispettore più giovane compose il numero in fretta e riuscì a mettersi in contatto con i soccorsi dopo vari tentativi dovuti al campo scarso del cellulare in quel luogo.
Dopo pochi minuti un elicottero atterrò nella radura vicino a dove si trovavano, l’ambulanza non sarebbe mai riuscita a percorrere il sentiero stretto che portava in quel posto sperduto.
Il giovane venne caricato su una barella e poi sul velivolo e il suo amico insistette per andare con lui, salendo quindi anch’egli sull’elicottero.
Ai due agenti invece non rimase nulla da fare se non tornare al comando trascinandosi dietro il criminale ferito solo superficialmente ad un braccio, dicendo così “addio” a quella che sarebbe dovuta essere una rilassante giornata di ferie.

Qualche ora dopo...

«Per la miseria, parla!» gridò Semir, ormai esasperato.
Erano tre quarti d’ora abbondanti che lui e Ben interrogavano il criminale che avevano arrestato nel bosco e ancora non ne avevano cavato un ragno dal buco.
L’uomo, sulla quarantina, alto e robusto, non voleva saperne di parlare, sembrava aver perso la lingua. Non erano nemmeno riusciti a capire quale fosse il suo nome.
«Pensi davvero di migliorare la tua situazione così? Eh?» continuò il poliziotto girando intorno al tavolo a cui era seduto lo sconosciuto, nella stanza degli interrogatori.
«Te l’ho già detto, parla e avrai magari delle attenuanti, così noi non possiamo aiutarti.» continuò il turco «E una bella condanna per tentato omicidio ti assicuro che non te la leva nessuno.».
L’uomo mostrò uno sbieco sorriso, senza proferire parola.
Ben entrò bruscamente nella stanza interrompendo il silenzio e si diresse deciso verso il collega.
«Allora?».
«Niente, non so nemmeno che voce abbia.».
Il più giovane sospirò rumorosamente, porgendo un bicchiere di carta all’amico.
«Tieni socio, ti ho portato un caffè.».
«Oh, grazie! Senti, esco un attimo, sto qui mi fa diventare matto altrimenti.» sussurrò Semir, uscendo dalla stanza segna degnare l’uomo seduto di uno sguardo.
«Allora.» fece invece Ben sedendosi sicuro di fronte al criminale «Vediamo se io riesco a farti parlare.».

 

«Semir!» chiamò Susanne dalla sua postazione.
«Susanne! Dimmi che hai una buona notizia...».
«Ho una buona notizia.» sorrise la segretaria «Mi dispiace per il vostro giorno di ferie.».
«Eh già, anche a me.» fece Semir raggiungendo la donna e posizionandosi alle sue spalle per poter vedere lo schermo del computer. Sorpreso, si trovò davanti la fotografia dell’uomo che in quel momento si trovava sotto interrogatorio con Ben.
«Guarda un po’, è schedato. L’ho trovato in fretta, mi ricordavo che con lui avevamo già avuto a che fare. Traffico di droga, ricordi? C’era Chris allora...».
Semir corrugò la fronte, tentando di ricordare. Aveva visto ed arrestato tanti di quei criminali lungo la sua carriera che ricordarsi i nomi di tutti loro era un’impresa.
«Forse sì... ma non era un pezzo grosso, no?».
Susanne scosse il capo «Era uno spacciatore che avevamo beccato per caso ma poi in prigione si era fatto solo quattro anni tra attenuanti, buona condotta e tutto il resto.».
L’ispettore annuì.
«Guarda se trovi qualcos’altro sul suo conto, magari ha avuto qualche contatto con qualche pezzo grosso già uscito di prigione, oppure scopri che ambienti frequenta, non so.».
«Va bene, farò il possibile.» affermò la segretaria rimettendosi al lavoro.
In quel momento Ben uscì dalla stanza degli interrogatori con la stessa espressione infastidita stampata sul volto di Semir quando ne era uscito dieci minuti prima.
«Finalmente sono riuscito ad estorcergli una frase.» disse il giovane al collega.
«Sarebbe?».
«“Parlerò solo in presenza del mio avvocato.”».
I due poliziotti sorrisero: un classico.
«Avvocato che sta per arrivare, da quanto ho capito.» intervenne la Kruger giungendo alle spalle dei colleghi «Quindi nessuna novità, signori?».
«Si chiama Thomas Heiss, è un piccolo spacciatore, lo avevo arrestato io anni fa con il mio collega... capo, lei non lavorava ancora qui. Ma se non me lo avesse detto Susanne nemmeno io me lo sarei ricordato, sta cercando qualcosa in più sul suo conto.» spiegò Semir.
Il commissario annuì «Bene.».
«Del ragazzo si sa nulla, capo?» domandò invece Ben.
«Ho sentito l’agente che ho mandato in ospedale, sembra che il ragazzo sia ancora sotto i ferri, sarà un intervento difficile.
I due ispettori annuirono.
Entrambi avevano la strana sensazione di trovarsi davanti ad un caso che avrebbe dato loro del filo da torcere.
Ed in effetti così sarebbe stato.

Passarono ancora tre ore buone, fino a che i poliziotti non decisero di riprendere le ricerche l’indomani mattina.
Erano stanchi e quello sarebbe comunque stato il loro giorno di ferie.
La Kruger aveva quindi permesso loro di uscire, congedandoli con un sorriso.

Uscendo dal comando, Ben lanciò un’occhiata veloce all’orologio: «Birretta?».
Semir alzò le spalle «Perché no?».
I due amici sorrisero, dirigendosi insieme verso un locale, decisi a rifarsi dell’intenso pomeriggio trascorso.
Ma non passarono più di dieci minuti che già la Kruger stava chiamando Ben al cellulare.
«Sì capo?».
«Jager, il secondo ragazzo è scappato. Era in ospedale dall’amico ma quando l’agente di turno ha detto che lo avrebbe portato al comando per qualche domanda, è fuggito. Dobbiamo trovarlo.».

 

Avevate ragione, hanno effettivamente sparato ad uno dei due ragazzi. Ma almeno la polizia ha in mano uno dei tre criminali...
Un bacio e grazie ai recensori, grazie mille!
Sophie :D

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Capitolo 4
*** Solo i morti non parlano ***


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Semir rientrò in casa alle dieci di sera.
Aprì piano la porta per paura di svegliare le bambine e trovò Andrea seduta sul divano intenta nella lettura di un libro.
«Buonasera, sbirro.» lo salutò lei con un sorriso.
Il poliziotto ricambiò il sorriso, sedendosi accanto a lei e salutandola con un tenero bacio.
«Riposante la tua giornata di ferie?».
«Da morire.» rispose lui con uno sbadiglio «Sembra che avremo a che fare con un caso complicato. Le bambine dormono?».
L’ispettore non ebbe il tempo di ricevere una risposta che la più grande fece capolino dallo stipite della porta con un’espressione lievemente imbronciata dipinta in viso.
«Ho mal di pancia.» mormorò dirigendosi verso i genitori «Non riesco a dormire.».
«Cucciolo, vieni qui.» le disse Semir prendendola in braccio «Vedrai che con un massaggino passa tutto.».
Aida annuì convinta e si lasciò andare tranquillamente tra le braccia del papà.

 

Ben inserì la chiave nella serratura ma si bloccò prima di aprire la porta.
Si sentiva osservato.
Si voltò circospetto ma non vide nessuno dietro di sé.
Poi un fruscio, un rumore alle sue spalle.
L’ispettore estrasse la pistola voltandosi e puntandola davanti a sé.
«Tu?»
«Non spari, ispettore!» implorò il ragazzo sulla ventina che il poliziotto si era ritrovato davanti. Era quello che la Kruger aveva detto essere scappato dall’ospedale.
«Per la miseria, mi hai fatto spaventare. Ma come ti è venuto in mente di fuggire?» lo ammonì Ben con voce dura.
«Scusi ispettore... mi faccia entrare e le spiegherò tutto.».

Poco dopo i due erano seduti sul comodo divano di casa Jager e il giovane stava raccontando al poliziotto la sua storia.
«Io mi chiamo Henry Turner. Tutto è cominciato quando Rick mi ha chiamato dicendomi che dovevo aiutarlo a scoprire delle cose sul conto di suo padre.».
«Rick sarebbe il tuo amico, quello che ora si trova in ospedale?» domandò Ben interrompendolo.
«Esatto ispettore.» rispose il giovane con un sospiro, prima di continuare «Rick aveva avuto il sospetto che il padre lavorasse a qualcosa di losco, probabilmente a qualcosa di illegale e che gli avrebbe fruttato molti soldi. Così mi ha chiesto di aiutarlo ad indagare, era agitatissimo quando mi ha telefonato, non potevo dirgli di no.».
«E non vi è nemmeno passata per la testa l’idea di contattare la polizia?» domandò il poliziotto, scettico.
«Ma ispettore, non avevamo niente in mano! E in realtà non lo abbiamo tutt’ora. Abbiamo scoperto dell’esistenza di un laboratorio e abbiamo trovato al suo interno una serie di composti chimici, a mio avviso il padre di Rick ha in mente di creare una nuova droga o qualcosa del genere. Ma non lo so, non sono sicuro di niente. Fatto sta che guarda caso appena dopo la nostra incursione nel laboratorio siamo stati seguiti da quei tre uomini armati e il resto della storia già lo conosce.».
«Però né tu né Rick avete mai visto suo padre all’interno del laboratorio giusto?».
«Giusto.».
«E il tuo amico non lo ha nemmeno mai sentito parlare al telefono con qualcuno, oppure ha trovato nel suo ufficio dei documenti, non so...».
«Niente di tutto questo, ispettore.» mormorò Henry scuotendo piano la testa.
«Allora sarà un po’ difficile riuscire ad incastrarlo.» costatò Ben con una smorfia indecisa «Come si chiama il padre di Rick?».
«David... David... non mi ricordo il nome ispettore, mi dispiace. Rick è stato adottato, non ha lo stesso suo cognome.».

 

La mattina successiva, poco prima delle otto, Ben era già entrato al comando in compagnia di Henry Turner.
«Ascoltami, adesso tu dovrai raccontare tutto quello che hai detto a me al commissario Kruger, va bene?».
«Io... non sono sicuro di volerlo fare , ispettore.» balbettò il ragazzo facendo un passo indietro e allontanandosi così dalla porta dell’ufficio del commissario.
«Ho paura, se mi facessero del male? O se facessero qualcos’altro a Rick?».
«Ti metteremo sotto protezione se necessario e per quanto riguarda Rick, in ospedale è già sorvegliato da un nostro collega. Non ti devi preoccupare, davvero.» lo tentò di tranquillizzare Ben.
«Va bene...» Henry deglutì lanciando occhiate indecise dirette prima verso l’ispettore che aveva di fianco, poi verso quella porta di vetro.
«Va bene.» decise quindi «Andiamo.».
Ed insieme entrarono nell’ufficio di Kim Kruger.

Ben uscì dalla stanza poco dopo lasciando soli il giovane e il commissario.
La Kruger si era dimostrata piuttosto comprensiva e non aveva dato peso alla fuga del ragazzo dall’ospedale il giorno prima. Gli aveva comunque assicurato che avrebbero indagato sul padre dell’amico nonostante avessero in mano sospetti poco fondati.
«Ben!» la segretaria distolse in fretta l’ispettore dai suoi pensieri.
«Susanne, novità?».
«Sì, purtroppo. Mi hanno appena chiamato dall’ospedale, l’intervento in un primo momento sembrava riuscito ma stanotte il ragazzo, Rick, è entrato in coma.».
«Ecco, splendido.» commentò Ben.
«Tu hai novità?».
«Sì, sembra che i due ragazzi fuggissero dagli scagnozzi del padre di Rick, puoi fare una ricerca su di lui?».
«Certo, faccio subito.» annuì Susanne rimettendosi al lavoro.
«Susanne, Semir non è ancora arrivato?».
La donna alzò le spalle «No, è in ritardo, strano.».
«Va be’, grazie. Dimmi poi se hai novità.» le sorrise Ben allontanandosi dalla scrivania per dirigersi verso quella del proprio ufficio.

 

«Volevo quei due ragazzi morti, maledizione!» urlò l’uomo scattando in piedi non appena sentì entrare il suo sottoposto.
«Ma capo, Rick è suo figlio!».
«Rick sapeva bene di non doversi impicciare nei miei affari e adesso sa troppo, sa cose che nemmeno il suo amichetto può immaginare, ancora. Ma ora uno è all’ospedale e l’altro è alla polizia... io li voglio entrambi all’obitorio, chiaro? Non devono parlare... e solo i morti non parlano.».
«Va bene capo, provvederemo.» rispose il ragazzo avvicinandosi intimorito all’uscita.
«Un’altra cosa, Lucas. Controlla quello sbirro, quel Ben Jager. Ha aiutato il ragazzo e la faccenda non mi piace nemmeno un po’.» aggiunse l’uomo con un tono che non ammetteva repliche.
«Certo capo, agli ordini.».

 

Le cose iniziano a complicarsi ed entra in scena il nostro “protagonista cattivo”. Ho lavorato un po’ sulla figura di quest’uomo, spero non vi deluderà. Ma chi è? E cosa nasconde?
Grazie a chi continua a seguirmi e a recensire, domani parto e starò via per una settimana ma appena torno aggiorno, promesso!
Grazie ancora e un bacio
Sophie :D

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Capitolo 5
*** Esplosione ***


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«Buongiorno.» fece Semir entrando in ufficio con aria assonnata.
«Oh, buongiorno, ma guarda un po’ chi si vede.» scherzò Ben «Pensavo non arrivassi più!».
Il nuovo arrivato lo fulminò con uno sguardo e si lasciò cadere pesantemente sulla propria sedia passandosi una mano sugli occhi.
«Sembri distrutto socio, che ti è successo?» domandò il più giovane addentando un’invitante brioche alla marmellata.
«È successo che la tua principessina ha visto bene di prendersi l’influenza intestinale.».
«Ah, capisco.» sorrise Ben.
«Così Aida che stava male da una parte, Lily che gridava dall’altra, ho passato la notte in piedi.» spiegò il turco con uno sbadiglio.
«Allora mi sa che qui ci vuole un caffè, socio.».
«Anche doppio, vi consiglio.» esclamò Susanne entrando senza bussare.
«Aiuto.» fece Semir «Hai news?».
«Sì, so chi è il padre adottivo del ragazzo in coma.».
«E sarebbe?».
«Tenetevi forte... l’avvocato David Hoffman.».
«Quel David Hoffman?» domandò Ben quasi strozzandosi con la brioche a causa della sorpresa.
«Eh già. È l’avvocato penalista più bravo di tutta Colonia, dicono, e pare che sia riuscito a togliere dai guai parecchi individui indagati per omicidio o per altri reati gravi.» spiegò la segretaria porgendo agli ispettori alcuni articoli.
«Un pezzo grosso.» commentò Semir scorrendo rapidamente i fogli con lo sguardo.
«Già. Ha una villa su due piani in periferia, qui c’è l’indirizzo.» disse ancora Susanne posando sulla scrivania un post-it colorato.
«Andiamo a fargli visita, socio? Magari così ti svegli.» propose Ben alzandosi dalla sedia.
«Guarda che sono perfettamente attivo.» controbatté Semir infilando il post-it nella tasca dei pantaloni.
«Sì sì, non lo metto in dubbio...».
Susanne rise davanti ad uno dei classici battibecchi tra i colleghi, a cui ormai era più che abituata «In effetti non sembri troppo in forma, Semir.».
«Susanne, non ti ci mettere anche tu!».
«Va bene, va bene... Noi intanto qui al comando interroghiamo ancora una volta Thomas Heiss, vediamo se dice qualcosa.».
«Perfetto, noi andiamo. A dopo!» salutò Ben e i due ispettori lasciarono il distretto.

 

«Stanno venendo qui, David.» comunicò una voce femminile con freddezza.
«Sì lo so, lo so, è tutto sotto controllo. Avranno un piccolo contrattempo lungo la strada, ho tutto il tempo di mettere via tutto e chiudere il laboratorio.».

 

Ingo Swisse imboccò l’A32 in direzione nord, come accadeva ormai tutte le mattine da quasi otto mesi. Era un ragazzo semplice ed era stato molto felice di aver trovato quel nuovo lavoro che gli permetteva di aver uno stipendio mensile fisso anche se piuttosto modesto. D’altra parte il suo ruolo consisteva semplicemente nel trasportare il latte pastorizzato da una centrale poco fuori Colonia ai principali punti vendita della città.
Guidare non gli aveva mai pesato, ragione per cui aveva accettato la proposta piuttosto volentieri. E anche adesso che si trovava lì, in autostrada di ritorno dal suo giro di routine e quindi diretto verso la centrale, non era pentito di aver fatto quella scelta.
Certo, lo aveva sempre considerato un lavoro monotono e tranquillo.
Era soprapensiero quando si accorse di una macchina che gli correva accanto ormai da un bel pezzo senza accennare a voler superare ma anzi mantenendo la stessa costante velocità del camion che lui guidava.
Non vide tuttavia l’uomo che, sporgendosi dal finestrino dell’auto, attaccò con fatica una scatoletta al suo furgone. Non si accorse di nulla, non fece nemmeno caso alla brusca accelerata improvvisa della vettura.
Sentì solo il rumore.
Il rumore e poi solo fumo.

«Mapporca! Ben, frena!» gridò Semir vedendo il furgone saltare in aria davanti a loro in autostrada.
Ben tentò di frenare, poi sterzò, ma perse il controllo dell’auto subito dopo aver udito il suono di uno sparo: qualcuno doveva aver sparato alle gomme, probabilmente dalle colline al limite della strada, con un’arma di precisione.
«Semir, non la controllo più!» urlò con quanto fiato aveva in gola.
Ma il suo grido si spense nell’aria non appena la macchina andò a scontrarsi con il camion ormai completamente arso dalle fiamme.
Un boato violento, centinaia di schegge di vetro sul viso, altri rumori confusi... poi solo buio.

Ben aprì gli occhi pochi istanti dopo e si accorse di aver perso conoscenza, almeno per qualche secondo. Cercò di mettere a fuoco le immagini e impiegò un po’ di tempo a capire dove si trovasse: era all’interno della propria auto di servizio.
Si portò una mano alla tempia e si ritrovò le dita sporche di sangue.
Lentamente le immagini divennero più nitide e il giovane ispettore riuscì a scorgere il parabrezza totalmente distrutto davanti a sé, l’airbag esploso e soprattutto un camion in fiamme davanti alla propria auto.
Ricordando cosa fosse successo, finalmente si voltò verso la propria destra: il collega era seduto accanto a lui, la testa appoggiata sul sedile, il viso insanguinato, gli occhi chiusi.
«Semir...» chiamò Ben debolmente «Semir...».
Ma il collega non sembrava dare cenni di vita.
Le fiamme correvano rapide verso di loro, seguendo una scia di liquido chiaro, benzina probabilmente, sparso sull’asfalto, che Ben solo in quel momento notò.
Risvegliatosi del tutto, l’ispettore scese dalla macchina e corse dal lato del passeggero per tentare di tirare l’amico fuori di lì prima che andasse tutto a fuoco.
«Semir! Semir, maledizione, svegliati!» urlò aprendo lo sportello e slacciando velocemente la cintura del turco.
«Accidenti, Semir!» chiamò ancora, senza ottenere reazioni.
La striscia di fuoco si avvicinava sempre di più, Ben tentò di tirare fuori dall’auto il collega ma con terrore si accorse che la caviglia dell’amico era bloccata all’interno dell’abitacolo.
Il fuoco lambiva ormai la targa anteriore della vettura.
Ben tirò, tirò con tutte le sue forze e riuscì finalmente a liberare la gamba dell’altro ispettore.
Lo fece uscire dalla macchina e lo trascinò sull’asfalto, ancora incosciente.
Poi un rumore sordo squarciò il silenzio ed entrambi i poliziotti vennero scaraventati in aria da una forza indescrivibile.

 

Cominciano i guai. Ma ahimè, starò di nuovo via per una settimana a partire da lunedì, quindi niente capitoli ancora per un po’, a meno che non riesca ad aggiornare ancora una volta prima di partire, ma non prometto niente.
Grazie mille a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacio e buon Ferragosto.
Sophie :D

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Capitolo 6
*** Sensazioni ***


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Entrambi gli ispettori atterrarono rotolando sull’asfalto.
Non appena Ben fu di nuovo in piedi corse verso il collega steso a terra, che ancora non aveva ripreso conoscenza.
«Semir! Semir, svegliati, ti prego!».
Finalmente il piccolo turco aprì gli occhi tossendo «B... Ben.».
«Ehi socio! Mi hai fatto prendere un colpo.».
Semir sorrise continuando a tossire «Gra... grazie.» balbettò mettendosi seduto a fatica.
Poi sul suo viso si dipinse una smorfia di dolore.
Automaticamente lo sguardo di entrambi si posò sulla caviglia sinistra dell’ispettore.
«Era incastrata.» spiegò Ben «Devo aver fatto un po’ di forza per tirarla fuori...».
«Un po’ di forza?».
«Be’... un po’ tanta. Ma sempre meglio che finire arrosto, no?» costatò il più giovane alludendo alla macchina che ancora bruciava insieme al furgone del latte a pochi metri di distanza.
Ben aiutò l’amico a rimettersi in piedi.
«Mapporca!» imprecò Semir «Fa male, non riesco ad appoggiarla.».
«Quante storie, si vede che stai invecchiando, socio.» sorrise Ben dirigendosi verso una macchina di servizio dei rinforzi che erano appena arrivati insieme ai soccorsi «Facciamo che guido io fino alla villa di Hoffman, che dici?».
Il più giovane ricevette in risposta da Semir solo un’unica eloquente occhiata.
Poi entrambi salirono sulla macchina e partirono.

 

La villa dell’avvocato era a dir poco imponente.
In una stradina secondaria ma facilmente raggiungibile dall’uscita dell’autostrada, immersa in un vasto giardino, si notava facilmente tra le altre piccole casette che la circondavano. Aveva i muri bianchi ed era strutturata su due piani.
Ben parcheggiò la macchina su un marciapiede proprio lì davanti e scendendo dalla vettura rimase per un attimo fermo a fissarla.
«Mica male eh, socio.».
Semir storse la bocca in una smorfia a metà tra il meravigliato e lo scettico «Io mi ci perderei dentro.».
«Hai ragione, tu hai bisogno di qualcosa più su misura...» scherzò il più giovane dando al collega una pacca sulla spalla.
«Stai diventando un po’ troppo impertinente per i miei gusti, ispettore Jager.» lo rimproverò il turco tentando di mantenere un’espressione seria ma scoppiò a ridere pochi istanti dopo «Dai, suona ‘sto citofono che sono curioso di conoscere questo Hoffman.».
Ben obbedì e non appena schiacciò il pulsante del citofono il piccolo cancelletto di ferro si aprì davanti ai loro occhi.
I due poliziotti percorsero con circospezione il breve vialetto di pietra che li separava dall’ingresso dell’abitazione, Semir zoppicando lievemente per via della caviglia.
Non appena furono davanti al portone venne ad accoglierli una donna sui trentacinque anni.
Bionda, i capelli perfettamente lisci le coprivano tutta la schiena e sul suo viso spiccavano due grandi occhi blu nei quali Ben si perse immediatamente. Tanto che Semir dovette dargli un’evidente gomitata sul braccio per evitare che il collega rimanesse lì imbambolato per tutto il tempo.
«Buongiorno, polizia autostradale, sono Gerkhan e questo è il mio collega...».
«Jager.» lo interruppe Ben porgendo immediatamente la mano alla ragazza «Ben Jager.».
La donna si dipinse un sorriso scettico sulle labbra e non strinse la mano dell’ispettore.
«David ha preso una multa per caso? Sa, capita che a volte vada un po’ di fretta in autostrada.» disse invece con falsa cortesia, dimenticando i saluti.
Semir si costrinse a non alzare gli occhi al cielo: ma perché tutti rivolgevano loro sempre la stessa identica, stupida domanda? In quindici anni di servizio ancora non ci si era abituato.
«No, guardi, in realtà vorremmo parlare con...» ma ancora una volta il turco venne interrotto dall’amico.
«Lei è la signora Hoffman?» chiese Ben sfoderando uno dei suoi più bei sorrisi.
«No. Sono un’amica.» rispose lei seccamente.
«Vorremmo parlare con il signor Hoffman, se per lei non è un problema naturalmente.» continuò il più giovane senza smettere di sorridere.
La donna sparì per un attimo dalla loro visuale per andare a chiamare il padrone di casa, per il tempo necessario a Semir per lanciare al collega un’occhiataccia carica di significato «Ben, ti ricordo che questa gente è indagata.» sussurrò.
«E una non può essere bella e indagata?» fu la disarmante risposta dell’ispettore.
Semir non ebbe tempo di replicare che già la “bella indagata” era tornata sulla soglia.
«Potete accomodarvi.» disse senza abbandonare il solito tono freddo e distaccato che aveva mantenuto fin dall’inizio.
Ben e Semir entrarono quindi nell’ampio ingresso della villa, ritrovandosi in una stanza dalle pareti chiare e il pavimento di marmo, interamente circondata da quadri antichi ed indubbiamente di valore.
I due vennero condotti in un salotto che poteva misurare all’incirca quanto tre stanze di una casa normale. Vennero fatti accomodare su un divano ma quasi subito una figura scura fece ingresso nella sala.
Vestito impeccabilmente in giacca e cravatta, David Hoffman era una di quelle persone che incutono terrore fin dal primo sguardo. Alto e di media corporatura, era un bell’uomo, sulla cinquantina, capelli brizzolati e glaciali occhi grigi.
«Buongiorno, ispettori.» esordì stringendo la mano ad entrambi i poliziotti «Sono David Hoffman, il proprietario della villa.».
Si sedette con calma di fronte a Ben e Semir, accavallando le gambe e invitando con un cenno la ragazza a sedersi accanto a lui «E lei è Helen Luithild, mia più fidata collega e carissima amica. In cosa possiamo esservi utili?».
«Vede signor Hoffman, è una questione piuttosto delicata.» cominciò Semir.
Quell’uomo lo infastidiva, c’era qualcosa di lui che lo aveva colpito fin dal primo istante.
«Se allude a Helen, ispettore, non si preoccupi, può rimanere con noi.».
«Va bene. Mi ascolti, stiamo lavorando ad un caso piuttosto bizzarro in questi giorni. Un ragazzo è stato ferito sotto i nostri occhi fuggendo da tre uomini armati che sicuramente lo volevano morto, insieme ad un suo amico...».
«Lei non ne sa niente ovviamente, è così?» domandò Ben terminando la frase al posto del collega.
«Ci sono parecchi squilibrati in giro, lo so.» fece l’uomo senza un velo di preoccupazione negli occhi «Mi dispiace per questo povero ragazzo ma non vedo proprio come potrei aiutarvi.».
«Il ragazzo si chiama Rick Petersen...».
«Rick?» fece Hoffman mostrando un’espressione sorpresa «Sono stato contattato dall’ospedale, in effetti, ma i medici mi hanno parlato di un “incidente” e io non sono ancora riuscito a recarmi personalmente lì... quindi si tratta di criminali, non di un comune incidente».
Semir corrucciò la fronte: quell’uomo aveva saputo del figlio adottivo in ospedale e non aveva avuto il tempo di andarlo a trovare? Gli parve assurdo e la sua brutta sensazione cominciò a diventare sempre più forte.
«Già, stiamo facendo il possibile per capire cosa sia successo.».
«Comunque sia, continuo a non capire in quale modo potrei esservi d’aiuto.» replicò, atono.
«Magari rispondendo a qualche nostra domanda. Ha un laboratorio, per caso?» domandò Ben sporgendosi lievemente in avanti.
«Non capisco di cosa stia parlando. Un laboratorio?».
«Un laboratorio con del materiale chimico, magari.» precisò Semir senza però guardare l’avvocato direttamente negli occhi.
«Mi occupo di legge, non di chimica, ispettore.».
«E scommetto che nemmeno il nome Thomas Heiss le dice nulla, giusto?» chiese ancora Ben, immaginando già la risposta.
«Mai sentito nominare.» disse infatti Hoffman senza fare una piega.
Ben stava per porre un’altra domanda, ma si bloccò non appena vide il collega alzarsi in fretta dal divano.
«Bene, se non le dispiace, adesso dovremmo tornare al comando, togliamo il disturbo.» spiegò Semir velocemente.
«Di già? Non vi ho nemmeno offerto niente ispettori, gradite un caffè?» domandò l’avvocato, alzandosi anch’egli dalla poltrona, seguito a ruota da Helen.
«No, la ringrazio. Andiamo Ben? Il capo ci aspetta al comando.».
Ben balbettò un “sì” confuso senza capire cosa stesse succedendo mentre Hoffman assisteva alla scena quasi divertito.
«Helen, accompagni tu gli ispettori alla porta? Ispettore Gerkhan, che cosa ha fatto al piede, vedo che non cammina bene.» domandò con falso interesse.
Semir gli lanciò un’occhiata incenerente «Un incidente, signor Hoffman... pensi un po’, proprio mentre stavamo venendo a trovare lei.».
L’avvocato sorrise «Sono disgrazie che capitano.».
«Già, capitano. Si tenga a disposizione per favore.» concluse l’ispettore aprendo la porta senza aspettare che fosse la donna a farlo.
«Sempre al vostro servizio.» sibilò l’uomo prima di scomparire in un’altra stanza.
Ben uscì seguendo il collega e rivolgendo un ultimo saluto a Helen, che ricambiò sempre con freddezza.
Poi entrambi si avviarono lungo il breve vialetto di pietra, diretti alla macchina.

 

Sono tornata!
Ora basta vacanze, si lavora u.u Capitoletto di passaggio ma almeno abbiamo conosciuto questo Hoffman di persona...
Grazie mille per le recensioni, un bacio
Sophie :D

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Capitolo 7
*** Notizie inaspettate ***


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Ben raggiunse il collega dalla macchina parcheggiata davanti alla villetta.
«Semir, si può sapere che ti ha preso?».
«Scusami, ma non ce la facevo proprio più a stare dentro a quella casa.».
Il più giovane corrucciò la fronte senza capire, mettendosi alla guida «Ma cosa è successo?».
«Ma niente, solo mi infastidiva quel tipo.» replicò Semir chiudendo lo sportello «E comunque non ci avremmo cavato un ragno dal buco.».
Ben mise in moto, perplesso.
«Ma sicuro che vada tutto bene?».
«Sì socio, davvero. Solo che il mio solito sesto senso mi suggerisce di stare lontano da quell’uomo.».
«Pensi che sia vero il racconto del ragazzo?».
«Oh sì.» rispose Semir «Penso proprio di sì, questo Hoffman nasconde qualcosa.».
La verità era che il poliziotto appena entrato nella villa era stato attanagliato da una bruttissima sensazione, come sempre quando qualcosa non quadrava, ma questa volta in particolare ancora più forte. Non gli piaceva quell’uomo ed era certo che prima o poi lui e Ben si sarebbero trovati nei guai a causa sua.
Come se non bastasse, era convinto di aver già visto questo Hoffman da qualche parte ma proprio non riusciva a ricordare in quale occasione…
Sospirò, e i suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del cellulare del collega, che rispose mettendo il vivavoce e posando il telefono sulle ginocchia.
«Sì, Jager.».
«Ben, sono Susanne!» rispose la voce femminile dall’altra parte.
«Susanne, news?» domandò il poliziotto imboccando l’autostrada per raggiungere il comando più in fretta vista la distanza tra quest’ultimo e la villetta di Hoffman.
«Sì.» fece la segretaria con decisione «Quel Thomas Heiss ha parlato, finalmente. Ha fatto il nome degli altri due uomini che inseguivano i ragazzi ieri nel bosco e la Kruger e gli altri si sono già mobilizzati. Si trovano in un capannone abbandonato il Weiss Straβe, li raggiungete lì?».
«Certo, siamo vicini, sono appena entrato in autostrada ma prendo la prossima uscita.» rispose Ben mentre il collega sistemava il lampeggiante sul tetto della Mercedes.
«Ah Ben, un’altra cosa!» continuò la ragazza dall’altro capo del telefono «Sei in vivavoce, Semir è lì con te?».
«Sì Susanne, ti ascolto.» rispose Semir direttamente.
Si sentì un attimo di silenzio.
Il poliziotto corrucciò la fronte chiedendosi cosa la ragazza dovesse dirgli di importante. O forse avrebbe preferito che lui non sentisse qualcosa?
«Susanne, che succede?» domandò il turco, preoccupato.
«Ecco, io... ho fatto una ricerca sulle possibili conoscenze di questo Heiss e... e poi abbiamo chiesto a lui per conferma e... insomma, sembra che...».
«Susanne, per favore, dimmi cosa hai scoperto.» sbottò Semir senza troppe cerimonie.
«Semir, sembra che Heiss conosca Erik Gehlen e che lo abbia incontrato ultimamente.».
La segretaria fece una pausa.
Semir sgranò gli occhi e rimase immobile, senza parole.
Erik Gehlen... no, non era possibile. Non poteva essere vero.
Ben vide l’amico sbiancare da un momento all’altro.
«Ohi, che succede?» sussurrò spaventato, ma il collega non sembrò nemmeno sentirlo.
«È impossibile. Gehlen è... è morto sette anni fa...» mormorò invece l’ispettore rivolto a Susanne.
La segretaria sospirò rumorosamente «Sì, lo credevo anche io, lo credevamo tutti. Ma a quanto pare non è morto, Semir. Gehlen è ancora in circolazione e Heiss ha avuto a che fare con lui.».

 

«Polizia, non muovetevi!» gridò la Kruger entrando nel capannone.
In testa alla squadra di poliziotti che l’aveva accompagnata, puntava davanti a sé la pistola con fare deciso, pronta ad arrestare quei due delinquenti.
I due uomini grandi e grossi che si trovavano all’interno sussultarono vedendo entrare la squadra e, colti di sorpresa, non provarono nemmeno a difendersi.
I poliziotti li ammanettarono senza problemi e li fecero entrare nelle volanti per portarli dritti al comando, dove i due criminali sarebbero stati sommersi di domande.
Kim sospirò rimettendo a posto la pistola: era stato fin troppo facile e ormai per esperienza lei aveva imparato che se qualsiasi cosa risultava troppo facile, al novanta per cento dei casi significava che qualcosa non quadrava. E infatti aveva la netta sensazione che da quei due uomini non avrebbero ottenuto proprio niente.
Alzò le spalle avviandosi verso la propria vettura insieme a Jenny, quando sentì il rumore di un motore avvicinarsi e vide la Mercedes di Jager posteggiare davanti al capannone sollevando un gran polverone nel piazzale ricoperto di sabbia.
Ben scese dalla macchina seguito dal collega, sorpreso che l’operazione di cattura dei due criminali fosse già conclusa.
«Siete arrivati tardi, signori, e quei due non hanno posto alcun tipo di resistenza.» spiegò il commissario con un mezzo sorriso, che ai due ispettori suonò tanto come un sottile rimprovero.
«Eravamo alla villa di Hoffman e non abbiamo concluso praticamente nulla.» disse Ben mettendo il capo al corrente dei fatti «A parte che l’avvocato non ha ancora trovato il tempo di andare a trovare suo figlio in ospedale e questa a me sembra già una cosa sospetta.».
«Ma non è certo una prova che indichi che Hoffman c’entri con questa storia.» osservò con fredda logica la Kruger, aprendo lo sportello della propria auto.
Ben fece una smorfia indecisa ed annuì, evitando di contraddire il commissario che quella mattina sembrava già essere fin troppo carica.
«Bene, ci vediamo al comando e interroghiamo questi due energumeni.» concluse Kim entrando in macchina senza dare tempo agli ispettori di replicare.
Semir e Ben fecero lo stesso ed entrambe le macchine si allontanarono dal polveroso piazzale del capannone.

 

All’interno dell’auto di Ben regnava un silenzio insolito mentre lui e il collega si trovavano in autostrada diretti al comando.
«Semir, ci vogliono ancora dieci minuti buoni di strada per arrivare in commissariato, e non ho alcuna intenzione di trascorrerli in religioso silenzio.» cominciò il più giovane «Mi spieghi cosa è successo, per favore?».
«Niente.» rispose il poliziotto guardando insistentemente fuori dal finestrino nella speranza che il collega non lo tormentasse di domande.
Ma l’amico non sembrava aver intenzione di desistere.
«Come sarebbe niente? Chi è questo Gehlen, si può sapere?».
«Non è nessuno Ben, lascia perdere.».
«Nessuno? Ma se sei sbiancato come un cadavere non appena Susanne te l’ha nominato!».
«Ben, per favore! È un criminale che pensavo fosse morto e che invece a quanto pare non lo è.» spiegò rapidamente Semir.
Non gli andava di tirare fuori quella storia, non gli andava per niente, nemmeno con il suo migliore amico. Faceva ancora troppo male quella ferita, anche se risaliva a sette anni prima.
«Un criminale qualsiasi?» insistette Ben mettendo la freccia per uscire dall’autostrada.
«Sì, un criminale qualsiasi.» annuì il turco con un sospiro.
«E dai socio! Ti conosco e si vede lontano un miglio che stai mentendo! Chi è questo benedetto Gehlen? Non farmi credere che sia un ladro di frutta qualsiasi perché non me la bevo.».
«Ben, per la miseria, ce la fai ogni tanto a farti gli affari tuoi?» sbottò Semir distogliendo finalmente lo sguardo dal grigio panorama al di fuori del finestrino.
Ben questa volta non rispose.
Si limitò a guardare l’amico senza capire e a guidare in silenzio fino all’ormai vicino commissariato.

 

Non che questo capitolo sia stato molto più movimentato ma piano piano all’azione ci arrivo, promesso. Per ora posso dirvi semplicemente che da questo momento inizia l’incubo per Semir e tra qualche capitolo verrà anche il momento del nostro Ben...
Allora... chi di voi si ricorda chi sia questo Erik Gehlen? E non ditemi nessuno, per favore D:
Grazie a chi continua a seguirmi e in particolare Maty, Chiara, Furia, Marti, Reb e Miki per le recensioni!
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 8
*** Erik Gehlen ***


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Erik Gehlen.
Erik Gehlen! Più Semir ci pensava e più dentro di lui montava una rabbia incontenibile.
Erik Gehlen era ancora vivo! Eppure lui era sicuro. Lo aveva visto morire davanti ai suoi occhi sette anni prima.
Doveva essere successo qualcosa dopo. Probabilmente Gehlen non era morto davvero ma era solo stato gravemente ferito. Probabilmente era stato curato e poi qualcuno all’interno di un ospedale lo aveva coperto, lo aveva aiutato a fuggire.
Doveva interrogare Heiss. Se davvero lui lo aveva incontrato doveva saperne di più.
Entrò al comando come una furia senza più degnare di uno sguardo Ben, che lo guardava senza capire, ancora colpito dalla rispostaccia che l’amico gli aveva lanciato poco prima in macchina.
Semir si catapultò nella stanza degli interrogatori senza nemmeno prima passare da Susanne a chiedere spiegazioni, o dalla Kruger a riferire cosa la segretaria avesse scoperto.
Entrò semplicemente nella stanza semibuia, trovando Thomas Heiss seduto come lo aveva lasciato qualche ora prima, con un mezzo sorriso strafottente dipinto sul viso.
«Heiss.» esordì il poliziotto giungendo dritto al punto «Mi parli di Gehlen.».
Heiss sorrise.
«Gerkhan, ancora non si ricorda di me? Certo, il povero spacciatore. Niente in confronto ad un uomo come Gehlen vero? Di lui non ci si dimentica facilmente. Eppure pensi, c’ero anche io quella notte, sotto quel temporale.».
Il criminale fece una pausa e Semir si ritrovò spiazzato, catapultato in una frazione di secondo nel passato, in un passato che aveva sempre cercato di dimenticare senza mai riuscirci.
Improvvisamente si ritrovò davanti a quell’edificio, al buio, quel buio intervallato solo dalla luce abbagliante dei lampi.
Improvvisamente sentì la pioggia sul suo viso, rivide la cerchia di uomini a pochi metri da lui, la ragazza straniera stesa a terra.
E poi risentì quello sparo...
«Eh sì, Gerkhan.» la voce dell’uomo che aveva seduto davanti lo riscosse «C’ero anche io quella notte. È un peccato che sia finita così, non trova? Ma d’altra parte, far innervosire il mio capo è stata veramente una grande stupidaggine da parte sua e del suo collega.».
«Gehlen era il suo capo?» domandò Semir tentando di mantenere la calma.
Heiss annuì.
«Ed è ancora vivo?».
Annuì ancora.
«Dove si trova?».
«Non lo so.» rispose l’uomo ancora con quel sorrisino stampato in faccia.
L’ispettore chiuse gli occhi e sospirò. Doveva rimanere calmo.
«Non lo sa?».
«No.».
«E quand’è stata l’ultima volta che l’ha visto?».
«Due settimane fa.» fece Heiss con aria compiaciuta «Mi vendette della roba. Eh sì, dopo quella brutta faccenda Gehlen abbandonò quel traffico di ragazze, sa? Preferì dedicarsi alla droga, un ambiente più sicuro, mi ha detto. D’altra parte con il padre a marcire in prigione non avrebbe mai potuto ricominciare ad occuparsi di qualcosa di più consistente.».
«Ah sì? E mi dica, ha ancora il vizio di uccidere poliziotti se gli capitano a tiro?» sibilò Semir stringendo i pugni fino a farsi male.
Thomas alzò le spalle sogghignando «Può darsi Gerkhan, può darsi... perché non glielo chiede di persona?».
«Oh sì, lo farò con molto piacere non appena lo avrò tra le mani, glielo assicuro.».
L’uomo rise divertito «Non so dove si trovi ma so che anche lui adesso lavora per il mio capo, di cui però non conosco il nome. L’ho scoperto solo due settimane fa in realtà, l’ultima volta che l’ho visto. Non è facile trovarsi tra di noi, d’altra parte, il mio capo ha molti “dipendenti” e nessuno conosce il suo vero nome. Si fa chiamare il Giaguaro.».
Semir annuì, senza nemmeno sapere perché quell’uomo, seppur con il solito sorriso di scherno stampato in faccia, lo stesse aiutando.
«Dove lo ha visto l’ultima volta?».
«Deizt Straβe, 11. È un casermone abbandonato, ma non conti di trovarlo lì.».
Il poliziotto fece per uscire dalla stanza ma poi ritornò sui suoi passi per porre ad Heiss un’ultima domanda.
«Ha idea di come sia sopravvissuto?».
«Io non ho idea Gerkhan, io so. Come le ho detto, ero presente anche io quella notte, quando il suo collega ha tragicamente perso la vita... ed ero presente anche quando lei e quel Ritter avete provato a farlo fuori. In verità il medico legale che ha accertato più tardi la sua morte era un nostro amico, sa? Faceva parte della nostra squadra. Poi io ne sono uscito e tutta la banda si è sciolta, con il capo in galera e il figlio moribondo cosa poteva accadere altrimenti? Ma Erik si ristabilì, grazie alle cure costanti di questo medico. Ci volle del tempo, aveva riportato delle brutte ferite... ma ce la fece.» spiegò il criminale con estrema calma.
«E il nome del medico?».
«Spera davvero che io glielo riferisca?».
In un moto di rabbia Semir prese Heiss per il colletto della camicia che indossava e lo fece alzare dalla sedia, sbattendolo poi violentemente contro il muro «Dimmi come si chiama il medico.».
«Norman Weber.» mormorò l’uomo.
L’ispettore mollò la presa ed Heiss cadde a terra.
«Grazie.» fece quindi uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.


Ad attenderlo fuori trovò Ben, le braccia incrociate e lo sguardo cupo puntato su di lui.
«A questo punto vorrei delle spiegazioni.» disse, con una punta di stizza nella voce.
Semir scosse il capo «Ben...».
«Ben un accidente!» quasi gridò il più giovane, cominciando a perdere la pazienza «Si può sapere perché tutte le sante volte che io ho un problema tu sei sempre qui per aiutarmi e se il problema ce l’hai tu io non posso nemmeno sapere di che cosa si tratta?».
«Io no ho un problema!».
«Sì che hai un problema.» affermò Ben con decisione, prendendo il collega per una manica e trascinandolo nel loro ufficio, chiudendo la porta «Quindi adesso ti siedi e me ne parli.».
Semir sbuffò ma poi entrambi si sedettero.
«Quell’uomo è l’assassino di Tom.» disse l’ispettore tutto d’un fiato.
«Tom Kranich?».
«Sì, Tom Kranich.».
Il più giovane annuì. L’amico gli aveva parlato ogni tanto dei suoi ex colleghi e sicuramente quello che gli aveva nominato più spesso era stato Tom. Doveva essere stato davvero molto legato a lui, più che a ogni suo altro compagno di squadra.
«Credevo che fosse morto, quel bastardo, e invece a quanto pare è ancora vivo. Maledetto, giuro che se lo trovo lo faccio pentire di essere sopravvissuto!» fece Semir sbattendo con rabbia un pugno sul tavolo.
Ben sospirò «Semir, capisco come ti senti, ma adesso calmati e raccontami cosa è successo.».
«No, non penso proprio che tu capisca. Perché è difficile capire come ci si sente quando ti uccidono il migliore amico che tu abbia mai avuto davanti agli occhi. Era la persona migliore che io avessi mai conosciuto e quel bastardo lo ha ucciso così, a sangue freddo! E io non sono arrivato in tempo. E adesso scopro che non sono nemmeno stato in grado di farlo fuori, quel maledetto!» il poliziotto era un fiume in piena. Era arrabbiato, furioso, sia con Gehlen sia con se stesso. Aveva le lacrime agli occhi ed era sicuro che in quel momento avrebbe spaccato qualunque cosa gli fosse piombata tra le mani da tanto era nervoso.
«Semir, se è ancora vivo lo prenderemo ma se vuoi che proviamo a ragionare su cosa possa essere successo devi calmarti, va bene?».
«Scusa, Ben. Non volevo prendermela con te, neanche prima in macchina, è che quando ho sentito il nome di Gehlen non ci ho visto più.».
«Non ti devi scusare, ora però ragioniamo. Ho ascoltato quello che ti ha detto Heiss di là, cerchiamo di capire chi sia il Giaguaro, va bene?» propose il più giovane sperando di trasmettere un po’ di positivismo all’amico.
«Deve essere Hoffman.».
«Hoffman?».
«Sì, Hoffman è il Giaguaro. Te l’ho già detto, quell’uomo non mi piace e sono sicuro di averlo già visto da qualche parte... deve essere lui.» affermò Semir con sicurezza.

 

Ben uscì dal commissariato per prendere un po’ d’aria e si appoggiò al cofano della propria Mercedes.
Guardò l’orologio: le 16.21. Erano passate quasi tre ore da quando erano arrivati al comando e in tutto quel tempo lui e Semir avevano provato a ragionare sul nuovo caso senza ottenere nulla. Dovevano mettere insieme la figura di Hoffman con quella del Giaguaro, con la vicenda dei due ragazzi e con i due energumeni che avevano trovato al capannone e che ancora non avevano pronunciato verbo. In più era riemerso dal passato anche il fatto di Gehlen e di Tom Kranich, che aveva gettato Semir nella confusione più totale.
In tutto questo Ben cominciava ad avvertire la stanchezza e aveva sentito il bisogno di uscire un attimo per schiarirsi le idee.
Sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni e lo tirò fuori scorgendo sul display un numero sconosciuto.
Rispose con un ché di esitazione nella voce.
«Sì, Jager.».
«Jager? Sono Helen Luithild.».

Ed ecco svelato chi è Gehlen a chi non se lo ricordava: l’assassino di Tom Kranich, il personaggio che più di tutti ho odiato all’interno dell’intera serie tv. Ma cosa c’entra quest’uomo con la faccenda di Hoffman? Nel frattempo entra in scena anche Helen...
Grazie mille a chi continua a seguirmi e a recensire, come vedete sto aggiornando piuttosto in fretta perché come avevo anticipato questa storia è stata scritta parecchio tempo fa, due anni circa, quindi devo solo rivederne i capitoli, aggiustarli un po’ e creare i banner iniziali!
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 9
*** Vediamoci ancora ***


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Ben rimise in tasca il cellulare, frastornato.
Sentiva il cuore battere all’impazzata ed era agitatissimo. Helen lo aveva appena chiamato. Quella fredda e bellissima ragazza che aveva visto la mattina in casa di Hoffman gli aveva appena telefonato dicendo di aver bisogno di vederlo urgentemente e di aver avuto il suo numero grazie ad un biglietto da visita che lui aveva lasciato sul tavolino dell’ingresso quando era passato la mattina stessa. Biglietto da visita che, tra l’altro, Ben non ricordava assolutamente di aver lasciato alla villa.
Si guardò intorno senza sapere bene cosa fare e poi compose in fretta il numero di Semir per dirgli che aveva una faccenda urgente da sbrigare e che sarebbe tornato al comando poco dopo, chiedendogli di coprirlo in caso la Kruger avesse chiesto qualcosa.
Poi entrò in macchina e partì con una sgommata.

 

Peter Turner si avvicinò al comando dell’autostradale con il cuore in gola.
Quando aveva saputo che il figlio Henry e l’amico si erano cacciati nei guai era entrato subito in agitazione e aveva cercato un modo per aiutarli.
Alla fine, poi, aveva deciso che avrebbe parlato. Lui sapeva alcune cose sul conto del padre di Rick, David Hoffman, e le avrebbe riferite alla polizia pur sapendo di assumersi un grosso rischio. Infondo sapeva che parlare sarebbe stato l’unico modo per aiutare veramente i due ragazzi ma aveva una paura terribile che Hoffman venisse a sapere della sua confessione e lo facesse uccidere. Perché quell’uomo era capace di tutto...
Eppure avrebbe parlato. Perché valeva di più la vita di due giovani ragazzi piuttosto che la sua, quella di un uomo di sessant’anni che aveva taciuto per troppo tempo.
Sulla soglia del commissariato incontrò una donna che stava rientrando e la riconobbe subito. L’aveva già vista in televisione, in qualche occasione, durante qualche intervista. E il figlio gli aveva parlato di lei dicendogli che durante la sua deposizione lo aveva aiutato e non aveva tenuto assolutamente conto della sua precedente fuga dall’ospedale.
Kim Kruger.
Peter fece l’errore di fermarla lì, prima di entrare nell’edificio. Fece l’errore di cominciare a parlarle, ignorando la donna che insistentemente lo invitava ad accomodarsi nel suo ufficio all’interno del comando.
Nominò Hoffman, ma lo fece lì.
Nel parcheggio, davanti alla soglia del commissariato.
E fu un errore grande, troppo grande.
Perché lo nominò, e poi non ebbe il tempo di accorgersi di nient’altro: vide a stento il furgone nero passare davanti a lui e non sentì nemmeno il rumore dello sparo da quanto era agitato e concentrato nel parlare.
Udì solo le grida del commissario di fronte a lui.
Poi dolore e solo buio.

La Kruger vide l’anziano signore cadere a terra davanti a lei e gridò con quanto fiato aveva in gola, rendendosi conto nell’esatto istante che non sarebbe servito a nulla.
Si chinò sull’uomo esanime, provando a rianimarlo e chiamò in fretta un’ambulanza, ma il sangue che rapidamente si espandeva sul pavimento sotto il suo corpo inerme e il polso completamente fermo non lasciavano alcun dubbio: il padre di Henry Turner era morto sul colpo.
«Capo, che succede?» gridò Semir catapultandosi fuori dal commissariato accanto al suo superiore, dopo aver sentito il suono dello sparo.
«Quel furgoncino nero Gerkhan, lo segua!» esclamò concitata la Kruger e l’ispettore salì svelto sulla propria BMW.
Partì con una sgommata e seguì il furgone per le trafficate strade di Colonia ad una velocità folle, sperando che i rinforzi si sbrigassero a raggiungerlo.
La vettura da cui avevano sparato si dirigeva verso l’autostrada a tutta velocità, superando macchine, sfondando cartelli e incutendo terrore per le strade interne della città.
Non durò molto l’inseguimento.
Terminò pochi istanti dopo, quando nella foga di scappare il piccolo furgone travolse una signora che stava attraversando la strada e Semir fu costretto a fermarsi per soccorrerla.
L’ispettore scese in fretta dalla macchina e raggiunse la donna chiamando nel frattempo un’ambulanza.
Non sapeva se dentro quel furgone ci fosse Gehlen o meno, non poteva saperlo.
Ma sapeva che comunque fosse lo avrebbe trovato, anche andando in capo al mondo, ma lo avrebbe trovato.

 

Ben scese dalla macchina e si guardò intorno, inquieto.
Aveva raggiunto il luogo dove la ragazza gli aveva chiesto di raggiungerlo, un piazzale di un parco giochi poco lontano dal centro della città.
Non c’era nessuno, il luogo era totalmente deserto e l’ispettore cominciò a pensare di essere stato preso in giro.
Poi però la vide.
Vide Helen avvicinarsi lentamente a lui ed ebbe il tempo di studiarne con lo sguardo tutta la figura. Bionda, alta e snella, era una delle donne più belle che Ben si ricordasse di avere mai visto, e sicuramente non aveva avuto a che fare con poche ragazze.
«Ciao.» esordì lei semplicemente, con un sorriso che niente aveva a che vedere con la freddezza che la mattina stessa la donna aveva mostrato a casa di Hoffman.
«Ciao.» rispose il poliziotto, un po’ imbarazzato.
«Scusa se ti ho chiamato, magari ti ho disturbato.».
«Nessun disturbo.» replicò Ben con un sorriso.
«È che volevo... non è che potremmo fare due passi nel parco?» domandò Helen con aria innocente.
L’ispettore annuì senza nemmeno pensarci e i due cominciarono a camminare, insieme.
Superato l’imbarazzo iniziale, finirono per parlare del più e del meno come se si fossero conosciuti molti anni prima.
Nessun accenno a Hoffman o alla visita dei poliziotti in mattinata.
Parlarono, risero, scherzarono e Ben si dimenticò totalmente del comando, dell’indagine, del fatto che la persona con cui stava parlando era proprio quella “bella indagata” di cui avevano discusso la mattina stessa lui e il suo collega. Non si chiese nemmeno la reale motivazione di quella telefonata, pur trovando strano che una sconosciuta gli chiedesse di fare una passeggiata così, fine a se stessa.
Passeggiarono e senza che nemmeno se ne accorgessero scoprirono che si erano fatte le sei del pomeriggio.
«Devo andare.» sussurrò lei avvicinandosi pericolosamente al viso dell’ispettore «Ma vediamoci ancora.».
Ben si immerse in quegli enormi occhi blu come gli era successo la prima volta che l’aveva incontrata. Ma questa volta era diverso: perché quegli occhi non sembravano più appartenere ad un viso gelido e distaccato ma anzi al volto più dolce e angelico del mondo.
«Si... vediamoci ancora.» sussurrò a sua volta, avvicinandosi sempre di più.
Poi le loro labbra si incontrarono in un bacio che Ben non avrebbe dimenticato tanto facilmente.

 

E fu così che Ben si prese una cotta per la “bella indagata”. Il padre di uno dei due ragazzi inseguiti nel bosco ha deciso di parlare ed è stato ucciso, segno evidente che Hoffman c’entra qualcosa in questa storia. In più sono in arrivo incomprensioni e litigi...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 10
*** Incomprensioni ***


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Semir alzò lo sguardo dai fogli che stava leggendo incontrando quello di Ben che era appena rientrato nell’ufficio.
«Ma che fine avevi fatto?».
«Scusami...» balbettò il più giovane, indeciso se raccontare o no al collega cosa fosse successo, sicuro che lui non avrebbe approvato «Avevo una faccenda da sbrigare.».
«Peter Turner, il padre del ragazzo che era venuto a casa tua a parlarti, è stato qui.» raccontò Semir «E non ha avuto nemmeno il tempo di nominare Hoffman che è stato fatto fuori, qui, davanti al comando, appena dopo che te ne sei andato.».
«Scherzi?» fece Ben, sorpreso. Si sedette alla scrivania con un sospiro «Almeno è riuscito a dire qualcosa di utile per incastrarlo?».
«Macchè.» sbuffò il turco «Ha solo accennato a certi “affari loschi” ma non ha avuto il tempo di dire nient’altro. Vedi che Hoffman nasconde qualcosa?».
«Sì Semir, ma continuiamo a non avere prove.».
«Ben, cosa c’è che mi devi dire e che non mi dici?» domandò Semir cambiando discorso, dopo un attimo di silenzio.
Il più giovane sussultò. Era impressionante come l’amico ormai gli leggesse dentro, gli parve di essere diventato totalmente trasparente. Come faceva a capire tutte le volte che c’era qualcosa che non andava o che gli nascondeva?
«Ecco... io... ho visto Helen.».
«Helen chi?».
«Helen la collega di Hoffman.».
Semir strabuzzò gli occhi «Come sarebbe “l’hai vista”?».
«L’ho... incontrata. Mi ha chiesto se potevamo vederci e l’ho incontrata al parco.».
«Voleva parlarti di Hoffman?».
«No...» mormorò Ben trovandosi improvvisamente alquanto in imbarazzo «In realtà non penso che volesse dirmi nulla di particolare, abbiamo fatto una passeggiata e... be’, è simpatica e intelligente e poi...».
«No, no, aspetta Ben, frena.» lo bloccò il collega abbandonando definitivamente sulla scrivania i fogli che stava leggendo «Mi stai dicendo che hai incontrato quella donna così, per piacere, e che sei anche stato bene con lei?».
Il più giovane annuì.
«Ah fantastico, innamorati anche di lei già che ci siamo, adesso!».
«Socio, guarda che non è come sembra! In realtà lei è dolce, carina, allegra e...» tentò di spiegare Ben prima di essere interrotto dal collega.
«Carina, dolce e allegra? Ma Ben, è un’indagata!».
«E se a me piacesse un’indagata?».
«A volte penso che tu il cervello proprio non ce l’abbia.» commentò Semir tornano a guardare i suoi fogli.
«Certo, io sono sempre quello senza cervello che va con la prima che capita, vero?» sbottò Ben alzando leggermente la voce, cominciando ad innervosirsi.
«Possibile che tu proprio non sia in grado di ragionare?» rincarò il turco «Quella Luithild o come cavolo si chiama è una criminale! È come Hoffman, ma non l’hai vista? Ti sta usando, svegliati!».
«Non mi sta usando, porca miseria! Ma cosa ne sai tu? Sono abbastanza adulto da sapere in quali storie imbarcarmi e in quali no.».
«Certo, come no, si vede. Infatti le tue storie non durano mai più di tre mesi.» si ritrovò a gridare Semir «E comunque non è questo il discorso. Io ti ho dato un consiglio, poi ad un certo punto fai un po’ quello che vuoi Ben, non so cosa dirti e francamente adesso ho altro a cui pensare piuttosto che alla tua nuova amichetta.».
«Certo che faccio quello che voglio, non ti preoccupare.» concluse Ben, ormai su tutte le furie «Tanto giustamente hai altro a cui pensare no? Continua tranquillamente a pensare a come poter vendicare un morto, ma io con questa storia non c’entro! E se sei nervoso per la faccenda del tuo ex collega che non sei riuscito a salvare, non venire a prendertela con me, perché mi sono veramente stufato di sentirmi trattare così. Sfogati un po’ con qualcun altro, per favore!».
Ben uscì dall’ufficio sbattendosi alle spalle la porta a vetri e lasciando il collega solo nella stanza.

 

Erano le otto e mezza passate quando Ben scese dalla sua Mercedes dopo averla parcheggiata davanti a casa.
Era stanco, aveva passato una giornata pesante e la lite con Semir gli aveva dato il colpo di grazia. Odiava litigare con l’amico, ma quel giorno si era sentito veramente trattato male e la cosa gli aveva dato fastidio. Poteva capire che il collega fosse nervoso per la faccenda di quel Gehlen, ma perché doveva rimetterci lui?
Fece per varcare la soglia di casa tormentato da questi pensieri quando una voce che lo chiamava lo costrinse a voltarsi.
Il poliziotto rimase letteralmente pietrificato a guardare la bellissima figura che gli era appena apparsa davanti, meravigliato e felice allo stesso tempo.
Helen Luithild era davanti alla sua porta di casa, vestita con un abito leggero scintillante e un sorriso spettacolare stampato sul volto.
«Helen.» riuscì a mormorare, prima che lei gli si avvicinasse e, con un bacio, lo spingesse dentro casa chiudendosi la porta alle spalle.

 

Nel frattempo, a qualche chilometro di distanza, anche Semir stava tornando a casa.
Aveva il cuore pesante e la testa affollata da mille pensieri che non volevano smettere di tormentarlo. In più la stanchezza già accumulata dal giorno prima e dalla notte precedente passata in bianco cominciava a farsi sentire.
«Andrea, sono a casa!» annunciò aprendo la porta e la moglie lo accolse con un sorriso.
«Come sta Aida?».
«Eh, insomma.» fece Andrea con un filo di preoccupazione nella voce «È stata male per tutto il giorno e le si è anche alzata la febbre. Le ho dato la medicina e adesso ha 38 di febbre, sta dormendo.».
Semir sospirò sedendosi sul divano.
«Comunque sarebbe meglio che dormisse da noi stanotte, almeno non sta sola in camera e non attacca l’influenza a Lily. Ma tu? Tutto bene?» continuò la donna sedendosi accanto al marito.
«Una favola.» ironizzò il poliziotto, poi raccontò tutto alla moglie.
Le raccontò dell’incidente di quella mattina, di Hoffman, di Gehlen e dei suoi sospetti.
«E come se non bastasse ho anche litigato con Ben, è uscito con l’amica di Hoffman e se va bene tra due giorni dirà di esserne innamorato... ma si può essere così immaturi?».
«Ben non è affatto un immaturo, e tu lo sai.» lo difese Andrea «E tu hai avuto una pessima giornata e penso che prenderesti a schiaffi chiunque ti capitasse a tiro, quindi è meglio se domani tu e lui vi chiarite con calma, no?».
Semir annuì, non troppo convinto.
«Adesso ascoltami, ceniamo e poi tu vai a dormire e se Aida si sveglia e non si sente bene ci penso io, okay?» propose comprensiva la donna.
«Andrea, non sono così grave.» replicò ridendo l’ispettore «E le bambine sono più importanti di qualsiasi altra cosa, quindi per loro passo anche volentieri la notte in bianco.».
Entrambi sorrisero e poi rimasero per alcuni istanti stretti l’uno all’altra sul divano.
Almeno fino a quando la vocina squillante di Lily non li raggiunse accompagnata da un gridolino di felicità «Papà, papà, sei tornato? Vieni, ti devo far vedere un gioco nuovo che mi ha regalato la nonna... vieni, presto!».
E la piccola Gerkhan salì le scale di corsa assicurandosi che il padre la stesse seguendo.

 






Ed ecco che come preannunciato cominciano le incomprensioni tra i due colleghi. In più questa Helen sembra voler entrare il più velocemente possibile nella vita di Ben...
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio!
Sophie :D

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Capitolo 11
*** Appuntamenti ***


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Ben entrò in ufficio arrivando straordinariamente in orario e si sedette subito alla propria scrivania. Notando la sedia vuota di fronte a lui sorrise, era la seconda mattina di seguito che batteva il suo socio in fatto di puntualità.
Ora era dispiaciuto per la loro discussione della sera prima e sperava che si sarebbero riconciliati in fretta. Perché probabilmente se anche lui avesse scoperto in circolazione l’assassino di un suo amico si sarebbe comportato allo stesso modo.
Accese il computer, proponendosi di fare una piccola ricerca su Helen Luithild e capire di chi si trattasse davvero. Quando la sera prima l’aveva trovata davanti a casa sua era rimasto senza parole e poi i due avevano trascorso la notte insieme.
Era stata una notte a dir poco indimenticabile e in cuor suo il giovane ispettore sperava che quello fosse l’inizio di una vera storia.
Era rimasto però anche un po’ turbato. Poco prima di andarsene, la mattina stessa, Helen gli aveva confidato una cosa che lui non avrebbe dovuto riferire a nessuno per motivi di sicurezza.
Lei era un’agente sotto copertura.
La ragazza gli aveva spiegato di essere un’agente dell’LKA, e di lavorare sotto copertura proprio alla villa di Hoffman. La polizia criminale indagava su quell’uomo già da tempo e lei era incaricata di tenerlo strettamente sotto controllo per avvisare i colleghi in caso trovasse qualche prova in grado di incastrarlo. Per cosa, Ben non lo sapeva. Helen non aveva voluto rivelargli il motivo dell’indagine su Hoffman e si era limitata a dirgli che si sarebbero rivisti e gli avrebbe dato alcune informazioni sul suo conto, se ne avesse avute.
Poi lo aveva lasciato così, come era apparsa la sera prima così era sparita.
Ben sospirò, leggermente preoccupato. Conosceva quella ragazza da poco meno di ventiquattro ore ma già sentiva di essersi profondamente affezionato a lei e la paura che potesse accaderle qualcosa per via della sua operazione di polizia a stretto contatto con Hoffman lo schiacciava ogni secondo di più.

 

Semir parcheggiò la sua BMW sotto il comando ma non scese subito dalla macchina.
Guardò l’orologio: era di nuovo in ritardo, lui che era sempre arrivato anche prima dell’inizio del turno. Il fatto era che di nuovo aveva perso la notte per via di Aida e della sua influenza, e quando finalmente all’alba era riuscito ad addormentarsi era stato tormentato dagli incubi.
Sospirò e scese dall’auto chiudendo lo sportello.
Avrebbe chiarito con Ben, odiava litigare con l’amico e gli dispiaceva averlo trattato male il giorno prima. Eppure c’era una frase che il collega gli aveva urlato in faccia durante la discussione che non avrebbe dimenticato molto in fretta.
Continua tranquillamente a pensare a come poter vendicare un morto, ma io con questa storia non c’entro!
Le parole dell’ispettore più giovane risuonavano in continuazione nella testa di Semir, senza dargli pace. Vendicare un morto... ma era forse sbagliato voler a tutti i costi arrestare l’assassino di quello che era stato il suo migliore amico?
Comunque fosse, avrebbe preso la frase alla lettera. Avrebbe lasciato cadere il discorso di Tom e avrebbe indagato su Hoffman e sul caso dei due ragazzi, poi avrebbe pensato a Gehlen da solo, senza il collega.
Entrò in ufficio e si stupì di trovare Ben già seduto al lavoro.
«Buongiorno.» fece entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Il più giovane chiuse frettolosamente il sito su cui stava cercando le informazioni su Helen prima di salutare l’amico «Buongiorno socio. Senti, scusami per ieri sera, io non volevo...».
Ma le scuse vennero interrotte subito da Semir, che si sedette tranquillo di fronte a lui «Lascia perdere, Ben, ho sbagliato io. Occupiamoci del caso dei ragazzi e lasciamo perdere il resto, va bene?».
Ben lo guardò sconcertato «E Gehlen?».
«Gehlen è un caso a parte, no? Anche se fosse collegato a Hoffman per qualsiasi motivo, comunque non c’entra con la storia dei due ragazzi, quindi a lui penseremo se e dopo che avremo risolto il nostro caso.».
L’ispettore annuì poco convinto, chiedendosi nel frattempo se dire o no all’amico ciò che gli aveva riferito Helen. Non aveva voglia di litigare di nuovo, ma sentiva che il suo collega dovesse esserne al corrente.
«Semir... ho rivisto Helen, ieri sera.» mormorò.
Semir non poté trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo «E che è successo?» domandò.
«Mi ha detto di essere un’infiltrata. Sta lavorando fianco a fianco con Hoffman per controllarlo, lei è un agente dell’LKA.».
«Quella lì una poliziotta?».
Questa volta fu Ben ad alzare gli occhi al cielo «”Quella lì” ha un nome, Semir.».
«E tu credi veramente che stia lavorando sotto copertura?».
«Perché no?» replicò il più giovane «Non mi ha voluto dire molto, però mi è sembrata sincera.».
Semir annuì.
Ma poi improvvisamente gli tornò in mente il colloquio con Hoffman alla villa, la mattina precedente.
Lei è Helen Luithild, mia più fidata collega e carissima amica.
«Ti ha mentito.» sussurrò ad un tratto, tanto piano che il collega nemmeno sentì.
«Cosa?» fece infatti Ben, corrucciando appena la fronte.
«Ti ha mentito!» ripeté quindi Semir ad alta voce «Hoffman ci ha detto che quella ragazza è la sua collega più fidata e una carissima amica! Come è possibile? Prima di dire una cosa del genere di una persona devi conoscerla almeno un po’.».
«Magari questa operazione sotto copertura va avanti da tempo.» provò a giustificarla l’ispettore.
«O magari tu ti sei invaghito della “bella indagata” e adesso non sai più essere obiettivo.» sottolineò invece Semir «Pensaci: lei ci accoglie alla villa con aria freddissima, durante il colloquio non dice una parola e viene trattata da Hoffman come se si conoscessero da una vita. Poi ti chiama, vi vedete così, per fare una passeggiata e poi torna da te la sera stessa dicendoti di essere un’agente sotto copertura ma senza spiegarti nulla riguardo il caso a cui lavora. Non sta in piedi!».
«Ma perché no?» replicò Ben.
«Ben, se tu fossi un infiltrato in qualche banda criminale andresti a dire alla prima ragazza che vedi “Sai, sono un poliziotto sotto copertura”? E poi scusami, a te si è presentata come Helen Luithild, no? Se un agente è sotto copertura ha un nome falso, e allora perché non rivelarti anche il suo vero nome?».
Ben annuì. Il collega aveva perfettamente ragione, qualcosa non quadrava. Ma lui non aveva pensato il giorno prima a tutte quelle possibilità, preso com’era dal suo nuovo incontro.
Il problema era che si sentiva veramente attratto da lei, più che da molte altre ragazze che avesse conosciuto.
Sospirò sperando che l’amico si stesse sbagliando e non seppe se essere felice o meno quando, estraendo dalla tasca il cellulare che squillava, lesse sul display il nome della ragazza.
Uscì dall’ufficio, non voleva parlare con lei davanti a Semir, e rispose con titubanza.
«Ben? Dobbiamo vederci urgentemente. Ho bisogno di vederti... e poi ho anche notizie su Hoffman. Oggi alle tre e un quarto in Weiss Straβe.».

 

Semir vide Ben parlare al telefono dalla porta a vetri dell’ufficio e scosse il capo intuendo di chi si trattasse.
Poi sentì che anche il suo cellulare squillava e rispose incuriosito al numero sconosciuto segnato sul display.
«Sì, Semir.».
«Ispettore Gerkhan? Buongiorno, sono David Hoffman.» fece una voce melliflua dall’altro capo del telefono.
«Signor Hoffman, mi dica.» rispose il poliziotto mentre la solita sensazione gli consigliava sempre più insistentemente di tenersi alla larga da quell’uomo.
«Ispettore, mi è venuto in mente un dettaglio che potrebbe essere rilevante per il vostro caso, un dettaglio su mio figlio... non è che potremmo vederci per parlarne?».
«Certo... venga in commissariato quando vuole, io e...».
«Veramente preferirei che fosse lei a venire a casa mia, ispettore. Sa, sono terribilmente occupato e poi qui potremmo parlarne in modo più tranquillo, non le pare? Facciamo alle tre di oggi pomeriggio.».
«Va bene...» acconsentì Semir, cosciente dell’errore che stava per fare.
«Allora a dopo, ispettore. Ah, dimenticavo. Preferirei venisse solo, senza il suo collega. Sa, di questi tempi è meglio dare fiducia ad un numero molto ristretto di persone...non trova?».
«Va bene, a più tardi.» si affrettò a concludere Semir, mettendo via il telefono proprio mentre Ben rientrava nella stanza.
«Novità, socio?» chiese quest’ultimo.
«Cosa? Ah no, no... era solo Andrea.» mentì il turco con un mezzo sorriso.

 

Allora, questa Helen è davvero una poliziotta? Oppure è una spietata criminale?
Grazie mille a chi continua a seguirmi, mi fa veramente tanto piacere ricevere le vostre recensioni! Quindi un ringraziamento particolare va sicuramente a Maty, Chiara, Furia, Rebecca, Marti, Miki, Tinta87 e Marcellina.
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 12
*** Il Giaguaro ***


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Semir lanciò una rapida occhiata all’orologio: le due e mezza.
Se voleva arrivare puntuale alla villa di Hoffman doveva trovare in fretta un pretesto per uscire dall’ufficio. La Kruger non era in servizio, il suo unico problema era Ben. Non doveva assolutamente sapere dell’incontro o avrebbe insistito per andare con lui e l’avvocato era stato molto chiaro in proposito.
Si alzò dalla sedia e la mise a posto lentamente avviandosi verso la porta «Ben, senti, ti dispiace se vado un attimo a casa? Perché Aida non si sente proprio bene, le è salita di nuovo la febbre e Andrea deve accompagnare Lily da un’amica e non può lasciarla sola.» inventò, imponendosi di apparire convincente.
L’ispettore più giovane lo guardo un po’ perplesso ma poi sorrise «Ma tranquillo, vai! Povera la mia principessina, ma sta tanto male?».
«Eh sì... l’influenza...».
«Mi sa che qui ci vuole una suonatina dello zio Ben per farle passare tutto. Quanto scommetti che se le suono la chitarra guarisce più in fretta?».
«Sì, magari.» replicò frettolosamente Semir, accennando appena un sorriso «Ora vado Ben, a dopo.».
E il turco uscì dall’ufficio.

 

Guidò a media velocità per tutto il tragitto che lo separava dalla maestosa villa di Hoffman, appena fuori dal centro della città. Solo quando parcheggiò e tolse le mani dal volante si accorse di quanto le avesse tenute strette intorno ad esso. Gli facevano quasi male.
Scese dalla macchina e si diresse a passo titubante verso l’ingresso della villa.
Il cancello di ferro si aprì con un cigolio leggermente sinistro senza nemmeno bisogno che lui suonasse il citofono e l’ispettore percorse lentamente il breve vialetto in pietra che lo portava al portone dell’abitazione.
Quindi, ancora una volta, non ebbe il tempo di suonare che un uomo in tenuta da maggiordomo gli aprì gentilmente la porta «Signor Gerkhan?» domandò.
Semir annuì osservando l’uomo, che la mattina precedente non aveva notato.
«Il signor Hoffman la aspetta nel salotto delle visite, le faccio strada.».
L’uomo accompagnò il poliziotto nella stessa stanza dove lui e Ben erano stati accolti la mattina precedente e poi chiuse la porta.
Semir avanzò leggermente all’interno del salone, fino a scorgere, sul divano davanti a lui, una figura elegante seduta di spalle, che si alzò con calma avvicinandosi per stringergli la mano «Buongiorno, ispettore.» fece Hoffman con un sorriso che al poliziotto parve più simile ad un ghigno.
«Buongiorno.».
«E così vedo che è venuto solo, sono contento.» cominciò «Quello di cui le dovrei parlare è davvero molto importante. Sa una cosa? Ho saputo che lei ha chiesto un mandato di perquisizione per la mia casa.».
Semir sussultò. Era vero, lo aveva chiesto la mattina stessa alla Kruger, pregandola di riuscire a procurarselo, senza risultato per la totale mancanza di indizi, tra l’altro. Ma come faceva quell’uomo a saperlo?
«Vede, non sopporto le persone che si permettono di introdursi nei miei affari o, ancora peggio, tra i miei effetti personali.».
«Stiamo svolgendo un’indagine, è normale chiedere un mandato di perquisizione.» obiettò il poliziotto.
Entrambi, anzi che sedersi, erano rimasti in piedi in mezzo alla sala.
Hoffman sorrise «Un’indagine, già. Complessa come indagine, non è così? A quanto ne so è rispuntato fuori anche un altro vecchio caso...».
Semir sentì la sua brutta sensazione farsi sempre più fastidiosa e improvvisamente gli parve di non riuscire a respirare bene, di avere bisogno d’aria. Si costrinse a rimanere immobile nonostante la tentazione di scappare fosse forte e provò a riordinare le idee: Hoffman c’entrava davvero con la storia di Gehlen.
«Vedo che è informato su ciò che accade al nostro comando, avvocato, credevo che non si interessasse dei banali casi dell’autostradale.».
«Lei è un buon poliziotto, non è vero, Gerkhan? La sua superiore è contenta di lei, no? Lavora bene, è efficiente, abbastanza testardo da non scoraggiarsi davanti alla mancanza di prove in un’indagine... forse ha solo una pecca, sa?» disse David, divertito «Si affeziona troppo ai suoi colleghi. E dire che già qualcuno ha fatto una tragica fine, non ha ancora capito quanto sia pericoloso nel suo lavoro affezionarsi alle persone? È una fortuna che ancora a Jager non sia accaduto nulla.».
Semir aprì la bocca per ribattere, ma non emanò alcun suono.
Non riusciva a tener testa a quell’uomo, non c’era verso. E quella sua ultima frase era suonata tanto come una minaccia...
Avrebbe voluto parlare, interromperlo, ma contro ogni sua volontà stette zitto e lasciò che l’altro continuasse il suo discorso.
«Tuttavia,» riprese infatti l’avvocato «Non siamo qui per parlare di questo, giusto?».
«Senta.» fece Semir cominciando seriamente a stufarsi «Mi ha chiamato dicendo di dovermi riferire qualcosa di importante sul caso dei ragazzi, mi dica di cosa si tratta e arriviamo al punto.».
«Certo, certo Gerkhan, ha ragione. L’informazione che sto per darle è di fondamentale importanza per il vostro caso. Io so chi è il Giaguaro.».
L’ispettore lo fissò quasi con aria di sfida «E sarebbe?» domandò, temendo già di conoscere la risposta.
E la risposta arrivò in un sussurro da parte dell’avvocato. Solo un sussurro, che però sembrò rimbombare nella stanza come un grido.
«Io sono il Giaguaro.».
Seguì un attimo di silenzio assordante.
Poi Semir aprì bocca per parlare ma venne interrotto da due mani forti che lo afferrarono da dietro incrociandogli violentemente le braccia dietro alla schiena, mentre un colpo dietro alle gambe lo costrinse a ritrovarsi in ginocchio.
Il poliziotto non si era nemmeno accorto della porta che si era aperta alle sue spalle e ancora meno dell’uomo, quello che all’entrata lo aveva accolto fingendosi un maggiordomo, che era entrato e che adesso lo immobilizzava.
Hoffman continuava a stare in piedi di fronte a lui, beffardo e soddisfatto.
«Ora la voglio portare in un posto, ispettore.» spiegò l’avvocato mentre si dirigeva con calma verso l’uscita della villa.
Semir strinse i denti e cercò di liberarsi dalla presa del “maggiordomo” ma questi gli strinse i polsi ancora più forte.
Poi gli sfilò la pistola dalla fondina e la appoggiò sul tavolino, lo stesso tavolino intorno al quale avevano parlato Semir, Ben e Hoffman la mattina precedente.
Lo scagnozzo di Hoffman lo fece quindi alzare e lo condusse malamente, sempre tenendogli le mani immobilizzate dietro la schiena, verso l’uscita.

 

Ben uscì dall’ufficio con aria perplessa: pensava che Semir sarebbe tornato in fretta e invece ancora non si era fatto vedere. Ma d’altra parte per lui era meglio così, doveva andare all’appuntamento con Helen e preferiva non dare spiegazioni al collega a riguardo, sicuramente non sarebbe stato d’accordo.
Salì in macchina e si diresse deciso verso la via che la ragazza gli aveva indicato per telefono. In fondo ad essa c’era un piazzale totalmente deserto e il poliziotto parcheggiò lì la Mercedes, senza preoccuparsi di accostarla troppo al marciapiede.
La piazza sembrava completamente priva di vita e l’unico edificio che si affacciava su di essa era un vecchio casermone diroccato, e senza ombra di dubbio disabitato.
Ben guardò l’orologio che aveva al polso e poi tornò a guardarsi intorno, leggermente preoccupato: quel luogo non gli piaceva e piano piano in lui si fece strada una strana sensazione. Ci fosse stato Semir, probabilmente gli avrebbe confermato che quello non era un posto sicuro e che sarebbe stato meglio nascondersi ed aspettare rinforzi.
Ma l’ispettore non aveva il carattere del suo collega, era certamente meno prudente, ragion per cui scelse di aspettare a vedere cosa sarebbe accaduto.
Dopo un paio di minuti vide Helen, bella come sempre, avvicinarsi a lui uscendo proprio dal portone di quell’edificio vecchio e pericolante.
Indossava un tallieur nero ma estivo, che le stava semplicemente d’incanto.
Quando lo ebbe raggiunto, Helen baciò Ben con passione e gli sorrise.
«Ciao.» sussurrò con voce vellutata.
L’ispettore ricambiò il saluto tentando di mascherare con un breve sorriso il senso di inquietudine che lo aveva invaso non appena aveva visto la ragazza.
«Cosa mi dovevi dire riguardo a Hoffman?».
Helen sorrise ancora.
E Ben rimase completamente spiazzato.
Sì.
Perché quello non era il sorriso angelico di cui si era innamorato il giorno prima.
Quello era il ghigno freddo e malvagio che le aveva letto in faccia la prima volta che l’aveva incontrata, due giorni prima, alla villa di Hoffman.

 

Guai, guai, guai, e nel prossimo capitolo il guaio più grande...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacio.
Sophie :D

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Capitolo 13
*** Uccidilo ***


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Semir venne caricato da due uomini molto più grandi e robusti di lui sul retro di una monovolume nera e uno dei due, il falso maggiordomo, salì insieme a lui, puntandogli contro la sua stessa pistola.
L’altro energumeno salì alla guida dell’auto mentre Hoffman si limitò ad assistere divertito alla scena, rimanendo in piedi sulla soglia del cancello della villa.
«Non si preoccupi Gerkhan, lei dovrà semplicemente fare ciò che le ho detto di fare.» disse con un sorriso malvagio dipinto sul viso «Sarebbe un peccato che la signora Gerkhan e le due mocciosette facessero una brutta fine a causa sua, no?».
«Lurido bastardo.» sibilò Semir, maledicendosi per l’enorme errore che aveva compiuto andando all’appuntamento da solo.
Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro ma una ginocchiata nello stomaco gli fece mancare il respiro, e insieme ad esso anche la voglia di parlare.
«Sia gentile, Gerkhan.» continuò il Giaguaro, sempre sogghignando «E faccia quello che le ho detto. È una questione di priorità in fondo, no? A lei la scelta.».
Con una breve risata, si tolse la giacca elegante che portava e alzò un po’ la manica sinistra della camicia, mostrando all’ispettore un tatuaggio che raffigurava un giaguaro in bianco e nero nell’atto di saltare con aria feroce verso la sua preda.
«E si ricordi di questo.» concluse.
Poi rise ancora e chiuse lo sportello della monovolume.
Si allontanò percorrendo il vialetto in pietra a passo tranquillo e rientrò in casa come se nulla fosse successo, mentre la vettura scura partiva indisturbata verso la sua meta.

 

Ben rimase immobile ancora per qualche istante a fissare quel sorriso che adesso lo terrorizzava.
«Qualcosa non va Ben?» domandò la ragazza, avvicinandosi ancora. Poi lo baciò di nuovo e Ben non si ritrasse come avrebbe dovuto fare. Ma sussultò quando sentì la canna di una pistola puntata al fianco sinistro.
«Helen...».
«Ben.» lo precedette lei «Ma cosa pensavi? Che davvero fossi una poliziotta?» e scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Che cosa...».
Helen si allontanò di qualche passo, sempre puntando la pistola verso l’ispettore «Che sciocco. È stato facile ingannarti, e devo dire anche piuttosto divertente.» aggiunse con aria maliziosa «Pensavi che davvero avrei rivelato ad un perfetto sconosciuto di essere un’agente sotto copertura se fosse stata la verità?».
Ben strinse i pugni, lo stesso perfetto ragionamento che gli aveva presentato Semir la mattina stessa e che adesso suonava terribilmente logico, ovvio.
«Ora, tira fuori la tua pistola, lentamente.» ordinò la donna.
Ben corrucciò la fronte. Pensava che lo avrebbe voluto uccidere, perché gli stava facendo estrarre la pistola? La tolse dalla fondina e la mostrò alla criminale, con calma.
Rimase immobile e attese.
Helen gridò qualcosa di indefinito, forse una specie di parola d’ordine, e subito dall’interno dell’edificio diroccato si fece avanti un uomo vestito di nero che conduceva malamente un ragazzo con le mani legate dietro alla schiena. L’uomo fece avvicinare il giovane al punto dove si trovavano Ben ed Helen e lo costrinse ad inginocchiarsi, quindi gli liberò le mani e  rimase dietro di lui, puntandogli la pistola alla nuca.
Ben strabuzzò gli occhi non appena riconobbe il ragazzo: Henry Turner, quello che scappava nel bosco due giorni prima, quello che lo era andato a cercare a casa e che poi era stato messo sotto protezione dalla Kruger, quello il cui padre era stato ucciso il giorno prima davanti al comando.
«I... ispettore... la prego mi aiuti!» balbettò il ragazzo, adesso a quattro o cinque metri di distanza da lui, inginocchiato nella polvere.
Ma Ben non ebbe tempo di rispondere che di nuovo intervenne Helen.
«Già, aiutalo. Dagli l’opportunità di smettere di disperarsi... uccidilo.».
L’ispettore rimase spiazzato. Non riusciva a mettere in ordine i pensieri «Cosa?».
«Hai sentito benissimo, sbirro.» replicò lei «Uccidilo. Togli la sicura dalla tua pistola e sparagli. Ora.».
Ben sussultò ancora. Doveva farsi venire in mente qualcosa, non avrebbe sparato ad un ragazzo, nemmeno sotto tortura.
Tolse la sicura dalla pistola.
E poi, anzi che sparare al ragazzo, sparò verso di lei, verso Helen Luithild.

 

Quando la monovolume si fermò, l’autista scese e aprì il portellone posteriore. L’altro uomo, quello che aveva viaggiato accanto a Semir, slegò i polsi del poliziotto e lo fece scendere dalla vettura, senza nemmeno minacciarlo con la pistola «Sai cosa devi fare adesso, sbirro.».
Gli riconsegnò la propria arma, quella che egli stesso gli aveva sequestrato all’interno della villa, ed estrasse dalla tasca uno smartphone.
Quindi l’energumeno compose un numero ed aspettò pazientemente la risposta, che arrivò solo pochi secondi dopo.
Attivò il vivavoce e mostrò a Semir lo schermo del telefono, che inquadrava l’abitacolo di una macchina. Era una videochiamata.
Semir non disse niente, non fece niente, si limitò a guardare, stringendo la propria pistola in mano, sapendo che tentare di fuggire o di sparare a uno dei due uomini in quel momento avrebbe significato complicare ancora di più la situazione in cui si era cacciato.
«Ciao Alfred.» fece la voce roca dall’altro capo del telefono «Procedo?».
«Certo.» fece l’uomo che teneva in mano il cellulare «Fai un po’ vedere al nostro sbirro dove ti trovi esattamente.».
L’uomo dall’altra parte fece come il suo interlocutore gli aveva ordinato: si sentì il rumore dello sportello della macchina che si apriva e il video rimandò l’immagine di una via che Semir conosceva fin troppo bene.
Poi lo schermo passò a mostrare con più precisione una casa, circondata da un piccolo giardino. L’immagine era tremolante, si capiva che dall’altro capo del telefono l’uomo camminava, avanzando verso il punto da mostrare e riprendendo la sua posizione con il telefono.
Poi l’immagine tornò stabile, segno che l’uomo si era fermato, e questa volta riprendeva proprio un pezzetto di quel giardino.
Era la casa di Semir, e a giocare lì sul prato c’erano Lily e Andrea.
L’ispettore sentì che il cuore accelerava i battiti e strinse i pugni più che poté, tentando di mantenere la calma.
«Che carine queste due “donne” eh? Sembrano così delicate. Scommetto che con un colpo potrei farle fuori entrambe. O quantomeno la bambina. E la più grande dov’è? Non gioca nel giardino con mamma e sorellina?» rise l’uomo dall’altro capo del telefono.
«Non le toccare!» gridò Semir con quanto fiato aveva in gola, ricevendo in risposta l’ennesima gomitata nello stomaco da parte di uno dei due criminali che lo affiancavano.
Si sentì un’altra crudele risata e poi l’uomo con il telefono chiuse la comunicazione e lo rimise in tasca.
«Come vedi le tue belle bambine e tua moglie sono sotto stretta sorveglianza.» continuò quindi Alfred, rivolto all’ispettore «Ma a loro non verrà torto nemmeno un capello se fai quello che il capo, il Giaguaro, ti ha detto di fare.».
«Il tuo capo è un lurido bastardo!» fece il poliziotto.
«Ancora una parola e giuro che richiamo il mio amico, e allora di quelle due bambine ritroverai solo le unghie.».
Semir si zittì e tutti e tre rimasero in silenzio per qualche istante.
«Quando e dove?» domandò poi l’ispettore.
«Ora. Gira l’angolo della strada e troverai la piazza. E niente scherzi.» rispose l’autista della monovolume.
«E vedi di essere convincente. Nemmeno quello sciocco del tuo amico deve capire che sei stato minacciato, siamo intesi? Ricorda cosa ti ha detto il Giaguaro e forse le tue figlie prima di stasera saranno ancora vive.» aggiunse l’altro, il finto maggiordomo, salendo nuovamente sulla vettura dal lato del passeggero.
Semir annuì e si allontanò dai due uomini, la propria pistola stretta nella mano destra.
Doveva trovare un modo per tirarsi fuori dai guai, ma sapeva che quei due uomini lo avrebbero controllato finché non avesse fatto ciò che loro volevano che facesse.
Ordinò alla sua mente di cercare in fretta una soluzione ma l’unica immagine che questa gli rimandava era quella di Lily e Andrea che giocavano beate nel giardino.

 

Helen schivò il colpo per una manciata di millimetri e si avventò su Ben prima ancora che il ragazzo potesse rendersene conto. Gli afferrò la mano e fece in modo che le dita del poliziotto premessero ancora una volta il grilletto, questa volta però nella direzione giusta.
Fu un attimo, Ben non ebbe il tempo di reagire e sentì lo sparo. Non ebbe nemmeno il tempo di vedere Henry Turner che si accasciava a terra senza vita, perché Helen, con una forza non comune per una donna, premette di nuovo il grilletto con la sua mano e si sparò un colpo, andandosi a ferire il braccio sinistro di striscio.
Poi mollò la presa stringendosi il braccio ferito e lasciò Ben in piedi, immobile e spaesato in mezzo alla piazza.
L’ispettore non riuscì a realizzare esattamente cosa fosse successo finché non vide il sangue spandersi sotto il corpo del ragazzo e l’uomo che prima aveva liberato Hanry nella piazza fuggire via, volattilizzandosi in un attimo.
Ben rimase in piedi, con la sua pistola ancora in mano, quella pistola da cui erano partiti due colpi, colpi che lui aveva esploso con le sue mani, guidate dalle mani di Helen.
Per un lunghissimo istante gli parve di stare per impazzire.
Si catapultò verso il ragazzo e mollò la pistola a terra provando a fermare l’emorragia provocata dalla ferita sul corpo del giovane.
Poi alzò lo sguardo e, senza capire, vide Semir avvicinarsi di corsa, la pistola in pugno, dopo aver raggiunto la piazza da una stradina secondaria a lato dell’edificio abbandonato.
Non si chiese come mai il suo socio fosse lì.
Non si chiese nulla.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e scosse il corpo del ragazzo senza vita nel tentativo di rianimarlo.
Poi udì in lontananza le sirene della polizia e vide Helen, dietro di lui con il braccio sanguinante, sorridere beffarda.

Capitolo confuso, lo ammetto, ma nel prossimo si spiegherà ogni cosa. Per ora vi basti sapere che Helen è riuscita a far premere a Ben il grilletto della sua stessa pistola, uccidendo il ragazzo e ferendo appositamente se stessa...
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio.
Sophie :D

PS: se sto aggiornando troppo in fretta avvisatemi, che rallento un po’!

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Capitolo 14
*** L'inizio della recita ***


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«Ben!» gridò Semir avvicinandosi al collega di corsa «Ma cosa hai fatto?».
«Semir, aiutami, ti prego, non ha più polso!» esclamò Ben tra le lacrime, scuotendo ancora il corpo immobile del ragazzo steso a terra «Chiama un’ambulanza!».
Ma i soccorsi erano già stati chiamati e in lontananza si poteva udire appena il suono lamentoso delle sirene che si avvicinavano.
Semir corse quindi verso Helen, ora in ginocchio tra la polvere, che si stringeva il braccio ferito.
Si scambiarono un’occhiata, una lunga ed importante occhiata, grazie alla quale la ragazza capì che il turco sapeva benissimo quale parte dovesse recitare.
«Come sta?» le domandò l’ispettore mostrando preoccupazione, mentre Ben assisteva incredulo e in lacrime alla scena.
«Come sta?! Ma... ma Semir...» mormorò allora il poliziotto più giovane «È stata lei... è stata lei a sparare, Semir!».
Ma l’amico non sembrava nemmeno ascoltarlo.
«I soccorsi stanno arrivando, non si preoccupi.».
«Semir, ma che stai facendo?» chiese Ben mentre la confusione più totale si impossessava della sua mente sconvolta.
«No, che cosa hai fatto tu!» esclamò Semir di rimando.
«Ma... ma cosa dici?».
«Ben, hai sparato sia al ragazzo che a lei, ma che ti è preso?» continuò con tono sempre più accusatorio Semir.
Ben non credeva alle proprie orecchie «Ma... ma Semir, non sono stato io, lo hai visto anche tu!».
«Evita di prendermi in giro, per favore.».
«Semir, hai visto anche tu! Ha sparato a Henry con la mia pistola!» replicò ormai urlando Ben, indicando con un cenno Helen, che mostrò un’espressione falsamente confusa.
«Io? Jager, deve essere impazzito.» mormorò.
In quell’esatto istante la polizia raggiunse la piazza e le tre volanti parcheggiarono sollevando un gran polverone.
La Kruger scese per prima dall’auto della polizia e solo allora Semir si rese conto di quanto abile fosse stato il Giaguaro. Aveva chiamato la polizia e i soccorsi assicurandosi che arrivassero nel piazzale al momento giusto e non aveva chiamato la criminale ma l’autostradale, appositamente.
Fece un respiro e chiuse gli occhi per un attimo: fingere davanti al commissario gli sarebbe risultato ancora più difficile.
Ma Helen era lì e lui era controllato, non poteva cedere.
«Jager, Gerkhan! Che è successo?» domandò concitata la Kruger trovandosi davanti ad una scena dove evidentemente qualcosa non quadrava.
Ben era ancora in ginocchio tra la polvere accanto al ragazzo, aveva le mani e i vestiti completamente ricoperti di sangue e grosse lacrime gli rigavano le guance con insistenza.
«Commissario, quest’uomo ha sparato a quel ragazzo e ha provato ad uccidere anche me! Per fortuna è intervenuto l’ispettore...» fece Helen mostrando un’espressione sconvolta, perfettamente credibile, facendo poi cenno verso Semir.
La Kruger spostò senza capire lo sguardo sul poliziotto.
Poi fissò Ben.
E Ben fissò a sua volta Semir, che però non sembrava decidersi a parlare.
Kim corrucciò la fronte tentando di capire.
Nel frattempo arrivò anche un’ambulanza, e i soccorritori scesero dalla vettura in fretta per prestare le prime manovre di pronto soccorso al ragazzo, ma ben presto fu chiaro che non ci fosse più nulla da fare e non molto tempo dopo il giovane venne discretamente coperto con un triste lenzuolo bianco.
Due soccorritori si occuparono quindi di Helen, fasciandole la ferita che però si era rivelata essere poco più di un graffio.
Ben venne fatto sedere anch’egli su una barella. Era completamente sconvolto.
«Jager, voglio sapere cosa è successo.» chiese ancora la Kruger, avvicinandosi al suo ispettore.
Il poliziotto stava per rispondere ma le parole gli morirono in gola non appena vide Semir avvicinarsi a passo deciso e scuro in volto.
«Glielo dico io cosa è successo, commissario. Ha ragione Helen Luithild, è stato Ben... io l’ho visto.».

 

Erik Gehlen entrò nel lussuoso salone con un ghigno soddisfatto stampato sul viso.
«David, è tutto a posto.» comunicò sedendosi comodamente sulla poltrona di fronte al proprietario della villa.
L’avvocato Hoffman accennò un sorriso «Bene. Ora confidiamo nella capacità di recitare di Gerkhan.».
«Stai tranquillo, non ci deluderà.».
Il Giaguaro sorrise ancora ma poi si fece scuro in volto «Sa che sei ancora vivo, Erik. E sa anche che lavori per me.».
«E quale sarebbe il problema?» fece Gehlen alzando le spalle «Non ha assolutamente nulla in mano, e penso che nei prossimi giorni avrà altro a cui pensare. A proposito David, ti devo ringraziare. Grazie per avermi permesso di inserire nel tuo piano questa mia piccola vendetta personale.».
«Da quando ti perdi in ringraziamenti, Erik? E comunque sappi che se l’ho fatto è stato solo perché anche a me fa comodo togliermi dai piedi quei due ficcanaso.» puntualizzò Hoffman accendendosi un sigaro distrattamente.
«Così non li avrai tra i piedi affatto. Si dimenticheranno totalmente del caso, concentrandosi solo sulla morte di Turner. Jager finirà in prigione e Gerkhan patirà le pene dell’Inferno. Pensa un po’ come reagirà quando verrà a sapere che in realtà...».
«Basta così, Erik.» lo bloccò seccamente il Giaguaro «Non ho bisogno che tu mi ripeta tutto il tuo piano e quella storia riguarda te, quel turco e Tom Kranich, ma non me. Entrerai di nuovo in gioco quando sarà il momento, ora lascia fare a me.».
Gehlen sorrise e si alzò dalla poltrona.
«Va bene, David. Vado a fare una visita al mio ospite, al Covo.».
E l’uomo uscì trionfante dalla sala.

 

Finalmente incontriamo Gehlen, che a quanto pare è proprio vivo e vegeto e nasconde qualcuno.
Grazie mille ai recensori (non so come farei senza di voi!) e a chi continua a seguirmi silenziosamente.
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 15
*** Rabbia ***


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Kim Kruger girò attorno al tavolo quasi fosse un animale in gabbia e poi si sedette al tavolo di fronte a Ben.
L’ispettore era stato portato al comando su una volante della polizia e adesso che si trovava lì, nella stanza degli interrogatori, sembrava completamente sconvolto.
«Allora Jager, mi può spiegare cosa è successo?».
Ben non rispose, continuando a fissare con sguardo vuoto la donna di fronte a lui.
In testa continuava a rimbombargli la frase di Semir e proprio non riusciva a capire.
Glielo dico io cosa è successo, commissario. Ha ragione Helen Luithild, è stato Ben... io l’ho visto.
Perché l’amico avrebbe dovuto affermare una cosa simile? Era stata Helen a sparare, era stata lei a premere il grilletto e a puntare la pistola contro Henry!
«Jager, ma mi sta ascoltando?» ripeté la Kruger, riscuotendo il poliziotto da quello stato di trance.
«Sì...».
«Mi racconti cosa è successo in quel piazzale.».
«Ma capo, gliel’ho già detto! Io ero lì perché mi aveva chiamato Helen e...».
«Ma chi è questa Helen?» lo interruppe subito il commissario.
«Helen Luithild!» esclamò Ben a metà tra l’infastidito e il disperato «Mi aveva detto di avere delle informazioni su Hoffman ma mentiva. Capo, quella donna lavora per Hoffman, c’era anche quando siamo andati ad interrogarlo alla villa.».
La Kruger sospirò alzandosi di nuovo dalla sedia «Jager, non abbiamo niente contro Hoffman.».
«Quell’uomo è il Giaguaro!» ribatté l’ispettore.
«Senta.» fece Kim con tono che non ammetteva repliche «Mi dica cosa è successo in quel piazzale, ora.».
«Helen mi ha chiesto di sparare a Henry Turner, io ho provato a reagire e l’ho ferita, ma poi lei ha preso la mia mano e ha fatto in modo che io sparassi al ragazzo. Ma è stata lei a premere il grilletto.» raccontò Ben tutto d’un fiato.
«La versione della ragazza è un po’ diversa, però.» commentò la Kruger girando per la stanza «Dice che lei, Jager, voleva sparare al ragazzo ma poi è intervenuta Helen e per questo lei le ha sparato. Poi ha ucciso il ragazzo.».
«Ma è assurdo!» gridò il poliziotto mentre le lacrime gli salivano inevitabilmente agli occhi «Perché io avrei dovuto sparare al ragazzo?».
«Me lo dica lei questo, Jager.».
«Capo, davvero lei crede che io abbia ucciso quel ragazzo a sangue freddo, così, perché mi andava di farlo?» domandò ancora Ben, terrorizzato da quella che sarebbe potuta essere la risposta del suo superiore.
«Io non credo niente, ma ci sono due testimoni, Jager. Due testimoni, polvere da sparo sulle sue mani, i colpi sono partiti dalla sua pistola e i suoi vestiti erano completamente sporchi di sangue... Mi dispiace, l’unica cosa che posso dirle è che indagheremo, ma per ora i fatti non lasciano molti dubbi.» fece la Kruger uscendo a passo deciso dalla stanza.
L’ispettore rimase solo e in silenzio, lasciando che le lacrime calde gli rigassero le guance.
Due testimoni.
E Semir doveva essere uno di questi.

 

Kim entrò nel proprio ufficio e trovò Semir seduto davanti alla sua scrivania ad aspettarla.
«Gerkhan.» esordì entrando «Esigo una spiegazione.».
«Una spiegazione per cosa, capo? Le ho già raccontato cosa è successo.» replicò il poliziotto, completamente atono.
«Lei sta accusando Jager di omicidio, se ne rende conto?».
«Io ho solo detto quello che ho visto.».
«Lei ha visto Jager sparare a Helen Luithild? E poi a Henry Turner?» domandò ancora il commissario, senza quasi credere alle proprie orecchie.
«Sì. E forse avrebbe ucciso anche lei se io non fossi arrivato in tempo.».
La Kruger rimase come pietrificata, ad ascoltare una testimonianza a cui lei non avrebbe mai creduto. Perché conosceva Jager e conosceva Gerkhan, erano i suoi uomini migliori ed era evidente che qualcosa continuasse a non quadrare.
«E perché la Luithild avrebbe chiesto aiuto proprio a lei?».
«Le avevo lasciato il mio biglietto da visita quando siamo andati alla villa a interrogare Hoffman.» rispose Semir senza fare una piega «Ora capo, se non le dispiace dovrei andare, il mio turno è finito da un pezzo.».
«Inutile dirle di tenersi a disposizione, immagino lei conosca la procedura per i testimoni.» disse la Kruger senza nascondere la punta di sfida con la quale pronunciò quella frase.
«La conosco benissimo, grazie.» rispose a tono l’ispettore.
Poi, senza aggiungere altro, lasciò l’ufficio.

 

Semir salì sulla propria BMW uscendo dal comando quasi di corsa, per paura di incontrare Helen, che ancora era sotto interrogatorio o, ancora peggio, Ben.
Partì sgommando e imboccò la strada che portava verso casa sua, sempre alla massima velocità.
Mille pensieri gli si accavallavano nella mente e l’ispettore non riusciva a seguire nemmeno un filo logico di questi.
Le immagini di Ben in lacrime davanti al corpo senza vita del ragazzo e di Lily e Andrea che giocavano nel giardino continuavano a sovrapporsi, creando una confusione indescrivibile.
Afferrò il telefono che squillava nella tasca della giacca e rispose imponendosi di apparire perfettamente tranquillo a chiunque lo stesse chiamando.
«Sì, Semir.»
«Gerkhan.» fece una voce conosciuta dall’altro capo del telefono, seguitando poi a ridere, compiaciuta «Complimenti, davvero, non mi aspettavo una performance così realistica. Ha mai pensato di iscriversi ad un corso di recitazione?».
«Hoffman, cosa vuole ancora?» fu la secca risposta di Semir.
«Intanto voglio che lei con me moderi i toni, Gerkhan. E poi volevo solo avvertirla: ci sono telecamere ovunque, ispettore. Ovunque, ha capito? Io la controllo e continuerò a controllarla, non avrà un attimo di pace, io conoscerò ogni suo movimento. Quindi provi a fare qualcosa di sbagliato e una delle piccole è morta, chiaro?».
«Lei è un gran...».
«Fermo, fermo, fermo, Gerkhan! Anche insultarmi rientra nelle cose “sbagliate”. Sa com’è, potrei anche stufarmi... quindi sfoghi la sua rabbia in qualche altro modo, siamo intesi?».
Semir non rispose ma strinse il volante talmente forte che per poco non gli sfuggì dalle mani.
«Buona continuazione, Gerkhan.» fece il Giaguaro chiudendo poi la comunicazione.
Semir lanciò con quanta forza aveva in corpo il telefono sul sedile accanto al suo e posteggiò di fronte a casa.
Uscì dalla macchina sbattendo lo sportello, quindi assestò un calcio alla ruota anteriore dell’auto e tirò un pugno sul cofano.
Poi sospirando si appoggiò alla sua BMW.
Doveva calmarsi prima di rientrare a casa o non sarebbe riuscito a nascondere proprio nulla ad Andrea.
Doveva calmarsi, assolutamente.

 

Ben è sconvolto e Semir forse ancora più di lui...
Grazie mille a tutti i recensori e un bacio.
Sophie :D

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Capitolo 16
*** Notti in bianco ***


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Semir aprì la porta di casa facendo il minimo rumore possibile e subito la piccola Lily gli saltò in braccio, senza nemmeno dargli il tempo di varcare la soglia.
«Papà, papà! Sai che Aida non ha più febbre? Così adesso possiamo giocare insieme con il gioco nuovo della nonna, quello che ti ho fatto vedere ieri sera!».
La bambina era un fiume in piena, l’entusiasmo e l’allegria le si leggevano negli occhi.
«Bene.» sorrise il poliziotto posando la piccola a terra.
In un altro momento sarebbe volato in camera dalle bambine a giocare con loro ma quella sera non riusciva nemmeno a rispondere alla figlia.
Vide Andrea andargli incontro e sorrise ancora debolmente, rendendosi conto di quanto poco sarebbe stato credibile dicendo che andava tutto bene.
«Buonasera.» fece la donna con aria maliziosa, salutandolo con un bacio.
«Buonasera.».
«Aida non ha più febbre e nemmeno mal di pancia, è su che cerca di fare i compiti ma Lily non la lascia quietare un attimo.» raccontò la moglie sorridente e Semir annuì posando il giubbotto e le chiavi della macchina «Ora vado a salutarla.».
«Va tutto bene?» domandò ad un tratto Andrea, preoccupata.
L’uomo annuì semplicemente.
«Sei pallido...».
«Ho un po’ di mal di testa, magari Aida mi ha attaccato l’influenza.».
Andrea alzò un sopracciglio, poco convinta.
«Cosa è successo? Al comando tutto bene?».
Semir annuì ancora, e la moglie ebbe la certezza che stesse mentendo.
«Semir...» fece portandolo verso il divano e sedendosi insieme a lui «Se ti conosco almeno un po’ oggi è successo qualcosa al lavoro, non è così?».
Il poliziotto abbassò lo sguardo.
Avrebbe voluto parlare, confidare tutto alla moglie, ma non poteva.
Fu proprio mentre pensava a questo che la vide: una minuscola telecamera nascosta nell’angolo più scuro del soffitto. E poi ne vide un’altra sullo scaffale e un’altra ancora vicino alla finestra, e la testa cominciò a girargli vorticosamente.
«Cosa succede? Non ti senti bene?» chiese ancora la donna, cominciando a preoccuparsi seriamente.
«Mi... mi gira solo un po’ la testa ma... ma sto bene...».
Andrea si alzò prontamente e tornò pochi secondi dopo dalla cucina con un bicchiere di acqua e zucchero in mano, temendo che il marito si sentisse male da un momento all’altro.
«Ora però dimmi cosa è successo, per favore!».
«Andrea... Ben ha ucciso un ragazzo e ferito una donna... ed io l’ho visto.».
E Semir le raccontò tutto, o almeno tutto dell’unica, falsa versione di cui le poteva parlare. E anche se era tutta una menzogna, si sentì un po’ meglio dopo averne parlato.
«Ma non è possibile!» esclamò Andrea, inorridita «Ben non farebbe mai male a una mosca e lo sai anche tu.».
«Sì ma io l’ho visto.».
«Ma non puoi averlo visto, è impossibile!».
«Andrea, non ci credevo nemmeno io, ma l’ho visto.».
«E che ragione avrebbe avuto Ben per ucciderlo?» domandò ancora la donna, sconcertata.
«Non lo so.» mormorò Semir abbassando lo sguardo.
«Dovrai deporre contro di lui?».
L’ispettore annuì e fissò la moglie negli occhi. Ma in quegli occhi lesse tristezza e disperazione, non fiducia.

 

Ben si prese la testa tra le mani quando Dieter ebbe chiuso la porta della piccola cella del comando dove avrebbe dovuto passare la notte in custodia.
Poi probabilmente lo avrebbero portato in carcere, lì avrebbe atteso il processo e poi sarebbe stato l’inizio della fine.
Per tutto il pomeriggio che aveva passato nella stanza degli interrogatori non era riuscito a trattenere le lacrime.
Ora non piangeva più.
E non faceva altro che pensare a Semir.
Subito aveva pensato che Hoffman lo stesse minacciando, unica tesi possibile che gli fosse venuta in mente. Ma aveva scartato quella possibilità non appena aveva visto gli occhi dell’amico: non un velo di preoccupazione o di tristezza, non un segno di pietà, nessun’ombra in quello sguardo che potesse tradire un senso di colpa.
Niente.
Solo freddezza.
Freddezza e decisione mentre diceva al commissario che era stato lui a sparare, che l’aveva visto.
Ben non riusciva a spiegarselo... ed era troppo stanco.
Sospirò e chiuse gli occhi, rimanendo solo ad ascoltare il silenzio che lo circondava.

 

Semir aprì la finestra della cucina per prendere un po’ d’aria.
La casa era buia e silenziosa, Andrea e le bambine dormivano al piano di sopra.
Lanciò un’occhiata all’orologio: le 2.51.
L’ispettore sorrise brevemente rendendosi conto che quella, per un motivo o per un altro, era la terza notte di seguito che passava completamente in bianco.
Chissà quante ancora ne sarebbero seguite.
Doveva trovare una soluzione.

 

David Hoffman uscì nel grande giardino della villa.
Erano quasi le tre di notte ma non era riuscito stranamente a prendere sonno.
Fece due passi per schiarirsi le idee.
Non era preoccupato per il suo piano, stava andando tutto bene.
L’unica cosa che gli procurava fastidio era che tutta quella messinscena gli aveva fatto perdere molto tempo e adesso doveva rimediare se voleva avere le sostanze pronte per la data dello scambio.
Il laboratorio era perfettamente attivo e funzionante ma per la prima volta il Giaguaro provò un certo senso di inquietudine al pensiero di un suo eventuale ritardo.
Alzò le spalle, dicendosi che tanto tutto si sarebbe risolto, come sempre.
Lui avrebbe vinto, come sempre.
E avrebbe ottenuto quello che voleva.

 

Capitolo molto di passaggio. Ma per raggiungere la situazione del prologo ci vorrà ancora un po’...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacio
Sophie :D

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Capitolo 17
*** Lo specchio della Verità ***


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Due mesi dopo...

Kim Kruger lanciò una rapida occhiata all’orologio da polso che portava e fece un sospiro aprendo lo sportello e uscendo dalla macchina.
Erano solo le sette e mezza e l’udienza sarebbe cominciata alle nove, ma non era riuscita a stare in casa un secondo di più quella mattina e il pensiero di quella che sarebbe potuta essere la sentenza a fine giornata la faceva rabbrividire.
Da quando era successo tutto, due mesi prima, niente era stato più come prima.
Ben aveva trascorso quel tempo in prigione e le indagini sul suo caso erano andate avanti senza sosta ma né Kim, né la squadra omicidi che aveva partecipato erano riusciti a trovare prove che potessero in qualche modo scagionare l’ispettore.
I testimoni non avevano mai ritrattato la loro prima deposizione e Hoffman era totalmente scomparso dalla scena, tornando a ricoprire la figura del ricco e rispettabile avvocato che era sempre stato.
Il giovane Rick, figlio adottivo di Hoffman, non si era più risvegliato dal coma, nonostante i medici il mese precedente avessero scorto qualche segno di miglioramento nelle sue condizioni.
Quanto al lavoro, la vita al comando dell’autostradale era diventata un inferno.
La Kruger stessa entrava in ufficio la mattina sperando che la fine del turno arrivasse in fretta: la tensione tra i colleghi era tangibile in ogni momento e senza Ben nessuna indagine veniva risolta più nello stesso modo, con lo stesso spirito. Anche perché se prima il commissario poteva contare su due validi ispettori, adesso non aveva più nemmeno un punto di riferimento.
Non solo Ben era in carcere, ma Semir sembrava aver perso totalmente l’interesse per il proprio lavoro e, come se non bastasse, al comando la convivenza con lui era diventata quasi insostenibile.
L’ispettore era diventato estremamente irascibile e introverso e Kim era ormai più che certa che egli fosse stato minacciato da Hoffman: poteva essere solo questa la motivazione che induceva l’ispettore ad accanirsi così tanto nell’accusa del suo giovane collega.
Eppure, nonostante le sue continue ricerche, la donna non era riuscita a trovare niente, nemmeno un indizio che potesse portare a qualcosa di concreto, e ogni volta che il commissario provava a toccare l’argomento con il suo sottoposto, questi scattava e lasciava cadere il discorso con una qualsiasi scusa.
Kim sospirò ancora e chiuse la macchina avviandosi a passo deciso verso l’entrata del tribunale, con il cuore pesante.
Non era stata in grado di provare l’innocenza di uno dei suoi uomini migliori e adesso era troppo tardi.
Tra poco più di un’ora ci sarebbe stata l’udienza e Ben sarebbe stato quasi certamente condannato.
Ormai il commissario poteva solo sperare in un miracolo.

 

Semir aprì gli occhi rimanendo però disteso sul letto, incapace di compiere qualunque movimento.
Sentì la porta di casa chiudersi e guardò l’orologio: le 7.24. Andrea era appena uscita con le bambine, che avrebbero passato quella calda giornata di agosto con un’amica di Aida e i suoi genitori.
Aspettò ancora qualche minuto e poi si tirò su lentamente e scese dal letto sfregandosi gli occhi assonnati.
Quindi si diresse verso la cucina, ma passando non poté fare a meno di fermarsi davanti allo specchio che si ergeva vicino alla porta della camera.
E quello che vide nell’immagine riflessa lo spaventò quasi.
Perché quello non era il Semir Gerkhan che si ricordava, quello che era stato fino a due mesi prima.
No.
Quello era un uomo stanco e invecchiato, triste, arrabbiato e scontento.
Quello era un uomo che non conosceva, un uomo in grado di condannare il suo migliore amico ad anni e anni di galera per un fatto che mai egli avrebbe compiuto. E in grado anche di non degnarsi nemmeno di andarlo a trovare.
L’uomo del riflesso aveva lasciato Ben in carcere due mesi prima e poi non aveva più avuto il coraggio nemmeno di guardarlo in faccia, di sostenere il suo sguardo.
Quell’uomo era odiato da sua moglie, dai suoi colleghi, dal suo capo.
Quell’uomo era un disonesto.
Non era lui.
Semir scosse il capo allontanandosi in fretta da quello specchio maledetto e andò in cucina per bere una tazza di caffè, l’unica cosa che lo aveva tenuto sveglio in quegli ultimi due mesi di notti insonni.
Si versò la bevanda fumante e con un sospiro guardò i due uomini che, all’interno della macchina scura parcheggiata davanti a casa, lo tenevano costantemente d’occhio.
Sperava che dopo il processo sarebbe tutto finito.
Tornò in camera e si preparò in fretta, dopo un’ora e mezza sarebbe cominciata l’udienza.
Ma non lo spaventava la sua falsa testimonianza, no, quella ormai l’aveva ripetuta tante volte.
Lo spaventava Ben.
Perché era certo che quella mattina, in un modo o nell’altro, avrebbe incrociato il suo sguardo.

 

Ben salì sul cellulare senza opporre alcun tipo di resistenza e lanciò un’occhiata distratta ai due poliziotti che si sedevano accanto a lui e all’autista che si sistemava al volante.
Di lì a poco si sarebbe trovato in un’aula del tribunale.
Suo padre gli aveva pagato il migliore avvocato disponibile, ovviamente, ma il giovane ex ispettore sentiva in cuor suo che questa volta la potenza economica dell’imprenditore non sarebbe bastata.
Nessuno poteva proteggerlo, questa volta, l’unica persona che lo aveva sempre fatto adesso stava dall’altra parte, puntando il dito contro di lui.
Abbassò lo sguardo a fissarsi i polsi, racchiusi nelle solide manette che li tenevano prigionieri e non seppe più nemmeno se aver paura di quello che sarebbe accaduto durante la giornata oppure no.
Sentì la vettura su cui si trovava partire e vide dal retro del furgone l’imponente cancello del carcere di sicurezza che si allontanava.
Ma tanto lo avrebbe rivisto presto, quel cancello.

 

Un’ora e mezza dopo quell’aula del tribunale nel centro di Colonia era piena di gente.
Gli avvocati e il pubblico ministero erano seduti ai loro posti e finivano di scorrere con lo sguardo gli ultimi documenti, chi con fare leggermente agitato, chi con assoluta calma.
Ben era seduto a ridosso di una delle pareti laterali dell’aula, affiancato da due agenti che non lo perdevano d’occhio nemmeno per un istante.
Kim Kruger, Konrad Jager e Julia erano posizionati piuttosto lontani da lui ma Ben poteva comunque vederli e ciò gli conferiva un minimo di serenità in più: sapeva che non sarebbe servito, ma almeno loro gli avevano sempre creduto e avrebbero continuato a farlo, qualunque cosa fosse accaduta.
Poi all’improvviso nell’aula calò il silenzio e il Giudice fece il suo ingresso seguito dal cancelliere.
Il pubblico si alzò diligentemente.
E poi l’udienza ebbe inizio.

 

Sono passati due mesi e la situazione non è cambiata, o peggio, Ben sta per essere condannato. Ma Semir deve ancora testimoniare in tribunale...
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacio
Sophie :D

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Capitolo 18
*** Io sono innocente. ***


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«Si procede nei confronti di Ben Jager per il reato di cura all’articolo 575 del codice penale. L’imputato è presente?» cominciò il Giudice con aria estremamente seria.
«Presente.» rispose l’avvocato Mayer, l’uomo che Konrad Jager aveva assoldato per la difesa del figlio.
«Assistito dall’avvocato...?» continuò il Magistrato rivolgendosi al legale.
«Michael Mayer.».
«L’imputato ha qualcosa da dichiarare?» domandò ancora il Giudice, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
«No, signor Giudice.» rispose Ben ad alta voce. Adesso si sentiva, nonostante tutto, piuttosto calmo.
«Facciamo entrare il primo testimone.» disse quindi il Magistrato rivolto verso il cancelliere, che diligentemente si alzò e andò a chiamare il teste.
Helen Luithild fece il suo ingresso in aula con un’aria sicura che a Ben fece venire i brividi. Adesso si domandava come avesse potuto cadere nella trappola che quella ragazza due mesi prima gli aveva teso. Era stato sciocco, terribilmente sciocco ed immaturo.
La testimonianza di Helen non riservò alcuna sorpresa. La giovane rispose alle domande del Pubblico Ministero e degli avvocati senza alcuna esitazione, confermando esattamente ciò che già aveva affermato nel corso delle precedenti deposizioni.
Non appena Helen ebbe finito e quindi fu fatta accomodare fuori dall’aula, il Giudice chiese nuovamente al cancelliere di andare a chiamare il secondo testimone.
E a Ben sembrò di ricevere un pungo nello stomaco quando vide il suo ex collega varcare la soglia e sedersi al banco senza nemmeno cercarlo con lo sguardo.
Semir lesse a voce alta e chiara il giuramento stampato che aveva davanti agli occhi e aspettò pazientemente che il Giudice dicesse al PM di procedere con l’interrogatorio. Lo stesso fece con l’avvocato che rappresentava la parte civile nell’udienza e rispose a tutte le domande che i due uomini gli posero senza difficoltà, sotto lo sguardo sconcertato della Kruger e quello carico d’odio di Konrad Jager.
Ben invece non lo guardava. Non ci riusciva.
Il giudice passò rapidamente la parola all’avvocato della difesa, che si alzò e cominciò tranquillamente il proprio interrogatorio.
«Allora, ispettore capo Gerkhan, lei era presente al verificarsi dei fatti per cui si procede?» esordì Mayer parlando forte nel microfono.
«Sì» rispose Semir semplicemente.
«Allora ci può brevemente descrivere che cosa è accaduto?».
«Certo.» fece ancora l’ispettore con una voce che non tradiva nemmeno una minima emozione «Mi trovavo a casa quando ho ricevuto sul cellulare la telefonata di Helen Luithild, che aveva il mio numero poiché le avevo lasciato in precedenza il mio biglietto da visita. Era molto sconvolta, continuava a gridare di raggiungerla velocemente in Weiss Straβe. Io ho raggiunto quel luogo più in fretta possibile e ho assistito all’omicidio... ho visto Ben Jager puntare la pistola contro Henry Turner e poi ho visto Helen Luithild che lo pregava di non sparare al ragazzo. Jager ha messo a tacere quindi Helen ferendola ad un braccio con la propria pistola e ha sparato ad Henry, prima che potessi intervenire in qualunque modo.».
«A che distanza si trovava dall’imputato?» domandò ancora Mayer.
«Una ventina di metri.».
«E che periodo del giorno era?».
«Più o meno le tre del pomeriggio.» disse ancora Semir, senza esitazione.
«Che lei ricordi il sole era di fronte o dietro di lei?».
Semir non seppe se sorridere o meno alla domanda. Gli pareva che l’avvocato si stesse arrampicando sugli specchi per trovare anche solo un minimo indizio che comunque, sicuramente, non lo avrebbe portato da nessuna parte.
«Era nuvoloso quel giorno.».
«Come ha potuto distinguere che la pistola fosse impugnata dall’imputato?».
«L’ho visto chiaramente, ero abbastanza vicino.».
«Io non ho altre domande.» concluse quindi l’avvocato, sedendosi e passando così la parola al Giudice, che fece accomodare il teste fuori dall’aula.
Ma questa volta, prima di uscire, Semir cercò l’ex collega con lo sguardo... e non lo trovò. Perché Ben guardava altrove.
Fu la volta della testimonianza del perito balistico che aveva svolto i rilevamenti sulla pistola di Ben. Mayer riuscì ad ottenere dall’uomo, sulla cinquantina e visibilmente agitato, che non si potesse affermare con estrema sicurezza che fosse stato Ben a sparare, in quanto la polvere da sparo non era in grande quantità e soprattutto era stranamente concentrata sulle punte delle dita.
L’avvocato colse quindi l’occasione per incalzare il teste con una seconda domanda: «È possibile quindi che la mano dell’imputato sia stata forzata da qualcun altro che lo abbia costretto a sparare?».
«Opposizione, Signor Giudice.» quasi gridò il Pubblico Ministero ancora prima che il perito potesse aprire bocca per rispondere «La domanda è inammissibile, si sta chiedendo al teste di trarre una conclusione.».
«Va bene, Signor Giudice.» si corresse Mayer senza aspettare che il Magistrato intervenisse «Riformulo la domanda: è possibile affermare che una parte della mano dell’imputato fosse in qualche modo schermata, tanto da impedire che su di essa si sia depositata la polvere da sparo?».
«Si.» rispose il testimone, cominciando a sudare copiosamente «Tecnicamente è possibile.».
«Non ho altre domande.».
Ben scosse lentamente il capo mentre si rendeva conto di avere perso. Non avevano elementi sufficienti e lo avrebbero condannato, lo sapeva.
Represse le lacrime che minacciavano di bagnargli il viso e lasciò che i suoi pensieri vagassero altrove mentre il Pubblico Ministero cominciava la sua arringa. Ne ascoltò però attentamente l’ultima parte, che lo lasciò senza fiato e, soprattutto, senza speranza.
«Si è provata quindi in modo incontestabile la colpevolezza dell’imputato, Ben Jager, poiché i testimoni hanno affermato di aver visto chiaramente l’imputato stesso impugnare la propria arma e sparare contro la vittima. Del resto, ciò è confermato anche dalla testimonianza del perito balistico che abbiamo ascoltato, che ha riscontrato la presenza di polvere da sparo sulle mani dell’imputato.» diceva il PM senza un velo di preoccupazione negli occhi «Non è stato possibile identificare un movente per l’azione dell’imputato, ma ovviamente tale elemento non è indispensabile ai fini di affermare la penale responsabilità. Per quanto sopra si chiede a questa corte di affermare la penale responsabilità in relazione ai fatti ascritti, per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e, conseguentemente considerate le aggravanti contestate, condannare l’imputato alla pena di anni trenta di reclusione.».
In aula vi fu un mormorio confuso.
La Kruger strinse i pugni cercando di reprimere la rabbia mentre Konrad, accanto a lei, si prendeva disperato la testa tra le mani.
Il Giudice passò la parola all’avvocato Mayer, ma pochi ormai speravano che la sua difesa sarebbe servita effettivamente a qualcosa.
Mayer cercò di far riflettere la corte sul fatto che non si era riusciti a determinare con certezza che fosse stato effettivamente l’imputato a sparare poiché, nonostante le testimonianze ascoltate, esse erano contraddette dalla mancanza di polvere da sparo su gran parte della mano dell’imputato, che sarebbe dovuta essere presente se egli avesse effettivamente sparato.
«Inoltre» concluse Mayer senza arrendersi «Non si è acclarato in nessun modo quale potesse essere il motivo per cui l’imputato avrebbe dovuto commettere il fatto e vi è quindi una totale assenza di movente. Per quanto sopra si chiede l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto. In subordine si chiede l’applicazione delle attenuanti generiche dichiarandole prevalenti sulle contestate aggravanti, e per effetto di quanto sopra condannare l’imputato al minimo della pena.».
«Grazie avvocato.» intervenne quindi il Giudice annuendo brevemente «Ci sono dichiarazioni da parte dell’imputato?» chiese poi rivolto a Ben.
Seguì un lungo attimo di silenzio e il giovane alzò lo sguardo ad incontrare quello del Magistrato, che severo lo fissava in attesa.
«Signor giudice...» disse quindi Ben con tono forte e chiaro, ma senza gridare e  mantenendo una calma quasi insolita «Io sono innocente. La mia coscienza è pulita... spero che lo sia anche la sua.».

 

Aspettiamo la sentenza...
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 19
*** Basta! ***


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Era tutto finito.
Il Giudice si era ritirato in camera di consiglio e aveva rimandato l’udienza alle ore 18.00 dello stesso giorno, ma Ben sapeva perfettamente che ormai era tutto finito. Sapeva quale sarebbe stata la sentenza e non la temeva nemmeno più. Era solo arrabbiato, provava una rabbia che non ricordava di aver mai provato prima.
Immobile, affiancato dalle due guardie, aspettò che il Giudice rientrasse in aula e che la sentenza cominciasse. Sarebbe stata una cosa rapida. E Ben sperava che finisse il più presto possibile.
Quando il Giudice comparve e tutti i presenti si alzarono in piedi, quasi gli mancò il fiato. E quando udì quelle parole, credette di morire.
«In nome del popolo tedesco» cominciò l’uomo a voce alta «Visti gli articoli 483 e 488 del codice di procedura penale, dichiara Ben Jager responsabile dei reati ascritti e, dichiarando la prevalenza delle aggravanti contestate sulle attenuanti, lo condanna alla pena di anni trenta di reclusione. Così deciso in Colonia. Le motivazioni saranno depositate entro sessanta giorni.».
Il Giudice sollevò lo sguardo e incrociò quello di Ben per un istante.
Poi semplicemente si alzò e lasciò l’aula, così come era entrato.

 

Semir discese le scale che portavano all’uscita dal tribunale con un gran nodo in gola.
La testa gli girava vorticosamente, tanto che si dovette fermare a metà scalinata per appoggiarsi qualche secondo alla ringhiera.
Aveva deposto contro il suo migliore amico, alla fine lo aveva fatto davvero. Lo aveva accusato di omicidio.
Omicidio.
Sospirò. Non sapeva se avrebbe retto ancora per molto, dopo due mesi che andava avanti quella storia ormai era distrutto, fisicamente e psicologicamente.
Aveva continuato ad avere contatti con Hoffman, che lo voleva vedere una volta ogni tanto e comunque lo controllava ovunque grazie alla fitta rete di uomini che aveva al suo servizio e grazie anche alle numerose telecamere.
Mentre Gehlen era sparito dalla circolazione, quasi fosse morto un’altra volta. Semir non aveva più saputo nulla di lui e in verità nemmeno se ne era più interessato.
«Gerkhan!» la voce dura e inflessibile della Kruger lo distolse dai suoi pensieri. Vide la donna avvicinarsi con occhi che lanciavano fiamme.
«Gerkhan, è soddisfatto adesso? Le ho già detto che questa storia mi ha stufato e le chiedo, per l’ennesima volta, di dirmi cosa è successo due mesi fa, subito.».
«Quello che ho detto davanti al giudice.» disse Semir ricalando in quello che ormai era diventato il suo personaggio, il suo ruolo.
«Io non le credo.» sibilò la donna con decisione.
«Ma il giudice sì, e questo basta.» replicò l’ispettore senza fare una piega.
«Veda di parlarmi diversamente Gerkhan, sono sempre il suo superiore e non tollero questo tono da parte sua.» quasi gridò Kim.
Poche volte Semir l’aveva vista così infuriata.
«Capo, io ho detto solo quello che ho visto.».
La Kruger scosse il capo «Sappia solo che io non le credo e capirò cosa è successo.» disse allontanandosi a passo spedito.
Semir si prese la testa tra le mani cercando di mantenere la calma. Lo riscosse il suono di un clacson proveniente da una macchina scura ferma proprio davanti alla scalinata.
L’ispettore scese quindi gli ultimi scalini e salì sul sedile posteriore dell’auto, immaginando già chi lo aspettasse all’interno di essa.
L’autista partì con una sgommata, incurante della Kruger che da lontano, allibita, rimaneva a guardare.

«Complimenti, Gerkhan.» esordì Hoffman, sul sedile posteriore della vettura «Devo dire che è stato particolarmente convincente nel corso della sua deposizione.».
Semir si voltò verso il suo interlocutore ma si limitò a fissarlo negli occhi, senza rispondere.
«Dico sul serio.» aggiunse lui «La sua famiglia le sarà grata per questo.».
«Ho mandato il mio collega in prigione, ho fatto tutto quello che mi ha chiesto, adesso basta.» affermò l’ispettore con decisione.
L’avvocato sorrise.
« È... patetico, Gerkhan. È veramente patetico il fatto che lei abbia anche solo il coraggio di pensare di poter dire “basta”.». Fece una pausa, per poi continuare con voce melliflua, mentre l’auto correva tranquilla per le strade del centro «”Basta” posso dirlo solo io. Dipende da me qualsiasi cosa ormai, ispettore. Lei è nelle mie mani e sa di non avere scampo. Perché io continuerò a sorvegliarla Gerkhan, sempre, in ogni momento. Si ricordi delle bambine in caso le saltasse in mente di ritrattare la sua deposizione.».
«Avvocato.» fece Semir scendendo dalla macchina, ormai ferma davanti a casa sua «Posso permettermi di dirle una cosa?».
Hoffman abbozzò un sorriso scendendo anch’egli dalla vettura, seguito a ruota dall’autista «Prego, Gerkhan.».
«Lei è la persona più schifosa che abbia mai avuto l’onore di conoscere.» esclamò il poliziotto.
Non gli importava nulla delle conseguenze. Infatti non fece una piega quando l’autista gli si avvicinò mandandolo a terra con un violento calcio allo stomaco. Non disse niente nemmeno per i colpi successivi: rimase a terra immobile fino a che l’autista non fu rientrato in macchina e la berlina scura non fu scomparsa dalla sua vista.
«Porco schifoso.» sibilò quindi, rialzandosi a fatica.

 

Ben tentò di reprimere le lacrime che amare minacciavano di ripresentarsi, mentre due uomini in divisa lo scortavano in ascensore verso l’uscita del tribunale.
Passò con lo sguardo a terra in mezzo a tutta quella gente, evitando di fissare chiunque avesse davanti per vergogna.
E per paura.
Per vergogna nei confronti dell’accusa di un delitto che non aveva mai commesso.
Per paura delle accuse false della gente.

 

Semir raggiunse la porta di casa toccandosi il labbro spaccato.
Cercò le chiavi nella tasca della giacca e il suo sguardo cadde inevitabilmente a terra: dall’angolo dello zerbino rossiccio posto davanti alla porta spuntava qualcosa. Sì... un foglio.
Si chinò, alzò un lembo del piccolo tappeto e raccolse il foglio, immaginandone già la firma.
Era piegato in due, un banale foglio A4 da stampante. Lo aprì e ne lesse il contenuto in fretta.


“Gerkhan, lei si sbaglia se pensa che sia tutto finito, gliel’ho già detto. Provi a fare un passo falso, anche solo un minimo passo... e le assicuro che avrà sulla coscienza un’altra vittima innocente.

Il Giaguaro.”

Accanto alla firma era stampato un felino, identico a quello che Hoffman e i suoi uomini avevano marchiato sul braccio sinistro.
In un moto incontenibile di rabbia Semir accartocciò il foglio e lo scagliò il più lontano possibile con tutta la forza che aveva in corpo.
Poi entrò aprendo piano la porta.
Silenzio.
Strano, le bambine e Andrea dovevano essere tornate dalla gita a quell’ora.
Preoccupato, si avviò verso la cucina, ma non trovò nessuno.
«Andrea?» chiamò ad alta voce mentre una terribile sensazione si impadroniva di lui.
Non rispose nessuno, non c’erano.
L’ispettore cominciò a sudare freddo mentre si catapultava su per le scale verso la camera delle bambine.
Non poteva averle prese... non poteva essere vero.


Ben è stato condannato, Hoffman continua a minacciare Semir e Andrea e le bambine non si trovano... ma, come direbbe Ben, potrebbe andare peggio... potrebbe piovere!
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacione
Sophie :D


PS: un ringraziamento particolare a miki per i suoi preziosi consigli in campo... legale ;)
A presto!

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Capitolo 20
*** Desiderio di vendetta ***


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Semir spalancò la porta della camera ormai totalmente in preda al panico.
E quando vide Aida e Lily sedute sul tappeto che mettevano insieme i pezzi di un grande puzzle aiutate dalla mamma, non seppe nemmeno cosa pensare.
Si appoggiò allo stipite della porta sospirando, mentre la tensione degli istanti precedenti piano piano lo abbandonava.
«Papà!» esclamò Aida felice, alzandosi per andare incontro all’ispettore, che la salutò abbracciandola debolmente, ancora col fiatone.
«Semir, ma che diavolo...?» fece invece Andrea andandogli incontro con sguardo a metà tra il severo e il preoccupato.
«Niente, niente, è tutto a posto.».
La donna scosse il capo con espressione dura.
«Voi mettete a posto gli ultimi pezzi che poi vengo a vedere come è venuto, va bene?» fece sorridente rivolta alle bambine, poi prese Semir per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
«Ma che ti è preso? Perché sei entrato così?».
«Scusa... è che non vi ho visto e pensavo che... lascia stare, sto diventando paranoico a quanto pare.».
Andrea alzò un sopracciglio «Paranoico è dir poco, Semir. Allora, l’udienza?».
«Ben è stato condannato... trent’anni...».
La donna avrebbe voluto mollare un pugno in faccia al marito, avrebbe voluto urlargli contro tutto il suo odio, ma non lo fece. E se non lo fece fu solo perché si ricordò delle bambine che da dietro la porta chiusa avrebbero sentito.
«Quello che io penso di te lo sai già. E se sono ancora qui è solo per le bambine. Come pensi di dirlo a loro? Aida cerca Ben da due mesi e le scuse si stanno esaurendo.».
Semir scosse il capo allontanandosi da quegli occhi che lo accusavano colmi di rabbia «Non lo so Andrea... ma ci penso io.».

 

Ben si sedette sulla brandina dura e scomoda e si appoggiò con la schiena al muro.
Era stanco, terribilmente stanco, così stanco che ancora nemmeno era riuscito a realizzare esattamente quanto gli fosse appena accaduto.
Era stato condannato a trent’anni di reclusione, trent’anni! Erano un’eternità, ma anche lui sapeva che corrispondevano alla giusta punizione per quel reato, reato che lui però non aveva commesso.
Ripensò agli occhi pieni di decisione di Semir nel pronunciare la sua testimonianza e ancora una volta non seppe come spiegarsi quell’espressione.
Perché il collega avrebbe dovuto avere quello sguardo? Recitava troppo bene una parte che era obbligato a mettere in scena? O davvero credeva in ciò che diceva?
Ben era terrorizzato dall’idea che la seconda possibilità fosse quella giusta e rabbrividì nel ripensare a quello sguardo.
Comunque non aveva più molta importanza.
Ormai lui era lì, chiuso da solo in quella piccola cella, e nessuno avrebbe potuto salvarlo.

 

Il Giaguaro si sedette sul divano facendo cenno ad Helen di accomodarsi e la ragazza prese posto di fronte a lui e ad Erik.
«Sei stata brava durante la testimonianza.» cominciò Hoffman con un mezzo sorriso.
La donna non ricambiò il sorriso ma annuì semplicemente.
«Andrà avanti ancora per molto questa storia?» chiese invece con riluttanza.
«Cosa c’è, Helen? Non ti faranno pena quei due sbirri per caso?» domandò l’avvocato in tono irrisorio.
«Ma figurati.».
L’attimo di silenzio che seguì venne interrotto bruscamente da Gehlen, che si alzò cominciando inquieto a girare per la stanza «Sentite, quando posso entrare in scena io?» domandò, infastidito.
«Con calma Erik, con calma.» rispose l’uomo con voce melliflua.
«Con calma un corno, David! Porca miseria! Sono più di sette anni che preparo la mia vendetta contro quel bastardo, mi spieghi cos’altro devo aspettare per poterla mettere in pratica?».
Hoffman sospirò, cominciando a spazientirsi, mentre Helen assisteva divertita alla scena, in perfetto silenzio.
«Erik, Gerkhan sta passando un brutto periodo, forse il peggiore della sua vita e...».
«Ma a me questo non basta!» quasi gridò Gehlen aggirandosi nervosamente attorno al divano «E poi mi spieghi cosa me ne faccio del mio ospite se aspetto ancora un po’?».
«Il tuo ospite, come lo chiami tu, ha resistito per due mesi in mano tua, potrà resistere ancora per qualche settimana. Infondo è stato morto per quasi otto anni, un po’ di prigionia non gli darà poi tanto fastidio. E comunque aspetta che Gerkhan ceda, e cederà, e potrai attuare la tua vendetta, va bene?» fece il Giaguaro con un tono che non ammetteva repliche.
Ghelen strinse i pugni e si risedette con un sospiro.

 

Kim si gettò sul letto senza togliersi nemmeno i vestiti.
Era stanca, ma soprattutto era terribilmente arrabbiata. Contro Semir, contro quel giudice, contro Hoffman, e soprattutto contro se stessa.
Adesso era sicura che il Giaguaro fosse Hoffman, così come era sicura che Semir fosse stato ricattato: la berlina scura che era passata a prendere il suo sottoposto al tribunale ne era stata la conferma.
Ma come poteva dimostrarlo?
Rimase immobile a fissare il soffitto per alcuni lunghi istanti, cercando disperatamente una soluzione per quella che sembrava essere un’indagine che non si sarebbe mai archiviata.
Eppure lei non riusciva proprio ad accettare che la sua squadra venisse distrutta così, non poteva accettare che un giovane innocente passasse la vita in prigione a causa di un vile ricatto.
Avrebbe indagato ancora e ancora, senza sosta, nonostante ormai la sentenza fosse stata pronunciata.
E poi, avrebbe provato ad affrontare l’argomento con Semir, e questa volta non gli avrebbe concesso nemmeno una via di scampo.

Andrea e le bambine erano solo al piano di sopra. Torna sulla scena il nostro Gehlen, che adesso però sparirà di nuovo per un po’...
Un bacio e grazie a chi continua a seguirmi e a recensire!
Sophie :D

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Capitolo 21
*** Visite ***


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Quattro giorni dopo a Colonia faceva un caldo terrificante.
Semir non ricordava un’estate così calda da anni e anni addietro.
Eppure l’ispettore aveva smesso di far caso al clima e a tutto il resto che lo circondava ormai da giorni. Da quando era accaduto ciò che mai avrebbe immaginato sarebbe successo.
Indugiò ancora qualche minuto davanti al Penitenziario prima di entrare esibendo il proprio tesserino.
Si guardò intorno, si sentiva osservato e sapeva di esserlo effettivamente.
Con un sospiro chiese alla guardia di accompagnarlo dall’ispettore Ben Jager e lasciò che il ragazzo grande e grosso a cui aveva appena domandato gli facesse strada lungo gli intricati corridoi della struttura.
Raggiunse la sala dei colloqui e ringraziò il giovane, che si allontanò con un sorriso veloce.
Adesso doveva semplicemente aprire quella porta.
Tirare giù quella maniglia e parlare con lui.
Doveva riuscirci.

 

Ben si alzò di scatto quando la guardia lo venne a chiamare.
Questa aprì la porta della cella in cui il poliziotto era rinchiuso e lo spinse in malo modo fuori dalla piccola stanza.
«C’è una persona che ti vuole parlare.» borbottò, con voce sprezzante.
Ben annuì e lasciò che l’uomo lo spingesse violentemente lungo il corridoio per arrivare quindi all’aula del colloquio.
Era naturale che fosse trattato così, i poliziotti in carcere erano trattati peggio di qualsiasi altro tipo di detenuto, anche dalle stesse guardie.
Entrò nella stanza e un sorriso gli si dipinse sul volto vedendo chi lo aspettava dall’altra parte del vetro divisorio.
Ma il sorriso si spense presto, non appena al giovane ispettore tornarono in mente le immagini dei giorni passati, di quei terribili momenti, di quella situazione totalmente sbagliata.
Fu allora che si chiese cosa ci facesse lì il suo ex collega.
Era venuto ad accusarlo come aveva fatto l’ultima volta in tribunale?
Lo sguardo a terra, si diresse verso il vetro e si sedette di fronte ad esso, mentre un’altra guardia, diversa da quella che lo aveva portato fin lì, assisteva al colloquio alle sue spalle, a pochi metri di distanza.

 

A Semir si strinse il cuore vedendo l’amico ridotto in quello stato: aveva un occhio nero, era pallidissimo ed era dimagrito visibilmente.
All’improvviso si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire.
Perché voleva dirgli la verità ma non ne aveva il coraggio.
«Ehi.» esordì Ben dall’altra parte del vetro.
Semir si limitò a guardarlo, senza fiatare, mentre il senso di colpa lo rodeva dall’interno.
«Semir, pensi ancora che sia stato io?».
«Ben...».
«Dimmi solo perché. Perché? C’eri anche tu, hai visto cosa è successo.» replicò il più giovane con sguardo quasi supplichevole.
Semir sospirò. Aprì la bocca per parlare ma fu allora che vide. Vide la guardia alle spalle di Ben tirarsi di poco su la manica della camicia che indossava con un gesto impercettibile. Vide il tatuaggio, quel tatuaggio, che l’uomo gli indicò con un cenno del capo, per assicurarsi che lui lo notasse.
Lo controllavano anche lì, non poteva cedere, non ancora.
«Appunto Ben, ho visto cosa è successo, ti ho visto mentre sparavi.» disse quindi.
«Ma cosa stai dicendo?» domandò Ben sull’orlo delle lacrime. Si era riproposto di non piangere ma mantenere questa promessa fatta a se stesso risultava adesso particolarmente difficile.
«Ti ho visto. Hai premuto il grilletto Ben, l’hai ucciso. Io sono un poliziotto e ho detto quello che ho visto.» rispose Semir, atono.
«Ma non è vero! Non è vero, maledizione, non è vero!».
Il turco annuì.
«Sì che è vero Ben, l’ho visto, ti ho visto!».
Ben abbassò lo sguardo, gli occhi gli bruciavano terribilmente.
Perché il suo migliore amico si comportava così? Non riusciva a capire, non capiva! Arrivò persino a pensare di avere torto. Che lui, Ben Jager, avesse ucciso un uomo per poi dimenticarsene? Ma come sarebbe stato possibile?
Improvvisamente, senza nemmeno sapere come, provò una rabbia incontrollabile nei confronti del collega. Era troppo, aveva sopportato troppo.
«Se sei venuto qui sono per ribadirmi questo puoi anche andartene Semir, io non ho niente da dirti.».
Semir non replicò.
Si alzò senza più guardare l’amico negli occhi, e comunicò alla guardia che il colloquio era terminato.

Uscì dal Penitenziario quasi di corsa, maledicendosi per l’enorme errore che aveva commesso. Non solo era andato a trovare Ben per la prima volta da quando era stato portato in carcere più due mesi prima e non era riuscito a dirgli la verità, ma in questo modo aveva anche fatto capire agli uomini di Hoffman che stava cedendo.
Si dimenticò completamente di salutare la guardia all’ingresso, oltrepassò l’imponente cancello e si ritrovò nel piazzale come pochi minuti prima.
Ma non fece in tempo a raggiungere la propria BMW che vide Hoffman avvicinarsi, a piedi, seguito dal suo autista.
«Cosa non è stato chiaro della frase “Io continuo a tenerla d’occhio.”, Gerkhan?» fece il Giaguaro fermandosi davanti a lui.
«Non... non ho detto niente a Ben...».
«Ma avrebbe voluto farlo.» concluse Hoffman, scuro in volto.
L’autista si avvicinò all’ispettore con fare minaccioso ma il suo capo lo fermò con un cenno della mano «Non qui e non ora, Alfred. La lezione gliela daremo più tardi, ma non certo davanti al carcere. E poi dobbiamo muoverci, un mio informatore mi ha detto che il commissario Kruger sta venendo qui.».
Semir ne fu rincuorato.
In un momento come questo, almeno la Kruger stava vicino a Ben e lo andava a trovare spesso. Stranamente, si ritrovò a sperare che la donna capisse come fossero andate veramente le cose. Cominciava ad essere veramente provato da tutta quella messa in scena che ormai durava da quasi due mesi e mezzo.
Salì sulla propria auto sotto lo sguardo severo di Hoffman e il Giaguaro fece lo stesso accomodandosi sulla propria berlina nera.
Poi la BMW di Semir venne “scortata” dalla vettura dell’avvocato fino a casa.

 

Kim Kruger parcheggiò la propria macchina di servizio nel polveroso piazzale ed entrò a passo spedito nel penitenziario esibendo il proprio tesserino e chiedendo di Ben Jager.
La guardia le rispose cordialmente che il giovane si trovava già nella stanza delle visite, poiché un uomo era andato a trovarlo pochi minuti prima.
Il commissario corrucciò la fronte sorpresa e lasciò che la guardia la conducesse attraverso gli intricati corridoi del Penitenziario.
Quando pochi minuti dopo si trovò davanti al suo ex agente, provò qualcosa di molto simile alla pietà: ogni volta che lo andava a trovare il giovane ex ispettore era sempre ridotto peggio fisicamente, ma questa volta le sembrò veramente a terra.
«Semir... è appena venuto a trovarmi.» spiegò Ben con un filo di voce.
«Gerkhan?» fece la Kruger sorpresa.
«Sì, ma sinceramente non ne capisco il motivo. È venuto per ripetermi che in tribunale ha detto solo quello che ha visto, poteva anche evitarsi il disturbo.».
Kim rimase interdetta per qualche istante, scorgendo nella voce del giovane un odio sottile che prima di quel momento non aveva mai riconosciuto nel suo tono.
«Jager... Ben. Io penso che Gerkhan sia stato ricattato.» disse il commissario in un sussurro.
«Lo pensavo anche io capo, ma ha visto il suo sguardo al processo? Lui credeva in ciò che diceva!».
«O forse fingeva di crederlo.» ribatté la donna con la sua solita sicurezza.
Ben scosse la testa sconsolato «Non lo so... a me è sembrato fin troppo sincero.».
«Mi dia retta, lo stanno ricattando. Ma io sto indagando e capirò cosa è successo, glielo prometto.» replicò Kim con un mezzo sorriso «Non voglio perdere i miei uomini migliori, per nulla al mondo.».
L’ex ispettore sorrise a sua volta «Grazie commissario, davvero. Almeno lei mi crede e questo mi dà speranza... grazie.».
«Non si preoccupi Jager... io la tirerò fuori di qui.».


Capitolo di passaggio, ci siamo ricollegati al prologo. Non odiatemi, ma ancora la storia sarà mooolto lunga!
Grazie mille per le recensioni e a presto.
Sophie :D

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Capitolo 22
*** Lettera ***


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William Petersen era un porta lettere come molti altri.
Erano ormai quasi dieci anni che si occupava di trasportare la posta da una parte all’altra della città e infondo era affezionato al suo lavoro: gli era sempre piaciuta l’idea di poter essere in qualche modo tramite di buone notizie.
Certo, il fatto che potesse portare anche brutte notizie senza nemmeno esserne consapevole a volte lo disturbava un po’, ma d’altra parte quale lavoro non aveva i suoi difetti?
Quella mattina fermò il suo furgoncino e cominciò come tutti i giorni a smistare le buste che aveva tra le mani. Non poteva sapere che tra esse ce ne fosse una diversa...
Recapitò una lettera a casa Gerkhan, l’ultima della via in cui si trovava e poi si avviò soddisfatto verso la sua vettura, pronto a riprendere il suo giro abituale.

Andrea raccolse la posta dalla cassetta con fare svogliato e lesse distrattamente i mittenti: una era della Banca, un’altra era una cartolina da parte di una sua amica in vacanza alle Hawaii, mentre l’ultima...
La donna corrucciò la fronte: la busta dell’ultima era aperta e sopra c’era scritto il destinatario, Semir Gerkhan, ma nessuna traccia del mittente.
Curiosa, estrasse il foglio dalla busta e cominciò a leggere.

Quando meno di mezz’ora dopo Semir rientrò in casa dopo la visita al carcere di Ben, trovò la moglie in piedi a braccia conserte nell’ingresso ad aspettarlo.
«Andrea... cosa succede?» domandò, temendo che la donna avesse scoperto qualcosa.
«Cosa succede? Forse io dovrei chiedere a te cosa succede!» gridò Andrea sbattendo la lettera aperta sotto il naso del marito.
Il poliziotto divenne pallido improvvisamente e prese in mano il foglio, capendo all’istante di essere nei guai.

“Buongiorno Gerkhan. Solo un nuovo avvertimento: il suo commissario, Kim Kruger, continua ad indagare al caso Jager. E sospetta di lei. Veda di continuare a svolgere bene il suo ruolo ispettore, ultimamente ci sono state troppe esitazioni. Un’altra, un’altra sola di queste... e mi costringerà a fare di una delle sue figlie una nuova vittima innocente.

Il Giaguaro.”

«Ora.» fece Andrea con un tono che non ammetteva repliche di alcun tipo «Dimmi cosa sta succedendo Semir, perché davvero la mia pazienza termina qui. Ti stanno minacciando? È per questo che hai accusato Ben?».
Semir scosse il capo ma quando aprì la bocca per ribattere da essa non uscì alcun suono.
«Sono quasi tre mesi che ti minacciano e tu non hai trovato un modo per dirmelo? Per denunciarli? Eh? Cosa ti hanno detto?» continuava imperterrita la donna «Che avrebbero fatto del male alle bambine? Semir parla, per la miseria!».
«Andrea, c’è un equivoco, non è così...».
«Non è così?» gridò ancora Andrea alzando ancora più la voce.
Semir lanciò un’occhiata alle telecamere che ormai sapeva dove erano nascoste e poi alla macchina scura che sostava davanti alla loro casa.
«Va bene.» disse, ma sussurrando «Ora ti spiego tutto, però...».
L’ispettore non riuscì a terminare la frase.
Lo interruppe un rumore di vetri rotti.
Una pietra, avvolta in un foglio di carta, aveva appena frantumato il vetro della finestra che dava sull’ingresso, atterrando proprio in mezzo ai due coniugi. Entrambi si chinarono a raccoglierla ma Semir fu più svelto e lesse il foglio lasciando cadere la pietra di nuovo a terra.

“Provi a parlare e se ne pentirà. Sua moglie è sotto tiro.”.

Posò lo sguardo negli occhi di Andrea e poi tornò a guardare il foglio «Andrea scusami... ti prego scusami!» disse in fretta.
Poi aprì la porta e corse fuori dalla casa.

 

«Ma dico io, si può essere più deficienti?» gridò Hoffman rompendo il silenzio entrando nel grande salone della villa.
Helen, voltata di spalle, sussultò. Era la prima volta che il suo capo perdeva il controllo in tanti anni di collaborazione. Ma questa volta ne conosceva perfettamente il motivo.
«Porca miseria, Helen! È stata tua la brillante idea di inserire la lettera di avvertimento di Gerkhan tra le lettere del postino, non è così? Non è così?».
«Ecco, io... No, io...» balbettò la ragazza indietreggiando mentre il Giaguaro le si faceva sempre più vicino.
«Tu? Tu cosa, sentiamo! Adesso la moglie di Gerkhan sa che lo ricattiamo! Lo hai fatto apposta, vero? Sapevo che quel turco stava cominciando a farti pena, l’hai fatto apposta per aiutarlo!».
Era vero. Era vero, aveva voluto provare ad aiutarlo, per questo aveva fatto in modo che Andrea venisse a conoscenza della situazione attraverso la lettera.
«Non ha... non ha niente in mano... e poi... e poi...» fece la ragazza facendosi sempre più piccola mentre l’uomo alla sua vista diventava in confronto a lei sempre più imponente e spaventoso.
«Mi dispiace, Helen, ma a me non servono le persone che commettono errori. E un errore di questa portata è più che sufficiente a farmi capire come devo procedere nei tuoi confronti.».
«David... David ascolta... ti prego...».
Ma Helen Luithild non ebbe mai l’opportunità di terminare quella frase balbettata e lasciata in sospeso. Non riuscì a terminare la sua supplica.
E il Giaguaro non si preoccupò di ascoltarla.
Perché poi successe tutto molto in fretta e nemmeno la donna si accorse di ciò che stava per accadere.
Vide solo Hoffman tirare fuori una pistola e sentì lo sparo.
Poi cessò semplicemente si esistere.

 

Capitolo breve. Helen alla fine non era così malvagia...
Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi e un bacione.
Sophie :D

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Capitolo 23
*** Lungo il Reno ***


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Seduto su quella panchina grigia isolata sul lungofiume, Semir stava immobile ad osservare l’acqua del Reno che si muoveva pigramente davanti ai suoi occhi.
Era letteralmente scappato da casa e sapeva che lo avevano seguito anche lì, ma non gli importava. Non gli importava più nulla. L’unica cosa che contava erano le bambine e le bambine sarebbero state al sicuro solo se lui avesse continuato la sua recita.
Ma non ce la faceva più a resistere, stava cedendo, dopo due mesi e mezzo d’Inferno non aveva più forze.
Adesso che poi Andrea ne era venuta a conoscenza...
Era così assorto nei propri pensieri che nemmeno sentì il rumore dei passi che si avvicinavano alle sue spalle.
Sussultò quando sentì una mano sfiorargli la spalla destra e si voltò di scatto, sicuro che si trattasse di uno degli uomini di Hoffman.
Quando si trovò invece davanti al familiare viso della Kruger, non seppe se esserne sollevato o meno.
Il commissario lo salutò freddamente con un cenno del capo e si sedette accanto a lui sulla panchina.
«Capo, io...» cominciò l’ispettore, ma venne immediatamente interrotto dalla donna.
«Io mi sono veramente stancata di seguire una verità che non esiste, Gerkhan.» disse con un tono che a Semir fece quasi paura «Se lei pensa che io le abbia anche solo minimamente creduto nel corso di queste settimane, si sbaglia di grosso. Ho voluto aspettare per provare a capire da sola cosa stesse accadendo davvero, ma ora basta. Ora mi dica cosa sta succedendo, perché forse a lei la sorte di Jager non interessa, ma a me sì e molto anche.».
Semir spostò lo sguardo dagli occhi decisi del suo superiore all’asfalto grigio sotto di sé.
Forse a lei la sorte di Jager non interessa...
Davvero la Kruger pensava questo di lui? Si sentì improvvisamente come se un pugnale lo avesse trafitto in pieno petto.
«Non... non è vero che a me non interessa.» balbettò, mostrando per la prima volta da quando tutto era iniziato insicurezza davanti al suo capo «È che io... io ho visto...».
«Lei non ha visto proprio niente! La smetta di fingere Gerkhan, per la miseria! Ben sta male in quel carcere, ha capito? Sta male!» gridò la Kruger marcando bene le ultime due parole.
«E pensa che io stia bene invece? Eh? Lo pensa davvero?» sbottò Semir ad un tratto.
«Sicuramente meglio del suo collega in questo momento.».
«Solo perché lei non sa...» l’ispettore si interruppe bruscamente.
«È proprio questo il punto, Gerkhan.» continuò invece Kim, ostentando sicurezza «Il punto è che io non so. E se sapessi, probabilmente potrei aiutare sia lei che Jager.».
Semir scosse il capo «Non mi può aiutare. Nessuno mi può aiutare.».
La Kruger fece un profondo respiro, decidendo di provare a giungere dritta al punto «La stanno ricattando?».
Altra pugnalata.
L’ispettore continuò a non guardarla negli occhi.
Avrebbe dovuto scuotere la testa e dire di no, avrebbe dovuto continuare a fingere.
Ma questa volta non ci riuscì.
Così come non riuscì a trattenere le lacrime, che amare cominciarono a scivolargli lungo le guance.
«Capo io... io non posso...».
«Gerkhan... Semir.» fece Kim posando una mano sulla spalla del collega e passando al “tu” senza nemmeno accorgersene «Perché non puoi? Lily e Aida ne farebbero le spese? Ti stanno ricattando, non è così?».
Il turco non rispose, continuando a piangere in silenzio.
«Chi è? È stato Hoffman ad organizzare tutto questo?» continuò imperterrita la Kruger con una dolcezza nuova nel tono della voce.
Semir annuì.
«Quindi Ben non ha premuto quel grilletto? Per favore Semir, rispondi.».
«È stata... è stata Helen...» singhiozzò il poliziotto «Helen ha sparato con la mano e la pistola di Ben, ma è stata lei... e poi si è ferita il braccio da sola...».
«Ho capito...» mormorò la donna annuendo e alzandosi dalla panchina. Era tutto come aveva sospettato, ma adesso almeno ne aveva avuto la conferma. E se Semir avesse testimoniato contro l’avvocato il tribunale, tutto si sarebbe risolto e Ben sarebbe stato scarcerato.
«Capo... Andrea e le bambine... sono in pericolo. Hoffman le ucciderà!» mormorò Semir tra le lacrime.
«Chiamo subito il comando e faccio mandare degli agenti a controllare la casa. Sono a casa tutte e tre?».
«Aida è da un’amichetta, Hawer Straβe, 10.».
«Va bene.» disse il commissario afferrando il telefono e componendo in fretta il numero del comando «Susanne? Ascolti, mandi una pattuglia davanti a casa Gerkhan, subito. Andrea e le bambine devono essere messe sotto protezione, una delle piccole si trova in Hawer Straβe, 10. Le trasferiremo in luogo protetto ma nel frattempo mandi degli uomini a controllare. Sì... come? Dove? Va bene, arrivo.».
«Grazie capo.» sussurrò Semir sfregandosi gli occhi, rimanendo seduto sulla panchina ma alzando finalmente lo sguardo.
«Gerkhan, hanno trovato il corpo di Helen Luithild. È stata uccisa.».

 

Hoffman seguitò a girare inquieto per la stanza e guardò l’orologio. A quell’ora gli sbirri dovevano già aver trovato il corpo di Helen. Era stato attento a fare in modo da non lasciare prove che portassero a lui. Ma che importava? Ormai era in trappola, era stato incastrato. Uno dei suoi informatori lo aveva appena avvisato che Gerkhan aveva sputato il rospo.
Per un attimo il Giaguaro fu preso da uno sconforto che prima di quel momento gli era sempre stato sconosciuto.
Eppure doveva esserci un modo per rimediare, per riprendere in mano la situazione.
Improvvisamente ebbe un’idea.
Forse non era tutto perduto.
Compose un numero sul display del suo cellulare e attese impaziente una risposta.
«Alfred? Ascoltami. Prendi la figlia di Gerkhan, la più grande. Portala a Gehlen, lui saprà cosa fare. Aspetta, non ho finito. Ora ti do istruzioni anche per quanto riguarda lo sbirro.».

Semir ha parlato, finalmente! Ma Hoffman non pare avere intenzione di fermarsi.
Grazie a tutti come sempre, siete meravigliosi!
Un bacione
Sophie :D

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Capitolo 24
*** La morsa del buio ***


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«Lasciami! Lasciami subito, mi fai male!» gridò la bambina cercando di divincolarsi dalla stretta dell’uomo, che la sbatté in macchina senza troppe cerimonie, poi prese dello scotch e le chiuse con quello la bocca, dopo averle legato insieme i polsi.
«Adesso tu stai immobile e zitta, chiaro?».
Aida continuò a divincolarsi cercando in qualche modo di slegarsi i polsi ma senza risultato.
Sentì la macchina su cui era seduta partire e strinse i pugni scalciando a più non posso.
Non sapeva chi fosse quell’uomo, né dove la stesse portando.
Represse le lacrime che minacciavano di inumidirle gli occhi e provò ancora a liberarsi.
Si fermò solo quando udì l’uomo che l’aveva rapita e che ora guidava parlare al telefono con qualcun altro e provò ad ascoltare. Non capì molto, parlò solo di una certa Helen e dell’esigenza di una nuova persona su cui fare affidamento. E poi le sembrò di sentire pronunciare il nome di Ben ma non era sicura di aver capito bene...
Ora la macchina viaggiava a tutta velocità e Aida non riusciva nemmeno a guardare fuori dai finestrini dalla posizione in cui ti trovava.
Il cuore le batteva a mille.
Aveva paura.

 

«Andrea, provi a calmarsi!» quasi gridò la Kruger facendo sedere la donna che continuava a singhiozzare senza posa.
«Commissario, mi aiuti, la prego! Io non ci capisco più niente, prima la storia di Semir e adesso questo!».
«Andrea, ora si calmi e mi racconti cosa è successo.».
«Aida era dalla sua amica e quando sono arrivati gli agenti non c’era più... e la mamma dell’amica di Aida dice di aver visto un uomo di spalle che saliva in macchina con in braccio una bambina, ma di aver realizzato solo dopo che si potesse trattare di Aida, perché le bambine stavano giocando da sole in giardino.» spiegò Andrea, gli occhi rossi e le guance rigate dalle lacrime.
«Non abbiamo fatto in tempo.» mormorò Kim mordendosi il labbro.
Chiuse un momento gli occhi provando a riflettere.
Se solo non avesse costretto Semir a parlare all’aperto, dove chiunque poteva vederli e sentirli! Hoffman doveva aver saputo che il poliziotto aveva deciso di dire quello che sapeva e per punirlo aveva rapito la bambina.
E per di più Semir ancora non sapeva niente.
«Commissario, mi dica che sa dove possono averla portata, la prego!».
La Kruger scosse il capo con un sospiro «Non lo so, Andrea. So solo che Semir era stato minacciato da Hoffman, per questo ha mandato Ben in prigione. Hoffman gli aveva detto che altrimenti avrebbe fatto del male a lei o alle bambine.».
«Se succede qualcosa ad Aida...».
«Non succederà proprio niente, la troveremo.».
Andrea annuì debolmente.
Poi si asciugò gli occhi con la mano sinistra mentre con l’altra estraeva il cellulare e componeva rapidamente il numero del marito.

Semir era appena salito in macchina.
Dopo aver parlato con la Kruger era rimasto ancora un po’ seduto su quella panchina sul Reno, senza nemmeno la forza di muoversi.
Adesso doveva andare a casa, parlare con Andrea e poi andare ad arrestare Hoffman. Questa volta lo avrebbe arrestato e sarebbe tutto finito.
Ma aveva paura, una paura incredibile che il Giaguaro riuscisse a sfuggire al controllo degli agenti posti a protezione della sua famiglia: se fosse accaduto qualcosa alla moglie o alle bambine non se lo sarebbe mai perdonato.
Quando vide sul display del telefono che cominciava a squillare il numero di Andrea, il cuore gli balzò in gola mentre un terribile presentimento si faceva di nuovo strada dentro di lui.
Afferrò il cellulare con una mano mentre con l’altra reggeva il volante e rispose precipitosamente.
«Andrea, cosa succede?».
«A... Aida... Semir, hanno rapito Aida!» la voce disperata della moglie dall’altro capo del telefono lo fece sussultare e udendo le sue parole nella testa del poliziotto si creò la confusione più totale.
Rimase in silenzio continuando a guidare, incapace di dire o di pensare qualsiasi cosa.
Udiva solo i distanti singhiozzi della donna, che però sembravano affievolirsi sempre di più.
Superò un incrocio con il semaforo rosso senza nemmeno accorgersene e schivò per pochi centimetri una signora che attraversava la strada sulle strisce.
«Semir? Hai capito? Hanno... hanno...».
«Andrea, dove sei?».
«Al comando.».
«E Lily?».
« È qui con Dieter e Jenny...».
«Non vi muovete da lì, sto arrivando.».
Semir chiuse la comunicazione e gettò il telefono sul sedile accanto al suo, strinse il volante e fece più pressione con il piede sul pedale, aumentando la velocità.
Era tutta colpa sua, tutta solo colpa sua.
Hoffman aveva saputo della sua “confessione” e aveva fatto rapire Aida, chissà dove poteva averla portata.
Era colpa sua...
Superò un paio di incroci a velocità folle e non tenne conto dei semafori e delle precedenze mentre si avviava il più velocemente possibile verso il comando.
Era confuso, troppo confuso, non capiva più nulla.
Ma soprattutto, non era abbastanza lucido.
Infatti si accorse troppo tardi dell’uomo che riconobbe come uno degli scagnozzi di Hoffman fermo sul ciglio della strada.
Non lo vide in tempo mentre spingeva in mezzo alla carreggiata un’anziana signora e non riuscì a frenare come avrebbe dovuto. Girò il volante all’ultimo minuto e la macchina ruotò in un violento testacoda per poi ribaltarsi inevitabilmente. Nemmeno l’uomo ch guidava l’auto che era dietro di lui fu abbastanza svelto e la vettura andò a scontrare quella di Semir, che si ribaltò ancora una volta, mentre una moto finiva a sua volta contro la BMW ormai semidistrutta.
Semir non si accorse di molto.
L’ultima cosa che vide fu il sorriso beffardo dello scagnozzo di Hoffman che si allontanava.
Poi udì in lontananza il suono di una sirena.
E il buio si chiuse su di lui.

 

Grazie a Maty, Chiara, Reb, Tinta, Marti, Chlo, Furia e Miki per le recensioni e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 25
*** Amnesia ***


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«Suo marito ha avuto molta fortuna.» replicò il medico avviandosi verso la stanza del paziente con alcuni fogli tra le mani e facendo cenno ad Andrea di seguirlo.
Era un uomo di media altezza, con i capelli brizzolati e due grandi occhi scuri che trasmettevano un incredibile senso di sicurezza.
Il cartellino che aveva appeso alla tasca del camice bianco che portava mostrava stampato il nome “Peter Füger”.
«Posso parlare con lui?» domandò la donna supplicandolo con lo sguardo.
«Sì, ma solo per pochi minuti, adesso ha bisogno di riposo. Fisicamente non ha riportato danni, solo alcuni lividi che non avranno alcuna conseguenza. È quasi un miracolo, mi creda.».
Andrea sorrise, almeno in parte tranquillizzata.
«Tuttavia...» cominciò il dottore esitando nel continuare la frase.
«Tuttavia?» lo incalzò la donna fermandosi improvvisamente in mezzo al corridoio con lo sguardo terrorizzato. Il cuore ricominciò a batterle forte.
«Suo marito sostiene di non ricordare nulla. E con “nulla” non intendo la dinamica dell’incidente. Non ricorda nemmeno chi sia, da dove venga e come si chiami. Potrebbe essere solamente un’amnesia transitoria, ma per ora non posso esserne certo. La particolarità è che suo marito non ha riscontrato alcun danno celebrale, nemmeno un piccolo livido... l’unica spiegazione potrebbe essere data dallo shock per quanto accaduto, può capitare che si verifichino conseguenze simili.».
Andrea rimase come paralizzata a fissare negli occhi l’uomo che le parlava.
«Lui... non si ricorda più cosa... cosa è successo? Niente?» balbettò mentre il panico si impossessava di lei.
Il medico scosse il capo «Ma le ripeto, probabilmente è solo un’amnesia transitoria...».
«Ma... ma io... Aida...» si ritrovò a balbettare la donna mentre le lacrime cominciavano a rigarle le guance.
Vedendo come la situazione stava precipitando, il dottore lasciò la cartellina su un mobile, prese Andrea per mano e la fece sedere su una delle sedie in fila davanti alle stanze dei pazienti.
«Signora, si calmi, suo marito è stato fortunato, mi creda!».
«Ma io... io non ce la faccio... lei non sa...».
«Cosa?» domandò Peter Füger, stupito.
Poi le sorrise dolcemente sedendosi accanto a lei.
«Me ne vuole parlare, signora? C’è qualcos’altro?».
E Andrea gli raccontò tutto. Si ritrovò incredibilmente a raccontare tutta la storia ad un medico, ad un perfetto sconosciuto. Gli raccontò tutti i dettagli e tutto ciò che era successo cominciando a parlare dei due mesi precedenti. Gli disse di Ben in prigione, delle minacce di Hoffman e del rapimento di Aida, ma non nominò l’avvocato.
L’uomo rimase ad ascoltare attento e con aria comprensiva e sembrò capire appieno la gravità della situazione.
«Ma se lui... se Semir non si ricorda nulla non potremmo incastrare quel criminale e quel criminale ha mia figlia!» esclamò disperata.
«Mi ascolti, a maggior ragione se suo marito aveva appena saputo del rapimento della piccola, potrebbe trattarsi di un’amnesia causata dallo shock per quanto accaduto. Può capitare. Ma secondo me si ristabilirà in fretta, normalmente le amnesie di questo genere durano dalle due alle otto ore e...».
«Ma non c’è tempo! Quei criminali sono spietati, potrebbero... potrebbero... farle del male.» concluse Andrea in quello che risultò poco più di un sussurro.
«Senta...» fece il medico con voce ferma ma al tempo stesso calda e rassicurante «Io farò il possibile per scoprire le cause di questa amnesia. Stia tranquilla, vedrà che si risolverà tutto... ma lei deve avere speranza!».
«Io non so più in cosa sperare, dottore...».
Peter sorrise appena alzandosi dalla sedia ma continuando a guardarla negli occhi «Una volta un mio amico mi ha detto “La speranza è un rischio da correre. È addirittura il rischio dei rischi.” Continui a sperare, Andrea, andrà tutto bene. E adesso entri nella stanza e parli con suo marito... la sta aspettando.».

 

Andrea aprì piano la porta, quasi temendo ciò che avrebbe potuto trovare all’interno della piccola stanza.
E invece trovò solo Semir, seduto sul letto con qualche cerotto sul viso, che la salutò con un mezzo sorriso.
«Buongiorno.» cominciò.
E la donna si sentì il pavimento crollare sotto ai piedi. Buongiorno. Allora davvero non la riconosceva...
«Semir, come ti senti?».
«Bene, grazie... ma lei chi è? Mi hanno detto di aver avuto un incidente ma io non ricordo...» fece l’ispettore con aria smarrita.
«Io... io sono Andrea... sono tua moglie.» cominciò lei in un leggero mormorio. Si andò a sedere affianco al letto e prese un bel respiro «Non ricordi?».
Semir scosse il capo con un sospiro e la fissò negli occhi con espressione affranta «Mi dispiace, davvero... ma io...».
La donna estrasse dalla borsa il portafoglio e recuperò dall’interno di esso una vecchia foto che li ritraeva insieme nel giorno del loro matrimonio. Era passato tanto tempo, ma lei aveva sempre tenuto quella piccola foto con sé, nonostante da allora fossero cambiate davvero molte cose.
«Guarda.» gli sussurrò mostrandogliela.
Semir la prese tra le mani e la osservò, ma il suo sguardo divenne ancora più confuso di prima. Alzò gli occhi dalla foto e gli puntò in quelli chiari di Andrea. Non vide però in essi gli occhi di sua moglie, ma quelli sconosciuti di una persona mai vista prima.
Andrea abbassò lo sguardo.
Poteva fare ancora un tentativo. Poteva parlargli di loro e delle loro figlie ma dubitava che sarebbe servito. E poi avrebbe dovuto raccontargli quella storia, la storia di Hoffman e di quegli ultimi mesi e, soprattutto, del rapimento di Aida.
E lo avrebbe, fatto anche se lui avesse continuato a non ricordare.
Prese un grande respiro, socchiuse gli occhi e cominciò a parlare.

 

«Ci sono novità?» domandò Ben con tono assolutamente piatto, aspettandosi il solito “no” e le solite scuse da parte della Kruger.
Quando invece il commissario gli mostrò un debole sorriso, il giovane poliziotto riprese a sperare «Forza capo, parli, che è successo?» la incalzò.
«Gerkhan ha deciso si parlare, finalmente.».
A Ben mancò un battito. Temette di non aver sentito bene.
«Come ha detto?».
«Semir ha parlato, mi ha spiegato come sono andate le cose.».
Il viso dell’ispettore si aprì in un sorriso, forse il primo sorriso da ormai più di due mesi e mezzo.
«Non posso crederci...» mormorò come in trance.
«Sì invece. Hoffman lo stava effettivamente minacciando e Semir è stato costretto a mentire perché altrimenti l’avvocato avrebbe fatto del male ad Andrea e alle bambine. Ma adesso Semir ha ceduto e mi ha raccontato cosa è successo, quando ritratterà la sua testimonianza in tribunale sarà tutto finito. Però...».
«Però?».
«Però poco fa Semir ha avuto un incidente con la macchina venendo al comando.» spiegò la Kruger abbassando lo sguardo. Quando lo rialzò lesse negli occhi di Ben una preoccupazione immensa.
«Co-come un incidente? Ma... ma sta bene? Come sta?» domandò terrorizzato mentre il sorriso gli spariva velocemente dalle labbra.
«Bene, è all’ospedale ma fisicamente sta bene. A parte... ecco...».
«Commissario, la prego, mi dica cosa è successo!» quasi gridò Ben, attirando così l’attenzione della guardia che si avvicinò appena per controllare.
«Il medico parla di amnesia temporanea, Jager.» sussurrò Kim. E quelle parole tagliarono l’aria chiusa della stanza come un coltello dalla lama affilata.
«A-amnesia?» balbettò Ben dopo qualche attimo di silenzio.
Il commissario annuì e poi sospirò alzandosi dalla sedia «Ma dovrebbe essere una condizione contemporanea, probabilmente causata dallo shock. Comunque adesso raggiungo Andrea in ospedale e vedo se ci sono novità. Ne usciremo Jager, vedrà. E soprattutto lei uscirà da questo posto.».
Il poliziotto guardò la sua superiore con occhi lucidi e poi la salutò sottovoce.
La vide allontanarsi e aspettò che la guardia lo riaccompagnasse nella propria cella.

 

Kim attraversò il piazzale a passo spedito ed entrò in auto come una furia, quindi partì diretta verso l’ospedale.
Non era riuscita a dire a Ben del rapimento di Aida, le sembrava che l’ispettore stesse già male così.
Doveva trovare la bambina, provare la colpevolezza di Hoffman e soprattutto sperare che Semir potesse testimoniare il più presto possibile.

 

La situazione si complica sempre di più. E so che appare decisamente poco realistica... ma in fondo le ff sono pensate anche un po’ per fantasticare ;)
Grazie mille sempre a voi recensori, siete fantastici e senza di voi questa storia non esisterebbe!
Un bacione
Sophie :D

PS: la frase sulla speranza pronunciata dal dottore è una citazione di Georges Bernanos.

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Capitolo 26
*** Inganno ***


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«Non funzionerà mai.» disse la Kruger con tono che non ammetteva repliche.
«Capo, la prego! Funzionerà, Hoffman accetterà di incontrarmi, ne sono sicura. È preoccupato per tutto quello che sta succedendo, ha troppi pensieri per la testa, magari non penserà al rischio che corre.» quasi gridò Jenny nel tentativo di convincere il capo.
Discutevano ormai da un quarto d’ora.
Il commissario era passata dall’ospedale, ma Semir non l’aveva riconosciuta e poi era tornata al comando, dove Jenny le aveva proposto di provare ad incastrare il Giaguaro con un tranello.
«Non funzionerà, le ripeto.» esclamò ancora Kim scuotendo il capo «Hoffman non è uno sprovveduto, ha resistito in questa situazione per mesi, non cadrà nel nostro gioco.».
«Capo, la prego, dobbiamo fare un tentativo.» insistette la giovane poliziotta.
La Kruger la guardò un attimo in silenzio e poi sospirò annuendo «Lei se la sente?».
«Per Ben e Semir questo e altro, capo.» rispose Jenny con un sorriso.
«Allora avvisi Hoffman, provi a mettersi in contatto con lui, io mi occupo della squadra speciale. Contatto anche Hartmut per il registratore.».

 

«Avvocato Hoffman, chi parla?».
«Buongiorno avvocato.» fece una voce femminile dall’altro capo del telefono «O forse dovrei chiamarla... Giaguaro?».
«Chi è lei, che cosa vuole?» domandò l’uomo mettendosi immediatamente sulla difensiva.
«Non importa chi sono io, avvocato. Ho delle informazioni per lei. Riguardano la faccenda di quell’ispettore, quel Gerkhan...».
«Gerkhan?».
«Esattamente...».
«Chi mi garantisce che non stia mentendo? Chi è lei?» ripetè Hoffman con un marcato tono di nervosismo nella voce.
«Se non mi crede... be’, in tal caso vorrà dire che la polizia riceverà le mie informazioni prima di lei...».
Il Giaguaro rimase in silenzio e immobile per qualche istante.
«Che cosa vuole?».
«Solo incontrarla, avvocato. Oggi alle 16.00 nel parcheggio sotterraneo della Gutterbook.» concluse la donna prima di riattaccare, lasciando l’uomo stupito e senza parole.

Jenny posò il telefono sulla scrivania con un sospiro e rivolse un magnifico sorriso alla Kruger «Capo... è fatta!».
Il commissario ricambiò il sorriso ma poi scosse il capo, indecisa. Aveva paura che la giovane si cacciasse nei guai. Già Ben e Semir erano messi uno peggio dell’altro, non voleva un altro agente in ospedale o, peggio, tra le mani del Giaguaro.
Guardò l’orologio: le 15.04.
Dovevano cominciare a prepararsi.

 

Erano le sedici in punto quando l’elegante berlina nera entrò nel garage sotterraneo e si accostò al muro vicino all’entrata.
Il parcheggio era quasi completamente deserto, sicuramente non molta gente lasciava la macchina sotto alla grande libreria poco distante dal centro di Colonia alla vigilia di Ferragosto.
Jenny si guardò intorno un po’ preoccupata vedendo l’imponente figura del Giaguaro uscire dall’auto dopo essersi fatto aprire la portiera dall’autista e avvicinarsi a lei.
Tentò però di sembrare sicura di sé e cominciò mentalmente a prepararsi un discorso lungo e convincente. Doveva farlo parlare.
La Kruger si abbassò ancora di più dietro ad una delle poche vetture parcheggiate, un piccolo furgoncino grigio, e attivò il sofisticato registratore che le aveva consegnato Hartmut poco prima.
Pregò che tutto andasse per il verso giusto, almeno per una volta nel corso di quell’indagine.
Poi rimase immobile ad ascoltare.

 

«Spero che lei abbia avuto un buon motivo per disturbarmi e soprattutto spero che abbia capito chi sono io.» esordì Hoffman avvicinandosi a Jenny con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
L’autista, Alfred, sostava alle sue spalle e non lo perdeva di vista un istante.
«So perfettamente chi è lei, non si preoccupi.» fece la poliziotta con tono altrettanto arrogante.
«Bene. Allora dica quello che ha da dirmi, adesso.».
«Mi risulta che lei abbia avuto qualche problema con la polizia ultimamente, avvocato, non è così?» cominciò la ragazza, improvvisando e sperando che il lieve tremolio nella voce non la tradisse.
«E a me risulta che a lei non debbano interessare i miei rapporti con la polizia, signorina...?».
«Il mio nome non è importante, mi creda. Non tanto quanto quello che io ho tra le mani.» rispose lei estraendo lentamente dalla tasca una chiavetta USB.
«Di che cosa sta parlando?» domandò Hoffman mal celando la propria preoccupazione in proposito.
Jenny sorrise beffarda «Un video. Anzi, due.».
Il Giaguaro strinse i pugni e serrò la mascella «E cosa potrei avere a che fare io con i suoi video?».
«Non ha idea di cosa potrebbe esserci in quei video, avvocato? Forza, tiri a indovinare.».
«Finiamola con questa presa in giro, ragazzina. Dammi quella chiavetta.».
«Non è così semplice, avvocato. Guardi» fece Jenny mostrando un telefono a Hoffman, che corrucciò appena la fronte «Ho già composto il numero del mio complice. Mi basta schiacciare un tasto... lui ha la copia dei video, appena riceve un mio squillo li consegna alla polizia. Per cui stia al mio gioco, se ha, come è evidente, qualcosa da nascondere agli sbirri.».
Hoffman fermò con un cenno Alfred, che aveva cominciato ad avvicinarsi con fare minaccioso alla ragazza.
La Kruger, da dietro la ruota del furgoncino, sorrise, soddisfatta della sua sottoposta.
«Cosa devo fare?» domandò il Giaguaro con rabbia.
«Cosa pensa di trovare in quei video? Vediamo... ha tre possibilità. Se indovinerà i due contenuti le consegnerò la chiavetta, altrimenti chiamerò il mio amico. Che ne dice?» propose Jenny acquistando più sicurezza ad ogni parola «Almeno ci divertiamo un po’...».
«Brutta strega...» sibilò Hoffman diventando rosso in volto.
«Brutta strega dice? No, mi dispiace...» disse la poliziotta sorridendo beffarda e alzando appena le spalle «Nessuna brutta strega nei video, ha ancora due possibilità.».
L’avvocato pensò di scoppiare dalla rabbia.
Avrebbe voluto sparare a sangue freddo a quella stupida ragazzina.
E l’idea di doverle risponderle, di dover stare al suo gioco, di lasciare che lei, una sconosciuta, si facesse così beffe di lui, non lo faceva nemmeno ragionare.
La Kruger sorrise ancora, pensando che in un altro contesto la scena sarebbe stata quasi comica.
«Allora, avvocato?».
«Mi hai ripreso mentre minacciavo Gerkhan?».
«Mentre lo minacciava di cosa, avvocato? Deve essere preciso.» rise Jenny prendendosi deliberatamente gioco di lui.
«Di fare del male alle mocciose se lui non avesse testimoniato in tribunale contro Jager.» disse Hoffman tutto d’un fiato, ribollendo di rabbia e ormai paonazzo in volto.
«Bravo, avvocato. Giusto! Ha ancora una possibilità...».
Il Giaguaro aprì la bocca per parlare, ma questa volta non ne ebbe il tempo.
Alfred, il suo scagnozzo, gli indicò con un cenno un’ombra... un uomo nascosto dietro ad un’auto parcheggiata.
E poi un altro.
Sbirri.
Erano circondati.
«Bastarda, mi hai ingannato.» sibilò Hoffman.
Poi l’autista estrasse la pistola e accadde il finimondo.

 

Incastrare Hoffman con un giochetto del genere sarebbe stato troppo semplice... giusto? In fondo il Giaguaro è il Giaguaro!
Grazie mille davvero a tutti voi che continuate a seguirmi e un bacione.
Sophie :D

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Capitolo 27
*** Il felino e la gazzella ***


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Jenny si lanciò a terra schivando per un soffio il colpo sparato dalla pistola dell’autista di Hoffman e poi rimase immobile distesa con le mani sopra alle orecchie.
La squadra speciale entrò in azione sparando a tutto spiano mentre Alfred rispondeva al fuoco e dalla macchina con i vetri oscurati dell’avvocato uscivano altri due uomini armati fino ai denti.
Il conflitto a fuoco durò per qualche interminabile minuto.
La Kruger uscì dal proprio nascondiglio con ancora in mano il registratore e Hoffman, disarmato, le si avventò contro per toglierglielo dalle mani, proprio come un giaguaro affamato avrebbe fatto con la sua preda.
«Dammi quell’aggeggio.» sibilò afferrando le mani della donna con quanta forza aveva in corpo e facendole cadere la pistola.
Kim si voltò di scatto dandogli la schiena e lanciò a Jenny, che nel frattempo si era rialzata, il registratore. Quindi tirò un calcio violento a Hoffman tra le gambe.
L’uomo si piegò in due dal dolore ma non perse tempo e si avventò questa volta sulla giovane poliziotta, che non ebbe i riflessi pronti come quelli della Kruger e si lasciò sfuggire il registratore dalle mani, minacciata dalla forte stretta al polso del Giaguaro.
La piccola scatoletta grigia cadde sul pavimento ammaccandosi irrimediabilmente e Hoffman non mancò di pestarla con la propria scarpa, e colpirla e colpirla ancora fino a quando di essa non rimasero solo pezzetti scomposti, immobili e inutili sull’asfalto.
In quell’esatto istante, l’avvocato si accorse che gli spari attorno a lui si erano fermati.
Si voltò, e si trovò con una decina di armi puntate contro, mentre i suoi tre scagnozzi erano già stati ammanettati e fatti salire nelle auto della polizia, senza che lui nemmeno se ne accorgesse.
Alzò le mani in segno di resa.
Ma un ghigno di vittoria si dipinse sul suo volto.

 

Semir, seduto sul letto, osservava il dottore che controllava i parametri sul monitor.
Il medico sembrava soprapensiero, come se qualcosa in quella situazione non lo convincesse. Non doveva essere uno stupido, per niente, ed era stato il primo a capire che qualcosa non quadrava. Però sembrava simpatico e disponibile, lo aveva anche sentito parlare in corridoio con Andrea per rassicurarla.
Peter Füger alzò lo sguardo, probabilmente si sentì osservato, e accennò a un sorriso.
«Come si sente, Semir?».
«Bene, grazie.».
«Stia tranquillo, vedrà che si tratta solamente di una condizione temporanea e presto si ricorderà tutto, ci vuole solo un po’ di tempo.».
«Lo spero...» mormorò il poliziotto «Anche perché quella donna... intendo, mia moglie, mi ha raccontato quello che è successo e io...».
«Ha raccontato anche a me.» annuì il dottore comprensivo «Ma vedrà che si sistemerà tutto, dicono che il commissario del vostro distretto sia molto in gamba.».
«Dottore... non pensa che sarebbe meglio se uscissi? Magari vedendo i luoghi dove sono stato potrei ricordare...».
«Non sarebbe prudente.» disse il medico fissandolo negli occhi «Lei ha comunque avuto un grave incidente e deve stare ancora in osservazione.».
«Ma sto bene! Solo che io non ce la faccio più a non ricordare... la prego, mi faccia provare!».
Peter ci pensò un attimo su «Non è prudente, le ripeto.».
«Senta... si metta nei miei panni! Non ricordo nulla, mi hanno appena detto che mia figlia è stata rapita e che il mio migliore amico è in carcere, non posso stare qui con le mani in mano a fare niente! Devo ricordarmi, solo se ricordo qualcosa posso aiutare la polizia! Non so nemmeno che faccia abbia... ma devo comunque trovare mia figlia prima che le facciano del male. La prego!» quasi gridò Semir, cercando in tutti i modi di convincere il dottore, che invece sembrava irremovibile.
Il medico piegò le labbra in quello che risultò un misto tra una smorfia dubbiosa e un leggero sorriso.
«Non potrei permetterglielo, lo sa.».
«Io la sto supplicando...».
«Aspetti ancora qualche ora, almeno.».
«Dottore... la prego.».
Peter sospirò senza rispondere e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
E Semir sorrise, perché sapeva che nel giro di poco quel sospiro si sarebbe tramutato in un “sì”.
Aveva imparato a recitare piuttosto bene, doveva ammetterlo. Anche se un po’ gli dispiaceva dover mentire a quel dottore, gli era stato simpatico fin dal primo momento.
Ma doveva trovare Aida, e incastrare Hoffman.
E soprattutto continuare a far credere al mondo che lui non si ricordasse nulla, quando invece sapeva perfettamente chi fosse, come si chiamasse e che cosa gli fosse successo.

 

Hoffman non perse quel ghigno di soddisfazione nemmeno una volta seduto al tavolo nella stanza degli interrogatori del comando.
Era a dir poco irritante.
«Parli, Hoffman. Abbiamo il suo discorso registrato, sappiamo benissimo che era lei a minacciare Gerkhan.» disse la Kruger girandogli intorno.
«Mi pare che il registratore sia andato distrutto, commissario.» fece l’avvocato con voce melliflua.
«Verrà recuperato dai colleghi della scientifica, ne stia certo.» ribatté la donna con odio.
Aveva consegnato ad Hartmut poco prima quello che rimaneva della piccola scatoletta grigia, pregandolo di recuperare la registrazione e glielo aveva lasciato in laboratorio nonostante il tecnico avesse replicato che ci sarebbe stato ben poco da fare. Il registratore era ormai un ammasso di rottami e il suo contenuto era irrecuperabile.
«E comunque» commentò Hoffman con calma «La sua amata registrazione non è una prova della mia colpevolezza, commissario, lei dovrebbe saperlo meglio di me. È un semplice, banale indizio, che non può portare a nulla. Io posso anche dirle di essere colpevole, potrei dirle di aver minacciato Gerkhan e persino di aver ucciso Helen Luithild. Potrei dirglielo, ma lei non potrebbe comunque provarlo.».
Kim strinse le pupille lanciando al Giaguaro un’occhiata fulminante.
Un’occhiata che l’uomo interpretò come quella di una gazzella che, impaurita dal felino che la sta per uccidere, finge sicurezza mentre sta lentamente morendo dentro. Di paura. E di impotenza.
«Stia certo che troveremo anche le prove. È così sicuro che i suoi uomini non parlino, Hoffman? In questo momento i miei colleghi li stanno interrogando...».
L’avvocato rise, fingendosi divertito «Può continuare a sperare, commissario.».
«E comunque sia, Gerkhan ha confessato. Immagino le sia giunta la voce.» continuò la Kruger imperterrita.
«Certo. Ma insieme ad essa mi è giunta la voce anche di un tragico incidente...».
«L’amnesia provocata dall’incidente è temporanea, avvocato. Temporanea. Vuol dire che è solo questione di tempo, dopo di che le giuro che la sbatterò personalmente in galera.».
«Non si giura il falso commissario, non gliel’hanno mai insegnato?» rise ancora il Giaguaro.
«Intanto la trattengo al comando. Sarà felice di rimanere, no? Bonrath... toglilo dalla mia vista.» ordinò Kim uscendo dalla stanza.

 

Il Giaguaro è sempre più strafottente ma la nostra gazzella non molla la presa.
Un bacione grande e grazie mille per le recensioni!
Sophie :D


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Capitolo 28
*** Novità ***


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«Vuoi piantarla di dimenarti, mocciosa?» sbottò Alfred frenando l’auto davanti all’ingresso di un grande capannone industriale abbandonato in periferia.
Aida non sembrò nemmeno ascoltarlo.
Durante il tragitto non era stata ferma un attimo ed era quasi riuscita a slegarsi i polsi ma la fatica si era rivelata piuttosto inutile.
Lo scagnozzo di Hoffman scese dalla macchina e aprì violentemente lo sportello della bambina, facendola scendere senza troppe cortesie.
Le tolse maldestramente lo scotch dalla bocca e la strattonò fino all’entrata del capannone.
«Qui puoi urlare quanto vuoi, non ti sentirà nessuno.».
Aida si limitò a fulminare l’uomo con uno sguardo mostrandogli tutto l’odio che in quel momento provava per lui.
«Su, entra.» ordinò Alfred aprendo la porta metallica e facendo entrare la bambina nel capannone.
La legò a terra con le braccia dietro ad una specie di pesante tubo di ferro in modo che non potesse scappare e si allontanò verso il centro del capannone con un ghigno malvagio.
«Mio papà ti troverà!» gli urlò dietro Aida con quanto fiato aveva in gola.
«Ma guarda.» si ritrovò a mormorare tra sé e sé l’uomo, aspettando in piedi a qualche metro dal giovane ostaggio «Che mocciosetta coraggiosa che mi è capitata, pare che lei e quel turco abbiano lo stesso fastidioso carattere.».
«Era ora.» tuonò una voce alle sue spalle entrando a sua volta nel capannone e interrompendo il flusso dei pensieri di Alfred.
«Erik... ho fatto il prima possibile.».
Gehlen si avvicinò annuendo scettico, con le mani in tasca, a passo lento e tranquillo.
«David è alla polizia.».
«Come?» mormorò Alfred strozzandosi quasi con la saliva.
«Pare sia caduto in un giochetto dell’autostradale. Conoscendolo se ne libererà presto degli sbirri, ma nel frattempo ovviamente il comando dell’operazione spetta a me.» fece Gehlen con voce calma.
«Ovviamente.» ripeté Alfred senza riuscire a trattenere una sottile smorfia di disgusto.
«Qualche problema a proposito?».
«No.».
«Meglio per te. Ora sparisci e fai sparire anche la macchina.» ordinò.
E Alfred uscì obbediente e silenzioso dal capannone.

Rimasto solo, Gehlen si avvicinò ad Aida con fare minaccioso.
«Ciao, piccola Gerkhan.» esordì con voce melliflua.
«Stia lontano da me.» esclamò la bambina fissando l’uomo negli occhi senza paura.
«Bel caratterino, vedo.» rise Erik avvicinandosi ancora di più «Proprio come tuo padre. Penso che ti passerà presto questo coraggio con me, sai? Il tuo adorato paparino pagherà per quello che ha fatto, costi quel che costi.».
Aida continuò a sostenere il suo sguardo «Lui mi troverà.».

 

«Jager.» fece la Kruger entrando in fretta nella stanza dei colloqui del penitenziario «Non dovrei nemmeno essere qui, non sono permesse tutte queste visite. Mi hanno fatto passare solo perché ho detto che si tratta di un affare di polizia, quindi ho poco tempo. Ma ho novità...».
Ben rimase immobile a guardare il suo ex capo, senza sapere se essere felice o meno che vi fossero news.
«Jager...» cominciò il commissario tentennando «Abbiamo Hoffman. È al comando e ho ottenuto dal procuratore un fermo di quarantotto ore ma per incastrarlo abbiamo poco o niente. La situazione di Semir è sempre la stessa e poi...».
«E poi?» la incalzò il detenuto cogliendo l’indecisione della donna.
Kim fece un profondo respiro.
«Prima non gliel’ho detto ma... Hoffman ha... ha fatto rapire Aida non appena ha saputo che Semir ha parlato. E noi non siamo arrivati in tempo.» disse tutto d’un fiato.
Ben sbarrò gli occhi, cominciando a sudare freddo.
«Come... come Aida...? Ma... ma...» iniziò a balbettare mentre il panico si impossessava di lui.
Aida! La sua principessa!
«Appena Semir mi ha raccontato la verità ho avvisato gli agenti di andare a controllare Andrea e le bambine ma era troppo tardi, probabilmente uno degli uomini di Hoffman ci stava ascoltando e non ha perso tempo nell’avvisare il suo capo.» spiegò la Kruger fissando un punto indefinito davanti a lei.
«Non è possibile... non è possibile!» si ritrovò a gridare Ben «Ma porca miseria! Aveva mentito per due mesi e mezzo, non poteva continuare a farlo ancora per un po’? Non poteva trovare un luogo più sicuro per parlarle?».
Il commissario corrucciò appena la fronte, non si aspettava che Ben avrebbe reagito scaricando la colpa sul suo ex collega.
«Jager, si calmi. Gerkhan aveva bisogno di parlare, non ce la faceva più e...».
«E? E allora ha preferito condannare a morte sua figlia?» urlò ancora il giovane mentre gli occhi gli diventavano lucidi.
«Jager... per favore, si calmi.» ordinò la donna «Qui non è ancora morto nessuno, la troveremo.».
«Certo, e come?» ribatté Ben, questa volta a bassa voce «Non avete niente. Niente! E Semir ha anche perso la memoria.».
«Troveremo una soluzione, vedrà. Intanto in queste quarantotto ore devo trovare prove che possano incastrare Hoffman, assolutamente. Per questo adesso vado, tornerò ad informarla sui fatti, Jager. Ma lei provi a stare tranquillo.» concluse Kim alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso l’uscita.
«Aspetti...» mormorò Ben ormai in lacrime bloccandola sulla soglia «Commissario, trovi Aida... per favore.».

 

Povero Ben, adesso sta ancora peggio.
E Aida è nelle mani di Gehlen...
Grazie mille sempre e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 29
*** Questione di fiducia ***


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«Grazie dottore, grazie davvero!» esclamò Semir in piedi sulla soglia della piccola stanza di ospedale.
Il dottor Füger gli lanciò un’occhiata di rimprovero «Non creda che io sia felice di fare quello che sto facendo.».
«Andrà tutto bene, sto bene, davvero.» provò a tranquillizzarlo l’ispettore con un mezzo sorriso.
Il medico annuì poco convinto e diede una leggera pacca sulla spalla al suo paziente.
Lo conosceva da poche ore ma gli aveva fatto fin da subito una buona impressione come persona e Semir, dal canto suo, pensava che Peter fosse un uomo di cui si sarebbe potuto fidare.
E non era poco, visto che negli ultimi mesi in particolare aveva imparato a non fidarsi di nessuno.
«Se entro stasera non ricordasse nulla... torni qui o almeno mi contatti per telefono.» disse l’uomo porgendo al poliziotto un suo biglietto da visita.
«Grazie.» sussurrò ancora Semir allontanandosi a passo svelto e dirigendosi verso l’uscita dell’ospedale.

Trovò Andrea ad aspettarlo appoggiata al cofano della sua auto e a stento vinse l’impulso di correrle incontro e abbracciarla: non poteva dimostrare tanto affetto ad una persona che, tecnicamente, conosceva da sì e no quattro ore.
Salì in macchina salutandola cordialmente e la donna mise in moto, senza una meta precisa.
«Allora, Semir?» domandò sperando di ricevere una risposta che la consolasse un poco.
Ma il marito ancora non dava segni di ricordare chi fosse e che relazione ci fosse tra di loro. Per lui in quel momento lei era una perfetta estranea e questo non aiutava di certo Andrea, che già faceva fatica a reggere da sola la situazione in cui si trovava.
«Potresti portarmi al comando dell’autostradale?» domandò Semir allacciandosi distrattamente la cintura «Magari lì potrei ricordare qualcosa...».
La donna annuì svoltando a destra «Davvero non ricordi nulla?».
Il poliziotto rispose guardando fuori dal finestrino per evitare che il suo sguardo lo tradisse «Niente. E mi dispiace, credimi. Non ricordo nulla nemmeno di nostra figlia e adesso che lei...».
«Il tuo capo la troverà, Semir... e magari tu sarai comunque in grado di aiutarla. Non importa se non ricordi. Sei un buon poliziotto, e soprattutto io mi fido di te.».
Semir sospirò tentando di non dar peso a quelle parole che gli laceravano l’anima. Lei si fidava di lui. E lui stava fingendo.
Ma doveva portare avanti questa recita ancora per un po’, doveva far credere a Hoffman di essere completamente inoffensivo, solo così avrebbe potuto trovare Aida senza che l’avvocato gli mettesse i bastoni tra le ruote.

Andrea parcheggiò sotto al comando e poi entrambi entrarono nella struttura.
Semir venne accolto dai calorosi saluti dei colleghi, che però ricambiò con sguardi vacui e spaesati.
La Kruger gli si avvicinò con un mezzo sorriso e gli fece cenno di seguirlo nel suo ufficio.
Il turco la seguì.
Ma fu proprio in quel breve tratto di corridoio che la sua capacità di finzione venne messa seriamente alla prova.
Davanti a lui, andando in direzione opposta, Otto stava conducendo Hoffman ammanettato verso la cella interna al commissariato.
Hoffman, l’autore di tutto.
Il colpevole.
Semir fu tentato di saltargli addosso, di massacrarlo, di vendicarsi per tutto ciò che quell’uomo aveva causato.
E fu solo per un soffio che si trattenne.
Non seppe nemmeno lui come.
Il Giaguaro gli passò davanti sorridendogli beffardo e Semir ricambio con un falso sguardo di incomprensione.
Poi passò oltre e entrò nell’ufficio del commissario, stranamente sollevato.
Grazie a quello sguardo, forse Hoffman adesso davvero era convinto della sua amnesia.
O almeno sperava che fosse così.

«Prego, si accomodi.» fece la Kruger sedendosi e invitando Semir a fare altrettanto «Non ricorda ancora nulla, vero?».
«No.» rispose il poliziotto scuotendo il capo «Speravo che venire qui mi sarebbe servito ma invece...».
«Senta Gerkhan, forse sarebbe meglio che le spiegassi bene dall’inizio cosa è successo, potrebbe aiutarla a ricordare.» propose Kim intrecciando le mani sopra alla scrivania.
«So già cosa è successo commissario, me ne ha parlato Andrea. Vorrei solo aiutarvi a ritrovare mia figlia... in questo momento non so nemmeno che volto abbia ma è comunque mia figlia e io devo... devo trovarla...».
«Potrà seguirci nelle indagini.» disse la donna con un sospiro «Ma farà tutto quello che le dirò io, intesi?».
Semir annuì con convinzione. Aveva ottenuto esattamente quello che doveva.
Ora doveva provare a passare al punto due.
«Capo, Andrea mi ha anche riferito di Ben... il mio collega... vorrei andare a trovarlo. Se è vero che è il mio migliore amico e che è in carcere a causa mia, vorrei parlargli.».
La Kruger ebbe un moto di esitazione ripensando alla reazione di Ben non appena aveva saputo di Aida e sperò vivamente che il giovane non avrebbe riversato tutta la sua rabbia e preoccupazione sul suo ex collega. Ma d’altra parte, come negare a Semir di andarlo a trovare? Annuì debolmente afferrando le chiavi della macchina.
«Devo portare un campione di terra che abbiamo trovato sotto le scarpe del principale sospettato, David Hoffman, alla scientifica. Se vuole possiamo andare insieme e dopo la accompagnerò al penitenziario. Le guardie mi conoscono, dovrebbero concederci una breve visita nonostante l’orario. Va bene?».
«Certo.» disse Semir, seguendo la superiore fuori dall’ufficio.

Avevano lasciato la scientifica ormai da cinque minuti buoni e si dirigevano a velocità sostenuta verso il penitenziario, quando il cellulare della Kruger, alla guida, squillò.
La donna rispose mettendo il vivavoce.
«Capo, sono Susanne.».
«Susanne, dimmi.».
«Capo... hanno appena chiamato dal penitenziario...» mormorò la voce dall’altro lato del telefono.
A Semir balzò il cuore in gola mentre un’orrenda sensazione gli attanagliava la bocca dello stomaco. Si costrinse a guardare fuori dal finestrino per fare in modo che la Kruger non notasse alcuna sua reazione a qualsiasi cosa avrebbe riferito la segretaria.
«E cosa è successo?» domandò il commissario inarcando un sopracciglio, preoccupata.
«Ben... è scoppiata una lite fra detenuti nel carcere e Ben... Ben è rimasto ferito.».

 

Perdono!
Sono decisamente in ritardo, ma in questo periodo ho davvero tanti tanti impegni, spero di riuscire ad aggiornare più in fretta con i prossimi capitoli.
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 30
*** Confidenze al vuoto ***


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Attraversarono a passo spedito il lungo corridoio e arrivarono davanti alla porta chiusa dell’infermeria interna al penitenziario con il fiatone.
Non appena Susanne aveva chiamato per dire loro della rissa, la Kruger aveva premuto sul pedale dell’accelerazione e i poliziotti erano arrivati al carcere in meno di dieci minuti.
Ma adesso che si trovavano davanti a quella porta, nessuno dei due sembrava voler decidersi a muovere il primo passo.
Semir non faceva altro che lasciar vagare lo sguardo a terra per paura di incontrare quello indagatore del commissario.
Lui non si ricordava chi fosse Ben. Non si ricordava chi fosse.
Doveva metterselo in testa.
Doveva crederci.
Anche se Ben fosse stato in fin di vita... lui avrebbe dovuto fingere di non ricordare.
Finalmente Kim decise di abbassare quella maniglia, pesante come non mai, ed entrò con circospezione seguita dall’ispettore.
Furono accolti da una guardia e da un intenso odore di disinfettante.
L’uomo, che era stato avvisato dalle altre guardie all’ingresso, li fece passare senza problemi e presto la Kruger e il suo sottoposto si ritrovarono in un corridoio con varie porte chiuse tutte sullo stesso lato, simile a quello di un piccolo ospedale secondario.
L’infermiera che li accompagnava indicò una porticina semichiusa ma spiegò loro che il paziente era sotto sedativo e che poteva essere visto solamente da una persona e per pochi minuti.
Non vi fu bisogno di parole.
Semir entrò chiudendosi la porta alle spalle mentre il commissario, sospirando, si appoggiò al muro e attese.

 

La stanza era semibuia, illuminata solo dalla poca luce che filtrava dai vetri delle finestre.
Era essenziale ma sembrava pulita.
Semir individuò tre letti a circa un metro e mezzo di distanza l’uno dall’altro ma capì immediatamente quale fosse quello del collega.
Era nell’angolo e giaceva immobile, come morto.
Semir si avvicinò e si sedette vicino al letto scrutando quel viso che conosceva così bene e che a causa sua era così mal ridotto.
La palpebra dell’occhio destro tendeva al violaceo e sulla fronte c’erano due tagli ancora freschi.
La gamba, che usciva in parte dal sottile lenzuolo, era fasciata con cura: l’infermiera aveva spiegato che Ben era rimasto coinvolto in una banale rissa tra detenuti molto più grossi e robusti di lui, scoppiata alla mensa del carcere senza una reale motivazione. Era stato colpito da un oggetto tagliente all’altezza del femore, ma la ferita per fortuna si era rivelata piuttosto superficiale.
Il detenuto si era però agitato molto e aveva cominciato a chiedere insistentemente di Semir, in preda al panico più totale, per questo avevano dovuto sedarlo e adesso l’ex poliziotto dormiva profondamente.
«Scusami.» mormorò Semir senza riuscire a trattenere le lacrime «Scusa Ben, è tutta colpa mia. Ma come fai ancora a chiedere di me? Come fai? Io ti ho mandato qui dentro, è colpa mia se sei ridotto così! Ti sono venuto a trovare solo una volta in tre mesi di carcere, non sono stato in grado di dire la verità nemmeno a te... e tu ancora chiedi di me? Non me lo merito...».
Il poliziotto fece una pausa accorgendosi di parlare da solo.
Ma non gli importava.
Se il vuoto era l’unico con cui era in grado di confidarsi, avrebbe parlato al vuoto.
O ad un amico addormentato che non poteva sentirlo.
«Ti giuro che non volevo finisse così. Io ho provato a smettere di fingere, ma ho sbagliato anche in questo e adesso quel porco ha preso Aida... tu sei qui e Aida chissà dove, devo trattare Andrea come un’estranea, non posso fidarmi di nessuno... non so come fare, Ben, non ce la faccio più. Ti prego aiutami tu... svegliati...».
Per un attimo gli sembrò di notare un’impercettibile movimento della mano del più giovane ma si costrinse a pensare che fosse stata solo una sua impressione.
Immerso com’era nei suoi pensieri, sussultò al rumore della porta che si apriva piano alle sue spalle.
Ne fece capolino la stessa infermiera di prima, che fece cenno gentilmente a Semir di uscire dalla stanza.
Il turco si alzò, rimboccò dolcemente il lenzuolo a Ben e si asciugò gli occhi prima di uscire dalla stanza, sperando che la Kruger non si accorgesse di nulla.

 

«Gerkhan, tutto bene?» domandò invece il commissario quando, poco dopo, i due stavano per risalire in macchina diretti al laboratorio della scientifica, da cui Hartmut aveva appena chiamato.
Semir annuì chiudendo la portiera e cominciando fin da subito a guardare fuori dal finestrino.
«Si ricorda qualcosa?».
«No.».
«Adesso andiamo alla scientifica, il tecnico è riuscito ad analizzare la terra sotto le scarpe di Hoffman in tempo record.» comunicò Kim accendendo il motore «Sembra che ci siano novità.».
L’ispettore non rispose e la donna partì senza attendere oltre.

 

Varcando per la seconda volta la soglia del laboratorio, Semir si sentì particolarmente stupido a salutare Hartmut con un formale “buongiorno” e si chiese a cosa servisse in fondo quella messa in scena.
In fondo a quel punto Hoffman doveva essere già convinto della sua amnesia. O forse non lo era mai stato e lui semplicemente si stava illudendo che fosse così.
«Cosa abbiamo?» domandò la Kruger precedendolo e avvicinandosi al bancone su cui il ragazzo dai capelli rossi stava lavorando.
«Fortuna!» esclamò il tecnico con un sorriso.
L’ispettore non seppe nemmeno se esserne felice oppure no.
«Il terriccio che aveva sotto le scarpe il nostro caro Micione è piuttosto particolare come composizione. Ha un alto contenuto di sali di...».
«Hartmut, per favore, in sintesi.» lo interruppe il commissario con tono che non ammetteva repliche.
«In pratica, qui a Colonia lo possiamo trovare in due posti in quantità considerevole: nell’area industriale a Ovest dell’A32 o in un cantiere attualmente con lavori in corso sulla A72. Ma considerando che Hoffman deve nascondere una bambina, sicuramente per lui sarebbe più sicura l’area industriale. Ci sono parecchi capannoni, ma si possono controllare senza perdere troppo tempo secondo me.».
«Perfetto.» fece Kim lanciando un’occhiata all’orologio e stupendosi di quanto il tempo passasse in fretta «Cominciamo subito.».
«Commissario... è tardi, si sta facendo buio, non avrebbe più senso cominciare domani mattina?» obiettò lo scienziato storcendo le labbra.
«C’è una bambina in pericolo. E noi la troveremo a costo di setacciare quei capannoni uno per uno e di impiegarci tutta la notte.».

 

Un’ora dopo, la Kruger uscì dall’ennesimo capannone che aveva setacciato seguita da Semir e respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera.
Erano ormai le ventuno passate e loro non avevano ancora trovato nulla.
Mancavano solo tre capannoni da controllare, dopodiché anche l’ennesima speranza di trovare Aida si sarebbe dissolta come polvere.
Il commissario guardò il suo sottoposto con preoccupazione. Non sapeva se fosse per la luce giallognola delle torce nel buio, ma le sembrava pallidissimo.
Per la prima volta il pensiero che la storia dell’amnesia fosse tutta una finzione le passò nella mente, ma la donna lo scacciò scuotendo il capo.
Quindi si diresse a passo deciso verso il capannone successivo, ma si fermò quando sentì squillare il cellulare nella tasca della giacca.
«Kruger.» rispose sperando in una buona notizia.
«Come? Ho capito, arriviamo subito. No, stiamo arrivando, chiamate la scientifica e dite loro di sbrigarsi.».
«Gerkhan.» disse quindi mettendo via il telefono «I colleghi hanno trovato il capannone, è l’ultimo, quello a quattrocento metri da qui. Aida non c’è ma è stata probabilmente tenuta lì, la scientifica sta arrivando, venga.».
Entrambi salirono in macchina nonostante la brevissima distanza e si diressero velocemente e con il cuore in gola verso il capannone indicato.

La Kruger parcheggiò la vettura di traverso vicino all’ingresso e ne scese di corsa insieme a Semir. Entrambi entrarono in fretta e trovarono all’interno del capannone il resto della squadra e i tecnici della scientifica che erano appena arrivati.
Poi, una grande macchia di sangue scuro ancora fresco sul pavimento.

Al posto di Hartmut, fu un ragazzo nuovo della scientifica ad occuparsi di una prima analisi della situazione. Doveva essere entrato a far parte della squadra da poco, la Kruger non lo aveva mai visto prima e sperò con tutto il cuore che fosse competente e che almeno avesse un minimo di tatto, perché visto il colorito di Semir la donna dubitava che l’ispettore avrebbe retto a brutte notizie, soprattutto se riferite in modo troppo brusco.
Semir, dal canto suo, provava a stare tranquillo, cercando di non tradirsi, ma il pensiero che quel sangue potesse essere di Aida non gli permetteva nemmeno di ragionare.
«Sì, direi che le analisi, trattandosi di un caso urgente, potranno essere pronte già domani mattina.» cominciò il giovane tecnico raccogliendo in una provetta un po’ di sangue misto al terriccio del capannone.
Quindi raccolse un oggetto da terra con i guanti di lattice e lo inserì all’interno di una busta di plastica.
«Questo invece è un oggetto piuttosto particolare, che come vedete ho appena raccolto vicino alla macchia di sangue.» spiegò come se si trovasse ad una classe di liceali e non al padre di una bambina scomparsa.
Semir, la Kruger e Jenny erano in piedi intorno a lui e ascoltavano attenti.
«È la versione moderna di un utensile che utilizzavano gli antichi per torturare i propri nemici catturati in battaglia, quando dovevano ottenere da loro informazioni sulle tecniche di guerra dell’esercito avversario oppure semplicemente quando...».
«Mi scusi.» lo interruppe il commissario esattamente come avrebbe fatto con Hartmut «Giunga al punto per favore, non abbiamo tutta la notte.».
«Certo. Era una tecnica molto dolorosa e consisteva, in pratica, nell’incidere con questo strumento una parte del corpo, la gamba normalmente, provocando al torturato un dolore ineguagliabile e una copiosa perdita di sangue.».
Il giovane fece una pausa e Semir si sentì quasi soffocare. Sua figlia poteva essere stata incisa con quel coso?
«Un adulto» continuò il tecnico con aria grave «Può resistere quasi sicuramente a questo genere di tortura, ma una bambina di nove o dieci anni... ecco ispettore, io sinceramente dubito che una bambina possa sopravvivere a una cosa del genere. Anzi, direi che è praticamente impossibile.».
Semir sentì un senso di nausea che lo invadeva e lo sguardo gli cadde per l’ennesima volta sullo strumento insanguinato tra le mani del tecnico e poi sul sangue che macchiava il terreno.
«Vede la punta dell’utensile? È sporca probabilmente dello stesso sangue che macchia il terriccio e con un esame un po’ più approfondito potremo risalire alla persona su cui esso è stato utilizzato.».
Il giovane continuava a parlare ma Semir non lo ascoltava più. Aveva caldo, gli girava la testa, e gli sembrò che l’odore di quel sangue gli invadesse le narici.
«Infatti probabilmente dalle analisi risulteranno piccoli residui di pelle attaccati allo strumento, dai quali potremmo estrarre il dna e... ispettore, mi sta seguendo?».
«Gerkhan? Gerkhan, si sente bene?».
Anche i richiami della Kruger ormai erano lontani.
Semir sentì le voci accavallarsi una sull’altra e perse l’equilibrio.
Si appoggiò alla parete mentre qualcun altro lo chiamava ancora per nome.
Poi non sentì più nulla.

 

Ahi Ahi!
Grande tatto il nuovo tecnico! La situazione continua a precipitare...
Un bacione grande e grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi silenziosamente e in particolare a voi, miei splendidi recensori!
Sophie :D


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Capitolo 31
*** Trasferimento ***


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«Semir!» lo chiamò la Kruger dandogli ripetuti schiaffetti sul viso «Semir, maledizione!».
L’ispettore aprì finalmente gli occhi e guardò il suo capo con aria stranita.
«Cosa... cosa è successo?».
«È svenuto. Come si sente?».
Semir si guardò intorno e immediatamente si ricordò ogni cosa. Era seduto per terra con le spalle appoggiate alla parete impolverata del capannone e affianco a lui risaltava ancora quella grande macchia di sangue sul terreno.
«Semir, mi sta ascoltando?» continuò la Kruger «Chiami un’ambulanza.» ordinò poi rivolta verso Jenny, che afferrò immediatamente in mano il cellulare.
«No!» esclamò allora il poliziotto «Non serve, sto... sto bene.».
Kim gli lanciò un’occhiata preoccupata e lo aiutò a rialzarsi.
Dopo aver verificato che l’ispettore si reggesse in piedi, si allontanò con lui di qualche passo rispetto al gruppo di persone che si era riunito lì intorno pochi secondi prima.
«Gerkhan... lei non ha nessuna amnesia, non è così?» sussurrò il commissario in modo che nessun altro dei presenti potesse sentire.
«Perché lei capisce sempre qualsiasi cosa?».
«Perché conosco i miei uomini. Ora mi ascolti, Hoffman è in nostra custodia e per ora non può fare niente, deve cogliere l’occasione per testimoniare contro di lui. Se lo fa, quell’uomo finirà in galera a vita.».
«Ma ha mia figlia!» ribatté Semir con insistenza.
«Non ha sua figlia, Gerkhan! Io penso che sia Gehlen ad avere sua figlia, e allora tanto vale arrestare Hoffman perché Gehlen si terrebbe comunque Aida, Gehlen ce l’ha con lei! Dovrebbe saperlo meglio di me. E a lui non importa che il Giaguaro sia in prigione o no, se non vuole liberarla non la libererà comunque.» spiegò la Kruger con una logica che non ammetteva errori di alcun genere.
Il turco annuì.
«Va bene...».
«E provi a stare tranquillo, non è detto che quel sangue sia di sua figlia, chiaro? Hartmut farà le analisi al più presto e già domani mattina ci saprà dire. Ora mi dia retta, la riaccompagno a casa.».
«Ma capo...» provò ad opporsi il poliziotto.
«Niente “ma”, Gerkhan, io la riaccompagno a casa. Hoffman verrà trasferito al comando dell’LKA domani mattina presto, il caso a questo punto è definitivamente di loro competenza. Noi seguiremo il trasferimento, dopodiché lei entrerà nel comando dei colleghi e deporrà contro quel mostro.».

 

Nove ore dopo...

 

Si prospettava una mattina tiepida nonostante settembre fosse ormai alle porte.
Al comando c’era movimento e a Hoffman venne da sorridere vedendo gli sbirri che si affaccendavano in fretta per fare in modo che tutto quella mattina andasse per il verso giusto.
Lui sarebbe stato trasferito al commissariato dell’LKA, dove i colleghi lo avrebbero tenuto in custodia tormentandolo con le solite, inutili domande.
E poi avrebbero trovato una scusa, un qualsiasi indizio per poterlo trattenere ulteriormente, ne era sicuro.
Il Giaguaro stava inesorabilmente perdendo la sua libertà.
Ma un Giaguaro in cattività non può resistere a lungo.
Illusi.
Lui non sarebbe mai arrivato al comando dell’LKA.

 

«Tutto a posto?» domandò la Kruger, alla guida della sua auto di servizio appena dietro al cellulare che da pochi minuti viaggiava tranquillo in autostrada.
Semir, accanto a lei, non distoglieva lo sguardo dal furgone nemmeno per un istante.
«Sì.».
«È riuscito a riposare un po’ stanotte?».
«No.  Non potrei mai dormire con mia figlia tra le mani di quel bastardo. Gehlen... non gli avessi mai sparato! Tanto a cosa è servito? Non ha riportato indietro Tom, ha causato solo guai.».
«Lei non poteva sapere che sarebbe andata a finire così. Ma troveremo Aida, glielo prometto.» fece Kim con un breve sorriso di incoraggiamento.
Semir annuì senza convinzione.
«È nervoso?» proseguì.
«Ho paura che Hoffman combini qualcosa. Sa benissimo che una volta varcata la soglia del comando dell’LKA sarà praticamente in trappola e secondo me sa anche che io posso testimoniare contro di lui, che mi ricordo ogni cosa.» spiegò l’ispettore con un filo di voce.
«Il furgone è ben scortato, dubito che possa accadere qualcosa.» obiettò il commissario «A proposito, dall’infermeria del carcere hanno detto che Ben si è svegliato, che la ferita guarirà in fretta e che lui sta bene... almeno fisicamente. Si è trattato di una rissa tra detenuti, capita a volte.».
«Non so se mi perdonerà mai.» mormorò Semir dopo un attimo di silenzio.
La Kruger abbozzò un sorriso «Sì, lo farà. Ne sono certa.».
I due colleghi non parlarono più per qualche minuto, almeno fino a quando la suoneria del telefono della donna non interruppe il silenzio.
Kim lesse il nome sul display ed esitò a rispondere, sperando che le notizie di Hartmut fossero diverse da quelle che lei si aspettava.
Premette quel piccolo tasto aprendo la comunicazione e pregò mentalmente selezionando l’opzione del vivavoce.
«Commissario?» esordì la voce del tecnico dall’altra parte della linea.
«Sì Hartmut, sono in vivavoce in macchina con Semir, ha novità?» domandò cauta il commissario.
«Ho i risultati delle analisi, ho fatto il più velocemente possibile.».
La Kruger lanciò un rapido sguardo all’ispettore che aveva accanto prima di tornare a concentrarsi sulla strada «Allora?».
«Ecco...» balbettò lo scienziato cercando di nascondere il lieve tremolio della voce.
«Hartmut, ti prego, dimmi solo che non è lei.» sussurrò Semir mentre una tenaglia gli serrava lo stomaco e la gola senza permettergli nemmeno di respirare.
«Semir...» fece il tecnico esitando ancora «Il sangue e i residui di pelle che abbiamo trovato sull’utensile non sono di Aida.».
L’ispettore chiuse gli occhi, rilassò le mani prima strette in pugni serrati e sospirò facendo nuovamente arrivare aria ai polmoni.
«Grazie Signore!» disse con un filo di voce «E di... di chi sono?».
Per qualche lungo istante si sentì solo silenzio dall’altro capo del telefono, poi Hartmut si decise a parlare «Semir, ti sembrerà assurdo ma ho provato il riscontro più volte e ho ricontrollato l’esame tappa per tappa fino a impararlo a memoria...».
«Hartmut, di chi è quel sangue?».
La Kruger, continuando a guidare, era diventata partecipante muta di quello scambio di battute che la stavano tenendo inevitabilmente con il fiato sospeso.
«Di... ecco, quel sangue è di... di Tom Kranich.».
Semir rimase immobile come pietrificato e dovette ripetersi quella risposta più volte nella mente prima di riuscire a formulare una frase sensata da pronunciare.
«Come... come hai detto scusa?».
«Tom...».
«Hartmut... Tom è morto quasi otto anni fa.».
«Lo so Semir ma te l’ho detto, gli esami sono corretti. E anche a me sembra incredibile ma a questo punto le possibilità sono due: o Tom aveva un fratello gemello di cui non ci ha mai parlato, e direi che possiamo escludere questa ipotesi a priori, oppure lui è ancora vivo.».
«No.» fu la semplice risposta del turco.
«Semir, ti ripeto che le analisi...».
«Me ne frego delle tue analisi, Hartmut!» sbottò Semir alzando la voce «Il tuo computer si sarà sbagliato, ricontrolla, deve esserci un errore!».
«Non c’è nessun errore, credimi.».
«Hartmut, Tom è morto otto anni fa. È morto sotto quel dannatissimo temporale, tra le mie braccia. Tra le mie braccia, hai capito?» si ritrovò ad urlare l’ispettore.
«Gerkhan, si calmi per favore.» si intromise la Kruger afferrando il cellulare in mano e rivolgendosi quindi al tecnico della scientifica «Hartmut, la richiamo dopo.» disse chiudendo la comunicazione e posando quindi lo sguardo su un totalmente sconvolto Semir.
«Capo, Tom è morto, l’ho visto io, è morto davanti ai miei occhi.».
«Se è così scopriremo cosa è successo, ma adesso Gerkhan si deve calmare. Chiaro? Pensiamo ad una cosa per volta, ora almeno sa che sua figlia probabilmente è ancora viva.».
Semir annuì mentre mille pensieri cominciavano a pulsargli nella mente confondendosi in un turbinio incessante.
Poi questo aggrovigliarsi di pensieri ed emozioni venne interrotto, all’improvviso, da un rumore sordo.
Il furgone davanti a loro si fermò e venne coperto dal fumo.

 

Il sangue non era di Aida ma di lei ancora nessuna traccia. Hoffman non sembra intenzionato ad arrendersi e Semir non fa altro che ricevere notizie che non è più in grado di sostenere...
Grazie davvero a tutti voi che mi seguite e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 32
*** Nessuno vince sempre ***


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«Ma che diavolo...?» fece la Kruger frenando di colpo ed evitando per un soffio di tamponare il cellulare davanti a lei, che adesso era totalmente coperto da una nuvola di fumo denso e innaturale.
«Mapporca!» imprecò Semir slacciandosi in fretta la cintura «Sapevo che quel porco si sarebbe inventato qualcosa!» gridò prima di uscire dall’auto senza perdere un attimo e di sparire nella nebbia.
Il commissario si guardò intorno preoccupata ed esitò qualche istante prima di seguire fuori il suo ispettore.
Quindi scese a sua volta dalla macchina e si ritrovò immersa nell’aria grigia e pesante.
Cominciò a tossire infastidita dal fumo e sentì gli occhi bruciare fastidiosamente.
Sentì movimento intorno a lei e capì che anche gli altri agenti erano scesi dalle vetture per andare a controllare cosa fosse accaduto.
Pregò che l’autostrada fosse deserta e che non si fossero creati ulteriori incidenti e si avvicinò a tentoni al furgone, fino a quando quella nebbia non si diradò quasi improvvisamente, lasciando libera la vista davanti a lei.
E quello che vide la Kruger, fu stranamente una situazione di normalità.
Il cellulare era lì, fermo come le altre macchine, ma ben chiuso e perfettamente tranquillo.
Davanti al portellone della vettura c’erano Semir e altri due agenti in piedi, uno dei quali stava per aprire il furgone della polizia per controllare che effettivamente all’interno fosse tutto tranquillo.
L’uomo aprì la portiera con l’incomprensione dipinta sul volto.
E ciò che i poliziotti videro li lasciò immobili e senza parole: il cellulare era vuoto.

La Kruger spalancò gli occhi incredula e portò istintivamente la mano alla pistola voltandosi e guardandosi intorno attraverso la nebbia che si era ormai quasi diradata del tutto.
Non poteva essere vero.
Come aveva fatto? Cosa aveva prodotto tutto quel fumo? E chi era stato ad aprire il portellone?
Un complice del Giaguaro, ovvio.
Un complice che poi, nei pochi secondi di confusione seguiti all’incidente, era sparito inghiottito dal nulla esattamente come David Hoffman.
«Non è possibile...» mormorò Semir «Non è possibile!».
«Gerkhan!» gridò la Kruger «Vada a destra, io guardo da questa parte. Bonrath, Jenny, guardate in quell’altra direzione!» fece dando ordini ai suoi agenti mentre anche gli uomini presenti dell’LKA si sparpagliavano per il perimetro dell’autostrada.
Semir si portò una mano alla fronte in un moto di disperazione. Non poteva crederci, non voleva crederci! Quell’incubo non voleva finire, non finiva mai.
Si ritrovò a pregare che Ben arrivasse lì ad aiutarlo, mentre confuso si guardava intorno alla ricerca di quel criminale che era riuscito a rovinarlo così, prendendosi gioco di lui fin dal primo istante.
E fu allora che vide.
Vide un piccolo puntino nero in mezzo al campo di erbacce che delimitava il lato destro della carreggiata.
Senza nemmeno credere ai suoi occhi, estrasse la pistola, scavalcò il guard rail, e cominciò a correre.

Hoffman correva, correva, correva.
Sperava che sarebbe riuscito ad allontanarsi senza essere visto.
Alfred, che lo aveva aiutato a liberarsi lanciando i fumogeni e forzando il portellone, era scomparso poi nel nulla, dandosela a gambe e lasciandolo solo troppo vicino agli sbirri.
Maledetto, gliela avrebbe fatta pagare.
Ma la sorte del suo scagnozzo non era il suo primo pensiero in quel momento.
Continuò a correre a perdifiato e aveva già cominciato a sorridere tra sé e sé pensando ai poliziotti probabilmente ancora spaesati in mezzo al fumo, quando sentì una voce che gridava alle sue spalle e che si avvicinava sempre di più.

«Hoffman!» gridava Semir con quanto fiato aveva in gola «Fermati, bastardo! Maledetto, fermati!».
L’ispettore continuò a correre, era più veloce del Giaguaro, lo stava raggiungendo.
«Hoffman! Fermati o sparo!» fece ancora sparando un colpo verso il cielo.
Ma il criminale continuava a scappare.
Fu dopo qualche minuto interminabile che finalmente, fu abbastanza vicino.
Avrebbe potuto sparare.
Avrebbe potuto fermarlo.
«Hoffman, fermati!» ripeté.
David ormai arrancava, aveva corso troppo velocemente e adesso non aveva più fiato. Anche l’età cominciava a farsi sentire.
Rallentò, ma ancora non pensò nemmeno di fermarsi, nonostante le grida alle sue spalle si facessero sempre più vicine.
«Fermati!» urlò ancora Semir stringendo il calcio della pistola quasi dovesse disintegrarla «Non lo dirò più...».
«Va’ al diavolo.» mormorò fra sé e sé Hoffman ansimando ma senza fermarsi.
Poi sentì il colpo.
E cadde a terra.

 

Semir raggiunse Hoffman disteso in mezzo all’erba alta.
Lo aveva colpito alla gamba destra, all’altezza del femore, e adesso l’uomo si contorceva a terra tenendosi la ferita tra le mani e trattenendo a stento le grida di dolore.
Il primo impulso dell’ispettore fu quello di puntare la pistola per finirlo.
E non seppe neppure lui per quale insolita ragione si trattenne.
Si abbassò invece per guardarlo negli occhi e lo afferrò per il colletto della giacca, strattonandolo violentemente e avvicinandolo a sé.
«Hai finito la tua corsa, lurido schifoso.».
«Gerkhan...» bisbigliò il Giaguaro tossendo «Lei ha... ha perso...».
«Dimmi dove si trova Aida. Ora! Dimmi dov’è o ti farò pentire di essere nato.» gridò Semir puntando la propria pistola sulla gamba non ferita dell’uomo.
«Cosa... cosa vuoi farmi? Eh? Uccidermi?» Hoffman abbozzò un sorriso che andò per un attimo a sostituire la smorfia di dolore che gli dipingeva il viso.
«Dimmi dov’è Aida.» ripeté l’ispettore scandendo bene le parole e appoggiando il dito sul grilletto dell’arma.
Il Giaguaro rise ancora, nonostante le forze lentamente lo stessero abbandonando.
«Al sicuro in compagnia di Erik Gehlen...».
«Dov’è?» gridò Semir facendo pressione con la canna della pistola sulla gamba del criminale.
«Forza Gerkhan, uccidimi. Su! Vediamo se ne sei capace. Che aspetti?» cominciò Hoffman con voce sempre più flebile ma carica di convinzione.
Il poliziotto continuava a tenere stretto l’uomo per il colletto e il sangue del Giaguaro si spandeva piano sul terreno coperto di erba incolta.
«Allora? Cos’è questa esitazione? Paura? Forza! Tanto non ti dirò dove Gehlen tiene tua figlia, non lo dirò nemmeno sotto tortura. Quindi forza, sparami. Ho ucciso due persone, ti ho minacciato, ho spedito il tuo amichetto in prigione, ho fatto rapire tua figlia... che aspetti? Spara. Uccidimi. Dimostrami di non essere vigliacco. Su...».
Semir mollò il colletto dell’uomo e si alzò in piedi continuandolo a tenere sotto tiro.
«Dai... Io in fondo sono l’artefice di tutto. Non è così? Io sono il Giaguaro... e anche tua figlia morirà a causa mia... a causa mia...».
«Bastardo...».
«Cosa credi, Gerkhan? Che Gehlen la risparmierà? La tua adorabile bambina è condannata a morte, ad una morte molto dolorosa. E io non ti dirò dove si trova. Morirà a causa mia...».
Semir aumentò ancora di poco la pressione sopra al grilletto mentre lacrime calde minacciavano di tradire la sua sicurezza.
Odiava quell’uomo, lo odiava con tutto se stesso.
Era un mostro, solo un mostro...
Ancora una lieve, lievissima pressione su quel grilletto.
«Gerkhan!» fece la voce della Kruger all’improvviso alle sue spalle «Gerkhan, fermo, non spari!».
«Capo, se ne vada!» gridò l’ispettore continuando a stringere la pistola.
Hoffman rise ancora, divertito, continuando però a contorcersi a terra per il dolore provocato dalla ferita.
«Proprio come pensavo... non hai un briciolo di fegato, Gerkhan. Non sei nemmeno in grado di uccidere l’uomo che fino a poco fa speravi di poter avere tra le mani...».
«Semir, non lo ascolti!» fece ancora il commissario «Dia retta a me, metta via la pistola.».
«Così debole... che peccato...».
«Lei non è un assassino!».
«Che peccato...».
«Gerkhan, la prego!».
«Ora basta!» gridò Semir, ammutolendo sia il Giaguaro sia la Kruger.
Strinse il pugno della mano libera conficcando le unghie sul proprio palmo fino a farsi male.
Strinse il calcio della pistola con quanta forza aveva in corpo.
Chiuse gli occhi e smise di trattenere le lacrime.
Pensò a Ben.
Ad Aida.
Riaprì gli occhi e fissò quelli grigi di Hoffman per un attimo interminabile.
Vide la sua aria divertita.
Il suo sguardo strafottente.
Respirò profondamente.
«Nessuno vince sempre, Hoffman.».
Poi un colpo risuonò forte e nitido nell’aria.

 

E giungiamo alla fine. Ancora un capitolo e questa interminabile storia sarà conclusa... ma proprio conclusa conclusa? Mah...
Grazie ancora a chi mi ha seguito fin qui e continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 33
*** The end ***


«Scusami.» mormorò Semir senza riuscire a trattenere le lacrime «Scusa Ben, è tutta colpa mia. Ma come fai ancora a chiedere di me? Come fai? Io ti ho mandato qui dentro, è colpa mia se sei ridotto così! Ti sono venuto a trovare solo una volta in tre mesi di carcere, non sono stato in grado di dire la verità nemmeno a te... e tu ancora chiedi di me? Non me lo merito...».
Il poliziotto fece una pausa accorgendosi di parlare da solo.
Ma non gli importava.
Se il vuoto era l’unico con cui era in grado di confidarsi, avrebbe parlato al vuoto.
O ad un amico addormentato che non poteva sentirlo.

[Dal capitolo 29]

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Una settimana dopo, 4 settembre, ore 11.13.

Semir aspettava in piedi a braccia conserte, appoggiato al cofano della propria BMW, lanciando di tanto in tanto una fugace occhiata all’orologio.
Era arrivato un po’ in anticipo, a casa rischiava di diventare matto, aveva preferito uscire e approfittarne per prendere una boccata d’aria e rimanere un po’ da solo con i propri pensieri.
Quindi adesso stava lì, immobile davanti al carcere penitenziario, sperando che il cancello si aprisse e che Ben ne uscisse in fretta.
Lo avrebbe mai perdonato?
In fondo era solamente colpa sua se l’ispettore più giovane aveva passato praticamente tre mesi d’inferno chiuso lì dentro. Solamente colpa sua...
All’improvviso si sentì un rumore sordo e l’imponente cancello si aprì con un lento movimento regolare.
Ma quello che apparve sulla soglia non era più il Ben Jager di tre mesi prima.
No, a dire il vero nemmeno gli assomigliava.
Quello che stava uscendo dalla struttura era un ragazzo troppo magro, appena zoppicante a causa della recente ferita alla gamba, pallido e con una smorfia mista di tristezza e dolore dipinta sul volto.
Semir gli andò incontro staccandosi finalmente dal cofano dell’auto e quando i due furono finalmente a poco meno di un metro di distanza l’uno dall’altro, si fermarono.
Passarono qualche secondo a scrutarsi, entrambi immobili e in silenzio.
«Scusami Ben.» fece ad un tratto Semir in un sussurro.
Il ragazzo rimase invece ancora immobile.
«Scusami. È stata colpa mia, avrei dovuto trovare una qualsiasi soluzione e invece... Ben, perdonami.».
A questo punto l’ispettore più giovane abbozzò un sorriso «Hey socio... l’importante è che sia tutto finito, no?».
Semir abbassò lo sguardo e Ben si accorse di aver decisamente sbagliato frase e si morse il labbro non appena ebbe finito di parlare.
«Ancora nulla di Aida?».
L’ispettore scosse il capo ed entrambi si avviarono lentamente verso la macchina.
«Se non altro Hoffman adesso è in prigione e ci rimarrà fino alla fine dei suoi giorni. Penso che io al posto tuo lo avrei fatto fuori, sai?».
«Credimi, ci sono andato molto vicino.» disse il turco ricordando il momento, la settimana precedente, in cui aveva sparato quel colpo verso il cielo, risparmiando il criminale steso dolorante ai suoi piedi che volendo avrebbe potuto eliminare senza difficoltà.
Alla fine invece il Giaguaro se l’era cavata con una ferita alla gamba che non si era rivelata poi nemmeno tanto grave e dopo aver passato tre giorni in ospedale era stato direttamente trasferito nel carcere di massima sicurezza.
«La troveremo, troveremo Aida, hai capito Semir?».
«Ben, sono passati nove giorni.» lo interruppe il collega e Ben sul momento non ebbe nemmeno la forza di replicare.
«Magari Gehlen si farà vivo.» ipotizzò dopo un po’, appoggiandosi con l’amico al cofano della BMW.
Semir alzò le spalle «Non lo so. Andrea sta malissimo, piange tutti i giorni. Mia suocera ci tempesta di telefonate e Lily non fa altro che chiedere della sorella.».
«E tu come stai?» domandò Ben a bruciapelo.
Semir alzò lo sguardo per posarlo negli occhi dell’amico «Bene...».
«Bene?» ripeté l’ispettore più giovane «Uhm... E in realtà invece?».
L’altro sorrise ma poi i suoi occhi divennero lucidi e si riempirono improvvisamente di lacrime «In realtà... in realtà non lo so, Ben. Ma non ce la faccio più a fingere di fare la persona forte. Non riesco più a sostenere Andrea, a consolarla, a rispondere a Lily per tranquillizzarla... non ce la faccio più...» disse tutto d’un fiato passandosi una mano sugli occhi.
Ben gli mise una mano sulla spalla «Semir... tu sei una delle persone più forti che abbia mai conosciuto. Ma sei umano e anche tu hai bisogno di sfogarti ogni tanto.».
«Ma come fai tu ad essere ancora qui e ad aiutarmi? È stata colpa mia, solo colpa mia! Per la miseria Ben, non ho fatto altro che mentirti! Ti ho condannato a stare chiuso qui dentro, ti ho solo fatto del male!».
«Mi sembra di aver già sentito questa parte del discorso...» fece Ben ammiccando con un mezzo sorriso.
Il collega corrucciò la fronte ma capì presto a cosa si riferisse il più giovane «Mi... mi stavi ascoltando? Quando sono venuto all’infermeria del carcere... tu mi sentivi?».
Ben annuì «Ero sedato da un po’, l’effetto del farmaco stava finendo ma non ho voluto farti capire che ero sveglio per non metterti in difficoltà con la storia dell’amnesia: la Kruger me ne aveva parlato ma io immaginavo che il tuo fosse solo un bluff. Comunque sappi che non ho mai avuto niente da perdonarti. Tu hai fatto l’unica cosa che era possibile fare al momento e io avrei agito nello stesso modo al tuo posto, dico sul serio.».
Semir non disse niente ma continuò a piangere in silenzio mentre l’amico lo stringeva forte in un abbraccio.
«Dai, adesso andiamo, va bene? Tu vai a casa e io passo dal comando a recuperare pistola e distintivo.» propose il più giovane dando una leggera pacca sulla spalla al collega «Vuoi che guidi io?».
«Sai che... che guidare mi aiuta a scaricare la tensione.» balbettò Semir, provando a sorridere.
«Va bene socio... andata.» fece Ben porgendo una mano al socio per farsi dare un “cinque”.
Semir diede il “cinque” all’amico e sorrise, ancora.
«Grazie Ben... grazie davvero.».

 

The End

?

O forse non ancora...

Perché immagino che voi non vogliate una fine così... non è vero? Attenzione attenzione, perché non ho ancora smesso di tediarvi (lo farò mai??) : la storia non è finita, come avrete notato ci sono ancora parecchie questioni in sospeso. Ho semplicemente deciso di dividere il racconto in due storie differenti dopo vari ragionamenti (grazie Reb del consiglio che puntualmente non ho seguito): mi sono accorta che tutta insieme sarebbe stata davvero troppo lunga, ma soprattutto che nella seconda parte si cambia un po’ “stile”. Quindi che dire? A breve un nuovo aggiornamento.
Grazie davvero a tutti coloro che mi hanno seguito, a chi ha recensito nel corso della storia e in particolare ai miei fedelissimi Maty, Chiara, Marti, Furia, Tinta, Chlo, e Capitanmiki, che non mi hanno mai abbandonato.
Ma un ringraziamento particolare non posso non dedicarlo a Rebecca, che mi ha seguito fino a qui, che non si è persa nemmeno una mia storia su Cobra 11, che è stata la prima persona in assoluto a recensirmi su Efp più di tre anni fa e che ancora non si è stancata di leggermi.
Grazie davvero, senza di voi le mie storie probabilmente nemmeno esisterebbero.
Un bacione e alla prossima!
Sophie :D

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