Il Saint di Aglaia (Era scritto nelle stelle)

di Keiko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Overture ***
Capitolo 3: *** Il destino di un bambino ***
Capitolo 4: *** Il giuramento ***
Capitolo 5: *** Sangue e polvere ***
Capitolo 6: *** Udienza privata ***
Capitolo 7: *** Zone d'ombra ***
Capitolo 8: *** Apri gli occhi ***
Capitolo 9: *** La guerra delle rose ***
Capitolo 10: *** Le radici sono importanti ***
Capitolo 11: *** Quando la guerra grida e il cuore chiama ***
Capitolo 12: *** Sotto attacco ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


A Sweet Revenge (2001-2013)

Il Saint di Aglaia”, come moltissime delle fanfictions legate alla saga di Saint Seiya, è nata moltissimo tempo fa, dai sogni di una bambina che frequentava ancora le elementari. Negli anni la passione per le vicende dei Saint di Atena non mi hanno mai abbandonata, portandomi a conoscere la mitologia greca, romana e norrena quasi meglio della religione cattolica. È di circa dieci, dodici anni fa la stesura delle prime due storie della saga Prjoect Sephirae nata da anni di plot, modifiche, appunti sparsi e rinchiusi nella mia testa. “Il Saint di Aglaia” e “La vendetta della dea” vennero pubblicate (entrambe incompiute) prima su Manga.it e successivamente su Fanfiction.net da cui non sono mai state cancellate, a dire il vero. Per anni ho accarezzato l’idea di riprendere in mano queste vicende e dare loro una degna conclusione, ma ho sempre preferito concentrare le forze su altri personaggi, altre vicende, altre serie. Sono un’autrice pessima, che scrive d’impeto sulla passione del momento e con la stessa facilità si disinnamora di ciò su cui ha scritto milioni di parole.
Perché allora, decidere di rimettersi in gioco?
Perché credo nei segni del destino. E quando mi è balzato all’occhio – tra gli autori preferiti mai cancellati di EFP di Francine – e della sua “Il rimpianto di una stella cadente” qualcosa è scattato. Ritorno di fiamma? Avevo già avuto un guizzo quando scrissi di getto “Valkyrja”. E allora cosa? Il ritrovare un’autrice che, dieci anni fa, mi diede consigli sulle due storie che ho citato sopra, con cui passai interi pomeriggi di un’estate torrida a parlare e raccontare storie. Un’autrice che è scomparsa per poi ritornare più forte che mai, decisa a ristrutturare le sue storie. Le storie che ho amato moltissimo tempo fa e che ora, sto seguendo con lo stesso sguardo adorante della ragazzina che ero.
Dicevo.
Credo nei segni del destino.
Francine è stata il mio segnale, quello che mi ha fatto dire “Puoi farlo Kei!”
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, però, ma siamo fiduciosi da queste parti.
Quella che vi apprestate a leggere è una storia interamente riscritta. Alcune scene (diverse) sono rimaste e state rivisitate in funzione del nuovo stile con cui ho deciso di raccontare la storia, a me decisamente più congeniale del barocco-ridondande-angst-drammatico-noioso stile di dieci anni fa.Volevo tenere la storia solo per me, poi sempre lo zampino di Francine mi ha fatto decidere di pubblicare la storia anche qui, su EFP.
Se vorrete seguirmi all’interno del Santuario, siete i benvenuti dunque.

Le fanfictions (perché spero di potervi proporre l’intera saga) che vi apprestate a leggere, fanno parte di un universo alternativo in cui nuovi personaggi faranno la loro comparsa, insieme a nuovi nemici (tanti). Personalmente ho fermato la mia lettura della saga all'Episode G, tuttavia - visto l'ampliamento con la serie Next Dimension e Omega Verse - cercherò di tenere conto anche di quanto accade in questi sequel esclusivamente per quanto riguarda lo sviluppo di alcuni dei personaggi. La Saga di Sephirae si snoda in maniera differente rispetto a quanto previsto dal Sensei Kurumada, anche se ritengo che Next Dimension e Omega siano il risultato del prodotto delle fangirls di tutto il mondo degli ultimi vent'anni. Alcuni sviluppi interessanti - come il background di Saga di Gemini, per esempio, emerso durante l'Episode G - mi torneranno sicuramente di aiuto. Altri, sono invece la conferma di quanto per almeno una quindicina d'anni, abbiamo plottato dall'ultimo episodio della serie tv sospirando e sognando.

In ogni caso, questa è la mia storia. La storia del Saint di Aglaia e dei Bronze Saint di Atena.
Un ringraziamento speciale (e doppio) va a dunque a Francine e Françoise. Per aver betato la prima bruttura di questa storia, almeno una decina d'anni fa, e di avermi dato la voglia di riprenderla in mano, ristrutturarla e offrirvela con un aspetto più decoroso. Un ringraziamento anche per le note che leggerete qui sotto, appendice della storia sin dagli albori, scritta in modo meticoloso sempre da Francine.


Note sulla storia.

Il Saint di Aglaia” segue di pari passo i Sanctuary Chapter per quanto riguarda lo sviluppo degli eventi: qui, diversamente da quanto omesso nella serie tv, i nostri protagonisti sono fratelli da parte di padre, che altri non è che Mitsumasa Kido, il vecchio duca Alman di Thule.
Andromeda e Phoenix sono fratelli anche per parte di madre, invece.
La narrazione riprende la prima saga dei Saint di Atena, ovvero il Sanctuary Chapter.
Il Maestro dei Ghiacci (Crystal Saint) non esiste: qui Crystal/ Hyōga è allievo diretto di Aquarius.

Seiya di Pegasus = Pegasus;
Shiryu di Dragon = Sirio il Dragone;
Hyōga di Cignus = Crystal il Cigno;
Shun di Andromeda = Andromeda;
Ikki di Phoenix = Phoenix;
Saori Kido = Lady Isabel di Thule;
Mitsumasa Kido = Alman, duca di Thule;
Jabu di Unicorn = Asher l’Unicorno; 
Ichi dell’Idra = Haspides;
Nachi di Wolf = Black il Lupo; 
Geki Dell’Orsa = Gerki dell’Orsa maggiore;
Ban di Lionet = Leone Minore ( se c’è qualcuno che sia riuscito a cogliere il suo nome è vivamente pregato di comunicarmelo! Grazie);
Shaina di Ophiucus = Tisifone;
Marin di Eagle = Castalia dell’Aquila;
Misty della Lucertola = Eris;
Asterion del Segugio = Asterione;
Moses della balena = Moses;
Babel del Centauro = Babel;
Jamian del Corvo = Damian;
Dante di cerbero = Vesta;
Capella dell’Auriga = Agape;
Argor di Perseo = Argor;
Tramy della Freccia = Betelgeuse;
Mu dell’Ariete = Mur;
Aldebaran del Toro = Toro;
Saga di Gemini = Gemini;
Kanon di Gemini = Kanon;
Death Mask di Cancer = Cancer;
Aiolia del Leone = Ioria;
Shaka di Virgo = Virgo;
Douko = Maestro dei cinque picchi;
Milo di Scorpio = Scorpio;
Aioros di Sagittarius = Micene;
Shura di Capricornus = Capricorn;
Camus di Aquarius = Acquarius;
Aphrodite di Pisces = Fish;
Miho = Lamia;
Shun Rei = Fiore di Luna;
Seika = Patricia;
June = Nemes; 
Julian Solo = Julian Kedibes;
Takumaru Tatsumi = Mylock.

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Capitolo 2
*** Overture ***


“Esistono periodi bui della storia dell’uomo. In un ciclo eterno, il Bene e il Male si scontrano per avere il dominio sul Mondo. Quando la Terra viene minacciata da forze malvagie, uomini dallo spirito puro combattono per la nostra difesa. Vengono chiamati Santi, e sacrificano la propria vita per noi uomini. Per assicurarci un futuro che loro, forse, non vedranno mai.”
“E tu come li hai conosciuti nonno?”
“Ero in viaggio in Grecia, ad Atene, quando un giovane ferito a morte mi chiese di proteggere la cosa più preziosa che il mondo intero avesse mai visto.”
“E questa cosa cos’era?”
Domandò la bambina lasciandosi rimboccare le coperte.
“Il Gold Cloth di Sagitter.”
E tu, bambina.
“Ora dormi.”
Le posò un bacio sulla fronte e la lasciò nelle tenebre di una notte senza stelle. Una notte in cui, le costellazioni amiche, dovevano ancora riprendere a brillare al suo servizio.

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Capitolo 3
*** Il destino di un bambino ***


Il sole è basso sull'orizzonte, tingendo di oro e arancio cielo e mare, in un tutt'uno d'oro liquido. Atene, arroccata sopra il suo porto, dorme i giorni della sua estate. Dai vicoli e dalle strade del porto si alzano le grida dei turisti e delle famiglie in vacanza, di giovani in cerca di qualche avventura. Il porto non è un luogo adatto a una ragazza qualunque, ma Mia non ha paura di quel luogo fatto di persone che vivono per il mare e che per il mare, muoiono. D'altra parte, lei non è una ragazzina normale, questo deve ricordarlo. Non sono molto diversi da lei, dopotutto. Da loro. Distende le dita martoriate di graffi allungando i palmi verso il sole. C'è qualcosa di nostalgico nei tramonti sul mare. Osserva i pescatori tirare a riva le ultime reti. Per qualcuno è stata una giornata di magra, per altri abbondante come se il ventre del mare fosse gravido di cuccioli. La pesca è un po' come la vita: ti lasci cullare dagli eventi, poi, quando decidi di remare e tirare la rete, sei contro corrente. Sempre. A quell'ora della sera sono rari i turisti, già pronti per tuffarsi nella vita notturna della città, e a Mia restano il suono delle onde che si infrangono sulla battigia e il vociare concitato dei pescatori. Ha imparato il greco dopo tutti quegli anni, e trova ancora affascinante quella lingua dura e secca, rispetto alla propria. La brezza contro la pelle nuda è un regalo in quei giorni d'afa e sudore, di sangue nell'arena. Si solleva la maglia all'altezza dell'ombelico, scoprendo un ematoma che ha la forma perfetta del pugno di Shaina.
E domani sarà persino peggio, pensa emettendo un sospiro sconsolato. La verità è che non vuole combattere, che non le interessa avere un Cloth con cui fingere di essere ciò che non è. Non è forte, è solo una ragazzina che vuole vivere come un'adolescente qualunque. E invece deve farsi massacrare ogni giorno alla Casa delle Vergini, come una cretina. Appoggia il viso sulle ginocchia, ascoltando lo stridio dei gabbiani. Ad Atene si sente a casa, è stata l'unico posto che abbia mai chiamato in quel modo, nonostante tutto.
Già, nonostante tutto. 
Di Tokyo ricorda lo sfarzo della villa dei Kido, inghiottita da servi austeri e un'educazione da lady che l'ha resa una femmina frignona. Di Tokyo si è portata nel cuore i bambini dell'orfanotrofio, Miho e quei giuramenti strette l'una all'altra sotto le lenzuola di un letto da dividere insieme durante i temporali. Mia ha ancora paura dei tuoni e dei lampi, ma cerca di farsi coraggio pensando che il sole sorgerà di nuovo. Con Miho era sempre stato tutto più facile. Quando è partita per l'addestramento da Saint l'hanno obbligata a lasciarsi alle spalle ogni cosa: la sua vecchia vita, le sue amicizie e anche il cuore. È valsa la pena pagare un simile prezzo? Ha solo quattordici anni e di scelte giuste crede di averne fatte davvero poche. A guardarsi allo specchio si rende conto che non ha mai deciso realmente della propria vita. Sono state indotte, sono state obbligate, mai dettate dal desiderio. Sospira, e avverte il peso dei ricordi farsi strada. Le capita spesso, negli ultimi giorni, di ripensare al prima, a come è finita ad Atene e perché abbia deciso di farlo, ma non trova risposta. Nemmeno crede di avvicinarsi a qualcosa che possa somigliarle. Sospira e socchiude gli occhi, lasciando che la mente corra lontano, scivoli giù da una collina di sabbia e atterri dall'altra parte, in un accogliente  orfanotrofio di Tokyo. Il suo primo ricordo è lì, incollato al viso sporco di una bambina che parla un giapponese stentato, piccolissima in mezzo al resto di quel mondo fatto di regole collaudate e un solido governo di adulti.

 

Le avevano fatto posare le sue poche cose in una camerata deserta e l'avevano condotta di nuovo in cortile.
“Questi saranno i tuoi compagni, Mia. Potrai considerarli come fratelli.”
Lei un fratello ce l'aveva e l'aveva perduto. Quando sua madre era morta erano stati separati, caricati su una nave e poi portati via. Avrebbe avuto un fratello soltanto. Non aveva risposto. Fingere di non comprendere il giapponese forse l'avrebbe aiutata.
Non avrò altri fratelli, si era detta.
“Vuoi giocare con noi?” 
L'offerta le era arrivata da una ragazzina dal sorriso sincero, e Mia si era detta che un po' – solo un po' – poteva provarci a mettersi accanto agli altri. Quando si era avvicinata per giocare nella piccola arena di sabbia, mettendosi al lavoro per creare un castello da fiaba, qualcuno l'aveva prima presa in giro, poi le aveva gettato la sabbia negli occhi facendole una linguaccia prima di sparire ridendo in modo sguaiato.
“Ehi stai bene?” le aveva chiesto l'altra.
“Io sono Miho. Quello era Seiya, è un idiota, lascialo perdere. Tu lo parli il giapponese, vero?”
Aveva annuito con il capo, sfregandosi gli occhi con il dorso sporco delle mani peggiorando la situazione.
“Così non passa. Vieni, ti porto a rinfrescarti.”
L'aveva presa per mano accompagnandola sino al bagno, aiutandola a ripulirsi dalla sabbia.
“E tu come ti chiami?”
“Mia.”
Miho si illuminò tutta, sorridendo e prendendole le mani tra le proprie.
“Mia e Miho. Suona bene, no? Sono  certa che diventerai la mia migliore amica!”

“Cos'è?”
“Non ne hai mai avuta una?” le domandò Miho sorpresa.

“No, non credo.”
“Sono due persone che si vogliono bene come sorelle. E per l'altra farebbero qualsiasi cosa.”
“Anche cose brutte?”
“No. Cioè, non credo” disse dopo alcuni istanti, esitando.
“Io... io non ne ho mai avuta una.”
“Nemmeno io!”

 

Mia trova i gabbiani uccelli buoni solo da osservare in alta quota e facili da dipingere per i pittori. L'occhio vitreo, mentre raspa tra i rifiuti alla ricerca di cibo, lo colloca nella gerarchia degli animali da odiare. Sono passati dieci anni dall'ultima volta che lei e Miho si sono viste, salutate e odiate, anche. Perché Miho era rimasta all'orfanotrofio. Perché lei era partita lasciandola sola. Soprattutto, era partita poco prima di Seiya, e poi si erano portati via anche lui. La odiava?
Miho sapeva che si trovavano entrambi a Villa Kido, ma non le aveva mai rinfacciato nulla. D'altra parte cosa poteva fare? Arrabbiarsi perché li avevano adottati entrambi insieme ad un altro centinaio di ragazzini?
“Giuro che torno” le aveva detto prima di partire per Atene.
“Lo so. Prenditi cura di Seiya.”
“Prenditi cura dei mocciosi.”
Prenditi cura di te, soprattutto.
Si erano abbracciate senza volersi davvero salutare. Era un addio, un arrivederci che aveva indosso l'incognita di un non ritorno. Sembravano due donne adulte, invece erano due bambine. Le avevano obbligate a crescere e loro avevano accettato di farlo più in fretta degli altri. Se lo butti giù in fretta è meno amaro, le aveva detto Seiya quando era stata costretta a bere l'antibiotico per una brutta influenza. Così aveva creduto valesse anche per la vita: più in fretta cresci, meno fa schifo. A Villa Kido le avevano detto che avrebbe avuto una sorella. Quando aveva incontrato Saori per la prima volta aveva capito che non c'era nulla che potesse piacerle in lei.
“Voi siete sorelle” le aveva detto Mitsumasa Kido con l'aria dura del vecchio uomo d'affari.
“Ma io... io ho un fratello.”
“Non mi risulta.”
Non lo ricordava poi così bene, eppure era certa di aver udito un'altra voce, oltre a quella di sua madre, durante i suoi primi anni di vita, ma i ricordi avevano preso a essere confusi e sfuggirle di mano come i sogni. Era difficile distinguere il passato dagli incubi notturni. Quando era arrivata a Tokyo ed era stata spedita all'orfanotrofio era sola, già. Ne era certa.
“Io voglio tornare da Seiya.”
“Non puoi. Tu ora sei una Kido.”
“E Seiya non lo è? Avete adottato anche lui.”
“Un giorno capirai.”
Io voglio capire ora.
Saori la fissava dall'alto di quei quindici centimetri che aveva in più, le scarpe dal tacco basso e un completo di velluto vermiglio addosso. A Mia faceva paura, sembrava una bambina che voleva già atteggiarsi da adulta.
“Nonno è... non è una Kido.”
“La sarà, e per te diventerà insostituibile.”
Dalla smorfia che le aveva rifilato Saori, era chiaro che nemmeno lei desiderava dividere il proprio tempo con una sconosciuta.
“Da domani prenderete lezione di danza ed equitazione insieme.”
“Ma io sono già avanti!” aveva protestato Saori stringendo i pugni lungo i fianchi.
“E allora potrai insegnarle qualcosa anche tu.”
Della mutabilità dei sorrisi di Mitsumasa Kido Mia aveva creato la netta distinzione tra ciò che riguardava Saori e poi il resto del mondo. Non le era mai importato realmente di ciò che suo nonno pensava. La sua fortuna era stata restare con Seiya, e di quello avrebbe dovuto ringraziarlo. Le erano state risparmiate le frustrate di Tatsumi per insubordinazione, convertite in cene saltate per poi sgattaiolare nel cuore della notte in cucina a rifocillarsi. Peccato che avesse scombinato i piani della famiglia Kido e avesse infilato il proprio nome nell'urna di vetro che avrebbe destinato i cento bambini ospiti della villa in altrettante destinazioni sparse per il mondo, per essere addestrati. A cosa, però, non l'avevano capito. Lei e Seiya avevano solo origliato la conversazione tra il nonno e Tatsumi, e avevano deciso di provarci.
“Non puoi farlo” le aveva bisbigliato Seiya serio.
“Se lo fai tu posso farlo anche io” era stata la sua risposta lapidaria.
“Hai visto come ti hanno conciata?” e aveva indicato divertito l'abito ricco di trine che Saori le aveva imposto di indossare per l'uscita alla Fondazione Kido quel pomeriggio.
“E allora?”
Seiya aveva esitato alcuni istanti, poi aveva stretto la mano più forte attorno alla sua.
“E se ti capitasse qualcosa? Qualcosa di brutto? Io non ci sarei per proteggerti.”
“Diventerò forte, così non dovrai più preoccuparti per me.”
“Mi preoccuperò comunque, sei una femmina!”
“Ti odio quando fai così, stupido!”
Era corsa nella propria stanza ansimando, in preda alla rabbia. Seiya non la prendeva mai sul serio. Seiya non riusciva mai a capirla davvero. Seiya era quello che c'era sempre stato e pensare di perderlo era già impossibile a quell'età, in cui nemmeno sai cosa significhi l'amore se non quello di tua madre. E lei non aveva ricordi nemmeno di quello.

 

“Ehi, non hai intenzione di tornare a casa stasera? Se non fosse stato per Marin che ti ha vista uscire dalla Casa delle Vergini correndo come una pazza, avrei dovuto ribaltare tutta Atene per cercarti!”
Quando le avevano detto che sarebbe partita per la Grecia, non sapeva cosa significasse realmente. Non sino a quando aveva messo piede ad Atene ed era stata affidata ad Aiolia di Leo.
“Non credevo che i Gold Saint avessero il compito della balia con i loro allievi.”
“Storie di ordinaria amministrazione.”
La ragazza storna lo sguardo sul proprio maestro, abbozzando un sorriso forzato. La condanna dei ricordi pesa già come un macigno. Quando avrà vissuto un'intera vita, come sarà riviverli uno a uno?
“È accaduto qualcosa per caso?”
“A parte il fatto che Seiya è un idiota? No, direi di no.”
“Cos'ha combinato?”
“È entrato alla Casa delle Vergini e ha visto Shaina in viso.”
E non ha mai guardato me con quell'espressione, quello stupido.
Vorrebbe dirglielo, ma tradirebbe un giuramento fatto a sé stessa diversi anni prima, per cui si morde il labbro inferiore e torna a osservare l'oro che le si staglia dinnanzi. Se dovessero salirle le lacrime agli occhi, la bellezza di quel paesaggio e il riverbero della luce sarebbero una buona scusa. Aiolia scoppia a ridere di gusto, sedendosi accanto a lei.
“Marin non me l'ha detto questo.”
“Marin rimprovererà Seiya stasera e gli ricorderà che adesso Shaina lo vorrà vedere morto.”
Sospira, e si porta la mano sul ventre. È stata lei a intromettersi tra Shaina e Seiya prima che finissero nei guai, ed è stata lei a combattere per evitare altri problemi, azzuffandosi con Shaina come due gatte pronte a contendersi il territorio. È stata lei a cedere e mollare per prima, perché  con Shaina sa di non avere possibilità di vittoria alcuna. Shaina ha sangue guerriero nelle vene, a lei hanno solo provato a inculcare tecnica e concetti. Ma non basta quando devi  combattere e vincere. Seiya non l'ha nemmeno ringraziata, con quella sua espressione ebete stampata in viso. Non si è nemmeno posta il problema se si sia davvero reso conto del motivo di quello scontro, ma nel dubbio è meglio lasciarlo nella sua ignoranza.
“Tu come ti sentivi prima di prendere il Cloth, Aiolia?”
Lui la fissa sorpreso da quella domanda inaspettata, poi abbozza un sorriso.
“Terrorizzato?”
“Non devi darmi la risposta che vorrei sentirmi dare... sii sincero.”
“Mi sentivo come se avessi sulle spalle tutto il destino del mondo.”
“Ed era così?”
“No, quello era nulla se paragonato a ciò che accadde anni dopo.”
Mia lo squadra attentamente, cercando in quel profilo perfetto l'ombra del tradimento avvenuto tredici anni prima, quando Aiolos, fratello di Aiolia e Gold Saint di Sagitter, fuggì dal Tempio dopo aver ucciso la piccola Atena.
“Pensi che lei sia da qualche parte?” gli domanda con una punta di curiosità nella voce.
“Lei chi?”
“Atena.”
“Il Sommo Sacerdote sostiene di si.”
“Che senso ha combattere per qualcosa che non si è mai visto?” incalza lei.
“Che senso ha credere in qualcosa che non si è mai visto?” le domanda senza esitazione.
“Credi, puoi limitarti a fare solo quello senza rischiare la vita.”
Un po' come tutti gli uomini.
“Chi crede davvero rischia la propria vita ogni istante. Cos'è, sei diventata una fifona tutto d'un colpo?”
“Non è come per voi Aiolia, è... diverso.
Ti annulli dietro una maschera, nascondi il viso al resto del mondo, e i sentimenti con esso. Mia è certa che quella costrizione sia la metafora di ciò che devono essere le loro vite: sterili e senza emozioni. Tanti piccoli soldati privati della ragione al servizio di un ideale più alto. Vorrebbe aggiungere altro, dire ad Aiolia che non è esattamente la vita che aveva sempre immaginato per sé. Negli anni di addestramento lontana da Tokyo ha imparato che le cose non vanno mai come desideri, nemmeno svendendo l'anima o il cosmo a qualche dio idiota. Ammira Aiolia e Marin, intrepidi e senza macchia. Cavalieri come si trovano nelle fiabe occidentali, e che nelle fiabe avrebbero dovuto restare.
“Preferisci passare la notte da Marin? Posso tenere Seiya a casa nostra e...”
“No tranquillo, non ce n'è bisogno.”
La domanda del suo maestro cade nel pozzo dei ricordi, in un rincorrersi di episodi della pubertà di cui nessuno dei due aveva messo in preventivo il prezzo. L'uno per incoscienza, l'altra per ignoranza.
“Pensi che riuscirò a prendere il cloth?”
“Sono certo di si. Non per niente hai il miglior maestro di tutta Atene.”
Mia abbozza finalmente un sorriso, di quelli che gli donava molto più spesso prima che arrivasse la lettera dal tempio che li informava della data del  combattimento per il Cloth di Aglaia.

 

Aiolia la osserva e cerca le parole adatte per incoraggiarla. Ancora non sanno chi sarà il suo avversario, ma il nome che si trova sulla bocca di tutti è quello di Shaina. Lo sanno le ragazze, lo sa lui, lo sa persino il Sommo Sacerdote anche se non ha ancora rivelato ufficialmente i contendenti. Il Saint di Leo si rifugia nei ricordi di quel “prima”, quando Mia aveva qualche anno in meno e gli bastava portarla in giro per mano durante le torride serate estive lungo i corridoi che si snodano tra le vie della città, sino al porto, per sentirsi una persona migliore. Una  persona, soprattutto, non solo Aiolia di Leo, Gold Saint protettore della quinta casa, maestro di Mia e fratello del traditore Aiolos.
“Torniamo a casa?”
“Sei già stanca di stare qui?”
“Il sole è tramontato e le Pleiadi brillano alte. È l'ora in cui Marin avrà bisogno del tuo supporto per ricordare a Seiya cosa significhi violare le regole della Casa delle Vergini.”
“Lo rifarà.”
“E allora, prima o poi, cercheranno di ammazzarlo.”
Ad Aiolia sembra di vederla di nuovo bambina trattenere le lacrime mentre tenta di spaccare pietre che le costano la frattura delle dita delle mani giorno dopo  giorno, sino ad arrivare a comprendere la forza del proprio cosmo. È  la stessa ragazzina di dieci anni prima, adulta e pronta per ricevere il cloth, con più paure e paranoie di quante Aiolia si sarebbe aspettato.
“Sarai un ottimo Saint.”
“Non occorre essere ottimi, Aiolia. Dovremmo combattere perché ci crediamo, e invece...”
Le parole le muoiono in gola, la vede deglutire lacrime e fiele, la vergogna di una sconfitta e di pensieri sporchi, egoistici, che non si addicono a chi aspira a servire il Grande Tempio.
“Puoi non credere in Atena finché non la vedrai, ma credi negli esseri umani. Noi siamo qui per difendere l'umanità, ragazzina. Questo non dovresti dimenticarlo mai.”
“Nessuno mi ha protetta quando ho perso mia madre e mio fratello.”
Il suo tono è duro come pietra, ghiaccio che taglia un tramonto ancora caldo in un ossimoro delle stagioni impossibile da replicare nel ciclo di un intero anno.
“Combatti perché non accada di nuovo. Perché non esistano più bambini strappati dalle loro madri.”
Mia distoglie lo sguardo dall'orizzonte e lo posa sul suo, occhi profondi e tristi, grandissimi sul viso scarno.
“Vorrei che nessuno debba più addestrarsi per la guerra, Aiolia.”
“Se ottieni il Cloth passeranno un po' di anni.”
“Il sacrificio di uno per il bene di molti.”
È una frase mnemonica, e Aiolia ne sente il forte sarcasmo. Le appoggia una mano sulla nuca, scompigliandole i capelli con fare fraterno.
“Parlare con Marin ti farà bene. È migliore di me nella dialettica.”
E non solo in quella.
“Ne ha a sufficienza di Seiya. Torniamo a casa, ti va?”
“Ci fermiamo al chiosco?”
Mia ci riflette un istante, poi annuisce sorridendo, sollevandosi in piedi all'improvviso iniziando a correre.
“Chi arriva ultimo paga per entrambi!”
È già un'ombra nascosta tra la folla quando inizia a inseguirla. È un dono prezioso, la vita di quella ragazzina. Se dipendesse da lui, forse le avrebbe evitato un destino simile, ma conosce il prezzo delle vite dei bambini come loro. Sono votati alla guerra, alla lotta, al sacrificio. Votati anima e corpo a un ideale e all'umanità, con o senza Atena. Quando salverà una vita, anche Mia comprenderà il vero valore di un Cloth.

 

*

 

“Seiya si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?”
Il ragazzo osserva distrattamente la parete alla sua sinistra, Marin dinnanzi a lui con le braccia conserte in grembo. È la classica posizione che significa sei nei guai, idiota e questo l'ha imparato solo pochi giorni dopo essere atterrato ad Atene. La seconda lezione che ha pagato sulla propria pelle – oltre agli allenamenti – è stato il dover cogliere le sfumature della voce di Marin, o piuttosto imparare a leggere i segnali del suo corpo. Non ha mai visto il suo volto. La maschera che le nasconde il viso è un'imposizione ingiusta, ma Marin gli ha spiegato di non azzardarsi mai a dirlo ad alta voce.
“Quella strega di Shaina... andiamo, ha iniziato a gridare che Cassius mi ammazzerà in arena!”
“Seiya, non sappiamo nemmeno chi sarà l'avversario di Mia e tu pensi già che sia Cassius il tuo?”
“Tutti sanno che sarà Shaina, e oggi ne ha anche prese. Non ce la farà mai a sconfiggerla.”
Alza le mani verso il soffitto e le porta dietro la nuca intrecciando le dita tra loro, con aria soddisfatta.
“Hai infranto le regole della Casa delle Vergini, hai visto il volto di Shaina ed ora te ne esci con questa frase? Avanti, alzati Seiya!”
Marin è fiamma rovente e brucia dove sfiora la pelle. Con una forza che Seiya non si aspetta – e che ogni volta lo coglie alla sprovvista – lo solleva dal proprio posto spintonandolo all'esterno della loro casa.
“Che ho detto ora?”
“Taci e combatti!”
Il primo colpo di Marin è una farsa per metterlo in guardia, ma riesce a farsi colpire allo stomaco.
“Mi puoi spiegare il motivo?”
“Non hai la delicatezza per affrontare la vita, lo sai?”
“Delicatezza?” domanda lui sorpreso. Quel vocabolo le ricorda Mia dieci anni prima, intenta a reggersi incerta sulle punte alle lezioni di danza classica. Si impegnava nonostante la odiasse, si impegnava perché sapeva che essere una brava nipote – per quanto possibile – avrebbe causato meno problemi a loro e qualche agevolazione in più per tutti.
In pochi istanti Marin gli è addosso e lo solleva per il colletto della t-shirt.
“C'è una cosa che non devi mai dire alle persone che ami: che non ce la faranno. Hai il dovere di accudirle e proteggerle, non di massacrarle.”
“È proprio per questo che lo faccio. Per non vederla soffrire.”
La maschera è a pochi centimetri dal suo viso. Quante volte ha desiderato scorgere ciò che cela? Ha perso il conto, e Mia non si è mai pronunciata nonostante le sue pressioni sull'argomento.
“Non ha bisogno di questo genere di protezione. Non è una ragazzina indifesa, è una donna Seiya. E che ti piaccia o no, ha deciso di essere un Saint.”
“Non ha deciso niente! Eravamo dei bambini!”
È stanco di sentire tutti quanti parlare di ideali e di battaglie utopistiche, quando ogni sera degli ultimi anni si è contato le fratture insieme a Mia, quasi i loro corpi fossero abachi su cui fare calcoli astronomici.
“È il destino, Seiya. E quello non lo possiamo cambiare.”
“Certo che possiamo, che senso avrebbe vivere altrimenti?”
Marin lascia la presa, stornando il viso verso il buio del viottolo. Seiya ode i passi sul selciato, ma non riesce ancora a intravedere chi si sta avvicinando. È furioso per quell'imposizione dettata da Marin e odia sentirsi dire che non ha possibilità di scelta. Odia un mucchio di cose, ma non Marin. Non Mia.
Quando la vede affiorare dal viottolo, emergendo nella penombra dettata dalla luce della casa, capisce che non è arrabbiata.
Nello sguardo di rimprovero che gli lancia, c'è tutto il bene che gli vuole.
“Sei un somaro, Seiya.”
La voce di Mia è limpida e cristallina, non è cambiata negli anni, a differenza della sua. La guarda ancora una volta, ricordando le efelidi che le spruzzano il naso durante il periodo estivo. È questione di giorni, e poi anche lei indosserà la maschera se otterrà il Cloth. Il suo è un desiderio egoistico, ma sa che dovranno ripartire da zero. Sa che dovrà imparare a leggere il linguaggio del corpo, che non basterà uno sguardo per capirsi e scoppiare a ridere in sincronia.
Avverte la presa di Marin allentarsi e lui si scosta in modo brusco, allontanandosi.
“Ehi, adesso dove vai?”
“A farmi gli affari miei.”
Si allontana da loro, perché sentire il profumo di Mia significa attivare il cronometro verso la fine di tutto, e non vuole che accada. Se ci fosse una possibilità per fermare il tempo e impedirle di prendere il Cloth, lo farebbe. Invece sa che vincerà e che tutto prenderà una piega differente, e non è affatto certo che sarà migliore di com'è ora.
Il suo atto egoistico, è l'atto d'amore più grande.

“Dovresti rientrare Seiya. L’alba non si addice ai Saint.”
La voce di Aiolia è bassa e calda, la stessa che dovrebbe riservare un fratello all’altro, durante i momenti di sconforto. Si è chiesto spesso se, senza Mia, Aiolia gli sarebbe stato accanto comunque. Spesso ha creduto che li avessero voluti prendere in giro, lui addestrato da Marin e Mia da Aiolia. Due coppie miste, che non sapevano comunicare con lo stesso linguaggio. Quello del corpo, almeno, è da tempo mutato e non trova nell’altro il giusto ascolto.
“Che cosa ti preoccupa?”
Si siede al suo fianco, osservando la curva del cielo puntellata di stelle minuscole. Ogni raggruppamento è un simbolo di potere, la luce a cui sono stati votati sin dalla nascita. Non ha mai creduto alla predestinazione, Seiya, e negli anni ha cercato la risposta per fuggire da un destino già segnato. Con fastidio, ha accettato la rassegnazione, perché contro il destino non puoi vincere mai. L’ha accettato razionalmente, ma il cuore ha un potere differente e non ce la fa a restare muto davanti a una perdita che potrebbe farlo impazzire.
“Che cosa vuoi dirmi Aiolia?”
È un ragazzino diretto, schietto e troppo sicuro di sé. Glielo dicono tutti. Persino Mia lo accusa di essere un egoista insensibile, anche se deve ancora capirne il motivo. Alle lacrime, ha sostituito il silenzio ostinato. Seiya non era preparato al cambiamento tra loro, nemmeno aveva mai pensato che potesse cambiare qualcosa.
Invece è accaduto e non sa spiegarsi come e nemmeno il perché.

“Dovresti cercare di ascoltare il silenzio. A volte parla più di uno schiaffo.”
“Quelli di Mia parlano in entrambi i modi. È isterica in questo periodo. Che senso ha che diventi una maledetta arpia per uno stupido cloth?”
“Forse è quello che vuole.”
“No che non è lo è!”
Tutti a dirgli le stesse cose: lo desiderate, lo farete perché è il vostro dovere e bla bla bla senza un fondo di concretezza, tanta gloria e le tue ossa spaccate sul terreno. Quante volte l’ha già sentita quella storia?
“Gliel’hai mai chiesto?”
Seiya storna lo sguardo sul Saint di Leo, quasi gli avesse sputato in faccia una bestemmia.
“Io… cosa?
Aiolia gli sorride, e Seiya si sente stupido all’improvviso. Sufficientemente piccolo da poter entrare in una conchiglia e utilizzarla come nave all’interno del mare della vita.
“Vedi, a volte diamo per scontate le scelte, le decisioni e persino le persone. È un errore che facciamo spesso, perché ricordiamo le cose così come vorremmo fossero andate.”
“Io so benissimo come sono andate” gli risponde lui piccato, alzandosi in piedi per chiudere il discorso. Cercherà un altro luogo dove farsi passare il desiderio di mollare tutto.
“Ci sarai all’arena vero? Mia ha bisogno di te.”
“Mia non ha bisogno di me da un sacco di tempo.”
Ci sei tu d’altra parte, no?
“Perché non te lo chiede, non significa che non ti voglia. Ascoltala di più.”
“È da oggi che non mi parla.”
“Chiediti il perché. Forse già quella potrebbe essere una buona risposta anche per altre domande.”
Seiya inspira, e si allontana. Non gliene importa nulla dei cloth o della Casa delle Vergini. Manca pochissimo per non poter più vedere il volto di Mia, che senso ha cercare di capire il non detto? Come dice lei, lui fa schifo ad ascoltare gli altri.
Sarebbe meglio parlarne a quattr’occhi, dopotutto.
Sarebbe l’unica cosa intelligente fatta nell’ultimo anno, almeno da parte sua.

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Capitolo 4
*** Il giuramento ***


Ad Atene la lotta senza esclusione di colpi per ottenere i Cloth è iniziata da alcuni giorni. I giovani allievi scendono in arena alla ricerca della gloria, disposti a tutto per ottenere le sacre vestigia appartenute ai loro predecessori.
Seiya non fa eccezione.
Tra gli spalti, Aiolia, Marin e Mia fanno il tifo per lui. Mentre tutti gridano e incitano Cassios – grande, grosso, goffo - loro se ne stanno fermi immobili in attesa che lui contrattacchi. Se si concentrasse maggiormente, anziché pensare a quando ci sarà Mia a combattere, forse riuscirebbe a schivare i colpi del suo nemico. Cassios affonda ancora un pugno alla bocca dello stomaco, cogliendolo alla sprovvista. È scoperto, come un dilettante, e ha incassato il colpo rovinando a terra nella polvere di un'arena che ha già visto altro sangue durante il giorno. Gli sembra di essere solo un gladiatore, messo a combattere per il pubblico ludibrio, ed è solo lo scrigno che racchiude il Cloth di Pegasus a fargli cambiare idea.
Devi essere mio.
Se ottiene il Cloth potrà incontrare di nuovo Seika, sua sorella. Sarà più facile, dopo tutto, anche se Marin durante quegli anni non è mai riuscita a trovarla. Da quando ha abbandonato l'orfanotrofio, poco dopo la sua partenza per villa Kido, Seiya ha perso ogni traccia dell'unico membro della sua famiglia ancora in vita.
Cassios riprova a sferrare il colpo di poco prima, ma Seiya reagisce schivandolo. L'energia che sente sprigionarsi dal proprio corpo non è l'energia di un essere umano, è quella di un Saint. Avverte il cosmo espandersi, la terra e tutto ciò che gli sta attorno cambiare, come se ora si muovesse tra le stelle. Muove le braccia senza un senso preciso, poi contrattacca. Pochi istanti, e a terra cade l'orecchio del suo nemico che gli ha staccato dal corpo con un colpo netto. Seiya non capisce, non si rende conto di aver disegnato nell'aria la costellazione di Pegaso e di aver espanso il proprio cosmo per ottenere il Cloth. Il Sommo Sacerdote si alza tra le grida degli spettatori e quelle disperate di Cassios, e con la mano destra indica il vincitore del combattimento: Seiya, Bronze Saint di Pegasus.
Storna lo sguardo sugli spalti, ma già non vede nessuno.
Vorrebbe che anche Seika fosse lì, per essere fiera di lui. Invece si dovrà far bastare Mia, Marin e Aiolia, che sono scesi ai margini dell’arena e lo attendono all'ingresso utilizzato dai partecipanti.
“Fanne buon uso, Seiya di Pegasus.”
Ridendo, afferra lo scrigno e se lo issa sulle spalle, le parole del Sommo Sacerdote che si perdono tra le grida degli spettatori.
È suo, suo soltanto.
Vinto con il sudore di una prigionia durata anni.

 

*

 

Goro-Ho è una zona della Cina ricca di monti e valli, piovosa per la maggior parte dell’anno. Il villaggio che giace ai piedi del monte Ro è un agglomerato di case e pagode attorniate dalle risaie. Il Maestro siete sul picco più alto, accanto alla propria capanna, e fissa un punto sull’orizzonte come se attendesse qualcosa. Shiryu, ai piedi della cascata Rozan, colpisce il flusso dell’acqua con insistenza da anni ormai. Il Cloth del Dragone è lì, nascosto sotto la cascata, ma per ottenerlo è necessario invertirne il flusso. Shunrei prega ogni notte perché Shiryu riesca nell’impresa, poi si pente sentendosi in colpa per chiedere agli déi ancora un po’ di tempo da trascorrere insieme. È un’orfana proprio come Shiryu, ma i loro destini sono opposti. Al Maestro non occorre scendere a valle per sapere quando il ragazzo sarà in grado di essere un Saint. Il suo cosmo tentenna ancora, si domanda come un essere umano possa sovvertire le leggi naturali e non comprende che la forza primordiale, che tutto ha generato, è dentro di lui.
“Se non credi, Shiryu, nulla avrà senso nella tua esistenza.”
Shunrei gli si avvicina, inginocchiandosi al suo fianco porgendogli in silenzio una ciotola di riso bianco.
“Maestro… dovremmo chiamare Shiryu? È dall’alba che si trova ai piedi del monte Ro…”
“Tieni in caldo per lui il tuo ottimo pranzo. Sarà la ricompensa per i suoi allenamenti questa sera.”
Shunrei annuisce con il capo, anche se vorrebbe aggiungere che non è giusto. Questo il Maestro lo sa perfettamente, perché di anni ne sono passati troppi da quando era lui a possedere un Cloth e il mondo di nuovo in pericolo, sull’orlo della Guerra Sacra.
“Vuoi dirmi qualcosa Shunrei?”
Lei esita un istante, scuotendo la lunga treccia con veemenza, poi annuisce.
“Vorrei… poter portare il pranzo a Shiryu, se non lo disturbo.”
“Se non dovesse accorgersi di te potrai tranquillamente lasciarglielo sulla riva del fiume. Ma sono certo che il tuo sorriso gli riporterà un po’ di forza, insieme al tuo ottimo riso.”
Shunrei ha uno slancio d’affetto per quel vecchio che l’ha allevata e cresciuta come una figlia, così si inchina dinnanzi a lui sino a sfiorare la roccia umida con la punta del naso.
“La risalita sarà lunga, Shunrei” brontola l’uomo accompagnando la sua raccomandazione con una risatina soddisfatta.
“Ne approfitterò per andare al mercato a comprare alcune spezie di cui siamo sprovvisti.”
Hai sempre la risposta pronta tu, come tua madre.
Sono solo dei ragazzini, che il pensiero di un’esistenza votata alla guerra stranisce. Il Maestro ha vissuto a lungo e conosce molte delle risposte che i due giovani colombi cercano. C’è amore in quei gesti delicati, nella dolcezza con cui Shunrei cura le ferite di Shiryu, nella delicatezza con cui il ragazzo le sistema un fiore di loto tra i capelli. Da un uomo che distrugge una roccia con un pugno, non ti aspetti la leggerezza di una piuma. Un giorno la pagoda del Maestro sarà vuota, e lui questo lo sa bene. Il momento di Shiryu di diventare il Saint del Dragon si fa sempre più imminente, come se il drago stesso cavalcasse le onde di una cascata di eventi ormai inarrestabile.
A Goro-Ho le notizie dal mondo arrivano frammentarie, di rado. Gli stranieri difficilmente raggiungono quella zona remota della Cina, e per lo più si limitano a cercare qualche maestro di arti marziali che non darà loro la minima attenzione. A Shunrei è capitato di incontrare un occidentale una sola volta, nella propria esistenza, e ne è rimasta terrorizzata. Sono rozzi, volgari, gridano quando parlano e gesticolano come pazzi. È abituata a vivere immersa nei suoni della montagna, in sottofondo l’incessante scroscio della cascata che con forza si schianta a valle. Il Maestro ricorda quel giorno con un sorriso, perché nella medesima settimana arrivò anche il giovane Shiryu. Ci volle molto più tempo perché Shunrei comprendesse il ragazzo. Troppo poco, per innamorarsene.
Il Maestro osserva la linea dell’orizzonte, riducendo gli occhi a due fessure, come se cercasse di vedere al di là di quel confine immaginario, ma è solo un istante quello in cui gli sembra di scorgere realmente qualcosa. Da anni tutto tace e ora gli eventi iniziano a muoversi su stessi, creando una forza centrifuga che li investirà tutti.
Saranno pronti di combattere quando sarà il momento?

 

*

 

La Siberia è una landa di ghiacci che si spingono sino al mare. Nell’entroterra, il terreno brullo permette a chi vi abita di sopravvivere di pesca o malavita. Hyōga ha smesso di sentire freddo molti anni prima, quando è ritornato a casa per l’addestramento dal Maestro Camus, Gold Saint di Acquarius. Delle giacche foderate di pelliccia gli restano solo i ricordi legati a sua madre e alla loro vita insieme. Al pensiero della donna, morta quando partirono dalla loro terra in cerca del suo vero padre, il ragazzo si arresta, sfregandosi il viso con il dorso delle mani. La temperatura è sotto lo zero, e le lacrime si cristallizzano sul viso come a memento di quell’atto di debolezza.
“Se solo mi vedesse il maestro…”
“Si può sapere che diavolo fai?”
Hyōga si irrigidisce, voltandosi sferrando il primo colpo al proprio avversario. Isaac riesce a schivare, contrattaccando e facendolo cadere a terra con un calcio. Lo sovrasta con tutto il suo peso, il pugno chiuso a pochi centimetri del suo viso.
“Devi smetterla Hyōga! Sei solo un moccioso viziato! Il Cloth non è una cosa da femmine piagnucolone!”
Isaac lo colpisce con un destro in pieno volto. Una colata di sangue denso e caldo gli inonda il viso, ma Hyōga non riesce a reagire.
“Lo vedi che sei un codardo? Non hai nemmeno il coraggio di attaccarmi!”
Isaac continua, colpendolo nuovamente. Inerme, Hyōga vorrebbe solo lasciarsi morire. Lo lascerebbero lì, sotto metri di ghiaccio, accanto a sua madre sul fondo del mare.
“Io… non ce la faccio…”
“Idiota!”
Un altro pugno, ancora sul naso. Hyōga è certo di sentire il setto rompersi sotto la forza del compagno, ma non riesce a reagire. Nel cuore, il giovane sa che è Isaac che deve ottenere il Cloth di Cygnus. Manca poco alla fine dell’addestramento, e se solo volesse Isaac potrebbe annientarlo con la forza del proprio cosmo, non solo con quella del corpo. Perché Isaac ha già raggiunto la grandezza di un Saint senza possederne il Cloth.
“Reagisci maledizione! Reagisci!”
Colpisce sempre più forte, sino a quando non si solleva disgustato. Dall’occhio tumefatto, Hyōga riesce ad avvertire il suo disprezzo persino nell’istante di quella pausa.
“Staccati da tua madre, femminuccia. Se non riesci a lasciartela alle spalle non sarai mai un Saint.”
“Non… voglio… essere un Saint.”
Voglio solo riavere il corpo di mia madre su cui piangere.
Una nebula di sangue si condensa oltre le sue labbra e scivola sulla maglietta e sul ghiaccio su cui è riuscito a mettersi seduto.
“Avrai tu il Cloth Isaac.”
“Non ha senso averlo combattendo contro un idiota. Voglio un vero avversario, non un parassita.”
È la fine, pensa Hyōga.
“Noi… siamo ancora amici?”
Isaac gli lancia un’occhiata ma non lo aiuta a rialzarsi, voltandogli le spalle forse per sempre. La vita di un Saint è fatta di solitudine e scelte, questo gli ha detto una volta Camus mentre gli fasciava le dita frantumate dal ghiaccio e bruciate dal freddo. A Hyōga non importa avere un Cloth con cui combattere una guerra, a lui basta ottenere la forza che gli permetterà di distruggere il ghiaccio che imprigiona sua madre.
“Conoscerai la tua sorellina” gli aveva detto mentre salpavano su un peschereccio che li avrebbe condotti in Siberia. Erano stati insieme due anni soltanto – lui e la sua nuova famiglia -, poi la nave era affondata con sua madre e lui non aveva più avuto una sorella né una madre né un padre. La vita in Siberia era differente rispetto a qualsiasi altro luogo della Russia. Il nuovo compagno di sua madre faceva parte dei criminali locali. Tutti, in Siberia, erano criminali contro il regime comunista che governava la nazione dal Cremlino, ma a Hyōga non sembravano davvero dei malavitosi. Almeno, non come quelli che si vedevano nei libri di favole che gli leggeva ogni sera prima di addormentarsi Natassia. Fatta eccezione per le pistole abbandonate nell’angolo votivo della casa, adagiate dinnanzi alle icone degli avi morti, i segni degli affari e del crimine erano lontani dal loro tetto. Il suo patrigno era un uomo buono, sua sorella non la ricordava nemmeno, se non per una mano minuscola che si lasciava stringere nella sua. Un giorno accadde che Vanjia fu catturato e spedito in un carcere di massima sicurezza da cui non fece più ritorno. Fu così che sua madre decise di portarli via dalla Siberia, alla ricerca di suo padre, quello vero, non adottivo. La Siberia non era più un luogo sicuro per loro, nonostante l’intera comunità criminale potesse provvedere alla loro incolumità. Quando la nave su cui si trovavano prese a imbarcare acqua a causa dello scontro con un icerberg, Hyōga e sua sorella vennero fatti salire su una scialuppa di salvataggio. Natassia lasciò il proprio posto ai figli, preferendo la morte.
Li separarono poco dopo, una volta giunti in un orfanotrofio della Cecenia da cui li smistarono verso destinazioni differenti.
Da quel momento Hyōga non ebbe più notizie nemmeno di sua sorella.
L’unico pensiero, in ogni caso, restava per la madre: l’avrebbe riportata alla luce. (1)

 

*

La notte di Atene non è mai silenziosa oltre i confini del Santuario. Seiya osserva Mia camminare al proprio fianco, seguendone i lineamenti nella penombra della sera. La brezza che spira dal mare è un sollievo dall’arsura della giornata, eppure non è sufficiente a placare il suo animo.
“Sei… come ti senti?” le domanda con fare innocente, sperando non si accorga del vero motivo della sua domanda.
“È il gran giorno ormai.”
Mia è diventata una di poche parole, le misura come se ne conoscesse il valore troppo alto. È una cosa che lo irrita, perché sino a quando non c’erano Cloth tra loro tutto sembrava immutato sin dal loro arrivo in Grecia. E di anni ne sono passati undici, ormai. Glielo rinfaccia sempre, lei, accusandolo di essere il solito idiota. Lui invece, stenta a riconoscerla ormai. Sempre più spesso si domanda chi si nasconda sotto le ciglia di quei sonni ristoratori, lontano dalle altre guerriere della Casa delle Vergini. Lei non lo sa, ma lo scontro con Shaina è stato causato da un’incursione per cercarla e assicurarsi stesse bene. Regolarmente, Marin ha finto di non vederlo fuggire durante la pausa del pranzo per caracollarsi giù dalla collina, sino alla Casa delle Vergini, per essere certo che non l’avessero ammazzata. Ogni maledetto giorno per undici anni ha fatto la medesima cosa, sino a quando Shaina non l'ha scoperto e attaccato.
Maledetta strega.
“Non mi sembri molto convinta.”
“Cosa vuoi sentirti dire, Seiya?”
Si arresta bruscamente e la notte si fa silenziosa senza il rumore delle sue vesti leggere a circondarli. La osserva alla luce della luna piena e pensa sia bellissima. I capelli raccolti in una lunga treccia, le efelidi che d’estate si fanno più marcate sul naso e sulle guance, gli occhi verdi che brillano di una luce nuova, già adulta e la lunga veste candida da sacerdotessa.
“Non farlo. Sei ancora in tempo per… rinunciare. Basto io con un Cloth.”
Mia non accenna a stornare lo sguardo, stringendo i pugni lungo i fianchi.
“Lo vedi? Sei il solito maledetto egoista! Non mi sei di aiuto, lo sai? Vorrei sapere perché ci sei tu con me in questo momento e non Aiolia!”
Fa male sentirselo dire, fa male ricordare che Aiolia ora occupa il posto che gli è sempre spettato di diritto. Almeno sino a quando Mia non ha deciso di rivolgere lo sguardo a qualcuno che ha saputo capirla davvero.
“Smettila con questa storia, okay? Ci sono io e adesso devi ascoltare me, non Aiolia che ti dirà che è giusto che tu combatta per avere il Cloth, per la salvezza dell’umanità e bla bla bla!”
“Tu perché hai deciso di farlo Seiya? Perché hai voluto il Cloth contro Cassios?”
Vorrebbe prenderla a schiaffi. Se non fosse una donna – se non fosse Mia - è certo che le metterebbe le mani addosso con l’intento di farle più male possibile.
Ma è una femmina, ed è Mia, appunto, ma domare il fuoco che lo corrode dall’interno è impresa impossibile.
“Perché così potrò difendervi.”
“Non ho bisogno di essere difesa. Io voglio combattere. Che senso avrebbero avuto tutti questi anni se rinunciassi proprio ora?”
“Saresti libera!”
“Da un destino che è già stato scritto?” gli domanda lei sorridendo sarcastica, perché la verità la conoscono entrambi e questo, lo sanno bene, è solo un prendere un poco di tempo per illudersi di poter cambiare le cose.
“Dobbiamo opporci Mia...”
Seiya non ne è così sicuro. Ha deciso di ottenere il Cloth, di accettare ciò che lo aspettava, perché forse c’è qualcosa di più in gioco oltre al destino e alla gloria. Oltre alla forza per poter ritrovare Seika, anche.
“Non resterò ad aspettare a casa mentre so cosa ti attende qui fuori” e la risposta della ragazza non ammette repliche, è il punto finale di una storia già scritta.
La fissa senza capire, senza credere che abbia detto una cosa del genere.
“Tu… cosa… potresti curarmi le ferite come hai fatto in tutti questi anni, incoraggiarmi e…”
“Tu sei pazzo.”
“Non voglio che ti accada nulla, okay? Non sono capace di… se dovessi morire?”
“Lo vedi? Sei un egoista! Se fossi tu a morire, ci hai pensato? Tu non vuoi sensi di colpa, ma non l’hai ancora capito. Sono partita perché lo volevo, perché c’eri tu. E mai una volta ho cambiato idea in questi anni. Se fosse stato qualcosa di passeggero, di inutile, un desiderio fugace sarei tornata a Villa Kido. Invece sono ancora qui, Seiya. E sai perché? Perché voglio combattere al tuo fianco.”
Seiya non brilla per sensibilità né tatto. Questo lo sa bene, eppure è adesso che vede l’istante in cui può supplicarla di non prendere il Cloth e nascondersi per sempre dietro una maschera. È adesso l’istante in cui confessarle ogni cosa, in cui mettersi in ridicolo e sentirsi rifiutato una volta per tutte. Perché non sarà un Gold Saint, ma solo un Bronze Saint stupido e ammaccato, perennemente in lotta contro sé stesso e un mondo che non gli va a genio perché non gira come vorrebbe.
“Il problema è che tu sei stupida e non sei in grado di capire che… che se ti fai ammazzare per me è finita.”
Mia lo fissa sgranando gli occhi, due pozze verdi in cui perdersi è sempre stato troppo facile. Il sangue, il dolore, gli anni, non l’hanno indurita, solo resa più schiva, come se la pelle fosse già corazza e guscio pronta a proteggerla dagli schiaffi della vita.
Anche senza un Cloth, combatterebbe ugualmente.
Lo guarda, ma non riesce a dire nulla, o forse non vuole, perché rifiutarlo sarebbe un colpo basso.
Seiya non ha paura di rovinare tutto ciò che hanno costruito negli anni. Tutta l’amicizia e l’affetto che ci sono tra loro. Non sa nemmeno bene cosa sia l’amore, ma ha scoperto che ci sono cose al mondo a cui non sappiamo rinunciare, di cui non sappiamo fare a meno, che diventano indispensabili come l’aria che respiriamo. Mia è una di queste, forse l’unica oltre a Seika.
E se una cosa te la porti nel cuore per tutti quegli anni, allora deve essere qualcosa di speciale per forza, no?
La strattona verso di sé, abbracciandola. È più alto di lei di almeno una spanna e la sovrasta con la testa. Le circonda le spalle, posandole un bacio imbranato tra i capelli. Il corpo di Mia fa resistenza solo per un istante, poi cede e gli cinge la vita, stringendo tra le dita la stoffa della sua maglietta logora.
“Sei uno stupido.”
“Sono le certezze della vita queste. Però non aggiungere altro e frena quella lingua un istante.”
Se dovessi dirmi che c’è Aiolia ora, tra le cose più importanti della tua vita, non lo sopporterei.
“Sei uno stupido” aggiunge di nuovo, posandogli un bacio leggero sul cuore, senza guardarlo negli occhi.
“Hai un cuore grande, Seiya. Sei molto di più di un Bronze Saint.”
La brezza spira dal mare leggera, portando con sé profumo di fiori e bouganville. Si inerpicano sulle case, lungo i muri divisori, sui tralicci delle scalinate che conducono alle calette più nascoste. Sono ovunque, e Seiya saprebbe ricordare ogni loro posizione ad Atene perché Mia per anni le ha contate e si è fermata ad ammirarle ogni giorno.
“Non crescono a Tokyo, queste.”
È così che è iniziata quando sono atterrati in Grecia. È così che deve continuare: circondati dal profumo delle bouganville e della salsedine di agosto.
“È ora di andare.”
“Non farlo.”
“Lo voglio fare, Seiya. Puoi fidarti di me, almeno questa volta?”

 

Dinnanzi al Sommo Sacerdote si trovano tutti i Saint di Atene. Maestri e allievi a riempire una sala troppo grande per essere riempita dai soli che si trovano sul territorio greco. Mia non si guarda attorno perché ha paura. Tra il pubblico, Marin e Seiya sono lì per lei. Lei e il ragazzo si sono ricongiunti ai rispettivi maestri risalendo la gradinata est del Santuario. Da lì ha proseguito al fianco di Aiolia nella processione che ha condotto le aspiranti guerriere al cospetto della figura che guida da decenni il santuario, il Sommo Sacerdote. La tradizione è differente per gli uomini e le donne. Seiya ha ottenuto il Cloth combattendo in arena, prestando subito dopo giuramento. Per lei vi è prima la cerimonia in cui dovrà rinunciare a mostrare il viso, a innamorarsi, ad avere una vita differente da quella di Saint. Dovrà giurare prima, come se questo potesse demotivare una donna che per anni ha rischiato la vita per ottenere una stupida armatura. Si è chiesta spesso, negli ultimi giorni, quale fosse la sua strada, ma ha infine deciso: è quella che l'ha condotta sino lì, con il cuore che batte all'impazzata dall'emozione e la voglia di proteggere ciò che ama. Forse Seiya sa difendersi da sé, ma è stupido e avventato. Tagliare l'orecchio a Cassios in combattimento, ricevendo così il Cloth di Pegasus, ha dimostrato quanto sia l'istinto a guidarlo. In Grecia ha conosciuto una famiglia, qualcuno che le ha voluto bene nonostante non fosse obbligato a farlo. In Grecia le persone non sono come a Tokyo: ti sorridono perché sanno che la spontaneità con cui te lo offrono potrà migliorarti la giornata. I pescatori, i fornai, i fiorai, tutti ad Atene ti sorridono e hanno voglia di conoscerti. Non sei mai un turista, ma uno di loro. Ti fanno sentire a casa, al sicuro tra i muriccioli del porto mentre i pescatori attraccano e portano a riva le reti gravide di pesci. Esistono persone che non ti chiedono nulla in cambio di ciò che ti offrono, e Mia ha scelto di combattere per loro. Ha scelto di farlo al fianco di Seiya, perché non è una di quelle donne che puoi lasciare a casa ad attenderti durante una guerra. Lei è una di quelle che curerà le ferite sul campo, prima quelle altrui e poi le proprie, di notte, per non essere vista. Sarà una di quelle donne che diranno che va tutto bene anche quando non sarà così, perché non le sarà concessa alcuna debolezza. Il Sommo Sacerdote salmodia con lentezza i doveri di un Saint. Ad ogni passaggio, Mia avverte il cosmo dell'uomo espandersi benevolo su di loro, quasi fosse Athena stessa a parlare. È una fonte calda e dolce quella che li investe. La mano gelida dell’uomo le sfiora la fronte, lasciandola scoperta dai capelli indomiti, in netto contrasto con quello che le sfiora l’anima.
“Giovane Mia, qual è il tuo destino?”
La voce dell'uomo è perentoria e dura da dietro la maschera  che gli copre il volto. Aiolia le ha  confidato che nessuno ne ha mai conosciuto la vera identità. Così come le donne, anche il Sommo Sacerdote indossa una copertura dietro cui nascondere sentimenti e segreti.
È più facile piangere quando gli altri non ti possono vedere, non è così?
Le sembra di essere due in una, ma forse è normale quando stai per votarti anima e corpo a un ideale e hai solo sedici anni. (2)
“Per la gloria di Athena mi rimetto al suo cospetto, e chiedo di essere investita del Sacro Cloth.”
”Mia, abbiamo valutato attentamente il tuo operato, i tuoi addestramenti in questi lunghi anni. Il Saint di Leo è stato abile Maestro e saggio confidente, ragazza. A lui devi la tua posizione attuale di aspirante Saint, non dimenticarlo. Domani fronteggerai i tuoi rivali per ricevere il Silver Cloth di Aglaia. Non cedere dinnanzi alle debolezze passeggere, dinnanzi ai nemici di Athena e del Santuario. Immolati per la salvezza del mondo. Credi in Athena. Credi in te stessa e nei tuoi compagni. O per te non vi sarà futuro.”
A quelle parole, più simili a una minaccia che a un consiglio paterno, Mia avverte odio, disperazione e la malvagità più cupa. È solo questione di un istante, ma le sembra di vedere un pozzo nero da cui fuggire sembra impossibile, poi tutto torna alla normalità. Si dice che è colpa dell'emozione, di quell'attimo prima della propria, di disperazione, quando voltandosi vede solo Marin e Aiolia. Al posto di Seiya c'è il volto sconosciuto di qualche altro Saint che non ha mai visto prima.
Lui non è più lì.
Il suo amore è destinato a sgretolarsi sotto il peso di un’illusione chiamata pace, senza poter vivere la banale quotidianità di una vita da adolescente.
Stringe i pugni lungo i fianchi sino a sentire le unghie forarle la carne, il capo chino mentre il Sommo Sacerdote le posa la maschera sul volto.
Deve pesare mille tonnellate, quel gelo contro la pelle, perché Mia si sente trascinare giù, verso un abisso di cui non scorge il fondale.
La cosa più atroce è la consapevolezza di essere la causa della propria condanna.


*

 

Shun, da quando è giunto sull'isola di Andromeda, non ha mai smesso di pensare a suo fratello Ikki. Nonostante siano passati anni, il peso della condanna a cui l'ha imposto lo divora ogni giorno. Death Queen Island è stata individuata da Tatsumi come il luogo più atroce su cui allenarsi. Da lì, nessun Saint ha mai fatto ritorno. Quando sul suo biglietto aveva letto quel nome, Ikki aveva deciso di prendere il suo posto sull’isola.
“Io  tornerò fratellino.”
“Ma nessuno è mai tornato.”
“Allora io sarò il primo.”
Alle frustate che si era preso per le ribellioni contro gli ordini di Tatsumi e di Saori Kido, Ikki aveva aggiunto quell'ultimo sacrificio per proteggerlo.
“A cosa pensi?”
“A Ikki.”
La ragazza si siede accanto a lui, i capelli biondi lasciati sciolti sino alla vita. Tra i capelli porta un fiore di ibiscus dalle striature rosa che si perde tra l'immensità della sua chioma. È bella June, e ha il coraggio di un qualsiasi guerriero maschio. È l'unica ragazza sull'isola, eppure non si è mai lasciata intimorire. A essere sinceri, si dovrebbe vergognare se ripensa a quando – appena arrivato – si è lasciato andare alle lacrime facendosi consolare da lei.
“Lo ritroverai Shun. Se è forte come dici non si sarà fatto sconfiggere da nulla.”
June gli sorride incoraggiante. Il sole è una palla di fuoco che trema sull'orizzonte tanto la temperatura è ancora alta anche al crepuscolo. Sono sul meridiano zero, sullo zenith del mondo, e a Shun sembra proprio di vivere su quella linea che taglia in una metà perfetta il globo terrestre. (3)
“Quando ero piccolo credevo fossero tutte fantasie. A Villa Kido il planetario era territorio privato di Saori e Mia. Chi l'avrebbe detto che dietro alle costellazioni ci fosse un'altra storia?”
“C'è sempre un'altra storia, Shun. Esiste la storia ufficiale e quella degli sconfitti. Quella dei morti in silenzio, dei militi senza nome, delle rivoluzioni fallite e di quelle mai nate.”
“Sei più malinconica del solito stasera?”
Lei non gli risponde, distoglie lo sguardo e appoggia la nuca sulla sua spalla.
“Presto te ne andrai...”
“Non dire sciocchezze, io non...”
“Ti ho sentito mentre il Maestro accennava alla lettera giunta da Tokyo.”
“Me ne ha solo accennato appunto. Non me l'ha ancora mostrata.”
“Cosa vogliono ancora da te?”
“Non lo so.”
June si stringe nelle spalle e, di conseguenza, a lui. Da quando ha ottenuto il cloth di Andromeda, Shun si sente più forte. Il suo cloth non servirà per uccidere, e la sua arma – una cAthena – lo aiuterà nella difesa, come un serpente che lo culla tra le proprie spire.
June di Chamaleon, invece, non ha paura di attaccare e questo l'ha imparato sulla propria pelle durante gli allenamenti. Appoggia la nuca su quella di lei, continuando a contemplare il mare, il cielo che infine volge all'imbrunire mentre una lieve brezza offre loro un po' di tregua dall'arsura della giornata.
“Forse... forse potrei avere notizie di Ikki a Tokyo.”
Avverte il corpo di June irrigidirsi, eppure lei resta in silenzio, senza rispondergli. Attende ancora qualche istante, poi si solleva e scompigliandogli i capelli sulla nuca si allontana da lui, senza lasciare traccia sui ciottoli e le rocce che formano la spiaggia dell'isola. Shun sospira, osservando un cielo pulito, ancora privo di stelle.
Sa di averla ferita ma non ha potuto farne a meno. Il pensiero di poter riabbracciare suo fratello, di rivederlo, di toccare con mano la sua esistenza lo porta a sperare di potersi allontanare dall'isola di Andromeda, di poter di nuovo riprendere la vita dal punto in cui l'ha abbandonata molti anni prima.
Al fianco di Ikki.

 

*

 

Esmeralda è un fiore che cresce tra cenere e lapilli, come la romice scudata. È una breccia di luce e rosso sangue su una terra arida dove non esiste vita, dal terreno lavico nero come il cuore di chi la governa. A ogni ora il vulcano principale riversa in cielo e sulla terra il suo contenuto, lava incandescente e fumo denso e acre. La vita, per chiunque, sull'isola sarebbe impossibile. Il Cloth di Phoenix giace nel cuore del vulcano e per lui è impossibile avvicinarsi ad esso. Il Maestro non è mai stato clemente, né affettuoso o comprensivo. L'ha ricoperto di insulti, di parole dure, gli ha scalfito il corpo e le ossa incidendo su di lui l'odio smisurato che prova verso gli uomini.
Perché hai un Cloth?
All'inizio se l'è chiesto spesso, quando era ancora un bambino, e l'unica volta in cui ha osato gridarglielo contro, in risposta gli ha rotto il naso con un calcio e spaccato il labbro inferiore.
Ikki non si è mai arreso. Poteva lasciarsi morire come i vigliacchi, ma non avrebbe avuto senso. Contro quelli come l'uomo che l'ha allevato, contro quelli per cui il Male è radicato nel cuore, c'è sempre spazio nel mondo. Ikki questo l'ha imparato a proprie spese. Quando ha abbassato la guardia, un paio di giorni prima, facendosi scoprire in compagnia di Esmeralda. A creare problemi non è stata la presenza della ragazza che gli medicava per l'ennesima volta i tagli profondi sugli avambracci, ma – nonostante tutto – il sorriso di entrambi. Il Maestro ha capito che c'era qualcosa, per lui, per cui valeva la pena vivere. Oltre a Shun, oltre a un Cloth di cui poi non gli interessa molto, l'isola racchiude un tesoro ben più prezioso oltre al biglietto di sola andata per la libertà. Non l'ha capito, ovviamente, se non la mattina seguente, quando ha iniziato a subire colpi su colpi.
“Tu non devi avere debolezze!”
Sente l'ennesima bastonata calargli sulla schiena, sul medesimo punto da almeno un centinaio di volte. È certo l'avesse già sbucciato, strappando la carne per lasciare scoperta la parte viva, ma dal dolore che prova non è certo sia davvero così. Sente la maglia tirare, sfregare contro la ferita aperta e bruciare come sale. È riverso a terra, e lo zolfo che sale dalle crepe del terreno ai piedi del vulcano gli impedisce di respirare.
“Io... non ho... debolezze...”
Il suo è il sussurro di una ragazzina, lo sa bene. Persino Esmeralda avrebbe più forza di lui.
“Devi dimenticare tutto, Ikki. Tua madre, tuo fratello... devi combattere per te stesso. Il resto del mondo non deve esistere. Perché sei qui? Shun ti ha fatto subire tutto questo. Il tuo indifeso fratellino ti ha sbattuto alla fine del mondo perché ce l'avresti fatta. Ma a quale prezzo, vigliacco?”
Ikki non risponde, perché qualcosa, nello stomaco, si agita e contorce. 
Non è vero, mi sono offerto io di venire qui al suo posto. Lui non me l'ha chiesto.
Però ha pianto. Ti ha fatto compassione, perché l'amore fraterno è anche questo.
È stato l'amore a portarti qui all'Inferno.
In quanti parlano nella sua testa?
Ikki cerca di rialzarsi ma le forze gli vengono meno e cede, cadendo di nuovo in ginocchio. Avverte il sibilo del bastone rituale fendere l'aria ed è certo che non ci sarà più nulla da fare. Morire sarebbe meglio che affrontare di nuovo quel dolore.
“Ikki no!”
Esmeralda?
È certo di averla sognata semplicemente perché non deve trovarsi lì. Sente i passi in corsa sulle lastre laviche, avverte l'ombra del suo Maestro sopra di se, come un falco che attende prima di planare sulla propria preda.
“Ti è proibito venire in questa parte dell'isola” l'ammonisce l'uomo in tono duro.
Ikki trova la forza di reagire, perché l'unica cosa per cui vale ancora vivere è il sorriso di Esmeralda. C'è una pausa – tra lei e il Maestro – come se gli lasciassero il tempo di rimettersi in piedi per assistere allo scontro tra padre e figlia.
Non è tipo da minacce, il padrone dell'isola, per questo motivo i sensi di Ikki sono in fibrillazione e trova la forza di rialzarsi.
“Non toccarla, sono io il tuo avversario.”
Gli sembra di vederlo il ghigno oltre la maschera in legno, intarsiata con vecchi simboli tribali africani, sul capo un corona di piume che lo rendono il re di niente. Avverte il cosmo mostruoso dell'uomo inghiottire sia lui che Esmeralda, pronto a divorarli con ferocia. È troppo veloce perché possa fermarlo. È la frazione di un secondo, la velocità di un santo – o di un incubo – e si avventa sulla ragazza gettandola a terra. Sotto il peso del padre, Esmeralda è inerme. Le mani stringono la gola, gli occhi di lei sgranati verso un cielo sempre grigio che non ha mai concesso speranze per un futuro dalle tinte pastello. Ikki vede le lacrime rigarle il volto e si avventa sull'uomo, colpendolo con forza al viso. La maschera schizza lontano, ma non è sufficiente per fermarlo. Di nuovo, il suo maestro preme con forza, spezzandole il collo come fosse un passerotto nelle fauci di un gatto capriccioso. Abbandona il suo corpo senza vita ai piedi del vulcano e si volta verso di lui con le mani sudice di omicidio.
“Tu... era tua figlia!”
“Io sono il tuo avversario” gli ripete l’uomo quasi volesse prendersi gioco di lui.
Ikki si sfrega gli occhi cercando di vedere al di là delle lacrime. Sente una forza nuova crescergli dalle viscere, qualcosa che gli è sempre appartenuto ma che mai è riuscito a esternare. Ikki chiude gli occhi e inspira. Quando li riapre, il corpo senza vita di Esmeralda è ancora steso a terra.
Non è un incubo ma la realtà.
Sferra il primo colpo contro il suo maestro, facendolo indietreggiare. Non si arresta, non smette di colpire con una velocità inaspettata, con forza brutale, senza avvertire dolore. Il suo cosmo si espande e sfiora il vulcano, scivola al suo interno e ne sfiora l'utero dove giace il Cloth di Phoenix. Lo accarezza con energia, poi risale prepotentemente e colpisce di nuovo il suo maestro, al cuore.
Finalmente cade a terra, ma Ikki non si arresta. Il suo avversario non chiede pietà e cerca di parare inutilmente i colpi. D'altra parte, entrambi sanno che non ci sarà nessun atto di clemenza alla fine del loro scontro.
Il maestro ansima, ma non cede. Schiacciato a terra come uno scarafaggio, mangia la polvere che da sempre calpesta. Il cuore rallenta, mancando alcuni battiti, ma non è ancora pronto per farsi rapire dalla morte.
“Tu... era tua figlia!”
Ikki grida, ma non basta per placare il dolore. Preme il piede sulla mandibola dell'uomo, sente l'osso incrinarsi sotto la pressione che esercita su di lui e schiaccia ancora più forte.
“L'ho fatto per te. Ora sei pronto.”
Sono le sue ultime parole, poi Ikki preme con più forza, concentrando un cosmo gravido di ira e odio in un unico punto, lì, dove la carne è tenera e l'osso più debole. Preme, e la mandibola si spezza e il sangue schizza attorno. Preme con forza e inizia a calciare, sino a quando il volto dell'uomo è una poltiglia di sangue e ossa.
Gli volta le spalle e si avvicina al corpo senza vita di Esmeralda, chiudendole gli occhi con una carezza impacciata, che non ha mai avuto il coraggio di concederle, se non posandole un fiore tra i capelli. Lo osserva, quel fiore solitario che hanno trovato casualmente il giorno il prima, di rientro dalla loro passeggiata serale.
Non ha più lacrime Ikki, né ne avrà mai.
Esmeralda non meritava di morire per lui.
Esmeralda non meritava di morire e basta.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice.

    • Ho movimentato il background di Hyōga inserendo dettagli sulla sua vita in Siberia. Essendo legato al nord, ho pensato di implementare la sua storia con un padre adottivo aggiuntivo. I brevi accenni alla situazione della malavita siberiana sono liberamente tratti da “Educazione Siberiana”, di Nicolai Lilin. Per farla breve, per chi non avesse letto il romanzo, i criminali siberiani sono di religione ortodossa, molto credenti e seguaci di un rigido codice comportamentale.
    • Ho alzato l’età dei Saint. Nel manga hanno tra i dodici e i tredici anni.
    • Shun viene addestrato sull’Isola di Andromeda, che si trova in Africa.

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Capitolo 5
*** Sangue e polvere ***


Gli spalti dell’arena sono gremiti di gente. Tutti attendono le contendenti per il Silver Cloth di Aglaia. Mia, seduta tra Aiolia e Marin, tiene le mani strette in grembo, tormentandosi le cuticole strappandole con nervosismo. Seiya non è ancora arrivato e forse nemmeno si presenterà. Non le parla dalla notte precedente e sa che la colpa è di ciò che si sono detti. È davvero giusto pagare quel prezzo per una guerra che nemmeno si vede all’orizzonte? Abbassa il capo, pentendosi di ciò che sta provando: il desiderio di abbandonare tutto e rifarsi una vita. Non le importa se ha buttato via l’infanzia e una parte dell’adolescenza, c’è ancora tanto da vivere e imparare oltre le mura del Santuario di Atene. Riporta lo sguardo sull’arena, sulla polvere e le scie di sangue di chi ha già combattuto, per trovare in quel sacrificio la forza di andare avanti sulla strada che ha intrapreso. Il Cloth di Aglaia non è il solo trofeo della giornata. Prima delle aspiranti Saint della Casa delle Vergini, altri cavalieri si scontrano per il Silver Cloth di Perseo. Le grida dei combattenti le lacerano i timpani, le attraversano il cranio quasi fossero scariche di un elettroshock. C’è qualcosa, nell’aria, che le annebbia la vista, una paura cieca che avanza seguendo una linea retta dall’arena agli spalti, tagliando in due il cuore.
La mano calda di Aiolia la fa sussultare, quando l’appoggia sulla sua spalla per attirare l’attenzione.
“Aiolia sembrano animali… non… che senso ha tutto questo?”
Il ragazzo non risponde, e per la prima volta si rende conto che non dovrebbe essere una codarda che trema sulle proprie gambe, che ogni dimostrazione di debolezza è l’ennesima tacca di un fallimento sull’onore del suo maestro.
E Aiolia di Leo è un esperto nel farsi carico degli errori altrui.
“Soffrono perché non riescono a scindere gli atomi, Mia. La tensione è così alta che tutti gli anni di insegnamento non bastano dinnanzi a questa moltitudine di persone che attende un vincitore. Non dimenticare che sei un Saint, Mia. Lo sei già, basta guardarti per capire che la luce di Athena illumina la tua via. Non fuggire, non ascoltare le grida o il dolore che pulsa nelle tue vene a ogni colpo subito. Pensa agli atomi, Mia. Se utilizzando il tuo cosmo puoi distruggere una stella, puoi anche colpire un altro essere umano. Resta concentrata e ricorda ciò che ti ha insegnato il tuo maestro.”
La voce decisa di Marin è schiaffo e carezza al contempo. Mia l’ammira, vorrebbe avere la sua stessa forza, lo stesso coraggio per fare sempre la scelta giusta al momento più opportuno. Lei, invece, è un disastro nei sentimenti e come allieva. Aiolia le ha sempre detto che è troppo sensibile, troppo emotiva, troppo insicura. È troppo sbagliata per un mondo che necessita di guerrieri, non di martiri. Fissa con gli occhi gravidi di lacrime il Silver Saint di Eagle, i  corti capelli castani  scarmigliati dal vento. Mia abbassa di nuovo lo sguardo, riportandolo sull’arena. Marin è bella, lo sa anche senza doverla vedere in viso.
Anche lei lo sarà un giorno?
“Che giustizia c’è in tutto questo?”
“Chi non è adatto a diventare Saint lo dimostra in questo istante. Avere tentennamenti in battaglia porta solo a una conseguenza che non è la vittoria. Non avere mai dubbi sulle tue azioni quando combatti.”
“Devo vivere con il rimorso o il senso di colpa, a seconda dei casi,per tutta la vita?”
“Devi solo capire ciò che è giusto quando muovi il tuo cosmo, ragazzina.”
Aiolia la chiama sempre così quando vuole stemperare la tensione di un discorso troppo articolato. È un modo affettuoso per ricordarle di stare al proprio posto, di vedere il mondo con gli occhi di un adulto, non con quelli utopistici di un’adolescente assillata dai dubbi.
Un urlo più acuto degli altri lacera l’aria, costringendola a riportare lo sguardo sull’arena, gli occhi sgranati dall’orrore. Il Cloth di Perseo è stato vinto da Argor, un giovane che non le è mai piaciuto. Si sono incrociati qualche volta tra i vicoli che si snodano al di sotto del tempio, tra le case dei Saint e dei guerrieri a guardia del Santuario, e Argor si è sempre dimostrato arrogante e stupido. In arena si susseguono altri scontri ora, uno di seguito all’altro per decretare il possessore del Cloth di Aglaia. Mia ha già combattuto, ma è stato quasi fosse un allenamento: il suo avversario si è ritirato prima ancora che potesse colpirlo davvero. Mia scruta con attenzione i due contendenti, e non fa troppa fatica a rendersi conto che lì, attorno a lei, solo i Saint hanno percepito quel grido disperato.
Non è stato il grido di una voce umana ma di un cosmo dilaniato. 
Un sogghigno beffardo increspa le labbra di Death Mask, il Gold Saint di Cancer, custode della Quarta casa. Death Mask, colui che può maneggiare il confine tra la vita e la morte: l’uomo più vicino all’Ade. 
Mia lo fissa inorridita, strattonando il braccio di Aiolia affondandovi le unghie livide.
“Cosa sta succedendo? Era il grido di un cosmo, non di un essere umano…”
La sua voce è un sussurro e solo Aiolia e Marin, in mezzo a quella confusione, riescono a udirla.
“Quando un Saint muore è quel grido a fendere la realtà e l’aria. Solo noi Saint possiamo avvertilo.”
”Non può essere morta!”
Si zittisce all’improvviso, notando che il Gold Saint della quarta casa  la fissa con il suo penetrante sguardo azzurro, troppo cupo per poter essere lo specchio di un’anima monda.
Accoglie lui i cosmi dei Saint caduti?
Mia osserva il corpo privo di vita che giace all’interno dell’arena, bloccata sul proprio posto da un terrore che le serra lo stomaco e le impedisce di respirare. Un istinto primordiale, simile a quello della madre che allatta il figlio, si impadronisce di lei. Si alza con uno scatto improvviso saltando agilmente il divisorio che separa l’arena dagli spalti e vi corre all’interno, raccogliendo tra le proprie braccia il corpo esanime di Maya, una ragazzina giunta al Santuario solo qualche anno prima e già pronta a diventare Saint. Si sono allenate spesso insieme, alla Casa delle Vergini, eppure non è mai riuscita a comprendere per quale motivo Maya dovesse partecipare proprio in quel momento alla sfida per i Cloth. Semplicemente perché Maya non era adatta a essere un Saint, con quell’aria sognante, il terrore di uccidere o fare male al prossimo.
Cos’aveva Maya da offrire ad Athena e al Santuario?
La vita.
Il suo sguardo vacuo, punto dalle lacrime che le rigano il volto nascosto dalla maschera eburnea, fissa l’ombra che la sovrasta. Viene afferrata per le spalle e strattonata lontano, come se fosse un peso inutile. Nella polvere dell’arena, Mia arranca e tenta di rimettersi in piedi, mentre Shaina la sovrasta in tutta la sua statura sferrandole un calcio al fianco e inchiodandola al terreno.
“Avanti, smettila di frignare e combatti! Non possono esistere sentimentalismi ora. Se non ce la fai, vattene! Fuggi con la coda tra le gambe e torna a farti proteggere da Seiya! Avanti, fuggi finché sei in tempo. Non è mai stato posto per te, non è vero? Sei qui per il tuo smisurato egoismo, per quello stupido sentimento chiamato amore a cui dobbiamo rinunciare! Continui a guardare come un’innamorata Seiya e non capisci che così tutto è più difficile e sbagliato? Sei un’egoista, un’ipocrita e un’opportunista!”
Shaina è a pochi centimetri dal suo viso e la tiene stretta per le spalle, impedendole di muoversi. Mia la fissa e non scorge pietà né comprensione nelle parole della compagna. Lei e Shaina non sono mai state amiche e probabilmente non lo saranno mai. Sono due donne già, cresciute sputando il proprio sangue nello stesso luogo, amando la stessa persona. Mia non è stupida e vede nell’arroganza della compagna la forza di una corazza che non permette a nessuno di essere scalfita, né di ferirla. Le sembra quasi di poter scorgere il volto di Shaina in un’espressione contratta di disgusto, simile a quella che le si dipinge sul volto ogniqualvolta incrocia Seiya.
“I giapponesi non sono adatti a essere Saint.”
È una bugia raccontata da un cuore debole, la sua, e Mia ne è sempre stata consapevole.
Inspira, poi inaspettatamente afferra i polsi di Shaina e se la scolla di dosso, gettandola a terra a poca distanza di se.
Si alza in piedi scrutando la maschera che copre il volto della compagna, mentre il corpo di Maya viene portato via dall’Arena da alcuni soldati semplici del Tempio.
“Che diavolo stai blaterando? È morta Maya! Hai udito il suo cosmo gridare sino al cielo il suo dolore? Hai potuto avvertire il fremito della sua vita che veniva inghiottita?”
“Non era degna di essere un Saint. La morte fa parte della vita di ogni uomo. Se non sei pronta per questo, vattene da qui.”
“Anche la pietà fa parte dell’animo di un Saint!”
“Non l’hai capito, vero? Sono pedine soltanto. Siamo pedine, Mia.”
La voce di Shaina viene coperta dalla voce altisonante del Sommo Sacerdote che decreta al pubblico la sconfitta di Maya e annuncia il successivo scontro.
“Shaina contro Mia, allieva di Aiolia, Gold Saint di Leo, pretendenti per il Cloth di Aglaia. Prendete i vostri posti e date inizio al combattimento.”

*


Shaina ha la tipica posizione che assume durante i combattimenti. Attaccherà Mia per prima, e sa che la sua avversaria se lo aspetta. Si sono battute decine di volte una contro l’altra per scaricare la rabbia, la frustrazione, il dolore. Sono più simili di quanto non vogliano ammettere, e questo lo sa Shaina, che di quegli anni in più porta il segno sulle curve di un corpo che ha il sapore di quello di una donna (1). Non lo sa Mia, però, che in quel corpo acerbo si sente più vicina a Seiya che a lei. Alza le mani in aria e crea cerchi concentrici disegnando inconsciamente nell’aria una figura ben precisa, impossibile da identificare per un occhio inesperto come quello della sua avversaria.
Mia si pone sulla difensiva, gli avambracci a ripararle il torso e il viso.
Non basterà questa volta, dolcezza.
Ha uno slancio in avanti, improvviso e rapidissimo. Mia non riesce a schivare e si trova di nuovo inchiodata a terr, sotto il suo peso. Shaina sorride dietro la maschera, umettandosi le labbra con la punta della lingua. La gola è arida, il respiro corto, il cuore troppo rapido, eppure non cede.
Mia è schiacciata sotto di lei, le ginocchia a tenerle fermi i gomiti sul terreno, quasi l’avesse crocefissa sull’arena.
Sarai anche tu un martire?
Shaina esita. La maschera è un dono, una fortuna. Non puoi vedere il terrore sul volto del tuo nemico, non puoi specchiarti nei suoi occhi e chiederti se ci fossi tu, al suo posto, cosa faresti. Se imploreresti pietà, se chiedessi perdono, se decidessi di fuggire se ne avessi l’occasione e renderti un codardo.
Sparire per rifarti una vita altrove.
È questo che desideri Mia?
Shaina avverte il cosmo della ragazza ampliarsi, farsi grande.
Immenso, rispetto a quello di un qualsiasi aspirante Saint e a quel lume di candela che ha avvertito provenire dalla ragazza anche durante il loro ultimo scontro.
“Allora non sei un coniglio” l’apostrofa divertita con quel tono spavaldo e arrogante con cui si è sempre rivolta ai giapponesi, anche se Mia – crescendo – ha dimostrato di avere davvero poco di nipponico nei tratti del viso. Colpisce con forza, e il terreno sotto di loro si apre in una crepa che divide in due l’arena. Sottile, ma sufficiente a decretare la sua superiorità in quel momento.
Il primo colpo è un ammonimento, il secondo andrà a segno.

 

Mia resta immobile al proprio posto come se si trovasse tra le spire di un serpente: più ti divincoli, più stringe e tu soffochi. Shaina colpisce di nuovo e le unghie tagliano come lame. Il suo braccio inizia a sanguinare copioso e se non fosse per la maschera a difenderle il viso, è certa che avrebbe tentato di strapparle direttamente gli occhi.
Non ha paura ora, sta solo cercando un modo per sopravvivere.
Quando la Morte ti inchioda con le spalle al muro e tu sai che non è ancora il tuo momento di scendere nell’Ade, sei obbligato a combattere per salvarti.
Non sarà tra i pensieri più nobili, ma Mia vuole solo poter dire “ce l’ho fatta”.
“È così deprecabile essere fieri di aver raggiunto il proprio traguardo?”
“Non è un traguardo, stupida, è una condanna!”
Mia si irrigidisce, poi riesce finalmente ad allontanare da se Shaina con un calcio. La sua avversaria credeva di avere già la vittoria in pugno, invece è stata costretta a ricredersi, a domandarsi se sia tutto così facile da non lasciare marginalità al caso e alla fortuna.
Non è fortuna, è ciò che voglio.
Shaina contrattacca alzandosi in piedi rapidamente, decisa a colpire e infierire. Mia schiva, però, e questa volta riesce a mantenere la calma necessaria per espandere il proprio cosmo. Schiacciato dal peso di Shaina, il suo corpo ha ricordato che è fatto di energia, non solo di membra e carne.
Chiude gli occhi, regolarizzando il respiro e i battiti del cuore.
Ha paura, una paura folle, ma non puoi permettergli di domare la tua esistenza. È un nemico come un altro, la paura, per sconfiggerla devi riuscire ad annientarla. All’improvviso i suoni si spengono, attorno solo macchie di colore in un caleidoscopio di stelle che si muovono attorno a lei. Atomi, piccole particelle in movimento tutt’attorno, simili a stelle nel cielo della vita.
Finalmente li vede, li sente, li avverte.
Un dolore acuto, penetrante, la colpisce alla nuca, come se un’impercettibile interferenza avesse arrestato la sua corsa.
Il sentimentalismo non paga. Sei sicura di meritare quel Cloth?”
È tardi per pensare, è tardi per fuggire. E lei non vuole farlo. Lanciata sull’arena come carne da macello per propria scelta, ha solo una possibilità dinnanzi: combattere.
Quando l’incontro sarà finito e lei avrà dato il meglio di se, allora saranno i fatti a decidere se sarà degna di essere un Saint. Se fallirà potrà tornare alla vita che continua a sognare, una vita che non è mai stata sua e che, probabilmente, le andrebbe persino stretta.
Perché lei sa solo combattere, la verità è questa.
Attacca.
Colpi ripetuti a una velocità che mai ha raggiunto prima di quel momento.
Attacca.
Colpi in rapida successione che centrano il bersaglio, che lo mancano, che vengono schivati per subirne il contrattacco.
Attacca.
Grida entusiaste e di incitamento che giungono dagli spalti.
Attacca!
La sua astrazione dal mondo esterno inizia a sgretolarsi, come se un muro di cenere si fosse innalzato dinnanzi a lei e ora volteggiasse nel vento, occultandole la vista.
Non riesce più a scorgere Shaina, ma solo un ammasso indistinto di atomi e cellule. Scinderle, colpirle, espandere il proprio cosmo per non provare dolore, innalzarlo sino alla volta celeste, toccare le costellazioni e scendere a precipizio sull’avversario per annientarlo.
Ancora. Ancora. Colpisci più forte!
Non ti arrenderai, vero?
D’improvviso tutto si spegne e tace, come se un blackout globale avesse investito il suo corpo.
Sono morta. Sono stata uccisa e punita per la mia superbia? La sono davvero stata, in questi ultimi istanti?
I fantasmi possono divenire Saint di Athena?
Se lo chiede mentre sente le membra farsi pesanti e le gambe cedere sotto il peso di un corpo che non asseconda più i comandi del cervello da alcuni minuti.
Athena misericordiosa, ascoltami ti prego. Voglio essere un Saint. Non per Seiya, non per me stessa o per Aiolia. Lo voglio perché credo che questo sia il mio destino. D’altra parte, è la cosa che so fare meglio nella vita, combattere.
Qualcuno la stringe tra le braccia e la solleva da terra senza sforzo. Il cosmo che l’avvolge è caldo e rassicurante come una coperta pesante sotto cui nascondersi durante i temporali, lo stesso che per anni le ha fatto capire di non essere sola. Aiolia è buono, lo è sempre stato con lei. I Saint di Athena, ne è certa, sono tutti come lui: belli, buoni, coraggiosi. Non capricciosi, idioti, presuntuosi e arroganti come Seiya.
O come lei.
Seiya?
Chiama il suo nome, ma è solo il ricordo del suono di quelle lettere messe l’una accanto all’altra, l’eco di un ricordo. Dalle sue labbra non esce nulla.
“Portate qui le due contendenti.”
Una voce austera la riporta alla realtà. Schiude le palpebre, ma l’occhio sinistro è tumefatto e il destro non è messo meglio. Si rende conto di aver perso la maschera durante il combattimento, chissà come ha fatto poi. Con uno sforzo sovrumano cerca di divincolarsi dalla stretta di Aiolia, che allenta la presa con riluttanza.
Barcolla, inciampa nei propri piedi, ma non cade a terra.
Nella polvere cadono solo i perdenti.
È sfinita eppure con una forza che nemmeno lei pensa di possedere si dirige dinnanzi al Sommo Sacerdote, inginocchiandosi al suo cospetto.
Solo quando china il capo dinnanzi a lui nota le proprie mani sporche di sangue e la leggera tunica chiazzata di spruzzi rossi.
Sgrana l’unico occhio sano, strofinandosi il viso. Quando la mano si allontana, sporca di sangue terra polvere e dolore, si porta dietro il bruciore di un taglio aperto sulla guancia su cui ha sfregato con  troppa forza.
Gira il viso alla propria destra, poi alla propria sinistra, senza scorgere Shaina.
“Dov’è?”
Un flebile sussurro, la voce rotta dal pianto e la mano vermiglia che stringe i lembi di una tunica troppo corta, da cacciatrice. Stringe così forte da sentire le unghie tagliare la carne dei palmi, le nocche farsi livide assumendo lentamente il colore candido dell’abito. Aiolia è alle sue spalle, pronto a sorreggerla, ma in questo momento non vorrebbe il suo aiuto.
Ha ucciso per la prima volta un essere umano.
“Cosa c’è di nobile nell’uccidere un fratello?”
La domanda è asciutta, priva di inflessione. Le lacrime sembrano essere il contorno di un ritratto surrealista, dove il corpo è diviso dal resto dell’anima.
“La morte accompagna ogni giorno la vita di un Saint di Athena. La morte di un compagno o di un nemico sono all’ordine del giorno. Sei disposta a sopportare questo fardello?”
“Non posso pensare che tutto ciò per cui ho vissuto sin’ora sia macchiato da sangue innocente.”
“Ti è stata data la possibilità di divenire Saint di Athena. Rinunceresti a tutti questi anni di sacrificio per sentimentalismo?”
Deglutisce, ingoiando lacrime salate.
Ha litigato con Seiya per quel motivo e tutt’ora rischia di perderlo per sempre.
Rinuncerebbe realmente al Cloth di Aglaia per Shaina?
No.
“Ho ucciso una mia compagna, non sono degna di essere chiamata Saint di Athena.”
“Spetta a me il giudizio, ragazzina, non a te. Il Silver Cloth di Aglaia ti appartiene di diritto, giovane fanciulla.”
Singhiozzi la scuotono mentre si accascia sul terreno, la fronte a sfiorare la terra che ha calpestato e che ora sta macchiando di lacrime e sangue. La terra che dovrebbe ringraziare per averla messa al mondo e protetta senza che ne sia figlia.
“E tu, Shaina, appartieni al Silver Cloth di Ophiucus. Entrambe, siete ora Sacerdotesse di Athena. Arduo sarà il vostro compito, Silver Saint.”
Accanto a lei, a pochi metri di distanza, è inginocchiata Shaina, il volto sporco di sangue.
Quando è arrivata?
Solo in quel momento Mia si accorge che il sangue che vede su di se le appartiene. Si tasta l’addome con la mano destra e sente le vertigini coglierla.
È questione di un istante, poi è certa di perdere i sensi e precipitare.
Ora è buio.

 

*

 

Seiya non voleva vedere, ma l’ha fatto.
Seiya non voleva esserci, ma spera di essere l’ultima cosa che Mia ha visto.
Seiya avrebbe desiderato farsela mettere tra le braccia da Aiolia, ma è stato lui a riportarla indietro. Al suo capezzale il Saint di Leo e Marin di Eagle, il Saint di Pegasus nella stanza accanto con la testa tra le mani a chiedersi il perché di tutto quel sangue.
Di tutto quell’odio.
Di tutto quell’amore.
“Seiya?”
Lui non risponde, concentrato sui ricordi di una vita. È assurdo come il tempo inizi a scorrere così lentamente quando soffri e in modo così veloce da sbalzarti fuori dall’abitacolo quando sei felice. Di quella felicità, Seiya ha ricordi così vecchi da non riuscire a mettere a fuoco qualche istante della sua vita recente. Ogni giorno è stata una battaglia, un litigio, una carezza mancata e uno schiaffo dato.
Mentre Mia lotta contro i suoi demoni, Seiya è costretto a farsi da parte, ad attendere di poterla riabbracciare e assicurarsi stia bene.
Non è servito controllarla ogni giorno.
Non è servito essere la sua ombra perché non le accadesse nulla di male.
Lui, non è servito a nulla.
“Mia ha riaperto gli occhi. Ha chiesto di te” continua Marin fingendo di non leggere la disperazione scivolare lungo la curva della sua schiena.
Si solleva così in fretta che lo coglie un capogiro, getta la sedia a terra e in pochi secondi è già nell’altra stanza. Aiolia si alza e gli lascia il posto che ha occupato per tutto il giorno. È notte fonda, ormai, e Mia ha dormito a lungo.
“Ti senti meglio?”
“Non credo di sentirmi, a essere sincera.”
Lui sorride, ma avverte qualcosa grattare contro la gola.
Non vorrai piangere, vero, razza di idiota?
“Devo essere uno spettacolo orribile.”
“Lo eri anche in arena. Sembravi una Furia.”
“Non è un complimento.”
“Forse si.”
Lei abbozza un sorriso e cerca di mettersi a sedere. La smorfia che le increspa le labbra, però, la costringe a rivedere i suoi piani e cerca di girarsi sul fianco. Sospira, sbuffando irritata.
“Dovrò stare in questa posizione tutta la vita?”
“Quella strega ci è andata giù pesante. Ti ci vorrà un po’ per rimetterti in sesto.”
“Un po’ quanto?”
“Quanto basta.”
Ritorna il silenzio, e Seiya sa che dovrebbe aggiungere qualcos’altro, ma non ci riesce. Dirle che si, il suo posto è tra i guerrieri, è darle il benestare per farsi ammazzare. Si morde la lingua, anche se vorrebbe dirle che è stata fortissima, e si limita a sospirare.
“Ti hanno tagliato la lingua per caso? Credo di non averti mai visto così silenzioso da quando ci conosciamo.”
“Andiamo, mi hai fatto prendere un accidenti! Credevo fossi schiattata, dovrei essere contento?”
“Be’, significa che ogni tanto ti ricordi che al mondo non ci sei solo tu.”
“Senti da che pulpito…”
“Orario delle visite terminato, è ora di rientrare.”
Marin li interrompe con garbo, costringendo Seiya a staccarsi dalla ragazza.
“La solita guastafeste” brontola lui facendole una linguaccia.
“Potrai rivederla domani, non credo sia in condizione di scappare.”
“Troppa fiducia, Marin” le risponde Mia cercando di rimettersi in una posizione più comoda. Li guarda uscire, e Seiya si sofferma sulla soglia per lanciarle un’ultima occhiata, per assicurarsi che sia davvero lì, al suo posto, e non le venga in mente di andarsene e fare casino nelle prossime ore. Lei abbozza un sorriso, sollevando la mano per salutarlo in un gesto che racchiude un intero mondo.
Il loro.
Lui ricambia, impacciato.
Per un istante l’ha rivista, la bambina accucciata sotto le coperte che lo saluta augurandogli in modo silenzioso la buona notte mentre sgattaiola di nuovo nel dormitorio dei maschi, assonnato e felice.
Sono passati dall’orfanotrofio a villa Kido ad Atene, eppure non è cambiato nulla.
Quando ti scegli con anima e cuore, il mondo non cambia mai intorno a te.

 

 

 



 Note dell’autrice.

    • Si intuisce, dalla serie originale, che Shaina è più grande di qualche anno di Seiya, così ho riproposto questa situazione. Tecnicamente, Shaina nel mio universo dovrebbe avere circa diciannove anni.

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Capitolo 6
*** Udienza privata ***


Saori Kido è sempre stata impaziente per natura e per induzione. Nessuno le ha mai chiesto di aspettare, perché a lei è sempre concesso tutto, e subito. Da bambina, se qualcuno si rifiutava di assecondarla erano frustrate e ceffoni da parte del fidato Tatsumi.
“Milady…”
L’uomo si sofferma sulla soglia dello studio, si schiarisce la voce e attende che lei parli. Si scosta dall’ampia vetrata che da sul parco della villa e gli sorride con aria affabile.
“C’era un cerbiatto, deve essere scappato dalla riserva. Puoi verificare che sia tutto a posto, Tatsumi?”
“Agli ordini, Milady.”
“C’era qualcosa che volevi dirmi?”
Prima di congedarlo lo trattiene. Un istante, dargli la giusta importanza, dosare le parole e i gesti senza strafare, perché il suo tutore le ha insegnato che è nella compostezza che risiede la nobiltà. È abituata a giocare al gatto e al topo, offrire pochi istanti di se e poi sparire, lasciarsi desiderare e poi mostrarsi per pochi attimi. È così che si comportano le dive del cinema, dopotutto. Fugaci, sfuggenti, irraggiungibili.
“Le missive sono giunte a destinazione.”
Quella è una notizia che desta la sua attenzione dopo settimane di monotonia e dubbi. Non le piace averne, è abituata a essere certa di ogni mossa, a non avere ripensamenti, invece si è dovuta scontrare con l’irrequietezza legata a una lista di nomi – di sopravvissuti – che l’hanno fatta riflettere ma, soprattutto, ricordare.
“Quante?”
“Undici, Milady.”
“Come avevamo previsto.”
“Il più delle informazioni erano già state raccolte. Vuole la lista definitiva dei nominativi?”
Sì.
“Puoi lasciarla sulla mia scrivania, la leggerò più tardi. Vorrei prima assicurarmi che i preparativi per la conferenza stampa siano ultimati.”
“Ho già controllato, siamo in perfetta sincronia con il planning diffuso dall’Ufficio Comunicazioni.”
“Grazie Tatsumi.”
L’uomo non indugia oltre e con un inchino si congeda. Saori storna di nuovo lo sguardo sul parco. Il cerbiatto è scomparso, chissà se avrà una madre o una famiglia ad attenderlo alla riserva.
Sono animali sfuggenti, schivi e veloci.
Come Mia.
Sarà anche lei tra gli undici concorrenti che parteciperanno alla Guerra Galattica? Riporta lo sguardo sul ritratto di Mitsumasa Kido, l’uomo che le ha concesso di diventare ciò che è, l’erede della Fondazione Kido. Le sorride con quell’aria sorniona, paterna, ed è stato esattamente questo per lei: un padre. Nonostante la verità sia ben diversa non potrà mai provare rancore per lui, o disprezzo. Quell’uomo le ha insegnato il senso della vita e l’importanza del disegno di cui lei è protagonista. Non gli ha creduto la prima volta che gliel’ha raccontato, né la seconda o la terza. L’ha fatto quand’era troppo tardi, leggendo le sue memorie. È mancato a un passo dal suo sogno, così vicino da poterlo sfiorare ma non ancora stringere tra le dita. La Guerra Galattica richiamerà tutti i giovani orfani sopravvissuti agli addestramenti, coinvolgendoli in duelli all’ultimo sangue.
Il premio è il Gold Cloth di Sagitter.
Sarà un evento straordinario, mai visto prima, lanciato sulle emittenti delle principali televisioni giapponesi e via satellite sul canale della Fondazione, tradotto in diciassette lingue. Saori Kido ha deciso che la Guerra Galattica dovrà arrivare in ogni angolo del mondo, così come il ricordo di suo nonno dovrà restare impresso nella mente di chi assisterà all’immensità del torneo.
Tamburella le dita contro il vetro della finestra, nervosa.
Sono passati dieci anni da quando si sono lasciati. Cosa sarà cambiato e cosa sarà rimasto inalterato? Osserva il proprio riflesso alla finestra e non riesce a scorgersi bambina. Ricorda tutto, però, e una punta di irritazione la costringe ad allontanarsi dai propri pensieri. C’era chi era migliore di lei nonostante avesse origini umili, di orfana. C’era chi era preferita da tutti gli altri – da molti, almeno – perché proveniva dal loro stesso mondo.
Non era bastato ricoprirla di trine e lezioni di galateo per farla apparire più simile a se stessa.
C’era sempre qualcosa che la faceva brillare più intensamente.

 

*

 

L’uomo è seduto sotto  gli alberi di Sala (*) che da tempo immemore troneggiano sul giardino interno della Sesta Casa. Di Shaka, Gold Saint di Virgo, si dice sia l’uomo più vicino a Buddha. Non l’ha mai visto arrabbiarsi, non l’ha mai scoperto in atteggiamenti duri verso il prossimo. Shaka è ciò che la leggenda canta: l’uomo che fu santo in vita. Aiolia lo fissa dall’arcata che divide la casa dal giardino zen, i capelli dorati sciolti lungo la schiena ad incorniciare il bel viso dai lineamenti perfetti. Shaka è stato una guida nei momenti in cui non è riuscito a reggere il peso dell’insegnamento e l’onta del tradimento di Aioros, suo fratello. Aiolia è impetuoso, è passione e sentimento e senso di colpa. Il pugno è mosso dal riscatto, non dalla forza nata da un ideale. Shaka è riflessivo, è un braciere che continua ad ardere perpetuo, crepita ma non esplode mai in un incendio.
“Qualcosa ti tormenta, non è vero?”
“Non avrei voluto turbare la tua meditazione.”
“Ma l’hai fatto.”
Shaka si alza in piedi e gli si fa incontro con passo elegante. Non c'è rimprovero nel tono della sua voce, solo la constatazione di un fatto palese.
“Ti è giunta la notizia?”
“Quale delle tante? Della fuga di Seiya dal Tempio o di quel torneo di belve indetto da una potente fondazione orientale?”
“Credo che le due cose siano collegate.”
Shaka non si scompone ma lo ascolta con attenzione. Impassibile, è difficile dire se sia sorpreso oppure no.
“Credi?”
“La Fondazione Kido è il luogo da dove provengono Mia e Seiya.”
“Sei preoccupato per la tua allieva, allora.”
“No, sto solo cercando di capire cosa diavolo stia succedendo dall’altra parte del mondo.”
“Lascia trarre le conclusioni al Sommo Sacerdote e attendiamo gli ordini. I suoi informatori saranno già al lavoro per verificare quanto di vero c’è in queste chiacchiere.”
“Seiya però è già partito.”
“E Marin non l’ha fermato?”
Aiolia capisce di aver messo un piede in fallo e aver lasciato scoperto il fianco dell’amica.
“Il tuo segreto è al sicuro. Nessuno saprà che Marin l’ha lasciato partire senza tentare di ucciderlo.”
“Dovrei parlare con Mia?”
“Sei il suo Maestro o sbaglio? Sei tu che devi indicarle la strada giusta da percorrere quando sarà in preda ai dubbi. La febbre è scesa?”
“Si, grazie per gli impacchi di erbe che mi hai procurato ieri sera. Credevo…”
“Credevi che sarebbe morta per un’infezione? Si vede che non conosci la natura delle cicatrici, Saint di Leo.”

 

*

 

La lettera di Saori l’ha mandato fuori di testa, al punto da mollare tutto e decidere di partire. Si è assicurato che Marin vegliasse su Mia, si è caricato il Cloth di Pegasus sulle spalle ed è rientrato a Tokyo in fretta e furia. Non gli importa ciò che diranno al Tempio, ne gli interessa restare ad Atene se qualcuno può ritrovare sua sorella. Saori è stata chiara su quel punto: se torni, rivedrai Seika.
Sono dieci anni che attende il momento di riabbracciarla, di essere certo di avere ancora un pezzetto della sua famiglia ad attenderlo da qualche parte. Atene gli mancherà. Nello sguardo porta la distesa di rena rossa e argilla, tra le dita l’odore salmastro dell’acqua del mare. Tokyo è una metropoli che cresce in verticale, una Babilonia che distende le sue dita artificiali verso il cielo alla ricerca di una divinità che non raggiungerà mai. Atene appartiene alla terra, è bassa e grassa, dai profumi forti che stordiscono e che non dimentichi.
Sarà davvero come la ricorda, la capitale del Giappone?
Il biglietto aereo che la Fondazione Kido gli ha gentilmente offerto è il suo lasciapassare per un’altra vita, oppure per tornare nella sua vecchia esistenza, dove non c’erano Cloth da vincere e guerre da fermare.
Se fosse questa la fine?
Non lo crede possibile, ma gli piace pensare che possa essere un’ipotesi.

 

*

 

La febbre è scesa solo la notte precedente, ma a Mia sembra siano trascorse settimane. Ha passato a letto solo qualche giorno a causa dell’infezione di una ferita curata in modo troppo superficiale. È tornata come nuova a parte qualche graffio sul viso e i lividi sul corpo. Stropiccia le palpebre, le sfrega con i palmi delle mani e la garza che le fascia la destra è ruvida e fastidiosa al tocco.
“Ma che…”
“Ti sei svegliata finalmente.”
Marin?
“Mi sono persa qualcosa?”
La donna le si avvicina sedendosi sul bordo del letto controllandole le medicazioni.
“Direi che sei guarita ormai.”
Mia non parla, si limita a lasciarsi togliere i bendaggi dal Silver Saint di Eagle che non alza lo sguardo su di lei. Restano così a lungo, sino a quando ogni garza non è scivolata a terra mostrando qualche ferita ancora fresca e lividi.
“Dov'è Seiya?”
Marin estrae dalla propria bisaccia una lettera che le porge senza trovare le parole per risponderle in modo adeguato. Cosa potrebbe mai dirle, poi?
“Sono arrivate queste da Tokyo, dalla Fondazione Kido. Seiya ha fatto ritorno e...”
“Puoi lasciarmi sola, per favore?”
“... il Sommo Sacerdote ha chiesto di vederti non appena ti fossi ripresa. Il Cloth è ai piedi del letto. Ti aspetto in cucina.”
Sembra voglia aggiungere qualcosa ma evita di indugiare oltre e se ne va. Mia fissa la busta bianca rigirandosela tra le mani sperando che scompaia, nella speranza di potersi risvegliare da settimane di sonno e incubi.
Invece è tutto vero.
Strappa i lembi della busta e legge rapidamente le poche frasi asettiche che Saori le ha indirizzato. Non si aspetta un trattamento privilegiato, ne l’ha mai desiderato. Mitsumasa Kido dopo averle dato il suo cognome si è deciso a riprenderselo con la stessa risolutezza quando si è accorto che non tutti gli anatroccoli diventano cigni aggraziati.
Il cognome, comunque, le è rimasto, e le fa schifo ogni volta che deve proferirlo.
Meglio non averlo, a che serve? A rimarcare una falsa appartenenza?
Rilegge quelle parole almeno venti volte prima di rendersi conto di avere le nocche livide e le dita gelide, tanto ha rinsaldato la presa mentre la rabbia le montava dentro come un'onda che si schianta sugli scogli durante l’alta marea. Non sa se odiare Saori per aver realmente fatto una cosa tanto idiota, o Seiya, per essere stato così stupido da accettare. In realtà fa male ammetterlo, per cui  finge non sia così, ma detesta se stessa per non essere stata un motivo sufficiente per trattenerlo ad Atene.
Avrebbe potuto attendere che si svegliasse, le sarebbe bastato anche quello: riaprire gli occhi e avere Seiya accanto.
Invece la vita ha scelto in modo differente, mischiando le proprie carte concedendole una mano da perdente sin dall'inizio della partita.

 

“Marin?”
La ragazza si sporge oltre la soglia, guardando Mia soddisfatta.
“Cos'è quell'espressione?”
“Fierezza?” le domanda con una punta di orgoglio nella voce. Non è una sua allieva, ma un po' è come se la fosse. C'è stato un periodo in cui avrebbe desiderato fare a cambio con Aiolia, perché trattare con lei era dannatamente più semplice che con Seiya. La verità è molto più banale: anche con Mia sarebbe stato impossibile convivere, e la risposta non è da ricercare in due adolescenti terribili ma nel rapporto tra maestro e allievo, dove la sensibilità e l'amicizia s'infrangono contro la durezza di un rapporto che deve restare entro i confini di regole ben precise.
“Avrebbero dovuto inviarmi un manuale di istruzioni... queste fibbie sono atroci, mi sento soffocare.”
“Smettila di lamentarti sempre!”
Mia ride di gusto mentre Marin, con troppa forza, le stringe il bustino mozzandole risata e respiro in gola, facendola tossire.
“Vorrei non essere il primo Saint a morire soffocato per essere stato rinchiuso in un Cloth non della propria taglia.”
“A volte sai essere davvero insopportabile.”
Marin la osserva specchiarsi, e dal suo sguardo che si sgrana capisce che quella che vede non è ciò che si aspettava. Della ragazzina scesa in arena qualche giorno prima sembra non esserci traccia. Certo, gli occhi arrossati parlano del pianto silenzioso a cui l'ha abbandonata poco prima, ma sembra aver fugato ogni incertezza che ha preceduto l'incontro con Shaina.
“Non basta un Cloth per dissipare tutti i dubbi, vero?”
Marin non sa cosa risponderle, si stupisce per poi sorridere della banalità dei propri pensieri.
“No, ma ti aiuta a conviverci e dargli un senso. Siamo esseri umani, è legittimo porsi domande.”
“Non quelle che mi pongo io.”
“Sei un Saint ora non...”
“Tranquilla, prendere il Cloth alla luce dei fatti si è rivelata l'unica scelta sensata degli ultimi dieci anni.”
Si sistema il diadema sulla nuca, un filo di perle che le scende tra i capelli e che intreccia con il resto della chioma perché non le dia fastidio.
“Non credi manchi un pezzo?”
Marin sbuffa, spazientita. Mia è una ritardataria cronica, è sbadata e non conosce il concetto di puntualità. Non l'ha mai vista arrivare all’orario prestabilito a un allenamento con Aiolia nonostante abitassero sotto lo stesso tetto.
“Non possono aver perso un pezzo del Cloth, andiamo... dove l'hai nascosto?”
“Piacerebbe sapere anche a me dov'è la mia maschera, Marin. Senza sono segregata in casa. E nel mio primo giorno da Saint vorrei evitare la ramanzina del Sommo Sacerdote per essere arrivata in ritardo e aver perso la maschera del Silver Cloth di Aglaia.”

 

*

 

Tokyo è caotica e dispersiva, non c'è nulla che possa chiamare casa eccetto l'orfanotrofio. I piedi si muovono da soli, scendono e salgono dalla metropolitana e lo conducono nell'unico posto in cui abbia avuto un po' di pace.
Quanti bambini sono passati di lì per poi crearsi una vita vera?
A lui non hanno concesso dei genitori, o anche solo di restare con sua sorella. L'hanno portato via e basta, nessuno gli ha mai chiesto cosa desiderasse, cosa gli piacesse, cosa volesse.
“Allora è vero!”
La voce di Miho lo coglie alla sprovvista mentre un gruppo di ragazzini in corsa gli si getta contro come se lo conoscessero da sempre.
“Gli ho parlato molto di te e Mia. Conoscono ogni cosa fatta qui all'orfanotrofio, e non solo.”
Gli si avvicina e lui l'abbraccia stringendosela addosso con affetto. Miho sa di casa, di infanzia e cose buone di cui ha dimenticato il nome e come trovarle.
“Sono felice che tu sia qui.”
La ragazza si stacca da lui con riluttanza, abbassando lo sguardo sul terreno. L'esuberanza l'ha tradito di nuovo, ma finge di non rendersene conto. È più facile passare per il solito idiota che mostrare il fianco e snocciolare un rosario di ansie, timori e preoccupazioni alla sua amica d'infanzia.
“Mia non è con te?”
Seiya alza lo sguardo su Miho e per la prima volta sente qualcosa di cui conosce il nome schiacciargli il petto. Attende una risposta che non vuole darle, perché confermare di averla abbandonata – e quello è il termine più adatto, non ce ne sono altri per quanto l'abbia lasciata in buone mani – lo farebbe sentire ancora peggio.
“Arriverà. Era indietro con i preparativi.”
Non è certo che sia così. All'improvviso, come se la realtà si fosse palesata solo in quel momento per ciò che è, si rende conto che il Tempio di Grecia offre e richiede la vita al proprio servizio. Senza esitazione si è lasciato alle spalle tutto: nessuno ha bisogno di un Bronze Saint alle prime armi, forse.
Ma di un Silver Saint?
“Dai entra, ti offro qualcosa da mangiare. Avrai fame a quest'ora.”
“In effetti si. Ma come facevi a sapere che sarei rientrato?”
“Per la Guerra Galattica? Ne parlano tutti, giornali e tv. Saori Kido ha reso ufficiali i nomi dei partecipanti proprio qualche giorno fa. Non sarà pericoloso come dicono, vero?”
Tradisce apprensione e Seiya si limita a sorriderle cercando di tranquillizzarla.
“Quella strega che crea qualcosa del genere? La cosa più temibile con cui abbia avuto a che fare è stata Mia.”
“Questo dovrebbe sollevarmi?” gli domanda lei sorridendo.
“Si?”
“No, perché la conosco e so di cosa è capace. È anche lei tra i concorrenti.”
A quel punto Seiya perde l'appetito e dimentica come si respira.
In apnea di vita, si chiede quanto sia stupido, a volte, il suo istinto. Ammesso ne abbia uno.
“Non sei preoccupato nemmeno un po'? L'unica ragazza a combattere per il Gold Cloth di Sagitter... Saori Kido non si smentisce mai.”
Miho si permette un commento di troppo, ma è in favore dell'amica di sempre e si lascia guidare da una lealtà cieca. In altre circostanze si sarebbe limitata ad esternare i propri timori, senza sbilanciarsi, perché quella dell'equilibrio è una dote che possiede da sempre, che la contraddistingue come un marchio a fuoco sulla pelle. È evidente sia in apprensione.
“Non parteciperà.”
“Mia?”
“Si, non lo farà. Lei è...”
Meno stupida di me.
Ma non gli escono altre parole, e spezza il silenzio ingozzandosi con l'ennesimo boccone del sandwich che gli ha preparato.

 

*

 

“Non dovresti trovarti nei miei appartamenti privati, o sbaglio?”
L'uomo si è celato alla sua vista, nascosto tra le ombre amiche, ma non abbastanza da cancellare le tracce del proprio cosmo.
“Non volete mostrarmi il vostro volto, Sommo Sacerdote?”
Il sarcasmo del Gold Saint della Quarta Casa non lo disturba. Gli anni l'hanno reso più spietato e fedele, un ottimo alleato per poter governare sul Tempio con uno sguardo sempre rivolto alle proprie spalle.
“Non ti saresti di certo preso il disturbo di venire qui se non avessi qualcosa di davvero importante da dirmi.”
Saga si solleva dall'ampia vasca da bagno da cui esce vapore a causa dell'alta temperatura, e con naturalezza si infila in una tunica candida, i lunghi capelli madidi che lasciano al suo passaggio una scia di zampilli sul marmo candido.
“Allora Death Mask? Sto attendendo.”
“Avete saputo della fuga di Seiya di Pegasus, non è così?”
“Direi che è difficile ignorarlo. Ho già convocato Mia di Aglaia.”
“La manderete a Tokyo?”
“Dovrei farlo?”
Saggia con maestria le parole del suo avversario. Il loro è un gioco alla pari. Death Mask ha deciso di giurargli fedeltà perché è il più forte. Il resto non ha importanza, perché se stai sul carro dei vincitori nulla potrà mai scalfirti.
“Dovreste inviare a Tokyo Aiolia di Leo. Le prime indiscrezioni sostengono che questo ridicolo torneo abbia come trofeo il Gold Cloth di Sagitter. Sarebbe importante recuperarlo e riportarlo qui al Tempio, tra le mura della Nona Casa. E chi meglio di Aiolia per sistemare ciò che quello sciocco di Aioros ha rischiato di distruggere?”
“E la ragazza?”
“Senza il Cloth di Sagitter cosa può fare contro i Silver Saint, Sommo Sacerdote? Credete che qualcuno dei Bronze Saint possa indossarlo?”
“Dovrei dare l'ordine di eliminarla?”
“Ha violato la sacralità delle vestigia riducendo l'addestramento dei Saint a un ridicolo sport di lotta occidentale. Vi occorrono altri motivi?”
Saga ne ha a sufficienza per dichiarare guerra al Giappone intero, ma questo preferisce tenerlo per se.
“Darò ordine al Saint di Aglaia di recarsi a Tokyo e monitorare la situazione.”
“Avete davvero un eccellente senso dell'umorismo, Sommo Sacerdote.”
“Sarà in missione per conto del Tempio. In un secondo momento invieremo gli altri Silver Saint pronti ad attaccare.”
“Potrebbero sterminarli prima che tutto abbia inizio senza sforzi.”
“E rischiare di non riavere il Gold Cloth di Sagitter? Voglio conoscere chi è il nostro nemico.”
“Sarà una missione interessante.”
“Un'alta prova di fedeltà, non è così, Death Mask?”
Il Gold Saint gli si avvicina e si inginocchia al suo cospetto, senza esitazione. Ama la formalità, sentirsi nella posizione di chi appartiene a una cerchia ristretta di persone a cui è dato accesso a ogni informazione e udienza. Questo lo sa bene Saga, ma è un punto che muove a proprio vantaggio: per entrambi la posta in gioco è alta, e la vittoria è reciproca nel rapporto di sudditanza che si è creato.

 

La scalinata secondaria che porta al Tempio è ripida, costeggia il promontorio e si affaccia da un lato sul mare, dall'altro su un piccolo villaggio abitato da gente umile, che serve il tempio con fedeltà cieca. Mia sale a passo spedito, senza sentire il peso della fatica. Per dieci anni Aiolia l'ha condotta sino in cima e poi l'ha fatta scendere, di corsa, per temprarla. Che piovesse o che l'arsura fosse già insopportabile sin dalle prime luci del mattino, all'alba si recavano alle pendici del Tempio e ne risalivano il fianco. Mia ricorda ancora la prima volta in cui Aiolia le ha ordinato di correre senza fermarsi o guardarsi alle spalle. È stramazzata molto prima di aver raggiunto la metà della scalinata, priva di sensi e con il respiro troppo corto. Aveva sei anni ed era atterrata in Grecia da sole quarantotto ore, eppure nessuno le aveva concesso sconti in un paese in cui anche parlarsi e capirsi era impossibile. Di giorno gli allenamenti, la sera le lezioni di greco. Al mattino Aiolia, il pomeriggio la convivenza forzata alla Casa delle Vergini, la sera un giaciglio su cui lasciar cadere i pensieri in un'abitazione bassa, poco distante da quella in cui si trovava Seiya.
Eppure ce l’ho fatta nonostante non l’avessi mai creduto possibile.
All'ingresso del Tempio, due guardie mantengono la propria postazione mentre si fa strada lungo i corridoi. Il mantello bianco che le circonda il corpo è fresco al contatto con la pelle nuda, e forse è a causa di quel motivo che avverte un brivido attraversale la schiena quando, lungo il proprio percorso, incrocia il Gold Saint di Cancer. Gli porge un cenno di saluto con il capo, ma l'uomo passa oltre, un ghigno che dovrebbe essere un sorriso dipinto in volto.
“Vieni avanti, Silver Saint di Aglaia.”
Non ha nemmeno il tempo di prepararsi, di rendersi davvero presentabile per la sua prima udienza ufficiale, che il Sommo Sacerdote la invita a portarsi al suo cospetto. A passo deciso attraversa la sala deserta sino a inginocchiarsi dinnanzi all'uomo, nel rumore sordo di tacchi che riecheggia tutt’attorno.
“Mia, Silver Saint di Aglaia al vostro servizio per servire il Grande Tempio di Grecia e il nome della dea Athena.”
La voce le trema in modo impercettibile ed è come se il Cloth le infondesse coraggio e fiducia. L’armatura brilla tra i riverberi del sole e sembra quasi emanarla a sua volta, come se fosse una stella pronta a catturarne la luce per poi rifletterla.
“Mi è stato riferito che quella Saori Kido è la tua sorellastra, non è vero?”
“Sono stata adottata da Mitsumasa Kido, Sommo Sacerdote. Non ci lega lo stesso sangue, solo il vincolo di un nome pesante.”
“È riuscita a trovare te e il Bronze Saint di Pegasus, invitandovi a partecipare a quel blasfemo torneo che ha indetto a Tokyo. Il premio è il Sacro Cloth di Sagitter, trafugato dal Grande Tempio sedici anni fa.”
Mia non osa alzare lo sguardo. A capo chino la memoria corre alla ricerca di una verità da confessare, eppure le sembra ugualmente di non fare la cosa giusta percorrendo la strada dell’onestà intellettuale.  
"La fondazione Kido dispone di un ingente patrimonio, Sommo Sacerdote. Non escludo che abbia messo sulle tracce dei ragazzini che furono inviati nei luoghi di addestramento degli agenti investigativi per…”
… per cosa?
"Interessante. È disposta a tanto pur di donare il Gold Cloth di Sagitter, di quel… traditore, a qualcuno che non è degno di indossarlo?”
Mia solleva  lo sguardo decisa a replicare a quell’accusa per lei priva di fondamento, ma si morde il labbro inferiore sino a sentirlo spaccarsi contro gli incisivi, inondandole la bocca con il sapore ferroso del sangue. Riabbassa di nuovo il capo, perché di risposte valide non ce ne sono. Esiste solo l'arringa di una ragazzina che non ha prove ma solo racconti come giustificazioni.
“Partirai per prendere parte alla missione. Desidero che studi la situazione e il motivo per cui Saori Kido si sta muovendo in questa direzione sfruttando l’alta nomea dei Cloth e mettendo in ridicolo il Tempio. In un secondo momento i Silver Saint giungeranno a Tokyo per sistemare la situazione. Verificheremo le vostre mosse. Non deludetemi, non è ammesso nessun fallimento. Il tradimento è punito con la morte, al Grande Tempio di Grecia. Per ora questo è tutto.”
Mia deglutisce qualcosa che dovrebbero essere lacrime. Non era così che si aspettava la sua prima missione, non lanciata come un kamikaze contro la sua quasi-sorella e i suoi amici d’infanzia.
"Si, lo rammento Sommo Sacerdote. Abbiamo l'ordine di attaccare?”
Le parole incespicano contro il palato, e si rende conto di aver persino sbagliato a formulare la frase in greco.
"Per ora desidero che sorvegli la situazione a debita distanza. Se i Bronze Saint dovessero combattere per il Cloth verrà emesso un editto per Alto Tradimento, e in quel caso sarete tenuti a portare al Tempio le loro teste. Ora puoi andare. Partirai entro l’alba di domani. Hai altre domande?”
“No Sommo Sacerdote.”
“Sei congedato, Silver Saint di Aglaia.”
Mia si solleva e quasi barcollando si dirige verso l'esterno. Solo quando il Tempio è un'ombra minacciosa alle sue spalle riesce a regolarizzare il respiro. Prima, per un lungo istante, è certa di non essere riuscita a respirare, rischiando di svenire. Non riesce a trovare un solo pensiero positivo o, meglio ancora, sarebbe trovare una soluzione al problema, impedendo a Seiya di essere così idiota da farsi ammazzare dall'intera squadra dei Silver Saint. È sulla lista nera della metà di loro, e Shaina non farà sconti ne a lei, ne a lui.
Il Silver Saint di Eagle l’attende sulla soglia di casa e Mia la fronteggia da pari, da compagna questa volta, perché non è più allieva di nessuno, ma un Saint come chiunque altro, lì al Tempio.
“Marin tu lo sapevi?”
La ragazza non si pronuncia, tornando a osservare la distesa di sabbia che si staglia oltre il promontorio, tuffandosi nel mare.
“Non mi è ancora stato dato alcun ordine, se è questo che intendi. I Silver Saint sono stati informati di ciò che sta accadendo a Tokyo la sera stessa della partenza di Seiya. Pare abbia avuto uno scontro con Shaina e lei l’abbia riferito al Sommo Sacerdote. Ha un vantaggio di quasi una giornata di viaggio, ma è facile intuire dove sia. Pensi che parteciperà?”
“Se non fosse intenzionato a farlo sarebbe rimasto ad Atene, no?”
“Mia non ti ha abbandonata, sapeva che l'avresti raggiunto e...”
Si scosta dalla donna bruscamente, quasi ora la sua presenza la stesse infastidendo.
“Sai qual è il problema di Seiya? Proprio questo. Il dare per scontato che io sia sempre pronta a seguirlo. Perché non si è fermato lui, per una volta, ad attendermi? E sai cosa? Che se Seiya combatte per Saori avremo l'ordine di ammazzarlo.”
Non le serve vedere il volto di Marin per leggerne il terrore. Vede le spalle incurvarsi, il capo chinarsi in cerca di qualche appiglio, ma la verità è che Seiya ha lasciato a loro il compito di proteggerlo e di scegliere da che parte stare.
“Pensi che sia colpevole?” le domanda a bruciapelo il Silver Saint di Eagle.
“Come faccio a saperlo? Il Gold Cloth è ereditario, lo sai meglio di me. Il solo fatto esista un torneo addirittura indetto tra i Bronze Saint per trovarne il nuovo proprietario è un'eresia agli occhi di qualunque Saint.”
“Aioros non aveva allievi all'epoca del...”
Marin non riesce a pronunciare quella parola. Non l'ha mai fatto per rispetto di Aiolia, e nonostante il ragazzo sia assente, continua a mantenere lo stesso comportamento.
Aioros non ha tradito.
“Questo significa che il Gold Cloth di Sagitter dovrebbe restare per sempre senza Saint?” domanda Marin, ma sa che Mia non ha di certo una risposta.
“Forse il nuovo Gold Saint di Sagitter deve ancora mettere piede su questo mondo. Non sarà di certo un Bronze Saint a poter reggere il peso di un'armatura d'oro.”
“Sii prudente, non.. non essere avventata.”
“Mi stai chiedendo di tradire il Santuario?”
“No, solo di riflettere. Hai il cuore privo di corruzione, puoi ancora vedere la verità. Non quella che vogliono farti passare per verità, ma quella reale.”
Mia la fissa per qualche istante senza capire, poi abbassa il capo e si lascia scivolare sulla sedia dall'imbottitura in rafia. Se fosse vestita in modo semplice avrebbe solchi e graffi sulle gambe, invece l'armatura l'ha protetta.
Mi proteggerai anche dalle ferite del cuore e dell'anima?
Non ottiene risposta ma nemmeno si aspetta di averne una, poi china il capo e scoppia a piangere in modo sommesso. Marin esita, perché di quel pianto comprende tutto e vorrebbe abbracciarla. I singhiozzi le smuovono il petto e mozzano il respiro, ma la ragazza non muove un passo per consolarla. Non sono sorelle, sono amiche eppure, da qualche parte, resta il rispetto per il dolore di un santo che lascia trasparire la propria debolezza.
Non è giusto. Perché? Perché Saori è tornata nelle nostre vite?
Un pensiero egoista, forse da bambina capricciosa, ma è la verità.
Se Saori non fosse mai nata.
Se Saori avesse smesso di cercarli.
Se lei non fosse stata tanto stupida e orgogliosa.
Se non avesse accettato il Cloth sarebbe cambiato qualcosa?
“Non dovrei esserci io, vero?”
“Forse si, Mia. Forse sei l'unica che può e deve essere a Tokyo.”

 

*

 

“Miho, ci sei?”
La voce risuona cristallina lungo il corridoio deserto, ma non la riconosce. Fa capolino dalla cucina dell’orfanotrofio, certa che una delle bambine sia sgattaiolata fuori dal dormitorio prima della sveglia.
“E tu cosa… Mia!”
Si guardano da un capo all'altro dello spazio che le separa, Mia scalza sulla porta d'ingresso e Miho con un mestolo in mano, quasi fosse un'arma da brandire contro il nemico.
“Sono io” le risponde l'altra, e la riconosce davvero quando le sorride.  Miho lascia da parte tutto: il senso di colpa per averla invidiata, per averla odiata anche, per averla lasciata indietro ma, soprattutto, sola. Le si fa incontro con aria incerta perché non sa bene come comportarsi. Oltre ai lunghi capelli che le arrivano sino alla cintola e dietro gli occhi verdissimi e vispi, c'è ancora la bambina di un sacco di anni prima. I racconti di Seiya le hanno trasmesso l'immagine di una donna che non appartiene al ricordo che ha della sua migliore amica e che non appartengono alla persona che le sta dinnanzi.
“Che ti ha raccontato Seiya? Non mordo sai?”
Non le può nascondere nulla, o forse quando si tratta di Seiya hanno ancora un cuore in condivisione. Finalmente si decide e allunga una mano, poi un braccio e infine si stringono come due sorelle. Mia la scosta leggermente da se, studiandola, e Miho si sente indifesa e scoperta, vulnerabile.
“Resterai qui vero? Vado a prepararti un letto e...”
“Non credo Miho, devo... sono qui per risolvere alcune questioni personali, non posso restare all'orfanotrofio.”
“È accaduto qualcosa con Seiya per caso? Avete litigato? Mi ha detto che saresti arrivata con qualche giorno di ritardo e...”
“Non sono qui per i motivi che crede lui.”
“Non vuoi parlarmene?”
Abbassa il capo e si sente tagliata fuori dai giochi, dalle loro vite. Ha avvertito lo stesso disagio in compagnia di Seiya, ma lui è... Seiya. È divertente, irriverente, sempre con una battuta a portata di tiro, sempre pronto a mascherare il problema con una frase fuori luogo. A Seiya, poi, perdonerebbe qualunque cosa.
Forse ti sei sentita sollevata che Mia non ci fosse?
È  la frazione di un secondo, ma quel pensiero le fa male facendola sentire sporca e cattiva.
Hanno rischiato la vita per tutti questi anni, per... esatto, per cosa?
Quando si è bambine ci si scambiano segreti, si condivide il primo amore, si crede che l'unione faccia la forza. Poi cresci e ti rendi conto che lui dovrà scegliere e che una delle due verrà scartata e diventerà il terzo incomodo. Miho non vuole fare quella fine e preferisce che la partita finisca zero a zero, che Seiya scelga qualcun’altra, un nemico comune che lei e Mia potranno combattere insieme. Non ha mai creduto che la sua migliore amica potesse essere una minaccia, ma ora che si trovano di nuovo l'una di fronte all'altra comprende che le donne che combattono sono semplicemente diverse. Hanno una luce differente sul viso, tra le mani una vita che hanno deciso di vivere secondo le proprie regole. Sono già adulte, lei invece va ancora al liceo e per dieci anni ha sognato un principe azzurro burbero e un po' idiota, insensibile e grezzo nelle manifestazioni d'affetto.
“Hai scelto di restare qui?”
“Si. C’è chi ha fatto tanto per me, ora voglio riuscire a dare lo stesso calore e lo stesso affetto a questi bambini. I tuoi anni in Grecia come sono stati?”
“Non semplici. Sono partita credendo fosse un gioco. A differenza degli altri l'ho deciso io. Credevo sarebbe stato facile, quando sei così piccolo non sai nemmeno a cosa vai incontro. Fai una scelta più grande di te. Sono stata fortunata, ho avuto un grande Maestro e sono cresciuta in Grecia. Ti piacerebbe sai?”
“Forse un giorno tu e Seiya potreste portarmi a visitarla, no? Un po' ti invidio. Sei potuta fuggire da qui, avere una tua vita. Poter vedere Seiya ogni giorno…”
“Non è una fortuna, credimi. Sei ancora innamorata di lui?”
Puoi chiamare amore qualcosa che provavi quando avevi sei anni? No, ma puoi illuderti lo sia, desiderarlo e fantasticarci su sino a renderlo un amore impossibile.
“I sentimenti come questo non si affievoliscono mai, o forse sono io che mi sono intestardita su qualcuno che ha lo sguardo rivolto altrove. Resterò sempre la sua amica d'infanzia, Mia, nulla più” e utilizza un tono conciliante per rassicurarla che si farà da parte. Che da lei non avrà mai nulla da temere e vorrebbe che Mia facesse la stessa cosa con lei.
“E non ti fa male?”
“Almeno sono qualcosa. Sarebbe peggio essere un niente, no?”
“No. Ti meriti qualcuno che ti faccia sentire una regina, non un idiota con un pessimo gusto in fatto di donne.”
“Quando gli ho chiesto di te era piuttosto turbato. Ha detto che ti aveva lasciata ancora priva di coscienza. Non si sarebbe perdonato per nulla al mondo un peggioramento delle tue condizioni fisiche.”
“Se era così preoccupato avrebbe potuto rimandare la partenza. Seiya pensa solo a se stesso.”
Ci risiamo, e riflette sul fatto che le due persone che sono tornate all'orfanotrofio non sono altro che la proiezione di quei due bambini, ombre scure che si affacciano su una vita che non hanno mai sognato.
“Non essere così dura con lui. Sei arrabbiata, è normale che...”
Mia solleva scettica un sopracciglio e Miho si affretta ad aggiungere qualcosa che suoni come una scusa plausibile, anche se farlo è inutile. Vorrebbe chiederle se anche lei è ancora innamorata di lui, ma la domanda le sembra così stupida che preferisce cambiare argomento.
“Dove andrai a dormire?”
“Cercherò un appartamento non lontano da qui, così potrò darti una mano quando non avrò null’altro da fare.”
Sei una pessima bugiarda.
”Perché non resti all'orfanotrofio?”
”Non voglio crearvi problemi, sarete più al sicuro senza di me.”
“Così mi spaventi. È a causa della Guerra Galattica?”
Mia sgrana gli occhi quasi avesse visto un disgustoso ragno danzarle sulle punte dei piedi, e Miho si affretta a puntualizzare.
“C'è stata una conferenza stampa piuttosto importante, in diretta nazionale. È l'evento dell'anno, la gente arriverà da ogni parte del Giappone per assistere agli scontri. Sei tesa? Forse non dovresti partecipare o magari chiedere di...”
“Non sono qui per partecipare.”
“Se ti chiedessi perché sei tornata non mi risponderesti vero?”
Mia si chiude in un silenzio forzato e Miho decide di non insistere. Sa che basterebbe poco per farla parlare, ma non vuole farle pressione. Non ha capito bene cosa siano ora Mia e Seiya e cosa comporti essere speciali, perché lei è una persona semplice, di quelle buone come un tozzo di pane ancora caldo. Lei, della guerra, non sa nulla, e tutto quello che sa è che la Fondazione Kido li ha spediti in tutte le parti del mondo solo per avere un ritorno economico dopo dieci anni.
“Tornerai in Grecia presto?”
“Non posso restare qui in eterno. Il posto di noi Saint è il Santuario ad Atene.”
“Almeno stanotte resti qui?”
Ti prego, non lasciarmi sola di nuovo.
Miho abbassa lo sguardo sulle proprie mani, incapace di aggiungere altro. L’euforia che l’ha colta quando ha potuto riabbracciare la sua migliore amica è stata sostituita da un’indicibile tristezza. 
Ve ne andate tutti quanti lasciandomi sempre indietro.
“Domani mattina mi lascerai andare prima che si sveglino i bambini?”
Grazie.
Miho scoppia a piangere, senza riuscire ad aggiungere altro. È bello riaverla accanto, è altrettanto atroce sapere che lei ora è una parte marginale della sua vita, troppo vicina a quella di Seiya.
Non ti passerà mai del tutto questa infatuazione amorosa, vero?
Forse non è solo quello, perché prima o poi partirà di nuovo lasciandola a combattere contro il peso dei ricordi e del senso di colpa, con quel misto di adorazione e timore che nutre verso di lei. Mia le si avvicina e l’abbraccia di nuovo, cingendole le spalle e lasciandole lo spazio per piangere nel silenzio della notte.
“Andrà tutto bene.”
“Ne sei sicura?”
Mia non le risponde e questa è la peggiore delle risposte che possa darle.
Sa, infatti, che è a una bugia schietta Mia preferirà sempre e soltanto il silenzio.


Sta attendendo da almeno quindici minuti nell’atrio di Villa Kido, in piedi come fosse un ospite sgradito che si vuole far fuggire, e si sta spazientendo.
“Guarda un po’ chi si rivide, l’idiota.”
Seiya si volta verso il portone d’ingresso, lo stesso di cui ha varcato la soglia ogni santo giorno della sua infanzia. Si sta facendo avanti un ragazzo dall’aria spavalda, sistemandosi sulle mani guanti da motociclista.
“Impossibile non riconoscere un leccapiedi come te, Jabu. Difficile dimenticarsi di certe facce.”
Il ragazzo si fa avanti e Seiya è pronto ad affrontarlo senza esitazione. Che Jabu potesse farcela, in Algeria, è un pensiero che non l’ha mai sfiorato. A essere onesti, non ha mai pensato agli altri novantanove bambini partiti. Non ne ha avuto il tempo e il ricordo è andando perdendosi tra gli allenamenti e i vicoli di Atene, ma ora deve fare i conti con la presenza di un’infanzia che – invece – all’improvviso ricorda benissimo.
“Hai già intenzione di fare una delle tue solite figuracce, Seiya?”
“Hai già accettato, vero? Hai già deciso di inginocchiarti a quella strega.”
“Ben arrivato, Seiya. Jabu, puoi lasciarci soli?”
La voce di Saori Kido è perentoria, ma tradisce una certa accondiscendenza. Seiya si morde la lingua, ma la spavalderia è una dote che gli ha permesso di sopravvivere sino a quel momento.
“Seguimi Seiya. Mi dispiace averti fatto attendere.”
Lo fa accomodare nella sala degli ospiti, quella che una volta era la stanza delle udienze. Quella che, anni addietro, Mitsumasa Kido utilizzava per rimproverarli e metterli in punizione.
Evocativo questo posto, non c’è che dire.
Non è cambiato nulla, nemmeno il ritratto di Mitsumasa Kido e Saori che occupa tutta la parete frontale all’ingresso.
“Sono felice tu abbia accettato il mio invito.”
“Dov’è Seika?”
Non gliene frega nulla della Guerra Galattica, del Gold Cloth di Sagitter e della Fondazione Kido: lui vuole rivedere sua sorella.
“La stiamo cercando.”
“Mi hai detto che l’avresti ritrovata.”
“È quello che sto cercando di fare. Tu accetterai di far parte del torneo?”
“Non ti sei dilungata molto sul torneo.”
Dalle sue spalle qualcuno lo colpisce alla nuca con forza, facendolo quasi sbattere con la fronte contro il tavolino che lo separa dalla ragazza.
“Ehi ma sei scemo?”
“Tatsumi lascia stare.”
“Non ha ancora imparato a portare rispetto, milady.”
“Puoi congedarti, Tatsumi.”
“Ma milady…” accenna una rimostranza, ma la ragazza lo liquida con un gesto secco della mano.
“Non hai sentito cos’ha detto milady?” lo schernisce Seiya fiero della propria vittoria, un sorriso soddisfatto dipinto in volto.
“Agli ordini milady.”
Seiya ha un guizzo di gioia nel constatare la propria – indiretta – vittoria, che assume i connotati di una sconfitta per quell’uomo dalle mani dure come verghe, che per anni li ha percossi a ogni rifiuto di sottomissione.
“So che non mi farai del male, la sua presenza è del tutto superflua” si giustifica Saori. Seiya non è certo di poter reggere a lungo la conversazione con lei. È diversa da come la ricordava e si sente piuttosto idiota per la semplicità di quel pensiero.
Sono passati dieci anni, credevi di essere cresciuto solo tu?
Tuttavia non cede e, anzi, attende il confronto con la donna che – a suo avviso – ha rovinato la vita a tutti loro.
“Dovrete combattere. Undici Saint che si scontreranno per ottenere il Gold Cloth di Sagitter.”
“E come l’hai ottenuto?”
“È un’eredità di mio nonno. Ha lavorato molto sul progetto della Guerra Galattica e voglio che sia tutto come lui l’ha sognato.”
Il vecchio è schiattato?
In effetti non l’ha visto in giro, con quel passo strascicato, il bastone da passeggio e il kimono scuro, perennemente vestito a lutto.
“Quindi dovrei soltanto combattere?”
“Combattere e vincere. Se otterrai il Gold Cloth di Sagitter rivedrai Seika.”
“E chi mi assicura che sia così?”
“Il fatto che non hai altre possibilità di scelta. Avrai a tua disposizione tutti i mezzi della Fondazione Kido per rintracciarla. Ma dovrai vincere il Cloth. Dopotutto ne hai già ottenuto uno, o non saresti qui.”
Seiya sente qualcosa salirgli dentro, la rabbia impotente di chi non ha vie di fuga. Di chi non può fare altro che sbagliare, consapevolmente, per egoismo.
“Dovrà combattere anche Mia?”
La vede finalmente cedere, lasciando che la sicurezza che ha ostentato sino a pochi istanti prima vacilli davanti a un semplice nome.
Che però è tutto, in verità.
“Dovresti dirmelo tu, se prenderà parte al torneo. Siete partiti insieme se non ricordo male.”
Mi stai prendendo in giro, maledetta strega?
“No, non so se parteciperà. E a essere sinceri, sono certo che non vorrà immischiarsi di nuovo con la tua famiglia.”
“Sei così deciso… allora perché tu hai abbassato la testa?”
Perché non mi lasci altra scelta?
“Voglio rivedere mia sorella. Mia per cosa dovrebbe farlo? Per farti un piacere personale o assolvere a qualche tuo capriccio? Andiamo Saori, non scherziamo! Credevi davvero che sarebbe tornata in Giappone cancellando tutto quanto?”
“Eravamo dei ragazzini. Il suo posto è qui a Villa Kido. Quando il nonno è morto…”
“Per lei non era suo nonno.”
Per lei non siete niente, milady.
“… le ho scritto. Non mi ha mai risposto.”
“Cosa avrebbe dovuto dirti?”
“Tornare.”
“Casa sua è Atene, non Tokyo. Posso andare ora?”
“Il tuo è un si?”
Seiya esita, poi annuisce con il capo. Questa è la sua condanna, lo sa perfettamente. Mia non gli perdonerà mai di essere tornato da Saori ed essersi inchinato davanti a lei quando nemmeno da bambino l’ha mai fatto se non a suon di calci e pugni da parte di Jabu o Geki.
Mia non gli perdonerà nemmeno di essersene andato senza di lei.
E se non dovesse più parlarti, razza di idiota?
Quello sarebbe il problema minore.
Se dovesse odiarti, invece?
Mette a tacere la sua coscienza ed esce finalmente da Villa Kido, cercando nella penombra della sera un po’ di pace. Oltre il cancello del parco si estende Tokyo, all’infinito.
Un paio di giorni prima sopra di lui c’era un mare di stelle, ora solo luci artificiali e fredde, siderali e crudeli.
Alza lo sguardo al cielo ma le luci dei neon e delle insegne spengono le costellazioni, una a una.
All’improvviso realizza di essere, per la prima volta, solo.

 

Note dell’autrice.
(*) Alberi di Sala, sono gli alberi sotto cui trovò la morte Buddha. Si ringrazia Francine per la correzione con il vecchio ginko biloba.

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Capitolo 7
*** Zone d'ombra ***


Le immagini si susseguono rapidamente sul monitor del televisore. A poche miglia di distanza dall'appartamento in cui si è trasferita, i Bronze Saint di Athena combattono tra loro per ottenere il Gold Cloth di Sagitter, come schiavi rinchiusi in arene romane pronti a versare sangue e vita in cambio della libertà.
Dovrebbe essere con loro, invece non si è presentata. All'appello, all'apertura della Guerra Galattica, mancavano due concorrenti: lei e Ikki di Phoenix. Ha visto l'aria stranita e al contempo sollevata di Shun, tra la gioia di sapere che suo fratello è  sopravvissuto e il terrore di doverlo sfidare in arena. Di cento bambini ne sono sopravvissuti solo undici.
Per cosa?
Per cosa sono morti, maledizione?
Stringe la stoffa del vestito tra i pugni chiusi, sino a non sentire più le dita delle mani. Saori, erede della Fondazione Kido, presiede gli scontri da dietro una paratia di vetro, un gazebo sospeso tra false stelle per una falsa dea. La riproduzione del palladio che tiene tra le mani brilla sotto i riflettori, l'aria fredda e austera, impassibile mentre gli scontri procedono sotto i suoi occhi e i ragazzi feriti vengono portati via dai medici della Fondazione. Non riesce a sopportare la vista di quel sangue versato inutilmente, le grida dei Saint e quelle di incoraggiamento del pubblico esaltato che non comprende quanto sia alta la posta in gioco.
Per tutti quanti.
Sospira portandosi le ginocchia al petto e resta a contemplare battaglie di cui non comprende il significato, perché le hanno insegnato che la guerra viene fatta contro i nemici del Tempio, non tra fratelli. Le hanno insegnato che il tradimento è punibile con la morte perché non è solo un atto dovuto ad Athena, ma a tutti i Saint morti nei secoli per proteggere la Terra. Spegne la tv prima di vedere la fine dell'incontro tra Geki e Seiya, assalita da nausea e disgusto. Sa come andrà a finire e, in ogni caso, non le interessa guardare oltre.
Lo sguardo fisso sull’apparecchio spento e attorniata dal silenzio della propria stanza, Mia ha la certezza di ciò che l'attende: l'ordine di uccidere. Solleva lo sguardo sui neon delle insegne dei locali che illuminano la strada all'esterno di mille luci colorate, come se fosse giorno. Non c'è un cielo trapunto di stelle a ricordarle che non è sola, a Tokyo, che inghiotte ogni cosa.
“Cosa devo fare?”
Lo chiede a se stessa, ma spera sia qualcun altro a risponderle, forse si aspetta che arrivi Aiolia da chissà dove e le dica cosa fare, come quando era ad Atene e aspirava soltanto a essere Saint.
Sa che non arriverà nessuno, per questo si lascia andare a un pianto liberatorio.
 
 
“Sarò io a ottenere il Gold Cloth di Sagitter. Voi siete solo dei mocciosi senza spina dorsale.”
Hyōga è spavaldo, ma ha dalla propria parte la certezza di essere l'unico ad avere ricevuto l'addestramento da un Gold Saint. L'unico, per altro, a poter lanciare colpi di alto livello senza possedere il cloth di rango più nobile. Per questo è convinto che il premio della Guerra Galattica debba essere suo.
“Che cosa hai detto? Ripetilo se hai il coraggio...”
Seiya è già sul piede di guerra e avanza di un paio di passi nella sua direzione. È così stupido, non è cambiato molto da quando si sonno visti l'ultima volta. È Shun che lo ferma, mettendosi tra loro, mentre Shiryu osserva la scena restando in disparte.
“Siete dei rammolliti. Perché hai deciso di combattere?” gli domanda il Cigno con tono distaccato e di supponenza.
“Per ritrovare mia sorella.”
Il Saint di Pegasus lo afferma senza esitazione, con orgoglio. Hyōga dovrebbe essere dalla parte di chi comprende la debolezza per un amore, ma sul suo viso affiora un sorriso di scherno. Un istante e Seiya gli è già addosso. Con una spinta lo inchioda contro il muro opposto, dopo aver scansato in malo modo Shun per estrometterlo dalla loro colluttazione.
“Allora sai tirarlo fuori il coraggio.”
“Cos'hai da ridere? Tu perché sei qui Hyōga?”
“Per avere il Cloth.”
“Per...”
“A me non interessa altro che il Cloth” puntualizza nuovamente, nel caso il Saint non abbia colto il significato delle sue parole.
Seiya lo lascia andare, guardandolo quasi avesse davanti un mostro.  
“Stai scherzando spero. Chi diavolo può...”
Il ragazzo è interrotto dall'ingresso di Jabu, e i due – di nuovo – devono fronteggiarsi prima di salire in arena.
“Perché non chiedi a lui per cosa combatte?” gli domanda il Cigno indicando il nuovo arrivato con un cenno del capo.I due si guardano con astio per diversi minuti. Il Saint di Unicorn ha il labbro spaccato e probabilmente un braccio rotto. Il suo percorso attraversa i corridoi interni dell'arena alla ricerca di un medico che lo rimetta in sesto prima del prossimo combattimento, ma deve fermarsi e dare spiegazioni a cinque dei suoi potenziali nemici. Chi sarà il suo prossimo avversario?
“Per milady.”
“Per... siete tutti impazziti per caso?” grida Seiya frustrato da risposte che non gli piacciono, che per lui rasentano la follia. La sua, alle orecchie degli altri, probabilmente ha lo stesso effetto.
“Ognuno di noi è qui per un motivo differente, e non c'è  motivo migliore o peggiore. L'unica cosa importante è il Gold Cloth di Sagitter.”
Shiryu si stacca finalmente dalla propria postazione e si fa avanti, forte della pacata aura che gli insegnamenti in Cina gli hanno conferito. Sfacciato, al pari di Hyōga o forse più, ma con la stoccata leggera di chi non si sporca le mani con chi considera inferiore.
“Si ma... siamo solo undici, gli altri?” obietta Shun cercando di mantenere il tono di voce controllato, anche se gli risulta difficile.
Hyōga gli lancia un'occhiata dura, che non lascia adito a dubbi. La domanda di Shun è legittima per chi, di fatto, non conosce la verità. Quando ha fatto ritorno a Tokyo, la prima cosa che ha chiesto a Saori Kido è stato domandarle quanti erano sopravvissuti.
Undici.
Solo e soltanto i migliori undici, di quei cento.
Al mondo, però, esistono Saint migliori di loro.
E Hyōga vuole farne parte. Hyōga, vuole affiancare Camus, Gold Saint di Aquarius e chiamarlo “compagno”, non solo “maestro”.
La seconda cosa che le ha chiesto è stata se ne valesse la pena, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
 
 
Shiryu desidera vincere il Gold Cloth e fare ritorno a Goro Ho per affiancare il proprio Maestro.
Per rivedere Shunrei e dirle che si, ha mantenuto la promessa.
Si sono lasciati in una notte fredda, quando le piogge avevano dato tregua alla terra ma non all’animo, perché quello resta umido di un’assenza già decisa, inevitabile, che entrambi hanno sperato di non vedere arrivare mai.
I ragazzi che ha davanti sono stati amici in un tempo lontano, in una casa che non era altro che un orfanotrofio o una caserma, dove c’erano solo ordini da seguire e se eri bravo a rispettarli, vincevi il premio di essere lasciato in pace.
O tormentato e umiliato due volte, come Jabu.
Definirli amici ora è ridicolo.
Dopo dieci anni, cos’è restato?
Un viso che si sovrappone a quello di un sacco di anni prima, i difetti acuiti dall’allenamento, l’orgoglio di avercela fatta e dimostrare di valere di più.
Ancora di più.
All’esterno degli spogliatoi li raggiungono dagli spalti le grida degli spettatori, la luce abbagliante dei riflettori che li stanno mettendo al centro della vita di sconosciuti, un occhio di bue attento che desidera renderli eroi di una guerra fittizia.
Il Dragone storna lo sguardo per non perdere il profumo di ciò che lo muove in arena, quell’odore di terra bagnata e muschio che pervade le narici, l’infuso del tè verde che Shunrei prepara con attenzione accompagnando il gesto delle mani con un sorriso.
Il Gold Cloth a cosa serve?
A sentirsi il migliore tra quei cento.
A sentirsi il migliore agli occhi di Shunrei.
 
 
*
 
È tempo di tornare.
I Gold Saint che non si trovano ad Atene sono stati nuovamente convocati al Tempio di Grecia.
Il Sommo Sacerdote ha richiesto la loro presenza e non ammetterà defezioni. Da un capo all'altro del mondo, i Gold Saint si muovono in silenzio e ripartono, abbandonando le proprie vite per fare ritorno al dovere, ripercorrendo le linee di un giuramento prestato tanti anni prima, di una battaglia che già hanno combattuto insieme.
Questa sarà solo l'ennesima.
Quanto durerà la loro esistenza?
Saranno così fortunati da vedere l'alba di una nuova Pace?
 

Mu di Aries osserva il Gold Cloth di Shura di Capricorn immerso in un bagno di sangue, mentre il compagno giace privo di coscienza sul giaciglio che gli ha preparato.
“Kiki, dobbiamo fare in fretta. Non abbiamo più così tanto tempo da... be', dobbiamo sbrigarci a riparare il Cloth di Shura.”
“Dovete ripartire?”
“Ripartirà prima di me, lo raggiungerò in un secondo momento. Ho alcune cose da sbrigare ancora. Il mio viaggio è di certo più breve del suo.”
Sorride il Gold Saint, mentre il bambino si teletrasporta da una stanza all'altra alla ricerca degli attrezzi che gli occorrono per riparare il Cloth. È un dono di famiglia, il loro, e sa che un giorno il Cloth di Aries forse sarà suo. Per ora, si limitano a condividere il tetto, un dono speciale e l'amore per il tikkan masala.
 
 
In Brasile è pieno inverno, ma la differenza climatica tra le stagioni è davvero ridicola. Di certo, abituato alla temperatura torrida di Atene, il clima ventilato di Rio è un dono degli déi.
“Cos'è quella faccia scura, Aldebaran?”
Ha sposato Margherita in fretta, tra una guerra e l'altra. Si sono conosciuti durante gli anni dell'addestramento e, da Atene, Aldebaran è tornato soltanto per chiedere la sua mano. Di nuovo in periodo di pace, ha fatto ritorno a casa tra le braccia di chi ama e per accudire suo figlio. È passato troppo poco tempo perché possa già essersi tutto concluso.
“Devo rientrare ad Atene.”
La ragazza fa una smorfia e sbotta. Aldebaran la comprende, ma non può darle giustificazioni. Quando si sono sposati sapevano entrambi che la loro non sarebbe stata una vita normale, nemmeno nell'arco di mille anni.
“Ci lascerai qui? E se dovesse accaderti qualcosa io come...”
“Non accadrà nulla.”
“Non ti credo.”
“Invece si. Lo farai come sempre.”
Le posa un bacio a fior di labbra e la sente cedere a quel contatto, mentre si aggrappa a lui in un abbraccio che gli grida di non partire. Da un uomo definito un gigante non ti aspetti la dolcezza che nemmeno un uomo comune avrebbe.
Margherita non ha mai avuto paura: per questo ha vinto sul mondo intero.
 
 
Milo si culla nella pace di Rodi. Lontano da Atene, abbastanza vicino da tornare in fretta, si gode l'ultimo tramonto immerso nel silenzio di una caletta nascosta. Si chiede si Aiolia si sia mai schiodato dalla capitale negli ultimi anni, poi ricorda che no, non l'avrà di certo fatto. Ha un'allieva da crescere e una colpa – non propria – da espiare. È certo che al Tempio siano rimasti in pochi, solo chi ad Atene ha qualcosa in più da stringere che non sia solo la propria vita. A Rodi Milo ha imparato che si può ricominciare. Quando ne ha parlato a Shaka, questi si è limitato ad annuire ma senza convinzione. Certo, ha cercato l'interlocutore sbagliato, lo sa bene. Shaka è convinto che solo una vita retta e illuminata dai comandamenti del Buddha possa portare a una vita vera, nel Nirvana, da morto. Milo invece vuole prendere la vita di petto, ne ha bisogno per ricordasi che può ancora scegliere, all'occorrenza.
“Milo, posso avere lezioni di latino oggi?”
Thomàs gli si avvicina con i quaderni stretti al petto. Sull'isola, lo conoscono come un uomo di cultura, un mecenate che può permettersi di avere una casa sull'isola e una nella capitale.
“Oggi non posso. Dovrò assentarmi da Rodi per qualche tempo, per cui dovrai impegnarti nei compiti.”
“Ma mia sorella...”
Tua sorella non capirà.
“Puoi salutarla tu per me? Si tratta davvero di un'emergenza.”
Gli arruffa i capelli sul capo, poi volta le spalle a un bambino che l'attende nel tramonto e rientra verso casa.
Già, casa.
Ogni volta restare e poi dover ripartire sembra sempre più difficile.
Quando diventerà anche doloroso, e farà male anche a lui, tradirà il Tempio?
No. Arriverà il giorno in cui il Tempio non avrà più bisogno di nessuno di noi.
Non è così?
 
 
Aphrodite non ha mai lasciato Atene. Tra i bordelli della capitale è facile perdersi, così come tra i suoi vicoli, un po' tutti uguali. Della donna che ha accanto non ricorda il nome, ma non gli interessa. Nell'alcova di un corpo nuovo, inesplorato per lui, ritrova il tepore di una carezza, di un abbandonarsi all'altro. Non gli serve avere una donna al proprio fianco, gli serve che una donna lo veneri quasi fosse un dio. E le puttane lo fanno bene, specie se le paghi profumatamente. Shura non ha mai approvato, ma lui è un sentimentale. Uno di quei ragazzi vecchio stampo che desiderano una casa con una grande biblioteca, una moglie insegnante e cinque figli in scala da ordinare come una piccola squadra.
“Rose?” gli domanda la donna mentre gli sfiora il collo con le labbra, ridisegnandone la curva con il respiro.
“Non ami le rose?”
“È strano sentire questo profumo su un uomo.”
Sarebbe peggio sentirlo su una come te.
La stringe a se con più forza, premendola contro il proprio corpo. Lei sorride e schiude le labbra sulle sue. È un fiore di campo pronto a sbocciare tra le sue dita, pronto a piegarsi al volere delle sue carezze d'amante.
Ma un fiore di campo non potrà mai aspirare a essere una rosa.
Sarà sempre fiore di campo.
 
 
Camus si è spostato in Cecenia dalla Siberia. I paesi che ha attraversato sono lacerati dalla guerra, inchiodati dalla Perestrojka, imbrigliati a un governo centrale che non perdona nulla, tanto meno predisposto ad aiutare i propri cittadini. La Siberia, abbandonata a se stessa, è buona solo per diventare campo di lavoro o essere lasciata nelle mani della malavita locale. Nei paesi più a Nord, semplicemente, si vive già come se si fosse parte della fine del mondo. In Cecenia la religione musulmana obbliga le donne a portare il burqua e questo è qualcosa che Camus non concepisce, perché le donne non hanno bisogno di nascondersi per ricordare di essere devote al proprio marito. Non si è spinto sino in Cecenia per cercare risposte etiche e morali su una religione che non gli appartiene, per cultura e per scelta, ma perché ha seguito le orme di una vecchia storia. Quando Hyōga ha infranto la lastra di ghiaccio che separava Natassia dalla superficie delle acque, ha portato con se un medaglione d'oro contenente la fotografia di una famiglia felice, composta da quattro individui. Quasi obbligato, il suo allievo gli ha raccontato della sua infanzia.
“Non è un'umiliazione questa” l'ha ammonito con aria pacata, come sempre.
“Avere un patrigno appartenente alla criminalità organizzata?”
“E una sorella” puntualizza l'uomo.
“Non so nulla di lei. Non so nemmeno se sia viva ancora. Ci hanno portato in Cecenia e separati pochi giorni dopo. Avevo cinque anni, lei quattro. Forse tre.”
Chiedergli se non ricordasse null’altro sarebbe stato ridicolo. Le condizioni degli orfanotrofi russi sono tali per cui, nella migliore delle ipotesi, se ne esci torturato nello spirito ma abbastanza forte da raggiungere la maggiore età, allora puoi considerarti quasi un eroe.
Camus ha deciso quindi di mettersi sulle tracce della famiglia adottiva di Hyōga, alla ricerca delle sue radici. Trovare sua sorella, se è ancora viva, trovare qualsiasi legame che non sia una madre morta per potergli permettere di diventare un uomo.
Di quelli a cui porti rispetto solo sentendone il nome.
Come Shaka di Virgo.
Come ogni Gold Saint.
 
*
 
Marin e Aiolia attendono dinnanzi alla Quinta Casa. Il Gold Saint di Leo è irrequieto, e il Silver Saint tradisce una certa apprensione che non lo aiuta a placarsi.
“Mia se la caverà se...”
“Non è Mia il problema, Marin.”
Il suo tono è duro e costringe la ragazza a zittirsi. Non vuole ferirla, ma entrambi attendono l'ordine di agire. Sanno che è solo questione di tempo, poi il Sommo Sacerdote disporrà di loro come meglio crede. Ci sarà anche la sua allieva tra i traditori? Se lo domanda alzando lo sguardo sulla volta celeste, chiedendosi se la sua vita sarà per sempre costellata da lutti e tradimenti o se, invece, possa avere anche solo una possibilità di riscatto.
“Non tradirà il Tempio.”
“Non mi interessa sentirmi dire ciò che desidero Marin. Conosco Mia e so cos'ha nel cuore.”
“Ha troppo cuore, forse, ma non è una stupida.”
Come Seiya?
Non è certo colpa di Marin se il suo allievo non ha nemmeno l'intelligenza per comprendere che il Cloth non gli permette di fare ciò che vuole, ma solo ciò che deve.
Ti serve una guerra per capirlo?
“Il Sommo Sacerdote ha richiamato al Tempio i Gold Saint e dato ordine ai presenti di non lasciare Atene.”
“E presto darà ordine ai Silver Saint di partire per Tokyo” aggiunge Marin, già avvertita dagli spostamenti dei compagni e in attesa di ordini diretti.
“Shaina e Argor hanno lasciato il Tempio questa mattina. Mia non può riuscire a fermare ciò che sta accadendo in Giappone da sola. È fuori dalla sua portata, lo sarebbe di chiunque. Sono dieci Bronze Saint, non sarebbe uno scontro alla pari.”
“Potrebbe parlare con Seiya e...”
“Non deve parlare con Seiya, deve agire e basta. Sai cosa significa un confronto tra quei due? Mia deve tornare ad Atene e restarci, è questo il suo posto.”
Marin si volta a guardarlo ed è certo che dietro la maschera lo stia facendo con sguardo di fuoco, ma non gli importa. Un altro traditore in famiglia sarebbe l’ennesima sconfitta e non è certo di saperla gestire, nonostante siano passati sedici anni dall’ultima volta.
“Seiya non è il male, Aiolia. Questo puoi ricordarlo?”
“Ora è un problema. Per noi, per il Tempio, per Athena e per la mia allieva. Può bastare o devo continuare ad aggiungere i motivi per cui più miglia mettiamo tra noi e Seiya e meglio è per tutti?”
“No, ho capito benissimo. Il tuo problema è non avere fiducia nella tua allieva, Aiolia di Leo. Finché la crederai una ragazzina sarai tu il suo primo problema. Io sono certa che ce la farà e tu dovresti fare lo stesso. Parlare, a volte, è sufficiente. Non è necessario colpire per ferire.”
Marin non gli lascia il tempo di replicare, allontanandosi da lui senza dargli ulteriore attenzione. Non la merita, è questa la risposta della compagna.
Aiolia vorrebbe dirle che si sta sbagliando, che lui si fida della ragazzina che ha istruito. Non si fida dell’animo di donna, perché la verità è che i sentimenti non ti permettono di fare il tuo dovere ma di inseguire i tuoi desideri. Non conosce i moti del cuore, non riesce a seguirne i tracciati, le capriole e i dolori. Ha supplicato per non essere coinvolto in guerre in cui il sentimento avrebbe prevalso sulla ragione, ma ora è costretto a fare i conti con un’incognita che lui, uomo d’armi, non ha mai voluto affrontare per paura di essere sconfitto.
Perderai questa battaglia, ragazzina?
 
 
“Non è da te mostrarti lungo la scalinata del Tempio a quest'ora della notte, Death Mask. Quali pensieri ti turbano?”
“È il mio manto naturale, la notte, non il tuo Shaka. La meditazione non riesce a placare il tuo animo?”
“Le voci corrono in fretta, di bocca in bocca. Le energie si stanno muovendo rapidamente, gli eventi incalzano. Dovrei forse fingere di non avvertirne il flusso cambiare? Sei stato in udienza dal Sommo Sacerdote, sai forse qualcosa in più di noi?”
“No, perché dovrei?”
“Non è un caso che ci sia stato chiesto di non lasciare Atene. In Giappone si sta muovendo qualcosa, ma non è il nemico che attendiamo dalla nostra nascita, Death Mask. Questo lo sai anche tu.”
“I Gold Saint sono stati richiamati a proteggere il Tempio. Degli usurpatori si sono appropriati del Gold Cloth di Sagitter e utilizzano i Cloth in scontri che...”
“Cosa ci sarebbe di differente tra gli incontri in arena che si svolgono qui?”
“I Gold Cloth si trasferiscono per ereditarietà, da maestro ad allievo. Nessuno ha mai ottenuto un Gold Cloth in altro modo.”
“Sei ottuso Death Mask e non riesci mai a vedere al di là del tuo raggio d'azione. Quella è la tradizione, ma se non fosse la regola imposta da Athena? O se sul Cloth di Sagitter si stesse muovendo la volontà di Aiolos? Non dimenticare che era stato scelto per essere il nuovo Sacerdote di Atene.”
“Stai mettendo in dubbio la posizione del Sommo Sacerdote?” gli domanda il protettore della Quarta Casa ghignando sinistro.
Basterebbe così poco per tacciare chiunque di tradimento.
“Affatto. Ma ogni Cloth possiede la sua storia, come ben saprai, e la storia si scrive giorno dopo giorno, ricordalo.”
Shaka di Virgo è un conoscitore attento dell’animo umano. Sa cosa si cela dietro l’aria sfacciata del Gold Saint di Cancer, eppure non lo teme. Lo considera un individuo interessante, perché manipola energie molto vicine a un mondo che lui conosce bene, anche se ha un altro nome nella sua cultura. Vuole sapere quanto conosce il saint che gli sta dinnanzi sull’attuale posizione del Tempio, e quanto incrollabile è la sua fede. Death Mask è un fuoco che si scalda in fretta, se ravvivato nei giusti punti.
“Non mettermi tra le labbra parole che non ho proferito. Non sono Aiolos ne Aiolia. L’essere sprovveduto non è segno distintivo del Gold Saint di Virgo.”
Death Mask si arresta e lo fissa attentamente, nello sguardo la luce beffarda di una vittoria che non ha ancora contratto.
“Cosa pensi di quello che sta accadendo?”
“Dovremmo riprendere il Gold Cloth di Sagitter. Quando ritornerà ad Atene potremo attendere di nuovo il segnale di ciò che più temiamo.”
“Temi la guerra Saint di Virgo?” lo sbeffeggia il suo interlocutore, con arroganza.
“Temo la perdita della guerra, Death Mask. Non vi è memoria di una Guerra Sacra vinta dal Grande Tempio e da Athena.”
Temo che tutto si interrompa troppo in fretta e che il mondo precipiti di nuovo in secoli bui di tenebre e dolore.
Nessuno, dall’ultima sconfitta, ha più raggiunto il Nirvana.
 
 
*
 
Seiya cammina a capo chino, le mani affondate nelle tasche dei jeans e lo sguardo cupo. La zona del porto è un nido sicuro, sentirsi a casa nuovamente nonostante Atene sia a un oceano e mezzo di distanza.
“Ehi ma che diavolo…”
Le parole gli muoiono in gola quando l’ombra che si staglia dinnanzi a lui tenta di colpirlo. Non si è accorto che qualcuno lo stesse seguendo – o attendendo – assorto com’era nei propri pensieri, a cercare una scusa per levarsi dal cuore un po’ di senso di colpa. Si sposta di lato appena in tempo per schivare il colpo, portandosi con le spalle al muro dell’edificio che  stava costeggiando.
Sei un idiota, Seiya.
Non riesce a vedere il colpo successivo, quello che si schianta a pochi centimetri dal suo viso contro il muro alle sue spalle che si spacca in due, striato da una venatura che lo percorre dalle fondamenta al tetto.
Avrebbe potuto aprirlo come un panetto di burro, se solo avesse voluto.
“Che… Mia?”
Se non fosse per il riflesso della luna sui lunghi capelli e dal cosmo che ha sprigionato nel tentativo di colpirlo, non avrebbe mai immaginato fosse lei. Indossa un cappello con la visiera che le copre parte del viso e, aiutata dalla notte, forse sperava di non essere riconosciuta.
O forse non te ne fregava proprio nulla?
“Che diavolo ti è saltato in mente?”glielo ringhia contro, senza mezzi termini, avanzando di un paio di passi in modo che non possa svicolare, nonostante sappia che non lo farà.
“Saori…”
“Saori cosa?”
Qualcosa che non è istinto ma semplicemente conoscere la persona che gli sta dinnanzi, gli suggerisce che Mia non mancherà volutamente il bersaglio una seconda volta. 
Poteva colpirlo, ma non l’ha fatto. Perché?
“Mi ha detto che ritroverà Seika!”
“E tu le credi? Dio Seiya sei proprio uno stupido!”
Il tono della voce di Mia è duro, sarcastico, ed enfatizza quell’ultima parola che però – ora – ha un suono differente da tutte le altre volte in cui l’ha apostrofato allo stesso modo.
È disprezzo e a questo Seiya non era preparato.
“Senti, sapevo che te la saresti presa ma cerca di capire. Posso davvero riabbracciare mia sorella.”
“L’ha vista? Ti ha dato le prove di essersi già messa al lavoro? Di avere una pista da seguire?”
No. No. No.
“Io non me la sono presa perché mi hai lasciata come una cretina da sola ad Atene, no, perché dalla persona con cui condividi ogni giorno da dieci anni ti aspetti qualcosa in più dell’essere affidata a un tutore come fossi ancora una mocciosa. Non me la sono presa perché mi hai dimenticata, Seiya, ma perché ti sei rivelato un idiota.”
“Adesso non esagerare…”
Mia gli si avvicina ulteriormente, la distanza di un bacio.
Di uno schiaffo.
Lo fissa negli occhi, senza paura. Non indossa la maschera, ma ammette a se stesso che andarsene in giro per Tokyo a volto coperto le creerebbe forse qualche problema con le forze dell’ordine.
“Mi ha mandata il Tempio.”
È seria come non l’ha mai vista prima e questo lo intimorisce.
“Marin?”
“Il Tempio. Il Sommo Sacerdote, Seiya. Ritirati dalla Guerra Galattica e torna in Grecia, chiedi perdono e spera nella sua clemenza.”
Sembra più dolce ora, quasi gli stesse dando un consiglio.
Mi stai aiutando Mia?
“Sei… sicura?”
Che razza di domanda.
Lei annuisce con il capo allontanandosi da lui, rimettendo la distanza consona tra una sacerdotessa e un saint.
“Tu torni con me?”
Non risponde e riabbassa lo sguardo, stornandolo sulle proprie Converse rovinate.
“Non finché c’è lavoro qui a Tokyo.”
“Che cosa significa? Andiamo, non fare la…”
“Io non faccio, Seiya. Io sono. Tu sei. Siamo Saint e tu ne vai in giro a combattere per una Signora Nessuno per i tuoi scopi personali! Sai come lo chiamano questo, i Gold Saint? Tradimento.”
“Io… io… a me non interessa il Gold Cloth, a me interessa rivedere Seika!”
“Tu stai combattendo ufficialmente per il Gold Cloth di Sagitter. Ma ti sei bevuto il cervello? Lascia il torneo, Seiya.”
“Devi riportare indietro il Gold Cloth? Posso vincerlo e…”
Mia lo guarda sgranando gli occhi, poi scuote il capo sorridendo in modo amaro.
“Sei una causa persa, lo sai? Credevo fossi meno idiota e meno succube di Saori.”
“Non sono succube di nessuno!”
“Credi di non esserlo, ma non è così.”
“E tu per il Tempio cosa sei?”
Una vittima, come chiunque.
“Ho scelto di essere un Saint, proprio come te. Devi accettare che non puoi fare ciò che desideri nel momento in cui ottieni un Cloth. Ma dove hai vissuto gli ultimi dieci anni?”
“Accanto a te, in Grecia, e tu ora sembri un’invasata che non capisce che…”
“Cosa dovrei capire? Dovrei tornare in Grecia e riferire che a te del Gold Cloth non interessa nulla, ma che ti hanno promesso di rivedere tua sorella? Sai cosa accade? Che accuserebbero anche me, di tradimento, oltre a te. Lascia perdere la Guerra Galattica, Seiya, e torna indietro. L’unica cosa che puoi fare è questa.”
“E se non lo faccio?”
“Il Tempio chiederà la tua testa. E sarò io a consegnargliela.”
Seiya boccheggia, ma Mia non ha altro da aggiungere. Vorrebbe sentirsi dire che è uno scherzo, che è tornata per dire a Saori che non parteciperà al torneo e basta, ma sa che Mia non si prenderebbe il disturbo per un’azione del genere.
“Sei tale e quale ad Aiolia. Pronti a puntare il dito senza conoscere i fatti e...”
Mia non gli lascia finire la frase, colpendolo con forza in viso. Uno schiaffo, di quelli che fanno male perché raggiungono prima il cuore, ed è da lì che sale poi il dolore, non dalla guancia arrossata su cui avverte ancora il tocco caldo della sua mano.
“Non un’altra parola, okay?”
Torniamo indietro, ti va?
“Che diavolo… ehi, aspetta!”
Non è riuscito ad afferrarla in tempo, perché l’ha piantato come un idiota e in pochi istanti si è rifugiata in qualche vicolo per non farsi trovare. Si massaggia la guancia, guardandosi attorno circospetto. Mia è sola, di questo ne è certo, ma non comprende perché l’abbia avvertito. Forse è solo una sua preoccupazione, ma non ha parlato di cosa ci faccia davvero a Tokyo.
Forse, ce l’ha solo con me per averla abbandonata.
Nonostante gli piaccia sperarlo, è altrettanto certo che Mia abbia omesso dettagli essenziali e che no, la sua visita non sia legata alla sua improvvisa partenza.
Ma non ne comprende il motivo.
 
 
“Dovresti fare attenzione, quel tuo cosmo quando lo trattieni brucia più di una nova.”
La voce inconfondibile, l’accento secco e duro della lingua greca, la investono come aria gelida, prima ancora che le si pari dinnanzi la figura incappucciata. Si è allontanata da Seiya rapidamente, non appena è riuscita a percepire il cosmo della compagna.
Tu invece fai schifo a celarlo, lo sai?
“Che diavolo ci fai qui, Shaina?”
“Ordini dal Tempio. Credi davvero che il tuo principe azzurro farà ritorno in Grecia?”
“Deve fare ammenda. Se smette di combattere e comprende i propri errori perché non dovrebbe essere perdonato?”
“Sei la solita sentimentale. Il Tempio ha ordini anche per te.”
“Quali sarebbero oltre a quello di tenerli d'occhio?”
“Di tenerci pronti per attaccare. La situazione è critica, e il Sommo Sacerdote non sembra intenzionato ad avere altri traditori intorno.”
Mia stringe i pugni lungo i fianchi. Ancora quella parola, ancora un’onta che in diciassette anni sembra non essere stata lavata via nemmeno dal sangue di mille azioni.
“Quindi non dovrei più monitorare nulla?”
“No, ha una richiesta precisa. Vuole scoprire le reali intenzioni di Saori Kido. Per qualche sconosciuto motivo, il Sommo Sacerdote nutre grandi aspettative su di te. Forse ti sei dimostrata più adatta a indossare il Cloth di quello smidollato muso giallo.”
O forse è perché sa che Saori è la mia sorellastra?
Cerca di tenere a freno i pensieri e il cosmo, e ringrazia che i Saint non sappiano leggersi nel pensiero. Se avesse potuto, avrebbe già cercato di attaccare Shaina ma sa che non è il momento. Una mossa falsa e metterebbe la vita di Seiya nelle mani dell’Ofiuco, e sa che da lì sarebbe messo alla forca in poco meno di una giornata.
Quante possibilità ha di salvarlo?
Considerando ciò che le ha appena detto Shaina, una soltanto, e si è già giocata la carta dell’abbandono dal torneo nella speranza che il messaggio arrivasse a destinazione. Tuttavia, teme che Seiya non consideri la sua richiesta, che non abbia compreso il motivo del suo comportamento ne, tanto meno, che abbia visto un disegno più grande o un pericolo davvero concreto dietro le sue parole.
“Andrò a parlarle.”
“Domani potrebbe già essere tardi.”
“Allora sii più precisa Shaina. Quanto tempo ho a disposizione?”
“Ventiquattro ore. Domani sera, a quest’ora, in questo luogo. Ci sarà il conclave dei Silver Saint. Se Saori Kido non avrà dato risposte che rispecchiano il desiderio del santuario, avremo l’ordine di agire ed eliminare lei e i Bronze Saint, riportando al Tempio il Gold Cloth di Sagitter.”
“E se dovesse rispecchiare il volere del Sommo Sacerdote?”
“Dovrà consegnarti il Gold Cloth di Sagitter e seguirci in Grecia. Il Sommo Sacerdote desidera parlarle e comprendere i motivi della sua eresia e come il Gold Cloth di Sagitter sia finito a Tokyo.”
“In ogni caso, vivi o morti, dovranno seguirci.”
“Esattamente. Cos’è, non ti piace l’idea?”
“No, semplicemente non vedo una grossa differenza tra le due possibilità.”
“Una vita risparmiata credo sia più che sufficiente, non credi?”
Ma a quale prezzo?
 
 
Shun fissa il soffitto di una stanza che non gli appartiene. Ha una stanza privata all'interno della dépendance di Villa Kido, messa a disposizione dei saint in gara per il Gold Cloth di Sagitter. Hanno condiviso quelle stanze, un sacco di anni prima, e ora si ritrova solo ad attendere di poter combattere.
Ikki.
Le mani dietro la nuca, le gambe incrociate come fosse disteso su un prato a lasciarsi baciare dal sole di primavera, si arrovella di pensieri e perde tra i ricordi. Ikki era sempre al suo fianco. Suo fratello l'ha sempre protetto, dagli altri e persino da se stesso. Non gli ha mai chiesto di tirare fuori il coraggio che non possiede, ma di non preoccuparsi perché sarebbe sempre stato al suo fianco. Sono passati dieci anni da quando si sono separati, e di Ikki ha perso le tracce. Accettare di partecipare alle Guerra Galattica era l'unico modo per rivederlo. Si è giocato la sua unica speranza e adesso ha la certezza che suo fratello è vivo. La rassicurazione ha lasciato il posto al desiderio di rivederlo. Perché Ikki non arriva? Non desidera rivederlo? Forse ha nutrito così scarsa fiducia in lui da crederlo morto, decidendo che un viaggio di quel genere non vale la pena. Ma il Gold Cloth?
Ikki lo vorrebbe.
Si strofina gli occhi e cerca di distogliere il pensiero da lui, ma è difficile. Hanno vissuto in due da quando sono nati, due corpi e un'anima soltanto, e quando si sono separati è stato come se gli avessero strappato il cuore. Si gira su un fianco, in modo che la posizione lo distragga, ma è la stessa che utilizzava da bambino, stringendosi a suo fratello per farsi proteggere.
Se te ne vai per me sei morto.
È così che June l'ha lasciato partire, odiandolo. Cosa avrebbe dovuto fare? Sa che non farà ritorno all'isola di Andromeda. Ora che è libero, se Ikki non dovesse presentarsi, vagherà per tutto il mondo pur di ritrovarlo.
Sei un'egoista.
Si, lo è, ma può permetterselo. Conosce June e sa che le sue parole erano dettate dalla rabbia.
Eppure non è andata a salutarlo prima della partenza, ma è certo che con il tempo, June capirà e riuscirà a perdonarlo.
 
 
Jabu ha atteso che milady spegnesse le luci della sua stanza, poi si è disteso a letto. È  certo di poter vincere il prossimo scontro. Shun è il suo avversario, è pavido e un frignone. Anche ora, nonostante suo fratello non sia arrivato se ne sta in disparte, cerca di mettere in accordo tutti quasi si trovassero a una vecchia rimpatriata. Si vede che Shun è un bamboccio che non ha capito nulla. Vorrebbe affrontare Seiya, ridurlo a chiedere pietà in ginocchio per dimostrare chi davvero è il migliore. Mentre affonda pugni all'aria e il sudore gli imperla la fronte, Jabu è certo di vincere. Perché l'unicorno è un animale bellissimo, ma letale.
Proprio come lui.
 
 
*
 
La bruma si è addossata alle pietre, e il mare placido lambisce le coste. Dal promontorio, Saga riesce a scorgere verso l'infinito di una terra che gli apparterrà. Saori Kido non è davvero un problema, ma preferisce che il Gold Cloth faccia ritorno in Grecia e i traditori massacrati. Dietro la maschera d'opale, il ghigno si estende sul suo viso, diretto verso un niente.
Verso te stesso.
Quando tutti sapranno chi è veramente,  chi mai potrà gridare al tradimento? Aiolos?
Quello sciocco. Così coraggioso e devoto da farsi uccidere per una neonata.
Deve ammettere con se stesso che il Saint di  Sagitter non ha avuto paura del fango, del combattimento contro Shura e della morte.
Si, un degno santo di Athena. Ma a cosa è servito?
Dalla rupe, il santuario e le dodici case sono un diadema tra i capelli corvini di una donna addormentata.
E presto, tutto questo sarà mio.
 
 
 
 
 
Note dell'autrice.
Se non siete morti, e vi va di scoprire il volto di Mia, ecco a voi una presentazione della pulzella in versione borghese XD
Se non volete farlo, girate al largo dal link! Mia, Silver Saint di Aglaia

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Capitolo 8
*** Apri gli occhi ***


 
Mu, dal promontorio, osserva il sole fare capolino tra le nubi. Voltarsi verso est significa guardare in faccia un nuovo giorno, un nuovo inizio. Il Jamir è una regione minuscola eppure abbondante di vita. Nell'umiltà delle sue tribù nomadi vi è la forza della vita che prosegue. All'uomo piace perdersi tra i mercati rionali, contrattare per il riso delle popolazioni che vivono a valle e poi risalire lentamente il pendio della montagna e fermarsi a dividere un tozzo di pane con chi gli offrirà un riparo per la notte. Le tribù seguono le stagioni, sfuggono la neve per sopravvivere al freddo e salvare le mandrie. E la vita dei più piccoli. Quando sarà di nuovo primavera torneranno, scenderanno di nuovo verso valle e resteranno là, dove il clima sarà più mite. Non si mischieranno alla gente dei villaggi se non in occasione di mercati e feste religiose. I nomadi non amano la vita dei sedentari, non concepiscono il legame con una terra da cui dipendono totalmente. Un raccolto andato a male segna un inverno di carestia e morte. Il gelo delle alte quote rende le popolazioni dei villaggi propense a restare a valle, dove le temperature sono più miti e i venti meno forti e inclementi. Mu non saprebbe dire quali delle due strade sia quella giusta, ma forse è uno di quei casi in cui entrambe le scelte lo sono.
A volte non c'è nessuno sbaglio, solo la certezza di due ragioni differenti.
“Sei sempre il più mattiniero, Mu.”
La voce alle sue spalle lo riporta alla realtà, a una regione che sta precipitando rapidamente verso l'inverno.
“L'autunno è già finito.”
“In Grecia è ancora estate” ribatte Shura, reggendosi in piedi appoggiandosi allo stipite della porta.
“La peste mi ha consegnato la missiva del Sommo Sacerdote. Mi ha chiesto se poteva provare il Gold Cloth. Mi stupisco dell'educazione che gli stai impartendo, amico mio” lo ammonisce bonariamente, e l'Ariete porta lo sguardo su di lui, scrutandolo con attenzione.
“Kiki ha fretta di crescere. Imparerà a conoscere il prezzo di un Cloth. Come ti senti quest'oggi?”
“In ottima forma direi. Sono persino riuscito a trascinarmi sino qui da solo” sbotta sarcastico il Saint di Capricorn.
“Non mi dirai come hai fatto a ridurti in questo stato, vero?”
“Sei bravo a darti le risposte da solo, Mu di Aries. Non per nulla sei il più saggio tra i Gold Saint.”
“Mi domando cosa ti tormenti. Sei un animale irrequieto e non è nella tua natura cercare lo scontro diretto. Non in un modo tanto sciocco, quanto meno.”
Il padrone di casa indica il Cloth di Capricorn lucidissimo, adagiato nella sua forma caprina all'esterno dell'abitazione.
“È come nuovo. Il sangue che hai versato è stato più che sufficiente per dare nuova vita al tuo Cloth, sottraendola a te. Cerca di non cacciarti nei guai durante il ritorno ad Atene. Non sei in grado di combattere Shura, e anche se fosse uno scontro con un soldatino da quattro soldi potresti avere problemi.”
“Sei sempre così drammatico, Mu.”
Shura si scosta dalla porta e lentamente, zoppicando a causa della ferita riportata alla gamba sinistra, si trascina verso il Cloth. Lo osserva con attenzione, poi vi passa sopra la mano aperta, quasi timoroso, mentre ne accarezza il profilo che brilla come oro sotto i raggi del primo sole.
“È stupendo, proprio come la prima volta che l'ho indossato. Sei bravo Mu” gli dice rivolgendogli un sorriso sincero.
“Non mi interessa essere bravo. Desidero solo fare il mio dovere. Non hai avuto sconti rispetto ad altri Saint, Shura. Il tuo Cloth è rinato grazie al tuo sangue, non a quello di qualcun altro. Cerca di dimostrargli la stessa devozione anche in futuro, prima di ridurlo in frantumi un'altra volta.”
“A te non capitano mai i colpi di testa? Momenti in cui desideri dimenticare chi sei e cosa fai, mischiarti tra le persone comuni e... vivere. Basta poco per sentirsi normali. Confonderti tra le persone che dovresti proteggere.”
Shura sembra parlare a se stesso, o al proprio cloth, e Mu esita alcuni istanti prima di trovare le parole adatte per la risposta che vuole dare al compagno.
“Serve davvero? Resterai sempre Shura di Capricorn, non un ragazzo qualsiasi.”
Perché sei speciale.
“Quando parli come Shaka mi fai una rabbia pazzesca, Mu. Deve essere l'aria rarefatta che respirate qui a darvi di volta il cervello. Sai cosa ti dico? Che una vita possiamo averla anche noi, proprio come ha fatto Aldebaran.”
“E perché tu non l'hai costruita, allora, e persisti a restare ad Atene senza fare mai ritorno a casa?”
Shura stringe i pugni lungo i fianchi, digrignando i denti. Lo colpirebbe, se ne avesse la forza e non avesse la decenza di conoscere il prezzo dell'ospitalità. Una cosa non da tutti, perché Milo di certo non ci avrebbe messo un istante a tentare di spaccargli la faccia e, in caso avesse mancato il bersaglio, sfasciargli la casa.
“Io non ho il coraggio di ricominciare. È più facile vivere la vita di qualcun altro, rispetto alla propria.”
“Continuerai a fuggire in eterno, Shura?”
“Non sono mai fuggito, Mu. Mai.”
Shura si china e guarda il proprio elmo, occhi negli occhi, come se stesse parlando con il proprio Cloth.
Quante cose avete vissuto insieme, che nessuno saprà mai? si domanda Mu osservando il compagno riporre il cloth nel proprio scrigno issandolo sulle spalle.
“È meglio che vada. Detesto i ritardatari.”
Solleva una mano in segno di saluto, mentre Mu lo osserva allontanarsi. Vorrebbe fargli altre mille domande, ma Shura da anni resta in disparte, tra le mura del Tempio a servire fedelmente il Sommo Sacerdote. È un soldato perfetto: al desiderio di una vita comune antepone il dovere di Saint. A una vita che vorrebbe avere, continua a rinunciare. Meno distrazioni hai, più efficiente sarai in battaglia. Aldebaran, però, ha scoperto il fianco ai potenziali nemici. Una moglie e un figlio dall'altra parte del mondo possono esserti portati via in un istante. Perché non ci saranno mai braccia così forti da proteggerli davanti alla crudeltà più spietata.
È per questo, vero?
Hai paura che ti portino via tutto ciò che puoi amare
.
Mu rientra in casa, guardandosi attorno. Tra stoffe pesanti e colorate, ripiegate su se stesse come enormi serpenti, Kiki dorme russando. Allunga una mano verso di lui, sfiorandogli la fronte.
Sarai un saint valoroso.
Il miglior Saint di Aries da quando il Sommo Sion è venuto a mancare.
 
 
*
 
 
Mia si è svegliata all'alba, poco prima che il sole sorgesse. Si è rigirata nel letto diverse volte prima di scendere in strada e correre. Durante gli anni dell'addestramento ha imparato che farlo l'aiuta a scaricare la tensione e rimettere in sesto i nervi. Ha avuto un sonno agitato, nella speranza di trovare una soluzione per salvarli durante il dormiveglia, eppure non c'è stato nemmeno un appiglio che sia venuto in suo soccorso. Il porto di Tokyo non è come quello di Atene. Invaso da pescherecci industriali, i pesci vengono scaricati dalle reti a riva da pesanti ed enormi sollevatori meccanici. Inspira lentamente, sentendo i polmoni bruciarle davanti a una scena a lei familiare, ma da cui traspare la forza di un paese in corsa verso una modernizzazione che acclama a gran voce. È abituata alla vista dei pescatori, di persone che si spaccano le mani con le reti, al sangue che cola mentre un pesce rapido sguscia di nuovo verso il mare, finalmente libero, ferendo con l'amo con il quale è stato catturato il proprio cacciatore.
“È la loro vendetta” gli ha raccontato una volta il vecchio Tobias. Mia era convinta fosse un uomo anziano, ma negli anni ha imparato che sono il mare, la salsedine e il sole a indurire l'uomo, non la terra. Tobias, più di metà della sua vita passata su una barca, le ha sempre raccontato più di quanto le fosse concesso sperare.
“E tu come lo sai?”
“Perché capita spesso. Oppure quando capita che si straccino le reti. Significa che siamo stati ingordi, che abbiamo pescato per troppa avidità. E il mare si riprende così ciò che gli abbiamo rubato in eccesso.”
A Tobias piaceva raccontare storie.
A Tokyo, il meglio che puoi trovare è qualcuno che ti chiede se hai da accendere, come se una città di quelle dimensioni non conoscesse la vita e avesse dimenticato quelle dei suoi abitanti.
Questa non è casa mia.
Lo sa con assoluta certezza perché il ritmo della sua vita è sempre stato scandito dalle ore calde di Atene. Quando non conosci altro, e hai trovato una tua dimensione, staccartene è impossibile.
Mia si piega sulle ginocchia osservando da quella posizione il mare.
Qualcuno la sta seguendo.
È certa di non essere mai stata sola dal momento in cui ha messo piede fuori da casa propria.
Mi seguiranno sino a Villa Kido?
Teme che possa esserci qualcosa di diverso, dagli ordini del Sommo Sacerdote. Qualcosa che potrebbero non averle detto, se Shaina avesse riportato sospetti sul suo incontro con Seiya della notte precedente. Ha già parlato a discapito del ragazzo una volta, quando ha lasciato il Tempio, e potrebbe rifarlo.
Che razza di Saint sei, che non ti fidi dei tuoi compagni?
Io non ho compagni.
Mentre attende di comprendere chi si celi alle sue spalle, si stupisce di quel pensiero schietto. Ad Atene non le hanno insegnato a combattere in gruppo, l'hanno addestrata per ottenere il cloth, per sconfiggere altri come lei. Su chi dovrebbe fare affidamento? Shaina? Perseo? O, perché no, quell'egocentrico di Misty?
Okay, non si mostrerà.
È stata la frazione di un secondo, ma è certa di aver percepito un cosmo potete, nero e minaccioso come il mare durante la tempesta spegnersi in un istante.
“Domani avremo la secca piena di pesci. Chi vuoi abbia paura di una mareggiata?” le ha detto una volta Tobias sorridendo.
Già, chi ha paura del mare?
Solo chi non lo conosce.
 
 
Miho non si aspettava di certo che Seiya l'attendesse fuori dal liceo. Balbetta qualcosa, poi si zittisce quando lui si stacca dalla colonna del cancello principale e le si avvicina con le mani in tasca, i capelli spettinati e un sorriso tutto per lei.
Deglutisce, mentre le sue compagne di classe si danno gomitate tra loro ammiccando al ragazzo.
“Ci vediamo domani, Miho-chan. Buon pomeriggio” e il tono di voce di Rumiko, la sua vicina di banco, lascia il sottinteso di un proseguimento molto interessante, di cui l'indomani dovrà rendere conto alle amiche.
“Sei... è strano vederti in uniforme scolastica.”
“Forse è perché non ne hai mai indossata una” scherza lei sorridendo, squadrandolo con attenzione.
“Ti senti bene?”
Lui annuisce, e di nuovo cala il silenzio tra loro.
“Vai all'orfanotrofio?” le domanda poi esitando.
“Si. Ti va un gelato? C'è un chiosco lungo la strada, è il migliore della zona” gli domanda lei d'impeto. Poi ritratta, perché le sembra che sia davvero un appuntamento preso con l'inganno.
Andiamo Miho, è il tuo amico d'infanzia. Ed è solo un gelato.
“Se non hai altri impegni ed è la stessa direzione che devi prendere, ovviamente” aggiunge, sperando di risultare credibile e non la solita imbranata.
“Certo che si. Volevo riaccompagnarti, per questo sono qui.”
Per questo sei qui?
Fatica a credere sia solo per farle compagnia. Miho non è stupida, per quanto l'aria docile e il temperamento mite la portino a somigliare forse a una figurina bidimensionale.
“Stiamo assistendo alla Guerra Galattica dall'orfanotrofio. Sei sicuro che non sia pericoloso?”
“Non più di quanto lo siano stati gli allenamenti” le risponde Seiya camminando al suo fianco. Miho stringe un po' più forte le maniglie della cartella tra le mani, poi storna lo sguardo su di lui.
“Hai novità su Seika?”
Il ragazzo non risponde, si limita a scuotere il capo in segno di diniego.
“Hai incontrato Mia per caso?” le domanda lui dopo un istante di silenzio. Miho ha giurato di non dire nulla, ma dalla sera in cui si sono viste, dell'amica non ha più avuto notizie. Dovrebbe parlare? Se fosse in difficoltà? Se le fosse accaduto qualcosa? Miho inspira e conta i secondi che passano, divisa tra la menzogna e la verità.
“No. Pensi tornerà?” gli domanda incerta.
“È già tornata, l'ho incontrata ieri sera. Anzi, sarebbe più corretto dire che mi ha trovato lei, e... niente, credevo fosse passata a salutarti.”
Ora vorrebbe dirgli che si, che è tornata e che sta bene. Meglio di lui, a quanto può notare, ma ormai è tardi per ritrattare e di fare la figura della bugiarda non ne ha di certo voglia.
“Avete discusso?”
“Più o meno. Mi ha chiesto di chiudere con la Fondazione Kido.”
“Non mi sembra una richiesta così irragionevole, se consideri quello che state facendo.”
Lui la fissa incredulo, con l'aria di chi non si aspetta quel genere di risposta.
“Immagino sia preoccupata per te, no? Stai rischiando la vita, è normale.”
Seiya cambia espressione e lei non riesce a comprendere se sia rassegnazione o un sospiro di sollievo o, ancora, amarezza.
“Perderei l'opportunità di ritrovare Seika.”
“Sei così certo di avere bisogno di Saori Kido per farlo?”
Seiya non risponde e restano così, sospesi nel silenzio di una passeggiata lungo il viale ricoperto da un tappeto d'oro e cremisi. Miho vorrebbe aggiungere qualcosa, ma non sa esattamente cosa.
“Fragola e cioccolato?” le domanda lui quando si arrestano davanti al chiosco.
Miho annuisce e sorride.
A distanza di dieci anni, Seiya ricorda ancora i suoi gusti preferiti.
“Se dovessi vederla, puoi dirle che la sto cercando? Questo è il mio indirizzo.”
Le porge un biglietto già scritto, su cui ha indicato via e persino un numero di telefono, prima di allontanarsi a comprare due coni gelato.
Allora era solo per questo che sei venuto.
Una vocina crudele, inaspettata, le chiede di buttare quel biglietto e fare finta di nulla. Un'altra, quella amica e che conosce molto bene, le chiede di custodire quel tesoro prezioso sino a quando avrà l’occasione di darlo a Mia.
“Spero di riuscire a parlare prima che...”
... che?
“Che sia troppo tardi per tornare indietro” conclude Seiya.
Miho non comprende per cosa sia troppo tardi. Per fare pace? Hanno litigato così tante volte che nemmeno le conta più quelle in cui ha fatto da paciere perché nessuno dei due ha mai ceduto davvero a una richiesta di scuse. In genere una nottata spazzava via ogni dissapore ma crescendo le dinamiche cambiano.
Che c'entri con la missione di Mia?
Vorrebbe saperne di più, ma il cancello dell'orfanotrofio si staglia dinnanzi a loro e il vociare dei bambini li investe con forza.
“Vuoi fermarti un po'?” gli domanda certa di un rifiuto. Invece Seiya annuisce, e sorridendo sembra lasciarsi alle spalle pensieri troppo pesanti.
Forse spera di trovare lì Mia.
O forse, di trovare solo un po' di pace.
 
*
 
Milo di Scorpio è il primo a rientrare ad Atene. Riluttante, ha lasciato Rodi ed è tornato a proteggere la Ottava Casa. Osserva il Tempio ergersi maestoso sulle dodici case, silenzioso e polveroso come una vecchia biblioteca abbandonata. Un po' come l'intera scalinata, se si considerano gli anni di pace che sono trascorsi dall'ultima guerra.
“Non credevo avessi così fretta di tornare.”
Il sorriso di Aiolia lo coglie di sorpresa. Odia la cordialità dell'amico così come ne apprezza la compagnia. Preso tra due fuochi, Milo è sempre stato in stretti rapporti con Aiolia e Aiolos. Dell'amico scomparso il fratello minore porta il coraggio, ma non il temperamento, ben più vicino all'indole focosa che contraddistingue anche lui. Per questo mille e una volta Aiolos li ha rimproverati, ripresi e poi messi in punizione. Uno dei motivi che l'hanno spinto lontano dalla capitale greca è anche questo: vedere quello che era un esempio da seguire gettato nella polvere, macchiato dall'onta del tradimento.
Nessuno ha mai insegnato loro dove finiscono gli eroi che cadono nell’oblio. Nessuno si sarebbe aspettato che accadesse.
“Infatti non ne avevo nessuna voglia” conferma Milo sistemando il mantello sull'armatura, mentre la fibbia si scosta lasciandolo cadere di lato, sulla spalla destra.
“Quanto detesto questo affare... dovrebbero evitare di farci indossare anche il mantello. Sai a cosa serve? A nulla, è solo d'impiccio.”
“Sbaglio o qualcosa ti ha infastidito?”
“Essere richiamato ad Atene senza conoscerne il motivo lo ritengo di base più che sufficiente per irritarmi. Puoi dirmi qualcosa di più dato che non ti sei mosso di qui negli ultimi... dieci anni?”
Aiolia sorride puntellandosi alla colonna dell'ingresso, le braccia conserte in petto.
“Non cambi mai. Rodi com'è?”
“Rodi è bellissima, che razza di domande. Ti pare che io possa vivere in una fogna a cielo aperto?”
“Mi piacerebbe visitarla, sai?”
Una frazione di secondo e il Saint di Scorpio è a pochi millimetri dal compagno, la cuspide sfoderata e pronta a mietere la sua prima vittima dopo gli anni di pensionamento anticipato sull’isola greca. Aiolia sa esattamente come fargli perdere le staffe e, dettaglio non trascurabile, conosce anche la sua proverbiale impazienza.
“Ora, di grazia, o mi dici perché sono stato richiamato al Tempio, o ti strappo gli occhi e il cuore. Devo sgranchirmi le ossa, comprendimi” e sul suo volto compare un sorriso sarcastico.
“Siamo stati convocati tutti. Il Sommo Sacerdote teme un attacco da parte dei Bronze Saint e di una ragazza giapponese.”
“Noi siamo in subbuglio per un manipolo di traditori di serie C?” domanda lui ritraendosi e roteando gli occhi verso il tempio con fare esasperato.
“Possiedono il Gold Cloth di Sagitter. I Silver Saint sono già a Tokyo. Immagino ci voglia semplicemente pronti, nulla più.”
“E tu sei tranquillo?”
“Penso risolveranno la questione in Giappone senza portare la guerra in Grecia.”
“Quindi dovrò prepararmi a combattere” ribatte con ironia Milo. Aiolia è un ottimista di natura, uno di quegli uomini che non perdono mai la speranza. Lui, invece, è l'esatto opposto, schiacciato sotto metri di pessimismo e diffidenza verso le nuove leve.
“Il Sommo Sacerdote ti sta aspettando per caso?” e Aiolia indica con un cenno del capo l'amico, vestito di tutto punto.
“Si, ma dato che mi hai già detto tutto tu vorrei sapere cosa aggiungerà alla misera questione. Se voleva fare in fretta poteva mandare qualcuno di noi, no?”
“Noi serviamo ad Atene, lo sai anche tu.”
“E ci lasciano in congedo in giro per il mondo? Mi sembra poco credibile” confessa scettico lo Scorpione. Da quando hanno preso l'investitura non si sente bisbigliare di altro che non sia la Guerra Sacra e quel sigillo che vacilla ma ancora ha la forza sufficiente per tenere imprigionato il principale nemico di Athena.
“Senza di lei come potremmo vincere?” domanda poi stornando lo sguardo verso il tempio, al cui interno si erge maestosa la statua della dea.
“Abbi fede.”
“L'ho persa sedici anni fa, Aiolia.”
Il Leone lo fissa, ma non dice nulla. Si guardano per alcuni istanti poi Milo si allontana, dirigendosi verso le stanze private del Sommo Sacerdote.
 
 
*
 
Villa Kido è come la ricordava: un polmone verde immerso tra le strade intricate di Tokyo. Il taxi l'ha lasciata davanti al cancello che le fa lo stesso effetto di quando era bambina: lugubre, imponente, altissimo. All'epoca le sembravano le sbarre di una prigione immensa, ora quelle di una gabbia per uccelli e topi. La sicurezza non permette a nessuno di accedere alla villa, a meno che non abbia un pass della Fondazione. Mia si avvicina all'uomo di guardia ed estrae dalla tasca dei jeans l'invito alla Guerra Galattica che ha trovato allegato alla missiva da qualche segretaria o Tatsumi. L'uomo osserva la lettera, le lancia un'ultima occhiata, poi finalmente parla con qualcuno all'interfono.
“Può entrare signorina Kido. È un piacere rivederla.”
Mia non risponde e si addentra nel cortile. È sempre tutto immenso, qualsiasi cosa abbia a che fare con Saori è in scala dieci a uno rispetto al normale. Più avanza, più una morsa di pura angoscia le attanaglia lo stomaco. Cosa le dirà? Come sarà trovarsi faccia a faccia e provare lo stesso odio di dieci anni prima?
Di Villa Kido ricorda lezioni di galateo, tutori severi e bacchettoni, la freddezza di Mitsumasa Kido e quell'essere sempre la seconda. Non ha mai agognato un posto nel cuore del vecchio, né ha mai tentato di accaparrarselo con moine e cenni di sottomissione, tuttavia è lampante quanto la differenza tra lei e Saori sia sempre stata sotto gli occhi di chiunque. Lasciarsi tutto alle spalle e desiderare di partire, provare a essere qualcuno, qualcosa che non fosse stato scelto da altri. Se dovesse guardarsi allo specchio, non è certa di vedere il riflesso di ciò che desiderava essere, ma è, e questo le basta.
Non è il prodotto di nessuno.
Solo di se stessa.
 
 
Shaina non ha perso di vista Seiya un solo istante. È la sua preda, il suo bottino di guerra. Vorrebbe essere lei a portare al Tempio la sua testa per lavare l'onta subita. L'ha osservato passeggiare ridendo con quella ragazza banale, mentre giocava all'orfanotrofio e un po' si è sentita morire, quando si è lasciato colpire da quei bambini fingendo di aver perso un combattimento. Ha atteso, poi l'ha seguito verso casa sua. Non è riuscita a scoprire dove si nasconda Mia, ma sa che può trovarla molto facilmente: basterebbe colpire Seiya. In ogni caso, il  Silver Saint di Aglaia non ha dato adito a dubbi sulla fedeltà al Tempio, a differenza di quel muso giallo.
Shaina, inginocchiata sul tetto della bassa abitazione, osserva il cielo che si spacca in un tramonto dai toni rosa che stemperano già in indaco. Dall'appartamento ode alcuni accordi di chitarra, dapprima stonati, poi aggraziati. È una melodia delicata e immagina le dita che sfiorano le corde, mentre alcune parole, senza apparente senso, vengono accostate a un accordo sbagliato. Shaina detesta la musica e prefMistyce il cinema, ma ammette che questa non è niente male. Si sporge un poco, si sforza di seguire la linea di quelle note che salgono verso il cielo, poi riesce a riconoscere la voce di Seiya.
Ti odio.
Ti odio.
Ti odio con tutta me stessa.
Shaina si ritrae, addossandosi al comignolo. Si lascia scivolare a sedere, appoggiandovi la schiena, osservando Venere spuntare tra le nubi.
È tutta colpa tua, vero?
Si toglie la maschera posandola accanto a se e si mette in ascolto, cuore e testa, di quelle parole, che non sono né greco né giapponese, per quel poco che conosce della lingua del muso giallo.
Eppure, nonostante non ne capisca il significato, è certa che quella che sta raccontando Seiya sia una storia tristissima.
 
 
“Mia accomodati, sono felice di vederti.”
Saori non muove un passo verso Mia che resta sulla difensiva, sulla porta dello studio a cui l'ha accompagnata Tatsumi. La squadra con attenzione, il corpo acerbo e tonico, le efelidi che le puntellano il viso, lo sguardo nascosto sotto un berretto con la visiera e i lunghissimi capelli che le sfiorano la vita.
Non sei come me, non lo sarai mai.
“Non credevo avresti accettato il mio invito” prosegue con fare cordiale, sorridendole. Spera in un cedimento, in un cambiamento che sa non essere avvenuto nonostante il tempo passato lontane.
Sono passati dieci anni, dopotutto, perché odiare qualcosa che avresti potuto dimenticare senza problemi?
“Non l'ho accettato infatti.”
Mia, in piedi davanti a lei, la fissa senza staccarle gli occhi di dosso, a separarle il divano su cui si è rifiutata di sedere per dimostrarle che resterà solo pochi minuti.
Per quale motivo?
“Allora perché sei tornata?”
“Per chiederti di interrompere la Guerra Galattica. Il Gold Cloth non ti appartiene, così come non ti appartengono le vite dei Bronze Saint.”
Saori sorride con fare sarcastico. All'esterno, il suo è il sorriso di scherno di una donna fredda e senza sentimenti, ma a lei non importa.
Se credono tu sia inattaccabile nessuno cercherà di ferirti.
“Il Gold Cloth è stato donato al nonno. Se fossi rimasta...”
“Il Gold Cloth di Sagitter deve tornare al Tempio di Grecia.”
“No, resterà qui e verrà dato in premio al miglior Saint che...”
“Tu non ti rendi conto di cosa stai portando avanti, Saori!”
Osserva Mia, e per un istante non comprende ciò che le sta dicendo, se stia cercando di aiutarla o di intimorirla. Ha alzato la voce e non si è fermata, né ha cercato di trattenersi. In Grecia di certo ha perso quel poco di buona educazione che aveva appreso.
“Vuoi una tazza di tea?” le domanda affabile.
“No, voglio che mi ascolti. Il Tempio non resterà a guardare questa eresia. Chiudi qui il progetto e non ci saranno ripercussioni. Continua e ti troverai alle costole i sicari del Sommo Sacerdote pronti a uccidere te e ogni Bronze Saint al tuo fianco.”
“Perché dovrei?”
“Perché lo fai?”
“Era il volere del nonno.”
“Quello di farti morire prima della maggiore età? Non era da lui. Avrebbe voluto vederti felice e tutta intera sino alla fine dei tempi.”
Non le sfugge il suo tono sarcastico, ma sorvola e prefMistyce andare oltre perché lei è superiore agli istMistymi di sua... sorella.
“Desiderava radunare i ragazzi inviati all'addestramento e offrire loro un compenso.”
Mia non riesce a trattenere una risata, poi torna seria e la fissa con attenzione.
“Tu cosa sai esattamente del Tempio e dei Saint di Athena?”
“Tutto quello che occorre” puntualizza lei, infastidita. Odia essere contraddetta o, come in questo caso, trattata come una sciocca qualunque.
“Quanti ne avete mandati a morire?”
Saori resta in silenzio a una domanda a cui qualsiasi risposta sarebbe fuori luogo, soprattutto quella vera.
“I Gold Cloth non se ne vanno in giro da soli. Sono cresciuta in Grecia, conosco le regole del mio mondo. L'unico modo per cui possa averlo la Fondazione Kido è averlo rubato. Non sono affari che ti riguardano e questa faccenda deve chiudersi. Hai fatto ammazzare novanta innocenti per cosa? Per realizzare un torneo per appagare i capricci di Mitsumasa Kido anche da morto?”
“Non ti permetto di proseguire oltre. Non continuerai a gettare fango sul nonno. Lui ti voleva bene.”
Saori si alza in piedi posando la tazza di tea ancora fumante sul tavolino dinnanzi a lei, infastidita.
“Risparmiati l'arringa in difesa del vecchio. Non me ne importava nulla da vivo, non me ne importa da morto. Cedi Saori, o non ci sarà futuro né pér te né per quei poveri disgraziati che hai adescato.”
“Hanno accettato di loro spontanea volontà.”
“Come Seiya?” le domanda a bruciapelo.
Si sono incontrati allora?
“Io posso aiutarlo.”
“Saori tu non aiuti altri che te stessa, non scherziamo.”
“Perché continui a odiarmi?”
“Perché sei la stessa di dieci anni fa.”
“Anche tu.”
“Allora non dovresti stupirti. Io ti ho avvertita. Se continuerai ti troverai il Tempio addosso.”
“Avrò i Bronze Saint.”
“Verrete annientati.”
“E sarai tu a farlo?” le domanda in tono di scherno, convinta che la ragazza non possa fare nulla, finché al suo fianco avrà Seiya.
Ma sarà davvero disposto a combattere per lei contro Mia?
La ragazza china il capo, poi le volta le spalle per uscire dalla stanza. Saori riflette sul da farsi, se fermarla o lasciarla andare una volta per tutte, e qualcosa le dice che non può fingere per sempre.
Che qualcuno, prima o poi, la verità dovrà conoscerla.
Saori non vuole trattenere oltre una ragazza che non l'apprezzerà mai, che non le darà mai l'occasione per farsi conoscere. Una ragazzina che avrebbe potuto essere la sua migliore alleata invece è la sua principale nemica.
Athena scalpita.
Rivuole i suoi Saint al proprio fianco, e non le interessa se la vita del suo involucro di carne ha dubbi al riguardo.
Decine di volte l'ha messa a tacere, decine di volte Athena ha deciso che non era il momento.
Non ancora, sino a questo istante.
Sguscia fuori, e Saori la lascia fare.
Sconfitta.
 
 
Mia si arresta sulla porta, paralizzata.
Alle sue spalle un cosmo immenso l'ha costretta a calcolare la potenza del suo nemico. Non ha mai avvertito nulla di simile provenire da nessuno dei Gold Saint, nemmeno dal Sommo Sacerdote. Non può sconfiggerlo, chiunque esso sia.
Che il Tempio abbia già inviato i suoi sicari per sconfiggere una sola ragazza e dieci Bronze Saint?
Deve essere un insieme di cosmi molto forti, di certo non quelli dei Silver Saint già arrivati a Tokyo.
Afferra il pomello della porta esitando sul da farsi, e il cosmo l'avvolge, cingendole le spalle e posandosi sul suo cuore.
Cosa...
Non andare.
È un contatto caldo e mite. Mia, l'abbraccio di sua madre, ha sempre immaginato fosse così. Che qualcuno si stia prendendo gioco di lei? Prova a muoversi, ma quell'energia la trattiene, la stringe con più forza, ma senza farle male.
Chi sei?
Non ha davvero bisogno di conoscere la risposta, perché le lacrime che hanno preso a sgorgare a tradimento sono l'esternazione di ciò che il suo animo ha già appreso. Si sfrega il viso, impotente davanti alla dolcezza di quell'incontro inaspettato.
Impotente davanti alla vita.
Davanti alla sua dea.
“So che non mi ascolterai come Saori Kido. Accetterai di farlo come Athena?”
Mia deglutisce e china il capo, mentre il cosmo si allontana da lei e scompare.
“Ho qualche altra scelta?”
Si volta e torna a fissare sua sorella: no, Saori non può essere davvero Athena.
Eppure, i dubbi che può avere al riguardo sono davvero nulli.
E adesso?
 
 
*
 
 
Milo detesta tornare ad Atene, soprattutto se la prima persona che gli si para dinnanzi è Aiolia. Rodi gli concede la tranquillità che la capitale non gli restituirà mai. Raramente è tornato, e quando l'ha fatto ha passato con il Saint di Leo pochissimo tempo. Vedergli negli occhi l'ombra di una colpa che non gli appartiene l'ha sempre mandato in bestia. Tre anni prima, l'ultima volta che si sono visti, sono venuti alle mani. Si sono menati in modo pesante. Aiolia ha un gancio micidiale, glielo deve riconoscere, ma non per questo gli ha permesso di averla vinta. Sono stati cacciati dal locale dopo aver distrutto un paio di tavoli e alcune sedie. Se deve essere sincero, non ricorda esattamente di cosa stessero parlando. È certo che fosse stato tutto un pretesto, quello per cui si erano azzuffati: ricordare il motivo reale, è sin troppo semplice. Mentre avanza lungo la scalinata, Milo si sofferma a guardare il tempio dormire sul fianco del promontorio, il mare una distesa di oro liquido che offusca la vista.
“Non sarà nulla di buono” brontola tra se mentre avanza con lentezza, cercando di prendere tempo. Non ama le udienze private. Stare lontano da Atene gli ha permesso di riscoprire la vita, dismettere i panni del Saint e la formalità marziale in favore della tranquillità della lettura in compagnia del buon vino. Milo, nonostante tutto, ama essere un Saint. Tra i più forti e determinati, combattere per lo Scorpione è una missione. Combatte battaglie ideologiche quando è lontano da Atene, nella capitale lo fa al servizio di una dea di cui nessuno sa nulla.
Si, forse le sue sono entrambe battaglie ideologiche.
Utopista.
 
 
*
 
 
Saori le volta le spalle, osservando l'esterno di Villa Kido stendersi sotto i propri occhi.
È arrivato il momento, si dice.
Mia tiene le mani in grembo ma non distoglie lo sguardo da sua sorella. Deglutisce, e non sa  cosa attendersi, perché la vita ha appena deciso di virare tutto a sinistra, sbalzandola quasi fuori dalla barca.
Perché proprio tu?
“Il nonno era in viaggio ad Atene per lavoro. Una notte, lungo i vicoli dell'Acropoli, ha incontrato un ragazzo in fin di vita. Era stato colpito a morte, il corpo ricoperto di ferite. Teneva tra le braccia una neonata e sulle spalle il Cloth di Sagitter.”
Aiolos?
“Gli disse che quella creatura inerme era la reincarnazione della dea Athena sulla terra, rinata per proteggere l'umanità da imminenti pericoli. Qualcuno, però, aveva tentato di ucciderla. L'affidò al nonno poco prima di morire, chiedendogli di prendersi cura di lei sino a quando Athena non fosse stata sufficientemente grande per... poter combattere.”
Mia sbatte le palpebre tra loro, le unghie che affondano nella carne dei palmi sino a farle sentire il sangue affiorare in superficie. In qualche modo deve mantenere saldo il contatto con la realtà, perché ora le cose non sono più come le conosceva lei.
“E io cosa c'entro con voi?”
Glielo domanda a bruciapelo perché, in fondo, è ciò che ha sempre voluto sapere. Saori non le risponde subito, lascia passare alcuni istanti e la guarda negli occhi, senza timore.
Sei davvero Athena?
“Il nonno desiderava che qualcuno prendesse il suo posto alla Fondazione. E io... io non avrei potuto farlo all'infinito. Per questo, quando ti ha vista, ha deciso che saresti stata la degna erede dei Kido, prendendone il comando quando non ci saremmo più stati. Non credeva saresti partita. Per te aveva altri progetti. Inserirti in società, insegnarti come si guida la Fondazione e renderla, in qualche modo, una zona di protezione per i Saint e Athena. Avresti dovuto servire Athena da qui, con ogni mezzo. Sperava di poter fare di più, oltre a proteggermi per sedici anni.”
Mia boccheggia, e non sa se sentirsi stupida, se arrabbiarsi o semplicemente arrendersi all'evidenza.
In qualsiasi modo fosse andata, il suo destino e quello di Saori sarebbero stati legati.
“Credevo tornassi molto prima, sai? Il nonno non ti ha mai cercata, né ha tentato di venirti a prendere. Diceva che, in un modo o nell'altro, avresti servito Athena. Si rammaricava solo di non averti messa al corrente della verità. Pensava che questo avrebbe potuto farti cambiare idea e risparmiarti la partenza.”
Non ci credo.
“Non inizierò a volergli bene ora, Saori.”
Ora parla con lei, con la ragazza che è stata sua sorella per un periodo brevissimo, in cui hanno imparato solo a odiarsi.
“Non lo pretendo. So che non cambierai idea nemmeno su di me, se per questo. Sei un ottimo Saint, di questo ne sono certa.”
“Non iniziare, ti prego... detesto i falsi elogi.”
“Ho raccolto sufficienti notizie su tutti voi, Mia. La Fondazione ha fatto anche questo, durante gli ultimi dieci anni. Cosa pensi di fare, ora?”
“Io? Dovresti dirmi tu cosa pensi di fare. Il tuo posto è al Tempio di Atene.”
“Non tornerò in Grecia. Io resto a Tokyo.”
“Hai paura tentino di ucciderti di nuovo?”
Saori annuisce debolmente con il capo, e storna di nuovo lo sguardo sul parco della villa. Fa meno male che guardarsi negli occhi e sentirsi vulnerabili.
“Nessuno potrà affermare che tu non sei Athena.”
“Non voglio che i Bronze Saint lo sappiano, per ora. Desidero tu mantenga il riserbo.”
“Che diavolo ti salta in mente? Hai bisogno di loro Saori. Chiudi la Guerra Galattica, perché il Tempio ha già gli occhi puntati su di te ed è pronto a eliminarti senza troppi problemi. Stai rischiando inutilmente.”
“Desidero che il Cloth di Sagitter abbia un nuovo Saint. Glielo devo.”
“Ti stai comportando da stupida.”
“Ti ho chiesto cosa farai ora e non mi hai ancora risposto.”
Mia sospira, e vorrebbe avere un'altra risposta, invece non ne trova di migliori.
“Non lo so. Ci sarà un Concilio con i Silver Saint in cui dovrò cercare di districarmi per non farmi ammazzare e temporeggiare perché tu non vuoi interrompere la Guerra Galattica.”
“Allora lascia che si svolgano solo gli incontri di questa sera. Saranno gli ultimi.”
“E poi?”
“E poi non lo so, troverò una soluzione.”
“Sei costretta a tornare in Grecia e rivelare al Tempio che sei Athena. Non potrai fingere né scappare in eterno dal tuo destino, Saori.”
“Tu come l'hai accettato?”
Mia si sorprende di quella domanda, poi abbozza un sorriso.
“Non so se l'ho davvero accettato. Ma quando ho indossato il Cloth per la prima volta ho capito che so fare solo questo. Che nella vita sono questo. E che forse è così che mi sento davvero completa.”
Mancava solo una dea da difendere ed eccoti. Non eri come ti ho immaginata, sai?
“Ora, se non ti spiace...”
Mia si alza in piedi e si congeda da Saori. Si guardano per un ultimo istante, circospette.
Come sarà la vita da questo momento in poi?
“Mia il tuo posto alla Fondazione Kido è ancora vacante. Se decidessi di tornare, puoi farlo.”
“Non è la vita che ho scelto.”
Mi dispiace.
 

    




Note dell'autrice.
Dopo la segnalazione di Francine (grazie cara!) ho eliminato la scena in cui MarySueMia faceva sfoggio dei suoi superpoteri.
La scena non aveva convinto nemmeno me, per cui ho preferito eliminarla senza tanti fronzoli.
Insomma, non reggeva proprio.
Come sempre, siete i lettori migliori del mondo (^^)

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Capitolo 9
*** La guerra delle rose ***


Le rose gli sono sempre piaciute, forse perché non c'è mai stato un momento della sua vita in cui non ci fossero. Sono bellissime ed effimere, come la vita.
Per questo le ama con la stessa passione: da entrambe vuole trarre il massimo piacere nell'istante di piena fioritura, prima che avvizziscano lasciando il passo alla vecchiaia. Una volta Shura l'ha canzonato per questa sua passione, ma non gliene è mai importato molto: il Saint di Capricorn non capisce nulla di fiori perché non ha mai saputo conoscere una donna.
Delle rose ama soprattutto il profumo intenso e pesante, che ti stordisce se troppo t'avvicini.
Un fiore bellissimo che può ferire.
Proprio come lui. 
La prima volta che ha messo piede nel roseto della Dodicesima Casa è svenuto, perché quell'odore gli ricordava la morte, non la vita. Sua madre era stata seppellita circondata dalle rose. Bianche, erano ovunque e adornavano ogni cosa: il suo vestito, una corona a stringerle sul capo il velo nuziale, un bouquet che non l'avrebbe mai accompagnata all'altare. Poi ha imparato a fare suo il richiamo di una bellezza che sembra non sfiorire nell'attimo in cui la stai osservando e ha conosciuto la crudeltà della puntura di un ago, di una stilettata al cuore. All'epoca erano giorni spensierati, quando l'allenamento era si duro, ma gratificante. Dopo, era arrivata la scoperta della guerra, quando le rose si erano fatte d'improvviso nere nel pieno del meriggio di agosto, quasi stessero marcendo sui propri steli. Dopo, era tornato tutto come prima, ma le nottate a nuotare al chiaro di luna nelle calle erano state spazzate via da altro studio, altri piaceri.
Quando la guerra bussa alla tua porta puoi rifiutarti di combattere oppure scendere in campo.
Quando la morte ti si affianca capisci quale grande dono sia la vita.
Aphrodite ha scelto di combattere accanto alla vita, per questo non cederà il passo alla morte. Non prima, almeno, di aver vissuto a pieno ciò che gli è stato concesso dal destino.
D'altra parte solo una rosa e una farfalla possono comprendere il significato della caducità a cui l'uomo è sottoposto.

 

"Il viaggio di ritorno non è stato dei migliori, o sbaglio?"
Il Saint di Pisces squadra con attenzione l'amico, che claudicante sta risalendo la scalinata che porta alla Decima Casa.
"Nessuna notizia da Camus?" domanda Shura eludendo la sua domanda, indicando l'Undicesima dimora da cui non giungono segni di vita.
“È tra i Gold Saint non ancora rientrati. Non mi hai risposto" rimbecca affiancandosi a lui e proseguendo la salita insieme al compagno.
"Sei di ritorno da uno dei tuoi soliti bordelli? Puzzi di vino e... bah, Aphrodite" e non termina la frase, scuotendo il capo incredulo. Nonostante siano diametralmente opposti sul piano etico, ciò che li accomuna è un morboso attaccamento alla vita, il piacere sottile che li induce a perdersi a osservare quella degli altri mentre la loro resta sempre fissa nel medesimo punto, in attesa.
"Al Sommo Sacerdote non da problemi, non vedo perché debba darne a te" sottolinea provocandolo.
"Al Tempio bastano fedeltà indefessa e Saint pronti a combattere rinunciando a tutto. Quando hai queste due caratteristiche il resto ha poca importanza" prosegue il Saint della Dodicesima Casa concludendo asciutto.
"Sei dissoluto" rimbecca Shura in tono di disapprovazione.
"Sei un guerrafondaio, persino peggio di Milo. Vivo, mentre tu continui a esistere barcamenandoti tra il voler fare e il non osare. A preferire di stare accanto alla morte anziché alla vita. Non ti prenderà prima solo perché la corteggi smanioso."
"Sai benissimo che non è così" si giustifica Shura salendo l'ennesimo gradino. La coscia inizia a fargli male, la ferita a pulsare in modo violento. Spera di riuscire a raggiungere la scalinata principale e lasciarsi morire - letteralmente - su un letto comodo. Nel caso, qualche settimana - anno? - di letargo farebbero al caso suo. È stanco di combattere, di attendere. Sono a un passo dalla guerra da sempre, sfiancati e sfibrati come se fossero in procinto di saltare da anni, i muscoli tesi ormai indolenziti e inermi. Anche il cuore, ormai, è ridotto a un battito lento e stanco, che si trascina avanti in attesa che qualcosa lo scuota. Non sono servite le missioni suicide, i combattimenti a mani nude, per ricordare cosa sia davvero la vita.
Il tradimento è una macchina che ingoia ogni cosa, ogni aspettativa.
Quando per primo tradisci ti attenderai dal prossimo lo stesso trattamento. Sempre.
Quando perdi fiducia cosa ti resta?
"A ogni modo, fatti rimettere a posto quella gamba. Non andrai lontano in quelle condizioni."
"Fa fatica a rimarginare. Nulla che un po' di riposo non possa fare."
"Se lo dici tu."
Aphrodite non lo aiuta. La risalita è lenta e faticosa, specie se corri contro corrente. L'orgoglio del Capricorno, lo sanno bene entrambi, è un muro contro cui combattere è del tutto inutile. Anche volendo, il Saint della Dodicesima Casa sarà solo una presenza scomoda, che ti culla nel dubbio strappandoti dall'ovatta delle tue certezze.
Non ti offrirà mai una mano per la risalita.
Quella, è una forza che ognuno deve trovare dentro di se.

 

*

 

I piedi l'hanno riportata lì, davanti ai cancelli spalancati di un orfanotrofio che è sinonimo di casa, come Atene. Osserva il cortile deserto, le ombre della sera che si allungano sul selciato, e ricorda quanto le facevano paura da bambina. Adesso le zone di terrore sono nella sua vita, annidate lì, tra le scapole, a portare il peso di un errore fatto un sacco di anni prima. Se non avesse scelto di partire per la Grecia sarebbe cambiato davvero qualcosa? L’avrebbero tenuta a Villa Kido e trasformata nella marionetta di Mitsumasa e Saori. Almeno lei ha potuto scegliere di servire Athena anche se poi Athena si è reincarnata nella persona sbagliata
Mia osserva il giardino deserto, le luci già accese all’interno dell’edificio, là dove si trova il refettorio. Ricorda le volte in cui le sue zucchine sono finite nel piatto di Seiya che, riluttante, le ha mangiate per entrambi. Le nottate spese tra le lenzuola insieme a Miho, intente a contare le stelle e a sognare un principe che dormiva nella stanza accanto. Poi era arrivato Mitsumasa Kido e se li era portati via, li aveva tenuti alla villa il tempo per capire se erano adatti, se avessero la giusta tempra per fare ritorno. La chiave sta proprio lì, nel momento in cui hanno abbandonato per sempre l’orfanotrofio. In quel momento è finita anche la loro infanzia.
Il dopo ha poco senso condannarlo: tutto, in ogni caso, avrebbe preso quella piega.
Forse aveva ragione Shaina quando le parlava dell’ineluttabilità del destino racchiusa in quella condanna che si chiama Cloth, un testamento vecchio di millenni. Avrebbe servito Athena comunque. Tanto vale aver scelto di farlo, no? 
Già, scegliere: lei ha potuto farlo, ma Saori?
Per un istante, tra le ombre della sera, si chiede come si sia sentita a scoprire di non essere una ragazza qualunque, essere dea e dismettere i panni della vita che ha vissuto sino a pochi istanti prima. Lei non ha mai conosciuto altro, difficile fare paragoni con qualcosa che non hai mai provato. Ma Saori?
Tu come ti senti?
È con le domande sbagliate che si avvicina all’ingresso, cercando una risposta negli occhi innocenti di chi non l'ha mai tradita né lo farà mai.
Guardando con il cuore di chi non sa odiare, ma solo perdonare.
Vorrei essere come te, Miho.
Bussa alla porta poi si toglie le scarpe ed entra. Viene investita dal profumo del pane nel forno, dal tepore accogliente di un’atmosfera famigliare che le scalda il cuore. Anche Atene è così, caotica ma assonnata e sempre un po’ stanca, mentre si lascia scaldare dal sole di mezzogiorno. A Villa Kido è tutto sterile e freddo, austero e impersonale, nonostante Saori si sia convinta che quelle suppellettili antiche e i mobili tirati a lucido di qualche epoca lontana siano sinonimo di casa.
“Ehi, tu chi sei?” la voce che la coglie alla sprovvista la fa sussultare, come se fosse una ladra o una guardona.
“Ehm… sono Mia, cercavo Miho. È impegnata?”
La ragazza la fissa con attenzione, due occhi azzurri da far impallidire il cielo terso di inizio estate, le mani appoggiate sui fianchi con aria di sfida. Non ha paura, è una persona diretta e senza peli sulla lingua, a giudicare dal cipiglio con cui l’ha accolta.
“Ah, sei tu. Miho era impegnata con Seiya sino a poco fa, vado a controllare che…”
Il tu che le ha sputato addosso le ha fatto capire che non è la benvenuta, non quando c’è lei.
“No, non ti preoccupare, farò ritorno un’altra volta. Non voglio disturbarla.”
“Erii! Erii? Vuoi rientrare e smetterla di fare la stoica? Hai la febbre alta, dovresti startene a letto anziché correre da una parte all’altra nella speranza che ti passi!”
La voce di Miho le raggiunge, e la bionda si da una scrollata alle spalle sbuffando.
“Deve essersi liberata” brontola, poi si gira su se stessa e si allontana lasciandola di nuovo sola. Tossisce e si soffia il naso al riparo di qualche paratia in carta di riso lasciando il posto a Miho che le si fa incontro sorridendo, pulendosi le mani nel grembiule chiazzato di farina.
“Non volevo disturbarti, scusami.”
Miho scuote il capo e continua a sorriderle, prendendola per mano e trascinandola lungo il corridoio senza darle tempo di replicare.
“Sono felice di vederti, mi stavo preoccupando sai?”
“Miho aspetta… non voglio vedere Seiya se…”
Lei si arresta all’improvviso e si volta per fissarla con aria seria.
“Che ti ha detto Erii?”
“Non credo di andarle a genio.”
“È diffidente con le persone che non conosce, ma è una ragazza d’oro. È arrivata all’orfanotrofio l’anno scorso in cerca di un tetto. L’abbiamo ospitata e in cambio ci offre una mano con i ragazzi. Imparerai a volerle bene. E comunque no, Seiya non è qui, ma mi ha detto di darti questo.”
Le porge un foglietto stropicciato estratto dalla tasca della gonna e attende che lo prenda.
“Cos’è?” le domanda senza afferrarlo, come se temesse di potersi scottare toccandolo.
“Non lo so.”
“Bugiarda” la rimbecca lei abbozzando un sorriso. Se c’è una cosa che non è cambiata è quanto nessuno di loro sia bravo a mentire all’altro.
“Il suo indirizzo. Credo abbia bisogno di vederti.”
Mia si morde il labbro inferiore, esita alcuni istanti poi china il capo e scosta da se la mano dell’amica che la fissa con aria interrogativa.
“Cosa sta accadendo?”
“Sarà più al sicuro con te. Non voglio sapere dove vive.”
“Ma lui si.”
“Lui non sa un sacco un cose ancora.”
“Cosa ti preoccupa amica mia?”
“Sei sicura di avere voglia di ascoltarmi?”
“Sei venuta qui per questo motivo se non sbaglio.”
Miho non aggiunge altro e l’abbraccia, cingendole le spalle per rincuorarla. È un contatto che fa cedere ogni barriera, ogni controllo. Tra le braccia di chi ami, di chi ti ha amato come fossi sangue del suo stesso sangue, puoi sentirti di nuovo te stesso senza il peso di un’armatura e di un dovere imposto dall’alto, di un orgoglio che non ti permette di sbagliare mai. Stretta a chi ti conosce da sempre puoi permetterti di avere dubbi e paure, quelle che hai lasciato in un’arena in cui hai versato sangue tra la polvere, in cui hai visto cadere altri prima di te.
Ma tu no, sei sopravvissuta.
Hai vinto.
In quel contratto, oltre al contrappasso della tua vita sacrificata a un’ideale, c’era anche la clausola di non poter piangere mai?
Di seppellire le lacrime insieme alla vecchia te?
Mia non lo sa, ma ringrazia di avere ancora un luogo in cui cedere al dubbio, in cui poter tornare a un qualcosa che non le potrà appartenere ma che le permette di ricordare perché dovrà combattere, perché ha scelto di farlo anche quando avrebbe potuto cedere e rinunciare.
Per ogni Miho del mondo ci dovrà essere qualcuno pronto a dare la vita.

 

Shunrei non conosce bene il giapponese, non quanto vorrebbe almeno. Ha lasciato il vecchio maestro ed è partita per Tokyo per stare vicina a Shiryu durante la Guerra Galattica.
“Cosa ti turba, Shunrei?”
Lei non gli ha risposto subito, ma ha atteso. Ha sperato che l'animo si placasse, invece come uno tsunami, minuto dopo minuto, il terrore di perdere Shiryu si è impossessato di lei impedendole di essere razionale.
“Desidero raggiungere Shiryu” gli ha confessato mentre gli porgeva una tazza di tè, certa di un rifiuto.
“Conosci bene il destino che attende il Dragone. Non puoi cambiarlo con i tuoi sentimenti, Shunrei.”
“Non voglio cambiarlo. Voglio restare al suo fianco.”
Il maestro si è sorpreso, ha sollevato le sopracciglia e sgranato un poco gli occhi nerissimi dal taglio allungato, poi ha emesso una risatina sommessa, divertita.
“Non hai mai lasciato Goro Ho. Tokyo è un mostro che si porta via ogni cosa.”
“Saprò trovare Shiryu.”
“Non potrai permetterti di essere un peso per lui.”
“Non lo sarò.”
Mi basterà guardarlo da lontano e assicurarmi che stia bene.
“L'amore, dolce Shunrei, è fatto anche di sacrifici, di silenzi e compromessi.”
Shunrei non risponde, perché è difficile credere che il vecchio maestro abbia mai provato qualcosa di simile. La sua è saggezza, non ha mai scoperto in prima persona cosa significhi perdere ogni giorno la persona che ami.
“Sei determinata a partire, non è così? Non credo che amerai Tokyo, ma sono certo che sarà per te un'esperienza utile a comprenderti e a conoscere il mondo di Shiryu.”
Di quel mondo, però, vuole farne parte anche lei, e non le interessano i sacrifici che dovrà fare per riuscirci.
Sola, su un aereo che la sta conducendo in Giappone, Shunrei fissa le nubi sotto di loro, le guarda e il pensiero corre al vecchio maestro, lasciato solo a custodire un geloso segreto che non ha mai svelato ad alcuno.
Amore è anche devozione, maestro.
Vi siete dimenticato di ricordarmi l'insegnamento più importante, quello che portate avanti ogni giorno da quando ne ho memoria.

 

Hyōga non ha fatto ritorno a Villa Kido. Detesta la compagnia degli altri Bronze Saint e anche solo condividere con loro la cena o la colazione è un peso insopportabile. Il Gold Cloth è una chimera, vicinissima. Quando lo osserva, durante gli incontri, lo sente pulsare e vibrare.
Che cosa ci sta dicendo?
Arresta la corsa dinnanzi a un chiosco di fiori, chinandosi a contemplare un mazzo di rose rosse.
Le piacerebbero, riflette, e dall'interno del negozio spunta la figura minuta di una ragazza dai capelli nerissimi. Resta a osservarlo per alcuni istanti, dopodiché abbozza un sorriso – perché sembra sorrida con l'intero corpo, e a Hyōga non è mai capitato di vedere una cosa simile – e spezza il silenzio.
“Deve essere davvero fortunata la ragazza che li riceverà.”
Hyōga storna finalmente lo sguardo e lo posa su di lei, dopodiché si alza e fa per allontanarsi.
“Ehi, aspetta!”
Si arresta e la ragazza lo raggiunge tenendo tra le mani una delle rose.
“Prendila. Ti porterà fortuna.”
“Non credo basti una rosa” le risponde lui, distaccato e freddo.
Ci sarà mai qualcosa in grado di scuoterlo come la Siberia?
“La rosa è un fiore che sa difendersi e proteggersi. Credo... credo sia anche per questo che viene apprezzato dagli innamorati.”
Lui non si è mai interessato ai fiori, ma sua madre trovava le rose bellissime. Sua madre adorava le rose rosse al pari delle lande innevate, il cielo grigio che piange fiocchi di neve e il vento inclemente che ti schiaffeggia il viso.
Ti farà sempre sentire vivo, la Siberia.
È l'unico luogo al mondo in cui potrai ritrovare te stesso, figlio mio.
“Accettala” insiste la ragazza guardandosi alle spalle, come se temesse un rimprovero di qualche tipo, forse dal proprietario del chiosco di fiori.
“E non finirai nei guai?”
“Per una rosa? No, direi di no” sorride, e quando lo fa Hyōga pensa sia bella, anche se i suoi occhi sembrano specchi vuoti, troppo scuri per potervi vedere il cielo riflesso. O l'anima nascosta.
“Prenditi cura di lei” e dopo avergli offerto il fiore si allontana canticchiando un motivetto che non conosce. Hyōga osserva la rosa, se la rigira tra le mani, dopo di che prosegue incamminandosi verso Villa Kido. Mancano poche ore all'incontro con Ichi e anziché allenarsi ha corso sino a sfinirsi, si è fermato a contemplare le rose e ora passeggia lentamente, come se desiderasse farsi portare via da un autunno pigro che fatica a ingranare, facendosi paggio di un inverno che ha fretta di essere il protagonista.

 

*

 

“Allora erano vere le voci che dicevano avessi già fatto ritorno.”
Aiolia avanza verso di lui, scalino dopo scalino. Non indossa il Cloth di Leo, sicuro di essere ancora in tempo di pace, ostinandosi a portare un semplice giustacuore di cuoio e una tunica troppo sporca.
“Da quanto non ti lavi?”
“Intendi il vestito?” gli domanda l’altro dandosi una pacca sul petto sorridendo, proseguendo con aria pensierosa.
“Più o meno da quando Mia è partita. Dovrei trovare qualcuno che sia disposto a fare i lavori domestici al mio posto.”
Sei dannatamente uguale a tuo fratello, Aiolia.
C'è qualcosa, in loro, di perfetto e immacolato, una scia luminosa che sai di non poter sfiorare né raggiungere, come il riflesso della luna sul mare: appena ti avvicini, la tua ombra se la porta via.
“Tu dove sei stato?”
“In nessun posto e ovunque.”
“La gamba ti da ancora problemi?”
“Shaka mi ha dato un buon rimedio, sembra stia facendo effetto più rapidamente rispetto alla poltiglia che mi ha rifilato Mu.”
“Hai visto Mu?” gli domanda sorpreso.
“Si, in Jamir. Rientrerà, come tutti.”
“Non mi chiedi nulla, Shura? Di come sto, di cos'ho fatto in questi anni, di com'era vivere al tempio mentre tutti eravate lontani?”
“Ehi, calma. Anche tu avresti potuto defilarti e invece sei rimasto a crescere una ragazzina. Potevi rifiutarti.”
“Fai solo discorsi idioti. Dove ti sei ferito?”
“Non sono affari tuoi” gli risponde deciso. E Shura, per un istante, avverte quella domanda scomoda fluttuare nell'aria, ma Aiolia ha l'accortezza di starsene zitto.
Le cose non sono più le stesse tra loro da quando Aiolos è morto.
Da quando lui l'ha ucciso.
Shura, da quella notte, ha evitato il Tempio e Aiolia.
Come puoi guardare negli occhi il tuo migliore amico sapendo di averlo tradito uccidendo suo fratello?
“Si può sapere che diavolo ti prende?”
“Voglio stare da solo, Aiolia. Ti basta come risposta o dobbiamo venire alle mani perché tu capisca?”
“Se non fosse per Excalibur sai benissimo che avrei la meglio.”
Aiolia sorride, sicuro di sé. Il Leone è forte della propria potenza, come sempre.
Spavaldo e avventato, riflette Shura.
“A proposito... il problema con Excalibur è...”
“Tutto a posto” taglia corto il Saint di Capricorn.
“È partita anche Marin per Tokyo.”
Dio perché non sa desistere?
“E quindi?”
“Nulla, volevo solo informarti che sta andando a combattere.”
“Dovrei aggiungere qualcosa? Si può sapere cosa vuoi da me, Aiolia?”
Shura ripercorre con fatica i pochi gradini che ha messo di distanza tra sé e il Saint di Leo, e ora si stanno fronteggiando, l'uno davanti all'altro.
“Sta bene” conferma il Gold Saint, quasi fosse la naturale conclusione di quell'incontro, come se tutto fosse stato propedeutico a quell'unica frase. Due parole che vogliono dire tutto eppure nulla, perché fanno male e ricordano che si, la vita continua a scorrere e rimargina ogni ferita, obbligandoti a cambiare pagina.
Solo lui sembra essere lì, in bilico sull'ultima riga, indeciso se scriverla o lasciare l'opera incompiuta.
“Sei venuto qui solo per dirmi questo? Sta bene?” domanda con rabbia, incurante del fatto che Aiolia sia privo della difesa del Cloth. Ma il Saint di Leo non ha paura e forse non ne avrà mai nella sua vita.
“Volevo anche assicurarmi che tu stessi bene.”
“Grazie del pensiero, potevi risparmiartelo.”
“La tua rabbia trattienila e riversarla contro i nemici del Tempio, Shura. Risparmiati il rancore contro i tuoi fratelli.”
“Anche quei ragazzini li sono, o sbaglio?”
“Stanno tradendo il Tempio e il nome di Athena.”
“Sono ragazzini” ribatte Shura deciso.
“Quando indossi il cloth per la prima volta smetti di esserlo e diventi adulto. Perdi quel poco di innocenza che ti restava.”
“Nessuno è mai stato davvero innocente Aiolia. Anche se so che ti piace pensarlo, non esiste uomo senza peccato.”
Aiolos, tuo fratello, lo era.
E io l'ho ucciso con le mie stesse mani.

 

Il Sommo sacerdote avanza tra gli scaffali della biblioteca, tra vecchi rotoli di pergamena e tomi impolverati. Non ama particolarmente quel luogo, nonostante siano state le stanze da lui preferite durante l'addestramento. Lì, accanto a un mappamondo su cui è incisa la volta celeste, gli pare ancora di scorgere il corpo del sommo Shion riverso a terra, la maschera d'ebano divenuta simulacro di morte. Quando gliel'ha sfilata l'ha indossata e l'odore del sangue gli ha permeato le narici. In quel momento si è sentito onnipotente, inebriato dal potere che ti concede l’aver ucciso un uomo, sbriciolare la sua vita tra le tue dita.
Ancora, tra quelle stanze abbandonate, riesce a percepire la forza di quell'atto, l'impresa che gli ha permesso di essere il Saint più potente del Santuario di Grecia.
Presto il mondo intero riconoscerà la mia supremazia.
Ne sei certo?
Saga scuote il capo, quasi avesse a che fare con un insetto fastidioso.
Io sono con te da sempre. Piegherai davvero il tempio al tuo volere?
Saga non risponde all'altro se stesso, e questi continua, imperterrito, a fare domande, a tentare – invano – di instillare in lui il dubbio del fallimento.
Lo sto già facendo.
Stanno tornando. Il tuo fedele Shura, persino, si è deciso a fare ritorno nonostante il senso di colpa.
Combatteranno per me e moriranno per me.
Lo faranno con l'inganno, convinti di seguire il volere di Athena.
Lo faranno. E questo basta.
Osserva distrattamente il tema astrale che uno degli scriba ha preparato.
Mancano pochi giorni alla luna nuova, si dice sogghignando.
E la luna nuova risveglia sempre i demoni che ti porti dentro.

 

*

“Perché questa sera non vieni con me alla Guerra Galattica?”
Mia la guarda perplessa, chiedendosi se sia impazzita.
“È un biglietto economico, sugli spalti. Doveva venire Erii con me, ma come hai visto si è presa una brutta influenza.”
“Un motivo aggiuntivo per finire sulla sua lista nera?” le domanda l'amica con aria tetra. Miho scoppio a ridere e le offre altro tea caldo.
“Stasera ci sarà Seiya a combattere. E Hyōga, il preferito di Erii” e sottolinea – aprendo apici con le dita nell'aria – quel termine, preferito, che lascia intendere ben altro.
Mia resta in silenzio, rigirando sul tavolo la tazza ricolma e fumante.
“Se un giorno scoprissi che ciò in cui hai sempre creduto non è come te l'aspettavi, cosa faresti? Lasceresti perdere o andresti avanti?”
La fissa con attenzione, la schiena dritta come un fuso nonostante il capo chino, come se si stesse vergognando di una confessione scomoda, che la rende debole ai suoi occhi.
“Dipende” le dice, e prende posto sulla sedia di fronte alla sua, a dividerle solo il piccolo tavolo della cucina.
“Noi crediamo, e lo facciamo certi di essere nel giusto. Se ti accorgi che è sbagliato allora si che devi smettere di credere. Ma non è questo il caso, vero?”
“Non siamo noi a scegliere in che famiglia nascere, per esempio, ma puoi lasciarla o venire lasciato. Ma se fossi costretta a scendere a compromessi per quel qualcosa in cui credi, pensi sarebbe giusto?”
“A volte è necessario. Quando siamo piccoli il mondo degli adulti sembra strano, poi diventiamo grandi e iniziamo a comprendere, e non ci piace quello che vediamo. Allora ci imponiamo di essere sempre fedeli a noi stessi. Poi cresci, e capisci che devi mettere da parte l'orgoglio, la rabbia, l'affetto e scendere a compromessi per il quieto vivere.”
Mia resta in silenzio e non le risponde, e Miho non sa cosa aggiungere. Non sa, soprattutto, se la sta mettendo in confusione o se la sta davvero aiutando.
“Sei sicura di non volermi dire cosa ti preoccupa?”
“Pensi si possa essere fedeli a se stessi sempre?”
“No, ma basta comprendere il prezzo di quel compromesso. Quanto è alto da pagare?”
Mia si morde il labbro inferiore, pensierosa.
“Devo vedere le sfumature, non è così?”
Miho le sorride, posandole le mani sulle sue.
“Si, anche se tu sei più da tinte forti e nitide. Stasera verrai con me? Mi farebbe piacere passare un po' di tempo insieme.”
“Anche a me” e per la prima volta da quando è arrivata la vede abbozzare un sorriso sincero.
“Sei sicura che Erii non mi odierà a morte?”
“Sicurissima!”
E questa è davvero la più grande bugia che potesse raccontarle.

 

Ichi osserva quello sbruffone di Hyōga fermo davanti a se, la platea che grida e li incita allo scontro. Hyōga attende, e non muove un passo nella sua direzione. Ichi scalpita, perché conosce la frenesia dell'azione e l'adrenalina dell'attacco. Il suo maestro gli hai insegnato a colpire sempre per primo, perché la miglior difesa è l'attacco quando non sai cosa aspettarti da chi hai di fronte.
Hyōga lo sta irritando.
Ichi attacca velocemente, una, due, tre volte.
Hyōga para, ma a fatica.
Il prossimo colpo dovrà essere quello decisivo, si dice il Saint di Idra.
Si passa la lingua sulle labbra, assaporando già il gusto della vittoria e quello del sangue del russo. Lo detesta. Oltre alla faccia da belloccio ha quell'aria strafottente, di superiorità, che lo rende odioso, uno di quelli con cui cercheresti di attaccar briga in un locale solo per movimentare la serata con gli amici. Sempre schivo, in disparte, sembra sempre convinto di poter vincere, considerandoli inferiori solo perché è stato addestrato da un Gold Saint.
“Preparati a morire” gli ghigna contro apprestandosi a colpirlo.
Un istante e gli è addosso, affondando gli artigli nel suo petto e andando a fondo, cercando un muscolo ben preciso da esibire come trofeo.
A Ichi, di avere un morto tra le mani, non importa poi molto.
Affonda con più forza, sino a sentire il cloth del Cigno sbriciolarsi sotto il peso del suo colpo. Trionfante, scava con foga, e finalmente afferra qualcosa tra le dita.
Tira, sente il grido di Hyōga zittire l'intera arena.
Ho vinto.
Tra le mani, la corona di un rosario cristiano.
“Adesso è il mio turno” sussurra Hyōga.
È questione di un istante, appena il tempo di comprendere cosa stia realmente accadendo mentre viene investito da una tormenta di ghiaccio e neve che gli ferisce il viso e gli arti.
“Maledetto bastardo” gli grida mentre gli si avvicina come se non avesse paura di essere colpito. Ichi muove alcuni passi, poi si accorge che le gambe non rispondono. China il capo e si rende conto di cos'è accaduto. Il cigno gli ha congelato gli arti inferiori e adesso lo guarda sorridendo.
“Questo credo mi appartenga.”
Quando gli afferra il polso per riprendersi il rosario, anche l'avambraccio viene congelato dal Saint.
“Fidati, è meglio se rinunci” e mentre solleva al cielo il suo trofeo, grida di incitamento e vittoria si propagano dagli spalti. Sino a pochi istanti prima, Ichi dell’Idra era certo di aver brillato come non mai, di essere tra i favoriti di un pubblico capriccioso. Un batter di ciglia e già gli hanno voltato le spalle, indifferenti verso la sua sorte.
A nessuno importa chi sia sull'arena.
A tutti, importa che vinca uno soltanto.
Nel peggior modo possibile.

 

Sino all'ultimo Seiya è stato indeciso sul da farsi, se combattere o ritirarsi. Lo sguardo del suo avversario è il richiamo di una sfida a cui sa di dover cedere, per orgoglio e per necessità. L'arena è illuminata a giorno, e il Saint di Pegasus storna lo sguardo su una volta celeste artificiale, come tutto lì dentro. Lui, che ha combattuto sulla terra battuta di Grecia, sa cosa significhi sfidarsi in un'arena vera, sotto gli occhi inclementi e impietosi degli altri Saint, di chi Saint lo diventerà sulla tua pelle.
Perdonami Mia, non ho altra scelta.
Se fosse onesto, in realtà, direbbe che ha scelto e ha deciso di restare nella speranza di rivedere Seika. Sa che la probabilità è una su un milione, ma anche solo per quell'unica deve fare ogni cosa, rischiare tutto.
Shiryu di Dragon è già salito sul palco e l'attende.
Seiya deglutisce e pensa che no, non è come quando ha conquistato il Cloth di Pegasus.
Quella, era tutta un'altra storia.
È questo che intendevi, no?

 

Seiya è forte. Non si aspettava un rivale alla propria altezza, ma il Dragone deve riconoscere che è soddisfatto di poter combattere contro un avversario degno di questo nome. Sono stremati e ormai ogni colpo è stato utilizzato.
Il maestro gli ha insegnato che mai bisogna arrendersi, e che il sacrificio è solo un'altra arma con cui combattere.
Shiryu si sposta di lato all'ennesimo attacco di Seiya. Il Saint gli si avvicina, annullando una distanza che assicurerebbe a entrambi la sicurezza di un ritorno a casa.
Sta mostrando un cedimento?
Se lo domanda mentre è pronto a colpire. Ad accoglierlo, però, non vi è il volto del Saint di Pegasus ma il proprio scudo.
Il suo è l'unico Cloth dotato di una protezione aggiuntiva e ora l'ha reso vulnerabile per essere stato avventato, per essersi illuso che Seiya, bloccato tra lo scudo e il suo corpo non avesse spazio di manovra.
Sii come la corrente del fiume, Shiryu. Imprevedibile e indomabile, corrosiva anche quando è placida.
Ora il cloth è come amputato. Senza un arto, tutto il corpo è compromesso. Il Saint di Dragon si libera della propria armatura sotto lo sguardo sgomento del suo avversario.
“Che diavolo fai?”
“Hai paura di essere sconfitto da un saint senza armatura?” gli domanda in tono di sfida provocandolo. Ha imparato a conoscere i propri compagni e avversari, ed è facile inquadrare una testa calda come Seiya, o come Jabu.
Fargli perdere le staffe è il modo più semplice per renderli vulnerabili.
E imprevedibili.
Questo Shiryu deve riconoscerlo quando Seiya a propria volta si libera del Cloth di Pegasus.
“Allora continuiamo?”

 

Mia sente le unghie dell'amica penetrarle nel palmo della mano che stringe con foga.
“Si faranno male” pigola Miho, e il Saint di Aglaia riflette che farsi male è una cosa a cui hanno fatto l'abitudine da un sacco di tempo e che il termine corretto sarebbe farsi ammazzare, ma preferisce tenerlo per se.
“Cosa... continueranno a combattere?” le domanda con la voce spezzata. Mia le stringe la mano cercando di tranquillizzarla, ma anche lei non è certa di come finirà l'incontro.
“Seiya sa quello che fa” e spera di essere stata convincente almeno per Miho. Osserva i due ragazzi colpirsi con forza, il sangue che a ogni colpo schizza a terra. Miho storna lo sguardo e si appoggia alla sua spalla, incapace di sopportare oltre la visione di quel martirio.
“Non riesco a guardare. Se... se dovesse...”
“Non morirà.”
Non morirà nessuno in questa maledetta guerra.
Mia lancia un'occhiata alla tribuna da cui Saori, impassibile, assiste allo spettacolo.
Che razza di dea sei, se li fai morire per un Gold Cloth?
Resta lì, chiusa in una teca di vetro senza farsi sfiorare, senza che alcuno possa chiederle udienza. Una statua votiva come quella che si trova nelle stanze del Sacerdote, nulla più che un'icona da idolatrare.
La mia dea vale molto di più di tutto questo, Saori.
Il grido di Miho, e di qualcuno poco distante da loro, la obbliga a riportare lo sguardo sull'arena. È la frazione di un istante, ma vede in modo nitido i due saint colpirsi a vicenda per poi cadere a terra a causa della forza esercitata.
È la deflagrazione di due comete, due cosmi che collidono e si respingono.
“Oh mio Dio...” la voce di Miho è un soffio e trattiene il respiro insieme alle lacrime ora.
A terra, su entrambi i lati e senza dare segni di vita, giacciono Seiya e Shiryu.

 

Saori trattiene il respiro così forte che le sembra di indossare un doppio corsetto in metallo che le impedisce di stare seduta in modo comodo. Il fedele Tatsumi, al suo fianco, fissa l'arena senza proferire parola. È il momento in cui le piacerebbe che qualcun altro prendesse una decisione al suo posto. È assurdo come tutti abbiano deciso della sua vita sin dalla nascita ma che per le scelte importanti sia sempre lei a doverci mettere faccia e cuore.
“Ordina ai medici di portarli via. Gli incontri devono proseguire.”
La voce è ferma ma il cuore trema, mentre gli occhi si sgranano sulla scena che si svolge ai suoi piedi, come fosse una statua di cera, l'involucro di un'anima che non può parlare né muoversi.
Difficile fingere di non riconoscere sua sorella che sopraggiunge al capezzale di Seiya, impossibile ignorare lo sguardo che lancia nella sua direzione, disgustata.
Che razza di dea sei, Saori?
È questo che sembra dirle prima di tornare a occuparsi del Saint di Pegasus, immobile, steso su una barella già pronta per portarlo nell'infermeria della Fondazione.
So che lo stai pensando, Mia.
Ma non posso fermarmi.

 

Shunrei si è accorta subito che qualcosa non andava. Non ha atteso l'arrivo dei medici mentre – a fatica – caricavano Seiya e Shiryu sulle rispettive barelle.
“Sta morendo! Seiya salvalo, ti prego... salvalo!”
Si getta sul corpo privo di coscienza di Seiya, stringendogli la mano nella propria, supplicando per la vita di Shiryu. Il tatuaggio del dragone, inciso sulla sua schiena, sta lentamente sbiadendo. Quando scomparirà del tutto, con lui se ne andrà anche la vita del suo possessore.
“Ti prego, non portarmelo via ora... colpiscilo di nuovo, con la stessa forza, nel punto in cui la zampa del drago si piega. Il suo cuore tornerà a battere. Ti prego, Seiya. Il tuo animo è buono, non puoi...”
Due uomini l'allontanano e lei si dimena con forza, ma senza successo.
“Non puoi disinteressarti di lui!”
La sua voce è un grido disperato, mentre gli spalti sono scossi da un mormorio da bar, di chi scommette sulla vita di quei ragazzi. Shurei li guarda in viso, uno a uno. Vuole ricordarli, i volti di quelli che sono morti per un torneo privo di senso. Quelli che hanno vissuto l'infanzia inseguendo un ideale che hanno tradito per la gloria di pochi giorni.
Al suo fianco sente sopraggiungere passi in corsa, e due ragazze si gettano ai lati della barella di Seiya. L'una piange, proprio come lei, il volto sul petto del ragazzo. L'altra si limita a carezzargli la fronte, in un gesto che le ricorda qualcosa di materno e caldo.
Loro possono capirla.
Loro possono aiutarla.
Mentre gli addetti alla sicurezza l'allontanano ulteriormente, Shunrei grida di nuovo.
“Seiya Shiryu sta morendo! Salvalo!”
Ti prego, salvalo.

 

Mia avverte il cosmo del Dragone affievolirsi, come se stesse cadendo in picchiata. Troppo in fretta comunque, perché ci sia un rimedio adatto a riportarlo indietro. Seiya muove le dita della mano, stringendo la sua.
“Mi senti?”
Lui muove le labbra ma non ne esce alcun suono, eppure Mia sa che Seiya è lì, da qualche parte, che attende.
“Salva Shiryu, ce la fai?”
Seiya cerca di alzarsi a sedere e Miho sgrana gli occhi, rimettendolo al proprio posto.
“Lascialo andare” le intima, e capisce di aver utilizzato un tono troppo duro.
“Vuoi che muoia?” le risponde l'amica indignata, per le rime, perché gli ordini non li ha mai presi da nessuno, tanto meno da loro due.
“No, voglio che salvi Shiryu, e morirà se Seiya non interviene.”
“Non mi interessa. È...”
Seiya si alza di nuovo, mettendosi a sedere.
“Ce la fai?” gli domanda dubbiosa.
“Più o meno” e la guarda, come a voler essere certo di non stare in mezzo al mondo dei sogni ma nella realtà.
“Avanti, ti aiuto a rimetterti in piedi.”
Dall'altro lato è Miho che lo sorregge. Le lancia un'occhiata in tralice, di quelle che vorrebbero fulminarti ma che ti dicono sono con te, nel bene e nel male.
“Prendete Shiryu!”
Shun non se lo fa ripetere due volte e sorregge con entrambe le braccia il corpo esanime del Dragone.
“Coraggio Seiya. Ora tocca a te.”
Lui le sorride anche se quasi non la vede nemmeno, il labbro spaccato e uno zigomo rotto. Si scioglie dal contatto che le ragazze hanno creato, una rete in cui cadere è dolce come su una trapunta di piume.
Mia non lo perde di vista, mentre Miho cerca la sua mano per stringerla nella propria.
“Non credo di riuscire a guardare” le confida a bassa voce, come se avesse paura di distrarre Seiya.
“Puoi voltarti se preferisci.”
“Assisterai tu per entrambe?”
Mia annuisce, e l'amica volta le spalle ai due Saint, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Andrà tutto bene” la rassicura, e l'abbraccia, mentre Seiya barcolla sul proprio posto e la costellazione di Pegasus risulta il disegno di un bambino creato nell'aria con matite troppo grosse. Lancia un'occhiata alla schiena nuda di Shiryu, il tatuaggio di cui ormai resta visibile solo una piccola porzione.
“Avanti Seiya!”
Lui sembra trovare un punto di appoggio e scatta.
Il colpo è così violento da scagliare Shun e Shiryu contro la parete opposta, sfondandola. Il silenzio cala in sala e Mia stringe la spalla di Miho sino a sentirla emettere un gemito di dolore. Trattengono entrambe il respiro, come se bastasse per non distruggere un equilibrio precario.
“Seiya!”
Scosta l'amica e si getta verso di lui, riverso a terra in una pozza di sangue, mentre dall'altro lato la voce raggiante di Shun la investe come un tir in piena notte.
“Il cuore di Shiryu ha ripreso a battere. Shiryu è salvo!”
Avanti, resisti idiota.
Non puoi morire proprio ora.

*

 

Miho ha seguito i medici e si è lanciata al capezzale di Seiya. C'è mancato davvero poco che morisse, ma le infermiere le hanno confermato che se la caverà con qualche osso rotto.
Resterà a vegliare su di lui finché non avrà recuperato i sensi.
Vuole essere la prima cosa che vedrà quando aprirà gli occhi.
Vuole essere la prima persona di cui chiamerà il nome.
Per la prima volta scopre quale sia il prezzo da pagare: quello di chi resta in attesa, che nei romanzi fa la parte di chi deve essere salvato, che riceve il bacio che attendeva da sempre.
Come se le avessero già rivelato la fine della storia, insomma, per la prima volta scopre il proprio ruolo.
Essere dalla sua parte significa comprendere sempre a metà. Significa non fare mai troppe domande, perché di risposte ne arriveranno poche, e quando lo faranno avresti preferito il silenzio o una bugia. Significa saper attendere, al proprio posto. Significa restare sempre lì, diventare un appuntamento fisso, un traguardo da raggiungere, l'unico luogo al mondo in cui ti senti davvero a casa.
Dove puoi mostrare le cicatrici senza timore.
Dove puoi sperare in un silenzio ristoratore, privo di domande.
Miho non solleva lo sguardo quando sente la porta della camera aprirsi alle sue spalle.
“Posso?”
Fatica a comprendere cosa le sia stato chiesto perché l'accento non è giapponese, ma straniero. Si gira, e vede la ragazza che ha supplicato Seiya farsi avanti con un mazzo di fiori tra le mani. Fa cenno con il capo a Miho di poterli posare nel vaso adagiato sul comodino, poi – una volta sistemati – si avvicina di nuovo a lei e si prodiga in un profondo inchino.
“Ringrazialo da parte mia e di Shiryu. Lui sta bene?”
“Si riprenderà, si.”
I loro sguardi si sfiorano, poi la ragazza si allontana di nuovo lungo il corridoio.
Miho esita, poi storna lo sguardo su Seiya.
A modo nostro, anche noi che aspettiamo combattiamo.
La nostra è una guerra di posizione, che ti logora giorno dopo giorno.
Ma è guerra, sempre.
Forse aveva ragione Mia: la vita è un eterno campo di battaglia e ognuno combatte la propria.

Shun non le ha dato il tempo di andarsene. Dopo che Seiya e Shiryu sono stati portati via, l'ha colta alla sprovvista abbracciandola con trasporto. È felice di rivederla perché a questo punto la certezza che anche Ikki, l'unico mancante all'appello, sia vivo, si fa strada dentro di lui.
“Ce l'hai fatta! Non credevo che... si, credevo saresti rientrata a Tokyo molto prima.”
“In un certo senso sono tornata, non trovi?”
Lui sorride e la squadra con attenzione per ritrovare le tracce della bambina che fu la compagna di giochi con cui si attardava a intrecciare ghirlande di fiori, mentre gli altri si prendevano a pugni e calci.
“Allora sei pronta per combattere? Mancate solo tu e Ikki, sono certo che il proseguimento del torneo ora non subirà intoppi.”
La voce dall'altoparlante lo invita a salire sull'arena e lui alza gli occhi in direzione del suo avversario, mentre Jabu si sta già facendo strada salutando il pubblico come se ne fosse il prediletto.
“Mi aspetti?”
“Io... ecco... devo andare e...”
“Sai, non credevo potessi essere tu. Ma c'è solo una persona al mondo che sarebbe tornata con Seiya. Aspettami, voglio fare quattro chiacchiere e sapere tutto quanto. Tu hai... hai visto Ikki?”
Sembra che tutto sia finalizzato a quella domanda, invece è davvero felice di averla rivista e, perché no, ritrovata. Ma ciò che riguarda suo fratello è impellente, è ciò che lo sveglia nel cuore della notte, schiacciato dai sensi di colpa e dal terrore di averlo perso per sempre.
“Non ho notizie, mi spiace Shun. Death Queen Island non è il luogo più accogliente del pianeta a quel che si dice in giro.”
All'altoparlante lo chiamano di nuovo: al prossimo avviso, sarà escluso dal torneo.
“Devo andare, ma tu giurami che mi aspetterai.”
Mia abbozza un sorriso e gli fa cenno di andare. Non si fida ma d'altra parte cosa può fare? Combattere, vincere e poi tornare da Mia sperando sappia qualcosa su suo fratello. Gli basta sapere che è vivo per tornare a respirare in modo regolare, e non in affanni rubati tra l'ossigeno e l'anidride carbonica.

 

Hyōga ha osservato la scena tra Shun e la nuova arrivata con attenzione, e se a una prima occhiata gli è sembrata l'ennesima scena strappalacrime da talk show, poi si è costretto a riflettere sull'ennesimo arrivo. Non ha di certo paura di una ragazza, in arena, ma tra i pensieri si sono fatti strada i ricordi a Villa Kido, quella bambina che cercava di prendere le distanza da Saori e Mitsumasa con tutta sé stessa per poi non avere sufficiente forza per potersi ribellare.
“Mia?” le domanda avvicinandosi a lei mentre i primi colpi di Jabu tentano di colpire il Saint di Andromeda. Lei non risponde, continua a mantenere gli occhi puntati sull'incontro.
“Ti hanno tagliato la lingua?”
“Perché combatti per Saori Kido?” gli domanda a bruciapelo, quasi fosse un giudice e quello un processo da cui sa già di uscire come condannato.
“Il Gold Cloth come tutti gli altri. Tu perché sei tornata?”
Sembra pensarci su alcuni istanti, poi si morde il labbro inferiore sollevando lo sguardo sulla tribuna d'onore da cui l'erede dei Kido fa da spettatrice e da madrina all'evento.
“Per il Gold Cloth” gli risponde infine, le braccia conserte sul petto e il piede sporto all'esterno, quasi fosse in procinto di saltare.
Shun fa alcuni movimenti, ma la sua catena, all'improvviso, sembra non rispondergli più. Jabu ride e si rialza da terra, mentre i cerchi concentrici formati dall'arma del suo avversario paiono inutilizzabili, come se non rilevassero in lui alcuna minaccia diretta al proprietario del Cloth di Andromeda cui prestano servizio e protezione.
Mia sgrana gli occhi e avanza di alcuni passi i direzione dell'arena. Jabu, con passo lento e misurato, sta attraversando la catena di Shun senza essere colpito.
“Cosa...”
Hyōga osserva l'incontro e non comprende: la catena di Andromeda castiga i nemici molto prima che possano sfiorare il loro possessore, ma ora sembra inerme davanti a Jabu. Shun la strattona con violenza, la richiama a un ordine che non viene udito.
Cloth e Saint stanno parlando due lingue differenti.
“Ehi la catena di quel frignone non reagisce. Ne prenderà da Jabu, è certo” e Ichi si porta al fianco di Mia, lanciandole un'occhiata che ha il sapore di una provocazione, ma lei sembra non accorgersene o, se lo fa, preferisce ignorarlo.
“Cosa significa?” domanda rivolta all'Idra. Inaspettata, la domanda lo coglie impreparato, ma dopo una sghignazzata divertita le risponde.
“La catena del Cloth di Andromeda è famosa per proteggerlo dagli attacchi dei nemici, ma a quanto pare Jabu l'ha neutralizzata. Lo ammazzerà.”
“Si può neutralizzare la catena?” domanda lei.
“A quanto pare Jabu è il primo a riuscirci. Shun ha vinto i precedenti scontri.”
Mia si spinge avanti, arrivando sotto l'arena.
“Dannazione, muoviti!”
La voce di Shun è incrinata dal pianto, e questo diverte Hyōga. Non è realmente cambiato nulla, come se i cliché della loro infanzia fossero ritornati a nuova vita.
“Shun cosa accade?” gli grida Mia preoccupata, cercando di comprendere cosa stia accadendo.
“La catena non risponde, si muove da sola!”
A quel punto Mia scatta in avanti e Hyōga la segue per evitare che entri in arena. Vuole vincere il Cloth combattendo, non perché i suoi avversari sono tanto idioti da farsi espellere dal torneo. Le catene  strisciano veloci sul pavimento, si muovono sinuose come serpenti accompagnate da un suono secco e metallico. Anche Jabu ora si è fermato, non distante da Shun, e osserva incredulo la scena.
“Ci sta dicendo qualcosa!” grida il Saint di Andromeda mentre la catena continua a seguire un disegno ben preciso.
Axia?” domanda Hyōga senza comprendere il significato di quella parola.
“È greco. Indica qualcosa di valore, qualcosa che...”
Mia non riesce a ultimare la frase. La catena punta in avanti, verso il Cloth di Sagitter esposto sul podio che sarà del vincitore. Shun non riesce a trattenere la catena, costretto a terra dalla sua forza mentre viene trascinato verso il Cloth.
“Lascia la catena Shun! Lasciala!”
Mia si solleva sulla pedana principale, decisa a fare il suo ingresso in arena ma Hyōga la ferma.
“Aspetta, non essere avventata.”
“Shun è in difficoltà non vedi?”
“Non è ancora stata decretata la fine dell'incontro, non puoi entrare” le risponde lui, trattenendola per un braccio con forza sufficiente da non lasciarle spazio di manovra. All'improvviso un cosmo scuro come pece, nero d'odio, si irradia dal Gold Cloth. Lo scrigno si apre avvolto in un fascio di luce, e Mia è costretta a schermarsi gli occhi per tentare di vedere cosa stia accadendo.
La catena scatta in avanti, decisa a colpire il nuovo nemico.
Un istante di distrazione e Hyōga perde la presa sulla ragazza che però non corre incontro a Shun come previsto, ma resta immobile al proprio posto, incredula quanto lui.

 

Mia ha avvertito un rivolo di sudore freddo scivolarle lungo la schiena. Il cosmo che si è sprigionato dallo scrigno del Cloth di Sagitter l’ha investita come un’ondata di terrore, un vento di morte e odio che l’ha atterrita.
Dove l’ho già sentito?
Per un istante ricorda il Gold Saint della Quarta Casa, l’aura oscura che emana la sua sola presenza e d’istinto arretra, andando a sbattere contro Hyōga.
“Ehi, che diavolo ti prende ora?”
È un emissario del Tempio?
Non le è dato indugiare oltre, perché una raffica di colpi la scaglia lontano dall’arena, facendola volare contro la parete opposta.
Chiunque sia, è immenso.
E fa più paura di qualsiasi terrore terreno.

 

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Capitolo 10
*** Le radici sono importanti ***


Saori ha contattato la polizia, convinta – illusa, per meglio dire – che possano recuperare il Gold Cloth. L'arrivo inaspettato da parte di Ikki di Phoenix l'ha colta impreparata. Si era aspettata un attacco in grande stile dal Tempio, dopo ciò che le ha detto Mia ora, invece, si ritrova a dover combattere una battaglia che la coinvolge su più fronti.
Non sei fatta per la guerra, si dice, mentre Shun si fissa la punta dei piedi con aria colpevole.
“Non può essere davvero lui, deve esserci...”
“L'hai visto anche tu, o sbaglio?” Hyōga sbotta in tono aspro, interrompendolo.  
“Deve esserci una spiegazione” ribadisce il Saint di Andromeda, questa volta alzando lo sguardo sul compagno. Shiryu e Seiya sono ancora ricoverati in ospedale, e i Bronze Saint rimasti si trovano nello studio di Villa Kido, in attesa di ricevere istruzioni da lei.
Tutti tranne Mia.
“Era a Death Queen Island, la chiamano l'Isola Maledetta. Nessuno ha mai fatto ritorno. Forse nessuno ritorna così com'era partito” puntualizza Jabu senza staccarle gli occhi di dosso, provocando qualcosa che assomiglia a un singhiozzo represso nel povero Shun, su cui Saori riporta lo sguardo.
“Potrebbe esserci qualcos'altro che non sappiamo. Lei dov'è andata?” domanda Hyōga all'improvviso, rivolgendole direttamente quella domanda.
“Chi?”
“Vostra sorella, milady.”
“Non lo so. Non credevo nemmeno che sarebbe venuta all'Arena.”
“È stata colpita, eravamo insieme quando Ikki si è presentato. Forse erano d'accordo.”
Se Ikki fosse un emissario del Tempio?
Saori dà le spalle ai ragazzi, pensierosa. È il caso di parlare loro di ciò che le ha detto Mia?
Non è ancora il momento, Saori.
“Ora la nostra priorità è recuperare il Gold Cloth.”
“Abbiamo bisogno di tutte le forze disponibili, milady” e Jabu lascia intendere che anche Shiryu e Seiya dovranno far parte dei giochi.
“Dovremo dividerci: un gruppo dovrà proteggervi e l'altro recuperare il Cloth. Chiunque sia davvero il nostro nemico, è probabile non si accontenti delle sacre vestigia.”
Le parole di Hyōga cadono nel silenzio, ma è chiaro che tutti i Saint la pensino come lui.
“Seiya e Shiryu saranno pronti per l'alba. Non attenderemo oltre milady. Ora riposatevi, Nachi e Ichi saranno a guardia delle vostre stanze mentre noi sorveglieremo la villa.”
Saori annuisce, e si lascia scortare dai due Saint verso i propri appartamenti privati. Si lancia un'occhiata alle spalle, osservando i suoi ragazzi mentre si apprestano a combattere per lei.
Per proteggerla.
È questo il modo in cui inizia? In modo così tanto stupido?

 

Mia è arrivata al luogo dell'appuntamento con il fiato spezzato e un ecchimosi grossa come una mela sull'addome. Si passa una mano sulle costole, dove avverte una fitta lancinante premerle contro i polmoni. Deve essersene fratturate almeno un paio, a giudicare dalla difficoltà che ha nel muoversi senza avvertire un senso di nausea prenderla per schiantarla a terra. Gli allenamenti con Aiolia non sono mai stati semplici né si è mai risparmiato con lei, eppure si è fatta prendere alla sprovvista come una stupida. Ne ha prese di santa ragione per dieci anni, e ha trovato un briciolo di riscatto quando ha preso ad allenarsi con i suoi pari, alla Casa delle Vergini. La forza con cui è stata colpita l'ha scagliata contro la parete alle sue spalle, e quando ha ripreso i sensi a poca distanza da lei si trovavano distesi a terra come cenci i Bronze Saint. Si è alzata a fatica, e l'unica cosa che ha intravisto prima che scomparisse alla sua vista è stata la luce accecante che si è sprigionata dallo scrigno di Sagitter, lasciato privo del proprio contenuto. Abile ladro o grande Saint, Mia non saprebbe dirlo, perché la velocità dell’azione le ha impedito di comprendere ciò che è accaduto. I Silver Saint sono già tutti sul posto, e Shaina non proferisce parola quando sopraggiunge. Mia si sorprende di vedere Marin al suo fianco, e ciò non l'aiuta a sperare che il Tempio abbia rallentato la sua corsa verso la guerra.
“Con la dovuta calma, signorina” la schernisce Argor staccandosi dal fianco di Moses, Silver Saint della Balena, andandole incontro con fare minaccioso.
Non sei più grande in niente, Argor, riflette Mia con una punta di fastidio.
“Lascia che si spieghi” lo interrompe Misty che, a giudicare dal tono perentorio e dal  mantello da cerimonia sulle spalle, deve essere stato messo a capo della missione, a ingigantire il suo ego già esagerato. Mia si dà una scrollata di spalle. A lei Misty non piace. È tronfio e troppo sicuro di sé, spavaldo e narciso. Piace ai più conservatori del Tempio perché è un cagnolino fedele, uno di quelli disposti a tutto per ottenere in fretta fama e onori. È sempre stata fortunata, lo sa bene, perché ha avuto come maestro Aiolia e non un Saint come Death Mask. Uno di quelli che combatte senza metterci il cuore o, meglio, senza pensare con il cuore. A quelli come lei – come il suo maestro – quelli della risma del Saint di Cancer lanciano occhiate di compassione e pena, ma sa di essere nel giusto.
Che per servire Athena occorre anche saper perdere e, dunque, morire.
“Allora?” la incalza Perseo.
“Chi è il Saint che è stato inviato a recuperare il Gold Cloth di Sagitter?”
Noi dobbiamo recuperare il Gold Cloth ed eliminare i Bronze Saint. Seiya, in particolare, stando alle ultime direttive che ci ha riportato Marin.”
Mia deglutisce e lancia un'occhiata al Saint di Eagle, poi riporta la propria attenzione su Misty.
“Il Gold Cloth è stato trafugato un'ora fa dall'Arena dei Kido. Da un Saint” puntualizza, perché ha avvertito in modo chiaro un cosmo pesante, come un karma gravido di colpe da espiare, sprigionarsi dallo scrigno dov'era custodito il Cloth di Sagitter.
Come quello di Death Mask, riflette, ma evita di esternare le proprie osservazioni.
“Impossibile” osserva Shaina facendosi avanti.
“E tu che ne sai?”
“E tu come fai a saperlo?”
“Ero là” le risponde infine serafica.
E si gioca il tutto e per tutto con un'ammissione di colpa, perché se realmente non è stato un emissario del Tempio a rubare il Cloth, significa che la battaglia non è da combattere su due fronti, ma molti di più.
E la situazione, per lei, potrebbe mettersi davvero male.
“Cosa ci facevi all'arena con quei traditori?”
Shaina, questa volta, le punta il dito contro mettendola alla gogna.
Stai calma, si dice, e inspira in modo impercettibile quando avrebbe bisogno del doppio dell'ossigeno che riesce ad avere nei polmoni.
“Dovevo parlare con Saori Kido come tu mi hai chiesto. L'ho fatto, e a quanto pare ci seguiranno in Grecia.”
È una mezza verità, se si considera che non hanno trovato un accordo. Se Saori si decidesse ad ascoltarla sarebbero già un passo avanti, invece se ne stanno entrambe arroccate sulle proprie posizioni. E qualcosa che si chiama istinto le dice di tenere Athena lontana dal Santuario sino a quando non avranno chiare le intenzioni del Tempio verso la dea finalmente ritrovata.
Cosa aspetti a manifestarti, stupida? Di dare a quel qualcuno il pretesto di ammazzarti per davvero, questa volta?
“Il Sommo Sacerdote vuole la loro testa” e questa volta è Marin a prendere la parola, l'ultimo anello mancante, l'ultima voce in capitolo dopo una serie di direttive mirate a quell’ordine: uccidere.
“E il Gold Cloth?” le domanda Mia. Si aggrappa a quell'unica possibilità di strappare un po' di tempo ancora, di far capire a Saori la gravità della situazione.
“Dobbiamo riportarlo in Grecia.”
“Se è vero ciò che dice Mia sarà difficile dato che non è più in mano agli usurpatori. E per averla ridotta in questo stato significa che il nostro nemico non è un ladruncolo qualunque” afferma Argor squadrandola da capo a piedi.
“Il Gold Cloth ha la priorità. Finché le tracce sono fresche, recuperiamolo. I Bronze Saint non fuggiranno da Tokyo” afferma con decisione.
E prega, Mia, che la sua proposta sia sensata e induca i compagni ad accettare il cambio di rotta. È pur sempre combattere il nemico, chiunque esso sia a questo punto, no?

 

Shaina ha seguito Mia come un'ombra. O lei, o Seiya, in un modo o nell'altro credeva che stare alle costole dell'uno la portasse dall'altro, invece si è sbagliata. Mia si è allenata e si è chiusa nella solitudine di chi è straniero, lontano da casa e non di certo per scelta. Ha fatto ritorno all'orfanotrofio soltanto quella sera, e l'ha lasciata lì quando ormai era troppo tardi perché potesse sopraggiungere Seiya.
Ha evidentemente fatto male i calcoli o forse ha davvero voluto credere che Mia potesse tradirli, sbagliandosi.
E lei detesta sbagliare.
“Se ci muoviamo ora le tracce saranno ancora fresche. I Bronze Saint sono stati feriti durante l'incursione, non saranno un problema” aggiunge Mia decisa.
“Allora dovremmo approfittarne e andarli a stanare, quei conigli” ringhia Moses, che in modo nervoso continua a camminare in un perimetro ben preciso, seguendo uno schema mentale.
“Sai dove può essere il Gold Cloth?” le domanda Misty.
“No, ma se è qualcuno che vuole rivendicare qualcosa, immagino si farà vivo a Villa Kido.”
“Io, Mia e Marin andremo a recuperare il Gold Cloth. Sorvegliare la Villa e seguire i Bronze Saint ci permetterà di arrivare alle vestigia molto prima. Non appena sapremo qualcosa, vi avviseremo.”
“Il Decumano vuole parlarci. Mi sembrava avesse fretta che facessimo ritorno al santuario. Dividerci sarà il modo più semplice per non perdere ulteriore tempo.”
Shaina vuole combattere e ritornare quanto prima in Grecia con la missione conclusa alle spalle.

 

Shun non si dà pace. Si era aspettato che ritrovare un fratello fosse cosa diversa che essere quasi ucciso da lui e trattato come il ragazzino dalla lacrima facile quale era.
Quale è.
Ha percorso il perimetro di Villa Kido almeno una decina di volte già, durante la ronda, e ancora non ha avuto segnali di intrusi, e ne è felice.
Non vuole combattere contro suo fratello. Non ha nemmeno intenzione di colpirlo, dovesse essere costretto a ritorcere contro sé stesso le proprie catene.
All'improvviso queste si muovono, sfrecciando nell'oscurità.
Ne riemergono pochi istanti dopo, con un biglietto conficcato sulla punta.
Vi aspettiamo al Monte Fuji.

 

*

 

Al suo arrivo all'orfanotrofio di Grozny, Camus viene accolto da un gruppo di ragazzini sudici.
Hyōga non è mai stato così, riflette, e si domanda quanto siano stati duri i giorni rinchiuso in quella prigione. I più grandi hanno gli occhi spenti, lo sguardo di adulti che hanno visto orrori così grandi da aver già rinunciato alla vita. Non vi è differenza tra maschi e femmine: tutti con le teste rasate, si aggirano per il cortile in piccoli gruppi, con lentezza, come se stessero camminando dentro – e sotto - l'acqua. Avanza e non si cura di loro, tira dritto per la propria strada, mentre il cemento che calpesta lo costringe a guardarsi intorno e capire che sì, in quell'orfanotrofio l'unico colore è il grigio. All'interno, le pareti spoglie e i pavimenti impolverati gli danno la conferma che gli ospiti della struttura siano abbandonati a sé stessi, senza possibilità di crescita.
“Chi è?”
Una voce dura, femminile, lo accoglie con freddezza. Fa capolino da una stanza una donna tarchiata, i capelli bianchi raccolti sotto un velo nero e la pelle dura come corteccia, solcata da rughe profonde. Come molte donne cecene, sembra più vecchia della sua età.
“Vorrei chiederle notizie di due bambini...”
“Non ne ha visti di suo gradimento, là fuori?”
“Sono stati qui molti anni fa. Hyōga, le ricorda nulla come nome? Non è russo, dovrebbe ricordarle qualcosa.”
La donna finge di riflettere, e Camus attende. Sa che per farla parlare occorrerà pagarla, ma non ha intenzione di ingrassare le tasche di una carceriera.
“Sì, ma è rimasto da noi per poco tempo. Venne adottato da un ricco giapponese, se non ricordo male.”
“E sua sorella?”
“All'epoca ci occupavamo solo di bambini maschi, così dopo alcuni giorni di transizione l'abbiamo mandata a Kurchaloi, dove potevano prendersi cura di lei. Qui alleviamo solo topi di fogna e assassini, non è un posto adatto alle bambine per bene. E dieci anni fa non sapevamo dove metterli, i bambini, proprio come ora.”
“Dove posso trovarla?”
“Se non è a battere sulla strada? Non saprei. Difficilmente chi esce da qui diventa un dottore.”
Camus inizia a spazientirsi, e l'odore nauseante di piscio e polvere non lo aiuta a restare concentrato sul proprio obiettivo.
“Può dirmi il suo nome, almeno?”
La donna si allontana, tornando alcuni minuti dopo con un vecchio quaderno consunto, dalle pagine ingiallite.
“Può trovare tutto qui dentro. Hyōga era un bel bambino. Non era destinato a essere un rifiuto di nostra madre Russia. Lei è il padre? Ha gli stessi occhi tristi.”
“No, sono solo un amico.”
“Sono vivi?”
Ora la donna sembra essere davvero interessata alle vicende dei due bambini, forse per avere una vittoria in una vita da educatrice fallita, in un paese che quelle come lei prima le ha indurite con la guerra, poi le ha lasciate senza figli per prendersi cura di quelli abbandonati dagli altri.
“Della sorella non abbiamo mai avuto notizie. A Grozny abbiamo raccolto dalla strada un sacco di ragazzini per poi risputarli fuori. Nessuno li vuole. Ci vorrebbero dieci orfanotrofi come questo per garantire a tutti un tetto, invece qui ci siamo solo noi. A Kurchaloi si potevano permettere di ospitare ancora qualcuno invece.”
Si zittisce, e mentre Camus sfoglia un registro di nomi e date in cui cercare quello del suo allievo, la donna sembra avere voglia di lavarsi la coscienza, di darsi una giustificazione del perché la vita sia tanto inclemente con quei ragazzini.
“Era bella come Hyōga, lei, e si somigliavano. Se non fosse stato per quegli anni che li dividevano avresti potuto credere fossero gemelli. Il taglio degli occhi e le ciglia lunghe, quelli poi, erano identici.”
Camus smette di ascoltarla per focalizzare la propria attenzione sul quaderno, alla ricerca di un nome e una città dove ritrovarne la proprietaria. Vorrebbe dire alla donna di tacere e che non sarà una confessione a renderla migliore ai suoi occhi.
“Li abbiamo tutti.”
Lei sembra non capire, così Camus fissa una data: diciassette marzo millenovecentoottandue.
“Gli occhi tristi. Nessuno può permettersi di essere felice.”
Fissa i due nomi in ingresso all’orfanotrofio, l’uno di seguito all’altro, la data accanto scritta in una calligrafia orrenda, poi controlla le rispettive date di uscita. Quella della bambina corrisponde a quanto detto dalla donna, destinazione Kurchaloi. Attende alcuni istanti, poi richiude il registro e lo lascia dinnanzi a sé.
“Lei come pensa di sopravvivere, di notte, alle sue mancanze?”
La donna sgrana occhi neri come pece, occhi di rapace tra le rughe del viso indurito dal freddo.
“Ho fatto tutto quello che potevo con questi ragazzini. Se lo stato non ci aiuta, come pensa di poterli salvare tutti? Nessuno si salva da solo, è già tanto se riusciamo a sfamarli.”
“Dategli un motivo per vivere.”
Camus si alza dalla sedia voltandole le spalle. Ha il passo marziale di chi ha sempre combattuto, il portamento regale di un saggio e di un giusto.
“Hyōga diventerà un grande uomo. Può esserne felice.”
Al suo allievo è stato dato un motivo per vivere, e presto potrà offrirgliene un altro. Presto, quando la guerra sarà finita, potrà finalmente dargli un nome su cui lavorare, da cercare, da riabbracciare. Durante il suo addestramento, Camus avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un motivo per vivere che non fosse la guerra o il riscatto di un morto.
Ha dovuto attendere l’arrivo di un ragazzino con la lacrima facile, per dare un senso alla propria vita.

 

*

 

Aldebaran si rende conto che è sempre più difficile lasciare il Brasile, specie ora che suo figlio è abbastanza grande per supplicarlo di non lasciarlo. Margherita non dice nulla, continua a occuparsi della casa senza fargli domande. Quando l'ha trovato in cucina, intento a lucidare le corna del suo elmo, ha compreso che la partenza è imminente. Il Santuario glielo porterà via un’altra volta, e teme il momento in cui non vi sarà ritorno.
“Quanto tempo resterai in Grecia?” gli ha domandato in tono asciutto senza drammi né piagnistei qualche sera prima, attendendo che José fosse a dormire. Margherita sapeva sin dal principio a cosa stesse andando incontro, ma con la stessa certezza ha deciso di lasciarsi andare, cedere alle lusinghe impacciate di un uomo buono e mite, duro come roccia.
“Sentiremo la tua mancanza.”
“Non puoi immaginare la mia. Anzi, mi mancate già.”
Ha contato i giorni che lo separano da Atene e rosica sino all'ultima ora per poter restare più a lungo a casa, per godere ancora un poco della sua vita prima di rimetterla nelle mani del Sommo Sacerdote.
“E se Athena non esistesse?” gli ha domandato Margherita all'improvviso, mentre gli serviva un piatto di pesce fresco e pane fatto in casa.
“Perché non dovrebbe?”
“Perché dovrebbe?”
“Per salvare gli esseri umani.”
“Continuano a morire, Aldebaran. Athena può essere giusta, ma non sarà mai una salvatrice di anime. Non è un suo compito.”
Quel compito spetta ad altri, a padre Honòrio, lo stesso che li ha cresciuti all’ombra della favela, in quella periferia che è diventata terra di nessuno, buona solo a risputare fuori cadaveri e narcotrafficanti. Hanno sempre pregato, perché sono cresciuti con la fede nel sangue e con quella stessa fede si sono sporcati le mani nel fango e nella vita.
“Sono due cose differenti, Margherita.”
“A volte mi domando se sia davvero così, Aldebaran.”
“Lo è. Athena non cambia l’aver fede in Dio.”
“Dunque potrò continuare a pregare per te?”
“Perché non dovresti?”
“Se Athena dovesse dimenticarsi di te, la tua anima sarà protetta comunque.”
Margherita non ha mai creduto nel potere di Athena, ma Aldebaran sa che è difficile – se non impossibile – far comprendere qualcosa come la reincarnazione a un fedele cattolico, dove l’anima può finire all’Inferno o in Paradiso e non ci sono vie di fuga nel mezzo.
Lui ha imparato ad avere fede soltanto, senza fare domande, così come insegnano i vangeli.
Margherita lo stringe a sé, quasi fosse una bambola. La lascia fare, cingendole le spalle nude nella calura di una vecchia casa addossata alla chiesa.
“Non voglio che arrivi l’alba” gli bisbiglia in un soffio, e fatica a udire in modo distinto le parole.
“Ne arriveranno molte di più, e sarà con il sole che cala sulla strada che farò ritorno.”
Le bacia la fronte e lascia che il profumo d’agrumi gli permei le narici e gli si imprima sulle mani, mentre passa le dita grandi tra i capelli corvini della donna.
“È difficile credere che un uomo come te conosca la dolcezza. Eppure sono certa che nessuno potrebbe eguagliarti.”
Gli sorride e non fa domande, proprio come lui.
Per questo si sono amati sin dal primo momento, con gli sguardi, con le parole e infine con pelle e anima.
Sono stati plasmati dal sole del Brasile e dal sudore misto a terra rossa e alle lamiere delle baracche.
Non fanno domande e hanno entrambi fede cieca.
Per questo, qualsiasi cosa accada, continueranno ad attendersi.

 

*

 

“La gamba non è ancora guarita del tutto, vedo.”
Il Sommo Sacerdote gli fa cenno di avvicinarsi, ma non gli risparmia di inginocchiarsi al suo cospetto. Shura stringe i denti e a capo chino attende la domanda fatidica, quello che lo decreterà un buon Saint o un fallito.
Ancora una volta, come se la sua vita fosse un'eterna rincorsa alla conferma di aver ottenuto il Cloth per merito, non per fortuna o lignaggio.
“Non sono riuscito a recuperare ciò che mi avete chiesto. Prima che potessi avvicinarmi all'albero una forza misteriosa mi ha scagliato lontano, in un altro luogo. Mi sono risvegliato in Jamir, ai piedi della dimora del Grande Mu.”
L'uomo, seduto sullo scranno, sembra impassibile, immobile come una statua oltre la maschera che gli copre il volto, e Shura avverte un rivolo freddo percorrergli la schiena.
“Quante ne sono rimaste?” domanda poi.
“Il custode dell'albero dovrebbe essere morto. Quando ho colpito l'ultima testa rimasta sono stato espulso dal Giardino.”
Shura ancora si sveglia nel cuore della notte, quando la coscia pulsa di dolore, avvertendo in modo distinto le zanne dell'animale affondare nella carne e strapparne alcuni lembi. Se non fosse stato per quel teletrasporto...
A quel pensiero, il Gold Saint di Capricorn sembra ricordare – o realizzare – che forse ciò che l'ha salvato non è nulla che si trovi all'interno del Giardino, ma una forza esterna. Mu, d’altra parte, non gli ha fatto domande quando ha visto lo squarcio sulla coscia, profondo sino a mostrare l'osso sotto strati di tessuto strappato in modo brutale. Nulla che potrebbe aver fatto un Saint, ma Mu è sempre stato discreto e buono, uno di quegli uomini a cui affidare la vita senza esitazione. E un segreto.
“Sapevo che Excalibur sarebbe tornata a brillare e mietere vittime.”
A quale prezzo? si chiede Shura. Quella notte, si era ripromesso di non utilizzare mai più l'arma sacra che gli aveva affidato Athena. Dopo aver massacrato Aiolos, Excalibur era come morta.
E lui con lei.
Poi, davanti a quelle cento teste grondanti bava e desiderose di uccidere, l'istinto di sopravvivenza ha preso il sopravvento sul giuramento che aveva fatto a sé stesso, ed Excalibur è tornata a essere di nuovo una lama affilata e inclemente.
“Posso tornare indietro se lo desiderate.”
“No, tu e i gli altri Gold Saint servite al Santuario. Non appena torneranno dalla loro missione i Silver Saint, porteranno a termine ciò che tu non hai concluso. Non sarebbe stato un avversario alla loro portata, in ogni caso.”
“Pensate si spingeranno sino al Tempio?” domanda Shura riferendosi ai Bronze Saint.
“Una volta  che otterremo il Gold Cloth di Sagitter e riusciremo a riportarlo qui, se davvero per loro è così importante arriveranno. E noi saremo pronti per accoglierli.”
A Shura non piace pensare al cospetto del Sommo Sacerdote perché è come se gli permettesse di guardargli dentro, ma il richiamo dei Gold Saint al Tempio per una manciata di traditori – dei ragazzini – e una facoltosa ereditiera, gli sembra esagerato. Certo guardando al disegno finito dell’intera missione, capisce che sono a un passo dalla guerra, e che il vero nemico ancora non si è palesato.
“Hai avvertito il cosmo delle guardiane?”
“I loro Cloth d'Ambra erano involucri vuoti, disposti a piramide all'ingresso del Giardino. Non vi era traccia di loro.”
Il Sommo Sacerdote resta in silenzio, ponderando le sue parole.
“Metterò in guardia i Silver Saint. Dopo la violazione del Giardino da parte tua, dubito che i suoi dormienti protettori restino tali. Anche se per noi sarebbe una fortuna.”
“Sono certo che la missione potrà essere portata a termine.”
“Non ne dubito Shura di Capricorn. Sei congedato, per ora.”
Shura si alza e si allontana dalle stanze del Sacerdote con passo marziale, aritmico. Là, dove il tacco della gamba inferma sfiora la terra, avverte la risonanza del dolore propagarsi lungo tutto il suo corpo.
Ce la faranno davvero?

 

Saga si lascia scivolare contro lo schienale in marmo, gelido al tocco nonostante a dividerli vi siano strati di mantello in porpora e toghe pesanti.
Nessuno vive per sempre.
Nessuno vuole vivere per sempre, ma io si. Noi si.
Mette a tacere la propria voce più scomoda, mentre il suo pensiero corre a Death Mask. Si trova all'Altura delle Stelle per verificare che tutto sia sotto controllo e pronto per quando i Bronze Saint e Athena saranno in Grecia.
Pensi davvero che sia un servo fedele?
Si, lo crede.
Death Mask lo è per scelta, Shura perché crede. Ecco perché ha affidato a entrambi una missione ben precisa. Sa che, in un modo o nell'altro, porteranno a casa la vittoria. Shura, ha una colpa da espiare, un qualcosa su cui fare leva è davvero troppo facile.
“Non credete sia opportuno costringere Saori Kido a venire al Tempio? Dichiarate guerra, e quando arriverà potremmo attuare ciò che avete in mente”.
Death Mask non è di certo uno  sciocco, per questo il Sommo Sacerdote ha inviato al Decumanodi Tokyo l'ordine di richiamo dei Silver Saint al Santuario. Dovranno riportare in Grecia il Gold Cloth e indurre i Bronze Saint a fare altrettanto. Se non dovesse bastare il Cloth di Sagitter, sarà una lettera di guerra e l'editto di morte a costringerli.
E a quel punto, Athena morirà per sempre.
La ruota della fortuna gira dalla nostra parte, ora.
Quando i Silver Saint sono partiti per Tokyo il Sommo Sacerdote ancora non aveva compreso l'importanza strategica di quell'ospite fatto d’ombra. Ancora, non aveva ideato un piano nel quale introdurlo e nemmeno aveva preso in considerazione la possibilità di sfruttare quell'odio covato per secoli a proprio vantaggio.
Sorride soddisfatto, dietro la maschera d'opale, mentre le vesti sacerdotali gli frusciano attorno al corpo.
Avrà la testa di Athena e il mondo, a quel punto, sarà suo.

 

“Sembri un leone in gabbia” lo apostrofa Milo avvicinandosi a lui. Scende la scalinata che porta alla Quinta Casa allungando le braccia verso il cielo e portando poi le mani dietro la nuca, intrecciando le dita tra loro.
“Il leone scalpita perché vuole combattere o c'è qualcos'altro che lo tormenta?”
“Non è da  te tutto questo interessamento, Saint di Scorpio.” 
“Se ho un buon motivo per prenderti in giro, è opportuno ne approfitti finché abbiamo tutte le ossa intere. Non che mi preoccupi la guerra contro quattro mocciosi insolenti, piuttosto...” e lascia morire le parole, su quel sigillo non ancora spezzato ma che, prima o poi, li inghiottirà per sempre.
“È ancora tutto immutato. Tutto dannatamente fermo.”
“Allora prudono le mani al leoncino! Shura non è stato bravo a farti saltare i nervi? O sei diventato bravo tu a domarti, Aiolia?”
Lo guarda sorpreso, e Milo si affretta a concludere la frase.
“Vi ho visti parlare. Insomma, il ritorno dello scomparso e ombroso Shura ha ridestato tutto il Tempio. Non ti sei chiesto dove sia stato?”
“Certo che me lo sono chiesto” sbotta Aiolia sentendosi un idiota, una delle doti che Milo possiede oltre quella di fargli saltare i nervi con estrema facilità.
“E a lui non hai domandato dove sia stato, immagino.”
“Pensi che Shura risponderebbe a una domanda del genere?”
“No, in effetti no. Ma qualcuno saprà.”
“Dunque?”
“Dunque, in tempo di pace, mi piacerebbe sapere perché mandare Shura di Capricorn a farsi ammazzare in qualche sperduto posto del mondo.”
“Non siamo in pace” lo corregge Aiolia.
“Giusto, siamo in trincea. Che fortuna, eh. Senti, io vado a farmi un bicchiere di vino, ti va? Così quella maschera da soldatino, almeno per un paio d'ore, la dimentichi al Tempio.”
“Siamo in missione.”
“Due ore nel cuore di Atene e sei convinto di non avvertire minacce arrivare? Hai intenzione di prendere una grandissima sbronza allora!”

 

Death Mask avanza nel buio più completo, a posare una luce fioca sul pavimento solo qualche torcia dalla fiamma pallida, prossima ormai a spegnersi. Si sofferma a guardare la teca in cui giace il corpo senza vita di Shion, il bel volto ancora intatto.
Sarà la tua santità a non permettere alle carni di decomporsi, come per tutti gli altri?
Si avvicina al feretro, la tunica chiazzata di marrone là dove la daga ha affondato sino a spaccare il cuore. Un fiore purpureo, ormai avvizzito, che ricorda a chi lo osserva che il Sommo Shion non sta riposando.
A vederlo non ha dipinta sul volto quell'ultima espressione di orrore e sgomento.
Forse i Santi, quelli veri, riescono a sembrare puri anche da morti.
Ravviva il fuoco attizzando i carboni nei bracieri e dando nuova vita alle fiamme. Fa freddo all'Altura delle Stelle, e non ricorda che quel luogo abbia mai offerto qualcos'altro rispetto al gelo spettrale di cui è permeata. La chiamano “altura”, in verità è il covo segreto dei sacerdoti, un nido scavato nel ventre della montagna. Dalla sua massima altezza, risalendo la stretta scala in tufo, si arriva all'esterno, su una terrazza naturale che è anche l'osservatorio del Tempio, da dove inizia ogni divinazione.
Il Sommo Sacerdote avrà già inviato i nuovi ordini al Decumano di Tokyo?
Lancia un ultimo sguardo al cadavere del Sommo Shion, lasciandoselo poi alle spalle.
Valeva davvero la pena farlo? Sia tu che Aiolos siete morti come due insetti. In modo stupido, per mano di persone in cui riponevate piena fiducia.
Quasi deve accucciarsi per addentrarsi negli anfratti più bui della grotta. La spessa coltre di ragnatele che ricopre ogni cosa gli si incolla al Cloth, rendendolo pesante.
“Non sei lui, sei l'altro.
Le ragnatele, al suono della voce, si allontanano dal suo corpo, tornando a essere ornamento di un nido costruito in giorni tutti uguali, in cui l'unica luce visibile è quella della luna.
“Mi manda lui” conferma, e la creatura si fa avanti, con cautela. Ne vede prima le dita ossute - adunche, dalle unghie lunghe e affilate come lame, nere e lerce di terra e roccia - che scostano le ragnatele dietro cui è nascosta, poi il volto, privo di lineamenti ben definiti. Occhi ciechi, coperti da uno spesso strato di cataratta, lo cercano invano. A trovarlo, è il suo fiuto mentre annusa l'aria come un segugio.
“Perché non è venuto lui, oggi? Lo stavo aspettando.”
Death Mask si stupisce ancora una volta del suono limpido di quella  voce, che per secoli ha potuto rivolgersi solo a sé stessa.
Il Sommo Shion l'avrà mai vista?
“Quando sarà il mio momento?” domanda in tono asciutto, deciso. Nonostante la vita nell'ombra, la presunzione che le è costata l'umanità non l'ha abbandonata.
“Molto presto. Come pensi di eliminarla?”
Dalle labbra sottili esce una risata stridula, divertita.
“Mi piaci Saint di Cancer. E capisco perché il Sommo Sacerdote ti preferisca a tutti gli altri.”
Gli si avvicina, i lunghissimi capelli neri che sfiorano il terreno, perdendosi poi nel buio alle sue spalle.
“La colpirete al cuore con una freccia maledetta. Sarà tutto pronto per quando tornerà in Grecia.”
“Una freccia?” domanda perplesso, in tono canzonatorio.
“Hai un'idea migliore su come colpire Athena, protetta dai suoi Saint?”
In effetti solo un attacco a sorpresa potrebbe andare a segno. Death Mask la osserva arretrare di nuovo verso il buio del suo nido, al riparo dalla luce e dalla sua presenza.
“Saga desidera che gli consegni la Mietitrice.”
La donna si arresta bruscamente. Con uno scatto repentino – da rettile, ed è ciò che sembra con la pelle bianca e lucida, sottilissima, che brilla sotto i raggi della luna piena -  si volta verso di lui, e a Death Mask sembra di essere visto – trafitto – da quello sguardo carico d'odio.
“A cosa gli serve, se sarò io a sconfiggere Athena? Non si fida forse di me?”
“È una tutela. Non sappiamo cosa possa accadere durante la battaglia.”
Con quell'arma, Saga potrebbe uccidere qualsiasi dio decida di risvegliarsi, e se anche la missione di Shura andasse a buon fine... il mondo sarebbe suo.
Loro, se riuscirà a servirlo con la stessa efficienza degli ultimi… vent’anni? Qualcuno in più o in meno, ha poca differenza. È quasi una vita intera, se ci riflette.
“La Mietitrice resta con la sua custode.”
“La daga qui non servirà a nessuno. Là fuori ci farà vincere tutte le guerre del mondo, da qui all’eternità.”
“Non ti azzardare, Gold Saint di Cancer. Posso ucciderti quando voglio” lo ammonisce avvertendolo avanzare verso di lei, deciso ad andarsene con ciò che gli ha chiesto Saga. E se deve ammazzare il mostro, sarà un incidente di percorso. Potrebbero farcela anche senza di lei, anche se sarebbe tutto molto meno… perfetto.
“I mostri si guardano allo specchio e cosa vedono? Mostri. Sei sicura di potermi annientare? Potrebbe costarti tutto ciò per cui hai vissuto sino a questo momento.”
Socchiude le palpebre e inspira. Forse spera di fiutare una paura che – con delusione – non suscita in lui.
“Perché dovrei cedervi la daga?”
“Perché Athena sarà solo la prima a cadere.”
Death Mask sorride, e lei – nonostante non possa vederlo – lo fa di rimando, come se l'idea l'allettasse.
“Il peccato di presunzione può costare caro.”
“Oppure renderti padrone del mondo, se sei abbastanza abile.”
E tu non la eri.

 

*

 

Combattere al fianco di quella che credevi una nemica ti porta a rivalutarne la forza. Quando ti costruisci una nemesi contro cui riversare ogni frustrazione, tutta la rabbia che hai dentro e il rancore, non riesci a vedere l'uomo ma solo il feticcio ideale che hai realizzato. Per questo motivo Mia, per Shaina, è stata sempre stata quella con cui prendersela poteva essere più semplice e scontato. Non l'ha mai sottovalutata come Saint, ma è sempre stata certa che Mia lavorasse troppo di cuore, di pancia, e non di istinto e dovere. Un po' utopista, un po' sciocca, un po' troppo innamorata e disposta a perdere tutto, anche, se necessario. Ora, trovarsi spalla a spalla con lei, lontano dal Tempio e da Seiya, Shaina comprende che il nemico non è davvero tale ma gli addossi le tue paure, le tue colpe, per cacciarle lontano e odiare qualcuno che non sia tu.
Mia e Marin sono compagne fedeli.
Combattono e non arretrano, avanzano mentre lei copre loro le spalle. Mia scaglia una serie di colpi contro uno dei Black Saint ma non riesce a prevedere l'ombra che compare alle sue spalle pronta a colpirla.
Pochi istanti di esitazione, e il Silver Saint di Aglaia sarebbe stato schiacciato nel dirupo che stavano costeggiando, dirette al cuore del Monte Fuji. Shaina ha colpito il Black Saint di Pegasus, ma cadendo si è ferita alla spalla.
“Abbiamo recuperato una parte del Gold Cloth e tu ora hai bisogno di cure” l'apostrofa Mia aiutandola a rialzarsi.
“Non è niente di grave.”
“Tu non puoi combattere ora, saresti solo un peso.”
L'Ofiuco stringe i pugni, ma non aggiunge altro. Sa che per ora, la sconfitta è la sua.

 

“Quindi esistono Saint Oscuri?” domanda Mia perplessa.
“Credevo fosse solo una leggenda, ma a quanto pare esiste un doppio per ognuno di noi” conferma Marin.
Quando hanno sorpreso i Black Saints sono riuscite a concludere i combattimenti in modo veloce. Hanno recuperato tre pezzi soltanto del Gold Cloth, ma questo ha permesso agli altri Silver Saint di entrare in azione e riprendersi le parti mancanti, dopo aver ricevuto dal Decumano l’informazione di dove si trovassero i disertori del Tempio. Il Saint di Eagle stringe con forza il bendaggio attorno alla spalla di Shaina, dopo un'arringa spietata in cui ha vinto solo per misericordia, probabilmente grazie a un barlume di buon senso concesso all'Ofiuco da Athena stessa.
“È soltanto una lussazione” le conferma Mia dando un'occhiata al suo lavoro. Shaina è scivolata in un crepaccio dopo aver colpito il Black Saint di Pegasus prima che si avventasse su di lei per questo ora, la giovane allieva di Aiolia se ne sta in disparte, contemplando ciò che resta del Gold Cloth di Sagitter, adagiato a una parete della sua stanza.
“Riusciremo a recuperarlo tutto?”
“Certo che si” esordisce Shaina con tono deciso, cercando di alzarsi dal proprio posto prima che Marin abbia concluso con lei.
“Vuoi stare buona un attimo? Sei peggio di Mia quando ti impegni!”
“Dovremo portarla al Decumano, lui avrà sicuramente indicazioni da darci, se sono giunte nuove dal Tempio.”
“Il Decumano?” domanda Mia accigliata.
“Tu eri l'anello di congiunzione con Saori Kido. La base è al tempio shintoista di Meiji Jingu, dal Decumano di Tokyo.”
A Marin sembra che Mia voglia dire qualcosa, ma si limita a osservarle, mentre sedute al tavolo della cucina del suo appartamento sembrano falsare il quadretto di una vita comune, da amiche.
“Grazie per avermi aiutata.”
Shaina sgrana gli occhi, sorpresa, ma finge che la cosa non sortisca effetto su di lei.
“Siamo compagne no?”
“Qualcun altro non l'avrebbe fatto” le ricorda Mia tornando a sedersi accanto a loro. È irrequieta, lo capisce dal modo in cui non riesce a stare ferma troppo a lungo nel medesimo posto.
“Sei preoccupata per l'idiota?” le domanda secca Shaina, all'improvviso. Mia scuote il capo in risposta, con decisione.
“No, Seiya è in buone mani. Ha riportato diverse ferite, ma si trova presso l'ospedale della Fondazione.”
“C'è la ragazza dell'orfanotrofio con lui?”
“È in buone mani” ribadisce Mia, e Shaina non cede.
“Meriti di meglio di quell'idiota.”
“Non si tratta di meritare un trofeo. È questione di scelte. Credo.”
“Puoi scegliere qualcuno che ti faccia essere ciò che sei, il Silver Saint di Aglaia che ho visto oggi e non una stupida ragazzina sentimentale e titubante. Tu non hai paura di combattere. Hai solo paura di accettare ciò che sei.”
Mia non le risponde, lasciando cadere il discorso.
“Ehi, dove vai? Scappi? Sei la solita codarda!”
“Vado a Villa Kido a vedere cosa diavolo stia accadendo e comprendere quali saranno le prossime mosse di Saori. Non sono io l’anello di congiunzione?”
“Dobbiamo portare il Cloth al Decumano.”
“Tornerò presto.”
La osservano allontanarsi e Shaina si scompiglia i capelli in un gesto di stizza, sbuffando.
“Lascia stare, comprenderà chi è quando sarà il momento.”
“Non è più una ragazzina da un pezzo.”
“A volte dobbiamo solo staccarci da ciò che crediamo un porto sicuro, Shaina.”
Tutti ne hanno avuto uno. Ed è quando decidi di salpare l’ancora che la terraferma su cui sei stato sino a quel momento appare sfocato, come il ricordo sbiadito di una vita che non ti apparteneva.
“Ti fidi di lei?” le domanda all’improvviso.
“Non dovrei? Non mi ha dato motivo di dubitare.”
“Nemmeno quando ha detto che Seiya…”
“È infermo. Possiamo attaccarlo quando vogliamo” taglia corto la sacerdotessa.
E Marin sorride, perché quelle due, così lontane, sono a volte così vicine che dimentica di avere davanti l’una, o l’altra.

 

L'unico pezzo dell'armatura in loro possesso è l'elmo. Seiya, ferito, se lo rigira tra le mani e non si da pace. I Silver Saint li hanno battuti sul tempo, e si chiede se tra loro ci fosse anche Mia. Shiryu non è tornato dal Jamir dove è andato per far riparare i loro Cloth, eppure – quando ne ha avuto bisogno – l'armatura di Pegasus si è palesata a lui, proteggendolo durante lo scontro decisivo contro Ikki.
Ikki, dopo il duello, è riuscito a scacciare i propri demoni e tornare in sé stesso, anche se non ha ancora rivolto la parola a Shun che attende un suo cenno per chiedergli perdono. Di cosa, poi, Seiya se lo sta chiedendo, ma cerca di non immischiarsi in questioni che non lo riguardano, preso com’è a cercare una soluzione a quella situazione. Se ne stanno tutti lì, al cospetto di milady, ad attendere che qualcuno parli. Che Saori Kido dica qualcosa e decida il da farsi.
Invece ci sono solo silenzio e imbarazzo e sta di certo ponderando le parole giuste per tenerli con sé ancora un po'.
La porta dello studio si richiude con un tonfo sordo ed eccola, Mia, che si arresta sulla soglia squadrandoli con attenzione.
“Sapevo saresti arrivata. Sei soddisfatta?” le domanda in tono asciutto Saori.
“Abbiamo avuto delle perdite. Due Silver Saint hanno perso la vita” le risponde Mia in tono duro.
“Il Gold Cloth di Sagitter non appartiene più al Tempio da anni, Mia.”
“Il Gold Cloth di Sagitter appartiene ad Athena, proprio come il Santuario di Grecia. E finché ti ostinerai a usarli come burattini le cose non si sistemeranno.”
Mia non arretra, né avanza. Se ne sta sulla porta come se avesse il bisogno urgente di andarsene di lì una volta per tutte. Posa lo sguardo su Ikki, poi passa oltre, passandoli in rassegna uno a uno.
“Cosa pensi di fare ora?”
“Non credo di avere altre scelte. Il Tempio ha dichiarato guerra.”
“Sei la solita arrogante. Non andrà come hai previsto Saori. E potrebbero morire per te” aggiunge.
“Forse vogliamo farlo” l'apostrofa Jabu avanzando di qualche passo deciso a proteggere milady.
“Potresti chiedermi come sto, che dici?”
L'apostrofa così, Seiya, per smorzare la tensione, cercando di farsi notare e non passare per uno dei Bronze Saint, ma lei gli lancia un'occhiata e scuote il capo.
“Tu stai benissimo. Sarà difficile rompere quella testa dura che ti ritrovi, Seiya. Saori perché non dici loro la verità? Pensi ti seguiranno solo perché glielo ordini, senza dare loro una giustificazione?”
Tutti si voltano a guardare Saori Kido.
Tutti attendono qualcosa, ora: risposte.
“Posso farlo io.”
Ikki attira su di sé l'attenzione. Saori trema, Mia sgrana gli occhi sorpresa.
“Siamo tutti fratelli. Cento figli di Mitsumasa Kido allevati per proteggere la sua preziosa nipote.”
Seiya non trova aria. All'improvviso è come se si fosse tuffato dalle scogliere di Atene e si sia dimenticato come si riaffiora in superficie. Vede Mia, oltre il velo di lacrime di rabbia che gli offuscano la vista, arretrare e andare a sbattere contro la porta dello studio.
Il silenzio, ora, è opprimente.
Il silenzio, ora, è un requiem per una vita di bugie e finzione.
Il silenzio, ora, è tutto ciò che lo divide da Mia.
E che li dividerà per sempre.

 

Ha corso sino a farsi esplodere i polmoni. Anzi, fossero esplosi almeno avrebbe avuto un motivo per morire. Invece è viva, e vivere ora è la cosa più disgustosa che esista. È figlia dell'uomo che odia da quando ha memoria ma, soprattutto, è sorella di Seiya. Anche degli altri, ma il problema è Seiya ora. Si dà una scrollata alle spalle e colpisce con forza il muretto che divide il marciapiede dal giardino pubblico, mandandolo in frantumi. La strada è deserta, alle prime luci dell'alba, e a Mia sembrano passati secoli da quando ha lasciato Villa Kido.
E adesso?
Adesso deve scegliere se restare al fianco di Athena o fare ritorno in Grecia dove l'aspetta la vita che conosce, quella che non può riservargli brutte sorprese e che è già stata percorsa da altri.
E se Saori decidesse di non rientrare al Tempio? Il suo posto è accanto ad Athena, dopo tutto.
Ma se Athena non vuole fare il proprio dovere, perché dovrebbe farlo lei?

 

Hyōga non lo crede possibile. Seiya è saltato alla gola di Ikki come un cane rabbioso, e ci sono voluti lui e Shun per allontanarlo.
“Menti! Sono tutte cazzate!”
“Perché non lo chiedi a lei?” gli ha chiesto senza scomporsi.
Saori è rimasta in silenzio alcuni istanti, poi ha annuito.
“È la verità.”
Un'ammissione di colpa e Mia è uscita dalla stanza senza nemmeno voltarsi o aspettare altre spiegazioni. Ora Saori li guarda negli occhi, uno a uno, poi sospira.
“Avrei dovuto dirvelo prima, ma non ne avevo il coraggio. Non era giusto che... distruggessi tutto.”
Fa una pausa, poi lentamente fa un cenno alzando la mano dinnanzi a sé e un cosmo potente, caldo e avvolgente, si sprigiona da lei.
“Sono Athena. Per questo il nonno vi ha messi al mondo. Per proteggermi.”
Allora, all'improvviso, tutto sembra così assurdo da non lasciare spazio alla realtà.

 

*

 

Il tempio shintoista si trova in una zona tranquilla, a est dal centro della capitale. Immerso nel verde, la scalinata che lo separa dal resto del quartiere è un ottimo deterrente per far desistere i peggiori curiosi, turisti compresi. Il Decumano osserva il Gold Cloth di Sagitter quasi completo. Manca l'elmo, l'unico pezzo in mano ai Bronze Saint.
Osserva i Silver Saint al suo cospetto, uno a uno, compiaciuto.
“Il Sommo Sacerdote è soddisfatto del compimento della vostra missione. Vi richiama ad Atene, dove vi è urgente bisogno di tutta la forza militare disponibile.”
“Non abbiamo ancora l'elmo” confessa Misty irritato.
“Farà in modo di ottenerlo. Così è stato deciso. Verrà dichiarata guerra a Saori Kido e ai Bronze Saint. Chiunque di voi veda uno di loro, è tenuto a consegnare la loro testa al tempio. Potete fare ritorno a casa, ora”
Moses fa scrocchiare l'osso del collo e sorride: è caccia aperta, prima di tornare.

 

Mia desidera parlare a Marin, raccontarle di Athena, ma non si fida di Shaina e non vuole destare sospetti. Ha cercato di sedare il cuore e si è detta che può aiutarli dal Tempio, in qualche modo. Dopotutto, può ancora essere un'ottima infiltrata per conoscere le mosse del Sommo Sacerdote. Non sa come potrà comunicare con loro, ma troverà una soluzione. E poi Athena ha i Bronze Saint al proprio fianco, meglio di nulla no?
Troverà, soprattutto, la propria strada, ripercorrendo ogni giorno la scalinata che porta al Tempio, ogni giorno a ricordare che quella meta un tempo significava tutto.
“Se tu incontrassi Athena cosa faresti?”
Lo domanda a Shaina, a bruciapelo, mentre fanno ritorno verso casa sua. Partiranno l'indomani e rientreranno in patria.
“La proteggerei, così come ho giurato.”
“A ogni costo?”
“Anche a costo della vita.”

 

Saori non si aspettava di vederla tornare. La guarda ancora una volta in piedi dinnanzi a sé, mentre cerca le parole migliori con cui congedarsi. Sa che è un addio, il loro, di quelli che – in un certo senso – ti lasciano l’amaro in bocca per quel senso di incompiuto che si portano dietro.
“Il nonno voleva che lo sapessi in un altro modo, Mia.”
“Non mi interessa cosa volesse il vecchio. Non sarebbe cambiata la sostanza. Ritorno ad Atene.”
“Ho bisogno di te qui.”
“Hai bisogno di qualcuno che conosca le mosse del Sommo Sacerdote per evitare di farvi ammazzare. È legge marziale al Tempio, Saori. Appena metterete piede sul suolo di Grecia avrete addosso gli occhi di tutti i Saint. Devi dimostrare di essere Athena prima che qualcuno ti faccia seriamente del male.”
Si sorprende di sentirle dire quelle parole e sorride.
“Adesso ti preoccupi per me?”
“Ho giurato di servire Athena, non Saori Kido” si limita a ricordarle quello che racchiude la più grande verità del mondo: non cederà mai ai desideri del suo involucro umano, ma solo ai comandi del divino.
Quando ti dimostrerò di essere  degna di essere Athena, non è così?
“Puoi fare ritorno ad Atene, Silver Saint di Aglaia.”
Mia non le risponde e fa per uscire dalla stanza, ma Saori ha ancora una cosa da dirle.
“Aspetta. Il nonno mi disse di darti questa, quando avresti compiuto sedici anni. Non è ancora il momento, ma se vuoi sapere tutta la verità credo che qui troverai molte risposte.”
Le mostra, adagiato sul tavolo, un vecchio diario rivestito in pelle chiuso da un'elegante serratura in argento.
“Sono gli appunti del nonno.”
“Non mi interessano.”
“Forse un giorno vorrai sapere.”
“Ogni volta che si tratta di sapere, quando ci siete in mezzo voi Kido, sono solo lacrime. Preferisco smetterla di ferirmi inutilmente.”
“Puoi buttarlo se lo desideri. Ma è tuo.”
“Tu l'hai letto?”
Saori scuote il capo.
“No. A me ha lasciato altri ricordi, non il suo diario. Voleva che quello lo avessi tu.”
Mia esita, poi lo afferra e lo infila nella propria borsa da viaggio.
“Fa' attenzione Saori e non abbassare mai la guardia.”
È così che si congedano prima di rivedersi, di nuovo, ad Atene, all'ombra del Tempio.

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Capitolo 11
*** Quando la guerra grida e il cuore chiama ***


Il fuoco crepita con forza, innalzando volute di fumo che avvolgono la sala deserta. È un odore acre e pungente quello che si sprigiona dalle fiamme della divinazione, e il Decumano ne respira a pieni polmoni le sostanze. Socchiude le palpebre tra loro mentre un senso di vertigine rischia di farlo cadere a terra. Vacilla e si aggrappa al braciere rovente senza rendersi conto della pelle che vi rimane incollata. In trance, cerca le stanze del Sommo Sacerdote, rivede il tempio di molti anni prima, quello che ha lasciato per prendere posto a Tokyo come Decumano.
“Allora dimmi, quando torneranno?”
L’uomo si inginocchia senza rendersi conto che – fisicamente – si trova dall'altro capo del mondo, perché con la mente è molto più lontano, persa tra le nebbie di un limbo in cui tutto è possibile e il corpo esegue un comando istintivo, dettato da anni di servigi e reverenze.
“I Silver Saint hanno recuperato l'intero cloth a eccezione dell'elmo.”
“Mi sembra un buon risultato, ma non è ancora il massimo.”
“Devo ordinare loro di impossessarsi del pezzo mancante?”
Dall'altra parte c'è un istante di silenzio, poi ode in maniera distinta il frusciare delle vesti vicinissime a sé e quasi ne avverte la seta sfiorargli il capo.
“No, richiamali al Tempio come stabilito. La loro missione a Tokyo è conclusa.”
“Potremmo ordinare ai Silver Saint di sistemare la questione senza macchiare il sagrato del tempio, Sommo Sacerdote.”
“Ho bisogno di loro per un'altra missione.”
“Come desiderate.”
La visione scompare, e il Sommo Sacerdote si perde tra i fumi che si diradano mentre il Decumano si accascia al suolo, ansante. Poi grida, i palmi alzati verso il soffitto del tempio in cui ha trovato rifugio dopo aver deciso di servire Athena restando lontano dalla sua città natale. Grida, sino a quando non sono le lacrime di dolore a premere con forza sul viso.
Così salate da bruciare come le mani scorticate che lo guardano silenti, la carne viva che pizzica a contatto con l'aria.
Guariranno, si dice.
Ma il dolore, ora, è insopportabile.

 

“Dobbiamo fermarli” sta dicendo Jabu con enfasi. Milady è nelle sue stanze e con lei, a Villa Kido, si trovano solo i Bronze Saint. Seiya – dal giorno precedente – ha aperto bocca solo se interpellato, e Shun lo guarda di sottecchi, colpevole. Sa cosa prova Seiya e, soprattutto, sa cosa significa vivere una vita in apnea, con la differenza che Seiya non riuscirà a tornare in superficie tanto facilmente. Gli smacchi come questo, per uno con il carattere sanguigno come il suo, sono difficili da digerire, se non impossibili. Vorrebbe confortarlo ma al contempo ne teme le reazioni: d’altra parte la verità è uscita dalla bocca di Ikki e, in un certo senso, Shun si sente responsabile.
“Come pensi di fare?” domanda Hyōga  infastidito.
“Cerchiamoli e facciamoci restituire il Gold Cloth.”
“Non sappiamo dove si nascondano” conferma Shun in favore del Cigno, mentre questi sorride con sarcasmo all'ingenuità del compagno.
“Dunque dovremmo gettare la spugna?” insiste Jabu. L'unicorno scalpita perché ha voglia di combattere. Non gliene hanno dato il tempo. Mentre difendeva Milady insieme a Nachi, Geki e Ichi, gli altri si sono fatti soffiare il Gold Cloth da sotto il naso. Nessuno parla di Shiryu. Nessuno ha il coraggio di dire che è quello che ha sacrificato più di tutti per difendere le sacre vestigia. Seiya, e di questo Shun ne è certo, si sta addossando anche quella colpa, come se non bastassero il furto del cloth e la vita di milady in pericolo. E qualche altro problema a cui non vuole dare peso, perché sa che non può dare ai capricci del cuore la priorità. E lo sa bene, lui, quanto sia facile cedere il passo ai sentimenti e farsi quasi ammazzare per una debolezza dell’anima.  
“E tu adesso dove vai?”
“Da Shiryu” risponde Seiya dando loro le spalle, staccandosi dalla parete con cui ha tentato – sino a quel momento – di fondersi.
“Con comodo, galoppino. Mentre noi cerchiamo una soluzione tu fai pure la crocerossina al capezzale del Dragone.”
Jabu non riesce a fermarlo mentre gli si getta addosso gettandolo a terra.
“Non ti intromettere” gli ringhia contro il Saint di Pegasus mentre gli sferra un pugno che lo colpisce alla mandibola. L'unicorno sorride divertito mentre sente l'odore acre del sangue riempirgli la bocca.
“Quando torno sarete ancora qui a decidere il da farsi. Milady ha deciso che partiremo per Atene e lo faremo.”
“Senza indugio, immagino” lo apostrofa con sarcasmo Jabu.
“Che vuoi dire?”
“Che Mia ci ha quasi ammazzati insieme alla tua maestra, o sbaglio?”
Seiya non risponde. Sono state così veloci, nel piombargli contro per recuperare gli ultimi pezzi dell'armatura e portare via dal combattimento gli altri Silver Saint, che non ha voluto credere ai propri occhi. Non ha avuto nemmeno il tempo di metabolizzare il problema: accanto a lui Shiryu si era privato della vista per sconfiggere Perseo di Medusa, il cui scudo aveva già pietrificato Shun. Mia si è portata via Perseo e Marin gli ha coperto la fuga. Compatti, come un gruppo di veri guerrieri e fratelli. Non come loro, in preda agli screzi e prigionieri del passato.
“Al suo posto chiunque avrebbe fatto lo stesso.”
“Non se fosse dalla parte di Athena, Seiya.”
Il tono di Hyōga  è duro e non ammette il beneficio del dubbio. È convinto che Mia sia fedele al Tempio nonostante conosca la verità e nulla sembra fargli cambiare idea, nemmeno la fede cieca che Saori Kido ripone in lei. D'altra parte, come dargli torto?
Seiya sospira e allenta la presa sul compagno mentre si volta a guardare il saint del nord.
“E tu che ne sai?”
“Ci sta tradendo.”
“Se Athena ha fiducia in lei, io farò altrettanto.”
La verità, però, è un'altra: non sa nemmeno lui a cosa credere. Se alla testa o al cuore.

 

“Buongiorno Seiya.”
Shiryu è seduto sul letto, le mani in grembo e una benda a coprirgli gli occhi. Il Saint di Pegasus esita, e il Dragone gli fa cenno di avvicinarsi. Shunrei scivola via dal suo fianco, lasciandoli soli, discreta come un fiore di loto che si fa sospingere dalle correnti del proprio stagno.
“Come hai fatto a...”
“Torno a Goro Ho.”
“Non puoi farlo. Abbiamo una guerra da combattere!”
“Una guerra che non posso combattere in queste condizioni, te ne rendi conto vero?”
Shiryu si volta verso di lui: non può vedere la sua espressione, ma è certo abbia dipinta in volto quella smorfia di irritazione che lo fa sembrare ancora un bambino.
“Milady?” gli domanda cercando di spostare l’attenzione su qualcos’altro che non siano le sue condizioni fisiche e le sue decisioni.
“Sta bene anche se è scossa. Almeno non sono riusciti a rapirla.”
“Se non ci fossi stato tu l'avrebbero portata via, Seiya. Il tuo braccio come sta?”
“Rotto, ma non è nulla di serio. Hanno approfittato del caos per rubare gli ultimi pezzi del cloth di Sagitter mentre quel viscido tentava di rapire milady.”
“Questo dimostra che è qualcosa di più di Saori Kido, no? Mi sembrano prove più che sufficienti. Il Santuario non si prenderebbe mai un disturbo simile per qualcosa che non sia davvero importante. Hai avuto notizie di Mia?”
Seiya resta in silenzio, poi mormora un no sommesso.
“Milady continua a dire che è dalla nostra parte.”
“E tu ora dubiti di lei?”
Calca la mano su quel “tu” perché Shiryu sa – da che ne ha memoria – quanto valga Mia per Seiya.
“Dubito di tutto. Si è lasciata alle spalle me e te per portarsi via Perseo. Ha recuperato i pezzi del Cloth riuscendo a intercettare i Black Saints prima di noi. Come faccio a non dubitare di lei, Shiryu?”
“Non hai pensato che sia un modo per aiutarci?”
“Rubando il Gold Cloth e proteggendo chi ti ha ridotto in questo stato?”
“Evitando lo scontro diretto tra noi e i Black Saint.”
“Non abbiamo evitato i Silver Saint” obietta lui cocciuta. A volte a Shiryu sembra di avere a che a fare con un vecchio sordo, uno di quelli che in Cina se ne stanno tutto il giorno accanto alla cascata sino a perdere l'udito e continuare ad avvertirne il rombo delle acque anche lontano da esse.
“Non può fare tutto, Seiya. Lei è un Saint del Tempio di Atene.”
“Quando ritorni?” gli domanda cambiando discorso, virando su un altro argomento.
“In  tempo per raggiungervi in Grecia.”
“Abbiamo bisogno di te, per cui non farci aspettare.”
Shiryu sorride e immagina che anche Seiya stia facendo lo stesso. Da quando gli ha salvato la vita è in debito con lui. È cambiato tutto in modo repentino dopo essersi si sono trovati costretti a combattere l'uno accanto al'altro. È come se il Gold Cloth e il suo prestigio avessero annebbiato le loro menti inducendoli a combattere la Guerra Galattica sino all'ultima goccia di sangue e cosmo. Sospira, quando sente la porta della camera richiudersi e la presenza di Seiya sparire. Ikki e la sua rivelazione li hanno obbligati a guardarsi in faccia e rendersi conto che niente – ora – può separarli di nuovo.
E per un fratello, sei sempre disposto a dare la vita. 

 

*

 

Camus esce dall'orfanotrofio di Kurchaloi con una fotografia in tasca e il sorriso materno di una donna sul cuore.
“Dopo sei mesi circa che si trovava da noi, hanno iniziato ad arrivare donazioni consistenti. Non sapevamo chi fosse, ma sapevamo che quei soldi ci servivano per mandare avanti la struttura e dare ai ragazzi un po' di serenità. Dopo pochi mesi ci venne chiesto di mandarla a Tokyo. Non sapevamo se farlo o meno. Ci era stato promesso un extra davvero consistente, per me e per Katiuscia. Accettammo. L'uomo che ci aveva mandato tutti quei soldi non avrebbe mai potuto farle del male. È stato come un palliativo, illuderci che sarebbe stata una storia a lieto fine. La imbarcammo per il Giappone una settimana dopo, quando ricevemmo sui nostri conti personali soldi sufficienti per cambiare vita per sempre. Katiuscia l'ha fatto, io sono rimasta.”
“Perché?” le ha domandato guardandola negli occhi di un azzurro pallido e spento.
“Sulla strada ci ho vissuto, so cosa significa dover sopravvivere taccheggiando i turisti e vendendosi. Lo fanno tutti, ragazzini e ragazzine. Poi, quando cresci, ti tiene compagnia l'eroina. Oppure sniffi colla per placare i morsi della fame. Ho deciso che avrei continuato a salvare il salvabile. In alcuni di loro c'è del buono.”
“Lei com'era?”
“Buona. Detestava i prepotenti. I più grandi tiranneggiano sempre i più piccoli. Lei se ne stava spesso in disparte, e quando la tormentavano cercava sempre di difendersi.”
“E tu com'eri?”
“Spaventata. Quando sono tornata qui non capivo chi ero e cosa stessi facendo. Avevo il braccio tumefatto e tempestato di buchi. Sarei morta se non mi avessero ugualmente ripresa qui dentro e messa a sgobbare e seguire i bambini. A volte era impossibile farlo davvero, ma con il tempo sono arrivata a prendermi cura di loro come fossero miei figli. La cosa più terribile è dimenticare chi si è.”
“E se non lo sai?”
“Tutti lo sappiamo. E chi non lo sa, viaggia finché non trova sé stesso.”
“Tu sei dovuta tornare al punto di partenza per capirlo?”
“No, l'avevo capito da tempo. Ma era più facile lasciarsi vivere che insegnare agli altri come farlo.”
Camus l'ha guardata e gli è sembrata solenne, con il corpo sfibrato dagli anni, levigato dalla vita dura di chi non ha pane da mettere sotto i denti. Doveva essere bella, dieci anni prima.
“Se dovesse rivederla, la benedica da parte mia.”

 

*

“Quando torniamo al tempio?”
“Più presto di quanto tu possa immaginare. E quando saremo ad Atene ti lamenterai di continuo perché ti manca il Jamir.”
Kiki si teletrasporta da un capo all’altro della casa con le braccia colme di oggetti.
“Torneremo prima di quanto tu possa pensare.”
“Perché devi combattere? A me Shiryu sembrava una persona a posto.”
“Combattiamo per ciò in cui crediamo, a prescindere dalla bandiera.”
“Tu gli hai riparato il cloth anche se sapevi che sarebbe stato un tuo nemico: perché?”
“Ha pagato il giusto prezzo come tutti. E non si nega mai un servizio a chi è disposto a pagare. Ora sbrigati o non finirai di sistemare tutto quello che hai messo in disordine.”
Kiki sorride raggiante e scompare alla sua vista. Mu esce nel sole di una giornata siderale, pallida e avvolta nel bozzolo di nebbia e freddo che ha già colpito il Jamir.
Ripensa a Shiryu.
Sono pochi i Saint d’onore disposti a sacrificare così tanto per un solo uomo, eppure lui l’ha fatto senza esitazione. È strano come due persone così simili come il Dragone e il Capricorno si siano appena sfiorati nel cuore del Jamir.
Il senso di colpa non è sufficiente a muovere una vita, Shura. Questo lo imparerai a tue spese, se riuscirai a conoscere Shiryu di Dragon. Questi Bronze Saint, forse, hanno una lezione anche per noi.
Quanto sangue sarà versato, Sommo Sacerdote?
Lancia la domanda a un cielo muto e greve di nubi, ma non riceve risposta.
Mentre in lontananza, il rombo di un tuono fa presagire l’arrivo di un violento temporale.

 

*

 

Seduta sulla scalinata posteriore della Quinta Casa, tra le mani un infuso di karkadé e timo, Mia osserva il cielo stellato sovrastare il Tempio di Atene. Si è fermata a guardare dall'alto, prima di fare ritorno a casa, l'intera scalinata sacra. Le luci delle Dodici case sono accese, fatta eccezione per quella di Libra e Sagitter, mausolei eretti a memoria dei loro precedenti custoditi. È una vista da mozzare il fiato, bella e terrificante al contempo. Mia sa che i Gold Saint sono pronti per muovere guerra e lei, ragazzina, non è ancora sufficientemente forte da potersi opporre, per poter dire “no” e scegliere per chi combattere.
“Cosa ti preoccupa?”
La voce di Aiolia, alle sue spalle, la fa sussultare. Stringe la tazza con più forza, ma un po' della tisana le si riversa addosso e si maledice per essere sempre così distratta in sua presenza.
“Da quando sei tornata non hai parlato molto. Non è da te.”
Il ragazzo si siede accanto a lei alzando lo sguardo sul cielo, le mani dietro la schiena a fargli da supporto mentre si lascia sfuggire un sospiro.
“Pene d'amore?”
Mia storna lo sguardo su di lui, sgranando gli occhi e arrossendo vistosamente.
“No! Sei pazzo?”
“Seiya è stato dichiarato nemico del Tempio. Abbiamo il compito di ucciderlo se dovessimo rivederlo. Immagino non sia facile.”
“Non è un problema, quello” mente lei dandosi una scrollata di spalle, sperando che quel tono di disinteresse basti e avanzi per interrompere le domande del Leone.
“E allora qual è, il problema?”
Non mollerà facilmente la presa. Curioso come un gatto, assillante come solo una madre potrebbe essere e dannatamente certo di arrivare al proprio obiettivo, Mia ha la certezza che Aiolia la metterà all'angolo. Si morde il labbro inferiore, cercando le parole adatte da cui iniziare a raccontare. Esita, mentre il silenzio li avvolge come una coperta di velluto.
Può fidarsi di lui?
Alza lo sguardo nel suo, occhi dello stesso verde che sa di boschi e pace. Aiolia l'ha cresciuta. Aiolia è il suo maestro. Aiolia, negli ultimi dieci anni, è stato tutto il suo mondo adulto.
“Ho trovato Athena” gli confessa a bruciapelo, senza troppi giri di parole perché non piacciono a nessuno dei due.
Lui si volta a guardarla nella penombra notturna rischiarata da una luna immensa, vicinissima alla terra.
“Cosa significa?”
“Devi giurare su Aiolos che non ne farai parola con nessuno.”
“Non posso Mia. Se hai trovato Athena è nostro compito proteggerla e condurla al Tempio, al sicuro.”
“Se fosse così semplice non ti avrei chiesto di giurare, no? Allora?” gli domanda scocciata, che Aiolia è ottuso e un po' ingenuo, come tutti gli uomini quando si tratta di capire i sott'intensi di una donna.
“Giuro su Aiolos che non dirò a nessuno ciò che stai per dirmi.”
Non è del tutto certa della forza di quel giuramento. Nonostante gli abbia chiesto di farlo su suo fratello, se dovesse essere una verità immensa – e la è – Aiolia potrebbe pensare di fregarsene e fare il diavolo a quattro.
Aria di tempesta sul Santuario per le prossime trentasei ore, pensa lei abbozzando un sorriso.
“Ci hanno mentito. Aiolos ha protetto Athena da morte certa. Qualcuno  al Santuario voleva la sua morte. È stato un magnate giapponese a incrociare la loro strada e decidere di prendersi cura di lei. Si trattava di Mitsumasa Kido.”
Le è così vicino da riuscire a sovrastarla senza difficoltà. Potrebbe uccidermi con un colpo solo, riflette, e Mia ha paura. Per la prima volta ha paura del suo maestro, quando la guarda con occhi duri e sguardo spietato.
“Stai mentendo, non è così?”
“No, è la verità.”
“Tu saresti...”
Mia sorride e scuote il capo.
“Non io, ma Saori. Mia sorella.”
“È impossibile.”
“Ha manifestato il suo cosmo Aiolia, e non ho dubbi. È Athena.”
“Dunque questa guerra sarebbe tutta una messa in scena per ucciderla?”
Mia si dà una scrollata alle spalle. Non sa se sia il Sommo Sacerdote ad aver orchestrato ogni cosa, di certo l'accanimento che l'ha spinto a dichiararle guerra le pare una prova più che sufficiente per accusarlo di essere il mandante di un doppio omicidio. Dovrebbe indagare e scoprire quale sia il suo piano, ma le sembra difficile formulare qualsiasi idea su come muoversi, specie se non può contare su nessuno se non sé stessa.
“Non lo so ma solo Athena poteva avere il cloth di Aiolos. Se ci pensi, il Sommo Sacerdote ha potuto costruire la sua verità e spacciarla per unica per tutti questi anni. Nessuno ha mai potuto affermare qualcosa di diverso, e di punto in bianco ritorna al mondo il cloth di Sagitter e una ragazzina che dovrebbe avere l'età di Athena e…”
Aiolia le scompiglia i capelli in un gesto affettuoso, mentre Mia gli porge la propria tazza di karkadé, abbassando lo sguardo sulla punta dei propri piedi nudi.
“Cosa pensi di fare?” gli domanda lei incerta.
“Andrò a parlare con il Sommo Sacerdote. Mi deve delle spiegazioni.”
“Tu hai giurato di non dire nulla!”
“Infatti andrò a chiedere delucidazioni” obietta lui senza scomporsi.
“Non credo sia una buona idea, Aiolia. Anzi, credo proprio che sia pessima.”
Un puntolino bianco, che si fa via via più vicino, la mette sull'attenti. Aiolia sorride, come se aspettasse quel qualcuno. L'armatura d'oro scintilla sotto la luce della luna e il mantello candido è un lembo di nubi nella notte.
“Cosa ci fai qui Milo?”
“Non sapevo nascondessi ragazzine nella tua abitazione, Aiolia.”
Mia arrossisce, si alza in piedi e con un inchino si dilegua all'interno dell'abitazione lasciandoli soli.

 

“Eri in udienza?” gli domanda Aiolia squadrandolo.
“Ti ho disturbato?” lo rimbecca il Saint di Scorpio con una punta di malizia nella voce.
“I Silver Saint sono tornati dalla missione” taglia corto il Leone sperando che l'interrogatorio di Milo non prosegua per ore. Non ha intenzione di perdere tempo né di dare spiegazioni a un tizio che ricama storie d'amore su ogni donna che incontra per poi scegliere una compagna per tutta la vita. A uno di quelli che, comunque, vedono il marcio pure in un mazzo di margherite appena colte.
“Lo so. Il Sommo Sacerdote mi ha convocato per ricordarmi di non lasciare il tempio e che siamo sotto legge marziale. Qualcuno ha fatto la spia sulla nostra bevuta dell'altra sera. Hai qualche idea di chi possa essere stato?”
“Hanno davvero così paura di qualche Bronze Saint?”
“A quel che ho capito i Silver Saint partiranno di nuovo. Sono stati convocati nuovamente al cospetto del Sommo Sacerdote. Con loro ci sarà anche Shura.”
Aiolia solleva lo sguardo su Milo, e i due sembrano pensare la medesima cosa.
“Credi andranno a finire quello che lui ha iniziato?”
“Ridotto in quelle condizioni non può fare molto, potrebbe essere un'ipotesi plausibile.”
“Mia non mi ha detto dell'udienza.”
“Gliel'hai chiesto?”
“Che razza di domanda è?”
“Be', forse non ritiene di doverti raccontare tutto, paparino.”
“Hai voglia di combattere per caso?”
Milo sorride, sfilandogli di mano la tazza e portandosela alle labbra.
“Buono questo karkadé. La prossima volta puoi offrirmene un po'?”
“Sei venuto solo per dirmi questo, Milo?”
“Più o meno. Non credevo di disturbarti, per cui ti lascio godere le ultime ore con la tua allieva prima che parta di nuovo. A presto micio.”
Aiolia si alza in piedi con velocità, cercando di colpirlo, ma Milo schiva il colpo e sorride.
“Detesto quando mi chiami micio.”
“Lo so.”

Da quando sono tornati da Tokyo un tarlo continua a tormentare Marin di Eagle senza darle tregua. Perché tanto accanimento nei confronti dei Bronze Saint e di Saori Kido? Certo, hanno tradito il tempio, ma davvero vale la pena schierare i Silver Saint e richiamare ad Atene i Gold Saint? Certo, si sono impossessati del Cloth di Sagitter ma nessuno si è chiesto come? Non appena rientrati si sono diretti al cospetto del Sommo Sacerdote posando ai suoi piedi il Gold Cloth di Sagitter. Un Cloth che è scomparso nel nulla nel momento in cui la massima autorità del tempio ha cercato di posarvi sopra le proprie mani. Ha sentito Mia irrigidirsi accanto a lei, trattenere le domande e il fiato. Shaina ha imprecato, avanzando un paio di passi come se avesse il potere di fermare il volere di un Cloth. È convinta che ci sia qualcosa che non va al Tempio, come se la mano del Sommo Sacerdote non fosse mossa dall’amore verso Athena.
Le è sembrato di percepire la stessa preoccupazione in Mia, per questo le ha dato appuntamento per la mattina successiva in un bar del centro, in modo che possano passare inosservate prima della missione che è stata loro affidata.
Prima, però, deve sapere.
L’Altura delle Stelle è rivolta verso est, un promontorio che si staglia contro il cielo nudo di Atene. A strapiombo, sul lato destro, il pendio precipita sul mare. Sul lato sinistro, si affaccia sul Tempio. Il resto è una tavola piatta stretta che offre il panorama di un cielo strappato alla luna, senza contaminazioni artificiali. È l’osservatorio del tempio, e l’accesso è proibito a chiunque fatta eccezione per il Sommo Sacerdote. Marin non sa cosa può accaderle, ma ha deciso di giocarsi il tutto e per tutto. Se quell’uomo nasconde un segreto può essere custodito solo in un luogo interdetto a chiunque, come quello. Un segreto, per essere tale, deve essere condiviso. O resta solo l’illusione di un singolo. Per come si stanno mettendo le cose, Marin è certa che qualcuno sappia molto più di quanto non voglia dare a vedere, ma non può perdersi a fare congetture: chiunque sarebbe papabile. D’altra parte, tutti hanno un passato che non vogliono raccontare, tutti nel disperato tentativo di tenere nascosta la vita al di fuori del Tempio – più lontana significa anche più sicura – e ciò che sono stati prima di essere Saint. Marin inspira, odore di salsedine e stantio, e fissa il buio che le si para dinnanzi. Il monte Fuji non era così cupo e tetro, quando sono entrate nel suo ventre per recuperare il Cloth. L’altura sembra invece un labirinto di morte, gelido, scavato nella terra e nel tufo. Odora di vecchio e di decomposizione e l’aria gelida che si annida tra i cunicoli la fa rabbrividire, investendola in pieno viso.
“Coraggio Marin, da quando sei una fifona?”
Da quando il mio nemico è sconosciuto, si risponde, ma mette a tacere la razionalità e cerca – da qualche parte – l’incoscienza. Non è mai stata come Seiya, o come Mia. È sempre stata cervellotica e cerebrale, una a cui per scaldare il cuore dovevi dimostrare con i fatti di esserne degno. Inspira di nuovo, cercando di calmare il battito accelerato e il pompare violento del sangue. Avanza nell’ombra, il rumore dei suoi passi che deflagra in mille eco. Si arresta, cercando di capire dove finisca il suono dei suoi passi e quello di qualcos’altro.
Perché non è sola, di questo ne è certa.
Si guarda attorno, circondata da tenebre fitte e dense. Deglutisce e avanza di nuovo, alla cieca, nella speranza di arrivare a vedere la luce fioca della luna. All’improvviso sente un soffio tra i capelli, le scivola sulle spalle e lungo la schiena, come se qualcuno l’avesse sfiorata. Si volta di scatto, sulla difensiva, ma è sola.
Non è possibile, Marin. Svegliati!
Accelera il passo svoltando su una curva a sinistra. Non ci sono diramazioni per ora, per cui potrà tornare indietro in fretta se le cose dovessero mettersi male. Scivola su una pozza d’acqua rischiando di cadere. La salva uno sperone che esce dalla roccia umida, a cui si aggrappa con forza.
Una torcia?
È spenta, ma poco più avanti, oltre la curva, Marin vede una luce fioca illuminare il cunicolo in cui si trova. Avanza guardinga, la torcia in una mano e il pugno alzato nell’altra.
Sarò più veloce di qualsiasi altra cosa si trovi qui.
Avverte un frinire incessante, un rombo possente farsi sempre più vicino, sino ad avventarsi su di lei facendola ruzzolare a terra. Marin grida d’istinto, mentre un branco di pipistrelli le si avventa addosso con furia, spaventato dalla sua presenza. Ha gli avambracci graffiati e il fiato corto ora.
L’effetto sorpresa è andato al diavolo, almeno per quel che le compete, per cui non le resta che procedere sperando di essere davvero l’unica cosa vivente, oltre ai pipistrelli, che si trova lì dentro. La stanza che si dipana dinnanzi a lei è una camera ardente. Tutt’attorno bracieri dalla luce fioca illuminano la cripta  al cui centro risiede una teca in vetro.
Non vuole vedere davvero.
Non ne ha il coraggio, perché la conoscenza ha un prezzo spesso troppo alto da pagare.
Eppure avanza e si sporge per vedere il volto di colui che è stato sepolto all’Altura. Lo osserva, il volto sereno, la tunica ancora sporca di sangue dov’è stato pugnalato, e Marin non vuole credere ai suoi occhi.
Anzi, sono loro a non voler credere a lei e al ricordo vago di quell’uomo che passeggiava per il Tempio quando lei ancora non aveva iniziato gli addestramenti. Di quello che era stato prima maestro di uno, poi di tutti, alla guida del Santuario.
Vorrebbe rendergli onore, ma tutto ciò che riesce a fare è piangere come una bambina, la stessa che anni prima il Sommo Shion aveva raccolto dalla strada e portato al Tempio.
Chi ha preso il suo posto?

 

Avrebbe voluto uccidere l’estranea. Un colpo secco, preciso, e l’avrebbe strappata per sempre alla vita. I pipistrelli non l’hanno terrorizzata come sperava, così l’ha lasciata fare.
Non poteva farsi notare.
Non poteva farsi scoprire.
Raggomitolata nell’ombra, nascosta nel buio, l’ha spiata aprirsi al dolore.
Stupidi, così sciocchi e sentimentali, gli umani.
Ciò che rimane della sua umanità, invece, è un corpo ormai deformato dal buio e dall’umidità, che l’hanno resa simile a un mostro piuttosto che a una donna.
Sogghigna e arretra di alcuni passi quando la luce della camera dove si trova il cadavere le ferisce la vista. Solo la notte le consente di uscire senza preoccupazioni e permetterle di vagare per l’Altura, il suo regno.
È così che ha incontrato il Sommo Sacerdote, mentre cercava di nascondersi di nuovo nel suo anfratto, al sicuro tra le pieghe della roccia e del muschio.
Annusa l’aria, infastidita.
Quella donna profuma di buono, di vita.
E lei odia la vita.
Fila incessantemente cristallo fuso da diversi giorni ormai. Da quando il sostituto si è portato via la daga ha preso a tessere in modo compulsivo per forgiare la freccia che colpirà Athena legandole l’una all’altra, permettendole di prendere il suo posto per sempre.
E di regnare al Suo fianco, così come Lui le ha promesso.

 

“Non hai l’espressione di un Saint fiero di ciò che ha fatto, Shaina.”
Lei fa una smorfia che dovrebbe essere un sorriso, mentre la brezza le solletica la pelle del viso. È lui quello bravo, tra i due, a farsi beffe degli altri. Lei sa solo fare la voce grossa, e ultimamente non le viene nemmeno troppo bene.
“Abbiamo recuperato solo il Gold Cloth.”
“Sei infastidita per non aver eliminato quell’insetto dal muso giallo?”
Non risponde, stornando lo sguardo sul mare. È una delle ultime serate d’estate, uno scampolo di caldo e poi via, verso l’autunno già inoltrato. Lo sperone di roccia su cui si sono trovati è lo stesso su cui anni prima si sono lasciati con un arrivederci, dopo che l’ha trascinata al tempio dall’Italia per farle affrontare l’ultima parte degli allenamenti.
“Verrà il suo momento. Il Gold Cloth era prioritario” si limita a rispondergli. Death Mask si siede accanto a lei, mentre osserva i granchi uscire dalla sabbia e, lentamente, farsi portare via dalle onde. Ne afferra uno tra le dita, le chele che annaspano a mezz’aria, e lo osserva.
“Non dobbiamo essere così, in balia degli eventi o degli altri. Dobbiamo dominare il nostro destino.”
“Siamo Saint, come puoi credere di avere voce in capitolo di scelte?”
Shaina sbotta, e lui la guarda con quegli occhi azzurri e pieni.
Pieni di vita, pieni di arroganza, pieni di vittoria. La parola perdita, nel suo vocabolario, non è mai esistita.
“Puoi farlo. Puoi sempre scegliere da che parte stare in una guerra.”
“No che non puoi, se vesti il Cloth di Athena.”
“Credi non siano mai esistiti cloth passati da un dio all’altro? Saint che hanno tradito, donando sé stessi e il proprio cloth a una nuova divinità. È accaduto. Sono vestigia maledette per alcuni, per altri invece il segno che qualcosa può cambiare, a volte.”
“Non ne ho mai sentito parlare.”
“Non si parla di certe cose al Tempio.”
“Tu se potessi scegliere, da che parte staresti?”
“Io? Da quella del vincitore.”
Shaina lo guarda e si sofferma a fissare il granchio che ancora cerca, disperato, di liberarsi e mettersi in marcia verso il mare. All’improvviso, Death Mask lo schiaccia con forza contro lo scoglio, spaccandone il carapace e addentando quel poco di polpa che riesce a strappargli fuori.
“Sei disgustoso.”
“È così che finisci, quando non scegli: schiacciato e divorato dagli altri. Ti stai rammollendo, Shaina. A combattere con gli altri Saint finisci con l’appoggiarti a loro e credere in loro. Essere un Saint solitario ti permette di andare avanti e non avere punti deboli.”
“Come Shura? Si è quasi fatto ammazzare, combattendo da solo.”
“Ha aperto la strada per voi Silver Saint. Avrete piena libertà contro i Guerrieri d’Ambra senza avere altri problemi. Problemi enormi, credimi.”
Shaina solleva un sopraciglio, scettica. Quante cose sanno i Gold Saint che loro ignorano?
Ancora una volta si sente pedina nelle mani del fato e degli altri, e stringe i pugni in grembo sino a sentire il sangue uscirle dal palmo, là dove le unghie lunghe hanno tagliato la pelle sottile.
“Ti sei incazzata?”
“Ti detesto quando ti comporti così.”
“Andiamo, era solo un granchio. L’Ofiuco che si commuove per un insetto del mare?”
“Fottiti” gli ringhia contro con durezza, mentre si allontana lasciandolo solo su quello scoglio che è di entrambi, un punto di partenza e arrivo costante tra amici fidati, quasi fratelli nell’essere dei disperati, in fondo.
“In arena eri sola, Shaina. Eppure ce l’hai fatta” le grida.
Ma lei preferisce fingere di non udirlo.
Perché a volte sapere di non essere soli, di avere qualcuno accanto che si limita a curarti le ferite senza cospargerle di sale, può essere un palliativo sufficiente per rendere una vita già scritta meno dolorosa.

 

*

 

Shun precipita a terra con un tonfo sordo. Fatica a rialzarsi e si massaggia il petto dove è stato colpito con forza. Il suo avversario non ha esitato, mettendolo al tappeto senza dargli il tempo di reagire o richiamare a sé l’armatura. L’ha attaccato dall’ombra, approfittando di un attimo di distrazione e tranquillità, uno degli ultimi scorci di normalità che il Saint di Andromeda ha voluto concedersi prima della partenza. È stata un’illusione, se ne rende conto, ma dei Silver Saint non vi è traccia in tutto il Giappone. Li stanno attendendo ad Atene, e Mia su questo punto è stata chiara con milady: finché non fronteggeranno il Tempio saranno sempre considerati dei traditori. Cerca di rialzarsi in piedi ma qualcosa lo trattiene, impedendogli di muoversi e tirandolo verso la siepe che separa il giardino interno della Fondazione dalla zona più esterna e meno protetta.
“Fatti vedere se sei un Saint degno di questo di nome! O sei così codardo da non volerti mostrare al tuo avversario?”
Shun si sente un idiota, a parlare al nulla.
Qualcuno è entrato senza problemi alla Fondazione. Se ce ne fosse più di uno? Milady è al sicuro a Villa Kido, e solo lui, Hyōga e Ichi hanno fatto ritorno al dormitorio, mentre gli altri sono rimasti di guardia alla magione. Si sono divisi per non essere colti alla sprovvista dai nemici, e ora Shun si domanda se non sia stata l’ennesima strategia fallimentare.
Si vede che non siamo nati per la guerra. Che la guerra, non l’abbiamo mai fatta.
“Osi dare della codarda a me?”
Riconoscerebbe quella voce tra mille. Shun sgrana gli occhi nel buio, cercando di mettere a fuoco la figura che gli sta di fronte. La frusta lo coglie di nuovo impreparato, allacciandosi attorno al suo collo soffocandolo. Senza pietà, si stringe a lui come un serpente impedendogli di respirare e a nulla servono i gemiti e le suppliche a mezza voce.
Femminuccia.
Jun gli si avvicina, implacabile.
I capelli biondi scintillano sotto la luna, e a Shun torna in mente una notte di ferragosto. Ci sono loro due, soli, immersi nel mare, e Jun che si confonde con la scia di luce del satellite sulle increspature delle onde. All’Isola di Andromeda c’era spazio anche per quello, per un guizzo di vita rubato al dovere. Una fiamma che valeva la pena di essere conservata e nascosta, per timore che venisse gettata lontano e spenta per sempre.
“June… mi stai…”
Ammazzando, lo so benissimo. Perché pensi sia venuta qui? Lo sanno tutti cosa state facendo. Ti vogliono morto, Shun.”
Glielo dice avvicinandosi a lui, stringendo con più forza la frusta nella mano e attirandolo a sé come fosse un cucciolo ammaestrato.
“Athena… è… viva.”
June esita, allentando un poco la presa, e finalmente Shun riesce a respirare. Un istante, e l’apnea potrebbe tornare, ma il Saint di Chamaleon attende che lui prosegua. Lo vede da come china di lato il viso, anche se non può vederla in volto.
“Cosa significa?”
“Qualcuno… vuole la testa di Athena.”
“E tu… pensi sia vero?”
Shun annuisce e June si inginocchia ai suoi piedi senza perderlo di vista. Attende, come quando da bambini aspettava che smettesse di piangere dopo averlo colpito troppo forte. È sempre stata la migliore tra loro, di certo quella che meritava di andarsene dall’Isola e avere un destino migliore.
“Non voglio che tu parta per Atene. Vi uccideranno. È una trappola, Shun, persino un moccioso lo capirebbe!”
“Vedi qualche altra soluzione?”
“Se devono ucciderti… voglio essere io a farlo.”
Shun sgrana gli occhi e sorride. L’abbraccia, attirandola a sé, stringendola sino a farle mancare il respiro.
“Tornerò. Torneremo tutti. La Giustizia non può morire.”
“Ne sei certo?”
“Si.”
Shun non mente mai.
Shun dal cuore puro e l’animo sensibile, non potrebbe mai giurare il falso. Per questo June gli crede, lasciandosi scivolare in un abbraccio che non le ha concesso nemmeno quando è partito dall’Isola, preso dalla foga di rivedere Ikki.
“Non andare.”
“Tornerò” le ripete lui con maggior convinzione.
“E se non dovessi tornare?”
“Sono certo che mi verrai a cercare e mi riporterai indietro.”

 

A Miho gli addii non piacciono, e mentre guarda Seiya capisce che in quel momento potrebbe perderlo per sempre. Ha il volto tirato, è stranamente serio e taciturno. Le battute che fa sono spente, mancano di quell’arroganza che lo contraddistingue sempre e che, in fondo, l’ha fatta innamorare di lui. Camminano per il parco dell’orfanotrofio, nel silenzio di una sera che pare essersi presa congedo dal traffico e dalla vita stessa che rende Tokyo simile a un formicaio.
“Cosa ti preoccupa?” gli domanda schietta, senza giri di parole. Seiya lascia cadere le braccia da dietro la nuca lungo i fianchi, poi si passa l’indice sotto il naso sorridendo, in quel suo tipico gesto di quando è in difficoltà.
“È… una cosa complicata.”
“Complicata quanto?”
“Tanto. Non so se saremo in grado di fare il nostro dovere.”
“Probabilmente sei nato per fare il Saint, Seiya. Non è dato a tutti ottenere un dono come il vostro.”
“Chiamalo dono…” brontola lui a mezza voce e lei ride del suo essere buffo quando si intestardisce.
“So che tornerai.”
Lui si arresta e la guarda sorpreso. Lei gli sorride di nuovo. Ha deciso di essere una di quelle donne che non piangono per un addio né per un arrivederci, una di quelle che avranno sempre un sorriso per quando fai ritorno a casa. È quello che vuoi trovare quando la vita è una guerra e tu non puoi cambiarla, no?
Un sorriso amico, un abbraccio, una casa calda e accogliente.
Miho ha scelto di essere tutte queste cose e non le interessa più se Mia c’è sempre stata, al fianco di Seiya. Perché Mia è incosciente, è sanguigna, è lo specchio in cui Seiya può vedere molto di sé stesso. Mia è quel qualcosa che ha inseguito per troppo tempo, ma quando cresci cambi e hai bisogno di qualcosa che non sia la mano di un fratello o una sorella. Hai bisogno di un corpo che si stringa al tuo nella notte per ricordarti che non sei solo.
Mia sarà sempre Mia, ma lei è Miho.
E sarà una Miho diversa da quella che è sempre stata.
Una Miho che coglierà sempre Seiya impreparato.
Si solleva in punta di piedi e gli appoggia un bacio sulla guancia.
“Dovrò dirti una cosa.”
“Puoi dirmela ora.”
Lei scuote il capo.
“No. Dovrai tornare per saperlo.”
“Sei sempre la solita arpia.”
“E tu il solito gatto curioso. Rientriamo? Così ti offro un tè prima di farti rientrare a Villa Kido. Devo accompagnarti per caso?”
“Guarda che sono io l’uomo tra i due.”
“Sarà” e lascia in sospeso la frase, mentre corre avanti in cerca della luce calda dell’orfanotrofio. Vorrebbe piangere, è questa la verità. Perché la Miho che desidera mostrare a Seiya è sbocciata in una notte e non è pronta alla vita. Vorrebbe che se ne andasse il prima possibile per potersi rifugiare a piangere tra le braccia di Erii e al contempo vorrebbe restasse con lei tutta la notte.
Ingoia le lacrime e alza lo sguardo a una luna pallida e lattea, che le ricorda la sua migliore amica.
Mia non le ha detto addio invece, perché Mia ha scelto di vivere.
A modo proprio, Mia ha deciso che un giorno – quando sarà lei a deciderlo – farà ritorno.

 

Jabu e Ichi si tormentano l’un l’altro, punzecchiandosi.
“Credi che Atene sia una bella città?”
“Che razza di domande sono, Ichi? Non andiamo in vacanza” gli risponde l’Unicorno, cercando di scorgere lungo il viale del parco milady. Ha chiesto di fare una passeggiata in solitudine, assicurandoli che le guardie della Fondazione sarebbero state sufficienti. Un tragitto breve, nella speranza di rivedere tornare Seiya. Jabu, a quel pensiero, stringe i pugni.
“Credi davvero che Mia sia dalla parte del tempio?”
“Ci è cresciuta al tempio”, lo corregge Jabu, come se quella fosse già una risposta sufficiente anche per tutte le domande a venire.
“Cosa significa? Anche Seiya ma non mi sembra voglia ammazzarci. E nemmeno lei mi è sembrato che volesse farlo.”
“Devo ricordarti cos’è accaduto tra Perseo e Shiryu?”
“Ancora con questa storia? Ha portato via il Saint di Medusa, maledetto idiota. Se non fosse stato per quello, chissà se Shiryu sarebbe ancora vivo.”
Geki si fa avanti interrompendoli con la solita aria da duro, addentando una mela, mentre i due lo fissano torvi.
“Non dovresti essere di guardia di sotto?”
“È arrivato Seiya. Scorterà lui milady dentro la villa.”
“Non è ancora in forma” sussurra Jabu, e la sua voce è un soffio che sa di veleno e gelosia.
“Ehi, cavallino, calmati. Non è tempo per fare le colombe innamorate, e Seiya è più che sufficiente. I Silver Saint si sono ritirati come aveva promesso Mia. È una tregua di pochi giorni, ma ci ha permesso di organizzarci per partire.”
“Non mi fido di lei” si limita ad aggiungere Jabu con decisione.
“Fa’ come ti pare, ha poca importanza. Domani saremo ad Atene e là capiremo chi è il nostro nemico.”
“Pensi che i Gold Saint ci aiuteranno?” domanda Ichi.
“So che molti di loro non risiedono al tempio. Dubito che li troveremo là.”
Geki si dà una scrollata di spalle e si siede insieme ai compagni. È tempo di riposare, eppure nessuno di loro riuscirà davvero a chiudere occhio.

*
L’orizzonte è immobile sotto il suo sguardo.
Il vecchio maestro osserva, guarda, vede.
I ricordi sono l’unica cosa che gli resta per proteggere Athena. La presenza di Shiryu è solo una parentesi invisibile, ma l’ha riconosciuta. L’hanno ritrovata.
Sorride, il vecchio maestro, mentre gli sembra di scorgere qualcosa far vibrare l’aria.
Sbatte le palpebre tra loro, ma tutto è fermo e immutato.

*

Si è decisa ad affrontarlo. Non riusciva a trovare il coraggio e le sembrava fuori luogo pensare a lui dopo tutto quel tempo, anziché preoccuparsi di ciò che ha visto. Ma è anche grazie a quello che ha deciso di andare da lui e parlargli. Perché forse il tempo per una seconda possibilità non sarà concesso a nessuno di loro.
L’ha atteso per all’infinito davanti alla Decima Casa. Quando l’ha vista si è irrigidito, socchiudendo gli occhi dal taglio allungato, neri come la notte che incombe.
“Che ci fai qui?”
“Volevo assicurarmi stessi bene. Le cure di Shaka stanno portando effetti?”
“A quanto pare si. Potrei essere in condizione di guidare la vostra missione sino in fondo ma…”
“… ma il Sommo Sacerdote ti vuole qui. Ha sempre bisogno di te, non è così? Quasi che si fidasse di te soltanto in tutto il tempio.”
“Sono uno dei pochi che non se n’è mai andato in cerca di un’altra vita.”
“Ma l’hai desiderata come tutti.”
Shura abbassa il viso, i pugni stretti lungo i fianchi. Marin è bella, è una di quelle donne di cui ti innamori perché non si lasceranno mai domare. E sa quando fare male, con quel suo essere diretta senza perdersi in giri di parole e silenzi che vorrebbero dire tutt’altro.
“Che differenza fa? Siamo cresciuti mi pare.”
“Scappare non cambia il passato, né lo cancella Shura.”
“Vattene.”
“Non so da cosa tu stia fuggendo ma continui imperterrito ad allontanarti da tutto ciò che hai amato e costruito. Perché?”
Glielo chiede guardandolo negli occhi, e qualcosa – dentro – si inceppa.
Ha lo stesso sguardo di quando gli ha sussurrato “ti amo”, lasciando da parte tutto l’orgoglio e concedendogli il cuore, perché lui – di certo – non avrebbe mosso un muscolo in quella direzione. Non è nato per amare, probabilmente. Eppure lei l’ha fatto senza domandargli di essere ricambiata, gli ha concesso di entrare e ferirla.
Cento colpi prima di lasciarla senza una spiegazione, senza un addio.
Ma non aveva scelta.
“Aiolia mi ha detto che stai bene.”
“Stiamo parlando di te. Tu come stai, Shura?”
“Lo puoi vedere da te” le indica la gamba in via di guarigione e lei sorride, di quel sorriso amaro che lascia poi il posto alle lacrime.
Non voglio vederti piangere, vattene via di qui.
Detesto vederti piangere, non l’ho mai sopportato.
Invece, contro ogni aspettative, Marin resta semplicemente ferma sul proprio posto, continuando a guardarlo.
“Puoi scappare in capo al mondo, ma ciò che ti tormenta ti seguirà sempre.”
“Continui a immischiarti in cose che non ti riguardano.”
“Ci si preoccupa sempre per chi si ama Shura. Ma questo tu l’hai dimenticato in qualche combattimento clandestino, vero?”
Shura inspira. Vorrebbe colpirla, ma non riesce a muovere un muscolo. Irrazionale, come solo l’amore può essere, ecco cos’è per lui Marin in questo momento: una scheggia impazzita che non va nella direzione giusta, controcorrente o magari prendendo una traiettoria anonima rispetto alle sue compagne.
Sei cambiata.
Lui, invece, è rimasto sempre lo stesso e nulla potrà renderlo un uomo migliore.
“Sei migliore di quello che vuoi farci credere. Non basta essere un saint fedele al tempio per essere perfetti, Shura. A volte serve cuore, un po’ di coraggio, la voglia di mettere in discussione tutto. Tu l’hai mai fatto?”
Shura la guarda e gli sembra di avere davanti una donna che non conosce, il riflesso della ragazzina di cui si è invaghito tanti anni prima.
“Non ho mai messo in dubbio il tempio.”
“Be’, forse dovresti.”

Aiolia di Leo ha l’aria di chi vuole risposte.
E subito.
Il Sommo Sacerdote sorride, mentre stringe tra le dita il marmo gelido  del proprio scranno. Fa cenno a Shaka di Virgo di allontanarsi e i due Saint si incrociano e si squadrano per alcuni istanti, guardinghi, come se fossero pronti ad azzannarsi.
“Non combattere battaglie senza senso, Aiolia.”
“Impara ad alzare la testa, Shaka.”
I due si fronteggiano per alcuni istanti e Shaka è pronto a rispondere ai colpi di Aiolia. Non lo attaccherà per primo.
“Non osare mancare di rispetto a chi da anni è la nostra guida” lo ammonisce il Saint di Virgo.
“Tu non vedi al di là di te stesso, chiuso nelle tue preghiere.”
“Io vedo. E so che stai sbagliando tutto. Sei accecato dall’odio e dal cercare un capro espiatorio, Aiolia. Ma non è il Sommo Sacerdote.”
“Lasciaci soli, Shaka. Questo non è il luogo per dimostrare la vostra devozione ad Athena.”
A me.
Il Leone attende di essere solo con lui mentre lancia un’ultima occhiata a Shaka, poi gli rivolge una domanda secca, decisa.
“Avete ucciso voi mio fratello?”
“Vai avanti, Aiolia di Leo. Di cos’altro vorresti accusare il Sommo Sacerdote?”
“Del tentato omicidio di Athena. Se avessi trovato Athena, viva, e mi avesse raccontato la verità?”
“Athena non è ancora giunta tra noi, Aiolia. E la tua impudenza è degna del nome che porti, dopo tutto sei sangue di Aiolos. Non mi stupisce il tuo comportamento.”
“Voi state mentendo. So tutto.”
Ci distruggerà.
È solo uno sciocco utopista come suo fratello.
Cosa vorresti fare? Ucciderlo?
Si alza dal proprio seggio e lentamente avanza verso di lui. Aiolia non retrocede, rimanendo fermo sulla propria posizione.
Il Leone non ha mai avuto paura di nulla. Nemmeno di te.
“Vuoi davvero accusarmi di essere l’assassino di tuo fratello?”
“Lo siete?”
“Si.”
Poi lo colpisce alla fronte, senza che Aiolia riesca a vederlo muoversi. È velocissimo, e gli è bastato soltanto un colpo a segno per fargli dimenticare ogni cosa. Per renderlo un cucciolo fedele, il migliore che si possa desiderare. Non avrà la perfezione di un prodotto del rimorso come Shura o di quello della sete di potere come Death Mask, ma sarà il frutto della sudditanza.
Di un essere sottomesso con la forza.
Il primo esperimento di guerriero perfetto.
“Ora va’ e non fare parola a nessuno di ciò che ci siamo detti. Tu sei Aiolia di Leo, devoto al Sommo Sacerdote e al Tempio di Atene. Ciò che il Sommo Sacerdote comanda, è legge.”
“Si, mio signore.”
Bravo cucciolo.
Saprò sempre come costringerti a non mordere la mia mano.

 

*

 

Le ha dato appuntamento a Syntagma, a chilometri di distanza dal Santuario. Se n’è uscita di casa come se dovesse affrontare un’intera giornata di allenamenti poi, una volta giunta nella zona più turistica di Atene, è entrata nei bagni pubblici per riemergere poco dopo con i vecchi vestiti e la maschera abbandonati nello zaino. Le ragazze normali in genere lo fanno per andare in discoteca contro il volere dei genitori, lei per non farsi notare dalle guardie del tempio. La legge marziale è entrata in vigore non appena hanno rimesso piede su suolo greco, quando la Torre dell’Orologio ha pigramente suonato la mezzanotte. Aiolia non era in casa e, a ben vedere, è dalla sera precedente che non ha sue notizie.
Starà bene? si domanda aggrottando la fronte. Non hanno avuto modo di parlarsi dopo che Milo di Scorpio ha fatto loro visita, e Mia teme che il suo maestro possa aver commesso qualche sciocchezza. Sarebbe capacissimo di affrontare direttamente il Sommo Sacerdote, senza farsi troppi problemi. Quelli, poi, se li crea da sé.
Marin le ha dato appuntamento in un locale così caotico che è impossibile persino farsi spazio nello stretto corridoio che separa l’ingresso dall’ampia zona dei tavoli. Uno di quei posti che lei detesta con tutta sé stessa. La intravede, intenta a scandagliare i volti di chiunque metta piede nel locale, vigile. 
Sei l’Aquila e non ti smentisci mai.
“Hai avuto fantasia questa volta” e le sorride mentre Marin le fa cenno di sedersi, seria.
“Cos’hai scoperto?” le domanda preoccupata, notando l’espressione cupa dell’amica che le fa cenno di non volerne parlare lì e si chiede che senso abbia avuto incontrarsi e mettere in scena tutto quel casino lontano dal Tempio se poi ha intenzione di fare la mummia.
“Dobbiamo aiutare Seiya quando metteranno piede in Grecia.”
“O decideranno di prendersi la sua testa?” domanda lei asciutta. Marin annuisce con il capo, facendo cenno al cameriere di avvicinarsi.
“Un caffè macchiato e…”
“Uno con panna, grazie.” Lo liquidano in fretta per avere altro tempo per parlare prima del suo ritorno.
“Ha tradito, secondo quanto dichiarato dal Sommo Sacerdote. Sono stata all’Altura delle Stelle, questa notte -” Mia sgrana gli occhi ma Marin le fa cenno di non interromperla, di lasciarla finire. “C’è qualcosa di strano. Un’energia forte, un cosmo oscuro che si agita. Sembra appena nato, quasi. Hai visto Aiolia?”
L’altra scuote il capo, abbassando lo sguardo quasi fosse colpevole della sua scomparsa e in parte si ritiene responsabile.
“Fa’ attenzione credo che… gli sia successo qualcosa.”
E tu come lo sai?
“Era… strano.”
Mia deglutisce e vorrebbe almeno una bacinella d’acqua con cui rinfrescarsi, altro che caffè. Qualcosa che le dia una bella svegliata e le faccia funzionare a dovere i neuroni, perché di ciò che le sta dicendo Marin non sta capendo quasi nulla, se non che Seiya è una priorità non contemplata, considerando la loro imminente missione.
“Dobbiamo proteggerlo. Seiya intendo.”
“Athena” le fa Mia correggendola, ed è Marin ora a non capire di cosa stia parlando.
Watashi no imōto wa Atenadesu” le confida, questa volta in giapponese perché nessuno – eccetto lei – possa capire. Marin sgrana gli occhi, portandosi una mano alla bocca per mascherare lo stupore. 
“Cos’è accaduto ad Aiolia?” prosegue poi Mia con noncuranza, cercando di non darle a vedere quanto quell’informazione le stia a cuore.
“L’ho incrociato sulla scalinata del tempio, non si è nemmeno degnato di fermarsi, era come se… se non vedesse nulla attorno.”
“Ci penserò quando tornerò a casa. Cosa facciamo ora?”
“Dobbiamo tornare all’Altura delle Stelle.”
“Ci stai prendendo gusto per caso? Quel posto è proibito per chiunque non sia il Sommo Sacerdote Marin!”
“E allora? Si dà il caso io sia ancora viva, no? Dobbiamo scoprire cosa si nasconde là dentro.”
“Dobbiamo partire per la missione. Stanotte” le ricorda Mia cocciuta.
“Ce ne andremo.”
“Come?”
“Seguiremo gli altri Silver Saint sino a un certo punto, poi torneremo indietro. Loro porteranno avanti la missione e noi cercheremo le risposte.”
“Loro ci seguiranno e ci ammazzeranno” la corregge Mia “E non potremo aiutare Seiya dall’Ade”, sottolinea con ovvietà.
“Non li potremmo aiutare nemmeno se fossimo in missione per conto del Tempio. Saremo ad Atene quanto meno, e sarà più facile fare ritorno al tempio se ce ne sarà la necessità.”
“Quindi sei decisa a farci dare la caccia da uno stuolo di Silver Saint che non vedono l’ora di farsi belli davanti al Sommo Sacerdote?”
“La missione avrà la priorità.”
“Ne sei così certa?”
“Lui vuole qualcosa.”
“Cosa pensi stia cercando esattamente?” le domanda Mia giocando distrattamente con un cucchiaio ricolmo di panna.
“Oltre a voler uccidere Athena? L’immortalità.”
Mia alza lo sguardo su di lei e capisce: è tempo di combattere.
Dalla parte giusta però.

*

 

“Volevo sapere come ti sentivi prima della partenza.”
Seiya la fissa sorpreso, colpito da quell’attenzione particolare che gli ha riservato.
“Non ho mai preso un aereo senza Mia.”
“Sarà un volo di poche ore con l’aereo privato della Fondazione.”
“Cosa pensi di trovare in Grecia, milady?”
Saori si stupisce della domanda, ma sorride incoraggiante.
“I Gold Saint. Coloro che sono destinati a proteggere la Terra e Athena.”
“Non illuderti. Ci vogliono morti. Su questo Mia non ha mai arretrato di un passo.”
“Mi ha messa in guardia. Ma sono tranquilla perché ci siete voi al mio fianco.”
Seiya distoglie lo sguardo, arrossendo. Non si aspettava di essere così importante per Athena. A lui Saori Kido non è mai piaciuta e si è trovato costretto a servirla in qualsiasi modo. Ora mentre si apprestano a partire, si rende conto di quanto abbiano fatto per lei nelle ultime settimane, proteggendola in qualsiasi momento, rischiando la vita e tentando di recuperare il Gold Cloth di Sagitter a qualsiasi costo.
“Mi dispiace per il Gold Cloth. Avremmo potuto fare di più.”
“Il Gold Cloth appartiene al futuro Saint di Sagitter. Farà ritorno dal suo possessore non appena lo riconoscerà. Questo è quello che diceva il nonno nonostante abbia voluto a ogni costo la Guerra Galattica. Seiya?”
“Si milady?”
“Grazie per tutto quello che stai facendo per me.”
Vorrebbe dirle che non lo sta facendo per lei ma mentirebbe, per cui rimane in silenzio, affondando le mani nelle tasche dei jeans cercando di scavare il più a fondo possibile, sperando di esserne inghiottito.

 



Note dell'autrice.
Vi chiedo umilmente perdono per il ritardo nell'aggiornamento, ma la vita mi sta uccidendo XD Spero di tornare regolare quanto prima, ma d'ora in poi la strada è tutta in discesa: finalmente siamo alle Dodici Case!
Grazie come sempre a tutti per il supporto e la pazienza che dimostrate ogni volta (^^)

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Capitolo 12
*** Sotto attacco ***


Mia non ha chiuso occhio nemmeno per le poche ore di sonno che le sono state concesse. Ha visto Aiolia solo di sfuggita, una figura che le dava le spalla e saliva verso la casa della Vergine. Non si sono più visti da quell'istante, né hanno avuto modo di parlare di quello che sta accadendo davvero al Tempio, e le sembra di portare al collo il cappio di una condanna a morte. Ha indossato il cloth in modo meccanico, stringendo le fibbie sino a sentire il fiato venirle meno. Nel cuore della notte il Santuario è un gigante addormentato sul promontorio, addossato su una città che investirà come una furia, una valanga inaspettata di fango che trascinerà via la vita di chi si troverà sul suo passaggio. Percepisce un movimento alla propria destra, lungo il corridoio che divide le camere private dall'ingresso principale della Casa del Leone. Si mette in guardia, poi all'improvviso il cosmo di Aiolia la investe con una forza che la costringe ad arretrare.
“Aiolia?”
“Dove stai andando?”
Mia deglutisce. Non gli ha parlato della missione né tanto meno di quello che hanno in mente lei e Marin, perché la verità è che nemmeno loro sanno esattamente prevedere quando sarà il momento perfetto per allontanarsi e fare ritorno ad Atene, dove davvero c’è bisogno di loro.
Di certo, non prima che Shura li abbia abbandonati.
Di certo, non prima di entrare nel Giardino delle Esperidi e capire cosa ci sia al suo interno.
E da lì, nessuno è mai uscito vivo tranne il Saint di Capricorn, a quanto pare.
“Ho una missione da svolgere con gli altri Silver Saint. Tu...”
Le parole le si inchiodano in gola quando lui avanza minaccioso nella sua direzione, senza risponderle. Il Saint di Aglaia retrocede, d'istinto, perché il cosmo irato, terribile, che non ha dinnanzi, è la forma distorta di quello del maestro che ha conosciuto. È un leone che procede pronto a gettarsi sulla preda, ad azzannare la carne e strapparla sino all'osso.
Mia ha paura e sa che quello che ha davanti non è il suo Aiolia: precettore, compagno, fratello.
“Cosa ti è successo?”gli domanda con quel poco di coraggio che le resta, perché quando combatti per un ideale puoi fare ogni cosa, ma quando si tratta di fare i conti con le persone che ti stanno a cuore e pagare lo scotto delle tue azioni, tutto cambia. L’ammissione di colpa ti inchioda al terreno e ti schiaccia come un macigno: hai sbagliato e meriti di essere punito.
“Non mi hai parlato della missione.”
“È stato un... non ne ho avuto il tempo. Ti ho parlato di Aiolos poi è arrivato Milo, tu sei scomparso e...”
Aiolia la raggiunge in un istante, afferrandola per il collo.
La solleva senza difficoltà, i piedi che non toccano più terra e vacillano nel vuoto. L'aria inizia a mancarle e con ogni forza tenta di liberarsi da quella morsa fatale mentre stringe le fauci con maggior violenza, il morso del leone sulla gazzella già inerme.
“Aiolia... mi...”
“Non osare parlare” le ringhia contro.
“Tu non...”
Stringe con più forza, e Mia è certa che le spezzerà il collo come fosse un gattino, scagliandola poi lontana da sé come uno straccio vecchio e vorrebbe solo piangere, perché non sa dove sia Aiolia. Quello vero, autentico, forte. Il cavaliere che ha imparato ad amare anche quando avrebbe dovuto odiarlo, con la sabbia a impastarle la bocca e i polmoni, i muscoli appesantiti e le dita fratturate.
Andiamo, Mia, muoviti.
Chiude gli occhi, stringe nelle mani il pugno di Aiolia che continua a premerle sul collo e tenta di liberarsi dalla sua presa.
Fingi che non sia lui.
Stringe le palpebre con più forza, per ricacciare indietro le lacrime, poi le riapre: Aiolia è ancora lì, due pozze nere a ottenebrare il suo sguardo sempre troppo limpido. Troppo puro e ingenuo, anche.
“Non sei tu. Non sei tu, dannazione!”
Il suo cosmo esplode e Aiolia allenta la presa, sorpreso.
“Mia?”
La lascia cadere a terra con un tonfo, sbattendo con violenza le ginocchia sul marmo. China a terra, il mantello che le avvolge le spalle, Mia fa lunghi respiri cercando di regolarizzare il battito cardiaco sfiorandosi la pelle rovente del collo, là dove Aiolia ha stretto sino a lasciarle violente striature rossastre.
“Vattene” le mormora allontanandosi da lei, “Vattene prima che ti faccia del male!”
Sferra un pugno contro la parete mandandola in frantumi e Mia si solleva in piedi, gli lancia un'ultima occhiata poi corre fuori dalla Quinta Casa, velocissima attraversa la scalinata e si tuffa nel piazzale antistante il Santuario, dove l'attendono i suoi compagni. Marin le lancia un'occhiata preoccupata, poi le si porta al fianco.
“Che hai fatto al collo?”
“Nulla, perché?”
Alza le spalle, ma le striature livide che le ha lasciato Aiolia sono ora segni difficili da nascondere, cicatrici che hanno infranto il voto di fiducia l'uno nell'altra.
Reciprocamente.
Shura cammina con passo marziale davanti a loro, schierati l'uno accanto all'altro come soldati. Zoppica in modo impercettibile, e solo un occhio attento potrebbe accorgersi di ciò che nasconde.
“Vi condurrò sino all'ingresso del Giardino delle Esperidi. Dista un paio di ore di cammino da qui, dopo di che sarà vostro compito portare a termine la missione che vi è stata affidata.”
“Tu non sarai con noi?” gli domanda in tono asciutto Marin. Lui le lancia un'occhiata attenta, poi scuote il capo.
“Il Santuario ha bisogno di me qui ad Atene. Al Giardino non incontrerete ostacoli: Ladone è già stato sconfitto.”

 

La marcia dei Silver Saint pare un corteo funebre. Shaina abbozza un sorriso a quel pensiero, mentre dietro a Misty della Lucertola apre la schiera dei suoi compagni. Si guarda alle spalle, e Argor e Moses camminano guardando dritti avanti a sé, quasi Shura di Capricorn fosse l’obiettivo da raggiungere, il rango a cui elevarsi. L’Ofiuco scuote il capo, il cappuccio viola del mantello a coprirle il volto e proteggerla dalla bruma del mattino che ti entra nelle ossa e ti si conficca al loro interno, mille aghi di gelo che rallentano i movimenti. Sa che l’essere Gold Saint è un fardello più massiccio, una montagna impossibile da scalare per essere liberi davvero. Ha rinunciato all’utopia della scelta, del libero arbitrio, molti anni prima, quando Death Mask le ha incrostato il viso di sangue prima di rivolgerle quel suo sorriso sghembo e gridarle in faccia “Sei pronta per il tempio di Grecia”.
Alla Casa delle Vergini nessuno le ha mai fatto sputare tutto quel sangue eppure ha capito che la vita è fatta di scelte ambigue, sempre veicolate. Puoi scegliere da che parte stare ma mai tirarti fuori dai giochi. Nemmeno una volta.
A chiudere la fila, nelle retrovie, ci sono Marin e Mia.
Camminano l’una accanto all’altra, mantelli candidi a ostentare la purezza di uno spirito che, con ogni probabilità, è già stato macchiato dalla merda della vita.
Shura solleva il braccio destro a mezz’aria e la processione dei Silver Saint si arresta. Shaina allunga il collo sollevandosi quasi in punta di piedi per cercare di vedere qualcosa oltre le spalle di Misty e Shura. Là, davanti a loro, intravede una siepe sconfinata, che si perde alla vista nella lunghezza, rovi e mangrovie a delimitarne il confine.
“Eccolo” si limita a dire loro il Saint di Capricorn mentre con un gesto studiato si volta per guardarli in viso, uno a uno.
Pensa che abbiamo paura.
Shaina detesta essere ritenuta inferiore agli altri santi solo perché è una donna e il suo fisico più debole di quello di un uomo. Il suo spirito è forte, molto più di quello di quell’idiota di Seiya, per esempio, o del suo caro Cassios, anche se questo le spiace ammetterlo.
“Oltre questa barriera si trova il Giardino delle Esperidi” prosegue il Saint, mormorando a mezza voce per non essere udito da estranei.
Per non svegliare ciò che dorme da tempo immemore.
“Buona fortuna, Silver Saint.”
“Se non dovessimo trovare il Pomo d’oro?” domanda Marin all’improvviso, spezzando il silenzio di un nugolo di mummie pronte a farsi deridere dai Gold Saint se dovessero fallire ma loro, Misty per primo, sono certi di farcela.
Ed è questo il loro limite: la certezza di essere infallibili, i santi perfetti.
“Perché non dovreste farlo, Saint di Eagle?”
La paura rende l’uomo coraggioso; non la consapevolezza della propria forza ma dei propri limiti.
“Tu l’hai visto?” domanda Marin avanzando di un passo e muovendosi verso l’inizio della fila, avvicinandosi a lui.
“Ho combattuto per ottenerlo” risponde Shura asciutto, senza particolari inflessioni nella voce sempre troppo pacata, mai specchio dei sentimenti che lo muovono.
“A volte occorre morire per ottenere ciò che si desidera, Saint di Capricorn.”
“Non era ciò che desiderava il Tempio.”

 

Il Giardino delle Esperidi è un luogo di pace, immerso nel silenzio. Al centro di un prato curato si stagliano tre file di alberi carichi di frutti d’oro. Il sole, a est, sta sorgendo e ne illumina i profili, rendendo il luogo immerso in una luce unica e spettacolare. Mia trattiene il fiato, estasiata. L’intero gruppo dei Silver Saint si guarda attorno e osserva il giardino senza confini, fatta eccezione per la fitta rete di mangrovie che hanno varcato. Le leggende raccontano che quel luogo si trovi ai confini del mondo, invece è vicinissimo al Tempio di Atene, una strada battuta che si inerpica sulla scogliera lasciandosi alle spalle il mare Egeo, portandosi verso nord. Si sono addentrati in una grotta aperta alla base di una scogliera che appare come una spaccatura della roccia, una fessura che non lascia possibilità di passaggio. Nessuno lo immaginerebbe, almeno, e la strada per arrivarvi è talmente ripida che nessuno si avventurerebbe lì senza uno scopo ben preciso. Mia non saprebbe dire quanto hanno camminato nel buio umido della terra prima di rivedere la luce e trovarsi dinnanzi all’ingresso, e ha la certezza quello sia un passaggio conosciuto da pochi eletti, che scavalca le leggende e porti al Giardino delle Esperidi direttamente dalla Grecia, senza passare dal mare.
“Coraggio, recuperiamo il Pomo e andiamocene” comanda Misty avanzando di un paio di passi illuminato dalla luce di un’alba d’oro dalle tinte sanguigne. Marin si guarda attorno e la strattona per un braccio, riportandola alla realtà. L’Aquila è vigile e Mia sa che stanno aspettando il momento adatto per andarsene da lì e ritornare al Tempio. La scelta è tra lasciare a morire i Silver Saint o i Bronze Saint, e tra il proteggere Athena e servire il Sommo Sacerdote è scontata la scelta da fare.
Una luce abbagliante, alla loro destra, le costringe ad arretrare di alcuni passi e mettersi sulla difensiva. Shaina è la prima a gridare qualcosa di incomprensibile a causa del sibilo che sovrasta ogni altro suono, mentre Moses viene sbalzato lontano dal gruppo, schiantandosi al suolo dopo un volo di diversi metri.
“Che diavolo…”
Nella luce d’oro di un nuovo giorno avanzano verso di loro tre figure indistinte, difficili da riconoscere da quella distanza. Si tratta di Saint, questo è certo, perché il colpo assestato a Moses ha lasciato ben pochi dubbi a riguardo. Il problema, ora, è capire di chi si tratta.
“Chi siete?” domanda loro Misty, ponendosi ancora una volta a capo del gruppo.
Non riceve nessuna risposta, ma le tre figure continuano ad avanzare inesorabili. Sarebbe il momento di andarsene, quello, ma il corpo di Mia è paralizzato, ogni muscolo pronto alla guerra. Li hanno addestrati al combattimento e ogni segnale del corpo ora la invita a una danza di morte e guerra.
“Mia… Mia!”
La voce di Marin le giunge lontana, troppo. La sua attenzione è catalizzata dal loro nemico che si muove con grazia su uno sfondo irreale, sino a quando non si arresta a pochi passi da Misty. Sono tre, ma si muovono come fossero un corpo solo, un unico essere.
“Dateci uno dei vostri frutti e non vi faremo del male.”
“Avete ucciso nostro fratello.”
Ora che sono vicine appare chiaro che i tre Saint siano donne. Indossano cloth d’ambra e quella che ha parlato ha il volto dipinto di nero. Le altre hanno solo pitture di guerra del medesimo colore.
“Non so di cosa stai parlando.”
“Quello che vi ha condotti qui ha ucciso Ladone” conferma la seconda senza dare tempo a Misty di replicare, perché ponendo la mano con il palmo aperto dinnanzi a sé, lo scaraventa lontano da loro, così come deve aver fatto con Moses poco prima. Le tre donne li guardano, occhi color del cielo all’imbrunire, i capelli rosso fuoco lasciati liberi sulle spalle.
“Chi osa infrangere le leggi delle Esperidi?” domanda ancora quella con il volto nero come pece, con tono duro. È abituata a comandare, e si vede. Sono in numero inferiore eppure non hanno paura e si rivolgono a loro come se sapessero di poterli annientare, con una sicurezza che loro non possiedono.
I Silver Saint non parlano, restano muti dinnanzi alla potenza di un nemico che riesce ad  attaccarli mantenendoli a debita distanza, rendendoli di fatto impotenti. Mia lancia un’occhiata a Marin, immobile al suo fianco.
“Cosa facciamo?” le sussurra sperando di non essere udita dagli altri. Ora che Misty è fuori combattimento resta a loro il compito di contrastare il nemico. E non possono tirarsi indietro.
“Sandā kurou!”
Dalle loro spalle Shaina si fa avanti e si scaglia contro le tre donne. Mia vede l’Ofiuco combattere, sganciare colpi a velocità rapidissima, scintille che si trasformano in lampi sprigionati dai suoi pugni quando riesce a colpire l’avversario. È una frazione di secondo, ma i tre Saint si uniscono e la bloccano all’interno di un cerchio neutralizzandone i colpi.
L’Ofiuco è in gabbia e non si arrende mai, si scaglia contro la teca con il volto intriso di sangue e continua e continua, sino a quando non sfonda la barriera che lo tiene prigioniero, in bella mostra per turisti con uno strano gusto del macabro. I tre saint uniscono le proprie mani, palmo contro palmo, da cui si sprigionano globi di luce che restano sospesi a mezz’aria prima di schiantarsi contro Shaina, che cade a terra sotto quel nugolo di colpi improvvisi. Mia non riesce a prevederli ma si avventa contro di loro ugualmente. Sono una squadra e non le importa null’altro ora.
Non sacrificherà la vita di Shaina.
Qualsiasi cosa accada, lei verrà con noi.
“Metsu Raitoningu!”(*)
Marin non riesce a fermarla: era l’occasione per andarsene e se la sono giocata. Mia sta già colpendo uno degli avversari di Shaina rendendolo il proprio. L’Aquila corre in avanti, lanciandosi in aria e scendendo in picchiata verso l’ultimo dei Saint ancora liberi, impegnato a colpire l’Ofiuco nel tentativo di neutralizzarlo.
Kuken!”
È tempo di combattere, e prima finirà, prima potranno rientrare ad Atene.

 

*

 

Atene è un dedalo di vicoli dagli odori intensi e forti. I ragazzi le camminano accanto cercando di proteggerla su ogni lato. Davanti a lei c'è Seiya, a ergersi come un fedele cavalier servente. Le sembrano passati anni da quando hanno fatto ritorno a Tokyo, da quando non l'hanno accettata né compresa per poi seguirla sino all'altro capo del mondo. Gli abiti le si incollano alla pelle, l'afa e l'umidità sono ancora opprimenti nonostante l'autunno inoltrato. Oppure, e questa è la soluzione più probabile, ha così paura di ciò che l'attende che il suo corpo sta reagendo a modo proprio, schizzando lontano rispetto a traiettorie conosciute.
“Milady, vi sentite bene?”
Saori ha un sussulto quando Jabu la strappa ai propri pensieri. Annuisce con il capo e gli sorride, incoraggiante, ma il suo cuore trema.
Non dovrei essere qui, dovrei essere a Tokyo, a sperare che tutto questo non sia mai iniziato.
Se riflette sull'ignoto a cui sta andando incontro, Saori sente il cuore schizzarle in gola. Alla sua età dovrebbe sentire solo farfalle nello stomaco, non il terrore cieco di chi è a un passo dalla morte.
Anche per voi è così?
Di sottecchi, passa in rassegna i suoi Santi, uno a uno.
Non ha la più pallida idea di come andrà a finire, o di cosa possa attenderli. Di certo non si aspetta abbracci di benvenuto o un tappeto rosso. Rose rosse e applausi. Si aspetta una battaglia, questo si, ma non sa esattamente di che portata. Mia l'ha messa in guardia, e se davvero tutto il Tempio di Atene è pronto per annientarli, possono solo sperare che qualcuno sia dalla loro parte. Magari Mia, o il suo maestro.
Chiunque, le basterebbero persino i guerrieri di più basso rango.
Ha paura Saori, e Athena pare addormentata, stretta nelle spire di un serpente oscuro, fatto di fallimenti e aspettative tradite.
La piazza che si staglia al di sotto del Tempio si apre come una bocca spalancata davanti a loro. Tutto è imponente e forte, ma lei non ricorda nulla di ciò che ha vissuto tra quelle mura prima di quel momento. La grandezza del suo ritorno in Grecia le toglie la parola: tutto tace ora che riesce a riflettere con lucidità. Nemmeno un alito di vento o un gabbiano attirano l'attenzione, avvolgendoli in un silenzio sinistro e opprimente.
“C'è qualcosa che non mi convince” mugugna Seiya dandole le spalle.
“Non è una buona idea restare qui, scoperti e in bella vista” prosegue Hyōga guardandosi attorno.
Saori attende.
Saori spera che qualcuno prenda le redini della situazione e la porti al sicuro.
Non resterà nulla di noi.
La catena di Andromeda si muove all'improvviso, e con un sibilo le sfreccia accanto, a pochi centimetri dal  viso.
Alle loro spalle ode passi in rincorsa, qualcuno che grida concitatamente di prestare attenzione, mentre Shun non riesce a trattenere le catene che lo spingono verso un'altura poco distante. Saori alza lo sguardo in quella direzione, tutti le sono accanto, pronti a farle da scudo con il proprio corpo se necessario.
È questione di una manciata di istanti, e mentre le catene colpiscono qualcosa, una nube di frecce si abbatte su di loro. I ragazzi gridano, le si stringono intorno, ma lei non capisce il perché di quel dolore al petto.
Quando riapre gli occhi non sa se siano passate ore da quando li ha chiusi, eppure i suoi santi sono attorno a lei, i volti tirati, mentre ogni movimento le costa un'immensa fatica.

 

Un colpo deciso e dalla perizia chirurgica, che mira dritto al cuore. Tramy scocca la freccia maledetta dal proprio arco con l'ardore di un cacciatore, la sente sibilare nell'aria e penetrare nella carne tenera del petto di Saori Kido. È un filo invisibile quello che li lega, dettato dalla spietata precisione della freccia che Death Mask gli ha chiesto di utilizzare.
È una freccia speciale” e non ha aggiunto altro, solo l’ordine di utilizzarla per colpire Saori Kido. Sente l'adrenalina fluire nel sangue, un'eccitazione crescente come quella di chi combatte sempre in prima linea e non si limita a un'azione di copertura a protezione dei compagni, per la prima volta protagonista assoluto. Chi l'ha detto che quella ragazzina viziata è Athena? Il Sommo Sacerdote parla in sua vece, e quelle che lascia scivolare fuori sono parole di guerra e odio contro il manipolo di Bronze Saint che sono giunti sino al Santuario cercando guerra.
Chi siete, mocciosi? Voi, che avete saccheggiato il tempio strappando il cloth di Sagitter dalla sua sacra dimora?
Il Silver Saint storna lo sguardo sulla statua d'Athena, sulla meridiana della Torre che lentamente scivola oltre lo zero, illuminata da dodici fuochi fatui che si spegneranno portando con sé la vita di Saori Kido.
Il grido del Saint di Pegasus è il latrato di un cucciolo sciocco e inesperto, lacera il silenzio che si inerpica tra le Dodici Case e si schianta contro un cielo noncurante, di un azzurro vivo e accogliente così come lo è in Grecia nel fiore dell'estate. Tramy della Freccia è nato e cresciuto tra le montagne del Peloponneso e conosce il significato di ogni sfumatura d'azzurro. Non piangerà il cielo, quest'oggi, perché non sarà un dio a morire ma un'umana qualsiasi. I gabbiani si ergono in volo come avvoltoi, pronti a planare sulla preda. Conosce gli animali lui, allevato dai pastori, e sa che un gabbiano è una cornacchia travestita. Non ha un volo elegante, il gabbiano, solo è un predatore silenzioso. Rivolge lo sguardo dabbasso, il guerriero, nel piazzale antistante la Prima Casa. Vede i Brozne Saint girare attorno al corpo della ragazza come se avessero abbattuto il loro capo branco e ora, privati della propria guida, restino – confusi – a  ballare una stupida danza funebre attorno a lei.
Con un balzo scende dallo sperone di roccia da cui dominava la scena. La sua è la risata di un vincente, un sorriso obliquo che taglia il suo volto come una cicatrice portata con orgoglio.
“Avete dodici ore per arrivare alle stanze del Sommo Sacerdote e salvare la vostra bella. Con lo scorrere del tempo, anche la freccia scenderà in profondità, sino a perforarle il cuore, da parte a parte.”
Quanti sono sessanta minuti?
Un battito di ciglia, migliaia di secondi tutti legati dall'appartenere al medesimo numero sul quadrante. Sessanta minuti, per salvare una vita, sono troppo pochi, e questo Tramy lo sa bene.
Per strapparla, invece, bastano solo pochi istanti.

 

“Erano illusioni... avremmo dovuto capirlo subito, maledizione!”
Seiya ringhia, lo sguardo rivolto verso il Tempio.
Li aspettano le Dodici Case prima, e il tempo, sull'orologio della torre ha già preso a scorrere inesorabile.
Dodici ore per sconfiggere i Gold Saint, raggiungere le stanze del Sacerdote e salvarla.
Guarda il volto sofferente di Saori e si chiede se saprà sopportarlo.
“Fate attenzione” mormora, e la sua voce è così flebile che gli pare di averla sognata. Di Mia non vi è traccia, e Seiya stringe i pugni con rabbia, provando per la prima volta qualcosa di molto simile all’odio, più che all’amore.
Allora è davvero tornata a servire il Tempio nonostante tutto?
Hanno bisogno di chiunque ora, di qualcuno che resti al capezzale di Saori e la sostenga durante la sua battaglia.
“Non possiamo restare qui in eterno, dobbiamo sbrigarci Seiya.”
Shun lo riporta alla realtà, senza dargli tempo per rimuginare.
“Coraggio, dobbiamo andare” conferma Hyōga.
Seiya lancia un'ultima occhiata a Saori, adagiata sul selciato attorniata dai propri Saint. Si inginocchia al suo cospetto in attesa di un ordine che non giunge.
“Faremo in fretta, milady.”
“Lo so.”
Cerca di sorridergli, ma le labbra si contraggono in una smorfia di dolore.
Quanto sei forte, mia signora?
Perché ora lo sa, di essere inginocchiato al cospetto di Athena.

 

*

I colpi si susseguono da entrambe le parti.
Gli scontri sembrano equivalersi sia in velocità che in potenza, ma nessuno riesce ad avere la meglio sull’altro. Le tre sacerdotesse di Athena combattono subendo e sferrando colpi senza sosta. Shaina non cede il passo nonostante sia stata la prima a entrare in combattimento. Marin ha la meglio sulla sua avversaria perché l’esperienza la sta portando a confrontarsi alla pari con un Saint che non segue le regole di Athena, tenendogli comunque testa. Dalla parte di Mia, invece, a fare la differenza è la velocità. Il suo avversario para ogni suo colpo, replicandolo e rispedendolo al mittente. Il Saint di Aglaia non sa cosa fare per creare una breccia nel muro che ha creato contro di lei e strapparle la vittoria.
Shaina grida, poco distante da lei, e con la coda dell'occhio la vede schiacciare al suolo il Saint d’Ambra, le unghie a serrarle la gola graffiando con rabbia.
“Chi diavolo siete?”
“Le padrone di casa” bisbiglia l'altra in un sussurro, prima di attendere la propria fine.
È sbagliato, si dice Mia, perché dovevano ottenere solo il pomo d'oro non uccidere. La guerra è fatta proprio di questo: di sangue che scorre a fiumi, eppure, mentre vede quella donna che muore, prova un dolore strano al petto, simile alla pietà o alla compassione. Shaina non ha paura di uccidere, ma il grido di quel cosmo le lacera i timpani, straziante e disperato. Triste, intriso di lacrime e disperazione. L'Ofiuco si allontana dal corpo che giace sotto di lei mentre questo inizia a solidificarsi e trasformarsi. Mia trattiene il fiato, la sua avversaria che ora grida e piange di dolore. Sarebbe il momento di colpirla, farla finita e andarsene prima che sia troppo tardi ma non riesce a muovere un muscolo.
Le hanno insegnato che le lacrime di dolore vanno rispettate.
Lei, in ogni caso, vorrebbe avere il tempo di piangere i propri compagni caduti.
“Che diavolo fai? Finiscila!” le grida Shaina, mentre sotto i loro occhi si compie la metamorfosi del Saint d’Ambra. L’Ofiuco si fa avanti e la spinge da parte invitandola a farle posto. Il nemico, però, si scaglia contro di loro con tutta la forza che ha in corpo, schiacciando Shaina sotto il peso dei colpi di Mia, che replica alla perfezione.
“Cosa... diavolo...”
Sono i miei colpi?
Mia si rende conto di essersi illusa fosse solo una tattica difensiva, invece quella del Saint contro cui combatte è qualcosa di ben peggiore: assorbisce i suoi colpi o, peggio, li ha imparati e ora riesce persino a replicarli. Shaina giace poco distante, dopo aver sbattuto contro il pioppo nato dal corpo senza vita del suo nemico, il cloth appoggiato a terra, ricomposto. Pronta per essere vestito da qualcun altro.
“Ora basta. Lasciaci andare con il pomo o...”
“Posso continuare all'infinito” le grida il Saint con rabbia, striature nere che ora le coprono il viso, là dove le lacrime hanno lavato via il trucco.
“Perché sono così importanti?” le chiede Mia, e l'altra sembra sorpresa dalla sua domanda.
“Davvero non lo sai?” poi si ravvede e la squadra con attenzione, avvicinandosi ulteriormente. “Tu non lo sai realmente.”
“Ammazzala e andiamocene!”grida Shaina alle sue spalle, ma la ignora, continuando a restare concentrata sul suo avversario. Se dovesse attaccarla, questa volta non la risparmierà ma deve sapere la verità.
“Chi ne assapora il gusto diventa immortale. È un dono raro, che solo gli déi concedono. Se porterete fuori dal Giardino anche uno solo dei nostri frutti scatenerete altre guerre. Volete davvero correre questo rischio?”
“Non è vero” mormora, ma non ci crede nemmeno lei. Chiunque conosce la forza di quei frutti, e una volta annientati i suoi custodi sarà facile per chiunque servirsi del giardino per i propri scopi.
Qual è il vero scopo del Sommo Sacerdote?
“Andiamocene.”
Si volta verso Shaina cercando di aiutarla, ma lei si tira indietro, disgustata.
“Ti ha dato di volta il cervello?”
“Ha ragione lei. Portare fuori di qui il pomo è una follia.”
“È la nostra missione, maledetta codarda!”
Con le sue ultime energie l'allontana da sé e si avventa sul Saint d'Ambra. Mia, questa volta, riesce a vedere la forza e la velocità dei propri colpi ora che ha scoperto la tecnica del suo avversario. Si getta contro Shaina spingendola via, accusando i propri colpi sotto cui viene sbalzata lontana dalle compagne.
“Maledetta stupida!” sente gridare all’Ofiuco, ma la sua voce è così lontana che le sembra di essersela immaginata.

 

Marin non ha fatto in tempo a fermarle. Mia è stata scaraventata ad alcuni metri di distanza, oltre il pioppo. L’Aquila continua a guardare il Saint che le sta dinnanzi, il viso completamente dipinto di nero.
“Sarà questo il giorno in cui io le e mie sorelle moriremo. Ma porteremo nell'Ade tutti voi.”
La sua voce è un sussurro melodioso, ipnotico. Marin, per alcuni istanti, ne resta affascinata, priva di difese e la donna tenta di colpirla. Riesce a parare il colpo, contraccambiando con un crescendo di pugni in velocità.
“Voi siete diverse, avete il cuore puro. Un cuore che non ha paura, che non teme nulla.”
L'Aquila sgrana gli occhi, ma è tardi ormai per fermare il proprio colpo più temibile. Sotto la furia dell’Eagle Tow Flash il Saint crolla a terra, un rivolo di sangue che le cola dalle labbra mentre si accascia inerme. Non riesce a trattenere lo stupore – e le lacrime – quando vede i suoi piedi diventare legno, e le sue membra allungarsi in rami ricurvi, un ombrello di foglie che ricadono piangenti sino a sfiorare il terreno.
Marin corre appresso a Mia, cercando di rialzarla e trascinarla via dal Giardino, farle riprendere quel poco di forze che le servono per combattere l’altra guerra, quella vera.
“Dobbiamo sbrigarci” le sussurra, e il Saint di Aglaia si solleva sulle ginocchia, barcollando.
“Posso farcela.”
“Non puoi combattere in queste condizioni.”
“Vogliono morire, Marin. Finché non le uccideremo non ci lasceranno andare.”
“Non puoi farcela.”
“Si invece.”
Marin l'aiuta a camminare, poi la lascia andare. Nella figura di quella schiena curva, che cerca di rialzarsi con fierezza, vede la tenacia del leone.
È la tua degna allieva, Aiolia.
E prega, Marin, perché possa riportagliela indietro. Un po' ammaccata, certo, ma viva.
Si porta al fianco di Shaina, la cui ferita al braccio continua a sanguinare, mentre Mia colpisce di nuovo il suo avversario con il medesimo colpo di prima, una pioggia di pugni e fasci di luce a inondare il cielo.
“Non ce la farà mai” sbotta l'Ofiuco, e Marin non capisce se nella sua voce ci sia una nota di delusione o disappunto.
Sente Mia gridare, poi la vede parare tutti i propri colpi e muoversi velocemente, troppo, rispetto a quello a cui è abituata.
Cosa diavolo...?
“Reiken Raitoningu!” la sente gridare, prima che un fascio di luce investa il Saint d'Ambra, trafiggendolo.
“Non è possibile...”
“L'hai visto?”
Non l'ho visto... l'ha colpito alla velocità della luce.”
Mia, inginocchiata a terra, osserva in lontananza il Saint trasformarsi nella sua forma lignea, prima di crollare a terra priva di sensi.

 

Argor non è riuscito ad avvertire le ragazze in tempo. Mia, stesa a terra, sembra stia dormendo, e si appella a un dio che ha smesso di pregare da troppo tempo per supplicarlo di riportarli tutti a casa. Ha un modo particolare di riconoscere la forza di un Saint, quella sottile ironia che lo porta a ridicolizzare ciò che invece vorrebbe valorizzare. Sono donne, ma la verità è che combattono come uomini. Tutte e tre. Mentre Marin in piedi accanto a Shaina, nel tentativo di recuperare anche l’altra sacerdotessa, Argor si è avvicinato agli alberi per ottenere il Pomo d’oro. Ce ne sono così tanti che uno, da portare via, sembra cosa di poco conto. Invece ha un valore inestimabile se i Saint d’Ambra hanno cercato di ucciderli con tutti sé stessi. Lancia un’occhiata alle proprie spalle, i suoi compagni stesi a terra, eliminati uno a uno. Per un istante pensa che se fosse l’unico a fare ritorno al Tempio la gloria sarebbe sua soltanto. L’investitura con onorificenze e la massima gratitudine del Sommo Sacerdote adagiate ai propri piedi. Chissà, forse potrebbe ottenere per sé il Gold Cloth di Sagitter, a quel punto.
Afferra il frutto grasso che ha a pochi centimetri dal naso, lo stringe tra le mani e chiude gli occhi, quasi ne stesse gustando il sapore in bocca.
“Argor, no!”
La voce di Marin lo distoglie dai propri pensieri e d’istinto si volta nella sua direzione, in tempo per vedere un fascio  di luce dirigersi verso di lui e investirlo in pieno.
La terra trema, viene scossa dalle radici sino al cielo da una rabbia cieca.
Tutto vacilla, al Giardino delle Esperidi, mentre dei Silver Saint nessuno è rimasto in piedi.

 

*

 

La Prima Casa è circondata da un ampio piazzale, più interno rispetto a quello principale del tempio. Si inerpica già sul promontorio, prima tappa di una scalinata maledetta. All'esterno, dinnanzi al portone spalancato, Mu  di Aries li attende, le braccia conserte al petto. Li scruta uno a uno, legge sui loro cuori la forza e la paura, poi cede e scende nel dettaglio di un'analisi rapida dei loro Cloth. Gli basta un'occhiata per capire che così non reggeranno nemmeno il primo scontro. Mu è un saggio. Della guerra indetta dal Grande Sacerdote conosce troppe cose, e il suo istinto di guerriero l'ha condotto a una verità che – qualora avesse fondamento – scuoterebbe sino al suo nocciolo più duro l'intero Tempio di Grecia. Aiolia sembra turbato, inquieto, e da un paio di giorni non si mostra lungo le scalinate che separano le case le une dalle altre. Marin l'ha cercato, ma nemmeno lei ha ricevuto sue notizie. Al capezzale di Saori Kido, i Bronze Saint hanno lo sguardo vacuo, perduto dietro una sconfitta preannunciata. I Cloth grondano sangue dinnanzi alle porte della Prima Casa, e non è quello dei loro proprietari, questa volta. Kiki li osserva e ne fa da custode, accucciato come un cucciolo di guardia alla propria cuccia.
“Ehi fratellone, pensi ce la faranno?”
“Sono Saint di Athena, perché non dovrebbero?”
“Fiuto la loro paura da qui.”
Scompare dal fianco del fratello maggiore per ricomparire un istante più tardi accanto a Seiya, inginocchiato al capezzale della sua dea. C'è un qualcosa di sacro, in quel dialogo muto fatto di sguardi. In quella devozione c'è il frammento di un amore, di un legame che scava nei secoli sino alla nascita dei primi Cloth. Forgiati dalle stelle, così come il cosmo da cui traggono forza, anche i loro possessori sono le reincarnazioni di chi – prima di loro – ha consacrato la propria vita ad Athena. Un Destino già scritto può essere cancellato per fare spazio a una pagina bianca, oltre la parola “fine”?
Fissa il sangue brillare sui Cloth dei Bronze Saint come fossero striature di sole, lembi di nubi avvolti attorno a stelle spezzate, Mu storna poi lo sguardo verso la casa di Taurus. Quel bestione non cederà il passo, testardo com'è, e mentre è costretto a ritrattare, osservando i giovani Saint al fianco di Athena incapaci di starsene fermi con le mani in mano mentre lei, lentamente, muore.
Cambierai idea anche tu, mio buon amico.

 

Se esiste un dio, oltre gli déi, Jabu di Unicorn è certo non veda né oda alcuna preghiera. Sostiene il capo di Athena, di Saori, e ne accarezza i capelli nel tentativo di confortarla. Non conosce il prezzo del dolore, conosce solo quello del sacrificio spontaneo, del martirio per amore. Saori è stata prima di tutto donna, per lui, e poi dea. Affoga nel passato dalle tinte fosche della Fondazione Kido, delle frustate che sferzavano la schiena e il volto di Ikki, o quelle che si era preso in silenzio Seya, per un “no” di troppo. Osserva il compagno e non vede santità in lui, solo stupido orgoglio e forse, senso di colpa. Non sa cosa significhi sacrificarsi e piegarsi, Seya di Pegasus, quasi potesse decidere del proprio fato. Della ragazzina viziata ora non è rimasta traccia, e Saori Kido si imprime su una retina che non vuole vederla, che non vuole riconoscerla davvero, sino in fondo.
Perché Seya, e non io?
Seya, un prescelto per ereditariertà karmica, o forse solo per essere stato l'unico a ergere un muro tra sé e Saori. Quell'aspetto del suo carattere non l'ha ancora abbandonata, cerca di conquistare ciò che non può avere, anche con la forza di una posizione di potere nettamente in vantaggio rispetto alla loro. È davvero una donna che sa amare, Saori? No, è una donna che sa fare capricci e mettere a nudo l'umiltà dell'errore, ma non sa amare. Non quello che ha la certezza di poter avere schioccando le dita, come lui. Fissa i Cloth brillare sotto il cielo di Grecia, immobili, pervasi da striature vermiglie. Presto, non sarà un sangue restauratore a bagnarle, ma quello dei nemici.
E dei loro stessi possessori.
Tutto, per riportare indietro milady.

 

 

 

 

 

Note dell’autrice.
La leggenda racconta che le Esperidi, dopo l’uccisione di Ladone, per il dolore si trasformarono in alberi: un pioppo nero, un salice piangente e un olmo. Si dice che una di loro usasse dipingersi il volto con le more, da qui le pitture di guerra che ho ripreso in questo capitolo.

 

(*) Metsu Raitongu è uno dei colpi di Mia. Ha ereditato dal suo maestro, Aiolia, l’utilizzo del fulmine. Il Metsu Raitongu consiste in una serie di colpi a velocità superiore a quella del suono, che colpiscono l’avversario da più direzioni. È la stessa tecnica che utilizza Aiolia, i cui colpi hanno la velocità della luce.

Il Reiken Raitoningu è il Fulmine Astrale, in cui Mia concentra il cosmo in un unico colpo che appare come un fascio di energia solida. Raggiunge la velocità della luce. Si può dire che la forza dei colpi dei Metsu Raitongu sia sfruttata per portare alla massima potenza un unico colpo. In questo capitolo, è la prima volta che Mia riesce a utilizzare questa tecnica.

 

 

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