Di Quel Che Successe Al Pandemonium Club E Altro.

di Class Of 13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'erano una volta... o forse no. ***
Capitolo 2: *** Alec Nel Paese Delle Meraviglie. ***
Capitolo 3: *** Ci sono cose che non hanno prezzo - o anche no. ***
Capitolo 4: *** Save The Last Dance For Me. ***



Capitolo 1
*** C'erano una volta... o forse no. ***


Di quel che successe al Pandemonium Club e altro.
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Capitolo 1: C’erano una volta… o forse no.

  C’erano una volta, in una magica e lontana terra di nome Idris, un gruppo di valorosi e affascinanti guerrieri in nero dal sangue di angelo chiamati Shadowhunters...
STOP! Fermate tutto, questa roba sa di trito e ritrito.
Lasciate fare a me.
New York, 2007.
Nel cortile affollato e illuminato dai tiepidi raggi del sole di metà maggio di un liceo qualsiasi di New York, un giovane ragazzo di diciott’anni, dai capelli neri e gli occhi azzurri come il cielo quella mattina, si godeva il tepore dell’estate in arrivo e le note perfette del suo chitarrista preferito, Jimi Hendrix. Perché Alec Lightwood – questo era il suo nome- era ed era sempre stato un ragazzo semplice e di poche pretese, a cui bastavano della buona musica e la compagnia dei suoi pochi ma insostituibili amici per essere veramente felice. Stava seduto con aria tranquilla sulla ringhiera che delimitava la scalinata dell’istituto, troppo preso, per sua fortuna, dalla musica per badare alle occhiate curiose che la gente gli rivolgeva: non era mai stato un tipo che amava essere al centro dell’attenzione, ma la sua altezza considerevole e la sua abitudine di vestirsi con jeans sdruciti e t-shirt di vari gruppi rock non lo aiutavano troppo nell’impresa.
«Yo, Alec».
Jace Herondale in Lightwood, un ragazzo dai capelli biondi come l’oro e gli occhi color ambra, era suo fratello adottivo e migliore amico, anche se Alec, purtroppo, avrebbe desiderato essere qualcosa di più di un semplice amico per lui. Erano inseparabili da quando avevano undici anni e avevano perfino inventato un saluto tutto loro che utilizzavano ogni volta che s’incontravano, anche se la cosa poteva sembrare infantile. In aggiunta al loro saluto, il giovane Lightwood sfoderò uno dei suoi rari e autentici sorrisi, di quelli che solo Jace e sua sorella erano in grado di strappargli.
«Avresti dovuto vedere cosa è successo in palestra, oggi! Saresti morto dalle risate», disse Jace sedendosi accanto. «Hai presente Tom Riddle, quello del terzo anno che fa il cascamorto con tutte? Beh, qualcuno dell’altra classe è riuscito a sfuggire al suo colpo segreto durante la partita di dodgeball e lui è diventato una bestia!».
Alec sgranò gli occhi azzurri. «Davvero? Qualcuno è sfuggito all’ Avada Kedavra di Riddle? E chi è stato?».
«Un tizio mingherlino con gli occhiali, credo si chiamasse qualcosa come Harry Potter, ma non ne sono sicuro».
«Ah, a proposito, a che ora ci vediamo oggi per le prove?».
Alec e Jace erano i co-fondatori di un gruppo rock più che determinato a sfondare nell’ambito musicale americano, ma per il momento tutto ciò che erano riusciti ad ottenere era qualche malpagata serata in qualche pub della città.
«Ecco, a proposito delle prove…», mormorò Jace passandosi una mano dietro al collo. «Clary mi ha chiesto di uscire, oggi, e visto che è almeno un mese che noi non-ehm, sì, hai capito… Le ho detto di sì».
Clarissa Fray, più comunemente conosciuta come Clary, era una ragazzina minuta dai capelli rossicci e dal viso pieno di lentiggini, con cui Jace stava da circa un anno. Alec non avrebbe avuto motivi per odiarla se non fosse che questa gli avesse soffiato da sotto il naso l’amore della sua vita costringendolo, come quel giorno, a saltare le prove del loro gruppo.
«Non mi interessa granché sapere da quanto tu e quella lì non copuliate, ma vorrei sapere se ti sei reso conto del fatto che questo weekend abbiamo un osservatore di una casa discografica che verrà a sentirci al Pandemonium Club e che noi non proviamo tutti insieme da sabato scorso».
«Dai, Alec, ti prometto che domani non prendo impegni e facciamo doppia prova», lo supplicò Jace, indicando con lo sguardo la figura di Clary, che lo attendeva sorridente qualche metro più in là.
 «E va bene», sospirò seccato. «Ma giuro che se domani ci dai buca te la faccio pagare».
Il viso di Jace si illuminò e Alec provò una dolorosa fitta al petto nel ricordarsi che per lui sarebbe sempre e solo stato il “migliore amico”: era un suo difetto, non poteva fare a meno di cedere ogni volta al viso implorante del suo biondo amico, nonostante si fosse ripromesso più e più volte di non farlo.
«Grazie, amico, sei il migliore!», disse Jace dandogli una pacca sulla spalla prima di schizzare verso la sua ragazza.
«Ma Jace non doveva venire alle prove, oggi?», domandò curiosa una voce femminile alle sue spalle.
Isabelle Lightwood, una ragazza alta e snella dai lunghi capelli corvini – caratteristica dominante nella famiglia Lightwood - suonava la batteria da quando aveva cinque anni e, date le sue indiscusse capacità organizzative, si era autonominata manager della loro band, organizzando per loro le serate e scegliendo l’abbigliamento adatto a ciascuna di queste.
Alec si voltò verso sua sorella, cercando di nascondere la delusione nel suo viso e nella sua voce. «Lui e quella Clary devono uscire, dobbiamo rimandare le prove a domani».
«Beh, non mi sembra un grosso problema, voglio dire, l’ultima volta che abbiamo provato mi è sembrato che i pezzi andassero tutti piuttosto bene…».
«Lo so, ma…».
L’espressione di Isabelle si addolcì. «Ma tu volevi passare un po’ di tempo assieme a Jace», disse sottovoce.
Il giovane dai capelli corvini abbassò lo sguardo. Sua sorella era l’unica a conoscenza del suo segreto e l’unica che, in un modo o nell’altro, potesse immaginare come lui si stesse sentendo in un momento come quello.
«Sai che ti dico? Adesso tu, io e Simon andiamo a divorarci un doppio hamburger con cipolla da Taki alla faccia di Jace, così ti distrai un po’».
Alec sorrise: per un po’ avrebbe smesso di pensare ai suoi problemi. Per un po’ si sarebbe dimenticato di essere innamorato del suo migliore amico.
§
«Datti una calmata, Alec, non ti ho visto così nervoso neanche prima del compito di fisica della McGranitt».
Il maggiore dei Lightwood si era sempre dimostrato il più serio e diligente della famiglia ma, come si diceva nei film di supereroi di quart’ordine, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, responsabilità che in questo caso lo stavano portando sull’orlo di una grossa crisi di nervi: Isabelle e Simon, il loro bassista, avevano appena terminato il soundcheck, cosa che significava che entro cinque minuti sarebbe dovuto salire su quel palco, imbracciare la sua vecchia Stratocaster – bianca, proprio come quella di Jimi Hendrix- e dimostrare di essere un chitarrista degno di questo nome.
Il Pandemonium Club, nonostante il nome piuttosto bizzarro, era un semplice Irish Pub di Brooklyn, uno dei pochi che ancora concedeva il proprio spazio serale alla musica dal vivo e ai gruppi emergenti. L’interno era arredato prevalentemente con dei tavolini in legno affiancati da  degli sgabelli foderati in tessuto scozzese, mentre, accanto al piccolo palco allestito per i gruppi della serata, si faceva strada un bancone di tek segnato da graffi  e segni di boccali, ma incredibilmente lucido e pulito. Dietro il lungo banco di legno svettava uno scaffale pieno di alcolici di ogni genere sopra cui era stato appoggiato il peluche di un leprecauno vestito in verde.
Il pub, nonostante fosse sabato sera, non era particolarmente affollato: oltre ai clienti abituali – la cui capigliatura rossiccia e il buffo accento lasciavano intendere origini irlandesi -, c’era un gruppetto di Punk dalla capigliatura improbabile, un ragazzo dai tratti vagamente asiatici che sorseggiava un boccale di Guinness come se fosse the, un uomo in jeans e camicia di flanella che fumava con aria stanca una sigaretta e qualche loro compagno di scuola tra cui il famigerato Potter, sulla cui testa svettava la cicatrice che Riddle gli aveva lasciato qualche giorno prima, Ron Weasley – che era anche il figlio del proprietario del pub –,  Hermione Granger, la presidentessa del club di chimica e Clary, che, da quando stava con Jace, era diventata una presenza fissa ai loro concerti.
«Spacca tutto, fratellone».
Alec rivolse un sorriso tirato a Max, suo fratello minore, prima di salire sul palco. Collegò la chitarra all’amplificatore, sentendo il familiare ronzio delle valvole che cominciavano a riscaldarsi e si avvicinò al microfono, accertandosi che il resto del gruppo gli desse il via libera.
«Salve. Noi siamo i Nephilim e questa è la nostra versione di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana».
Il pezzo era energico e orecchiabile, un’ “ottima scelta di marketing” secondo Isabelle, ma a lui non importava, a lui bastava suonare, sentire le corde sotto i polpastrelli, il ritmo del plettro vicino i pick-up, la forma familiare del legno tra le sue mani, per sentirsi a suo agio con se stesso come non lo era mai. La musica lo faceva sentire vivo.
Al termine dell’esibizione il pubblico applaudiva energicamente, mentre la Granger e Clary sembravano contendersi l’attenzione di un Jace sudato e in pantaloni di pelle a suon di urletti di approvazione. Se c’era una cosa che Alec apprezzava dell’esibirsi in pub come quelli, era che alla fine della serata, se le cose erano andate bene, riusciva sempre ad ottenere una pizza ed una birra gratis per tutto il gruppo, e quella sera il vecchio Arthur Weasley li aveva serviti con un sorriso orgoglioso stampato in faccia continuando a ribadire come migliorassero di esibizione in esibizione. La pizza post-concerto era una sorta di rituale che Alec amava, perché lo faceva sentire come se la band fosse la sua seconda famiglia, ma di certo non si aspettava che uno dei membri del pubblico facesse irruzione tra di loro, sedendosi con nonchalance di fronte a lui, Jace e Isabelle.
Il ragazzo, che non doveva avere più di vent’anni, aveva i capelli tenuti in aria da quello che sembrava uno strano gel glitterato e degli occhi tra il giallo e il verde che avevano qualcosa di vagamente felino.
«Buonasera, miei cari Nephilim. Si da il caso che la vostra esibizione mi sia piaciuta un sacco e che io abbia fatto quattro chiacchiere con quel talent scout laggiù che, se non mi sbaglio, vi ha proposto di incidere un singolo», disse sorridendo sornione.
I membri del gruppo si voltarono improvvisamente verso Isabelle. «Volevo attendere il momento del brindisi per dirvelo», si giustificò questa alzando le mani.
«D’accordo, noi ti ringraziamo, ma… potremmo sapere perché l’hai fatto?», domandò perplesso Simon.
Lo sconosciuto sorrise. «Beh, oltre al fatto che avete davvero talento, il caso vuole che tra di voi ci sia qualcuno di molto sexy».
«Grazie», risposero all’unisono Jace e Isabelle guadagnandosi un’occhiata imbarazzata da parte dei restanti membri del gruppo.
Il ragazzo continuò come se nulla l’avesse turbato. «Ad essere sinceri io intendevo lui, quello dagli occhi azzurri», disse puntando un indice inanellato in direzione del giovane Lightwood e piegando un angolo delle labbra in un sorriso malizioso.
Alec si guardò freneticamente attorno, la bocca leggermente socchiusa per lo stupore. Non poteva riferirsi a lui, il ragazzo da parete, quello che passava sempre inosservato e che preferiva starsene per i fatti suoi, piuttosto che andare in giro a fare conquiste. Ricambiò per un attimo lo sguardo di quel ragazzo così strano ma anche così affascinante e per un istante si dimenticò di essere in compagnia del ragazzo che credeva di amare sin da quando avevano undici anni.
«Ah, comunque il mio nome è Magnus Bane. Abito nel condominio qui affianco», disse lo sconosciuto congedandosi. «Non c’è bisogno che mi ringraziate ma, quanto a te, vieni a trovarmi quando vuoi».
Alec seguì con lo sguardo la figura allampanata di Magnus fino a che questa non sparì dietro la massiccia porta del locale.
«Lo conoscevi?», gli domandò Isabelle punzecchiandolo con un gomito sotto il tavolo.
«No. Non credo di aver mai incontrato nessuno così».

~Welcome To The Jungle.
Devo essermene andata definitivamente fuori di testa se ho deciso di scrivere una cosa del genere, oh sì. Questa, che si preannuncia essere una mini-Long (sarà lunga massimo 4/5 capitoli), era nata come una One-Shot, una delirante One-Shot, ma poi la mia mente malata ha preso il sopravvento portandomi a questi risultati. Vi dico che non troverete nulla di profondo e chicchessia, in questa storia, è solo una commediuccia romantica in stile americano nata dalla mia passione per la musica rock (e diciamocelo, i Nephilim, vestiti in pelle nera e tutto, sono dei rocker perfetti), perciò siete liberi di prendermi a pomodori virtuali tramite recensione, io accetterò la mia condanna. v.v
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Capitolo 2
*** Alec Nel Paese Delle Meraviglie. ***


Di quel che successe al Pandemonium Club e altro.
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Capitolo 2: Alec nel Paese delle Meraviglie.
 
Era in un posto bellissimo, e non se ne sarebbe andato via di là per nessun motivo al mondo. Era pacificamente seduto in un prato di un verde splendente con la sua vecchia chitarra acustica in mano, strimpellando Going To California dei Led Zeppelin. Il vecchio John Bonham1, seduto a gambe incrociate davanti a lui, iniziò a battere a tempo su un bongo, sorridendo. Voltandosi alla sua sinistra vide Janis Joplin2 e Jim Morrison3  iniziare a cantare con voce sommessa le parole della canzone. E poi lo vide in lontananza, con un sorriso vagamente divertito, avvicinarsi al piccolo gruppo: Jimi Hendrix, il suo mito, adesso sedeva alla sua destra. Non lo aveva mai notato nei vari poster o nelle foto che aveva, ma aveva un sorriso proprio strano, simile a quello di uno Stregatto.
«Alexander…», lo chiamò, ma la voce gli arrivava distante, come se qualcuno lo stesse chiamando dal fondo di un tunnel buio. Ma in effetti adesso era tutto nero, tranne per due puntini gialli e verdi, con una linea nera nel mezzo, che gli ricordavano tanto gli occhi di un gatto.
«Alexander, svegliati».
Si svegliò improvvisamente, guardandosi freneticamente attorno alla ricerca dei musicisti con cui stava suonando e cantando prima, non riuscendo a trattenere un’espressione visibilmente delusa nello scoprire che era avvenuto tutto nella sua testa.
«Hai una bella voce, potresti cantare al posto di quel belloccio dai capelli biondi, sai?», domandò una voce che sembrava sull’orlo delle risate. Sì voltò giusto in tempo per vedere il ragazzo del pub sedersi di fronte a lui. Indossava dei jeans strappati con delle Dr. Martens e una t-shirt nera con un disegno di un gatto dal sorriso vagamente deviato assieme alla scritta “Cheshire Cat”.
«Ma… Magnus Bane?», domandò quasi boccheggiando.
Il ragazzo sorrise sedendosi davanti a lui. «Il solo e unico».
Alec si schiarì la voce, imbarazzato. Qualcuno che non ricordava di aver mai visto in vita sua, senza apparentemente conoscerlo, sembrava aver capito il segreto che custodiva con maggiore gelosia, e la cosa, più che spaventarlo, lo terrorizzava. Magnus, dall’altro lato, lo fissava perfettamente a suo agio, con l’ombra di un sorriso a incurvargli le labbra.
«Jace… Jace è un bravo cantante. E poi ci vuole qualcuno di vagamente attraente, come frontman», borbottò infine rompendo quel silenzio che per lui era diventato troppo imbarazzante da sostenere.
Magnus scosse la testa, sorridendo con fare esasperato. «Alexander, sii sincero, ti sei mai veramente guardato allo specchio?».
Alec guardò il ragazzo con aria smarrita, non capendo cosa volesse dire con quella strana domanda. «Ehm… Sì?», rispose infine poco convinto.
«Io non credo proprio», disse Magnus poggiando il mento sul palmo della mano. Alec, se era possibile, lo guardò con un’espressione ancora più confusa. Com’era possibile che quel ragazzo non fosse affatto cosciente di essere un vero e proprio schianto dagli occhi blu?
«Santi numi, come fai a non capire che sei veramente- ah, lasciamo perdere», borbottò infine. Jace Herondale, quel ragazzo biondo tinto di cui Alec era palesemente innamorato, era perfettamente consapevole del proprio fascino e, di conseguenza, non si faceva scrupoli nel mostrarlo, Alec, invece, era di una bellezza più rara, ben nascosta sotto strati di maglie troppo vecchie e larghe e ciuffi di capelli corvini troppo lunghi, così ben nascosta che nemmeno il suo possessore si era accorto di averla. Probabilmente, se Alec fosse stato come il suo amico di vecchia data Will, che di carattere somigliava parecchio all’Herondale, non avrebbe avuto lo stesso fascino gentile, quello che si mostrava timido e spontaneo nei gesti inconsapevoli, cogliendo di sorpresa chi lo osservava.
«Comunque… Grazie. Per l’altra sera, intendo», mormorò Alec a voce così bassa che avrebbe avuto difficoltà a sentirlo se fosse stato anche di poco più lontano.
 Magnus lo guardò interdetto per qualche istante. «Beh, di nulla. Se c’è qualcosa su cui non si può discutere è il fatto che abbiate talento».
«Dici davvero?».
«Mi pare ovvio. I Nirvana non sono un gruppo tecnicamente difficile da suonare, ma ci vuole una certa dose di bravura nel trasmettere l’energia di cui il pezzo è dotato».
Il Lightwood alzò per la prima volta lo sguardo verso di lui, guardandolo con un misto tra sorpresa e adorabile imbarazzo. «Te ne intendi di musica?».
Magnus rise di gusto, gettando la testa all’indietro. «Intendere è una parola grossa, Alexander. Sono solo un anno più grande di te e faccio quello che fa la stragrande maggioranza degli adolescenti: ascolto musica e cerco altra musica da ascoltare». Alec gli rivolse un timido sorriso.
«A proposito, da quanto suoni? Se non mi sbaglio stavi suonando qualcosa di Jimi Hendrix, per il soundcheck, l’altra sera».
«Suono da quando avevo sei anni», ammise passandosi nervosamente una mano dietro il collo. «Ma per quanto mi impegni non credo che riuscirò mai a rendere bene il vecchio Jimi».
Magnus lo guardò curioso, giocherellando distrattamente con i lacci degli anfibi. «A me è sembrato che la sapessi suonare piuttosto bene. Era Purple Haze4, vero?».
Alec lo guardò negli occhi, torturandosi le mani. Era un gesto che faceva sempre, quando era nervoso, anche se adesso non si rendeva bene conto del perché dovesse sentirsi tale nello stare a meno di mezzo metro da un ragazzo decisamente bello e che per di più aveva dimostrato uno spiccato interesse nei suoi confronti.
 «Non sbagli, era proprio lei, ma in realtà non è la tecnica il problema, quanto piuttosto la passione che richiede per essere suonata».
«Passione?», domandò aggrottando la fronte.
«Beh», disse Alec sbilanciandosi all’indietro per posare le mani sul prato, «Jimi Hendrix amava profondamente le sue chitarre e la musica che componeva con queste, e credo che di questo amore risentano tutti i suoi pezzi».
Magnus lo osservava attento, le iridi verdi e oro scintillanti nella luce calda del tramonto. La gente camminava tranquilla nei vialetti che circondavano lo spiazzo erboso su cui erano seduti, approfittando delle prime giornate di caldo per godersi la natura rigogliosa di Central Park.
«Vorrei davvero mostrare tutta quella passione, mentre suono, ma non credo di esserne capace», ammise infine, tornando a guardare le punte sporche di erba delle sue scarpe. «Scusami, so che è un discorso assurdo…».
«Io non direi», lo interruppe l’altro addolcendo l’espressione. «Credo che invece sia qualcosa di molto raro e di molto bello. Non credo esistano più molti musicisti così, sai?».
Alec lo guardò stupito, prima di rivolgergli il più bel sorriso che Magnus avesse mai visto nei suoi diciannove anni di vita. Sembrava che illuminasse il mondo intero, si ritrovò a pensare, e gli sorse spontaneo ringraziare Catarina per aver scelto di studiare medicina, perché altrimenti non avrebbe mai rifiutato il suo invito a prendersi una pizza insieme e non lo avrebbe costretto a tornare a casa passando per il parco.  Aveva osservato quel ragazzo a lungo, al pub, mentre suonava, mentre si struggeva segretamente per qualcuno che non lo avrebbe mai amato, mentre si comportava da bravo fratello maggiore e l’aveva trovato interessante, oltre che davvero, davvero bello. E adesso che aveva avuto occasione di parlarci, aveva scoperto che Alec Lightwood superava tutte le sue più rosee aspettative, ma anche che le possibilità di conquistare il suo cuore, purtroppo, erano davvero molto poche.
«Merda!», imprecò Alec guardando l’orario sul display del telefono.
Magnus gli rivolse un’occhiata interrogativa a cui Alec rispose con uno sguardo preoccupato. «Sarei dovuto andare a prendere mio fratello dalla palestra dieci minuti fa, mia madre mi ammazzerà».
«Non puoi andare a prenderlo adesso?», domandò con ovvietà liberando i jeans dall’erba.
«Dovrei riuscire ad arrivare a Brooklyn in dieci minuti, e con la metropolitana non mi sbrigherò prima di venti minuti», rispose alzandosi in piedi con fare concitato.
Magnus fece leva sulle braccia, rialzandosi in tutta tranquillità, prima di rivolgergli un sorriso da furfante. «E chi ha detto che tu ci debba andare in metro?».
 
§
 
Alec avrebbe potuto dire molte cose di Magnus Bane solo guardandolo, era evidente che fosse un tipo eccentrico, ma l’ultima cosa che si sarebbe aspettato era che possedesse una moto, e bella grossa anche.
«È… È un’Harley Davidson, quella?».
Magnus accarezzò con affetto il sellino della lucida moto nera, quasi fosse una persona a cui era particolarmente affezionato. «Puoi scommetterci», disse porgendogli un grosso casco nero. «Salta su».
Alec lo guardò terrorizzato. «No, nonono. Non se ne parla».
«Vuoi prendere tuo fratello in tempo, o no?», sbottò l’altro seccato.
Alec non era mai salito su una moto, fatta eccezione per quella delle giostre per bambini di Coney Island o quella delle simulazioni virtuali della Sala Giochi ad un paio di isolati da casa sua e l’idea di fare la sua prima esperienza su una moto di quella stazza non lo allettava particolarmente, non essendo un grande amante dell’alta velocità. Ma suo fratello lo stava aspettando, e sua madre contava su di per mandare avanti la casa quando lei e suo padre erano fuori per lavoro.
Inspirò ed espirò profondamente. «Okay, hai vinto», concesse infine montando impacciato sulla moto. La schiena di Magnus era ampia e la maglia leggera lasciava intravedere le curve delle scapole appena sporgenti. Il ragazzo si voltò, rivolgendogli il sorriso da stregatto che lo tormentava da giorni.
«Reggiti forte».
Il motore partì con un rombo fragoroso, cogliendo completamente alla sprovvista Alec che, nello spavento, si aggrappò istintivamente alla vita di Magnus, stringendosi come se da lui dipendesse la sua vita. La moto sfrecciava agile nelle arterie trafficate di Manhattan. Si sentiva confuso come le forme e i colori che scorrevano indistinti attorno a lui, ma che gli occhi serrati non gli permettevano di vedere: la schiena dell’eccentrico ragazzo era rassicurante, e riusciva a sentire il calore della pelle sotto la stoffa sottile procurargli uno strano formicolio alla base dello stomaco. Credeva che si sarebbe sentito così solo con il suo migliore amico, ma Magnus era arrivato come un uragano e, nel giro di pochissimo, aveva cominciato a sconvolgere ogni cosa nella sua testa.
«Apri gli occhi. Non te ne pentirai», sentì urlare sopra il frastuono del vento e del motore.
Con un profondo respiro aprì piano gli occhi azzurri e lo spettacolo lo lasciò col fiato mozzato. Stavano attraversando il Brooklyn Bridge mentre il sole tramontava dietro le acque placide dell’Hudson River, tingendo il cielo e l’acqua di infinite sfumature tra l’azzurro, l’arancio e il rosato.
«Wow…».
Magnus dovette costringersi a trattenere una risata sommessa nel sentire lo stupore infantile della sua esclamazione. Forse quell’Alec gli piaceva, forse c’era qualche possibilità di fare breccia nel suo cuore, dopotutto.

§
 
«Fratellone!».
Vide quello che doveva essere il giovane Max Lightwood correre incontro a suo fratello, osservando la somiglianza dei Lightwood tra loro: fisico asciutto e longilineo, capelli neri come la pece, pelle pallida come la luna e occhi scuri. Alec era evidentemente l’unico della sua famiglia a possedere le iridi di quel colore che tanto gli piaceva, quell’azzurro nontiscordardime così vivido da sembrare irreale e il fatto che ci fosse qualcosa che lo distingueva da tutti gli altri gli strappò l’ennesimo sorriso. Lo vide scompigliare con affetto i capelli di suo fratello, caricandosi in spalla la sua borsa come se non gli pesasse affatto.
«Hai fame? Che ne dici se chiamiamo Izzy e Jace e ci prendiamo un hamburger da Taki?», domandò al ragazzino prendendo il cellulare in mano.
«Sì, ho una fame da lupi!».
«Bene, fammi ringraziare il mio… amico, e prendiamo la metropolitana per casa».
Gli si avvicinò con fare esitante, e Magnus poté giurare di aver viso due adorabili macchie di rosa farsi strada sulle sue guance per l’imbarazzo. «Beh… Grazie di tutto».
Alec lo guardò esitante, le mani infilate nelle tasche dei jeans sdruciti. «Allora… Arrivederci».
«Arrivederci», ripeté accendendo il motore con un rombo.
Il maggiore dei fratelli Lightwood appariva visibilmente combattuto: sapeva che faceva fatica a gestire il segreto della sua omosessualità e poteva benissimo capire se questo non l’avrebbe più voluto vedere, visto che non capitava tutti di vedersi piombare davanti uno sconosciuto che conosce il proprio segreto più profondo. Si mise a cavalcioni sulla moto con un sospiro impercettibile.
«… Magnus?».
Il giovane si voltò con calma, cercando di contenere la fiamma di speranza che aveva ricominciato ad ardere dentro di lui.
«Possiamo rivederci?», domandò infine tutto d’un fiato.
«Certo. Ti va bene venerdì sera davanti al Pandemonium Club?».
«Oh… Beh, cioè, sì, certo».
Adorabilmente confuso. Quel ragazzo gli piaceva sempre di più. «Allora a venerdì, Alexander».
«Alec. Chiamami Alec».
 
Galeotto fu il Pandemonium e il concerto che li fece incontrare.
 
Note:
1)John Bonham: defunto (e mitico, aggiungerei) batterista dei Led Zeppelin, gruppo rock anni ‘70-‘80.
2)Janis Joplin: cantante blues/rock statunitense degli anni ’60.
3) Jim Morrison: cantante e frontman del gruppo rock americano dei Doors.
4)Purple Haze: famosissimo pezzo suonato dal chitarrista statunitense Jimi Hendrix. Potete ascoltarlo 
qui
 
~Welcome To The Jungle.
E' folle, lo so. Non chiedetemi come la mia mente partorisca queste idee assurde, perché non saprei davvero darvi una risposta. Non sono soddisfattissima del capitolo, ma penso che abbiate capito che la storia procede per salti temporali, ripercorrendo alcuni eventi importanti di questi due angioletti. c': Ringrazio tutti quanti voi che avete recensito/seguito/preferito ecc... questa follia senza pretese, perché siete troppo buoni con me e con questo parto. xD Non so tra quanto aggiornerò, ma progetto di farlo abbastanza presto, visto che comunque ho finito di definire la trama.
Alla prossima!
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Capitolo 3
*** Ci sono cose che non hanno prezzo - o anche no. ***


Di quel che successe al Pandemonium Club e altro.
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 Capitolo 3: ci sono cose che non hanno prezzo – o anche no.
 
Il sole splendeva alto e caldo sulle distese verdi di Central Park, dove la gente passeggiava tranquilla per le strade, godendosi il tepore di quell’estate che sembrava essere arrivata in anticipo. Il cielo terso era di un celeste intenso, la natura sembrava brillare in tutto il suo splendore sotto i raggi dorati del sole, gli uccellini cinguettavano e i nostri baldi eroi si dedicavano a ridere e scherzare amenamente, godendosi la giornata, totalmente rilassati e liberi dallo stress causato dalla scuola, che ormai sembrava soltanto un ricordo lontano.
«Il muro di Berlino fu costruito nel 1989 e cadde nel 1961…».
«Ehm… Izzy, il muro è stato costruito nel ’61 e cadde nell’89… », fece notare Alec con tatto.
«Sei una schiappa, Iz», sghignazzò Jace guadagnandosi una gomitata nelle costole dalla diretta interessata.
Effettivamente ai nostri cari membri del Nephilim piacerebbe davvero che la situazione fosse quella appena descritta, ma tutto ciò che vi ho narrato è solo in minima parte vero. Il sole splende e gli uccellini cinguettano, ma i nostri baldi giovani sono riuniti a Central Park per un motivo ben lontano dalle chiacchiere amene: lo studio. Perché la fine di maggio era quel terribile periodo in cui lo studente medio veniva sommerso da interrogazioni e compiti in classe dell’ultimo minuto, giusto per farli penare il più possibile prima del raggiungimento delle tanto agognate vacanze estive. Jace e Isabelle erano alle prese con lo studio matto e disperatissimo che precedeva il famigerato test finale di storia del professor Hodge mentre Alec, di un anno più grande di loro, e quindi studente dell’ultimo anno, era impegnato nel ripetere per il suo esame di analisi con il Professor Snape.
«Calma ragazzi, non c’è bisogno di litigare, quella di Izzy è stata una semplice svista», li interruppe Alec con un tono che più che conciliante appariva semplicemente stanco.
Tutti si lamentavano dei propri problemi, tutti tranne il maggiore dei Lightwood che, in realtà di problemi ne aveva fin troppi: doveva impedire che casa Lightwood crollasse sulle sue fondamenta mentre i loro genitori, Robert e Maryse, era fuori per lavoro, doveva tenere a bada i suoi fratelli e pensare a mandare avanti la casa senza che tutti finissero avvelenati dal cibo di Isabelle, ma nel frattempo passava le sue notti a studiare, ad incidere le parti di chitarra per il loro primo EP, e frequentava Magnus cercando di non farsi scoprire da nessuno.
Lui e quell’eccentrico ragazzo non stavano esattamente uscendo insieme, e Alec non vedeva cosa questo ci trovasse di tanto interessante in lui, ma gli piaceva trascorrere del tempo assieme, perché in un certo senso con Magnus poteva essere completamente se stesso, senza finzioni di sorta nel mezzo. Il fatto che loro due si frequentassero anche come semplici amici era un segreto per tutti, ma il sospetto che sua sorella fosse più lungimirante di quanto avesse mai immaginato lo colse quando, nel momento in cui ricevette un messaggio al telefonino proprio dal giovane Bane e annunciò di essersi improvvisamente ricordato di avere un impegno urgentissimo, questa lo stuzzicò punzecchiandolo con il gomito sulle costole, sussurrandogli un “Salutami Magnus” con fare ammiccante. Inutile dire che Alec, dopo essere diventato rosso come i capelli di Clary, abbandonò la non più così allegra combriccola senza neanche voltarsi.
§
«Dovresti lavorare un po’ sulla tua puntualità, Alexander», lo rimbeccò divertito Magnus mentre camminavano placidamente per le strade del West Village.
Alec si passò una mano dietro il collo, imbarazzato. «È che stavo dando una mano a Jace e Isabelle in storia, ero a Central Park».
Il sorriso di Magnus si affievolì per un attimo nel sentire il nome di Jace. «Bene, vorrà dire che ti farò distrarre io per un po’», disse con tono canzonatorio svoltando in Bleecker Street e facendogli segno di entrare in un locale angusto e dalla vetrina impolverata in cui erano esposte immagini di vario tipo.
Rebel Rebel Records era il nome di quel posto di cui Alec non conosceva nemmeno l’esistenza fino a che Magnus non lo aveva portato lì, dicendogli che gli sarebbe piaciuto di sicuro. Il negozio prendeva nome dall’omonima canzone di David Bowie ed era gestito dal vecchio Remus Lupin, un uomo dall’immensa cultura musicale che Magnus sembrava conoscere piuttosto bene. Il posto era avvolto da una fitta penombra ed era formato da scaffali e pile gremiti di dischi in vinile e 45 giri. Quel posto sembrava essere nato per Alec, che ogni volta si perdeva nello sfogliare dischi su dischi, lasciandosi sfuggire ogni tanto qualche esclamazione nel caso in cui trovava un gruppo che gli piaceva particolarmente. Stava osservando con interesse l’artwork della custodia del vinile di The Wall dei Pink Floyd, quando Magnus richiamò la sua attenzione, mostrandogli con aria trionfante un 45 giri. Alec lo guardò inebetito per qualche istante prima di avvicinarsi ad osservarlo da vicino.
«Magnus, questo è il 45 giri dei Jimi Hendrix Experience che contiene Voodoo Child e All Along The Watchtower, è praticamente introvabile».
«Lo so, Remus mi aveva avvisato che sarebbe arrivato questa settimana, perciò ho insistito per portarti nuovamente qui».
Alec gli rivolse uno dei suoi rari sorrisi sinceri, di quelli che tingevano di rosso le sue guance e facevano brillare i suoi occhi azzurri come lapislazzuli incastonati nel suo volto pallido dai capelli ebano. Quel ragazzo era così bello e non se ne rendeva neanche conto.
«… Grazie».
Si guardarono negli occhi per un lungo istante, e ad Alec parve di scorgere qualcosa di diverso nell’espressione che Magnus gli rivolgeva in quel momento, qualcosa che gli risultava sin troppo familiare. Era il modo in cui lui stesso si ritrovava ad osservare Jace, ma si sorprese nel constatare che una simile occhiata fosse rivolta proprio ad uno come lui e che la cosa non gli dispiacesse.
«Quello viene centocinquanta dollari, è un pezzo unico», li interruppe Lupin facendo capolino da dietro lo scaffale con un sigaro acceso in bocca.
Il sorriso di Alec scomparve dal suo volto.
«Cosa c’è?», domandò Magnus alzando un sopracciglio in un’espressione perplessa.
«Non posso permettermi una spesa del genere, la prossima settimana è il compleanno di Max e volevo comprargli quelle action figures giganti di Naruto che tanto gli piacciono…».
«Cielo, Alexander, ti capita mai di pensare a te stesso prima degli altri?», gli venne spontaneo domandare con una nota di bonaria esasperazione nella voce.
Alec lo guardò come se non avesse idea di cosa stesse parlando. «Che intendi dire?».
«Intendo dire che, tanto per cominciare, potresti chiedere un contributo da parte dei tuoi fratelli per pagare il regalo di Max, piuttosto che spendere tutti i tuoi risparmi».
Il giovane Lightwood si morse il labbro, l’ombra del senso di colpa ad oscurargli gli occhi chiari. «Ma Izzy deve usare i suoi soldi per il vestito del ballo di fine anno e Jace ne ha bisogno per portare Clary a cena fuori… ».
«Vedi?», lo interruppe Magnus trionfante. «È proprio come ti ho detto, pensi sempre e solo agli altri. Non ti passa mai per la mente che potresti spendere i tuoi risparmi per qualcosa che piace soltanto a te?».
Alec batté più volte le ciglia, sorpreso. Non gli era mai capitato di fare quel genere di riflessioni, e doveva ammettere che l’idea di concedere qualcosa a se stesso una volta tanto non era poi così male, ma lui era il più grande della famiglia, il fratello maggiore, e i suoi genitori, prima di partire per l’ennesimo viaggio di lavoro, gli avevano raccomandato di prendersi cura di loro. In realtà ciò che lo portava a preoccuparsi per i suoi fratelli non erano tanto le promesse fatte ai suoi genitori, quanto l’affetto che lo legava a loro: se Izzy, Max e Jace erano felici, allora lo era anche lui.
«Mi piacerebbe, ma non posso davvero. Devo prendermi cura dei miei fratelli», disse riponendo l’LP al suo posto. «Piuttosto, sbaglio o quello laggiù è un Greatest Hits dei Guns?».
Perlomeno sapeva essere convincente nello sviare i discorsi su argomenti più piacevoli. Magnus tirò giù il disco dallo scaffale, dirigendosi verso un vecchio giradischi.
«Ti dispiace se lo usiamo, Remus?».
L’uomo, magro e dalla folta barba scura, che fino ad allora riposava con i piedi poggiati sulla scrivania, aprì controvoglia un occhio.
«Nah, fate con comodo», biascicò prima di riprendere a dormire come se niente fosse.
Il vinile crepitava piacevolmente sulla piattaforma: gli era sempre piaciuto quel suono, aveva un qualcosa di caldo e vivo, diverso dalla perfezione elettronica degli mp3 e dei compact disc.
«Oh, conosco questa canzone».
Magnus, in tutta risposta, gli sorrise, appoggiandosi ad uno dei tavoli carichi di dischi con aria nostalgica. «Ah, questa canzone mi riporta indietro al mio ultimo anno di liceo. Bei tempi, quelli».
Alec gli rivolse un’occhiata curiosa. «Ma si può sapere quanti anni hai?».
Il ragazzo gli rispose con un sorriso da bambino dispettoso. «Quanti tu credi che io ne abbia».
«Ma si tratta di una canzone d’amore. Posso sapere almeno il nome di lei o lui?».
«Sei perspicace, Lightwood». Alec arrossì. Lo faceva fin troppo spesso, da quando aveva incontrato Magnus. «Comunque si chiamava Camille. Siamo stati insieme un annetto, poi lei mi ha lasciato per andare a studiare all’estero».
«Ti manca?».
«No, direi di no. Non credo mi abbia mai amato, almeno non quanto l’ho amata io», rispose con noncuranza. «Ma adesso parliamo un po’ di te, Alexander, tu non hai nessun amore passato di cui raccontarmi?».
Il maggiore dei Lightwood fissò le sue vecchie All Star nere, sentendo le guance farsi calde. «Beh, ecco… no. Non sono mai uscito con nessuno e non ho neanche mai baciato qualcuno».
Magnus lo guardò con tenerezza mista ad affetto. Conosceva Alec solamente da un mese, ma quel ragazzo era per lui un vero e proprio libro aperto. Doveva confessare che leggere in quegli occhi azzurri per lui fosse facile, forse perché il diretto interessato non si era mai preoccupato di nascondere, almeno con lui, ciò che gli passava per la mente. Dietro quel ragazzo dalle magliette larghe, i capelli spettinati e il broncio sempiterno, si nascondeva qualcuno di incredibilmente serio e maturo per la sua età, anche se la sua timidezza era sempre pronta a ricordargli che Alec aveva solo diciott’anni e che, assieme a lui, aveva ancora un mondo di cose da scoprire e di cui stupirsi come solo un bambino sapeva fare.
Gli si avvicinò piano, quasi a non volerlo spaventare. «Davvero non hai mai baciato nessuno?».
Alec continuò a fissare la punta delle sue scarpe come se fossero la cosa più interessante che avesse mai visto. In sottofondo si sentivano le note di Knockin’ On Heaven’s Door. «N-no, mai», balbettò infine, trovando il coraggio di alzare lo sguardo.
La vicinanza di Magnus gli aveva sempre fatto uno strano effetto, a metà tra il voler scappare a gambe levate e il volergli stare sempre così vicino. Era una sensazione abbastanza in conflitto con se stessa ed era da un po’ di tempo che Alec stava cercando di ragionarci su, anche se, per il momento, non sembrava ottenere risultati molto soddisfacenti. Che Magnus gli piacesse non era un mistero neanche per lui, in un certo senso ne era stato attratto sin da quando si erano incontrati la prima volta, ma qualcosa nella sua testa sembrava volerlo mandare in crisi a tutti i costi, perché lasciava che il pensiero di Jace s’insinuasse tra quelli che vorticavano di solito nella sua mente, confondendogli le idee su cosa provava per chi.  In quel momento, però, Magnus gli era vicino come non lo era mai stato: era leggermente più alto di lui e si ritrovò a notare come i suoi occhi dorati nascondessero sotto le lunghe ciglia color onice delle pagliuzze verdi come la giada e come avessero nella loro forma qualcosa di tipicamente orientale. Non lo aveva mai osservato così da vicino, ma prima ancora di potersene rendere contro, le labbra di Magnus premevano gentili contro le sue. Chiuse istintivamente gli occhi, dischiudendo appena le labbra e nella sua testa tutto si accese come le luci di un albero il giorno di Natale. Aveva dato il suo primo bacio nella penombra accogliente di quel negozio che ormai era il loro ritrovo, mentre le note dell’assolo di Slash si diffondevano per tutto il locale.
Lupin, che, incuriosito dall’improvviso silenzio, era andato a controllare che tutto fosse al suo posto, sorrise appena nel vedere i due ragazzi abbracciati baciarsi con passione.
«Ah, sembra proprio che Bane abbia messo la testa a posto», mormorò divertito mentre riprendeva il suo solito posto dietro la scrivania.

 
~Welcome To The Jungle
Questo capitolo è chilometrico, ne sono perfettamente cosciente, e vi chiedo di perdonarmi, ma purtroppo mi sono fatta prendere la mano. Scrivere questa storia si sta rivelando più divertente del a previsto e le idee fioccano una dopo l'altra. Comunque sia, sappiate che, se tutto va come previsto, la storia dovrebbe contare altri due capitoli più un epilogo, e che per ciascuno di questi ho già buttato giù diverse idee. Ah, per chi fosse curioso e avesse voglia di godersi una bella canzone, può provare questa, che è la canzone in sottofondo mentre Magnus bacia Alec. :) Spero non ci siano problemi con i nomi dei vari gruppi che ho citato, ma se ci sono chiedete pure e metterò delle note esplicative a fine storia come per il capitolo precedente. Una caloroso ringraziamento a tutte le dolcissime persone che hanno recensito e che stanno seguendo silenziosamente la storia, siete mervaigliosamente meravigliosi! (?).
Class
 

 
 

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Capitolo 4
*** Save The Last Dance For Me. ***


Di quel che successe al Pandemonium Club e altro.
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Capitolo 4: Save the last dance for me.


 
«Ah, cielo Alexander, avresti dovuto vedere la tua faccia quando i tuoi fratelli ti hanno risposto».
Alec volse uno sguardo truce al suo ragazzo, troppo impegnato a tentare di non ridere più di quanto non avesse già fatto davanti a gran parte della sua famiglia. «Beh, vorrei ben vedere te al posto mio, quando confessi alla tua famiglia di essere gay e questa ti risponde “tutto qui? Lo sapevamo già da un pezzo” ». Magnus non riuscì più a trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata, asciugandosi platealmente delle inesistenti lacrime causategli dall’eccessivo sghignazzare.
«Magnus, ti prego, non è divertente», pigolò Alec prima di sprofondare nella comoda imbottitura della poltrona di un improbabile violetto che troneggiava nel salotto di casa Bane con un broncio. A volte il suo Alexander sapeva essere un tale bambino capriccioso. Un adorabile bambino capriccioso.
Il ragazzo si sedette con noncuranza su uno dei braccioli della poltroncina, chinandosi verso il giovane dagli occhi blu fino a far toccare le loro fronti. «Sono comunque orgoglioso di te, Alexander.  E sono felice che tu abbia deciso di rendere la cosa ufficiale anche con la tua famiglia».
Alec abbassò lo sguardo. Non avrebbe mai immaginato che la questione della sua omosessualità fosse così evidente per i suoi fratelli, ma doveva ammettere che, dopo averglielo detto, anche se erano già al corrente della sua situazione, si sentiva infinitamente più leggero. Era forse questo che si provava ad essere finalmente liberi di essere completamente se stessi? «Sono… Sono felice anch’io. Per tutto», disse infine tornando a guardare le iridi di giada e oro che aveva imparato a conoscere così bene.
Il telefonino vibrò un paio di volte nella tasca dei jeans di Alec, che non sembrava affatto intenzionato a rispondere, troppo preso dall’intensità del momento. Magnus, a malincuore, si separò dal suo ragazzo, sfoggiando un sorriso sornione. «Dovresti dare un’occhiata», disse indicando con la sguardo la tasca dove il congegno elettronico era riposto. «Potrebbe essere importante».
«Naturalmente», ribatté Alec ridendo sotto i baffi. «Gli unici a mandarmi messaggi o a chiamarmi siete tu ed Isabelle, e, dal momento che tu sei qui, suppongo che mia sorella abbia bisogno di qualcuno da torturare per trovare il vestito per il ballo di sabato».
Magnus alzò le sopracciglia scure, leggermente stupito. «Ballo di fine anno, eh? Ah, mi sembra passata una vita dall’ultima volta che sono andato ad un ballo scolastico», disse con una nota di nostalgia nella voce.
Gli occhi azzurri di Alec si illuminarono, mentre un’idea si faceva chiaramente strada nella sua mente. «Davvero? Allora perché non… Insomma, voglio dire… Ecco».
«Oh, Alexander», lo interruppe Magnus con un sorriso carico di affetto. «Hai dichiarato di essere gay davanti a tutta la tua famiglia ma non riesci chiedermi di venire ad un ballo scolastico con te?».
Il giovane Lightwood sentì le guance pizzicargli per l’imbarazzo e non poté fare a meno di sentirsi un colossale idiota per la sua impossibile timidezza. «Scusami. So di essere una frana colossale e…».  Magnus posò una mano sulla guancia di Alec con un sorriso, interrompendo il suo tentativo di discorso. La modestia e la timidezza di quel ragazzo lo avevano sempre colpito, e, per quanto odiasse suonare sdolcinato, o, peggio ancora, melenso, non poteva fare a meno di provare un affetto sincero per quell’Alec che arrossiva con niente, che viveva per la sua musica e che non andava troppo d’accordo con la tecnologia, per l’Alec che aveva abbastanza coraggio da affrontare le prove più difficili a testa alta per poi perdersi per delle sciocchezze. E probabilmente lo amava, ma forse non era ancora giunto il momento di parlarne apertamente.
«Alexa-Alec, non essere troppo duro con te stesso, semplicemente non ho un bel ricordo del mio ultimo ballo scolastico e mi sentirei fin troppo vecchio in mezzo a tutti quei teenagers con problemi di acne».
Alec lo guardò, mordendosi un labbro nel tentativo di dissimulare la propria delusione. Magnus aveva solo un paio d’anni in più di lui, e ciò lo escludeva dalla fascia di età dei teenagers, ma sapeva di come questi avesse cercato di vivere al meglio la propria adolescenza, facendo esperienze di ogni genere, amando per la pura volontà di farlo e di vedersi spezzare il cuore.  E Camille l’aveva fatto, piantandolo in asso in quella che avrebbe dovuto essere la sera più bella della sua vita, lasciandolo a rimuginare su come sarebbe stato quel ballo se le cose fossero andate diversamente.
«Non… Non preoccuparti. Era giusto per chiedere», disse sforzandosi di mantenere un tono casuale. Magnus aveva probabilmente di meglio da fare che trascorrere un’intera serata circondato da neo-diciottenni e non, e non poteva biasimarlo, ma, pur sentendosi profondamente egoista nell’ammetterlo, non poté negare come il suo rifiuto lo avesse lasciato con un vago senso di delusione a pesargli sul petto. «Sarà meglio che vada, Izzy ha bisogno di me».

§
 
La sua era una scuola pubblica, non era mai stata particolarmente elegante o sontuosa nell’arredamento, né tantomeno grande quanto lo erano altri istituti della Grande Mela: oltre alle aule, a qualche laboratorio, e un’infermeria, il suo liceo aveva solo una palestra di modeste dimensioni che fungeva, all’occasione, da auditorium e che, generalmente, aveva il piacevolissimo odore dei calzini sporchi dopo una maratona da 50 Km sotto il sole di fine luglio. Eppure, quella sera, non riusciva a credere ai suoi occhi, perché due erano le possibilità: o la sua scuola aveva improvvisamente affittato una sala da ballo, oppure il comitato organizzativo del ballo era entrato in possesso di poteri magici tali dal rivoluzionare l’aspetto della palestra. Luci soffuse illuminavano di azzurro le pareti del luogo, al cui soffitto erano stati appesi numerosi festoni e palloncini dai colori più vari e, sul fondo della stanza, un piccolo palco era stato allestito per nascondere uno dei due canestri del campo da Basket, ospitando il DJ e tutti i suoi macchinari. Ai piedi degli spalti era stato allestito un piccolo rinfresco mentre il campo da basket era gremito di gente intenta a chiacchierare e a muoversi a ritmo di musica.
«Andiamo, Alec, smettila di fare quella faccia e cerca di goderti la serata!».
Alec Lightwood, infagottato in uno smoking nero che, secondo sua sorella, rendeva assolutamente giustizia al suo “fisico da urlo”, non aveva fatto altro che stare appoggiato in disparte ad una parete poco illuminata della stanza, con un broncio che avrebbe fatto invidia a quello di un bambino a cui era appena morto il pesciolino rosso che aveva accudito per anni.
«Piantala, Iz. Lo sai che non sono mai stato tipo da feste».
Isabelle sospirò teatralmente, elegantissima nel suo vestito rosso rubino. «Alec, solo perché Magnus non ha accettato di venire al ballo con te non vuol dire che non tenga alla vostra relazione. Cerca di capirlo».
«L’ho già fatto, e capisco che questo genere di situazioni gli porti alla mente ricordi spiacevoli, ma penso che potrebbe anche sforzarsi di superare il passato».
«Se la pensi così perché non gliene hai parlato prima?».
Alec abbassò lo sguardo con un’espressione, se possibile, ancora più afflitta di quella precedente. «Ero arrabbiato e… geloso»
Isabelle non era mai stata propensa alle dimostrazioni di affetto in pubblico, nemmeno con Simon che, da qualche tempo, aveva cominciato ad uscire con lei. Ma quella era un’occasione particolare e, dopotutto, era del suo amato fratellone che si parlava, motivo per cui non si fece scrupoli nell’avvolgerlo in un abbraccio, approfittando dei centimetri guadagnati grazie ai vertiginosi tacchi che indossava.
«Adesso però non hai scuse», disse con un sorriso una volta sciolto l’abbraccio. «Devi concedermi almeno un ballo».
Alec annuì, lasciandosi sfuggire una risata. Se c’era qualcuno che non l’avrebbe mai tradito o deluso, quelli erano i membri della sua famiglia, gli stessi che avevano accettato tutto di lui e che lo avevano sempre supportato in tutte le sue scelte e che adesso non sopportavano di vederlo con il muso in quella serata che sarebbe dovuta diventare fonte di bei ricordi per tutti. Quando sua sorella riuscì finalmente a trascinarlo in pista, attirando diverse occhiate curiose dei presenti, per la palestra risuonava un imbarazzante ritmo molto somigliante ad una samba: Alec non era mai stato un amante della danza che, oltretutto, non era una disciplina per cui era particolarmente dotato, ma si ritrovò a pensare che una piccola umiliazione valeva la felicità di sua sorella. Nel momento stesso, però, in cui si voltò verso di lei, la vide indicare con aria decisamente sorpresa un punto indefinito alle sue spalle. In un elegante smoking nero accompagnato da una sciarpa azzurra, Magnus Bane stava varcando la soglia della palestra, cercando con lo sguardo qualcuno che, presumibilmente, avrebbe dovuto essere lui.
«Cre-credevo che stare in mezzo ad un gruppo di adolescenti con problemi di acne ti facesse sentire vecchio», balbettò sorpreso quando il ragazzo dai capelli pieni di glitter gli si avvicinò, un sorriso divertito appena accennato sulle labbra, per una volta prive di lucidalabbra.
«Mi sono ricordato che alla fine anch’io ero un teenager fino a poco tempo fa, e ho pensato che per te, dopotutto, avrei potuto fare un’eccezione», gli rispose avvolgendo la piccola sciarpa di seta blu attorno al collo dell’altro. «Si intona ai tuoi occhi, lo sai?».
Mentre Alec era impegnato a farfugliare in risposta una serie di parole senza senso, Magnus si voltò verso Isabelle, baciandole galantemente una mano. «Isabelle, è un piacere rivederti, quel vestito ti sta d’incanto».
«Il piacere è mio, Magnus».
«Ti dispiace se ti rubo il cavaliere per un ballo?», fece prendendo Alec per mano e ignorando la sua espressione palesemente sorpresa.
Isabelle sorrise radiosa. «Assolutamente no, è tutto tuo».
E quasi come se tutto in quel momento rispondesse ai pensieri suoi e di Magnus, la gente si spostò al loro passaggio mentre  il DJ lasciava partire un’appropriatissima “Save The Last Dance For Me” e il ragazzo avvolgeva un braccio attorno alla sua vita. Avrebbe voluto dirgli che era una frana a ballare e che avrebbero fatto una brutta figura, che gli dispiaceva di essersene andato così bruscamente da casa sua qualche giorno prima, che tutti li stavano guardando come se fossero due alieni, ma nell’istante in cui Magnus lo avvicinò a sé, puntando gli occhi verde oro nei suoi con un sorriso che lo fece sentire come se avesse la gelatina al posto delle ginocchia, si dimenticò di tutto quello che voleva dire.
Sembrava di essere sotto l’effetto di una qualche misteriosa magia lanciata da Magnus, perché, sotto la sua guida, i suoi piedi sembravano sapere esattamente cosa fare, come se ballare con Magnus fosse la cosa più naturale della sua vita.
 
«But don't forget who's takin' you home 
And in whose arms you're gonna be 
So darlin' save the last dance for me».
 
Volteggiando sulla pista si accorse che un’altra coppia si era unita a loro, e non poté trattenere un sorriso quando si accorse che questa era formata da Potter e Malfoy. La folla di studenti attorno a loro li guardava in un misto di reazioni: tra facce curiose, facce disgustate o scioccate, però, c’era qualcuno  - cui Simon, Jace, Clary e sua sorella Isabelle – che sorrideva quasi stesse assistendo alla scena più romantica del proprio film preferito. Magnus avvicinò ulteriormente il proprio viso al suo, al punto che gli fu possibile inspirare a fondo quel profumo di sandalo che lo aveva sempre caratterizzato, e gli rivolse un sorriso così carico di amore che Alec non poté trattenersi dal poggiare le labbra sulle sue, incurante di tutto e di tutti.
Quella era decisamente stata la serata più bella della sua vita.


 
~Welcome To The Jungle
E dopo un tempo quasi infinito, eccomi qua con un nuovo capitolo da ben 1900 parole (cosa che per me é un record LOL). Chi ha visto Queer As Folk dovrebbe aver riconosciuto il più che palese riferimento alla scena del ballo di Brian e Justin, ma, per chi non dovesse conoscerla o semplicemente avesse voglia di rivederla, vi dico di buttare un occhietto QUI. Ringrazio tutti coloro che sono stati così gentili da recensire, e sappiate che le vostre recensioni avranno presto una risposta, nel caso non l'abbiano ancora ricevuta. Questa mini-long sta per giungere al termine, in quanto ho in programma solo altri due capitoli, ma mi auguro che, nonostante l'argomento non particolarmente impegnativo, vi stia piacendo, perché io mi sto divertendo troppo nel scriverla! xD
Al prossimo capitolo!

 

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