Pioveva malinconia dagli occhi

di Theautumncolours
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


~~Watton-at-Stone, 1999.


Come ogni qualvolta che aveva la possibilità di concedersi un viaggio, la famiglia Raynolds si dirigeva in vacanza in montagna nei pressi delle solite tristi e malinconiche regioni alpine londinesi, approfittandone così della stagione autunnale. Si trattava di una giovane madre sposata con casuali attacchi isterici sin da piccola, un padre militare poco presente nella vita dei suoi figli per le numerose e rischiose missioni di guerra all’estero, un ragazzo e una ragazza.
Veniva spesso considerata come una famiglia un po’ strana ed isolata per quanto riguarda tutto ciò che veniva riferito durante l’arte dello spettegolare che sin da molto tempo era divenuto un rituale da seguire per ogni novità, anche folle o stupida, tanto che qualunque sconosciuto avrebbe pensato che si potesse vincere un premio alla cazzata più insensata che si fosse detta durante l’intera giornata tra le stradine del centro storico del paesino. Ma per i Raynolds era diverso e alquanto negativamente ridicolo sebbene in quel posto ci vivevano solo dalla nascita di Mike, il quale era stato costretto a vivere i suoi anni da bambino e da adolescente tra le critiche dei suoi coetanei, dovute al comportamento piuttosto strano che assumeva durante la giornata; soltanto la notte veniva sfruttata dal ragazzo in ogni sua sfumatura e in ogni suo significato, Mike impiegava ogni parte di essa a scrivere le sue povere emozioni su una serie di fogli di carta che strappava dall’agenda di sua madre così da poter riempirli di inchiostro e di sagome poco definite.
 Anne non avrebbe mai voluto partorire suo figlio nonostante negasse la  conoscenza della sua realtà malvoluta, la madre conosceva solamente l’apparente copertina di suo figlio ma non aveva mai dato importanza a studiare il suo cuore, ma soprattutto i suoi occhi facilmente lucidi ed espressivi, si ostinava solamente a procurargli dei vestiti banali ed infantili scelti a caso nell’unico negozio del paese.
La vita di Mike era costruita unicamente da sguardi che solo una persona era capace di cogliere, di recepire e di rendere concreti, in fondo si erano cresciuti insieme malgrado rare incomprensioni, non avevano nulla in comune se non i loro occhi verdi sfumati cui facevano specchio alla propria anima, lei aveva sentito parlare suo fratello solo tramite delle piccole gesta, insignificanti per i genitori, ma più che importanti per Abby tanto da nascondersi segretamente il viso al buio per far scivolare via le lacrime emotive di gioia. Non aveva mai provato l’emozione di sentire anche un semplice “ciao” dalle sue piccole labbra screpolate, erano come sigillate, paralizzate o forse solamente impaurite, ma le stesse da sempre.
Appoggiato su quel gradino abbastanza freddo e umido come la notte ripensava a se stesso, si rispecchiava davvero bene in quell’ambiente oscurato e offuscato dalle luci della notte, dove sfrecciavano a distanza di qualche frazione di secondo sull’asfalto appena bagnato dalla pioggia un rumore di motori a quattro ruote, scendevano lente le gocce che ballavano con un vento freddo e leggero fino a disegnare una notte scura e grigia, delineata da qualche lampione con luci artificiali spente alternate. Aveva l’inverno dentro e l’autunno fuori che a volte si ostinava a diventare primavera, l’estate non c’era mai stata  per lui, non l’aveva mai conosciuta, si considerava semplicemente un libro che non poteva essere interpretato da una persona qualunque ma bensì solo da chi era capace di osservare le sue pagine lievemente stropicciate. Ogni lettore di passaggio cercava di leggerlo con insistenza, perseveranza ostinata e spesso molesta, capace di mettergli pressione solamente sfiorandolo e poi lasciarlo andare come un fiocco di neve che ha il terrore di sciogliersi con l’arrivo della primavera; ogni volta era costretto a subire restando immobile su entrambi i piedi, ma sapeva bene che di lì a poco sarebbe scoppiato per togliere tutto ciò che era intrappolato nel suo essere, “forse è ancora presto per cambiare me stesso” si ripeteva sempre dentro di sé, sebbene fosse ancora lì, appoggiato su quel gradino abbastanza freddo e umido come la notte a studiare se stesso.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Watton at Stone era stato il luogo d’infanzia di entrambi i ragazzi, vi erano all’incirca 600 persone, situata nella più pura campagna inglese a mezz'ora da Londra, collegata tramite le rotaie d’acciaio miste alla bricciolina. Era un villaggio circondato dal verde, dove il sole faceva capolino durante la giornata, Mike era innamorato del profumo di ogni tipo di fiore selvatico che cresceva tra i parchi, prima di concludere la sua giornata veniva a trovare qualcuno di essi in base al profumo più dolce che avevano assaporato le narici, e provvisto dal solito pezzo di agenda scarabocchiato si distendeva sul prato e sognava ad occhi aperti tutto ciò che avrebbe voluto progettare nella sua vita, lasciandosi scappare una piccola curva sulle labbra. I due fratelli avevano un rapporto speciale nonostante avessero poche cose in comune, erano come due soldati diventati amici tramite un scopo ben preciso: salvarsi la pelle a vicenda durante un conflitto di una guerra fredda e sanguinosa, a costo di morire per far rimanere in vita l’altro. Forse è questo l’unico principio che gli ha trasmesso il vecchio padre militare, che svolgeva gli anni davanti ai suoi occhi quasi con monotonia, davanti alla mira di un fucile pronto a far scattare il grilletto da un momento all’altro. Lui non c’era mai stato nella vita di Abby e Mike, era così distratto a tal punto da poter dimenticare la forma del loro viso, la consistenza della pelle, l’emozione di un abbraccio o per lo meno di una stretta, questo portava ad odiare in gran parte la persona che era in lui, ma ormai era troppo tardi per recuperare ciò che chiedeva l’anima dei suoi figli, in particolare ciò che esprimevano le gesta di Mike. Ormai il pensiero incognito che torturava la mente del militare era uno solo, infatti, date le conseguenze della presenza minima che aveva nel ruolo quotidiano da padre, si lasciava trasportare dalle scelte ingiuste e mai discusse di sua moglie che agiva in modo indifferente e patetico, scatenando una tensione emotiva incontrollata all’interno del suo umile corpo, di conseguenza venivano tramutati in piccoli attacchi nevrotici ed irascibili. Abby aveva un carattere particolarmente riservato, tutto ciò che le accadeva durante la giornata poteva solo raccontarlo a se stessa o magari poteva ideare una possibile conversazione con il giradischi in camera sua, ogni evento che le era passato per la testa non poteva renderlo vero discutendone ai suoi genitori, né tanto meno insinuarlo con dei gesti alla prima persona che si trovava da sempre davanti a lei due anni dopo la sua nascita. Una semplice mattina autunnale, fresca e ventilata come le tante, dopo la breve colazione che attuava velocemente in piedi davanti ai fornelli, uscì dal portone di legno della loro abitazione chiudendosi alle spalle la stanza vestita dal silenzio dei passi loquaci degli scarponi di suo fratello, così giunti nel sentiero colorato dalle pietre grigie incastrate tra loro, Abby si affrettò ingenuamente a circondare la spalla di Mike come semplice modo di protezione, fingendolo indifferente davanti a lui, ma più che evidente per la sua coscienza che le aveva appropriato la nomina di ausiliare per il resto dei giorni che avrebbe trascorso con lui. Questo comportamento insistente che assumeva la ragazza, spesso, infastidiva Mike che lo riteneva infantile per la sua età eppure anche un qualcosa che alimentava il sorriso e la quiete di Abby, difatti rimaneva allo stesso modo impassibile. Giunti nel luogo in cui avrebbero dovuto dare gli esami nei prossimi due anni, vennero accolti dagli stessi sguardi di sempre, che variavano dal più comprensivo e delicato al più ostile ed invidioso, la maggioranza era comunque dalla parte di quest’ultimi. Lo sguardo di entrambe le figure pressochè congiunte tra di loro venne rapito per un certo tempo da alcune sagome che rimanevano intente a fissarli senza scrupoli, con questo semplice comportamento colpirono il punto debole di Mike senza nemmeno averlo sfiorato. Successivamente turbato cercò di placare il nervosismo affondando le dita tra i vestiti in cerca della pelle da stuzzicare, non soddisfatto strinse i denti e dette un piccolo strattone al braccio nudo della sorella, esprimendo la voglia di imboccare la strada verso le scale dell’ Istituzione. La ragazza prevalentemente agitata, obbedì al gesto di Mike camuffando invano la tensione nell’aria fresca e cupa dirigendosi nella soglia del College. -“Ehi Mikelino, questa volta è il turno delle barchette che nuotano sui tuoi vestiti o degli uccelli che svolazzano?”- schiamazzò una voce maschile precocemente sviluppata dietro le loro spalle, a distanza di pochi centimetri. Anche queste solite frasi mattutine erano entrate nel programma della giornata, erano come un rituale, un Ramadam, una messa della domenica, il sole, la luna.. insomma qualsiasi cosa che avesse il medesimo processo ripetitivo, un’abitudine a cui il ragazzo doveva dar conto per non avere una reazione esagerata studiata nel tempo. -“Allora? Ora sei anche sordo? Dai ragazzetto da quattro soldi ci rispondi tu o l’assistente personale?”-seguirono così un coro di risate dei soliti compagni di banco lecchini a cui spesso “lo schiamazzo” si faceva consegnare lo spuntino della giornata per ottenere maggiore popolarità, quindi di conseguenza farsi notare eccessivamente dalle ragazze delle classi superiori; Mike simulava nuovamente un’indifferenza che feriva dapprima se stesso e poi a chi le era affianco in quel momento. Dopo un tratto breve di strada Abby ricambiò lo strattono al fratello e si inchiodò sull’asfalto, rabbrividì alla scena che si era formata intorno a loro, un poligono di gente che all’apparenza si sforzava addirittura di accennare una risata e all’interno della figura geometrica Ryan, che si piegava in due dalle risate, incosciente della possibile reazione che di lì a poco avrebbe dato vita grazie ai suoi insulti esagerati ed inadeguati giornalieri. Un soffio di aria gelida e gli occhi che si bagnavano di lacrime e poi il buio.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Abby si alzò di scatto dal materasso, con la fronte imperlata di sudore, posò entrambe le mani sulle coperte giungendole al suo viso per togliere la sostanza appiccicosa tralasciata dal sudore misto alle lacrime, il cuore le batteva all’impazzata tanto da poterne sentire le pulsazioni sui muscoli; un’altra volta, quattro volte di seguito intervallate, lo stesso incubo. Si era chiesta spesso cosa volesse significare, eppure non aveva mai avuto il coraggio di andare da uno psicoanalista, lo considerava una perdita di tempo o almeno lo valutava come uno sconosciuto che ti riempiva la testa di stronzate e dopo la seduta, malgrado se la pagassero con denaro elevato, non avresti comunque capito un cazzo della tua vita. E così ritornava al punto di partenza, con l’immagine fissa negli occhi di ogni dubbio più stravagante che le riportava alla mente ogni parte del sogno, come un puzzle di 500 pezzi, per tutto il resto della giornata. Eppure una possibile soluzione a quella serie di incubi poteva spiegare parte dei dubbi di Abby, la sua infanzia raccoglieva un sacco di roba mista a vecchie foto in bianco e nero capaci di elaborare un album personale di episodi ricoperti di angoscia e agonia, e un numero in minoranza di alcuni dipinti realizzati con cautela e fatica che determinano le uniche parti indispensabili per cui ne valga la pena sprecare del tempo a fissare un punto impreciso con gli occhi impegnati a stringersi in un sorriso, le uniche parti onorate di essere memorizzate con dei colori autunnali caldi e sfumati, questa ragazza era come una macchina fotografica che scattava foto con un battito di ciglia anche alle cose più insolite. “Mi hanno sempre detto di accettare le persone così come sono, in qualsiasi luogo mi trovassi, in fondo rimarranno sempre quelle e non si può pretendere che cambino per te e nessuno crederà mai in te stesso se non sei tu il primo a farlo. Ma come si può accettare se stessi per piacere davanti agli occhi degli altri? Ad ognuno di noi, sin da quando abbiamo aperto gli occhi da neonati, appartengono una sfilza di difetti ben marcati nel nostro DNA ai quali non possiamo privarcene, è un pezzo della nostra storia che stiamo scrivendo durante gli anni e rischieremmo di perdere la nostra personalità iniziale, quella con cui volgiamo il primo sguardo ad una persona, spetta a quest’ultima di accettare ciò che siamo, magari non al 100%, ma chi mai non ammetterebbe che una volta conosciutoci è stato bene anche con il nostro carattere effettivo?”. Mike passava buon parte del tempo a concedersi questi quesiti con la testa fra le mani, mancava poco e gli sarebbe passato del fumo davanti agli occhi, segno delle fiamme al cervello. Preferiva passare del tempo con lo sguardo fuori dalla finestra per riempire d’aria fresca le tempie ed i polmoni anziché optare per un bagno tiepido, che avrebbe sicuramente alleviato la presenza dei cubi di Rubik dal suo intelletto oppure avrebbe potuto tirar fuori lo stress. Qualche minuto dopo aver riflettuto dinanzi alla finestra della cucina, spostò lo guardo sui mobili colorati di un castano legno, i suoi occhi non erano mai caduti nelle cose maggiormente particolari, si soffermava solo su quelle che aveva davanti agli occhi ogni giorno; si avvicinò con passo lento ad uno di essi, appena scheggiato, e ci passò le sue dita al di sopra, come per accarezzare lo strato sottile di polvere che rivestiva la parte esterna del mobile, scese ancor di più sino ad arrivare al primo cassetto che ormai avendo memorizzato conteneva le stesse vecchie posate principali ed impugnò con forza la maniglia tirandola a sé per dischiuderlo, creando un grave tonfo.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Per Anne, come al suo solito, era giunta l’ora di iniziare a preparare il pranzo, in quel momento o poco più non aveva la minima idea di dove fossero i suoi figli, avrebbe comunque aspettato che sentissero l’odore dei pasti per poter sedersi con loro nel cucinotto. Si avviò di conseguenza verso la cucina dov’era Mike intento ad osservare l’ambiente, strizzò gli occhi incredula passando il ciuffo di capelli dietro al suo orecchio quando vide la porta semichiusa, la quale generalmente era sempre stata aperta per far uscire la luce del sole dalle grandi finestre, si avvicinò senza respirare rumorosamente ed appoggiò il suo sguardo all’interno della stanza fin quanto potesse riuscire a vedere. Davanti ai suoi occhi c’era Mike con il viso chinato verso il basso, intento ad afferrare piuttosto con stupore il manico di uno dei tanti tipi di coltelli serrati, il labbro inferiore della madre era fortemente premuto dai denti per il terrore di ciò che si stesse svolgendo davanti a lei, posò la mano sul muro del corridoio per sostenersi senza distogliere lo sguardo dal figlio, il cuore in quel momento avrebbe potuto uscirle anche dal petto se i battiti avessero aumentato la velocità, non sapeva cosa pensare, anzi sì, in quel momento un numero illimitato di pensieri le frullavano in testa, dal più obbrobrio al più insensato e fantasticamente montato. Mike aggrottando le sopracciglia, passò l’indice della sua mano sulla parte serrata della posata, avvertendo qualche brivido di passaggio, per quanto potesse essere strana la mentalità del ragazzo quel momento era in fin dei conti una pura curiosità di osservare gli oggetti che gli erano intorno anche dal punto di vista del tatto, per sentirne la consistenza, ma tutta questa illusione che via via aumentava gravemente di grado davanti ad Anne era semplicemente la goccia capace di traboccare l’intero vaso, era l’avvio di una nuova crisi isterica che si sarebbe classificata come la più peggiore e temibile di tutta la sua vita. I conflitti avevano chiamato nuovamente l’impegno e la costanza determinata del maresciallo per circa trenta giorni, negli anni precedenti anche questa divenne un’abitudine a cui non dare troppo peso, soprattutto per quanto riguarda la moglie che poteva anche ritenersi separata. Ciò che legava i due coniugi si basava soprattutto su ciò che si confessavano non appena lui ebbe messo lo stivale ingombrante sulla soglia della porta, con i bicipiti dolorosi e le pupille che pendevano dallo sfinimento. Anne non resisteva più alla voglia immensa di riferire ciò che avevano conservato i suoi occhi con disprezzo, aveva unicamente il bisogno di farlo evaporare via dallo stomaco come il vapore acqueo presente durante il ciclo dell’acqua che arrivava sino alle nuvole, voleva sentire il piacere di raccontarlo a raffica, senza prendere un attimo di fiato, nello stesso modo in cui stesse bevendo un bicchier d’acqua in compagnia del medicinale che attraversa la trachea sino ad arrivare nell’intestino. Nel momento esatto in cui il capo di casa chiuse a pugno il palmo per bussare al portone, Anne si fiondò davanti ad esso per riceverlo. Aveva l’aria abbastanza pesante, il fiatone e qualche ciuffo castano di capelli dinanzi agli occhi, come se avesse appena concluso una maratona; ebbe un leggero sussulto non appena scostò i capelli dagli occhi per riempire di un caloroso sguardo suo marito, che successivamente si tramutò in una stretta abbastanza forte, come per colmare il vuoto che aveva avuto durante ogni giorno. La giovane aveva l’aria abbastanza sconvolta e piena di enfasi, ma il tutto si concentrava sullo sguardo corrucciato e spaventato che aveva poggiato sin dall’inizio sul militare.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


-“Anne.”- Sussurrò alzandole il mento appena inumidito dalle lacrime, nel dubbio se fossero lacrime di gioia ad accoglierlo. -“Ha cercato di uccidermi.”- tirò su con il naso facendo attenzione a non far udire nemmeno un bisbiglio a suo figlio, poi ripeté più forte istericamente, con le gote infuocate ed il cuore a mille. -“Anne, cazzo smettila, non esagerare. Sono appena tornato e..”- spiegò il maresciallo aprendo gli occhi e cercando di placare la tensione ardua che si stava componendo intorno a loro, poi posò entrambe le possenti mani sulle spalle di sua moglie, tentando invano di calmarla soffiando aria fresca sulle sue tempie. -“Sì esatto è così, ti rendi conto? Potrebbe spuntare da un momento all’altro con quella posata in mano e rincorrermi fin quando non avrà avuto il piacere di vedermi per terra una volta per tutte.”- interruppe le inutili spiegazioni del moro in piedi davanti a lei che la osservava con lieve ragione, cercando di spiegare a se stesso ogni singola parola che fuoriusciva dalle labbra di Anne, accompagnate da una piccola vena che le si gonfiava come una linea retta parallelamente proporzionale alla gola in ogni occasione in cui alzasse leggermente il tono della voce, oppure mentre era semplicemente presa dall’agitazione. Il marito ebbe tempo solo per posare l’enorme zaino sul pavimento che fu immediatamente tirato per una manica dalla donna e poi trascinato giù per la cantina, per avere maggiore spazio in cui poter parlare, lontano da occhi indiscreti. Ma non tutto scivolò alla perfezione secondo i piani di Anne, la ragazza distesa sul letto cosparso da cuscini e da una pila di libri aperti aveva sentito distrattamente urlare una voce femminile a distanza di due pareti più in là solo l’ultima parte del discorso e poi dei passi troppo veloci che si inoltravano lontano dalle sue orecchie, ma tutto ciò venne ricoperto dalle note del giradischi che Lionel Richie cantava con eleganza “All night long”, mentre Mike era ancora inchiodato in cucina per i fatti suoi, con gli occhi semichiusi verso la luce del sole di mezzogiorno. -“Noi andiamo a prendere una bottiglia di champagne per festeggiare l’arrivo di vostro padre, il pranzo sarà pronto a breve.”- si schiarì la voce Anne con un colpo di tosse dopo aver urlato apparentemente contro il muro il ritorno di suo marito prima di precipitarsi in cantina. -“L’accoglienza devo ammettere che è sempre stata ottima in questa casa.”- le fece eco il moro, inorridito dal solito silenzio comunemente innocuo. La stanza era utilizzata solo per eventuali spostamenti di vecchi mobili, le uniche anime che avevano messo i bagagli erano solo le case di alcuni ragnetti presenti su ogni angolo retto delle travi, il contrasto fra il colore verde della vecchia pittura e quello biancastro di qualche filo di luce era l’intera decorazione abbinata dalla polvere, la cantina non aveva mai avuto modo di conoscere la pulizia, nonché un odore minimamente sgradevole. Il moro era seduto su una vecchia sedia da studio priva di schienale, intento ad osservare distrattamente il tessuto consumato del tavolo su cui aveva poggiato gli avambracci tesi, dotati di un’eccezionale massa muscolare. Si era lasciato sfuggire un pensiero ristrutturativo per quanto riguarda quel pezzo di legno sagomato, avrebbe potuto facilmente riutilizzarlo, sia per lo stesso scopo sia per altro, oppure ci avrebbe guadagnato qualcosa se lo avesse lasciato vendere al suo vicino, quale ogni anno si impegnava nel programmare una rivendita di antichi oggetti usati o scassati nelle industrie maggiormente importanti, peccato però che questo ragazzetto dava una festa giornaliera notturna incosciente di abitare in un paese abbastanza antiquato. Il maresciallo si tratteneva da tempo su due piedi in quei pochi giorni che era presente nel paese di Watton, altrimenti una multa sarebbe stata più che ospitale per gli occhi innocenti del ragazzo.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


“Seize the water when it rains.” Cogli l’acqua quando piove. Questa frase a caratteri cubitali apparteneva in precedenza alla casa in affitto, molto probabilmente la famiglia o le persone che vi risiedevano anteriormente era un gruppo di artisti di strada ai quali piaceva utilizzare l’arte in tutte le sue sfumature, qui avevano impresso con un pennello abbastanza largo questo promemoria poiché ancora in quell’epoca dovevano nascere le classiche bombolette spray, l’idea c’era da tempo, ma solo sotto forma ipotetica. Esclusivamente vernice fresca, che vanamente in primis doveva essere utilizzata per imbrattare il colore delle stanze dell’abitazione, in seguito hanno avuto un altro tipo di vita. Lo sguardo del giovane cadeva spesso su quell’incitazione, anche senza volerlo, in fondo occupava gran parte del soffitto. -“Anne! La vedi questa frase? Sì, è ovvio che tu la veda! MUOVITI, ho da fare!”. Anne rischiò di precipitarsi per terra dalla fretta e dall’agitazione, quindi si assicurò che la stanza fosse chiusa perfettamente a chiave. -“Ascoltami, ora non devi fiatare per nessun motivo.”- accennò bruscamente grattandosi la nuca posizionandosi in piedi davanti a lui, già palesemente scocciato mentre si teneva la testa con un palmo chiuso, al di sotto del mento. Quindi dopo un lieve sospiro, parlò a raffica. -“Ho visto nostro figlio in cucina, in modo furtivo, mentre si rigirava tra le dita un normale coltello pescato dal cassetto delle posate. È rimasto per tutto il tempo a fissarlo, senza espressione, capisci? Ora sono stanca di fremere ad ogni cosa che esegue quello psicopatico, mi vuole morta? Eh no mio caro, non lascerò che sia lui a farlo per prima. Quindi, ho elaborato un piano che non deve essere spifferato da nessuno all’infuori di me e te, sua sorella potrebbe intercettarlo ad un battito di ciglia.”- dopo un millisecondo azzardò, senza pentirsene. -“Lo abbandoniamo.” Il maresciallo rimase appena con le labbra aperte, sul dubbio se avesse esagerato o se fosse realmente tutta la pura e vera realtà, in ogni caso rimase pietrificato esteriormente, mentre al suo interno iniziava a scatenarsi qualcosa di sconosciuto ma profondamente aggressivo e determinato che gli si ritorceva contro. Non spiccò una sillaba, il suo pensiero rimase incognito persino a se stesso, se ne stava lì ad osservare nuovamente il promemoria sul soffitto, con gli occhi imperlati di lacrime incastrate tra gli occhi, non ebbe neppure la forza di sospirare. Intanto Anne era già sparita dopo l’ultima parola, ormai la decisione era stata ben assorbita, o quasi. I giorni, soprattutto in quel periodo, volavano con un colpo di vento come le foglie autunnali dal colore caldo che si posavano per terra. “Si sta come D’autunno Sugli alberi Le foglie.” -“SOLDATI”, Giuseppe Ungaretti. Mike si era soffermato a lungo su questa poesia, nel college si studiava la poesia italiana di qualche autore più importante della storia e poi era necessario impararla a memoria, per dimostrare di averla assimilata per bene. Tra le varie poesie studiate d’obbligo, questa era la più interessante che avesse mai letto. La professoressa di letteratura inglese, di origini italiane, vedeva Mike con occhi diversi, non aveva mai avuto modo di conoscerlo fino in fondo attraverso le sue parole, ma solo attraverso delle lettere o dei temi che assegnava come compiti in classe. Non era mai scesa nei particolari, come le brevi autobiografie, no, solo attraverso dei fogli protocollo invasi da una serie di lettere verso un amico di penna, probabilmente immaginario.

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Tutte le mattine scolastiche, a fine ora, il ragazzo rivolgeva un misero sorriso alla professoressa stringendosi nelle spalle, grato di avergli concesso la possibilità di esprimersi con dell’inchiostro, o con del gesso. La signorina ricambiava sempre con un ampio sorriso rilassato, speranzosa che un giorno, prima di cambiare college, si fermasse davanti a lei come un normale ragazzo per sussurrarle una “buona giornata” con la voce che gli apparteneva, quella con cui aveva strillato da neonato. Una voce come tante, ma di sicuro la più eclatante. Non era una cosa frequente, ma nemmeno un problema che accadeva di rado, davanti agli occhi di un adulto. -“Professoressa, perché lui sì e noi no?”. Questa domanda era la più sentita, discussa, invidiata e ripresa in ogni luogo scolastico, gli studenti non si curavano di evitare l’indice puntato sul corpo minuto del ragazzo con gli occhi ceduti per terra, Mike credeva che ci provassero gusto a ripeterla insistentemente, eppure non aveva niente di entusiasmante essere un ragazzo dall’atteggiamento muto e distintivo, non avrebbe augurato certamente a nessuno di possedere le sue caratteristiche, nonostante ciò si stringeva nelle spalle e gridava fra sé e sé, imbecille. Perché lui sì e noi no? Perché i pregi appartengono solo a lui? Perché un giorno non posso alzarmi anche io e decidere di non parlare? Perché anche io non posso fare un cazzo dalla mattina alla sera? In gran parte, queste domande che volavano in ogni ambito, erano la perfetta dimostrazione di quanto potesse essere intelligente ogni ragazzo al di fuori del rendimento scolastico. Il caos proveniente dalla loro aula era lo stesso, inevitabile, anche i collaboratori scolastici ne percepivano la causa. Eccetto il dirigente scolastico, amico stretto d’infanzia del padre di Mike, quando si trattava di una questione delicata del genere non era mai presente, oppure aveva in principio una benda cucita sui bulbi oculari. Nei giorni in cui non erano previste missioni di spedizione all’estero, il dirigente veniva invitato in casa Raynolds un giorno della settimana, per pranzare. Sin da ragazzi avevano un’abitudine personalmente privata, ogni giorno a turno uno di loro si presentava a casa dell’altro per leggere il Daily Mail, il giornale mattutino britannico più importante. Chi possedeva quel giornale erano solo le case popolari, il resto si accontentava delle notizie emanate dalla vocina stridula del telegiornale. L’unica edicola di Watton, apparteneva ad un vecchio politico non abbastanza serio ed attento, questa era la conseguenza della mancata frequente presenza nel suo negozio, il quale possedeva ogni giorno un Daily Mail in meno nell’ora del caffè. Ancora un giorno della settimana, il dirigente si presentava in casa loro con il giornale fra le mani, ma questa volta la sua figura slanciata ed abbastanza possente non riusciva ad illudere più ad uno di quei ragazzini che fuggivano furtivamente dall’edicola di Josè. Il preside era molto affezionato dal figlio del suo amico, sin da quando lo aveva tra le mani aveva avuto l’idea studiata della sua fotocopia, era sicuro che fosse cresciuto forte e con il futuro ben preciso di suo padre, che avrebbe fatto carriera insieme a lui e invece pochi anni dopo, confermò le sue certezze ed i suoi dubbi, ebbe la spiacevole sorpresa di non aver sentito pronunciare un’umile lettera dell’alfabeto, nemmeno a farlo di proposito. Nulla.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Sfrecciavano come grossi siluri le ruote enormi della Land Rover, l’asfalto aderiva perfettamente ad ogni chilometro sotto quelle ruote, era un normale giorno come tutti gli altri, cielo imbrunito fresco e ventilato, destinazione incognita e provvisoria, prescelta in partenza esclusivamente dalla signora Raynolds. L’aria in macchina era abbastanza cupa e pesante, l’unico spazio aperto da cui circolava un raggio di vento era il finestrino appannato ed opaco di Mike, appena riscaldato dal calore del sole discendente e debole, esigeva spesso d’aria fresca sul viso per prevenire mancanza di ossigeno ai piccoli polmoni. Il silenzio ignaro era cosciente di essere l’unico fragoroso rumore, al di la degli sguardi penetranti di Anne in contrasto con gli occhi gettati su qualche sperduto sentiero che accoglieva un gruppo di alberi, a distanza di pochi metri in lontananza ed il vetro retrovisore in superficie che rispecchiava il viso imbronciato del ragazzo, il quale era perfettamente capace di non incrociare minimamente nemmeno per errore quello sguardo oppressivo femminile, come d’abitudine teneva da sempre un gomito appoggiato all’interno del bordo dello sportello, il viso chinato ad una direzione intermedia fra le montagne crescenti al di fuori del vetro e l’asfalto decorato da pozze d’acqua piovana del giorno precedente e il corpo fermamente adagiato sul proprio sedile di cuoio, in seguito, spostando appena lo sguardo accigliato verso destra, seguiva Abby, che lasciandosi trasportare dal soffio d’aria fredda carico di pioggia non finiva di fissare furiosamente le ore segnate sul Nokia 5500 che passavano lente ad ogni occhiata furtiva, inconsciamente dopo un numero di occhiate le girava la testa e posava anch’ella il viso direzionato verso il paesaggio esterno. Nessuno di loro s’azzardava ad irrompere il silenzio ingenuamente rilassato. Neppure un vago sospiro di troppo. Le dita tese della donna sul volante, lo sguardo imperterrito del maresciallo al suo fianco, il filo di vento rapido che circondava la Land Rover ed i consueti pensieri vari sulla destinazione cui avrebbero dovuto passar le vacanze i due ragazzi, come una famiglia spensierata normale. Tutto ciò era la descrizione che aveva delineato l’interno di quell’auto. Tutto ciò era più che normale dinanzi agli occhi di Mike, ma quella donna al volante no. Quella donna nascondeva qualcosa di troppo tranquillo nel suo respiro. L’auto durante i viaggi, era l’unico posto in cui i quattro erano imposti a rintanarsi tra di loro, Mike e Abby tenevano in teoria sempre le giuste distanze fra un posto occupato e l’altro per una semplice tranquillità personale, in quel modo riuscivano sempre ad ottenere il giusto spazio in eccesso per distendere le gambe e chiudere gli occhi sino alla fine del percorso, il cui sottofondo veniva accompagnato dalla canzone della giornata che il giradischi aveva imprigionato ad Abby nella sua testa la quale canticchiava timidamente fra sé e sé, quindi grazie a lei potevi facilmente accennare qual era la novità che era stata trasmessa di lì a poco in tutti i diffusori acustici; in quel momento come i tanti farfugliavano mille pensieri sfumati nella testa del ragazzo, il suo sguardo si concentrava in un punto fisso della catena di montagne bagnate dalla tempesta, offuscate dalle gocce di pioggia e imbrunite dal manto del cielo ricoperto di nuvole bianche opache, per lui era un bellissimo quadro dipinto dalla natura che esprimeva il suo stato d’animo. Si affrettò a chiudere il finestrino della Rover imperlato di acqua e si godette quel panorama ad occhi semichiusi.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


A volte solo immaginando possiamo rendere i nostri pensieri positivi, solo attraverso il frutto dell’immaginazione possiamo comandare ciò che pensiamo, possiamo modificarlo, possiamo renderlo realtà, possiamo sognare, possiamo piangere, possiamo fare ogni cosa che desideriamo, è tutto concentrato nella nostra mente e solo noi possiamo essere capaci di mandare l’input nella cavità centrale della mente. È la nostra unica risorsa che non ci toglierà nessuno, l’unica capace di farci stare bene a contatto con la musica appropriata al nostro umore, l’unica capace di farci cambiare umore da un momento all’altro, l’unica in cui un giorno ci fa svegliare con l’umore per terra e un altro in cui iniziamo la giornata con il sorriso marcato prima nei nostri pensieri e poi sul nostro volto. Insomma, la mente ed il frutto dell’immaginazione saranno sempre indispensabili per vivere. Ogni cosa viene studiata per bene nella nostra testa prima di attuarla, ogni gesto, che sia improvviso, impreciso, sbagliato, giusto o quant’altro, ogni movimento, ogni emozione, controllo mentale, paura, viene analizzata per bene da noi, lasciandoci sfuggire invano i soliti errori. È tutto un fatto psicologico. Tutto quello che svolgiamo durante la giornata, in ogni momento, secondo, minuto, ora, è tutto ciò che la nostra mente ci intima ad attuare nel nostro comportamento, tutte le piccolezze a cui non diamo valore potrebbero essere le scelte più importanti della nostra vita, e ci sfuggono ingenuamente, perché l’uomo da valore a ciò che osserva e non a ciò che pensa in quei pezzi nascosti della sua vita. Il nostro intelletto, i nostri occhi, il nostro schermo d’immaginazione impiantato nella nostra mente, da’ più importanza ad un messaggio, ad un litigio, ad un bacio, ad una sera d’amore, ad una sbronza, ad un amico, ad un animale, ad un figlio, al denaro, tutto ciò che ci circonda e che ci passa davanti agli occhi di cui ne faremo tesoro durante gli anni. Ma non si soffermerà mai sulle piccole cose sfuggevoli, implicherà solamente una perdita di tempo, secondo noi, ma cosa sarà mai rileggere ciò che abbiamo racimolato su un pezzo di carta mentre siamo assolti dalle riflessioni? I due ragazzi con l’andatura lenta della velocità dell’auto avevano quasi preso sonno accasciatosi l’una sulle spalle dell’altro proprio mentre la suoneria del telefono di Anne inizia a squillare indisturbatamente, in modo ripetitivo e dannatamente fastidioso per ognuno di loro. -“Tesoro, rispondi tu per favore? E’ nella mia borsa.”- sbuffò sospirando pesantemente la giovane, tenendo l’attenzione sulla strada colma di pioggia e di auto. -“Si, pronto? Con chi parlo? Pronto? Ahh, diavolo la linea è stata interrotta. Ma è possibile che tu abbia ancora questo catorcio, Anne?”- urlava il marito dall’aria infastidita gettando goffamente il telefono per terra. Una frenata eccessiva improvvisa, le ruote striscianti sull’asfalto bagnato, i corpi tirati sulla destra dalla cintura di sicurezza, il fiato mozzato, gli occhi freddi, sbarrati ed impauriti, le pupille scure sempre più piccole e poi il silenzio delle gocce di pioggia. Anne aprì frettolosamente lo sportello dell’auto senza soffermarsi un secondo di più su ciò che avrebbe fatto, la sua chioma liscia iniziava piano a bagnarsi, le auto sfrecciavano veloci sull’autostrada lasciando una scia d’aria fredda su tutto il corpo, ricoprendole i fianchi dai brividi. Abby la fissava con lo sguardo interrogativo chinando il viso verso Mike che la guardava irrigidito senza espressione dall’interno dell’auto con il viso pallido e spento, senza fiatare affondò piano le unghie delle esili mani sulle cosce scoperte dai pantaloncini in attesa di venire a conoscenza di ciò che la sua orrida mente le avesse indicato di fare durante il viaggio. -“Tu non sei mio figlio..”- rabbrividì dopo aver urlato dinanzi ai suoi occhi cupi ed espressivi ripensando a quel nome poco familiare ad ella che fece parte della sua vita sino ad ora. –“Esci di lì, hai capito? Muoviti, togli quella cintura e vattene. Non ho intenzione di sprecare altre parole per te, Mike.” Il ragazzo non riusciva a capire se quelle che sciavano sulle sue gote fossero lacrime o gocce di pioggia sputate dal vento gelido, quindi staccò la cintura di sicurezza con uno scatto debole e scese dall’auto con lo sguardo basso e gonfio di ripugnanza, avvertendo il suo nome sempre più forte e deciso chiamato più volte dalla voce piangente di sua sorella affacciata dal finestrino abbassato del suo sedile imprecandolo di fermarsi e tornar da lei.

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


-“Ma che ti viene in mente? Ferma subito l’auto, mamma! Papà, cazzo, non dici niente? Ovvio che non dici niente, non sei mai a casa con noi, ti lasci trascinare dalle decisioni di tua moglie e te ne freghi dei tuoi figli! Ma vi sembra normale lasciare Mike lì, da solo, sotto la pioggia? Mamma!”. Inutili le urla disperate di Abby, era come se in quell’auto ci fosse solo lei in quel momento. Anne con lo sguardo distratto e pietrificato verso l’autostrada si lasciò pochi metri d’asfalto dietro la sua Land Rover, assicurandosi che il ragazzo non stesse rincorrendo l’auto sotto la fitta pioggia. Due fari gialli sempre più vicini e grandi lampeggianti sul parabrezza, alcune urla soffocate di terrore, una frenata fragorosamente rumorosa, un enorme tonfo frontale e il vetro anteriore in piccoli pezzi. Sui sedili anteriori giacevano entrambi i corpi con tagli sparsi su ogni centimetro di pelle bagnata dal colore rosso del sangue liquido che colava assieme alla continua pioggia, i visi erano cosparsi da ferite profonde sulle ossa delle gote e sul cranio capelluto, gli indumenti strappati ormai erano anche inutili per tamponare le indelebili chiazze rosse. Il corpo di Abby pulsava ancora vivo, fortemente strattonato dalla cintura di sicurezza, i suoi fermi limpidi occhi fissavano sgomenti la scena agghiacciante dinanzi a lei, le si gelava il sangue che poco tempo prima scorreva nelle tempie, si ripeteva innocentemente fra le labbra screpolate che era stato solo uno dei tanti incubi temporanei, poi a malapena provava a smuovere gli arti come un bambino stupito di avere quelle quattro stecche per avanzare, ma nulla. Per un momento cercava di autoconvincersi che qualcuno avrebbe reclamato l’incidente e sarebbe stata aiutata ad uscire dallo sportello bloccato ma i minuti passavano, le auto sfrecciavano e la tempesta pareva stesse cessando. -“Dove sei, Mike?”- urlava disperatamente posando lo sguardo perso fuori dall’auto, cercando più volte di intravedere il suo volto pallido fra gli alberi sperduti di quella foresta fitta, ma invano vi erano solo alcune carcasse dell’auto dai grossi fari gialli. L’aria della Land Rover si faceva sempre più chiusa e pesante, l’ossigeno iniziava a mancare, le palpebre della ragazza si chiudevano piano restìe da un minimo di speranza. "Non ho più speranze, nulla è più vivo davanti ai miei occhi, ogni cosa è in frantumi." -"Abby, sono qui! Apri quegli occhi, ti prego!"- ripeteva quella voce maschile fuori dal finestrino seguita da colpi incessanti di palmi lungo la portiera. La ragazza ebbe un sussulto al cuore voltandosi verso quel viso pallido ricoperto dal ciuffo di capelli neri afflosciati sulla fronte, bagnato fradicio dalla pioggia corrucciato in uno sguardo pieno di emozioni che in quel momento non prevedevano alcun limite, le labbra di Abby iniziavano piano a schiudersi dallo stupore senza distogliere lo sguardo da quel ragazzo che imprecava fino ad un secondo fa di svegliarsi, di aprire gli occhi, respirare ancora per lui, mantenere la calma e intimarle un minimo cenno, di credere a ciò che stava accadendo in quell’istante, non era affatto un sogno, nemmeno un incubo, la voce di Mike viva e nascosta dentro di lui esisteva davvero, quell’incidente, quelle lacrime di sangue sparse tra i pezzi di vetro affilato, quei corpi adulti che avevano solo trasmesso inquietudine tra le anime dei due ragazzi ora giacevano accasciati fra i sedili bucati, privi di conoscenza, privi di un briciolo di forza nera interiore per lottare di fronte a quegli anni di vita che avrebbero dovuto affrontare idealmente senza il peso sullo stomaco di un insolito adolescente senza corde vocali, ora erano lì, morti e combattuti, ma prevalentemente indegni di provar la melodia della voce che avrebbe fatto parte a nuovi orizzonti, sempre più lontani e profondi. -“Mike, non riesco a crederci, non so neppure da dove iniziare, cosa dire, io..”- due braccia cariche di forza circondavano istintivamente il busto della ragazza, stringendola a sé in una stretta così delicatamente possente che insinuava tranquillità e casa, sì, ogni cosa non avrebbe mai potuto sostituire quell’affetto che trasmetteva Mike, poteva definirlo come la sua casa, l’unico il quale conosceva segretamente la sua vita, i suoi occhi, il profumo dei suoi capelli, la sua innocenza, la sua resistenza ma soprattutto la sua fiducia. Spazio autrice: Siamo giunti alla fine della storia di Mike, vi ringrazio molto per averla letta e per ogni recensione che mi avete lasciato, un saluto e alla prossima. :)

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