L'Unica che abbia mai temuto

di SilverKiria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 4: *** Piani ***
Capitolo 5: *** Vendetta ***
Capitolo 6: *** Amicizia ***
Capitolo 7: *** Ferite ***
Capitolo 8: *** Scoperte ***
Capitolo 9: *** Confessioni ***
Capitolo 10: *** Liti ***
Capitolo 11: *** Verità ***
Capitolo 12: *** Veleno ***
Capitolo 13: *** Sacrificio ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






PROLOGO

 


«Non stiamo giocando a nascondino, Harry»  disse la voce gelida di
Voldemort, avvicinandosi, mentre i Mangiamorte sghignazzavano. «Non
puoi nasconderti da me.» (1)
 
 
Nessuno poteva nascondersi da lui.
Dal Signore Oscuro.
Da Lord Voldemort.
Da Tom Riddle.
Sì perché ancora prima che il mondo temesse di pronunciare il suo nome, prima ancora che qualcuno osasse ostacolarlo; lui riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva.
Eppure…
Eppure c’era stato qualcuno che non aveva avuto paura di lui.
Eppure c’era stato qualcuno che anzi gli era sempre corso incontro sfrontatamente.
Eppure c’erano stati degli occhi che invece di abbassarsi al contatto con quelle iridi verdi si erano alzati fieri, senza timore.
… C’erano stati degli occhi che erano riusciti a far abbassare il suo, di sguardo.
 
[31 Ottobre 1981]
 

Tom Riddle entrò nella casa con un pigro gesto di bacchetta. Quell’inetto di Codaliscia era finalmente servito a qualcosa e ora lui poteva pregustarsi la gloria eterna a cui anelava da sempre.
L’ultimo ostacolo sarebbe stato distrutto quella notte.
L’ultima speranza infranta.
L’ultimo miracolo spazzato via, lontano. Schiacciato dalla forza del potere che lui, Tom Riddle, aveva acquisito nel corso di quegli anni.
Partito senza nulla se non un nome da babbano che detestava e un destino che gli stava stretto; era riuscito a far crescere la sua fama e il suo successo più di molti altri.
Oltre ogni immaginazione.
Ora conosceva incantesimi dimenticati da secoli, possedeva poteri incredibili e la mente prodigiosa per far combaciare le due cose in un solo, meraviglioso, cammino verso l’immortalità.
Aprì la porta e si ritrovò un uomo di appena vent’anni dagli arruffati capelli mori e degli occhiali in precario equilibrio.
Si doveva essere appena svegliato.
Si doveva essere svegliato giusto in tempo per morire.
Quel pensiero gli arricciò le labbra in un ghigno crudele, mentre con un veloce gesto della bacchetta  di tasso dava inizio al suo sonno eterno e non si degnò nemmeno di guardare il corpo che cadeva inerme, colpito dalla luce verde che tanto amava.
Verde.
Il colore che l’aveva sempre accompagnato durante la sua vita.
Verde il vecchio e sudicio grembiule del Wool’s Institute.
Verde il sinuoso corpo di quei serpenti che lo venivano a trovare nel profondo della notte, rispondendo alle sue chiamate.
Verdi gli occhi di lei.
No, non doveva pensarci.
Verdi i suoi di occhi, pronti ad ammaliare chiunque fosse utile ai suoi scopi.
Verde lo stendardo della sua nobile casa, della sua illustre famiglia.
Verde il vestito di lei, quella notte.
Tom Riddle scosse la testa, infastidito.
Si concentrò sulla porta, l’unico ostacolo rimasto tra lui e la sua indiscussa vittoria.
E quando la spazzò via con un gesto della stecca non poté che stupirsi di ciò che vi trovò dietro.
Verde.
Due enormi occhi verdi lo fissavano terrorizzati, umidi ma senza nessuna intenzione di piangere.
Fieri, nonostante il terrore che li invadeva.
Vivi, nonostante la morte che alitava loro sopra.
«Ti prego, prendi me ma lascia Harry!»
Sarebbe bastato un movimento, un secondo, perché quella chioma rossa cadesse a terra dove doveva stare.
Ai suoi piedi, come ogni Sanguesporco.
Tutti tranne lei; lei che quella notte di una vita fa l’aveva fatto inchinare. L’aveva umiliato. L’aveva incastrato con la forza di poche, stupide parole.
«Provalo. Provalo, Tom, se ne hai il coraggio.»
Il viso di Severus gli piombò di fronte, mentre gli supplicava pateticamente di risparmiare la vita alla sua amata.
Che sentimento inutile, l’amore.
«Spostati. Spostati e non ti verrà fatto nulla.»
«Ti prego, risparmia Harry, il mio Harry!»
Mio.
Lord Voldemort aveva sempre amato rimarcare la proprietà.
La sua proprietà sulle cose, sulle persone, sui destini e sulle vite.
«Tu sei mia.»
«Io non sono di nessuno, Tom. Una persona non può appartenerti.»
Sciocchezze, lui possedeva chi voleva.
Ne aveva i mezzi, un piccolo ‘Imperio’ e chiunque si sarebbe sentito felice di stargli accanto.
Come se non dovesse già sentirsi onorato, dopotutto.
«Questo lo credi tu.»
Sentiva ancora, a distanza di anni, il bruciore allo sterno che il sorriso di scherno rivoltogli gli aveva causato.
Rideva.
Rideva di lui.
«Non te lo ripeterò più, lurida Sanguesporco. Spostati ora!»
Ma lei rimase lì, fiera e decisa, con le braccia aperte davanti alla culla.
Fiera come solo un’altra persona era stata di fronte a lui.
Il getto verde la colpì al petto, facendola crollare come un pupazzo inanimato.
Persino la fierezza si inchina di fronte alla morte.
E quando la scavalcò disgustato, avvicinandosi alla culla, non poté trattenere una smorfia nel vedere che anche quegli occhi erano verdi.
Il verde mi insegue dall’inizio della mia vita fino al culmine della mia vittoria.
Il bambino di fronte a lui non piangeva.
Lo guardava curioso, lasciandogli addosso una sensazione di inadeguatezza.
“Facciamola finita”.
«Avada Kedavra!»
L’incantesimo lo pronunciò questa volta,  voglioso di ascoltare la sua voce sibilante mentre suggellava il patto col destino che attendeva da troppo tempo.
In un modo che, però, nemmeno la sua mente geniale aveva saputo prevedere.

 
[2 Maggio 1998]
 
Era finita.
Harry Potter aveva vinto.
E lui era morto, colpito dal suo stesso incantesimo.
Quando aveva visto il getto di luce verde fiondarsi verso di lui anziché contro l’avversario, sapeva esattamente cosa sarebbe successo.
E mentre sentiva chiaramente ogni pezzo di sé sgretolarsi, ogni frammento della sua dilaniata anima disperdersi; lasciò che il dolore lo facesse sprofondare in uno stato di insensibilità.
Gli occhi di Potter, quegli occhi verdi, sprizzavano felicità da tutti i pori mentre lo vedeva accasciarsi al suolo, finito.
Ma non videro gli occhi rossi di Lord Voldemort diventare più chiari e tondi, fino a tornare verdi come le spire di un serpente.
Un serpente ormai in fin di vita.
Del grande e oscuro Lord Voldemort ormai rimaneva solo quella filastrocca, cantata da Pix in ogni angolo del castello.
Nessuno si preoccupò di prendere il suo cadavere, di seppellirlo, di fare qualsiasi cosa differente dall’avvicinarcisi sprezzanti, ormai senza più paura.
Risero di lui, lui che fino a poco fa riempiva i loro incubi.
Nessuno si accorse del piccolo ciondolo d’argento a forma di volpe che cadde dal suo mantello.
Nessuno lo raccolse.
E nessuno sentì l’ultima parola che le labbra diafane pronunciarono prima di chiudersi per sempre.
 
Meredith.


 
* Angolo Autrice *
 
(1) E' una frase tratta da Harry Potter e il Calice di Fuoco

Ciao a tutti! E grazie di cuore già per aver letto il prologo di questa storia! Scrivere di Voldemort è tremendamente difficile e so già che sarà una sfida ardua, ma è un personaggio davvero interessante e sono curiosa di scriverci sopra. Ci tengo a precisare la mia intenzione di rimanere il più possibile IC, ma se pensaste che non ci sto riuscendo avvisatemi e metterò l'avvertimento OC. Non so davvero quando aggiornerò, spero presto, perché devo chiarire un paio di cose nella mia idea della trama. Sappiate che la storia vera e propria sarà ambientata principalmente al quinto anno di Tom, quando scopre e apre la Camera dei Segreti; ma ci saranno vari flash-back sia nel passato (epoca orfanatrofio/anni passati) che flash-forward (quindi salti nella mente del futuro Tom Riddle, durante la Seconda Guerra Magica); ma sempre con cognizione di causa e con senso, tranquilli! Di Meredith ne parleremo nel prossimo capitolo, ma voglio assicurarvi che non sarà assolutamente una storia d'amore banale. Meredith possiede un potere che Tom teme molto, aldilà dei sentementalismi, e da qui nascerà il suo interesse (nel vero senso della parola, non sentimentale) per lei. Quello che poi succederà, beh... sta a voi scoprirlo! Recensite in tanti e fatemi sapere per favore come vi è sembrato questo inizio e se avrete voglia di leggere il seguito ;) Alla prossima e grazie ancora!

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Capitolo 2
*** Incontro ***




CAPITOLO 1 - INCONTRO


«Muovo le cose senza toccarle. Faccio fare agli animali quello che voglio senza addestrarli. Faccio capitare cose brutte a chi mi dà fastidio. So ferirli, se voglio». (1)
 
 

[31 Dicembre 1935]
 
La vipera strisciò piano sul manto innevato.
Il suo corpo sinuoso, nero come la notte, brillava di una luce sinistra a contrasto con la luminosa innocenza della neve appena caduta.
Neve.
Il giorno più freddo dell’anno, così l’aveva definito Mrs Cole.
«Come quella volta, vero Eloise?» aveva aggiunto subito dopo, agguantando il quarto bicchiere di whisky della serata. Dopodiché aveva scoccato uno sguardo divertito verso di lui, come se fosse trasparente, come se non capisse.
Come se non fosse cinque volte più intelligente di lei.
La vecchia cuoca dell’istituto non obbiettò, ormai troppo abituata all’indelicatezza che la preside sapeva acuire dopo qualche bicchiere.
Lo guardò, solo per un secondo, per poi voltarsi agitata.
Quel bambino aveva l’inverno in quegli occhi verdi.
L’aveva sempre evitato perché era come se risucchiasse tutta la felicità in un secondo. Sorrideva, sì, ma mai con intenzione. Era come se il sorriso si fermasse alle labbra, mentre dagli occhi emergeva solo disprezzo.
Lui sorrideva quando gli faceva comodo.
Quando poteva convincere un bambino a cedergli la merenda o a dargli il posto sulla panchina al parco.
Come se ne avesse bisogno: bastava la sua presenza per terrorizzare i bambini.
Eloise non aveva mai visto Tom Riddle fare alcunché di sconveniente, ma ci avrebbe scommesso la testa sul fatto che quel bambino fosse tutto meno che innocente.
I segni violacei sulle braccia dei bambini, gli incubi delle bambine.
Amy non si era più ripresa da quella gita al mare e nessuno osava parlarne, nonostante fosse passato un anno. Eloise aveva paura di Tom Riddle e si sentiva una sciocca: una donna di sessant’anni che temeva un bambino di nove anni.
Eppure non poté fare a meno che voltarsi, distogliendo lo sguardo da quel ragazzino che faceva finta di nulla ma che, lei ne era certa, aveva sentito ogni parola di Mrs Cole.
C’è chi avrebbe detto che ne sapeva una più del diavolo, Tom Riddle.
Eloise avrebbe detto che Tom Riddle fosse il diavolo.
 

La vipera strisciò sulla neve gelida, fino ad arrivare dove sentiva di dover andare.
Quella dolce canzone l’aveva svegliata dalla sua tana sottoterra e l’aveva portata tra le sue mani fredde, eppure perfette per lei.
Sibilò piano in un modo orribilmente simile alle fusa di un gatto mentre lui le accarezzava la testolina.
«Padrone, che piacere vederla.»
«Anche per me è un piacere.»
Chiunque avrebbe stentato a crederlo, ma quei sibili nascondevano una vera e propria conversazione.
«Posso fare qualcosa per lei, mio padrone?»
«Nick Davis mi ha alquanto infastidito oggi. Ho trovato il mio quaderno nel suo zaino, nonostante sapesse quanto detesto quando qualcuno mi prende gli oggetti. Credo che una tua visitina sia d’obbligo.»
Nessuno doveva anche solo osare pensare di sfiorare ciò che era suo.
A quell’età erano i quaderni.
Più tardi sarebbero state le persone.
«Certamente, padrone. Qualsiasi cosa per lei. Dove mi devo far trovare?»
«Vediamo… credo che dal retro della cucina riuscirò senza problemi a farti entrare. Mi raccomando: morsi diretti al collo. Ma non dove si possano vedere; ora fa freddo quindi nessuno si insospettirà quando indosserà maglioni a collo alto. Direi verso il pomo d’Adamo, capito?»
La vipera rilasciò un verso di assenso, strusciandosi sul dorso della mano di Tom.
Il bambino stava per aggiungere qualcosa, quando un suono lo bloccò.
Sussurrò un verso schietto alla vipera che, seppur infastidita, si affrettò a scomparire.
Riddle fece appena in tempo ad alzarsi che dal cancello arrugginito entrò Mrs Cole, ancora mezza brilla, seguita da una piccola figura a lui sconosciuta.
«Riddle! Che ci fai ancora qui fuori? Si gela!» sbottò la preside, cercando di mantenere il suo precario equilibrio.
«Mi scusi, Mrs Cole. Avevo sentito un rumore e volevo assicurarmi che nessuno si fosse ferito.»
“O che nessuno si fosse accorto di un ferito” pensò successivamente la donna, al calduccio nel suo ufficio con una bottiglia di gin in mano.
«Oh beh, meglio che rientriamo. Forza, sbrigati ragazzo!»
Riddle fece per muoversi, quando sentì davvero il rumore di qualcuno che cadeva.
Pensò, e sperò, subito a Mrs Cole, ma si trattava dell’altra figura.
Vista l’evidente difficoltà della preside, fu Tom ad accorrere in soccorso dello sconosciuto.
Quando si chinò per aiutarlo, però, notò tre cose che lo confusero come non accadeva da molto.
Numero uno: i lunghi capelli castani che erano sgusciati fuori dal cappuccio. Si arricciavano in curve verso la fine ed erano ora bagnati sulle punte; lì dove si erano appoggiati alla neve fresca.
Numero due: le labbra, rosse come ciliegie mature nonostante il freddo siderale. Avevano dei segni più scuri, come se i denti le torturassero spesso e volentieri, in un possibile tic di nervosismo.
Numero tre: due, enormi occhi verdi.
Belli, sicuramente, ma non fu questo a stordire il ragazzo normalmente agile e scattante.
Nel momento esatto in cui i suoi occhi si scontrarono con quelli della sconosciuta, Tom si sentì denudato.
Era come se il muro eretto nel corso della sua vita; muro fatto di bugie, carinerie, carisma e solitudine si fosse dissolto, lasciando lì. Vuoto. Inerme. Indifeso.
Che parola strana, così lontana dalla natura di Tom: l’essere indifeso, una sensazione del tutto nuova e sconvolgente.
In quei pochi istanti vide passargli di fronte tutti i dubbi della giornata.
 
Nessuna sorpresa: è il mio compleanno e non è successo nulla.
Mrs Cole mi ha dato la solita busta con dieci sterline, invece Eloise si è impegnata ad accennare un sorriso mentre mi serviva un piatto di porridge in più. Patetica. Il mio, di sorriso, sembrava mille volte più sincero. Il mio sorriso che rischiava di diventare un ghigno, freddo e innaturale per tutti fuorché per me.
Perché le persone danno così tanto peso ai compleanni? Un anno in più di innominabile noia, un anno più vicino alla morte.
E poi, cos’è che dovrei festeggiare? La morte di mia madre? O il mio arrivo in questa meravigliosa prigione che è il Wool’s Institute? Idiozie.
Mi sono girato, puntando lo sguardo sulla prima cosa di interessante oggi: il piccolo quaderno nero che sbucava dallo zaino di Nick Davis. Riuscivo quasi a scorgere le iniziali ‘T.O.R.’ sulla copertina rovinata. Le MIE iniziali. In quel momento non sono riuscito a trattenere un feroce ghigno di soddisfazione.
“Almeno stanotte ci divertiremo.”
 
Gli occhi di Tom si sgranarono in seguito a molte emozioni che lo assalirono una dietro l’altra.
Stupore, paura, curiosità, rabbia…invidia.
Come aveva fatto? L’aveva visto anche lei? Oppure se lo era immaginato lui? Eppure l’aveva percepita dentro la sua mente, l’aveva sentita chiaramente.
Era come un vento estraneo, come se qualcuno avesse aperto uno spicchio di finestra nella sua mente, talmente piccola da non essere dolorosa ma abbastanza grande perché mettesse in subbuglio quell’ordine maniacale di emozioni, idee e ricordi.
Riddle si impose l’autocontrollo e aiutò la ragazza ad alzarsi, stando bene attento però ad evitare uno sguardo così diretto con i suoi occhi.
«Grazie.» sussurrò questa, sorridendogli appena.
La sua voce era delicata, come un soffio di vento.
Tom sentì qualcosa premergli nel sangue, una strana sensazione ai polpastrelli; ma la ignorò.
«Figurati. Io sono Tom, Tom Riddle.»
«Io sono Meredith, Meredith…»
Le guance le si colorarono di un leggero rosa, mentre puntò lo sguardo verso Mrs Cole.
«Meredith Smith» quasi urlò Mrs Cole, ondeggiando pericolosamente nell’impeto di avvicinarsi ai due ragazzini.
«Un’altra, fastidiosa orfanella giunta fin qui dal centro di Willsburg. Quegli schifosi, hanno stanziamenti dal governo, almeno il triplo di noi, eppure continuano a lasciarci delle piccole carogne! Senza cognome né documenti, così tocca a noi inventarci tutto. Ah! Ingrati maledetti, come se non avessimo altro di cui preoccuparci. Con uno come Tom Riddle, di problemi ne abbiamo a bizzeffe! E da oggi ha pure nove anni, ancora altri nove e finalmente potremo scaricarlo a qualcuno.»
Durante tutto quel monologo, Tom aveva tenuto lo sguardo fisso su di un punto imprecisato alle spalle della preside. Era abituato alle accuse non così velate della donna e aveva imparato a controllare la rabbia, per poi scaricarla contro qualcuno di meno pericoloso. Un bambino lì di passaggio, un animale così sfortunato da incrociare la sua strada.
Però in quel momento sentiva chiaramente gli occhi inorriditi della bambina alle sue spalle puntato su di lui e non riusciva a dire o fare niente.
Era terrorizzato: aveva paura di lasciarsi andare.
Un gesto e avrebbe potuto farla pagare a quella vecchia vacca, avrebbe potuto vendicarsi dei torti subiti in quei nove anni di vita.
Eppure non osava muovere un muscolo, non riusciva a fare nulla se non fissare inerme il muro davanti a sé.
Conta le macchie Tom.
Conta le mattonelle Tom.
Conta, conta ogni piccolo dettaglio.
Racchiudi tutto e non farlo uscire.
Racchiudi tutto ma non dimenticare.
Quando però Mrs Cole si avviò verso l’entrata, evidentemente rispondendo ad un bisogno fisiologico, Tom pensò che di lì a poco anche la ragazza l’avrebbe seguita a ruota. Sarebbe rimasto solo e avrebbe potuto sfogarsi senza preoccuparsi di nulla.
Ma passarono i minuti e non la sentì incamminarsi.
Sentiva anzi il suo respiro, a pochi passi da lui.
Avrebbe voluto urlarle di andarsene, di lasciarlo in pace.
Eppure temeva di rivivere quello strano contatto e sapeva che, quella volta, avrebbe visto cose ben peggiori di una banale delusione.
Avrebbe visto come avrebbe voluto ridurre Mrs Cole.
Agonizzante, dolorante, in preda alla sofferenza.
Le avrebbe fatto bere tutto quel maledetto whisky con la forza, fino a vederla cadere inerme.
Tom strinse i pugni, fino a sentire le unghie scavare nella carne pallida.
Era così assorto dai suoi pensieri che quando la ragazza, Meredith, parlò, quasi sussultò.
«Beh, anche se ti conosco da poco… buon compleanno, Tom.»
Riddle non ebbe il coraggio di fare nulla, se non fissare la sua schiena quando dopo aver detto quelle parole si incamminò verso l’entrata.
Il «Grazie», il primo e unico grazie sincero che avrebbe mai voluto dire gli morì in gola.
LUI ERA LUI, DANNAZIONE!
Non avrebbe detto grazie a nessuno, tantomeno ad una sconosciuta che si era limitata a fargli una mera cortesia!
Tom si voltò rapido, infuriato come non mai e richiamò la vipera.
 
La mattina successiva Nick Davis venne trovato svenuto nel suo letto. Il corpo coperto di morsi di un qualche serpente che, stranamente, nessuno riuscì a trovare.
Sembrava essere scomparso nel nulla.
Lo portarono all’ospedale con l’ambulanza e per le successive settimane non si parlò d’altro.
Nessuno osava dirlo, ma tutti avevano un solo sospetto.
Però come avrebbero potuto incolpare un bambino di un attacco evidentemente causato da un animale?
Quindi tutti, bambini e adulti, fecero finta di niente.
Solo Meredith, la nuova arrivata, ebbe il coraggio di guardare Riddle qualche giorno dopo in mensa.
Era seduto da solo, come sempre.
Sfogliava pigramente un quaderno nero con le sue iniziali scarabocchiate sulla copertina e, quando capì di essere osservato, alzò lo sguardo.
Per un secondo a Meredith sembrò di vedere un lampo di esitazione in quegli occhi verdi come il serpente che aveva attaccato Nick.
Il lampo però scomparve veloce come era arrivato, lasciando il posto ad un accenno di sorriso.
Meredith ricambiò timidamente, anche se non poteva che pensare una cosa: quel sorriso era più freddo dei fiocchi di neve che ora avevano iniziato a cadere leggiadri dal cielo.
Era come se quel sorriso avesse congelato l’aria intorno a Tom, facendo nevicare.
Era un pensiero assurdo eppure…
Eppure Meredith non riuscì a togliersi la sensazione di gelo per tutta la giornata.
Quel sorriso le aveva gelato la pelle e quando fu sotto le coperte grigie nella sua camera, prese una decisione.
 
Sarebbe stata lontana da Riddle, per il bene di entrambi. Ciò che si era verificato l’altra notte era stato un errore, avrebbe dovuto imparare a controllarsi. Lui era troppo intelligente, avrebbe potuto spifferare tutto e rovinarle il suo piano di vivere nell’ombra il più possibile.
 
Meredith non sapeva che, nello stesso istante, Tom Riddle stava giurando la stessa identica cosa.
Entrambi giurarono di stare lontano dall’altro.
 
E nessuno dei due riuscì a mantenere la parola.
 

***
 
[1 Settembre 1941]
 
Tom Riddle si sedette alla tavolata Verde-Argenta, fissando con qualcosa di vicino al calore la Sala Grande-
Finalmente l’attesa era finita, finalmente era tornato dove era destinato ad essere.
Strinse la mano intorno alla stecca di tasso, avvertendo quella piacevole sensazione: il potere.
Quasi non si accorse che qualcuno gli si era seduto accanto finché non avvertì una voce fastidiosamente conosciuta rivolgerglisi.
«Quella spilla è quello che penso io? Prefetto?»
Abraxas Malfoy sedeva davanti a lui, i capelli lunghi e di un chiarore quasi innaturale che gli cadevano sulle spalle.
Lo fissava con quel ghigno prepotente, ma Tom poteva vedere con chiarezza gli occhi azzurri che si muovevano incerti, pronti a fuggire al minimo segno di pericolo.
Riddle fece qualcosa di simile ad un sorriso, mentre con la mano lucidava la spilla dorata fissata sulla sua divisa.
«Stupito, Abraxas? Non credevo ci potessero essere dubbi.»
Quando il gufo aveva portato la lista dei libri e il ragazzo aveva notato il pacchetto sapeva già cosa vi avrebbe trovato dentro.
Chi, meglio di Tom Riddle, lo studente modello, avrebbe potuto ricoprire quel ruolo?
Era un altro passo verso il suo obbiettivo.
Un altro passo verso il compimento del suo destino: comandare.
«Come al solito hai il cervello di uno scarafaggio, Ab. Era ovvio che Tom sarebbe diventato Prefetto.»
A parlare era stato Amadeus Nott, un ragazzo dai capelli neri, il fisico scultoreo e gli occhi più scuri della notte.
Ovvio che tutte le ragazze, Serpeverdi o meno, impazzissero per lui.
Malfoy fece una smorfia infastidita e si voltò per parlare con uno del sesto anno, mentre Amadeus si girava verso Riddle.
«Estate pessima come sempre?»
Tom ghignò sarcastico.
«Tu che dici? Un’intera estate senza magia, libri o qualsiasi cosa di anche solo vagamente differente dallo squallore che fa da padrone in quel buco.»
Tutti sapevano delle umili origini di Tom, ma nessuno ne avrebbe mai fatto accenno senza timore.
Nessuno tranne Amadeus Nott.
Era la cosa più vicina ad un amico: il braccio destro, la spalla, il confidente; se necessario.
State bene attenti a non illudervi però: Tom non aveva amici.
Non avrebbe esitato un solo istante dall’uccidere Amadeus, se si fosse presentata un’offerta migliore.
Tom era solo un orfano, ma attirava rampolli purosangue come la luce attirava le falene.
Li bruciava, come la luce bruciava le falene.
Druella e Evan Rosier si accomodarono accanto a loro, insieme a Alexander Zabini e Sebastian Goyle.
La compagnia era ora completa.
Druella sfiorò con la mano il braccio di Tom; negli occhi pazzi lo sguardo adorante che riservava solo a lui.
Occhi così chiari da far paura: sembrava che tutta la luce del mondo si fosse concentrata in quelle iridi; accecando chiunque le si avvicinasse.
Era la Serpeverde più temuta: la sua instabilità emotiva era ormai famosa.
Molte ragazze si erano ritrovate in infermeria perché le avevano rubato il ragazzo, o anche solo salutato.
Era simile a Tom per quell’aspetto: amava rimarcare la proprietà.
Eppure Tom la detestava: sapeva della sua ossessione per lui e l’unico motivo per cui non l’aveva ancora punita era il suo cognome.
Rosier.
Una famiglia antichissima di purosangue: il padre di Evan e Druella era dopotutto il capo del Dipartimento del Controllo Magico Estero.
In poche parole era in contatto con i maghi più potenti del mondo, e Tom si sforzava di ricordarselo ogni volta che sentiva l’esigenza di cruciare Druella fino a farle perdere quel sorrisetto idiota.
La fulminò con lo sguardo, ritraendo il braccio disgustato.
Nessuno aveva il permesso di toccarlo senza il suo consenso. Nessuno.
Druella arrossì per un secondo, prima di tornare a sorridergli e prendere la parola.
«Sono così felice di rivederti, è stata un’estate tremendamente noiosa senza di te, Tom.»
Il modo sdolcinato in cui pronunciava il suo nome gli faceva venire il voltastomaco.
Avrebbe voluto sciacquarle quelle labbra indegne di chiamarlo fino a farle perdere ogni traccia di colore dalla pelle.
Ma si limitò a sorriderle mellifluo, per poi distogliere lo sguardo e guardarsi attorno.
Il suo sguardo si puntò irrimediabilmente sul tavolo dei Corvonero, indugiando su quel posto vuoto.
Come al solito non l’aveva vista per tutta l’estate.
Anzi, non l’aveva più vista da quella volta.
Distolse lo sguardo, infastidito dall’importanza che continuava a ricoprire nelle sue elucubrazioni.
Era meglio. Meglio se se ne fosse andata dalla sua vita.
Era pericolosa, dannatamente pericolosa.
I pensieri vennero interrotti dal richiamo del professor Dippet, il preside della Scuola.
«Bene ragazzi, vi do un caldo benvenuto alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.»
Stupido idiota. Tom sapeva che la sua influenza non era nemmeno un decimo di quella di Albus Silente, il preside non in carica.
Dippet era anziano, lento e tremendamente ingenuo.
Se fosse rimasto solo lui, ingannarlo sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Ma Tom sentiva chiaramente quegli occhi azzurri dietro agli occhiali a mezzaluna che lo squadravano anche in quel momento; cercando di intuire i suoi pensieri.
«Prima di dare inizio al consueto banchetto, vorrei invitarvi a dare il bentornato ad un’alunna che si era assentata per motivi personali. Meredith Smith!»
Il cuore di Tom perse un colpo. La vide entrare dal portone, percorrere tutta la strada fino al leggio e posizionarsi accanto al preside.
Meredith era cresciuta in quei due anni, era diventata una donna.
I capelli le arrivavano poco sotto le spalle ed erano raccolti in una treccia. Anche sotto la divisa si potevano intuire le curve femminili che si erano delineate durante la sua assenza, mentre il sorriso sembrava più sicuro.
Ma l’unico punto di domanda rimanevano loro.
I suoi occhi.
Tom non poté fare a meno che guardarli: erano di quel verde unico che si ricordava e il ragazzo sentì chiaramente le mani tremare, solo per un secondo.
Meredith non l’aveva visto lo sguardo che abbracciava tutta la sala.
Dopo il breve applauso lei poté accomodarsi al suo posto, nella tavolata Bronzo-Blu.
Il preside continuo a parlare ma il Serpeverde non lo ascoltò, tenendo lo sguardo puntato su di lei.
Cercava di carpire le sue emozioni, le sue intenzioni.
Chiacchierava animatamente con i suoi migliori amici, quegli idioti dei Lovegood, e sembrava fosse a suo agio.
Tom stava giusto per distogliere lo sguardo quando lei si voltò.
L’aveva sentito. Aveva percepito il suo sguardo su di lei.
Si studiarono un secondo in silenzio e Riddle avvertì chiaramente una scarica di energia ai polpastrelli, mente quegli occhi verdi lo fissavano senza in realtà avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Qualcuno l’avrebbe chiamata attrazione.
Silente l’avrebbe definita amore.
Tom Riddle a nove anni lo chiamò stupore.
Ma in quel momento, Tom Riddle arricciò le labbra in un ghigno di trionfo.
Lui sapeva cosa fosse quella sensazione, l’aveva abbracciata e conosciuta duranti quegli anni ad Hogwarts.
Meredith l’avrebbe poi definita come paura, molti anni dopo.
 
Ma Tom Riddle in quel momento lo chiamò potere.
Un potere che lo aveva stregato sin da subito, incuriosendolo.
Un potere su cui aveva fatto ricerche ma che ancora non comprendeva.
E se c’era qualcosa che non avrebbe potuto sopportare era l’ignoranza.
Meredith era pericolosa e Tom decise di rompere il patto fatto a nove anni.
L’avrebbe dovuta studiare, esaminare, controllare; affinché non rovinasse i suoi piani.
Tom iniziò a mangiare con una sensazione inebriante in corpo.
Quello si prospettava un anno molto interessante.


Note:
(1) Si tratta di una citazione di Harry Potter e il Principe Mezzosangue.

 
* Angolo Autrice *

Bene, ecco a voi il primo, vero capitolo di questa fan fic!
Qui si inizia a capire un po' il rapporto contorto tra Tom e Meredith e in particolare dal punto di vista del primo. Tom è un personaggio estremamente complesso e spero di averlo reso nel modo migliore possibile. Voglio però fare qualche precisazione, nel caso vi risultasse poco chiaro. 
Il titolo (come tutti i titoli di questa storia) è formato di una sola parola che definirà ciò che accadrà.
In particolare, in questo primo capitolo si parla del primo incontro tra Meredith e Tom da piccoli e del primo da "grandi".
Meredith si era infatti allontanata per motivi che si capiranno nel prossimo capitolo.
Tom sin da subito la teme perché non la conosce: sa che lei ha qualcosa di strano e questo "potere" lo mette in difficoltà. Ma se da piccolo cede alla paura e decide semplicemente di evitarla; da adolescente vuole saperne di più.
Arriva a pensare di poterla "controllare", come si dice nel testo.
Tom è arrogante e il pensiero di lasciare questo mistero irrisolto non gli passa nemmeno per la mente. Decide quindi di rompere il patto con sé stesso e di avvicinarsi a Meredith.
Ci riuscirà? Questo ve lo svelerò solo nel prossimo capitolo XD
Intanto ringrazio di cuore
Psyco XD e Maya_Potter che hanno recensito a dir poco entusiasticamente il prologo e mi hanno lasciato un sorriso a trentadue denti, cambiandomi la giornata ;) Grazie mille! Invito anche i lettori silenziosi a dire la loro, facendomi sapere cosa ne pensano di questo lunghissimo primo capitolo - sempre che qualche anima pia riesca a leggerlo tutto XD - e ringrazio chi vorrà anche solo metterlo tra le seguite! Mi propongo di scrivere ALMENO un capitolo a settimana, quindi entro giovedì prossimo avrete il secondo capitolo ;) Spero di sentirvi in molti e vi saluto con un bacione! <3

 

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Capitolo 3
*** Ricordi ***




CAPITOLO 2 - RICORDI

 
«Modestia a parte, Harry, ho sempre avuto il dono di affascinare le persone di cui avevo bisogno.» (1)
 
 
 [1 Ottobre 1941]
 
Il primo mese di scuola era andato.
Meredith si guardò allo specchio, sorridendo soddisfatta al suo riflesso.
Nonostante le notti rimanessero la parte peggiore, ora riusciva a impedire che il mare di emozioni, ricordi e sentimenti la travolgessero.
Era lì, ad Hogwarts.
E non poteva davvero crederci.
Dopo quello che era successo due anni fa pensava non sarebbe più potuta tornare ma il cielo le aveva mandato un aiuto prezioso.
Albus Silente.
In effetti era rimasta davvero stupita quando l’insegnante di Trasfigurazione le aveva proposto una soluzione al suo problema, quel giorno al San Mungo.
Fino a quel momento aveva parlato al docente solo un paio di volte, una delle quali al Wool’s.
Il giorno più bello della sua vita: quando era venuto a prendere lei e Tom per portarli ad Hogwarts.
Tom.
Non l’aveva più rivisto da quando era partita.
Era cresciuto, era cambiato.
Ora sembrava perfettamente a suo agio tra le mura del Castello, così a suo agio da poter dare ordini a destra e a manca.
Si sentiva in diritto di farlo, ma ancora più sapeva come farlo senza far capire alle sue vittime di essere solo pedine nei suoi piani.
Tom aveva imparato ad ammaliare le persone.
Meredith aveva sempre pensato che il suo potere al Wool’s non si sarebbe ripetuto lì, in un posto pieno di persone ben più sveglie e intelligenti; ma si sbagliava.
Tom Riddle era riuscito ad ammaliare gli insegnanti; a guadagnare il rispetto e la stima del preside; la simpatia e, incredibile a dirsi, l’ammirazione degli studenti.
Aveva capito che si ricavava di più con la gentilezza che con la prepotenza.
Gentilezza che sapeva simulare perfettamente.
In realtà Meredith riusciva a leggere ancora quell’ambizione senza freni nei suoi occhi verdi; quel disprezzo celato accuratamente dietro ai suoi sorrisi e la consapevolezza di essere dieci, cento, mille volte migliore di chiunque gli stesse accanto.
Si era creato la sua banda, di cui lui era l’indiscusso leader, banalmente composta da soli purosangue.
Tom aveva dei grandi piani, Meredith ne era sicura.
Ma voleva stargli distante il più possibile.
Si ricordava ancora bene quanto doloroso fosse stato il loro primo incontro.
Era come essere entrati in una bufera, in un gelo che sembrava non finire mai.
Meredith cercò di non pensarci, ricordandosi ciò che le aveva insegnato Silente.
«Pensa a qualcosa che non ti irriti: le emozioni giocano un ruolo importante sulle tue capacità e la rabbia sarebbe davvero una cattiva alleata.»
L’insegnante di Trasfigurazione le aveva detto chiaro e tondo che non aveva ancora capito a cosa fosse dovuto quel suo strano potere, ma le aveva promesso di fare delle ricerche per scoprirlo.
E per Meredith quello era valso più di ogni risposta: la certezza che qualcuno si interessasse a lei, che non la escludesse dal mondo al quale sapeva di appartenere.
Altro aiuto fondamentale erano stati Phoebe e Seth Lovegood, i suoi migliori amici.
Erano gemelli e l’avevano aiutata ad integrarsi nel mondo magico sin dal primo giorno di scuola.
Phoebe era un’inguaribile chiacchierona, pronta a battersi per ciò in cui credeva: una volta le confessò che il Cappello Parlante fu davvero indeciso se assegnarla a Grifondoro o Corvonero.
Seth era invece più mite e quieto: Corvonero fin nelle ossa, sempre con la testa tra i libri ma con le orecchie pronte a cogliere una richiesta d’aiuto. Seth era generoso e Meredith non sapeva come avrebbe potuto fare senza di loro.
Silente aveva permesso ai suoi due migliori amici di venirla a trovare al San Mungo, a patto che mantenessero il segreto.
Perfino nel Mondo dei Maghi il suo potere era strano e Silente temeva potesse spaventare i genitori degli studenti, facendo in modo che la bandissero dalla Scuola.
Meredith non era più tornata al Wool’s nemmeno durante le vacanze estive perché l’insegnante temeva potessero scaturire degli incresciosi incidenti.
Come quello di due anni fa, in pratica.
Meredith rabbrividì ancora mentre pensava alle urla di dolore di Jason.
Le stesse urla che popolavano i suoi incubi, insieme a delle immagini confuse di persone e fatti che lei non conosceva.
I ricordi di altre persone, di altri luoghi e tempi.
Ricordi che non le appartenevano eppure che bastava uno sguardo per fare suoi.
Ricordi che lei non voleva ma che, inevitabilmente, la trovavano sempre.
Meredith tentò di non pensarci, ma le urla di Jason sembrarono perforarle il cranio.
Ed un tratto si trovò nel passato, nei suoi ricordi questa volta.
Ricordi che avrebbe volentieri regalato a qualcun altro, se avesse potuto.
 
 
[23 Marzo 1938]

 
Jason la schiacciò contro il muro, togliendole il respiro.
«Sai, mi ha davvero fatto molto dispiacere il tuo rifiuto, Maddy
Odiava quel soprannome.
Odiava le mani di lui che giocavano tranquillamente con le ciocche dei suoi capelli.
Ma soprattutto odiava quel sorriso vittorioso che gli si era stampato sul volto.
«Lasciami andare Tiger, altrimenti…»
«Altrimenti cosa? Mi affatturerai con la tua bacchetta che però ora è nella mia mano? Oppure urlerai così che i fantasmi ti sentiranno? Perché sai, solo loro abitano in quest’ala del Castello.»
Meredith maledisse la sua curiosità.
Amava scoprire nuovi passaggi e antri dove nascondersi a pensare, a sfogarsi, e non si era nemmeno accorta che Tiger la seguisse.
Gli aveva detto di no dopo che lui le aveva chiesto di accompagnarla ad Hogsmeade.
Gli disse che lui aveva sedici anni e lei solo tredici e che non si sentiva pronta ad avere un ragazzo.
La realtà?
Piuttosto che stare un intero pomeriggio con Tiger si sarebbe fatta diciotto ore di Storia della Magia ininterrotte, senza pause né distrazioni.
O avrebbe aiutato la professoressa Omega (2) a riordinare la Torre di Divinazione.
O entrambe le cose, contemporaneamente.
Jason Tiger era scarso in tutto: dalla conversazione alla simpatia, dalla bellezza all’inteligenza, fino ad arrivare all’igiene corporale.
Meredith si schiacciò di più contro il muro, cercando di evitare il contatto imminente tra le loro labbra.
«Non ti conviene farlo Tiger, potrei dirlo a qualcuno e…»
«Sarebbe a te che non converrebbe, sai? Potrebbe avere delle conseguenze…»
Meredith rise, sprezzante, e si gustò la sua espressione stupita e infastidita.
Come avrebbe potuto minacciarla? Non aveva beni, né famiglia o aspirazioni particolarmente importanti.
«Cosa vorresti farmi, sentiamo?»
«Beh, non direi precisamente a te. Direi più a quegli strampalati dei Lovegood, se proprio dobbiamo dirlo.»
Ghignò il Serpeverde, godendosi il cambio d’umore di Meredith.
«Non oserai…» soffiò senza parole la ragazza, mentre l’altro sorrideva beffardo.
«Mio padre è il capo del capo della signora Lovegood. E direi che basterebbe uno schiocco di dita per farla licenziare. Avevo sentito che già se la passavano male, con il padre malato e tutto il resto. Non credo tu voglia appesantire ancora la loro deprimente situazione, non credi Mad-»
Meredith non lo lasciò finire.
La rabbia la assalì e incrociò il suo sguardo verde in quello nero come il petrolio di Tiger, incatenando i loro occhi.
Una rapida successione di immagini e suoni le riempirono la testa, come un fiume in piena.
Tiger che veniva preso in giro all’asilo.
Tiger il giorno di Natale, mentre suo padre gli dava il regalo senza nemmeno guardarlo negli occhi.
«Ma cos-?!» urlò Jason, ma Meredith ormai non riusciva più a trattenersi.
Tiger il primo giorno di Scuola ad Hogwarts, quando si era innamorato di Evanna Light, una Serpeverde del sesto anno.
Tiger qualche mese dopo che si era presentato ad un presunto appuntamento con Evanna; ritrovandosi però in mutande, con tutti i Serpeverde attorno che ridevano.
Tiger il giorno del suo compleanno, mentre leggeva il biglietto dei genitori che trasudava lo stesso affetto di un muro.
Tiger che cadeva dalla scopa
Tiger che veniva preso in giro
Tiger che obbligava una ragazza a baciarlo
Tiger che veniva picchiato dal fratello di quest’ultima.
TIGER, TIGER, TIGER.
Ad un certo punto Meredith spezzò il contatto, incapace di andare oltre.
Si ritrovò sudata, stanca e confusa appoggiata al muro.
Sentiva delle urla e dovette trattenere le sue, di urla, quando capì che era Jason a gridare.
Si stringeva la testa, gli occhi spalancati in un muto grido di dolore, ed era sdraiato in una posa grottesca.
Meredith gli si avvicinò, tentando di aiutarlo, ma non fece altro che peggiorare la situazione.
Jason la vide e cominciò ad urlare più forte, mentre delle lacrime gli rigavano il viso.
«OVUNQUE, SEI OVUNQUE! ESCI FUORI, ESCI DALLA MIA TESTA!»
Queste le parole che continuava a ripetere, incapace di smettere di contorcersi in preda ad un dolore enorme.
Meredith si raggomitolò accanto al muro e iniziò a piangere, senza riuscire a muoversi.
Perché doveva essere così sbagliata?
Perché non poteva essere normale?
Perché lei era un mostro?
Mille dubbi e domande senza risposta le riempirono la mente e le sembrarono fossero passati anni quando una mano le alzò il mento.
Incrociò degli occhi azzurri nascosti da degli occhiali a mezzaluna e, per la prima volta nella sua vita, non sentì nulla.
I sentimenti di quell’uomo erano come velati dietro ad un muro impenetrabile perfino per lei.
Meredith non fu mai così normale come in quel momento: allora era solo una ragazzina di tredici anni, spaventata e stanca.
«Venga, signorina Smith. La porto in un posto più tranquillo.»
 
 
[1 Ottobre 1941]
 
 
Più tardi avrebbe scoperto che Jason Tiger era stato portato in infermeria e sedato. Per poi essere, in gran segreto, obliviato.
Silente l’aveva protetta, le aveva salvato la vita. Nei primi giorni Meredith non era riuscita a proferire nemmeno una parola: i Medimaghi lo chiamarono stato di shock, con conseguente indebolimento dei poteri magici.
Il professore di Trasfigurazione le parlò successivamente di un possibile contraccolpo in seguito alla grande fuoriuscita di energia magica tutta in una volta.
«Tornerò ad usare la magia, vero?» gli chiese allora lei, trattenendo le lacrime.
Il pensiero di tornare al Wool’s per rimanerci le stava per provocare un infarto.
Silente sorrise, stringendola in un caldo abbraccio.
«Non tema, signorina Smith. Farò tutto il possibile affinché questo avvenga. Lo prometto.»
E mantenne la promessa.
Nel successivo anno le fece recuperare piano piano i suoi poteri, seguendo il ritmo che la ragazza riusciva a sostenere e senza mai darsi per vinto.
Meredith si chiese quante lezioni avesse perso per venire da lei, ma non ebbe mai il coraggio di chiederglielo.
Eppure lui sembrava non curarsene, la faceva sentire come se la cosa più importante fosse lei.
Meredith pensò spesso che doveva essere quella la sensazione di avere una famiglia; e un groppo le bloccò la gola, perché lei non avrebbe mai potuto averla.
Quando, finalmente, a Giugno del 1941 era riuscita a recuperare, e potenziare, tutti i poteri; Silente le sorrise entusiasta.
Le offrì una Cioccorana e, mentre la scartava, le disse felice:
«Credo che ormai sia pronta a tornare ad Hogwarts, che ne pensa? Eviterei di andare al Wool’s Institute quest’estate perché potrebbe essere troppo faticoso trattenere i suoi poteri; ma non penso che un gufo tarderà ad arrivare con una lettera col materiale del prossimo anno!»
Meredith gli sorrise, grata e senza parole.
Durante quel periodo Silente aveva provveduto a istruirla sulla teoria, di modo che poi potesse tornare all’anno giusto senza dover ripetere i corsi.
Meredith finì di mettersi la divisa e cercò di spingere in qualche antro lontano il leggero mal di testa che ormai da giorni la infastidiva.
«Meredith, sei pronta? Dobbiamo sbrigarci o Lumacorno ci ammazzerà!»
Phoebe entrò sorridendo nel loro Dormitorio e scrutò l’amica con fare indagatore.
«Ancora il mal di testa? Dovresti dirlo a Silente.»
«Non è niente; un po’ di emicrania colpisce tutti. Tranquilla Love, nessun problema.»
L’amica voleva evidentemente controbattere, ma l’uso del soprannome (diminutivo di Lovegood ovviamente) che l’altra uso la intenerì.
«Ok. Seth ci aspetta giù, sbrigati.» disse infine, scomparendo dietro la porta.
Meredith afferrò la borsa dei libri e cercò di nascondere quella strana sensazione che avvertiva. Come se sapesse che stava per succedere qualcosa.
Seth lo definiva “sesto senso”, mentre Phoebe continuava a dire che erano i Nargilli nell’aria a darle fastidio.
La ragazza scese le scale e raggiunse i suoi due migliori amici.
Seth era seduto al tavolo di legno rotondo e stava leggendo, ma quando la vide alzò lo sguardo chiudendo il libro e la raggiunse.
«Siete pronte? Siamo in ritardo, dobbiamo affrettarci.»
Phoebe annuì, alzandosi dalla poltrona dove si era accomodata per aiutare un’amica del quarto anno e insieme uscirono dalla porta della Sala Comune.
Mentre scendevano le scale della piccola torre dove dormivano i Corvonero; Seth prese la parola, con il suo solito tono placido.
«Oggi poi non saremo da soli a lezione. Ho saputo da Kingsley (3) che ci sarà una sorpresa.»
Phoebe increspò le sopracciglia in un’espressione curiosa.
I lunghi capelli biondi le arrivavano fino a metà schiena e qua e là erano legati in piccole treccine, da dove spuntavano dei fiori bianchi.
Meredith si chiedeva sempre dove trovasse la voglia di pettinarsi così elaboratamente, quando lei era già tanto se qualche volta si faceva una coda o una treccia molto spartana. Quel giorno aveva deciso di lasciargli sciolti, al naturale.
Più per pigrizia che per vere motivazioni, in effetti.
«Avanti Seth, tu sai di cosa si tratta, no?» disse la bionda, dando un affettuoso colpo al gemello.
Seth si tolse i capelli dal viso in quel suo gesto che chiunque lo conoscesse riconosceva benissimo.
I capelli biondi, un po’ più chiari di quelli della sorella, erano lunghi e arrivavano poco sotto le orecchie. Molte ragazze rimanevano incantate dai suoi occhi azzurri e da quell’atteggiamento solitario; ma lui non sembrava accorgersene. Seth preferiva stare con poche persone e le uniche due ragazze in genere erano la sorella e Meredith.
Spesso e volentieri qualcuno aveva pensato che fossero una coppia, lui e Meredith, ma dopo poco si smentivano, vedendo l’atteggiamento fraterno con cui il ragazzo vegliava su di lei.
Gli occhi verde acqua di Phoebe fissarono il fratello con insistenza, finché quello non rispose.
«La Gaiamens è assente per malattia, lo sapevate?»
Le altre due annuirono.
«E quindi non potrà fare lezione.» continuò, tranquillo.
«Ma va? E quale sarebbe la sorpresa scusa?» sbuffò la gemella infastidita. La pazienza, o meglio l’assenza di pazienza, di Phoebe era famosa in tutto il castello.
«Beh, oggi avrebbe avuto lezione con i Serpeverde. Ma dato che avevano già perso tre ore con lei, Lumacorno ha chiesto il permesso a Dippet di invitarli alla nostra lezione, così da evitare Serpeverde in giro a non far nulla o, peggio, a creare disastri.»
Meredith sentì chiaramente le mani tremarle, mentre realizzava ciò che Seth stava dicendo.
“Quindi…lui…e io…”
Non poté finire le parole perché, mentre svoltavano in un corridoio nuovo, sentì una voce fin troppo conosciuta parlare con voce dolce.
«Buongiorno Smith. In ritardo come al solito, eh?»
A Meredith non servì girarsi per intuire il sorriso sornione che aveva increspato quelle labbra rosate, né per capire che la stava fissando con insistenza.
Era come se fosse stata trafitta da mille aghi acuminati, ma in modo dolce, quasi innocente.
Maledetto sesto senso.
Maledetta Gaiamens.
E soprattutto, maledetta Phoebe che se la stava ridendo sotto i baffi, mentre col gemello andava avanti lasciandola sola con lui.
 
 
***
 
 
«Maledetto Lumacorno! Uno si aspetterebbe sostegno dal capo di Serpeverde, e invece!» sbuffò Abraxas, sedendosi intorno al fuoco verde smeraldo insieme agli amici.
Tom era seduto su una poltrona nera e lucida, mentre Druella si era accomodata sul bracciolo del mobile, accarezzando con lo sguardo il volto di Riddle.
Amadeus era sdraiato sul divano accanto, mentre Zabini e Goyle erano seduti sull’altro divano, ed Evan completava il gruppo, seduto per terra davanti al camino.
Evan amava le fiamme, le trovava affascinanti.
Era stato lui a donare loro quel colore innaturale e più di una volta qualcuno aveva dovuto richiamarlo dall’andare così vicino alle fiamme, prima che si bruciasse.
Tom si voltò appena alle parole di Malfoy, senza però fargli vedere che stava prestando un eccessivo interesse alle sue parole.
«Cosa avrebbe fatto di così orribile, sentiamo?» chiese annoiato Amadeus.
Malfoy sapeva essere terribilmente melodrammatico e ormai quasi nessuno del gruppo prendeva troppo sul serio i suoi deliri.
«Beh, dato che la Gaiamens è assente, ha chiesto a Dippet di fare da supplente durante le sue ore. Così non perderemo tempo, dice.»
«Lumacorno? Che insegna Difesa contro le Arti Oscure? Non ci credo.» asserì  Zabini, guardando sospettoso Abraxas.
«Infatti non lo farà» rispose con un ghigno Malfoy, continuando poi diendo: «Faremo lezioni extra di Pozioni.»
Druella sbuffò in maniera teatrale e Tom trattenne appena un verso di fastidio: era così rumorosa che gli faceva ribrezzo.
Non aveva eleganza, né raffinatezza.
«Che strazio! Come se non bastassero le sue ore settimanali.» commentò Goyle, guardando infastidio Malfoy, come se fosse stata tutta colpa sua.
Quella conversazione era di una noia talmente elevata che Riddle si alzò; ignorando lo sguardo dispiaciuto della Rosier, e fece per avviarsi al suo Dormitorio per prendere il materiale di Pozioni.
“Per come sei messo in Pozioni Goyle, non ti basterebbero mille anni per riuscire anche nel più semplice infuso!” pensò tra sé e sé.
«Già, e in più non saremo nemmeno soli.» continuò Malfoy.
Tom rallentò il passo ma non si fermò.
Almeno finché non udì il resto della conversazione.
«E con chi saremo, sentiamo» chiese Nott, alzandosi per prendere anche lui il materiale.
«Con quei noiosi so-tutto-io dei Corvonero, ecco con chi!» sbottò Malfoy, facendo una smorfia di disgusto.
Tom udì appena il resto delle battute su come essere coi Grifondoro o con i Tassorosso sarebbe stato peggio; il cervello che lavorava frenetico.
La Gaiamens sarebbe stata assente per un mese.
Un intero mese per potersi lavorare meglio la sua nuova preda.
Un ghigno di feroce vittoria gli si stampò sul volto, deformandolo nell’ombra delle scale.
Sarebbe stato la sua ombra, sarebbe diventato indispensabile. Sapeva come ammaliare le persone meglio di chiunque altro, sapeva dire ciò che volevano sentirsi dire. Fiutava il punto debole di qualcuno e attaccava velatamente fino a ridurli a sue pedine. E con lei non sarebbe stato diverso.
Quegli occhi non gli facevano più così paura: aveva passato gli ultimi due anni a studiare Occlumanzia di nascosto e ora nessuno sarebbe più stato in grado di infrangere le sue difese.
Eppure Tom non poteva lasciare nulla al caso: quell’anno avrebbe raggiunto un traguardo che sognava da anni. Raggiungere il reparto proibito della Scuola sarebbe stato un gioco da ragazzi ora che era un prefetto; e da lì il passo sarebbe stato breve.
Era un obbiettivo di enorme difficoltà e non poteva concedersi di lasciarla vagare indisturbata. Ora poteva anche sopportarla senza problemi, ma quegli inetti dei suoi compagni no. Lei avrebbe potuto scoprire i suoi piani nelle scuse dei suoi seguaci, negli occhi misteriosi di Nott o in quelli irrimediabilmente codardi di Malfoy.
E sarebbe bastato un secondo perché lei corresse a dire tutto a Silente.
Doveva farsela amica.
Doveva farsela compagna.
Doveva renderla inoffensiva.
Avvolgerla nelle spire del serpente, intrappolandola per sempre.
 
***
 
 
Era lì, sentiva la sua voce.
Tom aggiustò il bordo della divisa, attendendo con trepidazione la sua vittima.
Quando sentì che Lovegood le aveva rivelato della sua presenza, anzi della presenza dei Serpeverde, a quella lezione quasi poté immaginarsi quegli occhi verdi sgranarsi per la sorpresa.
L’aveva evitato dall’inizio dell’anno.
Ogni contatto, ogni casuale incontro finiva sempre con lei che gli passava di fianco senza degnarlo di uno sguardo.
Eppure l’aveva visto, lui lo sapeva.
Lo capiva da come si voltava cauta poco dopo, come torturava le labbra coi denti quando avvertiva la sua presenza.
Da come fingeva di non vederlo tradita però dal dilatarsi delle sue pupille poco dopo.
Le tremava la voce, di fianco a lui.
Fingeva, ma nessuno poteva ingannare Tom Riddle.
Lui che sapeva troppo bene cosa volesse dire fingere.
Quando la vide superarlo senza averlo realmente visto si concesse un secondo per studiarla.
I capelli castani le ricadevano in morbidi spirali.
Stava giocando con quella catenina a forma di volpe che portava sempre con sé.
Aspettò il momento perfetto per parlarle, godendosi la sorpresa nei suoi occhi.
«Buongiorno Smith, in ritardo come al solito, eh?»
I suoi amici se ne andarono, uno guardandolo storto e l’altra con un sorriso idiota sul viso.
Come se Tom non capisse le idee frivole che le frullavano nella testa.
Meredith gli si avvicinò piano, come cercando di capire se fidarsi o meno.
«Riddle.» gli disse piano.
Tom sorrise mellifluo, aggiungendo con tono dolce: «Sono stupito, sai il mio cognome. Ora possiamo dare inizio a una conversazione o l’ingegno dei Corvonero è una sciocca diceria infondata?»
Meredith si sentì evidentemente punta nel vivo, perché abbandono l’aria insicura e lo guardò decisa.
Era così facile irritarla, così dannatamente facile.
«No, non è una diceria. E’ tanto vera quanto la leggendaria astuzia dei Serpeverde. Infatti mi stavo giusto chiedendo quanto fosse casuale la tua presenza qui. Dopotutto, il Dormitorio Serpeverde è dall’altra parte del Castello.» soffiò acida, con una punta di sarcasmo.
Così ti voglio, Smith. Fammi divertire un po’, andiamo.
«In realtà stavo aspettando Jackson, dobbiamo accordarci per i turni di sorveglianza.» disse lui, alludendo al Caposcuola Max Jackson di Corvonero, e mentendo platealmente.
La vide studiarlo per capire se fosse sincero o meno e, una volta scelto di credergli, voltò lo sguardo per evitare l’imbarazzo.
Aveva alluso che lui stesse aspettando lei. E ora se ne vergognava. Tom pensò che non si divertiva così da molto tempo.
«Jackson è già uscito, ha Cura delle Creature Magiche stamattina.» rispose semplicemente lei, lanciando rapida un’occhiata al piccolo orologio d’argento che le cingeva il polso.
«Gli parlerò dopo allora. Dato che però siamo qui, direi di dirigerci verso i sotterranei. Ho saputo che abbiamo lezione in comune, o sbaglio?» le fece notare Tom, incamminandosi.
«No, non sbagli.» rispose la Corvonero, accelerando il passo.
Riddle non riuscì a capire se per evitare di arrivare a lezione in ritardo… o per evitare lui.
Forse entrambe le cose.
«Allora? Ti sei ripresa del tutto?» le chiese, interessato.
Meredith lo guardò sorpresa e, se l’era immaginato lui?, spaventata.
«Scusa?» chiese, guardinga.
«Il Vaiolo di Drago, no? E’ per questo che sei stata assente, o sbaglio?»
Tom sperò che lei non avesse visto lo sguardo vittorioso nei suoi occhi. Non aveva creduto nemmeno per un secondo a quella scusa e la sua reazione gli dava ragione.
“Allora per cosa sei stata assente, Smith?”
«Sì, esatto. Sono guarita finalmente, non ce la facevo più del San Mungo.» rispose decisa, ma evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
«Beh, si è sentita la tua mancanza, sai?» le disse, con quel tono fintamente casuale.
Come se non sapesse che tutte le ragazze volevano sentire quelle parole.
Come se non sapesse che tutte le ragazze volevano sentire quelle parole dette da Tom Riddle.
La sua reazione però non se l’aspettò proprio.
Rise, rise di lui con leggerezza.
Tom non riuscì a nascondere la smorfia di fastidio che gli arricciò le labbra.
«Oh andiamo Riddle, non prendermi in giro! Avremo parlato sì e no una decina di volte nella nostra vita, dubito altamente di esserti mancata! Dubito perfino che tu o qualcun altro vi siate accorti della mia assenza!» gli disse, sarcastica.
Era stato stolto e frettoloso. Era una Corvonero dopotutto, quelle carinerie non potevano ammaliarla come con gli altri. Le altre. Lei non era come le altre, in fondo.
«Ti sorprenderesti di quanto ti sbagli» le disse solo, prima di entrare nell’aula.
Sentiva il suo sguardo sulla schiena ma non si voltò.
La voleva lasciare lì, con quelle parole criptiche nella mente per le successive due ore.
«Oh, signor Riddle, signorina Smith! Vedo che avete deciso di deliziarci con la vostra presenza!» esclamò il professore di Pozioni, guardandoli di sottecchi.
«Mi scusi professore, io e Meredith ci siamo attardati chiacchierando. Non accadrà più.» disse il Serpeverde, sfoggiando quel suo sorriso sghembo che sapeva far sciogliere Lumacorno. Aveva una passione per Tom, così come per tutti i suoi prediletti: quello che lui chiamava Lumaclub. Quindi nessuno si sorprese quando il professore sorrise di rimando per poi lasciar perdere il ritardo che sicuramente sarebbe valso una punizione per chiunque altro.
Chiunque altro tranne Tom. Lui non era e non sarebbe mai stato come gli altri.
«Beh, purtroppo siete arrivati alla fine e i calderoni (4) sono finiti. Temo dovrete condividerlo con qualcuno. Signor Riddle, lei può andare dal signor Lovegood. Mentre lei, signorina Smith, credo potrà sfruttare l’ospitalità di… Amadeus Nott. Forza che iniziamo!»
Riddle sentì il gelo nel sangue.
Nott se la stava già mangiando con gli occhi e non attardò a presentarsi, porgendole la mano. Quel contatto lo infastidì più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Odiava che si toccasse una sua preda, un suo bersaglio.
Solitamente non avrebbe fatto pieghe, convinto com’era della sua evidente superiorità, ma Nott… Nott era bravo, seppur comunque inferiore a lui. Amadeus gli assomigliava in molti aspetti e conosceva troppo bene quello sguardo che ora animava i suoi occhi neri.
Meredith, con i suoi capelli profumati e lo sguardo fiero, gli piaceva.
L’avrebbe considerata la sua prossima sfida.
E Tom non l’avrebbe permesso.
Quindi si andò a sedere accanto a Lovegood, grato che almeno fosse quello intelligente tra i due gemelli svitati.
Non disse una parola, ma ad ogni contatto ‘casuale’ tra i corpi di Meredith e Amadeus, sentì il sangue vibrargli nel corpo e le mani tremare un poco per la rabbia.
Non aveva ancora avuto il tempo di farsi spazio nella sua mente, era ancora troppo presto.
In effetti, perfino Druella se ne accorse.
E mentre uno come Malfoy si sarebbe solo chiesto perché Tom ce l’avesse tanto con quelle radici di elloboro da tritarle con tanta crudeltà; una come Druella capì perfettamente ciò che stava succedendo.
Travasando tutto, ovviamente, nella sua ottica ossessiva e paranoica.
Tom e Meredith che facevano tardi.
Tom che inventava una scusa per quella Corvonero, cosa che nemmeno per lei aveva mai fatto.
Quei capelli ingarbugliati, evidentemente così spettinati solo per le troppe carezze.
Druella fissò con astio Meredith, assaporando il gusto della rabbia che le riempì la bocca.
Nessuno si sarebbe avvicinato a Tom più di lei, soprattutto una Sanguesporco orfana e senza doti.
Nessuno si sarebbe avvicinato a Tom…senza aver assaporato la sua vendetta.
 
 
***
 
 
Nott si sporse in un gesto apparentemente innocuo con la scusa di vedere la pozione per valutarne il grado di preparazione, ma con il fine sottointeso di annusare ancora una volta quell’odore.
Era un misto tra il profumo delle pagine dei libri e l’odore della pergamena, insieme ad un accenno di shampoo alla menta.
Meredith stava pesando concentrata delle unghie di Drago e Amadeus si concesse di osservarla meglio: era bella ma di una bellezza fuori dal comune. Le curve non erano poi così eclatanti e altrettanto si poteva dire della forma del viso. Banale, per certi versi.
Eppure.
Eppure quelle labbra rosse naturali e quegli occhi enormi lo affascinavano.
Avevano qualcosa di strano, di misterioso.
Era da tanto che non provava quella sensazione inebriante e un sorriso crudele gli increspò le labbra.
Amore?
Attrazione?
No: fame.
Fame di sfida, di gara contro sé stesso.
Amava alla follia darsi degli obbiettivi all’apparenza irraggiungibili e raggiungerli ogni volta.
Come quando si era messo in testa di entrare nella squadra di Quidditch.
O quando aveva voluto sfidare Jeremy Akso, un Grifondoro di tre anni più grande di lui, in una gara di incantesimi.
La fine? Jeremy disteso a terra, schiantato con una facilità disarmante.
Aveva corteggiato e avuto molte donne, più di quanto ci si potesse aspettare da un quasi sedicenne, eppure l’innocenza di quelle labbra lo allettava in un modo quasi indicibile.
Le avrebbe morse, graffiate, dilaniate; facendole diventare viola.
«Mi passeresti l’estratto di viola, Nott?» gli domandò lei, strappandolo ai suoi pensieri.
Le sorrise affabile, porgendole la boccetta richiesta.
«Oh, ti prego… chiamami Amadeus.» aggiunse poi, con voce roca e suadente.
 


Note:
 
(1) E’ una frase presa da Harry Potter e la Camera dei Segreti, detta ovviamente dal ricordo di Riddle.
(2) Non ho trovato online indicazioni sul nome della docente di Divinazione al tempo di Tom. Dunque l’ho inventata, ma se sapeste il nome accertato non esitate a dirmelo e cambierò il testo ;)
(3) Non si tratta ovviamente di Kingsley Shacklebolt di Harry Potter, ho pensato fosse suo padre data l’età. Considerate che Kingsley è giovane quando nel 1993 appare per la prima volta nel Prigioniero di Azkaban. Dunque potrebbe essere suo padre, magari da cui ha preso nome e cognome (un po’ come Tom insomma) ;D
(4) Vorrei infine spiegare la storia dei calderoni. So che ogni studente di Hogwarts deve possederne uno (in peltro, misura standard 2, per essere precisi XD) ma come ci dice la Rowling in Harry Potter e il Principe Mezzosangue la scuola mette a disposizione del vecchio materiale per ogni evenienza. Ho pensato che, essendo poveri, sia Meredith che Tom usassero quelli scolastici che, però, in quel momento erano già stati tutti presi. Mi sembra plausibile, no? :D
 
*Angolo Autrice*
 
 
Finito anche questo terzo, fondamentale capitolo della storia! Ho davvero molte cose a dire a riguardo, quindi faccio presto. In questo capitolo conosciamo meglio Meredith, la protagonista femminile della storia. Spero vi piaccia e sia realistica; Meredith non è una ragazza, come dice Nott, di immensa bellezza: non voglio che sia quella perfetta ragazza senza difetti. Nel corso della storia in effetti ne scopriremo molti ;) E qui giungiamo anche a Nott: Meredith non sarà la ragazza che farà svenire tutti i maschi ai suoi piedi, sia chiaro. Tom la vuole dalla sua parte perché teme che lei possa leggere negli occhi dei suoi amici i suoi piani; mentre Amadeus la vuole solo per gioco. Si diverte a vedere fino a che punto può ottenere ciò che vuole e in realtà non gli importa nulla di lei. Non se ne innamorerà mai, anche perché ciò che gli dirà Riddle nel prossimo capitolo basterà a togliergli strane idee dalla testa XD Su Druella credo sia tutto piuttosto chiaro, quindi non dico oltre. Voglio solo ringraziare le quattro persone che hanno messo tra le seguite la storia e in particolar modo
Hitsu394, Alherrie e _Shanna_ per le entusiastiche e meravigliose recensioni che hanno fatto al primo capitolo! Grazie di cuore, spero che vorrete dirmi cosa ne pensate anche di questo ;D E l’invito è ovviamente esteso anche ai lettori silenziosi! Vi lascio infine il link al mio account facebook (https://www.facebook.com/thebaby.lugia), se voleste contattarmi per chiacchierare di Tom Riddle e sclerare insieme XD Come sempre mi propongo di pubblicare entro una settimana da oggi, quindi ci sentiamo presto! Un bacione a tutti! <3
 

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Capitolo 4
*** Piani ***




CAPITOLO 3 - PIANI
 


«Lei lo sapeva…allora?» «Sapevo di aver appena incontrato il più pericoloso mago Oscuro di tutti i tempi?  No, non avevo idea che crescendo sarebbe diventato quello che è» rispose Silente «Tuttavia fui senza dubbio affascinato da lui. Tornai ad Hogwarts deciso a tenerlo d’occhio […]; ma già sentivo di doverlo fare per il bene degli altri quanto per il suo.» (1)
 
 
 
[1 Ottobre 1941]
 
 
Silente uscì dal suo studio, immerso nei pensieri.
Meredith Smith era tornata a scuola e lui non poteva che esserne felice, eppure continuava a chiedersi se fosse stato saggio farla guarire… farla riavvicinare a lui.
Il mago aveva notato sin da subito, sin dal loro primo incontro, l’interesse anomalo di Tom per la ragazza.
All’inizio l’aveva liquidata come una semplice attrazione, ma poi dovette ricredersi.
Tom l’aveva visto, aveva notato lo straordinario potere che Meredith possedeva.
Dopo quella sfortunata sera del 23 Marzo Silente ne fu più che certo.
E ormai conosceva abbastanza bene Tom per poter asserire con estrema sicurezza che non avrebbe lasciato quel mistero irrisolto.
Era attratto dal potere, potere che sapeva esercitare magistralmente e far passare inosservato perfino agli occhi degli adulti intorno a lui.
Ma Tom sapeva che lui non lo perdeva d’occhio, che era sempre lì ad osservarlo.
Ed era abbastanza intelligente per prendere delle precauzioni.
Soprattutto con lei.
Molti casi strani, ricollegabili a quei misteri che avevano colpito il Wool’s Institute prima di Hogwarts, erano avvenuti sporadicamente; eppure lui era riuscito ad evitare qualsiasi collegamento con sé stesso.
Nessuna prova, nessun testimone.
Aveva imparato a nascondersi, a proteggersi.
Tom Riddle ormai non era più il confuso ma comunque prepotente bambino di undici anni che aveva conosciuto allora; ora era un uomo.
Un uomo intelligente, potente, ambizioso, furbo e determinato.
Un uomo che aveva dei progetti e che sapeva come attuarli senza che qualcuno lo intralciasse.
 
 
«E’ pericoloso, mi creda!»
 
 
Le parole spaventate della cuoca dell’orfanotrofio gli tornarono alla mente.
Quando poi scoprì che lui era l’uomo che doveva portare via Tom arrossì, temendo di averlo dissuaso dal dargli un posto ad Hogwarts.
Allora Silente non ci aveva dato peso, ma in quel momento temette davvero di aver fatto un errore.
Meredith sapeva cavarsela, non aveva dubbi, ma Tom era bravo e avrebbe potuto seguire metodi poco ortodossi pur di raggiungere i suoi scopi.
Il buonsenso gli disse che doveva fare qualcosa, che doveva avvisare Meredith, che doveva parlare con Tom, che doveva agire.
Ma uno dei suoi difetti più grandi lo bloccò: la curiosità.
Era sinceramente interessato a vedere se non sarebbe successo il contrario, se non sarebbe stata l’influenza di Riddle ad avere la meglio.
Se Meredith sarebbe riuscita a migliorarlo, a cambiarlo.
Se…
Se Tom sarebbe mai riuscito ad amare qualcuno diverso da sé stesso, anche solo come amico.
E poi, in caso di bisogno sarebbe potuto intervenire senza problemi.
Sapeva con certezza di essere l’unico che Tom temesse dentro quella Scuola… l’unico o quasi.
Quell’ultima osservazione gli increspò le labbra in un sorriso divertito, mentre si addentrava nei Sotterranei per parlare con Lumacorno.
Quando però arrivo si fermò a contemplare quella scena alquanto spassosa, a dire il vero.
Meredith parlava tranquillamente con un Serpeverde.
E Tom dietro  tratteneva a stento la rabbia dietro ad un sorriso sghembo fingendo di conversare con Malfoy, mentre li osservava di nascosto.
Geloso.
Tom Riddle era evidentemente geloso.
Silente non si illuse che fosse per un reale affetto verso la ragazza, quanto per la propensione del Serpeverde di rimarcare la sua proprietà.
Tuttavia decise di concedergli del tempo, per vedere quanto e come quel sentimento si sarebbe trasformato.
Fece quindi un passo avanti, incrociando il suo sguardo tagliente senza smettere di sorridere; avvicinandosi all’Aula di Pozioni.
 
 
***
 
 
Meredith non riusciva proprio a capire.
Amadeus Nott non l’aveva mai degnata nemmeno di uno sguardo, nei primi tre anni di Scuola, e ora sembrava intenzionato a diventare il suo migliore amico.
Il fatto poi che sentisse chiaramente la voce di Tom a pochi passi da lei non fece che renderla più tesa.
Era diffidente per natura e non riusciva a comprendere a cosa mirasse Nott.
Però dovette ammettere che i pettegolezzi sul suo conto fossero fondati: Amadeus era certamente un ragazzo affascinante. I capelli neri che sembrava indomabili, la pelle appena abbronzata e le labbra curvate in un seducente sorriso.
Un sorriso caldo, accogliente.
Non freddo e distante come il suo.
Meredith sentì che Nott stava per farle una domanda dal tono di voce e quindi cercò di ascoltarlo con più attenzione.
«Non te la cavi male in Pozioni, nonostante il periodo di assenza. Hai fatto pratica in ospedale? Sai, sei migliore di molti che conosco e che hanno avuto tutto il tempo di migliorare!» le disse tranquillo, continuando a sorriderle.
«Già, beh, ecco… Ho avuto un aiuto prezioso.» rispose lei, imbarazzata. Non era abituata a ricevere dei complimenti: al Wool’s non è che ne piovessero molti dalle labbra severe di Mrs Cole.
«Se ti trovassi in difficoltà non esitare a chiedere. So che te la caverai bene comunque, ma per ogni evenienza sono qui.» concluse lui, concedendole appena uno sguardo divertito prima di voltarsi per raggiungere Evan Rosier e Sebastian Goyle.
Meredith rimase lì, a corto di parole per la prima volta da molto tempo.
«Sei pronta ad andare?» le chiese Seth raggiungendola e prendendole la mano.
Era un gesto che a molti sarebbe potuto sembrare equivoco, ma Seth non si curava di ciò che pensava la gente: lui voleva molto bene a Meredith e non si sarebbe fatto quindi problemi a dimostrarglielo finché lei avesse voluto.
Dal canto suo, Meredith adorava stringere la mano del suo migliore amico.
Seth era la sua ancora, il suo sostegno. Se Phoebe preferiva starle accanto con le parole e i sorrisi, Seth le faceva dono di quei piccoli gesti intimi tra di loro: un bacio sulla guancia ogni tanto, una stretta di mano o un piccolo buffetto sulle goti.
Erano gesti pieni d’affetto che lei non aveva mai conosciuto nella sua infanzia e di cui aveva bisogno.
E lui era troppo intelligente per non aver compreso quel suo bisogno.
La ragazza gli strinse di rimando la mano, facendo per alzare lo sguardo ritrovandosi però agganciata da uno sguardo familiare ed accogliente.
«Buongiorno Meredith, Seth.» li salutò sorridendo il professor Silente.
La barba rossiccia era legata verso la fine da un laccio blu scuro, dello stesso colore della lunga veste da mago che indossava quella mattina.
«Professor Silente! Buongiorno!» rispose Meredith, felice.
Vedere l’uomo era un po’ come vedere la sua famiglia.
La stessa sensazione di quando aveva rivisto Phoebe e Seth il giorno dopo la fatidica data, al San Mungo.
«Vedo che si sente bene. Procede tutto come speravamo, vero? Nessun incidente?» aggiunse poi l’insegnante di Trasfigurazione, abbassando la voce.
Lei non lo sapeva, ma qualche passo più avanti un paio di occhi verdi si erano appuntati interessati sulle loro figure, pronti con le orecchie a catturare qualsiasi dettaglio ritenuto importante.
Meredith fece segno di no, cercando di non farsi vedere spaventata.
L’idea che potesse succederle ancora la terrorizzava più di quanto esprimesse a parole, ma capì che la sua paura non era passata inosservata quando Seth rafforzò la stretta di mano, accarezzandole il palmo della sua con le dita.
Silente sorrise calmo, come se non si aspettasse nulla di diverso da quella risposta.
«Eccellente! Beh, credo che noi ci vedremo domani a lezione. Devo discorrere col professor Lumacorno di alcuni dettagli per la supplenza alla signora Gaiamens, quindi, se volete scusarmi; mi congedo augurandovi un buon proseguimento di giornata!»
Detto ciò, l’uomo si allontanò avvicinandosi all’altro docente.
«Sicura di non volergli parlare dei mal di testa, Fox?»
Seth era l’unico che usasse quel soprannome con lei.
Si riferiva ovviamente al ciondolo a forma di volpe che l’amica non lasciava mai.
L’unico oggetto che la legasse in qualche modo alle sue origini.
L’unico oggetto ritrovato con lei nella cesta una volta abbandonata di fronte al Mercy Hospital.
Meredith annuì, sicura.
Seth non aggiunse altro: uno dei suoi tanti pregi era quello di non insistere.
Quindi i due si avviarono verso il Parco, dove avevano deciso la sera prima di passare quell’ora buca a studiare Rune Antiche.
Passando davanti al nugolo di Serpeverde però Meredith non riuscì a non notare due sguardi che non la perdevano di vista.
Uno era quello di Druella Rosier, che la fissava quasi volesse divorarla.
E l’altro era di un paio di occhi verde scuro, che non facevano trapelare alcuna emozione.
Meredith avvertì lo stesso gelo di sei anni prima e per un secondo ebbe paura di ripetere lo scontro mentale del loro primo incontro, ma sorprendentemente venne respinta.
Era una barriera debole che sapeva di poter infrangere se in preda a forte emozioni, ma in quello stato di calma bastò a bloccarla.
Le pupille di Riddle si dilatarono per la sorpresa e le rivolse un sorriso mellifluo, perfetto per nascondere l’irritazione che lo stava divorando.
Meredith non volle indagare oltre: seguì il migliore amico su per le scale, mai così vogliosa di sentire l’aria fresca sulla sua pelle e di lasciare l’odore di chiuso dei Sotterranei dietro di sé.
 
 
***
 
 
Tom Riddle aspettò e aspettò.
Quella giornata maledetta sembrava non finire mai, e l’irritazione e la rabbia si accumulavano sulle punte delle dita, ma lui sapeva che agire di fronte a tutti sarebbe stato da sconsiderati.
Ovunque andasse, ovunque si nascondesse, sentiva il peso di quelle iridi azzurre nascoste dagli occhiali a mezzaluna sulle sue spalle.
Per chiunque sarebbe stato impossibile resistere alla rabbia, trattenere le emozioni simulando una calma che era ormai ben lontana dal suo stato d’animo.
Ricambiava i sorrisi e le risate con la sua solita arroganza, rispondeva ai docenti e li lusingava con estrema eleganza.
Ma ogni volta che incrociava gli occhi neri di Nott doveva fare violenza sulla sua mente per evitare che la mano ricorresse alla bacchetta di tasso, che al contempo lo attraeva, impaziente.
Lo sguardo di lei gli riempiva la testa nei momenti meno opportuni, facendolo infuriare ancora di più. Era riuscito a evitare quello strano scontro mentale solo per un pelo: Meredith era diventata più forte durante l’assenza. Lui anche, di sicuro, ma due anni di Occlumanzia erano a malapena riusciti a impedirle di accedere a quella caverna buia e misteriosa che era la sua mente. Doveva occuparsi della faccenda al più presto.
Ciò nonostante Tom Riddle non fece trasparire nulla fino alle undici di sera, quando rimasero solo lui, Abraxas, Evan, Druella e Amadeus nella Sala Comune.
La luce smeraldina del fuoco illuminava debolmente quel covo di ombre e oscurità, senza però riuscire a riscaldare il freddo eterno che dominava la stanza.
«Abraxas, Evan, Druella, credo sia ora che andiate a letto. Non vorrete far tardi per le lezioni di domani, no?» disse calmo Tom. Il sorriso placido in netto contrasto con le iridi verde scuro che li trafiggevano come punte acuminate.
Abraxas sparì in un baleno, diretto ai Dormitori; seguito da Evan che come al solito si era alzato mal volentieri dalla sua posizione accanto al camino.
Druella invece rimase lì, a fissare Riddle come se stesse combattendo una lotta tra sé e sé.
Alla fine, si arrischiò a dire con un tono che voleva essere dolce ma che suonava solo impaurito: «Sicuro, Tom? Avevi detto che… che saremmo stati soli… te l’avevo chiesto a Cura delle Creature Magiche, ricordi?»
L’unico ricordo di Riddle su quella lezione era la sua fastidiosa vocina leziosa che gli trapanava i timpani, ignara di star giocando con un serpente famelico e affamato di vendetta.
Tom si massaggiò le tempie, storcendo il viso in una smorfia infuriata che fece arretrare Druella.
«Ho cambiato idea, Rosier. E ora vattene, prima che decida di star perdendo il mio tempo in tua compagnia. In questo momento non saprei scegliere qualcosa che mi andrebbe meno che stare da solo con te. Fuori, ora!» sputò infine, senza urlare ma peggio che se l’avesse fatto.
Druella trattenne a stento le lacrime, salendo le scale del Dormitorio Femminile.
Tom non lo seppe mai, ma la ragazza si fermò poco sopra il sesto gradino, con le orecchie tese ad ascoltare la conversazione tra i due ragazzi.
Tom non ne fu mai certo al cento per cento, ma fu colpa sua ciò che sarebbe successo il giorno dopo.
Tom non lo seppe mai, ma se Meredith abbassò la guardia fu solo grazie alla ragazza che aveva odiosamente respinto.
In quel momento però Riddle era troppo impegnato a fissare con le labbra curvate in un sorriso sarcastico e gli occhi pieni di astio il ragazzo che era seduto su una poltrona, ammutolito e confuso.
«Ti sei divertito alla lezione di Pozioni, Nott?» chiese Tom in un sibilo tremendamente simile a quello che usava per comunicare con i serpenti.
Amadeus mantenne la calma, troppo intelligente per non capire di essere nei guai; troppo furbo per farlo capire al ragazzo di fronte a lui.
«Per quanto ci si possa divertire ad una lezione di Pozioni, direi.» rispose vago, incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi magnetici.
Riddle pretendeva che le sue prede lo guardassero negli occhi prima dell’attacco.
Riddle assaporava il cambio di emozioni, il vacillare delle pupille.
Riddle era fermamente convinto che si potesse conoscere veramente un uomo solo da come reagiva di fronte al pericolo. E Nott gli confermò l’idea che aveva di lui: temerario, incosciente. Incapace di inchinarsi, di supplicare. Era troppo simile a lui, anche se ovviamente Tom lo superava per crudeltà e furbizia.
Era troppo simile a lui perché Tom non sapesse come fargli capire i suoi sbagli.
Tom sorrise, mellifluo, mentre estraeva la bacchetta dalla tasca e se la rigirava pigramente tra le dita.
«Oh, non prendiamoci in giro. Ho visto quanto tu sia divertito oggi, Nott. Non ho nulla in contrario sul tuo divertimento, anche perché molto spesso esso diverte anche me, ma oggi non è stato così. Sai come odio quando qualcuno tocca qualcosa di mio, vero?»
Un movimento veloce e la bacchetta di Amadeus volò lontano dal tavolo e finì accanto al camino, dietro a Tom.
Non che fosse necessario, Amadeus sapeva cosa stava per succedere e sapeva benissimo che difendersi avrebbe reso solo peggiore la punizione.
Perché? Perché spesso e volentieri era lui a punire i loro compagni, quando Tom non ne aveva voglia.
Quindi Nott non reagì, continuando imperterrito a stare al gioco del capo.
«Sì, lo so.» rispose semplicemente.
«Grandioso! Perché sai, ne dubitavo seriamente dopo averti visto avvicinarti alla Smith, oggi.»
Quindi era quello? La Smith era diventata la nuova preda di Riddle?
«Non… non sapevo ti interessasse.» si scusò piano Amadeus, sentendo un brivido percorrergli la spina dorsale.
«Non sapevi mi interessasse? Strano, di solito tu ti vanti di sapere tutto di me, no?» lo prese in giro Riddle, lo sguardo feroce come quello di un serpente prima dell’attacco.
«Sei il mio braccio destro, Nott. Mi hai visto parlare con lei stamani, avresti dovuto capire che era una cosa mia. Ma forse ho sopravvalutato la tua capacità deduttiva, la tua intelligenza. Forse non sei in grado di ricoprire il ruolo di mio braccio destro. Ho ragione di pensare questo, Amadeus?» gli chiese, riempiendo di disprezzo ogni singola parola.
Nott negò con la testa, incapace di parlare.
Troppo impegnato a non urlare vedendolo avvicinarsi sempre di più, la bacchetta che sprizzava scintille rosse.
«Forse hai ragione. Ho deciso di lasciarti il beneficio del dubbio, sai quanto sono generoso. In effetti, avrai la possibilità di redimerti, facendo qualcosa per me. Ma prima, purtroppo, devo punirti. Sai che perfino la mia generosità ha i suoi limiti, lo capisci Nott?»
Riddle non aspettò nemmeno la risposta del ragazzo e agì rapido, viziato dall’esperienza.
La bacchetta vibrò felice tra le sue lunghe dita affusolate mentre con un “Silencio” evitava che il suo bersaglio esalasse anche solo un respiro.
Poi, con uno sguardo di puro odio, sibilò l’incantesimo che sapeva sarebbe stato abbastanza forte da fargli capire quanto sbagliato fosse sfidarlo e allo stesso tempo non così forte da causare l’allontanamento di Amadeus dal gruppo. Come se potesse davvero allontanarsi da lui.
«Deprimo!»
Tom vide il terrore negli occhi muti di Nott, mentre si contorceva in pose grottesche.
La didascalia del libro di Incantesimi gli passò sotto gli occhi, mentre osservava con soddisfazione il volto deformato dal dolore di fronte a lui.
 
Questo incantesimo crea una forte pressione sulla cosa o sull'oggetto scelto, che può provocare la sua violenta distruzione. (2)
 
Trovare il giusto equilibrio affinché potesse causare dolore senza uccidere era stato un gioco da ragazzi per la mente brillante di Tom.
Poteva quasi immaginarsi la pressione che Nott avvertiva stringere e comprimere i suoi organi interni; abbastanza da fare un male incredibile, non così tanta da distruggerli in modo irreparabile.
Dopo qualche minuto di tortura, levò la bacchetta interrompendo l’incanto.
Nott giaceva a terra, sudato e immobile, con le mani che stringevano l’addome spasmodicamente.
«Spero che non dovremo ripetere questa conversazione ancora, vero Nott?» concluse, sorridendo dolcemente.
Amadeus riuscì a guardarlo un secondo, prima di crollare a terra, svenuto.
Tom mosse la bacchetta, mormorando un leggero “Sonorus”, prima andare verso le scale del Dormitorio Maschile.
Aprì la porta della sua camera e si rivolse a Zabini, che stava leggendo indisturbato sul suo letto a baldacchino.
«Io e Nott abbiamo bevuto qualche burrobirra e credo che lui abbia esagerato. E’ svenuto in Sala Comune, vallo a prendere.» disse solo, distendendosi poi sul suo letto mentre il compagno di stanza usciva senza fare altre domande. Non che ce ne fosse bisogno, ovviamente.
C’era solo un motivo per cui qualcuno sveniva se in compagnia di Riddle, e l’alcool non c’entrava niente.
Tom si infilò il pigiama e si mise sotto le coperte di velluto smeraldo, accarezzando pensieroso la bacchetta.
Il giorno dopo avrebbe dovuto parlare con Amadeus e con quell’altra, per poter iniziare il suo piano.
Meredith non sapeva cosa l’aspettasse, e quel pensiero lo cullò nel mare dell’incoscienza.
Tom Riddle si addormentò con la bacchetta stretta tra le mani e la mente piena dei grandiosi progetti per l’indomani.
 
 
***
 
 
[2 Ottobre 1941]
 
Druella Rosier non riuscì a toccare cibo.
Il cuore non aveva smesso di batterle forsennatamente da quando aveva sentito quelle parole uscire dalle dolci labbra di Tom.
Parole che ora le riempivano le orecchie, assordandola.
 
«Grandioso! Perché sai, ne dubitavo seriamente dopo averti visto avvicinarti alla Smith, oggi.»
«Mi hai visto parlare con lei stamani, avresti dovuto capire che era una cosa mia. »
 
Il modo in cui la sua voce aveva sottolineata la parola “mia” le faceva venire i brividi.
Druella  ebbe un moto di rabbia e infilzò crudelmente il povero pancake sul suo piatto.
Evan le scoccò uno sguardo tra l’infastidito e il preoccupato.
Il loro rapporto era sempre stato un continuo punto di domanda: passavano dall’essere talmente vicini da provocare dicerie che iniziavano con la parola “incesto” fino all’odiarsi in modo plateale. Nella loro famiglia non avevano mai avuto una dimostrazione di affetto e quindi non sapevano cosa provare nei confronti l’una dell’altra.
Evan poteva diventare incredibilmente protettivo in un secondo per poi, il secondo dopo, essere lui stesso la causa della sofferenza della sorella.
Druella lo ignorò, deviando lo sguardo fino a raggiungerlo.
Era bello come sempre, in silenzio mentre beveva il solito caffé senza zucchero.
Il fatto che avesse assistito alla tortura di Nott per mano dell’uomo che la ossessionava non sembrò arrecarle alcun disturbo.
Era parte del suo fascino, dopotutto. Il potere e Riddle erano strettamente legati; non poteva volere uno senza desiderare anche l’altro.
In più, era ovviamente dispiaciuto di ciò che aveva dovuto fare.
Si capiva da come guardava con l’abituale gelida indifferenza le persone di fronte a lui.
O meglio, Druella era l’unica che potesse pensare qualcosa di simile.
Quando sentì la sua voce però si voltò anche lei, la rabbia che le colmava il sangue nelle vene.
Quella Sanguesporco sorrideva affabile, mentre si sedeva accanto ai suoi solito amici idioti.
Druella la guardò con astio crescente, senza avere però il coraggio di scoprire se anche Tom la stesse fissando.
E poi, la sua concentrazione fu attratta da un dettaglio molto invitante.
Quella racchia si stava spruzzando del profumo.
Profumo che ora riponeva nella borsa nera, per poi continuare a parlare con la bionda ossigenata di fronte a lei.
Un sorriso poco raccomandabile le increspò le labbra.
Sapeva esattamente cosa fare.
 
 
***
 
 
Tom si appoggiò al muro del corridoio fuori dall’aula di Storia della Magia.
L’aveva ignorata tutta la mattina, le era passato affianco sentendola irrigidirsi ma non le aveva rivolto la parola e nemmeno uno sguardo.
Niente. Ecco come doveva sentirsi.
Doveva pensarlo, chiedersi perché non le parlasse più.
Doveva essere dentro ai suoi pensieri, dentro alle sue giornate, senza esserci fisicamente.
Doveva diventare la sua ossessione.
Tom era troppo bravo nella caccia per avere dubbi sulla sua strategia.
Quando sentì il professor Ruf salutare la classe e la porta aprirsi si alzò, aspettando la persona che cercava.
Alyssa Elphias era una Corvonero dai lunghi capelli rossi e ricci.
Nonostante fosse al settimo anno sembrava dimostrare al massimo quattordici anni, tanto era piccola e insulsa.
Tom le si parò davanti e nonostante i due anni di differenza la superava di dieci centimetri buoni.
Le sorrise lusinghevole, cosciente del lampo di terrore che aveva attraversato le iridi scure di lei.
«Buongiorno Alyssa. Diventi sempre più bella o sbaglio?» le disse, accarezzando le sue spalle in un gesto apparentemente casuale.
Quello non casuale fu il rossore delle goti di lei e lo sforzo nel trattenere il moto di disgusto a quel gesto di lui.
«Non è vero, Tom.» riuscì a dire solo lei, guardandolo tra il diffidente e l’attratto.
«Oh, non oserei mai mentirti. A tal proposito, devo sinceramente esprimere la mia preoccupazione per la tua salute.» aggiunse lui, giocando con le punte dei suoi capelli.
Era una Corvonero, sì, ma era pur sempre una ragazza.
Una ragazza bruttina, bistrattata dai maschi e di certo incapace di concepire un tale onore come le attenzioni di Tom Riddle, l’affascinante idolo di ogni essere femminile ad Hogwarts.
«La… la mia salute?» balbettò lei, troppo attenta ai gesti di lui per aggiungere altro.
«Esatto. Ti sei presa troppi impegni, quest’anno. Prefetto, Capitano della Squadra di Gobbiglie, Aiuto-Bibliotecaria, Assistente della professoressa Vega e non parliamo dei M.A.G.O! Credo ti sovraccaricherai e ciò non farà che nuocere ai tuoi brillanti voti e alla tua già cagionevole salute. Non credi anche tu?»
Lei annuì convinta e pensierosa, come se quella verità lampante le fosse venuta in mente solo ora che usciva dalle sue labbra.
«Hai ragione, hai assolutamente ragione…»
«Già» annuì Tom, in modo grave «Credo sia meglio per te rinunciare a qualcosa. Vediamo, ormai la Squadra di Gobbiglie è già formata. Madama Light (3) e la professoressa Vega farebbero fatica a trovare un valido assistente come te, ad anno iniziato poi!» continuò Tom, trattenendo le risate che avrebbe voluto fare nel vedere la faccia di quell’inetta bersi ogni suo ragionamento come fosse stato acqua nel deserto.
Lo osservò preoccupata, implorandolo di aiutarla.
«Oddio, come farò ora? Non ci riuscirò… non potrei seguire tutto… io…»
«Io avrei una soluzione, in realtà.»
La ragazza lo guardò ammirata.
«Potresti rinunciare al ruolo di Prefetto di Corvonero. Certo, sarebbe un peccato, ma in una situazione come questa…»
«E chi mi sostituirebbe? Sarebbe difficile trovare un’altra, soprattutto ad anno iniziato come hai sottolineato tu!» esclamò lei.
Tom fece una pausa teatrale, prima di sibilare le successive parole sorridendo rilassato.
«Io un’idea ce l’avrei. Hai presente Meredith Smith, del quinto anno?»
L’altra annuì.
«Beh, è appena tornata dopo un’assenza di ben due anni a causa del Vaiolo di Drago…»
«Oh, poverina! Ho sentito dire che è tremendo!» rispose l’altra, preoccupata.
Tom annuì, grave.
«Hai sentito bene. Ora è di nuovo in forma ma, capisci, dopo due anni di assenza si sente un po’ esclusa dall’ambiente di Hogwarts. Credo che sarebbe molto importante per lei ricevere un ruolo come quello di Prefetto, la farebbe sentire accettata, non pensi?»
Alyssa si aprì in un sorriso estasiato.
«Ma certo! E’ un’idea geniale! Vado subito a parlarne con Dippet e…»
«Aspetta!» la chiamò Tom, prima che quella partisse come un razzo.
«Potresti non dirgli che l’idea è stata mia? Sai, non vorrei intimorirla. Potrebbe sentirsi in imbarazzo dopo e dovendoci lavorare per tutto l’anno sarebbe controproducente.»
La ragazza annuì, sorridendo.
«Sei incredibile, sempre così altruista Tom!» esclamò, prima di voltarsi verso l’ufficio del Preside.
«Non immagini quanto.» ghignò lui, storcendo il bel sorriso finora usato in una feroce smorfia vittoriosa.

 

Note:

(1) Citazione di Harry Potter e il Principe Mezzosangue, a parlare è Silente.
(2) Deprimo è un incantesimo realmente esistente nella saga di Harry Potter, in particolare usato da Hermione nel settimo libro durante la fuga da casa Lovegood. Inesistente è la variante usata sugli umani ma, come spiegato nel testo, non sarebbe stato poi così difficile per la mente geniale di Riddle crearla. E' un po' come l'antenato di Sectumsempra, poi inventato da Piton.
(3) E anche qui ho dovuto inventare un insegnante: Madama Light, la bibliotecaria. Se conosceste il vero nome della bibliotecaria in carica durante gli studi di Tom, non esitate a dirmelo ;)
 
 
 
*Angolo Autrice*

Come sempre, benvenuti ad un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto e vi abbia soddisfatto. Voglio chiarire una cosa: la tortura di Riddle. Tom è sempre stato abituato sin dall'orfanotrofio (come si capisce nel primo capitolo) a punire chi toccasse qualcosa di suo. In questo caso lui considera 'sua' (nel senso ovviamente di preda) Meredith e quindi punisce Nott. In molte fan fic con Tom Riddle durante il suo quinto anno gli fanno già usare Maledizio Senza Perdono come Crucio, ma io non sono d'accordo. Lui si sente osservato da Silente, come dirà poi anche nei libri di Harry Potter - se non sbaglio nel Calice di Fuoco - e quindi dubito si sarebbe inoltrato così tanto nella magia oscura. Una cosa è fare una ricerca sugli Horcrux (comunque in gran segreto); un'altra cruciare un suo compagno XD Bene, spero di essere rimasta nell'IC anche oggi ;D Che altro dire... devo ringraziare DI CUORE _Shanna_ ; hufflepufforever, la mia svitata Alherrie che adoro e il mio dolcissimo Lunastorta per le meravigliose recensioni allo scorso capitolo, per non parlare dei 7 che hanno messo la storia tra le preferite, dell'1 che l'ha inserita tra le ricordate e delle 5 che la seguono. GRAZIE DI CUORE! Vi lascio il link al mio account EFP di Facebook, se voleste scrivermi per parlare della fan fic, di Tom Riddle o di qualche cosa potteriosa <3 Al prossimo aggiornamento, come al solito postato entro una settimana da questo ma anche prima, se riesco ;) Recensite in tanti, dicendomi cosa ne pensate di questo capitolo! (Vi anticipo solo che il prossimo si chiamerà 'Vendetta' ;) ) quindi non perdetevelo! Un bacione <3

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Capitolo 5
*** Vendetta ***




CAPITOLO 4 - VENDETTA
 


«Sai, la Pietra non era poi una cosa tanto prodigiosa. Sì, certo: tutti i soldi e tutta la vita che uno può volere... Sono le due cose che la maggior parte degli esseri umani desidera più di ogni altra... Ma il guaio è che gli uomini hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro.» (1)
 
 
[2 Ottobre 1941]
 
 
Meredith non poteva crederci.
Semplicemente non poteva.
Quando il professor Dippet, l’anziano preside di Hogwarts, si era presentato alla sua lezione di Rune Antiche interrompendo il professore e chiedendo di poterle parlare un secondo il mondo le era crollato sulle spalle.
Ecco fatto, ora l’avrebbero rispedita di corsa al Wool’s.
Silente si era accorto di quanto fosse pericolosa e aveva ritenuto opportuno dirlo al preside.
Ciao ciao Hogwarts.
Ciao ciao Phoebe e Seth.
E benvenuta banale vita babbana.
«Professore?» chiese titubante Meredith, attorcigliandosi i capelli tra le dita dei capelli, nervosa.
Il preside era un uomo non troppo alto, dalla lunga barba grigia e gli occhi piccoli e penetranti. Come se dietro a quegli specchi si nascondesse un mondo antico, distante anni luce dalla realtà.
«Vede, signorina Smith, devo discutere con lei di una situazione imprevista che in tanti anni di insegnamento non mi è mai capitata.» iniziò l’uomo, senza sapere che ogni parola era una stilettata al cuore della giovane Corvonero di fronte a lui.
«Mi si presenta ora un problema davvero strano e che, sembra, lei sarà l’unica a poter risolvere.»
Meredith sgranò gli occhi, in un moto di sorpresa.
«Mi… mi scusi?» domandò, esitante.
«Alyssa Elphias, il Prefetto di Corvonero femminile da tre anni a questa parte, si è tirata stranamente indietro stamani, profondendosi in scuse riguardo alla sua agenda fittissima. Ha però consigliato un possibile rimpiazzo per quel ruolo… lei, signorina Smith.»
Meredith impiegò qualche secondo più del normale per rispondere.
Conosceva Alyssa solo di vista e il suo ricordo era comunque sfocato, offuscato da due anni di assenza e, non prendiamoci in giro, dall’assoluta banalità di quella ragazza.
Sì, non per essere crudele, ma non era certo il tipo che rimane in mente.
«Lei vuole che io diventi il… Prefetto di Corvonero?» ripeté la ragazza, guardando il preside come se dovesse sparire da un momento all’altro in un PUF!
«Assolutamente sì, se se la sentisse. Insomma, capisco che tornare dopo due anni di assenza possa essere stancante, ma se volesse farmi questo piacere beh, sarebbe una vittoria per tutti.» continuò il mago, guardandola implicitamente impaziente.
Meredith annuì, incapace di proferire altre parole.
«Eccellente! Il signor Riddle la aspetterà davanti alla Sala Grande alle ventidue di stasera, ora se vuole scusarmi» si congedò l’uomo, venendo però interrotto dal tono d’urgenza di lei.
«Aspetti… Riddle? Tom Riddle?» esclamò Meredith, certa come non mai che le coincidenze non potessero coesistere nella stessa frase col suo nome.
«Sì, Tom Riddle. Il Prefetto di Serpeverde. Stasera avrete la prima ronda notturna, i turni vengono organizzati di settimana in settimana e lei, o meglio Alyssa, è stata assegnata a Riddle. Ora devo proprio scappare, buona giornata signorina Smith!» disse l’uomo, prima di andarsene lasciandola lì, impalata, con due parole che le ronzavano in testa ininterrottamente.
Tom Riddle. Tom Riddle. Tom Riddle. Tom Riddle.
E, prima che se ne rendesse conto, se ne aggiunsero altre due, storcendo le sue labbra color delle ciliegie in una smorfia.
 
Porco Salazar.
 
Rientrò in classe, trovando la sua borsa a terra e le cose sparse sul pavimento.
Ecco, ora sì che la giornata si prospettava definitivamente meravigliosa.
 
 
***
 
 
Druella si nascose all’interno delle tromba delle scale, attendendo in silenzio.
Quando vide la classe uscire la inquadrò subito, senza riuscire a trattenere la smorfia disgustata che le increspò le labbra.
Tutto quel lavoro per quella… quella…
Le mancavano perfino le parole per definirla.
Ogni insulto era troppo poco, ogni suo aspetto incapace di avvicinarsi alla perfezione di Tom.
Come poteva interessargli, cos’aveva di così estremamente interessante?
Druella tentò di scacciare via quei pensieri fastidiosi quando lo vide.
Jeremia Alabar si diresse verso di lei, lo sguardo sognante.
Era un Corvonero del suo anno con cui aveva avuto qualche flirt e che, lo sapevano tutti, le moriva dietro.
Convincerlo a farle quel piacere era stato quanto mai facile.
«Allora? Ti ha visto qualcuno?» gli chiese esagitata.
«No, piccola. Ovvio che no.»
Jeremia le sorrise in una posa che doveva essere affascinante ma che, se comparata con quella naturale di Tom, a Druella sembrò solo patetica.
«L’hai messo tutto? Fino all’ultima goccia? La bottiglia blu, quella del profumo…»
«Rilassati! E’ andato tutto secondo i piani. Quel profumo avrà un effetto differente quando lo userà, non credo che la puzza se ne andrà facilmente.»
Druella lo baciò rapida sulle labbra, la ricompensa chiesta in cambio dei suoi servizi, e se ne andò più velocemente che poté.
Non doveva farsi vedere accanto all’aula, vicino ai Corvonero.
«La puzza non se ne andrà facilmente.»
Un ghigno malvagio e pazzo le incrinò il viso.
Certo, come se si fosse limitata a mettere del succo di Schiospodi Sparacoda come aveva assicurato a quell’idiota.
Druella si avvicinò ad un’aula deserta e buttò nel cestino la boccetta vuota che aveva ancora in tasca, dopo che Jeremia gliel’aveva passata mentre parlava.
L’etichetta con scritto “Succo di Schiospodi Sparacoda” si staccò, rivelandone una rossa con scritta nera in stampatello.
Druella allargò il ghigno, prima di farla bruciare con un gesto della bacchetta.
 
In quell’aula silenziosa, senza che nessuno lo sapesse, un pezzo di carta rosso bruciò lentamente, nascondendo al mondo un segreto pericoloso.
 
VELENO DI ERUMPENT, USARE CON CAUTELA
ALTAMENTE ESPLOSIVO!
 
 
***
 
 
Tom si sedette sulla poltrona nera accanto al  fuoco e aspettò che Amadeus si accomodasse sul divano di fianco a lui.
Gli aveva detto di dovergli parlare e Nott aveva annuito senza proferire parola.
Tom poteva quasi scorgere le pupille nere nascoste nelle iridi dello stesso colore che si stringevano per la paura, assottigliandosi nel vano tentativo di nascondersi da lui.
Riddle trattenne il ghigno divertito che minacciava di arricciargli le labbra.
«Di cosa hai bisogno, Tom?» gli chiese il compagno, una volta che si fu accomodato.
Il Serpeverde giocava con il libro di Pozioni, cercando di non far vedere al capo l’evidente tremore alle mani che non riusciva a controllare.
«Vedi, Amadeus, ho bisogno che tu mi faccia un favore.» iniziò Tom, fissandolo negli occhi sorridendo mellifluo.
Nott annuì per far capire a Riddle che aveva la sua piena attenzione.
«Hai presente Phoebe Lovegood, la svitata di Corvonero?» domandò l’altro, assaggiando una delle brioche che Malfoy aveva appena portato e prontamente servito al capo per primo.
«Naturalmente, chi non ce l’ha presente? E’ talmente rumorosa che sarebbe difficile non notarla.» rispose Nott, sorridendo appena.
Tom annuì, inghiottendo il boccone e continuando a parlare.
«Voglio che tu… la tenga d’occhio.» disse cripticamente, osservando la reazione del compagno di casata.
Questo alzò il sopracciglio inarcandolo in un’espressione confusa.
«Tenerla d’occhio? In che senso?» domandò, curioso.
«Beh, come avrai senz’altro capito dalla nostra… conversazione di ieri sera…» cominciò Riddle, indugiando un secondo prima di continuare, gustandosi il terrore che attraversò come un lampo quel cielo pieno di nubi annidato negli occhi di Nott.
«… Meredith Smith sarà la mia prossima preda. Ho in mente dei piani e mi serve che lei sia dalla mia parte. Però potrebbe essere più difficile del solito, data la sua intelligenza e diffidenza. Ho quindi deciso di premunirmi per sicurezza. Voglio che diventi suo amico, suo confidente. Voglio che arrivi a fidarsi di te più di quanto lei riesca a credere, che tu diventi il suo punto di riferimento. Voglio che, quando ci sarà una rottura, e ci sarà, con Meredith, lei sia disposta a parlarne con te. Fattela, se vuoi, non mi interessa. Basta che non rovini tutto. Conto su di te, non deludermi.» concluse Tom, accarezzando la bacchetta in un gesto che sarebbe sembrato a molti casuale ma che Nott comprese a fondo.
Non deludermi, o te ne pentirai amaramente.
Amadeus tuttavia nascose il velo di paura che l’aveva avvolto e assentì, domandando solo una cosa.
«Quando devo iniziare?»
Tom ci pensò, prima di rispondere.
Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, Phoebe avrebbe dovuto fidarsi di Nott entro due settimane.
Poteva sembrare poco, ma Tom conosceva le capacità persuasive dell’alleato e, cosa non da poco, l’effetto che aveva sulle ragazze.
Era di poco superiore al suo, ma solo perché chi era attratto da Tom ne era allo stesso tempo intimorito fino all’osso.
Se le calde iridi nere di Nott erano un rifugio nelle notti più scure, le verdi spirali di Riddle sembravano rendere il buio ancora più spaventoso.
Era come stare accanto ad un serpente: non potevi sapere quando avrebbe attaccato, non potevi difenderti.
Eri in balia di lui, fino a quando avrebbe deciso l’animale.
«Stasera. Sarà in biblioteca dopo mangiato, me l’ha accertato Collins di Corvonero, perché ciarlava di una ricerca di Trasfigurazione o cose simili. Ti darò maggiori informazioni più tardi, ci troviamo alle sette qui, capito?» domandò infine Riddle, scrutando torvo Nott.
L’altro fece appena un cenno con la testa, prima di salire la scala verso i Dormitori per prendere il materiale per le lezioni del pomeriggio.
Tom si accomodò sulla poltrona, fissando pigramente le fiamme con un sorriso malefico in volto.
Tutto stava procedendo secondo i suoi piani. La Smith aveva accettato di essere Prefetto e, come aveva previsto, nessuno aveva osato contraddirlo quando aveva proposto di fare il primo turno con lei. Come se qualcuno potesse anche solo pensare di fargli cambiare idea.
Tom mosse pigramente la bacchetta e le fiamme diventarono verdi come i suoi occhi, prima di tornare alla normalità.
Nessuno lo notò ma, per un secondo, il fuoco aveva preso la forma di un enorme serpente.
Nessuno lo notò ma, per un secondo, Tom Riddle aveva posato la maschera, facendo vedere il vero sé stesso: un demone, felice e crudelmente estasiato dall’odore della caccia ormai prossima.
 
 
***
 
 
Horace Lumacorno non era certo conosciuto per la sua intelligenza o furbizia. Era un abile pozionista, certo, e se la sapeva cavare abbastanza negli incantesimi, ma nulla di più.
Quindi, quando vide una cosa alquanto strana nell’armadio, non pensò nemmeno per un secondo di chiamare qualcuno come Silente.
Si limitò a prendere in mano la cassettina di legno ormai vuota con su scritto, su un’etichetta argenta, “Veleno di Erumpent” ed esaminarla attentamente.
La fiala poco più grande del suo indice era scomparsa.
Lumacorno non era arguto e tendeva ad essere di un’ingenuità quasi disarmante.
Non badò troppo all’eventualità che quell’ingrediente fosse tremendamente pericoloso o che, nelle mani sbagliate, potesse davvero ferire qualcuno.
Gli studenti riuscivano a manipolarlo a loro piacimento e c’era una ragione se ciò accadeva.
Dopotutto, il professore si limitò a chiuderlo in un cassetto della sua scrivania e ripromettersi di chiedere agli studenti se qualcuno l’avesse preso per sbaglio.
Come se qualcuno potesse mai prendere un veleno mortale per sbaglio.
Per un attimo, un minuscolo e insulso momento, un briciolo di buon senso oscurò quel mare di fanciullesca irresponsabilità, e gli fece pensare che fosse meglio, quanto meno, avvisare il Preside.
Quando però si ricordò che dell’ottimo Ananas Candito lo aspettava nella sua camera, decise che non fosse il caso di disturbarlo per una semplice sciocchezza come quella.
Sarebbero venuti a restituirlo, sicuramente.
Sicuramente.
Dopotutto, chi mai avrebbe voluto ferire così tanto qualcuno?
Erano solo ragazzini.
Solo innocenti, ingenui ragazzini.
 
 
***
 
 
Phoebe camminò lentamente tra i polverosi e giganteschi scaffali.
Amava l’odore dei libri antichi, il potere della magia che veniva sprigionato da quelle antiche pergamene. Seth aveva sempre catalizzato tutta l’attenzione dei genitori nel campo dell’intellettualità e quindi lei si era concentrata su altri aspetti del suo carattere.
Essere gioiosa, divertente e impulsiva.
E questo il Cappello Parlante l’aveva visto subito: Phoebe era un vulcano, pieno di idee e sentimenti. Ma il magico strumento aveva anche saputo guardarle dentro, dove celata dall’insicurezza e dal senso di inferiorità  nei confronti del gemello si nascondeva un’intelligenza curiosa e interessante.
Phoebe rabbrividì impercettibilmente mentre le parole sussurratole all’orecchio ormai cinque anni fa le tornavano alla mente, quasi come se fosse tornata indietro nel tempo.
 
Emozioni. Così numerose e differenti. Coraggio a volontà ma anche paura, tanta paura. Un gemello, eh? Più bello, intelligente e furbo, indubbiamente. Eppure nemmeno questo cervello è da buttare, anzi. La crescita e la dimostrazione delle capacità sapranno distruggere quest’insicurezza. Non mi resta che credere in queste incredibili capacità e dire…. CORVONERO!

Phoebe sorrise appena, mentre allungava la mano per prendere il manuale che cercava da molto tempo:
“Filosofia Magica: Come e Perché gli Antichi Greci babbani ci hanno insegnato molto”.
 Quando però lo tirò per estrarlo dallo stretto scaffale sentì una chiara resistenza.
Riprovò e anche la seconda volta non ebbe successo.
Era così concentrata nel capire il problema che quando una voce roca le parlò sussultò per la sorpresa.
«Scusa. Non volevo rubartelo, è solo che lo cerco da tempo.»
Phoebe si voltò facendo ondeggiare i lunghi capelli biondi che quel giorno erano stretti in un’elaborata treccia lunga.
Meredith le aveva detto che sembrava Raperonzolo e Phoebe, da Purosangue qual era, le aveva chiesto allibita se i babbani avessero delle rape coi capelli biondi.
Tuttavia nonostante la sua invidiabile fantasia non avrebbe mai indovinato di chi fosse quella voce.
Amadeus Nott, l’ultra corteggiato Serpeverde, le sorrideva con quel suo sorriso sghembo che faceva impazzire le studentesse di Hogwarts.
Teneva in mano il libro dalla copertina viola che aveva estratto con incredibile velocità e che ora le porgeva gentilmente.
Phoebe sorrise di rimando, accettando però cautamente il libro.
Nonostante fosse sempre lei a redarguire Meredith sulla sua eccessiva diffidenza nemmeno la ‘svampita’ Lovegood poteva ignorare gli strani avvenimenti legati a quella che ormai veniva chiamata ‘la cricca di Riddle’.
Aggiungendo a questa cattiva reputazione il fatto che, nonostante ciò la ferisse più di quanto fosse disposta  ad ammettere, sapeva perfettamente quanto tutti la trovassero strana e anormale; il fatto che uno come Nott le si avvicinasse portava su di sé un enorme cartello con scritto ‘ATTENZIONE’.
«Grazie.» disse quindi solamente, prima di dirigersi verso un tavolo vuoto e sedersi.
Fu con stupore misto a sospetto però che notò che il ragazzo l’aveva seguita, accomodandosi di fronte a lei.
«Wow, pensavo fossi una di molte parole Lovegood, ma forse mi sbagliavo.»
Phoebe mosse indispettita la treccia in un gesto per lei abituale.
«No, non sbagli. E’ solo che vorrei stare tranquilla quando leggo.»
«Ti capisco, è lo stesso per me.» rispose lui sorridendo complice.
Phoebe però non riuscì a trattenere una risata sprezzante che incrinò appena il sorriso costruito dell’altro.
«Tu? Sai leggere? Pensavo che Riddle li scegliesse belli e stupidi i suoi scagnozzi. L’ignoranza è pane per i denti dei dittatori, seguaci stupidi sono più facili da comandare.» esclamò divertita e sarcastica Phoebe.
Nott però era furbo, un degno Serpeverde.
Ghignò divertito, avvicinandosi appena con la sedia per poter fissare i suoi occhi neri come il petrolio in quelle iridi fredde come il ghiaccio di lei.
«Quindi mi trovi bello, eh?»
Phoebe rimase senza parole e non riuscì a impedire alle sue guance di colorarsi appena per l’imbarazzo.
L’aveva incastrata come una scolaretta al primo anno con il ragazzo per cui aveva una cotta.
Dannazione!
«Sei così egocentrico che della mia frase derisoria hai sentito solo ‘belli’?» scherzò Phoebe poco dopo, facendo però solo allargare il sorriso divertito dell’altro.
Vi ricordate l’atteggiamento cauto che la ragazza si era decisa ad adottare col Serpeverde?
Beh, considerate anche che l’impulsività era radicata in lei quanto l’intelligenza.
Quindi non stupitevi quando accantonò per un secondo la sicurezza per rispondere alle non velate provocazioni dell’altro.
«Oh no, ho sentito tutto. Solo che credo di parlare con le azioni: dubito che mi troveresti tanto stupido una volta conosciuto.»
Phoebe inarcò il sopracciglio, dubbiosa.
«Cosa ti fa pensare che io vorrò conoscerti meglio, Nott?»
Amadeus si sgranchì le braccia in una posa che molte avrebbero trovato seducente ma che a lei sembrò solo da sbruffone.
«Oh andiamo, qualunque ragazza qui dentro vorrebbe conoscermi meglio.»
Phoebe ne aveva abbastanza di quel pallone gonfiato.
Si alzò e iniziò a prendere le sue cose per metterle nella borsa, sussurrando solo:
«Beh, ti lascio col tuo ego gigantesco a farti compagnia. Meredith mi aspetta in Sala Comune, quindi…»
«Non credo ci sarà in Sala Comune.»
La ragazza mollò alcune piume che caddero sul pavimento senza far rumore.
«Cosa?» domandò, incerta.
«Lei e Riddle hanno anticipato la ronda, credo si stiano trovando proprio ora davanti alla Sala Grande.»
Phoebe continuava a non capire e puntò il suo sguardo confuso sul volto di lui, in cerca di una traccia che indicasse le sue menzogne.
«Lei e Riddle? E sentiamo, perché mai dovrebbero trovarsi? Non staranno mica… uscendo insieme?» domandò infine, un po’ elettrizzata.
Aveva i suoi dubbi su Riddle, certo, ma pensava comunque che fosse un figo da paura e che avesse un carattere stranamente simile a Meredith.
«Non credo proprio! Le ronde dei Prefetti devono essere fatte due a due e oggi tocca a loro… non te l’aveva detto?»
A Phoebe sembrò che le crollasse il mondo addosso.
Finì velocemente di riporre le sue cose nella borsa, dimenticandosi qualche libro sul tavolo, e corse via.
Non poteva essere.
Meredith sapeva quanto lei desiderasse quel ruolo.
Non l’avrebbe accettato senza parlargliene.
Lei… lei non l’avrebbe mai fatto.
Eppure Nott non mentiva.
Eppure l’aveva fatto.
Eppure… il suo cuore faceva troppo male perché fosse solo un incubo.
Non badò nemmeno al gemello che era appena entrato in Biblioteca e che le aveva rivolto uno sguardo preoccupato.
Corse verso la Sala Comune, sperando con tutto il suo cuore di trovare la sua migliore e, per certi versi, unica amica seduta vicino al fuoco ad attenderla.
Non ebbe però il coraggio di passare per la Sala Grande, durante il ritorno.
O di fermarsi.
Meredith sarebbe stata lì ad aspettarla.
Doveva essere lì ad aspettarla.
 
 
***
 
 
Nott sorrise contento. Aveva attratto la sua attenzione e la sua fiducia in minima parte, dopotutto era stato più sincero lui con lei della sua migliore amica.
Evan lo raggiunse al tavolo, fissando con sguardo dubbioso la figura bionda che correva trafelata fuori dalla stanza.
«Te la fai con la Lovegood? Hai abbassato di molto i tuoi standard vedo.» considerò gelido il ragazzo.
Nott alzò le spalle, lanciando uno sguardo divertito all’amico.
«Ordini superiori top-secret, meglio che non ti impicci troppo Rosier.»
«Oh beh, in questo caso. Basta che tu stia attento a non prenderti le pulci, da quanti fiori ha tra i capelli potrebbe avere quelle e molto altro sul corpo!» ghignò freddo Rosier, scatenando la risata di Nott.
Risata che però venne bruscamente interrotta quando il moro fu strattonato violentemente.
Seth Lovegood gli stava davanti, cinque centimetri che però sembravano venti gli permettevano di sormontarlo.
Nott l’aveva sempre considerato un individuo pacifico, insignificante.
Ora però quegli occhi chiari brillavano minacciosi, il placido sorriso aveva lasciato il posto ad una smorfia furiosa.
«Cos’hai fatto a mia sorella?» gli domandò gelido, l’ira nascosta sotto una coltre di odio.
Nott ghignò divertito: quei Lovegood sapevano essere divertenti, dopotutto.
«Un favore, a quanto vedo. Le ho solo rivelato una piccola verità scomoda sulla Smith.»
Seth strinse ancor più la presa, trasformando il ghigno dell’altro in una smorfia di dolore.
«Meredith? Cosa c’entra Meredith? Cosa le hai fatto, brutto…»
Il Corvonero si bloccò però quando sentì chiaramente una cosa appuntita pungergli lo stomaco.
La bacchetta di pino di Evan era puntata verso di lui e il suo possessore lo fissava con quello sguardo apparentemente indifferente al mondo.
«Lascialo ora, Lovegood, se non vuoi che le cose si complichino
 
Seth ubbidì, troppo intelligente per rischiare una rissa magica in Biblioteca.
«Questi non sono affari tuoi, Rosier» disse freddo il biondo, fissando l’altro mentre riponeva la stecca dentro al mantello.
«Au contrarie, vedi, se soffochi un mio amico sono affari miei.» gli rispose Evan, soppesandolo con lo sguardo.
Seth sorrise malefico, un sorriso incredibilmente stonato sul suo viso angelico.
«Amico. Voi non avete idea di cosa voglia dire la parola ‘amicizia’. Non sapete cosa sia l’affetto, o la lealtà. Siete solo capaci di strisciare come luridi serpenti. Prova ad avvicinarti ancora a Phoebe o Meredith e te la vedrai con me.» concluse poi, lanciando un’occhiata minacciosa a Nott prima di uscire veloce dalla Biblioteca dopo aver raccolto i libri della gemella.
Nott si aggiustò il colletto stropicciato, sorridendo divertito.
«Sorprendenti questi Lovegood, vero? »
«Già. Sorprendenti.»
Amadeus notò che Evan fissava con sguardo indecifrabile la figura ormai lontana del Corvonero, ma non indagò oltre.
Ciò che c’era nella mente di Evan era un mistero e, ne era fermamente convinto, sarebbe dovuto rimanere tale.
 
 
***
 
 
Tom camminava lentamente, il cervello che però lavorava frenetico.
Aveva scorto la sua figura già quale metro più indietro e dovette sforzarsi per non sorridere crudelmente: Nott gli aveva rivelato il successo enorme del suo primo approccio con la Lovegood, raggiungendolo proprio quando lui stava uscendo.
Meredith continuava a giocare con i capelli che le ricadevano in morbidi spirali sulle spalle.
Tom si sorprese a chiedersi se fossero davvero così morbidi, a desiderare di accarezzarglieli.
Fino a strapparglieli.
«Buonasera, Smith.»
Tom si godette l’espressione sorpresa e il piccolo sobbalzo che le aveva provocato.
Nessuno si accorgeva di lui quando si avvicinava.
Era un rettile a caccia, silenzioso e letale.
«Riddle.» sussurrò lei, quasi come se avesse passato l’ultima mezzora a pregare che non venisse.
Il ragazzo le rivolse un sorriso mellifluo, avvicinandosi appena a lei.
«Sei banale, Smith. Non riesci ad iniziare una conversazione in modo diverso?»
Meredith arrossì visibilmente, trasformando l’espressione di sorpresa in una smorfia infastidita.
«Scusa se non sono ai tuoi livelli di conversazione. Scommetto che con Goyle o quella pazza di Druella intratterrai colloqui molto arguti, vero?»
Tom le sorrise divertito, senza rispondere, e iniziò a camminare verso le scale.
«Quindi hai scelto di accettare il posto di Prefetto vedo.» asserì lui, studiandola con appena un sorriso sulle labbra.
Quindi hai firmato la tua condanna?
«Come puoi vedere, sì. Chissà perché Alyssa abbia scelto di tirarsi indietro però…»
Riddle sentì chiaramente il velato suggerimento ad un suo intervento affinché ciò avvenisse, ma non diede segno di averlo notato.
«Sai come funziona questa cosa dei Prefetti?» le domandò semplicemente, entrando nel terzo piano.
«Più o meno. Ronde settimanali con uno dei Prefetti delle altre case. La domenica sera riunione da Dippet per commentare i risultati eccettera eccettera.»
Tom annuì, continuando a camminare deciso.
«Esatto. Oggi dobbiamo controllare il terzo piano, mentre Grifondoro e Tassorosso guarderanno i primi due. Questo perché ovviamente ci sono più aule deserte qui che giù.»
Meredith si guardò attorno, osservando come Hogwarts appariva vuota e spoglia senza il mare di persone che vi correvano dentro.
Era come la carcassa di un animale addormentato.
Sola, triste.
Si sorprese a pensare che, dopotutto, non era molto diversa dal Wool’s in quel momento.
«Riddle…»
La voce di lei ora era un sussurro appena udibile, lo sguardo continuamente puntato su tutto fuorché Tom.
Lui non ci diede peso, rispondendo normalmente.
«Sì?»
«Cosa intendevi l’altro giorno? Sai… a Pozioni…»
Gli occhi verdi di lui brillarono appena, il sorriso si arricciò in un ghigno vittorioso che ricacciò subito indietro.
«A che proposito?» domandò innocentemente.
Allora ci aveva pensato.
Allora aveva avuto ragione lui, come sempre.
«Sai no… quando hai detto che si è sentita la mia mancanza…»
Tom non poteva ancora sospettare il reale motivo di quella domanda: Meredith temeva che qualcuno non credesse alla scusa del Vaiolo di Drago.
O, peggio, che qualcuno fosse riuscito a scoprire la verità.
Quel peso l’aveva soffocata per tutto il tempo trascorso dalla lezione in comune.
La notte, poi, non era riuscita a chiudere occhio.
«Solo ciò che ho detto» rispose lui, alzando le spalle mentre guardava dentro un’aula per accertarsi che fosse vuota.
«Sai no, al Wool’s eccettera. Già è difficile passare il tempo senza la magia, in quel mondo di babbani. Quando poi ti sei ammalata è stato come se tutta la magia se ne andasse dall’orfanotrofio.» continuò poi, senza accenno di dolcezza nelle parole.
L’aveva già capito: Meredith non si sarebbe certo sciolta di fronte a certe frasi zuccherose.
Infatti questa si limitò ad annuire, senza aggiungere altro.
«Sai, all’inizio pensavo non avresti accettato il ruolo di Prefetto.» aggiunse poi Tom, guardandola negli occhi ma sempre pronto a fuggire da uno scontro mentale.
«Perché?» domandò lei, confusa.
«Beh, lo sanno tutti che la Lovegood non vedeva l’ora di diventare Prefetto di Corvonero e poi Caposcuola. Si è lamentata tutto il primo mese perché avevano di nuovo scelto Alyssa, pensavo che dato che era la tua migliore amica…»
Meredith sbiancò.
Tom la guardò, assaporandosi il terrore negli occhi verdi di fronte a lui.
«Phoe…» soffiò lei, senza parole.
«Dai, andiamo. Dobbiamo ancora guardare questo corridoio.» aggiunse lui, incamminandosi.
Le avrebbe poi parlato della loro infanzia, avrebbe stretto un legame.
Piano, con delicatezza.
Nott si sarebbe avvicinato a Phoebe, lasciando così Meredith in balia di Riddle.
L’altro Lovegood sarebbe stato troppo impegnato a preoccuparsi della gemella per accorgersi di ciò che stava accadendo.
Questi i grandi piani che passavano nella mente di Tom, mentre camminava ghignando vittorioso nell’ombra.
Udì un rumore di cose che cadevano e pensò che il tremore alle gambe l’avesse fatta inciampare, rovesciando il contenuto delle tasche sul pavimento.
«Non rimanere indietro Smith. Vedrai che la tua amica ti perdonerà!» le urlò lui, senza fermarsi.
Quando però sentì odore di fumo e, ne fu certo, sangue, allora il suo cuore si fermò dolorosamente.
Poi arrivarono le urla, le sue urla.
Si voltò immediatamente ma sempre troppo lentamente e ciò che vide gli accapponò la pelle.
Lui che aveva imparato a ferire, lui che amava la tortura.
Lui che desiderava l’odore del sangue e assaporava le grida di dolore.
Lui non ebbe mai tanta paura in vita sua, nel vedere qualcuno agonizzante.

Nel vedere lei in preda al dolore.




Note:

(1) E' una citazione di Harry Potter e la Pietra Filosofale. Riferito ovviamente al fatto che le persone hanno uno spiccato talento nello scegliere le cose peggiori per loro, e in questo caso Tom che avvicinandosi a Meredith creerà una debolezza importante per lui.

 


*Angolo Autrice*

Come sempre ringrazio i coraggiosi che sono arrivati fino alla fine di questo capitolo. Capitolo difficile da scrivere, lungo ma sostanzioso e con mille personaggi. Credo di non aver mai scritto in vita mia un capitolo con così tanti POV diversi (point of view: punti di vista). Spero vi faccia piacere :D Vi invito a commentare in tanti e dirmi che ve n'è sembrato. Ora passo alle note 'spiacevoli': venerdì partirò e starò via fino al 25 Agosto. Temo non avrò connessione, quindi dovrete aspettare molto per il prossimo aggiornamento, anche se ovviamente, nel caso riuscissi ad averla, aggiornerò appena possibile! Continuerò però a scrivere così il 25 sera troverete già il nuovo capitolo ;) Passo ora ai ringraziamenti: grazie ai 9 che hanno messo la storia nelle seguite, ai 9 nelle preferite e ai 2 nelle ricordate. Grazie di cuore come sempre a
Alherrie, la mia dolcissima fan <3 che non mi merito affatto; a Hitsu394 e Chiara99MooN per aver recensito lo scorso capitolo. Invito le suddette a farsi sentire anche oggi e i lettori silenziosi a farmi sapere cosa ne pensano! Vi lascio infine il link al mio account fb e vi auguro buona giornata! <3

 

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Capitolo 6
*** Amicizia ***



 
 
 CAPITOLO 5 - AMICIZIA
 
«Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità.» (1)
 
 
[2 Ottobre 1941]
Sangue.
Troppo sangue.
Tom Riddle non riusciva a fare qualcosa di diverso dal fissare la figura stesa a terra di fronte a lui.
Si domandò come fosse possibile che tutta quella quantità di sangue fuoriuscisse da un corpo così piccolo.
Sebbene centinaia di incantesimi differenti gli attraversarono la mente, la sua mano non si mosse di un millimetro, continuando a giacere inerme accanto alla tasca da dove sporgeva la bacchetta.
 
«Avanti! Reagisci!»
 
La sua stessa voce gli rimbombava nella testa ma non riusciva a muoversi.
Si maledisse un centinaio di volte per la codardia, per l’imbarazzante paralisi che sembrava l’avesse assalito all’improvviso.
Eppure.
Eppure non riusciva a comprendere a fondo quella sensazione di malessere che gli torceva la bocca dello stomaco, che gli provocava un’accelerazione del battito e del fiato.
Panico.
Quella parola gli balenò in mente, ma la spinse via con altrettanta velocità.
Lui, Tom Riddle, provare panico?
No, mai.
Era sempre stato il migliore a mascherare le emozioni fastidiose come la paura, nei rari momenti in cui l’aveva incontrata, o l’invidia. Sapeva trarre forza dalla rabbia e dall’ira, nascondere l’eccitazione e il disprezzo.
Sapeva controllare ogni sentimento che provava e dirigerlo al momento opportuno, assorbirlo o eliminarlo.
Quella era stata una delle solide certezze che aveva costruito nel corso della sua vita ma che, ora, sembrava si stesse distruggendo come un castello di carte sotto i suoi occhi impotenti.
Non si era mai messo in condizione di salvare qualcuno: semmai qualcuno doveva essere salvato da lui.
Il corpo continuava a muoversi in pose grottesche e innaturali sotto il suo sguardo vitreo, mentre i capelli prima morbidi si sparpagliavano nella pozza di sangue sotto di esso.
Stava morendo.
Stava morendo e lui non riusciva a reagire.
Stava guardando la morte in faccia e, per la prima volta, ne era terrorizzato.
La pelle era ricoperta di bolle viola e nere che scoppiavano ogni  secondo, facendo uscire altro sangue.
Tom non riusciva a guardarla in volto, non ne aveva il coraggio.
«Fai qualcosa! FAI QUALCOSA!» continuava a urlare contro sé stesso, senza successo.
E fu solo quando sentì un’altra voce che, finalmente, fu in grado di risvegliarsi da quello stato di torpore.
 
«Tom»
 
Era appena un sussurro flebile, lasciato trapelare tra le urla strazianti in seguito allo scoppio di un’altra bolla.
Riddle la guardò negli occhi mentre sentiva quel delicato lamento diffondersi dentro di lui, dandogli forza.
Erano socchiusi e ogni tanto l’iride lasciava il posto al bianco, in seguito ad una scossa causata dal dolore. Tuttavia c’erano e, anche se con difficoltà, cercavano di guardarlo negli occhi, di creare un contatto.
 
«Tom»
 
Quando i due tipi di verde si incrociarono, così simili eppure così diversi, un brivido percorse la schiena di Riddle, mentre la sua mente veniva riempita di un’immagine, una sola immagine, chiara e definita.
 
Una volpe.
 
Una volpe lo fissava, gli occhi nocciola socchiusi. Sembrava sofferente, come se da un momento all’altro dovesse chiuderli per sempre. E ad un certo punto iniziò ad uggiolare, sommessamente. Riddle sentiva di doverla aiutare, di doverla soccorrere. Quando poi toccò la bacchetta, l’animale aprì gli occhi, inondandolo di luce.
 
Non si chiese cosa fosse stato, se se lo fosse immaginato o se fosse realmente accaduto.
Afferrò la stecca di tasso e si accucciò accanto a Meredith, sussurrando piano gli incantesimi, come fossero una ninna-nanna a lungo dimenticata.
Senza accorgersene le accarezzò i capelli, in un moto istintivo per rassicurarla.
 
Più avanti avrebbe disprezzato con tutto sé stesso quel gesto da debole, da smidollato.
Avrebbe dato la colpa a quella visione, a quel potere che solo successivamente avrebbe compreso, e lo avrebbe addotto solo e solamente a quella magia antica.
Solo a quella.
 
Il resto era un ricordo sfocato, come quello di un sogno.
La professoressa Alan(2), la docente di Cura delle Creature Magiche, che era accorsa richiamata dalle urla di Meredith.
Il professor Silente che l’aveva seguita e che aveva fissato Tom con un’espressione impenetrabile, mentre prendeva il suo posto nelle cure di Meredith.
Quest’ultima poi fatta librare fino all’infermeria, dove Madama White l’aveva accolta su un letto vuoto, correndo poi a destra e a manca per raccogliere delle pozioni.
Le domande dei professori a cui aveva risposto senza esitazioni, spiegando in modo chiaro e coinciso ciò che era accaduto.
E, infine, gli occhi azzurri di Silente che l’avevano scrutato mentre gli chiedeva un’ultima cosa, una volta preso da parte.
«E’ successo qualcosa, Tom? Qualcosa di… anormale
E il ragazzo che, tornato in sé, gli rispondeva innocentemente:
«No, signore. Assolutamente nulla.»
 
 
***
 
 
Evan si lasciò cadere sul letto, sfinito.
Era stato come al solito, ma qualcosa lo bloccava.
Qualcuno.
«Allora? E’ stato fantastico, no?»
Ad un tratto quella voce gli provocò un fastidio incredibile e si alzò di scatto, allontanandosi dalla sua origine.
«Vattene.» sputò fuori, gelido.
Sentì il peso sul letto spostarsi e quando avvertì le mani sulle sue spalle era troppo tardi per evitare che quella maledetta voce gli parlasse ancora.
«Evan? Cosa succede?»
Il tono preoccupato dell’altro non lo toccò affatto e, anzi, lo infastidì ancora di più.
Si mise in piedi e guardo l’individuo che era seduto sul suo letto schifato.
«Vattene. Subito
L’inflessione rigida e maligna con cui disse l’ultima parola convinse l’altra persona ad alzarsi, mettersi la divisa che giaceva stropicciata a terra e uscire, senza degnarlo di altro sguardo.
Quando la porta si fu richiusa, Evan si distese sul letto, fissando la tenda verde smeraldo del baldacchino.
Vuoto.
Non solo non si sentiva soddisfatto, si sentiva svuotato.
E nonostante cercasse di non pensarci, quella voce strafottente continuava a inondargli la mente.
L’aveva sentita per tutto il giorno, senza fermarsi mai.
Era appena un sussurro agli angoli della coscienza, ma sembrava fosse un urlo infinito.
Da quanto tempo era che qualcuno non gli rispondeva così? Da quanto?
Il nome Rosier fermava chiunque si ritenesse, anche solo per un secondo, migliore di lui dal dire certe scelleratezze.
Dall’offenderlo, dal deriderlo.
E lui sapeva che il nome Rosier era e sarebbe rimasto l’unico regalo mai ricevuto da quell’uomo che doveva chiamare padre.
Ma lui no, lui l’aveva sfidato in tutti i modi in cui si può sfidare qualcuno: con la sua presenza, la sua risposta,  i suoi insulti e i suoi sguardi.
Lui era stato incurante del suo status sociale di gran lunga più elevato del suo e, anzi, l’aveva trattato come suo… inferiore.
La voce canzonatoria di Nott gli arrivò come fosse stato distante chilometri.
«L’appuntamento non è andato come speravi?»
Evan si tirò a sedere, ricacciando tutti i suoi dubbi in quel lato buio e lontano dove aveva racchiuso i suoi sentimenti.
Amadeus lo fissava divertito, seduto sul bordo del proprio letto a baldacchino, di fronte a lui.
«Taci. Non è aria.» rispose secco il biondo, afferrando la camicia bianca appoggiata alla sedia e iniziando ad abbottonarsela.
«Accidenti! E’ andata addirittura così male? E sì che Colin è uno dei tuoi preferiti! Ogni volta che ti vedo dopo che siete stati insieme hai la tua faccia post-coito. Non che sia eccezionalmente diversa da quella che hai sempre, eh, ma sembri quasi sul punto di sorridere. Quasi.»
Evan lo fulminò con lo sguardo, guardandosi freneticamente attorno.
Nott era l’unico che sapeva il suo segreto e la situazione sarebbe assolutamente dovuta rimanere così.
Lo scandalo che ne sarebbe conseguito sarebbe stato enorme e il disonore che sarebbe caduto sull’importante famiglia Rosier devastante.
«Sei impazzito?! Non provare più a parlarne, altrimenti io-»
«Rilassati. » lo bloccò l’altro, sollevando le spalle tranquillo «Ho insonorizzato la stanza prima di entrare. Però… quanto siamo nervosi. E non credo sia solo colpa di Colin, o sbaglio?» gli sorrise poi sornione.
«Non so di cosa tu stia parlando. E comunque non sarebbero assolutamente fatti tuoi Nott.» rispose piccato Evan, alzandosi dal letto per infilarsi i pantaloni neri della divisa.
«Ok, ok. Calmati per amor di Salazar.» continuò il moro, addentando una Liquirizia Esplosiva appena presa dal cassetto di Evan.
«Sei essere tremendamente fastidioso quando vuoi, lo sai?» disse quest’ultimo, fissando con irritazione l’amico che si mangiava tranquillamente la caramella. La sua caramella.
Nott gli sorrise, con ancora metà caramella in bocca.
«Che ci vuoi fare? E’ un dono di natura!»
«A proposito di roba esplosiva, hai saputo della Smith? Wow, che casino. Qualcuno doveva proprio avercela con lei per farle una cosa del genere.» commentò Evan, afferrando placido il libro dal comodino e sdraiandosi a leggerlo.
«La Smith? Meredith Smith?» domandò Nott, di colpo serio.
Evan si limitò ad annuire.
«Cosa le hanno fatto?»
«Sembra che sia stata vittima di un’esplosione, non so con cosa. Me l’ha detto Elvett, ha visto l’infermeria piena di professori e ha sentito qualche dettaglio mentre veniva qui.» rispose il biondo, soffermandosi un secondo a guardare lo strano sguardo che animava ora gli occhi neri di Nott.
«Che hai in mente?» gli domandò, mettendosi seduto sul letto per guardare meglio l’amico.
Lo sguardo calcolatore si distese in uno vincitore, mentre un sorriso raggiante si faceva spazio sul bel viso.
«E’ perfetto! Sicuramente lei non lo sa ancora, è appena successo. Andrò da lei e…merda.» concluse poi, tirando il sorriso in una smorfia.
Notò la muta domanda di Evan e si limitò a dire: «Il fratello… l’altro Lovegood. Ho bisogno di distrarlo, altrimenti intralcerà i miei piani.»
Nott era così preso dai suoi pensieri che non si accorse della luce strana che era passata per un secondo negli occhi chiari del biondo.
«Vengo anche io. Ti copro le spalle.» disse velocemente, agguantando la cravatta Serpeverde e il mantello.
Amadeus era rimasto basito e quando si riscosse baciò rumorosamente Evan sulla guancia.
«Fantastico! Il migliore, il miglior compagno che si possa desiderare!» urlò a squarciagola, mentre Evan si ripuliva disgustato la guancia.
«Sì sì, evita però questi contatti ravvicinati in futuro, te ne prego.»
Nott lo spintonò giocoso, mentre apriva la porta del Dormitorio e scendeva le scale che portavano in Sala Comune.
«Anche se penso che non sia solo per me che hai accettato questo faticoso compito. Da tanto tempo non hai dei capelli biondi diversi dai tuoi nel tuo letto, dobbiamo rimediare. Giusto?» aggiunse poi languidamente.
Evan non riuscì a rispondere perché ormai erano già entrati nella Sala Comune e avevano tutti gli occhi puntati addosso.
 
«Prima o poi io lo uccido.» pensò però, fissandolo la schiena del compagno di Casa, quasi volesse colpirlo con un incantesimo muto.
 
 
***
 
 
Phoebe era sdraiata sul suo letto, lo sguardo assente. Si era rifugiata nel Dormitorio per due semplici motivi: a) Seth non ci sarebbe potuto entrare e b) Meredith avrebbe dovuto ritornarci per forza.
Ma l’orologio segnava ormai le dieci di sera e della ragazza nessuna traccia.
La parte logica del suo cervello continuava a ripeterle che le ronde potevano durare anche fino a mezzanotte, mentre la parte più umana, quella che voleva credere in Meredith, le diceva che sicuramente si era solo attardata a chiacchierare con qualcuno.
Così, quando qualcuno bussò alla porta, la bionda balzò sul letto quasi l’avesse punta un Ricciocorno Schiattoso e andò subito ad aprire.
Quando però si trovò di fronte una primina di Corvonero, tra l’altro dallo sguardo anche parecchio sulle nuvole, il sorriso le scivolò dal viso, sostituito da un’espressione infastidita.
«Ti sei persa? Il Dormitorio del primo anno è a destra.» disse acida, decisamente non in vena per la gentilezza.
La ragazzina la guardò un po’ impaurita, ma non se ne andò.
«Alla porta… Serpeverde… te.» balbettò, senza riuscire a dire completamente tutta la frase.
«Cosa?» domandò confusa Phoebe, cercando di calmarsi.
Aveva il forte sospetto che più si sarebbe dimostrata impaziente e più l’incapacità linguistica dell’altra sarebbe aumentata.
«C’è… c’è un Serpeverde alla porta che chiede di te.» esalò infine.
Phoebe sentì le guance scaldarsi e rispose irritata: «Beh puoi dire a questo Serpeverde che non sono in vena di scherzi. No, non mi faccio il bagno nei fiumi, sì, questo è il mio colore naturale e no, non sono una Tassorosso. Tassorosso sarà sua madre!»
Era solo l’ennesimo Serpeverde che si divertiva a prenderla in giro, di sicuro.
«Ma è… è… è…» cominciò la piccoletta, interrotta da Phoebe che le urlò praticamente contro: «E’ COSA?»
«E’ Amadeus Nott.» squittì la primina, ormai in lacrime, prima di correre a rifugiarsi nella sua stanza.
Phoebe fu seriamente indecisa.
Non sapeva se: a) mettersi ad urlare; b) rincorrere la primina per chiederle scusa; c) sbattere la porta e mandare a quel paese tutto e tutti o d) andare a vedere cosa volesse quella Serpe da lei.
E sì, quel giorno le piaceva fare elenchi con le lettere, se ve lo foste chiesto.
Alla fine si fece forza e scese le scale del suo Dormitorio, esausta.
Notò che il gemello non c’era ma era ormai oltre il limite della sopportazione e decise di soprassedere, ben lontana dal volerne indagare il motivo.
Quando aprì la porta di quercia si trovò di fronte a due enorme occhi neri.
«Buona sera Phoe.» disse calmo Nott, con un accenno di sorriso.
«Che vuoi Nott? E chi diavolo ti ha dato il permesso di chiamarmi Phoe?» domandò lei, socchiudendo minacciosa gli occhi in due fessure.
Tuttavia il sorriso non accennò a lasciare le labbra del ragazzo che fece finta di non aver sentito l’ultima domanda e rispose solo alla prima.
«Volevo accertarmi delle tue condizioni, di come stessi. Dopo ciò che è successo.» rispose lui, con lo sguardo preoccupato.
“Finto. Sicuramente finto.” si ripeté Phoebe tra sé e sé.
«Bene, da Dio in effetti! Sai, l’essere appena stata tradita così da quella che consideravo la mia migliore amica è davvero un toccasana per lo spirito! E se non hai altre finte domande gentili da pormi, gradirei sotterrarmi sotto il mio piumone e non uscirne mai più.» esclamò infine, voltandosi per tornare dentro, ma sentendosi però trattenuta.
Nott le aveva afferrato il polso e l’aveva costretta a voltarsi.
Phoebe stava per dare di matto, lo sguardo infuriato, ma quando lui parlò sentì la rabbia dissolversi in un secondo.
«Non è per quello Phoebe. Non ti hanno avvisato? Meredith ha avuto un incidente, è in infermeria. E’ fuori pericolo ma è parecchio grave.»
Tutto ciò che Phoebe si ricordava poi era la sua mano stretta in quella di Nott, mentre questo la guidava verso l’Infermeria.
Le parole del ragazzo che le vorticavano in testa, mentre la sua voce formulava una sola, semplice domanda.
«Seth? Dov’è Seth?»
Amadeus le scoccò un veloce sguardo di rammarico.
«E’ già lì da un po’. Solo io ho pensato di avvisarti, nessuno si era accorto della tua assenza. Scusa.»
Crack.
Un altro piccolo pezzo di cuore.
Perso per sempre.
 
 
***
 
 
«Rosier? Che diavolo ci fai qui?»
Evan fissò un po’ troppo a lungo le labbra tumide del ragazzo, la sua camicia spiegazzata.
E il mantello di un ragazzo che si volatilizzava appena dietro la colonna dov’era appoggiato Seth.
Ma quando parlò sembrò perfettamente tranquillo, quasi come se non si fosse accorto di nulla.
Come se non avesse capito tutto.
«Un favore, a quanto pare. Dato quanto ti sollazzavi senza rimorso, credo che sia questa la risposta giusta.» rispose gelido, storcendo le labbra in un ghigno lieve, diverso da quello di Riddle e Nott.
Quello del primo era crudele, carico di disprezzo; mentre quello del secondo era divertito e strafottente.
Quello di Evan era leggero, quasi nascosto.
Si prendeva gioco di te così delicatamente dal farti venire il dubbio che tu ti stia immaginando il tono derisorio o quel sorriso divertito.
Seth si limitò a lanciargli uno sguardo strano, quasi come se lo stesse soppesando, per poi incamminarsi verso la Torre dei Corvonero, implicitamente chiedendogli di seguirlo.
Nessuno gli aveva mai dato ordini, impliciti o non.
Nessuno al di fuori dei suoi genitori o di Riddle.
Superiori a lui senza dubbio, ma mai qualcuno diverso da loro.
E ora?
Ora non solo qualcuno, un Mezzosangue, gli dava ordini.
Ora lui ubbidiva, come se fosse normale.
Come se fosse giusto.
Come se fosse così che doveva andare, punto e basta.
«Allora? Di cosa si tratta?» gli domandò poco dopo il Corvonero, placido.
«Della Smith.» disse Evan, godendosi interiormente il modo in cui Seth si bloccò, lasciando che i suoi occhi si ingrandissero per la preoccupazione.
Quegli occhi così chiari, così chiari dal sembrare nebbia.
Così ammalianti dal farti sentire come nebbia, di fronte a lui.
«Cosa c’entra Meredith? Che è successo?» chiese preoccupato Seth, guardandolo quasi implorante.
Implorante ma fiero.
Come queste due cose potessero coesistere rimaneva un mistero per Evan, ma non sapeva come altro spiegarlo.
Era come se perfino nell’atto di implorare una parte di Seth rimanesse fiera, come se quell’azione non fosse umiliante e degradante.
Come se implorare per assicurarsi il bene di qualcuno fosse lodevole.
Ma Evan era una Serpe fino al midollo e non si sarebbe privato del sadico piacere del vederlo chinarsi di fronte a lui.

Di vedere riconosciuta la sua superiorità.
Da lui, lui che l’aveva messa in dubbio.
Lui che…
Lui aveva fatto dubitare persino Evan della propria superiorità.
 
«Sai, all’improvviso non sono più sicuro di volertelo dire» iniziò, un sorriso sfrontato sul viso pallido.
«Cosa?» ringhiò piano Seth, trattenendosi dal dire di peggio.
«Sì vedi… dopotutto sono solo – com’era? – “Una serpe che non conosce l’amicizia. O la lealtà, o l’affetto”.»
Seth si passò una mano tra i capelli lunghi, maledicendo la sua lingua lunga.
«Beh? Cosa vuoi che faccia? Che ti chieda scusa? Che ti supplichi?» domandò schietto poi ad Evan.
Rosier si sorprese però quando la sua voce formulò da sola una frase che era ben lontana da quella che la mente aveva già preparato.
«No. Perché non sono crudele come pensi; conosco l’affetto per un amico, anche se non ci crederai mai.»
Gli occhi gelidi di Evan si scontrarono con quelli azzurri dell’altro, cercando di imprimergli le successive parole nella mente.
Pensò a Nott, che nonostante fosse seccante e irritante il 99% del tempo, era l’unico di cui si fidava ciecamente. L’unico che sapeva del suo segreto. L’unico che l’avrebbe mai saputo. L’unico che, nonostante i modi freddi e altezzosi di Evan, l’aveva capito nel profondo. Aveva letto la sua paura per ciò che era, la paura di essere giudicato e odiato. Il disprezzo verso sé stesso per non essere all’altezza degli standard della famiglia, di Druella, di Riddle. E, soprattutto, il terrore di rimanere solo. Nott era l’unico che l’aveva capito e che non era scappato.
E anche se Seth non ci avrebbe creduto, anche se nessuno ci avrebbe creduto, lui capiva l’importanza dell’amicizia.
Forse più di chiunque altro.
«Lo conosco e lo rispetto. Gli sono leale. Seguimi, ti accompagno da Meredith.» concluse poi, avviandosi verso l’Infermeria.
Il sussurro di Seth gli vibrò caldo nelle orecchie, lasciandogli molta più soddisfazione di quanto avrebbe mai ammesso.
 
«Grazie. E ti sbagli… ci credo.»
 
 
***
 
 
[9 Ottobre 1941]
 
 
Meredith si svegliò piano e la prima cosa che avvertì fu il sapore ferroso del sangue in bocca.
Aprì gli occhi e capì di essere in Infermeria: quel posto se lo ricordava benissimo. Era lì che Silente le aveva somministrato una Pozione Tranquillante prima di portarla al San Mungo, due anni prima.
Cercò di voltarsi, ma una mano la fermò, spingendola di nuovo verso il letto.
Era fredda, gelida.
E le dita erano così lunghe e bianche dal sembrare le zampe di un lungo ragno.
Ma il tocco era delicato, quasi dolce.
«Non credo sia il caso che tu ti muova.»
Quella voce.
La sua voce.
Meredith girò solo il viso e si perse in un paio di occhi verdi scuro.
Un paio di occhi che avrebbe riconosciuto ovunque.
«Ben svegliata, Meredith.» le disse mellifluo lui, stirando le labbra in un sorriso.
Un sorriso che, come al solito, non raggiungeva le iridi e si fermava alle labbra.
Ma la ragazza era troppo concentrata per farci caso: aveva delle domande da porre.
«Cos’è successo?»
Si stupì della sua stessa voce: era roca, come se fosse stata muta per molto tempo.
E usarla faceva male.
«E’ una lunga storia, quando ti riprenderai ti racconterò tutto.»
Meredith voltò la testa dall’altro lato, certa che a guardarla ci sarebbero stati Seth e Phoebe.
Ma rimase delusa.
Quindi tornò a fissare Riddle, confusa.
«Phoebe e Seth?» domandò ancora.
Fece appena in tempo a sentire la risposta dell’altro, prima di ripiombare in un sonno agitato.
 
«Non sono qui. E non credo arriveranno presto. E’… è successo un casino.»

 
Note:

(1) E' una frase detta dal professor Silente nel primo libro. Si riferisce al momento di 'stallo' di Tom: avrebbe potuto eliminare Meredith senza ricevere colpa, ma ha scelto di non farlo. E ciò dice molto di più su di lui del fatto stesso che potesse salvarla: lui l'ha scelto. Questo è fondamentale :)

(2) Professoressa da me inventata ma, ahimé, la Rowling non ci ha fornito grandi notizie sui docenti al tempo di Riddle. Semmai sapeste il nome vero, fatemelo sapere e cambierò ;)


 
*Angolo Autrice*

Siete ancora lì? Non siete corsi al bagno a vomitare? Bene, è già un buon punto per me. Ho un bel po' di cose da dirvi su questo capitolo :D Numero 1: non ho potuto scrivere in vacanza perché il pc portatile mi ha abbandonato, gasp! Dato che però vi avevo promesso un capitolo ENTRO il 25 sera, ho voluto mantenere la promessa e quindi eccomi qui, dopo due ore e mezza di scrittura, a darvi... questo. Spero di avervi addolcito con quest'immagine di me, distrutta da sei ore e mezza di viaggio in macchina, tornata a casa e corsa al pc per voi *_* Perché non sono PER NIENTE sicura di questo capitolo. Oltre al fatto che vi prego di sorvolare su eventuali errori grammaticali e/o battitura - non l'ho riletto attentamente, domani provvederò a farlo - non sono certa della sua riuscita. Sopratutto del primo pezzo, quello su Tom. Ma voglio farvi capire perché secondo me sia IC: Tom non sa, come spiego, cosa sia il panico, la paura della morte per qualcuno diverso da sé. E quindi si blocca, incapace di fare nulla finché lei non gli parla e lo riporta alla realtà. Dopotutto, ricordiamoci che ha quindici anni e, per quanto crudele sia, pur sempre un ragazzo rimane. Spero di avervi convinto :') Le altre parti invece mi soddisfano maggiormente: AMO Nott ed Evan e in particolare volevo parlarvi di quest'ultimo meglio in questo capitolo. Immagino abbiate benissimo capito il 'segreto' di Evan, è abbastanza ovvio. E Seth? Ve l'aspettavate? IO LI AMO. Mi scuso per il capitolo leggermente più corto del solito, ma avevo fretta di caricare :D Quindi nulla, sperando di avervi allietato e non di avervi deluso, passo ai ringraziamenti! Ringrazio infinitamente le 12 persone che hanno messo tra le seguite la mia storia, le 2 ricordate e le ben 10 preferite! Ma soprattutto un GRAZIE ENORME a Hitsu394,  _Shanna_, Chiara99MooN, Ellie23,  Alherrie, PsycoXD e Easy_W per aver recensito lo scorso capitolo *-* 7 RECENSIONI, GRAZIE DI CUORE! Spero vi farete sentire anche oggi, ora più che mai dati i miei dubbi :') Non mi resta che salutarvi e invitarvi a recensire e a leggere il capitolo che, come sempre, verrà caricato entro una settimana! Un bacione!

Ps: vi lascio le immagini di attori che rappresentano come mi immagino....

Meredith (CLICK)
Nott (CLICK)
Evan (CLICK) - ma più pallido e moolto più chiaro di capelli
Phoebe (CLICK) - molto banalmente è identica a Luna XD
Seth (CLICK) - circa così ma coi capelli più lunghi e gli occhi, ovviamente, azzurri

- Tom è quello del banner, ovviamente ;) -
 

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Capitolo 7
*** Ferite ***


  



CAPITOLO 6 - FERITE 

A Noemi, 
Molto più di una migliore amica.
La mia persona, sempre e comunque.

 


«Occorre notevole ardimento per affrontare i nemici. Ma ancora di più per affrontare gli amici.» (1)
 

[12 Ottobre 1941]
 
 
Meredith si rigirò nel letto, incapace di dormire.
Si alzò e guardò l’orologio appoggiato sul comodino, illuminato alla luce della luna. Segnava le due e quarantasette di mattina.
Con uno sbuffo infastidito si ributtò sul materasso, fissando con aria assorta il soffitto bianco dell’infermeria.
Il giorno seguente sarebbe uscita finalmente da quella stanza, ma non aveva davvero saputo gioirne.
La situazione negli ultimi giorni si era così complicata che ormai il pensiero di tornare alla vita di tutto i giorni le provocava una fitta all’altezza dello sterno.
La voce di Riddle le perforò dolcemente la mente mentre la riascoltava, chiara quasi come se fosse stato lì con lei.
 
«Phoebe e Seth hanno litigato furiosamente, si sono detti cose che non mi sento di ripetere. Si sono accusati a vicenda e hanno rievocato vecchi rancori. E’ stato orribile, sul serio. Non credo di essere la persona più adatta a spiegarti, credo dovresti parlarne con loro. Ma stai attenta, sono davvero sconvolti.»
 
Meredith convenne con lui sull’adottare un atteggiamento cauto, ma la possibilità di chiarimento non fu mai propizia: Phoebe e Seth le avevano fatto visita pochissime volte e anche durante le stesse erano apparsi rigidi ed evasivi. Phoebe, poi, le parlava a malapena. Ad ogni accenno poi al gemello si chiudevano a riccio entrambi, lui ignorando le risposte, lei scoccandole uno sguardo freddo e distaccato.
Meredith si avvolse nelle coperte, cercando il calore che ormai sentiva essere evaporato dall’amicizia con i suoi migliori amici.
Seth era quello più bravo a fingere, le continuava a raccontare tranquillamente delle lezioni e a chiacchierare con lei; ma se Meredith si avvicinava ad argomenti delicati come ‘Phoebe’ o ‘Lite’, semplicemente smetteva di parlarle; fino a che lei non cambiava argomento.
E poi…
Poi c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a confessare nemmeno a sé stessa.
Nello sguardo di Phoebe, di solito vivace e gioviale, leggeva un sentimento talmente brutto da impedirle di dirlo ad alta voce.
Era come se l’accusasse di qualcosa, come se ogni parola emessa da Meredith fosse messa sotto osservazione, come se…
Se non si fidasse più di lei.
La ragazza sospirò, cosciente che le lacrime stessero salendo dal profondo ma non disposta a lasciarle scorrere.
L’unica compagnia sincera che aveva avuto era talmente sorprendente dal lasciarla ancora confusa.
Riddle.
Dall’incidente l’era venuta a trovare due volte ogni giorno, una la mattina prima di pranzo e una la sera prima di andare a dormire. Le aveva raccontato degli aneddoti della giornata, alcuni addirittura molto divertenti, e avevano parlato di tutto: dalle materie scolastiche ai professori, dai lavori che avrebbero voluto intraprendere una volta diplomati alla paura per i G.U.F.O. e via dicendo.
Meredith si era trovata di fronte ad un nuovo Riddle, un ragazzo più spigliato e semplice.
Non illudetevi però che si fosse trasformato in un solare e vivace quindicenne, assolutamente no.
Lei poteva ancora sentire una coltre di mistero, un muro di sicurezza avvolgerlo, impedendole di entrare così a fondo dentro di lui. E soprattutto, poteva leggere nei suoi occhi quell’aria regale e un po’ altezzosa che li aveva sempre riempiti.
Ma, ancora più strano, poteva percepire chiaramente quegli spilli verde scuro seguirla e perforarla, ogni cosa facesse.
Era come se Tom scavasse in lei, come se stesse cercando qualcosa.
Le risuonò la sua voce melliflua mentre, con modestia talmente ben simulata dal sembrare quasi vera, le riferiva ciò che era successo:
 
«Stavamo parlando come se nulla fosse e quando mi sono girato eri distesa, sanguinante e quasi svenuta. Avevi delle bolle nere che continuavano a scoppiare, la pelle ustionata. Credono sia stato Veleno di Erumpent ed effettivamente ne è scomparsa una boccetta dallo studio di Lumacorno, ma non hanno ancora trovato il colpevole. Io ti ho solo soccorso, come avrebbe fatto chiunque.»
 
Non l’aveva solo soccorsa.
Le aveva salvato la vita.
L’aveva sentito chiaramente detto dall’infermiera White mentre parlava con Silente nel suo studio, ignara che la ragazza stesse solo fingendo di dormire.
 
«Silente, glielo ripeto. Se Tom non fosse intervenuto, non so quanto avremmo potuto fare. Ha usato gli incantesimi basilari, ha fermato la maggior parte dell’emorragia e ha impedito il peggio. Quella ragazza sarebbe morta senza di lui, corrosa dal veleno. Merita un riconoscimento ai servigi, altroché!»
 
Meredith si alzò, definitivamente convinta che non avrebbe dormito quella notte.
Illuminò l’oscurità con un debole “Lumos” e afferrò il libro di Incantesimi che stava sfogliando prima di coricarsi.
Ma mentre gli occhi scorrevano le lettere senza capirne realmente il significato, l’unico pensiero che continuava ad affollarle la mente era:
 
Gli devo la vita.
Gli devo la vita e non potrò mai sdebitarmi.
Gli devo la vita e non potrò mai ripagarlo.
Gli devo la vita e… non riuscirò mai a dimenticarlo.
 

 
***
 
 
«Allora Nott? Come sta procedendo la tua missione?»
Tom allungò le dita fino ad afferrare il calice che gli stava di fronte e bevve un rinfrescante sorso di Idromele.
Il moro di fronte a lui invece azzannò una fetta di torta ai lamponi.
Sebastian Goyle aveva compiuto gli anni e aveva chiesto agli elfi di preparare un piccolo rinfresco per tutti i Serpeverde nella Sala Comune.
Amadeus Nott finì di masticare e si rinfrescò la gola con un po’ di succo di zucca, prontamente rubato ad Alexander Zabini che si era distratto per flirtare con una bionda, prima di iniziare a parlare.
«Bene, anzi benissimo. Si sta avvicinando sempre di più e, anche se come al solito sfoggia un fastidioso fare da saccente, inizia a contare sul serio su di me. Abbiamo chiacchierato a lungo oggi e mi ha anche confessato un po’ del dolore che prova dalla situazione tra lei, l’altro Lovegood e la Smith.» rispose tranquillo Nott, adocchiando nel frattempo la generosa scollatura di Lola Bordeaux.
Riddle storse le labbra in un sorriso soddisfatto, per poi domandare:
«Te la sei fatta?»
Amadeus negò col capo, prima di aggiungere con un ghigno divertito in viso:
«Ma ci sto seriamente pensando. Dopotutto, non è così male. Ha un fisico abbastanza carino e un seno non da buttare via. Il fondoschiena però è il suo punto forte. Ho avuto modo di… appurarlo di persona.»
E non appena ebbe finito la frase si alzò, per chiedere alla Bordeaux di ballare con lui.
Tom lo guardò allontanarsi, con un sorrisino divertito: l’atteggiamento così libertino del compagno era ormai famoso nel castello e non faceva mancare le scenate di gelosia e invidia tra le ragazze. Scenate che, in mancanza di qualcosa di meglio, potevano comunque allietare la noia di Hogwarts.
Il Serpeverde si alzò dal divano e si diresse verso il dormitorio, dove recuperò dalla borsa un enorme volume nero sulla cui copertina erano incastonate delle pietre preziose.
Era certo che la festicciola in Sala Comune avrebbe impegnato i suoi compagni di stanza ancora per un’ora e si accomodò sul letto, riprendendo a sfogliare l’enorme volume da dove l’aveva interrotto.
 

 
CAPITOLO XI: SALAZAR SERPEVERDE E LA NOBILTA’ DI SANGUE

 
Era stato incredibilmente semplice accedere al reparto proibito della biblioteca durante una delle sue ronde notturne solitarie, a causa dell’assenza di Meredith, e sottrarlo indisturbato.
Il libro era intitolato “Storia di Hogwarts: l’inizio della leggenda”.
Ma non era stato il nome, di per sé abbastanza scontato, ad attrarlo.
Era stato il sottotitolo, vergato in lettere talmente nere dall’essere quasi invisibili: come se non avessero dovuto essere lì.
“Segreti e misteri dei Fondatori: una storia non pulita quanto si pensa”
Tom iniziò a leggere il capitolo, leggendo di come Salazar fosse andato inizialmente d’accordo con gli altri tre.
Si raccontava della sua stretta amicizia con Godric, del rispetto per l’umiltà di Tosca e della sua stima per l’intellettualità di Rowena(2).
Una parte in particolare lo colpì, bloccando momentaneamente la sua lettura spedita.
 
La sua brillante mente sembra essere lontana anni luce dalle nostre. Vede cose che non sono visibili all’occhio umano, le memorizza e le studia. Rowena è sensibile e solitaria, ma sa anche farsi valere.
L’intelligenza è la sua miglior dote, e non l’ho mai trovata in tutta la mia vita.
All’inizio la temevo, ma ora la rispetto.
All’inizio la invidiavo, ma ora la condivido.
E spero che possa essere utile ai miei scopi futuri, prima o poi.
 
L’estratto di un quaderno di Salazar lo lasciò meditabondo.
Dubitava ci fosse stata una storia tra i Fondatori, anche perché al momento della rottura finale Rowena era stata quasi più contraria di Godric alle proposte di Salazar.
Allora perché marcare così tanto le sue doti, la sua intelligenza?
Che fosse una donna acuta e sveglia molti libri lo riportavano, eppure Salazar sembrava trovarla una cosa incredibile.
«E non l’ho mai trovata nella mia vita…» rilesse piano Tom, domandandosi ancora quante probabilità ci fossero che Salazar fosse stato sempre e comunque circondato da idioti per poter trovare tanto decisiva l’intelligenza di Rowena.
Riddle continuava a supporre tesi che crollavano da sole, una volta ricordato un dato particolare letto su “Storia di Hogwarts”.
Sia Godric che Tosca era dei Maghi molto abili, nonostante le loro convinzioni troppo democratiche, e Salazar l’aveva ripetuto spesso.
Ma allora perché prestare così tanta attenzione a Rowena?
Rilesse ancora una volta un passaggio:
“Vede cose che non sono visibili all’occhio umano, le memorizza e le studia”.
Riddle non riuscì a non pensare a Meredith.
Si ricordò come quel pomeriggio l’aveva vista osservare con sguardo cinico il suo sorriso per un istante, prima di congedarlo.
Tom era stato ben attento ad evitare un contatto visivo, eppure…eppure sembrava che lei intuisse la sua falsità, il lavoro che stava dietro ad ogni sorriso, i calcoli nascosti sotto ogni risposta.
Sembrava lo capisse, in un modo che lui invece non comprendeva.
Aveva studiato a lungo Occlumanzia a tarda notte con l’ausilio di Evan Rosier, un Legilimens molto capace, ed era riuscito a bloccarlo senza problemi.
Era migliorato, ma non le avrebbe comunque permesso di riprodurre quello strano contatto.
Di entrargli dentro senza permesso.
La volpe gli balenò in mente in un secondo, per poi sparire di nuovo.
Aveva convinto sé stesso che fosse stata un’allucinazione dovuta allo shock.
Aveva nascosto dentro di sé il timore che quel ricordo gli causava.
Giù, sempre giù.
Così in fondo che nemmeno lei l’avrebbe potuto trovare.
Così in fondo che nemmeno lui l’avrebbe potuto sentire.
 
 
***
 
 
Phoebe si legò i lunghi capelli biondi in uno stretto chignon, lasciando fuori solo un ciuffo accanto al volto.
La mente quella mattina non si era svegliata, incapace di concentrarsi al 100%, dato che la risata di Nott continuava a rimbombare nella sua testa.
La ragazza rabbrividì, legandosi la cravatta della divisa e cercando di scacciare il fastidioso rumoroso mentre scendeva le scale.
Si accomodò sulla panca della Sala Grande pochi minuti dopo, servendosi poi una generosa porzione di pancakes e marmellata di mirtilli.
Claire Wright, una sua amica di Grifondoro, si sedette di fronte a lei, attaccando bottone sorridendole felice.
«Pronta Phoebe?»
La bionda la guardò confusa, mentre l’amica allargò il suo sorriso.
«Non dirmi che ti sei dimenticata! Oggi c’è la prima partita della stagione: Corvonero contro Serpeverde! Dovete assolutamente battere quelle Serpi! E poi, è anche un grande giorno per Seth. Dopotutto farà da sostituto Cercatore, no? Certo che Adams poteva anche evitare di fare il provino per poi trasferirsi in Germania un mese dopo.»
Lo stomaco di Phoebe si contrasse in un moto doloroso al sentir parlare del gemello.
Lei e Seth non si parlavano praticamente più da quel giorno.
Le parole che aveva rivolto al gemello le tornarono alla mente e con esse il dolore e la rabbia.
 
 
«Non hai pensato di chiamarmi? Non hai pensato di avvisarmi, eh?!»
Il suo sguardo, confuso e innocente, mentre negava.
Le labbra di lei, ormai rosse per la rabbia.
«Certo, come sempre. Dopotutto, chi sono io? Nessuno, ecco chi sono!»
«Phoe, che stai dicendo?! E’ stato solo un incidente, non serve alterarsi così tanto!» le aveva risposto il gemello, iniziando a scaldarsi.
«Un incidente, come no. Sai, vorrei crederti, ma ormai sono stanca delle tue scuse. Tu e Meredith ormai mi escludete quasi sempre, siete nel vostro mondo, sempre insieme. Hai idea di quanto io mi senta messa da parte, costantemente?»
Ormai le parole le uscivano dalla bocca come un fiume in piena e non riusciva più a fermarsi. Cinque anni di insicurezza e paure fuoriuscirono prepotenti, insieme alle lacrime.
«Le fai carezze, le dai baci. La tratti meglio di come tratti me, te ne rendi conto? A volte… a volte penso che tu… avresti preferito avere lei come sorella.» sibilò piano, senza riuscire a guardare in quegli occhi così simili eppure così diversi dai suoi.
La voce glaciale di lui, però, le fece alzare lo sguardo per la sorpresa.
«Sei ridicola, di cosa stai parlando? Basta con questa invidia, con questa insicurezza. Ogni volta che ho tentato di prendermi cura di te me l’hai impedito, cosa pretendi?! Cosa vuoi da me?! Continui a ripetermi che sei una donna ormai, che non hai bisogno del fratellone a proteggerti. E allora cosa dovrei fare io, eh?» esclamò lui, gli occhi azzurri che brillavano di una luce strana.
«Quindi va bene, quindi preferisci trattarmi come una persona qualunque? Essere gemelli non conta nulla per te?! Avevamo promesso di essere migliori amici, sempre e comunque Seth! Te lo ricordi?!» domandò lei, isterica. Non sentì nemmeno la mano che premeva dolcemente sulla sua spalla. Nott non l’aveva abbandonata un secondo. Ma ormai era fuori controllo, ormai non riusciva più a placarsi. E nemmeno il pensiero che Riddle, Silente, Nott, Rosier, Madama White e altri tre docenti la stessero ascoltando la fermò.
«Dopotutto io sono troppo stupida, troppo insulsa, no? Prendi lei Seth, sarà sicuramente molto meglio di me!»
«Oh ma per favore! Piantala di fare la tragica come sempre Phoebe! Sei davvero insopportabile quando fai così: vuoi essere sempre al centro dell’attenzione ma ti lamenti del peso dei riflettori. Sai che c’è? Sono stanco dei tuoi sbalzi d’umore, dei tuoi ragionamenti contorti e della tua gelosia. Meredith è la mia migliore amica e tu sei mia sorella, ma io non ce la faccio più. Essere gemello conta molto per me, forse più che per te. Ma ora basta, ora finiamola. Cavatela da sola, Phoebe. Io mi tiro fuori.»
Seth se n’era andato così, lasciandola sola insieme a quel pubblico male assortito e imbarazzato. Di fronte all’infermeria, a pochi passi dalla loro migliore amica.
Seth l’aveva lasciata in mezzo alla gente, però Phoebe non si era mai sentita tanto sola.
E senza accorgersene aveva accettato l’abbraccio di Nott, scoppiando in lacrime isteriche e furiose.
Non riusciva nemmeno a parlare, il terrore che le rubava ogni respiro.
Terrore di averlo perso per sempre.
E certezza che, insieme a lui, se n’era andata anche un’altra parte di sé.
 
 
«Allora? Verrai a vederla, vero?» le domandò Claire, riportandola alla realtà.
Phoebe annuì appena, prima che la Grifondoro si alzasse per raggiungere il suo tavolo.
Un altro ricordo, certamente meno doloroso ma allo stesso modo invadente ed imbarazzante le attraversò la mente.
 

 
Phoebe che si stava cambiando.
Phoebe che sentiva la porta aprirsi, ma essendo troppo assorta nei pensieri non ci aveva dato peso.
Phoebe che restava a fissarsi nello specchio, solo in biancheria intima, cercando di scegliere una camicia per andare a rilassarsi nel parco.
Phoebe che si voltava, imbarazzata e con le guance rosse, quando aveva sentito la voce di Nott dirle “Quella blu, risalta i tuoi occhi”.
Phoebe che si rivestiva in tutta fretta, domandosi quanto fosse idiota lei, quanto fosse idiota lui, e per quanto l’avesse fissata senza fiatare.
Phoebe che lo fulminava con lo sguardo, mentre lo sentiva invitarla alla partita dove avrebbe giocato come Cercatore di Serpeverde(3).
Phoebe che gli forniva una rispostaccia e infine la risata di Nott che si allontanava mentre lo stesso scendeva le scale(4).
 

La bionda sentì le guance avvampare, mentre sorseggiava con avidità il suo succo di zucca cercando di rinfrescarsi.
E non poté fare a meno di maledire sé stessa mentre, con evidenti tendenze masochiste, si avviava silenziosa verso il campo da Quidditch, due ore dopo.
 
 
***
 
 
«Allora i miracoli accadono davvero! Non ti avevo mai visto assistere ad una partita di Quidditch in cinque anni, e ora eccoti qua!»
La voce di Alexander Zabini suonava divertita, mentre camminava di fianco a lui per dirigersi verso gli spalti.
Non gli rispose, continuando a fissare imperterrito la fiumana di studenti esaltati che li precedeva, in direzione del Campo.
Evan Rosier aveva sempre detestato quelle dimostrazioni di felicità eccessive, quelle urla e quegli schiamazzi caratteristici della folla in delirio.
La confusione, il disordine e il chiasso non rientravano nella sua idea di ‘felicità’.
«Nott mi ha talmente rotto le pluffe perché lo venissi a vedere che non ho potuto evitarlo.» sibilò piano, osservando un paio di Grifondoro che esibivano un enorme striscione con scritto ‘Tornatevene nelle vostre tani Serpi!’.
 
«Già, ed è solo per questo che sei venuto a vedere la partita, vero?»
 
Evan scosse la testa, cercando di scacciare quella fastidiosa vocina irritante (che somigliava incredibilmente a quella ghignante di Nott) dalla mente.
«Capisco. E’ la sua prima partita da Capitano, vero?» domandò Zabini, mentre si arrampicava lungo la scalinata delle tribune verde-argentee.
Evan annuì, sedendosi accanto all’amico sulle panchine di legno.
Gli spalti erano quasi tutti pieni e le squadre stavano giusto entrando in campo per fare riscaldamento.
Il biondo osservò le divise verde scuro della sua squadra e individuò Nott che proprio in quel momento stava spiccando il volo.
Come suo solito, non riuscì ad evitare di fare un giro vicino al suo fan club di ragazzine strepitanti, causando urletti e schiamazzi.
Evan fece una smorfia, mentre il migliore amico lo salutava col solito sorriso divertito.
Poi, senza che il biondo potesse impedirglielo, lo vide chiamare qualcuno.
«Hey Lovegood! Pronto a farvi battere? Il boccino non lo vedrai nemmeno di striscio!»
Evan sentì il cuore accelerare quando un'altra persona si avvicinò a Nott.
«Questo lo vedremo, Nott. Attento a non farti distrarre da qualche scollatura generosa, sai da qui si vedono benissimo!» gli urlò Seth di rimando, sorridendo appena.
Nott gli fece l’occhiolino e aggiunse solo una cosa, prima di sparire verso le nuvole per riscaldarsi un po’.
«Tranquillo, la mia concentrazione è più forte di quanto credi! E mi raccomando per te, non distrarti a guardare qualcuno, altrimenti sarà davvero troppo facile batterti.»
Evan lo fissò con lo sguardo di un’omicida a piede libero.
«IO DEVO UCCIDERLO, DANNAZIONE!» pensò tra sé e sé.
Quando si voltò, notò che Seth lo stava fissando.
Durò appena un secondo, e Rosier non riuscì a capire a cosa stesse pensando l’altro, prima che il Cercatore di Corvonero raggiungesse la squadra per gli ultimi consigli pre-partita.
Evan si accomodò meglio sulla sedia, improvvisamente a disagio.
«Credo ci sarà da divertirsi!» mormorò Zabini.
«Non immagini quanto. » mormorò Evan in risposta, proprio mentre Madama Holl(5) fischiava, dando inizio alla partita.

 
 
«Prince di Serpeverde passa la pluffa a Watson, che rilancia a Prince ormai vicino agli anelli. Tira e… PARATA STRAORDINARIA DI WINSTON, PORTIERE DI CORVONERO!» esclamò Jones, il cronista della partita.
Erano passati quaranta minuti e le squadre erano in parità per 70 a 70, ma continuavano a superarsi a vicenda.
Evan non apprezzava la confusione dei tifosi, ma ne capiva comunque molto di Quidditch e dovette fare i complimenti ai Capitani delle squadre.
Nott aveva trovato dei componenti agili e furbi, non sempre corretti ma quello era degno dei Serpeverde, mentre Adams, prima di trasferirsi, aveva aggiunto elementi veloci e intelligenti.
Erano due squadre grandiose e nessuno avrebbe potuto negarlo.
Evan alzò lo sguardo, puntandolo sull’amico che volava a trenta metri da terra e scrutava assorto lo spazio intorno a sé.
Né lui né Seth avevano ancora fatto nulla di eclatante, eccezion fatta per qualche acrobazia volta a confondere l’altro.
E come attaccato ad una calamita il suo sguardò passo alla figura agile del Corvonero.
La divisa aderente segnava il fisico asciutto ma comunque scolpito, mentre i capelli biondi lunghi gli frustavano dolcemente il viso.
«La pluffa è in mano a Gwen di Corvonero, che la passa a Aston, evitando un bolide di Bones, e vola dritto verso gli anelli. GOAAL! Corvonero ritorna in vantaggio, 80 a 70!» urlò in quel momento Jones.
Evan osservò i continui goal delle squadre per altri venti minuti, prima di sentire l’esclamazione di Jones.
«ATTENZIONE! NOTT PARTE ALL’ATTACCO E SEMBRA AVER VISTO IL BOCCINO! LOVEGOOD LO SEGUE E SONO ORMAI VICINISSIMI!»
Evan seguì le due figure velocissime inseguirsi, quella verde di Nott poco più avanti, mentre precipitavano verso il suolo.
Riuscì a scorgere uno schizzo dorato a pochi centimetri da Nott, ma sparì immediatamente.
«SONO A DIECI METRI DAL TERRENO, NOTT SEMBRA ORMAI ESSERE VICINO AL BOCCINO!»
Ma invece che fermarsi i due sembravano accelerare.
«OTTO METRI! SI SCHIANTERANNO! FERMATELI!»
La voce di Jones era piena di paura, come tutti gli spettatori che ormai si erano alzati, incantati dalla spericolata corsa di fronte a loro.
A cinque metri Nott virò per evitare il suolo, mentre…
Mentre Seth continuò la discesa.
«NOOOO! SETH!»
L’urlo di Evan si confuse con quello di Phoebe e nel silenzio tombale dello stadio echeggiò all’infinito.
Il contatto era imminente e ormai metà del pubblico aveva chiuso gli occhi per non assistervi, ma quando la voce di Jones parlò era carica di una gioia selvaggia.
«LOVEGOOD PRENDE IL BOCCINO! UNA MANOVRA DA PAURA, SIGNORE E SIGNORI! LOVEGOOD CONQUISTA IL BOCCINO E REGALA LA PRIMA VITTORIA A CORVONERO!»
Evan pensò di non aver respirato per anni.
Mentre guardava Seth ruzzolare dalla scopa a causa della frenata e rialzarsi sorridendo con la pallina dorata in mano, sorrise suo malgrado, evitando lo sguardo sorpreso di Zabini o quello furioso di Druella che non capivano la sua gioia.
Per un attimo, gli sembrò che Seth l’avesse guardato, ma non fece altro che continuare a sorridere, incapace di smettere.
Perfino Nott gli faceva l’occhiolino, ridendo per la sua faccia che doveva proprio essere da ebete.
Ma, pensò, per quella felicità immensa, anche apparire ebete era un prezzo che valeva la pena di pagare.
 
 
***
 
 
I festeggiamenti nello spogliatoio Corvonero andarono avanti per oltre mezzora e Seth continuava a ridere e ad abbracciare chiunque.
Aveva sempre amato il Quidditch, ma era stato troppo modesto per fare le selezioni, e comunque Adams era sicuramente più bravo di lui.
Quando poi Tamara Winston, la portiere di Corvonero, l’aveva visto volare un pomeriggio e l’aveva implorato di sostituire Adams, non aveva saputo dire di no.
Seth si trovò bloccato di nuovo da John Gwen e Claudia Aston, due cacciatori di Corvonero, e riuscì ad uscirne solo quando fece notare quanto poco mancasse a pranzo.
La squadra di Corvonero uscì ancora esultante dallo stadio e Seth si fermò un secondo in più per asciugarsi i capelli.
Quando uscì dallo spogliatoio sentì una voce familiare chiamarlo, dolcemente.
«Sei stato formidabile, Seth.»
Si voltò, guardando il ragazzo di fronte a lui, lo sguardo impassibile.
Max Jackson, Corvonero del settimo anno nonché Caposcuola, era appoggiato al muro e lo fissava lascivo.
Le labbra piegate in un sorriso languido, i capelli neri spettinati.
Era alto come Seth, e la divisa non nascondeva il corpo attraente che faceva svenire molte ragazze della Scuola.
Quel corpo che Seth conosceva fin troppo bene.
«Che ci fai qui, Max?» gli domandò il biondo, glaciale.
«Ma come…» iniziò l’altro, avvicinandosi sempre di più «…non posso aspettare il mio ragazzo fuori dagli spogliatoi? Lui che ha fatto vincere teatralmente la prima partita a Corvonero?»
La gola di Seth produsse un basso ringhio, e la voce divenne gutturale e roca.
«Non sono il tuo ragazzo. Non più.»
Max rise piano, ormai a pochi centimetri dal viso del biondo.
«Ancora quella storia? Ti ho già detto che mi dispiace, è stato tutto un incidente.»
Seth sentiva il suo fiato caldo sulle labbra, ma non perse nemmeno un briciolo di lucidità.
«Non credo che le tue labbra siano capitate accidentalmente sopra quelle di Owen. O Carl. O Steve.» pronunciò ogni nome seccamente cercando di riempirlo di tutta la cattiveria e il disgusto che poteva.
Max non sembrò farci caso, continuando a sorridere.
«Gli incidenti capitano spesso.» sussurrò piano, prima di baciarlo.
Fu un contatto breve ma che Max cercò di approfondire, prima che Seth lo spingesse via con forza.
Lo guardò disgustato, i conati di vomito che gli salivano dallo stomaco.
«Hai ragione, gli incidenti capitano spesso. E il mio più grande incidente è stato credere che tu fossi qualcosa di più del pezzo di merda che sei in realtà. Vattene Max, ora
Il moro lo guardò senza aggiungere altro, ma mentre gli passava accanto lo sentì dire piano “Te ne pentirai”.
Seth rimase bloccato lì, il sapore di Max ancora prepotente in bocca e la voglia di urlare.
Stava per andarsene quando sentì un rumore dietro di sé.
Si voltò e incontrò degli occhi chiari e, se l’era immaginato lui?, arrabbiati.
«Evan? Ti… ti serve qualcosa?» domandò Seth, cercando di sorridere senza sembrare come se l’avessero appena investito.
«Stavo aspettando Nott, non ti preoccupare. E poi…» rispose questo, arricciando le labbra in un ghigno malevolo «Cosa mai potrebbe servirmi da te
Lo guardò disgustato, continuando a ridere di lui, prima di sparire fuori dagli spogliatoi.
Seth avrebbe voluto rincorrerlo, domandargli a che gioco stesse giocando fingendo di essere suo amico per poi prenderlo in giro, ma l’odore di Max gli premeva ancora sulla pelle.
Quindi si limitò a uscire, diretto al suo Dormitorio.
Aveva voglia di lavare via quello schifo da sé.
E ormai la felicità provata fino a poco prima era solo un ricordo lontano.
 
 
***
 
 
«Ciao, Phoebe.»
Meredith entrò nel Dormitorio e appoggiò la borsa, piano, guardando cauta il profilo dell’amica che si voltava.
Era come un animale selvatico e Meredith aveva paura di avvicinarsi troppo e farla scappare.
«Meredith» disse calma la bionda, degnandola appena di uno sguardo, per poi riprendere la lettura come se nulla fosse.
«Come… come stai?» domandò ancora la bruna, cercando di sembrare naturale.
«Bene, grazie. Mio fratello gemello si è quasi ucciso per prendere uno stupido boccino ma sto bene. Ah, suddetto fratello gemello non mi parla più, ma che vuoi che sia?» sputò acida l’altra, fulminandola come se fosse tutta colpa sua.
Un momento…
Lei era convinta che fosse tutta colpa sua!
«Phoebe, possiamo parlare seriamente? Perché ce l’hai con me e perché hai litigato con Seth? Cosa… cosa ti ho fatto?» le domandò Meredith, avvicinandosi alla bionda.
Questa però la guardò quasi disgustata e si alzò dalla sedia, fronteggiandola severa.
«Cosa mi hai fatto? COSA? Mi hai portato via mio fratello! Voi due state sempre lì a chiacchierare, a confabulare, e mi estraniate sempre!» esclamò, furiosa.
«Cosa? Di cosa stai parlando?» domandò innocentemente Meredith.
«Oh non fare la santarellina! Tu vai prima da lui se hai un problema, se vuoi parlare. E lui da te. Ogni volta che siamo in tre scherzate e ridete di cose che sapete solo voi. Vi prendete per mano, vi baciate sulle guance! Perché non vi mettete insieme e non la fate finita una volta per tutte!»
Meredith si sentì offesa da quelle accuse e cominciò a ribattere, iniziando a scaldarsi.
«Non è vero! Tu sei la mia migliore amica Phoebe! E io…»
«BALLE! Se fossi la tua migliore amica non avresti accettato il ruolo di Prefetto, o quantomeno me ne avresti parlato! Invece non ti sei nemmeno ricordata, vero?»
Meredith aprì la bocca per ribattere, ma non ci riuscì.
L’altra ghignò, vincitrice, e incrociò le braccia trionfa.
«Visto? Ho dovuto saperlo da Nott, da Nott ti rendi conto! Tu non pensi mai a me, o lo fai solo quando ti fa comodo.»
«Non è vero! Io ti voglio bene, sei la mia migliore amica! E sì, me ne sono dimenticata, ma è successo solo quella volta e io non avrei mai voluto ferirti!» esclamò Meredith, gli occhi lucidi ma non seppe se per la rabbia o per il dolore delle accuse dell’altra.
Phoebe la osservò, malignamente.
«No. Sai qual è la verità? Che io sono la tua unica amica. E forse dovresti chiederti il perché. Ti lamenti sempre, sei testarda e orgogliosa. Sai essere altruista, ma spesso dietro si nasconde il tuo egoismo. Sei solo una patetica orfana, ecco cosa sei Meredith Smith.»
Meredith si voltò e corse fuori dal Dormitorio, troppo ferita per poter guardare Phoebe negli occhi.
 
E così non riuscì a vedere l’amica che scoppiò a piangere, perché aveva riversato su di lei il dolore che la separazione da Seth le causava. La sua invidia, la sua insicurezza. La sua paura di non essere abbastanza e… e la certezza di non poterla eguagliare.
 
Meredith corse a perdifiato nei corridoi che conosceva a memoria, lontana dalla Sala Grande dove era certamente già iniziato il pranzo.
Si rifugiò in un’aula vuota e pianse, pianse tutte le lacrime che aveva.
Le parole di Phoebe ribollivano dentro di lei e per un attimo pensò che era come quando il veleno l’aveva colpita.
Quando una mano strinse la sua si voltò e vide delle iridi verde scuro fissarla preoccupata.
«Meredith? Che è successo?»
La ragazza non rispose, fiondandosi tra le braccia di Tom, senza smettere di piangere.
Sentì le sue braccia stringerla a sé e non si chiese come l’avesse trovata o se stesse fingendo la preoccupazione.
In quel gelo che aveva riempito il suo cuore, perfino le braccia di Tom sembravano calde e accoglienti.




Note:

(1) Citazione di Albus Silente da Harry Potter e la Pietra Filosofale
(2) Ho deciso di mantenere il nome originale Rowena, a differenza degli altri tre fondatori, perché sinceramente trovo Priscilla (o peggio COSETTA) dei nomi orribili D: Spero non vi dia troppo fastidio, alla fine è una sciocchezza ;)
(3) Riferimento al capitolo 4, vi ricordate che Amadeus ha citato la sua entrata nella squadra di Quidditch? :)
(4) So che nelle scale per i Dormitori Femminili c'è un incantesimi che le trasforma in rampa quando le sale un ragazzo, ma ho pensato che fosse stato posto solo dopo che Silente divenne Preside ;)

(5) Mi sono inventata anche la 'Madama Bumb' di turno, come sempre se sapete il nome vero sappiatemelo dire!

 
*Angolo Autrice*

E, con una puntualità quasi incredibile, eccoci al nuovo capitolo! Devo dire che sono davvero molto soddisfatta, credo onestamente sia uno dei migliori (se non il migliore) di questa fan fic. Amo la Sevan (SethxEvan - termine coniato da me ;) ) e credo siano troppo belli insieme *_* Mi piace poi il grande successo di Nott (ma dai, com'è possibile non amarlo? XD) e spero vi abbia divertito anche oggi! Che dire, si parla sopratutto del rapporto tra Phoebe e Seth e della rottura che si è creata. Dovete capire come Phoebe si senta davvero insicura, a discapito di ciò che esterna, e per questo invidi il legame stretto tra Seth e Meredith. Finendo così per allontanarli irrimediabilmente. E Tom pronto ad accorrere? Ovviamente non è una coincidenza, ma non affrettiamo le cose ;) Spero vi sia piaciuto davvero tanto come a me e vogliate farmi sapere le vostre opinioni! Passo quindi ai ringraziamenti prima di fornirvi una sorpresa!

Grazie alle 14 seguite, le 2 ricordate e le 11 preferite!
E grazie infinite per le meravigliose recensioni allo scorso capitolo a:


PsycoXD
Alherrie
Easy_W
Hitsu394
Chiara99MooN
e _Shanna_!
Vi adoro e spero vi farete sentire anche oggi!

Infine, vi faccio vedere il meraviglioso regalo che una mia amica mi ha fatto: una fan art di (in ordine da sinistra a destra) Druella, Phoebe e Meredith.
IO LA AMO, NON E' MAGNIFICA?




Buona giornata e alla prossima! <3


 

 

 

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Capitolo 8
*** Scoperte ***




CAPITOLO 7 - SCOPERTE 

 
 
«Chiamalo pure Voldemort, Harry. Le cose vanno chiamate con il loro nome. Aver paura di un nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa» (1)
 
 
[29 Settembre 1941]
 
 
Meredith uscì dall’aula di Pozioni quasi correndo, vogliosa di lasciarsi alle spalle le due ore appena trascorse.
Lumacorno aveva voluto spiegare loro il metodo di preparazione delle Pozioni Restringenti, compito davvero arduo e per cui bisognava essere in coppia.
E come al solito aveva messo lei con Phoebe.
Nonostante fossero passati ormai diciassette giorni dalla loro lite, nessuna delle due si era scusata o anche solo dimostrato la volontà di rimediare.
Erano rimaste poco più che semplici compagne di Dormitorio: si parlavano con gentilezza, ma non azzardavano mai un sorriso o un gesto affettuoso.
Meredith si lasciò scaldare un poco dal timido sole che spuntava dalle nuvole chiare, senza però riuscire ad eliminare la sensazione di gelo che le invadeva le ossa.
Si sentì stringere la mano da qualcosa di mortalmente gelido, ma non si spaventò.
Ormai si era abituata a quelle lunghe dita bianche e fredde, aveva imparato a riconoscerle al tatto e a non temerle.
«Tutto bene?»
La sua voce aveva quella strana inflessione dolce che usava solo per lei, ma Meredith riuscì a sentire chiara e assordante la rigidità che vi nascondeva dietro.
Non era nella sua natura essere dolce, gentile.
Non era nella sua natura pensare agli altri.
Ma ormai era l’unico che anche solo fingesse di volerla accanto a sé.
E perfino quella misteriosa voce era meglio dell’insopportabile silenzio a cui altrimenti sarebbe stata sottoposta.
Si voltò, sorridendo appena.
«Sì, ora sì. Grazie, Tom.»
Lui le restituì il sorriso e le lasciò la mano, continuando però a starle accanto mentre camminavano verso la serra di Erbologia dove avrebbero avuto la successiva ora di lezione.
Quel sorriso sembrava quasi vero, quasi affettuoso.
Quel quasi la distruggeva ogni volta, ma respinse la paura in fondo al cuore, pensando che, dopotutto, magari lui le si stava affezionando.
Per quanto potesse amare qualcuno.
Per quanto potesse amare lei.
E per quanto lei potesse mentire a sé stessa, credendo a tutto ciò.
 
 
***
 
 
Tom si sedette sulla sedia della biblioteca, esausto.
Aveva dovuto passare tutta la giornata con la Corvonero, ed era davvero sfinito.
Aveva scoperto suo malgrado in Meredith una mente acuta e brillante, ma ciò non poteva compensare la sua evidente correttezza e lealtà.
Si rigirò il libro che ormai da giorni non abbandonava mai tra le mani, sfogliandolo pigramente.
Aveva trasfigurato la copertina, in modo tale che non risultasse sospetta, e l’aveva riletto da cima a fondo più e più volte.
Ogni parola, ogni sillaba, era impressa a fuoco nella sua memoria eccezionale.
Tuttavia non riusciva ancora a comprendere i segreti che, ne era certo, si celavano al suo interno.
«Le cose non sono sempre come sembrano. Anzi, spesso e volentieri non riusciamo a distinguere proprio ciò che abbiamo di fronte. Anche le menti più brillanti si fanno ingannare dalla semplicità.»
Tom scosse la testa, scacciando via la sua voce.
Lei aveva detto quelle parole mentre studiavano Incantesimi, parlando dell’Incanto Gemini. Due copie identiche solo apparentemente, ma che non si assomiglieranno mai.
«Come loro due…»
Le parole le erano sfuggite di bocca prima che le potesse bloccare e si era subito pentita di ciò che aveva appena detto.
Tom le aveva fornito una spalla a cui aggrapparsi, trattenendo a stento il fastidio che quel contatto gli procurava.
Trovarla, ricordò il ragazzo, dopo la lite con Phoebe era stato tremendamente facile. Era andato a prenderla in infermeria e, dopo aver finto di congedarsi, si era acquattato all’ombra di una colonna, aspettando la bomba che di lì a poco sarebbe esplosa.
Nott gli aveva assicurato che Phoebe non era così disposta a mettere da parte il suo orgoglio per perdonarla e Tom aveva deciso di avvalersi di ciò per acquisire ancora più fiducia da parte di lei.
Quando poco dopo l’aveva vista passare di corsa l’aveva seguita a distanza, sufficientemente lontano da non essere visto e abbastanza vicino perché potesse vedere dove si sarebbe rifugiata.
E quando la ragazza era entrata in un’aula lui aveva atteso pochi secondi prima di raggiungerla.
Meredith non aveva chiesto per quale motivo il Serpeverde si trovasse lì ma nel caso lui aveva già provveduto a istruire Alexander Zabini affinché gli sostenesse la scusa: doveva aiutarlo in segreto con delle ripetizioni di Incantesimi.
Tom accarezzò distratto una delle pagine del libro, mentre leggeva un altro spezzone dei pensieri di Godric.
 
Rowena e Tosca sono due streghe molto dotate. Rowena nella fattispecie ha l’abitudine di cercare dei rifugi ove studiare in pace, lontana da tutti. Ed è proprio così che ha trovato una rupe diroccata, lontana da qualsiasi villaggio. Un paio di secondi dopo il suo brillante intelletto aveva già pensato a tutti gli incantesimi necessari. Era corsa da me, Tosca e Salazar, e tutta entusiasta aveva esclamato: “Istituiamo una Scuola di Magia!”.
Nelle due settimane successive nessuno di noi quattro aveva praticamente chiuso occhio, continuando a riflettere sui dettagli e le caratteristiche che questo istituto avrebbe posseduto.
Salazar ha poi deciso di occuparsi lui stesso di un intero piano di questa costruzione. E ciò mi ha grandemente stupito dato che, per quanto possieda innegabile astuzia e intelligenza, non si era mai dimostrato tanto altruista. Noi tre abbiamo accettato entusiasti la sua richiesta.
 
Lo sguardo del ragazzo si era fermato, come paralizzato.
“Salazar ha deciso di occuparsi lui stesso di un intero piano”.
Poteva essere quello che stava cercando? Quell’ultimo, grandioso tassello che gli mancava?
Sfogliò febbrilmente le pagine, alla ricerca di una qualche informazione.
Ripercorse da cima a fondo il capitolo dedicato a Serpeverde ma invano.
«Quale piano? Quale, maledizione!» sbraitò, lasciando cadere per pochi secondi la maschera di impassibilità che ormai aveva adottato come una seconda pelle.
Era andato così vicino, così dannatamente vicino.
Leggeva velocemente gli appunti sull’intelligenza di Rowena, sul coraggio di Godric o sulla generosità di Tosca.
Quando una mano gli toccò la spalla lui sussultò visibilmente, guardando gli occhi verdi che lo fissavano preoccupati, con sorpresa mista a rabbia.
Sentimenti che inghiottì subito, ritrovando la calma apparente che lo caratterizzava.
«Tom? Tutto bene?»
Meredith gli si era seduta affianco, senza staccare lo sguardo da lui.
«Assolutamente. Ero solo molto assorto dalla lettura, tutto qui.» si schermì lui, nascondendo il libro tra quelli di scuola.
«Davvero?»
Il tono con cui aveva pronunciato quella parola colpì Tom nel profondo.
Si insinuò in lui il sospetto che lei non gli credesse, che stesse segretamente capendo i suoi piani.
Ebbe l’impulso di lasciarla lì senza spiegazioni, ma si controllò subito, pensando che sarebbe stato ancora più sospetto.
Meredith poteva leggergli dentro in modi a lui ignoti e lui non l’avrebbe permesso.
Tieniti stretti gli amici e ancora più stretti i nemici.
«Certo. Allora, dove eravamo arrivati a studiare Difesa contro le Arti Oscure?» rispose quindi innocentemente lui, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi melliflui.
 
 
***
 
 
Evan si buttò sul letto a pancia in giù, cadendo di peso sui cuscini prima perfetti del suo letto a baldacchino.
«Smettila di tormentarti.»
La voce canzonatoria di Nott lo raggiunse perfino sotto gli strati di cuscini sotto cui si era sotterrato.
«Vattene.»
«Sai, potrei anche farlo. La Lovegood è lì nel Parco tutta sola e credo sarebbe alquanto divertente andarla a trovare. Tu non hai idea di quanto sia irritabile e acida quando la provoco… troppo esilarante
«E allora vai da lei, nessuno ti trattiene.» rispose sarcastico Evan, domandandosi ancora perché diamine avesse stretto amicizia con quell’essere fastidioso.
«Lo so. Ma anche qui vedo che un certo Lovegood sta creando situazioni ilari.» sogghignò il moro, godendosi lo sguardo tagliente del biondo appena risorto dal proprio letto.
«Di che diavolo parli brutto idiota?!»
«Hai un paio di piume sui capelli.» lo schernì Nott come risposta.
«Qui l’unico che si crea problemi con i Lovegood sei tu, viscida Serpe che non sei altro.» sputò allora Evan, deciso ad uscire da quella stanza per andare al Campo da Quidditch.
Pochi oltre Amadeus lo sapevano, ma Evan era molto bravo sulla scopa. Solo che la sua freddezza e il suo odio per la confusione lo avevano convinto a non entrare in squadra, nonostante le preghiere del migliore amico.
Volare lo calmava, lo faceva sentire bene.
«Sì sì, come no. Intanto continui a guardargli il fondoschiena appena puoi…»
Non…
«…salvo poi allontanare lo sguardo…»
…devi…
«…per evitare spiacevoli…»
…ucciderlo…
«…erezioni.»
…Azkaban non è poi così male, dopotutto.
Evan si lanciò addosso a Nott, facendolo cadere sul letto dietro a quest’ultimo.
Iniziò a prenderlo a pugni e a difendersi da quelli dell’altro.
Evan non aveva mai conosciuto l’affetto e l’amicizia, al di fuori del rapporto con Nott, e questo era il modo in cui dimostrava il suo attaccamento.
Questo almeno era quello che pensava Nott.
Rosier sosteneva solamente di volerlo picchiare il novantanove percento del tempo.
Quando Evan si rialzò aveva i capelli scompigliati, la camicia stropicciata e un labbro gonfio.
Nott invece sfoggiava un taglio sulla guancia e un piccolo ematoma sul mento.
«Quanto amore.» soffiò mellifluo il moro, mentre il biondo raccoglieva la sua attrezzatura da Quidditch e usciva.
«Ma cerca di non farlo anche con lui: non a tutti piace il sesso violento!»
Evan dovette fare forza su sé stesso per non tornare dentro e fargli un taglio anche sull’altra guancia.
O da qualche altra parte, magari più a sud dell’equatore.
 
 
***
 
 
Phoebe evitò per l’ennesima volta un palloncino pieno d’acqua lanciato da dei primini.
Quando uno di questi le si avvicinò lo prese per il bavero e sibilò: «Giuro che se non la smettete quei palloncini ve li ficco dove non batte il sole. Capito?».
I poveri primini, terrorizzati, si erano diretti al Castello più veloci di Sebastian Goyle di fronte a un buffet a volontà.
La bionda si era seduta di nuovo all’ombra del suo albero preferito: un enorme quercia al limite della Foresta Proibita.
Aveva aperto il libro di Trasfigurazione ma era riuscita a leggere poche parole prima che un paio di mani le coprissero gli occhi.
«Indovina chi è?»
Phoebe rispose in modo poco carino e le fu ridata la vista.
Nott la fissava divertito, col solito ghigno da schiaffi in volto.
«Con questo caratterino ci credo che nessuno vuole starti accanto.»
L’aveva fatto ancora: le aveva messo sotto gli occhi le sue paure per poi trasformarle in battute.
La ragazza lo fulminò con lo sguardo, arricciando le labbra in una smorfia infastidita.
«Se è vero quello che dici, perché continui a starmi tra i piedi?» domandò acida.
Lui si sedette accanto a lei, prima di rispondere.
«Perché sei buffa.»
Phoebe si stupì talmente della risposta che non riuscì a rimanere arrabbiata.
«Buffa? In che senso?»
«Sei orgogliosa, ma allo stesso tempo insicura. Nascondi le tue paure dietro a sguardi minacciosi, dimenticandoti però che quando smetti i tuoi occhi si riempiono di tristezza. Prendiamo Meredith e Seth.»
Phoebe si era visibilmente irrigidita, ma ciò non aveva di certo fermato Amadeus dal continuare.
«Sei talmente immatura a riguardo: prima tratti di merda la tua migliore amica e poi la spii preoccupata ogni volta che la vedi con Riddle. E’ ovvio che non approvi una così intima amicizia, o al limite che ne sei gelosa, ma ti crucieresti da sola piuttosto che ammetterlo. O Seth. Ti manca, ti manca da morire. Vorresti abbracciarlo ogni volta che lo vedi e si nota da come ti tremano le mani. Poi però metti su quella faccia schifata e te ne vai, altezzosa. Sei testarda, sbruffona. Spesso e volentieri anche irritante.»
Phoebe era completamente rossa.
Stava per rispondergli, quando lui si voltò e la guardò con uno sguardo indecifrabile.
«Però sei anche dolce e sensibile, nonostante tu voglia nasconderlo. Sei premurosa e intelligente. E possiedi un senso dell’umorismo davvero particolare, che pochi apprezzano ma che io personalmente adoro. Pungente, sarcastico. Vero
Nott si aprì in un ghigno divertito quando vide lo sguardo sorpreso di Phoebe.
«Ora però non innamorarti di me eh. Non sopporterei di dover spezzare altri cuori, ho già rifiutato tre ragazze e sono solo le undici di mattina!»
Phoebe rise piano, per poi guardarlo negli occhi.
«Come fai a capire così bene le persone ed essere tremendamente insopportabile allo stesso tempo?»
Lui alzò le spalle, svogliato.
«Non capisco perché una cosa debba escludere l’altra. Druella dice che sono stronzo in un modo dolce, o dolcemente stronzo, non ricordo. Evan invece dice che sono solo un coglione.»
Phoebe scoppiò a ridere per la definizione azzeccata.
«Forse ha ragione Evan.» sospirò, asciugandosi le lacrime causate dal troppo ridere.
Lui le si avvicinò, lo sguardo indecifrabile e serio.
«O forse solo solo timido, e aspetto la persona giusta per rivelarmi come sono davvero.»
Il bacio arrivò velocemente, tempo di sbattere le ciglia ed era finito.
Lei aprì gli occhi stupita e con le guance rosse per l’imbarazzo.
«Avevi detto che non eri innamorato di me.» soffiò lei.
Lui si alzò e si aprì in un ghigno da vero Serpeverde.
«E perché dovrei esserlo? Avevo solo voglia di baciarti, tutto qui.»
Phoebe lo osservò andare via, senza sapere cosa pensare.
 
 
***
 
 
Seth osservò la scena in silenzio.
Vide la gemella ridere e scherzare con quello scarafaggio di Nott e strinse i pugni fino a farseli sanguinare.
Quando poi vide lui baciarla così all’improvviso, sentì chiaramente qualcosa che si era rotto dentro di sé.
Phoebe non aveva più bisogno di lui e lui non doveva più preoccuparsene.
La sorella aveva fatto la sua scelta, lui era stanco di continuare a ripeterle quanto fosse immatura.
«Cosa…»
Seth si voltò di scatto, ignaro che qualcuno lo stesse fissando.
Meredith era lì, senza parole e con lo sguardo puntato sulla gemella.
«Seth… dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo…»
«No. Non faremo nulla… noi non faremo proprio nulla.»
Meredith lo guardò, ferita dal tono glaciale con cui le si era rivolto.
«Seth...»
«Parli tanto di Phoebe, delle sue cattive compagne… e tu? Te ne stai sempre con quel Riddle! Siete appiccicati ormai, strano che non abbia ancora trovato voi due insieme a sbaciucchiarvi da qualche parte!»
Le guance di lei si colorarono per la rabbia.
«Tu… tu…come osi…?»
«Come oso? Inizi anche a parlare come lui eh?» rispose lui arrabbiato.
Si stava sfogando con lei e sapeva che non era giusto.
Ma era stanco di fare solo cose giuste, perché tanto il male se lo prendeva lo stesso.
«Oh beh, di sicuro non puoi giudicarmi. Con Rosier come va a proposito?»
Seth sentì un peso mille volte superiore al suo cadergli sulle spalle.
«Di che cosa…»
«Non prendermi in giro! Lo mangi con gli occhi ogni volta che lo vedi! E sì, so perfettamente della tua omosessualità! Che, tra parentesi, tu non mi hai rivelato nonostante ti dichiarassi il mio migliore amico!»
«Perché non sono affari tuoi!» esclamò Seth.
«Quindi tu puoi giudicare me e Phoebe ma nessuno può parlare di te? E poi saremmo noi due le immature? Ma perfavore!»
Meredith se ne andò, lasciandolo solo sulla strada che portava al Campo di Quidditch.
Seth la osservò da lontano, chiedendosi come fosse possibile che pochi giorni con Riddle avessero acuito ogni difetto della sua ex-migliore amica: la spavalderia, la lingua lunga e la meschinità.
Sì perché Meredith aveva imparato a difendersi in quell’orfanotrofio dove, gli aveva raccontato molto tempo fa, tutti la trattavano come se fosse strana.
La magia accidentale spaventava i bambini babbani e li faceva sentire giustificati quando la prendevano in giro, le facevano i dispetti.
Ma se Riddle rispondeva incanalando la magia contro di loro, Meredith si difendeva come una bambina senza poteri: li offendeva colpendoli al loro punto debole.
Quando poi era arrivata ad Hogwarts e aveva conosciuto Phoebe e Seth aveva deciso di non farlo mai più, di rinnegare il peggio di sé stessa.
Seth fece scorrere lo sguardo dalla ragazza che se ne andava a sua sorella.
Quante cose possono cambiare in pochi giorni?
E quanto… quanto potrebbe volerci per tornare come prima?
 
 
***
 
 
Albus Silente si sedette sulla sedia nel suo studio, sfinito.
Aveva trascorso la giornata indagando sull’attacco a Meredith Smith, come del resto faceva da giorni.
E non era ancora riuscito ad arrivare al colpevole.
Lumacorno gli aveva detto della boccetta scomparsa e nonostante fossero risaliti al Veleno di Erumpent non riuscirono a fare altri passi avanti.
La sostanza dopotutto era stata resa accessibile a tutti gli studenti e trovare il colpevole sarebbe stato davvero difficile.
Tutto ciò che erano riusciti a fare era stato chiudere i veleni più pericolosi in un magazzino, rendendolo inaccessibile ai ragazzi.
L’uomo osservò fuori dalla finestra e puntò gli occhi azzurri su un dettaglio interessante.
Meredith stava litigando furiosamente con Seth Lovegood.
Silente non riuscì a fare a meno di dubitare ancora della sua scelta e di chiedersi se effettivamente avesse sottovalutato il potere dell’influenza di Riddle.
Fu distratto da un placido gracidio e, quando si voltò, vide un piccolo pulcino spennacchiato e fumante sul trespolo d’oro.
Fanny era risorta e lo guardava dolcemente.
«Mi chiedo se possa davvero provare emozioni, se possa affezionarsi a lei.» disse ad alta voce, accarezzando il piccolo scricciolo.
La risposta fu un verso roco e un po’ duro.
Albus Silente decise di agire: uscì quindi dal suo studio e si diresse verso l’unica persona che avrebbe chiarito i suoi dubbi.
 
 
***
 
 
Evan si alzò in volo, fino a toccare il cielo, per poi piombare di nuovo giù con una capriola.
L’aria fredda di settembre gli sferzava il viso, facendolo sentire vivo.
Puntò la sua Comet 180, da appena due anni uscita sul mercato, verso l’alto e raggiunse i trenta metri, prima di fare una picchiata da paura.
Prima di sentire un profumo sfrecciargli accanto.
Arrestò la scopa con un movimento secco del polso e si fermò a mezzaria, guardandosi intorno.
Era lì, tra i cerchi, che fluttuava senza accorgersi di lui.
I capelli biondi lunghi libravano leggeri e disegnavano le acrobazie che compiva.
Evan non capì mai quale pensiero gli passò in mente: due secondi e stava volando più velocemente di quanto avesse mai fatto.
E sapeva che lui se ne era accorto.
Disegnò un cerchio in aria per poi passarci attraverso.
A volte si incrociarono, altre si evitarono.
Quando il Serpeverde atterrò sul Campo, intenzionato ad andare verso la Sala Grande per il pranzo, sentì qualcuno atterrare al suo fianco.
«Voli davvero bene. Come mai non sei nella squadra?»
Rosier gli stava per rispondere, ma quando vide il viso paonazzo per il freddo dell’altro si ricordò chiaramente delle labbra di Jackson che premevano contro le sue, il corpo che cercava un maggiore contatto.
All’improvviso ebbe la nausea.
Alzò distrattamente le spalle, accelerando il passo.
Si sentì però fermato dalla mano di lui.
Lo costrinse a guardarlo negli occhi ed Evan si maledì perché non riusciva a concentrarsi.
«Che hai? Perché mi eviti?»
La voce di Seth era roca, poco più di un sussurro.
Evan fece un passo indietro, evitando quel contatto.
«Non ho voglia di parlare, tutto qui. Sono venuto al Campo per distrarmi, se avessi voluto conversare sarei rimasto al Castello. Non devi raggiungere Jackson per un appuntamento galante?» domandò acido.
Seth strabuzzò gli occhi per la sorpresa, prima di spostare lo sguardo sulle tribune.
Evan notò che aveva stretto le mani a pugno.
«Jackson è un’idiota, uno stronzo colossale. Se dovessi trovarmi da solo con lui sarebbe per picchiarlo, mica per altro.»
Il Serpeverde non ammise mai a sé stesso quanto si sentisse sollevato da quelle parole.
«Sono d’accordo. Druella un giorno gli ha rotto il naso perché aveva provato a rubarle la ricerca di Storia della Magia.» disse calmo Evan, incamminandosi.
Fece forza su sé stesso per non voltarsi quando sentì chiara la risata del biondo.
«Ad essere sincero non ho mai provato molta simpatia per Druella, ma ora non posso che stimarla un po’.»
«Già. Peccato che dopo sia toccato a me obliviarlo. Ho fatto un lavoro un po’ maldestro, ero solo al terzo anno, e credo confonda ancora le vacanze di pasqua di due anni fa con quelle di Natale.»
Questa volta anche Evan si unì alla risata che seguì.
Continuarono a parlare tranquillamente fino al Castello, quando si separarono senza dire nulla.
Nessun ciao, o ci vediamo.
Come se non fosse mai esistito.
O come se fosse stato troppo bello per ammetterlo.
 
 
***
 
 
Tom si sedette fuori dalla Sala Comune, in attesa.
Di lì a poco sarebbe passata Druella e si era deciso a fare un po’ di chiacchiere con lei.
Aveva più di un sospetto per l’attacco a Meredith, che voleva vendicare solo per principio – o divertimento – e stava aspettando il momento giusto per agire.
Quando però si vide comparire davanti proprio la Corvonero rimase perplesso.
«Orion, il Caposcuola di Grifondoro, ha detto di anticipare la ronda. Siamo al secondo piano.»
Tom si alzò, posticipando a malincuore l’interrogatorio a Druella.
Notò però che Meredith era più silenziosa del solito.
«C’è qualche problema?» domandò gentilmente.
Lei alzò le spalle, stanca.
«Non… non voglio più essere delusa dalle persone.»
«Meno ti affezioni meno hai da perdere.» rispose Tom, mentre accedevano al secondo piano.
«Immagino che tu abbia ragione. Ascolta, ti dispiace se vado un secondo in bagno? Quello delle ragazze è poco distante da qui.»
Il Serpeverde fece un cenno e si appoggiò al muro di fronte all’entrata del bagno.
Quando capì però ciò che stava fissando tranquillamente da minuti interi, si sentì mancare.
Un serpente.
Un serpente poco più lungo di un dito lo fissava, uscendo dalla mattonella sul muro del corridoio.
«Tutto ok?»
Si riprese quando sentì la domanda di Meredith.
Tom sfoderò un sorriso abbagliante e sincero.
«Non potrebbe andare meglio.»




Note:

(1) Citazione di Albus Silente della Pietra Filosofale



 
*Angolo Autrice*

Sono malata. Dico solo questo. Ho il raffreddore e un mal di testa da paura ma ci tenevo a pubblicare e quindie eccomi qua! Tento di non dilungarmi troppo e vi chiedo scusa se il capitolo è peggiore degli altri, spero di non avervi deluso.
Amo Nott. La parte di lui ed Evan è stata oltremodo esilarante da scrivere. Ho cercato di dare più spazio a Tom e Meredith e, con questo litigio con Seth, sembrerebbe che si stiano per avvicinare ancora. Tom. Tom e il serpente sulla mattonella.
Oh sì, è quasi ora.
Btw, spero di aver reso Meredith meno perfetta, odio le Mery Sue e credo di averla resa più realistica: vivere in orfanotrofio ed essere odiato da tutti tira fuori il peggio. Aspetto con ansia le vostre opinioni a questo punto.
Quindi, concludo dicendo che nei prossimi giorni caricherò la fan art sui maschi della ff fatta dalla mia amica, oggi sono KO e non vedo l'ora di sdraiarmi un po' >.<
Martedì prossimo inizierò scuola e mi propongo di continuare ad aggiornare con questa frequenza ma, nel caso così non fosse, vi invito a non perdere la speranza!

Ringrazio quindi le 16 seguite, le 11 preferite e le 2 ricordate! Invito sia i recensori abituali e dolcissimi (grazie anche oggi a _Shanna_, PsycoXD, Hitsu394, Easy_W e Alherrie per le recensioni meravigliose allo scorso capitolo!) che i lettori silenziosi a farsi sentire e vi auguro una buona serata e, nel caso non riuscissi più in là, un buon ritorno a scuola/università/lavoro! <3
 

 

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Capitolo 9
*** Confessioni ***




CAPITOLO 8 - CONFESSIONI
 

« Se vuoi sapere com’è un uomo, guarda bene come tratta i suoi inferiori, non i suoi pari. » (1)
 
[30 Ottobre 1941]
 
 
 
Londra babbana si estendeva di fronte a lui, con i suoi colori sgargianti e le decorazioni di Halloween appese alle vetrine dei negozi.
L’uomo si incamminò per la stradina anonima, stretta e grigia, che faceva da contrasto al centro appariscente della città.
Era come se tutta la felicità venisse risucchiata dal grigio edificio alla fine della strada, verso il quale si stava dirigendo.
Un uomo vestito di nero gli scoccò uno sguardo curioso mentre gli passò accanto, evidentemente incuriosito dalla lunga veste verde scuro che indossava quel giorno.
Del resto, era l’abbigliamento più babbano che possedeva.
Silente si limitò a sorridergli bonariamente e quello accelerò il passo, forse sospettandolo pazzo.
Il mago non riuscì a trattenere una risatina: le reazioni dei babbani erano sempre molto divertenti.
Quando però arrivò di fronte alla porta di legno scuro ritrovò un’espressione seria e batté piano col battente, attendendo pazientemente una risposta.
La ragazza che gli aprì era una donna di appena venticinque anni, ma la permanenza in quel luogo non le aveva giovato: i capelli mori sembravano spenti, gli occhi vacui e la carnagione tremendamente pallida.
Indossava un vestito grigio, con sopra un grembiule bianco e delle semplici scarpe nere.
«Desidera?» domandò la ragazza, squadrandolo dubbiosa.
Silente non fece una piega e si limitò a sorriderle gentilmente.
«Vorrei vedere Mrs Cole. Sono il professor Silente, credo che lei si ricordi perfettamente di me.»
«Mrs Cole non vuole ricevere visite, mi dispiace.»
La donna fece per chiudere la porta, ma uno sguardo penetrante del mago glielo impedì.
Quando parlò la voce non sembrò né minacciosa né arrabbiata: era sempre gentile, ma venata di un qualcosa che lei riconobbe subito.
Potere. Autorità. Non quella dittatoriale di Riddle, ma comunque seria e chiara.
«Credo che per me farà un’eccezione. Professor Silente, di Hogwarts. Glielo riferisca con calma, io aspetto qui.» sussurrò lievemente, entrando e rimanendo accanto alla porta.
La ragazza aprì la bocca un paio di volte per ribattere, ma alla fine annuì e scomparve dietro ad una porta nera alla destra dell’entrata.
Silente si guardò attorno, serio.
Sulla scrivania alla reception, se così si poteva chiamare, vi era posizionato un biglietto.
 
WOOL’S INSTITUTE.
 
La ragazza tornò a passo svelto, facendogli segno di seguirla.
«Mrs Cole è pronta a riceverla.»
«Grazie mille per la sua gentilezza.» sorrise dolcemente Silente, prima di incamminarsi verso lo stretto corridoio dal quale era appena tornata la giovane.
 
 
***
 

Tom Riddle si alzò dal letto di malavoglia e andò in bagno.
Guardando il suo riflesso, non poté evitare di fare una smorfia infastidita.
Delle vistose occhiaie scivolavano sulla sua pelle bianca come vino sulla neve, incorniciandogli gli occhi verde smeraldo.
Aveva passato le ultime notti praticamente in bianco, andando avanti e indietro per i corridoi del secondo piano.
Aveva setacciato ogni singolo antro, ogni aula e ogni classe.
Ma niente.
E, come se non fosse stato abbastanza, non riusciva neppure a trovare la mattonella dell’altra volta.
Era rimasto di fronte al bagno delle ragazze per ore intere, cercando di individuare quel piccolo rilievo che, ne era certo, aveva visto quel giorno.
Eppure nulla, niente, nada.
Sferrò un pugno al mobile del bagno, facendo cadere il cassetto con tutte le cose che vi erano riposte dentro.
L’irritazione e la stanchezza lo rendevano nervoso e, di conseguenza, vulnerabile.
Molti si erano accorti del suo stato d’animo irrequieto e avevano concordato in un patto silenzioso di non disturbarlo.
Tutti tranne una.
Nell’ultimo mese Meredith gli era stata fastidiosamente accanto e, ancora più sconvolgente, non aveva smesso un secondo di scoccargli sguardi preoccupati.
Lei si preoccupava per lui.
E lui lo trovava dannatamente irritante.
Tom si lavò i denti e pettinò, per poi puntarsi la bacchetta al volto e sussurrare pigramente un incantesimo.
Le occhiaie si alleviarono di molto, ma rimase comunque un’ombra scuro che scendeva sotto gli occhi.
Il ragazzo uscì dal bagno e si rivolse a Nott, che si stava alzando in quel momento.
«Pulisci in bagno, mi sono cadute delle cose per sbaglio.»
L’altro annuì e si diresse verso la stanza, ma venne fermato da un’altra domanda di Riddle.
«Stai continuando a tenere d’occhio la Lovegood vero? I mei piani stanno avendo un rallentamento quindi conto sul fatto che tu non fallisca.»
Nonostante la velata ma comunque palpabile minaccia Nott sorrise sornione.
«Tranquillo, la sto tenendo d’occhio. Molto da vicino. Non ti deluderò Tom.»
Un lampo di furia riempì gli occhi smeraldini di Riddle, e Amadeus tremò appena.
«Come ho detto che voglio essere chiamato quando siamo da soli? Disprezzo quel nome da babbano e non voglio sentirlo più del necessario. Allora, Amadeus?» sputò fuori sprezzante Tom, svegliando anche Zabini, Evan e Malfoy.
«Mi scusi… Lord Voldemort
Riddle sorrise malevolo, come sentendosi rigenerato dal suono di quel nome.
Dal potere che esso emanava in ogni lettera, rispecchiando quello del padrone.
«Così va meglio Nott, così va molto meglio.»
 
 
Riddle salì le scale, diretto alla Sala Grande che sarebbe come al solito stata quasi deserta: pochi erano mattutini come lui.
Lungo il tragitto però deviò per il secondo piano, come era solito fare da giorni quasi inconsciamente.
Conosceva le pietre di quei corridoi quasi a memoria, tante le volte che le aveva percorse con lo sguardo.
I pensieri deviarono senza che se ne accorgesse davvero verso la zona Meredith.
Oltre all’irritazione dovuta alla sua costante presenza accanto a sé era giunto anche altro: curiosità.
La ragazza doveva essersi allenata per mantenere sotto controllo i suoi poteri, ma ogni tanto questi le sfuggivano senza che se ne accorgesse.
Alcune volte, quando Meredith gli stringeva la mano, Tom avvertiva un brivido lungo la spina dorsale e, per un secondo, gli sembrava di sentire l’odore di candeggina della sua stanza al Wool’s.
Oppure il profumo della pizza, quell’unico giorno al mese in cui era possibile ordinarla in mensa nell’orfanotrofio, o ancora la voce intrisa di dolore di Amy, quando Tom l’aveva torturata durante quella gita.
L’aria salmastra, il freddo che però lo faceva sentire bene e il sangue che scorreva verso le dita, portando con sé magia e forza.
Tom non riusciva ancora a capire perché ciò accadesse, anche se cominciava ad avere qualche idea.
Sicuramente Meredith doveva essere Purosangue, esattamente come Tom, e non di una famiglia qualsiasi.
Magari illustri divinatori o geniali pozionisti.
Poteva trattarsi di una mutazione genetica, o di un maleficio scagliatole alla nascita.
Il Serpeverde si ripromise di controllare ancora in biblioteca, nei libri di genealogie magiche.
Stava giusto pensando a quale scusa rifilare alla ragazza quando avvicinandosi al bagno delle ragazze si bloccò di colpo e per poco non cadde a terra.
Si voltò lentamente, il cuore che batteva impazzito.
Sulla mattonella accanto alla porta, la stessa di quando era stato lì con Meredith, era apparso il rilievo del serpente.
Ma non solo quello.
Il serpente si attorcigliava su un’altra figura, appena visibile ma distinta.
Una volpe.
Riddle la osservò per minuti interi, prima che questa sparisse nel nulla.
Toccò la mattonella e cercò di toglierla, ma non accadde nulla.
Aveva già controllato il Bagno delle ragazze almeno mille volte di notte, e sarebbe stato troppo pericoloso avvicinarcisi di giorno: ci sarebbe mancato pure che qualcuno lo additasse come pervertito!
Eppure l’immagine della volpe rimase chiara nella sua mente, insieme ad un’altra volpe che aveva visto tempo fa. La volpe che gli era apparsa nella mente il giorno dell’attacco a Meredith.
Sorrise appena, convinto di aver fatto progressi, mentre si dirigeva verso la Sala Grande.
Non sapeva ancora in che modo, ma Meredith era connessa alla Camera dei Segreti.
Non sapeva ancora come, ma avrebbe scoperto il suo segreto.
E non si sentì in colpa per ciò che le avrebbe detto, per come l’avrebbe sfruttata.
Dopotutto, Lord Voldemort non sapeva cosa fossero i sensi di colpa.
E non l’avrebbe certo scoperto allora.
 
 
***
 
 
Phoebe si alzò svogliatamente dal letto, puntando lo sguardo come ormai faceva sempre verso il baldacchino accanto al suo.
Meredith dormiva ancora, ignara dello sguardo preoccupato che le stava rivolgendo la bionda.
Phoebe l’aveva vista avvicinarsi a Riddle sempre di più e, di conseguenza, cambiare gradualmente.
Era più scortese, meno altruista e più riservata.
Sorrideva di meno e a Phoebe sembrava come se qualcuno stesse spegnendo lentamente il sole.
Non si erano rivolte parola dalla loro lite furiosa e anche se la bionda aveva tentato più volte di scusarsi Meredith non l’aveva nemmeno voluta ascoltare.
Si stava allontanando da tutti, tranne che da Riddle.
La ragazza si alzò e si lavò in fretta, per poi vestirti e scendere le scale fino ad uscire dalla Sala Comune.
Dove qualcuno l’aspettava appoggiato al muro.
Si sentì in colpa per ciò che pensava di Meredith: dopotutto anche lei non era da meno.
Ma era diverso: lui la incoraggiava a diventare più espansiva, a farsi avanti più spesso.
Non sapeva cosa provava per lui, sapeva solo che stava bene.
E che il dolore che di solito provava costantemente per la mancanza di Seth si alleviava un po’.
Le scoccò un sorriso dolce non appena si accorse di lei.
La baciò piano sulle labbra, ma Phoebe si impedì di arrossire: era chiaro che non fosse qualcosa di incredibile o importante per lui. Era un gioco. E doveva rimanere lo stesso anche per lei.
«Buongiorno raggio di sole! Gli uccellini cantano, il sole splende e Gazza non ha ancora capito che sono stato io a sporcare il terzo piano di bava di Lumaca Carnivora: è una bellissima giornata. Come stai?»
Phoebe gli sorrise divertita, incamminandosi verso la Sala Grande per colazione.
«Bene, anche se sono preoccupata per il compito di Pozioni. Lumacorno ha detto che oggi sarà davvero una prova ardua.»
L’altro fece un verso scettico, per poi prenderla a braccetto e scendere con lei le scale.
«Non sprecare tempo a struggerti: ti verranno le rughe. Sei o non sei in coppia con me? Ce la caveremo alla grande!»
«Come farei senza di te, Nott?» scherzò lei, punzecchiandogli il fianco.
Lui rise per un po’, per poi tornare serio.
«Beh, fortuna che non lo scoprirai mai.»
Phoebe non seppe cosa pensare: Nott passava spesso dagli scherzi alla serietà, diceva delle assurdità per poi sussurrare parole dolci o frasi profonde. Era un mistero che lei non aveva ancora svelato.
Decise di ignorare la sua ultima frase, anche se non poté evitare di sorridere dolcemente.
Le scale che portavano alla Torre Corvonero erano strette e non ci potevano stare più di due persone, una di fianco all’altra, quindi quando qualcuno si parò di fronte a loro i due si fermarono.
Phoebe indugiò lo sguardo sulla camicia spiegazzata, i capelli in disordine e la cravatta slacciata.
Nott invece osservò pensieroso il fazzoletto Serpeverde che usciva appena dalla tasca dei pantaloni neri.
Si spostarono e lo fecero passare, ma dopo pochi passi Phoebe si sentì mancare.
«Phoe…possiamo parlare?»
Nott le stringeva con forza la mano, per farle sentire la sua vicinanza.
«Ti prego Phoe. Ti devo parlare… ho bisogno di te
Gli occhi si inumidirono mentre ascoltava la voce che per anni l’aveva cullata nel sonno.
E sentiva chiaramente quegli occhi così simili eppure così diversi dai suoi perforarle la schiena.
La voce del gemello non faceva che scorrerle nel sangue, provocandole un dolore incredibile.
Quindi strinse la mano di Nott, così grande rispetto alla sua.
Quando rispose a Seth, la voce le tremò appena, mentre cercava di reprimere le lacrime.
 
 
***
 
 
Evan si distese sul letto a baldacchino, stremato.
Erano riusciti ad evitare di essere scoperti solo per miracolo, avrebbero dovuto finirla.
Avrebbero dovuto smettere di incontrarsi, di vedersi, di parlarsi.
Rischiavano entrambi sempre di più: Evan non riuscì a trattenere un tremito pensando al volto infuriato di suo padre, quello che avrebbe dovuto vedere se si fosse saputo.
Eppure…
Eppure sentiva ancora chiaro il suo profumo sulla pelle, il suo sapore in bocca.
Il tocco delle sue mani sulla pelle, sull’anima.
Evan percepiva la risata cristallina dell’altro nelle orecchie e si ritrovò a sorridere come un’idiota.
Era così concentrato su quei meravigliosi ricordi che quando il cuscino gli piombò sul volto ci impiegò un po’ a capacitarsene.
Si alzò e si stupì di chi aveva di fronte.
Druella lo squadrava, con uno sguardo indecifrabile.
Non sapeva cosa fosse più sorprendente: la presenza di Druella nei Dormitori Maschili, la voglia di Druella di parlargli così tanto da entrare nei Dormitori o l’espressione strana sul volto della sorella minore.
«Druella? Che ci fai qui?» domandò Evan, guardandola preoccupato.
«Ti devo parlare.»
Evan si sedette meglio sul baldacchino e la invitò a fare lo stesso, ma questa ci pensò su prima di farlo.
Era tesa, ed Evan era convinto che qualsiasi cosa la rendesse così tesa non fosse una cosa buona.
«Beh? Parla.» disse senza tanti giri di parole: era sempre stato molto diretto con Druella.
Il loro rapporto oscillava perennemente dall’amore all’odio.
Non erano stati abituati all’affetto e non sapevano mai come comportarsi tra di loro: l’amicizia duratura che avrebbe potuto crearsi senza problemi era sempre ostacolata dal rigido rigore morale della famiglia.
Mai mostrarsi troppo legati a qualcuno, può  essere la tua debolezza.
La voce seria della madre rimbombava nelle orecchie di Evan, mentre osservava sua sorella.
«Io… ti ho visto ieri sera.»
Il ragazzo pensò di esserselo immaginato.
Non poteva essere.
Non doveva essere.
Afferrò la bacchetta e mormorò un incantesimo silenziatore e uno per chiudere la porta dall’interno: quella conversazione doveva rimanere privata.
«Cosa… cosa pensi di aver visto?» domandò, cercando di restare calmo.
«Ti ho visto tornare alla Sala Comune. E non eri solo.» aggiunse poi schietta Druella.
Lo sguardo era tra l’arrabbiato e il dolce, probabilmente nemmeno lei capiva bene come avrebbe dovuto comportarsi.
Evan si passò la lingua sulle labbra all’improvviso secche.
Quelle labbra che erano state baciate mille e mille volte ancora la sera precedente.
«Dru… Dru quello che hai visto è… Vedi…» iniziò il ragazzo, senza riuscire però a finire la frase.
La sorella rimase stupita dall’uso del diminutivo: era da anni che non accadeva.
Evan aspettava una sua mossa, deciso a rispondere per difendersi.
Ma difendersi da… cosa?
Da ciò che provava per lui? O da quello che avrebbe potuto dire lei?
Quando però Druella lo abbracciò Evan sentì come se un peso enorme fosse appena caduto.
E le macerie gli bloccarono il respiro.
Iniziò a piangere piano, sulle spalle piccole della sorella.
Druella non disse niente, si limitò a stringerlo a sé.
Per Evan quella fu una liberazione: sapere che lei, se non approvarlo, almeno lo capiva.
Non l’avrebbe detto a nessuno, ne fu certo.
Quando qualche minuto dopo Druella si diresse verso l’uscita si voltò solo un secondo.
Anche gli occhi di lei erano umidi.
«Ev… stai attento.»
Lui annuì e lei uscì, senza aggiungere altro.
Subito dopo però Evan vide una sagoma entrare velocemente, chiudendosi la porta alle spalle.
Nott aveva il volto distorto in una smorfia furiosa ed Evan seppe che l’ira era rivolta a lui.
«Amadeus, che cosa…?» iniziò Evan, asciugandosi velocemente gli occhi.
«Dì un po’…» iniziò Nott, la voce carica di rabbia, così tanta che Evan ebbe quasi paura: «Hai anche solo una vaga idea del casino che hai fatto?!»
 
 
***
 
 
Qualche ora prima…
 
Seth si lasciò cadere sul banco con un sorriso ebete sul volto.
«Hai mai pensato di dirlo a qualcuno?»
La voce di Evan era dolce, così affettuosa che forse perfino Nott si sarebbe stupito ascoltandola.
Non era gelida o altezzosa: Evan in quel momento stava mostrando il vero se stesso.
Nell’ultimo mese, dopo l’incontro casuale al Campo da Quidditch, i due si erano trovati spesso di notte. Si accordavano tramite semplici bigliettini durante le lezioni sul posto e l’ora, per poi passare insieme la notte a parlare e ridere.
Ogni giorno, sempre in orario.
L’unico momento in cui era sembrato che tutto sarebbe finito era stato dopo il primo bacio.
Seth aveva appoggiato le labbra su quelle del Serpeverde di slancio mentre questo stava parlando: non ci aveva pensato, aveva solo risposto all’impellente bisogno di baciarlo.
Ma quando si erano staccati Evan era corso via, senza dare spiegazioni.
Per i successivi due giorni Seth si era presentato al solito posto, senza trovarci nessuno.
Quando il terzo giorno aveva visto Evan avvicinarsi, gli aveva sorriso cautamente.
“Non sono abituato a tutto questo. E’ nuovo… e mi fa paura.” Aveva mormorato imbarazzato.
“Cosa ti fa paura?” aveva risposto Seth.
“Che stai diventando così importante.”
Poi Rosier aveva baciato il Corvonero, timidamente.
Lovegood lo capiva: Evan era abituato al sesso, non all’amore.
«Non lo so. Meredith l’ha capito da sé, ma credo non gliel’avrei detto nemmeno se fossimo rimasti amici.»
Evan avvertì chiaramente una nota di dolore nelle parole del ragazzo: la ferita per la rottura dell’amicizia con Meredith gli bruciava ancora.
Si distese a fianco di Seth e si accoccolò accanto a lui.
Il Corvonero lo strinse piano, senza girarsi o muoversi.
«E a tua sorella?»
«Tu lo diresti a Druella?»
Evan osservò il soffitto senza dire una parola per un po’.
Quando parlò, la voce era incolore, priva di emozioni.
«Non lo so. Forse. Il rapporto tra me e Druella è…»
Seth si voltò quando sentì il biondo interrompersi.
«Complicato?» suggerì.
Evan annuì.
«I nostri genitori non sono il massimo come dimostratori di affetto. Mia madre credo mi abbia abbracciato solo due volte, mentre mio padre nessuna. E a Druella non è andata meglio. Siamo cresciuti da ricchi Purosangue, rampolli di famiglia agiata con bambinaie e domestiche. La cosa più vicina che ricordo ad una madre è Nana, la mia bambinaia. Papà l’ha cacciata quando ha saputo che mi leggeva delle storie prima di dormire. Diceva che mi avrebbero rammollito.»
Seth cercò la mano di Evan per stringerla ma questo evitò il contatto.
«Druella l’ho cresciuta io. Mi seguiva sempre e per molto tempo l’ho odiata per questo. Era una sanguisuga. Poi, col tempo, ho capito che avrei dovuto prendermi cura di lei. Mi idolatra, questa è la verità. Solo che… è difficile prendersi cura di qualcuno quando nessuno si è mai preso cura di te. A volte penso… penso che se le succederà qualcosa… sarà colpa mia.»
Seth diede un bacio tenero sulla testa ad Evan e questo rimase immobile.
Il Corvonero capiva anche come aprirsi in quel modo fosse una novità per Evan e cercava di non obbligarlo, di rispettare i suoi tempi.
«E tu? Prima della lite sembravate molto legati, perché non l’hai mai detto a Phoebe?» domandò Evan curioso.
«Phoebe… Phoebe mi vede in un certo modo. Pensa che io sia perfetto, che non sbagli mai o non abbia mai dubbi. Ho paura che cambierà idea su di me se lo saprà, che mi guarderà in modo diverso.»
«Dovresti dirglielo.»
Seth si alzò di scatto e scoccò uno sguardo dubbioso verso Evan.
«Prima o poi lo scoprirà. Tu ti vergogni di ciò che sei?»
Seth negò col capo.
«E allora non se ne vergognerà nemmeno lei. Ti amerà, qualsiasi cosa accadrà.»
Il Corvonero prese la mano di Evan e lo tirò fino a farlo cadere addosso a lui.
«A volte sei davvero troppo intelligente sai? Dovrei essere io il Corvonero dei due.» bisbigliò mellifluo.
Evan gli scoccò uno sguardo da vera Serpe.
«Se vuoi uno stupido chiamo Jackson. Mi sembra abbiate abbastanza affinità no?»
Seth lo fulminò con lo sguardo mentre Evan se la rideva, per poi baciarlo ancora.
Avrebbe parlato con Phoebe.
Avrebbero fatto pace.
E sarebbe tornato tutto come prima.
 
 
***
 
 
Meredith si diresse verso la quercia nel Parco dove amava sdraiarsi quando era stanca o sovrappensiero.
Ripensò dubbiosa alla strana conversazione con Riddle che aveva avuto quella mattina mentre si sedeva all’ombra dell’imponente all’albero.
 
 
«Meredith posso chiederti una cosa?»
«Dimmi.»
«Quella… quella collana che porti sempre appresso. Dove l’hai presa?»
Mentre aveva posto la domanda Tom le aveva sfiorato il collo con un dito, facendola trasalire.
I suoi occhi verde smeraldo osservavano il ciondolo con una strana luce negli occhi… cupidigia?
«Ecco vedi…»
Solo Seth e Phoebe erano a conoscenza dell’origine di quel ciondolo e lei si chiese se fosse saggio rivelarlo a qualcun altro. Ma si disse che Tom veniva dalla sua stessa realtà, quindi avrebbe saputo capirla.
«Me l’hanno trovata addosso quando mi hanno abbandonato davanti al Mercy Hospital. E’ l’unico oggetto che mi lega alle mie origini.»
«E lo indossi sempre?»
Tom sembrava ostentare un bisogno impellente di sapere tutto su quel ciondolo, ma Meredith pensò che se lo stesse immaginando lei. Dopotutto, era solo un ciondolo.
«Sì. Perché?» domandò allora.
Lui alzò le spalle, avvicinando le dita fino a prendere in mano il piccolo amuleto.
Meredith avvertì una fitta alla testa e il suo cuore mancò un battito, ma non ci fece troppo caso.
Riddle, invece, la studiava come se non volesse perdersi nulla delle sue reazioni.
«E’ molto bello, io non ho altro che il mio nome come ricordo dei miei genitori.»
La Corvonero sorrise dolcemente: perfino Tom non era altro che un orfano malinconico, dopotutto.
Gli strinse la mano libera, per fargli sentire la sua vicinanza.
Senza accorgersi della luce strana che aveva dominato gli occhi dell’altro per un secondo.
«La volpe significa qualcosa per te? Hai dei ricordi legati ad essa?»
Meredith negò però aggiunse: «Mi hanno detto che una piccola volpe era ricamata anche sulla coperta che mi avvolgeva. Ma non so cosa voglia dire. Forse i miei erano dei fissati con le volpi!»
Tom rise piano, unendosi a lei.
 
Tom rise fintamente, pensando alla sua prossima mossa, anche se lei questo non lo seppe mai.
 
 
***
 
 
«Professor Saliente, a cosa devo la visita?»
Mrs Cole era seduta sull’imponente quanto rovinata poltrona di pelle del suo studio.
Sebbene fossero solo le dieci di mattina, aveva già bevuto qualche bicchiere di whisky e gli effetti si notavano: il viso era rosso, gli occhi lucidi e i movimenti traballanti.
Silente si accomodò sulla rigida sedia di legno di fronte al posto della dirigente, sorridendole benevolo.
«In realtà mi chiamo professor Silente.»
L’altra mosse la mano come se una grossa mosca le fosse piombata davanti.
«E’ uguale. Spero che non voglia riportarci quel pazzo di Riddle eh? Avevamo fatto un patto: fino ai diciassette anni è vostro!» esclamò arrabbiata Mrs Cole.
Silente negò, continuando a sorridere gentilmente.
«No, affatto. Tom Riddle è un eccellente studente, il massimo di voti e di attività extra-curricolari.»
Mrs Cole si esibì in una risata grottesca, per poi dire schietta.
«Beh, se non è per Riddle che cosa è venuto a fare qui?»
«Vede, signorina Cole, avrei necessità di parlarle di Meredith Smith.»
La donna strabuzzò gli occhi, stupita.
«La Smith? Cos’ha combinato quella piccola orfanella?»
Sebbene le parole non fossero in se offensive, la donna le caricò del più alto grado di disprezzo possibile.
Era come se un fallimento di Meredith o Tom equivalesse ad un insulto a lei.
«Nulla, assolutamente nulla. Vorrei però chiarire un po’ di cose sul suo carattere. Ecco, sarebbe possibile fare qualche domanda ad una sua amica stretta dell’orfanotrofio?»
«Signor Solente, credo che lei stia pretendendo un po’ troppo! Dovrei chiamare una ragazzina per… per parlare di quell’altra solo perché lei…»
Ad un’occhiata perforatrice di Silente la donna smise di parlare, per poi alzarsi e uscire borbottando.
Quando rientrò, dieci minuti dopo, era accompagnata da una ragazzina dai capelli rossi legati in una treccia. La faccia era spruzzata di lentiggini e sebbene i quindici anni poteva passare per una di dieci.
«Annabeth, questo è il professor Sapiente. Ti farà qualche domanda, io sono fuori dalla porta.»
Quando la donna uscì Silente fece segno ad Amy di accomodarsi sull’altra sedia.
«Annabeth, scusa il disturbo, tu conosci Meredith Smith?»
La ragazza annuì.
«Bene» continuò il mago dolcemente «Eri la sua compagna di stanza se non sbaglio, giusto?»
Un altro assenso.
«Hai mai visto qualcosa di strano accadere a Meredith? O quando lei era presente?»
Annabeth sembrò guardarsi attorno come se temesse un’imboscata.
«Ti puoi fidare di me, non lo dirò a nessuno.»
La ragazza gli credette: Silente sapeva ispirare fiducia a chiunque.
«Meredith è… diversa.»
«Ti riferisci a qualche evento in particolare?»
«No. E’ solo che standole accanto senti come se… se non potessi più avere dei segreti. Non so come spiegarlo… lei ti fa sentire indifeso. Ma ti capisce come nessun altro, è un’ottima amica. O almeno lo era…»
«Perché usi il passato?»
«Beh, da quando lui si è accorto di lei, Meredith non è stata più la stessa. Poi ha anche fatto quella pausa, quando è stata male. Sì insomma, è diventata più riservata e meno espansiva. Lui non la perdeva d’occhio, la cercava e chiedeva ai bambini cosa sapessero di lei. Però non le parlava mai. Meredith… Meredith a volte si nascondeva perché non voleva vederlo, ma lui la trovava sempre, senza però far capire che stesse cercando proprio lei. Sa far impazzire le persone, farle dubitare di loro stesse. E’… è terrificante.»
«Lui? Di chi parli?»
Quando Annabeth rispose lo fece sussurrando.
Perfino allora il suo nome faceva paura alle persone.
 
«Di Tom Riddle.»




Note:

(1) Citazione del quinto libro appartenente a Sirius Black.

 


*Angolo Autrice*

Bene, come promesso ecco a voi il nuovo capitolo! Sono riuscita finalmente a pubblicare, fiuu! Mi scuso per il ritardo, ma come previsto l'inizio della scuola mi ha stremato e impedito di scrivere. Però ora sono qui, a implorarvi di perdonarmi e di permettermi di conoscere il vostro parere riguardo a questo capitolo. Onestamente non saprei se mi piace o meno. Direi che la parte di Tom sarà fondamentale, idem per il ciondolo. Meredith sarà connessa alla Camera dei Segreti, e quando saprete come sclererete e vi chiederete che mente diabolica io abbia :'D
Amo la Sevan sempre di più, mentre della Phoeus c'è relativamente poco. Però tenete a mente per il prossimo capitolo la frase di Nott. Che casino avrà combinato Evan? E riuscirà a sistemarlo?
Il rapporto tra Druella e Evan mi sta molto a cuore, sono felice di avergli concesso spazio.
Spero come sempre di essere rimasta in IC e vi invito caldamente a recensire!

Ringrazio le 20 seguite, 2 ricordate e 12 preferite. Un bacione enorme a Hitsu394, Jude88, Alherrie, _Shanna_ e PsycoXD che hanno commentato lo scorso capitolo. 
Spero di leggere tante recensioni e vi invito a non perdervi il prossimo capitolo, come sempre ci vediamo lunedì!
Bye! <3

 

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Capitolo 10
*** Liti ***




CAPITOLO 9 - LITI
 

«Voldemort stesso ha creato il suo peggior nemico, come fanno ovunque i tiranni! Hai idea di quanto i tiranni temano coloro che opprimono? Sanno benissimo che un giorno tra quelle molte vittime ce ne sarà certamente una che si leverà contro di loro e reagirà!» (1)
 
 
[31 Ottobre 1941]
 
 
«Potresti dirmi di più, Annabeth?» domandò piano Silente.
La ragazza si spostò sulla sedia, nervosa.
Ciò che stava per dire le costava molto e si vedeva. Il mago quindi le sorrise dolcemente, infondendole maggiore tranquillità.
«Vede, non saprei come spiegarlo… Ad un certo punto sembrava che ovunque ci fosse lui dovesse esserci anche lei. Era inquietante. Di solito lui non parlava quasi con nessuno, e di certo nessuno ha mai rimpianto una mancata conversazione con Riddle
Silente notò come perfino il nominare solo il cognome del ragazzo le incutesse paura e si chiese cosa avesse fatto Tom Riddle prima di conoscerlo.
Quanti segreti fossero chiusi nelle memorie di innocenti bambini, quanti soprusi impuniti celati da quelle sporche mura.
Quante lacrime versate e urla emesse, di fronte a quel sorriso gelido.
«E, secondo te, perché Tom aveva tanta premura di parlare con Meredith?» chiese cortesemente l’uomo.
Annabeth alzò le spalle.
«Non è che si parlassero proprio… lui la sorvegliava, più che altro. Voleva sempre sapere dove fosse e con chi fosse, ma non lo lasciava intendere troppo. A volte ti chiedevi se non fosse tutto frutto della tua immaginazione, se questo ‘interesse’ esistesse davvero.»
Silente annuì interessato, ritrovando nei comportamenti del piccolo Riddle quelli che ora notava nel Riddle adolescente: la capacità di simulazione, la passione per la strategia.
Il talento di saper come controllare qualcuno, senza essere coinvolti.
«Ma vero o falso che fosse» continuò la ragazza «Meredith si sentiva braccata. Diventò più riservata, più sensibile. Iniziò a parlare con meno persone e, alla fine, rimasi solo io. In realtà c’era anche Amy ma dopo quell’incidente, beh, non fu più la stessa.»
Silente sapeva dell’incidente, ne aveva parlato con Tom quando l’aveva incontrato la prima volta e non volle soffermarsi troppo sulla questione.
Anche se la sua mente brillante non poté fare a meno di notare come fosse una strana coincidenza che la vittima più grave di Riddle fosse proprio una delle due migliori amiche di Meredith.
«E tornando a quella strana sensazione di cui hai parlato descrivendo Meredith… quel ‘diversa’ che hai detto. Sapresti dire a cosa fosse dovuto?» domandò ancora il professore.
L’altra negò col capo.
«E secondo te Riddle sapeva di questa… particolarità di Meredith?»
«Oh, credo proprio di sì. Ci fu una volta, in effetti, in cui sembrò che lui temesse Meredith. Una volta in cui per la prima volta da che mi ricordi, lui ebbe davvero paura…»
Ciò che la ragazza raccontò a Silente gli rimase impresso nella memoria e cambiò radicalmente ciò che pensava dei due ragazzi.
Ciò che fu detto in quella stanza avrebbe potuto segnare la fine di Lord Voldemort, risparmiare un sacco di vite.
Ciò che emerse avrebbe potuto salvare lei, ma non lo fece.
Perché?
Perché, come si ritrovò a pensare molti anni dopo un uomo anziano, dalla lunga barba bianca e con al dito un anello che equivaleva ad una sentenza di morte...
 
... “gli uomini hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro”.
 
 
***
 
 
«Phoe…possiamo parlare?»
Nott le stringeva con forza la mano, per farle sentire la sua vicinanza.
«Ti prego Phoe. Ti devo parlare… ho bisogno di te.»
Gli occhi si inumidirono mentre ascoltava la voce che per anni l’aveva cullata nel sonno.
E sentiva chiaramente quegli occhi così simili eppure così diversi dai suoi perforarle la schiena.
La voce le tremò mentre rispondeva, cercando di non piangere.
Dopotutto, la voce del gemello non faceva che scorrerle nel sangue, provocandole un dolore incredibile.
Quindi strinse la mano di Nott, così grande rispetto alla sua.
E rispose a Seth.
 
«Seth… cosa c’è?» domandò Phoebe, cercando di far sembrare la sua voce più sicura di quanto fosse in realtà.
«Devo parlarti, da solo.» disse lui, soffermandosi con lo sguardo sulle mani intrecciate di Phoebe e Nott.
«Phoe, sei sicura di volerlo fare?» chiese dolcemente Nott nelle orecchie di lei.
La ragazza fece scorrere lo sguardo da Seth ad Amadeus più volte, cercando di riflettere.
«Una persona che amo mi ha fatto riflettere. E’ vero, non sono mai stato del tutto sincero con te, ma ho avuto i miei motivi…le mie paure. Però ora basta, ora rivoglio mia sorella, costi quel che costi. Dammi la possibilità di rimediare Phoebe, ti prego.»
La voce di Seth era chiara ma allo stesso tempo delicata.
Nott pensò che la stesse guardando con tanta intensità da perforarla, ma ormai il suo destino era nelle mani di lei e non si preoccupò più della cautela.
Quando lei rispose, Nott trattenne il respiro.
«Andiamo in camera tua.»
Phoebe si voltò, baciò sulla guancia Amadeus e risalì le scale, seguita a ruota dal gemello.
Ma nella confusione che aveva in testa, Nott riuscì comunque a notare un particolare che gli fece scorrere il sangue nelle vene, peggio che se fosse stato veleno puro.
Lì, sotto lo stemma Serpeverde sul fazzoletto ora caduto dalla tasca di Seth, vi erano incise due parole ben chiare.
 
Evan Rosier.
 
E seppe chiaramente dove doveva andare.
 
 
***
 
 
«Amadeus, che cosa…?» iniziò Evan, asciugandosi velocemente gli occhi.
«Dì un po’…» iniziò Nott, la voce carica di rabbia, così tanta che Evan ebbe quasi paura: «Hai anche solo una vaga idea del casino che hai fatto?!»
«Non credo sia un casino così grande. Druella saprà tenere il segreto e…» cominciò a dire piano Evan, interrotto però dalle urla dell’amico.
«Druella? DRUELLA? CHE CAZZO ME NE FREGA DI DRUELLA SECONDO TE?!»
Evan non aveva mai visto Amadeus così arrabbiato, nemmeno quando Tom lo aveva punito per averci provato con Meredith all’inizio dell’anno.
Il fatto poi che la rabbia fosse chiaramente rivolta verso di lui non lo rassicurò per niente.
«Aspetta… di cosa stai parlando?»
«Di cosa sto…?» iniziò Nott, ridendo teatralmente, per poi ritornare serio.
«Non ho mai avuto problemi con la tua omosessualità e probabilmente sono l’unico a non averli avuti. Ti sbatti ragazzi a destra e a manca e non ho mai detto niente, perché dopotutto io facevo lo stesso. Ora? Ora hai anche avuto la fortuna di innamorarti. E io? Io sono felice per il mio migliore amico, ovvio. Di chi ti sei innamorato? Chi ti sbatti ora come se fosse un tappeto notte e giorno?»
Evan sentì le guance colorarsi all’ultima frase e cercò di interrompere Amadeus, ma ormai il ragazzo stava parlando e non diede segno di aver notato le dimostranze del biondo.
«SETH LOVEGOOD!» urlò divertito Nott.
«ABBASSA LA VOCE!» aggiunse Evan, ormai accalorato per l’imbarazzo e la rabbia, ma neppure in quel momento ascoltato.
Amadeus stava camminando avanti e indietro di fronte a Evan, dichiarando quello che ormai era un monologo.
Però Evan percepì chiaramente la paura, la rabbia e la delusione negli occhi neri dell’amico, nascosti da quella perfida vena sarcastica.
E pochi secondi dopo capì a cosa fossero dovute.
«E io sono stato zitto! Ho fatto finta di non vedere le tue imprudenti scappatelle notturne da scolaretta arrapata e, anzi, ti ho addirittura protetto! Ma adesso… adesso mi ritrovo a domandarmi come hai potuto fare quello che hai fatto a me, COME CAZZO HAI POTUTO TRADIRE COSI IL TUO MIGLIORE AMICO PER UN BEL CULO E UN PAIO DI OCCHI AZZURRI!»
«Di che stai parlando?! Io non ti ho tradito!»
«Non mentire Evan! NON MENTIRE A ME! Gli è caduto questo dalla tasca due secondi fa!» esclamò Nott, lanciando con cattiveria il fazzoletto di Evan addosso allo stesso.
«Tasca di pantaloni che sono, evidentemente, gli stessi indossati ieri! Non volevo crederci, non potevi essere stato tu a dargli quell’idea… ma ora ne ho la prova. Ora non puoi più mentirmi!»
«Prova? Prova di cosa?» domandò adirato Evan, ormai confuso oltre ogni limite.
«Prova che sei stato tu, il mio migliore amico, a dare l’idea a Lovegood di far pace con Phoebe!»
Evan si lasciò cadere sul letto, finalmente comprendendo l’ira dell’amico.
O peggio… l’ira giustificata dell’amico.
«Nott…io…»
«Cosa? Cosa Evan? Ti dispiace? Ti dispiace di aver mandato a puttane la missione che Riddle mi ha affidato? Perché è questo che hai fatto! Pensi che ora che hanno fatto pace il tuo amato mi lascerà stare accanto a Phoebe? O peggio, qualcosa impedirà ai Lovegood di far pace con Meredith?!»
Evan rimase in silenzio, assorbendo l’enormità di guai che quella piccola confessione intima aveva prodotto.
Nott aveva ragione.
Phoebe e Seth avrebbero fatto pace con Meredith e questa si sarebbe staccata da Riddle.
E di sicuro Tom non avrebbe avuto la mano leggera nel punirli.
«Mi prenderò la colpa io Amadeus. Dirò la verità a Riddle, io…» disse accorato Evan, fermandosi di fronte alla risata sarcastica dell’amico.
«Dire la verità? A Riddle? Quale verità? La tua omosessualità? Il tuo amore per il nemico di Riddle? O come entrambe le cose abbiano fatto sì che i suoi piani andassero in fumo?! Ti ucciderebbe.»
Nott fece per uscire, fermato da Evan che gli afferrò il braccio.
«Ma io voglio aiutarti.» sussurrò il biondo, con la voce rotta dal senso di colpa.
Nott gli sorrise amaro, liberandosi dalla stretta dell’amico per rispondergli schiettamente prima di uscire.
 
«Lascia stare. Hai già fatto abbastanza.»
 
 
***
 
 
«Hai saputo?»
«Saputo cosa?»
Meredith e Tom erano seduti nella Sala Grande, al tavolo dei Serpeverde.
A volte alcuni ragazzi dalle divise verde-argento le lanciavano sguardi che denotavano chiaro interesse o, peggio ancora, incredibilmente lascivi; mentre le compagne di casa la scrutavano con odio, gelose delle attenzioni che Riddle le concedeva.
Né i primi né le seconde però si azzardarono a proferir parola, bloccati dalla presenza autoritaria di Tom.
Erano seduti distante dagli altri, verso la fine del lungo tavolo di legno scuro, e si stavano gustando la merenda di Halloween cucinata dagli elfi: pancakes a forma di teschi e pipistrelli, succo di zucca viola e fumante e cioccolata calda incantata per assomigliare a sangue rappreso.
Tutto, come l’aveva definito Meredith, ‘disgustosamente buono’.
Tom finì di masticare una fetta di pancake prima di risponderle.
«Del Ballo di Lumacorno di stasera.»
Meredith negò con la testa, sorseggiando la sua cioccolata calda.
Indossava un maglione bianco che delineava perfettamente le curve dolci, i capelli erano lasciati sciolti e una gonna nera morbida le fasciava il girovita.
«Darà un Ballo in stile Halloween, nel suo studio dalle nove fino a tarda notte. Dicono che per avere l’approvazione di Dippet abbia dovuto dire addio ad alcuni dei suoi liquori più pregiati.» aggiunse Tom, sorridendo appena.
«Quindi per chi è? Solo per i Serpeverde?» chiese lei, curiosa.
«No, per tutti quelli dal quinto anno in su. Temono che il Whisky Incendiario sia troppo forte per i più piccoli.» spiegò il Serpeverde, servendosi di un’altra porzione di pancakes a forma di teschio.
«Whisky Incendiario? Si prospetta una serata interessante!» esclamò Meredith.
«Quindi dovrai farti bella alla perfezione per farti notare, quando entreremo a braccetto nello Studio del professore.» sussurrò malizioso Riddle.
Meredith si bloccò, lasciando che il boccone che aveva preparato si fermasse a mezzaria, sostenuto dalla sua mano immobile.
«Noi? Insieme? Al Ballo?» domandò lei incerta, quasi come se Tom avesse espresso la volontà di lasciare Hogwarts per unirsi ad un circo itinerante.
«Ovvio. Perché ti stupisce tanto?» chiese divertito il Serpeverde, bevendo il suo succo di zucca.
«Diciamo che non mi sembri un tipo da Ballo!» sorrise divertita Meredith.
«Au contrarie. Infatti, sono così da Ballo…» iniziò lui, per poi chinarsi a prendere la borsa ed estrarne una scatola argentata grande quanto un quaderno «…dall’aver preso un vestito per la mia accompagnatrice, sempre che lei accetti di essere tale.»
Meredith aprì cautamente il pacco portole dal ragazzo e rimase senza fiato.
Era un vestito verde bottiglia con delle spalline sottili, che davanti appariva molto pudico ma dietro lasciava una generosa scollatura che arrivava a metà schiena.
«Tom… sarà costato una fortuna! Come hai…?»
«Di questo non devi preoccuparti.» si schermì lui, sorridendo leggermente. Obbligare Zabini a comprare il suo smoking e il vestito di Meredith era stato un gioco da ragazzi.
«L’unica cosa importante è accettare il mio invito ora. Cosa dici?»
Meredith annuì divertita, estraendo il vestito dalla scatola per vederlo meglio.
Per dare tempo a Tom di storcere il sorrise gentile in un ghigno di trionfo.
Quella notte avrebbe siglato l’appartenenza di Meredith a lui.
Avrebbe vinto.
L’avrebbe vinta.
E si sarebbe potuto dedicare all’ultima, conclusiva parte del suo piano.
 
 
***
 
 
Il Ballo di Lumacorno soddisfò appieno le speranze degli studenti.
Quando, alle nove in punto, le porte dello studio si aprirono, rivelarono un salone di dimensioni gigantesche, con tavoli rotondi ai lati e graziose decorazioni sul soffitto.
Il tema di Halloween si poteva comprendere dalle strisce di tessuto arancioni e nere appese ai muri e dalla presenza dei fantasmi di Hogwarts al Ballo.
Il lungo tavolo del banchetto ospitava bevande dall’area fintamente nociva e cibi deliziosi che richiamavano temi orripilanti, quali amputazioni, morti violente e organi umani.
Phoebe osservò incantata tutto nel suo abito bianco candido, semplice e adornato di piccoli brillantini all’altezza del seno.
Era appena entrata a braccetto di Nott, elegante e affascinante nel suo smoking nero, e tutte le ragazze si erano voltate per ammirarlo.
Nott però sembrava distratto e preoccupato, nonostante il sorriso dipinto sul volto.
«Non è meraviglioso?» domandò Phoebe al suo accompagnatore, che sembrò tornare in se stesso di colpo.
«Cos-? Oh certo. Incredibile! Gli elfi avranno lavorato settimane per preparare quelle…delizie?» sorrise sornione, osservando una torta a forma di intestino.
«Che hai? Sembri distratto.» gli chiese Phoebe.
«No, nulla.»
«Ti sei forse pentito di avermi invitata?» sussurrò insicura la ragazza.
Amadeus aveva provveduto ad invitarla dopo pranzo, stupendola con un mazzo di fiori morti in tema Halloween che però avevano magicamente preso fuoco, lasciando spazio a rose di tutti i colori.
«Scherzi? Sei la più bella della sala!» rispose dolcemente Nott.
Ed era vero.
L’abito le donava, i capelli raccolti in uno chignon spettinato che le ricadevano dolcemente ai lati del volto.
Gli orecchini di cristallo che lui le aveva regalato poi la facevano brillare, rendendola stupenda.
«Ah.Ah.Ah. Divertente.» rispose lei, non credendogli.
«Dico sul serio! E anzi intendo vantarmi di te proprio ora, invitandoti a ballare!»
«Nott cos…» esclamò lei, prima di essere trascinata nelle danze dal suo accompagnatore.
 
 
Seth entrò nella stanza mezzora dopo. Indossava uno smoking nero fumo che gli metteva in risalto i capelli biondi e lunghi.
Si liberò facilmente di tutte le ragazze senza accompagnatore che lo assillarono per invitarlo a ballare e si diresse al banchetto.
In effetti, scoprì di aver spezzato molti cuori scegliendo di non invitare nessuno.
Ma la triste verità era che una persona da invitare ce l’aveva, ed era l’unica che non avrebbe potuto mai invitare.
E mentre sorseggiava un bicchiere di Whisky Incendiario, osservando la gemella ballare e ridere con Nott, si chiede dove fosse quella persona.
Evan l’aveva stranamente evitato per tutto il giorno, rinchiudendosi nei Dormitori Serpeverde e ignorando i suoi biglietti via gufo.
Uno lo invitava scherzosamente al Ballo.
L’altro gli suggeriva di fare un Ballo loro, perché non avevano bisogno di nessun altro.
Ma nessuno dei due aveva ricevuto risposta.
Proprio quando pensava che non potesse andare peggio successero due cose: Max Jackson gli si avvicinò con un sorriso malizioso ed Evan entrò nel salone, accompagnato da una formosa ragazza di Serpeverde.
Seth scoccò uno sguardo preoccupato al biondo ma, quando la ragazza gli saltò addosso baciandolo con passione, non riuscì a guardare ancora.
Sapeva che Evan doveva fingere.
Sapeva la verità, sapeva quanto lo amasse.
Eppure non seppe perché gli fece comunque così male.
«Oh, povero cucciolo. Non hai trovato nessuno che ti accompagni eh?» lo schernì Jackson, avvicinandosi sempre di più.
«Va al diavolo Jackson.» disse Seth, un po’ troppo forte di quanto voleva in realtà.
«Non aggredirmi, ti prego! Ah no aspetta, un accompagnatore ce l’avevi, ma sembra alquanto impegnato…»
Seth si voltò di scatto, allarmato.
«O mio dio avevo ragione! Avevo dei sospetti su te e Rosier da un sacco, ma non ho mai detto niente, non pensavo fossero corretti. Però vedendoti qui, a cruciare la povera inetta della Robinson che si sta strusciando sul tuo Serpeverde peggio di una gatta in calore, ne ho avuto la conferma.»
«Fottiti.» sussurrò Seth passandogli accanto, trattenuto però da Jackson che non gli impedì di andarsene.
«Ti converebbe essere più carino con me, Seth. Non vorrai mica che tutti vengano a sapere della vostra storia, no? Chissà come reagirebbe Adam Rosier…»
Seth agì agilmente.
Gli afferrò il papillon con forza, stringendo le sue dita intorno al collo dell’altro.
Vide un lampo di terrore attraversa gli occhi di Max e quando parlò sussurrò minaccioso.
«Non osare. Se provi anche solo ad aprire quella bocca da idiota che ti ritrovi non aspetterò un secondo a dire a tutti la verità su di te. Ho un sacco di segreti che mi hai rivelato ancora bene qui in testa sai? Furti, compiti copiati, professori corrotti. Vuoi davvero che vada a finire così?»
Lasciò andare Jackson, disgustato.
Aveva visto Meredith e Tom Riddle varcare la soglia e voleva raggiungerli.
Con la coda dell’occhio notò che anche Phoebe aveva avuto la stessa idea.
Voltò le spalle a Jackson e non si fermò neppure quando lo sentì parlare raucamente.
«Stai in guardia, Seth.»
 
 
Evan raggiunse Nott, sostenendo il peso fastidioso della Robinson.
Quell’oca giuliva era risultata la più decente pretendente ad accompagnarlo: Purosangue appartenente ad una famiglia antichissima e influente, Serpeverde, perfida quanto stupida.
Non aveva però considerato quanto fosse maledettamente insistente e appiccicosa.
Era del Settimo Anno ma, per età celebrale, non avrebbe fatto invidia ad un bambino di tre anni.
Dovette fare forza con se stesso per non voltarsi verso Seth una volta raggiunti gli altri.
L’aveva visto quando era entrato nella stanza e dio solo sapeva quanto avrebbe voluto correre da lui per baciarlo lì, di fronte a tutti.
Invece le uniche labbra che aveva potuto toccare erano state quelle piene di lucidalabbra alla fragola della Robinson.
Dopo la lite con Nott aveva comunque voluto stargli più lontano possibile.
Se non per allentare eventuali sospetti, almeno per alleggerire i sensi di colpa che lo stavano uccidendo.
E non era poi servito a molto.
«Meredith, io e Phoebe vorremmo parlarti.»
La voce di Seth gli scivolò nelle orecchie come una ninna nanna a lungo dimenticata.
Si morse fino a sanguinare l’interno della guancia, pur di non voltarsi verso di lui.
«Davvero?» domandò incerta Meredith.
Era bellissima.
Il vestito che aveva visto acquistare Zabini per Riddle le donava molto, insieme ai capelli morbidi che cadevano in spirali.
Era a braccetto con Riddle stesso che, alle parole di Seth, lanciò uno sguardo penetrante a Nott.
Perfino lo smoking nero come la notte non riusciva a togliere all’affascinante figura di Tom quell’aura tetra.
«Sì.» sorrise  Phoebe, guardandola dolcemente.
«Mi dispiace. Non ho pensato nulla di ciò che ti ho detto. Ero furiosa con me stessa e mi sono sfogata su di te. Non avrei dovuto. Tu sei la mia migliore amica Meredith, sei come una sorella. E dato che ho incasinato tutto perfino col mio gemello, spero tu capisca quanto il nostro legame conti per me.»
«Io e Phoebe abbiamo chiarito. E vorremmo chiederti scusa per tutto. Sei l’unica che, in questa storia, non aveva nessuna colpa. Ci dispiace Fox.» aggiunse dolcemente Seth.
Due minuti dopo Meredith, Seth e Phoebe erano stretti in un abbraccio caloroso, tra risate e pianti.
Due minuti dopo Tom Riddle guardò Amadeus Nott con un’implicita promessa di morte.
 
E Tom Riddle manteneva sempre le sue promesse.



Note:

(1) Citazione di Harry Potter e il Principe Mezzosangue. Si riferisce a come i suoi piani siano stati, alla fine, ostacolati proprio da Evan e Nott, indirettamente da quest ultimo, ovvero i suoi alleati. E ovviamente, a lungo andare, si riferirà anche a Meredith :3



 
*Angolo Autrice*

...C'è ancora qualcuno? Davvero? Qualcuno si ricorda ancora di me o della storia? Beh, grazie mille! Perché non ho aggiornato per così tanto tempo? Perché mi sono dedicata ad un progetto davvero importante per me: il concorso Campiello Giovani 2015. Ergo, le mie doti da scrittrice si sono professate e a questa causa e quindi per molto non ho toccato la fan fiction. A inizio dicembre ho ufficialmente spedito il mio racconto e mi sono concessa un po' di pausa dalla scrittura, avevo bisogno di staccare la mente da Word XD Però ora sono qui, felice come non mai perché credo veramente che questo sia il più bel capitolo di questa fan fic finora. Sul serio. Non so nemmeno io come sia successo, ma non credo sia mai stata così perfetta (nei miei standard) nello scrivere. Odio la finta modestia e sono la prima a criticarmi spudoratamente dopo aver scritto, quindi sono anche la prima a elogiarmi (sorprendendomi pure) se qualcosa esce bene. Spero che la riuscita di questo capitolo sia un'opinione da voi condivisa! :)
Spendiamo poche parole per spiegare. Sottolineo come l'abito verde sia citato anche nel Prologo (andate a rivedervelo ;) ) e che i capitoli ormai stanno giungendo a termine. Penso che ci saranno ancora uno o due capitoli e poi l'epilogo. Preparate i fazzoletti, sia per la felicità che per la tristezza! 
Concludo questo papiro ringraziando chi come sempre recensisce questa storia e invitando tutti a fornire il loro parere :D
Spero di non aver problemi nell'aggiornare nonostante i casini di Natale ecc, credo che il 28 potremmo tranquillamente risentirci.
Buon Natale a tutti e tanti fangirleggiamenti per la Sevan, la Phoeus e la Rith (RiddlexSmith) a ognuno di voi! <3 


 

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Capitolo 11
*** Verità ***




CAPITOLO 10 - VERITA'


 
«Ora, se c'è una cosa che Voldemort non riesce a concepire, è l'amore.» (1)
 
 [31 Ottobre 1941]


Tom aspettò pazientemente che Phoebe, Seth e Meredith fossero impegnati nelle danze per avvicinarsi a Nott.
«Seguimi.» gli sussurrò piano, per poi uscire dallo studio di Lumacorno.
I passi dietro di lui gli assicurarono che Nott lo stesse seguendo.
Come se avesse scelta, come se avesse potuto rifiutarsi.
Come se non sapesse quanto fosse nei guai.
Continuarono a camminare in silenzio fino a che Riddle non entrò in un’aula vuota, seguito dal moro che chiuse la porta.
Nott rimase lì, immobile, teso come la corda di un violino, ma comunque sorridente.
Per tranquillizzare Tom?
No.
Per tranquillizzare se stesso.
«Avevi un compito» iniziò Riddle, sedendosi sulla cattedra e guardando fuori dalla finestra, quasi come se il discorso che stava per fare fosse una mera considerazione sul tempo.
Nuvole cariche di pioggia si prospettavano all’orizzonte, lontane da Hogwarts ma comunque imponenti.
Riddle sorrise malevolo, osservando con piacere un tuono che lacerava il cielo e colpiva un albero.
E poi il fuoco, distruttivo e crudele.
«Un solo, misero compito, Nott. Era troppo difficile? Ho male considerato le tue doti, sopravvalutandole?» domandò curioso, puntando lo sguardo predatore sul ragazzo.
Il sorriso dell’altro tremolò ma non cedette.
«No.» rispose schietto.
«Come, scusa?» lo riprese Riddle, inarcando le sopracciglia.
«No, Lord Voldemort.» si corresse Amadeus, rabbrividendo impercettibilmente mentre diceva le due ultime parole.
«Ah. Quindi aiutami Amadeus, te ne prego» continuò mellifluamente Tom, tirando fuori dalla veste la bacchetta di Tasso e iniziando ad accarezzarla placidamente.
«Perché diavolo Meredith e i Lovegood hanno fatto pace? Il tuo compito non era forse far in modo che Phoebe detestasse Meredith?»
Nott aprì la bocca per parlare ma la richiuse subito dopo.
Tom lo osservò divertito mentre cercava di dire qualcosa.
«Vuoi…una mano a ricordare?» chiese dolcemente, muovendo appena la bacchetta.
Amadeus urlò di dolore, mentre una benda apparsa dal nulla si stringeva sempre di più attorno al braccio destro.
Quando cercò di prendere la bacchetta Riddle si mise a ridere e, con un altro gesto, bloccò con il medesimo incantesimo anche l’altro braccio.
«L’Incantesimo Ferula serve a creare bende per medicare ferite. E’ stato quasi uno scherzo trasformarlo in qualcosa di nocivo. Nocivo e divertente. Allora, Nott? Se vuoi dire qualcosa è il momento adatto per farlo.» disse Tom, bloccando l’incanto.
Le bende non si sciolsero né sparirono, ma cessarono di stringere ancora di più.
Nott aveva le lacrime agli occhi per il dolore e faticava a parlare.
«Nulla? Vuoi che continui, allora?» chiese sorridendo Tom, godendo del terrore negli occhi di Nott.
Ma c’era qualcos’altro.
Riddle si avvicinò sempre di più ad Amadeus, fino ad avere i visi distanti pochissimi centimetri.
Gli afferrò con crudeltà le guance, avvicinando gli occhi ai suoi per poter vedere meglio.
La Legilimanzia era un’arta affascinante che da sempre aveva attratto il futuro Signore Oscuro, inducendolo a studiarla con devozione.
Amadeus era un Occlumante discreto ma la debole barriera che si era frapposta tra i suoi più intimi segreti e la mente di Lord Voldemort non avrebbe retto molto.
Riddle si concentrò di più e iniziò a cogliere qualcosa: frammenti di frasi e scene tagliate.
«TRADIRE COSI IL TUO MIGLIORE AMICO PER UN BEL CULO E UN PAIO DI OCCHI AZZURRI!»
Stupidi battibecchi tra amici, no, non poteva essere quello il punto.
Tom continuò a cercare, scrutando senza sosta nella memoria di Nott che, con sua sorpresa, ostentava una temeraria opposizione.
«Cosa c’è, Amadeus? Cosa vuoi nascondere a Lord Voldemort?» sussurrò il Serpeverde, rafforzando la sua magia.
Stralci di conversazione con Evan.
Scene di baci rubati a stupide Serpeverdi nei meandri di Hogwarts.
Amadeus che si provava il vestito per il Ballo.
Il Ballo.
«Scherzi? Sei la più bella della sala!»
Gli occhi di Phoebe che si sgranavano per la sorpresa e qualcosa di strano che si muoveva nelle viscere di Nott.
Gli occhi di Nott che si sgranarono per il terrore, mentre Riddle sorrideva, convinto di essere sulla strada giusta.
Amadeus sentiva che le sue esili difese stavano crollando sotto l’irruenza della magia di Tom.
Stava per leggere e vedere cose che probabilmente nemmeno lui aveva mai ammesso a se stesso.
«Però sei anche dolce e sensibile, nonostante tu voglia nasconderlo. Sei premurosa e intelligente. E possiedi un senso dell’umorismo davvero particolare, che pochi apprezzano ma che io personalmente adoro. Pungente, sarcastico. Vero.»
«No»
Il bacio arrivò velocemente, tempo di sbattere le ciglia ed era finito.
«NO»
«O forse sono solo timido, e aspetto la persona giusta per rivelarmi come sono davvero.»
«NO!»
L’urlo di Nott ruppe la connessione e il ragazzo cadde a terra, esausto.
Riddle lo guardò vittorioso, la bacchetta che provava gioia e vibrava, pronta a concretizzare la sete di vendetta che stava provando il suo padrone.
«Ti sei innamorato di lei.» sputò Riddle, come se fosse il peggior insulto di sempre.
«Non è vero.» rispose secco Amadeus, rialzandosi.
Le bende erano scomparse.
E lui le avrebbe rimpiante di sicuro, pensò Tom.
«Tu ti sei innamorato della Lovegood! Sei un debole!» urlò Riddle, gli occhi carichi di una felicità malsana.
«No! Io… io sto solo recitando! Lei deve credere che io provi qualcosa per lei, devo farle credere che…» esclamò Nott, troppo poco convinto.
Non credendo fino in fondo alle sue parole.
Volendo convincere Riddle e finendo per non convincere neppure se stesso.
«NON MENTIRE A LORD VOLDEMORT!» ruggì Tom, alzando la bacchetta.
Nott chiuse gli occhi, pronto a ricevere il dolore che di lì a poco l’avrebbe stretto in una morsa.
Come un serpente.
Come lui.
 

Dolore che non arrivò mai.
Sormontato da delle urla fuori dal corridoio e dei passi concitati dentro l’aula.
Quando Nott aprì gli occhi vide due figure davanti a sé.
Una era Evan che, con fare protettivo, gli stava davanti quasi volesse frapporsi tra lui e Riddle.
L’altra apparteneva ad una ragazza, i cui capelli mori ricadevano sulla pelle candida mostrata dalla scollatura dell’abito verde smeraldo.
Verdi come gli occhi che, in quel momento, sfidavano quelli di Tom Riddle.
«Che diavolo sta succedendo, Tom?»
 
 
***
 
 
Evan uscì dalla Sala del Ballo, ormai vicino all’esaurimento.
Nott e Riddle si erano allontanati da una decina di minuti che però a lui erano sembrati anni.
Non si curò nemmeno della figura fastidiosamente accanto a lui: si voltò e, senza dare spiegazioni, uscì dalla Sala.
Aveva fatto pochi passi prima che una voce, quella voce, lo aveva chiamato:
«Dove stai andando? Che ti succede?»
Evan si voltò.
Seth lo guardava serio, affascinante nel suo smoking e coi capelli scompigliati a causa delle danze.
«E’ tutto ok, torna dentro.» lo aveva rassicurato schiettamente Evan, ma quello non si era mosso.
«Tutto ok? Stai scherzando? Mi eviti tutto il giorno e nemmeno mi guardi in faccia. Poi ora dalla tua espressione sembra che ti sia morto il gufo. Evan…» iniziò Seth, avvicinandosi all’altro «…se c’è qualcosa che posso fare, io…»
Evan scacciò con violenza la mano del Corvonero che voleva stringerlo in un abbraccio.
E il Serpeverde sentì il cuore spezzarsi quando vide la sorpresa e la delusione che quel gesto causarono negli occhi di Seth.
«Lasciami in pace. Ho… ho bisogno di stare da solo.» disse velocemente, voltandosi e iniziando a correre.
Non perché sapesse dove cercare Nott.
Non perché volesse fare presto.
Ma perché restare lì era troppo doloroso.
Seth non lo seguì e lui scacciò le lacrime dentro di sé, lontane.
Ora doveva trovare Nott.
Ora era lui la priorità.
 
 

Vagò senza sapere dove andare per qualche minuto, finché non lo sentì.
L’urlò di Nott lacerò il silenzio della notte, fermando anche il cuore di Rosier per pochi secondi.
Il Serpeverde iniziò a correre verso la fonte del rumore, fino ad arrivare in un corridoio deserto.
Le urla erano cessate e in quel corridoio c’erano almeno una ventina di classi: avrebbe dovuto controllarle tutte.
Stava per cominciare quando sentì qualcuno chiamarlo.
L’unica voce che, per nessun motivo al mondo, avrebbe dovuto trovarsi lì.
«Evan!»
Il biondo si voltò, cercando di restare tranquillo mentre Meredith gli si avvicinava.
«Meredith che… che ci fai qui?» le domandò incerto.
«Stavo cercando Tom. Si è dileguato nel nulla e volevo sapere dove fosse. Poi ti ho visto uscire e, beh, speravo sapessi qualcosa.» disse lei sorridendo, ignara di ciò che stava accadendo a pochi passi da loro.
«Ah, ecco, no, non so nulla. In realtà dovevo incontrarmi con…ehm…una ragazza, quindi se tu potessi…?» farfugliò Evan, lanciando occhiate nervose in giro.
Meredith inarcò un sopracciglio, allargando il sorriso.
«Una ragazza? Puoi anche non mentire: so tutto di te e Seth. Non lo dirò a nessuno, tranquillo» aggiunse lei, vedendo il panico che aveva riempito l’espressione del Serpeverde.
«Come so che Seth è ancora al Ballo, credo ad aspettarti tra l’altro. Evan non voglio darti fastidio, vorrei solo sapere dove…»
Le parole di Meredith furono interrotte da un altro urlo.
Quello di Tom, stavolta.
«Hai sentito?» domandò Meredith, perdendo del tutto il sorriso dalle labbra rosse.
«Credo sia meglio che torniamo al Ballo» disse Evan sicuro, prendendole il braccio.
Ma le successive parole di Tom risuonarono nel corridoio, ancora più chiare.
«NON MENTIRE A LORD VOLDEMORT!»
Meredith iniziò a correre ma Evan la trattenne.
«Lasciami andare Evan!»
«Meredith non…»
Ma la ragazza era agile: si liberò dalla sua stretta ed entrò nell’aula dalla quale provenivano le urla, seguita da Evan.
La scena che lei ed Evan videro fu raccapricciante.
Nott era a in piedi ma stava per cedere. Aveva gli occhi chiusi e lo smoking rotto all’altezza delle braccia dove sembrava che qualcuno gli avesse scorticato la pelle. Il sangue stava sporcando la camicia e le maniche della giacca del completo.
E Tom era lì, vittorioso, con la bacchetta puntata contro di lui.
Meredith si frappose fra i due, fiera e temeraria.
Evan invece coprì Nott, quasi temesse che Tom lo avrebbe comunque colpito.
«Che diavolo sta succedendo, Tom?» chiese infuriata lei, guardandolo in quegli occhi diabolici, ora confusi e intenti a progettare un piano.
Evan sentì Nott che gli si appoggiava addosso, esausto.
Il Serpeverde sostenne l’amico senza dire nulla, attendendo un segno.
Quando Riddle annuì lui uscì dall’Aula e trascinò Nott fino all’infermeria, deserta.
Lo fece stendere sul lettino e, senza riuscire a trattenersi, scoppiò a piangere.
Ma continuò comunque a muovere la bacchetta sul corpo dell’amico svenuto, curandogli le ferite.
Le lacrime di Evan si mescolarono col sangue e vennero risucchiate dalla sua bacchetta.
Solo quando la mano di Nott strinse la sua si permise di guardarlo in faccia, sorridendo comunque del ghigno divertito dell’altro.
«Hey, non sporcare il tuo bel visino di lacrime o ti colerà tutto il mascara. Poi cosa dovrò dire al tuo ragazzo? Penserà che ti ho spezzato il cuore e mi picchierà!»
Evan rise piano, dando un affettuoso pugno alla spalla di Amadeus.
«Sei proprio un’idiota.»
«Io? Sei tu quello che si caccia sempre nei guai! Guarda cos’hai causato ora!» sorrise Nott, mettendosi seduto.
«Sì, ma sei tu l’idiota che rischia sempre la pelle pur di difendermi» lo accusò sorridendo sarcastico Evan.
Nott annuì, l’espressione tra il serio e il divertito.
«Esatto. E continuerò a farlo.» sussurrò dolcemente.
«Dai, torniamo al Ballo. Credo ci avranno dato per dispersi.» aggiunse dopo, allontanandosi da Rosier dopo aver visto che gli si erano inumiditi ancora gli occhi.
O per nascondere i suoi, di occhi umidi.
«Riddle ci ucciderà, lo sai vero?» disse Evan mentre seguiva l’amico verso il Ballo.
«Un motivo in più per ballare. Se questa è la mia ultima sera voglio divertirmi. E lo farò, fidati.»
Evan stava per chiedere a Nott cosa intendesse, quando si bloccò.
Era ancora lì, esattamente dove l’aveva lasciato.
Nott si limitò a sorridergli prima di tornare dentro.
Lasciando da solo nel corridoio, ad affrontare quegli azzurri carichi di tante emozioni.
Paura, preoccupazione. Rabbia, amore. Dubbio, incertezza.
Il Serpeverde respirò profondamente e gli si avvicinò.
 
 
***
 
 
Tom guardò Meredith, così fiera ed altera, che lo fissava infuriata e, ancora più ridicolo, delusa.
Pensò rapidamente alle scelte che aveva, ai pro e ai contro, e nemmeno la sua mente brillante riuscì a trovare altra alternativa a dire la verità.
Ovviamente, la sua verità.
«Meredith, che ci fai qui?» domandò tranquillo, come se si fossero appena trovati tra le strade di Londra e non mentre lui stava torturando un suo compagno di Casa.
«Potrei chiederti la stessa cosa. Cosa stavi facendo a Nott?» sputò lei disgustata dal sorriso rilassato che lui continuava ad ostentare.
Riddle non rispose, osservandola con calma.
Soppesandola con lo sguardo, come a valutare la grandezza di un’eventuale minaccia.
Notò che i capelli prima perfetti stavano iniziando a perdere la forma lineare, tornando un po’ torbidi. Sembrava quasi come se si fosse appena svegliata.
E lui, nel profondo, lo trovò dannatamente eccitante.
Il vestito verde si era spostato leggermente a causa della corsa, mostrando un accenno di pelle candida sotto il collo.
Sarebbe stato così facile tingere quella pelle bianca di sangue, così facile.
Un lampo e nella sua memoria tornò l’immagine di Meredith distesa a terra, piena di sangue e urlante di dolore.
Ma doveva esserci qualcosa che funzionava male in Tom Riddle, perché non si sentì in colpa per i suoi pensieri.
Non gli dispiacque rivederla col sangue addosso… lui iniziò ad agognare le grida di lei, ancora e ancora.
Sarebbe stato così facile sentirla urlare di nuovo, urla che mancavano a Tom come gli sarebbe mancata l’aria.
Lui respirava dolore per stare bene, viveva delle grida degli altri.
E, per qualche ragione, pensò che quelle di lei sarebbero state le migliori.
Perché?
Perché non se lo sarebbe aspettato.
Si ridestò dai suoi pensieri quando la vide avvicinarsi a lui, e sorrise scioccamente: era come vedere un piccolo topolino buttarsi nella tana del serpente.
«Tom, parlami. Ora.» gli ordinò Meredith, guardandolo dritto negli occhi.
Erano a pochi passi di distanza, ora.
Ordinò. Che strana sensazione per lui: nessuno aveva mai osato ordinargli qualcosa.
Tanto più una nullità come lei.
Però qualcosa dentro di sé, qualcosa di antico, gli suggerì di non scherzare con lei, che non era una nullità.
Gli disse che persino i serpenti più letali devono riconoscere dei nemici da temere.
E che, nel profondo, non avrebbe mai voluto farle del male.
Ma quest’ultima considerazione venne lasciata nelle ombre dell’anima di Riddle, lontana e irraggiungibile.
«Sono questioni private Meredith, non posso dirti nulla.» disse lui serio, facendo per alzarsi.
Lei però gli impedì di andarsene, bloccandogli la strada.
«Questioni private o no, tu stavi torturando una persona, Tom!» urlò Meredith, mentre le si imporporavano le guance.
«E tu credi di sapere tutto, eh? Pensi che io debba per forza essere il cattivo, vero? Diavolo, speravo che questi mesi con me ti avessero fatto capire che non sono quello che sembro. Non sarò di certo il ragazzo più dolce del mondo, ma arrivare a torturare senza motivo?!» esclamò lui offeso.
Meredith non si scusò, si limitò a respirare a fondo.
«Se c’è un motivo dillo, forza.» lo esortò freddamente.
Tom si mosse fingendo disagio, come se stesse vivendo un dilemma interiore.
Come se non stesse sorridendo internamente, pensando a quanto fosse facile manipolare le persone.
«Nott è mio amico, non posso tradirlo.» annunciò infine, parandosi di fronte a lei.
«Allora sappi che d’ora in poi per me tu non esisti.» sussurrò lei gelida, voltandosi.
Tom attese che Meredith arrivasse fino alla porta per parlare, la voce strozzata, come se dei sensi di colpa lo stessero strozzando.
«Si tratta di Phoebe.»
Meredith si voltò con rapidità, guardandolo negli occhi.
Tom avvertì chiaramente quella strana sensazione già provata: come se del vento gelido fosse entrato nella sua mente, e rabbrividì.
«Phoebe?» ripeté confusa lei.
Riddle annuì.
«Non avrei voluto dirlo, ma non mi lasci altra scelta. Oltretutto, so che posso fidarmi di te.» concluse lui, sorridendo appena.
Lei fece cenno di sì, invitandolo implicitamente a continuare.
«Temevo che Nott la stesse usando. Non si è mai innamorato di nessuno, lo conosco da tempo ormai, e avevo paura che finesse per spezzarle il cuore. Sia chiaro, normalmente ciò non mi sarebbe importato» aggiunse, deciso a non esagerare con le sdolcinatezze: «Ma Phoebe è la tua migliore amica e io non volevo che soffrisse. Che soffrissi.» sussurrò piano, avvicinandosi a lei per abbracciarla.
Ciò che però accadde lo lasciò esterrefatto.
Meredith si mise a ridere, così forte da far incrinare perfino il sorriso studiato sul volto dell’altro.
«Oh ti prego. Risparmiamelo, Tom. Ti ho sentito, sai? Ti ho sentito mentre urlavi e sembravi tutto fuorché preoccupato per le sofferenze altrui. Tu volevi la sofferenza altrui.» disse maligna Meredith, guardando la facciata dell’altro sgretolarsi pian piano.
«Non è vero. Tu sei la mia ragazza e io volevo proteggerti.» rispose duramente lui, sentendo che il contatto con gli occhi di Meredith lo stava rendendo incauto: era come se le emozioni diventassero più forti, più difficili da nascondere.
La rabbia che quel sorrisetto ingenuo gli causava, la vergogna di essere deriso da lei.
La frustrazione nel vedere che quei mesi di lavoro non erano valsi nulla e, più di tutto, la cocente delusione nell’appurare che una persona era riuscita a leggergli dentro, a vedere la falsità così duramente celata agli altri.
«Io non sono la tua ragazza.» sputò Meredith, audace «Tu non potrai mai avere un’amica, figuriamoci una ragazza! Non sai provare affetto per nessun altro fuorché te stesso e io sono stata un’idiota ad illudermi che questa non fosse la realtà. Io non sono più nulla per te, Riddle.» esclamò lei, dirigendosi verso la porta.
Lui però le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi.
«Tu sei mia»
«Io non sono di nessuno, Tom. Una persona non può appartenerti.»
Sciocchezze, lui possedeva chi voleva.
Ne aveva i mezzi, un piccolo ‘Imperio’ e chiunque si sarebbe sentito felice di stargli accanto.
Come se non dovesse già sentirsi onorato, dopotutto.
«Questo lo credi tu.» disse lui.
La risata di scherno di lei lo colpì al torace come un incantesimo.
Il ghigno che si formò sulle sue labbra avrebbe dovuto farla fuggire, farle capire che pericolo stesse correndo, e invece lei parlò ancora, così mellifluamente, sfidandolo.
Sfidandolo come nessuno lo avrebbe mai più osato sfidare.
«Provalo. Provalo, Tom, se ne hai il coraggio.»
 
Sarebbe bastato così poco per bagnare le mattonelle grigie del suo sangue.
Così poco per farle perdere quell’aria altezzosa e quel sorriso fastidioso dal viso.
Così maledettamente poco per sentire le sue grida echeggiare per il castello.
La bacchetta era lì nella sua tasca.
Vibrava, agognava la magia del suo padrone.
E Lord Voldemort avrebbe potuto soddisfare la sua fame con un gesto.
Ma invece fece qualcosa di ancora più rischioso.
Ancora più gratificante, anche se non lo ammise mai nemmeno a se stesso.
Ancora più pericoloso, anche se lo capì troppo tardi.
 

Pochi secondi dopo che Meredith ebbe parlato, Tom Riddle formulò un pensiero proibito che non avrebbe mai più osato ripetere.

 
Le labbra di Meredith erano più buone di quanto si aspettasse.
Più calde, più morbide.
Più vive e dolci.
Il suo personale frutto proibito.

 
Che, col senno di poi, sarebbe dovuto rimanere tale.
 
 
***
 
 
Phoebe si sedette su una delle sedie argentate ai lati della pista da Ballo.
Scrutò la Sala, cercando qualcuno dei suoi amici.
In effetti, erano tutti scomparsi: Seth, Evan, Tom, Meredith e Nott.
Nott.
Phoebe sorrise sorniona mentre ripensava a come avevano ballato stretti l’una all’altra.
Non sembravano nemmeno loro, non sembrava nemmeno lui.
Non si accorse nemmeno quando qualcuno le si sedette accanto.
«Hey»
La Corvonero si voltò, trovandosi faccia a faccia con Oliver Stone.
Oliver era un Tassorosso del sesto anno con cui Phoebe aveva avuto degli spiacevoli incontri.
Sebbene infatti fosse un Tassorosso, aveva spesso e volentieri dimostrato che anche gli appartenenti alla Casata di Tosca sapevano essere dei bulli.
Dal primo al terzo anno era stato l’incubo di Phoebe: ovunque andasse se lo ritrovava sempre di fronte, pronto a prenderla in giro per le sue strambe idee, per come si vestiva o, semplicemente, perché era lei.
Niente tette o culo, simpatica quanto un muro.
Stupida, nonostante l’appartenenza ai Corvonero.
Troppo vivace, maschiaccio, femminilità sotto zero.
Aveva smesso solo dopo che Seth, dal suo poderoso metro e settantacinque a tredici anni, l’aveva picchiato di nascosto.
Comportamento non proprio tipico di Seth, ma aveva raggiunto lo scopo.
Due anni dopo Oliver non era più un bullo, almeno all’apparenza: i capelli mori dalle sfumature rossicce e le piccole efelidi sulle guance lo facevano sembrare ad un cerbiatto.
Gli enormi occhioni color cioccolato al latte acuivano se possibile ancora di più la somiglianza.
«Che vuoi?» domandò seccata Phoebe, voltandosi per ripercorrere ancora una volta la sala con lo sguardo.
«Chiedere alla più bella ragazza della Sala di ballare» rispose dolcemente lui.
Phoebe rise acidamente, guardandolo negli occhi.
«Oh, ora sono la più bella della Sala? Non ero la rompiscatole senza tette di Corvonero fino a qualche tempo fa?» rispose sarcasticamente la bionda.
«Ma dai, possibile che tu non l’abbia ancora capito?» disse sorridendo Oliver.
Phoebe si alzò, appoggiando le mani sui fianchi con cipiglio serio.
«Cosa? Che sei un’idiota? Che si tratta di un altro dei tuoi pessimi scherzi? Sì Stone, l’ho capito perfettamente!»
Phoebe si voltò, diretta fuori dallo studio, ma venne trattenuta dal Tassorosso che le prese la mano e la fece ruzzolare tra le sue braccia.
«No. Che sono cotto di te da quando avevo undici anni, solo che non sapevo come dirtelo. E prima che tu lo dica hai comunque ragione: sono un’idiota. Un’idiota che ti chiede di dargli la possibilità di ballare con te.» sussurrò lui, sorridendole.
Phoebe rimase senza parole, persa negli occhi caldi dell’altro.
«Io…» iniziò la Corvonero, prima di sentire un braccio afferrarle la vita e tirarla lontano.
Prima che se ne accorgesse si ritrovò stretta al petto di Amadeus che, con un ghigno che non faceva presagire nulla di buono in volto, scrutò Oliver quasi fosse solo spazzatura.
«Temo che tu stia invitando una dama già felicemente impegnata.»
«Impegnata? Con te? Lei si merita di meglio. Merita qualcuno che potrà davvero amarla. La userai soltanto, così come fai con tutte.» rispose deciso Oliver, prima che Nott lo afferrasse per il colletto, alzandolo di qualche centimetro da terra.
Phoebe cercò di farlo desistere, convinta che si stessero per picchiare, ma Nott la stupì.
Si limitò a sussurrare qualcosa mellifluamente nelle orecchie del Tassorosso.
«Tu non sai nulla di me. Non osare comportarti come se lo sapessi e, soprattutto, non osare mai più provarci con la mia ragazza.»
Detto ciò fece dietrofront, prese la mano di Phoebe e uscì nel corridoio fuori dalla Sala.
Phoebe notò con la coda dell’occhio che Evan stava scrutando una figura che si allontanava nella penombra, ma non ebbe tempo di appurarne l’identità perché Amadeus stava correndo, trascinandola con sé.
Dopo poco però lei si ribellò, fermandolo.
«Si può sapere cosa ti è preso?» domandò nervosa, cercando di sistemarsi al meglio i capelli.
«Wow, non credevo che i Tassorosso potessero essere tanto sfrontati…forse Evan ha ragione quando dice che lo Smistamento avviene troppo presto…magari a quindici anni o che so io, sarebbe un perfetto rompipalle di Grifondoro, quello Stone…»
Phoebe ascoltò i deliri di Nott per qualche secondo e lo guardò preoccupata. Sembra che avesse perso di colpo l’orientamento: continuava a muoversi avanti e indietro e, soprattutto, non la guardava negli occhi.
Passava dalla rabbia alla gioia in pochi secondi, sembrava sotto shock.
Alla fine prese il volto di lui tra le mani e lo costrinse a guardarla.
«Hey, calmati. Sono qui, va tutto bene.» gli sussurrò dolcemente, accarezzandogli la guancia con le dita.
Lui si tuffò col viso nei suoi capelli e inspirò il profumo di fiori che emanavano.
In quel momento Nott pensò che non si sarebbe mai potuto scordare quel profumo.
Nascosto nell’abbraccio intimo di Phoebe, Amadeus rivisse l’ultima ora in un soffio: il terrore dovuto allo sguardo minaccioso di Riddle, le torture e il dolore straziante alle braccia. La coscienza di ogni cellula di pelle che moriva, stretta nella morsa letale di quelle bende intrise di sangue.
Il sorriso di Riddle, così folle e inquietante, mentre gli chiedeva di smentirlo, di urlare che lui non si era innamorato come un debole.
Ma, sopra ogni altra cosa, l’incapacità di Amadeus ad adempiere alla sua richiesta: il fallimento nel negare quei sentimenti per Phoebe.
Phoebe che ora lo abbracciava, sussurrando che lei era lì, che andava tutto bene.
Phoebe che non chiedeva nulla, non pretendeva niente.
Phoebe che voleva solo che lui stesse bene.
Phoebe che veniva spinta contro il muro mentre lui le baciava l’incavo del collo, i capelli, le gote.
Poi le labbra, per zittirla, per farle capire quanto in quel momento le parole non servissero più.
Lui che la sollevava dolcemente, senza mai smettere di baciarla.
L’adagiò piano sul suo letto baldacchino, nei dormitori Serpeverde che erano fortunatamente a pochi passi dallo Studio di Lumacorno.
Un gesto meccanico e la porta venne chiusa, un altro e la stanza fu insonorizzata.
Solo quando si fu tolto la camicia si permise di guardarla.
Era lì, rossa dove l’aveva baciata e morsa, sorridente e con gli occhi lucidi.
Per il Whisky, per l’emozione, per l’amore o per la paura.
Non importava, perché lei era lì.
Ed era bellissima.
Nott però non si mosse oltre, chiedendosi se fosse quello il momento che lei aveva sognato o se lo stesse facendo solo per non contraddirlo.
La domanda aleggiò nel silenzio della stanza per dieci secondi, prima che Phoebe si mettesse in ginocchio sul letto e gli cingesse il collo con le braccia.
I loro nasi si toccarono e lui chiuse gli occhi, estasiato come non lo era mai stato.
Quello non era il solito sesso a cui era abituato, veloce e atto a soddisfare bisogni fisiologici.
Solo quel gesto in sé in effetti era la cosa più intima che avesse mai provato.
Non si mosse, sorridendo dolcemente.
Fu Phoebe a rompere l’incanto, sussurrandogli nell’orecchio due parole che lo fecero arrossire.
Amadeus Nott che arrossiva, in effetti, fu un evento da annotare in ‘Storia di Hogwarts’.
La Corvonero gli accarezzò le guance, ridendo.
«Che razza di idiota!» lo schernì affettuosamente, provocando la risata dell’altro e la formazione di un ghigno da Serpeverde sul suo viso.
«Hai chi hai dato dell’idiota, eh?» domandò sarcastico, spingendola sul letto, tra le loro risate.
Tra i baci, tra le carezze.
Tra le prese in giro e i sorrisi.
Tra quelle due parole che ancora vibravano nel sangue di Nott, facendolo sentire invincibile.
 

Tra quel “Ti amo” che continuò a tornare in ogni sospiro, per tutta la notte.
 
 
***
 
 
«Che ci fai ancora qui?» domandò Evan più acidamente di quanto volesse.
Gli occhi azzurri di Seth brillarono di una luce poco promettente.
«Che ci faccio qui? Tu hai anche le palle di chiedermi che ci faccio io qui?!» domandò infuriato Seth, andandogli incontro.
«Ti avevo detto che volevo stare da solo.» disse Evan, un po’ infastidito.
Il Serpeverde sapeva che Seth era rimasto solo perché si preoccupava per lui, perché lo amava, ma era sempre stato abituato ad essere ascoltato: se diceva di voler stare da solo nessuno si sognava di aspettarlo.
«Già. E torni coperto di sangue? Hai anche una vaga idea di quanto mi sia preoccupato vedendoti andare via così turbato? O dell’infarto che ho avuto vedendoti tornare coperto di sangue?» esclamò Seth, squadrandolo inviperito.
Evan si guardò il vestito e si dette mentalmente dell’idiota: in mezzo al casino si era dimenticato di pulirsi, aveva pensato solo a Nott.
«Non è successo niente, tranquillo.» disse calmo Evan, rimuovendo con un movimento della bacchetta tutto il sangue dallo smoking.
«E perché eri ricoperto di sangue? Sei ferito?» domandò Seth, lasciando trasparire una vena protettiva che addolcì Evan.
«No, sono dovuto andare ad aiutare Nott. Si era ficcato in uno dei suoi soliti casini, il sangue era il suo» spiegò Rosier, non riuscendo però a guardarlo negli occhi.
Dare la colpa a Nott gli causò un malessere interiore incredibile dato che era l’esatto contrario: la causa di tutti i problemi era stato lui.
«Mi stai mentendo» sussurrò deluso Seth.
«No. Dai, rientriamo.» rispose schietto Evan, prendendogli la mano per indurlo a incamminarsi verso il Ballo, ma ottenendo il risultato opposto.
Seth strinse la sua mano e lo spinse contro il muro, bloccandogli qualsiasi via d’uscita.
«Seth! Porco Godric, che cazzo stai…» mormorò stupito Evan, ma bloccato dal sussurro minaccioso del Corvonero.
«Guardami negli occhi e ripetimelo. Guardami negli occhi se non stai mentendo!»
Evan ammutolì, incapace di sostenere il suo sguardo.
«Lo sapevo.» disse deluso Seth.
Evan lo spinse via, attaccandolo con un tono deciso.
«E con questo? Potrò avere dei segreti, no? Merlino, non so a cosa tu sia abituato, ma sei assillante così! Io non dico tutto a nessuno, potrò…»
«Ancora non capisci!» urlò Seth, dando un pugno al muro.
Evan rimase a bocca aperta, colpito dall’evidente frustrazione dell’altro.
Quando Seth tornò a guardarlo Evan rabbrividì: nel suo sguardo c’era il ghiaccio più puro.
«Non si tratta di questo. Puoi avere mille segreti, è normale. Ma mi aspetto che tu sia sincero almeno nel dirmi che non puoi tradire un amico. Mi hai ignorato per tutto il giorno, nemmeno mi guardi in faccia tutta la sera, poi mi scacci infastidito quando cerco di calmarti, di aiutarti! E ora? Ora ti senti perfino costretto a mentirmi, ti fidi così poco di me? Hai una così bassa considerazione di me, Evan?»
Rosier non riuscì a dire nulla, continuando a guardarlo senza emettere un suono.
Sperò che la muta richiesta di comprensione che aveva negli occhi bastasse a calmarlo, ma seppe già che non avrebbe avuto successo.
Capì lo stesso che lo stava per perdere.
«Io non ce la faccio più Evan. Non ti ho mai obbligato a fare nulla per me, sono sempre stato io quello che si è adattato all’altro. L’unica cosa che ti chiedo è di essere sincero con me, anche se fosse solo per dirmi “E’ un segreto Seth, non posso tradire un amico, mi dispiace”. Io sono stanco, Evan. Sono stanco…»
Seth si fermò per asciugarsi gli occhi, lucidi come non mai.
Ed Evan sospettò che anche i suoi lo fossero.
Ebbe l’impulso di correre da lui, di stringerlo a sé, di chiedergli scusa mille e mille volte e di baciarlo altre mille.
Ma non ci riuscì.
Si limitò a guardarlo andare via, lontano da lui.
 
Si limitò a crollare in mille pezzi, in un doloroso silenzio.
 
 
***
 
 
Meredith si ritrovò bloccata.
Un secondo prima Tom le stava davanti, ghignando come suo solito, e un secondo dopo la stringeva sé, baciandola con passione.
Una passione innaturale, fredda e devastante.
Una passione che le toglieva il fiato, premendole dolorosamente contro il petto.
Una passione malata, crudele come lui.
Una passione che tutto poteva essere, fuorché amore.
Lo spinse via con forza, guardandolo disgustata.
Gli occhi le si erano inumiditi e si odiò profondamente per questo.
Lui invece sembrava stupito, come un bambino viziato a cui veniva tolto un gioco per la prima volta nella sua vita.
«Sei riuscito a dimostrarmi quanto falso tu sia. Sei riuscito a ricordarmi perché ti ho odiato per tanti anni, Tom Riddle.» mormorò lei, sprezzante.
«Non andare troppo oltre, Meredith. Potresti pentirtene amaramente.» sussurrò lui, redarguendola.
E lei rise, rise di una risata fredda e distaccata.
Rise come rideva sempre lui: non trovandoci nulla di divertente.
«Oh, fidati, non mi pentirò mai più di quanto io mi stia pentendo ora. Ora che mi accorgo di come mi sono illusa, di quanto io abbia ingannato me stessa… di quanto sperassi di averti cambiato.» mormorò infine lei, scrutandolo come un esperimento mal riuscito.
«Allora sei una sciocca e devi odiare solo te stessa. Io non ti ho mai chiesto di cambiarmi, hai fatto tutto tu. In più, dovresti sentirti onorata: centinaia di quelle oche là fuori darebbero un arto pur di ricevere solo un quarto delle attenzioni che io ho dimostrato per te.» disse fermamente Riddle, il solito sorriso gelido in volto.
«Perché? Perché hai voluto me, Riddle? Perché ti sei interessato a me?» domandò infine lei, non sicura di voler sapere la risposta.
 
 

Tom cercò di non dimostrarsi troppo vittorioso, e ci riuscì a malapena.
Sentiva di essere sulla strada giusta: più Meredith veniva vinta dalle emozioni più il suo potere diveniva tangibile.
Era come un’aura che la circondava, una magia antica che veniva emanata sempre più forte.
Sapeva che era il momento giusto per risalire a quell’ultimo segreto, sapeva di esserci maledettamente vicino.
Si disse che era arrivato il momento di darle il colpo di grazia.
«Perché mi piacciono le sfide. Speravo di renderti meno insulsa di quanto tu sia in realtà. Speravo di riuscire a renderti una degna alleata, avevo visto qualcosa in te. E poi lo trovavo poetico: gli unici due maghi cresciuti nel Wool’s, i due più potenti maghi mai esistiti. Ma ho fallito. Sei inutile, troppo incisa dall’amore e dall’affetto. Codarda, stupida…»
«Smettila» mormorò lei.
«…debole, monotona…» continuò lui, allargando il ghigno.
«Basta, Riddle!» urlò ancora, troppo piano. Troppo tardi.
«…sei tutto ciò che nessuno avrebbe mai voluto. Per questo nessuno ti ha mai voluto come amica al di fuori dei due strambi dei Lovegood, per questo nessuno ti nota quando cammini nei corridoi.»
Tom si fermò, pronto a sferrare il colpo finale.
La guardò negli occhi, desideroso di vedere le lacrime scorrere insieme alla magia che, lo percepiva, stava per uscire incontrollata.
«Per questo nessuno ti ha mai voluto adottare. Perfino i babbani percepivano quanto poco valessi, piccola stupida Meredith.»
«BASTA!»
L’urlo di Meredith innescò la fuoriuscita di quel potere che Tom aveva agognato e temuto per molto tempo, ma lui era pronto.
Quando la sentì entrare nella sua mente eresse un muro mentale, grazie alla pratica nell’Occlumanzia riuscì a ritorcere il potere contro Meredith e, in un secondo, le parti si invertirono.
Era nella sua mente e iniziò a scavarci dentro.
Sapeva che il contatto si sarebbe chiuso in pochi istanti, Meredith era troppo potente, ma avrebbe sfruttato quegli attimi nel migliore dei modi.
Sorvolò momenti futili fino ad arrivare all’incidente.
Rivide lo sguardo odioso di Tiger e infine la sequela di immagini.
Rise malvagio quando arrivò alla fine e si gustò il terrore negli occhi di Tiger, il terrore verso Meredith.
Poi tornò a guardare gli altri ricordi.
L’infanzia al Wool’s, la paura verso se stesso e sorrise, godendosi l’aura di rispetto che lo circondava anche a nove anni.
Scorse qualche frammento di vita di lei: l’arrivo ad Hogwarts, l’amicizia con i Lovegood.
Il primo bacio con Wallington e Tom sentì lo stomaco muoversi irritato dalla vista delle loro labbra che si univano, anche se non ne capì il motivo.
Poi arrivò dove voleva: all’Ospedale, dopo l’Incidente.
Ascoltò le parole di Silente con attenzione, vittorioso.
Sapeva che aveva ormai pochi secondi di tempo e quindi si impresse nella memoria le parole del professore con molta attenzione.
 

«Lei…lei sa perché mi succedono queste cose?» domandò timorosa Meredith, sorseggiando la sua cioccolata calda.
Silente la osservò, meditabondo, prima di parlare.
«No. Ma ho delle idee.» iniziò, per poi sedersi accanto a lei sul suo letto d’Ospedale.
«Vedi, Meredith, il tuo potere è qualcosa di incredibile. Un peso e una benedizione, si potrebbe dire. E finora non ho mai visto nulla di simile. E’ come se fosse una… una versione potenziata e naturale del Legilimens, però legata alle emozioni. Mi hai detto che accade soprattutto quando sei in preda a quest’ultime, esatto?»
La piccola Meredith annuì.
«Un potere così non è mai stato trovato, almeno non studiato. Però mi fa pensare ad una leggenda, un potere simile che si sospetta appartenesse ad un’altra strega molto famosa. Farò delle ricerche in merito, non temere.» concluse il professore, sorridendole bonariamente.
Poi le porse una scatola rosso fuoco.
«Cioccolatini esplosivi?»
Meredith negò, e si sedette meglio, guardandolo dritto negli occhi.
«Chi…chi era questa strega, professore?»
«E’ solo una leggenda, peraltro sconosciuta a molti. Si dice fosse Ro…»
 

Tom si sentì risucchiato e tornò di colpo alla realtà.
Meredith lo guardava, la bocca aperta in un’espressione di orrore.
Pochi secondi dopo scappò fuori e Riddle non si preoccupò di seguirla.
Sapeva che non avrebbe detto nulla a nessuno, nemmeno a Silente.
Dopotutto, sarebbe stato l’incubo di Meredith che qualcuno sapesse del suo segreto, e il piacere di Riddle rivelarlo a tutti.
Era in trappola.
E Tom continuò a sorridere, mentre si diresse verso la Biblioteca.
Essendo un Prefetto conosceva l’incantesimo di apertura della Stanza e ci mise un secondo a trovare ciò che stava cercando.
Aveva ritenuto opportuno nascondere il libro, dopo essere quasi stato scoperto da Meredith.
Batté la bacchetta due volte contro una mattonella del camino e questa si aprì, rivelando il libro.
Si sedette su di un tavolo e iniziò a sfogliare febbrilmente gli appunti di Salazar, fino a ritrovare la pagina desiderata.
 
 
La sua brillante mente sembra essere lontana anni luce dalle nostre. Vede cose che non sono visibili all’occhio umano, le memorizza e le studia. Rowena è sensibile e solitaria, ma sa anche farsi valere.
L’intelligenza è la sua miglior dote, e non l’ho mai trovata in tutta la mia vita.
All’inizio la temevo, ma ora la rispetto.
All’inizio la invidiavo, ma ora la condivido.
E spero che possa essere utile ai miei scopi futuri, prima o poi.
 
 
La parola che prima non aveva compreso ora gli sembrava così ovvia da causargli una risata.
 
L’intelligenza è la sua miglior dote, e non l’ho mai trovata in tutta la mia vita.
 
Salazar gliel’aveva detto fin da subito, ma lui non aveva capito.
Ora era tutto chiaro, ora aveva chiarito il perché della volpe, della Camera.
Ora tutti i pezzi andavano al loro posto.
Salazar, nella sua fretta ed emozione, aveva dato per scontato che intelligenza provenisse da inter-legere, leggere dentro. Conclusione sbagliata, dato che la radice è diversa, ma comunque perfetta per nascondere al mondo il potere segreto che, forse, solo lui aveva notato.
Erroneamente (2), aveva pensato che quella fosse la parola più giusta per identificare il potere di Rowena.
 
Potere che, molti secoli dopo, Rowena avrebbe trasmesso alla sua diretta erede.
 
Meredith.




Note:

(1) Citazione di Harry Potter e il Principe Mezzosangue
(2) Voglio spiegare questa cosa meglio: la vera etimologia di intelligenza è inter-ligere, ovvero scegliere tra (quindi la capacità di saper scegliere), ma ad orecchio potrebbe in effetti sembrare erroneamente inter-legere, quindi leggere dentro. Come se in effetti l'intelligenza fosse la capacità di leggere dentro le persone o gli eventi. Io in realtà preferirei fosse così, è molto poetico XD Comunque l'errore di Salazar è stato provvidenziale, perché ha permesso al potere di Rowena di passare inosservato o al massimo come leggenda per tutti quei secoli. Se lui avesse detto esplicitamente il potere di Rowena, allora sarebbe stato riportato su tutti i libri di storia, mentre così il potere di Meredith rimane nel mistero. Oltretutto, questo senso di ambiguità nell'uso di intelligenza ha comunque permesso a Salazar di rimanere l'unico a conoscenza del dono di Rowena, no?



 
*Angolo Autrice*

Bene, eccoci qui. Una settimana esatta dopo, miracolo!, ho aggiornato. Questo capitolo è davvero lungo e fondamentale, dato che Tom scopre il segreto di Meredith. Manca un solo capitolo più l'epilogo e poi la storia sarà ufficialmente conclusa :( Spero quindi che mi concedererete un regalo per questo super capitolo sapendomi dire che ne pensate :D
Invito in particolare
PsycoXD, Jude88, Phoenix_aureus, Hitsu394, Baileys, _Shanna_ e Alherrie a farsi sentire, che ormai sono le mie fan migliori e che ringrazio di cuore per tutto <3 E' per loro che cerco sempre di aggiornare :* Btw, la prossima settimana non penso riuscirò ad aggiornare puntuale, dato che parto e sto via quattro giorni e in più dovrò studiare >.< Quindi spero di sentirvi comunque o il 5 o il 6 e male che vada (speriamo di no!) comunque l'11! Quindi colgo l'occasione per augurarvi un buon anno nuovo e delle buene feste <3 Un bacione a tutti!

 

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Capitolo 12
*** Veleno ***





CAPITOLO 11 - VELENO

 


«E’ più facile perdonare gli altri quando si sbagliano che quando hanno ragione » (1)
 
[1 Novembre 1941]
 
 

Nott la guardò mentre dormiva, incapace di prendere sonno a sua volta. I capelli biondi ricadevano sul cuscino, mentre con le mani si stringeva il lenzuolo addosso al corpo nudo. La luce della luna illuminava la sua pelle pallida, permettendo agli occhi scuri di lui di soffermarsi sui segni violacei lasciati sull’incavo del collo, sulla pelle arrossata lì dove l’aveva stretta a sé.
Amadeus le accarezzò la spalla nuda e accennò un sorriso sornione quando la vide fare una smorfia nel sonno, per poi riaddormentarsi tranquillamente.
Il ragazzo lanciò uno sguardo all’orologio.
Segnava le due e tre quarti di notte.
Si girò verso il baldacchino di fronte al suo, e una smorfia gli increspò le labbra.
Evan non era rientrato, né aveva dato segno di vita.
E nonostante non fosse necessariamente un segnale di un problema, non poteva fare a meno di pensare che fosse successo qualcosa tra lui e Seth.
Nott si mosse irrequieto nel letto per qualche minuto, però si arrese presto all’evidenza: doveva andare ad accertarsi delle condizioni di Evan.
Si alzò e coprì Phoebe con il piumone, fermandosi solo per pochi secondi a guardarla.
Il ‘Ti amo’ che lei gli aveva detto, i baci e le parole di quella notte gli erano ancora impressi nella memoria, eppure non sentì assolutamente nulla guardandola.
Era bella, ma non molto di più delle altre che aveva ospitato quel letto.
La notte scorsa aveva creduto di poterla amare, di poterla rendere felice, e in quel momento ebbe l’impulso di picchiare qualcosa.
La notte scorsa aveva creduto di poter essere felice.
Mancava qualcosa, mancava quel tutto che c’era stato la notte prima.
Un dubbio atroce continuò ad assillarlo, mentre indossava un maglione pesante e un paio di jeans sopra i boxer neri.
“E se fosse stato solo lo shock? Se l’amore fosse stato causato dagli eventi traumatici, dalla tortura di Riddle? Se dopo il sesso Phoebe fosse tornata ad essere una normale ragazza per lui? Se… se avesse finito solo per illuderla? Per….per illudere se stesso?”
Il Serpeverde scacciò quei pensieri che continuavano a togliergli il respiro e aprì magicamente la porta del Dormitorio vuoto, per poi richiuderla.
Tom e gli altri si erano abituati alla regola che vigeva nel Dormitorio Maschile: una cravatta verde sulla porta equivaleva ad un ‘sono in dolce compagnia’.
Amadeus sospettò che Tom l’avrebbe presto cercato per concludere la sua vendetta o per peggiorarla, se avesse scoperto che aveva passato la notte con Phoebe.
Però il pensiero di Evan fuori da solo lo spinse ad ignorare le sue paure.
Nott richiuse la porta, ignaro che, nel letto a baldacchino, un paio di occhi azzurri si erano aperti.
 
 
***
 
 
Il Serpeverde moro non dovette cercare a lungo: conosceva i rifugi preferiti del migliore amico a menadito.
E quando ebbe salito tutte le ripide scale della Torre di Astronomia lo trovò lì, appoggiato al balcone di pietra, con una bottiglia di Whisky Incendiario tra le mani.
Una bottiglia quasi finita, peraltro.
«Sei proprio monotono, lo sai? Ti nascondi qui da quando avevi undici anni. Dovresti cambiare un po’, non credi?» scherzò Nott, cercando di non far svanire il sorriso quando Evan alzò il viso, rivelando degli occhi arrossati, segni di lacrime sulle guance e un’espressione di smarrimento.
Ma Nott aveva sempre sospettato che Evan lo facesse apposta.
Sempre i cinque soliti nascondigli.
Sempre, perché così qualcuno lo avrebbe sempre saputo trovare.
Perché così il suo migliore amico lo avrebbe sempre saputo trovare.
«Mi hai trovato! Brindiamo, che ne dici?!» urlò Evan, cercando invano di afferrare la bottiglia ma finendo per farla cadere.
«Ops! Ora ci penso io…» esclamò ancora il biondo, prendendo la bacchetta.
Nott provvide a raggiungerla prima di lui e gli si sedette accanto.
«Non credo sia il caso che tu agiti questa, feriresti qualcuno. Evan, sei dannatamente ubriaco.» mormorò il moro, rimproverandolo con tono severo.
Evan lo guardò con gli occhi lucidi, quasi si volesse scusare, e Nott si addolcì.
«Che è successo? Mi sono preoccupato quando non ti ho visto rientrare.»
Evan si proruppe in una risata chiassosa, così poco da lui che Nott non riuscì a trattenere una smorfia di preoccupazione, e urlò al cielo di Hogwarts: «Preoccupato, come no! Ho visto quanto eri preoccupato, mentre ti adagiavi nel letto con la Love…»
Amadeus gli tappò la bocca, maledicendolo sottovoce.
«Sei impazzito? Ora piantala, ti stai rendendo ridicolo.» disse schietto il moro, fulminandolo con lo sguardo.
Prese la sua bacchetta dalla tasca dei jeans e mormorò un incantesimo di sua modesta invenzione che faceva passare quasi del tutto la sbronza, anche se gli effetti collaterali variavano dalla lingua blu ad un fastidioso eritema sul fondoschiena nei giorni successivi.
Ma in quel momento Nott non si sentì proprio di lasciare in quello stato il migliore amico.
Evan sembrò tornare lentamente alla realtà e Amadeus capì che fosse lucido quando lo vide lanciare la bottiglia di Whisky in aria per poi distruggerla con un ‘Confringo’.
«Sono lieto di dare il bentornato al tuo solito umore gioioso» scherzò mestamente Nott, prima di fargli segno di sedersi accanto a lui, appoggiati con la schiena al balcone.
«Allora? Come mai così tanta felicità? Sembri il Barone Sanguinario in uno dei suoi giorni peggiori.»
Evan continuava a giocare con la bacchetta, rigirandosela tra le mani distrattamente.
Delle scintille nere e bianche ogni tanto sparivano nel cielo, prodotti dal biondo, per poi dissolversi come fiocchi di neve.
«Ev?» sussurrò Nott, costringendo l’amico a guardarlo negli occhi.
Amadeus l’aveva chiamato così solo tre volte nella loro vita, ed erano state sempre nei momenti peggiori della vita del biondo.
Quando Evan aveva baciato per la prima volta un ragazzo e Nott gli aveva urlato che andava bene, che non c’era da vergognarsi, mentre il Serpeverde cercava di rompere qualsiasi cosa sul suo cammino, travolto dalla rabbia e dai sensi di colpa.
Quando il padre di Evan, Adam Rosier, l’aveva informato che avrebbe sposato un rampolla amica di famiglia e figlia di un collega prestigioso al Ministero, non appena avesse completato l’Università di Studi in Medimagia.
E, ovviamente, quando Evan aveva capito che la sua vita sarebbe sempre stata una scelta degli altri, che avrebbe sempre odiato chi avrebbe deciso il padre, fatto ciò che gli sarebbe stato ordinato.
Che gli sarebbe sempre stato imposto chi amare.
O impedito di amare.
E lì, perfino l’ottimismo di Nott si era dovuto limitare a fornire ad Evan un compagno di bevute.
Rosier sorrise tristemente, guardando Nott come un cane bastonato guarderebbe la prima persona che gli facesse una carezza dopo tanto tempo.
«L’ho perso, Nott. L’ho rovinato così come rovino sempre tutto. Io…»
Evan scoppiò a piangere silenziosamente e Amadeus lo trasse a sé, abbracciandolo come farebbe un fratello maggiore al minore in preda agli incubi.
«Non è vero. Troverete una soluzione. Si sistemerà tutto Evan, vedrai.» gli sussurrò tranquillamente Amadeus.
«No. Non ci sono soluzioni. Lui mi ha detto i suoi problemi, lui voleva solo che fossi sincero e io… io l’ho lasciato andare senza dire niente. Sono un codardo, ecco la verità. Un codardo che non merita di essere felice…»
«Non osare dirlo.» lo fermò Nott, discostandosi dall’altro per fulminarlo con lo sguardo.
«Cosa?» domandò confuso Evan.
«Non osare dire che non ti meriti la felicità. E soprattutto che sei un codardo. Ev, tu sei la persona più coraggiosa che io conosca, ecco la verità! Hai accettato la tua situazione strenuamente e nonostante le tue paure sei riuscito ad amarlo come non ha mai amato nessuno. Anzi, non conosco nessuno che si meriti la felicità più di te, Evan Rosier. Tu che sei riuscito persino a farmi quasi uccidere, pur di prenderla, la tua felicità.» concluse Nott, con un sorriso mellifluo sul viso.
Evan ricambiò timidamente ma non troppo energicamente l’espressione dell’altro e si alzò, voltandosi verso il Parco ricoperto dalla notte che stava sotto di loro.
«Lo dici solo per rincuorarmi, e ti ringrazio per questo. Sei il mio migliore amico, non so come farei senza di te.»
«Smettila di essere così sdolcinato o ti cresceranno un paio di tette.» lo provocò Nott, riuscendo a strappargli un sorriso divertito, mentre si alzava per parlare col biondo.
«Guarda che figlio di Morgana, devi rovinare persino questi momenti eh?» rispose acidamente Evan.
«E comunque» riprese Nott senza dar segno di aver sentito le parole dell’altro «non lo dico per rincuorarti. Se pensassi che tu e Seth facciate schifo insieme te lo direi senza peli sulla lingua. Porco Godric, le mie braccia mi fanno ancora un male cane, pensi che le avrei sottoposte a questa tortura se non avessi pensato che valesse la pena di proteggervi? Pensi che l’abbia fatto perché ho un cuore grande? Sbagliato. Non avrei esitato un momento a dare in pasto a Riddle Seth se lui fosse stato solo uno dei tuoi amici di letto. Ma non lo è. Non lo è mai stato. E io… io non ti vedevo così felice da… beh, penso di non averti mai visto così felice, Ev.»
Nott non si voltò a guardare Evan, anche se percepiva i suoi perforanti occhi azzurri che lo scrutavano.
«Peccato che sia andato tutto a puttane. Lui…» iniziò Evan, prima di respirare a fondo e dire la successiva parola come se gli fosse costata montagne di galeoni «Seth non tornerà. Perché dovrebbe? Non ho mai sacrificato nulla per lui, mentre lui ha sempre aspettato pazientemente ogni mio passo. Lui ha amato, io ho solo giocato. Perché se ami davvero rischi, ma io non ho rischiato nulla. E so cosa stai per dire.» lo ammonì Evan, vedendo che l’amico stava per ribattere «Dirai che ho rischiato tutto, che non ho mai rischiato tanto. Dirai che se mio padre mi avesse scoperto, se Riddle lo avesse saputo, io avrei perso tutto. Ma sai cosa? Non è vero. Non è vero perché io non ho scommesso la cosa più importante: me stesso. Ho scommesso lui, non me. Ho scommesso lui, e ora l’ho perso. Ora ho perso Seth.» mormorò piano, con la voce rotta ma gli occhi forti e fermi.
Nott respirò a fondo prima di parlare.
Il tono di voce distaccato e gelido, quasi arrabbiato, mentre parlava chiaro alla luce della luna.
«Balle. Enormi, indicibili balle. Tu non l’hai perso, non puoi perderlo. E sì, ti contraddico: tu hai scommesso più di molti altri, più di quanto io abbia mai fatto, ad esempio. Non per tuo padre, non per Riddle e nemmeno per te. Tu hai scommesso per Seth, hai scommesso la tua sicurezza, il tuo equilibrio. Guardati, stai cadendo a pezzi. E sai perché? Perché, di pezzi, ne hai dati tanti. Hai dato ogni parte di te, e ti giuro che non avrei mai sperato di vederti così fragile per una persona. Non avrei mai pensato che avresti mai permesso a qualcuno di entrare dentro quell’armatura di ghiaccio che ostenti di fronte al mondo. Beh, qualcuno ovviamente oltre a me, ma sai, io sono un dio sceso in terra. E’ naturale che tu volessi essermi amico, è stato in effetti una gentilezza e un’azione misericordiosa mia quella di darti la possibilità di starmi accanto. Non ringraziarmi, non serve, mio giovane amico inferiore.» concluse Nott, ghignando sarcasticamente.
Evan sorrise un po’ più convinto.
«Quindi secondo te è positivo rendersi fragili per qualcuno?» domandò Evan, curioso.
«Assolutamente.» asserì convinto Nott, sorridendo appena mentre guardava l’amico.
«Perché?» domandò l’altro, interessato.
Nott si voltò, e puntò gli occhi sulla luna.
La mente ritornò alla pelle candida di Phoebe, chiara come quella luna piena.
Dolorosamente fredda e distante in quel momento, come quella luna piena.
Quando parlò fu con un sussurro, appena percettibile, quasi stesse parlando a se stesso più che ad Evan.
Quasi stesse confessando un segreto oscuro come quel cielo.
 
«Perché devi permettere a qualcuno di renderti fragile prima di renderti forte.»
 
 
***
 
 
Meredith si rigirò nel letto, incapace di prendere sonno.
Gli occhi verdi si fissarono sul vestito dello stesso colore che in quel momento era appeso all’armadio. Sembrava che ogni sua piega, ogni sua curva, volesse ricordarle gli avvenimenti di quella notte.
Le lacrime minacciarono di sgorgare ancora come avevano fatto fino a poco prima, ma lei si impedì di piangere.
Tom Riddle non valeva nessuna delle sue lacrime.
Tom Riddle non valeva nessuno dei suoi pensieri.
Tom Riddle non valeva nessuno dei suoi secondi.
Eppure le sembrò che, ormai, Tom Riddle le avesse preso tutto ciò che avesse.
La sua sicurezza, la sua felicità.
La sua innocenza e la sua tranquillità.
In un attimo sentì ancora il sapore amaro delle labbra di Riddle che premevano contro le sue, voraci come un animale feroce.
Ma erano state davvero amare?
No. No, erano dolci.
Dolci come il frutto del diavolo, come la mela della dannazione.
Erano i suoi sensi di colpa, la sua delusione e la sua rabbia ad essere amari.
A farle torcere la bocca dello stomaco fino alla nausea.
Meredith puntò lo sguardo verso il letto a baldacchino vicino al suo: Phoebe non era rientrata.
Normalmente Meredith si sarebbe preoccupata ma non si sentì di farlo quella sera: Phoebe era con Nott, lei ne fu certa.
E, nonostante le apparenze, Meredith sapeva che Nott l’amava davvero.
Le parole di Riddle le riempirono le orecchie, come urla in quella notte buia e silenziosa.
 
«Temevo che Nott la stesse usando. Non si è mai innamorato di nessuno, lo conosco da tempo ormai, e avevo paura che finesse per spezzarle il cuore. Sia chiaro, normalmente ciò non mi sarebbe importato[...]Ma Phoebe è la tua migliore amica e io non volevo che soffrisse. Che soffrissi.»
 
Meredith si morse la lingua per non urlare di frustrazione, ripensando a quanto fosse stata ingenua a credere di poterlo cambiare. Di poterlo migliore. Di poterlo far amare.
Avrebbe dato qualsiasi cosa perché Phoebe fosse là con lei, ma non pensò nemmeno per un secondo di interrompere la sua felicità.
Considerò di andare da Seth ma sentì che non sarebbe servito a nulla: anche se l’avesse trovato da solo non avrebbe potuto dirgli la verità. Seth avrebbe preteso di vendicarla e tutto ciò che Meredith voleva era stare il più lontano possibile da Tom Riddle.
Perché persino lì, al sicuro nel suo Dormitorio, sentiva ancora sulla pelle lo sguardo di ferina vittoria di lui.
Lui che era riuscito nel suo intento, lui che ora conosceva il suo segreto.
Lui che le aveva salvato la vita e che, da quel momento, avrebbe potuto distruggergliela con altrettanta facilità.
 
Lui che le aveva stretto la mano solo per incatenarla a sé.
 
Meredith si promise che da quel momento non avrebbe più pensato a lui.
Come aveva fatto a nove anni, promise che non si sarebbe mai più avvicinata a lui.
 
E, come a nove anni, fallì miseramente.
 
 
***
 
 
Tom camminò per i corridoi apparentemente vuoti della Scuola. Ogni tanto infatti sentiva chiaramente sospiri e parole sussurrate provenire da qualche aula, ma ciò non lo fece desistere dal suo obbiettivo.
In effetti, se qualcuno l’avesse scoperto ora avrebbe potuto tranquillamente dire di essere un Prefetto che controllava i corridoi e che avrebbe diligentemente trovato più di un trasgressore al coprifuoco.
Le labbra gli si curvarono appena in un accenno di sorriso: a volte la sua genialità sorprendeva persino se stesso.
Arrivò al secondo piano e si fermò di fronte al bagno delle ragazze.
Bastò pensare a Meredith affinché il simbolo del serpente e della volpe comparisse sulla solita mattonella.
Meredith.
Lo sguardo terrorizzato e sorpreso di lei gli sollecitava ancora la memoria e Riddle allargò il sorriso ad un ghigno crudele.
Aveva scoperto il suo segreto e, ora, aveva capito cosa nascondesse la Camera dei Segreti.
In effetti, era tutto partito dalla scoperta della parentela di Meredith con Rowena Corvonero.
Il simbolo della volpe che sembrava apparire ovunque fosse Meredith non era altro che lo stemma dell’ultima famiglia conosciuta imparentata alla fondatrice: la famiglia Mills.
C’era stato però un incendio devastante che, apparentemente, aveva estinto ogni appartenente alla suddetta casata molti secoli fa.
Apparentemente.
In qualche modo, per qualche circostanza, qualcuno sopravvisse.
Qualcuno che, anni dopo, generazione dopo generazione, avrebbe portato alla nascita della piccola Meredith Mills.
Il simbolo della volpe sulla mattonella era stato un po’ più complesso da comprendere, ma Tom aveva dedotto anche quello, alla fine.
L’estate scorsa infatti Tom aveva ritrovato le sue origini in Orvoloson Gaunt, suo nonno, che aveva intenzione di andare a trovare nel prossimo futuro.
Però, anche se solo dai dati della scuola, Tom a suo tempo comprese una cosa: Gaunt aveva ostentato verso tutti la sua appartenenza ai Serpeverde.
Probabilmente aveva perfino tentato di arrivare alla Camera dei Segreti, o forse ci passò vicino per caso senza accorgersene; fatto sta che la Camera lo riconobbe come erede del suo creatore.
E probabilmente qualcuno volle impedire a Gaunt di venirne a conoscenza, qualcuno legato a Meredith più di quanto lei avrebbe mai saputo: un suo parente.
Un suo parente che, preoccupato di un eventuale attacco ai maghi di Hogwarts, lanciò un incantesimo sull’accesso alla Camera.
L’incantesimo posto sulla mattonella permetteva di venir rivelata la presenza del serpente solo a condizione che ci fosse anche un appartenente alla famiglia Mills.
Eventualità che forse aveva ritenuto impossibile ma che miracolosamente si era avverata quel giorno di qualche tempo fa quando Tom e Meredith avevano intrapreso quella stessa strada.
Il giorno dell’attacco a Meredith.
Tom aprì la porta del bagno e, entrato, la richiuse con la magia.
Poi iniziò a cercare un simbolo, un oggetto, un indizio che gli suggerisse l’entrata per il nascondiglio della bestia.
Aveva letto a proposito di quella creatura a lungo e sapeva dove cercare.
Osservò a lungo qualsiasi cosa fosse connesso alle tubature dell’acqua, l’unico intermezzo tra lui e Hogwarts.
Ed eccolo lì.
Un lavandino vecchio, rovinato ma pieno di magia.
Magia Oscura.
Magia di Salazar.
Tom inarcò le labbra in un sorriso, si allontanò e, con voce sibilante, parlò nella sua lingua.
“Apriti”.
Successe in pochi secondi: il lavandino si mosse e rivelò un lungo tunnel oscuro.
 
Col cuore che batteva all’impazzata, tra la gioia e la paura, Tom Riddle si avvicinò all’imboccatura dell’ignoto.
 
E saltò.
 
 
***
 
 
Evan si appoggiò al balcone, fissando le stelle nel cielo con intensità. Non si girò nemmeno quando parlò perché sapeva che non sarebbe dovuto sembrare troppo intimidatorio. Perché non volle mostrare a Nott l’ira che lo stava accendendo lentamente.
«Sarò stato ubriaco, ma mi sembra di aver visto chiaramente tu e Phoebe che andavate verso il Dormitorio, qualche ora fa. Allora? Vuoi parlarmene?»
Nott ghignò come suo solito, ma nella voce Evan riconobbe qualcosa che aveva sempre temuto riveder comparire nel migliore amico: l’odio verso se stesso.
«Non pensavo fossi così lascivo, Evan Rosier. Vuoi sapere tutte le posizioni, quanto sono durato o…?»
Evan lo bloccò subito, lasciando trapelare poche parole che congelarono il sarcasmo dell’altro.
«Non fare il coglione. Che è successo?»
Nott aspettò un tempo che sembrò interminabile ed Evan non aggiunse altro.
Poi sul viso del moro si formò un sorriso triste, così doloroso da far male perfino al biondo.
«E’ stato perfetto. Lei è stata perfetta. Lei…lei mi ama, Ev.»
Evan guardò Nott e vide che stava stringendo la balaustra così forte che le mani gli erano diventate rosse.
Il viso tirato in un sorriso finto, gli occhi persi nel nulla pur di non lasciarsi andare a quella delusione.
«E tu ami lei.» disse perentoriamente Evan, facendo in modo di chiarire che quella non fosse una domanda.
«Dici?» scherzò Nott, senza nulla di cui ridere.
«Ne sono sicuro.»
«Io no.» aggiunse Amadeus, facendo scivolare via il sorriso, per sostituirlo con un’espressione impassibile.
«Cazzate.» rispose Evan, tornando a guardare il Parco scuro per calmarsi.
Non doveva esplodere. Non doveva travolgerlo nell’esplosione. Doveva aspettare.
Avrebbe dovuto essere Nott ad accendersi.
«L’ho guardata per due ore e non ho provato nulla. Assolutamente nulla.» spiegò mestamente Amadeus.
«E cos’avresti dovuto provare, secondo te?»
Nott proruppe in una risata sincera ma che intendeva schernire Evan.
«Dovresti saperlo meglio di tutti, no? Cosa provi quando guardi Seth? Cosa hai provato guardandolo dopo averlo amato più di quanto fosse possibile?»
Evan ricacciò indietro la nausea che i ricordi di Seth, ancora troppo vividi, gli causavano.
Sapeva che quella del migliore amico era solo una provocazione, sapeva che lo stava mettendo alla prova.
E lo odiava per quello, ma Nott era fatto così. E lui l’aveva sempre accettato, nel bene e nel male.
«Sollievo.» rispose tranquillamente Evan.
«Sollievo? Sul serio?» lo prese in giro Nott, con quel suo ghigno provocatorio in viso.
Ma Evan annuì senza battere ciglio.
«Sollievo, perché quando mi sveglio lo vedo e lui è ancora lì. Sembrerà scontato, ma io e te sappiamo che non è così, vero?»
Nott ammutolì di colpo, ma Rosier non si fermò.
«E poi felicità, talmente tanta da volerlo baciare subito, per sempre. Ma anche paura, perché con quel suo sorriso divertito, quando mi becca che lo fisso, lui si è preso un’altra parte di me. Io mi sono innamorato un po’ di più. E lui allora…» continuava imperterrito Evan, sorridendo tra le lacrime silenziose nel ricordare quei momenti meravigliosi.
«Evan…» cercò di bloccarlo Nott, ma invano.
«…lui allora ride di me. Della mia espressione prima impaurita dai miei pensieri che conosce troppo bene e poi di quella incazzata causata dalle sue risate. Io faccio l’offeso e cerco di scappare ma lui mi afferra e mi abbraccia. Poi sai cosa mi dice?»
«Evan non serve che…» tentò di fermarlo ancora l’altro, ma Evan continuò imperterrito. Ormai Nott aveva ottenuto quello che voleva. E se lo sarebbe sorbito tutto.
«Lui dice ‘Che idiota che sei’. Ma lo dice in modo dolce, così dolce da farmi tremare. Sì perché la dolcezza taglia più di un coltello, lo sai? La dolcezza scava dentro di noi, si annida e ci rende fragili. E tu?»
Evan si voltò, guardando Nott con un’espressione seria e implacabile.
Il tono diventò di colpo deciso e crudele.
Nott attaccava con la crudeltà.
E Nott aveva bisogno della crudeltà per lasciarsi andare.
Evan l’aveva capito molto tempo fa.
«Tu non provi nulla, vero? Balle. Tu provi troppo, ecco cosa ti tormenta. Sei terrorizzato come non lo sei mai stato prima d’ora. Sei terrorizzato perché lei ti ama e pensavi sarebbe stato facile. Pensavi che qualcuno che ti amasse fosse un’ancora che ti avrebbe aiutato. Ma ora hai scoperto che l’ancora salva ma fa anche annegare. Hai scoperto che l’amore comporta sacrifici, che devi iniziare ad essere migliore per qualcun altro. E tu non sei mai riuscito a cambiare.»
«Ev!» mormorò Nott, ma l’altro non fece che alzare il volume della voce.
«ORA STAI ZITTO! Parli sempre, mi incoraggi e sputi belle parole, però eviti quelle che ti potrebbero salvare. Sai benissimo di amare Phoebe perché sai che dovrai cambiare. Sai che lei si merita il meglio e tu te la stai facendo addosso perché non sei mai stato il meglio per nessuno, vero Nott? Dopotutto tuo madre ha preferito andarsene…» sussurrò sardonico Evan.
«Evan!» urlò Nott, ferito e arrabbiato.
«…e tuo padre? Si rifugia nelle cosce di ogni essere che respira pur di non doversi preoccupare di te, eh? Come si chiama l’ultima? Emily? Jennifer? Probabilmente avrà due anni in più di noi massimo. Patetico, no? Nessuno è mai rimasto per te, nessuno. Nemmeno le persone che ti hanno dato la vita.»
«EVAN!» urlò Nott, avvicinandosi minacciosamente.
«E perché in fin dei conti dovrebbero? Perché dovrebbe rimanere Phoebe? Anzi… perché dovresti volerla?» domandò malignamente il biondo, gli occhi azzurri carichi di derisione.
«Non possiede un centesimo dell’eleganza o dell’intelligenza di Seth. Non è bella, né fine…»
«Smettila.» mormorò infuriato Nott tra i denti, stringendo i pugni.
«E vogliamo parlare delle forme? Dio mio, per poco non l’ho scambiata per un maschio l’altro giorno. Anche se lo sproloquio sarebbe bastata ad appurare questa mia tesi.»
«Evan, basta.» ringhiò Nott, avvicinandosi intimidatoriamente.
Il biondo si limitò ad allargare il ghigno maligno.
«Onestamente, non capisco cosa tu ci trovi in lei. Sarò pure omosessuale, ma credo di capirne di donne, almeno esteticamente. Seth è mille volte meglio di lei, ma d’altra parte non potevano venire fuori entrambi perfetti, no? Quindi lei ci ha rimesso in personalità, bellezza, intelligenza. Probabilmente… ci sei andato a letto solo perché sarebbe stata la sua prima volta, no? Ne è valsa la pena, Nott? O è… deludente perfino a letto?»
Il pugno arrivò forte alla mascella.
Evan cadde a terra e quando rialzò il viso sputò sangue.
L’odore e il sapore ferroso gli riempirono i sensi e il dolore riempì gli occhi di lacrime, fino ad annebbiare la mente.
Nott era ancora in piedi, il petto che si muoveva freneticamente e lo sguardo carico d’odio.
«Non osare mai più parlare di lei così.» sputò fuori, ancora più furioso di quando aveva scoperto il ‘tradimento’ di Evan e gli aveva urlato nel Dormitorio.
«Sai cosa mi fa ancora più incazzare? Ancora più della sciattezza e della idiozia della bionda che ti sei scopato?» domandò Evan, evitando il gancio di Nott e rialzandosi a sorpresa.
Riuscì a inchiodare Nott al muro e gli parlò a pochi centimetri dal viso, cercando di trattenerlo.
«Più della sua assoluta banalità, del suo carattere così noioso?»
«Giuro che ti picchio fino a spaccarti tutti i denti, lasciami!»
Evan fece uno sforzo enorme per trattenerlo e seppe che stava per svenire, ma non si arrese.
«Più di quella sua aria di superiorità, della sua insulsaggine. Della sua voce fastidiosa, di come si veste, del profumo che indossa? Dio mio, ogni volta che le pasi accanto sembra di essere ad Erbologia!»
«Evan lasciami così ti spacco la faccia! Schifoso…» urlò Nott,
«Più di tutto ciò?» gridò Evan per sovrastare le urla di Nott.
«Giuro che se non la smetti ti uccido, non parlare di Phoebe…»
«MI FA INCAZZARE CHE TU OSI ANCORA NEGARE DI AMARLA! RAZZA DI IDIOTA CHE NON SEI ALTRO.»
Evan lasciò andare Nott e si appoggiò al balcone, stremato.
La mascella pulsava dolorosamente e delle fitte alla testa gli appannavano la vista.
Nott invece rimase lì, a fissare l’amico come se l’avesse visto per la prima volta.
«Tu…tu l’hai fatto apposta?» domandò Nott al vuoto, senza altre parole.
«Hai rischiato di morire per mano di Riddle pur di difendermi. E ora cerchi tu stesso di ammazzarmi se parlo male di Phoebe.» sussurrò Evan, senza forze.
«Sei una testa di cazzo, ecco cosa. E sei innamorato di lei. Cristo, mi hai fratturato la mascella solo perché le ho dato della verginella frigida! Dille che la ami o non ti perdonerò mai.» mormorò Evan, sputando altro sangue, sentendosi mancare.
Nott gli si era avvicinato e l’aveva preso tra le braccia.
Evan sentì dalla voce che stesse piangendo.
Ciò che sentì nelle orecchie, mentre perdeva conoscenza, lo fece sorridere tra il dolore.
 
«Che razza di idiota.»
Anche quella volta, la dolcezza tagliò un pezzo di sé, mentre precipitava nel dolce richiamo dell’incoscienza.
 
 
***
 
 
Tom Riddle camminò lungo lo stretto passaggio di pietra appena dopo lo scivolo.
Le pareti erano fredde ed umide, mentre un odore di corpi in putrefazione gli scivolava fastidiosamente nelle narici.
Le orecchie pronte a cogliere ogni movimento, Tom Riddle  arrivò fino ad una porta d’ottone con dei serpenti attorcigliati sopra di essa.
Gli sembrò che il cuore gli esplodesse in petto quando sibilò ‘Apriti’.
Strinse così forte la bacchetta da farsi male alla mano, ma con fermezza entrò nella sala semi-buia.
L’enorme stanza che gli stava di fronte era grande quasi il doppio della Sala Grande, ricoperta di marmo nero ed enormi statue di serpenti che scivolavano sulle pareti.
La Camera dei Segreti era imponente, degna della più grande stirpe magica mai esistita.
In fondo alla Camera vide un enorme busto di pietra, raffigurante quello che doveva essere il suo antenato.
I lunghi capelli bianchi di marmo si attorcigliavano al viso saggio e crudele come serpenti feroci.
Ma nella penombra Riddle si accorse tardi di cosa avrebbe dovuto colpirlo di più.
La bocca del suo antenato era aperta come una tana.
Ed era vuota.
Tom Riddle chiuse istintivamente gli occhi e acuì l’udito, ma invano.
Nessuno si muoveva, nessuno respirava.
Per un attimo Tom si chiese fosse possibile che fosse morto, ma la risposta gli arrivò poco dopo, penetrante e stridente come il rumore del gesso contro una lavagna.
«Da molto tempo i miei occhi non avevano l’occasione di gustare la vista di carne umana. DA SECOLI, PER COLPA SUA!»
Riddle si mosse di scatto, riuscendo ad evitare le velenose zanne del Basilisco per un soffio.
Era sempre stato dietro di lui.
E non era nemmeno riuscito a sentirlo.
L’enorme forza dell’animale lo paralizzò per un attimo, prima che riprendesse il controllo di se stesso.
«Io sono il diretto erede di Salazar Serpeverde.»
Il Basilisco si fermò, Tom riuscì a percepirlo grazie ai movimenti del terreno, e immagino quei terrificanti occhi gialli che lo scrutavano torvi.
«Questo non ti salverà dalla mia furia, tutt’altro.»
E poi accadde qualcosa che Riddle pensò di essersi immaginato: il Basilisco esalò un sibilo che assomigliava ad una risata.
Il Re dei Serpenti rise di lui.
Ciò diede la forza a Tom di tornare se stesso. Modellò la voce in modo che sembrasse quanto più suadente possibile e continuò a parlare.
«Potresti uccidermi qui seduta stante. Potresti cibarti della mia dolce carne e del sangue succulento. Potresti farlo ma poi cosa ti rimarrebbe? La porta può essere aperta solo da un mago. Rimarresti bloccato qui e, se mi uccidessi, non ci sarebbe più alcun erede di Salazar a salvarti, in futuro.»
Il Basilisco schioccò la lingua irritato e, con estrema soddisfazione di Riddle, smise di avvicinarsi.
«Sei più sveglio di quanto pensassi. Ma perché dovrei fidarmi di te? L’ultimo e unico uomo di cui mi sia mai fidato mi ha intrappolato qui per secoli, promettendomi gloria che non ho mai visto! Topi e pipistrelli, qualche serpente ogni tanto, ecco cosa si reca quaggiù! Ho fame, piccolo uomo. Ho fame e non ti permetterò di illudermi come fece lui.»
I versi stridenti erano una chiara minaccia e Tom sentì una ventata di morte assalirlo: il Basilisco aveva aperto la bocca e gli stava mostrando le letali zanne.
«Non ho intenzione di illuderti. Sono qui a mantenere la promessa che il mio antenato ti fece. Potrai cibarti di quanta carne umana vorrai, se seguirai le mie indicazioni.»
Uno schiocco gli fece comprendere che l’ultima frase aveva irritato l’animale.
«Indicazioni? Chi pensi di essere, insulso umano! Io sono il Re dei Serpenti!»
«E’ per questo che non voglio assolutamente che ti accada qualcosa. Se farai di testa tua capiranno presto chi tu sia e in men che non si dica sarai morto. E’ questo che vuoi?»
Il silenzio che seguì incoraggiò Riddle nel continuare a parlare.
«Se invece farai come ti dico, ci aiuteremo a vicenda. Avrai quanta carne vorrai e Hogwarts sarà espugnata da quegli ignobili SangueSporco che la contaminano di giorno in giorno. Aiutami, e creeremo un nuovo mondo. Aiutami, e ti prometto che verrai adeguatamente ricompensato.»
Il Basilisco si mosse e Tom sentì il pavimento vibrare insieme al suo cuore.
Si fermò a pochi passi da lui e quando parlò Tom sentì l’odore del veleno corrodergli la pelle.
Avvertì il potere e la morte che seguivano quella creatura.
«Accetterò le tue condizioni, ma sappi una cosa: se oserai tradirmi, non avrò pace fino a che non avrò massacrato le tue deboli ossa. E credimi, non sarà una morte veloce e indolore, sentirai ogni cellula morire, stritolata dalle mie zanne e annientata dal veleno. Ti mangerò poco alla volta, per gustarmi al massimo le tue urla di dolore. Tu hai fatto una promessa con me: ora io ne faccio una a te.»
Tom Riddle non ebbe mai così paura in vita sua come quando avvertì l’enorme muso della creatura toccargli il naso, lasciando trasparire ogni minaccia di morte come una lama tagliente.
Riddle respirò a fondo e posò la mano sul muso del Basilisco, stringendo gli occhi fino a farli lacrimare.
L’animale vibrò per la sorpresa, ma non si ritrasse.
«Lo terrò a mente. Ora torna nella tua Tana e preparati: domani sera a questa stessa ora verrò da te e ti aprirò la via. Il Re dei Serpenti avrà ciò che desidera.»
Dopo qualche secondo Tom sentì la creatura far scorrere la pelle squamata e spinosa sotto il palmo della sua mano e allontanarsi.
Riddle attese di sentirlo lontano e aprì gli occhi: non c’era traccia del Basilisco. Se non fosse stato per l’odore pressante che gli riempiva i polmoni e la sensazione di bruciore alla mano, lì dove l’aveva toccare l’animale, Tom avrebbe potuto pensare di esserselo immaginato.
Si diresse verso l’uscita e badò bene di ordinarle di richiudersi, sigillando la creatura nella Camera.
Mentre però ritornava al bagno con un semplice ‘Ascendo’, continuò a ripensare a ciò che era riuscito a fare.
E non poté fare a meno di sorridere di soddisfazione.
 
 
Era quasi tornato al Dormitorio quando sentì un rumore.
Proveniva da un’aula in disuso da molto tempo ed erano sussurri goffi e rumorosi.
«Sta tranquillo piccolino. Ci è Rubeus qui con te. Non avere paura, non ti succederà niente. Vieni fuori.»
Riddle aprì la porta e inorridì: dietro l’enorme sagoma di Rubeus Hagrid, il mezzo gigante di Grifondoro, si stagliava un ovale nero.
Nero e peloso.
Nero, peloso e con otto zampe.
Ma soprattutto…vivo.
Tom osservò l’Acromantula muoversi per la classe mentre quell’energumero suo padrone le lanciava pezzi di carne grossi quanto la sua mano, il che era tutto dire.
La creatura aveva raggiunto le dimensioni di un tavolo di divinazione solo col corpo e, secondo il libro di Creature Magiche Proibite, non si sarebbe di certo fermata lì.
Per un secondo pensò di interromperli e far cacciare quel mostro di uomo dalla Scuola, ma poi un pensiero lo bloccò.
Il viso si storse in un ghigno poco promettente, mentre con delicatezza richiudeva la porta.
Avrebbe potuto denunciarlo  e farlo sbattere fuori da Hogwarts, ma così non avrebbe avuto proprio ciò che gli serviva.
Un piano B.
Un capro espiatorio.
Un colpevole, pronto all’uso.
 
Un’altra, deliziosa vittima di Tom Riddle, servita lì, su un piatto d’argento.
 
 
***
 
 
«Signorina Smith? E’ con noi?»
Meredith ignorò la voce di Lumacorno fino a che non lo sentì a pochi passi da sé.
Lo guardò negli occhi e si sentì come se fosse tornata da un pianeta lontanissimo in quei pochi attimi.
Accennò un sorriso e rispose diligentemente: «Mi scusi, professore. Mi ero distratta un secondo.»
Lumacorno inarcò un sopracciglio cespuglioso e notò che il quaderno degli appunti di Meredith, solitamente pieno di scritte e schemi, era una pagina vuota.
«La vedo stanca, sembra quasi che non abbia dormito bene. Sta male per caso?»
Meredith annuì prima di accorgersene, e accettò volentieri l’invito del docente di andare a bere un po’ d’acqua.
Uscì dall’aula ignorando gli sguardi preoccupati di Phoebe e Seth, e nascondendo un accenno di sorriso nel vedere come Nott stava fissando intensamente Phoebe da un’ora a quella parte, mentre Evan sembrava impedirsi con la forza di guardare verso Seth, invano.
Quando fu uscita si diresse ai bagni dei Sotterranei e, una volta entrata, si guardò allo specchio.
La preoccupazione di Lumacorno era del tutto giustificata: delle lunghe ombre scure le scendevano sulla pelle candida, mentre gli occhi sembravano pesanti e doloranti per le lacrime e le scarse ore di sonno.
I capelli avevano mantenuto l’acconciatura un po’ sbarazzina del Ballo, ma ogni traccia di leggerezza e spensieratezza del giorno prima era ormai solo un ricordo lontano.
Ciò che però la disturbava di più era il motivo della sua distrazione.
Per un’ora e mezza di Pozioni non aveva fatto altro che fissare inerme il posto vuoto accanto a Seth.
Quello che normalmente era di Riddle.
Tom era risultato assente, apparentemente per un’influenza, e Meredith non faceva altro che chiedersi se fosse vero.
E sebbene volesse convincersi di essere solo curiosa del motivo che aveva spinto Tom Riddle, il migliore alunno della scuola, a saltare una lezione per la prima volta in cinque anni; la verità le bruciava come fuoco incandescente nello sterno.
Era preoccupata.
Non seppe bene spiegarsi per chi: se per Tom, per lei o per le vittime che avrebbero subito un piano architettato dalla sua mente malvagia.
Meredith si bagnò il viso con dell’acqua gelata, cercando di tornare alla realtà.
La testa le pulsava dolorosamente dalla notte appena passata, e sentiva come un antico richiamo agitarle lo stomaco.
Stava per succedere qualcosa.
Qualcosa collegato a lei e a Tom.
Qualcosa di orribile.
Scacciò via quei pensieri e provò a sorridere al suo riflesso.
Era solo spaventata dagli avvenimenti della notte precedente e si stava auto suggestionando.
Non era di certo una veggente, quello era ovvio.
Eppure, mentre si dirigeva all’Aula di Pozioni, non poté fare a meno di pensare ad una cosa che le provocò i brividi.
L’ultima volta che aveva avuto una sensazione simile era stato prima della gita alle scogliere.
Prima di Amy.
Prima di Hogwarts.
Prima della coscienza che Tom Riddle era capace di ogni cosa, e abbastanza sicura che quel ‘ogni cosa’ non includesse del bene.
L’ultima volta che aveva avuto un presentimento simile era stato allora e…
 
…E per poco quella volta non era morto qualcuno.
 
 
***
 
 
Phoebe accese la fiamma del suo calderone, cercando di concentrarsi.
Cosa che le risultava incredibilmente difficile, dato che Nott non le toglieva gli occhi di dosso da ore.
La bionda scacciò la voglia di voltarsi e rispondergli male e iniziò a triturare la rosa canina.
La pozione Mendacium(2) era molto difficile da preparare.
Capace di far mentire perfettamente una persona per ventiquattro ore, richiedeva un’attenzione costante.
Quindi quando sentì un peso sulla sedia accanto a sé, non riuscì a contare i semi di girasole zannuto e imprecò sottovoce, essendo costretta a ricominciare.
Non le servì nemmeno alzare gli occhi per riconoscere il gemello: ormai aveva il suo profumo impresso nella memoria.
«Che vuoi, Seth?» domandò scocciata, cercando di prendere tutti i quattrocentoventicinque semi della pianta, senza perdere il conto.
«Cos’avete tu e Meredith?» rispose l’altro, sottovoce.
Phoebe cercò di non alzare lo sguardo: pozione o meno, Seth avrebbe letto la sua bugia nei propri occhi troppo facilmente.
«Cosa intendi?» chiese innocentemente, pesando i semi e lasciandoli cadere nel pentolone.
«Non fare giochi con me, Phoe. Vi conosco troppo bene. Meredith sembra uno zombie che cammina, come se non avesse dormito per tutta la notte per un problema che l’assilla ancora ora. E tu…»
«Non posso parlare per Meredith. Se vuoi chiederglielo aspetta che ritorni. Non mi ha detto niente nemmeno quando gliel’ho chiesto, magari a te darà ascolto.» disse seccamente la bionda, ancora infastidita dalla certezza che la sua migliore amica le stesse mentendo.
«Proverò. Ma sarà difficile.» considerò Seth, agguantando una chela di Diavolo Rosso, una rara specie di granchio gigante capace di raggiungere temperature superiori ai mille gradi, e fingendo di pulirla.
Quando il professor Lumacorno passò senza dire nulla, Seth si mosse repentinamente e afferrò il viso della gemella dolcemente, facendo in modo che lo guardasse negli occhi.
«E tu, Phoe? Non vuoi dirmi cosa ti tormenta?»  chiese piano, come un sussurro nella notte.
Lei lo guardò senza parlare per una manciata di secondi, prima di ritrarsi e fissare con ostentato interesse i pezzi triturati di tarassaco esplosivo rimasti sul bancone.
Cosa la tormentava?
Quegli occhi neri, ecco cosa.
E le parole che qualche ora prima avevano sussurrato le sue labbra, piene di gioia.
Piene di amore.
E ora strette per non far scorrere le lacrime.
 
 
«Ti ho fatto male?»
La voce di Nott era dolce e premurosa, mentre con la mano le accarezzava il viso.
Phoebe sorrise, alzandosi per baciarlo sulle labbra.
«Smettila di chiederlo. Sto benissimo, non sono mai stata meglio.»
Ed era vero.
«Beh, un dio come me dopotutto non può fare a meno di avere una media perfetta. Ho sempre soddisfatto adeguatamente ogni richiesta di ogni dama, quindi mi meraviglierei se…»
Phoebe gli lanciò addosso il cuscino, ridendo del ruzzolone che l’altro fece cadendo dal letto.
«Attento. Le tue passate esperienze non ti hanno insegnato che è meglio evitare di parlare di altre ‘dame’ mentre ne hai ancora una nel letto?» domandò lei, arguta.
Normalmente avrebbe pensato e ripensato alle parole di Nott, cercando di capire quante ci fossero state prima di lei. Ma in quel momento non le passò nemmeno nella mente.
Nott quella notte era stato suo, come non lo era mai stato di nessun’altra: ne era certa.
Phoebe si voltò, lasciando la schiena scoperta e venendo stretta a sé da Amadeus, ritornato sul letto.
«Hai proprio un bel caratterino, sai Lovegood? Dovrò trovare il modo di insegnarti ad essere meno… ostile.» mormorò Nott, minaccioso, iniziando a baciarle la schiena, alternando però ai morbidi baci dei morsi delicati
Phoebe rise piano, muovendosi per vedere l’orologio sul comodino. Accanto però notò anche un’altra cosa: la foto di una donna. Doveva avere sui vent’anni, i capelli lunghi e neri le ricadevano sulle spalle morbidamente, mentre dei perforanti occhi neri osservavano un’altra figura. La donna era bellissima. E gli occhi erano identici a quelli del bambino che ora le saliva sulle ginocchia, ridendo del sorriso della madre.
Amadeus a quattro anni aveva qualcosa che quello accanto a lei non avrebbe mai più avuto: l’innocenza di uno sguardo puro e senza sofferenza.
«E’ tua madre?» domandò Phoebe, ingenuamente.
Nott si mosse rapidamente: afferrò la foto e la ripose in un cassetto. Poi si fermò a guardarsi nello specchio, e quando tornò a letto ostentava un sorriso tanto grande quanto falso.
«Hai fame? Credo che Zabini tenga una scorta di emergenza nel comodino.» asserì di nuovo, alzandosi di nuovo per andare a frugare sotto il letto a baldacchino alla sua destra.
Phoebe lo osservò, preoccupata.
Aveva cambiato umore troppe volte e troppo spesso in pochissimo tempo.
Si alzò e indossò la camicia di Nott sopra la biancheria.
Lo raggiunse e lo abbracciò da dietro, bloccandogli le mani per intrecciarle alle sue.
«Sei uguale a lei. Se non vuoi parlarne va bene lo stesso, non preoccuparti. Però… è davvero bellissima. E sarà fiera di te, qualsiasi cosa sia accaduta fra voi due.»
Il ragazzo si liberò e la inchiodò al muro, stringendole le mani attaccate al corpo così forte da farle male, ma Phoebe non si mosse né disse niente.
«Dovresti imparare a farti gli affari tuoi, Phoebe. Non è saggio immischiarsi nelle cose degli altri.»
La voce di Nott era minacciosa, ma c’era qualcos’altro sotto. Qualcosa che Phoebe riconobbe subito: dolore.
Quando parlò fu semplice, senza sorrisi né scuse nella voce.
«Io sono identica a mio padre. Seth invece è uguale a mia madre. Spesso ci ridiamo su, perché sembriamo tutti identici agli occhi esterni, ma siamo uno diverso dall’altro. Mio padre…»
«Zitta.»
«…ha l’Alzheimer. E’ precoce, ed aggressivo. Nemmeno le cure magiche riescono a fare molto. Si sta dimenticando tutto… si sta dimenticando noi.»
«Phoebe , smettila.»
«L’altro giorno mia mamma gli ha detto che lui è identico a me. Lui ha riso, e sembrava di nuovo lui. Ma poi sai cos’ha detto?» domandò Phoebe, con gli occhi lucidi.
«Phoe…» mormorò Nott, allentando la presa.
«Ha detto che non sa chi sia Phoebe. Non sa chi sia sua figlia…non sa chi sia io. I medimaghi…loro non vogliono che io lo vada a trovare, per il momento. La mia presenza sarebbe destabilizzante. E sai cos’è la cosa peggiore?» aggiunse Phoebe, la voce acuta e un sorriso triste in volto.
Le mani di Nott iniziarono ad accarezzare quelle di lei, quasi inconsciamente.
«Lui… lui si ricorda perfettamente di Seth. Sono solo io che scompaio, giorno dopo giorno. Dicono che sia perché gli assomiglio: sta dimenticando ciò che è più vicino alla sua memoria, alla sua personalità. Mi sta dimenticando perché sta dimenticando se stesso, Nott! Lo sto perdendo. Io…lo sto perdendo.» mormorò Phoebe, le lacrime che rigavano le guance e le labbra che tremavano.
Nott baciò quelle labbra una, due, dieci volte, per farle smettere di tremare.
«Io non voglio costringerti a farmi entrare nella tua vita, Amadeus. Però…però voglio che tu sia nella mia.» sussurrò Phoebe, legando le sue mani dietro il collo di Nott e fissandolo negli occhi scuri.
Le labbra rosee di lui si curvarono in un sorriso e Nott l’abbracciò forte a sé.
Quello che disse glielo disse piano nelle orecchie, come un soffio di vento.
 
«Sarebbe un piacere fare parte della tua vita, Phoebe.»
 
 
“Cosa ti tormenta, Phoebe?”
 
Phoebe aprì la bocca e tutto ciò che voleva dire erano nomi e numeri.
Keira, il nome della madre di Nott.
Cinque, l’età di Nott quando sua madre lo abbandonò.
Sette, le mogli del padre di Nott durante gli anni.
Dieci, l’età di Nott quando incontrò per la prima volta Evan.
Dieci, l’età di Nott quando capì che Evan sarebbe stato la sua unica ancora.
Sedici, le volte in cui Nott scappò di casa.
Trenta, le botte che suo padre gli dette ogni volta che tornò.
Zero, le volte in cui suo padre gli dimostrò affetto.
Cento, i modi che Nott aveva contato per uccidere suo padre.
Tredici, i tentativi che aveva fatto per ritrovare sua madre.
Zero, i risultati.
Tre, le persone più importanti della sua vita: Evan, lei e Alexia, sua cugina.
Due, le parole più belle che Nott avesse mai sentito. E le aveva sentite quella sera, con lei.
Uno.
Uno.
Qual era l’uno?
 
Ah, sì.
 
Uno: la persona rimasta nel letto, quando Nott se n’era andato senza dirle una parola. Quando l’aveva lasciata sola, senza darle spiegazioni. Quando aveva infranto la promessa di essere nella sua vita, poche ore dopo averla fatta.
 
Ma Phoebe si voltò e sorrise a Seth, più sicura di quanto fosse, e parlò tranquillamente.
 
«Non c’è nulla che mi tormenti, Seth. Non preoccuparti.»
 
La bugia fu così perfetta che perfino Phoebe si credette.
E mentre il gemello tornava al proprio posto, lei sorrise amaramente: in fin dei conti la pozione stava venendo bene.
 
 
***
 
 
Tom si sdraiò sul letto a baldacchino e sfogliò le svariate cartine e mappe che aveva di fronte. Ricercare diverse mappe per ogni area di Hogwarts era stato davvero difficile, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Studiò con cura ogni possibile problema, dove si sarebbero trovati i prefetti incaricati di controllare i corridoi e dove gli obbiettivi.
Alla fine, sorrise felice, guardando il suo piano ultimato.
Era lì, così perfetto e vicino che quasi poteva toccarlo, e la tentazione di mandare all’aria la prudenza e avviarlo subito fu forte, ma lui seppe resisterle.
Sapeva che, affinché tutto andasse come desiderato, avrebbe dovuto pazientare.
Non poteva sbagliare nulla, non poteva lasciare nulla al caso.
Non poteva permettere a nessuno di intromettersi tra lui e la sua vittoria, l’inizio dell’Ascesa di Lord Voldemort.
Ma Tom Riddle non era stupido: sapeva fino a che punto tirare la corda.
Non avrebbe voluto causare la chiusura della Scuola, e quindi aveva deciso che, finiti i SangueSporco, avrebbe dato la colpa ad Hagrid e alla sua bestia da compagnia.
Il buzzurro avrebbe preso un treno di sola andata per Azkaban, mentre lui sarebbe stato libero e lodato da tutti i professori.
I suoi due nemici più temibili però continuavano a preoccuparlo: Meredith e Silente.
Per quanto riguardava Meredith, Tom aveva scelto sere in cui lei non fosse in carica come Prefetto, e contava su di un’eventuale ricatto per farle chiudere un occhio su qualsiasi sospetto avrebbe avuto.
Oltre ad, ovviamente, i geniali alibi che Tom si sarebbe creato.
Il professore era stato, invece, più difficile da prevedere.
Tom aveva considerato a lungo gli impegni del docente e i giorni in cui era fuori dalla Scuola per conferenze o incontri con alti ranghi del Ministero.
Dopotutto, si sapeva che ogni Ministro della Magia di lì a vent’anni si facesse prudentemente aiutare dal professore, al quale era stato in effetti più volte offerte lo stesso titolo di Ministro della Magia.
Tom sorrise amaramente, constatando quanto fosse stupida la scelta di Silente di rifiutare quel posto.
Non che le aspirazioni di Tom si dirigessero verso quel tipo di potere, affatto, ma aveva dato per scontato che prima o poi sarebbe diventato il Capo del Mondo Magico.
E di certo non grazie ad un’elezione pubblica.
Alla fine, Riddle prese una decisione: Silente sarebbe rimasto assente quella sera stessa per un importante visita ad un alchimista famoso e Tom avrebbe colto la palla al balzo.
Quindi, Tom afferrò la bacchetta che, al tocco con la sua pelle gelida, sprizzò scintille nere come la notte e rosse come il sangue, vibrando di potere ed eccitazione.
 
Tom ghignò, pensando che di lì a poche ore, il pavimento di Hogwarts sarebbe stata ricoperta di sangue rosso e vivo. E di terrore nero, nero come la Morte.
Nero come il suo mantello ore dopo, quando uscì di nascosto dal Dormitorio per andare dal Basilisco.
E ci andò sorridendo, camminando leggero.
E ci andò sorridendo, camminando sopra le anime di chi sarebbe caduto quella notte, come se non significassero nulla.
 
 
***
 
 
Meredith giurò a se stessa che non avrebbe mai più fatto un favore ad anima viva. Quando Colin Arrows, Prefetto di Tassorosso, l’aveva raggiunta a metà pomeriggio, implorandola di sostituirlo nella ronda di quella sera, lei si era vista dire sì senza rendersene veramente conto.
«Dagli buca e digli di no Fox. Stai cadendo a pezzi.» le aveva detto Seth protettivo, fissandole con insistenza le occhiaie e il viso esausto.
«Non posso, Seth. Andiamo, non succederà nulla.» aveva risposto lei, interrotta subito da Phoebe.
«Nulla un corno! Se mi svieni in un antro buio io che faccio? No, non mi fido Meredith. Oh, al diavolo. Io vengo con te.»
«E anche io.» si era unito Seth, convinto.
Ci erano voluti vari tentativi, rassicurazioni e rimproveri prima di riuscire a convincere i suoi migliori amici a lasciarla andare senza intervenire, e Meredith sorrise dolcemente nel ricordare la veemenza con cui si erano battuti i gemelli.
Lei sapeva che Phoebe stesse soffrendo per qualcosa, e che Seth avesse rotto o litigato con Evan, ma non aveva detto nulla.
Loro sapevano che quando fossero stati pronti lei ci sarebbe stata, e lo stesso sarebbe valso per lei.
Era cosciente che i due avevano capito che fosse successo qualcosa con Tom la sera del Ballo, ma non le avevano fatto pressioni per saperlo.
Qualche domanda da Phoebe e degli sguardi acuti da Seth, ma nulla di più.
Non perché non si interessassero di lei, ovviamente, ma perché dopo la litigata avuta di recente ci stavano tutti andando un po’ con i piedi di piombo.
Avevano imparato che ognuno ha dei segreti e che forzarli non avrebbe fatto altro che distruggere la persona attaccata.
Avevano imparato ad essere pazienti.
Avevano imparato a fidarsi dell’altro, nonostante tutto.
Meredith si sentì mancare e si appoggiò al muro del corridoio.
Era al secondo piano, poco distante da dove aveva subito l’attacco.
Dove Riddle l’aveva salvata.
E dove lei aveva capito che lui non sarebbe mai stato una persona qualunque, nemmeno se l’avesse desiderato con tutta se stessa.
Durante quella giornata il senso di pericolo non aveva fatto altro che aumentare, insieme all’intensità delle emicranie che andavano e venivano senza fermarsi.
Non ne aveva fatto parola con gli amici, perché sapeva che l’avrebbero costretta a parlarne con Silente.
Silente che non era lì, quella sera.
Meredith avvertì qualcosa morderle l’anima, qualcosa di oscuro.
Fu nel giro di un secondo: sentì il fruscio di qualcosa sul pavimento e un rumore.
Un rumore conosciuto eppure così fuori luogo.
Capì cosa fosse quando si voltò e vide un’ombra guardarla, dall’altra parte del corridoio.
Il cuore perse un battito, mentre l’adrenalina iniziò a scorrere nel sangue a mille.
Ecco cos’era stato, quel rumore.
 
 
Un sibilo, leggero e penetrante.
E un urlo, un urlo che le entrò nei polmoni e nell’aria.
Un urlo che le scavò l'anima, distruggendo ogni senso di sicurezza.
Un urlo che aveva sentito molti anni fa, su quelle scogliere, volare trasportato dal vento gelido.

Un urlo…
Di morte.



Note:

(1) Frase tratta da Harry Potter e il Principe Mezzosangue.
(2) La pozione Mendacium ovviamente non esiste, ma Mendacium ha un significato preciso: bugia. Ciò si rifà alla funzione della pozione, quella di consentire alla persona di mentire perfettamente per ventiquattro ore. Il commento di Phoebe, ovviamente, è riferito al fatto che si è sorpresa di quanto suonasse bene la sua bugia e deduce sia opera del profumo della pozione. Mi piace creare queste cose alla Rowling :3


 

*Angolo Autrice*

Ok. Ce l'ho fatta, non ci credo *-* Debbo dirvi alcune cose, come mio solito insomma. Avevo scartato l'idea di dividere il finale in due parti, ma alla fine ho cambiato idea. Perché? Perché sarebbe venuto troppo lungo D: Questo capitolo è più lungo del normale. Considerate che ero solo a metà (forse meno) della tabella di marcia per questo finale. Insomma, un polpettone di 25 pagine Word non se lo sarebbe letto nessuno u.u Quindi ho deciso di dividerlo in due parti, sperando di non meritarmi il vostro odio e che ciò non vi dia fastidio D: Ma davvero, era necessario. La prossima parte sarà il finale vero e proprio della fan fiction e dopo seguirà solo un altro capitolo che fungerà da Epilogo, ma che sarà davvero breve. Giusto per capire cosa sia successo dopo e fare un po' di flash-forward col Tom del futuro *-* Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, non oso darvi una data precisa per il prossimo capitolo perché temo non riuscirei a seguirla. Mi propongo di metterci sicuramente meno di due settimane, comunque. Ma ho voluto ringraziarvi per quanto fate per me, per il sostegno senza il quale non continuerei questa ff, e per l'affetto che mi dimostrato sempre con una sorpresa. Pronti? Andate a fine pagina e sappiatemi dire cosa pensate di questo capitolo, della ff e, ovviamente, della sorpresa <3
Un bacione enorme a tutti e spero di sentirvi numerosi! :D

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Capitolo 13
*** Sacrificio ***




CAPITOLO 12 - SACRIFICIO


«Le prime vittime sono sempre gli innocenti.» (1)
 
[1 Novembre 1941]
 
 

Meredith iniziò a respirare a fatica, mentre l’adrenalina scorreva nel sangue, facendole impazzire il cuore.
L’urlo era durato pochi secondi ma in quegli attimi le parve di rivedere una scena fin troppo chiara nella sua mente.
I ricordi le riempirono la mente, mentre le gambe cedevano e il corpo si accasciava piano contro il muro.
Incapace di controllare le emozioni.
Incapace di combattere il terrore che la stava divorando.
 
 
«Andiamo Amy, non ti va di fare un gioco?»
I suoi occhi verdi avevano brillato divertiti, ma nel sorriso si poteva leggere solo una felicità malsana.
«Tom…Tom io non credo che dovremmo…»
La piccola Amy si mosse impercettibilmente verso il gruppo che ora se ne stava andando, ma lui le impedì di muoversi.
Le prese la mano e l’attirò a sé con un gesto protettivo e malvagio.
Il sorriso si allargò sul volto pallido di appena dieci anni, mentre il vento gelido frustava i capelli corvini e lisci sul viso apparentemente angelico.
Su quell’espressione così demoniaca.
«Mrs Cole non si accorgerà nemmeno della nostra assenza. Andiamo Amy, voglio mostrarti una cosa.»
Meredith ascoltava senza farsi vedere il discorso dei due, decisa ad intervenire.
Si girò verso il gruppo di ragazzi, per controllare che anche altre persone fossero pronte ad aiutarla, ma quando si voltò per affrontare Riddle rimase senza parole.
Erano spariti.
Voltò la testa più di una volta, cercando una loro traccia, ma invano.
Amy era scomparsa, e di Riddle svanito nel nulla.
Meredith stava per farsi prendere dal panico, quando avvertì qualcosa.
Era come una scossa elettrica all’altezza delle dita.
Una sensazione strana, una sicurezza insensata.
Si sentì improvvisamente certa di dove fossero, come se qualcosa dentro di lei avvertisse la presenza di Riddle.
Come per magia.
Si avviò in silenzio verso una stradina laterale del piccolo villaggio in riva al mare.
Mentre l’aria salmastra le riempiva le narici e la strada si faceva sempre più ripida, inerpicandosi sulle scogliere; Meredith rifletté come poche volte si era permessa di fare su quel legame.
Era un contatto indissolubile che la legava a Riddle: c’era una parte di lei che riusciva a percepire dove fosse, sempre e comunque.
Come se loro due avessero qualcosa di diverso dagli altri…qualcosa di speciale.
Lei che aveva sempre voluto tenere nascosto il suo potere, ora si trovava a doverlo usare per aiutare qualcuno.
Il cammino si fece scosceso e Meredith dovette tenersi alle rocce acuminate per non cadere in acqua.
Ogni passo che faceva la portava più vicina a Riddle, lo sentiva.
E mentre il suo stomaco faceva un avvitamento triplo alla vista dell’altezza guadagnata, Meredith raggiunse l’entrata di quella che sembrava una caverna.
Aveva fatto pochi passi quando lo sentì.
L’urlo di Amy rimbombò nella grotta, perforandole l’anima.
Iniziò a correre, fino ad arrivare ad una rientranza più grande.
Amy era lì, seduta contro un masso, in preda allo shock. Le mani erano insanguinate e ferite, come se si fosse tagliata ripetutamente il palmo. Così vicino alle vene, così vicino alla morte.
E lui?
Lui era a pochi passi da lei, un sorriso sadico e terrificante in volto.
Ai suoi piedi vi era un coniglio che doveva essere finito disgraziatamente nelle mani di Riddle…un coniglio tremendamente simile a Mr Bunny, l’animaletto diletto di Amy.
Ma non era possibile, no.
Mr Bunny aveva una pelliccia candida come la neve, mentre quello aveva…aveva il manto rosso come il sangue.
Meredith corse fino ad Amy e cercò di calmarla, invano.
Quando si voltò verso Riddle, notò che quegli occhi verde scuro erano pieni di irritazione per la sua presenza.
«Nessuno ti ha invitata, Smith.» disse gelido Tom, facendo sparire, letteralmente sparire, la vittima con uno schiocco delle dita bianche.
«Tom…che cosa le hai fatto?» domandò Meredith, incapace di credere ai suoi occhi.
E lui?
Tom Riddle si limitò a sorridere innocentemente, così bene che le vennero dei brividi lungo la spina dorsale.
Non seppe bene se per il sorriso tranquillo di lui, se per la calma con cui stava andando verso Amy per curarle le ferite alle mani, o se per le parole che pronunciò con leggerezza.
 
«Non capisco perché ve la prendiate tanto. Era solo un gioco.»
 
 
Meredith si alzò decisa, senza più pensare a nulla.
Quella volta era arrivata tardi, ma avrebbe rimediato.
Camminò sprezzante, dimostrando più coraggio di quanto ne avesse in realtà.
Quella volta non era riuscita ad essere d’aiuto, ma avrebbe fatto di meglio.
Aprì la porta del bagno delle ragazze, la bacchetta stretta nella mano fino a fare male.
Quella volta non riuscì a salvare nessuno, ma quel giorno sarebbe stato diverso.
Ma quando vide ciò che vi era riverso a terra, la mente semplicemente si spense del tutto.
Il respiro tornò regolare, i polmoni si liberarono e si aprirono fino al massimo possibile.
Prima di esalare un unico, doloroso urlo.
 
Conosceva quei capelli lisci come spaghi.
Conosceva quegli occhiali tondi, quel corpo mingherlino.
Conosceva quegli occhi azzurri che, ora, la fissavano vitrei e vuoti.
 
Il cadavere di Mirtilla era lì, a pochi passi da lei.
Sembrava dormire, ma Meredith sapeva non fosse possibile.
Stava per andare a chiedere aiuto quando sentì qualcosa muoversi non lontano da lei.
Chiuse gli occhi, cercando di focalizzare la provenienza del suono.
Quando li riaprì, notò qualcosa che le era sfuggito prima.
Al posto di un lavandino c’era un enorme buco, dal quale, ne era certa, proveniva il rumore secco che aveva sentito.
Immaginò che l’assassino fosse lì e si chiese se non sarebbe stato meglio chiedere aiuto.
Ma si disse che no, che magari non ci sarebbe stata altra possibilità di essergli così vicini.
Si disse che il suo potere l’avrebbe aiutata, in caso di necessità.
Si disse che nessuno l’avrebbe potuta sconfiggere, fintanto che avesse potuto proteggersi con quel dono e maledizione che da sempre possedeva.
 
Si disse che sarebbe andato tutto bene, mentre saltò giù nel buco nero, verso l’ignoto.
 
 
***
 
 
Seth aveva insistito per accompagnare Meredith almeno fino alla fine della scala della Sala Comune.
Stava per ritornare su, quando sentì dei passi dietro di lui.
Passi maledettamente conosciuti.
Non si voltò nemmeno, mantenendo salda la presa sul corrimano della scala, ma incapace di muoversi.
Il respiro affannoso della persona dietro di lui lo colpiva al petto.
Doveva aver corso, cercando di non farsi scoprire.
Doveva aver corso, mentre tornava da lui.
«Hai qualcosa da dire, o te ne starai semplicemente lì a fissarmi?» sussurrò sardonico Seth, cercando con tutto se stesso di non desiderare che i suoi sospetti fossero corretti.
Sperando con tutto il cuore che non fosse lui.
E mentre attendeva un responso, iniziò a domandarsi perché le persone desiderino le cose peggiori per se stesse.
Perché ogni cellula del suo corpo era tesa come la corda di un violino, perché le sue orecchie cercavano la sua voce, il naso il suo profumo e gli occhi il suo viso.
Le sue labbra, così belle eppure così malefiche.
Le labbra che l’avevano insultato, offeso e fatto sentire peggio che mai poche ore prima.
Le labbra che si erano strette impotenti, incapaci di chiedergli scusa.
Incapaci di amarlo fino in fondo.
E, nonostante tutto, Seth riuscì a trovare la forza di fare un passo.
Un solo, misero passo verso la salvezza del Dormitorio.
E una sola, dolce mano gli fermò il cammino, costringendolo a voltarsi.
Il Corvonero osservò il volto dell’altro cercando di sembrare impassibile.
Gli occhi erano contornati da una stanchezza e sofferenza indicibile, gonfi per le lacrime.
Le labbra tremavano appena, cercando ora di formulare parole così difficili da pronunciare.
E gli occhi, quegli occhi di cui si era innamorato, lo fissavano decisi, ma velati di un sentimento che Seth non seppe riconoscere.
Si domandò come dovesse apparire lui agli occhi dell’altro.
Si domandò se anche le sue di labbra tremassero, nello sforzo di non lanciarsi verso quelle dell’altro, attratte da una forza primordiale e distruttrice.
Sì perché avrebbe distrutto tutto e tutti, pur di avvicinarsi ancora a quella pelle, sfiorarla e baciarla.
Avrebbe distrutto perfino se stesso, se ce ne fosse stato bisogno.
Ma l’orgoglio, la sua benedizione e condanna eterna, lo trattennero dal fare qualunque cosa.
I secondi passarono, lenti e dolorosi, ognuno peggio del precedente.
I respiri si facevano più pesanti, mentre entrambi affrontavano il peso delle loro colpe.
Quando Evan parlò, lo fece con un tono così indifeso che qualcosa dentro di Seth si ruppe per sempre.
Gli sembrò come se stesse per cadere a terra, vinto da qualcosa di più grande di lui.
Ebbe l’impulso di reggerlo con le sue braccia, di stringerlo a sé per impedirgli di piangere.
Ma dopo quello che Evan disse, tutto cambiò.
Dopo quello che disse, qualcuno avrebbe dovuto reggere Seth.
 
«Non ti permetto di dirmi che non ho combattuto. Non ti permetto di dirmi che non mi sono avvicinato, che hai fatto tutti i sacrifici tu. Non ti permetto di dirmi nulla di tutto ciò, perché io ho fatto molto, molto più di te.»
«Cos…?» Seth spalancò gli occhi in un muto stupore, incapace di aggiungere altro.
«E’ sempre stato così tremendamente facile per te, vero? Salvare il povero Evan, capirlo, amarlo. E per me è stato così insopportabilmente semplice ringraziarti, pensare che lo facessi per me, ammettere che il problema fosse amarti. Ma sbagliavo, ho sempre sbagliato.» mormorò Evan, avvicinandosi di un passo a Seth.
Il Corvonero si limitò a sorridere, in un modo talmente Serpeverde da far vacillare per un secondo lo sguardo temerario di Evan, ma non abbastanza per farlo crollare.
«Sbagliavi? In cosa? Nell’amarmi? Nell’avermelo detto? Nell’averlo ammesso a te stesso? In cosa sbagliavi, sentiamo?» sputò fuori Seth, incapace di dire ad alta voce quanto ogni sua parola l’avesse ferito dentro.
«No.» rispose Evan, facendo un altro passo avanti «Sbagliavo nel pretendere che tu capissi il vero problema. Vedi, non era amare te…era amare me. Amarmi come sono fatto, con le mie debolezze, così lontane da ciò che mi hanno sempre insegnato i miei genitori. Così imperfetto, così maledettamente felice solo quando ero con te, senza capirne il perché. Il problema era imparare a darmi pace, a non svalutarmi, a credere a qualcosa che potesse fare bene, per una volta. E tu questo non l’hai mai capito. Non fino in fondo. Quando ho protetto Nott, quando ho taciuto invece di parlare, quando me ne sono andato, ho fatto la cosa giusta, solo ora lo so. Sai perché?»
Seth rimase impassibile, gli occhi fissi in quelli dell’altro.
Evan si avvicinò ancora un po’, prendendogli la mano e facendolo scendere da quel gradino che li separava. Ora si guardavano negli occhi, ora si vedevano, forse per la prima volta.
«Perché proteggendo Nott ho protetto me stesso. Proteggendo Nott ho salvato la parte più bella di me, la prima che io sia mai riuscito ad amare prima che arrivassi tu: l’amicizia. E se non sono riuscito nemmeno a scusarmi, a giustificarmi come avresti voluto, come avresti capito; ti chiedo scusa ora. Ma se fossi stato sincero, avrei distrutto la base di me per convincere te. Non credo di doverti convincere, non credo che dovrei sentirne il bisogno. Nott è stato il primo che abbia mai avuto anche solo il permesso di avvicinarsi a me, e io continuerò a guardargli le spalle fino a che vivrò. Spero che tu lo possa capire. Non è vero che non mi fido di te…io non mi fido di me. Almeno, non del tutto.»
Seth lo guardò con calma, soppesando le colpe e i meriti che avevano, cercando di capirlo, di comprendere quanto sforzo avesse richiesto ad Evan rivelare così tanto di sé.
Anche e soprattutto a se stesso.
 
Gli scostò una ciocca selvaggia dal viso e gli sorrise, ma prima che avesse la possibilità di parlare, un’altra voce interruppe i loro pensieri.
 
«Persone fuori dal Dormitorio a quest’ora? Qualcuno vuole un via libera verso lo studio di Dippet?»
 
Mai come allora Seth fu tentato di rompere i denti a Max Jackson, mentre con un ghigno malefico obbligava Evan ad allontanarsi da lui. Il Serpeverde lo guardò un’istante, prima di fuggire nel buio dei corridoi di Hogwarts. Seth colpì la spalla di Jackson, facendolo quasi cadere dalle scale da dove era venuto, e strinse le mani attorno alla bacchetta, impedendosi di affatturarlo, mentre la risata di scherno dell’altro lo seguiva lungo la via per la Sala Comune Corvonero. Sapeva di aver interrotto qualcosa, e sapeva anche con chi,ma Seth continuò a ripetersi che non importava.
Si sarebbero parlati il giorno dopo, avrebbero risolto tutto.
Sarebbe tornato tutto normale.
Sì, tutto normale.
E allora perché un peso all’altezza dello stomaco gli impediva di respirare?
Seth ignorò il dolore, coricandosi, pensando solo ad Evan.
Ad Evan, come non avrebbe mai più pensato.
 
 
***
 
 
Meredith scivolò lungo quello che sembrava un passaggio antico di secoli.
E mentre avvertiva che il tragitto stava finendo, strinse a sé la bacchetta come mai aveva fatto prima, inspirando ed espirando nel vano tentativo di fermare il battito del suo cuore impazzito.
Atterrò in quella che sembrava l’anticamera di un salone, ma a discapito delle immense dimensioni dovette trattenere comunque un conato di vomito, quando annusò l’aria.
Era pregna di un odore misto di morte, decomposizione e sangue.
Solo una lieve luce proveniente da un tunnel situato di fronte a sé le impedì di inciampare sull’ammasso indistinto su cui poggiavano le sue gambe, ormai rette più dalla caparbietà e dall’esigenza che da un vero istinto di coraggio.
Sussurrò un lieve “Lumos”, e trattenne a fatica un altro grido, quando scoprì la vera natura di quell’ammasso che formava il terreno: erano ossa, cadaveri di piccoli animali e, ultimo ma più inquietante di tutto, una pelle.
Una pelle animale, la cui fine si perdeva lungo il tunnel.
La bacchetta di Meredith le infuse un moto di calore, mentre attorno a sé sentiva il gelo delle pareti in marmo attanagliarle la pelle come spilli acuminati.
Stava in effetti per valutare l’idea di tornare indietro e chiamare aiuto, quando una voce la convinse a proseguire.
La sua voce.
Tom stava parlando, ne era certa, ma ebbe difficoltà a capire cosa dicesse: era come una lingua strana, non umana.
Una lingua fatta di bisbigli e sussurri, il cui solo suono sembrava scivolarle fastidiosamente addosso, irritandola.
Le sembrava che l’avesse già sentita da qualche parte, ma non riuscì a collocarla nel suo passato.
I passi risuonarono sinistri nell’eco, ma nonostante il loro rumore Tom non smise di parlare, anzi iniziò ad alzare il volume, come se fosse arrabbiato con qualcuno.
La memoria la riportò al giorno prima, quando la rabbia e la bramosia di Riddle le erano costate care, ma proprio per questo aumentò il passo, ormai del tutto convinta che qualunque cosa succedesse, ora lei era pronta.
Ora avrebbe battuto Tom Riddle.
Eppure, quando raggiunse l’entrata dell’enorme sala, ebbe come l’impressione che ci fosse qualcosa di maledettamente sbagliato.
Osservò la schiena di Tom, voltato verso un’enorme statua di un uomo dalla lunga barba bianca raccolta in spirali, la cui bocca era orribilmente aperta.
Non capiva, Tom stava parlando con una statua?
Gli si avvicinò, la bacchetta pronta ad agire, e non si fermò fino a pochi metri da lui, quando il ragazzo si voltò.
L’espressione di sorpresa mutò dalla rabbia fino alla felicità nel vederla.
E quando parlò, lo fece nella loro lingua, ma mai come ora Riddle non somigliò ad un serpente.
«Meredith! Quale inaspettata sorpresa averti qui, stasera! Ammetto che, secondo i miei piani, tu non fossi propriamente accetta qui, ma ora forse capisco che tutto ciò non è altro che un nuovo spunto per la loro riuscita.»
Provò ad avvicinarsi a lei, ma Meredith gli puntò la bacchetta contro, lo sguardo carico di un odio quasi indicibile.
«Sta lontano da me, Riddle.»
Il sorriso malevolo di Tom si piegò di poco, ma non scomparve.
Anzi, parve divertito da quel moto di spavalderia e, in un modo che nemmeno lui ammise a se stesso fino in fondo, immensamente attratto da quella luce ribelle negli occhi verdi di Meredith.
Era bella come non lo era mai stata, con le labbra screpolate e aride, gli occhi fermi su di lui e le mani delicate fiere e aggressive, pronte ad attaccare.
Pronte ad ucciderlo, se fosse stato necessario.
«Oh, che maleducazione. No, vedi, tu non puoi parlarmi così. Non qui, Meredith.» disse lui, allargando le braccia in un gesto teatrale, come volesse abbracciare l’intera Camera con le sue mani.
«Qui?» domandò lei, guardandosi intorno ma mantenendosi pronta a difendersi in caso ce ne fosse stato bisogno.
Riddle annuì, fiero.
«Sì, qui. Sai dove siamo? Questa, Meredith, è l’antica e leggendaria Camera dei Segreti.» esclamò Tom, bloccandosi solo un secondo per godersi la sorpresa che proruppe nello sguardo di lei.
«Esatto, proprio quella. Vedi, sapevo da, beh, da sempre, di non essere un disgustoso nato babbano. Sapevo che ci fosse qualcosa di speciale, in me.» spiegò lui, accarezzando la bacchetta che gli rispose creando scintille nere e verdi dal suo apice.
Meredith si fece più attenta, ma Riddle era troppo assorto in ricordi e congetture mai esalate ad alta voce, per pensare di attaccarla.
Voleva un pubblico.
Voleva che lei fosse il suo pubblico, nel momento della sua vittoria più grande.
«E avevo ragione. Anzi, le scoperte che feci mi convinsero non solo della mia straordinarietà, ma anche della mia autorità. Non ti sei mai chiesta perché i serpenti attaccassero sempre e solo chi mi dava fastidio? Perché Silente avesse così tante remore a farmi entrare ad Hogwarts? O perché mia madre avesse dato il nome di un presunto mago al suo povero figlio, prima di morire, ma nonostante ciò nessuno venne mai a cercarmi?»
Gli occhi di Riddle brillarono di una luce malsana, e il gelo che prima rimaneva sopra la pelle ora le invase le ossa.
«Non ti sei mai chiesta perché noi due ci attraiamo e respingiamo con la stessa intensità? Perché i nostri poteri si equivalgano, come nessun altro potere ha mai fatto nella nostra vita?» le domandò avvicinandosi, incurante della bacchetta di lei che sprizzava scintille rosse ad ogni suo passo.
«Noi? Di che diavolo stai parlando Riddle?» domandò lei, allontanandosi da lui.
«Ammettilo, Meredith. Anche tu hai sempre saputo che fossimo collegati, in qualche modo. Sai, la leggenda narra che solo il vero erede di Salazar Serpeverde sarebbe stato in grado di aprire la Camera dei Segreti! E io ci sono riuscito, anche se qualcuno me l’ha impedito…tu, me l’hai impedito.»
Tom iniziò allora a raccontarle la verità sulle loro origini, su Merope e Tom Riddle Senior, che sarebbe andato a trovare presto. E poi godette nel vederla sorprendersi, mentre le narrava la storia dei Mills, il sigillo sulla Camera e l’origine del suo potere.
«Non lo capisci Meredith? Noi due siamo gli unici discendenti di due delle più grandi Casate di Maghi mai esistite! Noi siamo i soli detentori di poteri ormai persi nei secoli, e insieme potremmo conquistare tutti. Insieme, potremmo mettere il mondo in ginocchio, di fronte a quelli che credeva solo due poveri orfani!» esclamò sorridendo, gli occhi verde scuro pieni di una follia e smania di gloria che mai si era vista prima.
«No, no Tom! Noi…io non voglio fare nulla di tutto ciò!» urlò lei, cercando di controllare le emozioni che la stavano vincendo.
Lo sentiva: il suo potere si stava preparando ad esplodere, istigato da rivelazioni che le entrarono sottopelle come veleno puro, e dallo sguardo di lui, pronto a servirle quello che aveva segretamente desiderato da sempre: una rivincita.
E Tom Riddle intuì il corso dei suoi pensieri, avvicinandosi fino a toccarle la spalla e fissarla negli occhi.
«Non vorresti farla pagare a Mrs Cole? A tutti quelli che ti hanno derisa, sporchi babbani incapaci di fare nulla se non invidiare? Non sei esausta di nasconderti, solo perché loro non capiscono la nostra grandezza? Solo perché non comprendono la nostra forza?»
I loro sguardi si incrociarono e in un secondo quello che fu davvero Lord Voldemort per la prima volta si insidiò nella sua mente, proiettando immagini che ebbero un eco profondo, fino alle parti più recondite della sua anima.
 
Loro due al potere. Loro due insieme, inarrestabili. Nessuno li avrebbe chiamati mostri, nessuno avrebbe più osato mancarle del rispetto che doveva avere.
Basta impegnarsi a nascondersi, basta bugie. Avrebbe lasciato che il suo potere fluisse e distruggesse, avrebbe smesso di porre un doloroso freno a qualcosa che per lei era naturale. Avrebbe combattuto chiunque l’avesse intralciata.
Sarebbero stati invincibili.
 
Lei sarebbe stata invincibile.
 
Vide quel bacio carico di malsana possessione che se prima l’agitava ora sembrava attrarla. Il desiderio di averlo a fianco, la convinzione che fossero stati creati per unirsi, per regnare.
Che fossero stati destinati a quello, solo a quello.
Li vide fare l’amore e farsi la guerra, consci di essere nient’altro che pedine l’uno dell’altro. Attratti da una forza animale e senza sentimento, e andava bene così.
Morsi, non baci, graffi, non carezze.
Un amore distorto, affamato, distruttore.
Un amore che amore non era, ma che per la prima volta Meredith desiderò con l’ardore che le mostrava Riddle.
 
Ad un tratto però qualcosa si oppose, sorprendendo sia Riddle che Meredith. E le parti si invertirono ancora una volta, mentre altre immagini riempirono questa volta la mente di Tom, lasciandolo senza fiato.
 
La prima volta che Phoebe aveva detto di essere la sua migliore amica. Il primo abbraccio di Seth, e il suo odore, quando capì che quello doveva essere l’odore di casa. I loro sorrisi, i loro scherzi. Le notti passate a casa Lovegood, il profumo di un arrosto caldo in tavola mentre aiutava la signora Lovegood a preparare la tavola. I regali di Natale sotto l’albero, gli auguri di buon compleanno. La sensazione di gioia nel rivedere Hogwarts all’inizio di ogni anno, e la dolce malinconia nell’andare a letto da sola, per poi ritrovarsi nel bel mezzo di una battaglia di cuscini a casa Lovegood.
E poi lui, lui ovunque.
Le mani fredde di Tom che nella sua mente potevano diventare calde, il sorriso distaccato e calcolatore che in una fantasia lontana diventava disteso.
Un abbraccio vero, fino a consumare i corpi.
Un bacio appassionato, fino a non riconoscere più se stessi dall’altro.
Meredith rivide tutto ciò che era capitato tra loro, distorcendolo nell’ottica di qualcosa che Riddle non riuscì a sopportare: la speranza.
La speranza di amarlo, la speranza che ciò non fosse sbagliato.
La speranza che l’amasse, la speranza che lui potesse cambiare.
 
Che lui potesse cambiare, per lei.
 
Il contatto si ruppe tanto bruscamente quanto era iniziato, lasciandoli entrambi ansimanti e sconvolti.
Una smorfia di puro odio distorse i tratti di Riddle, profondamente disgustato da ciò che lei l’aveva obbligato a vedere.
E Meredith levò lo sguardo, più fiero che mai, distruggendo una parte di Tom. Rendendolo più umano di quanto si fosse mai permesso, facendogli assaporare una sensazione a lui così sconosciuta e bruciante: il rifiuto.
Per la prima volta Riddle capì quanto profondamente desiderasse Meredith, quando ardentemente la volesse con sé.
Quanto la rispettasse, quanto la temesse.
Quanto avrebbe desiderato baciarla fino a consumarla, fino a piegarla al suo volere.
E quanto, a prescindere dalla sua volontà, sarebbe rimasto sconfitto.
Perché in Meredith c’era qualcosa che lui non avrebbe mai vinto, qualcosa che non avrebbe potuto domare.
 
Una fiamma ribelle, che avrebbe dovuto essere spenta per sempre.
 
 «Questo, Meredith Smith, è stato l’errore peggiore della tua miserabile vita…e anche l’ultimo.»
In un attimo Riddle si voltò e con pochi, secchi schiocchi di lingua richiamò qualcosa che fino ad allora si era annidato nell’ombra, aspettando solo che il suo padrone gli desse un segno.
 
Quando lei comprese ciò che di lì a poco le sarebbe stato di fronte, non ebbe paura.
Sarebbe morta con coraggio, sarebbe morta difendo i suoi ideali.
Sarebbe morta con onore, certa che senza di lei al suo fianco qualcuno prima o poi avrebbe capito le debolezze di Tom Riddle e l’avrebbe ucciso.
 
Sarebbe morta, se non fosse per una cosa che Tom Riddle non calcolò, e che segnò la sua vita per sempre.
 
Quando lo sguardo di Meredith incrociò quello del Basilisco, il suo potere esplose, e in un secondo Meredith fu dentro la mente dell’animale.
Incapace però di provare sentimenti umani, si trovò imprigionata in un susseguirsi di fame, vendetta, odio e rabbia.
Il Re dei Serpenti soffiò irato, ma invano.
La Corvonero si destreggiò tra sibili a lei incomprensibili, e direzionò tutto il suo potere in un'unica direzione.
Ogni secondo impiegato a convincere il Basilisco era una parte della sua anima che andava irrimediabilmente in pezzi, lo sentiva, ma sapeva anche che se non l’avesse fermato Tom avrebbe vinto e altre vittime innocenti sarebbero cadute di fronte a quegli occhi gialli.
Il tempo si dilatò all’infinito, e quando Meredith cadde a terra, vinta, sembrò essere passata un’eternità.
Non servirono a nulla i richiami fatti al Basilisco, Tom sentiva che qualcosa dentro di lui era cambiato.
 Che aveva dato ascolto a qualcun altro.
E Riddle osservò inerme il Re dei Serpenti strisciare nella sua tana, per poi puntare lo sguardo sul corpo di Meredith.
Le si avvicinò fino a toccarle il viso freddo come la morte, ma con sua sorpresa scoprì che il cuore di lei batteva ancora, seppur debolmente.
Quando vide i suoi occhi aprirsi però, Riddle seppe che qualsiasi cosa fosse successa a Meredith, era molto peggio della morte.
 
E non lo disse mai a nessuno quanto gli pesò quella lacrima che si dissolse sul freddo pavimento di marmo, mentre pensando alla sua prossima mossa la prendeva in braccio, diretto all’uscita della Camera dei Segreti.
 
E non lo disse mai a nessuno quanto il profumo dei capelli di lei lo tormentò ogni notte, fino a quando, molti anni dopo, il suo stesso incantesimo avrebbe posto fine alla vita di Tom Orvoloson Riddle.
 
 
***
 
 
Silente si smaterializzò entro i confini di Hogwarts, mentre la sua mente brillante rileggeva dentro di sé il messaggio ricevuto dal Preside Dippet.
Gli bastarono pochi minuti per raggiungere lo studio dell’uomo, e non appena incrociò lo sguardo freddo di Tom Riddle seppe con ineluttabile certezza che la vittima di cui si parlava era Meredith.
Forse per la prima volta da quando si conoscevano, Silente riuscì a far abbassare lo sguardo a Riddle, sotto il suo di muta accusa.
Quando la vide, distesa sulla cattedra, sentì gli occhi inumidirsi e una volta avvicinatosi non poté trattenere un sospiro doloroso.
Era viva, se così si poteva definire, ma gli occhi prima verdi erano stati prosciugati di ogni traccia di colore, e le iridi quasi trasparenti continuavano a saettare da una parte all’altra degli occhi, mentre le labbra si muovevano impercepibilmente nel tentativo vano di pronunciare parole ormai impossibili da sentire.
«Chi è l’altra vittima, Armando?» sussurrò Silente, mentre con un gesto chiudeva gli occhi di Meredith, incapace di sopportare ancora lo sguardo perso della ragazza.
«Mirtilla Warren, deceduta. Cosa credi che dovremmo fare Albus?» domandò il preside, sedendosi e sospirando, vinto da preoccupazioni che non pensava avrebbe mai dovuto fronteggiare.
Silente si voltò, pensieroso.
Poi puntò i brillanti occhi azzurri in quelli scintillanti di Riddle, e parlò così piano che l’altro non potesse sentirli.
«Perché sei qui, Tom? Cosa sai dell’accaduto?»
Lo avvertì fremere e per un istante gli occhi carichi di sicurezza vacillarono, puntandosi sul corpo di Meredith, per poi tornare arroganti, incrociando lo sguardo dell’uomo.
«Ho sentito delle urla, e in quanto Prefetto sono subito corso a vedere. Ho trovato prima il cadavere di Mirtilla, disteso in una pozza d’acqua nel bagno delle ragazze, e poco più in là Meredith. E’ successo tutto molto in fretta, l’ho vista puntare lo sguardo su qualcosa di grande e non umano, ma quando stavo per aiutarla è successo qualcosa. Un lampo di luce mi ha accecato, e quando mi sono ripreso Meredith era riversa a terra, del mostro nessuna traccia. Non ho visto che cosa sia stato, ma, se posso permettermi» continuò mellifluo, mimando un’incertezza che però non possedeva «ho un sospetto su chi ci sia dietro.»
Silente annuì, dandogli il permesso di procedere.
«Vede, ho il sospetto che Rubeus Hagrid stia allevando qualcosa nelle Mura del Castello…qualcosa di proibito
Dippet incrociò lo sguardo di Silente alle ultime parole di Tom e corse subito fuori, probabilmente in cerca delle prove.
Prove che, Albus lo capì subito, avrebbe trovato.
Ebbe l’impulso di chiedergli qualcosa, di interrogarlo fino a fargli sputare fuori la verità, ma la forza gli venne meno.
Se ne stava per andare, già pensando su come agire ora, quando venne bloccato sulla porta dalla voce di Tom.
«Professore, ora…cosa accadrà a Meredith? Non chiuderanno la scuola, vero? Non saprei dove altro andare.»
 
Silente non sentì mai più Riddle chiedere di qualcuno che non fosse lui, ma ormai non ci diede più attenzione.
Già con la mano sul pomello della porta, non si voltò nemmeno quando pronunciò la sua risposta:
 
«Non ti preoccupare Tom, risolverò tutto. Meredith sarà al sicuro, ed Hogwarts non chiuderà. Hai la mia parola.»
 
Non capì mai se se lo fosse immaginato, ma pensò che Tom Riddle avesse tirato un sospiro di sollievo.
 
Una volta arrivato nel suo ufficio, con le lacrime agli occhi, mosse la bacchetta veloce e raccolse tutti i suoi ricordi riguardo a quella sera. Una volta rivisto il corpo e lo sguardo vuoto di Meredith nei suoi ricordi, non riuscì a trattenere i singulti, e per la prima volta da molti anni si sentì colpevole come i peggiori criminali.
Eppure sapeva che, per quanto abominevole, avrebbe fatto di tutto pur di salvaguardare quel poco che rimaneva di Meredith Smith. Aveva già provveduto ad obliviare il preside Dippet e subito dopo finto ciò che doveva fare, si sarebbe premurato di mettere Meredith al sicuro. Qualcosa dentro di sé gli disse che Tom Riddle prima o poi l’avrebbe trovata, ma sapeva che fino a quel momento Meredith doveva rimanere viva, e lui avrebbe fatto tutto ciò in suo potere per provare a salvarla, per quanto possibile.
Così, nel mezzo della notte e piangendo silenziosamente, Silente diede vita ad una pozione talmente crudele quanto necessaria.
Una volta che il fumo del calderone fu spento, ore più avanti, prese la mano fredda di Meredith che ora librava accanto a lui, e si smaterializzò, verso l’ignoto.
 
 
***
 

La mattina seguente Hogwarts fu svegliata da una notizia che, pian piano, serpeggiò lungo tutti i Dormitori e accolse i visi frastornati degli studenti una volta giunti alla Sala Grande.
Rubeus Hagrid aveva accudito un’acromantula di nascosto e questa, sfuggitogli, aveva assalito Mirtilla Warren.
Qualcuno si mise a piangere, altri si voltarono ogni due secondi, con l’orribile sensazione di essere sul punto di essere attaccati.
Nonostante le parole di rassicurazione del Preside, la notizia che l’acromantula fosse ancora libera, là da qualche parte nella Foresta Proibita, non aumentò di certo il buonumore.
Quella mattina Phoebe e Seth si svegliarono e incapaci però di trovare Meredith, pensarono si fosse svegliata prima di tutti e furono sicuri di trovarla in Sala Grande.
Quando arrivarono all’enorme porta, si trovarono a pochi passi dalle fila di Serpeverdi che, ancora emozionati dall’avvenuto omicidio, sussurravano fin troppo esaltati tra di loro.
Bastarono pochi secondi per individuare Nott ed Evan, e un solo sguardo per capire che avrebbero dovuto parlare.
Si stavano dirigendo verso gli altri due, in effetti, quando la voce magicamente amplificata di Silente interruppe i loro pensieri.
«Alla luce della terribile perdita di ieri sera, prego tutti gli studenti di sedersi subito, e ascoltare le umili parole che mi sento di dirvi.»
Phoebe si staccò di malavoglia allo sguardo e al sorriso ora appena accennato di Nott, e Seth sfiorò la mano di Evan, mentre si separavano diretti verso i tavoli delle proprie Case.
Lo sguardo allarmato di Phoebe, una volta assicuratasi che Meredith non era seduta al solito posto, raggiunse Seth e gli fece battere forte il cuore, mentre insieme alla gemella prendeva posto, ascoltando con la mente assente le parole del professore di Trasfigurazione.
 
«Sebbene questo immenso dolore sommerga ogni cosa e renda ormai inutili le parole, voglio provare a ricordarvi una cosa. Per quanto distante possa sembrare, per quanto offuscato possa diventare, il ricordo delle persone che amiamo ci rende forti. L’amore vince la distanza, perfino la morte, nel momento del bisogno. Quando sarete pronti ad accettarlo, l’amore vi cambierà anche nel baratro più oscuro.»
 
Non servì che lo guardasse affinché Riddle rabbrividisse, cosciente che in qualche modo Silente intuiva la verità.
 
«E quindi apriamoci all’affetto, alle amicizie, all’amore, che sole potranno vincere la paura di questi giorni bui. Brindate insieme a me a Mirtilla, affinché la sua perdita non sia dimenticata.»
 
Nello stesso momento ogni mano nella stanza si allungò e, sotto i vigili occhi azzurri di Silente, ogni persona bevve dal calice che magicamente le si era materializzato di fronte.
 
In particolare osservò come gli occhi di Tom Riddle si ridussero fino a diventare uguali a quelle di un serpente, per poi dilatarsi e ritornare normali, come se non fosse nulla.
E fu con un dolore immenso e un sorriso sul volto che notò lo sguardo preoccupato di Seth Lovegood evaporare e Phoebe Lovegood sedersi meglio, occupando lo stesso spazio vuoto che fino a poco fa l’aveva sconvolta.
Sapeva che finché qualcuno si fosse ricordato di Meredith, il suo potere e il suo segreto non sarebbero stati al sicuro. Se lo ripeté mille volte e altre mille ancora, quando vedendo uscire Seth, Phoebe, Nott ed Evan osservò come la battuta sarcastica dei Serpeverde morì loro sulle labbra, mentre si perdevano negli occhi azzurri dei gemelli. Phoebe che si toccò le labbra, quasi come se vi fosse un sapore sconosciuto sopra, e Seth osservare Evan, cercando di pronunciare parole che però non avevano ormai senso.
Cercò di rimanere lucido anche quando li vide separarsi per poi voltarsi un secondo, quasi si fossero dimenticati qualcosa.
 
Con la sensazione di essersi dimenticati tutto.
 
Quel giorno, grazie o per colpa di Albus Silente, Meredith e con lei tutti gli avvenimenti a lei legati scomparvero dalle menti di chi bevve la pozione mascherata da succo di zucca.
Quel giorno, e per molti giorni ancora, di Meredith Smith non rimase traccia, né nelle menti prontamente obliviate del Wool’s, né nei ricordi offuscati dei suoi migliori amici.
 
Continuò a ripetersi di aver fatto la cosa giusta, e solo per un secondo pensò di averla fatta davvero.
Finché non notò lo sguardo più sicuro che mai di Riddle.
 
L’unica che aveva mai temuto era ormai persa per sempre, e Tom Riddle era pronto a sorgere, più luminoso di qualsiasi altra stella.
Perfino più luminoso del sorriso di Meredith, ormai custodito solo nei ricordi vischiosi celati nel suo Pensatoio.
 
Almeno, fino a molti, molti anni dopo.


 
*

Note:

(1) Citazione di Harry Potter e la Pietra Filosofale

 

*Angolo Autrice*

Eccoci qui, questo era l'ultimo capitolo. Non perderò tempo chiedendovi scusa per l'assenza, che so essere imperdonabile, ma spero che questo capitolo parli da solo, esprimendovi le mie scuse e la mia voglia di finire questa storia. Dopo questo, manca ufficialmente solo l'epilogo, che prometto non aspetterò un anno a scrivere *stringe il Voto Infrangibile*.
Beh, che ne pensate?
Non ho molto da aggiungere, è tutto qui. Silente ha deciso di proteggere il segreto di Meredith, obliviando attraverso una pozione ogni ricordo di ogni studente di Hogwarts che la riguardasse. Con ciò ha ovviamente eliminato anche tutti gli avvenimenti tra Nott e Phoebe e Seth ed Evan dalle loro memorie, poiché dopotutto senza Meredith nulla sarebbe accaduto. So che mi starete maledicendo in turco e aramaico, ma spero non sarete così arrabbiati da non leggere a tempo debito l'epilogo, che credo sorprenderà tutti voi. Lo scontro tra Meredith e Tom è stato davvero estenuante da scrivere, ma spero sia venuto anche solo la metà della bellezza di come me lo immaginavo io. Ovviamente lo scontro con la mente del Basilisco è stato distruttivo, come penso si possa comprendere, no? Che dire? Vi auguro buon ritorno a scuola, lavoro, o qualsiasi cosa facciate e buon 2016, dandovi appuntamento all'epilogo e sperando sarete così gentili da recensire <3 Un bacio enorme!
 
 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***





 

EPILOGO

 

«Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c'è più. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.» (1)
 
 
[1 Settembre 1969]


Il fumo grigio che usciva dall’enorme espresso rosso scarlatto rendeva la leggera nebbia di settembre ancora più fitta, ricoprendo con delicatezza le persone che, tra urla e lacrime, si stavano riunendo sul binario 9 e 3/4.
Maghi e Streghe con abbigliamenti alquanto strani, nel vano tentativo di confondersi tra la folla di babbani che affollava King’s Cross, erano intenti a salutare i propri figli, mentre il rumore di risate e i versi confusi di gufi, gatti e forse anche qualche rospo, faceva da sottofondo a quei sentiti arrivederci.
Phoebe Lovegood emerse dalla colonna che collegava il mondo dei maghi con quello babbano e attese con pazienza il marito che si era fermato a parlare con dei colleghi del Ministero dall’altra parte del muro.
Aveva poco più di quarant’anni, ma nonostante ciò riusciva ancora a far voltare molti sguardi al suo passaggio: indossava un vestito bianco decorato con piccoli fiori azzurri sul bordo della gonna, che lasciava scoperte le gambe chiare, mentre dei piccoli sandali grigi le fasciavano i piedi piccoli, per i quali suo marito l’aveva sempre soprannominata “piede da Cenerentola”. Era un nato babbano, ma a lei questo non era mai importato: Adam Porter l’aveva conquistata parlando di natura, di creature magiche e leggende antiche. Lavorava all’ “Ufficio regolazione e controllo delle creature magiche”, e amava viaggiare per poi riportarle regali da paesi esotici e  notizie sconosciute di storie perse nel tempo.
Phoebe guardò distrattamente l’orologio azzurro allacciato al polso, e maledisse l’affascinante parlantina del marito: erano le già le dieci e quaranta.
Prese tra le mani i capelli biondi che le ricadevano in una treccia disordinata, tenuti insieme da piccole margherite magiche, e si voltò per poter individuare i capelli biondi e gli occhi azzurri uguali ai suoi. Lei era lì, stava ridendo e scherzando insieme ai suoi due migliori amici, coccolando distrattamente il gufo nero che sollevava felice le piume al contatto con la mano dell’amata proprietaria.
Phoebe sorrise, guardando l’amore della sua vita che si godeva l’inizio del suo ultimo anno scolastico ad Hogwarts, ma in un attimo la felicità si tramutò improvvisamente in tristezza.
Come l’avesse avvertito, lei si voltò e Phoebe cercò di mantenere il sorriso, mentre delle grosse lacrime rischiavano di colare giù dagli occhi come lava incandescente.
Era passato un anno.  Suo padre non avrebbe voluto vederla piangere e distruggersi ancora, anche se quello che la malattia aveva lasciato era stato tutto, fuorché suo padre.
Doveva smetterla.
Doveva vivere.
Per sua figlia, per Adam.
Per se stessa.
Si girò e cercò di asciugarsi gli occhi il più discretamente possibile, quando sentì un corpo scontrarsi col suo e il respiro mozzarsi, mentre indietreggiava sbattendo contro il carrello dietro di sé.
Alzò lo sguardo, confusa, e si ritrovò di fronte ad un uomo della sua età, che urlava infuriato nei confronti di una testa nera che correva spericolata verso un gruppo di persone più avanti.
«ARIAN NOTT! APPENA TI PRENDO GIURO CHE TI FACCIO DIVENTARE IL CULO ROSSO COME IL TRENO!»
Phoebe aprì la bocca, scioccata, mentre lo sguardò diventò d’un tratto tagliente e si sentì ringiovanire di venticinque anni come minimo.
«Wow, che finezza. Di certo me lo sarei aspettata da un ragazzino di diciassette anni, ma da un uomo adulto come lei, le assicuro che avrei pensato di meglio!»
L’altro si voltò a guardarla per la prima volta e per un secondo, quando i loro occhi si incontrarono, entrambi sentirono di aver perso qualcosa. Era una sensazione strana, tremendamente dolorosa, ma accompagnata da una strana dolcezza nel ritrovarsi, dopo tanto tempo.
L’uomo si riscosse, quasi senza fiato, e cercò di ritrovare il contegno che la sua levatura sociale esigeva.
Sfoderò uno dei suoi sorrisi beffardi, che nonostante il tempo continuavano a riscuotere continui apprezzamenti da parte del genere femminile, e lo allargò ancora di più quando Phoebe alzò un sopracciglio e mise su un cipiglio quasi disgustato da quei modi da seduttore.
«Sa, a volte la finezza non si dimostra nei modi, ma nella persona. E le persone incredibilmente affascinanti e carismatiche come me continuano a domarla senza problemi, poiché fa già parte della loro persona. Ma non ci siamo già visti? Anche se penso mi ricorderei di aver visto una tale…» sospese la frase qualche secondo, godendosi ancora la vista della donna, e allargò il sorriso malandrino «…bellezza. Io sono Amadeus Nott, e lei è…?»
Phoebe si sistemò un ciuffo di capelli ribelle dietro la treccia e sorrise fintamente, eguagliando l’aria superficiale dell’uomo di fronte a lei.
«Phoebe Lovegood. In effetti, credo di avere dei ricordi di lei al tempo di Hogwarts, signor Nott…»
«Signor Nott?» la interruppe Amadeus, avvicinandosi ancora un po’ e facendole girare la testa, come se una prepotente sensazione di déjà-vu le stesse rubando le forze mentali  «la prego, mi chiami Amadeus. O Nott, come fanno gli amici, se preferisce, Phoebe
Phoebe trattenne il fiato, sconvolta da come l’uso di tanta familiarità da parte sua le causasse sia sensazioni tremendamente negative, come la voglia di togliergli con la violenza quel sorriso beffardo dal viso, che l’orribile voglia inconscia di toglierlo in modi molto poco consoni.
Ma cosa le stava prendendo? No, doveva smetterla.
Si voltò una frazione di secondo, assicurandosi che la figlia non l’avesse vista, e notò con rammarico e, se lo immaginava lei?, felicità, che nemmeno il marito si era ancora fatto vivo.
«Sa, Nott, ora che mi ci fa pensare mi ricordo molto bene di lei.» civettò allora Phoebe, dimezzando ancora la loro distanza, lasciando solo pochi centimetri tra i loro visi ora vispi e vinti da un’alchimia che sembrava naturale come respirare.
Vicini, ma ancora troppo distanti.
«Ah sì?» domandò l’altro, curvando l’elegante espressione in un ghigno malizioso.
«Sì…» concordò Phoebe, sbattendo le ciglia degli occhi azzurri, preparandosi all’attacco.
«Amadeus Nott. La più tremenda, orribile e disgustosa persona mai capitata ad Hogwarts! Ecco chi è lei. Me lo ricordo benissimo, mentre seduceva una ragazza dopo l’altra, trattandoci tutte come fossimo solo oggetti per il suo piacere! Per non parlare delle sue compagnie…» sibilò Phoebe, ora minacciosa e con uno sguardo talmente assassino da far scappare perfino un lupo mannaro. Un lupo mannaro, ma non Nott.
Nott al contrario sentì il cuore accelerare pericolosamente, ed ebbe l’impulso di toglierle tutte quelle margherite profumate dai capelli e stringerla a sé, fino a far entrare il profumo dentro la loro pelle, dentro la loro anima.
Non comprese perché l’attrazione impellente sembrasse così giusta, così forte nonostante fosse la prima volta che vedeva quella donna nella sua vita.
Ma era così, era così maledizione e lei era sua come non aveva mai sentito di possedere nessuno nella sua vita!
«…compagnie che non avrà di certo abbandonato, eh? Mi disgusti, Amadeus Nott. Sei come loro, solo un bastardo pronto a rovinare la vita della gente, per seguire ideali malati. So cosa ti passa per la mente, e credimi, l’ultima cosa che vorrei è considerarti un conoscente, figuriamoci un amico!» esclamò Phoebe, le guance rosse per la rabbia e gli occhi ridotti a fessure, a pochi centimetri dai suoi enormi occhi scuri come la notte, che brillavano di una luce attraente, nonostante tutto.
Rimasero a fissarsi in silenzio, entrambi ansanti come se stessero facendo uso di tutto il proprio autocontrollo per non lanciarsi l’uno contro l’altra.
Tutti e due esausti, come se avessero iniziato a respirare solo in quel momento, dopo anni e anni di apnea.
Quando Nott parlò, lo fece con un sorriso sincero in volto e la voce limpida, così vera da confonderla e impedirle di rimanere infuriata con lui.
«Peccato, non possiamo essere amici. Ma, dopotutto, forse non sarebbe mai bastato, non credi, Phoe?»
Nott non seppe dove trovò il coraggio per usare quel diminutivo, e lei non seppe perché la fece sentire così viva che lui l’avesse usato.
Non sapevano come comportarsi, non sapevano cosa fare.
E solo il fischio del treno sembrò riscuoterli dalla bolla che si erano creati.
 
«Phoe…»
Phoebe e Nott si voltarono all’unisono e Adam Porter si avvicinò alla moglie, confuso quasi quanto loro.
Non li aveva sorpresi a fare niente di strano, stavano semplicemente parlando dopotutto, eppure si sentì come se avesse appena ricevuto il più grande tradimento della sua vita.
E lo sguardo colpevole di lei non fece che acuire la sensazione, mentre quell’uomo che conosceva solo dalle immagini della Gazzetta del Profeta continuava a guardare con impertinenza e, possibile?, desiderio, la donna che amava.
Phoebe fece un passo indietro, cercando di riacquistare un respiro normale, mentre il treno fischiava una seconda volta.
Si voltò verso il marito, ora solo piena di preoccupazione.
«E’ andata? L’hai salutata? Noi ci siamo salutate prima, ma eri con i Johnson e non volevo…»
«Sì, l’ho salutata. E’ salita sul treno e ha detto di tranquillizzarti, ci scriverà almeno una volta ogni tre giorni per assicurarci che vada tutto bene con la scuola. Vuole prendere i M.A.G.O. migliori di sempre, sai com’è fatta. E’ come te, dopotutto.» concluse Adam, sciogliendosi suo malgrado in un sorriso e baciando sulla guancia la moglie.
Troppo concentrato a guardare Phoebe, per notare il pugno di Nott che si era appena chiuso in un moto di rabbia, alla vista di quell’effusione.
«Sarà meglio andare, non ho messo troppi soldi nel parchimetro Phoe.» aggiunse poi Adam, squadrando ancora Nott, che di rimando gli sorrise superficialmente e continuò imperterrito a fissare Phoebe, con insistenza.
«Già, credo sia meglio. Dopotutto, Keira se la caverà benissimo.» sussurrò Phoebe, raccogliendo da terra la sua borsa e seguendo il marito, prima di sentirsi bloccata dalla mano di qualcuno.
Si girò, e vide Nott che la guardava stupito, gli occhi lucidi e le labbra tremanti.
«…Nott?» domandò Phoebe, facendo segno ad Adam di non intervenire.
Non sapeva perché, ma non erano affari suoi.
Lei era sua moglie, si sarebbe dovuta voltare e non girarsi mai indietro verso quello strano sconosciuto, ma non ci riuscì.
C’era qualcosa in quello sguardo, qualcosa di così familiare.
Così dannatamente familiare da farle venire da piangere.
«…Keira? Lei…l’hai chiamata Keira?» sussurrò piano Nott, mentre Phoebe si avvicinava a lui, lo sguardo magnetico perso l’uno negli occhi dell’altro.
«Sì. Si chiama Keira.» annuì Phoebe, sorridendo appena.
Nott si aprì in un sorriso talmente bello dal farle male, e iniziò a piangere silenziosamente.
«Mia…mia madre si chiamava così. Lei…lei se n’è andata tanto tempo fa e…» continuò poi l’uomo, cercando di asciugarsi le lacrime e continuando a sorriderle.
«Nott io…» iniziò Phoebe, sentendo ancora il calore della sua mano nella sua e, a malincuore, iniziando a lasciarla non appena vide lo sguardo ferito di Adam.
Fece qualche passo via da lui, ma si voltò un’ultima volta, scoprendolo a sorriderle ancora come un bambino.
E allora non seppe cosa successe, non seppe perché, seppe solo che era una cosa più grande di lei, di loro.
Tornò indietro correndo e gli strinse le mani nelle sue, con gli occhi lucidi.
«Sono sicura che le assomigli tantissimo e che… che lei sarebbe stata fiera di te.» sussurrò piano, prima di baciarlo sulla guancia e staccarsi subito da lui.
Se non l’avesse fatto subito, non ci sarebbe riuscita mai più, ne era certa.
«Addio, Nott.» mimò con le labbra Phoebe, allontanandosi sempre di più da lui.
 
«Addio, Phoe.» rispose Nott, con il cuore pieno di qualcosa di talmente folle da non poter essere pronunciato ad alta voce, mentre anche lui lasciava King’s Cross.
 
Col cuore pieno di amore per quella strana donna che se ne stava andando via con suo marito.
Per quella sconosciuta.
Già, solo una sconosciuta.
Solo quello, dopotutto.
 
 

***

 

[20 Gennaio 1970]

 
 
La Guerra Magica travolse con forza la comunità magica, costringendo mago e strega di ogni età a schierarsi tra le forze del bene, l’Ordine della Fenice fondato da Albus Silente, e le forze del male, i Mangiamorte, devoti seguaci di Lord Voldemort.
Evan Rosier quella scelta l’aveva fatta molto tempo addietro, quando girava per i corridoi di Hogwarts insieme al suo gruppo di fidati compagni, al cui vertice era ovviamente l’allora Tom Riddle.
Ma Tom Riddle era ormai scomparso da molti anni, lasciando il posto al mago più potente di tutti i tempi, secondo lui: Lord Voldemort era sorto con prepotenza, iniziando il suo cammino verso l’ascesa e l’istituzione di un regime magico completamente sottomesso alla sua volontà.
Ed Evan, insieme al suo miglior amico Amadeus Nott, alla fine dell’anno precedente aveva finalmente gettato la maschera e si era rivelato per quello che era: uno dei più grandi Mangiamorte in circolazione.
Aveva ucciso, dilaniato, torturato e brutalmente assassinato babbani e SangueSporco, in nome del Signore Oscuro a cui aveva asservito la sua vita.
La sua vita che anche in quel momento era in pericolo, mentre si muoveva con agilità in mezzo ai fiotti di luce provenienti da ogni direzione.
Il campo di battaglia era una radura sperduta nelle valli dell’Inghilterra, dove alcuni maghi dell’Ordine della Fenice avevano nascosto dei NatiBabbani dalle loro grinfie.
Fino a quel momento, almeno.
Evan si voltò e in pochi secondi un raggio di luce verde eruppe dalla sua bacchetta, colpendo al petto un altro mago dell’Ordine della Fenice.
Sorrise malevolo, godendo dell’adrenalina che pompava nelle vene e nel sangue un’eccitazione travolgente.
Un altro paio di morti, qualcuno lo ferì al piede ma il dolore non riuscì a scalfire l’emozione che ormai l’aveva posseduto.
Era nato per quello: uccidere.
Mosse silenziosamente la bacchetta e in un secondo una strega dell’Ordine si gettò a terra, urlando di dolore.
Evan le si avvicinò, incurante del pericolo che stava correndo nel caos della battaglia che ormai infuriava, per godersi lo spettacolo offerto dal suo Cruciatus.
La donna doveva avere poco più di trent’anni, lunghi capelli rossi e il viso coperto di efelidi.
Evan agitò la bacchetta e le urla salirono di volume, mentre con gli occhi azzurri iniettati di follia fissava il gracile corpo che, lentamente, si lasciava andare al dolore, sfinito.
Ma l’urlo che sentì dopo, quello fu il suo.
Confuso, si toccò la spalla e vide con orrore che era completamente fradicia di sangue. Tastò un secondo, prima di urlare di nuovo per il contatto, e scoprì che gran parte della carne era stata bruciata completamente.
Alzò lo sguardo vendicativo, in cerca del responsabile, e si scontrò con gli occhi azzurri di un uomo, a qualche metro di distanza.
I lunghi capelli biondi erano sporchi di sangue incrostato e polvere, i vestiti strappati in alcuni punti e il sangue cadeva silenzioso dalla mano destra con cui reggeva la bacchetta, puntata minacciosamente su di lui.
Evan ghignò malefico, accettando la sfida che quegli occhi gli offrivano, e iniziò a camminare verso di lui.
Non seppe perché ne fu così certo, ma non ebbe paura che l’altro potesse attaccarlo mentre gli andava incontro.
E’ troppo leale per fare cose del genere.
Non si chiese nemmeno da dove provenisse quella convinzione, ma si fermò solo quando fu a pochi metri di distanza dall’altro.
Ora che erano più vicini, Evan notò che lo sovrastava in altezza, e che il petto muscoloso bianco perlaceo si poteva intravedere  dai buchi nella maglietta, mentre si alzava e abbassava velocemente, cercando ossigeno.
«Hai appena fatto l’errore più grande della tua vita, lo sai questo? Anzi, mi correggo…» cominciò a dire beffardo Evan, alzando anche la sua bacchetta «…l’ultimo errore della tua vita.»
L’uomo di fronte a lui rise selvaggiamente, e per qualche astruso motivo al sentire la sua risata il cuore di Evan perse un battito.
L’uomo mosse la testa per spostare i capelli dagli occhi, ottenendo così una visuale perfetta di quelli di ghiaccio di Evan.
«Siete sempre così melodrammatici, voi schifosi Mangiamorte. Ti giuro, ognuno di voi, prima di morire, vuole farmi sapere che ho commesso l’errore di affrontarlo.» ghignò malevolo, muovendo piano la bacchetta e iniziando il duello tra i due, che però si scoprì presto essere come una danza.
Evan parava i colpi uno dietro l’altro, e il suo avversario non era di meno, riuscendo a schivare ogni maledizione che il Mangiamorte gli scagliava contro.
Dopo circa mezz’ora passata così, i due si fermarono contemporaneamente, riprendendo fiato e sorridendo, anche se effettivamente c’era poco da sorridere.
«Sei bravo Rosier, te lo devo concedere.» mormorò l’altro, asciugandosi il sudore sulla fronte.
Evan allargò il ghigno beffardo, sentendosi pervaso da uno strano calore all’altezza del petto mentre sentiva il complimento dell’avversario.
Idiota, che stai facendo? E’ solo carne da macello, come tutti questi maledetti dell’Ordine.
Eppure, non riusciva a credere alle sue stesse parole: lui non era come tutti gli altri.
Non lo era mai stato.
«Quindi…» iniziò Evan, cercando di ignorare gli strani pensieri che si susseguivano nella sua mente «…tu conosci il mio nome, ma io non conosco il tuo. Non tenete in modo patetico all’educazione, voi dell’Ordine? Non ti sembra un po’ ingiusto? Mi piace sapere chi sto per uccidere, ho anche io dei sentimenti, eh.» scherzò Evan, ottenendo come risposta un sorriso mellifluo.
«Seth Lovegood, qui per ucciderla.» esclamò l’altro, inchinandosi giocosamente e riservandogli un altro sguardo carico di passione animale.
Vuole solo ucciderti. Non cascarci. Vuole solo ucciderti.
E allora perché non si era mai sentito così vivo?
«Seth…» pronunciò piano, assaporando quel nome sulle sue labbra come un frutto a lungo proibito.
«Evan.» concluse Seth, sentendosi però tremare nel dire il suo nome.
«Allora? Ricominciamo?» esclamò l’ex-Corvonero, colto alla sprovvista dalle strane emozioni che si stavano accalcando dentro di sé.
In un secondo il duello riprese come prima, senza esclusione di colpi.
Entrambi però sembravano meno sicuri, quasi come se una parte di loro non volesse davvero ferire l’altro, e risultando quindi meno attenti alcuni colpi andarono in porto.
Evan si ritrovò presto con una gamba quasi del tutto scorticata, e il dolore lo accecava ma gli dava anche nuova forza per non arrendersi; mentre Seth aveva dovuto dire addio ad una parte della mano sinistra, colpita da una Maledizione Senza Perdono dell’avversario.
Erano sull’orlo della fine entrambi, e si ritrovano presto a fissarsi di nuovo, ansanti e stremati.
Evan approfittò di quella pausa per lanciare un urlo catartico, cercando di non svenire per il dolore alla gamba, mentre Seth si stava concentrando sul tenere gli occhi aperti e ben lontani da quello che restava della sua mano sinistra, scossa da tremori quasi incontrollabili.
«Hey, anche tu ci sai fare sai» rise follemente Evan, cercando di focalizzare la figura di Seth che ormai gli ondeggiava di fronte.
«Già, dillo alla mia mano.» rispose Seth, sorridendo.
Non dissero nulla, lasciarono cadere le bacchette all’unisono.
Era finita, il dolore era troppo per entrambi e lo sapevano.
Caddero l’uno di fronte all’altro, i visi a pochi centimetri e le mani che si sfioravano.
«Alla fine sei davvero riuscito ad uccidermi, Seth. Tanto di cappello, non avrei mai detto che una mezza calzetta dell’Ordine ce l’avrebbe fatta.» sussurrò Evan, tossendo sangue nel tentativo di parlare.
«Sempre così melodrammatici, voi Mangiamorte.» Seth sorrise, e senza sapere perché alzò con sforzo immane la mano destra, per poter accarezzare i capelli dell’altro, ora sporchi e incrostati di sangue come i suoi.
Fu un secondo, poco prima di annullare il tempo per sempre, e in un istante cambiò tutto.
Gli occhi azzurri dei due uomini brillarono di una luce bluastra, mentre l’incantesimo che molto tempo prima Silente aveva scagliato loro sotto le mentite spoglie di un succo di zucca perdeva il suo effetto.
Evan e Seth si guardarono, iniziando a piangere e stringendosi le mani più forte che potevano, mentre anche le ultime energie li abbandonavano per sempre.
«Evan io…» sussurrò Seth piangendo, prima di essere interrotto dall’altro.
«Anche io ti amo. Ti ho sempre amato.» sibilò Evan, accennado un sorriso sempre più difficile da mantenere.
«Vuoi sempre avere l’ultima parola, eh?» scherzò Seth, avvicinandosi il più possibile, fino ad appoggiare la guancia accanto a quella di Evan e accostare le labbra su quelle dell’altro.
«Ev…»
Ma Evan se n’era andato, Seth lo capì in un secondo, nel suo ultimo secondo, prima di seguire l’amore della sua vita.
 
E mai secondo fu più doloroso e felice allo stesso tempo.
 
 

***

 

[25 Giugno 1995]

 
 

«L'uomo magro uscì dal calderone, fissando Harry... e Harry a sua volta fissò il viso che da tre anni infestava i suoi incubi. Più bianco in un teschio, con grandi, lividi occhi rossi, il naso piatto come quello di un serpente, due fessure per narici...
Voldemort era risorto. » (2)

 
 
Lord Voldemort era risorto, più forte di prima, più forte di quanto sarebbe mai diventato.
Assaporò la sensazione inebriante di potersi muovere autonomamente, osservò le lunghe dita bianche e flessuose, il viso ormai quasi del tutto simile a quello di un rettile e gli occhi da diavolo.
Il verde scuro come le spire di un serpente aveva lasciato spazio al rosso assetato di sangue che ora sembrava bloccare ogni persona accanto a lui, peggio di un incantesimo.
Piegò la curva sottile della bocca, ormai senza labbra, in un ghigno malefico.
Era tornato, e sapeva cosa doveva fare.
Era tornato, e sapeva esattamente come fare in modo di non andarsene mai più.
 
 

***

 
 

[31 Agosto 1997]


 
«Hai compreso quanta fiducia io riponga in te, Severus, per affidarti questo ruolo?» sibilò piano Lord Voldemort, camminando per i corridoi di Hogwarts.
Sentiva il potere antico di ogni pietra su cui poggiava i piedi nudi, avvertiva il fascino della magia che molti anni addietro lo aveva sedotto e che ora invece emanava lui stesso.
I piani che erano nati lì, sotto le tende verde smeraldo del Dormitorio Serpeverde, ora si stavano realizzando, e Voldemort ghignò malevolo, immaginandosi sempre più vicino al suo obbiettivo: Harry Potter.
Albus Silente era morto due mesi prima, e all’inizio di agosto era finalmente riuscito ad impadronirsi formalmente del Ministero della Magia, incaricando un inetto O’Tusoe come burattino ai suoi ordini.
E adesso, con Severus al suo fianco, anche la grande fortezza, la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts era caduta sotto i suoi piedi.
«Ovviamente, mio Signore..» rispose piano l’uomo accanto a lui.
Lord Voldemort continuò a camminare senza accorgersene, tanto conosceva a memoria il luogo in cui aveva sognato di entrare da mesi e mesi.
«E sai quanto poco io gradisca le persone che tradiscono le mie aspettative, vero, Severus?» domandò ghignando.
La bacchetta di tasso soffiò delle scintille verdi da sotto il mantello del suo padrone, e il sorriso di Voldemort si curvò in un moto di fastidio.
Non aveva ancora compreso la connessione tra la sua bacchetta e quella di Harry Potter e, come dimostrato dall’ultimo scontro con il ragazzo il mese prima, il tentativo di sostituire la sua stecca si era rivelato vano.
Olivander non aveva saputo dirgli nulla di utile, ma ormai non importava. Pochi giorni dopo avrebbe fatto visita a Gregorovich, e sarebbe stato un altro passo avanti nel suo piano.
Quando arrivarono di fronte alla statua del gargoyle Lord Voldemort si fermò e, dopo un suo rapido cenno, Severus Piton, ora nuovo preside di Hogwarts, mormorò la parola d’ordine di modo che la statua si spostasse e rivelasse il passaggio segreto.
Lord Voldemort congedò Piton con un rapido movimento della mano e iniziò a salire i gradini, un sorriso di vittoria in volto, mentre accedeva all’unico posto che gli era fino a quel momento rimasto inaccessibile: lo studio di Silente.
 
Una volta arrivato in cima alle scale, impiegò solo qualche secondo di ricerca per individuare ciò che davvero stava bramando: il Pensatoio.
Il bacile di pietra era accostato alla parete di destra, e  a Voldemort bastò muovere pigramente la bacchetta affinché la boccetta di ricordi che gli interessava arrivasse alla sua mano.
Un’etichetta con la sottile calligrafia di Silente recitava: “Tom Riddle, quinto anno”.
Perfino leggere il nome da babbano del padre gli causava una rabbia incredibile, ma si trattenne mentre versava il contenuto vischioso nel Pensatoio.
Aveva bisogno di scoprire cosa effettivamente sapesse Silente dell’anno in cui aprì la Camera dei Segreti, aveva bisogno di dissipare la nebbia che chissà perché ricopriva i suoi ricordi di quel periodo, e di accertarsi cosa, di conseguenza, sapesse anche Harry Potter.
Ma ciò che vide, quello non se lo aspettò, nemmeno nei suoi piani più arditi.
Nemmeno nei suoi sogni proibiti.
 
Era lei, ovunque.
Erano loro, era lui.
Lui che stava con lei, che le parlava.
Lei che scappava, ma che ogni volta tornava da lui.
Lei con i suoi occhi verdi, lei con i suoi capelli mossi e profumati.
E lui che, come un’idiota, amava segretamente quel profumo.
Lord Voldemort lasciò spazio a Tom Riddle, un quindicenne ambizioso e con sentimenti tanto orribili quanto contrastanti nei confronti di lei, Meredith Smith.
Tom assisté alla scena della scoperta del cadavere di Meredith, e con orrore e rabbia cieca osservò nel Pensatoio lo svolgersi del piano di Silente: li aveva obliviati tutti, lui compreso.
Lo aveva ingannato per tutti quegli anni, maledizione e lui non si era mai accorto di niente!
Si scostò dal bacile di pietra e iniziò a distruggere qualsiasi cosa avesse attorno, per poi fermarsi, il respiro rotto dalla furia e il cervello che cercava di respirare anche per i polmoni, troppo impegnati a bruciare come fuoco.
Prese la bacchetta in mano e la guardò per qualche secondo, domandandosi se davvero volesse farlo, se davvero sarebbe stata una cosa saggia.
Avrebbe voluto dire avere una debolezza, oppure una forza?
«Io devo sapere.»
Mosse elegantemente la mano e iniziò a recitare incantesimi antichi, sentendo come uno strappo nella mente e la testa vorticare come in un uragano, mentre in un secondo i fasulli ricordi di una vita venivano rimpiazzati dalla verità.
Quando anche l’ultimo secondo di quegli anni rubati tornò al suo posto, Tom Riddle respirò a pieni polmoni, sentendo di aver imparato solo in quel momento a respirare.
La sottile linea della bocca si piegò in un sorriso disteso, il primo vero sorriso da…
…da quando si era scordato di lei.
Con calma innaturale mosse la bacchetta sul Pensatoio, pensando formule ad appannaggio di pochissimi maghi e, alla fine, sibilò minaccioso come un serpente.
 
«Dimmi dov’è lei.»
 

 
***

 
 
Varcò l’ingresso di quella casa babbana, a pochi passi dal Wool’s, e ghignò amaramente, pensando a come Silente avesse sempre amato essere poetico nelle sue scelte, quasi quanto lui.
L’aveva nascosta vicino a dove tutto era iniziato. L’aveva costretto a tornare Tom Riddle, nonostante tutto.
Salì le scale con calma, il cuore che batteva come un forsennato, non accennando a rallentare nemmeno di fronte alla volontà del suo padrone: sentiva le emozioni diventare sempre più difficili da controllare, come dopotutto era sempre stato.
Come era sempre stato con lei.
Raggiunse il primo piano e non ebbe esitazioni su dove dirigersi: lei lo stava chiamando, sentiva i loro poteri attrarsi come calamite.
Sentiva il profumo dei suoi capelli nella mente, ogni angolo era pieno di lei.
Aprì la pesante porta di legno e respirò a fondo.
Nella penombra della camera spoglia si poteva vedere solo una poltrona, al centro della stanza.
Era rossa, di velluto, e una piccola mano bianca ciondolava pigramente dal bracciolo, scossa da leggeri tremiti appena percettibili.
E lì, per la prima volta da che si ricordava, Tom Riddle ebbe paura.
Una paura folle di rivederla, di rivedere in quegli occhi ormai muti l’accusa di ciò che aveva fatto, o peggio la certezza di ciò che aveva sempre voluto e mai avrebbe conquistato: una vita con Meredith al suo fianco.
No, non poteva accettarlo: Lord Voldemort non aveva paura di nulla. E lui ormai era Lord Voldemort, continuò a ripetersi, mentre aggirava la poltrona e si avvicinava a quello che, nonostante le sue proteste e i suoi rifiuti, rimaneva la cosa più vicina all’amore che avesse mai provato.
Quando però le fu di fronte, rimase senza fiato.
La bella Meredith Smith che conosceva aveva ceduto il passo ad una donna anziana, dai lunghi e disordinati capelli argentati, il viso velato da rughe e tristezza, e cosa ancora più insopportabile per lui, ornato da occhi trasparenti.
L’iride ormai quasi irriconoscibile continuava a muoversi freneticamente, come se non riuscisse a mettere a fuoco, mentre le labbra mimavano parole ormai perse nel tempo.
Tom si rese conto che non aveva capito chi fosse, e non si vergognò di quell’unica lacrima che solcò il suo viso da serpente.
Un raggio di sole colpì qualcosa sul collo di Meredith, e Tom si avvicinò per vedere.
Era la collana a forma di volpe che in un tempo remoto gli aveva permesso di scoprire le origini della ragazza.
Riddle si inginocchiò, di modo di essere alla sua stessa altezza, e allungò tremante una mano in direzione della collana.
Accadde in un secondo, nel momento stesso in cui Tom toccò il metallo freddo: Meredith lo vide.
Gli afferrò le mani da rettile e le strinse, provocando in Tom un’ondata di calore che gli pervase il corpo.
«Meredith?» domandò Riddle, la voce così tremante dall’essere irriconoscibile a chiunque lo conoscesse.
Lei annuì piano, poi sempre più forte, fino a sorridere.
«Sei arrivato. Sapevi l’avresti fatto, quando l’avessi saputo. L’ho sempre saputo, Tom.» mormorò lei, la voce che vibrava, roca per la mancanza di uso eccessiva.
«Tu…tu mi vedi? Tu sei…come…?» sibilò lui, continuando a parlare piano, quasi avesse paura di farla sparire di nuovo.
Meredith negò col capo, continuando a mantenere il sorriso.
E Tom Riddle non seppe mentire a se stesso, constatando quanto gli fosse mancato il suo sorriso.
«No. Non vedo niente, sono completamente cieca. In questi anni però riuscivo a distinguere qualche parola di quello che mi diceva Silente, quando veniva a trovarmi. E’ stato come rimanere in un labirinto infinito, tra passato, presente e futuro. Vedevo scene della nostra infanzia, e poi Hogwarts. Poi tornava Silente, e in un secondo ero di nuovo bambina. Tom loro…tutti loro mi hanno dimenticata, vero?» domandò infine Meredith, le guance rigate da lacrime e la voce rotta ma comunque ferma.
Tom assentì, e le spiegò quello che aveva scoperto quel giorno.
Meredith cambiò espressione, diventando d’un tratto delusa e arrabbiata, ma non allontanò le mani da quelle di Tom.
E non vide quanto lo ferì la sua delusione.
«Quindi ce l’hai fatta, Tom. Sei diventato il mostro che tutti hanno sempre temuto diventassi. Il mostro che volevi diventare.» sputò lei, stringendogli le mani come a dimostragli tutto il suo dissenso.
Tom però non le lasciò andare, e anzi si sentì ancora più accalorato.
«Sono diventato quello che sono sempre stato destinato ad essere: vittorioso.» sussurrò lui, fiero.
Meredith negò vigorosamente col capo e aggiunse: «No. Sei diventato un assassino, un malvagio, sei diventato l’essere peggiore che sia mai esistito, Riddle.»
Tom piegò le labbra in un sorriso mellifluo e con finta dolcezza le rispose «Riddle? Wow, mi sembra di essere tornato ad Hogwarts: tu che mi insulti e io che ti provoco.»
Suo malgrado, Meredith accennò un sorriso, ma presto le sue mani iniziarono a tremare piano, e il viso si riempì di paura.
«Meredith?» la chiamò Tom, senza accorgersi di urlare.
Senza riuscire a domare la paura.
Non voleva perderla, non ora che l’aveva appena ritrovata.
«Sta finendo il mio tempo, Tom. Lo sento, sto per perdermi di nuovo. Promettimi una cosa Tom, ti prego, promettimela, me lo devi.» esclamò lei, stringendo sempre di più le mani di lui con quelle di lei che ormai tremavano incessantemente.
Riddle strinse le mani di Meredith nelle sue e le chiese cosa volesse.
«Uccidimi, Tom. Non farmi tornare lì, non ce la faccio più. Uccidimi, sei l’unico che può farlo, l’unico che sappia della mia esistenza. Uccidimi e poi prendi la mia collana…io voglio che…che un pezzo di me rimanga con te. Non servirà a farti cambiare, lo so, ma…» rise lei, piangendo sempre di più «…ma ci voglio provare. Lo sai che ci ho sempre sperato, nonostante tutto.»
Tom iniziò a respirare affannosamente, cercando la forza di acconsentire, di rifiutare, di fare qualsiasi cosa.
E all’improvviso si sentì riportato con la forza ai suoi quindici anni, quando Meredith era stata male  a causa del veleno di Erumpent e lui l’aveva vista morire sotto i suoi occhi, incapace di agire.
La stava perdendo di nuovo, sotto i suoi occhi.
Ma come spesso accade quando si ha bisogno di tempo, questo inizia a correre sempre più veloce, e Meredith se ne andò di fronte a lui: gli occhi ritornarono a muoversi freneticamente e le mani persero forza, lasciarono la presa.
Tom la chiamò una, due, cento volte, continuando a toccarle le mani e arrivò ad abbracciarla, ma fu tutto vano.
Si alzò con calma, e la guardò per l’ultima volta.
Aveva ragione lei: avrebbe dovuto ucciderla.
Se Harry Potter ne fosse venuto a conoscenza in qualche modo, Meredith sarebbe diventata la sua più grande debolezza.
Come lo era sempre stata.
Quindi si allontanò da lei e chiuse gli occhi, alzando la bacchetta.
Non volle vedere il lampo verde, non volle vedere il suo corpo cadere a terra, senza vita.
Non volle vedere quegli occhi trasparenti guardarlo per l’ultima volta, abbandonando questo mondo.
Non volle fare altro che richiamare a sé la collana, un attimo prima di porre fine alla cosa più bella che gli fosse successa.
E Tom Riddle se ne andò dalla casa, lasciandosi alle spalle l’unica traccia di umanità che mai lo caratterizzò.
 
Lasciandosi alle spalle l’unica che abbia mai temuto…e amato.

 

***


 

[2 Maggio 1998]


 
Era finita.
Tom Riddle era morto, ucciso dal suo stesso incantesimo, ed Harry Potter si sentiva sommerso da una tale quantità di felicità da non poterci credere.
Mentre da ogni angolo spuntavano facce conosciute e sconosciute, pronte ad abbracciarlo e strattonarlo, intonando un motivetto alquanto imbarazzante su come “Vold-è-mort”, Harry agognò solo un secondo di pace.
La prima vera pace dal giorno in cui Voldemort era risorto, dal giorno in cui i suoi genitori erano morti per proteggerlo, da…da sempre.
Si sedette accanto al corpo senza vita del suo nemico, in silenzio.
Guardò il volto di un uomo anziano, ormai privato delle sembianze da rettile, e dagli occhi verde scuro, ormai vuoti per sempre.
Poi, il suo sguardo venne catturato da un oggetto luccicante, accanto alla tasca del mantello di Tom Riddle.
Lo raccolse con cura, rigirandoselo tra le mani.
Era una collana di metallo, dal ciondolo a forma di volpe.
Dietro, inciso in una calligrafia corsiva, recava il nome di “Meredith”.
Harry ricercò nella sua memoria qualsiasi possibile connessione con Riddle, invano.
In nessuno dei ricordi che Silente gli aveva mostrato durante il suo sesto anno ad Hogwarts appariva una Meredith.
«Harry! Allora sei qui! Vieni a festeggiare, sei la star del party, non puoi mancare! La McGranitt ha fatto apparire cibo a volontà sulle tavole, delizioso.» esclamò Hermione, sedendosi accanto a lui con incertezza, una volta scoccato uno sguardo al cadavere di Riddle.
«Ron dov’è?» domandò Harry, guardando la migliore amica.
Il sorriso di Hermione si increspò, cercando di ricacciare le lacrime.
«Con sua mamma e George, sai…stanno…stanno per spostarlo.» mormorò, alludendo al cadavere di Fred.
Harry pensò che si sarebbe unito a quello di Remus, Ninfadora, Severus Piton e Colin Canon.
Cercò di odiare il corpo disteso accanto a lui, ma non ci riuscì: ormai tutto il male che aveva provato per Tom Riddle era morto con lui.
«Hey, guarda cos’ho trovato. E’ caduto dalla sua tasca.» disse Harry, porgendo ad Hermione il ciondolo.
Lei gli chiese se Meredith significasse qualcosa nella storia di Tom Riddle, ma Harry negò.
«Sembra…sembra una cosa da innamorati, no? Cioè so che è assurdo, ma non aveva parenti. Io terrei solo un ciondolo con scritto il nome di Ginny, di nessun’altra.» mormorò Harry, fissando insistentemente il corpo di Riddle, quasi potesse dirgli la verità.
Hermione osservò la collana in silenzio, ma poco dopo aggiunse, restituendola ad Harry:
«Avrebbe senso, ma Harry… è di Voldemort che stiamo parlando. Lui…lui non ha mai amato nessuno.»
Harry annuì, e si mise in tasca la collana, quasi volesse custodire quel segreto, l’unico segreto che era rimasto tra lui e Tom Riddle.
 
«Già. Hai ragione. Dopotutto… chi avrebbe mai potuto amare Tom Riddle?»





Note:

(1) Citazione di Harry Potter e la Pietra Filosofale
(2) Citazione di Harry Potter e il Calice di Fuoco



*Angolo dell'Autrice*


Eccoci qui, until the very end. E' finita figliouli, finalmente sono riuscita a concludere (anche se con mesi di ritardo, perdonatemi!) una long. E che long. Sono talmente fiera di tutti i miei personaggi, di questa fine, di com'è stata scritta, piangendo praticamente ogni due righe (SETH E EVAN GOD) e con tante, tante emozioni. Non so se sia rimasto qualcuno a leggere, ma se esiste quel qualcuno voglio ringraziarlo di cuore. Grazie per aver dedicato del tempo alla mia storia, per esservi ricordati di me dopo tutto questo tempo (sempre! - scusate, era più forte di me) e per essere stati con Meredith, Tom, Evan, Seth, Phoebe e Nott fino alla fine. 
Spero vorrete comunicarmi le opinioni finali, e spero di sentirvi presto, magari in un'altra storia, chissà!
Un bacione enorme, per l'ultima volta <3

SilverKiria

 

 

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