50 shadows of sunset.

di GiordinHoran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** from the beginning. ***
Capitolo 2: *** London state of mind; ***
Capitolo 3: *** details. ***



Capitolo 1
*** from the beginning. ***


-


"Mi chiamo Ray, come raggio, il nome lo scelse mia madre perchè nacqui all'alba proprio come il sole, e beh, lei ama le metafore.
Avessi potuto sceglierlo io avrei aggiunto due semplici lettere e ne avrei cambiata qualcuna, Rainy. Piovoso.
Certo, sarebbe stato curioso chiamarsi come un aggettivo ma io amo la pioggia, credo di averla dentro, e non solo perchè sono nata in una periferia londinese, non credete agli stereotipi.
Ho quindici anni, e la gente preferisce non parlarmi. Non chiedetemi il perchè, non mi parlano quindi non saprei dirvelo. 
Sono un'abbastanza cronica, il trucco non mi tiene mai per più di dieci minuti e i capelli non mi stanno mai come dovrebbero, sono silenziosa e non faccio mai le prime mosse, lascio che accada.
Il fatto è che sono fortemente convinta che nella vita esistano persone in grado di sconvolgere totalmente le vite altrui.  E quando succede, chiamatelo caso, destino o fortuna. Chiamatelo come vi pare e piace. I più scettici le chiamano "coincidenze" io la chiamo "forza dell'amore."
Sono qui per parlarvi di come a volte uscire senza un ombrello puo' cambiarti le prospettive, intendiamoci, non sono una che si lascia abbindolare facilmente nè tanto meno una che rischierebbe la propria preziosa vita correndo tra i fulmini con chiunque.
Ma in quell'istante, in quel preciso istante, ferme sotto la pioggia io capii che lei accendeva in me un fuoco talmente forte che per quanto l'acqua potesse infrangermisi contro, mi avrebbe tenuta asciutta".
Oggi vi parlo di quello che successo un giorno lontano di tanto tempo fa, scritto tra le pagine di un vecchio diario che ancora conservo nascosto nei meandri della mia libreria. E ogni volta che lo rileggo è un tonfo al cuore, è un temporale, sono saette. Ora come una volta, queste parole scatenano in me un concentrato di turbolenti fenomeni atmosferici: e così come dal cielo, io precipito come allora.
Non so adesso dove sia, nè se i suoi capelli brillino ancora di quel rosso acceso come una volta, ma anche oggi vi parlerò di lei.


Da Ray, per Sam.
8 Maggio 1983.










 

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Capitolo 2
*** London state of mind; ***


20 Aprile 1983
Giorno 1




Sono le diciassette in punto, e come da buona inglese, mia nonna è in cucina a preparare del tè per la merenda pomeridiana. Dalla sgualcita poltrona in pelle cerco di vedere fuori alternando lo sguardo fra il cielo e la solitaria strada ghiaiosa.
Era una giornata comune, di un qualunque giorno di un anno tutt'altro che rilevante. Non che ci si potesse aspettare di meglio quando si viveva in un piccolo sobborgo di Londra, la monotonia era all'ordine del giorno e credo fortmente che forse l'unica cosa in grado di stravolgere un po' la quotidianeità in quella nebbiosa cittadina, fosse il sole.
Quel giorno, c'era. I raggi penetravano flebili e chiari dalle tende in pizzo della finestra e battevano perpendicolarmente contornando i mobili e rigando le pareti, mi soffermai svariati minuti a osservare come anche il ripugnante color verde delle pareti diventasse estremamente bello e lucente illuminato dai raggi del sole. 
Pensai che infondo anche io potevo essere destinata a dare luce, a rendere migliore. Insomma, metaforicamente parlando sono un raggio anche io, mi chiamo Ray.
Il rumore del vassoio che la nonna aveva appena poggiato sul tavolo mi fece sobbalzare, guardai l'orologio, dannazione era tardissimo e io dovevo  assolutamente andare in città a ritirare un pacco, altrimenti mamma mi avrebbe ucciso.
Bevvi velocemente, tutto d'un sorso. Tracannai il tè quasi a forza e per quanto era caldo temetti di aver addirittura perso una buona parte di papille gustative. Salutai la nonna, presi la borsa e corsi alla fermata del bus più vicina. Le nuvole ormai coprivano il sole e la luce era sempre meno radiante.
Non vi erano molti mezzi per raggiungere la città se non un vecchio bus diroccato, ma a me piaceva. Era pieno di scritte: canzoni, amori finiti male e qualche pensiero ribelle. Infilaii le cuffiette e accesi la radio, era il 20 Aprile 1983, nel pieno degli anni ottanta, si suonava la musica di Cyndi Lauper, i Kiss, gli Eagles, Bruce Spreangsteen. Era l'era dei cambiamenti.
Bastava un nulla per sentirsi originali e rivoluzionari, e bastava ancora meno del nulla per non venireaccettati.
Il bus inchiodò e il conducente sporgendo la testa ci gridò con voce roca di scendere, era il capolinea, non so bene spiegarmi per quale arcana magia avveniva ma il viaggio durava sempre meno ogni volta che lo ripetevo.
Scesi e aspiraii a pieni polmoni l'aria della città, Londra. 
Amavo i suoi rumori, l'intercambiarsi dei colori dei semafori, il verde dei parchi, il luccichio delle vetrine, i ragazzi scherzare sulle panchine e ridere talmente forte da dar quasi fastidio a chi gli stava intorno, uomini tutti d'un pezzo con la loro fedele ventiquattrore che parlavano del più e del meno sorseggiando drink nei loro frivoli cafè.
Corsi all'ufficio postale sognando di quando io avrei vissuto in una di quelle vie e mi sarei alzata con il profumo della grande città e il clacson delle macchine sotto la mia finestra.
Dopo un'interminabile ora di attesa riuscii a ritirare quello che dovevo e decisi di concedermi un altro po' di pausa stendendomi su qualche prato là vicino, tanto il bus non sarebbe arrivato nel giro di un'ora e mezza.
Tirai fuori un libro dalla mia borsa, mi ritirai su le maniche della mia larga felpa grigia e mi sdraiai a pancia in sù a osservare l'imponenza del palazzi che mi circondavano. 
Mi lasciai trasportare per svariati minuti dal fascino di quel libro, seppure troppo romantico per i miei gusti, quando una voce stridula mi riportò con forza alla vita reale.
-Scusa.
Alzai di poco lo sguardo e vidi davanti a me una ragazza dai lunghi capelli rossi, più lunghi dei miei. Le ricadevano a ciocche sul volto e brillavano di un colore tanto innaturale quanto bello.
Portava una canottiera nera, una lunga felpa azzurra e  dei jeans sbiaditi che le lasciavano trasparire solo la punta delle sue converse nere. 
Il volto era colore della luna, di un pallore abbagliante e il naso era costellato da una miriade di lentiggini. Metaforicamente parlando, lei poteva essere come la notte, e quelle erano le sue stelle.
Aveva gli occhi scuri, che ti ci potevi perdere dentro, e li portava talmente bene da far invidia alle più svariate sfumature di azzurro.
-Senti, mi chiamo Sam e ho visto che eri qui da sola..io e i miei amici siamo laggiù, se non ti spaventano i ragazzi cattivi con gli skateboard e le bombolette aggregati a noi, no?
-No, grazie, devo finire il mio libro.
-Come vuoi. Fece come per andarsene.Dimenticavo, come ti chiami?
-Ray.
-Ray? Perfetto.

-Perfetto.
Stetti per un momento a pensare a quello che era appena successo ticchettando con le dita sulla mia borsa seguendo Sam con lo sguardo, senza perderla di vista nemmeno un momento.
Una goccia, due goccie, tre. Nel giro di poco inizio a piovere fortissimo e io non potei fare altro che rimboccarmi le maniche, sistemare i capelli nel miglior modo possibile nel cappuccio e correre nel posto più vicino. Per mia fortuna trovai un portico e decisi che sarei rimasta lì finchè il cielo non avrebbe deciso di fare una pausa e darmi tregua.
Inizia a camminare avanti e indietro a passo veloce non staccando mai lo sguardo da terra, quando ancora una volta qualcuno o qualcosa distolse la mia attenzione. Riconobbi la voce.
-Senti raggio di sole, sappi che ho un ombrello.
-Non accetto passaggi dagli sconociuti, credo che anche condividere un ombrello valga.
-Probabile Cenerentola ma purtroppo qui non passerà nessuna carrozza fino a domattina, quindi sia così gentile di permettermi di scortarla al più vicino Mc Donald con il mio fidatissimo para-pioggia.
-Intendi l'ombrello?
-orsù, come siamo poco principesche, ma si.
-Okay.
-Okay, seguimi dai.
Per fortuna non dovemmo camminare molto, anche se devo ammettere che lo stare così vicine non mi dispiaceva affatto, cercai di non pensarci e scacciare quei pensieri quasi quanto avrei voluto scacciare le nuvole.
-Cosa prendi?
-Nulla.
-Salutista o solo a corto di soldi? Offro io!

risi. -Seriamente non voglio nulla, ti aspetto al tavolo.
La radio suonava una melensa canzone di David Bowie e a me non restava che cercare di scrollare via l'acqua di dosso in attesa del suo ritorno.
Eccola, arrivò. Si era legata i capelli e aveva tirato su le maniche quasi fino al gomito, intenta nel bere la sua coca cola, mentre cercava di intrattenere una conversazione.
-Mi sembravi simpatica, tutto qui.
-Come scusa?
-Quando ti ho vista, mi sembravi simpatica. Avevo voglia di parlare con te.
-Ah.
-Tu invece non parli molto, o sbaglio?
-Il minimo indispensabile.
-Dovrò portarti ad un cinema muto per farti sentire a tuo agio allora.
-Va bene.
-Come scusa?

-L'hai detto ormai non puoi più tirarti indietro.
-Scherzi?
-Assolutamente no!
-Promesso?
-Croce sul cuore.






Buonasera, finalmente ho finito questo dannato capitolo, partirò e non potrò aggiornare, che gioia.
ps: Fatti e personaggi narrati in questa storia sono parzialmente ispirati a personaggi reali.


-GiordinHoran

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Capitolo 3
*** details. ***



"A volte bisogna sapersi perdere, per avere la forza di ritrovarsi."



Dai silenzi si sa, non se ne esce. Ti inghiottiscono velocemente e in men che non si dica ti ritrovi con i tuoi occhi incastonati in quelli nella persona al tuo fianco. Entrambi immobili.
Tentai di schiudere la bocca affinchè potesse emettere anche un minimo suono, nulla. Cercai le parole giuste da dire, formulai mentalmente alcune tra le domande più improbabili per finire pronunciando una delle parole più squallide al mondo: già.
Mi sentii un'idiota, prima che lei la ripetesse. Era la terza volta quella giornata.
Non che il ripetere le parole fosse una cosa a me nuova, l'avevo visto fare in qualche sdolcinato film hollywoodiano con un finale scontato, ma in quel momento, quel preciso istante, era diverso.
E quando qualcuno ha il mistico potere di trasformare l'ordinario in straordinario, è una persona speciale.
Notai all'improvviso il suo tatuaggio sul lato della sua mano sinistra e decisi di lanciarmi nel chiederle quale fosse il significato sperando di non sembrare invadente.
-Che significa? Incalzai tutto d'un fiato, quasi impaurita della sua risposta.
-oh bene, vedo che il mio tatuaggio non è passato inosservato. Ridacchiò lei guardandosi il disegno. È un pesce, non ha significato. Mi sento un pesce.
-
beh ne ho sentite di strane impersonificazioni, ma mai di un pesce. Di solito tutti vogliono fare le sirene.
-Sta per diverso, ecco. Un pesce fuor d'acqua. Sono un essere vivente in un elemento non suo. E tanto per la cronaca, trovo le sirene così clichè. Tu cosa sei?
-Credo vivamente di essere una persona.
-Quindi sei incoerente, o una bella ipocrita.
Cercai di non notare il bella tra la successione dei due aggettivi e divagai continuando il dibattito.
-Come scusa?! 
-La scritta sulle scarpa "trova te stesso".

-Non ci credo, sei la prima persona sulla faccia della terra che nota queste cose sai?
Insomma, un'insignificante ammasso di lettere su un po' di tessuto, chi lo sarebbe mai andata a leggere?!
-Nessuno, si ma con la N maiuscola. Sai Ray, i dettagli sono importanti, sono loro che ci differenziano dalla massa. 
L'alba e il tramonto non esisterebbero se quei dettagli nei colori non li caratterizzassero, sarebberero semplicemente cielo. E..
-Si è fatto tardi, devo andare. 
-Ci risentiamo Ray, ti lascio il mio numero allora..ciao!

-Ciao Nessuno.
Si erano fatte ormai le sette e mezza e il sole stava iniziando a calare lasciando intravedere qualche scia rosea sparsa nell'etere. C'era qualcosa si estremamente affascinante nel modo di parlare di quella ragazza, seppure lo facesse tanto velocemente da quasi non far distunguere le sillabe. Gesticolava di tanto in tanto e sembrava mostrare un'esorbitante
sicurezza ad ogni lettera. Non avevo mai provato nulla di simile o vagamente accumulabile, quindi diedi la colpa di tutte quelle anomale sensazioni,se così si possono chiamare, alla stanchezza e alla troppa acqua presa in precedenza che sicuramente aveva finito per annacquarmi il cervello.
Quei strani contorcimenti di stomaco mi continuarono per tutta la serata e furono la motivazione della mia insonnia quella notte. Mi rigiravo nel letto come in attesa di una risposta a quelle fitte al cuore, al corpo leggero e la testa pesante, al mio sentirmi così stranamente bene.
Guardai ancora una volta il mio cellulare, nessun messaggio. Decisi che l'indomani se non l'avrebbe fatto lei, sarei stata io. Che si fotta l'orgoglio, non avevo nessuna intenzione di perderla, dovevo farla mia in un modo o nell'altro.
Ero spaventata e stupita dei miei stessi pensieri. Forse aveva ragione, ero un'ipocrita con una scritta sbagliata sulla suola destra, e forse davvero non ero ancora la Persona che credevo di essere.
Forse lei mi avrebbe potuta aiutare a ritrovarmi: sarebbe stata il mio faro, la mia mappa.
L'unica certezza era che di certo non c'era assolutamente nulla, ed io mi ero persa in un pezzo di mondo compreso tra Sunset Hill e Londra.




 

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