Best gift of fate - Sterek

di lawlietismine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




 


Best gift of fate - Sterek



Capitolo 1

 


Il giovane ragazzo seduto al tavolino del bar non aveva assolutamente dubbi sul fatto che i due seduti di fronte ai suoi occhi fossero fatti per stare insieme, Allison Argent e Scott McCall – nonostante tutte le loro insensate litigate e le loro stupide fissazioni – si erano proprio trovati l’un l’altra.
Per lui era normale pensare a questo: tutti – in fondo – si sarebbero preoccupati per il proprio fratello, no? E per quanto Scott non lo fosse legalmente o altro, Stiles riteneva di avere comunque tutto il diritto di considerarlo tale dopo la loro lunga vita di stretta e rara amicizia insieme. Per questo sorrise guardandoli, piegando leggermente un angolo della bocca all’insù quasi in un ghigno, mentre rimescolava distrattamente il ghiaccio nel bicchiere, l’unica cosa rimasta della sua fresca Cola.
Quando però i loro volti si avvicinarono fin troppo – ormai sul punto di baciarsi – con Scott che la stringeva maggiormente in quel mezzo abbraccio e lei che lo guardava rapita e compiaciuta, il caro Stilinski decise di averne abbastanza, sobbalzando/voltandosi di scatto, facendo quasi cadere il bicchiere.
   “Non in pubblico, per favore” sbottò con la bocca semiaperta, la gola asciutta e lo sguardo che vagava ovunque senza meta al posto di restare su di loro: lo capiva dalle loro facce, in quel momento si sarebbero volentieri trascinati su un piano –inclinato o meno – e l’immaginazione di qualsiasi essere umano non sarebbe bastata per illustrare cosa sarebbe successo dopo.
Stiles non voleva nemmeno pensarci mentre le sue guance si coloravano leggermente per il pudore e l’imbarazzo, ma ormai era troppo tardi, perciò iniziò a coprirsi gli occhi e le orecchie alla meglio – come se la scena nella sua testa fosse stata davvero di fronte a lui – e a maledire i due a voce alta: quelli – come se l’avessero fatto apposta – si lanciarono un’occhiata, si lasciarono un ultimo bacio a fior di labbra e poi risero davanti alla sua reazione.

Il moro si bloccò nel sentire come lo stavano deridendo. 
   “Oh, bene!” borbottò come offeso, tornando velocemente a guardarli sempre in quello stato imbarazzato “Ma come siete divertenti!” li rimproverò sembrando più un bambino impacciato.
Scott – al contrario di Allison – non riuscì a calmare le risate, anzi, quelle aumentarono.
   “Scott!” la sua ragazza gli mollò uno schiaffo leggero sulla nuca, lei non riusciva mai a resistere molto di fronte a quelle espressioni dell’amico: poteva essere davvero un dolce e piccolo cucciolo.
   “Forse sei contagioso!” ribatté McCall all’affermazione dell’altro una volta ripreso fiato e in tutta risposta ricevette solo un “Ah ah” non molto divertito “Che simpaticone, Scott”.

Non che fosse una novità, quelle scenette nella sua vita erano ormai di routine, anzi, sarebbe stato strano il contrario.
Stiles non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce – o forse qualche volta gli era sbadatamente sfuggito dalle labbra contro il suo volere, in momenti in cui non era stato in grado di intendere e di volere – ma i primi tempi aveva quasi avuto paura che quella new entry al femminile nel loro mondo avrebbe rovinato il loro rapporto fraterno, che – spudoratamente indistruttibile – invece non aveva nemmeno vacillato.
Era stata una fortuna – oppure dipendeva dai punti di vista? – visto che poi si era formato il gruppo attuale, poiché Allison si era portata dietro Lydia Martin – la sua gigantesca cotta storica di cui ormai l’universo intero probabilmente era a conoscenza – che a sua volta aveva trascinato con sé il suo snervante  ragazzo, Jackson, il cui migliore amico era il pacifico Danny e così via.
Stiles non sapeva mai se esserne felice o meno, ma poi finiva per lasciar perdere.

Quando i due fidanzati tornarono a pomiciare come se non ci fosse stato un domani, il terzo in comodo ne ebbe davvero abbastanza.
   “Basta, basta! Me ne vado!” si alzò, raccogliendo di volata tutte le sue cose fra cellulare, volantini vari che si era ritrovato in mano dal percorso scuola-bar e la tracolla, dove spinse tutto dentro quasi a pugni tanto era in confusione, mentre se la filava.
Non rallentò il passo finché non sentì svanire in lontananza le loro nuove risate, poi si concesse una pausa per sistemare un minimo il caos appeso alla sua spalla: lottando un po’ impacciatamente con una forza invisibile, buttò la tracolla su un muretto, tirò tutto fuori e fece del suo meglio per rimettercelo con cura – anche se fallì miseramente.
Stava per chiudere la cerniera quando il suo telefono vibrò e squillò all’improvviso nella sua tasca, facendogli prendere un dannato colpo: un attimo dopo il contenuto della borsa era riversato totalmente a terra insieme alla borsa stessa.
Lanciò tutte le maledizioni che conosceva a chiunque gli avesse scritto e con un borbottio fra sé e sé – che lo fece passare per pazzo di fronte ad alcuni passanti – lo cacciò fuori dalla tasca, aprendo il messaggio ancor prima di leggere il mittente.

 
Imprevisto! Chiedo venia ma dovrai andarci da solo in palestra, oppure rimandiamo!

Rimase imbambolato a leggerlo e rileggerlo per una manciata di minuti, con le labbra schiuse e uno sguardo sconcertato: logico, lui riusciva a convincersi mentalmente che era l’ora di allenarsi un po’ e mettere su due muscoli e l’altro gli dava buca.
Isaac Lahey era uno di quelli che (s)fortunatamente si era unito al gruppo post-formazione della coppietta felice, a Stiles stava pure simpatico a dir la verità, ma in quel momento pensò a tanti modi per fargli del male – anche se non sarebbe stato capace di realizzarne neanche uno.
Quel tardo pomeriggio sarebbe dovuto andare con lui per vedere la sua palestra, infatti quando tempo prima Isaac lo aveva sentito uscirsene con quella bizzarra novità, gli aveva proposto di iscriversi a quella dove andava lui, aggiungendo che lo avrebbe accompagnato e che – conoscendo bene i gestori – gli avrebbe pure fatto fare lo sconto, Stiles aveva subito accettato.
Prese un profondo respiro, bloccò il telefono prima di scaraventarlo contro il muro (e con la fortuna che aveva quel giorno, pensò che – come minimo – sarebbe rimbalzato e gli sarebbe tornato dritto in faccia), si chinò per ributtare dentro la tracolla tutti i fogli a caso e poi si disse che aveva bisogno di un caffè.
O qualcosa con della caffeina.
O qualcosa che comunque gli concedesse un po’ di energia, il caffè lo agitava troppo, era già iperattivo di suo.
Si portò la borsa sulla pancia e – camminando a testa china – iniziò a cercare la sua borraccia termica portatile, sperando davvero che non si versasse casualmente fra i libri.

Non c’era niente di più sano di una bella spremuta di arance!

Quando la trovò, richiuse malamente la tracolla e continuò a camminare ignorando qualsiasi cosa avesse avuto davanti, perché – naturalmente – quel dannato tappino non aveva alcuna intenzione di tirarsi su per lasciarlo bere.
Tentò con i denti e poi ancora con la forza, ma niente.

Se l’era pure detto quella mattina quando si era svegliato che sarebbe stato meglio per lui non alzarsi e tornare fra le invitanti braccia di Morfeo, eppure – impossibile sapere dove e come – aveva trovato la forza per uscire dalle sue comode coperte.

   “Dannato –-” sbottò snervato, decidendo di strappare via direttamente il coperchio, lo tirò come se avesse voluto sbarbarlo, fin quando – ovviamente – quello non gli rimase improvvisamente in mano, mentre tutta la sua spremuta volò in avanti fuori dalla borraccia e – di certo – non nella sua bocca.
Ma stranamente neanche in terra, infatti – con sguardo sconvolto – Stiles si rese conto di aver appena colpito in pieno un passante.
Rimase immobile a fissare la grossa chiazza sulla maglietta che aveva davanti, desiderando di sprofondare nel marciapiede, e non ebbe minimamente il coraggio di alzare gli occhi per vedere l’espressione dello sconosciuto colpito.
   “Oh mio dio…” esalò con la gola prosciugata e nella stessa posizione, incapace di connettere il cervello.
Vide il petto dell’altro alzarsi lentamente in un profondo respiro, probabilmente per calmarsi ed evitare di spaccargli la faccia, si disse Stiles.
Alzò la testa solo in quel momento per accertarsi che non fosse così, visto che al suo bel faccino in fondo ci teneva, e rimase – se possibile – ancora più imbambolato.
Il ragazzo che aveva di fronte non era affatto divertito, in confronto a lui era enorme e tremendamente serio, lo fissava con un che di truce attraverso gli occhi verdi, e la barba accennata – unita a quella massa muscolosa e all’espressione – gli dava un che di minaccioso che fece partire in Stiles una risatina nervosa.
   “S-Scusa” balbettò senza muoversi.
Lui dal canto suo prese un altro respiro profondo prima di aprir bocca e “Lasciamo perdere” si limitò a ringhiare fra i denti, prima di smuovere in uno scatto le spalle per sistemare la giacca di pelle aperta e andarsene, superandolo con una poco delicata spallata che lo fece quasi cadere a terra.

Ma per qualche parte remota e desiderosa di morire di Stiles, quello non doveva essere abbastanza, perché – senza sapere il motivo – il ragazzo si voltò, dopo qualche attimo che gli era servito per scongelarsi da quello sguardo freddo ricevuto.
Si girò di scatto, lasciando cadere a terra la borraccia, e afferrò di sfuggita l’altro per la giacca per fermarlo “Aspetta!” lo richiamò di volata, scivolando però sui suoi stessi piedi e finendo per strattonarlo per restare in equilibrio.
E ci riuscì, perché infatti – anche se per un pelo – rimase fermo su un piede e con le braccia spalancate per equilibrare il tutto, solo allora però si accorse di avere fra le mani un pezzo della giacca di pelle dello sconosciuto, mentre quello se ne stava steso in terra.

Stiles si pietrificò sul posto.

   “O-OH MIO––” balbettò più che sconvolto, fissando terrorizzato prima la stoffa fra le sue mani, poi l’altro caduto, che con uno sguardo di fuoco si voltò per guardare anche lui prima il pezzo del giacchetto rotto e poi colui che gli stava intralciando il cammino senza una ragione logica.
Mentre il giovane Stilinski tentava di trovare le parole e la forza per scusarsi e sistemare le cose, l’altro si tirò su con un ringhio e “Lasciamo. Perdere!” sbottò di nuovo, strappandogli di mano il pezzo e andandosene furioso.

Stiles sperò di non doverlo più incontrare, era sicuro che quello lì gli avrebbe spezzato il collo se lo avesse rivisto.
 



 
 

Ehilà ~ 
Buongiorno a tutti e molto piacere! 
Sono circa dieci/quindici giorni (forse di più? Il tempo passa troppo velocemente) che lavoro a questa cosa. 
Ho in programma una fanfic corta, tipo cinque capitoli o forse sei.
Ne ho già scritti tre ^^  Anche se non importa a nessuno. 
Avevo pensato di pubblicarla più in là, magari una volta finita di scrivere, ma... Boh, eccomi qui dopo aver riavuto (finalmente) il mio pc, il mio kindle, il mio telefono, il mio Ipod... Ecco perchè sono ancora al terzo capitolo ç_ç Già, mia madre a volte è perfida. 
Non so con quale coraggio, visto tutto quello che devo fare, ma avevo una voglia tremenda di scrivere qualcosa su loro due ç_ç 
Comunque, come ho scritto nella descrizione, i ragazzi vanno al college, quindi si conoscono da tanto (?) Vabbè. 
Penso (spero) di aggiornare...Non so, tipo due volte a settimana visto che sono pochi capitoli.
(Ormai per quanto riguarda questa solo una volta visto che oggi è govedì...) 
Duuunque, nada... Non aggiungo altro, spero che il primo capitolo vi sia piaciuto! 
Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ 


Lawlietismine.
 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




 


Best gift of fate - Sterek



Capitolo 2

 


Dopo qualche minuto in cui se ne era rimasto fermo lì su quel marciapiede per darsi una calmata, si era chinato per raccogliere tutte le sue cose e se ne era andato a casa.

Tornare a letto, quello era il suo obiettivo. La palestra avrebbe potuto aspettare.

O forse no?

Il telefono infatti squillò non appena si richiuse la porta dell’appartamento alle spalle, facendolo gemere quasi dalla disperazione.
Era tentato dal far partire la segreteria, ma non appena riconobbe il numero di colui che lo stava chiamando, scattò il più velocemente possibile e “Ci sono!” dichiarò in risposta, portandosi la cornetta all’orecchio.
Si resse con una mano il fianco e tentò di placare il fiatone per lo scatto improvviso: Stiles Stilinski non era un tipo granché atletico.
Dall’altra parte sentì un sospiro di sollievo “Meno male ti ho trovato” proferì Danny, cosa che gli fece capire che non era la prima chiamata da parte sua.
Prima o poi avrebbe controllato il cellulare.
   “Di che hai bisogno, amico?” gli chiese, passandosi una mano sul volto per la stanchezza di quella giornata decisamente poco positiva.
L’altro sospirò “Devo chiederti un grosso favore” e solo quello fece gemere di nuovo Stiles, che si trattenne mordendosi il labbro.
Rimase in silenzio per lasciarlo parlare “Il coach ha fatto casino con gli allenamenti” iniziò tanto per sottolineare che la richiesta che stava per fare, non era colpa sua “Coincidono con i miei turni al bar” aggiunse titubante, mentre Stiles iniziava a fare due più due, ma sperò di sbagliarsi con tutto il cuore.
   “Potremmo scambiarci? Tu il pomeriggio e io la mattina?” le sue speranze crollarono nel sentire quella domanda, tanto che si prese qualche secondo.
Non perché fosse una tragica richiesta, ma per come gli era andata la mattinata in generale, gli sembrava fatto apposta.
Tutti quegli avvenimenti in una volta sola non potevano essere un caso!
Ma lasciò perdere ben presto e “Sì…” rispose prendendo un bel respiro “Nessun problema”.
E dopo altre poche chiacchiere, i due si salutarono.


Facendo due calcoli, la mattina avrebbe potuto dormire un po’ di più (anche se sapeva che alla fine tanto si sarebbe alzato alla solita ora), poi avrebbe avuto l’università, poi il lavoro e infine sarebbe potuto andare in palestra più sul tardi, magari dopo cena.
Sembrava un buon programma.
E in quella giornata incasinata aveva davvero bisogno di un buon programma.

Perciò – ripensandoci – non sarebbe comunque potuto andare con l’amico in palestra, visto che quello la sera lavorava.
Non gli restava che inoltrarsi in questa avventura da solo, ringraziando chiunque avesse fatto di quel posto un centro di allenamento nazionale aperto ventiquattro ore su ventiquattro.
Avrebbe potuto farsi una sauna? Magari ci avrebbe provato.
Non ne aveva mai fatta una…
A interrompere il suo flusso incontrollato di pensieri fu il timer del forno: i suoi muffin al cioccolato erano pronti.
Cosa poteva esserci di meglio per addolcire un po’ la pessima giornata?
Prese al volo uno straccio da cucina e tirò fuori la teglia cercando di non bruciarsi: dopo tutte le insolite cose che erano capitate, non si poteva sapere! Ma la missione fu completata con successo e poco dopo si ritrovò una bella scorta, tanto abbondante da poter sfamare un branco intero di lupi.
   “Giusto in tempo” la voce dietro di lui gli face prendere un infarto, balzò come un petardo e si voltò di scatto verso la ragazza che aveva parlato.
   “OH CRIST––” si interruppe, incapace di placare l’ansia improvvisa mentre la fissava, lei si mosse tranquillamente verso la teglia e afferrò un muffin al volo, avvolgendolo con un pezzo di carta “Malia!” la sgridò Stiles, quasi completamente steso contro il ripiano in marmo “Potresti annunciare la tua presenza quando arrivi? Stavo per morire!” ma lei si limitò a una scrollata di spalle. Addentò il dolcetto, avvicinandosi all’altro.
Quando gli si fece troppo vicina, il ragazzo guardò altrove, cercando di spostarsi e quando la sentì sbuffare per quel suo comportamento, se la svignò, scivolando via.
Fece finta di non vederla alzare gli occhi al cielo.
   “Seriously?” borbottò dopo aver buttato giù un altro boccone bollente “Non ti voglio mica assalire, Stiles”
Lui e Malia erano stati insieme per un po’, o meglio, ci avevano provato.
La cosa era iniziata un po’ per caso e alla fine si erano lasciati andare, ma non aveva funzionato granché, nonostante lei continuasse a stuzzicarlo.
Stiles si era reso conto che aveva ceduto solo per alcune circostanze, visto che a quel tempo neanche si conoscevano molto, ma in fondo non provava niente di serio per lei.
Aveva avuto bisogno di un po’ per dirlo ad alta voce, visto che la tentazione di far finta di nulla e lasciar perdere era stata tanta, ma lui era sempre stato un ragazzo intelligente e sincero, perciò il desiderio maschile e l’audacia dell’altra, non erano riusciti e trattenerlo a lungo.
   “Anche se hai le chiavi, non vuol dire che tu possa entrare a tuo piacimento” l’avvertì, facendosi coraggio per lanciarle un’occhiata di rimprovero che le fece perdere parte del divertimento e il sorrisetto furbo.
Da parte sua, Malia non l’aveva presa così bene la sua decisione.
   “Ho bussato, non mi hai sentita” si difese, incrociando le braccia al petto e guardando altrove, ma stavolta fu Stiles ad alzare gli occhi al cielo: la solita bugiarda.
Continuava a dire che gliele aveva ridate e che lui le aveva perse.
   “Come vuoi” decise di non contestare “Per cosa sei venuta? Io dovrei uscire adesso” disse sincero, visto che lo aspettava il lavoro.
Malia sbuffò ancora, offesa da quel distacco e quella voglia di liberarsi di lei, peccato che non sapesse dello scambio di turni: inizialmente posò il muffin e fece per andarsene, ma poi cambiò idea, tornò indietro, lo riafferrò insieme ad altri due e poi allora se ne andò davvero da lì, lasciandolo sbigottito.
Prese un profondo respiro e si disse di lasciar perdere, probabilmente non sarebbe mai riuscito a capirla: le donne erano un dilemma irrisolvibile per lui.

Mezzora dopo era arrivato al bar sano e salvo, niente incidenti casuali per la via.
Si era dato il cambio con il collega di turno e si era messo a lavoro, infilandosi il grembiule e tutto il resto: a lui toccava per lo più la cucina, i suoi dolci erano miracolosi e unici, nessuno era mai arrivato a dire il contrario.
Si era organizzato al meglio: si era già portato dietro il borsone per la palestra, visto che avrebbe finito per l’ora di cena, avrebbe mangiato al volo qualcosa da lui sfornato –
giusto per non svenire alzando i pesi – e poi avrebbe cenato sul serio al ritorno a casa stimato per le undici.
Per questo alle otto e mezza, finito il suo turno, afferrò la piccola borsa-frigo che si era preparato e montò sulla sua amata jeep, dirigendosi subito verso la sua nuova meta.
In fondo era andata meglio di quanto avesse pensato, lavorare il pomeriggio non era poi così stancante ed era certo che dopo un po’si sarebbe abituato a quel ritmo.
Ma doveva andare in palestra quella sera, per quanto stremato dalla stramba giornata, sapeva che se non ci fosse andato in quel momento, alla fine non ci sarebbe andato mai più: doveva iscriversi subito.
Quando arrivò, ringraziò tutti gli Dei per il posto libero per la macchina proprio davanti all’entrata e – facendosi tanto coraggio – scese.
Isaac doveva aver già accennato qualcosa, perché lo spaventoso tizio pompato all’ingresso dopo poco gli chiese se fosse ‘il suo amico’ e quando ebbe annuito, l’altro gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla che per poco non lo fece volare via: si chiese se non gliel’avesse per caso rotta, ma tornò subito a concentrarsi.
Si misero d’accordo e gli spiegò tutto su quel posto così enorme: avevano le piscine, i campi da tennis e quelli da basket o pallavolo, perfino qualcosa per il baseball e tanto altro e alla fine della lista Stiles non fu più tanto sorpreso della presenza dell’idromassaggio e della sauna. Firmò le sue scartoffie, mostrò il certificato medico che Isaac gli aveva detto di portare e finalmente fu libero di muoversi.
Il tipo gli aveva spiegato che di palestre generali ce ne erano due, una più vicina all’entrata, l’altra invece dopo il campo da calcio e quello per la corsa, più lontana e isolata.
Inizialmente si convinse ad andare nella prima, ma alla fine – sperando di non trovarci proprio nessuno vista la distanza – optò per l’altra, camminando nella poca luce dei lampioni per raggiungerla: da fuori la trovò molto illuminata ma silenziosa, pensò quindi che sarebbe stato solo, passò prima negli spogliatoi, si cambiò e poi entrò finalmente lì.
Come aveva pensato, infatti, non c’era anima viva, ma notò un borsone di fianco a un macchinario e un asciugamano bianco posato su di esso, perciò in fondo non doveva essere proprio così. Magari un fantasma dall’animo sportivo?  
Scrollò le spalle, iniziando a guardarsi intorno alla ricerca della cosa adatta a lui, finché non scelse di partire con un po’ di corsa: salì sul tapis roulant e lo attivò.
Inutile dire che dopo dieci minuti contati era già sul punto di smettere, prendere tutta la sua roba e andarsene: ma chi glielo aveva fatto fare?
Lo stava davvero per fare, quando però qualcuno entrò nella sala.
Fece finta di nulla, neanche si voltò e continuò a correre, lo stesso – dopo un attimo di spiazzamento – il nuovo arrivato, che si dette ai pesi: probabilmente era il tizio del borsone e dell’asciugamano.
Altri due minuti e Stiles pensò di morire, spense tutto il più velocemente possibile e decise di provare qualcosa di diverso, possibilmente di meno faticoso, non appena il suo respiro e il suo battito cardiaco si fossero dati una calmata.
Lanciò una veloce occhiata al tizio mentre si avviava verso un coso che suppose fosse per le braccia, ma prima di poterlo raggiungere, si pietrificò sul posto.
Quel tipo lo conosceva già, ne era certo, ma gli sfuggiva il come.
Quello – sentendosi fastidiosamente osservato – ricambiò l’occhiata il più freddamente possibile, ma sgranò incredulo gli occhi quando incrociò quelli dell’altro.

“Tu sei il tipo di stamani!” lo riconobbe improvvisamente Stiles, indicandolo.
“Tu sei l’idiota di stamani!” parlò allo stesso tempo lui, quasi in un ringhio.

Dopotutto gli aveva rovesciato addosso una bottiglia di succo e poi rotto la giacca.

Il giovane Stiliski, piano piano, si concentrò sulle parole dell’altro e l’esaltazione per la coincidenza scemò “Ehi…” borbottò “Questo non è affatto carino”.
Ma l’altro, apparentemente davvero sconvolto/irritato, grugnì “Non è possibile”.
Andava sempre lì a quell’ora per non trovarci nessuno, ma averci trovato proprio lui era ancora peggio!
Stiles non sembrò curarsene, anzi, sorrise alzando un angolo della bocca all’insù e gli fece un cenno con la mano “Sono Stiles” si presentò in imbarazzo, spostando subito dopo la stessa mano dietro la nuca per massaggiarsi e nascondere il gesto stupido.
L’altro, sdraiato sul piano inclinato e con le mani strette alla sbarra, alzò di botto le sopracciglia, fissandolo interdetto, prima di tornare a fare ciò che stava facendo, ignorandolo.

Bene – si disse Stiles – passare ogni serata così, sarà un piacere.



Stiles Stilinski non si era mai sentito più a disagio in vita sua, voleva dire mille cose ma ogni volta iniziava, notava il silenzio dell’altro e allora si zittiva, cercando qualcosa di meglio da dire per convincerlo a considerarlo.
Non sapeva nemmeno perché ci stesse provando, semplicemente dopo il primo incontro con lui di quella mattina e il secondo di quel momento, gli era partito il solito flusso incessante di pensieri, e non farli scorrere fuori dalla bocca era sempre stata una gran difficoltà per lui.
Poi c’era anche da notare il fatto che una persona normale avrebbe ricambiato con qualche chiacchiera, lui invece non lo guardava nemmeno, faceva finta di non sentirlo e continuava il suo allenamento come se fosse stato da solo: questo stuzzicava ancora di più la parlantina e la curiosità del più giovane, rendendolo maggiormente insistente.
In un modo o nell’altro era passata quasi un’ora e per quasi tutto il tempo – dopo i primi dieci minuti di tapis roulant e qualche tentativo con i pesi – Stiles se ne era rimasto seduto sulla cyclette a fissarlo.
   “Non sei un tipo di molte parole” borbottò come se lo stesse spiegando più a se stesso, ma l’altro in risposta grugnì infastidito, iniziando a faticare con il peso che stava tirando su. Fu uno dei pochi segni di vita che gli rivolse.
Stiles si concentrò sul suo volto, per studiarlo un po’: gli occhi verdi erano ridotti a due fessure, i denti stretti per lo sforzo e il volto imperlato di sudore.
Seguì pensieroso con lo sguardo una gocciolina che gli percorse il viso dalla fronte fino al collo, i cui muscoli erano decisamente contratti.
Chissà quanto gli ci era voluto per farsi quel fisico, si chiese guardandolo oltre la maglietta bianca completamente aderita al petto da quanto aveva sudato.
Stiles sapeva che non sarebbe mai arrivato a quel livello, a parte perché per il fisico che aveva, ci sarebbe voluto davvero molto tempo, e sotto sotto gli andava bene così.
   “Sai, due parole non ti uccider –-” parlò ancora, dondolando le gambe nel vuoto, ma stavolta l’altro lo interruppe “Giuro” fece in un ringhio sforzato “Che ti strappo la gola con i denti” e allora Stiles si zittì di nuovo, sentendo decisamente la gola secca.
“…Come non detto” aggiunse solo, prima di immergersi nel silenzio e limitarsi alla marea di pensieri mentre continuava a fissarlo. Che tipo… bizzarro? Decisamente.

Dopo un’altra ventina di minuti, Stiles si disse che era stato ignorato abbastanza e che era ora di andare: la sua prima giornata in palestra, era stata per metà un fallimento.
Ci avrebbe riprovato il giorno dopo.

Si cambiò, salutando l’altro con un “Allora alla prossima” che venne naturalmente snobbato, ripercorse tutto il campo, salutò con un cenno il gigante all’entrata e si avvicinò alla sua cara macchina.
Altri venti minuti li perse nel cercare le chiavi: non c’erano.
Mise il borsone sul cofano e lo spalancò, iniziando a frugarci dentro, tirò fuori ogni singola cosa in attesa di trovarle, ma la situazione si fece piuttosto complicata.
Smattò, buttando tutto all’aria, tanto che neanche si accorse del tipo di prima, che nel frattempo si era fatto una doccia, si era cambiato e ora stava salendo sulla macchina di fianco alla sua, una bella Camaro.
Quello gli lanciò di sfuggita un’occhiata perplessa, prima di mettere in moto.
Quando Stiles le trovò nella sua tasca dei jeans, alzò i pugni in aria in segno di gloriosa vittoria e si affrettò a rimettere tutto apposto, solo allora si rese conto del rumore che la macchina accanto stava facendo: probabilmente la batteria era a zero.
Chiunque ci fosse dentro, sbatté i pugni sul volante imprecando e il giovane Stilinski si fece avanti fino al finestrino. 
   “Hai bisogno di una…” si bloccò nell’incrociare lo sguardo infuriato dello sconosciuto “…mano?” terminò titubante, mentre l’altro nel vederlo prendeva un profondo respiro.
Gli ci mancava solo quella.
Lo vide passarsi una mano sul volto per calmarsi “No” rispose solo, tentando di nuovo di far partire la macchina inutilmente.
Stiles cercò di pensare a qualcosa, sentendo meglio il rumore doveva esserci un problema di benzina, non di batteria, perciò prima ancora di potersi fermare “Andiamo, ti concedo un passaggio” disse, sorridendogli sornione.
L’altro alzò stupito le sopracciglia, non per la sua gentilezza, ma per l’assurdità.
Eppure Stiles non sembrò cedere, perché lasciò una pacca sul tetto della macchina e si avviò verso la sua, in attesa.
Dopo cinque minuti di vuoto totale, il ragazzo si convinse amaramente di non avere altra scelta, perciò spense tutto, prese le chiavi, il borsone e andò verso l’altro con aria rassegnata e scocciata.
   “Biscotti?” gli propose il ragazzino quando lui si sedette al suo fianco, allungandogli con un sorriso una borsa-frigo aperta in cui intravide una marea di dolciumi, probabilmente fatti in casa.
Lo fissò privo di espressione per un attimo, poi poggiò il braccio sul finestrino e si limitò a guardare fuori, dicendogli la strada di casa sua e nient’altro.
   “Sai, sei davvero scorbutico” borbottò, uscendo dalla strada della palestra, e l’altro non sembrò toccato dall’affermazione, probabilmente c’era abituato, poi però Stiles continuò e “Nessuno rifiuta i miei biscotti” fece sembrando davvero deluso, tanto che a lui venne da inarcare un sopracciglio ancora più perplesso.
Quello alla guida si voltò un secondo verso di lui sentendo il suo sguardo scettico addosso e “Sono buoni” spiegò, lasciandogli un gran sorriso.
Un secondo dopo, con uno sbuffo quello immerse una mano nella borsa e ne prese uno come se fosse stato praticamente obbligato.
Lo addentò distrattamente, guardando la strada di fronte a sé e dovette trattenersi dal fare un’espressione stupita: era davvero squisito.
   “Allora?” Stiles sembrò impaziente di ricevere il suo parere, ma quello si limitò a sgranocchiarlo e “Normale” rispose asettico, buttandolo giù tutto.
Quando però ne prese un altro, il cuoco provetto sghignazzò soddisfatto.
 
   “Allora…” tentò di nuovo, dopo qualche attimo di silenzio “Ora posso sapere come ti chiami?” gli chiese, lanciandogli un’altra veloce occhiata di sfuggita, senza essere ricambiato.

Il silenzio che seguì gli fece pensare di aver fallito ancora, poi però quello prese un profondo respiro e “Derek.” disse solo, facendolo sorridere ancora.
E Derek si disse di averlo detto solo perché tanto sennò l’altro non si sarebbe più zittito e lo avrebbe tormentato tutto il viaggio, cosa che non avrebbe potuto sopportare.
Quando di sottecchi lo vide sorridere di nuovo, si chiese come fosse possibile visto come lo stava trattando, era davvero un tipo impossibile e strano.

   “Quindi, Derek” parlò ancora, sottolineando con una certa soddisfazione e enfasi il nome “Come mai vai così tardi in palestra?” chiese – oltre ogni aspettativa – fra tutti gli argomenti che avrebbe potuto tirare fuori.
Il diretto interessato si chiese se tornare a ignorarlo, farlo fermare e proseguire a piedi oppure se minacciarlo di nuovo, ma alla fine “Di solito non c’è nessuno” rispose, sottolineando con evidenza e scocciatura il ‘di solito’.
   “Ah…Uhm…” borbottò Stiles, cogliendo la frecciatina “Io invece perché un mio amico mi ha chiesto il cambio a lavoro, quindi al posto della mattina ci sono il pomeriggio al bar e allora ho solo la sera disponibile… Ah, no, avrei anche la mattina a questo punto, ma sarei troppo stanco e quindi non sarebbe possibile…” spiegò a raffica, rischiando di fargli venire il mal di testa, per poi bloccarsi, maledirsi mentalmente e tornare a concentrarsi sulla guida.

Derek scosse leggermente la testa, alzando gli occhi al cielo mentre prendeva un altro biscotto senza neanche accorgersene.

   “Sai…” provò ancora, ma prima che potesse completare, Derek si voltò verso di lui allibito, con le sopracciglia alzate e Stiles, incrociando quello sguardo, si decise ad ammutolirsi.

Quando arrivò nel posto che gli aveva indicato, Derek gli fece cenno di fermarsi di fronte a un grosso palazzo e poi scese, limitandosi a un cenno del capo in segno di saluto.
Stiles rimase con la bocca schiusa e uno sguardo perso: nemmeno un ringraziamento? Ma che ragazzo gentile ed educato! Prima che si potesse allontanare, però, si affrettò ad allungarsi sul sedile del passeggerò e “Derek!” lo richiamò, facendolo voltare con fare arrendevole.
Quando il diretto interessato lo vide sventolare qualcosa, lo fissò esasperato.

   “I biscotti!” e così dicendo, sventolò maggiormente la busta, cercando di allungarsi ancora di più.
L’altro lo ignorò, sbuffò e gli dette le spalle, incamminandosi di nuovo verso casa sua, ma “DEREK!” lo richiamò ancora più forte lui, facendolo bloccare di nuovo.
Quasi ringhiò, chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritarsi un tormento del genere quel giorno, prima di tornare indietro, strappargli i biscotti di mano e andarsi finalmente a rinchiudere nel suo appartamento.

Stiles sorrise divertito per tutto il tempo e rimase lì anche quando il portone del palazzo si chiuse dietro le spalle del ragazzo, poi mise in moto e tornò a casa sua.


   “Hey” quando Scott lo salutò, sdraiato sul divano del salotto, sinceramente ne rimase sorpreso: non si sarebbe aspettato di trovarlo ancora sveglio, ma visto il suo tono assonnato e le occhiaie evidenti, gli sarebbe bastato arrivare cinque minuti dopo per trovarlo ronfante.

Sua madre e il padre di Stiles erano stati abbastanza titubanti quando i due avevano detto loro di voler andare via di casa, iniziando una vita da coinquilini, ma lui e Scott erano stati così entusiasti e già organizzati, che poi i due adulti non avevano potuto far altro che lasciargli provare quella esperienza nuova.
La convivenza andava avanti non proprio come si erano aspettati, ma in fin dei conti era tutto apposto: i ruoli del fratello maggiore e quello minore si scambiavano fra i due nelle varie situazioni, per esempio quando Stiles lo rimproverava mentre si occupava da solo delle faccende, quando gli preparava sempre lui i pasti visto che l’altro era praticamente un disastro in cucina, o quando lo vedeva pomiciare con Allison invece di studiare… No, in effetti il fratello maggiore era sempre Stiles, per quanto nessuno l’avrebbe mai detto senza conoscerli.

   “Oi” ricambiò lui con un cenno, posando stancamente il borsone e strascicandosi distrutto verso la sua camera, per poi appoggiarsi allo stipite della porta con la fronte.
   “Come è andata?” sbiascicò Scott, spegnendo la tv e alzandosi per imitare l’altro, che scrollò le spalle e rispose con un faticato “Una favola”.
Prima di uscire di casa gli aveva lasciato un biglietto – tenuto fermo da un muffin (gli altri li aveva nascosti) – in cui gli aveva spiegato tutta la situazione, facendogli pure uno schema di quello che sarebbe stato il suo programma d’ora in poi.
Era certo che Scott gli avesse solo dato un’occhiata, per poi accartocciarlo e buttarlo da una parte, limitandosi a mangiare il muffin.
   “Bene…” sbiascicò ancora il suo coinquilino.
   “Bene…” lo imitò Stiles, troppo stanco.
Poi con una scrollata di spalle, i due si dileguarono silenziosi nelle proprie stanze.
Fra tutte le cose successe, Stiles si dimenticò perfino di cenare. 


 
 

Ehilà ~ 
Eccomi con il secondo capitolo, che veramente comprende anche quello che doveva essere il terzo

Volevo pubblicarne direttamente uno più lungo, quindi li ho uniti... Ora sono alle prese con il quarto, che in realtà a questo punto sarebbe il terzo.
L'ho quasi finito di scrivere, più o meno è lungo quanto questo...
Prima di tutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno già messo questa fanfic fra le seguite/preferite ^^ 
Poi... Ecco qui finalmente Derek e Stiles in uno scontro diretto! Beh è ancora solo l'inizio, ma per il mio animo da fangirl è bastata anche solo l'immagine di Derek impegnato con i pesi, mentre Stiles lo guarda. *Si nasconde in un angolo* 
Dico solo che nel prossimo capitolo ci saranno un po' anche altri personaggi ^^ Come anche in quello dopo.
In questo ho messo anche Malia, che spero di aver reso bene (?) Non mi sta molto simpatica, ma vabbé! 
....Avevo così tante cose da dire, eppure ora non mi viene in mente niente.
Vabbuò, spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ Le recensioni alimentano la mia ispirazione!


Lawlietismine.
 


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




 


Best gift of fate - Sterek



Capitolo 3

 


   “Non ho capito bene” Stiles sbuffò esasperato nel sentire le parole del suo migliore amico, alzò gli occhi al cielo e per poco non si mise le mani fra i capelli. Già era agitato di suo per le varie ragioni che stava tentando di spiegargli, se poi ci si fosse messo anche lui allora non avrebbe saputo più come uscirne.
Prese un profondo respiro e riordinò il discorso mentalmente, per un secondo si chiese se fosse lui a non sapere come farsi capire o se fosse l’altro a essere duro, ma la risposta gli arrivò subito piuttosto ovvia: era decisamente Scott, probabilmente il criceto che solitamente correva sulla ruota che alimentava il suo neurone solitario, era stanco.
Proprio Scott parve essere più esasperato dell’altro, perché fece un verso strano, smanacciando nel vuoto “Non fare il drammatico!” sbottò visto che qualcosa dal discorso appena sentito, aveva colto.
   “Non ho capito…” tentò ancora, fulminando con lo sguardo Stiles che si era agitato maggiormente nel sentirglielo ripetere “…Il collegamento fra la tua sfortuna e il tipo della palestra, cosa ti importa?” concluse finalmente, rendendolo partecipe del suo dubbio “Ignoralo, vai nell’altra palestra, no?”  Scott lo stava fissando – entrambi a gambe incrociate sul suo letto – come se fosse la cosa più ovvia del mondo, quasi stupito che l’altro non ci fosse arrivato da solo.
Ma se si aspettava un ringraziamento per la generosa risoluzione del problema, ottenne solo uno sguardo accigliato “No” rispose in un borbottio, tanto da confondere Scott che “No?” ripeté sotto forma di domanda, senza riuscire a capire.
Stiles sbuffò ancora, sistemandosi meglio sul materasso comodo “Pensaci!” lo rimproverò quasi “Prima l’ho incontrato per caso per strada quando gli ho rovesciato il succo addosso e gli ho sciupato la giacca, poi me lo sono ritrovato in palestra! E guarda caso poi la sua macchina ha avuto problemi proprio quando c’ero io nei paraggi!” doveva esserci qualcosa di criptato in quelle parole, perché ascoltandole così a Scott non dicevano niente se non che… “Porti sfiga, amico. Non dovresti vantartene…” e Stiles dovette trattenersi con tutto se stesso dal prenderlo a pugni.
   “Sei scemo o mangi sassi, Scott?!” sbraitò, prendendosi la testa fra le mani “Intendevo che non può essere un caso, una coincidenza!”
Ma Scott parve ancora più sconcertato e “Ti sei preso una cotta per questo tizio?” domandò incredulo, ricevendo solo un’espressione pietrificata in risposta “Non lo conosci neanche!”.
Gli passò per la testa di alzarsi e semplicemente andarsene, oppure di prenderlo a sberle: cosa diamine andava a pensare? Ora, va bene che era bisessuale, ma quel tipo avrà avuto cinque/sei anni di più, era scontroso e spaventoso, non l’aveva neanche ringraziato (né per i biscotti, né per il passaggio) e anche solo a guardarlo, era tutto l’opposto di Stiles.
Poi aveva quegli occhi agghiaccianti, anche se di una bellissima sfumatura di verde, e quella massa corporea più simile a una catena montuosa che a un essere umano, anche se – percorsa da goccioline di sudore – avrebbe potuto essere catalogata come l’ottava meraviglia del mondo.
Stiles sbarrò gli occhi, scuotendo la testa.
   “Non mi sono preso una cotta” rispose alla fine in modo poco convincente, tanto da farsi beccare perfino dall’altro – e il che era tutto dire “Ma ti interessa…” aggiunse Scott, fissandolo con un sopracciglio inarcato e lui si trovò a tacere di nuovo.
   “Vado a farmi una doccia.” Borbottò all’improvviso, svignandosela come un fulmine mentre l’amico sghignazzava.


Non è che la chiacchierata avuta con Scott quella mattina prima di andare all’università l’avesse turbato particolarmente, ma a ogni modo non gli aveva dato pace.
Quasi si era detto di non andare più in palestra, così avrebbe fatto cessare ogni possibile dubbio, ma aveva piagnucolato subito dopo fra sé e sé, dicendosi che però voleva – per qualche ignota ragione – tornarci davvero.
Non avrebbe propriamente spiegato la cosa dicendo che gli piaceva Derek, bensì che lo trovava un soggetto interessante: Stiles non era abituato a quel genere di persona, i suoi amici gli rispondevano male in modo scherzoso e sopportavano il suo carattere e la sua parlantina, poche volte li faceva sbottare sul serio, ma durava poco di fronte al suo faccino.
Perfino Jackson alla fine cedeva.
In ogni caso, quando la sera arrivò, si disse che era successo troppo velocemente.
Non era psicologicamente preparato.
Strinse un po’ le mani sul volante, continuando a fissare il cancello dell’ingresso in attesa di un piano, un programma su come affrontare lo sconosciuto scorbutico-ma-bello che lo avrebbe sicuramente ignorato ancora.
Se fosse stato lui a ignorarlo, magari Derek si sarebbe spinto a considerarlo? Per un attimo gli sembrò possibile, poi decise di non prendersi in giro e che ignorare la realtà dei fatti non sarebbe stata la scelta migliore.
Si mordicchiò distrattamente l’interno della guancia, con sguardo perso, finché non si decise a buttarsi: avrebbe deciso cosa fare sul momento.

Quando si fu cambiato nello spogliatoio, entrò nella palestra, trovandosi effettivamente il ragazzo davanti, steso sulla panca, occupato a fare i pesi.
Rimase un attimo a guardarlo: possibile che non gli interessasse nemmeno che fosse entrato qualcuno? E se fosse stato un serial killer? Almeno un’occhiata!
   “Ciao Derek” lo salutò, mettendo da parte tutto il resto e andando verso il tapis roulant, l’altro però non gli rispose se non con quello che parve un grugnito alla ‘stai zitto o vattene, ma non mi rivolgere la parola’.
Stiles ci rimase di sasso, possibile che esistesse qualcuno così asociale e maleducato?
   “Ti sono piaciuti i biscotti? Ne ho portati altri, sono in una piccola borsa frigo di là nello spogliatoio” lo avvertì, senza riuscire a trattenersi, facendo finta di niente mentre sistemava le impostazioni del macchinario, per poi iniziare a correre.
Quando sentì che la sbarra veniva posata, si voltò verso il ragazzo, solo per trovarlo mentre lo fissava con le sopracciglia alzate, come a dirgli ‘sul serio? Stai davvero parlando ancora? Pensi davvero che mi interessi?’ e non poté far altro che borbottare un “Già…” prima di distogliere lo sguardo imbarazzato e concentrarsi sulla velocità in aumento di quel coso.

Dieci minuti dopo stava già agonizzando in cerca di aria, ma per qualche ostrogota ragione non voleva smettere dopo così poco tempo (anche se all’inizio aveva pensato fossero passate ore, visto il silenzio, la noia e la fatica).
Aveva fatto di tutto per non voltarsi a guardarlo e ora che stava correndo come un forsennato a una velocità che mai aveva raggiunto prima, si sentiva soddisfatto per il suo autocontrollo: pura dimostrazione che non provava altro che umano e caratteriale interesse per quel Derek, assolutamente niente di più, perché sennò a quel punto si sarebbe già perso nel fissarlo visto che probabilmente lo avrebbe trovato in una condizione da gola prosciugata.
Tanto per dimostrare che la visione non lo avrebbe minimamente toccato, si concesse di dare una sbirciatina di sottecchi, ma quando lo vide steso in un bagno di sudore, con la maglietta completamente aderita al corpo, i muscoli delle braccia contratti e un’espressione in volto che nel complesso rendeva il tutto totalmente da scena vietata ai minori, si voltò di scatto.
Si bloccò, pietrificato, peccato che fosse su un tapis roulant acceso e a una velocità elevata, infatti un secondo dopo volò all’indietro e sbatté a terra in un doloroso tonfo.
Il trambusto attirò perfino l’attenzione dell’altro, che – avendo notato il suo tentativo fallito di imitare Peter Pan con la coda dell’occhio – si tirò su a sedere per fissarlo sconcertato e perplesso.
Stiles si rotolò a terra, maledicendo tutti quelli che gli venivano in mente in quel momento, e si chiese se sarebbe stato mai più capace di stare seduto visto il dolore che sentiva al suo fondoschiena, ma tutto parve gelarsi quando – aprendo un occhio per controllare la situazione – si trovò davanti Derek-lo-sconosciuto-scorbutico-bello-maleducato-vietato-ai-minori-con-rischio-di-perdita-della-sanità-mentale e soprattutto causa del suo male, era in piedi di fronte a lui e lo fissava come se si trovasse davanti a qualcosa di davvero stupido.
Almeno non lo aveva completamente ignorato.
Inarcò un sopracciglio “La palestra non fa per te” disse, mentre Stiles intanto cercava di rialzarsi senza passare maggiormente per idiota.
   “Allora sai parlare” sbottò in risposta, prima di scivolare sui suoi stessi piedi mentre ancora era sulle ginocchia e ricadere così in terra, quando alzò lo sguardo e incontrò quello di Derek, si pentì di aver fiatato, lo stava praticamente squartando con gli occhi ed era sicuro che gli sarebbe saltato con le braccia al collo, sicuramente non nel modo in cui sarebbe piaciuto a lui.
…Non che a lui sarebbe piaciuto, eh! Si sgridò mentalmente per la sua stupidità.
Quando finalmente riuscì a rimettersi in piedi, Derek lo squadrò un attimo – Stiles si illuse che fosse per controllare se era tutto intero – e poi tornò al suo posto senza aggiungere altro.
   “Che progressi…” borbottò lui, continuando a massaggiarsi un gomito.
Avrebbe giurato di averlo sentito ringhiare per quella sua affermazione, ma decise di far finta di niente e “Allora… Tu non hai fame?” cambiò discorso, sedendosi sulla cyclette pronto per un nuovo lungo monologo.

  
La settimana era proseguita in modo incredibilmente piacevole per Stiles: la mattina faceva le sue cose, poi andava all’università, dopo cazzeggiava-studiava un po’ e poi andava a lavoro, per finire poi in bellezza con la palestra.
E – strano ma vero – anche quest’ultima faceva parte del ‘piacevole’.
Derek non faceva di certo i salti di gioia quando lo vedeva arrivare, ma il tempo passava con lui che si allenava come sempre e Stiles che lo intratteneva con le sue chiacchiere, nonostante queste non ricevessero alcuna risposta.
Ogni tanto poi l’altro si era degnato di concedergli qualche monosillabo qua e là, ma niente di entusiasmante. La sua caduta con poco stile – a quanto pare – aveva fatto sciogliere un po’ di ghiaccio, per quanto ancora loro due fossero nel bel mezzo dell’Antartide.
Due giorni dopo il suo primo esperimento in palestra, Isaac – quando si erano incontrati dopo scuola tutti insieme – gli aveva chiesto un resoconto e Stiles aveva dovuto inventarsi qualcosa, visto che raccontare tutta la vera storia non sarebbe stato l’ideale, nonostante invece l’avesse fatto con Scott.
Ma Scott McCall era sempre stato un caso a parte, lo sapevano tutti.

   “Lydia!” il ringhio di Jackson fece rabbrividire il giovane Stilinski al posto della diretta interessata, che invece si limitò a inarcare un sopracciglio, stringere le braccia al petto e guardarlo di rimando a testa alta.
   “Dimmi” ribatté, facendo finta di niente “C’è qualche problema?”
Jackson la fissò completamente rosso dalla rabbia, mentre stringeva i pugni per trattenersi dallo sfogarsi contro la prima cosa fosse capitata fra le sue mani (probabilmente la testa di Stiles), quella ragazza riusciva a mandarlo sempre in completa esasperazione.
Dopo due minuti di silenzio angosciante, Lydia – stile madre di bambini troppo scalmanati – annuì “Bene” si congratulò per la scelta del suo ragazzo di tacere, tanto che l’espressione di lui si contorse in pura furia omicida trattenuta.
   “Allora, stavamo dicendo?” tornò lei a rivolgersi alla sua migliore amica, come se non fosse successo niente.
Allison dovette farsi tanta forza per non ridere, Jackson non gliel’avrebbe perdonata.
Camuffò la risata con un colpo o due di tosse e poi tornò alla conversazione “Weekend” ripeté “Cinema e cose così, oppure campeggio?”
Stiles balzò sul posto, iniziando a sventolare freneticamente una mano e “CAMPEGGIO! CAMPEGGIO!” rispose per tutti con entusiasmo.
E la cosa era dunque tristemente già decisa, perché quando Stiles Stilinski risultava così entusiasta per qualcosa, era impossibile dirgli di no.
Scott, Danny e gli altri annuirono, Jackson invece si limitò a borbottare fra sé e sé, ancora troppo offeso per come la sua ragazza aveva malamente snobbato tutte le sue proposte.
   “Benissimo” fece il ragazzino soddisfatto “Torno al mio posto, la mia pausa è finita” e così dicendo, riprese il suo straccio, si sistemò il grembiule e tornò dietro al bancone del bar: si erano ritrovati tutti lì per organizzarsi, mancava solo Isaac, che aveva detto loro che li avrebbe raggiunti più tardi.
Mentre si metteva a preparare alcune cose, Stiles vide Danny, Jackson e Scott salutarlo con un cenno per poi andarsene con i loro borsoni per gli allenamenti. Cinque minuti dopo, Allison gli fu davanti con tutti i piattini sul vassoio e dieci dollari su di esso “Andiamo anche noi” lo avvertì con un sorriso “Ci vediamo domani”, e così dicendo anche loro uscirono da lì.
Gli faceva molto piacere quando i suoi amici lo raggiungevano sul posto di lavoro, perché altrimenti far passare il tempo diventava un’impresa ardua per lui, quattro risate in compagnia non facevano mai male e poi gli bastava anche solo la loro presenza a un tavolo poco di stante per farlo sentire più sollevato.
A parte quando Scott si portava dietro la cara Allison e passavano il tempo a scambiarsi effusioni amorose, mentre lui faceva finta di essere troppo occupato per notarli.
E pensare che a lui piaceva anche quella ragazza, era simpatica e perfetta per Scott, ma a volte avrebbe voluto uccidere il suo migliore amico perché non riusciva a non nominarla almeno una volta in cinque minuti, che fosse nel mezzo di una conversazione o meno.
Era davvero preoccupante quando – nel silenzio da partita ai videogiochi – Stiles sentiva quel nome uscire dalle labbra dell’altro in un sospiro.
E va bene che il vocabolario di Scott non era mai stato granché pieno, anzi, con tutto il bene del mondo eh, ma ultimamente si stava chiedendo se ‘ALLISON’ non fosse per caso l’unica cosa scritta al suo interno, magari a caratteri cubitali.
Sapeva di riuscire a sopportarlo solo perché era il suo migliore amico da una vita, per fortuna era certo che il bene fraterno fosse reciproco, non aveva mai avuto dubbi su Scott.
Era grato di averlo al suo fianco.

Quando sentì il tintinnio alla porta d’entrata, alzò gli occhi continuando ad asciugare con uno straccio l’interno del bicchiere di vetro appena lavato.
Isaac alzò una mano in saluto e gli sorrise smagliante, mentre gli andava in contro “Oi!” meglio tardi che mai, si disse Stiles visto che ormai gli altri erano già andati via da un po’.
   “’Giorno, abbiamo optato per il campeggio” ricambiò, aggiornandolo con la decisione presa più che altro da lui stesso.
Il ragazzo si illuminò e “Fantastico” commentò, poggiandosi al bancone mentre si sedeva sullo sgabello che c’era davanti.
Stiles gli preparò velocemente il caffè da portare via, ma Isaac non si mosse dal suo posto e iniziò a sorseggiarlo, guardandosi intorno come se fosse in attesa di qualcosa.
L’altro lasciò perdere e si concentrò sull’ordinazione di una donna di mezza età, la quale – dopo aver ricevuto la sua fetta di crostata – lasciò una bella mancia e con un sorrisetto inadeguato se ne andò.
Il giovane Stilinski poteva far finta di nulla, ma poteva anche sentire l’amico sghignazzare e deriderlo sotto i baffi: però almeno qualcuno apprezzava il suo fascino…  
   “Allora, io vengo in macchina con te e Scott” lo avvisò, allungandosi per prendere una nocciolina, di quelle che stavano lì per gli aperitivi, Stiles in risposta scrollò le spalle.
   “Tanto Lydia andrà con Jackson, lo stesso Danny, e Allison verrà con noi per non allontanarsi neanche un attimo da quell’altro” fece due conti, pensando ai posti in macchina.
Probabilmente Danny si sarebbe portato dietro Ethan, il suo ragazzo, che si sarebbe trascinato dietro Aiden, suo fratello gemello. Era normale tanto, nessuno si sarebbe sorpreso.
   “Tu porti qualcuno?” si informò, dandogli le spalle per sistemare alcune cose lavate nei cassetti, ma fu qualcun altro a parlare dietro di lui con un “Dove?”.  Stiles fece giusto in tempo a girarsi, prima di rimanere pietrificato sul posto.
   “Campeggio, questo weekend” rispose Isaac ai nuovi arrivati “Venite, giusto?”
Davanti a lui c’erano tre persone: Boyd – o qualcosa del genere, che era il cognome, il nome non pensava nemmeno che ce lo potesse avere – un tipo enorme e di colore, e Erica, una ragazza bionda e sicura di sé, questi due li conosceva di vista, avevano frequentato lo stesso liceo suo e degli altri, ma non si erano mai parlati.
La terza invece – e Stiles si chiese se avesse le allucinazioni o se fosse uno scherzo – era Derek.
Quel Derek.
In carne e ossa.
E non lo stava neanche guardando/considerando, quindi doveva essere davvero lui.
Gli occhi erano sicuramente i suoi.
…Anche i muscoli. Stiles scosse la testa a mo’ di auto-rimprovero.
   “Certo!” rispose Erica con ovvietà e un gran sorriso soddisfatto, poggiandosi anche lei al bancone e fissando il barista.
   “Ragazzi, lui è Stiles” presentò poi Lahey, indicandolo con un cenno del capo mentre sorseggiava il suo caffè “Loro sono Erica, Boyd e Derek”
Stiles annuì, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal ragazzo della palestra, con la gola prosciugata e la bocca schiusa per la sorpresa.
Quello non poteva assolutamente essere un caso, Scott avrebbe dovuto concederglielo!
   “Ma ci siamo già visti prima” aggiunse la bionda, riferendosi alla scuola, e Stiles si costrinse a guardarla, annuendo con l’accenno di un sorriso.
Poi da parte sua calò il silenzio, mentre l’amico e i due più loquaci – naturalmente Erica e Boyd – iniziavano a parlare del campeggio.
Servì due o tre clienti, prima di prendere un pezzo di crostata per sé e mettersi a mangiucchiarlo distrattamente con una forchetta, l’aveva preparata quello stesso pomeriggio all’inizio del suo turno, quando per un’ora era rimasto in cucina, facendo stare al banco Danny, che per quel giorno non aveva avuto l’allenamento di Lacrosse.
Quando si sentì osservato, notò di sottecchi Derek che scrutava il pezzo di dolce, così –
senza dire niente, visto che tanto l’avrebbe negato – si allungò per prenderne un altro e metterlo lì davanti, come se lo stesse porgendo a tutti e quattro, non solo a lui.
Isaac lo attaccò subito, seguito da Boyd.
Stiles sbuffò leggermente nel vedere l’altro distogliere lo sguardo, forse dopo essersi reso conto che lui se ne era accorto.
Rispettosamente in silenzio, come al solito.
   “Quindi…” gli venne da chiedere “Come vi conoscete?”
Non lo aveva mai visto interagire con quei due, tanto meno gli aveva mai sentito nominare Derek – se lo sarebbe ricordato, forse.
   “Isaac ha conosciuto Boyd in palestra, che poi lo ha presentato a me e alla fine si è unito anche Derek, che va in palestra con loro due, per questo io e Boyd lo conoscevamo già” rispose Erica, decidendosi ad assaggiare la crostata.
Stiles annuì, ormai incapace di fare altro.
   “Poi una volta li ho presentati a Jackson e Scott, Danny conosce già Boyd” si intromise Isaac “Perciò non sarà un problema per il campeggio”
Stiles avrebbe voluto dire che no, certo che non era un problema, se questo comportava la presenza dell’altro, ma per una volta riuscì ad attivare il filtro che stava fra i suoi pensieri e la sua bocca.
Era naturale che Scott non avesse ricollegato il Derek di Isaac a quel Derek, ripensandoci,  nonostante il dettaglio della palestra, non ne era assolutamente sorpreso, ma chissà come avrebbe reagito quando – il giorno seguente – Stiles glielo avrebbe indicato come lo sconosciuto interessante.
   “Probabilmente ci servirà una macchina in più” borbottò Isaac “L’amica di Scott potrebbe usare la sua…” rispose il figlio dello sceriffo, con un’alzata di spalle.
Lahey parve poco convinto “Allora Scott dovrebbe andare con lei e Allison lo seguirebbe”.
Giusta osservazione.
   “Malia vorrà venire con te” continuò l’altro, facendolo sbuffare e a quel punto fu Erica a intervenire “Problemi di cuore?” sghignazzò di fronte all’espressione del ragazzo dietro al bancone, che alzò gli occhi al cielo borbottando un ‘più o meno’.
Isaac coprì la risata con un colpo di tosse, era la sua specialità. 
   “Se noi veniamo con te, Malia sarà costretta ad andare con Kira, Scott e Allison” fece però, come se volesse aiutare l’amico a togliersela di torno per il viaggio. Lui lo guardò riconoscente, non è che ce l’avesse con la ragazza, ma davvero a volte preferiva non avercela troppo intorno, tanto era insistente.
Quando calò il silenzio, Stiles si sentì stranamente a disagio.
   “Amico, che ti prende?” Isaac parve rendersene conto “La palestra ti fa stancare così tanto da non avere più la sindrome della parlantina infinita?” Magari lui non l’avrebbe messa proprio così, la delicatezza dell’altro era qualcosa di davvero osceno. Era un tipo perspicace.
   “Sapete…” parlò ancora, rivolgendosi agli altri “Questo qui non sta un attimo zitto, è una macchinetta inarrestabile. A volte è davvero insopportabile, tanto che vorrei soffocarlo con le mie stesse mani” rise fra sé e sé, mentre il diretto interessato – paonazzo – faceva finta di essere indaffarato “Ma è apposto, è quasi divertente vederlo dare di matto” aggiunse, prendendo un altro pezzo di crostata con la forchetta.
Bravo, ingozzati e resta muto a vita.
Stiles giurò mentalmente di ammazzarlo nel sonno durante il campeggio, ma quando rialzò lo sguardo incrociò quello di Derek e il suo cervello andò in standby. Lo stava fissando con le sopracciglia alzate e un’espressione alla ‘oh ma davvero? Allora qualcuno che la pensa come me c’è, visto? Meglio che non commenti, eh? Questo piccolo quadretto imbarazzante è già abbastanza, mi dispiace quasi per te!’
Il figlio dello sceriffo un giorno si sarebbe dovuto specializzare in decifrazione degli sguardi altrui.
Sembrava davvero divertito quello stronzo: certo, non gli rivolgeva la parola, lo faceva sentire un idiota, ma quando si trattava di deriderlo, era pronto a entrare in scena.
Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere divertito… E tanto meno aveva preso in considerazione l’ipotesi che potesse esserlo a causa sua.
Se non fosse stato per quel dettaglio, avrebbe commentato con un ‘ah, altri progressi’, ma mantenendo un minimo di dignità, rimase in silenzio.
Però quando lo vide voltarsi da un’altra parte, con il dorso della mano a strusciarsi la bocca per nascondere il sorrisetto (sempre derisorio e divertito), senza farsi vedere da loro, Stiles sentì una stretta allo stomaco che gli bloccò il respiro.
Diamine, era proprio assurdo.
Quando sorrideva, i suoi occhi verdi si illuminavano. Aveva dei denti così bianchi… Non pensava che qualcuno potesse averli così. E che sorriso…
Quando notò lo sguardo del ragazzo fisso su di sé, Derek tornò serio e controllato, e la mano la portò fra i capelli per camuffare il tutto.
Ma Stiles l’aveva visto ormai, e si disse di volerlo fare ancora: avrebbe fatto di tutto per rivederlo anche solo un secondo, perché era la cosa più bella che si fosse mai trovato davanti.  


 
 

Ehilà ~ 
Beeene, questo è un po' un problema, perchè adesso non ho più capitoli 'già scritti'. 
Questo l'ho finito tipo ieri (giusto l'ultima parte
[che non mi piace molto]), ma ho aspettato per pubblicarlo. 
Il prossimo vedrò di pubblicarlo martedì e, sperando in qualche miracolo, l'ultimo(?) dovrebbe arrivare entro la fine della settimana. 
Waaaa °-° spero di trovare il tempo per scriverli entrambi, oppure in caso contrario probabilmente l'ultimo andrà alla settimana dopo ancora.
Capitemi, vi prego: mi sono presa tre materie e il 27 ho l'esame
[Matematica, Fisica e Greco] *si deprime* 
Dunque! Ancora grazie a chi ha messo questa fanfic fra le seguite/preferite ^^ e a chi mi ha lasciato un parere! Mi rendete tanto felice ç_ç  
Poi... Allora? Che ne pensate? Stiles e Scott all'inizio... Devo dire che è la mia parte preferita. I miei pucci ç_ç Li amo. 
E poi c'è il volo ad angelo di Stiles... lol 
Vabbuò, non saprei che altro aggiungere. Spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ 


Lawlietismine.
 


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




 


Best gift of fate - Sterek



Capitolo 4

 


Stiles era sempre stato uno di molte parole, anche se queste spesso e volentieri non avevano granché senso, ma era sempre stato un tipo schietto, diretto. La maggior parte delle volte non perché lo volesse davvero, piuttosto perché gli riusciva impossibile porsi un freno e, senza rendersene conto, era troppo tardi: aveva già parlato.
Derek Hale questo aveva dovuto provarlo sulla sua pelle per una settimana, ed era stata la settimana più estenuante della sua vita, eppure si era sentito piacevolmente divertito nel vederlo sorpreso e spiazzato quel pomeriggio, quel tanto da ammutolirsi.
Quando però era arrivato in palestra, ogni piccola gocciolina di quel divertimento era completamente evaporata via.
Stiles aveva fatto il suo ingresso in condizioni pessime, sembrava – e si sentiva – un automa da quando quel pomeriggio aveva pensato quell’assurdità.
Il resto della giornata lo aveva percorso più stile robot, come solita routine automatica: al posto di parlare, aveva solo pensato. E anche tanto, senza arrivare però a una conclusione.
   “Ciao” lo salutò un po’ asettico, andandosi a sedere a peso morto sulla solita cyclette, saltando direttamente gli inutili dieci minuti di corsa e i due o tre di pesi.
Guardava fisso di fronte a sé, visibilmente perso in chissà quali pensieri, e fu così strano che anche Derek si concesse di lanciargli un’occhiata dubbiosa, mentre stringeva le mani sulla sbarra dei pesi. Ma niente, il figlio dello sceriffo non sembrava disposto a dare segni di vita, non sembrò neanche interessargli il non aver ricevuto alcuna risposta.
Meglio così, l’altro aveva decisamente bisogno di tornare al silenzio che aveva caratterizzato le sue serate in palestra prima dell’arrivo di quell’uragano vivente, era bene che le chiacchiere stressanti non entrassero nella sua routine abituale.


Era strano per Stiles, ma non sapeva cosa dire, tanto meno cosa fare.
L’unica volta in cui aveva provato qualcosa del genere, era stato al liceo quando Lydia gli aveva rivolto la parola dopo anni di ammirazione segreta in disparte, ma anche lì non era stata così forte. La stretta allo stomaco che aveva sentito quel pomeriggio, gli aveva quasi fatto venire un capogiro.
Se fosse stato per lui, in quel momento, lo avrebbe preso e baciato.
La cosa gli incuteva terrore: lui? Lui che faceva pensieri del genere? Lui che faceva pensieri del genere su un tipo come Derek?
…Ma che diamine gli prendeva?
Si vergognava perfino a guardarlo, quasi avesse paura che l’altro potesse leggergli in faccia cosa lo stava turbando.
E sapeva che era una cosa stupida, che magari si era sbagliato e che stava esagerando, ma nonostante ciò continuò a fissare un punto impreciso di fronte a sé, senza curarsi della presenza del ragazzo a qualche metro da lui, che sapeva non potesse essere che contento di quel suo silenzio.
Era una sensazione strana per lui, perché si sentiva calmo nonostante il cuore gli stesse praticamente esplodendo nel petto e nonostante la sensazione allo stomaco, prendeva respiri profondi cercando di connettere il cervello e comportarsi in modo normale, eppure non gli riusciva concentrarsi a dovere. Fu quando sentì la sbarra di ferro dell’altro sbattere, che si concesse – sempre con bizzarra tranquillità – di spostare di sottecchi lo sguardo su di lui, che si era fermato.
Sembrava stanco e continuava a respirare in modo accelerato, fin quando non si dette una spinta e si alzò per aggiungere più peso di quanto non ne stesse già tirando su.
Si muoveva come se fosse solo, ma in effetti, vista la loquacità assente di Stiles quella sera, era un po’ come se lo fosse, però il ragazzo più giovane non poté fare a meno di incantarsi pensieroso a fissarlo mentre armeggiava con i suoi attrezzi e si risedeva per riprendere il lavoro interrotto.
Forse gli sarebbe piaciuto poter andare lì accanto, poggiarsi proprio al suo macchinario e poter conversare e scherzare tranquillamente, mentre lui intanto lo ascoltava in silenzio: sarebbe stata proprio una bella scenetta, ma scosse leggermente la testa per rimproverarsi mentalmente di quella stupidaggine. Era impossibile che succedesse, e in un certo senso – una cosa del genere – gli sembrava giusta e sbagliata allo stesso tempo.
Magari gli avrebbe passato l’acqua, oppure avrebbe preso il suo asciugamano per asciugargli il sudore sulla fronte, quelle goccioline fortunate che gli percorrevano i lineamenti fino a perdersi sul collo o nella barba accennata come a volersi prendere gioco di Stiles, mostrandogli ciò che lui non poteva fare. Probabilmente Derek gli avrebbe ‘staccato la gola con i denti’ se si fosse permesso di avvicinarsi a lui, si disse un po’ amaramente.
Non sapeva neanche perché si stesse perdendo in tutte quelle assurdità solo per una stupida sensazione, magari era stata causata dalla sorpresa di vedere l’altro in un contesto diverso e basta, niente di più e niente di meno, stava solamente esagerando.
Quando si decise di ciò, si riscosse tornando alla realtà e solo allora si rese conto di aver fissato troppo Derek, perché quello se ne era accorto e stava ricambiando con un sopracciglio inarcato e un’espressione alla ‘vuoi una foto o cosa?’ che lo fece diventare paonazzo, prima di far finta di niente e tornare a guardare i pedali della cyclette su cui era seduto.
Okay, la situazione iniziava a essere troppo imbarazzante.
   “Dunque conosci Isaac” si decise a parlare, per non sembrare troppo sospetto, ma non si voltò verso di lui, che invece – dopo qualche attimo – si limitò a non rispondere, visto che quella non era una domanda e che come affermazione era piuttosto inutile.
Se ne rese conto anche Stiles, e così cadde di nuovo il silenzio.
Si sentiva come se avesse commesso un reato: lasciarsi pervadere la mente da alcuni pensieri poco casti su un ragazzo che conosceva a malapena, era illegale? Era giusto?
Non riteneva possibile neanche che tutto fosse nato da uno stupido minuscolo sorriso divertito che l’altro aveva anche cercato di nascondere, per quanto inutilmente.
La palestra – poi – era lo scenario principale delle sue piccole fantasie.
Non è che si immaginasse chissà che eh, erano solo piccole cose che però gli facevano mancare il fiato all’idea di poterle realizzare.
Se si fosse potuto avvicinare…
Si sentì avvampare di nuovo e ruotò maggiormente il capo come a non volergli mostrare neanche il profilo per paura di essere beccato, per quanto sapesse che Derek non lo stava neanche considerando un po’.
Ma quello scatto non passò inosservato, l’altro lo notò con la coda dell’occhio e non poté fare a meno di chiedersi che diamine avesse quel ragazzino quella sera per starsene così zitto, pensieroso e distaccato.
Non è che lo conoscesse come fossero migliori amici (e neanche amici), ma quello non gli sembrava affatto lo Stilinski che lo aveva tormentato per tutta la settimana dopo averlo praticamente attaccato su un marciapiede di Beacon Hills.
Doveva essergli successo qualcosa da quando lui e gli altri avevano lasciato il bar, fino a quando era arrivato lì… Magari si era imbattuto in quella Mania? Maka? Malia? Sì, Malia.
Quando si accorse di essersi fermato per pensarci, si rimproverò mentalmente alzando gli occhi al cielo e riprese l’allenamento, dicendosi che tanto non gli importava proprio niente di quello che poteva essergli successo e che non erano fatti suoi.
Stiles si sentì improvvisamente agitato, in ansia, come un bambino accanto alla sua grande cotta, quando si aspetta che succeda qualcosa da un momento all’altro, ma lui è il primo che non ha il coraggio di farla succedere.
Se poi pensava che sarebbe andato anche lui con loro in campeggio, il cuore passava dal dare di matto senza sosta, al perdere un battito.
Scattò in piedi quando il silenzio raggiunse la durata di venti minuti, scalciò un po’ sul posto quasi fosse combattuto e poi – senza dire niente o guardare l’altro – se ne andò via, lasciandolo piuttosto interdetto.


   “Che vuol dire ‘non è un vero e proprio campeggio’?!” quasi si strozzò McCall.
Jackson era piombato da lui e Stiles la mattina stessa della partenza per dirgli di non preparare sacconi e roba del genere, ma una semplice valigia: non sarebbero rimasti a dormire nel bosco dentro le tende.
Scott sembrò piuttosto confuso “Che intendi dire?” chiese, ancora in piedi nella camera.
Il nuovo arrivato sbuffò, ruotando scocciato gli occhi al cielo: ancora non capiva perché la sua ragazza e Allison avessero mollato a lui il compito di rivelare ai due babbei il programma.
   “Andiamo nella casa in montagna di Lydia” spiegò con le braccia strette al petto “Non lo hanno detto a te, perché idiota come sei lo avresti detto a Stiles e lui avrebbe rotto per un giorno intero” aggiunse, dicendo in poche parole quello che era successo.
Quando le ragazze – e per ragazze si intende Lydia Martin – avevano tirato fuori la questione del ‘dormire in terra nel mezzo al nulla’ dicendo che era una cosa problematica per i loro capelli e per la loro igiene, non avevano potuto far altro che optare sempre per la montagna, ma per una casa al posto delle tende.
Non avevano voluto però dirlo a Stiles per non farcelo rimanere male, di conseguenza – come detto da Jackson – non era stato reso partecipe del cambio neanche Scott.
Proprio Stiles se ne stava seduto sul letto con sguardo perso, come se la cosa non lo riguardasse e non gli importasse minimamente, tanto che con una scrollata di spalle poi si limitò ad alzarsi e preparare quella benedetta valigia senza fare tante storie.
Avrebbe messo il muso più tardi, magari proprio di fronte ad Allison e Lydia, le due traditrici codarde, così da farle sentire in colpa.  
   “Ecco, bravo” gli fece il biondo da dietro “McCall, stai zitto e fai lo stesso anche tu” sbottò poi verso l’altro, lanciandogli una veloce occhiata prima di passarsi una mano fra i capelli “Vi aspettiamo in piazza”.
E detto ciò, se la svignò.
Scott imitò l’amico andando nella sua stanza, una volta pronto però si riaffacciò e scrutò sospettoso l’altro: era dalla sera prima che era strano.  
   “Posso sapere cosa ti prende?” borbottò poggiandosi allo stipite della porta.
Stiles afferrò al volo le chiavi della sua jeep, lo affiancò, superandolo poi, e insieme si avviarono verso la sua amata macchina.
Ci pensò un attimo, titubante: dire una cosa a voce alta, significa renderla reale.
Era sicuro di voler concretizzare i suoi pensieri su Derek? Gli sembrava ancora incredibilmente strano averne di pensieri su Derek, visto che lo aveva incontrato solo una settimana prima.
Eppure era fissato come quando lui e Scott si mettevano a impicciarsi nei casi di omicidi di suo padre, forse di più: non gli sarebbe passata, non prima di risolverlo.
   “Ieri Isaac è venuto al bar” fece poi, visibilmente incerto “Con Erica, Boyd… e Derek” aggiunse dopo qualche secondo di indecisione, mentre scendeva rapidamente le scale del palazzo.
Scott lo vide accelerare come un fulmine scalino dopo scalino e per poco non inciampò nei suoi stessi piedi per raggiungerlo.
   “Ah! Li hai conosciuti” rispose solamente, affiancandolo con un sorriso a delinearli le labbra, ed evidentemente non capì la connessione perché “…Quindi?” aggiunse perplesso.
Stiles alzò le sopracciglia in modo eloquente, fissandolo con ovvietà, finché l’espressione di Scott non si fece piuttosto sorpresa.
Parve prendersi qualche secondo per ricollegare i tasselli del puzzle che gli erano sfuggiti in tutta quella settimana e “OH!” esclamò con la bocca schiusa e un tono comprensivo.
Sembrava alquanto sconvolto, probabilmente per il ritardo con cui il suo neurone solitario aveva capito cosa stesse succedendo intorno a lui, ma poi i suoi pensieri si spostarono al ricordo del suo incontro con quel tipo.
   “Ma quello ti potrebbe sbriciolare con una mano!” esalò con un acuto da spavento, realmente preoccupato per il suo migliore amico, che invece lo fulminò con lo sguardo e “Oh, grazie mille per il sostegno, Scott!” lo rimproverò sarcastico, prima di accelerare di nuovo e fiondarsi verso l’auto.

Inutile dire che non gli aveva dato pace neanche un secondo una volta che si erano seduti ed erano partiti, fino alla piazza lo aveva tartassato di domande e di dubbi ai quali neanche Stiles aveva saputo dare una risposta, finché – tragicamente – non erano scesi e non si erano trovati davanti il gruppo… Compreso il diretto interessato.
Scott si era strozzato con la sua stessa saliva, Allison era corsa in suo aiuto chiedendo cosa fosse successo mentre Stiles si era limitato ad alzare esasperato gli occhi al cielo.
A volte sapeva essere un completo idiota, quel ragazzo, e di sicuro non sapeva come passare inosservato quando colto di sorpresa.
Quando poi si era ripreso, si erano finalmente salutati tutti per poi iniziare a scegliere come dividersi con le macchine: come previsto, Malia iniziò a discutere.
Fortunatamente dopo qualche spintone e qualche parola di troppo, si decisero proprio come avevano sospettato Stiles e Isaac il giorno prima.
Jackson, Lydia, Danny, Ethan e Aiden, nella macchina del biondo.
Kira, Scott, Allsion e una infastidita Malia, in quella dell’asiatica.
E alla fine Stiles, Isaac, Boyd, Erica e Derek nella jeep.

Fu il tragitto più imbarazzante che Stiles avesse mai dovuto percorrere in tutta la sua vita, con Isaac di fianco e gli altri tre nei sedili posteriori.
Derek era proprio nel posto dietro al suo, con uno sguardo allo specchietto retrovisore avrebbe potuto benissimo vederlo nella sua serietà rigida e fredda, quel giorno un po’ meno marcata del solito. Possibile che fosse lui a tirare fuori il suo lato peggiore? Perché quando c’era altra gente in giro sembrava più sciolto? Non che fosse super-socievole, ma sempre meno furioso di quando erano soli in palestra.
Aveva incrociato il suo sguardo una sola volta in tutto il viaggio: gli era sembrato sul punto di saltargli con i denti al collo, così era tornato a guidare con il fiato mozzato, stavolta per una ragione ben diversa.
Quando erano giunti a destinazione, si era dileguato dalla macchina con una velocità disumana, come se fosse stata piena di germi o come se respirare la sua stessa aria anche solo un altro secondo, avrebbe potuto fargli venire chissà quale malattia.
Stiles – stizzito da quel comportamento da lupo inacidito - era sceso sbuffando e maledicendolo mentalmente, senza contare che per poco non era scivolato a terra per la troppa foga, visto che la felpa gli si era incastrata nella sedile e che – chiudendo lo sportello con un colpo secco – era rimasto irrimediabilmente bloccato.

   “Che qualcuno me la mandi buona” sospirò già esausto, quando finalmente entrarono nella bella villa di Lydia, che – passandogli accanto proprio in quel momento – gli lasciò una rassicurante carezza sulla schiena senza dire niente, per poi andarsi ad aggrappare al braccio del suo bel ragazzo.
Se fosse stato un animale, avrebbe ringhiato arrabbiato ed esasperato: peccato però che non tutti erano come Derek, quindi non gli riuscì bene.
Posarono tutti la valige nell’immenso ingresso-salotto, in attesa delle direttive e a quel punto il primo a parlare fu Jackson, che dette una chiara dimostrazione di essere stato lì molto spesso, sicuramente più degli altri “La camera matrimoniale all’ultimo piano è nostra, naturalmente” avvertì, stringendo il braccio intorno alle spalle della rossa, che si limitò ad arricciare le labbra.
Poi si intromise Allison “Restano quattro camere fra il piano terra e il primo, due matrimoniali e due singole, una con un divano-letto a una piazza e mezzo” illustrò a coloro che non c’erano mai stati – tipo Malia, Kira, Boyd, Erica, Derek, Ethan e Aiden – ma Scott borbottò subito un “Una matrimoniale è nostra” che fece ruotare al cielo gli occhi di un po’ tutti per quel tono da cucciolo indispettito.
   “Comunque, stavo dicendo…” riprese l’altra “Ci sono anche quattro futon” completò la lista, per poi appoggiarsi in attesa contro uno dei pilastri dietro di lei.
A questo punto fu la proprietaria di casa a intervenire “Io l’avevo pensata così” iniziò un po’ maestrina “Scott e Alls la matrimoniale, lo stesso Danny ed Ethan, aggiungendo un futon per Aiden, Erica, Malia e Kira la singola con il divano-letto” riprese fiato, guardando i diretti interessati, con le braccia incrociate al petto e uno sguardo pensieroso “Stiles e gli altri tre invece nella camera singola con i futon” concluse soddisfatta, ricevendo più o meno il consenso generale, prima che ognuno si dileguasse nella propria stanza.

   “Io mi prendo il letto!” Stiles fulminò con lo sguardo Isaac mentre quello si buttava sul materasso, ma si decise a non ribattere. Poggiò la valigia da una parte insieme al futon, guardò un po’ la spaziosa camera mentre gli altri tre sistemavano le loro cose, e poi si decise a scendere giù.
Dopo tutti quegli anni non era di certo una novità ‘la vacanza da Lydia’, anzi, erano stati anche alla casa al mare, ma con tutta quella gente in più a Stiles sembrava un po’ strano, quasi fosse diffidente di fronte a quell’allargarsi maggiore del gruppo.
C’era passato una volta, non sapeva se voleva farlo di nuovo.
Soprattutto visti i soggetti.
Fece giusto in tempo a sentire Malia borbottare qualcosa su lei che dormiva sul divano-letto con Kira, prima di proseguire fino alle scale, ma ancora prima di poterle raggiungerle, una mano lo afferrò per un polso e l’attimo dopo si ritrovò chiuso in una camera, con Scott a un palmo dal suo volto.
   “Non ci posso credere!” sbottò, fissandolo con gli occhioni spalancati.
Stiles alzò gli occhi al cielo.
   “Cosa ti avevo detto? Non è un caso” ripeté, stavolta certo che l’altro fosse d’accordo, e infatti lo vide annuire freneticamente, mentre lo liberava dalla presa e indietreggiava pensieroso.
   “Questo è il destino” spiegò, un po’ sconvolto, più di quanto non lo fosse in realtà Stiles, ancora un po’ toccato nell’orgoglio dal comportamento di Derek, perciò si limitò ad alzare le spalle, prima di notare Allison seduta sul letto e sobbalzare spaventato.
Lei sembrava d’accordo con Scott, perché stava annuendo di rimando e il figlio dello sceriffo si dovette trattenere dallo strangolare il suo migliore amico “Glielo hai detto!” sbottò indicandola “SCOTT!” lo rimproverò allargando le braccia, prima di prendersi esasperato la testa fra le mani.
Il ragazzo parve sentirsi mezzo colpevole e mezzo no, in fondo era la sua fidata e tanto amata ragazza, non le aveva mai tenuto nascosto niente, ma Stiles era il suo più caro amico…
L’altro questo lo sapeva bene, infatti rinunciò subito e andò a sedersi proprio accanto ad Allison, che in tutto ciò si era limitata a ridacchiare per la scena.
   “Io sono dalla tua parte” lo avvertì lei, posandogli una mano sulla spalla e lui parve un po’ voler sprofondare nel materasso, giù fino a raggiungere gli inferi.
   “Vi siete parlati?” riprese Scott, poggiandosi alla porta quasi a voler fare da guardia.
A volte sembrava un bambino.
L’altro scosse la testa, con un sorrisetto divertito e amareggiato “Ma quando mai, quello mi squarta se apro bocca” rispose, prima di rimettersi in piedi e andare verso l’uscita “Ma non importa, io scendo” li salutò prima di svignarsela, mentre i due fidanzatini si scambiavano uno sguardo di intesa.


Gli era sempre piaciuto quel posto, gli ricordava un po’ le sue scampagnate a Beacon Hills con Scott per indagare sugli affari del suo vecchio, quando si intromettevano e intercettavano le comunicazioni dello sceriffo e arrivavano sui luoghi incriminati ancora prima di lui.
Quante ramanzine si erano beccati, ormai aveva perso il conto.
Le giornate così avevano formato la sua adolescenza e in un certo senso si sentiva davvero in pace, perché si era divertito un mondo e niente avrebbe potuto cancellare quel dato di fatto.
In ogni caso si riscosse da quei pensieri per concentrarsi sul percorso di fronte a lui: dopo due orette in cui avevano un po’ giocherellato fra loro, fra nascondigli dietro gli alberi e agguati improvvisi, Stiles aveva avvertito gli altri che avrebbe fatto un giro per vedere un po’ il posto e che sarebbe tornato per l’ora di pranzo, visto che doveva cucinare lui.
Non aveva visto Derek da quando era uscito dalla camera, probabilmente quello aveva fatto di tutto pur di non incrociarlo, perché – insomma – okay che la casa era grande, ma era impossibile non incrociarsi almeno una volta in una mattina.
Che poi per lui quel tipo restava un mistero, continuava a non capire perché si sentisse così infastidito da quel suo evitarlo, non si conoscevano, non si parlavano, quindi perché scaldarsi tanto?
Forse era proprio questo che non gli andava giù: voleva conoscerlo, voleva parlare con lui…
Un po’ lo aveva fatto, ma sentiva che ovviamente non era abbastanza.
Diamine, Derek Hale non poteva restare tra i casi irrisolti appesi sulla bacheca della sua cameretta nella casa dello sceriffo.
Non lui, non dopo tutti quegli incontri che si ostinava a non considerare casuali.
Scansò un ramo che per poco non gli mozzò la testa, ma un secondo dopo inciampò su una radice sporgente e si dovette aggrappare a tutto il busto dell’albero per non cadere rovinosamente a terra.
La sua agilità era stupefacente…
Quando riprese l’equilibrio, riprese anche a pensare fra sé e sé, proseguendo con il percorso senza meta.
Si sentiva un po’ invidioso, perché tutti sembravano capaci di intrattenere una misera conversazione con l’altro, mentre lui non poteva neanche avvicinarsi che gli veniva rivolto uno sguardo omicida da esperto serial killer.
E va bene che il loro primo incontro non era stato dei migliori, anzi, ma tutti possono sbagliare, no? Come poteva rimediare, se quello non gli dava la possibilità di farlo?
Cosa ancora più snervante era il vuoto nella sua testa quando se lo trovava davanti, la parlantina – a volte utile – che svaniva nel nulla come se non fosse mai esistita e l’incapacità di fare qualcosa.
Stiles Stilinski in condizioni del genere? Ma quando mai!
Continuò a riversare tutte le sue emozioni sui poveri rami e l’indifesa natura che lo circondavano, mentre sbottava contro tutto ciò che si impigliava alla sua felpa rossa quasi a volerlo trattenere.
Quando per l’ennesima volta inciampò, rischiando di trovare il contatto diretto della sua faccia con il terreno, si sentì prendere al volo per la stoffa sulla schiena e per poco non gli prese un infarto.
Peggio, pensò che gli stesse per prendere un attacco di panico quando – voltandosi di scatto verso il suo salvatore [o futuro aggressore(dipende dai punti di vista)] – si trovò davanti proprio il soggetto di tutti i suoi pensieri e di tutti i suoi accidenti, tanto che come reazione naturale lo spinse, spalancando subito dopo ancora di più gli occhi.
Non seppe se per il gesto assurdo, oppure per la possibile reazione dell’altro, ma si ritrovò pietrificato sul posto.
Derek lo guardò esterrefatto, visto che per poco – colto di sorpresa – non ci era finito lui a terra, poi si fece forza per lasciar perdere, ormai aveva capito che scervellarsi per quel ragazzino imbranato non aveva senso.
   “Che ci fai tu qui?!” rimase ancora più perplesso nel sentire quelle parole, tanto che si pentì di averlo aiutato.
   “Questo posto non è tuo, posso starci quanto mi pare” rispose subito sulla difensiva, trattenendo visibilmente un ringhio: gli aveva dato una mano, per una volta cortese anche se gli era venuto naturale e incontrollato, e quello al posto di ringraziarlo o balbettare come aveva fatto nell’ultima settimana nel vederlo, lo rimproverava.
Roba da matti.
Stiles schioccò la lingua al palato, stringendo le braccia al petto “Ritira gli artigli, sourwolf” borbottò, prima di rimanere allibito di fronte alla sua stessa audacia, tanto che diventò paonazzo un secondo dopo, con la bocca schiusa e gli occhi di nuovo spalancati.
Nel sentire quello che aveva detto, l’espressione di Derek si era fatta indecifrabile.
Stiles si chiese se fosse stato meglio mandare – naturalmente senza farsi notare – un messaggio a Scott per renderlo partecipe di chi c’era con lui, oppure se lasciarsi ammazzare così, con il rischio di non essere più ritrovato.
Poi però Derek si passò una mano sul viso e “Cosa ho fatto di male per meritarmi questo qui tra i piedi” sospirò fra sé e sé, quasi in un piagnucolio disperato.
Il diretto interessato non seppe se sentirsi offeso, oppure divertito: preferì far finta di niente e tacere.
   “Senti…” se ne uscì invece, coerente come sempre “Non lo faccio apposta, non è che ho organizzato l’incontro sul marciapiede e tutto il resto” chiarì un po’ indispettito, dicendosi che però non gli dispiaceva affatto.
L’altro borbottò un ‘vorrei anche vedere’ fra i denti, che gli fece alzare gli occhi al cielo prima di riprendere.
   “Ma non capisco perché tu debba essere così… Roarrr!” imitò digrignando i denti e mimando gli artigli.
Derek lo fissò senza dire una parola, come se di fronte avesse avuto un completo idiota con cui non valeva la pena neanche di passare un secondo.
   “…Roar?” ripeté lentamente, inarcando entrambe le sopracciglia e incrociando le braccia al petto, come per dargli la possibilità di rivalutare quello che aveva appena detto.
Stiles scrollò le spalle “Amico, ti mostravo solo come sei quando ci sono io” fu invece la sua risposta, come se non avesse fatto niente di strano.
L’altro – ancora nella solita posizione – inclinò maggiormente la testa in giù, inarcando ancora di più le sopracciglia quasi fino a farle arrivare all’attaccatura dei capelli, tanto per fargli capire che no, non doveva insistere, e che , doveva ritirare tutto, compreso “l’amico”, anzi, soprattutto quello.
E il figlio dello sceriffo si sentì un attimo spaesato, boccheggiò anche e preso da un po’ di ansia, gli mollò perfino una pacca sulla spalla, prima di rendersene conto, ritirare di scatto il braccio e fare una risatina nervosa.
Derek si schioccò minacciosamente le nocche, guardandolo dall’alto in basso e Stiles pregò tutti gli Dei dell’Olimpo affinché avvenisse un dannato miracolo: non voleva morire, era troppo giovane, bello e simpatico per farlo.
   “Mi fai saltare i nervi” gli sbuffò contro il ragazzo, prima di lanciargli l’ultima occhiata omicida, voltarsi e incamminarsi dalla parte opposta rispetto a lui.
Ma si sa, Stiles Stilinski non era mai stato particolarmente normale, soprattutto non nei riguardi di un caso irrisolto, fu così che – dopo un attimo di spiazzamento – gli corse dietro come un fulmine.
   “Me lo dicono spesso” gli rispose affiancandolo, mentre l’altro ringhiava fra i denti, irrigidendo la mascella in un segno di evidente fastidio, che però Stiles ignorò.
Camminarono così, accanto e in silenzio, per un po’, mentre il più giovane pensava a cosa dire e l’altro lo scrutava ogni tanto di sottecchi per capire cosa gli passasse per la testa.
Nessuno era mai stato così insistente con lui, mai, tutti capivano quando era bene lasciargli i suoi spazi, non dargli fastidio, quando non insistere per non rischiare di essere pestato come uno scarafaggio, ma Stiles invece no: eppure gli aveva dato tutti i segnali, a questo punto avrebbe dovuto già essere corso in capo al mondo pur di non intralciare il suo cammino.
Ma niente, era ancora lì a tormentarlo come se quello fosse stato lo scopo della sua vita, e Derek non riusciva a capire il perché, non era abituato e non voleva abituarsi, quel ragazzino era troppo iperattivo e chiacchierone per uno come lui, non lo avrebbe mai voluto neanche come amico un tipo così.
Da come gliene aveva parlato Isaac – però – si doveva stare pure trattenendo, ma non sapeva spiegarsi il motivo.
L’amico glielo aveva descritto come un tipo con la parlantina a mille, sarcastico il doppio, eppure intorno a lui non lo era poi così tanto, anzi, sembrava quasi che gli avesse parlato della persona sbagliata, perché sinceramente non credeva di intimidirlo così tanto da riuscire lui stesso a farlo cambiare.
   “Sai, non te lo dovrei dire…” parlò ancora, non avendone abbastanza “Ma Erica è sempre stata una tipa strana…” e con questo non è che volesse indagare, eh! Non era mica un modo tutto suo per scoprire se i due avevano un qualche tipo di flirt o cose del genere!
La cosa parve toccare particolarmente Derek, che si voltò di scatto verso di lui di nuovo con le sopracciglia alzate in un’espressione stupita e “Lei?!” quasi si strozzò “Lei è quella strana? Che coraggio!” e per l’ennesima volta Stiles si chiese se avrebbe dovuto sentirsi offeso da quell’affermazione.
   “Scusa…” riprese però “Non pensavo ti piacesse…” fece falsamente, facendo affidamento sulla parte furba che risiedeva in lui.
Guardò dritto di fronte a sé per non farsi beccare, mentre l’altro lo scrutava di sottecchi dall’alto quasi come per analizzarlo, come se avesse capito che doveva esserci un trucchetto.
Erica non era certo il suo tipo, anzi, neanche lui avrebbe saputo dire quale fosse il suo tipo, ma era quasi certo che la ragazza non rientrasse nella categoria, poi era sicuro anche che sarebbe finita con Boyd, prima o poi, quindi non si sarebbe mai e poi mai intromesso.
   “Che avevi ieri?” cambiò argomento, stupendosi nel profondo di non averlo direttamente ignorato e cacciato via, cosa che gli sarebbe invece venuta spontanea.
Quando lo vide sobbalzare a quella domanda, poi, rimase ancora più perplesso per tutta l’assurda situazione: Stiles iniziò a guardarsi freneticamente intorno, mentre con una mano si massaggiava la nuca in modo spudoratamente sospetto.
   “Cosa ti fa pensare che avessi qualcosa?” rispose senza guardarlo e solo dopo qualche attimo di silenzio alzò lo sguardo, per imbattersi in quello dell’altro, che aveva un sopracciglio inarcato e sembrava volergli caldamente consigliare di smetterla di prenderlo in giro come se fosse stato uno stupido.
In ogni modo ignorò la domanda iniziale e proseguì la camminata in sacrosanto silenzio, accelerando inconsciamente il passo e costringendo l’altro a fare lo stesso, fin quando non rischiò un’altra volta di finire in terra per colpa di quelle stupide radici.
Ma Derek – che al contrario di lui aveva degli ottimi riflessi – lo afferrò di nuovo al volo, stavolta davvero per un pelo, spalmandolo così però con la schiena contro il tronco dell’albero lì di fianco e reggendosi lui per miracolo a esso con l’altra mano, prima di finirgli rovinosamente addosso.
Diamine, era certo di non aver mai incontrato qualcuno di più sbadato in tutta la sua vita!
Si riprese dallo scatto improvviso, tenendosi meglio e con più forza al legno, per poi alzare lo sguardo infuriato verso quella catastrofe davanti a lui: solo allora si accorse dello stato in cui era il ragazzo.
Stiles lo stava fissando a una spanna dal suo volto con gli occhi sgranati, le labbra schiuse per la sorpresa, il respiro alterato e il corpo pietrificato, le sue guance si erano tinte di uno colorito rossastro e se si fosse concentrato, Derek avrebbe potuto sentire il cuore che gli stava praticamente martellando nel petto, sotto il palmo della sua mano.
Non seppe precisamente perché rimase incantato da quella visione, ma non riuscì a distogliere lo sguardo, tanto meno a scostarsi da lui.
Le sue labbra erano gonfie e schiuse per far passare il respiro, come se fossero appena state baciate con forza, proprio lì, contro quell’albero, e a Derek sembrarono già da sole una cosa talmente invitante ed erotica che se non avesse avuto un minimo di autocontrollo, le avrebbe praticamente morse e divorate.
Probabilmente era per i lineamenti dolci del ragazzo, completamente in contrasto con i suoi così marcati, quel naso all’insù e l’espressione vispa, oppure perché non stava con una ragazza –con qualcuno, da un po’, ma in quel momento si sentì lui stesso come un predatore di fronte alla sua preda più succulenta.
Stiles avrebbe potuto giurare di stare per morire, quando si era accorto di come – per colpa sua – si era ribaltata la sua situazione, il cuore gli era praticamente esploso, proprio come il suo cervello.
Tutta la massa muscolare di Derek Hale era a pochi centimetri –millimetri, da lui, in tutta la sua bellezza e perfezione.
Da quella distanza poteva rispecchiarsi nei suoi occhi verdi, ammirare attraverso le labbra schiuse quei denti bianchi che erano parte di un sorriso mozzafiato nascosto che aveva avuto l’onore di guardare il giorno prima.
Poteva sentire il suo respiro caldo mentre si infrangeva sul suo collo, provocandogli dei brividi piacevoli, e – con le mani che si erano istintivamente aggrappate a lui nella caduta – poteva godersi il contatto con le sue braccia scoperte, che lo avevano praticamente inchiodato in una trappola di salvataggio.
Se fino a un attimo prima aveva avuto il dubbio, se aveva pensato di essersi sbagliato, adesso non poteva che ricredersi: nessun dubbio, nessuno sbaglio, quel ragazzo era una visione paradisiaca per i suoi occhi, era carburante puro per il suo cervello, per le sue fantasie.
Anche se non era mai stato il tipo, con lui Stiles avrebbe praticamente ribaltato la situazione per baciarlo come se non ci fosse stato un domani, fino a sentire i polmoni e la gola urlare disperati in cerca di aria nuova.
Derek si sentì come ipnotizzato, come se quelle labbra lo stessero richiamando, come se quegli occhi puntati in quel modo su di sé lo stessero praticamente intontendo.
Diamine, avrebbe potuto giurare che nessuno lo aveva mai guardato così, e la cosa gli provocava certe fitte di piacere, così sconosciute e inaspettate, che era certo che si sarebbe potuto lasciare trasportare dalla situazione senza nessun problema, stringendo fra le sue mani quel corpo minuto e scheletrico attaccato al suo, che in quel momento non gli sembrava altro che un puro invito a prenderlo lì e subito, come se lo avessero aspettato entrambi dalla prima volta in cui si erano scontrati, come se i loro corpi si fossero automaticamente riconosciuti, voluti e promessi di rincontrarsi.
Forse era la situazione generale a frastornarlo così, forse era il desiderio represso da tempo, forse era proprio colpa di quello sguardo che l’altro gli stava rivolgendo, ma Derek si sentì come se non potesse proprio spostarsi, come se fosse attratto da una calamita, come se d’un tratto Stiles fosse diventato più forte di lui e con quella stratta infuocata sulle sue braccia, lo stesse trattenendo.
Quasi stupidamente si avvicinò di più, avanzando di poco con il volto verso quello dell’altro, che sgranò ancora di più gli occhi scuri e trattenne il fiato, provocando in Derek una fitta atroce e incredibile allo stesso tempo nello stomaco.
Avrebbe volentieri immerso le mani nei suoi capelli arruffati, li avrebbe strinti con forza per fargli avvicinare volente o meno le labbra alle sue, per sentirlo ancora più su di sé.
Stiles, se fosse stato al suo posto, avrebbe fatto lo stesso.  

Quasi come colti lungo la schiena da una scossa a quei pensieri, entrambi nello stesso istante si districarono dalla presa l’uno dell’altro e si allontanarono di qualche passo, fissandosi poi in modo indecifrabile.
Stiles boccheggiò qualcosa di incomprensibile, poi un attimo dopo ognuno se ne andò da una parte diversa rispetto all’altro, senza proferire alcuna parola.


 


 
 

Ehilà ~ 
Beh... Io non mi esprimo! Sarà meglio! 
Questo capitolo è nato senza un programma, solo l'idea del campeggio, ecc... Niente di più, niente di meno: tutto il resto è venuto senza preavviso. 
Soprattutto la fine. 
Non mi trattengo molto perchè sennò cambio idea e non aggiorno più, comunque sappiate che ho tremendamente sforato le mie due ore giornaliere per scrivere questa cosa e per pubblicarla (fra ieri e oggi... quindi ho sforato le quattro ore, sks), ma spero ne sia valsa la pena. 
L'ho riletto molto velocemente, per lo stesso motivo per cui ho detto che non mi trattengo. 
Quindi nada... Fatemi sapere cosa ne pensate e se qualcosa non funziona affatto!
Ormai manca un capitolo alla fine (forse due, se aggiungo l'epilogo... Mm...)
Vabbuò, scappo a questo punto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Grazie a chi ha messo la fic fra le preferite/seguite e a chi ha recensito!
Spero di leggere qualche parere ^^ 


Lawlietismine.
 


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




 


Best gift of fate - Sterek



Capitolo 5

 


Stiles non avrebbe saputo spiegare come fosse arrivato a trovarsi in quella situazione, forse l’orgoglio un po’ ferito, forse la confusione nella sua testa, forse il bisogno di sentirsi voluto concretamente da qualcuno, oppure chissà che cosa, comunque Malia – a cavalcioni su di lui, entrambi sul letto della camera di lei – non sembrava interessata a una spiegazione.
Quando gli altri – dopo pranzo – avevano optato per un giro, lei aveva risposto per entrambi dicendo che avrebbero passato, visto che lui c’era già andato la mattina e che lei non aveva invece alcuna voglia.
Non aveva ribattuto, troppo pensieroso per poter fingere che gli importasse.
Non appena il gruppo si era allontanato, Stiles era stato praticamente trascinato nella camera:
Malia sembrava rapita, come se non avesse aspettato altro che un’opportunità simile, le sue mani correvano lungo tutto il corpo di lui, stringendo fra le dita la stoffa che le impediva un contatto diretto, sul petto, sulle braccia, sulle sue spalle, fino a fermarsi sulle sue guance libere e accaldate.
Stringeva e baciava, come se così avesse potuto convincerlo a non interromperla, come se così fosse riuscita a trasmettergli tutto quello che avrebbe voluto dirgli.
Marcava coi denti ogni singolo lembo di pelle che le capitava fra le labbra: il collo, il profilo del suo volto, il lobo, tutto ciò che sentiva bruciare contro di sé.
E Stiles ricambiò, dapprima incerto, poi sempre più coinvolto.
Non avrebbe saputo dire se fosse per la frustrazione che sentiva rodergli dentro, se per l’ansia che lo aveva colto quando Derek – rientrato in casa dopo di lui per il pranzo – non lo aveva neanche guardato, oppure se per il modo in cui aveva poi fatto sembrare che non fosse successo niente fra quegli alberi, come se lui se lo fosse solo immaginato, quasi a voler sottolineare che no, non poteva essere successo niente tra Derek e uno come lui.
Ma poco importava, perché adesso sopra di lui, a volerlo davvero, c’era Malia, e Stiles le strinse i fianchi quasi come per poterne essere più sicuro, come per averne la certezza assoluta, e si inarcò verso di lei per rendere più vivo quel bacio.
Malia non sapeva se ritenersi sorpresa per quel suo improvviso non cacciarla scocciato, oppure per il suo ricambiare perfino, apparentemente preso allo stesso modo, ma poco le importava, era certa che se si fosse fermata per pensarci o per chiederglielo, lui avrebbe cambiato idea.
E Stiles sapeva nel profondo che era sbagliato, lui non la voleva e questo lei lo sapeva, eppure non riusciva a smettere di spostare le sue mani dai fianchi alla vita, poi sulle sue gambe e subito dopo sul collo, teso per raggiungerlo.
Gli serviva quasi la dimostrazione che, nonostante il rifiuto categorico dell’altro – che mentre stava lavando i piatti in cucina, gli era passato velocemente accanto senza guardarlo minimamente – qualcuno che lo desiderava c’era, qualcuno che lo vedeva come l’uomo che era e che lo voleva per questo. Poi chiunque fosse, non era importante.
Lo Stiles del liceo probabilmente non lo avrebbe fatto, forse gli sarebbe corso dietro fino allo sfinimento, tormentandolo e riempiendolo di domande, proprio come a volte aveva fatto con Lydia, ma adesso gli sembrava stupido, soprattutto con la ragazza sopra di lui che lo riempiva di tutte le attenzioni che gli servivano.
Malia la conosceva da più tempo, Derek da solo una settimana: perché quindi scervellarsi troppo per lui? Non sapeva quanto avrebbe potuto dargli, non sapeva come era veramente, non sapeva niente se non l’orario in cui andava in palestra, dove abitava, quanto fosse bello il suo sorriso e come – insieme a quello – si illuminassero i suoi occhi.
Conosceva ora anche la sensazione del suo corpo vicino, del suo respiro caldo sulla pelle, della sua stretta sulle sue braccia e della sua espressione spaesata e combattuta in una situazione evidentemente fuori programma.
E diamine, Malia in quel modo non gli trasmetteva neanche minimamente le sensazioni che l’altro invece gli aveva fatto provare solo guardandolo dritto negli occhi per quello che era sembrato un tempo infinito.
Si ritrovò a gemere contro le labbra di lei solo al ricordo di come Derek avesse guardato le sue, di come si fosse avvicinato, di come l’avesse stretto, e fu con il ricordo di come poi l’aveva allontanato, che riaprì gli occhi e scansò la ragazza, quasi come colpito in pieno da un secchio d’acqua gelata.
Non avrebbe saputo dire tante cose, come per esempio il perché gli importasse così tanto visto che non lo conosceva come avrebbe dovuto o voluto, ma al pensiero ogni voglia si era spenta e semplicemente la realizzazione che sopra di lui non ci fosse Derek, si era presentata.
Ma Malia si sporse di nuovo, pronta a cancellare qualsiasi cosa avesse avuto nella testa, eppure Stiles si scansò ancora, districandosi da lei come si era districato dall’altro qualche ora prima, per poi scendere sbadatamente dal letto con il respiro a mille, e in un attimo, in un continuo mormorio di scuse - forse a lei, forse a Derek, o forse a se stesso –  semplicemente uscì dalla camera.
Quello che non aveva affatto previsto, arrancando malamente verso la sua stanza in cerca di un attimo di pace, era di trovarsi davanti proprio l’oggetto dei suoi presunti desideri, seduto da una parte sotto la finestra con un libro in mano e gli occhiali sul naso.
E quello che alimentava le sue fantasie, perché ad essere sinceri, se Derek Hale era incredibilmente bello e attraente nella sua tenuta da palestra, in quella da casa – allora –
era da infarto immediato, da completo arresto cardiaco.
Quei pantaloni della tuta grigi gli calzavano a pennello, per non parlare della canottiera bianca o degli occhiali da vista, poi in quella posizione da modello di Armani con un braccio poggiato sul ginocchio piegato, così da tenersi le dita fra i capelli scuri e disordinati, rischiava di far svenire qualsiasi malcapitato.
L’unica pecca di quella scena – e se Stiles non si fosse concentrato su altro per colpa dell’imbarazzo, non l’avrebbe neanche notato – era la stretta sul libro, che dava l’idea che l’altro lo volesse squarciare con le unghie, proprio come quella sui capelli: o il libro faceva davvero pena, o era arrabbiato per qualche ragione, oppure non lo voleva lì.
Stiles sperò tanto che fosse la prima.
In ogni caso, dopo una lunga e inespressiva occhiata, arrivò alla conclusione che il rossore sulle sue guance (dato non solo dalla foga di Malia) e che il suo boccheggiare da idiota, fossero abbastanza, perciò – senza aggiungere altro al suo silenzio – si richiuse la porta alle spalle e si decise a rifugiarsi nella camera del suo migliore amico.

Diamine, la sua e quella di Malia erano accanto: che Derek avesse sentito tutto?
Perché fra i gemiti suoi e quelli affatto trattenuti dell’altra, di certo non potevano essere passati inosservati.
Per quanto all’altro potesse non interessare cosa faceva e con chi, Stiles non voleva dare l’idea di essere interessato a Malia, oppure alle distrazioni in generale, non dopo il piccolo ma significativo (almeno per lui) episodio nel bosco.
Derek avrebbe potuto dire che era impossibile, che non poteva essere serio vista la poca conoscenza reciproca, oppure altre cose del genere, ma Stiles sentiva di esserne certo: il colpo di fulmine lo aveva colpito in pieno, tanto da farlo completamente intontire.
Il problema ora era uscirne fuori, perché se riuscire a convincere Lydia era risultato inconcludente e inutile, farlo con l’altro sembrava allora un traguardo impossibile da raggiungere o anche solo da vedere in lontananza.

 
Lydia era una tipa molto intelligente, questo lo sapevano tutti, proprio come era risaputo che – dopo anni di amicizia – si era legata molto a Stiles, tanto quanto agli altri: se c’era qualcosa che non andava, lei era sempre la prima a capirlo, che lo facesse intendere o meno.
E per quanto il suo ragazzo fosse importante e necessitasse di molte attenzioni, i suoi amici bisognosi di aiuto venivano prima rispetto all’altro tipo di bisogni di Jackson, per questo dopo avergli concesso qualche bacio, si era allontanata dicendogli che doveva parlare con Stiles, e si era imposta sulle sue lamentele.
Ora così lo stava aspettando silenziosamente sotto il cornicione della veranda, poggiata alla colonna di legno con le spalle e con le braccia incrociate al petto, sul volto un’espressione seria e che non ammetteva repliche, tanto che – quando Stiles uscì imperterrito allo scoperto e la notò – si bloccò sul posto, capendo che non sarebbe potuto sfuggire all’amica.

Lydia li aveva sentiti, Scott e Allison, mentre si allontanavano piano piano dal gruppo per parlare da soli: quella era stata la conferma e se perfino loro lo sapevano e ne parlavano, allora sarebbe dovuta intervenire pure lei.

   “Non possiamo intrometterci molto, Scott” l’aveva un po’ avvertito Allison, con voce flebile così da non farsi sentire, cercando di essere convincente.
Il suo ragazzo, con l’espressione più abbattuta e da cucciolo del mondo, aveva sbuffando evidentemente dispiaciuto “Lo so” aveva replicato altrettanto piano “Ma mi spiace vederlo così, sento di dover fare qualcosa…”
La sua ragazza aveva annuito leggermente “Anche io, credimi” si era strinta maggiormente con le braccia introno a lui, che aveva fatto lo stesso con le sue spalle mentre continuavano a camminare indisturbati “Soprattutto dopo averlo visto rientrare in quello stato, mi chiedo cosa sia successo mentre erano fuori…”
Scott si era fermato di botto, prima di guardarla spaesato con gli occhi spalancati e “In che stato è rientrato? Fuori? Cosa?” se ne era uscito, cadendo dalle nuvole all’affermazione dell’altra, che lo aveva fissato scuotendo la testa: era ovvio che non se ne fosse neanche accorto, non c’era da sorprendersi.
E lì Lydia aveva scosso la testa proprio come la sua migliore amica, prima di procedere verso la sua imminente chiacchierata con il diretto interessato.



   “Certamente è meglio di Malia, insomma” parlò, guardandolo dritto negli occhi “Non ho niente contro di lei, ma non potevi davvero passare da me a una come Malia, Derek Hale invece te lo posso concedere”
Stiles alzò gli occhi al cielo, lanciandole un’occhiata per farle intendere che non era proprio il caso di fare discorsi del genere, ma Lydia si limitò ad alzare le braccia a mezz’aria in segno di resa.
In un certo senso era davvero bello essere arrivati a un legame tale da riuscire a parlare scherzosamente anche della cotta che aveva avuto per lei, ma in questi casi invece l’avrebbe  davvero strozzata.
   “Volevo solo puntualizzare, ma passando a cose più serie…” spiegò, dandosi una leggera spinta per staccarsi dalla colonna, per poi sedersi al tavolo e fargli cenno di fare lo stesso “Spiegami un po’ come è la situazione” 
E con Lydia Martin c’era da aspettarselo, non era di certo il tipo da ‘hai voglia per caso di parlarne?’, perché finché l’altro non gliel’avesse detto, non si sarebbe mossa di lì e la cosa era evidente, traspariva dalla sua espressione con la bocca schiusa a ‘o’ e le sopracciglia inarcate.
Stiles sbuffò, prima di sedersi con lei e raccontarle velocemente – e torturandosi freneticamente le mani – cos’era più o meno successo, dall’inizio della settimana a quel momento, sotto lo sguardo attento dell’altra.
Se Lydia uscì sorpresa dalla sua espressione così combattuta, delusa, ferita e anche un po’ arrabbiata, non lo dette a vedere, ma invece “Sai” disse dopo un attimo di silenzio “Sono contenta che tu lo abbia incontrato” e per un attimo Stiles si chiese se avesse ascoltato almeno una parola, perché – con tutto quello che le aveva raccontato – come minimo l’altra avrebbe dovuto dirgli di mandarlo al diavolo.
   “Non fare quella faccia spaesata, Stilinski!” lo riprese, sbattendo una mano sul tavolo “Fai di nuovo davvero sul serio, per una volta, da quando ti sei rassegnato con me!”
Il diretto interessato preferì non rispondere, perché in effetti non sapeva cosa dire: era vero, per qualche assurda ragione, lui pensava seriamente a Derek.
Ma ciò non voleva dire che andasse bene farlo, perché era evidente a tutti gli effetti che no, Stiles Stilinski e l’amore (o qualsiasi cosa a esso ricollegato) non erano particolarmente compatibili fra loro, ora come anni prima, perciò era meglio escludere ogni cosa in partenza prima di ricascarci completamente.
Lydia capì per lui che , era troppo tardi, quando lo vide incantarsi fra i suoi pensieri fissando un punto impreciso dietro alle sue spalle, con sguardo sognante.
Sospirò, alzando gli occhi al cielo prima di alzarsi, afferrarlo per un braccio e trascinarselo dietro per farlo distrarre un po’ in qualche modo: la cucina, quella funzionava sempre, proprio come i videogiochi, ma Lydia non era disposta a immergersi in quelli.


Le cene fra amici erano la cosa migliore secondo Stiles, erano sempre in grado di distrarre e di calmare gli animi, di far scaturire qualche risata e di strappare qualche sorriso.
Inizialmente erano state una novità, ai tempi del liceo massimo si era ritrovato seduto in terra davanti alla play con Scott e dei cartoni di pizza accompagnati da Cola, poi si era unita Allison e solo dopo qualche altro tempo anche tutti gli altri, così era diventata una sorta di abitudine per tutti.
Volente o meno, almeno una volta a settimana doveva succedere.
All’inizio era stato un po’ un dramma, perché sopportare la vista della sua cotta con il suo ragazzo, magari proprio in casa sua, non era stato il massimo, poi però gli era passata e si era abituato, così era diventato un piacere o qualcosa del genere.
    “Questo coso fa davvero vomitare” Jackson afferrò al volo il suo bicchiere, lo riempì in un batter d’occhio e lo svuotò alla stessa velocità, per buttar giù in qualche modo il boccone appena preso, poi lanciò un’occhiata omicida a Stiles “Ma come diamine cucini?” lo riprese, ricevendo in risposta però solo un ghigno trattenuto e celato dietro al dorso della mano: …ma che? Facendoglielo notare, aveva sperato in un’espressione terrorizzata e desolata, non di certo divertita.
Ma tutto prese senso quando sentì un’aura negativa espandersi rapidamente al suo fianco e – voltandosi – incrociò lo sguardo adirato della sua ragazza, con le sopracciglia inarcate e i denti stretti, si rese conto di aver appena commesso un leggero errore: mai dire a Lydia Martin che aveva fatto qualcosa di sbagliato, anche se vero.
A Jackson sfuggì una risata nervosa, cercando di farlo passare per uno scherzo divertente, e “Eddai, non te la prendere…” tentò, portando subito una mano sulla sua gamba sotto al tavolo per accarezzarla “Stavo scherzando, sapevo che l’avevi preparato tu…” mentì spudoratamente, prima di tentare di allungarsi verso di lei per lasciarle un bacio, ma lei invece prima schiaffeggiò via la sua mano, poi voltò il capo dalla parte opposta, offesa.
Una risata generale scaturì da tutti quelli a tavola, mentre il profumo dei piatti –
quelli effettivamente preparati da Stiles – aleggiava nella sala, inebriando i sensi dei ragazzi a cena.
Il pomeriggio era passato piuttosto in fretta, i due amici avevano cucinato tutto il tempo, Malia era uscita sbattendo la porta e senza neanche guardarli, Derek non si era visto e gli altri erano rientrati dopo qualche oretta, piuttosto stanchi e bisognosi di cibo.
Ora la scena era più o meno: Allison e Scott vicini e sorridenti, Lydia e Jackson battibeccanti, Danny, Aiden e Ethan che parlavano con Isaac e Boyd, mentre Erica chiacchierava distrattamente con Kira, poi c’era Stiles che ogni tanto scambiava qualche battuta ma per il resto mangiava silenziosamente, Derek che si limitava a quest’ultima parte e Malia con il muso che infilzava il cibo come se avesse voluto distruggerlo.
   “Dovremmo farlo più spesso” Isaac si rivolse a tutti con un bel sorriso smagliante, ma prima che potesse continuare, Scott lo ammonì “Amico, a te basta andare in vacanza, non importa dove” seguito da una risata, e al ‘touché’ del diretto interessato, i due si batterono il cinque.
   “Ma non ti allargare troppo, Lahey” ci tenne subito a sottolineare Jackson “Ora, va bene che anche se ci siete voi, non mi trattengo minimamente, ma questo resta pur sempre il luogo di ritrovo mio e di Lydia e lo preferisco quando ci siamo solo io, lei e il letto” ghignò, prima di aggiungere velocemente un “o qualsiasi appoggio”.
La bella Martin gli mollò in un batter d’occhio una gomitata tra le costole, che non placò assolutamente le sue risate con gli altri ragazzi seduti, mentre le ragazze alzavano gli occhi al cielo come sostegno morale all’altra.
   “Dopo la tua considerazione sulla sua cucina, non ne sarei così convinto” l’avvertì Stiles, rigirandosi la forchetta fra le mani e lui lo fulminò con lo sguardo.
I primi tempi i due si odiavano, anzi, di più: il figlio dello sceriffo era spudoratamente cotto della sua ragazza, quindi entrambi avevano un motivo per farlo, ma con il tempo erano diventati molto amici, che lo dicessero o meno.
Ma la parte bella di questa amicizia era proprio il loro stuzzicarsi a vicenda, se gli altri non l’avessero conosciuti, avrebbero detto che si sarebbero ammazzati da un momento all’altro, invece era proprio quel loro modo di relazionarsi ad alimentare l’amicizia che era nata inaspettatamente con il tempo.
   “Stilinski non scherzare con il fuoco” gli borbottò contro, prima di afferrare un pezzetto del fallimento di Lydia dal piatto e lanciarglielo contro, ma venne prontamente evitato dai riflessi dell’altro.
In soccorso al povero malcapitato, corse Scott che “Lascialo stare!” sbottò, prima di imitarlo e lanciargli un pezzo di pane, che stavolta colpì in pieno il bersaglio, seguito subito dopo da un altro e un ‘ci mancherebbe, chi tocca la tua sgualdrinella!’ e così via, fin quando i due non presero a farsi la guerra come se non ci fosse stato un domani, sotto lo sguardo divertito dei soliti e quello attonito dei nuovi e non abituati.
   “Va bene! VA BENE!” Jackson si alzò in piedi, tentando di evitare le bombe che gli stavano arrivando, poi puntò il dito contro Stiles e “Ti sfido!” pronunciò le fatidiche parole “Scommetto che non hai il coraggio di uscire a quest’ora e andare nel bosco” gli fece derisorio, incrociando poi le braccia al petto soddisfatto.
Lydia e Allison lo fulminarono con lo sguardo, per poi passarsi esasperate una mano sul viso, mentre il diretto interessato nel sentirlo si era drizzato sulla sedia, improvvisamente interessato alla situazione generale.
Tutte le volte quei due finivano così: Jackson lo provocava con una scommessa stupida alla quale l’altro partecipava sicuramente per orgoglio.
Tutti quelli intorno guardarono la scena con una certa curiosità e aspettativa, fuori era già calata la notte e faceva un certo freddo, ma Stiles – senza dire niente – si avviò verso la porta, poi uscì, lasciandosi dietro un Jackson sghignazzante.

 
Ora, lui non era un fifone, quindi non si sarebbe mai tirato indietro, non avrebbe dato l’idea di esserlo a uno come quel Whittemore.
Ma chi voleva prendere in giro? Se poteva evitare cose del genere, lo faceva: il suo coraggio era ben tenuto in un cassetto sotto chiave, lo tirava fuori solo quando serviva per i suoi amici o cose così, per il resto sembrava inesistente al mondo intero.
Per questo percorse i primi trenta metri a testa alta, certo che lo sfidante – o qualcuno per lui – lo stesse controllando dalla finestra, poi – una volta fuori portata visiva – iniziò ad andarci più cauto, pesando ogni minimo passo per evitare di fare troppo rumore e aizzare così cose che dovevano restare calme e all’oscuro della sua presenza.
Non aveva mai capito se avesse paura del buio o no, a volte era piacevole, altre tutto il contrario, ma in quel momento sarebbe volentieri tornato indietro, o avrebbe fatto sorgere il sole con la forza del pensiero… Qualsiasi cosa, pur di aver a disposizione almeno un filo di luce.
Ma niente, proseguì imperterrito, troppo cocciuto per poter rinunciare a un semplice ‘scommetto che non…’.
Poi in un certo senso – una parte remota, molto remota, di lui – era quasi contenta di essere lì in quel momento, da solo.
Non perché non volesse stare con gli altri, ma perché forse c’era stato abbastanza per quel giorno (anche se così, in fondo, non era).
Non avrebbe saputo come dirlo, ma era okay per lui avere un attimo del genere.
Certo, non gli era dispiaciuta la compagnia di Lydia di quel pomeriggio, anzi, un giorno avrebbe dovuto fargli una statua e – conoscendola – l’avrebbe voluta in oro, enorme e perfetta nel dettaglio, quindi avrebbe dovuto impegnarsi! Ma quando si erano riuniti tutti a tavola, le cose erano tornate al principio: lei con Jackson, lui da solo.
E diamine, si sentiva una ragazzina di tredici anni alla sua prima cotta, e chissà quante volte si era già rimproverato di questa sensazione! Eppure non poteva farne a meno.
Derek e Malia si erano seduti distanti un miglio da lui, uno da una parte, lei dall’altra, entrambi con un motivo per stargli lontano, e la cosa gli aveva fatto contorcere lo stomaco in una stretta dolorosa.
Gli sembrava quasi di star partecipando a uno stupido programma tipo ‘una settimana per farlo innamorare’, ma stava completamente fallendo: gli era bastato un giorno per farlo incazzare, invece.
Scosse esasperato la testa, dando un calcio a un legno e rischiando già di per sé di scivolare così all’indietro.
Possibile che non potesse fare a meno di pensare a come sarebbe potuto essere stare effettivamente insieme a quell’altro? Si era sdraiato dieci minuti sul divano quel pomeriggio, per una pausa, e – chiudendo gli occhi – gli era venuta in mente una scenetta tipo perfect-boyfriend tutto zucchero e amore, il che non era stato tanto male, anzi, ma sapeva che non era neanche lontanamente realizzabile e quella era la parte insopportabile della questione.
E ora? Avrebbe dovuto continuare ad andare in palestra?
Certo, naturalmente, sennò non avrebbe più avuto l’opportunità per vederlo.
Non da solo almeno, non in pace.
E lui aveva bisogno di quell’ora scarsa, l’aveva capito quel lunedì sera quando era entrato in quel posto, si era iscritto e l’aveva incontrato.
L’aveva capito quando lo aveva riaccompagnato a casa, proprio come il giorno dopo quando era tornato laggiù.
Era stupido forse, ma era sicuramente qualcosa che Stiles sentiva e non poteva ignorare.
Magari ora non avrebbe più potuto passare quell’ora a tormentarlo, magari non avrebbe potuto rivolgergli la parola, ma avrebbe cercato un modo per far tornare le cose come prima, che a Derek interessasse o no, perché lui ne aveva bisogno davvero.
Fu con quei pensieri nella testa, che saltò in aria quando sentì un rumore da qualche parte lì intorno e si bloccò pietrificato sul posto: che diamine era stato? Lo sapeva, avrebbe dovuto fare qualche corso di karate da piccolo, perché diamine non l’aveva fatto?
O un corso di domatore per animali infuriati e pericolosi, fa lo stesso.
In ogni modo non aveva fatto un bel niente, quindi qualsiasi cosa fosse stata – o chiunque – lui non l’avrebbe saputa gestire, se non correndo via, ma anche qui c’era il problema, perché non era mai stato un gran corridore.
Quindi – ricapitolando – sarebbe stato preso.
E squartato.
Fatto a pezzetti.
Messo in una busta sottovuoto.
O avrebbero rivenduto i suoi organi al mercato nero, oppure su ebay, non si poteva mai sapere.
La sua espressione si fece pian piano terrificata, fin quando lo spezzarsi di un ramoscello non rimbombò dietro di lui, portandolo a voltare leggermente il volto e…
Un dannato cinghiale lo stava fissando con sguardo omicida a qualche metro di distanza e Stiles avrebbe scommetto che nel pacchetto quel coso gli stesse anche includendo un ghigno alla ‘aha sei fottuto, ora ti ammazzo’.
Fu proprio quella sua convinzione a dargli il via per svignarsela e con un gridolino poco dignitoso iniziò a correre, pregando ogni divinità per non farlo cadere dalla fretta sui suoi stessi piedi o qualsiasi altra cosa ci fosse stata per terra.
Neanche a dirlo, l’animale fece lo stesso e mentre Stiles sfrecciava come un missile con le braccia al vento, urlando a squarcia gola, il cinghiale lo seguiva sbuffando e caricando contro di lui per scacciarlo dal suo territorio.
Non poteva morire adesso, non così! Continuò a gridare come se – così facendo – avrebbe potuto convincerlo a smetterla, oppure spaventarlo, e a correre a perdifiato senza una meta precisa visto che vedeva a malapena il percorso.
Non si voltò neanche a controllare, perché - se l’avesse fatto – dopo circa dieci minuti si sarebbe accorto che niente lo stava più inseguendo.
Probabilmente perfino il cinghiale nel sentirlo e vederlo, si era fermato, aveva scosso il muso e se ne era andato senza perdere altro tempo.
Ma niente, Stiles continuò così, fin quando non vide un albero possibile da raggiungere e – una volta arrivato – saltò come un matto fino ad aggrapparsi a un ramo: restò lì.
Convinto a staccarsi solo quando sarebbe giunta la mattina, coì da poter controllare che la via fosse libera.
Fece per prendere il telefono dalla tasca, anche se – aggrappato in quel modo con gambe e braccia al ramo, gli era un po’ problematico – ma naturalmente nell’esatto momento in cui lo toccò con indice e medio tremanti, un rumore lo fece sobbalzare e il cellulare volò in terra, insieme al suo autocontrollo.
O meglio, l’autocontrollo che si era illuso di aver mantenuto fino a quel momento.
   “Stiles?!”
Cercò di concentrarsi e di capire se si fosse immaginato di sentire il suo nome in lontananza o se invece qualcuno l’avesse chiamato davvero, ma passarono altri secondi di silenzio che gli fecero scegliere la prima opzione.
   “Stiles?!”
Ancora. Ma stavolta fu certo di averlo sentito quel ringhio, mentre rimbombava nel bosco fino a raggiungere il suo corpo e schiantarsi su di esso in un forte brivido.
Che fosse un trucco dell’animale?
Magari si era procurato un registratore o qualcosa del genere, o magari era uno spirito della foresta capace di provocare allucinazioni, perché era letteralmente impossibile che la voce fosse veramente la sua, quindi era probabile che la sua mente gli stesse giocando un brutto scherzo poco gradito.
Per un attimo si chiese se la corsa pazza che sentiva arrivare verso di sé, fosse quella del cinghiale rimasto indietro o quella della new entry, ma preferì limitarsi a chiudere gli occhi e spappolare il ramo in quell’abbraccio affettuoso non ricambiato.
   “…Stiles?”
E che diamine, a quella voce non gli aveva mai sentito pronunciare il suo nome e doveva ammettere che, sentirglielo fare con quel tono affannato e preoccupato, era la ricompensa migliore del mondo per l’attesa.
Probabilmente stava sognando, ma si sforzò per aprire almeno un occhio e controllare la situazione: Derek se ne stava a qualche metro di distanza con una torcia puntata contro di lui e uno sguardo perplesso.
Stiles non sapeva cosa dirgli, anche visto al contrario era la visione più bella del mondo e voleva godersela un altro po’.
   “…Che diamine stai facendo?!” gli ringhiò però lui “Che diamine avevi da gridare?!” lo rimproverò, muovendo qualche passo verso di lui e fu così che l’altro si ricordò del perché si fosse aggrappato a un albero.
   “Levati di lì!” gli strillò contro “C’è un cinghiale posseduto!” quasi si strozzò pur di fargli capire la gravità della situazione.
Gravità che Derek non parve cogliere, perché inarcò ancora di più un sopracciglio, schiudendo la bocca in un’espressione attonita seguita da un imbarazzante silenzio.
E Stiles colse al volo un dettaglio: l’altro lo aveva sentito gridare (evitò di pensare al suono stridulo della sua voce nello scappare) e lo aveva raggiunto, preoccupato per lui.
Mamma mia, non avrebba mai immaginato di vedere quel suo lato, tanto meno rivolto a lui.
Se fosse stato in terra, avrebbe fatto i salti di gioia dentro di sé, ma in quella posizione il sangue faceva dei giri strani e spingere il suo cervello così in là, gli avrebbe causato uno svenimento, ne era certo.
   “E io sono anche venu—oh cazzo” iniziò sbalordito, ma un secondo dopo, con una mossa molte volte più agile rispetto alla sua, se lo ritrovò seduto sullo stesso ramo al quale lui invece si era malamente aggrappato.
Non capì inizialmente il perché, ma quando seguì il suo sguardo, notò che il cinghiale li stava fissando come a voler dire qualcosa tipo ‘fate pure, tanto prima o poi dovrete scendere e io sarò qui ad aspettarvi’.
   “Te l’avevo detto ch—AH!” tentò, prima di sentirsi afferrare per la felpa e tirare su, fino a trovarsi anche lui seduto normalmente, con a fianco Derek poggiato al tronco occupato a fissare l’animale come se avesse voluto ucciderlo in mille modi diversi.
O forse era Stiles quello che voleva uccidere, visto che c’era finito per colpa sua in quella situazione, ma il figlio dello sceriffo preferì mettere da parte quella possibilità e “Grazie…” si limitò a borbottare, ignorando i muscoli doloranti.
Derek non lo considerò neanche, se ne rimase in silenzio a dondolarsi fra le mani quella torcia e ad aspettare il via libera.
   “Quindi…Um…” si ritrovò a sbiascicare qualche minuto dopo “Passeggiata notturna, eh…” evitò di guardarlo in modo diretto, concedendosi solamente qualche occhiata di sottecchi in modo eloquente.
Derek si voltò a guardarlo lentamente, con un sopracciglio inarcato, beccandolo per di più nel momento dell’occhiata e Stiles boccheggiò a vuoto a quella celata minaccia di morte: meglio stare zitti.
…Ma chi voleva prendere in giro? Lui era Stiles Stilinski e faceva sempre tutto il contrario di quello che doveva essere fatto, infatti “Senti, ma stamani…” disse incerto, neanche sapendo come continuare, ma non ce ne fu bisogno perché vide l’altro gelarsi sul posto e rivolgergli uno sguardo di fuoco – o qualcosa del genere, e le parole gli morirono in gola.
Era lì per dire qualcos’altro, fin quando non sentì un rumore in terra e con uno stridulo gridolino, si fece più piccolo che poté.
Ormai era troppo tardi per fare la figura del grande uomo davanti all’altro.
Aveva già detto di odiare il silenzio? Perché diamine, quello era cento volte più angosciante di quello che si creava delle volte tra loro in palestra, quando lui finiva gli argomenti a disposizione per i suoi monologhi.
   “Scott”
Quando lo sentì parlare, per poco non perse l’equilibrio finendo a terra, per fortuna Derek aveva – come già dimostrato – i riflessi migliori dei suoi e lo afferrò al volo.
Si scambiarono un’occhiata, prima che il più grande lo lasciasse andare e tornasse al suo posto, distaccato.
   “Lui mi ha chiesto di venire a tenerti d’occhio” spiegò atono, incrociando le braccia al petto con un che di indecifrabile.
Stiles non avrebbe saputo dire se – una volta tornati indietro – avrebbe abbracciato il suo migliore amico o se l’avrebbe soffocato con un cuscino nel sonno, ora come ora era piuttosto combattuto, magari se le cose si fossero mosse un po’…
Perciò si limitò ad annuire.
Derek prese un profondo respiro, ricacciandolo fuori quasi in un grosso sbuffo: diamine, non sapeva neanche lui perché avesse risposto di sì all’altro, perché non gli avesse semplicemente detto di farlo da solo.
Ma gli era sembrato davvero preoccupato e quando aveva accettato, aveva potuto vedere l’immensa gratitudine nei suoi occhi.
Quando poi dopo un po’ aveva sentito il ragazzino urlare come un matto, non aveva potuto far altro che iniziare a correre verso di lui, con il cuore a mille e una brutta sensazione.
E certo, brutta sensazione sì! Si era ritrovato bloccato su un albero, con un cinghiale alle calcagna e colui che avrebbe voluto solo evitare al fianco: cosa poteva esserci di peggio? Oh sì, Stiles che tentava di parlare riguardo quello che era successo quella mattina.
Ma come c’era finito in quella situazione? Lui, un tipo sempre nel suo, che non si imbatteva mai in niente fuori programma.
Una sola settimana – o poco meno – e Stiles Stilinski gli aveva stravolto la vita.
   “Senti Derek…” ripartì a parlare senza neanche guardarlo, ma torturandosi le mani “Probabilmente ti sei fatto un’idea sbagliata di me, penserai che io sia un ragazzino iperattivo e che non smette mai di chiacchierare… No, okay, forse questo è un po’ vero…” ci ripensò su, come se avesse trovato l’errore nel discorso che si era preparato mentalmente, poi continuò “…Penserai che mi diverta a incasinare gli altri, a rompere le scatole, a tormentarli, ma non è così” si concesse un’occhiata di sfuggita e lo trovò che guardava altrove, fingendo di non essere interessato.
Ma Derek lo stava ascoltando, eccome.
   “Cioè, sì è vero che ti tormento un po’” e quando lo vide con la coda dell’occhio alzare le sopracciglia, dovette farsi forza per continuare.
Se le sue mani avessero potuto, avrebbero chiesto aiuto da quanto le stava torturando.
   “Ma non lo faccio apposta, beh…” balbettò un po’, incapace di formulare bene il discorso e non sapendo come continuarlo “M-Mi metti in ansia e…”
Si ammutolì di nuovo.
Oh, questa era davvero bella: lui gli metteva ansia? Derek non l’avrebbe mai detto, visto che quando riusciva davvero a farlo con qualcuno, quello se ne stava zitto e il più lontano possibile da lui. Possibile che l’ansia che gli trasmetteva, portasse invece Stiles a stargli ancora più addosso?
Diamine… Ma a cosa voleva arrivare con quel discorso? Perché vederlo così tormentato, agitato e in iperventilazione, gli stava facendo venire una vergognosa voglia di aprire le braccia e lasciarlo avvicinare per consolarlo. Lui? Derek Hale che pensava una cosa del genere?
Gli veniva la tachicardia solo a rendersi conto che , l’avrebbe fatto, perché vederlo in quel modo gli dava una strana sensazione allo stomaco, simile a quella provata quando lo aveva sentito gridare, e totalmente diversa rispetto a quella che lo aveva travolta la mattina.
   “…Stiles” lo chiamò piano, quando lo vide cercare di dire altro, quasi in una supplica e lui drizzò subito la testa per guardarlo.
Aprì di nuovo la bocca e quasi gli si illuminarono gli occhi per qualcosa che l’altro non colse, ma quando lo vide muoversi per andargli in contro quasi gli prese un colpo, non seppe cosa fare fino a quando – per la troppa fretta – non lo vide perdere malamente l’equilibrio e volare di sotto prima ancora che lui potesse rendersene conto.
    “Stiles!” lo richiamò più forte, preoccupato e arrabbiato allo stesso tempo per la sua goffaggine senza fine, saltando anche lui subito giù per raggiungerlo, e lo trovò steso in terra a mugugnare dolorante.
Derek si guardò intorno: l’animale se ne era andato, probabilmente intimorito dallo scatto improvviso dell’altro, così si prese con calma il tempo di aiutarlo a rimettersi su.
Si accigliò quando lo vide scacciarlo leggermente, senza spostare la faccia spalmata sul terreno, quasi a nascondersi e a dirgli di lasciarlo lì: ma che diamine gli prendeva?
Lo afferrò di nuovo per il braccio, ma ancora venne allontanato con una scossa: dire che lo avrebbe fatto diventare pazzo prima o poi, era un eufemismo.
Ci provò ancora e stavolta ci mise la forza, fino a farlo voltare con la schiena in terra, ignorando i suoi lamenti e mugugni, e quando ci riuscì Stiles si portò le braccia sugli occhi, facendolo accigliare ancora di più.
   “La vuoi smettere?!” gli sbottò contro Derek, senza ricevere alcuna risposta.
Il fatto è che il figlio dello sceriffo stava provando qualcosa che non avrebbe dovuto provare, perché insomma, cadere da un albero dopo essere scappato da un animale ed essersi probabilmente perso, avrebbe dovuto intimorirlo e abbatterlo, invece, dopo aver sentito per la quinta volta – e , le aveva contate – il suo nome uscire dalle labbra dell’altro, gli aveva fatto venire i brividi.
Era sicuro di essere paonazzo, mentre le farfalle tentavano di mettergli sottosopra lo stomaco, e non aveva il coraggio di guardarlo, perché a quel punto era palese che qualcosa in lui si fosse risvegliato solo nel sentire la sua voce chiamarlo ancora.
Ma Derek non capiva, e la cosa – senza sapere perché – non faceva altro che frustrarlo sempre di più, tanto che con un altro strattone infastidito lo mise in piedi.
Stiles si bloccò quando sentì la sua stretta ferrea sulla sua spalla e quasi trattenne il respiro: non sei una ragazzina di tredici anni, non sei una ragazzina di tredici anni, non sei… Oh, al diavolo! Derek gli stava mandando in tilt le capacità mentali solo con una mano stretta sulla spalla, non era mica possibile!
Quando si sentì poi sbattere con la schiena contro l’albero su cui si erano arrampicati, giurò di stare quasi per morire.
Peccato che, aprendo finalmente gli occhi, si trovò davanti un Derek infuriato e lì lì per compiere un sanguinoso omicidio a mani nude: possibile che al posto di essere preoccupato, stesse pensando a quanto fosse attraente? Perché diamine, lo era eccome, quegli occhi, quelle labbra… Si perse probabilmente a fissarle un po’ troppo e con sguardo famelico, perché se ne rese conto anche l’altro, che pian piano mutò la sua espressione in un gigantesco punto interrogativo, confuso dalla sua reazione.
Stiles mugugnò in disaccordo quando sentì la presa su di sé farsi più lenta, quasi fino a scomparire completamente, ma lo fece invece in segno di piacere quando l’altro – forse per capire se era stato davvero il suo tocco il problema del lamento – tornò a stringere un po’, prima di strabuzzare leggermente gli occhi nel constatare che , era stato il suo lasciare la presa e causare il disappunto di Stiles.
Aveva già detto che lo avrebbe fatto diventare matto? Perché in quel momento ne fu più che certo, sentendo tornare la piacevole stretta allo stomaco che lo aveva pervaso quella mattina.
Non era possibile che il ragazzino che aveva di fronte riuscisse a ridurlo così, quasi a sottometterlo al suo volere, perché in quel momento, sotto quel suo sguardo, Derek avrebbe solo voluto assaporarlo senza sosta.
E la gocciolina arrivò, proprio quando Stiles – forse in un gesto nervoso, forse in un tentativo di persuasione – si passò la lingua sulle labbra schiuse, investendo e distruggendo l’autocontrollo di cui Derek era sempre andato fiero, e poi fu questione di attimi, prima che il più grande portasse anche l’altra mano sulla spalla libera di Stiles e si avventasse su di lui per baciarlo.
Se l’altro ne fu sorpreso, non ebbe il tempo di notarlo, perché tutte le sue attenzioni furono riservate a quelle labbra gonfie e morbide che gli sembrarono la cosa più buona che avesse mai assaggiato, poi al suo collo, dopo aver seguito e segnato con una scia umida neo dopo neo il tracciato invisibile che lo stava richiamando, per poi risalire ancora.
Stiles avrebbe giurato di star per svenire, le gambe gli si stavano praticamente sgretolando e la testa gli girava: che stesse sognando? Fece per contare le dita strette sulla sua spalla per controllare, ma quando sentì l’altro quasi mordergli il collo, si perse in un gemito di piacere che non avrebbe mai pensato di poter emettere.
Quando Derek tornò a baciarlo, lo lasciò approfondire: chi era lui per fermarlo?
Trattenne il respiro, però, quando lo sentì bloccarsi e irrigidirsi su di sé: che avesse sbagliato qualcosa?
Il maggiore rimase immobile, con gli occhi sgranati e mille maledizioni nella testa, incredulo di fronte a ciò che stava facendo.
Fece per allontanarsi senza neanche guardare l’altro, ma Stiles – di cui poteva sentire il respiro affannato – lo fermò, trattenendolo per la maglia.
   “Derek…” lo chiamò piano, e diamine, sentirsi chiamare in quel modo lo fece quasi crollare a terra.
Rimase sconvolto, poi, quando furono le mani del ragazzo a posarsi sul suo collo, prima che anche le sue labbra venissero catturate in una presa delicata e incerta, piacevolmente inesperta, che gli fece venire voglia di afferrarlo a baciarlo ancora.
Cosa che –  senza tanti ripensamenti – fece.

No, ne era certo, non era possibile che in una sola settimana, qualcuno potesse entrare così nella vita di qualcun altro, stravolgerla e prendersela in quel modo, non era possibile essere così attratti da quel qualcuno, sentirsi come se le cose non avessero senso introno a lui, come se il resto non fosse importante.
Era impossibile, perché a Derek non era mai capitato e non aveva mai voluto credere alla stupida cosa del “c’è sempre una prima volta”.
Ma non gli importò in quel momento, perché quei pensieri svanirono nell’esatto istante in cui le braccia di Stiles si stesero intorno al suo collo e le mani si immersero fra i suoi capelli, afferrandoli e accarezzandoli come mai nessuno prima si era azzardato a fare.
E a Derek non poté far altro che piacergli, perché l’attimo dopo tornò a premerlo contro il tronco dell’albero per sentirlo più suo, più vicino, mentre – percorrendo tutto il suo corpo con le mani – succhiava, mordeva, assaporava quelle dannate labbra che dalla prima volta in cui si erano incontrati, non avevano fatto altro che muoversi contro il vento.
E diamine, la sua lingua… Aveva molte idee sul cosa fargli fare con quella, e il solo pensiero lo mandava in estasi.

   “Stiles? Derek?”
Nessuno dei due parve sentire o dare importanza al richiamo, fin quando le voci non si fecero più vicine.
Dannato Scott, prima o poi l’avrebbe ammazzato.
Stiles mugugnò ancora nel sentire il vuoto provocato dalla bocca dell’altro che si allontanava dalla sua e Derek gli rivolse uno sguardo indecifrabile a quel suono, mentre entrambi cercavano di riprendere fiato.
   “Stiles? Derek?”
Il secondo si mosse, prima un passo indietro, poi due, fino a voltarsi definitivamente e andare in contro al guastafeste.
Stiles lo sentì schiarirsi la gola prima di rispondere con un ancora roco e affannato “L’ho trovato, arriviamo” che fu – non certo per il significato – come musica per lui.
L’aveva trovato eccome.
Ma anche se contro voglia, lo affiancò per andare da Scott, che trovarono subito.
Ignorò lo sguardo che Allison – al suo fianco – rivolse loro, mentre il suo migliore amico non sembrava essersi accorto della situazione, prima che tutti e quattro riprendessero a camminare verso casa.
   “Allora…” parlò però la ragazza, con il tono di chi ne sapeva abbastanza “Che dite, facciamo qualcosa del genere anche il prossimo weekend?”
Ma Stiles sperò davvero di essere troppo occupato, quel prossimo weekend, per poter uscire: lo sguardo che gli rivolse Derek, gli fece intendere che probabilmente sarebbe stato proprio così. 


 


 
 

Ehilà ~ 
Okay. Non mi esprimo. Sarà meglio, eh? 
Non sapete quanto mi c'è voluto per scrivere questo capitolo! Mamma mia, sono destinata a non finire neanche una storia, perchè quando arriva il momento, mi abbandona l'ispirazione! Non sapevo davvero cosa scrivere. 
Poi (ora) mi è arrivata l'illuminazione divina e... Nada, non mi sono neanche accorta che le cose praticamente si stavano scrivendo da sole. 
Dunque! Questo capitolo è un po' così... Ed è l'ultimo (?) sks. 
Ma spero vi sia piaciuto! Devo essere sincera... L'ho riletto man mano che scrivevo grandi parti, ma ora che l'ho finito non l'ho fatto: avrei cambiato idea e non avrei aggiornato, ne sono certa. Quindi se ci sono errori (spero di noç_ç) fatemelo sapere!
Ci sarà un epilogo naturalmente e ho già scritto le ultime 5 righe di quello, che sono molto
pucci pucci
OMG ho stra-superato le mie due ore giornaliere di pc! 
Dunque devo proprio scappare! GIURO che risponderò alle recensioni del quarto appena possibile! 
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e di sapere cosa ne pensate!
Grazie ancora a chi ha messo la fic fra le preferite/seguite e a chi ha recensito!
Spero come sempre di leggere qualche parere ^^ 
(Vi lascio il mio tumblr) 


Lawlietismine.
 


 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***




 


Best gift of fate - Sterek



Epilogo

 



   “Scott?”
Il richiamo di Stiles arrivò ovatto e incerto dalla camera da letto, aveva saltato l’università perché incredibilmente troppo stanco e svogliato, e aveva poi sprecato ore per ripulire l’appartamento: ora che il coinquilino era rientrato, poteva sgridarlo per bene e fargli almeno portare fuori la spazzatura.
Ma l’altro – forse consapevole di quello che lo aspettava – non rispose.
Pensava di fregarlo? Stiles aveva sentito la porta e percepiva comunque i suoi passi nel corridoio, non poteva sfuggirgli.
   “Scott” riprese a borbottare, ancora sotterrato e disperso sotto il suo letto per tirare fuori tutto quel caos che si era accumulato negli ultimi tempi:, non aveva più avuto molto tempo da dedicare a quel genere di cose.
Ma l’amico era una cosa oscena! Aveva trovato un pezzo di pizza sotto al divano ed era più che certo che non fosse stata colpa sua, visto che non aveva avuto molto tempo neanche per stare davanti alla tv: le volte che c’era stato su quel divano, non era stato di certo per guardare quella.
   “Non pensare di sfuggirmi” lo avvertì, mugugnando subito dopo per la dolorosa testata  presa “Non puoi neanche immaginare cos’hanno visto i miei occhi in questa mattinata! Non sono mica Cenerentola!” si lamentò, cercando in ogni modo di districarsi dalle mani invisibili che non lo volevano far uscire di lì.
Ora, Stiles era sempre stato un po’ disordinato in camera sua, ma era sempre stato un caos organizzato, mentre quello… Quello non andava affatto bene e avrebbe dovuto rimediare, perché quella mattina si era messo a cercare il suo portatile e non l’aveva trovato fino a quando non aveva messo sottosopra tutto il resto.
   “Cenerentola? Um…” Il ragazzino sotto al letto sobbalzò nel sentire quella voce dietro di sé “Magari Biancaneve” lo derise celatamente Derek con le braccia strette al petto, prima di staccarsi dallo stipite della porta, afferrarlo per la caviglia e tirarlo fuori di lì.
Stiles, strisciando via dall’oscurità con la schiena spalmata sul terreno, per prima cosa vide lo sguardo dell’altro su di sé e quell’accenno di divertimento che ancora lo colpiva in pieno, ogni volta come se fosse la prima: non si sarebbe mai abituato a quella tranquillità.
   “Una Biancaneve sexy, giusto?” gli fece, alzando le sopracciglia in modo eloquente, con un sorrisetto a delineargli le labbra.
Derek ruotò gli occhi al cielo esasperato, prima di annuire “Sì, una Biancaneve molto sexy” rispose lasciandolo andare, e lo fissò indispettito quando non lo vide alzarsi.
Per Stiles ogni momento era buono per provocarlo, Derek lo sapeva bene e avrebbe potuto giurare che quello fosse uno di quei momenti: il ragazzino aveva ben imparato che il suo punto debole erano quelle labbra schiuse da cui passava il respiro calmo, tutti quei capelli spettinati e quella lingua che continuava imperterrita a inumidire la bocca.
Dannato Stiles.
Derek dovette farsi forza per mollargli una botta con il piede sul ginocchio piegato, prima di immergere le mani in tasca, distogliere lo sguardo e avviarsi verso il salotto, l’altro rise piano prima di tirarsi su con una spinta e seguirlo.
   “Allora…” iniziò buttandosi a peso morto accanto a lui sul divano, prima di sdraiarsi e poggiare la testa sulle sue gambe “Che sei venuto a fare?”
Derek ricacciò indietro la mano che stava allungando per toccargli i capelli e si fece serio “Posso anche andarmene” lo avvertì, ripoggiandosi al bracciolo.
Il figlio dello sceriffo sghignazzò, gli piaceva stuzzicarlo così e “Peccato” mormorò, iniziando lui ad allungarsi per accarezzargli il braccio “Biancaneve voleva affrontare il lupo cattivo…” fece in tono che avrebbe dovuto essere persuasivo, ma Derek gli lanciò un’occhiata inarcando un sopracciglio e “Stiles… Non c’è nessun lupo cattivo in quel cartone animato e poi non parlare di te in versione principessa Disney” rispose in uno sbuffo, prima di sentire le dita della mano dell’altro posarsi sulle sue labbra.
Il più giovane percorse lentamente il loro contorno in una delicata carezza, fissandole incantato e desideroso di allungarsi verso di esse, fin quando l’altro non lo morse.
   “Ehi!” lo rimproverò facendo per scattare su, ma Derek lo trattenne per le spalle su di sé “Mi rovini la manicure!” scherzò massaggiandosi il punto colpito.
Un attimo dopo l’altro gli stava premendo un cuscino sulla faccia, più che altro per non fargli vedere il sorrisetto spudoratamente divertito che gli era spuntato.

Sei mesi, Stiles non riusciva davvero a crederci.
In un certo senso erano completamente volati, da quella serata in casa Martin a ora, ma lui se li ricordava bene.
All’inizio – doveva ammetterlo – gli era sembrato un po’ strano, poi le cose erano andate al loro posto e tutto aveva preso a scorrere: la conoscenza di Derek con Isaac era stata un bene, perché Stiles aveva avuto modo così di vederlo anche durante le sue pause quando l’amico se lo trascinava dietro fino al bar.
Per non parlare della palestra, il ragazzino ora aveva tutto il diritto di stare a fissarlo incondizionatamente senza cercare di passare inosservato e quella era davvero una gran cosa, perché diamine, aveva scoperto di essersi perso molte cose lanciando solo qualche occhiata qua e là ogni tanto.
Per non parlare poi di quando lo aveva presentato a suo padre: quello era stato un po’ un dramma per lui, ma Derek era sembrato fatto apposta per quello, perché era stato perfetto tutta la serata, tanto che lo sceriffo – quando se ne stavano andando e l’altro aveva già raggiunto la macchina – gli aveva chiesto il perché avesse avuto quella faccia esterrefatta tutto il tempo.
Certo, non l’aveva presa bene all’inizio: Derek Hale, conosceva lui e la sua storia, sapeva della differenza di età e poi era un ragazzo… Non che questo ultimo punto fosse un problema grande per il padre, solo che era sempre rimasto ai tempi di ‘Lydia qui’ e ‘Lydia qua’, perciò ritrovarsi a casa quello, che – diciamocelo – con la Martin non aveva niente in comune, lo aveva spiazzato.
Ma aveva imparato a conoscerlo e ad accettarlo, quasi come un figlio.
Stiles non avrebbe potuto essere più felice di così, si sentiva completo e soddisfatto, pronto per quella nuova, invitante e – soprattutto – duratura avventura con Derek, che pareva sotto sotto provare esattamente lo stesso.
Non erano la tipica coppietta romantica, non assomigliavano a Scott e Allison, nemmeno a Danny ed Ethan, tanto meno a Jackson e Lydia… Erano solo loro, il serio e grosso Derek Hale con il sarcastico e piccoletto Stiles Stilinski, con le loro occhiate, i loro scambi incomprensibili, i loro momenti da soli, le battute del ragazzino e i silenzi dell’altro, le loro nottate sul divano dell’appartamento del maggiore. Niente di troppo, ma niente di scontato.
Qualche discussione qua e là quando Derek sembrava una madre con il suo bambino, troppo scorbutico e protettivo, quasi pauroso di vedersi sfuggire Stiles fra le dita come fumo al vento, ma all’altro sotto sotto piaceva questa cosa, vederlo preoccupato, geloso, arrabbiato…
Vedere che provava delle emozioni per lui che all’inizio non aveva mai pensato di poter suscitare in nessuno.
Sentirsi coccolare fra le sue braccia, sentirsi baciare la pelle liscia, accarezzare dalle sue mani, stuzzicare dalla sua barba, assaporare dalla sua lingua, stringere dalla sua presa, sfiorare dalle sue labbra.
Non avrebbe potuto chiedere di meglio, assolutamente no.
E Derek amava toccarlo, averlo suo, solo suo, nel suo letto come solo nel suo appartamento o fra i piedi in generale, perché Stiles gli ronzava costantemente e irrimediabilmente intorno come se quella fosse stata la sua ragione di vita, e il solo pensiero intontiva l’altro, manomettendogli il respiro.
In così poco tempo si erano imparati a conoscere così bene, avevano condiviso così tanto, si erano legati come mai avrebbero pensato di poter fare e avevano così tanto tempo per approfondire e imparare sempre di più.


Era una fortuna per Stiles che Scott passasse così tanto tempo con Allison, perché quando Derek gli era vicino – e per vicino, si arrivava anche al chilometro pieno – lui non sapeva proprio trattenersi: non avrebbe mai pensato di poter essere così.
, insomma, la sua mano era stata una grande amica e le sue fantasie non avevano mai dimostrato altro se non la sua perversione, ma arrivare a quei livelli… Era davvero sorpreso, perché non avrebbe mai pensato di poter essere audace, lui, o di poter far godere qualcuno con il suo tocco, con le sue labbra, con solo il suo respiro.
E di quel ragazzo aveva capito di non averne mai abbastanza, il che era effettivamente problematico, perché la cosa necessitava davvero di tanta energia. Energia che – però – i due sembravano prendere da chissà quale riserva, quando, appena finito di unirsi nel modo più intimo possibile, si guardavano negli occhi e la scintilla si riaccendeva dal nulla, ancora e ancora, facendoli ripartire dall’inizio con quelle sensazioni che sembravano non saziarli mai, non abbastanza da placarli.
E a nessuno dei due dispiaceva, anzi, preferivano chiudersi a giorni in casa da soli, piuttosto che gestire il mondo al di fuori, dove potevano concedersi solamente i piaceri di un bacio rubato all’improvviso.
Derek – fissando lo sguardo incantato sul ragazzo fra le sue braccia, nudo come dimostrazione di quello che erano insieme – si perse nel ricordo di Stiles qualche tempo prima, quando nel suo appartamento si era messo a leggere qualche libro della sua collezione, mentre lui si occupava di alcune piccole cose, il più velocemente possibile così da raggiungerlo.
Se ne era uscito a un certo punto leggendo una cosa ad alta voce, qualcosa che gli aveva fatto perdere un battito, forse per averla sentita dire all’altro o forse per il suo significato.
 
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.
 
Pablo Neruda, Derek non si ricordava neanche di averlo nella sua libreria, e non avrebbe saputo dire sinceramente cosa lo avesse colpito, forse il fatto che si ritrovasse così tanto in quelle parole scritte…
O meglio, il vecchio lui, quello senza qualcuno al suo fianco, senza Stiles.
   “Vuoi una foto?” lo prese in giro il ragazzino, stringendosi meglio su di lui e regalandogli un sorrisetto che l’altro accolse come la cosa più preziosa “Se vuoi posso farti un autografo, dove lo vuoi?” aggiunse malizioso, facendogli alzare automaticamente gli occhi al cielo.
Si alzò, sciogliendo un po’ svogliatamente quella presa che gli dava forza e sicurezza come niente al mondo prima d’ora, provocando il disappunto evidente del più piccolo.
Forse lo aveva fatto per nascondere ai suoi occhi la luce che gli era passata nelle iridi verdi, e al suo tocco i brividi che lo avevano percorso, o forse per riprendere il respiro che gli si era praticamente bloccato in gola, dandogli una potente tachicardia.
   “C’mon sourwolf, vieni qui!” lo richiamò fissandolo con un sorriso dolce, mentre lui si rivestiva “Sono proprio in vena di coccole!”
E Derek non riuscì a non alzare ancora gli occhi al cielo con un leggero grugnito, ma – alla fine – non se lo fece ripetere due volte.
Come avrebbe potuto?  
Quello era stato sicuramente il miglior regalo che il destino avesse mai potuto fare loro, Stiles e l’altro non avevano assolutamente dubbi a riguardo.
Non li avrebbero mai avuti. 


 


 
 

Ehilà ~ 
LASCIAMO SPAZIO ALLA DEPRESSIONE YEEEEY
Già... I'm kinda depressed, u know. 
Dunque per la prima volta in tutta la mia vita, ho portato qualcosa a termine. 
Non so se essere fiera o se piangere, bah.
Epilogo piuttosto corto, ma spero che non vi abbia deluso perchè c'è mooolto sentimento. 
La poesia di Neruda: beh, l'ho messa pechè mi sembrava azzeccata e perchè ho riscoperto il mio amore per i suoi lavori, quello in particolare... Spero abbia colpito anche voi allo stesso modo. 
Non so davvero che altro dire...
Ringrazio CON TUTTO IL CUORE tutti quelli che mi hanno seguita in questa piccola avventura, sicuramente tornerò a scrivere su teen wolf (non potrei vivere senza farlo, dunque succederà), davvero, GRAZIE MILLE! 
(Tanto per fare qualcosa, vi lascio il link della one shot sterek che ho pubblicato ieri: Hale: istruzioni per l'uso!) 
Ancora grazie e alla prossima! Spero di ritrovarvi(?) ç_ç
Se volete contattarmi (??) sulla mia pagina di efp ci sono il mio tumblr e il mio facebook, comunque potete scrivermi anche qui! 
Spero di leggere qualche parere!
Fatemi sapere se vi è piaciuta e tutto quello che vi pare!


*sbatte la testa contro il muro e si mette in un angolino a piangere* 

Lawlietismine.
 


 

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