The Daughter of Poseidon

di Silver Shadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scopro di essere mezza dea ***
Capitolo 2: *** Il figlio di Ade ***
Capitolo 3: *** Incontro un morto ***
Capitolo 4: *** Ricevo una rivelazione shock ***
Capitolo 5: *** Mi viene confessata la verità su mia madre ***
Capitolo 6: *** Duello con mio fratello ***
Capitolo 7: *** Faccio un viaggetto negli Inferi ***
Capitolo 8: *** Recuperiamo la statua ***
Capitolo 9: *** Apprendo un gran bel potere ***
Capitolo 10: *** Faccio un salto sull'Olimpo ***
Capitolo 11: *** Succede qualcosa di inaspettato ***
Capitolo 12: *** Iniziano i problemi (Come se fossero mai finiti) ***
Capitolo 13: *** Il Labirinto non ci aiuta ***
Capitolo 14: *** Abbiamo un incontro poco piacevole ***
Capitolo 15: *** Finalmente la pace ***



Capitolo 1
*** Scopro di essere mezza dea ***


Il mio nome è Willow Blackblood. Ho 15 anni e ho dei lunghi, lisci capelli neri che non stanno mai al loro posto. I miei occhi sono verdi “come il mare”, mi dicono tutti, sono piuttosto magra e porto l’apparecchio. Mi piace il colore nero e amo la musica rock e metal. Studio molto e ho ottimi voti a scuola. Sono una ragazza come voi, a parte il fatto che sono la figlia di Poseidone.

L’ho scoperto solo poco tempo fa, quando un’idra mi è piombata nell’aula di educazione fisica quasi divorandosi mezza classe, tra cui il mio migliore amico Gabriel che si è rivelato essere un mezzo capra (non mi ricordo mai quel termine, com’era? Saturo.. saturno.. vabbè). Così, dopo aver visto il mio migliore amico mezzo capra  bruciare l’idra con uno strano fuoco verde e aver lasciato la scuola completamente distrutta, mi sono trovata a risalire questa collina alla cima della quale c’era l’ingresso del Campo Mezzosangue, dove “sarei stata al sicuro”, diceva lui. Ha detto così anche a mia madre.
Non aveva mica accennato al fatto che era appena conclusa una Guerra dei Titani e che tutto il campo festeggiava ormai da giorni (quando arrivai stavano ancora bevendo, cos’era, Diet Coke?), così mi ritrovai lievemente spiazzata. In mezzo a quel caos, distinsi una ragazza e un ragazzo che venivano sollevati dagli altri e acclamati a gran voce, e si facevano brindisi in loro onore. Non distinsi,comunque, bene i nomi, dal momento che venni subito trascinata da Gabiel e un mezzo cavallo (tanto i nomi non li imparerò mai) in una strana, grande villa bianca e azzurra.
Il mezzo cavallo, Chirone, riuscì a spiegarmi che ero stata scoperta, che nonostante la minaccia di Crono fosse stata sventata i mostri continuavano a rinascere e che l’unico posto sicuro per me (ancora?) era il campo Mezzosangue. Qui sarei stata addestrata a dovere per affrontare il mondo all’esterno e uccidere tutti i mostri che mi fossero capitati a tiro, e mi promise che entro pochi giorni sarei stata riconosciuta dal mio genitore divino (questo piccolo insignificante particolare uscì fuori solo, tipo,alla fine della conversazione).
Il problema? Sono passati 3 giorni e non mi hanno ancora riconosciuto un bel niente.
Ho conosciuto quei due ragazzi la sera stessa che sono arrivata al campo, ad un falò, dove Chirone ha annunciato a tutti il mio arrivo e tutti mi si sono presentati. Annabeth e io siamo diventate subito amiche, data la sua intelligenza in quanto figlia di Atena e la sua enorme cultura riguardo argomenti ai quali sono molto interessata. Il suo ragazzo, Percy, all’inizio mi è sembrato un po’ ebete, ma si è rivelato un bravo ragazzo. Mi ha aiutato ad ambientarmi e mi ha spiegato come funzionano gli allenamenti, le feste, le canzoni ai falò, i posti e come raggiungerli e i giochi (tipo Caccia alla Bandiera) che si svolgono.
E’ stato esaltante il primo allenamento,perché non credevo di avere riflessi così pronti o una tecnica così affinata. Era come se mi venisse istintivo colpire l’avversario – in questo caso il manichino – con quella determinata tecnica, come se lo facessi da sempre, come se fosse mia. Chirone si è complimentato con me sin dal primo giorno e Gabriel mi ha assistito tutto il tempo. Mi sono concentrata molto sul corpo a corpo e ho lavorato sui muscoli, senza contare esercizi di equilibrio e velocità. Imparo in fretta.
In questo modo (presa anche dall’euforia della novità) avevo avuto modo di distogliermi dal pensiero del riconoscimento, ma alle 11 circa della mattina del terzo giorno al campo mi ero veramente stufata. Possibile che mio padre non si facesse ancora vedere? Ero sudata e stanca, ma la frustrazione mi costringeva a continuare a infilzare il mio manichino di paglia con la spada che mi era stata donata al campo. Si chiamava Kataigida, Tempesta. L’elsa era ricurva, del colore delle perle, venata di blu e la lama piatta e a doppio taglio in puro bronzo celeste (l’unico materiale che era in grado di uccidere i mostri, mi era stato spiegato). Quando ero sull’orlo del collasso, sentii una mano posarsi sulla mia spalla e mi voltai.
- Ce l’hai proprio con questo manichino, eh? L’hai sventrato ormai, non è rimasto più nulla – osservò Percy, con un angolo delle labbra sollevato in un sorriso palesemente divertito. Sbuffai.
- Non ho nulla da fare. Se solo sapessi chi è quel mio dannato padre! – lanciai le braccia all’aria, quasi urlando per la rabbia.
- Ehi, non parlare così – mi ammonì Percy – c’è qualche dio dannato al piano di sotto che potrebbe prendersela – replicò seriamente, indicando il terreno. Aggrottai le sopracciglia.
- Stai dicendo che il dio dei morti (com’è che si chiamava? Ares.. Apollo.. ) ha dei figli? – gli chiesi, sbalordita, dimenticandomi del riconoscimento.
- Naturalmente – esclamò Percy soddisfatto, come se conoscesse uno dei grandi segreti dell’umanità – e ti dirò di più: io ne conosco uno! – esordì, con un’espressione ancora più fiera.
Lanciai uno sguardo alle case degli dei minori che stavano costruendo. Mi era stato detto che per alcune divinità non erano state costruite cabine, e giustamente anche per i loro figli doveva esserci la possibilità di addestrarsi e vivere al campo, così si era deciso di costruire accampamenti anche per loro. Dopo la Guerra dei Titani, oltretutto, i Tre Pezzi Grossi avevano trovato una sorta di compromesso, per lui anche la cabina di Ade era quasi completa.
- E questo tuo.. amico.. – dissi incerta, continuando a fissare i lavori – verrà qui? Cioè.. al campo? – gli domandai, ancora un po’ incredula. Lo vidi annuire con la coda dell’occhio.
- Lui ha.. Una storia un po’ particolare, come tutti noi semidei tra l’altro. Ma ti assicuro che la sua è sufficientemente tragica. O almeno, lo è abbastanza da averlo quasi spinto a fare di me tante Percy-polpette – mi rivelò lui, lasciandomi interdetta.
- Che cosa hai fatto per risvegliare in lui la passione della cucina? – continuai, cercando di smorzare la piega malinconica che stava prendendo quella conversazione. Non ero mai stata il tipo da conversazioni serie, non sapevo mai bene come dovevo comportarmi. Lui si limitò a sorridermi.
- Se vorrà dirtelo, lo farà. – seguì qualche imbarazzante secondo di silenzio che lui interruppe prima che io riuscissi a trovare un’idea per farlo. – Comunque, pomeriggio c’è la caccia alla bandiera e stasera falò. Hai imparato qualcuna delle canzoni che ti ho stampato? – mi domandò con le mani sui fianchi e la fronte aggrottata, come se sapesse già che non avevo toccato quei fogli.
- Ehm.. lo farò – gli promisi, sorridendogli innocentemente. Lui sospirò, esausto, e si voltò per andar via.

Dopo il pranzo, corsi nella mia cabina a prepararmi per l’evento. Ero ancora nella casa di Ermes, dove stavano anche tutti quelli non riconosciuti, intenta ad infilare la mia armatura e il mio elmetto con la cresta azzurra (la stessa di Percy e Annabeth!) ma si sentiva aria di guerra. Infilai Kataigida nel fodero e, quando fu ora, mi precipitai fuori col mio gruppo.
- Dunque, ragazzi – cominciò Percy, capo della spedizione –ci divideremo in 3 gruppi. Uno resterà a guardia della bandiera, l’altro li distrarrà e l’ultimo andrà a recuperare la bandiera rossa. E’ tutto chiaro? -
Urlammo tutti “Si”, in coro, e poi cominciammo a dividerci. Un gruppo andò all’attacco con Percy, un altro con Annabeth per distrarre i nemici e io mi trovai nel gruppo di difesa. Che palle, tutto il divertimento toccava a loro! Avrei dovuto stare lì ad aspettare di essere attaccata... Se mai fosse successo. Non volevo trasgredire agli ordini, ma nemmeno starmene con le mani in mano. Era la mia occasione per essere notata da qualcuno al campo!
Ero lì da poco è vero, ma gli unici amici che ero riuscita a farmi erano Percy e Annabeth, e forse solo perché erano abituati a queste cose. Tutti gli altri non mi avevano nemmeno guardato, e se l’avevano fatto era perché stavamo nella cabina insieme. All’inizio pensavo che fosse la timidezza o il fatto che non fossi ancora riconosciuta, ma più passavano i giorni e più mi rendevo conto che comunque non avrebbero fatto caso a me.
Ero così assorta dei miei pensieri che neppure sentii l’avvertimento urlato dal mio compagno di squadra prima che qualcosa mi colpisse la guancia e mi facesse cadere, facendomi sbattere la schiena a terra. Ancora intontita per la botta, sentii rumore di battaglia vicino a me, e ben presto mi rimisi in piedi ignorando il dolore. Realizzai che 7 ragazzi della squadra nemica ci avevano accerchiato (noi eravamo solo in 3) e che i miei due compagni si stavano facendo in 4 per tenerli a bada. Mi lanciai nella mischia e puntai sul fattore sorpresa, che ebbe un discreto effetto, dato che mandai al tappeto due ragazzi, colpendo uno sul viso col piatto della lama e l’altro nello stomaco con l’elsa. Altri due giacevano a terra privi di sensi, probabilmente già precedentemente sistemati da quelli della mia squadra, ma ancora 3 ne restavano in gioco. Io e i miei ci avvicinando, mettendoci schiena a schiena, con le spalle che si toccavano, e muovendoci a cerchio fissando i nostri nemici.
- Uno per ognuno, ok? – mormorai, e loro annuirono.
Poi ci lanciammo all’attacco.
Urlando, mi precipitai addosso al mio avversario tentando di disarmarlo, ma lui fu più veloce e si spostò, saltando e atterrando dietro di me, spingendomi e facendomi quasi cadere di nuovo. Ripresi equilibrio e mi voltai in tempo  per evitare quello che sarebbe stato un affondo in pieno petto, approfittando del fatto che mi ero dovuta abbassare per far ruotare una gamba di modo da farlo cadere. La mia strategia riuscì, e il mio avversario si trovò ben presto con le gambe all’aria e la mia spada puntata alla gola. Ebbi poco tempo, tuttavia, per godermi la mia vittoria, perché un urlo mi risvegliò. Quando mi voltai, vidi uno dei miei compagni a terra, ferito, e uno dei nemici che stava scappando. Con la nostra bandiera in mano.
Non ci pensai due volte e cominciai a correre verso di lui, determinata a riprenderla e a non lasciarli vincere. Lo inseguii lungo un bosco, e lui cercò di confondermi facendo slalom tra gli alberi e cambiando continuamente direzione, ma io non lo persi di vista. Quando gli alberi iniziarono a diradarsi, vidi un fiumiciattolo, stretto e apparentemente anche basso, facile da attraversare. Il problema non era quello. Il problema era che sulla riva opposta c’era la bandiera rossa della squadra nemica, per la quale i miei stavano combattendo. Era campo loro. Se io avessi lasciato che quel bastardo raggiungesse l’altra sponda, avremmo perso. Gli saltai addosso senza pensarci troppo, e cademmo entrambi nel fiume. Lui tentò di divincolarsi e di liberare le mani per prendere la spada, ma io lo bloccai per i polsi come avevo imparato durante l’addestramento. Quando, però, feci per estrarre la spada dal fodero, non la trovai. Impallidii. L’avevo lasciata cadere quando avevo visto il ragazzo che tenevo stretto con la bandiera. Idiota. La mia unica possibilità era un aiuto dall’esterno.
- Percy! urlai dal mezzo del fiume – Una mano? – Per fortuna, lui mi sentì e si voltò, sussurrando qualcosa a uno dei nostri compagni e abbandonando la battaglia, avvicinandosi al fiume. Non capii che diavolo stava facendo, quando sollevò le braccia a chiuse gli occhi, come se fosse concentrato. Stavo per chiedergli con maniere poco gentili che intenzioni avesse, ma le domande mi morirono nel fondo della gola quando gran parte dell’acqua del fiume venne prosciugata, anzi, innalzata allo stesso livello degli alberi nello stesso momento in cui Percy sollevò le braccia. Lui ha fatto questo?
Subito dopo, Percy mi guardò come per chiedermi il permesso. Se avesse travolto il ragazzo con l’onda, avrebbe travolto anche me. Avrei voluto che non fosse necessario, ma lui teneva stretta la bandiera sotto di sé e non era proprio magro, per cui era difficile spostarlo. Spostai lo sguardo dall’onda al bastardino a Percy, poi annuii. Chiusi gli occhi e quando l’immensa mole d’acqua ci travolse rimasi senza fiato perché.. Non successe nulla. L’acqua mi schivò, inondando ogni cosa ai miei lati, ma evitandomi come se sopra di me ci fosse una barriera invisibile. Quando tutta l’acqua tornò nel fiume, neppure una goccia d’acqua mi aveva bagnata.
Mi sollevai lentamente, confusa, senza capire cosa stava succedendo. Mi tremavano le gambe, tutti all’improvviso si erano ammutoliti e mi stavano guardando. Il mio sguardo si posò sull’avversario sotto di me, ancora nel fiume, rannicchiato in posizione fetale, che mi guardava battendo i denti terrorizzato, così tanto da aver lasciato la bandiera che ora giaceva ai miei piedi. Non sapevo cosa fare, così mi limitai a prenderla e a sollevarla. Il silenzio della folla non mutò.
- Tu.. L’acqua.. Ti ha.. – riuscì a dire con un filo di voce una ragazza di Afrodite (credo), mentre gli sguardi si facevano più intensi e anzi, i loro occhi si sgranavano in un’espressione di stupore mentre osservavano qualcosa sopra la mia testa.
Sollevai lo sguardo anch’io, e quando vidi ciò che li aveva tanto sorpresi, emisi un verso soffocato. Non potevo crederci.
Appena sopra la mia testa, fluttuante e silenzioso, c’era uno strano cerchio luminoso di colore verde. Al suo interno, un tridente.
- Poseidone – mormorò Percy rompendo il silenzio – sei mia sorella. –

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Capitolo 2
*** Il figlio di Ade ***


Dopo qualche altro imbarazzatissimo secondo di silenzio in cui realizzai pienamente quello che era successo, la folla iniziò ad acclamarmi, un po’ per la vittoria e un po’ per il riconoscimento. Mi sentivo più seccata che contenta. Ci volevano davvero 3 giorni per questo?
Quando tutti si furono calmati, Annabeth si tolse l’elmo e corse ad abbracciarmi e Percy mi venne vicino con un sorriso a trentadue denti. Un fratello. Ricambiai il suo sorriso sinceramente, perché se qualcuno doveva essere mio fratello avrei proprio voluto che fosse lui.
Gli altri semidei mi sollevarono tenendomi, e mi portarono fino alla mensa urlando il mio nome e acclamandomi. Cenammo, e improvvisamente tutti coloro che fino ad allora non mi avevano considerato vennero a complimentarsi e a parlare con me. Qualcuno ci provò perfino.
- State lontani da mia sorella – continuava a ripetere Percy con fare protettivo, come se fosse una cosa naturale,che era abituato a fare e faceva da sempre. Non potei fare a meno di provare un immenso moto d’affetto verso di lui. Sarebbe stato difficile abituarsi all’idea di un fratello, ma d’altra parte anche per lui doveva essere strano realizzare di avere una sorella. Bhe, un problema che avremmo affrontato insieme. Ero felice, perché non ero più sola.
Dopo cena, ci radunammo intorno al fuoco cominciando a cantare quelle tipiche canzoni del campo di cui io non conoscevo neppure una parola. Mio fratello (wow, è strano) mi lanciava occhiate per verificare se stessi cantando e io cercavo di seguire gli altri evitando il suo sguardo, ma vedevo perfettamente con la coda dell’occhio la sua espressione contrariata. Dovetti trattenermi per non ridere.
A fine serata, ero esausta. Già la Caccia alla Bandiera mi aveva stancata, ma ero stata a chiacchierare e cantare fino a tardi e volevo solo andare a dormire. Solo quando arrivai alla cabina di Ermes mi ricordai che quello non era più il mio posto. Dovevo andarmene. Potevo andarmene.
Raccolsi in fretta e in furia tutta la mia roba e mi precipitai alla cabina tre, bussando alla porta, ma nessuno venne ad aprire. Aggrottai la fronte. Che fosse successo qualcosa? Bussai di nuovo. Nessuna risposta. Iniziai a sentirmi nervosa. Ero da sola, al buio della notte, e tutti erano chiusi nelle loro cabine a parlare, ascoltare musica o prepararsi a dormire. Mi morsi il labbro restando in attesa, finché non sentii un fruscio dietro di me. Mi voltai. Nessuno. Mi accigliai ancora di più, guardandomi intorno attentamente. Un cespuglio vicino la cabina 10 si mosse. Un brivido percorse tutta la mia spina dorsale, e mi diedi della stupida. Magari me lo stavo immaginando. Mi girai verso la cabina e riprovai a bussare,ma ancora niente. Spostai il peso da un piede a un altro e mi voltai nuovamente per tornare alla casa di Ermes. E lanciai un urlo.
Davanti a me si era materializzata una figura, un’ombra dalle dimensioni umane. Al buio non si distinguevano molti dettagli, ma capii che era un ragazzo. Aveva dei capelli neri scompigliati e non troppo lunghi, occhi scuri (ma non riuscivo a distinguere data l’oscurità) una carnagione pallidissima che risaltava nella notte e indossava pantaloni e maglietta neri (la maglia aveva un teschio disegnato sopra) e un giubbotto da aviatore. Notai che a un dito portava un anello d’argento con un teschio.
Il suo viso era inespressivo, le labbra sottili e i lineamenti delicati. Continuava a fissarmi senza dire nulla, così strinsi di più a me la roba che avevo portato dalla cabina dove vivevo prima.  Deglutii.
- Dov’è Percy? – mi chiese all’improvviso. La sua voce era bassa e profonda, quasi sussurrava. Non sapevo dire se era perché era notte e non voleva svegliare qualcuno, o perché era proprio il suo timbro. Mi sentivo sempre più nervosa, le mani cominciavano a tremarmi, così le strinsi a pugno per evitare che si notasse.
- Tu chi sei? – la mia voce suonò più acuta del solito, e mi maledii per l’ansia che provavo e non dovevo mostrare.
Lui continuò a fissarmi, stavolta con espressione incuriosita. Questo cambiamento un po’ mi calmò.
- E tu chi sei? – mi chiese, inclinando un po’ la testa di lato. Il suo tono era più gentile.
- Io sono la sorella di Percy – risposi, stavolta prontamente e con voce normale, drizzando la schiena e riprendendo il controllo di me stessa.
Probabilmente il ragazzo misterioso non se l’aspettava, perché sollevò  le sopracciglia, stupito. Pochi attimi dopo, aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò non appena un’ombra si materializzò vicino la cabina 10, correndo verso di noi e urlando qualcosa. Strinsi gli occhi cercando di vedere meglio e il ragazzo davanti a me si voltò per cercare di riconoscere chi avesse urlato. A mano a mano che si avvicinava, correndo, lo riconobbi. Percy. Il suo sorriso a trentadue denti non era stato intaccato e rimasi a guardare mentre abbracciava e dava pacche sulla spalla di quel ragazzo, che sembrava piuttosto a disagio, o meglio, contrariato, come se non gli piacesse essere toccato. Poi mi notò, e il suo sorriso si allargò (ma era possibile?).
- Oh, Willow, hai portato le tue cose! Scusami, avevo da fare su in mensa.. Ma vedo che hai fatto già la conoscenza di Nico – mi disse solamente, tenendo un braccio attorno alle spalle del ragazzo. Nico. Lui riprese a fissarmi, come se cercasse di riconoscere il mio nome nei lineamenti del mio viso.
- Nico, lei è mia sorella. Cioè, l’abbiamo scoperto stasera, è stata riconosciuta – si rivolse al ragazzo, cioè, a Nico, e poi subito dopo a me – lui è Nico, Willie. Il figlio di Ade. –
Sbarrai gli occhi. Non volevo farmi sorprendere così, ma quando Percy me l’aveva detto, lo confesso, non l’avevo preso troppo sul serio. Ma ora un vero figlio di Ade era lì davanti ai miei occhi e mi fissava come se non vedesse una persona da mesi.
Allungai una mano verso di lui, non più tremante ma solo curiosa.
- E’ un piacere – ruppi il ghiaccio, sorridendo, come mio solito, da un angolo delle labbra. Lui schiodò lo sguardo dal mio e lo spostò sulla mia mano tesa. Allungò anche la sua, con fare incerto, e la strinse debolmente. La sua pelle era dannatamente fredda.
- Non ti aspettavamo prima di domattina, Nico – gli si rivolse Percy, guardandolo.
- Ho fatto presto – rispose lui, piuttosto evasivo. – come vanno i lavori per la cabina di Ade? – si voltò verso i lavori in corso, aggrottando la fronte.
- Ehm.. Per questo ti aspettavamo domani – gli rispose Percy, grattandosi la nuca imbarazzato – non è ancora pronta. Però.. – alzò lo sguardo, pensieroso.
- Però cosa? – Nico si voltò di nuovo verso di lui. Mio fratello sorrise.
- Puoi restare da me. Cioè, da noi, in questa cabina. Non penso che Chirone farà storie.. Soprattutto se non lo sa – sussurrò facendogli l’occhiolino. Nico alzò gli occhi al cielo, ma quando Percy aprì la porta della cabina lui si infilò silenziosamente dentro. Li seguii tentando di non far cadere nulla dal mio mucchio di vestiti ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle con un piede.
L’interno era pazzesco. La cabina era piuttosto bassa, ma comoda e spaziosa. Diversi letti a castello erano allineati all’interno e la roba di Percy era un po’ dappertutto. Sistemai i miei vestiti su un mobile mentre Percy e Nico chiacchieravano, seduti uno di fronte all’altro su due letti (Percy, probabilmente,su quello che era il suo, visto che era cosparso da vestiti e lattine di Coca Cola e pezzi di panino). Feci di tutto per non disturbarli, e salii i gradini che portavano al letto appena sopra quello dove era seduto Nico. Mi rannicchiai sul cuscino e iniziai a leggere un libro che non avevo ancora terminato (Il ritratto di Dorian Gray, sapete?), o almeno tentai di farlo. Mi sentivo completamente deconcentrata. Tutta la mia attenzione era rivolta ai due ragazzi a un piano più sotto.
- Cavolo, e hai passato tutto questo tempo da tuo padre? –domandò incredulo Percy.
- Beh, non proprio tutto, ma ho visitato gli Inferi molto spesso – rispose tranquillamente Nico.
Gli Inferi. Quella parole mi fece rabbrividire. Non riuscivo nemmeno a immaginare come fosse passare dei secondi lì, figuriamoci dei giorni. Abituarsi a quell’ambiente, poi, era un’utopia. Potevo capire perché Nico fosse così silenzioso e (devo ammetterlo) un po’ sinistro.
Quando finalmente Percy chiuse la luce e ci augurammo la buonanotte, restai qualche altro minuto a pensare a tutto quello che era successo quella sera, rannicchiata sotto le mie coperte. Il riconoscimento così improvviso, era qualcosa che non avevo programmato (ma d’altra parte dovevo aspettarmi che sarebbe successo in questo modo). Avevo pensato a chi potesse essere mio padre, ma Poseidone era stato escluso quasi subito. Probabilmente avrei fatto lo stesso discorso per qualsiasi altro dio.
E poi c’era l’incontro con Nico. Nonostante Ade come divinità mi incutesse terrore, dovevo ammettere che la sua progenie aveva un certo fascino. Cioè, oltre all’estetica. Il fatto che fosse tanto taciturno lo circondava di un alone di mistero che spingeva a voler provare ad oltrepassare la corazza che si era chiaramente costruito intorno. O forse succedeva solo a me.
Immersa in questi pensieri, quasi istintivamente mi sporsi dal mio lato del letto per guardare Nico, steso nel letto sotto il mio. Sussultai quando vidi che i suoi occhi erano aperti e fissamente puntati nei miei. Mi spostai subito, rimettendomi sdraiata sul letto, e posandomi una mano sul cuore che aveva preso a martellarmi nel petto, sperando che quel gesto potesse nasconderlo o placarlo; temevo rimbombasse anche nel resto della stanza. Sentivo ancora il battito sotto la mano quando mi addormentai.

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Capitolo 3
*** Incontro un morto ***


La mattina dopo, quando mi svegliai, mi resi subito conto che ero sola in stanza. C’era troppo silenzio per gli standard di Percy (mi riferisco al russare, naturalmente) e sotto il mio letto, quello di Nico era vuoto e risistemato. Al contrario di mio fratello, il suo angolo di stanza era perfettamente ordinato e pulito. Storsi il naso di fronte ai boxer che si intravedevano sotto il letto di Percy, e scesi dal mio, lavandomi e vestendomi velocemente.
Mentre uscivo, legai in una coda di cavallo i miei lunghi capelli neri e mi guardai intorno. C’erano ragazzi nelle cabine che rassettavano la camera o se ne stavano semplicemente tranquilli a chiacchierare. Alcuni di Efesto, appena fuori la porta, giocavano con un esserino di metallo che ricordava molto Wall-E in miniatura.
Passeggiando per il campo, mi resi conto di quanto mi sentivo a casa in quel posto. Era passato davvero troppo poco da quando la mia vita era stata stravolta dalla consapevolezza di essere una semidea, ma mi ci ero stranamente abituata in fretta. Tutto lì era così familiare, dalle cabine alla mensa ai campi di fragole. E poi le giornate soleggiate, prive di pioggia (che evitava accuratamente il campo) mi mettevano spaventosamente di buonumore.
Senza neppure rendermene conto, arrivai all’arena e decisi di allenarmi nei lanci del coltello (non si sa mai). In un angolo, erano ammucchiati diversi coltelli argentati con l’elsa riccamente decorata. Subito accanto ad essi, alcuni manichini attendevano di essere colpiti. Alcuni cerchi concentrici disegnativi sopra culminavano in un cerchio più piccolo degli altri posizionato nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore. Cercai di ricordare la tecnica che mi avevano insegnato, portando una gamba più avanti dell’altra e flettendo leggermente le ginocchia. Spinsi il braccio con cui tenevo il coltello all’indietro,piegando più possibile il gomito, e lanciai. Il coltello si conficcò nel braccio destro del manichino. Piuttosto fallimentare come prova.
Mi allenai ancora e ancora tentando almeno di avvicinarmi ai cerchi, ma invano. Colpii sempre un braccio, una gamba o la pancia, una volta la punta del pugnale si conficcò nel collo del manichino, ma troppo superficialmente, così cadde. Non riesco a ricordare il numero di volte in cui il manichino lo mancai del tutto. Dopo diverse ore (o diversi giorni, non so dirvi) mi fermai per riprendere fiato. La maglia arancione del campo mi si era appiccicata addosso e il sudore m’imperlava la fronte, le clavicole e la nuca. I capelli, appena sopra di essa, erano arricciati, le guance rosse, il respiro corto. Posai le mani sulle ginocchia, piegandomi, e chiusi gli occhi tentando di rallentare il battito cardiaco. Quando finalmente mi risollevai, vedendo la scena davanti ai miei occhi, sussultai. Nico stava estraendo uno dei coltelli che avevo lanciato nella pancia del povero, malcapitato manichino. Il mio cuore, invece di stabilizzarsi, fece un giro sull’ottovolante che terminò in una piscina piena d’acqua.
- Ma devi sempre apparire così all’improvviso? – gli domandai, alzando un po’ la voce per farmi sentire.
L’espressione di Nico era piuttosto annoiata, e si voltò verso di me come se mi avesse notato solo in quel momento. I suoi occhi erano spenti e sembrava essere più assente del solito. Non rispose alle mie parole.
- Qualcosa non va? – mi avvicinai un po’ zoppicando e col respiro ancora irregolare a lui, e in tutta risposta lui fece un passo indietro. Io sorrisi, e ciò non gli passò inosservato.
- Perché sorridi in quel modo? – si decise a dire infine, anche se mi rispose con un’altra domanda.
- Perché avevo ragione – dissi solamente, raddrizzandomi e reggendo il suo sguardo cupo.
- Avevi ragione su cosa? – mi chiese ancora, senza staccare i suoi occhi color dell’ossidiana dai miei.
- Non ti piace essere toccato o avvicinato. Lo lasci fare solo a Percy.. Dovete essere molto amici, voi due, e lo capisco, lui è molto gentile. Non capisco come hai fatto a odiarlo, in passato – proferii queste parole con una sicurezza che stupì anche me, e lui sgranò gli occhi come se gli avessi appena svelato di essere un mostro marino gigante con i tentacoli color arcobaleno.
- Sai quello che è successo? – la sua voce, nel farmi questa domanda, suonava di nuovo grave.
- No. Percy non mi ha detto nulla. Ha detto che se avessi voluto dirmelo, l’avresti fatto tu. – ma non aspettai la sua risposta, perché sapevo sarebbe stata negativa, così ripresi a lanciare coltelli. Nico prese a fissarmi intensamente come se vedesse sul mio viso qualcosa che io non vedevo. Cercai di ignorare il suo pesante sguardo su di me, ma concentrarmi in quello stato era piuttosto difficile. Infatti mancai tutti i colpi.
- Spingi il gomito troppo indietro e il busto troppo avanti. – mi ammonì all’improvviso, materializzandosi dietro di me. – Segui i miei movimenti. – continuò, posandomi una mano fredda e delicata sugli addominali bassi e spostando più avanti il mio gomito con le dita. Quel contatto mi fece rabbrividire, ma sperai che lui non l’avesse notato. Cosa c’era che non andava? Più di una volta durante gli allenamenti altri ragazzi più esperti erano stati costretti a guidarmi, e io ero rimasta impassibile concentrandomi sulla mossa che dovevo fare. Ma perché con lui era così diverso? Perché il mio cuore, a furia di abituarsi al suo tocco, batteva tanto forte?
Tentai di mantenere la concentrazione, inspirando ed espirando a lungo, fissando il manichino davanti a me, ma il respiro di Nico sul mio orecchio non mi aiutava gran che.
- Devi stare più morbida. Se irrigidisci così i muscoli delle braccia il tiro non andrà mai a segno – mi sussurrò proprio nell’orecchio, facendomi mordere un labbro per mantenere la calma. Annuii perché era l’unico movimento che ero in grado di fare in quel momento. Continuò a guidare il mio braccio flettendolo fino a un certo punto, controllando che il peso fosse ben distribuito e i muscoli fossero tesi dove dovevano essere tesi e rilassati dove dovevano essere rilassati. Mi concentrai sul mio obiettivo, chiudendo gli occhi a fessura e, con una discreta forza, lanciai il coltello, che fece diversi giri prima di conficcarsi esattamente nell’ultimo cerchietto, il cuore. Le mie labbra si allargarono in un ampio sorriso soddisfatto prima di girarsi verso Nico, la cui espressione inespressiva non era mutata di una virgola. Il mio sorriso vacillò, e la gioia fu rimpiazzata dall’imbarazzo.
- Ehm.. Grazie –mormorai con la voce roca, guardandomi le scarpe. Il fatto che i capelli non mi ricadessero sul viso mi faceva sentire nuda, perché in questo modo sarebbe stato più facile intercettare il rossore delle mie guance.
Nico continuò a non dire e a non fare nulla, ma sentii il suo sguardo, gravoso, su di me.
- Vuoi saperlo? – mi domandò all’improvviso, con un tono di voce che si avvicinava più al sofferente che al freddo
- Sapere cosa? – gli chiesi a mia volta, incerta.
- Perché ho odiato Percy, in passato – mi rispose come se fosse una cosa totalmente naturale. Rimasi perplessa perché non mi sarei aspettata che avrebbe acconsentito alla mia richiesta, figuriamoci a propormelo lui. Ma non me lo feci ripetere due volte,e annuii. A quel punto, il suo sguardo si fece ancora più indagatore, i suoi occhi, se possibili, ancora più scuri.
- Vieni con me, allora – mi esortò, voltandomi le spalle, senza aspettare una mia risposta. Cominciò a camminare prima che potessi realizzare che dovevo seguirlo. Lui sembrava comunque convinto che l’avrei fatto visto che avanzava a passo deciso, oppure anche se non l’avessi seguito non gli importava perché sarebbe andato lo stesso dove doveva andare. Inizialmente, mi sentii smarrita e indecisa sul da farsi, ma ben presto la curiosità vinse tutte le altre emozioni e io corsi un po’ per raggiungerlo e affiancarlo.
Mi resi conto solo dopo che ci stavamo addentrando nel bosco, molto più scuro in quanto il sole filtrava con difficoltà dagli spessi rami degli alberi attorcigliati fra loro. Non so dire per quanto camminammo (potevano essere 5 minuti come potevano essere 20) ma alla fine ci fermammo. Ci fermammo in una zona del bosco in cui gli alberi erano disposti a cerchio attorno a una porzione di terreno coperta da erba incolta, al centro del quale era stata scavata una buca abbastanza grande da contenere una bara. Mi accigliai, ma rimasi in silenzio quando Nico tirò fuori dalla tasca un panino e un barattolo di Diet Coke e li versò nella buca, cominciando a cantilenare in greco antico. La scena che mi si parò davanti diversi secondi dopo fu talmente assurda che temo penserò di essermela immaginata per i successivi anni di vita, sempre che non fossi morta di crepacuore in quell’istante.
Da una parte indefinita del bosco, cominciò ad avvicinarsi la figura fluttuante e trasparente di una ragazza, che cominciò a bere la Diet Coke dalla fossa. I suoi capelli erano lunghi e spostati solo da un lato della spalla, i suoi vestiti ricordavano quelli di un cacciatore; ad aumentare questa convinzione, un arco dietro la sua schiena.
- Bianca.. – mormorò Nico,con la voce spezzata. La corazza che portava sempre addosso sembrava essersi sgretolata al solo contatto visivo con quel fantasma.
La ragazza si voltò, sentendo pronunciare il suo nome, e sorrise a Nico. Se mi vide, non ne diede segno. Si limitò ad avvicinarsi, sempre fluttuando, verso di lui, sfiorandogli la guancia con una mano. Il ragazzo strinse i pugni, ma i suoi occhi erano lucidi e pieni di lacrime. Può sembrare strano sentirsi in imbarazzo in presenza di un fantasma, ma era così che mi sentivo.
- Ciao, Nico. – la sua voce sembrava ovattata, come proveniente da molto lontano.
- Per gli dei, Bianca.. E’ passato tanto.. davvero troppo.. – cominciò Nico, spaesato. Temo si fosse dimenticato della mia presenza.
- Non è passato né tanto né troppo. Ti ho sempre osservato da dove sto adesso. Ho seguito ogni tuo passo, e sono così fiera di te. – gli sorrise, per quanto un fantasma potesse sorridere. Il dolore di Nico gli si leggeva in faccia.
- Ho fatto.. Quello che tanto desideravi, Bianca. Ci sono riuscito. Ho perdonato Percy e.. – ma la sua voce roca fu interrotta da quella lontana della ragazza fantasma.
- E sono, ripeto, fiera di te, Nico. Ma non avevi comunque nulla da perdonare a Percy. E’ stata una mia scelta. Non è colpa sua, se sono morta. Non lo è mai stata. – pronunciò quelle parole con tono autoritario, tanto da costringere Nico ad abbassare la testa.
- Lo so.. Lo capisco, adesso – era evidente dal suo tono di voce quanto fosse difficile per lui parlare – ma volevo.. volevo solo che tu lo sapessi. E vorrei che sapessi quanto.. quanto è tutto così difficile e quanto mi sento solo o quanto mi manchi.. – le sue parole risuonarono nel bosco, la sua voce rimbalzò sui tronchi degli alberi. La ragazza s’intristì.
- Le persone che mancano sono quelle che se ne sono andate, e io non me ne sono andata. Non del tutto, comunque. Noi, lo sai Nico, comprendiamo la morte in maniera diversa. Io non sono riuscita a capirlo quando ero in vita perché ho avuto troppo poco tempo, ma ora so che è così. So quanto sia difficile poter evocare i morti, parlarci qualche minuto e poi lasciarci andare. Lascia più vuoto di prima. So quando sia difficile essere figli del dio dei morti e non poterli riportare in vita.. – la sua figura cominciò a tremolare, e Bianca si fermò,improvvisamente allarmata.
- Nico, non posso restare.. il mio posto mi chiama – disse, sofferente. – Sappi che continuerò a guardarti da ogni albero del bosco, da ogni colonna della mensa, da ogni sasso sul terreno e da ogni stella sulla quale alzerai lo sguardo. Ci rivedremo, un giorno, ma fino ad allora, ti prego, non renderti le cose più difficili, non richiamarmi. Abbi solo cura di te, fratellino. Abbine anche per me. – e, terminate queste parole, scomparve in una nuvola bianca, come neve che si dirada.
Tornò il silenzio. Fratellino? Quella ragazza era sua sorella? E cosa c’entrava in tutto ciò Percy? Era in qualche modo colpevole della sua morte? La testa mi girava e io ero sempre più confusa. Cercai Nico per trovare conforto o risposte nella sua figura, ma quando il mio sguardo lo trovò mi sentii il cuore pesante. I suoi pugni erano talmente stretti che le unghie erano conficcate nei palmi bianchi. La testa era china, e i suoi capelli neri nascondevano il viso, ma i suoi silenziosi singhiozzi lo tradivano. Sgranai gli occhi,ma restai immobile. Non sapevo come comportarmi,non mi ero mai trovata in una situazione simile, e il fatto che si trattasse proprio di Nico mi innervosiva ancora di più. Ma cosa avrebbe pensato di me se fossi rimasta lì senza fare nulla a guardarlo piangere? I miei piedi si mossero automaticamente verso di lui e non mi resi conto che mi misi a correre quando lui cadde in ginocchio, disperato. Mi chinai di fronte a lui e le mie braccia furono subito pronte ad accoglierlo. Lui nascose il volto nell’incavo del mio collo, e le sue lacrime calde inumidirono la mia maglia e parte della pelle scoperta. Era una sensazione strana e nuova, e il panico che mi era precedentemente montato dentro svanì del tutto quando cominciai a carezzargli i capelli, morbidi come mai avrei immaginato che potessero essere. Continuammo a stare così per un tempo indefinito, io che lo carezzavo e gli sussurravo parole confortanti, e lui, spezzato dal dolore, lacrimante fra le mie braccia.

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Capitolo 4
*** Ricevo una rivelazione shock ***


Quella sera io e Nico non andammo a cena. Dopo essere tornati a stento dal bosco, Nico si era seduto sul suo letto e si era avvolto nelle coperte lasciando scoperta solo la testa, dal naso in su. Fissava in pavimento con quei suoi occhi ancora lucidi e arrossati per il pianto, le occhiaie sempre più scure e profonde. Mi sedetti sul pavimento accanto a lui dopo essere andata a prendere due bicchieri di cioccolata calda fumante, nonostante fosse giugno e facesse ancora molto caldo.
- Tieni.. La cioccolata fa sempre bene all’umore – gli proposi, abbozzando un sorriso che (lo sapevamo entrambi) più falso di così probabilmente non poteva essere. Lui alzò lo sguardo dal pavimento a me, inchiodando gli occhi nei miei. Ogni volta che succedeva mi sentivo a disagio,come catturata, perché non riuscivo a impormi di distogliere lo sguardo. Non sapendo cosa fare, mi limitai a porgli la tazza, e dopo qualche secondo d’esitazione allungò una mano dalla coperta e la prese, cominciando a fissare il liquido al suo interno. Le punte delle sue dita, a contatto con il calore della cioccolata, iniziarono a diventare rosse.
- Lei.. era tua sorella? – mi decisi a chiedere infine, ancora spaventata dal toccare l’argomento. Ciò che era accaduto aveva profondamente scosso Nico (ok che vedere un fantasma scuote tutti, ma per lui era diverso immagino). Lui si limitò ad annuire.
- E.. Perché avete tirato fuori Percy nella conversazione? C’entra qualcosa? – sussurrai timidamente, temendo di farlo innervosire.
- No. No.. Lui non c’entra niente. Non c’è mai entrato niente. Ma io mi sentivo talmente frustrato che sentivo la necessità di incolpare qualcuno.. E chi se non lui che, quando erano partiti per la missione, mi aveva promesso di proteggerla? – erano le uniche parole che proferiva da intere ore e la sua voce era ancora roca e spezzata, come se le sue corde vocali fossero state graffiate. Il peso che avevo sul petto non fece altro che aumentare.
Istintivamente, mi sedetti accanto a lui sul letto e cinsi le braccia attorno al suo collo. Non c’erano parole in grado di esprimere quello che provavo, per cui ci provai con un gesto. Un gesto piuttosto banale ma (speravo) sempre ben accettato.
Anche stavolta Nico esitò un po’, ma si liberò dalla sua prigione di coperte e avvolse le sue braccia attorno ai miei fianchi. Era abbastanza strano stare in quella posizione, ma finché non mi vedeva in viso era tutto okay, dato che avevo la certezza di essere diventata più rossa di un pomodoro maturo. Sentivo il suo petto alzarsi e abbassarsi contro di me in maniera irregolare, come se fosse nervoso. Sono io a innervosirlo? Ma scacciai subito quella domanda dalla mia mente, perché non poteva essere possibile. Era sicuramente per ciò che era successo poche ore prima. Non poteva esserci altra spiegazione.
- Will.. – quasi balzai dal letto quando lo sentii sussurrare il mio nome con quel tono così strano, che mai gli avevo sentito prima, proprio accanto al mio orecchio. Un brivido percorse tutta la mia spina dorsale. Nessuno mi chiamava mai così. Riuscii a malapena a proferire parola.
- Sì? – la mia voce era debole e tremante e mi maledii per quell’improvvisa e inspiegabile debolezza.
Nico si allontanò da me quanto bastava per guardarmi negli occhi, tenendo le mani sui miei fianchi, e io le mie sulle sue spalle. Cercai di mantenere una posizione eretta e un’espressione calma, ma non so se ci riuscii appieno. Nico abbassò lo sguardo.
- Mi dispiace per quanto è successo poco fa. Non è una cosa abituale.. – Si sta giustificando? – ma non vedevo mia sorella da tanto tempo, eppure non credevo sarebbe accaduto. Sono cambiate molte cose, io per primo, da quando lei è morta, ma mi fa sempre lo stesso effetto.. Non volevo che mi vedessi in quello stato, e ti chiedo scusa. – a questo punto risollevò gli occhi su di me, che ero un po’ accigliata. Non capivo il motivo di quel discorso.
- Nico, non devi farti perdonare davvero di nulla. Sono anzi rimasta sorpresa dal fatto che tu abbia voluto condividere una cosa così intima con me per quanto poco ci conosciamo e se ho potuto esserti d’aiuto ne sono solo felice.. – riuscii a dire, guardandolo negli occhi, ma il suo sguardo non era più fisso nei miei. Era puntato più giù, più o meno dove c’erano le mie labbra. Arrossii violentemente e il mio cuore continuò a ballare la samba nel petto senza alcun segno di volersi fermare. La luce soffusa della cabina lanciava meravigliose ombre sul suo viso e accentuava i suoi lineamenti perfetti. La mia mano andò automaticamente a carezzargli la guancia, e lui piegò la testa di modo da appoggiarvisi, chiudendo gli occhi e buttando fuori il fiato, come se l’avesse trattenuto fino ad allora e non se ne fosse accorto. La situazione era piuttosto imbarazzante e io non sapevo come muovermi.
Per fortuna, c’è sempre mio fratello a rompere le uova nel paniere.
Percy travolse la porta d’ingresso ed entrò come una tempesta nella cabina, facendo sussultare sia me che Nico, che ci allontanammo subito sedendoci compostamente sul letto. Se Percy notò qualcosa,non lo diede a vedere.
- Oh, eccovi qui! È tutto il pomeriggio che vi cerco, dove diavolo siet.. – poi intercettò l’espressione di Nico, spostando lo sguardo su me e lui alternativamente, e si bloccò. – Che cosa è successo? – domandò con tono grave, precipitandosi vicino a noi. Non sapevo se potevo rispondere, ma non ci pensai a lungo perché Nico fu più veloce di me.
- Ho rivisto Bianca – disse solamente, probabilmente sapendo che mio fratello avrebbe capito. E infatti in un secondo era seduto vicino a lui e gli cingeva le spalle con un braccio, senza dire nulla, perché parole non ce n’erano.
- Le ho detto che ti ho perdonato. Lei mi ha detto che non avrei dovuto rendere le cose più difficili richiamandola troppo spesso qui. Willow era con me – continuò, senza spostare lo sguardo dal suo posto fisso sul pavimento, ma quello di Percy si spostò su di me. La sua espressione era triste e comprensiva. Io mi limitai a fissarlo.
- Senti che facciamo – prese iniziativa poi lui – adesso ci facciamo una meravigliosa dormita fino alle 11 di domattina o fino a pomeriggio o quando vuoi, così scacciamo i brutti pensieri, e poi domani andiamo a casa mia a trovare mia madre al negozio e mangiamo un sacco di dolci perché lo zucchero aiuta l’emotività. Ci stai? – gli sorrise con fare talmente convincente che io ero già d’accordo ancora prima che finisse la frase. Impercettibilmente, dopo un lungo silenzio solito di Nico, lui annuì.
- Mooolto bene! E adesso tutti a nanna, su! – batté le mani due volte e andò a spegnere la luce, sospirando. Sembrava esausto, come se quelle parole gli fossero costate un enorme sforzo. Dieci minuti dopo, già dormivamo.

Il mattino successivo, a dispetto delle parole di Percy, verso le 9, io, i ragazzi e Annabeth ci stavamo dirigendo verso il padiglione per la colazione. Mentre mangiavamo cornetti imbevuti nel cappuccino ridendo e scherzando, mi sembrava che tutta la tensione del giorno prima era svanita. Nico era abbastanza sereno e riuscimmo addirittura a strappargli qualche sorriso di tanto in tanto. Insomma, si prospettava una giornata deliziosa.
Ovviamente, non poteva essere così.
Diversi minuti dopo arrivò Chirone, cavalcando per tutta la mensa girando la testa da tutte le parti come se stesse cercando qualcuno. Si torceva le mani ed era pallido come se fosse nervoso. I suoi occhi si sgranarono quando il suo sguardo cadde su di me. Non capivo che succedeva.
- Willow.. Dovresti venire con me. – mi disse senza salutare nessuno, dopo averci raggiunto. Mi accigliai.
- Che succede? – domandai, non poco allarmata.
- C’è una persona.. che vuole vederti – e deglutì rumorosamente, cercando di nascondere le mani che continuavano convulsamente a torcersi. Non feci domande.
Durante il tragitto, cercai di estorcere qualche informazione al centauro.
- Sono nei guai? – provai a chiedere, guardandolo, ma lui evitava accuratamente di fissarmi direttamente, e soprattutto di rispondere. Le domande mi riempirono la testa quando, di fronte alla casa grande vidi mia madre. Ma i mortali non possono entrare qui dentro!
- Ciao, Willie – mi sorrise lei, come se fosse una cosa normale trovarla lì.
- Come sei entrata? – riuscii solo a dire. Non credo sia la cosa che una madre si aspetta di sentirsi dire dopo aver passato una settimana senza la propria figlia, cosciente che lei è stata informata di essere metà dea. Improvvisamente, mi montò una terribile rabbia dentro.
- Perché non me l’hai mai detto? Perché non mi hai detto di papà? – il mio tono aumentava a ogni parola che dicevo, e i miei pugni erano ben stretti. Il suo sguardo s’intristì visibilmente.
- Tesoro, io.. – provò a dire lei, ma Chirone la interruppe.
- L’ha fatto per proteggerti. Se avessi saputo la tua vera natura ci sarebbero state più probabilità che i mostri ti trovassero. – il suo tono era piatto e calmo, ma i suoi movimenti e le sue espressioni tradivano quell’apparente quiete.
- Che ci fai qui? – riprovai, fissando mia madre, che spostò lo sguardo, disperato, su Chirone. Lui le fece un breve cenno d’assenso che pensavano, credo, non avessi captato.
- Ci vediamo dopo. – Chirone si congedò con queste semplici parole, lasciando me e mia madre da sole.
- Facciamo una passeggiata, vuoi? – mi sorrise vacillante lei, voltandosi per cominciare a camminare. La seguii senza dire nulla.
Non capivo perché, ma mia mamma si muoveva come se conoscesse benissimo quel campo. Passammo accanto alle cabine in via di costruzione, dietro l’anfiteatro, fra i campi di fragole. Il silenzio iniziava a diventare insostenibile.
- Che ci fai qui? – le chiesi di nuovo, infastidita. Mia madre attese qualche altro secondo, poi sospirò.
- Tesoro.. Dobbiamo parlare di una cosa – e si fermò, guardandomi finalmente negli occhi.
- E’ vero che non ti ho mai detto nulla su tuo padre.. su di te.. per proteggerti, perché correvi un rischio che tutti i semidei corrono. Ma tu.. non sei una semplice semidea.. – la sua voce, contrariamente alla mia qualche minuto prima, diminuiva velocemente.
- Che cosa intendi? – la fissai con la fronte aggrottata, e quando il suo sguardo tornò sul mio dopo qualche attimo di esitazione, non riuscii a credere alle parole che pronunciò.
- Anche io sono una semidea – COSA? – ed essendomi innamorata di un dio.. ciò che ne è venuto fuori, cioè tu.. non è una dea, ma neppure una semidea. E’ una via di mezzo fra i due. – mi confessò tutto d’un fiato. Ero talmente confusa che non capivo se stessi sognando o meno, ma lei non mi diede neppure tempo di replicare.
- Ecco.. Il fatto è che voi più-che-semidei siete così rari.. E Zeus è così fissato con il preservare la razza che ieri.. è venuto a farmi visita e mi ha chiesto.. mi ha chiesto di.. – deglutì mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime e un rossore acceso dipingeva la carnagione chiara del suo volto.
- Ti ha chiesto di? Cosa, mamma? – iniziavo a preoccuparmi, e una nota di disperazione si sentiva nella mia voce.
- Vedi, cara, quelli come te sono mortali sì, ma molto più resistenti, molto più potenti e vivono molto più a lungo.. Sei una dea per tre quarti, non per metà.. e lui vorrebbe.. lui vuole.. che ti porti da lui per eliminare quel poco di mortalità che c’è in te. Vuole aggiungerti all’Olimpo come divinità minore. – 

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Capitolo 5
*** Mi viene confessata la verità su mia madre ***


La mia mente lavorava in fretta. Mi ero fermata più o meno a “oh guarda Willow tua madre è una semidea”. Come un’idiota, ripensai subito alla giornata rovinata con i ragazzi e al programma saltato per andare a trovare la mamma di Percy. Fu la prima cosa che mi venne in mente. La seconda furono una serie di bestemmie multiple in almeno 19 lingue diverse contro Zeus, ma mi astenni dal pronunciarle. La testa mi girava vorticosamente e rischiai di cadere per terra. No, era un sogno. Non era possibile. No.
- Non esiste – mi affrettai a dire con voce ferma, un tono che non accettava visibilmente repliche.
- Tesoro.. Ho provato a dirgli che avresti rifiutato.. Ma a lui non importa. Lui detta le leggi in questo mondo.. Non oso immaginare cosa potrebbe succedere se rifiutassi.. – la sua voce era implorante e tremante.
- NO! – urlai così forte che la mia voce rimbombò. Non mi sarei fatta mettere i piedi in testa da mio zio. Neppure se era il re degli dei.
- No, senti mamma, questa cosa va risolta. Io andrò sull’Olimpo, ma per parlare con Zeus e fargli presente che non può costringermi a fare qualcosa che non voglio – ero arrabbiata, furiosa, così tanto che l’acqua del lago poco distante da noi iniziò ad agitarsi. Ma poco m’importava.
- In effetti può importi tutto quello che vuole – replicò mia madre.
- Crede che sia scontato che uno voglia diventare un dio? E se volessi semplicemente avere la vita di un normale semidio? – credo che le mie orecchie stessero iniziando a fumare.
- Tu non sei un semplice semidio! – ruggì lei, facendomi sussultare. Non l’avevo mai vista così. Ciò che le si leggeva sul viso era la disperazione. I suoi capelli, neri come i miei, iniziavano a incresparsi come sempre succedeva quando si arrabbiava. I suoi occhi azzurri erano colmi di lacrime e il suo corpo minuto ma forte era scosso da incontrollabili tremiti, le labbra rosse tremanti e il fiato corto. Il mio cuore si appesantì a vederla ridotta in quello stato, ero stata abituata a vederla sempre come una donna forte che accettava di crescere una figlia da sola quasi come se fosse una sfida. Credo che nessuno avesse mai visto Selene Blackblood così. Capii che non voleva che mi succedesse qualcosa.
- Ma papà.. Poseidone.. Insomma, lui non può fare qualcosa? – domandai, ormai sul culmine della disperazione anch’io.
- Non lo so, Willow, ti prego basta fare domande. Dobbiamo andare. – neppure il suo tono stavolta ammetteva repliche.
- Non vado da nessuna parte senza Percy – osai replicare io, invece.
- Chi diavolo è ora questo Percy? – domandò.
- E’ mio fratello, mamma. Un altro figlio di Poseidone. – la guardai negli occhi sfidandola a controbattere o a proibirmi di portarlo. Lei restò interdetta e un po’ stupita, ma non si perse d’animo.
- A cosa credi possa servire portarci un peso in più? – chiese ancora, con le mani sui fianchi. Non mi presi nemmeno il disturbo di risponderle,perché girai sui tacchi e me ne andai. Avevo bisogno di vedere i miei amici, di respirare un’aria diversa. Più continuavo a stare con mia madre, più mi sembrava che un peso mi opprimesse. Lei non mi seguì.

Arrivata alla cabina di Poseidone, spalancai la porta senza troppi complimenti e la sbattei alle mie spalle,sedendomi su quello che era il letto di Nico e prendendomi la testa fra le mani. Lacrime amare cominciarono a scorrere lungo le mie guance.
- Willow.. Willie, che succede? – Percy mi si avvicinò correndo, allarmato, sedendomi vicino e abbracciandomi, tenendomi per le spalle. Io nascosi il viso nell’incavo del suo collo,singhiozzando silenziosamente.
- Mia madre.. Zeus.. – farfugliai,senza riuscire a proferire una frase di senso compiuto.
- Cosa c’entra tua madre con Zeus? Willie, mi vuoi spiegare? – insistette lui, e io alzai la testa per guardarlo negli occhi.
- Mia madre mi ha confessato di essere una semidea e che il frutto di una semidea è un dio è più vicino ad essere dio che umano, e che Zeus vuole farmi diventare completamente dea per pormi sull’Olimpo come divinità minore – confessai tutto d’un fiato, mentre i grandi occhi verdi di Percy si spalancavano,fissi nei miei.
- Che cosa hai detto? – riuscì a dire solamente, totalmente incredulo.
- E’ così – abbassai lo sguardo mentre la mia voce ricominciava a spezzarsi per il pianto. Non poteva essere.
- No, Willie, non è possibile. Cioè, ci deve essere qualcosa che possiamo fare. Io conosco una ragazza figlia di  Zeus, forse potrei.. – ma non seppi mai cosa avrebbe potuto Percy, perché Chirone piombò come una furia nella stanza.
- Percy, ti prego di uscire subito. Devo parlare immediatamente con Willow. Adesso – le sue parole furono chiare e pronunciate in tono abbastanza autoritario da far quasi scappare mio fratello (dalla sua cabina, fra l’altro).
Dopo la sua uscita in scena, io e Chirone ci guardammo per un po’. Lui aveva ancora lo stesso sguardo di prima.
- Come stai, Willow? – ebbe anche il coraggio di chiedermi.
- Lei lo sapeva, no? Lei conosceva mia madre. – passai subito al punto, evitando di sprecare tempo. Lui ebbe la decenza di mostrarsi mortificato e tacere per qualche secondo.
- Si. Conoscevo tua madre. Lei è stata addestrata qui.. Io stesso l’ho addestrata. Ma non è di questo che devo parlarti, Willow. C’è una storia che non sai e che sta alla base di ciò che tua madre di ha detto. Quella di Zeus su di te è una vendetta. – pronunciò quelle parole con lo stesso tono con cui avrebbe parlato del tempo.
- Una vendetta? Ma mi scusi, che avrei fatto io?! – pretesi, naturalmente, di sapere.
- Tu nulla, Willow. Ma tua madre si. – mi fissò coi suoi grandi occhi nocciola e io non facevo altro che capire sempre di meno.
- Lei ti ha detto di essere una semidea, vero? Sai di quale divinità è figlia? – mi chiese. Come se potessi saperlo. Scossi la testa.
- Zeus è il padre di Selene Blackblood, Willow – rimasi senza fiato a questa confessione – molto, molto tempo fa, dopo che tua madre se ne fu andata dal campo, incontrò un uomo affascinante e intelligente, con gli occhi color del mare, che la affascinò moltissimo, e lo stesso lei a lui. Si innamorarono, e ben presto ebbero un figlio.. Anzi, una figlia – detto questo, ero completamente senza parole.
- Ma.. Poseidone non è lo zio di mia madre? Cioè, non dovrebbe esserlo? – riuscii a domandare solamente. Chirone scosse il capo.
- Non sono davvero parenti. I rapporti di parentela fra gli dei sono differenti da quelli degli umani. Fra dio e figlio c’è parentela, ma non con fratelli di dei e figli. Tecnicamente, tua madre non ha trasgredito nessuna regola. – Io continuavo a non crederci.
- Fatto sta che Zeus questa se l’è legata al dito, si è molto arrabbiato con tua madre che però non gli diede ascolto.. E quando nascesti tu, decise che la sua ira si sarebbe alla fine scatenata su di te. – in testa mi vorticavano miliardi di insulti per quel dio.
- E tutta quella storia dei più-che-semidei? Del preservare la razza? – continuai a chiedere, incredula.
- E’ una sciocchezza inventata da tua madre per nasconderti la verità. Ha passato tutta la vita a mentirti sapendo che sarebbe servito a proteggerti, ed è ancora convinta che questo sia il metodo giusto per farlo. Ma si sbaglia. – per ogni parola che diceva gli insulti aumentavano, ed erano diretti anche a mia madre.
- Ma non è tutto – ci mancherebbe – molto tempo fa, dopo il litigio fra Zeus e tua madre per la questione su tuo padre, per fargliela pagare lei s’infiltrò nell’Olimpo e gli rubò qualcosa – continuò a raccontarmi.
-Rubato qualcosa? Mia madre? Che cosa? – parlavo talmente in fretta che le parole si accavallavano le une sulle altre.
- Hai sentito dire che i simboli di Zeus sono la folgore, l’aquila, il toro e la quercia? Lui tiene, sull’Olimpo, per simboleggiarlo e ricordare chi comanda lassù, tutte e quattro queste cose, e le loro rispettive statue. Le statue dei suoi simboli sono la vita degli oggetti stessi; distruggi o allontana una statua dall’Olimpo e la versione reale perderà tutto il suo potere, o, se non altro, diminuirà. Ora, era naturalmente troppo difficile rubare la folgore o la sua statua, perché erano entrambe sul trono di Zeus stesso, che era prudente e non avrebbe mai permesso di farsi rubare il simbolo del suo potere. Così, intrufolatasi nell’Olimpo, tua madre rubò la statua della quercia simbolo di Zeus, e col passare dei giorni la vera quercia, conservata in un giardino, cominciò a morire lentamente, e così anche il dio s’indebolì. – non riuscivo davvero più a sostenere quella conversazione, finché non mi venne un’illuminazione.
- E se.. e se recuperassimo la quercia e gliela riportassimo? Sarebbe tutto apposto, tornerebbe tutto normale e Zeus non mi odierebbe più! – ero passata dall’orlo del collasso ad una spasmodica e incontenibile gioia.
- Si, sarebbe una buona idea – decise Chirone, dopo essersi grattato la barba incolta – sicuramente questo metterebbe le cose in ordine,ma.. – non gli diedi tempo di finire, tanta era l’euforia che mi ribolliva nelle vene.
- E allora, dove è nascosta questa statua? Si sa dove è stata portata? – continuai, senza capire l’esitazione di Chirone. Non c’era un minuto da perdere!
Ma, contrariamente a quanto avrebbe dovuto essere, lui s’incupì ancora di più.
- Si.. Si, si sa dove è stata portata la quercia. – il suo tono era ancora più grave del solito.
- Che cosa aspetta a dirmelo? Andiamo! – insistetti io.
- Willow.. – riprese lui, a voce bassa – tua madre è stata astuta e previdente. La statua è stata portata dove Zeus non avrebbe mai potuto mettere piede, in un luogo che lui ha creato ma dove non può (e non ha mai voluto) entrare. In un certo senso, si è rovinato con le sue mani. – ma io non mi accontentavo.
- Cioè? Possiamo fare in fretta? – nemmeno la sua espressione cupa mi tolse la grinta. Due secondi circa dopo, però mi pentii di averlo chiesto. Tutta la mia volontà venne prosciugata, finì in un canale di scolo.
- Willow, l’ha data ad Ade. La quercia si trova negli Inferi. – si decise a dire infine, sofferente, Chirone.

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Capitolo 6
*** Duello con mio fratello ***


Non era proprio divertente stare inchinata al cospetto del Re dei Morti, col suo sguardo che trafiggeva. Sarei scappata da un pezzo, se fosse stato per me.
- Nico – si rivolse finalmente a lui, distogliendo l’attenzione da me. Buttai fuori l’aria che non mi ero resa conto di trattenere.
- Cosa fai qui? – domandò con tono grave e cupo, che mi ricordò quello che ogni tanto utilizzava il figlio. Rabbrividii.
- Abbiamo.. Abbiamo bisogno di un’informazione, padre. E.. di un favore. – gli svelò Nico, affatto titubante. Ade rise.
- Un favore, da me? E sentiamo, quale favore potrei fare io a dei ragazzini come voi? – chiese ancora, sporgendosi verso di noi, con un sorriso inquietante stampato sul volto. Nico alzò la testa verso il padre e inchiodò lo sguardo nel suo come solo lui sapeva fare.
- Vorremmo che ci dicessi dov’è la statua della quercia di Zeus – rispose in modo secco, per nulla teso. Ammiravo il suo coraggio, tremendamente.
Il sorriso scomparve dal viso pallido del dio.
- Voi come .. – cominciò,ma s’interruppe, cominciando a riflettere. Probabilmente stava valutando quanto gli convenisse, e sapendo che la risposta era 0.. bhe, non ero molto fiduciosa.
- Non vi aspettate che ve lo dica senza avere qualcosa in cambio, vero? – decise alla fine. Lo sapevo. Il mio cuore ricominciò a battere forte.
- Che cosa desidera? – il tono e l’espressione di Annabeth erano evidentemente, inequivocabilmente battaglieri, lo sguardo affilato come lame.
- Che cosa può volere il dio dei morti, ragazzina? – i denti bianchi di Ade tornarono a scintillare sotto le sue labbra secche nell’ennesimo spaventoso sorriso.
- Padre, per favore.. – provò Nico, lo sguardo implorante,ma il padre non gli diede retta, puntando i suoi occhi neri in quelli di Annabeth.
- Voglio un’anima. L’anima di qualcuno di voi. Siete tutti semidei molto potenti.. Potreste servire a ornare il posto dove ora si trova la quercia, al posto suo. E più passerà tempo qui, più io assorbirò le sue forze.. Se mi darete quello che chiedo, sarò felice di riconsegnare la statua a mio fratello. – dopo aver proferito queste parole, incrociò le mani e spostò lo sguardo su ognuno di noi, in attesa. Il sangue era diventato di ghiaccio nelle mie vene. Il silenzio urlava nei miei timpani.
- Lo farò io – disse infine una voce, sicura, non una punta di paura nel tono. La riconobbi subito, e non riuscii a girarmi verso chi aveva parlato. Non era possibile. Ade invece pareva molto compiaciuto.
- Tu! Non avrei mai creduto.. Sembra essere il colmo, vero? – gli domandò divertito. Provai un incontrollabile fremito di rabbia.
- Già, davvero il colmo – commentò sarcastico Nico, in tutta risposta – ma almeno starò di nuovo con Bianca – lo sguardo che rivolse al padre sembrava una sfida a replicare. Il Signore dei Morti tacque.
- Nico.. non devi. Cioè, non devi per forza.. Potremmo trovare un altro modo, cercarla noi e.. – provai, ma lui m’interruppe bruscamente.
- E cosa, Willow? Pensi di riuscire a rubare una statua dal regno di Ade e poi andartene indisturbato come se nulla fosse? Credi sia così facile? – sembrava più arrabbiato che altro. Deglutii, ma non riuscii a parlare.
- Molto saggio, figliolo. Puoi stare sicuro che starai con tua sorella tutto il tempo che vorrai. E ora.. è giunto il momento di svelare dove si trova l’oggetto che cercate. – passò di nuovo in rassegna tutti noi con lo sguardo. Sembrava non fargli nessuno effetto il fatto che entro fine giornata si sarebbe preso l’anima di suo figlio.
- La statua si trova nei Campi Elisi – confessò, con nostro grande stupore. Percy spalancò la bocca, Annabeth si fece sfuggire un verso incredulo, Nico aggrottò la fronte e io non riuscii a trattenere un - Ma fa sul serio? – per il quale ottenni in cambio la peggiore occhiataccia della mia vita.
- Le porte dei Campi Elisi sono aperte fino a una certa scadenza. Io non ho tutto il giorno e nemmeno voi l’avete, e sappiate che se non mi porterete l’anima di quel giovanotto entro tre ore io mi prenderò quelle di tutti voi. Cercate di non restare imprigionati lì. – detto ciò, smise di parlare, e capimmo che era il momento di andare. Nessuno di noi disse una parola, uscendo dalla sala.

- Ma davvero? I Campi Elisi? Cioè, io mi aspettavo di più una cosa tipo il Tartaro o roba simile.. –commentò Percy durante il tragitto. Ovunque posassi lo sguardo, scene di torture che neppure potete immaginare. Cercavo di guardare davanti a me senza fare troppo caso alla nausea che mi scombussolava lo stomaco, non solo per quella vista, ma anche per il fatto che alla fine di quel viaggio Ade si sarebbe preso l’anima di Nico. Mi sentivo come se non potesse finire così, come se mancasse qualcosa.. Ed era evidente che tutti stavamo parlando di qualsiasi cosa pur di non parlare di questo. Gli presi la mano e la strinsi. Ormai non potevo più perdere nulla.
- Troveremo un modo, Nico. Ti salveremo, vedrai. – provai a consolarlo, ma la sue espressione non mutò di una virgola.
- Si, già – rispose solamente con lo sguardo basso, ma strinse la mia mano con tanta forza da farmi male, e io glielo lasciai fare perché per quanto potesse nasconderlo bene sapevo che aveva paura.
- Eccole! – esclamò all’improvviso Annabeth, indicando un punto di fronte a noi – le porte dell’Elisio! –
Seguii il punto che stava indicando, e rimasi a bocca aperta.
Un’enorme porzione degli inferi era occupata da una specie di enorme città circondata da bianche mura, in mezzo alle quali era incastonato un elegante portone dello stesso colore, ora spalancato. L’interno era una specie di Olimpo più piccolo, pieno di case in marmo bianco, fontane, ruscelli, giardini e fiori rigogliosi e una dolcissima musica proveniente da non so quale parte di quel posto. Era fantastico.
- Wow – disse solamente Percy con voce bassa e roca, stupefatto quanto tutti noi. Persino Nico lo sembrava. Dedussi che non doveva essere stato in quel posto molto spesso.
Quando varcammo le soglie, mi mancò definitivamente il fiato.
Le case viste da lontano erano enormi ville in stile greco, con tetti a calotta o a capanna, il cui ingresso era preceduto da spesse colonne di vario stile. Ogni villa aveva un giardino con fiori differenti e coloratissimi, e al centro vi era un’enorme piazza circolare da cui si sradicavano innumerevoli viottoli, divisi da piccole zone di giardini dall’erba verde e rigogliosa. Più su, un fiumiciattolo dall’acqua limpida in cui diverse anime si specchiavano o rinfrescavano scorreva lento, tagliando la città a metà.
- E’ bellissimo – mormorai, a corto di fiato.
- Voglio venire qui dopo la morte – esclamò entusiasta Percy.
- Quello è Odisseo?! – domandò invece Nico, fissando una delle anime.
- Si ragazzi è tutto fantastico,ma vi ricordo che siamo qui per un obiettivo e.. Io credo di averlo trovato – la voce di Annabeth (beh più le sue parole in realtà) ci fecero svegliare dal nostro stato di coma. Ci girammo dov’era rivolto il suo sguardo e la vedemmo. Al centro della piazza principale, enorme e maestosa, si ergeva la statua di una vecchia quercia dagli immensi e spessi rami ornati di meravigliose e dettagliate foglie.
- E’ un capolavoro della scultura – commentò sognante la figlia di Atena.
- Si okay, ma ora andiamo a recuperarla invece di ammirarla, non possiamo restare per molto – cominciò ad avanzare Percy ma, siccome le cose non possono naturalmente essere per una volta facili, un fantasma ci sbarrò la strada.
- Oh, e andiamo! – si lamentò mio fratello, accigliandosi.
- Aspetta un momento.. – Annabeth sbarrò gli occhi – Ma tu sei..? –
- Si, mia cara fanciulla – il fantasma sorrise. Era di una bellezza abbagliante – Io sono Perseo, benvenuti nei Campi Elisi! – esclamò contento, allargando le braccia come volendo abbracciare quell’enorme strabiliante città. Percy era sconvolto.
- Il mio omonimo che mi sbarra la strada. Wow. Evvai. Fantastico. – l’ironia era pungente.
- E cosa vuole da noi? – gli chiese Nico, seccato. Sorrisi (anche perché non aveva ancora lasciato la mia mano).
- Oh, miei cari.. – Perseo scosse la testa – io sono il custode di questa statua. Insomma, sono figlio di Zeus e questa quercia è l’unico ricordo che ho di lui! Potete capire che pretendo che chiunque la porti via dimostri di esserne degno.. – e qui ci squadrò con aria scettica. Ero abbastanza infastidita dal suo comportamento che presupponeva che lui fosse migliore di tutti.
- E Ade non ci ha ovviamente avvisato – sussurrai.
- Ovviamente – sottolineò Annabeth in tutta risposta.
- E cosa dovremmo fare per dimostrarglielo? – mio fratello era a dir poco esasperato, sull’orlo di una crisi di nervi.
- Bhe, ad esempio battervi.. – il sorriso malizioso che gli si dipinse sulle labbra era disgustoso.
- Con lei? – Percy rise di gusto – ma è un fantasma! –
Perseo era visibilmente infastidito.
- Certo che no, marmocchio idiota. Fra di voi! – replicò l’anima, offendendo pesantemente l’ego del ragazzo. Sarebbe stata una scena divertente se non fosse stato per il fatto che eravamo per gli Inferi a recuperare una statua per evitare di farmi diventare divinità minore e che avevamo una scadenza oltre la quale il Re dei Morti si sarebbe preso l’anima di Nico. Ah, e viva l’ottimismo, comunque.
- E perché dovremmo combattere fra noi? – pretese giustamente di sapere Annabeth, le mani sui fianchi.
- Oh, non tutti voi, ne basteranno due – ci spiegò Perseo, ricominciando a squadrarci. – Bhe, visto che tu sei così insolente e mi stai antipatico,sarai uno dei due – e indicò Percy, che (credo) se lo aspettava – e invece il tuo avversario sarà.. – continuò a studiarci finché il suo sguardo cominciò a insistere su di me. Un po’ troppo.
- Tu, mia cara, come ti chiami? – si rivolse a me con voce melliflua. Ma perché?
- Willow. Mi chiamo Willow – risposi, distaccata – sono la sorella del tipo con cui mi vuole far duellare – continuai, tagliente, ma questo non fece che compiacere ancora di più quel bastardo.
- E poi, scusi, ma chi le dice che combatteremo ? – gli domandò alla fine Percy con un sorriso di trionfo sul volto.
- Oh, perché non lo farete di vostra volontà – rispose lui, confondendoci. Fece schioccare le dita, e l’ultima cosa che ricordo furono delle ombre semitrasparenti che si avventavano su me e mio fratello.


Quando quegli spettri richiamati da Perseo, giunsero, veloci come razzi, dove ci trovavamo, capii subito che cosa aveva in mente quel bastardo. I due sparirono uno nel corpo di Percy e uno in quello di Willow. Tentai di avvicinarmi ed evitare l’inevitabile, ma era come se attorno a quei due ci fosse una protezione invisibile dove andai a sbattere. Strinsi i pugni guardando Perseo in cagnesco, che per tutta risposta mi sorrise dolcemente. Ero furioso.
- Nico che.. Che sta succedendo? – Annabeth si aggrappò a me urlando alla vista del suo ragazzo che sveniva dopo essere diventato la calda e dolce dimora di un fantasma. Sospirai.
- Quelli sono eidolon –le spiegai – fantasmi che amano impossessare la gente. Quando quei due rinverranno, inizieranno a combattere per mano loro. Non sapranno quello che staranno facendo, le loro vere anime in questo momento stanno dormendo. – al termine del mio discorso, un tremito percorse il corpo della ragazza e un gemito sofferto uscì dalla sua bocca. Le cinsi le spalle con un braccio tentando di confortarla,ma ero più spaventato e disperato di lei . Will.. Cosa avrei fatto se le fosse successo qualcosa? Sarei morto da lì a poche ore, senza nemmeno riuscire a dirle che strana sensazione provavo quando eravamo vicini. Il mio stomaco si aggrovigliò al solo pensiero della sua mano che stringeva la mia, solo due minuti prima. Non riuscivo a respirare.
Quando gli occhi dei due fratelli si spalancarono contemporaneamente, vidi che le iridi non erano più verde mare, ma dorate. Gli eidolon provocavano sempre questo cambiamento. Mi morsi un labbro forte, fino a sentire il sapore del sangue in bocca. Non potevo sopportare la vista di quello che ci sarebbe stato dopo, ma non potevo nemmeno evitare di vedere. Se solo ci fossi stato io al posto suo..
Willow scattò in piedi, e un secondo dopo anche Percy. Si guardarono con aria di sfida, quasi con odio, un odio che non apparteneva a nessuno dei due. Iniziarono a camminare a cerchio fissandosi,mentre lentamente estraevano ognuno la propria arma. Il panico mi stava divorando dentro.
Poi, finalmente, Will attaccò.

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Capitolo 7
*** Faccio un viaggetto negli Inferi ***


- Che significa negli Inferi? – tutta la saliva che avevo in bocca mi si prosciugò all’istante. Forse anche tutta l’acqua che avevo in corpo. Piuttosto notevole per una figlia di Poseidone.
- Negli Inferi. E’ un luogo spaventoso, non proprio adatto ai deboli di cuore ( e di stomaco ) e molto, molto pericoloso Willow.. Ade non è proprio il tipo con cui si può scendere a patti.. – replicò a bassa voce Chirone, la testa ancora china.
- Okay.. Okay, ma Nico è suo figlio, no? Magari potremmo.. Potremmo provare.. – tentai di dire, ma mi morirono le parole in gola. E se la sua presenza non fosse bastata? Se avesse voluto qualcosa in cambio, o peggio ancora, qualcuno?
Chirone non si lasciò passare in osservata la mia esitazione, e posò una mano callosa sulla mia spalla.
- Willow, la decisione è tua. Non volevo che finisse così, che qualcuno, specialmente tu, conoscesse questa storia. Ma ormai ci sei dentro, e sappi che se vuoi fare qualcosa,l’unico modo è recuperare quella statua. Pensaci bene, ma fallo in fretta.. Ogni secondo che passa è prezioso – e se ne andò, galoppando tristemente fuori dalla porta, gli occhi scuri come le nuvole in tempesta.
Quando Percy lo vide uscire, si riprecipitò dentro, inginocchiandosi davanti a me e tenendomi le mani. Non avevo nemmeno più voglia di piangere, non avevo nemmeno più lacrime. La disperazione che mi cresceva dentro era tale da intorpidirmi i sensi. Gli raccontai tutto con voce atona, e mentre parlavo mi sentivo come dall’esterno, come se fossi stata molto lontana. A stento ricordo l’abbraccio che seguì alle mie parole.
- Ascolta Willie, sono già stato in quel posto. E’ un po’ orribile lo devo ammettere, ma come vedi sono sopravvissuto. Abbiamo Nico dalla nostra parte e Ade mi deve un paio di favori.. Ovunque sia, ci andremo. Ci andremo Willow, e ti salveremo. Giuro sullo Stige. – mi promise lui, vedendomi in quello stato. Sentii una contrazione al cuore e un lago di gratitudine nei suoi confronti. Non potevo sperare di avere un fratello migliore di lui.

Diverse ore dopo, nella nostra cabina, io, Percy, Annabeth e Nico preparavamo gli ultimi dettagli per il nostro splendido viaggetto di piacere nell’Ade. Annabeth spuntava da una lista gli oggetti man mano che li prendevamo (più armi che altro), Percy scriveva una lettera a Chirone e Nico aiutava entrambi per quel che poteva. Io ero in piedi vicino alla porta, aspettando che tutti fossero pronti. Ero nervosa fino all’inverosimile.
- La paura non è necessariamente nemica – mormorò Nico, avvicinandosi a me silenzioso come un’ombra.
- Punti di vista – risposi, riuscendo a non far tremare la mia voce, ma lui percepì la tensione e mi prese una mano. Stavolta sussultai.
- E’ tutto okay, Will. Sono stato lì dentro un sacco di volte, non c’è nulla da temere. Bhe, a parte qualche anima affamata.. – quando notò la mia espressione inorridita, scoppiò in una breve risata – Ehi, scherzavo. Andrà tutto bene, vedrai. Ci siamo noi con te. – e strinse la mia mano ancora più forte, intrecciando le dita alle mie. La gola mi si chiuse all’improvviso e temendo di farfugliare qualcosa di insensato se solo avessi provato a parlare mi limitai ad annuire, ricambiando la stretta. Lui probabilmente se ne accorse,perché arrossì.
- Allora, siamo tutti pronti? – chiese Percy alle mie spalle, facendoci subito allontanare. Nico annuì convinto nella sua direzione, e io feci lo stesso, ma a testa bassa. Sapevo che ci aveva visti perché un lieve sorriso aleggiava sulle sue labbra.

Una volta usciti dal campo, tre vecchie raggrinzite pazze senza occhi (o meglio, avevano un occhio, ma un unico occhio che doveva bastare per tutte e tre) che si rivelarono essere le Sorelle Grigie, ci accompagnarono su un taxi fatto di fumo che scorreva a velocità allucinante sulle strade fino ad Hollywood, dove c’era l’entrata degli Inferi. Diciamo che non fu un viaggio piacevole.
- Grazie – disse con la voce roca dalla nausea Percy, una volta arrivati, consegnando un discreto numero di dracme d’oro alle signore che (FINALMENTE) se ne andarono.
- Okay.. Ora che si fa? – domandai, guardandomi intorno. Non è che penseresti che l’ingresso degli Inferi sia ad Hollywood, per cui..
- Da quella parte – ci indicò sicuro Nico, cominciando a camminare. Chissà quante volte deve aver fatto questa strada.
Dopo quelli che mi parvero troppi minuti di cammino, ci fermammo in Valencia Boulevard. Un posto strano in cui nascondere l’ingresso degli Inferi. A quanto pare, non volevano proprio nasconderlo.
- Qui – sussurrò di nuovo il figlio di Ade con voce roca, alzando lo sguardo. Io seguii il suo sguardo e mi ritrovai davanti a un’enorme insegna di marmo nero con grosse le lettere incise in oro. STUDIO DI REGISTRAZIONE R.I.P. Ero sempre più perplessa.
- Cioè, e mi stai dicendo che da qui si accede al Regno dei Morti? – domandai totalmente incredula, fissando l’ingresso.
- Lo zio è un tipo bizzarro – affermò Percy, passandomi vicino per superarmi, lasciandomi una pacca sulla spalla e facendomi un occhiolino col sorriso a fior di labbra.
- Confermo! – s’intromise Annabeth alzando la mano e prendendomi sottobraccio, sorridendo per infondermi conforto.
- No comment – commentò invece Nico cupo, infilando le mani nelle tasche. Alla fine, non potei far altro che sorridere anch’io.
Ci avvicinammo al bancone, dopo essere entrati nell’atrio (io con una certa riluttanza). Tutti si muovevano come se quello fosse stato il loro posto. Speravo di no.
- Signor Caronte! – esclamò Percy sorridente e pimpante, appoggiandosi al bancone – come va oggi? – gli chiese. Sembrava stesse parlando con un vecchio amico. Che diavolo succedeva?
Il tizio dietro al bancone, alto, scuro di carnagione e con i capelli e un completo color crema dei pasticcini, squadrò mio fratello da dietro le lenti degli spessi occhiali da sole (ma se era notte?).
-Di nuovo qui, marmocchio? Mi auguro che stavolta tu sia morto davvero. – esordì con fare lugubre, sorridendo da un angolo della labbra, senza impegnarsi troppo a non sembrare ripugnante.
- No signore, mi spiace, per quello temo che ci vorranno ancora molti anni, ma abbiamo un’udienza col tuo capo – e qui gli fece l’occhiolino. Avrei voluto urlargli di non fare il cretino, ma mi sembrava tardi.
- E perché mai dovrei farvi passare? – gli domandò, giustamente, l’energumeno.
- Perché noi ce lo possiamo permettere contrariamente ad altri – e indicò con la testa alcune persone sedute a divanetti lì vicino che non avevo neppure notato. Quando però provai a guardarle, i loro corpi divennero trasparenti. Fantasmi. Rabbrividii.
Non mi accorsi che Percy, nel frattempo, aveva pagato profumatamente Caronte e si dirigeva verso un ascensore più avanti. Quando entrammo, diverse anime ci seguirono.
- Tutto bene? – sussurrò Nico, accanto a me. La sua mano sfiorò il mio braccio in una lievissima carezza e il suo viso si premette contro i miei capelli, per cui le sue labbra sfiorarono il mio orecchio mentre parlava. Mi irrigidii immediatamente, ma cercai di mascherare la cosa.
- Ecco.. Non è che mi senta proprio a mio agio a condividere un ascensore che porta negli Inferi con decine di fantasmi – mormorai di rimando , tentando di mantenere il controllo, continuando a stare bene attenta che nessuna delle anime mi toccasse. Possibile che la vicinanza di quel ragazzo mi faceva battere il cuore più di quanto non lo facesse la prospettiva di scendere nell’Ade?
Quando Caronte entrò nell’ascensore con noi e le porte si richiusero, però, fui costretta a rimangiarmi tutto, perché il panico cominciava a montarmi dentro. Ma come mi era venuta un’idea così assurda?
Scendemmo lentamente verso il basso, e io mi preoccupai di tenere gli occhi ben chiusi anche quando iniziammo ad andare in avanti invece che scendere. Sentii uno strano ondeggiare sotto di me e un cambiamento nell’aria. Aprii gli occhi e rimasi senza fiato.
L’ondeggiare che sentivo era dovuto al fatto che l’ascensore si era tramutato in un’orribile barca che andava lenta su un fiume completamente nero, traghettata da un tipo sinistro coperto completamente da una tunica nera che lasciava scoperto il viso dalla pelle raggrinzita e gli occhi dalle orbite vuote e nere. Caronte??
Fin dove riuscivo a spingere lo sguardo c’erano solo il fiume nero e la costa altrettanto scura, oltre i quali si ergeva un muro che proseguiva in tre direzioni.
- Beh, pensavo peggio – sussurrai ad Annabeth vicino a me. Lei rise. Non so come faceva.
Una volta approdati sulla costa, camminammo fino a giungere di fronte al muro tripartito. Non immaginavo di trovare una sorpresa di quella portata all’ingresso degli Inferi.
Nico mi posò una mano sulla bocca giusto in tempo, perché altrimenti avrei urlato finché non mi fossero scoppiati i polmoni.
Davanti ai tre muri, infatti, c’era un enorme, informe cane a tre teste.
- Non spaventare Cerbero – mi disse Nico, guardando quel mostro negli occhi, per nulla turbato. Io spaventavo lui???
Contrariamente a quanto immaginavo, però, ce la cavammo in fretta. Annabeth distrasse Cerbero con una pallina di gomma (questa poi  me la spiega) e tra l’altro lo fece come se non fosse la prima volta che giocava con il Segugio Infernale per eccellenza. Io ero semplicemente sempre più confusa.
Continuando a camminare, vidi le scene più assurde e terribili della mia vita.
C’era una folla indescrivibile di anime tristi  che vagavano nel nulla delle Praterie degli Asfodeli, le peggiori torture nei Campi della Pena, anime bruciate da fuoco, lava, inseguite e lacerate da segugi infernali che per sfuggire loro andavano a sbattere contro le file di campo spinato che separavano le diverse aree. Era tutto buio, rosso e nero, e le urla delle anime rimbombavano nelle mie orecchie e s’insinuavano nel mio cervello fino a stordirmi. Era qualcosa di indescrivibile.
Sempre se non vogliamo parlare del palazzo di Ade.
Quel posto era l’Olimpo in nero. Il giardino all’interno del cortile era strano anche per gli standard del Re dei Morti. Le porte erano di un bronzo scuro, decorate con scene di morte. Inutile dire che, dopo averle varcate, si richiusero alle nostre spalle.
Con tutta quella gente morta, iniziai improvvisamente a sentire la necessità di sapere che c’era qualcuno di vivo con me. Istintivamente, mi girai verso Nico che era più seccato che altro. Non come me che ero tipo “oh Zeus sono chiusa nel palazzo del Re dei Morti aiuto trascinatemi via di qui”. Non è che lo dessi proprio a vedere, comunque.
Oltre una fila di scheletri-sentinella che riempivano il corridoio davanti a noi, c’era un’altra porta che capii subito essere la sala del trono di Ade. L’ansia cominciò a divorarmi da dentro come un coniglio con le carote. Sarei scappata a gambe levate fuori da quel posto quando l’enorme porta che conduceva dal dio dei morti si aprì cigolando in maniera sinistra, se non fosse stato per il fatto che ogni muscolo del mio corpo era diventato improvvisamente pesante come piombo. E bhe, anche perché non sarebbe stato un gesto carino abbandonare gli amici che erano venuti fin lì per me. Ma questo solo in minima parte.
La stanza era enorme, buia e vuota, ma la figura che vi stava al centro bastava a riempirla.
Su un trono fatto di ossa ( sono ossa umane, quelle?!? ) sedeva, irradiante potere, un uomo alto almeno tre metri, con la pelle bianca e i capelli, gli occhi e la veste neri come la pece. Mentre mi muovevo verso di lui, notai che tra le pieghe del suo abito si agitavano dei volti disperati. Che ci facevo in quel posto?
Ade sorrise in maniera lugubre, tanto che i capelli mi si rizzarono sulla nuca.
- Padre – esordì finalmente Nico, inginocchiandosi con movimenti meccanici, come se ripetesse quella scena da molto tempo. Tutti noi facemmo lo stesso, ma Ade non si curò del proprio figlio. I suoi occhi erano fissi su di me.
- Figlia di Poseidone – si rivolse infatti a me – Benvenuta negli Inferi. – Dopo queste parole, il suo sorriso era più raggiante che mai.

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Capitolo 8
*** Recuperiamo la statua ***


Era uno scontro incredibile. I due si muovevano ad una velocità allucinante, tanto da non riuscire a seguirli. Le loro spade, quando si scontravano, tintinnavano così forte da farmi male ai timpani. La luce nei loro occhi spaventava persino me (e non erano molte le cose che spaventavano un figlio di Ade).
Non riuscii nemmeno a capire se qualcuno dei due si fosse ferito. Era piuttosto pericoloso dal momento che eravamo già negli Inferi e se fosse successo qualcosa non sarebbe stato possibile salvarli. L’ansia cresceva di più ogni volta che uno di loro contraeva un muscolo per muoverlo. Mi sentivo impotente.
- Percy! Percy, ti prego fermati.. Non sei tu, lo so che ci sei! Percy! – Annabeth continuava a urlare e battere pugni contro la barriera invisibile, il volto solcato da lacrime che neppure io potevo fermare.
… O forse si.
Ero stato talmente assalito dal panico che non mi era nemmeno passato per la testa. Non esitai un attimo, e sfilai la mia spada dal fodero, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Mi concentrai al massimo sul mio obiettivo, tanto che la testa cominciò a farmi male. Sentivo Annabeth che mi chiamava, ma la sua voce era ovattata, come se provenisse la molto lontano. Finalmente, quando mi sentii pronto, affondai la lama nel terreno ai miei piedi, e piano piano un flebile vento iniziò a muoversi intorno a me. Ben presto si trasformò in una tempesta. Sentivo che stava funzionando. Stavano arrivando.
E infatti, dal turbine che avevo evocato, si staccarono fluttuanti due ombre simili agli eidolon che avevano impossessato Willow e Percy. Vorticavano convulsamente, essendo fatte di aria, ma come speravo raggiunsero presto la barriera e l’oltrepassarono. Emisi un sospiro di sollievo quando penetrarono nella loro carne proprio come avevano fatto poco prima quegli spiriti malvagi e i miei amici si fermarono, come storditi. Annabeth urlò di gioia e sorrise nella mia direzione, ringraziandomi con lo sguardo. I loro occhi, però, erano ancora dorati.
Il sorriso di Annabeth durò ben poco, perché le sue urla furono interrotte da quelle dei due figli di Poseidone, strazianti, come se dentro di loro stesse avvenendo una terribile battaglia. In effetti, era così.
Gli spiriti del vento che avevo evocato stavano lottando contro di eidolon per scacciarli dai due corpi, ed era un processo molto doloroso. Strinsi a me Annabeth tentando di calmarla e di farla stare ferma, anche se con scarsi risultati. Il tempo passava troppo lentamente e i loro strilli erano così acuti da farmi rizzare i peli sulle braccia. Non ce la facevo più.
Poi, all’improvviso, finalmente, tutto cessò.
Uno sbuffo d’aria fuoriuscì dalla bocca di Willow, e uno da quello di Percy, portando con sé un eidolon che continuava a contorcersi e a lottare, ma invano. Erano come imprigionati nella morsa del vento, che li portò ben presto lontano, fino a sparire completamente alla nostra vista. Sorrisi, vedendo che si dirigevano verso i Campi della Pena.
Dopo essermi assicurato che gli spiriti non sarebbero tornati, io e Annabeth ci fiondammo rispettivamente verso Willow e Percy. L’espressione di Annabeth era un misto di sfinitezza e gioia, sembrava esausta. Non potevo darle torto.
Non appena le anime avevano lasciato i loro corpi, i ragazzi erano caduti subito a terra privi di sensi, prima ancora che riuscissi ad accertarmi che i loro occhi fossero di nuovo di quel brillante verde mare. La loro pelle era bianca e il respiro corto e spezzato, ma il battito si stava regolarizzando. Strinsi Willow fra le mie braccia affondando il viso nei suoi lunghi e profumati capelli neri come avevo sempre desiderato fare. Inspirai a lungo il suo odore e lentamente mi accorsi che il mio viso si stava bagnando. Lacrime. Non ero abituato a piangere, ma da quando l’avevo incontrata era già la seconda volta che mi succedeva. Non mi preoccupai neppure di frenarle. Non mi preoccupai del fatto che di lì a poco sarei morto e l’avrei abbandonata. Non mi preoccupai degli sguardi di un incredulo Perseo su di noi (che, aggiungerei, aveva avuto almeno il buon senso di stare zitto dopo quello che aveva causato). Non me ne preoccupai, perché tutto il resto del mondo sparì quando Willow riaprì gli occhi.


Mi sentivo molto stordita. La testa girava e pulsava e tutto attorno a me era sfocato. Le ciglia erano come attaccate le une alle altre, una prigione che mi impediva di vedere la sagoma davanti ai miei occhi.
Quando il mio sguardo si schiarì e mi ricordai dove eravamo e cosa stavamo facendo, balzai a sedere, sbattendo la testa a qualcosa di solido. Quel qualcosa gemette.
- Nico? Nico! – mi resi conto di aver sbattuto alla sua testa, e lui si teneva la fronte stringendo un occhio. Aveva un riflesso lucido sulle guance, e gli occhi arrossati, ma non mi preoccupai di farglielo notare.
- Will.. – sussurrò lui finalmente, dopo interminabili attimi di silenzio. L’abbraccio in cui mi strinse mi travolse tanto da farmi quasi perdere l’equilibrio. La sua stretta mi stava soffocando, ma non me ne curai e lo strinsi anch’io. Avevo la strana sensazione di essere stata a un passo dal perderlo. Poi mi ricordai che stavo effettivamente per perderlo.
- Will.. Oh, Will tu non hai idea degli infarti multipli che mi hai fatto prendere. – il suo sguardo era carico di felicità e disperazione. Non avevo idea di cosa stesse parlando, ma credo avesse a che fare con quello strano vuoto che avevo in testa, come se mi mancasse un pezzo. Non ricordavo nulla dalle parole di Perseo in poi.
- Cosa è successo? – mi resi conto solo in quel momento della mia voce roca e della gola dolorante. Mi faceva male praticamente tutto.
- Sei stata impossessata da un eidolon.. Uno spirito maligno. Lo stesso Percy. Avete combattuto con una tale foga che.. Oh, ma sei ferita? – cominciò a controllarmi le braccia e la schiena e il collo e il viso per accertarsi che fosse tutto okay, mentre io metabolizzavo la notizia. I miei dolori, pensai, dovevano essere dovuti a quello.
- No, aspetta.. Percy? – realizzai,mentre lui esaminava il mio gomito – e dov’è? Come sta? – mi guardai intorno finché non visualizzai la sua figura, pallida e stanca, avvinghiata ad Annabeth in un abbraccio stritolatore che avevo appena sperimentato. Sorrisi e sentii i nervi distendersi un po’.
- Will.. – il tono di Nico stavolta era grave – non vorrei dovertelo chiedere dopo quello che è successo, ma ci dobbiamo sbrigare. Non abbiamo molto tempo. – e qui abbassò lo sguardo, mentre una freccia trafiggeva il mio cuore. Mancava poco.
Mi forzai di nascondere la mia tristezza e lentamente, con l’aiuto di Nico, mi rialzai; Percy fece lo stesso aiutato da Annabeth, e quando sentii di riuscire a reggermi in piedi corsi da loro due e li strinsi a me come se non ci fosse un domani. Il loro abbraccio parlava di gratitudine.
- Okay ma.. Qualcuno si è posto il problema di come porteremo quel coso fuori di lì? – domandai all’improvviso, rendendomi conto che era un dettaglio che avevamo trascurato.
- Diciamo non proprio.. – mormorò Nico vicino a me, grattandosi la nuca.
- Io una soluzione ce l’avrei.. – disse all’improvviso Percy, con un sorriso furbo sul volto.
- Iniziate a preoccuparvi, perché quando fa quell’espressione cominciano i guai –ci avvertì Annabeth, prima di ascoltare il piano di mio fratello.

- Ma tu sei assolutamente sicuro? – chiesi, continuando a girarmi verso di lui per timore che la statua cadesse, mentre varcavamo le porte dell’Elisio per uscire. Era un’idea assurda, ma l’unica che avevamo.
- Naturalmente lo sono! Poi Perseo non ha opposto molta resistenza.. – commentò Percy, sicuro, mentre portava dietro di sé uno specchio d’acqua simile a una pozzanghera, solo che sospesa in aria, presa dal fiumiciattolo che scorreva nei Campi Elisi, sopra la quale era adagiata,pericolante e oscillante, l’enorme statua della quercia.
- No che non ne ha opposta visto che l’hai ricattato minacciandolo di far presente la sua cattiva condotta ad Ade e farlo finire nei Campi della Pena – rispose prontamente Nico, fissandolo, scettico. Nonostante la situazione, Annabeth non poté fare a meno di ridere, sebbene la sua fosse una risata piuttosto triste. Eravamo tutti mogi e silenziosi, perché sapevamo che era giunto il momento. Dovevamo andare nel castello di Ade per consegnargli Nico. Mi sentivo il cuore come se fosse stretto nella morsa di una mano con gli artigli che perforavano la carne. Mi avvicinai a lui.
- Non doveva finire così –gli dissi solamente, senza toccarlo, temendo che un contatto potesse infastidirlo. Lui non mutò espressione, ma spostò lo sguardo da terra al mio viso. Mi studiò come se volesse imprimersi il mio volto nella mente. Avvampai.
- A quanto pare si. – rispose solamente dopo un po’, senza timore o rancore nella voce. Ma io mi sentivo in colpa. Se non fosse stato per me, se non mi fosse venuta questa malata idea..
- Io andrò sull’Olimpo – decisi, subito. – non permetterò che tu muoia, che tu mi abbandoni. Diventerò una divinità minore e noi non potremo vederci ma io veglierò su di te e mi mostrerò, a volte, se me lo concederanno. – continuai,riluttante. Quelle parole mi costavano molto.
- Sai che non lo faranno, Will – mi rispose lui, anche se già lo sapevo – non ti rendi conto? Se mio padre prende la mia anima o se tu diventi divinità minore, non potremo più vederci in entrambi i casi. Non potremo comunque più stare insieme – e nel proferire quelle ultime parole il suo sguardo tornò a terra. Non sembrava capace di guardarmi, ma neppure io lo ero. Aveva ragione, ovviamente, ma ero rimasta colpita dal fatto che la sua espressione sembrava particolarmente ferita all’idea di non potermi vedere più. Non aveva nemmeno accennato a Percy e Annabeth, e questo un po’ mi dispiacque e un po’ mi fece piacere. Ma non aveva senso, perché comunque l’avrei perso.
- Abbiamo avuto sfortuna – esordii all’improvviso, sentendomi subito stupida. Non era questione di fortuna. Non lo era mai.
- Questa è più di sfortuna,Will – mi rispose come se mi avesse letto nella mente – e tu lo sai bene – il tono della sua voce si faceva più basso e cupo man mano che parlavamo. Mi sentivo inutile, inutile e colpevole, e tra pensieri di inutilità e colpevolezza non mi resi conto di quanto in fretta giungemmo al castello di Ade. Era già ora?
Percy (che aveva finalmente appoggiato quella dannata statua all’ingresso del castello) e Annabeth si girarono verso Nico, il dolore che trafiggeva i loro sguardi.
- Beh, noi veniamo con te – decisi,guardando uno ad uno gli altri e sfidandoli a controbattere. Nico,in effetti, fece per aprire bocca.
- No signorino, niente repliche. Non era una domanda,ma un’affermazione. E ora, in marcia! – fui immensamente grata ad Annabeth in quel momento per avermi sostenuta, così cominciammo ad incamminarci con un Nico rassegnato che ci guidava. Non ero proprio sicura di riuscire a reggere la sua morte, ma non l’avrei lasciato solo. Non l’avrei fatto comunque, e ci sarei stata sempre, anche dopo ciò che sarebbe avvenuto in quella spaventosa sala del trono.
Mi resi conto in quel momento che avrei voluto fare tante cose e dire tante cose, ma erano tutte troppe e si confondevano e si fondevano e si mischiavano nella mia testa, così che alla fine riuscii solo a prendergli una mano, e riuscii solo a dire
- Sempre. – 

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Capitolo 9
*** Apprendo un gran bel potere ***


La sala del trono in quel momento sembrava più fredda che mai. L’espressione di Ade era imperturbabile e quella di Nico pareva sfidarlo a fare qualche altro commento sarcastico, ma forse quel briciolo di umanità che speravo gli fosse rimasto glielo impedì. Mi tremavano le gambe.
- Così avete recuperato la statua – esordì solo Ade, con voce profonda. Annuimmo senza proferire parola.
- Allora è giusto che io abbia in cambio ciò che avevo chiesto – e qui sorrise, sempre in maniera agghiacciante. Mi veniva da piangere, ma non gli avrei lasciato questa soddisfazione. Nico avanzò, inginocchiandosi davanti ai suoi piedi. Incrociai il suo sguardo per quella che sapevo essere l’ultima volta.
- Mahri – chiamò all’improvviso Ade, e una strana sagoma informe si materializzò accanto a lui, prendendo piano piano sembianze vagamente umane. Quando però la sua trasformazione avvenne per intero, dovetti trattenermi dall’urlare.
La.. cosa che era apparsa accanto al trono di ossa di Ade era totalmente nera, aveva sì sembianze umane fino al bacino, ma le gambe erano un turbine nero simile a un tornado che vorticava, le mani artigliate in maniera spaventosa. Non aveva viso, solo una grande bocca che si estendeva per metà di quella che avrebbe dovuto essere la faccia, con denti lunghi e aguzzi e una lingua biforcuta e rossa, come le lunghe e attorcigliate corna che si ramificavano sulla sua testa.
Nico continuava ad essere impassibile, e non si degnò neppure di guardare il demone appena apparso alla destra del Re dei Morti.
- Lui è Mahri – m’informò Annabeth, tremante, accostando la bocca al mio orecchio – uno dei demoni maggiori che occupano il Tartaro. Quando era in vita, ha scoperto la verità sui miti greci e ha richiamato Ade per tentare di riportare in vita la donna che amava, morta prematuramente. Quando Ade ha rifiutato, si è alleato con un altro potentissimo demone e ha tentato di ucciderlo, ma naturalmente alla fine l’ha avuta vinta il Signore dei Morti. Per colpa della sua condotta è stato a sua volta condannato ad essere un demone, ed è uno dei pochi ad aver portato il corpo negli Inferi, di modo che la pena sia più dolorosa – concluse, il panico evidente nella sua voce. Non volevo davvero saperlo,ma lo chiesi lo stesso.
- Qual è la sua pena? –
- Delle catene di ferro incandescenti gli perforano la carne e si attorcigliano attorno agli organi morti, stringendoli – Annabeth deglutì e si sforzò evidentemente di non vomitare dopo l’affermazione. Il freddo che sentivo iniziò a intrappolarmi le ossa.
- Bene, Nico – Ade interruppe il silenzio – Mahri si occuperà di strapparti l’anima dal corpo grazie al morso dei suoi denti. – gli si rivolse come fosse la cosa più normale del mondo. – Mahri, procedi. – era la fine.
Come ordinato, Mahri si avvicinò fluttuante a Nico.
No..
I capelli di Nico iniziarono a svolazzare per effetto del vento causato dal vortice.
Non può finire così..
I denti di Mahri sfiorarono il collo di Nico.
Ti prego..
E poi, proprio quando stava per perforare la sua pelle bianca..
WHOOOM!
Un’onda d’acqua nerissima spalancò le porte d’ingresso della sala giungendo fino a Mahri, stringendolo nella sua morsa e tornando indietro per riportarlo, probabilmente, urlante, nel Tartaro. Tutto si fece improvvisamente silenzioso. A rompere il silenzio, però, per prima, fu Annabeth.
- Willow… - sussurrò lievemente, guardandomi ad occhi spalancati. All’inizio non capivo che stesse succedendo, ma pochi secondi dopo la fitta allo stomaco che non mi ero accorta di avere si affievolì, e notai finalmente le mie braccia sollevate, proprio come le teneva Percy quel giorno che avevamo scoperto la verità su mio padre, proprio come quando aveva controllato l’acqua. Ero sconvolta.
Evidentemente, Ade lo era anche di più.
Mi guardò come se stesse guardando un alieno (non posso dire fantasma, no? C’è abituato) e un’espressione di orrore e terrore si dipinse sul suo volto pallido e smunto.
- Quella era.. Era l’acqua dello Stige. Non.. Non è possibile controllarla – mi chiarì, lasciandomi ancora di più di stucco. Sono stata io a farlo? Non potevo crederci, ma la mia incredulità si consumò in fretta, o almeno fino a che non mi venne quella che mi sembrava la migliore idea che il mio cervello avesse mai partorito.
- Vuoi potere, Ade? – ringhiai, con aria di sfida – allora assaggia il mio – mi concentrai con tutta l’anima sull’acqua scura dello Stige e su tutti gli oggetti che galleggiavano sulla sua superficie, quegli oggetti rappresentanti i sogni infranti delle anime che giacevano in quel posto, tutti i sogni che non avevano potuto essere stati realizzati.. Decisi che avrei realizzato il mio anche per loro.
Quando sollevai energicamente le braccia contraendo i muscoli fino a farmi male, il palazzo iniziò a tremare e dall’esterno iniziò a sentirsi un rumore come di mare mosso, che si avvicinava, si avvicinava sempre di più..
Dal pavimento, all’improvviso, proruppe un’ondata d’acqua nera che era almeno il quintuplo di quella precedente. La sala si riempì velocemente mentre l’acqua vorticava e raggiungeva le nostre ginocchia. Gli altri,senza aspettare un segnale che non sarei stata in grado di dare dato lo sforzo che impiegavo per ciò che stavo facendo, scapparono via dalla sala del trono, mentre questa continuava a riempirsi fino a raggiungermi la vita. Ade era sconvolto, tentava di fuggire, ma l’acqua attorno a lui era come cemento che si solidificava e non lo lasciava uscire. Lo sguardo che mi lanciò era di puro odio.
Quando l’acqua mi arrivò al collo, capii che non sarei sopravvissuta a quell’acqua putrida. La sensazione che provavo con l’acqua limpida era di serenità, ma con quella dello Stige non era lo stesso. Avrei potuto tranquillamente affogare.
Ma in quel momento la morte non mi dispiaceva, non mi sfiorava. Volevo solo dare una lezione ad Ade e permettere ai miei amici di fuggire con la quercia. Sarebbe stato tutto vano, ma forse si sarebbero ingraziati Zeus e avrebbero avuto un po’ più di fortuna in futuro. Se lo meritavano . L’unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento, era di aver salvato Nico.
L’acqua mi sollevò da terra. Iniziai a galleggiare tentando di tenere al massimo la concentrazione,mentre l’acqua continuava a salire e inondava tutto. Ade era come intrappolato, e solo quello bastò a darmi grinta per continuare.
Eravamo a più di metà della stanza. Ormai ero certa che non sarei sopravvissuta, e mi sembrava strano come passassimo tutta la vita ad avere paura della morte, e quando questa arrivava le ci abbandonassimo come fosse una vecchia amica.
Cominciai a toccare il soffitto con la testa. Era la fine. Mi resi conto che se non avessi perdonato mia madre in quel momento, non l’avrei fatto più. Lentamente, sentii il peso della rabbia verso di lei diminuire,mentre l’acqua mi entrava a poco a poco nei polmoni. Quando la testa sprofondò sotto, il mio ultimo pensiero fu per Nico.
Ma proprio quando mi abbandonavo al dondolio dell’acqua, mi resi conto che questa non mi stava affatto inondando i polmoni. Anzi,non sentivo affatto di avere dei polmoni. E neppure tutto il resto.
Quando tentai di guardarmi per dare una spiegazione a tutto ciò, non vidi nulla. Era come se il mio corpo fosse sparito, si fosse dissolto nell’acqua,ma io sentivo ancora gli arti. Provai a muovermi per capirci qualcosa, e quando lo feci l’acqua si mosse. Non è possibile. Ero acqua. Cioè, ero diventata l’acqua. Non potevo annegare, potevo ancora sopravvivere. Potevo rivedere il sorriso di Nico, potevo riabbracciare mio fratello. Un’ondata di gioia mi travolse così intensamente che l’acqua attorno a me si mosse più vivacemente, come se fosse infastidita, ma io non ci badai. Scivolai verso il basso fino a toccare il pavimento, e giunsi velocemente alla porta. Riuscii a passarvi sotto, essendo solo acqua, e a proseguire lungo tutto il corridoio fino a giungere al portone principale, passando anche attraverso questa, ma i miei amici non erano lì. Mi guardai intorno, e quando li intravidi sussultai (ammesso che l’acqua potesse farlo).
Alcuni soldati-scheletri avevano accerchiato Percy, Nico e Annabeth, ansanti e feriti, mentre probabilmente loro tentavano di uscire. Avrei dovuto aspettarmi che Ade non gliel’avrebbe comunque permesso.
Scivolando a tutta velocità, raggiunsi i ragazzi e mi concentrai intensamente, per raggiungere il mio obiettivo. Dopo qualche attimo di lavoro, finalmente esplosi in due potentissimi getti d’acqua vorticanti, talmente forti da scaraventare non solo gli scheletri lontano, ma anche da far cadere scompostamente tutte le loro ossa. Annabeth e Nico rimasero spiazzati, senza capire cosa fosse successo, guardandosi intorno per controllare se qualcuno fosse accorso in loro aiuto, ma Percy aveva già capito quando aveva visto il getto d’acqua.
- Willow.. – mormorò, facendo voltare gli altri due che erano visibilmente sempre più confusi.
Avrei voluto spalancare le braccia e gridare “Ehi!” ma ero solo una piccola pozza d’acqua nera e gli scheletri si stavano già ricomponendo, perciò non avevo molto tempo. Mi scusai mentalmente coi ragazzi, ma dovevo farlo. Subito, balzai sudi loro e sulla statua e strinsi tutti nella mia morsa, mentre si agitavano e si dimenavano urlando e tentando di tagliarmi con le spade. Ignorandoli, mi allargai per formare una bolla, e quando fui sicura che fosse abbastanza resistente, corsi, corsi a perdifiato verso l’entrata degli Inferi evitando anime e scheletri e Praterie degli Asfodeli e Campi della Pena e (soprattutto) Campi Elisi, fino a giungere allo Stige, da dov’eravamo venuti, e superare una cavità nerissima che doveva essere l’ingresso, ritrovandomi a viaggiare nel buio. Quando, finalmente, riemersi da quell’orrore, la luce tornò a farsi vedere e io scaraventai i miei amici sul marciapiede di fronte allo studio di registrazioni R.I.P. prima che affogassero (tranne Percy, ovviamente).
Li guardai,bagnati fradici, tossire e sputare acqua nera (di nuovo tranne Percy, perfettamente composto e asciutto) e mi sentii un po’ in colpa, ma quella sensazione sparì quando realizzai di averli salvati. La felicità che provavo era più grande degli Inferi stessi.
- Che.. che cavolo è successo? – domandò Annabeth con voce strozzata, rossa in volto per la tosse.
- Vorrei saperlo – rispose Nico con la stessa voce, il tono più basso e cupo che mai.
- E’ stata l’acqua.. l’acqua dello Stige che aveva richiamato Willie – intervenne Percy, facendo zittire tutti. I loro volti divennero all’improvviso tristi e sofferenti. Poi finalmente mi ricordai che in effetti mi credevano morta.
Finalmente fuori da ogni pericolo, mi concentrai con tutte le mie forze sul mio vero aspetto, e piano piano la pozza d’acqua ch’ero diventata crebbe d’altezza e si modellò di modo da prendere sembianze umane, per poi solidificarsi facendomi tornare.. bhe, me.
- Aehm.. ciao – riuscii a dire solamente, salutandoli timidamente con la mano e azzardando un sorriso un po’ colpevole, mentre loro restavano a bocca aperta e le espressioni mutavano da sofferenti a incredule.
- Il fantasma di Willow ci ha seguito fin qui? – domandò Annabeth a Percy, senza staccarmi gli occhi di dosso.
- A-ah.. – rispose lui annuendo, fissandomi ancora allibito. Nico fu l’unico a corrermi incontro e stringermi in un abbraccio vomita-polmoni.
- Ooooff.. Nico.. Nico vorrei respirare – la mia voce era spezzata perché davvero non riuscivo a prendere fiato, ma lo strinsi comunque a me per fargli saper che ero io, per fargli sapere che ero viva, che sarebbe andato tutto bene e che tutto era finito.
- Sei tu.. Will.. – la sua voce era come un sospiro di sollievo dopo tanti giorni di ansia, e il mio cuore si allargò improvvisamente. Ce l’avevamo fatta. Ce l’avevo fatta.
- Io credevo che.. Avessi richiamato dell’acqua per aiutarci, giù nel Regno dei Morti.. Che fossi ancora lì dentro.. Ma come diav.. come hai.. – Percy era ancora sconvolto mentre Annabeth mi saltava addosso similmente a Nico.
- L’acqua – gli spiegai – sono diventata acqua – conclusi senza migliorare la situazione, ma anzi facendogli spalancare la bocca fino a slogarsi la mascella. La reazione degli altri due non fu molto diversa.
- Quindi.. Davvero con i soldati-scheletro.. eri tu? Proprio tu? – continuò a farmi domande lui, che non sembrava volersi fare una ragione di quanto era successo.
- Sono sempre stata io – sorrisi, voltandomi a questo punto verso Nico – Visto? Te l’avevo detto io. Sempre. – sussurrai, ottenendo il risposa il sorriso più bello del mondo, quello a cui avevo pensato prima di aver creduto di annegare.
- Bentornata, tre quarti dea. – 

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Capitolo 10
*** Faccio un salto sull'Olimpo ***


Dopo aver fatto il viaggio al ritroso (stavolta in pullman) fino a Manhattan, fra molti “ancora non ci credo” e altrettanti “è veramente assurdo”, arrivammo finalmente davanti all’Empire State Building, l’ingresso dell’Olimpo. Lo guardai, e più lo guardavo e più mi sembrava assurdo quello che stavamo per fare, visto che ero tipo “Okay, sto per entrare nell’Olimpo attraverso un grattacielo. Tutto normale. Fatemi un attimo abituare all’idea”.
- Muoviti, pigrona – mi spronò malamente Percy , e si sarebbe guadagnato un’occhiataccia se non fossi stata un’informe massa d’acqua cristallina che trasportava la statua. Come approfittarsi di me parte uno.
Una volta entrati, notai che l’ingresso era perfettamente uguale a quello di qualsiasi altro palazzo (con tanto di custode seduto coi piedi sul bancone di fronte e un giornale a coprigli la faccia impedendogli di vedere chi entrasse). Mi chiesi cosa vedevano i mortali invece che una statua galleggiante su un’onda d’acqua fluttuante.
Percy si avvicinò riluttante al custode, e disse solamente
- Seicentesimo piano –
Il custode abbassò il giornale e lo squadrò con sguardo indagatore, un sopracciglio sollevato.
- Mi prendi in giro, ragazzino? Non c’è un seicentesimo piano – rispose, seccato. Percy, come con Caronte, tirò fuori dalla tasca qualche dracma e gliela sventolò sotto il naso. Incredibile il potere dei soldi.
Il ragazzo spalancò gli occhi e scattò in piedi, andando ad armeggiare con l’ascensore, che si aprì di scatto, controllando a destra e a sinistra che nessuno ci vedesse.
- Mettete una buona parola col capo lassù per me – ci mormorò, prima di vederci sparire dietro le porte dell’ascensore.
- Bene ragazzi, benvenuti nell’Olimpo express! – sdrammatizzò Percy, premendo un pulsante su cui erano incise le cifre “600”. Non appena l’ascensore iniziò  a muoversi, il mio stomaco si capovolse, e ci tengo a specificare che sotto forma di onda lo stomaco non lo avevo.
La velocità di quell’aggeggio andava oltre ogni limite umano. Passarono pochissimi secondi prima di giungere al piano prestabilito, quando l’ascensore tintinnò e le porte si aprirono su.. la meraviglia.
L’Olimpo era il vero paradiso. Era costruito esattamente sopra le nuvole e da innumerevoli stradine di ciottoli si giungeva a varie zone, giardini o ville o boschetti o ruscelli dove stavano ninfe o maridi o divinità minori che facevano festa e cantavano e si divertivano. Alcune scale portavano a livelli superiori sempre molto simili a quello,fino a giungere, nella parte più alta, ad un enorme tempio in stile greco bianco e illuminato: la dimora degli dei.
- Mozza sempre il fiato –fece notare Annabeth, prendendo a studiare la perfetta architettura dei palazzi e delle ville che tanto l’affascinava. Se avessi potuto sorridere, l’avrei fatto.
- Ecco che ricomincia.. – si lamentò Percy roteando gli occhi – forza gente, abbiamo una missione da portare a termine! – e lanciò un pugno in aria, entusiasta, cominciando ad incamminarsi. Lo seguimmo abbagliati, guardandoci intorno ad ogni passo che facevamo, mangiando con gli occhi tutto ciò che ci si presentava davanti tentando di marchiarlo nella nostra mente. Era quello che mi stavo perdendo. Avevo fatto tutto quel viaggio e rischiato di morire perché non volevo stare in quel paradiso. Iniziai a chiedermi se ne valeva la pena, se non avessi dovuto obbedire a Zeus e fare di lui il mio padrone. Poi mi dissi di piantarla. Era l’influenza degli dei, naturalmente fortissima sull’Olimpo, a sballarci il cervello: vedevo espressioni sognanti e perse in chissà quali desideri impresse sui visi dei miei amici. Schizzai un po’ d’acqua sulla faccia di ognuno di loro, e mi beccai un’occhiata di traverso da tutti e tre, ma almeno li risvegliai.
In men che non si dica avevamo attraversato tutti i giardini e salito tutte le scale, fino a giungere davanti alle porte del palazzo. Se un’onda può rimanere a bocca aperta, io lo feci.
La facciata era piena di decorazioni raffiguranti gli dei, sculture, immagini dipinte e, incastonato in mezzo ad essa, vi era un enorme portone d’ingresso alto almeno 5 metri, affiancato da colonne alte anche di più. Era qualcosa di indescrivibile.
Ma il bello venne solo quando varcammo la soglia.
All’interno la sala era tanto grande che avrebbe potuto ospitare 3 cattedrali, bianca come all’esterno ma ornata da altre decorazioni dorate, e il soffitto sembrava non finire mai. Lungo la stanza, disposti a semicerchio, 12 altissimi, enormi troni riempivano l’ambiente; al centro di essi, un fuoco dalle dimensioni altrettanto spaventose. Per non parlare degli dei.
Su ogni trono sedeva un uomo o una donna alto almeno tre metri che discuteva o chiacchierava con l’altro, ognuno dei quali diverso e rispecchiante il proprio potere;  una donna dagli occhi grigi e intelligenti, un uomo dal sorriso furbo come un ladro, un altro con la barba ornata da fiammelle, un altro ancora con una camicia hawaiiana e due occhi del colore del mare.. Papà. Il mio cuore-onda balzò fino ad arrivare al mio cervello-onda, per poi tornare al suo posto a testa in giù. Mio padre mi stava guardando, non avevo gli occhi, ma lui mi guardava dritto lì. E sorrideva.
Accanto a lui, un omone accigliato (aveva l’aria di uno che non rideva mai) con una folta e lunga barba bianca e due occhi blu come il cielo ci squadrò, ma non sembrò prestarmi molta attenzione. Credo mi avesse scambiato per una semplice onda. Sentii scattare l’elettricità, e non solo perché Zeus controllava i fulmini, ma perché detestavo il modo in cui ci stava guardando, e ancora di più il modo in cui non stava guardando me. Dovevo farmi notare.
Scivolai sotto la statua, mollandola a terra e catturando l’attenzione di tutti col rumore che provocai agendo in quel modo. Lentamente, cominciai a prendere forma e compattarmi, fino a tornare ad essere me. Non esitai un attimo, perché non appena la trasformazione fu conclusa i miei occhi erano già fissi in quelli di Zeus. Si erano tutti improvvisamente zittiti.
- Willow – ruppe finalmente il silenzio mio padre, interrompendo lo scambio di sguardi fra me e il re degli dei. Sapevo che mi aveva riconosciuto. L’avevo capito da come mi aveva guardato.
Quando i miei occhi si spostarono in quelli di mio padre,provai una strana sensazione. C’erano gioia, felicità, allegria, rabbia e amarezza tutti insieme. Ero felice di vederlo,di conoscerlo, ma ero arrabbiata perché in tutti quegli anni non si era mai fatto vedere. Mi limitai a non cambiare espressione.
- Tu, piccola.. – cominciò Zeus, quasi ringhiando, ma papà lo interruppe.
- Lasciali parlare, fratello. Non saranno qui senza una valida motivazione. – gli parlò con tono cauto, come temendo uno scoppio d’ira (e non gli davo torto).
- Certo che hanno una valida motivazione – nel dire questo, Zeus fissò la sua statua. Quasi mi pentivo di avergliela riportata.
- Divino zio – s’introdusse  Percy – siamo venuti qui perché, ehm.. Abbiamo recuperato qualcosa che crediamo le appartenga – e detto ciò spostò anche lui lo sguardo sulla statua. Gli occhi grigi di Annabeth erano inchiodati in quelli ugualmente grigi della madre. Nico sembrava non esserci.
Zeus intanto, pareva stesse riflettendo. Fissava la statua come se potesse rivelargli i misteri più profondi della vita.
- Ebbene, perché avete portato a termine un’impresa che non vi era stata assegnata? Perché intraprendere un viaggio non stabilito? – chiese con tono grave e basso, quasi facendomi trasalire. Ho detto quasi.
- Noi avremmo un favore da chiederle, Zeus – continuò Percy per nulla intimorito, ma anzi perfettamente controllato e sicuro di sé. Anche il suo sguardo diceva sfida. Sorrisi da un angolo delle labbra.
- E cosa ti fa pensare, ragazzino,che ve lo concederò? – i suoi occhi si strinsero a fessura –so cosa vuoi. Siete qui per uno scambio. Ma se io semplicemente non accettassi e volessi sia la statua che tua sorella? – e qui mi guardò – Come me lo impediresti? – domandò ancora, sorridendo in modo inquietante e poco educato aggiungerei.
Percy fece per aprire bocca, ma a quel punto stavo esplodendo. Le parole mi uscirono di bocca prima che riuscissi a pensarle.
- Si dà il caso, caro Zeus, che io sia quasi una dea e che se voglio posso difendermi da sola – il mio tono era visibilmente infastidito. Mi stupii di me stessa e mi pentii del modo in cui mi ero posta un secondo dopo , ma ormai il danno era fatto e l’unica cosa che potevo fare era continuare a parlare.
- Lei non mi vuole davvero qui – confessai, infatti – la sua è solo una sciocca vendetta verso mia madre, una codardia, colpire me per colpire lei. Non dovrebbe essere  saggio? Non è il re degli dei? È così che funziona qui da voi? – stavo decisamente perdendo il controllo – bhe, sappia che se vuole la guerra l’avrà e sarò pronta a battermi fino al termine delle mie forze, ma se sono quasi morta e ho quasi ucciso un mio amico per recuperare la sua stupida statua dovrebbe mostrare almeno un po’ di riconoscenza – terminai, e mi resi conto solo allora di quanto avevo urlato e del fatto che avevo il fiatone e stavo sudando. Avevo esagerato, non me la sarei cavata facilmente. Gli altri mi guardavano in un misto tra l’ammirato e l’inorridito. Mio padre, notai, continuava a sorridere.
- Bel caratterino, la ragazza – commentò, spezzando la tensione – esattamente come la madre –continuò con tono un po’ amareggiato, guadagnandosi l’attenzione di tutti. - Senti, fratello, è evidente che questa ragazza tiene davvero alla sua posizione e ai suoi amici, e non sarebbe corretto costringerla a restare qui se è una cosa che non vuole. Noi siamo responsabili degli umani e della loro felicità, e se lei qui non è felice, non andremo contro i nostri principi? Sii ragionevole, è una pazzia prendersela così per un’azione compiuta da tua figlia in un momento di rabbia. Questi ragazzi hanno recuperato la tua statua, ed è giusto che abbiano una ricompensa – il suo intervento sortì un certo effetto, perché gli altri dei presero ad annuire e a fissare male Zeus. Volevo ridere, ma non credevo avrei migliorato la situazione.
Zeus sembrò di nuovo pensarci su, mentre la folgore sfrigolava nella sua mano. Probabilmente pensò che non gli sarebbe convenuto andare contro un semidio perché avrebbe scatenato una possibile rivolta da parte di tutti gli altri, e non credevo che dopo la Guerra dei Titani avessero tanta voglia di cominciarne un’altra. Ad ogni modo, dopo una lunga riflessione, finalmente annuì.
- E sia. È concesso il perdono a te – NON HO FATTO NULLA E TI HO ANCHE RECUPERATO LA STATUA, BASTARDO INGRATO! –e a tua madre, e ti libero dal tuo dovere di vivere sull’Olimpo in qualità di divinità minore. Potrai tornare alla tua normale vita da semidio,ma se vorrai qui ci sarà sempre un posto per te:stavolta non è un’imposizione, ma una proposta – concluse, con tono più mellifluo. I nervi mi si distesero, e provai quasi un moto di simpatia verso di lui. Avrei comunque dovuto imparare a conviverci.
- La ringrazio – riuscii a proferire solamente, quasi mormorando, tenendo la testa china per non farmi vedere in viso dato l’imbarazzo che provavo per aver strillato senza controllo solo poco prima. Subito dopo, lanciai un’occhiata a Percy e Annabeth, che indossavano tutti e due uno splendido sorriso a trentadue denti, e poi a Nico, che teneva il pollice in su sorridendo, come facevo sempre io, da un angolo delle labbra. Diventai, se possibile, ancora più rossa.
- Potete andare! – ci congedò infine Zeus, e noi c’inchinammo e ci voltammo per tornare indietro, cominciando già ad esultare come dei pazzi scatenati, finché l’euforia non venne bloccata da una mano che mi stringeva dolcemente la spalla. Mi voltai e incontrai due occhi verdi che mi catturarono l’anima.
Papà.
Aveva assunto sembianze umane e ora somigliava solo a un pescatore piuttosto abbronzato con degli occhi che quasi scintillavano, come il suo sorriso, che ricambiai subito. La rabbia che avevo provato prima era andata a dormire. Percy si avvicinò.
– Percy, sei sempre il solito campione – gli si rivolse, notandolo e sorridendo anche a lui – Quando ho saputo che Willow sarebbe venuta al campo e che vi sareste conosciuti ho pensato che insieme sareste stati un’ottima squadra. Hai dimostrato valore e coraggio anche questa volta. – lo lodò, e Percy arrossì facendo sorridere me. I due si abbracciarono senza che mio fratello riuscisse a dire nulla, o forse semplicemente non c’era nulla da dire.
- A presto, papà – lo salutò, e si allontanò non prima di avermi lanciato una strana occhiata che non persi tempo a cogliere.
- Willow – papà continuava a sorridere, tenendomi la mano sulla spalla,intrappolando i miei capelli neri – Figliola, da quanto tempo. Come somigli a tua madre.. – e cominciò a carezzarmi i capelli, facendomi rabbrividire – ma Zeus non mi ha concesso qualche minuto con te solo per parlarti di questo. Sono davvero fiero di te, Willie. Mi hai reso un genitore felice e gonfio d’orgoglio, non hai battuto ciglio quando hai saputo la verità su di te, non mi hai odiato per non essere stato presente, sei stata forte e hai affrontato la realtà e ciò a cui dovevi andare incontro nonostante la paura. Hai recuperato uno dei quattro simboli di Zeus dagli Inferi dopo neppure una settimana dall’esser venuta a conoscenza di essere figlia di una divinità. Il tuo coraggio non ha eguali, e volevo che sapessi che nonostante la mia assenza io ti voglio bene, figliola. Sei diventata una ragazzina fantastica, proprio come sapevo che sarebbe stato. – durante queste sue parole, il mio sorriso non si spense ma dai miei occhi cominciarono a sgorgare lacrime di commozione e felicità, e in quel momento capii perché Percy non era riuscito a dire nulla dopo il discorso di papà, e semplicemente avvolsi le braccia attorno al suo collo e lo strinsi, lo strinsi a me inspirando il suo odore di mare e richiamando a me tutti i ricordi e le sensazioni ad esso collegato, e cercai di imprimermelo nella mente in modo da ricordarlo anche quando non c’era, in modo da sapere che in realtà c’era sempre.
- Ti voglio bene anch’io – riuscii a sbiascicare, alla fine, con voce rotta, guardandolo negli occhi, i miei affogati nelle lacrime, i suoi lucenti e confortanti.

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Capitolo 11
*** Succede qualcosa di inaspettato ***


Il ritorno dall’Olimpo fu piuttosto problematico dato l’incontro con mio padre, ma per fortuna i miei amici erano lì per sostenermi. Come sempre. Sempre.
L’ingresso del Campo Mezzosangue, comunque, non era mai stato confortante come allora. Non mi pesò neppure salire la collina, e anzi non vedevo l’ora di giungere all’estremità. Una volta entrati nei confini, mi sentivo totalmente in pace, a casa.
La pace durò naturalmente molto poco.
Il giorno dopo, tutti i semidei di tutte le cabine sfondarono le porte delle nostre cabine e ci portarono fuori correndo, sorridendo, urlando e acclamandoci a gran voce per l’impresa che avevamo compiuto e che ovviamente aveva già fatto il giro del mondo. Ci sollevarono e ci portarono in giro per il Campo festeggiandoci, nonostante fossimo ancora in pigiama e avessimo la necessità di riposare ancora un po’. Percy aveva l’aria di uno che stava per bestemmiare pesantemente.
Dopo essere passati dalla mensa per farci lanciare qualche cornetto dagli altri, continuammo la nostra gita a cavallo dei semidei, prendendo a cantare le canzoni del Campo che non avevo effettivamente ancora imparato. Era tutto fantastico e mi sentivo leggera e libera dal peso che mi aveva oppresso fino a solo un giorno prima, anzi quasi dimenticai tutti i pericoli che avevamo corso e i nemici che avevamo dovuto fronteggiare, godendomi semplicemente il ritorno a casa. Almeno, fino a che, passando accanto al campo di fragole, scorsi una figura magra e familiare fra gli alberi.
Subito mi accigliai, messa all’erta dai miei sensi, e senza troppi complimenti mi scostai dalle mani che mi tenevano e scesi a terra, intrufolandomi fra gli alberi. Avevo visto bene?
Addentrandomi meglio, solo poco dopo, notai fra le fragole una donna, minuta ma forte, i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, che ondeggiavano ogni qualvolta la donna si muoveva. Mamma.
Quando mi vide, i suoi occhi indugiarono a lungo su di me, senza un’espressione precisa. Non riuscivo a decifrare il suo sguardo, ma mi avvicinai. Al solo vederla ricordai che, in punto di morte, l’avevo perdonata. Lo sentivo davvero.
- Willow – si decise a dire infine, col suo tono autoritario che precedeva solitamente o una sgridata o un pianto. A mia madre era sempre piaciuto fingersi forte prima che la sua corazza crollasse. Peccato che con me non funzionasse.
- Mamma – risposi soltanto, avvicinandomi più velocemente a lei, e in men che non si dica mi ritrovai stretta nel suo abbraccio, caldo, familiare, confortante, avvolta nel suo profumo di gelsomino e coperta dai suoi capelli che quasi si fondevano coi miei. Non vennero lacrime perché non ce n’erano o perché non c’era bisogno, da nessuna delle due.
- Oh, Willie.. per favore,scusami. Tutto ciò che ti è successo e che hai dovuto affrontare è stato colpa mia e io non ho fatto altro che importi un destino che tu non desideravi senza neppure provare a lottare.. Sono stata una madre snaturata e una pessima persona, ma non volevo che rischiassi tutto quello che hai rischiato perché so quanto è difficile essere semidei.. Avevo solo paura di perderti.. – le sue parole sembravano più vere che mai mentre teneva il mio viso stretto fra le mani e mi guardava con i suoi occhi dello stesso azzurro del cielo d’estate mentre mi chiedeva quel perdono che le avevo già concesso. Avevo troppe parole da dire e si stavano ingarbugliando fra loro nella mia testa e, per paura che mi si annodasse la lingua nel pronunciarle, solamente annuii. Il sorriso che si aprì sul suo volto in quel momento fu il regalo più grande.

Una volta girato l’intero Campo per cercare gli altri, raggiunsi finalmente l’anfiteatro, attirata dalla melodia delle canzoni che tutti stavano ancora cantando, raccolti sugli spalti. Sorrisi, e mi avviai verso l’entrata, ma qualcuno mi si affiancò facendomi sussultare.
- Complimenti per il coraggio – mi sussurrò una voce accanto all’orecchio, e il mio sorriso si aprì di più mentre mi voltavo verso quel suono.
- Altrettanto – gli risposi, mentre Nico ricambiava il sorriso, con le mani in tasca e il giubbotto da aviatore legato in vita dato il caldo (poco prima ci avevano infatti gentirlmente concesso di vestirci e lavarci).
- Ho visto tua madre, prima – esordì all’improvviso, lasciandomi un po’ interdetta. Il suo viso ora era serio.
- Abbiamo chiarito. Cioè, va tutto bene adesso. Non potevo certo stare per sempre arrabbiata con lei, ho capito perché ha fatto quello che ha fatto e l’ho perdonata – risposi, un po’ troppo frettolosamente perché mi infastidiva un po’ toccare l’argomento. Nico puntò lo sguardo a terra e annuì. Mi chiesi se stesse pensando se lui avrebbe perdonato sua madre, se solo fosse stata ancora viva.
- Stai bene? – gli chiesi poi, ricordandomi del fatto che suo padre, due giorni prima, l’aveva praticamente condannato a morte. Non doveva proprio essere una bella sensazione.
- Sto bene – si limitò a dire, atono, sollevando lo sguardo sugli alberi. Non mi ero resa conto che ci eravamo allontanati dall’anfiteatro, camminando, ed eravamo giunti all’ingresso del boschetto. Mi fermai.
- Cavolo! Quand’è che siamo arrivati qui? – domandai, cercando di sdrammatizzare. L’espressione sul volto di Nico mutò in una che non gli avevo mai visto prima.
- Ho una sorpresa per te – mi confessò, infatti, sorprendendomi.
- Una sorpresa? – chiesi nuovamente, continuando a non capire. Mi sentivo come se ci fosse qualcosa che mi sfuggiva. Nico mi prese per mano e si avvicinò a me.
- Auguri, Willow. – furono le sue uniche parole, e mi resi conto che mi era sfuggito qualcosa di abbastanza importante.
- Che.. Che giorno è oggi? – continuai a domandare, stordita e confusa. Non poteva essere. Come avevo fatto a dimenticarmene?
- 12 agosto – rispose lui sorridendo – è il tuo compleanno – mi chiarì, confermando i miei sospetti.
- Oh, Zeus! – esclamai, ancora incredula, ma una domanda vorticava nella mia testa superando lo stupore del momento – e tu come lo sai? – aggrottai la fronte e lui scoppiò a ridere.
- Informatori segreti.. – mi rispose, vago – e archivi della Casa Grande in cui sono conservati documenti contenenti informazioni su ognuno di noi – e riprese a camminare, facendo finta di nulla. Io sgranai gli occhi perché semplicemente non ci potevo credere.
- Tu sei matto! – riuscii a dire solamente, mentre Nico cominciava a correre, tirandomi con sé.
- Può darsi! – mi assecondò, ridendo e costringendo a correre anche me per tenere il passo.

Dopo qualche minuto, diverse gocce di sudore e un bel fiatone, giungemmo a quella che doveva essere la nostra destinazione.
Non avevo parole.
Eravamo arrivati in un enorme spazio nascosto da altissimi alberi e delimitato a semicerchio da essi, coperto da un’erba verdissima e soffice. Dove gli alberi terminavano,iniziava un’enorme collina piatta dalla quale scendeva una cascata che cadeva in un basso fiume dall’acqua limpida e cristallina, dove il sole si specchiava. Meravigliosi pettirossi cinguettavano fra gli alberi, nascondendosi nei loro rami o mostrandosi e bevendo dall’acqua del fiume, accanto al quale era stata sistemata, sull’erba, una tovaglia a quadretti bianchi e rossi sulla quale erano a loro volta adagiate bibite e un cestino che traboccava cibo.
- Ti piace? – mi chiese un po’ intimorito Nico, forse spaventato dalla mia reazione, ovvero un’espressione persa e profondamente stupita. Non riuscivo a pronunciare nemmeno una sillaba, così annuii energicamente, quasi staccandomi la testa dal collo. Nico rilassò le spalle, e si allontanò, ma io continuavo a non riuscire a muovere un muscolo. Quando ritornò, mi si avvicinò e mi porse qualcosa. Un fiore. Una meravigliosa camelia. Magicamente, mi sbloccai.
- Significa “Perfetta bellezza” – mi spiegò Nico, rigirandola fra le dita e facendomi prendere più o meno il colorito di una ciliegia matura – se regalata, vuol dire stima – e detto ciò me la mise fra le dita, spostando lo sguardo su di me. Non sapevo cosa dire e la cosa mi imbarazzava.
- Nico è.. – riuscii solo a sbiascicare – è fantastico. Tutto. Non mi sarei aspettata nemmeno che qualcuno si ricordasse del mio compleanno o che qualcuno lo sapesse.. neppure io – specificai, facendolo sorridere. Lui sollevò una mano come se volesse toccarmi,ma probabilmente ci ripensò perché si ritrasse. Leggevo l’imbarazzo sul suo viso, e per non farlo notare lui cominciò a incamminarsi verso la tovaglia adagiata sull’erba, invitandomi a seguirlo con un gesto della mano. Non me lo feci ripetere.
Ci sedemmo sull’erba soffice e io inspirai l’aria fresca, pulita e profumata di quel posto, un profumo che mi stordiva e mi inebetiva. Mi stesi sul prato e guardai il cielo. Sentivo lo sguardo di Nico su di me.
- Non hai fame a quanto pare – notò spostandosi accanto a me. Sorrisi.
- E’ ancora presto – gli risposi, seguendolo con lo sguardo mentre si sdraiava  nel verso opposto, di modo che solo le nostre teste fossero allineate.
- E così.. – cominciai, temendo che il silenzio che iniziava a insinuarsi fra di noi, strisciando, si prolungasse troppo a lungo – hai sbirciato segretamente fra gli archivi – conclusi poi, facendolo ridere per un secondo.
- Sono bravo a non farmi notare – disse soltanto, non senza una nota di malinconia. Mi sollevai su un gomito per guardarlo, lasciando che i capelli mi ricadessero sul viso. Lui non si mosse, ma mi guardò allo stesso modo.
- Non passi poi tanto inosservato – gli feci notare, continuando a sostenere lo sguardo. In situazioni normali mi sarei sentita nervosa e avrei trovato difficoltà nel pronunciare simili parole, ma stranamente in quel momento non accadde.
- Io penso di sì – ribatté lui, come sfidandomi a controbattere ancora.
- Con me non è successo – replicai io invece, quasi fosse una sfida. Le guance di Nico si tinsero di rosso, e mi resi conto che stava succedendo lo stesso anche a me. Come eravamo arrivati a quel punto?
- Will, non ho avuto tempo, come puoi ben capire, per farti un vero regalo – mi disse Nico, dopo essersi sollevato ed essersi seduto a gambe incrociate di fronte a me, non prima di aver fatto un profondo respiro – ma c’è qualcosa che desidero darti e non potrei mai trovare momento migliore di questo – il cuore cominciò a battermi forte, mentre i suoi occhi, inchiodati nei miei, cominciavano a scavarmi dentro l’anima.
- Quando sono arrivato al Campo, quella sera, e ti ho trovato davanti alla cabina di Poseidone, la prima cosa che ho notato di te sono stati gli occhi. In quella notte così profondamente scura sono stati l’unica cosa che mi hanno consentito di orientarmi, era come se brillassero nel buio. Da allora, ho avuto paura di guardarti per timore che il loro splendore fosse inghiottito dal nero dei miei. – e qui iniziarono a tremarmi le mani, ma tentai di non farlo notare stringendole a pugno – Ho notato subito in te la volontà di non farti notare. Nonostante tutti ti acclamassero e ti cercassero perché eri la sorella di Percy non hai voluto approfittare della popolarità e sei sempre stata per conto tuo, non hai mai cercato di barare e renderti le cose facili grazie al tuo prestigioso titolo, hai voluto farcela da sola e hai sempre insistito, ed è la prima qualità che ho ammirato anche in tuo fratello – lo stomaco cominciava ad attorcigliarsi – e quando hai saputo ciò a cui dovevi andare in contro ti sei armata e l’hai affrontato senza batter ciglio, senza che neppure ti passasse per la testa di ritirarti o di arrenderti.. Hai avuto un coraggio che nessuno di noi semidei ha dimostrato alla sua prima impresa, e hai rischiato di morire per salvare qualcuno che non lo meritava e questo è nobile e ti fa veramente onore e.. – ma non gli permisi di continuare, perché non condividevo una parte di ciò che aveva detto.
- Tu meriti di essere salvato, Nico. Lo meriti eccome. – ribattei io, guardandolo senza più un briciolo di timore. Sentivo anche la sua corazza cominciare a sgretolarsi sotto il mio sguardo. Lui non rispose.
- Il punto, è Will.. che tutto il tuo essere è un concentrato di meraviglia, come mai ne avevo vista fino a questo momento. E che le mie arterie si annodano e il mio cuore si ferma quando ti vedo e i miei polmoni si seccano come se fossero pezze messe ad asciugare al sole e nel mio stomaco iniziano a cavalcare rinoceronti e nella mia testa tutto si azzera perché esisti solo tu.. – il suo viso si era terribilmente avvicinato al mio – Io non ho mai provato amore Will, e non so dirlo, non so definirlo,ma so che non ce n’è bisogno perché l’amore si sente e basta, ma so cos’è il dolore e posso dirti con sicurezza che questo è l’esatto opposto.. Sei la luce che illumina il mio buio e che mi ha fatto diventare uomo da che ero solo un’ombra – il suo tono era diminuito ad ogni parola pronunciata e il suo sguardo era ormai fisso sulle mie labbra, e la mia testa era in subbuglio e io non ce la facevo più. Tutte le parole che c’erano da dire lui le aveva già dette, e l’unico modo che avevo per rispondere era agire. Non ricordo nemmeno quando appoggiai le mie labbra sulle sue,ma successe, successe e basta, e fu la cosa più bella e indescrivibile che mi fosse mai successa nella vita. Sentivo esplodere fuochi d’artificio in tutto il mio corpo e non sapevo più se il mio cuore battesse o battesse troppo velocemente e pensai che non me ne importava assolutamente nulla finché le braccia di Nico mi stringevano a sé, calde, confortanti e sicure, e le sue labbra, prima tese, diventavano morbide al contatto e si schiudevano per  massaggiare le mie e creare uno spazio dove le nostre lingue s’incontrarono, mentre la mia mano affondava nei suoi capelli come tanto avevo desiderato fare per tutto quel tempo, quei capelli setosi proprio come avevo pensato che fossero.
Quando, dopo diversi secondi (o minuti o ore o anni) ci allontanammo per riprendere fiato, il viso di Nico aveva assunto una colorazione e un’espressione del tutto diverse. Le sue gote erano ancora rosee e i suoi occhi erano scuri, profondi, risoluti. Bellissimi.
- Sai – appoggiai la fronte alla sua e tenendo le braccia strette attorno al suo collo, ansante – non credevo che un figlio di Ade potesse baciare così bene – mi decisi a dire, alla fine, facendolo ridere.
- Potrei sorprenderti – rispose, tenendosi ancora sul vago, respirando sulle mie labbra.
- Allora, la cosa che volevi darmi quando hai iniziato il tuo meraviglioso discorso strappalacrime qual era? – chiesi dopo una breve risata causata dalla sua risposta precedente. Il suo volto si fece improvvisamente serio mentre mi guardava fissamente negli occhi.
- Il mio cuore – fu tutto quello che disse.

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Capitolo 12
*** Iniziano i problemi (Come se fossero mai finiti) ***


Il mattino dopo mi svegliai di buon ora. Raramente ricordavo qualcosa appena sveglio, ma quel giorno il mio primo pensiero fu Willow. La mia mente tornò agli avvenimenti del giorno prima, al nostro bacio e al pranzo insieme, al pomeriggio seduti sotto gli alberi e alla sera a guardare le stelle finché Percy non era venuto a recuperarci con Vortice in mano e un’aria sconvolta. Non so come non ci aveva uccisi.
- E PENSAVATE DI STARE TUTTO IL GIORNO QUI SENZA AVVERTIRE NESSUNO? – ruggì dopo aver avuto spiegazioni sull’accaduto, che certo non avevano contribuito a salvarci la vita. Guardò in cagnesco prima lei e poi me. Mi stava incenerendo con gli occhi. E guardate che è davvero pericoloso vedere fuoco negli occhi di un figlio del dio del mare.
Mi rigirai nel letto sorridendo a quel pensiero, e dopo qualche secondo mi alzai. O almeno, provai ad alzarmi.
Stavo facendo leva sulle braccia per sollevarmi dal letto, quando la porta della mia (finalmente terminata) cabina fu staccata dai cardini e scaraventata dall’altro lato della stanza. Guardai prima la porta ridotta in briciole e poi lo spazio vuoto e rettangolare dove era prima incastrata. L’ombra di un individuo ne entrò, apparendomi di fronte.
- Percy? – domandai con la voce ancora impastata dal sonno e gli occhi socchiusi per il violento incontro con la luce. Il suo volto era angosciato, tanto da farlo sembrare più vecchio di vent’anni, gli occhi spalancati e iniettati di sangue, cerchiati da profonde e nere occhiaie come quelle che sfoggiavo sempre io. I suoi vestiti erano spiegazzati e indossati a caso (la maglietta era al contrario e una scarpa slacciata). Cominciai ad avere paura.
- Percy, che succede? – mi alzai di scatto andandogli vicino, e lui non faceva altro che fissarmi. Boccheggiava, come se non riuscisse a parlare. Fu colpito da un violento eccesso di tosse e si piegò in due, lasciando me a tentare di sorreggerlo. Sembrava trovare difficoltà a respirare. Non riuscivo a pensare e guardavo fuori cercando qualcuno, ma stavano dormendo tutti e il campo era deserto. Ero spaventato e non sapevo cosa dire.
- Nico.. – quando pronunciò il mio nome, per poco non sussultai. La sua voce era roca come se le corde vocali fossero state graffiate.
- L’ha portata via.. Lui l’ha.. – tentò ancora di dirmi qualcosa, ma ricominciò a tossire fino a sputare sangue. Il mio cuore batteva talmente forte per lo spavento..
- Percy, ora stai calmo – provai, anche se cercavo di tranquillizzare più me stesso – dimmi cosa è successo. Chi ha portato via chi? Cosa ti hanno fatto per ridurti in questo modo? – gli domandai, tenendogli la testa, ma la risposta mi arrivò in maniera inaspettata.
Come Percy, un’altra figura piombò nella mia stanza, cadendo rovinosamente con tutto il peso sopra me e il ragazzo, che finimmo schiacciati e senza respiro. Per Percy che già stava soffocando, pensai, non doveva essere un gran miglioramento.
Quando la figura si alzò, la riconobbi solo dopo diversi secondi. I suoi capelli biondi erano sporchi di polvere e sangue, dovuto a un lungo squarcio che le attraversava la guancia. I suoi occhi, grigi e luminosi, erano ora acquosi e spenti dalla paura.
- Annabeth.. – mormorai, capendoci sempre meno. Poi qualcosa mi passò per la mente, e mi alzai di scatto, uscendo fuori e guardandomi intorno. Perché lei non c’era?
Col cuore che batteva a mille, rivolsi lo sguardo verso la cabina di Poseidone. Il cuore smise di battere.
A coprire alla vista l’intera cabina, un fumo denso e nero si levava verso l’alto. Proveniva da un basso cratere nel terreno che aveva bruciato tutta l’erba che lo contornava. Continuavo a fissare quel punto senza capire o sperando di non aver capito bene. Ero incapace di muovermi.
Nel frattempo, Percy e Annabeth mi avevano affiancato, ansanti e feriti. A lui pareva ancora impossibile parlare, ma Annabeth era molto più lucida. Quando pronunciò quelle parole accanto al mio orecchio, mi sentii il più morto dei figli del dio dei morti.
- Nico – sussurrò con voce dolce, per tentare di smorzare il dolore che sarebbe seguito – Mahri è tornato. Ha preso Willow. –

- Come è possibile che non me ne si accorto? Cosa è successo? Quando? Perché non siete venuti a cercarmi? – il termine “agitato” in quel momento era riduttivo per me. Avevo urlato a pieni polmoni svegliando tutto il campo solo 10 minuti prima, e Chirone era accorso per verificare che andasse tutto bene. Quando si era reso conto che non era così, aveva deciso di trascinarmi in infermeria nonostante la mia resistenza. Avrei potuto impedirglielo tranquillamente se non fossi svenuto fra le sue braccia per lo shock ancora vivo nella mia mente. Quando mi ero svegliato, avevo opposto più resistenza di prima, insistendo di volere andare a cercare Willow. Mi avevano chiaramente dovuto legare al letto.
- Nico, è stato Ade – mi informò Annabeth, seduta vicino a me, ma attenta a non toccarmi. Le avevano medicato e cucito la ferita e vi avevano applicato sopra una specie di grosso cerotto bianco. Il nettare aveva contribuito a far diminuire il dolore – Ce l’aveva con Willow perché l’aveva ingannato, e non poteva permettersi di farsi battere da una ragazzina che non era neppure totalmente un dio. Figlia del suo amato fratello, poi – e qui sospirò – si era preoccupato di addormentare prima tutti noi del campo, di un sonno simile alla morte, ma non aveva ancora finito quando Mahri è piombato qui per prendere Willow (avrà eseguito male qualche ordine e sarà arrivato prima del tempo pattuito) svegliando Percy prima che si addormentasse del tutto, il quale poi, resosi conto della situazione, è venuto ad avvertire me. Abbiamo provato a venire a svegliare anche te,ma ormai era tardi.. già dormivi profondamente per effetto della trappola di tuo padre. Essendo figlio di Ade, però, credo che il sonno abbia avuto meno effetto su di te e ti sei svegliato prima degli altri. Per lo stesso motivo, penso che il tuo urlo abbia fatto in qualche modo rinvenire il campo dal suo stato di coma temporaneo  – il suo sguardo basso e la sua espressione ferita mi convinsero che quella era la verità. Ma non riuscivo ancora a capacitarmene.
- Come è successo? – domandai solamente.
- Sono stato fortunato a riuscire ad avvertire Annabeth – mormorò Percy da un letto vicino. Anche lui aveva avuto bisogno di cure essendo ridotto abbastanza male.
- Mahri ha travolto completamente la mia cabina e io e Willow gli siamo sfuggiti per un soffio. Sono andato subito da lei e abbiamo combattuto come poche volte fino ad ora.. Quel demone è davvero forte – commentò, senza migliorare l’umore di nessuno – ha tentato più volte di morderci e infatti siamo stati attenti a stare lontani dalle sue fauci, peccato che non ci fossimo accorti che aveva una lunga coda chiodata come una mazza, che Annabeth ha sfortunatamente avuto l’onore di assaggiare – continuò, scuotendo la testa.
- Assolutamente una coda deliziosa – decretò Annabeth, ironica. Riuscì comunque a farmi sorridere un po’.
- Abbiamo combattuto per non so quante ore, Nico,ma eravamo stremati e feriti e alla fine non ce l’abbiamo fatta. Le ultime parole di Mahri sono state “La troverete nel luogo in cui nulla resta sempre uguale” e poi è svanito con lei in un’esplosione di fiamme simili a quelle degli Inferi, che ha lasciato il cratere fumante che hai visto di fronte alla cabina – concluse poi, visibilmente dispiaciuto, anzi, visibilmente distrutto. Avevo temporaneamente trascurato il minuscolo dettaglio che Willow fosse la sorella di Percy.
- Che cosa intendeva dire? – mi girai verso Annabeth, sicuro che avesse capito. Infatti, la sua faccia mi disse che era così.
- Non ha senso Nico.. Noi.. Siamo stati in quel posto e.. Ed è stato distrutto.. Non può essere.. – incespicò nelle parole, senza comprendere, ma alla fine si decise a dirmelo – Nico, si tratta del Labirinto. Sai, il Labirinto di Dedalo. – disse guardandomi fissa negli occhi.
- Ma non.. – cominciai a dire, convinto delle stesse cose di cui era convinta lei, quando all’improvviso ebbi un’illuminazione.
- Annabeth, il Labirinto si estende sotto tutta la crosta terrestre, giusto? – domandai, solo per essere sicuro.
- Si, ma.. – tentò di parlare ma la zittii.
- E se non si trattasse del Labirinto che si trova in America? – azzardai – e se fosse quello di un altro continente? –
I due mi guardarono increduli, ma sapevo che ci stavano riflettendo. Aveva senso, dopotutto.
- Anche se fosse, come facciamo a sapere di quale continente si tratta? – chiese Percy rivolgendosi ad Annabeth.
- Aspettate un momento.. – potevo quasi vedere le rotelle che lavoravano nella testa della ragazza mentre vi si formava un’idea. Non avremmo saputo tanto presto a cosa stava pensando, perché corse via senza dare spiegazioni.
- Ma che diavolo.. – borbottò Percy, fissandola a bocca aperta.
- Dove va? – chiesi io senza migliorare la situazione.
Non essendoci nella stanza più nessuno in grado di farci capire qualcosa, il silenzio che si fece spazio fra noi divenne ben presto molto ingombrante. Avrei avuto tante cose da dire,ma nessuna sembrava adatta in quel momento. Pensai che per Percy fosse lo stesso, ma lui era più bravo in queste cose, infatti fu il primo a liberarmi dal peso del silenzio.
- La troveremo, Nico – si limitò a dire, guardandomi mentre mi giravo verso di lui – Ovunque sia. Setacceremo l’intera Terra e metteremo sottosopra anche tutti gli altri pianeti pur di trovarla. Io te lo prometto. – la sua aria determinata mi convinse che aveva ragione. Ne avevamo superate tante e ce l’avremmo fatta anche stavolta.
Quando feci per rispondergli, però, finalmente Annabeth tornò con dei fogli in mano. Ansimava ed era rossa in faccia come se avesse corso molto.
- Eccoli! – esclamò, levando in aria i fogli – sono i documenti riguardanti Willow –ci informò, e io e Percy ci guardammo continuando a non capire nulla mentre lei leggeva freneticamente come se stesse cercando qualcosa.
- TROVATO! – urlò alla fine, facendomi prendere un attacco di cuore. La guardai di traverso.
- Lo sapevo.. Ragazzi, qui dice che il continente natale di Willow non è l’America.. Ma l’Europa! Willie è inglese, ma si è trasferita qui quando era molto piccola! – nella sua voce c’era un entusiasmo che non capivo. Percy mi precedette nel parlare, ancora una volta.
- E allora? – domandò, chiaramente confuso quanto me.
- E allora.. – sorrise raggiante la sua ragazza – è possibile che Mahri l’abbia portata nel Labirinto che si trova sotto l’Inghilterra! Sapete quanto Ade ami gli scherzetti sarcastici.. – e qui mi guardò, facendomi annuire – perciò se proprio doveva scegliere un posto avrebbe scelto quello da cui era andata via da molto piccola, con in mente l’idea di farcela invece restare per sempre! Cogliete l’amarissima ironia? – ci chiese poi guardandoci, e all’improvviso ci fu tutto più chiaro. Strinsi i pugni per non distruggere qualcosa perché la rabbia che mi attraversava il corpo era come fuoco nelle vene.
- Beh, almeno sappiamo dove andarla a cercare adesso – chiarì Percy – ma come ci arriviamo? Ci vorrebbero giorni e non abbiamo tutto questo tempo.. Willow.. Potrebbe essere in pericolo – il tono della sua voce si era vertiginosamente abbassato nel proferire quelle ultime parole. Sapevamo tutti cosa intendeva. Era ciò che tutti temevamo. Che Willow fosse morta.
- No – decisi, senza ammettere repliche – no, noi troveremo Will in tempo e la salveremo. Me l’hai promesso, no? – mi rivolsi a Percy che, in tutta risposta, mi sorrise debolmente. Annabeth aveva un’aria perplessa, ma non chiese nulla.
- E comunque il modo per viaggiare lo abbiamo eccome – li informai poco dopo, soddisfatto. Il loro sguardo incuriosito mi costrinse a rivelare subito le mie intenzioni.
- L’ombra – svelai infatti, lasciando lui a bocca talmente aperta da scorgerne le tonsille e lei a battersi la testa con una mano sussurrando “come ho fatto a non pensarci prima”. Nonostante la situazione tragica, quella scena era piuttosto divertente.
- E quand’è che volete partire? – Annabeth ci guardò preoccupata, dopo aver smesso di maledirsi per non aver avuto subito la mia idea. – Insomma, siete conciati piuttosto male.. – cercò di dire, ma io la interruppi.
- Stasera – decretai, cercando lo sguardo di Percy per capire se fosse d’accordo o avesse bisogno di ancora qualche giorno di riposo, ma non ebbi dubbi di aver preso la scelta giusta quando lo vidi annuire energicamente. Annabeth sembrava sul punto di replicare, ma alla fine tacque. Quella faccenda stava molto a cuore anche a lei.
- Allora è deciso – disse lei alla fine – stasera partiamo per Inghilterra per cercare di liberare Willow. –








Angolo autrice
Gomennasai! Non ho scritto durante questa settimana perché ho avuto da fare.. Se pensavate che la storia fosse finita, beccatevi questo!
In effetti volevo solo specificare che l’idea del Labirinto in un altro continente l’ho presa da un altro libro successivo a Percy Jackson,della saga Eroi dell’Olimpo, giusto per farvi sapere che non voglio vantarmi fintamente che si stata un’idea mia!
A presto≈

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Capitolo 13
*** Il Labirinto non ci aiuta ***


Il viaggio fu lungo ma tranquillo, anche se i miei amici ebbero qualche difficoltà ad abituarsi alle tenebre. A volte davo per scontato che, come me, tutti lo fossero.
L’Inghilterra era diversa. Non c’erano i casinò di Los Angeles, le spiagge di Miami, i grattacieli di New York. Ogni cosa che vedevo, ogni profumo che respiravo, ogni marciapiede che calpestavo mi ricordavano immancabilmente Willow. Era già tutto difficile senza di lei.
- Sappiamo dove si trova esattamente l’accesso per il Labirinto? – domandò Percy, mentre vagavamo per la città. La faccia di Annabeth era immersa in una cartina.
- Sotto l’abbazia di Westminster – rispose sognante senza degnarlo di uno sguardo. Quando si trattava di monumenti, non c’era per nessuno.
- Manca molto? – chiesi io. Ero impaziente di iniziare a cercare Will. Avevo così paura che le fosse successo qualcosa..
Annabeth, stranamente (e finalmente) alla mia domanda alzò lo sguardo, ma non per fissare me. I suoi occhi erano puntati si qualcosa oltre me. Quando mi voltai, capii.
“Enorme” era riduttivo. Il monumento che si ergeva davanti a noi era molto più di questo, e di una magnificente bellezza. Il bianco dell’abbazia di Westminster risaltava accanto al dorato del Palazzo. Eravamo tutti senza fiato.
- No – si limitò a dire Annabeth a quel punto – Non manca molto. –

- Dov’è di preciso l’accesso? – Percy parlava a bassa voce, come di consueto nelle chiese. Inutile dire che appena entrati ci si era quasi slogato il cervello per lo stupore.
- Nella Poet’s Corner – gli si rivolse Annabeth, con lo stesso bassissimo tono di voce – dove ci sono le tombe di Shakespeare, Chaucher, Dickens.. – ma Percy la bloccò con un’occhiataccia. Aveva preso quella tonalità che utilizzava quando parlava di architettura.
- Ci siamo – dissi poco dopo, quando finalmente ci trovammo davanti alla Poet’s Corner. Ora dovevamo solo cercare il marchio.
Pensai che per i miei amici doveva essere inquietante trovare una delta in mezzo alle tombe del più famosi poeti della storia inglese, e mi sentivo un po’ in colpa per non essere nemmeno un po’ nervoso. Probabilmente fu per questo che fui io a trovare il simbolo.
- Eccolo! – stavolta non mi preoccupai di abbassare la voce, la quale infatti rimbombò sulle pareti dell’abbazia producendo un’eco spaventosa. Volevo scomparire.
Quando Percy mi si affiancò e guardò dov’era situato il marchio, sorrise.
- Un classico – mormorò, continuando a fissare la delta incisa sulla tomba di Shakespeare. La premetti senza rispondere.
Annabeth fece un salto quando la pietra si sollevò e mostrò l’ingresso di una caverna buia e tetra.
- Beh, avevano ragione – commentai con un sorriso a metà labbra – la tomba di Shakespeare è solo un monumento in suo onore – e mi infilai nel tunnel.

Stavolta, ero io a sentirmi a disagio. Percy e Annabeth erano già stati nel Labirinto, ma per me era molto strano. Era come un corridoio che cambiava continuamente, senza preavviso, e che si diramava in tante gallerie da tutte le parti. Difficile orientarsi.
- Secondo i miei calcoli – c’informò naturalmente Annabeth – dovremmo cercare di scendere il più possibile. Penso che Ade la tenga imprigionata in un posto vicino agli Inferi, di modo da poterla controllare – il suo ragionamento non faceva una piega. C’incamminammo.
I ragazzi mi spiegarono che il tempo nel Labirinto passa molto più velocemente. Avremmo potuto passare dei giorni rinchiusi lì dentro.
Iniziai a perdere le speranze quando, dopo ore di cammino, ancora non ci eravamo imbattuti in nulla di interessante. Il tunnel continuava a cambiare da pietra a fango ad erba a mattoni, senza un nesso logico. Mi stava venendo il mal di testa.
- Che ne dite di riposare? – ci salvò Annabeth, appoggiando (anzi, buttando) il suo zaino sul “pavimento”. Né io né Percy ci opponemmo.
Naturalmente, non riuscii a dormire.
Continuavo a rigirarmi nel sacco a pelo, innanzitutto perché era veramente scomodo, e poi perché ero davvero in pensiero. Ogni volta che chiudevo gli occhi iniziavano a materializzarsi orribili immagini davanti alle mie palpebre ed ero costretto a stare sveglio per non vedere Willow morire in 1001 orribili modi. Se l’odio che provavo in quel momento verso mio padre fosse stato esprimibile, l’avrei espresso.
- Incubi su Willie, vero? – Percy mi sorprese, facendomi sussultare. Mi voltai verso di lui, o meglio, verso la mano che teneva appoggiata sulla mia spalla. Ero troppo disperato per cercare di oppormi a quel contatto. A dire il vero, non volevo davvero interromperlo.
Il mio silenzio, temo, lo fece preoccupare ancora di più, o almeno abbastanza da farlo sedere vicino a me e osservare il vuoto come già stavo facendo da tempo. Non osavo immaginare quanto erano diventate profonde le mie occhiaie o quanto rossi i miei occhi. Come avrei combattuto in quello stato?
- E’ più complicato del previsto – commentò lui, rassegnato, più come se parlasse da solo. Non credo si aspettasse una risposta.
- Non so se ce la faccio – a dispetto di ciò, invece, risposi eccome. La mia voce suonava roca e spezzata perché non parlavo da diverse ore. Stare lì senza fare nulla nel posto in cui la ragazza che amavo era nascosta era una tortura. Avevo bisogno di alzarmi, correre, imboccare gallerie a caso, trovarla. Dovevo vederla, dovevo sapere che stava bene. Che cosa avrei fatto se..
- Non ci pensare nemmeno – Percy interruppe i miei pensieri – ce la fai. Io ce la faccio. Annabeth ce la fa. Noi ce la faremo. – riuscii a guardarlo negli occhi per la prima volta dopo un giorno intero. Erano sempre di quel verde rassicurante, così simile al colore delle iridi di Willow. Sentivo il mio cuore spezzarsi nel petto.
- Non mi ero mai innamorato – confessai, anche se penso che l’avessero già capito tutti. Uno come me non provava certi sentimenti tanto facilmente. Credo che quella frase esprimesse al meglio ciò che sentivo. Non c’era bisogno di lunghi e strazianti discorsi, perché con Willow non ce ne sarebbe stato bisogno. Willow non mi avrebbe permesso di dirle certe cose, mi avrebbe bloccato prima di iniziare a piangere. Willow non poteva piangere perché era la figlia di Poseidone, ed espellere in quel modo acqua dal proprio corpo non le avrebbe fatto onore. Me lo aveva confessato il giorno del pic nic. I capelli di Willow mi ricordavano tanto quelli di  Bianca. Mi vergogno a confessare che credo di essermi avvicinato a lei per questo. Ma quando ho capito, quando ho visto chi era.. Allora ho iniziato a vivere veramente. Willow. Willow..

Non mi accorsi di essermi addormentato ripetendo il suo nome nella mente finché la mattina dopo (o quello che era, non si capiva nel Labirinto) un rumore mi svegliò. Era simile a un terremoto, o qualcosa che crollava, o tutte e due le cose insieme, ma il pavimento non si muoveva e il soffitto era integro. Eppure sembrava molto vicino. Annabeth e Percy si erano già svegliati per lo stesso motivo.
- Che diamine succede? –domandò Percy, guardandosi intorno.
- Potrebbe essere un indizio – commentò Annabeth – potrebbe voleri significare che siamo vicini. –
- Oppure no – sperava Percy, un po’ inquieto.
- Dobbiamo rischiare – mi misi lo zaino in spalla e mi incamminai verso il boato.
Finalmente (o forse no..) la monotonia del tunnel s’interruppe e arrivammo in una grandissima caverna. Le rocce che la componevano erano rosse e aveva una forma a cupola. La galleria continuava dall’altro lato della sala, e qualcosa mi disse che era lì che dovevamo proseguire, il che non sarebbe stato un problema se non fosse stato per tre creature che si aggiravano volando e sgretolando il soffitto, facendo vibrare le pareti.

- Le Furie! – urlai, evitandone una che mi stava arrivando addosso. Speravo che non avrebbero attaccato almeno me, ma evidentemente avevano ricevuto precisi ordini. Impugnai la mia spada di ossidiana nera pronto a colpire, e lo stesso fecero i miei amici.
Provammo un affondo diverse volte, ma le creature erano troppo veloci. Inoltre i loro strilli non ci mantenevano esattamente lucidi e il soffitto che crollava era un evidente ostacolo (per poco un pezzo di roccia non mi colpì in testa) per tutti noi.
- Dobbiamo rallentarle! – gridò Annabeth dopo un po’, saltando fra i massi caduti. Percy era in evidente difficoltà.
- Sarebbe un gran passo avanti se ci dicessi come! – intervenne infatti, visibilmente irritato, continuando a sferrare colpi di spada qua e là.
- Ascoltate – cominciò la ragazza, ancora urlando per farsi sentire – dobbiamo sbrigarci! Se i massi creano una barriera, come facciamo a continuare il viaggio? – purtroppo, ancora questa volta il suo ragionamento non faceva una piega.
- E allora che pensi di fare? – domandai a questo punto. Ero totalmente impotente, purtroppo, davanti alle creature di mio padre.
Fu allora che me ne resi conto.
Una goccia d’acqua mi cadde sulla guancia. Un’altra. Ancora..
Sollevai lo sguardo e sorrisi.
Dal soffitto che crollava iniziava a scendere un rivolo d’acqua che s’ingrandiva sempre di più e spingeva i massi verso il basso con violenza. Non passò inosservato neppure agli altri.
- Acqua! – urlò Annabeth – dovremmo essere sotto un lago o un fiume! Il crollo si sta espandendo fino alla superficie e l’acqua filtra fin qui! – a questo punto la sua espressione cambiò nella classica “ho un’idea geniale”.
-Percy! – gli si rivolse – devi creare una bolla d’acqua e intrappolarcele dentro! Avranno meno libertà di movimento e a quel punto puoi tuffarti e ucciderle! – era, come avevo previsto, un’idea fantastica, e non perdemmo tempo a realizzarla. Io e Annabeth, senza neppure accordarci, ci lanciammo in avanti per distrarre le Furie. Quasi finimmo ammazzati diverse volte.
Poco dopo, il boato del crollo venne rimpiazzato dallo scroscio dell’acqua. Percy era concentratissimo sul suo obiettivo, teneva gli occhi chiusi e i muscoli tesi mentre l’acqua vorticava in aria fino a formare una sfera perfetta. Le creature rimasero sorprese e spiazzate quanto noi, tanto da non riuscire ad avere il tempo di scappare quando la bolla le travolse e le intrappolò. Ovviamente questo non le uccise, ma, come Annabeth aveva previsto, le rallentò di molto.
L’unico ancora capace di muoversi (noi eravamo pietrificati dallo stupore) era Percy, che corse subito verso la sua creazione e si tuffò dentro come si fa nel mare. Si muoveva in modo ancora più armonico di quanto facesse sulla terra, ed era veloce quasi il doppio del normale. Si vedeva che l’acqua era il suo elemento.
Contai circa 7 secondi fra immersione, uccisione delle Furie e ritorno coi piedi per terra. Il silenzio che seguì fu imbarazzante.
- Questa la lasciamo qui? – domandò il ragazzo, per nulla stanco o ansimante, indicando la bolla e beandosi delle nostre espressioni esterrefatte.
- Ovviamente – rispose Annabeth, che si riprese prima di me – così Ade saprà con chi ha a che fare. –
Dalla risata collettiva che seguì, nessuno avrebbe potuto sospettare che circa due minuti prima rischiavamo tutti di morire.

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Capitolo 14
*** Abbiamo un incontro poco piacevole ***


Le ore successive passarono molto lentamente e soprattutto meccanicamente. Camminare, scegliere vie agli incroci, riposare. Non c’era traccia nemmeno di un ostacolo per cui non combattemmo neppure, giusto per ricordarci come si faceva. Mi sentivo stanco ogni minuto che passava. Mio padre aveva studiato tutto. Se non ci avesse fatto combattere per un po’ saremmo stati fuori allenamento per quando avremmo dovuto combattere qualunque creatura sorvegliasse Willow nel momento in cui l’avessimo ritrovata. Perché l’avremmo ritrovata.
- 6 giorni – esordì all’improvviso Annabeth con voce roca, seduta sul suo sacco a pelo, disegnando cerchietti sul terreno con un bastoncino. La sua voce era roca dal momento che non parlavamo molto in quei giorni. Semplicemente, non c’era assolutamente nulla da dire.
- 6 giorni cosa? – Percy si girò verso di lei con sguardo visibilmente stanco, che rifletteva la stanchezza del suo cuore. Sapevo cosa provava.
- 6 giorni che siamo rinchiusi qui dentro – ribatté Annabeth, stavolta con più voce, lasciando cadere il bastoncino di cui si era evidentemente stufata. Io abbassai lo sguardo sul terreno, palpando la tensione che si stava creando.
- Tuo padre ce l’ha fatta davvero grossa stavolta, Nico – concordò Percy senza guardarmi. Mi strinsi nelle spalle accigliandomi. Che colpa ne avevo io di cosa faceva mio padre?
- Già. La prossima volta che capiti negli Inferi digli di darsi una regolata – continuò Annabeth, facendomi innervosire. Mi alzai in piedi.
- Ascoltatemi bene – iniziai, guardandoli alternativamente negli occhi – io non ho nulla a che fare con.. – ma nessuno dei due seppero mai con chi o con cosa non avevo a che fare, perché uno strano rumore mi arrestò. Era come un sussurro.
- Nico.. – chiamò la voce, facendomi venire la pelle d’oca. Percy e Annabeth si girarono verso di me, terrorizzati.
- Ti sto aspettando.. – continuò la voce, strisciando lungo le pareti. Sembrava viaggiare all’interno di esse.
Aspettammo un altro segnale, un altro messaggio, ma era tutto lì. Il silenzio che pervase in seguito la caverna dove eravamo accampati quasi mi spaventò.
- Ce ne dobbiamo andare da qui – decise Annabeth raccogliendo le sue cose.
- E in fretta – si aggiunse Percy, imitandola. Senza dire nulla, feci lo stesso.

Dopo esserci incamminati verso nonsapevamoassolutamentedove, ricominciai a pensare a quella voce. La conoscevo. Oh, se la conoscevo. Era stato mio padre a inviare lui. Perché voleva saldare il conto; un favore in cambio di un altro favore, ma in questo caso avrebbe usato Willow per ricattarci. Perché gli dovevamo ancora un’anima. La mia.
Giunti all’ennesimo incrocio, ci fermammo per decidere da che parte andare. Come sempre, sembrava totalmente impossibile capire se una galleria fosse diversa dall’altra, per cui stavamo per imboccare quella a destra, quando, con la coda dell’occhio, distinsi qualcosa lì vicino. Mi fermai.
- Nico, cosa c’è? – mi domandò Annabeth, cercando di capire dove stavo guardando. Ma ero troppo allibito per rispondere. Il cuore mi batteva a mille e le gambe iniziarono a muoversi da sole. Mi avvicinai alla galleria sinistra, scrutando il muro, e confermai i miei sospetti.  Accanto all’apertura, in alto, vi era inciso uno strano copricapo che ricordava un elmo.
- Ma è.. – cominciò Annabeth sbarrando gli occhi, una volta riconosciuto il simbolo. Percy sembrava non capire, così lo dissi ad alta voce.
- Si – confermai, scrutando ad occhi socchiusi l’incisione – è il disegno dell’elmo di mio padre. Dobbiamo andare da questa parte. –

Una volta entrati, discutemmo a lungo sul perché non avessimo trovato prima un’indicazione del genere. Percy azzardò che avremmo potuto non notarla, ma Annabeth rifiutò l’ipotesi dal momento che avevamo setacciato ogni angolo dei muri circostanti le gallerie ogni volta che dovevamo sceglierne una. In effetti, notai non con poca ironia che quella era uno dei pochi incroci che non avevamo ispezionato a dovere, da cima a fondo.
La galleria era fatta di rocce, stretta, chiusa e completamente buia se non fosse stata per alcune fiaccole di fuoco verde attaccate al muro che si alternavano circa ogni 5 metri. Ad ogni passo, mi convincevo sempre di più che alla fine di quel tunnel avremmo trovato Willow. E l’ostacolo che avremmo dovuto affrontare per riportarla indietro.
Dopo un’altra decina di fiaccole, finalmente intravedemmo una cavità buia. La fine della galleria. Non avevo mai provato tanto terrore come allora, e lo stesso doveva valere per gli altri, il cui silenzio mi preoccupava. Come fossimo sincronizzati, una volta giunti appena davanti all’apertura, ci arrestammo, fissando il buio che ci attendeva.
- Qualsiasi cosa succeda – iniziò Annabeth, senza staccare lo sguardo dal buio – restiamo insieme. –
- E buona fortuna a tutti – continuò Percy, con un evidentissimo groppo in gola. Le mie parole restarono sospese nel vuoto, senza riuscire a uscire dalle mie labbra. Percy rispose al mio silenzio annuendo nella mia direzione.
Ci calammo nell’oscurità.

Il luogo in cui sfociava la galleria era molto grande. Lo capii dal rimbombo dei nostri passi. Il soffitto era molto alto e le pareti raggiungevano distanze anche di 100 m. Ero abituato a muovermi nel buio, e certe cose le sapevo.
Orientarsi in quello stato era difficile, perciò all’inizio camminammo un po’ alla cieca, tenendoci per il braccio di modo da restare uniti come avevamo deciso. Cercai di tenermi accanto alla parete, che notai essere circolare, e percorremmo una buona metà della stanza prima di sentire un rumore. No, un mugolio. Un verso sofferto, soffocato, come se chi l’aveva emesso non potesse parlare. Ci fermammo tutti. Un altro gemito, stavolta più forte e definito. Il mio cuore, da che batteva all’impazzata si arrestò all’improvviso. Non ci vedevamo, ma ci stavamo guardando tutti e tre. Sapevamo a chi apparteneva quel tono. Willow.
Mi misi a correre verso la direzione del gemito, e gli altri fecero lo stesso. Era troppo facile. Cercai di focalizzarmi su Willow, e volevo chiamarla per chiederle di indicarmi dove andare, ma avevo paura della creatura che la sorvegliava, perché sapevo che c’era. All’improvviso, avvertii la sua presenza come se ci avessi sbattuto contro, e mi fermai. Annabeth e Percy, senza capire, si arrestarono, e quasi caddero. Guardai davanti a me stringendo gli occhi a fessura per cercare di individuare qualcosa. Era arrivato il momento.
All’improvviso, scorsi una luce. Era come se si fosse appena accesa, e infatti confermai la tesi quando se ne accese un’altra, e un’altra, e un’altra ancora. Erano le stesse torce di fuoco verde che avevamo trovato lungo la galleria, attaccate alle pareti che notai essere rocciose, intervallate e sistemate lungo tutta la caverna che si rivelò essere, come avevo sospettato, circolare. Il terreno era come ricoperto da un sottile strato di finissima sabbia, non era possibile arrivare a vedere dove terminava il soffitto. L’ambiente, assolutamente enorme, era completamente vuoto. Tranne che per due figure.
Quando ne individuai una, persi 10 anni di vita. Era docile, molto più magra dell’ultima volta che l’avevo vista, tanto che alcune ossa sporgevano visibilmente da sotto la maglietta. Ero sicuro che, se qualcuno in quel momento l’avesse toccata, si sarebbe sgretolata. Il suo colorito era tra il pallido e il verdastro malaticcio, le sue palpebre chiuse e gli occhi contornati da cerchi scuri, il respiro affannoso e breve, il suo petto si alzava e abbassava molto lentamente. Ma ciò che mi fece ingoiare i polmoni furono le ferite. Una gamba era piegata in una strana angolazione, chiaramente rotta, l’altra quasi viola tanti erano i lividi al di sopra di essa, la lunga maglia che indossava (le avevano lasciato addosso solo quella) spiegazzata, rotta in alcuni punti e coperta di macchie di sangue. Le braccia erano piene di rigonfiamenti rossi irregolari simili a scottature, e un lungo segno rosso le scorreva lungo tutto il collo, come se avessero cercato di strangolarla. E il suo viso.. Il suo viso era attraversato da uno squarcio ancora sanguinante, dalla fronte al mento, che colava ancora sulla sua maglietta e sporcava le sue labbra. Era abbandonata, buttata in un lato della caverna, quasi al suo termine, poco distante da dove stavo io, ed esattamente dove mi stavo dirigendo.
L’altra figura, decisamente differente da Willow, era la stessa che mi aveva quasi ucciso secondo mia volontà pochi giorni prima. I suoi denti erano ancora affilatissimi e pronti a perforare la mia carne. L’unica cosa differente dall’ultima volta che ci eravamo visti era uno strano simbolo sulla testa, sopra la bocca. Era un’asta verticale, tagliata orizzontalmente da una linea più piccola vicino alla base, che terminava in una mezzaluna, sopra la quale restava sospeso un cerchio. Lo riconobbi. Era uno dei simboli di mio padre.
- E così ci reincontriamo, figlio di Ade.. – la voce di Mahri era come vetro sgretolato – abbiamo un conto in sospeso io e te, no? – sorrise in maniera agghiacciante, lasciando volteggiare lungo i denti appuntiti come quelli di uno squalo la sua lingua rossa e biforcuta. Mi veniva da vomitare.
- No, non credo, Mahri – riuscii però a ribadire con voce ferma, tenendo la mano sulla spada. Il suo sorriso si allargò ancora di più. Stavo per vomitare sul serio.
- In effetti non sono qui per saldare quel conto – continuò – sono solo un messaggero – strinsi la mano sulla mia spada, consapevole di cosa stava per dire – tuo padre voleva informarti che è stato davvero spiacente di aver dovuto sequestrare e torturare la tua cara amichetta.. – e detto questo si girò, sempre sorridendo, verso Willow – ma l’hai costretto. Era l’unico modo per portarti da lui.. Eppure di solito i figli sono così contenti di stare coi propri padri.. – Mi bolliva una rabbia spaventosa nelle vene. Ero vicinissimo a sferrargli un colpo di spada nello stomaco, o dove avrebbe dovuto starci lo stomaco, ma mi trattenni. Mi stava prendendo in giro, ed era una cosa che non tolleravo già normalmente. Figuriamoci da lui.
– E così ha deciso che in cambio di questa dolce fanciulla con cui ho avuto il piacere di trascorrere molto tempo, vorrebbe avere te, e quell’anima che ancora gli dovete. Quell’anima che tu, Nico di Angelo, ancora gli devi. – il suo tono, da scherzoso (cosa che mi mandava in bestia), iniziava ad essere minaccioso.
- Dovrai prendertela con la forza – gli risposi solamente, sguainando all’improvviso la spada. Percy e Annabeth fecero lo stesso. La battaglia stava per cominciare.
Il sorriso scomparve dal sorriso del demone, e la sua lingua si mosse così velocemente da non essere vista, toccando il braccio di Annabeth, che all’inizio non reagì, ma all’improvviso, qualche secondo dopo, scoppiò in un urlo straziante. La piccola porzione di pelle toccata dalla lingua di Mahri era rossissima, come bruciata. Allora mi resi conto che aveva un nuovo potere.
- Non lasciate che vi tocchi! – urlai per farmi sentire, dato che ci stavamo allontanando per evitare i colpi – la sua lingua è intrisa di acido velenosissimo! –
- Me ne ero accorta! – ruggì Annabeth, sofferente. Tentava, nonostante tutto, di combattere.
I lunghissimi artigli tagliavano l’aria, sfiorandoci per qualche millimetro. La sua precisione era spaventosa, ma fece l’errore di concentrarsi troppo a lungo su Percy che, al contrario di noi che stavamo solo schivando gli attacchi, stava anche cercando di colpirlo. In un momento di distrazione, riuscii ad arrivare alle sue spalle e a colpirlo. Un urlo riempì la caverna distogliendo il demone da noi e facendolo concentrare sul dolore della spalla che gli avevo trafitto. Riuscivo a vedervi attraverso.
Con mia grande delusione, tuttavia, l’urlo svanì in fretta, accompagnato da uno strano movimento attorno alla ferita inflitta. La carne cominciò ad allungarsi e a compattarsi,come gomma, fino a formare un nuovo strato che riempì e rimarginò completamente la ferita. Ero senza parole.
- Ci avete provato, ma.. ora è il mio turno – ringhiò Mahri divertito, agganciandomi con le sue corna prima che potessi rendermene conto e sbattendomi violentemente contro il muro. Sentii un “crack” da qualche parte durante l’impatto.
Nonostante lo stordimento, riuscii a sentirlo ridere, e a distinguere i rumori delle spade contro i suoi artigli, i suoi denti e le sue corna. L’urlo di Percy mi lasciò intuire una sua ferita causata da una delle potenti e letali armi del nemico, e quando cercai di mettere a fuoco la scena del combattimento mi resi conto di essere girato dal lato sbagliato, ovvero verso Willow. Rivedere il suo corpicino martoriato e il suo respiro ancor più irregolare montò una rabbia incontrollabile dentro al mio cuore, che mi spinse a rialzarmi subito e a ricominciare a combattere. Mentre correvo lungo la caverna cercando di raggiungere gli altri, vidi tre graffi paralleli sulla schiena di Percy, che era girato di spalle, sotto la maglietta strappata. Corsi più velocemente e saltai sulle spalle del demone, prendendolo alla sprovvista e affondando la mia lama nera nel suo collo. All’inizio rantolò, ma ben presto la carne si ricostruì, così come tutte le ferite che tentavano di provocargli gli altri due. Sentivo un dolore lancinante alla spalla, ma menai fendenti a destra e a manca cercando un punto debole. Doveva esserci.
- Nico, prova col fuoco! – mi suggerì Annabeth, che ebbe come al solito un’ottima idea. Mentre gli altri distraevano Mahri, io mi allontanai e afferrai in fretta una fiaccola dal muro, lanciandola ai piedi del demone. Il fuoco si espanse velocemente, come se stesse bruciando legno, e lo avvolse completamente, fra strazianti urla. Rimanemmo immobili a guardare quel raccapricciante spettacolo a bocca aperta. Osservammo il fuoco greco avvolgersi attorno alle braccia, mangiare la sua faccia, cancellarlo. Di lì a poco, ciò che rimase da vedere fu un fumo verde scuro.
Il silenzio che seguì fu lungo, e al termine del quale riuscimmo finalmente a guardarci. La scottatura di Annabeth friggeva, ma lei sembrava non accorgersene, e Percy grondava sangue, ma sembrava stare benissimo. Stavamo proprio per abbracciarci e aprirci in tre enormi sorrisi, quando sentimmo una risata profonda e tagliente precedere l’entrata in scena molto ad effetto della creatura, che riemerse da quel fumo perfettamente intatta. Spalancai la bocca, esterrefatto. Non potevo crederci. Non poteva essere vero.
Non solo il fuoco non gli aveva fatto nulla, ma era riuscito anche ad assorbirlo, e adesso poteva usarlo contro di noi. Sulla sua mano era già pronta una sfera di fuoco che volteggiava.
- TUTTI GIù! – Annabeth urlò a squarciagola appiattendosi al terreno, imitata da me e Percy. Riuscimmo a piegarci giusto in tempo, prima che il demone sferrasse il colpo, che andò contro alla parete dietro di noi, aprendo un buco dalle enormi dimensioni.
Ci alzammo in fretta tentando di scappare, dividendoci, correndo a slalom in modo da confonderlo, ma sapevamo che non avremmo potuto continuare in quel modo molto a lungo. Ero disperato. Quanto avrei voluto che avesse perso almeno il controllo del fuoco..
All’improvviso, con mio grande stupore, le palle di fuoco cessarono. Guardai in direzione di Mahri e notai che stava cercando di invocarle, ma quelle sembravano non essere più al suo comando, non sembravano essere più un suo potere. Doveva essere solo una coincidenza. Non poteva essere che.. Eppure..
Provai a concentrarmi. Pensai che avrei voluto che non si ricostituisse dopo una ferita, e quel punto lo strano simbolo sulla sua testa pulsò e si accese, illuminandosi di rosso. Probabilmente era successo anche prima, ma essendo schiacciato al terreno non me ne ero accorto. Non riuscivo a credere che stesse succedendo quello che pensavo, ma fra le urla di Annabeth e Percy del genere “Nico, che stai facendo? Dove vai? Non hai visto che è invulnerabile?” mi fiondai contro di lui e affondai la mia spada nel suo braccio, nonostante il dolore persistente alla spalla. Funzionò.
Il grido di dolore fu molto più forte dei precedenti, più simile al grido di dolore che davvero dovrebbe essere conseguenza di una ferita come quella. Lasciai passare i secondi che di solito passavano prima che la pelle si riformasse, ma non accadde nulla. Non potevo crederci.
Era il simbolo. Mio padre doveva aver conferito dei nuovi poteri al demone tramite quello, come l’acido sulla lingua o l’assorbimento del fuoco se colpito con esso. Doveva anche riuscire a controllarlo. Non sapeva o non aveva calcolato che, grazie ad esso, ci riuscivo anch’io.
- Lo posso controllare! – urlai, in direzione dei miei amici, gioioso e finalmente speranzoso – è il simbolo! Mi consente di controllarlo! – mi gustai le facce sbalordite dei miei amici,fino a che Percy non mi urlò qualcosa.
- Fallo distruggere! – due parole a cui avevo già pensato. Finalmente era giunta la fine.
Mi voltai lentamente verso Mahri, che aveva cessato di urlare probabilmente solo per non mostrarsi debole, dato che il suo braccio era quasi staccato dal corpo. Mi concentrai al massimo, fissando il simbolo sulla sua testa, fino a che non fece male la mia. Uno strano vento aveva iniziato a scuotere i miei vestiti e una nebbia cominciava a salire dal terreno, avviluppandosi attorno a me. Sentii il potere confluire nelle mie vene, il mio sangue diventare un’arma micidiale, i miei occhi trafiggere quel simbolo. Quando mi sentii finalmente pronto, carico e nel pieno delle mie forze, nella mia mente ordinai “Distruggiti!”.
Ciò che seguì fu uno spettacolo.
La nebbia che mi aveva circondato saliva a spirale lungo il soffitto, aumentando sempre di più la sua velocità, fino ad esplodere. Nel momento in cui ciò accadde, ci fu un terribile rimbombo nella caverna, e tutti i corpi furono spazzati verso le pareti, tranne il mio. Quello di Mahri, tra grida di una creatura morente,  cominciò a sgretolarsi. Il simbolo sulla sua testa, durante questo processo, era più rosso che mai. Il vortice che stava al posto delle sue gambe si allargò e scomparve, esattamente come nebbia, e il resto del suo corpo venne attraversato da striature rosso/arancione simile a fuoco irregolari, orizzontali e verticali, che lo schematizzarono come un grande puzzle. Dopo qualche altro secondo in cui il rosso si ravvivò, finalmente i piccoli pezzi di puzzle in cui era stato diviso vennero scagliati verso l’esterno, esplodendo, come se fosse stato bruciato dall’interno. Neppure una scia di fumo.
I pezzi esplosi ci piovvero addosso come grandine, ma nessuno di noi ebbe il coraggio di muoversi o proferire una sola parola. Non ricordo quanto tempo restai in quella posizione, quanti secondi o minuti,ma ciò che mi svegliò dopo diverso tempo fu una voce.
- Nico.. – era una voce molto roca, sussurrata, ed era evidente che quell’unica parola era costata molto sforzo. Mi girai di scatto verso Willow e la guardai, la guardai nei suoi occhi di un verde spento, socchiusi e stanchi, e sentii un peso scivolarmi dal petto. Realizzai in quel momento che ce l’avevamo fatta, l’avevamo trovata, era ancora viva. Magari non eravamo totalmente fuori pericolo con mio padre, ma forse per il momento avremmo potuto stare un po’ in pace. Ciò che contava allora era essere di nuovo con lei.
Le corsi incontro inginocchiandomi accanto a lei, e non la strinsi a me solo per paura di farle male. Le presi solo le mani, e lei ricambiò con una stretta molto debole. Le baciai le dita, e riuscii a vedere le sue labbra rosse di sangue piegarsi impercettibilmente in un sorriso.
- Sei davvero qui..? Sei venuto a trovarmi.. Sei riuscito a trovarmi.. – la sofferenza nella sua voce era piuttosto evidente, e mi si strinse il cuore a sentirla, ma la gioia di essere, come aveva detto lei, riuscita a ritrovarla, mi impediva di pensare negativo. Con qualche cura al Campo l’avremmo sicuramente salvata. E nel giro di qualche mese avremmo potuto tornare a correre in quella meravigliosa radura dove ero riuscito ad aprirle il mio cuore, dove ci eravamo baciati la prima volta. Avremmo scritto nuovi capitoli, e l’avremmo fatto insieme, nonostante i pericoli. O forse, proprio a causa dei pericoli. E in quel momento, inginocchiato accanto a lei, dopo un combattimento mortale e giorni di agonia, con la spalla probabilmente rotta pulsante e dolorante, la cosa migliore che mi venne in mente per descrivere tutto ciò che avevamo passato fu solo una.
- Sempre. –

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Capitolo 15
*** Finalmente la pace ***


Quando tentai di aprire gli occhi, ore, giorni o settimane dopo l’accaduto, trovai delle difficoltà a causa delle ciglia che si erano come incastrate fra loro. Vedevo come attraverso una ragnatela.
Dopo essere riuscita a mettere a fuoco l’immagine davanti a me, riconobbi l’infermeria del Campo. Come era possibile? Non appena tentai di riportare alla memoria gli avvenimenti passati mi fece male la testa. Ricordavo vagamente buio, artigli, e un sacco di dolore. E poi Nico, i suoi occhi, le sue mani fredde, le sue parole. La sua unica parola. Avrei sorriso se non mi avessero fatto male anche i muscoli facciali. Era accaduto davvero o l’avevo sognato?
Lentamente ripresi la sensibilità dei miei arti. Riuscii a muovere un po’ la gamba e a spostare il bacino, fino a sentire qualcosa di estremamente freddo attorno alle mie dita. Con enorme sforzo, voltai il viso verso quella sensazione e la gioia fu tale che riuscii a sorridere malgrado il dolore.
- Ciao – disse Nico, guardandomi negli occhi. Riuscivo a leggere, nei suoi, il cuore che batteva forte. Lo percepivo nel freddo dei suoi polpastrelli.
- Ciao – provai a dire, ma il suono che uscì dalle mie labbra fu piuttosto roco, come spento. Non avevo parlato per giorni, se non per urlare di dolore per ogni ferita che mi veniva inflitta. Man mano che mi riprendevo ricominciavo a ricordare. Quando gli artigli di Mahri mi avevano afferrata e mi aveva travolta in un vortice dal quale temevo non riuscire più a tornare. Quando l’acido sulla sua lingua aveva corroso quasi interamente le mie braccia e le sue dita si erano chiuse attorno al mio collo e il suo corno aveva squarciato il mio viso, mentre ero abbandonata in quella caverna buia, in quell’angolo, da sola, con nessuno che poteva sentire le mie urla..
- Willow? – mi sentii chiamare, e scossi un po’ il capo per tornare alla realtà. Era finita. – mi hai sentito? – domandò nuovamente Nico, fissandomi preoccupato. Mi faceva tenerezza.
- Che cosa? – chiesi io intontita.
- Come ti senti? – leggevo il terrore nella sua voce. Credo avesse paura che non mi sarei ripresa.
Feci vagare lo sguardo lungo il mio corpo e notai discreti miglioramenti. Il dolore si sentiva a livello muscolare, ma le scottature erano solo macchie rosse, i lividi su una gamba si stavano schiarendo e l’altra gamba era (che ancora non riuscivo a muovere) nuovamente nella giusta angolazione. Sentivo tirare da un lato del viso, per cui mi resi conto che dovevo avere un cerotto o una benda sullo squarcio.
- Sto bene – risposi,mentendo con un’evidenza evidentissima. Nico mi guardò storto, arricciando il naso. Mi fece ridere.
- Quanti giorni ho dormito? – chiesi ancora, stringendogli debolmente la mano che si ostinava a tenermi.
- Soltanto tre – mi rispose lui, aumentando di poco la stretta. Dovevo avere la febbre, perché mi sentivo caldissima,e il freddo delle sue dita mi dava un senso di sollievo.
- E sono migliorata tanto in tre giorni? – non riuscivo a crederci, ma il mezzo sorriso di Nico mi fece intendere. L’acqua. Avevano usato l’acqua per velocizzare la guarigione.
- L’infermiera ha detto che per guarire del tutto è necessario che sia tu a immergerti nell’acqua – mi informò Nico – e tra l’altro l’unico che ha potuto aiutarti a curarti è stato Percy. Nessuno che non sia figlio di Poseidone avrebbe avuto un effetto curativo su di te con l’acqua – e qui sospirò, evidentemente scocciato dal fatto di non poter essere stato d’aiuto.
- E tu da quanto sei qui? – sospettavo già la risposta. La intuii dallo sguardo che seguì queste mie parole.
- Da tre giorni – rispose infatti, togliendomi il fiato (il che non era del tutto un bene dato che già non disponevo di molto ossigeno).
- Oh mio Zeus. La pelandrona si è svegliata. Buon giorno, eh! – le entrate in scena ad effetto di Percy mi erano mancate davvero tanto. Gli sorrisi non appena lo vidi, e lui mi venne vicino e mi abbracciò. C’era una luce molto strana su tutto il suo viso, che riuscii a riconoscere anche su quello di Annabeth quando mi corse incontro urlando dopo aver sentito la mia voce dalla porta dell’infermeria. Ero così felice di essere viva.

- Sei sicura? – mi chiese Nico, guardandomi. C’era voluto un sacco di tempo per convincerlo a portarmi fuori tenendomi in braccio, perché aveva paura che avessi una ricaduta o che il movimento mi stancasse o altra roba che avrei ugualmente potuto sentire dalla bocca di mia madre, ma alla fine ce l’avevo fatta. Eravamo arrivati vicino al laghetto, quando gli avevo chiesto di mettermi a terra e aiutarmi a camminare fino all’acqua. Se solo io potevo guarirmi del tutto, tanto valeva farlo subito.
- Sono sicura Nico, e adesso o mi molli o salto giù da sola – e questo lo convinse a poggiarmi subito a terra tenendomi sempre con un braccio. Dopotutto la mia gamba era ancora rotta.
Percorremmo quei pochi metri che ci dividevano dalla riva lentamente, e anche se all’inizio le ginocchia minacciarono di cedermi più volte, dopo qualche passo mi abituai, ricordandomi come si camminava, come si respirava l’aria e come batteva il cuore. Mi sentii subito meglio quando i miei piedi toccarono la superficie cristallina dell’acqua del lago. Mi sedetti, aiutata da Nico, che sostò accanto a me.
Non ci misi molto a lasciarmi scivolare in acqua facendo leva sulle braccia, e mi ritrovai ben presto seduta sul fondo del lago. Nico mi guardava sorridendo, abbracciandosi le ginocchia. So che gli stava costando molto lasciarmi lì da sola.
Mi concentrai sulle ferite e sulla gamba rotta, e chiusi gli occhi respirando l’acqua, sentendola scorrere nelle mie vene, diventando quasi un tutt’uno con essa. Il dolore si alleviò velocemente, e fu come se mi fosse stato tolto un peso dal corpo. La temperatura del mio corpo tornò a livelli normali, i segni rossi delle scottature scomparvero, la ferita sul viso non tirava più, i lividi sembravano solo piccole punture di zanzara e l’arto fratturato si sgonfiò miracolosamente.
Quando provai a muoverlo, qualche minuto dopo, provai una gioia immensa nel riuscirci.

Fu un trionfo tornare in infermeria sulle mie gambe. Avevo Nico alle calcagna che studiava ogni mio movimento e stava ben attento ad essere dal lato giusto per afferrarmi nel caso in cui fossi caduta, ma con mia grande soddisfazione non successe. Solo che la stanchezza non era riuscita a cancellarla neppure l’acqua e provai una sensazione di sollievo quando tornai a stendermi sul letto. Lui si sedette accanto a me.
- Grazie – gli dissi, a occhi chiusi, dopo aver ripreso a respirare normalmente. Mi era venuto l’affanno a furia di camminare. In tutta risposta, lui appoggiò una mano sul mio braccio. Non credo avesse capito cosa volevo dire.
- No, sul serio – e qui riaprii gli occhi – Grazie. Di esserti preoccupato per me e aver affrontato quel viaggio per me e aver rischiato di morire e aver combattuto contro Mahri e averlo distrutto (avevo ancora quell’immagine impressa a fuoco nella mente) e avermi portata a casa ed essere entrato nella mia vita sfondandone la porta e senza chiedere permesso o dare preavviso. – suonava tutto così vuoto perché sentivo che non c’erano parole in grado di esprimere cosa provavo.
Tuttavia ebbero il loro effetto, dal momento che le bianchissime guance di Nico si tinsero di un rosa tenue ma che risultava tanto acceso sulla sua pelle chiara. Mi diede la migliore risposta che avrei potuto ricevere.
- Ti amo – furono le sue uniche parole, ma colpirono nel segno. Avrei voluto dire “Anche io” ma mi sembrava una risposta così banale. Mi sembrava tutto banale in quel momento. Così feci esattamente quello che avevo fatto l’ultima volta che ero stata in una situazione del genere con lui. Presi la sua testa fra le mie mani e con la forza che aveva recuperato l’avvicinai alla mia e lo baciai. Fu un bacio lungo ma andava bene così, perché era giusto che ci prendessimo il tempo che avevamo perso, di cui necessitavamo. Quando, a mio malgrado, mi allontanai dalle sue labbra, lui catturò nuovamente le mie in un bacio deciso, lento, languido, che mi trasmise emozioni diverse da quelle che avevo sentito l’ultima volta. Sentivo come un fuoco ardere sotto la mia pelle, uno strano e meraviglioso calore espandersi lungo tutto il mio corpo. La sua lingua danzava attorno alla mia e sentii il suo petto premersi contro il mio. Non capivo bene cosa stava succedendo, ma sapevo che era una sensazione bellissima e non avrei voluto che finisse. I miei denti si chiusero sul suo labbro inferiore con forza, suscitando un basso mugolio infondo alla sua gola. C’era qualcosa in quei baci di diverso, e sentivo che qualcosa stava cambiando. Mi lasciai trascinare da quelle emozioni, o meglio, fu Nico a trascinarsi a cavalcioni sulle mie gambe, bloccandomi delicatamente i polsi sul materasso e abbandonando le mie labbra per raggiungere il mio collo. A differenza delle sue mani, le sue labbra erano calde e, contro la mia pelle, gonfie per i baci. Sentivo la sua lingua solleticarmi la clavicola e i suoi morsi marchiarmi la spalla. Mi resi conto di aver chiuso gli occhi solo quando un verso simile a quello emesso da lui in precedenza si fece largo fra le mie labbra e ne fuoriuscì. Liberai lentamente i polsi dalla stretta di Nico che si allentò non appena ne sentì i movimenti e lasciai che le mie mani s’insinuassero sotto la sua maglietta e vagassero lungo la sua schiena e poi lungo il torace fino a che non fu quasi completamente sollevata e fui praticamente costretta a togliergliela.
Quando le sue dita fredde raggiunsero i miei fianchi sotto la mia maglietta, mi mancò nuovamente il respiro. Vagarono lente sulla mia pelle, come se i polpastrelli volessero impregnarsi di quel tocco, mentre i baci si facevano più esigenti. Forse fu in quel momento che capii la piega che stava prendendo la situazione, ma lasciai che continuasse perché sentivo che era quello che volevo. Che era lui ciò che volevo.
Dopo avermi sfilato la maglia,all’improvviso entrambi ci sentimmo come spaesati, o forse solo spaventati. Il mio sguardo indugiò nei suoi occhi, e lo stesso fece il suo nei miei. Era come un linguaggio segreto.
- Willow – la sua voce sussurrata scatenò dentro di me altri fuochi d’artificio, come la prima volta che ci eravamo baciati. Stavolta fu lui a prendere il mio viso tra le mani, e appoggiò la fronte sulla mia.
- Prima d’incontrarti non desideravo amare, ed ora non desidero amare più nessuno. Sono innamorato di te e l’amore che provo per te supera l’orizzonte del mare e i confini del cielo e il numero delle stelle. L’amore che provo per te ha tutte le sfumature di colore del tramonto, dell’aurora boreale e dell’universo, ed è tanto forte da squarciare le nuvole e lasciar filtrare i raggi del sole. Sei così bella che è quasi una sofferenza guardarti. Sei abbagliante. Brilli. – tanto per cambiare, non avevo parole. E tra le altre cose avevo momentaneamente dimenticato come si faceva a respirare. Continuavo a guardarlo negli occhi quando mi si formarono delle parole in testa, che non sarebbero state comparabili al suo discorso ma forse erano vicine a definire cosa sentivo.
- Sei l’oscurità di cui ho bisogno per brillare. – Lui ha sorriso, perché diceva sempre che l’oscurità gli si addiceva. Ma non sapeva quanto splendeva. Dentro, era una stella.
- Sei sicura che vuoi..? – la domanda rimase in sospeso, ma era ben chiara. Arrossii perché era un argomento e una situazione delicata, ma riuscii ad annuire. Lui abbassò le spalle, rilassandole, perché era stato in tensione tutto quel tempo. E dopo un lungo respiro, le sue labbra cercarono nuovamente le mie, che furono pronte ad accoglierle. E beh,quello che successe dopo potete benissimo immaginarlo da soli.

Quella sera, ci fu una grande festa al Campo. Erano tutti felici che fossimo tornati sani e salvi (soprattutto che fossimo tornati, e soprattutto io). Non si cenò, per la prima volta, dove lo si faceva di solito, ma portammo tutto in anfiteatro e cenammo attorno a un falò acceso al centro, dove, come facevamo ogni giorno ad ogni pasto, offrimmo la pietanza migliore del nostro piatto al nostro genitore divino. Quando gettai la mia bistecca nel fuoco,guardai il fumo andare verso l’alto e il mio sguardo incontrò il cielo.
- Per te, papà. Per avermi dato il dono così grande di amici così speciali e un fratello così matto – sorrisi tutto il tempo nel proferire quelle parole, e Annabeth, Nico e Percy con me (anche se quest’ultimo mi tirò un pugno sul braccio per l’affermazione offensiva, ma sapeva benissimo anche lui che era vero).
Dopo cena, ci mettemmo a cantare le canzoni del Campo comodamente seduti sugli spalti. Non so come diavolo avevo fatto, ma le avevo imparate. La sensazione di sollievo e di pura felicità che mi dava una semplice cosa come cantare dopo quello che avevo passato era indescrivibile. Non avevo ancora totalmente realizzato che ce l’avevamo fatta, che eravamo salvi e che potevamo stare insieme e forse vivere una vita normale (per quanto “normale” possa essere definita la vita di un semidio). Ci sarebbero stati altri pericoli e altre battaglie,ma non mi spaventavano più perché sapevo le avremmo affrontate insieme.
E proprio in quel momento, seduta accanto a mio fratello e stringendo la mano al mio ragazzo, cantando canzoni con ragazzi dalla storia così simile alla mia attorno a un enorme fuoco e sotto un meraviglioso cielo stellato, mi resi conto che essere vivi non era mai stato tanto vero.



Angolo autrice
Finalmente ce l’ho fatta, ho finito la mia storia! E’ stato piuttosto difficile arrivare fino a qui, rendere bene l’idea dei fatti e dei personaggi e molto spesso ho avuto la pessima idea di mollare,per cui ringrazio chi mi ha aiutata ad arrivare fino in fondo a questo viaggio.
Ringrazio tantissimo anche tutti i lettori e chi mi ha seguito e chi ha aspettato che postassi i capitoli anche quando smettevo di scrivere per tantissimo tempo, a chi non ha perso la speranza e si è emozionato con Willow esattamente come ho fatto io. Spero davvero che la storia vi sia piaciuta, e qui mi congedo.
Alla prossima ff!

- Silver Shadow (BeastBoy)

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