Feeling Connected

di ifeelconnection
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A new chance ***
Capitolo 2: *** Something Wrong ***
Capitolo 3: *** Bitter Words Spoken ***
Capitolo 4: *** A Silver Lining ***
Capitolo 5: *** Chasing Pavements ***
Capitolo 6: *** He supposed to be the cure ***
Capitolo 7: *** All Apologies ***
Capitolo 8: *** Get Us Famous ***
Capitolo 9: *** Waiting for you ***
Capitolo 10: *** Love Waits ***
Capitolo 11: *** Ocean ***
Capitolo 12: *** Ashton ***
Capitolo 13: *** I miss you ***
Capitolo 14: *** Strength For Two ***
Capitolo 15: *** Begin Again ***
Capitolo 16: *** If it means a lot to you ***
Capitolo 17: *** Writing empty lines ***



Capitolo 1
*** A new chance ***


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Feeling Connected

a new chance









Ashton e Juliet erano fatti per stare insieme. E tutti lo sapevano. E tutti lo dicevano. L’intera scuola dava loro soprannomi buffi e tutte le ragazze sognavano una relazione come la loro. Ashton era diventato il prototipo di ragazzo perfetto e Juliet era invidiata per questo.
E anche io, da una parte, sognavo di avere un rapporto così vero con una ragazza. E anche io, appoggiato alla parete della scuola, che li guardavo scambiarsi l’amore, mi chiedevo cosa c’entrassi in tutto ciò.
 La loro storia nasceva all’improvviso, per molti, quasi fossero una corrente. Ma per loro, e allora nessuno di noi poteva immaginarlo, era qualcosa che risaliva a tantissimo tempo prima, probabilmente a prima che il Norwest li facesse incontrare.
Erano proprio così: collegati e imprevedibili, nessuno sapeva cosa ci fosse per creare quell’alchimia. Ash e Juliet erano diventati un po’ un’abitudine. Ormai tutti erano soliti vederli girare per la scuola mano nella mano, ormai per tutti loro erano un esempio da seguire.
Ashton era appena diciottenne, le bandane fra i capelli castano chiaro mossi e gli occhi verdi. Ashton era un sorriso contagioso e ricordava l’estate. Altissimo, il tipico australiano, un carattere solare ,aperto. Io lo guardavo e dal fondo dell’aula immaginavo di essere lui: la sua aria strafottente, che quando girava per i corridoi metteva in soggezione tutti. Se lo avessi visto per caso , in ogni caso chiunque a scuola conosceva Ashton , avresti pensato “bello e stronzo”. Era stato questo a colpire la dolce Juliet? Per Ashton, Juliet era davvero il primo amore, glielo si leggeva negli occhi.
Juliet compiva gi anni lo stesso giorno di Ashton, solo qualche ora dopo. Lui il giorno, lei la notte. Opposti per creare l’equilibrio. Juliet era esile contro la figura alta e slanciata di Ashton, poteva arrivargli appena al collo. I capelli lunghi e castani, gli occhi tendenti al verde dorato. Juliet aveva un carattere impeccabile, era solare, sincera, divertente, dolce e sensibile. Era la sorella di Luke, nostro migliore amico. Così la conobbe Ashton: attraverso Luke e attraverso Diana, amica stretta di Juliet non che sorella di Ashton.

Luke e Juliet non si assomigliavano affatto. Lei castana, lui biondo. Lei occhi verdi, lui blu. Juliet era stata adottata, Juliet non aveva nessuna certezza se non Luke. Lui era la cosa più vicina al concetto di famiglia. Avevano la stessa età. Luke era troppo alto, persino più di Ashton. Luke, gli occhi blu che quando incontravano la luce diventavano limpidi, come il mare. Luke, i capelli biondi, tirati su nel solito ciuffo abitudinale, Luke sapeva di far colpo sulle ragazze, e non si vergognava a credere di essere bello. Luke non aveva la ragazza. Un motivo c’era e io lo sapevo, ma lui ha sempre preferito dire che non gli interessava nessuno, quel ragazzo non avrebbe mai finito di stupirmi.
Luke conobbe Violet un pomeriggio caldo di settembre a casa sua. Violet era amica di Juliet. E Luke quel giorno, forse si era perso un pochino.. Violet, che era impacciata con i suoi capelli biondi e il fisico magro al punto giusto. Centosettanta centimetri, aveva diciassette anni. A scuola la chiamavano “la bambola di Hemmo”, forse pensavano che Luke e lei stessero insieme. Non credeva in se stessa e quando incontrò gli occhi di Luke, arrossì e abbassò lo sguardo. Lei , Luke Hemmings. La sua insicurezza la rendeva mille volte maledettamente più bella, almeno ai miei occhi.
Loro due, Luke e Violet, non avevano una definizione. Si erano incontrati, si erano conosciuti meglio ed era nato qualcosa che si fatica a nominare, a descrivere. Erano solo Luke e Violet. Non amici, non fidanzati, nulla di nulla.
Li vedevo ogni giorno a scuola, grazie a loro avevo imparato tante cose e tante continuavo a impararne. A volte ero così sfuggente, così chiuso rispetto a loro. Mi sentivo spesso fuori posto quando vedevo quei quattro ridere come se fossero tutti fratelli ma loro mi avevano sempre messo a mio agio. Sapevano che ero un tipo strano , ma non gli era mai importato. Forse era questo che mi piaceva di loro. Da quando li avevo visti girare per i corridoi da quel pomeriggio di Febbraio,  da quando durante Scienze mi ero seduto accanto a Violet, la prima cosa più simile ad un’amica che io avessi in quella scuola, o forse da quando Ashton e Luke avevano detto di cercare un chitarrista. Chissà come eravamo nati , noi nella nostra amicizia.
--------- 
Era finalmente suonata la campanella dell’ultima ora, finalmente era ora di uscire. Oggi era martedì, avevamo tutte lezioni diverse su piani diversi, non avevo visto nessuno. Chissà se anche oggi Luke era  arrivato in ritardo. Contrariamente a quanto sembrasse, era Luke il nostro bad boy, non Ashton. Mentre uscivo dall’aula accompagnato dal “ci vediamo domani” di Jazmin, una ragazza della mia classe di Storia, vidi Violet in fondo al corridoio. Era girata nella mia direzione ma sapevo chi stava cercando: Juliet. Le avrebbe chiesto di Luke. Potevo già immaginare la loro conversazione, più o meno la stessa ogni mattina, quando una voce mi chiamò da dietro
“ Mike?”
“Uhm”
poteva essere solo lui
“Credo che ‘Buongiorno anche a te’ sarebbe più appropriato”
il solito precisino.
“Calum, ti saluto così da anni. Te ne sei accorto solo adesso?”
Mi si parò davanti con la sua faccia innocente e i suoi occhi nerissimi e sbuffò dicendo
“E’ l’ultima settimana in questo carcere, perché passarla con i musi lunghi?!”
Era davvero buffo quel ragazzo, con quei capelli perennemente scompigliati, e riusciva sempre a farmi sorridere.
“Sai Cal, stamattina sembri particolarmente asiatico.”
Sapevo di farlo arrabbiare e infatti
“Io sono Kiwi. KIWI”
disse enfatizzando per bene la parola come faceva sempre - “e tu dopo tutto questo tempo dovresti saperlo, oppure eri troppo concentrato a guardare le tette delle ragazze mentre ti spiegavo le mie origini?”
non riuscii a trattenere un sorriso
“Calum la sai una cosa?”
sfoderò il suo profilo migliore e rispose facendomi l’occhiolino
“ Lo so sono bellissimo quando mi arrabbio, le persone mi trovano sexy.”
Non riuscivi proprio a farlo essere serio, era contagioso.
“Si Cal, sei stupendo, ma io troverei qualcun altro su cui fare colpo.”
Calum abbassò leggermente lo sguardo, ancora una volta il mio sarcasmo aveva centrato una debolezza di quel moretto. A scuola lo chiamavano tutti così, “il moro”, e devo ammettere che tutti lo volevano come amico. Mentre ci allontanavamo per andare da Violet , una mano calda strinse me e Calum da dietro in un abbraccio.
“Buongiorno ! Hey ma che musi lunghi!”
Juliet era sempre così solare con noi e così timida con tutti gli altri. Calum rimase interdetto, mi stava parlando della prof di Matematica e non voleva che gli altri sentissero quanto la considerava figa. Quando si accorse che si trattava di Juliet tirò un sospiro di sollievo e io risi leggermente, la ragazza però se ne accorse.
“ Di che parlavate di tanto segreto?”
Calum cercò di sviare il discorso
“Di Matematica, sai è l’ultima settimana e la prof non vuole saperne di lasciarci in pace..”
“La figa della prof, vero Cal?”
mi fulminò con lo sguardo, stamattina lo stavo facendo proprio penare ; per fortuna c’era Juliet
“Ah Calum vuole fare colpo! Mmh fossi in te ci proverei, magari si dimentica del tre dell’ultima verifica”
Calum rise e io aggiunsi
“No Juliet, Calum stamattina ci ha provato anche con me”
sentendosi stuzzicato il moretto mi tirò un pugno sulla spalla e aggiunse
“Con te facevo solo pratica per la prof!” la risata di Juliet risuonò tra di noi come il trillo di una campanella, lei e Ashton avevano la stessa risata contagiosa. Calum la guardò sbigottito
“Cosa c’è da ridere adesso? C’è la prof? Come sto, fantastico come al solito?”
chiese alzando e abbassando le sopracciglia, Juliet continuò a ridere e gli rispose
“Beh, a me sembri asiatico come al solito”
le diedi il cinque, a volte era davvero in sintonia con me e le mie battutine e aggiunse
“ma se vuoi c’è un australiano bagnato che può darti sostegno!”
indicò la direzione delle scale e vidi Luke che scendeva, con i capelli fradici appiccicati sulla fronte e la maglietta grigia zuppa sul davanti. Guardai verso Violet e vidi che anche lei rideva, rideva tutto il corridoio in realtà. Luke aveva un’espressione scocciata e Violet lo raggiunse ridendo a più non posso. Si salutarono e si incamminarono verso di noi , che ridevamo fino alle lacrime. Juliet e Calum continuavano a fare battute, erano in perfetta armonia quei due, ma del resto erano migliori amici. Quando Luke e Violet arrivarono non potei fare a meno di dire
“Buongiorno Violet, è questo il tuo nuovo animale domestico?”
Lei rise ancora di più e Luke mi rispose
“ E’ scoppiata la tubatura in bagno, simpaticone”
forse stamattina ero troppo sarcastico. Luke non vedeva l’ora di uscire, ma ormai tutta la scuola lo aveva visto. Juliet però volle aspettare Ashton, non sapeva dove fosse finito. Aspettammo ancora per cinque minuti, ma ormai i corridoi erano quasi deserti e Ash non si vedeva. Dopo essere usciti lo trovammo ad aspettarci seduto su un muretto, mentre parlava con Diana, sua sorella. Diana era all’ultimo anno, era più grande di tutti noi e somigliava molto a Juliet ,anche se più piccolina e  con gli occhi scuri. Quando Ashton vide Juliet gli spuntò un sorriso e Juliet piantò in asso tutti per andare da lui; beh in realtà gli saltò letteralmente addosso , ma quei due si salutavano sempre così. Diana venne da noi, lasciandoli a scambiarsi gesti e parole dolci. Quando c’erano quei due nei paraggi dovevi distogliere lo sguardo, il loro era come un rapporto privato, se li guardavi ti sentivi in soggezione, come di troppo. Quando Diana mi salutò abbassammo entrambi lo sguardo, salutare la propria ex era ancora un po’ imbarazzante. Diana aveva fatto conoscere Ashton a Juliet e Luke, ed era anche molto amica di Violet. Io e Calum invece eravamo entrati in quella cerchia un po’ come mine vaganti. La nostra amicizia si era saldata con la band, i 5 Seconds of Summer. Non ricordo nemmeno come avevamo scelto quel nome, ma volevamo l’originalità e quindi eccoci qua, a registrare cover di grandi pezzi per farci notare su YouTube. L’idea era stata di Luke e a scuola aveva messo annunci per un batterista, poi un chitarrista e un bassista. Eravamo forti, lo devo ammettere e le nostre cover erano anche piene di battute, di scherzi che ci facevamo a vicenda. Come intuendo i miei pensieri , Violet esordì
“ Allora, stasera si suona?”
Luke , che stava tentando di sistemarsi i capelli con l’aiuto di Diana rispose
“ Non lo so, vediamo se quei due arriveranno a staccarsi per quando sarà ora delle prove.”
Suscitò una risata e Ashton , che lo sentì, gli rispose con un bel dito medio mentre veniva verso di noi con Juliet. Quando arrivarono, Ashton propose
“ Perché stasera non usciamo invece? Magari portiamo gli strumenti e suoniamo qualcosa al locale del padre di Alyssa.”
Calum era entusiasta di suonare
“Ragazzi sarebbe fantastico? Ma chi è Alyssa?”
e Juliet aggiunse 
“ E dov’è questo locale?”
anche Luke e io eravamo entusiasti. Ashton spiegò che Alyssa era una sua compagna di classe e che ci aveva visti su YouTube.
“ Ha detto che a suo padre serve una band per il giovedì , è una sorta di discoteca, magari stasera andiamo e gli facciamo sentire qualcosa, così vede se prenderci oppure no”
io risposi
“E come fa a non prenderci, dovrebbe solo per i miei capelli.”
“I tuoi capelli da puzzola vorrai dire!”
esclamarono le ragazze quasi all’unisono, generando tutta una serie di prese in giro. Decisi che per quella mattina avevo preso in giro abbastanza,ma non riuscii a trattenere un
“ Sono punk-rock”
Mentre lasciavamo il cortile della scuola, cominciò a piovere e Luke non riuscì a non insultare anche la pioggia
“Mi ero appena asciugato!”
Ashton e Diana furono i primi ad abbandonarci, poi Violet, infine Luke e Juliet. Eravamo rimasti solo io e Calum, quando lui mi chiese
“Non ti sembra strano che Alyssa voglia offrirci un lavoro del genere senza aver mai parlato con noi?”
io non capii dove volesse arrivare e risposi
“ Ma no, è un po’ come un produttore, ci ha visti e le siamo piaciuti.”
Calum fece spallucce
“Sarà.”
Quando arrivammo davanti la porta di casa Hood venne ad aprirci la sorella di Calum, Mali Koa
. “Vuoi entrare? Sei tutto bagnato”
Mi chiese con lo stesso spirito del fratello
“ No grazie, devo tornare a casa, stasera passo a prendere Cal.”
“Come vuoi!” mi disse gentile : “ e dove andate?”
Calum si era già buttato sul suo sofà ma rispose ugualmente, anticipandomi
“Andiamo a parlare con un tipo di un locale”
“ Ah, tu e Romeo avete trovato lavoro?”
mi chiese Mali,
“ Io e ch…”
“ Mike, non te ne dovevi andare?”
disse Calum e io risposi, dopo aver salutato la ragazza
“ E’ sempre un piacere sentirsi a casa, Romeo”.  







Note di Viola e Martina:
Ciao! Siamo due autrici, questa storia sarà infatti una sorta di "quattro mani", questo capitolo è stato scritto da noi due insieme, poi ci alterneremo, facendo un capitolo a testa :)
Una recensione ci farebbe molto piacere se avete intenzione di seguire la storia, che speriamo vi piaccia <3
un bacio Violet e Tita

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Capitolo 2
*** Something Wrong ***


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Feeling Connected

something wrong.

 
"The faster we're falling, 
We're stopping and stalling." 
 

Quel giorno, tornando a casa tutti insieme, io e Ashton ci eravamo tenuti un po’ in disparte rispetto al gruppo, con l’intento di parlare. Che poi a dir la verità, di parole nemmeno c’era bisogno: eravamo arrivati a capirci con un solo sguardo, un gesto, un’espressione. E’ questo quel che si dice feeling? Io credo di si e tra noi di feeling, ce n’era eccome. A volte sembravamo telepatici e molti ci invidiavano per questo; io non capivo perché ma a guardare una relazione dal di fuori è facile credere che un bacio o un gesto gentile bastino a significare che va tutto bene, che è tutto a posto.
Mentre lo guardavo camminare accanto a me, con la bandana che gli avevo regalato io tra i ricci, sentivo il dovere di proteggerlo, come se non fosse abbastanza vicino a me per stringerlo e fargli sentire che io c’ero, che ero lì, che eravamo noi e l’amore che ci legava. Perdendomi sempre più nella sua camminata buffa mi vennero in mente due ragazze dello Year 9 che avevo visto poco prima nei corridoi del secondo piano; parlavano dei rispettivi ragazzi ed era bello vedere come si allargasse il loro sorriso mentre parlavano dei loro sentimenti. Una di loro stava dicendo all’altra : ”E’ stato così forte, così improvviso! Voglio dire quando conosci una persona e entra nella tua vita è così… Wow! Erik e io siamo… E’ stato come corrente elettrica” . Quella ragazza aveva descritto in così poco la definizione che io avevo tentato di dare alla mia relazione per tutto il tempo.
Era forse questo il motivo per cui non riuscivo a spiegare cosa stesse succedendo con lui? Perché eravamo anche noi così, un po’ sfuggenti? Noi però non eravamo come corrente, noi eravamo la corrente.
A distogliermi dai miei pensieri ci pensò quella voce che mi chiamava spesso alle tre di notte :”Juliet?” -”Mmh, scusa” Michael Clifford mode on. ”A che pensavi di tanto importante da restare incantata?” ridacchiò leggermente ma non ci feci molto caso, quel ragazzo rideva per qualsiasi cosa.
Aveva però uno sguardo un po’ preoccupato e decisi di non dirgli la verità , anche se probabilmente aveva intuito e concordava già con me. Ecco perché il feeling non è sempre una bella cosa.  “Volevo parlare di Alyssa.” In realtà non mentivo, prima ci aveva pensato Calum a chiedere chi fosse, salvandomi dalla parte della ragazza gelosa, vidi uno sguardo un po’ teso nei suoi occhi, ma era sempre così quando parlava di una ragazza che non fossi io, decisi di non preoccuparmi troppo.
Lo sguardo cambiò, introducendo un tocco di malizia in quelle iridi verdi : “Gelosa?” chiese come con aria di sfida. Ero gelosa? Non lo so, probabilmente era il mio istinto protettivo verso di lui. A volte ero davvero noiosa, non facevo così nemmeno con Luke.  “Può darsi” dovevo dargli questa soddisfazione “volevo solo sapere chi fosse di preciso, playboy.” Stavolta scoppiò in una vera e propria risata, ma era così bella che lo lasciai finire,  “So di essere così dannatamente affascinante, ma per il momento ho intenzione di restare tra i monogami.”  “Ringrazio Michael per non credersi figo e galletto come voi” sanno di essere belli, o almeno lo credono, e cominciano a tirarsela, tipico dei ragazzi: “comunque non mi hai ancora detto chi è questa Alyssa.”
Ora che si sentiva desiderato da me voleva testare quanto fossi pronta a sopportare prima di ammettere di essere gelosa : “ E’ la biondina piccola con il piercing uguale a Luke, quella che vedi sempre con Thomas Ridley.” Al sapere che era fidanzata tirai un sospiro di sollievo e  ovviamente il furbo lo intercettò, : “ E’ molto bella, devo ammetterlo, oggi si è anche messa vicino a me…” era dannatamente bello quando sorrideva per farmi arrabbiare : “Vacci piano Irwin, ricordati che c’è sempre McTurner ad aspettarmi” ulteriore risata di quel ricciolino, ma non potei fare a meno di scoppiare anche io stavolta: McTurner era il classico nerd della scuola , innamorato di me dal primo anno.  “Magari così ti da una mano a leccarti i prof, con tuo fratello ti sei fatta una brutta reputazione!” Sentendoci ridere e sentendo il suo nome, Luke ci richiamò all’attenzione : “Non vorrei interrompere l’esilarante cabaret di Irwin su di me , ma Juliet, sorella cara, siamo arrivati.”
Luke era un po’ bagnato, come tutti del resto, ma lui lo era da stamattina, : “Siamo suscettibili Hemmings, digli un po’ di che parlavamo Juliet.” Mi esortò Ashton, “Di nerd secchioni e nerd bagnati” risposi suscitando una risata generale.
Luke si sentiva ancora una volta lo zimbello del gruppo e sapevo quanto odiasse stare così. Feci appena in tempo a salutare tutti, che mi prese per un braccio e mi trascinò via da Ashton. Lui rimase un po’ spiazzato dal gesto di mio fratello anche se come al solito si limitò a ridere, quel ragazzo non sarebbe mai cambiato ma quella risata era troppo contagiosa “Luke mi raccomando, stasera controlla la lunghezza del vestito prima di farla uscire!” disse Ash scherzando e Luke sbuffò, senza ovviamente replicare, come per disperazione.
Sapevano tutti che vincere contro Ashton era una cosa impossibile e l’unica persona che riusciva a tenergli testa ero io : conoscevo meglio di chiunque altro i suoi punti deboli e potevo rispondere alle sue tipiche provocazioni senza provocarne altre. Mi sentivo piuttosto fiera di questa mia “abilità” , era come se potessi dominarlo in un certo senso e mi faceva sentire speciale nel rapporto che avevo con lui, anche se sapevo che a volte mi accontentava di proposito.
Era una specie di lotta di frecciatine continua tra Luke ed Ashton, cominciata quando avevo sviluppato un rapporto così speciale con quest’ultimo. Luke era con me letteralmente dalla nascita, anche se ero stata adottata, era mio fratello a tutti gli effetti, non avevo mai pensato che potesse essere diversamente. Era il mio punto di riferimento, in un certo senso mi aveva vista nel nido, era arrivato qualche giorno prima di me ma i nostri genitori ci avevano portato a casa insieme. Eravamo come gemelli, tra me e lui c’era lo stesso feeling che avevo con Ash, solo che ovviamente il rapporto era diverso. Forse aveva anche lui senso di protezione innato verso di me , ma come facevo a dargli torto? Aveva sempre tentato di proteggermi da tutto e tutti, persino da Ashton a questo punto.Io lo trovavo buffo, li trovavo buffi, Luke e le sue manie di protagonismo quotidiane , in fondo aveva solo paura che il mio ragazzo lo sostituisse.

 

Quel pomeriggio mentre mi preparavo per la serata,in preda ad una crisi di non-so-che-mettere, decisi di chiamare l’unica persona che mi avrebbe tirato su e che ovviamente con il suo gusto per la moda non avrebbe potuto che consigliarmi bene.
Presi il cellulare, digitai il numero,  mentre con una mano cercavo disperatamente di mantenere l’asciugamano intorno al mio corpo, come se la persona che stavo chiamando potesse vedermi. Mi attaccai il cellulare all’orecchio e dopo molti squilli, come al solito, rispose una voce stordita : “Juliet?” - “Hey Cal, disturbo?”
Sembrava come appena svegliato: “Ma no figurati, sono appena uscito dalla doccia” tempismo perfetto, “Magnifico Cal, anche io. Mi serve una mano a decidere cosa mettermi.” Nessuna risposta. “Calum?” un mugugno confuso: “Hey si scusa,stavo scegliendo se mettere la camicia nera oppure la canotta bianca e legarmi la camicia alla vita. Secondo te?” fantastico, chiamare per un consiglio e ritrovarsi a fare la consigliera.  “Mmh… Devi fare colpo sul padre di Alyssa, pensa come se dovessi fare colpo su una ragazza, cosa indosseresti per colpirla?” lo sentii ridere dall’altro capo  : “Probabilmente andrei nudo!” era pessimo, ma cominciai a ridere anche io e gli risposi : “Guarda che Alyssa è interessata a un altro!” improvvisamente smise di ridere e mi domandò : “Ashton?” fui un po’ stupita da quella risposta, avevo avuto un attimo di esitazione sul fatto che Ash potesse essere interessato a lei, non il contrario. : “N-no, lei sta con Ridley. Cosa te lo fa pensare?” avevo l’impressione che sospettasse qualcosa, ma Calum non era tipo da simili malizie, : “No, niente, era solo una domanda. Quindi camicia o canotta?” lasciai perdere, meglio sviare la conversazione,  non avrei avuto motivo di pensare a cose del genere : “Camicia nera, ti trovo più … insomma per me faresti più colpo.”
Lo sentii buttare via qualcosa, il solito disordinato. : “Mmh, okay sono pronto! A te serviva qualcosa?” Guardai l’orologio preoccupata, erano le 20 e 40, l’appuntamento era alle nove e un quarto da Calum; come potevo aver fatto così tardi?  “Si Calum, ti avevo chiesto un parere su cosa mettermi.” Risposi mentre tentavo di scegliere un vestito decente  “Ah scusa” rise imbarazzato “colpa mia” sorrisi davanti alla soluzione a tutti i miei problemi , il vestito blu notte regalatomi da Ashton.  “Ho fatto comunque, ma almeno ho aiutato un povero kiwi perso” non rise, emise un piccolo sbuffo e lo sentii replicare
 “Almeno non hai detto asiatico.” Era davvero ora di andare, “Dai Cal, ci vediamo tra poco, possibile che devo essere sempre in ritardo?” -“Si Juliet, ma non fare aspettare Romeo! A più tardi!” Chiuse la chiamata.
Finii di prepararmi e Luke venne in camera mia alle nove. “Juliet ma non sei ancora pronta? Dobbiamo presentarci in orario, altrimenti non ci ascolta neanche!” - “Sto solo sistemando l’ultimo ciuffo!” risposi con un ferrettino tra le labbra e lui sbuffò di disappunto, aggiungendo  “Ma quel vestito non è troppo corto?” come non detto  “No, Luke, andiamo in discoteca, non dalle suore.”
In fondo il vestito arrivava a metà coscia  “E poi me lo ha regalato Ash, così lo faccio anche contento.” Mi guardò desolato mentre prendevo la borsa e infilavo il giacchino leggero camminando su due castissime Vans borchiate, in fondo il vestito era corto ma sportivo.
 “Tralasciando il fatto che Ashton è contento qualsiasi vestito corto tu indossi, voglio vedere quando farai contento tuo fratello evitando di attirare l’attenzione di mezza Sydney sulle tue gambe” - “Quando tu la smetterai di comprare vestiti in serie.”
Quel ragazzo aveva seriamente solo jeans neri e magliette di band o camicie a quadri rosse. Stasera però aveva tirato fuori una camicia bianca piuttosto carina e l’aveva lasciata leggermente aperta sopra, arrotolando le maniche fino ai gomiti. “Piuttosto, stasera cercate tutti di fare colpo sul proprietario vedo! O forse il tuo intento è un altro?” lo vidi abbassare lo sguardo. Avevo centrato in pieno “Dai Ju è tardissimo, tra 5 minuti dobbiamo essere da Calum.”
Bella mossa Luke, decisi però di lasciar perdere, in fondo conoscevamo tutti la risposta. Mentre camminavamo verso casa di Calum , visto che Luke non aveva ancora la patente , lo guardai e gli chiesi  “ Sai, stavo pensando, com’è che Calum non ha ancora una ragazza?” lui mi guardò sbigottito, non si aspettava una domanda del genere ma sapevo che non avrebbe travisato, Calum non era un ‘pericolo’ per me e lui lo sapeva bene, o almeno ci sperava.
“Non lo so, perché me lo chiedi?” - “Così, a me sembra preso da qualcuna, mi ha chiesto un consiglio e non è da lui essere indeciso sul vestire. Poi voglio dire, ha mezzo Year 11 dietro e non se ne accorge.” Avevo parlato alla velocità della luce ma Luke rispose  “Può darsi che stasera quella ragazza sarà in disco.” - “Alyssa?” domandai incerta  “Può anche essere.”  mi aspettavo questa risposta in un certo senso ma ero curiosa, mio fratello sapeva qualcosa che Calum non mi aveva detto, e dovevo assolutamente scoprire cosa.


 
Mentre mi preparavo per la serata non facevo altro che pensare a Juliet. Amavo Juliet, era vero, ma c’era qualcosa che mi bloccava, che ci bloccava.
Ogni bacio, ogni carezza, ogni abbraccio era uguale, era un’abitudine. Quello che sentivo era sempre la stessa sensazione e non penso fosse positiva. Sentivo un pugno che mi stringeva e attanagliava lo stomaco, come se fosse sbagliato, come se non dovessi stare con lei.
Non volevamo mai di più, mai qualcosa che le altre coppie invece volevano. Eravamo sempre così pronti a rispondere alle esigenze dell’altro, da non aver bisogno di altro? Era giusto? Io l’amavo, sì, ma forse dovevo ancora capire come.
Quella sera era particolarmente bella, l’avevo già vista da lontano con il mio vestito indosso,volevo assicurarmi di stare bene con lei, volevo convincermi che non c’era assolutamente nulla di sbagliato.
Fu per questo che appena arrivò a casa di Calum,senza nemmeno darle il tempo di salutare gli altri, le presi i fianchi, la avvicinai a me e la baciai senza troppe cerimonie. Volevo solo capire cosa mi stesse succedendo. Lei però sembrava confusa, come se non riuscisse a riconoscermi.
Luke, d’altra parte, mi guardava male e non la smetteva di sbuffare. Luke era così. Troppo protettivo. Forse il problema era lui. Forse era per lui che non ci spingevamo mai avanti.
 
Il colloquio con il padre di Alyssa era andato più che bene. L’avevamo convinto subito dopo aver cantato Heartbreak Girl.
Dal palco non avevamo fatto altro che guardare le nostre ragazze in prima fila. Per me era stato difficile visto che come al solito la batteria era in fondo ma avevo comunque potuto osservare Juliet e Diana che ballavano a ritmo della nostra canzone.
Un tipo ci aveva anche provato con lei ma doveva essere stato allontanato dallo sguardo che gli aveva lanciato Luke nell’unico momento in cui aveva staccato gli occhi da Violet, che ci incitava insieme ad Alyssa. Forse Luke non era poi così male nel suo proteggere la sorella.
Perfino Michael, il cui unico pensiero sul palco è la sua chitarra, aveva guardato di sottecchi Diana più volte. Calum invece si era concentrato solo sul suo basso, come se avesse paura di guardare. Chissà cosa aveva. 
Ci avevano ingaggiati per i prossimi giovedì sera. Alyssa, a sua volta, era stata molto carina con tutti- eccetto che con Juliet. Si limitavano ad ignorarsi.
Di quella sera ho ricordi confusi e offuscati dall’alcol. Ricordo di aver ballato molto. Ero stanco così mi sono seduto sui divanetti del locale. Ero un po’ ubriaco, forse molto. Di quel che successe dopo però, me ne sarei ricordato per tutta la vita. Juliet si era seduta sulle mie gambe e avevamo iniziato a baciarci in modo poco casto.
Luke non era nei paraggi, probabilmente nemmeno lui era troppo sobrio. Forse era l’alcol che avevo, che avevamo, in corpo a a farci spingere oltre; ma in quel momento non ce ne accorgevamo.
Presi Juliet per le cosce e ci ritrovammo al piano superiore, in una stanza sconosciuta.  Chiusi la porta mentre sbattevo il corpo di Juliet contro il muro. Lei che era così delicata, non le avrei mai fatto del male ed invece in quello stato l’avevo sbattuta contro il muro, con la fretta di chi sa che da un momento all’altro potrebbe cambiare tutto. Sentivo che se non avessimo fatto in fretta mi sarei tirato indietro.
Ci eravamo guardati negli occhi, entrambi con la paura di chi non si conosce, come fossimo due estranei, così timidi. Mai ci eravamo guardati negli occhi così a lungo. Ci eravamo scavati dentro. Ci facevamo forza. Cercavamo il consenso l’uno nell’altra. Stavamo per fare quel passo avanti. Eravamo pronti? Lo volevamo davvero? Ero confuso, avevo paura, non sapevo cosa fare.
Feci l’unica cosa che mi venne in mente. La baciai con foga mentre le slacciavo l’abito blu. Ero preso, un po’ spaventato forse, convinto però di potercela fare, convinto che quando le nostre mani avrebbero tolto i vestiti dal corpo dell’altro sarebbe stato tutto semplice, che sarebbe andato tutto come per le altre coppie.
In quel momento però,  la sensazione abituale allo stomaco tornò. Tornava ogni volta. Anche se non ero del tutto sobrio e in me stesso. Continuavo a non capire il perché qualcosa mi dicesse di esitare.
Mentre la sentivo sempre più tesa , con le sue gambe che cingevano i miei fianchi e il suo respiro sul mio collo, quella sensazione non mi lasciava. Continuai a toglierle di dosso il vestito, mentre lei faceva lo stesso con la mia maglietta. Le mani che tremavano sempre di più , la bocca era diventata asciutta mentre continuavamo a tentare di dimostrarci l’amore. Ma quella sensazione, quel feeling tra di noi rafforzato dall’alcol ,ci diceva di smettere. Volevo soffocare questa sensazione, ma come potevo? Se le avessi disobbedito poi non mi avrebbe più abbandonato.
Non feci niente di più e nemmeno Juliet. Ci staccammo con la paura negli occhi, la consapevolezza che non potevamo, non volevamo. Come se mi potesse leggere nel cuore, riallacciò il vestito e scoppiò a piangere. Io la abbracciai e basta, un po’ confuso, lasciando che mi bagnasse la manica della maglia. Era così fragile. Ed io in quel momento mi sentivo il Luke della situazione. Così protettivo come se qualsiasi cosa potesse farle male in qualche modo. Anche io. Soprattutto io.                                                                      

“Scusa”  le sussurrai all’orecchio mentre le accarezzavo i capelli. Mi sentivo in dovere di scusarmi per quello che avevo fatto, per come mi ero comportato. Lei si asciugò l’ultimo residuo di lacrime rimasto, sapevo quanto odiasse apparire debole davanti agli altri. Alzò la testa dalla mia spalla e mi guardò come per scusarsi a sua volta, ma la durezza delle sue parole mi colpì.
“È tardi, Luke mi starà cercando.”
Capii di aver perso qualcosa. 

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Capitolo 3
*** Bitter Words Spoken ***


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Feeling Connected

Bitter words spoken
 
"Is it too late,
to bring us back to life?"
 

Juliet era corsa a casa mia alle sette di mattina di venerdì, ultimo giorno di scuola. Aveva insistito tanto per camminare fino a scuola insieme. Era chiaro che volesse parlarmi.
Avevamo fatto colazione insieme con uno Starbucks preso all’ultimo momento e poi ci eravamo avviate per le strade della nostra Sydney. Io con la mia felpa enorme, lei nelle sue converse alte. C’era stato un lungo lasso di tempo dominato dal silenzio e poi finalmente aveva preso il coraggio in mano e aveva solo detto
“Ashton.”
Io l’avevo guardata  negli occhi. Forse immaginavo cosa volesse dirmi. Ogni tanto mi parlava della loro relazione. Ci eravamo fermate e l’avevo incitata a continuare.
“Martedì sera eravamo parecchio ubriachi e stavamo per fare il prossimo passo, mi capisci?” annuii lievemente con la testa mentre lei prendeva un respiro profondo come a trattenersi dal piangere ancora.
“Ma probabilmente non eravamo pronti, io non ero pronta. E non mi sentivo bene. Mi sentivo in colpa. Non so perché.”
Juliet aveva preso a torturarsi le mani, in cerca di calma. Io avevo stretta la sua mano nella mia e avevo proferito
“Juliet è normale. Siamo giovani, inesperti. Non è successo niente in fondo.”
Lei si rianimò in un lampo e l’ira cominciò a bruciarle negli occhi.
“Appunto, Violet, non è successo niente. E lo sai che ha fatto lui ieri notte? Ha pensato bene di inviarmi un messaggio per dirmi che è finita. Come dovrei stare io? Non ha nemmeno il coraggio di dirmi le cose in faccia, dopo tutto questo tempo. Nemmeno una spiegazione. Lui ha sempre voluto di più dalla nostra relazione e io non gli ho mai dato niente.”
Aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola per poi abbandonarsi su una panchina ai lati della strada. Le lacrime avevano cominciato a rigarle il viso, copiose. Non sapevo cosa fare. Quelle situazioni mi mettevano a disagio. Non ero mai pronta per consolare le amiche. Mi sentivo un disastro.
Mi ero seduta accanto a lei e l’avevo semplicemente abbracciata, accarezzandole i capelli e sussurrandole di stare tranquilla. Era il massimo che potevo fare. Ero pessima, chiusa e immobile nel mio silenzio ma speravo che il mio sforzo le sarebbe servito, in qualche modo.
“Non devi darti la colpa, Ju. Tu l’hai amato con tutta te stessa e-“
un sorriso amaro le era apparso sulle labbra.
 “Ti sbagli. Io lo amo con tutta me stessa.”
Non avevo aggiunto altro. Sapevo quanto quella frase fosse vera. A volte le parole sono solo sbagliate. In questi casi, il silenzio parla da sé. Ci eravamo alzate insieme, consapevoli.
L’amore porta via e non sai mai se restituisce. Juliet era pronta a rimettere insieme i pezzi, ma forse alcuni non sarebbe mai riuscita a trovarli. Li aveva rubati Ashton dal primo momento che i loro occhi si erano incontrati ma non avrei saputo dire se anche lei ne avesse rubato qualcuno a lui. Il punto era che ora questi pezzi non combaciavano più e andava scoperto il perché.
Ci eravamo solo strette la mano, così forte che avevo temuto rimanesse il segno per sempre. Ci stavamo reggendo in piedi a vicenda. Forse, le avevo fatto forza. Forse, non ero stata così terribile.
 
 
Appena arrivate a scuola, ci eravamo divise, ci eravamo salutate con la mano, pronte a raggiungere le nostre aule. Lei, probabilmente, sarebbe andata solo in bagno e avrebbe saltato la prima ora. L’amore è una brutta belva. Mai e poi mai avrei voluto incontrarla.
Stavo raggiungendo la classe di biologia. Avevo lezione con Michael e Luke, nel caso si fosse presentato a scuola.
Luke.
Mai e poi mai avrei voluto conoscere l’amore, mi auto convincevo. Era spaventoso quanto  quel ragazzo riuscisse a estraniarmi dal resto del mondo,  mi faceva dimenticare gli altri.
Non sapevo bene di cosa si trattasse, a dire il vero. Ma sicuramente non era amore. Non poteva esserlo e soprattutto io non volevo che lo fosse .Io, che l’amore non l’avevo mai conosciuto, o per lo meno, mi ci ero tenuta ben alla larga. Che poi mi ero basata solo sulle notizie che mi avevano dato, forse quella di Juliet e Ashton era il tipo di esperienza che mi serviva per convincermi ancora di più delle mie idee.  Luke però mi era piaciuto sin da subito. Con quei suoi occhi un po’ spaesati. Come se si sentisse perennemente fuoriposto.
E poi ci eravamo conosciuti.
Ci prendevamo sempre in giro e tra una frase e l’altra ci scappava sempre un complimento, una parola dolce, un momento di timidezza. Io abbassavo lo sguardo e il discorso si perdeva per aria. Le mie guance si tingevano di rosso e Luke sembrava divertito. Mi sembrava di tornare tredicenne, quando arrossivo se il ragazzo che mi piaceva mi rivolgeva uno sguardo. Forse non ero mai cresciuta. Odiavo fare la parte della ragazza debole. Purtroppo, lo ero sotto i suoi occhi, e non volevo apparire così. Ogni volta che quegli occhi azzurri mi scavavano dentro mi sentivo fragile. Era questo il motivo della mia insicurezza. Ero insicura ma in fondo sapevo di avere ragione.
Chi mai avrebbe scelto me? Chi mai avrebbe scelto le mie insicurezze, i miei complessi, il mio corpo, le mie paranoie? Chi mai sceglierebbe una come me, una margherita , il fiore più semplice, senza fronzoli? Nessuno. Forse un pazzo.

Luke era un pazzo, a questo punto? Luke stava scegliendo davvero scegliendo me? Forse avrei dovuto smetterla di farmi tutte queste domande e lasciarmi andare. Io avevo paura. Paura di tutto, delle persone, degli insetti, dei palazzi, della paura stessa. La paura non è mai un bene. E io ne avevo fin troppa, di paura, un altro motivo per cui io non ero un bene.
Ma forse, almeno per una volta, dovevo accantonare le mie fobie e le mie insicurezze e scegliere Luke. Solo lui. Scegliere di conoscerci e di essere felice.
Lui era rimasto un po’ un mistero per me. Dovevo ancora scoprire cosa provavo. Dovevo ancora scoprire lui e scoprire il noi, se c’era davvero.
 
Michael mi risvegliò dai miei pensieri abbracciandomi da dietro. Ero così presa dai miei pensieri che non l’avevo proprio sentito arrivare. Mi aveva spaventato così tanto che penso di aver urlato.
“Buon giorno anche a te, Violet.”
Fece ironico, inarcando il sopracciglio e posizionandosi davanti a me.
“Maledetto Clifford, sono morta di paura.”
Mi guardò sconvolto.
“E io che pensavo di essere dolce. Le donne … chi le capisce è un genio.”
Avevo riso per un po’ gustandomi l’espressione di quel ragazzo. Michael riusciva sempre a farmi sentire a mio agio. Era un ragazzo splendido. C’era per qualunque cosa. Dal momento in cui si era seduto accanto a me nella classe di scienze era diventato la cosa più vicina ad un  migliore amico. Il primo che avessi mai avuto. Sentivo di potermi fidare, di poter volere bene senza la paura che mi facesse star male.
“Oggi siamo di buon umore, vero Mike?”
mi guardò attentamente e  scrollò semplicemente le spalle. Momento stesso in cui, persi l’equilibrio e feci cadere tutti i libri che avevo fra le braccia sul pavimento della scuola, suscitando gli sguardi seccati della cerchia dei popolari.
“Tu invece sei tonta come al solito.”
Gli piaceva prendermi in giro. Quel ragazzo aveva la risposta pronta ad ogni provocazione. Non avrebbe mai smesso di stupirmi.
“Ma io lo so perché, biondina.”
Stava affermando beffardo quando qualcuno chiamò i nostri nomi, salvandomi da quella situazione. Michael mi conosceva fin troppo bene, avrebbe capito subito a cosa pensavo ogni giorno. Avrebbe capito di Luke. E nessuno doveva saperlo, prima ancora di me.
Un ragazzo moro correva per il corridoio cercando di raggiungerci. Con i capelli tutti scompigliati e il fiatone, Calum si piegò sulle ginocchia in cerca di aria. Era buffo quel ragazzo. Un po’ sulle sue ma allo stesso tempo socievole con tutti.  Aveva instaurato un rapporto fortissimo con Juliet, dopo averla conosciuta. Io e lui ci conoscevamo da una vita. Da piccoli non ci sopportavamo, ma poi una volta cresciuti eravamo diventati grandi amici. Era uno di quei ragazzi con il sorriso stampato sulle labbra, il vizio del calcio. Tutti volevano essere amici di Calum, e tutte volevano essere la ragazza di Hood ,ad essere sincera.
“Ragazzi.”
Si sistemò in piedi, passandosi una mano fra i capelli.
“Ragazzi, sapete di Ashton e Juliet?”
chiese il moro flettendo leggermente il capo a destra.
“Ju è corsa da me stamattina. Era sconvolta. Povera, Ashton è stato proprio stronzo, le ha spezzato il cuore.”
  Sputai tutto d’un fiato, rendendo ovvio il mio disappunto.
Non ci conoscevamo benissimo, io e Ashton. Lui era sfuggente, soppesava tutto e rideva per ogni cosa. La sua compagnia mi metteva gioia, sì, ma non potevo considerarlo come Calum o Michael. Per me rimaneva e sarebbe sempre rimasto “il ragazzo di Juliet”.  
“Ashton è Ashton.”
Affermò calmo Michael, come se fosse normale trattare così una persona.
Calum si accigliò
“Beh, non pensare che lui ci stia bene. Mi ha raccontato come si sente da un po’ di tempo a questa parte e posso giurare, ha avuto le sue ragioni. Sicuramente però, non doveva dirglielo con un messaggio. È da bastardi.”
“Bisogna farli parlare, in qualche modo.”
Michael rifletteva.
“Che si mollino in faccia se devono proprio farlo.”
Concluse soddisfatto, assumendo un espressione più serena.
“Ma non possono lasciarsi se si amano.”
Aggiunsi.

Era proprio una situazione incasinata. Stavano male tutti e due ma non volevano fare niente per migliorare la situazione. In realtà non era nemmeno sicura che non lo volessero, solo che non ne avessero la forza. Una relazione così… perfetta, stroncata da un episodio che sarà capitato a chissà quante coppie, non è una bella cosa. Calum e Michael erano scioccati quanto me, dovevamo assolutamente fare qualcosa per loro.
 Mentre camminavo per il corridoio del secondo piano, in attesa che la campanella dell’ultima ora dell’ultimo giorno dell’anno suonasse, sentii qualcuno imprecare dal bagno
: “Tubature di merda! E’ la seconda volta questa settimana, come ci torno in classe?!”
non sentivo passi o altro , così mi avvicinai a quello che era il confine sacro tra i bagni maschili e quelli femminili per sbirciare. Rimasi totalmente spiazzata quando mentre tentavo di aprire la porta silenziosamente, uno spruzzo di acqua fredda mi arrivò dritto in faccia, facendomi chiudere la porta di scatto. Mi portai le mani sulle guance, per vedere se il trucco si fosse sciolto e vidi che il mascara era già colato sulla mia faccia.
Sentii dei passi dietro la porta e feci per andarmene di corsa verso la porta del bagno femminile quando una voce familiare chiamò
: “Chi c’è?”
 mi girai e vidi Luke completamente bagnato e anche molto arrabbiato che mi guardava con un misto di insofferenza e stupore.
: “Che diavolo ci fai qui Violet?”
mi chiese stupito
: “Di sicuro non il bagno”
mi misi a ridere facendolo sbuffare pesantemente, era dannatamente bello anche così però, con la maglietta bianca dei Green Day appiccicata addosso e i capelli che colavano sul viso. Vidi di sfuggita McTurner che passava accanto a noi piuttosto di corsa, sembrava andasse verso la mia classe, ma ero troppo concentrata sulla maglia di Luke che replicò
 : “Beh, a me sembra che anche tu ti sia data una bella sciacquata, piccolo panda”
sogghignò leggermente, facendo fare un movimento beffardo perfino al suo piercing e improvvisamente mi ricordai di che aspetto dovevano avere le mie guance rigate di mascara, tra l’altro costosissimo.
 : “Beh Hemmings, non avevo proprio chiesto io che mi arrivasse uno spruzzo di acqua in faccia”
il sorriso si allargò, diventando malizioso
 : “Quindi mi spiavi?”
-: “Non sapevo nemmeno chi ci fosse o cosa stesse succedendo, volevo solo dare un’occhiata”
mi prese per un braccio e mi trascinò con poca grazia dentro quel trionfo di spruzzi che erano i rubinetti del bagno: il pavimento era quasi allagato e sulle piastrelle dei muri non finiva di arrivare acqua .
Fu contro una di queste pareti che Luke mi attaccò prima di mettersi davanti a me e avvicinare pericolosamente il suo viso al mio; doveva piegarsi abbastanza , nonostante il mio metro e settanta.
 : “Così sei pronta a tradirmi con il primo che capita eh?”
il mio sguardo era fisso sul suo piercing, non riuscivo a sostenere quegli occhi blu , sperai con tutto il cuore di non essere rossa e che l’acqua che ormai ci aveva bagnati completamente avesse lavato via quelle righe nere dal mio viso.
 : “Geloso, Hemmings?”
vidi uno scintillio, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo e stavolta fu lui ad abbassarlo, per poi rialzarlo bruscamente e avvicinarsi sempre più senza dire una parola.
Le nostre labbra erano pericolosamente vicine, il mio respiro era diventato abbastanza affannoso , cosa alquanto imbarazzante vista quella che era la romantica seppur bizzarra scena e la distanza andava riducendosi quando la porta si spalancò di colpo, inondando di acqua anche McTurner, accompagnato dalla prof. di scienze, Mrs. Darling.
A volte non capivo proprio come il nome di una persona potesse essere così diverso da quella che era effettivamente la personalità, perché quella donna di “tesoro” non aveva niente, niente. Aveva l’aspetto di una vecchia strega , raggrinzita nel suo perenne tailleur rosso fuoco e la voce stile megafono altoparlante costantemente acceso. Dopo un attimo di esitazione per l’essere stata bagnata, vidi la rabbia accendersi ancora di più nei suoi occhi e sbraitò come una furia
: “Voi due! In presidenza, immediatamente!”






Ed ecco che finalmente presentiamo i personaggi:

Juliet :
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Violet:
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Jashton (?)
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Luke e Juliet:
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Lulet(?):
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Note di Viola e Martina:
Heey! Allora, scusate se nello scorso capitolo non abbiamo messo questo spazio ma abbiamo avuto qualche problemino :') come avrete capito nella ff ci saranno diversi POV e vi anticipiamo che ci saranno diversi colpi di scena riguardanti i Jashton (?) e i Lulet (?) . Poi, grazie per le 211 visite al primo capitolo e le 5 recensioni! Come vedete siamo ancora puntuali nell'aggiornare ma non possiamo garantire nulla ehehe ;) Per i lettori fantasma, grazie comunque di passare ma se leggete questo spazio , PER FAVORE RECENSITE SE VI VA, ci farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, ANCHE CRITICHE. Sopra vi presentiamo finalmente i personaggi :)
Un bacio da 
Tita e Violet xx

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Capitolo 4
*** A Silver Lining ***


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Feeling Connected

A Silver Lining
 
" And I see your true colours shining through, I see your true colours, and that's why I love you"
 

Non ero molto preoccupato per l’andare in presidenza, ci ero stato non so quante volte a dir la verità , non per i miei voti, bensì per la mia “vivace” condotta. Quello che mi dava qualche pensiero era Violet invece, non perché si sarebbe arrabbiata con me, sapevo di per certo che non lo avrebbe fatto, ma perché avevo paura di compromettere lei. Era mai possibile che dovevo mettermi nei guai anche quando volevo solo stare un po’ con la ragazza che… con la ragazza che voglio ? In ogni caso era l’ultimo giorno di scuola , avevamo passato brillantemente gli esami e anche il preside era stanco di starsene a badare a mandrie di ragazzini. Non ci avrebbero fatto niente, non avevamo fatto niente, se non esserci quasi baciati, ma non è un crimine giusto? Io e Violet camminavamo separati dalla Darling che ci lanciava occhiate inferocite e continuava a parlare con quella sua vocetta odiosa
: “ Voi non vi rendete conto di quello che avete fatto! Una ragazza nel bagno dei maschi! Per giunta, stavate facendo cose … non consone all’ambiente scolastico! E le tubature! Le avevamo riparate martedì Hemmings! Martedì! Vorrei proprio sapere il motivo per cui dovevi farle esplodere di nuovo, Lucas.”
Non le avrei risposto. Nessuno doveva chiamarmi Lucas e comunque la trovavo troppo antipatica. Violet adesso mi guardava con un mezzo sorrisetto in viso, come se volesse sentire come avrei fatto a togliermi dai guai, forse dimenticando che c’era dentro anche lei. Sorrisi mestamente, era proprio buffa quella ragazza. Mentre pensavo a cosa avrebbe detto in sua difesa, la vipera tra di noi diede di nuovo sfogo a quella sua voce odiosa
: “Cosa c’è da ridere signorina Hudson? E tu Hemmings, ti ho fatto una domanda.”
: “Intendo dare la mia versione al preside se non le dispiace, lei non mi ascolterebbe.”
Ecco perché finivo sempre in quello studio, davo troppe risposte ai professori e contavo troppo sul mio rendimento per compensare ritardi e lezioni saltate. Mi assumevo le mie responsabilità in fondo e poi il preside ormai aveva fatto l’abitudine alla mia presenza nel suo studio. La professoressa mi guardò indispettita e io sostenni il suo sguardo con fare un po’ beffardo devo ammettere.
: “Vediamo di non passare il limite l’ultimo giorno Hemmings. O forse voi due lo avete già fatto.”
La vecchia si faceva pensieri strani, ma chissà cosa pensano tutti i vecchi della nostra generazione. La porta della presidenza era chiusa ma si sentiva una voce che parlava, il preside diceva 
“Oh no Margaret, è tutto a posto. Domani passo io a riprendere Claudia.”
. La Darling, incurante delle conversazioni del preside con sua moglie molto probabilmente, spalancò la porta nel momento esatto in cui il preside concludeva la conversazione con un frettoloso e alquanto sorpreso “A dopo, cara.” .
La sua faccia era quella di chi è stato sorpreso a fare qualcosa di insolito, probabilmente la stessa faccia che dovevamo avere io e la bionda qualche minuto prima. Quando ci vide completamente bagnati la sua bocca stava per cominciare a ridere ma fu costretto a fermarsi per via del suo ruolo. Lo sguardo però cambiò e diventò contrariato, confermato dalle sue parole
: “Mrs. Darling, dovrebbe bussare prima di irrompere nel mio ufficio, si ricordi che si tratta pur sempre di buona educazione. E poi almeno l’ultimo giorno di scuola, lasci in pace questo ragazzo.”
La donna non gli diede ascolto, si limitò a continuare con il suo solito tono
: “Signor preside, lei non capisce in quali condizioni ho beccato questi due e …”
La mano del preside la zittì bruscamente
: “Oh vedo che c’è qualcuno che gli fa compagnia. Signorina… ?”
Violet diventò appena rossa, forse era un po’ stupita dal tono amichevole del preside nonostante fossimo lì per essere puniti.
: “Hudson. Violet Hudson”
Il preside la fissò , aveva ancora un po’ di mascara sulle guance.Aprì un registro.
: “Allora Violet, media eccellente, proprio come Lucas” lo guardai un po’ torvo e fortunatamente se ne accorse “oh, Luke. Giusto. Ma decisamente migliore nella condotta.”
La bionda accennò un sorriso. Il preside riprese a parlare.
: “Allora, da Luke ho sentito abbastanza scuse. Preferirei fossi tu a spiegarmi cosa stavate facendo tu e Luke nei bagni e come mai siete tutti bagnati. Se la signora Darling vuole uscire, così da non compromettere le vostre versioni.”
La Darling camminò stizzita fuori sbattendo la porta. Cosa voleva quell’uomo? Perché era così gentile? Violet iniziò a raccontare, ora che il pericolo della vipera era fuori campo.
: “Ecco noi, non stavamo facendo niente di male, sono scoppiate le tubature e io ho sentito Luke che le … malediceva. Sono entrata per vedere e poi è arrivata la Darling che ci ha beccati in un momento… poco opportuno?”
Si vedeva che non era mai finita lì. Perché si fidava del preside? L’uomo richiamò dentro la Darling che invece raccontò di averci trovati in “pose sconce” e che eravamo lì ad aspettare che il bagno si allagasse. Il preside la rimandò fuori e aspettò di sentirla allontanarsi per darci il suo verdetto : “Bene ragazzi. Luke, qualcosa da dire?” feci un cenno con il capo “Allora. Vi credo. Ho visto centinaia di situazioni del genere e come sappiamo, la professoressa esagera sempre.”
Tirammo entrambi un sospiro di sollievo.
: “Ma” aggiunse poi “non ho prove per dimostrare che non siate stati voi a menomettere i tubi, visto che erano stati appena riparati e se lasciassi correre il fatto che una ragazza era nel bagno dei ragazzi, per quanto innocenti fossero le vostre intenzioni, quello potrebbe diventare un luogo di “scambi”, non so se mi capite” Adesso lui voleva insegnare a noi questa roba, da non credere. “Quindi, visto che è l’ultimo giorno di scuola, non chiamerò i vostri genitori o vi abbasserò la media in condotta. Ma farete qualcosa di utile , viste le vostre medie scolastiche.”
Sapevo dove voleva andare a parare.

: “Luke, Violet: farete da tutor ai ragazzi del primo e secondo anno che non sono riusciti a passare gli esami per fare quelli di recupero. Per un totale di due settimane in cui li aiuterete nel pomeriggio. Potete fare questo, oppure riparare con le vostre mani i tubi del bagno e farvi abbassare un voto in condotta, il che per Luke sarebbe un problema.Ho finito, buone vacanze ragazzi, divertitevi!”

 

: “Non se ne parla!”
Ero sbottato una volta fuori scuola, subito dopo la nostra visita dal preside. Camminavo ,o meglio correvo, spedito verso casa senza salutare nessuno, tanto che Violet faceva fatica a starmi dietro. Andai perfino a sbattere contro Ashton e usai questa occasione come un motivo in più per fargli capire quanto fossi deluso da lui in quei giorni. Mi fermai solo davanti a Juliet, che parlava concitata con Diana. Quest’ultima le stava dicendo
“Non potete rimanere così, ci parlo io con mio fratello”
e Juliet aveva replicato
“No, è una cosa tra me e lui”.
Juliet era ferita nel profondo, l’avevo vista in questi giorni e vedere mia sorella in quello stato mi uccideva. Mi fermai davanti a loro due e cercai di essere il più gentile possibile con Diana, che lo era sempre tanto con me
: “Ciao Diana, scusaci ma Juliet e io dobbiamo andare adesso, ci vediamo domani sera alle prove ok?”
Mi guardò sorridendo ma con sguardo preoccupato e rispose
: “Certo, parliamo più tardi ok?” disse rivolta a Juliet  “Violet tu resti con me?”
chiese speranzosa
Violet stava rispondendo un : “Va b..” quando la interruppi
: “Violet viene con noi, se non ti dispiace”
accennai un finto sorriso, in fondo lei non era colpevole di nulla in tutto ciò.
: “Va bene, ci vediamo domani ragazzi, io vado da Ashton.”
Al sentire quel nome Juliet abbassò gli occhi e sospirò, Dio, quanto odiavo vederla così. Borbottammo dei saluti frettolosi e ci avviammo con passo un po’ troppo svelto verso casa tanto che Juliet, esasperata dal nostro silenzio e dalla nostra corsa senza motivo ci fermò bruscamente
: “Si può sapere che diamine vi prende?!”
Mi stoppai e mi voltai a guardarla ma fu Violet a rispondere
: “Scusa Ju, ma io e tuo fratello siamo nei guai, per la storia delle tubature.”
Effettivamente non ci aveva fatto domande, la storia doveva esserle arrivata.
: “Si Ju, io e Violet ci siamo fatti beccare … nel posto sbagliato al momento sbagliato. La Darling ci ha accusati di aver rotto le tubature e il preside ha deciso che dobbiamo aiutare quelli che hanno fallito gli esami a recuperare per due settimane, a partire da questo giovedì.”
Lo dissi tutto d’un fiato, come a trattenere la rabbia. Ero furioso per davvero, passare i primi pomeriggi d’estate a fare da maestri a degli svogliati del primo anno. Il sogno di ogni ragazzo. Juliet sorrise per la prima volta da martedì sera, era così bella quando lo faceva.
: “Non chiederò cosa stavate facendo” aggiunse ridendo lievemente “ma guardate il lato positivo, avete evitato di peggio e poi è un’occasione per ripassare anche per voi no?”
Capii al volo dove voleva arrivare. Mandava frecciate la mia sorellina. Io e la bionda ridemmo con lei , ma io ero particolarmente felice di quella sua piccola risata, vederla così anche solo per un momento mi rendeva felice, come la vicinanza di Violet mi aveva reso felice poco prima nei bagni. Era una felicità diversa, ma quegli istanti mi facevano sbollire la rabbia. Juliet aveva maledettamente ragione,accecato dal nervosismo non avevo nemmeno considerato quell’occasione come una possibilità per passare più tempo con Violet. Improvvisamente non mi sembrava più così terribile dover passare tutti quei pomeriggi con dei ragazzini, se c’era anche lei.
: “Io vorrei comunque fare qualsiasi altra cosa pur di non dover stare rinchiusa in una stanza con dei ragazzini annoiati.”
Non mi fece proprio piacere sentire quelle parole. Non aveva considerato che c’ero anche io? O forse non le importava? Forse i suoi rossori davanti a me erano solo una mia impressione. Mi stavo riempiendo la testa di domande come una ragazzina.
: “Allora, vogliamo camminare o no?” 
domandai con insofferenza, forse davo a vedere che ero rimasto deluso dalle sue parole. Juliet se ne era accorta sicuramente, mentre parlava con Violet continuava a guardarmi di sottecchi e io la intercettai un paio di volte. Sembrava volermi dire “dai, lo so che puoi farcela”. All’inizio la ignorai, cercando di convincermi che fossero sguardi per incoraggiarmi a ‘fare il professore’ ma quando capii il suo vero intento cominciai a raccogliere le sue occhiate per farmi forza. Durante tutto il tragitto cercai le parole e quando arrivammo davanti casa di Violet, il destino volle che arrivasse Calum.
: “Hey ragazzi, che musi lunghi! Comunque , non c’è bisogno che lo chiediate, vi ho perdonato per non avermi salutato , ho saputo quello che è successo! Io devo scappare, ci vediamo domani sera ok?”
: “Non saluti Juliet?” aggiunsi sperando che cogliesse il messaggio. Juliet si era chinata poco più in là di dove eravamo noi per allacciarsi le scarpe. Calum si passò una mano tra i capelli scompigliati per rimetterli in ordine e rispose
: “Si certo, adesso la riaccompagno anche a casa!”
Calum prese Juliet, che si era appena rialzata, per un braccio e la trascinò via di corsa ma con infinita delicatezza. Juliet mi fissò per un po’  mentre camminavano allontanandosi con sguardo incoraggiante che mi mise in verità solo ansia.  Cominciai a guardarmi le punte dei piedi, diventate improvvisamente la cosa più interessante al mondo e Violet prese invece a fissare me e il mio strano dondolio di quel momento. Dovevo dare un senso a quella situazione e non so dove trovai il coraggio per dirle
: “Violet, prima di salutarci con un imbarazzante e semplice ‘ciao’, volevo chiederti una cosa.”
Lei mi guardò incuriosita e non replicò , così continuai
: “Domani sera, ho pensato di rimandare le prove.”
Mi fissò interrogativa
: “Va bene, mi stai invitando alle prossime?”
Non andava bene, dovevo arrivare al punto

: “Ti sto invitando a uscire. Domani sera.”
: “Perché non lo hai detto a Calum , allora?”
Fantastico
: “In realtà speravo in un ‘certo Luke, voglio uscire con te’ , sai?”
Abbassò lo sguardo, prendendo a fissarsi anche lei i piedi, obiettivo centrato.
: “L-luke, non credevo ci fosse bisogno di esplicitare che accettavo…”
Rialzò leggermente la testa, prendendo a fissarmi il ciuffo. Non mi guardava mai negli occhi. Mi avvicinai e le presi il mento, avvicinando di nuovo la sua testa alla mia. Vidi con piacere che ora che era costretta a guardarmi negli occhi il respiro era diventato un po’ più veloce.

: “A domani, tutor.” Le sussurrai prima di allontanarmi da lei per tornare verso casa.

Non sapevo cosa il mio comportamento suscitasse in Violet, ma mi piaceva fare quello sfuggente con lei.  Tornando a casa avevo trovato Juliet ad aspettarmi seduta sulla panchina di fronte casa nostra , mentre leggeva un libro. Mi parai davanti a lei facendole alzare lo sguardo e mi fissò negli occhi. Mi dicevano tutti quanto il blu delle mie iridi fosse bello ma gli occhi di mia sorella inchiodavano. Erano verdi , dello stesso colore di quelli di Ashton ma i suoi erano letteralmente brillanti, solo che oggi erano spenti.
: “Prove rimandate?”
Ci aveva sentiti? Impossibile, ma era mia sorella.
: “Così pare.”
Non riuscivo a mostrarmi entusiasta o impaziente come effettivamente mi sentivo ma sapevo che Juliet avrebbe capito. Sfoderò un sorriso e si alzò venendo ad abbracciarmi e io la sollevai da terra. Non era bassa ma rispetto a me era piccolina e mi piaceva abbracciarla in quel modo, cercavo di trasmetterle tutto l’amore che avevo per lei che era la persona più importante della mia famiglia. Decisi di tentare
: “Juliet, se non vuoi che proviamo da noi va bene. Così non sei cost…”
Non riuscii a finire la frase, un po’ perché avevo paura di farle male , un po’ perché lei mi fissò e mi disse semplicemente 
: “No, la band non deve essere influenzata da questa cosa, non avete un altro posto in cui provare.”
: “Ma no, dopo ieri sera Will ci ha detto che quando vogliamo possiamo provare lì la mattina, basta chiedere ad Alyssa di …”
Fu solo quando vidi la scintilla di gelosia mista a rabbia nello sguardo di Juliet che mi resi conto di chi avevo appena nominato. Sembrava di essere tornati a quattordici anni, dove non si può nominare la persona di cui si è gelosi senza scatenare il finimondo ma per fortuna Juliet i quattordici anni li aveva compiuti da un pezzo e senza distogliere lo sguardo da me mi rispose
: “Certo, è logico. Comunque per me potete provare da noi, così passo un po’ di tempo con Calum e Michael, nell’ultimo periodo non ci siamo visti molto.”
Sorrise appena

: “Juliet, sai che ci sarà anche lui.”

: “Lo speravo comunque.”
Che casino.


 

La mattina seguente, finalmente in vacanza, decisi finalmente dove avrei portato Violet. Era curioso come mi fossi ricordato di quel luogo: passando dei canali alla tv, ero capitato per caso su NatGeo dove c’era uno speciale su Sydney e stavano parlando del West Head Look Out. Mi piaceva tantissimo andare lì da piccolo con Juliet e fingere di volare. Era un punto panoramico a strapiombo su una delle più belle spiagge di Sydney e molto vicino al centro, sapevo che le sarebbe piaciuto. Le mandai un sms.
: “Harbour Bridge, ore 18. Puntuale. Luke
Attesi qualche minuto la sua risposta
: “Cos’è, hai il coprifuoco la sera?”
Tipica risposta da Violet
: “Può darsi, puntuale.”
Non rispose ma andava bene così, sapevo che non lo avrebbe fatto e che si sarebbe presentata puntuale. All’improvviso mi sembrava di aver esagerato per un primo appuntamento ma ci conoscevamo troppo bene per un semplice bar o una passeggiata e volevo sinceramente che le rimanesse qualcosa di quell’appuntamento. Non sapevo se i miei sentimenti per lei fossero amore o altro e credo che nemmeno lei lo sapesse , ma sapevo che valeva la pena provare.
La sera fui costretto a chiamare Juliet per decidere cosa mettermi, in questa famiglia avevamo tutti bisogno di consigli su come vestirci. Mentre io avevo ribaltato l’armadio, lei trovò subito una semplice canotta bianca con un giubbotto di pelle nera sopra e dei jeans tendenti al nero abbastanza aderenti. Non era troppo… punk rock , “si abbina a quel coso” aveva detto mia sorella indicando con sdegno il mio piercing. Effettivamente a parte il giubbotto era tutto nel mio stile e devo ammettere che mi piaceva. Chissà come si sarebbe preparata Violet, speravo abbastanza in linea con i miei vestiti. I capelli furono il tocco più difficile ma alla fine decidi di lasciare il solito ciuffo all’aria. Guardai l’orologio e vidi che erano le 18.10 e Harbour Bridge distava 15 minuti da casa mia. Altra caratteristica della famiglia, perennemente in ritardo. Salutai Juliet con un abbraccio frettoloso e cominciai a camminare sempre più velocemente, fino a correre verso l’imbocco di Harbour Bridge. Cominciai a guardarmi intorno mentre mi avvicinavo al ponte e la vidi arrivare, di corsa anche lei, in un bellissimo abito grigio , tendente a delle sfumature nerastre e i capelli raccolti in uno chignon altissimo. Era a dir poco stupenda ma il nostro saluto non fu dei migliori. Erano le 18.25. Almeno eravamo pari. Ci guardammo per un secondo, con il fiatone , e all’unisono sussurrammo
: “Hey”
Ci scappò una risata ma non riuscimmo ad avvicinarci oltre un certo limite. Passarono circa dieci minuti in cui ci chiedemmo dei rispettivi look e la risposta fu la stessa per tutti e due “Juliet.” , ecco perché era così sicura del mio look. Mentre lei si allontanava in una direzione io la bloccai per un braccio
: “ Non andiamo a passeggiare lungo il ponte?”
Chiese incuriosita
: “In realtà no.”
Chiamai un taxi, andare a piedi sarebbe stato faticoso e dovevo in qualche modo compensare la mancata cena. Durante tutto il tragitto in taxi le nostre mani erano pericolosamente vicine ma né io né lei ci azzardammo a stringerle. C’era molto traffico quella sera e ci mettemmo un po’ ad arrivare. Una volta scesi le dissi
: “So che è stupido, ma devo chiederti di metterti questa. Non parlare, ti prego.”
 Potevo essere sembrato un po’ scontroso ma la sentii fremere di impazienza mentre le bendavo gli occhi con la fascia di cotone bianca. Per tutto il tragitto fino al punto fui costretto a tenerle la mano , non che non fossi più che felice di farlo, ma era sceso uno strano imbarazzo. Quando ci fermammo dove volevo, per fortuna non c’era nessuno. Potevano essere passate da poco le sette. La abbracciai da dietro, sentendola tremare appena e mi godetti appieno quella sensazione, mi sentivo felice che lei avesse quella reazione, forse perché era la stessa che avevo io. Le slacciai la benda e vidi che teneva gli occhi chiusi.
: “Pronta?”
Fece un cenno con la testa
: “Apri gli occhi.”
Senza smettere di abbracciarla la osservai mentre guardava stupita il sole che si avviava a tramontare. Spostava in continuazione lo sguardo dal sole, al mare sotto di noi, al cielo , a me. Mi guardò con stupore, come se fossi anche io parte di quel paesaggio.
: “Luke io…”
Vedevo che era sinceramente colpita e la cosa mi fece decidere a fare quello che non avevo finito la mattina precedente. La spostai, in modo che i raggi del sole finissero sui suoi capelli biondi, che improvvisamente sembravano parte di esso e avvicinai i nostri visi, facendo combaciare la nostra fronte e i nostri nasi. Nessuno dei due era agitato adesso e le nostre labbra trovarono facilmente la strada per quel nostro primo bacio. Avevo le sensazioni amplificate e devo ammetterlo, Violet era vicina a me in quel momento. Sentivo le sue labbra contro il mio piercing e sapevo che la cosa le piaceva. Potevo sentire come il suo corpo si era teso e poi rilassato e come il nostro calore contrastava la fredda arietta che si stava levando. Pensavo a quanto probabilmente senza rendercene conto avessimo desiderato quel momento. Mentre ci staccavamo potevo sentire anche la felicità e vidi che riaprivamo entrambi gli occhi, scambiandoci sguardi complici.
Stavamo osservando finalmente il tramonto quando vidi che accanto a noi erano arrivate altre due figure. Rimasi estremamente colpito nel vedere che una somigliava incredibilmente a mia sorella. Violet doveva avere la stessa sensazione e sgranò gli occhi dicendo
: “Ciao Diana!”
La vera sorpresa fu il vedere chi c’era con Diana
: “Mike?”
Dissi visibilmente sorpreso
: “Eccoci qua.”
Replicò Michael come a dire che era una situazione curiosa. E lo era. Quello che temevo fu quello che poi Violet chiese a Diana
: “Hey Diana, vi va di fare una passeggiata insieme?”
Sapeva che non mi andava e non andava nemmeno a Violet , a giudicare dallo sguardo che mi rivolse. Furono ben felici di venire con noi, a giudicare dallo sguardo dei due capivo che l’appuntamento non era andato molto bene. Finimmo a sederci in un chiosco e Michael cominciò un discorso, parlando di Ashton e Juliet e di come dovevamo fare per farli parlare. L’argomento mi intristiva e il mio intento era passare una bella serata con Violet, così sviai il discorso
: “Violet, andiamo a prendere da bere?”
Lei si girò a guardarmi come a supplicarmi di farlo e non appena fummo lontani dai nostri amici , si avvicinò e mi disse a bassa voce
: “Credo che abbiamo un problema.”
Capivo cosa intesse. Da quando Diana e Michael si erano uniti a noi l’aria si era caricata di tensione. La si poteva tagliare con un coltello.  Diana aveva guardato Violet come a supplicarla di salvarle l’appuntamento. L’avevo capito benissimo. Michael si era abbandonato a fissare un punto ignoto in lontananza, aveva lo sguardo perso. Sapevo che con quell’appuntamento voleva chiudere, voleva accettarsi di non provare più nulla per Diana. C’era, però, qualcosa che mi sfuggiva. Mancava qualcosa. C’era qualcosa che forse Violet sapeva ed io no.
Non ci pensai troppo. Volevo solo stare con lei, per una volta. Volevo noi due. Volevo stare da soli. Nessun’altro. Né Michael. Né Diana. Nessuno.
Possibile che il destino fosse sempre a mio sfavore?
La guardai complice ridacchiando
: “Volevi stare da sola con me, eh?” la provocai. La vidi spalancare gli occhi. Mi assestò una leggera gomitata nello stomaco e come se sapesse, sentenziò trattenendo una risata
: “Parla per te, Hemmings.”
: “Andiamo via.” Ero serio. Per la prima volta nella serata, o forse da quando avevo capito di essere interessato a lei, non avrei avuto paura di dirle tutto. La guardai negli occhi e le presi una mano, accarezzandone il dorso con il pollice. Chiuse gli occhi, cercando un briciolo ragione. Sapevo che sarebbe scappata con me anche subito. La conoscevo. Aprì gli occhi e mi esaminò gli occhi. Prese ad arrossire. Mi piaceva vederla arrossire, mi piaceva avere quell’effetto su di lei. Sentivo che le facevo provare qualcosa di cui era spaventata, qualcosa che non voleva sapere.
: “Non possiamo lasciarli così.” Disse infine. Aveva trovato la ragione. Mi bagnai il labbro inferiore con la lingua per poi cominciare a giocare con il piercing, come facevo sempre quando pensavo.
Era vero. Michael e Diana erano nostri amici. Dovevamo aiutarli. O per lo meno, provarci. Abbassai lo sguardo. Avevo la sua mano nella mia. Sorrisi a tutto ciò. Non avrei mai pensato che sarebbe successo. Non tutto così in fretta, almeno. Decisi di tornare dai ragazzi. Intrecciai di più le nostre dita e la vidi rabbrividire mentre camminavamo.
Trovammo Michael e Diana che si scontravano animatamente. Il veno che soffiava sempre più insistente sembrava incitarli. Diana si stava appena alzando, una lacrima che le infiammava la guancia, gli occhi leggermente arrossati, lo sguardo freddo, serio, duro; le parole le uscirono tremanti ma decise e micidiali.
:“Ho capito. Io non sono più nei tuoi piani.” Guardò un’ultima volta Michael, che era rimasto fin troppo sconvolto e se ne andò.
Violet mi strinse ulteriormente la mano, provocandomi una serie di brividi lungo tutta la schiena. La avvicinai a me e la abbracciai senza motivo. Forse un motivo c’era. Sentivo un assoluto bisogno di sapere che lei fosse lì, che almeno per noi stesse andando tutto bene. Ricambiò il gesto e poggiò la testa nell’incavo del mio collo. Sentivo il suo respiro irregolare sulla mia pelle. Era affannoso. Lo aveva sempre quando la avvicinavo a me. Questa volta però, non era l’unica.
Sentivo lo sguardo di Michael puntato su di me, lo sentivo bruciarmi e guardarmi dentro.
Violet alzò la testa, mi guardò con intesa incitandomi a parlare con Michael e sia avviò a seguire Diana.
Doveva essere un appuntamento, non un tentativo di tenere insieme qualcosa che si era già distrutto da troppo tempo.
Nel complesso però, era stato il miglior appuntamento di sempre: complicato, imbarazzante, timido e romantico al punto giusto. Né poco, né troppo. Ero alquanto fiero di me.
: “Ma cosa diavolo ti salta in mente, Michael?”
il diretto interessato alzò lo sguardo verso di me come se si fosse appena svegliato.
: “Ci siamo già lasciati, è inutile che si piange addosso.”
Pensò ad alta voce, parlando più con se stesso che con me.
: “Stai parlando come un insensibile. E tu non lo sei, Mike.” Mi guardava insistente e sembrava solo confuso, sconvolto e sconfitto. Come se avesse scoperto qualcosa che nascondeva da troppo tempo. Ma quello che più mi stupì fu che, quel mix di emozioni che gli leggevo negli occhi non erano a causa di Diana, come sembrava volersi convincere. No; era a causa di qualcos’altro. Qualcosa che mi sfuggiva, ancora una volta.
 
 *Diana's POV*
Finito, chiuso per sempre.
Camminavo lasciandomi dietro una parte di me che volevo dimenticare. Lasciavo andare il passato. E se anche con dolore, volevo davvero farlo, questa volta. Niente più Michael. Avevo smesso di piangermi addosso. Non aveva senso. Avevo già versato troppe lacrime tempo prima per qualcosa di irrecuperabile.
Con quell’appuntamento volevamo tutti e due un chiarimento. Volevo solo sapere se mi amava ancora. Io, dal conto mio, non avevo mai smesso di amarlo. Nemmeno per un minuto, nemmeno per scherzo. Questa volta però, era davvero ora di voltare pagina, di stravolgere le cose, di andare avanti. Niente più dolore. Niente più Michael.
Mi girai e trovai Violet a seguirmi, come avevo immaginato.
“Va tutto bene Violet. Torna da Luke, non voglio rovinarvi la serata.”
Accennai un mezzo sorriso. Non piangevo più. Ora ero determinata, come non mai.
“Non dire sciocchezze, Diana.”
Le si aprì un sorrisone affabile, mi raggiunse e mi abbracciò.
“Penso che dobbiate restare solo amici.”
Mi sospirò all’orecchio. “Almeno finchè non avrà le idee chiare.”
E mi strinse più forte.
Avevo ragione.
Io, non ero più nei suoi piani.













NOTE AUTRICI:
HHEYY pipol (?) abbiamo aggiornato con un giorno di anticipo! Woohoo non ce la facevamo, questo capitolo ci piace un casino e speriamo piaccia anche a voi! In ogni modo fatecelo sapere, magari con una recensione anche piccolina:3
Grazie mille per le visite e le recensioni agli altri capitoli, a questo ci teniamo particolarmente :) 
A presto!
Tita e Violet xx

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Capitolo 5
*** Chasing Pavements ***


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Feeling Connected

Chasing pavements
 
"I wish that i could tie you up in my shoes"
 

Dopo aver tranquillizzato Diana, che era fin troppo decisa a cancellare Michael dalla sua vita, eravamo tornate indietro e avevamo visto i ragazzi seduti uno di fronte all’altro. Luke sembrava stesse rimproverando Michael, il quale si limitava a tenere lo sguardo fisso sulle sue mani intrecciate sulla superficie del tavolo, come se non lo stesse ascoltando.
: “Su Michael, falla finita e chiedile scusa.”
Stava dicendo il biondo con lo sguardo scocciato.
: “Smettila di farmi la predica, Hemmings. Sei tu il primo che si comporta male con le ragazze. Spero solo che con Violet sia diverso. Lei si merita un ragazzo che la ami seriamente.”
Il volto di Luke era sbiancato completamente. Deglutì rumorosamente cercando di mantenere la calma e nascondere l’incredulità. Come aveva potuto Michael rivolgergli quelle parole così piene di veleno? Lui, che sapeva ogni cosa di Luke. Lui, che conosceva perfettamente ogni sfumatura, luce ed ombra del carattere dell’amico. Lui, che sapeva meglio di chiunque altro quanto gli fosse difficile affezionarsi alle persone.
Anche io, che mi sentivo chiamata in causa, non riuscivo a credere alle mie orecchie. Era ovvio che Michael avesse detto quelle parole preso dalla rabbia del momento. Era ovvio che si fosse sentito giudicato persino dal suo migliore amico. Ma mai avrei pensato potesse essere così velenoso verso Luke.
Mi schiarii la gola, rendendo palese la presenza mia e di Diana. Cercavo di cancellare quelle parole, anche se sapevo che sarebbe stato alquanto inutile.
Michael sembrò tornare in sé e si girò verso di noi con un’ espressione indecifrabile sul viso. Si alzò in piedi, mi lanciò un’occhiata fugace che non tradussi e si avvicinò a Diana, che lo osservava in ogni movimento fredda e minuziosa.
Pensai bene di raggiungere il biondo e lasciarli soli.
Vidi Michael accarezzarle il braccio e dirle debolmente che non sentiva più lo stesso per lei, che sarebbe stato meglio rimanere solo amici. Diversamente da come si sarebbe aspettato, Diana non scoppiò a piangere, né tantomeno crollò. Lo fissò in quei suoi occhi trasparenti e annuì con forza.
Ero fiera di lei e di come fosse riuscita a controllare i sentimenti. Era restata forte, era restata lucida come avrebbe voluto essere. Si girò verso di me, mi salutò con la mano e si diresse da qualche parte con Michael.
Sentii Luke buttare fuori un sospiro di sollievo e la sua mano insinuarsi nella mia. Tentai di rassicuralo aumentando un po’ la mia stretta sulla sua mano. Si girò verso di me e mi sorrise debolmente, mordendosi soprappensiero il labbro inferiore. Sentivo le gambe diventarmi molli e per un attimo dubitai potessero reggermi ancora a lungo. Maledetto Hemmings, cosa mi fa!
Lui sembrò accorgersi di tutto. Mi prese i fianchi e mi attirò a sé, posizionandomi fra le sue gambe, visto che era ancora seduto. Nonostante ciò, la sua altezza vinceva in ogni caso. Avvicinò il suo viso al mio e poggiò la sua fronte sulla mia. Presi a guardarlo negli occhi. Quegli occhi persi. Oceani sconfinati. Annegavo e non riuscivo a tornare in superficie.
Luke fece scontrare il mio naso con il suo, strofinandoli fra di loro. Continuò così per un lasso di tempo che mi sembrò fin troppo poco. Mi sembrava una cosa estremamente tenera. Di solito, sono i bambini a fare questo gioco. Lui lo stava facendo con me e non credevo di star respirando.
: “Sarà meglio che andiamo, si è fatto tardi.”
Il suo respiro sulle mie labbra mi diede alla testa. Si allontanò un po’, mantenendo la mia mano nella sua. Sembrava non volesse lasciarla andare. Non che a me infastidisse. Affatto. Sarei restata così anche per sempre.
Io sembravo paralizzata. Lui dovette trascinarmi leggermente. Il silenzio che calò poi non era di quelli imbarazzanti. Piuttosto, lo vedevo un po’ pensieroso. Per quello che Michael gli aveva detto, supposi.
Percorremmo tutta la strada a ritroso. Fermammo un taxi per poi salirci ed arrivare fino ad Harbour Bridge. Luke decise di accompagnarmi fino a casa. Faceva freddo con quel vestito, nella notte di Sydney. Lui se ne accorse e fece una di quelle cose che non mi sarei mai aspettata. Una di quelle cose da film smielati che danno il voltastomaco. Si tolse la giacca di pelle e me la poggiò delicatamente sulle spalle. Non sapevo cosa dire, per la verità. Arrossii violentemente senza aggiungere che un flebile “grazie”. Luke sorrise vedendomi così impacciata. Lo faceva sempre.
La giacca profumava di lui. Un mix fra il mare, la menta e casa. Sorrisi istintivamente. Provavo qualcosa di troppo forte per quel ragazzo.
Durante il tragitto parlammo un po’ di tutto. Era bello parlare con Luke. Vedere le sue reazioni. Vederlo sorridere. Vederlo ridere. Vederlo increspare le labbra. Vederlo e basta.
Il tempo passò fin troppo in fretta e ci trovammo sotto casa mia. Si fermò, mi osservò per un po’ e si avvicinò a me.
: “Per quello che ha detto Michael, io non la penso-”
Luke annullò le distanze impedendomi di parlare, o respirare o qualsiasi altra cosa. Questo, a differenza del primo, era un bacio dolce, una carezza, quasi a fior di labbra.
Quasi una buonanotte. Il biondino si staccò di poco
: “Buonanotte Violet”
soffiò infatti sulle mie labbra. Non feci in tempo a restituirgli la il saluto che Luke si infilò entrambe le mani in tasca e prese a camminare verso casa sua, a diversi isolati dalla mia. Mi resi improvvisamente conto di quanto stessi cadendo nel tipo di trappola che avevo sempre cercato di evitare , ma forse se la trappola era Luke, dopo quella sera avrei potuto anche ripensarci.


Il lunedì mattina fui svegliata dal suono del campanello. Sbuffai più volte per la situazione in cui mi trovavo: appena sveglia, un pagliaio al posto dei capelli e addosso solo un pantaloncino della tuta e la canotta.
Urlai un “Arrivo subito” concitato con la voce ancora impastata dal sonno e mi legaii i capelli in una coda di cavallo fin troppo disordinata poi scesi ad apre la porta.
Calum era completamente bagnato . I capelli attaccati alla fronte che gocciolavano di tanto in tanto e un’aria tesa. Certo che nessuno di noi aveva molta fortuna con l’acqua. Mi trattenni inutilmente da scoppiare a ridere.
: “Buongiorno anche a te, Hudson.”
Continuai a ridere, tenendomi la pancia con le mani. Aveva un’espressione troppo buffa sul volto.
: “Cazzo di temporali estivi.”
Continuò il moro guardandomi male. Mi spostai per farlo entrare.
“Smettila di ridere, non è che tu sei messa tanto meglio di me!” esclamò.
Mi diressi in cucina, presi una mela e cominciai a consumarla comodamente.
: “Ci credo, mi hai svegliato Hood.”
Ridacchiò e si sedette su una sedia in cucina, prendendo ad asciugarsi i capelli con l’asciugamano che gli avevo passato.
:”Allora” ripresi io “Come mai tutta questa fretta di vedermi? Devi dirmi qualcosa?” mi sistemai meglio appoggiata alla credenza, alzai lo sguardo e lo osservai per un po’.
Calum arrossì leggermente e si schiarì la gola.
: “Mh, allora, vedi …” temporeggiava, lo conoscevo.
Gli lanciai un’occhiata incoraggiante.
: “Pensavo a… alla canzone che abbiamo cantato l’altra sera. Parla di… ” Fece, affievolendo sempre più la voce mano a mano che terminava la frase. Si torturava le mani e si mordeva il labbro inferiore quasi a sangue.
“Lei.” Risposi tranquillamente.
Strabuzzò gli occhi e mi guardò incredulo.
: “Andiamo Cal! Ti conosco come casa mia. Pensavi davvero di riuscire a nascondermelo ancora per molto?”
deglutì e sorrise. Sicuramente era stato più facile così. In ogni modo, lo conoscevo meglio di chiunque altro, non poteva nascondermi nulla.
: “Quando glielo dirai?”
mi guardò un po’ amareggiato. Poi si alzò e mi raggiunse appoggiato alla credenza.
: “È così evidente?” chiese solo. Sorrise così innocentemente che istintivamente mi buttai addosso a lui e lo abbracciai forte.
: “Si.” Gli sussurrai ridacchiando al orecchio. Lo sentii sospirare rassegnato.
Passammo tutta la mattina sul divano a guardare cartoni animati , a farci il solletico e parlare. All’improvviso mi guardò e mi disse
: “In realtà non penso di dirglielo propriamente.”
Calum era un genio, nonostante la sua timidezza. Mi era mancato passare del tempo con lui. Mi era mancato lui, per certi versi. Non che non ci vedessimo, ma ultimamente lui stava più con Ashton ed io con Michael. Era da un po’ che non stavamo da soli. Improvvisamente mi ricordai che non avevamo considerato una cosa.
: “Calum?”
: “Mmh?” rispose a mezza bocca.
Probabilmente stavamo pensando la stessa cosa, mi guardava interrogativo.
: “Ma lei ce l’ha un Romeo.”
Il suo sguardo divenne serio e vi lessi una nota di coraggio
: “Non lascerò che muoia per lui.”

Pensavo ancora a quanto buffa fosse quella situazione, era incredibile cosa stava succedendo in così poco tempo. Era ora di pranzo e Calum stava per andarsene , era finalmente tornato il sole, quando gli proposi di restare a pranzo, i miei sarebbero stati fuori tutto il giorno, in fondo era Lunedì , e mio fratello era all’università a Melbourne.
: “Vuoi davvero mangiare ancora? Dopo tutte quelle caramelle?”
Mi chiese sorpreso
: “Beh, io ho fame!”
Non capivo cosa c’era di male, la linea non era uno dei miei problemi, mi piaceva mangiare e lo facevo.
: “Mi sorprendi sempre Hudson.”
: “Non sono io quella da sorprendere Cal.”
Non finii la frase che lui abbassò lo sguardo
“Ma sono sicura che riuscirai anche in quello.”
Rialzò la testa e mi fissò di nuovo con quello sguardo innocente da bambino. Forse avrei dovuto stare zitta, sorprenderla non sarebbe bastato , lo sapevamo entrambi.
: “Voglio solo che vada avanti. E sono convinto che lo farà, vorrei solo che lo facesse con me.”
Non ero mai stata brava con le parole, preferivo dimostrare i miei sentimenti ma adesso sembravo carente anche in quello, cosa potevo fare? Ero del tutto impotente in quella situazione, non potevo sperare che tutto andasse come volevamo. Stavo per stringerlo di nuovo a me quando suonò il telefono di Calum, comparve un nome sullo schermo e lo vidi illuminarsi. Rispose dopo un po’ di squilli, come uno stupido.
: “Heey! Chi si risente!”
Mise il vivavoce
: “Cal , sono Luke.”
Improvvisamente l’entusiasmo si spense, ma si accese il mio.
: “Ah, ciao Luke.”
: “Amico, lo so che avresti preferito che fosse qualcun altro ma sta dormendo ,io non ho credito e avevo bisogno di un cellulare. Volevo dirti che le prove sono rimandate, di nuovo, a mercoledì. Stasera devo studiare.”
Mi guardò malizioso
: “Ah bene, allora spero ti farà piacere sapere che sono qui con la tua ragazza-tutor”
Rispondemmo all’unisono
: “Ma noi non siamo…”
Scoppiammo a ridere tutti e tre e alla fine fui io a parlare
: “Ciao Luke.”
Lo dissi in tono delicato, quasi avessi paura che tutto quello che era stata la nostra serata fosse solo un’illusione
: “Ciao Violet.”
Mi rispose con lo stesso tono rendendomi immensamente tranquilla.
: “Ragazzi hey calma, non vorrei rovinarmi la glicemia.”
Sentii lo sbuffo di Luke che mi fece sorridere come una stupida e Calum mi guardò un po’ di sbieco
: “Calum non è lui quello che de…”
Calum mi guardò impaurito, obbligandomi a fermarmi, rendendomi conto di quello che stavo per dire, fu Luke a continuare
: “ Che deve decidersi a scrivere qualcosa di buono da suonare! Calum io queste settimane non posso, ci serve una canzone nuova, l’ultima l’abbiamo scritta tre mesi fa.”
Aveva mancato di poco, ma fui grata che lo avesse fatto, Luke avrebbe ucciso anche me.
: “Hemmings, oggi vedi di arrivare puntuale, abbiamo molto da fare.”
Gli risposi deviando il discorso. Calum cercò di contenersi inutilmente ma alla fine sbottò
: “Ragazzi, queste sono cose vostre!”
La sua risata era troppo cristallina ma scoppiai a ridere solo io mentre il biondo replicò
: “Cal , prendi esempio da due bravi studenti come noi! Tanto lo so che Violet non vede l’ora di vedermi”
Potevo immaginare la sua faccia in quel momento, mentre si mordeva il labbro e faceva quello sguardo beffardo.
: “Devi imparare a parlare per il tuo conto, Lucas.”
Risposti per vedere, o meglio per sentire , come reagiva.
: “Vieni ad aprire la porta piuttosto, sta per ricominciare a piovere e non vorrei inzupparmi come sicuramente ha fatto quel deficiente accanto a te.”
Mi assalì la paura. Ero in quello stato e lui stava per entrare . Calum attaccò il telefono e io corsi di sopra, mentre lui mi guardava incredulo
: “Violet si può sapere dove diamine stai andando? Luke sta aspettando”
Gli risposi dal bagno al piano di sopra, mentre cercavo di sciogliere la coda, i capelli si erano annodati attorno all’elastico
: “Tu le mani non le hai? Dai Cal, io sono in pigiama!”
Mentre lo sentivo allontanarsi verso la porta mi rispose
: “Secondo me non ha nulla in contrario!”
Mi stavo infilando le scarpe da ginnastica sotto un paio di pantaloncini e la felpa di mio fratello Finn quando sentii dei passi lungo le scale e mi precipitai fuori a sbarrare la strada a quei due idioti che le stavano salendo. Ringraziai che mi fossi vestita
: “Si può sapere che cosa avete in testa? C’è una ragazza che si cambia qui su.”
Luke mi prese per un braccio e mi avvicinò a se
: “Sarei stato stupido a non salire allora.”
Non potei evitare di arrossire, sapevo che non diceva sul serio, gli piaceva fare il playboy. Ma volevo fare l’incazzata e la sfuggente, dovevo mantenere viva la complessità del nostro rapporto. Così mi allontanai bruscamente dirigendomi di sotto e gli risposi mentre scendevo
: “Sei stupido in ogni occasione tanto, non vedo la differenza.”
Li sentii correre giù per le scale e improvvisamente sentii un tonfo molto forte. Mi voltai dalla porta della cucina e vidi Luke e Calum che erano caduti uno sull’altro e tentando di trattenere le mie risate mi avvicinai con la camminata tipica della prof di scienze e mi misi a sbraitare
: “Hemmings e Hood! Come vi viene in mente di fare queste pose in un ambiente come questo?!”
Mentre Luke rideva prendendo a scherzo la mia battuta e tentava di staccarsi da Calum quest’ultimo rispose
: “Violet, sei più bella della Darling ma oggi sei acida quasi quanto lei.”
Poi scoppiò a ridere anche lui, non ci si annoiava mai con quei due. Luke era venuto molto prima del previsto e la cosa mi piaceva , così decisi di chiedere anche a lui di restare a pranzo.
: “Avevi invitato Calum e non me? Devo essere geloso?”
Chiese avvicinandosi pericolosamente e abbracciandomi , continuando a guardarmi negli occhi. Decisi di lasciarlo fare, in fondo qualcosa eravamo, ma cosa?
: “Non di me Hemmings.”
Risposi con la voce ridotta a un soffio che probabilmente arrivò solo a Calum, il quale mi guardò per la seconda volta come se avessi bestemmiato Katy Perry, visto che Luke stava rispondendo al telefono. “Ashton” c’era scritto sul display. Lo sguardo di tutti e tre si incupì un po’ ma in quello dei due ragazzi lessi una nota di nostalgia, forse riferita alla Juliet che era stata fino a pochi giorni prima. Il biondo rispose mentre io e Calum lo guardavamo un po’ curiosi
: “Ashton?”
: “Luke? Non importa, sono Diana. Ci sono Calum e Mike… Michael , con te?”
: “Carenza di credito anche da quelle parti eh? Qui ci sono Calum e Violet, Michael non so dove sia, che devi dirci?”
Deglutii e sorrisi allo stesso tempo, Diana stava davvero cercando di cancellare quel ragazzo dalla sua vita, per lei era sempre stato Mikey, ora invece era Michael. Dettagli, ma pur sempre importanti.
: “Oh ciao ragazzi! Volevo dirvi che Ashton è stato al locale stamattina e hanno dovuto spostare il vostro orario di esibizione. Dovete essere lì per le 7 di giovedì pomeriggio, ci sarà un evento alle 8 e poi dalle 10 discoteca come al solito.”
Ashton era stato al locale. Non erano fatti miei e di certo era grande abbastanza per decidere da solo ma pensai a quanto ingiusta fosse la vita. Juliet era a casa, probabilmente ad ascoltare la sua “Wish You Were Here” e a guardare fuori dalla finestra, come Luke mi aveva detto che faceva quando era triste per qualcosa, e invece Ashton probabilmente era già con una sua sostituta, per giunta conosciuta da Juliet. Vidi Calum alzare la testa verso il telefono
: “Va bene Diana, grazie per averci avvisati, lo dirò a Michael se lo vedrò.”
: “Di niente Luke, a presto, ciao anche a voi ragazzi!”
Dopo che Luke ebbe chiuso la telefonata , mentre i ragazzi mettevano a posto il casino combinato da Cal nel mio salotto, obbligati da me, io andai in cucina a preparare il pranzo. Il nostro pranzo non consisteva in altro che in una pizza congelata che avevo riscaldato nel forno, ma il profumo era ottimo. Mentre ci sedevamo tutti e tre intorno alla penisola della mia cucina mi sorse spontanea una domanda
: “Ragazzi,” chiesi addentando una fetta fumante di pizza “ ma Ashton come sta?”
Mi guardarono increduli, come se avessi chiesto di una cosa inviolabile, ma infondo io a Juliet ci tenevo tanto, e dispiaceva a tutti e tre vederla così.
: “Come vuoi che stia, ci è rimasto di merda anche lui te l’ho detto”
Fu Calum a rispondere. Luke continuò a mangiare ma dopo qualche secondo parlò
: “Sono sicuro che l’amava, ma poteva aspettare a rifarsi la ragazza, lo sa come sta mia sorella.”
Calum poggiò la crosta pizza nel piatto e riprese a parlare
: “Ragazzi ve l’ho detto, ha avuto le sue ragioni. Certo che l’amava , e poi Luke, è il tuo migliore amico, non puoi pensarlo falso. E poi anche Juliet aveva problemi con questa cosa nell’ultimo periodo.”
Calum cercava di controllare le parole.
: “Ma non riesco a capire perché se ne siano accorti solo adesso, dai Cal ma li hai guardati bene? Quando a scuola si sono visti l’ultima volta sembrava volessero corrersi incontro e stringersi!”
Sbottai in quel modo e non so perché ma mi resi conto che la mia lingua aveva un po’ ferito Calum. Fu Luke a intervenire
: “Ve lo dirò sinceramente, questa storia mi sta uccidendo. Il mio migliore amico e mia sorella si sono lasciati e probabilmente si amano ancora, ma non sono fatti nostri.”
Sapevo quanto Luke tenesse a Juliet e parlava così probabilmente per evitare di scatenare altri casini in questa storia. Lo guardai in modo da ringraziarlo per aver sviato il discorso, anche se non avrebbe compreso davvero il perché quello fosse un argomento così delicato. Calum si rilassò e disse semplicemente
: “Hai ragione Luke. Piuttosto, ho un’idea per la canzone”
Lo guardai eccitata e prima che Luke potesse ribattere gli chiesi
: “ E di cosa parlerà?”
: “Mi è venuta in mente una canzone sulla distanza.”
Il biondo e io ci guardammo e poi lui chiese
: “Come mai la distanza , Cal?”
: “Perché ho sempre pensato al nostro gruppo, e a quanto sarebbe figo fare un tour.”
: “E avremmo qualcuno da cui voler tornare…”
Luke mi guardò di sottecchi, probabilmente sperando che io non me ne accorgessi e stavolta fu lui a sorridere imbarazzato. Dopo esserci complimentati con Calum per l’idea e aver chiacchierato per un po’ , io andai di sopra a prendere qualche libro di matematica dei primi anni dall’alto degli scaffali e quando scesi trovai i due che mi guardavano sconcertati
: “Vuoi metterti a studiare alle tre?”
Mi domandò Calum come a sottolineare il fatto che io sembrassi probabilmente una secchiona, con i miei occhiali neri da studio piazzati sul naso.
: “Non credo ,anche perché sai che io prima delle quattro non toccherò libro vero?”
Ribattè Luke
: “ E allora che sei venuto a fare così presto?”
Calum aveva ragione, nelle mie parole c’era sempre una punta di acidità.
: “Indovina.”
Rispose quel gigante avvicinandosi a me. Io ero alta , ma lui mi superava di parecchio, mi sentivo piccola e protetta, la sensazione più bella che potessi provare.
: “Okaaay ragazzi prima che qui mi arrivi un nipotino in diretta flash, io tolgo il disturbo!”
Si stava incamminando verso la porta e Luke lo incitò
: “ Allora è meglio se vai.”
Rise tra sé e sé .
: “ Luke! Dai Cal rimani”
Risposi provando a rompere il mio stesso imbarazzo
: “Non penso che il tuo ragazzo sia d’accordo , mia dolce biondina. Io forse vado da Michael, ciao gente!”
Uscì sbattendo, o meglio tentando di scardinare, la porta. Luke e io sbottammo a ridere e io pensai a quello che Calum avrebbe dovuto fare quel mercoledì, ci voleva abbastanza coraggio per una cosa del genere. Quando si fu allontanato, Luke mi baciò. Il nostro terzo bacio. Mi sentivo sempre tornare tredicenne quando ero con lui. Quando staccai le mie labbra dalle sue e da quel dannatissimo piercing sussurrai
: “Calum ha detto che sei il mio ragazzo…”
Mi uscì una risatina che mi fece vergognare ancora di più di quello che avevo appena detto ma Luke mi guardò con l’espressione di chi ha preso sul serio qualcosa
: “ E ti da fastidio?”
Negli occhi aveva sincera serenità come se sapesse già la risposta e infatti continuò
: “ Serve davvero dire agli altri e dirci cosa siamo?”
: “Non se lo sentiamo davvero.”
: “Di questo mi dirai più tardi.”
Mi sollevò dai fianchi e mi portò sul divano, dove mi lasciò con un bacio sulla fronte prima di sparire di sopra. Ero in uno stato pietoso, pendevo totalmente dalle sue labbra, dannata me, dovevo riprendermi in fretta! Lo lasciai fare e tornò di sotto dopo circa dieci minuti. Mentre lo sentivo scendere le scale mi girai
: “ Luke ma cosa …”
Le mie parole si bloccarono per fare posto a un verso a metà tra una risata isterica e uno schiamazzo. Luke era sceso con indosso uno dei miei reggiseni sulla maglietta.
: “Hai frugato nei miei cassetti?”
Gli chiesi ridendo ma anche arrabbiata
: “No, era sulla sedia in camera tua, ma ho pensato ‘Hey il blu mi sta bene!’. In realtà stavo cercando questo”
Mi rispose tirando fuori la giacca che mi aveva prestato la sera precedente e che avevo lasciato sull’appendiabiti della mia camera.
: “Vai a toglierti quel coso! E’ mio! Ah la giacca ha un buon profumo, cos’è?”
Si tolse il reggiseno come gli avevo detto e si avvicinò di nuovo con fare pericoloso, mi faceva dannatamente piacere però. Quando sembrava stesse per rendere di nuovo la scena più romantica mi rispose guardandomi dritta negli occhi
: “Eau de Lucas”
Mi era uscita di nuovo quella risatina ripugnante, Dio quanto mi annullavo facilmente. Fu così che mi scansai in fretta, alzandomi bruscamente dal divano.
: “Senti tu, collega tutor. E’ ora di studiare!”
Sbuffò
: “ Che secchiona, guarda che non c’è mica il preside a controllarci!”
: “No infatti, ma vorrei sbrigarmi al più presto questa palla.”
Mi guardò con fare interrogativo
: “ Perché , dopo che cosa devi fare?”
Tipico dei ragazzi, non si interessavano mai a queste cose
: “Stai scherzando, stasera c’è Glee!”
: “Mi stai cacciando?”
: “Oppure ti sto invitando a guardarlo con me.”







*questo è il West Head Look Out, il belvedere dove si svolge l'appuntamento Lulet-Miana (?)*

Questa foto di West Head Look out è offerta da TripAdvisor.











NOTE DI MARTINA E VIOLA:
Heey Heey! Heey Heey!
Dopo questo saluto molto SLSP , vogliamo prima di tutto ringraziare chi ha recensito! Siete delle ragazze fantastiche! Grazie anche a chi sta leggendo eheheh perché vuol dire che ha finito il capitolo <3 Ma Calum non è l'amore? *-* AAALLORA: come avrete capito la storia ruota intorno a due storie (Jashton e Lulet) e a delle particolari amicizie (Calum e Juliet ; Michael e Violet), i ragazzi sono tutti e quattro amici ovviamente ahaha. Nel prossimo capitolo parleremo un po’ di più di Jashton e di Calum, ma saranno fondamentali anche tuuutti gli altri. Per il momento la storia è un po’ statica, più aventi succederanno molte cose e…. ALT! Stiamo anticipando troppo!
Al Prossimo capitolo <3 Baci
Ps. vi lasciamo i nostri profili twitter nel caso vi servissero (sogna, sogna)
violet: acidlvcas
tita: irwinshooligan
Tita e Violet xx

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Capitolo 6
*** He supposed to be the cure ***


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Feeling Connected

He supposed to be the cure

 
"We’ve been friends now for a while I wanna know that when you smile Is it me yeah? Are you thinking of me yeah?
Girl what would you do, would you wanna stay If I were to say
I wanna be last, yeah Baby let me be your last first kiss"
 
: “Ju? Hey, buongiorno!”
Una mano calda si poggiò sulla mia spalla che sporgeva dalle coperte : Luke. La sua voce era molto dolce, non voleva farmi avere un risveglio traumatico, cosa molto strana rispetto al suo solito, e cosa ancora più strana, tutte le sue premure cominciavano ad infastidirmi. Girai la testa verso di lui e immaginai quale aspetto dovevo avere in quel momento, fortunatamente il bel Luke Hemmings era solo mio fratello.
: “Luke, non sono malata.”
Potevo essere sembrata scontrosa ma il sonno era una buona scusa, non volevo ferirlo.
: “Lo so, perché?”
Aprii finalmente un occhio facendo una fatica immane e lo puntai dritto nelle sue pupille. Aveva il volto rilassato ma i suoi muscoli avevano piccoli scatti, come fosse in attesa di qualcosa.
: “Mi tratti come se fossi fatta di cristallo, non mi sto per spezzare Luke. Vai da Violet oggi?”
Sbuffò leggermente di disappunto , un po’ perché stavo in un certo senso respingendo le sue attenzioni, un po’ perché lo avevo sgamato e prima che potesse replicare aggiunsi
: “E ti serve il mio cellulare.”
Sfoderò un ammaliante sorrisone persuasivo e alzò il pollice in segno di approvazione
: “Ti voglio bene sorellina!”
Si buttò su di me e mi strinse forte, stavamo quasi per cadere dal letto. Ecco il risveglio che volevo. Ridemmo un sacco in quegli istanti e mi resi conto di quanto volevo bene a quel ragazzo, non avrei saputo come fare senza di lui.
: “Luke, Luke! Basta, mi fai il solletico!”
Esclamai tra una risata e l’altra, desiderando in realtà che quegli attimi potessero durare molto di più.
: “Juliet ma non ti sembra sia arrivata l’ora di alzarsi? E’ quasi ora di pranzo!”
Mi rispose mettendosi a sedere accanto a me, che nel frattempo mi ero messa seduta.
: “Penso che dormirò ancora un po’… Il cellulare è sulla mensola, se dovesse arrivarmi qualcosa chiama sul tuo.”
Con “qualcosa” sapevamo entrambi cosa intendevo. E sapevamo anche che non sarebbe arrivato nulla. Con una mano mi scompigliò i capelli e mi disse
: “Io vado, buonanotte leonessa.”
Risi debolmente e gli risposi
: “Meow.”
Aspettai di sentire la porta sbattere e mi affacciai alla finestra per vedere se Luke era ormai fuori dal vialetto di casa nostra. Quando lo vidi allontanarsi , invece di tornare a letto accesi lo stereo e come accadeva ormai da diversi giorni, era inserito il cd di Avril Lavigne “Goodbye Lullaby” , con la traccia “Wish You Were Here” già pronta a partire. Quando stavo per premere play, tanto per cominciare a pensare a lui, decisi che era ora di cambiare qualcosa, che l’autocommiserazione non mi sarebbe servita a molto. Forse più che per me lo feci per Luke. Dovevo darmi un punto da cui ripartire e direi che si, mio fratello e il disco dei Linkin Park erano decisamente un buon inizio.
Negli ultimi giorni era diventato “lui”, “qualcuno”, “qualcosa”. Non sapevo perché ma continuavo ad evitare in tutti i modi di pronunciare il suo nome. Faceva ancora male in fondo e tutti credevano che io ci stessi così male perché era finita così all’improvviso, quello che non sapevano , è che noi forse avevamo intuito da tempo che qualcosa non andava. Il dolore non stava nel fatto che ci fossimo lasciati o che sapessimo che le cose non andavano bene, era doloroso perché non sapevamo cosa fosse a non andare. Il sentimento c’era, la voglia di andare avanti anche, era qualcos’altro. Di cosa fosse, probabilmente non saremmo mai riusciti a rendercene conto. Mentre mi infilavo degli anonimi pantaloni aderenti neri e una semplice canotta larga con il logo dei Nirvana, un regalo di Luke, presi un bel respiro e dissi a un ascoltatore invisibile
: “Ashton.”
Mi ero tolta un peso. Il suo nome pronunciato dalle mie labbra aveva un suono deciso ma piuttosto flebile, forse un sussurro. Non so quante volte lo ripetei, mentre mi lavavo i denti, facendo colazione con la mia scorta segreta di McVities, mentre scendevo di sotto e salutavo con la mano la mamma, che non fece domande. Appena stavo per varcare la soglia della porta per andarmene un po’ al parco , mi ricordai di fare una cosa che mi piaceva fare fino a un paio di anni prima. Tornai indietro, ma stavolta ero silenziosa. Mia madre Liz stava chinata sul tavolo a decorare qualcosa, avevo visto e annusato bene mentre passavo. Mi avvicinai con fare curioso e vidi che erano biscotti alla cannella, quelli che finivano sempre quando Michael era di passaggio, quindi più o meno tutti i giorni. Sollevò la testa e mi guardò sorridendo, contenta che avessi già preso in mano un tubetto di colorante gel rosso. Ne presi uno e mentre disegnavo motivi arabeggianti sul biscotto alzai lo sguardo verso di lei e le dissi sorridendo : “Ti voglio bene Mamma.” .  Ricambiò il sorriso quasi commossa e mi rispose
: “Io te ne voglio di più, tesoro.”
Era una donna meravigliosa, aveva sempre trattato me e Luke allo stesso modo e i nostri caratteri erano molto simili, nonostante non fosse la mia vera madre. Pensai che nessuno l’avrebbe mai sostituita, così come mio padre o Luke. Erano loro la mia famiglia e nessuno avrebbe mai potuto mutare l’affetto che ci legava. Persa in questi miei pensieri sentii il cellulare di Luke squillare nella mia tasca. Posai il quarto biscotto che avevo appena finito di decorare e guardai il display, “Ashton”. Alla faccia che non sarebbe arrivato nulla. Lessi il messaggio.
“Luke, Alyssa ha detto che l’esibizione è anticipata, Diana spiegherà tutto a Juliet. A. xx”
Addirittura meglio di quanto sperassi. Quello che non mi spiegavo era il perché Ashton non avesse chiamato direttamente Luke. Poi mi venne il lampo di genio, Alyssa. Diana non aveva risposto ai miei messaggi, doveva esserle finito il credito e Ash lasciava sempre il cellulare a casa ,anche quando usciva con me. Alyssa. Non la odiavo, ma lei odiava me. Potevo dire di essere invidiosa, non gelosa. Invidiosa di quello che sicuramente stava nascendo tra loro, ne ero sicura, ma non gelosa di qualcuno che mio non era più. Mi fece meno effetto di quanto mi aspettassi, ma continuai comunque a pensarci mentre impacchettavo un paio di biscotti e davo un bacio sulla guancia di Liz , diretta verso il 74 di Colton Road: Michael.
Camminando, decisi di chiamare Calum, che era da Violet anche lui quella mattina, e ovviamente non avendo credito dovetti addebitargli la chiamata. Fortunatamente rispose dopo appena due squilli
: “Juliet?”
: “Proprio io!”
Risposi in tono piuttosto gioioso, mi faceva piacere sentirlo e da quella mattina ero decisa a voltare pagina, quindi i presupposti c’erano decisamente tutti.
: “Wow, che vitalità! Allora, non so quale sia il motivo per cui tu mi stia chiamando ma ho una proposta piuttosto interessante da farti.”
Risi scuotendo la testa delicatamente, Calum era sempre così: vitale , intraprendente e sorridente, anche se nell’ultimo periodo lo avevo visto come preoccupato da qualcosa, anche se potevo immaginare fosse per vedere i suoi migliori amici lasciarsi in malo modo.
: “Sto andando da Michael, ma cos’è questa storia dello show anticipato?”
Ci fu un istante di silenzio.
: “Avevo pensato di andarci io, tu perché vai da Michael? Vuoi uscire con lui oggi? Non vuoi sentire la mia proposta?”
Ero sorpresa da tutte quelle domande, da Violet doveva essere successo qualcosa.
: “Calum ma che ti prende? Sto andando a dirgli dello spettacolo, perciò ti ho chiamato.”
Dovevo capire perché mi parlava così e che cosa era successo, oppure me lo sarei fatto dire da Luke, sempre se fosse tornato per ora di cena.
: “Scusa Ju, è che… Ho una cosa da fare e non so come fare!”
Una ragazza. Ecco di cosa dovevano aver parlato da Violet. Calum non era mai insicuro su niente, nemmeno nel rimorchiare, ma quando prendeva una sbandata tornava un nerd alle prime armi.
: “Abbiamo preso una bella sbandata eh Cal? Bravo, ma non dirmi come si chiama! Mmh vediamo… Samantha Evans, Year 10? Oppure Maggie Smith, Year 11?”
Ridacchiò nervoso, ma non ci avevo preso, altrimenti non avrebbe parlato
: “No e no! Lo scoprirai quando sarà il momento! Comunque vorrei cantarle Heartbreak Girl…”
Sbuffai violentemente, quando faceva il misterioso non era mai nulla di buono, doveva essere qualcuno di speciale, qualcuno che ancora mi sfuggiva
: “Ma dai Calum! A chi dovresti dirlo se non a me? E’ un’idea bellissima comunque! Al locale?”
Tossicchiò leggermente
: “Ehm , in realtà non so se avrò il coraggio di invitarla e dedicarle una canzone…”
: “Ti aiuto io, magari mercoledì alle prove puoi venire qualche minuto prima e la proviamo insieme!”
Ero contenta che Calum fosse innamorato di qualcuna, quando era innamorato era sempre così dolce, le ragazze cadevano ai suoi piedi in un attimo. Immaginai chi potesse essere la fortunata e improvvisamente un sospetto si fece strada sempre più insistente dentro di me : Alyssa. Sempre lei. Mi tornò in mente la telefonata del martedì precedente. Non poteva essere, non anche il mio migliore amico.
: “Te l’ho mai detto che ti voglio bene? Grazie mille Ju!”
Il mio sorriso arrivava ormai da un orecchio all’altro, ero troppo contenta per lui e poi questa cosa mi avrebbe anche distratto.
: “Prego Cal, te ne voglio di più io! Ma allora questo spettacolo? E la proposta?”
Scoppiò in una risata per motivi a me sconosciuti  e mi rispose
: “Lascia stare la proposta, oggi mi esercito con la canzone! Lo spettacolo è stato anticipato alle 8 perché ci sarà un evento a quell’ora e dobbiamo presentarci lì per le sette, così da fare qualche prova ecc. Poi dalle 22 discoteca come sempre.”
Mi misi a ridere sapendo che non lo diceva con cattiveria o con egoismo, il moretto era fatto così, quando aveva la testa da un’altra parte sarebbe stato capace di dimenticarsi se stesso sul comodino.
: “Grazie eh, adesso sono diventata inutile? Dai moro, allora ci vediamo dopodomani?”
Sentii i raggi del sole che uscivano e riscaldavano l’aria di quel Dicembre, un po’ più fresco rispetto agli altri anni e Calum replicò
: “Hemmings, gelosa? Io devo andare, ci sentiamo Ju!”
E attaccò. Che strano ragazzo, era il mio migliore amico e non smetteva mai di sorprendermi.
Arrivai a casa Clifford circa cinque minuti dopo, me l’ero presa comoda camminando lungo il parco lì vicino e trovai uno stanco Michael ad aprirmi la porta, sembrava come se avesse corso una maratona, molto probabilmente rappresentata dalle sue scale, ma mi abbracciò calorosamente e fu contento di vedermi
: “Hemmings 2, finalmente hai trovato la strada per casa mia!”
Quel soprannome. Quando eravamo in gruppo e c’eravamo sia Luke che io ci chiamava così: Hemmings 1 e 2.
: “Simpatico come al solito Mike! Sono venuta ad avvisarti di un cambiamento  di programma per lo spettacolo di giovedì e guarda un po’…”
Risposi mettendogli davanti al viso un sacchetto con dentro dei biscotti alla cannella. I suoi occhi si illuminarono
: “Non solo Juliet Hemmings mi ha onorato della sua presenza, ma ha anche portato i miei biscotti preferiti! Ju cosa ti serve?”
Sempre il solito sarcastico. Eravamo amici da sempre , nonostante lui e Luke si odiassero all’inizio e da quando si era messo con Diana avevamo legato parecchio, ci capivamo al volo io e quel ragazzo. Effettivamente non andavo molto da lui, ma non significava che non ci vedessimo spesso.
: “Mi serve che vieni un po’ fuori con me, è un po’ che io e te non usciamo.”
: “E se io avessi voluto starmene sul mio divano a diventare scemo davanti ai videogame?”
Quel ragazzo dai capelli strani manifestava i suoi stati d’animo in modo strano ma era proprio questo a renderlo speciale
: “Ti direi che scemo lo sei anche senza l’aiuto dei videogame e quindi vieni lo stesso, così fai cambiare un po’ l’aria in questa testa vuota.”
Mi guardò rassegnato ma contento che io gli avessi chiesto di passare del tempo con me, non era proprio come con Calum ma ci piaceva stare insieme.
Dopo cinque minuti stavamo già sgranocchiando la nostra merenda a base di biscotti alla cannella decorati , seduti sulla panchina al centro del parco lì accanto. Mentre lo guardavo tormentare quel biscotto a furia di morsetti gli chiesi
: “Michael, perché avete voluto riprovare tu e Diana?”
Probabilmente si aspettava quella domanda perché mi guardò sospirando e poi prese a guardare il cielo attraverso i suoi occhiali da sole neri
: “Dovevo essere sicuro di quello che provo. Dovevamo.”
Lo guardai incuriosita e replicai
: “E cosa provi?”
Non staccava gli occhi dalle vorticose nuvolette sopra di noi ma rispose ugualmente
: “Per lei? Niente”
Serrò la bocca improvvisamente e trattenne il fiato, come se si fosse accorto di essersi lasciato scappare un’informazione importante, tant’è che continuò
: “Cioè, non che io ... voglio dire che per lei non ho più sentimenti in quel senso, e poi era già finita”
Lo guardai rassegnata e sospirai prendendo a guardare il cielo anch’io
: “E’ quello che penso , Mike?”
Abbassammo entrambi lo sguardo e lui scoppiò a ridere
: “Perché, tu pensi?”
Cominciai anch’io, eravamo pessimi allo stesso modo io e lui
: “Abbiamo scoperto entrambi un segreto!”
Mi abbracciò e mi strinse forte, rubandomi dalla mano il biscotto alla cannella e mangiandoselo tutto intero
: “Hey quello è mio! Così ti strozzi !”
: “Fcufa Mammina!”
Ribattè ridendo e , come avevo previsto, quasi strozzandosi. Una volta finito di tossire fece una cosa inaspettata; prese la borsa dalle mie gambe e la appoggiò accanto a sé sulla panchina, poi si alzò, mi porse la mano e mi disse
: “Mi fareste l’onore? Avrei una cosa da mostrarvi.”
Gli diedi la mano e prima che potessi rispondere mi tirò su con poca grazia e , prendendomi da dietro a mo’ di abbraccio mi sollevò da terra
: “Michael ma cosa fai? Mettimi giù!”
Camminava verso il laghetto poco distante più veloce che poteva e a un certo punto mi fece atterrare sull’acqua, provocando diversi schizzi e infradiciandoci le scarpe
: “Accontentata!”
Lo presi per le spalle e lo buttai all’indietro, facendolo cadere seduto e facendogli bagnare anche i capelli ma lui mi afferrò per una caviglia e mi fece scivolare, facendomi  finire nella sua stessa posizione. Una volta che finimmo di ridere come due bambini ci sedemmo sulla riva per asciugarci al sole e mi chiese
: “Ju, come fai a capire?”
: “Come fai tu.”
Mi guardò consapevole che stessi dicendo la verità, in questo eravamo molto simili , capire e non essere capiti.
: “E alle prove invece? Come farai?”
Presi a guardare dietro di noi, sulla panchina dove avevo lasciato la borsa e vidi con piacere che era ancora lì
: “Come faccio sempre.”
Mi limitai a rispondere.
: “E cioè?”
Mi chiese lui di rimando. Sospirai rumorosamente e mi stesi completamente sul prato, voltando leggermente la testa verso di lui
: “Eviterò di guardarlo troppo, gli sorriderò e cercherò di dedicare le mie attenzioni a Luke.”
: “Mi sembra un buon piano.”
Esordì lui mettendosi nella stessa posizione ma prendendo a fissare ancora quel maledetto cielo
: “E tu invece, come farai alle prove?”
: “Come faccio sempre.”
Feci una smorfia di compiacimento, in un certo senso mi piaceva quando le conversazioni prendevano quella piega , erano quei momenti in cui capivo qualcuno appieno.
: “Fissando la chitarra?”
Si rimise seduto guardando lontano.
: “Si , ma la chitarra è diventata la seconda cosa più bella da guardare .”
Quel pomeriggio era servito -realmente- ad aprirmi gli occhi una volta per tutte.
Avevo bisogno di Michael accanto a me, lui mi avrebbe capito. Ci saremmo sostenuti a vicenda, reduci da una guerra che è difficile vincere. L’amore.
Era sconvolgente quanto fossimo simili. Quanto effettivamente avevamo bisogno di qualcuno a cui urlare cosa provavamo. Lui, però, a differenza di me, sapeva nascondere bene i suoi sentimenti. Era una cassaforte. Sapeva controllare le emozioni, non si faceva prendere dall’impulso, non faceva il geloso.
Io, per quanto ci provassi, non ci riuscivo.
Quella serata avrebbe testato la mia indifferenza verso Ashton. Dovevo comportarmi da adulta. Intanto sapevo di poter contare su Luke, Michael, Violet e Calum.
Calum. Avremmo dovuto provare Heartbreak Girl, quella sera. Mi sentivo agitata, senza una chiara ragione. Collegai quell’emozione ad Ashton. Ma il mio inconscio, ancora una volta, mi tradiva.
Finii di mangiare il mio hamburger e ripulii la cucina con Luke che sembrava più agitato  di me.
: “Ju, manca mezz’ora, dio!”
Emetteva piccoli urletti, il biondino, camminava avanti e indietro per il corridoio, torturandosi il piercing e i capelli.
: “Sembri una ragazza, Lucas.” Lo rimproverai ridacchiando. Mi guardò male e continuò la sua frenetica passeggiata.
Uscii fuori nel fresco pungente della sera e decisi di raggiungere il garage; respirai i ricordi e sospirai rumorosamente. Io e Ash ci eravamo dati il primo bacio qui, quasi un anno prima. Quel posto straboccava di noi. La nostra storia era nata lì. Osservai la batteria: il giorno in cui Ashton l’aveva comprata, il sorriso che gli illuminava il viso come non mai. Il giorno in cui tentò di insegnarmi a suonarla, con scarsi risultati. La prima volta che mi aveva detto che gli piaceva il mio sorriso, senza sapere che spesso ne era lui la causa. Gli abbracci. E poi quel “ti amo” che mi aveva sussurrato dopo aver suonato la cover di “Next to you”.  Mi aveva raggiunto, si era seduto accanto a me, mi aveva lasciato un bacio sulla fronte e alla fine mi aveva sospirato quelle due parole all’orecchio, come se le avesse pensate per troppo tempo. Era tutto decisamente opprimente in quella stanza. Avrei dovuto scriverci un cartello con “Attenzione, troppi ricordi”, sigillarla e restarne fuori per il resto della mia esistenza.
Luke mi salvò in pieno dalle emozioni scendendo le scalette interne rumorosamente -come suo solito- seguito dal resto della band, probabilmente.
: “Juliet sei …” si accorse di me “Ah sei qua, ti cercavo. Ci siamo tutti, manca solo Calum” continuò con una punta di ansia nella voce. Ansia di cosa? Non lo sapevo, onestamente. Calum era in ritardo. Eppure al cellulare era stato chiaro: sarebbe arrivato prima. Mi sentii sprofondare. Non solo Calum era in ritardo, ma Ashton mi aveva appena salutata. Aveva un sorriso aperto, un po’ tirato. Niente fossette. Era teso. Si torturava le mani e giocava con i numerosi braccialetti che portava ai polsi, segno che era nervoso.
Matura. Dovevo essere matura. Sorrisi. Il sorriso più falso che avessi mai finto. Il primo passo verso il futuro l’avevo fatto. Con titubanza e risentimento, ma l’avevo fatto. Michael mi aveva sorriso e lanciato uno sguardo d’intesa per darmi forza, per farmi capire che lui era al mio fianco.
Violet mi strinse in un abbraccio ancor prima che potessi accorgermene. Era raggiante. Stava andando bene fra lei e Luke, evidentemente. Cominciammo presto a parlare. Lei mi raccontò di come andavano le cose fra di loro, io le raccontavo di come affrontavo quella novità. I ragazzi parlottavano fra di loro di cose a noi sconosciute. Ogni tanto Michael strimpellava qualche accordo. Ora eravamo tutti più rilassati. Almeno finché non arrivò il moro. Scese le scale correndo – quasi cadendo-  e una volta arrivato, ansimò un po’, mi guardò e sorrise. Era teso anche lui.
: “Scusate per il ritardo, ho avuto una specie di contrattempo.”
Si giustificò, scusandosi più con me, che con gli altri. Lasciò la frase in sospeso, guardò Violet e poi proferì
“Se non vi dispiace, devo fare una cosa con Ju.”
 Guadagnandosi un’occhiataccia da Ashton. Quel ragazzo mi avrebbe fatto impazzire. Era inutile fare il geloso, dopo che mi aveva scaricato con un messaggio. Calum non ci diede importanza, mi prese per mano e mi trascinò di sopra, con gli occhi del ricciolino che mi bruciavano sulla schiena.
: “Ciao Ju.”
Sentenziò più dolcemente, trascinandomi verso di sé e abbracciandomi. Eravamo nella mia stanza.
: “Ciao Cal. Grazie per avermi salvato.”
Sorrisi alludendo alla situazione imbarazzante e dolorosa con Ashton.
: “ È un piacere essere l’eroe di una fanciulla come te. Chiamami pure CalPal.”
 Sdrammatizzava, il moro, passandosi una mano nei capelli scuri.
Non avevo mai notato quanto stesse diventando più… fascinoso, adesso che aveva i capelli più corti. Sempre troppo attenta al riccio, o a Luke.
: “Allora, CalPal, vuoi suonare o no?”
 Imbracciò il basso Gibson, che amava più di qualsiasi altra cosa e suonò i primi accordi di Heartbreak Girl. Lo vidi deglutire e in seguito, cominciare a cantare. Quella canzone l’aveva scritta proprio lui. Doveva esserne orgoglioso. Era, oltretutto, la mia preferita.
You call me up, it’s like a broken record saying that your heart hurts
Calum mi osservava con così tanta attenzione che ebbi il timore mi potesse leggere nel pensiero.
but you never get over him, getting over you. And you end up crying, and I end up lying cause I’m just a sucker for anything that you do
Calum abbassò lo sguardo. Stava arrossendo. Forse quel verso gli faceva pensare troppo a lei. Chissà poi, chi era lei. Me lo avrebbe mai detto?
And when the phone call finally ends you say ‘thanks for being a friend’ and I’m going in circles again and again
alzò lo sguardo un po’ e mi sorrise apertamente, mi stavo immedesimando talmente tanto in quella ragazza fortunate, che sentivo i brividi percorrermi tutta la schiena. Oppure non mi immedesimavo affatto .Ero confusa. Se Calum sortiva quell’effetto su di me, la sua migliore amica, potevo immaginare cosa avrebbe fatto a quella ragazza.
Il moro si avvicinò sempre di più a me, fino a restare a pochi palmi di distanza. Sentivo il suo respiro.
I dedicate this song to you, the one who never sees the truth, that I can take away your hurt, Heartbreak Girl.
Ridusse maggiormente la distanza .Aveva gli occhi sulle mie labbra. La voce ridotta a un sussurro flebile. Stava solo provando la canzone? Non riuscivo a muovermi. Ero forse io, la ragazza per cui aveva perso la testa? Perché si stava avvicinando così? Quella doveva essere solo una prova.
Hold you tight straight to the daylight, i’m right here when you’re gonna realise that I’m your cure
“Heartbreak Girl.” Finii mentalmente la frase . Lasciò andare il basso .Poi tutto si azzerò e le sue labbra erano posate sulle mie così delicatamente che si sfioravano a malapena, come se avesse paura di premere troppo anche con un tocco così piacevole. Aveva le labbra morbide e carnose, che combaciavano con le mie come fossero pezzi di uno stesso puzzle. Ormai mi guardava negli occhi con un misto di felicità, insicurezza e forse aspettativa. Calum mi accarezzava le guance con i pollici e le mie mani erano finite, involontariamente e senza malizia forse, nei suoi capelli. Era Calum quello che mi stava baciando, l’ultimo ragazzo sulla Terra dal quale mi sarei aspettata un gesto simile.
In quel momento, non riuscivo a formulare un pensiero serio, sensato. Avrei dovuto respingerlo brutalmente? Si. Avrei potuto farlo? Si. Avrei voluto farlo? Non feci nemmeno in tempo a darmi una risposta che si aprì la porta di scatto e apparve Ashton, il quale mi riportò alla realtà. Ashton furioso. Ashton sconvolto. Ashton.
: “Sapevo di dovermelo aspettare.”
Se ne uscì acido, sbattendo la porta. Mi crollarono tutte le certezze addosso. Per quale assurdo motivo si comportava come se ci fosse ancora un ‘noi’? Un ‘noi’, che era sparito da troppo tempo. Non sapevo cosa fare.
Seguii il mio istinto, che mi diceva di raggiungere Ashton e parlare faccia a faccia, una volta per tutte.
Chiusi la porta dietro di me, sapendo di ferire l’unica persona disposta ancora ad amarmi. Sentii Calum scaraventare a terra il Gibson, l’oggetto a lui più caro.

Io distruggevo lui, lui distruggeva la cosa a cui teneva maggiormente. 





Note di Viola e Martina:

Ciao bella gente, 
inanzitutto scusate per il ritardo, abbiamo avuto dei problemini con l'impostazione del capitolo e la scuola -perchè la scuola è dappertutto, sapete.
Ad ogni modo eccoci qui con il Capitolo Sei. 
Premettiamo che nei prossimi due capitoli al massimo, la storia sarà incentrata soprattutto su Juliet e il bel casino con Cal e Ash. 
Tranquille, non abbiamo dimenticato i Lulet. Ci saranno anche loro, dato che li amiamo immensamente.

Cosa dire di questo capitolo? Speriamo vi piaccia, noi facciamo del nostro meglio. 
Come sempre vi ringraziamo per le recensioni e vi invitiamo a recensire ancora.

Un kiss,
Violet e Tita xx

 

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Capitolo 7
*** All Apologies ***


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Feeling Connected

All Apologies

 
"I feel so damn pathetic, my friends just don't get it"
 
“Bastardi”
Era l’unica cosa che riuscivo a pensare. Ero andato di sopra a chiamare Calum e Juliet perché dovevamo assolutamente iniziare a provare, avevo aperto la porta , visto che non sentivo parlare, e li avevo trovati a baciarsi come due innamorati. Non doveva essere una cosa nuova, Juliet non è tipo da dimenticarsi facilmente di una cosa del genere. Stavo praticamente correndo, dopo che avevo sentito un rumore terribile,qualcosa doveva essere caduto a terra, probabilmente avevano scaraventato qualcosa. Passando nel soggiorno avevo violentemente scansato Michael che mi guardava basito ed ero uscito sbattendo la porta, senza nemmeno riprendere la felpa o i ring della batteria. Sentivo Juliet che mi correva dietro e dal vialetto potevo sentire Michael che urlava
: “Ma dove cazzo correte tutti stasera?!”
Smisi di correre, ormai mi ero allontanato abbastanza e d’improvviso non sentivo più Juliet correre dietro di me. Mi voltai e la vidi seduta su una panchina a circa cento metri da me, sapeva di non potermi raggiungere. Aveva il volto tra le mani ed era scossa da violenti tremiti, ma cosa peggiore, era sola. Non c’era Violet, non c’era Luke e tantomeno c’ero io. Il mio primo impulso fu correre da lei, stringerla di nuovo, come facevamo ormai da quasi un anno. Ci eravamo amati tanto io e lei. Quella maledetta connessione. Eccola lì, di nuovo, al momento sbagliato. Quando avrei dovuto solo andare via e fare l’incazzato, mi si struggeva l’anima a vederla lì così. Ma non potevo fare niente per lei. Era finita, io avevo messo un punto a tutto ciò e non avevo intenzione di ricominciare a soffrire solo perché quella sensazione di legame mi attanagliava lo stomaco. Alzò la testa, mi guardò con le lacrime negli occhi e con lo sguardo sincero di chi sta soffrendo, quando guardava qualcuno così non mentiva. E il bacio con Calum allora? No, non avrei ceduto. Con tutta la mia volontà mi voltai e ripresi a camminare piuttosto velocemente. Dovevano essere ormai le nove, l’aria era diventata piuttosto pungente e io ero in canotta. Stavo gelando e anche lei probabilmente, ma non mi sarei fermato ad abbracciarla come avrei fatto fino a due settimane prima. Chissà da quanto tempo lei e Calum avevano un rapporto diverso, era lei ad essere in torto stavolta.  Non riuscivo a formulare un pensiero serio ,ero solo arrabbiato, deluso e non vedevo l’ora di andarmene in camera mia. Mi voltai nuovamente una volta girato l’angolo, Juliet non mi seguiva per fortuna, non sapevo come avrei reagito davanti a lei.
Una volta arrivato a casa, salii di corsa le scale ed entrai in camera mia, quasi scardinando la porta ricoperta di poster di band e foto. Mi bloccai davanti ad essa, fissando un mucchio di foto vicine. “Summer days x” diceva la scritta con il pennarello sul bordo bianco sotto una delle foto, una foto mia e di Diana che bevevamo una bevanda di cocco sulla spiaggia. Spostai lo sguardo a destra e c’era una foto di mia sorella e di Michael, anche loro una coppia conclusa definitivamente di recente. “Che casini.” Pensai “sembra di essere in una di quelle storie da film”. In pochi giorni era successo di tutto. Niente poteva andare peggio di così, almeno per alcuni di noi, per fortuna c’erano Luke e Violet a migliorare l’umore di tutti. Proprio mentre voltavo la testa verso la finestra, dopo aver guardato la foto mia e di Ju abbracciati con un misto di rabbia e nostalgia , qualcuno bussò alla porta della camera.
: “Ash? Sono io, Diana.”
Per un attimo avevo temuto fosse Juliet, non ero in condizione di parlare con lei, avremmo litigato violentemente e l’ultima cosa che volevo era aggiungere qualche altra indefinita sensazione a quella serata.
: “Entra pure.”
Risposi in tono del tutto piatto. La porta si aprì con lentezza e quando vidi entrare due persone il mondo mi sembrò improvvisamente tutto contro di me. C’erano mia sorella , con la faccia scura e lo sguardo preoccupato, e la mia ex ragazza, tesa ma con lo sguardo deciso. Non gliel’avrei data vinta, presi coraggio
: “Diana, per favore lasciaci soli.”
: “Si, ti prego.”
Mi sostenne Juliet. Diana abbassò lo sguardo e si diresse verso la porta, ma prima di chiuderla rivolse uno sguardo a noi due, che stavamo lontani e immobili, a guardarci come due estranei. Fu lei a prendere la parola
: “Direi che è arrivata l’ora di parlare, i messaggi non bastano più.”
Alludeva alla nostra separazione, a quanto effettivamente fossi stato codardo a chiudere in quel modo.
: “Secondo me invece dovremmo parlare di quello che va avanti da prima del mio messaggio.”
Fece un verso di disappunto e incrociò le braccia, prendendo a tamburellare con il piede
: “Ti riferisci a quello che hai visto poco fa? Beh ti sbagli, non c’è niente che non va avanti da nessun tempo.”
: “Certo, non ho visto la mia rag… te che baciavi il mio migliore amico come se niente fosse , dopo che eravate scappati dalle prove per stare soli, vero?”
Si avvicinò di un passo
: “Ash, mi conosci, lo sai che non sarei capace di una cosa del genere. Lo sai meglio di chiunque altro quanto mi sia difficile dimenticare e sai anche quanto ti amavo Ashton . Non hai motivi per fare il geloso, sei stato tu a finire questa cosa.”
Mentre pronunciava l’ultima frase abbassò lo sguardo e penso che fece male a tutti e due definire quello che eravamo stati con “questa cosa”, come se non avesse mai contato niente.
: “E allora a cosa dovrei credere ? Vi ho visti guardarvi, ti guardava con una tale intensità , dio.”
“Ma non lo capisci quanto sei ridicolo ? Ti facevo più maturo Ashton. Io non lo guardavo così Ashton , ti stai dando risposte da solo. Vuoi sapere come è andata, bene.”
Si avvicinò ancora e io sembravo congelato. Juliet mi stava praticamente aggredendo e potevo capire il suo stato d’animo, ci capivamo sempre e ovviamente, anche questa volta la nostra strana alchimia prendeva anche il suo stomaco, ne ero sicuro. Non riuscivo a credere a quanto violente stessero diventando le sue parole
: “Calum ha suonato Heartbreak Girl per dichiararsi a me e tu ci hai visti quando lui mi ha baciata. Io l’ho lasciato che scaraventava a terra il suo basso per venire da te Ashton. Per chiarire una volta per tutte questa storia, perché sapevo che tu non mi avresti ascoltato se non ti fossi corsa dietro. Perché so che lui invece sarà disposto a capirmi. Per tanti motivi ti ho seguito e mi sto pentendo di quello che ho fatto. Tu sei quello che adesso dovrebbe stare al suo posto. Io non penso che adesso Calum continuerà ad amarmi, Ashton, gli ho spezzato il cuore.”
Adesso aveva la voce più flebile, non sapeva cosa fare. E nemmeno io. Avevamo toccato dei tasti dolenti per tutti e due, non era da noi.
: “Il Gibson. Io sospettavo di Calum ma non avrei mai immaginato che …” presi un sospiro “Senti, conosco Cal abbastanza bene da assicurarti che non smetterà di amarti da un giorno all’altro. Juliet, anche io ti ho spezzato il cuore ma tu mi ami ancora.”
Non sapevo come risponderle, aveva detto la verità quello che legava me e Ju era un legame diverso, forse perché era durato così tanto tempo, e per nessuno dei due era svanito.
La vedevo farsi sempre più fragile. La vedevo crollare. Stava per piangere.
“Ju, scusa, io…”
: “Tu cosa? Cerca di essere sensibile, Ashton.” Deglutì e “Per quanto tempo pensavi di nascondermi la tua storia con Alyssa? Non sei nella situazione di farmi la predica, io per Calum non provo quello che pensi , tu invece, hai trovato subito una mia sostituta. Tu ti sei comportato come se niente fosse e tu adesso stai rievocando qualcosa che tu stesso hai messo da parte. Non dare la colpa a Cal , fermiamoci a noi due in questa storia.”
Non la riconoscevo più, non era più la bambina che avevo conosciuto io, quella insicura che non sa come mettere le parole per una frase come quella. Ma aveva ragione.
: “Pensi che per me sia facile vivere questa situazione? Che mi sia dimenticato di quello che eravamo? Oppure che non provi più niente per te, così da un giorno all’altro?”
Adesso era il mio turno, dovevo sapere se quel groppo che avevo in gola, se quella connessione che c’era tra noi era vera, anche se conoscevo già la risposta. Mi resi conto che a quel punto urlavamo ma in quel momento lei tacque e continuai
: “Io non posso smettere di provare qualcosa per te Juliet, non posso come tu non puoi con me. Ma non so che cosa devo provare per te. Lo so che è un controsenso ma noi lo siamo sempre stati e non ci è mai importato. Non so cosa sia, ma so che la senti anche tu e che abbiamo bisogno entrambi di andare avanti.”
Sentivo che stavamo provando esattamente la stessa cosa. Sentivo che le lacrime minacciavano di riempirci gli occhi e che lei non avrebbe negato. Mille domande mi vorticavano in testa e mi rendevo conto di quanto fossimo effettivamente complicati. Tutto quello che eravamo stati mi sembrava senza senso ma pareva assolutamente irrazionale anche solo pensare di dimenticarla.
: “Ashton, che cos’è?”
Quella semplice domanda servì probabilmente a fare chiarezza. E decisi di chiarire anche le sue idee
: “Non so come dimostrarti che ti voglio bene e che a te ci tengo, ma è così. Non ti posso dimenticare , ma non possiamo nemmeno amarci.”
: “E’ sempre stato sbagliato il nostro amore, direi che lo abbiamo sempre saputo.”
Continuò lei con tono consapevole.
: “Guarda Michael e Diana”
Dissi tentando inutilmente di convincermi che noi fossimo simili a loro, quando in realtà non lo eravamo affatto. E lei mi rivolse uno sguardo che confermò i miei pensieri. Non sapevamo come definire il sentimento che avevamo scoperto, sapevamo solo che c’era e non potevamo cambiarlo. Non era amore ma non era una semplice amicizia. Eravamo una specie di migliori amici? Anche Violet e Michael avevano uno strano feeling. Ma il nostro era diverso, era un filo di corrente elettrica , qualcosa di imprevedibile e che ci faceva provare qualcosa , ma non era il tipo di amore che ci eravamo illusi di provare. Decisi che il tempo avrebbe chiarito le cose, noi avevamo già fatto il possibile. D’improvviso, i miei piedi si mossero in avanti e le mie braccia si strinsero intorno a lei , con una tale intensità che pensai che stessimo condividendo il calore dei nostri corpi. Quell’abbraccio serviva a sciogliere il nodo che si era formato tra di noi. Volevamo che fosse una sorta di punto al ‘noi’ , ma serviva anche a rimettere insieme i pezzi, per ripartire definitivamente.
Una volta che ci fummo staccati, eravamo entrambi più rilassati e l’aria di tensione in camera mia sembrava essere tornata più leggera. Ad un certo punto, mentre Juliet si alzava dal bordo del mio letto, all’unisono dicemmo
: “Forse sarebbe meglio mantenere le distanze per un po’.”
Ci sfuggì un sorriso, non avremmo mai smesso di capirci al volo ma ora avremmo cominciato a guardare la cosa con altri occhi.
: “Almeno finchè non avremo chiaro che cosa fare per andare avanti, tutti e due”
Disse lei. Io continuai dicendo
: “Sono contento di averti parlato, mi sentivo un codardo.”
Fece un sorriso aperto e sincero, ma un po’ melanconico, per rispecchiare come stavamo.
: “Lo sei stato, ma posso perdonarti.”
: “Ti voglio ancora bene.”
: “Anche io te ne voglio, buonanotte Ash”
: “Buonanotte Ju.”
Uscì dalla camera e la sentii scendere le scale. Era in assoluto la buonanotte più vera che ci fossimo mai dati. Quella sarebbe stata davvero una buonanotte, avevamo fatto in modo che lo fosse. Eravamo riusciti a ribaltare la situazione in positivo ed ero davvero contento, non ce la facevo a stare così. Un bel miscuglio di emozioni il nostro, ma i sentimenti nella maggior parte dei casi non si spiegano. Adesso che avevo la certezza che il nostro non fosse l’amore che volevamo convincerci fosse, sapevo anche che le cose sarebbero state migliori, che avrebbe giovato a tutti il fatto che avessimo chiarito. Adesso potevamo pensare al futuro e avevo la certezza che ci saremmo riusciti, magari sostenendoci a vicenda.
*Calum’s pov*
Avevo distrutto il Gibson. Ero arrivato a distruggere con le mie stesse mani la musica. Non riuscivo a non ripetermi di essere stato stupido a dichiararmi. Era chiaro che lei amasse ancora Ashton. Dovevo aspettare che tempo agisse. Eppure avevo avuto un tale bisogno di dirle la verità che, nonostante tutte le imprecazioni, non riuscivo a pentirmi.
Sì, il fatto che fosse corsa dietro ad Ashton mi avevo deluso parecchio. Mi ero illuso che in quegli istanti fosse nato qualcosa anche da parte sua. E invece mi sbagliavo ancora una volta.
E dopo tutte quelle volte che le ero stato vicino mentre piangeva per lui non erano servita a farle scegliere me. Tutte le volte che avevo cantato Heartbrek Girl, maledicendo e benedicendo il mio cuore, allo stesso tempo, per avermi fatto innamorare di lei.
Niente era servito ad averla con me.
Alla fine mi ero alzato, sotto gli occhi smarriti e sconvolti di Michael ed ero corso via, anche io.
Piangevo e sentivo le guance gelarsi ed andare a fuoco al contatto con il vento fresco. Non sapevo per quanto avessi corso, né tantomeno dove l’inconscio mi avesse portato. Sapevo, però, che mi aveva fatto terribilmente bene. E ne ero certo.
Avevo pensato, avevo messo in ordine la mia testa e avevo capito di dover parlare con Juliet.
Ma piangevo ancora. Continuavo a piangere senza riuscire a smettere. Non sentivo più nemmeno il peso delle lacrime. Avevo la vista appannata. Il rumore del fiatone della corsa si mescolava a quello dei singhiozzi regolari. Ogni tanto prendevo un respiro profondo e venivo pervaso dai brividi. Non riuscivo a capire per quale motivo mi stessi comportando come una ragazzina.
Era la prima volta che sentivo così male al cuore.
Sbattei le palpebre un paio di volte prima di guardarmi intorno: notai piacevolmente che non mi ero perso.
Ero nel parco dove giocavamo da bambini io e Violet. Negli anni a venire, quel parco era diventato il nsotro posto, un rifugio dove raccontarci tutto, ricordare. Io, di solito, ci andavo di sera. Soprattutto se avevo bisogno di staccare un po’, di riflettere, di pensare. Ci andavo se avevo bisogno di fare una scelta importante, se dovevo sfogarmi, piange urlare o se avevo bisogno di prendere a pugni qualcosa.
: “Sapevo che saresti venuto qui.”
Violet. Allora mi aveva seguito. Si era preoccupata per me. Mi voltai e lei mi saltò letteralmente in braccio, abbracciandomi così forte che mi si bloccò il respiro. Solo Dio sapeva quanto mi stesse facendo bene quel gesto. Sentivo che mi sarebbe stata accanto, che mi avrebbe aiutato a superare questo momento.
Violet singhiozzava e aveva la voce rotta.
: “S-scusa. È stato tutta colpa mia. Non dovevo incitarti a dichiararti proprio ora. Sono la solita. Scusa, Cal. Sono una stupida. È che-” aveva il fiato spezzato e mi stringeva più forte ogni volta che ripeteva le sue scuse. Mi dispiace vederla così.
: “Senti, non è colpa tua. Sarebbe successo comunque prima o poi. Avrei dovuto guardare in faccia la realtà. Non preoccuparti e sta tranquilla, Violet.”
Non era una ragazza  di molte parole, in questi casi. Si limitava a stringermi e a condividere il mio dolore. Lo faceva sempre. Mi stringeva così forte che sperava potessi sentire quanto mi fosse vicino, quanto mi capisse.
Dovevo avere proprio un aspetto da schifo, se era scoppiata a piangere in quel modo. La vedevo portarsi il peso di queste brutte situazioni, come se lei ne fosse stata la causa. Si sentiva sempre in colpa. Si sentiva in colpa persino di essere felice con Luke, pensai.
: “Non voglio più vedervi soffrire. Questo amore vi sta mettendo in ginocchio, vi sta distruggendo.” Respirò rumorosamente, tirando su con il naso. Dove voleva arrivare?
: “Io ho paura dell’amore, Calum.”

 






Note di Viola e Martina:
Heyaaa bella gente!
Eccoci tornate con un nuovo capitolo, stiamo riuscendo a pubblicare i capitoli in tempo. Non sappiamo nemmeno come, ad essere sincere.
Stiamo iniziando ad entrare nel vero senso della storia. Da adesso cominciano i veri casini: ricordate che non tutto è quello che sembra, ci saranno tanti colpi di scena.
Michael? Cosa pensate abbia fatto da essere così strano?
I Lulet? Come andrà a finire?
Lo scoprirete nella prossima puntata! 
Okay no, hahah.
Detto questo, e abbiamo detto troppo, vi lasciamo a maledirci per il solito finale doloroso e ad immaginare cun po' come potrebbe continuare il discorso fra Violet e Calum, perchè Michael si comporta così e che fine hanno fatto i cari Lulet.
Continuate a farci sapere tramite recensioni e grazie per tutto!
Baci,
Violet e Tita xx


 

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Capitolo 8
*** Get Us Famous ***


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Feeling Connected

Get Us Famous

 
"I've been alone with you inside my mind"
 
“Ha paura dell’amore.”
Mi aveva detto Calum giovedì , dopo che eravamo finalmente riusciti a parlare. Era successo tutto così in fretta e devo ammetterlo, nonostante Cal avesse baciato mia sorella, di lui non ero affatto geloso. Forse di Ashton invidiavo l’alchimia innata con Juliet, che io avevo e volevo rimanesse una cosa nostra, ma Calum mi sembrava improvvisamente la persona più adatta per mia sorella. Per evitare di incasinare la situazione ero andato io dal moretto e avevo deviato il discorso su Violet. Violet. A volte pensavo che fosse successo tutto troppo in fretta, altre che invece avessimo aspettato troppo. Ci conoscevamo da diverso tempo e non posso negare che era diventata un po’ un metro di paragone con le altre ragazze. Qualsiasi ragazza mi sfilasse davanti, in lei cercavo qualcosa che mi ricordasse Violet e devo ammettere che in nessuna ero riuscito a trovarla. A volte ridevo nei momenti più assurdi perché mi perdevo in questi pensieri e mi sentivo una ragazzina. Eravamo tutti delle ragazzine quando si parlava d’amore e tutti eravamo schifosamente e magnificamente complicati, appunto. 
: “Ha paura dell’amore? Cosa vuol dire?”
Non capivo , aveva paura dell’amore o di me? Calum alzò le spalle e rispose
: “Non ha paura di te, solo di lasciarsi andare credo.”
: “Che vuol dire ‘credo’? Ci hai parlato tu…”
Cal ridacchiò in modo piuttosto ambiguo, poteva voler dire due cose : non poteva dirmelo oppure non voleva, accidenti ai migliori amici.
: “Luke, calmati. E’ la tua ragazza, parlaci se vuoi saperlo!”
Ero sicuro che la seconda opzione fosse quella giusta, Calum mi diceva tutto, sempre. Come se io e la bionda non fossimo già abbastanza complessi nel nostro rapporto, adesso ci si metteva anche lui.
: “Non è la mia ragazza.”
Dissi roteandomi il braccialetto nero. Lui rise 
: “Ah no? Luke andiamo, quanto pensate che questa cosa del mistero possa andare avanti? Tutti sanno cosa c’è tra voi e poi lasciami dire una cosa, siete belli e cotti, tutti e due!”
Stavolta risi prima io e feci
: “Ma a noi piace così… E poi non venirmi a parlare di cotte!”
Lo vidi abbassare lo sguardo e pensai che forse avrei dovuto parlare con mia sorella, all’istante. Dovevo capire di più in questa storia.
: “Dai Cal sto scherzando, stasera si suona!”
: “Lo so Luke, sono agitato. Insomma, stasera si suona per un pubblico vero, intendo, il locale sarà pieno!”
Avevo sviato il discorso per fortuna. Calum adesso era un misto di felicità e ansia, ma potevo capirlo. Io ero nel suo stesso stato e stavo così anche quando ero con Violet. Il pensiero della ragazza mi fece rendere conto che dovevo fare da tutor con lei quel pomeriggio
: “Cal ma che ore sono ?”
Chiesi allarmato vedendo che avevo lasciato il cellulare a casa
: “Le 17:00 , perché?”
: “Oh merda! Dovevo essere lì alle quattro e mezza!”
Morale: chiunque avesse avuto a che fare con noi doveva prepararsi ai nostri ritardi cronici. Presi al volo la borsa , nella quale per fortuna mi ero ricordato di mettere un libro di matematica, l’unica materia in cui non sarei mai potuto andare male, visto che mia madre era professoressa. Mentre mi fiondavo sulla strada cercando inutilmente un autobus nelle vicinanze , Calum si affacciò alla finestra e mi gridò
: “Non fate tardi stasera!”
Arrivai davanti al Norwest Christian College sudato e ansimante, con i capelli scompigliati e probabilmente con la maglietta grigia diventata troppo aderente. Chissà che cosa avrebbe pensato Violet vedendomi in quello stato. Violet. Ancora. Il pensiero che avrei passato un intero pomeriggio a fare da tutor ad una banda di pigri e spocchiosi tredicenni non mi entusiasmava affatto , mi inquietava anzi, ma era il pensiero di lei con me a tenermi in uno strano stato d’animo, come di attesa o di speranza di qualcosa. Vidi la porta spalancata e mi fiondai all’ingresso, buttando un occhio al grande orologio rosso che segnava le 17:20. Dovevo assolutamente prendere le patente, non era possibile che fossi perennemente in ritardo. Non guardai nemmeno il foglio dove c’era scritta l’aula dove avrei dovuto fare ripetizioni e mi diressi verso il corridoio dal quale proveniva il peggior baccano che avessi mai sentito in quella scuola. Non avrei potuto immaginare quanto quei ragazzi fossero selvaggi fino a che non varcai la porta dell’aula 26B e trovai la classe adibita a trincea , con una disperata e alquanto impotente Violet nel mezzo, che tentava di farli smettere di lanciarsi qualsiasi cosa da una parte all’altra. Improvvisamente, la mia espressione stupita si trasformò in una fragorosa e assordante risata che , nonostante il casino, riuscì a valicare qualsiasi altra cosa , facendo smettere i ragazzini di starnazzare. Tutti presero a guardarmi , compreso un gruppetto di tre ragazzi che se ne stava appoggiato al muro e mi osservava con aria di strafottenza. Lo sguardo peggiore che ricevetti però fu quello di Violet , un misto tra il sollievo per averla salvata e la rabbia più pura. Non appena mi vide piegato in due dal ridere, abbandonò la sua ‘postazione’ e mi venne incontro a passo di carica , con un’aria piuttosto infuriata. Arrivò davanti a me e quando feci per abbracciarla mi prese per il collo della maglia e mi trascinò con forza fuori dall’aula, sbattendomi letteralmente contro le pareti bianche della scuola. Ero stupito dalla sua rabbia
: “Luke, lo sai cosa ho dovuto sopportare per colpa tua? È stata l’ora peggiore della mia vita! Ti ho mandato due messaggi per ricordarti che dovevi essere puntuale e tu cosa fai, arrivi in ritardo e mi lasci a tenere a bada quei selvaggi, io non ci metto più piede qui dentro!”
: “Violet calmati, ho fatto tardi perché sono passato da Calum… non è una tragedia!”
: “Calmati? Non puoi dirmi di calmarmi dopo che io faccio il possibile per salvarci il culo e a te sembra non freghi niente né di questo, né di me!”
Ero letteralmente sconcertato, non sembrava così terribile ma lei era infuriata. Fece per andarsene ma io la bloccai per un braccio e la scaraventai nella posizione in cui ero io fino a due secondi prima. Adesso la sentivo tremare debolmente, un po’ per la rabbia e un po’ per la mia vicinanza suppongo.
: “Di te mi importa.”
Fu l’unica cosa che riuscii a dirle per calmarla ma poi mi venne in mente un metodo un po’ più efficace. Appoggiai le labbra sulle sue in modo leggero, poi il bacio divenne più intenso, quasi una richiesta di perdono e un’espressione del bisogno di sentimenti che entrambi avevamo. Era più intenso dei precedenti che c’erano stati e la sentivo più vicina che mai. Quando fu lei a staccarsi da me, lessi nei suoi occhi un sentimento di felicità, e la cosa mi piacque piuttosto. Sorrisi debolmente appoggiando la mia fronte alla sua e risi di gusto quando la sentii replicare
: “Sono ancora arrabbiata con te Hemmings.”
: “Mi farò perdonare allora.”
Le dissi facendole l’occhiolino mentre si allontanava per tornare in classe. Una volta rientrati la situazione si era un po’ calmata e vidi che tutti adesso aspettavano qualcosa, probabilmente volevano che io dicessi qualcosa. Un paio di ragazzine ridacchiavano guardandomi e quando mi avvicinai a Violet per aiutarla a raccogliere una pila di fogli caduti vidi che mentre si chinava uno dei tre ragazzi ancora appoggiati al muro non staccava gli occhi dal suo fondoschiena. Mi chinai davanti a lei e le sussurrai
: “Credo che tu abbia un ammiratore.”
Lei mi guardò stupita, non capiva. Era sempre così ingenua per queste cose e io lo sapevo bene.
: “Sai cosa voglio.”
Fu la sua unica risposta accompagnata da un sorriso timido. Sorrisi anche io e il ragazzo che la fissava prima disse
: “Hey voi due,  avete finito di pomiciare sul pavimento?”
Lo sguardo di Violet passò dal timido allo sdegnato e quando stava per aprire bocca io la bloccai
: “Lo so, vorresti starci tu al posto mio , amico.”
Lo guardai beffardo e lui si costrinse a chiudere la bocca. Mi guadagnai un ‘occhiata di stima da molti dei ragazzi che erano lì dentro e una ragazza abbassò lo sguardo e sospirò, piuttosto delusa che io avessi in un certo senso confermato che tra me e lei c’era qualcosa.
: “E adesso, se volete farci l’onore di rimettere a posto questa stanza, oppure potrei convincervi in altri modi facendo due ore di Matematica dello Year 11, che ne dite?”
Mi sentivo dittatore e piuttosto bastardo ma dovevo farmi perdonare dalla biondina in qualche modo e quello sembrava il migliore. Lei mi rivolse uno sguardo d’intesa e ci mettemmo anche noi a riordinare la stanza. Lei era gentile in queste cose e io feci lo stesso una volta tanto. Guardandola che dirigeva i lavori e poi vedendola spiegare un semplice esercizio di algebra mi resi conto che sembrava mia madre e dissi 
: “Bene, se mia madre ha finito di spiegare , adesso passiamo a qualcosa di più difficile. Ve la sentite?”
La mia domanda non ottenne risposta dalla platea piuttosto annoiata , così decisi di chiamare un ragazzo alla lavagna. Chiamai il mio amichetto
: “Tu, simpaticone.”
Lui si alzò con aria stanca e una volta arrivato alla lavagna gli passai il pennarello. Questi lo prese , se lo rigirò in mano e poi scrisse 
‘boom’
Mi guardò dritto negli occhi e sputò acido
: “Mi è esploso il cervello per questo duro lavoro, risolvitela da solo.”
Tutti lo guardarono lanciare il pennarello in malo modo sulla cattedra proprio davanti a me. Decisi che ne avevo abbastanza di quel ragazzino.
: “Wilson, domani pomeriggio, al parco. Io e Irwin contro te e Evans. Portati pure la platea.”
Lo vidi sbiancare e le parole gli uscirono tremanti
: “V-vuoi fare a botte?”
Gli andai vicino e valicandolo con la mia altezza lo fissai dritto negli occhi
: “No, volevo solo vedere quanto ti cagavi sotto.”
Presi a ridere e tutti scoppiarono con me. Violet mi guardava divertita ma la vidi impallidire quando guardò verso l’orologio. Mi voltai anch’io, la lezione doveva finire alle 18 e 30, invece erano le 19. Noi alle 19 dovevamo essere al locale. 
: “Ragazzi, la lezione è finita, ci vediamo dopodomani!”
Dissi in fretta mentre trascinavo la bionda fuori dalla stanza. Cominciammo a correre e ci fiondammo dritti a casa mia, dove tenevo la chitarra che dovevo portare quella sera. Scendendo nel garage mi accorsi che c’erano anche i ring che Ashton aveva lasciato la sera precedente e presi anche quelli.                                                                         Mentre io e Violet correvamo verso la fermata dell’autobus guardai l’orologio che segnava le 19:20. Il proprietario del locale ci avrebbe ucciso.
: “Luke, sei impossibile.”
Ero già abbastanza nervoso e lei mi guardò preoccupata e mi disse
: “Hai scordato il basso per Calum!”
Il mondo mi sembrò improvvisamente troppo leggero per sostenermi e mi sembrò di sprofondare. Avremmo potuto perdere l’ingaggio seriamente. Io ero in ritardo di mezz’ora e l’autobus non arrivava e Calum non aveva con cosa suonare, dopo che aveva scaraventato a terra il Gibson. Non dissi niente per i successivi cinque minuti e quando finalmente il bus azzurro arrivò salimmo alla velocità della luce per andare nei pressi di Harbour Bridge,  al locale. 
: “Spero che il padre di Alyssa ne abbia uno, mi pare che lui fosse un bassista in passato.”
: “Speriamo che glielo presti più che altro , non ricordi com’era geloso Calum del suo Gibs?”
Abbassai lo sguardo e presi a tamburellare con il piede e a cantare mentalmente Year 3000, una delle canzoni che avremmo dovuto fare quella sera. Quando arrivammo al locale trovammo Alyssa intenta a discutere animatamente con suo padre, che era a dir poco indiavolato. La sala era piena alle sette e cinquanta minuti e vidi Michael venire verso di noi molto preoccupato. 
: “Luke accidenti! Alyssa sta facendo il possibile per convincere suo padre, quello ci licenzia!”
: “Okay, Michael scusami. Abbiamo avuto un sacco di problemi con quei ragazzini, ci hanno fatto fare tardi.”
Ero veramente teso. Potevamo perdere l’ingaggio. E tutto per colpa di quei marmocchi che non ci ascoltavano mai. 
Mi girai verso Alyssa. Gesticolava e parlava ad alta voce. Ad un tratto, la vidi rilassarsi, sorridere al padre e abbracciarlo. Evidentemente si era risolto tutto. Tornai a Michael e notai che sospirò di sollievo, fulminandomi con lo sguardo. Alyssa ci raggiunse ed esordì
: “Era parecchio irritato. Ma l’ho calmato e l’ho convinto a darvi un’altra possibilità. Mi raccomando ragazzi, è un tipo suscettibile: seguite le sue regole e siate puntuali.” 
Annuii e la ringraziai in tutte le lingue del mondo. Michael mi tirò uno schiaffo sulla spalla.
: “Amico, Alyssa ci ha salvato il culo. La prossima volta, è meglio che tu e la tua ragazza vediate di sbrigarvi.” 
Girò i tacchi e se andò nel backstage, lasciandomi lì che urlavo inutilmente
: “Non è la mia ragazza.” Incrociai le braccia al petto, sospirai e 
: “Penso” sussurrai a me stesso.

Il concerto, se così potevamo definirlo, stava procedendo più che bene. Piacevamo al pubblico e iniziavamo ad avere dei veri e propri fans. Quella sera, suonammo il doppio delle canzoni del solito. Era sicuramente un’opportunità da non sottovalutare per noi. 
Le ragazze erano in prima fila, come sempre, ad acclamarci e supportarci. Non sapevo quante volte ci avessero sentito cantare le stesse canzoni. Sapevo che non si stancavano mai di starci accanto. Era grazie a loro se non ci arrendevamo mai.
Non staccavo un attimo gli occhi da Violet. Sorrideva e non c’era nulla che mi rendesse più felice che vederla star bene. 
Non trovavo le parole per dirle seriamente quello che provavo, mi limitavo a cantarle le nostre canzoni. Lei non lo sapeva, ma io le dedicavo tutte a lei. 
Terminò l’ennesima performance e Michael prese la parola. 
: “La prossima canzone sarà quella che chiuderà ufficialmente questa serata. Grazie a tutti di essere venuta ad ascoltare quattro idioti, a proposito. Siete stati stupendi.” 
Sorrise al pubblico e strimpellò i primi accordi di Heartbreak Girl. Era la prima volta che la suonavamo dopo quello che era successo fra Calum e Juliet. Lui mi aveva raccontato tutto. Ora, mi era più chiaro perché e per chi Calum l’avesse scritta. Pensai che dovesse essere difficilissimo cantarla in un momento come quello.
Lo guardai quasi preoccupato e lo vidi con un’espressione indecifrabile in volto. Quasi una smorfia di dolore. Cantava e aveva la voce leggermente incrinata, come se stesse tremando. Non l’avevo mai visto in quelle condizioni, per nessuna. 
Mi sorrise, come se fosse costretto a mostrarsi forte. Mi faceva male vederlo così, soprattutto se di mezzo c’era anche mia sorella. 
Osservai fra il pubblico in cerca di Juliet e non la trovai. Come sospettavo: troppo doloroso. Forse lei si sentiva in colpa. Forse si era allontanata per non ferire il moro, ancora una volta. 
Calum, però, si era accorto della sua assenza e si stava allarmando. Aveva preso proprio una bella sbandata se si preoccupava per qualsiasi cosa facesse Juliet o dove fosse.
Mi lanciò un’occhiata interrogativa, in cerca della risposta, come se io lo sapessi. Alzai le spalle e continuai a cantare quella canzone che stava diventando fin troppo dolorosa un po’ per tutti. 

Quando quella sorta di inferno finì, Calum si lasciò scappare un sospiro. Se di sollievo o di rassegnazione, non lo sapevo. 
Presi il microfono e ringraziai un po’ titubante il pubblico, che ci regalò un lungo applauso, poi lasciammo il palco. Alyssa raggiunse Ashton e si scambiarono un’occhiata fin troppo complice per rimanere inosservata. Lui la strinse a sé e lei emise una risatina fastidiosa. 
Quel ragazzo mi stava se rimanete facendo perdere le staffe. Non riuscivo a capire per quale motivo si comportasse da insensibile e cosa ancor più strana, perché Juliet ne fosse del tutto indifferente. C’era qualcosa che non mi aveva detto. Avevano forse chiarito, in qualche modo?
Nonostante tutto e nonostante l’atmosfera creatasi durante Heartbreak Girl, era andato tutto benissimo. Cominciavamo seriamente a sentirci apprezzati dal pubblico.
Michael non riusciva a stare fermo. Urlava e continuava a ripetere quanto fosse stato bello. Violet rideva per qual ragazzo così strano. La affiancai e le sorrisi. Lei mi abbracciò forte. 
: “Sono così fiera di te, Luke.” 
Volevo dirle tutto. Volevo dirle che quando eravamo così vicini ero la persona più felice del mondo. Volevo dirle che le sue attenzioni rendevano ogni giornata migliore. Che anche solo vederla per pochi secondi mi faceva stare su di giri per tutto il giorno. Che la notte non dormivo pensando a quello che stavamo diventando. Che il concerto era dedicato solo a lei. Che provavo qualcosa di troppo forte per lei e che non doveva avere paura dell’amore. 
Il padre di Alyssa interruppe i miei pensieri, ci raggiunse nel backstage e ci fece i complimenti per l’esibizione. 
: “Siete stati veramente bravissimi, ragazzi. Solo, siate più puntuali la prossima volta.” Disse, guardandomi dritto negli occhi e mettendomi a disagio. Fece un sorriso tirato e se ne andò. Quell’uomo mi metteva pure ansia, ad essere sincero.
Continuammo a scambiarci pareri sulla performance. Calum evitava di incontrare lo sguardo di Juliet, che cercava in tutti i modi di avvicinarsi a lui. 
Il moro cominciò a parlare con Alyssa e Ashton. Juliet mi guardò supplicante e sbuffò, poi lo raggiunse. Gli si posizionò di fianco e aspettò finché lui non si accorse della sua presenza.
: “Possiamo parlare?” disse diretta, portando gli occhi verso il pavimento. 
Note di Viola e Martina:
Buongiorno lettori!
Inanzi tutto scusateci per l'enorme ritardo. Abbiamo avuto e stiamo avendo diversi problemi di tempo. Tita è negli USA e io ho gli esami, ma vi promettiamo che poi ricominceremo a postare con più puntualità.
Come sempre vi ringraziamo per leggere la nostra fanfiction e vi invitiamo a recensire per farci sapere:3
Al prossimo spazio autrici!
Baci,
Violet e Tita xx


 

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Capitolo 9
*** Waiting for you ***


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Feeling Connected

Waiting for you

 
“Go ahead rip my heart out show me what love’s all about. Go ahead rip my heart out that’s what love’s all about.”
 
Spalancai gli occhi incredulo e  mi si seccò la gola. Era arrivato il momento di affronatre il discorso ed io non ero sicuro di essere pronto. Sentivo che se avessi esternato troppo i miei sentimenti, sarei crollato. Sentivo che il castello delle mie certezze aveva ceduto e che sarebbe stato difficile ricostruirlo. Sentivo che alla fine l’avrei perdonata e non ero del tutto certo se fosse una cosa buona o meno.
Ero sempre io quello che perdonava, alla fine. Questa volta però mi sentivo veramente in colpa. Mi ero dichiarato nel momento più sbagliato. Però in effetti, quando l’avevo fatto mi ero tolto un peso, come se dovessi dire qualcosa che mi tenevo dentro da troppo tempo.
: “Uhm, certo.”
 Rivolsi un’occhiata fugace a Luke che annuì. In fondo, dovevamo parlare.
Juliet mi prese per un braccio e mi portò via da  Ashton e Alyssa, a cui non rivolse nemmeno uno sguardo. Poi assunse un passo veloce. Per un momento pensai persino che la situazione fosse esilarante. Come quei litigi tipici delle medie. Poi tornai in me e mi ricordai che questa volta era una cosa seria e poteva risentirne quel ‘noi’ che avevamo creato.
La ragazza mi portò fuori dal locale e si posizionò davanti a me. Ora sembrava essersi rilassata, la sua espressione era diventata quasi ferita.
Respirai profondamente e
: “Scusa.”
Ce ne uscimmo all’unisono con voce titubante. Poi ci guardammo e scoppiammo a ridere. Ridicolo. Anche in una situazione come quella, riuscivamo a mettere tutto da parte e ridere. Sembrava quasi che non fosse successo niente. Però avevo bisogno di chiarire.
: “Senti Ju, scusami per tutto. Non dovevo dirtelo in un momento del genere. Voglio dire, hai appena rotto con Ashton. Sono stato uno stupido e-“
: “Hey, calma, calma. Prima di tutto, non hai nulla di cui scusarti. Sono io, l’unica che deve sperare di essere perdonata. È stata colpa mia se poi è finito tutto male. Non dovevo correre dietro ad Ashton e lasciare te da solo. Mi sono comportata da insensibile. E ho avuto veramente paura di perderti. Soprattutto stasera quando ho visto che mi evitavi. Ho pensato che fosse tutto perduto. Ho bisogno di te, Cal. Voglio che torni tutto com’era prima. E lo so che dopo quello che mi hai detto sarà impossibile, ma poco importa. Voglio rimanere tua amica, voglio continuare ad essere così vicina a te. Non so come farei senza di te.”
La sua voce si stava incrinando. Sembrava preoccupata. Parlava velocemente prendendo respiri irregolari e rumorosi. Rischiava di scoppiare a piangere da un momento all’altro se non avessi fatto qualcosa. Decisi che abbracciarla fosse la cosa migliore.
La strinsi a me, forte come non avevo mai fatto. In un certo senso, mi era mancata.
Strinse la mia maglietta in un pugno. Supposi che stesse tentando di non lasciar cadere le prime lacrime. Poi la sentii tranquillizzarsi e mi rilassai a mia volta. Lei poggiò la sua fronte sulla mia spalla. Era così fragile, la mia Juliet. Non l’avrei mai lasciata da sola.
: “Hai anche pensato che me ne sarei andato così, da un momento all’altro? L’ho sempre detto che sei stupida.”
Sorrisi e la sentii ridacchiare. No, non eravamo cambiati. Ci avrebbe sempre legato quell’affetto di sempre. D’altra parte, io l’amavo da sempre. Non me ne sarei mai andato. Non avrei mai potuto.
: “Ma mai quanto te, Hood.”
Mi rimbeccò di rimando. Si scrollò dalla mia presa e mi rivolse uno sguardo di sfida, sorridendo beffarda.
Le pizzicai un fianco e le sorrisi. In quel momento capii quanto fosse essenziale averla vicina, anche solo come amica. E decisi che l’avrei aspettata. Perché ne ero sicuro. Prima o poi si sarebbe accorta dei sentimenti che cercavo sempre di farle capire. Si sarebbe accorta di me e allora, solo allora, il nostro rapporto sarebbe cambiato. Non mi sarei mai pentito di aver scelto questa strada. Se era tempo quello che le serviva, io ne avevo abbastanza. Non mi sarei mai meravigliato di più di qualcosa così tanto di quanto mi meraviglio tutt’ora di me stesso. Non avrei mai pensato che l’amore mi avrebbe colpito in questo modo. E invece ho dovuto ricredermi. L’amore ti prende e forse non ti porta più indietro. Un po’ come Juliet.
No;  niente, o quasi, ci avrebbe mai separati. Avevamo un legame troppo stretto, troppo indissolubile. Quel ‘noi’ che avevamo faticato a trovare avrebbe tentato di superare qualsiasi cosa.
Juliet’s Pov.
Calum mi stringeva , finalmente. Quei pochi giorni senza di lui mi erano bastati a capire quanto fosse fondamentale per me. Non sapevo proprio stare senza lui, avevo bisogno del mio migliore amico e finalmente capivo quanto avessi fatto male a correre dietro ad Ashton quella sera, quanto Calum avesse avuto bisogno di me e io l’avessi completamente messo da parte per qualcuno che nemmeno lo meritava. Mi sarebbe stato accanto , qualunque cosa avessi provato io , era questo l’importante. Ci riavviammo verso il gruppo, dove proprio in quel momento si stava svolgendo una scena interessante. 
“Stai bene?” Mi chiese Cal vedendo che giravo la testa dall’altro lato, fino ad appoggiare la mia guancia destra sulla sua spalla. Alzai lo sguardo cercando di essere il più matura possibile
“Ti dispiace se …”
“Cosa?”
Chiese con il tono preoccupato tipico di chi non capisce cosa stia succedendo.
“Guarda dritto davanti a te.”
Risposi totalmente piatta, forse pentendomi di averglielo perfino fatto notare, avrebbe potuto fraintendere la mia reazione. Vidi i suoi occhi spalancarsi e la sua mano partì a coprirmi la vista, come si fa con i bambini davanti alla tv. Scoppiammo a ridere
“Non ho mica cinque anni!”
“Queste sono scene sconsigliate a un pubblico di Juliet Hemmings!”
Mi girai nella direzione del gruppetto per finire di ammirare quello che aveva tanto scioccato Calum: Ashton e Alyssa teneramente abbracciati , intenti a scambiarsi un dolce bacio poco lontani da Luke, Violet e Michael che facevano di tutto per non guardarli, mentre io e Cal li fissavamo come se stessimo guardando un film al cinema. Non appena Luke mi vide che li fissavo mi fece segno di distogliere lo sguardo ma forse il messaggio arrivò troppo tardi, fatto sta che Ashton si staccò dal bacio e ci guardò, diventando immediatamente rosso fino alle punte delle orecchie. Alyssa, che ovviamente si accorse di tutto ciò si girò e mi guardò molto in cagnesco, per poi afferrare il mento di Ashton e riportarlo alla sua occupazione precedente.
“Ti prego dimmi che non ero così violenta.”
“Quando si dice passione.”
Fu il momento in cui, camminando verso i tre e passando accanto alla nuova coppia, cominciammo a ridere in modo poco umano tenendoci la pancia e guadagnandomi le occhiate di mio fratello , che pur trattenendosi a stento dallo scoppiare come noi si avviò verso di me e mi prese per un braccio, trascinandomi con forza verso il posto dov’ero stata poco prima con il moro. Quando si fu finalmente fermato mi toccò ascoltarlo come facevo con nostro padre quando avevo dieci anni
“Sei impazzita? Capisco che lei non sia il massimo della simpatia ma…”
“Luke. Non è colpa mia se quella vuole mordere il tuo migliore amico.”
Adesso non aveva bisogno di trattenersi ma quando voleva fare il papà non si sarebbe lasciato scappare nemmeno un sorriso.
“E’ una reazione di gelosia la tua?”
L’espressione si mutò in preoccupata e io adesso smisi di ridere, ricordandomi che Luke non sapeva della conversazione che avevamo avuto io e Ashton.
“Sarei stata gelosa se Ashton avesse lasciato me per lei…”
“E non è stato così?”
Non avevo dubbi sul fatto che Ashton fosse stato sincero quella notte, quindi no, non poteva avermi lasciato per lei.
“No Luke, è finita perché doveva finire.”
“Come può non suscitarti niente? Io ti ho visto Juliet, ho visto quanto lui ti abbia distrutta , è possibile che adesso tu te ne sia dimenticata?”
“Cosa pretendi ? Che passi la mia estate chiusa in camera a fare finta che il nostro rapporto sia recuperabile quando lui è andato avanti? Beh mi dispiace ma no. Dio Luke, tu sembri volere che io non vada avanti, che ti prende?”
Mi guardò perplesso e un po’ colpevole, consapevole forse di aver dato quell’impressione.
“Ju io sto solo cercando di… capire.”
Adesso ero io quella colpevole, sapevo di dover parlare a Luke della conversazione tra me e Ash ma in un certo senso volevo fosse una cosa privata. ‘Chissà se lui ne ha parlato ad Alyssa’ pensai . Forse era il momento di dirlo a Luke, infondo era mio fratello ed era lui a sostenermi in questi momenti.
“Luke, io e Ashton abbiamo discusso, quella sera.”
Non sembrava sorpreso, qualcosa dovevo pure aver fatto tutto il tempo che ero stata via l’altra sera e non credo avesse pensato che mi ero rifugiata al parco giochi , come facevo da piccola quando litigavo con Luke.
“Quante bastonate vi siete dati a vicenda?”
Simpatico sempre nei momenti meno opportuni
“Se sbattersi in faccia la verità vale, ce ne siamo dati il numero perfetto.”
La mia vena poetica contro la sua ironia, era una battaglia persa in partenza.
“Dimenticato?”
“Non possiamo. Lo sai che legame avevamo Luke, non si cancella una cosa così.”
Adesso negli occhi aveva una certa gelosia e di sottecchi mandava occhiate a quei due.
“Beh, non mi pare che lui sia della stessa idea.”
“Non è così Luke. E’ stato lui a dirmi che non mi può dimenticare e io non posso dimenticare lui.”
“Ma allora che senso ha tutto questo? Se non potete dimenticare allora…”
Non capiva ma non potevo biasimarlo , era difficile perfino per me, per noi, che sapevamo cosa provavamo, figuriamoci per lui che ci vedeva così complicati
“Non possiamo nemmeno amarci.”
“Io dico che siete pazzi.”
Sorrisi
“A quanto pare c’è chi apprezza la nostra pazzia.”
Risposi indicando Alyssa e Cal con un gesto veloce. Luke si era messo le mani in tasca e mi fissava come per dire ‘ non c’è niente da fare con questa’, per questo gli diedi un spintone in direzione del gruppo e fu come spingere un palazzo di cinque piani.
“Dai, torna dalla tua ragazza”
“Ma…”
“Non ti azzardare a negare!”
“Non lo farò!”
Finalmente mi avviai anche io verso gli altri , senza fare a meno di pensare che c’era un’aria di friendzone fin troppo forte. Non appena ci ricongiungemmo al gruppo vidi Michael puntarmi uno sguardo supplicante e prima di posizionarmi strategicamente tra lui e Luke buttai un’occhiata di intesa a Calum, sperando che capisse. Quei suoi occhi scuri mi guardavano comprensivi mentre quelli di Alyssa mi stavano scavando lo stomaco, era un po’ troppo possessiva quella ragazza. Dovevo sostenere qualcun altro in quel momento , così la ignorai, anche se sentivo ancora quello sguardo bruciarmi addosso.
“Michael, ” sussurrai all’orecchio di quel ragazzo dai capelli strani  “non farlo, ti farai male.”
Erano tutti concitati a parlare dello spettacolo, quindi non badavano a noi che confabulavamo
“No, devo farlo. Stanotte.”
“Michael è bellissimo ma sai come andrà a finire. Lo so che non ti basta quello che abbiamo noi”
Dissi indicando Cal con la testa
“Voglio la sua risposta a questo.”
“La sai già la risposta.”
Mi si stringeva il cuore, lo avrei portato via solo per non vedere quello sguardo perso oltre le mie spalle.
“Forse ho solo bisogno di uno schiaffo in faccia.”
“Quello posso dartelo anche io.”
Rise senza distogliere lo sguardo
“Intendevo uno schiaffo morale, Hemmings 2.”
“Come se non ne stessi già prendendo abbastanza.”
La risata si spense bruscamente e io mi pentii di tutto quello che avevo detto, sapevo che non sarebbe servito a dissuaderlo dal farsi del male. Doveva sempre fare di testa sua
“Ho bisogno del colpo di grazia forse, è masochista.”
“E’ stupido. Non giocare con l’amore Mike.”
Adesso mi guardava negli occhi e sembrava volermi scavare dentro anche lui
“Non lo farei mai, lo sai.”
‘E’ troppo importante per lui’ , pensai.
Michael’s Pov
Uscendo dal locale camminavamo un po’ tutti per conto nostro, tranne Ashton e Alyssa, che camminavano con il braccio di Ash stretto alle spalle di lei. La reazione di Juliet quando li aveva visti doveva essere stato una sorta di ‘permesso approvato’ alla loro nuovissima relazione. In fondo Ashton doveva tenerci ancora un po’ a Juliet, non poteva essere finito tutto senza nessun sentimento. Quanto avrei voluto che anche Luke e Violet camminassero in quel modo, così da convincermi a non fare quello che avevo in mente, ma ovviamente sapevo che non sarebbe servito a niente. Volevo e dovevo andare fino in fondo, anche se avrebbe comportato una litigata, uno schiaffo in faccia o uno morale, dovevo farlo per me e per i miei sentimenti. Era ora di tirare fuori le palle, in sostanza. Camminando per tutta la strada fino a casa di Violet, dove tutti , e sottolineo tutti, la salutarono con un abbraccio le mie convinzioni andavano sfumando e poi riaccendendosi, non capivo cosa mi stesse succedendo. La prossima fermata era la mia, o almeno doveva esserlo.
“Allora buonanotte Mike.” Mi disse Juliet , che fu l’ultima a salutarmi. Mentre mi abbracciava stringendo un po’ più del solito mi disse con un tono impercettibile
“Chiamami , qualsiasi ora sia.”
“Promesso.”
Rimasi a fissarla cercando di trarre forza da lei che nonostante tutto, nonostante fosse ancora scossa da tutte le rivelazioni e dalla rottura con Ashton continuava a darmi sostegno. Era come un appoggio su cui tutti potevamo contare, c’era sempre quella ragazza. L’avrei chiamata comunque, era l’unica che sapeva dell’enorme cazzata che volevo fare e l’unica a cui sarebbe davvero importato, forse. Presi a camminare verso la porta di casa facendo attenzione a mettere i piedi sulle mattonelle del vialetto, così da non fare rumore e non svegliare Maxi, il mio vecchio e furbo cane. Una volta nascostomi dietro la siepe, controllai che avessero girato l’angolo e poi ripresi a camminare verso casa di Violet. Qualsiasi movimento sulla strada , una foglia, un gatto solitario o persino una folata di vento mi faceva sobbalzare. Avevo camminato centinaia di volte per quella strada di notte, avevo svegliato Violet per chiacchierare altrettante volte, senza che lei dicesse mai no. Quella sera non era come le altre, non dovevo semplicemente svegliarla , dovevo aprirle gli occhi.                                                                                                                                                                                            Arrivato davanti al suo giardino, fui grato che la finestra della sua camera desse sul retro, dalla parte opposta di quella dei suoi genitori e di suo fratello, anche se non c’era in quel periodo. Finn era il quarterback della squadra di football, un metro e novanta di imponenza e io, pur essendo alto quasi quanto Luke, che era uguale a lui, mi sentivo sempre minuscolo rispetto a quel ragazzo. Camminavo sul morbido e verdissimo prato aggirando la casa bianca in stile americano e quando arrivai sul retro mi fermai a guardare la barchetta della famiglia della biondina, ormeggiata sul piccolo molo alla fine del giardino, che terminava direttamente sulla baia di Sydney. Alla chiara luce della luna tutto quello era uno spettacolo, mancava solo un elemento per renderlo perfetto. Mi chinai prendendo in mano una manciata di sassolini e mi avvicinai alla finestra , mettendomi sotto il cespuglio di ginestra. Presi a lanciare i sassolini più piccoli e appuntiti sul sottile vetro della grande finestra di Violet e quando, senza ricevere risposta, stavo per passare a quelli più grandi, si accese una debole luce. Una ragazza dal volto assonnato si affacciò sul davanzale, i capelli scompigliati e un pigiama oversize sceso su una spalla, come sempre. Quanto poteva essere bella. Rimasi immobile mentre tentava di capire cosa stesse succedendo e quando mi riconobbe, o meglio riconobbe i miei capelli, mimò con le labbra un ‘arrivo subito’ e chiuse il davanzale. Mi spostai da sotto quella pianta e andai a sedermi sul molo, con le ginocchia contro il petto e il battito che minacciava di fermarsi del tutto. Invece di battere più forte il mio cuore si fermava, come se fossi invaso da una calma glaciale. E forse ero davvero calmo, fino a quando una figura esile e un po’ impacciata mi si sedette accanto, a gambe incrociate. Mise una mano nell’acqua, ne prese un po’ nel palmo e me la buttò in testa
“Hey!Perchè?”
Mi guardò con fare ambiguo, dovuto al sonno
“Volevo rinfrescarti le idee, devi essere pazzo a venire qui a mezzanotte stanco come sei dopo lo spettacolo.”
Intendeva dire che l’avevo svegliata perché era lei ad essere stanca. Piuttosto strano, ma in fondo che mi aspettavo, Violet era sempre stata la prima a capirmi e sapevo che quella sera, al West Head Look Out, aveva capito tutto. Quando avevo detto quelle parole a Luke… dovevo arrivare al punto.
“Per te lo avrei fatto a qualsiasi ora.”
“Michael io…”
“Lo so , ami Luke, e lo so, sono solo un amico e bla bla bla. Però fammi parlare.”
Annuì debolmente
“Non è il momento giusto per dirti queste cose , con tutto il casino che è successo con Calum e Juliet, ma adesso l’unica cosa che mi importa è farti sapere che mi piaci Violet, mi piaci troppo ed è successo tutto troppo in fretta, me ne sono accorto troppo tardi. E volevo dirtelo io e prendermi questo schiaffo in faccia, ma dovevo farlo perché mi stai ipnotizzando. Perché anche adesso, con quei capelli che farebbero paura a chiunque tu mi sembri sempre più bella e non riesco a non dedicarti tutte le nostre canzoni. Sto parlando come un disperato o una femminuccia ma Dio, cosa mi fai.”
E la baciai. Avevo bisogno di dimostrarle che le mie non erano solo parole. La baciai con un po’ troppa foga e anche se le labbra cedettero subito alla pressione e trovai facile accesso , c’era un sentimento confuso da parte sua. Ci staccammo lentamente. La trovai con lo sguardo spaesato, come se avessi suscitato in lei qualcosa che non si aspettava di provare. Non sapevo se l’avessi spinta verso qualcosa di positivo oppure ad odiarmi , sapevo solo che volevo una risposta, e mi stavo preparando alla peggiore. Lei era ancora interdetta e io aspettavo uno schiaffo, una scenata , oppure una frase che mi avrebbe ucciso. Quello che non mi sarei aspettato sarebbe stata lei che si tuffò nell’acqua della baia, per poi uscirne subito, camminando spedita verso il prato. Abbassai lo sguardo, non pensavo si sarebbe alzata senza dire niente. Diamine, anche guardandola camminare completamente bagnata e piuttosto buffa, con il pigiama attaccato alla pelle chiara mi sembrava perfetta, ero proprio perso. Si fermò bruscamente , si voltò e mi disse
“Io non ci riesco proprio a rinfrescarmi le idee. Mi dispiace Mikey.”
E tornò verso casa. Quando sentii in lontananza la serratura scattare, afferrai il telefono e cominciai a comporre il numero.


Note di Viola e Martina:
Buonasera lettori♥,
Scusateci per l'immenso ritardo, ma come detto abbiamo avuto dei problemi. Inoltre questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere e ideare. Non vi ho convinte e ci inseguirete con i forconi comunque, lo so. Tranquille, dopo tutto quello che succederà nei prossimi due capitoli, avrete modo di ucciderci.
Btw, cosa abbiamo qui? Mh i Julium fanno pace, checccccarini. Gli Ashlyssa sono confermati e Juliet sembra non soffrirne troppo. E alla fine, la bomba atomica che sono i Miolet. Non ve lo aspettavate, ditelo! Ci ucciderete, ne sono convinta.
Sabato e domenica ci sono stati i ragazzi a Milanooo! Chi ha avuto la fortuna, oltre a me e a Tita, di vederli? Erano bellissimi (e bravissimi, obv), dio.
Fateci sapere cosa ne pensate, infamateci, annunciateci i vostri piani criminali per la nostra prossima morte; ma vogliamo sapere i vostri pareri, come sempre.
Tanti baci♥ *spera di persuaderle a buttare i forconi, ma inutilmente*
Violet e Tita xx

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Capitolo 10
*** Love Waits ***


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Feeling Connected

Love waits
ATTENZIONE: CAPITOLO DI PASSAGGIO . Il fulcro della storia è nel prossimo capitolo, se vi annoia leggete pure il successivo.









Ti do il permesso di portare fuori mia sorella. (Sotto la mia supervisione) Royal Botanic Gardens. 6pm.                                                                            
Luke

 

Fantastico.  Tra due ore sarei dovuto uscire e fare finta di niente davanti a Luke, che praticamente riusciva a capirmi senza nemmeno bisogno di guardarmi in faccia. Violet mi aveva appena chiamato , era sconvolta. “Sono stata una stupida a mandarlo via così, non se lo merita!” Mi aveva urlato nella cornetta. Quella stessa mattina era tornato suo fratello e i suoi non l’avevano lasciata venire da me, che sarebbe stato molto meglio. E adesso io, coperto di problemi com’ero e nella stessa situazione del povero Michael, mi ritrovavo a dover fare da ‘palo’ in questa situazione. Almeno c’era Juliet. Forse Luke avrebbe collegato la mia aria da pesce lesso alla presenza di sua sorella , che devo ammetterlo, era cura e male allo stesso tempo. Averla lì, consapevole del fatto che lei conosceva quello che era successo meglio di me , mi faceva sentire un cospiratore contro Luke, che a me non aveva mai nascosto nulla. Stavamo facendo tutto questo per il suo bene e per quello di Violet, sarebbe stato meglio per tutti che per ora la cosa non venisse allo scoperto, al contrario della relazione tra Luke e Violet, che invece aveva mantenuto per troppo tempo un’aria di mistero e riservatezza e aveva portato Michael a dichiararsi. La presenza della moretta mi avrebbe distratto, almeno Luke non avrebbe fatto troppe domande, impegnato com’era a fare da bodyguard alla sua sorellina. Decisi che per quel giorno non avrei fatto inutili tentativi di riparare il mio Gibson , mi serviva un pezzo difficilissimo da trovare e non avrei trascinato Juliet per negozi di musica , sperando che in futuro non le venisse l’idea di chiederle di accompagnarla a fare shopping. Misi il mio amato e malconcio basso nella custodia che sigillai attentamente, nessuno doveva toccarlo senza il mio permesso. Il telefono fece uno squillo veloce dal tavolino
Passi da me?                                                                                                                                                                                                                                                 J
Non risposi, il che significava affermativo. Mentre ragionavo su tutta questa roba, si erano fatte le cinque e visto che dovevo andare a piedi scesi di sotto , avviandomi verso la porta.
“Dove va oggi il mio Romeo?”
Chiese Mali Koa, mentre stavo aprendo la porta per uscire. Odiavo quando mi chiamava così, non era colpa mia se avevo scelto una ragazza con un nome Shakespeariano.
“Al parco.”
Feci un passo avanti
“Tutto solo?”
Chiese in tono malizioso
“Ciao Mali.”
Chiusi la porta sbuffando, possibile che le sorelle maggiori dovessero sempre farsi i fatti degli altri? Cominciai a camminare  piuttosto velocemente, il Royal era piuttosto lontano e dovevo fermarmi da Ju. Accidenti a me e alla mia fobia per gli autobus. In quel gruppo qualcuno doveva prendere la patente, almeno io non ero così ritardatario.                                                                                                                                                                              
Arrivai sotto casa della ragazza alle 5:30 spaccate, giusto la mezz’ora necessaria per arrivare ai giardini in tempo per le 6. Liz mi fece entrare sorridente come sempre
“Oh ciao Calum! Luke è appena uscito, se ti fai una corsetta dovresti raggiungerlo, è andato verso …”
“Ciao! Comunque cercavo anche Juliet, se scende lo raggiungiamo insieme.”
Sfoderai il mio volto più convincente e innocente, Liz era una donna fantastica, ma era anche la madre di Juliet e Luke, il che la rendeva molto simile al figlio e io dovevo passare per l’amico innocente , per evitare il terzo grado tipico Hemmings. Mi fece salire e trovai Juliet intenta a scorrere il suo profilo Twitter , seduta sul letto e china sul pc, con uno chignon alquanto disordinato e dei semplicissimi shorts bianchi con la maglia dei Blink-182 presa sicuramente dall’armadio di Luke, visto come le stava grande. Era la solita Ju, senza trucco e con l’aria spensierata. Era la stessa ragazza che tempo prima mi aveva fatto innamorare, quella perfetta per essere la protagonista di Heartbreak Girl, per averla ispirata. Non potevo perdermi in questi pensieri sdolcinati. Non appena mi vide incurvò le labbra in un sorriso sincero e ampio, il più bello di questo mondo, con due piccole fossette sulle guance.
“Calum! Sono pronta, solo un secondo.”
Mi limitai a sorridere appoggiato allo stipite della porta, guardandola mentre si scioglieva i capelli castani per poi raccoglierli di nuovo, decisamente più ordinati di prima. Quando si accorse che la fissavo fece un sorriso timido e mi guardò
“Cosa hai da fissare?”
“Te.”
Risposi candidamente , perché era la verità. Non mi sembrò stupita o imbarazzata dalla mia risposta, le avevo detto cose del genere prima e mi faceva sentire bene sapere che dopo la mia alquanto imbarazzante dichiarazione, tutto questo continuava a non cambiare. Era come se non fosse successo, ma la conoscevo troppo bene per sapere che anche lei portava nel cuore quella sera e quella canzone, se ne sarebbe solo accorta più tardi.
“Luke! LUUKE!”
Cominciò a urlare Juliet, strano che non sapesse che Luke era uscito, forse si era ricordato all’ultimo momento di dover andare a scuola a fare da tutor ai ragazzini. Forse ci avrebbe avvisato più tardi.
“Luke è uscito prima che io arrivassi, Ju.”
“Avrà scordato di dover andare a scuola e ci ha scaricato, oppure è andato al locale per parlare con il padre del bulldog visto che…”
“Il bulldog? Dimmi che non lo hai detto davvero”
La guardavo a metà tra il divertito e lo sconvolto ma quando la sua risata cristallina vibrò nell’aria come una scarica elettrica cominciai a battere la testa contro lo la parete, non potevo credere che avesse davvero definito la nuova ragazza di Ashton un bulldog.
“Juliet ti prego, non farlo più.”
“Hai paura che anche io cominci a mordere i ragazzi? Arrrg.”
Fece un ringhio da cane rabbioso e io le diedi appena il tempo di afferrare una borsa molto hippie per poi trascinarla per un braccio fuori da casa, sotto lo sguardo divertito di Liz.                                                                                                      Il tragitto dalla casa al parco fu piuttosto allegro, Ju era felice quel giorno, nonostante tutto quello che era successo con Michael. Suppongo fosse la sua voglia di riscatto. Appena arrivati al parco , vidi due sagome bionde, piuttosto alte, a circa trenta metri da noi. Juliet si stava già sbracciando e aveva aperto la bocca per chiamarli quando io le misi una mano sul viso e la trascinai dietro un cespuglio poco lontano .
“Shh. Zitta. Voglio fargli uno scherzo.”
“Ma Calum…”
“Scommetto che tra due minuti sarebbe arrivato un messaggio per dirci di non venire più. Quei due sono il diabete, e adesso arriva Zio Cal che mette un po’ di pepe.”
“Tu sei matto.”
“Te l’ho già detto, chiamami pure Cal Pal.”
Violet continuava a guardarsi intorno, forse aveva paura di trovare Mike che li guardava, visto che anche lui frequentava spesso quel parco; del resto tutti gli adolescenti di Sydney non facevano altro che gironzolare per la città e per i suoi enormi parchi. Improvvisamente vidi il suo sguardo cambiare, nell’istante esatto in cui volse il viso verso Luke. Sembrava che il mondo circostante avesse perso importanza. Ero stupito dall’intensità di quello sguardo e lo fui ancora di più una volta vista la reazione del biondo: Luke la strinse con determinazione, come a voler dimostrare che non intendeva lasciarla andare facilmente e appoggiò le labbra tra i capelli della ragazza, inspirando il suo odore. Quei due stavano insieme da quanto, poco più di una settimana? In realtà credo che dentro di loro stessero insieme da molto di più, solo che non avevano mai voluto cedere all’amore, spaventati e orgogliosi com’erano. Mi voltai verso Juliet, che osservava la scena con un’espressione piuttosto divertente, come a meravigliarsi di vedere suo fratello in quello stato. Tornai a osservare quei due, evitando così di perdermi negli occhi verdissimi e spalancati della ragazza.
“Ju, forse non dovre…”
“Aww il piccolo Calum è intenerito!”
Più che altro ero stupito, non mi sembrava possibile che Luke avesse aspettato così tanto vista l’intensità del sentimento. E segretamente volevo trovarmi al suo posto, con qualcun altro al posto della biondina… Era il tipo di amore che volevo, e mi imbarazzai per i miei stessi pensieri, ero davvero messo così male?
“No, solo che ho paura di prendermi le carie!”
Lei sorrise debolmente, come delusa dalla mia risposta piuttosto stronza e riprese a guardare, con una punta di invidia forse. Improvvisamente cominciai a chiedermi se anche tra Juliet e Ashton andasse così, se quello che vedevo nello sguardo della ragazza fosse nostalgia, invece che invidia. Mi vergognai di ritrovarmi spaventato a quel pensiero, infondo avevo paura che Ju soffrisse ancora, il che non era così da egoista. Era egoistico invece pensare che avrei dovuto continuare a guardarli per ‘imparare’ da Luke. Adesso lui le aveva preso la mano e lentamente avevano intrecciato le dita, tenendosi per mano come se fosse la prima volta che lo facevano. Poi mi resi conto che probabilmente era davvero la prima volta, anche quando eravamo in giro tutti insieme, Luke e Violet camminavano affiancati ma mai per mano, mai abbracciati. Anche se erano da soli avevano finalmente rotto la riservatezza, avevano superato le paure di cui Violet mi aveva parlato. Quando Violet stava avvicinandosi a Luke per dirgli qualcosa , una sagoma si affiancò a loro. Liz.                                                                                                                                                 
“Ma quella è mia madre?”
Chiese allarmata Juliet
“A quanto pare non si è bevuta la storia di Luke.”
Mi sarei alzato e avrei fatto un applauso a quella donna, smerdati in pieno.
“LIZ IS WATCHING!”
Urlai da dietro il cespuglio, consapevole che prima o poi saremmo dovuti uscire allo scoperto.
“Zitto ! Vuoi che pensi male?”
Come al solito non avevo considerato il lato negativo, pensare alle conseguenze dopo aver fatto le cose. E infatti
“Sto guardando anche voi, potete venire fuori miei cari 007.”
“M…”
“Grazie mille Calum, adesso ti offri tu per gli Hunger Games.”
Ci alzammo in piedi, vedendo Luke che tentava di spiegare a Liz qualsiasi cosa ci fosse da spiegare, senza mollare la mano di Violet, un vero atto di coraggio. Mentre ci avvicinavamo potevo sentire
“Mamma, non è come pensi, noi stavamo andando a scuola…”
“Zitto Lucas, ti ho trovato qui per caso. Violet, sono contenta che qualcuna abbia avuto il coraggio di stare con mio figlio, almeno non penserà solo alla sua chitarra.”
Violet cominciò a ridere imbarazzata e Luke sbiancò completamente, sua madre arrivava sempre in quei momenti. Ero troppo impegnato a godermi la reazione di quel deficiente del mio migliore amico per pensare che in due minuti sarebbe toccato a noi.
“E voi due, che ci facevate dietro un cespuglio?”
Chiese la madre dei due, spostando lo sguardo sulla figlia,che era stranamente tranquilla, al contrario del fratello. “Stavamo aspettando il momento giusto per prendere un po’ in giro questi due, grazie Mamma.” E si avvicinò per darle un bacio sulla guancia. La donna la guardò come per dire che non era molto convinta , ma stranamente decise di fidarsi e tornò a concentrare la sua attenzione sulla coppietta, risparmiandomi un’imbarazzante conversazione. Mi ricordai della sua reazione quando beccò Ju e Ash nel garage a suonare la batteria insieme, dire che li interrogò è poco. Per la gioia di tutti, non fece altre domande e ci lasciò andare, forse era contenta che i figli fossero contenti e devo ammetterlo, mi dava una punta di soddisfazione il fatto che pensasse a me come il ragazzo di sua figlia. Ancora una volta era Juliet a doversi rendere conto dell’evidenza, proprio come avevano fatto Violet e Luke, in ritardo.
“Te lo giuro Luke, non stavamo spiando.” Tentò Calum cantilenando un po’ la frase e assumendo un’espressione turbata. Pessimo attore.
“Sì, James Bond.” Replicai tranquilla. Calum si girò verso di me con disappunto e Luke mi battè il cinque facendogli la linguaccia. Il moro mise su un finto broncio e incrociò le braccia al petto come fanno i bambini. Juliet prese a ridere divertita e a prenderlo in giro, spintonandolo di tanto in tanto. Calum le rivolse parecchie occhiatacce così che la ragazza dovette cercare un modo per farsi perdonare.
Il ragazzo era furbo e deciso in caso volesse ottenere qualcosa. Osservava Juliet con lo sguardo perso, quasi non si rendesse conto di averla vicina, o forse con lo sguardo di chi guarda qualcosa di troppo bello e lontano dai propri standard. Si comportava come se si stesse trattenendo, come se stesse aspettando. Non era impulsivo, cercava di ottenere le attenzioni necessarie senza, però, costringere Juliet a comportarsi diversamente dal solito. Forse era solo lei a non accorgersi che il loro rapporto stava cambiando davvero. O forse non era mai stato diverso. Forse dovevano solo scoprire la verità.
La mora tentò in tutti i modi di convincere Calum a perdonarla, per qualsiasi cosa avesse fatto. Lo ricoprì di complimenti. Lo abbracciò, per quanto le fosse permesso di fare a causa delle braccia incrociate. Il ragazzo sorrideva beffardo e soddisfatto. Scossi la testa. I maschi non sarebbe mai cambiati nel loro modo di essere egocentrici e viziati. Anche Luke si comportava allo stesso modo. Solo in quel momento mi resi conto di quando, in realtà, Juliet e Calum ci somigliassero. Fu per questo che sorrisi a me stessa, consapevole.
Stavamo camminando per il parco, ognuno perso nei suoi pensieri. Luke mi accarezzava la mano e io mi ero soffermata ad osservare ogni dettaglio e movimento dei due ragazzi affianco.
Juliet si era ritrovata avvinghiata al moro, abbracciandolo da dietro mentre tentava di camminare senza inciampare. Calum si era arreso a lei e riusciva solo a sorridere. Allora la ragazza aveva emesso un verso, come ad acclamare la sua vittoria provocando una risata generale.
Calum appariva sempre distratto, non riusciva a seguire i discorsi per troppo tempo, soffermandosi invece ad osservare un punto ignoto davanti a lui o il cielo sopra di sé. Ogni tanto voltava il capo verso Juliet e non poteva fare a meno che sorridere. Un sorriso malinconico, da quello che riuscivo a concepire io. Non che fosse triste; no, c’era qualcos’altro. Era come se sperasse di averla subito, ma fosse consapevole che aspettarla era il suo destino. Era come se i suoi occhi urlassero che le cose belle si aspettano e Juliet era forse la più bella di tutte, per lui. Non l’avevo mai visto così concentrato su qualcosa, a parte il suo basso. E questo la diceva lunga: Calum dava l’anima per la sua musica.
Non mi ero mai fermata a pensare a Calum e Juliet come una coppia perché li avevo sempre visti così, con quel rapporto che ballava fra le coccole e gli scherzi. Fra l’amore e l’amicizia c’è una linea sottilissima e non saprei spiegare da che parte stavano quei due. Forse in mezzo, come erano sempre stati. Non sapevo nemmeno spiegarmi se Juliet fosse indifferente a quello che il moro provasse per lei o se ricambiasse. Sapevo, e lo sapevo anche da troppo tempo, che Calum avrebbe fatto di tutto per farla stare bene.
Quando lo conobbi non avrei mai pensato che si sarebbe mai innamorato in questo modo. Non che fosse uno di quei ragazzi che usano le ragazze, lo vedevo solo troppo preso da se stesso, troppo piccolo per prendersi una sbandata del genere. Invece dovevo immaginarmelo. Tutto viene quando meno ce lo si aspetta. E così era successo a Calum. Juliet era entrata nella sua vita quando meno se lo sarebbe aspettato e tutto in una volta. Il loro rapporto non era mai passato in quella fase ‘conoscenti, forse amici’, loro si erano trovati e si erano scelti. In che modo non ero ancora in grado di spiegarlo.
Luke mi strinse un po’ più la mano, accorgendosi che mi ero assentata per un po’ troppo tempo. Mi voltai verso di lui e mi trovai a osservare le nostre mani intrecciate. Era forse da troppo che aspettavo di vedere le nostre mani così vicine. Non volevo ammetterlo a me stessa, prima che ci rendessimo ‘ufficiali’, anche se probabilmente non lo eravamo solo ai nostri occhi.
Senza nemmeno accorgercene si era fatta sera ed era ora di tornare a casa. Il parco mi metteva timore avvolto dal buio. Decidemmo di rifilare a Calum la scusa del “Violet dorme a casa nostra” per liquidarlo e avere la possibilità di architettare la nostra sorpresa.
Lo accompagnammo a casa Hood con una certa fretta che non passò inosservata.
“Ragazzi, sono solo le 9, come mai tutta questa fretta di scaricarmi?” ridacchiai e Luke mi precedette nella risposta.
“Cose da ragazze.” Disse imitando una pseudo voce femminile, alludendo alle chiacchiere notturne fra ragazze. Calum sembrò bersi la storiella inventata al momento e ci congedò con un sorriso, senza dimenticarsi di abbracciare me e Juliet, stringendo quest’ultima come dovesse dirle addio per sempre.
Una volta a casa Hemmings ci mettemmo tutti e tre attorno al tavolo della cucina, pronti a organizzare l’uscita. Ci guardammo negli occhi come fanno gli agenti del FBI nei film d’azione e gridammo un “Via!” per mettere in chiaro tutte le proposte e le idee.
Fra un paio di settimane sarebbe stato il compleanno del moro e avevamo intenzione di portarlo in spiaggia, senza che lui lo sapesse, ovviamente. Era una specie di rito, ormai. Ogni anno facevamo una gita in spieggia. In questo caso, però, sarebbe caduta a pennello con il compleanno di Calum, cosa che non ci disturbava affatto, perché sarebbe stato più semplice organizzare una festa o comunque qualcosa del genere.
Juliet tirò fuori un block notes e una biro blu e quando finì di prendere gli appunti necessari, alzò lo sguardo e annunciò “Gli piacerà.”

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Capitolo 11
*** Ocean ***


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Feeling Connected

Ocean

 
 
 
 
“Tonight we’re fading fast
I just wanna make this last”

 
 
 
La gita per il compleanno di Cal doveva essere una sorpresa, e visto che era sempre nei dintorni impiegammo poco più di due settimane, per questo avevamo chiamato la sua peggior cospiratrice per organizzarci: Mali Koa. Calum non avrebbe mai accettato di essere accompagnato dalla sorella per uscire, ma era l’unica che avesse la patente e che fosse disponibile a portarci quel giorno, un soleggiato e caldissimo 25 gennaio. Onestamente ero contento che Finn fosse impegnato, dopo che mia madre ci aveva scoperti avevo un po’ paura di quel ragazzo, visto che sicuramente mia madre e la madre di Violet avevano avuto occasione di parlare, colleghe di lavoro quali erano. L’accordo era che ci saremmo trovati tutti sotto casa nostra alle 9 del  mattino, visto che Calum odiava svegliarsi prima delle 11, e così facemmo. Alle 9 in punto , strano ma vero, c’eravamo proprio tutti: Violet, in un bellissimo costume nero abbinato al suo vestito, che devo ammetterlo, mi mandava un po’ in tilt la parola quando la guardavo, Juliet, che stamattina sfoggiava un sorriso meraviglioso, era sempre contenta di queste sorprese, io, per una volta senza i miei inseparabili skinny jeans neri, Ashton e Alyssa, entrambi con due facce piuttosto assonnate , Diana, con i capelli riccissimi sciolti, e infine un Michael che ultimamente non si era fatto molto vedere, rifiutando le nostre richieste in modo piuttosto strano, come se non si sentisse a suo agio in nostra compagnia. Decisi che avrei indagato su questo suo comportamento una volta arrivati a Bondi, la spiaggia di Sydney più gettonata per i giovani, posto che Calum definiva noioso perché “non era abbastanza affollato”. Di solito il sabato , specialmente di mattina, la spiaggia si riempiva di ragazzi ed era sempre pieno di gruppi che organizzavano balli e giochi, altra cosa da cui tutti ci astenevamo sempre, per cui avevamo pensato che il diciannovesimo compleanno di Calum fosse l’occasione giusta. Da adesso Cal sarebbe stato il più grande dopo Diana, il che mi dava piuttosto fastidio, visto che era abituato a prendermi in giro sulla mia età.
“Siete tutti pronti?”
Chiese Violet mentre si avvicinava per darmi un bacio veloce. Eravamo usciti allo scoperto, devo ammetterlo, ma ormai non aveva senso continuare a fare i misteriosi, io amavo lei, lei amava me. Non ci spingevamo certo in coccole davanti agli altri, come facevano continuamente Ashton e Alyssa e a noi andava bene così, i sentimenti erano troppo preziosi per essere resi pubblici.
“Assonnati ma pronti.”
Rispose Alyssa , mentre si stringeva al braccio di Ashton , che sembrava impegnarsi per tenere gli occhi aperti. Mi domandai il perché di quella improvvisa stanchezza, ma poi mi dissi che non volevo davvero saperlo. Insomma, non erano fatti miei.
“E tu Mike?”
Chiesi cercando di rompere il muro di pensieri che il ragazzo si era creato per difendersi da chissà cosa. Dovevo assolutamente sapere cosa gli passava per la testa, era del tutto innaturale che lui si comportasse così. Un movimento della testa confermò il fatto che fosse pronto a partire, forse non vedeva l’ora di cimentarsi in qualcosa che lo tenesse lontano da noi.
“Perfetto, allora andiamo!”
Esclamò Juliet contenta. Diedi una pacca sulla spalla di Michael, che sembrò totalmente freddo , piuttosto infastidito anzi. Mentre Ash e Alyssa si sostenevano a vicenda , Violet prese a spingere Michael da dietro, il quale rispose con un sorriso stanco e malinconico, molto strano. Violet doveva sapere qualcosa , e io avrei scoperto che cosa.                                                                                                                                                                          Arrivati a casa di Calum, trovammo sua sorella ad aspettarci seduta sulle scalette della porta, con le chiavi della macchina dei genitori, un pulmino in realtà, in mano. Era uno di quei Ford stile anni 60’, che faceva tanto California, quello stile giovane che rispecchiava perfettamente il carattere della nostra compagnia. Quel sabato i genitori erano impegnati in chissà cosa e ci avevano dato la disponibilità di usare il furgone, contenti che buttassimo giù dal letto il loro pigro figlio.
“Mi piace questa sorpresa per Rom… cioè per Calum, siete gli unici che possono convincerlo ad alzarsi stamattina, non ci è riuscita nemmeno la colazione di compleanno!”
Mali era sempre così gioiosa e devo ammetterlo, bellissima. Avevo avuto una cotta per lei qualche anno prima e credo che senza confessarlo , tutti eravamo stati innamorati di Mali Koa, per evitare le prese in giro di Calum. Andai verso il furgone, parcheggiato sul vialetto proprio sotto la finestra di Calum , e mentre tutti entravano per sedersi nei numerosi sedili posteriori , premetti una mano sul clacson con tutta la forza necessaria per non rompere il volante. Il suono era forte e insistente e dopo poco tempo, una testa con dei capelli neri sparati da tutte le parti si affacciò dalla finestra, piuttosto infastidita.
“Mali, si può sapere per…”
“BUON COMPLEANNO!”
Fu la risposta in coro alla mancata domanda di Calum. Quando vide tutti quanti affacciati dai finestrini la sua espressione passò da un sorriso spontaneo all’incredulità più sincera, il solito Calum.
“E’ già 25? Qualcosa mi dice che sono più grande di un certo qualcuno…”
Disse con una faccia beffarda mentre finiva di infilarsi la maglietta uscendo dalla porta, con in mano una maschera per nuotare sulla barriera, nonostante non ci fossero punti simili a Bondi.
“Simpatico Cal, sali o ti lasciamo solo nel giorno del tuo compleanno.”
Risposi per rispondere alla provocazione che tanto aspettavo.
“E lasciarlo a diventare scemo giocando a Fifa fino a notte fonda?”
Replicò Mali. Ridacchiai leggermente vedendo l’espressione contrariata di Calum, odiava quando la sorella si comportava così
“Sai Cal, sarò ancora diciottenne, ma mia sorella non mi fa da segretaria.”
Dissi con fare soddisfatto, se non che Juliet rispose
“Ti ricordo chi è che ti prepara i vestiti ogni volta che devi uscire?”
Calum se ne uscì con un verso di vittoria e diede il cinque a mia sorella, che mi aveva doppiamente reso ridicolo, davanti ai miei amici e a Violet. Decisi che quel giorno me l’avrebbe pagata, l’avrei fatta spaventare a morte.
Il viaggio fu breve, Ash aveva portato la sua “batteria portatile” come la chiamava sempre Ju , quindi passammo i 30 minuti che ci separavano dalla coloratissima spiaggia a cantare alcune delle più famose canzoni dal ritmo estivo. La nostra preferita era ‘Forget You’, e quel giorno non cantavo solo io.
Una volta arrivati all’ingresso della spiaggia, Mali ci lasciò con uno dei suoi soliti saluti esuberanti, suonando più volte il clacson, mentre Cal cercava di nascondersi. Si preoccupava sempre troppo quando era in posti come quello. La gente quella mattina sembrava sparita, del resto quelle settimane erano importanti per la città, erano tutti impegnati a organizzare i numerosi eventi delle settimane del turismo, fondamentali per l’economia di Sydney. Io e mia sorella eravamo esperti in materia, visto che nostro padre era manager di una catena di hotel.
“Ve lo dico sempre io che non è un posto figo!”
Fu la prima cosa che disse il moro.
“Sta zitto e va a farti un bagno.”
Rispose Ashton, che non vedeva l’ora di prendere la sua tavola da surf e buttarsi in acqua. Alyssa non sembrava molto contenta delle pazzie che Ashton stava progettando di fare quel giorno, cose a cui invece la mia divertente sorellina partecipava sempre. Mi ritrovai a pensare che forse ad Ashton mancava un po’ l’alchimia innata che aveva con mia sorella, viste le facce deluse alla reazione di Alyssa. Uno strattone di Violet mi costrinse a distogliere lo sguardo da Juliet e Diana che confabulavano concitate e senza accorgermene mi ritrovai a correre verso l’acqua cristallina, con le onde altissime che sembravano sfidarci , e decisi che avrei raccolto la sfida. Lasciando per un momento la mano della ragazza mi tolsi la maglietta, gustandomi il suo sguardo a metà tra il compiaciuto e il timido alla vista di quell’accenno di addominali che ero riuscito a farmi negli ultimi mesi. Le ripresi la mano sorridendo e mi diressi verso la parete delle tavole, scrissi il mio nome e il numero della tavola in tutta fretta e poi ripresi a correre verso l’acqua.
“Reggiti forte!”
Urlai a Violet sentendola aggrapparsi alle mie spalle, un attimo prima che le onde del Pacifico ci travolgessero. L’acqua fredda e pura delle spiagge australiane era un vero e proprio spettacolo, così pulita e blu . Mentre continuavo a spingere la tavola verso il blu sempre più profondo delle acque, sentii la mano di Violet che mi stringeva il braccio, segno che doveva respirare, e mi affrettai a risalire verso la superficie. Una volta che ci fummo seduti sulla tavola e la sentii
“Stai bene? Hai difficoltà con l’apnea?”
Chiesi allarmato, non volevo che le succedesse qualcosa mentre eravamo abbastanza lontani dalla riva.
“Cosa? No, affatto. Ti ho fermato prima che ti avvicinassi troppo a una corrente, avremmo rischiato di essere portati via.”
“Scusa, mia sorella quando fa così intende dire che deve respirare, ha l’apnea molto molto corta e pensavo … Una corrente? Come hai fatto a vederla con  l’acqua così pulita?”
Io non avevo visto niente eppure ero un ottimo surfista, che avessi trovato qualcuno più bravo di me?
“Adesso ti faccio vedere, c’è una fascia più in là, leggermente più chiara e veloce, se ti concentri la vedi.”
Mi fece segno di guardare sott’acqua e quando mi sporsi dalla tavola e misi la testa sotto, mi accorsi di quella spessa striscia di acqua che si muoveva più rapidamente di tutto il resto sotto la superficie. Risalii in contemporanea con la bionda, che aveva il volto un po’ confuso.
“Ce n’è un’altra laggiù.-”
Disse indicando con un punto più lontano dall’altro lato della tavola
:“-E credo che convergano. E’ strano visto che l’acqua è così pulita, dobbiamo dire agli altri di stare attenti, specialmente a tua sorella se non riesce a stare sott’acqua per troppo tempo. Se qualcuno si ritrova in una di quelle correnti potrebbe non riuscire a nuotare contro.”
Ero stupito sia dal fatto che a Bondi ci fossero delle correnti simili in quel periodo dell’anno,il che significava che era in arrivo brutto tempo, che dalla conoscenza di Violet di tutta quella roba. Probabilmente si accorse della mia perplessità e disse
“Mio padre è stato campione di surf da giovane, eredità genetica!”
Rise tra sé e sé , una risata contagiosa e pulita, una delle tante cose che mi piacevano di lei.
“Se ci sono tutte queste correnti allora questo scatenerà una tempesta.”
Dissi mentre mi avvicinavo per baciarla piuttosto appassionatamente, le lingue che si intrecciavano con forza e dolcezza. Le mani di Violet finirono tra i miei capelli in meno di un secondo, ad accarezzarmi a ritmo con i battiti del suo cuore che sentivo aumentare ogni secondo che tenevo le mie labbra sulle sue. Le mani uscirono dalle mie ciocche bionde e andarono ad abbandonarsi appena sopra la mia schiena, sostenute dalle braccia della ragazza intrecciate dietro il mio collo, che ci tenevano ancorati l’uno all’altra come le nostre gambe, finite chissà come a formare una sorta di gancio, che ci teneva vicini, amplificandomi le sensazioni e facendomi rendere conto che anche l’acqua sembrava farsi troppo calda per me. La ragazza si staccò ridacchiando leggermente cominciò a mordersi il labbro. Mentre le mie mani erano finite sulla sua schiena lei aprì la bocca per dire qualcosa ma fu interrotta da un’altra voce
“Ricordati che ha diciassette anni!”
Ashton.  Violet arrossì leggermente e io ero un po’ infastidito all’idea che ci avesse visto e che sicuramente lo avrebbe raccontato agli altri, infondo era un nostro momento e non avevo intenzione di condividerlo.
“Adesso me la paga.”
Dissi deciso . Lei si strinse di nuovo a me, questa volta cingendomi il busto con le braccia e appoggiando il mento sulla mia spalla, per vedere cosa avevo in mente di fare. Mentre con le braccia tentavo di avvicinarmi verso Ashton per buttarlo giù dalla tavola, Violet si irrigidì e indicò Ashton con espressione preoccupata.
“Sta andando verso la corrente, nel punto in cui convergono c’è un mulinello, dobbiamo fermarlo Luke!”
Cominciò a remare con me, cosa resa piuttosto difficile dalle onde che continuavano a formarsi nella zona dove eravamo.
“Ashton! Fermati!”
Era sempre più vicino a quella maledetta corrente, che ovviamente lui non vedeva, visto che era impegnato a prendersi gioco di noi.
“Perché dovrei Hemmings, non mi farò buttare in acqua da voi due!”
Era entrato nella corrente. Vidi Violet sbiancare quando guardò l’espressione di Ashton, che ovviamente si era accorto che qualcosa non andava, visto che lui remava e la tavola lo portava indietro, verso il mulinello che adesso vedevo anch’io. Era abbastanza lontano ma dovevamo sbrigarci se Ashton non voleva essere portato sott’acqua senza poter fare niente per impedirlo. Adesso il ragazzo ci faceva segno di raggiungerlo mentre con una mano tentava di remare controcorrente.
“Continua a nuotare! Non lasciare la tavola!”
Gli urlò la biondina mentre muoveva la braccia sempre più velocemente, mano a mano che Ashton si avvicinava al mulinello.
“Luke non così, mettiti parallelo alla corrente o ci finiremo tutti dentro!”
Feci come mi aveva detto ma mi bloccai un secondo sentendo l’acqua farsi più movimentosa sotto i nostri piedi, era come se la corrente attirasse tutto ciò che vi si trovava intorno. Mi voltai fugacemente verso la spiaggia, in tempo per vedere una bandierina rossa sventolare in lontananza. Ci eravamo allontati troppo e il bagnino non c’era. Fantastico.
Ashton era sempre più vicino a quel dannato vortice di acqua e adesso non muoveva più le braccia, bianco in volto. Il mulinello era sempre più grande e veloce, ne avevo visto uno simile una volta. Sapevo che avrebbe cessato di essere pericoloso nel giro di dieci minuti ma che nel frattempo avrebbe portato giù qualsiasi cosa, senza nessuna pietà.
“Non fermarti , siamo vicini!”
Gli urlai io e fu come se Ash non mi avesse minimamente sentito, tanta era la paura a paralizzarlo. Inizia veramente a spaventarmi, sudavo freddo. Violet a sua volta sembrava concentrata, non si faceva prendere dal panico come me.
“Merda, dobbiamo muoverci! Ash ci siamo quasi!”
Adesso eravamo davvero vicini ma dovevamo stare attenti a non entrare nella corrente , il che si faceva sempre più difficile vista la forza di quella cosa. Presi in mano la corta corda di sicurezza che fortunatamente quella tavola aveva e cercai di avvicinarla al bianchissimo Ashton, che adesso muoveva mani e piedi confusamente. La sua tavola era proprio sul ‘bordo’ della massa d’acqua ma lui era troppo spaventato per accorgersene.
“Afferra questa, sbrigati!”
La voce di Violet sembrò svegliarlo appena e lui allungò tremante un braccio verso la sottile cordicella, che sperai con tutto il cuore lo avrebbe sostenuto. Ci avvicinammo con la tavola un po’ di più e quando vidi che aveva afferrato la corda cominciai a tirare, mentre Violet nuotava in verso opposto . Proprio quando stavo per afferrare la mano di Ash, la sua tavola ebbe uno strattone nella parte posteriore che gli fece perdere l’equilibrio. La corda si spezzò non appena la sua estremità cadde dalla mano di Ashton nell’acqua , ma io fui abbastanza veloce da afferrare il polso del ragazzo e gli diedi uno strattone, evitando che battesse la testa troppo forte sulla tavola.
“Scendi da lì e nuota come me!”
Gli urlò la ragazza , appena in tempo perché Ashton scendesse dalla tavola, che era finita dritta dentro il mulinello. Mentre io tiravo Ashton sempre più forte per allontanarlo dal vortice e con una mano aiutavo Violet ad allontarci da quel punto vidi una sottile striscia rossa sul labbro di Ashton.
“Stai bene?”
Il ricciolino annuì con vigore e prese a guardarsi intorno , come a volersi rendere conto che era davvero salvo e che tutto questo era successo davvero. Lo aiutai a mettersi sulla tavola, diventata improvvisamente stretta per tutti e tre, tanto che una volta allontanatici parecchio mi buttai in acqua, tenendomi con una mano alla tavola. Violet respirava affannosamente, non doveva essere stato semplice nuotare con tutta quella forza.
“Prometto che non vi disturberò mai più.”
Disse Ashton mentre tentava di riprendere fiato . Tentammo di ridere con scarsi risultati, eravamo ancora un po’ scossi, non potevo credere di come fosse stato semplice rischiare la vita . E non potevo credere di essere riuscito a impedire che Ash finisse lì dentro.
“Sul serio ragazzi, grazie.”
“Cerca solo di non ammazzarti quando non ci siamo noi.”
Gli rispose scherzosa Violet.
Ci dirigemmo verso la spiaggia  , dove Alyssa abbracciò Ashton quasi fino a stritolarlo , infondo aveva davvero rischiato la vita.
Una volta che la situazione tornò normale Juliet annunciò
“Calum, visto il tuo smisurato amore per Bondi Beach, abbiamo pensato che… passeremo qui la notte!”
Calum non disse niente all’inizio , si limitò a guardarla come a dire “lo faccio solo perché è il mio compleanno” e poi se ne uscì con
“Confido nel regalo.”
E avrebbe fatto bene. Il pomeriggio trascorse tranquillo e tutti eravamo contenti del fatto che la spiaggia fosse quasi deserta, meno seccature e più libertà per noi. Juliet e Michael ad un certo punto sparirono e Alyssa ci diede prova del suo talento di manager, convincendo il padrone delle tavole a non denunciarci per avergliene distrutta una nel mulinello. Dopo circa trenta minuti, mia sorella e Mike tornarono, con in mano una custodia nera, che chiunque avrebbe identificato come una custodia per chitarra, con un nastro blu intorno.
Davanti alla faccia sbalordita di Calum Juliet spiegò
“Abbiamo pensato che sulla spiaggia ci sarebbe servito qualcosa per fare musica... e poi io volevo scusarmi per il Gibson quindi…”
Cal non le diede il tempo di finire e si lanciò in un abbraccio, che poi estese a tutti noi, contento come non lo avevo mai visto per una chitarra. Forse parte della contentezza era dovuta al fatto che mia sorella lo avesse pensato per scusarsi del Gibs, dimostrandogli così quanto tenesse a lui.
Convincendo Calum ad aspettare la sera per provare la sua nuova chitarra, riuscimmo a preparare un falò e a montare le tende che avevo segretamente preso in prestito dal garage del vicino, che non andava in campeggio da anni e non credo gli sarebbe venuta voglia proprio in quel giorno. Io e la bionda accendemmo il falò, dopo diversi tentativi senza successo, e Calum cominciò a cantare ‘Check yes Juliet’ per prendere in giro mia sorella,che continuava a ridere per chissà quale motivo. Ashton ogni tanto le lanciava occhiate di nascosto, come se fosse nostalgico, o peggio geloso. Ma poi tornava a concentrarsi su Alyssa e io sulla mia Violet che se ne stava appoggiata alla mia spalla e sorrideva guardando Cal che cantava quella canzone. Il suo sorriso si allargò quando si girò verso di me e io le lasciai un bacio sulla fronte. 
“Avrei una proposta!-”
Esclamò Diana ad un tratto , facendo girare tutti verso di lei.
:“-Perchè non facciamo un gioco di domande? E’ come il gioco della bottiglia, senza bottiglia. A turno ognuno di noi fa una domanda a chi si trova di fronte e se non risponde, si sceglie una penitenza da fargli fare. Che ne dite?”
Il gioco ottenne l’approvazione di tutti, infondo non avevamo niente da fare e per cantare canzoni sulla spiaggia ci sarebbe stato tempo. Cominciò Juliet, che chiese ad Alyssa
“Che animale vorresti essere e cosa faresti come prima cosa?”
Vidi me e Calum che tentavamo di trattenerci dalle risate, per fortuna Alyssa era troppo stupita dalla domanda per accorgersene.
Poi fu il turno di Violet, che dovette fare la domanda a Diana
“ Chi baceresti adesso?”
La domanda la mise un po’ in soggezione e vidi Michael irrigidirsi , come se si aspettasse di sentire il suo nome, ma la ragazza non diede segno di voler scegliere lui, tanto che rispose
“Calum, perché vi sbaraglia tutti con gli addominali.”
Suscitò una risata generale, facendomi riflettere sul fatto che dovevo davvero fare un po’ più di palestra. Calum era imbarazzato e guardava costantemente Juliet, che nel frattempo rideva ancora, contagiandoci tutti con quella risata che somigliava tanto a quella di Ashton.
Poi finalmente arrivò il mio turno e la persona di fronte a me era Michael. Avrei potuto chiedergli il perché del suo comportamento , ma poi mi dissi che era meglio per me se avessi parlato di questo in privato con lui, quindi gli feci una semplice domanda.
“Se potessi scegliere una cosa che hai fatto nell’ultimo periodo e rifarla nuovamente, esattamente come la prima volta, quale sarebbe?”
Mi rivolse uno sguardo come per scusarsi, si alzò e sotto lo sguardo confuso di tutti si avvicinò a me e a Violet, che nel frattempo era diventata più bianca della luna e si era messa a sedere, rigida come non l’avevo mai vista.
“E’ un gioco.”
Disse Michael un attimo prima di chinarsi verso la biondina e baciarla sotto gli occhi sbalorditi di tutti.
Mi avevano mentito. La mia ragazza e il mio migliore amico mi avevano mentito.
Sentii la rabbia e la delusione risalire dal fondo del mio stomaco.
Michael si staccò quasi immediatamente dalle labbra di Violet che aveva un’espressione ferita e sconvolta, allo stesso tempo.
Mi alzai velocemente, stringendo i pugni per evitare di parlare con troppa ira. Invece me ne uscii freddo e apatico
“Da quanto va avanti questa storia?” Nessuno dei due rispose. Michael abbassò la testa per un attimo, poi la rialzò e mi guardò freddo,  quasi spaventato. Violet cerco di avvicinarsi, mi sfiorò il braccio; ma io mi scansai prontamente. Mi guardava negli occhi e io non riuscivo a crederci. Mi sentivo preso in giro, mi sentivo deluso, ferito, debole. Non avrei mai dovuto innamorarmi, lo sapevo dall’inizio che mi avrebbe ucciso, l’amore. E infatti avevo ragione. E infatti stavo morendo.
“Ho detto, da quanto va avanti questa storia?” replicai con la voce più alterata, con gli occhi che bruciavano.
“Luke, io… non c’è mai stato nulla” Violet rispose con la voce debole e tremante. Mi guardava come se non fossi io, mi guardava come se la stessi uccidendo dentro ed in realtà era quello che lei stava facendo a me.
Ignorai quella scusa e mi rivolsi a Michael.
“Allora?” deglutii. Non dovevo farmi prendere dalla rabbia. Io, che la rabbia la smaltivo piangendo. Non potevo piangere. Stavo risultando già troppo debole, come se non avessi il controllo delle cose. Alzai prontamente gli occhi al cielo, presi un respiro profondo e strinsi ulteriormente i pugni.
“Lei non c’entra niente, Luke” cercò di calmarmi, il ragazzo. Risi con fare ironico. Una risata triste, falsa. Una delle più false che avessi mai emesso.
Capii tutto. Era Violet il motivo per cui Michael era sempre assente, sempre assorto, sempre distrutto quando ci vedeva insieme. Era per questo che mi ripeteva quanto lei meritasse un ragazzo che l’amasse per davvero.
Avrei dovuto rendermene conto. Era praticamente palese, ora che ci pensavo. Sì, Violet non aveva colpa, se non che lo avesse baciato. E che non me lo avesse detto.
“Non mi pare tu abbia baciato qualcun’altra, Michael.” Sentenziai letale, con troppo sarcasmo. E lo avvicinai pericolosamente, fronteggiandolo.
Al ragazzo comparve un sorrisino compiaciuto sulle labbra.   
“Vedo che hai imparato l’arte del sarcasmo, piccolo Lukey.” Piegò la testa, mostrandomi che non aveva affatto paura di me. Strinsi di più, se possibile, la presa sui pugni, vedendo le nocche sbiancare.
“Non provocarmi, Clifford.” Sputai fra i denti. Non eravamo mai arrivati a giurarci pugni in faccia. Mai. Nemmeno per una ragazza.
“Avanti, bad boy, fallo.” E invece eravamo lì. Su una spiaggia. Il giorno del compleanno del nostro migliore amico. A giurarci le botte per Violet.   
Non avrei mai pensato di poter arrivare a tanto per una ragazza. Neanche nel fondo del mio subconscio avrei mai pensato di picchiare Michael. Michael, che era una sorta di fratello per me. Che avevamo passato di tutto, insieme, che ci sostenevamo sempre a vicenda.
Lo guardai un’altra volta e serrai la mascella. Feci per sganciare il primo destro, quando vidi una figura esile mettersi  in mezzo, con gli occhi sbarrati. Una bionda, spaventata, gli occhi lucidi e il respiro affannato. Stava piangendo.
“No!” la sentii urlare. Aveva il fiato corto e mi guardava fisso nelle iridi.
“No.” Ripete più piano. “Luke, non farlo.” Mi implorò.
“Togliti, Violet.” Riferii troppo freddo.
Prese a piangere più forte. Mi si spezzava il cuore, più di quanto già non fosse. Stavo per scagliarmi un’altra volta su Michael, ma qualcuno mi afferrò da dietro e mi strattonò verso di sé.
“Calmati, Luke. Adesso, respira e calmati” mi urlò nell’orecchio la voce di Calum.
“Perché, cazzo? Violet perché?” mi dimenavo. Lei stava là, piangeva.
Piangeva come il cielo minacciava di fare. Si erano formati dei nuvoloni violacei e cupi.
Piangeva e io sentivo di farlo a mia volta, dentro.
“L-luke, no. Non è successo nulla fra me e Michael.” Balbettò e fu convincente. Ma non poteva esserlo. Loro si erano baciati. Si erano baciati e noi ne eravamo tutti consapevoli.
Mi stai uccidendo, Violet.”  La vidi farsi piccola piccola su se stessa. Se da una parte volevo solo stringerla a me, dall’altra non potevo fare a meno che pensare a quanto mi avesse preso in giro.
Forse da Michael potevo aspettarmelo. Ma da lei no. Dopo tutto quello che ci eravamo confessati con gli occhi.
“Luke, credile.” Mi sussurrò Calum. Avrei voluto. Avrei voluto ma non avrei potuto.
“E tu? Tu, Michael? Sei il mio migliore amico, diamine.” Sembravo un disperato.
“Mi piace Violet. Ma a lei piaci tu. E forse troppo. L’ho baciata, ci ho provato. E invece lei mi ha solo ribadito che le piaci. Non dovresti sentirti ferito da lei, quanto meno da me.” Rispose calmo.
“Non voglio litigare con te, non voglio prenderti a pugni. Voglio farti capire che mi sono fatto prendere dai sentimenti. Che lei non c’entra nulla e-”
Michael non potè continuare perchè la sua voce venne sovrastata dall’urlo lacinante di una Juliet scossa.
Mi voltai verso Calum e vidi sul suo viso una smorfia di terrore.
Tutti i ragazzi cominciarono a correre verso la strada e non capii il perché.
Mi girai verso il Sydney Harbour  chiedendomi cosa avesse scatenato l’urlo di mia sorella e le  reazioni degli altri. Non lo vidi mai, era tutto dietro un’enorme parete di acqua.
Uno schianto, la mano di Violet che si allunga verso di me. L’aria che mi manca mentre tutto il mio corpo sembra solo un foglio tra le lame di un tritacarte. Venivo trascinato, sballottato e il cielo sembrava avvicinarsi e poi sparire, le dimensioni annullarsi, i colori cambiare. Chiusi gli occhi aspettando che le onde smettessero di tenermi prigioniero mentre nella testa mi rimbombava una sola parola: tsunami.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note di Viola e Martina:

 
Buongiorno cari lettori,
Abbiamo pensato di aggiornare prima per farci perdonare (e non sarà possibile perchè con questo capitolo non facciamo che peggiorare le cose), per rimediare allo scorso capitolo di passaggio alquanto noioso e per vedere le vostre reazioni a questa novità.
Come detto, questo è il fulcro, la trama di Feeling Connected. Ma il nome Feeling Connected perchè? Questo ancora non possiamo svelarlo.
Sappiamo che la fine vi lascia un po’ con il fiato sospeso, magari vi mette ansia. Vi basti sapere che sia io che Tita ci siamo scritte questo capitolo con le lacrime. Ci siamo affezionate ai personaggi e l’idea dello tsunami è sia crudele che geniale.
Speriamo che il capitolo vi piaccia, speriamo che ci facciate sapere tutto tramite recensioni, anzi questa volta ci contiamo. Grazie per le numerose visite al primo capitolo e ai seguenti. Davvero, grazie. Ci fa sentire fiere.
Okay, questo spazio autrici sta diventando troppo lungo.
Vi auguriamo una buona giornata.
Baci,
Violet e Tita xx

                                                                                                                            

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Capitolo 12
*** Ashton ***


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Feeling Connected

Ashton


ATTENZIONE! Presenza di contenuti forti!









“I'm wide awake
Yeah, I was in the dark
I was falling hard
With an open heart
I'm wide awake”

 
 
Giorno 1, settimana 1, Ashton Irwin: sopravvissuto.
Caro Diario,
sono fortunato ad averti trovato. Sei l’unica certezza che mi è rimasta. Se dovessi uscire vivo da questa situazione, avrai tu il compito di raccontare tutto, io non sono forte abbastanza.
Mi svegliai, senza intenzione di alzare il capo, la prima mattina. Provai a sollevarmi anche di poco, ma ogni piccolo movimento mi provocava dolori lancinanti dappertutto. Sentivo la testa pesante, che ogni tanto mi pulsava. Pensai che l’onda anomala avesse fatto sì che restassi in uno stato di confusione. Decisi, quindi, di restare ancora un po’ disteso su quello che riconobbi fosse asfalto sporco e rotto, tant’è che sentivo la terra stessa sotto la pancia. Quel luogo sconosciuto sapeva di vecchio e abbandonato. Un odore acre e triste, che mi mise persino paura. Paura di essere veramente solo, abbandonato.  Aprii un occhio e poi l’altro. Notai diversi alberi attorno a me. Alcuni sradicati da terra, altri spezzati. Nessuno era intatto. Mi sentii improvvisamente fortunato. Se anche la natura aveva ceduto, io ero veramente forte. Ero sopravvissuto a una catastrofe naturale. Non so quanti danni avessi riportato, ma ero vivo ed era questo l’importante. Ero vivo. Sopravvissuto. Non sapevo quanti dei miei amici fossero nella mia stessa situazione. Avevo paura.  Avevo paura che fossero morti. Che fossi solo. Non sapevo se la mia famiglia stesse bene. Non sapevo nulla. Non avevo solo paura: ero anche consapevole di essere solo.
Decisi che non potevo alzarmi in piedi e rischiare di aggravare la mia situazione. Optai per l’unica opportunità rimasta. Non potevo rimare steso per sempre. Sarei morto di fame o a causa delle ferite. Rotolai su un fianco, ignorando il dolore alla gamba destra. Dovevo avere un’espressione terribile in volto. Pensavo che sarei morto da un momento all’altro e solo a causa del dolore. Mi feci forza e riuscii a mettermi seduto.
Notai con piacere che mi trovavo nei pressi di una struttura restata in piedi, sebbene abbandonata. L’edificio era un usuale palazzo rettangolare, non esageratamente alto con diverse finestre. Somigliava a un palazzo pubblico. Decisi che quando mi fossi sentito più in forze, sarei andato a darci un’occhiata. Per fortuna, non ero messo troppo male, ero ancora rimediabile. Con un po’ di tempo, riposo e bende, mi sarei quasi completamente rimesso. Il problema principale era solo e soltanto la paura. Una paura profonda che non se ne sarebbe andata fino al momento in cui tutto sarebbe tornato alla normalità.
Esaminai la gamba destra, dato che era la parte più ammaccata, a mio avviso. Lo schianto causato dall’acqua mi aveva ridotto la gamba peggio delle altre parti del corpo. Riportavo una ferita piuttosto profonda in verticale su tutto il polpaccio. Il sangue si era fermato, ma ne era uscito parecchio, supposi. Motivo per cui dovevo essere svenuto. La ferita era pulita, in superficie; ma essendo profonda dovevo disinfettarla al più presto e bendarla. Avevo diversi graffi su tutto il corpo e i vestiti erano ridotti in brandelli. Potevo avere un paio di costole rotte, visto l’anomala forma del ventre e la fatica a prendere respiri più profondi. Del resto, solo qualche livido e forse qualche ferita sul viso. 
Ringraziai qualsiasi divintà esistente per le mie condizioni fisiche e pregai che le gambe mi reggessero. Queste situazioni rendono particolarmente credenti, penso. Prima di tentare, ispezionai lo spazio di terra e asfalto intorno a me, in cerca di qualcosa di utile. Notai un ramo, piuttosto robusto a qualche passo da me. Pensai che la fortuna fosse dalla mia parte e mi sentii un traditore, quando probabilmente molti erano morti direttamente, soffocati dall’acqua. Strisciai fino a che non riuscii a prendere la mia inusuale stampella.
Mi issai sulla gamba sinistra, che sembrava più forte e trascinai su la destra, aiutandomi con il ramo conquistato da poco. Seppur con fatica, riuscii a mettermi in piedi.  Provai a fare un passo con il piede destro, ma la stampella non mi aiutava più di tanto, avrei avuto bisogno di un altro ramo, per reggermi saldamente. Quando appoggiai il piede a terra, una raffica di scosse elettriche mi percorse tutta la schiena, provocandomi tanto male da far girare la testa. Non era solo una ferita, quella che avevo.
Resistetti. Dovevo raggiungere l’edificio. Feci ancora un paio di passi, sorpassando un albero, ma questa volta non riuscii a sopportare il dolore e caddi a terra. Non mi feci granchè male, non più di quello che avevo già, per lo meno. Quella sensazione di non reggere, di non farcela però, mi colpì nel profondo, radicando in me un senso di rabbia e una voglia di combattere senza precedenti. Tentai più volte di rialzarmi, ma la gamba non voleva saperne di collaborare.
Quello che venne dopo, però, fu solo orrore e paura. Non ero caduto sulla terra, come avevo pensato. Bensì, mi trovavo sopra il corpo freddo di una ragazza senza vita. Non potevo dire da quanto tempo la vita non scorresse più nelle sue vene, ma doveva essere morta durante lo tsunami, quindi pensai da qualche giorno, non sapendo quando tempo io fossi rimasto incosciente.
La paura mi corse nel sangue un’altra volta. Mi sentivo così solo che sentii le lacrime riempirmi gli occhi. La paura non aveva mai avuto un effetto così dominante su di me, eppure in quel momento era l’unica cosa che riuscivo a sentire. Non sentivo nessun suono, nessun odore. Solo paura.
Mi scansai dal corpo morto e mi accasciai a terra sconfitto, portando le gambe al petto, in posizione fetale. Lasciai andare le lacrime, che mi bagnarono le guance per diverso tempo, senza fermarsi. Sembravo un bambino.
Un bambino senza la sua mamma, pensai.
Mi addormentai sfinito, senza l’ombra di essere forte.
Furono solo alcune ore dopo, forse tante, che fui svegliato da una voce che diceva il mio nome. Restai ad occhi chiusi. Forse stavo sognando. Nessuno conosceva il mio nome. Ero solo. Ero vicino ad un edificio abbandonato. Chi poteva conoscermi?
“Ashton! Ashton, andiamo, svegliati!” la voce cominciò a spezzarsi, singhiozzando. Era una voce di ragazza. La conoscevo. Non poteva essere vero, stavo sognando.
Aprii velocemente gli occhi, cercando di tranquillizzare sia la voce, sia me stesso.
“Juliet.” Riuscii a pronunciare flebile.
Juliet si presentava come sulle spiaggia, qualche giorno prima, solo un po’ ammaccata. Aveva i capelli legati in una treccia, qualche taglio sulle braccia, dei graffi in viso, ma tutto sommato stava bene, dato che riusciva a camminare. Quando notò che respiravo e avevo detto il suo nome, mi si catapultò addosso, cercando di non pesarmi e abbracciandomi come meglio poteva. Non aveva smesso di piangere, ma supposi piangesse di sollievo.
“Ash, sei vivo, oddio, ho avuto così paura che fossi morto, perché-” singhiozzò, prese fiato e  continuò “perché ho trovato il cadavere di quella ragazza e tu non davi segni di vita e io pensavo di essere sola e che tu fossi morto.”
Mi aveva chiamato Ash. Era da tanto tempo che non lo faceva. Sentii una sensazione quasi piacevole crescere dentro di me. Juliet mi era mancata e averla lì, con me, dopo tutto quello che era successo, che mi abbracciava migliorava qualsiasi cosa. Lei era viva. Lei stava bene. Lei era lì con me. La paura andava affievolendosi. Non ero solo. Non ero spacciato. Potevamo veramente farcela.
“Stai bene.” Biascicai in risposta. Non riuscivo ad esprimere la mia felicità nell’averla trovata, ma lei sembrò coglierla, si alzò da me e mi sorrise.
“Sì, non mi sono fatta troppo male. Tu invece sembri distrutto.” Osservò dispiacendosi, come se fosse stata colpa sua per non essere arrivata prima.
“Ho questa ferita che mi impedisce di camminare…” annuii consapevole. La vidi rabbuiarsi “ma sto bene” mi affrettai a dire per tranquillizzarla. La verità era che a stare male eravamo entrambi, solo che io lo ero anche in senso fisico. Il dolore lancinante alla gamba sembrò affievolirsi e passare in secondo piano quando Juliet mi chiese
“Cosa pensi sia successo agli altri?”
Rimasi spiazzato, una parte di me si era promessa di non pensarci ma con quella semplice domanda affiorarono in me tutte le peggiori ipotesi, come sicuramente succedeva a lei. Era questo quello che succedeva con Juliet, con una semplice domanda riusciva a smuovermi dentro, come se mi anticipasse nei pensieri.
“Preferisco non pensarci.”
Risposi semplicemente; ed era vero. Non volevo martoriarmi la mente con pensieri come quelli, ero davvero felice di non essere solo, per quanto nel profondo del mio cuore i nomi di tutti quelli che avevo perso continuassero a risuonare. Leggevo negli occhi della moretta che anche dentro di lei si facevano strada dei nomi che entrambi evitavamo di pronunciare e che entrambi speravamo di rivedere, con tutti noi stessi. Negli attimi di silenzio che seguirono continuai a ripetermeli tutti: Anne Marie, Harry, Diana, Alyssa, Calum, Luke, Michael, Violet. La mia famiglia e i miei migliori amici.
Fu Juliet a rompere il silenzio.
“Non puoi stare qui, quella ferita si infetterà a breve.”
“È già infetta” dissi con un’espressione contorta provocatami da una fitta proprio alla gamba “e fa male.”
“Non è un bene, Ashton,” rispose lei guardandomi preoccupata “devo portarti dentro, vediamo se c’è qualcosa.”
Non sapevo se lei ce l’avrebbe fatta a portarmi dentro, per quanto non desiderassi altro.
“Juliet non posso camminare.”
“Ti terrò io, non  è molto lontano, posso farcela.”
“Cerca solo di tenerti in piedi almeno tu.”
Presi di nuovo in mano il bastone e tentai di mettermi in piedi, riuscendo a tenermi giusto il tempo necessario a Juliet per afferrarmi. Sentivo la presa della sua mano intorno al mio polso, mentre con l’altro mi facevo forza sul bastone, evitando di usare la gamba dolorante. Juliet mi sosteneva con vigore, come se la forza di volontà la aiutasse a non crollare, e forse era proprio così. Ogni passo era uno strazio di dolori che mi correvano lungo tutta la schiena e cominciai a sudare per lo sforzo. Nonostante ci fossimo avvicinati, la porta dell’edificio sembrava sempre più lontana e la mia vista cominciò a colorarsi di luci, provocate dallo sforzo e dai dolori combinati.
Le costole mi facevano sempre più male e sembravano stringersi, tanta era la mia difficoltà nel respirare. Juliet se ne accorse e mi guardò molto scossa
“Dobbiamo fermarci, stai per svenire.”
Mi disse con voce tremante.
“Starò molto peggio se non ci affrettiamo a entrare, guarda dove siamo.” Le indicai con un cenno minimo della testa l’insegna coperta per metà da un telo piuttosto sporco. “Saint Mary’s Hospital.” Recitavano i caratteri cubitali su di essa.
“Non potevamo chiedere di meglio. È fuori uso da quasi un anno, è dove sono nata.”
“Anche io sono nato qui. E non intendo morirci, quindi dobbiamo continuare.”
Non rispose e riprese a camminare, tenendomi ancora più saldo, come se la forza le fosse tornata. I cinque minuti che seguirono restano nella mia memoria solo per il dolore che provai nel percorrere quella poca strada. Una volta entrati attraverso quelle che sembravano le porte della salvezza, trovammo dei calcinacci che popolavano il pavimento, segno che anche la struttura presentava dei seri danni. Fu per questo che decidemmo di fermarci nella prima stanza dopo l’ingresso, in modo che in caso di un crollo o qualsiasi cosa potessimo scappare, per quanto mi fosse consentito dalle mie condizioni. Sulla porta c’era scritto “Registri” e nella stanza c’erano solo tre pareti completamente ricoperte da scaffali pieni di faldoni e raccoglitori pieni di fogli, un divano con alcuni cuscini e un distributore automatico quasi completamente vuoto. In quei mesi di inattività nulla era stato rimosso, era come se il tempo lì dentro si fosse fermato e immaginai che quella fosse la stanza degli infermieri, dove scappavano dall’ambiente asettico e monotono dell’ospedale. Quanto avrei voluto ci fosse un infermiere.
Ringraziando per la cinquemillesima volta il cielo per essere arrivato fin lì, chiesi alla ragazza
“Cosa posso fare?”
“Io vado a cercare qualcosa per medicarti, ho visto che alcuni medicinali sono nella stanza qui vicino, però non siamo dei medici, non possiamo rischiare di somministrarti la medicina sbagliata e ucciderti.”
Si vedeva che era preoccupata, ma nonostante tutto manteneva il sangue freddo. Mentre mi aiutava a stendermi sul divano, le domandai nuovamente
“Quindi cosa possiamo fare?”
“Ho fatto un corso di primo soccorso l’anno scorso, so come medicarti la ferita. Ti cambierò le bende ogni due ore e-”
“Spererai che resterò vivo.”
“Non intendevo… io…”
Adesso aveva gli occhi lucidi, forse non avrei dovuto essere così duro ma dovevamo affrontare la realtà dei fatti.
“Juliet, hai visto la mia ferita. Ho delle costole rotte e non abbiamo la minima idea di come fare a fermare l’infezione. Sono consapevole che potrei non sopravvivere.”
“No!” vidi la determinazione accendersi nei suoi occhi, per poi essere sostituita da un sentimento indefinito “so che è egoistico, ma non ti permetterò di lasciarmi da sola. Io ti salverò, te lo prometto.”
Sorrisi debolmente.
“Sei sempre stata così testarda.”
“Te lo sei sempre cercato.”
Disse mentre si avvicinava alla porta.
“Se ti serve qualcosa mentre sono via, urla.”
Annuii appena, mentre lei usciva dalla stanza. Il sonno mi prese dopo un po’, e l’ultima  immagine che ho di quella sera è proprio lei, che si chinava accanto a me con delle bende in mano e le lacrime che le rigavano il viso.
 
 
Il giorno dopo mi svegliai con il dolore alla gamba attenuato e una sensazione di fresco nella zona della ferita, come se qualcuno avesse buttato dell’acqua sul taglio.  L’unica cosa che mi diede da pensare fu il fatto che ero abbastanza sudato, nonostante i panni bagnati che mi coprivano la fronte e i polsi, particolare che decisi di ignorare. Trovai Juliet indaffarata a lavarsi il viso con una ciotola d’acqua, tipico delle ragazze, il che significava che nell’ospedale fosse ancora attivo il sistema idrico, che ci avrebbe fornito acqua a volontà. Una volta asciugatasi con una tovaglia presa chissà dove, si accorse che ero sveglio e mi sorrise.
“Giorno! È tardo pomeriggio, se ti può interessare.”
“Ho dormito davvero così tanto? Grazie per… qualsiasi cosa tu abbia fatto.”
Pronunciai l’ultima frase scosso da un tremito, provocato da chissà cosa.
“Più che altro hai parlato, mi hai tenuta sveglia ad ascoltarti.” Ridacchiò. “La ferita potrebbe guarire.”
Mi vergognai per qualsiasi cosa avessi detto, probabilmente avevo delirato e quei sudori erano il segno che avevo la febbre, ma fino a che mi fossi sentito bene decisi di tacere, non volevo farla preoccupare senza motivo.
“Sei stata sveglia tutta la notte?” domandai invece.
“Uno di noi due doveva pur stare all’erta, no?”
Mi sentii improvvisamente inutile, come se tutto il peso della mia condizione fisica fosse caricato sulle spalle di Ju, motivo in più per tacere i miei nuovi sintomi.
“Stavi aspettando che io mi svegliassi?”
“Sai, non c’è molto da fare. Lì c’è dell’acqua-” disse indicando una ciotola accanto al divano “-e ho trovato delle gallette che non sono ancora scadute, possiamo andare avanti con quelle. Non saranno pasti sostanziosi ma…”
“Sul serio, grazie.”
“Tra poco non mi ringrazierai più.”
Lo sguardo e l’espressione si tramutarono in un’emozione fragile ma determinata che ancora una volta mi attanagliava lo stomaco, sentendola mia.
“Che vuol dire?”
Prese un respiro e mi guardò negli occhi.
“Che la ferita potrebbe guarire… se solo riuscissi a togliere quello che ti causa l’infezione.”
“Perfetto, togliamolo. Non urlerò, te lo prometto.”
“Non è questo il punto.”
Mi stava facendo impazzire.
“E allora cosa? Lo so che non sei un medico, ma-”
“È proprio questo. Non sono un medico, ma ho passato abbastanza tempo a vedere CSI per sapere che tipo di ferita è e non riuscirei a fare niente di utile.”
“Sentiamo Dr.House, che cosa c’è sotto quelle bende?”
Un altro sospiro.
“Hai delle schegge e altre sporcizie sotto il sangue rappreso e l’altra metà della ferita è aperta. Il che significa che se dovessi sbagliare, potrei riaprila e tu avresti un’emorragia.”
“Dovresti guardare meno film.”
“E tu dovresti smetterla di scherzare con la tua vita.”
Fu l’ultima conversazione del giorno, il resto del quale lei passò a dormire, stanca com’era dalla notte prima. Quando era ormai notte fonda, si svegliò in preda al panico per aver dormito troppo e non avermi cambiato la fasciatura. La ferita adesso bruciava e le fitte aumentavano, per non parlare dell’ondata di dolore che mi avvolse quando tolse le bende impregnate di sangue, guardando con sincero nervosismo la mia ferita, che adesso era di un rosso vermiglio che pulsava ogni secondo che passava a contatto con l’aria. La medicazione fu uno strazio e mi domandai quanto dovesse essere pesante il sonno dell’altra notte, per aver sopportato tutto ciò da addormentato. Una volta finito, Juliet mi guardò e mi disse
“Fino a che è rossa va bene, dobbiamo evitare che diventi nera.”
Non risposi e caddi nuovamente nel sonno, incurante del fatto che anche Juliet stava per rimettersi a dormire e l’ultima cosa che pensai fu il desiderio di riuscire a stare zitto nel sonno.
 
Le giornate trascorrevano sempre uguali e dopo qualche giorno, la febbre sembrava tenersi costante, tanto che pensai di non averla visto che le sensazioni si mantenevano normali. Il quinto giorno che eravamo in quella stanza, chiesi a Juliet di poter uscire, per quanto fossi consapevole che non sarei riuscito a muovermi. Invece di fare storie, la moretta uscì da quelle quattro mura diventate così opprimenti e ne rientrò dieci minuti dopo con una barella davanti a sé. Per quanto sembrasse che stessi per morire, steso su quella barella, con chissà quale aspetto, quello era l’unico modo per uscire e andare a vedere quanto possibile. Sentivo la gamba formicolare adesso, il che poteva significare che stavo migliorando, oppure peggiorando sempre di più.
Con la barella riuscimmo ad arrivare fino al cortile, dal quale non avevo fatto caso si vedesse il mare e tutta la baia del Sydney Harbour. Guardai il quartiere della Sydney centrale, alcuni edifici erano messi piuttosto male, ma per il resto, le sirene di ambulanze e vigili del fuoco facevano brulicare le strade di vita. Spostai lo sguardo verso l’oceano e mi resi conto che un sentimento di odio mi montava dentro. Era lui la causa di tutto il mio male, del perché adesso io e Ju fossimo soli, del perché non sapessi che cosa era successo a tutti quelli che amavo. Era colpa dell’oceano se avevo perso tutto, se probabilmente avrei perso la mia stessa vita, per quanto volessi sopravvivere. Non mi ero reso conto di piangere e una volta fermate le lacrime, chiesi a Juliet di riportarmi dentro, in quella stanza diventata improvvisamente un rifugio da quei pensieri opprimenti.
Mi resi conto che non avevamo visto elicotteri, il che significava che forse quello stesso giorno avrebbero iniziato le ricerche e in me si accese la speranza che i soccorsi facessero presto. Non volevo morire e non dovevo morire, non dovevo perché Juliet mi avrebbe avuto sulla coscienza anche se non era affatto colpa sua, sapevo che si sarebbe sentita in colpa e perché, anche se non ne ero certo, potevo avere qualcuno da cui tornare.
Mentre mi medicava la ferita, Juliet si fermò, tenendo gli occhi fissi sul profondo e doloroso taglio. Io continuavo a guardarla, senza abbassare gli occhi sulla ferita. La ragazza prese a scuotere debolmente il capo e io, temendo la sua risposta, le chiesi con la voce rotta dai brividi che adesso mi attraversavano la schiena
“Juliet, che succede?”
“La ferita,” prese un respiro che uscì fuori in un sussurro “-sta diventando nera.”
 
 
Note di Viola e Martina:

 
Buon pomeriggio carissimi,
eccoci ancora qua con un nuovo capitolo. Ci ha fatto veramente piacere sentire che la sorpresa vi è piaciuta e vi avvisiamo che da questo capitolo in poi, saranno presenti diversi contenuti forti quindi se siete sensibili a queste cose, non vi conviene leggere e se lo fate, non vogliamo saperne perché vi avvertiremo in ogni capitolo.
Abbiamo pensato di aggiornare più spesso, dato che nell’estate abbiamo spesso tempo libero.
Grazie anche per le +800 visite al primo capitolo, veramente GRAZIE.
Fateci sempre sapere,
baci,
Violet e Tita xx

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Capitolo 13
*** I miss you ***


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I miss you


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Giorno 1, settimana 1. Violet Hudson: sopravvissuta.

"Hello there, the angel from my nightmare."
Luke.
La prima cosa che vidi quando aprii gli occhi su quel cielo, di un azzurro tanto intenso e familiare, quasi doloroso.
Luke. 
Avrei tanto voluto che quello fosse stato un incubo. Le onde, l'insopportabile rumore dell'acqua che vorticava ,e Luke , e Michael.
L'angelo del mio incubo. Perché quello doveva essere un incubo.
"The shadow in the background of the morgue"
Cadaveri, chissá quanti ce n'erano intorno a me, non avevo il coraggio di guardare, per paura di vedere la sua ombra sul loro viso, per paura di trovarlo tra di loro. L'ultimo pensiero prima di cadere e il primo al mio risveglio, l'ombra sullo sfondo.
"The unsuspecting victim of darkness in the valley"
Della canzone che passava nella mia testa era il verso che mi spaventava di piú , e se lui fosse stato davvero la vittima inaspettata? Se l'oscuritá di cui avevo paura fosse stata l'acqua che mi aveva portato via da lui, insieme alla mia stupiditá , a una stupida bugia? No, l' unica cosa che lo aveva ucciso, ero stata io, io e la mia voglia di evitarmi i problemi. 'Mi stai uccidendo Violet.' E forse era vero, forse aveva ragione.
"We can live like Jack and Sally if we want"
Vivere. Non sapevo piú se quel verbo avrebbe avuto senso. Eravamo vivi? Era vivo? Doveva esserlo, come lo ero io. Ero sicura di essere viva, i morti non provano sensazioni, la mancanza di Luke non mi avrebbe fatto cosí male se fossi stata morta, perché era questo, era per questo che la canzone passava nella mia testa, come a ricordarmi quali erano i miei sentimenti, cosa dovevo passare per sentirlo vicino. La mancanza mi faceva sentire di averlo vicino, che lui c'era, in qualsiasi angolo della mia mente. Forse era stata la voglia di spiegare tutto a salvarmi , a tenermi vicina a lui.
"Where you can always find me"
Mi sollevai, rivolgendo gli occhi all'oceano. Dove avrebbe sempre potuto trovarmi. Suppongo che avrebbe potuto farlo dove lo facevo io, nella mia mente. Come un pensiero fisso, la paura e la convinzione che in quello che ci aveva portati via mancava qualcosa, mancava lui e mancavo io. Sola, a guardare le onde che mi ricordavano il momento in cui mi avevano tolto l'unica persona che davvero volevo accanto, l'unica persona a cui dovevo delle scuse , prima ancora che a me stessa. E allora guardavo l'oceano, quello che ci separava , e il posto dove avrebbe sempre potuto trovarmi.
"We'll have Halloween on Christmas"
Avremmo avuto tutto al contrario, senza sapere dove mi trovassi, che ore fossero, se lui fosse vivo. Halloween e Natale, un po' come me e Luke. Se si scambiano le feste cosa succede, cosa succede a stravolgere gli equilibri? Nasciamo noi, uniti oppure separati.
" And in the night we'll wish this never ends"
Solo se fossimo stati insieme, solo in quel caso avrei desiderato che non finisse mai. E adesso , sola, l'unica parte che si rivelava vera di quel verso era la notte. La notte che si avvicinava, a giudicare dal colore del cielo, un'altra notte a separarci. 
"We'll wish this never ends"
Eccome se avrei desiderato che finisse, lo avrei voluto con tutta me stessa. Che finisse tutto quanto, tutto quello che era intorno a me, la solitudine per prima cosa. I sensi di colpa, poi. E infine quel dannato silenzio intorno a me, un silenzio dato dall'immobilitá dell'acqua, che appariva ferma rispetto a quello che avevo io dentro. Nulla si muoveva, non le foglie o qualche animale. L'unica voce che sentivo era la sua, mentre cantava quella canzone e mi ripeteva che lo stavo uccidendo. Forse lo stavamo facendo a vicenda, forse era tutto sbagliato, io e la mia assurda mania di tenermi lontana dalle sensazioni troppo forti in primis. Forse sarebbe stato meglio che noi non ci fossimo mai stati, cosí che quella parte di me avrebbe evitato di uccidersi con i pensieri adesso.
Ma non mi importava, se la punizione era lui come pensiero fisso, me la sarei tenuta.
"I miss you"
La sua mancanza, il vuoto che mi stavo scavando da sola, perché lui lo riempiva, il suo pensiero.
"I miss you"
Ma non avrei pianto, non si meritava di 'vedermi' piangere, sapevo quanto altro male gli avrei fatto, e poi mi aveva sempre detto che gli piaceva il mio sorriso, glielo dovevo.
Mi alzai in piedi, segno che stavo bene, almeno fisicamente.
Presi a camminare, ma fui costretta a crollare in ginocchio quando vidi un cadavere. Un ragazzo, capelli biondo chiaro, occhi spalancati e bianchi come delle perle, non era piú in questo mondo. Non una goccia di sangue sui suoi vestiti, sul suo viso. Lo stesso oceano, quello che doveva aver portato via il colore dei suoi occhi con la sua vita, lo aveva tradito, cosa aveva fatto di male? Cosa avevamo fatto noi di male, tutti? A lui aveva portato via tutto, la vita, e lo aveva portato via a qualcuno, chissá a chi.
A me aveva portato via tutto quello che mi serviva per vivere, tranne il mio respiro. La mia famiglia, forse la mia casa, i miei amici, la mia cittá, lui. Era cosí egoista pensare che nonostante io fossi viva, mi fosse rimasto esattamente ció che rimaneva a lui? Si, lo era. Perché io avrei potuto cercarli, avrei potuto continuare a vivere, anche se non so per quanto, su quella spiaggia deserta. Abbandonai la fredda mano del ragazzo, che avevo preso, incurante del fatto che fosse morto, come se lui potesse capirmi, come se potesse farmi forza. Non lo avrei piú guardato, avevo condiviso con lui il mio dolore, che era esattamente l'ultima cosa che avrei potuto fare. Mi alzai in piedi e andai a buttarmi in acqua, il sale che bruciava sui miei tagli, che anche se non erano molti mi ricordavano che cosa avessi passato e che l'oceano non mi faceva paura adesso, era quello che mi separava da tutto e quello che mi ci avrebbe riportato.
Uscita dalle quasi immobili onde, mentre la luna illuminava la spiaggia che non conoscevo, le parole mi vennero spontanee, come se non le avessi nemmeno pensate, tanto erano vere
"Mi manchi, Luke."




Giorno 1, settimana 1. Luke Hemmings: sopravvissuto.

"Where are you?"
Dov'erano tutti? Dov'era mia sorella, dov'erano Calum e Ashton e Michael? E i miei genitori? E lei. Dov'era Violet? Ero solo, solo in quella spiaggia cosí affollata, con bambini che piangevano, altri che tentavano di cercare i loro famigliari. Vivi e morti, la spiaggia era un piccolo cimitero a cielo aperto. Io avevo guardato tutta quella gente, li avevo guardati tutti, vivi e morti. Non c'era nessuno di loro, ne ero sicuro. E non erano morti, me lo sentivo. Erano vivi. Anche lei, lo sapevo.
"And I'm so sorry"
E mi dispiaceva. Mi dispiaceva cosí tanto , che ho pensato sarei impazzito. Non l'avevo lasciata parlare, acciecato dalla rabbia e dalla delusione. E adesso mi sentivo in colpa,  chissá quando l'avrei rivista. E adesso lei sarebbe stata a tormentarsi, di dovermi delle scuse, e me ne doveva, ma non era la sola a doversi scusare, ero io adesso ad avere rimpianti.
"I cannot sleep, i cannot dream tonight"
E infatti non dormii quella notte. Non avrei dormito per molte notti. Ma avrei sognato,ad occhi aperti magari . Li avrei sognati uno ad uno, le loro espressioni, la loro risata. Perché quello che era successo non mi avrebbe impedito di tornare da loro, assolutamente no. Non mi avrebbe impedito di tornare da lei e dirle tutto, e di litigare, nella consapevolezza che sarebbe stata la litigata piú bella, perché lei era lí. 
"I need somebody and always" 
Avevo davvero bisogno di qualcuno. Di sapere che qualcuno di loro era lí, che lei era lí. Che lei fosse stata non solo nei miei pensieri, ma anche nelle mie braccia . E ci pensavo sempre a quanto sarebbe stato bello averla lí, per dirle che anche se non era vero , andava tutto bene, fino a che eravamo insieme, ci saremmo fatti forza a vicenda, visto che io ero paradossalmente solo e anche lei lo era, per quanta gente volesse avere anche lei intorno. Sapevo che mi stava cercando.
"This sick strange darkness"
Quell'oscuritá che ci aveva divisi , che ci teneva vicini ogni notte. Ma era malata, morbosa e strana ,l'oscuritá. Sembrava volersi prendere tutto, tranne le paure, che non faceva altro che amplificare. E la mia principale paura era che quegli attimi fossero eterni, che il dolore in petto , cosí come quello alla testa, non sarebbe mai passato.
"Comes creeping on , so haunting every time"
Tutto quello che mi rimaneva da fare, era cantare.  Nella mia testa ovviamente, perché di cantare con la voce non ne avevo la forza, riuscivo appena a respirare bene, come se quell' oscuritá avesse cacciato me e mi avesse lasciato il segno di quella caccia, una voragine in tutti i sensi, e non sapevo quale fosse piú doloroso.
"And as I stared I counted"
E mentre fissavo il vuoto così pieno di persone contavo. Contavo da quanto tempo ero solo, senza lei, senza loro. Contavo e non finivo mai. Se avessi continuato così, sarei arrivato ad un punto in cui non sapevo più se esistessero altri numeri per esprimere la mia solitudine.
“The webs from all the spiders, catching things and eating their insides.”
Il dolore al petto aumentava. Pensai che non fosse solo dovuto al dolore fisico. Non mi sarei mai perdonato quello che avevo detto a Violet e a Michael. Ma soprattutto, non mi sarei mai dimenticato il modo disperato in cui lei piangeva, come se sapesse che tutto questo stava per succedere. E la sua mano che si avvicinava a me, come se volesse salutarmi, tenermi stretto. Come se sapere di essere vicini, le avrebbe addolcito il naufragio.
“Like indecision to call you and hear your voice of treason.”
E se avessi potuto, l’avrei chiamata. L’avrei sentita parlare fino alla morte. E mi spezzava il cuore il fatto che forse non l’avrei sentita parlare mai più. E mi spaventava dimenticare il suono della sua voce. Come la sensazione della sue labbra sulle mie e stringerla forte.
“Will you come home and stop this pain tonight, stop this pain tonight”
Tornerà mai a casa? Tornerà mai da me?
Non volevo sembrare esagerato. Però ne ero sicuro. Senza di lei vivevo nell’inferno. E se solo fosse stata qui, in mezzo a questo casino, tra la vita e la morte, io mi sarei sentito a casa. E non mi ero mai reso conto di quanto fosse indispensabile per me, fino a che non la persi.
“Don’t waste your time on me. You’re already the voice inside my head: I miss you, I miss you.”
Mi mancava. Mi mancava e non potevo fare a meno di odiare tutto per averci separati.

Sospirai e decisi che per il momentro avevo pensato troppo. Osservai a lungo la gente, cercando di capire dalle loro espressioni quanto stessero bene. Che poi, nessuno in quella condizione, poteva stare bene. Quanto meno, chi di loro stesse meglio di me. Ancora, stavo pensando troppo. Ripresi ad osservare la folla. Un bambino che piangeva, il corpo pieno di lividi. Piangeva e mi chiesi dove fosse sua madre. Non c’era. Era solo. Avrà avuto tra sì e no 8 anni. Trasalii. Persone che si abbracciavano, ritrovandosi. Alcune piangevano e sorridevano, allo stesso tempo. Si stringevano così forte  che percepii l’amore anche io, lontano da loro. Cadaveri. La pelle era pallida e doveva essere pressochè fredda e dura. Non avevano più sangue da versare, non avevano più luce negli occhi, non avevano più nulla. Le palpebre alzate che davano il voltastomaco, gli occhi orribilmente spalancati, spenti, vuoti. E anche se facevo di tutto per fermare la raffica di pensieri terribili che attraversavano la mia mente, non ci riuscii e mi lasciai abbandonare alla paura.
E se tra quei cadaveri, lontano da me, ci fossero stati i miei amici, la mia famiglia… Violet? Ma non poteva essere così. Non doveva essre così. Io la sentivo. Io la sentivo, quella connessione. Loro erano sopravvissuti. Sentivo l’intensità della loro paura e la voglia di soppravvivere. No, le fantasie non possono essere talmente reali come quella sensazione.
La folla attorno a me si girò meccanicamente nella stessa direzione, catturata da qualcosa che non potevo vedere. Qualche minuto più tardi, anche verso di me vidi giungere, correndo, una squadra attrezzatissima di soccorritori e medici. Dovevo essere messo piuttosto male, a giudicare dagli sguardi che mi rivolgevano i dottori e le persone attorno a me. Li vidi sussurrarsi qualcosa all’orecchio e gli occhi velarsi di orrore.
Cercai di alzarmi a mia volta, ma la fitta al petto mi costrinse a non muovere più un muscolo. Era stata come una pugnalata ai polmoni. Il fiato mi mancò e per quanto mi sforzassi, la vista mi si oscurò completamente e fui preso dal panico. Nonostante le difficoltà, dovevo aver urlato perché sentii la presenza di tre o quattro medici vicino a me.
Cercai di prendere fiato, spalancai gli occhi maggiormente senza risultati. Non vedevo, non respiravo.
Sentii delle mani poggiarsi sul mio braccio e premere piano, cercando di svegliarmi da quello stato di trance.
“Ragazzo? Ragazzo, come ti senti?” disse un uomo con voce dura e professionale, ma che non riuscì a trattenere un velo di preoccupazione. “Sta per svenire, dobbiamo portarlo in ospedale.” Asserì fermo al collega, probabilmente al suo fianco.
“Mi mancano. Loro.” Sospirai allarmato, senza nemmeno credere di riuscire a parlare, visto che mi sentivo risucchiato senza ossigeno.
“Violet. Mi manca.”
Fu l’ultima frase prima che il dolore mi trascinasse con sé, nel buio.









 
Note di Viola e Martina:
Buongiorno carissimi,
inanzitutto scusate il ritardo, ma impostare questo capitolo non è stato affatto facile, far combaciare il testo di I miss you con i pensieri di Luke e Violet, insomma, capiteci. A proposito, diteci che ne pensate, se è stata una buona idea o è uscita una schifezza. J
Aaaallora, finalmente abbiamo un po’ di Lulet che fanno venire diabete barra carie barra crisi nervose barra chi più ne ha più ne metta. E poi abbiamo questo Luke, che deve stare piuttosto male. Cosa succederà? Uccideremo tutto il genere umano o risparmieremo qualcuno? Perché siamo così genii del male? Sigla di Beautiful a parte, non ne ho idea.
Okay, mi sono dilungata troppo e sembro pazza.
Baci,
Violet e Tita xx

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Capitolo 14
*** Strength For Two ***


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Feeling Connected

14. Strength For Two









Tutto sembrava troppo rumoroso. Il vento che mi soffiava nelle orecchie, i gabbiani che volavano in cerchio a pochi metri da me e facevano quel loro verso strano, le urla delle persone che avrei soffocato con tutto me stesso. Io almeno le urla me le tenevo dentro, come le domande che mi vorticavano in testa: sono vivi? Dove sono? Perché sono da solo?
Nessuno di quei rumori però, era paragonabile al boato che c’era stato prima che l’acqua spazzasse via tutto, le mie certezze in primis. Da allora non avevo sentito più niente e non erano certo questi i suoni che avrei voluto sentire; forse avrei preferito risvegliarmi in chissà quale spiaggia deserta, invece che tra persone che in due giorni non avevano fatto altro che aumentare la mia voglia di scappare. E forse avrei potuto farlo, se non fosse stato per lei.

Quattro giorni prima . Giorno 2, settimana 1. Calum Hood, sopravvissuto.

Mi alzai in piedi di soprassalto, pronto a scattare in avanti e afferrare la ragazza del mio sogno per salvarla dall’acqua, quando mi accorsi che davanti a me non c’era nessuno. Dovevo aver rifatto lo stesso incubo di poche ore prima, che poi , non era altro che un rivivere la realtà da addormentato. Non riuscivo a dormire per più di un paio d’ore, da quello che riuscivo a capire dalla luce del sole, visto che mi ero categoricamente rifiutato di parlare con chiunque anche solo per chiedere che ora fosse o che giorno. Mi buttai a sedere sulla sabbia, tirandone via una manciata con un gesto di rabbia della mano e le lacrime agli occhi, tanto che dovetti sforzarmi per asciugarmi gli occhi prima che qualcuno potesse vedermi . Mi sentivo colpevole di qualsiasi cosa, di non averle afferrato la mano , così nella più improbabile delle ipotesi saremmo stati insieme, di non averle detto che l’avrei ritrovata, persino del fatto che fosse il mio compleanno. Magari se quello fosse stato un giorno come tanti altri, non sarebbe successo niente a noi, magari l’onda non sarebbe arrivata nel nostro tranquillo quartiere e noi saremmo salvi, perlomeno tutti insieme. Evidentemente non ero stato abbastanza veloce nel nascondere i miei sensi di colpa, tanto che una voce femminile dietro di me disse
“Deve mancarti davvero tanto.”
Mi girai di scatto per vedere chi fosse stata a parlare e vidi a pochi passi da me una ragazza che non avevo notato il giorno prima ma che probabilmente non si era mai mossa da lì, a giudicare dalle gambe messe piuttosto male, che giacevano martoriate dalle ferite aperte e sembravano aver perso i muscoli, visto che erano praticamente immobili. Eppure lei aveva un aspetto così vitale, per quanto dal suo viso trasparisse un’evidente nostalgia. Mi limitai ad abbassare lo sguardo
“Hai detto molti nomi e tante volte , ma ce n’era uno che ripetevi più spesso, l’ultimo che hai detto prima di svegliarti.”
Due grandi occhi color verde smeraldo mi fissavano a metà tra i comprensivi e gli interrogativi e io risposi
“E’ la mia migliore amica. E ho sognato la mia famiglia, credo.”
Adesso rideva, scuotendo i capelli corvini in modo da toglierseli dalla faccia, visto che con le braccia era impegnata a reggersi .
“Se fosse la tua migliore amica non le diresti quello che le hai detto nel sonno.”
Mi vergognai improvvisamente e sentii il viso scaldarsi leggermente, quando mi ricordai che non c’era nulla da cui doversi nascondere , quella ragazza non mi conosceva ma sapevo di potermi fidare di lei.
“Beh, non è la mia ragazza.”
“Ma vorresti che lo fosse.”
Stavo per rispondere un po’ contrariato, era pur sempre un tasto dolente, ma quella ragazza non aveva fatto niente di male. Le sue gambe mi facevano paura, adesso che guardavo meglio. Erano coperte di tagli, molti dei quali avevano assunto uno strano colore molto scuro, tendente al nero ed erano quasi tutte ferite aperte, tranne per quelle che sembravano pulsare. Sul suo viso non c’era alcun accenno di dolore, era come se fossero separate dal resto del corpo, in quella terribile immobilità.
“Stai bene? Hai una faccia un po’… Oh, le mie gambe. Non preoccuparti, non sento nulla.”
“Cosa è successo?”
Notai che non aveva nemmeno la voce tremula, nonostante nel suo respiro si potesse chiaramente sentire l’affanno dovuto alla posizione scomoda, sostenuta completamente da due braccia sottili.
“Non sento le gambe, da quando sono nata. E mi hanno ritrovata praticamente sotto questo albero.-
Disse indicando il tronco macchiato di sangue proprio accanto a lei.
-Perciò non sento nulla. Il tipo che mi ha tirata fuori ha detto che è un miracolo che non sia già morta.”
Inorridii a quelle parole. Come si può dire una cosa del genere a una ragazzina che avrà avuto quanto, sedici anni? Lei se ne accorse e infatti continuò
“Oh tranquillo, è tutta la vita che mi sento dire che non sarei vissuta a lungo, non sarà certo questo a scandalizzarmi.”
Metteva sempre quell’ “oh” che faceva tanto Shakespeare quando parlava. Sembrava una ragazza d’altri tempi, con il suo aspetto delicato e fragile.
“Ma i soccorsi arriveranno, è questione di giorni e poi…”
Cercai di rassicurarla che sarebbe vissuta, magai l’avrei aiutata io stesso, avrei chiesto a qualcuno come medicarle le ferite.
“E di queste che mi dici?-
rispose indicando le ferite ormai annerite, quelle in stato peggiore
"Non sento il dolore ma le forze mi abbandonano in fretta.”
Concluse in un sospiro, portandosi una mano al costato e stringendo quel che rimaneva della sua maglietta come se potesse darle forza o riportarle l’ossigeno nei polmoni. L’altro braccio non resse il peso del suo corpo, le forze evidentemente le mancavano davvero, nonostante la sua apparente vitalità. Prima che io potessi correre e afferrarla per un braccio, la ragazza era caduta sui gomiti con un gemito di dolore e l’espressione contratta. Arrivai dietro di lei e le presi le spalle, nel tentativo di rimetterla seduta.
“Grazie, ma ce la faccio.”
Orgogliosa, un carattere che conoscevo troppo bene.
“No, non ce la fai.”
Mi sedetti dietro di lei, in modo da appoggiare la sua schiena alla mia e sostenere il suo peso, così che lei non avesse più da fare forza sulle braccia. La sentii respirare sommessamente e avvertii che si lasciava andare, appoggiando la testa sulla mia spalla. Sorrisi spontaneamente e mi girai verso di lei
“Calum.”
“Katherine. Katherine Broderick.”
Cominciai ad associarla sempre di più a quella ragazza Shakespeariana che era nella mia mente. Aveva un braccialettino argentato che non so come le era rimasto ancorato al polso, c’era scritto shelter. La osservavo con la coda dell’occhio mentre era immobile e vidi la sua espressione fiera mentre respirava con un po’ di affanno, come a voler trattenere l’aria dentro di sé per paura che ogni boccata fosse stata l’ultima. Il suo sguardo, il suo orgoglio quasi testardo e il suo modo di fare mi ricordavano lei e mi concessi un sorriso. Evidentemente ero una calamita per ragazze con forza d’animo e con grandi occhi verdi, quelle il cui amore o amicizia è una sfida conquistare. Mentre la osservavo addormentarsi sulla mia spalla e sentivo il suo respiro calmarsi pensai a quanto effettivamente fossero simili, stesso spirito combattivo, stessa fierezza. Decisi che si, shelter era un aggettivo che le si addiceva; l’avrei protetta io, glielo dovevo. Lo dovevo alla seppur rassegnata voglia di vivere di Katherine e al ricordo di Juliet, che per il momento era tutto ciò che mi restava.

Tre giorni prima. Giorno 3, settimana 1. Katherine Broderick, sopravvissuta.

Calum sta cercando di tenere gli occhi aperti quando mi sveglio il giorno dopo, devo aver dormito tantissimo, con una strana tranquillità in corpo. Penso che me la merito infondo, a giudicare dalle mie gambe, potrebbe essere uno dei miei ultimi momenti di pace. Katherine, tu sei forte. Mi torna in mente la voce di mia madre , quando a sei anni ero caduta dalla sedia e mi ero sbucciata un ginocchio. Mi aveva detto quelle parole mentre mi guardava cercare di rimettermi su di essa, dalla soglia dell’ingresso. Quando aveva capito che ci avrei provato da sola si era fermata a guardarmi e alla fine ce l’avevo fatta. Con le mie fragili braccine e il mio corpo esile. Un ginocchio sbucciato però era diverso da tutti quei profondi tagli. Non mi riconosco più, questa non è la me che combatte, io mi sto rassegnando a morire. Io che ho sempre voluto lottare , dimostrare a tutti quanto si sbagliano. Lo devo a mia madre, a me stessa e a Calum, che non ha esitato a confortarmi. La sua non è cortesia, lo leggo nei suoi occhi che è sincero quando mi dice che i soccorsi arriveranno. E forse lo faranno, ma spero che sia presto. Le gambe mi diventano sempre più nere e stamattina un uomo ci ha portato dell’acqua. Poi è sparito, con la promessa che sarebbero arrivati i medici. Ha lasciato solo una promessa, che spero sia vera.

Due giorni prima . Giorno 4, Settimana 1, Katherine Broderick: sopravvissuta.

Calum si impegna ogni giorno per tentare di migliorare le mie condizioni fisiche. Niente serve veramente. So che l’unica cosa di cui ho bisogno è l’intervento di medici esperti, ma non posso mostrargli di essere consapevole di un’imminente morte.
Non avevo mai incontrato un ragazzo premuroso e determinato quanto lui. Anche dopo aver scoperto il mio problema alle gambe non si è tenuto lontano da me. Anzi, deve esserci qualcosa che lo ha fatto restare. Deve esserci qualcosa se di notte fa fatica ad addormentarsi e mi osserva con fare protettivo. Se non ci fosse stato lui, sarei morta molto prima.
D’altra parte io non ho quasi chiuso occhio dal giorno dell’onda anomala. Può essere il dolore fisico, sì, ma penso sia più che altro una specie di trauma. Se chiudo gli occhi per pochi secondi sento ancora il rumore dell’acqua infrangersi violentemente contro il mio udito e catapultarmi senza scrupoli verso terra, farmi fare capriole, entrarmi dalla bocca e dal naso; lasciarmi senza fiato. E non posso dormire, altrimenti tutti i ricordi affiorerebbero alla memoria e mi soffocherebbero.
E’ notte, notte fonda. Calum non ha ancora attaccato a parlare sommessamente nel sonno perciò deduco sia sveglio. Alzo il viso all’insù in modo da vedere le stelle. Luminose e distanti. Traccio con gli occhi i percorsi più strani. Le stelle mi avevano sempre aiutata a portare tranquillità in un animo troppo movimentato come il mio. Mi ricordo che da piccola, io e mio padre amavamo salire sul tetto della nostra casa nello Iowa e osservare le stelle. Mio padre era un appassionato. Mi insegnò ogni cosa che c’è da sapere sulle stelle. Sistemavamo un materasso sulle tegole di casa nostra, la mamma ci preparava la cioccolata calde e passavamo parecchie notti estive a studiare quel fenomeno così strepitoso. Poi quando avevo dodici anni, i miei genitori morirono a causa di un tornado e gli agenti sociali mi portarono fino a Sydney, dalla mia prozia Mary Jane. Fu difficile abituarsi al ritmo di una città grande come Sydney, ma imparai ad amarla a modo mio. Fino allo tsunami che mi fece sperare di essere morta tempo prima, in quel tornado, con i miei genitori. Odio in modo particolare le catastrofi che non posso controllare, mi hanno sempre costretto a cambiare.
“Calum?”
chiamo senza rendermene conto, spezzando il flusso dei pensieri.
Grugnisce piano come a domandarmi di continuare.
“Le vedi le stelle?”
chiedo sospirando, avendo cura di non svegliare chiunque sia nei paraggi.
“Sono bellissime.”
Asserisce con la voce roca e bassa. Non doveva aver parlato per molto tempo. Lo trovo adorabile. Il modo in cui pronuncia la prima parola, come a stiracchiarsi. Il modo in cui termina l’ultima parola, come in uno sbuffo leggero e quella voce roca capace di darmi la protezione che necessito.
“Anche Juliet vede queste stesse stelle.”
Abbasso la testa e mi giro leggermente, sempre schiena contro schiena, cercando di scorgere una qualche espressione. Tace per un po’ assimilando l’informazione.
“La troverai, te lo giuro.”
Gli scompiglio i capelli e lo vedo annuire.
“Sì.”
Annuisce più vigorosamente. Ha gli occhi che brillano più delle stelle. Determinazione. La stessa qualità che credo di avere anche io.
“Katherine.”
Ora è lui a girare il capo verso di me.
“Tu me la ricordi molto. Il modo in cui non vuoi che nessuno provi compassione per te. Il modo in cui preferisci fare tutto da sola. Il tuo sorriso timido.”
Sorrido leggermente. E lui fa un cenno come a indicare quella piccola curva sulla mia bocca.
“Il mio nome shakespeariano.”
Aggiungo ridacchiando.
“Diciamo anche.”
Prende a ridere. La sua voce rimane roca perciò la sua risata appare sommessa e terribilmente riscaldante.
Mi accoccolo meglio che posso e chiudo gli occhi, usando quel suono così rilassante come sonnifero. La prima e unica notte in cui dormo. Il resto guardavo le ferite alle gambe peggiorare sperando con tutto il cuore di non morire. Sete di sopravvivenza dovuta solo a Calum. Non mi perdonerei mai di lasciarlo in preda alla solitudine ora che so di ricordargli Juliet. Se morissi, lui perderebbe una parte delle speranze nel trovarla. E non posso permetterlo. Devono ritrovarsi. Deve dirle quello che ripete ogni notte, inconsapevole. La mattina mi domanda sempre se ha parlato nel sonno, so che lo mette a disagio ed è più che normale: parlare inconsciamente dei fatti propri con un’estranea non piace a nessuno. Continuo a negare, un po’ per vederlo sollevarsi, un po’ per tenere segrete quelle confessioni strane, in balia di una sincerità che solo i bambini e gli ubriachi hanno.
In pochi giorni stiamo legando tantissimo come mai avevo fatto con nessuno. Sarà che quando le situazioni sono critiche, ci si dimentica del “non parlare agli estranei” e si ha più paura di essere soli. Non abbiamo nulla da perdere, possiamo fidarci l’una dell’altro. So di essere letteralmente appoggiata a lui. La mia vita lo è. Dipende da lui e da quanto lotta per entrambi. È forte, Calum. È coraggioso, ha negli occhi un ardore, un bisogno di rivincita. Lui ce la farà, lo so.

Giorno 6, settimana 1. Calum Hood , sopravvissuto.

Ormai dovevo sforzarmi di vivere per lei, che non ne aveva più la forza. La vedevo prosciugata da ogni respiro, ogni movimento , anche solo per girare la testa sembrava costarle una fatica enorme, tanto che da un po’ ormai non faceva più nemmeno quello. Si limitava a fissare il vuoto ferma in quella posizione, stesa sulla sabbia con qualche foglia di palma come cuscino. Mi aveva detto di voler restare distesa, che stare seduta le faceva male alla schiena. Le labbra le erano diventate bianco latte, come il viso e adesso gli occhi verdi sembravano gemme incastonate in una cornice un po’ troppo chiara. L’acqua aveva cominciato a scarseggiare, da quando un uomo era venuto a portare qualcosa. Si era rifiutato di caricare morti o feriti, con la promessa che i soccorsi sarebbero arrivati presto. Non riuscivo a spiegarmi come mai, dopo giorni, nessuno fosse arrivato. Per quanto sperduta dovesse essere quella spiaggetta, era impossibile che non avessero mandato elicotteri. Katherine non era l’unica ferita gravemente, c’erano altre persone messe piuttosto male, altre sull’orlo della follia, provate dalla paura di aver perso tutto. Evidentemente Sydney era ridotta malissimo, se non erano ancora riusciti a trovare noi. Mi voltai verso la ragazza, che adesso aveva le labbra socchiuse e gli occhi aperti con fatica.
“Calum,-
Mi chiamò come leggendomi nel pensiero, con quella sua voce debole ma con una punta di determinazione.
-potresti portarmi dell’acqua?”
“Manderò qualcuno, non ti lascio qui da sola.”
Non volevo lasciarla sola in mezzo al caos, avevo promesso che l’avrei protetta e farlo significava stare con lei , sempre.
“Come vedi non vado da nessuna parte. Ho bisogno di acqua, ti prego.”
Dovevo portarle dell’acqua, aveva le labbra visibilmente secche e parlava con voce impastata. Vidi una donna seduta poco lontano, mi ricordava molto mia madre. Decisi di affidare Katherine a lei, aveva il viso della donna di cui ci si può fidare e dovevo fidarmi, non c’era un’alternativa.
“Torno subito, Kat.”
Le dissi dandole un bacio sulla fronte, il primo da quando l’avevo conosciuta. Lo feci per trasmetterle la mia forza, per dirle che non l’avrei abbandonata adesso.
“Ti aspetto.”
Mi sussurrò in un orecchio, sfiorandomi il braccio. Mi allontanai titubante e mi avvicinai alla donna.
“La prego, vada da quella ragazza, la curi, per quel che può fare. Io devo prenderle dell’acqua. Per favore.”
Lo dissi tutto d’un fiato, come con disperazione. Katherine sarebbe vissuta, doveva farlo. Le avrei presentato gli altri, le avrei fatto conoscere Juliet, di cui le avevo tanto parlato e su cui lei mi aveva dato tanti consigli, come si fa tra amiche per le ragazze, suppongo. Katherine doveva vivere, io la dovevo proteggere, come non ero riuscito a fare con Juliet, e anche lei era viva. La donna alzò lo sguardo e mi strinse le mani, poi annuì vigorosamente. Doveva aver perso un figlio, perché si avvicinò a lei con fare materno . La sua espressione si riempì di orrore e paura quando guardò le gambe della ragazza e le disse qualcosa che mentre mi allontanavo non riuscii a capire.
Cominciai a correre, sapevo che ci stavo mettendo troppo tempo. Poteva essere passata un’oretta, finchè non trovai una donna che aveva in mano una bottiglietta d’acqua. Una delle poche rimaste, portateci da quell’uomo poi scomparso. Mi avvicinai alla signora.
“La prego, ho bisogno della sua acqua. Le prometto che poi andrò a cercarla e gliela riporterò indietro, però ne ho bisogno adesso, la prego.”
La signora mi puntò due profondi occhi scuri addosso e mi rispose
“Guardati intorno ragazzo. Tutti hanno bisogno di acqua e questa è una delle ultime bottigliette. Perché dovrei darla a te, mi pare che tu sia piuttosto in forze, se corri in quel modo.”
Dovevo avere quella bottiglietta, più il tempo passava più lei ne aveva bisogno.
“Non è per me. Lei… Sta molto male, ha bisogno di acqua. Quella ragazza laggiù… Glielo chiedo per favore, ne ha davvero bisogno. Le prometto che andrò a cercare altra acqua per lei, ma adesso mi serve la sua… Glielo chiedo per favore, mi lasci aiutare Katherine.”
La stavo praticamente implorando, sentivo che lacrime di rabbia avrebbero minacciato di uscire. Tesi la mano in avanti, con la speranza che mi desse l’acqua. La donna chiuse gli occhi per un istante e mi tese la bottiglietta. Con un infinito senso di gratitudine le dissi grazie e nello stesso istante, una jeep rossa si vide in lontananza sulla sabbia: i soccorsi erano arrivati. Cominciai a correre sempre più veloce, contento di dare a Kat buone notizie, i soccorsi stavano arrivando e l’avrebbero salvata. Quando ero ormai a poco più di cento metri da dove si trovava lei, la donna urlò e poi scoppiò a piangere. I miei piedi ebbero uno spasmo e poi non mi resi nemmeno conto di quello che feci. La bottiglietta mi scivolò dalle mani e il corpo di Katherine freddo sotto le mie mani divenne una realtà , non più solo l’incubo che mi aveva tormentato per le notti precedenti.
“Ci ho provato, non ci sono riuscita a tenerla d’occhio, scusami , scusami!”
Mormorava la donna toccandomi le spalle e io la scansai con un gesto, fissando incredulo il volto sereno e disteso della ragazza dai capelli corvini.
“Kat, sono io. Ho l’acqua.”
Il petto gracile non aveva più nessun movimento e io sentivo lacrime fredde come ghiaccio solcarmi le guance
“Katherine, sono io, Calum. Katherine, ti prego, ti ho portato l’acqua!”
Urlai scuotendola delicatamente, nel tentativo di svegliarla da quello che sembrava un semplice sonno, tanto era serena la sua espressione.
“Non puoi andartene , non puoi!”
Le tenevo i polsi con forza, come a reclamare che avevo bisogno di lei, mentre le mie lacrime le bagnavano il viso.
“Io dovevo proteggerti, lo capisci? Lo avevo promesso.”
Un uomo che non avevo mai visto , vestito di rosso mi prese per le spalle e mi costrinse a lasciare il corpo della ragazza
“Mi dispiace tanto , mi dispiace!”
Non potevo abbandonarla, dovevano lasciarmi almeno restare con lei. Mi meritavo tutto questo perché non ci ero riuscito.
“E’ morta, ragazzo, non serve portarla in ospedale, mi dispiace.”
“Tu non capisci!”
Gli gridai in faccia, mentre tentavo di liberarmi dalla sua stretta di ferro, che mi teneva le spalle . Un altro uomo si era avvicinato a Katherine, che appariva così distante, come se la vita l’avesse lasciata da molto più tempo.
“E’ colpa mia. Non le ho portato l’acqua in tempo.”
Dissi tra un singhiozzo e l’altro. Crollai sulle ginocchia, facendo sbilanciare l’uomo, che non mi ritirò su. Mi fermai a guardare l’uomo che copriva con un telo la ragazza e feci appena in tempo a vedere per l’ultima volta il suo viso. Mi piegai fino ad affondare la faccia tra le mie ginocchia piegate, per togliere via dalla mia vista qualsiasi cosa che non fosse l’immagine di lei viva, che mi guardava con quei grandi occhi verdi. Avevo fallito due volte: con Juliet e con Katherine, con la quale avevo fallito doppiamente.
“Avevo promesso.”

Note di Viola e Martina:

Heyaaaa bei fanzetti tunz tunz! No eh? No infatti, come inizio è pessimo. Mi è mancato scrivere ma sapete, tra una mancanza d'ispirazione e un impegno , il tempo non lo trovavamo! Allora, eccoci qui con Calum, che rivediamo per la prima volta da quando abbiamo sconvolto gli animi con un bagnetto per i nostri protagonisti. Calum è forte, vuole tornare alla sua vita di prima, vuole ritrovare Juliet. Questo ci fa capire quanto sia forte il suo amore per lei, questo è il Calum che io e Viola ci sentiamo di presentarvi. E poi arriva lei, Katherine. Gli ricorda Juliet ed è un personaggio che , seppur presente in un solo capitolo noi adoriamo e la cui memoria aiuterà molto il nostro mr. Hood . Detto questo, ci scusiamo tanto e sappiamo che non siamo riuscite nel farci perdonare, ma solo a farci odiare un po' di più ogni capitolo! Ci farebbe tanto piacere una piccola recensione, accogliamo con rispetto anche le critiche. Adesso, dopo questo trattato universitario (?) voglio ringraziare diverse ragazze:
Greta, perchè recensisce sempre e ci fa sempre complimenti, ti adoriamo <3

Ally, che è sempre curiosa di sapere della storia :*
Kikka, che ama tanto i Lulet :3

Diana, la nostra Bae, che ci supporta sempre e che facciamo morire di ansia <3
Lily, che ci ha fatto tanti complimenti, la quale non ringrazieremo mai abbastanza :*
Fraye, che ha spesso recensito! :)
Grazie mille a tutte!
E grazie per le +1000 visite al primo capitolo, è incredibile!
Tita e Violet x

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Capitolo 15
*** Begin Again ***


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Feeling Connected

Begin Again







Giorno 3, Settimana 2, Violet Hudson: sopravvissuta.
I giorni passavano tutti allo stesso modo. Mi svegliavo, cercavo qualcosa da mettere sotto i denti, se lo trovavo era una buona giornata altrimenti stavo a stomaco vuoto, mi tuffavo in acqua per schiarire le idee che però, non si schiarivano mai veramente. Era come se fosse tutto offuscato. Dal momento che eravamo solo io e il mare mi ritrovavo a pensare che tutto ciò servisse a farmi ragionare; come se avessi fatto qualcosa di male. È che l’umano è fatto così. Quando si trova in determinate difficoltà comincia a pensare a tutti gli sbagli che possa aver commesso e si affibbia la colpa di tutto e poi si compiace perché scopre che non ha fatto veramente qualcosa di male, si trova vittima di qualcosa di più grande. E quindi passavo le mie giornate a riflettere. Cominciavo a pensare di essere diventata pazza. Continuavo a ripetere nella mia mente il momento in cui l’onda mi ha inghiottito e poi quello che avvenne prima. Come a cercare una falla nel sistema, come se ci fosse qualche indizio ad indicarmi dove fosse almeno uno dei miei amici. Continuavo a pensare che fosse colpa mia se Michael aveva questa pseudo cotta per me, o forse per l’idea che aveva di me. E mi odiavo. Mi odiavo perché avevo sempre odiato quelli che si abbattono e si buttano addosso tutte le colpe. Però non potevo farne a meno. E poi Luke. E la rabbia e la delusione e l’odio nei suoi occhi. Quegli occhi che avevo sempre visto così persi, qualche volta illuminati, qualche volta sorridenti. Questa volta bruciavano. E facevano male. Ed era tutta colpa mia. E me lo ripetevo. Ogni giorno. Ogni notte. Per questo, dopo una settimana, ero fermamente convinta di essere uscita di testa. Probabilmente avevo l’aspetto di una psicopatica con i capelli arruffati; gli occhi rossi, gonfi e spalancati; qualche tic nervoso e le lacrime pronte a uscire per la minima cosa.
Ma Luke no. Non lo sentivo. Non sentivo nulla. E certe volte, avrei preferito mille volte sentire un dolore atroce, che il più statico e immenso vuoto. Ero vuota e non sentivo la certezza che lui fosse vivo. Perché se lo era veramente, lo avrei sentito, ne ero certa. In quei dieci giorni ero arrivata alla conclusione che fosse morto, che fosse andato per sempre. Mi ero decisa a non pensarci, che Luke era il passato e che ora dovevo solo pensare a sopravvivere. Ma come si sopravvive se lui è morto e non sapeva neanche che lo amavi? Perché ora più che mai ne ero convinta. C’era qualcosa, che io provavo per lui, una costante nostalgia, una costante voglia di piangere, una costante voglia di riaverlo. Non sapevo cos’era l’amore e di questo ero ancora più convinta. Ma se della vita ho mai capito qualcosa, questa era la cosa più vicina all’amore. Almeno secondo i miei studi. Avevo osservato per molto tempo come si comportavano gli adolescenti innamorati. Erano tristi, piangevano spesso, mangiavano poco, sorridevano se si parlava di questo presunto amore e ripetevano quanto gli mancasse. E allora, riassumendo quello che avevo provato per lui nell’ultimo anno, ero arrivata alla conclusione che forse non era proprio amore, ma qualcosa così. Io avevo paura, comunque. Quei sentimenti mi avevano fatto perdere il sonno, mi facevano sentire in un tunnel senza uscita. E io volevo vedere l’uscita. Urlavo troppo spesso, mi costringevo a reprimerli, tutti quei sentimenti.
Però ora, su questa spiaggia, non provavo nulla. E rimpiangevo il tunnel senza uscita.
 Per quanto quel ragazzo tornasse perennemente alle porte dei miei pensieri, dovevo tenerlo lontano. Lui era morto. E io non potevo sprecare tutta la mia vita a rimpiangere qualcosa che era sbocciato da troppo poco, per quanto forte fosse, per lo meno da parte mia. Ero ipocrita? Forse. Stavo sbagliando ancora? Molto probabilmente. Poco importa. Dovevo farmi forza. Dovevo andare avanti. E, nonostante tutto, dovevo dimenticarlo. E continuavo a pensare che fossi stata progettata perché lui non potesse uscire dalla mia mente, perché per quanto ci provassi, sembrava impossibile.
Era come se tutto sapesse di lui. Ma non ero arrivata ad essere così disperata e patetica. Non ci sarei mai arrivata.
Avevo camminato per tanto tempo, troppo. Le onde accarezzavano i miei piedi e io continuava a guardare avanti, noncurante di quello che stava intorno a me. Guardavo dritto davanti a me. Le case di chissà quale quartiere una ammassata all’altra, grigie, vuote e con l’intonaco scrostato. Una Sydney che non era mai esistita. Fino a quel 25 gennaio, almeno. Poi è diventato tutto un buco di grigio. Grigio, rovinato e vuoto. Come me. Le case sembravano in procinto di cadere una sopra l’altra, come se non riuscissero a tenersi su. La città non era mai stata così degradata. Ma non riuscivo a provare niente. Mi veniva solo da piangere e non sapevo perché.
 
                     
Giorno 5, Settimana 2, Violet Hudson: sopravvissuta.
Trovai un quartiere che qualche tempo prima doveva essere uno dei più turistici dell’Australia. C’erano parecchi alberghi, i cartelli di neon penzolanti tenuti su da chissà quale miracolo che ogni tanto scoppiavano a causa del contatto fra acqua e neon. Tutta l’area era circondata e divisa da tantissimi giardinetti, resi ormai solo starti di terriccio e qualche pezzo di erba strappata. Le campanule rosa e le margherite bianche sradicate dai rispettivi vasi e sparse un po’ dappertutto. Le palme tipiche delle zone costiere di turismo erano piegate su se stesse. Lo spettacolo sembrava il set di uno di quei film drammatici. Il problema era che questo non era un film e io non ero un’attrice.
Tanti metri dopo, un paio di chilometri forse, forse quattro, c’era una stupida e insignificante spiaggetta, quasi selvaggia, in contrasto con la zona con cui ero passata prima. Mi resi conto di aver incontrato poca gente e di non essermi fermata a parlare con nessuno di loro, ero troppo impegnata a pensare che sarei dovuta tornare da Luke, anche solo per trovare un corpo freddo.
E poi qualcuno se ne stava steso su un cespuglio. Sembrava dormisse. Per come lo conoscevo, poteva aver dormito per una settimana. Non accettava mai la realtà. Avrebbe pensato che fosse tutto solo un livello dei suoi stupidi video giochi. In verità, sapeva benissimo in che situazione eravamo finiti, solo preferiva non pensarci.
Non ci riflettei nemmeno due volte. Sapevo benissimo a chi appartenessero quella schiena e quei capelli. Corsi, corsi come non avevo mai corso in tutta la mia vita.




1 Marzo 2009
La scuola aveva aperto una settimana e mezza più tardi quell’anno, ciò significava che si sarebbe anche chiusa più tardi. L’idea di starmene chiusa in quel posto proprio durante i primi periodi dell’estate, i più belli a mio parere, non mi entusiasmava proprio. Primo giorno di scuola, primo anno di superiori effettive e soprattutto, nessuno. Nessun amico, un fratello dell’ultimo anno che non volevo far sfigurare e nemmeno la minima idea di come andare avanti in quella vasca di squali. Okay, mi dissi, come inizio non è un granchè. Fai la socievole Violet, la socievole. In realtà la mia unica voglia sarebbe stata quella di sedermi in ultima fila , ignorare completamente qualsiasi parole dei miei nuovi professori e ascoltarmi un paio di playlist dei Nirvana, così, a caso. Il punto era che alle superiori non si va mai a caso, e io ero esattamente il contrario. Per il corridoio avevo semplicemente evitato gli sguardi, promettendomi di iniziare a fare la socievole durante la prima ora. Vicino a me c’era un ragazzo che era l’espressione di quello che era il mio status del momento: cuffie, cappuccio tirato su dei capelli di uno strano biondo scuro , postura assolutamente scomposta e aria di chi è insicuro e un gran menefreghista allo stesso tempo. Se poteva farlo lui potevo anche io, al diavolo tutto il resto del  mondo. Mi dava l’impressione di capirmi e lo guardai di sottecchi tutto il tempo mentre prendevo finalmente le mie cuffie e ignoravo la noiosa lezione di presentazione di scienze. Ad un certo punto sentii un tocco sulla spalla e vidi che il ragazzo con le cuffie mi fissava con le sue iridi color acquamarina, uno sguardo di seccata attesa. Continuando a non capire mi voltai verso il resto della classe, che adesso mi guardava, in attesa anch’essa.
“Il professore ti ha chiamato alla lavagna, ti conviene andare , hai la faccia da brava ragazza.”
Mi disse il tipo strano con tono piatto, suscitandomi una gran voglia di mollargli un ceffone. Calma, hai un anno intero per pestarlo. A volte pensare faceva bene. La classe sembrò immediatamente perdere interesse e tutti tornarono alle loro attività mentre il professore mi accoglieva con un fintissimo sorriso.
“Mi chiamo Violet Hudson” esordii semplicemente, pregando che il professore non mi chiedesse qualcosa di davvero scientifico, evitando così il dubbio del se rispondere o meno, passando per la secchiona o per l’ignorante. “ed è il primo giorno per me. Mi piace la musica, e la pizza. E ho un gatto di nome Rebel. Amo l’autunno e... credo di aver finito.”
Il sorriso del professore mi disse che potevo andare a posto, consapevole che la mia presentazione era a dir poco penosa, quasi avrei preferito le domande di biologia. Il mio conforto nel sapere che nessuno mi aveva ascoltato svanì non appena tornai a sedere.
“La tua presentazione sembrava quella che facevo io ogni anno alle elementari, davvero notevole.”
Pronunciò una voce maschile accanto a me, in tono divertito.
“Allora non stai davvero ascoltando musica, dico bene?”
Replicai io, girandomi a cercare lo sguardo dal colore indefinito, senza però trovarlo. Era girato verso la cattedra ma non sembrava guardarla davvero, come se per lui i pensieri arrivassero a vedere molto oltre e allo stesso tempo ascoltasse me.
“Si che lo sto facendo, ma sto anche tenendo d’occhio quello lì, non ho intenzione di alzarmi.”
Rispose indicando il professore con un cenno della mano. Sembrava una di quelle persone di pietra che in realtà sono fragili, ma non era il caso di scoprirlo in quel momento.
“Beh auguri, mi pare che stia puntando proprio da questa parte.”
Dissi , sperando che lo chiamasse per la pura curiosità di vedere la sua reazione. Sfortunatamente però l’attenzione dell’uomo si spostò all’altro capo dell’aula, suscitando un ghigno compiaciuto sul viso del ragazzo.
“Spiacente, il mood del cattivo ragazzo non attira i professori, solo le ragazze.”
A differenza di quanto non avrei fatto di solito, non lo trovavo irritante, piuttosto interessante. Volevo capire quanto poteva essere potenzialmente intelligente, oppure potenzialmente stupido.
“Violet.”
Nessuna risposta.
“Ehm.” Riprovai schiarendomi la voce “Violet.”
Si girò fissandomi stranito.
“No, non mi si addice come nome, non sono Violet.”
Ribattè con tono indecifrabile.
“Io stavo solo…”
“Lo so come ti chiami,” mi interruppe “Lo hai detto nella tua strabiliante presentazione. A proposito, riguardo a quella…”
“Non me ne importa un accidente dei tuoi commenti sulla mia presentazione, mister simpatia.” Risposi interrompendolo a mia volta “Volevo solo sapere il tuo nome, se ti va di presentarti, ovviamente.”
Mi scrutò come per decidere cosa fare e poi disse
“Hai ragione, infatti non ne ho voglia.”
“Bene”
“Bene”
“Fantastico”
“Grandioso”
“Perfetto , direi.”
“Okay”
“Benissimo.”
Scoppiammo entrambi in una fragorosa risata che fece girare qualche sporadico nostro compagno e lui si decise finalmente a dire qualcosa di sensato.
“Michael Gordon Clifford, ma non chiamarmi mai con il mio secondo nome, oppure non ti rivolgerò più la parola.”
“Okay G…” Mi fermò appena in tempo con un’occhiata torva “Michael. Ti va un film oggi? Al Moviemax in centro danno parecchia fantascienza.”
“Intraprendente, strano. Okay, ma non aspettarti che io sia puntuale.”
“E chi ha parlato di orario?”
“Una certa Violet…-”
“Annabelle”
“-Violet Annabelle Hudson.”
Sorridemmo entrambi e poi nessuno dei due disse più una parola. Il resto delle lezioni non lo vidi più e sembrava che all’improvviso la giornata fosse tornata piatta, gli altri studenti sembravano tutti uguali, tranne forse una tipa di nome Juliet, del secondo anno, che mi aveva accennato involontariamente al suo nientemale fratello, sempre del secondo anno.
All’uscita , finalmente ritrovai Michael, seduto sul muretto fuori scuola. Mi avvicinai cauta, incerta sul da farsi.
“Ciao Annabelle.”
Esordì lui.
“Hey ma quello è …”
“Non mi hai detto di non chiamarti con il tuo secondo nome, quindi non ti azzardare.”
Adesso ero davvero incerta se fosse straordinariamente simpatico e acuto oppure eccezionalmente stupido.
“Alle cinque oggi?”
Chiesi con impazienza, data dal fatto che Finn mi stava aspettando a pochi metri in macchina.
“Andata. Però c’è una cosa.”
Proprio mentre mi accingevo a salutarlo mi fermai per sentire cosa aveva da dire.
“Io non sono fatto per i cinema e tutta quella roba lì, quindi siccome poi non mi saprò muovere, preferisco farlo adesso.”
E poi, mentre si avvicinava, capii che sì, sarebbe rimasto per sempre un mistero. Fu l’ultima cosa che disse prima di poggiare le sue labbra sulle mie.
 




Giorno 1, settimana 3. Michael Clifford, sopravvissuto.
Le labbra di Violet avevano sempre lo stesso sapore un po’ enigmatico di chi non sa quanto amore può dare, se tutto questo può avere un sapore. Non era giusto che lei mi baciasse, anche se l’avevo sentita urlare nel sonno che Luke era morto, che voleva lasciarsi tutto alle spalle. Eppure sentivo che non ero un rimpiazzo a Luke. Violet sorrideva quando era con me, sembrava che volesse tornare a casa on me, che tutto ciò la rendesse felice. Quando arrivava la notte però, ogni volta la sentivo urlare e agitarsi, in preda al ricordo di quella massa d’acqua che si abbatteva su di noi, e si calmava solo dopo che la stringevo forte, solo dopo aver sentito la protezione che volevo darle. Alcuni l’avrebbero trovata una cosa romantica, ma io lo trovavo straziante: vivere nel costante dubbio che qualcuno ti usasse come ancoraggio , solo per dimenticare fantasmi troppo recenti, solo per scappare da una tristezza e sostituirla con qualcosa di nuovo. A questo punto arrivavo a chiedermi cosa ne sarebbe stato di noi una volta che ci avessero trovati e non potevo sopportare l’idea che se Luke fosse stato vivo lei mi avrebbe abbandonato, di nuovo, come era successo quella notte nel giardino di casa sua. Ero un egoista, uno stupido egoista. Avrei dato qualsiasi cosa pur di vedere il mio migliore amico vivo , ma continuavo a sostituirlo con la paura di perdere Violet. Ci sostenevamo a vicenda, che fosse amore o no.
Non avevamo mai parlato della litigata con Luke da quando ci eravamo ritrovati, avevamo passato troppo tempo a guardarci in cerca di risposte e di conferme, tutte cose che non avevamo e che infondo ci andavano bene così. Erano un paio di giorni che andavamo avanti solo a noci di cocco e bacche, con acqua presa da una pozza che si era creata con la pioggia di qualche giorno prima, il che non era proprio l’ideale per conciliare la felicità. Eravamo dimagriti parecchio e con i vestiti strappati tutto il cibo di tre settimane sembrava essere sparito da sotto la nostra pelle.
“A che pensi?”
Mi chiese con voce dolce la ragazza, impegnata a giocare con un mucchietto di sabbia come una bambina. Era così infantile e così carina allo stesso tempo, come se volesse ancorarsi anche a quella parte del suo passato, come se l’acqua avesse portato via anche quella.
“Al fatto che non sei mai entrata in acqua da quando sei qui. Che ti succede?”
Sospirò rumorosamente e puntò gli occhi color ambra nei miei.
“Non voglio scivolare via da te. Non anche da te.”
“E’ per questo che mi guardi male quando faccio il bagno?”
Una lacrima le affiorò all’angolo dell’occhio e vi lessi chiaramente un nome che non era il mio, il quale mi provocò una fitta di dolore. Nonostante tutto mi avvicinai a lei e gliela asciugai con il dito, deciso a scatenarne un’altra se fosse stato necessario, ma dovevo chiarire la situazione.
“Violet, dimmi la verità: cosa ti manca.”
Lo sguardo le si illuminò e vidi chiaramente la sua intenzione di rispondermi ma si trattenne per un attimo, per poi abbassare la testa.
“Tutto, tranne te. Sei l’unica cosa che ho, tutto il resto mi manca.”
“Se… se Luke è vivo…”
La lacrima sgorgò nuovamente ma questa volta la lasciai scorrere, avevo il diritto di sapere.
“Luke… Michael io voglio solo stare bene, adesso. Ci siamo solo io e te. Se non ci fosse più nulla là fuori ci sarò io per te, se c’è ancora la nostra vecchia vita… Io non lo so. Ma io ti sto dicendo che voglio provare ad amarti come se nulla fosse cambiato, ci sto provando.”
Le parole non mi sortirono nessun effetto, tanto ero concentrato su cosa rispondere.
“E a te va bene così?”
“E’ molto più di quanto speravo di poter chiedere. Lo so che è difficile, ma deve bastarti questo per adesso… Io non sono pronta a lasciarmi andare, ho paura che succeda come con l’acqua, che mi porti via tutto.”
Le lacrime non c’erano più, c’era solo uno sguardo di supplica, una supplica che chiedeva di non immischiarmi.
“Ma se un giorno…”
“Un giorno non so nemmeno se arriverà , Michael!”
Si era alzata in piedi e aveva spalancato le braccia, urlando.
“Siamo in questo posto dimenticato da Dio, soli, senza una fonte certa di cibo o acqua, ci troveranno? Forse. Ma se non ci troveranno…”
“Se non ci troveranno moriremo, tutti e due. E’ inutile che continui a scappare, adesso siamo solo io e te, appunto. Vivi oppure lasciati morire, con me.”
Non rispose, si limitò ad abbassare le braccia in segno di rassegnazione.
“Pensi davvero che se Luke avesse l’opportunità di cercarti e riportarti a casa, se lui fosse vivo…”
“Non parlare di lui! Non dopo quello che avete fatto, che mi avete fatto!”
Seguì un lunghissimo silenzio, pieno di risentimento. Quando finalmente trovai le parole quelle uscirono come un sussurro confuso.
“Lasciati amare, Violet.”
“Fammi ricominciare.”



Note di Viola e Martina:
Inutile dire che siamo state due balorde (?) sono due mesi che non aggiorniamo, aiutooo.
Speriamo che i capitoli vi piacciano e che abbiate rinunciato ormai ai forconi (aiutooooooo) :*
Sonooo di fretta, quindi au revoir gente bella <3
Tita xx

 

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Capitolo 16
*** If it means a lot to you ***


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Feeling Connected

If it means a lot to you







Giorno 2, settimana 2, Ashton Irwin.
Non so più che giorno sia questo, mi aggrappo alla certezza che la luna e le stelle esistono ancora. Allora sì, i giorni passano ancora anche per me.
Tutto quello che vedevo intorno a me erano scaffali tanto alti da sembrare sinistri, stracolmi di registri straboccanti di fogli gialli e scritti con la biro nera. Era l’unica cosa che da parecchie ore cercavo di fare, perdermi in quei registri.
Mi ricordo la voce spezzata di Juliet, dirmi che non ce l’avrei fatta. Che nemmeno lei voleva crederci, solo che era così. La ferita era irrecuperabile, aveva detto. E nello stesso istante, sentii che morivo davvero. Non fisicamente. Quello penso non mi interessasse nemmeno più. Morivo psicologicamente. Vederla con lo sguardo perso, vuoto. Avrei preferito mille volte che piangesse a dirotto. Invece no, se ne stava intere giornate a fissare il nulla. E ripeteva “no” nel sonno. Io non dormivo. Il dolore alla gamba era diventato così costante e fisso, che quasi non lo  sentivo più. Erano i miei ultimi giorni. Mi sforzavo di non pensarci. Quante cose avrei voluto fare. Morire così, alla mia età, era atroce. Avrei potuto viaggiare per il mondo, suonare nella band, diventare qualcuno. Avrei potuto avere una famiglia, dei figli. Era sempre stato il mio sogno. Avere dei figli. Diventare padre. Ora non potevo più. Mi restavano così poche ore che avrei voluto alzarmi e viverle così intensamente da morire nello sforzo di farlo. Però a lasciare Juliet non ci pensavo. In verità, non volevo che stesse male per me. Non doveva, dopo tutto quello che io le avevo fatto. Avrei voluto che non mi avesse trovato. Avrei preferito morire da solo, che pensare alla conseguenza della mia morte sulla sua pelle. Che io, in fondo, lo sapevo bene che ci amavamo ancora. E l’amore faceva male, se a portartelo via era la vita. Sarei voluto scappare via, piuttosto che vedere lei, assistere alla mia morte penosa. Ai miei 18 anni che giorno dopo giorno sparivano. E sembravo crescere ogni ora di più, ma non in quel modo bello in cui crescono i bambini, in quel modo brutale con cui appassiscono i fiori.
Quella mattina avevo freddo dappertutto. Juliet mi aveva coperto con quante più coperte possibili. Lei aveva caldo. Non voleva dirmelo, ma io quella mattina stavo morendo. Io avevo freddo e intanto sudavo. Juliet mi stringeva la mano, ogni secondo più forte. Mi parlava. Tentava di intrattenermi.
“Te lo ricordi quando sei venuto a casa nostra e abbiamo fatto la torta per il compleanno di Luke?”
Avevo sorriso un po’, immerso in quei bei ricordi.
“Quanti anni potevamo avere? Tredici? Avevamo chiuso la porta della cucina a chiave perché non volevamo che ci scoprisse. Aveva fatto la torta al cioccolato. Ma tu volevi farla a piani, come quelle nei programmi tv. Allora ci avevamo provato. Io giravo l’impasto al cioccolato e tu quello alla vaniglia. Ti è sempre piaciuta la vaniglia. Eri vivacissimo. Anche adesso lo sei. Mi avevi sporcato il naso con la pasta e avevamo iniziato a giocare con quella roba,  fino a sporcarci dalla testa ai piedi. E poi avevamo riso. E alla fine la torta ha dovuto farla Liz, che la nostra era finita sui muri, sul pavimento e su di noi.”
Mi sembrava così fragile in quel momento. Pensare a noi, da bambini. Io e lei. Felici. Non avremmo mai pensato di trovarci fra la vita e la morte assieme.
“Mi piaceva farti i dispetti perché poi ti scervellavi per vendicarti e le tue attenzioni erano rivolte solo a me.” Non avevo niente da nascondere. Non più. Mi importava solo che sapesse.
“Un po’ come adesso. Questo, però, è il più grande dispetto che io ti abbia mai fatto. E mi dispiace, Juliet, non volevo.” Facevo anche fatica a parlare senza respirare con affanno.
“Io resterò qui, Ash. Non mi impedirai di farlo.” Si era chinata su di me e mi aveva abbracciato forte.
Un rumore brusco aveva distrutto quel momento così puro. Le porte dell’ospedale erano state spalancate con forza e una squadra di non so bene cosa si accingeva ad entrare.
Juliet sembrò rinascere. Fece un balzo in avanti e gli andò in contro piena di nuova vita.
“Grazie al cielo siete qua.”
“Sei sola, ragazzina?” il tono pratico, ma gentile. Un uomo abbastanza giovane con l’aria tesa di chi vede troppe vite scivolare via nell’intento di salvarle.
“No, in effetti. Il mio amico…” si bloccò “lui, s-sta morendo.”
Ed ecco che l’aveva detto. Aveva avuto il coraggio di dirlo a se stessa. Si era fermata a fissare il vuoto e borbottare a se stessa qualcosa come se fosse una specie di mantra.
Il paramedico urlò qualcosa ai compagni, che si affrettarono ad uscire e in pochi minuti rientrare con una barella. Ma io stavo andando. Le palpebre mai state così pesanti, lottavo perché non si chiudessero. Il panico mi stava assalendo. Non volevo morire. Volevo vivere davvero. Non volevo che la mia morte fosse d’impatto in alcun modo per Juliet. Tutto si fece più lento. Credo che un paramedico mi avesse iniettato della morfina.
Mi sollevarono sulla barella e lo sforzo che feci, mi costrinse a svenire una volta per tutte.
“A-Ashton, io…”
La mia mente non riuscì a liberarsi nemmeno per un secondo.

26 giugno 2010
Il terzo anno del liceo era per me il modo per togliermi l’aura del novellino e diventare a tutti gli effetti quello che volevo. Volevo essere ammirato, ma allo stesso tempo non dover spiegare niente a nessuno. Io e Luke avevamo in mente di mettere su una band. Lui sapeva suonare la chitarra e cantare e io suonavo la batteria.
Luke era nella mia stessa classe di chimica, matematica e inglese. Ci conoscevamo da sempre. Io, Luke e Juliet eravamo amici sin da bambini. Siamo sempre stati tutti e tre molto uniti. Tutto questo finché io non mi resi conto che Juliet mi piaceva.
Dunque, pensavo che Luke l’avesse ormai capito, non sono mai stato troppo misterioso, anzi. Ero solo un sedicenne alle prese con la sua prima cotta. Il punto era che Juliet era follemente innamorata di questo Dylan. Dylan era uno del quarto anno, il capitano della squadra di football, popolarissimo. Juliet era mille volte meglio di tutte le ragazze che erano innamorate di Dylan.
Quel pomeriggio ero a casa Hemmings, come da manuale. Io e Luke giocavamo a qualcosa tipo Fifa, videogioco in cui sono più che negato.
“Ah, Ashton, dopo viene Maddie.” Esordì, mangiando l’ultima fetta di pizza.
“Che palle, amico. E io cosa dovrei fare mentre tu e la tua ragazza vi fate la pulizia dentale?” dissi con un tono evidentemente annoiato.
“Non lo so, vai da qualche parte con Ju.” Mi guardò di sottecchi, ma non gliela diedi vinta e non mostrai il fatto che mi facesse piacere.
“Grandioso, scarrozzare in giro mentre tu hai la ragazza.”
Il campanello suonò dopo circa dieci secondi e io mi nascosi dietro la colonna del corridoio, come se la voglia di andarmene fosse sparita improvvisamente?
 Hai paura.
 Mi disse una vocina.
“No, non è vero.”
Risposi io ad alta voce, facendo girare Luke con un’occhiata torva, un attimo prima che aprisse la porta e una ragazza dai capelli neri entrasse nella stanza a dir poco messa sottosopra.
“Luke , ma cos’è ‘sto schifo qua?”
La sentii gracchiare.
“Si, è decisamente sbagliata per mio fratello, decisamente sbagliata.”
Disse una voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
“Juliet!”
“Hey, è il mio nome!”
Replicò lei sarcastica, con l’espressione stupida che aveva ogni volta che mi prendeva in giro. L’espressione di cui, probabilmente, mi innamoravo in quello stesso momento, solo che ero troppo spaventato per ammetterlo.
“Non puoi farmi questo, Ju.”
“Cosa?”
“Ma dai, guarda che bella seduta di dentistica, una lezione universitaria.”
Un’espressione di disgusto apparve sulla sua bocca, mentre io ridacchiavo a bassa voce.
“Ashton ma è orribile!”
“Dai, non fare la santarellina, anche tu sogni di lavorarti Dylan…”
Mi arrivò un sonoro schiaffo sulla testa, testimone del fatto che avevo esagerato. Ma quei due stavano davvero esagerando.
“Dai, Ju, andiamo o dovrai portarmi a fare le analisi del sangue per il diabete.”
 Lei ridacchiò e acconsentì. La presi per mano e andammo in camera sua. Prese a parlarmi di tutto, come faceva sempre.
“Ash, oddio, Dylan oggi mi ha salutata!” era entusiasta.
“Ti sembra di parlare con il tuo amico gay?”
“A quanto pare sì, Irwin.”
“Ah, davvero?”
mi avvicinai e le accarezzai i fianchi. Lei mi sfidò ancora.
“Certo.”
 Annuì spavalda.
“Ti faccio vedere io quanto sono gay.”
 La avvicinai ancora di più a me e attaccai le mie labbra alle sue.
 
Giorno 4, settimana 2, Juliet Hemmings: sopravvissuta.
Il corpo di Ashton giaceva lì da due giorni, fermo, scosso solo dai tremiti dei soccorritori che lo toccavano, per dire se fosse vivo o morto. Forse lui avrebbe preferito la morte, sarebbe stato un miracolo se si fosse svegliato entro ventiquattro ore, oppure l’operazione aveva fallito, io avevo fallito. Avevo tentato di tenerlo in vita e tutto quello che avevo ottenuto era stato rimanere stesa lì, vicino a quel viso quasi blu per quanto era pallido, il respiro flebile e le braccia infilzate da tubicini pieni di qualche strano liquido. Avevano da poco tolto la morfina per fare in modo che si svegliasse ma mi avevano avvisato che se fosse accaduto, vista la gravità della situazione, le sue urla sarebbero arrivate fino alla luna. E mi ritrovai a sperare di sentirlo urlare, sperare di vederlo lottare per non farlo, per sembrare la persona forte che in realtà non era mai stata.
“Ragazzina, abbiamo chiamato un’altra pattuglia, ti vengono a prendere domani. Lui non si può muovere per minimo altri due giorni, se sopravviverà.”
Mi disse uno dei medici che era tra i soccorritori, con il tono di chi è stanco di fare il babysitter, il che mi suscitò un moto di rabbia, nonostante era lui che aveva fatto il possibile per salvare Ash.
“Io non vado da nessuna parte senza di lui, vivo o morto.”
Risposi con tono stizzito, dato dal dolore che avevo al centro del petto.
“Calmati, se non si sveglia entro…”
“Lo so che cosa succede se non si sveglia!” ribattei decisamente alterata “Io non mi muovo da qui.”
L’uomo non rispose , si limitò a sbuffare e uscì dalla stanza, lasciandomi sola con il silenzio del ragazzo. Decisi di mettermi a leggere vecchi registri di nascita dell’ospedale, quelli di morte mi spaventavano, avevo solo bisogno di positività in quel momento. Cominciai da quelli del 1960 cinque anni prima che nascessero i miei , che poi in realtà non sapevo in quale anno fossero nati i miei genitori, quelli veri. Non mi era mai interessato sapere da che famiglia venivo, avevo sempre pensato che magari sarebbe stata pessima e che avessero fatto bene a darmi via agli Hemmings, la famiglia migliore che potessi chiedere. Scacciai quel pensiero e dopo qualche ora passata a sfogliare mucchi di pagine ingiallite trovai la scheda di nascita di mio padre , così cominciai a leggerla, promettendomi di raccontarglielo una volta arrivata a casa.
‘George Edward Hemmings
15 settembre 1965
Guance rosee e struttura ben formata’
Mi divertiva il modo in cui venivano scritti i referti medici in quel periodo, era tutto estremamente elementare, proprio come si addice a un bambino.
Un rumore mi distolse dalla lettura, come di qualcosa  che batteva contro un tubo di metallo. Sollevai lo sguardo, pronta a vedere uno dei medici in tuta rossa che cambiava la flebo di Ashton ma il mio cuore ebbe un tuffo quando vidi la mano di Ashton buttata sulla spalliera della sua barella, come se si fosse alzata d’improvviso. Poteva significare solo una cosa: era vivo, i suoi muscoli rispondevano ancora. Mi fiondai verso il lettino ma a un passo di distanza mi bloccai, come se fosse stato tutto frutto della mia immaginazione, avevo una strana sensazione in corpo, non volevo indebolirlo se fosse stato sveglio. Mentre me ne tornavo verso il mio posto , una voce flebile e rauca chiamò
“Sei qui?”
Senza pensarci due volte mossi dei piccoli passi verso il lettino e mi inginocchiai accanto ad esso, senza dire niente. Gli occhi cercavano i suoi, volevo vedere le sue iridi piene di verde, di vita. La sua mano bloccò la mia e la strinse con quel poco di forza che aveva in quel momento, girando la testa nella mia direzione. Un sorriso apparve sul suo volto ancora bianchissimo, contratto dal dolore. Le sue fossette, i denti bianchi, la fronte coperta dai capelli, niente era cambiato, tutto quello che avevo amato di lui era ancora lì, lui era lì.
“Sei pallida Ju, dovresti mangiare.”
Continuò senza smettere di sorridere. Mi accarezzava il polso con le dita, come a farmi sentire che era davvero vivo.
“Mi dispiace che non ci sia uno specchio, perché dovresti vedere la tua di faccia.”
Il riso gli scatenò una bruttissima serie di colpi di tosse che mi fecero tremare tutto il tempo, mentre lui stringeva la mia mano per farsi forza, per continuare a tossire via qualsiasi cosa gli opprimesse i polmoni. Un rivolo di sangue apparve all’angolo della sua bocca e mi alzai di scatto, lasciando la sua mano. Si portò una mano alla bocca e vedendo il sangue ebbe un altro attacco di tosse, sarebbe andato nel panico se avesse continuato, dovevo chiamare i medici.
In preda ad una nausea opprimente corsi a cercare i soccorritori e li trovai seduti a tentare di catalogare delle medicine.
“E’ sveglio… Tossisce sangue! Non… non fatelo morire, vi prego!”
Piangevo come una bimba e quelli scattarono subito in piedi, correndo verso la stanza dei registri con delle valigette e delle bende in mano. Mi scansarono e una volta arrivati davanti alla stanza mi chiusero la porta in faccia. Gli occhi pieni di lacrime di Ashton furono l’ultima cosa che vidi , prima di cominciare a urlare e a dare pugni al muro.
L’ospedale sembrava davvero abbandonato adesso, più abbandonato di prima, immerso nel suo silenzio. Le urla mie e di Ashton si erano spente da parecchio tempo quando finalmente delle sagome rosse uscirono dalla porta blu con l’aria tesa, come se si aspettassero che le urla riprendessero da un momento all’altro. Una di loro si avvicinò a me e mi chiese
“Tutto bene, tu?”
Avrei voluto urlargli di lasciarmi sola con Ashton, che loro in tutto questo non c’entravano niente, che se adesso non stava bene dovevano fare qualcosa, ma mi uscì solo un verso strozzato.
“Il ragazzo sta bene, è sotto medicine più potenti adesso. Non è fuori pericolo ma sta meglio. Tu piuttosto, fammi vedere la mano.”
Dopo un attimo di esitazione allungai il braccio e gli mostrai le nocche con il sangue raggrumato e il palmo pieno di graffi.
“Ascolta, non mettertici anche tu. Se vuoi che lui sopravviva devi aiutarci. Devi stare con lui fino a domani, quando verranno gli altri con delle cure migliori per lui. Puoi restare fino a quando non sarà del tutto fuori pericolo ma adesso fatti medicare la mano. E niente scherzi.”
Annuii vigorosamente e mi preparai a tornare da Ash con la mano piena di bende che teneva la sua, che speravo di trovare più calda, un possibile segnale che avrebbe potuto riprendersi.
Entrai nella stanza senza fare rumore, lasciando la porta socchiusa. Adesso sembrava rilassato, come uno di quei bimbi che dormono dopo una brutta caduta dalla bicicletta , ma la smorfia di dolore che arricciò le sue labbra mi fece cambiare subito idea. Senza riflettere nemmeno un istante, mi avvicinai a lui e gli carezzai delicatamente la fronte madida di sudore, fino a che le mie labbra cercarono in automatico le sue, come se fosse l’ultima volta. Sentii un tremito provenire da sotto di me ma nonostante tutto non mi fermai, consapevole che dovevo solo lasciarmi trascinare dai sentimenti che avevo in quel momento. Lui reagì come speravo e tornò vivo, per un solo istante, come se le forze fossero riaffiorate in lui magicamente. Il contatto non durò a lungo, nessuno dei due voleva che fosse un bacio dato dalla paura, solo qualcosa che ci ricordasse chi eravamo, cosa avevamo vissuto, cosa potevamo vivere ancora. Mi sedetti a terra, come se non fosse successo nulla e attesi. Dopo un breve silenzio, gli occhi si aprirono e una fossetta accennò la sua comparsa sulla guancia piena di una barbetta bionda.
“Mi era mancato ogni tuo bacio Juliet.”
“Eri tu che mancavi a me.”
Sospirò deciso e mi fissò per un po’, fermando i suoi occhi nei miei.
“Sai una cosa, vorrei vedere la faccia che avevo appena nato. Puoi prendere il registro del ’94?”
“Non voglio affaticarti Ash, i medici hanno detto che…”
“Se dormo un altro po’ finisce che non mi alzo più per davvero, ti prego.”
Senza rispondere mi alzai e andai a prendere un tomo un po’ più grosso degli altri, quello del nostro anno di nascita. Il primo nome che trovammo fu quello di Luke.
“Ma guardalo il nostro Lukey, sembrava playboy già dalla nascita!”
Esclamò Ash ridendo debolmente, per non farsi venire un altro attacco.
“Sono proprio curiosa di vedere te, secondo me eri bruttino.”
“Tanto eri brutta anche tu.”
Gli feci la linguaccia e continuai a sfogliare le pagine, in cerca della sua scheda. Una volta arrivati alla I però, un’altra scheda era stata attaccata alla sua, quella di una bambina. Pensai subito alla scheda di Diana, anche se lei era nata un anno prima, mi pareva strano che fosse lì. Il riccio prese a ridere e mi disse
“Hai ragione, ero proprio brutto! E anche magro!”
Io però non risi, tanto ero concentrata sulla scheda che seguiva. Una morsa gelida mi attanagliò lo stomaco, il mio primo istinto fu di urlare ma non ci riuscii. La mano mi tremava, mi sentivo la schiena percorsa da brividi di paura, di disgusto. Il fondo della scheda parlava chiaro, Ashton non sapeva una cosa della sua vita, nessuno sapeva una cosa della vita di Ashton.  Il ragazzo cambiò discorso, nel tentativo di distogliermi dalla lettura.
“Ju, sei sbiancata, cosa succede?”
Continuò a fissarmi con preoccupazione.
“Ti sei forse pentita del bacio? Sai, anche io mi sono sempre chiesto perché mi sembrasse sbagliato quando ero con te…”
Senza farlo finire, abbandonai il registro e gli indicai il fondo del foglio.
“Ecco perché.”
Dissi con voce vacua, vuota, come se non ne avessi più.
Lo vidi sbiancare e il suo colorito cambiò. Si chinò di lato con quel poco di forza che aveva e vomitò. Vomitò anche l’anima in quel minuto e io, senza più la forza di vederlo o di toccarlo, cominciai a correre. Corsi fuori dall’ospedale più veloce di quanto avessi mai fatto, dal lato opposto della città, verso la periferia, verso la campagna devastata dalle onde.
Non potevo sopportarlo, le parole a fondo pagina mi bruciavano in testa, in gola, nello stomaco.
‘Ashton Fletcher Irwin
Nato da parto gemellare eterozigote, gemella di sesso femminile.
Adozione di tipo non-aperto  a carico di George ed Elizabeth Hemmings
Nome : Juliet Marie.’






Note delle autrici:
Buondì carissime,
allora, che dire di questo capitolo? è  un po' il fulcro della storia, assieme allo tsunami, diciamo. vorrei shoutoutizzare(?) l'utente 'mammifero' perchè nella sua recensione aveva già ipotizzato un qualche legame familiare fra i Jashton. Sono effettivamente la coppia che scoppia in tutti i sensi. 
Chiedo umilmente scusa a tutte le Jashton shipper, compresa me, per l'infarto. Premetto che scrivere tutto questo ci ha fatto sentire sia sadicamente geniali, che sentimentali. Non mento se dico che qualche lacrima l'ho versata anche io.
Ad ogni modo, spero che il capitolo vi piaccia,
alla prossima;
Tita e Violet♥


 

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Capitolo 17
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Feeling Connected

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Giorno 3, settimana 5, Calum Hood: sopravvissuto
Sfogliavo le pagine di un libro che avevo deciso di leggere per zittire tutto quanto. Non ero mai stato un lettore accanito, tutt’altro. Mi ricordo che quando avevo dei libri da leggere per la scuola li lasciavo sulla scrivania della mia stanza per giorni e al termine di consegna non avevo letto più di un capitolo. Nonostante ciò, frequentavo molto spesso la biblioteca da quando avevo messo piede alle superiori. Mi piaceva andarci e sentire tutta la calma che io non riuscivo ad avere. Mi sentivo circondato da persone che potevano trasmettere qualcosa attraverso le parole, quello che anche io cercavo di fare con le mie canzoni. Eravamo più o meno alla pari e la loro compagnia non mi dispiaceva. Ero andato in biblioteca con l’intento di finire parecchie canzoni, come se tutti quei libri mi avrebbero fornito la strofa mancante. 
In quel momento mi trovavo nella stessa situazione. Il  grosso volume blu scuro, poco decorato e con le lettere sbiadite recitava qualche storia dal sapore classico e sofisticato. Chiedevo al defunto Dickens di mandarmi un segnale per scrivere qualcosa di sensato. Avevo sempre scritto nei momenti di difficoltà e l’avevo trovato liberatorio, mi aiutava ad esprimere i miei sentimenti come spesso non riuscivo io stesso, ma questa volta non era semplice; ad essere sincero non era mai stato così difficile trovare le parole giuste. La prima volta che avevo scritto una canzone pressochè seria avevo l’esperienza di un sedicenne ingenuo e inesperto. Non che tre anni dopo le cose fossero cambiate troppo, ma le circostanze purtroppo sì. Quel giugno già rigido me ne stavo in camera mia con la voglia di vivere sotto i piedi. Non ricordo precisamente quello che era successo, però Carrie e i suoi capelli biondi me la ricorderò sempre. Avevo sedici anni e non sapevo come comportarmi. Carrie era la ragazza più timida che io abbia mai conosciuto. Le piaceva passare inosservata e lo era anche per me, fino a quando la professoressa Bailee decise di affiancarmela in scrittura creativa perché pareva non andasse bene. Era molto riservata, non le piaceva chi parlava troppo o la osservava. Parlava quasi sussurrando, trasaliva se qualcuno la sfiorava e teneva sempre gli occhi bassi. All’inizio mi dava parecchio fastidio come si comportava, pensavo che fosse del tutto stupida. Giorno dopo giorno, Carrie mi mostrava una parte diversa e quasi sconvolgente di sé. Giorno dopo giorno, lei si lasciava far conoscere e io imparavo ad apprezzare ogni cosa. Non smetteva mai di sorprendermi. Nessuno avrebbe mai detto che sapesse giocare a calcio meglio di molti ragazzi della scuola. Nessuno avrebbe mai detto che l’unico motivo per cui stava sempre zitta erano proprio le persone di quella scuola. Carrie era convinta fossero tutti completamente insensibili e accecati dalla popolarità. Non le interessava né della gente, né tanto meno della scuola. Il suo unico obiettivo era il calcio. Diceva sempre che voleva far capire al mondo che il calcio femminile è serio quanto quello maschile. Non mi sarei mai dimenticato le treccine che portava fra i capelli lisci, la delicatezza con cui mi teneva la mano e come le piaceva giocarci. Carrie era infinitamente delicata. Era stata per me la prima in tutto, persino a spezzarmi il cuore. Non finiva mai di sorprendermi, chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata lei, così pacata e cortese, ad andarsene con un ragazzo del college e piantarmi in asso, facendomi sentire solo un altro stupido sedicenne. Lei riusciva a farmi dimenticare i numeri e tutto il resto. Questo fino al giorno in cui aveva deciso di innamorarsi di un tipo del North Coast e ignorarmi. Fu da quel momento, da Carrie che iniziai a scrivere per me e non per la scuola. Quel giugno, Luke mi aveva raggiunto a casa e aveva trovato la strofa mancante a Bad Dreams, la prima canzone che abbia mai composto. Era sempre stato così  con Luke, completava quello che io non riuscivo a finire. Realizzai solo in quel momento quanto effettivamente mi mancasse. 
“ La-Re-Fa diesis ?Hood cosa mi combini?!” 
Avrebbe detto con il suo tono più sarcastico, avrebbe decisamente disapprovato. Mi lasciai invadere dalla fantasia del mio amico accanto a me, come ai vecchi tempi. 
“Calum?” 
Mi girai evidentemente intontito, come se tornassi bruscamente a una realtà a cui non appartenevo. L’infermiera Jona mi aveva appena chiamato dalla soglia della stanza. Era stata lei a rimettermi in forma, una volta arrivato in ospedale. Si era anche sorpresa delle mie condizioni fisiche: a quanto pareva,  ero uno dei pochi a non aver riportato nessuna lesione grave. Dopodiché, ero diventato abbastanza inutile per l’ospedale che mi avrebbe dimesso all’istante, se non fosse stato per la città rasa completamente- o quasi- al suolo. Da quel momento ero diventato una specie di aiuto in più alla marea di infermieri e medici che popolavano i corridoi bianchi del Cumberland Hospital. Giocavo con i bambini, portavo il pranzo o la cena a chi era in brutte condizioni e non poteva partecipare alla mensa, davo una mano in generale e tenermi occupato non mi dispiaceva. 
Annuii incitandola a continuare
“Potresti portare queste scartoffie nell’ufficio del dottor Powell e poi raggiungermi nella stanza 527? Ho bisogno di una mano con certa roba.”
 Aveva un tono molto piatto, era stanca. Non immaginavo nemmeno la fatica di doversi occupare di così tante persone e non avere nemmeno il tempo per occuparsi di se stessi o di cercare i famigliari. Doveva essere terribile. 
“Nessun problema.” 
Chiusi il libro, infilandoci dentro foglio e penna per poi appoggiarli sul comodino di fianco al mio letto d’ospedale. Mi sistemai la felpa e afferrai i fogli. L’ospedale metteva a disposizione dei pazienti parecchi vestiti che dovevano essere devoluti al Terzo mondo. Ultimamente però, il Terzo mondo era Sydney per cui, almeno una volta alla settimana ci dirigevamo in una grande stanza al secondo piano dove si trovavano scatoloni su scatoloni di abiti. Era stato difficile trovare qualcosa che mi andasse anche solo senza cadermi. Ero dimagrito notevolmente, soprattutto da quando Katherine era morta e avevo avuto una fase di rifiuto verso qualsiasi cosa, specialmente del cibo. Non ero più il diciannovenne perennemente stretto nei suoi jeans neri e maglie di bands che avevano segnato la mia adolescenza. Non potevo lamentarmi comunque, dopo tutto quello che avevo visto succedere, mi ero convinto di essere davvero uno dei pochi veramente salvi. 
L’ufficio di Powell era piccolo e buio, straboccava di scartoffie sistemate in disordine in pile in base al colore. Fra tutte quelle pile stavano una scrivania e una sedie illuminate solo da una lampada da lettura. Tutt’intorno finestre trasparenti coperte da tapparelle rigorosamente abbassate davano sull’ingresso dell’area d’accoglienza. Non era la prima volta che ci entravo, anzi, il dottor Powell poteva persino ricordarsi il mio nome, tante volte gli ho consegnato gli ennesimi documenti. Puntualmente, alzava gli occhi dalla scrivania, riponeva la penna nel taschino del camicie bianco e mi dava il buongiorno. Poi prendeva quello che avevo da dargli e lasciava quella stanzina per occuparsi di chissà quale caso. Troppo spesso mi ero trovato a pensare a quanto fosse chiusa, la vita da medico. Ti svegli alla mattina, cerchi di salvare gli altri e non salvi mai te stesso. Certo, le soddisfazioni, certo, la solidarietà, ma alla fine se non sai più chi sei che senso ha occuparsi degli altri? I dottori mi avrebbero sempre messo tristezza, anche se nell’ultimo periodo, mi piaceva non pensare a me stesso, ma occuparmi del resto. Era rassicurante, scappare dalla realtà, anche perché quando avevo del tempo per me, cercavo di evadere scrivendo e i ricordi riaffioravano assieme, riportandomi al punto di partenza. 
Più tardi, passai in caffetteria, ordinai il solito macchiato e mi diressi al terzo piano come mi avevo illustrato un’infermiera. Raggiunsi quest’area che lessi si occupava di “interventi respiratori” o qualcosa di simile. La 527 era l’ultima di una serie di troppe porte. Uguale alle altre, bianca, lunga, anonima. Porta d’ospedale. Girai la maniglia ed entrai nella stanza con lo sguardo basso.  Era una stanza grande, con le pareti di un verde nauseante, un letto bianco e qualcuno steso sopra. Sembrava dormisse. Le lenzuola si alzavano e abbassavano in modo irregolare, sul cuscino una testa di capelli biondo sporco e troppi tubi attaccati al corpo del ragazzo addormentato. Aggirai il letto per raggiungere Jona e solo allora mi accorsi che non era affatto addormentato. Aveva gli occhi spalancati e fissava un punto nell’ignoto. Osservai tutto come se non fosse possibile che ero io, che era lui, che lo vedevo, che avrei potuto persino toccarlo.
“L-Luke” 
formulai senza accorgermene. Il ragazzo spalancò gli occhi ancora di più, se possibile. Tentò di muoversi, ma gli era impossibile. Jona stava facendo qualcosa al macchinario che manteneva a Luke un respiro decentemente domato. 
Mi avvicinai al biondo senza fare nessun rumore, paralizzato più del ragazzo attaccato a centinaia di tubi. Continuai a guardarlo.
“Ca…” cercò di prendere un respiro più profondo, senza successo. “Ca-lum” mi rilassai al suono di quella voce così familiare, che casa mia forse non era così lontana, che forse una speranza ancora c’era. 
Era lui. Era vivo. Il mio primo impulso fu di correre e abbracciarlo, come farebbe un migliore amico, il secondo fu di chiedergli di Juliet, ma poi mi venne un’idea migliore.
“Calum, per favore, passami quella sacca alla tua destra.”
 Disse noncurante Jona. Feci come mi era stato detto e tornai a preoccuparmi del mio amico. Faceva bene e terribilmente male vederlo lì. Se da una parte, sapere che era vivo, a pochi passi da me mi rassicurava, dall’altra vederlo tenuto in vita da una macchina, su un letto bianco che accecava non era mai stato così soffocante neanche nei miei incubi più sfrenati. Improvvisamente la stanza parve girare e le gambe sembravano voler toccare il pavimento, era davvero troppo, l’aria era poca. Camminai quei pochi passi fino alla porta con un’estrema fatica e decisi che avevo bisogno di evadere, evadere assieme a Luke. Mi accasciai contro il muro e cominciai a prendere respiri profondi, tentando di realizzare. Una volta che mi sentii più vivo, corsi –letteralmente- nella stanzetta minuscola che potevo definire camera mia per prendere il foglio dove avevo iniziato a scrivere qualcosa e una vecchia bic nera. Tornai al terzo piano con una strana frenesia in corpo. Le sensazioni erano state così diverse e strane che mi sembrava di star sognando. Incontrai Jona nel corridoio, che ora mi sembrava fosse infinito. 
“Jona, mi occupo io di Hemmings, quello della stanza 527.” 
Questa annuii senza fare troppe domande e proseguì per la sua strada. Entrai nella camera a grandi falcate e con il fiato corto. Il mio sguardo corse precipitosamente al letto, come se volessi accertarmi che fosse effettivamente vero, la mia mano si appoggiò alle barre dietro la sua testa e le uniche parole che vennero fuori, tra un respiro ansante e l’altro, furono
“Hemmings, prima di dire qualcosa, ho bisogno che tu legga questo.”
Gli porsi il foglietto spiegazzato, le righe storte e imprecise, la grafia disordinata. Lui lo prese, se lo rigirò tra le mani e poi lo abbassò, guardandomi sorpreso.
“ ‘Beside you’ ? Calum  ma… e-è…”
“Avevo deciso che sarebbe stata sulla distanza, ricordi?”
Ribattei in cerca di conferme. Il biondo annuì, e mi fece cenno di aiutarlo a mettersi più dritto, cosa che sembrò spezzargli il fiato in due. Mi guardò tendendo leggermente le braccia e io mi avvicinai per abbracciarlo, e lui scoppiò a ridere. Senza capirne il motivo, feci il suo stesso gesto, e lui dovette interrompere la risata per parlare, seppur con fatica.
“Calum, n-non è che… io non sia contento… Ma come la scrivo una canzone senza una penna?”
Concluse tendendo di nuovo le braccia.
 
22 GENNAIO 2012
“Luke! Muoviti, dobbiamo andare da Michael!”
Mi urlò Juliet dalla sua camera, con il tono di chi non ammette repliche.
“No, io non vengo.”
Risposi con tono annoiato dal tavolo della cucina, mentre tentavo di concentrarmi su un foglio e una matita, senza ben sapere cosa farci, così , mentre ascoltavo dei passi rapidi e leggeri scendere le scale, cominciai a scartare le alternative: non ero mai stato un campione d’arte, quindi niente disegno; Non avevo la minima idea di come scrivere una storia che avesse senso, e soprattutto quale senso darle. Dovevo creare qualcosa, sentivo che c’era qualcosa da dire.
“E va bene, vado da sola. Inutile fratello.”
Mi distolse Juliet, lasciandomi un piccolo schiaffo in viso. Non appena la sentii uscire dalla porta cominciai a scrivere tutto quello che mi passava per la mente. La prima parola fu ‘Michael’. 
No, non avevo voglia di vederlo. Troppo freddo e distante, troppo arrabbiato con il mondo. Lo era sempre stato e lo conoscevo bene, troppo bene, per sapere che dietro il suo stato di apparente apatia doveva esserci qualcosa che sicuramente mi avrebbe fatto preoccupare. Michael era un pensiero negativo quel giorno, così usai il gommino rosso dietro la matita per cancellare il suo nome dal foglio, lasciando comunque qualche riga grigio chiaro che indicava che sotto c’era stato scritto qualcosa.
‘Biscotto’
Fu la seconda parola. Cancellai anch’essa dopo circa due secondi, era semplicemente il segnale che avevo fame. 
Dopo aver quindi addentato un cookie al cioccolato mi rifiondai sulla mia opera di scrittura creativa, ancora senza apparenti successi. Questa volta avevo un problema ancora più grande, ero davvero ispirato. Finalmente il nome che mi aveva vorticato in testa tutto il tempo si era deciso ad uscire a tracciare linee precise e scure sul foglio.
‘Violet’
Il problema era che con lei avevo la tendenza a interpretare a pieno la mia sottile bipolarità. Mi sentivo in un modo che cercavo di celare comportandomi totalmente nell’opposto. Quel giorno però mi sentivo nudo, come se tutto avesse smesso di avere importanza e ci fossi solo io, da solo con i miei sentimenti e pensieri. Mi trovai a pensare che magari Juliet aveva ragione, magari stavo diventando gay. Risi ripensando alle sue prese in giro e cominciai a girare sullo sgabello della cucina con il pensiero fisso di una biondina in testa.
‘Mi sembra di giocare a nascondino’
Mi aveva detto qualche giorno prima mentre era assorta nel disegnare, lei che sapeva farlo. Aveva lentamente alzato lo sguardo e si era portata la penna alle labbra, scrutandomi con attenzione. Mi ero avvicinato cautamente quando non guardava e volevo baciarla, ma a un passo dal riuscirci lei aveva indietreggiato dicendo
“Ah-ha. Non si sbircia il lavoro di un’artista prima che sia completo. Passo indietro Hemmings.”
“A me piace infrangere le regole , Hudson.”
E alla fine ce l’avevo fatta, l’avevo baciata, resa mia per un secondo, trovata.
Il pensiero continuava a tormentarmi e riflettei che era proprio il senso di vago che c’era tra noi ad essere la base di tutto. Violet non era scontata. Non era la ragazza che cercavi di conquistare perché la volevi, era quella di cui cercavi l’attenzione, volevi che fosse lei a conquistare te.
Forse era quella la base da cui potevo partire. Avevo una matita, un foglio, Violet in testa e una chitarra dietro la porta. Sapevo esattamente da dove cominciare.
Due minuti dopo ero sotto casa Hood, incerto su come chiamare quel deficiente, e sperando che i suoi non fossero in casa.
“Calum, porta giù quel tuo culetto che fa impazzire mia sorella e porta anche il basso!”
Urlai verso la finestra della sua camera.
“Io appoggio Luke!” rispose una voce femminile “Togliti dai piedi invece di nerdare davanti ai videogiochi!”
Arrossii istintivamente, riconoscendo che si trattava di una Mali Koa che mi sorrideva dalla finestra del salotto con aria divertita. La salutai velocemente, prima che un ragazzo con l’aria di qualcuno che non esce da giorni e un fodero di velluto nero sottobraccio mi superò, facendomi cenno di seguirlo con la mano, senza dire una parola.  Arrivammo nel giardino sul retro e lui tirò fuori un basso vecchio e consunto, molto diverso dal povero Gibs, e cominciò ad accordarlo, cantando una melodia che lui stesso aveva composto e che non aveva mai finito, probabilmente era in cerca di qualcuno a cui dedicarla. O forse, dopo l’ultima volta, aveva smesso di dedicare canzoni.
“Calum ascolta, ho bisogno che finiamo una volta per tutte quella canzone, ho solo bisogno che tiriamo fuori qualche parola.”
“Bad dreams. Si chiama così. Ed era per Carrie, non possiamo metterci Violet di colpo.”
Aveva l’aria turbata, come se avesse capito che io volevo invadere il suo spazio, quando non era così.
“Amico, ascolta. Mettiamo insieme quello che hai scritto tu con quello che penso io. Proviamoci.”
Mi guardò titubante e poi mi mostrò quello che aveva scritto. Cominciammo a suonare le note che aveva scritto e scoprii così che riguardo al testo gli mancava solo l’ultima strofa. All’improvviso però, capii che quella canzone non poteva contenere Violet. Calum aveva ragione, era solo Carrie, e solo Carrie doveva rimanere. 
“Sai cosa, hai ragione, non posso scrivere niente per questa canzone. Secondo me dovresti solo ripetere il ritornello un’ultima volta.”
Il moro mi guardò perplesso e poi alzò le spalle, riprendendo a cantare
‘cause if you wanna take me home
You know I’m ready to leave…”

                                                                                                                                     Luke’s POV

“Don’t ever leave” she said to me
C’era scritto sul foglietto portatomi da Calum, le ultime cose che aveva scritto prima di portarmelo. In un pomeriggio non eravamo riusciti a trovare le parole giuste per continuarla, nonostante avessimo molto da dire e molto da mettere dentro quelle parole. Già una volta avevo evitato di scrivere i miei sentimenti per una ragazza in una canzone, non poteva accadere una seconda volta,e sapevo che Beside You era la canzone per lei. Fiducioso che la sera mi avrebbe portato ispirazione, rimasi lì fermo, a guardare fuori dalla finestra un cielo notturno di un blu cangiante, lo stesso cielo dove a chilometri, forse decine e decine di chilometri da me, c’era Violet. Probabilmente stava dormendo, sapevo che non le piaceva fare troppo tardi la sera, e anche io cominciavo a sentirmi assonnato. Il pensiero, un attimo prima di chiudere gli occhi, era un susseguirsi di cieli e di lei, probabilmente fu proprio questo a darmi la forza di riprendere il foglietto dopo aver subito spalancato le palpebre
But when we both fall asleep
Underneath the same sky
Calum dormiva felicemente appoggiato sulla spalliera dietro il mio lettoma dai suoi movimenti intuivo he stava per svegliarsi,doveva essere davvero scomodo. Sentivo che l’ispirazione tanto attesa era finalmente arrivata, sentivo il cuore battermi forte, come se lei fosse lì con me e mi domandavo se potesse capire che pensavo a lei,come se la distanza non fosse nulla finchè scrivevo quello che sentivo
To the beat of our hearts at the same time
So close but so far away
Can you hear me?
Io non c’ero, magari lei era a casa, i soccorsi l’avevano trovata, stava bene, ma era sola.
She sleeps alone
 Io non c’ero. Anche io volevo tornare a casa, lo volevo con tutto me stesso. Rivedere tutti, rivedere lei.
My heart wants to come home
Non c’ero. Ero lontano, distante, forse vivo ancora per poco, e tutto quello che volevo era tornare a casa, tornare da Juliet, dai miei genitori, ma in quel momento, soprattutto tornare da lei.
I wish I was, beside you.
Nel giro di cinque minuti avevo scritto quello che sarebbe potuto essere il ritornello della canzone, ma non potevo interrompermi, non proprio quando ero finalmente riuscito a tirare fuori qualche vero sentimento. Solo adesso mi accorgevo che Calum si era alzato e spostava lo sguardo da me al foglietto continuamente, esortandomi a continuare.
“Luke, e se Violet si sveglia che succede?”
Mi provocò spavaldo, doveva sempre rovinare i bei momenti, ma quella volta mi fu d’aiuto
She lies awake
Era un verso che ci stava. Come si sarebbe sentita Violet quando svegliandosi avrebbe pensato che probabilmente io ero morto? Cosa le avrei detto quando l’avrei rivista?
I’m tryna find the words to say
Probabilmente le avrei solo detto che mi era mancata, che volevo solo essere con lei
I wish I was , I wish I was, beside you.
Per quella sera vevo scritto abbastanza, strinsi in mano la penna e crollai sul cuscino, sempre il solito pensiero in testa.
All’alba della mattina dopo trovai Calum che scriveva,e mi misi a guardarlo, fino a che non feci cenno di passarmi il foglio, dove di nuovo erano scarabocchiate solo tre righe più precise e leggibili delle mie.
Another day and I’m somewhere new
Diamine se non aveva ragione. I giorni passavano e ogni mattina mi ritrovavo in quest’ospedale lontano e sconosciuto, a cui ero arrivato chissà grazie a quale uomo in tuta rossa.
I made a promise that I’ll come home soon
I ricordi affioravano adesso. Acqua, fredda e nera. Stava per abbattersi su di me ma io tenevo lo sguardo fisso già più lontano, ero già caduto nel momento in cui avevo visto Michael baciare Violet, ero solo in attesa che quell’onda lavasse via tutto quello che io non potevo. 
‘Ti cercherò’
Aveva sussurrato una voce diretta verso una ragazza di fronte a me, probabilmente lei non lo aveva nemmeno sentito, e adesso sapevo di chi erano quelle parole.
Bring me back, bring me back to you.
E adesso nemmeno lui poteva. Le aveva promesso di cercarla, ma non poteva. Sapevo che Calum non mi avrebbe mai lasciato solo, non adesso, e sapevo che Juliet era molto più lontana di Violet. Doveva essere difficile per lui, non mi ero mai reso conto di quanto fosse forte il sentimento che lui aveva per lei. Mi sentii improvvisamente egoista e chiesi al moro di passarmi di nuovo la penna.
When we both wake up underneath the same sun.
Sarebbe stato così, ci saremmo svegliati sotto lo stesso sole, quel sole maledetto che c’avrebbe accarezzato la pelle come a dire ‘io ci sono’, come a ricordare tutte le carezze che non ci eravamo ancora dati.
Time stops, I wish that I could rewind.
E allora ci saremmo immaginati, insieme. Ci saremmo ricordati, insieme. Con tutte le nostre abitudini e le tutte le cose che avremmo potuto ancora fare. Avremmo maledetto quel sole dannato, che sarebbe meglio dimenticare. Si sarebbe fermato tutto, anche il sole. Anche il dolore. 
Mi girai verso Calum e lo trovai con gli occhi chiusi. La musica ci aveva sempre connessi, in un modo straordinario e disumano. Io sentivo lui, lui sentiva me. Sapevo benissimo cosa stava pensando, a chi stava pensando, cosa provava. 
“Ripeti il ritornello, lì.” Esordì, tenendo ancora gli occhi serrati. Poi li aprì di scatto e si girò verso di me. Tentai di sorridergli, ma non potevo mentirgli. Così lo guardai e basta. Ci bastava questo. Io sapevo, lui sapeva. Annuì impulsivamente mentre io piegavo il foglio e glielo porgevo. 
“Per oggi” borbottai senza fiato “è abbastanza.” Conclusi con fatica. Appoggiai la guancia contro il cuscino e rilassai i muscoli. Qualsiasi cosa, adesso, era diventata un’impresa. Soprattutto respirare. O pensare. Decisamente pensare era l’impresa più complicata di tutte. Mi rendeva la vita un inferno, altro che tutte le ferite che avevo ai polmoni. Pensare mi toglieva il fiato dieci volte più dolorosamente. Sentii Calum mormorare qualcosa per poi lasciarsi andare sulla sedia vicino alla finestra. 
Verso le quattro di mattina, o che so io, un orologio non l’avevo, il sole sembrava essere sul punto di sorgere, mi svegliai perché respirare era diventato fastidioso se stavo steso. Tutto sommato, era stata una notte tranquilla. Potevo sentirmi almeno in parte rincuorato, avevo Calum, che era distrutto, ma era anche in piedi, che era spezzato, ma continuava ad essere la mia roccia. Onestamente, non avrei mai capito come facesse a tenere un tale autocontrollo, una tale forza d’animo. Sapevo che in fondo stava male almeno quanto me, ma nonostante tutto riusciva ancora ad avere speranza. Sapevo che ancora sperasse, perché altrimenti non avrebbe mai scritto. Anzi, avrebbe gettato qualsiasi cosa gli avrebbe potuto ricordare la sua vita di prima. Si sarebbe chiuso in se stesso. Probabilmente non avrebbe più parlato. E invece era in piedi. E lottava. Lottava come non l’avevo mai visto fare. Se c’era uno che fra di noi si sarebbe meritato di andare avanti, quello era Calum. 
Dopo poco il sole, quel dannatissimo sole, sorse e tinteggiò quella stanza verde vomitevole di un rosa delicato e quasi poetico. Quella mattina, Calum sembrava essersi già svegliato, sempre avesse chiuso occhio e aveva lasciato il foglio sopra le mie lenzuola, andandosene probabilmente in caffetteria. Scossi  la testa divertito. Non sarebbe mai cambiato. Era così impulsivo che non avrebbe mai permesso a qualcosa di rimanere incompleto. Afferrai il foglio e scorsi con lo sguardo verso la fine, dove la sua fitta calligrafia aveva tracciato lettere e le aveva poi cancellate, ricalcando una frase che sembrava averlo convinto più di altre.
There are pieces of us both
Under every city light
And they’re shining as we fade into the night
 


Writers' Space:

OKAAAAAY. Dopo decenni siamo ancora qui, Martina e Viola, a presentarvi il nostro ultimo capitolo! *clap clap*
Bene. E' stato un capitolo difficile anche per noi, molto, troppo, emotivamente distruttivo.
Eccoli qua, Calum e Luke, anche loro vivi. Sappiamo che sembra piuttosto irreale ma... se avete visto il film The Impossible sapete che i miracoli accadono in queste situazioni quindi, capiteci e amateci. (e amate loro ovviamente). Chi manca all'appello? Mr. Clifford. Che fine ha fatto Juliet? Che cos'ha Luke? Chi ha trovato Violet sulla spiaggia? 
Lo scopriremo nella prossima puntataaaaa.
xoxo (Gossip Girl) ((lmao))
Tita e Vio 

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