A Percival (l'ultima mia pagina bianca)

di _Fox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 Neville ***
Capitolo 2: *** #2 Rhoda ***



Capitolo 1
*** #1 Neville ***




 
Mio Percival,
L’ultima onda quasi mi ha trafitto, ma dovevo scriverti prima di andare.
Mi chiedono di riempire l’ultima pagina bianca della mia vita – cosa ho imparato, cosa vorrei lasciare alle anime che marceranno dopo di me su questa terra? - ma nulla mi sembrava adatto, perché nulla ho da donare.
Come ogni giorno della mia vita, dedico questa pagina a te, motore immobile della mia anima. Non ho nulla da dirti più di quanto t’abbia detto finora: ti ho amato più di me stesso, ti ho voluto più di ogni desiderio di salvarmi.
Questa è la mia ultima lettera a te, forse l’ennesima che non invierò mai, scarabocchiata s’un quaderno trovato per caso in una stanza con pareti raschiate dall’odore della solitudine – un profumo in cui da sempre mi riconosco.
È passato tanto tempo da quando sei partito. Avrei voluto trovare la forza di dimenticarti, ma ho ucciso troppi addii per paura del distacco. Ci sono tante cose accadute in tutti gli anni e gli spazi vuoti tra di noi, ma ora che sto per morire nella mia mente c’è un solo giorno, più vivido dei baci che nei miei sogni ho abbandonato sulle tue labbra.
 
 
Eravamo in riva al fiume, l’acqua ti bagnava le caviglie; ai miei occhi eri vergine di  ogni umana bruttura, snello e dorato come una spiga di grano. Eri pura gravità, come chiunque il cui destino sia essere il centro inscalfibile delle vite degli altri; immobile, generavi orbite cieche che mi rapivano senza possibilità di scampo.
La vita doveva sembrare così bella a te che vedevi una giusta armonia dove io vedevo oblio - nel vuoto che si dilatava tra noi ogni volta che non ti ho toccato e ti sei salvato dal mio amore.
Non ti estinguevi mai tra i miei pensieri - il mio desiderio per te era un odore indelebile sui miei polpastrelli -, eri fantasia inesauribile, il tuo respiro infiammava le danze di milioni di farfalle in un fruscio d’ali azzurre che colorava gli orli bianchi della mia mente.
 
Mi hai ucciso così tante volte che non saprei più contarle, ma è ironico che ricordi più di tutto quel pomeriggio estivo, il primo, l’inizio di un rinnegarci continuo.
Avevi giocato a lungo, ricordo; eri perfino andato in barca per un po’; io mi ero affaticato con te, contando i tuoi respiri, i momenti d’assenza, i riverberi vitrei del sole sull’acqua.
 
 
Sei tornato a riva, mi hai detto “sono così stanco”; suonava come l’unica supplica volessi sentire, “cullami, Neville”, questo avrei voluto dicessi, ma hai detto solo “sono così stanco” e non ho potuto muovere un passo – eri come un cerbiatto, smarrito in sentimenti che non sapevi classificare, come avrei potuto terrorizzarti col mio amore?
Quel pomeriggio è stato l’inizio di tutto perché ti sei tolto i vestiti e ti ho visto nudo per la prima volta – eri un dio e non lo sapevi –, mi hai dato le spalle, sei tornato sulla sponda e l’acqua t’ha baciato le caviglie; eri così bello, ricordo che pensai “se muovi un altro passo lontano da me morirò” e tu hai continuato a camminare, ti sei lasciato baciare dall’acqua e non dalle mie labbra. Ho messo da parte la paura di allungare la mano e non trovarti – il tuo odore non mi bastava più -; ho fatto un passo verso di te, proprio mentre dicevi “mi farò un bagno” e io dicevo “vengo con te, facciamolo insieme”; accoccolati in quell’urna d’acqua, io e te,  avremmo fatto l’amore e ci saremmo scoperti - io avrei capito di saper amare qualcuno, tu di poter amare un uomo come me –, avrebbe potuto essere così, me lo dico ancora oggi dopo tutti questi anni; invece mi hai dato la schiena e ho atteso che tornassi, che ti liberassi di me per poi riscoprirmi come un randagio che ti segue come un’ombra e, tutto sommato, non sai odiare.
Ti sei voltato, nudo e selvaggio nella tua bellezza irredenta – mi hai suonato come un violino, Percival, pizzicando corde che mai avrei pensato potessero sanguinare –, ti sei tuffato in acqua e io quel pomeriggio son morto la prima volta,
quel pomeriggio mi hai detto “no, vado da solo”.
 
Ho passato anni a ripetermi che non volessi ferirmi, sperando di crederci almeno un po’, almeno alla fine; ma quel pomeriggio mi hai ucciso, Percival, e sempre son tornato da te, ogni volta meno intero.
Niente mi ha spezzato come quel rifiuto, come quelle parole, così simili a una frase da niente. Forse non lo ricorderai,  forse non ci hai badato – non hai mai saputo vedere l’abisso che scavavi in me quando mi rinnegavi.
 
Ma ora non importa. Questa è la mia ultima pagina, il mio ultimo addio, l’ultima volta che muoio per te.
Forse in un’altra vita, forse in un paradiso che non esiste per gente come noi, un pomeriggio in riva al fiume mi dirai di sì.
E saremo entrambi salvi.
 
 
 
 
 

Neville

 



«Le onde si infransero a riva.»
________________________

 
 
Note:
 
Qualche doverosa precisazione: l’idea di questa raccolta mi è venuta nell’intenzione di omaggiare il mio libro preferito, Le Onde di Virginia Woolf. L’ultima citazione qui sopra è la sua, per l’appunto è l’ultima frase che si legge nel romanzo. Le onde che si infrangono a riva segnano il concludersi ciclico della vita di ognuno dei personaggi, ed essendo questo una raccolta di lettere scritte a un passo dall’ultimo respiro, mi sembrava  doveroso 
inserire il riferimento letterario, per completare il quadro d’insieme. Percival è il personaggio (accennato e sempre distante, mai direttamente partecipe) de Le Onde attorno a cui ruotano le vite dei sei personaggi. È inutile specificare che a ognuno dei sei corrisponderà una lettera di questa raccolta. Mi sono ispirata a Virginia per la caratterizzazione “sommaria” dei personaggi che scrivono le lettere, insomma: traduco su carta quello che i suoi caratteri mi hanno trasmesso, con contenuti assolutamente autonomi rispetto al libro, sperando di renderle un degno (quanto umile, per carità) omaggio.
Bene, credo sia tutto. Ora la smetto di ciarlare! Vi lascio i miei contatti; in più, se vi va, il link a una mia long Romantica Originale, nel caso cercaste qualcosa in più da leggere quest’estate.
 
 
 
 
Un bacio e un ringraziamento enorme a chiunque passerà.
 
 
 
Fox

 

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Capitolo 2
*** #2 Rhoda ***




#2
Rhoda
 
 
 
Percival,
 
ti scrivo da una stanza spoglia – pareti bianche come l’anima che mi è stata cucita addosso – non l’ho mai voluta un’anima così, come una tela – ho accolto sempre i colori degli altri, senza esplodere dei miei – la maledizione del sentire: anche ora che impugno il mio inchiostro, è una lettera immacolata quella che scrivo, non nero su bianco, ma bianco su bianco, un gioco di invisibilità che non so controllare; ho passato la vita a raschiare i muri in cui imprigionavo me stessa; ogni parola, ogni respiro, ogni sguardo che volgevo al mondo, era uno sforzo mortale, ne uscivo sempre con le ginocchia sbucciate, ossa in briciole, pupille aride.
Ho brancolato in corridoi troppo grandi, tastando le mura per non lasciarmi travolgere dal vuoto, ho passato anni a cercarmi nello specchio e negli sguardi e nei gesti degli altri, ma rimanevo delusa da epifanie impossibili.
Mi ci è voluta la morte per capire che ho vissuto senza esserci mai, incastrata com’ero negli altri,
una vita d’eclissi ci rende ciechi al nostro splendore.
 
ho rubato vertigini
 
in quei corridoi germogliava solo il silenzio austero che mi spazzava via come una piuma orfana,
 
tra tutti quei pavoni, ero solo una colomba dalle ali spezzate
 
in quei corridoi ho arrancato, cieca, e ora saluto la vita da una stanza priva di specchi,
 
senza un riflesso, quasi mi riconosco.
 
Non ho mai scritto una lettera, non ho mai avuto nulla da raccontare, nemmeno a te – ero troppo occupata a sentirti. Jinny, Susan – loro avranno sempre qualcosa da dire, loro sono al mondo per lasciare qualcosa. Io ho solo saputo osservarti, assorbire l’energia che emanavi; eri gravità nuova, Percival, ogni tuo palpito rivoluzionava l’universo
 
 ho saputo solo osservare, e sentire, e mai donare
 
Ti sei mai chiesto quanto pericoloso sia saltare tra le pozzanghere?
 
Un pomeriggio sei entrato nel bar, ti aspettavano tutti e io volevo solo nascondermi, sapevo che guardandoti non sarei sopravvissuta, la tua luce mi avrebbe ucciso, non sarei riuscita a capirla, non avevo mani abbastanza grandi, occhi, cuore abbastanza profondi per stringere tutto l’amore di Neville – Neville aspettava da una vita e tu non lo vedevi mai  – che sciocca sono, ancora adesso ti scrivo di un amore che non m’appartiene. Ho vissuto per raccogliere i petali che sfuggivano alle vite degli altri e costruirci le mie ghirlande, orchestre di odori che respiravo solo io. Per una vita, al tramonto, ho raccolto ciò che di me rimaneva, dopo un giorno passato a spezzettarmi nelle ore degli altri, essere al mondo mi uccideva istante per istante, impressioni continue mi riempivano fino a scoppiare.
Anche tu mi hai riempito, Percival – è questo il dono estremo che voglio lasciarti: t’incorono con la mia ultima ghirlanda di fiori, la più bella. Tu mi hai riempito, giorno per giorno. Non mi importava essere amata, non se tu c’eri  – sono stata un’urna di vite altrui, che cosa triste potrà sembrarti, ma è l’unica cosa di me che ho imparato ad amare nonostante mi odiassi, è stato come vivere milioni di vite in un solo corpo e far mie mille storie, e sognare, distillarle nel fresco silenzio delle lenzuola che mi cullavano ogni notte, mentre donavo le mie emozioni alle stelle.
Che lettera misera, Percival, che lettera piena d’inesistenza, la accetterai comunque? Non ho nient’altro da dare al mondo se non questa confessione, non so neanche se la mia sia gratitudine, è sottile il confine tracciato dall’ago sui grigi della mia vita. Sto per andar via, eppure mi sembra di non essere mai stata al mondo – è così che ci si sente a un passo dalla morte? Non so. Ti rievoco; il tuo viso nella mia memoria è il sole che consacra la danza del pulviscolo in una stanza vuota solo in apparenza, ora piena di ritmi e passi e parole insignificanti. Sei stato il sole, Percival, e credo sia compito mio dirti quanto tu abbia brillato, perché spesso si è ciechi al proprio splendore, e solo un’ingorda come me, mascherata dalla sua modestia, può rivelarti ciò che tutti di te hanno amato, senza mai ammetterlo a se stessi.
Ti ricorderò sempre in quell’attimo – un pomeriggio a Londra, un sole irreale e la porta del bar che si schiudeva umile per lasciarti passare – hai illuminato gli anfratti più neri di chi ti ha incontrato anche solo una volta, Percival, la tua luce non conosceva pietà.
Solo questo ho da dirti. Io, con la mia vita non mia, con le mie emozioni rubate.
Lascio a te il pennello anche quest’ultima volta: dipingimi addosso tutta la vita che vuoi.
 
 
 
 
Rhoda
 
 
 
 
“Sono come la schiuma che precipita a riva.”
Le Onde
 

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