L'amore per chi è?

di luna_storta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo. ***


Cam si era diretto nel bar dove aveva avuto il primo appuntamento con Luce fuori dalla Sword & Cross. E anche l'ultimo, ad essere precisi.
Si era rintanato lì dopo che la ''bella'' notizia sulla mortalità di Luce e Daniel era passata alle orecchie di chiunque. Ormai ne aveva fin sopra i capelli. Erano due comuni innamorati adesso, perché continuare a parlarne? "Perché la loro storia d'amore sarà eterna e vivrà per sempre'' dicevano tutti. 
Ogni tanto c'erano ancora delle volte in cui si perdeva a rimuginare sulla sua storia fallita con Luce. Lui l'avrebbe davvero potuta rendere felice. In quei 5000 anni aveva imparato ad amarla davvero. Si pentiva di ogni secondo in cui avrebbe potuto farla innamorare di sé perdutamente, ma non l'aveva fatto. Si pentiva in particolar modo del libero arbitrio che aveva lasciato alla felicità di Daniel mentre lui aveva passato secoli a piangere sul fallimento con Lilith.
<< Un altro bicchiere. >> disse al barista.  
Era ormai il quinto bicchiere che buttava giù tutto d'un sorso. O forse il decimo o l'undicesimo. A dire il vero non gli importava. Voleva bere. Certo, non voleva essere ubriaco, voleva solo bere.
<< Adesso io vado, a domani Clive. >> disse con voce melanconica.
<< A domani. >> 
Così fu. Cameron si presentò da lui, il giorno seguente. E anche quello dopo. E quello dopo ancora. Fino a quando, passarono due mesi.
♦ ♦ ♦
Quel giorno entrò dicendo: << Il solito, grazie. >>
Nella vita le cose belle accadono in due momenti: quando meno te lo aspetti e quando non le cerchi, quel giorno, era uno di quelli.
Cam aveva un'aria notevolmente trasandata. La barba era abbastanza lunga per l’uomo fascinoso che era abituato a essere, faceva veramente vergogna! I suoi capelli erano messi allo stesso modo: lunghi, incurati, ed era abbastanza evidente che era passato un bel po' di tempo dal suo ultimo bagno. I suoi occhi erano tristi, ma di rado si vedevano; poiché un lungo ciuffo ribelle li oscurava. Il suo andamento era ogni giorno sempre più ciondolante e ogni giorno più triste. Qualcosa era successo, evidentemente.
<< Cam, sono ormai due mesi che vieni, giorno dopo giorno...>>
<< Ho detto: il solito. >>
Dopo un paio di bicchieri, il barista se la sentì di riprendere: << Cam, cosa ti succede? Che fine ha fatto quella ragazza? Fammi vedere che sei ancora tu. Prendi a pugni qualcuno, fai rissa, fai baldoria ma dammi dei segni vitali, dimostrami che non sei morto. Per favore. >> era strana tutta quell'umanità da parte di Clive. Cam rise. Non avrebbe fatto rissa di nuovo con quegli zoticoni.
<< Lei ha preferito un altro, ecco cos'è successo. E poi, certo che sto ancora vivendo, d’altra parte, non posso morire: sono immortale. >> alle parole del barista suonò molto strano… dal momento che lui non sapeva poteva pensare tranquillamente che lui fosse ubriaco.
<< Cam forse è meglio che tu la smetta di bere, dico sul serio. >> ci furono un paio di minuti di silenzio, interrotti da qualche ordinazione e dell'aprirsi della porta. Nonostante fosse marzo dentro il bar faceva caldo e Cam si sentiva il sangue bollire nelle vene come se si trovasse in piena estate.  
Apparve in fondo alla sala una ragazza dai lungi capelli castano chiaro raccolti in uno chignon. Alla sua immediata entrata dai tavolini si erano sollevati alcuni fischi di apprezzamento. I suoi occhi guardavano in basso e lei non sembrava voler intraprendere una conversazione. Si diresse verso uno sgabello, e lì si sedette. Cam non si accorse di lei, fino a quando Clive non disse << Ehi bellezza, cosa ti posso servire? >>, chiaramente lui e suoi amici seduti ai tavoli erano delle stesse opinioni e delle stesse intenzioni su di lei e ve lo assicuro, non c’era nulla di casto in tutto ciò.
<< La cosa più forte che avete. >> rispose cupamente. Era quasi distratta dal mondo, sembrava non vedere nessuno. 
<< Questo una volta era un locale accesso tappezzato di risse! Adesso sembra solo un ritrovo di depressi! >> esclamò il barista << senza offesa! >> aggiunse dopo aver sentito i grugniti provenienti dalla sala, ma chiaramente non era rivolto a loro.
<< Sta' zitto Clive. >> tuonò Cam.
<< Ecco a te, bellezza. É vodka, non berla tutta d'un sorso ma non…Champagne! >>
Aveva smesso di ascoltare ciò che il barista farneticava, chiaramente intendo a provarci in un modo assolutamente pietoso, ma la sua attenzione era spuntata non appena aveva sentito quella parola: ChampagneEra quello che Luce aveva bevuto al loro appuntamento... nonostante tutto il tempo passato, il ricordo era ancora vivo dentro di lui. Ricordava ogni minimo dettaglio, il profumo della sua pelle, i suoi capelli adorabili come in tutte le sue vite... perfino i loro dialoghi; ogni singola parola. Tutti gli errori che aveva fatto, ora erano così evidenti. Avrebbe voluto potervi rimediare un istante dopo averli commessi. La nostalgia e i sensi di colpa lo stavano divorando. Per quello andava tutti i giorni in quel bar, forse voleva dimenticare, forse voleva cercare qualcosa di nuovo (anche se trovare qualcosa in un bar disperso lungo la costa era un'impresa assurda), o forse per qualcosa che non sapeva nemmeno lui.
Luce gli mancava, ma ormai non l'amava più. Aveva capito che c'erano altre donne. Forse anche più meritevoli di lei.
Tentò di pensare ad altro.
Che dire della ragazza seduta vicino a lui? Non era male, ma niente di spettacolare.
Era facile, pensò. Non sarebbe mai stata sua finché gli altri l’avrebbero guardata in quel modo, l’avrebbe sempre dovuta condividere. Per una volta in tutta la sua vita, voleva avere qualcosa di esclusivo, una ragazza tutta per sé, come mai ne aveva avute.  
Beveva lentamente ogni sorso, quasi fosse indecisa se farlo o no.                                                                                 
Qual era il suo nome?
<< Dolcezza, tutto bene? Cosa ci fai qui, sola soletta? >> disse in tono rozzo il barista.
La ragazza non rispose, ma come faceva ogni cinque minuti tirò fuori il cellulare e lo controllò; guardando semplicemente lo schermo e rimettendolo poi via con cura. Nulla, apparentemente.
<< Perché interessarsi del perché io sia sola? Non le basta sapere che le sto dando da vivere? Perché ammettiamolo, con questo misero bar che puzza di alcool guadagnerà giusto ciò che spende in prodotti. >> disse lei acida. Era carino il modo in cui sapeva mostrare gli artigli e allo stesso tempo rimanere composta e perfetta, dando persino del Lei a un uomo rozzo come Clive.                         
Ovviamente l’uomo era andato su tutte le furie e si era sporto oltre il bancone pronto a…a…già…a fare cosa? L’atmosfera del locale era completamente concentrata su di loro due.  
Fece per andarsene quando Clive esclamò: << Ehi ragazza, e il conto?! >> ancora tutto adirato.
<< Domani sarò ancora qua, pagherò domani. >> quella risposta suscitò improvvisamente l’attenzione di Cam.
La guardò uscire, i suoi jeans le aderivano perfettamente e davano alla perfezione l’idea della sua silhouette. La sua canottiera a righe bianche e rosse lasciava intravedere la schiena scottata. Aveva uno strano fascino e comprese i pensieri dei suoi conoscenti.   
Era strano, per i comuni mortali non aveva mai provato una tale curiosità, perché, era curiosità quella, vero? Aveva deciso: l'indomani le avrebbe parlato. Un sorriso eccitato gli comparve sul viso. Dopo mesi, aveva qualcosa da fare per intrattenersi.

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


La mattina del giorno seguente si ripassò mentalmente ciò che avrebbe fatto. Non sapeva se il piano avrebbe potuto avere successo o meno. Spontaneità prima di tutto, Cam, si disse. In un modo nell’altro, avrebbe fatto bingo, ne era certo. A dire il vero non ne era per niente certo. Non aveva ancora fatto di lei un profilo chiaro, quindi non sapeva come avrebbe dovuto rapportarsi. Questo lo metteva in crisi, terribilmente in crisi. Osservò per un attimo il suo riflesso allo specchio. Sorrise all’idea che aveva avuto pensando di poter essere presentabile. Si pentì subito di aver sorriso dopo aver visto le condizioni dei suoi denti. Era trasandato. Certamente trasandato e qualche dente era pure sbeccato.                                                                                                                                                    
Aveva poco tempo, quindi non poteva mettersi del tutto a nuovo, ma avrebbe fatto quanto gli era possibile. Era strano per lui andare in crisi davanti ad una ragazza, aveva sempre saputo come ammaliarle; eppure, di lei non sapeva nulla. Non sapeva se preferisse il bianco al nero, se avesse un senso dell’ordine maniacale o meno, non sapeva se fosse una tipa gelosa o meno e questo lo tormentava, terribilmente. Se lei fosse stata una che badava molto all’aspetto esteriore, lui sarebbe stato fregato in partenza. Corse di filato a farsi una doccia veloce, uscendo prese lo spazzolino e lo riempì di dentifricio. Si lavò i denti al meglio per cinque buoni minuti e poi andò a cercare il rasoio che da tanto tempo non utilizzava. Eliminò completamente la barba, ma quel semplice gesto gli costò una vita, perché ormai ne aveva perso l’abitudine. Finalmente era presentabile. Mise a lavare i vestiti che da mesi aveva addosso e ne tirò fuori degli altri, del tutto identici. Identici era un termine accettabile se non si consideravano i buchi e le varie macchie. Ai capelli avrebbe pensato un altro giorno. Nonostante avesse fatto tutte quelle cose il tempo che aveva utilizzato, era decisamente poco. Non gli sembrava vero…era di nuovo lui, Cameron Briel, dopo tanto.  Dire che era sensuale come ai vecchi tempi era molto azzardato perché aveva il viso di chi era malnutrito e le occhiaie spiccavano.                                                                                                                                    
L’aspetto fisico ben curato era convinto fosse un primo passo avanti. Decise di schiacciare un breve pisolino, anche se in fondo, non era veramente stanco.                                                                                   
Quando si svegliò, quasi gli prese un colpo. Il tempo era volato e non si era accorto che erano le 17:32. L’idea che lei sarebbe potuta non esser già più lì gli fece prendere un attacco di panico. Ansia. Tanta ansia. E prima di subito fu là. Entrò e la vide. Più bella di quanto ricordasse. Gli dava le spalle, ma da dietro riusciva a riconoscere il suo magnifico profilo snello e il colore dei suoi capelli. Fin ora non si era ancora accorto della loro bellezza che per una volta, era tutta naturale. Non aveva segni di tinta, colpi di sole, piastra, messa in piega o altro. Lisci e color paglia scura al naturale. Ebbe la voglia incontrastabile di toccarli; ma l’avrebbe fatto più avanti, forse. Quello non era decisamente il momento, sarebbe sembrato troppo avventato e precipitoso.                                                                       
Si sedette vicino a lei. Si accorse di un dettaglio molto affascinante: stava leggendo. Era un libriccino molto piccolo e le parole erano scritte in modo altrettanto piccolo, probabilmente era un classico. Dalla sua bocca non uscì nulla, ma proprio nulla. Nemmeno un sorriso che si era prefissato, o qualche semplice parolina per farsi notare dalla ragazza. Non gli mancavano di certo i metodi, e nemmeno il coraggio; in situazioni normali non sarebbe mai successo, ma con lei…con lei era tutto diverso. Troppo e terribilmente diverso. Perché?                                                                                                           
Alla fine della giornata, l’unico segno fu un cenno di consenso quando l’amico gli pose la domanda << Il solito? >>. Per il resto, lui non la guardò eccessivamente, né le rivolse una parola. Aveva tentato in molti modi di farsi coraggio. Si ripeteva che se i suoi fratelli l’avessero saputo avrebbero sicuramente riso di lui, ma soprattutto, si sarebbero sorpresi perché non era una cosa minimamente accettabile da Cameron Briel. Tutti questi lunghi pensieri, quelle lunghe paranoie non riuscirono a fargli aprir bocca né in quel momento, né in qualsiasi altro della serata. Avrebbe tanto voluto avere vicino qualche amico, mortale o non, capace di infondergli tutto il coraggio di cui aveva bisogno. Avrebbe voluto avere un vero amico che ti consiglia e ti sostiene sempre, a cui poter dire tutto; proprio come nei libri. E fu proprio in quel momento, nel tardo pomeriggio, in un bar sperduto su qualche costa paludosa della Georgia che Cam, si rese realmente conto della sua solitudine. Perché in fin dei conti, nemmeno il tanto ingenuo e semplice Clive era un suo amico, forse solo qualcuno che lo conosceva bene, ma il significato della parola ‘’amico‘’ non gli si avvicinava nemmeno di striscio. Il che era davvero deprimente da considerare. Quella miriade di pensieri lo stavano travolgendo, proprio come uno sciatore che viene travolto da una valanga. Le ferite esterne accumulatesi nei secoli e le ferite interne bruciavano come non mai. Era molto ma molto ridicolo, considerando tutti i millenni che aveva vissuto. Era un po’ come aprire gli occhi sul mondo per la prima volta, o come svegliarsi da un lungo e profondo coma e vedere come tutto possa essere cambiato, divenendo atroce. Quei minuti di quell’eterno pomeriggio parevano non passare mai, ma a un certo punto; durante tutti i suoi cruci sul perché non se ne andasse, la misteriosa ragazza; pagò il conto e fece per andarsene. Pagare il conto era l’equivalente aver finito il suo soggiorno lì e l’equivalente di andarsene per sempre. No, non poteva essere vero. Cam non l’aveva né salutata né conosciuta. Il panico lo sovrastò, ma anche un’incredibile ondata di rabbia e rimorso. Se solo non fosse stato così timido e stupido! Che cosa poteva fare? DOVEVA conoscerla. Ormai ne stava facendo una ragione di vita.
<< Allora è vero, mi lasci. >> disse in tono teatrale Clive. Si stava davvero fingendo dispiaciuto? Patetico. Umano. 
<< Dimmi cosa stai leggendo, leggimi qualcosa, concedimi almeno questo, tesoro. >>
<< È un romanzo epistolare del secolo scorso, racconta di una storia d’amore finita male, ora scrive: Credo di aver finito con una fase della mia vita molto brutta. Ho capito che lui non mi cercherà più e che forse è meglio così, al momento non sono in cerca di altro. Se non di nuove esperienze. Sono stata per sei mesi a cercare risposte ma temo di dover aspettare ancora per averne. Ho capito che devo voltar pagina e andare avanti anche senza di lui, e che metterlo in atto è possibilissimo. È inutile inseguirlo ancora per tanto. Posso essere felice anche senza di lui. Ho capito che nella vita c’è altro, molto altro. A volte questo altro è davanti ai nostri occhi, a volte lo dobbiamo scoprire. Io opterò per la prima delle due opzioni che mi ritrovo davanti. Diciamo che non andrò a perlustrare molti nuovi luoghi nel mondo, anche se sarebbe interessante. Mi dedicherò perlopiù a opere di volontariato con i bambini malati in modo terminale. Voglio tentare di dar loro un piccolo barlume di speranza. Voglio tentare di accendere di nuovo, anche solo per un’ultima volta, i loro occhi come vorrei che si accendessero i miei. Loro sapranno sicuramente farmi tornare felice, ne sono certa. Là spero di trovare fortuna e se non la trovo non importa, non mi rassegnerò. Troverò altro. In questa vita c’è così tanto che se mi si chiude una porta me ne si aprono altre cento, come minimo. Non gli lascerò ridurre la mia vita a brandelli. Forse ho già sprecato troppo tempo e francamente non ho intenzione di sprecarne altro. Chissà quante occasioni ho perso in tutti questi mesi, quante occasioni non colte! È un vero peccato. Non ho appunto intenzione di perder altro tempo. Ho capito quanto la vita possa offrire a tutti, me compresa.                                                       
la tua amica e confidente, Tonia. >>
Finì di leggere e dopo una breve pausa aggiunse: << Sì, ti lascio; ma ti tornerò a far visita. È una piccola promessa, Clive. >> le parole che uscivano dalla sua bocca avevano un tono diverso da chi legge semplicemente. Lei amava quel libro, e si vedeva chiaramente. Era più felice del giorno precedente, qualcosa l’aveva resa felice. La gioia le donava, ora era ancora più bella. Erano parole pensate, fiere dell’esser dette, ma soprattutto, decise e determinate. Tonia avrebbe sul serio fatto ciò che aveva appena detto e si capiva dal modo chiaro e deciso in cui l’aveva espresso. Il suo discorso sembrava aver toccato Cam nel profondo, sembrava averlo fatto smuovere dentro. La situazione era sicuramente un’altra ma per lui sembrava calzare a pennello. Qualcosa, dopo tanto, si era smosso e aveva fatto tornargli la voglia di vivere e di fare. Lui non avrebbe fatto la prima scelta. Non voleva illudere nessuno né voleva avere contatti con quei bambini pidocchiosi. Non li aveva mai amati e non li avrebbe amati nemmeno ora. Non lui. Avrebbe sicuramente intrapreso la seconda, che lo aveva affascinato da subito, appena pronunciata. Viaggiare. Se nel tempo o nello spazio non faceva differenza. Rivivere vecchi ricordi, vecchie avventure e vecchie amicizie. Forse con un po’ di dolore, qualche fitta al cuore ma nulla di insopportabile. L’idea era affascinante, quasi quanto lui. E se le cose erano messe su quel piano, voleva dire che erano belle, belle davvero.      
Quando Cam uscì dai suoi pensieri, la ragazza era già fuori dal locale e lui si affrettò a raggiungerla. La raggiunse, dopo aver corso un po’.
<< Posso almeno sapere il tuo nome? Mi sarà utile saperlo, per quando tornerai. E prevedo tra tanto, sbaglio? >> disse la prima cosa che gli era venuta in mente. Suonava banale, ma sembrava aver divertito la ragazza.
<< Ti sbagli, non sarà tra molto. Sarà semplicemente appena avrò un po’ di tempo. Sarà allora che verrò e starà a te giudicare se sarà passato molto o poco tempo. Diciamocelo però, in fin dei conti non importa quanto tempo sia passato, l’importante è come; se veloce o lento, se proficuo o meno. In tal caso, se sarà passato lentamente avrai tutto il permesso di dirmi ‘’sei in ritardo, ci hai messo troppo’’ ma non una parola di più al riguardo. La precisione non fa per me, tanto o poco non lo calcolerò. Lento o veloce sì, per il tempo mi do solamente questi canoni di misurazione. Hai sbagliato, perciò non ti dirò il mio nome. >> disse sorridendo radiosa. I suoi occhi verdi le brillavano chiaramente in sfida.
<< Mi dispiace molto signorina, perché il mio intento era solo quello di schiarirmi un dubbio. >> disse rispondendo alla provocazione.
<< E quale sarebbe questo vostro dubbio, di grazia? >> chiese, all’apice della curiosità.                                  
Per tutta la risposta Cam sfoderò il suo sorriso migliore: << Quando tornerete lo saprete, se il tempo passerà veloce vi sembrerà un attimo, vi sembrerà ieri avermelo chiesto. Se il tempo passerà lento…ahimè, rimarrete sulle spine soffrendo! >> fece una breve pausa << Ad ogni modo, ad una così bella ragazza non può che appartenere un bel nome. >>. Quasi certamente la ragazza era arrossita, ne era sicuro. Ora gli sembrava tutto più facile e tutto gli era tornato spontaneo. Non rispose ma com’era venuta, se ne andò.
Clive scoppiò in una sonora risata non appena fu rientrato.
<< Che hai da ridere!? >> gli domandò Cam.
<< Cam, lasciatelo dire, le tue intenzioni si capivano benissimo. Dai, andiamo, era tutto molto chiaro. E te la sei lasciata sfuggire così. Hai sempre fatto centro sulle ragazze, con un qualche tuo fascino misterioso. Patetico da parte tua. >> gli disse a mo’ di rimprovero Clive.
<< Patetico? A me? Ho le mie buone ragioni per non averla convinta a restare, era evidente quanto antipatica fosse. Non l’ho semplicemente ritenuto opportuno. Fine. Stop. Non è assolutamente mancanza di coraggio, codardia o altro. >> mentì il ragazzo. Una parte di lui non voleva evidentemente ammettere l’interesse che provava per lei. Non era principalmente da lui ammettere le sue debolezze, né tantomeno i suoi sentimenti. Perché avrebbe dovuto farlo con Clive? Il barista comunque insisté, convinto di sé:
<< Ho capito… comunque, fai sempre in tempo a convincerla, se vuoi. >> Cam però, parve non dare molto retta all’uomo e mentre tornava a casa, continuò a pensare.
Chi era lei? Niente di più di una sconosciuta per cui provava l’interesse di conoscerla. La cosa finiva lì, e forse era anche giusto così. Forse avrebbe provato più avanti con qualche altra ragazza. Dentro di se provava però uno strano amaro e un forte rimorso. Perché? Ripensò ai suoi capelli castani, un po’ scuri e un po’ chiari, perfettamente lisci e raccolti in modo disordinato… chissà lei come fosse. Se fosse una ragazza tormentata o una ragazza tranquilla. Chissà quale fosse la sua natura. Ma si disse che tutto ciò che provava per lei era solo curiosità e nulla più. Era vero? Non lo sapeva nemmeno lui. Quella sera, quando chiuse gli occhi, non sognò tenebre, ma vide dei capelli color grano volare secondo le decisioni del vento e due occhi verdi sorridere. Per lui.
Il giorno dopo tornò al bar, convinto di farla finita per sempre con quel posto. Pagò il conto e non si premurò nemmeno di salutare Clive.
Ormai aveva deciso tutto. Aveva pianificato al dettaglio ciò che avrebbe fatto della sua vita per almeno un po’. Eternità, gran concetto.
Avrebbe vissuto ancora, e ancora.

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Milano, Italia.                                                                                                                                        
20 maggio 1918.
Era arrivato precisamente cinque giorni prima della morte di Luce, o meglio, Lucia. Sentiva in lontananza gli echi delle bombe. Sentiva urla dovunque. Urla disperate, di dolore. Tutti chiedevano pietà a qualcuno che non li avrebbe ascoltati. Quella era guerra, il posto perfetto per lui. Si ripeteva sempre più che avrebbe dovuto vivere lì: dove lui trovava la sua vera pace…ma quella volta non era lì per combattere. Nemmeno per pensare al presente che aveva lasciato, nemmeno al perché lui -ingiustamente- non potesse vivere lì per sempre. In quella vita Luce era Lucia e quella forse era stata una delle sue vite più brevi, era fra le tutte, la più ingiusta e lui era il primo ad ammetterlo. Lucia si era ritrovata a provare qualcosa più forte di lei. Di più, di troppo, per la sua giovane età e questo l’aveva distrutta, consumata.  Era morta, come sempre. Questa volta però, non aveva avuto nemmeno il tempo di conoscere a pieno l’amore. Era accaduto qualcosa di troppo veloce per lei, qualcosa di ingestibile. Lei aveva, inconsciamente, fatto ciò che aveva sempre fatto, tutte le altre volte. Non aveva avuto nemmeno il tempo di capire di essere al mondo, quasi. Quasi, era nata dentro la guerra. Quasi, aveva imparato solamente a prendersi cura degli altri al meglio; si era quasi abituata alla morte e mai avrebbe immaginato che la stessa cosa contro cui combatteva tutti i giorni, presto avrebbe colpito anche lei. Non era la bambina dolce, amorevole, simpatica nonostante tutto di quell’epoca, ciò di cui aveva bisogno; no di certo. Doveva andare indietro, ancora più indietro. Allora evocò un Annunziatore, e vi scomparve dentro.

Il tempo iniziò a girare. Sempre più indietro, sempre più lontano e ogni volta più vicino al momento.

Germania, correva l’anno 1664. Cam ricordava quella vita alla perfezione. Era quella che ricordava più felicemente. Germania dell’Est. Territorio prussiano. Per una volta, lui ricopriva un ruolo nobile mentre Daniel quello di un insignificante contadino. Luce, senza ombra di dubbio, anche. In quella vita lui era distante da loro, non era entrato nella vita di Lucinda Schwarz. In quella vita, non era successo però, nulla di troppo diverso dalle precedenti; fa ciò che ricordava. Cam aveva intrapreso una nobil vita, tutto qua. In quella vita qualcosa di speciale per lui c’era, lo sapeva, l’aveva sempre saputo. A ritornarci di nuovo, dopo tutti quegli anni, sentì un leggero brivido. Allora non si era messo in mezzo a Lucinda e Daniel ma ora, l’avrebbe fatto, non sarebbe entrato in contatto per nessuna ragione al mondo con il suo sé di allora, nonostante amasse la vita lussureggiante...piena di donne… Aveva avuto gioia, ma non avrebbe rivissuto quei giorni.
Sapeva perfettamente come orientarsi e si diresse verso la città. Non ci mise molto tempo ad arrivare, la sua memoria non lo aveva ingannato. Si era tenuto fuori dalle coltivazioni, lontano da quei monti, da quell’amore. Ora voleva vivere lì, per lo stesso assurdo motivo per il quale si era fermato in tutto quel tortuoso viaggio nel tempo. Non intendeva però intraprendere la vita da principe ancora una volta, no, lui voleva altro. Avrebbe raggiunto Daniel e Lucina, ben ricordando il loro lavoro di allora: contadini. Il suo ricordo del XVII secolo ruotava attorno a quattro parole: carestia, peste, povertà, guerra. Era impossibile sopravvivere senza un lavoro ma d’altro canto Cam non aveva minimamente voglia di sporcarsi le mani lavorando.
Ricordò di aver letto su una rivista una frase scherzosa riguardo all’utilità di “supervisore dei campi”, così era stato definito. Era un lavoro piuttosto inutile se ci si pensava bene e praticamente nessuno avrebbe assunto qualcuno per quello, specialmente in quel periodo di crisi. Bisognava probabilmente trovare qualcuno di abbastanza stupido o bisognava saper vendere bene quel lavoro. Le sue richieste erano fattibili: solamente vitto e alloggio. Si fermò un attimo avendo un dubbio sulla strada da fare, una volta arrivato in una piazzetta ma ripartì subito dopo, ricordandosi. Intraprese una stradina che portava in cima ad una collinetta dove si trovava lo stabilimento e finalmente arrivò.  
 
Grabow, Germania.                                                                                                                                 
17 luglio 1664.
Daniel e Lucinda avevano ottenuto qualche giorno di permesso che, erano certi, si sarebbero dedicati a vicenda. Lucinda però non sarebbe mai tornata a lavorare da quei giorni, non serve dire il perché. Amore. Intrepido e accecante amore. Una delle poche cose a cui un angelo non è capace di far fronte. Luce aveva messo il vestito più bello e candido che avesse. Portava una lunga sottoveste bianca con sopra un corpetto e una gonna lunga che copriva tutto il corpo. Solitamente i vestiti delle donne avevano colori sfarzosi o tenere decorazioni ma non il suo, non quello di quel giorno che era semplicemente bianco, con cui contrastavano i suoi magnifici capelli. Lei e Daniel stavano giocando a rincorrersi attorno ad un albero. Ogni volta che Daniel la prendeva la abbracciava saldamente, ma si guardava bene dal baciarla: sapeva che quelli erano i loro ultimi momenti insieme. Entrambi ridevano, lui consapevole del suo destino, lei, ingenua e spensierata. Si amavano come due folli, e come tali stavano conducendo la loro esistenza.
Ricordò improvvisamente di essere ancora vestito con gli abiti del XXI secolo ma ricordò anche quanto a loro, in quanto angeli, gli fosse concesso cambiare aspetto. Così fece e si ritrovò ad indossare dei leggins e sopra dei calzoncini, l’equivalente dei moderni pantaloni. Sopra, come top, una giubba a maniche lunghe, il tutto, ovviamente, di nero. Era decisamente troppo stanco per poter sostenere un colloquio e decise di fermarsi a dormire non molto lontano dalle coltivazioni e nella sua mente, invece che contare le pecore, pensò a quale sarebbe stata la sua versione. Quegli abiti nuovi e puliti sicuramente gli conferivano un aspetto elegante, poteva sembrare quasi un ricco ereditiere e ciò avrebbe semplicemente giocato a suo favore.  L’indomani mattina, con quei nuovi abiti si presentò al proprietario terriero con il quale riuscì a parlare dopo molti intoppi. Le coltivazioni si estendevano su un vasto territorio coperto da mura, attaccate a quelle di un altro proprietario terriero. Erano eternamente rivali, a quanto Cam ricordasse, ma il proprietario da cui lui stava andando era quello che dei due se la passava peggio. C’era una sola via di accesso alla tenuta dalle mura che ne coprivano perfettamente il perimetro. Essa dava una veduta dei campi sia da destra e sia da sinistra e portava fino alla casa seicentesca; era stata creata per far passare anche le carrozze e doveva essere un ghiaino largo circa tre metri.
<< Cosa mi stareste chiedendo precisamente? >> domandò l’uomo.
<< Sono un giovane ragazzo ma non badate a questo, ho molta esperienza in questo campo. Ho fatto molta pratica in campagne molto più grandi di queste. Non lascio che nulla e ripeto nulla venga lasciato incoltivato o mal coltivato. Sono molto efficiente e quando ci sono io a controllare il lavoro, tutto viene svolto alla perfezione. Fidatevi di me. Se volete, potete farmi provare per un poco, e quando vi sarete decisi, mi farete sapere. >> disse Cam molto sicuro di sé. L’uomo lo scrutò, attentamente. I suoi piccoli occhi sembravano molto severi e poco intenzionati ad assumerlo. Non era evidentemente stato abbastanza convincente, forse. Avrebbe dovuto elogiarsi un po’ di più, chiaramente. Ad ogni modo, Cam conveniva che concedergli una posizione di privilegio come lui gli stava chiedendo fosse una scelta difficile.
<< E ditemi ragazzo, come mai avete lasciato le altre campagne? Forse non siete stato poi così efficiente come affermate. Forse siete un bugiardo, falso, imbroglione. Cosa può farmi fidare di voi? A cosa mi serve qualcuno come voi? Non ne ho nessuna necessità. Dovrei spendere del denaro per un lavoro in concreto inutile? Di quanti soldi parliamo poi ragazzo? >> disse. Cam era in praticamente fregato. Fare una sorta di controllore dei campi non era un lavoro utile ma quando l’aveva pensato, gli era parsa una così bella idea! Si sentì tanto stupido in quel momento. Come aveva potuto pensare che qualcuno l’avrebbe assunto per quello? Ma che discorsi erano?! Lui era un demone, della cerchia più ristretta di Lucifero, e avrebbe mentito fino all’ultimo. Senza alcun problema.
<< Non sono il genere di persona che manca di rispetto, signore. Al contrario di quello che pensate Voi non voglio grandi stipendi. Solamente vitto e alloggio. Siete l’unica persona che mi potrebbe ospitare senza fare troppe domande. Sarebbe solamente una sistemazione momentanea, Signore. Se non vi soddisferà il mio lavoro sarete benissimo libero di mandarmi via in qualsiasi momento. So di starvi chiedendo molto in questo momento, soprattutto con la crisi che circola ma deve capirmi, non ho nessun’altra soluzione. >> l’uomo si soffermò a guardarlo per qualche secondo.
<< Tu non mi piaci, ma puoi chiamarmi Heinz. >> Cam gli fece un sorriso a 32 denti.
<< Mi considero ospitato? >> domandò.                      
<< Vedete di non fare solo la parte dell’ospite. Lavorate anche…vi conviene. >> disse in tono severo. Quasi non poteva credere di essere stato assunto. Era stato facile, fin troppo. Non gli importava, era solo felice, al settimo Inferno.
<< Inizierai domani mattina. Per oggi ti chiamerò qualcuno che ti mostri i terreni…e la tua nuova dimora. Di’ al ragazzo libero di portarti in giro. Lo troverai in cortile…a poltrire, a divertirsi. A non meritarsi un lavoro qui. Ti mostrerà la tua stanza. Non sono un principe e di sicuro non vi riserverò un trattamento tale. Mi auguro che lo sappiate. >> era alquanto evidente che quella sua aria abbastanza critica lo rispecchiasse perfettamente. Il ragazzo nel cortile era di sicuro Daniel. In quel momento Cam si sentì terribilmente combattuto. Non voleva negare all’amico la possibilità ti trascorrere del tempo con Lucinda ma non poteva nemmeno spiegare il motivo per cui non volesse che fosse lui a portarlo a spasso a Heinz.
<< Grazie mille Signore, non vi deluderò, è una promessa. >>
<< Me lo auguro. >> disse l’uomo accennando appena un sorriso.

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo. ***


Appena uscito dalla stanza inspirò a fondo e sorrise. Era vero? Tutto vero. Doveva solamente trovare Daniel o si sarebbe perso. Arrivò in giardino e lo vide. Era troppo felice per rovinargli il momento, ed era proprio per quella ragione che lui sarebbe andato. Gli si avvicinò cautamente e questi esclamò:
<< Cam! >> evidentemente arrabbiato. << Che cosa ci fai qui? >> . Come la sua compagna, anche lui era vestito di bianco.
Lucinda parve più sorpresa di lui: << Vi conoscete? Daniel, chi è? >>
<< Nessuno, nessuno. Solo una vecchia conoscenza. Mi assenterò solo un secondo, perdonatemi madame. >> disse dolcemente a Luce. Si avvicinò a gran passo a Cam e sibilò: << Dammi una buona ragione per non ucciderti. >>.
<< È’ buffo che proprio tu mi parli di morte, Daniel. Non sono di certo io la persona più prossima ad essa. >> iniziò a raccontargli le cose come stavano e la rabbia di Daniel parve placarsi sempre un po’a ogni parola che Cam pronunciava. Alla fine della spiegazione sospirò, seccato. << Devo proprio? >> domandò. << Temo proprio di sì... >> disse Cam guardando Lucinda. Daniel la guardò a sua volta; era bellissima nella sua semplicità; lei era sempre bella, anche nelle peggiori condizioni. Forse diceva così perché l’amava o forse perché era vero e basta.
Si avvicinò velocemente le sussurrò << Va tutto bene, tornerò. Te lo prometto. Tornerò presto. Tu aspettami. Il Signor Heinz ha deciso che le nostre vacanze sono finite qui, ma non temere Lucinda, ci ritroveremo nei campi. E’ una promessa. Ora va, e aspettami, come sempre. >> e le lasciò un tenero bacio sulla fronte. Lei lo guardò con occhi imploranti: voleva una spiegazione. Lui la capì al volo, come sempre, e le disse: << Vai, ti spiegherò tutto il prima possibile. Prima inizio, prima finisco. >>, lei ancora non capiva, ma capendo che non avrebbe ottenuto altro, si accontentò e andò a mettersi la benda che si era tolta per quei giorni. Intanto Daniel e Cam iniziarono a camminare e Daniel mostrò i campi a Cam. <<Sai Grigori…ho avuto parecchio a cui pensare mentre ti facevo da bàlia. Diventerai soffocante con il passare del tempo. >>
<< Perché mi chiami per cognome Cameron? Qui ci si chiama con il nome e possibilmente anche con il secondo. È più formale, Cam. >>
<< Abbiamo finito? Mi sto iniziando ad annoiare con le tue prediche. >> affermò con aria svogliata.
<< Non essere infantile. Nessuno ti obbliga a stare qui se non vuoi. >>
<< Bene, hai ragione. Portami alle mie stanze e se te lo chiedono, di’ che mi hai fatto vedere già tutto >> e questa fu l’ultima parola che Cameron rivolse a Daniel per quella giornata.
Sbatté immediatamente la porta che dava alle sue spalle e osservò la sua stanza. Orripilantemente insoddisfacente. Non gli piaceva, eppure lo ricordava, il 1600 ed era proprio così. Cosa allora glielo faceva amare così tanto? Cam non riusciva a ricordare, ma sapeva che la risposta era sepolta in qualche angolo remoto della sua memoria. Non aveva assolutamente nulla con sé se non i vestiti che indossava in quel momento. Si accasciò sul letto e attese.
<< Siete sveglio?! >> sentì chiedere da una voce dolce.
Era una ragazza, che non poteva avere più di 20’ anni. Cam però non voleva sentirselo dire e non ne seppe di alzarsi. La ragazza allora, stanca, con tutta la sua forza gli tirò un ceffone sul viso facendolo alzare di botto. Subito Cam assunse un’espressione furibonda e rabbiosa. La ricoprì dei peggiori insulti e minacce, ricordandole la sua autorità e ciò che con essa avrebbe potuto fare. Non appena ebbe finito, la ragazza tentò di giustificarsi mortificata: << M…Mi dispiace! Davvero! Io…io…non vi svegliavate! E siete in ritardo! Terribilmente in ritardo! >>
L’angelo avrebbe voluto dirgli che non stava realmente dormendo ma lasciò perdere. La ragazza, non notando una risposta da Cam non aggiunse altro. Appoggiò semplicemente la mano su quella del ragazzo. Il suo tocco fu dolce e delicato, per niente aggressivo o violento come invece si era aspettato. Subito nella sua mente si formarono una serie di immagini che lui non seppe spiegare. Vide un incendio provenire dal raccolto e una ragazza che correva disperatamente in soccorso di qualcuno, la visuale era sfuocata e lui non riusciva bene a capire chi fosse. Ben presto quell’immagine cambiò e a essa se ne sostituì un’altra: Arianne, il 21esimo secolo, una piazza affollata, lei che lo trascinava in giro, ma lui si vedeva chiaramente contrario. Dov’erano? Che cosa stava succedendo? Non riusciva a mettere fuoco nulla. L’immagine diventò lui in una stanza moderna, tanti banchi disposti a coppie e una persona davanti a lui di cui non riuscì a distinguere nemmeno il sesso perché l’immagine cambiò ancora una volta. Ancora, e ancora. Cam era confuso e spaventato, non sapeva dove fosse e nemmeno come potervi uscire. Cosa gli sarebbe successo? Qual era lo scopo di tutto ciò? Sentì il ragazzo che aveva lasciato nella stanza strizzare gli occhi già chiusi. Sentì mancarsi, si sentì svenire, ma non lo fece. Riaprì gli occhi e rivide la stanza che aveva lasciato. Era quello il termine più giusto, lasciare? O era stato rapito? Notò in quel momento che la ragazza aveva tolto la mano dalla sua e l’aveva appoggiata vicino alla sorella. Non sembrava essersi accorta di nulla, lui non poteva passare per pazzo chiedendole se anche lei avesse visto. Che cosa diamine era successo? Per un secondo non se ne rese conto, ma poi capì che quella era la prima volta in cui vedeva la ragazza perché fino a quel momento i suoi occhi l’avevano sempre osservata distrattamente e non poté fare a meno di sorridere.
<< Signore, permettendo >> iniziò ma fece una breve pausa per intuire se potesse proseguire o meno. Ne approfittò per schiarirsi la gola e continuò: << penso che voi abbiate venire al piano di sotto immediatamente. >> Cam ricordò le sue parole: siete in ritardo! Terribilmente in ritardo!, in ritardo per cosa?
<< In ritardo per cosa? >> domandò Cam con voce assente.
<< Per il pranzo! Il signor Heinz pretende puntualità assoluta, specialmente da un nuovo arrivato come voi. Lo ritiene un modo abbastanza efficace per capire la personalità delle persone. Non vorrete fare una brutta figura il primo giorno, vero? >> la ragazza sorrise dolcemente. Cam era perso, la sua testa era altrove. Forse ancora con quelle immagini, forse a pensare alle parole della ragazza o forse a fissare il vuoto e basta.
<< Come vi chiamate? >> domandò curioso.

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