Andersen, 1973

di Darlene Hannigan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era, una volta... ***
Capitolo 2: *** Cap.1 Robert/La Sirenetta ***
Capitolo 3: *** Cap.2 Bonzo/Il Guardiano Dei Porci ***



Capitolo 1
*** C'era, una volta... ***


ANDERSEN, 1973

C’ERA UNA VOLTA ...

 

~ Headley Grange, Settembre del 1973

 

Si avvertiva ancora un sussurro d’estate.

La brezza tiepida, l’umidità raccolta sulle punte dei fili d’erba, qualche grillo che ancora cantava alle stelle. Ciò che restava era un silenzio rassicurante, il quale avvolgeva le mura del vecchio casale come un lenzuolo fresco. La finestra che dava sul salotto era ancora aperta, lasciando entrare un vento timido, ma che gonfiava ancora le tende di cotone leggero. Dalla stanza, arrivava solo un vociare leggero e un’unica, sola voce narrante, dal tono deciso, incalzante. Diceva: “Tutti volevano far credere di vedere qualche cosa, per non essere giudicati eccessivamente sciocchi o incapaci. Ma, ad un tratto, un bimbo strillò …”

- Oh! L’imperatore è senza vestito! – squillò una voce piccola, delicata, entusiasmata.

- Scarlet, non interrompere John mentre legge!

- Ma papà …

- Jim, lasciala stare. È la sua storia preferita! – disse John teneramente, staccando una mano dal libro per poter accarezzare la testolina dorata della piccolina seduta ai suoi piedi. Di fianco a lei, in semicerchio, sedevano altri sei bambini, cioè l’intera prole della band, perfettamente attenti e attente a non perdere una parola di zio e papà John, nonostante alcune di quelle storie le conoscessero ormai a memoria. Pigramente abbandonati su divani e poltrone, invece, vi erano i rispettivi padri, intenti ad ammazzare il tempo come meglio potevano.

- Comunque, il mezzo cinese non ha tutti i torti … - sbadigliò pesantemente Bonzo, stiracchiando in alto le braccia a pugni chiusi, seduto di fianco a un Robert mezzo insonnolito, ma presente, con una risata soffocata nel vedere la faccia contrariata di Jimmy.

- Grazie dell’appoggio, Bonham! – fece quest’ultimo, stringendo pericolosamente le palpebre.

– Di niente dolcezza! – fece lui sarcastico, sollevando una mano in segno d’intesa per poi usarla per stropicciarsi un occhio - Tra un po’ dovrò mettere le mollette alle palpebre, Jonesy, vedi di sbrigarti! Il sonno lo stai facendo venire a noi, non ai ragazzi.

- “Ecco la voce dell’innocenza!”  disse il padre – continuò a leggere Jonesy, rivolgendo uno sguardo strafottente a Bonzo, il quale gli sollevò il dito medio senza farsi vedere dai bambini – Le parole del piccolino passarono di bocca in bocca … - proseguì, indicando con un dito le bocche dei piccolo pubblico seduto di fronte a lui, facendoli sorridere, ma fu interrotto di nuovo.

- L’imperatore è senza vestito, non ha niente addosso! Lo ha detto un bambino! – esclamò improvvisamente Robert, saltando in piedi e alzando le braccia al cielo e facendo ridere i piccoli e Jonesy, mentre Bonzo sbuffava pesantemente e Jimmy lo guardava incredulo, la bocca socchiusa.

- Bravo papà! – applaudì la piccola Carmen.

- Ogni cosa per compiacerla, principessa! – le rispose lui, rivolgendole un inchino.

- E alla fine, tutto il popolo urlò … - disse Jonesy scattando in piedi davanti ai bambini che urlarono: L’imperatore non ha niente addosso!

- Page, credo che l’ultima parte sia tua! – tuonò Bonzo, mentre lo sguardo del chitarrista si faceva sempre più affilato, l’irritazione che sembrava arrivargli fino ai capelli facendoli sembrare minacciosamente più scuri e gonfi.

- L’imperatore era sulle spine … - lesse ancora Jonesy - … perché non poteva dare torto ai suoi sudditi. Pensava però …

- Se non mi mantengo dignitoso e imperturbabile ne va di mezzo il gran corteo! – esclamò Jimmy con voce fin troppo impostata, facendo ridere Bonzo e sollevando un pugno di fronte a sé come un Amleto a corto di teschio, mentre Scarlet, orgogliosa, corse da lui, andandosi a sedere sulle sue ginocchia e lasciandogli un bacio lieve sulla guancia tonda. Robert, invece, si avvicinò a Karac, vedendolo barcollare avanti e indietro, ormai quasi addormentato. Lo prese in braccio, sistemandogli la testa sulla propria spalla, e cullandolo in un walzer del sonno.

- S’irrigidì dunque in un portamento ancor più altero e maestoso. E i paggetti seguitarono a camminare curvi, sorreggendo lo strascico che non esisteva! – concluse Jonesy, sussurrando, mentre Jason andava a sedersi accanto al padre, abbracciandolo, entrambi in cerca di sonno.

- Andiamo Jason? – chiese Bonzo ad occhi chiusi, poggiando il capo su quello del figlio.

- Sì papà!

- Infatti si è fatto tardi! – osservò Jonesy, scrutando l’orologio e passandosi una mano tra i capelli – A nanna signorine! – disse, vedendo che ormai le uniche sveglie erano le sue figliole e Carmen. Appoggiata al petto del padre, anche Scarlet era andata a far visita al mondo dei sogni.

In pochi minuti, la stanza si svuotò. Ogni padre si caricò del leggero peso dei piccoli, portandoli uno ad uno nei propri letti. Qualcuno baciò loro la fronte, qualcun altro si assicurò che nemmeno un piedino spuntasse da sotto le coperte.

Poi, i quattro, si chiusero nelle rispettive stanze, crollando immediatamente.

Felici e contenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Angolo dell’autrice

Salve!

Nuova storia, nuova faccia.

Ok, questa è una piccola sperimentazione che spero possiate apprezzare. Ammetto che per essere una “new entry” risulterà un po’ azzardata, ma in quel caso siete più che autorizzati a tirarmi frutta marcia virtuale.

Preferisco non anticipare nulla a storia iniziata, lo farò man mano che andrà avanti!

Al prossimo capitolo!

D.H.

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Capitolo 2
*** Cap.1 Robert/La Sirenetta ***


‘Til your singing eyes and fingers

 

Sbuffò, pizzicandosi lievemente il naso.

L’odore dell’erba fresca e il profumo settembrino nell’aria era piacevole fino a quando non faceva pizzicare le narici. Così, sollevò pigramente le braccia sopra la testa, gonfiando il petto in un grosso sbadiglio prima di mettersi in piedi, restando all’ombra del grande salice piangente che cresceva ai confini dei possedimenti di Headley Grange.

Aveva trascorso ore intere a passeggiare a vuoto, quasi misurando ogni metro di terra con i propri passi, ma l’ispirazione tardava, facendosi attendere come la più esclusiva delle ospiti.

- Non ce la farò mai. – sussurrò tra sé e sé, portando l’armonica sul bordo delle labbra sottili, soffiando piano e scrutando il cielo terso come i suoi occhi.

The people turned away, the people turned away…

Le parole continuavano a rincorrersi nella testa senza incontrarsi mai, evitando quel filo logico che lui cercava. Riprese a camminare, mani e armonica cacciate nelle tasche, un filo d’erba tra i denti. Si fermò soltanto quando, attraversata una piccola radura spennellata di rosso autunnale, si trovò davanti ad un laghetto, ben nascosto da rocce vestite di muschio e arbusti sempreverdi ancora fioriti.

Non credevo ci fosse un lago da queste parti, pensò, avvicinandosi piano, in sincronia con il sorriso che iniziava a sollevargli le guance, fino ad essere abbastanza vicino da poter contemplare l’immobilità dell’acqua, la luce che si rifletteva su di essa.

- Dio, sembra un lago incantato! – sussurrò, quasi come se qualcuno potesse sentirlo.

Poi, con la sorpresa di un acquazzone in pieno Agosto, le parole si precipitarono nella sua testa, chiare e limpide come gocce di pioggia.

Out in the country, hear the people singin'…

Singin' 'bout their progress, knowin' where they're goin'.

Oh, oh, oh, oh, the people turned away

Yes, the people turned away

Iniziò a rovistare nervosamente nelle tasche posteriori, impaziente, timoroso di poter perdere le parole; poi finalmente trovò il foglietto, ridotto quasi a brandelli, e la matita che, controllò attentamente, aveva ancora la mina perfettamente intatta. Frettolosamente la fece passare sulla punta della lingua, in quel gesto che tante volte aveva visto fare da suo padre, quando era immerso nei suoi calcoli infiniti, rifugiato sotto la luce verdognola dell’abat-jour appoggiata sulla scrivania al centro del suo studio, accompagnato solo da silenzio e concentrazione.

Sorrise a quel ricordo, mentre canticchiava le parole e le scriveva nella sua accurata calligrafia, piegato sulle ginocchia e foglio appoggiato su una coscia, così perfettamente immerso nell’attimo d’ispirazione che nemmeno si accorse che stava perdendo l’equilibrio. Fece giusto in tempo a reggersi sulle punte dei piedi, ma nel farlo perse di mano la matita, andata a rotolare poco distante dalla riva del laghetto. Sospirò di sollievo.

- Wow! – disse, mettendosi in piedi – Che culo! – esclamò, avviandosi a raccoglierla, ma c’era una cosa che quella mattina Mr. Plant non aveva messo in conto. Qualcosa ce l’aveva con lui.

E così, mentre era ad un passo dal raccogliere la matita, inciampò contro la radice di un albero e, ciò che vide prima di sbattere con la testa contro il suolo roccioso, fu soltanto la scia luccicante della superficie dell’acqua.

 

 

*

 

 

Arricciò il naso, in un gesto che gli sembrò di aver già fatto quel giorno.

Infatti si chiese subito se per caso non avesse sognato tutto mentre continuava a tenere gli occhi chiusi.

Invece no.

Man mano che si svegliava, sentì che un forte mal di testa batteva contro la tempia sinistra in maniera allucinante, quasi come se a percuoterla fosse stato un martello, mentre scoprì che a fargli arricciare il naso era qualcos’altro, come se una mosca dispettosa ci stesse girando intorno.

Aprì lievemente gli occhi, lasciando che la luce si facesse strada poco a poco, senza abbagliarlo. Quando furono aperti, però, dovette stropicciarli bene con i pugni, per poter mettere a fuoco il volto sopra il suo.

La chioma fulva le ricadeva su una spalla sola, mentre l’espressione corrucciata e preoccupata non gli impediva di scorgere i bei lineamenti della ragazzina che aveva di fronte. Labbra carnose, naso all’insù e occhi azzurri.

Anzi no, viola, pensò.

- Ciao! – sussurrò, tentando di sfoderare il solito sorriso da marpione, ma scoprì subito che ciò gli costava aumentare la fitta alla testa. Così, rinunciò volentieri alla sua arma di conquista preferita, preferendo portarsi una mano alla fronte e mettendosi a sedere, giusto per vedere in che condizioni si trovasse. Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che non c’era sangue, se non un leggero graffietto sulla pelle e un gonfiore che andava aumentando.

Si guardò intorno e dalla luce capì che non era passato molto tempo da quando aveva perso conoscenza, ma tornando a guardare la piccola creatura di fronte a lui, si accorse che era completamente sola.

- Come hai fatto a trovarmi qui? – chiese, guardandosi intorno ancora una volta, giusto per essere certo di ciò che diceva.

Lei non rispose, si limitò soltanto a fare spallucce, facendo scivolare giù una spallina dell’anonimo vestitino bianco che la copriva a malapena fino alle ginocchia. Robert se ne accorse subito, nonostante il dolore che continuava ad aumentare, e non perse l’occasione di passare lo sguardo su ogni singolo pezzo di pelle della giovane. Questa se ne accorse, arrossì di vergogna e frettolosamente sollevò la spallina e portò le braccia avanti, come a volersi coprire fino ai piedi.

- Hey! – sussurrò lui, sconvolto da tanto timore – Non ti mangio mica. – disse, in quello che era il tono più rassicurante che riusciva ad imitare, ma, guardandola negli occhi, vide che non era imbarazzata, bensì spaventata a morte.

- Che ti hanno fatto? – chiese, questa volta analizzando il suo corpo in cerca di lividi, tagli, qualcosa che gli desse da pensare, ma trovò quella pelle più candida di come gli era sembrata cinque secondi prima. Lei continuò a restare in silenzio, abbassando gli occhi e arricciando un angolo della bocca.

Non so nemmeno come ci sono finita qui, questo sembrò dire.

- Ho capito! – disse lui, alzando un dito in aria con fare ironico – Ti hanno tagliato la lingua! – esclamò puntandole il dito, sperando di farla ridere. Si sbagliò di nuovo. La ragazzina arricciò le labbra, tirandole dentro e trasformando quell’espressione spaesata in un broncio che le riempì gli occhi di lacrime.

Robert non seppe cosa pensare. Si era svegliato da soli venti minuti e in così poco tempo era riuscito a terrorizzare la ragazzina che lo aveva gentilmente risvegliato. Bel traguardo, Plant, si disse, dovrai rivedere le tue tecniche di seduzione.

- Scusami! – disse, profondamente amareggiato e portandosi una mano al petto - È che ero qui, completamente da solo e mi chiedevo come fossi riuscita a trovarmi, tutto qui. – aggiunse tutto d’un fiato, mentre le spalle della ragazza iniziavano a rilassarsi. Robert, senza ombra di malizia, avvicinò una mano ad una di esse. Si sorprese quando la ragazzina gli permise di massaggiarla piano, con una delicatezza che per certe donne non avrebbe usato e sorridendo intenerito vedendo che lei lo fissava ipnotizzata.

- Come ti chiami? – le chiese gentilmente senza interrompere il contatto.

Anche a quella domanda, rispose il silenzio, mentre gli occhi della fanciulla diventavano sempre più tristi. Poi, la vide muoversi in modo quasi impercettibile e notò che stava allungando una mano vicino al proprio fianco, con la punta del dito indice rivolta verso il selciato, tracciandoci sopra alcune lettere con una grafia sottile e tonda.

Iris

- È il tuo nome? – chiese lui e finalmente la vide annuire e sorridere insieme, in un’espressione luminosa che la rendeva ancora più bella – Ma non puoi proprio parlare? – chiese lui, sinceramente curioso. Lei fece di “no” con la testa, ma senza perdere la sua aria allegra e spensierata.

Robert non insistette oltre. La poverina era di certo muta e farle altre domande al riguardo le avrebbe fatto perdere di nuovo quel sorriso meraviglioso. Poi la vide portarsi una mano sulla fronte, come se stesse per scordare qualcosa, così si alzò di scatto andando a raccogliere qualcosa nascosta sotto un cespuglio di more.

Quando tornò, Iris porse a Robert il suo foglietto malandato, ma ancora intatto e con le parole ben scritte e leggibili, mentre lui sentì che qualcosa di grande gli cresceva nel petto. La gratitudine.

- Oddio, hai trovato anche questo! – esclamò, raccogliendo delicatamente il foglio – Tu non sei una ragazza, sei un miracolo! – aggiunse, facendola ridere e sentì che, pur essendo muta, Iris aveva una voce incredibile, cristallina. Gli bastò quel piccolo suono per intuirlo. Dopo qualche secondo, si rese conto che la stava fissando e che Iris aveva smesso di ridere, guardandolo con un’aria curiosa e incerta, come se stesse aspettando il suo prossimo passo.

- Vuoi sentire? È una canzone che sto scrivendo. – disse lui, facendola annuire una seconda volta.

Iris unì le gambe insieme e le portò entrambe da un lato, sedendosi con le mani sul grembo, pronta ad ascoltare Robert che aveva già iniziato a cantare con voce bassa e soffiata. Lo ascoltò ad occhi chiusi, ondeggiando impercettibilmente seguendo il ritmo della canzone, mentre Robert la guardava con un moto di tenerezza che non credeva di poter trovare. Era la prima volta che, pur trovando attraente una donna, sentiva tenerezza per questa, quasi di fronte a lui ci fosse Carmen intenta ad ascoltare ogni sua nuova canzone o farsi ripetere quelle che di solito ascoltava lui.

- Ti piace? – le chiese quando finì.

Lei annuì ancora, sinceramente convinta e battendo piano le mani; poi si guardò intorno, in cerca di qualcosa, alzandosi di scatto non appena il suo sguardo si fermò.

- Ma dove vai? – le chiese, vedendo che andava verso il laghetto.

Quando tornò, Iris aveva tra le mani una ninfea, bianca quasi come la sua pelle.

- Ma … che fai? – chiese Robert quando la vide avvicinarsi ad un soffio dal suo viso, credendo per un attimo che la donna nascosta dentro Iris stesse per uscire fuori. In realtà, la ragazzina andò a sistemargli il fiore tra i capelli, adagiandolo all’altezza dell’orecchio.

Robert non seppe decifrare quel gesto. Nessuno (o nessuna) aveva mai provato ad adornargli i capelli, la maggior parte delle volte si limitavano a criticarli, adorarli o tirarli. Iris, invece, aveva scelto quel gesto che invece lui aveva rivolto ad altre donne. Non sapeva se ad imbarazzarlo era “sentirsi” quasi una donna o l’incapacità di capire l’intenzione di Iris. Così, tentando anche lui la strada del silenzio, si limitò a guardarla, a capire attraverso i suoi occhi cosa le stesse passando per la mente.

Non trovò nulla di particolare, se non una voglia di portare a termine il lavoro e di farlo nel migliore dei modi, quasi volesse sdebitarsi di quella canzone mezza cantata e mezza sussurrata.

Quando ebbe finito, Iris si allontanò di poco per vedere la sua opera, per poi sorridere compiaciuta.

- Sto bene? – la assecondò lui, gonfiandosi i capelli con le dita, attento a non far cadere il fiore. Iris fece di “sì” con la testa, mordendosi le labbra con fare infantile.

Piccola Iris, pensò, sei così innocente da farmi provare affetto per te.

Non osò confessarglielo. Semplicemente si avvicinò alla giovane, sentendone il profumo fresco come la brezza marina, e le lasciò un innocente bacio sulla guancia, senza sentire il minimo desiderio di fiondarsi sulle labbra carnose o di addentarle il collo. Quella era una bambina vera, non un semplice nomignolo da appioppare alla prima che passa. Ne aveva rispetto, quasi fosse sacra e la guardò come se fosse stata una sorella minore quando sì alzò in piedi. Vista da lì, sembrava ancora più piccola.

- Sì è fatto tardi, Iris. – disse lui, notando subito la repentina espressione di delusione sul volto della ragazzina – I miei amici potrebbero preoccuparsi non vedendomi ritornare. – si giustificò, per poi chinarsi e prenderle una mano - È stato un piacere, principessa. – le sussurrò, baciando il dorso della mano minuta – Spero di incontrarti ancora, prima o poi! – concluse, mentre lei lo guardava senza lasciar trapelare alcuna emozione che non fosse lo sgomento.

Robert impiegò tutte le sue forze per non sentire il senso di colpa di fronte alla delusione di Iris, così si incamminò subito verso il casale e trovandolo dopo appena venti minuti di passeggiata. Il sole era ormai nascosto alle spalle dell’edificio, dipingendolo di ombre e di una calda luce rossa. Poi, qualcuno lo chiamò.

- Robert! – e solo allora si accorse che la porta d’ingresso era aperta, Maureen appoggiata all’uscio. In quel momento, si ricordò che aveva ancora il fiore tra i capelli e, per paura che lei iniziasse a sospettare qualsiasi cosa, se lo sfilò senza danneggiarlo. Quando fu abbastanza vicino alla moglie, questa gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo e sfiorandogli le labbra con le proprie.

- Dov’eri? – gli chiese curiosa.

- In cerca d’ispirazione. – sospirò lui.

- E l’hai trovata? – fece lei, stringendosi ancora di più a lui.

Robert sollevò il fiore alle spalle della moglie, senza che lei lo vedesse, poi rispose: - Sì.

- Perfetto. – esclamò lei, baciandolo una seconda volta. Quando si staccarono, lui le porse il fiore.

- Robert, è bellissimo! Dove l’hai trovato? – chiese lei, prendendo il fiore con aria stupefatta.

- Dopo il confine, c’è un laghetto nascosto tra le rocce. – rispose con tono monocorde.

- Wow! – esclamò lei – Non sapevo ci fosse un laghetto da queste parti.

- Nemmeno io. – disse lui, mettendosi le mani in tasca, mentre sua moglie portava il fiore tra i propri capelli.

In quel momento, sentì come un gemito di pianto sollevarsi dalla radura, ma abbastanza forte da essere scambiato per un urlo. Si voltò di scatto.

- Robert? Che succede? – chiese Maureen.

- Non hai sentito?

- Cosa? Io sento solo il rumore del vento. – constatò lei, iniziando a guardarsi intorno preoccupata – Robert, tutto bene?

- Devo andare. – disse, proprio mentre si avviava verso la radura con Maureen che lo pregava di fermarsi. Non le diede ascolto, inoltrandosi in poco tempo fino al laghetto. Quando fu arrivato, Iris non c’era più.

Solo una cosa notò. L’acqua non era più cristallina, coperta da una lieve schiuma bianca e luminosa.

Come la pelle di Iris.

- No, non può essere. – sussurrò, proprio mentre nel bel mezzo della schiuma iniziarono a sbocciare delle piccole e bellissime ninfee bianche.
















Angolo dell'autrice
Salve!
Perdonate il ritardo. Siete state così tante a recensire che avrei voluto pubblicare questo capitolo molti giorni fa. La verità è che ho finito di scriverlo solo ora. ^^'
Ok, iniziamo con i credits:
- Down to the seaside, Led Zeppelin;
- Song to the siren , Robert Plant.
Detto ciò spero abbiate intuito cosa accadrà nei prossimi nei capitoli ma, nel caso in cui invece non si sia capito una mazza, ve lo dico...
Ad ogni componente, verrà abbinata una favola di Andersen.
E, come avrete notato (spero), quella abbinata a Robert è "La Sirenetta".
Ok, date queste piccole informazioni, non vi resta che scommettere sulla prossima favola con il rispettivo componente.
Ovviamente, ogni favola è riadattata in modo che possa sembrare almeno verosimile e, per quanto riguarda "La Sirenetta", mi sono ispirata alla trama originale della favola, in cui appunto il principe non ricambia affatto la povera principessa dei mari.
Detto ciò, vi do appuntamento alla prossima favola.
D.H.

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Capitolo 3
*** Cap.2 Bonzo/Il Guardiano Dei Porci ***


I’m just a simple guy, I live from day to day

 

- Ragazzi, ho bisogno di una pausa. – disse, stiracchiandosi le braccia sopra la testa.

- Ma se è solo da un’ora che proviamo! – esclamò Page infastidito.

- JimJam – esordì – Non me ne frega un cazzo. Ho bisogno di una pausa! – esclamò e così si alzò dal suo sgabello, sistemò le bacchette sulla grancassa e si avviò nel giardino.

- Ma dove vai? – chiese Robert aggrottando la fronte.

- Lo lasciate in pace o avete intenzione di fare le mamme premurose ancora per un’altra mezz’ora? – chiese Jonesy dando un tiro alla sua sigaretta, mentre Bonzo, mani ficcate nelle tasche, attraversava il giardino respirando l’aria mattutina a pieni polmoni.

Le prove, badare ai bambini, passare il tempo con Pat …

Erano cose che amava terribilmente, ma che in quei giorni lo stavano sfinendo, specialmente se ogni mattina bisognava montare la batteria in giardino, quando lui avrebbe preferito lasciarla nell’ingresso, usando la tromba della scala come amplificatore.

- Finalmente un po’ di pace. – sussurrò, andandosi a sedere all’ombra di un pino, recuperando una sigaretta e un accendino dalle tasche per dare inizio ad una bella fumata. Chiuse gli occhi, facendo scivolare lentamente il fumo dalle labbra.

Psss

Lo sentì appena e tirò uno schiaffo nel vuoto, credendo si trattasse di un insetto.

Psss – Pss!

Eh no, non era un insetto.

Aprì gli occhi e drizzò la testa, andando alla ricerca della fonte di quel suono

- Hey, tu! Sono qui!

Si guardò intorno, stringendo gli occhi per via del sole e solo dopo essersi voltato alle sue spalle vide che, aggrappata ad un cancello, una bella ragazza dai lineamenti sottili e le forme generose lo stava guardando con un sorriso radioso.

- Ciao dolcezza! – sorrise, sollevando quei baffoni quasi fino alle narici mentre la ragazza lo ricambiava – Che ci fai lì? – chiese gentilmente.

- È qui che suona la band, vero? – chiese, aggrottando leggermente la fronte mentre il leggero vestito di seta purissima le svolazzava attorno alle gambe come ali di farfalla.

- Sì. – disse lui, appoggiando il gomito contro il cancello – E tu saresti?

- Io sono Sally. – rispose quella, la voce sottile di chi cerca di accarezzarti la testa e non farti più capire nulla. Sorrise al batterista, piegando un lato della bocca in maniera impercettibile, segno che lo faceva con un certo sforzo; ma Bonzo non se ne accorse, troppo preso dagli occhi blu che lo fissavano come a volerlo ipnotizzare.

- Sai, mio padre mi ha lasciata libera solo per un’ora. È una persona molto importante in paese. – disse, con un tono che sfiorava l’intimidazione – E se faccio tardi verrà a cercarmi come un pazzo.

- Oh, immagino! – rispose Bonzo, continuando a sorriderle come incantato – E posso anche immaginare che tu voglia entrare. – e così dicendo fece scattare la serratura, aprendo piano il cancello per farla entrare.

Sally saltellò dentro entusiasta, guardandosi intorno quasi fosse entrata in un tempio.

- Benvenuta, principessa! – esclamò Bonzo, cingendole le spalle con un braccio.

- Hey, ma che fai? – chiese Sally stizzita, scattando lontana da lui quasi schifata.

Bonzo rimase sconvolto, fissandola sbalordito con la bocca semiaperta.

- Ma … che diavolo …

- No, che diavolo vuoi tu! – fece la giovane con superbia – Ho detto che voglio vedere la band, non te! – esclamò, riempiendo di disprezzo l’ultima parola.

Il batterista era ormai pietrificato. L’incanto col quale l’aveva fissata pochi minuti prima era tramutato in sgomento come per colpa di un tremendo incantesimo. Aveva di fronte l’ennesima ugola strillante alla vista di Robert o Jimmy, una di quelle che ha solo occhi per loro e finisce col non vedere lui o Jonesy. Non l’aveva riconosciuto, il fatto era chiaro come il cielo sulle loro teste; ma, si sapeva, Bonzo non era di quelli che si perde d’animo. Così fece un passo indietro, rivolgendole un sorriso cordiale e portando le mani dietro la schiena.

- Scusami! – disse, fingendo un dispiacere così profondo da sembrare sincero – La band è nel casale. Li troverai lì.

- Grazie. – sputò lei con un disprezzo che a quanto pare aveva spazzato via qualsiasi traccia di gratitudine, sbattendo nell’aria mattutina la lunga chioma bionda ed avviandosi verso il casale.

Bonzo sorrise sotto i baffi.

- Adesso ti sistemo io!

E così dicendo, afferrò una bicicletta che era poggiata contro il muretto di fianco al cancello e si avviò nel giardino correndo il più veloce che poteva.

 

 

*

 

 

- Ma tu non eri in pausa? – chiese Jonesy sconvolto, sollevando lo sguardo dal suo libro per vedere Bonzo infilarsi in salotto entrando dalla finestra. Entrò appena in tempo per vedere Sally apparire da dietro un albero, diretta verso il portone.

- Ero! – riuscì a dire col fiatone, portandosi le mani ai fianchi.

- Qualcosa mi dice che stai tramando qualcosa. – sussurrò Jonesy sollevando un ciglio.

- Bravo, Baldwin! – esclamò John, puntandogli il dito indice – Mi piace quando azioni quel cervello nascosto sotto la parrucca da fata turchina! 

Jonesy chiuse il libro con un colpo secco.

- Ascolta, Bonz, non te …

- Sì, ok! – disse questo, prendendo il bassista per un braccio e sollevandolo di peso – Non devo chiamarti più così. Muovi il culo adesso!

 

*

 

 

Una mano colpì più volte la porta d’ingresso. Tre colpi precisi, secchi, ma deboli. Robert li sentì appena, immerso in una discussione con Jimmy in cui lui ribadiva, per l’ennesima volta, che Trumpled Under Foot somigliasse a Long Train Running dei The Doobie Brothers.

- Ti dico di sì. – diceva Robert mentre si avviava alla porta.

- Plant, non essere pignolo. Non ci somiglia affatto! – sbuffò Jimmy, portando nervosamente la sigaretta alle labbra.

- Sì, ok. – pose la mano sulla maniglia – Tanto hai sempre rag… goodmorning, sunshine! – esclamò, sfoderando un sorriso raggiante alla vista di Sally che, sull’uscio, aveva assunto la rigidità di una statua di sale, fissando Robert a occhi spalancati.

- B-buongiorno! – riuscì a dire.

Barcollò.

La vide perfettamente, nascosto dietro la porta del salotto rimasta socchiusa, e dovette recuperare tutte le forze per non ridere.

- Robert, Dio, ma l’educazione te l’hanno insegnata? – chiese Jimmy, alzandosi elegantemente dal divano per avvicinare i due, mentre Robert rimaneva silenzioso ad analizzare ogni centimetro di pelle, visibile e non, della ragazzina – Fai accomodare questa giovane bellezza!

- Troppo gentili! – cinguettò lei, aggrappandosi al braccio che Jimmy le offriva, accompagnandola sul divano dove era seduto poco prima.

- Come hai fatto a trovarci, dolcezza? – chiese Robert aggiungendosi alla coppia, sedendosi scomposto in modo che la ragazza lo guardasse non esattamente negli occhi.

- Oh, beh … - disse lei, arrossendo vistosamente e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Lo sanno tutti in paese che voi siete qui – aggiunse, stentando un sorriso.

- Oh, davvero? – sussurrò Jimmy, risistemandole la stessa ciocca, ma la poverina era troppo presa da quegli occhi verdi per notare che il chitarrista l’aveva appena imitata – E chi ti ha fatto entrare? – chiese severo, facendo impallidire Sally in un colpo solo e facendola deglutire pesantemente.

- I-io … non so … credo un vostro aiutante, o qualcosa del genere. – provò a dire – è un problema? – chiese con un nodo alla gola.

- Certo che no, piccola. – la rassicurò Robert con un ghigno che lo contraddiceva – Ci fa piacere ricevere visite. Specialmente se sono tutte come …

Ma fu interrotto. Jonesy si precipitò nell’ingresso, scompigliato e col fiatone, attirando l’attenzione sorpresa dei tre.

- Che ti prende? – chiese Jimmy con tono monocorde.

- Maureen. Charlotte! – riuscì a dire – Sono al cancello, le ho appena viste arrivare dalla mia stanza.

- Oh, cazzo! – esclamò Robert con voce stridula.

- Già, quello che perderemo se questa non sparisce! – esclamò Jimmy indicando Sally con le mani.

La poverina era ormai nel panico totale, gli occhi sgranati e lo sguardo ferito, probabilmente da come l’aveva appena indicata Jimmy. Si alzò insieme ai due guardandosi intorno come in cerca di una via di scampo. Quello che sembrava un sogno si era appena trasformato in un incubo.

- Coraggio. – disse Jonesy, poggiandole una mano su una spalla – Vieni con me.

Sally annuì. Non si accorse nemmeno dello sguardo di Jonesy che correva alla porta del salotto e della testa che annuiva, troppo impegnata a fissare i fianchi di Robert e i capelli corvini di Jimmy che salivano le scale.

Bonzo chiuse la porta, un sorriso trionfante sulle labbra.

- E non finisce qui!

 

 

*

 

 

- Ma, dove mi stai portando?

La voce stridula di Sally gli arrivò all’orecchio come se fosse stato il ronzio fastidioso di un insetto, ma si stava divertendo troppo per lasciar perdere e, quando vide Jonesy aprire la porta del porcile, gli fu difficile trattenere le risate.

- John. Nascondila. Le mogli dei membri della band sono arrivate e tu e questa signorina fate in modo di non farvi vedere in giro, chiaro? – ordinò Jonesy con tono di disprezzo e con una punta di vendetta, sapendo perfettamente che non poteva rispondergli a tono.

- Sì signore …

- Ma, come? Mi nascondete qui? – chiese schifata la ragazza, fissando i maiali di fronte a sé – E con questo qui?

- Ma chi ti tocca! – esclamò Bonzo, sedendosi su uno sgabello mentre Jonesy chiudeva la porta ridendo sotto i baffi.

- I-io non posso stare qui! Devo tornare a casa!

- Stai zitta. Con quella voce potrebbero sentirti fino in paese e se le mogli ti scoprono, ti mettono al posto mio a spalar letame. – puntualizzò, per poi tirare fuori dal taschino un’armonica a bocca.

- Ci mancava il porcaro musicista. – sbuffò l’odiosa ragazzina, ma Bonzo non le diede corda. Prese a suonare. Era un vecchio pezzo di Little Walter, Juke, che spesso si divertiva a suonare insieme a Robert quando erano ragazzini, stesi sul bordo di qualche muretto di una delle tante campagne sperdute delle Midlands.

Sembrò un incanto.

Sally si voltò a guardarlo, forse era la prima volta che lo faceva quel giorno, gli occhi pieni di un interesse che fino a quel momento non gli aveva rivolto. Il suono di quell’armonica era così cristallino e al contempo sporco, sensuale, che sentì qualcosa muoversi al centro del petto. Forse l’anima.

Si sedette su un mucchio di paglia, le ginocchia raccolta tra le braccia, fissando Bonzo a bocca spalancata.

- Wow! – sussurrò quando lui ebbe finito, incantata.

Lui si voltò soddisfatto, sorridendole sbilenco.

- Grazie. – disse, poi guardò fuori da una delle minuscole finestre del porcile, i poveri animali che continuavano a gironzolare pigri ed indisturbati.

- Che c’è? – chiese lei.

- Credo siano andate via. Ti accompagno su.

 

 

*

 

 

Dal salotto, la chitarra di Jimmy urlava impazzita, persa in un assolo malinconico.

- Stanno provando! – sussurrò lei a Bonzo, ormai avvicinandolo con sicurezza – Perché non gli chiedi di suonare con loro? Sei bravo con quell’armonica.

Bonzo rise di gusto: - Il mio mestiere è la batteria, carina! – esclamò e, così dicendo, spalancò la porta del salotto, entrando entusiasta.

- Ma dov’eri finito? – lo rimproverò Jimmy vedendolo entrare e, pur notando la presenza di Sally, la ignorò completamente.

- Chiedilo a Miss Universo! – disse, afferrando le bacchette e indicando Sally, sempre più sconvolta e corrucciata.

- T-tu … - balbettò, indicando Bonzo con un dito mentre gli altri tre si gustavano la scena iniziando a ridere – Se-sei il batterista?

- No, suo nonno! – disse, battendo le bacchette una contro l’altra – Riprendiamo a provare? A mezzogiorno vorrei mangiare!

- Agli ordini capo! – esclamò Robert mettendosi sull’attenti e agitando a destra e a manca la chioma leonina.

Sally prese a piangere.

Bonzo aveva organizzato tutto alla perfezione, mettendo in piedi quella lezione che, ne era sicura, non avrebbe mai dimenticato. Si voltò, facendo per andarsene, ma la voce di Bonzo la bloccò.

- E ricorda una cosa, bambina!

Lo guardò, gli occhi che trasmettevano il suo senso di colpa.

- Mai giudicare dalle apparenze.

Detto questo, batté il tempo e ricominciarono a provare, mentre Sally andava via a testa bassa e la sua presunzione ferita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Angolo dell’autrice.

Eccomi qui!

Perdonate il vergognoso ritardo, ma il tempo è quello che è!

Ecco, questa è la fiaba “appioppata” a Bonzo bello: “Il porcaro” o “Il guardiano dei porci”.

Per chi abbia letto la storia, sa perfettamente che la storia non è esattamente fedele per come l’ho scritta, ma, lo ripeto, per me la cosa fondamentale è adattare la fiaba originale alla realtà e renderla quasi verosimile. E per farlo, ciò che tento di “salvare” è la morale che vuole insegnare la fiaba vera.

Ad ogni modo, quella scritta qui è anche una specie di “critica”.

Lo so bene, tutte noi, esattamente come Sally, non possiamo fare a meno di spalancare la bocca di fronte ai fianchi spettacolari di Robert o incantarci di fronte agli occhi di Jimmy però… Hey, c’erano altri due componenti nel gruppo! :D

Quindi, eccovi la morale della fiaba abbinata a Bonzo!

Credits: Out On The Tiles, Led Zeppelin.

Sì, credo ci sia tutto, alla prossima!

D.H.

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